La lotta tra arianesimo e ortodossia
Il concilio del 359, l avvenimento grazie al quale la chiesa di Rimini si
presenta alla ribalta della storia, rappresent un momento importante, ancorch
non favorevole all ortodossia, nel lungo e complesso itinerario della controversia
ariana nel corso del IV secolo. Nessuno dei tanti concili, ecumenici e no,
celebrati durante quel secolo, raccolse un numero tanto grande di partecipanti,
circa 400 soltanto tra gli occidentali, nessuno fu preparato con tanta cura dalle
varie parti coinvolte nel contrasto, nessuno ebbe svolgimento tanto drammatico.
Affinch risulti chiaro il significato di ci che allora accadde, indispensabile
un opportuna contestualizzazione storica, che necessariamente deve prendere le
mosse da molto lontano: ce ne scusiamo con gli ascoltatori, nella speranza che la
brevit non vada a discapito della chiarezza.
La religione cristiana ha ereditato dal giudaismo la fede in un unico Dio, il
dio creatore del cielo e della terra, ma molto per tempo ha professato anche la
divinit del suo fondatore, Ges Cristo; e, anche se non subito, l apparente
incongruenza non manc di imporsi all attenzione dei fedeli pi avvertiti e
intellettualmente preparati. Sulla base degli scarsi e non omogenei dati ricavabili
in argomento dai pi antichi testi cristiani, pi o meno quelli che sarebbero
confluiti nel canone della Scrittura neotestamentaria pi qualche testo coevo, si
ricavano tre diverse posizioni dottrinali: una identificava Ges col Cristo, cio
col Messia preannunciato dalla tradizione profetica, in dimensione meramente
umana, ancorch arricchita di copiosi carismi (cristologia bassa), l altra, al di l
di questo dato recepito da tutti i fedeli, valorizzava di Cristo la dimensione
superumana, fino a fargli attingere la divinit (il Logos era dio) (cristologia
alta); la terza cercava di armonizzare le due dimensioni attribuendo a Ges natura
angelica, superiore alla natura umana ma senza attingere la divinit. Questa terza
via ebbe scarsa fortuna. La cristologia alta, sviluppando la direttrice Paolo,
Lettera agli ebrei, Quarto vangelo e utilizzando anche spunti di provenienza
gnostica e medioplatonica, nella seconda met del II secolo si concret nella
dottrina del Logos: Cristo, Logos, cio Ragione e Parola divina, perci
preesistente alla sua incarnazione nell uomo Ges, da sempre immanente in Dio,
viene da lui emesso (profferito, generato) come entit divina distinta da lui in
funzione della creazione, del governo e del giudizio del mondo, quale unico
mediatore tra Dio e il mondo, perci in posizione di inferiorit rispetto a Dio: la
dottrina del Logos, professata da Giustino e altri, era intrinsecamente
subordinante e conseguentemente le fu fatto carico di professare due dei, uno
maggiore e uno minore. La reazione, tra la fine del II secolo e l inizio del III,
prese corpo nella dottrina che, in quanto salvaguardante la monarchia divina
(oggi diremmo il monoteismo), definiamo monarchianismo e che si articol in
due direzioni diverse: Cristo un mero uomo divinamente ispirato, pi di Mos e
dei profeti (adozionismo); Cristo soltanto un nome, un modo di presentarsi dell
unico Dio al mondo (modalismo). Il contrasto tra le opposte tendenze dottrinali,
che si svolse lungo tutto l arco del III secolo, ebbe esiti diversi a secondo dei
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vari ambienti, e la nostra documentazione in argomento piuttosto lacunosa.
Sulla base delle nostre conoscenze, tra la fine del III e l inizio del IV secolo,
possiamo tracciare il seguente quadro d insieme: in Egitto ha prevalso la dottrina
del Logos nella forma elaborata da Origene: Padre Figlio Spirito santo sono tre
ipostasi, cio tre entit divine individuali, distinte una dall altra e disposte in
ordine digradante, le quali costituiscono un unico Dio in quanto concordi nel
volere e nell agire; questa dottrina ampiamente diffusa anche in area
siropalestinese e in Asia minore, ma trova opposizione in forti permanenze
monarchiane, di stampo sia modalista sia adozionista, variamente elaborate; a
Roma la dottrina delle tre ipostasi respinta in quanto triteista, in nome di una
generica affermazione della monarchia divina, poco dottrinalmente elaborata a
causa della stasi intellettuale che, dopo Tertulliano, coinvolse tutto l occidente
cristiano.
