I conti finanziari: la storia,
i metodi, l’Italia, i confronti
internazionali
Atti del convegno
Perugia, 1-2 dicembre 2005
Il volume raccoglie i lavori presentati nel corso del convegno “I
conti finanziari: la storia, i metodi, l’Italia, i confronti internazionali“, che
si è svolto a Perugia, nei giorni 1-2 dicembre 2005.
Il progetto di ricerca è stato coordinato da RICCARDO DE
BONIS.
L’organizzazione del convegno è stata curata da CARLO
MUSCARIELLO e ALESSANDRA PICCININI. La redazione della
pubblicazione è stata curata da EDVIGE LUCCI.
Le opinioni e i giudizi espressi nei lavori raccolti in questo volume non
impegnano la responsabilità della Banca d’Italia.
© 2006 Banca d’Italia
INDICE
Salvatore Rossi
Intervento introduttivo………...................................................p. 9
Sessione 1
LA STORIA
Presidente: Stefano Fenoaltea
Riccardo De Bonis e Alfredo Gigliobianco
Le origini dei conti finanziari negli Stati Uniti e in Italia:
Copeland, Baffi, le istituzioni……. .........................................p. 15
Giuseppe Della Torre
Discussione………...................................................................p. 61
Riccardo Massaro
Financial accounts in Europe: beginnings, development and
harmonisation………. ..............................................................p. 71
Claudio Gnesutta
Discussione………..................................................................p. 105
Sessione 2
I METODI
Presidente: Enrico Giovannini
Riccardo Bonci e Massimo Coletta
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi ...........................p. 115
Alfonsina Caricchia
Discussione………..................................................................p. 181
Giuseppe Bruno
La trimestralizzazione delle serie storiche annuali dei conti
finanziari ........................................................................................ p. 187
Tommaso Di Fonzo
Discussione ............................................................................... p. 213
Gabriele Semeraro
È possibile tener conto delle pensioni future nei conti
finanziari? ................................................................................. p. 219
Elsa Fornero
Discussione ............................................................................... p. 255
Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari e
nell’indagine sui bilanci delle famiglie italiane ....................... p. 263
Daniele Fano
Discussione ............................................................................... p. 311
Sessione 3
L’ITALIA
Presidente: Luigi Spaventa
Riccardo De Bonis
Ricchezza finanziaria e indebitamento dell’economia
italiana dal 1950 al 2004 .......................................................... p. 315
Giorgio Calcagnini
Discussione ............................................................................... p. 359
Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica ........................... p. 369
Silvia Giannini
Discussione ............................................................................... p. 489
Riccardo Bonci e Francesco Columba
Effetti della politica monetaria sui flussi finanziari: il
caso italiano ............................................................................p. 493
Francesco Nucci
Discussione ............................................................................p. 527
Sessione 4
I CONFRONTI INTERNAZIONALI
Presidente: Luigi Federico Signorini
Laura Bartiloro, Riccardo De Bonis, Andrea Generale e
Irene Longhi
Le strutture finanziarie dei principali paesi industriali:
un’analisi di medio periodo ....................................................p. 539
Emilio Barucci
Discussione ............................................................................p. 583
Valter Di Giacinto e Luciano Esposito
Convergenza nelle strutture finanziarie europee:
un’applicazione dell’analisi delle matrici fattoriali ................p. 589
Alberto Zazzaro
Discussione ............................................................................p. 627
Luigi Federico Signorini
Intervento conclusivo .............................................................p. 635
INTERVENTO INTRODUTTIVO
Salvatore Rossi∗
Vorrei porgere a tutti gli intervenuti al convegno che sta per aprirsi
un saluto di benvenuto in questa storica scuola di formazione della Banca
d’Italia. Il convegno segue una formula già posta a base di analoghe
iniziative della Banca. La formula è la seguente: se un tema che sentiamo
esserci proprio in quanto Banca centrale si impone alla nostra attenzione,
se sappiamo di avere già messo insieme, intorno a questo tema, delle
riflessioni, delle analisi, degli studi, allora raccogliamo il materiale
disponibile, pur se a volte ancora non rifinito, in un programma seminariale
e lo sottoponiamo al vaglio preliminare della comunità scientifica. La
formula prevede quindi che i lavori da discutere siano di ricercatori della
Banca d’Italia, mentre i discussants e anche i presidenti di sessione
vengano scelti all’esterno, nel mondo accademico e in altri centri di
ricerca. L’utilità di questa formula è evidente e non c’è bisogno che la
sottolinei. Il vaglio della comunità scientifica è necessario per evitare di
diventare autoreferenziali, anche se i temi in questione afferiscono
direttamente alla nostra tipica attività di ricerca e al nostro ruolo
istituzionale.
Il tema dei conti finanziari è uno di questi. È un tema molto caro alle
Banche centrali di tutto il mondo e da molto tempo. Anche qui la ragione è
evidente: disporre di un quadro chiaro dei flussi di fondi finanziari tra i
diversi settori istituzionali di un’economia è essenziale ai fini del disegno
della politica monetaria. La politica monetaria non può prescindere da una
conoscenza tempestiva dei meccanismi allocativi e del loro funzionamento.
Naturalmente i conti finanziari sono parte del quadro statistico generale di
una economia nazionale: la loro costruzione e la loro analisi implica di
necessità il raccordo con gli istituti statistici nazionali. È una classica area
di confine fra le competenze e gli interessi naturali di una Banca centrale e
quelli dell’Istituto nazionale di statistica dell’economia di riferimento.
Nell’esperienza italiana i conti finanziari costituiscono un terreno sul quale
la collaborazione fra Banca d’Italia e Istat è di antica data e prosegue, anzi
intensificandosi; lo dimostra, tra l’altro, la presenza in questa sala di
qualificati esponenti dell’Istat.
__________
∗
Banca d’Italia, Capo del Servizio Studi.
10 Salvatore Rossi
La Banca d’Italia ha rivolto la sua attenzione ai conti finanziari del
Paese fin da tempi che possiamo definire remoti, dai primi anni sessanta.
Quelli erano anni in cui in Italia cominciavano a penetrare i primi semi del
sistema di pensiero keynesiano, insieme con le teorie di portafoglio e il
pensiero di Tobin. In Banca d’Italia gli ambasciatori, i portatori di queste
idee, sono stati Franco Modigliani e Albert Ando. Entrambi hanno a lungo
prestato la loro opera di consulenza nella Banca. Modigliani per un periodo
di tempo relativamente limitato, Ando per un periodo molto più lungo; fino
a pochi anni fa, fino alla sua scomparsa. Ed è da quegli anni, da quel
fermento culturale, da quelle idee che nasce l’interesse della Banca per i
conti finanziari. Nascono allora i conti finanziari del Paese.
È stata pertanto una scelta molto felice da parte degli organizzatori
di questo convegno, Riccardo De Bonis innanzitutto, insieme con Grazia
Marchese e Luigi Federico Signorini, quella di situare in esordio una
sessione storica. La storia delle statistiche in generale, e non soltanto quella
dei conti finanziari, si intreccia spesso con gli sviluppi dell’analisi
economica. Come è frequente nella storia economica, essa si intreccia
anche con il ruolo delle istituzioni e la loro evoluzione.
Questo intreccio stretto fra analisi statistica e analisi economica è
visibile in modo plastico nella stessa organizzazione del Servizio Studi
della Banca d’Italia. In una prima fase pionieristica, che è durata fino a
venti anni fa, questo intreccio era molto stretto. Semplificando, si potrebbe
dire che ogni singolo ricercatore in quella prima fase si costruiva da sé le
sue statistiche, un po’ come il bravo artigiano di una volta usava costruirsi i
suoi strumenti di lavoro e procacciarsi i suoi materiali. Una tale
commistione veniva considerata un valore: soltanto, si pensava, chi
avrebbe poi dovuto elaborarvi sopra della buona analisi economica poteva
saper curare con grande dettaglio, con amore quasi, la qualità del dato
statistico occorrente.
L’evoluzione dei tempi e del pensiero ci ha fatto scoprire quello che
nel linguaggio dell’attualità politica odierna si potrebbe definire il
“conflitto di interessi” dello statistico-economista. Noi della Banca fummo
antesignani in questa scoperta. A fronte dell’economia di scopo insita nel
fatto che una stessa persona combini costruzione del dato statistico e
analisi di quello stesso dato, sta il rischio, forse remoto ma non inesistente,
che la persona in questione sia tentata di costruirsi un dato “comodo”, ai
fini di un “a priori” analitico. Ci ponemmo questo problema, lo
discutemmo a lungo, e alla fine optammo per una soluzione intermedia,
che risolvesse il trade-off. La soluzione fu quella di raccogliere la funzione
Intervento introduttivo 11
di costruzione dei dati statistici, allora diffusa in modo capillare nel
Servizio Studi, in una unità organizzativa autonoma, l’attuale Direzione per
l’Informazione e l’Elaborazione Statistica (IES), lasciandola però situata
all’interno del Servizio Studi. L’internalizzazione aveva lo scopo di
avvicinare al massimo l’analisi statistica e l’analisi economica, per non
perdere del tutto l’effetto di fertilizzazione incrociata. Di questa stagione
riorganizzativa sono stato testimone e corresponsabile. A quel tempo mi
occupavo di bilancia dei pagamenti, un Ufficio in cui la commistione a cui
prima facevo cenno era particolarmente evidente. Quando fu creata la
Direzione IES, l’Ufficio Bilancia dei Pagamenti, a quel tempo parte della
Direzione Settore Reale, fu collocato nella neonata unità. Fu una decisione
dolorosa e non priva di contrasti, ma, credo, felice.
L’Ufficio Bilancia dei Pagamenti e tutte le altre unità organizzative
che fanno parte della Direzione IES, da quelle che si occupano di
statistiche monetarie e finanziarie a quelle che trattano i dati degli
intermediari, a quelle che gestiscono le indagini campionarie, a quelle che
amministrano le basi dati, hanno in questi anni affinato il mestiere, hanno
cioè sviluppato secondo i più avanzati e moderni standard la professione
statistica, ma non hanno mai cessato di produrre della buona analisi
economica, tanto migliore quanto più ha potuto trarre beneficio dalla
vicinanza con la produzione del dato.
Questo convegno si articola in quattro sessioni. Come ho già
accennato, la prima sessione ha un respiro storico e accoglie due lavori:
uno sulle origini dei conti finanziari, sull’esperienza americana e sui primi
sviluppi in Banca d’Italia; un secondo sui conti finanziari in Europa e sul
lungo processo che sta portando alla loro armonizzazione.
Segue una sessione metodologica, con più lavori: uno che illustra la
ricostruzione all’indietro dei conti finanziari con dati annuali dal 1950; un
secondo sui conti finanziari trimestrali; un terzo sulla questione
spinosissima di come includere le passività pensionistiche nei conti
finanziari; un quarto di confronto fra i dati desumibili dai conti finanziari e
quelli desumibili dalla indagine campionaria della Banca sui bilanci delle
famiglie italiane.
Segue ancora una sessione centrata sull’Italia, con un primo lavoro
sulla ricchezza finanziaria e l’indebitamento dell’economia italiana dal
1950 a oggi, che offre uno strumento credo molto utile di analisi agli storici
contemporanei; un secondo lavoro su come la fiscalità influenzi le scelte di
portafoglio; un terzo sull’impatto di shock di politica monetaria sui flussi
12 Salvatore Rossi
di attività e passività finanziarie, a testimoniare, ove mai ce ne fosse
bisogno, la rilevanza dei flussi finanziari ai fini della comprensione delle
condizioni monetarie e del disegno della politica monetaria.
La sessione conclusiva è dedicata ai confronti internazionali ed è
centrata sul tema dell’integrazione, un fenomeno in Europa già
ampiamente in corso e molto rilevante. Un primo lavoro offre una veduta
ampia sull’insieme dei paesi industriali; un secondo focalizza l’attenzione
sull’Europa e si pone il problema di verificare empiricamente l’ipotesi di
convergenza delle strutture finanziarie europee, che è un tema centrale nel
dibattito sull’integrazione europea e sul ruolo che in essa ha giocato e sta
giocando la costruzione monetaria.
Tale è il ventaglio dei lavori che saranno offerti alla discussione in
questo convegno. Il tempo a disposizione di ciascun relatore e di ciascun
discussant sarà severamente razionato. Ne traggo insegnamento per
terminare questo mio saluto di benvenuto e augurare a tutti buon lavoro.
Sessione 1
LA STORIA
Presidente: Stefano Fenoaltea
LE ORIGINI DEI CONTI FINANZIARI NEGLI STATI UNITI E IN
ITALIA: COPELAND, BAFFI, LE ISTITUZIONI
Riccardo De Bonis e Alfredo Gigliobianco∗
1. Introduzione
Thomas Kuhn ci ha resi consapevoli di quanto sia difficile,
discorrendo di rivoluzioni scientifiche, rispondere a domande del tipo
“Quando sono avvenute?” o “Dove sono avvenute?” L’invenzione dei
conti finanziari, di cui la stragrande maggioranza della popolazione
mondiale non ha avuto alcun sentore, può al massimo aspirare al rango di
“piccola rivoluzione”; le si applicano tuttavia le cautele metodologiche
consigliate da Kuhn. Anche se, forzando i dati offertici dalla cronaca, a
quelle domande volessimo rispondere “negli anni cinquanta” e “negli Stati
Uniti”, dovremmo fronteggiare un’altra difficoltà. Le rivoluzioni
scientifiche di rado sono dovute al genio individuale, come immaginato
dalla tradizione romantica dell’inventore genio solitario. Esse sono più
spesso attribuibili allo sforzo di più studiosi, che possono arrivare alla
stessa conclusione sulla base di approcci diversi. Gli studiosi, infine,
difficilmente sarebbero in grado di produrre un risultato senza l’appoggio
di organizzazioni dotate dei mezzi necessari. L’analisi del modo in cui
entrano in contatto le motivazioni degli studiosi e quelle delle
organizzazioni è dunque essenziale per comprendere i progressi della
conoscenza.
In questo lavoro mostriamo che la nascita dei conti finanziari è il
frutto di una elaborazione complessa, iniziata in modo quasi autonomo in
diversi paesi, a opera di economisti e statistici. Tale elaborazione, pur
rispondendo a un fascio di interrogativi teorici e di preoccupazioni pratiche
comuni, non è riconducibile a un unico movente. Essa ha dato origine a
schemi e apparati concettuali simili, ma distinti. Ciò detto, non pare dubbio
che il grande sistematizzatore statistico dei conti è stato Morris A.
__________
∗
Banca d’Italia, rispettivamente Servizio Studi e Ufficio Ricerche Storiche. Il lavoro è dedicato alla
memoria di Curzio Giannini. De Bonis ha curato i paragrafi 2 e 4, Gigliobianco il paragrafo 3.
Giuseppe Acito, Roberto Barbato e Maurizio Castellani hanno curato la preparazione della tavole.
Si ringraziano Franco Cotula e Eugenio Gaiotti per gli utili suggerimenti ed Elisabetta Loche,
dell’Archivio Storico della Banca d’Italia, per la collaborazione fornita alla ricerca. Le opinioni
degli autori non impegnano l’Istituto di appartenenza. Il contributo si concentra sugli anni quaranta
e cinquanta; non approfondisce gli sviluppi dei conti finanziari negli anni sessanta.
16 Riccardo De Bonis e Alfredo Gigliobianco
Copeland (1895-1989), il quale pubblicò uno studio preliminare nel 1947,
poi, nel 1952, il fondamentale “A Study of Moneyflows in the United
States”.
Descriveremo prima il lavoro di Copeland, dalle origini ideali che
collochiamo nel periodo della seconda guerra mondiale fino all’opera del
1952 e al successivo intervento della Federal Reserve, grosso modo fino
alla fine degli anni cinquanta (par. 2). Affronteremo poi i paralleli sviluppi
in Italia (par. 3). Concluderemo con alcuni filoni di ricerca successivi sui
conti finanziari (par. 4).
Un tratto comune a tutto il lavoro è l’importanza delle istituzioni per
lo sviluppo delle statistiche. Anche i conti finanziari hanno avuto le loro
Royal Society e Accademie dei Lincei1: le banche centrali, gli organismi di
ricerca semipubblici come il National Bureau of Economic Research, gli
istituti centrali di statistica, gli enti internazionali.
Il saggio soffre di uno sbilanciamento, che in parte è giustificato
dalla stessa materia trattata: mentre il paragrafo “americano”, in cui è
necessario analizzare una costruzione teorica complessa, si colloca per un
ampio tratto nell’ambito della storia delle dottrine, quello “italiano” è più
rivolto a spiegare come le politiche economiche, e i discorsi intorno alle
politiche, hanno potuto condizionare la struttura stessa dei conti finanziari.
2. I moneyflows di Copeland e i flow of funds della Federal Reserve
2.1 Che cosa sono i moneyflows ?
Nel 1944 Copeland ricevette l’incarico dal National Bureau of
Economic Research (NBER) di costruire un quadro statistico del circuito
monetario. Il progetto fu svolto in collaborazione con la Federal Reserve,
in particolare con la Division of Research and Statistics del Board. Dopo la
prima guerra mondiale, lavorando nel NBER, Wesley Mitchell aveva
costruito stime annuali del reddito nazionale2. Il punto di partenza di
Copeland è una nota non pubblicata di Mitchell del 1944, nella quale
l’economia è divisa in quattro settori. Ogni settore origina e riceve flussi
monetari (moneyflows) dagli altri. Un sistema di registrazione a doppia
__________
1
Il ruolo delle istituzioni nella storia della scienza moderna è enfatizzato da Clericuzio (2005) e da
Gemelli (1997).
2
Si vedano Fabricant (1984) e Rutheford (2003) sulla storia del NBER e il ruolo di Mitchell.
Le origini dei conti finanziari negli Stati Uniti e in Italia: Copeland, Baffi, le istituzioni 17
entrata riporta da un lato i flussi in uscita da ogni settore, dall’altro i flussi
in entrata. Ogni flusso appare al passivo di un settore e all’attivo di un
altro.
Il primo risultato pubblico del lavoro di Copeland è un articolo del
1947, apparso nell’American Economic Review. Nel 1952 vede la luce la
sua opera principale. In essa sono analizzati i moneyflows dei settori
istituzionali americani dal 1936 al 19423. Lo schema iniziale presenta due
settori – le famiglie; gli altri settori aggregati insieme – e sei tipi di
moneyflows. Successivamente l’analisi si allarga, fino a comprendere
undici settori: le famiglie; le imprese agricole; le imprese industriali; le
imprese individuali; il governo federale; gli Stati e gli altri governi locali;
le banche; le compagnie assicurative del ramo vita; le altre imprese
assicurative; altri intermediari finanziari che non rientrano nelle categorie
precedenti; il resto del mondo.
Copeland individua quattro origini, o moventi, dei moneyflows: le
quote distributive, la vendita di beni e servizi, i trasferimenti, i
finanziamenti che un settore accorda agli altri. Esistono 14 tipi di
moneyflows e tutti possono essere ricondotti ai quattro moventi ricordati.
Quattro moneyflows sono riconducibili alle quote distributive delle
famiglie: stipendi e salari, pagamenti di interessi, dividendi, ricavi delle
imprese individuali. Altri quattro derivano da transazioni legate alla
produzione: pagamenti dei clienti alle imprese per la vendita di beni e
servizi; affitti; pagamenti rateali ai costruttori; pagamenti per vendite
immobiliari. Altri cinque moneyflows – premi assicurativi, benefici
assicurativi, tasse, rimborsi fiscali, spese pubbliche – rientrano nella
categoria dei trasferimenti. Il quattordicesimo moneyflow registra
transazioni finanziarie ed esaurisce il quarto movente.
Le statistiche costruite da Copeland forniscono informazioni sulla
ripartizione dei moneyflows tra le transazioni legate alla produzione, quelle
collegate a trasferimenti e quelle riconducibili a canali finanziari. Ogni
settore ha un suo bilancio, con le sue attività e le sue passività. Ricorrente è
__________
3
La convinzione di Kunh – le rivoluzioni scientifiche non sono mai dovute a un solo studioso – è
confermata dallo stesso Copeland, che nella prefazione del suo volume scriveva: "Mention should
me made, too, of a study that to some extent parallels the present attempt to organise debt and
credit information and relate it to gross national product information, Raymond Goldsmith's study
of saving and capital markets in the Unites States. Had some of the results of Goldsmith's study
become available a year or so earlier, my task would have been easier". Il riferimento di Copeland
era ai lavori di Goldsmith che sarebbero confluiti nel monumentale "A Study of Saving in the
United States". L’uso dei bilanci dei settori istituzionali e dei conti finanziari da parte di Goldsmith
esula dagli obiettivi di questo lavoro e avrebbe meritato un contributo ad hoc.
18 Riccardo De Bonis e Alfredo Gigliobianco
la distinzione tra grandezze misurate in termini di cassa e aggregati basati
sul principio della competenza economica, anche se Copeland propende
per una misurazione in termini di cassa. I moneyflows sono presentati come
un’estensione della contabilità nazionale, un tema al quale Copeland aveva
dedicato molti contributi a partire dalla fine degli anni venti; continuo è il
confronto tra i moneyflows e il concetto di reddito nazionale. Copeland
sostiene che sia il suo approccio sia quello del reddito nazionale sono
basati sull’idea dell’economia come un circuito. L’impostazione dei
moneyflows consente di analizzare operazioni di debito e credito che non
fanno parte dei concetti della produzione e della distribuzione del reddito.
Copeland inquadra il suo lavoro come un’estensione del “social
accounting to moneyflows measurement”4, sottolineando i vantaggi della
sua impostazione nei confronti dell’equazione degli scambi; in particolare,
l’approccio disaggregato rende disponibili per ogni settore “money inflows”
e “money outflows”. Pur in presenza di una definizione diversa dei settori
istituzionali, Copeland afferma che il lavoro di Leontief è simile al suo5. I
moneyflows vanno da un settore all’altro dell’economia, con le passività
che finanziano le attività. Leontief parla di input che producono output. Tra
i due approcci c’è una similitudine visiva, dato che le misurazioni dei
fenomeni sono realizzate attraverso la costruzione di grandi matrici a
doppia entrata.
Accanto ai flussi registrati dai moneyflows, Copeland si occupa di
consistenze, misurate dai loanfunds, vale a dire da attività e passività
finanziarie dei settori istituzionali. Richiama l’opera di Irving Fisher del
1906, The Nature of Capital and Income, che traccia una distinzione tra
consistenze e flussi. Copeland sottolinea l’importanza dell’uso dei bilanci
in economia, secondo un appproccio già seguito, tra gli altri, da Robertson,
Mitchell, Hawtrey, Lutz, J. Hicks6. Ricorda le difficoltà di dialogo tra
contabilità e statistiche, soprattutto per le diversità nelle convenzioni
utilizzate.
__________
4
“The moneyflows accounts are in a sense an extension of the national income accounts, an
extension that provides more detail by sectors”, Copeland (1952), p. 41.
5
“The Leontief set of measurement resembles the set of moneyflows measurement presented here”,
Copeland (1952), p. 42.
6
Nel lavoro fondamentale del 1935, Hicks invitava a “formulare un tipo di bilancio generalizzato
che vada bene per ogni individuo o istituzione”. La teoria monetaria deve basarsi non sull’analisi
del “conto del reddito, bensì sul conto del capitale”. Giannini (2004) sottolinea l’importanza del
contributo di Hicks per aver influenzato le teoria monetaria verso l’interpretazione della moneta
come fondo di valore piuttosto che come mezzo di scambio. Su Hicks si veda anche l’articolo di
Massaro in questo volume.
Le origini dei conti finanziari negli Stati Uniti e in Italia: Copeland, Baffi, le istituzioni 19
Chiara è la distinzione tra bilanci consolidati, dove le posizioni tra
settori sono al netto delle posizioni reciproche, e bilanci aggregati, che
sono al lordo dei rapporti tra i settori. Sono presentati temi sui quali
economisti e statistici continuano a lavorare, quali le discrepanze tra
contabilità reale e contabilità finanziaria, e, nel caso delle imprese
individuali, la distinzione tra beni attribuibili all’azienda e attività riferibili
alla famiglia dell’imprenditore. Copeland rimarca le difficoltà di far
“quadrare” attività e passività complessive dell’economia, per colpa di tre
differenze: momento di registrazione delle operazioni; classificazione
disomogenea delle stesse operazioni; criteri di valutazione di attività e
passività7.
2.2 La teoria monetaria di Copeland
Dopo aver presentato la ricostruzione statistica dei moneyflows,
Copeland discute la teoria monetaria del suo tempo. Secondo Copeland,
l’economia è basata sugli scambi tra soggetti economici, attraverso un
sistema di prezzi e il funzionamento di istituzioni diverse. La moneta è una
delle istituzioni che consentono a un’economia di funzionare. La moneta
svolge una funzione di registrazione dei moneyflows, è mezzo di scambio e
fondo di valore che consente di far fronte agli sfasamenti che i settori
istituzionali hanno tra incassi e pagamenti, accumulando o decumulando
“loanfunds”. Nelle sue funzioni la moneta è aiutata da attività e passività
finanziarie, così come da debiti e crediti commerciali.
Copeland studia il ruolo della moneta nell’influenzare il ciclo
economico. Nell’affrontare il nesso tra espansioni e contrazioni della
moneta, da un lato, e andamento della produzione, dall’altro, propone “a
partial reformulation of economic theory”. Critica la teoria quantitativa
della moneta, soprattutto la sua visione aggregata, nella quale la moneta
arriva senza distinzioni a tutta l’economia. A questa visione “idraulica”
dell’attività economica, Copeland contrappone la sua visione
dell’economia come un circuito elettrico, nel quale esistono diversi settori
che si scambiano moneta (tav. 1). Anche se talvolta confusa e troppo
enfatizzata8, la metafora del circuito elettrico ha l’obiettivo di sottolineare
che ogni settore ha due poli diversi, ai quali le risorse affluiscono o dai
quali si dipartono, e che la trasmissione dei fondi è sostanzialmente
istantanea.
__________
7
Cfr. in particolare il capitolo 8.
8
Cfr. la recensione del volume di Copeland da parte di Baumol (1954).
20 Riccardo De Bonis e Alfredo Gigliobianco
I settori compiono scelte discrezionali nel decidere dimensioni e
composizione dei moneyflows. Il saldo di ogni settore dipende in parte
dalle proprie scelte, in parte dalle decisioni degli altri settori. L’equazione
degli scambi non ci dice quali settori “were advancing or returning money
through financial channels and which sectors were obtaining money by
financing”. Nel circuito di Copeland esistono almeno quattro settori
(Amministrazioni pubbliche, famiglie, imprese, intermediari finanziari) che
producono redditi, ricevono e concedono trasferimenti, danno luogo a
flussi finanziari. Alcuni settori devono ricorrere a fondi esterni per
finanziare le proprie spese, mentre altri concedono i fondi. Secondo
Copeland, Keynes ha una visione simile, ma con una prospettiva aggregata.
A Keynes interessa come gli aggiustamenti tra risparmio e investimenti
influenzano il livello del reddito. L’approccio dei moneyflows mette in
relazione le variazioni del prodotto con le variazioni dei saldi monetari e
con la struttura dei debiti e dei crediti dell’economia. I comportamenti dei
settori influenzano le variazioni della produzione; alcuni settori
istituzionali possono diminuire le proprie attività finanziarie e aumentare la
spesa; altri settori possono invece accumulare risorse finanziarie.
Copeland esamina il ruolo delle banche nel ciclo economico,
confrontando la posizione di Fisher – le banche influenzano le fluttuazioni
– con il punto di vista di Hansen – le banche non possono influenzare il
ciclo9. I flussi più importanti per le banche sono le variazioni del volume e
della composizione dei depositi e del credito all’economia, dato dalla
somma di prestiti e obbligazioni detenute in portafoglio. Il volume del
credito offerto dalle banche non è determinato autonomamente ma è
influenzato dalle decisioni della Fed, attraverso l’offerta di liquidità,
l’acquisto e la vendita di titoli, la fissazione di riserve minime obbligatorie.
L’influenza che la Fed esercita sul sistema creditizio consente di parlare
delle banche in termini aggregati, astraendo dalle differenze che esistono
all’interno della compagine degli intermediari.
Sul comportamento delle banche durante il ciclo economico,
Copeland ritiene ci siano asimmetrie nei quattro momenti del ciclo, vale a
dire nella depressione, nella fase di ripresa, nel picco dell’espansione, nella
fase recessiva. Nel cuore di una depressione, una disponibilità delle banche
ad aumentare il credito può avere un effetto positivo, ma da sole le banche
non sono in grado di determinare una ripresa dell’economia. Quando si
__________
9
Le due tesi sono sostenute, rispettivamente, in Fisher (1935) e Hansen (1941).
Le origini dei conti finanziari negli Stati Uniti e in Italia: Copeland, Baffi, le istituzioni 21
avvia la ripresa, essa può essere aiutata da una maggiore disponibilità di
prestiti. Se la fase espansiva è vicina a un picco, tassi bancari più alti e
politiche del credito più severe possono avere effetti negativi sui
moneyflows e indurre un peggioramento del ciclo. Quando l’economia è in
recessione le banche possono peggiorare le cose, se attuano politiche
restrittive, ma politiche più “facili” del credito non possono
autonomamente interrompere la recessione. In sintesi, le banche
influenzano i moneyflows e le fluttuazioni economiche, ma soprattutto nelle
fasi espansive. Sono posizioni vicine al consenso tradizionale che la
politica monetaria può essere “un ottimo freno ma non una buona frusta”.
Copeland conclude il suo contributo indicando direzioni di ricerca
sulle quali indirizzare gli sforzi in futuro. Auspica la costruzione di
statistiche che distinguano i bilanci delle famiglie povere e di quelle ricche,
un obiettivo perseguito ancora oggi. Si augura che si possa arrivare a dati
trimestrali sull’attività delle imprese e ad analisi regionali dei moneyflows
negli Stati Uniti. Si interroga soprattutto sull’utilizzo di statistiche che per
gli strumenti finanziari individuino non solo l’emittente ma anche il
detentore; questo principio, denominato “from whom to whom”, appare nel
suo libro, per carenza di statistiche, solo in pochi casi; è stato introdotto
negli Stati Uniti e in Italia tra gli anni cinquanta e sessanta, ma in maniera
sistematica nei conti finanziari europei solo con il Sistema europeo dei
conti del 1995. Copeland conclude ricordando l’enfasi posta da Keynes sul
ruolo della domanda nel determinare variazioni del reddito nazionale.
Secondo Copeland, anche il suo approccio basato sulla discrezionalità delle
scelte dei settori offre una base per sottolineare l’importanza della
domanda. Quando quest’ultima aumenta, cresce il livello generale dei
prezzi, ma i prezzi relativi si muovono in modo diverso e le loro variazioni
possono essere analizzate esaminando il circuito monetario.
2.3 Un’intepretazione del lavoro di Copeland
Come già anticipato, il contributo di Copeland si riconnette a diversi
filoni di analisi, tra loro legati. Un primo collegamento è agli sviluppi della
contabilità nazionale che seguirono la Teoria Generale di Keynes. Come
ricordato da Caffè, Keynes inventò non solo una disciplina, ma anche le
parole per discuterne, ponendo su nuove basi la contabilità nazionale. Non
fu un processo facile. Blanchard ha descritto la macroeconomia prima della
II guerra mondiale come “an age of confusion”. Dopo Keynes, i progressi
della contabilità nazionale furono dovuti soprattutto a Kuznets, Stone e
Hicks (la prima edizione di The social framework è del 1942); una
22 Riccardo De Bonis e Alfredo Gigliobianco
sistematizzazione importante fu il System of national accounts (SNA) delle
Nazioni Unite del 1947. Copeland già prima della seconda guerra mondiale
si era occupato di contabilità nazionale, pubblicando tra l’altro nella
collana “Studies in Income and Wealth” del NBER. Suoi contributi del
1935 (National Wealth and Income – An Interpretation) e del 1937
(Concepts of National Income) furono citati da Richard Stone nei lavori
preparatori dello SNA. Dopo lo SNA, codificati i concetti della contabilità
nazionale reale, fu naturale passare alle nozioni della contabilità
finanziaria.
Una seconda ispirazione dei moneyflows fu il dibattito sul ciclo
economico, in particolare, l’impegno verso la raccolta di statistiche sul
tema da parte di Mitchell. Il rapporto tra Mitchell e Copeland fu stretto; il
progetto dei moneyflows fu l’ultimo che Mitchell intraprese prima di
andare in pensione. I moneyflows si rifanno a una tradizione istituzionalista
statunitense – da Veblen a Commons, da Ayres allo stesso Mitchell – che
ha sottolineato l’importanza dell’approccio empirico nell’interpretazione
dei fenomeni economici e la necessità di costruire statistiche basate su serie
storiche10. Non è un approccio scontato: è famoso il giudizio sferzante di
“measurement without theory” che Koopmans pronunciò nel 1947
recensendo il volume di Burns e dello stesso Mitchell sulla misurazione dei
cicli economici11.
Anche l’approccio di Copeland è prevalentemente empirico.
Rimproverava a Keynes che la sua impostazione teorica era tra i motivi che
avevano concorso a far riassorbire la “Teoria generale” nella sintesi
__________
10
Per simili esigenze italiane di costruzione di serie statistiche si vedano Rey (2004) e Ciocca (2004).
Va ricordata la provocazione di McCloskey (1985) “… la scienza economica non sarebbe mai
incorsa nella rivoluzione keynesiana se avessero prevalso i canoni modernisti della scienza. Le
intuizioni keynesiane non furono espresse in forma statistica fino ai primi anni cinquanta, quindici
anni dopo la loro formulazione, durante i quali la maggior parte degli economisti più giovani si era
persuasa della loro validità. All’inizio degli anni sessanta le nozioni keynesiane della trappola della
liquidità e dell’acceleratore degli investimenti, nonostante i ripetuti insuccessi delle loro
applicazioni statistiche, facevano ormai parte del normale insegnamento scientifico impartito di
routine agli studenti di economia. La metodologia modernista avrebbe bloccato questo malanno già
nel 1936: dov’era l’evidenza di verifiche statistiche, controllate ed oggettive?” Patinkin (1982) ha
analizzato le interazioni tra rivoluzione keynesiana e progressi statistici nel periodo tra le due
guerre.
11
Una difesa parziale di Mitchell si ritrova in Kydland e Prescott (1990). Cfr. Della Torre (1993) e
(2000) sui nessi tra istituzionalismo, contabilità nazionale sviluppata al NBER, lavoro di Mitchell e
teoria del ciclo economico.
Le origini dei conti finanziari negli Stati Uniti e in Italia: Copeland, Baffi, le istituzioni 23
neoclassica12. Già nel 1931 Copeland aveva attaccato l’astrattezza
dell’approccio neoclassico, guadagnandosi le riserve di Frank Knight13. Si
sbaglierebbe comunque a classificare il contributo di Copeland come solo
empirico e a rivolgergli l’accusa che Koopmans rivolgeva alla coppia
Burns-Mitchell. Oltre che l’opera di Keynes, Copeland ha ben presente i
lavori di Hicks, in particolare “Valore e Capitale”, la cui prima edizione è
del 1939, in particolare il capitolo 14, sulle difficoltà di definire e misurare
il reddito di un’economia, e il capitolo 19, sulla domanda di moneta.
Dichiarando una somiglianza delle sue idee con quelle presentate in
“Valore e capitale”, sottolinea come Hicks si concentri solo su famiglie e
imprese. Copeland ha soprattutto una visione nella quale un sistema
economico ricco di attività specializzate e interconnesse è coordinato da
istituzioni legali: diritti di proprietà, norme sui contratti e sugli strumenti
negoziabili, regole sui risarcimenti e sui fallimenti, libertà di associazione.
La moneta e altre “pecuniary institutions” sono altri elementi che
consentono a un’economia di funzionare14. Dopo il lavoro sui moneyflows,
continuò a interessarsi della moneta, in particolare dell’origine delle
economie monetarie e dello sviluppo della moneta bancaria. Confermando
il suo interesse per tutti i settori istituzionali di un’economia, si occupò di
debito delle Amministrazioni pubbliche statunitensi, con un’attenzione
particolare ai rapporti tra Governo federale, da un lato, e organismi statali e
locali, dall’altro15.
2.4 I conti finanziari dopo Copeland: la Fed nel 1955 e nel 1959
La storia delle rivoluzioni scientifiche è fatta di aggiustamenti,
adattamenti e assimilazione delle nuove scoperte. Prima di tutto ci fu il
passaggio dai moneyflows ai flow of funds. Il lavoro di Copeland era stato
seguito da due economisti della Fed: Winfield Riefler, che scrisse
l’introduzione del libro, e Ralph Young, direttore della Divisione Research
and Statistics, il dipartimento della Fed responsabile per la ricerca, l’analisi
economica e le statistiche. Fu Young a portare avanti il lavoro di Copeland
nella Fed degli anni cinquanta, insieme a Dan Brill, che era stato
l’assistente principale di Copeland nella ricostruzione statistica16. Nel 1955
la Fed produsse la prima versione dei flow of funds, presentando flussi
__________
12
Si veda Millar (1991).
13
Il dibattito è sintetizzato in Asso e Fiorito (2001).
14
Su Copeland come economista istituzionalista si veda Rutheford (2002).
15
Cfr. Copeland (1961), con la prefazione di Kuznets.
16
Si veda Taylor (1991).
24 Riccardo De Bonis e Alfredo Gigliobianco
annuali dal 1939, per settore istituzionale e per strumento; per le banche e
gli altri intermediari furono presentati anche statistiche sulle consistenze di
attività e passività finanziarie. Il cambiamento di nome, da moneyflows a
flow of funds, fu dovuto a diversi motivi. In primo luogo l’espressione
moneyflows aveva creato ambiguità, perché era stata confusa con variazioni
nelle consistenze della moneta. In secondo luogo, Copeland aveva usato
moneyflows, un’unica parola, per distinguere il suo schema dalla
contabilità aziendale, dove l’espressione moneyflows indicava i flussi di
cassa. Ma la Fed volle essere più chiara, per evitare ogni confusione con la
terminologia usata nella contabilità aziendale.
Come Copeland, anche la Fed pone i flow of funds in una triade che
comprende la contabilità nazionale e le tavole input-output, sottolineando
le differenze tra i tre schemi. La contabilità nazionale mette l’enfasi su
produzione e distribuzione di beni e servizi. Le tavole input-output si
concentrano sulle relazioni tra industrie diverse. Le specificità dei flow of
funds sono due: l’economia è divisa in settori e sono considerate, accanto a
transazioni non finanziarie tipiche della contabilità nazionale, transazioni
finanziarie. I flow of funds registrano le transazioni che implicano un
trasferimento di credito e/o di moneta; considerano non solo la produzione
di beni nuovi, come fa il conto del PIL, ma anche transazioni che
coinvolgono beni che già esistono, come, ad esempio, la vendita di
abitazioni e terreni. La Fed sottolinea le differenze tra i flow of funds e il
conto della produzione e della distribuzione del reddito: esse riguardano la
classificazione delle transazioni e dei settori, i criteri di compensazione, i
metodi di consolidamento, i tempi di registrazione delle operazioni, le
regole di valutazione, i metodi di stima.
Nella versione del 1955 dei flows of funds c’è attenzione non solo ai
nessi tra transazioni finanziarie e transazioni non finanziarie, ma
soprattutto alla composizione delle seconde (tav. 2). Per le famiglie, le
transazioni non finanziarie danno luogo ai seguenti usi prevalenti dei fondi:
acquisti di beni e servizi, acquisti di case e beni di consumo durevoli,
pagamenti di premi assicurativi e tasse. Le fonti non finanziarie dei fondi
sono gli stipendi, la vendita di case e beni durevoli, i rimborsi fiscali, le
pensioni e gli altri contributi pubblici. Le transazioni finanziarie
contengono informazioni su circolante e depositi, titoli
dell’Amministrazione federale, mutui per l’acquisto di abitazioni, titoli
emessi dalle imprese e dalle amministrazioni locali.
Dopo il 1955, il Board della Fed chiese un aumento della frequenza
delle statistiche. Nel 1959 flow of funds trimestrali furono pubblicati nel
Le origini dei conti finanziari negli Stati Uniti e in Italia: Copeland, Baffi, le istituzioni 25
Federal Reserve Bullettin, con una revisione delle statistiche a partire dal
1949. Lo schema delle transazioni non finanziarie fu semplificato (tav. 3).
Molte voci, ad esempio i salari, non erano disponibili su base trimestrale e
furono abbandonate, così come molte delle informazioni per le quali
Copeland aveva fornito delle stime. Rispetto alla versione del 1955, furono
eliminati molti dettagli sulle transazioni non finanziarie, sia per le famiglie
sia per le imprese, concentrandosi sulla relazione tra risparmio e
investimento17. In sintesi, per ogni settore e per l’economia nel suo
complesso la Fed presentò la relazione tra risparmio, investimento,
acquisizione di attività e passività finanziarie. L’enfasi si spostò sulle
variabili finanziarie, la cui disaggregazione aumentò rispetto al 1955,
diminuendo le informazioni sugli aggregati reali, la cui produzione
statistica fu lasciata al Department of Commerce. Apparvero per la prima
volta informazioni su depositi a risparmio e a scadenza, su compagnie
assicurative e fondi pensione, sul credito al consumo, sulle azioni. Si
mantenne l’attenzione per l’integrazione dei conti finanziari con il sistema
generale della contabilità nazionale18. Aumentò la discussione sui nessi tra
le statistiche monetarie e bancarie e i flow of funds.
I flow of funds si affermarono come uno strumento per l’analisi
economica e della congiuntura. Si guardava, come oggi, ai volumi dei
fondi raccolti dallo Stato, dalle imprese, dalle famiglie e all’offerta di fondi
da parte delle banche e degli altri intermediari. Per le imprese il volume
degli investimenti era confrontato non solo con la quantità ma anche con le
forme dei finanziamenti ricevuti; per le famiglie si guardava alla
composizione delle attività finanziarie. L’analisi delle consistenze si
basava soprattutto sull’esame dei debiti dei settori istituzionali. I dati del
resto del mondo erano confrontati con le statistiche della bilancia dei
pagamenti, spesso ricchi di maggiori informazioni di dettaglio, ma non
integrati con le altre statistiche finanziarie. I conti finanziari dei diversi
paesi venivano confrontati con la Monetary survey dell’International
financial statistics del Fondo monetario internazionale, una fonte classica
per i confronti tra i paesi, studiando vantaggi e svantaggi rispettivi delle
due statistiche.
__________
17
Young (1957) presenta un’applicazione economica dei conti finanziari americani agli anni 1953-
1955. Cfr. pure Taylor (1958). Il passaggio dai flow of funds del 1955 a quelli del 1959 è riassunto
in Ritter (1963).
18
Sigel (1962) discute l’integrazione dei flow of funds americani nella contabilità nazionale. Per una
presentazione recente dell’integrazione dei conti macroeconomici statunitensi si veda Teplin et al.
(2005).
26 Riccardo De Bonis e Alfredo Gigliobianco
3. I primi passi dei conti finanziari in Italia
Copeland indubbiamente fece scuola, ma non prima della metà degli
anni cinquanta: fu allora che il suo metodo acquisì una forza di irradiazione
aggiuntiva rispetto a quella derivante dal puro valore scientifico del lavoro.
Era la forza determinata dal fatto che la Banca centrale del paese leader
dell’Occidente, gli Stati Uniti, l’aveva adottato e messo in pratica con
mezzi adeguati alla difficoltà dell’impresa. Prima di allora, pur date alcune
radici intellettuali comuni alle quali abbiamo accennato all’inizio, gli
studiosi e le istituzioni dei vari paesi, in primis le banche centrali, avevano
proceduto in ordine sparso. Lo scopo di questo paragrafo è appunto di
mostrare la “via italiana” ai conti finanziari e di spiegare il motivo di
alcune sue peculiarità originarie.
3.1 Paolo Baffi
Centrale, per comprendere l’esperienza italiana, è la figura di Paolo
Baffi. Già prima dell’ultima guerra mondiale, e più chiaramente durante,
Baffi, influenzato da Giorgio Mortara, suo maestro, e da Mitchell, del
quale era stato traduttore19, si pose il problema di costruire i bilanci
finanziari delle varie categorie di operatori, al fine di prevedere meglio
l’impatto dei provvedimenti monetari della banca centrale e, più in
generale, le reazioni a mutamenti ciclici o strutturali dei tassi di interesse,
dei costi, della produttività. Il programma scientifico di Baffi, già
formulato nelle sue grandi linee durante la guerra, è di portare alla luce il
nesso, o meglio l’insieme dei nessi, anche statistici, tra fenomeni reali e
fenomeni finanziari. La definizione del problema è chiara in una lettera
scritta nel gennaio 1941 al capo dell’Ufficio Studi della Banca (Baffi,
allora trentenne, si trovava a Pola, da poco richiamato alle armi):
Caro Commendatore, all’Ufficio Studi, seguendo e analizzando statistiche
per la maggior parte di carattere monetario e finanziario, siamo in condizioni poco
vantaggiose per conoscere i movimenti delle quantità non monetarie (tranne quelle
degli scambi con l’estero e di talune produzioni). Eppure questi movimenti sono
tra le determinanti dei fenomeni finanziari: ad es. può affluire alle sottoscrizioni di
titoli di debito pubblico, od ai depositi bancari, denaro prima investito in scorte che
non si è voluto o potuto rinnovare; o denaro rappresentante quote di
ammortamento di beni e impianti che, date le attuali circostanze, non si rinnovano
appieno (navi, fabbricati).
__________
19
W.C. Mitchell, Fenomeni e fattori dei cicli economici, in Mortara (1932). Lo scritto di Mitchell
tradotto da Baffi è il primo capitolo della sua opera Business Cycles.
Le origini dei conti finanziari negli Stati Uniti e in Italia: Copeland, Baffi, le istituzioni 27
In condizioni ugualmente svantaggiose ci troviamo rispetto alla conoscenza
dei problemi aziendali: eppure sono i dati di questi problemi quelli che
condizionano la situazione degli interi “rami” di industria. Ad esempio si può
osservare che in un’industria gli impianti non sono sfruttati in pieno (mentre, con
un ragionamento di prima approssimazione, si potrebbe concludere che in tempo
di guerra lo dovrebbero essere); perché? Sono le imprese a costo basso che battono
e costringono alla inoperosità le coesistenti imprese a costo alto? Mancano la
mano d’opera, la materia prima? (E – incidentalmente – perché c’è viceversa della
mano d’opera che non trova impiego?) Sono venuti a mancare sbocchi
rimunerativi all’estero? Il mercato non sostiene i costi accresciuti?20
Tale programma si inscrive nel quadro degli interessi teorici del
gruppo degli statistici-economisti degli anni trenta e quaranta, cioè di
studiosi che, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, attribuivano un
ruolo centrale alla misurazione dei fenomeni economici. A questo gruppo
potremmo ascrivere, oltre all’italiano Mortara e all’americano Mitchell, il
sovietico Kondratiev e il britannico Beveridge, del quale Baffi seguì le
lezioni alla London School of Economics nel 193121.
Baffi si trovò subito dopo la guerra a essere il capo di fatto del
servizio Studi della Banca d’Italia, in una posizione di notevole potere
riguardo agli indirizzi da dare alla ricerca, considerato anche che
nessun’altra istituzione, a parte l’IRI, poteva mettere in campo un gruppo
altrettanto forte di economisti. La situazione monetaria del dopoguerra gli
dette importanti spunti di riflessione sulla liquidità dei settori, specialmente
perché il settore delle famiglie aveva a lungo detenuto forti quantità di
biglietti che erano rimasti tesaurizzati, e quindi inattivi, fino a quando, con
il cambiamento del quadro congiunturale nell’estate del 1946, essi avevano
alimentato il più acuto episodio inflazionistico della storia italiana. Nelle
relazioni della Banca d’Italia relative agli anni 1945, 1946 e 1947 (scritte le
prime due regnante Einaudi, la terza Menichella) si trovano infatti vari
riferimenti al problema. È però solo nella Relazione sul 1948 che si
pubblica una tavola di flussi, chiamata “bilancio monetario nazionale” (v.
oltre tav. 4). In essa l’economia è divisa in due settori, “Tesoro” e
“economia”. Le passività di questi settori (debiti a breve e a lungo termine,
titoli, ma esclusi i debiti del Tesoro verso la Banca centrale) sono
bilanciate dalla “raccolta tra il pubblico” (depositi in conto corrente e a
risparmio, ancora titoli; quest’ultima grandezza è puramente identica alla
sua contropartita) di pertinenza dell’economia (ma essenzialmente delle
__________
20
Banca d’Italia, fascicolo personale.
21
Si veda il profilo biografico di Baffi in Gigliobianco (2006).
28 Riccardo De Bonis e Alfredo Gigliobianco
famiglie) e da una posta definita “residuo”, nella quale si evidenziano i
finanziamenti della Banca centrale all’“economia“. Confinati sotto la linea
rimangono i rapporti della Banca centrale con il Tesoro e con l’estero. Una
ulteriore linea di totali consente di apprezzare il complesso della creazione
di circolazione, nonché il totale delle nuove attività e passività finanziarie
del sistema.
3.2 Un’analisi del “bilancio monetario nazionale”
Ci occupiamo qui del “bilancio monetario nazionale” in quanto lo
riteniamo l’embrione dei conti finanziari apparsi nella Relazione della
Banca sull’anno 1964. Sembra necessaria, prima di procedere con l’analisi,
una breve dimostrazione del rapporto genetico esistente fra i due schemi.
Va subito chiarito, per sgombrare il campo da possibili equivoci, che la
parola “monetario” non deve far supporre che le prime statistiche fossero
soltanto monetarie e quelle varate in seguito anche finanziarie: tutte davano
in realtà la stessa importanza alle attività finanziarie a medio e lungo
termine, come si evince dalle righe 25, 26 e 27 del bilancio monetario. Fra
il 1948 e il 1960 non vi sono variazioni di rilievo (salvo una sulla quale
torneremo). Lo schema pubblicato nella Relazione sul 1960 (tav. 5) è
molto diverso dal suo predecessore nella forma della presentazione, e
tuttavia si chiama ancora “formazione e impiego delle disponibilità
monetarie e finanziarie” (p. 286 della Relazione). Il rapporto con il
precedente schema è dichiarato apertamente: “Nella presente Relazione, in
luogo delle predette tavole, ne sono state predisposte altre che conservano
le linee essenziali del bilancio monetario e delle tavole ora menzionate, ma
introducono alcune varianti” p. 276). La linea di ragionamento ha una sua
continuità, e in sostanza, a parte la presentazione, i dati sono gli stessi. Un
ulteriore cambiamento avviene con la Relazione per l’anno 1964, nella
quale compare finalmente l’espressione “conti finanziari” ancor oggi usata
(p. 454) e una grande tavola a doppia entrata denominata “Attività e
passività finanziarie del Paese” (tav. 6). Sebbene il cambiamento sia assai
rilevante, soprattutto perché si afferma largamente il criterio from whom to
whom, la linea di pensiero è la medesima (soprattutto per quanto riguarda il
“movente statistico” – un concetto che spiegheremo fra poco)22 e i dati
derivano in buona parte da un lavoro di ricerca (sulle assicurazioni, gli enti
previdenziali, il bilancio dello Stato) già compiuto o impostato. Questo
__________
22
Il “movente statistico”, con riferimento alla tavola del 1964, si percepisce chiaramente nello studio
pubblicato da due dei suoi maggiori artefici: cfr. Ercolani e Cotula (1969).
Le origini dei conti finanziari negli Stati Uniti e in Italia: Copeland, Baffi, le istituzioni 29
della continuità della linea di ricerca – dal 1948 al 1964 – è un primo punto
da sottolineare, una prima conclusione.
Possiamo ora tornare alla tavola del 1948, che sarà l’oggetto
principale della nostra indagine (tav. 4). In primo luogo essa colpisce
l’osservatore odierno per il fatto che si combinano elementi di una (per noi
oggi) classica tavola dei conti finanziari con elementi di una tavola di
creazione e utilizzo della base monetaria. Questa circostanza trova una
spiegazione nel fatto che lo schema non si è sviluppato in ambito
accademico, bensì in una istituzione gerarchica, come tale restia alle
innovazioni radicali. In essa il discorso riguardante l’origine della
circolazione (il termine base monetaria entrerà nel lessico una quindicina
di anni dopo) aveva una lunga tradizione, tradizione che aveva avuto
origine dal fatto che la circolazione proveniente dal canale Tesoro aveva un
trattamento fiscale diverso – in tempi normali meno favorevole – di quella
proveniente dai canali “economia” e “estero” (i quali fra loro non erano
distinti). Nelle relazioni della Banca si era sempre parlato di “circolazione
per conto del Tesoro” e di “circolazione per conto del commercio”.
In secondo luogo va notato che la tavola, essendo una tavola di flussi
e non distinguendo tra famiglie e imprese, non sarebbe stata di grande
utilità nell’analisi volta a prevedere o contenere un eventuale episodio
inflazionistico del tipo verificatosi nel 1947. Devono quindi essere
intervenuti altri elementi, oltre alla volontà di analizzare l’inflazione, per
portare alla nascita di una tavola di quel tipo, cioè non chiaramente utile
per valutare la liquidità dei settori. Il primo elemento è la difficoltà di
discernere, all’interno dei depositi, quelli di pertinenza delle famiglie e
quelli di pertinenza delle imprese: non solo per la presenza notevole di
depositi al portatore, ma anche per la confusione, nella contabilità delle
piccole imprese, tra finanza dell’impresa e finanza dell’imprenditore. Una
seconda difficoltà era quella di separare il credito alle imprese dal credito
alle famiglie23.
A questi due elementi che hanno carattere negativo, di ostacolo,
dobbiamo aggiungere due elementi positivi, che hanno carattere di
movente. Essi sono menzionati nella Relazione della Banca in cui compare
per la prima volta la tavola (1948). Vale la pena di citare letteralmente la
Relazione, in cui, dopo aver tracciato un sintetico quadro degli investimenti
effettuati nel corso dell’anno dai vari settori economici, si afferma:
__________
23
A entrambe le difficoltà, del resto universalmente note, accenna Baffi stesso, ammettendo la
lentezza dei progressi compiuti dal 1948 (Baffi 1957, p. 316).
30 Riccardo De Bonis e Alfredo Gigliobianco
Alla copertura del fabbisogno di finanziamento connesso all’insieme degli
investimenti lordi prima indicati hanno evidentemente concorso, in misura però
difficilmente precisabile, tanto i mezzi attinti alle disponibilità monetarie affluite
sul mercato quanto le disponibilità derivanti dalle quote di ammortamento (e
pertanto comprese nel prezzo di vendita dei prodotti), sia, infine, gli
autofinanziamenti veri e propri da profitti non distribuiti. Non è purtroppo
possibile, sulla base dei dati disponibili, un confronto diretto tra investimenti da un
lato e risparmio monetario e autofinanziamenti dall’altro. È però possibile fornire
un quadro abbastanza preciso delle disponibilità monetarie affluite sul mercato e
delle operazioni di impiego del sistema creditizio sia a vantaggio del Tesoro che
dell’economia. Tale prospetto permette, inoltre, attraverso la considerazione
dell’effetto residuo sulla circolazione delle operazioni di impiego e di raccolta dei
singoli settori, di ottenere l’effetto complessivo dell’insieme delle operazioni di
raccolta e di impiego sulla circolazione monetaria24.
Ecco quindi, espressi ma non del tutto svelati, i due moventi dei
quali dicevamo. Il primo sta nell’individuare le fonti di finanziamento degli
investimenti; ma l’accenno all’impossibilità di procedere, con i dati
disponibili, a un confronto diretto fra investimenti e risparmio (“Non è
purtroppo possibile…”) mostra che l’obiettivo di lungo periodo è
riconciliare la misura degli investimenti con quella delle fonti che hanno
contribuito al loro finanziamento. La conferma di questo intento, che
chiameremo “statistico”, la si trova in un breve appunto interno
dell’ottobre 1949, nel quale Baffi indica le grandi linee della Relazione
della Banca che sarebbe stata presentata l’anno successivo:
Per la prossima relazione, sarebbe utile porre mente alla possibilità di
redigere un bilancio nazionale degli investimenti per rami di attività economica,
costruito coi dati finanziari, e cioè [segue specifica: crediti bancari, emissioni
azionarie, spese dello stato per investimenti, finanziamenti esteri]. Il quadro
dovrebbe essere collegato con i totali del bilancio monetario nazionale ed i risultati
potranno essere messi a raffronto con quelli ottenuti da Guidotti25 per la via
“reale”26.
In questo documento viene dunque più chiaramente enunciato
l’ambizioso programma, realizzato solo in piccola parte negli anni
__________
24
Relazione della Banca d’Italia per l’anno 1948, pp. 189-192.
25
Salvatore Guidotti, dirigente del Servizio Studi, si occupava appunto di economia reale. Nel 1956
sarebbe divenuto Capo del Servizio.
26
Archivio Storico della Banca d’Italia (d’ora in poi ASBI), Studi, cart. 343, fasc. 1, ultimo foglio.
Le origini dei conti finanziari negli Stati Uniti e in Italia: Copeland, Baffi, le istituzioni 31
cinquanta, di riconciliare le grandezze reali e le grandezze finanziare della
contabilità nazionale27.
Il secondo movente può essere definito, in forma generica, come il
tentativo di inserire in uno schema rigoroso di bilancio le grandezze
monetarie e finanziarie del sistema: dovendo quadrare, il bilancio avrebbe
stimolato l’affinamento dei dati. Se scendiamo ora più in dettaglio,
osserviamo che il desiderio di quadratura è espresso, in maniera piuttosto
sorprendente, come intento di ricavare “l’effetto complessivo dell’insieme
delle operazioni di raccolta e di impiego sulla circolazione monetaria”
(leggi: variazione della circolazione creata attraverso il canale aziende di
credito e privati) “attraverso la considerazione dell’effetto residuo sulla
circolazione delle operazioni di impiego e di raccolta dei singoli settori”
(leggi: somma delle differenze fra impieghi e raccolta osservabili nei vari
settori). Questa presentazione, non tanto per l’uso della parola “residuo”
(che troviamo anche nella tavola, nell’intestazione dell’ultima colonna),
quanto per il discorso che vi si accompagna, nel corpo della Relazione e
soprattutto nelle Considerazioni finali, accredita l’idea di una Banca
centrale sostanzialmente passiva nel processo di creazione monetaria, quasi
costretta negli schemi di un gold standard postumo.
Questo secondo movente va ulteriormente analizzato. Esso si
riconnette a un problema più generale, che investe il compito stesso della
Banca centrale nella fase della ricostruzione e del catching up, così come
esso era percepito dal Governatore Donato Menichella e dallo stesso
gruppo dirigente politico dell’epoca. Una necessità “retorica” molto sentita
– probabilmente anche per fronteggiare ricorrenti critiche di politiche
timide, deflazioniste e simili, provenienti sia dal mondo politico e
sindacale, sia, qualche volta, da istituzioni internazionali – era mostrare che
il sistema bancario aveva “fatto il suo dovere” rispetto all’imperativo dello
sviluppo economico. Più in dettaglio, possiamo dire che le “considerazioni
finali” di quegli anni comprendevano due punti tipici, centrali
nell’economia del discorso, riguardanti il sistema finanziario.
Il primo punto consisteva nel dimostrare che il sistema aveva dato
“tutto” quello che poteva dare. Ecco uno fra i primi esempi, tratto dalla
Relazione sul 1948: “Tali disponibilità sono state utilizzate per intero, sia a
favore dell’economia privata sia a favore dello Stato per quella parte che
quest’ultimo ha dovuto necessariamente attingere […] al sistema creditizio
__________
27
Si vedano in proposito: Guidotti (1954) e, molto più sofisticato, Giannone (1961).
32 Riccardo De Bonis e Alfredo Gigliobianco
onde evitare un più ampio ricorso all’istituto di emissione. […] il sistema
creditizio ha compiuto interamente il suo dovere, senza apriorismi, senza
pavidità”28. In quest’altro esempio, tratto dalla Relazione per il 1949, si
evidenzia l’importanza del discorso riguardante l’apporto del sistema
finanziario: “Con la dimostrazione che crediamo di aver dato […] che il
sistema del credito ha efficacemente promosso, durante gli anni scorsi ed in
modo particolare durante l’ultimo anno, lo sviluppo ordinato della
produzione, e con la misurazione che abbiamo fatto sia dell’entità
dell’azione svolta sia dei risultati che ne sono conseguiti, potremmo
ritenere di avere esaurito il nostro compito istituzionale”29. (Seguono altre
8 pagine dedicate a spiegare che il mancato utilizzo delle riserve, ovvero la
loro accumulazione, rappresenta una garanzia per il futuro, e quindi che
pure quelle risorse sono “utilizzate” al meglio).
Il secondo punto consisteva nel dimostrare che le risorse erano state
indirizzate in misura crescente verso l’economia piuttosto che verso il
Tesoro. Nella Relazione sul 1949 si afferma: “Né l’esistenza dell’obbligo
della riserva bancaria ha impedito nell’ultimo anno uno spostamento a
favore dell’economia delle disponibilità monetarie [...] nel 1948,
attingendosi tanto al sistema bancario quanto al mercato finanziario in
genere, il Tesoro raccolse 445 miliardi e l’economia 504; mentre nel 1949
il Tesoro ha ridotto il suo prelievo a 376 miliardi; e l’economia ha, invece,
avuto 586 miliardi con un aumento di 82 miliardi rispetto all’anno
precedente”30. In un discorso sul credito agrario tenuto a Sassari nel 1953,
Menichella disse: “Vi è un solo sistema perché una parte di quei risparmi
che oggi si raccolgono attraverso le casse postali di risparmio defluisca in
futuro alle aziende di credito e in particolare alle casse di risparmio
ordinarie e quindi si rivolga a sussidiare l’agricoltura, ed esso consiste nel
fare in modo che lo Stato possa sopperire alle sue necessità più con le
imposte e con le tasse, che con l’indebitamento”31. Ancora: “dei 500
miliardi di maggior gettito del mercato del risparmio fra il 1950 e il 1953,
lo Stato ha preso solo 56 miliardi e l’economia privata 444”32.
__________
28
Le “Considerazioni finali” di Menichella sono ora ristampate in Cotula, Gelsomino e Gigliobianco
(1997), vol. 2. La citazione si trova a p. 24.
29
Ivi., p. 48.
30
Cotula, Gelsomino e Gigliobianco (1997), vol. 2, p. 38.
31
Cotula, Gelsomino e Gigliobianco (1997), vol. 1, p. 473.
32
Menichella (1954), p. 507.
Le origini dei conti finanziari negli Stati Uniti e in Italia: Copeland, Baffi, le istituzioni 33
Questi punti sono perfettamente congrui con la visione che
Menichella aveva dell’economia italiana. Tale visione, in estrema sintesi, è
questa: l’obiettivo da perseguire è lo sviluppo; lo sviluppo dipende dagli
investimenti (mentre ai consumi non viene riconosciuto alcun ruolo); gli
investimenti dipendono, in positivo, dal risparmio, in negativo, dai fondi
che il Tesoro assorbe e non destina a finanziare investimenti. Date queste
determinanti uniche degli investimenti, si deve bandire ogni illusione
monetaria o creditizia, che avrebbe l’unico risultato, attraverso l’inflazione,
di alterare ingiustamente la distribuzione dei redditi.
Funzionale a questo tipo di discorso è la scelta di presentare la
liquidità creata dalla Banca centrale attraverso il rifinanziamento delle
banche come un “residuo” effetto sulla circolazione delle operazioni di
raccolta e di impiego che avvengono nell’economia, attraverso il mercato e
il sistema bancario. Un esempio: “La straordinaria espansione nella
formazione di disponibilità monetarie ha consentito di ridurre l’aumento
della circolazione da 283 miliardi nel 1947 a 175 miliardi nel 1948”33. Si
accredita così il concetto di una economia “naturale”, che procede con un
ritmo che è vano pensare di alterare con artifizi monetari: la moneta è
sostanzialmente un lubrificante. Una politica monetaria “attiva” non era
contemplata (ma la politica monetaria, per quanto rude, non era affatto
assente). Nelle Considerazioni finali, accanto ai temi che riconosciamo
oggi tipici della politica monetaria (ma, questo è da sottolineare, con
riferimenti quasi nulli ai tassi di interesse), si tratta ampiamente di
distribuzione del credito, delle risorse finanziarie, delle “disponibilità
monetarie” (e Menichella avrebbe volentieri parlato, se non fosse stato per
il purismo di Baffi, di distribuzione del risparmio: in effetti questo concetto
trapela qua e là nelle Considerazioni finali). Tale distribuzione è concepita
come il risultato dei comportamenti collettivi dei banchieri, più che delle
loro scelte individuali. Prevale una visione ancora corporativa del sistema
finanziario: esso veicola, o quanto meno dovrebbe veicolare, obiettivi
pubblici, non tanto per effetto degli strumenti di regolazione previsti dalla
legge (tasso di sconto, riserva obbligatoria, limite di fido ecc.) quanto
perché tali obiettivi vengono introiettati dai dirigenti bancari. La Banca
centrale entra in gioco perché pone le regole scritte ma anche quelle non
scritte, diviene il pastore del gregge delle banche. S’intende che ognuna di
esse è libera di brucare un po’ più in qua o un po’ più il là, ma i grandi
spostamenti del gregge devono essere promossi dall’autorità.
__________
33
Cotula, Gelsomino e Gigliobianco (1997), vol. 2, p. 21.
34 Riccardo De Bonis e Alfredo Gigliobianco
Pure interessante è la scelta di tracciare una prima linea di totali
lasciando al di sopra di essa i finanziamenti della Banca centrale alle
banche e ai privati (alle cui variazioni vanno a sommarsi quelle dei
depositi), e ponendo al di sotto di essa i finanziamenti della Banca centrale
al Tesoro. Una spiegazione di tale scelta è quella fornita dallo stesso Baffi
in L’analisi monetaria in Italia: “I confini dell’area coperta da questa riga
di totali sono quelli assegnati dalla legge bancaria e dalle disposizioni
sull’emissione di titoli al controllo delle autorità monetarie”34. Si tratta
chiaramente di una spiegazione “difensiva”, che significa: tracciamo questa
linea per mostrare quello che succede nell’area di nostra competenza; la
moneta creata attraverso il Tesoro e l’estero noi non la possiamo
controllare. Si deve però notare che anche questo modo di presentare i dati
contribuisce a rendere possibile e a legittimare un discorso centrato sulla
struttura e sul comportamento di una “economia naturale”. Certo non
mancava la consapevolezza che “tutto” il nuovo circolante entra in gioco
nel processo moltiplicativo35, e tuttavia non è questo il discorso sul quale si
insiste. Si insiste piuttosto sul “gettito” (e non è casuale l’uso di questo
termine dal sapore fiscale) di risorse che viene dagli operatori (in sostanza:
dalle famiglie) e si spartisce fra l’economia e il Tesoro.
A queste due peculiarità della presentazione se ne deve aggiungere
una terza, rilevata dallo stesso Baffi, il quale, passati molti anni dai suoi
lavori sul bilancio monetario, ne fece un riesame critico. Nel saggio Via
Nazionale e gli economisti stranieri, del 1985, scrisse:
impropria era forse […] la configurazione della variazione della circolazione come
quantità residuale; impostazione, a ben vedere, rivolta al passato, perché la base
monetaria di nuova creazione si fissa nella circolazione quando la variazione
all’insù dei prezzi e dei redditi è già avvenuta: quando il “delitto” è già stato
consumato. In una impostazione forward looking, come quantità residuale si
sarebbero dovute assumere le riserve bancarie libere, cioè il serbatoio dal quale si
alimentano l’espansione del credito e la circolazione”36.
In altri termini: poiché il pubblico chiede circolazione quando
l’aumento dei prezzi è già avvenuto, il dato “circolazione” ci dice quello
che è già avvenuto: l’indicatore più pregnante delle prospettive di
__________
34
Baffi (1965), p. 5. Questo lavoro è la traduzione, con lievi modifiche, di Baffi (1957).
35
Si veda per esempio la Relazione della Banca sul 1949, in Cotula, Gelsomino e Gigliobianco
(1997), vol. 2, a p. 38.
36
Baffi (1985), § 11.
Le origini dei conti finanziari negli Stati Uniti e in Italia: Copeland, Baffi, le istituzioni 35
inflazione (o se vogliamo della stance della politica monetaria), non è la
circolazione ma le riserve bancarie.
La forma del discorso di Baffi non deve ingannare: ciò che appare
come un’autocritica è in realtà una critica, una critica postuma a
Menichella. A Baffi non mancava affatto, nel 1948, la percezione che la
rappresentazione fornita dal bilancio monetario era inadeguata: un
ragionamento assai simile a quello svolto nel saggio del 1985 egli l’aveva
già svolto, infatti, in un appunto interno risalente addirittura all’ottobre
1944:
Il momento attuale è, sotto l’aspetto della liquidità del mercato e della
ristrettezza dell’azione statale, molto favorevole non solo alla stabilizzazione, ma
anche alla riduzione della circolazione monetaria. È un momento che non si
ripeterà, perché (a parte la prossima ripresa dei bisogni finanziari […] per la
ricostruzione) se il denaro che affluisce alle banche viene rimesso in circolazione
finirà col produrre tutto il suo effetto sui redditi e sui prezzi; il che, accrescendo il
bisogno di circolante, lo tratterrà definitivamente nella circolazione attiva37.
Prova ulteriore della consapevolezza di Baffi è l’esistenza di una
tavola per uso interno, conservata nell’Archivio storico della Banca, in cui
si trovava, accanto alla colonna della circolazione (o meglio del circolante,
secondo la definizione odierna) quella delle riserve delle banche (che
invece nella tavola pubblicata venivano detratte, convenzionalmente, dalla
raccolta)38.
Sebbene manchino prove certe, molti indizi conducono alla
conclusione che la non evidenziazione delle riserve bancarie fosse dovuta a
Menichella, il quale non era troppo entusiasta di mostrare la “cucina” della
politica monetaria. Ricorda Antonio Fazio che prima dell’Assemblea del
1969 venne mostrato a Menichella, ormai Governatore onorario, il capitolo
della Relazione della Banca dedicato alla base monetaria; il suo commento
fu: “un capitolo molto bello, ma perché volete raccontare all’esterno tutti
questi fatti che attengono alla vita interna e al bilancio della Banca
d’Italia”?39 Le variazioni delle riserve bancarie vennero infine inserite nel
bilancio monetario nel 1951 (Relazione sul 1950, pp. 296-297), ma non in
__________
37
L’appunto, dattiloscritto, è intitolato “La situazione monetaria italiana e il problema del cambio”; si
trova in ASBI, Studi, cart. 302, fasc. 11.
38
La tabella, relativa agli anni 1950 e 1951, si trova in ASBI, Carte Baffi, cart. 75, fasc. “Relazione
sul 1950”.
39
Convegno in memoria di Guido Carli organizzato da BNL e ABI a Roma l’11.11.1993, ora in
Ricordo di Guido Carli (1994). Lo stesso episodio è raccontato in Ossola (1986), p. 359.
36 Riccardo De Bonis e Alfredo Gigliobianco
una colonna apposita: venne adottata una scelta grafica che certo non
agevolò l’analisi.
La lunga esegesi della tavola del 1948 ci porta a una seconda
conclusione: le esigenze “retoriche” della Banca hanno condizionato, in
più modi, la presentazione dei dati. Ciò conferma la validità di un nuovo
filone di storiografia della statistica attento ai significati culturali e
comunicativi, non puramente tecnici, della disciplina: secondo questi autori
le statistiche non sono il mero specchio della realtà, esse “costruiscono” la
realtà, influiscono cioè profondamente sul modo di identificare e di
affrontare i problemi40. La Banca d’Italia, come la maggior parte delle altre
organizzazioni, non ha soltanto una politica “delle cose”, ma anche una
politica della comunicazione, inclusa la comunicazione statistica, e ciò
prima e indipendentemente dalle discussioni degli anni ottanta e novanta
riguardanti il nesso fra la credibilità delle banche centrali e le loro strategie
di comunicazione.
A conferma di questa tesi, osserviamo che quelle che abbiamo
chiamato peculiarità nella presentazione dei dati terminano con la
Relazione per l’anno 1960, la prima fatta sotto la guida del nuovo
Governatore Carli: i dati sono sostanzialmente gli stessi (anche se tavole
aggiuntive offrono un maggiore dettaglio), ma la presentazione è
radicalmente mutata. Mentre in altra parte della relazione si distingue,
ovviamente, tra finanziamento della Banca centrale al Tesoro e
finanziamento alle banche41, nella tavola dei conti finanziari la creazione di
moneta è consolidata, e scompare il concetto di “residuo” riferito al
rifinanziamento del sistema bancario. Una tavola di creazione e utilizzo
della base monetaria comparirà tre anni dopo, nella Relazione per il 1963,
sotto il titolo “Andamento della liquidità bancaria” (p. 286), ma diverrà
sfortunatamente assai più farraginosa nella Relazione per il 1964 (p. 348).
L’esame compiuto della tavola del 1948 ci ha fatto mettere da parte,
momentaneamente, quella che abbiamo indicato come l’ispirazione
originaria di Baffi, legata alla conduzione della politica monetaria. Di essa
troviamo traccia in Via Nazionale e gli economisti stranieri: “Pur con
questi ed altri possibili difetti, il “bilancio monetario” costituì un primo
tentativo di presentazione complessiva dei flussi finanziari (seppure per
quantità nette) e di individuazione degli impulsi espansivi e contrattivi che
__________
40
Si vedano Desrosières (1993) e Tooze (2001).
41
La distinzione è fatta nella tav. 109 della Relazione.
Le origini dei conti finanziari negli Stati Uniti e in Italia: Copeland, Baffi, le istituzioni 37
provengono dalle fonti di creazione della base monetaria (tesoro,
economia, estero) assai utile per l’analisi delle relazioni reciproche fra
queste e con gli usi della base stessa”42. (Affermazione che conferma la
non univoca ispirazione originaria della tavola). Nel saggio del 1957
Monetary Analysis in Italy si forniscono alcuni esempi di utilizzo della
tavola: 1. Raffronto fra flusso dei fondi e investimenti, dal quale si possono
trarre indicazioni sulla dinamica dell’autofinanziamento in relazione al
ciclo: durante i periodi di inflazione (ma meglio forse dovremmo dire di
surriscaldamento) crescono i profitti e si abbassa il rapporto fra flusso dei
fondi e investimenti; 2. Constatazione (una volta ammesso che i biglietti di
banca sono detenuti principalmente dalle famiglie e che le famiglie
reagiscono lentamente all’incremento dei prezzi) che “L’assorbimento dei
biglietti da parte del pubblico esercita un’influenza moderatrice sul
processo inflazionistico, nel senso che riduce la liquidità delle banche, e
quindi il coefficiente di espansione del credito applicabile alle loro
disponibilità liquide presso l’istituto di emissione. L’uso di coefficienti
medi di espansione [leggi: moltiplicatore dei depositi] non sembra perciò
appropriato all’analisi del ciclo del credito, ogni qual volta i biglietti siano
una parte importante della massa monetaria”43; 3. Cautela nell’interpretare
gli spostamenti ciclici del volume dei depositi dal loro trend44.
3.3 Il contesto intellettuale del bilancio monetario
Diamo ora uno sguardo più ampio al contesto intellettuale in cui gli
studi sul bilancio monetario si svilupparono. Si è mostrato il nesso fra Baffi
e Mitchell prima della guerra (mediazione di Mortara, traduzione di
Mitchell), ma non emerge alcun contatto con Copeland nel dopoguerra,
anche se è naturalmente possibile, e probabile, che Baffi avesse letto il suo
articolo del 1947. Il primo rapporto documentabile con studiosi stranieri
impegnati sul fronte dei conti finanziari è del giugno 1953, quando ormai,
però, lo schema italiano era fatto: fu allora che Baffi si recò in Olanda,
ospite della Banca centrale olandese che era all’avanguardia in questo
campo45. Vi furono poi incontri, nel 1956-57, con il gruppo organizzato dal
Fondo monetario internazionale, animato da Earl Hicks, che promosse il
__________
42
Questo passo è la continuazione di quello citato in precedenza.
43
Baffi (1957), p. 322.
44
Ibid.
45
La documentazione di questo viaggio di studio, con scambio di lettere fra Menichella e il
Governatore olandese Holtrop, si trova in ASBI, Studi, cart. 383, fasc. 2, sfasc. 83.
38 Riccardo De Bonis e Alfredo Gigliobianco
numero di febbraio del 1957 degli Staff Papers dedicato in buona parte
all’argomento46. In un articolo di quel numero, firmato da Holtrop,
presidente della Banca d’Olanda, si afferma: “The purpose of the method of
monetary analysis […] is to provide the Bank with a tool to help it
unraveling the mechanism of inflationary and deflationary disturbances
and thus to aid the Bank in framing its policies.”47 Dello stesso avviso Earl
Hicks: “Monetary Analysis […] is an inquiry into the sector origins of
changes in the quantity of money made for the purpose of trying to
understand the forces pushing towards expansion or contraction.”48
L’articolo di Baffi, il già citato Monetary Analysis in Italy, pure negli Staff
Papers del 1957, va in sostanza in quella direzione. Un po’ più spostato
verso temi reali appare J.J. Polak, forse l’economista più notevole del
gruppo: “we want to isolate autonomous spending, that is, spending that
does not constitute a mere passing on in the next round of income received
in the previous round of the income stream. Fluctuations of the expenditure
not associated with fluctuations in income by the same sector are precisely
what financial statistics focus on”49. Il tutto, del resto, è coerente con
l’impostazione dello stesso Copeland, come l’abbiamo descritta nel
paragrafo 2.2.
Considerata la successione dei contatti scientifici, o dei non-contatti,
come essa emerge dai documenti fino a oggi rinvenuti, si può concludere
che la versione originale del bilancio monetario è interamente frutto
dell’interazione Baffi-Menichella, e vada quindi ricondotta essenzialmente
a quattro fattori: 1. la rielaborazione del bilancio tradizionale della Banca
centrale (circolazione per conto del commercio e circolazione per conto del
Tesoro); 2. le esigenze conoscitive emerse durante e dopo la guerra,
soprattutto in Baffi e nel suo entourage, dovute anche all’influenza di
Mitchell e di Mortara (ciclo, politica monetaria, movente statistico); 3. le
difficoltà di reperire i dati; 4. le esigenze politiche e retoriche di
Menichella. Questa è una terza conclusione, la quale conferma quella
natura “multipla” dei conti finanziari (molte origini e molti usi) alla quale
abbiamo accennato nell’introduzione e con riferimento all’esperienza
americana.
__________
46
La corrispondenza si trova in ASBI, Carte Baffi, cart. 346.
47
Holtrop (1957), p. 303.
48
Hicks (1957), in ASBI, Carte Baffi, 346/2.
49
Polak (1959), pp. 1-8.
Le origini dei conti finanziari negli Stati Uniti e in Italia: Copeland, Baffi, le istituzioni 39
Giunti quasi alla fine del nostro ragionamento, indichiamo almeno
una delle strade che si sarebbero potute percorrere e che non furono
percorse nonostante il Governatore Menichella avesse chiaramente un
interesse in materia: non risulta che sia stato fatto alcun tentativo per
sviluppare i conti finanziari nel senso in cui si erano sviluppati
originariamente negli Stati Uniti (i flow of funds del 1955), con attenzione
ai flussi derivanti da transazioni reali, al fine di cogliere le fonti
dell’autofinanziamento degli operatori. Questo sarebbe stato utile ai fini di
un certo tipo di polemica che la Banca era spesso chiamata a sostenere:
Menichella in più occasioni si rivolse a determinate categorie di operatori,
che lamentavano una insufficiente assistenza creditizia, facendo
considerazioni sulle risorse complessive del settore, risultanti
dall’evoluzione dei prezzi relativi. Agli agricoltori e alle casse di risparmio
disse, nel 1955: “se il volume del credito affluito all’agricoltura è stato
proporzionalmente minore del volume del credito affluito a tutte le altre
attività economiche, questa era una condizione naturale di cose perché il
credito all’agricoltura lo fornivamo noi, lei, io, pagando prezzi che erano
notevolmente superiori alla media degli altri prezzi”50.
3.4 Il rinnovamento degli schemi promosso da Guido Carli: un cenno
L’ingresso di Guido Carli in Banca d’Italia segnò un cambiamento
di politiche, di mentalità, di rapporto con il pubblico. Sul piano delle
politiche, ciò che ai nostri fini più rileva è il tentativo, in parte riuscito, di
fondare un mercato monetario, prima inesistente: strumento principale fu il
nuovo sistema di collocamento dei buoni del Tesoro varato nel 1962. Si
cominciò quindi a creare lo spazio per una politica monetaria meno
rudimentale. Sul piano della mentalità, conviene sottolineare il nuovo
impulso dato alla ricerca, con conseguente ampio spiegamento di risorse, e
l’abbandono di vecchi schemi e tradizioni. Molto si potrebbe dire a questo
proposito, ma ci limitiamo a richiamare un particolare minore, altamente
indicativo del cambio generazionale: a pochi mesi dal suo insediamento
Carli decise di far finalmente sparire dal bilancio della Banca la voce
dell’attivo “Oro depositato all’estero dovuto dallo Stato”, che
rappresentava nientemeno che l’oro depositato a Londra all’inizio della
prima guerra mondiale a garanzia di un prestito che l’Italia non aveva mai
restituito integralmente: sparivano dall’orizzonte, insieme con quella voce,
le preoccupazioni e le paure della classe dirigente che si era formata nel
__________
50
Menichella (1955), p. 589.
40 Riccardo De Bonis e Alfredo Gigliobianco
periodo del gold standard e del suo crollo durante la guerra. Sul piano del
rapporto con il pubblico, aumentò considerevolmente la quantità della
comunicazione e si valorizzò la funzione “didattica” della Banca centrale.
Il nuovo schema dei conti varato nel 1960, che sostituisce il bilancio
monetario, aderisce alle mutate esigenze, sostanziali e “retoriche” della
Banca centrale. Se è vero che permane un interesse importante per
l’indirizzamento delle risorse finanziarie, è anche vero che con Carli la
politica monetaria vuole e può uscire allo scoperto: emerge quindi la
necessità di un ragionamento che faccia perno sulla creazione monetaria
complessiva. Conseguentemente, la Banca centrale può cessare di
autorappresentarsi come passiva: il concetto di residuo scompare.
Pochi anni dopo viene attuata la riforma principale, quella che porta
alla grande matrice che appare nella Relazione sull’anno 1964. Si tratta di
una matrice a doppia entrata, nella quale ad ogni settore (economia,
banche, istituti a lungo termine, mercato, Tesoro) è intestata una riga e una
colonna. In ogni casella XY troviamo indicati, strumento per strumento
(moneta, depositi, obbligazioni…) i flussi finanziari dal settore X al settore
Y.
Questa forma dei conti, che assomiglia molto a quella attuale (salvo
per il fatto che quella particolare presentazione matriciale fu poi
abbandonata) e che viene adottata per la prima volta, come si dice
espressamente nella relazione e nelle note metodologiche pubblicate sul
Bollettino della Banca51, nell’ambito di una convergenza metodologica
all’interno della CEE52 (ma anche, senza dubbio, in seguito alle esperienze
attuate presso la Federal Reserve di cui abbiamo detto), risponde a nuove
esigenze del banchiere centrale. Mentre il discorso sulla politica monetaria
si poggia sulle tavole della liquidità e il discorso sul finanziamento degli
investimenti si vale pure di un nuovo consistente apparato statistico, la
matrice dei conti finanziari diviene funzionale a un discorso mirato allo
sviluppo del mercato finanziario. Un mercato finanziario maturo e spesso –
questo il discorso di Carli – è necessario perché in sua assenza modeste
variazioni dell’offerta di obbligazioni spostano considerevolmente i corsi
dei titoli (e i tassi), costringendo la Banca centrale a intervenire con
__________
51
Banca d’Italia (1965), pp. 107-125 (il punto che interessa si trova a p. 122).
52
Si fa riferimento al gruppo di lavoro che portò alla pubblicazione del SEC70.
Le origini dei conti finanziari negli Stati Uniti e in Italia: Copeland, Baffi, le istituzioni 41
immissioni di moneta che possono avere effetto inflazionistico53. A partire
da quegli anni, i conti finanziari, pur mantenendo e grandemente affinando
quella “funzione statistica” che avevano avuto fin dall’inizio (molto
interessante è il lavoro per collegarli agli schemi di contabilità nazionale,
che giunge a un risultato concreto nel 1968)54, diventano anche la palestra
per raffronti internazionali relativi allo sviluppo dei mercati e degli
intermediari.
La pecca più grave, la mancata distinzione tra famiglie e imprese
(cfr. il par. 3.2), verrà sanata nella Relazione sul 1965. Da allora gli
studiosi e gli operatori avranno materiale più solido per la discussione sulla
propensione al risparmio delle famiglie e sull’indebitamento delle imprese.
Non solo: potrà essere finalmente tentata la strada, che era rimasta fino a
quel momento una mera possibilità teorica, di individuare il settore di
origine di tendenze espansive o contrattive per mezzo dell’analisi
finanziaria settoriale (una ripresa, in sostanza, dei discorsi di Holtrop e di
Polak che abbiamo citato sopra)55.
Quest’ultima parte relativa agli anni sessanta è deliberatamente poco
sviluppata perché il nostro intento non era quello di tracciare la storia dei
conti finanziari “maturi” (maturi, s’intende, dal nostro punto di vista).
Tuttavia gli elementi qui presentati consentono già di estendere nel tempo
la validità della seconda conclusione che abbiamo tratto in precedenza: le
esigenze “retoriche” del banchiere centrale non cessano di accompagnare
l’elaborazione degli schemi dei conti finanziari. Ciò non deve essere inteso
come una critica alla validità delle statistiche, ma piuttosto come un
richiamo al fatto che, in ogni tempo, il lavoro statistico si trova ad essere
condizionato e stimolato non solo dagli strumenti teorici di cui può
disporre e dalle difficoltà di rilevazione che incontra, ma anche dalle
“visioni del mondo” che sono proprie dei committenti; d’altra parte le
statistiche, una volta fatte e rese pubbliche, hanno un potere che non può
essere sottovalutato: quello di consolidare, perfino di bloccare, le griglie di
lettura della realtà adottate dall’opinione pubblica e dagli stessi specialisti.
__________
53
Relazione della Banca d’Italia sul 1964, Considerazioni finali, p. 493 e sgg.
54
Nella Relazione della Banca per il 1967 si fece il primo tentativo esplicito – cioè non confinato agli
appunti interni – di collegare i conti finanziari con il conto del capitale. Per i precedenti in questa
linea di ricerca si vedano i citati studi di Guidotti e di Giannone.
55
Sul punto si veda ancora Ercolani e Cotula (1969), p. 20.
42 Riccardo De Bonis e Alfredo Gigliobianco
4. Ascesa, declino e ripresa dei conti finanziari
Negli anni sessanta i conti finanziari si aprirono ad altre direzioni di
ricerca, con una interazione tra teoria economica e applicazioni di policy.
Ci limitiamo a descrivere due sviluppi, ognuno dei quali meriterebbe una
trattazione monografica: l’enfasi di Tobin sullo studio delle interazioni tra
settore finanziario e settore reale dell’economia; l’utilizzo dei conti
finanziari nei modelli econometrici e per previsioni economiche.
In Keynes la domanda di moneta dipende dal reddito, piuttosto che
dalla ricchezza; nel movente speculativo l’individuo sceglie di detenere o
solo moneta o solo titoli. Con Tobin si passa dalla domanda di moneta a
una domanda di attività finanziarie, dove gli strumenti sono scelti sulla
base della correlazione rendimento-rischio: è la teoria delle scelte di
portafoglio.
