Frommel Chiese Sepolcrali e Corimausolei Nell Architettura Del Rinascimento Italiano 2005
Frommel Chiese Sepolcrali e Corimausolei Nell Architettura Del Rinascimento Italiano 2005
): Demeures d'éternité : églises et chapelles funéraires aux XVe et XVIe siècles; actes
du colloque tenu à Tours du 11 au 14 juin 1996, Paris 2005, S. 73-98 (De Architectura : Colloques ; 10)
Online-Veröffentlichung auf ART-Dok (2023), DOI: https://doi.org/10.11588/artdok.00008353
1. Ringrazio Elisabetta Pastore della traduzione. Ph. Ariès, Essais sur l’histoire de la mort en Occident du Moyen Àge à nos jours,
Paris, 1975 ; M. Rayon, Espace de la mort, Paris, 1981 ; H. Colvin, Architecture and thè afterdife, New Haven, 1991 ; V.
Pringel, « Grabbauten », in Der Neue Pauly Enzyklopadie der Antike, voi. 4, Stuttgart-Weimar, 1998, p. 1168-1185 ; E. Jas-
trebowska, « Totenkult », in op.cit., voi. 12, 2002, p. 707-717 ; W. Fauth, « Bestattung », in K. Ziegler, W. Sontheimer,
H. Gàrtner, Der kleine Pauly, Miinchen, 1979, p. 874 ss. ; D. Wachsmuth, « Totenkult », in op.cit., voi. 5, p. 891-901.
2. P. Gros, « Maisons, palais, villas et tombeaux », in L’architecture romane, voi. 2, Paris, 2001, p. 380-454 con bibliografìa.
3. R. Krautheimer, Early christian and Byzantine architecture, Harmondsworth, 1965, p. 41.
4. Krautheimer 1965, p. 47.
5. Krautheimer 1965, p. 43 s.
6. Krautheimer 1965, p. 137 s.
Quando Brunelleschi, dopo aver studiato per molti anni i monumenti romani, ritornò
a Firenze, sua città natale, era di nuovo legato alle opinioni di un comune governato dalle
corporazioni basse e alle loro regole democratiche. Gli aristocratici erano stati esiliati e i
ricchi commercianti, come gli Strozzi e i Medici, evitavano accuratamente di provocare
l’invidia dei loro concittadini attraverso una presenza troppo sontuosa e autoritaria. Le
cappelle dei Barbadori e dei Ridolfi, che Brunelleschi costruì attorno al 1419 negli angoli
7. Chr. L. Frommel « Capella lulia. Die Grabkapelle Papst Julius II. in Neu-St. Peter », in Zeitschrift fur Kunstgeschichte, 40, 1977,
p. 26-42 ; vedi la versione rivista e tradotta : Chr. L. Frommel, « Capella lulia : la cappella sepulcrale di papa Giulio II nel
nuovo San Pietro », in C. Tessati (a cura di), San Pietro che non c’è, Milano, 1996, pp. 85-118.
8. Tiberio Alpharano, De basilica? Vaticana? antiquissima et nova structura, a cura di M. Cerrati, Roma, 1914-
9. T. Magnuson, « Studies in Roman Quattrocento Architecture », in Figura, 9, 1958, p. 163-200.
10. A. Erlande-Brandenburg « L’abbatiale de la Chaise-Dieu », in Congrès archéologique, 1975, Velay, p. 738 ss.
11. Catalogne de l’exposition La Chartreuse de Champmol, Dijon, 1960.
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delle navate di S. Felicita e S. Jacopo Oltrarno, si limitavano a cibori poco monumentali,
sufficienti appena per una mensa d’altare e una tomba pavimentale 12. Ma anche se in scala
piccola Brunelleschi fu in grado già qui di realizzare il suo ideale, cioè un ambiente a pianta
centralizzata sormontato da una cupola. Nel fare questo partì non solo dalle cappelle poli
gonali laterali e da quelle per il coro delle chiese gotiche, ma anche dai cibori, che dal
Medioevo in poi furono l’elemento architettonico più prestigioso per contrassegnare l’altare
maggiore o una tomba. Nelle due cappelle fuse il ciborio dell’altare con quello della tomba
e tradusse le forme gotiche nel linguaggio degli ordini antichi, come li aveva studiati a Roma
e li aveva continuamente davanti agli occhi nel battistero. Solo poco tempo prima, nell’Ospe-
dale degli Innocenti, una committenza avuta dalla corporazione dell’Arte della Lana, aveva
usato elementi del tutto analoghi e tradotto nel suo nuovo linguaggio il portico di un ospedale
tardomedievale. Nonostante le funzioni completamente diverse, egli si attenne quindi, nelle
sue prime costruzioni, allo stesso sistema.
Di questo sistema architettonico Brunelleschi si servì poi anche attorno al 1422 per
progettare la Sacrestia Vecchia (figg. 2, 3).13 A commissionargliela fu il banchiere Giovanni
di Averardo de’ Medici, che si era schierato dalla parte delle corporazioni basse. Associando,
come già il potente Palla Strozzi attorno al 1418 nella S. Trinità, il suo luogo di sepoltura
, cioè finanziando contemporaneamente una funzione religiosa, preposta ai
alla sacrestia1415
suoi interessi personali, egli si rese benemerito della città e riuscì allo stesso tempo ad erigere
una cappella decisamente più spaziosa e sontuosa di quanto potesse essere possibile nella
chiesa stessa.
Giovanni apparteneva alla parrocchia di S. Lorenzo e ad una commissione istituita dalla
stessa parrocchia già dal 1416, la quale doveva accelerare la nuova costruzione della chiesa
Stando al biografo Manetti, tale costruzione seguiva un sistema trecentesco, ma poiché non
c’erano sufficienti finanziamenti, fino al 1422 non andò oltre alcuni pilastri in mattoni del
coro16. Assumendosi ora il finanziamento non solo della sacrestia, ma di tutto l’edificio nuovo
ad eccezione delle cappelle, Giovanni acquistò anche una decisiva influenza sulla progetta
zione.
Nella scelta dell’architetto dovette avere un ruolo importante già suo figlio Cosimo.
All’epoca questi aveva 33 anni e sarebbe stato diventato ben presto il promotore più impor
tante degli umanisti e artisti fiorentini. Certamente Cosimo aveva seguito con molta atten
zione le prime opere architettoniche di Brunelleschi e prima di tutto la progettazione della
cupola ; è possibile quindi che avesse proposto proprio lui questo maestro, sul quale ancora
nel 1416 difficilmente poteva cadere la scelta. Ad ogni modo Cosimo ebbe poi, anche nella
realizzazione della chiesa e della sacrestia, un ruolo così importante che già verso il 1422 si
parlava dei « fondamenti di chosimo ».17
Se la rettangolare e lunga sacrestia della S. Trinità e la sua corta facciatella si era
differenziata solo poco dalle cappelle sepolcrali trecentesche, Brunelleschi e i suoi committenti
trovarono ora nel battistero di Padova un monumentale prototipo, e questo si avvicinava
anche di più al sistema delle sue cappelle precedenti18.
