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Ludovica-Vittoria Pivetta IL MEZZOGIORNO NELLITALIA UNITA

Fin dalla proclamazione del Regno dItalia nel 1861 sono emersi dei problemi connessi con larretratezza dellItalia meridionale e insulare in confronto a quella settentrionale. Tali problemi hanno continuato a rappresentare un dato centrale della storia del Paese fino ai giorni nostri e sono di solito designati con lespressione questione meridionale. Il vasto territorio che per quasi sei secoli aveva costituito il Regno di Napoli, con lunificazione della penisola perse definitivamente la dimensione di Stato autonomo trasformandosi in un insieme di province in qualche maniera marginali e subalterne rispetto alla vocazione pi europea del Nord dItalia. Questo passaggio politico verso uno Stato unitario, per quanto inevitabile e necessario in unEuropa di stati nazionali moderni, ebbe per gravi contraccolpi negativi nelle regioni del Sud. Il primo nucleo della questione meridionale fu posto verso la met degli anni Settanta dellOttocento da un ristretto gruppo di intellettuali che in seguito furono definiti meridionalisti, capostipiti di una tradizione di impegno a favore del Mezzogiorno. Il loro merito pi grande fu quello di aver condotto inchieste sul campo, visitando personalmente le campagne. In particolare Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti, autori di La Sicilia nel 1876, fecero conoscere al ceto politico italiano le misere condizioni di vita delle popolazioni contadine e analizzarono i meccanismi dei rapporti sociali e della vita politica. Tuttavia essi, enfatizzando e generalizzando gli aspetti negativi della situazione del Meridione, finirono di fatto con lappiattire il giudizio sul Mezzogiorno dItalia. Ne diedero unimmagine tendenzialmente uniforme, senza tener conto delle grandi differenze esistenti tra le citt e la campagna, e tra le varie regioni. Nella loro analisi, che determin in larga misura le scelte politiche successive, il ruolo delle citt passava in secondo piano rispetto alla predominanza delle campagne e larticolazione della societ veniva a ridursi a due sole grandi categorie: i proprietari e i contadini. Questo modo di presentare la situazione condann il sud a essere una regione agricola, dipendente dallindustria settentrionale per quanto riguardava mezzi di produzione, macchinari, manufatti di largo consumo.

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Nella sua Breve storia dellItalia meridionale dallOttocento a oggi, Piero Bevilacqua individua proprio nelle scelte politiche dei decenni post-unitari gli errori che hanno creato e aggravato la questione meridionale. Secondo lautore, Il Mezzogiorno dunque oggi quello che il sistema politico italiano ha voluto che fosse, o quanto meno ha finito col far diventare.

LA QUESTIONE POLITICA
I cambiamenti e le trasformazioni portate dalla nuova organizzazione statale si innestarono in una situazione gi in evoluzione e carica di contraddizioni e novit. Nel Decennio napoleonico (1806 1815) lo spirito della rivoluzione francese, portato da Gioacchino Murat, aveva stravolto lorganizzazione sociale del Mezzogiorno, abolendo la feudalit e trasformando i baroni, che prima avevano potere pressoch assoluto su uomini, terre, castelli, citt, fiumi, strade, mulini, in semplici proprietari dei loro possedimenti, senza pi alcun diritto speciale. La legge che stabiliva labolizione dei feudi (1808) era lespressione della determinazione politica di una potenza straniera e veniva imposta ad una societ che non aveva sviluppato nuove classi sociali in grado di contrapporsi al ceto baronale. Ne risult una rivoluzione subita e non intrapresa dalle forze sociali del Mezzogiorno dove il baronaggio ufficialmente negato sopravvisse a lungo e fu in grado di condizionare i rapporti produttivi (prevalentemente agricoli) conservando modelli di relazione anche politica, propri del vecchio mondo feudale (prevaricazione e particolarismo). La situazione peggior con lavvento dellUnit, poich i bisogni delle masse povere che nellesperienza garibaldina avevano posto grandi aspettative, non trovarono nessuna risposta nelle scelte politiche ed economiche del nuovo Stato. In effetti, linglobamento del Regno di Napoli nella nazione italiana fu poco pi che una operazione militare e istituzionale. I nuovi governi si rivelarono insensibili nei confronti di problemi quali lirregolare distribuzione della propriet fondiaria e leccessivo accentramento della terra nelle mani di poche famiglie. Questa mancanza di attenzione da parte delle nuove classi dirigenti nei confronti dei problemi del sud emerse con chiarezza nel modo in cui il governo nazionale decise di estinguere uno dei primi e pi forti segnali di questo disagio: il fenomeno del brigantaggio. Lavversione popolare ai nuovi dominatori si manifest infatti con una vera e propria guerra civile tra esercito statale e Briganti che segn i primi anni del Regno dItalia. Si trattava di fuorilegge che si erano dati alla macchia per bisogno o per aver subito ingiustizie; accanto a

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loro cerano i combattenti dello sconfitto esercito borbonico, i contadini poveri, che reclamavano le terre del demanio statale e i giovani che rifiutavano il servizio militare reso obbligatorio dallo stato unitario. I quasi 7000 morti che furono necessari per riappacificare le regioni meridionali crearono un profondo sentimento di sfiducia e ostilit nei confronti dello stato, lasciando irrisolte le questioni pi gravi: laddove sarebbe stato necessario creare adesioni e consensi, il nuovo stato si present con il volto violento e brutale della repressione armata.