La ricchezza è composta da moneta, altre attività finanziarie e beni
reali. Più che al legame tra moneta domandata e reddito, Tobin ha guardato
a come gli operatori ripartiscono la ricchezza tra attività, finanziarie e reali.
L’enfasi si sposta sul conto capitale dei bilanci dei singoli operatori, anche
per l’importanza del dibattito di quegli anni sull’effetto ricchezza. Le
consistenze della ricchezza, nella sue varie forme, influenzano non solo la
domanda di nuove attività finanziarie, ma anche la domanda aggregata:
consumi e investimenti non dipendono solo dal reddito (Tobin, 1952 e
1961). L’attenzione per il complesso delle attività finanziarie scambiate in
un’economia portò Tobin a interrogarsi sulle differenze esistenti tra le
banche, da un lato, e gli altri intermediari, dall’altro. Insieme ai lavori di
Gurley and Shaw, quello di Tobin (1963) è uno dei primi contributi sulla
specificità o meno delle banche, un tema al centro degli interessi della
scuola di Yale56.
Nel 1962 Duesenberry notava che il Keynes dei conti finanziari non
era ancora apparso57. I conti finanziari erano uno schema contabile, ma non
esisteva un corpo compiuto di equazioni di comportamento che utilizzasse
le statistiche. Negli anni seguenti Tobin presentò modelli stock-flussi del
settore finanziario dell’economia e delle sue interazioni con il settore
__________
56
Hester e Tobin (1967a), (1967b), (1967c) raccolsero nei tre volumi editi dalla Cowles Foundation i
contributi più importanti della scuola.
57
“National income analysis had Keynes, and the Keynes of flow-of- funds analysis has not revealed
himself”, Duesenberry (1962).
Le origini dei conti finanziari negli Stati Uniti e in Italia: Copeland, Baffi, le istituzioni 43
reale58. In particolare Tobin (1969) pone al centro dell’analisi il conto
capitale dei settori istituzionali. Le relazioni di un’economia sono
sintetizzate in una tavola coincidente con la normale presentazione dei
conti finanziari, con i diversi settori che appaiono sulle colonne e gli
strumenti finanziari disposti nelle righe. Tobin sottolinea l’interdipendenza
tra settore finanziario e settore reale. In prima istanza le variabili reali e gli
stock di attività finanziarie sono assunti come esogeni e determinano gli
strumenti finanziari che ogni settore vuole detenere. Secondo la logica
tipica di un modello di equilibrio economico generale, gli input finanziari
al settore reale devono poi riprodurre quei valori che sono stati considerati
come input reali iniziali per il settore finanziario.
Passiamo ora all’uso dei conti finanziari nei modelli econometrici e
nelle previsioni economiche. Un primo approccio puntava alla costruzione
di schemi del settore finanziario dell’economia, che talvolta venivano
inseriti nei grandi modelli macroeconometrici59. Questa impostazione
ricevette un impulso dal contributo di Brainard e Tobin (1968), che
presentarono uno schema del settore finanziario nel quale si determinano i
flussi, le consistenze e i rendimenti delle attività finanziarie assumendo
come esogene le variabili di policy o gli aggregati reali60.
Una seconda direzione di ricerca, legata alla prima e intrapresa
soprattutto dalle banche centrali, ha utilizzato i conti finanziari per
prevedere i flussi futuri dei fondi. Il punto di partenza erano le previsioni
sulle variabili reali. Una volta assunte queste come date, in particolare
assumendo come esogeni i risparmi e gli investimenti dei diversi settori, si
stimavano i flussi di attività e passività finanziarie di famiglie, imprese,
Amministrazioni pubbliche e resto del mondo. Un aspetto che
differenziava le esperienze nazionali erano le forme della retroazione dal
settore finanziario a quello reale. Un punto di forza delle previsioni era la
__________
58
Come ha notato Buiter (2003) “Tobin’s mistrust of the representative agent approach and his
relaxed attitude towards micro foundations are consistent with his decision to pursue the empirical
implementation of complete systems of portfolio balance and flow-of-funds models using asset
demand specifications that were eclectic or ad-hoc as regards the selection of arguments”.
59
Si tratta di applicazioni eterogenee, un tratto comune ai modelli macroeconomici keynesiani (cfr.
Visco, 2005).
60
Un’applicazione italiana è rappresentata da Modigliani e Cotula (1973). Per l’inserimento nel
modello econometrico della Banca d’Italia cfr. Fazio et al. (1970). Una sintesi dei modelli stock-
flussi è offerta da Gnesutta (1992).
44 Riccardo De Bonis e Alfredo Gigliobianco
coerenza dei comportamenti dei vari settori61. Le previsioni dei flussi
furono utilizzate nell’ambito della programmazione dei flussi finanziari,
perseguita in molti paesi industrializzati, ad esempio in Francia e in Italia,
non sempre con esiti soddisfacenti62.
Una terza classe di modelli ha sottolineato il rapporto tra fonti e
corrispondenti usi dei fondi. Un sistema economico può essere riassunto da
una tavola input-output, con un certo strumento finanziario considerato
come input per la produzione di un determinato output. L’ammontare di
ogni input richiesto per produrre un’unità dell’output è un coefficiente
tecnico fisso del sistema. Stone è stato probabilmente il costruttore
maggiore di questi modelli, basati sull’idea che in un sistema economico
esistono relazioni stabili tra passività finanziarie, da un lato, e attività
finanziarie e reali, dall’altro, in termini di consistenze e flussi (cfr. ad
esempio Stone, 1966). La difficoltà principale di questa impostazione fu
che in economie avanzate i coefficienti tecnici nella realtà non erano fissi,
perché l’innovazione finanziaria, soprattutto nelle forme di finanziamento
delle imprese e delle Amministrazioni pubbliche, e l’attività internazionale
mutavano la relazione tra passività e attività finanziarie. L’approccio input-
output fu giudicato più promettente in economie pianificate o in via di
sviluppo, dove la regolamentazione e l’intervento pubblico, piuttosto che
gli sviluppi dei mercati dei capitali, dominavano l’allocazione dei flussi
finanziari.
Un quarto gruppo di modelli si riferisce alle previsioni dei tassi di
interesse effettuate da istituzioni private negli Stati Uniti e in Canada. I
modelli si basavano sulle statistiche dei flussi dei fondi e su ipotesi sul
comportamento futuro delle autorità monetarie. Confrontando la richiesta
di finanziamenti da parte dei settori economici con l’offerta di fondi, si
ottenevano stime dei tassi di interesse.
Le tre rassegne alle quali abbiamo attinto – Cohen (1972), Roe
(1973), Bain (1973) – elencano circa 250 lavori sui flow of funds apparsi
nei venti anni successivi alla pubblicazione dell’opera di Copeland. Dalla
seconda metà degli anni settanta, i conti finanziari vissero una fase di
__________
61
Per gli Stati Uniti “… we see more and more clearly one of the ways in which everything depends
on everything else …as Bob Solow once put it”, Taylor (1963). Per il Regno Unito “The whole is
reasonable only if the parts are”, Bank of England (1972).
62
Per una valutazione dei risultati e dei limiti dell’esperienza italiana di programmazione dei flussi
finanziari cfr. Vaciago (1983). Caranza (1981) ha sottolineato le potenzialità dei conti finanziari
per le previsioni dei flussi, ma ha ricordato i problemi creati alle previsioni dall’instabilità delle
variabili reali negli anni settanta.
Le origini dei conti finanziari negli Stati Uniti e in Italia: Copeland, Baffi, le istituzioni 45
stanca, tanto che una rassegna degli sviluppi più recenti non è disponibile.
La crisi dell’impostazione keynesiana; l’attenzione crescente per i
fondamenti microeconomici della macroeconomia; le difficoltà dei modelli
macroeconometrici, anche nel valutare le interazioni tra settore finanziario
e settore reale; il venir meno della programmazione economica e della
programmazione dei flussi finanziari; l’abbandono dei controlli
amministrativi di politica monetaria e il ruolo crescente dei prezzi, rispetto
alle quantità considerate nei conti finanziari, nel raggiungimento
dell’equilibrio dei mercati; gli insuccessi delle applicazioni empiriche dei
modelli dei flussi dei fondi, anche a causa della collinearità esistente tra i
rendimenti degli strumenti finanziari che appaiono come variabili
indipendenti nelle funzioni di domanda delle attività finanziarie63;
l’affermazione degli aggregati monetari e creditizi come strumento per la
conduzione della politica monetaria; il progressivo concentrarsi da parte
delle banche centrali sull’obiettivo della stabilità dei prezzi, a scapito
talvolta di un’analisi generale del sistema finanziario; le difficoltà di
armonizzazione internazionale delle statistiche, anche legate alla fase di
stallo del processo di integrazione europea perdurata fino alla metà degli
anni ottanta; le oscurità dei produttori dei dati nella divulgazione e nell’uso
delle statistiche; questi sono tra i motivi del ridimensionamento
dell’importanza dei conti finanziari protrattosi fino a pochi anni fa.
La storia delle idee è fatta di improvvise scomparse di filoni di
ricerca, che poi riappaiono, come fiumi carsici, in forme diverse. La ripresa
d’interesse più recente per i conti finanziari, che speriamo non sia un’estate
di San Martino, è dovuta non tanto a sviluppi teorici, quanto all’impegno di
Eurostat, istituti nazionali di statistica, Eurosistema, OCSE. Ciò conferma
il ruolo che le istituzioni hanno nella storia della scienza64 ma al tempo
stesso ci richiama al dovere di non perdere di vista l’approccio teorico. Un
obiettivo di queste pagine è stato quello di ricordare i giganti sulle cui
spalle poggiano i lavori odierni sui conti finanziari.
__________
63
Altri problemi della stima della domanda di attività finanziarie sono sottolineati da Walsh (1981).
64
Sul punto si veda anche il contributo di Massaro in questo volume.
46 Riccardo De Bonis e Alfredo Gigliobianco
Tav. 1
Le origini dei conti finanziari negli Stati Uniti e in Italia: Copeland, Baffi, le istituzioni 47
Tav. 2
48 Riccardo De Bonis e Alfredo Gigliobianco
Tav. 3
Le origini dei conti finanziari negli Stati Uniti e in Italia: Copeland, Baffi, le istituzioni 49
Tav. 4
Bilancio monetario nazionale
(miliardi di lire)
segue
50 Riccardo De Bonis e Alfredo Gigliobianco
segue Tav. 4
Bilancio monetario nazionale
(miliardi di lire)
Le origini dei conti finanziari negli Stati Uniti e in Italia: Copeland, Baffi, le istituzioni 51
Tav. 5
Formazione e impiego delle disponibilità monetarie e finanziarie
(variazioni in miliardi di lire)
segue
52 Riccardo De Bonis e Alfredo Gigliobianco
segue Tav. 5
Formazione e impiego delle disponibilità monetarie e finanziarie
(variazioni in miliardi di lire)
Le origini dei conti finanziari negli Stati Uniti e in Italia: Copeland, Baffi, le istituzioni 53
Tav. 6
Attività e passività finanziarie del Paese
(variazioni in miliardi di lire)
segue
54 Riccardo De Bonis e Alfredo Gigliobianco
segue Tav. 6
Attività e passività finanziarie del Paese
(variazioni in miliardi di lire)
Le origini dei conti finanziari negli Stati Uniti e in Italia: Copeland, Baffi, le istituzioni 55
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DISCUSSIONE DEL LAVORO DI
R. DE BONIS E A. GIGLIOBIANCO
Giuseppe Della Torre∗
Con molto piacere ho accolto l’invito a commentare il saggio di
Riccardo De Bonis e Alfredo Gigliobianco sulle origini storiche dei conti
finanziari in Banca d’Italia, in questa sede prestigiosa e davanti a persone
così qualificate.
1. Il ruolo delle istituzioni di ricerca nella costruzione dei sistemi di
contabilità macroeconomica
Nella storia dei sistemi di contabilità macroeconomica si dà grande
rilievo all’incidenza degli sviluppi teorici sulla costruzione dei diversi
sistemi contabili (mercantilismo e bilancia dei pagamenti, keynesismo e
conti economici nazionali, scelte di portafoglio e contabilità di stock, ecc.),
postulando l’egemonia del polo accademico e trascurando con ciò il ruolo
delle istituzioni economico-statistiche. Nonostante l’indubbia rilevanza che
le istituzioni nazionali e sovranazionali (con competenze “monetarie” e
non)1 hanno avuto nella costruzione della contabilità macroeconomica,
questa pista di analisi è stata “più evocata che indagata”, anche nella
letteratura più attenta a questi temi. E questo anche per il tecnicismo degli
schemi contabili (Bos, 1997).
De Bonis e Gigliobianco pongono al centro della loro riflessione il
ruolo delle istituzioni di ricerca economica nello sviluppo dei conti
finanziari: “un tratto comune a tutto il lavoro è l’importanza [attribuita alle]
istituzioni nello sviluppo dei conti finanziari: le banche centrali, gli
organismi di ricerca semipubblici come il NBER, gli istituti centrali di
__________
∗
Dipartimento di Economia politica Facoltà di Economia “R. Goodwin” Università degli Studi di
Siena. Ringrazio la dott.ssa Elisabetta Loche, dell’Ufficio Ricerche Storiche della Banca d’Italia,
per la cortesia e i suggerimenti fornitimi nella consultazione dei documenti per la redazione di
questo commento.
1
Mi riferisco all’istituzionalizzazione del secondo dopoguerra, con la partizione delle competenze
tra Nazioni Unite (System of national accounts) e Fondo monetario internazionale (flow of funds,
bilancia dei pagamenti, e finanza pubblica, es. FMI, 1991) e, tra le due guerre mondiali, ai tentativi
di armonizzazione delle statistiche monetarie da parte della Società delle Nazioni e della Banca dei
regolamenti internazionali (es. Feiertag, 2005).
62 Giuseppe Della Torre
statistica, gli enti internazionali”. In questo contesto, il saggio costituisce
un’occasione per riflettere sulle relazioni tra gli sviluppi della teoria della
moneta, le esigenze informative poste dalla politica monetaria, il ruolo
delle personalità della Banca d’Italia, e la costruzione degli schemi di
contabilità finanziaria.
Rispetto a un paper molto ricco di sfaccettature, ho circoscritto il
mio commento a due punti: 1. le motivazioni interne a Banca d’Italia nella
costruzione del bilancio monetario nazionale di Paolo Baffi del 1949; e 2.
la transizione tra il bilancio monetario di Baffi e le matrici finanziarie di
Mario Ercolani e Franco Cotula (1969): forme di continuità e di rottura.
2. Il bilancio monetario nazionale di Paolo Baffi del 1949 e la “via
italiana ai conti finanziari”
1. La parte iniziale del paper prende in esame i diversi aspetti
(teorici, istituzionali, ecc.), in forma molto circostanziata, che
accompagnano la costruzione dei moneyflows da parte di Copeland, tra il
memorandum di Wesley C. Mitchell del 1944 e il volume compiuto del
1952. Particolare attenzione è dedicata alla transizione (collocata da De
Bonis e Gigliobianco nel solco “della continuità”)2 tra i moneyflows di
Copeland del 1952 e i flow of funds della Federal Reserve del 1955 e
19593.
2. Dopo la trattazione dei moneyflows, gli autori affrontano il tema,
avvincente, dei fattori che portarono alla costruzione del bilancio
monetario nazionale (BMN) da parte di Paolo Baffi nella Relazione
annuale del 1949 (sull’anno 1948) e “alla via italiana ai conti finanziari”.
L’analisi svolta su questo punto è resa ancor più interessante per il fatto
che nel momento dell’introduzione del BMN (e negli anni immediatamente
successivi)4, nelle pubblicazioni disponibili, non vi è un’esplicita
riflessione da parte di Baffi (o di Banca d’Italia) sui fondamenti e sulle
finalità di quella struttura informativa. Di questo si può avere una prima
indicazione sfogliando le pagine della Relazione annuale sul 1948, da cui
si evince che l’inserimento della complessa tavola del BMN non è
__________
2
Altri commentatori (es. Cohen, 1972) mostrano, viceversa, l’esistenza di uno iato tra i due schemi.
3
Moneyflows e flow of funds furono concepiti all’interno della medesima istituzione (la Federal
Reserve) e sotto la supervisione di Copeland. In questo può esserci un aggancio con quanto
avvenuto in Italia tra il bilancio monetario di Baffi e le matrici finanziarie di Ercolani e Cotula.
4
Bisognerà attendere la survey di E. Hicks (1957).
Discussione del lavoro di R. De Bonis e A. Gigliobianco 63
accompagnato da particolari notazioni teorico-metodologiche. Riporto a tal
fine il brano, piuttosto scarno, della Relazione costruito intorno alla tavola
del BMN:
“il complesso degli investimenti fissi lordi … del 1948 risulta per la
maggior parte … costituito da prodotti dell’industria meccanica; in lieve
misura … da prodotti siderurgici [ecc.]. Alla copertura del fabbisogno di
finanziamento connesso all’insieme degli investimenti lordi … hanno
concorso … tanto i mezzi attinti alla disponibilità monetarie affluite sul
mercato quanto le disponibilità derivanti dalle quote di ammortamento …
sia infine gli autofinanziamenti veri e propri da profitti non distribuiti. Non
è purtroppo possibile, sulla base dei dati disponibili, un confronto diretto
tra investimenti da un lato e risparmio monetario e autofinanziamenti
dall’altro. È però possibile fornire un quadro abbastanza preciso delle
disponibilità monetarie affluite sul mercato e delle operazioni di impiego
del sistema creditizio sia a vantaggio del Tesoro che dell’Economia. Tale
prospetto permette, inoltre, attraverso la considerazione dell’effetto
residuo sulla circolazione delle operazioni di impiego e di raccolta dei
singoli settori, di ottenere l’effetto complessivo dell’insieme delle
operazioni di raccolta e di impiego sulla circolazione monetaria” (pp.
189-192).
De Bonis e Gigliobianco hanno affrontato il tema inesplorato delle
ragioni sottese alla costruzione del BMN, con alcuni risultati interessanti.
Riporto schematicamente tre punti tratti dalle loro argomentazioni: 1.
“Baffi si trovò subito dopo la guerra ad essere il capo di fatto del Servizio
Studi, in una posizione di notevole potere riguardo agli indirizzi da dare
alla ricerca”5; 2. il BMN riflette l’impostazione metodologica di Baffi,
legata al gruppo degli statistici-economisti degli anni trenta-quaranta
(Mortara in Italia e Mitchell negli Stati Uniti) che attribuivano alla
misurazione quantitativa un ruolo centrale nella comprensione dei nessi tra
fenomeni economici; 3. “Copeland indubbiamente fece scuola, ma non
prima della metà degli anni cinquanta [con i flow of funds della Federal
Reserve]: fu allora che il suo metodo acquisì una forza di irradiazione
aggiuntiva rispetto a quella derivata dal puro lavoro scientifico […]. Era
la forza derivante dal fatto che la Federal Reserve l’avesse adottato […].
__________
5
Sull’analisi del ruolo svolto dal Servizio Studi nella ricerca economica la letteratura non è
particolarmente abbondante; rinvio ai recenti lavori di Scatamacchia (2003; 2005) e Tuccimei
(2005). Sull’attività di Baffi all’interno del Servizio Studi si veda anche la commemorazione da
parte di Desario (1999).
64 Giuseppe Della Torre
Prima di allora gli studiosi e le istituzioni dei vari paesi (in primis le
banche centrali) avevano proceduto in ordine sparso”.
Da cui, l’idea dei due autori – che ritengo corretta e ben motivata –
di assegnare un ruolo tutto interno alla Banca d’Italia e, nello specifico, alla
figura di Baffi, alla sua formazione scientifica, ai suoi interessi di lavoro
negli anni trenata-quaranta nello sviluppo del BMN, negando un ruolo
decisivo ai moneyflows. Rispetto a questa linea interpretativa della “via
italiana ai conti finanziari”, mi sento di avanzare due suggerimenti, che
espongo di seguito.
3. De Bonis e Gigliobianco richiamano, tra gli elementi fondanti del
BMN, l’esperienza di Baffi maturata prima e durante la seconda guerra
mondiale. Ora, questa notazione può essere arricchita partendo dalla
struttura contabile del BMN, “organizzata per fornire uno schizzo dei
finanziamenti intersettoriali, [ma] centrata sulle fonti di creazione delle
banconote emesse da Banca d’Italia” (E. Hicks, 1957). Ciò che propongo
è la connessione tra la rilevanza dell’“effetto residuo [del finanziamento
all’Economia e al Tesoro] sulla circolazione” e, dall’altro, l’esperienza del
“circuito monetario” (1935-1943), cui Baffi partecipò attivamente, volta a
sostenere lo sforzo bellico convogliando le risorse finanziarie verso il
Tesoro, compatibilmente con la stabilità dei prezzi, e, quindi, con grande
attenzione per l’espansione della circolazione6. Certamente, questo ben si
lega, come posto in luce dagli autori, con la situazione di inflazione aperta
dell’immediato dopoguerra e con la linea Einaudi di riequilibrio monetario
(in tale direzione anche Pittaluga, 2004).
4. Sempre nella fase di avvio della costruzione del BMN, mi sembra
interessante l’analisi svolta da De Bonis e Gigliobianco sui rapporti tra
Baffi e gli studiosi che si occupavano negli anni cinquanta degli schemi di
analisi monetaria (Earl Hicks, Holtrop, ecc.)7. In questo ambito, suggerisco
di estendere l’analisi ai legami istituzionali, scientifici e amicali, molto
__________
6
Tale associazione è sorretta, a mio parere, da alcuni documenti consultati nell’Archivio Storico
della Banca d’Italia. Es., ASBI, Carte Baffi, ex-Monte Oppio, n. 254, memoria sull’inflazione
italiana: appunto su spesa pubblica e forme di copertura, 1947, e Carte Baffi, n. 9, bilancio
monetario: appunto sugli effetti inflazionistici (deflazionistici) del bilancio dello Stato, della
bilancia dei pagamenti, delle voci relative alle banche, ecc., 1951.
7
A titolo di esempio, richiamo il carteggio con Earl Hicks del Fondo monetario internazionale
(Carte Baffi, n. 43, risposta di Baffi a lettera sul BMN di E. Hicks, marzo 1953) e alla raccolta di
carte relative agli schemi monetari (Dorrance, E. Hicks, Holtrop, Segré, ecc.) (Carte Baffi, n. 346).
Da menzionare anche il periodo trascorso da Baffi presso la Federal Reserve nel 1956 per studiare i
flow of funds (Signorini, 2004).
Discussione del lavoro di R. De Bonis e A. Gigliobianco 65
intensi, tra Baffi e Robert Triffin, sin dalle prime visite di questi in Banca
d’Italia come rappresentante dell’FMI nella seconda metà degli anni
quaranta8. Tali rapporti sono importanti perché l’approccio esposto da
Triffin (1946) – First Meeting of Central Bank Techniciancs of the
American Continent, Mexico City – assume un ruolo “fondativo” nello
sviluppo della contabilità finanziaria (Dorrance, 1969, pp. 198-207).
Peraltro, Triffin costruirà con Geer Stuvel, nella seconda metà degli anni
cinquanta, lo “schema di analisi monetaria” dell’OEEC (1960), che
costituisce un quadro generale entro cui collocare il BMN di Baffi e che
risente delle idee già esposte in Triffin (1946)9.
3. Dal “bilancio monetario” di Baffi (1949) alle “matrici finanziarie”
di Ercolani e Cotula (1964, 1969): elementi di continuità “e” di
rottura
1. Un altro punto interessante della trattazione di De Bonis e
Gigliobianco è costituito dal fatto di ritenere il BMN di Baffi “l’embrione
dei conti finanziari apparsi nella Relazione della Banca sull’anno 1964”
(Banca d’Italia, 1965), preceduti dalla versione pubblicata nella Relazione
sul 1961 e seguiti dal lavoro di sistemazione di Ercolani e Cotula (1969).
A questo proposito De Bonis e Gigliobianco portano diversi
elementi a favore della “continuità” tra le due strutture informative e questa
ipotesi costituisce “una” delle conclusioni principali del loro lavoro.
Tra i fattori a favore della continuità è ricordata l’esigenza,
manifestata sin dalla prima versione del BMN del 1949, di andare oltre le
transazioni finanziarie rilevate, “individuando le fonti [totali] di
finanziamento degli investimenti”. Come pure, la predisposizione nelle
versioni del BMN che seguirono di tabelle supplementari via via più
complete ed esaurienti.
__________
8
Ad esempio, nel carteggio Baffi-Triffin, vi è un appunto sul memorandum redatto da quest’ultimo
su “Il progresso dell’Italia nel 1948”, con una struttura dell’informazione quantitativa molto vicina
a quella del BMN (Carte Baffi, n. 120, febbraio 1949).
9
I rapporti tra Baffi e Triffin sono particolarmente intensi tra la presentazione del BMN nel 1949
sino alla predisposizione dello schema dell’OEEC negli anni 1958-1960 (Carte Studi, pratt., n. 277,
appunto sullo schema Triffin di analisi monetaria, 1958). Inoltre, Baffi e Francesco Masera
collaborano con i primi tentativi di implementazione dello schema OEEC, fornendo a Triffin i dati
statistici elaborati per l’Italia (Carte Baffi, n. 345, lettera di Baffi a Triffin sull’applicazione dello
schema OEEC all’Italia, 1948-1956, settembre 1958).
66 Giuseppe Della Torre
Certamente tra il BMN e le matrici finanziarie (MF) delle Relazioni
annuali sul 1961, 1964 vi è continuità nel senso di affinamenti del dettaglio
settoriale e delle categorie degli strumenti finanziari (es. Cutilli e Gnesutta,
1973). Tra il BMN e le MF sarebbe intervenuta pertanto una sorta di
“espansione orizzontale” dello schema, come allargamento delle
transazioni e degli operatori rilevati. Questa interpretazione non costituisce
una novità, nel senso che la storia della contabilità finanziaria italiana (es.
Gambino,1963; 1969, Banca d’Italia, 1965; 2003) postula con forza questo
aspetto essenzialmente statistico, come processo di progressivi
miglioramenti nella continuità dell’azione di ricerca della Banca d’Italia10.
2. Accanto agli elementi che sostengono la continuità vi sono,
tuttavia, altri fattori che mostrano la presenza anche di fattori di rottura tra
le due tipologie di schemi di contabilità finanziaria. Il BMN rientra tra gli
schemi di analisi monetaria, la cui elaborazione è particolarmente intensa
tra la fine degli anni quaranta e cinquanta11. A fronte di tali schemi vi sono,
successivamente, le MF (in cui si colloca, a mio parere, lo schema di
Ercolani e Cotula).
Come ricordato da E. Hicks (1957), c’è una netta differenza tra i due
sistemi di contabilità finanziaria. La prima differenza attiene al grado di
copertura delle transazioni finanziarie: a) gli schemi di analisi monetaria
sono costruiti prendendo in considerazione le istituzioni monetarie,
dividendo le loro attività per settore di indebitamento e il passivo per grado
di liquidità. Dato che tali schemi si riferiscono al sistema monetario e
bancario, sono necessariamente una matrice incompleta; b) le matrici
finanziarie comprendono il complesso dei rapporti intersettoriali e, ove
siano su base lorda, includono anche i rapporti creditizi intrasettoriali. La
seconda differenza attiene al fatto che le MF costituiscono “un’espansione
verticale” del sistema dei conti economici nazionali (“reali”), perseguita
all’epoca da pochi paesi12. La terza differenza riguarda il fatto che le MF
__________
10
Tra i lavori per la Relazione sul 1964 vi è un riferimento che si colloca in questa direzione: “[nello
schema è esposto] il complesso delle operazioni, cioè l’insieme delle relazioni finanziarie
intrattenute tra ciascuno settore con i restanti. Si tratta di una risistemazione metodica e
generalizzata del quadro delle interrelazioni finanziarie, che rappresenta un’altra tappa verso la
costruzione di schemi sempre più esaurienti e metodologicamente affinati del cammino iniziato, fin
dal lontano 1948, con il BMN, e proseguito nelle successive Relazioni, con elaborazioni sempre
più particolareggiate” (Carte Studi, pratt., n. 392, appunto per la Relazione sul 1964, 1965).
11
Tra le rassegne degli anni cinquanta, che collocano in tale ambito il BMN, ricordo quelle di Earl
Hicks (1957) e di Segré (1958). Più di recente, rinvio a Carson (1999).
12
“The compilation of national income statistics with income, expenditure, investment and saving
accounts for each of the sectors raises the question of accounting for the means by which sector
(continua)
Discussione del lavoro di R. De Bonis e A. Gigliobianco 67
hanno finalità “più generali” dell’obiettivo di analisi degli schemi di
analisi monetaria e sono legate ai referenti teorici delle scelte di portafoglio
e alla conseguente integrazione, in uno schema di equilibrio generale, delle
grandezze reali e finanziarie nelle dimensioni di stock e di flussi (es. Cutilli
e Gnesutta, 1973, Arcelli, 1976).
Da ricordare infine il condizionamento sulla predisposizione delle
MF proveniente dal lavoro sui conti finanziari in corso presso la
Conference of European Statisticians, Expert Group on Statistics and
Changes in Financial Assets and Liabilities, Ginevra, 1959. La Banca
d’Italia partecipò attivamente, con propri rappresentanti, all’elaborazione
dello schema dei conti finanziari della Comunità economica europea (Carte
Studi, pratt., n. 273, memorandum sui conti finanziari, 1960).
4. Una sintesi
Il lavoro di De Bonis e Gigliobianco costituisce un’importante
riflessione – non facile, ma complessivamente riuscita – sui diversi piani
(teorici, istituzionali, personali, ecc.) che hanno portato all’elaborazione dei
conti finanziari in Banca d’Italia tra il 1949 e il 1964.
Convincente e ben motivata è la collocazione “tutta interna” alla
Banca d’Italia della fondazione del BMN nel 1949. In questo contesto mi
sembra, tuttavia, utile allargare l’analisi ai legami tra 1. la posizione
metodologica di Baffi e la sua partecipazione all’implementazione del
“circuito monetario” (1935-1943) e 2. la ricerca di Baffi e la collaborazione
istituzionale e scientifica con Robert Triffin.
Più aperto mi sembra, invece, il tema della transizione tra il BMN di
Baffi e le MF di Ercolani e Cotula, nel senso che accanto agli innegabili
elementi di continuità sono, a mio giudizio, presenti anche fattori di
discontinuità che meriterebbero una specifica analisi.
____________________________________________________________
deficits and surpluses are financed, and suggest the addition to national income accounts of
intersector borrowing and lending statistics. The national income statement may be considered as
the “top half” of a full statement of an economy’s transactions. The financial accounts may be
considered as the “bottom half” (E. Hicks, 1957).
68 Giuseppe Della Torre
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Carte Baffi, n. 9, fasc. 10 [Bilancio monetario: appunto sugli effetti
inflazionistici (deflazionistici) delle variabili (entrata – uscita) del
bilancio dello Stato, della bilancia dei pagamenti, delle banche, ecc.,
1951].
________ n. 43, fasc. 5, sfasc. 1 [risposta di Baffi a lettera sul BMN di E.
Hicks, marzo 1953].
70 Giuseppe Della Torre
________ n. 120, fasc. 6 [R. Triffin, “I progressi dell’Italia nel 1948”,
febbraio 1949].
________ n. 345, fasc. 3, sfasc. 1 [lettera di Baffi a Triffin
sull’applicazione dello schema OEEC all’Italia, 1948-1956, da parte
di F. Masera, settembre 1958].
________ n. 346, fasc. 1-2 [schemi di analisi monetaria di Dorrance, E.
Hicks, Holtrop, Segré, ecc.].
________ ex-Monte Oppio, n, 254, fasc. 3 [memoria sull’inflazione
italiana, 1947].
Carte Studi, pratt., n. 273, fasc. 16 [memorandum sui conti finanziari,
Comunità economica europea, 1960].
________ pratt. n. 277, fasc. 2 [appunto sullo schema Triffin di analisi
monetaria, ottobre 1958].
________ pratt. n. 277, fasc. 2 [appunto sullo schema Triffin di analisi
monetaria, ottobre 1958].
FINANCIAL ACCOUNTS IN EUROPE:
BEGINNINGS, DEVELOPMENT AND HARMONISATION
Riccardo Massaro∗
“In the case of monetary science there is a special
reason why statistics are of fundamental
importance to suggest theories, to test them and to
make them convincing.” (Keynes, A Treatise on
Money, vol. II, p. 408).
1. Introduction
Present-day financial accounts are a set of interrelated statistics that
give information on the financing patterns across all sectors in the
economy. Financial accounts are complex and demanding, but this is
inherent in their nature, as they span the entire economy.
The history of such a wide-ranging topic is in itself complex and
multifaceted. It is therefore necessary to isolate some strands within it. In
my opinion, the main strands that contributed to the development and
standardisation of financial accounts in Europe are the following:
(1) the reflections on the financing of aggregate investment by Keynes
and major post-Keynesian economists;
(2) requests for improvements in financial statistics made by economists
belonging to the above tradition;
(3) the work done in the United States by Copeland and the Federal
Reserve;
(4) analysis and discussions at international institutions and conferences;
(5) data collection and diffusion by international institutions.
__________
∗
Bank of Italy, Historical Research Department. I am grateful for constructive criticism to Alberto
Baffigi, Federico Barbiellini Amidei, Elio Cerrito, Filippo Cesarano, Franco Cotula, Robert
Gadsby, Alfredo Gigliobianco, Matteo Gomellini, Juan Carlos Martinez Oliva and Sabrina
Pastorelli. The views expressed are those of the author and do not necessarily coincide with those
of the Bank of Italy.
72 Riccardo Massaro
The treatment of items (1) and (2) will be short, as a fuller account is
under preparation. I will deal only briefly with item (3), as it is one of the
topics of the paper presented to this conference by De Bonis and
Gigliobianco. The focus of this paper will thus be on items (4) and (5). In
the conclusions I will provide an assessment of the progress made in the
compilation of financial accounts in Europe.
2. Keynes and some post-Keynesian economists on financing
2.1 Economic theory
2.1.1 Booms and slumps in Keynes’ Treatise on Money
The main argument of the Treatise is a theory of the price level,
however Keynes devotes several pages to fluctuations in business activity.1
He argues in many places that investment and saving decisions are taken
by different people.2 For example he suggests that:
It is not surprising that Saving and Investment should often fail to
keep step. In the first place […] the decisions which determine
Saving and Investment respectively are taken by two different sets
of people influenced by different sets of motives, each not paying
very much attention to the other (Keynes, 1930, vol. I, p. 279)
This separation between saving and investment decisions is his main
explanation of the trade cycle, and it entails a certain degree of external
financing of investment made by corporations.
The need for external financing becomes especially intense when
there is an increase in the level of economic activity. For Keynes, the early
phase of a boom is accompanied by a financing gap:
__________
1
The analysis of the general price level had been one of the main topics of monetary theory for
some decades. Keynes himself acknowledges that his treatment is somehow similar to that of
Wicksell. But Wicksell’s theoretical construct included a spontaneous tendency toward full
employment. The possibility of severe fluctuations in general economic activity is instead
acknowledged in some parts of the Treatise.
2
The definition of Saving and Investment in the Treatise is not the same as that in the General
Theory. The difference is due to the definition of income in the Treatise: “the definition of income,
which I there employed, differed from my present definition by reckoning as the income of
entrepreneurs not their actually realised profits but (in some sense) their ‘normal profit’” (Keynes,
1936, p. 77).
Financial accounts in Europe 73
the development of an investment boom certainly does not mean that
the entrepreneurs who initiate it have deliberately decided that the
public are going to save out of their incomes on a larger scale than
before (Keynes, 1930, vol. I, p. 279).
This financing gap will be filled by the intervention of banks, insofar
as they accept to do so. Keynes expresses his views in these terms:
it is the facilities allowed by the banks which are the marginal factor
determining the precise degree to which entrepreneurs will be in a
position to carry out their enterprises (Keynes, 1930, vol. I, p. 279).
2.1.2 Keynes on financing after the General Theory
Keynes in the General Theory did not devote much attention to the
financing of investment.3 But the topic was raised by Ohlin.4 Keynes in his
replies to Ohlin develops his ideas, and ex-ante financing of investment is
not any longer a prerogative of banks as in the Treatise. In fact, new issues
of securities also play a role. In his reply to Ohlin, Keynes argues as
follows:
Planned investment--i.e. investment ex-ante--may have to secure its
“financial provision” before the investment takes place; that is to
say, before the corresponding saving has taken place. […] There has,
therefore to be a technique to bridge this gap between the time when
the decision to invest is taken and the time when the correlative
investment and saving actually occur. This service may be provided
either by the new issue market or by the banks (Keynes, 1937a, p.
246).
In a later article, Keynes distinguishes between short-term and long-
term “finance” and suggests that the pre-financing of investment may also
be made with cash in the hands of companies:
__________
3
Schumpeter in 1954 noticed a different treatment by Keynes in the Treatise and in the General
Theory of the view that bank loans create deposits: “The deposit-creating bank loan and its role in
the financing of investment without any previous saving up of the sums lent have practically
disappeared in the analytic schema of the General Theory” (Schumpeter, 1954, p. 1114).
4
Ohlin distinguishes between plans and realised outcomes, or between ex-ante and ex-post
variables. He then discusses the financing of investment and financing constraints: “Of all the
possible investments which seem profitable, only some are planned for the next period and actually
begun. […] it is clear that the cash and credit resources, which the firm has at its disposal at the
beginning of a period and acquires during the period, provide an upper limit for its ability to buy.”
(Ohlin, 1937, p. 61).
74 Riccardo Massaro
The entrepreneur when he decides to invest has to be satisfied on
two points: firstly, that he can obtain sufficient short-term finance
during the period of producing the investment; and secondly, that he
can eventually fund his short-term obligations by a long-term issue
on satisfactory conditions. Occasionally he may be in a position to
use his own resources or to make his long-term issue at once
(Keynes, 1937b, p. 664).
2.1.3 Hicks 1935 on liquid assets and financing
Hicks in A Suggestion for Simplifying the Theory of Money starts his
analysis from the existing stocks of money in the hands of individuals or
companies.5 He then argues that an individual can use his holdings of
money in three ways. The first is a transaction in goods versus money
(buying something). The other two are financial transactions: (a) lending
money to someone else; (b) paying off debts (Hicks, 1935, pp. 4-5). Hicks
later notices that lending can also be done by decreasing the holdings of
liquid assets, which he calls “safe investments” (Hicks, 1935, p. 10).
The lending ability of individuals equipped with surplus cash, or
liquid assets, gives all sectors a feature usually associated with banks. In
the words of Hicks:
my suggestion can be expressed by saying that we ought to regard
every individual in the community as being, on a small scale, a bank
(Hicks, 1935, p. 12).
This theoretical position has several implications for the study of the
credit mechanism. For example a description of credit flows in the
economy cannot be limited to the lending done by banks, but will require
information on the actions taken by many sectors.
2.1.4 Kahn, Kaldor and Sayers on financing
On the occasion of the economic debate promoted by the Radcliffe
Committee in the late 1950s,6 Kahn, Kaldor and Sayers gave great
__________
5
Hicks at the beginning of the article presents his position on money as strongly influenced by
Keynes’ Treatise (“I am being more Keynesian than Keynes”).
6
The Radcliffe Committee was appointed in early 1957 “to inquire into the working of the monetary
and credit system, and to make recommendations”. It was composed of nine members, two of
them, Cairncross and Sayers, from the academic world. The Committee asked several written
memorandum to representatives of institutions and to academic economists. Then, during many
meetings, it heard oral evidence from several individuals.
Financial accounts in Europe 75
emphasis to the fact that the financing of investment is related to overall
liquidity. Overall liquidity is determined by two main factors: existing
easily realisable assets and the expected availability of credit (Kaldor,
1960b, p. 15; Sayers, 1960, p. 712).
These authors share the view that the study of the level of activity of
an economy requires a comprehensive view of the web of financing in that
economy. For them, bank advances retain an important position in
financing investment, but this is mostly due to the fact that, except for “the
really large companies” (Kahn, 1960, p. 140), the issuance of ordinary
shares is difficult. Other financial institutions can also be a source of short-
term credit, for example hire-purchase finance houses (Kahn, 1960, p.
146). The extension of trade credit between companies is also considered a
crucial financing channel (Kaldor, 1960a, p. 148; Sayers, 1960, p. 713).
Attention is then paid to the credit obtainable in capital markets. Finally it
is suggested that it is necessary to integrate the analysis of credit and
capital markets as sources of finance (Sayers, 1960, pp. 713-14).
Along the lines of Hicks 1935, it is suggested that liquid assets, as
those corresponding to the liabilities of non-monetary financial institutions,
can be used to extend credit (Kaldor, 1960b, p. 19; Sayers, 1960, p. 722).
This group of authors argues that for the purposes of monetary
analysis, and especially for its link to the general level of economic
activity, it is necessary to have a full picture of the financing that takes
place in the economy, both across sectors and through different financial
instruments. So it is not surprising that the opinions of these authors
favoured the position taken by the Radcliffe Committee on the need to
improve the collection of financial statistics beyond banking returns.
2.2 Requests for statistics
2.2.1 Hicks 1935 on balance sheets
In the article already referred to above, Hicks suggests building
monetary theory around balance sheet values. To do this, he considers it
necessary to draw up a standardised balance sheet "suitable for all
individuals and institutions" (Hicks, 1935, p. 12). He also suggests a
balance sheet consisting of the following financial assets: 7
__________
7
The full list of assets includes goods and productive equipment.
76 Riccardo Massaro
- money,
- bank deposits,
- short-term debts,
- long-term debts,
-stocks and shares.
His list of financial liabilities is instead shorter (and alas
incomplete):
- short term debts,
- long term debts.
With his idea of a standard balance sheet for all institutions, Hicks in
1935 made a big step towards contemporary financial accounts. However,
his suggestion produced no practical response for many years.
2.2.2 The Radcliffe Committee on statistics
The Radcliffe Committee invited several institutions and economists
to prepare memorandums. It later discussed some of them with many
officials and economists. The more theoretical chapters of the Report of the
Radcliffe Committee accepted many of the ideas of Kahn and Kaldor,
which we have summarised above. Sayers himself was a Member of the
Committee. The Committee made few concrete recommendations. Most of
them were on the collection of statistics.
That statistics were considered important also emerges from the fact
that the Report devotes an entire chapter to them. At the beginning it is
noted that in the previous thirty years there had been uneven improvements
in statistics:
While there has been a steady improvement in the collection and
publication of statistics of national income and output, the statistical
coverage of financial assets and liabilities has not received the same
attention either from the monetary authorities of from outside
commentators (Committee on the Working of the Monetary System,
1959, p. 281).
In trying to understand the reasons for such a state of affairs, the
Committee observes that two important factors limit the production of
statistics by financial institutions: (a) “reluctance to disclose their private
Financial accounts in Europe 77
affairs more than is necessary”; and (b) “the wish to avoid undue
expenditure of time and trouble on providing information” (Committee on
the Working of the Monetary System, 1959, p. 281). As the Committee
intends to redress the situation, it requires improved “financial and
monetary statistics” along these general lines:
we take these to be statistics of financial assets and liabilities, not
merely banking statistics or statistics relating to the money supply
(Committee on the Working of the Monetary System, 1959, p. 284).
The suggested shift from banking statistics to a set of statistics on
the financial sector reflects the partial role played by banks in financing
(Committee on the Working of the Monetary System, 1959, p. 285). The
Committee then calls for financial information on sectors other than
financial institutions. And there is a list of these additional sectors:
the financial sector would […] take its place alongside the other
sectors of the national economy, and it would be one of the principal
objects of monetary analysis to examine the interactions of these
sectors on one another through financial transactions. These sectors,
in terms of which financial and monetary statistics would have to be
organised, include the public sector, the overseas sector, and such
sub-divisions of the private sector as companies, unincorporated
businesses and private individuals (Committee on the Working of
the Monetary System, 1959, p. 286).
The requests of the Radcliffe Report concerning financial statistics
were thus sufficiently specific:
(1) financial assets and liabilities;
(2) six sectors spanning the entire economy.
In its effort to render the requests operational, the Radcliffe
Committee takes the further step of charging one institution, the Bank of
England, with a special role in gathering and publishing financial statistics
(Committee on the Working of the Monetary System, 1959, p. 303).8
__________
8
The Bank of England responded with a very short delay to the requests. In fact, the publication of
its Quarterly Bulletin started at the end of 1960. Data and comments on the financial surplus of the
private sector appear in the first number of this new publication. Fuller financial accounts were
made available in 1963.
78 Riccardo Massaro
3. International standpoints on sector finance
3.1 International organisations
3.1.1 The role of the OEEC
The Organisation for Economic Co-operation (OEEC) was
constituted in Paris in 1948 by a group of European countries.9 A group of
experts was soon convened to define a system of national accounts, in
order to assist in comparing the economies of the OEEC countries. A
number of meetings took place in Cambridge as early as 1949, coordinated
by Richard Stone. A memorandum on the subject was then published in
1951 by the OEEC. Economic activity is described by distinguishing the
rest of the world and three domestic sectors: enterprises, government
agencies and households, which include private non-profit institutions
(OEEC, 1951, p. 17). The sector enterprises includes the central bank,
other banks and the Post Office Savings Bank. Each sector has a current
account, with entries such as current sales, compensation of employees and
taxes. A gross saving and investment account is defined, under the name of
Resting Account. There is a single Resting Account for the whole
economy, as it is suggested that:
In practice […] it is frequently found that little information is
available about the lending and borrowing activities of the domestic
sectors with one another or, individually, with the rest of the world
(OEEC, 1951, p. 14).
In other terms, financial accounts by sector were still premature in
Europe in 1951.10 Borrowing and lending between domestic sectors is
acknowledged, but not explored.11
__________
9
The OECD, Organization for economic Co-operation and Development, became the successor of
the OEEC in December 1960. The OECD had an enlarged mandate, and its members were western
European countries as well as the US and Canada. Participation in the OECD was extended to
other countries in the following years.
10
In the United States the situation was more advanced, thanks to the work done by Morris Copeland
for the NBER. A synthesis of Copeland’s work on money flows had already been published in 1947
(Copeland 1947). More details are available in the article presented to this conference by De Bonis
and Gigliobianco.
11
A few years later Richard Stone led another group of experts, working for United Nations. In 1953
A System of National Accounts and Supporting Tables was published. The project was more
ambitious, as for each of the same three domestic sectors of the OEEC System of 1951 there was
now a capital account (Capital Reconciliation Account).
Financial accounts in Europe 79
In 1960 the OEEC published a volume on money and credit across
sectors, in which the integration between finance statistics and national
accounts was achieved to some extent. The volume was entitled “Statistics
of sources and uses of finance, 1948-1958”, and was designed by Robert
Triffin and Geer Stuvel. The accounts were presented in two separate
tables for ‘banks’ and ‘domestic non-bank sectors’.
A systematic analysis of the published tables leads to the conclusion
that the important OEEC project was only partly fulfilled. For example, in
Austria the domestic non-bank sector is subdivided, as required, into three
sectors but the data are all from the income accounts.12 Data on banks are
not provided. A similar situation applies to many other countries. The
countries that provide broad financial information are just four: France,
Germany, Italy and Norway. But, even for these few countries, the
usefulness for comparative purposes of the data presented is doubtful. For
France we do not have banks and non-banks but ‘financial institutions’ and
‘other domestic sectors’. For Italy the non-bank sub-sectors are just two:
‘central government’, ‘local government, enterprises and households’. In
Germany the non-bank sector is split into two sub-sectors, but they are
‘central and local government’ and ‘enterprises and households’. Only in
Norway are the subdivisions of the non-bank sector the required ones.
Moreover, the periods provided do not overlap very much. For example,
for the table on non-bank sectors we have: France 1954-57, Germany
1952-58, Italy 1955-58, Norway 1953-56.
The merging of corporations and households into one sector in this
publication cannot be considered satisfactory. As a first point it is in
contrast with the attempt made in 1951 by the OEEC to produce a system
of national accounts. Secondly, in the Technical Appendix to the volume,
the compilers show uneasiness on the issue:
It would clearly have been desirable to have [the sector
enterprises and households (E.H.)] further subdivided into
enterprises on the one hand and households on the other. […]
Unfortunately, at the present stage of statistical development
this cannot be done, except perhaps for one or two countries.
In particular, information on lending and borrowing between
enterprises and households is, for practically all O.E.E.C.
countries, almost entirely lacking, or at least far from
__________
12
The three sectors are: ‘central government’, ‘local government’, ‘enterprises and households’.
80 Riccardo Massaro
complete. As a matter of fact the entries of in the E.H. column
in Table 2 have in good many cases been arrived residually
(OEEC, 1960, p. 157).
The last sentence suggests that the tables presented were basically a
rearrangement of existing statistics on balance of payments, banks and
government finance.
3.1.2 Exchanges of ideas at the BIS
The Annual Reports of the Bank for International Settlements make
it possible to follow the evolution and diffusion of economic ideas on
monetary matters and the supporting statistics. As the governing council of
the BIS was largely composed of governors of central banks, we can
assume that the Annual Report of the BIS influenced the opinions of
officials in national central banks, and that it incorporates some of the
reactions of national central bank staff. In the following we summarise
about a decade of BIS Annual Reports for the parts concerning our topic.
The Annual Report published in 1950 shows attention to
macroeconomic concepts and to the use of financial statistics beyond
banking statistics. For the United Kingdom we have information on
savings by three domestic sectors (households, corporations and the public
sector) and aggregate domestic investment over the years 1947-1949 (p.
66). For corporations Germany presents both investments and some details
on financing (‘capital markets’, ‘medium and long term credit from
financial institutions’, p. 69). Information on trade credit is provided for
eight European countries (p. 187). For Belgium and France the relative
importance of bank credit and trade credit is commented upon. For Italy
there are two tables on money funds received by the central government
and the rest of the domestic economy (years 1947-1949). The first table
contains the credit which the banking system granted; the second table
adds the funds obtained on capital markets (pp. 191-192).
In the Annual Report of 1951, the credit given by British banks to
the private domestic economy is presented for two sectors: ‘industry and
commerce’, ‘financial institutions and households’ (p. 185).
In the Annual Report of 1952, the Italian table on money funds
supplied is rearranged and gives additional detail.
In the Annual Report of 1953 a section on the financing of
investment appears which explicitly refers to the General Theory of
Financial accounts in Europe 81
Keynes. It is suggested that in the post-war economy a high rate of saving
will be necessary (pp. 37-39). For the United States there is a table in
which the financing of investment by corporations is detailed into three
sources: ‘retained earnings and depreciation’, ‘long term credits’ and ‘net
short term credits’. The last item being short term credits netted of liquidity
invested in treasury bills (p. 172).
In the Annual Report of 1954 the importance of high domestic
savings for a robust economic expansion is stated once again (p. 50). The
attention is then brought to personal saving and there is a long section on
saving accumulated through insurance companies. The increase in the
reserves of life insurance companies is studied for four countries: Belgium,
the United Kingdom, Switzerland and the United States. A comparison is
then made with the accumulation of other types of financial assets. This
shows that contractual saving is about one third of financial saving in
Belgium, Switzerland and the United States. In the United Kingdom, in
1952, only contractual saving made a positive contribution to financial
saving (p. 56). Insurance companies represented instead just 5 per cent of
financial saving in Germany, Italy and France.
In 1957 the structure of the Annual Report is revised. It now has a
chapter on economic expansion and savings, which contains new ideas.
There is in fact an introduction to some concepts of financial accounts and
to their links to accumulation accounts. It is then stated that the study of
savings and investment is greatly helped by subdividing the domestic
economy into sectors. The list of sectors suggested is: central government,
local government, private companies, public corporations, and the personal
sector.13 A link is also made between the financial surplus of a sector in a
period and the increase in its financial assets at the end of the period (p.
34).
The most complete partitioning into sectors of national income
accounts is that of the United Kingdom (p. 35). However, the table given
has savings data for five UK sectors but investment only for the whole
domestic economy. The BIS staff then takes a very courageous step and
presents its own estimates of savings and investment by sector for the
United Kingdom (p. 40).
For Germany we have savings, capital transfers and investment for
three domestic sectors (government, enterprise and households) and a
__________
13
We note that the financial sector does not appear in this ideal list.
82 Riccardo Massaro
breakdown of the financial surplus into six categories of financial
instruments (p. 51). This table on Germany is thus an important step
towards modern financial accounts.14
Regarding the Netherlands we have a table of savings and
investment by sector with four sectors: ‘central government’, ‘local
government’, ‘institutional investors and capital markets’, ‘enterprises and
households’ (p. 60). Interestingly enough, we have two different estimates
of the financial surplus of each sector, a cash figure and an income account
figure.
In the Annual Report of 1958 new financial information is available
for France. We have four sectors (households, enterprises, government and
financial institutions) and the financial surplus is divided into several
categories (p. 37). A reference is also made to the flow of funds statistics in
the United States, and some data are presented (pp. 52-53).
In the Annual Report of 1960 there is new information on Germany.
Financial institutions appear as a separate sector and this is further
subdivided into three sub-sectors (‘banks’, ‘insurance companies’ and
‘building societies’) (p. 84).
In 1961 the previous table on the United Kingdom is discontinued,
and a new table is presented on the private sector. This sector includes
households and companies (p. 72).
In the Annual Report of the BIS of 1962 there is again a section
dealing with financial accounts, similar in content to that of the previous
year. After 1963 no tables on financial accounts appear in the Annual
Report of the BIS.15
3.1.3 Contributions by the IMF
The thinking at the IMF on financial accounts is documented in a
number of articles that appeared in the IMF Staff Papers in the mid 1950s.
The first article is that of Dorrance, a Canadian economist working in the
Statistics Division of the IMF, in 1955. He acknowledges that his ideas on
the subject originate in large part from a privately circulated paper of three
__________
14
Some parts of the table are still very condensed however.
15
There is renewed interest in financial accounts in 1970, but no comment is offered on the silence
on the subject over several years.
Financial accounts in Europe 83
Dutch authors (Lips, Schouten and Bosman). The article also incorporates
comments by Professor Sayers.16
Dorrance suggests using the term “financial account” of a sector for
the sources and uses of funds arising from “borrowing and lending” and the
“purchase and sale of financial obligations” (Dorrance, 1955, p. 319). And
he proposes that the economy be divided into seven sectors: households,
enterprises, public corporations, local governments, central government,
foreigners and monetary system. He then comments on the absence of the
monetary system in SNA 53 in this terms:
If only national income accounts are considered, the monetary
system is not especially important. If, however, the development of
additional forms of social accounting are considered, the monetary
system immediately assumes enormous importance because of the
relative size of its activities in asset transfers and because the
purposes for which the monetary system holds assets are so different
from those of any other monetary sector. (Dorrance, 1955, p. 320)
Dorrance then focuses his attention on the difference between the
savings and investment of a sector, as this gives a measure of the financing
that it provides to other sectors (Dorrance, 1955, p. 321). His suggestion is
to study the lending of each sector to each other sector.
This article by Dorrance anticipates what is nowadays called from-
whom-to-whom reporting. However it is suggested in its crudest form, with
all transactions with another sector lumped together. In his list of sectors,
the suggestion to isolate the monetary system can be considered as a first
step towards a financial institutions sector.
The interest in financial accounts remains alive at the IMF and in
1956, as an appendage to the Annual Meeting of the Board of Governors,
an informal session was arranged on “Recent Development in Monetary
Analysis”. The papers presented at the session were published in the
following year. The first paper is by Marius W. Holtrop, Governor of the
Netherlands Bank. It presents a study of the economy considering five
sectors and focuses on the most liquid financial instruments (money, bank
deposits and treasury bills). The second paper is by Paolo Baffi, then
economic adviser to the Bank of Italy. It presents a statement on the flow
of savings and the money supply. It is a scheme which provides limited
information on sectors, but in which all financial instruments are
__________
16
Professor Sayers was to be a member of the Radcliffe Committee (1957-59).
84 Riccardo Massaro
considered.17 The third article is by Ralph A. Young, director of the
Division of Research and Statistics at the Fed, and describes the Federal
Reserve Flow-of-Funds Accounts. The article is short on technical detail,
but gives considerable space to comments on the quarterly data on the
consumer sector and the business sector.
In a fourth paper, Earl Hicks, of the Research and Statistics
Department of the IMF, gives an overview of various possible types of
monetary analysis, linking them to the production of specific groups of
statistics. In the section Matrices of Intersector Finance it surveys some
still unresolved problems, especially the integration of national income
accounts and financial accounts. The article has a very lengthy Appendix
which covers 41 countries.18 For each country we have at least a table on
monetary or financial statistics; however the formats of the tables are very
heterogeneous (Hicks, E., 1957).19
3.2 International conferences
In this section we review the contributions made by some European
economists and statisticians in international conferences in the late 1950s.
These conferences can be seen as a prelude to a major revision of the
United Nations manual on national accounting and as contributing to
improvements in national compilations practices. An article by the
Canadian economist Dorrance is also referred to, as it gives a snapshot of
the national formats of financial accounts in Europe in 1959-1960.
3.2.1 IARIW, 1957
Bjerve and Selsjord, of the Central Bureau of Statistics of Norway,
wrote the article “Financial Accounting within a System of National
Accounts” for a conference organised by the International Association for
Research in Income and Wealth and held in the Netherlands in 1957. The
authors discuss how to develop a comprehensive system of accounting that
integrates traditional national accounts, financial variables and statistics on
__________
17
The article by Baffi is considered at great length in the article presented to this conference by De
Bonis and Gigliobianco.
18
The Appendix was prepared by Dorrance and Aubanel.
19
Both Dorrance and Earl Hicks continued to work on sector finance accounts in the following years.
Dorrance wrote on financial balance sheets. Earl Hicks participated in the Expert Group charged
with writing SNA 68. Other economists at the IMF were also interested in these topics (Polak,
1959).
Financial accounts in Europe 85
money and credit. Their suggestion is to develop systematic sector
accounts on financial transactions. The complete system would be made up
of five accounts for each sector: (a) an income account; (b) a real capital
account; (c) a financial capital account; (d) a revaluation account for
financial capital; and (e) a revaluation account for real capital (Bjerve and
Selsjord, 1959, pp. 63-65).
Bjerve and Selsjord suggest a system with seven domestic sectors:
(a) public administration; (b) financial institutions; (c) public productive
enterprises; (d) private corporations; (e) private non-corporate enterprises;
(f) wage and salary earners, pensioners, etc.; and (g) non-profit-making
organizations (Bjerve and Selsjord, 1959, pp. 69-70). Then they suggest
distinguishing five types of financial transactions: means of payment,
discountable objects, marketable objects, non-negotiable objects, and other
financial objects.
The last part of the article gives a summary of the work done in
Norway that had led to figures published in 1955. This accounting system
was much simpler, with four sectors (public administration, financial
institutions, other domestic sectors, and rest of the world).
3.2.2 IARIW, 1959
Denizet, a French economist, presented a paper in 1959 which
discusses several technical problems to be solved before starting the
compilation of financial accounts: (1) conceptual framework; (2) valuation;
and (3) coordination between financial accounts and national accounts.
Under the first heading, Denizet discusses the principle of homogeneity of
behaviour. This leads to the need to create a sector of financial
intermediaries (Denizet, 1961, p. 67). The same principle of homogeneity
of behaviour brings him to discuss the desirability of two further
breakdowns of non-financial corporations: (a) by legal characteristics; and
(b) by size. On financial transactions, Denizet criticises the idea of having
only a matrix of financial dependence across sectors (Denizet, 1961, p. 75),
and prefers a long list of financial transactions.
A long section of the article is devoted to the problems of data
collection. Denizet seems sceptical about the possibility of overcoming the
practical difficulties as both companies and households are very hesitant in
disclosing information on their financial affairs (Denizet, 1961, p. 97).
86 Riccardo Massaro
3.2.3 Conference of European Statisticians, 1959
Another article that led the way to the United Nations’ System of
National Accounts of 1968 is that of Poul Høst-Madsen, a Danish
economist working at the IMF. The article had been prepared for the
Expert Group on Statistics and Changes in Financial Assets and
Liabilities, in the Conference of European Statisticians held in Geneva in
February 1959.
The article discusses the integration of sector finance accounts and
national income statistics. To clarify the main issues, Høst-Madsen uses an
indirect approach. In the first place he links national income statistics to the
balance of payments, and then connects financing statistics and balance-of-
payment concepts. This allows him to discuss the consolidation of sector
accounts in national accounts, and to draw a similarity between foreign
assets in the balance of payments and inter-sector claims in financing
accounts.
He makes a lucid contribution on sectoring. According to Høst-
Madsen, the economy can be divided into two types of sectors: (a) those
whose major activity is the production of goods and services; (b) those
whose major activity is the creation of financial assets for other sectors and
the acceptance of liabilities of other sectors. The traditional division of
sectors in national income statistics is functional rather than institutional,
i.e. the sectors are chosen by type of activity rather than as groups of
economic decision-making units. In financial statistics the sectors are
instead usually defined institutionally. Høst-Madsen then points out that to
integrate financing statistics with national income statistics, the sectoring
of the two parts of the system must be coordinated beforehand (Høst-
Madsen, 1960, p. 341).
3.2.4 Conference on Research in Income and Wealth 1959
In a conference organised by the NBER in 1959, Dorrance surveys
financial accounts in countries other than the United States and Canada.
His list of financial accounts published by official national organizations
contains nine European countries: Finland, France, Germany, Italy, the
Netherlands, Norway, Sweden, the United Kingdom and Yugoslavia.
Dorrance suggests classifying these statistics according to various criteria.
He presents the results with a neutral tone, but problematic areas emerge
especially for international comparisons. For example, we note that
businesses and individuals appear as two sectors in some statistics (France,
Financial accounts in Europe 87
Germany, the Netherlands, and the United Kingdom) but as one combined
sector in other cases (Finland, Italy, the Netherlands, Norway, and
Sweden).20 Similarly in some cases there is a separate financial institutions
sector (Italy, Norway, Sweden, and the Netherlands), and in other cases
there is not (Finland, Germany, the Netherlands, and the United Kingdom)
(Dorrance, 1962).
3.3 The main features of SNA 68
We have shown above that in the late 1950s and early 1960s the
statistics on sector financing were very far from being homogeneous across
countries. But we have also documented the rich exchange of views that
was going on at the international level, both in institutions and through
conferences. These discussions culminated in the revision of the System of
National Accounts, coordinated by the United Nations in the mid 1960s
and published in 1968.
One of the new features of SNA 68 was the introduction of much
expanded financial information. Moreover the framework provided a way
to integrate financial information with data on production, income and
capital formation. SNA 68 also contains a complete view of the process by
which the economy moves from its position at the beginning of the period
(opening balance sheet) to its position at the close of the period (closing
balance sheet).
The many discussions we have seen before on sectoring and the
classification of financial assets, the opinions of the Expert Group created
by the United Nations,21 and the comments on the draft of SNA, such as
those made in a conference held in 1966,22 were condensed into this list of
institutional sectors and sub-sectors:
1. Non-financial enterprises, corporate and quasi-corporate:
a. private enterprises
b. public enterprises
__________
20
In that period two sets of financial accounts were prepared in the Netherlands by two different
institutions. The two data sets diverged in many respects.
21
The chairman of the Expert Group was Richard Stone. The Group included Earl Hicks, of the
Statistical Bureau of the IMF.
22
The classification of financial claims in the draft of SNA was not the same as that agreed for SNA
68. For example the financial liabilities of firms were grouped in “corporate debt and equity”, and
for households there was the item “consumer credit” (Tice, 1967).
88 Riccardo Massaro
2. Financial institutions:
a. the central bank
b. other monetary institutions
c. insurance companies and pension funds
d. other financial institutions
3. General government:
a. central government
b. state and local government
c. social security funds
4. Private non-profit institutions serving households
5. Households, including private non-financial unincorporated enterprises
The transactions in financial claims were classified in this way:
1. Gold
2. Currency and transferable deposits
3. Other deposits
4. Bills and bonds, short-term
5. Bonds, long-term
6. Corporate equities, including capital participations
7. Short-term loans n.e.c.
8. Long-term loans n.e.c.
9. Net equity of households in life insurance reserves and in pension
funds
10. Proprietors’ net addition to the accumulation of quasi-corporate
enterprises
11. Trade credits and advances
12. Other accounts receivable and payable
13. Other
SNA 68 also contains a very ambitious table, which suggests a more
detailed breakdown of financial transactions by adding, in some cases,
additional dimensions: national/foreign currency; domestic/non-resident
sector; cross classification by institutional sector; quoted/unquoted shares
(pp. 199-200).
In summing up this section, we note that the new parts of SNA 68 on
financial transactions were the outcome of more than a decade of
discussions and permitted the achievement of three ambitious results:
Financial accounts in Europe 89
(a) a unified system that integrated income accounts and financial
accounts;
(b) institutional sectors that were meaningful for different types of
economic analysis;
(c) a clear articulation of financial transactions.
At this point a rapid convergence of the national schemes on sector
financing towards a unified scheme could have been expected. However, as
we will see in the next section, this did not occur in Europe for quite a long
time.
4. The delayed convergence
4.1 OECD Financial Statistics
The OECD was quick in taking up the new opportunities offered by
SNA 68 for international financial statistics. In 1967 it created a group of
official statisticians from member countries to devise a regular publication
on financial statistics. This group of experts adopted the structure of SNA
68; however a number of simplifications were made in the model table that
countries were asked to compile.
The link with income accounts was obtained through a table on
capital operations, with information on non-financial transactions (gross
saving, gross physical investment, capital transfers) and on financial
transactions (net financial saving, financial assets, indebtedness). The list
of financial instruments was similar to that of SNA 68. However, for
sectoring we have a level of aggregation that considerably reduced the
potential uses of financial accounts. In fact, under ‘other financial
institutions’ we have two SNA 68 sub-sectors: ‘insurance companies and
pension funds’ and ‘other financial institutions’. And the sector ‘others’
groups together three sectors of SNA 68: ‘non-financial enterprises’,
‘households’ and ‘private non-profit institutions serving households’. As
regards the reasons for both aggregations, we have to live with the
following general statement:
The process of standardizing the concepts and the methods of
calculation and presentation has been carried as far as it seemed
possible to go without blurring the distinctive institutional features
of each country (OECD, 1970, pp. 9-10).
90 Riccardo Massaro
The statement is surprising, as one would have expected that the
general definitions of SNA 68 would have been applicable to all countries.
On the other hand the OECD publications were successful in many
respects:
a. they were the outcome of a great effort of coordination;
b. they presented tables that had had a limited circulation before;
c. the publication was in two internationally widespread
languages, English and French.
If we go into the detail of what was published for individual
European countries, we have both positive and negative elements.
Frequently the positive thing is that the detail of a country is more than that
required in the model table, but, on the other hand, international
comparisons become harder. For Germany on the positive side we have a
breakdown of other financial institutions (OFIs) into ‘insurance companies’
and ‘building and loan associations’. Another positive element is the
breakdown of the sector ‘others’ into ‘business except housing’, ‘housing’,
‘and households’. Unfortunately, the separation of building activity is a
feature of Germany alone, and the chosen statistical treatment leads to
fictitious capital transfers from ‘households’ to ‘housing’. Furthermore the
business sector is not defined according to SNA 68, as it contains all types
of enterprises. For Spain the sector ‘others’ is divided into two parts, but
these are ‘public enterprises’ and ‘private sector’. For France OFIs are
divided into: ‘Caisse des Dépôts’ and ‘OFIs’. We have some very limited
information on enterprises and households, as data on securities are
grouped together. For Italy the sector OFIs contains only ‘special credit
institutions’ and the sector enterprises is a mixture of financial and non-
financial enterprises. Moreover households’ medium and long-tem loans
are considered as indebtedness of enterprises.
Information on the three sub-sectors of the sector ‘other’ is available
for Norway only for holdings of bonds and shares. For Finland the sector
‘others’ has no further subdivision. For the Netherlands there is a unique
residual sector ‘others’ and it also contains some financial institutions. For
the United Kingdom the sector OFIs is just one sector. On the other hand
we have more detail on ‘Others’: public corporations, private companies,
personal sector. In this case, along the lines of SNA, unincorporated
business is in the personal sector.
Financial accounts in Europe 91
If we add the availability of some financial accounts information on
Yugoslavia, we have the complete list of European countries that
contributed financial accounts data to the OECD in 1970, which makes a
total of nine countries. The list almost coincides with that in the survey of
Dorrance, which was updated to 1960.23
The timeliness of the data was still modest: only two countries gave
data as recent as 1969 (Germany and the United Kingdom), five others
gave data on 1968 (France, Italy, the Netherlands, Finland, and
Yugoslavia), the remaining two gave earlier periods (Norway 1967, and
Spain 1966).24
4.2 Two textbooks on financial accounts
To the best of our knowledge, the first two textbooks to make
extensive use of financial accounts appeared in the mid-1970s. The topic of
both books is the British financial system. In both cases the work done by
the OECD in collecting financial accounts data was used for international
comparisons. These textbooks were a milestone in the diffusion and use of
financial accounts.
The first book to appear was that by Sandra Mason, an economist
teaching at the London Business School. The book is intended as an
introduction to financial markets and is based on the framework of
financial accounts. To start with , the groups of users of the financial
system are presented: individuals, commercial and industrial companies,
financial companies, the government, and the overseas sector. Then the
markets in different financial instruments are described: bills and deposits,
loans and mortgages, securities, and life insurance funds. Finally financial
institutions are studied in more detail, to arrive at a complete picture of the
British financial system.
Very interestingly, an entire chapter is devoted to comparisons with
other countries, using data collected on current flows of funds. Seven
countries are studied: four European countries (France, Germany, the
Netherlands and the United Kingdom) and three other countries (the United
__________
23
In Dorrance’s survey Sweden was included. In the 1970 OECD Financial Statistics it was not, but
Spain was.
24
SNA 68 was the basis for the first two editions of the European System of National Accounts
(ESA), published respectively in 1970 and 1979, which provided the basis for a collection of
financial accounts data on flows by Eurostat. However the circulation of this collection of data was
more limited than that of the OECD.
92 Riccardo Massaro
States, Canada and Japan). To investigate the importance of the financial
system in each country, total new borrowing is compared with total
sources. A first conclusion reached is that, in the years ending in 1972, the
contributions of the financial system had been particularly important in the
United Kingdom and Japan. Instead in Germany savings had been very
high (Mason, 1976, p. 166). Mason also studies the relative importance
across countries of different sectors in borrowing and lending.
In Mason’s opinion international comparisons are useful to isolate
the special features of the UK financial system (Mason, 1976, p. 165). This
line of reasoning is equivalent to stating that the comparability of financial
accounts produced in different countries is important from a national point
of view as well.
The second textbook is that written by Christopher Johnson, an
economist who had been working as a journalist for the Financial Times.
The book has a chapter for each of the main sectors of the UK economy:
the personal sector, industrial and commercial companies, the banking
sector, other financial institutions, the public sector and overseas. Most of
these chapters end with international comparisons.
Johnson is aware of the limited comparability of the financial
statistics collected by the OECD, but this does not prevent him from using
them.25 On households, he looks at data on five countries: the United
Kingdom, Germany, France, the United States and Japan. For the three
European countries, the net acquisition of financial assets by households,
as a percentage of disposable income, was highest in Germany (12.4 per
cent) in 1974. Both the United Kingdom and France had much lower levels
(respectively, 7.3 per cent and 5.2 per cent).
Industrial and commercial companies are compared for the same
countries. Johnson also considers self-financing ratios, obtained as
undistributed income including depreciation as a percentage of capital
expenditure. In 1973 self-financing ratios were much higher in the United
Kingdom (95 per cent) than in the two other European countries (France 75
per cent, Germany 68 per cent). And a similar pattern holds true in the
years 1970-72. As a result of lower self-financing ratios, industrial sectors
__________
25
When examining the data on households, Johnson expresses this opinion: “Each country does its
statistics in a different way, and it is impossible to put them on an identical basis for comparison
purposes. But the figures are sufficient to demonstrate enormous divergence in saving habits and
trends between countries which are so often lumped together as examples of ‘advanced industrial
civilisation’.” (Johnson, 1976, p. 31).
Financial accounts in Europe 93
in countries other than the United Kingdom took on a larger amount of
corporate debt, in the form of bonds or long-term bank loans. This was
confirmed by balance-sheet figures. Johnson then discusses the suggestions
that Britain should change the structure of its corporate finance, towards a
continental model with higher investment and persistent industrial and
commercial sector financial deficits. He is in favour of such a development
but considers it unlikely owing to the difficult labour relations in the
United Kingdom in that period (Johnson, 1976, p. 61).
4.3 Conference at the Bank of France, 1977
The uses of financial accounts in central banks were discussed in a
meeting organised by the Bank of France in 1977. The topic to which most
space was devoted was that of financial forecasts. Below we give details on
the Western European countries which took part in the conference.26
In Belgium the financial deficits of the main sectors were estimated,
thus the total debt in the economy was obtained. As this corresponds to
total financial saving, estimates were then made of its likely distribution
among different categories of financial assets. The forecasting exercise
permitted a picture to be obtained of the relative importance in the medium
term of financing through banks and through financial markets (Lambert
and Verplaetse, 1978).
In Finland it was thought that “the main benefit from flow-of-funds
has no doubt come from its use as a background framework in forecasting
framework”. The starting points of a forecast were business inquiries and
other appraisals of economic data. Then the elements of the forecast were
incorporated in the flow-of-funds framework, and the general consistency
of the forecast was assessed. The procedure continued with some rounds of
iteration. Emphasis was on sectoral behaviour as regards liquidity and
indebtedness ratios. A figure for credit expansion was one of the main
outcomes of the final financial forecast (Kostiainen and Korhonen, 1978).
In France there were still many problems in the coordination of
national accounts and financial accounts, as they were produced almost
simultaneously by two different institutions, and published without any
effort at reconciliation to avoid delays. Other problems were that financial
accounts had shorter back data and that quarterly financial accounts had
__________
26
Two papers on Yugoslavia and Czechoslovakia were presented at the Conference. Only that of
Yugoslavia was related to financial accounts.
94 Riccardo Massaro
been prepared only on an experimental basis. The outcome of these various
factors was that in official documents there was a preponderance of
national income projections over financial projections (Alvernhe and
Ponsot, 1978).
A part of official economic forecasts was produced in the United
Kingdom by the Treasury and the Bank of England using the framework of
financial accounts. The procedure relied largely upon informed judgement;
however it had “the merit of imposing internal consistency upon the
forecasters and of helping them to identify possible points of pressure in
the financial system.”
An initial set of interest-rate assumptions was fed to the first round
of the national income forecast. The national income forecast gave the
starting data for the financial forecast of the surpluses and deficits of each
sector. Separate forecast were made of the public sector borrowing
requirement and of external capital flows. The main outputs of the forecast
were: (1) the financing and liquidity positions of the private sector; and
(2) the domestic financing of the public sector (Hewitt, 1978).
As can be seen, the uses of financial accounts in some central banks
in Europe in the mid-1970s were sophisticated and time consuming.27
Although they shared a similarity of intent, these uses did not require
harmonised financial accounts across countries.
4.4 The bleak 1980s
We do not have much to say on the convergence towards a common
accounting standard in the 1980s in Europe, except perhaps that
harmonisation of financial accounts in most countries was not a national
priority.
The remarks that Philip Turnbull, senior statistician at the Central
Statistical Office, made in 1993 on UK experience apply probably to other
countries as well. According to Turnbull the UK system was both unique
and not readily adaptable to the international standards of SNA. The
reasons he gives for this situation are two: (1) the establishment of the
system before the international systems were agreed; and (2) the desire to
link the system to important UK policy aggregates, such as the money
__________
27
The same remarks apply to financial forecasts made in Italy in those years, in which the focus was
on the Treasury, non-financial corporations and households (Fazio, Cotula and Lo Faso, 1975).
Financial accounts in Europe 95
supply and the public sector borrowing requirement (Turnbull, 1993, p.
111).
On the other hand compilers of financial accounts continued to work
on definitions and methodological issues, and several advances were made
at the national level.28 To name a few: the division between non-financial
enterprise and households in Spain; and the detail of “insurance
companies” and “other financial institutions” in France and Italy.
Moreover, additional European countries produced financial accounts and
sent them to the OECD: Belgium, Portugal and Sweden.29
4.5 Eurostat and the drive to harmonise
In the years after the signing of the Maastricht Treaty the interest of
European countries in each other increased considerably, and national
agendas were modified to take an international dimension into account. In
the words of Turnbull:
In recent years, greater international cooperation and integration in
economic matters, including developments in the European
Community, have raised the importance of using international
standards and classifications in the UK accounts. (Turnbull, 1993).
This change in national agendas gradually led to noticeable benefits
in the field of financial statistics and financial accounts. Eurostat played an
important coordinating role in this process.
ESA 95 was drawn up between 1992 and 1995, to produce an
interpretation of SNA 1993 that would make it more operational. The
chapters dealing with financial accounts were drafted and discussed in the
Financial Accounts Working Party (FAWP) of Eurostat, in which experts
from all the Member States participated. Representatives of the European
Monetary Institute, the precursor of ECB, also took part in the meetings.
__________
28
As innovations in financial markets are frequent, a heavy burden on national compilers is that of
being constantly faced with new issues. Each of them going through various stages: conceptual
analysis; revision and extension of primary statistics; validation and incorporation of the more
detailed primary data in the general framework.
29
This information is derived from the methodological notes of the OECD published in 1992. This
was the last year in which the methodological notes appeared. At the end of the 1990s, for a variety
of reasons, the activity of the OECD in the field of financial accounts was considerably curtailed.
After some reorganisation, the OECD is now again active in the field.
96 Riccardo Massaro
ESA 95 was adopted in 1996 as an EU Council Regulation. It has
two annexes: one is a methodological manual; the other has important
practical implications as it contains the precise format of the tables to be
transmitted, the first year of transmission, the transmission lag, the length
of back data, and country derogations. As a Council Regulation is
legislation that applies directly to member states, it required the EU
countries to do substantial statistical work to redefine elementary data
sources and revise their estimation procedures. The ESA 95 Regulation
significantly accelerated the move towards harmonised financial accounts
in Europe.
The work done at Eurostat in recent years was not restricted to the
collection of financial accounts data from countries. An important event
was the publication in 2002 of the “Manual on Sources and Methods for
the compilation of ESA95 Financial Accounts”. The Manual addresses
issues related to the practical compilation of annual financial accounts. It
lists detailed sources by sector and financial instrument, and gives
recommendations on how to deal with difficult issues. In this way it
renders a service to several groups of people:
1. economists using financial accounts data, who obtain a better grasp of
the content of data and are informed on the existence of opaque areas;
2. current compilers, who have approved recommendations that
complement the ESA 95 Manual;
3. statistics committees in institutions, which have a list of areas in which
further progress is required;
4. trainees in financial statistics.
The Manual on Sources was thus a major step in increasing
transparency in the compilation of statistics in the financial field.30
After the publication of the Manual on Sources, it was agreed to do
additional methodological research on unquoted shares, an area in which
the quality of the data produced seemed uncertain and the comparability
across countries questionable. In May 2002 work in this area started, with
the first meeting of the Working Group on Unquoted Shares (WGUS). This
was followed by various activities, including a questionnaire on current
__________
30
An additional important feature of the Manual on Sources is that it contains methodological
information on the then Candidate Countries. These countries at the time did not have an obligation
to send data, but were building up their systems.
Financial accounts in Europe 97
methodologies, theoretical discussion and the collection of relevant data on
quoted companies in some countries. In May 2003 the WGUS was able to
submit new proposals to the FAWP, summarised in fourteen
recommendations. The basic idea was that of a pan-European data base of
aggregate data on quoted companies, grouped in 11 branches after the
exclusion of the largest quoted companies. This would have produced
reference values to be used in the valuation of shares of unquoted
companies. The approach was flexible, as countries were allowed to adopt
just a few of the recommendations.31 Refinements to the basic ideas took
place in 2003. The collection of data, with participation on a voluntary
basis, for the pan-European data base started in 2004.
Another important element has been the cooperation between
Eurostat and the ECB. The first interactions took place when ESA 95 was
being prepared. The cooperation has continued since then, with benefits for
the work programs of the two institutions and those of member states as
well.32
5. Conclusion
In this essay we have seen that studies made by some economists in
the 1930s on the mechanisms by which aggregate investments are financed
have led over time to an enlarged analysis of the financial position of the
business sector: flows of various classes of financial liabilities, the stock of
debt, and the stock of short term liquid assets. As each financial liability of
the business sector is an asset of another sector, this has also led to the
necessity of understanding the financial behaviour of other sectors: banks,
other financial institutions and households.
The interest of some economists in the credit flows across sectors
would have remained frustrated if a number of public bodies had not
__________
31
The main ideas developed in the WGUS are presented in Durant and Massaro (2004).
32
For some years now the ECB has been considering the possibility of compiling a full set of
quarterly financial accounts for the euro area. The EMI had already shown interest in financial
accounts, but it became apparent “that, at least for some time, a full set of financial accounts for the
euro area in the detail laid down in the ESA 95 would not be possible” (Bull, 2004, p. 109). So it
was decided to develop partial financial accounts of the euro area. This led to the creation of the
Monetary Union Financial Accounts Task Force, with the mandate of defining an intermediate
product and collecting the relevant data. The outcome of this work are the Tables of Financing and
Investment, which appear regularly in the ECB Monthly Bulletin. In this field further
improvements are to be expected (Bull, 2004, p. 209, p. 221).
98 Riccardo Massaro
started to collect appropriate sets of financial statistics. For many years the
data on financial statistics in each country had their own peculiarities.
However the exchange of views in international fora contributed to
frequent revisions of the methods of preparing and presenting national data
in the late 1950s and early 1960s. The discussion of statistical concepts
came to a head in 1968, when an international reference system of accounts
emerged. However the convergence towards a uniform system of accounts
across countries was very slow.
In Europe a uniform system of accounts was widely applied in each
country only at the end of the 1990s. However, taking into account the
absence for a long time of a strong form of coordination, the building up of
financial accounts in Europe has certainly been a success story. We have in
fact witnessed enormous progress in:
(1) coherence;
(2) clarity of concepts;
(3) accessibility of data.
The European Monetary Union poses new challenges for these
statistics:
(1) aggregation;
(2) intra-area consolidation;
(3) timeliness;
(4) quarterly frequency.
The adoption of the ESA 95 formats across countries solves the
problem of aggregation for most sectors. But intra-area consolidation will
require much work.
As regards timeliness and quarterly frequency, some euro-area
countries are more advanced than others. And their practical expertise is
likely to prove beneficial for other countries as well. But one has to keep in
mind that both timeliness and quarterly frequency are crucial for the
effective use of financial accounts as a tool for monetary policy decisions.
Financial accounts will however keep a national dimension in certain
analyses, for example to follow the evolution over time of insurance and
pension funds or to study the diversification of households’ portfolios. For
Financial accounts in Europe 99
these analyses, the comparability of financial accounts over time remains
an unsolved issue for most European countries.
Illiquidity risks and over-indebtedness were problems at the heart of
the reflections of a handful of economists in the 1930s, but no adequate
statistical support was then available. In the post-war era the BIS and the
Radcliffe Committee, as well as other public bodies, encouraged the
development of sector financial accounts. In a framework in which active
economic policies to stimulate economic growth were pursued, the
monitoring of finance flows across sectors would have permitted a better
design of these policies. Now we seem to have come full circle, as the
slowdown in the euro area in recent years may bring to the fore analyses of
the financial stability of sectors.
100 Riccardo Massaro
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DISCUSSIONE DEL LAVORO DI R. MASSARO
Claudio Gnesutta∗
Il mio sentito ringraziamento agli organizzatori di questo Convegno
per l’invito a partecipare alla discussione è doppiamente motivato; da un
lato, per il piacere di contribuire, seppure in forma marginale, a una ricerca
che, per ampiezza e qualità, si presenta di grande interesse e, da un altro
lato, perché il lavoro di Massaro, al quale sono stato più puntualmente
interessato, mi ha coinvolto in maniera particolare. Il riferimento, nelle
prime pagine, al rapporto Radcliffe, a personaggi come Sayers, Holtrop, il
nostro Baffi, Hicks (non Sir John, ma Earl Hicks), il trovare citato Stuvel in
compagnia di Triffin, mi ha riportato a troppo tempo fa, mi ha dato
un’emozione simile a quella che si prova ritrovando in età matura i
giocattoli della propria infanzia. Sono i temi dei miei primi tentativi di
analisi monetaria, effettuati appunto con il ricorso ai conti finanziari, allora
strumento innovativo promettente. Strumento che, seppur mai trascurato,
ha perso gradualmente centralità nella mia indagine; Massaro con il suo
saggio ha richiamato la mia attenzione sulle ragioni di questo slittamento,
sulle quali, prescindendo da riferimenti personali di scarso interesse in
questa sede, intendo proporre alcune mie riflessioni, prima di tutto
all’autore.
L’idea centrale del saggio di Massaro è la convinzione che i conti
finanziari abbiano sostanzialmente completato il loro “ciclo del prodotto”:
proposta innovativa (fine anni quaranta e implementazione (compiuta con
lo SNA68), armonizzazione e standardizzazione (con i passaggi
dell’ESA95 e del Manuale 2002). Tre fasi opportunamente collegate ad
altrettanti passaggi della teoria monetaria, della situazione economica, del
quadro istituzionale della politica economica delle economie occidentali. Si
tratta di una interpretazione che non ho difficoltà ad accettare, a patto di
tener conto – ma non è una contraddizione, come cercherò di argomentare
nelle pagine che seguono – che gli attuali schemi di contabilità finanziaria
incontrano difficoltà nel dar conto compiutamente dell’attuale realtà
economica.
Concordo quindi pienamente con la ricostruzione fatta da Massaro,
non solo per il fatto che chiarisce efficacemente come la contabilità
__________
∗
Università di Roma “La Sapienza”.
106 Claudio Gnesutta
finanziaria si sia affinata nel tempo e costituisca ora una importante base
informativa, ma anche per aver evidenziato l’intreccio tra esigenze
interpretative dei processi monetari e costruzione degli strumenti contabili
e come questo intreccio si realizzi in presenza di un dibattito teorico che ne
qualifica il contenuto. La riflessione di Massaro a questo riguardo è
particolarmente attenta per la fase “innovativa”, con le sue importanti
considerazioni sul ruolo che hanno avuto i fattori storici, teorici e politici
nell’avviare la costruzione dei conti finanziari: la memoria dell’instabilità
degli anni trenta spinge all’elaborazione di più efficaci strumenti di analisi
e di controllo monetario; l’emergente orientamento keynesiano in politica
economica sollecita la costruzione di un coerente quadro di contabilità per i
processi finanziari, analogamente a quanto sta avvenendo con lo sviluppo
della contabilità economica nazionale per i processi di reddito e spesa; la
necessità di controllo dell’economia richiede un soggetto sul lato
monetario, le banche centrali, che affianchi l’azione dell’altro soggetto cui
è delegata la politica fiscale. Il fatto che ciò avvenga sotto l’egida delle
organizzazioni internazionali (FMI, OCSE, BRI) esprime l’esigenza di una
omogeneizzazione, a livello internazionale, delle modalità di conduzione
delle politiche economiche nazionali nel regime di cambi fissi appena
introdotto. È significativo, a questo riguardo, il riferimento al lavoro di
Stuvel-Triffin del 1958, quale lavoro propedeutico alla loro proposta,
formulata nell’ambito dell’Organizzazione europea per la cooperazione
economica (OECE), di un’analisi monetaria capace di integrare, in una
struttura semplice, i dati della contabilità nazionale e dei flussi di fondi, per
fornire un’agile interpretazione della dinamica reale-monetaria cui sono
soggette economie che, in una fase di intenso sviluppo del commercio
internazionale, devono evitare squilibri macroeconomici, interni ed esterni.