Sia lo spazio cubico che l’attigua cappella d’altare del battistero di Padova erano sor
montati da volte a vela e costruiti in forme pregotiche - non diversamente dalle chiese del
Protorinascimento toscano, nelle quali Brunelleschi aveva riscoperto i resti dell’identità latina
della sua città natale. Verso il 1375-76 la moglie di Francesco il Vecchio da Carrara, Signore
di Padova e amico di Petrarca, aveva fatto dipingere l’interno del battistero dall’eminente
12. W. e E. Paatz, Die Kirchen von Florenz, Frankfurt/Main, 1940-54, voi. 2, p. 385 s. ; Antonio di Tuccio Manetti, The life of
Brunelleschi, a cura di H. Saalman, University Park e Londra, 1970, p. 68 ss., 136.
13. H. Saalman, Filippo Brunelleschi. The Buildings, London, 1993, p. 197-144.
14. A. Bruschi, « Brunelleschi », in Fr. P. Fiore (a cura di), Storia dell'architettura italiana. Il Quattrocento, Roma, 1998, p. 84.
15. Saalman 1993, p. 435 ss.
16. Saalman 1993, p. 107-144-
17. Saalman 1993, p. 116, 158.
18. Bruschi 1998, p. 59-65.
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al tempio24, così dunque la cappella sepolcrale corrispondeva ad un tempio sepolcrale, come
quelli che Brunelleschi potrebbe aver visto sulla Via Appia.
Alle idee di Brunelleschi si avvicinò certamente ancora di più l’incarico per l’oratorio
di S. Maria degli Angeli a Firenze, un convento camaldolese con propria chiesa medioevale,
(fig. 8)25. In questo oratorio che fu finanziato con l’eredità di tre componenti della famiglia
Scolari, dovevano venir lette le messe per gli Scolari e collocati i loro stemmi. Delle tombe
stesse non si parla nei contratti e quindi anche qui il ruolo decisivo lo dovevano aver avuto
le messe in suffragio delle anime. Di nuovo l’unione di interessi privati e pubblici aveva reso
possibile una costruzione sontuosa. La corporazione dell’Arte della Calimala si occupò della
realizzazione delle disposizioni testamentarie degli Scolari, mentre la scelta di Brunelleschi
potrebbe essere stata influenzata da Ambrogio Traversari famoso per la sua formazione
umanistica e le sue conoscenze del greco. Egli aveva appartenuto al convento prima di venir
nominato nel 1431 Generale dell’Ordine dei Camaldolesi, ed era in stretto contatto con
Cosimo26. Ad ogni modo le lunghe e difficili trattative giunsero a conclusione solo nel 1434-
Nel poligono, i cui lati si raddoppiano all’esterno, Brunelleschi sembra essersi ispirato
ad un antico prototipo, oggi noto solo attraverso disegni e nel quale già lui potrebbe aver
presupposto un mausoleo (fig. 9)27. I sei lati della costruzione centralizzata si aprivano sul
portale e su cinque cappelle e all’esterno si trasformavano in un dodecagono grazie a delle
nicchie.
Questa cella esagonale, alla quale si doveva accedere attraverso un portico a colonne,
venne trasformata da Brunelleschi in un ottagono e all’esterno in un poligono a sedici angoli.
In questo modo egli si avvicinò all’ideale del Battistero ancora molto di più rispetto alle sue
precedenti costruzioni. Sull’altare maggiore, che forse doveva stare al centro dell’ottagono, i
monaci avrebbero letto le messe per gli Scolari, mentre le sei cappelle laterali erano destinate
ad altre sepolture28. Anche a questo « mausoleo » si doveva accedere attraverso un portico
a colonne29. Sebbene questo primo e autentico edificio centralizzato del Rinascimento sia
rimasto incompleto, esso si pone tuttavia all’inizio di uno sviluppo rintracciabile fin nel XVI
secolo.
Subito dopo che Cosimo de’ Medici il 1° ottobre 1434 era ritornato trionfante dall’esilio
di un anno e si era rafforzata la sua posizione politica, ma ancora molto prima che si accingesse
a costruire il suo nuovo palazzo o ad ampliare le sue ville, fece arredare da Donatello in
modo sfarzoso la Sacrestia Vecchia, trasformandola solo così nell’inconfondibile cappella
sepolcrale dei suoi genitori3031. Sia che Brunelleschi si fosse rifiutato di mettere in pericolo le
sue proporzioni accuratamente calcolate sia che difficoltà personali avessero offuscato i suoi
rapporti con Cosimo o ancora che Cosimo fosse stato affascinato dalle eccellenti capacità di
Donatello, sta di fatto che l’incarico venne affidato a quest’ultimo e da quel momento
Brunelleschi non avrebbe lavorato mai più per Cosimo, anzi sarebbe stata molto limitata la
sua ulteriore attività, soprattutto alla cupola del duomo.51
Se ancora nel 1432 Cosimo aveva fatto nascondere il sarcofago dei suoi genitori sotto
il tavolo di marmo della sacrestia e decorare l’altare con la Madonna, i profeti e il rilievo di
Isacco32, ora dominavano il programma figurativo l’omonimo santo patrono di Giovanni e i
24. Chr. L. Frommel, « Il San Sebastiano e l’idea del tempio in L. B. Alberti», in L. Chiavoni, G. Ferlisi (a cura di), Leon
Battista Alberti e il Quattrocento Firenze, 2001, p. 291'304-
25. Saalman 1993, p. 380'409.
26. G, Clarke, « Ambrogio Traversari : artistic adviser in early fifteenth'Century Florence », in Renaissance Studies, 11, 1997,
p. 16M78.
27. H. Giinther, Das Studium der antiken Architektur in den Zeichnungen der Hochrenaissance, Tiibingen, 1988, p. 92 s. La pianta
GDSU 4378 U non può riprodurre nessun progetto del Cronaca già per il fatto che nel testo relativo si parla di colonne in
travertino, che all’epoca a Firenze non c’erano da nessuna parte.
28. Non è chiaro se un tale oratorio aveva bisogno di stalli per i monaci ; cfr. Saalman 1993, p. 387 s.
29. Saalman 1993, p. 391'396.
30. Saalman 1993, p. 133 s.
31. Saalman 1993, p. 151 s.
32. Saalman 1993, p. 133.
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sepolti in tale posizione. Ad una proposta di Donatello risalivano probabilmente anche i due
amboni da lui realizzati su commissione di Cosimo e che dovevano essere sistemati proba
bilmente sui pilastri della crociera di S. Lorenzo orientati verso la navata (fig. 7)38. Donatello
li aveva visti nel Laterano e in tante altre chiese romane e li aveva interpretati certamente
come elementi importanti della chiesa paleocristiana, alla cui forma basilicale si era appunto
già orientato Brunelleschi.
Con questo, lo sviluppo della cappella sepolcrale a Firenze aveva raggiunto il suo apice.
