La Conquista Di Costantinopoli
La Conquista Di Costantinopoli
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duta di Costantinopoli vista dai Turchi
.";ostino Pertusi
_ luglio 1480 un corpo di spedizione ato da 18.000 uomini, di cui 700 cavaliennbarcati su 140 navi, al comando del
de ammiraglio Gedik Ahmed Pasa, sbarsulla costa pugliese nei pressi di Roca _ chia, a nord di Otranto, e I'll agosto uistava la stessa citta fortificata di
into compiendo una gran strage degli . anti .. cuca lG .GGO 1j)ersone caddeto comrtendo , e tra queste il governatore France:0 Zurlo e l'arcivescovo Stefano Pendinelli; He 10.000 vennero fatte prigioniere e invia-" sulle coste albanesi per esser vendute co-
e schiavi. Poco tempo prima, un'altra giossa flotta, al comando dell'ammiraglio Mesih J sa, aveva attaccato il 23 maggio I'isola di ~ odi, difesa valorosamente dai cavalieri del'Ordine di San Giovanni, e aveva posto un
r c edio che si protrasse per quasi tre mesi. _ .ello stesso an no una terza spedizione era _ ata inviata in Anatolia contro il principato zncora indipendente degli Zu'l-quadrije, figli
lsuocero di Mehmed II (Maometto II il Conquistatore). Ma il 3 maggio 1481 il «gran Turco», come era detto in Occidente il sulta::10 di Istanbul, che aveva suscitato un'ondata di panico in tutto il mondo e che nel giro di un trentennio aveva conquistato un territorio altrettanto vasto, in Occidente e in Oriente, quanta quello dell'impero bizantino nel periodo del suo massimo fulgore, moriva ancor giovane, a 49 anni, nei pressi di Gebze in Anatolia, malgrado Ie cure dei medici - il persiano Hamid ed-Din al-Lan e l'italiano Jaqub Pasa (Jacopo da Gaeta) -, mentre si accingeva a prendere egJi stesso il comando di una nuova spedizione contro Rodi. L'incubo di una «turchizzazione- dell'Occidente europeo si era per il momenta allontanato. Esso aveva avuto inizio da quando, all'alba del 29 maggio 1453, Ie truppe degli Jeriiceri erano penetrate in Costantinopoli attraverso
due brecce delle mura operate dalle grosse bombarde di Mehmed.
La conquista turca di Costantinopoli fu sentita come epochmaking, cioe come una svolta storica: la fine definitiva di un determinato periodo storico del mondo e l'inizio di un periodo assolutamente nuovo. «Fu~runt Itali rerum domini», scriveva Enea Silvio Piccolomini, allora segretario della cance\\eI\'d Ge\\\ffi~~t'd.tm:e redcIlcG m d' Asour-
go, poi papa Pio II, all'indomani della catastrofe all'amico Leonardo Benvoglienti, «nunc Turchorum inchoatur imperium». Fu un periodo che duro a lungo e che incise profondamente sulle civilta dei paesi che caddero sotto il dominio turco, rna che rappresento anche un po' la cattiva coscienza dell'Occidente nei confronti dell' Oriente greco e balcanico, abbandonato a se stesso; cattiva coscienza che opera in modo permanente, sentendosi l'Occidente sempre corresponsabile di quanta era accaduto e temendo per se una sorte non diversa, qualora non ave sse saputo provvedere tempestivamente ad arginare la forza d'espansione dei Turchi. In rea Ita l'Occidente, nel trentennio di potere di Mehmed II, non riusci, per i suoi dissidi interni, a organizzare una spedizione in grado, non dico di annientare, rna nemmeno di contenere Ie conquiste del «gran Turco»!
Secondo gli studi pili 'recenti in materia, si puo affermare in tutta tranquillita che fino alia caduta di Costantinopoli in Occidente si ebbero solo scarse e vaghe informazioni sui Turchi e illoro potenziale di guerra, anche in potenze, come Venezia, Genova, Napoli, Rodi, ed altre, che per i loro traffici commerciali e politici avrebbero dovuto possederle. Soltanto dopo la caduta della capitale bizantina l'immagine del «gran Turco», cioe di Mehmed II, assume contorni pili realistici, sia dal punto di vista iconografico che da
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quello descrittivo. Se Ie incisioni in legno di Trento e di Augsburg della seconda meta del secolo xv sono di carattere fantastico, altra incisione, come quella del Kupferstichkabinett di Berlino, attribuita alIa scuola di Antonio Pollaiuolo, 0 altri ritratti, come la miniatura di Topkapi Serayi (Mehmed con la rosa), attribuita a Costanzo da Ferrara (ca. 1478), 0 la medaglia della stesso Costanzo del Numismatische Kabinett di Berlino 0 il famoso quadro di Gentile Bellini (datato 25 nov. 1480, nella National Gallery di Londra), 0 l'altro con il figlio Djem, pili 0 meno della stesso anna (appartenente ad una raecolt a privata svizzera), 0 infine la medaglia bellissima di Bertoldo di Giovanni, allievo del Donatello, rivelano tutti un grande impegno realistico.