Intorno al 320 un vecchio presbitero di Alessandria, Ario, diffonde una
versione radicale della dottrina del Logos, in quanto ne esaspera il
subordinazionismo strutturale affermando che anche il Logos divino stato
creato da Dio, ancorch in una condizione di privilegio riguardo al resto della
creazione. Ario condannato ad Alessandria, ma trova vari consensi in oriente
tra gli avversari pi accesi del monarchianismo. Nel concilio di Nicea (Asia
Minore), il primo ecumenico indetto dall imperatore Costantino e celebrato nel
325, Ario viene condannato a opera di una coalizione di origeniani moderati e di
monarchiani pi e meno radicali, e il simbolo che il concilio elabor risent del
peso dei monarchiani, soprattutto nell affermazione che il Figlio della stessa
ousia, cio sostanza (homoousios), del Padre, con utilizzo di un termine non
ricavato dalla Scrittura e di uso in precedenza raro e contrastato, in quanto di
significato ambiguo perch poteva essere interpretato anche in senso
specificamente monarchiano, cio significante che il Padre e il Figlio non sono
personalmente distinti uno dall altro. Questa professione di fede, il cosiddetto
simbolo o credo niceno, fu imposta autoritativamente da Costantino ai padri
conciliari, segno dei tempi nuovi che, dopo la svolta costantiniana, vedevano l
imperatore insediato a capo anche della chiesa; i pochissimi che rifiutarono di
sottoscrivere il simbolo furono deposti ed esiliati insieme con Ario. Ma, troppo
esposto in senso monarchiano, il simbolo niceno suscit forte opposizione in
oriente e la reazione, favorita dall imperatore che era consapevole di avere in
precedenza forzato troppo la mano al concilio, provoc, a seguito di accuse di
vario genere, la deposizione dei rappresentanti pi importanti del partito
antiariano, tra i quali erano il monarchiano radicale Marcello di Ancira e
Atanasio, il giovane vescovo di Alessandria. Quando, dopo la morte di
Costantino (337), l impero fu momentaneamente diviso tra i figli Costante e
Costanzo, anche Roma, fino allora assente dal contrasto, entr in gioco a fianco
degli esuli Marcello ed Atanasio, i quali abilmente avevano convinto papa Giulio
che i loro avversari, in quanto tali, erano fautori di Ario, il quale per altro era gi
defunto, mentre in oriente ci si stava orientando per una linea dottrinale mediana
tra la dottrina di Ario e quella espressa dal simbolo niceno. Comincia adesso,
intorno al 340, un periodo convulso di azioni e reazioni, che porta anche, dopo il
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fallimento del concilio ecumenico di Serica (odierna Sofia) nel 343, alla
momentanea separazione delle chiese di oriente e di occidente, e al quale
Costanzo, rimasto unico imperatore nel 353, cerca di por termine sbarazzandosi
di Atanasio e favorendo l elaborazione di una formula di fede di significato
generico in modo da coagulare intorno ad essa una maggioranza di moderati. Ma
la ripresa dell arianesimo radicale con Aezio ed Eunomio, e il tentennare di
Costanzo tra un partito e l altro contribuirono ad aumentare ancora di pi il
disordine, la confusione, la proliferazione di dottrine e professioni di fede
diverse, finch, siamo nel 358, si avvert l esigenza di riunire un nuovo grande
concilio ecumenico, tale da ristabilire la pace religiosa dell impero. Dopo le
proposte di riunirlo a Nicea o ad Ancira, l imperatore decise per due concili
paralleli, uno per l oriente da celebrare ad Antiochia di Caria (Asia Minore) e
uno per l occidente da celebrare a Rimini. La decisione di sdoppiare il concilio,
facilmente giustificabile con motivazioni di comodo data l opportunit di evitare
di spostare dall occidente inriente un ingente numero di vescovi, era stata
probabilmente ispirata a Costanzo dagl influenti vescovi illirici Valente di
Mursa e Ursacio di Singidunum (odierna Belgrado), da sempre avversi al partito
niceno, i quali temevano il concentramento degli occidentali, poco edotti della
materia in discussione ma che si sapevano in grande maggioranza ostili ad Ario,
con gli orientali, pi frammentati dottrinalmente, in gran parte antiniceni ma
anche antiariani e in buon numero perfettamente in grado di affrontare i termini
dottrinali del contrasto. Non sappiamo per qual motivo la scelta delle sedi sia
caduta su due citt un po fuori di mano, decentrate rispetto a quelle che erano
allora le comunit pi importanti della cristianit. La spiegazione che possiamo
suggerire che, nella previsione di svolgimento non pacifico dei lavori dei
concili, si prefer farli svolgere in sedi tali che i funzionari imperiali incaricati di
sorvegliare l andamento dei lavori fossero in grado di tenere pi agevolmente la
situazione sotto controllo.