Sono anni in cui l’elaborazione dei conti finanziari stimola
interessanti analisi su una pluralità di temi, come viene documentato con
efficacia nel saggio in discussione riprendendo i contributi in sede BRI: lo
slittamento di interesse dal controllo dei processi ciclici di inflazione e
deflazione, alla individuazione, in una fase di accelerazione dello sviluppo,
delle modalità finanziarie più adeguate per il rafforzamento del legame
risparmio-investimento; l’approfondimento delle difformità istituzionali tra
i sistemi finanziari nazionali e il loro riflesso sul finanziamento degli
investimenti, sui meccanismi di offerta di moneta, sulla stabilità della
domanda di moneta. Non va trascurato il fecondo rapporto, (come
ricordava stamattina Salvatore Rossi), tra costruzione dei conti finanziari e
sviluppo dei modelli econometrici di grandi dimensioni (incluso l’M1BI
della Banca d’Italia), né il supporto che la contabilità finanziaria offre alle
Discussione del lavoro di R. Massaro 107
decisioni di politica monetaria (la sua presenza è evidente, ad esempio, nei
paragrafi sulla programmazione dei flussi finanziari della Relazione del
Governatore di quel periodo). Non sono rari i tentativi di utilizzarli, in
ambito privato, come strumento previsivo degli andamenti finanziari
dell’economia, in particolare della disponibilità di credito e dell’evoluzione
dei tassi d’interesse.
L’affinamento metodologico dei conti finanziari procede di pari
passo con il loro utilizzo sia nella teoria sia nella pratica e, come
giustamente rimarca Massaro, alla fine degli anni sessanta esso può dirsi
sostanzialmente concluso. Ne è un esempio la rappresentazione
dell’integrazione reale-finanziaria che, in questo torno di tempo, la Bank of
England (1972) riesce a dare di una realtà complessa come quella del
sistema finanziario inglese. Le questioni ancora aperte sembrano ridursi
essenzialmente alla raccolta e all’elaborazione dei dati: il lavoro sarebbe
ora più compito degli statistici che degli economisti.
Eppure l’esigenza di un sistema organico di informazioni finanziarie
in grado di giustificare che “finance matters” induce Wallich (1969) a
sostenere, in apertura alla rassegna sull’applicazione dei conti finanziari
nell’analisi monetaria, l’assenza di un Keynes dei flussi-di-fondi (a
fronte del Keynes propulsore dei conti economici nazionali). Una tale
posizione, per quanto sottovaluti non solo l’apporto dell’Hicks del 1935,
mai troppo citato, ma anche gli innegabili spunti contenuti nei contributi di
Gurley e Shaw, di Modigliani, di Friedman, di Tobin (solo per ricordarne
alcuni), può essere compresa per la sottolineatura dei limiti che incontra
una contabilità finanziaria concentrata, prevalentemente se non
esclusivamente, sui flussi di fondi, in un momento in cui la teoria
monetaria privilegia spiegazioni, pur con opzioni interpretative divergenti,
in cui è il confronto tra stock di moneta e stock di attività finanziarie a
determinare le condizioni finanziarie dell’economia e quindi l’equilibrio
macroeconomico.
Tenderei quindi a sottolineare che, con lo SNA68, i conti finanziari
raggiungono la loro maturità, ma solo per quanto riguarda la dimensione di
flusso. La costruzione di una contabilità degli stati patrimoniali finanziari,
adeguata al ruolo teorico che a essi viene attribuito, stenterà a lungo, e
stenta, a realizzarsi. Si tratta di un’affermazione che ha bisogno di alcune
precisazioni per non risultare sorprendente per chi abbia presente che le
consistenze finanziarie sono rilevate sistematicamente fin dall’inizio; per
l’Italia esse sono disponibili dal 1965 e, come ricorda Massaro, lo stesso
SNA68 tratta esplicitamente di consistenze iniziali, rivalutazioni e
108 Claudio Gnesutta
consistenze finali, anche se in dieci brevi commi (dal 2.83 al 2.92) dal
carattere piuttosto generale.
Per giustificare la mia affermazione penso che vada tenuto presente
che, come succede spesso nel progresso scientifico, nel momento stesso in
cui si consolida un oggetto teorico, in questo caso la rappresentazione della
realtà finanziaria (di flusso) di un’economia, sorgono delle nuove linee di
analisi che, stimolate da esso, premono per il suo ampliamento, se non per
la sua trasformazione. Le proposte teoriche, come è noto, non rimangono
immutate nel tempo; ognuna di esse riflette una particolare “visione” della
realtà di cui cattura gli aspetti ritenuti come rilevanti e trascura
necessariamente altre dimensioni, seppur non marginali; non è raro che la
raggiunta maturazione dello strumento analitico consenta di rivolgere
l’attenzione alle questioni precedentemente accantonate. Nel caso in
questione, e in maniera estremamente sintetica, ritengo che i livelli
sofisticati raggiunti dalla contabilità finanziaria richiedano ora di
completare il quadro complessivo ricercando una soluzione a livello degli
stati patrimoniali finanziari e reali, analoga a quella data all’integrazione
dei flussi.
L’attuale quadro informativo centrato sulle consistenze finanziarie è
essenzialmente strumentale ai fini rilevativi (i dati di consistenza sono
necessari per valutare i flussi in termini di variazione degli stock). La
ridotta rilevanza attribuita all’integrazione reale-finanziaria di questi conti,
dovuta anche a difficoltà di rilevazione, mi sembra derivi dal fatto che
l’analisi monetaria e finanziaria si presenta come un’analisi di breve
periodo (in un contesto di scelte di portafoglio, gli stock reali sono un dato)
e, qualora si estenda al lungo periodo, dal fatto che i processi monetari e
finanziari sono interpretati con riferimento a un contesto di steady-state. Vi
sono peraltro temi per i quali una tale interpretazione restrittiva dei
processi finanziari non dovrebbe valere; mi riferisco, ad esempio, a quelle
indagini interessate, come negli anni settanta, alla comparazione
dell’evoluzione finanziaria dei diversi sistemi economici (Goldsmith e suoi
epigoni) o alla individuazione del rapporto fra “capitale industriale e
capitale finanziario” (per utilizzare due termini evocativi della relazione tra
finanza e crescita economica) al fine di precisare le differenze strutturali tra
sistemi finanziari nazionali, anche in vista di una loro riforma. Per quanto
siano tematiche che avrebbero dovuto stimolare l’affinamento della
contabilità di stock, esse non hanno avuto una tale funzione per l’ipotesi,
spesso implicita, di una tendenza alla convergenza delle strutture
finanziarie, per la cui verifica sono sufficienti indici non sempre desunti da
Discussione del lavoro di R. Massaro 109
dati di consistenza o che comunque non richiedono un quadro contabile
organico.
Esigenze di un’informazione sistematica delle consistenze appaiono
con più evidenza negli anni ottanta e novanta in presenza di una intensa
dinamica dei valori monetari degli aggregati reali e finanziari e di profonde
ristrutturazioni negli apparati produttivi. È una congiuntura nella quale i
conti finanziari, così come sono venuti consolidandosi nella fase di
“armonizzazione” degli anni novanta, sono inadeguati a rappresentare
efficacemente il ruolo che la finanza svolge nei trasferimenti di ricchezza
tra i diversi settori istituzionali interni al paese e in quelli tra la nazione e il
suo esterno. A livello teorico, è anche il periodo in cui l’attenzione si
sposta sull’individuazione dei fattori determinanti la crescita dell’economia
che si affiancano al capitale fisico, il cui “valore” è alla base del “valore”
delle attività finanziarie. Le risorse, spesso non-di-mercato, cui si
attribuisce ora un impatto significativo nello sviluppo di un’economia (beni
immateriali acquisiti dalle imprese private, dotazione di infrastrutture,
capitale umano, relazioni interpersonali, dotazione di capitale naturale)
sollevano il problema di come la valutazione degli strumenti finanziari
possa riflettere significativamente l’importanza dei “nuovi” fattori della
crescita.
Se il valore della ricchezza delle famiglie non è un valore originario,
ma un valore derivato da quello dei titoli rappresentativi del capitale e da
quelli rappresentativi del debito pubblico (siano essi nazionali ed esteri), la
sua valutazione deve necessariamente tener conto della qualità dei processi
produttivi e distributivi futuri. Nel caso l’attuale realtà sia, come tendo a
ritenere, una lunga fase di transizione nel corso della quale si assisterà a
una forte ridefinizione del valore delle risorse produttive all’interno delle
singole economie e tra le economie, allora il monitoraggio dell’evoluzione
della ricchezza di una nazione, e della sua composizione, dovrebbe
costituire un’informazione cruciale per chi voglia comprendere i processi
in atto. Mi sembra, se non fraintendo il contributo di Semeraro, che la
determinazione di quale sia attualmente il debito previdenziale rientra in
questa ottica, così come, nella esposizione di Massaro, l’accenno alla prassi
talvolta adottata di introdurre esplicitamente un settore autonomo delle
abitazioni. La contabilità di stock e l’integrazione degli stati patrimoniali
finanziari con gli stock “reali” dell’economia si presenta allora in tutta la
sua rilevanza concettuale e non come mera questione statistico-
organizzativa. All’economista cui è fatto carico di dare veste quantitativa a
fattori qualitativamente rilevanti per la crescita e per la stabilità della
110 Claudio Gnesutta
società rimane aperto un ampio e complesso campo di indagine. Per questa
ragione, non mi sarebbe dispiaciuto veder compreso nell’elenco, posto a
conclusione del lavoro di Massaro, riguardante i problemi attualmente in
osservazione da parte degli esperti del settore, anche quello
dell’integrazione reale-finanziaria e della “valutazione” delle attività
patrimoniali.
Se, in un contesto storico di possibile instabilità strutturale, in un
contesto teorico che prende le distanze da forme di controllo finanziario, in
un contesto istituzionale che tende a trasferire i poteri di governo
dell’economia “oltre” le dimensioni nazionali, si è dell’avviso che gli stati
patrimoniali integrati reali-finanziari possono svolgere un ruolo
informativo sulla direzione e intensità dei processi in atto, allora condivido
pienamente la considerazione finale di Massaro che le difficoltà
economiche odierne della generalità dei paesi dell’area dell’euro
impongono, come alla fine degli anni trenta, di innovare non solo gli
strumenti interpretativi, ma anche le nostre informazioni sulla realtà. Ma se
la situazione storica è questa e se le indicazioni teoriche pongono la
centralità della dinamica degli stock, quali sono oggi le autorità cui viene
attribuito il compito di definire obiettivi condivisi e di governare il
processo economico?
Discussione del lavoro di R. Massaro 111
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Bank of England (1972), An Introduction to Flow-of-funds Accounting:
1952-1970, Economic Intelligence Department, Bank of England.
Wallich, H.C. (1969), Uses of Financial Accounts in Monetary Analysis, in
“The Review of Income and Wealth”, dicembre, pp. 321-334 (paper
presentato alla XI Conference of the International Association for
Research in Income and Wealth, Nathanya, agosto 1969).
Sessione 2
I METODI
Presidente: Enrico Giovannini
I CONTI FINANZIARI DELL’ITALIA DAL 1950 A OGGI
Riccardo Bonci e Massimo Coletta*
1. Introduzione
I conti finanziari integrano la contabilità reale di un paese, fornendo
una rappresentazione dei flussi e delle consistenze di attività e passività
finanziarie dei settori istituzionali dell’economia. Questa analisi è
importante per la conoscenza della struttura finanziaria e della sua
evoluzione. In particolare, i dati di stock forniscono un’idea dei
cambiamenti che i bilanci dei settori istituzionali subiscono nel tempo, per
effetto delle decisioni di investimento (flussi finanziari attivi) e
finanziamento (flussi finanziari passivi) e delle variazioni di valore che le
consistenze subiscono a causa delle variazioni dei tassi d’interesse o del
livello generale dei prezzi. Data la relativa lentezza con cui evolve la
struttura finanziaria, è necessario un periodo di osservazione lungo per
tracciare una linea di tendenza dei movimenti in atto, per individuare le
forze motrici di tali cambiamenti ed esplorarne i legami con altre variabili
economiche, sia macro – ad esempio la produzione e i tassi d’interesse –
sia micro – ad esempio la propensione al rischio degli agenti economici nel
pianificare le proprie decisioni di risparmio e investimento.
I conti finanziari sono pubblicati dalla Banca d’Italia con frequenza
annuale a partire dai primi anni sessanta e con frequenza trimestrale dal
19901. Ad oggi, prima del 1963 non sono disponibili serie storiche dei
conti finanziari con una settorizzazione e un grado di dettaglio simili agli
attuali; fanno eccezione alcune informazioni limitate al settore “economia”
(famiglie e imprese), per il quale esistono stime a partire dal 1950 (Caron e
Cotula, 1971). I dati disponibili dopo il 1963 risentono inoltre di problemi
__________
* Banca d’Italia, Servizio Studi. Desideriamo ringraziare Riccardo De Bonis, Antonio Di Cesare e
Luigi Federico Signorini per gli utili suggerimenti; Fabio Farabullini e Miria Rocchelli per
l’indispensabile aiuto fornito, rispettivamente, nella costruzione del conto finanziario delle banche
e della Banca centrale. Desideriamo inoltre esprimere la nostra gratitudine ai colleghi che ci hanno
preceduto nella produzione dei conti finanziari in Banca d’Italia; in particolare a Franco Cotula,
che ha anche letto con grande attenzione il nostro lavoro fornendoci molte indicazioni. Le opinioni
espresse sono quelle degli autori e non impegnano l’Istituto di appartenenza né le altre persone
sopra citate.
1
Per un esame dei primi tentativi di costruzione dei conti finanziari per l’Italia, si veda il lavoro di
R. De Bonis e A. Gigliobianco in questo volume. Un’ottima analisi del ruolo dei conti finanziari
all’interno della contabilità nazionale si trova in Yanovsky (1973).
116 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
legati alle differenti metodologie utilizzate. Nel corso degli anni, con il
recepimento delle varie edizioni del Sistema europeo dei conti economici
integrati dell’Eurostat (1970, 1979, 1995), sono cambiate le definizioni dei
settori e degli strumenti finanziari, oltre ai criteri di valutazione delle
componenti della ricchezza finanziaria.
Nel presente lavoro si propone una ricostruzione delle principali voci
dei conti finanziari italiani a partire dal 1950: sono presentate consistenze
annuali non consolidate di fine periodo. Al fine di rendere significativa
l’osservazione dell’evoluzione temporale delle serie analizzate si è
provveduto, per quanto possibile, all’armonizzazione delle definizioni
riguardanti la composizione dei settori istituzionali e la classificazione
degli strumenti finanziari. I dati dal 1950 al 1962 sono presentati con un
formato a matrice, simile a quello adottato nella prima tavola sulle
consistenze pubblicata nella Relazione della Banca d’Italia del 1965.
Il lavoro è organizzato come segue. La sezione 2 descrive la
costruzione dei conti finanziari per il periodo 1950-1962. La sezione 3 è
dedicata alla ricostruzione dei conti finanziari nel periodo 1963-2004: si
illustrano i principali fattori di discontinuità metodologica, le definizioni
dei settori istituzionali e degli strumenti finanziari. La sezione 4 riporta le
conclusioni principali del lavoro. Le tavole finali presentano i conti
finanziari dal 1950 al 1962 e le serie storiche per tutti i settori e gli
strumenti dal 1950 al 2004.
2. Un tentativo di costruzione dei conti finanziari per gli anni 1950-1962
Per la costruzione dei conti finanziari del periodo 1950-1962 si sono
utilizzate fonti statistiche differenti.
Le serie sulla ricchezza finanziaria dell’economia, pubblicate in
Cotula e Caron (1971), sono state usate per stimare le consistenze di
strumenti finanziari delle famiglie e delle imprese, intendendo per queste
ultime le società non finanziarie. Per i restanti settori istituzionali si sono
utilizzate altre fonti: bilancio della Banca d’Italia e dell’UIC (vari anni),
Bollettino Statistico e Relazione della Banca d’Italia (vari anni), Annuario
statistico italiano (vari anni) e Sommario di statistiche storiche (1926-
1985) dell’Istat, statistiche dell’Ufficio italiano dei cambi (UIC), statistiche
varie sulle Amministrazioni pubbliche (Della Torre, 1984).
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 117
Le informazioni di base sono state rielaborate per ottenere una
coerenza temporale, spesso molto scarsa in origine. Si è cercato di
riprodurre, compatibilmente con la disponibilità di informazioni,
l’aggregazione e la ripartizione dei dati che sono alla base della produzione
attuale delle statistiche2.
Per garantire la coerenza interna dei conti finanziari tra il 1950 e il
1962 si è individuato, anche per questi anni, un settore non identificato,
denominato “partite non classificabili”, coerentemente con quanto previsto
dal 1963 al 1994. L’uguaglianza tra attività e passività di ogni strumento
finanziario risulta rispettata quando ai valori dei settori residenti e del resto
del mondo si sommino le consistenze di questo settore fittizio. L’analisi
della qualità relativa delle fonti utilizzate ha fatto preferire le informazioni
alla base della stima delle consistenze passive: le discrepanze, in alcuni
casi di segno negativo, sono state pertanto attribuite ai vari strumenti
all’attivo del settore “partite non classificabili”3. Nel periodo 1950-1962 il
peso di tale settore sul totale delle attività finanziarie dell’economia è di
ammontare contenuto, pari in media a circa l’1 per cento, in linea con
quello degli anni 1963-1994 (1,5 per cento).
La costruzione per il periodo 1950-1962 si è articolata in due fasi
principali:
1) la stima delle attività e delle passività finanziarie per i settori delle
famiglie e delle imprese, ripartendo l’aggregato prima classificato
come “economia”;
2) la stima, per la prima volta, delle consistenze di fine anno delle attività
e passività finanziarie per tutti gli altri settori (banche, altre società
finanziarie, Amministrazioni pubbliche, resto del mondo), prendendo
come riferimento la struttura attuale dei conti finanziari.
Per scomporre gli strumenti finanziari dell’economia nelle
componenti delle famiglie e delle imprese si sono utilizzate varie
informazioni ausiliarie: (i) i dati sugli anni dal 1963 al 1970, per i quali
__________
2
Le tavole dal 1950 al 1962 presentano un dettaglio minore, in quanto non è stato possibile
applicare il principio del “from whom to whom”, in base al quale si può identificare la relazione tra
il settore emittente e il detentore di uno strumento finanziario.
3
Similmente a quanto accade nella stima corrente dei conti finanziati, tra i vincoli principali
incontrati nella ricostruzione fino al 1962 vi sono: l’impossibilità di disporre di statistiche
sull’universo delle unità istituzionali che compongono i settori; errori di misurazione nei dati di
base; incoerenze tra informazioni provenienti da fonti diverse; assenza di informazioni su
particolari fenomeni; disponibilità di grandezze economiche misurate solo al valore nominale.
118 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
Caron e Cotula hanno pubblicato sia le serie dell’economia sia i conti
finanziari completi; (ii) alcune serie della contabilità nazionale, come le
statistiche sui consumi privati, per la stima dei depositi delle famiglie, e
sugli investimenti in impianti e attrezzature, per la stima dei prestiti accesi
dalle imprese.
Nei paragrafi che seguono sono presentate informazioni maggiori
sulla stima dei conti finanziari degli anni cinquanta.
2.1 Da “economia” a famiglie e imprese
Per stimare le consistenze di attività e passività finanziarie in mano
alle famiglie e alle imprese a partire dai dati riferiti alla somma dei due
settori, si è proceduto in due fasi: (i) si sono riorganizzate le informazioni
sull’economia conformemente alla classificazione odierna dei conti
finanziari; (ii) si sono stimate le consistenze delle famiglie e delle imprese
disaggregando i dati ottenuti nella prima fase.
Per cominciare, le serie pubblicate da Caron e Cotula, caratterizzate
da un elevato grado di dettaglio per strumento (con l’eccezione delle
attività e passività verso l’estero), sono state riorganizzate coerentemente
con la classificazione odierna degli strumenti finanziari (si veda la tav. 1),
ricostruendo uno schema definibile come i “conti finanziari”
dell’economia.
Le “altre attività” dell’economia (tav. 1, voce 9) sono state
considerate come consistenti interamente di riserve tecniche4 (tav. 1, voce
f), poiché nei conti finanziari del 1963 le riserve matematiche erano l’unica
componente sull’interno delle “altre attività e passività”.
Le “attività verso l’estero” (tav. 1, voce 10), pubblicate senza
dettaglio per strumento, sono state ripartite tra le varie voci sulla base delle
informazioni disaggregate disponibili nella tavola dei conti finanziari del
1963, dalla quale risulta che le attività verso l’estero di famiglie e imprese
erano composte per il 19 per cento da prestiti, per il 24 per cento da azioni
__________
4
L’altra componente della voce “altre attività/passività”, nelle tavole dei conti finanziari dal 1963 al
1970, è costituita da “attività sull’estero e altre”. Nell’identificare le “altre attività sull’interno”
dell’economia (tav. 1, voce 9) con le riserve matematiche si è dunque supposta trascurabile la parte
verso residenti (“altre”) di questa seconda componente.
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 119
Tav. 1
La riclassificazione degli strumenti finanziari del settore “economia”
Dettaglio disponibile in origine Classificazione dei conti finanziari
(Caron-Cotula, 1971) (voci in neretto)
ATTIVITÀ FINANZIARIE ATTIVITÀ FINANZIARIE
VERSO L’INTERNO Biglietti e monete (a)
Attività liquide biglietti e monete (1)
Biglietti e monete (1) Depositi (b)
Depositi a vista (2) depositi a vista (2)
c/c bancari depositi a risparmio bancari (3)
conti in valuta di res. e c/c enti
depositi a risparmio postali (4)
ammassi
c/c postali altri depositi e buoni fruttiferi (6)
depositi presso il Tesoro Titoli (c)
Depositi a risparmio e titoli a breve titoli a breve termine (5)
depositi a risparmio bancari (3) titoli a reddito fisso (7)
depositi a risparmio postali (4) titoli esteri (*) (parte di 10)
titoli a breve termine (5) Prestiti (d)
Altri depositi e buoni fruttiferi (6) prestiti esteri (*) (parte di 10)
Titoli a reddito fisso (7) Azioni (e)
titoli di stato azioni e partecipazioni (8)
obbligazioni di istituti speciali azioni estere (*) (parte di 10)
obbligazioni industriali e altre Riserve tecniche (f) (9)
Azioni e partecipazioni (8) Altre attività (g)
Altre attività finanziarie (9) attività verso estero n.i. (*) (parte di 10)
VERSO L’ESTERO (10)
PASSIVITÀ FINANZIARIE PASSIVITÀ FINANZIARIE
VERSO L’INTERNO Titoli (h)
Indebitamento a breve termine (11) Obbligazioni (13)
Indebitamento a medio e lungo termine titoli esteri (*) (parte di 15)
mutui (12) Prestiti (i)
obbligazioni (13) indebitamento a breve termine (11)
Azioni e partecipazioni (14) MUTUI (12)
VERSO L’ESTERO (15) Prestiti dall’estero (*) (parte di 15)
Azioni (l)
azioni e partecipazioni (14)
azioni estere (*) (parte di 15)
(*) Dati stimati ripartendo le attività/passività verso l’estero.
120 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
e per il 56 per cento da altre attività5. Quest’ultima componente è confluita
nella voce “altre attività” (tav. 1, voce g) nella classificazione dei conti
finanziari adottata nel lavoro.
Dal lato del passivo, invece, poiché dalla medesima tavola del 1963
non risultano “altre passività sull’estero” di famiglie e imprese, si è ritenuto
che le “passività verso l’estero” dell’economia (tav. 1, voce 15) dovessero
essere interamente ripartite tra specifici strumenti finanziari. Tale
identificazione è stata ottenuta guardando ai rapporti dei non residenti con
le famiglie e le imprese: nel 1963, l’1 per cento era costituito da titoli
(“altre obbligazioni” detenute dal resto del mondo), il 21 per cento da
prestiti (“crediti esteri” al passivo di famiglie e imprese) e il rimanente 78
per cento da azioni (“azioni e partecipazioni” all’attivo del resto del
mondo). Con queste quote la voce “passività verso l’estero” dell’economia
è stata ripartita tra titoli (tav. 1, voce c), prestiti (tav. 1, voce d) e azioni
(tav. 1, voce e) dal 1950 al 1962.
Avendo riclassificato le voci originariamente fornite in un conto
finanziario per l’economia, abbiamo ripartito le varie poste dell’attivo e del
passivo in modo da stimare i conti finanziari separati per i settori delle
famiglie e delle imprese.
Per la scelta delle consistenze di biglietti e monete, originariamente
assegnate all’economia (tav. 1, voce a), da attribuire all’attivo delle
famiglie, si è stimato un trend lineare della quota in mano a queste ultime
tra il 1963 e il 1970; si sono quindi calcolate le quote pre-1963
estrapolando su tale trend. Alle imprese è stata assegnata la parte restante6.
Le attività in depositi dell’economia (tav. 1, voce b) sono state
assegnate alle famiglie sulla base della relazione osservata tra questi e i
consumi privati7. Nel 1963 i consumi erano quasi il doppio (180 per cento)
dei depositi delle famiglie, per scendere a valori inferiori (95 per cento) nel
1979. La diminuzione del rapporto tra consumi e depositi in questi anni è
avvenuta uniformemente, scendendo in media del 5 per cento all’anno; un
__________
5
Sono invece trascurabili i pesi dei biglietti e monete (0.3 per cento) e dei depositi (0.2 per cento).
Per le consistenze di tali strumenti è stata dunque considerata la sola componente interna.
6
La quota di biglietti e monete dell’economia detenuti dalle famiglie è aumentata, in media, dell’1
per cento all’anno tra il 1963 e il 1970. Nonostante l’esiguo numero di osservazioni, l’uniformità
della crescita ha fatto preferire l’estrapolazione sul trend lineare a criteri diversi, come il peso
medio negli anni 1963-1970, con i quali si ottengono comunque risultati piuttosto simili.
7
Fonte: Istat, Sommario di statistiche storiche; dal 1963 al 1970 i “consumi privati”; dal 1971 al
1979 i “consumi finali delle famiglie”; tutti i dati sono espressi a prezzi correnti.
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 121
trend lineare spiega quasi completamente la variabilità dei dati (l’R-quadro
è 0,96). Similmente a quanto fatto per la stima del circolante, estrapolando
sul trend la quota consumi/depositi per gli anni precedenti al 1963, si sono
stimate le attività in depositi delle famiglie negli anni 1950-1962
(moltiplicando tale quota per i consumi privati, i cui dati sono disponibili a
partire dal 1950). Come nel caso di biglietti e monete, alle imprese sono
stati imputati i depositi dell’economia non detenuti dalle famiglie.
I titoli dell’economia (tav. 1, voce c) sono stati ripartiti tra famiglie e
imprese secondo il peso medio che i due settori avevano nel periodo 1963-
1970: alle famiglie va quindi la quasi totalità (99 per cento) dei titoli
originariamente registrati all’attivo dell’economia8.
I prestiti all’attivo dell’economia (tav. 1, voce d) sono stati
interamente attribuiti alle imprese; essi si riferiscono soltanto alla
componente verso non residenti (stimata, come detto sopra, a partire
dall’aggregato delle attività sull’estero), non essendo rilevati prestiti
concessi dall’economia agli altri settori interni9.
Per le azioni (tav. 1, voce e) distinguiamo quelle emesse da residenti
dalle azioni estere. Le azioni di residenti detenute dalle famiglie sono state
stimate in misura pari al 48 per cento delle azioni originariamente attribuite
all’economia (tav. 1, voce 8), valore pari alla quota media osservata tra il
1963 e il 1970. Le azioni estere dell’economia, anch’esse stimate a partire
dalle attività sull’estero, sono state ripartite tra il portafoglio delle famiglie
e quello delle imprese secondo le rispettive quote osservate nel 1963, pari
rispettivamente al 26 e al 74 per cento.
Nel periodo in esame sono nulle le consistenze di quote di fondi
comuni all’attivo delle famiglie e delle imprese. In Italia, infatti, tale
strumento finanziario è stato introdotto solo con il d.lgs. 77 del 1983.
Le altre attività dell’economia (tav. 1, voce g), infine, sono
interamente attribuite alle famiglie. Come spiegato sopra, esse
corrispondono alle “attività finanziarie verso l’estero” (tav. 1, voce 10) non
identificate come titoli, prestiti, azioni; esse includono, pertanto, anche le
__________
8
La quota dei titoli in mano alle famiglie si è sempre mantenuta molto alta rispetto a quella delle
imprese e la situazione odierna non è molto diversa: nel 2003 la proporzione era infatti di circa
13 a 1.
9
Ancora oggi le imprese non finanziarie concedono prestiti solo a unità non residenti. Si tratta di
prestiti concessi a partecipate estere.
122 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
componenti estere di biglietti e monete e di depositi, comunque di entità
molto modesta.
Per quanto riguarda le riserve tecniche, le consistenze all’attivo delle
imprese sono state stimate nella misura del 10 per cento delle riserve
matematiche al passivo delle assicurazioni10. Sottraendo tale valore dallo
stock all’attivo dell’economia (tav. 1, voce f) si è stimato lo stock di riserve
all’attivo delle famiglie. In quest’ultimo ammontare rientrano lo stock
passivo delle assicurazioni non attribuito alle imprese e le consistenze di
riserve matematiche delle famiglie presso gli enti di previdenza. Nota la
prima componente, si è calcolata la seconda per differenza. La stima
ottenuta è stata registrata tra le passività finanziarie del settore delle
Amministrazioni pubbliche, di cui gli enti di previdenza fanno parte.
Dal lato delle passività, dalle consistenze di prestiti interni
(indebitamento a breve e mutui concessi da unità residenti) dell’economia
(tav. 1, voce i) si sono stimati in primo luogo i valori attribuibili alle
imprese; si è quindi calcolato lo stock di debiti delle famiglie dal 1950 al
1962 per differenza. Lo stock di prestiti passivi interni delle imprese è stato
stimato utilizzando la relazione tra questi ultimi e gli investimenti: si sono
regrediti i prestiti sugli investimenti fissi lordi11 dal 1963 al 1970; i prestiti
pre-1963 sono stati quindi calcolati utilizzando i coefficienti stimati. I
prestiti esteri dell’economia (scorporati, come si è detto sopra, dalle
passività estere) sono stati, invece, considerati interamente al passivo delle
imprese12; nel 1963, infatti, le famiglie risultavano avere solo passività
interne13. La componente interna e quella estera sono state infine sommate
in un’unica voce di prestiti al passivo di famiglie e imprese.
Tutte le passività in titoli dell’economia (tav. 1, voce h) sono state
registrate al passivo delle imprese: oltre alle obbligazioni, i valori
includono anche i titoli dell’economia detenuti dall’estero (stimati come si
è detto sopra).
__________
10
Nei dati sul 1963 i rapporti nella forma di “riserve matematiche” intercorrono solo tra le famiglie e
le imprese (all’attivo) e le assicurazioni e gli enti di previdenza (al passivo). Mentre si è assunto
che lo stock al passivo degli enti di previdenza (stimato per differenza) fosse interamente detenuto
dalle famiglie, le consistenze passive di riserve delle assicurazioni (riportate nell’Annuario
statistico italiano dell’Istat) sono state attribuite alle famiglie e alle imprese secondo le relative
quote del 1963, pari, rispettivamente, al 90 e al 10 per cento.
11
Istat, Sommario di statistiche storiche (1926-1985); serie a prezzi correnti.
12
Tra il 1950 e il 1962 non sono state rilevate consistenze di crediti e debiti commerciali.
13
Anche oggi l’indebitamento delle famiglie italiane risulta, nel confronto internazionale, tra i più
bassi.
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 123
Analogamente ai titoli, tutte le passività in azioni dell’economia (tav.
1, voce l) sono state considerate passività delle imprese italiane; a queste si
sono sommate le consistenze di azioni e partecipazioni detenute da unità
estere (vedi sopra).
La definizione del settore delle famiglie in questo primo periodo
della ricostruzione rispecchia implicitamente quella utilizzata nei conti
finanziari del 1963-1970 (si veda il paragrafo 3.2), largamente utilizzati
come fonte d’informazione per la disaggregazione del settore “economia”.
2.2 Le società finanziarie
Le società finanziarie includono, dal 1950 al 1962, la Banca d’Italia
(BI), l’Ufficio italiano dei cambi (UIC), le aziende di credito, gli istituti di
credito speciale (ICS) e le imprese di assicurazione.
Le consistenze di attività e passività finanziarie delle unità che
compongono il settore delle società finanziarie sono state calcolate
aggregando le voci dei rispettivi bilanci, fino a ottenere una classificazione
degli strumenti coerente con le definizioni proprie dei conti finanziari. Le
tavole 2, 3 e 4 riportano le aggregazioni effettuate per costruire,
rispettivamente, i conti finanziari di assicurazioni, Banca centrale (BI e
UIC) e banche (aziende di credito e istituti di credito speciale).
Per quanto riguarda le imprese di assicurazione, oltre ai bilanci si
sono utilizzati i dati del Bollettino statistico della Banca d’Italia del 196814
per la stima dello stock di azioni detenute. Non risultano passività in titoli
delle assicurazioni. Nel caso della Banca centrale si sono utilizzate le
informazioni sulle posizioni attive/passive della Banca d’Italia e dell’UIC
nei confronti dell’estero, del Tesoro, delle aziende di credito, degli ICS, di
altri enti e privati. Per gli stock di attività e passività delle aziende di
credito e degli istituti di credito speciale sono state impiegate informazioni
già pubblicate dalla Banca d’Italia15.
__________
14
I bilanci sono riportati nell’Annuario statistico italiano dell’Istat, nella tavola “Situazione
patrimoniale delle imprese assicuratrici a fine esercizio”.
15
Si veda la sezione Statistiche storiche sul sito Internet della Banca d’Italia (www.bancaditalia.it),
tavole “Attivo (passivo) delle aziende di credito” e “Attivo (passivo) degli istituti di credito
speciale”.
124 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
Tav. 2
Aggregazioni per i conti finanziari delle assicurazioni
Strumenti finanziari Voci del bilancio considerate
ATTIVITÀ
Biglietti e monete cassa
Depositi depositi bancari
Titoli titoli di Stato, altri titoli (al netto delle azioni)
Prestiti mutui, usufrutti e nude proprietà, debitori diversi
Azioni azioni (*)
Totale attività somma degli strumenti
PASSIVITÀ
Prestiti creditori diversi
Azioni capitale, riserve patrimoniali
Riserve tecniche riserve premi e sinistri
Totale passività somma degli strumenti
(*) Fonte: Bollettino del Servizio Studi della Banca d’Italia, 1968, tavola 1: “Valori
mobiliari: consistenze ed emissioni annuali nette suddivise per gruppi di
investitori” (p. 614).
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 125
Tav. 3
Banca centrale: dal bilancio al conto finanziario
Strumenti Voci del bilancio considerate
finanziari Controparte Banca d’Italia Ufficio italiano dei cambi
ATTIVITÀ
Oro estero Oro oro; quota di partecipazione al
FMI e quota in oro FME
Biglietti estero crediti a breve t. in valuta –
Tesoro valori in cassa –
Depositi Tesoro emissioni delle forze alleate –
az. credito crediti in valuta –
altri conti correnti UIC –
Titoli estero titoli a medio/lungo t. in valuta titoli a breve e a m/l t. in valuta
Tesoro titoli di Stato a breve e a m/l t. titoli di Stato
ICS titoli obbligazionari Titoli
Prestiti Tesoro crediti v/Stato, anticipaz. a Tesoro; crediti vari in lire e valuta
c/c tesoreria; portafoglio ammassi e
altro sconto p/c Tesoro
az. credito sconto di portafoglio, anticipazioni crediti in valuta
in c/c e prorogati pagamenti
ICS sconto di portafoglio; anticipaz. in c/c crediti in lire e valuta
altri anticipazioni c/c Banca d’Italia
estero – altri crediti a breve in valuta;
crediti a m/l in lire e valuta
Azioni altri titoli –
Totale somma degli strumenti somma degli strumenti
PASSIVITÀ
Biglietti biglietti in circolazione –
Depositi estero conti in lire e in valuta; altre –
Tesoro passività debiti in lire e valuta
c/c Tesoreria; debiti v/Stato; depositi
esteri in lire e valuta
az. credito debiti a vista, depositi in c/c; dep. debiti in lire e valuta
vincolati; dep. per obblighi di legge
ICS depositi in c/c; altri depositi debiti in lire e valuta
altri debiti a vista e depositi in c/c; dep. ordini di pagamento; altre
per obbl. di legge; altri dep. (f/amm. passività in lire e valuta; c/c
IRI); c/c UIC; vaglia in circolazione della Banca d’Italia
Prestiti Tesoro aiuti internazionali –
estero – debiti in lire e valuta
Totale somma degli strumenti somma degli strumenti
126 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
Tav. 4
Aggregazioni per i conti finanziari delle banche
Strumenti Voci del bilancio considerate
finanziari
Aziende di credito Istituti di credito speciale
ATTIVITÀ
Biglietti e Contante –
monete
Depositi depositi presso altri istituti, c/c di cassa e depositi c/o altri istituti
corrispondenza con aziende di
credito, c/c con le sezioni speciali
Titoli titoli di proprietà diversi dalle titoli di proprietà
azioni, cedole e vaglia
Prestiti impieghi totali impieghi (anticipaz., mutui e effetti
risc.), mutui alle Ferrovie e al Tesoro
Azioni azioni, partecipazioni partecipazioni
Totale somma degli strumenti somma degli strumenti
PASSIVITÀ
Depositi depositi, riporti passivi depositi e buoni fruttiferi
Titoli – totale obbligazioni escluse
obbligazioni ferroviarie
Prestiti c/c di corrispondenza con aziende di c/c con banche e con enti
credito, c/c con le sezioni speciali, partecipanti, anticipazioni passive,
anticipazioni (credito da Banca fondi in lire del Tesoro dello Stato,
d’Italia) prestiti in valuta
Riserve Patrimonio Patrimonio
tecniche
Totale somma degli strumenti somma degli strumenti
2.3 La finanza pubblica
Per elaborare i conti finanziari delle Amministrazioni pubbliche per
gli anni 1950-1962 si sono ricostruite le attività e le passività finanziarie
delle unità classificate al suo interno: Amministrazione centrale, inclusa la
Cassa depositi e prestiti (Cassa DD.PP.), enti locali, istituti di previdenza e
aziende autonome. La composizione degli stock attivi e passivi di queste
unità è descritta nella tavola 5.
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 127
Tav. 5
Conti finanziari delle Amministrazioni pubbliche
Strumenti Istituti di
Amministrazione centrale Enti locali Aziende autonome
finanziari previdenza
ATTIVITÀ
Titoli titoli a reddito fisso di – titoli a reddito –
Cassa DD.PP.(a) fisso (a)
Prestiti fondi del Tesoro al passivo – – –
di ICS (b)
Azioni partecipazioni della – azioni (a) –
Cassa DD.PP. (c)
Totale somma strumenti – somma strumenti –
PASSIVITÀ
Biglietti monete (d), al netto delle – – –
e monete giacenze in cassa al Tesoro e
BdI
Depositi depositi in tesoreria e in in – – –
c/c, libretti e buoni fruttiferi
postali(d)
Titoli Bot (h), titoli a medio/lungo titoli di enti locali – obbligazioni
termine (a) (i)
ferroviarie (a)
Prestiti finanziamenti da BdI e UIC, debiti delle – prestiti degli ICS a
finanziamenti di ICS al Amm.ni comunali Ferrovie e a Tesoro;
Tesoro(e), e provinciali (c) al prestiti da estero (f)
prestiti da estero (f) netto dei titoli (dal e da Cassa DD.PP.
1958 al 1962)
Riserve – – quota di riserve –
tecniche all’attivo delle
famiglie (g)
Totale somma strumenti somma strumenti somma strumenti somma strumenti
(a) Fonte: Bollettino della Banca d’Italia, 1968, tavola “Valori mobiliari: consistenze ed emissioni
annuali nette, suddivise per gruppi di investitori” (pagg. 614-21). – (b) I fondi in lire si compongono
di: i) istituti di credito all’industria e alle opere pubbliche (Tesoro dello Stato, Cassa per il
mezzogiorno, fondi forniti dalle regioni e dal Mediocredito, gestioni speciali IMI e FIM); ii) istituti di
credito fondiario ed edilizio (Tesoro dello Stato); iii) istituti di credito agrario: anticipazioni dello
Stato. I fondi in valuta sono le gestioni speciali IMI (ERP e finanziamento area sterlina) attivate dagli
istituti speciali di credito all’industria e alle opere pubbliche. – (c) Fonte: Annuario statistico
italiano, Istat, vari anni, tavola “Situazione dei principali enti di finanziamento”; dal 1948 al 1956 i
dati si riferiscono alla situazione della Cassa DD.PP., per gli anni seguenti sono disponibili solo dati
sintetici sugli enti di finanziamento, di cui la Cassa DD.PP. fa parte. – (d) Fonte: Sommario di
statistiche storiche (1926-1985), Istat – (e) Fonte: Bollettino della Banca d’Italia, 1963, tavola
“Situazione degli istituti speciali per il credito all’industria e alle opere pubbliche” (pag. 508); dati
solo per gli anni 1961-62. – (f) Stime su dati di Della Torre (1984); l’autore, nella costruzione delle
matrici dei rapporti intersettoriali, evidenzia i rapporti tra settore pubblico e resto del mondo. – (g)
Per la stima delle riserve matematiche vantate dalle famiglie verso gli enti di previdenza si veda il
paragrafo 2.1. – (h) Fonte: Bollettino della Banca d’Italia, 1963, tavola “Debito pubblico interno”
(pag. 642); includono gli interessi. – (i) Fonte: Bollettino della Banca d’Italia, vari anni.
128 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
In assenza di specifiche informazioni, si sono considerate nulle le
attività delle Amministrazioni pubbliche verso non residenti fino al 1962.
Le consistenze degli strumenti finanziari all’attivo, dunque, includono la
sola componente verso residenti.
2.4 I rapporti con i non residenti
Il conto finanziario del resto del mondo per il periodo 1950-1962
risulta direttamente dall’identificazione dei rapporti con l’estero dei settori
residenti, riportati nei rispettivi conti finanziari:
i) “economia” (famiglie e imprese): poiché nel 1963 le famiglie
risultavano indebitate solo con residenti, le attività finanziarie dei non
residenti verso l’economia sono limitate alle passività estere delle
imprese nella forma di prestiti, titoli e azioni. Quanto alle passività, i
rapporti con l’economia riguardano i prestiti concessi dalle imprese
residenti, le azioni estere detenute dalle famiglie e dalle imprese, e le
altre attività verso l’estero delle famiglie;
ii) Banca centrale: all’attivo del resto del mondo sono classificati i
depositi presso la Banca d’Italia e i prestiti concessi all’UIC. Al
passivo dei non residenti figurano l’oro, i biglietti e i prestiti;
iii) aziende di credito e ICS: i rapporti attivi del resto del mondo sono
limitati ai prestiti in valuta agli ICS. I depositi e i prestiti al passivo del
resto del mondo sono stati invece stimati utilizzando le informazioni
sul 196316;
iv) Amministrazioni pubbliche: i prestiti concessi dal resto del mondo e i
titoli pubblici nel portafoglio dei non residenti sono stati stimati sui dati
di Della Torre (1984). Nel 1963 non risultavano consistenze di depositi
presso l’Amministrazione centrale e, pertanto, si sono considerati
all’attivo del resto del mondo i soli depositi presso la Banca centrale.
Coerentemente con quanto accade negli anni successivi, fino al 1962
non risultano passività del resto del mondo verso le Amministrazioni
pubbliche.
__________
16
Si è ipotizzato che i depositi presso l’estero corrispondessero alla voce “altri depositi” delle
aziende di credito; nel 1963 questi erano pari a circa il 10 per cento del totale dei depositi del
sottosettore. Tale percentuale è stata utilizzata per stimare la componente sull’estero dei depositi
anche negli anni precedenti. Per quanto riguarda i prestiti concessi da aziende di credito e ICS, la
componente verso l’estero nel 1963 pesava circa il 3 per cento; con tale percentuale sono stati
stimati i prestiti esteri nel periodo 1950-1962.
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 129
3. La ricostruzione dei conti finanziari dal 1963 al 2004
Nella presente sezione si descrive la ricostruzione dei conti
finanziari per gli anni dal 1963 al 2004. Sono analizzate la composizione
dei settori istituzionali e la definizione degli strumenti finanziari.
Per quanto riguarda le fonti utilizzate, è possibile suddividere questo
periodo in 4 intervalli:
i) dal 1963 al 1970: i dati sono tratti da Caron e Cotula (1971) che, a
distanza di pochi anni dalla prima tavola dei conti finanziari relativa
all’anno 1964, presentano le tavole dal 1963 al 1970 insieme alle
statistiche sull’economia. I due set di dati risultano pertanto
direttamente comparabili;
ii) dal 1971 al 1988: i dati sono tratti dalle tavole pubblicate nella
Relazione della Banca d’Italia, nell’ultima versione disponibile17;
iii) dal 1989 al 1994: le serie sono quelle dell’archivio elettronico dei
conti finanziari. I dati rispettano i criteri del SEC79;
iv) dal 1995 al 2004: sono i conti finanziari attuali. Le serie sono prodotte
conformemente al SEC95. I dati si riferiscono all’aggiornamento del
giugno 2005.
A differenza degli anni 1950-1962, dal 1963 in poi esistono già
pubblicazioni simili agli odierni conti finanziari. Più che alla produzione ex
novo dei conti finanziari a partire da informazioni di base, il contributo del
presente lavoro sul 1963-2004 si è concretizzato principalmente nella ri-
organizzazione delle statistiche già disponibili. Queste, pur essendo state
prodotte e pubblicate nell’ambito di un sistema contabile internamente
coerente, rispondevano a criteri di classificazione dei settori istituzionali e
degli strumenti finanziari variabili negli anni e spesso molto diversi dagli
attuali; in corrispondenza dell’introduzione delle innovazioni
metodologiche si sono verificate pertanto discontinuità nelle serie storiche
originarie.
Nel corso degli anni i conti finanziari hanno subìto innovazioni sotto
una duplice spinta: (i) la necessità di uniformarsi ai criteri stabiliti
__________
17
Nel 1989 la produzione viene sospesa per lasciare spazio ad una profonda revisione che consente
nel 1991 la pubblicazione dei nuovi conti finanziari, nei quali l’articolazione dei settori istituzionali
e la classificazione degli strumenti finanziari si basa sul nuovo Sistema europeo di conti economici
integrati (SEC79).
130 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
nell’ambito del sistema europeo dei conti, anch’essi, peraltro, in continua
evoluzione; (ii) l’esigenza di una sempre maggiore integrazione nella
sequenza dei conti previsti nella contabilità nazionale, in particolare con il
conto della formazione del capitale.
I principali interventi hanno comportato: cambiamenti della
classificazione delle unità istituzionali (ovvero dei settori nei quali esse
vengono raggruppate)18; il ricorso ai dati della bilancia dei pagamenti
economica in luogo di quelli della bilancia valutaria; l’utilizzo di statistiche
più dettagliate, disponibili anno dopo anno, per una valutazione più
accurata dei fenomeni finanziari19; l’inclusione di nuovi strumenti nati nel
corso del tempo per effetto dell’innovazione finanziaria.
Tenuto conto della molteplicità delle fonti a cui si è fatto ricorso, i
problemi principali per la ricostruzione di serie uniformi dal 1963 a oggi
sono derivati dalle differenze di classificazione delle unità istituzionali e
delle operazioni finanziarie, oltre che dai diversi criteri di valutazione delle
consistenze.
Per quanto riguarda il passaggio al SEC95, in particolare, il manuale
prescrive: (i) la valutazione al valore di mercato per gli strumenti finanziari
quotati e per i derivati; (ii) l’adozione del principio della competenza
economica. Se il primo elemento non costituisce, almeno in linea di
principio, una rottura netta rispetto al passato (gli strumenti scambiati su un
mercato sono sempre stati valutati ai prezzi di mercato), la valutazione per
competenza in luogo di quella basata sui movimenti di cassa è
un’innovazione metodologica che può portare, specialmente in certi casi
(titoli e prestiti a lunga scadenza), a valutazioni piuttosto diverse. Altri
interventi di rilievo, che hanno contribuito a rivedere negli anni la
metodologia di stima, sono stati: la riorganizzazione dei dati del bilancio
della Banca d’Italia; la valutazione delle azioni non quotate; il passaggio di
alcune unità istituzionali dagli enti di previdenza (rientranti nelle
__________
18
L’odierna settorizzazione delle unità istituzionali si articola in: società non finanziarie, società
finanziarie, Amministrazioni pubbliche, famiglie e istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle
famiglie, resto del mondo. Con il SEC95 è stato cancellato il settore delle “partite non classificabili
e sfasamenti”, che in origine raccoglieva le somme non attribuibili ai settori noti. L’eliminazione
ha comportato il ricorso a ipotesi specifiche. Ad esempio, nella bilancia dei pagamenti sono censite
anche operazioni per le quali non si conosce il tipo di strumento o il settore che l’ha effettuata.
19
Nei conti finanziari si prevedono attualmente i seguenti strumenti: oro monetario e diritti speciali
di prelievo; biglietti, monete e depositi a vista; altri depositi; titoli (a breve termine e medio/lungo
termine); derivati; prestiti (a breve termine e medio/lungo termine); azioni e altre partecipazioni;
quote di fondi comuni; riserve tecniche di assicurazione; altri conti attivi e passivi.
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 131
Amministrazioni pubbliche) alle imprese di assicurazione e fondi pensione
(appartenenti alle società finanziarie); l’introduzione del sottosettore degli
“ausiliari finanziari”; l’impiego delle informazioni sui prestiti e sui depositi
bancari per l’universo delle banche segnalanti, in luogo di un campione
rappresentativo.
Nel presente lavoro ci si è sforzati di mettere a disposizione
dell’utilizzatore finale un dataset depurato, per quanto possibile, delle
discontinuità metodologiche originarie, prestando la massima attenzione,
d’altra parte, a utilizzare il contenuto informativo delle informazioni di
partenza rispettando i vincoli di coerenza interna del sistema20. Abbiamo
preferito, almeno in questa prima fase, indirizzare il lavoro di
armonizzazione agli aggiustamenti di classificazione poiché questi sono, a
nostro parere, quelli che avrebbero presentato le maggiori difficoltà per un
utilizzatore esterno dei conti finanziari, soprattutto per l’impossibilità di
accedere a tutte le informazioni necessarie, in molti casi non pubblicate e
disponibili solo all’interno della Banca d’Italia. Il risultato è che le serie
presentate, anche se non sempre ricostruite al valore di mercato e
applicando il principio della competenza economica21, seguono una
classificazione dei settori istituzionali e degli strumenti finanziari simile a
quella attualmente utilizzata nel Supplemento trimestrale al Bollettino
Statistico ”Conti finanziari” e nelle tavole della Relazione annuale della
Banca d’Italia. Questa scelta renderà agevole l’aggiornamento futuro delle
serie storiche. Nei paragrafi che seguono sono illustrate le situazioni di
partenza, le scelte effettuate e i risultati ottenuti.
3.1 I settori istituzionali
La classificazione dei settori istituzionali nella presente ricostruzione
ricalca, in generale, quella originariamente impiegata nelle fonti statistiche
utilizzate. Di seguito si dà conto delle innovazioni principali.
3.1.1 Famiglie
Il settore delle famiglie è quello che subisce, insieme alle imprese, i
maggiori cambiamenti di composizione nel corso degli anni. Ciò avviene
in particolare a causa dei diversi criteri utilizzati per identificare le
__________
20
Quando si considerano tutti i settori istituzionali, sia quelli residenti sia il resto del mondo, per ogni
strumento finanziario il totale delle attività deve essere uguale al totale delle passività.
21
Per una discussione delle possibili conseguenze si rimanda alle conclusioni del lavoro.
132 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
“famiglie produttrici”22, le quali, a partire dal 1989, sono classificate
all’interno del settore delle famiglie insieme alle “famiglie consumatrici”.
Dal 1963 al 1970 le famiglie includono “tutte le unità che hanno
come funzione tipica, nel campo dell’attività economica, il consumo di
beni e servizi, e le cui fonti di finanziamento sono principalmente costituite
dalla remunerazione dei fattori di produzione e dai trasferimenti”23; fino al
1970, pertanto, le famiglie produttrici non rientrano nel perimetro del
settore24. Erano invece incluse le istituzioni senza scopo di lucro al servizio
delle famiglie: essendo i conti finanziari delle famiglie in qualche caso
calcolati per differenza, cioè come residuo rispetto agli altri settori, le
consistenze dei vari strumenti finanziari finivano per comprendere anche le
quote di competenza di tali unità istituzionali, non esplicitamente
settorizzate nei conti finanziari25.
Nei dati dal 1971 al 1988, pubblicati nelle tavole “Attività e
passività finanziarie del paese” della Relazione della Banca d’Italia, il
settore famiglie dei conti finanziari comprende le famiglie “nel senso di
individui o gruppi di individui in quanto consumatori”26.
Successivamente, dal 1989 al 1994, in accordo con il SEC79, oltre
alle famiglie consumatrici e alle istituzioni senza scopo di lucro al servizio
delle famiglie (ISSF), sono classificate nelle famiglie anche le imprese
individuali con un massimo di venti addetti (famiglie produttrici)27. Con il
SEC95, il confine tra il settore delle famiglie e quello delle imprese,
rinominato in società non finanziarie, viene ridisegnato. Nel recepire le
indicazioni del SEC95, adattandole al caso italiano, si è infatti deciso di
__________
22
Imprese individuali e società semplici o di fatto, la cui funzione sia di produrre beni e servizi non
finanziari destinabili alla vendita.
23
Cfr. Ercolani e Cotula (1969, p. 44), a cui gli stessi Caron e Cotula (1971) rimandano per un
riepilogo delle definizioni dei settori e degli strumenti finanziari apparse in vari anni sui Bollettini
e sulle Relazioni delle Banca d’Italia.
24
Ercolani e Cotula (1969, p. 43) affermano, tuttavia, che si sarebbe proceduto a un “isolamento delle
imprese individuali di minori dimensioni e al loro trasferimento nel settore famiglie” non appena
“l’affinamento delle fonti statistiche” lo avesse consentito.
25
Tra queste unità troviamo gli enti religiosi, di assistenza e istruzione, con finalità culturali,
sindacali, politiche, sportive, ricreative e simili. È ragionevole ritenere che le quote di competenza
di tali unità fossero comunque di entità trascurabile.
26
Cfr. Glossario nell’Appendice alla Relazione annuale della Banca d’Italia sull’anno 1983, e
seguenti. Nell’Appendice alla Relazione sul 1988 si specifica che nelle famiglie rientrano anche le
istituzioni senza finalità di lucro e le unità non classificabili.
27
I titoli al passivo del settore dal 1989 al 1994 sono costituiti da accettazioni bancarie delle imprese
individuali che poi passeranno tra le società non finanziarie.
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 133
ridurre da venti a cinque la soglia sul numero di addetti perché una società
di fatto o un’impresa individuale possa essere classificata tra le famiglie.
Ne consegue un ampliamento del settore delle imprese a scapito delle
famiglie. Questo è probabilmente il motivo di discontinuità più rilevante
nelle serie storiche presentate.
3.1.2 Imprese (società non finanziarie)
Per la composizione del settore delle imprese fino al 1970 vale
quanto detto per le famiglie. Secondo la definizione di Ercolani e Cotula
(1969, p.43), le imprese raggruppano “le unità istituzionali la cui funzione
principale consiste nel produrre beni e servizi scambiabili sul mercato”; vi
rientrano pertanto, senza distinzione, le imprese pubbliche, private, o a
partecipazione statale, nonché le imprese individuali, alcune delle quali,
identificate come famiglie produttrici, passeranno poi nel settore famiglie.
Erano inoltre incluse, per mancanza di informazione diretta, le società di
prestiti e finanziamenti.
Dal 1971 al 1988 le Appendici alla Relazione annuale della Banca
d’Italia riportano in questa categoria le imprese private, quelle pubbliche
(Enel e partecipazioni statali) e gli altri enti pubblici minori non compresi
nel settore pubblico. Nei dati fino al 1988 le aziende autonome fanno parte
delle Amministrazioni pubbliche, per poi passare tra le società non
finanziarie nel corso degli anni ottanta, in seguito alla trasformazione in
imprese pubbliche.
Nei conti finanziari dal 1989 al 1994, conformemente al SEC79, le
imprese (rinominate in società non finanziarie) includono le società e
quasi-società28 private e pubbliche, tra cui le ex-aziende autonome, le
Ferrovie dello Stato, le aziende municipalizzate, provincializzate e
consortili, l’Enel, le imprese a partecipazione statale, le altre imprese
pubbliche. Rientrano nel settore anche le finanziarie di partecipazione (sia
pubbliche sia private) 29.
Il SEC95 ha ridefinito, come già spiegato, il confine tra le famiglie e
le imprese. Tra le unità prima classificate come famiglie e oggi come
__________
28
In questi anni per quasi-società si intendono le imprese individuali, le società di persone e le
società di fatto con un numero di addetti pari o superiore alle venti unità.
29
In termini dell’attuale settorizzazione (SEC95), il settore delle imprese pubblicato fino al 1994
comprendeva unità istituzionali ora classificate come società e quasi-società non finanziarie,
imprese individuali o istituzioni finanziarie.
134 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
società finanziarie rientrano: i) le società in accomandita semplice e quelle
in nome collettivo fino a venti addetti; ii) le società semplici, di fatto e le
imprese individuali con un numero di addetti compreso tra cinque e venti.
Tale riclassificazione ha avuto impatto in particolare sui prestiti al passivo
del settore.
3.1.3 Società finanziarie
La composizione del settore delle società finanziarie nella presente
ricostruzione rimane sostanzialmente invariata fino al 1984, quando alla
Banca d’Italia, all’UIC, alle aziende di credito, agli ICS e alle imprese di
assicurazione si aggiungono i fondi comuni di diritto italiano, introdotti
con la legge n. 77/1983. Dal 1985 il settore include anche le società di
finanziamento, ovvero le società di leasing, factoring e credito al
consumo30. L’importanza di questi intermediari nel mercato dei
finanziamenti era comunque trascurabile in passato.
Con la pubblicazione dei conti finanziari secondo il SEC79, e quindi
nei dati dal 1989 al 1994, le società finanziarie si compongono, oltre che
della Banca centrale e delle imprese di assicurazione, di aziende di credito,
istituti di credito speciale31, istituti di rifinanziamento, fondi comuni,
società di finanziamento e altre imprese finanziarie.
Con il SEC95 il settore assume la denominazione di “società
finanziarie” e si compone di tutte le società e le quasi-società la cui
funzione principale consiste nel fornire servizi di intermediazione
finanziaria e/o nell’esercitare attività finanziarie ausiliarie. Ne fanno parte i
seguenti sottosettori: (i) le istituzioni finanziarie monetarie, ovvero la
Banca d’Italia, le banche e i fondi comuni monetari; (ii) gli altri
intermediari finanziari32; (iii) gli ausiliari finanziari33; (iv) le imprese di
assicurazione e fondi pensione.
__________
30
I finanziamenti concessi dalle società di leasing e di factoring sono inclusi tra le passività delle
imprese. I finanziamenti concessi dalle società di credito al consumo sono compresi tra le passività
delle famiglie.
31
Con i decreti legislativi 14.12.1992, n. 481, e 1.9.1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia
bancaria e creditizia) in vigore dal gennaio 1994, nell’ordinamento bancario italiano sono state, tra
l’altro, eliminate le distinzioni tra gli enti operanti prevalentemente nel breve (aziende di credito) e
nel medio e lungo termine (istituti di credito speciale). Tutti gli enti creditizi hanno assunto la
denominazione di “banche”.
32
Comprendono gli intermediari finanziari, diversi dalle assicurazioni e dai fondi pensione, la cui
funzione principale consiste nel fornire servizi di intermediazione finanziaria mediante
(continua)
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 135
I dati dal 1995 riflettono l’importanza crescente assunta dai fondi
comuni e, a partire dal 1999, dalle società di cartolarizzazione, classificati
tra gli altri intermediari finanziari. Dal 2003, con la trasformazione in
società per azioni, rientra in questo sottosettore anche la Cassa DD.PP. Le
consistenze attive e passive di questo intermediario passano quindi dai
conti delle Amministrazioni pubbliche a quelli delle società finanziarie. Un
impatto più contenuto si deve all’introduzione del nuovo sottosettore degli
ausiliari finanziari, con il quale entrano a far parte delle società finanziarie
unità istituzionali quali la Consob, l’Istituto per la vigilanza sulle
assicurazioni private e di interesse collettivo (Isvap), e la Commissione di
vigilanza sui fondi pensione (Covip), in precedenza classificate tra le
Amministrazioni pubbliche.
In considerazione del ruolo centrale svolto dalle istituzioni creditizie
nel sistema finanziario italiano, si è data evidenza separata alle banche.
Esse includono le aziende di credito e gli istituti di credito speciale fino al
1994. Tale distinzione, basata sulla durata del credito erogato, è stata
abbandonata, dopo il Testo unico bancario del 1993, in favore dell’unico
raggruppamento, “banche”, nel quale rientrano tutti gli enti creditizi.
In sintesi, dal 1950 ad oggi, le società finanziarie rappresentano il
settore con le minori discontinuità nella definizione delle unità che vi fanno
parte.
3.1.4 Amministrazioni pubbliche
Nei dati dal 1963 al 1970 le unità istituzionali che compongono le
Amministrazioni pubbliche sono quelle considerate nella prima parte della
ricostruzione: l’Amministrazione centrale, gli enti locali, gli istituti di
previdenza e le aziende autonome. Nel perimetro dell’Amministrazione
____________________________________________________________
l’assunzione di passività in forme diverse dalla moneta, dai depositi e da strumenti assimilabili
(provenienti da soggetti diversi dalle istituzioni finanziarie monetarie) e dalle riserve tecniche di
assicurazione. Ad esempio, ne fanno parte le società di intermediazione mobiliare (SIM), le società
di leasing, le società di factoring, i fondi comuni di investimento mobiliare; le società di
investimento a capitale variabile (Sicav).
33
Vi rientrano le unità istituzionali la cui funzione principale consiste nell’esercitare attività
strettamente connesse all’intermediazione finanziaria, ma non costituenti esse stesse
intermediazione finanziaria. Tra queste, le società di gestione dei fondi, gli enti preposti al
funzionamento dei mercati (es. Monte Titoli S.p.a, Borsa S.p.a), le associazioni bancarie e tra
imprese finanziarie e assicurative, gli agenti di cambio, i mediatori, gli agenti e i consulenti di
assicurazione e i promotori finanziari. Dal 1998 il sottosettore include l’Ufficio italiano dei cambi,
in precedenza classificato tra le Autorità bancarie centrali.
136 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
centrale rientra anche la Cassa DD.PP., per il nesso operativo esistente tra
la sua gestione e quella del Tesoro34. Rientrano negli enti locali
(denominati “enti territoriali”) le regioni, le province e i comuni. Dal punto
di vista finanziario, tali enti assorbono prevalentemente i fondi raccolti
dalla Cassa DD.PP. e li impiegano per lavori pubblici o per far fronte ai
disavanzi di gestione. Gli istituti di previdenza raccolgono, conformemente
alla definizione del SEC68, le unità istituzionali la cui funzione principale
consiste nel fornire prestazioni sociali e le cui fonti di finanziamento sono
prevalentemente costituite da contributi sociali obbligatori. Il loro ruolo
finanziario si realizza nell’investire le riserve matematiche che, per legge,
sono obbligati a costituire nell’esercizio della loro funzione istituzionale. I
conti finanziari degli istituti di previdenza includono le attività dell’INPS,
INAM e INAIL e di tre istituti di previdenza allora amministrati dal
Tesoro35; sono invece assenti i dati per altri enti minori. Tra le aziende
autonome sono incluse le amministrazioni che, pur inserite
nell’organizzazione dello Stato, svolgono attività produttive di beni e
servizi per le quali il fine pubblico prevale sul conseguimento del profitto.
Il settore pubblico non cambia la sua composizione fino al 1989,
quando, con il recepimento del SEC79, viene rinominato in
Amministrazioni pubbliche.
Nelle statistiche dal 1989 al 1994, l’Amministrazione centrale
include l’Amministrazione statale, gli organi costituzionali, l’Agenzia per
il Mezzogiorno, la Cassa DD.PP., la gestione delle ex foreste demaniali,
l’ANAS e altri enti. Il sottosettore delle amministrazioni locali è stato
ampliato per comprendere, oltre a regioni, province e comuni, anche altri
enti pubblici la cui competenza è territorialmente limitata: tra questi,
ospedali pubblici, unità sanitarie locali, enti di assistenza locali, università,
camere di commercio. La principale novità nella definizione del settore
pubblico nel corso di questi anni, comunque, è la progressiva scomparsa
delle aziende autonome, molte delle quali vengono trasformate in imprese
pubbliche e sono quindi riclassificate nel settore delle società non
finanziarie36. Fanno eccezione l’ANAS e le ex Foreste demaniali che, non
__________
34
In particolare, la gestione dei conti correnti e del risparmio postale, che alimentano le attività della
Cassa, sono affidate all’Azienda autonoma Poste e telecomunicazioni, ma sono contabilizzate nel
conto della Cassa DD.PP., perché considerate effettuate per conto di quest’ultima.
35
Istituto nazionale assistenza dipendenti enti locali (INADEL); Ente nazionale di previdenza ed
assistenza per i dipendenti statali (ENPAS); Ente nazionale di previdenza per i dipendenti da enti di
diritto pubblico (ENPDEDP).
36
Tra le operazioni principali ricordiamo: la trasformazione delle Ferrovie dello Stato in S.p.A.
(continua)
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 137
producendo beni e servizi vendibili sul mercato, restano nel settore delle
Amministrazioni pubbliche.
L’impatto dell’adozione del SEC95 sui conti finanziari dal 1995 in
poi è dovuto principalmente a due fattori: (i) alcune unità istituzionali
passano al nuovo settore degli ausiliari finanziari37; (ii) i fondi di
previdenza che erogano le prestazioni secondo il criterio della
capitalizzazione dei contributi versati dai lavoratori escono dalle
Amministrazioni pubbliche, passando dagli enti di previdenza alle società
finanziarie (in particolare al sottosettore delle imprese di assicurazione e
fondi pensione).
A partire dal 1950 le statistiche finanziarie disponibili sul settore
pubblico hanno beneficiato progressivamente della disponibilità di fonti
informative più accurate. Queste hanno consentito, da un lato, una migliore
individuazione delle unità che rientrano nel perimetro delle
Amministrazioni pubbliche, dall’altro di misurare in modo più appropriato
le sue attività e passività finanziarie.
3.1.5 Il resto del mondo
Il settore include tutte le unità economiche non residenti38 sul
territorio nazionale, limitatamente alle operazioni che queste effettuano con
le unità residenti, appartenenti a uno dei settori interni: famiglie, imprese,
società finanziarie e Amministrazioni pubbliche.
Il resto del mondo è consolidato al suo interno, poiché per esso non
si rilevano le consistenze di attività e passività finanziarie le cui controparti
sono entrambe non residenti e che dunque non alterano la posizione
dell’Italia verso l’estero.
____________________________________________________________
(1992); la ridenominazione dell’Amministrazione delle Poste e telecomunicazioni in Poste italiane
(1994) e la successiva trasformazione in S.p.A. (1997); la soppressione dell’Azienda di Stato per i
servizi telefonici, ASST, (1992) e il successivo trasferimento del capitale a Telecom Italia (1994).
37
Cfr. paragrafo 3.1.3.
38
In accordo con la definizione del manuale della bilancia dei pagamenti del Fondo monetario
internazionale (1993), una unità istituzionale viene definita residente in un paese se ha sul territorio
economico di tale paese il suo centro di interesse economico, ovvero se compie per un lungo
periodo (1 anno o più) operazioni economiche e finanziarie su tale territorio.
138 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
3.1.6 Le partite non classificabili
Fino all’introduzione del SEC95 nei conti finanziari italiani si
prevedeva anche un settore supplementare denominato “partite non
classificabili e sfasamenti”, al quale venivano assegnate le consistenze
attive (o passive) per le quali le informazioni disponibili non consentivano
di individuare l’effettivo settore detentore39. Nella presente ricostruzione si
è scelto di continuare a pubblicare in evidenza separata il settore “partite
non classificabili”, per evitare che scelte arbitrarie nella riattribuzione agli
altri settori delle poste inizialmente non identificate potessero inficiare il
contenuto informativo dei dati di origine.
Le poste attribuite al settore “partite non classificabili” nel primo
periodo della presente ricostruzione sono di entità comparabile con quelle
pubblicate negli anni successivi: tra il 1950 e il 1962 le attività attribuite a
questo settore sono in media pari all’1,2 per cento del totale delle attività
finanziarie, contro un valore medio dell’1,5 per cento dal 1963 al 1994. Le
tavole presentate per questi anni posseggono quindi un grado di coerenza
interna in linea con quelle elaborate dai produttori dei primi conti
finanziari.
3.2 Gli strumenti finanziari
La produzione di serie storiche quanto più possibile continue per il
periodo 1950-2004 ha richiesto particolare cura nella riclassificazione degli
strumenti finanziari. Come primo passo si è cercato di applicare anche per
il passato una classificazione coerente con quella odierna dei conti
finanziari italiani. Tale modo di operare è stato seguito anche nella fase di
costruzione dei conti finanziari per gli anni 1950-1962, quando le
informazioni di base, nella gran parte dei casi provenienti dai bilanci delle
varie unità, sono state riorganizzate e aggregate coerentemente con quanto
avviene negli anni seguenti.
Dopo la pubblicazione, nella Relazione della Banca d’Italia per
l’anno 1964, dei flussi di attività e passività finanziarie dell’Italia, nel
Bollettino n. 1 del 1965 viene auspicata l’elaborazione di una tavola anche
__________
39
A ogni attività finanziaria corrisponde ovviamente una passività. Ne consegue che, se si considera
anche il resto del mondo, per ogni strumento finanziario la somma delle consistenze all’attivo di
tutti i settori deve essere uguale al valore ottenuto sommando tutti gli ammontari al passivo.
Tuttavia, l’uso di informazioni eterogenee per la rilevazione dei fenomeni può comportare
discrepanze.
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 139
per le consistenze. Si sottolinea, infatti, che “di grande utilità sarebbe la
costruzione di conti finanziari fondati su dati di consistenza, anziché di
variazione. Essi, oltre a fornire la misura della quota di ricchezza nazionale
che assume forma finanziaria, gioverebbero a chiarire il significato delle
variazioni, non disgiungibile, per ciascuna unità economica e per ciascun
valore, dalla struttura finanziaria inizialmente esistente”. La prima tavola
delle consistenze compare nella Relazione sull’anno 1965; il formato
adottato, ispirato a quello utilizzato dal Federal Reserves System, non si
discosta significativamente da quello odierno.
Nelle tavole dei conti finanziari gli strumenti sono riportati sulle
righe e i settori sulle colonne; nel presente lavoro viene proposta una
“fiancata” basata sui seguenti dieci strumenti finanziari: oro monetario e
Diritti speciali di prelievo (DSP); biglietti e monete; depositi; prestiti; titoli;
azioni e altre partecipazioni; quote di fondi comuni; riserve tecniche di
assicurazione; altre attività e passività; crediti e debiti commerciali (come
“di cui” della voce precedente).
La definizione degli strumenti nelle prime tavole dei conti finanziari
pubblicati dalla Banca d’Italia si basava su alcuni principi ancora oggi
riconosciuti validi dai principali sistemi di contabilità nazionale (System of
national accounts 1993 e Sistema europeo dei conti 1995), tali dunque da
offrire una base comune a dati che coprono oltre mezzo secolo. I principali
di questi criteri sono:
i) i conti finanziari rilevano le transazioni che comportano variazioni
nelle attività e passività finanziarie di una unità economica, sia che
traggano origine da un trasferimento di beni e servizi sia che derivino
da una operazione puramente finanziaria40. Nel primo caso la
ricchezza finanziaria del settore risulta modificata, nel secondo caso
varia solo la composizione della ricchezza, ma non il suo livello;
ii) le operazioni sono registrate su base netta. Gli acquisti di attività
finanziarie sono al netto delle cessioni, mentre le passività sono
calcolate al netto di quelle rimborsate41;
__________
40
I dati di stock e di flusso sono legati da una precisa relazione: lo stock di ogni strumento
finanziario posseduto al termine del periodo è pari al valore detenuto all’inizio del periodo
sommate le transazione effettuate, le variazione in volume e le rivalutazioni subite dallo strumento.
41
Inoltre, nell’ambito di un settore, la variazione di una categoria di attività non è mai calcolata al
netto della variazione di una diversa categoria di passività, anche quando la prima dipenda dalla
seconda. Ad esempio, l’acquisto di azioni non è pubblicato al netto dei fondi presi a prestito per
(continua)
140 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
iii) i conti possono essere consolidati e non consolidati. Nel conto
consolidato le operazioni effettuate da una unità istituzionale sono
rese al netto di quelle che hanno avuto come controparte una unità
appartenente allo stesso settore42. I conti finanziari italiani sono stati
sempre pubblicati su base non consolidata43;
iv) la classificazione delle operazioni finanziarie e delle attività e
passività finanziarie è fondata sulla liquidità degli strumenti finanziari.
Uno strumento è tanto più liquido quanto più rapidamente può essere
convertito in mezzi di pagamento e minori sono i costi di transazione e
le perdite in conto capitale in cui si può incorrere.
I conti finanziari sono stati compilati per cassa fino al 1994: la
transazione veniva quindi registrata nel momento del versamento della
contropartita. Con l’introduzione del SEC95, la compilazione segue invece
il criterio della competenza economica: le operazioni sono registrate nel
momento in cui nascono, vengono trasformate o vengono estinte. Prima
dell’introduzione del SEC95, inoltre, la valutazione degli strumenti era
sostanzialmente al valore nominale, in quanto il valore di mercato era
applicato solo quando le fonti lo rendevano disponibile. Le consistenze
riflettono i criteri utilizzati nella registrazione dei flussi.
A causa della limitata disponibilità di informazioni di dettaglio per il
periodo fino al 1950-1962, nel lavoro non viene pubblicata, per i titoli e i
prestiti, la disaggregazione tra breve e medio/lungo termine, così come non
si distinguono i depositi a vista da quelli a termine. Tale scelta ha
consentito di evitare problemi nella continuità dei dati dovuta al
modificarsi delle definizioni della scadenza, salvaguardando la validità
dell’interpretazione dei fenomeni economici.
Le consistenze di crediti e debiti commerciali sono presentate come
dettaglio della voce “altre attività e passività”, coerentemente con quanto
avviene oggi. Questo strumento rappresenta un esempio del concetto di
registrazione secondo il principio della competenza economica ed è stato
____________________________________________________________
finanziare l’investimento azionario.
42
Il conto consolidato e non consolidato di un settore presentano lo stesso
accreditamento/indebitamento e attività finanziaria netta.
43
L’unica eccezione a tale criterio è stata la pubblicazione del sottosettore Amministrazioni centrali
su base consolidata dal 1989 al 1994. Si veda l’Appendice alla Relazione della Banca d’Italia sul
1991.
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 141
evidenziato solo di recente nelle tavole dei conti finanziari; si è dunque
ritenuto opportuno mostrarlo in evidenza separata.
Nei paragrafi che seguono si fornisce una descrizione dettagliata
degli strumenti finanziari che compaiono nelle tavole di questa
ricostruzione.
Oro e Diritti speciali di prelievo (DSP)
Nella prima tavola dei conti finanziari è presente la riga dedicata
all’oro monetario, cioè al metallo posseduto dai diversi settori come riserva
di valore. Secondo la metodologia prevista dalla prima versione del SEC,
la rilevazione doveva riguardare l’oro posseduto da tutti i settori, con
eccezione di quello destinato a usi industriali. La mancanza di dati statistici
fa sì che venisse rilevato solo l’oro posseduto da BI-UIC44. Il resto del
mondo veniva indicato come settore di contropartita. Per continuità con la
vecchia classificazione, nelle tavole l’estero viene indicato come debitore
dell’oro, anche se il SEC95 non prescrive di registrare una contropartita a
fronte delle attività della Banca centrale45.
I Diritti speciali di prelievo (DSP) appaiono nel 1970. Essi sono
classificati tra i crediti a breve. Nella Relazione sul 1991 si prevede una
voce autonoma per i DSP; nella Relazione sul 1998 i DSP sono sommati
all’oro monetario. Per continuità con la classificazione attuale, per gli anni
dal 1970 al 1990 i DSP sono stati scorporati dai prestiti e sommati all’oro.
Il SEC95 definisce i DSP come attività di riserva della Banca centrale; per
essi, come per l’oro, la contropartita è registrata al passivo del resto del
mondo, nonostante il SEC95 non la prescriva. Questa scelta assicura la
quadratura del sistema contabile.
Biglietti e monete
Fino al 2001 comprendono le banconote e le monete emesse,
rispettivamente, dalla Banca d’Italia e dal Tesoro. Dal 2002, con
l’introduzione dell’euro, la componente italiana della circolazione include
__________
44
In seguito alla totale cessione dell’oro dell’UIC alla Banca d’Italia e al contestuale trasferimento
alla Banca delle riserve valutarie residue, sono venuti meno i presupposti per la classificazione
dell’UIC tra le autorità bancarie centrali. L’UIC mantiene oggi compiti attuativi nell’ambito della
gestione delle riserve per conto della Banca d’Italia.
45
La discontinuità nella serie nel 1976 è dovuta alla rivalutazione del metallo prezioso disposta con
D.L. 30 dicembre 1976, n. 867. Contestualmente venne trasferita una parte dell’oro all’UIC.
142 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
una valutazione convenzionale della circolazione in euro, basata sulla
quota individuale di partecipazione al capitale della Banca centrale
europea, nonché banconote e monete residue in lire46. Fino al 1978 sono
incluse anche le banconote estere in circolazione in Italia. Le consistenze
all’attivo delle famiglie e delle imprese sono calcolate in modo residuale,
deducendo dalle quantità in circolazione i valori detenuti dagli altri settori.
Depositi
La voce comprende i depositi a vista e gli altri depositi. Oltre ai
depositi bancari, le principali poste incluse nella categoria sono: i depositi
del Tesoro presso la Banca d’Italia (conto disponibilità per il servizio di
Tesoreria e fondo ammortamento dei titoli di Stato); i conti correnti postali,
i libretti postali e i buoni postali fruttiferi47; i certificati di deposito; la
riserva obbligatoria delle banche presso la Banca d’Italia. Con il
recepimento del SEC95, dal 1995 i depositi includono i pronti contro
termine al passivo delle banche, in precedenza classificati tra i prestiti.
Prestiti
Sono compresi i prestiti a breve e a medio/lungo termine48. La
disponibilità di informazioni dettagliate ha consentito di scorporare dai
prestiti i crediti e i debiti commerciali dei non residenti verso le imprese a
partire, rispettivamente, dal 1972 e dal 1984. Fino al 1994 i crediti
commerciali interni non sono invece presenti nei conti finanziari annuali
della Banca d’Italia (cfr. infra). Come detto, fino al 1994 in questo
strumento rientrano anche i pronti contro termine passivi delle banche, in
seguito classificati tra i depositi49.
__________
46
Dal 2003 sono escluse le banconote e le monete residue in lire.
47
A dicembre 2003, a seguito della trasformazione della Cassa DD.PP. in società per azioni e della
sua contestuale classificazione tra le società finanziarie, i libretti postali e i buoni postali in carico
alla Cassa Spa sono stati spostati dai depositi al passivo delle Amministrazioni pubbliche a quelli al
passivo delle società finanziarie.
48
Inizialmente nei prestiti a breve erano inclusi i rapporti con scadenza non superiore ai 18 mesi. I
dati dal 1995, in conformità con quanto previsto dal SEC95, includono invece i prestiti con
scadenza inferiore a un anno.
49
Nel 1994 i pronti contro termine passivi delle banche rappresentavano circa il 7 per cento del totale
dei prestiti.
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 143
Titoli
La voce comprende i titoli a breve a medio/lungo termine e, dal
1995, i derivati50. Unitamente alle informazioni bancarie su depositi e
prestiti, le statistiche sulle emissioni dei titoli, già ampiamente commentate
nelle Relazioni degli anni cinquanta e dei primi anni sessanta, hanno
rappresentato una solida base sulla quale costruire i conti finanziari del
Paese. I titoli a breve erano quelli con scadenza non superiore ai 18 mesi: si
trattava sostanzialmente dei BOT emessi dal Tesoro51. Tra i titoli a
medio/lungo termine vi erano, oltre a quelli emessi dallo Stato, quelli delle
imprese52. Le consistenze dei titoli erano contabilizzate al valore nominale.
Un cambiamento rilevante nella pubblicazione di tali statistiche si è
verificato con il passaggio al SEC95. I titoli a breve termine sono distinti
da quelli a medio/lungo termine per la scadenza inferiore o pari a un
anno53. Essi sono espressi al valore di mercato e includono i ratei di
interesse, cioè la quota di interessi maturata ma non ancora corrisposta dal
debitore.
Da segnalare, infine, che, a partire dalla fine degli anni novanta, ai
titoli di Stato (BOT, BTP e CCT), e a quelli emessi dalle imprese, dalle
banche e dal resto del mondo si sono aggiunti i titoli emessi dagli
intermediari finanziari a seguito delle operazioni di cartolarizzazione
seguite all’approvazione della Legge 151/1999.
__________
50
Le serie sui derivati scambiati tra residenti sono stimate a partire dalle segnalazioni di vigilanza.
Per le transazioni in derivati con il resto del mondo ci si avvale delle informazioni fornite dall’UIC.
Tra le consistenze di strumenti derivati si registrano le seguenti tipologie di contratto: forward,
future, opzioni, swap e forward rate agreement.
51
Inizialmente la differenza tra il totale dei BOT emessi e l’ammontare posseduto dalle banche e
dalla Banca centrale era attribuita alle famiglie.
52
Quanto alle sottoscrizioni da parte dei settori, si avevano informazioni per le banche, la Banca
centrale, le imprese di assicurazione, le Amministrazioni pubbliche e il resto del mondo. Il
portafoglio delle imprese veniva stimato sulla base dei risultati di indagini sui bilanci di un
campione di società per azioni. L’ammontare residuale veniva attribuito alle famiglie.
Successivamente, le consistenze dei titoli detenuti dai settori per i quali non erano disponibili
informazioni dirette sono state stimate a partire dai dati relativi ai titoli da questi detenuti in
custodia presso le banche; per questi sono infatti disponibili informazioni tratte dalle segnalazioni
statistiche di vigilanza.
53
Il SEC95 ha continuato a includere le accettazioni bancarie nella categoria dei titoli. Nella tavola
del settore delle famiglie, i titoli al passivo sono costituiti da questo tipo di strumento. Si trattava
delle accettazioni bancarie delle imprese individuali poi riclassificate dal SEC95 tra le società non
finanziarie. Il dato è stato mantenuto in evidenza per rispettare la continuità nella classificazione
dell’operazione.
144 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
Azioni e partecipazioni
Nei conti finanziari degli anni sessanta vengono pubblicate le azioni
e le partecipazioni emesse dalle imprese, dalle banche, dalle assicurazioni e
dal resto del mondo. Per le imprese la stima era ottenuta a partire dai dati
pubblicati dall’Assonime (Associazione tra le società per azioni). Negli
stessi anni compaiono, al passivo delle Amministrazioni pubbliche, le
azioni emesse dalle aziende autonome.
Nel 1978 viene introdotta una importante revisione metodologica. Le
consistenze azionarie al valore di mercato aumentano fortemente rispetto ai
valori stimati nel passato, perché in precedenza esse erano calcolate sulla
base del rapporto tra il valore di mercato e il valore nominale delle società
comprese nel campione della Banca d’Italia. Dal 1978 sono stimate
considerando tutte le società quotate alla Borsa valori di Milano54.
Nelle statistiche qui presentate per gli anni 1979-1988, tuttavia, ai
dati originari sono state preferite stime finalizzate a garantire maggiore
continuità, cercando di applicare anche nel passato le metodologie di stima
e le classificazioni odierne. Tale revisione ha avuto un impatto
significativo sulle attività delle famiglie e sulle attività e passività delle
imprese.
La stima dei dati a partire dal 1995 è stata ulteriormente affinata
grazie alla disponibilità di nuove fonti dirette (ad esempio, Borsa Italiana
Spa, segnalazioni statistiche di vigilanza, Ministero dell’Economia e delle
finanze) e al superamento, per le azioni e partecipazioni all’attivo e al
passivo delle società non finanziarie e degli intermediari finanziari non
bancari, delle stime campionarie precedentemente utilizzate, grazie alla
disponibilità di dati di bilancio riferiti all’universo delle società di capitali.
Per maggiori dettagli sulla metodologia, si rimanda a Banca d’Italia (2003).
Quote di fondi comuni
L’introduzione in Italia dei fondi comuni è avvenuta con la legge n.
77 del 1983. I dati di consistenza sono pubblicati dal 1984, anno in cui la
legge è entrata in vigore. Nelle tavole sugli anni dal 1984 al 1988, le quote
__________
54
Nella nota metodologica alla Relazione annuale sul 1979 si spiega che il cambiamento della base di
riferimento del calcolo era stata decisa perché nel campione Banca d’Italia avevano un forte peso le
società di maggiori dimensioni che erano state caratterizzate negli anni precedenti da una
evoluzione negativa dei corsi azionari e da notevoli aumenti di capitale.
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 145
di fondi comuni emessi da residenti e non residenti risultano detenute
esclusivamente dalle famiglie italiane.
Nei conti finanziari dal 1989 al 1994 i fondi comuni esteri collocati
in Italia non sono pubblicati in evidenza separata, ma inclusi nella voce
“altre” dello strumento “altre attività e passività”. Nella presente
ricostruzione, grazie a informazioni resesi nel frattempo disponibili, è stato
possibile identificare le quote al passivo del resto del mondo e attribuirle
all’attivo dei settori detentori.
Per i dati dal 1995, le informazioni sui fondi comuni italiani sono
tratte dalle segnalazioni statistiche di vigilanza alla Banca d’Italia, prodotte
dalle società di gestione dei fondi. Esse consentono la ripartizione delle
consistenze all’attivo dei settori. Sono inclusi i redditi da capitale
conseguiti, calcolati dall’Istat, che si considerano attribuiti ai sottoscrittori
e simultaneamente reinvestiti nel fondo. Le consistenze di quote di fondi
comuni esteri detenute dai residenti sono stimate a partire da informazioni
sulle acquisizioni nette rilevate nella bilancia dei pagamenti.
Riserve tecniche
Dal 1963 al 1988 la voce, pubblicata come parte delle “Altre attività
e passività”, include le riserve matematiche al passivo delle imprese di
assicurazione e le riserve al passivo degli istituti di previdenza. I dati dal
1984 includono anche le consistenze dei fondi di liquidazione e di
quiescenza, stimati sulla base di dati di fonte Istat e Banca d’Italia55. I
valori figurano all’attivo delle famiglie.
Con la pubblicazione dei conti conformi al SEC79 nascono le riserve
tecniche di assicurazione come strumento finanziario distinto. Sono escluse
le riserve al passivo degli istituti previdenziali pubblici, che nel sistema dei
conti non costituiscono passività del settore. Gli enti di previdenza pubblici
erogano infatti le prestazioni secondo il criterio a ripartizione, utilizzando
le entrate correnti per il pagamento delle pensioni. Essi non detengono
quindi alcun fondo per l’accantonamento dei contributi versati56.