I ritratti di Mehmed II che ci dan no Ie fonti letterarie, a partire dal 1453, sono di duplice natura: i primi di carattere soprattutto morale, poi anche fisico-morale. COS! quelli di Jacopo Tedaldi, di Isidoro di Kiev, di Lauro Quirini, di Leonardo di Chio, di Enrico di Soemmern e del papa Nicolo v insistono soprattutto sulla crudelta, ambizione e fanatismo religioso del giovane -sultano; rna non mancano di mettere in rilievo la sua cultura e il suo interesse per Ie opere dell'antichita greca e latina intorno ai grandi personaggi storici (Alessandro, Cesare, ecc.), la sua curiosita per la situazione geografica e politica delle potenze occidentali; il suo profondo interessamento per tutto cio che riguardava la guerra, i suoi progetti di spedizioni (contro la zona danubiana, Ie isole greche, l'Italia e tutto il mondo cristiano) e la sua potenza, sia per Ie forze immense di cui disponeva, sia per l'estensione del suo impero. L'accento e posto suI suo carattere sanguinario e crudele: i paragoni con Nerone, con Tieste, con Caligola ricorrono continuamente, come pure quelli con Sennacherib, con Belzebuth e con Satana; anzi egli e identificato con il «precursore dell'Anticristo». I ritratti invece di Nicolo da Foligno, di Nicola Sagundino, di Jacopo Languschi e di altri puntano piuttosto sui
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caratteri somatici e ne traggono deduzioni di tipo psicologico-morale. Siamo molto vicini ai ritratti dei pittori e dei medaglisti: visa piuttosto lungo, occhi un po' sporgenti, naso aquilino, ciglia riunite, magro, pallido, capelli crespi e lunghi svolazzanti, barba rada e a punta, indice di grande crudelta. Apprendiamo che Mehmed e di indole e di aspetto malinconico, di statura media, con lineamenti del volto che esprimono una certa umanitao La sua intelligenza, vivace e profonda, fa di lui un regnante abile, volitivo, preciso, riformatore. Sebbene incline ai piaceri, e uomo abbastanza temperante e di costumi sobri, II Sagundino, che vuol dare di Mehmed l'immagine c1assica dell'uomo d'azione fornito di volonta di potenza, dice di lui: «Fa sempre quaIcosa 0 pensa sempre a qualcosa, e sempre in moto; 0 pensa 0 delibera 0 mette in atto cio che ha stabilito di fare con straordinaria ternpestivita». Di qui e nato nei nostri umanisti, imbevuti di immagini epiche c1assiche, il desiderio di esaltarne Ie imprese e Ie vittorie, di fame insomma un personaggio epico, rna con fini spesso inconfessabili, cioe per otten ere vantaggi e riconoscimenti di carattere personale (COS!, per esempio, Michele Critobulos e Francesco Filelfo) 0 per tributare ringraziamenti a seguito di vantaggi gia ricevuti (COS! Gian Mario Filelfo, nella sua Amyris, scritta per conto del mercante anconetano Othman Lillo Ferducci). Ma in generale memorialisti e storici tendono a dare un'immagine negativa di Mehmed, mettendone in rilievo la crudelta e l'empieta. E naturale: tali immagini so no il frutto di una tradizionale e unilaterale visione dell'Islam e dei suoi capi politici e spirituali, dalle invasioni arabe aIle croci ate e alla costituzione degli emirati turchi in Asia Minore , da Maometto ai califfi e ai dinasti seldjiukidi e osmani.
Tutta diversa e l'immagine che danno di Mehmed e delle sue imprese i documenti storico-Ietterari turchi che parlano della caduta della capitale bizantina. Alludo aIle narrazio-
II significato di Federico II di Svevia e il tram onto del Medioevo
AGOSTINO PERTUSI
ni di Tursun Beg (Tarich-i ebul-feth sultan Mehmed chan, cioe «Storia del signore della conquista, il sultano Mehmed», scritta fra il 1460 e il 1498), di 'Asyq Pasa-zade (Tewarich-i al-i 'Osman, «Storie della cas a di Osman», composte avanti il 1494), di Qyvami tFetihndme-i sultan Mehmed, «Racconto delle conquiste del sultana Mehrned», scritto verso il 1488), di Mehmed Nesri (Kitab-iDjihdnnumd, «II libro che descrive il mondo», completato verso il 1492), di Ibn Kemal tTewdrich-i al-i 'Osman, «Storia della dinastia di Osman», scritta tra il 1502 e il 1535), di Tadji Beg-zade Ga'fer Celebi (Mahruse-i Istanbul [ethnamesi, «Libro che celebra la conquista di Istanbul protetta da Dio», composto avanti il 1515) e infine di Kh6dja Sa'd ed-Din (Tad] al- Tewdrich-i, «II diadem a delle storie», del 1574 ca.). I primi tre vissero al tempo di Mehmed II, gli altri ai tempi di Bajezid II, di Selim I e Selim II. Salvo 'Asyq Pasa-zade, Nesri e Kh6dja Sa'd ed-Din, per i quali si hanno traduzioni complete 0 parziali in lingue moderne occidentali, tutti gli altri autori sono quasi sconosciuti agli storici della cad uta di Costantinopoli, salvo, ben inteso, che al turcologo tedesco Franz Babinger, perche le lora opere non so no mai state tradotte in una lingua a noi accessibile [ ... J.