Data la frammentazione dottrinale dell episcopato soprattutto orientale, l
imperatore Costanzo auspicava una soluzione di compromesso, vale a dire la
pubblicazione di una formula di fede di significato sufficientemente generico s
da poter essere accettata da una maggioranza di moderati di varia estrazione,
emarginando gli esiti dell arianesimo radicale da una parte e del nicenismo dall
altra. In questa direzione, alcuni vescovi di sua fiducia pubblicarono il 22
maggio del 358 a Sirmio, in Pannonia, dove allora risiedeva l imperatore, una
professione di fede (il cosiddetto credo datato) che doveva servire come base
dottrinale per i lavori dei due concili. Ne erano punti qualificanti l affermazione
che il Figlio simile (homoios) al Padre in tutto secondo quanto insegnano le
Scritture e la proibizione di far uso, nel definire la retta fede, del termine ousia
(sostanza): in questo modo si proscriveva non soltanto l homoousios, termine
distintivo del credo niceno, ma anche lhomoiousios (simile secondo la sostanza),
termine molto diffuso allora nell episcopato orientale con significazione insieme
antiariana e antinicena, i cui sostenitori furono allora chiamati omeousiani,
mentre i sostenitori del credo niceno furono definiti omousiani. Da parte
occidentale va ricordata l attivit di Ilario di Poitiers. Esiliato in Frigia per
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essersi opposto ai filoariani nel piccolo concilio di Bziers (366), in Gallia, in
oriente aveva realizzato, unico fra gli occidentali del suo tempo, la complessit
dei contrasti dottrinali, non riconducibili alla semplice opposizione di niceni e
ariani, come invece era convinzione dominante in occidente. Nell imminenza
del concilio, interrotta la composizione del ponderoso de trinitate, Ilario dett
rapidamente il de synodis, uno scritto di rara intelligenza, indirizzato ai vescovi
sia di oriente sia di occidente, nel quale, dimostrando che si poteva essere
antiariani anche senza essere niceni, l autore auspicava la collaborazione degli
antiariani d oriente e d occidente contro il comune nemico.