__________
55
Il trattamento di fine rapporto (TFR) è stato introdotto con la legge 29 maggio 1982, n. 297. Ha
sostituito l’indennità di anzianità che veniva calcolata prendendo come base l’ultima mensilità
retributiva, moltiplicandola per gli anni di servizio.
56
Si rimanda alle considerazioni di Semeraro in questo volume.
146 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
La classificazione adottata per i dati dal 1995 rispecchia quella degli
anni precedenti. Continuano a essere escluse le passività degli enti di
previdenza, mentre compaiono le quote dei fondi pensione privati, nati per
integrare o sostituire il trattamento pensionistico pubblico, ai sensi del
d.lgs. n. 124/1993.
Crediti e debiti commerciali
Fino al 1994 i conti finanziari riportavano, tra i prestiti, solo i
rapporti di credito e debito commerciale tra le società non finanziarie e il
resto del mondo. Dal 1995 tali voci sono pubblicate come dettaglio dello
strumento “altri conti attivi e passivi”. Per continuità con l’attuale
classificazione, nella presente ricostruzione, fino al 1994, le consistenze di
crediti e debiti commerciali delle imprese verso il resto del mondo sono
state quindi dedotte dai prestiti a partire, rispettivamente, dal 1982 e dal
1972.
I dati dal 1995 includono anche una stima dei crediti commerciali
interni al settore delle società non finanziarie e fra queste e le famiglie
produttrici. Si è proceduto pertanto a una stima di tali crediti anche a
partire dal 1982. Da tale anno, infatti, per questa voce sono disponibili
informazioni tratte dai bilanci di un campione di società di capitali57 censite
nell’archivio della Centrale dei bilanci; ciò ha consentito di includere,
all’attivo delle società non finanziarie e delle famiglie (produttrici) e al
passivo delle società non finanziarie, una stima dei crediti e debiti
commerciali interni coerente con quella pubblicata dal 1995 (cfr. Banca
d’Italia, 2003)58.
Altre attività e passività
Le “altre attività e passività” nascono come una voce in cui far
confluire tutto quanto non trova collocamento negli altri strumenti. Fino al
1974 includono anche le “partite non classificabili e sfasamenti”. La voce
“altre attività e passività” includeva, originariamente, anche alcuni
strumenti finanziari che invece, nella presente ricostruzione, sono stati
scorporati per essere presentati in evidenza separata. È questo il caso delle
__________
57
La stima ha riguardato solo le imprese industriali e le holding non finanziarie.
58
Goldsmith e Zecchini (1999) hanno stimato i crediti commerciali per gli anni 1963, 1971 e 1973. I
dati non sono stati qui utilizzati per garantire continuità con le stime effettuate dal 1972.
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 147
riserve matematiche tra il 1963 e il 1978 e delle quote di fondi comuni dal
1984 al 1994.
4. Conclusioni
Negli ultimi anni i conti finanziari hanno visto crescere la propria
importanza, fino a rientrare tra le statistiche utilizzate per la conduzione
della politica monetaria dell’Eurosistema. L’uso dei conti finanziari per
l’analisi congiunturale accresce la necessità di armonizzazione delle
statistiche prodotte dai paesi membri e spinge per una maggiore
tempestività nella produzione dei dati. Le statistiche sulle attività e
passività finanziarie dell’Italia sono regolarmente trasmesse alla Banca
centrale europea, all’Eurostat e all’OCSE. Numerosi gruppi di lavoro sono
istituiti in ambito internazionale e presso la Banca dei regolamenti
internazionali su tematiche connesse con la produzione, la diffusione e
l’utilizzo dei conti finanziari.
In una prospettiva storica, l’analisi dell’evoluzione della struttura
finanziaria di un paese assume significato solo se si dispone di statistiche
che coprono un periodo sufficientemente lungo. Per rispondere a questa
esigenza, in questo lavoro si è presentata una ricostruzione dei conti
finanziari dell’Italia dal 1950 al 2004, cercando di garantire la continuità
delle serie storiche e ricorrendo a stime solo quando le informazioni a
nostra disposizione offrivano garanzie sufficienti di robustezza.
I vari strumenti e settori presentano alcune differenze nel peso della
componente di stima e nella continuità delle statistiche.
Per quanto riguarda gli strumenti, le consistenze di oro, biglietti,
depositi e prestiti (in particolare quelli bancari) possono considerarsi le
migliori in termini di affidabilità e continuità. Tali requisiti si ritrovano
anche nelle quote di fondi comuni: gli interventi sui dati originari hanno
riguardato la sola identificazione della componente estera collocata in Italia
dal 1989 al 1994. Per le riserve tecniche degli istituti di previdenza e delle
compagnie di assicurazione, vista la natura dello strumento, dei settori
coinvolti e delle fonti disponibili, i dati pubblicati nei vari anni
garantiscono un buon grado di affidabilità.
Le consistenze di titoli e azioni risentono maggiormente della
mancata applicazione, nei dati pre-1995, dei principi del SEC95 (valore di
mercato e competenza economica). Tuttavia, l’adeguamento dei dati storici
148 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
a tali criteri potrebbe avere un impatto quantitativo limitato sui valori di
questi strumenti, se si considera che: (i) nei titoli di Stato ha sempre avuto
un peso importante la componente a tasso variabile, che è poco influenzata
dal criterio del valore di mercato; (ii) per lungo tempo è stato assente, o
poco sviluppato, un mercato per le obbligazioni private; (iii) i dati sulle
azioni sono stati sempre pubblicati al valore di mercato: l’affinamento della
metodologia di stima nel corso degli anni ha tuttavia prodotto alcune
discontinuità di difficile rimozione, a meno di ricorrere a ipotesi piuttosto
arbitrarie. Si è preferito mantenere la coerenza contabile delle statistiche
pubblicate in origine.
Per quanto riguarda i crediti commerciali, gli interventi effettuati per
la stima della componente interna e per l’evidenziazione dei rapporti con
l’estero hanno consentito di ottenere una serie storica che, rispetto ai dati di
partenza, è significativamente più rispondente al fenomeno. Oltre alla
mancanza di stime per gli anni precedenti il 1972, va tenuto presente che le
stime, anche più recenti, sottovalutano la reale entità del fenomeno (sul
tema si rimanda a Bartiloro e Coletta, 2004). Si tratta di un problema
comune a tutti i paesi europei.
Quanto ai settori istituzionali, una visione d’insieme sugli anni presi
in esame consente di affermare che i dati delle famiglie e delle imprese
hanno subìto in modo particolare gli effetti delle modifiche apportate dai
successivi sistemi di contabilità nazionale. Nel corso degli anni è stata
rivista la definizione delle unità istituzionali incluse nei due settori e si è
beneficiato di migliori fonti informative per una loro individuazione più
precisa.
La ricostruzione delle statistiche storiche dei conti finanziari potrà
essere migliorata in futuro, soprattutto per quanto riguarda la distinzione
per scadenza dei depositi, dei titoli e dei prestiti e una nuova stima del
credito commerciale. Più complessa appare la costruzione dei flussi
annuali, per i quali, analogamente alle consistenze, esistono informazioni
fin dagli anni cinquanta.
In sintesi, le serie storiche qui presentate forniscono uno strumento
utile per la valutazione delle tendenze di lungo periodo della struttura
finanziaria italiana. Ci auguriamo che la disponibilità di questi dati, che
raccontano una storia lunga oltre mezzo secolo, offra nuove possibilità di
analisi dell’evoluzione del sistema finanziario.
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 149
TAVOLE STATISTICHE
Attività e passività finanziarie dell’Italia: 1950-1962
150 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
Attività e passività finanziarie dell’Italia nel 1950
Consistenze in miliardi di lire
Settori istituzionali Società finanziarie
Famiglie Imprese Istituti di credito Imprese
BI-UIC Aziende di credito
speciale di assicurazione
Strumenti finanziari Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività
Oro monetario e DSP – – – – 112 – – – – – – –
Biglietti e monete 698 – 418 – 58 1,165 53 – – – 0.5 –
Depositi 2,893 – 135 – 555 897 521 2,235 34 28 18 –
Titoli 917 – 7 214 317 – 678 – 12 202 55 –
Prestiti – 177 48 1,960 1,160 84 1,564 236 685 201 90 65
Azioni e partecipazioni 725 – 827 1,950 1 0.3 20 47 0.1 30 10 40
Riserve tecniche 277 – 14 – – – – – – – – 138
Altre attività e passività 145 – – – – – – – – – – –
Totale 5,655 177 1,449 4,124 2,203 2,146 2,835 2,518 732 461 174 243
Note: i depositi attivi degli ICS includono la cassa. I depositi presso l'Amministrazione centrale sono sottostimati per la
Attività e passività finanziarie dell’Italia nel 1951
Consistenze in miliardi di lire
Settori istituzionali Società finanziarie
Famiglie Imprese Istituti di credito Imprese
BI-UIC Aziende di credito
speciale di assicurazione
Strumenti finanziari Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività
Oro monetario e DSP – – – – 113 – – – – – – –
Biglietti e monete 781 – 449 – 82 1,292 66 – – – 0.5 –
Depositi 3,082 – 462 – 767 972 691 2,689 52 31 26 –
Titoli 989 – 8 220 329 – 790 – 14 254 62 –
Prestiti – 219 45 2,410 1,123 77 1,814 290 854 228 112 81
Azioni e partecipazioni 948 – 1,071 2,438 1 0.3 22 58 1 36 11 49
Riserve tecniche 365 – 17 – – – – – – – – 170
Altre attività e passività 136 – – – – – – – – – – –
Totale 6,301 219 2,052 5,068 2,415 2,342 3,382 3,036 921 549 212 300
Note: i depositi attivi degli ICS includono la cassa. I depositi presso l'Amministrazione centrale sono sottostimati per la
Attività e passività finanziarie dell’Italia nel 1952
Consistenze in miliardi di lire
Settori istituzionali Società finanziarie
Famiglie Imprese Istituti di credito Imprese
BI-UIC Aziende di credito
speciale di assicurazione
Strumenti finanziari Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività
Oro monetario e DSP – – – – 169 – – – – – – –
Biglietti e monete 859 – 475 – 87 1,381 67 – – – 0.4 –
Depositi 3,514 – 862 – 735 1,230 842 3,336 50 40 25 –
Titoli 1,124 – 9 304 379 – 945 – 21 356 72 –
Prestiti – 275 44 3,029 1,353 22 2,287 395 1,072 264 145 95
Azioni e partecipazioni 1,334 – 1,497 3,352 1 0.3 29 70 0.9 42 12 61
Riserve tecniche 441 – 20 – – – – – – – – 204
Altre attività e passività 135 – – – – – – – – – – –
Totale 7,407 275 2,907 6,685 2,724 2,634 4,170 3,801 1,145 703 255 359
Note: i depositi attivi degli ICS includono la cassa. I depositi presso l'Amministrazione centrale sono sottostimati per la
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 151
Amministrazioni pubbliche
Partite
Amministrazione Resto del mondo Totale
Enti territoriali Istituti di previdenza Aziende autonome non classificabili
centrale
Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività
– – – – – – – – – 112 0 0 112 112
– 11 – – – – – – – 57 6 0 1,233 1,233
– 818 – – – – – – 15 53 -141 0 4,031 4,031
76 1,479 – 0 39 – – 0 6 107 -106 0 2,001 2,001
337 1,010 – 127 – – – 89 488 336 -87 0 4,285 4,285
2 – – – 1 – – – 306 62 236 0 2,129 2,129
– – – – – 153 – – – – 0 0 291 291
– – – – – – – – – 145 0 0 145 145
416 3,318 – 127 40 153 – 89 815 871 -92 0 14,227 14,227
mancata rilevazione dei depositi attivi delle aziende autonome.
Amministrazioni pubbliche
Partite
Amministrazione Resto del mondo Totale
Enti territoriali Istituti di previdenza Aziende autonome non classificabili
centrale
Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività
– – – – – – – – – 113 0 0 113 113
– 13 – – – – – – – 82 8 0 1,386 1,386
– 958 – – – – – – 16 71 -376 0 4,720 4,720
85 1,637 – 0 74 – – 0 6 121 -124 0 2,233 2,233
520 988 – 185 – – – 91 471 279 -91 0 4,848 4,848
2 – – – 1 – – – 323 58 258 0 2,639 2,639
– – – – – 212 – – – – 0 0 382 382
– – – – – – – – – 136 0 0 136 136
607 3,595 – 185 75 212 – 91 817 859 -325 0 16,457 16,457
mancata rilevazione dei depositi attivi delle aziende autonome.
Amministrazioni pubbliche
Partite
Amministrazione Resto del mondo Totale
Enti territoriali Istituti di previdenza Aziende autonome non classificabili
centrale
Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività
– – – – – – – – – 169 0 0 169 169
– 32 – – – – – – – 84 10 0 1,498 1,498
– 1,162 – – – – – – 17 85 -193 0 5,853 5,853
117 1,841 – 0 90 – – 0 7 100 -163 0 2,601 2,601
701 1,147 – 264 – – – 136 458 361 -74 0 5,987 5,987
3 – – – 1 – – – 416 57 289 0 3,583 3,583
– – – – – 257 – – – – 0 0 461 461
– – – – – – – – – 135 0 0 135 135
821 4,182 – 264 91 257 – 136 898 990 -131 0 20,285 20,285
mancata rilevazione dei depositi attivi delle aziende autonome.
152 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
Attività e passività finanziarie dell’Italia nel 1953
Consistenze in miliardi di lire
Settori istituzionali Società finanziarie
Famiglie Imprese Istituti di credito Imprese
BI-UIC Aziende di credito
speciale di assicurazione
Strumenti finanziari Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività
Oro monetario e DSP – – – – 169 – – – – – – –
Biglietti e monete 923 – 491 – 112 1,449 67 – – – 1.0 –
Depositi 3,912 – 1,185 – 735 1,264 928 3,915 60 51 35 –
Titoli 1,285 – 10 354 407 – 1,104 – 30 471 88 –
Prestiti – 332 44 3,650 1,411 16 2,743 433 1,312 309 165 115
Azioni e partecipazioni 1,398 – 1,567 3,537 1 0.3 37 96 1 52 13 71
Riserve tecniche 532 – 24 – – – – – – – – 239
Altre attività e passività 135 – – – – – – – – – – –
Totale 8,184 332 3,322 7,541 2,836 2,729 4,879 4,444 1,403 883 302 425
Note: i depositi attivi degli ICS includono la cassa. I depositi presso l'Amministrazione centrale sono sottostimati per la
Attività e passività finanziarie dell’Italia nel 1954
Consistenze in miliardi di lire
Settori istituzionali Società finanziarie
Famiglie Imprese Istituti di credito Imprese
BI-UIC Aziende di credito
speciale di assicurazione
Strumenti finanziari Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività
Oro monetario e DSP – – – – 169 – – – – – – –
Biglietti e monete 995 – 509 – 84 1,538 66 – – – 1 –
Depositi 4,169 – 1,510 – 743 1,349 1,103 4,474 74 68 42 –
Titoli 1,558 – 13 393 571 – 1,218 – 36 611 111 –
Prestiti – 394 44 4,323 1,572 132 3,147 473 1,530 352 199 137
Azioni e partecipazioni 1,934 – 2,158 4,708 1 0.3 52 117 1 68 15 107
Riserve tecniche 630 – 29 – – – – – – – – 287
Altre attività e passività 134 – – – – – – – – – – –
Totale 9,421 394 4,262 9,424 3,140 3,019 5,586 5,064 1,641 1,099 367 531
Note: i depositi attivi degli ICS includono la cassa. I depositi presso l'Amministrazione centrale sono sottostimati per la
Attività e passività finanziarie dell’Italia nel 1955
Consistenze in miliardi di lire
Settori istituzionali Società finanziarie
Famiglie Imprese Istituti di credito Imprese
BI-UIC Aziende di credito
speciale di assicurazione
Strumenti finanziari Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività
Oro monetario e DSP – – – – 173 – – – – – – –
Biglietti e monete 1,093 – 536 – 65 1,671 74 – – – 1.5 –
Depositi 4,590 – 1,790 – 821 1,532 1,290 5,155 107 80 52 –
Titoli 1,852 – 15 424 867 – 1,378 – 38 774 127 –
Prestiti – 465 44 5,098 1,608 195 3,666 581 1,899 459 227 152
Azioni e partecipazioni 2,512 – 2,794 5,986 2 0.3 52 140 1 81 18 114
Riserve tecniche 740 – 34 – – – – – – – – 341
Altre attività e passività 133 – – – – – – – – – – –
Totale 10,919 465 5,214 11,508 3,535 3,399 6,461 5,876 2,045 1,394 425 606
Note: i depositi attivi degli ICS includono la cassa. I depositi presso l'Amministrazione centrale sono sottostimati per la
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 153
Amministrazioni pubbliche Settori istituzionali
Partite
Amministrazione Resto del mondo Totale
Enti territoriali Istituti di previdenza Aziende autonome non classificabili
centrale
Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Strumenti finanziari
– – – – – – – – – 169 0 0 169 169 Oro monetario e DSP
– 52 – – – – – – – 106 13 0 1,607 1,607 Biglietti e monete
– 1,426 – – – – – – 26 94 -131 0 6,750 6,750 Depositi
125 2,063 – 0 126 – – 0 8 84 -211 0 2,973 2,973 Titoli
873 1,278 – 349 – – – 179 450 297 -40 0 6,958 6,958 Prestiti
3 – – – 1 – – – 479 57 312 0 3,812 3,812 Azioni e partecipazioni
– – – – – 317 – – – – 0 0 556 556 Riserve tecniche
– – – – – – – – – 135 0 0 135 135 Altre attività e passività
1,001 4,819 – 349 127 317 – 179 962 941 -57 0 22,959 22,959 Totale
mancata rilevazione dei depositi attivi delle aziende autonome.
Amministrazioni pubbliche Settori istituzionali
Partite
Amministrazione Resto del mondo Totale
Enti territoriali Istituti di previdenza Aziende autonome non classificabili
centrale
Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Strumenti finanziari
– – – – – – – – – 169 0 0 169 169 Oro monetario e DSP
– 62 – – – – – – – 79 24 0 1,679 1,679 Biglietti e monete
– 1,520 – – – – – – 26 112 -145 0 7,522 7,522 Depositi
135 2,400 – 0 148 – – 0 9 167 -228 0 3,571 3,571 Titoli
1,027 1,444 – 442 – – – 186 579 342 129 0 8,225 8,225 Prestiti
3 – – – 3 – – – 537 57 355 0 5,057 5,057 Azioni e partecipazioni
– – – – – 372 – – – – 0 0 659 659 Riserve tecniche
– – – – – – – – – 134 0 0 134 134 Altre attività e passività
1,165 5,425 – 442 151 372 – 186 1,150 1,060 134 0 27,017 27,017 Totale
mancata rilevazione dei depositi attivi delle aziende autonome.
Amministrazioni pubbliche Settori istituzionali
Partite
Amministrazione Resto del mondo Totale
Enti territoriali Istituti di previdenza Aziende autonome non classificabili
centrale
Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Strumenti finanziari
– – – – – – – – – 173 0 0 173 173 Oro monetario e DSP
– 70 – – – – – – – 58 30 0 1,799 1,799 Biglietti e monete
– 1,639 – – – – – – 29 133 -140 0 8,539 8,539 Depositi
133 2,712 – 0 163 – – 0 10 376 -296 0 4,286 4,286 Titoli
1,181 1,573 – 622 – – – 274 740 343 398 0 9,761 9,761 Prestiti
3 – – – 3 – – – 611 57 382 0 6,378 6,378 Azioni e partecipazioni
– – – – – 433 – – – – 0 0 774 774 Riserve tecniche
– – – – – – – – – 133 0 0 133 133 Altre attività e passività
1,317 5,994 – 622 165 433 – 274 1,389 1,273 374 0 31,844 31,844 Totale
mancata rilevazione dei depositi attivi delle aziende autonome.
154 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
Attività e passività finanziarie dell’Italia nel 1956
Consistenze in miliardi di lire
Settori istituzionali Società finanziarie
Famiglie Imprese Istituti di credito Imprese
BI-UIC Aziende di credito
speciale di assicurazione
Strumenti finanziari Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività
Oro monetario e DSP – – – – 179 – – – – – – –
Biglietti e monete 1,193 – 562 – 74 1,818 93 – – – 1.6 –
Depositi 5,168 – 1,997 – 907 1,627 1,311 5,816 139 104 51 –
Titoli 2,074 – 17 499 950 – 1,563 – 44 926 145 –
Prestiti – 544 96 5,959 1,661 192 4,242 626 2,150 536 263 175
Azioni e partecipazioni 2,625 – 2,949 6,286 2 0.3 53 166 1 94 23 114
Riserve tecniche 873 – 40 – – – – – – – – 400
Altre attività e passività 292 – – – – – – – – – – –
Totale 12,225 544 5,661 12,744 3,773 3,637 7,263 6,607 2,334 1,661 484 689
Note: i depositi attivi degli ICS includono la cassa. I depositi presso l'Amministrazione centrale sono sottostimati per la
Attività e passività finanziarie dell’Italia nel 1957
Consistenze in miliardi di lire
Settori istituzionali Società finanziarie
Famiglie Imprese Istituti di credito Imprese
BI-UIC Aziende di credito
speciale di assicurazione
Strumenti finanziari Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività
Oro monetario e DSP – – – – 235 – – – – – – –
Biglietti e monete 1,267 – 573 – 85 1,914 98 – – – 1.4 –
Depositi 5,619 – 2,264 – 1,057 1,846 1,496 6,497 136 113 52 –
Titoli 2,317 – 19 607 1,035 – 1,708 – 51 1,085 159 –
Prestiti – 602 95 6,604 1,593 79 4,709 689 2,374 621 291 180
Azioni e partecipazioni 3,083 – 3,454 7,518 2 0.3 63 189 2 131 28 115
Riserve tecniche 1,028 – 46 – – – – – – – – 464
Altre attività e passività 289 – – – – – – – – – – –
Totale 13,603 602 6,451 14,729 4,006 3,838 8,074 7,376 2,563 1,950 530 759
Note: i depositi attivi degli ICS includono la cassa. I depositi presso l'Amministrazione centrale sono sottostimati per la
Attività e passività finanziarie dell’Italia nel 1958
Consistenze in miliardi di lire
Settori istituzionali Società finanziarie
Famiglie Imprese Istituti di credito Imprese
BI-UIC Aziende di credito
speciale di assicurazione
Strumenti finanziari Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività
Oro monetario e DSP – – – – 646 – – – – – – –
Biglietti e monete 1,390 – 602 – 104 2,061 105 – – – 1.3 –
Depositi 6,139 – 2,993 – 1,642 2,675 2,234 7,553 171 140 53 –
Titoli 2,606 – 21 835 1,068 – 2,161 – 58 1,325 186 –
Prestiti – 652 100 7,164 1,523 18 4,992 1,020 2,711 771 331 209
Azioni e partecipazioni 3,445 – 3,856 8,406 7 0.3 87 218 1 163 31 121
Riserve tecniche 1,190 – 53 – – – – – – – – 525
Altre attività e passività 303 – – – – – – – – – – –
Totale 15,072 652 7,625 16,405 4,989 4,754 9,579 8,791 2,941 2,400 603 855
Note: i depositi attivi degli ICS includono la cassa. I depositi presso l'Amministrazione centrale sono sottostimati per la
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 155
Amministrazioni pubbliche Settori istituzionali
Partite
Amministrazione Resto del mondo Totale
Enti territoriali Istituti di previdenza Aziende autonome non classificabili
centrale
Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Strumenti finanziari
– – – – – – – – – 179 0 0 179 179 Oro monetario e DSP
– 41 – – – – – – – 64 -1 0 1,923 1,923 Biglietti e monete
– 1,788 – – – – – – 52 138 -153 0 9,473 9,473 Depositi
131 2,951 – 0 181 – – 0 11 450 -290 0 4,827 4,827 Titoli
1,373 1,577 – 794 – – – 277 782 417 526 0 11,095 11,095 Prestiti
3 – – – 3 – – – 713 124 413 0 6,785 6,785 Azioni e partecipazioni
– – – – – 513 – – – – 0 0 913 913 Riserve tecniche
– – – – – – – – – 292 0 0 292 292 Altre attività e passività
1,507 6,357 – 794 184 513 – 277 1,559 1,663 495 0 35,486 35,486 Totale
mancata rilevazione dei depositi attivi delle aziende autonome.
Amministrazioni pubbliche Settori istituzionali
Partite
Amministrazione Resto del mondo Totale
Enti territoriali Istituti di previdenza Aziende autonome non classificabili
centrale
Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Strumenti finanziari
– – – – – – – – – 235 0 0 235 235 Oro monetario e DSP
– 37 – – – – – – – 79 5 0 2,029 2,029 Biglietti e monete
– 1,916 – – – – – – 68 155 -165 0 10,527 10,527 Depositi
128 3,126 – 0 204 – – 0 13 511 -304 0 5,329 5,329 Titoli
1,555 1,601 – 957 – – – 284 768 416 646 0 12,031 12,031 Prestiti
6 – – – 5 – – – 814 123 621 0 8,077 8,077 Azioni e partecipazioni
– – – – – 610 – – – – 0 0 1,074 1,074 Riserve tecniche
– – – – – – – – – 289 0 0 289 289 Altre attività e passività
1,689 6,680 – 957 210 610 – 284 1,663 1,807 803 0 39,592 39,592 Totale
mancata rilevazione dei depositi attivi delle aziende autonome.
Amministrazioni pubbliche Settori istituzionali
Partite
Amministrazione Resto del mondo Totale
Enti territoriali Istituti di previdenza Aziende autonome non classificabili
centrale
Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Strumenti finanziari
– – – – – – – – – 646 0 0 646 646 Oro monetario e DSP
– 50 – – – – – – – 94 3 0 2,204 2,204 Biglietti e monete
– 2,111 – – – – – – 41 228 -565 0 12,707 12,707 Depositi
134 3,454 – 8 211 – – 178 14 553 -107 0 6,352 6,352 Titoli
1,836 1,555 – 1,306 – – – 295 766 482 1,214 0 13,474 13,474 Prestiti
7 – – – 5 – – – 914 129 684 0 9,037 9,037 Azioni e partecipazioni
– – – – – 717 – – – – 0 0 1,242 1,242 Riserve tecniche
– – – – – – – – – 303 0 0 303 303 Altre attività e passività
1,977 7,171 – 1,314 217 717 – 473 1,734 2,434 1,228 0 45,965 45,965 Totale
mancata rilevazione dei depositi attivi delle aziende autonome.
156 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
Attività e passività finanziarie dell’Italia nel 1959
Consistenze in miliardi di lire
Settori istituzionali Società finanziarie
Famiglie Imprese Istituti di credito Imprese
BI-UIC Aziende di credito
speciale di assicurazione
Strumenti finanziari Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività
Oro monetario e DSP – – – – 1,203 – – – – – – –
Biglietti e monete 1,536 – 638 – 76 2,237 110 – – – 1.3 –
Depositi 6,586 – 4,228 – 2,323 3,607 2,331 8,823 271 201 64 –
Titoli 3,021 – 24 955 1,029 – 2,673 – 72 1,604 216 –
Prestiti – 746 107 8,226 1,445 18 5,763 1,012 3,144 871 318 200
Azioni e partecipazioni 6,018 – 6,696 14,190 7 0.3 139 308 1 186 36 116
Riserve tecniche 1,379 – 60 – – – – – – – – 596
Altre attività e passività 326 – – – – – – – – – – –
Totale 18,866 746 11,753 23,371 6,083 5,862 11,015 10,143 3,488 2,861 635 912
Note: i depositi attivi degli ICS includono la cassa. I depositi presso l'Amministrazione centrale sono sottostimati per la
Attività e passività finanziarie dell’Italia nel 1960
Consistenze in miliardi di lire
Settori istituzionali Società finanziarie
Famiglie Imprese Istituti di credito Imprese
BI-UIC Aziende di credito
speciale di assicurazione
Strumenti finanziari Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività
Oro monetario e DSP – – – – 1,549 – – – – – – –
Biglietti e monete 1,695 – 674 – 84 2,424 116 – – – 1 –
Depositi 6,984 – 5,453 – 1,433 2,693 2,217 10,178 273 245 80 –
Titoli 3,605 – 29 1,214 793 – 3,111 – 88 2,034 265 –
Prestiti – 902 125 9,905 1,504 19 7,023 1,192 3,762 948 318 210
Azioni e partecipazioni 7,784 – 8,654 18,118 8 0.3 167 377 3 231 39 121
Riserve tecniche 1,529 – 68 – – – – – – – – 682
Altre attività e passività 379 – – – – – – – – – – –
Totale 21,977 902 15,002 29,237 5,371 5,136 12,634 11,746 4,126 3,459 703 1,012
Note: i depositi attivi degli ICS includono la cassa. I depositi presso l'Amministrazione centrale sono sottostimati per la
Attività e passività finanziarie dell’Italia nel 1961
Consistenze in miliardi di lire
Settori istituzionali Società finanziarie
Famiglie Imprese Istituti di credito Imprese
BI-UIC Aziende di credito
speciale di assicurazione
Strumenti finanziari Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività
Oro monetario e DSP – – – – 1,561 – – – – – – –
Biglietti e monete 1,975 – 750 – 125 2,779 122 – – – 1.4 –
Depositi 8,223 – 6,233 – 1,867 3,281 2,503 11,915 247 322 109 –
Titoli 4,186 – 34 1,455 1,031 – 3,575 – 108 2,572 316 –
Prestiti – 1,078 174 11,901 1,765 23 8,276 1,290 4,677 1,122 338 242
Azioni e partecipazioni 8,058 – 8,984 19,545 13 0.3 209 420 3 275 52 137
Riserve tecniche 1,740 – 79 – – – – – – – – 789
Altre attività e passività 528 – – – – – – – – – – –
Totale 24,710 1,078 16,254 32,901 6,362 6,084 14,686 13,624 5,035 4,292 817 1,167
Note: i depositi attivi degli ICS includono la cassa. I depositi presso l'Amministrazione centrale sono sottostimati per la
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 157
Amministrazioni pubbliche Settori istituzionali
Partite
Amministrazione Resto del mondo Totale
Enti territoriali Istituti di previdenza Aziende autonome non classificabili
centrale
Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Strumenti finanziari
– – – – – – – – – 1,203 0 0 1,203 1,203 Oro monetario e DSP
– 62 – – – – – – – 65 3 0 2,364 2,364 Biglietti e monete
– 2,240 – – – – – – 163 247 -846 0 15,119 15,119 Depositi
151 4,040 – 13 215 – – 230 17 671 93 0 7,511 7,511 Titoli
2,027 1,469 – 1,570 – – – 359 906 556 1,318 0 15,027 15,027 Prestiti
7 – – – 5 – – – 1,171 138 858 0 14,939 14,939 Azioni e partecipazioni
– – – – – 843 – – – – 0 0 1,439 1,439 Riserve tecniche
– – – – – – – – – 326 0 0 326 326 Altre attività e passività
2,184 7,811 – 1,582 220 843 – 589 2,258 3,206 1,425 0 57,928 57,928 Totale
mancata rilevazione dei depositi attivi delle aziende autonome.
Amministrazioni pubbliche Settori istituzionali
Partite
Amministrazione Resto del mondo Totale
Enti territoriali Istituti di previdenza Aziende autonome non classificabili
centrale
Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Strumenti finanziari
– – – – – – – – – 1,549 0 0 1,549 1,549 Oro monetario e DSP
– 78 – – – – – – – 74 6 0 2,576 2,576 Biglietti e monete
– 2,461 – – – – – – 168 237 -794 0 15,814 15,814 Depositi
168 4,124 – 12 223 – – 270 19 481 -165 0 8,135 8,135 Titoli
2,257 1,570 – 1,886 – – – 416 998 597 1,656 0 17,644 17,644 Prestiti
7 – – – 7 – – – 1,265 161 1,074 0 19,008 19,008 Azioni e partecipazioni
– – – – – 915 – – – – 0 0 1,597 1,597 Riserve tecniche
– – – – – – – – – 379 0 0 379 379 Altre attività e passività
2,433 8,233 – 1,898 230 915 – 686 2,450 3,478 1,776 0 66,702 66,702 Totale
mancata rilevazione dei depositi attivi delle aziende autonome.
Amministrazioni pubbliche Settori istituzionali
Partite
Amministrazione Resto del mondo Totale
Enti territoriali Istituti di previdenza Aziende autonome non classificabili
centrale
Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Strumenti finanziari
– – – – – – – – – 1,561 0 0 1,561 1,561 Oro monetario e DSP
– 89 – – – – – – – 112 7 0 2,980 2,980 Biglietti e monete
– 2,734 – – – – – – 67 261 -737 0 18,513 18,513 Depositi
186 4,325 – 24 256 – – 299 25 665 -376 0 9,341 9,341 Titoli
2,588 1,704 – 2,239 – – – 466 1,202 729 1,773 0 20,793 20,793 Prestiti
8 – – – 10 – – – 1,749 224 1,515 0 20,601 20,601 Azioni e partecipazioni
– – – – – 1,030 – – – – 0 0 1,819 1,819 Riserve tecniche
– – – – – – – – – 528 0 0 528 528 Altre attività e passività
2,782 8,852 – 2,262 266 1,030 – 765 3,043 4,081 2,183 0 76,137 76,137 Totale
mancata rilevazione dei depositi attivi delle aziende autonome.
158 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
Attività e passività finanziarie dell’Italia nel 1962
Consistenze in miliardi di lire
Settori istituzionali Società finanziarie
Famiglie Imprese Istituti di credito Imprese
BI-UIC Aziende di credito
speciale di assicurazione
Strumenti finanziari Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività
Oro monetario e DSP – – – – 1,573 – – – – – – –
Biglietti e monete 2,283 – 828 – 122 3,234 193 – – – 2 –
Depositi 9,544 – 7,584 – 2,249 3,960 2,969 14,165 344 387 95 –
Titoli 4,476 – 36 1,720 1,484 – 4,073 – 121 3,337 380 –
Prestiti – 1,325 294 14,589 2,047 24 10,215 1,646 5,968 1,308 409 289
Azioni e partecipazioni 7,462 – 8,397 18,168 26 0.3 249 464 4 367 55 138
Riserve tecniche 1,981 – 91 – – – – – – – – 910
Altre attività e passività 893 – – – – – – – – – – –
Totale 26,638 1,325 17,230 34,478 7,502 7,219 17,701 16,275 6,438 5,398 941 1,336
Note: i depositi attivi degli ICS includono la cassa. I depositi presso l'Amministrazione centrale sono sottostimati per la
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 159
Amministrazioni pubbliche Settori istituzionali
Partite
Amministrazione Resto del mondo Totale
Enti territoriali Istituti di previdenza Aziende autonome non classificabili
centrale
Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Attività Passività Strumenti finanziari
– – – – – – – – – 1,573 0 0 1,573 1,573 Oro monetario e DSP
– 96 – – – – – – – 110 12 0 3,441 3,441 Biglietti e monete
– 3,075 – – – – – – 89 315 -973 0 21,902 21,902 Depositi
302 4,524 – 23 338 – – 341 28 836 -456 0 10,782 10,782 Titoli
2,972 1,968 – 3,005 – – – 526 1,287 948 2,435 0 25,628 25,628 Prestiti
12 – – – 10 – – – 1,976 379 1,325 0 19,516 19,516 Azioni e partecipazioni
– – – – – 1,163 – – – – 0 0 2,072 2,072 Riserve tecniche
– – – – – – – – – 893 0 0 893 893 Altre attività e passività
3,286 9,664 – 3,029 348 1,163 – 867 3,381 5,054 2,343 0 85,807 85,807 Totale
mancata rilevazione dei depositi attivi delle aziende autonome.
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 161
TAVOLE STATISTICHE
I conti finanziari dell’Italia: 1950-2004
162 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
Tav. A1
Famiglie
Attività finanziarie - consistenze in miliardi di lire
Biglietti e Fondi Riserve
Anni Depositi Titoli Azioni Altre attività Crediti Totale
monete comuni tecniche
commerciali
1950…………… 698 2.893 917 725 – 277 145 – 5.655
1951…………… 781 3.082 989 948 – 365 136 – 6.301
1952…………… 859 3.514 1.124 1.334 – 441 135 – 7.407
1953…………… 923 3.912 1.285 1.398 – 532 135 – 8.184
1954…………… 995 4.169 1.558 1.934 – 630 134 – 9.421
1955…………… 1.093 4.590 1.852 2.512 – 740 133 – 10.919
1956…………… 1.193 5.168 2.074 2.625 – 873 292 – 12.225
1957…………… 1.267 5.619 2.317 3.083 – 1.028 289 – 13.603
1958…………… 1.390 6.139 2.606 3.445 – 1.190 303 – 15.072
1959…………… 1.536 6.586 3.021 6.018 – 1.379 326 – 18.866
1960…………… 1.695 6.984 3.605 7.784 – 1.529 379 – 21.977
1961…………… 1.975 8.223 4.186 8.058 – 1.740 528 – 24.710
1962…………… 2.283 9.544 4.476 7.462 – 1.981 893 – 26.638
1963…………… 2.641 11.128 4.613 7.186 – 2.227 1.454 – 29.249
1964…………… 2.849 12.223 4.875 5.022 – 2.549 1.746 – 29.264
1965…………… 3.118 14.091 5.693 6.116 – 2.864 1.867 – 33.749
1966…………… 3.458 16.197 7.106 6.782 – 3.295 2.123 – 38.961
1967…………… 3.886 18.577 8.486 6.065 – 3.756 2.504 – 43.274
1968…………… 4.075 21.358 9.880 6.155 – 4.235 3.065 – 48.768
1969…………… 4.689 23.936 11.025 7.616 – 4.737 4.313 – 56.316
1970…………… 5.108 27.894 11.787 6.586 – 5.247 4.814 – 61.436
1971…………… 5.703 34.717 13.973 5.406 – 5.968 5.011 – 70.778
1972…………… 6.934 40.865 16.521 6.027 – 6.654 5.869 – 82.870
1973…………… 7.767 50.484 18.084 7.965 – 7.210 6.085 – 97.595
1974…………… 8.727 63.266 15.566 4.852 – 8.261 6.615 – 107.287
1975…………… 10.137 79.660 17.834 3.406 – 9.492 7.005 – 127.534
1976…………… 11.505 96.942 20.021 2.946 – 11.045 7.085 – 149.544
1977…………… 13.010 119.582 23.674 2.342 – 12.922 7.090 – 178.620
1978…………… 15.254 143.951 32.330 11.651 – 14.901 7.082 – 225.169
1979…………… 17.213 171.673 42.418 54.705 – 17.060 7.080 – 310.149
1980…………… 19.454 197.027 58.109 97.393 – 20.140 8.685 – 400.808
1981…………… 22.840 225.421 87.956 132.985 – 23.472 9.237 – 501.911
1982…………… 25.281 271.550 109.493 165.848 – 27.669 2.590 1.226 602.432
1983…………… 28.363 295.376 160.356 196.194 – 32.007 2.962 1.402 715.258
1984…………… 31.166 338.158 214.960 213.183 6.900 92.090 3.528 1.753 899.984
1985…………… 34.882 378.917 266.861 316.216 28.455 103.723 3.925 2.027 1.132.980
1986…………… 37.362 419.841 310.658 482.495 75.813 117.679 4.151 2.184 1.447.998
1987…………… 40.812 460.214 395.795 418.949 70.037 132.272 4.216 2.397 1.522.295
1988…………… 44.170 517.217 506.815 452.599 62.438 150.636 4.723 2.879 1.738.598
1989…………… 61.119 645.515 597.764 604.147 55.624 164.584 3.564 3.443 2.132.318
1990…………… 62.846 733.870 691.558 577.978 52.112 187.463 3.970 3.849 2.309.797
1991…………… 69.082 838.370 782.602 674.183 60.780 214.242 4.360 4.215 2.643.620
1992…………… 77.487 928.367 838.620 592.105 66.571 242.647 4.807 4.688 2.750.607
1993…………… 81.303 984.647 913.890 667.873 116.431 263.902 6.769 6.073 3.034.816
1994…………… 87.075 991.529 982.484 683.029 136.963 293.082 6.573 6.528 3.180.736
1995…………… 83.164 1.244.718 871.338 486.236 131.817 332.713 32.558 7.178 3.182.545
1996…………… 84.690 1.291.127 1.014.167 498.036 206.543 370.181 36.623 7.209 3.501.368
1997…………… 90.855 1.235.731 1.084.640 683.404 381.699 420.434 37.795 7.539 3.934.558
1998…………… 97.404 1.180.660 1.006.146 890.465 721.883 476.757 38.480 8.079 4.411.795
1999…………… 109.151 1.172.802 852.571 1.377.636 939.471 559.580 41.519 8.566 5.052.730
2000…………… 115.075 1.199.428 986.978 1.495.295 890.220 638.105 39.501 8.035 5.364.602
2001…………… 95.270 1.293.741 1.099.398 1.325.807 762.565 716.076 29.885 8.514 5.322.741
2002…………… 92.668 1.349.774 1.220.775 1.260.876 646.624 798.622 31.199 10.259 5.400.538
2003…………… 110.994 1.406.664 1.233.510 1.266.266 690.675 905.094 32.761 10.282 5.645.965
2004…………… 129.223 1.465.266 1.358.504 1.478.354 664.656 1.011.228 33.590 10.306 6.140.820
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 163
Tav. A2
Famiglie
Passività finanziarie - consistenze in miliardi di lire
Riserve
Anni Titoli Prestiti Altre passività Totale
tecniche
1950…………… – 177 – – 177
1951…………… – 219 – – 219
1952…………… – 275 – – 275
1953…………… – 332 – – 332
1954…………… – 394 – – 394
1955…………… – 465 – – 465
1956…………… – 544 – – 544
1957…………… – 602 – – 602
1958…………… – 652 – – 652
1959…………… – 746 – – 746
1960…………… – 902 – – 902
1961…………… – 1.078 – – 1.078
1962…………… – 1.325 – – 1.325
1963…………… – 2.121 – – 2.121
1964…………… – 2.319 – – 2.319
1965…………… – 2.569 – – 2.569
1966…………… – 2.904 – – 2.904
1967…………… – 3.350 – – 3.350
1968…………… – 3.896 – – 3.896
1969…………… – 4.348 – – 4.348
1970…………… – 4.989 – – 4.989
1971…………… – 5.837 – – 5.837
1972…………… – 6.950 – – 6.950
1973…………… – 9.552 – – 9.552
1974…………… – 9.825 – – 9.825
1975…………… – 12.129 – – 12.129
1976…………… – 13.175 – – 13.175
1977…………… – 14.828 – – 14.828
1978…………… – 16.843 – – 16.843
1979…………… – 19.950 – – 19.950
1980…………… – 25.294 – – 25.294
1981…………… – 27.727 – 574 28.301
1982…………… – 31.719 – 787 32.506
1983…………… – 36.575 – 970 37.545
1984…………… – 42.634 – 1.233 43.867
1985…………… – 54.087 – 1.523 55.610
1986…………… – 66.410 – 2.115 68.525
1987…………… – 76.832 – 2.350 79.182
1988…………… – 93.426 – 2.409 95.835
1989…………… 2 202.975 32.248 15.932 251.158
1990…………… 96 233.521 35.408 18.173 287.199
1991…………… 282 265.199 38.892 20.557 324.929
1992…………… 288 285.456 42.312 24.321 352.377
1993…………… 682 292.082 45.673 29.346 367.783
1994…………… 425 302.218 48.699 36.253 387.594
1995…………… – 333.316 29.430 45.059 407.805
1996…………… – 354.574 31.829 59.426 445.828
1997…………… – 377.623 34.520 73.686 485.829
1998…………… – 412.111 37.118 94.149 543.377
1999…………… – 471.412 39.935 107.679 619.026
2000…………… – 514.415 42.991 124.858 682.264
2001…………… – 545.006 46.311 129.240 720.557
2002…………… – 597.800 49.918 136.813 784.531
2003…………… – 654.342 53.842 151.435 859.619
2004…………… – 743.359 58.112 150.949 952.420
164 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
Tav. A3
Imprese (società non finanziarie)
Attività finanziarie - consistenze in miliardi di lire
Biglietti e Fondi Riserve Altre
Anni Depositi Titoli Prestiti Azioni Crediti Totale
monete comuni tecniche attività
commerciali
1950…………… 418 135 7 48 827 – 14 – – 1.449
1951…………… 449 462 8 45 1.071 – 17 – – 2.052
1952…………… 475 862 9 44 1.497 – 20 – – 2.907
1953…………… 491 1.185 10 44 1.567 – 24 – – 3.322
1954…………… 509 1.510 13 44 2.158 – 29 – – 4.262
1955…………… 536 1.790 15 44 2.794 – 34 – – 5.214
1956…………… 562 1.997 17 96 2.949 – 40 – – 5.661
1957…………… 573 2.264 19 95 3.454 – 46 – – 6.451
1958…………… 602 2.993 21 100 3.856 – 53 – – 7.625
1959…………… 638 4.228 24 107 6.696 – 60 – – 11.753
1960…………… 674 5.453 29 125 8.654 – 68 – – 15.002
1961…………… 750 6.233 34 174 8.984 – 79 – – 16.254
1962…………… 828 7.584 36 294 8.397 – 91 – – 17.230
1963…………… 907 8.249 156 503 7.832 – 100 55 – 17.802
1964…………… 957 8.935 207 574 6.049 – 115 63 – 16.900
1965…………… 1.027 10.528 250 898 7.878 – 140 70 – 20.791
1966…………… 1.057 12.076 283 1.177 8.955 – 170 79 – 23.797
1967…………… 1.107 13.665 324 1.188 8.157 – 210 88 – 24.739
1968…………… 1.127 15.103 341 1.364 8.149 – 245 98 – 26.427
1969…………… 1.207 16.622 342 1.688 9.738 – 278 111 – 29.986
1970…………… 1.277 18.644 360 2.030 9.028 – 305 126 – 31.770
1971…………… 1.337 19.933 360 2.371 8.342 – 368 135 – 32.846
1972…………… 1.412 26.354 405 3.452 10.064 – 448 149 – 42.284
1973…………… 1.682 28.003 669 3.336 13.411 – 533 657 – 48.291
1974…………… 1.872 29.254 563 2.942 11.343 – 613 1.147 – 47.734
1975…………… 2.167 33.804 475 2.939 11.924 – 703 1.529 – 53.541
1976…………… 2.449 44.188 984 1.316 12.556 – 818 1.566 – 63.877
1977…………… 2.770 48.839 1.853 2.265 11.115 – 980 1.548 – 69.370
1978…………… 3.280 57.245 2.868 2.124 35.915 – 1.140 1.555 – 104.127
1979…………… 3.788 71.569 5.170 5.306 18.451 – 1.360 1.676 – 107.320
1980…………… 5.091 77.427 5.727 13.495 28.146 – 1.660 1.593 – 133.139
1981…………… 5.999 85.117 8.106 12.817 39.549 – 2.071 260 – 153.919
1982…………… 7.028 95.387 11.173 16.087 49.234 – 2.578 60.376 60.081 241.863
1983…………… 7.893 115.796 14.925 17.849 59.137 – 3.048 69.028 68.699 287.677
1984…………… 8.755 129.303 22.766 2.195 72.455 – 3.693 126.424 126.060 365.591
1985…………… 8.848 140.093 29.987 7.331 91.217 – 4.403 138.311 137.917 420.190
1986…………… 9.477 153.458 38.598 8.618 138.657 – 5.241 144.026 143.574 498.076
1987…………… 10.345 160.733 50.694 7.782 129.424 – 6.134 161.066 160.514 526.178
1988…………… 11.200 169.700 64.617 12.077 161.328 – 7.462 184.047 183.394 610.431
1989…………… 6.288 84.479 52.287 11.554 179.163 373 5.628 215.165 214.908 554.938
1990…………… 6.460 84.770 62.730 13.896 221.923 484 6.488 240.393 240.127 637.145
1991…………… 7.106 87.975 72.437 19.954 255.983 481 7.388 259.944 259.933 711.267
1992…………… 7.979 89.047 69.818 23.222 275.276 581 8.633 290.280 287.053 764.837
1993…………… 8.371 97.798 69.524 32.462 321.944 679 9.433 362.852 358.483 903.063
1994…………… 8.966 107.167 73.026 39.329 342.517 932 10.375 397.099 390.994 979.411
1995…………… 14.446 177.521 60.256 22.416 339.117 9.455 22.588 503.187 430.815 1.148.987
1996…………… 14.702 174.002 65.417 23.379 383.834 12.490 24.914 501.227 433.748 1.199.965
1997…………… 15.774 188.160 70.131 30.669 480.517 19.132 26.343 523.842 454.308 1.354.568
1998…………… 16.874 190.333 78.086 39.925 628.373 30.764 27.989 547.655 479.502 1.559.999
1999…………… 18.956 196.000 88.489 42.489 964.710 30.526 29.510 589.578 521.263 1.960.259
2000…………… 20.009 212.754 104.690 51.733 1.280.009 30.050 31.270 567.932 509.326 2.298.447
2001…………… 16.529 208.275 105.594 55.951 1.122.896 29.434 32.586 582.558 531.781 2.153.824
2002…………… 15.753 227.619 105.288 40.001 905.687 26.649 33.559 664.375 612.820 2.018.931
2003…………… 18.960 245.355 97.392 48.789 1.003.132 26.353 34.775 663.782 613.416 2.138.540
2004…………… 22.095 274.878 116.908 93.598 1.051.309 25.921 38.594 673.838 617.251 2.297.142
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 165
Tav. A4
Imprese (società non finanziarie)
Passività finanziarie - consistenze in miliardi di lire
Riserve Altre
Anni Titoli Prestiti Azioni Debiti Totale
tecniche passività
commerciali
1950…………… 214 1.960 1.950 – – – 4.124
1951…………… 220 2.410 2.438 – – – 5.068
1952…………… 304 3.029 3.352 – – – 6.685
1953…………… 354 3.650 3.537 – – – 7.541
1954…………… 393 4.323 4.708 – – – 9.424
1955…………… 424 5.098 5.986 – – – 11.508
1956…………… 499 5.959 6.286 – – – 12.744
1957…………… 607 6.604 7.518 – – – 14.729
1958…………… 835 7.164 8.406 – – – 16.405
1959…………… 955 8.226 14.190 – – – 23.371
1960…………… 1.214 9.905 18.118 – – – 29.237
1961…………… 1.455 11.901 19.545 – – – 32.901
1962…………… 1.720 14.589 18.168 – – – 34.478
1963…………… 2.112 17.255 17.463 – – – 36.830
1964…………… 2.663 18.353 13.402 – – – 34.418
1965…………… 3.351 19.800 16.845 – – – 39.996
1966…………… 3.687 22.408 18.938 – – – 45.033
1967…………… 4.113 25.614 17.661 – – – 47.388
1968…………… 4.655 28.480 17.978 – – – 51.113
1969…………… 5.187 32.475 21.739 – – – 59.401
1970…………… 5.239 36.919 19.731 – – – 61.889
1971…………… 5.947 42.441 18.325 – – – 66.713
1972…………… 6.763 48.453 21.736 – 422 422 77.374
1973…………… 7.583 55.327 28.363 – 404 404 91.677
1974…………… 7.697 68.447 24.023 – 697 411 100.864
1975…………… 9.192 77.802 24.342 – 795 509 112.131
1976…………… 10.279 89.972 25.707 – 3.203 788 129.161
1977…………… 11.688 104.518 23.055 – 1.078 785 140.339
1978…………… 12.913 110.884 54.011 – 8.786 8.522 186.594
1979…………… 13.674 130.073 81.775 – 10.347 10.038 235.869
1980…………… 15.148 161.663 114.236 – 13.084 11.772 304.131
1981…………… 16.499 195.823 153.683 – 28.629 16.297 394.634
1982…………… 20.564 219.569 206.145 – 91.169 77.301 537.447
1983…………… 22.058 248.927 247.949 – 106.384 89.390 625.318
1984…………… 23.459 311.020 272.839 39.694 131.257 110.644 778.269
1985…………… 25.008 344.666 360.007 42.999 150.162 125.452 922.842
1986…………… 30.353 371.619 491.344 45.796 160.668 132.377 1.099.780
1987…………… 34.737 410.114 467.942 50.329 179.727 147.730 1.142.849
1988…………… 34.832 476.104 504.130 54.652 206.932 173.021 1.276.650
1989…………… 34.050 467.013 600.477 52.663 221.978 201.758 1.376.180
1990…………… 31.997 551.347 648.941 59.051 248.533 226.998 1.539.869
1991…………… 36.598 622.203 731.750 64.975 269.939 244.813 1.725.464
1992…………… 33.718 707.712 706.295 69.514 298.597 269.661 1.815.837
1993…………… 34.522 737.615 794.374 73.488 376.372 338.315 2.016.371
1994…………… 32.673 740.420 858.867 76.474 420.645 368.138 2.129.079
1995…………… 32.331 941.305 837.815 103.328 419.701 406.351 2.334.479
1996…………… 39.656 946.789 952.199 110.605 415.785 403.108 2.465.034
1997…………… 41.530 973.780 1.166.858 118.716 438.308 424.914 2.739.192
1998…………… 48.432 1.004.162 1.431.670 126.768 468.578 447.759 3.079.609
1999…………… 39.148 1.100.935 2.038.301 135.368 508.899 482.071 3.822.651
2000…………… 46.638 1.232.981 2.322.725 144.553 492.359 460.861 4.239.256
2001…………… 78.217 1.308.315 2.159.906 154.365 512.119 481.018 4.212.922
2002…………… 96.753 1.371.503 2.011.114 164.845 593.284 562.720 4.237.499
2003…………… 113.756 1.447.268 2.018.931 176.038 594.284 563.132 4.350.278
2004…………… 127.524 1.511.960 2.246.154 187.995 595.778 564.683 4.669.411
166 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
Tav. A5
Società finanziarie
Attività finanziarie - consistenze in miliardi di lire
Oro e Biglietti e Fondi Riserve
Anni Depositi Titoli Prestiti Azioni Altre attività Totale
DSP monete comuni tecniche
1950…………… 112 111 1.129 1.062 3.499 31 – – – 5.944
1951…………… 113 149 1.536 1.195 3.903 35 – – – 6.930
1952…………… 169 154 1.653 1.417 4.857 43 – – – 8.292
1953…………… 169 180 1.759 1.630 5.631 52 – – – 9.420
1954…………… 169 151 1.962 1.936 6.447 68 – – – 10.734
1955…………… 173 140 2.271 2.410 7.399 73 – – – 12.465
1956…………… 179 169 2.409 2.703 8.317 78 – – – 13.855
1957…………… 235 184 2.741 2.952 8.967 94 – – – 15.173
1958…………… 646 210 4.100 3.473 9.558 125 – – – 18.112
1959…………… 1.203 187 4.988 3.990 10.669 183 – – – 21.221
1960…………… 1.549 201 4.003 4.257 12.607 217 – – – 22.835
1961…………… 1.561 248 4.726 5.030 15.057 277 – – – 26.899
1962…………… 1.573 317 5.658 6.058 18.641 335 – – – 32.581
1963…………… 1.464 242 4.675 5.720 23.087 583 – – 0 35.771
1964…………… 1.317 195 5.620 7.142 24.427 637 – – 20 39.358
1965…………… 1.502 233 6.882 8.558 27.659 730 – – 0 45.564
1966…………… 1.509 231 7.872 10.321 31.659 882 – – 0 52.474
1967…………… 1.500 290 8.866 11.644 36.764 1.063 – – 0 60.127
1968…………… 1.827 352 9.720 13.503 42.095 1.202 – – 136 68.835
1969…………… 1.848 364 10.069 16.065 48.816 1.418 – – 108 78.688
1970…………… 1.852 392 13.596 18.566 55.815 1.595 – – 66 91.882
1971…………… 1.945 406 17.248 23.886 64.565 1.692 – – 0 109.742
1972…………… 2.015 565 22.541 28.320 79.539 1.985 – – 0 134.965
1973…………… 2.018 719 24.787 39.980 97.478 2.570 – – 0 167.552
1974…………… 1.948 705 32.026 54.133 104.867 3.050 – – 419 197.148
1975…………… 1.870 721 43.614 73.787 122.905 4.414 – – 0 247.311
1976…………… 8.235 761 55.994 90.598 141.879 5.389 – – 2.118 304.974
1977…………… 9.940 873 64.933 118.283 155.628 4.607 – – 3.239 357.503
1978…………… 12.137 1.144 83.784 142.356 177.184 4.837 – – 4.303 425.745
1979…………… 16.616 1.621 97.627 153.313 212.805 6.433 – – 7.991 496.406
1980…………… 34.788 1.730 121.984 167.422 254.660 9.780 – – 7.162 597.526
1981…………… 35.732 1.749 142.837 186.668 264.208 12.193 – – 11.349 654.736
1982…………… 33.556 1.884 162.083 228.062 302.785 15.465 – – 13.704 757.539
1983…………… 44.493 2.069 189.582 270.256 345.498 21.086 – – 16.800 889.784
1984…………… 43.234 3.041 209.914 285.676 472.903 26.697 – – 21.655 1.063.120
1985…………… 40.409 3.064 222.648 332.227 545.643 41.128 – – 26.490 1.211.609
1986…………… 36.288 3.409 242.980 384.327 586.753 69.971 – – 31.058 1.354.786
1987…………… 41.066 3.002 256.768 393.705 644.806 66.281 – – 35.770 1.441.398
1988…………… 38.481 3.236 268.536 386.029 749.694 79.204 – – 37.407 1.562.587
1989…………… 34.931 3.912 379.003 417.323 857.727 88.217 – – 34.665 1.815.778
1990…………… 31.751 5.389 376.179 445.426 990.622 89.480 – – 39.021 1.977.868
1991…………… 30.355 5.803 366.587 523.828 1.158.588 111.720 – – 44.682 2.241.564
1992…………… 30.294 5.330 429.925 604.941 1.320.686 119.102 – – 56.545 2.566.824
1993…………… 37.320 5.471 443.178 659.844 1.401.481 177.124 – – 73.305 2.797.724
1994…………… 41.542 5.761 422.567 835.646 1.298.820 187.820 – – 99.310 2.891.466
1995…………… 40.257 7.579 475.911 892.246 1.545.694 235.720 7.230 1.380 11.759 3.217.774
1996…………… 38.411 8.690 562.937 1.030.150 1.629.471 261.346 9.228 1.493 9.112 3.550.836
1997…………… 37.696 9.490 623.319 1.165.896 1.774.413 407.443 15.672 1.566 4.757 4.040.251
1998…………… 41.112 10.690 562.426 1.470.429 1.875.925 639.174 29.272 1.591 2.031 4.632.649
1999…………… 44.514 11.221 653.401 1.554.766 2.059.623 945.767 52.032 1.678 439 5.323.441
2000…………… 45.218 12.866 679.675 1.532.244 2.298.621 978.177 81.217 1.764 1.204 5.630.985
2001…………… 48.730 15.792 664.663 1.668.307 2.435.075 818.834 123.140 1.825 1.283 5.777.650
2002…………… 50.084 17.368 895.072 1.623.306 2.556.754 638.600 137.110 1.897 2.648 5.922.839
2003…………… 50.664 17.378 950.464 1.725.210 2.816.382 779.028 146.726 1.962 3.576 6.491.390
2004…………… 49.287 16.727 986.847 1.805.719 2.950.085 820.665 158.375 2.177 4.898 6.794.781
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 167
Tav. A6
Società finanziarie
Passività finanziarie - consistenze in miliardi di lire
Biglietti e Fondi Riserve Altre
Anni Depositi Titoli Prestiti Azioni Totale
monete comuni tecniche passività
1950…………… 1.165 3.161 202 586 117 – 138 – 5.369
1951…………… 1.292 3.692 254 676 142 – 170 – 6.227
1952…………… 1.381 4.606 356 776 174 – 204 – 7.497
1953…………… 1.449 5.230 471 873 218 – 239 – 8.481
1954…………… 1.538 5.890 611 1.094 292 – 287 – 9.712
1955…………… 1.671 6.767 774 1.386 335 – 341 – 11.275
1956…………… 1.818 7.547 926 1.528 375 – 400 – 12.595
1957…………… 1.914 8.456 1.085 1.568 436 – 464 – 13.923
1958…………… 2.061 10.367 1.325 2.019 502 – 525 – 16.799
1959…………… 2.237 12.631 1.604 2.101 610 – 596 – 19.779
1960…………… 2.424 13.116 2.034 2.369 729 – 682 – 21.353
1961…………… 2.779 15.518 2.572 2.677 832 – 789 – 25.167
1962…………… 3.234 18.512 3.337 3.266 969 – 910 – 30.227
1963…………… 3.698 20.700 4.169 4.339 1.183 – 928 1.257 36.274
1964…………… 3.914 23.061 4.963 4.263 1.272 – 1.058 1.363 39.894
1965…………… 4.283 27.536 5.690 4.508 1.452 – 1.226 1.478 46.173
1966…………… 4.595 31.596 6.635 5.435 1.687 – 1.420 1.777 53.145
1967…………… 5.125 35.662 7.722 6.794 1.924 – 1.648 2.017 60.892
1968…………… 5.390 40.701 9.038 7.957 2.255 – 1.878 2.497 69.716
1969…………… 6.100 45.070 10.455 10.522 2.529 – 2.103 2.949 79.728
1970…………… 6.619 53.450 12.127 11.911 2.856 – 2.305 3.792 93.060
1971…………… 7.281 64.445 14.705 14.075 3.327 – 2.701 4.623 111.157
1972…………… 8.748 78.635 17.476 20.232 3.898 – 3.117 4.524 136.630
1973…………… 10.029 95.121 24.329 25.669 5.050 – 3.596 5.426 169.220
1974…………… 11.159 116.205 26.930 26.409 6.045 – 4.129 8.382 199.259
1975…………… 12.921 146.316 33.432 30.404 9.688 – 4.757 0 237.518
1976…………… 14.590 185.155 38.750 34.911 11.650 – 5.532 0 290.588
1977…………… 16.507 218.470 44.221 40.120 11.035 – 6.415 14.583 351.351
1978…………… 19.551 269.199 49.889 40.130 14.751 – 7.312 15.080 415.912
1979…………… 22.592 313.168 55.087 45.830 19.219 – 8.481 20.397 484.774
1980…………… 26.317 360.044 61.540 56.086 48.795 – 9.954 44.174 606.910
1981…………… 30.659 405.756 69.692 30.310 63.616 – 11.905 326 612.264
1982…………… 34.242 478.458 78.074 34.042 63.206 – 14.346 413 702.781
1983…………… 38.443 546.109 85.913 52.214 72.877 – 16.918 396 812.870
1984…………… 43.198 611.191 90.289 124.525 86.633 1.163 35.210 555 992.764
1985…………… 46.995 673.413 95.559 152.316 151.369 19.784 40.983 671 1.181.090
1986…………… 50.528 730.498 102.535 160.107 259.995 65.079 49.396 739 1.418.877
1987…………… 54.454 777.081 114.031 170.852 208.592 59.454 57.401 767 1.442.632
1988…………… 58.953 833.053 122.180 202.547 258.938 51.565 69.740 821 1.597.797
1989…………… 70.022 1.066.792 131.457 162.055 341.098 49.165 85.301 25.925 1.931.815
1990…………… 73.376 1.135.282 136.805 213.031 308.896 47.379 99.492 28.493 2.042.754
1991…………… 80.491 1.261.654 153.745 287.748 370.298 56.191 117.763 29.087 2.356.980
1992…………… 89.222 1.455.987 166.791 345.363 320.460 60.663 139.454 30.139 2.608.080
1993…………… 93.508 1.536.515 194.778 365.472 392.761 110.093 154.174 25.318 2.872.620
1994…………… 100.025 1.546.307 215.970 344.370 374.790 130.168 178.285 25.474 2.915.389
1995…………… 103.249 1.790.953 192.764 322.540 312.385 126.802 234.115 4.168 3.086.976
1996…………… 106.106 1.850.479 320.581 320.477 315.630 197.544 266.332 4.154 3.381.303
1997…………… 114.073 1.836.000 444.791 389.479 504.728 368.432 308.581 2.439 3.968.524
1998…………… 122.411 1.770.545 575.669 424.367 768.226 720.823 356.623 1.316 4.739.979
1999…………… 136.728 1.937.460 591.921 458.784 874.186 920.311 437.528 1.798 5.358.716
2000…………… 145.344 2.050.218 747.927 531.016 1.064.447 871.188 508.041 1.180 5.919.360
2001…………… 125.230 2.042.754 873.106 628.731 770.420 781.651 576.480 1.873 5.800.244
2002…………… 121.666 2.291.889 1.010.390 650.182 620.968 698.136 647.706 2.541 6.043.478
2003…………… 142.911 2.477.943 1.127.314 692.458 788.037 733.423 741.879 4.172 6.708.135
2004…………… 163.017 2.659.622 1.311.692 655.582 917.449 693.750 841.032 5.272 7.247.417
168 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
Tav. A7
Banche
Attività finanziarie - consistenze in miliardi di lire
Biglietti e Fondi Riserve
Anni Depositi Titoli Prestiti Azioni Altre attività Totale
monete comuni tecniche
1950…………… 53 556 690 2.249 20 – – – 3.567
1951…………… 66 743 804 2.668 22 – – – 4.303
1952…………… 67 893 966 3.359 30 – – – 5.314
1953…………… 67 988 1.135 4.055 38 – – – 6.282
1954…………… 66 1.177 1.254 4.677 52 – – – 7.227
1955…………… 74 1.398 1.416 5.565 53 – – – 8.506
1956…………… 93 1.450 1.608 6.392 54 – – – 9.597
1957…………… 98 1.632 1.759 7.083 65 – – – 10.637
1958…………… 105 2.405 2.219 7.703 88 – – – 12.520
1959…………… 110 2.602 2.745 8.906 140 – – – 14.503
1960…………… 116 2.491 3.199 10.785 170 – – – 16.761
1961…………… 122 2.750 3.683 12.954 213 – – – 19.721
1962…………… 193 3.314 4.194 16.184 254 – – – 24.139
1963…………… 235 4.353 4.478 19.672 435 – – – 29.173
1964…………… 191 5.286 5.061 21.199 438 – – 20 32.195
1965…………… 229 6.508 6.493 23.809 526 – – 0 37.565
1966…………… 206 7.451 7.977 27.463 636 – – 0 43.733
1967…………… 262 8.335 9.068 31.902 769 – – 0 50.336
1968…………… 334 9.005 10.840 37.046 881 – – 136 58.242
1969…………… 349 9.464 12.027 43.364 1.060 – – 108 66.372
1970…………… 378 12.523 13.206 50.442 1.216 – – 66 77.831
1971…………… 389 15.936 16.821 59.123 1.273 – – 0 93.542
1972…………… 546 21.271 20.697 71.887 1.537 – – 0 115.938
1973…………… 688 23.418 27.936 88.817 2.018 – – 0 142.877
1974…………… 685 30.600 34.684 94.604 2.458 – – 419 163.450
1975…………… 700 42.097 46.031 110.253 3.644 – – 0 202.725
1976…………… 733 53.513 52.234 128.713 4.559 – – 2.118 241.870
1977…………… 842 61.229 77.809 142.614 4.058 – – 3.239 289.791
1978…………… 1.104 78.014 98.425 162.782 4.092 – – 4.303 348.720
1979…………… 1.586 85.881 112.509 192.137 5.459 – – 7.991 405.563
1980…………… 1.690 104.438 125.540 227.497 8.079 – – 7.162 474.406
1981…………… 1.694 122.442 135.655 228.994 19.770 – – 11.349 519.904
1982…………… 1.817 143.148 175.704 257.243 22.436 – – 13.704 614.052
1983…………… 2.013 163.463 206.837 293.583 33.883 – – 16.800 716.579
1984…………… 3.000 179.740 215.497 410.443 27.550 – – 21.655 857.885
1985…………… 3.033 199.384 229.171 457.005 36.521 – – 26.490 951.604
1986…………… 3.380 217.779 238.043 494.127 68.044 – – 31.058 1.052.431
1987…………… 2.981 223.473 246.213 534.532 54.098 – – 35.770 1.097.067
1988…………… 3.212 228.626 237.499 623.020 59.015 – – 37.407 1.188.779
1989…………… 3.878 308.912 235.033 701.810 21.338 – – 33.000 1.303.971
1990…………… 5.363 295.294 236.055 814.102 21.920 – – 37.398 1.410.133
1991…………… 5.776 299.935 285.549 944.514 39.432 – – 43.040 1.618.247
1992…………… 5.311 366.733 346.808 1.075.882 37.846 – – 51.085 1.883.665
1993…………… 5.462 380.739 354.808 1.160.266 52.571 – – 66.718 2.020.565
1994…………… 5.749 352.782 402.447 1.131.287 40.312 – – 90.804 2.023.382
1995…………… 7.559 352.991 422.426 1.423.800 49.563 106 1.380 11.744 2.269.567
1996…………… 8.675 403.325 473.350 1.496.365 56.251 633 1.493 9.112 2.449.205
1997…………… 9.458 437.682 466.912 1.583.514 83.490 1.080 1.566 4.758 2.588.459
1998…………… 10.651 436.693 493.409 1.659.884 142.777 3.404 1.591 2.029 2.750.438
1999…………… 11.182 418.553 516.559 1.795.227 205.312 6.059 1.678 422 2.954.993
2000…………… 12.727 461.456 492.528 2.001.517 234.040 8.742 1.764 1.166 3.213.939
2001…………… 15.701 445.153 524.499 2.100.639 209.461 11.842 1.825 1.226 3.310.346
2002…………… 17.316 659.778 485.518 2.235.756 194.737 15.858 1.897 409 3.611.269
2003…………… 17.331 686.958 495.621 2.401.889 263.914 18.368 1.962 1.276 3.887.318
2004…………… 16.674 742.313 553.304 2.537.814 287.233 22.519 2.177 3.278 4.165.312
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 169
Tav. A8
Banche
Passività finanziarie - consistenze in miliardi di lire
Riserve Altre
Anni Depositi Titoli Prestiti Azioni Totale
tecniche passività
1950…………… 2.263 202 437 77 – – 2.979
1951…………… 2.720 254 518 93 – – 3.586
1952…………… 3.376 356 659 112 – – 4.504
1953…………… 3.966 471 742 147 – – 5.327
1954…………… 4.541 611 825 185 – – 6.162
1955…………… 5.235 774 1.040 221 – – 7.270
1956…………… 5.920 926 1.162 260 – – 8.268
1957…………… 6.610 1.085 1.310 321 – – 9.326
1958…………… 7.693 1.325 1.791 382 – – 11.190
1959…………… 9.024 1.604 1.883 494 – – 13.005
1960…………… 10.423 2.034 2.140 608 – – 15.205
1961…………… 12.237 2.572 2.412 695 – – 17.916
1962…………… 14.552 3.337 2.953 831 – – 21.673
1963…………… 18.819 4.169 4.249 1.044 – 892 29.173
1964…………… 20.956 4.963 4.183 1.131 – 962 32.195
1965…………… 25.069 5.690 4.466 1.311 – 1.029 37.565
1966…………… 28.885 6.635 5.408 1.535 – 1.270 43.733
1967…………… 32.660 7.722 6.748 1.751 – 1.455 50.336
1968…………… 37.374 9.038 7.879 2.066 – 1.885 58.242
1969…………… 41.046 10.455 10.446 2.317 – 2.108 66.372
1970…………… 48.684 12.127 11.724 2.636 – 2.660 77.831
1971…………… 58.475 14.705 13.867 3.056 – 3.439 93.542
1972…………… 71.670 17.476 19.937 3.594 – 3.261 115.938
1973…………… 84.634 24.329 25.339 4.618 – 3.957 142.877
1974…………… 102.250 26.930 22.420 5.495 – 6.355 163.450
1975…………… 127.436 33.432 23.499 7.344 – 0 191.711
1976…………… 157.913 38.750 25.464 9.153 – 0 231.280
1977…………… 190.968 44.221 31.255 9.763 – 4.862 281.069
1978…………… 235.383 49.889 35.498 12.915 – 3.044 336.729
1979…………… 277.767 55.087 42.837 12.043 – 0 387.734
1980…………… 321.221 61.422 54.056 17.978 – 0 454.677
1981…………… 358.959 69.368 27.057 21.840 – 0 477.224
1982…………… 429.035 77.792 30.637 22.346 – 0 559.810
1983…………… 488.808 85.730 45.204 34.805 – 0 654.547
1984…………… 545.116 90.159 118.216 49.596 9.811 0 812.898
1985…………… 591.881 95.488 133.880 59.574 10.949 0 891.772
1986…………… 643.103 102.512 137.517 71.116 13.003 0 967.251
1987…………… 680.058 113.919 146.378 73.922 14.368 0 1.028.645
1988…………… 727.696 122.084 170.720 83.182 15.350 0 1.119.032
1989…………… 951.527 131.451 88.208 176.137 17.617 14.518 1.379.458
1990…………… 1.010.197 136.636 109.908 156.886 18.456 17.046 1.449.129
1991…………… 1.132.708 153.432 164.058 198.440 21.175 16.875 1.686.688
1992…………… 1.327.663 166.407 206.536 156.870 22.417 19.918 1.899.811
1993…………… 1.400.597 194.225 225.527 173.495 23.628 18.858 2.036.329
1994…………… 1.393.881 215.720 224.381 173.654 25.688 18.428 2.051.753
1995…………… 1.643.271 189.429 150.184 161.924 28.176 2.697 2.175.681
1996…………… 1.720.364 316.943 137.826 172.012 29.163 2.708 2.379.018
1997…………… 1.691.620 440.022 171.795 325.513 29.455 2.083 2.660.488
1998…………… 1.712.000 570.250 180.629 521.668 27.994 468 3.013.008
1999…………… 1.827.243 566.574 193.349 630.937 28.143 600 3.246.845
2000…………… 1.961.104 690.725 224.526 713.978 28.787 77 3.619.197
2001…………… 1.975.787 745.931 282.592 459.251 24.293 32 3.487.887
2002…………… 2.218.705 838.690 277.205 399.820 23.838 321 3.758.578
2003…………… 2.271.512 916.639 306.608 527.128 23.388 437 4.045.711
2004…………… 2.408.023 1.058.974 289.289 586.990 22.949 1.202 4.367.427
170 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
Tav. A9
Amministrazioni pubbliche
Attività finanziarie - consistenze in miliardi di lire
Biglietti e Fondi Riserve
Anni Depositi Titoli Prestiti Azioni Altre attività Totale
monete comuni tecniche
1950…………… – – 115 337 3 – – – 456
1951…………… – – 159 520 3 – – – 682
1952…………… – – 208 701 4 – – – 912
1953…………… – – 251 873 5 – – – 1.129
1954…………… – – 283 1.027 6 – – – 1.316
1955…………… – – 295 1.181 6 – – – 1.482
1956…………… – – 312 1.373 6 – – – 1.692
1957…………… – – 333 1.555 11 – – – 1.899
1958…………… – – 345 1.836 12 – – – 2.193
1959…………… – – 366 2.027 12 – – – 2.405
1960…………… – – 391 2.257 14 – – – 2.662
1961…………… – – 442 2.588 18 – – – 3.048
1962…………… – – 640 2.972 22 – – – 3.634
1963…………… 26 1.843 1.069 5.895 1.066 – – 6 9.905
1964…………… 39 2.020 1.631 6.624 1.152 – – 5 11.471
1965…………… 43 2.258 1.638 7.159 1.414 – – 7 12.519
1966…………… 49 1.998 1.602 7.525 1.554 – – 4 12.732
1967…………… 57 2.096 1.559 9.008 1.838 – – 9 14.567
1968…………… 56 2.338 1.527 10.003 2.307 – – 6 16.237
1969…………… 69 2.751 1.481 11.270 2.635 – – 8 18.214
1970…………… 86 2.601 1.450 12.295 2.960 – – 6 19.398
1971…………… 92 3.335 1.470 13.057 3.751 – – 7 21.712
1972…………… 115 3.205 1.454 15.940 4.533 – – 11 25.258
1973…………… 159 7.339 1.522 19.346 5.590 – – 15 33.971
1974…………… 177 8.955 1.524 28.856 6.120 – – 21 45.653
1975…………… 243 10.271 2.177 38.770 7.210 – – 43 58.714
1976…………… 271 11.037 2.328 49.489 9.000 – – 25 72.150
1977…………… 297 14.411 2.505 68.375 11.014 – – 39 96.641
1978…………… 463 25.843 2.795 78.180 15.201 – – 9 122.491
1979…………… 646 37.643 3.515 89.490 17.184 – – 3 148.481
1980…………… 772 47.075 5.268 112.213 23.392 – – 42 188.762
1981…………… 877 54.143 5.816 139.366 29.630 – – 40 229.872
1982…………… 937 59.622 5.922 168.800 37.923 – – 2 273.206
1983…………… 1.078 31.100 6.875 62.331 47.098 – – 0 148.482
1984…………… 1.277 31.510 10.166 66.100 56.137 – – 0 165.190
1985…………… 1.272 37.677 11.396 76.512 63.708 – – 0 190.565
1986…………… 1.364 35.666 14.583 85.624 69.177 – – 0 206.414
1987…………… 1.462 37.185 17.101 89.762 72.813 – – 0 218.323
1988…………… 1.596 39.203 19.313 103.310 76.220 – – 0 239.642
1989…………… 43 44.914 22.689 127.724 76.278 – – 15.017 286.665
1990…………… 111 46.990 26.388 140.196 80.215 – – 14.596 308.497
1991…………… 30 50.293 28.318 149.860 83.557 – – 14.648 326.707
1992…………… 57 54.490 31.012 155.394 90.351 – – 11.590 342.895
1993…………… 82 88.462 31.953 168.004 100.479 – – 8.841 397.823
1994…………… 52 120.643 32.798 184.787 96.620 – – 5.708 440.610
1995…………… 25 140.866 22.906 205.635 180.523 397 1.251 64.099 615.702
1996…………… 79 125.388 27.714 224.434 207.862 608 1.389 74.797 662.272
1997…………… 148 126.717 31.091 220.353 234.471 1.134 1.505 95.513 710.932
1998…………… 0 115.018 32.909 208.558 232.811 2.129 1.624 122.743 715.791
1999…………… 0 150.856 43.502 211.832 188.358 2.709 1.776 148.937 747.970
2000…………… 0 133.949 43.416 218.565 215.178 7.837 1.937 175.543 796.425
2001…………… 0 138.449 38.636 231.134 195.488 14.450 2.141 177.631 797.928
2002…………… 0 124.816 33.051 245.786 184.744 13.377 2.347 184.766 788.888
2003…………… 0 108.936 23.073 158.128 175.261 13.301 2.601 208.324 689.624
2004…………… 0 116.517 23.208 190.552 180.670 12.987 2.887 206.804 733.625
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 171
Tav. A10
Amministrazioni pubbliche
Passività finanziarie - consistenze in miliardi di lire
Biglietti e Riserve Altre
Anni Depositi Titoli Prestiti Azioni Totale
monete tecniche passività
1950…………… 11 818 1.479 1.226 – 153 – 3.686
1951…………… 13 958 1.637 1.264 – 212 – 4.084
1952…………… 32 1.162 1.841 1.546 – 257 – 4.839
1953…………… 52 1.426 2.063 1.806 – 317 – 5.664
1954…………… 62 1.520 2.400 2.072 – 372 – 6.426
1955…………… 70 1.639 2.712 2.469 – 433 – 7.323
1956…………… 41 1.788 2.951 2.648 – 513 – 7.940
1957…………… 37 1.916 3.126 2.842 – 610 – 8.531
1958…………… 50 2.111 3.640 3.157 – 717 – 9.674
1959…………… 62 2.240 4.282 3.398 – 843 – 10.826
1960…………… 78 2.461 4.406 3.871 – 915 – 11.732
1961…………… 89 2.734 4.649 4.408 – 1.030 – 12.909
1962…………… 96 3.075 4.889 5.499 – 1.163 – 14.722
1963…………… 110 4.865 4.649 6.745 – 1.399 61 17.829
1964…………… 118 5.371 5.123 7.826 – 1.606 68 20.112
1965…………… 127 6.086 5.910 8.914 – 1.778 77 22.892
1966…………… 190 6.191 7.681 9.086 – 2.045 83 25.276
1967…………… 206 6.806 8.744 10.368 – 2.318 97 28.539
1968…………… 209 7.374 10.326 11.899 – 2.602 104 32.514
1969…………… 218 8.220 12.122 12.558 – 2.912 119 36.149
1970…………… 230 8.400 13.209 15.797 – 3.247 132 41.015
1971…………… 245 9.498 17.075 17.566 – 3.635 142 48.161
1972…………… 258 10.905 20.519 22.492 – 3.985 160 58.316
1973…………… 283 13.695 26.009 30.732 – 4.147 172 75.038
1974…………… 299 16.346 34.211 38.569 1 4.745 198 94.369
1975…………… 323 19.640 49.651 51.315 1 5.438 239 126.607
1976…………… 367 22.383 61.432 67.812 2 6.331 232 158.559
1977…………… 418 26.973 83.940 81.969 3 7.487 228 201.018
1978…………… 574 36.757 110.246 94.085 133 8.729 205 250.729
1979…………… 661 56.201 128.961 106.024 10 9.939 320 302.116
1980…………… 717 70.805 152.807 131.659 16 11.846 276 368.126
1981…………… 790 90.981 194.451 162.165 15 13.638 300 462.340
1982…………… 884 100.494 251.614 198.867 15 15.901 297 568.072
1983…………… 960 71.838 333.704 129.600 15 18.137 329 554.583
1984…………… 1.041 70.083 407.259 156.118 15 20.879 1.393 656.788
1985…………… 1.071 83.496 516.620 168.750 15 24.144 1.878 795.974
1986…………… 1.084 95.090 615.876 177.396 15 27.728 2.332 919.521
1987…………… 1.167 110.043 703.638 195.008 59 30.676 3.027 1.043.618
1988…………… 1.249 124.851 808.628 217.140 59 33.706 2.763 1.188.396
1989…………… 1.341 112.530 933.325 215.223 103 – 59 1.262.581
1990…………… 1.429 125.266 1.062.201 235.938 106 – 46 1.424.986
1991…………… 1.530 136.954 1.197.805 264.584 108 – 41 1.601.022
1992…………… 1.632 144.775 1.352.476 292.001 110 – 49 1.791.043
1993…………… 1.720 152.464 1.541.031 310.589 112 – 466 2.006.383
1994…………… 1.830 170.182 1.798.838 238.612 113 – 863 2.210.439
1995…………… 1.966 246.072 1.774.390 286.866 116 – 111.035 2.420.444
1996…………… 2.055 266.079 2.016.237 295.223 118 – 104.544 2.684.256
1997…………… 2.193 283.267 2.149.816 295.564 129 – 110.541 2.841.510
1998…………… 2.557 301.937 2.306.186 274.301 145 – 107.044 2.992.169
1999…………… 2.600 332.731 2.228.307 299.259 160 – 113.922 2.976.980
2000…………… 2.607 349.202 2.275.706 291.009 173 – 107.333 3.026.029
2001…………… 2.362 387.904 2.353.465 295.556 187 – 93.515 3.132.989
2002…………… 4.122 407.013 2.402.754 292.705 200 – 95.328 3.202.123
2003…………… 4.421 306.417 2.418.673 327.635 225 – 97.882 3.155.253
2004…………… 5.029 311.229 2.537.038 357.136 234 – 102.242 3.312.908
172 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
Tav. A11
Resto del mondo
Attività finanziarie - consistenze in miliardi di lire
Fondi Riserve
Anni Depositi Titoli Prestiti Azioni Altre attività Crediti Totale
comuni tecniche
commerciali
1950…………… 15 6 488 306 – – – – 815
1951…………… 16 6 471 323 – – – – 817
1952…………… 17 7 458 416 – – – – 898
1953…………… 26 8 450 479 – – – – 962
1954…………… 26 9 579 537 – – – – 1.150
1955…………… 29 10 740 611 – – – – 1.389
1956…………… 52 11 782 713 – – – – 1.559
1957…………… 68 13 768 814 – – – – 1.663
1958…………… 41 14 766 914 – – – – 1.734
1959…………… 163 17 906 1.171 – – – – 2.258
1960…………… 168 19 998 1.265 – – – – 2.450
1961…………… 67 25 1.202 1.749 – – – – 3.043
1962…………… 89 28 1.287 1.976 – – – – 3.381
1963…………… 103 33 2.928 2.362 – – – – 5.426
1964…………… 25 37 2.999 2.340 – – – – 5.401
1965…………… 50 50 3.438 2.672 – – – – 6.210
1966…………… 33 53 3.662 2.929 – – – – 6.677
1967…………… 33 44 3.942 3.234 – – – – 7.253
1968…………… 16 62 4.576 3.392 – – – – 8.046
1969…………… 113 62 6.322 4.095 – – – – 10.592
1970…………… 22 62 9.176 4.169 – – – – 13.429
1971…………… 61 77 11.173 4.262 – – – – 15.573
1972…………… 58 90 15.482 5.084 – – 422 422 21.136
1973…………… 237 100 22.098 5.798 – – 404 404 28.637
1974…………… 243 119 21.557 6.328 – – 697 411 28.944
1975…………… 335 85 23.963 7.363 – – 795 509 32.541
1976…………… 503 59 30.319 7.368 – – 1.085 788 39.334
1977…………… 604 157 35.875 7.816 – – 1.078 785 45.530
1978…………… 696 165 29.906 7.549 – – 8.786 8.522 47.102
1979…………… 658 675 34.115 10.048 – – 10.347 10.038 55.843
1980…………… 749 720 55.215 13.191 – – 12.078 11.772 81.953
1981…………… 740 950 41.738 14.842 – – 16.297 16.297 74.567
1982…………… 890 1.543 53.893 15.612 – – 17.014 15.993 88.952
1983…………… 821 1.704 75.693 17.618 – – 20.501 19.289 116.337
1984…………… 893 2.760 184.846 24.986 – – 23.016 23.016 236.501
1985…………… 485 5.361 191.473 38.013 – – 24.093 24.093 259.425
1986…………… 354 10.386 191.409 39.645 – – 23.194 23.194 264.988
1987…………… 1.108 9.990 206.035 40.258 – – 27.869 27.869 285.260
1988…………… 1.034 14.067 239.892 57.429 – – 29.072 29.072 341.494
1989…………… 141.929 50.562 127.246 65.662 3.106 – 36.807 29.631 425.312
1990…………… 147.258 69.007 172.192 62.596 2.488 – 44.432 34.529 497.974
1991…………… 168.950 88.582 211.717 67.803 2.433 – 44.015 34.047 583.499
1992…………… 222.920 115.104 270.960 64.591 2.158 – 59.116 35.237 734.849
1993…………… 219.361 200.808 280.154 95.400 3.006 – 64.964 34.689 863.693
1994…………… 230.423 264.456 266.505 98.949 3.124 – 73.282 41.714 936.739
1995…………… 244.645 329.425 282.184 107.941 2.935 8.940 47.459 47.459 1.023.528
1996…………… 268.884 444.600 262.458 138.231 3.252 10.788 42.650 42.650 1.170.863
1997…………… 297.536 591.583 284.947 225.801 5.401 11.967 47.951 47.951 1.465.187
1998…………… 313.811 770.307 268.171 329.526 7.955 12.547 43.794 43.794 1.746.112
1999…………… 372.813 925.866 332.288 370.268 7.955 20.287 54.961 53.778 2.084.438
2000…………… 414.424 1.039.129 361.854 396.136 7.955 22.509 60.553 59.120 2.302.560
2001…………… 351.920 1.121.626 416.093 354.457 7.968 24.527 60.370 55.299 2.336.961
2002…………… 319.176 1.232.520 416.797 317.872 7.960 26.043 55.705 49.776 2.376.073
2003…………… 321.553 1.338.392 438.891 343.571 7.955 27.326 52.418 49.051 2.530.107
2004…………… 344.260 1.445.846 433.064 415.807 7.966 32.252 49.626 49.372 2.728.822
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 173
Tav. A12
Resto del mondo
Passività finanziarie - consistenze in miliardi di lire
Biglietti e Fondi Altre
Anni Oro e DSP Depositi Titoli Prestiti Azioni Debiti Totale
monete comuni passività
commerciali
1950…………… 112 57 53 107 336 62 – 145 – 871
1951…………… 113 82 71 121 279 58 – 136 – 859
1952…………… 169 84 85 100 361 57 – 135 – 990
1953…………… 169 106 94 84 297 57 – 135 – 941
1954…………… 169 79 112 167 342 57 – 134 – 1.060
1955…………… 173 58 133 376 343 57 – 133 – 1.273
1956…………… 179 64 138 450 417 124 – 292 – 1.663
1957…………… 235 79 155 511 416 123 – 289 – 1.807
1958…………… 646 94 228 553 482 129 – 303 – 2.434
1959…………… 1.203 65 247 671 556 138 – 326 – 3.206
1960…………… 1.549 74 237 481 597 161 – 379 – 3.478
1961…………… 1.561 112 261 665 729 224 – 528 – 4.081
1962…………… 1.573 110 315 836 948 379 – 893 – 5.054
1963…………… 1.464 8 563 661 1.386 656 – 1.454 – 6.192
1964…………… 1.317 8 532 1.143 1.398 728 – 1.746 – 6.872
1965…………… 1.502 11 476 1.238 2.814 835 – 1.867 – 8.743
1966…………… 1.509 10 653 1.362 3.695 878 – 2.123 – 10.230
1967…………… 1.500 9 743 1.478 4.232 1.170 – 2.504 – 11.636
1968…………… 1.827 11 910 1.294 5.270 1.414 – 3.065 – 13.791
1969…………… 1.848 11 839 1.211 7.154 1.760 – 4.313 – 17.136
1970…………… 1.852 14 1.282 1.650 8.945 2.262 – 4.814 – 20.819
1971…………… 1.945 12 1.487 2.039 10.684 2.296 – 5.011 – 23.474