Prima di affront are l'esame del contenuto dei racconti turchi, e opportuno, io credo, fare qualche osservazione preliminare. L'occidentalista, ivi compreso il bizantinista, che ha familiarita con i documenti e i testi storici occidentali (latini e greci), quando si pone a leggere i testi orientali (arabi e turchi) sente di trovarsi di fronte a un modo di concepire il racconto storico molto diverso, frutto di una mentalita diversa, cioe di una tradizione letteraria ed anche di una Weltanschauung 0 concezione del mondo che si allontana notevolmente da quella,. per intenderci, grecolatino-cristiana, che e propria del mondo medievale occidentale. L'occidentalista quindi deve accantonare il suo modo di vedere Ie cose, cioe dal suo punto di vista, grecolatino-cristiano, e porsi 0 tentare di immede-
simarsi .con il modo di vedere arabo-turcoislamico, altrimenti rischia di non comprendere nulla. In secondo luogo, Ie narrazioni turche, da quella di Tursun Beg a quella di Khodja Sa'd ed-Din, appaiono pili come dei [ethndme, cioe delle «descrizioni delle conquiste» di carattere letterario, opere largamente infarcite di retorica iperbolica, che non come vere e proprie «storie» fornite di dati precisi e di documenti. Inoltre, nella maggior parte dei casi, appare chiaro che queste opere si propongono soprattutto di esaltare la religiosita di Mehmed e la sua aderenza aile parole sacre del Corano. II elirna spirituale di questa letteratura si con trappone decisamente a tutta la letteratura «cristiana» dei memoriali, delle lettere e dei documenti storici sulla cad uta di CostantinopoIi; rna 10 si noti, non per partito preso, non per una assunta posizione polemica nei confronti delle versioni dei fatti date dai cristiani, rna per una visione diversa del mondo, derivata ai letterati turchi in parte da tradizioni letterarie orientali (persiana, arab a e osmana), in parte da tradizioni religiose e giuridiche connesse con l'insegnamento coranico.
Tale letteratura inoltre e la voce del vincitore: la voce di chi, sebbene con qualche perplessita e con momenti di scoraggiamento, rna sempre tenacemente teso a realizzare un sogno lungamente vagheggiato (quasi un'ossessione), riusci a conquistare la capitale che fu «la giovane sposa a cui aspirarono molti re e sultani dell'Islam», come dice poeticamente Tursun Beg alludendo aile imprese dei califfi arabi e dei dinasti turchi, in particolare a Bajezid I nel 1397-99 e a Murad II nel 1422; quella citta che era stata promessa nell' hadith di Muslim (<<felice l'arrnata, felice il capo che la conquistera»), promessa che era lent amente maturata nella coscienza dei Turchi musulmani. Ma e anche, come e naturale, la voce della fede e della concezione di vita islamiche. Se nella letteratura cristiana del tempo si trova la continua contrapposizione ve rita-errore , fedele-infedele, credente-
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miscredente, pio-empio, nella letteratura islamica la stessa contrapposizione e rovesciata: I' «infedele» e il «rniscredente» e il cristiano, il «fedele» e il «credente» il musulmano, e naturalmente alia «crociata» cristiana viene contrapposto il djihad, cioe la «guerra santa» islarnica.
Ho detto che questa letteratura si propone 10 scopo di esaltare 10 spirito religioso di Mehmed come capo e interprete dell'Islam. Non e qui il caso di esaminare l'atteggiamento di Mehmed di fronte alia fede islamica; rna se e vero che egli ebbe, come dice il Babinger, una «particolare predilezione per tutto cia che era persiano e quindi eretico», una «rnanifesta inclinazione per le dottrine eterodosse sciitiche e per i liberi pensatori», una «tendenza a concezioni religiose che non potevano essere consone a quelle degli ortodossi profess ate dal clero rigidamente sunnitico», e pur vero che «nella sua qualita di capo dello State, egli fu energico e irremovibile nel far osservare l'indirizzo sunnitico dell'Islam e vi aderi egli stesso nelle pratiche esteriori», E questa secondo aspetto della personalita religiosa di Mehmed che viene messo in rilievo dai contemporanei e dai pili immediati lora successori, a tal punto che spesso le lora opere so no dei veri e propri encomi, simili a quelli che i retori bizantini dell'ultimo periodo scrivevano ad esaltazione dei loro sovrani. Gia Oyvami, ad esempio, ten de a dimostrare innanzi tutto la verita dell' hadith coranico sulla conquista di Costantinopoli, citta che egli ritiene il «punto centrale» nell' ambito delle terre islamiche (e in realta 10 era da tempo), e in secondo luogo che Mehmed e stato 10 strumento della volonta di Dio.