Il concilio si apr a Rimini verso la fine di maggio del 359. Erano presenti
pi di 400 vescovi convenuti da tutte le parti dell occidente. Era completamente
assente la sede romana, in quanto il cedimento di papa Liberio, che esiliato in
Tracia si era piegato a sottoscrivere sia la condanna di Atanasio sia la formula di
fede di Sirmio del 357, la pi esposta in senso filoariano, ne aveva azzerato il
prestigio in tutto il mondo cristiano. In apertura fu letta una lettera di Costanzo in
data 27 maggio 359 nella quale, invitando i padri conciliari ad adoperarsi al fine
di ristabilire fede e concordia nella cristianit, l imperatore vietava di prendere
provvedimenti riguardanti i vescovi orientali, prescriveva che, terminati i lavori,
una delegazione di padri conciliari andasse da lui per incontrarsi con omologa
delegazione dei vescovi orientali, e rendeva noto che nessuna delibera avrebbe
avuto validit senza la sua approvazione. Era pi che evidente, insieme con la
riaffermazione dell assoluto potere che l imperatore riteneva di poter esercitare
anche sul concilio ecumenico, massima espressione della gerarchia della chiesa,
l invito a espletare rapidamente i lavori sulla base della professione di fede del
22 maggio del 358, la cui approvazione fu infatti richiesta, all apertura dei
lavori, da Valente e Ursacio, i capiparte dell episcopato antiniceno presente al
concilio, circa ottanta vescovi. Il significato di questo testo era in certo modo
invitante, perch la genericit della sua principale proposizione dottrinale, che
affermava il Figlio simile in tutto al Padre secondo le Scritture, poteva essere
interpretata da ognuno dei presenti secondo la sua personale convinzione. Ma la
proibizione di far uso del termine ousia (sostanza) era di significato chiaramente
antiniceno, mentre l orientamento prevalente dei padri conciliari, estraneo alla
complessit dottrinale prevalente in oriente e ostile all arianesimo, era a favore
proprio del simbolo niceno. Perci la proposta di Valente e Ursacio fu respinta, i
due furono oggetto di violenti attacchi e dopo vari giorni di discussione, sulla
quale non siamo ragguagliati ma che ipotizziamo tutt altro che serena e distesa,
si giunse all approvazione di una dichiarazione che ribadiva la validit del credo
niceno, respingeva la proibizione relativa al termine ousia, e prescriveva che non
si innovasse pi in materia di fede. Ne consegu l abbandono della chiesa nella
quale si svolgevano i lavori del concilio, da parte di Valente e Ursacio con i loro
partigiani, che continuarono a riunirsi per conto loro in un oratorio. Il 21 luglio,
su proposta di Greciano, vescovo di Cagli, il concilio condann Valente Ursacio
e altri capiparte avversari e ribad la condanna delle fondamentali proposizioni
ariane, in termini per altro a volte tali da far intendere che alla maggioranza dei
padri conciliari erano rimaste estranee alcune sottigliezze della terminologia in
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uso tra gli antiariani d oriente. Considerati terminati i lavori, il concilio invi a
Costantinopoli una delegazione di venti membri che recava con s la
documentazione relativa a quei lavori, insieme con una lettera nella quale erano
sintetizzate le decisioni adottate dal concilio e si pregava l imperatore di
consentire ai padri conciliari di ritornare nelle loro sedi. Era a capo della
delegazione Restituto, vescovo di Cartagine. Probabilmente era stato designato in
quanto presule della sede episcopale d occidente pi importante dopo Roma, ma
la designazione non era felice: in effetti le comunit cattoliche d Africa
soffrivano allora la prevalente pressione degli scismatici donatisti e riuscivano a
resistere soltanto grazie agli aiuti che le venivano elargiti dall autorit politica:
in questo senso Restituto difficilmente era in grado di disattendere le
sollecitazioni che gli venissero da quella parte.
Valente e Ursacio erano stati pi solleciti a raggiungere l imperatore a
Costantinopoli e lo avevano ragguagliato sui risultati del concilio, che non erano
stati certo quelli che egli aveva auspicato: in effetti il rifiuto della formula del 22
maggio e soprattutto la riaffermazione del simbolo niceno collocavano l
episcopato occidentale su una linea dottrinale che lo poneva in contrasto non
soltanto con i fautori, pi o meno scoperti, dell arianesimo, ma anche con gran
parte dell episcopato d oriente, antiariano ma anche antiniceno, s che qui i
niceni erano ridotti a ben poca cosa, concentrati soprattutto in Egitto. Era ovvio
che Costanzo non potesse accettare l esito del concilio: rifiut di ricevere la
delegazione inviatagli e la fece sostare ad Adrianopoli, non lontano dalla
capitale, in attesa del suo beneplacito. Nel contempo scrisse ai padri conciliari
che erano rimasti a Rimini, spiegando che altre esigenze primarie non gli
avevano consentito di ricevere la delegazione inviatagli e che, nell attesa,
nessuno dei presenti a Rimini era autorizzato ad abbandonare la citt.