1972…………… 2.015 20 1.616 2.032 15.328 2.917 – 5.869 – 29.797
1973…………… 2.018 15 893 2.472 19.926 2.952 – 6.585 – 34.861
1974…………… 1.948 23 945 3.067 13.117 3.271 – 7.585 – 29.956
1975…………… 1.870 24 788 2.083 15.482 3.394 – 8.338 – 31.979
1976…………… 8.235 29 1.374 3.529 15.205 3.542 – 8.444 – 40.358
1977…………… 9.940 25 2.552 6.623 17.742 3.603 – 8.449 – 48.934
1978…………… 12.137 16 3.688 7.466 23.457 6.086 – 8.441 – 61.291
1979…………… 16.617 15 9.000 7.369 31.671 5.817 – 8.439 – 78.928
1980…………… 34.788 13 14.720 7.869 45.482 8.856 – 9.038 – 120.766
1981…………… 35.732 16 17.012 9.549 16.464 11.886 – 7.759 – 98.418
1982…………… 33.556 4 15.137 6.223 21.377 14.716 – 423 – 91.436
1983…………… 44.493 0 22.328 12.441 27.493 20.291 – 411 – 127.457
1984…………… 43.234 0 25.914 15.321 84.806 33.971 5.737 40.185 40.185 249.168
1985…………… 40.409 0 20.133 8.645 97.380 38.892 8.671 38.585 38.585 252.715
1986…………… 36.288 0 21.753 9.788 94.855 48.591 10.734 36.575 36.575 258.584
1987…………… 41.066 0 28.392 14.879 91.263 51.132 10.583 43.050 43.050 280.365
1988…………… 38.481 0 35.972 25.201 105.138 63.653 10.873 42.324 42.324 321.642
1989…………… 34.931 0 131.060 49.396 30.266 71.788 10.475 46.251 46.223 374.166
1990…………… 31.751 0 139.485 73.818 35.626 74.250 8.067 51.512 51.508 414.509
1991…………… 30.355 0 123.794 114.147 51.215 91.089 7.576 53.699 53.383 471.875
1992…………… 30.294 0 134.708 117.778 87.057 114.560 8.026 72.833 57.318 565.257
1993…………… 37.320 0 165.526 129.690 130.167 175.574 8.291 84.275 60.929 730.844
1994…………… 41.542 0 184.147 146.289 106.279 175.166 8.556 106.729 71.098 768.709
1995…………… 40.257 0 246.636 176.686 171.901 199.221 25.032 79.100 79.100 938.833
1996…………… 38.411 0 305.779 205.574 222.679 221.362 34.577 80.499 80.499 1.108.882
1997…………… 37.696 0 352.196 307.204 273.935 359.921 54.605 84.885 84.885 1.470.442
1998…………… 41.112 0 289.765 427.590 277.639 520.308 71.180 83.617 83.617 1.711.211
1999…………… 44.514 0 275.683 605.817 315.841 934.092 112.382 103.137 101.536 2.391.466
2000…………… 45.218 0 240.809 636.185 361.353 977.450 146.092 119.002 115.620 2.526.109
2001…………… 48.730 0 226.390 728.773 360.644 886.968 155.907 114.979 114.576 2.522.392
2002…………… 50.084 0 217.555 705.041 347.149 675.496 133.585 110.728 110.135 2.239.640
2003…………… 50.664 0 248.612 757.834 340.487 760.065 151.587 113.090 109.617 2.422.340
2004…………… 49.287 0 216.916 773.931 399.260 782.968 176.156 114.515 112.246 2.513.033
174 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
Tav. A13
Partite non classificabili
Attività finanziarie - consistenze in miliardi di lire
Biglietti e Fondi Riserve
Anni Depositi Prestiti Titoli Azioni Altre attività Totale
monete comuni tecniche
1950…………… 6 -141 -87 -106 236 0 0 0 -92
1951…………… 8 -376 -91 -124 258 0 0 0 -325
1952…………… 10 -193 -74 -163 289 0 0 0 -131
1953…………… 13 -131 -40 -211 312 0 0 0 -57
1954…………… 24 -145 129 -228 355 0 0 0 134
1955…………… 30 -140 398 -296 382 0 0 0 374
1956…………… -1 -153 526 -290 413 0 0 0 495
1957…………… 5 -165 646 -304 621 0 0 0 803
1958…………… 3 -565 1.214 -107 684 0 0 0 1.228
1959…………… 3 -846 1.318 93 858 0 0 0 1.425
1960…………… 6 -794 1.656 -165 1.074 0 0 0 1.776
1961…………… 7 -737 1.773 -376 1.515 0 0 0 2.183
1962…………… 12 -973 2.435 -456 1.325 0 0 0 2.343
1963…………… 0 705 133 0 273 0 0 1.257 2.368
1964…………… 0 705 184 0 202 0 0 1.363 2.454
1965…………… 0 891 138 0 322 0 0 1.478 2.829
1966…………… 0 998 154 0 401 0 0 1.777 3.330
1967…………… 0 1.165 220 0 398 0 0 2.017 3.800
1968…………… 0 1.334 225 0 442 0 0 2.497 4.498
1969…………… 0 1.684 205 0 526 0 0 2.949 5.364
1970…………… 0 1.564 399 0 511 0 0 3.792 6.266
1971…………… 0 1.491 352 0 495 0 0 4.623 6.961
1972…………… 0 1.879 166 0 858 0 0 4.524 7.427
1973…………… 0 807 496 38 1.031 0 0 5.426 7.798
1974…………… 0 1.984 157 0 1.647 0 0 8.382 12.170
1975…………… 0 897 194 0 3.108 0 0 0 4.199
1976…………… 0 2.579 22 0 3.642 0 0 0 6.243
1977…………… 0 2.111 776 0 802 0 0 14.583 18.272
1978…………… 0 2.542 260 0 -172 0 0 15.080 17.710
1979…………… 0 5.357 46 0 0 0 0 20.397 25.800
1980…………… 0 8.242 3.696 118 0 0 0 44.174 56.230
1981…………… 0 14.952 1.776 695 0 0 0 405 17.828
1982…………… 0 14.642 1 282 0 0 0 423 15.348
1983…………… 0 14.409 76 0 0 0 0 411 14.896
1984…………… 0 3.199 8.567 0 0 0 0 0 11.766
1985…………… 0 4.585 8.839 0 0 0 0 0 13.424
1986…………… 0 5.245 8.526 0 0 0 0 0 13.771
1987…………… 0 2.613 7.876 0 0 0 0 0 10.489
1988…………… 0 3.578 6.975 0 0 0 0 0 10.553
1989…………… 0 14.542 43 7.606 0 536 0 1.074 23.801
1990…………… 0 10.965 -547 9.807 0 362 0 1.257 21.845
1991…………… 0 10.226 -232 6.810 0 73 0 1.472 18.349
1992…………… 0 10.721 1.094 11.557 0 -621 0 11.879 34.629
1993…………… 0 21.059 4.709 24.683 0 -1.732 0 16.272 64.991
1994…………… 0 28.309 -807 5.785 0 -2.294 0 22.675 53.668
1995…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1996…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1997…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1998…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1999…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
2000…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
2001…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
2002…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
2003…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
2004…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 175
Tav. A14
Partite non classificabili
Passività finanziarie - consistenze in miliardi di lire
Biglietti e Fondi Riserve Altre
Anni Depositi Prestiti Titoli Azioni Totale
monete comuni tecniche passività
1950…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1951…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1952…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1953…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1954…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1955…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1956…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1957…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1958…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1959…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1960…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1961…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1962…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1963…………… 0 575 700 0 0 0 0 0 1.275
1964…………… 0 564 649 0 0 0 0 20 1.233
1965…………… 0 602 687 0 0 0 0 0 1.289
1966…………… 0 734 649 0 0 0 0 0 1.383
1967…………… 0 1.191 764 0 0 0 0 0 1.955
1968…………… 0 884 761 0 0 0 0 136 1.781
1969…………… 0 1.046 1.244 0 0 0 0 108 2.398
1970…………… 0 1.189 1.154 0 0 0 0 66 2.409
1971…………… 0 1.355 915 0 0 0 0 0 2.270
1972…………… 0 3.746 1.127 0 0 0 0 0 4.873
1973…………… 0 1.948 1.548 0 0 0 0 0 3.496
1974…………… 0 2.232 2.012 0 0 0 0 419 4.663
1975…………… 0 1.837 1.639 0 0 0 0 0 3.476
1976…………… 0 2.331 1.950 0 0 0 0 0 4.281
1977…………… 0 2.485 3.742 0 0 0 0 3.239 9.466
1978…………… 0 4.417 2.255 0 0 0 0 4.303 10.975
1979…………… 0 6.158 8.214 0 0 0 0 7.991 22.363
1980…………… 0 6.935 19.095 0 0 0 0 7.162 33.192
1981…………… 0 9.461 27.416 0 0 0 0 0 36.877
1982…………… 0 10.085 35.992 0 0 0 0 1.021 47.098
1983…………… 0 6.809 6.638 0 0 0 0 1.212 14.659
1984…………… 0 5.789 15.508 0 0 0 0 0 21.297
1985…………… 0 7.363 12.599 0 0 0 0 0 19.962
1986…………… 0 10.203 10.543 0 0 0 0 0 20.746
1987…………… 0 3.105 12.192 0 0 0 0 0 15.297
1988…………… 0 5.392 17.593 0 0 0 0 0 22.985
1989…………… 0 0 46.763 0 0 0 0 -3.853 42.910
1990…………… 0 0 46.895 0 0 0 0 -3.087 43.808
1991…………… 0 0 48.937 0 0 0 0 -4.202 44.735
1992…………… 0 0 53.767 0 0 0 0 8.279 62.046
1993…………… 0 0 50.884 0 0 0 0 17.226 68.110
1994…………… 0 0 56.736 0 0 0 0 14.685 71.420
1995…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1996…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1997…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1998…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
1999…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
2000…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
2001…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
2002…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
2003…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
2004…………… 0 0 0 0 0 0 0 0 0
176 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
Tav. A15
Totale settori
Attività finanziarie - consistenze in miliardi di lire
Società Amm.ni Resto del Partite non
Anni Famiglie Imprese Totale
finanziarie Banche pubbliche mondo classificabili
1950…………… 5.655 1.449 5.944 3.567 456 815 -92 14.227
1951…………… 6.301 2.052 6.930 4.303 682 817 -325 16.457
1952…………… 7.407 2.907 8.292 5.314 912 898 -131 20.285
1953…………… 8.184 3.322 9.420 6.282 1.129 962 -57 22.959
1954…………… 9.421 4.262 10.734 7.227 1.316 1.150 134 27.017
1955…………… 10.919 5.214 12.465 8.506 1.482 1.389 374 31.844
1956…………… 12.225 5.661 13.855 9.597 1.692 1.559 495 35.486
1957…………… 13.603 6.451 15.173 10.637 1.899 1.663 803 39.592
1958…………… 15.072 7.625 18.112 12.520 2.193 1.734 1.228 45.965
1959…………… 18.866 11.753 21.221 14.503 2.405 2.258 1.425 57.928
1960…………… 21.977 15.002 22.835 16.761 2.662 2.450 1.776 66.702
1961…………… 24.710 16.254 26.899 19.721 3.048 3.043 2.183 76.137
1962…………… 26.638 17.230 32.581 24.139 3.634 3.381 2.343 85.807
1963…………… 29.249 17.802 35.771 29.173 9.905 5.426 2.368 100.521
1964…………… 29.264 16.900 39.358 32.195 11.471 5.401 2.454 104.848
1965…………… 33.749 20.791 45.564 37.565 12.519 6.210 2.829 121.662
1966…………… 38.961 23.797 52.474 43.733 12.732 6.677 3.330 137.971
1967…………… 43.274 24.739 60.127 50.336 14.567 7.253 3.800 153.760
1968…………… 48.768 26.427 68.835 58.242 16.237 8.046 4.498 172.811
1969…………… 56.316 29.986 78.688 66.372 18.214 10.592 5.364 199.160
1970…………… 61.436 31.770 91.882 77.831 19.398 13.429 6.266 224.181
1971…………… 70.778 32.846 109.742 93.542 21.712 15.573 6.961 257.612
1972…………… 82.870 42.284 134.965 115.938 25.258 21.136 7.427 313.940
1973…………… 97.595 48.291 167.552 142.877 33.971 28.637 7.798 383.844
1974…………… 107.287 47.734 197.148 163.450 45.653 28.944 12.170 438.936
1975…………… 127.534 53.541 247.311 202.725 58.714 32.541 4.199 523.840
1976…………… 149.544 63.877 304.974 241.870 72.150 39.334 6.243 636.122
1977…………… 178.620 69.370 357.503 289.791 96.641 45.530 18.272 765.936
1978…………… 225.169 104.127 425.745 348.720 122.491 47.102 17.710 942.344
1979…………… 310.149 107.320 496.406 405.563 148.481 55.843 25.800 1.143.999
1980…………… 400.808 133.139 597.526 474.406 188.762 81.953 56.230 1.458.418
1981…………… 501.911 153.919 654.736 519.904 229.872 74.567 17.828 1.632.833
1982…………… 602.432 241.863 757.539 614.052 273.206 88.952 15.348 1.979.340
1983…………… 715.258 287.677 889.784 716.579 148.482 116.337 14.896 2.172.433
1984…………… 899.984 365.591 1.063.120 857.885 165.190 236.501 11.766 2.742.153
1985…………… 1.132.980 420.190 1.211.609 951.604 190.565 259.425 13.424 3.228.192
1986…………… 1.447.998 498.076 1.354.786 1.052.431 206.414 264.988 13.771 3.786.033
1987…………… 1.522.295 526.178 1.441.398 1.097.067 218.323 285.260 10.489 4.003.943
1988…………… 1.738.598 610.431 1.562.587 1.188.779 239.642 341.494 10.553 4.503.305
1989…………… 2.132.318 554.938 1.815.778 1.303.971 286.665 425.312 23.801 5.238.812
1990…………… 2.309.797 637.145 1.977.868 1.410.133 308.497 497.974 21.845 5.753.126
1991…………… 2.643.620 711.267 2.241.564 1.618.247 326.707 583.499 18.349 6.525.006
1992…………… 2.750.607 764.837 2.566.824 1.883.665 342.895 734.849 34.629 7.194.640
1993…………… 3.034.816 903.063 2.797.724 2.020.565 397.823 863.693 64.991 8.062.110
1994…………… 3.180.736 979.411 2.891.466 2.023.382 440.610 936.739 53.668 8.482.630
1995…………… 3.182.545 1.148.987 3.217.774 2.269.567 615.702 1.023.528 0 9.188.536
1996…………… 3.501.368 1.199.965 3.550.836 2.449.205 662.272 1.170.863 0 10.085.304
1997…………… 3.934.558 1.354.568 4.040.251 2.588.459 710.932 1.465.187 0 11.505.496
1998…………… 4.411.795 1.559.999 4.632.649 2.750.438 715.791 1.746.112 0 13.066.346
1999…………… 5.052.730 1.960.259 5.323.441 2.954.993 747.970 2.084.438 0 15.168.838
2000…………… 5.364.602 2.298.447 5.630.985 3.213.939 796.425 2.302.560 0 16.393.019
2001…………… 5.322.741 2.153.824 5.777.650 3.310.346 797.928 2.336.961 0 16.389.104
2002…………… 5.400.538 2.018.931 5.922.839 3.611.269 788.888 2.376.073 0 16.507.269
2003…………… 5.645.965 2.138.540 6.491.390 3.887.318 689.624 2.530.107 0 17.495.626
2004…………… 6.140.820 2.297.142 6.794.781 4.165.312 733.625 2.728.822 0 18.695.190
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 177
Tav. A16
Totale settori
Passività finanziarie - consistenze in miliardi di lire
Società Amm.ni Resto del Partite non
Anni Famiglie Imprese Totale
finanziarie Banche pubbliche mondo classificabili
1950…………… 177 4.124 5.369 2.979 3.686 871 0 14.227
1951…………… 219 5.068 6.227 3.586 4.084 859 0 16.457
1952…………… 275 6.685 7.497 4.504 4.839 990 0 20.285
1953…………… 332 7.541 8.481 5.327 5.664 941 0 22.959
1954…………… 394 9.424 9.712 6.162 6.426 1.060 0 27.017
1955…………… 465 11.508 11.275 7.270 7.323 1.273 0 31.844
1956…………… 544 12.744 12.595 8.268 7.940 1.663 0 35.486
1957…………… 602 14.729 13.923 9.326 8.531 1.807 0 39.592
1958…………… 652 16.405 16.799 11.190 9.674 2.434 0 45.965
1959…………… 746 23.371 19.779 13.005 10.826 3.206 0 57.928
1960…………… 902 29.237 21.353 15.205 11.732 3.478 0 66.702
1961…………… 1.078 32.901 25.167 17.916 12.909 4.081 0 76.137
1962…………… 1.325 34.478 30.227 21.673 14.722 5.054 0 85.807
1963…………… 2.121 36.830 36.274 29.173 17.829 6.192 1.275 100.521
1964…………… 2.319 34.418 39.894 32.195 20.112 6.872 1.233 104.848
1965…………… 2.569 39.996 46.173 37.565 22.892 8.743 1.289 121.662
1966…………… 2.904 45.033 53.145 43.733 25.276 10.230 1.383 137.971
1967…………… 3.350 47.388 60.892 50.336 28.539 11.636 1.955 153.760
1968…………… 3.896 51.113 69.716 58.242 32.514 13.791 1.781 172.811
1969…………… 4.348 59.401 79.728 66.372 36.149 17.136 2.398 199.160
1970…………… 4.989 61.889 93.060 77.831 41.015 20.819 2.409 224.181
1971…………… 5.837 66.713 111.157 93.542 48.161 23.474 2.270 257.612
1972…………… 6.950 77.374 136.630 115.938 58.316 29.797 4.873 313.940
1973…………… 9.552 91.677 169.220 142.877 75.038 34.861 3.496 383.844
1974…………… 9.825 100.864 199.259 163.450 94.369 29.956 4.663 438.936
1975…………… 12.129 112.131 237.518 191.711 126.607 31.979 3.476 523.840
1976…………… 13.175 129.161 290.588 231.280 158.559 40.358 4.281 636.122
1977…………… 14.828 140.339 351.351 281.069 201.018 48.934 9.466 765.936
1978…………… 16.843 186.594 415.912 336.729 250.729 61.291 10.975 942.344
1979…………… 19.950 235.869 484.774 387.734 302.116 78.928 22.363 1.144.000
1980…………… 25.294 304.131 606.910 454.677 368.126 120.766 33.192 1.458.419
1981…………… 28.301 394.634 612.264 477.224 462.340 98.418 36.877 1.632.834
1982…………… 32.506 537.447 702.781 559.810 568.072 91.436 47.098 1.979.340
1983…………… 37.545 625.318 812.870 654.547 554.583 127.457 14.659 2.172.432
1984…………… 43.867 778.269 992.764 812.898 656.788 249.168 21.297 2.742.153
1985…………… 55.610 922.842 1.181.090 891.772 795.974 252.715 19.962 3.228.193
1986…………… 68.525 1.099.780 1.418.877 967.251 919.521 258.584 20.746 3.786.033
1987…………… 79.182 1.142.849 1.442.632 1.028.645 1.043.618 280.365 15.297 4.003.943
1988…………… 95.835 1.276.650 1.597.797 1.119.032 1.188.396 321.642 22.985 4.503.305
1989…………… 251.158 1.376.180 1.931.815 1.379.458 1.262.581 374.166 42.910 5.238.811
1990…………… 287.199 1.539.869 2.042.754 1.449.129 1.424.986 414.509 43.808 5.753.126
1991…………… 324.929 1.725.464 2.356.980 1.686.688 1.601.022 471.875 44.735 6.525.005
1992…………… 352.377 1.815.837 2.608.080 1.899.811 1.791.043 565.257 62.046 7.194.639
1993…………… 367.783 2.016.371 2.872.620 2.036.329 2.006.383 730.844 68.110 8.062.110
1994…………… 387.594 2.129.079 2.915.389 2.051.753 2.210.439 768.709 71.420 8.482.630
1995…………… 407.805 2.334.479 3.086.976 2.175.681 2.420.444 938.833 0 9.188.537
1996…………… 445.828 2.465.034 3.381.303 2.379.018 2.684.256 1.108.882 0 10.085.303
1997…………… 485.829 2.739.192 3.968.524 2.660.488 2.841.510 1.470.442 0 11.505.497
1998…………… 543.377 3.079.609 4.739.979 3.013.008 2.992.169 1.711.211 0 13.066.345
1999…………… 619.026 3.822.651 5.358.716 3.246.845 2.976.980 2.391.466 0 15.168.839
2000…………… 682.264 4.239.256 5.919.360 3.619.197 3.026.029 2.526.109 0 16.393.018
2001…………… 720.557 4.212.922 5.800.244 3.487.887 3.132.989 2.522.392 0 16.389.104
2002…………… 784.531 4.237.499 6.043.478 3.758.578 3.202.123 2.239.640 0 16.507.271
2003…………… 859.619 4.350.278 6.708.135 4.045.711 3.155.253 2.422.340 0 17.495.625
2004…………… 952.420 4.669.411 7.247.417 4.367.427 3.312.908 2.513.033 0 18.695.189
178 Riccardo Bonci e Massimo Coletta
Tav. A17
Totale degli strumenti finanziari
Consistenze in miliardi di lire
Oro e Biglietti e Fondi Riserve Altre attività
Anni Depositi Prestiti Titoli Azioni Crediti Totale
DSP monete comuni tecniche e passività
commerciali
1950…………… 112 1.233 4.031 4.285 2.001 2.129 – 291 145 – 14.227
1951…………… 113 1.386 4.720 4.848 2.233 2.639 – 382 136 – 16.457
1952…………… 169 1.498 5.853 5.987 2.601 3.583 – 461 135 – 20.285
1953…………… 169 1.607 6.750 6.958 2.973 3.812 – 556 135 – 22.959
1954…………… 169 1.679 7.522 8.225 3.571 5.057 – 659 134 – 27.017
1955…………… 173 1.799 8.539 9.761 4.286 6.378 – 774 133 – 31.844
1956…………… 179 1.923 9.473 11.095 4.827 6.785 – 913 292 – 35.486
1957…………… 235 2.029 10.527 12.031 5.329 8.077 – 1.074 289 – 39.592
1958…………… 646 2.204 12.707 13.474 6.352 9.037 – 1.242 303 – 45.965
1959…………… 1.203 2.364 15.119 15.027 7.511 14.939 – 1.439 326 – 57.928
1960…………… 1.549 2.576 15.814 17.644 8.135 19.008 – 1.597 379 – 66.702
1961…………… 1.561 2.980 18.513 20.793 9.341 20.601 – 1.819 528 – 76.137
1962…………… 1.573 3.441 21.902 25.628 10.782 19.516 – 2.072 893 – 85.807
1963…………… 1.464 3.816 26.703 32.546 11.591 19.302 – 2.327 2.772 – 100.521
1964…………… 1.317 4.040 29.528 34.808 13.892 15.402 – 2.664 3.197 – 104.848
1965…………… 1.502 4.421 34.700 39.292 16.189 19.132 – 3.004 3.422 – 121.662
1966…………… 1.509 4.795 39.174 44.177 19.365 21.503 – 3.465 3.983 – 137.971
1967…………… 1.500 5.340 44.402 51.122 22.057 20.755 – 3.966 4.618 – 153.760
1968…………… 1.827 5.610 49.869 58.263 25.313 21.647 – 4.480 5.802 – 172.811
1969…………… 1.848 6.329 55.175 68.301 28.975 26.028 – 5.015 7.489 – 199.160
1970…………… 1.852 6.863 64.321 79.715 32.225 24.849 – 5.552 8.804 – 224.181
1971…………… 1.945 7.538 76.785 91.518 39.766 23.948 – 6.336 9.776 – 257.612
1972…………… 2.015 9.026 94.902 114.579 46.790 28.551 – 7.102 10.975 422 313.940
1973…………… 2.018 10.327 111.657 142.754 60.393 36.365 – 7.743 12.587 404 383.844
1974…………… 1.948 11.481 135.728 158.379 71.905 33.340 – 8.874 17.281 411 438.936
1975…………… 1.870 13.268 168.581 188.771 94.358 37.425 – 10.195 9.372 509 523.840
1976…………… 8.235 14.986 211.243 223.025 113.990 40.901 – 11.863 11.879 788 636.122
1977…………… 9.940 16.950 250.480 262.919 146.472 37.696 – 13.902 27.577 785 765.936
1978…………… 12.137 20.141 314.061 287.654 180.514 74.981 – 16.041 36.815 8.522 942.344
1979…………… 16.616 23.268 384.527 341.762 205.091 106.821 – 18.420 47.494 10.038 1.143.999
1980…………… 34.788 27.047 452.504 439.279 237.364 171.902 – 21.800 73.734 11.772 1.458.418
1981…………… 35.732 31.465 523.210 459.905 290.191 229.199 – 25.543 37.588 16.297 1.632.833
1982…………… 33.556 35.130 604.174 541.566 356.475 284.082 – 30.247 94.110 77.301 1.979.340
1983…………… 44.493 39.403 647.084 501.447 454.116 341.133 – 35.055 109.702 89.390 2.172.433
1984…………… 43.234 44.239 712.977 734.611 536.328 393.458 6.900 95.783 174.623 150.829 2.742.153
1985…………… 40.409 48.066 784.405 829.798 645.832 550.282 28.455 108.126 192.819 164.037 3.228.192
1986…………… 36.288 51.612 857.544 880.930 758.552 799.945 75.813 122.920 202.429 168.952 3.786.033
1987…………… 41.066 55.621 918.621 956.261 867.285 727.725 70.037 138.406 228.921 190.780 4.003.943
1988…………… 38.481 60.202 999.268 1.111.948 990.841 826.780 62.438 158.098 255.249 215.345 4.503.305
1989…………… 34.931 71.363 1.310.382 1.124.294 1.148.231 1.013.467 59.640 170.212 306.292 247.981 5.238.812
1990…………… 31.751 74.805 1.400.032 1.316.358 1.304.916 1.032.192 55.447 193.951 343.669 278.506 5.753.126
1991…………… 30.355 82.021 1.522.401 1.539.887 1.502.576 1.193.244 63.767 221.630 369.122 298.196 6.525.006
1992…………… 30.294 90.854 1.735.469 1.771.357 1.671.052 1.141.425 68.689 251.280 434.218 326.979 7.194.640
1993…………… 37.320 95.227 1.854.504 1.886.809 1.900.703 1.362.821 118.384 273.335 533.003 399.244 8.062.110
1994…………… 41.542 101.855 1.900.637 1.788.634 2.194.195 1.408.935 138.724 303.457 604.648 439.236 8.482.630
1995…………… 40.257 105.214 2.283.661 2.055.929 2.176.171 1.349.537 151.833 366.871 659.062 485.452 9.188.536
1996…………… 38.411 108.161 2.422.338 2.139.742 2.582.048 1.489.309 232.121 408.765 664.409 483.607 10.085.304
1997…………… 37.696 116.266 2.471.464 2.310.382 2.943.341 2.031.636 423.037 461.815 709.858 509.798 11.505.496
1998…………… 41.112 124.968 2.362.248 2.392.579 3.357.877 2.720.349 792.003 520.508 754.703 531.375 13.066.346
1999…………… 44.514 139.328 2.545.872 2.646.232 3.465.194 3.846.739 1.032.694 612.831 835.434 583.607 15.168.838
2000…………… 45.218 147.950 2.640.230 2.930.773 3.706.457 4.364.795 1.017.279 695.585 844.733 576.481 16.393.019
2001…………… 48.730 127.591 2.657.048 3.138.253 4.033.561 3.817.482 937.557 777.155 851.727 595.594 16.389.104
2002…………… 50.084 125.789 2.916.457 3.259.338 4.214.940 3.307.779 831.720 862.468 938.693 672.855 16.507.269
2003…………… 50.664 147.332 3.032.972 3.462.190 4.417.577 3.567.258 885.010 971.758 960.861 672.749 17.495.626
2004…………… 49.287 168.045 3.187.768 3.667.299 4.750.185 3.946.805 869.905 1.087.138 968.756 676.929 18.695.190
I conti finanziari dell’Italia dal 1950 a oggi 179
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cura di B. Cutilli e C. Gnesutta, Bologna, il Mulino.
DISCUSSIONE DEL LAVORO DI R. BONCI E M. COLETTA
Alfonsina Caricchia∗
Ringrazio gli organizzatori del convegno che mi hanno dato
l’opportunità di commentare il lavoro su “I conti finanziari dell’Italia dal
1950 a oggi”, che rende disponibili le serie storiche sulle attività e passività
finanziarie dei settori istituzionali per un così lungo intervallo di tempo. La
ricostruzione storica dei conti finanziari (CF) oggi presentata si ricollega in
primis all’obiettivo di costituire un insieme completo e coerente di
statistiche standardizzate e omogenee, quale strumento per l’analisi e
l’approfondimento dell’evoluzione della struttura finanziaria dell’Italia dal
1950 ai giorni nostri. Il lavoro realizzato, di cui si apprezza la qualità e
l’impegno profuso dagli autori, è di notevole attualità e interesse,
soprattutto in relazione alla coerenza e continuità nellE serie storiche, alle
definizioni degli strumenti finanziari, alle classificazioni dei settori
istituzionali, ai principi contabili e alle metodologie di valutazione degli
importi. Esso colma un vuoto informativo importante e costituisce uno
strumento di grande rilevanza per l’analisi dei fenomeni economici.
Non è mai banale sottolineare che uno degli obiettivi primari di chi
produce statistiche ufficiali è l’arricchimento delle fonti informative messe
a disposizione degli studiosi e dei policy makers.
Questa è una delle funzioni principali dei contabili nazionali e anche
questo lavoro va considerato in tale contesto, perché i CF sono ormai dal
punto di vista teorico perfettamente inquadrati nello schema attuale di
contabilità nazionale (CN) e del tutto armonizzati e coerenti con i conti
reali. Tutto questo è il frutto di un lungo percorso che ha visto svilupparsi
in forme distinte e solo parzialmente collegate, come diceva Stone già nello
SNA 1953, i due profili dell’informazione macroeconomica. In effetti i due
filoni seguono una via convergente, ma autonoma, fino allo SNA 1968,
dove emerge la necessità di riconciliare e integrare in modo sistematico i
conti nazionali con i conti finanziari.
Mentre per i conti reali il fondamento teorico è la teoria keynesiana,
il riferimento principale per lo sviluppo dei conti finanziari nelle economie
del XX secolo è A Study of Moneyflows in the United States del 1952. Tale
__________
∗
Direttore della Direzione di Contabilità nazionale (Istat).
182 Alfonsina Caricchia
documento è il risultato di un filone di ricerca che trova i suoi capisaldi
nell’analisi monetaria condotta da Wesley Mitchell presso il National
Bureau of Economic Research tra gli anni trenta e quaranta. L’approccio
teorico e contabile dei moneyflows non appare, quindi, posteriore alla
costruzione del sistema dei conti nazionali.
Il processo di convergenza in uno schema unitario è stato alquanto
laborioso ed è per alcuni aspetti tuttora in fieri (si veda lo SNA 1993 e i
lavori in corso dei gruppi di lavoro Eurostat, OECD e SNA) e sottolineo,
infatti, che uno dei criteri di revisione dello SNA è la ricerca di coerenza
tra i vari manuali, sicuramente con il SEC e la sua appendice sul debito e
sul deficit pubblico, ma anche con i manuali dell’FMI sulla Bilancia dei
pagamenti.
Questo percorso così intenso e ricco di contenuti ci testimonia
l’essenza della CN stessa: un processo continuo volto all’adeguamento
delle definizioni, classificazioni e metodologie adottate, nel tentativo di
cogliere e quantificare nel modo migliore l’attività economica e le sue
modificazioni. Lo sforzo è quello di costruire sistemi di CN condivisi a
livello mondiale per accrescere la comparabilità nello spazio e nel tempo
delle stime. Tuttavia, l’esperienza ci insegna che un manuale o una
classificazione nel momento in cui sono adottate, dopo una lunga
gestazione che prende anni, sono già obsoleti. Così è stato per lo SNA
1993, cosi è in ambito europeo, dove le stime di CN assumono una
rilevanza diversa, anche e soprattutto per l’utilizzo a fini amministrativi
delle statistiche prodotte. La realtà economica evolve, le fonti non sono più
le stesse e le metodologie e gli schemi di CN devono, ovviamente, tenere
in considerazione questi cambiamenti sia in una prospettiva corrente e
futura, sia in termini della comparabilità degli aggregati rispetto al passato.
I dati di CN sono, quindi, sottoposti oltre che alle revisioni di routine
anche a revisioni straordinarie. Le revisioni straordinarie si basano su una
valutazione di un anno di benchmark e sull’ adozione dei cambiamenti che
ne derivano (di solito ogni 5 anni, per gli anni che terminano con 0 e 5,
secondo gli accordi definiti in ambito comunitario) e implicano un notevole
sforzo degli organismi comunitari preposti nel coordinare la diffusione
delle principali revisioni nei vari paesi. Credo che nel futuro prossimo
particolare attenzione debba essere rivolta all’introduzione di importanti
revisioni e innovazioni nell’integrazione tra conti finanziari e conti reali.
Questo è tanto più vero oggi, quando nella terza fase della UEM
l’integrazione economica e monetaria pone ai produttori di statistiche sfide
Discussione del lavoro di R. Bonci e M. Coletta 183
sempre nuove e più complesse. Forte è la spinta che in tal senso arriva
dalle istituzioni europee, in primo luogo dall’Eurostat e dalla BCE.
In questo quadro possono identificarsi diversi fronti sui quali
l’impegno dei nostri due Istituti (Istat e Banca d’Italia) deve concentrarsi e
concretizzarsi in una sempre più stretta e fruttuosa collaborazione.
Ecco perché la produzione di CF per i settori istituzionali, il più
possibile integrati e coerenti con i conti reali, rappresenta un obiettivo al
cui raggiungimento Banca d’Italia e Istat devono dedicare il massimo
impegno, in uno sforzo comune di armonizzazione.
Nei paesi dell’Unione europea la distribuzione di responsabilità nella
costruzione dei conti reali e finanziari per settore istituzionale tra Istituti
nazionali di statistica e Banche centrali si presenta variegata. La coerenza
tra i due sistemi dei conti viene perseguita ove attraverso metodologie
statistiche di bilanciamento, ove derivando il saldo economico di alcuni
settori (in particolare delle famiglie) direttamente dal saldo finanziario,
ove, infine, in maniera più soggettiva, apportando modifiche all’uno o
all’altro insieme di conti sulla base di valutazioni di tipo qualitativo.
In Italia l’elaborazione indipendente dei conti reali da parte dell’Istat
e dei conti finanziari da parte della Banca d’Italia costituisce un punto di
forza: l’autonomia metodologica e di fonti non può che rafforzare la
correttezza e la qualità delle stime prodotte, anche se al tempo stesso
richiede un grosso impegno di collaborazione reciproca, affinché la
coerenza e l’integrazione tra i flussi registrati nei due sistemi venga
garantita. L’integrazione è auspicabile anche nella realizzazione dei conti
patrimoniali e di rivalutazione che la Direzione di Contabilità nazionale
dell’Istat ha interesse a realizzare quanto prima, anche se, a oggi, i
regolamenti comunitari non prevedono in merito alcun vincolo esplicito.
Al momento attuale esistono delle importanti discrepanze tra i saldi
settoriali dei conti finanziari e dei conti economici. Questa tematica,
peraltro, già approfondita nel recente passato dai ricercatori dell’Istat e
della Banca d’Italia, ritrova al momento ampio spazio di interesse a livello
europeo, nell’ambito delle attività volte alla produzione di conti non
finanziari per settore istituzionale per il complesso dell’Unione europea e
per l’Unione monetaria. Si tratta di uno dei punti di maggiore rilevanza
dell’Action Plan on Economic and Monetary Union Statistical
Requirements. Nel 2006 sono stati diffusi, per la prima volta, i conti non
184 Alfonsina Caricchia
finanziari annuali per settore istituzionale consolidati per la UE e per la
UEM.
A partire, poi, dal gennaio 2006, i paesi membri della UE e della
UEM producono e trasmettono all’Eurostat e alla Banca centrale europea
conti non finanziari per settore anche a cadenza trimestrale, affinché, nel
2007, si pervenga a una produzione di conti per settore istituzionale per
l’Unione europea (15/25) e per l’area dell’euro anche a frequenza
infrannuale.
Tale progetto costituisce al momento una delle principali priorità per
le istituzioni comunitarie ed è, in particolare, fortemente sostenuto dalla
BCE, che ritiene indispensabili alla gestione della politica monetaria la
produzione di indicatori congiunturali sulla performance delle imprese e
sul risparmio delle famiglie.
Nel corso delle analisi di qualità finora effettuate sui conti per settore
istituzionale dalla Task Force congiunta Eurostat e BCE, che lavora alla
definizione dei conti europei, le discrepanze esistenti tra saldi reali e
finanziari sono state rilevate come elemento di forte criticità. Nella
riunione dello scorso luglio, lo stesso Committee for monetary, financial
and balance of payments statistics (CMFB) ha formalmente fatto richiesta
agli Stati membri di assistere le istituzioni nelle analisi e nella risoluzione
delle discrepanze rilevate. Da qui nasce un primo importante impegno, che
vedrà gli esperti della Banca d’Italia e dell’Istat collaborare per analizzare
e tentar di rimuovere i motivi all’origine delle discrepanze, nell’ambito di
un gruppo di lavoro di recente costituito.
Un secondo fronte di ricerca comune a Banca d’Italia e Istat deriva
dagli impegni programmati nell’ambito delle produzione dei conti
finanziari e non finanziari per settore istituzionale a cadenza infrannuale, al
fine di garantire la coerenza tra i due sistemi di conti. È auspicabile che si
riduca anche il disallineamento temporale, che al momento esiste nella
trasmissione alle istituzioni europee dei due sistemi di conti: l’invio
previsto per i conti finanziari è a 110 giorni dalla fine del trimestre di
riferimento, mentre per quelli reali è a 95 giorni.
Infine, ci auguriamo che l’esperienza dei ricercatori, che hanno
portato a termine la ricostruzione delle serie dei conti finanziari, sia nel
futuro indirizzata a migliorare ulteriormente l’integrazione delle serie dei
conti finanziari con quelli reali, perché entrambi siano coerenti con i
principi innovativi introdotti al momento dell’adozione del SEC 1995. In
Discussione del lavoro di R. Bonci e M. Coletta 185
particolare è auspicabile un ulteriore sforzo di ricostruzione perché sia
realizzata la riclassificazione di unità istituzionali dal settore famiglie a
quello delle società non finanziarie nei conti finanziari per la ripartizione
storica antecedente al 1995. Un ulteriore arricchimento potrebbe poi
derivare dal rielaborare il conto finanziario delle sole famiglie
consumatrici, così come avveniva prima dell’adozione del SEC 1995.
Ricordo, al riguardo, che l’Istat, in deroga a quanto stabilito dal
SEC, conduce un’ulteriore analisi del settore delle Famiglie, distinguendo
le unità che operano in veste di produttrici da quelle che si caratterizzano
per la sola funzione di consumo. Tale distinzione nel settore delle famiglie
risale alla revisione del 1990, per la quale il presidente Rey e il direttore
generale Siesto sostennero l’opportunità di dare rilevanza statistica alla
miriade di piccole imprese a conduzione familiare che caratterizzavano (e
tutt’ora caratterizzano) la struttura produttiva italiana.
LA TRIMESTRALIZZAZIONE DELLE SERIE STORICHE
ANNUALI DEI CONTI FINANZIARI
Giuseppe Bruno∗
1. Introduzione
Una fra le maggiori difficoltà nella costruzione dei conti finanziari
(CF) è la necessità di riconciliare fonti alternative e di soddisfare vincoli di
aggregazione che rendono il compito arduo.
I CF italiani sono disponibili su base annuale dal 1950 al 2004 (si
veda Bonci e Coletta, in questo volume). Serie storiche trimestrali sono
disponibili dal 1990, ma non per gli anni precedenti. Informazioni a
frequenza trimestrale sono di interesse sia per l’analisi univariata di breve
periodo sia per l’impiego in modelli econometrici.
L’obiettivo di questo lavoro è quello di esplorare la fattibilità di
costruire in modo semplice una banca dati con informazioni trimestrali.
Questo obiettivo è realizzato presentando alcuni esempi di disaggregazione
temporale di serie storiche dei CF, attraverso metodi basati sull’utilizzo di
indicatori disponibili su base trimestrale.
Il contributo è diviso in sei paragrafi. Dopo questa introduzione, il
secondo paragrafo sintetizza le caratteristiche della base dati dei conti
finanziari in Banca d’Italia. Il terzo paragrafo presenta i metodi
correntemente utilizzati in Banca e presso il Federal Reserve Board per la
compilazione di statistiche trimestrali. Il quarto paragrafo descrive i metodi
e gli strumenti analitici disponibili per la stima dei valori trimestrali di una
serie disponibile esclusivamente su base annuale. Nel quinto paragrafo
sono presentati alcuni esempi preliminari per i principali strumenti dei
settori famiglie e imprese. L’ultimo paragrafo è destinato ad alcune
considerazioni conclusive.
__________
∗
Banca d’Italia, Servizio Studi. L’autore ringrazia Riccardo De Bonis, Tommaso Di Fonzo e
Federico Signorini per i commenti e gli utili suggerimenti. Le opinione espresse nel lavoro sono
esclusivamente dell’autore e non impegnano l’Istituto di appartenenza.
188 Giuseppe Bruno
2. La base dati dei conti finanziari in Banca d’Italia
In Banca d’Italia, la produzione dei conti finanziari è realizzata
utilizzando il prodotto Speakeasy/ Modeleasy+: un ambiente software che
integra le funzionalità di un data base statistico con quelle di un sofisticato
strumento per l’elaborazione statistica.
La particolare natura dei conti finanziari rende sconsigliabile l’uso
dei classici data base relazionali per due motivi: innanzi tutto, essendo
basati sul concetto insiemistico di relazione, tali strumenti sono inadeguati
all’archiviazione di strutture informative a grafo, quali i CF. In secondo
luogo, essi non offrono le complesse elaborazioni statistiche necessarie per
la realizzazione di operazioni quali la disaggregazione temporale.
Sfruttando le caratteristiche del pacchetto Speakeasy/Modeleasy+, è
stato possibile realizzare un ambiente integrato per l’interrogazione sui
metadati (informazioni su dipendenze funzionali, unità di misura ecc.) e la
realizzazione di comandi per l’elaborazione statistica. La banca dati dei
conti finanziari contiene circa 10.000 serie storiche che sono utilizzate per
la pubblicazione trimestrale di 1.200 serie di flussi e altrettante di stock.
Una frazione considerevole delle serie è a frequenza trimestrale e mensile.
Per diversi motivi, soprattutto per l’impossibilità di ottenere statistiche ad
alta frequenza, rimane una frazione residuale a frequenza annuale. Le serie
elementari sono soggette a controlli per individuare revisioni di valori del
passato o la presenza di outliers. Sulle serie finali si compiono controlli ex
post per la verifica di valori negativi degli stock. Infine si valuta la
coerenza tra stock e flussi, effettuando un controllo sulla plausibilità dei
saldi finanziari in base al comportamento passato delle serie storiche e alla
presenza di componenti stagionali (si rimanda a Banca d’Italia, 2002 per
maggiori informazioni).
3. Le tecniche correnti per la trimestralizzazione dei conti
finanziari
L’analisi della congiuntura e la modellazione econometrica di
relazioni comportamentali richiedono la disponibilità di serie storiche a
frequenza trimestrale. La maggior parte delle serie storiche dei CF italiani è
disponibile su base trimestrale a partire dal 1990. Per una parte residua di
serie, che include i bilanci delle società non finanziarie, delle assicurazioni
e dei fondi pensione, sono disponibili esclusivamente valori annuali. In
questi casi, le informazioni trimestrali sono stimate utilizzando indicatori
La trimestralizzazione delle serie storiche annuali 189
correlati con gli aggregati annuali. In mancanza di quegli indicatori, i
valori trimestrali sono stimati mediante interpolazione lineare dei dati
annuali.
La Federal Reserve (Fed) pubblica i flow-of-funds su base trimestrale
dalla fine degli anni cinquanta; alcune informazioni sono ottenute mediante
tecniche di interpolazione. In particolare, la Fed ha utilizzato (si veda
Board of Governors of the Federal Reserve System, 2000) due metodi di
interpolazione lineare. Il primo è il metodo proposto da Kaitz e Lieberberg
(K-L), due statistici del Department of Commerce degli Stati Uniti. Con la
tecnica K-L si costruiscono i valori trimestrali dei flussi mediante una
combinazione lineare con pesi fissi dei tre valori annuali relativi ai periodi
t–1, t, t+1. La determinazione degli stock si ottiene accumulando i
successivi flussi.
Il secondo metodo utilizzato, detto del rapporto, consiste nel
calcolare i valori trimestrali incogniti riproporzionando le informazioni di
una serie base di cui si conoscono i dati trimestrali.
Detta xt , h h = 1,K,4 t = 1,K, N la serie base di cui sono noti i
valori ad alta frequenza e y t t = 1, K, N la serie da disaggregare, la
procedura si articola nei seguenti due passi:
xt , h
1) Si calcola il rapporto Rt , h = ;
∑h=1 xt ,h
4
2) per ogni trimestre si calcola y t , h = Rt ,h ⋅ y t
I due passi sono ripetuti per ogni anno. Entrambi i metodi della Fed
sono molto semplici da applicare e soddisfano i vincoli di aggregazione
temporale. Tuttavia queste metodologie producono serie trimestrali che
non tengono in conto le possibili caratteristiche dinamiche delle serie
trimestrali incognite. Inoltre la seconda procedura genera lo step problem,
ben noto agli esperti del settore.
4. Metodi per la disaggregazione temporale di serie storiche
Abbiamo effettuato un esercizio per la valutazione dei risultati
dell’applicazione di metodi di disaggregazione temporale adottati per la
190 Giuseppe Bruno
compilazione dei conti economici trimestrali e basati sull’utilizzo di
indicatori a frequenza trimestrale. Al fine di disporre di uno strumento di
semplice uso e integrato nell’ambiente Speakeasy-Modeleasy+, è stato
utilizzato il comando DISAGGR, recentemente aggiornato e arricchito di
nuovi algoritmi predisposti nell’ambito dei lavori della commissione Istat
per la revisione delle procedure di disaggregazione temporale per le serie
di contabilità nazionale.
Una caratteristica comune a tutti i metodi qui descritti è la mancanza
di un’analisi econometrica vera e propria. Non vengono esaminati modelli
comportamentali che includano interrelazioni di causazione diretta tra le
variabili, ma si ipotizzano strutture autoregressive che riassumono legami
esclusivamente statistici con gli indicatori.
Un primo fondamentale riferimento nella letteratura è il lavoro di
Chow e Lin (1971) (C-L). Malgrado risalga a oltre 30 anni fa, il metodo
C-L è ancora oggi lo strumento più diffuso e utilizzato negli Istituti di
statistica e nelle Banche centrali.
Chow e Lin proposero un approccio di stima indiretta per la
disaggregazione temporale dei dati. Questo metodo si basa sull’utilizzo di
indicatori di riferimento osservati alla frequenza più elevata e ipotizza
l’esistenza di una relazione strutturale fra la variabile da disaggregare (nel
seguito target) e questi indicatori.
Le caratteristiche ideali per questi indicatori sono un’elevata
correlazione con la variabile target (vedi Friedman, 1962) e l’esistenza di
un comune trend stocastico tra essa e il/gli indicatori, posto che le variabili
siano entrambe I (1), ossia integrate di ordine 1.
In particolare, disponendo di una serie con N osservazioni a
frequenza annuale Yk k = 1, K N e di un indicatore trimestrale
xt t = 1,K 4 ⋅ N , C-L ipotizzano il seguente modello lineare:
(1) y t = α + β '⋅ xt + u t u t = ρ ⋅ u t −1 + ε t ρ <1
ε t ~ NID (0, σ ε2 ) E [u ⋅ u ′] = Vh
dove:
t = 1,2,K 4 ⋅ N indica il periodo ad alta frequenza (trimestrale), yt
è il valore, incognito, all’istante t della variabile target ad alta frequenza,
La trimestralizzazione delle serie storiche annuali 191
α , β , ρ e σ ε2 sono i parametri da stimare del modello, ut è un processo
aleatorio di disturbo con una distribuzione di probabilità dipendente da due
parametri: il coefficiente di autocorrelazione ρ e la varianza del processo
senza memoria ε t . Raccogliendo in vettori tutte le osservazioni il modello
1 diventerà:
r r r
(2) y = α + β '⋅ x + u
Il modello 1 non è stimabile perché la variabile target yt è osservata
solo a frequenza annuale. Tuttavia è possibile derivare un modello
stimabile aggregando temporalmente l’equazione del modello 2. Questa
aggregazione è realizzata premoltiplicando ogni termine dell’equazione 2
per la matrice C = I N ⊗ c dove I N è la matrice unitaria con dimensione
N , mentre c è la matrice 1x4 contenente, a seconda della natura della
serie da disaggregare, l’uno o l’altro dei seguenti insiemi di valori:
⎧1 1 1 1 aggregazione per somma
⎪
⎪
⎪1 1 1 1 aggregazione per media
⎪
c = ⎨4 4 4 4
⎪ aggregazione per stock di inizio anno
⎪1 0 0 0
⎪
⎪ aggregazione per stock di fine anno
⎩0 0 0 1
Con queste definizioni è possibile costruire il modello stimabile:
r r r
(3) C ⋅ y = C ⋅ α + βC ⋅ x + C ⋅ u
che dopo la premoltiplicazione per C diventa:
(4) Y = α 1 + β '⋅ X + U E[U ⋅ U ′] = C ⋅ Vh ⋅ C ′
192 Giuseppe Bruno
dove Y è il vettore delle N osservazioni annuali disponibili della
variabile target, X è la matrice di dimensioni (k,N) contenente le
osservazioni annuali degli indicatori e U è il vettore di N residui annuali.
A questo punto, utilizzando i Minimi Quadrati Generalizzati (MQG)
è immediato derivare il seguente stimatore lineare a varianza minima del
vettore di parametri β :
( ) ( )
−1
βˆ = ⎡⎢ X ′ C ⋅ Vˆh ⋅ C ′ X ⎤ X ′ C ⋅ Vˆh ⋅ C ′ Y
−1 −1
(5)
⎣ ⎥⎦
e i valori della serie disaggregata sono ottenibili attraverso:
(6) (
yˆ t = βˆ '⋅xt + Vˆh ⋅ C ′ C ⋅Vˆh ⋅ C ′ ) ⋅ (Y − βˆ ⋅ X )
−1
t t
Questa stima è composta da due termini additivi. Il primo termine
βˆ '⋅ xt è la combinazione lineare degli indicatori disponibili a frequenza
trimestrale con i coefficienti di regressione stimati sul modello aggregato.
Il secondo termine distribuisce i residui della regressione annuale fra i
quattro trimestri, utilizzando l’informazione sulla varianza dell’errore
annuale e la sua covarianza con l’errore trimestrale.
Questa metodologia è applicabile sotto l’ipotesi di stazionarietà delle
serie storiche o in presenza di cointegrazione tra la serie da disaggregare e
gli indicatori aggregati a frequenza annuale. Per i casi in cui è assente una
relazione di cointegrazione tra le serie, sono stati proposti i metodi di
Fernández (1981) e Litterman (1983).
Fernández (1981) postula un processo di errore che segue un random
walk. Il modello ipotizzato a frequenza trimestrale è il seguente:
(7) yt = α + β '⋅xt + u t u t = u t −1 + ε t
Litterman (1983) propone un’estensione del caso precedente,
ipotizzando un processo di errore autoregressivo di ordine 2 con una radice
unitaria:
La trimestralizzazione delle serie storiche annuali 193
(8) ut = ut −1 + at at = φat −1 + ε t φ < 1 ε t ~ NID (0,σ ε2 )
Il metodo di Litterman include il modello di Fernández (vedi
equazione 7) come caso particolare quando si ponga φ = 0 . La presenza di
una radice unitaria nel processo di errore dei modelli 7 e 8 consente di
trattare efficacemente i casi in cui è assente una relazione di cointegrazione
tra la serie da disaggregare e il/gli indicatori.
I tre metodi sin qui considerati sono utilizzabili nel caso di modelli
statici. Tuttavia, nella modellazione di serie storiche è spesso necessario
introdurre elementi di dinamica nella specificazione. Santos Silva e
Cardoso (2001) propongono una semplice estensione dinamica del metodo
C-L, considerando il seguente modello a frequenza trimestrale:
(9) yt = φ yt −1 + β '⋅xt + ε t φ <1
ε t ~ NID (0, σ ε ) 2
t = 1,K , n
Questo modello consente di esplicitare la struttura dinamica della
relazione tra la serie da disaggregare e gli indicatori. Inoltre, l’equazione
(9) include al suo interno sia il caso di disturbo autoregressivo sia la
specificazione a correzione di errore una volta inserito il termine ritardato
per gli indicatori. Questa formalizzazione si presta al trattamento di serie
storiche cointegrate (si veda Engle e Granger, 1987).
Per stimare questo modello è opportuno risolvere l’equazione (9)
sostituendo in maniera ricorsiva i valori di yt , per ottenere:
(10) yt = (∑ t −1
i =0
)
φ i xt′−i β + φ t ⋅ y 0 + (∑ t −1
i =0
φ i ε t −i )
Assumendo che la condizione iniziale y0 e i valori yt, per t > 0,
siano generati dallo stesso processo stocastico, possiamo definire
l’aspettativa di y0 condizionata ai valori passati degli indicatori
η = E ( y 0 x0 , x−1 K) = (∑ ∞
i =0
)
φ i x' −i β . Sostituendo questa espressione in
(10) si avrà:
(11) yt = (∑ t −1
i =0
)
φ i xt′−i β + φ t ⋅ η + (∑∞
i =0
φ i ε t −i )
194 Giuseppe Bruno
che può essere riscritta tenendo conto che l’ultimo termine costituisce un
processo autoregressivo di ordine 1: vt = (∑ ∞
i =0
)
φ i ε t −i = φ ⋅ vt −1 + ε t . In
questo modo ci siamo ricondotti al modello (1): per ogni valore di φ è
possibile stimare i parametri β e η e i valori disaggregati della serie yt
usando la stessa metodologia Chow-Lin introdotta precedentemente per i
modelli statici.
L’ultima procedura di disaggregazione temporale integrata nel
comando DISAGGR è quella di Guerrero (1990), il quale ha proposto un
metodo data driven che, data una stima preliminare, fornisce uno stimatore
lineare a varianza minima (BLUE). Nel suo lavoro del 1990, Guerrero
propone un approccio ARIMA. L’idea è quella di utilizzare una stima
preliminare wt1 per derivare un modello ARIMA φ (B )d (B )wt = θ (B )a w,t
che viene assunto applicabile anche per la serie da disaggregare. A partire
dal modello ARIMA è possibile ottenere la rappresentazione dell’errore di
previsione in termini di media mobile:
y t − wt = ∑i =0 θ i ⋅a w,t −i E (a ⋅ a') = σ 2 P
t −1
(12)
dove yt e wt sono rispettivamente i valori incogniti della serie target e
la loro stima preliminare. I valori θ i sono i coefficienti della
rappresentazione a media mobile di wt . a w,t e P rappresentano
rispettivamente l’innovazione e la matrice di varianza covarianza che
definiscono il data generation process della stima preliminare. Partendo da
questa premessa lo stimatore lineare a varianza minima di
y = y1 , y 2 , K, yt che soddisfi la relazione di aggregazione temporale
Y = C ⋅ y è dato da
y = w + Aˆ (Y − C ⋅ w ) Aˆ = θPθ ' C ' (CθPθ ' C ')
−1
(13)
L’espressione (13) si può interpretare in modo del tutto analogo alla
(6) che calcola i valori trimestrali nel modello C-L: il primo termine
corrisponde alla stima preliminare, verosimilmente costituita dal fit di una
regressione lineare; il secondo termine distribuisce i residui annuali
__________
1
Ottenibile come fit di una stima lineare su un set di indicatori.
La trimestralizzazione delle serie storiche annuali 195
secondo una matrice che tenga conto della covarianza tra gli errori a
frequenza annuale e trimestrale. La procedura software TRAMO/SEATS
(si veda Gomez e Maravall, 1998) è stata utilizzata per l’identificazione
ARIMA della serie trimestrale che costituisce la stima preliminare. In
pratica è stata sviluppata una routine che legge i parametri ARIMA regolari
e stagionali prodotti da TRAMO/SEATS e li rende disponibili per il
successivo uso del comando DISAGGR.
5. Applicazioni empiriche
In questo paragrafo verranno presentate alcune applicazioni
empiriche che utilizzano le tecniche di disaggregazione temporale
precedentemente descritte. In particolare, si illustreranno alcuni criteri di
scelta fra i diversi metodi disponibili. Gli esempi presentati illustrano la
ricostruzione di dati trimestrali, tra il 1980 e il 2004, di alcuni strumenti
all’attivo delle famiglie e al passivo delle imprese2. Le serie storiche delle
attività e passività di famiglie e imprese provengono dalla banca dati dei
conti finanziari; gli aggregati relativi agli indicatori sono derivati a partire
da serie della base dati del Servizio Studi.
Il confronto tra diversi metodi di disaggregazione temporale può
essere realizzato solo quando sono disponibili informazioni vere sui valori
ad alta frequenza. Nel nostro caso, in assenza di riferimenti a frequenza
trimestrale, possiamo valutare esclusivamente la ragionevolezza
dell’andamento e la bontà del fit della regressione annuale effettuata dal
comando di disaggregazione temporale. Nelle applicazioni empiriche, il
valore del quadrato del coefficiente di correlazione tra i valori osservati e
quelli previsti viene utilizzato per orientare la scelta fra gli indicatori3.
Negli esercizi seguenti abbiamo preferito privilegiare il confronto tra le
statistiche delle regressioni annuali, che si basano esclusivamente sui valori
osservati e su un’ipotesi predefinita riguardo alla struttura aleatoria della
componente di disturbo inosservata. Questa ipotesi scaturisce dalla scelta
di affidarsi a regolarità statistiche, piuttosto che a una particolare teoria
economica.
Per le serie di contabilità nazionale è consolidato l’uso di
determinate variabili nel ruolo di indicatori per la trimestralizzazione di
__________
2
In alcuni casi sono disponibili osservazioni a partire dal 1960.
3
Questa è la statistica che è indicata nelle tavole riassuntive delle regressioni come R2.
196 Giuseppe Bruno
serie annuali. Ad esempio la produzione industriale è usata per stimare
valori trimestrali del PIL. Nel caso delle variabili dei conti finanziari non
esistono aggregati che, storicamente, siano stati utilizzati come benchmark.
È stato necessario selezionare un insieme di indicatori, illustrando le
specificazioni migliori sulla base di considerazioni statistiche sulla
regressione effettuata sul modello osservabile, conseguente al metodo di
disaggregazione temporale prescelto. La scelta degli indicatori costituisce
l’elemento più critico del lavoro e rappresenta un tentativo preliminare da
sottoporre a verifica empirica.
5.1 Le attività delle famiglie
Fra le attività delle famiglie abbiamo considerato tre serie storiche
tra le più rilevanti: le azioni, i depositi e il totale delle attività detenute.
Le serie trimestrali fra le quali abbiamo selezionato un set di
indicatori sono le seguenti:
1) l’indice dei prezzi al consumo (base 1980, 1960:1 – 2005:2);
2) l’indice di Borsa (1950:1 – 2005:3);
3) lo stock di moneta M2 (dato dalla somma di circolante e depositi
bancari 1980:1 – 2005:1) ;
4) i consumi finali delle famiglie (1970:1 – 2005:2) ;
5) il tasso d’interesse sui titoli di Stato (1950:1 – 2005:2).
La serie annuale dell’indice dei prezzi, l’indice di Borsa e il tasso di
interesse sui titoli presentano una forte correlazione con tutte le attività
delle famiglie considerate. Lo stock di moneta segue strettamente i
depositi. I consumi delle famiglie a prezzi correnti, ipotizzando un
equilibrio tra consumo e risparmio, cresceranno con le attività finanziarie.
Le statistiche descrittive delle serie utilizzate per gli esercizi sulle attività
delle famiglie sono riassunte nella tavola 1.
Nelle tavole 2, 3 e 4 sono illustrati i risultati delle regressioni annuali
dello stock di azioni detenute dalle famiglie sulle variabili considerate. In
tutte le specificazioni econometriche, l’indice di Borsa è l’unica variabile il
cui coefficiente risulta sistematicamente significativo e di segno positivo.
In alcuni casi anche lo stock di moneta (M2) e i consumi famiglie
(CONFINFA) presentano un coefficiente significativo di segno positivo. A
puro titolo illustrativo si riportano anche i grafici per le sei disaggregazioni
ottenute con il metodo di Chow-Lin e quelle ottenute con il metodo
La trimestralizzazione delle serie storiche annuali 197
Fernández (figg. 1 e 2). Dai grafici si vede la sostanziale somiglianza sia
per i livelli sia per i punti di svolta derivanti dall’adozione di diversi
modelli, che tuttavia presentano un valore sistematicamente elevato
dell’ R 2 .
Le tavole 5, 6 e 7 presentano simili regressioni per i depositi delle
famiglie. In questo caso, fatta eccezione per le specificazioni indicate come
mod_5 e mod_6, l’indice di Borsa presenta un coefficiente negativo e
significativo. I consumi delle famiglie influiscono positivamente per i
modelli mod_2 e mod_4 con i metodi Chow-Lin e SSC. Nella
specificazione mod_6 per i metodi Chow-Lin e Fernández, M2 ha un
effetto positivo e significativo sui depositi. Le tavole 8, 9 e 10 completano
l’analisi effettuata per il settore delle famiglie, considerandone il totale
delle attività. L’indice di Borsa si conferma come un indicatore
sistematicamente significativo e con segno positivo. La moneta e i consumi
delle famiglie influiscono positivamente sul totale delle attività delle
famiglie.
In sintesi, le analisi empiriche mostrano che l’indice di Borsa ha una
relazione stabile non solo con le azioni e il totale delle attività finanziarie
delle famiglie, ma anche con i depositi (con segno negativo)4.
5.2 Le passività delle imprese
Nell’esercizio sulle passività delle imprese abbiamo utilizzato le
seguenti serie storiche: le azioni emesse, i prestiti ricevuti e il totale delle
loro passività.
Le serie trimestrali utilizzate come indicatori sono:
1) il tasso di interesse sui prestiti (1962:1 – 2005:2);
2) l’indice di Borsa (1950:1 – 2005:3);
3) gli investimenti fissi lordi a prezzi correnti (1964:1 – 2005:2);
4) il prodotto interno lordo a prezzi correnti (1960:1 – 2005:2);
5) il tasso d’interesse sui titoli di Stato (1950:1 – 2005:2).
Il tasso d’interesse sui prestiti e sui titoli e l’indice di Borsa sono
elementi che possono influire sulle scelte di finanziamento delle imprese.
__________
4
Per gli anni successivi al 1980, Caruso (2006) trova che le variazioni dei corsi azionari influenzano
in senso negativo la domanda di moneta.
198 Giuseppe Bruno
Gli investimenti e il prodotto sono aggregati che determinano le scelte di
crescita delle imprese.
Nella tavola 11 sono riassunte le statistiche descrittive delle serie
utilizzate per gli esercizi sulle passività delle imprese.
Nelle tavole 12, 13 e 14 sono illustrati i risultati delle regressioni
annuali dello stock di azioni emesse dalle imprese. In tutte le specificazioni
econometriche esaminate l’indice di Borsa è risultata l’unica variabile con
un coefficiente sistematicamente significativo e di segno positivo. Nella
specificazione indicata nel mod_6, anche gli investimenti influiscono
positivamente e in modo significativo sulle azioni emesse dalle imprese.
Le tavole 15, 16 e 17 presentano le regressioni per i prestiti richiesti
dalle imprese. In questo caso non si è individuato un indicatore dominante.
Sia gli investimenti sia il prodotto interno lordo influiscono positivamente
e in modo significativo sui prestiti.
Le tavole 18, 19 e 20 concludono l’analisi effettuata per il settore
delle imprese esaminando il totale delle passività. L’indice di Borsa torna a
essere sistematicamente significativo, con segno positivo. Gli investimenti
e il prodotto continuano a fornire il contributo significativo e positivo
emerso nella trimestralizzazione dei prestiti.
6. Considerazioni conclusive
Nella compilazione dei conti finanziari, per alcuni settori e/o
strumenti, risulta arduo ottenere direttamente informazioni a frequenza
trimestrale, in particolar modo per gli anni precedenti il 1990.
In questo lavoro abbiamo esaminato una possibile soluzione a questo
problema, attraverso metodi indiretti basati sull’uso di indicatori correlati,
osservati a cadenza trimestrale. Sebbene il lavoro sia a uno stadio iniziale,
in esso si evidenzia la necessità di individuare indicatori che presentino una
relazione significativa e stabile nel tempo con le variabili target. In questo
esercizio preliminare abbiamo disaggregato temporalmente alcuni degli
strumenti più rilevanti per le famiglie e le imprese. I risultati principali
dell’analisi sono i seguenti:
La trimestralizzazione delle serie storiche annuali 199
1) fra gli indicatori esaminati, l’indice di Borsa costituisce quello più
stabile per conseguire una ragionevole stima trimestrale per le voci delle
attività finanziarie delle famiglie;
2) per quanto riguarda le passività delle imprese, oltre all’indice di
Borsa risultano rilevanti le informazioni di natura reale relative agli
investimenti e al prodotto interno lordo.
L’applicazione empirica di questi metodi ha mostrato la necessità di
un’attività preliminare di specification search per individuare il/gli
indicatori che forniscono, a livello annuale, i migliori risultati i termini di
bontà del fit.
Questo paper rappresenta un primo passo di una ricerca che mira a
stimare valori trimestrali per tutte le serie storiche dei CF. Questo ultimo
esercizio, oltre ai vincoli di aggregazione temporale, richiederà il
soddisfacimento di vincoli di aggregazione tra diversi strumenti finanziari
e settori istituzionali. Un ulteriore sviluppo futuro della ricerca riguarda la
possibilità di utilizzare questi metodi anche per effettuare stime previsive
in corso d’anno dei più rilevanti aggregati finanziari.
200 Giuseppe Bruno
Tav. 1
Attività delle famiglie: statistiche per indicatori e serie da disaggregare
Statistiche descrittive
media stan. dev. min. max
Indice prezzi al consumo CPI80 279.58 91.959 100 415.4
Indice di Borsa INDBORSA 11.9 7.84 1.24 30.73
Stock di moneta M2 409623 161269 133472 712495
Consumi finali delle famiglie CONFINFA 430.96 202.05 105.32 784.68
Stock di abitazioni STOCKAB 2294 1187.2 442.98 4847.2
Tasso d’interesse sui titoli GBRATE 11.2 4.7 3.4 21.2
Azioni delle famiglie AZIFAM 334876 214745 50299 772255
Depositi delle famiglie DEPOFAM 422407 217570 101756 729455
Totale attività delle famiglie TATTFIN 1438210 897794 207000 2909046
Nota: livelli espressi in milioni di euro.
Tav. 2
Regressioni annuali per lo stock di azioni delle famiglie
Metodo CHOW-LIN AZIOFAM
Variabili
esplicative
mod_1 mod_2 mod_3 mod_4 mod_5 mod_6
-841.16 -362.72 244.297 -457.069
CPI80 - -
(-3.1) (-1.5) (4.5) (-1.8)
22.29 15.946 18.783 16.283 19.477 18.118
INDBORSA
(7.7) (6.2) (8.2) (6.4) (9.6) (7.3)
1.4472 0.52438
M2 - - - -
(4.1) (4.2)
1.0291 4.0271 4.6528
CONFINFA - - -
(0.6) (2.6) (2.8)
6152 79.64 2913.4 1605.4
GBRATE - -
(1.7) (.1) (1.0) (0.7)
-45900 6201.4 58470 -19301 88002 -98034
Constant
(-.4) (0.1) (-1.6) (-.4) (1.0) (-1.8)
Ρ .792 .911 .931 .911 .99 .911
N. osservazioni 25 35 45 35 55 25
2
R .975 .963 .959 .967 .947 .944
R2 .968 .959 .956 .962 .944 939
Nota: fra parentesi c’è il t-statistico.
La trimestralizzazione delle serie storiche annuali 201
Tav. 3
Regressioni annuali per lo stock di azioni delle famiglie
Metodo FERNÁNDEZ AZIOFAM
Variabili
mod_1 mod_2 mod_3 mod_4 mod_5 mod_6
esplicative
-1129.48 -605.407 229.847 -616.872
CPI80 - -
(-2.1) (-1.4) (1.4) (-1.4)
19.778 15.944 18.151 16.177 18.606 18.61
INDBORSA
(6.9) (6.3) (8.2) (6.3) (9.2) (7.1)
1.4555 .70624
M2 - - - -
(3.2) (2.63)
2.7563 5.459 5.5222
CONFINFA - - -
(0.9) (2.0) (2.1)
4916.9 1580.3 1795.7 1660.1
GBRATE - -
(1.4) (.6) (0.6) (0.7)
-6995.2 4446.1 -54880 -9621.3 -16465 -101092
Constant
(-.1) (0.1) (-1.4) (-.2) (-0.5) (-1.7)
Ρ 1. 1. 1. 1. 1. 1.
N. osservazioni 25 35 45 35 55 25
R2 .971 .956 .956 .960 .947 .940
R2 .963 .952 .952 .955 .945 .934
Nota: fra parentesi c’è il t-statistico.
Tav. 4
Regressioni annuali per lo stock di azioni delle famiglie
Metodo SANTOS SILVA e CARDOSO – AZIOFAM
Variabili
mod 1 mod 2 mod 3 mod 4 mod 5 mod 6
esplicative
-28.232 24.646 -89.261
CPI80 N.A. - -
(-0.8) (2.5) (-1.7)
4.4434 4.3373 5.1614 4.4526
INDBORSA N.A. N.A.
(6.5) (7.5) (7.0) (24)
M2 N.A. - - - - N.A.
.44438 .91674
CONFINFA N.A. - - -
(1.7) (2.5)
-18.929 1218.9 454.4
GBRATE N.A. - -
(-.1) (1.3) (1.4)
-2310.3 -7604.1 -12456 -7436
Constant N.A. N.A.
(-0.4) (-1.5) (-1.2) (-2.1)
φ .792 .832 .752 .871
N. osservazioni 25 35 45 35 55 25
R2 .973 .978 .975 .979
R2 .969 .976 .970 .978
Nota: fra parentesi c’è il t-statistico.
202 Giuseppe Bruno
Fig.1
Confronto tra diverse disaggregazioni temporali effettuate con il
metodo Chow-Lin
Disaggregazione con diversi indicatori
900 900
750 Mod_1 Mod_2 750
Mod_3 Mod_4
600 600
Mod_5 Mod_6
450 450
300 300
150 150
0 0
80 82 84 86 88 90 92 94 96 98 00 02 04
time
Fig. 2
Confronto tra diverse disaggregazioni temporali effettuate con il
metodo di Fernández
Fernández con diversi indicatori
900 900
750 Mod_1 Mod_2 750
Mod_3 Mod_4
600 600
Mod_5 Mod_6
450 450
300 300
150 150
0 0
80 82 84 86 88 90 92 94 96 98 00 02 04
time
La trimestralizzazione delle serie storiche annuali 203
Tav. 5
Regressioni annuali per i depositi delle famiglie
Metodo CHOW-LIN – DEPOSITI
Variabili
mod_1 mod_2 mod_3 mod_4 mod_5 mod_6
esplicative
450.19 181.777 684.929 176.507
CPI80 - -
(1.7) (1.0) (15) (1.1)
-4.9124 -4.8841 -3.7937 -5.3335 -.38105 1.2933
INDBORSA
(-2.5) (-3.3) (-3.0) (-3.6) (-.2) (-.7)
-.0078 1.0562
M2 - - - -
(0.0) (9.6)
2.1619 3.2967 3.319
CONFINFA - - -
(1.3) (2.9) (3.1)
-738 -2228.2 -2059.8 -1242
GBRATE - -
(-.3) (-1.5) (-1.3) (-.5)
-127627 -34323 -46527 -9316 299912 -44188
Constant
(-1.4) (-1.0) (-1.4) (-0.3) (3.6) (-0.8)
Ρ .911 .95 .97 .931 .99 .95
N.osservazioni 25 35 45 35 55 25
R2 .979 .980 .966 .984 .15 .950
R2 .973 .979 .963 .981 .12 .946
Nota: fra parentesi c’è il t-statistico.
Tav. 6
Regressioni annuali per i depositi delle famiglie
Metodo FERNÁNDEZ – DEPOSITI
Variabili
mod_1 mod_2 mod_3 mod_4 mod_5 mod_6
esplicative
569.46 403.416 712.407 412.549
CPI80 - -
(1.6) (1.6) (8.2) (1.7)
-4.115 -4.4707 -3.9282 -4.6562 -2.3959 -2.1056
INDBORSA
(-2.2) (-3.1) (-3.2) (-3.2) (-1.4) (-1.2)
-.0074 .86541
M2 - - - -
(-0.2) (4.7)
1.0492 2.014 1.9636
CONFINFA - - -
(.5) (1.3) (1.3)
-483.33 -1506.2 -1430.4 -1250
GBRATE - -
(-.2) (-1.1) (-.9) (-.6)
-114253 -23899 -20241 -12693 9890.4 -25964
Constant
(-1.4) (-.9) (-1.) (-0.4) (0.3) (-0.6)
Ρ 1. 1. 1. 1. 1. 1.
N.osservazioni 25 35 45 35 55 25
R2 .978 .973 .963 .976 .802 .947
R2 .972 .970 .960 .973 .794 .942
Nota: fra parentesi c’è il t-statistico.
204 Giuseppe Bruno
Tav. 7
Regressioni annuali per i depositi delle famiglie
Metodo SANTOS SILVA e CARDOSO – DEPOSITI
Variabili
mod 1 mod 2 mod 3 mod 4 mod 5 mod 6
esplicative
-700.056 108.266 -594.768
CPI80 N.A. - -
(-13.) (9.) (-8.7)
6.0305 2.2253 5.4602 3.2878
INDBORSA N.A. N.A.
(6.1) (3.2) (5.8) (12.)
M2 N.A. - - - - N.A.
9.8718 8.6759
CONFINFA N.A. - - -
(26.) (18.)
-1460.5 -683.62 1168.4
GBRATE - -
(-2.6) (-0.6) (2.6)
13442 102.07 17185 -8949.6
Constant N.A. N.A.
(1.5) (0.) (1.3) (-1.8)
φ 0.594 0.95 0.634 .99
N. osservazioni 25 35 45 35 55 25
R2 .990 .968 .990 .960
R2 .988 .965 .988 .957
Nota: fra parentesi c’è il t-statistico.
Tav. 8
Regressioni annuali per il totale attività delle famiglie
Metodo CHOW-LIN – TATTFIN
Variabili
mod_1 mod_2 mod_3 mod_4 mod_5 mod_6
esplicative
-1884.678 -1844.242 2023.192 -1755.98
CPI80 - -
(-6.7) (-12.) (10.) (-8.9)
22.463 14.14 24.874 14.158 34.921 31.54
INDBORSA
(7.6) (5.6) (6.7) (5.4) (5.9) (9.5)
1.7033 3.4781
M2 - - - -
(4.7) (15.)
18.266 24.867 24.265
CONFINFA - - -
(9.8) (24.) (18.)
-528.76 -6077.4 -2003.7 -4937.4
GBRATE - -
(-0.1) (-1.4) (-0.7) (-0.7)
-43152 40127 -162290 55451 854578 -432867
Constant
(-.4) (1.6) (-.9) (1.5) (3.4) (-3.4)
ρ .792 .713 .99 .752 .99 .97
N. osservazioni 25 35 45 35 55 25
R2 .998 .998 .955 .998 .893 .987
R2 .998 .998 .952 .998 .889 .986
Nota: fra parentesi c’è il t-statistico.
La trimestralizzazione delle serie storiche annuali 205
Tav. 9
Regressioni annuali per il totale attività delle famiglie
Metodo FERNÁNDEZ – TATTFIN
Variabili
esplicative mod_1 mod_2 mod_3 mod_4 mod_5 mod_6
-1633.64 -1052.51. 1933.59 -1021.49
CPI80 - -
(-3.0) (-1.9) (7.4) (-1.9)
23.295 18.244 24.59 17.614 28.678 30.18
INDBORSA
(8.2) (5.8) (6.8) (5.7) (6.0) (9.4)
2.2498 3.1947
M2 - - - -
(4.9) (9.7)
14.323 19.458 19.286
CONFINFA - - -
(4.7) (5.9) (6.1)
-1204. -5504.2 -4857.9 -4711.5
GBRATE - -
(-0.3) (-1.3) (-1.4) (-0.8)
-70991 -4580.6 -118794 33476 20660 -352531
Constant
(-.6) (-0.1) (-1.9) (0.5) (0.2) (-4.9)
Ρ 1. 1. 1. 1. 1. 1.
N. osservazioni 25 35 45 35 55 25
R2 .998 .997 .955 .997 .890 .987
R2 .997 .996 .952 .996 .885 .986
Nota: fra parentesi c’è il t-statistico.
Tav. 10
Regressioni annuali per il totale attività delle famiglie
Metodo SANTOS SILVA e CARDOSO – TATTFIN
Variabili
esplicative mod 1 mod 2 mod 3 mod 4 mod 5 mod 6
-700.056 108.266 -594.768
CPI80 N.A. - -
(-13.) (9.0) (-8.7)
6.0305 2.2253 5.4602 3.2878
INDBORSA N.A. N.A.
(6.1) (3.2) (5.8) (12.)
M2 N.A. - - - - N.A.
9.8718 8.6759
CONFINFA N.A. - - -
(26.) (18.)
-1460.5 -683.62 1168.4
GBRATE N.A. - -
(-2.6) (-0.6) (2.6)
13442 102.07 17185 -8949.6
Constant N.A. N.A.
(1.5) (0.) (1.3) (-1.8)
φ 0.594 0.95 0.634 0.99
N. osservazioni 25 35 45 35 55 25
R2 .999 .997 .999 .990
R2 .998 .996 .998 .990
Nota: fra parentesi c’è il t-statistico.
206 Giuseppe Bruno
Tav. 11
Passività delle imprese: statistiche per indicatori e serie da disaggregare
Statistiche descrittive
media stan. dev. min. max
Prodotto interno lordo
PILD 115123 113729 3037 344852
a prezzi correnti
Investimenti fissi lordi IMATD 13572 12058 482.64 37468
Tasso d’interesse sui prestiti NTAIL 12.01 5.4 4.5 23.77
Prestiti delle imprese PRESTITI 333724 433245 1960 1468737
Azioni emesse da imprese AZIONI 418831 643998 1950 2322725
Totale passività delle imprese TOT_PAS 943044 13308834 4299768 4299768
Nota: livelli espressi in milioni di euro.
Tav. 12
Regressioni annuali per le azioni emesse dalle imprese
Metodo CHOW-LIN – AZIONI
Variabili
esplicative mod_1 mod_2 mod_3 mod_4 mod_5 mod_6
-1864.9 -7711.3 -9086.3 -1046.4 -2393
NTAIL -
(-0.8) (-1.2) (-1.3) (-0.4) (-1.0)
19.255 23.268 22.788 19.996
INDBORSA - -
(7.7) (9.1) (7.8) (7.9)
10.364 12.943 17.815
IMATD - - -
(1.9) (1.5) (6.4)
1.034 1.858
PILD - - - -
(1.6) (1.9)
1972 1016.2 5305.9
GBRATE - -
(0.3) (.3) (0.6)
-58862 -5821.4 191215 492897 232775 -26298
Constant
(-0.9) (-0.1) (1.8) (2.6) (1.701) (-0.4)
ρ .97 .950 .99 .99 .99 .97
N. osservazioni 41 41 55 43 43 41
2
R .958 .924 .946 .197 .940 .963
R2 .953 .915 .943 .157 .937 .960
Nota: fra parentesi c’è il t-statistico.
La trimestralizzazione delle serie storiche annuali 207
Tav. 13
Regressioni annuali per le azioni emesse dalle imprese
Metodo FERNÁNDEZ – AZIONI
Variabili
esplicative mod_1 mod_2 mod_3 mod_4 mod_5 mod_6
-1290.9 -7554.2 -8850 -1017 -1728.7
NTAIL -
(-0.6) (-1.3) (-1.3) (-0.4) (-.8)
19.095 21.568 21.228 19.535
INDBORSA - -
(7.9) (8.9) (7.7) (8.0)
10.281 10.88 15.337
IMATD - - -
(1.9) (1.3) (4.0)
1.1596 2.1487
PILD - - - -
(1.4) (1.6)
4524.2 1163.2 5782.9
GBRATE - - -
(0.6) (.4) (0.7)
-18220 23386 -13938 38316 -26075 -12264
Constant
(-0.4) (0.4) (-0.3) (0.5) (-0.6) (-0.3)
Ρ 1. 1. 1. 1. 1. 1.
N. osservazioni. 41 41 55 43 43 41
R2 .956 .914 .945 .194 .940 .964
R2 .951 .904 .943 .154 .937 .961
Nota: fra parentesi c’è il t-statistico
Tav. 14
Regressioni annuali per le azioni emesse dalle imprese
Metodo SANTOS SILVA CARDOSO – AZIONI
Variabili
esplicative mod_1 mod_2 mod_3 mod_4 mod_5 mod_6
-789.67 40.776 -524.07
NTAIL N.A. N.A. -
(-0.4) (0.1) (-1.3)
4.9482 4.9514 4.6808
INDBORSA N.A. - -
(26.) (20.) (6.9)
1.3018
IMATD N.A. N.A. - - -
(2.9)
PILD N.A. N.A. - - - -
45.096 49.886
GBRATE - N.A. - -
(0.1) (0.)
-5051.7 18906. -5062.8 -1539.6
Constant N.A. N.A.
(-1.4) (2.9) (-0.9) (-.2)
φ .911 .99 .911 .871
N. osservazioni 41 41 55 43 43 41
R2 .983 .618 .983 .983
R2 .982 .588 .981 .981
Nota: fra parentesi c’è il t-statistico
208 Giuseppe Bruno
Tav. 15
Regressioni annuali per i prestiti richiesti dalle imprese
Metodo CHOW-LIN – PRESTITI
Variabili
esplicative mod_1 mod_2 mod_3 mod_4 mod_5 mod_6
995.65 3678.2 2853.6 680.89 7.5474
NTAIL -
(1.0) (2.2) (0.8) (0.3) (0.)
-.66612 3.0066 3.0525 .56819
INDBORSA - -
(-0.6) (1.6) (1.5) (0.4)
.79794 1.5444 13.556
IMATD - - -
(0.3) (0.6) (6.0)
2.2865 2.0952
PILD - - - -
(6.8) (7.2)
-4509 -788.33 -4334.3
GBRATE - - -
(-2.1) (-0.4) (-1.0)
-34133 -29312 260164 323063 282134 106386
Constant
(-0.6) (-1.0) (3.4) (3.6) (3.1) (1.4)
Ρ .99 .97 .99 .99 .99 .99
N. osservazioni 41 41 55 43 43 41
R2 .972 .979 .823 .030 .845 .970
R2 .969 .977 .817 -.019 .837 .968
Nota: fra parentesi c’è il t-statistico
Tav. 16
Regressioni annuali per i prestiti richiesti dalle imprese
Metodo FERNÁNDEZ – PRESTITI
Variabili
esplicative mod_1 mod_2 mod_3 mod_4 mod_5 mod_6
1063.1 3755.7 3007.5 682.18 190.04
NTAIL -
(1.0) (2.3 ) (1.1) (0.4) (0.1)
-.67364 1.1589 1.4139 .20375
INDBORSA - -
(-0.6) (0.7) (0.8) (0.1)
.7982 1.483 10.88
IMATD - - -
(0.3) (0.6) (4.6)
2.3122 2.1935
PILD - - - -
(6.0) (5.9)
-4081.4 -736.66 -4051.6
GBRATE - - -
(-2.0) (-0.4) (-1.2)
-9711.2 -8025.2 5012.2 8273. 238.51 2163.8
Constant
(-0.5) (-0.4) (0.2) (0.3) (0.) (0.1)
Ρ 1. 1. 1. 1. 1. 1.
N. osservazioni 41 41 55 43 43 41
R2 .972 .977 .729 .006 .791 .969
R2 .969 .975 .719 -.044 .781 .966
Nota: fra parentesi c’è il t-statistico
La trimestralizzazione delle serie storiche annuali 209
Tav. 17
Regressioni annuali per i prestiti richiesti dalle imprese
Metodo SANTOS SILVA CARDOSO – PRESTITI
Variabili
esplicative mod_1 Mod_2 mod_3 mod_4 mod_5 mod_6
-2197. 259.92 -230.29
NTAIL N.A. N.A. -
(-2.7) (1.8) (-1.6)
.7766 .75532 -.30365
INDBORSA N.A. - -
(11.) (8.0) (-1.2)
1.7833
IMATD N.A. N.A. - - -
(11.)
PILD N.A. N.A. - - - -
407.47 2358.3
GBRATE - N.A. - -
(3.4) (2.5)
-2975.1 10821 -1984.7 2204.1
Constant N.A. N.A.