Nessun altro fiorentino potè osare qualcosa di simile e i Medici rimasero fedeli alla loro
vecchia chiesa di famiglia fino alla costruzione della Sacrestia Nuova e della Cappella dei
Principi attigua alla cappella del coro. Per i discendenti di Cosimo fu però impossibile trovare
una sepoltura equivalente nella chiesa. Lorenzo il Magnifico tumulò suo padre, Pietro il
Gottoso, morto nel 1469, e il fratello di questi Giovanni, morto già nel 1463, in un sarcofago
estremamente sfarzoso, progettato dal Verrocchio, ma si accontentò di collocarlo in un’aper
tura della parete, simile a una finestra e chiusa da una griglia bronzea, tra la sacrestia e la
cappella doppia dei Medici, e di una lapide con l’iscrizione « patri patruoque »39. Sia Lorenzo
che il suo fratello Giuliano, assassinato nel 1477 furono sepolti nella cripta della Sacrestia
Vecchia. Ma Lorenzo potrebbe aver pensato già a una cappella corrispondente alla sacrestia
nel transetto destro, come la propose Giuliano da Sangallo probabilmente allo stesso
Lorenzo40. Solo il figlio di Lorenzo, papa Leone X, riprese questo progetto ed incaricò Miche
langelo nella primavera del 1519, immediatamente dopo la morte dell’ ultimo rappresentante
laico della sua famiglia, di realizzare una cappella sepolcrale, dove dovevano essere sepolti
sia i due Magnifici che i due Principi41. Dopo aver pensato in un primo momento ad un
monumento funerario centrale, ci si accontentò infine di tre tombe a parete, di modo che
nessuno dei defunti ebbe una posizione centrale come Giovanni di Averardo o addirittura
Cosimo.
S. Maria degli Angeli e la sepoltura di Cosimo in S. Lorenzo furono le premesse per il
coro circolare, che il marchese di Mantova fece costruire nella SS. Annunziata a Firenze in
memoria del padre appena morto4243 (fig. 10 e 11). Lodovico era stato nominato nel 1444
Generale fiorentino e potrebbe essere stato incoraggiato da Cosimo ad investire una parte
dei suoi nuovi introiti in una chiesa, che Cosimo aveva fatto ingrandire e abbellire da
Michelozzo. E fu così che anche Lodovico si decise poi per questo architetto.
Come l’oratorio di S. Maria degli Angeli anche qui il coro non fu tanto destinato alle
tombe quanto alle messe in suffragio del defunto marchese, e come Brunelleschi anche
Michelozzo seguì lì un prototipo antico su pianta poligonale, la Minerva Medica a Roma,
nella quale già i contemporanei dell’epoca supponevano un antico mausoleo41.
Le comunanze con la crociera di S. Lorenzo sono evidenti : le messe sull’altare maggiore
e le preghiere corali dei monaci vennero strettamente associate alla salvezza dell’anima del
marchese. Nel cristallino decagono con la cupola similmente bassa come quella del Pantheon,
per la prima volta un mausoleo si presentò come tale anche esternamente.
Dovevano passare ancora alcuni anni prima che questi sfarzosi cori-mausolei venissero
imitati anche oltre i confini di Firenze. Sigismondo Malatesta, Signore di Rimini, era diventato
ricco grazie ai suoi successi come condottiero e già attorno al 1447 aveva incaricato Matteo
de’ Pasti di abbellire e ingrandire S. Francesco, la chiesa sepolcrale dei suoi antenati situata
nel cuore della sua città residenziale44. Matteo ampliò la navata su entrambi i lati rispetti
vamente con tre cappelle rettangolari profonde. Se ancora nell’aprile del 1449 Sigismondo
aveva pensato di farle affrescare, poche settimane più tardi si decise invece per sfarzosi e
duraturi rilievi in marmo, ai quali Agostino di Duccio e i suoi aiutanti avrebbero lavorato
fino al 1457. Inoltre vennero decorate non solo le tre cappelle per Sigismondo, per la sua
amante e futura sposa Isotta e per i suoi antenati, e le due relative sacrestie, ma anche le
tre rimanenti cappelle, nelle quali non c’era ancora nessuna tomba. Nell’intermediazione a
favore di artisti fiorentini sembra aver avuto un ruolo importante il figlio di Cosimo, Giovanni,
al quale Sigismondo si rivolgeva in una lettera dell’aprile 1449 chiamandolo « Magnifico viro
tanquam compatri »4546.Giovanni potrebbe avergli fatto da intermediario non solo per il pittore
anonimo, ma anche per Agostino di Duccio, che per un delitto era dovuto scappare da
Firenze, per Piero della Francesca, che dipinse il ritratto di Sigismondo nella sacrestia attigua
alla sua cappella, e per Filippo Lippi, che nel 1454 dipinse la pala d’altare per la Cappella
dei Pianeti. Per la prima volta vennero introdotti nel programma cosmologico delle cappelle
non solo motivi astrologici, ma anche altri motivi pagani e mitologici. L’iscrizione originaria
nella cappella di Isotta, che aveva parlato della sua « forma et virtute Italiae decori », venne
fatta sostituire da Sigismondo nel 1450 da un’altra iscrizione quasi blasfema : « D(ominae)
Isottae Ariminiensi B(eata)e m(emoriae) sacrum MCCCCL ». Si avverte quale libertà potesse
prendersi un uomo violento come Sigismondo nell’ambito del suo dominio. Non per niente,
già poco tempo dopo papa Pio II giudicò quest’uomo malvagio, il cui tempio sarebbe stato
pieno di opere talmente pagane da assomigliare a un luogo di culto non più di cristiani, ma
d’infedeli servitori di idoli.
Per la ristrutturazione dell’esterno, resasi più necessaria per l’aggiunta delle cappelle
laterali, Sigismondo deve aver cercato un architetto più importante di Matteo de’ Pasti, e lo
stesso Giovanni de’ Medici potrebbe avergli consigliato Alberti, al quale era legato da stretta
■ • • 46 .
amicizia
La medaglia di fondazione, che Matteo coniò in base al progetto di Alberti, reca la data
dell’anno santo 1450, ma risale evidentemente solo all’epoca successiva all’ottobre di
quest’anno (fig. 13)47. Come numerose iscrizioni della chiesa, Sigismondo però la fece retro
datare per far coincidere il voto con l’Anno Santo, un voto che egli evidentemente intendeva
come testimonianza importante della sua fede. Alberti dovette quindi elaborare il progetto,
il suo primo per un edificio sacro, attorno al 1451-52 e, probabilmente, dopo aver visitato
prima Rimini e essersi ampiamente consultato con Sigismondo e Matteo, il capo costruttore
dell’impresa. Al più tardi nel 1453, quando venne preparata l’esecuzione, dovette venir
realizzato anche il modello ligneo48. Sigismondo venne rovesciato nel 1462 e quindi i lavori
non andarono oltre il piano inferiore della facciata e i fronti laterali del corpo longitudinale.
Alberti, nel coro rotondo che voleva aggiungere alla navata allargata, si rifece diretta-
mente al coro di Michelozzo nella SS. Annunziata, alla cui progettazione forse aveva contri
44. C. Hope, « The early history of thè Tempio Malatestiano », in Journal of thè Warburg and Courtauld Institutes, 55, 1992,
p. 51'154 ; H. Burns, « Leon Battista Alberti », in Fiore 1998, p. 129'133.
45. G. Gaye, Carteggio inedito d’artisti, Firenze, 1839, vol.l, p. 159 ; F. Borsi, Leon Battista Alberti, Milano, 1973, p. 91-131.
46. Sull’amicizia di Giovanni con Alberti, vedi Chr. L. Frommel, « La Villa Medici di Fiesole e la nascita della villa rinasci
mentale » in Chr. L. Frommel, Architetti e committenti da Alberti a Bramante, Firenze, 2005.