LA QUESTIONE INDUSTRIALE
Un secondo aspetto della questione meridionale che emerge dallanalisi di Bevilacqua riguarda lattivit industriale. La consistenza e importanza dellindustria nel Meridione preunitario erano senza dubbio estremamente ridotte, ma nondimeno lo Stato borbonico aveva avviato una proto-industrializzazione. Fin dai primi anni dellOttocento erano diffuse su tutto il territorio industrie domestiche, spesso legate strettamente allattivit agricola, che producevano per lautoconsumo o per un esiguo mercato locale. Inoltre nel Regno borbonico erano presenti cantieri e arsenali metalmeccanici, opifici tessili e cartiere, sorte in gran parte per iniziativa di capitali stranieri o per diretto intervento dello Stato. Questa protoindustria aveva due grossi limiti: la posizione marginale del Regno e la ristrettezza del ceto imprenditoriale. Tanto politicamente quanto geograficamente il Regno delle Due Sicilie era infatti isolato; condizione aggravata dalla mancanza di un sistema di comunicazioni efficiente. Quanto alla borghesia, che era stata la principale beneficiaria dellabolizione del feudalesimo e avrebbe dovuto dar vita ad una classe sociale attiva e propositiva nel campo dellindustria, aveva in realt ereditato lantico patrimonio baronale senza lotte drammatiche e dunque senza sviluppare una forte identit di classe nuova. Anzi, i ceti borghesi ereditarono culture e comportamenti tipici del baronaggio (lesempio pi evidente di questa situazione fu limportanza attribuita al nobilitarsi, cio allottenere un titolo baronale). Tuttavia lindustria non era una realt economicamente e culturalmente estranea al mondo meridionale e avrebbe forse potuto conoscere uno sviluppo importante se fosse stata sostenuta nel tempo da una politica adeguata. La politica economica liberista scelta dalla Destra storica per, comport la caduta di tutte le protezioni doganali interne ed esterne al nuovo stato e mise a repentaglio il gracile sistema manifatturiero delle regioni meridionali, incapaci di reggere la concorrenza di sistemi industriali pi avanzati.

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Nei trenta anni che seguirono lunificazione, la maggior parte degli imprenditori meridionali si sent anzi spinta a spostare gli investimenti in agricoltura. Questo era un campo considerato pi sicuro dellindustria poich il legame degli uomini al governo con i ceti fondiari e conservatori garantiva finanziamenti alle aziende agricole che sarebbero stati negati ai tentativi di industrializzazione; inoltre la mancanza di materie prime e di strutture civili come ponti e strade faceva apparire impossibile limpianto di manifatture nel Mezzogiorno. In realt non vi era motivo per cui il ritardo effettivo che il Meridione presentava rispetto alle zone pi sviluppate dEuropa si dovesse considerare come una caratteristica permanente e tale da dover condizionare le sue strutture produttive e il suo assetto sociale. Semplicemente, sarebbe stata necessaria una politica volta a proteggere le nascenti industrie e a facilitare la loro espansione anche a discapito della redditivit immediata. Lobiettivo perseguito dalla politica economica del governo italiano per era innanzitutto lintegrazione delleconomia italiana nei circuiti europei, il che comportava necessariamente una scelta libero-scambista; la conseguenza di questa decisione fu che le regioni pi deboli del paese non furono in grado di dotarsi di una moderna rete manifatturiera e furono relegate allagricoltura.

LA QUESTIONE AMBIENTALE
Infine nellItalia post-unitaria, gravissime conseguenze ebbe limprevidenza dei governi nei confronti dei delicati equilibri ambientali del Sud. Durante il Settecento, come in tutta Europa, cera stata anche nel Mezzogiorno, una forte crescita demografica, che aveva avuto come primo effetto uno sviluppo dei centri urbani, anche se con marcate differenze tra le diverse regioni. La Sicilia, che vantava una ricca tradizione urbana, vide ingrandirsi numerose citt, mentre in Calabria e Basilicata la popolazione si disperse in piccoli comuni, in Campania Napoli rimase lunica realt urbana e in Puglia sorsero numerosi centri portuali. Questo cambiamento nelle articolazioni territoriali rese necessario un maggior sfruttamento delle risorse agricole: una pressione senza precedenti si abbatt sul territorio, soprattutto sotto forma di disboscamenti che progressivamente distrussero gli equilibri ambientali. I governi del Decennio napoleonico e quelli della monarchia borbonica restaurata, si trovarono a far fronte ad un compito immenso: rimettere ordine negli sconvolti equilibri ambientali del territorio e ridisegnare lintera geografia degli insediamenti.