(0.) (4.3) (-0.9) (-0.9)
φ .99 .99 .99 .931
N. osservazioni. 41 41 55 43 43 41
R2 .992 .819 .990 .995
R2 .991 .805 .989 .994
Nota: fra parentesi c’è il t-statistico
Tav. 18
Regressioni annuali per il totale passività delle imprese
Metodo CHOW-LIN - TOT PAS
Variabili
esplicative mod_1 Mod_2 mod_3 mod_4 mod_5 mod_6
-1928. -4368.2 -7076.2 -2139.4 -4045.7
NTAIL -
(-0.7) (-0.7) (-0.6) (-1.2) (-1.1)
16.94 27.19 26.574 19.585
INDBORSA - -
(5.6) (5.7) (4.9) (5.1)
10.781 12.919 38.124
IMATD - - -
(1.6) (1.4) (7.0)
4.9004 5.5384
PILD - - - -
(5.3) (5.0)
-2646.2 -2085.6 -703.92
GBRATE - - -
(-0.3) (.538) (-0.1)
-82187 -50111 626110 1023075 711426 218976
Constant
(-0.5) (-0.5) (3.1) (3.5) (3.0) (1.2)
ρ .99 .97 .99 .99 .99 .99
N. osservazioni. 41 41 55 43 43 41
R2 .972 .965 .912 .161 .902 .976
R2 .968 .960 .908 .119 .897 .974
Nota: fra parentesi c’è il t-statistico
210 Giuseppe Bruno
Tav. 19
Regressioni annuali per il totale passività delle imprese
Metodo FERNÁNDEZ - TOT PAS
Variabili
esplicative mod_1 mod_2 mod_3 mod_4 mod_5 mod_6
-1747 -4163.1 -6595.4 -2122.2 -3599.6
NTAIL -
(-0.6) (-0.7) (-0.7) (-.5) (-1.1)
16.904 22.478 22.335 18.765
INDBORSA - -
(5.7) (5.5) (4.8) (5.1)
10.825 12.249 32.219
IMATD - - -
(1.7) (1.4) (5.5)
4.9064 5.6759
PILD - - - -
(4.7) (4.1)
-959.21 -1864.6 211.91
GBRATE - - -
(-0.1) (-0.4) (0.)
-19892 20933 5046.2 60131 -12578 5306.3
Constant
(-0.4) (0.3) (0.1) (0.6) (-0.2) (0.1)
ρ 1. 1. 1. 1. 1. 1.
N. osservazioni. 41 41 55 43 43 41
R2 .971 .962 .911 .163 .901 .976
R2 .968 .958 .907 .121 .896 .974
Nota: fra parentesi c’è il t-statistico
Tav. 20
Regressioni annuali per il totale passività delle imprese
Metodo SANTOS SILVA CARDOSO - TOT PAS
Variabili
esplicative mod_1 mod_2 mod_3 mod_4 mod_5 mod_6
-3923.5 702.38 -433.08
NTAIL N.A. N.A. -
(-1.4) (1.7) (-1.0)
4.4796 4.4583 2.9852
INDBORSA N.A. - -
(21.) (16.) (3.9)
3.2671
IMATD N.A. - - -
(6.8)
PILD N.A. N.A. - - - -
941.11 3431.4
GBRATE - N.A. - -
(2.6) (1.0)
-9475.9 35349. -8572.1 -495.46
Constant N.A. N.A.
(-2.4) (4.0) (1.3) (-0.1)
φ .97 .99 .97 .931
N. osservazioni. 41 41 55 43 43 41
R2 .992 .732 .991 .994
R2 .991 .710 .990 .992
Nota: fra parentesi c’è il t-statistico
La trimestralizzazione delle serie storiche annuali 211
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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DISCUSSIONE DEL LAVORO DI G. BRUNO
Tommaso Di Fonzo∗
I metodi per la stima indiretta di serie trimestrali, a partire dal noto
dato annuale, costituiscono una particolare applicazione di metodi più
generali, sviluppati per ricavare da serie osservate a cadenza ‘bassa’ serie
storiche aventi frequenza s volte più alta e coerenti con le osservazioni di
partenza.
Nei metodi che fanno uso di indicatori di riferimento, il profilo
trimestrale di una serie disponibile solo a cadenza annuale viene ricostruito
con l’ausilio di informazioni trimestrali parziali e indirette, fornite da serie
economiche correntemente disponibili e logicamente legate alla serie
d’interesse.
Le ipotesi su cui si fondano tali metodi sono molto stringenti. Non
sempre, infatti, le informazioni indirette e parziali di cui si dispone sono
adeguate allo scopo. Inoltre, la nota serie annuale può essa stessa fornire
valutazioni del fenomeno scarsamente attendibili, vanificando così anche
un’eventuale elevata rappresentatività dell’indicatore. Può tuttavia darsi la
situazione opposta, e cioè che, a fronte di informazioni di base adeguate, si
faccia uso di metodi scarsamente affidabili. Ciò ha spinto numerosi autori a
ricercare i modi più appropriati per usare le informazioni indirette fornite
dagli indicatori nella riduzione a cadenza trimestrale di dati disponibili a
cadenza annuale.
I metodi statistici utilizzati per la stima di serie storiche a cadenza
infrannuale possono idealmente essere classificati in due grandi categorie:
approcci che utilizzano metodologie e fonti analoghe a quelle utilizzate per
la stima dei dati annuali (metodi diretti) e approcci statistico-matematici in
cui si opera una disaggregazione temporale dei dati annuali (metodi
indiretti).
La decisione di utilizzare l’approccio diretto dipende
sostanzialmente dalla disponibilità alla cadenza temporale desiderata di
fonti statistiche complete e paragonabili a quelle utilizzate a livello
annuale. Molto spesso, infatti, la scarsità di informazioni dirette a cadenza
__________
∗
Dipartimento di Scienze Statistiche, Università di Padova.
214 Tommaso Di Fonzo
infrannuale sui fenomeni di interesse impone l’uso di metodi matematici o
statistici per la disaggregazione temporale dei dati annuali. Di questo
importante problema – ben noto a chi ha, o ha avuto, a che fare con i conti
economici trimestrali italiani – si occupa Bruno, presentando
un’interessante applicazione ad alcune serie storiche dei conti finanziari, la
cui disponibilità a cadenza trimestrale è particolarmente desiderabile per
gli analisti economici.
L’attenzione di Bruno si concentra principalmente sui metodi
regression based, che modellano l’andamento delle serie trimestralizzate
sulla base della relazione, stimata econometricamente, esistente tra uno
specifico indicatore e il corrispondente dato annuale. Tra tali metodi spicca
quello di Chow e Lin (1971), che è particolarmente diffuso tra gli istituti di
statistica di tutto il mondo1 – e non soltanto per la stima dei conti
trimestrali – a causa della sua semplicità d’uso e della sua robustezza in
diversi contesti applicativi.
Punto di partenza dell’approccio in questione è la formulazione in
termini di modello di regressione del legame esistente, a livello trimestrale,
tra la serie da stimare e gli indicatori di riferimento. Il modello di
regressione annuale si ottiene allora per aggregazione, e a partire da esso si
possono ricavare le stime trimestrali desiderate, sotto forma di previsioni a
minima varianza. La bontà del metodo di Chow e Lin dipende dunque
essenzialmente dal buon accostamento esistente a cadenza annuale tra
l’indicatore di riferimento e il dato da trimestralizzare.
Come è noto, la scelta a suo tempo fatta dall’Istat di adottare tale
metodo per la stima dei conti economici trimestrali poggiava sul lavoro di
revisione metodologica portato a termine nel 1985 da una commissione
congiunta con la Banca d’Italia (Istat, 1985). Col passare del tempo,
tuttavia, gli sviluppi nelle tecniche statistiche per la modellazione delle
serie economiche e un’accresciuta capacità di valutazione critica delle
ipotesi su cui la tecnica in questione si fonda, hanno favorito l’emergere di
approcci più flessibili e/o alternativi, che hanno dimostrato in alcuni casi
una maggiore stabilità dei risultati (revisioni minori).
Di questi aspetti si è occupata una commissione di studio dell’Istat,
avente il compito di formulare proposte sulle strategie da utilizzare per la
__________
1
Si noti tuttavia che a livello di istituzioni internazionali l’approccio indiretto secondo Chow e Lin
non trova unanime accoglienza. Se Eurostat (1999) lo approva e ne auspica la diffusione, tutt’altra
opinione viene manifestata dall’International Monetary Fund (Bloem et al., 2001).
Discussione del lavoro di G. Bruno 215
disaggregazione temporale dei conti economici trimestrali, che ha di
recente concluso i propri lavori2. Di fatto Bruno discute alcune di queste
proposte, con lo scopo di valutarne la praticabilità e le differenze per ciò
che attiene alle principali caratteristiche dinamiche delle serie stimate.
Il ben noto punto di partenza è che il risultato di Chow e Lin (1971)
vale nell’ipotesi che sia nota la matrice di covarianza dei disturbi
trimestrali del modello di regressione. Quando ciò non si dia, il che accade
nella larghissima maggioranza delle situazioni reali, si pongono due
problemi di non semplice soluzione e strettamente interrelati:
(a) Come identificare il processo generatore dei disturbi trimestrali,
posto che si dispone dei soli disturbi stimati con il modello di
regressione annuale?
(b) Come stimare in modo consistente i parametri che caratterizzano il
processo generatore dei disturbi trimestrali a partire dal processo
aggregato annualmente?
Idealmente, la versione stimata del modello disaggregato dovrebbe
essere coerente con la specificazione suggerita dai dati (aggregati)
disponibili, in base a un principio di consistenza empirica (Casals et al.,
2005) tra modello disaggregato (a frequenza alta) e modello aggregato (a
frequenza bassa). Per gran parte delle tecniche, in particolare per quelle
regression-based, il processo è invece esattamente opposto: il modello
disaggregato viene imposto ai dati e il modello aggregato che consente di
stimare i parametri si ottiene come meccanica conseguenza
dell’aggregazione temporale; le stime vanno accettate così come sono,
anche quando il modello aggregato stimato (nella forma imposta dal
modello di base postulato) manifesta chiari problemi di adattamento.
Un altro elemento di debolezza è rappresentato dall’assunto di
esogeneità dell’indicatore su cui tale approccio si basa. Grazie a esso,
infatti, non sussistono particolari problemi per ‘trasferire’ la dinamica
congiunturale dell’indicatore all’indicato. In molte situazioni concrete,
tuttavia, indicato e indicatore sono variabili fortemente interrelate,
caratterizzate semmai da nessi causali bidirezionali o, più semplicemente,
soggette alle medesime influenze dell’ambiente economico da cui vengono
generate. In casi del genere, l’uso di modelli di regressione, semplici o con
__________
2
Il seminario conclusivo in cui sono stati presentati i risultati della commissione si è tenuto a Roma
il 3 novembre 2005 (www.istat.it/istat/eventi/contieconomici3112005/).
216 Tommaso Di Fonzo
componenti dinamiche di qualche tipo, rischia di essere un’operazione
forzata e, al limite, arbitraria.
Come è evidente, si tratta di questioni molto delicate, che nel caso
della procedura di Chow e Lin, e più in generale delle tecniche che da essa
direttamente discendono, vengono per lo più affrontate con semplificazioni
motivate da ragioni pratiche e con argomentazioni euristiche.
Per ciò che riguarda le procedure di disaggregazione temporale di
Fernández (1981) e Litterman (1983), che Bruno considera nel suo lavoro,
valgono le seguenti osservazioni. Nel primo caso, anche grazie a una ovvia
reinterpretazione del modello statistico su cui la procedura si fonda, è
possibile apprezzare la semplicità concettuale della logica economica che il
modello sottende, che trae ulteriore forza dalla possibilità di modellare i
logaritmi. Per quanto riguarda il metodo di Litterman, invece, dai lavori
della commissione dell’Istat sono emersi i limiti logici e statistici del
modello, che è stato oggetto di approfondimenti teorici e di esperimenti di
simulazione dai quali sono emerse debolezze non trascurabili, tali da
sconsigliarne l’uso nella pratica di produzione corrente di serie trimestrali.
Va anche detto che tali risultanze hanno trovato ulteriore conferma negli
esperimenti di previsione in corso d’anno effettuati su varie serie di
contabilità nazionale trimestrale italiana.
Quanto all’estensione dinamica del modello adottato per la
trimestralizzazione proposta da Santos Silva e Cardoso (2001), Bruno si
sofferma sulla formulazione matriciale classica del pertinente modello di
regressione, che permette di evidenziare (i) le analogie, quanto meno
formali, tra questa procedura di disaggregazione temporale e la
formulazione standard delle procedure Best Linear Unbiased secondo
Chow e Lin (1971), e (ii) le minori criticità dal punto di vista econometrico
che caratterizzano questa procedura. Va comunque segnalato che per tale
procedura è gia disponibile una interessante rilettura in chiave di
formulazione state-space del problema di disaggregazione temporale
mediante indicatori di riferimento, che ne esalta la flessibilità e la
possibilità di ‘annidare’ i modelli classici (tra cui quello di Chow e Lin) e,
grazie a ciò, di derivare stringenti indicazioni sulla specificazione da
adottare attraverso procedure inferenziali standard.
Quanto al metodo di Guerrero, l’ultimo che Bruno prende in
considerazione nel suo lavoro, si tratta di una procedura di ‘data-based
benchmarking’, ossia una procedura di stima in due passi. Il primo
comporta una stima preliminare della serie trimestrale. Il secondo consiste
Discussione del lavoro di G. Bruno 217
in un aggiustamento delle stime, coerente con i noti valori annuali, sulla
base di una matrice di covarianza degli errori desunta dal modello
identificato e stimato per l’indicatore di riferimento. Interessante per la
‘logica’ che la sottende – è la dinamica trimestrale dell’indicatore di
riferimento che guida l’utente nella ripartizione delle discrepanze tra stime
trimestrali preliminari e dato annuale – tale procedura mostra tuttavia
qualche debolezza nei casi in cui la modellazione automatica
dell’indicatore non dovesse risultare adeguata.
Accanto alle questioni ‘tecniche’ fin qui trattate, non sembra inutile
sottolineare una volta di più l’importanza di valutare sistematicamente la
bontà dell’adattamento del modello sottostante la disaggregazione,
utilizzando le usuali diagnostiche per serie temporali, segnatamente le
innovazioni. Particolarmente rilevante risulta, inoltre, il monitoraggio in
tempo reale della capacità previsiva al di fuori del periodo campionario,
valutata con riferimento alla capacità di prevedere il valore totale
dell’aggregato annuale.
Per concludere, e correndo il rischio che ogni schematizzazione
porta con sé, sembra ragionevole ancorare la scelta di una procedura di
disaggregazione temporale mediante indicatori di riferimento ai seguenti
criteri operativi:
1. stabilità dei risultati (minimizzazione delle revisioni);
2. comportamento del metodo in estrapolazione (accuratezza delle
previsioni in corso d’anno);
3. capacità di cogliere e replicare le caratteristiche cicliche, stocastiche
e stagionali delle serie di riferimento.
In base a tali caratteristiche, semplici da definire, quanto delicate –
ma non impossibili – da tradurre in indicatori di sintesi e in prassi
operative, andrebbero giudicate le serie stimate da Bruno, in modo che
l’utente possa giovarsi di una chiave di lettura efficace per scegliere tra
serie stimate alternative.
218 Tommaso Di Fonzo
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Dynamic Models, in “Economic Modelling”, vol. 18, pp. 269-280.
È POSSIBILE TENER CONTO DELLE PENSIONI FUTURE NEI
CONTI FINANZIARI ?
Gabriele Semeraro∗
1. Introduzione
Nell’attuale sistema dei conti nazionali e finanziari, basato sul
System of National Accounts 93 (SNA93), non vengono considerati gli
impegni pensionistici futuri delle più importanti tipologie. Sono in
particolare esclusi gli impegni degli enti previdenziali pubblici, così come i
fondi occupazionali a ripartizione.
La ratio di tale trattamento è connessa al funzionamento dello
schema pensionistico. I rapporti pensionistici di tipo privatistico sono
riconosciuti dallo SNA93, poiché in essi l’assicurato versa dei contributi, e
la sua controparte accantona delle corrispondenti riserve, destinate a
finanziare la futura pensione. L’impegno è dunque simile alla
sottoscrizione di una polizza del ramo vita, con il pagamento di una lump
sum al momento della morte o pensionamento, o all’acquisto di quote di un
fondo comune: tali forme di investimento sono entrambe riconosciute nel
sistema dei conti. In tutti i periodi che precedono la liquidazione, è infatti
possibile determinare, in modo non ambiguo, la posizione individuale
dell’assicurato.
Considerazioni analoghe non valgono per gli schemi a ripartizione,
in cui le pensioni correnti sono finanziate da contributi correnti e
trasferimenti, piuttosto che dal rendimento di attività precedentemente
accumulate e investite. Gli impegni del debitore non sono dunque
“incorporati” in corrispondenti riserve o attività segregate, e non sono
assimilabili ai tradizionali strumenti finanziari. Nei conti si riflette solo
l’eventuale squilibrio di cassa derivante dal divario tra contributi ricevuti
nel periodo corrente e pensioni corrisposte nello stesso periodo, senza
alcun riferimento agli impegni relativi ai periodi successivi.
__________
∗
Le opinioni espresse nel presente lavoro sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente
l’orientamento della Banca d’Italia. Si ringraziano: Luigi Federico Signorini, Rocco Aprile,
Warren C. Sanderson, per utili commenti e punti di vista alternativi. La responsabilità per eventuali
errori o imprecisioni è esclusivamente dell’autore
220 Gabriele Semeraro
Con le attuali regole, se un sistema a ripartizione è in disequilibrio
strutturale (nel senso che sta accumulando impegni pensionistici non
coperti da corrispondenti contributi), ma i contributi ricevuti nel corso
dell’anno eguagliano le pensioni corrisposte, non si ha alcun effetto visibile
sull’indebitamento netto. Anche se, in termini economici, fosse evidente da
oggi, lo squilibrio diverrebbe visibile nei conti nazionali solo in futuro. Più
in generale, il disavanzo attualmente visibile in termini di cassa potrebbe
fornire una sottostima del reale squilibrio che risulterebbe da opportune
misurazioni per competenza.
Una proposta per l’ampliamento della registrazione di impegni per
pensioni future nel sistema dei conti nazionali, quindi nei conti finanziari e
nell’indebitamento netto, è stata lanciata da un gruppo di discussione
nell’ambito del processo di aggiornamento dello SNA93 (si veda United
Nations, 2002, Pitzer, 2002), e discussa in gruppi di lavoro presso le
principali sedi internazionali (Fondo monetario internazionale, OCSE,
Eurostat, Banca centrale europea e Comitato per le Statistiche monetarie,
finanziarie e di bilancia dei pagamenti). L’obiettivo del presente lavoro è
verificare le possibilità effettive di implementazione degli orientamenti
sinora emersi, con particolare riferimento alla contabilità dei flussi,
analizzandone le implicazioni dal punto di vista della coerenza statistica e
dei possibili problemi di incentivo. In quanto segue, la questione centrale
non riguarda gli stock, bensì i flussi, e l’opportunità di modificare
l’attuale nozione di deficit.
Nella prossima sezione verranno esaminate e discusse le principali
motivazioni economiche, statistiche e contabili per la modifica degli attuali
criteri di misurazione, nonché lo stato dell’arte del processo decisionale. Si
passa quindi a un’esposizione più dettagliata del modo in cui le pensioni
vengono riconosciute nell’attuale sistema dei conti reali e finanziari, e dei
metodi che si dovrebbero utilizzare per rendere effettive le proposte di
modifica (sezione 3).
Nella sezione successiva si esamina la robustezza del nuovo metodo
contabile, dal punto di vista della coerenza statistica, della dipendenza da
parametri incerti, della sensibilità dei dati rispetto a operazioni non
significative e delle possibilità di manipolazione. Sebbene molti argomenti
abbiano natura più generale, particolare attenzione è dedicata agli aspetti di
maggiore rilievo per i paesi europei, nell’ambito della procedura per i
disavanzi eccessivi prevista dal Patto di stabilità e crescita. Nella sezione 5
viene analizzata la capacità che avrebbero le nuove regole – ove applicate
propriamente – di rappresentare gli squilibri pensionistici e fornire i corretti
È possibile tener conto delle pensioni future nei conti finanziari? 221
incentivi per l’adozione di riforme strutturali. La sezione 6 riassume le
principali conclusioni del lavoro.
2. Perché introdurre le pensioni future nel sistema dei conti?
2.1 Insegnamenti dalla crisi dei fondi aziendali a prestazione definita
Le proposte per la misurazione delle passività pensionistiche future
non sono una novità degli ultimi anni (per un esempio in ciascuno dei
decenni precedenti, cfr. Franco, 1995; Castellino, 1985 e Feldstein, 1974),
almeno nel contesto delle previsioni di spesa e dello stock di debito (ma
non dei flussi correnti di contabilità nazionale)1. Il dibattito si riferiva
prevalentemente alla possibilità di incorporare le pensioni future in un
unico dato di stock corrente (da sommare, eventualmente, al debito),
oppure alla possibilità di prevedere i futuri flussi di spesa senza riportarli
finanziariamente a un’unica data (e senza incorrere in problemi di
discounting). I flussi correnti rilevati dalla contabilità nazionale (in
particolare, l’indebitamento netto e il saldo finanziario), pertanto, non
erano coinvolti. La novità degli ultimi anni è invece il tentativo di
registrare le pensioni future nel sistema dei conti nazionali e finanziari,
sviluppando una opportuna contabilità di flusso in cui il costo implicito
delle pensioni future viene sommato al disavanzo corrente (Lequiller,
2004; Oksanen, 2004; OECD, 2004).
Per comprendere i recenti sviluppi, occorre partire da quanto
accaduto, negli ultimi anni, nell’ambito degli schemi pensionistici aziendali
nei paesi anglosassoni. Negli Stati Uniti quasi il 40 per cento degli schemi
pensionistici aziendali è del tipo a prestazione definita, in cui gli oneri e i
rischi legati alle pensioni future gravano sul datore di lavoro. La
percentuale è ancora maggiore nel Regno Unito (Spadafora, 2004),
nonostante i recenti tentativi di winding up verso schemi a contribuzione
definita, in cui il rischio finanziario è totalmente a carico del lavoratore.
Dal 2001, l’andamento negativo dei corsi azionari, a fronte di impegni
pensionistici dati, ha notevolmente peggiorato la solvibilità delle imprese e
il rischio corso dalle banche creditrici. Inoltre, il rifinanziamento del deficit
previdenziale ha ridotto le risorse disponibili per gli investimenti
produttivi, con ricadute di rilevanza macroeconomica. Negli anni
__________
1
Cfr. anche Kotlikoff (1984) e Van den Noord e Herd (1993).
222 Gabriele Semeraro
precedenti era accaduto l’opposto: l’andamento favorevole dei corsi
azionari, determinando un notevole surplus previdenziale, aveva indotto le
imprese a ridurre gli accantonamenti pensionistici (c.d. contribution
holidays). Tra gli elementi che avrebbero favorito la sottovalutazione,
molti concordano nell’attribuire un ruolo di rilievo all’incapacità delle
preesistenti regole contabili di valutare correttamente gli impegni futuri.
A partire dal 2001 la graduale introduzione degli standard contabili
FRS 17 e IAS2, che prevedono metodi armonizzati e “pessimistici” per la
valutazione degli impegni pensionistici aziendali, ha reso evidente la reale
fragilità finanziaria di numerose imprese degli USA e del Regno Unito.
Ove fossero stati già in vigore, gli IAS relativi alla valutazione degli
impegni pensionistici futuri avrebbero offerto ai finanziatori, e alle stesse
imprese, una valutazione realistica e meno legata a transitori miglioramenti
dei pagamenti per cassa. Nello stesso periodo, non solo nel campo delle
pensioni, andava affermandosi la tendenza degli statistici e dei national
accountants ad armonizzare il più possibile le regole della contabilità
nazionale con i nuovi standard della contabilità aziendale.
Con queste premesse, è naturale chiedersi se i metodi contabili per la
valutazione delle pensioni future a prestazione definita possano essere
estesi al caso in cui il debitore non è un’impresa, ma è lo Stato (cfr. H.M
Treasury, 2002; Blake, 2003). Così come la contabilità aziendale pre-IAS
tendeva a sottostimare l’effettivo aumento di passività delle imprese, la
contabilità nazionale potrebbe verosimilmente sottostimare il disavanzo
dello Stato, nella sua qualità sia di datore di lavoro, sia di garante della
social security. L’analogia fornita dagli IAS e dagli errori di valutazione
dei fondi aziendali, in base a segnali distorti forniti dai semplici saldi di
cassa, può in effetti considerarsi uno dei più validi elementi di pressione
verso la modifica dell’attuale trattamento delle pensioni nei conti nazionali.
2.2 Sostenibilità, sorveglianza di bilancio e competenza, operazioni
straordinarie
Lasciando da parte la coerenza con il trattamento degli schemi
aziendali e limitando l’attenzione al solo ambito dei conti pubblici, un
ruolo di rilievo deve attribuirsi alla crescente preoccupazione per le
tematiche della “ageing economics”. In numerosi paesi europei, tale
__________
2
IAS e FRS 17 non sono del tutto allineati. La differenza più significativa riguarda il “corridor” del
dieci per cento per l’esenzione dall’obbligo di immediata registrazione dei capital gain/loss. Ai fini
del presente lavoro i due standard possono considerarsi equivalenti.
È possibile tener conto delle pensioni future nei conti finanziari? 223
preoccupazione è legata alla costante riduzione del rapporto tra forza
lavoro e numero dei pensionati, in sistemi già caratterizzati da disavanzi di
cassa (con alcune eccezioni di rilievo, come il Regno Unito)3. Negli USA,
sebbene il sistema previdenziale sia in sostanziale equilibrio di cassa
(attualmente, in surplus), la preoccupazione è legata allo studio delle
misure per fronteggiare i disavanzi previsti nei prossimi decenni, a partire
dal pensionamento dei baby-boomers della fine degli anni cinquanta; (si
veda Diamond e Orszag, 2004). In tale contesto, la crescente domanda di
statistiche armonizzate in grado di cogliere le passività future riflette da un
lato l’incertezza sull’impatto complessivo dell’invecchiamento della
popolazione (Disney, 2001), dall’altro la necessità di valutare gli effetti
delle riforme pensionistiche4.
Nel caso dei paesi appartenenti all’Unione europea, alla
preoccupazione per la vera e propria sostenibilità di lungo periodo si
accompagna la costante attenzione per l’efficacia della “budgetary
surveillance”, anche nel breve termine. Quest’ultima, per la parte relativa
ai flussi, si basa sui conti nazionali reali e finanziari. In tale ambito, il
tentativo di misurare le pensioni future può essere inquadrato nella più
generale tendenza a estendere il campo di applicazione del principio della
competenza economica. L’importanza di tale principio è legata
all’opportunità di evitare che i governi possano trarre vantaggi contabili dal
semplice “rescheduling” dei pagamenti relativi a impegni già sottoscritti.
In effetti, molte delle più recenti (e più controverse) decisioni dell’Eurostat
possono ricondursi, in ultima analisi, a decisioni sull’applicazione della
competenza (si veda European Commission-DG ECFIN, 2005; Council of
the European Union – Ecofin, 2005). La registrazione delle pensioni future
può essere vista come il caso estremo dell’applicazione della competenza,
non consentito dai regolamenti attuali, ma desiderabile in vista della
revisione delle regole.
Un argomento strettamente correlato è legato al trattamento di
operazioni straordinarie. I casi più noti hanno riguardato le operazioni
France-Telecom in Francia, Daiko Henjo in Giappone e Belgacom in
Belgio (cfr. Lequiller, 2004, Eurostat, 1997 e 2004. Al di là delle diverse
__________
3
Per un’ampia discussione relativa alla situazione europea, si veda ad esempio Castellino e Fornero
(2003); si veda anche Economic Policy Committee (2003).
4
La preoccupazione per l’andamento futuro della spesa pensionistica è ulteriormente rafforzata negli
autori che sottolineano l’esistenza di un trade-off tra pensioni e altre forme di welfare che, in
presenza di vincoli di bilancio, può indurre severe limitazioni della spesa sociale, a svantaggio
delle fasce più deboli (Boeri e Perotti, 2002).
224 Gabriele Semeraro
technicalities, le tre operazioni hanno in comune lo scambio di attività
riconosciute dal sistema dei conti contro attività non riconosciute. Per
esempio, per agevolare una campagna di privatizzazione, il governo
assume gli impegni pensionistici dell’impresa nei confronti dei dipendenti,
ricevendo come corrispettivo un pagamento di cassa. In ciascuno dei tre
casi si sarebbe verificata un’operazione puramente finaziaria, in cui le
passività pensionistiche nei confronti dei dipendenti sono state scambiate
contro un pagamento lump-sum attuarialmente equivalente. Il sistema di
regole attuali ha riconosciuto solo un lato dell’operazione (il movimento di
cassa). Ciò avrebbe prodotto un artificiale miglioramento del saldo
finanziario (indebitamento netto) del settore che ha acquisito le passività
“nascoste” (si veda Lequiller, 2005). Il solo modo per evitare tali
miglioramenti artificiali dei conti pubblici sarebbe il riconoscimento di
tutte le passività pensionistiche nel sistema dei conti.
Esistono numerosi altri motivi di interesse per la misurazione delle
pensioni future. Per esempio, introdurre la ricchezza pensionistica tra i
regressori potrebbe migliorare la stima della funzione del consumo delle
famiglie. L’intenzionale esclusione di tali argomenti consente di chiarire
uno degli aspetti principali del presente lavoro. In realtà, i vantaggi
derivanti da una qualche misurazione della ricchezza pensionistica possono
considerarsi fuori discussione (si veda ad es. Attanasio e Brugiavini, 2003,
Blake, 2002 e Blake e Orszag, 1999). L’oggetto del lavoro è stabilire se e
con quale metodo si debba tener conto di tali misurazioni anche nei flussi
della contabilità nazionale.
2.3 Evoluzione delle regole
Nell’ambito del processo di revisione dello SNA93, su richiesta del
gruppo di lavoro di contabilità nazionale delle Nazioni Unite (ISWGNA),
il Fondo monetario internazionale ha coordinato un comitato di esperti di
vari paesi (Advisory expert group, o AEG), che ha avallato la proposta di
nuove regole per la misurazione delle passività pensionistiche. La proposta
prevedeva l’utilizzo di metodi attuariali per il riconoscimento degli schemi
occupazionali a ripartizione operati da qualsiasi datore di lavoro, incluso lo
Stato verso i propri dipendenti (De Rougemont, 2003). Il riconoscimento
delle nuove passività si basava sull’estensione del concetto di
“obbligazione costruttiva”, previsto dallo IAS19. Si tratta della pubblica
accettazione, per dichiarazione o per prassi, di responsabilità verso terzi, in
grado di determinare valide aspettative. La proposta lasciava tuttavia
invariata la situazione per i fondi operati dallo Stato nell’ambito della
È possibile tener conto delle pensioni future nei conti finanziari? 225
social security. Tale proposta è stata presentata come un primo passo5,
nella generale convinzione che fosse “troppo presto” riconoscere anche la
social security.
A livello europeo, il Committee on monetary, financial and balance
of payments statistics (CMFB) ha dato all’Eurostat l’incarico di studiare le
possibili implicazioni del processo di revisione dello SNA, predisponendo
opportune task force di esperti dei vari paesi. Fin dal primo documento, la
task force coordinata dall’Eurostat ha rilevato l’importanza della revisione
della SNA, sottolineando il possibile impatto sulle statistiche europee di
finanza pubblica, basate sul manuale europeo SEC95. La task force ha da
subito ribadito il carattere “essenziale” dell’allineamento tra il SEC95 e lo
SNA: ciò in termini pratici implica l’impegno a modificare il SEC95, in
caso di cambiamento dello SNA.
A sua volta la Direzione Statistica dell’OCSE ha rielaborato la
proposta dell’AEG, predisponendo uno schema dettagliato per l’inclusione
nei conti nazionali di tutte le passività pensionistiche, comprese quelle
della social security. In tale schema, le varie voci relative a pensioni a
ripartizione non sono contabilizzate in un conto separato, ma rientrano
direttamente nella sequenza contabile che porta all’indebitamento netto.
Per quest’ultimo, diventano prontamente disponibili due versioni: quella
tradizionale, attualmente in uso, e quella modificata, comprensiva della
passività future. Tale proposta può quindi considerarsi come il secondo
passo verso l’inclusione di tutti i flussi pensionistici nell’indebitamento
netto.
Dai gruppi coordinati dall’Eurostat è infine emersa (maggio 2005),
in modo non unanime, una “posizione europea” (Lequiller, 2005), che
prevede la registrazione di tutte le passività pensionistiche in uno schema
obbligatorio, ma non compreso nel “core” dei conti nazionali (né, in
particolare, nella sequenza che porta all’indebitamento netto). La
discussione presso l’FMI è tuttora in corso, in attesa di raggiungere una
conclusione definitiva nel 2006.
__________
5
“As a first step, the EDG proposal is restricted to employer schemes, because the benefit provided
is clearly of a nature of a deferred compensation (in contrast to other pension schemes, such as
those by social security) (…)” Eurostat (2004).
226 Gabriele Semeraro
3. Il nuovo metodo: aspetti metodologici e statistici
3.1 Le pensioni future nel sistema dei conti
Prima di descrivere le nuove proposte, è opportuno richiamare il
trattamento attuale delle pensioni nei conti nazionali. Per semplificare
l’esposizione, utilizzeremo il solo conto finanziario, senza ripercorrere
l’intera sequenza dei conti nazionali. L’impatto sui conti reali
(indebitamento netto) equivale al saldo del conto finanziario. Il conto
finanziario registra i flussi di attività e passività in strumenti finanziari. I
possibili strumenti finanziari sono sette: Oro e DSP (F.1), Circolante e
depositi (F.2), Titoli e derivati (F.3), Prestiti (F.4), Azioni e partecipazioni
(F.5), Riserve tecniche di assicurazione (F.6), Altri conti attivi e passivi
(F.7). Ogni operazione che movimenti uno o più dei suddetti strumenti,
detenuti o emessi da un settore, dà quindi luogo a registrazioni nel suo
conto finanziario. Le operazioni puramente finanziarie (come la cessione di
titoli in cambio di un pagamento di cassa) movimentano solo strumenti
finanziari, per importi uguali e contrari, e non hanno quindi effetto sul
saldo finanziario. Le operazioni reali (come la vendita di beni o servizi a
fronte di un pagamento di cassa) modificano il saldo finanziario.
Le attuali regole contabili prevedono che gli impegni pensionistici
vengano inclusi tra gli strumenti finanziari (tra le riserve tecniche di
assicurazione, F.6) solo per gli schemi con costituzione di riserve. Sono in
ogni caso esclusi gli impegni degli enti previdenziali delle AA.PP6. La
tavola 1 riporta, a titolo di esempio, il pagamento di contributi ricevuto da
un’impresa con un fondo a contribuzione definita per i propri dipendenti.
Contestualmente al pagamento (F.2), il sistema dei conti riconosce la
nascita di una passività finanziaria (F.6) dell’impresa per un pari importo.
Si ha pertanto un’operazione puramente finanziaria, senza impatto
sull’indebitamento netto (B.9).
__________
6
Nel caso in cui il governo operi in qualità di datore di lavoro, l’ultima versione del Manual on
Government Finance Statistics del Fondo monetario internazionale (si veda FMI, 2001) ha previsto
la registrazione delle passività pensionistiche. Anche in tale trattamento innovativo restano esclusi
gli schemi della social security.
È possibile tener conto delle pensioni future nei conti finanziari? 227
Tav. 1
Fondo occupazionale a contribuzione definita
Strumento Descrizione Conto finanziario
finanziario
Flussi Flussi
attivi passivi
F.2 Contributi versati dai dipendenti +100
(circolante
e
depositi)
F.6 Creazione di impegni +100
(riserve pensionistici
tecniche di
ass.ne)
B.9 Saldo finanziario 0
Al momento del pagamento delle pensioni, si avrà nuovamente
un’operazione finanziaria, con scritture esattamente opposte (esborso (-) di
cassa, con riduzione di passività per un pari importo). Di conseguenza,
l’effetto sul saldo finanziario sarà sempre nullo.
Nel caso della social security, invece, vengono riconosciuti solo i
movimenti di cassa (F.2). Pertanto, il pagamento dei contributi migliora il
saldo finanziario, mentre il pagamento delle pensioni lo peggiora. Il saldo
sarà nullo solo se i contributi eguagliano le pensioni pagate nello stesso
anno. Se una legge promette maggiori benefici senza disporne l’immediata
copertura tramite maggiori contributi, lo squilibrio non è immediatamente
visibile nell’indebitamento netto.
3.2 Le pensioni future nei conti finanziari
Sulla base di quanto prescritto dal gruppo di discussione FMI per le
pensioni corrisposte dallo Stato in qualità di datore di lavoro, Lequiller
(2004) ha proposto un metodo generalizzato che si applica anche allo Stato
228 Gabriele Semeraro
in quanto responsabile della previdenza sociale7. I punti fermi sono: 1)
l’abbandono della discriminazione in base alla presenza di riserve (o alla
natura retributiva); 2) il riporto degli impegni futuri a dati correnti,
mediante l’uso di metodi attuariali; 3) l’attribuzione delle passività nette
così ottenute al responsabile dello schema pensionistico.
Sebbene il metodo sia piuttosto complesso, è possibile darne una
spiegazione estremamente semplice utilizzando il solo conto finanziario.
Senza conseguenze per la discussione successiva, assumeremo che alcune
delle componenti considerate nella proposta siano nulle8. Consideriamo il
caso di un sistema previdenziale pay-as-you-go, in cui esiste un’impresa
privata. Lo Stato corrisponde pensioni per un importo pari a 11 e riceve
contributi per 12,5. Una parte dei contributi (1,5) è a carico dei lavoratori,
mentre la parte rimanente (11) è a carico dell’impresa. Assumiamo inoltre
che, nonostante l’avanzo di cassa appena descritto, il sistema sia in
disequilibrio e i contributi siano insufficienti rispetto all’aumento di
pensioni future legalmente riconosciuto ai lavoratori: i contributi nozionali
in grado di mantenere il sistema in equilibrio sono ipotizzati pari a 15,5 (3
in più’ rispetto ai contributi effettivamente incassati).
Nella prima parte della tavola 2 sono riportati i movimenti di cassa
(F.2) corrispondenti alla riscossione dei contributi (A+B) e al pagamento
delle pensioni (C). Si tratta di tutto ciò che è rilevato dal conto finanziario
secondo le attuali regole. Il risultato è un accreditamento netto per 1,5.
La parte successiva riporta le ulteriori scritture che si avrebbero
adottando il nuovo trattamento. Come visto nel paragrafo precedente, il
riconoscimento di passività (o “quasi-passività”) pensionistiche tra gli
strumenti finanziari implica che i pagamenti di contributi (A+B) e pensioni
(C) diventino operazioni puramente finanziarie: in contropartita della
cassa, ci sono ora assunzioni e cancellazioni di passività in riserve tecniche
di assicurazione (F.6X)9.
__________
7
“My proposal is [...] to accept from the start an extension of the borderline to include the liabilities
of social security.” (Ibid., pag.5).
8
In particolare, il termine relativo al “property income”. Oltre a rispondere a esigenze di
esemplificazione, tale scelta riflette scetticismo circa la possibilità attuariale di aggiungere tale
voce al contributo nozionale per la previdenza sociale. Tale possibilità sembrerebbe richiedere il
computo di “second line reserves” (per un commento attuariale, cfr. L’Appendice VI, a cura di
John Walton, in De Rougemont, 2003).
9
La lettera X indica che, per il momento, si tratta di un’estensione solo “per memoria”della voce F.6
(questo giustifica anche l’espressione “quasi passività”). Considerazioni analoghe valgono per
B.9X, estensione per memoria dell’indebitamento netto B.9.
È possibile tener conto delle pensioni future nei conti finanziari? 229
Tav. 2
Impatto delle passività per pensioni future sull’indebitamento netto
delle Amministrazioni pubbliche
Strumento
Descrizione Conto finanziario
finanziario
Flussi Flussi
attivi passivi
F.2 A) Contributi versati dai dipendenti +1,5
(circolante B) Contributi versati dal datore di +11
e depositi) lavoro
C) Pensioni corrisposte -11
(B.9) Per memoria: saldo finanziario (+1,5)
secondo le attuali regole
F.6X Assunzione di impegni verso +12,5
(riserve dipendenti (=A+B)
tecniche di Cancellazione di impegni verso -11
ass.ne) pensionati (=C)
Aggiunta attuariale +3
(B.9S) Per memoria: saldo delle quasi- (-4,5)
passivita’ pensionistiche
B.9X Saldo finanziario (nuova def.ne) -3
= B.9+B.9S
Si ha poi un ultimo aumento di passività, chiamato “aggiunta
attuariale”, che rappresenta l’assunzione di ulteriori passività
pensionistiche non coperte dai contributi di cassa. Tale termine è definito
come la differenza tra i contributi correnti e i contributi attuariali, che
sarebbero in grado di mantenere in equilibrio il sistema. In questa parte del
conto, si sarebbe potuto indicare direttamente il complessivo contributo
attuariale di equilibrio (che abbiamo assunto pari a 15,5), senza dividerlo
artificialmente in tre parti (i vari contributi e, per differenza, l’aggiunta
attuariale). Si è proceduto in questo modo al fine di separare la componente
che dà luogo a transazioni puramente finanziarie (i contributi che, come le
230 Gabriele Semeraro
pensioni, si elidono con corrispondenti voci nella parte alta del conto) dalla
componente considerata operazione reale.
Sommando agli strumenti finanziari già riconosciuti (F.2) le nuove
passività pensionistiche (F.6X), si ottiene una nuova versione
dell’indebitamento netto. Nell’esempio, grazie al cambiamento di
definizione, il saldo passa da un avanzo di 1,5 a un deficit di 3, che sembra
rappresentare meglio la situazione di squilibrio.
3.3 Implementazione dello schema di riferimento
I risultati del gruppo coordinato dall’FMI non presentano
esplicitamente formule e metodi di calcolo generali, ma partono da esempi
numerici a valle rispetto ai calcoli attuariali. Gli esempi numerici sono
comunque riferiti a microdati, tipicamente la singola impresa.
Considerazioni analoghe valgono per la discussione successiva e per il
metodo proposto da F. Lequiller (OCSE) per l’estensione alla social
security. Per facilitare la discussione nei paragrafi successivi, è opportuno
impostare il metodo in un quadro più generale, avendo riguardo
all’implementazione su dati aggregati.
Si consideri uno schema a ripartizione, senza precisare se si tratti di
previdenza sociale o di un fondo aziendale. I beneficiari si dividono in
dipendenti e persone già pensionate10. Per il generico dipendente tuttora in
attività (j), lo stock di benefici pensionistici futuri Et0 , corrispondente agli
impegni della sua controparte, può essere scritto come:
∞ wt0j + h
Et0j = ∑ ⋅γ t0j + hα t0j + h (3.1)
h =1 (1 + r ) h
t0 = anno corrente, wjt= reddito pensionistico dell’individuo j al tempo t;
γ t j =probabilità per l’individuo j di ricevere una pensione al tempo t;
α t j =prob. per l’individuo j di essere in vita al tempo t; r= tasso di sconto
__________
10
In quanto segue, omettiamo per semplicità la trattazione esplicita della componente da inflazione
(che può essere facilmente aggiunta senza alterare le conclusioni).
È possibile tener conto delle pensioni future nei conti finanziari? 231
Nel caso di lavoratori già pensionati, la relazione è più semplice.
Lo stock Pt j di future prestazioni pensionistiche per il pensionato j è:
∞ wt0j + h
Pt0 = ∑
j
⋅α t0j + h (3.2)
h =1 (1 + r )
h
Sia N E il numero totale di occupati e N P il numero complessivo di
pensionati partecipanti allo schema. Si indichino inoltre, con α e γ le due
serie di coefficienti attuariali da cui si ottengono le sequenze di valori α t j e
γ tj per ciascun individuo. Per la popolazione data di lavoratori e
pensionati, la valutazione complessiva dello stock di pensioni future S t0
nel periodo t 0 sarà pertanto:
St0 ( r , w, α , γ ) =
NE ⎛ ∞ wt0j + h ⎞ N P ⎛ ∞ wt0j + h ⎞ (3.3)
∑ ⎜∑
⎜
j =1 ⎝ h =1 (1 + r )
γ
⋅ j
α j
t0 + h t0 + h
⎟ ∑
⎟ +
⎜∑
⎜ α
⋅ t0 + h ⎟
j
⎟
⎠ j =1 ⎝ h =1 (1 + r )
h h
⎠
dove wt = ( wt1 , wt2 ,......wtN E ; wt1 , wt2 ,......wtN P ) e w = ( w1 , w2 ,...wt ,...)
Il valore ottenuto nella (3.3) è lo stock di ricchezza pensionistica
delle famiglie. Per ottenere il dato di flusso da registrare nei conti
finanziari è necessario identificare e isolare le componenti da escludere
dalla semplice variazione dello stock (gli Other economic flows, o OEF)11.
Per esempio, l’effetto della variazione del tasso di riferimento può, in base
alla (3.3), essere approssimato mediante l’espressione
∂St0 ( r , w, α , γ )
⋅ ∆r , mentre espressioni analoghe valgono per l’impatto
∂r
__________
11
Nella contabilità nazionale, gli “Other economic flows” (OEF) identificano variazioni di stock non
spiegate da flussi (transazioni). Gli OEF comprendono le revaluations e gli Other changes in
volume.
232 Gabriele Semeraro
degli altri parametri. Tuttavia, rielaborando le conclusioni raggiunte dal
gruppo EDG (pp. 38-42), il flusso può essere direttamente ottenuto per
confronto di due valori successivi della (3.3), imponendo la costanza dei
parametri attuariali. Per esempio, nel caso di modifiche del tasso di sconto,
si ottengono immediatamente le seguenti espressioni per la variazione di
stock, il flusso e la rivalutazione, rispettivamente:
( ) ( )
∆St0 = St0 +1 rt0 +1 , ⋅ − St0 +1 rt0 , ⋅ (3.4)
(
FLt0 +1 = St0 +1 rt0 , ⋅ ) − S (r , ⋅ )
t0 t0 (3.5)
OEFt0 +1 = ∆St0 +1 − FLt0 +1 (3.6)
Il flusso definito dalla (3.5) individua esattamente l’incremento di
futuri benefici guadagnato da lavoratori e pensionati durante il periodo
contabile12. La procedura per ottenere il flusso è del tutto analoga in caso di
variazione simultanea di più parametri. Si ricava prima il dato di flusso
sotto ipotesi di invarianza di tutti i parametri attuariali. Si ottiene quindi
l’OEF per differenza.
Riassumendo, a monte del lavoro statistico ci sono dati disaggregati
di partenza simili a quelli già presenti nei modelli di previsione di spesa
governativi, i cui risultati sono utilizzati e pubblicati in vari paesi.
Considerando il tasso di sconto come determinato esogenamente (per i
particolari si veda il prossimo paragrafo), la sequenza di flussi è riassunta
in un unico stock aggregato, che è il solo nuovo dato da fornire agli
statistici. Nel caso in cui gli attuari (o la normativa) modifichino dei
parametri, allo statistico occorre un secondo stock, di confronto, ottenuto
ricavando dal modello i nuovi dati in base ai parametri attuariali
precedenti.
__________
12
Sebbene non vi sia una definizione formale, ciò che nella proposta di Lequiller è
chiamato “Actuarial addition” non corrisponde al flusso definito dalla (3.5). Tale
contributo deve necessariamente corrispondere, invece, alla differenza
FLt0 +1 − ∑ j =E1 C Ej (t 0 + 1) − ∑ j =F1 C Fj (t 0 + 1) ,
N N
tra il valore attuale dei nuovi
impegni futuri (3.5) e i contributi corrisposti nell’anno corrente (si è indicato con NE e NF ,
rispettivamente, il numero dei dipendenti e dei datori di lavoro; con CE e con CF i contributi versati,
rispettivamente, dai dipendenti e dai datori di lavoro). Lo schema del paragrafo precedente è
coerente con tale impostazione (cfr. Lequiller, 2004).
È possibile tener conto delle pensioni future nei conti finanziari? 233
4. Problemi statistici e di misurazione
4.1 Come superare le difficoltà legate al tasso di sconto
I dubbi l’efficacia del metodo proposto sono stati prevalentemente
legati all’incertezza circa le principali grandezze occupazionali e reddituali
che compaiono nella (3.5), soprattutto nel caso in cui lo schema sia di
social security. Tuttavia, l’argomento che sembra aver riscosso il maggior
successo è legato alla dipendenza dei risultati dal tasso di sconto. I
problemi sono due: da una lato l’arbitrarietà legata alla scelta iniziale del
tasso di riferimento; dall’altro gli ampi effetti dovuti a semplici modifiche
del tasso nel tempo, anche in assenza di assunzione o estinzione di impegni
(volatility). Nel caso delle imprese, entrambi gli effetti erano esaltati dalla
prassi contabile pre-IAS, che consentiva di scontare le passività mediante
un tasso ricavato in base a una opportuna media dei rendimenti attesi delle
attività del fondo (con buoni margini di discrezionalità nella valutazione di
rendimenti, pesi e aspettative). Una volta stabilito il calcolo del tasso
medio, si presentava il problema successivo (ampi margini di variazione
nella valutazione degli impegni del fondo, dovuti al movimento dei prezzi
delle attività). I nuovi standard contabili prevedono che alle passività sia in
tutti i casi applicato il tasso di rendimento di una obbligazione a lungo
termine con rating a doppia A e particolari caratteristiche. Ciò riduce
drasticamente sia i margini di discrezionalità, sia la sensibilità
all’andamento dei mercati. Sebbene vi siano state, tra gli stessi attuari,
opinioni discordanti sulla superiorità di tale metodo, esso può oggi
considerarsi largamente acquisito e comunque “esogeno” rispetto alla
problematica statistica: l’operazione di sconto non dipenderebbe da scelte
arbitrarie dello statistico13.
Ciò non è ancora sufficiente a eliminare i dubbi nell’effetto del tasso
di sconto sui dati di stock, ma l’obiezione perde molta della sua efficacia
nel caso dei flussi, grazie al particolare metodo di contabilizzazione
proposto. Adottando lo schema di calcolo del paragrafo precedente, si vede
subito che il flusso ottenuto nella (5.3) non può risentire della volatilità del
tasso di interesse. La resistenza ai cambiamenti indotti dai movimenti nei
tassi è una proprietà caratteristica del nuovo metodo. L’effetto della
variazione dei tassi è eliminato dal dato di flusso e incluso negli “Other
economic flows”. Di conseguenza, tutti i saldi principali (reddito, risparmio
__________
13
Non si vede per quali ragioni il tasso debba essere diverso nel caso della social security. Cfr.
comunque Mink e Walton (2005), p. 6.
234 Gabriele Semeraro
e indebitamento netto) sarebbero immuni dai temuti problemi di volatilità
indotta dai tassi (De Rougemont e Lequiller, 2004, pp. 3-4)14.
In realtà, le argomentazioni legate ai tassi continuano a costituire un
ottimo motivo per l’esclusione delle pensioni future dal debito di
Maastricht (stock)15. Tuttavia, il tentativo di adattarle al caso dei flussi di
contabilità nazionale è in contrasto con le caratteristiche del metodo
proposto.
4.2 Possibili incongruenze nel metodo “accrued-to-date”
Altre perplessità16 hanno riguardato le ipotesi sull’andamento della
popolazione (comunque considerato il dato meno difficile da prevedere;
cfr. Mink e Walton, 2005) e la difficoltà di prevedere la componente
occupata della popolazione e il relativo reddito.
In realtà, il metodo raccomandato non richiede tali previsioni.
Rispetto alla data corrente, la valutazione degli impegni non parte dal
futuro (ovvero da un’ipotesi sulle pensioni che saranno pagate in un
numero ipotetico di periodi futuri e di pensionati); parte invece dal passato,
considerando i soli diritti maturati, sino a quel momento, per un numero
noto di soggetti iscritti alla social security. Il flusso è quindi dato dal
“present value of additional rights accrued (actuarially estimated) due to
the work service delivered during the period” (De Rougemont e Lequiller,
2004, p. 3). Esso corrisponde esattamente alla definizione di “accrued-to-
date liabilities” (Franco et al., 2004, p. 17).
Esistono tuttavia due ulteriori aspetti, legati ai contributi, su cui non
ci si è soffermati nella discussione internazionale. Come si vede facilmente
nella rappresentazione formale che abbiamo dato della proposta dell’OCSE
__________
14
Naturalmente, ci si riferisce solo all’effetto contabile della variazione del tasso di interesse
nell’attualizzazione dei flussi futuri, non agli effetti diretti delle variazioni dei rendimenti correnti
sul reddito (per gli schemi che hanno anche asset).
15
Per un elenco degli argomenti contrari all’inclusione delle passività pensionistiche nel debito, si
veda Fenge e Werding (2003), Franco (1995), Bohn (1992).
16
“While population forecasts may to some extent be reliable, it is extremely difficult to make
appropriate employment and income forecasts by institutional sector over a (very) long time
horizon. The compilation of future entitlements based on such assumptions may have to be revised
continuously and substantially. As a consequence, fiscal variables such as government deficit and
debt would be surrounded by a high degree of uncertainty and be prone to manipulation.” (Mink e
Walton, 2005, p. 6).
È possibile tener conto delle pensioni future nei conti finanziari? 235
(supra, par. 3.3), il metodo considera l’obbligo di pagare le pensioni future,
ma ignora il diritto a ricevere i futuri contributi. Se la ratio per il nuovo
trattamento è l’inclusione nel sistema dei conti delle “obbligazioni
costruttive” (par. 2.3), non è affatto chiaro il motivo di tale asimmetria. I
due obblighi (per pensioni e contributi) sono spesso previsti dalla
medesima legge e hanno la stessa natura. Peraltro, dovendo distinguere tra
i due, l’impegno sui contributi appare più vincolante, data l’asimmetria tra
le due parti. Chi deve versare i contributi non ha infatti la possibilità di
modificare unilateralmente la legge, a differenza della sua controparte.
Tav. 3
Aumento annuale delle pensioni future perfettamente finanziato
dall’aumento dei contributi
Anno t
Strumento
finanziario
Descrizione Conto finanziario
Flussi Flussi
attivi passive
F.2 Contributi incassati +10
Pensioni corrisposte -10
(B.9) Per memoria: saldo finanziario secondo le (0)
attuali regole
F.6X Ass.ne impegni vs dipendenti +10
Canc.ne impegni vs pensionati -10
Aggiunta attuariale +1
(B.9S) Per memoria: saldo delle quasi-passivita’ (-1)
pensionistiche
B.9X Saldo finanziario (nuova def.ne) -1
= B.9+B.9S
236 Gabriele Semeraro
segue Tav. 3
Anno t+1
Strumento
finanziario
Descrizione Conto finanziario
Flussi Flussi
attivi passivi
F.2 Contributi incassati +11
Pensioni corrisposte -11
(B.9) Per memoria: saldo finanziario secondo le (0)
attuali regole
F.6X Ass.ne impegni vs dipendenti +11
Canc.ne impegni vs pensionati -11
Aggiunta attuariale +1
(B.9S) Per memoria: saldo delle quasi-passivita’ (-1)
pensionistiche
B.9X Saldo finanziario (nuova def.ne) -1
= B.9+B.9S
A tale critica si potrebbe obiettare richiamando il punto di vista
espresso, in altri contesti, da alcuni economisti. Per esempio Disney (2001)
ha indirettamente espresso una visione coerente con il nuovo metodo,
sostenendo che dalle pensioni future non vanno sottratti i contributi futuri
dello stesso periodo; questi ultimi rappresentano infatti la base di ulteriori
passività, di periodi ancora successivi. In tale visione, i sitemi retributivi
sono di fatto assimilati a un sistema contributivo, in cui l’aumento di
pensioni future è l’esatta contropartita dei contributi correnti. Tuttavia,
limitando l’attenzione al particolare metodo proposto da FMI e OCSE,
sembra che il tentativo di trattare gli schemi retributivi come se fossero
contributivi possa dar luogo a dei paradossi. Nell’esempio della tavola 3
consideriamo il caso di un fondo a prestazione definita, il cui statuto
prevede l’obbligo di mantenere l’equilibrio finanziario di cassa e il potere
di adeguare anno per anno i contributi. Assumiamo che: (a) le pensioni e i
diritti acquisiti crescano di pari passo e (b) i contributi vengano
costantemente adeguati, in modo da garantire la copertura delle pensioni
correnti.
È possibile tener conto delle pensioni future nei conti finanziari? 237
Il vecchio metodo (saldo B.9) mostra in ciascun periodo un saldo
nullo, che sembra riflettere adeguatamente la situazione. Il nuovo metodo
mostra invece un deficit in ciascun anno, di interpretazione molto dubbia
(almeno sotto il profilo della sostenibilità). Tale deficit sembra legato alla
mancata considerazione dell’equilibrio tra prestazioni e contributi (sia di
cassa, sia futuri). Non è però chiaro né il suo contenuto informativo, né la
coerenza con il caso del sistema contributivo17. È facile ottenere lo stesso
risultato contabile con un fondo in cui non c’è alcun obbligo, né alcun
tentativo, di adeguamento dei contributi, e in cui si verifica disavanzo
costante di cassa, con necessità di ricorso a finanziamenti esterni. Il fatto
che il nuovo metodo possa trattare in modo identico situazioni
sensibilmente diverse solleva dubbi sul vantaggio informativo della nuova
nozione di deficit.
4.3 Identificazione dei diritti maturati
Il secondo aspetto riguarda il caso in cui, data la natura a ripartizione
dello schema, non si riesca a identificare con precisione l’anno di
maturazione dei diritti pensionistici. La sola soluzione compatibile con il
metodo “accrued-to-date” sembra essere il riconoscimento nei soli casi in
cui esiste una relazione chiara, almeno tra gli anni di lavoro e la pensione
(cosa che già accade in quasi tutti i paesi europei). Tale soluzione può
apparire convincente, ma prepara il terreno per due potenziali difetti: uno
economico, l’altro statistico. Nel corso degli anni, nei principali paesi
europei, le riforme per il progressivo risanamento dei sistemi pensionistici
si sono tipicamente tradotte in un’estensione del legame tra contributi e
pensioni, pur senza alterare la natura pay-as-you-go degli schemi. Per
esempio, sistemi in cui la pensione dipendeva dalle ultime retribuzioni
sono stati progressivamente corretti aumentando il numero di anni di
riferimento18 (il caso limite è dato dal virtual funding puro, nella cui
formula entrano i contributi dell’intera vita lavorativa). In un paese in cui
aumenta il numero di anni su cui si estende il legame pensione/contributi,
diminuisce l’età lavorativa minima per poter calcolare i diritti maturati, e
__________
17
Imponendo la stessa crescita nei contributi di un qualsiasi schema contributivo, il nuovo metodo
garantirebbe saldo nullo in tutti i periodi.
18
A parte l’ovvio caso dell’Italia, altri esempi sono forniti dall’adeguamento della SERPS britannica,
l’adeguamento della pensione primaria e l’incremento del peso di ARRCO e AGIRC in Francia,
ecc.
238 Gabriele Semeraro
potrebbero aumentare le passività “misurabili” secondo il nuovo metodo19.
Nel confronto del paese con sé stesso prima della riforma (ovvero con
sistemi simili ma meno “virtuosi”), può quindi emergere un disincentivo a
realizzare le riforme. Tale risultato è l’esatto contrario delle aspettative che
hanno motivato la domanda di revisione delle regole contabili.
Sui problemi di incentivo economico torneremo con maggiore
dettaglio nella sezione 5. Dal punto di vista puramente statistico e
metodologico (seguito in questa parte) occorre limitarsi a rilevare un
immediato problema di coerenza che discende dall’esempio appena visto.
Non si vede alcun motivo per cui sistemi “pay-as-you-go” simili (come lo
stesso paese prima e dopo l’aumento degli anni di riferimento) debbano
essere trattati in modo diverso a causa di un semplice cambiamento nella
“award formula”; e soprattutto non si vede alcun motivo per cui il
cambiamento nella “award formula” (che di norma si accompagna a una
riduzione dei futuri impegni del governo) debba risultare in un aumento
dell’indebitamento pensionistico. A prescindere dai problemi di incentivo,
sembra esserci un serio problema di qualità della misurazione.
Occorre infine aggiungere che la richiesta di un legame tra pensione
e anni di lavoro è una condizione del tutto minimale. In realtà, anche in
casi in cui esiste un preciso legame tra contributi (non anni) e pensioni,
possono sussistere serie difficoltà per l’applicazione univoca del nuovo
metodo. Considerando una pluralità di paesi, sembra che la nozione di
diritti “accrued-to-date”, ben definita nella fase finale della carriera
lavorativa, possa essere molto più ambigua negli anni precedenti. Laddove
è facile calcolare la variazione di diritti corrispondente a un
anticipo/posticipo sull’ultimo anno di lavoro, non è altrettanto facile
determinare l’incremento di diritti che si acquisisce nei primi anni di
lavoro.
Si consideri ad esempio il caso di una formula in cui, tra i termini
utili per il calcolo della pensione, vengono richiesti il numero di anni di
attività e la media delle migliori venti retribuzioni. Un soggetto ha lavorato
per cinque anni, con retribuzioni diverse e crescenti. Con quali dati si
calcolano i diritti up-to-date? Scartata l’ipotesi di riportare in avanti le
cinque retribuzioni applicando un tasso di crescita, si potrebbero
identificare i diritti acquisiti assumendo che il salario smetta di crescere,
__________
19
Ciò si è verificato anche in Italia, dopo le riforme pensionistiche degli anni novanta. Attualmente,
per varie tipologie di lavoratori, l’INPS è in grado di calcolare gli impegni maturati sin dai primi
anni dell’attività lavorativa.
È possibile tener conto delle pensioni future nei conti finanziari? 239
eguagliando i dati successivi all’ultima delle cinque retribuzioni. Oppure,
si può assumere che la attuale media raggiunta dal lavoratore sia la
migliore. Un’altra ipotesi è calcolare la media uguagliando a zero tutte le
retribuzioni successive. Infine, eguagliare la media alla peggiore delle
cinque retribuzioni potrebbe sembrare un’ipotesi eccessivamente
pessimistica, ma darebbe risultati generalmente migliori rispetto all’ipotesi
precedente.
Con questo semplice esempio si intende solo richiamare l’attenzione
su un aspetto: il fatto che il metodo “accrued-to-date” sia relativamente
indipendente da ipotesi sul futuro20 (popolazione, occupazione, ecc.) non
significa che sia una funzione deterministica del passato. Il nuovo metodo
non contiene una definizione di “diritti maturati” universalmente
applicabile a tutte le situazioni. L’ovvia conseguenza è la possibilità di
valutare i dati dello stesso paese in modo sensibilmente diverso, a seconda
dell’interpretazione, con evidenti margini di discrezionalità o di
manipolazione dei risultati.
4.4 Significatività
Altri punti che meritano particolare attenzione sono l’arbitrarietà
della linea di demarcazione tra tasse e contributi e le possibili incoerenze
rispetto al trattamento delle altre componenti della spesa.
In sistemi a ripartizione, la classificazione degli importi come
contributi, piuttosto che tasse, è largamente discrezionale. Quando non c’è
un legame diretto tra i pagamenti ricevuti ed effettuati dallo Stato, e c’è
inoltre evidenza sia di contributi non utilizzati per pagare pensioni, sia di
pensioni non pagate solo attraverso i contributi, l’identificazione dei
contributi può divenire una fictio iuris suscettibile di cambiare senza alcuna
motivazione economica. A titolo di esempio, in Italia, nel 1995, si è
verificata una riclassificazione di circa 4.5 punti tra tasse e contributi (che
ha portato questi ultimi al 23,81 per cento della retribuzione). Ciò ha
lasciato inalterati sia gli oneri complessivi per i datori di lavoro, sia,
naturalmente, le spese e la sostenibilità complessiva. Se operazioni simili
avessero impatto sull’indebitamento netto, i governi potrebbero facilmente
ottenere benefici contabili del tutto ingiustificati in termini reali.
L’indebitamento netto corrispondente alla vecchia definizione non
risente di tali operazioni “cosmetiche”; a prima vista, il nuovo
__________
20
In aggiunta rispetto alle ipotesi comunque incorporate nei coefficienti attuariali.
240 Gabriele Semeraro
indebitamento netto potrebbe invece risentirne (la questione è stata
sollevata in vari gruppi di lavoro sull’argomento). Mostriamo tuttavia
nell’appendice che il nuovo metodo è in realtà robusto rispetto a questo
tipo di operazioni non significative, e che la nuova nozione di
indebitamento netto, al pari della vecchia, non risente della
riclassificazione tra tasse e contributi.
Il punto sulla coerenza di trattamento tra diverse componenti di
spesa si basa su una constatazione: non esiste differenza sostanziale tra le
obbligazioni pensionistiche di un sistema a ripartizione e le obbligazioni
legate alla spesa pubblica sanitaria (un accenno a tale punto si è avuto nel
Workshop OCSE “Accounting for implicit pension liabilities”, ma non è
stato sviluppato; cfr. Lequiller, 2004). In entrambi i casi:
• Il governo assume l’obbligo di erogare benefici negli anni
successivi;
• L’“assicurato” paga degli oneri, che non sono in rapporto
diretto con i benefici;
• Esiste in linea di principio un “contributo nozionale”, pari
all’importo che dovrebbe essere pagato a un’assicurazione
privata per aver diritto ai benefici.
Se in base al principio delle obbligazioni costruttive si riconoscono
nel sistema dei conti le future pensioni a ripartizione, nasce quindi una
seria incoerenza rispetto ad altre rilevanti componenti della spesa. Se
d’altra parte si cercasse di riconoscere nel sistema anche le medicare
liabilities (anch’esse prive di legami con corrispondenti asset espliciti), non
sarebbe più chiaro il punto di arrivo. Critiche di questo tipo sono emerse
anche nella discussione del Panel of external fiscal experts del Fondo
monetario internazionale (Aaron et al., 2003).
5. Problemi di incentivo
5.1 Diritti acquisiti prima del cambiamento di metodo
In precedenza abbiamo discusso i soli aspetti di misurazione, per
verificare la coerenza statistica del nuovo metodo prescindendo dai
problemi di incentivo. In questo paragrafo e nel successivo (par. 5.2)
prescinderemo dai problemi di misurazione, considerando ugualmente
validi i due metodi sotto il profilo statistico e confrontandoli
È possibile tener conto delle pensioni future nei conti finanziari? 241
esclusivamente in relazione ai diversi incentivi forniti. In accordo con lo
scenario descritto nelle sezioni 1 e 2, la valutazione si riferisce al seguente
uso delle passività pensionistiche: utilizzare i dati di flusso per modificare
l’attuale nozione di indebitamento, da utilizzare ai fini di una regola di
bilancio con soglia fissa (come la regola del tre per cento prevista dal Patto
di Stabilità e Crescita).
Nel paragrafo 4.3 abbiamo già discusso un caso in cui, nonostante
gli impegni pensionistici futuri si riducano, si ha un effetto contabile di
aumento del disavanzo, secondo il nuovo metodo. Ciò dà luogo sia a
problemi di coerenza nella misurazione, sia a problemi di incentivo.
L’esempio nel paragrafo 4.3 era condotto in costanza di regole (assumendo
che valga sempre il nuovo trattamento e considerando una particolare
riforma pensionistica). Cerchiamo ora di valutare l’impatto di un
cambiamento nelle regole, con il passaggio dalla vecchia alla nuova
definizione di indebitamento netto.
Indichiamo con K(t) i diritti aggiuntivi maturati nell’anno t, con P(t)
e C(t), rispettivamente, le pensioni e i contributi pagati per cassa nello
stesso anno; B.9(t) e B.9X(t) indicano i corrispondenti saldi finanziari,
secondo la vecchia e, rispettivamente, nuova definizione. È possibile
dimostrare le seguenti relazioni (si veda l’Appendice):
• L’effetto della voci pensionistiche su B.9(t) è C(t)-P(t);
• L’effetto sul nuovo B.9X è C(t)-K(t)
• Il divario tra B.9X(t) e B.9(t) è quindi pari a P(t)-K(t)
A titolo di esempio, consideriamo due paesi identici (A e B), in cui
esistono due generazioni di lavoratori, con regimi pensionistici diversi: 1)
una giovane, i cui componenti sono nella fase iniziale dell’attività
lavorativa; 2) una anziana, i cui componenti sono prossimi alla pensione.
Per la generazione più anziana, la pensione è totalmente retributiva; una
volta raggiunta l’età pensionabile, i benefici sono essenzialmente
determinati dale ultime retribuzioni. Negli anni che precedono il
raggiungimento dell’età pensionabile, le passività pensionistiche verso tale
generazione sono già riconosciute dal sistema dei conti, sulla base del
salario corrente. Per i giovani, una formula non perfettamente contributiva
lega invece la pensione a tutti i contributi versati. Di conseguenza, anche in
caso di costanza dei salari, le passività pensionistiche aumentano di anno in
anno, contestualmente al versamento dei contributi.
242 Gabriele Semeraro
In passato, prima dell’introduzione del nuovo metodo, entrambi i
paesi hanno realizzato una riforma pensionistica, fissando un’età
pensionabile più alta per entrambe le generazioni. Rispetto al paese B, il
paese A ha limitato maggiormente le pensioni della generazione anziana.
Assumiamo per semplicità che i salari dei lavoratori anziani ancora in
attività rimangano costanti, in modo che, per tale generazione, la
componente del flusso K sia nulla in tutti gli anni successivi alla riforma.
Vi sarà invece una componente positiva di K, legata al progressivo
versamento dei contributi da parte dei giovani. Poiché i contributi sono
assunti uguali nei due paesi, anche il flusso complessivo K dovrà essere
uguale.
Di conseguenza, nel confronto complessivo, P(t)-K(t) sarà maggiore
nel paese B, che paga più pensioni a parità di flusso K. Dalla terza
relazione richiamata, ciò significa che per tale paese lo scarto del nuovo
saldo dal deficit tradizionale è più favorevole. Se ne trae una prima, diretta,
conclusione: il cambio di metodo premia il paese meno virtuoso. Non vale
quindi l’analogia con quanto accaduto alle imprese introducendo gli IAS21.
In quel caso, l’introduzione del nuovo metodo peggiorava univocamente i
conti delle imprese meno avvedute negli anni precedenti.
Ciò equivale a rilevare che il solo indebitamento netto non può
sostituire il efficacemente contenuto informativo del dato di stock22.
5.2 Scheduling
Consideriamo ora un caso relativo a un solo paese, in costanza di
regole statistiche: il nuovo metodo è già in vigore e il paese deve valutare
l’impatto di due possibili riforme pensionistiche. Mostreremo che può
esserci un incentivo permanente a rinviare gli effetti delle riforme.
Assumiamo nuovamente l’esistenza di una generazione giovane, i
cui componenti sono nella fase iniziale dell’attività lavorativa, e di una
generazione anziana, i cui componenti sono prossimi alla pensione. Dopo
la riforma, come nell’esempio precedente, assumiamo per semplicità K=0
per la generazione anziana, mentre i diritti della nuova generazione sono
progressivamente acquisiti contestualmente al versamento dei contributi.
__________
21
Come osservato nel paragrafo 2.1, tale analogia era uno degli argomenti in favore dell’adozione del
nuovo metodo.
22
In caso di approvazione della proposta OCSE, l’indebitamento netto sarebbe il solo indicatore
direttamente rilevante per le regole di bilancio a subire modifiche.
È possibile tener conto delle pensioni future nei conti finanziari? 243
Le due riforme in esame prevedono una riduzione di diritti
complessivamente simile, ma distribuita diversamente nel tempo. La prima
riforma consiste nel ridurre allo stesso modo i diritti delle due generazioni.
La seconda riforma prevede di riversare la maggior parte degli oneri sulla
generazione giovane, rinviando gli effetti della manovra. Assumiamo che,
nell’anno in cui viene approvata la riforma, la riduzione dei diritti della
generazione anziana sia comunque in grado di mantenere l’indebitamento
netto al di sotto della soglia prevista dalla regola di bilancio, per entrambe
le riforme.
La tavola 4 fornisce un esempio che si applica a ciascuno degli anni
che seguono la riforma, purché siano ancora corrisposte pensioni alla
generazione anziana. Le colonne di destra mostrano il conto finanziario
calcolato in ciascuna delle tre ipotesi (assenza di riforma, riforma 1 e
riforma 2). Rispetto allo status quo, la riforma 1 prevede sia minori
pensioni23, sia minore crescita dei diritti futuri (K passa da 13 a 12), a
parità di contributi versati. La riforma 2 lascia quasi invariate le pensioni
corrisposte alla vecchia generazione (da 16 passano a 15), riducendo
maggiormente la crescita dei diritti futuri dei giovani (ciò risulta in un
minore K), a parità di contributi versati. Rispetto alla riforma 1, la 2
prevede quindi maggiori pensioni oggi a fronte di minori pensioni domani.
Sebbene la riforma 2 costituisca un sostanziale rinvio della manovra al
futuro, il differimento non solo non peggiora il saldo B.9X, ma addirittura
lo migliora (naturalmente, considerazioni analoghe non valgono affatto per
il tradizionale B.9).
Il principale motivo per cui la riforma 2, pur prevedendo maggiori
uscite di cassa, non peggiora il saldo B.9X è mostrato dalle righe centrali
della tavola 4 (il conto delle quasi-passività pensionistiche). In tale sezione,
il pagamento di maggiori pensioni correnti apporta un beneficio contabile,
perchè viene interpretato come maggiore cancellazione di passività
pensionistiche. Ceteris paribus, il fatto di pagare più pensioni correnti
__________
23
Gli effetti su P e K possono essere equivalentemente interpretati in termini di minore reddito, o in
termini di innalzamento dell’età pensionabile.
244 Gabriele Semeraro
Tav. 4
Differimento degli effetti di una riforma
Assenza di
Strum. Descrizione Riforma 1 Riforma 2
riforma
A P A P A P
F.2 C) Contributi incassati +10 +10 +10
P) Pensioni corrisposte -16 -12 -15
(Per memoria: saldo -6 -2 -5
B.9) finanziario secondo le attuali
regole)
F.6X Ass.ne impegni vs dipendenti +10 +10 +10
=C
Canc.ne impegni vs pensionati -16 -12 -15
=P
(Per memoria: contributo (13) (12) (11)
attuariale complessivo (K))
Aggiunta attuariale = K-C +3 +2 +1
(Per memoria: saldo delle +3 0 +4
B.9S) quasi-passivita’ penionistiche)
B.9X Saldo finanziario (nuova -3 -2 -1
definizione
= B.9+B.9S)
migliora il conto pensionistico (B.9S)24. La stessa sezione mostra un
secondo aspetto, risultante dal tentativo di estremizzare l’applicazione della
competenza. Si tratta della possibilità di scambiare cassa corrente con
promesse sul futuro, lasciando inalterato il saldo pensionistico B.9S25. Per
un paese già gravato da squilibri pensionistici e soggetto a un vincolo di
bilancio sul B.9X, l’impressione è che questi aspetti del nuovo metodo
__________
24
Ciò non pone alcun problema di coerenza interna al nuovo metodo, ma può creare problemi di
incentivo. Delle perplessità in tal senso erano state espresse anche da Franco et al., (2004), in caso
di estensione del metodo accrued-to-date ai flussi: “Pensions would be considered as loan
repayment (...) An increase in contribution rates would, ceteris paribus, have no effect either on
current or future deficits. (Ibid., p. 27)”.
25
Peraltro, con un trade-off controintuitivo: in caso di aumento delle pensioni correnti, per lasciare
invariato il saldo pensionistico B.9S occorre aumentare (invece di diminuire) i diritti futuri.
È possibile tener conto delle pensioni future nei conti finanziari? 245
possano ampliare i margini di manovra, piuttosto che indurre l’immediato
perseguimento di misure di effettivo riequilibrio.
Una misurazione più accurata sarebbe fornita da uno specifico conto
pensionistico, con la serie delle previsioni di spesa pensionistica per gli
anni successivi (concetto estraneo all’ambito della contabilità nazionale),
integrato dal dato di stock. In entrambi i casi discussi, il dato di stock
avrebbe comunque fornito indicazioni più attendibili26. La potenziale
distorsione di incentivi risulta invece dal tentativo di riassumere gli
squilibri pensionistici all’interno della contabilità nazionale, modificando
l’indicatore di flusso soggetto alla regola di bilancio “automatica”: si tratta
di un’idea buona (la nozione di passività pensionistica) utilizzata nel modo
sbagliato.
5.3 Conseguenze
Nei paragrafi precedenti abbiamo mostrato esempi che sollevano seri
dubbi sulla generale capacità del nuovo metodo di rappresentare
adeguatamente gli squilibri pensionistici attraverso l’indebitamento netto e
di fornire i corretti incentivi per l’adozione di riforme strutturali (cfr. Fenge
e Werding, 2003)27.
Tenendo conto sia dei casi favorevoli discussi all’inizio della sezione
3, sia dei contro-esempi visti successivamente, sembra che il nuovo
indebitamento netto sia più efficace nel cogliere gli squilibri mentre si
stanno formando, senza attendere che il disavanzo si manifesti in termini di
cassa. Tuttavia, sembra che la sua introduzione in paesi in cui lo squilibrio
si è già manifestato possa non essere altrettanto efficace. Una ragione
intuitiva si può trovare osservando che, al di là della complessità del
metodo, si tratta di una questione di diverso “time of recording” degli stessi
flussi. Su questo punto sembrano concordare anche gli autori del metodo:
__________
26
Il dato di stock sarebbe rimasto più alto nel paese meno virtuoso (primo esempio) e avrebbe
contrastato l’indicazione derivante dal minor deficit nella scelta tra le due riforme, restando
univocamente più basso negli anni successivi alla riforma 1 (secondo esempio).
27
In un contesto diverso, nell’ambito delle misurazioni di stock, Franco et al (2004) osservano come
l’entità delle passività per pensioni unfunded future potrebbe non implicare conseguenze univoche
circa la sostenibilità o gli squilibri futuri (Ibid., p. 21 e sgg.). Sono quindi presentati e discussi un
caso di differenza nelle passività pensionistiche (rispetto al PIL) a parità di sostenibilità e un caso
in cui, nonostante un rilevante cambiamento nella sostenibilità causato da uno shock demografico,
non si verifica differenza nelle passività pensionistiche relative al PIL.
246 Gabriele Semeraro
“In the long-term, and taking into account a whole cycle of pension
debt creation and extinction, the cumulated deficit of the previous account
and of this one are equal. The timing is however different, the last one
giving a better picture in terms of structural deficit.” (De Rougemont e
Lequiller, 2004, p. 6).
Una chiave di lettura per comprendere l’apparente paradosso si
ottiene ricordando la situazione degli USA, in cui la social security è
correntemente in avanzo di cassa e l’avanzo sarà mantenuto per i prossimi
due decenni. Tuttavia, molti economisti temono lo smantellamento della
social security in occasione degli squilibri che si manifesteranno nei
decenni successivi (Diamond e Orszag, 2004). Il nuovo metodo sembra
appositamente disegnato per fronteggiare una situazione del genere: ove
fosse applicato, trasformerebbe da subito l’attuale avanzo in disavanzo,
fornendo un quadro più coerente con le preoccupazioni degli economisti.
Il punto è che, considerando quanto osservato sul time of recording,
può darsi che non esista un metodo in grado di penalizzare
simultaneamente gli USA e i paesi europei – ovvero chi è nella fase di
creazione dello squilibrio, e chi è in quella di rientro, fornendo incentivi
ugualmente validi rispetto alla semplice contabilizzazione di cassa.
Occorre infine rilevare che i controesempi che abbiamo presentato
non dimostrano affatto la superiorità del metodo tradizionale rispetto al
nuovo. Si è solo mostrato che esistono casi in cui le situazioni di squilibrio
sono meglio rappresentate e penalizzate dal nuovo metodo, e casi in cui
vale l’esatto contrario. Ciò sembra indicare, piuttosto che il vantaggio di un
metodo sull’altro, la generale impossibilità di riassumere in un solo dato
corrente (B.9 o B.9X) le informazioni che risulterebbero dalla serie storica
di previsioni di spesa pensionistica28 e dal dato di stock. Le distorsioni di
incentivo che abbiamo discusso sembrano derivare dal tentativo di
condensare troppe informazioni in un solo dato. Se l’obiettivo è misurare
meglio gli squilibri pensionistici, senza creare artificiali distorsioni
derivanti dal metodo di aggregazione, non è necessario rimanere
nell’ambito della preesistente contabilità nazionale. Lo sviluppo di
specifici conti pensionistici armonizzati potrebbe dare risultati migliori,
rispetto a un cambiamento di definizione dell’indebitamento netto.
__________
28
La serie storica consentirebbe di valutare meglio le riforme pensionistiche, senza cancellare,
peraltro, l’informazione sull’entrata in vigore degli effetti (cfr. la fine del paragrafo precedente).
È possibile tener conto delle pensioni future nei conti finanziari? 247
6. Conclusioni
Dopo aver ripercorso nella prima parte le motivazioni implicite nelle
attuali regole, e discusso le argomentazioni principali per la loro revisione,
si può anzitutto concludere che esistono delle ottime ragioni per valutare
una modifica del sistema dei conti reali e finanziari.
Dalla formalizzazione e da un esame del particolare metodo
proposto da OCSE e FMI, attualmente discusso nelle sedi statistiche
internazionali, occorre anche rilevare che molte delle obiezioni sinora
avanzate non sono del tutto giustificate. Il metodo proposto sembra
fronteggiare in modo efficace i problemi di discrezionalità e volatilità del
tasso di sconto, e la sua implementazione pratica non richiede informazioni
completamente nuove rispetto a quelle già utilizzate nei modelli di
previsione della spesa pensionistica. Inoltre, il metodo non dipende
direttamente da previsioni di lungo termine sulla popolazione o sul numero
di occupati, essendo basato sulla formula accrued-to-date.
A fronte di tali vantaggi, il metodo presenta dei problemi di
sensibilità rispetto a operazioni non significative. È sicuramente meno
sensibile a operazioni straordinarie (del tipo Belgacom), ma è anche in
grado di generare, partendo da situazioni simili, effetti completamente
diversi sull’indebitamento netto. Altri dubbi riguardano le asimmetrie di
trattamento rispetto alla spesa sanitaria e il ruolo dei contributi futuri, il cui
trattamento può generare degli autentici paradossi. Infine, la formula
accrued-to-date può essere ben definita per lavoratori prossimi alla
pensione, ma può fornire notevoli gradi di libertà per tutti gli altri
lavoratori.
Al di là di tali problemi di misurazione e di coerenza statistica, la
nuova proposta solleva delle questioni di carattere economico, legate ai
potenziali effetti di incentivo. Per un verso, ove fosse già in vigore, il
nuovo metodo consentirebbe di cogliere gli squilibri pensionistici appena
iniziano a formarsi. Per i paesi soggetti a regole di bilancio basate
sull’indebitamento netto, ciò creerebbe un disincentivo immediato a
riversare gli oneri delle riforme sulle generazioni successive. Tuttavia, la
situazione cambia radicalmente quando, invece di essere stato già in
vigore, il nuovo metodo deve essere introdotto in economie già gravate da
squilibri. Il passaggio dal vecchio al nuovo deficit potrebbe peggiorare la
posizione di un paese che aumenta la copertura delle pensioni tramite i
contributi. Inoltre, il cambiamento di definizione potrebbe ridurre, invece
di aumentare, l’indebitamento netto di un paese già in disequilibrio
248 Gabriele Semeraro
pensionistico. Infine, un paese che tarda a introdurre una riforma
pensionistica potrebbe essere avvantaggiato rispetto a un paese che la
introduce prima.
Si è ricordata nel paragrafo 2.3 la diffusa opinione secondo cui
sarebbe “troppo presto” per l’estensione del nuovo metodo alla social
security. Dall’analisi svolta sembra che il nuovo metodo sia in grado di
fornire gli incentivi corretti nella fase iniziale dello squilibrio: per esempio,
in casi come quello degli USA, dove il disavanzo sarà visibile per cassa
solo tra venti anni. Il metodo sembra invece fornire risultati opposti in
sistemi in cui lo squilibrio si è già manifestato. In un certo senso, per molti
paesi europei, si può dire che sia “troppo tardi”, piuttosto che “troppo
presto”.
Una stima, per quanto approssimata, dell’andamento delle passività
pensionistiche, fornisce sicuramente delle utili indicazioni (per una lista
delle applicazioni, si veda Franco 1995, pag. 11). I dubbi riguardano
l’opportunità di legare tali stime al calcolo dell’indebitamento netto
utilizzato per le regole di bilancio europee. In tale contesto, sulla base degli
esempi forniti, esistono anche seri dubbi sulla capacità del nuovo metodo
di fornire i corretti incentivi per l’adozione di riforme strutturali. A tale
fine, sembra essere più efficace la creazione di un conto pensionistico
separato, insieme al miglioramento di altri indicatori, quali le previsioni
della spesa in rapporto al PIL e dell’aliquota di equilibrio (concetti esterni
al sistema dei conti nazionali)29. Non sembra invece che un indicatore
aggregato quale l’indebitamento netto, insieme alla regola di bilancio
basata su una soglia, sia in grado di fornire le indicazioni necessarie. Lo
sviluppo di un’adeguata contabilità pensionistica potrebbe determinarsi più
efficacemente in uno schema più analitico e separato dalla contabilità
nazionale ordinaria.
__________
29
Secondo le linee indicate alla fine del paragrafo 5.2, il conto pensionistico dovrebbe includere il
dato di stock che, in situazioni come quelle descritte nei due esempi, appare un indicatore più
efficace dell’indebitamento netto modificato.
È possibile tener conto delle pensioni future nei conti finanziari? 249
APPENDICE
Tav. A1
Indipendenza del nuovo indebitamento netto dalle modalità di
finanziamento (attraverso tasse o contributi)
Strumento Descrizione Conto finanziario
finanziario
Flussi Flussi
attivi passivi
F.2 C1) Contributi dai dipendenti +1,5
(circolante C2) Contributi dal datore di lavoro +11
e depositi)
P) Pensioni corrisposte -11
T) Tasse versate dal datore di l. +10
(B.9) Per memoria: saldo finanziario secondo le (+11,5)
attuali regole
F.6X Assunzione di impegni verso +12,5
(riserve dipendenti (=C1+C2)
tecniche di Cancellazione di impegni verso -11
ass.ne) pensionati (=P)
D) Aggiunta attuariale=K-C1-C2 +3
(B.9S) Per memoria: saldo delle quasi-passivita’ (-4,5)
pensionistiche
B.9X Saldo finanziario (nuova def.ne) =7
= B.9+B.9S
Consideriamo lo stesso esempio numerico fornito nel paragrafo 3.2,
con la sola aggiunta di entrate per tassazione ordinaria (T) per un importo
di10, a parità di tutto il resto. In particolare, il contributo attuariale
complessivo (che qui chiamiamo K), ricavato in base alla (3.3) secondo la
definizione “accrued-to-date”, è ancora uguale a 15,5. Per memoria, la
parte bassa della tavola A1 mostra il disavanzo pensionistico risultante dal
nuovo trattamento. Il saldo finanziario complessivo (B.9X) è dunque pari
250 Gabriele Semeraro
alla somma del saldo finanziario tradizionale (parte alta della tavola A1) e
del nuovo saldo pensionistico.
Supponiamo che vi sia una riclassificazione tra tasse e contributi, in
grado di lasciare inalterati gli oneri complessivi per l’impresa e le entrate
dello Stato. Per esempio, le tasse si riducono di 4 (passando a 6) mentre i
contributi aumentano per lo stesso importo (passando da 11 a 15).