Successivamente la delegazione fu trasferita da Adrianopoli a Nike, piccola
stazione postale della Tracia, dove quei derelitti furono sottoposti a un vero e
proprio lavaggio del cervello a opera di Valente Ursacio e soci, abili ad alternare
sottili disquisizioni dottrinali con concrete minacce e a farsi forti del favore dell
imperatore. Fu anche falsamente affermato che gli orientali, che frattanto si erano
riuniti in concilio ad Antiochia di Caria, avevano proscritto l uso del termine
ousia. Batti e ribatti, infine tutti i membri della delegazione, Restituto in testa, si
piegarono alle pressioni di Valente e Ursacio, e in data 10 ottobre 359 la resa fu
sanzionata dall approvazione di un protocollo, nel quale i delegati affermavano
che, a seguito dei nuovi colloqui, essi si erano convinti della validit della
posizione dottrinale sostenuta da quei vescovi e l avevano approvata, rendendo
cos vano e inutile tutto quello che il concilio aveva decretato in precedenza. La
professione di fede che allora la delegazione approv ricalcava fedelmente il
testo della professione del 22 maggio, con l aggravante che dall espressione
qualificante simile in tutto secondo le Scritture fu eliminato in tutto, s che il
significato della professione risult ancora pi generico, in quanto ora Cristo
risultava simile a Dio Padre soltanto secondo le Scritture.
Mentre a Nike si svolgevano questi drammatici fatti, il 27 settembre aveva
avuto inizio il concilio di Antiochia di Caria, al quale presero parte circa 160
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vescovi, in gran maggioranza omeousiani, i pochi niceni si unirono a loro mentre
i pochi ariani radicali si unirono con un gruppo di vescovi che, per l accentuato
subordinazionismo con cui concepivano il rapporto Padre / Figlio e per l
avversione sia ai niceni sia agli omeousiani potremmo anche considerare ariani
moderati, ma che allora furono definiti acaciani dal nome del loro leader, Acacio
vescovo di Cesarea di Palestina. Molti studiosi moderni preferiscono definirli,
con termine di conio moderno, omei, da homoios (simile), Accenniamo molto
brevemente allo svolgimento del concilio. Nel giro di pochi giorni furono rifiutati
a gran maggioranza non solo l homoousios niceno ma anche la formula di fede
del 22 maggio, e fu riesumata la formula di fede di Antiochia del 341, un testo
orientale che affermava la piena divinit di Cristo, di tono origenianamente
arcaizzante, che taceva dell homoousios niceno ma condannava le proposizioni
fondamentali della dottrina ariana. Ariani e acaciani furono condannati. Sia la
maggioranza omeousiana sia la minoranza acaciana del concilio inviarono due
delegazioni a Costantinopoli dall imperatore, e qui ripresero e si prolungarono i
contrasti. Nel frattempo, ritornata a Rimini la delegazione col protocollo della
resa, si era nuovamente riunito il concilio. Inizialmente i padri conciliari, che
erano rimasti nella citt, rifiutarono la loro comunione ai firmatari della resa, ma
in seguito, sollecitati e pressati da Valente Ursacio e i loro partigiani, impauriti
dalla dichiarazione del funzionario imperiale, il prefetto Tauro, che per ordine di
Costanzo nessuno dei partecipanti al concilio sarebbe potuto ritornare a casa
propria se prima non avessero sottoscritto tutti quel protocollo, a poco a poco
cominciarono, chi prima chi dopo, a cedere e a sottoscrivere una professione di
fede che, semplificata, ricalcava i termini del protocollo di resa: Crediamo in un
solo vero Dio, Padre onnipotente. Crediamo nel Figlio unigenito di Dio, che
nato da Dio prima di tutti i secoli e prima di ogni principio. Nato unigenito solo