Tursun Beg nel suo splendido racconto, misto di prosa e di poesia, scritto in un impasto linguistico di persiano, di arabo e di turco che dice molto sulla natura composita dell'opera, non e certo da meno di Qyvami: per lui Ia conquista e stat a la ricompensa data da Dio a colui che ha avuto una fede profonda nella sua parola. Mehmed e costantemente
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rappresentato come «saldo e forte di cuore», con «spirito rivolto alla giustizia e alla misericordia», osservante «delle norme della legge divina», combattente «per Dio la vera guerra santa», confidente nei detti del Corano. «L'evento della conquista - egli dice rivolgendosi a Mehmed - ebbe luogo in un momento storico, il momenta felice della tua fede (ed e Dio che percuote con la spada), un momenta senza precedenti.» Mehmed e «il Destino di Dio», le sue possenti bornbarde so no le «esecutrici del destino», la sua vittoria e «quell a che viene da Dio»; al momenta della sua entrata a cavallo nella capitale, vinta e prostrata, «davanti a lui si teneva il Favore celeste, dietro di lui la Felicita, a destra la Vittoria, a sinistra la Potenza». Come Maometto divenne al suo tempo il «suggello della Profezia», COS! Mehmed e divenuto «l'illustrazione di cia che significhi la devozione della Fede [ ... ], l'ornbra della bonta di Dio». Nella sua visione religiosa strettamente ortodossa, Tursun Beg arriva a meravigliarsi che Costantinopoli, «benche si trovasse da cento anni in mezzo ai paesi musulmani, seguisse la falsa fede», che il suo principe si dicesse «imperatore dei Rum», cioe dei Romani, e che proteggesse «nel suo seno veri e falsi discendenti della famiglia di Osman» e suscitasse per lora tramite dei torbidi nell'irnpero turco. I bizantini e i latini, qualificati pili volte non solo come «infedeIi», rna anche come «scellerati, abbietti, malvagi, ignoranti», come del resto i cristiani qualificavano «empi, atei e malvagi» i musulmani, secondo Tursun Beg avrebbero ceduto «all'illusione di partecipare ad una guerra per la difesa della loro religione», «all'inganno della lora ignoranza estrerna» (s'intenda, della parol a di Allah). II fallimento del loro disegno sconsiderato di opporsi alla conquista di Mehmed costituiva una prova della verita della fede islamica.
Anche in Tadji Beg-zade Ga'fer Celebi c'e una posizione simile, rna in un certo senso pili epica, perche Mehmed viene rappresentato sostanzialmente come un antico ghazi.
II significato di Federico II di Svevia e il tramonto del Medioevo
cioe un combattente della fede. Alia vigilia di intraprendere la marcia su Costantinopoli il sultana tiene un discorso (0 meglio, l'autore fa tenere al sultano un discorso) dove dichiara di esser pronto a morire nell'impresa e a conquistare COS! il premio celeste promesso ai combattenti della «guerra santa». Questo orpello religioso manca in 'Asyq Pasa-zade , che perc sottolinea la sua volonta di con quista di fronte agli incerti e ai traditori. Con Khodja Sa'd ed-Din si ritorna all'immagine di Mehmed come esecutore dei disegni della provvidenza: egli e il «favorite della sorte fin dalla sua nascita», e il «dispensatore della giustizia», e colui che ha dato compimento alIa promessa dell'hadith di Muslim e all'assedio implora «I'assistenza del braccio della grazia divina». Questo e il quadro religioso entro il quale debbono esser collocati i raeconti turchi della conquista di Costantinopolio
Ma prima di avventurarci nella lettura di questi testi e opportuno prendere in esame un documento che non rientra nella categoria deifethndme, del quale, di proposito, non ho ancora parlato. Si tratta di una lettera (assolutamente autentica) che 10 seikli 0 capo spirituale Aq Sems ed-Din scrisse personalmente al sultano Mehmed all'indomani di una sconfitta navale subita dalla flotta turca il 20 aprile 1453. Le fonti occidentali, e in primis Nicolo Barbaro e Leonardo di Chio, un veneziano e un genovese, ci descrivono la battaglia in tutti i suoi particolari. Tre navi mercantili genovesi, provenienti da Chio, con armi, sol dati e vettovaglie, al comando di Maurizio Cattaneo e dei «patron» Domenico «de Novaria» e Battista da Feliciano, ed una nave bizantina, proveniente dalla Sicilia con un carico di frumento, al comando di Francesco Lacanella, venute in soccorso della capitale, passano i Dardanelli, rna sono costrette ad arrestarsi proprio davanti a Costantinopoli a causa di un'improvvisa bonaecia. La flotta turca, 0 meglio, una buona parte di essa, almeno un centinaio di navi, solle-