Naturalmente, ciò non ha effetto sul saldo finanziario tradizionale.
Passando alla parte bassa della tavola A1, i contributi complessivi
devono aumentare di 4. Tuttavia, l’aggiunta attuariale D (che misura la
differenza tra il valore attuale dei diritti aggiuntivi maturati nell’anno (K) e
i contributi effettivamente pagati) si riduce esattamente per lo stesso
importo. Pertanto, il saldo pensionistico (B.9S) resta invariato esattamente
come il saldo finanziario tradizionale (B.9). L’indebitamento netto dato
dalla nuova definizione (B.9X=B.9+B.9S) resta a sua volta inalterato.
Il risultato, non casuale, mostra una proprietà del nuovo metodo (ove
applicato secondo le modalità che abbiamo chiarito). Il disavanzo
pensionistico da aggiungere al saldo tradizionale è univocamente
determinato dalla differenza tra il contributo attuariale (diritti aggiuntivi
guadagnati nell’anno) e le pensioni corrisposte per cassa (P). È quindi
indipendente dalle modalità di finanziamento (attraverso tasse piuttosto
che contributi). Valgono inoltre le seguenti proprietà:
• L’effetto sul B.9 attuale è C-P;
• L’effetto sul nuovo B.9X è (C-P)+(P-K)=C-K
• Il divario tra B.9X e B.9 è quindi P-K
Pertanto, in un sistema virtualmente contributivo, con C=K, il B.9X
è sempre nullo, a differenza di B.9. Inoltre B.9 risente della dinamica della
popolazione, mentre B9X ne è indipendente (dato che C e K sono riferiti
agli stessi soggetti (i lavoratori attuali), mentre P no). Per il divario tra i
due saldi, P si riferisce al periodo corrente, mentre K (pur essendo maturato
nell’anno) si riferisce ai periodi futuri.
È possibile tener conto delle pensioni future nei conti finanziari? 251
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254 Gabriele Semeraro
Van den Noord, P. e R. Herd (1993), Pension Liabilities in the Seven
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142.
DISCUSSIONE DEL LAVORO DI G. SEMERARO
Elsa Fornero∗
1. Le promesse previdenziali di un sistema pubblico a ripartizione
sono una grandezza fondamentale sia dal punto di vista delle famiglie,
delle quali rappresentano la ricchezza previdenziale, sia per la Pubblica
amministrazione, della quale costituiscono il debito previdenziale.
Attualmente, però, né queste promesse, né, conseguentemente, la loro
variazione, entrano nella contabilità finanziaria, la quale tiene conto
soltanto dei movimenti di cassa, ossia dei contributi correnti, per le entrate,
e delle pensioni correnti, per le uscite.
A partire da questa constatazione, il lavoro di Gabriele Semeraro
analizza e valuta la proposta – discussa in gruppi di lavoro presso le
principali sedi internazionali, come l’OCSE e l’FMI – di riportare,
mediante l’uso di metodi attuariali, gli impegni futuri a valori correnti, e di
attribuire le passività (nette) così ottenute al responsabile dello schema
pensionistico, correggendone i flussi per la parte di competenza. Si
tratterebbe pertanto di rilevare il debito pensionistico e di contabilizzarne
le variazioni nei flussi finanziari: una questione, peraltro, che travalica il
sistema contabile e che influenza i comportamenti, con conseguenze che
vanno al di là del sistema pensionistico.
Il lavoro soppesa vantaggi e limiti della proposta, considerandone le
conseguenze sulla trasparenza dei conti, sui possibili riflessi in termini di
budget surveillance, sulla capacità di limitare l’uso di operazioni di finanza
straordinaria a fini di “abbellimento contabile” e, infine, sul sistema di
incentivi a riforme “virtuose”, atte a rafforzare la sostenibilità nel tempo
dei sistemi previdenziali.
Poiché le conseguenze sui flussi finanziari discendono direttamente
dalla nozione di debito previdenziale, e poiché quest’ultima è tutt’altro che
universalmente accettata (lo stesso Semeraro nel suo lavoro non se ne
mostra del tutto convinto), può essere opportuno iniziare questa
discussione riprendendo brevemente questa nozione.
__________
∗
Università di Torino e CeRP.
256 Elsa Fornero
2. La nozione di debito previdenziale. – Considerando un sistema
pensionistico, in un dato istante si hanno (Castellino, 19851):
- una popolazione di pensionati, ciascuno dei quali, di regola, non deve
più assolvere a obblighi contributivi e che, in forza della sua storia
passata, ha acquisito il diritto a un flusso vitalizio di pagamenti;
- una popolazione di attivi, ciascuno dei quali dovrà ancora versare
contributi per un certo numero di anni, al termine dei quali entrerà nella
popolazione dei pensionati. I diritti di ogni lavoratore dipendono in
buona misura dalla sua storia passata, e quindi dai contributi da lui già
versati2.
I diritti pensionistici già maturati verso l’insieme dei pensionati e dei
lavoratori costituiscono un impegno dello Stato, a fronte del quale – se,
com’è nella maggior parte dei sistemi pubblici, il sistema è fondato sulla
ripartizione – non sono state accantonate riserve di sorta.
Castellino propone quindi tre diverse definizioni di debito
pensionistico:
i. valore attuale delle prestazioni promesse dalla legislazione vigente agli
attuali pensionati e agli attuali appartenenti alle forze di lavoro, al netto
dei contributi che, sempre secondo la legislazione vigente, i secondi
dovranno ancora versare;
ii. come in i), ma estendendo il calcolo a un orizzonte infinito, ossia
sommando a i) il valore attuale delle prestazioni promesse ai futuri
entranti nelle forze di lavoro, anche se oggi non ancora nati, al netto dei
contributi che essi verseranno;
iii. come in i), ma limitando, per contro, il calcolo al valore attuale dei
“diritti acquisiti”, cioè alla somma delle prestazioni promesse agli
attuali pensionati e della quota già maturata (accrued) delle prestazioni
promesse agli attuali appartenenti alle forze di lavoro.
La definizione ii), che fa ricorso a ipotesi di steady state, è la più
ampia, ma anche la più sfuggente, in quanto implica previsioni
demografiche ed economiche le quali, essendo proiettate su un orizzonte
infinito, possono essere discutibili sul piano del realismo. Essa potrebbe
__________
1
Per il concetto di debito previdenziale, il riferimento d’obbligo è Castellino (1985). Si vedano
anche Beltrametti (1996) e Disney (2001).
2
Si considera versata dal lavoratore anche la quota formalmente a carico del datore di lavoro.
Discussione del lavoro di G. Semeraro 257
però essere adottata – insieme ad altri indicatori di flusso ai quali si fa
correntemente riferimento, come gli andamenti della spesa in rapporto al
PIL e dell’aliquota di equilibrio – come test della solvibilità del sistema
previdenziale: se le previsioni mostrassero che il debito tende
progressivamente a salire in rapporto al PIL (o alla massa dei redditi
soggetti a prelievo contributivo), se ne potrebbe dedurre che il “servizio”
del debito previdenziale diventa a mano a mano troppo oneroso e quindi
prima o dopo insostenibile. Si ritrova qui la nota rilevanza del tasso
complessivo al quale salgono il PIL e l’insieme dei redditi ossia del valore
di (n+g): se il sistema promette un rendimento più alto del tasso implicito,
il gettito contributivo non è – in atto e in prospettiva – sufficiente a
finanziarlo.
La definizione iii), prevalente in letteratura, presenta un elemento di
arbitrio rispetto alla i), non essendo univoca la definizione di “quota già
maturata”. Tuttavia, in un regime di prestazioni finanziate a ripartizione
ma determinate secondo principi di equivalenza attuariale, ossia in un
sistema contributivo a capitalizzazione nozionale (Notional defined
contributions o NDC3), la differenza tra i) e iii) si riduce, fino ad annullarsi
allorché, nel caso i), lo sconto delle grandezze future avviene al tasso atteso
di crescita del PIL. È appena il caso di ricordare come lo schema
contributivo nozionale sia alla base della riforma italiana del 1995, peraltro
caratterizzata da eccessiva lentezza di applicazione.
Adottando quest’ultima definizione, Castellino sottolinea l’analogia
tra il debito previdenziale e il debito pubblico tout court, rappresentato da
titoli: mentre il debito palese è sottoscritto mediante versamenti volontari,
il debito previdenziale è “sottoscritto” (peraltro obbligatoriamente)
mediante il pagamento dei contributi. Quanto alla dinamica, il debito
palese potrà essere estinto mediante un eccesso di entrate sulle spese
(inclusi, fra le seconde, gli interessi sul debito stesso), ma lo stesso accade
per il debito pensionistico in presenza di un eccesso delle entrate diverse
dai contributi sulle spese diverse dalle pensioni, o in presenza di
finanziamento con debito palese. Per contro il debito potrà essere rinnovato
attraverso nuove emissioni, ma lo stesso accade, per il debito pensionistico,
__________
3
Il sistema contributivo nozionale prevede il finanziamento a ripartizione di uno schema
previdenziale per il resto funzionante in modo assai simile a un’assicurazione privata, con
determinazione delle prestazioni secondo il principio di equivalenza attuariale tra contributi e
prestazioni. Il tasso di rendimento dei contributi non è quindi arbitrariamente fissato dal legislatore,
né determinato dal mercato finanziario, come accadrebbe nella capitalizzazione effettiva, bensì
coincide con il tasso di crescita della massa retributiva o, approssimativamente, con il tasso di
crescita del PIL, ciò che assicura (o quasi) l’equilibrio finanziario della ripartizione.
258 Elsa Fornero
con la corresponsione dei contributi, giacché questa si accompagna alla
promessa di nuove prestazioni future e quindi equivale all’emissione di
nuovo debito4. Ne deriva l’importante conseguenza che il debito
previdenziale sussiste indipendentemente dal fatto che il sistema
previdenziale sia in equilibrio o in disavanzo.
L’analogia tra il debito palese e il debito previdenziale non è
ovviamente perfetta, né completa. In particolare, il debito previdenziale
non è negoziabile, e pertanto non è vulnerabile agli shock derivanti da
variazioni del saggio di interesse. Tuttavia, se pure non strettamente
equivalente al debito palese, non ne è nemmeno così diverso da poter
essere ignorato quando si voglia una contabilità dei flussi finanziari che,
più che non i movimenti di cassa, rispecchi gli impegni assunti dall’ente
previdenziale, e la loro dinamica, o quando si voglia costruire uno stato
patrimoniale del settore pubblico.
3. Gli effetti del debito sulla contabilità dei flussi finanziari. –
Seguendo questa impostazione, la proposta esaminata nel lavoro di
Semeraro considera il pagamento delle pensioni come rimborso di impegni
preesistenti (e pertanto vede la relativa uscita di cassa “compensata” dalla
riduzione del debito), mentre stabilisce che al saldo finanziario della
Pubblica amministrazione concorrano, con segno positivo, l’incasso dei
contributi e, con segno negativo, l’aumento delle passività (ossia del debito
previdenziale).
In simboli, con il metodo vigente il saldo finanziario è pari a
“contributi meno prestazioni”, ossia:
C(t) – P(t) (I)
mentre con il nuovo metodo proposto il saldo finanziario sarebbe
pari a “contributi meno l’aumento del debito pensionistico”, ossia
C(t) – K(t) (II)
Mentre non muove obiezioni di principio al nuovo metodo, l’autore
ne considera però non marginali i problemi di misurazione e di
applicazione, e non necessariamente corretta la sottostante struttura di
incentivi.
__________
4
Si suppone che il sistema continui a funzionare in base al principio di equivalenza attuariale, ossia
che si tratti di un sistema contributivo, a capitalizzazione nozionale.
Discussione del lavoro di G. Semeraro 259
a) Sotto il profilo della misurazione, va considerata, anzitutto, la forte
sensibilità della misurazione al cambiamento delle ipotesi sottostanti. In
particolare, sottolinea Semeraro, possono essere sensibili gli effetti della
variazione, da un periodo all’altro, del tasso applicato allo sconto degli
impegni futuri. La soluzione suggerita dall’autore – che appare del tutto
ragionevole – è di scorporare tali effetti e di registrarli in una voce
separata (other economic flows).
b) Il metodo proposto considera l’obbligo di pagare le pensioni future, ma
ignora il diritto a ricevere i futuri contributi. Secondo Semeraro, non è
affatto chiaro il motivo di tale asimmetria. Tuttavia, se si accetta di
considerare le promesse pensionistiche come un particolare tipo di
debito pubblico, i futuri contributi rappresentano l’emissione di nuovo
debito, e quindi non vanno dedotti nel calcolo dello stock. L’autore
ribadisce la sua contrarietà in un diverso modo, proprio richiamando il
funzionamento di un sistema NDC: se l’equivalenza attuariale
garantisce che in quest’anno e in ogni anno futuro ci sarà equilibrio fra
contributi e prestazioni, che senso ha mostrare uno squilibrio annuale?
Secondo l’impostazione sopra formulata la risposta è che l’operazione
ha senso così come ha senso accertare l’aumento del debito pubblico
pur quando si sa che in futuro esso sarà sempre rinnovato. In altri
termini, ha senso registrare un debito pur quando esso non presenti
problemi di sostenibilità; ovviamente, il significato è anche maggiore in
una situazione nella quale la discrepanza tra le pensioni promesse e i
contributi pagati oggi è maggiore (come tipicamente accade in un
sistema retributivo) di quella giustificata dal tasso n+g.
c) Semeraro sottolinea poi le difficoltà di previsione. Ovviamente, queste
non vanno sottovalutate, ma ci si deve domandare se
un’approssimazione anche rozza non sia pur sempre meglio di una
completa assenza di dati.
d) Né va trascurata, secondo Semeraro, la sostanziale ambiguità della linea
di demarcazione tra imposte e contributi. Il punto non pare
limpidamente espresso dall’autore. In ogni caso: per i flussi correnti, il
problema si pone anche con il vecchio metodo; per il calcolo del valore
attuale delle grandezze future, se si adotta (come sopra descritto nella
definizione iii) di Castellino e come fa Disney (2001) la soluzione delle
accrued liabilities, né i contributi né le imposte rilevano, e quindi
l’eventuale indeterminatezza della distinzione tra gli uni e le altre non
inficia la bontà del metodo.
260 Elsa Fornero
e) Un ulteriore, importante elemento di debolezza del nuovo metodo
consiste nella difficoltà di stabilire dei confini, ossia nell’inesistenza di
una differenza sostanziale tra le obbligazioni pensionistiche e le
obbligazioni (future) legate ad altre spese pubbliche, in particolare a
quella sanitaria. Poiché il debito previdenziale misura il valore attuale di
erogazioni future della Pubblica amministrazione, ci si può domandare
perché non si debbano includere nel passivo dello stato patrimoniale di
questo settore – con corrispondente variazione dei flussi – anche i valori
attuali di altre erogazioni che la Pubblica amministrazione dovrà
effettuare, quali le spese per la sanità pubblica o la giustizia o la
sicurezza. L’osservazione è sicuramente fondata, ma non risolutiva.
Infatti, benché tutte queste spese rientrino nelle aspettative dei cittadini
e nei compiti irrinunciabili di uno stato moderno, fa anche parte delle
regole del gioco che esse siano finanziate con entrate correnti, ossia con
il gettito di tributi che verranno corrisposti “a fondo perduto”, senza far
nascere nei contribuenti la nozione di avere con ciò acquisito un diritto
da esercitare in futuro. La differenza fondamentale tra il pagamento di
questi tributi e il versamento degli oneri previdenziali sta dunque nel
fatto che, nel secondo caso, l’individuo sa di pagare quello che è
sostanzialmente un premio assicurativo, che fa nascere in lui il diritto di
ricevere prestazioni pensionistiche future e nella Pubblica
amministrazione il dovere di corrisponderle.
f) Vanno inoltre considerati i problemi legati alla struttura di incentivi
sottostante il nuovo metodo contabile. Semeraro muove qui
un’obiezione sul piano delle possibili conseguenze dell’adozione del
nuovo metodo, il quale condurrebbe al paradosso di premiare i paesi
meno virtuosi nel fare riforme, oppure meno coraggiosi nell’applicarle.
Semeraro considera, per esempio, il caso di due paesi, A e B, i quali
attuano una riforma pensionistica riducendo le promesse; il paese A è
tuttavia più severo di B con la generazione anziana. Dopo la riforma,
entrambi i paesi adottano il nuovo metodo contabile. Poiché il saldo
finanziario è dato, col vecchio metodo, dalla (I) e col nuovo dalla (II), la
differenza tra il nuovo e il vecchio è (II) – (I), ossia:
C(t) – K(t) – [C(t) – P(t)] = P(t) – K(t) (III)
Poiché A è stato più severo di B con gli anziani, nei primi anni
successivi alla riforma B paga più pensioni, P(t) è più alto in B che in
A, e quindi la differenza fra il risultato del nuovo metodo e quello del
vecchio è maggiore (in senso algebrico: ambedue possono essere
Discussione del lavoro di G. Semeraro 261
negative) in B che in A. Questo sembra all’autore un paradosso. In
realtà, lo stock del debito previdenziale (si ricordi che nella simbologia
dell’autore K è la variazione di questo stock), al momento della riforma
è stato per ipotesi ridotto più in A che in B. Il paradosso individuato
dall’autore deriva dal fatto ch’egli guarda soltanto alle differenze (tra
vecchio e nuovo metodo) future, ma non guarda (perché già avvenuta in
passato, prima dell’adozione del nuovo metodo) alla riduzione dello
stock.
4. Un’innovazione positiva. – Semeraro conclude esprimendo più
dubbi che certezze a proposito dell’introduzione del nuovo metodo, basato
sulla nozione di debito, di registrazione dei flussi finanziari di un sistema
pensionistico. I vantaggi del nuovo metodo appaiono legati alla sua
capacità di segnalare con anticipo gli squilibri del sistema, di aumentare la
trasparenza di quest’ultimo, di ridurre le possibilità di manipolazioni
contabili5. Per contro, i dubbi appaiono motivati da questioni
metodologiche e di misurazione e, più ancora, dalla possibilità che il
cambiamento nel metodo premi comportamenti meno virtuosi o che “arrivi
tardi”, dopo che le riforme, all’insegna della sostenibilità, sono state fatte e
quando già il sistema converge verso un maggiore equilibrio finanziario
(dei flussi tradizionalmente misurati).
Semeraro sottolinea, in particolare, la preoccupazione che il
passaggio al nuovo metodo possa peggiorare la posizione di un paese che
aumenta la copertura delle pensioni tramite i contributi, giacché le prime
sono estinzione di debito, mentre i secondi ne sono nuova emissione; e che,
per contro, possa segnalare una riduzione dell’indebitamento netto di un
paese in squilibrio. Considerando quest’ultimo caso, tuttavia, ciò
segnalerebbe semplicemente che il paese paga pensioni (estingue debito)
per importi superiori al nuovo debito creato: è quindi corretto che il saldo
finanziario (rispetto al precedente metodo) migliori.
__________
5
Non meno che per il sistema pensionistico pubblico, il nuovo metodo è rilevante per i sistemi
privati finanziati a ripartizione, com’è il caso, in Italia, delle casse dei liberi professionisti. Se ci si
limita infatti a guardare ai dati di bilancio secondo la contabilità tradizionale, molte casse possono
compiacersi di presentare un surplus, dovuto al forte numero di attivi in rapporto ai pensionati. Se
però si introducesse una contabilità basata sul debito previdenziale, tale avanzo si dimostrerebbe
fittizio e, trasformandosi in un disavanzo, cesserebbe di costituire un alibi per il mantenimento
dello status quo. Fornendo uno strumento diagnostico più accurato, il nuovo metodo potrebbe
pertanto indurre gli schemi pensionistici privati a superare le false illusioni generate da una
contabilità un po’ miope e a intraprendere riforme volte a correggere lo squilibrio nascosto.
262 Elsa Fornero
In definitiva, nell’operazione di bilanciamento di vantaggi e
svantaggi attesi dall’introduzione del nuovo metodo sembra possibile
essere meno scettici di quanto non sia Semeraro. Pur se i suoi dubbi e le
sue perplessità appaiono generalmente fondati, essi non sembrano inficiare
la bontà, la lungimiranza e la significatività del nuovo metodo, qualità che
discendono tutte dalla forza del concetto di debito previdenziale sul quale
esso si basa. A parere di chi scrive il concetto è robusto e, pertanto, bene
fanno le organizzazioni internazionali a proseguire lungo questa strada: una
contabilità più trasparente e fondata su basi più solide non può che
rappresentare un’innovazione positiva.
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A. Kapteyn e F. Peracchi (a cura di), Pensions: More Information,
Less Ideology: Assessing the Long Term Sustainability of European
Pension Systems: Data Requirements, Analysis and Evaluations,
Dordrecht, Kluwer Academic Publishers.
LA RICCHEZZA FINANZIARIA NEI CONTI FINANZIARI
E NELL’INDAGINE SUI BILANCI DELLE FAMIGLIE ITALIANE
Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri∗
1. Introduzione
Le principali fonti per la stima della ricchezza finanziaria delle
famiglie italiane e delle sue componenti sono costituite dai conti finanziari
(CF) e dall’indagine sui bilanci delle famiglie (IBF). Al momento le due
fonti producono informazioni indipendenti e non immediatamente
raffrontabili.
I conti finanziari dei settori istituzionali sono pubblicati
trimestralmente dalla Banca d’Italia1 e seguono le definizioni e i metodi
stabiliti nel Sistema europeo dei conti (SEC95); serie coerenti con lo
schema SEC95 sono disponibili a partire dal 1995. I dati di base per la
compilazione del conto finanziario del settore delle famiglie, le cui unità
non redigono un bilancio, sono tratti in ampia misura dalle segnalazioni
statistiche di vigilanza delle banche e degli altri intermediari finanziari. Per
alcuni strumenti finanziari, tuttavia, non sono disponibili informazioni
dirette a frequenza trimestrale; le consistenze possedute dalle famiglie
vengono quindi stimate ricorrendo, principalmente, al cosiddetto “metodo
residuale”. Un caso rappresentativo è quello delle “azioni e altre
partecipazioni”: noti il totale del passivo, desunto dai bilanci delle società,
e le detenzioni degli altri settori, anch’esse tratte dai bilanci o da altre fonti
dirette, quali ad esempio le statistiche della posizione patrimoniale
sull’estero nel caso del settore “resto del mondo”, l’ammontare in mano
alle famiglie è ottenuto per differenza2. Un discorso analogo vale per i titoli
(del debito pubblico o di imprese), per i quali solo una parte delle attività
delle famiglie, e cioè quelle a custodia presso le banche e gli altri
intermediari finanziari, può desumersi dalle segnalazioni statistiche di
vigilanza senza ricorrere a procedure di stima; per la parte detenuta
__________
∗
Banca d'Italia, Servizio Studi. Desideriamo ringraziare Luigi Cannari, Giovanni D’Alessio, Andrea
Generale e Luigi Federico Signorini per gli utili suggerimenti; Giacomo Cau e Massimo Coletta
per l’ausilio fornito nelle elaborazioni sui conti finanziari. Le opinioni espresse sono quelle degli
autori e non impegnano l’Istituto di appartenenza.
1
Supplemento trimestrale al Bollettino Statistico “Conti finanziari”.
2
Tale approccio costituisce la procedura standard seguita per la stima del portafoglio di titoli e
azioni delle famiglie anche nei conti finanziari di numerosi altri paesi.
264 Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
direttamente si procede come per le azioni, attribuendo al settore delle
famiglie i titoli sul mercato non in possesso degli altri settori. Le stime
ottenute “a residuo” soffrono inevitabilmente di errori di misura più
elevati, risentendo delle approssimazioni nei dati relativi a tutti i restanti
settori istituzionali.
L’indagine sui bilanci delle famiglie è realizzata dalla Banca d’Italia
a partire dal 1965 ed è condotta ogni due anni su un campione di circa
8000 famiglie, selezionate secondo uno schema a due stadi (comuni e
famiglie), con stratificazione delle unità di primo stadio (comuni) secondo
la regione e la classe di ampiezza demografica del comune.
In accordo con il piano di campionamento, a ciascuna famiglia viene
attribuito un peso inversamente proporzionale alla sua probabilità di
inclusione nel campione; i pesi vengono successivamente modificati sia per
aumentare la precisione degli stimatori (correggendo gli eventuali problemi
di copertura della lista e di mancata risposta), sia per allineare la struttura
del campione a quella della popolazione per alcune caratteristiche note3.
Una quota consistente del campione (il 45 per cento nell’indagine
relativa all’anno 2002) è rappresentata da famiglie panel, ossia già
intervistate in occasione di precedenti rilevazioni. L’obiettivo principale
dell’indagine consiste nel fornire un quadro approfondito della situazione
economica e della ricchezza delle famiglie italiane, nonché delle relazioni
tra le caratteristiche economiche e quelle socio-demografiche dei nuclei e
della loro evoluzione nel tempo.
I dati utilizzati nel lavoro sono quelli dell’archivio storico (release
3.2 del dicembre 2004) e sono disponibili sul sito internet della Banca
d’Italia (www.bancaditalia.it).
Il presente lavoro, dopo aver posto su base confrontabile i singoli
strumenti finanziari considerati nelle due fonti, si propone di analizzare le
cause delle ampie discordanze che si osservano fra le rispettive stime. Lo
sforzo preliminare di armonizzazione dei dati costituisce la peculiarità
della ricerca, inquadrabile in un filone recente di letteratura rivolto al
confronto tra i risultati delle indagini campionarie e le corrispondenti stime
macroeconomiche: Antoniewicz (2000) e Eymann e Börsch-Supan (2002),
__________
3
I risultati dell’indagine sono allineati alle distribuzioni Istat per sesso, classe di età, condizione
professionale, ampiezza comunale e area geografica di residenza degli individui.
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari 265
ad esempio, hanno condotto analisi simili a quella che ci si prefigge con
questo lavoro, rispettivamente per gli Stati Uniti e la Germania4.
Le differenze fra stime macro e stime campionarie della ricchezza
finanziaria possono essere attribuite, in linea di principio, a una
molteplicità di fattori, dei quali ci si propone di indagare il ruolo e
l’importanza relativa.
Una prima causa va ricercata nelle differenze di natura definitoria,
ossia nelle diverse definizioni del settore di riferimento, nell’insieme degli
strumenti finanziari considerati e nei diversi criteri di valutazione di
ciascun aggregato.
Dal lato delle fonti campionarie, inoltre, ogni indagine produce
inevitabilmente errori legati alla natura stessa del procedimento di
inferenza statistica (errori campionari). Gli errori di questo tipo vengono
valutati misurando la precisione degli stimatori.
Ulteriori fonti di errore sono riferibili al processo di misurazione e di
stima (errori non campionari). In generale, tali errori vengono distinti nelle
seguenti tipologie (cfr. Cicchitelli, Herze e Montanari, 1992):
• errori di copertura, causati dall’incompletezza delle liste dalle quali le
unità vengono estratte (non coverage);
• errori da mancate risposte di alcune unità estratte per la rilevazione;
• errori di misura intesi in senso lato, come discrepanze tra dati rilevati e
dati effettivi. Tale situazione può verificarsi quando gli intervistati non
ricordano (effetto memoria) o non desiderano rivelare quali strumenti
possiedano (non-reporting) e/o il loro ammontare (under-reporting).
Studi specifici sono stati condotti per valutare, in particolare,
l’effetto delle suddette cause sulle stime delle principali variabili rilevate
nell’IBF5. Tali studi hanno confermato che le grandezze di fonte indagine
sottostimano sia le componenti della ricchezza reale sia quelle della
ricchezza finanziaria; per queste ultime, inoltre, il fenomeno risulta
maggiormente accentuato.
__________
4
Antoniewicz (2000) confronta i dati della Survey on Consumer Finance, realizzata ogni tre anni
dalla Federal Reserve, con i dati dei Flow of Funds per gli anni 1989, 1992, 1995 e 1998. Eymann
e Börsch-Supan (2002) mettono a confronto i dati della Income and Expenditure Survey, condotta
da Statistisches Bundesamt, con le stime aggregate della Bundesbank per il 1993.
5
Cfr., fra gli altri, Cannari e D’Alessio (1990, 1992, 1993), Brandolini et al. (2002) e Biancotti,
D’Alessio e Neri (2004).
266 Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
Nei CF le principali fonti di errore sono rappresentate dagli errori di
misura e, tra questi, dai potenziali errori commessi nel ripartire le
consistenze degli strumenti finanziari tra i diversi settori istituzionali.
L’importanza di simili errori, naturalmente, varia con lo strumento
considerato, in relazione alle particolari caratteristiche dei dati elementari e
alle differenze nelle metodologie statistiche adottate; ad esempio, è
probabile che risultino più elevati quando la stima è effettuata a residuo.
Anche le stime macro, inoltre, sono potenzialmente affette da errori
di tipo campionario, in quanto non tutte le fonti su cui si basano i CF hanno
natura censuaria. In linea teorica, dunque, sarebbe opportuno considerare
anche la variabilità di tali stime. Nei fatti, però, la complessa struttura dei
CF e l’eterogeneità delle basi-dati utilizzate, rendono l’operazione
estremamente complessa e praticamente non realizzabile. Si è comunque
tentato di quantificare il grado di affidabilità dei dati macro prendendo
come proxy la stabilità delle stime presenti nelle varie pubblicazioni dei CF
(ovvero l’assenza di revisioni troppo grandi sui dati già pubblicati), come
sarà descritto nel paragrafo 4.
Un altro importante fattore di divergenza, che tuttavia esula dal
campo di analisi di questo lavoro, è legato alle diverse finalità informative
delle due fonti. L’IBF si propone di fornire stime rappresentative del
portafoglio della famiglia mediana rispetto alla distribuzione della
ricchezza; i CF intendono misurare il valore aggregato di ciascuna voce
della ricchezza finanziaria del settore: nelle stime macro, quindi, il peso
delle famiglie più abbienti è maggiore che nei dati di fonte campionaria6.
Se le scelte d’investimento delle famiglie più ricche sono
significativamente diverse da quelle dei nuclei la cui ricchezza assume un
valore mediano, ciò si rifletterà necessariamente in una diversa
rappresentazione del portafoglio tra le due fonti.
La suddetta differenza non elimina i potenziali vantaggi che
potrebbero scaturire da una riconciliazione fra CF e IBF. Da un lato i CF
potrebbero essere utilizzati, almeno per gli strumenti misurati con ridotto
margine di errore, come informazioni ausiliarie per migliorare le stime
campionarie, ad esempio attraverso tecniche di calibrazione, ossia di
modifica dei pesi utilizzati per il riporto all’universo. D’altro lato, le stime
campionarie potrebbero essere impiegate per colmare, almeno in parte, le
lacune presenti nei dati aggregati del settore famiglie.
__________
6
Sul punto si veda. Cannari, D’Alessio e Paiella (2004).
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari 267
Il lavoro è strutturato come segue. Come primo passo viene
disegnata la mappa delle corrispondenze tra l’impianto metodologico alla
base dei conti finanziari (il SEC95) e quello dell’indagine, per quanto
riguarda definizioni e concetti relativi agli aggregati che compongono la
ricchezza finanziaria delle famiglie. Diventa così possibile identificare un
insieme di strumenti, comuni alle due fonti, ricondotti a criteri di
valutazione omogenei (par. 2). Per ciascuno strumento vengono quindi
illustrate le differenze fra stime aggregate e stime campionarie (par. 3).
Successivamente, sono presentati i risultati di un esperimento volto ad
individuare il peso delle cause che spiegano le differenze fra le stime
provenienti dalle due fonti (par. 4). Nel percorso seguito per i raffronti
emergono alcuni aspetti dell’IBF e dei CF suscettibili di miglioramenti; si
avanzano quindi primi suggerimenti in tal senso e si indicano i possibili
vantaggi di un utilizzo integrato delle due fonti (par. 5). Si sintetizzano,
infine, le principali conclusioni (par. 6).
2. La ricchezza finanziaria nei conti finanziari e nell’indagine sui
bilanci delle famiglie
Un passo propedeutico al confronto tra le stime della ricchezza
finanziaria delle famiglie fornite dall’IBF e dai CF è quello della
riconciliazione delle definizioni del settore e degli strumenti finanziari; per
questi ultimi, inoltre, vanno uniformate le modalità di valutazione.
In generale, per riconciliare le due fonti si è agito principalmente dal
lato dei CF, correggendo i dati fino al raggiungimento della coerenza con i
criteri seguiti nell’IBF; la direzione dell’aggiustamento è stata determinata
dal fatto che le informazioni più dettagliate, necessarie per il raccordo,
sono presenti solo nei CF. La definizione del settore delle famiglie ha
invece richiesto un aggiustamento in entrambi i sensi: i dati dell’IBF sono
stati corretti per avvicinarli alla definizione ufficiale della contabilità
nazionale e, allo stesso tempo, da quest’ultima è stato escluso il settore
delle Istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie.
Nei paragrafi che seguono vengono illustrate nel dettaglio le
strategie adottate per rendere omogenei il settore di riferimento, gli
strumenti finanziari e i criteri di valutazione.
268 Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
2.1 La riconciliazione del settore di riferimento
Nei CF (coerentemente con il SEC95 e così come indicato dall’Istat)
il settore delle famiglie include le famiglie consumatrici, le famiglie
produttrici e le Istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie
(ISF)7. Le famiglie produttrici si identificano con quelle che svolgono
un’attività non organizzata in forma societaria e, comunque, con un
numero di addetti non superiore alle cinque unità. Nell’IBF, d’altra parte,
oltre alle famiglie consumatrici sono comprese nel settore tutte le famiglie
che svolgono un’attività produttiva, indipendentemente dalla forma
societaria e dal numero dei dipendenti.
La situazione di partenza e gli aggiustamenti effettuati sono riassunti
nella tavola 1.
Tav. 1
Il settore famiglie nei conti finanziari e nell’indagine
Famiglie produttrici Istituzioni
Famiglie
Fonte senza scopo
consumatrici
Fino a 5 addetti Più di 5 addetti di lucro (ISF)
CF Si Si Si
IBF Si Si Si
Nel presente
Si Si
confronto
Dal lato dei CF i dati sono stati depurati delle componenti imputabili
alle ISF, ricorrendo a elementi di stima di entità variabile a seconda dei
casi: per i depositi bancari, le obbligazioni ed i titoli di Stato italiani (tra le
attività) e i prestiti bancari (tra le passività) si sono utilizzate informazioni
dirette sull’ammontare detenuto dalle ISF, desunte dalle segnalazioni
statistiche di vigilanza (pur disponibili solo a partire dal 1998); per il 1995
si è ipotizzato un peso delle ISF sul totale (ISF e famiglie in senso stretto)
pari alla media degli anni 1998-2002 (calcolata per singolo strumento)8.
__________
7
Cfr. l’Appendice II.
8
La scelta è stata supportata dall’osservazione che il peso delle ISF nei singoli strumenti si è
mantenuto relativamente stabile negli anni per cui il dettaglio è disponibile.
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari 269
In assenza di informazione diretta, per alcune voci si è scelto di
applicare agli aggregati il peso assunto dalle ISF in strumenti finanziari
simili (riportati tra parentesi) e per i quali tale dettaglio è invece noto. Si è
proceduto in questo modo per i conti correnti postali (assimilati ai c/c
bancari), i buoni postali fruttiferi (assimilati ai BOT), le azioni e quote di
fondi comuni italiani, le obbligazioni estere (obbligazioni italiane) e i titoli
di Stato esteri (titoli di Stato italiani).
Infine, anche in considerazione della natura non-profit delle ISF, si
sono ipotizzate nulle le attività di queste istituzioni in titoli esteri diversi
dai titoli di Stato (azioni, partecipazioni e altri titoli emessi da non
residenti), in crediti commerciali e in riserve tecniche di assicurazione.
I risultati, riportati nella tavola A2, indicano che l’importanza delle
ISF è del tutto marginale: il loro peso sul totale (famiglie e ISF) è inferiore
al 2 per cento quando si guarda al totale delle attività finanziarie; la quota è
leggermente superiore (intorno al 3 per cento) per i depositi e le passività
finanziarie.
Dal lato dell’IBF, invece, la disponibilità di informazioni dirette sul
numero dei dipendenti ha reso possibile escludere dal calcolo delle
grandezze finanziarie le componenti possedute dalle famiglie produttrici
con più di cinque addetti, consentendo l’avvicinamento alla definizione
propria dei CF senza alcun ricorso a ipotesi di stima.
2.2 L’identificazione degli strumenti finanziari da confrontare
Le componenti della ricchezza finanziaria disponibili in ciascuna
delle due fonti e i relativi criteri di valutazione sono sintetizzati nella tavola
A1, in Appendice. Come si vede, le classificazioni adottate presentano un
diverso grado di dettaglio e in qualche caso coprono fenomeni diversi. Gli
strumenti finanziari posti a confronto nel lavoro sono elencati nella tavola
A3.
La ricchezza detenuta sotto forma di contante (biglietti e monete) è
stata esclusa dall’analisi, per l’impossibilità di ricavare dall’indagine un
ammontare direttamente paragonabile a quello dei CF9. Altri strumenti
__________
9
La parte del questionario che potrebbe essere utilizzata per stimare l’ammontare detenuto dalle
famiglie in biglietti e monete è quella in cui si chiede “Di solito, che somma di denaro avete in casa
per le normali esigenze della famiglia?” Tale domanda però fornisce una stima media
dell’ammontare posseduto nel corso dell’anno che non è immediatamente confrontabile con la
stima dei CF riferita a fine anno. La scelta di escludere biglietti e monete dall’analisi della
(continua)
270 Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
sono stati esclusi per la non disponibilità del dato nell’una o nell’altra
fonte: è questo il caso dei prestiti alle cooperative e del TFR10, dal lato
delle le attività, e dei debiti commerciali, nonché di quelli verso le altre
famiglie, dal lato delle passività.
Ulteriori correzioni hanno riguardato le assicurazioni vita, i fondi
pensione e le gestioni patrimoniali.
Nell’IBF non viene attualmente chiesto agli intervistati il montante
complessivo accumulato in fondi pensione e assicurativi; vengono però
chiesti i premi pagati annualmente e l’anno in cui sono iniziati i
versamenti: la consistenza ad una certa data è stata dunque ricostruita a
partire da tali informazioni.
I dati sulle gestioni patrimoniali, per i quali si prevede una domanda
esplicita nell’IBF, non sono pubblicati in evidenza separata nei CF, dove le
varie poste sono incluse nei singoli strumenti d’investimento. Per tale
ragione, la stima campionaria è stata attribuita agli strumenti in base alla
composizione media del portafoglio delle Società di gestioni patrimoniali
rilevata nei vari anni (dati pubblicati nel Bollettino Statistico della Banca
d’Italia).
2.3 La riconciliazione dei criteri di valutazione
I criteri generali seguiti per la registrazione degli strumenti finanziari
nei CF sono quelli del valore di mercato (con l’eccezione di depositi e
prestiti) e della competenza economica (in contrapposizione alla
registrazione per cassa).
La valutazione di mercato richiede che la valorizzazione degli
strumenti finanziari rifletta in ogni momento la loro effettiva quotazione e
tenga quindi conto delle variazioni di prezzo dovute, ad esempio, ai
movimenti dei tassi d’interesse (ciò accade in particolare per i titoli di Stato
e le obbligazioni). La registrazione per competenza, ossia nel momento nel
quale si manifesta il diritto alla prestazione economica, indipendentemente
____________________________________________________________
ricchezza delle famiglie è stata adottata anche in altri studi (cfr. Brandolini et al., 2003; Guiso,
Haliassos e Jappelli,, 2002).
10
La consistenza del TFR non può essere agevolmente stimata a partire dall’indagine in quanto la
stima richiederebbe per ciascun dipendente informazioni sul numero di anni in cui ha lavorato nella
sua ultima occupazione e il valore lordo degli stipendi percepiti in tale periodo. Dall’indagine sono
invece disponibili i redditi netti. Inoltre, manca ogni indicazione del TFR pagato dalle famiglie ai
propri collaboratori domestici.
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari 271
dal fatto che ad esso sia effettivamente associato un movimento di cassa,
comporta, tra l’altro, la contabilizzazione degli interessi nel momento della
loro maturazione, sotto forma di reinvestimento nel relativo strumento
finanziario11.
Tav. 2
La valutazione degli strumenti finanziari nelle due fonti
(raggruppati per categorie)
IBF (e usata nel
Strumenti CF
confronto)
Depositi valore nominale + ratei d’interesse valore nominale
Titoli di Stato valore di mercato + ratei d’interesse valore nominale
Obbligazioni valore di mercato + ratei d’interesse valore nominale
Azioni valore di mercato valore di mercato
Prestiti valore nominale + ratei d’interesse valore nominale
Entrambi i fattori sono motivo di differente valutazione rispetto
all’IBF. La tavola 2 sintetizza il metodo di valutazione di alcune macro-
categorie di strumenti finanziari nelle due fonti poste a confronto.
Per uniformare la valutazione delle attività e delle passività
finanziarie si è intervenuti unicamente sulle consistenze dei CF,
riconducendole ai criteri di valutazione propri dell’IBF.
Poiché si utilizzano dati a frequenza annuale, per alcuni strumenti,
quali i depositi bancari (in conto corrente e a risparmio), i conti correnti e i
libretti di deposito postali, la valutazione per cassa coincide, almeno in
linea di principio, con quella per competenza: alla fine dell’anno, infatti, gli
interessi vengono effettivamente contabilizzati e pertanto anche gli
intervistati dovrebbero includere tale componente negli ammontari
dichiarati. Sulla base di questa ipotesi non sono state apportate correzioni
alle consistenze dei CF.
Nel caso dei certificati di deposito e dei buoni fruttiferi postali,
invece, gli interessi vengono contabilizzati solo alla scadenza: i dati dei CF
__________
11
Nel caso dei titoli di Stato, in particolare, la registrazione per competenza si applica sia alla cedole
in corso di maturazione sia agli scarti all’emissione.
272 Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
sono quindi stati considerati al netto dei ratei, rendendo il criterio di
valutazione omogeneo con quello dell’IBF.
Per i titoli di Stato e le obbligazioni la valutazione dei CF,
originariamente al mercato, è stata ricondotta al nominale. Pare infatti
ragionevole assumere che, nel rispondere al questionario, gli intervistati
dell’indagine valutino tali attività al valore nominale e al netto degli
interessi maturati ma non accreditati, di non facile determinazione da parte
delle famiglie12.
Per quanto riguarda il valore delle azioni e delle quote di fondi
comuni, si è ipotizzato che la valutazione nell’IBF sia, così come nei CF, ai
prezzi di mercato: in questo caso non è stato dunque apportato alcun
correttivo alle due fonti.
Il valore dei prestiti di fonte CF, infine, è stato ricondotto al valore
nominale detraendo i ratei di interesse.
3. Le componenti della ricchezza finanziaria netta a confronto
Il confronto fra stime aggregate e stime campionarie è realizzato da
due punti di vista: (i) nel paragrafo 3.1 si calcolano le differenze, sia in
valore sia come percentuale di copertura del dato micro rispetto a quello
macro, tra le consistenze dei vari strumenti finanziari in essere alla fine
dell’anno secondo le due fonti, dopo la riconciliazione per le definizioni e i
criteri di valutazione; (ii) nel paragrafo 3.2 si confronta la composizione
del portafoglio (guardando ai pesi relativi dei vari strumenti sul totale
attivo/passivo) e la sua evoluzione nel periodo analizzato.
3.1 Il confronto tra le stime delle consistenze
I depositi
La categoria dei depositi comprende i depositi bancari, i certificati di
deposito, i pronti contro termine, i libretti postali e i buoni postali fruttiferi.
La stima nei CF è basata sulle segnalazioni statistiche di vigilanza delle
__________
12
Nel questionario, comunque, viene chiesto per ogni strumento finanziario l’ammontare posseduto a
fine anno dalla famiglia. Anche se in linea teorica tale valore dovrebbe essere vicino al valore di
mercato, nel presente lavoro abbiamo ipotizzato che le famiglie tendano a rispondere pensando al
valore di acquisto (valore nominale).
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari 273
banche13, dei fondi comuni monetari e degli intermediari finanziari non
bancari, dal bilancio della Banca d’Italia, da segnalazioni dell’UIC e delle
Poste S.p.A. (per il risparmio postale). Per questa categoria di attività
finanziarie, la disponibilità di informazioni settorizzate fa sì che i dati sulle
famiglie non risentano di particolari ipotesi di stima.
A partire dal 1998 la stima campionaria dei depositi bancari
rappresenta quasi il 70 per cento della corrispondente stima aggregata (tav.
A3). Negli stessi anni, considerando la variabilità campionaria, la
differenza fra le due stime è pari a circa 8 volte l’errore standard delle
stime IBF (tav. A4).
Fra le varie categorie di depositi, quelli bancari in conto corrente
presentano il divario più contenuto: dal 1998 il grado di copertura delle
stime micro raggiunge circa i tre quarti delle stime CF. La maggiore
differenza si rileva per i certificati di deposito e i pronti contro termine (per
questi ultimi, il dato IBF nel 2002 è inferiore al 10 per cento della stima
CF).
Considerando l’ultimo anno disponibile, il 2002, i depositi postali
stimati dall’IBF sono un terzo di quelli dei CF; la discrepanza è ancora più
accentuata per i buoni fruttiferi postali, per i quali le stime campionarie
sono pari al 14 per cento delle stime macro.
I titoli di Stato
Nei titoli di Stato sono compresi i titoli a breve e a medio/lungo
termine emessi dalle Amministrazioni centrali (BOT, CCT, BTP, CTZ,
ecc.) e dalle Amministrazioni locali.
Nei CF le consistenze di titoli di Stato esistenti sul mercato sono
calcolate a partire da fonti interne alla Banca d’Italia (dati raccolti nelle
procedure d’asta), integrate da fonti del Mercato telematico dei titoli di
Stato (MTS). Nella stima di questa voce è tuttavia presente, come
accennato nel paragrafo introduttivo, una componente residuale:
l’ammontare dei titoli nel portafoglio delle famiglie viene stimato
utilizzando le informazioni sulla parte detenuta a custodia presso le banche
(informazioni di vigilanza), sullo stock in circolazione (passività del settore
__________
13
Dal settembre 2000 le poste relative a depositi e impieghi bancari sono calcolate sull’universo delle
banche. In precedenza la stima era effettuata su un campione rappresentativo di circa il 92 per
cento dei depositi e di circa il 95 per cento dei prestiti.
274 Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
pubblico) e sulla detenzione degli stessi titoli da parte dei settori che
redigono un bilancio.
Il rapporto di copertura micro/macro oscilla tra il 30 ed il 57 per
cento (cfr. tav. A3). Le stime sui BOT, per i quali la correzione per i
diversi criteri di valutazione è la meno rilevante, sono molto simili nel
1998 e nel 2002; nel 2000 la fonte IBF indica, invece, un valore quasi
doppio rispetto ai CF.
La distanza fra le stime aumenta per gli strumenti con un minor
grado di diffusione fra le famiglie e in particolare per i BTP, per i quali il
valore nell’IBF è circa un quinto di quello dei CF.
Le obbligazioni e le quote di fondi comuni
Come per i titoli di Stato, nei CF la stima delle obbligazioni detenute
dalle famiglie incorpora una componente residuale. Il totale delle
obbligazioni sul mercato, da cui vengono sottratte le quantità all’attivo
degli altri settori, è ottenuto a partire dalle informazioni di fonte Borsa
Italiana S.p.A. (per gli scambi sul Mercato obbligazionario telematico),
dalle segnalazioni statistiche di vigilanza (per le obbligazioni bancarie) e
dall’anagrafe titoli dell’UIC (per i titoli emessi dalle Società non
finanziarie, dagli altri intermediari finanziari, dalle imprese di
assicurazione e dagli Enti locali). Gli aggregati sono calcolati al valore di
mercato, tenendo conto delle rivalutazioni/svalutazioni dei titoli (a seguito,
tra l’altro, di variazione dei tassi d’interesse) e degli scarti all’emissione. Il
peso delle ISF è stimato in misura dell’1 per cento.
Le differenze con l’IBF sono rilevanti: le stime campionarie delle
obbligazioni sono prossime al 16 per cento delle stime macro (tav. A3). La
sola variabilità campionaria non consente di colmare il gap.
Diversamente dalla ricchezza in obbligazioni, il valore aggregato
delle quote di fondi comuni detenuti dalle famiglie è rilevato in maniera
diretta nei CF, a partire dalle informazioni di vigilanza prodotte dalle
società di gestione dei fondi (con l’informazione sul sottoscrittore delle
quote). Tale aggregato comprende anche i redditi da capitale conseguiti
sulle quote stesse, stimati dall’Istat.
Anche per questo strumento le due fonti forniscono informazioni
significativamente diverse: in media i valori di origine campionaria
rappresentano circa il 30 per cento delle stime macro (tav. A3).
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari 275
Le azioni e altre partecipazioni
In base alle definizioni del SEC95, nella voce “azioni e altre
partecipazioni” sono classificate tutte le attività finanziarie, escluse le
quote di fondi comuni, che rappresentano un diritto di proprietà su una
società o quasi-società, detenute dal settore delle famiglie. In particolare, lo
strumento dovrebbe comprendere:
1. il valore delle partecipazioni in famiglie-imprese individuali,
società semplici e società di fatto con numero di addetti superiore a
cinque14;
2. il valore delle partecipazioni in società di persone;
3. il valore delle partecipazioni in società di capitali (quotate e non).
È importante sottolineare come il valore complessivo delle aziende
classificate tra le famiglie produttrici (imprese individuali, società semplici
e di fatto fino a cinque addetti) non debba essere invece incluso nella voce
“azioni ed altre partecipazioni”. In tali casi, per convenzione, non è infatti
possibile distinguere fra “impresa” e “famiglia”, in quanto la prima non
gode di autonomia decisionale e non ha un proprio bilancio separato da
quello della famiglia (o comunque non è possibile ricostruirlo); dunque non
ha neppure un proprio valore di mercato. I CF registrano le sole
componenti finanziarie dell’ipotetico stato patrimoniale dell’azienda,
attribuendole alla famiglia che la possiede. Le altre componenti, quali lo
stock di capitale fisso, le scorte e l’avviamento (anch’esse attribuite alla
famiglia) sono invece considerate componenti della ricchezza reale (cfr.
tav. A8, in Appendice).
Nei CF la stima delle azioni e altre partecipazioni complessivamente
presenti sul mercato è ottenuta a partire dalle informazioni sui bilanci delle
società di capitali contenute nell’archivio Cerved, una fonte di tipo
censuario per questa categoria di imprese. Sono invece del tutto assenti
stime per il valore delle quasi-società con più di cinque addetti e delle
società di persone (le componenti 1 e 2 nella classificazione utilizzata
sopra).
__________
14
La soglia dimensionale di cinque addetti distingue, nei dati di contabilità nazionale, le “società e
quasi-società” dalle famiglie. Le imprese individuali, società di fatto e società semplici con più di
cinque addetti vengono considerate, per convenzione, dotate di autonomia decisionale rispetto alle
famiglie proprietarie. Il riferimento al numero di cinque addetti, pur coerente con i principi generali
del SEC95, è una scelta peculiare adottata dall’Italia (Istat).
276 Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
Il valore attribuito alle famiglie è ottenuto in modo residuale,
sottraendo al totale in circolazione le consistenze che risultano detenuti
dagli altri settori istituzionali, per i quali sono invece disponibili
informazioni dirette.
Dal lato dell’IBF, gli investimenti in azioni e altre partecipazioni
sono distinti (seguendo la terminologia utilizzata nella compilazione della
Bilancia dei pagamenti) in investimenti diretti, costituiti dalle
partecipazioni in società nelle quali la famiglia detiene una quota di
controllo o che comunque permetta di svolgere un ruolo attivo di gestione,
e investimenti indiretti, che comprendono le restanti partecipazioni che
costituiscono il portafoglio finanziario delle famiglie.
Ai fini del confronto con i CF, la stima campionaria è stata costruita
come somma del valore degli investimenti indiretti in azioni, di società
quotate e non, e partecipazioni in società a responsabilità limitata (di cui
alla sezione C del questionario)15 e del valore delle partecipazioni in
società di capitali sulle quali si esercita un ruolo di controllo o gestione, per
la quota di competenza (di cui all’allegato B4 del questionario)16. Per
uniformità con i CF sono stati dunque esclusi dalla stima campionaria sia il
valore delle imprese non societarie con oltre 5 addetti sia il valore delle
società di persone. Nel questionario (allegato B3)17 è identificata
un’ulteriore tipologia di attività produttive, denominata “imprese
familiari”. Tra queste, quelle eventualmente costituite in forma di società di
capitali avrebbero dovuto essere incluse nelle stime; tuttavia, l’assenza di
informazioni riguardo alla forma giuridica e al valore della partecipazione
preclude al momento questa possibilità.
In media, nel periodo considerato, le stime campionarie
costituiscono circa il 23 per cento delle corrispondenti stime aggregate. Le
differenze risultano minori per le partecipazioni in società quotate, che in
__________
15
La domanda recita quanto segue: “Qual è l’ammontare di azioni di società quotate in Borsa (al
valore di mercato), di azioni di società non quotate (al valore di presumibile realizzo) e di quote di
società a responsabilità limitata (al valore di presumibile realizzo) posseduto dalla sua famiglia (a
fine anno di riferimento)?”
16
In questo caso il valore della partecipazione è rilevato sulla base della seguente domanda: “Qual è
il valore di mercato della società, con riferimento alla sola quota spettante?”
17
Lo schema del questionario dell’IBF è riportato in Appendice al Supplemento al Bollettino
Statistico della Banca d’Italia: “Note metodologiche e informazioni statistiche – I bilanci delle
famiglie italiane nell’anno 2002”, disponibile anche sul sito Internet della Banca
(www.bancaditalia.it).
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari 277
media, nel periodo, sono circa il 30 per cento del valore riportato nei CF
(tav. A3).
Il confronto risente in modo rilevante della scarsa diffusione di tali
strumenti finanziari e della loro concentrazione nelle mani delle famiglie
più abbienti, che hanno una minore probabilità di partecipare all’indagine o
rispondere in modo veritiero: secondo stime campionarie la quota di
famiglie che possiede azioni di società quotate non raggiunge, nel periodo
in esame, il 10 per cento; le famiglie che risultano, invece, soci/gestori di
società di capitali sono circa il 2 per cento.
I titoli esteri
La voce include i titoli di Stato e le obbligazioni emesse da
Amministrazioni estere, le azioni e partecipazioni in società estere e gli
altri titoli emessi dal resto del mondo.
Le statistiche macro sono basate principalmente su informazioni
settorizzate fornite dall’Ufficio italiano dei cambi (UIC). Le stime
campionarie coprono circa il 3 per cento dei valori aggregati, facendo
registrare la maggiore distanza fra gli strumenti finanziari considerati nel
confronto (tav. A3).
Le assicurazioni vita e i fondi pensione
La voce comprende il montante accumulato dalle famiglie per
investimenti in polizze assicurative e fondi pensione.
Il dato dei CF è basato sulle statistiche ottenute dai bilanci delle
compagnie di assicurazione e dei fondi pensione (forniti dall’Isvap e dalla
Covip), integrate da informazioni di fonte Istat, e include le somme
accantonate per la liquidazione del trattamento di fine rapporto ai
dipendenti (TFR), assimilate ai fondi pensione.
Non potendo stimare tale grandezza anche dall’IBF, nel confronto
tra le fonti il TRF è stato escluso dalle stime macro. Per quanto riguarda le
restanti componenti (assicurazioni vita e fondi pensione) la stima
campionaria è stata costruita a partire dalle informazioni sul premio annuo
278 Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
pagato e sull’anno in cui sono iniziati i versamenti di ciascun componente
della famiglia18.
Il gap tra le due fonti aumenta negli anni esaminati: nel 1995 il
valore dell’IBF è circa l’80 per cento dei CF, ma scende al di sotto del 40
per cento nel 2002 (tav. A3).
I crediti commerciali
Il confronto dei crediti commerciali tra i dati aggregati e quelli
provenienti dall’IBF, a parità di definizione dello strumento, non può
essere effettuato. Le stime nei CF, infatti, nonostante le integrazioni
apportate con il passaggio al SEC95, ultimato nel 2000, sono ancora
incomplete. In quella circostanza è stata per la prima volta pubblicata una
stima dei debiti e dei crediti commerciali interni al settore delle società non
finanziarie e tra queste e le famiglie (produttrici); in precedenza la
rilevazione era limitata ai rapporti tra le società non finanziarie e i non
residenti (fonte Bilancia dei pagamenti)19. Sono tuttora assenti i dati relativi
agli altri settori istituzionali, primo tra tutti il settore delle Amministrazioni
pubbliche.
Le stime correntemente pubblicate nei CF, ottenute aggregando i
dati dell’archivio Cerved sui bilanci delle società di capitali, risentono
inoltre di diversi problemi: (i) come ricordato in precedenza, non sono
incluse le imprese che non hanno la forma giuridica di società di capitali;
(ii) l’archivio Cerved non riporta informazioni sui crediti e debiti
commerciali per circa il 60 per cento delle imprese che redigono il bilancio
in forma abbreviata; (iii) la componente attribuita alle famiglie come
contropartita dei debiti delle società non finanziarie (si assume che le
famiglie non abbiano passività nella forma di crediti commerciali e non
intrattengano rapporti con unità non residenti) è calcolata a residuo,
deducendo dal passivo delle imprese la parte finanziata dal resto del
mondo.
__________
18
Per la stima del montante è stato ipotizzato un tasso di rivalutazione del 3 per cento. Inoltre per
l’IBF del 2000 è stato necessario un ulteriore processo di ricostruzione, in quanto in tale anno è
stato chiesto solo il totale dei versamenti effettuati a livello familiare. La stima finale è stata
ottenuta in due passi: in primo luogo, utilizzando la componente panel, è stato ricostruito il
montante a livello familiare per le famiglie presenti anche nelle altre edizioni dell’IBF. Per i
restanti casi il valore è stato stimato sulla base all’età del capo famiglia e all’area geografica
(risultate le variabili più rilevanti in un’analisi preliminare).
19
I crediti commerciali erano inclusi nei prestiti fino al 1998.
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari 279
La corrispondente stima campionaria, invece, almeno in linea teorica
è esaustiva dei rapporti di credito delle famiglie produttrici, non
escludendo a priori alcun settore fra le controparti. Essa è ottenuta dai
crediti commerciali dichiarati dai liberi professionisti, gli imprenditori
individuali e le imprese familiari fino a cinque addetti. Nel periodo in
esame, la stima campionaria risulta pari a 3-4 volte quella dei CF.
Le passività finanziarie
Tra le passività finanziarie, per il confronto IBF-CF si sono
considerati i prestiti (sia a breve che a medio/lungo termine) concessi alle
famiglie da banche, assicurazioni e altre società finanziarie20. Sono stati
invece esclusi i prestiti da altri soggetti interni al settore delle famiglie,
quali parenti o amici, poiché il fenomeno non è rilevato nei CF.
Dal lato dei CF la stima è ottenuta a partire dalle segnalazioni di
vigilanza, che indicano in modo esplicito il settore di destinazione dei
finanziamenti. L’incidenza delle Istituzioni senza scopo di lucro è pari a
circa il 3 per cento per questo fenomeno. Una volta sottratta tale quota, la
stima campionaria risulta pari a circa la metà di quella aggregata.
3.2 Il confronto dei portafogli e della loro dinamica
Poiché i totali di riferimento differiscono, le diversità nella
composizione del portafoglio tra le due fonti non riflettono
necessariamente le discrepanze osservate tra le consistenze in valore. In
generale il portafoglio delle famiglie è “meno rischioso” secondo i dati
dell’indagine che secondo quelli dei conti finanziari. Tale risultato riflette,
in parte, la circostanza che gli strumenti a più alto rischio sono anche i più
concentrati nella fascia delle famiglie più abbienti, alle quali si associa una
più bassa probabilità di partecipazione all’indagine (come già osservato in
occasione del confronto tra le consistenze di azioni e partecipazioni).
Se si classificano tra le attività “meno rischiose” i depositi, bancari e
postali, e i titoli di Stato e tra le attività “più rischiose” le obbligazioni (di
imprese), le quote dei fondi comuni, le azioni, le partecipazioni e i titoli
esteri, l’immagine dell’attitudine verso il rischio che emerge dalle due fonti
è molto diversa (cfr. tav. A5). Se in base all’indagine le attività meno
rischiose pesano per più del 50 per cento nel portafoglio del 2002, contro il
31 per cento delle attività più rischiose, secondo i dati dei conti finanziari
__________
20
Si tratta di prestiti, mutui e credito al consumo.
280 Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
le percentuali sono praticamente invertite, con quasi la metà del portafoglio
investito in attività “rischiose”.
Nel 1995, invece, il peso degli strumenti meno rischiosi era simile
per le due fonti (circa il 30 per cento). Dalla tavola A6 emerge come la
divergenza nel seguito manifestatasi sia riconducibile principalmente a una
crescita delle consistenze dei depositi (in particolare quelli postali) molto
più sostenuta nell’indagine che nei CF. La dinamica del peso dei titoli di
Stato è invece somigliante nelle due fonti: la quota del portafoglio investita
in questi titoli scende dal 30 al 9 per cento sia per l’indagine sia per i CF, a
fronte di consistenze dimezzate in valore tra il 1995 e il 2002.
Anche nell’ambito degli strumenti più rischiosi emergono alcune
differenze: mentre l’incidenza dei fondi comuni è simile nelle due fonti (il
loro peso passa da circa il 5 a circa il 12 per cento negli anni considerati),
la quota di ricchezza investita in azioni e obbligazioni risulta circa il
doppio nei conti finanziari rispetto all’indagine; per entrambe le fonti, e per
i CF in misura maggiore, il loro peso sul totale delle attività si è accresciuto
significativamente nel periodo considerato, raggiungendo un picco nel
2000 (28 e 18 per cento, rispettivamente nei CF e nell’IBF) a cui ha fatto
seguito una flessione nel biennio successivo. Il peso dei titoli esteri, che nel
2002 non arriva a coprire l’1 per cento del portafoglio secondo l’IBF, è
invece superiore all’8 nei CF; il trend, in crescita sino al 2000 e poi in
ripiegamento, è simile nelle due fonti.
Per finire, le dinamiche temporali delle passività finanziarie
appaiono coerenti sia nella direzione sia nell’intensità e indicano un trend
crescente: dal 1995 al 2002 l’indebitamento delle famiglie risulta
aumentato del 65 per cento secondo l’IBF e del 78 per cento secondo i CF.
4. Le determinanti delle discordanze fra le due fonti
L’analisi sin qui condotta ha evidenziato l’esistenza di significative
differenze fra le stime campionarie e quelle aggregate delle componenti
della ricchezza finanziaria delle famiglie. Eliminate, per quanto possibile,
le cause di discordanza legate alle definizioni e ai criteri di valutazione
delle variabili, quelle residue sono riconducibili agli errori di stima e di
misura da cui sono affette le due fonti.
Le principali tipologie di errori possono essere individuate in:
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari 281
i) errori campionari, valutabili attraverso la precisione degli stimatori;
ii) errori non campionari, fra cui emergono per importanza:
ii.a) mancata partecipazione: questo errore riguarda sostanzialmente
l’IBF ed è causato dall’esistenza di una correlazione negativa fra
probabilità di partecipazione e livello di reddito/ricchezza familiare;
ii.b) errori di misura legati all’under-reporting: possono essere causati da
“effetti memoria” o dalla reticenza degli intervistati. Nell’indagine,
ad esempio, è ragionevole assumere che le famiglie più ricche siano
più reticenti a dichiarare informazioni veritiere;
ii.c) errori di misura legati ad ipotesi di stima: riguardano principalmente
i CF e possono verificarsi, ad esempio, al momento della ripartizione
del valore di un determinato strumento fra i vari settori istituzionali
(in certi casi, infatti, la ripartizione è effettuata in base a coefficienti
stimati);
ii.d) altri errori di misura legati alle tecniche di raccolta e produzione dei
dati: rientrano in questa tipologia una vasta gamma di errori che
possono colpire entrambe le fonti. Alcuni esempi sono: gli errori
dovuti al questionario; quelli causati dall’intervistatore; gli errori
nell’immissione dei dati; nel caso delle principali fonti dei CF, ossia
delle segnalazioni di vigilanza, gli errori nella classificazione delle
operazioni e/o nell’identificazione del settore istituzionale di
appartenenza del cliente, ecc.
Mentre nei CF la stima delle attività e passività delle famiglie si
fonda su una molteplicità di fonti e di metodi che rendono estremamente
complessa, e nei fatti non praticabile, l’individuazione e la quantificazione
dei vari errori, nell’IBF questa operazione è possibile per gli errori
campionari e per i primi due tipi di errori non campionari (mancata
partecipazione e under-reporting), grazie soprattutto a precedenti studi in
materia. Per tale motivo l’approccio di seguito adottato per identificare il
peso delle componenti ricordate è basato su una simulazione che parte
dalle stime campionarie. L’idea di fondo è quella di valutare come
cambierebbe il valore delle attività finanziare delle famiglie risultante dai
dati micro qualora venissero rimosse alcune cause di distorsione.
4.1 La mancata partecipazione all’indagine e l’under-reporting
Il nucleo centrale del procedimento consiste nel correggere il bias
dovuto alla mancata partecipazione all’IBF e all’under-reporting.
282 Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
Per far fronte al problema della mancata partecipazione, si è fatto
ricorso al metodo proposto da D’Alessio e Faiella (2002). Alla base del
loro contributo vi è l’idea che le famiglie con maggiore probabilità di non
risposta siano sottorappresentate nel campione e che dunque occorra
aumentarne il peso nel riporto all’universo. I due autori stimano le
probabilità di non partecipare all’indagine delle varie tipologie familiari
(distinte a seconda delle modalità di alcune variabili socio-economiche e
demografiche) attraverso un modello logistico, classificando come “non
rispondenti” le famiglie che è stato necessario contattare più volte per
ottenere l’intervista. L’ipotesi sottostante al modello è dunque che il
comportamento dei non rispondenti sia simile a quello dei rispondenti più
difficili da contattare (ad esempio quelli che avevano inizialmente rifiutato
l’intervista). Nel presente lavoro, per ottenere stime corrette delle attività
finanziare delle famiglie, i pesi originari per il riporto all’universo sono
stati dapprima aggiustati per le probabilità di non partecipazione
all’indagine (ottenute applicando il modello di D’Alessio e Faiella) e
successivamente riallineati alle caratteristiche note della popolazione.
Per sanare le conseguenze indesiderate dell’under-reporting, le
attività finanziarie sono state corrette, utilizzando la procedura di Cannari
et al. (1990), rivista poi in Cannari e D’Alessio (1993). Il metodo è basato
sull’integrazione dei dati dell’IBF con quelli rilevati da un’apposita
indagine condotta nel 1987 dalla Banca Nazionale del Lavoro sulle
caratteristiche della propria clientela e sulle sue scelte finanziarie. L’ipotesi
sottostante è che le risposte all’indagine BNL, grazie alla più stretta
relazione tra intervistatore e intervistato, siano più attendibili di quelle
dell’IBF e quindi possano essere utilizzate per correggere i risultati di
quest’ultima. La procedura di correzione è articolata in due stadi. In primo
luogo, utilizzando i dati dell’indagine BNL è stata stimata per ciascuna
tipologia familiare la probabilità di possedere uno specifico strumento
finanziario; tali probabilità sono state quindi utilizzate per imputare il
possesso dei vari strumenti al totale delle famiglie italiane. Nella seconda
fase si è proceduto alla valorizzazione della consistenza di ciascuna attività
detenuta, desumendola dal valore medio dei corrispondenti dati BNL.
Il risultato delle procedure di aggiustamento per la mancata
partecipazione e per l’under-reporting è sintetizzato nella tavola A9. Per
vincoli sulla disponibilità dei dati BNL, l’esperimento è stato condotto solo
su quattro “macro aggregati” finanziari: i depositi, i titoli di Stato, gli altri
titoli (azioni, partecipazioni, obbligazioni e fondi comuni; sono escluse le
gestioni patrimoniali, che non sono state rilevate nel 1987) e le passività
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari 283
finanziarie. Per quanto riguarda le azioni, tuttavia, è stato possibile
aggiustare i dati campionari solo per la componente relativa agli
investimenti di tipo indiretto (indicati nella sezione C del questionario) e
non anche per le partecipazioni in società di cui si riveste un ruolo di
controllo o gestione. Di conseguenza, per effettuare il confronto su basi più
omogenee, si è provveduto a scorporare la componente di investimento
diretto anche dai CF, utilizzando una stima del suo peso ricavata dall’IBF.
La prima e la seconda colonna della tavola A9 indicano il rapporto
fra stime campionarie e stime aggregate prima e dopo le sole correzioni
legate alle definizioni e ai criteri di valutazione, i cui effetti sono stati
illustrati nel precedente paragrafo. La terza e quarta colonna mostrano
come cambia il rapporto dopo aver aggiustato, rispettivamente, per la
mancata partecipazione e l’under-reporting. L’ultima colonna mostra
l’intervallo di confidenza delle stime campionarie finali: quando
l’intervallo contiene il valore 100 (casi contrassegnati da un asterisco) il
gap residuale tra le due fonti è imputabile alla variabilità campionaria (le
due stime sono quindi statisticamente equivalenti). La procedura presenta
comunque alcuni limiti che suggeriscono di interpretare i risultati finali con
molta cautela. In primo luogo, come ricordato, la voce “altri titoli” non è
perfettamente confrontabile fra le due fonti21. Inoltre, i coefficienti
utilizzati per la correzione dell’under-reporting sono rimasti invariati
rispetto allo studio (su dati del 1987) nel quale il metodo è stato
originariamente proposto. Infine, per mancanza di informazioni, tale
correzione non è stata applicata alle passività finanziarie.
La prima fase della correzione, quella cioè in cui i risultati
dell’indagine vengono modificati per tener conto della mancata
partecipazione, recupera solo in parte il gap con i CF: nel 2002 ad esempio,
il rapporto tra le stime micro e quelle macro sale di circa 9 punti
percentuali per i depositi, di 6 punti per i titoli di Stato e di circa 3 punti per
le passività finanziarie totali e gli altri titoli.
Tale risultato deve comunque essere interpretato come la correzione
massima consentita dai dati a disposizione. Non essendo infatti note
informazioni sui non partecipanti, l’unica ipotesi possibile è che la
__________
21
Nella tavola, per ragioni di chiarezza, si è preferito adottare una definizione degli strumenti quanto
più omogenea possibile con la tavola A3. Nelle ultime due colonne però, le correzioni riguardano
aggregati definiti in modo leggermente diverso. Le stime IBF dei titoli di Stato e degli altri titoli
non includono infatti le gestioni patrimoniali (comprese invece nella tav. A3). La ragione è che nel
1987 tale strumento finanziario non è stato rilevato dall’indagine.
284 Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
ricchezza dei non rispondenti sia simile a quella dei rispondenti difficili da
contattare. In realtà, però, esistono varie tipologie di non risposta. In
particolare, una categoria di non rispondenti che sicuramente la procedura
non riesce a cogliere è costituita dalle famiglie con ingenti patrimoni, che
non solo hanno una bassa probabilità di entrare a far parte del campione
(dato il loro esiguo numero nella popolazione), ma sono anche
estremamente difficili da contattare. La ricchezza finanziaria di tali
famiglie è presente nei CF, mentre non è catturata dalle indagini
campionarie.
La seconda fase della procedura di aggiustamento, che aggiunge la
correzione per l’under-reporting, consente di avvicinare in modo
significativo le stime delle due fonti. I migliori risultati sono ancora una
volta registrati per i depositi e i titoli di Stato: a partire dal 1998, con la
sola eccezione del secondo aggregato nel 2000, le stime macro cadono
nell’intervallo di confidenza delle stime campionarie. Anche per la “altri
titoli”, sebbene il gap tra le stime micro e quelle macro resti rilevante
soprattutto negli anni più recenti, la correzione avvicina notevolmente le
due stime: considerando nel confronto il dato CF depurato dalle
partecipazioni dirette, il rapporto di copertura giunge al 90 per cento circa
nel 1998, salvo ridiscendere al 55 nel 2002.
Per le passività finanziarie, come si è detto, la correzione dell’under-
reporting non è disponibile. Osservando però l’effetto medio di tale
correzione sulle altre voci, l’impressione è che il gap con le stime macro
(considerando anche la variabilità campionaria) possa essere colmato.
Nel valutare la coerenza tra le stime IBF “aggiustate” e quelle macro
si deve tener presente che le prime sono influenzate dalla particolare
struttura del portafoglio delle famiglie alla fine degli anni ottanta,
significativamente diversa da quella prevalente nel periodo del confronto22.
Quanto più il peso attribuito a un determinato strumento finanziario in fase
di aggiustamento dei risultati dell’IBF per un determinato anno è elevato
rispetto a quello che si registra effettivamente nella popolazione in
quell’anno, tanto più la procedura seguita tenderà a sovra-espandere i
risultati originari dell’indagine, e viceversa. Al contempo, tuttavia, il
confronto con i CF potrebbe risentire anche dell’eventuale bias indotto dal
__________
22
Come si è detto, nella procedura di aggiustamento la probabilità di possedere un determinato
strumento finanziario e il valore mediano posseduto sono stimati sui dati dei clienti BNL del 1987.
Attualmente è in corso un esperimento, simile a quello realizzato in collaborazione con la BNL,
che consentirà, fra l’altro, di superare molti dei limiti dell’esercizio qui condotto.
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari 285
limitato grado di diffusione di certi strumenti e dalla loro concentrazione
nelle mani di famiglie più agiate che hanno una minore probabilità di
partecipare all’indagine. Tale distorsione tenderebbe naturalmente a
deprimere le stime IBF. Per gli strumenti come i depositi, per i quali si può
assumere che l’influenza di quest’ultimo fattore sia scarsa, i risultati
sembrano riflettere piuttosto chiaramente il primo aspetto. Il rapporto fra le
stime IBF e i CF sale infatti vistosamente fra il 1995 e il 1998 (anno in cui
arriva a superare l’unità), mentre la quota dei depositi sul totale delle
attività finanziarie (nelle accezioni della tav. A9) risultante dai CF subisce
una drastica caduta (dal 31,3 al 22,5 per cento); il rapporto aumenta ancora
nel 2000, quando, in base ai CF la quota dei depositi si colloca sotto il 20
per cento, per flettere nel 2002, in concomitanza con una ripresa
dell’incidenza dei depositi sul totale delle attività finanziarie risultanti dai
CF.
4.2 Gli altri errori di misura
Un’ ulteriore causa di discrepanza fra le stime dell’indagine e quelle
dei conti finanziari è costituita dagli errori di misura elencati nei precedenti
punti ii.c) e ii.d); per questi sono però disponibili solo informazioni di
natura qualitativa.
Dal lato dei CF, le informazioni di base utilizzate per le voci della
ricchezza finanziaria netta sono tratte in gran parte dalla Matrice dei conti,
nell’ambito delle segnalazioni statistiche rese all’Istituto dagli intermediari
vigilati (in primo luogo le banche)23, o dalle segnalazioni sulle transazioni
finanziarie con l’estero, fatte all’UIC; queste fonti, che complessivamente
coprono circa tre quarti dei dati elementari alla base dei CF, sono
assoggettate dalla Banca a severi controlli di qualità24. Tuttavia, fra le
__________
23
Gli intermediari bancari e finanziari trasmettono alla Banca d’Italia, in virtù delle prescrizioni
normative da questa emanate ovvero su base volontaristica, flussi informativi periodici necessari
all’esercizio delle funzioni di vigilanza creditizia e finanziaria, di politica monetaria e di
sorveglianza del sistema dei pagamenti.
24
I dati provenienti dalla Matrice di conti, ad esempio, sono assoggettati dalla Banca a svariate
tipologie di controlli prima di essere resi disponibili per l’utilizzo interno. In sintesi, si effettuano
(i) controlli di archiviazione, per il rispetto dei protocolli tecnici previsti; (ii) controlli formali, sulla
rispondenza dei dati alle caratteristiche dei fenomeni censiti; (iii) controlli sulla coerenza tra le
varie parti della singola segnalazione e tra questa e altre segnalazioni concernenti fenomeni
correlati; (iv) controlli statistici (o andamentali), volti a verificare la congruità anche dinamica dei
dati. Di norma, pertanto, vengono recepiti nei CF già nella versione rettificata; è tuttavia possibile
che, limitatamente a fenomeni specifici, quali ad esempio i titoli in deposito, i dati possano
risentire di eventuali aggiornamenti normativi e/o di segnalazioni problematiche di alcuni
intermediari.
286 Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
restanti fonti compaiono basi informative di grande dimensione, quali
l’archivio Cerved (bilanci dell’universo delle società di capitali italiane),
sulle quali è difficile attuare controlli di qualità esaustivi; in altri casi, i dati
elementari sono essi stessi frutto di stime25. Altri importanti motivi di
revisione delle stime aggregate sono legati al processo di affinamento
metodologico, reso possibile dalla disponibilità di nuove fonti o, più in
generale, di informazioni aggiuntive che inducono a modifiche dei modelli
di stima o all’inclusione nello schema di fenomeni prima non rilevati. Vi
sono, infine, revisioni non connesse a “errori” ma a cambiamenti di
classificazione a fronte di mutamenti nelle funzioni delle unità istituzionali,
o conseguenti a decisioni assunte nelle competenti sedi internazionali sul
trattamento contabile di determinate transazioni.
Come proxy di affidabilità dei dati CF, si è costruito un indicatore
descrittivo della loro variabilità, che sia di ausilio nell’individuare i casi in
cui è più plausibile considerare le stime aggregate come un benchmark per
quelle di fonte campionaria. A questo fine, nella tavola A10 sono riportati
rispettivamente il numero di revisioni di entità significativa (maggiori, in
valore assoluto, del 5 per cento), la media delle revisioni sui dati annuali
(in valore e in termini di variazioni percentuali rispetto alla pubblicazione
precedente) e il coefficiente di variazione (rapporto tra la deviazione
standard dei dati pubblicati e la loro media) per gli strumenti considerati
nell’analisi26.
La situazione che emerge è piuttosto eterogenea. Per gli strumenti la
cui fonte è costituita da informazioni dirette tratte dalle segnalazioni
statistiche degli intermediari bancari e finanziari, quali i depositi bancari, le
quote di fondi comuni e le passività finanziarie, le revisioni sono di importi
percentuali ridotti (meno del 3 per cento, in media, nel periodo 1995-2003).
La situazione è analoga per le principali attività sull’estero (titoli e azioni),
__________
25
I controlli andamentali e di plausibilità economica sulle serie storiche, eseguiti di routine durante il
processo di produzione dei CF, sia sulle informazioni di input sia sugli aggregati finali oggetto di
pubblicazione, pur conducendo non di rado all’individuazione di errori residui, non azzerano la
probabilità di successive revisioni dei dati elementari.
26
Nel leggere i risultati non bisogna dimenticare, tuttavia, che esiste una certa discrezionalità dello
stesso produttore delle statistiche nello scegliere se, e in che misura, recepire le revisioni: la
decisione può dipendere anche da considerazioni sulla grandezza relativa del fenomeno rispetto
alle altre voci e sull’impatto che la revisione avrebbe sulle altre statistiche (la spaccatura per settore
di contropartita di molti strumenti finanziari, fa sì che i conti finanziari siano caratterizzati da
un’elevata interdipendenza tra i dati). Ne consegue che le revisioni sul passato non possono essere
attribuite soltanto alla disponibilità di informazioni nuove e/o diverse, come sarebbe invece
necessario per ottenere una buona misura di affidabilità (o robustezza) costruita in questo modo.
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari 287
che si avvalgono delle segnalazioni rese all’UIC direttamente o tramite il
sistema bancario, e per le riserve assicurative.
Laddove le componenti stimate sulla base di fonti indirette e/o
determinate a residuo hanno un peso maggiore, anche l’ampiezza e la
variabilità delle revisioni sono più elevate. È questo il caso dei titoli di
Stato a breve termine, con oscillazioni per i BOT e i CCT rispettivamente
del 6 e del 15 per cento rispetto alla media nel periodo considerato, e delle
azioni e altre partecipazioni. Per questo strumento il coefficiente di
variazione delle stime, già elevato per le azioni quotate (6,3 per cento) per
le quali sono note con modesto margine di errore le quantità in essere e i
portafogli degli investitori istituzionali, sale ulteriormente (quasi l’8 per
cento) per le non quotate e le quote di S.r.l., per le quali anche l’ammontare
complessivo in circolazione risente di procedure di stima. Nonostante
l’impiego di metodologie “a residuo”, la variabilità delle stime è invece più
contenuta per gli altri titoli di Stato (principalmente i BTP) e per le
obbligazioni (rispettivamente il 2 e il 3,5 per cento), probabilmente per
effetto di una migliore qualità delle informazioni analitiche di base.
Anche l’IBF prevede una serie di controlli di qualità sulle
informazioni rilevate, realizzati dall’intervistatore, dalla società di
rilevazione e dal Servizio Studi27.
I controlli di qualità, pur limitando il fenomeno degli errori di
misura, non possono comunque eliminarlo completamente. Un’indicazione
della sua importanza (tav. A11) può ricavarsi dall’indice di Heise (1969)
che, a condizione di disporre di almeno tre rilevazioni sulle stesse unità
panel e sotto ipotesi non troppo restrittive, permette di separare l’effettiva
variazione temporale della grandezza esaminata dagli errori di misura (cfr.
Biancotti, D’Alessio e Neri, 2004)28. Tale indice varia fra un valore
__________
27
La rilevazione dei dati è effettuata in prevalenza con l’aiuto del computer (CAPI, Computer-
assisted personal interviewing). L’intervistatore, qualora rilevi un dato anomalo o un’incoerenza
tra risposte fornite a diverse domande richiede, se possibile, spiegazioni all’intervistato e le annota
sul questionario. La società di rilevazione controlla singolarmente ogni questionario nella fase di
codifica prima di trasferire i dati su supporto elettronico. I questionari privi dei fondamentali
requisiti di qualità vengono eliminati. In una fase successiva, mediante programmi di controllo, la
stessa società individua i dati anomali e le incoerenze; per questi casi, si verifica dapprima se
l’errore ha origine nel processo interno (ad esempio nella fase di codifica o di digitazione dei dati),
nel qual caso viene rimosso. Se viceversa, l’errore risiede nel questionario viene contattata
direttamente la famiglia (in generale telefonicamente) per chiedere conto della reale situazione. Il
Servizio Studi effettua ulteriori verifiche di qualità; i dati anomali riscontrati sono sottoposti
all’attenzione della società di rilevazione che provvede alla verifica diretta presso le famiglie.
28
Il metodo si basa sulla considerazione che, in presenza di errori di misura indipendenti nel tempo e
non legati alla variabile osservata, i coefficienti di autocorrelazione stimati risultano in valore
(continua)
288 Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
minimo di zero ed un valore massimo di uno; a valori maggiori
corrispondono crescenti gradi di affidabilità delle stime.
Tra le attività finanziarie (per il cui totale l’indice è pari a 0,68), i
titoli di Stato presentano una maggiore affidabilità degli altri titoli, dei
depositi, e delle passività finanziarie (rispettivamente 0,74 contro 0,64,
0,38 e 0,54). Questo ordinamento sembra riflettere, da un lato, il fatto che,
nella percezione delle famiglie, che tendono a mantenerli in portafoglio
sino alla scadenza, i titoli di Stato, differentemente dalle azioni o dalle
quote dei fondi comuni, non sono esposti a fluttuazioni di mercato e ne
viene dichiarato il valore facciale, piuttosto facile da ricordare. Dall’altro, è
presumibile che per i depositi di vario tipo intervengano difficoltà di
memoria, in ragione del grado di liquidità dello strumento e alla frequenza
con cui vi si attinge.
Questi risultati consentono di aggiungere alcune qualificazioni a
quanto osservato in precedenza riguardo alla prossimità tra le stime micro
“aggiustate” e quelle dei CF (tav. A9). Ad esempio, per l’aggregato dei
depositi, poiché il dato dei CF appare altamente affidabile, ne esce
rafforzata l’ipotesi che la procedura di correzione per l’under-reporting,
riflettendo, come si è detto, una composizione del portafoglio delle
famiglie (quella del 1987) molto diversa dall’attuale, comporti una
sovrastima dello strumento da parte del dato di fonte IBF.
L’aggregato dei titoli di Stato mostra un buon grado di affidabilità
sia nell’indagine sia nei CF. Anche in questo caso è molto plausibile che i
pesi utilizzati per la correzione per l’under-reporting abbiano condotto a un
sovra-aggiustamento dei dati IBF, persino più marcato di quello dei
depositi. Nell’ultimo decennio la caduta della quota dei titoli di Stato
nell’attivo finanziario delle famiglie è stata infatti molto drastica: secondo i
CF è passata da oltre il 30 per cento nel 1995 al 7 per cento nel 2000
(quando la stima micro “aggiustata” è pari a 1,7 volte il dato macro), per
tornare lievemente a crescere negli anni successivi. Inoltre, poiché i titoli di
Stato hanno una diffusione piuttosto modesta tra le famiglie (9,4 per cento,
secondo l’IBF, nel 2002, contro il 78 per cento dei depositi bancari e il 17
di quelli postali) non si può escludere che i dati micro siano anche affetti,
____________________________________________________________
assoluto minori di quelli che si otterrebbero su variabili rilevate senza errore; l’entità della
sottostima è funzione dell’errore di misura. Ipotizzando che le variabili rilevate nei tre tempi siano
tra loro legate tramite modelli autoregressivi del primo ordine, il metodo ricava una stima
dell’affidabilità della misurazione del fenomeno confrontando il prodotto delle correlazioni tra i
periodi adiacenti con la correlazione tra il primo e il terzo periodo.
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari 289
all’origine, da un bias negativo non trascurabile; in tal caso, la sovrastima
risultante dalla correzione per l’under-reporting sarebbe anche maggiore di
quella che traspare dai dati della tavola A9.
L’aggregato degli “altri titoli”, dominato dalla componente
azionaria, in entrambe le fonti è quello misurato con minore affidabilità;
per tale ragione la ricerca di una coerenza fra stime campionarie e dati
macro presenta un maggior grado di aleatorietà. Si può tuttavia ipotizzare
che le correzioni apportate alle stime micro siano state, in questo caso,
insufficienti: si è infatti assistito a un forte aumento del peso di questo
aggregato nel portafoglio finanziario delle famiglie rispetto a quello
utilizzato nella procedura di aggiustamento dei dati (secondo i CF, nel solo
quinquennio 1995-2000 il peso è cresciuto dal 33 al 65 per cento).
Infine, per le passività, la forte stabilità delle stime CF autorizza a
considerare queste ultime come un benchmark per quelle di fonte IBF, per
le quali non è disponibile la correzione per l’under-reporting, da utilizzare
eventualmente per procedure alternative di calibrazione dei dati.
5. Alcuni suggerimenti per una migliore integrazione
L’esame delle differenze di definizione e classificazione tra
l’indagine e i conti finanziari ha messo in luce alcuni aspetti suscettibili di
miglioramenti, sia nella metodologia dell’indagine sia in quella dei conti
finanziari. In questo paragrafo si espongono sinteticamente alcuni
suggerimenti in tal senso, demandando a futuri progetti di ricerca il
compito di svilupparli e sperimentarli.
Per quanto riguarda l’indagine, un aspetto cruciale del raccordo con
le grandezze della contabilità finanziaria è quello della misurazione del
valore delle imprese29. Ai fini del presente lavoro rileva, in particolare, la
quota del valore dell’impresa, assimilabile all’investimento diretto, che
entra a far parte della ricchezza finanziaria delle famiglie. Nel questionario
questa informazione è contenuta in tre distinte sezioni, riferite
rispettivamente: 1) ai capifamiglia che sono gestori di società; 2) ai liberi
professionisti, imprenditori individuali, lavoratori autonomi e simili; 3) alle
imprese familiari. Mentre per il primo gruppo di soggetti viene rilevato
__________
29
Per un’analisi sulle differenze che esistono fra definizioni e metodi usati in contabilità nazionale
rispetto a quelli usati nell’IBF nella definizione della ricchezza in aziende, si veda Bonci et al.