47. Hope 1992, p. 92 ; Burns 1998, p. 129-133.
48. Hope 1992, p. 94.
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buito addirittura lui stesso. Con un diametro di circa 24 m, questa rotonda sarebbe stata una
solenne cornice per le messe in suffragio, senza per questo rendere superflue le cappelle
sepolcrali, ai cui rilievi Agostino infatti aveva continuato a lavorare senza interruzioni e nel
frattempo forse addirittura ispirato da Alberti49. È da notare che Alberti, nel quasi contem
poraneo « De re aedificatoria », non spese alcuna parola su tali cori-mausolei, ma si limitò a
riferire notizie di antichi mausolei5051.
Alberti nascose le pareti laterali delle nuove cappelle dietro ad arcate su pilastri, che
danno luce alle finestre, ma che al contempo seguono il modello degli avelli medievali di S.
Maria Novella. Nei sarcofaghi antichizzati Sigismondo fece seppellire grandi personaggi a lui
vicini, tra cui il filosofo neoplatonico Gemistos Plethon, le cui ossa lui stesso aveva portato
con sé dalla Grecia, e due poeti della sua cerchia più stretta — un Panthéon ante litteram,
che dilatava il carattere del mausoleo ben oltre la sepoltura dei due fondatori.
Nella facciata egli seguì la tipologia della facciata di S. Miniato a Firenze, cioè di una
di quelle chiese del Protorinascimento toscano, che erano già state tanto importanti per
Brunelleschi. Lì egli continuò le arcate laterali, ma conferì loro un formato più monumentale
e le decorò secondo il modello del vicino Arco di Augusto, con un ordine di semicolonne
scanalate e trabeazione con aggetti. In questo modo fece risaltare il carattere trionfale ancora
più palesemente di Brunelleschi in S. Lorenzo o nella Cappella Pazzi. Ma come nella Sacrestia
Vecchia, pure qui alle numerose allusioni ai committenti e alla loro gloria terrestre, stanno
di fronte i serafini dei capitelli — simboli spirituali, che rimandano alla vittoria sulla morte e
alla vita eterna dell’anima. Se quindi all’inizio Sigismondo si era attenuto alla tipologia
tradizionale della cappella sepolcrale e della tomba, ora Alberti riuscì a convincerlo a costruire
un mausoleo trionfale e quindi a trapiantare nelle corti principesche italiane, in scala più
grandiosa, uno sviluppo iniziato con le tombe medicee.
Il ricordo della SS. Annunziata e la speranza di trovare in Lodovico Gonzaga quel
congeniale committente a lungo desiderato, potrebbe aver contribuito a far sì che Alberti
accompagnasse Pio II a Mantova all’inizio del 1459 In effetti egli fu in grado di presentare
al marchese già nel febbraio 1460 i progetti per due chiese e per un monumento a Virgilio5253.
In quello stesso mese vennero poste le fondamenta per S. Sebastiano, una costruzione cen
tralizzata, che Lodovico, dopo una visione avuta in sogno, dedicò a San Sebastiano, il santo
protettore contro la peste, ma che pare avesse previsto anche come mausoleo per la sua
famiglia. Come negli antichi templi sepolcrali, ma in nessuna precedente chiesa, il portale
verso la chiesa inferiore simile a una cripta doveva intagliarsi nella larga scalinata libera’'
(fig. 12 e 14). Anche qui il fronte di tempio segue un sistema trionfale, affine alla serliana,
come quello che Alberti potrebbe aver visto nell’arco trionfale di Grange e nel peristilio del
palazzo imperiale di Spalato, e anche qui il centro dello spazio sotto la cupola potrebbe essere
stato destinato alla lastra tombale del fondatore. La costruzione tuttavia venne criticata dal
figlio di Lodovico, il cardinale Francesco Gonzaga, che vi fiutò tendenze pagane. Forse per
evitare conflitti con la Chiesa, Lodovico condusse la costruzione del S. Sebastiano non oltre
i bracci della croce e diede poi la precedenza alla costruzione del S. Andrea.
Nel ducato di Milano ci voleva ancora più tempo per arrivare a progetti paragonabili.
Attorno al 1430 il cardinale Branda Castiglione aveva seguito, nella costruzione della Col
legiata di Castiglione Olona, la Sacrestia Vecchia di Brunelleschi, ma per la sua cappella
49. È difficile credere capace il solo Agostino della prospettiva architettonica sullo sfondo del sarcofago nella Cappella degli
Antenati, che nel 1454 non era stata ancora completata (Hope 1992, p. 95).
50. L. B. Alberti, De re aedificatoria, VJII, c. 2, 3 (a cura di P. Portoghesi, Milano, 1966, p. 670-693).
51. A. Calzona, L. Volpi Gherardini, li San Sebastiano di Leon Battista Alberti, Firenze, 1994.
52. Calzona, Volpi Gherardini 1994, p.12, 42. Si può ipotizzare che il disegno del Louvre, fortemente rielaborato e prima
attribuito a Mantegna, raffiguri il progetto di Alberti (G. Paccagnini (ed.), Andrea Mantegna (Catalogo della mostra) Man
tova, 1961, p. 169, fig. 144) ; su questa attribuzione Chr. L. Frommel, « L’arco di Castel Nuovo e Alberti », in Atti del
convegno albertiano dell’università di Miinster, ottobre 2004 (in corso di stampa).
53. Calzona, Volpi Gherardini 1994 ; Frommel 2001.
54. L. Giordano, « Milano », in Fiore 1998, p. 173 ss. ; Chr. L. Frommel, « Lombardia », in Chr. L. Frommel, L. Giordano,
R. Schofield (ed.), Bramante Milanese e l’architettura del Rinascimento Lombardo, Milano, 2002, p. 20 ss.
55. Giordano 1998, p. 178s. ; L. Pattetta, « Nuove ipotesi su alcuni monumenti del Quattrocento milanese », in Frommel,
Giordano, Schofield 2002, p. 152-159.
56. R. Schofield, « The Colleoni Chapel and thè creation of a locai all’antica architectural style », in Frommel, Giordano,
Schofield 2002, p. 167-192.
57. Giordano 1998, p. 190 s.
58. M. Frassineti, R. Auletta Marruccci, S. Righini Ponticelli, G. Mulazzani, « Santa Maria delle Grazie », Milano, 1998 ; R. V.
Schofield, « Bramante e un Rinascimento locale all’antica », in F. P. Di Teodoro (a cura di), Donato Bramante, ricerche,
proposte, riletture, Urbino 2001, p. 58 ss. ; Frommel 2002, p. 20 ; L. Giordano, in questo volume p. 99-112.
59. Giordano 1998, p. 187-190; Frommel 2002, p. 13-17 ; M. Visioli, «Pavia. Il duomo», in Frommel, Giordano, Schofield
2002, p. 339-350.
60. J. Guillaume, « L’église : le pian centré », in P. Galluzzi e J. Guillaume (a cura di), Léonard de Vinci ingénieur et architecte,
Montreal 1987, p. 224-248 ; R. Schofield, « Leonardo’s Milanese architecture : career, sources and graphic techniques », in
Achademia Leonardi Vinci, 4, 1991, p. 111-157.
61. Chr. L. Frommel, « Il Palazzo Ducale di Urbino forma e funzione », in F. P. Fiore (a cura di), Francesco di Giorgio. Atti del
convegno Urbino 2001, Firenze, 2004, p. 193 s.