citata da Mehmed, muove contro di esse per catturarle, rna dopo una battaglia di tre ore. in cui 10 stesso ammiraglio turco, Sulejman Beg Balta-oghlu, viene ferito, Ie navi riescono a sottrarsi alIa cattura. Al cader della notte il capitano veneziano Gabriele Trevisan. uscito dal porto con tre galere, trascina le quattro navi in salvo all'interno del Como d'Oro tra Ie manifestazioni di giubilo della popolazione che ha assistito dall'alto delle mura alIa vittoriosa battaglia. Mehmed, dal canto suo, aveva anch'egli assistito al combattimento pie no di rabbia e lanciando imprecazioni. Tomato all'accampamento, sulla collin a di Maltepe, dovette investire dura, mente Aq Sems ed-Din accusandolo di aver fallito nell'oggetto delle sue preghiere (la protezione di Allah) e di aver fatto profezie prive di fondamento (sulla conquista della citta). E egli stesso che ce 10 dice nella sua lettera a Mehmed. Aq Sems ed-Din era un maestro del Corano molto stimato e la leggenda vuole che egli abbia scoperto la tomba del porta-bandiera del Profeta, Ebu Ejjub, proprio durante Ie operazioni d'assedio di Costantinopoli; faceva parte di quel gruppo di dervis che dovevano infiammare all'azione i guerrieri impegnati nei combattimenti. L'accusa del sultana non 10 turba affatto. La notte stessa scrive la sua lettera a Mehmed usando una liberta di parola davvero straordinaria: taccia il sultano di «scarso discernimen to» e di «poca abilita» nel far eseguire i suoi ordini e 10 avverte che non ha tenuto calcolo del fatto che i marinai ed i soldati imbarcati sulle navi erano dei «convertiti a forza», anzi degli «ipocriti» 0 degli «spergiuri», che non erano insomma dei «veri musulmani nel loro intimo» e che di conseguenza c'era poco da sperare nel lora impegno guerresco. Se voleva suscitarlo, non gli rimaneva che promettere aIle truppe un grosso bottino al momento della conquista. In ogni ca O. quanta alla sconfitta, richiede che «sia portata avanti un'inchiesta approfondita per determinare chi sia stato il responsabile» di cia che era avvenuto, adottando nei suoi con-
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fronti una puruzione severa e la rimozione dall'incarico. Cio che non ammette minimamente e che Ie sue profezie sulla conquista siano sbagliate, non solo, ma sedutosi in segno di lutto e aperto il Corano trova in due versetti la giustificazione dell'accaduto. I memorialisti occidentali ci informano che Mehmed la mattina del 21 aprile ando a cavallo con il suo seguito a Diplokionion sui Bosforo, dove si era ritirata la flotta, e che ivi, dopo un sommario processo, destitui Baltaoghlu e nomino al suo posto, come ammiraglio, Hamza Beg. Pili tardi, alia vigilia dell'attacco finale, promise ai suoi soldati di abbandonare loro la citra al saccheggio per tre giorni. :E evidente che Ie osservazioni ed i consigli di Aq Serns ed-Din non rimasero inascoltati: Mehmed deve aver capito la lezione e ci ten eva che la profezia del suo seikli si avverasse?
Tornando ora ai «racconti» 0 «descrizioni» turche della caduta di Costantinopoli, se esse si leggono nell'ordine in cui molto presumibilmente vennero scritte dai loro autori, si ha la netta impressione di trovarci di fronte a due versioni dei fatti, quell a di Tursun Beg e di Qyvami da una parte e quella di 'Asyq Pasa-zade e di Mehmed Nesri dall'altra, benche Nesri amplii notevolmente la scarna narrazione di 'Asyq Pasa-zade. Quelle degli altri storici pili recenti so no delle contaminazioni di queste due versioni, ma mentre Ibn Kernal e Tadji Beg-zade Ga'fer Celebi so no molto vicini a Tursun Beg, Khodja Sa'd ed-Din e pili vicino a Nesri. Non e facile dare un'idea delle due versioni di base: dovrei analizzare in parallelo diversi passi e mostrare i punti in cui i testi concordano 0 discordano. Mi limitero a citare un solo esempio per spiegare anche la diversa intonazione delle due versioni, prendendolo dall'inizio delle narrazioni.
Tursun Beg inizia parlando abbastanza diffusamente dell'ossessione di Mehmed per la conquista di Costantinopoli, dei suoi dis corsi «con sottintesi» al consiglio dei vizir, i quali
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non sembrano tutti d'accordo sull'iniziativa . che il sovrano vuol prendere. Seguono ampie descrizioni geografiche del Bosforo, del Corno d'Oro, della posizione di Costantinopoli e di Galata, delle lora fortificazioni poderose, e poi una notevole descrizione della costruzione della fortezza di Boghaz-kesen (detta poi Rurneli Hisary), elevata tra la fine di marzo e la fine di agosto del 1452, e delle sue caratteristiche (cosi all'incirca anche in Oyvarni e in Tadji Beg-zade Ga'fer Celebi).