dal solo Padre, Dio da Dio, simile a suo Padre secondo le Scritture, la cui nascita
nessuno conosce se non soltanto il Padre che lo ha generato. Egli disceso dal
cielo, stato concepito dallo Spirito santo, nato da Maria vergine, stato
crocifisso da Ponzio Pilato, risuscitato dai morti il terzo giorno, asceso al
cielo, siede alla destra di Dio Padre e verr a giudicare i vivi e i morti. Il nome di
ousia, poich non si trova nelle Scritture e scandalizza molti semplici per la sua
novit, si decide che sia tolto di mezzo. A questo punto, pur pressati dagli
avversari e dai colleghi che, anche se avevano sottoscritto, non potevano tornare
a casa, resistevano tenacemente una ventina di vescovi, capitanati dai vescovi
della Gallia Febadio di Agen e Servazio di Tongres. Allora Valente propose un
compromesso che, in quel disperato frangente, sembr accettabile a Febadio:
purch sottoscrivesse, gli si dette facolt di aggiungere a titolo personale i
chiarimenti che desiderasse. Febadio aggiunse alla professione di fede una serie
di anatematismi nei quali condannava i punti principali della dottrina ariana, e
sottoscrisse insieme con i compagni. Con queste ultime battute del concilio si
intrecci una fraus, un inganno che sarebbe stato perpetrato da Valente a danno
dei colleghi e che la documentazione in nostro possesso non permette di
individuare con sicurezza. Sappiamo che, circolando tra i padri conciliari una
serie di proposizioni eretiche sotto il suo nome, Valente fu invitato a discolparsi
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pubblicamente e lo fece con una serie di anatematismi contro la dottrina ariana,
pi o meno tradizionali per cui non facile capire dove ci sia stata la frode.
Non restava che comunicare all imperatore il definitivo esito del concilio.
Ne fu incaricata una nuova delegazione, capitanata questa volta dagli
onnipresenti Valente e Ursacio. Forse gi qualche giorno prima era stata inviata a
Costanzo una lettera a nome del concilio, di tono adulatorio e supplichevole,
nella quale al ringraziamento al sovrano per aver imposto che non si facesse pi
uso del termine homoousios, indegno di Dio, si univa la preghiera di permettere
ai padri conciliari di ritornare nelle loro sedi. Quando la delegazione riminese
giunse a Costantinopoli, fervevano ancora le discussioni tra le due delegazioni
del concilio di Antiochia di Caria, e il suo arrivo fece precipitare la situazione a
danno degli omeousiani, costernati alla notizia del cedimento degli occidentali,
che essi sapevano in larga maggioranza accesamente antiariani. In effetti i
delegati occidentali entrarono subito in comunione con gli acaciani, che a loro
volta non ebbero difficolt sottoscrivere la professione di fede riminese. A questo
punto Costanzo, stante anche l esigenza che le decisioni dei due concili fossero
concordi, rilevando, a beneficio di chi fosse ancora incerto, l ampiezza di
significato del simile secondo le Scritture, perci interpretabile da ognuno a
modo suo, impose che anche i membri della delegazione omeousiana
sottoscrivessero la formula riminese, e cos fu nonostante residue resistenze. Le
ultime sottoscrizioni si ebbero nella notte del 31 dicembre, s che Costanzo
potesse cominciare l anno nuovo, con cui iniziava il suo decimo consolato,
gloriandosi della recuperata pace religiosa dell impero. Poco tempo dopo questi
fatti fu convocato un ennesimo concilio, a Costantinopoli, voluto dagli acaciani
per riaffermare solennemente in oriente la loro vittoria e regolare i conti con i
principali dei loro avversari. A noi qui interessa soltanto rilevare che il concilio
pubblic una professione di fede che, con poche modifiche, ricalcava la formula
riminese.