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In questo senso svolse una grande funzione il Corpo degli ingegneri di ponti e strade fondato nel 1808, che si impegn tanto sul fronte delle bonifiche che su quello degli assi viari, puntando sulla collaborazione tra interventi dello Stato e coinvolgimenti diretti dei proprietari terrieri, ma soprattutto su una cultura territoriale molto approfondita. Le cose cominciarono a cambiare nel 1860, quando in nome del liberismo il governo proclam la libert di utilizzo dei boschi, dando il via cos a una selvaggia distruzione delle foreste per fame di terre. A questo si aggiunse lesplosione del brigantaggio, che trasform le foreste in covi di briganti. I militari piemontesi distrussero molti acri boschivi che permettevano ai briganti di nascondersi e di muoversi da luogo a luogo senza farsi notare. Inoltre, tutti gli interventi di bonifica furono, dopo lUnit, affidati a privati senza pi lintervento di supervisione dello Stato e del Corpo degli ingegneri o di un altro organismo che coordinasse i lavori. Per questo gli interventi furono molto spesso di impostazione astratta, slegata dal contesto particolare del territorio in questione e per lo pi limitati a opere sparse nelle pianure, senza interventi sulle alture e sulle colline disboscate; il che lasciava qualsiasi ammodernamento in balia della prima alluvione.

LA QUESTIONE AGRICOLA
Lagricoltura del Sud si era sviluppata per secoli con tecniche antiche e collaudate che ben si adattavano alla qualit delle terre, alle caratteristiche del clima e soprattutto alla mancanza dacqua. Lallevamento transumante integrava economie montane e di pianura. Nella prima met dellOttocento la cerealicoltura era diventata il settore centrale dellagricoltura meridionale; veniva praticata in maniera estensiva e forniva notevoli ricchezze ai proprietari dei latifondi, ma imponeva un ritmo lento di trasformazione. In questo senso, la politica decisamente liberista degli anni post-unitari fu inizialmente assai positiva, perch accanto ad un mercato del grano sempre pi stabile, favor lesportazione di quelle colture pregiate (ulivi, viti, mandorle, agrumi) per le quali il clima caldo e luminoso del Mezzogiorno garantiva una sorta di monopolio naturale. Tuttavia la mancanza di fondi adeguati imped la trasformazione in senso moderno dellagricoltura, il cui maggior rendimento iniziale non dipendeva da investimenti di capitali e innovazioni tecniche, bens dallimpiego pi intensivo di contadini e braccianti. I limiti di questo tipo di sviluppo per emersero durante la crisi agraria che negli anni Ottanta dellOttocento invest lEuropa. Il mercato, gi debole per la mancanza di infrastrutture, non

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pot resistere alla concorrenza del grano americano prodotto a basso costo in colture estensive e meccanizzate. Da quel momento in poi il Mezzogiorno non pot pi essere considerato una sicura fonte di reddito agricolo. La vocazione agricola che lo Stato unitario aveva riconosciuto al Meridione divent la sua gabbia, proprio mentre la scarsa redditivit attirava pochi capitali e nessuna reale innovazione.

CONCLUSIONI
Esaminando gli aspetti principali della questione meridionale abbiamo visto che la strategia economica delle classi dirigenti del nuovo Regno consistette bene o male, nel lasciare che al sud lo sviluppo economico si basasse sostanzialmente sulle campagne senza rendere competitive a livello internazionale, come al Nord, le nascenti industrie meridionali Queste scelte fatte, come sottolinea Bevilacqua, per necessit o per convinzione dai governanti dellItalia unita fecero s che il Mezzogiorno perdesse un buon settantennio della sua storia postunitaria prima di vedere una politica allaltezza dei suoi problemi. Solo durante gli anni del Fascismo infatti si ricomincer ad investire risorse nelle regioni meridionali. Ma lo stereotipo di un sud inevitabilmente rurale continuer a pesare sulle scelte governative, che privilegeranno gli interventi di bonifica e gli investimenti in aziende agricole, senza peraltro affrontare il problema della redistribuzione delle terre, mantenendo di fatto in vita la questione meridionale.

BIBLIOGRAFIA:

2001

Piero Bevilacqua, Breve storia dellItalia meridionale dallOttocento a oggi, Universale

Donzelli 1993 Fulco Pratesi, Dalle caverne ai grattacieli, Laterza ragazzi 1996 Questione meridionale, in Stato e societ, di Marchese, Mancini, Greco, Assini, La Nuova Italia

Francesco Barbagallo, I meridionalisti, in Storia dItalia, La Nuova Italia 1978 Il Risorgimento italiano, in La conoscenza storica, di De Bernardi e Guarracino, Mondadori 2002 Storia dItalia Einaudi, volume 4/1, 1975

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