'Asyq Pasa-zade invece inizia chiarendo i motivi che avrebbero indotto Mehmed a costruire la fortezza di Boghaz-kesen. Mehmed, dopo la spedizione condotta contro Ibrahim Beg, sovrano di Qaraman, che avrebbe approfittato della situazione verificatasi alia morte di Murad II, partito da Maghnisa [= Magnesia sui Sipilo] e diretto ad Andrinopoli, avrebbe trovato bloccati i Dardanelli da navi di «infedeli», per cui sarebbe stato costretto a percorrere con l'esercito tutta la costa anatolica fino a Kodja-Eli, cioe fino a Izmid [= Nicomedia], e di qui fino al Bosforo all'altezza del forte di Aqce Hisar (0 Anadolu Hisary), dove finalmente avrebbe potu to passare 10 stretto. Passato al di Ia sulla costa europe a «il sovrano, rivoltosi a Chalil Pas a (gran vizir), gli disse: "Leila [= maestro], qui occorre una fortezza". Cosi egli fece costruire in questa luogo una fortezza, che poi fu cornpiuta. Egli chiarno allora Mehmed Beg Aq Cayli-oghlu e gli disse:
"Va', presto, e fa chiudere la porta di Istanbul". Mehmed Beg an do e fece pone degli uomini attorno alia porta della citta e fece dare la caccia agli armenti dei villaggi. L'imperatore, avendone avuto notizia, disse: "II Turco ha fatto a pezzi la nostra pelliccia, ha fatto crollare la nostra casa sulla nostra testa. II suo rapporto di vicinato con noi assomiglia a quello del falco di fronte al corvo. Se c'e un mezzo per salvarci [ ... ], esso potra esserci dato dal nostro amico Chalil Pasa". E soggiunse: "Bisognerebbe mandargli dei pesci". Li imbottirono di fiorini d'oro e Ii inviarono a ChaW Pasa [ ... ]».
II significato di Federico II di Svevia e iI tramonto del Medioevo
AGOSTINO PERTUSI
Naturalmente, come avevano previsto alcuni consiglieri dell'imperatore, Mehmed non si Iascio dissuadere da Chalil Pasa e COS! I'assedio ebbe inizio. La stessa versione, con varianti, si legge in Khcdja Sa'd ed-Din, non solo, rna anche in Mehmed Nesri e in Ibn Kemal, benche quest'ultimo, per il resto delIa narrazione, segua pili da vicino Tursun Beg. Si noti che la versione di 'Asyq Pasazade , pur avendo un indiscutibile fonda storico (ritorno dalla spedizione in Anatolia e blocco dei Dardanelli), si snoda quasi come una fiaba da Mille e una notte, mentre quella di Tursun Beg, benche abbellita da brani poetici e da citazioni di detti famosi, e assai pili storica 0 comunque pili realistica.
Ecco, del resto, I'inizio della narrazione di Tursun Beg: «"Se dedichi il profondo del tuo cuore a Dio, se corazzi la fortezza della tua fede, / se la tua intenzione e buona, / ti sara accordata Ia tua parte in quel tempo in cui sono assegnate Ie ricompense".
L'immagine della sposa novella, la conquista di Costantinopoli, era divenuta la compagna inseparabile delle notti del giovane padishah [= dominatore] [ ... ].
"Ogniqualvolta per la sete desideravo bere dell'acqua vedevo sempre la tua immagine nella coppa".
A questa modo il padishah non riusciva ad allontanare dal suo cuore I'immagine e il pensiero diCostantinopoli e parlava con sottintesi dei modi di giungere pili rapidamente al suo fine. I Grandi della Stato, gli Intimi del Sultano facevano presente, in modo aperto e coperto, alla Maesta Sovrana la solidita e l'inaccessibilita di questa citta e come, per conquistarla, i re del passato avessero profuso i lora tesori, riuniti i loro eserciti, senza poi trovare il modo di espugnarla. Gli esponevano i lora timori e la probabilita che un attacco alia citta portasse non gia alia sua conquista, rna a sconvolgimenti interni [ ... ]».
Si noti che 10 storico bizantino Ducas, introducendo il discorso sulla presa di Costantinopoli (dis corso che si estende per parecchie pagine, con un'informazione mol to pre-
cisa sugli uomini e sulle cose), parla dell' ossessione di Mehmed all'incirca allo stesso modo: «Di notte e di giorno, giacendo nel suo letto 0 alzato, quando stava nel suo palazzo 0 se ne usciva fuori, ogni sua preoccupazione e ogni sua sollecitudine erano dirette a escogitare con quale battaglia e con quali artifici avrebbe potuto conquistare Costantinopoli [ ... ]. Continuava a pass are tutte quelle notti insonne a pensare tutto cia che era necessario all'assalto contro la Citta. Prendeva carta e inchiostro e disegnava il circuito delle fortificazioni e spiegava agli esperti dove e come avrebbero potuto mettere in postazione le bombarde e costruire opere di difesa e gall erie sotterranee [ ... ]. Perdirla in breve, durante la notte progettava ogni sort a di apparecchiature che poi di buon mattino esigeva che fosse realizzata, preoccupandosi di ogni cosa continuamente e con grande feryore [ ... ]».