Ogni avvenimento di una certa importanza pu essere valutato da diversi
punti di vista, e cos fu per il concilio di Rimini. Costanzo era soddisfatto di aver
riaffermato il suo potere sul concilio e di aver ottenuto, anche se con maggior
fatica di quanto non avesse preveduto, la finalit che si era prefisso convocando
quel concilio: l accordo di tutti sulla base di una formula di fede di significato
pi politico che religioso. L evidente constatazione che gran parte dei firmatari
della formula aveva sottoscritto soltanto perch costretta passava in secondo
piano di fronte all unanimit dei consensi a conclusione di una serie di
operazioni che, con un po di buona volont, si potevano considerare
formalmente regolari. In effetti a Costanzo non interessava quello che i firmatari
credessero in cuor loro quanto l adesione pubblica e ufficiale, sufficiente per una
valutazione politica dei fatti. Soddisfatti erano anche gli acaciani, in quanto la
proibizione di far uso del termine ousia nella professione di fede escludeva sia l
homoousios sia l homoiousios, che dire i termini distintivi dei loro avversari,
ed essi, al riparo della genericit del simile secondo le Scritture potevano
professare una fede anche di contenuto ariano: in effetti nel tempo successivo a
questi fatti, quando la situazione si sarebbe ribaltata a sfavore degli ariani non
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soltanto radicali ma anche moderati, essi continueranno a proclamare la liceit
della loro professione di fede in quanto sanzionata dal concilio ecumenico di
Rimini. Quanti avevano sottoscritto la formula riminese soltanto perch costretti
non potevano certo essere contenti di ci che si erano piegati a fare, ma a parziale
giustificazione di fronte a se stessi e ai loro fedeli, potevano addurre la genericit
della formula, che pur con la limitazione che sappiamo affermava la divinit di
Cristo e la sua unigenitura e aveva permesso di riunire di nuovo in comunione i
prima di allora disiecta membra dell episcopato sia orientale sia occidentale. Ci
per altro era stato possibile sulla base di una professione di fede il cui significato,
come abbiamo rilevato pi volte, era pi politico che religioso.
In effetti, durante i tanti anni intercorsi dal 325, data del concilio di Nicea,
al 359 i termini del contrasto tra la fede nicena e la dottrina ariana era stati
ampiamente approfonditi, inizialmente soltanto in oriente, ma successivamente,
per opera di dottori quali Ilario, Mario Vittorino, Febadio di Agen, anche in
occidente; e se il contrasto tra l homoousios niceno e l homoiousios
omeousiano, pur riducendosi a un solo iota, come avrebbe a suo tempo rilevato
ironicamente Gibbon, incideva forte sul modo di concepire il rapporto
intradivino, ambedue le dottrine erano tali da escludere ogni forma di arianesimo,
anche moderato, in quanto sia l una sia l altra affermavano la piena divinit di
Cristo, una insistendo pi sulla sua unit con Dio Padre, l altra invece rilevando
soprattutto la loro distinzione personale; di contro proprio gli ariani radicali
erano di nuovo usciti allo scoperto, formulando con chiarezza la loro posizione
dottrinale, che nella sostanza ricalcava quella di Ario, fino a riaffermare la
condizione creaturale del Figlio di Dio. Era evidente che, di fronte a un tale
approfondimento dottrinale dei termini del contrasto in opposte direzione una
soluzione di esso soltanto formale e di significato politico appariva insufficiente.
Ecco perch gli esiti dei concili di Rimini e di Costantinopoli furono allora
avvertiti da tutti come una vera e propria grande vittoria dell arianesimo. Vari
anni dopo, Girolamo avrebbe esclamato: Tutto il mondo pianse meravigliandosi
di essere ariano. Il tono forse era un po troppo melodrammatico, ma nella
sostanza esprimeva bene lo stupore e lo sconforto di tanti che avevano auspicato
e sperato un ben altro risultato del concilio. Era stato invece il trionfo di
Costanzo, e l imperatore si accinse subito a consolidare il risultato raggiunto,
imponendo la sottoscrizione della professione di fede riminese a tutti
indistintamente i vescovi della cristianit. Ma non gli fu concesso di insistere a
lungo in questa opera di consolidamento. Infatti di l a poco l occidente gli si
ribell acclamando imperatore Giuliano, che era suo cugino ma di idee
radicalmente diverse dalla sue; egli stesso, prima di arrivare allo scontro
decisivo, a seguito di breve malattia mor il 3 novembre del 361, dopo aver
nominato in punto di morte suo erede Giuliano: questa morte inopinata e
repentina consent agli sconfitti di Rimini di riaprire le ostilit vanificando gli
esiti del concilio.
Manlio Simonetti
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