82 C. L. FROMMEL
a una cripta, forse già Francesco di Giorgio aveva supposto un mausoleo (fig. 16)62. Del resto
anche questi, nei suoi scritti teorici, dedicò alla cappella sepolcrale solo poche parole63. Come
Alberti anche lui equiparò la chiesa al tempio antico e preferì una cella rotonda. Con un
simile tempio sepolcrale antichizzato egli si sarebbe spinto, in modo addirittura ancora più
evidente, oltre la S. Maria degli Angeli e la SS. Annunziata64.
Forse il mausoleo di Federico fallì nuovamente per le proteste dei rappresententi della
Chiesa. Ad ogni modo egli costruì poi, dall’altra parte della valle, una vera e propria chiesa
sepolcrale, che poteva vedere dal suo studiolo (fig. 17), ponendosi così nella tradizione degli
antenati della sua defunta moglie, Battista Sforza. Questa venne sepolta nella cappella cir
colare del convento delle clarisse sul pendio settentrionale della città65.
In S. Bernardino Francesco di Giorgio seguì il modello della SS. Annunziata e del
Tempio Malatestiano, quando continuò in un coro-mausoleo lo spazio a una navata riservato
ai laici. A questo però egli non diede la forma di un poligono o di una rotonda, ma quella
del mausoleo dei Cerceni sulla Via Appia e poggiò gli archi della cupola ugualmente su
colonne d’angolo. Come poi in S. Maria delle Grazie, anche qui l’altare maggiore stava sotto
l’arco che collegava lo spazio della cupola con il retrostante coro dei monaci che sembra far
parte della costruzione originale66. In entrambi i progetti per il mausoleo ducale Francesco
cercò ad ogni modo di avvicinarsi agli antichi ancora più di quanto avessero fatto i precedenti
architetti.
Giovanni della Rovere, Signore di Senigallia, seguì l’esempio di suo suocero e fece
costruire da Baccio Pontelli, per molti anni collaboratore di Francesco di Giorgio, fuori della
sua città residenziale, il convento francescano di S. Maria delle Grazie, per essere sepolto
nella sua chiesa ugualmente a una navata67. Lo stesso Girolamo Genga si attenne ancora a
questa tipologia, quando nel 1537 progettò la chiesa sepolcrale di S. Giovanni a Pesaro per
il terzo duca di Urbino, Francesco Maria della Rovere, nipote di Federico e figlio di Giovanni
(fig. 19)68.
Solo gradualmente l’evoluzione fiorentina e la vasta risonanza, che essa trovò nell’Italia
centrale e settentrionale, acquistarono influenza anche a Roma. Dopo il ritorno dei papi
dall’esilio e la morte di Martino V, la maggior parte dei papi dovette accontentarsi di nuovo
di tombe a parete nello stile del primo Rinascimento fiorentino. Furono collocate in buona
parte nelle navate laterali della vecchia basilica di S. Pietro e in ciò si differenziarono solo
per grado dagli altri dignitari. Come già Giovanni de’ Medici, i papi cercarono tuttavia di
rivalutare i loro luoghi di sepoltura collegandoli a funzioni superiori (fig. 1)69. Così Callisto III
70. « ...a Callixto tertio exornatum, in quo idem Pontifex Altare marmoreum, marmoreisque Apostolorum imaginibus exorna-
tum, erexit eximium etiatn marmoreum sepulcrum sibi erexit (sic !) in cuius denique sacelli pentralibus ad instar aulae
tumba ex humanis decedens conditus fuit, cum hac inscriptione marmorea tabula inscripta : Callixtus tertius Pont. Max ».
(Alfarano 1914, p. 141 s.) ; « Papa Callisto fu sepolto nel mezzo di questa Cappella sotto la sepoltura in una cameretta, et
in quel medesimo luogo fu trasportato Alessandro VI... (prima era nella Cappella della S. Trinità e dei SS. Cosma e
Damiano) et un altro Cardinale Henrico Borgia e acanto a Calisto sono stati sepolti tre altri Cardinali, cioè Francesco
Illoris Valentino, et Giov. Borgia suo nipote, et Ioannes Lopes Cardinalis... ». È da notare che il monumento sepolcrale,
conservatosi solo in frammenti nelle grotte della basilica di San Pietro, venne eretto soltanto da suo nipote Rodrigo, il
futuro Alessandro VI.
71. Chr. L. Frommel, « Francesco del Borgo Architekt Pius’ IL und Pauls IL, Der Petersplatz und weitere ròmische Bauten
Pius’ IL Piccolomini », in Ròmisches Jahrbuch fiir Kunstgeschichte, 20, 1983, p. 141-144 (traduzione italiana in Frommel,
Architetti..., op. cit. supra n. 46).
72. Alfarano 1914, p.72 ss.
73. Alfarano 1914, p. 78-81.
74. Frommel 1977 (op. cit. supra n. 7), p. 30ss. ; S. Schussler, Das Grabmal Sixtus’ IV. in Rom : zur Ikonographie der artes liberales,
Mainz 1998 ; M. Winner, Conferenza tenuta al convegno L'immagine di Cristo, Roma 2000 ; P. Zitzelsberger, « Von der
Sehnsucht nach Unsterblichkeit das Grabmal Sixtus’ IV. della Rovere (1471-1484) », in H. Bredekamp, V. Reinhardt (a
cura di), Totenkult und Wille zur Macht die unruhigen Ruhestàtten der Papste in St. Peter, Darmstadt 2004, p. 19-38 con
bibliografia.
75. S. Schiissler, op. cit. supra. Una disposizione simile si trova ancora nella cappella funeraria di Diane de Potiers costruita
nel 1566 forse da Claude Fouques (J.-A. Du Cerceau, Les plus excellents bastiments de France, a cura di D. Thomson, Paris
1988, p. 262s.) ; per l’attribuzione a Palladio : H. Burns, « Palladio in France », in L’Europa e l’arte italiana, a cura di
M. Seidel, Venezia 2000, p. 255-284-
76. Vedi Frommel 1977, op. cit. supra n. 7.
77. B. Kusch, « Zum Grabmal Innozenz’ Vili, in Alt-St.Peter zu Rom », in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in
Florenz, 41, 1997, p. 361-376.
84 C. L. FROMMEL
ai cori mausolei di Sisto IV e di Innocenzo Vili una pretesa imperiale e universale che andò
molto oltre tutte le tombe dei papi precedenti.
Mentre Pio III Piccolomini venne sepolto nelle vicinanze del suo famoso zio78, Ales
sandro VI potrebbe aver avuto l’intenzione di associare la sua cappella sepolcrale alla cos
truzione del grande organo (fig. 1, F e fig. 18)79. Questo stava all’estremità destra della navata
centrale, accanto all’altare di S. Pietro ed esattamente di fronte alla cappella di Innocenzo Vili
e quindi anche nelle immediate vicinanze del coro invernale, del quale accompagnava i canti.