Non mi e possibile in questa sede ne porre a paragone tra loro le narrazioni turche, ne metterle in parallelo con quelle occidentali per rilevare nelle une e nelle altre i punti di concordanza 0 di discordanza, gli errori 0 le incongruenze, la lora maggiore 0 minore storicita. Sara compito degli storici accertare a fondo tutto cia. Quello che pero risulta gia fin d'ora ad una prima lettura e che non e possibile fare a me no di queste fonti turche se si vuole dare un quadro critico, oggettivo e pili ampio, degli ultimi giorni della capitale bizantina. Credo che sia difficile prescindere da esse, ad esempio, in alcuni punti fondamentali non sufficientemente svolti nelle fonti occidentali. Le fonti turche sono particolarmente ricche sulle caratteristiche della fortezza di Boghaz-kesen; sull'episodio della strage dei contadini di Epibation; sulla famosa bombarda pili grossa, del peso di pili di sedici tonnellate (Qyvarni ci fa sapere che era detta Eniklu ayu, cioe «Orso con i cuecioli», perche, come spiega 10 storico bizantino Laonico Chalcocondyles, sullo stesso affusto stavano due altre piccole bombarde che servivano per dirigere e correggere il tiro);
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COS! pure sullo schieramento in profondita delle truppe turche e la posizione degli eserciti lungo Ie mura; suI percorso via terra delle navi trasportate aggirando la collina di Galata dal Bosforo al Corno d'Oro; sui dissensi all'interno della schieramento turco all'indomani della sconfitta navale del 20 aprile e su quelli fra bizantini e latini circa i comandi della difesa delle mura; sull'uso di bottiglie incendiarie, a base di nafta, da parte dei difensori; sulla ferita certamente grave del capitano genovese Giovanni Giustiniani Longo e su tanti altri particolari che non e possibile qui prendere in considerazione. Ma vorrei dare almena un'idea del clima, per COS! dire, delle narrazioni turche, leggendo un brano di Tursun Beg, quello che si riferisce alIa morte dell'imperatore Costantino XII. Siamo alIa scena finale dell'ultimo atto della tragedia: i giannizzeri dai bianchi turbanti, «insegne della luce dell'Islarn», so no riusciti a sfondare la difesa nei pressi della Porta di San Romano e dilagando verso il centro della citta danno inizio alla strage di col oro che cercano ancora di opporsi. «Nel frattempo, il principe infedele [cioe Costantino XII] con il proprio seguito si era gettato sulla via che portava verso il mare per strade nascoste con l'intenzione di cercare salvezza sulle navi. Mentre fuggiva, incespicando e rialzandosi, la potenza del Fato si manifesto con uno strano intervento che sbuco a tergo del sipario di questa forza. Ecco che cosa avvenne. Un certo numero di soldati della flotta avevano mutato Ie lora uniformi, si erano mescolati ai giannizzeri e avevano partecipato con loro all'assalto della citta. Quando vi entrarono, per allontanarsi dai giannizzeri, scantonarono verso una parte rimasta vuota. "Lo straniero e simile a un cieco". Si smarrirono COS! in strade da cui era difficile uscir fuori. Come dei ciechi bramosi rna privi della ·Iuce del mondo, corsero qua e la [ ... ] e giunsero in un luogo in cui ci si poteva attend ere di cadere nelle mani del nemico. Mentre avanzavano senza conoscere la direzione tra alcuni bazar bassi e in rovina (e l'oscurita li opprimeva),
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un rumore rintrono d'improvviso aile lora spalle. Una compagnia di infedeli peccatori, simile ad un torrente, era sopraggiunta e cosi, come i lupi assaltano senza esitazione, questi infede"Ji fecero tutti impeto contro questi 'azabi [sol dati di marina]: i miseri perdettero ogni speranza di salvare la dolce vita. Non ebbero che la forza di esclamare: "Dove e una via di salvezza?", e di rispondersi l'un I'altro: "Presso il tuo Signore, II tu troverai il riposo". Tuttavia, poiche quel posto era ondulato e sconnesso come Ie ciocche degli idoli di Khotan (intendo dire che era un posto in cui era difficile muoversi, pieno di ostacoli che si incrociavano), i sol dati ritrovarona una certa forza, proprio come l'animale gia sgozzato trova la forza an cora di agitarsi. Mentre cercavano di trovare un riparo, e gia alcuni indossavano Ie vesti verdi e rosse del tesoro del mondo [del celeste martirio] (voglio dire che si elevavano alla gloria del martirio), il maledetto principe infedele si getto addosso ad un soldato ferito. Conformemente a quanta e detto: "Vi e sempre chi trascina verso cio che e deciso dal Destine", il cavallo del principe si rovescio sullo stesso infedele. II soldato, benche mezzo morto, taglio allora la testa di quel principe degli uomini ribelli a Dio. Gli infedeli videro come cadde e, da vittoriosi, si trasformarono in vinti. I soldati di marina fecero prigionieri alcuni del seguito imperiale (prigionieri dell'umiliazione), altri Ii fecero principi del paese infernale. E poiche si trattava dei "domestici" del principe, i soldati trovarono sui 10- ro cavalli e sulle lora armi tanti gioielli splendenti, sui lora giumenti una tale quantita di seta, di monete d'argento e di fiorini d'oro [cioe iperperi] che il pensiero non riesce a concepire [ ... ].
Questa e la grande vittoria. Non vi e forza e non vi e potenza senza l'assistenza di Dio [ ... ]. II popolo fedele non incontro pili ostacoli e pose mana al saccheggio in piena sicurezza [ ... ]. Trassero fuori da tutti i palazzi. che uguagliavano il palazzo di Salomone e i avvicinavano aIla sfera celeste, trassero nelle
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II significato di Federico II di Svevia e il tramonto del Medioevo
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strade, strappandole dai letti d'oro, dall~ tende tempestate di pietre preziose., Ie belta zreche franche, russe, ungheresi, ernest, khotanesi in breve tutte Ie belle dai morbidi capelli, u~tiali aile chiome degli idoli. [ ... J e ! ziovanetti che suscitano turbamento, incontn ;aradisiaci [ ... ], ragazzi dall'alt~ t~gli~ ~ ?alIe gote tinte di rosa [ ... ], dalle ciglia slml~1 ad arcate [ ... ], dal naso affilato [ ... ]; fanclUlI~ simili aile stelle della Lira, fresche come II gelsomino, dalle guance violette, dai capelli ondulati, dalla statura di cipresso, da~ vol to simile al sole, dalla fronte paragonabile alia luna, dal petto prepotente [ ... ]. Le lora gote sono tinte di rosa [ ... J, i lora seni sono rotondi [ ... ], i lora occhi Ianguidi e maiiziosi [ ... ], le gambe ben tornite [ ... J, i loro movimenti ondeggianti [ ... J, nere, rosse, bionde [ ... J».
Cosi, per qualche pagina del testo turco, III cui I'autore si diffonde liricamente sulla belIezza dei giovani e delle fanciulle catturati e trascinati in prigionia dai soldati «come leonesse, leo pardi e bran chi di antilopi», Ma non e tanto su queste effusioni molto orientali che vorrei attirare la vostra attenzione (effusioni che pur hanno un loro significato nell'economia della narrazione), quanto sulla versione che Tursun Beg da della morte delI'imperatore, confermata dai racconti di Ibn Kemal e di Kh6dja Sa'd ed-Din, Ibn Kernal dimostra di sapere che corrono anche altre versioni sulla fine del «principe infedele», rna sceglie proprio questa, dicendo che e «la pili nota e la pili diffusa»; inoltre e pili preciso di Tursun Beg. Secondo il suo racconto, l'irnperatore, lasciato il suo posto di combattimento presso la Porta di San Romano (dove era stato ferito gravemente il Giustiniani che, preso dal panico, aveva abbandonato i suoi alleati assieme al suo reparto genovese), si sarebbe diretto verso il Castello delle Sette Torri (Yedi Kule) nei pressi della Porta Aurea, e li sarebbe avvenuto 10 scontro con gli 'azabi. Si noti che anche il russo Nestore Iskinder, nella sua Povest' a Cargrada, fa morire anch'egli I'imperatore Costantino nei pressi della Porta Aurea, mentre cercava di
varcarla evidentemente per uscire dalla citta e raggiungere Ie navi all'ancora nel vicino scalo imperiale. La coincidenza tra i due ra.cconti non sembra casuale: molto probabilmente si tratta della versione pili vera della morte di Costantino XII, e da qui e nata la leggenda riportata da alcune fonti occidentali che vuole che I'imperatore sia riuscito a fuggire e a riparare in luogo sicur~. . ,
Certo il clima delle narraziorn turche e molto diverso da quello delle narrazioni bizantine e latine: non c'e compianto, rna gioia, non angoscia, rna esaltazione, non la-
menti, rna gridi di vittoria. .
Ma accanto all'esaltazione tutta onentale di Mehmed Fatih, cioe il Vittorioso, salutato come «suggeJIo della Profezia», «illustrazione del1a devozione», «om bra della bonta di
Dio», accanto all'empito lirico che inneggia alla vittoria fulgente dei soIdati dell'Islam contro i guerrieri «infedeli» e alla preda ricchissima che essi fecero di uomini, donne, fanciuIli, di oro, argento e pietre preziose, c'e anche il pensiero sulla caducita delle cose umane: sic transit gloria mundi. Se e vero quanta racconta Tursun Beg, Mehmed, entrato a cavallo in Costantinopoli il pomeriggio del 29 maggio, dopo aver ammirato i palazzi e Ie strade della citta, si sarebbe recato verso il centro. Visitando Santa Sofia, definita «il pili alto cerchio del Paradiso», quando dall'alto della cupola vide attorno a se i dintorni della chiesa deserti e pieni di rovine, pare che abbia mormorato questi due versi in persiano:
II ragno assolve alla funzione di portinaio nel palazzo di Cosroe;
il gufo suona la musica di guardia nella fortezza di Afrasijab.
Cosroe, il grande re dei Persiani, Afrasijab, re dei Turan, celebrato nel Sdhntimedi Firdausi, e infine Costantino XII, I'ultimo imperatore di Bisanzio: tutto muore, tutto scornpare. Rimangono ora solo Ie rovine dei loro palazzi, espressioni della loro potenza e della loro gloria, dove i ragni tessono la loro tela e i gufi cantano un canto di morte.
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