Se la descrizione di Alfarano e la raffigurazione di Grimaldi riproducono il suo stato originale,
l’organo troneggiava su una galleria protetta da balaustri rinascimentali ed era incastonato
in un ordine corinzio riccamente decorato con colonne su alti piedistalli. Sulla trabeazione
tripartita si alzava un frontone curvo, nel cui timpano era raffigurato il Dio Padre tra le
nuvole in atto di benedire. Questa galleria poggiava su un ordine dorico di sei colonne in
porfido imperiale. Solo le quattro colonne d’angolo stavano su alti piedistalli. Grimaldi
accenna nel fregio della trabeazione tripartita i tori dei Borgia - un insieme molto vicino a
Giuliano da Sangallo e possibilmente progettato dal fratello di Giuliano, Antonio da Sangallo
il Vecchio, per lunghi anni architetto di Alessandro80. Il piano inferiore, dove poi più tardi
vennero collocati la statua bronzea di S. Pietro e un altare, potrebbe essere stato destinato
in origine alla cappella sepolcrale di Alessandro, ma la sua dubbia reputazione potrebbe poi
aver contribuito a farlo tumulare nel 1503 vicino a suo zio Callisto III, cioè in una posizione
molto meno in vista81.
Il contributo dei della Rovere allo sviluppo dei mausolei romani andò ben oltre le
cappelle sepolcrali di Sisto IV e Innocenzo Vili. Già subito dopo la sua elezione Sisto aveva
fatto rinnovare il convento agostiniano di S. Maria del Popolo presso Porta Flaminia, la prima
stazione all’interno delle mura cittadine per i pellegrini e per gli ospiti importanti, provenienti
dal nord82. Come Cosimo de’ Medici a partire dal 1442 in S. Lorenzo, così anche lui prestò
attenzione a che le numerose cappelle venissero acquisite dai membri della sua famiglia e da
personaggi ad essa fedeli, e fossero adeguatamente arredate, trasformando così questo edificio
in una chiesa sepolcrale dei della Rovere.
Quando poco più tardi morì il suo nipote prediletto, Pietro Riario, egli conferì la
commenda dei SS. Apostoli ad un altro suo nipote cardinale, Giuliano della Rovere, titolare
di S. Pietro in Vincoli83. Giuliano era già all’epoca un appassionato committente di edifici e
cominciò subito con la trasformazione del coro dei SS. Apostoli in un autentico coro-
mausoleo, anzi in questo egli andò ancora oltre a quanto fatto a S. Maria del Popolo. Fece
decorare cioè l’abside da Melozzo con Un’Ascensione di Cristo, che alludeva all’ascensione
dell’anima, e fece collocare al di sotto i monumenti sepolcrali di suo padre e di Pietro Riario.
Se non fosse salito al trono pontificio, forse si sarebbe fatto tumulare lui stesso lì. Una tale
sepoltura di parecchi membri della famiglia papale nell’abside di una chiesa era tuttavia unica
nel suo genere, non solo rispetto a S. Lorenzo di Firenze, ma anche ai mausolei principeschi
nei cori delle chiese tardomedievali. Giuliano, unendo il suo palazzo dotato di un grande
cortile-giardino, non solo alla chiesa sepolcrale, ma anche direttamente ad un convento
francescano, anticipò addirittura essenziali aspetti dell’Escorial.
Quando all’età di circa sessant’anni salì lui stesso al soglio pontificio nell’autunno 1503,
la sua prima preoccupazione fu in effetti l’ampliamento del palazzo Vaticano in una moderna
residenza, ma già la seconda fu il proprio monumento sepolcrale84. Un fatto simile lo si
riscontra negli antichi imperatori, ma mai in un papa precedente. Così già quindici mesi dopo
la sua elezione chiamò Michelangelo da Firenze e nel giro di poche settimane dall’idea
originaria di una tomba parietale si passò ad un progetto per una monumentale tomba libera
con una camera sepolcrale ovale e quaranta statue di marmo in grandezza superiore al
normale. Evidentemente doveva competere con il mausoleo di Alicarnasso, una delle sette
meraviglie del mondo antico e assicurare al nome di colui che vi era sepolto un’analoga fama
in tutto il mondo.
L’enorme monumento sepolcrale doveva essere messo all’interno di S. Pietro. Condivi
si basa probabilmente sulla testimonianza personale di Michelangelo quando riferisce che
questi aveva proposto, come luogo di collocazione, il braccio del coro di Niccolò V appena
cominciato85 e, solo a seguito di ciò, il papa avrebbe deciso di rinnovare tutta la basilica86.
Dopo essersi confrontato per ben due pontificati con i problemi funzionali della vecchia
basilica, il papa dovette essere doppiamente felice del suo rinnovamento.
Il famoso progetto su pergamena per la basilica e l’affine medaglia di fondazione vanno
certamente completate a formare una costruzione centralizzata (fig. 20). Il braccio occidentale
della croce, che comprende, come ognuno degli altri bracci, due campate, lì si spinge già
molto oltre le fondamenta di Niccolò V. Poiché le campate interne si aprono verso le cupole
secondarie, c’era a disposizione del monumento sepolcrale la campata occidentale del braccio
del coro87. Accanto allo spazio sotto la cupola con l’altare maggiore sopra la tomba di S.
Pietro e il trono papale, il braccio del coro con l’altare mariano nell’abside e l’enorme monu
mento sepolcrale avrebbe rappresentato quindi un secondo centro di gravità. Probabilmente
il monumento di Sisto IV doveva essere collocato in uno dei due spazi attigui ai lati della
campata della tomba di Giulio II. Nell’insieme della tomba, del coro capitolare e di un altare
autonomo questo mausoleo seguiva la tradizione dei cori-mausolei di Martino V e Sisto IV.
Se Bramante, nella sua incisione Prevedari del 1481, raffigurò un’antica rovina con
sculture pagane come un sistema a quincum e ancora il suo allievo Cesariano, nel suo
commento a Vitruvio del 1521, ricostruì l’antico tempio con lo stesso sistema, ciò significa
che Bramante doveva averlo interpretato come variante del tempio antico8889 . Che lui e il suo
committente pensassero in effetti anche a un tempio funerario, è confermato dalla costruzione
esterna del progetto. Il colonnato del circolare tamburo della cupola che s’innalza sopra la
crociera richiama alla mente il vicino mausoleo di Adriano e nell’analogia tra la cupola
absidale e la grande cupola avrebbe trovato espressione, anche sull’esterno, lo stretto rapporto
tra il monumento sepolcrale di Giulio II e la tomba del principe degli apostoli 8”.
84. Frommel 1994, p. 85-118 ; C. Echinger-Maurach, Studien zu Michelangelos Juliusgrabmal, Hildesheim, Zurigo, New York
1991 ; B. Kempers, « Capella lulia and Capella Sixtina. Two tombs, one patron and two churches », in F. Benzi (a cura
di), Sisto IV. Le arti a Roma nel primo Rinascimento, Atti del convegno internazionale di studi, Roma 2000, p.33-59 con
ipotesi difficilmente verificabili ; C. Echinger-Maurach, »Michelangelo’s Monument for Julius II », in The Burlington Ma-
gazine 145, 2003, p. 333-345 ; B. Kempers, « Die Erfindung eines Monumentes Michelangelo und die Metamorphosen des
Juliusgrabmals », in Bredekamp, Reinhardt 2004, p. 41-59 ; H. Bredekamp, « Ende (1545) und Anfang (1505) von Miche
langelos Juliusgrab », in loc.cit., p. 61-83.
85. Chr. L. Frommel, « La chiesa di San Pietro sotto papa Giulio II... », in Tessari, op. cit. supra n. 7, p. 51, doc. 4.
86. Stando a Vasari, Giuliano da Sangallo avrebbe proposto in un primo momento la costruzione di una propria cappella
sontuosa (Frommel 1996, p. 51, doc. 6).
87. Chr. L. Frommel, « Bramante e Raffaello », in Bruschi 2002, p. 87-101.
88. H. Giinther, « Leitende Bautypen in der Planung der Peterskirche », in J. Guillaume (ed.), L’église dans l’architecture de la
Renaissance, Parigi, 1995, p. 45-49.
89. M. Fagiolo, « Dal Bramante ad Antonio da Sangallo : l’idea del Tempio-Mausoleo », in P. L. Silvan (a cura di), San Pietro.
Antonio da Sangallo, Antonio Tabacco. Un progetto e un modello -storia e restauro, Milano, 1994, p. 34-42.
86 C. L. FROMMEL
Gli utopici progetti di Michelangelo e di Bramante superavano le possibilità economiche
del papa. Inoltre, alla vigilia della Riforma, non era consigliabile investire in un monumento
inneggiante alla gloria del papa reggente le offerte per le indulgenze raccolte in tutta l’Europa.
Condivi afferma addirittura che Bramante avrebbe suggerito al papa che, se si fosse fatto
erigere un monumento sepolcrale mentre era ancora vivo, il popolo avrebbe interpretato
questo fatto come un cattivo segno. Benché il papa non disdette mai la commissione, Miche
langelo dovette aspettare con i lavori al monumento sepolcrale fino a dopo la morte di
Giulio II e Bramante dovette ritornare ad un sistema basilicale con cinque navate e tre bracci
della croce, come quello già iniziato sotto Niccolo V e costruì il braccio del coro ingegno
samente sulle fondamenta di Niccolò V, il predecessore tanto venerato nonché compaesano
di Giulio, creando abbondante posto per una eventuale tomba e illuminandola ampiamente
da otto finestre. Giulio diede assoluta priorità al completamento del coro e infatti, alla sua
morte, la sua enorme volta era quasi completamente terminata.
Pochi giorni prima di morire e contemporaneamente al suo testamento, Giulio fondò la
cappella cantorum associata alla sua cappella sepolcrale. Nel dettagliato preambolo della
relativa bolla egli si vede come costruttore del nuovo S. Pietro e rinnovatore del culto cristiano
nella tradizione di re Salomone e di Sisto IV. Dalle chiese e dai conventi di Sisto IV egli
arriva rapidamente alla sontuosa cappella del coro costruita da quest’ultimo e da questa alla
Capella Maxima del nuovo S. Pietro consacrata alla nascita di Maria e denominata lulia —
« quae lulia nuncupatur » -, nella quale voleva venir sepolto. Essa doveva avere alte volte,
pareti di marmo, un pavimento a mosaico (forse ancora in stile cosmatesco come nel Tem
pietto di Bramante) e doveva essere decorata da pittori e scultori con numerose e perenni
opere d’arte — « plurimos diuturnosque pictorum, et sculptorum labores ». Mentre nella bolla
non vi sono affatto menzionati né la tomba di S. Pietro né l’altare papale della basilica,
associato a tale tomba, l’ambasciatore veneziano riferisce che Giulio avrebbe lasciato l’ingente
somma di 30.000 ducati per il monumento sepolcrale e la Capella Cantorum : « parte a li
cantori di San Pietro, e parte per far la sua capella et sepoltura »90 (fig. 21). Evidentemente
pensò di nuovo di far realizzare il monumento sepolcrale di Michelangelo, la cui esecuzione
aveva improvvisamente interrotto nell’aprile 1506. Ad ogni modo si preoccupò non solo di
conferire nuovamente uno splendore visivo all’auctoritas della chiesa e del papato, come
avevano cercato di farlo Martino V, Niccolò V e Sisto IV, ma anche della sua propria persona
- come avevano già fatto Cosimo de’ Medici nella ristrutturazione di S. Lorenzo e egli stesso
da giovane nel rinnovamento dell’abside dei SS. Apostoli. Sopra le figure antichizzate di
vittorie, schiavi ed ermi del monumento michelangelesco dovevano troneggiare Mosè, Paolo,
la Vita Attiva e la Vita Contemplativa91. Al di sopra una piramide a gradini doveva salire
ad una piattaforma, sulla quale angeli sollevavevano il morto per portarlo nell’aldilà - un
motivo che Michelangelo aveva già preparato nel primo progetto per la tomba a parete e
che avrebbe mantenuto poi anche nel 1513. Se difficilmente si poteva dubitare del contenuto
cristiano del programma, esso diede tuttavia espressione anche in modo del tutto palese alla
singolare, anzi inaudita consapevolezza che questo papa aveva di sé stesso, della propria
missione e della salvezza della propria anima.
Le prime idee per la cappella sepolcrale di Giulio II in S. Pietro continuarono a vivere
nel braccio del coro, con il quale Bramante fece sostituire a partire dal 1505 il coro quat
trocentesco di S. Maria del Popolo (fig. 22) 92. Questo aveva acquisito il cardinale Ascanio
Sforza, fratello di Lodovico il Moro, già nel 1501 come cappella sepolcrale, e cioè poco dopo
di aver abbandonato la speranza di essere sepolto nella cattedrale di Pavia. Quando egli morì
93. R. Samperi, « Osservazioni sulla tomba di Adriano VI in Santa Maria dell’ Anima », in Chr. L. Frommel, A. Bruschi e H.
Bums (a cura di), Baldassarre Peruzzi- Atti del seminario Vicenza 2002, Vicenza, 2005 ; R. Schallert, « Peruzzi progettista di
monumenti funebri e di sculture », in ibid ; J. Gòtzmann, « Die Ehrung eines Papstes als Akt nepotistischer Treue », in
Bredekamp, Reinhardt, cit., p. 99-112.
94. Chr. L. Frommel, « Disegni sconosciuti per le tombe di Leone X e Clemente VII », in Chr. L. Frommel, Architettura alla
corte papale del Rinascimento, Milano, 2002, p. 334-357. Ai disegni ivi discussi bisogna aggiungere due altri per la tomba di
Clemente VII che sono più simili alle tombe realizzate che non gli altri progetti di Bandinelli (C.de Tolnay, Michelangelo,
3, The Medici Chapel, Princeton 1948, p. 80, fig. 32 ls.).
95. Ackerman 1961, voi. 2, p. 28 ss.
88 C. L. FROMMEL
chiesa e l’altare della cappella, e gli scanni del coro sono disposti nella semirotondità della
cappella adiacente. Lì erano previsti anche tribune per i cantori e un’abbondante illumina
zione attraverso due file di finestre. Al centro degli scanni Sangallo accenna addirittura a
un trono, presentandolo, attraverso i piedi leonini, come trono pontificio. Egli quindi doveva
aver pensato anche a messe pontificie.
Il progetto di Peruzzi è decisamente più semplice. Egli colloca i sarcofaghi dei due papi
in nicchie dell’abside che sono incorniciate da edicole simili a quelle del Pantheon e fian
cheggiano un altare centrale con la statua della Madonna. L’abside è accompagnata da un
colonnato concentrico, che proietta profondi ombre — una caratteristica del tardo stile di
Peruzzi. In questo modo egli potè mantenere libere le pareti lunghe del braccio del coro per
collocarvi gli stalli dei domenicani. Nella volta a vela sostenuta dai bracci con volta a botte
cassettonata e nelle serbane delle due lunette egli si avvicinò tuttavia al coro di S. Maria
del Popolo ancora più di Sangallo.
Durante i suoi ultimi anni di vita Clemente VII finì sempre più sotto l’influenza dello
scultore fiorentino Baccio Bandinella che cercò di convincerlo a favore di una tomba a parete
in S. Maria Maggiore. Nel contempo Sangallo, all’epoca forse il miglior conoscitore e il più
appassionato difensore dell’antico, si esprimeva a favore di una tomba doppia, che probabil
mente voleva addossare alla parete esterna del transetto di S. Maria Maggiore.
Mentre la tipologia della cappella centrale, forse accessibile dalla navata laterale, doveva
seguire la cappella Chigi di Raffaello, i sarcofaghi dei due papi dovevano essere collocati
sotto archi di trionfo simili a cibori ed essere visibili già da lontano. I coni sovrastanti avrebbero
ricordato la tomba di Porsenna, ma anche vagamente i pinnacoli dei cibori gotici. Monumenti
sepolcrali esterni alla chiesa esistevano già fin dal tardo Medioevo. Gli esempi più famosi
sono le tombe scaligere a Verona, la tomba del Gattamelata a Padova e il progetto di Raffaello
per la tomba di Francesco Gonzaga.
Tuttavia, una tale combinazione di cappella cristiana e monumento sepolcrale pagano,
doveva essere difficile da imporre anche negli anni precedenti il Concilio di Trento, e quindi
gli eredi di Clemente VII, nell’inverno 1535-36 ritornarono all’originaria proposta di Sangallo.
Le dimensioni, ad ogni modo, vennero ora leggermente ridotte e venne infine abbandonata
l’idea di costruire una propria cappella del coro.
Come già il primo progetto di Sangallo, la versione realizzata rivela la sua discendenza
dal braccio del coro di S. Maria del Popolo. Le serbane di Sansovino si sono trasformate in
veri archi di trionfo, le figure stese in atteggiamento assopito sono diventate papi in trono,
come da ultimo nel monumento sepolcrale di Innocenzo Vili. Solo nei santi delle nicchie
laterali e nei rilievi dell’alto attico dominano ancora contenuti cristiani. In nessun monumento
sepolcrale precedente, il trionfo terreno aveva sostituito così radicalmente l’originaria idea
della tomba cristiana e cioè la speranza nella salvezza dell’anima.
Poco più tardi e molto prima del completamento dei monumenti dei due papi medicei,
anche a Roma doveva cambiare l’atmosfera, e da nessuna parte ciò è più chiaramente visibile
se non nel definitivo progetto di Michelangelo per la tomba di Giulio II ’6.
Dopo la morte di questi nel 1513 c’erano a disposizione 16500 ducati per il monumento
sepolcrale. Ma Leone X non volle trasformare tutto il braccio del coro nella cappella sepolcrale
del suo predecessore. Anzi pensò addirittura di demolire l’abside e sostituirla con un deam
bulatorio. Così gli eredi di Giulio concordarono di erigere al posto di una tomba libera, una
a parete di dimensioni analogamente monumentali, che avrebbe dovuto essere collocata poi
forse nella navata centrale o nel transetto. Michelangelo tuttavia, già attorno al 1516, ridusse
il progetto a circa la metà e si dedicò poi alle committenze dei Medici e in particolare alla*
96. G. Satzinger, « Michelangelos Grabmal Julius’ II. in S. Pietro in Vincoli», in Zeitschrift far Kunstgeschichte 64, 2001,
p. 177-222 ; Chr. L. Frommel, « Der veràchtliche Zorn des Erleuchteten », in Frankfurter Allgemeiune Zeitung, 9 marzo 2002,
p.51 ; A. Forcellino, Michelangelo Buonarroti storia di una passione eretica, Torino 2002, pp. 43-80, 153-172 ; Chr. L. Frommel,
« La tomba di Giulio II. e l’evoluzione del progetto definitivo di Michelangelo », in Chr. L. Frommel e J. Kliemann (a cura
di), La tomba di Giulio II a S. Pietro in Vincoli (in preparazione).
97. G. Urban, « Die Kirchenbaukunst des Quattrocento in Rom », in Ròmisches Jahrbuch fùr Kunstgeschichte, 9/10, 1961/62,
p. 104'108, 269.
98. W. Gramberg, « Guglielmo della Portas Grabmal fùr Paul III. Farnese in St. Peter », in Ròmisches Jahrbuch fùr Kunstgeschichte,
21, 1984, p. 262 ss. ; C. Thoenes, »Peregi naturae cursum. Zum Grabmal Pauls III. », in Festschrift fùr Hartmut Biermann, a
cura di C. Andreas, Weinheim 1990, p. 129-141 ; A. Gormans, P. Zitzlsperger, « Des Papstes neue Kleider das Grabmal
Papst Pauls III. Farnese (1534-1549), in Bredekamp, Reinhardt, p. 85-97. L’informazione di Vasari, secondo il quale la
tomba avrebbe dovuto trovarsi « sotto il primo arco della nuova chiesa sotto la tribuna », è difficilmente riferibile all’estremità
del corpo longitudinale, dove avrebbe ostacolato la vista sull’altare maggiore e sarebbe stata troppo lontana dal coro.
90 C. L. FROMMEL
Fig. 1. Tiberio Alfarano, pianta della vecchia basilica di S. Pietro.
Pig. 2. Firenze, San Lorenzo, pianta (da Paatz, Kirchen von Florenz). Fig. 3. Firenze, San Lorenzo, Sacrestia Vecchia.
92 C. L. FROMMEL
Fig. 8. Giuliano da Sangallo, pianta di
Santa Maria degli Angeli a Firenze
(Biblioteca Vaticana, Codex Barberini
lat. 4424, fai. 15).
10
Fig. 12. Mantova, San Sebastiano, pianta della chiesa inferiore (da Calzona e Volpi
Ghirardini).
Fig. 13. Matteo de’ Pasti, Medaglia di fondazione per San Francesco a Rimini (Rimini,
Musei Civici).
Fig. 14- Mantova, San Sebastiano, ricostruzione ipotetica del progetto per la facciata (da
Frommel 2001).
Fig. 15. Milano, Santa Maria delle Grazie, pianta (Milano, Biblioteca Trivulziana,
Raccolta Bianconi).
94 C. L. FROMMEL
16
19
Fig. 20. Roma, S. Pietro, ricostruzione ipotetica del progetto di Bramante GDSU 1 A (da Frommel 1994).
96 C. L. FROMMEL
22
21
Fig. 21. Roma, S. Pietro, ricostruzione ipotetica del progetto definitivo di Bramante per la
Capello lulia (da Frommel 2000). '
Fig. 22. Roma, Santa Maria del Popolo, ricostruzione ipotetica del braccio del coro di
Giulio II (da Frommel 2000).
Fig. 23. Antonio da Sangallo il Giovane, progetto per la cappella sepolcrale dei papi Medici
in Santa Maria sopra Minerva (Firenze, GDSU 1313 Ar).
98 C. L. FROMMEL