(2005).
290 Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
direttamente il valore di mercato della quota posseduta, agli altri due
gruppi viene rivolta una domanda sul supposto valore dell’azienda in caso
di cessione, che tuttavia non specifica in modo chiaro se tale valore sia da
considerarsi al lordo o al netto delle passività finanziarie. Per migliorare la
misurazione di questa grandezza sarebbe opportuno un duplice intervento.
Da un lato la domanda in questione potrebbe essere riformulata in modo
più chiaro, escludendo esplicitamente le passività. Dall’altro, la struttura
delle due corrispondenti sezioni del questionario, che già prevede la
rilevazione delle principali voci del conto patrimoniale dell’impresa gestita
o controllata, potrebbe essere completata inserendo tra le passività la posta
relativa al TFR, che è l’unica mancante; ciò consentirebbe di ottenere come
differenza tra il totale dell’attivo e quello del passivo l’ammontare del
patrimonio netto30, ossia il valore dell’impresa da includere tra le attività
finanziarie delle famiglie.
Inoltre, nella sezione riferita alle imprese familiari non è possibile
distinguere quante di queste sarebbero da considerare tra le famiglie e
quante tra le imprese, mancando l’informazione sulla forma giuridica
dell’azienda che, assieme al numero di addetti, è una variabile chiave per la
classificazione secondo i principi del SEC95. Sarebbe quindi opportuno
aggiungere una domanda che discrimini, se non altro, tra le società
semplici e di fatto, le società di persone e le società di capitali; mediante
l’utilizzo incrociato dell’informazione sul numero degli addetti, già oggi
disponibile, sarebbe in tal modo possibile assegnare ciascun soggetto
all’uno o all’altro settore istituzionale e, conseguentemente, attribuire
all’attivo delle famiglie la partecipazione al capitale di quelle unità
classificabili tra le imprese.
Un problema ulteriore dell’indagine riguarda la rilevazione delle
assicurazioni sulla vita e dei fondi pensione. Per tali strumenti le stime
campionarie sembrano negli anni allontanarsi sempre di più da quelle
aggregate; potrebbe dunque essere opportuna una più chiara individuazione
nel questionario del tipo di polizze e/o di piani integrativi disponibili sul
mercato.
Per quanto riguarda i conti finanziari, l’analisi condotta nei
precedenti paragrafi ha posto in evidenza come nell’impianto attuale siano
assenti: 1) le partecipazione nelle imprese costituite in forma diversa dalle
società di capitali; 2) i crediti commerciali delle famiglie produttrici diversi
__________
30
Questa informazione potrebbe altresì essere sfruttata, in fase di controllo, per verificare la coerenza
con la risposta fornita riguardo al presunto valore dell’azienda.
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari 291
da quelli detenuti nei confronti delle società non finanziarie31; 3) i prestiti
dei soci e degli azionisti alle cooperative. L’indagine, soprattutto se
affinata lungo le direttrici sopra abbozzate, potrebbe fornire una stima per
queste voci, sia pure non con la frequenza e la tempestività richieste per la
pubblicazione dei CF32.
Con riferimento al punto 1), si è accennato a come il questionario
dell’indagine, opportunamente integrato, potrebbe consentire la stima del
valore del patrimonio netto delle imprese in questione33 e dunque della
corrispondente attività finanziaria delle famiglie (partecipazioni). A scopo
meramente illustrativo si è tentata una prima, grossolana valutazione di
questo aggregato, dopo aver sopperito alla mancanza del dato sul TFR
nello stato patrimoniale dell’impresa con informazioni tratte da fonti
alternative34. La stima ottenuta in prima battuta è stata successivamente
calibrata, allo scopo di attenuare il bias legato alla mancata partecipazione
all’indagine o all’under-reporting, utilizzando come informazione
ausiliaria il numero dei dipendenti di questo tipo di società nella
popolazione, di fonte censuaria. Per il 2002, il valore finale stimato per le
partecipazioni delle famiglie in società non di capitale risulterebbe pari a
circa il 6,1 per cento del totale attività finanziarie delle famiglie (valutate al
prezzo di mercato) attualmente pubblicato nei conti finanziari, con un
intervallo di confidenza fra il 4,3 e il 9,3 per cento.
Per una stima aggregata del valore dei crediti e dei debiti
commerciali delle famiglie produttrici (punto 2) sarebbe possibile utilizzare
direttamente il risultato dell’indagine che, come ricordato, nel rilevare le
principali componenti dello stato patrimoniale dell’azienda gestita o
controllata, copre i rapporti di debito/credito commerciale nei confronti di
__________
31
In realtà, anche i crediti e i debiti commerciali delle famiglie consumatrici sono assenti nei CF e
richiederebbero una valutazione; su tali strumenti finanziari non è tuttavia disponibile alcuna fonte.
32
I conti finanziari hanno frequenza trimestrale e sono pubblicati con un ritardo di circa quattro mesi
rispetto al mese finale del trimestre di riferimento.
33
In particolare, le componenti dello stato patrimoniale da considerare sarebbero: a) lo stock di
capitali fissi, di scorte e il valore delle immobilizzazioni immateriali, rilevati negli allegati B2 e B3
del questionario con la seguente domanda: “Quanto crede che potrebbe valere la sua ditta/azienda
se lei volesse venderla, cessando di svolgervi l’attività, considerando gli eventuali strumenti per
l’esercizio dell’attività, le scorte di magazzino e l’avviamento ed escludendo il valore degli
immobili?”; b) il valore dei fabbricati non residenziali (allegato D1); c) i crediti e debiti
commerciali e le passività finanziarie (allegati B2 e B3); d) il valore del fondo di Trattamento fine
rapporto (TFR), attualmente non rilevato dall’indagine.
34
Utilizzando l’archivio Cerved, che contiene i bilanci dell’universo delle società di capitali italiane,
si è calcolato il valore medio del TFR per dipendente e lo si è utilizzato come coefficiente da
applicare alle imprese dell’indagine attraverso l’informazione sul numero dei loro dipendenti.
292 Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
tutte le possibili controparti35. Per attenuare le distorsioni legate alla non
risposta e/o all’under-reporting, il valore campionario potrebbe essere
calibrato utilizzando le passività finanziarie dei CF, dato che, come visto,
presenta un’elevata affidabilità. Applicando, sempre a titolo
esemplificativo, tale procedura, nel 2002 i crediti commerciali avrebbero
un peso di circa il 2,3 per cento (rispetto all’attuale 0,2) sulla ricchezza
finanziaria lorda rilevata dai CF. Analogamente, i debiti commerciali delle
famiglie corrisponderebbero a circa il 4 per cento delle passività finanziarie
complessive.
Infine, una soluzione analoga potrebbe essere adottata per quanto
riguarda i prestiti alle cooperative (punto 3). In questo caso, la stima fornita
dall’IBF potrebbe essere calibrata con la consistenza dei depositi bancari
rilevata dai conti finanziari, anch’essa molto affidabile. Nel 2002, ad
esempio, questa soluzione porterebbe a stimare l’aggregato in misura pari
allo 0,2 per cento delle attività totali delle famiglie.
Complessivamente le integrazioni esemplificate comporterebbero
una rivalutazione delle attività e delle passività finanziarie delle famiglie
attualmente pubblicate nei CF36 dell’ordine, rispettivamente, dell’8 e del 4
per cento.
6. Conclusioni
Le stime di fonte campionaria della ricchezza finanziaria delle
famiglie italiane e quelle pubblicate nei conti finanziari non sono
immediatamente raccordabili e producono risultati prima facie fortemente
dissimili.
Lo studio effettua in primo luogo una riconciliazione dettagliata dei
dati delle due fonti; successivamente procede all’identificazione delle
cause sottostanti alle ampie discordanze residue, ricercandole fra le diverse
__________
35
I vari lavori che si sono occupati del problema si sono concentrati sostanzialmente sulla stima dei
crediti e debiti commerciali riferiti al totale delle imprese non finanziarie. Tali studi sono concordi
nel ritenere che l’ammontare pubblicato sia sottostimato del 37 per cento circa il valore vero
(Bartiloro e Di Giacinto, 2001; Beretta e Del Prete, 2001; Bronzini e Cannari, 2003); in alcuni casi
sono state anche proposte nuove metodologie di stima (Bronzini e Cannari, 2003; Bartiloro e
Coletta, 2004). I crediti e i debiti commerciali delle famiglie non si esauriscono però nei rapporti
con le imprese non finanziarie, ma riguardano anche gli altri settori istituzionali (ed in particolare
le Amministrazioni pubbliche e il resto del mondo).
36
Il valore delle attività finanziarie è quello utilizzato nell’analisi che non include il fondo TFR.
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari 293
tipologie di errori, campionari e di misura, che affliggono le stime e tenta
di quantificarne la relativa importanza.
I principali risultati possono riassumersi come segue.
La riconciliazione della definizione del settore e dei criteri di
valutazione degli strumenti tra le due fonti accresce il rapporto di copertura
tra le stime campionarie e quelle aggregate per il totale delle attività
finanziarie fra un minimo di 5 e un massimo di 9 punti percentuali negli
anni considerati; per le passività il miglioramento è compreso fra 2 e 4 per
cento. L’apporto della correzione è maggiore per i depositi (postali) e per i
titoli di Stato rispetto agli altri strumenti finanziari ed è da attribuirsi
principalmente allo scorporo dei ratei d’interesse dalla valutazione fornita
nei CF. Il grado di accostamento fra le due stime rimane comunque
piuttosto basso, raggiungendo un massimo del 36 per cento per le attività
(nel 1998) e del 49 per cento per le passività (1995).
Una delle ragioni principali della discrepanza residua sembra da
ricercarsi nella difficoltà, da parte dell’indagine, di misurare correttamente
l’ammontare degli strumenti finanziari meno diffusi (ad esempio i titoli
esteri, i pronti contro termine, i buoni postali fruttiferi, le obbligazioni
private, le azioni e partecipazioni, ma anche, in misura crescente negli anni
più recenti, i BTP), che tendono ad essere appannaggio delle famiglie più
ricche, per le quali è più bassa la probabilità di partecipare alla rilevazione.
Le famiglie con patrimoni ben superiori alla media non solo hanno una
minore disponibilità a “contrattare” l’intervista, ma sono anche molto più
difficili da raggiungere. Nell’indagine Survey of Consumer Finances (SCF)
condotta sulle famiglie degli Stati Uniti, pur essendo presenti problemi
simili, le famiglie più abbienti sono sovra-campionate, grazie alla
disponibilità di informazioni di natura fiscale, e dunque tale problema
assume una minore rilevanza. Nel presente lavoro non si è tentato di
affrontare questo aspetto, la cui trattazione richiederebbe la conduzione di
indagini ad hoc o il ricorso a informazioni ausiliarie con cui riponderare le
stime.
Si è invece valutato l’effetto della mancata partecipazione,
ipotizzando che la ricchezza dei non rispondenti sia assimilabile a quello
dei rispondenti più difficili da intervistare. Il fenomeno sembra avere un
impatto modesto: correggendo i dati per questo fattore, il rapporto di
copertura con le stime macro aumenta nel 2002 di 9 punti percentuali per i
depositi, di 6 punti per i titoli di stato e di circa 3 punti per le passività
finanziarie totali e gli altri titoli.
294 Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
L’impatto maggiore sulle stime è senz’altro quello esercitato
dall’under-reporting: intervenendo sui dati micro per sanare gli effetti di
questo fattore, nel caso dei depositi e dei titoli di Stato, che, per entrambe
le fonti, sono gli aggregati meno soggetti ad altre tipologie di errori di
misura, le differenze residue tra il dato di fonte IBF e quello aggregato
raggiungono una dimensione compatibile con quella dell’intervallo di
confidenza delle stime campionarie. Le differenze restano ancora rilevanti
per l’insieme degli altri titoli, comprensivo di azioni, partecipazioni,
obbligazioni e quote di fondi comuni; il fatto che la misurazione di tale
aggregato risulti caratterizzata da un ridotto grado di affidabilità priva
comunque il confronto di un solido ancoraggio e assoggetta i risultati
dell’esercizio per questo strumento a un maggior grado di aleatorietà.
Nel corso dell’analisi è altresì emerso che le ipotesi sulla
composizione del portafoglio sottostanti alla procedura di aggiustamento
per l’under-reporting, se lontane dalla composizione effettiva nella
popolazione, possono introdurre distorsioni significative nelle stime di
fonte campionaria. Ciò suggerisce l’opportunità di ripetere, a intervalli
temporali non troppo distanti, esperimenti analoghi a quello condotto con
la BNL nel 1987, i cui risultati sono stati presi a riferimento per le
elaborazioni contenute in questo studio.
Il lavoro di riconciliazione ha inoltre messo a fuoco alcuni aspetti,
sia dell’indagine sia dei conti finanziari, suscettibili di miglioramenti, sui
quali sono stati avanzati primi suggerimenti che potranno essere ripresi e
sviluppati in studi futuri. L’aspetto più rilevante riguarda la stima delle
partecipazioni delle famiglie nelle imprese diverse dalle società di capitali.
Il dato, attualmente assente dalla struttura dei conti finanziari, potrebbe
essere stimato con l’ausilio dell’indagine, a condizione di integrare le
sezioni del questionario relative alle principali poste del conto patrimoniale
dell’impresa familiare, o della società non di capitale di cui il capo famiglia
è socio o gestore, in modo da poter desumere, per differenza tra l’attivo e il
passivo, l’ammontare del patrimonio netto, ossia il valore da ascrivere tra
le attività finanziarie del settore delle famiglie. Sempre utilizzando le
informazioni dell’indagine sulle voci del conto patrimoniale, potrebbero
essere stimati i crediti/debiti commerciali delle famiglie produttrici, oggi
presenti nei conti finanziari solo limitatamente ai rapporti con le società
non finanziarie.
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari 295
APPENDICE I
TAVOLE
Tav. A1
296
Attività e passività finanziarie delle famiglie nell’indagine e nei conti finanziari:
voci pubblicate e criteri di registrazione
INDAGINE SUI BILANCI DELLE FAMIGLIE ITALIANE (IBF) CONTI FINANZIARI (CF)
AF ATTIVITÀ FINANZIARIE VALUTAZIONE ATTIVITÀ FINANZIARIE VALUTAZIONE
A Depositi bancari, cert. di deposito e p.c.t. Biglietti, monete e depositi a vista biglietti e monete al valore
A1 Depositi bancari in c/c presso Istituzioni finanz. monetarie facciale;
Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
A2 Depositi bancari a risparmio presso altri residenti depositi al valore nominale e
A3 Nominativi valore nominale presso resto del mondo comprensivi dei ratei d’interesse
A4 al portatore Atri depositi
A5 Certificati di deposito presso Istituzioni finanz. monetarie valore nominale e comprensivi dei
A6 Pronti contro termine presso altri residenti ratei d’interesse
B Depositi postali presso resto del mondo
B1 C/c e libretti di deposito postale valore nominale Titoli a breve termine
valore di mercato e comprensivi
B2 Buoni fruttiferi postali emessi dalle Amm. pubbliche
dei ratei d’interesse (accettazione
C Titoli di Stato italiani emessi da altri residenti bancarie al valore nominale)
C1 BOT emessi dal resto del mondo
C2 CCT Titoli a medio/lungo termine
C3 BTP valore nominale emessi da Istituzioni finanz. mon.
C4 CTZ emessi dalle Amm. centrali: CCT valore di mercato e comprensivi
dei ratei d’interesse (titoli emessi
C5 Altri titoli di Stato emessi dalle Amm. centrali: altri
dalle Amm. locali al valore
D Obbligaz. e quote di fondi comuni italiani emessi dalle Amm. locali nominale)
D1 Obbligazioni valore nominale emessi da altri residenti
D2 Quote di fondi comuni valore di mercato emessi dal resto del mondo
E Azioni e partecipazione italiane Azioni e altre partecipazioni
E1 Azioni quotate emesse da residenti
E3 Azioni di società non quotate valore di mercato Di cui: azioni quotate valore di mercato
E4 Quote di S.r.l. emesse dal resto del mondo
E5 Quote di società di persone
segue Tav. A1
Attività e passività finanziarie delle famiglie nell’indagine e nei conti finanziari:
voci pubblicate e criteri di registrazione
INDAGINE SUI BILANCI DELLE FAMIGLIE ITALIANE (IBF) CONTI FINANZIARI (CF)
AF ATTIVITÀ FINANZIARIE VALUTAZIONE ATTIVITÀ FINANZIARIE VALUTAZIONE
F Gestioni patrimoniali Quote di fondi comuni
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari
F1 Presso banche emesse da residenti valore corrente di rimborso
valore di mercato
F2 Presso SIM emesse dal resto del mondo
F3 Gestioni fiduciarie Riserve tecniche di assicurazione
valore corrente dei diritti degli assicurati al
G Titoli esteri (emessi da non residenti) Riserve ramo vita e fondi pensione
pagamento del capitale o di una rendita
G1 Obbligazioni e titoli di Stato esteri valore nominale Riserve premi e sinistri
G2 Azioni e partecipazioni estere Altri conti attivi e passivi
valore di mercato
G3 Altro emesso da non residenti Crediti commerciali
H Prestiti alle cooperative (Coop, ecc.) Altri
I Assicurazioni vita e fondi pensione valore nominale
L Crediti commerciali
PF PASSIVITÀ FINANZIARIE VALUTAZIONE PASSIVITÀ FINANZIARIE VALUTAZIONE
PF1 Debiti verso banche e soc. finanziarie Prestiti a breve termine
valore nominale e
PF2 Debiti commerciali
valore nominale
di Istituzioni finanz. monetarie comprensivi dei ratei d’interesse
PF3 Debiti verso altre famiglie di altre società finanziarie
Prestiti a medio/lungo temine
di Istituzioni finanz. monetarie valore nominale e
di altre società finanziarie comprensivi dei ratei d’interesse
di Amm. pubbliche
Riserve tecniche di assicurazione valore corrente dei diritti degli assicurati al
297
Riserve ramo vita e fondi pensione pagamento del capitale o di una rendita
298 Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
Tav. A2
Il peso delle istituzioni sociali private e della diversa
valutazione delle consistenze nei CF
Incidenza percentuale sul valore originario dei CF degli importi detenuti dalle
istituzioni senza scopo di lucro
Strumenti finanziari 1995 1998 2000 2002
AF Attività finanziarie 1,8 1,4 1,6 1,6
A Depositi bancari 2,8 2,6 3,9 3,3
B Depositi postali 1,5 1,3 1,5 1,8
C Titoli di stato italiani 2,1 2,4 3,0 2,4
D Obbligazioni e quote di f. comuni 1,1 1,0 1,2 1,2
E Azioni e partecipazioni italiane 1,1 0,9 1,2 1,2
G Titoli esteri 0,4 0,3 0,3 0,4
H Assicurazioni vita e fondi pensione 0,0 0,0 0,0 0,0
PF Passività finanziarie 3,6 2,7 2,0 2,8
Incidenza percentuale sul valore originario dei CF dei ratei di interessi e diversi
criteri di valutazione
Strumenti finanziari 1995 1998 2000 2002
AF Attività finanziarie 6,7 11,1 9,5 9,2
A Depositi bancari 0,6 0,2 0,1 0,1
B Depositi postali 26,4 30,6 31,4 30,6
C Titoli di stato italiani 2,3 10,2 11,0 8,8
D Obbligazioni e quote di f. comuni 27,7 6,0 3,4 1,2
E Azioni e partecipazioni italiane 0,0 0,0 0,0 0,0
G Titoli esteri 0,2 0,5 0,5 0,7
H Assicurazioni vita e fondi pensione 0,0 0,0 0,0 0,0
PF Passività finanziarie 0,0 0,0 0,0 0,0
Tav. A3
La ricchezza finanziaria delle famiglie: stime campionarie, CF e grado di copertura
(dopo riconciliazione; dati in milioni di euro e in percentuale della stima IBF sulla corrispondente voce dei CF)
Codice 1995 1998 2000 2002
IBF
Strumenti finanziari
IBF CF % IBF CF % IBF CF % IBF CF %
AF Attività finanziarie 437.258 1.309.452 33,4 667.400 1.837.583 36,3 786.150 2.365.497 33,2 744.961 2.396.453 31,1
(= AF1+AF2+AF3+G+AF4)
AF1 Depositi (= A+B) 152.799 409.480 37,3 248.796 412.579 60,3 281.634 469.782 59,9 320.351 557.851 57,4
A Depositi bancari, certificati di dep., p.c.t. 138.553 332.316 41,7 229.708 319480 71,9 241.822 360.241 67,1 274.120 421.467 65,0
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari
A1 depositi bancari in c/c 84.310 169.017 49,9 161.946 210.745 76,8 204.312 246.012 83,0 217.502 296.704 73,3
A2 depositi bancari a risparmio 25.467 40.856 62,3 48.563 43.490 111,7 23.877 49.756 48,0 45.733 53.236 85,9
A5 certificati di deposito 18.469 75.790 24,4 14.037 34.175 41,1 7.480 26.030 28,7 6.372 24.217 26,3
A6 pronti contro termine 10.307 46.653 22,1 5.162 31.071 16,6 6.153 38.443 16,0 4.513 47.312 9,5
B Depositi postali 14.246 77.165 18,5 19.088 93.099 20,5 39.812 109.541 36,3 46.231 136.383 33,9
B1 c/c e libretti di deposito postale 6.380 27.106 23,5 10.858 30.205 35,9 28.263 40.717 69,4 35.432 59.689 59,4
B2 buoni fruttiferi postali 7.866 50.059 15,7 8.230 62.894 13,1 11.549 68.824 16,8 10.799 76.694 14,1
AF2 Titoli di Stato (= C) 132.437 397.541 33,3 93.672 222.121 42,2 96.274 167.476 57,5 66.924 212.926 31,4
C Titoli di stato italiani 132.437 397.541 33,3 93.672 222.121 42,2 96.274 167.476 57,5 66.924 212.926 31,4
C1 BOT 75.837 167.283 45,3 42.629 46.542 91,6 46.825 24.809 188,7 30.356 32.094 94,6
C2 CCT 30.763 116.445 26,4 21.261 60.450 35,2 19.135 39.193 48,8 14.214 34.849 40,8
C3 BTP 20.373 99.777 20,4 21.107 99.052 21,3 24.653 93.437 26,4 18.216 136.492 13,3
C4+C5 CTZ e altri titoli di Stato 5.464 14.036 38,9 8.675 16.077 54,0 5.661 10.037 56,4 4.138 9.492 43,6
AF3 Altri titoli (= D+E+F) 84.958 430.467 19,7 228.424 1.081.019 21,1 296.637 1.541.437 19,2 240.670 1.371.269 17,6
D Obbligaz., quote di f. comuni italiani 32.111 129.071 24,9 106.134 515.846 20,6 142.300 620.376 22,9 131.640 598.537 22,0
D1 obbligazioni 11.143 67.567 16,5 27.676 163.610 16,9 31.656 216.179 14,6 45.020 292.999 15,4
D2 quote di fondi comuni 20.968 61.504 34,1 78.458 352.235 22,3 110.644 404.197 27,4 86.620 305.538 28,3
E Azioni e partecipazioni italiane 50.720 222.533 22,8 115.680 395.569 29,2 145.000 656.107 22,1 102.786 577.108 17,8
E1 azioni quotate 12.109 50.649 23,9 37.197 139.292 26,7 56.907 190.511 29,9 41.696 116.850 35,7
E3+E4 azioni non quotate e quote di S.r.l.. 38.611 171.885 22,5 78.483 256.277 30,6 88.093 465.597 18,9 61.090 460.258 13,3
G Titoli esteri (emessi da non residenti) 2.127 78.863 2,7 6.610 169.605 3,9 9.337 264.953 3,5 6.244 195.624 3,2
G1 obbligazioni e titoli di Stato esteri 1.382 30.283 4,6 4.609 56.456 8,2 3.203 73.390 4,4 3.714 89.310 4,2
G2 azioni e partecipazioni estere 345 26.086 1,3 1.834 60.588 3,0 2.780 108.450 2,6 1.995 67.269 3,0
G3 altro, emesso da non residenti 399 22.494 1,8 167 52.561 0,3 3.355 83.113 4,0 535 39.045 1,4
299
H Assicurazioni vita e fondi pensione 55.386 68.257 81,1 83.824 117.692 71,2 92.825 182.653 50,8 93.675 249.140 37,6
Tav. A4
300
La ricchezza finanziaria delle famiglie: differenza fra stime campionarie e CF dopo riconciliazione
(dati in milioni di euro, l’errore standard è calcolato sulle stime di fonte indagine)
1995 1998 2000 2002
Strumenti finanziari
CF-IBF Err. St. CF-IBF Err. St. CF-IBF Err. St. CF-IBF Err. St.
Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
Attività finanziarie 872.194 15.519 1.170.18 41.157 1.579.346 50.537 1.651.492 36.549
Deposti bancari 193.763 4.417 89.772 12.101 118.418 17.129 147.347 22.802
Depositi postali 62.918 867 74.010 1.383 69.729 7.269 90.152 7.850
Titoli di Stato italiani 265.104 6.324 128.449 9.096 71.202 16.023 146.002 7.526
Obbligazioni 56.424 2.560 135.934 4.489 184.523 5.505 247.979 5.827
Quote di fondi comuni 40.536 2.259 273.777 9.360 293.553 12.676 218.918 7.764
Azioni, partecipazioni italiane 171.813 9.977 279.889 25.590 511.107 26.050 474.322 14.840
Titoli esteri 76.737 401 162.995 1.313 255.616 3.324 189.380 1.105
Assicuraz.. vita e fondi pensione 12.871 2.634 33.868 4.058 89.828 5.039 155.465 4.246
Crediti commerciali -7.971 1.427 -8.510 2.290 -14.630 3.029 -18.074 5.692
Passività finanziarie 82.711 4.166 115.578 6.457 142.483 6.984 162.389 9.142
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari 301
Tav. A5
La composizione del portafoglio finanziario delle famiglie
(valori percentuali)
1995 1998 2000 2002
Strumenti finanziari
IBF CF IBF CF IBF CF IBF CF
Depositi bancari 31,7 25,7 34,4 17,6 30,8 15,6 36,8 17,9
Depositi postali 3,3 5,9 2,9 5,1 5,1 4,6 6,2 5,7
Titoli di Stato italiani 30,3 30,5 14,0 12,2 12,2 7,2 9,0 9,0
strumenti “meno rischiosi” 65.3 62.1 51.3 34.9 48.1 27.4 52.0 32.6
Obbligazioni 2,5 5,1 4,1 8,9 4,0 9,1 6,0 12,2
Quote di fondi comuni 4,8 4,7 11,8 19,1 14,1 17,0 11,6 12,7
Azioni, partecipazioni italiane 11,6 16,9 17,3 21,4 18,4 27,6 13,8 24,0
strumenti “più rischiosi” 18.9 26.7 33.2 49.4 36.5 53.7 31.4 48.9
Titoli esteri 0,5 5,9 1,0 9,1 1,2 11,1 0,8 8,1
Assicurazioni vita e f. pensione 12,7 5,1 12,6 6,3 11,8 7,6 12,6 10,2
Crediti commerciali 2,7 0,3 1,9 0,2 2,4 0,2 3,1 0,2
Attività finanziarie 100 100 100 100 100 100 100 100
Passività finanziarie (1) 18,5 12,9 14,2 11,4 15,1 11,1 17,8 12,6
(1) calcolato sul totale delle attività finanziarie.
Tav. A6
La dinamica del portafoglio finanziario
(indici: 1995=100)
IBF CF
Strumenti finanziari
1995 1998 2000 2002 1995 1998 2000 2002
Depositi bancari 100 166 175 198 100 96 110 127
Depositi postali 100 134 279 324 100 120 142 177
Titoli di Stato italiani 100 71 73 51 100 56 42 54
Obbligazioni 100 248 349 283 100 242 320 434
Quote di fondi comuni 100 374 443 410 100 572 658 497
Azioni e partecipazioni 100 228 286 203 100 177 295 259
Titoli esteri 100 311 439 294 100 215 335 248
Assicurazioni vita e f. pensione 100 151 168 169 100 172 268 365
Crediti commerciali 100 109 161 200 100 113 112 142
Attività finanziarie 100 153 179 170 100 140 180 183
Passività finanziarie 100 117 147 164 100 124 155 178
302 Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
Tav. A7
Possesso di attività finanziarie nell’IBF
(percentuale di famiglie)
Codice IBF Strumenti finanziari 1995 1998 2000 2002
AF Attività finanziarie 86,7 8 6,8 86,1 86,3
(=AF1+AF2+AF3+G+AF4)
AF1 Depositi (=A+B) 85,4 86,0 85,4 85,8
A Depositi bancari, certificati di dep., p.c.t. 81,3 82,2 79,7 77,9
A1 depositi bancari in c/c 68,9 73,2 73,2 73,0
A2 depositi bancari a risparmio 26,7 28,0 17,7 13,5
A5 certificati di deposito 5,3 3,7 2,0 1,2
A6 pronti contro termine 1,2 0,7 0,6 0,5
B Depositi postali 14,6 15,0 16,6 18,6
B1 c/c e libretti di deposito postale 9,6 11,5 13,8 16,9
B2 buoni fruttiferi postali 7,4 5,9 5,4 4,8
AF2 Titoli di Stato (=C) 26,4 11,8 11,7 9,4
C Titoli di stato italiani 26,4 11,8 11,7 9,4
C1 BOT 22,4 8,7 9,5 7,1
C2 CCT 7,8 4,4 3,3 2,0
C3 BTP 4,4 2,5 1,9 2,0
C4+C5 CTZ e altri titoli di Stato 1,2 0,8 0,7 0,6
AF3 Altri titoli (=D+E+F) 11,7 16,0 19,2 20,5
D Obbligaz., quote di f. comuni italiani 5,9 12,5 14,4 14,0
D1 obbligazioni 2,6 5,1 5,7 6,0
D2 quote di fondi comuni 4,2 9,6 11,6 10,2
E Azioni e partecipazioni italiane 7,4 7,8 9,7 11,3
E1 azioni quotate 4,2 7,1 9,2 9,0
E3+E4 azioni non quotate e quote di S.r.l. 1,8 2,3 1,8 1,8
G Titoli esteri (emessi da non residenti) 0,4 0,8 1,2 1,1
G1 obbligazioni e titoli di Stato esteri 0,3 0,4 0,6 0,7
G2 azioni e partecipazioni estere 0,1 0,5 0,6 0,4
G3 altro, emesso da non residenti 0,1 0,1 0,2 0,1
H Assicurazioni vita e fondi pensione 27,9 29,2 27,6 24,0
AF4 Crediti commerciali 4,5 3,5 4,2 4,7
PF Passività finanziarie (=PF1+PF2) 24,7 22,6 22,6 21,1
PF1 Debiti verso banche e soc. finanziarie 24,7 22,6 22,6 21,1
PF1 Debiti commerciali 3,8 2,9 3,2 1,5
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari 303
Tav. A8
La ricchezza in aziende del settore famiglie
Composizione delle aziende
Aziende
Imprese individuali, soc. Società di capitali
Società di persone
semplici e soc. di fatto (quotate e non quotate)
N° addetti N° addetti
≤5 >5
Settori Famiglie
Società e quasi-società
SEC95 produttrici
Valutazione della ricchezza in aziende nella Contabilità nazionale e nell’IBF
Attività Attività
Contabilità
reali finanziarie
nazionale
(Conto Valore di: Valore
Valore delle
patrimo- beni capitali delle part. Valore delle
partecipazioni
niale) scorte comples- partecipazioni complessive
complessive
avviamento sive
Valore di: Valore di:
Valore delle Valore delle Valore Valore
beni capitali beni capitali
IBF partecipazioni partecipazioni delle part. delle part.
scorte scorte
di controllo finanziarie di controllo finanziarie
avviamento avviamento
Definizione teorica dello strumento “azioni e altre partecipazioni”
IBF Si Si Si Si
CF (SEC95) Si Si Si Si Si
Disponibilità delle stime per le varie componenti nelle due fonti
IBF Si Si Si Si Si Si
CF (*) Si Si
Confronto Si Si
(*) Stime macro non disponibili, ma ricostruibili a partire dai dati di flusso.
304 Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
Tav. A9
Effetto delle correzioni nel confronto fra stime IBF e CF
(stime IBF in percentuale della corrispondente voce dei CF)
Dati Dati corretti Dati IBF corretti Dati IBF Variabilità
non per differenze anche per corretti anche campionaria
Strumenti
aggiustati definitorie mancata per under- (int. di conf.
finanziari
partecipazione reporting al 95%)
(a) (b) (c) (c)
1995
Depositi 33,8 37,2 39,3 67,7 57,9 - 77,4
Titoli di Stato 33,4 33,3 36,6 80,5 63,0 - 97,9
Altri titoli 20,9 19,7 22,2 78,7 60,6 - 96,7
Passività finanz. 47,1 49,4 60,2 n.d. 50,5 - 69,9
1998
Depositi 50,7 60,3 67,1 121,4 * 93,7 - 149,2
Titoli di Stato 37,0 42,2 50,0 96,2 * 74,2 - 118,2
Altri titoli 21,1 21,1 28,0 89,9 * 56,3 - 123,5
Passività finanz. 47,1 49,4 60,2 n.d. 50,5 - 69,9
2000
Depositi 52,4 59,9 68,9 139,9 * 98,9 - 180,8
Titoli di Stato 49,6 57,5 64,6 173,9 119,4 - 228,3
Altri titoli 18,8 19,2 22,4 66,0 36,3 - 95,6
Passività finanz. 47,1 49,4 60,2 n.d. 50,5 - 69,9
2002
Depositi 50,3 57,4 66,7 119,5 * 86,8 - 152,1
Titoli di Stato 33,4 31,4 37,2 100,7 * 71,8 - 129,6
Altri titoli 17,3 17,6 20,0 54,9 38,0 - 71,7
Passività finanz. 47,1 49,4 60,2 n.d. 50,5 - 69,9
(a) I dati delle due fonti incorporano le differenze sia per la definizione del settore delle famiglie
che i criteri di valutazione degli strumenti finanziari. La sola riconciliazione effettuata è quella del
grado di aggregazione delle voci riportate. – (b) I dati sono coerenti sia per il settore di riferimento
che per la valutazione degli strumenti. – (c) La correzione non si effettua per le passività
finanziarie. Per la voce “altri titoli”, inoltre, la correzione è applicata solo alle azioni, obbligazioni
e quote di fondi comuni. Per maggiore omogeneità, dalla voce dei CF è stata esclusa una stima
delle partecipazioni indirette detenute delle famiglie. Le gestioni patrimoniali, non rilevate nel
1987, sono escluse dal dato IBF, mentre sono incluse nei CF.
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari 305
Tav. A10
(a)
Le revisioni nei conti finanziari delle famiglie
Variazioni rispetto alla pubblicazione precedente
(dati in milioni di euro e valori percentuali)
Ammontare
Numero di Ammontare Coeff. di
medio delle
revisioni medio delle variazione
Strumenti revisioni in
revisioni
> 5% valore (%)
percentuali
assoluto
Attività finanziarie 3 34520 1.4 2.4
Depositi 2 2201 0.5 1.5
Depositi bancari in c/c 2 1249 0.5 1.7
Depositi bancari a risparmio 2 405 1.0 2.9
Certificati di deposito 2 116 0.5 1.6
Pronti contro termine 2 384 1.1 3.8
c/c e libretti di deposito postale 7 830 2.1 4.8
Buoni fruttiferi postali 0 26 0.0 0.1
Titoli di stato italiani 6 3401 1.2 3.5
BOT (b) 2 622 4.2 6.4
CCT (b) 9 3849 4.4 14.6
BTP 2 240 0.2 0.8
CTZ e altri titoli di Stato 4 226 1.4 2.0
Altri titoli 4 30954 2.0 3.5
Obbligazioni 5 2983 1.5 3.5
Quote di fondi comuni 0 85 0.0 0.1
Azioni quotate 8 4357 4.2 6.3
Azioni non quotate e quote di S.r.l. 12 14784 5.3 7.7
Obbligaz. e titoli di Stato esteri 0 13 0.0 0.0
Azioni e partecipazioni estere 0 94 0.1 0.2
Altro emesso da non residenti 7 1579 3.2 6.3
Assicurazioni vita e fondi pensione 1 933 0.4 0.5
Crediti commerciali 3 43 0.9 1.6
Passività finanziarie 0 113 0.0 0.1
(a) Si sono confrontate, per i singoli strumenti e per gli anni dal 1995-2002, le stime presenti
nelle varie edizioni dei CF (fino a quella del 2003Q4). Le varie voci sono qui presentate con un
dettaglio coerente con il resto del lavoro, diverso da quello utilizzato nei CF. Tutte le revisioni
sono considerate in valore assoluto, onde evitare che le variazioni al rialzo fossero sterilizzate da
quelle al ribasso. – (b) L’entità delle revisioni sulle consistenze di BOT e CCT detenuti dalle
famiglie è il risultato di una significativa variazione dei dati sul 2002, dovuta ad una
riclassificazione di un ammontare di entità rilevante tra i due strumenti (cfr. l’Appendice alla
Relazione sull’anno 2003, in particolare la nota alla tavola aB80). Se si esclude questa
variazione, la media delle revisioni percentuali e il coefficiente di variazione sui BOT scendono
rispettivamente a 0,3 per cento e 0,9 per cento, mentre gli stessi indici per i CCT scendono a 3
per cento e 12 per cento.
306 Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
Tav. A11
Indice di affidabilità di Heise per le stime campionarie
1989, 1991, 1995, 1998,
Grandezze
1993 2000
Ricchezza netta (= AR+AF-PF) 0,83 0,82
Attività reali (AR) 0,82 0,79
Immobili 0,82 0,86
di cui abitazione di residenza 0,83 0,90
Aziende 0,67 0,56
Attività finanziarie (AF) 0,85 0,68
Depositi bancari e postali 0,50 0,38
Titoli di Stato 0,99 0,74
Altri titoli (azioni, obbligazioni, f. comuni, etc.) 0,74 0,64
Passività finanziarie (PF) 0,59 0,54
per acquisto o ristrutturazione di immobili 0,63 0,54
per acquisto di mezzi di trasporto 0,37 0,72
per l’acquisto di mobili ed elettrodomestici - 0,11
per l’acquisto di beni non durevoli 0,04 0,16
Fonte: Biancotti, D’Alessio e Neri (2004).
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari 307
APPENDICE II
NOTE METODOLOGICHE
Le famiglie nei conti finanziari
Nei conti finanziari i due settori delle famiglie e delle istituzioni
senza scopo di lucro al servizio delle famiglie vengono rappresentati in
forma aggregata.
Famiglie. – Il settore comprende individui o gruppi di individui nella
loro funzione di consumatori e nella eventuale funzione di imprenditori,
che producono beni e servizi non finanziari e servizi finanziari destinabili
alla vendita purché, in quest’ultimo caso, il loro comportamento
economico e finanziario non sia tale da configurare una quasi-società. Le
risorse principali di queste unità provengono da redditi da lavoro
dipendente, da redditi da capitale, da trasferimenti effettuati da altri settori,
da entrate derivanti dalla vendita della produzione o da entrate imputate per
i prodotti destinati all’autoconsumo.
Nel settore famiglie rientrano: gli operai, gli impiegati, i lavoratori
dipendenti, i pensionati, i redditieri, i beneficiari di altri trasferimenti.
Fanno inoltre parte delle famiglie le società semplici, le società di fatto, le
imprese individuali, la cui funzione principale sia produrre beni e servizi
non finanziari destinabili alla vendita, con un numero di addetti fino a
cinque unità.
Pur non essendo obbligatorio ai sensi del SEC95, l’Italia distingue
tra attività e passività finanziarie di famiglie consumatrici, da un lato, e
imprese individuali (o famiglie produttrici), dall’altro. Al momento queste
informazioni non sono pubblicate con evidenza separata.
Istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie. – Il settore
comprende le unità istituzionali senza scopo di lucro al servizio delle
famiglie, dotate di personalità giuridica o alle quali si riconosce rilevanza
economica, che producono beni e servizi non destinabili alla vendita. Le
risorse principali delle unità appartenenti a questo settore, oltre a quelle
derivanti da vendite occasionali, provengono da contributi volontari in
denaro o in natura versati dalle famiglie nella loro funzione di consumatori,
da pagamenti effettuati dalle Amministrazioni pubbliche e da redditi da
capitale.
308 Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri
Per convenzione rientrano nel settore le seguenti istituzioni, pur non
ricorrendo le condizioni sopra indicate: le istituzioni e gli enti ecclesiastici
e religiosi; i partiti politici e le organizzazioni ausiliarie (ad esempio le
organizzazioni giovanili associate a un partito politico); i sindacati e le
associazioni con fini prevalentemente sindacali; gli ordini professionali.
Le famiglie nell’indagine
Ai fini dell’indagine, per “famiglia” si intendono tutte le persone che
vivono stabilmente insieme, nella medesima abitazione, e che mettono in
comune tutto o una parte del reddito (è considerata famiglia anche quella
composta da una sola persona).
Sono considerati componenti della famiglia anche gli assenti
temporanei, quali: persone in ferie, assenti temporanei per studio o per
malattia ed altri eventuali non parenti che vivono stabilmente nella famiglia
e che mettono in comune tutto o parte del reddito. Non sono invece
considerati nella famiglia i soggetti che, pur “convivendo" sotto lo stesso
tetto, gestiscono le loro entrate e le loro spese separatamente dalla famiglia
(ad esempio il personale di servizio, gli inquilini di affittacamere, ecc.).
La definizione di famiglia include sia le famiglie produttrici che le
famiglie consumatrici, non sono invece incluse le Istituzioni senza scopo di
lucro.
La ricchezza finanziaria nei conti finanziari 309
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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.
DISCUSSIONE DEL LAVORO DI R. BONCI,
G. MARCHESE E A. NERI
Daniele Fano∗
Il lavoro di Riccardo Bonci, Grazia Marchese e Andrea Neri ha il
pregio di consentire di fare il punto, in maniera argomentata e dettagliata,
sulle caratteristiche specifiche e sull’affidabilità delle due fonti di
informazione sulla ricchezza delle famiglie, i dati aggregati dei conti
finanziari e i dati campionari dell’indagine sui bilanci delle famiglie. I
risultati appaiono, nell’insieme, incoraggianti: gli studiosi e tutti gli
utilizzatori delle statistiche possono contare, salvo le inevitabili cautele per
categorie quali le azioni non quotate, su dati macro e micro di sicura
rilevanza. Il contesto dei mercati, con la crescente istituzionalizzazione del
risparmio, favorisce il miglioramento della qualità dei dati nel tempo, ma è
certo che senza lo sforzo continuo e rigoroso del Servizio Studi della Banca
d’Italia non disporremmo oggi di fonti così valide.
Nessuna delle due fonti, quella aggregata sui conti finanziari e quella
micro che scaturisce dall’indagine, gode sempre di buona stampa. I conti
finanziari delle famiglie hanno tradizionalmente alcune componenti
calcolate “a residuo” rispetto ad altri settori e altre componenti la cui stima
è fortemente aleatoria, come le azioni non quotate. L’indagine sui bilanci
delle famiglie è viziata da forte under-reporting e mis-reporting. Un esame
attento permette tuttavia di scartare un pessimismo generico riguardo alla
qualità e alla confrontabilità dei dati.
Come proxy dell’affidabilità delle fonti macro gli autori
costruiscono un indicatore descrittivo della loro variabilità. Laddove la
fonte dei dati è costituita dalle informazioni dirette degli intermediari, le
revisioni sono di importi ridotti e l’affidabilità appare molto alta. Ciò
appare molto incoraggiante poiché la tendenza all’istituzionalizzazione del
risparmio delle famiglie appare un trend inarrestabile e, quindi, nel tempo,
la componente più affidabile dei conti appare destinata a crescere ancora.
Gli scarti tra le stime campionarie e le consistenze aggregate dei
conti finanziari sono più rilevanti per le obbligazioni (16 per cento), i fondi
__________
∗
Responsabile Studi Economici, Pioneer Global Asset Management.
312 Daniele Fano
comuni (30 per cento), le azioni quotate (30 per cento; 23 per cento per le
non quotate), i titoli di Stato (dal 30 al 57 per cento).
L’importanza della distribuzione della ricchezza viene giustamente
evidenziata dagli autori in quanto impatta sulla differenza tra il valore
medio rispecchiato dalla contabilità nazionale e il valore mediano che
risulta dalle indagini campionarie.
Gli autori si soffermano quindi sulle correzioni che, su questa base,
si possono apportare all’under-reporting.
A questo proposito vorrei dare un contributo a supporto dei risultati
raggiunti. Il gruppo Unicredito italiano ha condotto una propria indagine in
parallelo con quella della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie nel 2002.
I risultati, di prossima pubblicazione per quanto riguardo la tematica della
correzione dell’under-reporting, sono stati incrociati con i dati
amministrativi dei clienti intervistati, nel rispetto, naturalmente, della
normativa sulla privacy. In tal modo l’under-reporting ha potuto essere
misurato con un riscontro obiettivo. Il fatto interessante è che, pur con tanti
anni di distanza e con una base di misurazione più precisa, i risultati non
appaiono discostarsi in maniera sostanziale da quelli ottenuti dal lavoro
fatto con BNL e utilizzato in questo paper. Si tratta di una conferma
importante e molto incoraggiante riguardo all’affidabilità dei dati
“corretti”.
Nessuno meglio di chi produce i dati è in grado di rivelarne le
peculiarità, i limiti. Non tutti i produttori trovano però il modo e il tempo di
fornirne un’appropriata guida alla lettura e alla comprensione. Da questo
punto di vista il contributo in esame appare particolarmente pregevole.
Sessione 3
L’ITALIA
Presidente: Luigi Spaventa
RICCHEZZA FINANZIARIA E INDEBITAMENTO
DELL’ECONOMIA ITALIANA DAL 1950 AL 2004
Riccardo De Bonis*
1. Introduzione
Nel 1951 l’Italia era un paese agricolo. Il reddito pro-capite era il 50
per cento di quello inglese e meno del 70 per cento di quello francese. Le
attività finanziarie erano una volta e mezzo il PIL (fig. 1). Le attività verso
i non residenti erano il 10 per cento del PIL (fig. 2).
Nel dopoguerra l’Italia è diventata un paese industriale. Oggi il
reddito pro-capite è circa il 90 per cento di quello inglese e il 96 per cento
di quello francese (in anni passati il confronto era per noi più favorevole).
Le attività finanziarie sono 7 volte il PIL. Le attività verso non residenti
sono pari al PIL.
Obiettivo di questo lavoro è offrire una sintesi dello sviluppo
finanziario italiano dal 1950 a oggi, utilizzando come fonte principale le
consistenze di attività e passività finanziarie ricostruite da Bonci e Coletta
(2006). Si analizzano i cambiamenti del risparmio delle famiglie,
dell’indebitamento delle imprese, della struttura di bilancio delle società
finanziarie, in particolare delle banche. Un’attenzione minore è rivolta al
settore delle Amministrazioni pubbliche, data la numerosità dei contributi
sull’evoluzione di lungo periodo del debito pubblico1, e ai rapporti con il
resto del mondo, che avrebbero meritato una trattazione autonoma2.
L’evoluzione della struttura finanziaria è interconnessa con la
dinamica dell’economia reale, in particolare con l’andamento del ciclo
economico, degli investimenti, dell’inflazione; risente dei cambiamenti
__________
*
Banca d’Italia, Servizio Studi. Si ringraziano Massimo Coletta, Giuseppe Della Torre, Giuseppe
Marotta, Federico Signorini e Ignazio Visco per i commenti a una versione precedente del lavoro.
Miria Rocchelli ha curato le tavole e i grafici. Le opinioni espresse nel testo sono personali e non
impegnano la responsabilità della Banca d’Italia.
1
Cfr. Artoni e Biancini (2003). Nei conti finanziari le passività delle Amministrazioni pubbliche
(AP) sono diverse dal debito pubblico. Le prime, infatti, sono considerate al valore di mercato,
mentre il debito pubblico è di norma espresso in termini nominali. Nei conti finanziari, inoltre, le
passività delle AP comprendono strumenti, ad esempio i derivati, non inclusi nella definizione
consueta di debito (cf. Banca d’Italia, 2006).
2
Si veda Biagioli (1995).
316 Riccardo De Bonis
nella regolamentazione bancaria e finanziaria3; è influenzata dal regime
della politica monetaria e dalle innovazioni fiscali, come mostrato dal
saggio di Ricotti e Sanelli in questo volume. Senza dimenticare
l’importanza di questi nessi, essi saranno trattati al minimo, soprattutto per
esigenze di spazio.
Ci siamo concentrati sui principali strumenti finanziari disponibili
nell’economia: biglietti e monete, depositi, titoli, prestiti, azioni e
partecipazioni, quote di fondi comuni, riserve tecniche di assicurazione e
quote di fondi pensione (cfr. tav. 1). Secondo la tradizione prevalente dei
conti finanziari italiani, le statistiche presentate nel lavoro non sono
consolidate.
Dopo l’introduzione, il lavoro è suddiviso in cinque paragrafi,
dedicati ai cinque decenni che seguono il 1950. Il paragrafo 7 riassume le
tendenze principali di lungo periodo.
2. Gli anni cinquanta: successi e incertezze
Negli anni cinquanta, in un quadro di stabilità monetaria (il costo
della vita crebbe in media del 3,5 per cento all’anno) e di forte crescita
economica (il PIL aumentò di oltre il 6 per cento medio annuo), le autorità
monetarie puntarono a un rafforzamento del sistema creditizio, dopo i
fallimenti degli anni trenta4. L’aumento del numero degli sportelli bancari
fu funzionale all’obiettivo di accrescere la raccolta del risparmio. All’inizio
del decennio i depositi erano pari a circa il 50 per cento del totale delle
attività finanziarie delle famiglie; il peso del circolante superava il 10 per
cento (tav. 2).
Negli anni cinquanta le obbligazioni e le azioni ebbero un ruolo
rilevante nel finanziamento delle imprese. Le obbligazioni pesarono per il
6 per cento nel flusso di fondi alle imprese nel periodo 1951-53; per il 10
per cento negli anni 1954-59; per il 9 per cento nel triennio 1960-625. Si
tratta di valori che nel Novecento sono stati raggiunti solo in poche
__________
3
Una sintesi della trasformazione del sistema finanziario che guarda a questi aspetti è offerta da
Onado (2003).
4
Sul sistema creditizio negli anni cinquanta si vedano Albareto (1999), Albareto e Trapanese
(1999), Pittaluga (1999). Goldsmith e Zecchini (1999) discutono l’andamento delle attività
finanziarie rispetto al PIL.
5
Cfr. Cotula (1999), tav. 2.
Ricchezza finanziaria e indebitamento dell’economia italiana 317
occasioni. Il peso delle obbligazioni non fu trascurabile anche in termini di
consistenze nelle passività finanziarie delle imprese.
Ancora maggiore fu il contributo al finanziamento delle imprese
fornito dalle azioni. Tra il 1950 e il 1961 le azioni non sono mai scese sotto
il 35 per cento del totale del passivo di bilancio (tav. 3). Le famiglie
aumentarono progressivamente la detenzione di azioni, diminuendo il
possesso di depositi, la cui incidenza scese nel 1960 al 32 per cento, quasi
venti punti percentuali in meno rispetto al 1950.
Le autorità monetarie ritenevano che, accanto al rafforzamento del
sistema creditizio, si dovesse perseguire l’obiettivo di un aumento delle
emissioni obbligazionarie e azionarie delle imprese, viste come strumenti
complementari ai finanziamenti bancari. Le banche erano scettiche su
questi sviluppi6. Le difficoltà delle emissioni obbligazionarie e, soprattutto,
di quelle azionarie si sarebbero manifestate dall’inizio degli anni sessanta.
Sulla raccolta azionaria avrebbero pesato, oltre all’atteggiamento negativo
delle banche, altri fattori: la ritrosia delle imprese alla quotazione, per il
timore della perdita del controllo delle società e l’onere di dover aumentare
la trasparenza sui conti aziendali; le riforme fiscali che disincentivarono
l’offerta e la domanda di azioni; l’assenza di una riforma della Borsa; il
rallentamento ciclico dell’economia dopo il boom del 1958-1963;
l’incremento del credito agevolato che avrebbe reso meno necessaria la
raccolta di mezzi esterni; la crescente pressione sui mercati finanziari che
sarebbe arrivata dalle Amministrazioni pubbliche; la scarsa attenzione,
colmata solo di recente, per la tutela dell’investitore e degli azionisti di
minoranza7.
Passando agli altri settori istituzionali, nella anni cinquanta, le
attività e le passività del resto del mondo avevano un peso contenuto sul
__________
6
Vicarelli (1982) sostiene che le banche temevano la concorrenza e la disintermediazione da parte
dei mercati.
7
Secondo la periodizzazione proposta da Barbiellini Amidei e Impenna (1999), gli anni 1949-1955
sono quelli del possibile decollo della borsa; la fase 1956-1961 è definita come l’occasione
mancata; il periodo 1961-64 è quello di crisi e declino strutturale. Si veda pure il commento di
Pagano (1999). Come notato da Vicarelli (1979): “Solo verso la fine degli anni cinquanta
l’aumento dell’autofinanziamento da un lato e una relativa espansione del mercato dei capitali
dall’altro hanno creato le condizioni per una possibile disintermediazione delle banche. Le
vicende degli anni sessanta, e in particolare il rapido aumento delle necessità di finanziamento del
settore pubblico e del credito agevolato, hanno tuttavia scongiurato, anche attraverso un
altrettanto rapida espansione degli Istituti di credito speciale, che il sistema degli intermediari nel
suo complesso corresse questo rischio”. Aganin e Volpin (2005) sostengono che l’andamento della
borsa in Italia non è stato collegato ai cambiamenti nel grado di protezione degli investitori, ma è
correlato negativamente al numero di imprese pubbliche quotate.
318 Riccardo De Bonis
totale delle attività e delle passività dei residenti e dei non residenti (tav. 4);
erano basse anche in rapporto al PIL. Dalla seconda metà del decennio, i
surplus della bilancia commerciale dell’Italia diedero luogo a una
posizione creditoria netta del paese verso l’estero, che sarebbe prevalsa per
molti anni. Anche le Amministrazioni pubbliche, come il resto del mondo,
avevano un ruolo limitato nell’emissione e nella detenzione di strumenti
finanziari; le loro passività erano intorno al 30-40 per cento del PIL.
3. Gli anni sessanta: la macchina rallenta
Negli anni sessanta è naturale individuare un “decennio breve”: i
primi tre anni del decennio appartengono a quel periodo di accelerazione
della crescita, iniziata nel 1958, che si innestava sull’espansione degli anni
cinquanta. Gli anni sessanta, inoltre, finirono in anticipo, con l’autunno
caldo del 1969, che darà inizio alle turbolenze, ben maggiori, del decennio
settanta.
Il “decennio breve” comincia nell’ottobre del 1963, con la manovra
restrittiva di politica monetaria contrastante le tensioni inflazionistiche
manifestatesi dal 19628. La manovra riuscì: l’aumento del costo della vita
scese dal 7,6 per cento del 1963 al 4,7 nel 1965. La crescita del reddito subì
un rallentamento: il PIL, che era salito del 7,1 per cento nel 1963, aumentò
del 3,9 nel 1964. Nella parte restante del decennio la crescita si mantenne
comunque soddisfacente.
Dal 1963, e fino alla fine del decennio settanta, la struttura
finanziaria italiana imboccò un percorso che condusse a un
ridimensionamento della Borsa. Dato il ricordato andamento positivo della
raccolta azionaria negli anni cinquanta, all’inizio del decennio il passivo di
bilancio delle imprese era caratterizzato da un’alta incidenza delle azioni.
Scelte fiscali (l’introduzione della ritenuta cedolare d’acconto nel 1962
mirante ad assicurare la nominatività obbligatoria delle azioni) e di politica
economica (la nazionalizzazione dell’industria elettrica nel 1962)
generarono impatti negativi sulla domanda e l’offerta di azioni9. Le
famiglie sostituirono le azioni con i depositi, il cui peso sulle attività
finanziarie salì al 45 per cento nel 1970, un valore simile a quello dei primi
anni cinquanta (tav. 2).
__________
8
Per commenti sulla manovra si vedano i contributi in Graziani (1972).
9
Sugli aspetti fiscali si rimanda a Ricotti e Sanelli in questo volume.
Ricchezza finanziaria e indebitamento dell’economia italiana 319
Le difficoltà della Borsa – l’indice dei corsi fu in diminuzione tra il
1963 e il 1970 – condussero a una caduta del finanziamento azionario.
Iniziava a crescere l’importanza dei prestiti bancari nelle passività delle
imprese. Non erano problemi solo italiani. Anche in altri paesi europei le
imprese dovevano fronteggiare una riduzione dell’autofinanziamento,
difficoltà nelle emissioni azionarie, una crescita nell’indebitamento
bancario10. Una specificità italiana, che contribuiva a peggiorare la
situazione delle imprese, era rappresentata dallo spiazzamento che le
emissioni di titoli pubblici e di società pubbliche, come l’Enel,
provocavano nei confronti delle emissioni private.
Gli istituti di credito speciale (ICS) premevano sul mercato
finanziario per collocare quantità crescenti di obbligazioni; le aziende di
credito diventavano il canale di finanziamento degli ICS, dando inizio alla
doppia intermediazione, un meccanismo che sarebbe esploso negli anni
settanta. Negli anni sessanta l’obiettivo prioritario di politica economica,
anche per le autorità monetarie, rimaneva la crescita economica, necessaria
per colmare il divario che ancora esisteva tra l’Italia e i paesi europei più
ricchi. Il tema di fondo era, come negli anni cinquanta, l’accumulazione del
capitale11. Non doveva mancare il credito necessario a finanziarie lo
sviluppo degli investimenti e delle infrastrutture. Questi prestiti dovevano
essere a medio e a lungo termine e dovevano essere erogati dagli ICS. Che
non si trattasse di una questione astratta è testimoniato dal fatto che proprio
nel 1963 una delibera del CICR definiva per la prima volta i 18 mesi come
il discrimine tra credito a breve e a medio-lungo termine; si trattava di un
limite che la legge bancaria non aveva specificato. Più volte, dopo il 1936,
le grandi banche avevano cercato di ampliare i finanziamenti a lungo
termine alle imprese. Per risolvere il problema, negli anni sessanta si scelse
di delimitare con precisione il confine tra breve e medio-lungo termine,
rafforzando la specializzazione temporale dei prestiti.
La doppia intermediazione aumentava il peso delle attività e delle
passività finanziarie detenute dalle società finanziarie, allora costitute in
__________
10
Discutendo di mercati finanziari europei, Lamfalussy (1972) notava che: “Per varie ragioni i fondi
disponibili per l’autofinanziamento si sono nettamente ridotti tra il 1960 e il 1965-66. … c’è stato
da parte delle imprese pubbliche e private un sensibile aumento del ricorso a fonti di
finanziamento esterne. Ora, questo fatto ha coinciso con il generale declino delle Borse europee e,
di conseguenza, con la crescente difficoltà di effettuare aumenti di capitale. La domanda
addizionale di fondi si è dunque trasferita, nella quasi totalità, sugli intermediari finanziari; in
particolare, sulle banche e sugli istituti di credito specializzati”.
11
Per una sintesi di questo dibattito si veda Vicarelli (1981).
320 Riccardo De Bonis
gran parte da Banca d’Italia e banche12, sul totale degli strumenti finanziari
dell’economia (tav. 5). Per le attività, la politica di stabilizzazione dei corsi
dei titoli, perseguita tra il 1966 e il 1969, contribuiva a gonfiare il
portafoglio titoli della Banca centrale. Per le passività, proseguiva la
crescita dei depositi bancari (fig. 5 e tav. 6). Le famiglie continuavano a
investire in biglietti e monete circa il 9 per cento delle loro attività
finanziarie.
Nella seconda parte degli anni sessanta le Amministrazioni
pubbliche iniziarono a esercitare una pressione sui mercati dei capitali. Il
rapporto tra le passività complessive delle AP e il PIL si portò al 60 per
cento sul finire del decennio (fig. 6). Tra le passività salì il peso dei titoli,
mentre si manteneva costante quello dei prestiti bancari (tav. 7).
Continuava a diminuire l’incidenza della raccolta postale, la cui
remunerazione non aveva tenuto il passo dei rialzi stabiliti dalle banche per
i propri depositi13.
In un quadro di liberalizzazione valutaria e di avanzo di parte
corrente della bilancia dei pagamenti, negli anni sessanta le passività del
resto del mondo nei confronti dell’Italia si mantennero maggiori delle
corrispondenti attività. La posizione creditoria netta verso l’estero
dell’Italia era legata alle possibilità di acquisire strumenti finanziari emessi
da non residenti. Una fonte di deflussi verso l’estero fu, ad esempio, la
necessità di sostenere le esportazioni attraverso la concessione di prestiti
finanziari e crediti commerciali14. Già negli anni cinquanta, nel quadro
della ripresa postbellica e dell’integrazione internazionale del paese, le
banche erano state importanti nel sostenere l’espansione dei settori
esportatori. L’evoluzione delle passività e delle attività del resto del mondo
avrebbe registrato un cambiamento drastico negli anni settanta.
4. I terribili anni settanta
Gli anni settanta sono stati segnati dalle tensioni sociali e politiche
più intense del dopoguerra. Il decennio è stato investito da due recessioni:
la prima, dal marzo del 1974 al maggio del 1975; la seconda, dal febbraio
__________
12
Intermediari non bancari, assicurazioni e fondi pensione, fondi comuni erano allora poco sviluppati
o assenti.
13
Su questo aspetto e sull’indebolimento della Cassa depositi e prestiti cfr. De Cecco (1968).
14
Su questi temi si rimanda all’analisi di Roccas e Santini (1979).
Ricchezza finanziaria e indebitamento dell’economia italiana 321
al dicembre del 197715. I due shock petroliferi, nel 1973 e nel 1979, hanno
contribuito, soprattutto nel primo caso, a un forte rialzo dell’inflazione, che
nel decennio si mantenne sul valore medio del 14 per cento. Negli anni
settanta si sono succeduti vari episodi di svalutazioni della lira, con una
grave crisi valutaria all’inizio del 1976. Il circolo vizioso tra inflazione,
aumento dei costi, svalutazione del cambio è stato il tratto distintivo del
periodo. Già colpite dall’autunno caldo del 1969, le imprese subirono, fino
al 1978, aumenti di costo, una caduta della profittabilità, un incremento del
leverage. Gli squilibri dell’economia reale e l’inflazione elevata si
riflessero in variazioni nella composizione delle attività e passività
finanziarie delle banche, delle famiglie e delle imprese tra le più intense del
dopoguerra.
Può essere utile partire dai cambiamenti che investirono le banche.
Nei primi anni settanta iniziò un ridimensionamento, destinato a protrarsi
per circa 15 anni, del peso dei prestiti sul totale delle attività del sistema
creditizio. Insieme alla fasi recessive dell’economia, agirono gli strumenti
amministrativi di politica monetaria e i suoi orientamenti restrittivi. Come
nel 1963, la politica monetaria reagì ad accelerazioni dei prestiti
considerate all’origine di attacchi speculativi contro la lira16. Il massimale
sui prestiti fu introdotto per la prima volta nel luglio del 1973. Il suo
utilizzo fu prorogato, con modalità diverse, fino ai primi anni ottanta17. Per
effetto del massimale la quota dei prestiti bancari sul totale delle attività
delle banche scese dal 62 per cento del 1972 al 41 per cento nel 1983. Il
rapporto prestiti/PIL iniziò a diminuire dall’inizio degli anni settanta.
L’altro fattore decisivo nell’influenzare la composizione degli attivi
bancari fu il vincolo di portafoglio, introdotto anch’esso nel 1973. Il
provvedimento imponeva alle aziende di credito di accrescere la
consistenza dei titoli a reddito fisso detenuti, privilegiando, in particolare,
le emissioni degli istituti di credito mobiliare, dell’ENEL, dell’ENI e di
__________
15
La periodizzazione delle recessioni dagli anni settanta a oggi è desunta da Altissimo, Marchetti e
Oneto (2000).
16
“Le crisi inflazionistiche e di bilancia dei pagamenti sono state sempre precedute, sia nell’ultimo
decennio sia nel periodo precedente, da un innalzamento del rapporto tra finanziamenti al settore
pubblico e a quello privato e prodotto nazionale. La restrizione monetaria è risultata sempre
efficace nel controllo di tale crisi. È apparso in tutta la sua evidenza, a partire dal 1973, un
meccanismo che, attraverso un aumento delle disponibilità liquide delle imprese, conduce a
esportazioni di valuta, accumulo speculativo di scorte, deprezzamento del valore esterno della
moneta, inflazione”, Fazio (1979).
17
Sulla politica monetaria tra la fine degli anni settanta e il decennio successivo si vedano Gaiotti e
Rossi (2003).
322 Riccardo De Bonis
società private. L’obiettivo del provvedimento era quello di dirigere le
risorse bancarie verso i finanziamenti a lungo termine18. In forme
progressivamente attenuate il vincolo di portafoglio è stato in vigore fino al
198619. Per effetto del vincolo l’incidenza dei titoli è salita, nelle attività
finanziarie delle banche, dal 18 per cento del 1972 al 28 per cento nel
1982-83, un punto di massimo del periodo esaminato (tav. 6).
La centralità delle banche nell’economia fu rafforzata dal processo
di doppia intermediazione, derivante non solo dalle scelte delle autorità ma
anche dai comportamenti dei risparmiatori20. L’alta preferenza per la
liquidità del pubblico, data l’inflazione crescente, determinava un aumento
della raccolta bancaria, indotta dalla scarsità di strumenti alternativi per
l’impiego di risparmio. Sul finire degli anni settanta, le famiglie
investivano in depositi oltre il 60 per cento delle loro attività finanziarie
mentre gli investimenti in titoli, data la carenza di strumenti a tasso
variabile, si ridussero al di sotto del 10 per cento.
La crescita della provvista bancaria continuava ad avvantaggiarsi
della perdita di quote di mercato del risparmio postale. Un vero
concorrente per i depositi bancari sarebbe apparso solo nel 1976, con la
nascita dei BOT. Il ruolo crescente della raccolta bancaria negli anni
settanta si iscriveva in una tendenza di lungo periodo del sistema
finanziario italiano, che dagli anni trenta stava osservando un incremento
delle passività delle banche sul totale di quelle dell’economia21.
Le difficoltà della Borsa contribuirono a rendere problematica la
raccolta di capitale di rischio. La riduzione della quota di azioni e
partecipazioni sul totale delle attività finanziarie dell’economia caratterizzò
gran parte del periodo. Tra il 1973 e il 1977 il peso del capitale azionario al
passivo delle imprese scese dal 27 al 14 per cento. Tra le passività delle
imprese salì il contributo dei prestiti bancari, quasi un paradosso, vista la
vigenza del massimale. Nel 1977 i prestiti bancari raggiunsero la massima
incidenza sul totale delle passività delle imprese del periodo 1950-2004. Il
grado di leverage (prestiti bancari e titoli emessi/prestiti, titoli, azioni e
partecipazioni) raggiunse un punto di massimo. Date le condizioni di
fragilità finanziaria dell’industria, nelle “Considerazioni finali” del 31
__________
18
Si veda Coltorti (2005) per una bella descrizione degli errori degli istituti speciali nel
finanziamento delle grandi imprese pubbliche.
19
Sui controlli amministrativi cfr. Croff e Passacantando (1979), Cotula e Rossi (1989).
20
Sulle distorsioni indotte dalla doppia intermediazione si veda Cesarini (1976).
21
Sul punto si vedano Biscaini e Ciocca (1979) e Balducci et al. (1979).
Ricchezza finanziaria e indebitamento dell’economia italiana 323
maggio 1975, Carli avanzò la famosa idea di trasformare i prestiti bancari
in azioni delle società. La proposta contribuì a ispirare la legge 787/1978
sulla ristrutturazione finanziaria delle imprese; il provvedimento rendeva
possibile per le banche il consolidamento dei prestiti e l’entrata in corsorzi
che avessero per obiettivo l’acquisizione di quote del capitale delle società.
La legge non funzionò; negli anni seguenti le condizioni delle imprese
migliorarono per altre vie. Tra il 1977 e il 1980 la quota dei profitti lordi
dell’industria sul valore aggiunto tornò a salire per la prima volta dalla fine
degli anni sessanta. La crescita della redditività e dell’autofinanziamento
spinsero le imprese a restituire debiti contratti in passato, riducendo il
leverage22.
Sul finire degli anni settanta, anche a causa dell’esistenza del vincolo
di portafoglio, entravano in crisi anche le emissioni di titoli privati, che tra
il 1964 e il 1978 si erano mantenute sopra il 6 per cento del totale delle
passività delle imprese. Sui mercati finanziari cresceva la pressione del
debito pubblico. Mentre proseguiva il calo dell’incidenza della raccolta
postale e dei prestiti, nelle passività delle Amministrazioni pubbliche saliva
il peso dei titoli23.
Negli anni settanta si interruppe la fase precedente di
liberalizzazione valutaria. Per fronteggiare le difficoltà della bilancia dei
pagamenti e per evitare pressioni speculative contro la lira, dal 1972 furono
introdotte norme che controllavano o disincentivano l’acquisizione di
attività finanziarie verso l’estero da parte dei residenti (ad esempio,
deposito infruttifero in lire pari al 50 per cento della somma esportata,
limiti ai pagamenti anticipati di importazioni, vincoli alla riscossione
posticipata di esportazioni, introduzione nel 1976 della rilevanza penale
delle esportazioni clandestine di capitali). Per effetto di queste misure scese
la quota delle passività del resto del mondo verso l’Italia sul totale delle
passività finanziarie. A ciò contribuì la decisione di impedire alle banche di
avere posizioni creditorie nette sull’estero. Dal 1979 crebbero, anche in
connessione con i disavanzi della bilancia commerciale italiana, le attività
__________
22
Si veda Barca e Magnani (1989), capitolo secondo. Gli autori hanno proposto la seguente
scansione temporale: 1969-1973 sono gli anni di “shocks esogeni, ristrutturazione intensiva e
decentramento”; 1974-77 sono “l’età dell’incertezza”; nel 1979-1980, “l’aggiustamento ha inizio
dal capitale”; dal 1981, “l’aggiustamento prosegue con il lavoro”. Spaventa (1987) nota “un forte
recupero della profittabilità e dei margini nelle imprese a partire dal 1978”.
23
Tra le passività delle Amministrazioni pubbliche appaiono, prima del 1995, riserve tecniche di enti
di previdenza a capitalizzazione, confluiti successivamente nei fondi pensione.
324 Riccardo De Bonis
del resto del mondo verso l’Italia. La posizione netta sull’estero del paese
diventò debitoria.
In sintesi, gli anni settanta sono stati, nel dopoguerra, i più difficili
per il sistema industriale. La crisi delle imprese rafforzò il dibattito sui
rischi derivanti da un’importanza eccessiva del sistema creditizio nella
finanza italiana. Gli alti livelli di leverage, insieme all’aumento
dell’indebitamento pubblico e al ristagno della Borsa, accrescevano la
quota di attività e passività finanziarie detenuta dalle società finanziarie, in
particolare dalle banche24. L’incontro diretto nei mercati tra soggetti in
surplus (risparmiatori) e in deficit (Stato e imprese) si era ridotto a livelli
minimi, perché i mercati non esistevano o erano poco efficienti25.
Rimandando ai numerosi contributi sul tema26, la creazione di nuovi
mercati e il miglioramento di quelli esistenti, nonché l’introduzione di
nuovi strumenti finanziari, avrebbero costituito una delle trasformazioni
più importanti degli anni che sarebbero venuti, con riflessi sulla
composizione di attività e passività finanziarie.
5. Gli anni ottanta tra progressi della struttura finanziaria ed
esplosione del debito pubblico
In un quadro segnato dal rientro dell’inflazione e da elevati tassi di
interesse reali, negli anni ottanta le banche subirono una
disintermediazione dal lato del passivo, per effetto dell’introduzione di
nuovi strumenti e di un miglioramento nei meccanismi di funzionamento
dei mercati finanziari. La politica monetaria abbandonò gli strumenti
amministrativi. Il “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro favorì una
maggiore diffusione di titoli pubblici nell’economia, anche grazie a un
utilizzo crescente di strumenti a tasso variabile. Le famiglie iniziarono a
diversificare la ricchezza finanziaria. Il debito pubblico esplose. Le
imprese riequilibrarono la composizione delle passività27.
__________
24
Data la centralità delle banche, aumentava la letteratura sulle caratteristiche strutturali del sistema
creditizio e sull’efficienza allocativa di quelli che erano gli unici intermediari italiani. Sul tema si
veda Carli (1975 e 1978).
25
Si discuteva “sul potenziale di instabilità connesso con situazioni di strutturale dissociazione tra
centri decisionali di risparmio e di investimenti”, Vicarelli (1979).
26
Cfr. per tutti Ciocca (2000).
27
Una sintesi degli sviluppi degli anni ottanta si ritrova in Signorini e Visco (2002), capitolo 5.
Ricchezza finanziaria e indebitamento dell’economia italiana 325
Il decennio si aprì con una lunga recessione, dal marzo del 1980 al
marzo del 1983. Il saldo finanziario delle imprese fu negativo all’inizio del
decennio, per le ultime ripercussioni della crisi industriale degli anni
settanta e il permanere di tassi di interesse nominali elevati.
Successivamente, la situazione finanziaria delle imprese si riequilibrò, con
una crescita, tra le passività, delle azioni e un contenimento dei prestiti,
ancora frenati, nel 1982-83, dalla sopravvivenza del massimale e dal ciclo
negativo. Proseguiva la caduta del peso delle emissioni di titoli privati. La
diminuzione dei tassi di interesse nominali, conseguenza della riduzione
dell’inflazione, favorì, come in altri paesi, il rialzo dei corsi azionari,
iniziato nel 1982. Il fenomeno si rafforzò dal 1985, facilitando le emissioni
azionarie. Il grado di leverage delle imprese si ridusse. Dopo la crisi di
Borsa del 1987, il peso delle azioni tornò a scendere, mantenendosi
comunque su livelli elevati. I mercati finanziari beneficiarono della nascita
dei fondi comuni di investimento. Le imprese migliorarono la propria
posizione finanziaria sfruttando la fase espansiva della seconda metà degli
anni ottanta: tra il 1986 e il 1990 il PIl crebbe in media del 2,9 per cento,
contro l’1,7 per cento medio del periodo 1981-85. La disinflazione fu
importante nel risanare i bilanci aziendali: il costo della vita aumentò in
media del 5,7 per cento tra il 1986 e il 1990, contro il 14 per cento medio
degli anni 1981-85.
Passando alle banche, nel 1983, per gestire la fase di uscita
dall’esperienza del massimale, fu utilizzato un regime di sorveglianza dei
prestiti, abolito nel 1984. In concomitanza di crisi valutarie, il massimale fu
reintrodotto, in forme attenuate, nella prima metà del 1986 e nel periodo
compreso tra il settembre del 1987 e i primi mesi del 1988. Da allora
l’abbandono dei controlli amministrativi e le misure di deregolamentazione
bancaria, nell’elevare il livello della concorrenza tra gli intermediari, hanno
accresciuto l’incidenza dei prestiti sul totale dell’attivo delle banche,
riducendo il peso dei titoli. Finita l’esperienza del vincolo di portafoglio, i
titoli tornarono ad assumere il ruolo normale di buffer stock che i modelli
teorici dell’impresa bancaria gli assegnano. La vendita dei titoli fu
utilizzata per finanziare la crescita dei prestiti nella seconda metà degli
anni ottanta. Il rapporto prestiti bancari/PIL, in diminuzione dall’inizio
degli anni settanta, tornò a crescere.
Negli anni ottanta le banche fronteggiarono una disintermediazione
dal lato del passivo. Il peso dei depositi scese rispetto al PIL, al totale delle
passività dell’economia e della ricchezza finanziaria delle famiglie. In
quest’ultima crebbe l’incidenza di azioni e titoli pubblici, anche per effetto
326 Riccardo De Bonis
della diffusione dei fondi comuni. Solo nella seconda metà degli anni
ottanta, in connessione con il rallentamento della Borsa, i depositi
mostrarono segnali di risveglio. Il merito va ascritto alla diffusione di uno
strumento relativamente nuovo, il certificato di deposito, sul quale gli
istituti più efficienti puntarono per accrescere le quote di mercato della
provvista. Negli anni sessanta e settanta, la raccolta obbligazionaria,
classico strumento di indebitamento degli ICS, aveva oscillato tra il 14 e il
17 per cento del totale del passivo delle banche; più tardi le obbligazioni
risentirono dello sviluppo dei certificati di deposito, scendendo sotto il 10
per cento delle passività bancarie nel 1989-1990.
Tra l’inizio e la fine degli anni ottanta le passività complessive delle
Amministrazioni pubbliche salirono dall’80 per cento al 120 per cento del
PIL. Le consistenze dei titoli emessi iniziarono a collocarsi stabilmente
sopra il 70 per cento del totale del passivo delle AP, al cui interno
continuava a calare l’incidenza della raccolta postale e dei prestiti bancari.
Si divaricava la forbice tra passività e attività finanziarie delle AP.
Dal 1980 al 1992, i flussi di attività finanziarie dei non residenti
rimasero superiori alle corrispondenti passività, a causa del livello elevato
dei tassi interesse italiani rispetto a quelli esteri, delle restrizioni
all’esportazione di capitali da parte dei residenti, rimosse solo dopo il
1990, delle necessità di finanziamento del debito pubblico, del passivo di
parte corrente della bilancia dei pagamenti. Per effetti di questi flussi, la
posizione netta con il resto del mondo fu debitoria per gran parte degli anni
ottanta.
6. Gli anni novanta tra apertura verso l’estero e boom dei mercati
Se abbiamo definito gli anni sessanta come il “decennio breve”, gli
anni novanta possono essere definiti il “decennio lungo”, iniziato nel 1990,
ma, in barba alla cronologia e all’aritmetica, ancora in corso. I 14 anni che
vanno dal 1991 al 2004 sono infatti accumunati dalla combinazione bassa
crescita – bassa inflazione, anche se lo sviluppo è stato particolarmente
deludente tra il 2001 e il 200428.
__________
28
Le periodizzazioni sono sempre arbitrarie. Quella proposta nel testo ha, tra gli altri, il difetto di non
ricordare, come momento di rottura, la creazione dell’area dell’euro. Seguendo questa linea di
ragionamento, un lettore gentile ci ha proposto la seguente scansione del dopoguerra italiano:
1948-1963 (crescita economica – inflazione - restrizione monetaria); 1964-1972 (shock petrolifero
(continua)
Ricchezza finanziaria e indebitamento dell’economia italiana 327
Alla crescita insoddisfacente dell’economia italiana si è
contrapposto, in particolare tra il 1995 e il 2000, l’aumento più rilevante
delle attività finanziarie dagli anni cinquanta a oggi. Esso è stato dovuto,
alla crescita delle operazioni con i non residenti e, soprattutto, al forte
rialzo di Borsa, in presenza di bassi tassi di interesse. La finanziarizzazione
dell’economia italiana è un fenomeno acquisito, che ha resistito alle
difficoltà dei mercati azionari tra il 2000 e il 2003.
In questo paragrafo tratteremo, nell’ordine, delle operazioni con i
non residenti, della ricchezza finanziaria delle famiglie, delle imprese, delle
banche.
Attività e passività finanziarie dei non residenti. – Con la
liberalizzazione dei movimenti di capitale, eccezionale è stato l’aumento
delle passività emesse da non residenti entrate nel portafoglio degli italiani.
Esse hanno toccato, nel 1999, quasi il 16 per cento del totale delle passività
di residenti e non residenti, contro il 7 per cento del 1990. All’interno della
componente estera della loro ricchezza finanziaria, le famiglie e le imprese
hanno accresciuto il peso di obbligazioni e, soprattutto, azioni. Tra il 1999
e il 2001 l’Italia ha avuto una posizione netta creditoria verso l’estero
(fig. 2), anche in connessione con i surplus di bilancia dei pagamenti
registrati dal 1993 al 1998.
Sono cresciute anche le attività del resto del mondo: il progressivo
venir meno, dopo il 1995, del rischio di cambio, ha favorito l’acquisizione,
da parte di non residenti, di strumenti finanziari emessi in Italia. Tra le
attività detenute dal resto del mondo, notevole è stata la crescita dei titoli,
in buona parte rappresentati da quelli del debito pubblico, la cui
sottoscrizione è stata incentivata da vantaggi fiscali: nel 2004 i titoli
rappresentavano il 52 per cento delle attività dei non residenti, contro il 14
per cento del 1990 (tav. 8).
I cambiamenti nella composizione della ricchezza finanziaria delle
famiglie. – Nella seconda metà degli anni novanta, il fenomeno più
importante nella composizione della ricchezza finanziaria è stata la crescita
del peso di azioni, partecipazioni e quote di fondi comuni29. Negli anni
____________________________________________________________
– inflazione – restrizione monetaria – controlli amministrativi); 1973-1982 (alti tassi di interesse –
disinflazione – accumulo di debito); 1983-1992 (liberalizzazione valutaria – crisi sistema
monetario europeo); 1993-98 (creazione del mercato unico – preparazione all’euro); 1999-2004
(politica monetaria unica – bassa crescita).
29
Sulla borsa e sul risparmio gestito si vedano Barclays Capital (2002), Filippa e Franzosi (2001).
328 Riccardo De Bonis
ottanta i flussi di attività finanziarie erano dominati dall’accumulazione di
depositi e, dalla seconda metà del decennio, di titoli pubblici. Gli anni
novanta, invece, sono stati contraddistinti, soprattutto in coincidenza con il
rialzo azionario compreso tra il 1995 e il 2000, da volumi contenuti,
talvolta negativi, dei flussi annuali di depositi e titoli. Nel quadriennio
1996-99 le quote dei fondi comuni di investimento hanno rappresentato lo
strumento finanziario privilegiato delle famiglie. Nel 1998, anno in cui la
variazione percentuale dell’indice MIB è stata del 41 per cento,
l’investimento in titoli, in gran parte pubblici, ha avuto segno negativo,
fatto mai osservato in passato, per un importo superiore all’8 per cento del
PIL; il disinvestimento in titoli ha avuto luogo, in forma minore, anche nel
1999, quando il MIB è salito del 22 per cento.
Le quote di fondi comuni hanno toccato nel 1999 il massimo del 18
per cento del totale delle attività finanziarie delle famiglie, contro l’1,5 per
cento del 1990. Per effetto delle privatizzazioni e della crescita dei valori di
Borsa, le azioni quotate emesse da residenti hanno raddoppiato, tra il 1995
e il 2000, la propria incidenza sul totale delle attività finanziarie delle
famiglie. Nel 2000 le famiglie italiane detenevano azioni, partecipazioni e
quote di fondi comuni in misura superiore alla media europea; era stato
colmato il divario che esisteva all’inizio degli anni novanta. Dal 2000, la
caduta dei corsi di Borsa ha ricondotto le famiglie a riequilibrare il
portafoglio in direzione di titoli e depositi; il flusso delle attività investite
in quote di fondi comuni è stato negativo nel 2001, 2002 e 2004.
Alla fine del 2004, nelle consistenze della ricchezza finanziaria delle
famiglie, i depositi pesano per il 24 per cento del totale, contro il 40 per
cento del 1995. La riduzione del peso dei titoli è stata meno forte, ma la
loro composizione è mutata radicalmente. Nel portafoglio delle famiglie le
obbligazioni bancarie pesano oggi più dei titoli pubblici, mentre nel 1995
le percentuali rispettive erano, rispettivamente, 2 e 23 per cento. Malgrado
i disinvestimenti ricordati degli ultimi anni, l’incidenza dei fondi comuni è
oggi all’11 per cento (4 per cento nel 1995). Anche la detenzione di azioni
quotate è cresciuta, ma nelle consistenze restano più importanti le azioni e
partecipazioni non quotate, un tratto distintivo dell’economia italiana, data
l’importanza delle piccole imprese. Tra il 1995 e il 2004 è infine sempre
cresciuta l’incidenza dei fondi pensioni privati e degli strumenti
assicurativi nel portafoglio delle famiglie.
Il saldo finanziario e le passività delle imprese. – I saldi finanziari
debitori delle imprese sono stati elevati all’inizio del decennio, a causa del
rialzo dei tassi di interesse durante la crisi del 1992 del sistema monetario
Ricchezza finanziaria e indebitamento dell’economia italiana 329
europeo e della recessione del 1992-93. Gli anni successivi sono stati
contraddistinti da margini soddisfacenti di autofinanziamento delle
imprese, che hanno sfruttato il rialzo di Borsa, mantenendo basso
l’indebitamento. Dopo il 1995, i saldi finanziari sono stati generalmente di
entità modesta, influenzati dall’andamento soddisfacente dei profitti
aziendali30. Le imprese hanno fatto ricorso al credito bancario per
finanziarie operazioni straordinarie quali, ad esempio, acquisizioni e
ristrutturazioni31.
Il ciclo positivo di Borsa della seconda metà degli anni novanta,
insieme alle riforme fiscali che hanno incentivato la raccolta di capitale di
rischio rispetto all’indebitamento bancario, hanno condotto la consistenza
di azioni e partecipazioni nel triennio 1999-2001 a toccare livelli, sul totale
delle passività delle imprese, che non si osservavano dagli anni del boom
economico. I flussi di azioni quotate sono stati elevati, in connessione con
le privatizzazioni delle imprese pubbliche e con l’ascesa dei valori di Borsa
dal 199532.
Anche le attività finanziarie delle imprese si sono spostate negli anni
novanta verso la detenzione di azioni. Tra il 1995 e il 2000, si sono spesso
avuti flussi annuali negativi di investimenti in titoli, controbilanciati da
ingenti sottoscrizioni di azioni quotate, spesso maggiori dei flussi annuali
di depositi. In sintesi, tra il 1995 e il 2004, nella composizione delle attività
finanziarie delle imprese è scesa l’incidenza di depositi e titoli, a fronte di
una crescita del peso di azioni quotate e di quelle emesse da non residenti.
Le società non finanziarie italiane hanno tradizionalmente emesso
poche obbligazioni. Solo in alcuni degli anni ottanta (1982, 1986, 1987)33,
la raccolta obbligazionaria aveva raggiunto livelli considerevoli. In gran
parte degli anni novanta le emissioni nette delle imprese hanno avuto segno
negativo. Come documentato da molte analisi, nel 2001, 2002 e 2004 il
flusso delle obbligazioni emesse è stato invece importante e superiore a
__________
30
Torrini (2004) documenta come la quota del capitale sul valore aggiunto si sia portata nella
seconda metà degli anni novanta su valori mai osservati dall’inizio del decennio settanta.
31
Sul legame tra crescita dei finanziamenti bancari e operazioni di finanza straordinaria cfr. Saltari
(2003).
32
Negli ultimi anni le riforme dei fondi pensione hanno condotto allo smobilizzo di quote del TFR,
riducendo l’incidenza di questa posta sul complesso delle passività delle imprese Sull’impatto delle
riforme fiscali e dei fondi pensioni sulla struttura finanziaria delle imprese negli ultimi anni cfr.
Aronica (2002).
33
Nel 1982 la crescita fu legata a temporanee agevolazioni fiscali, nel 1987 alla fase di depressione
del mercato azionario.
330 Riccardo De Bonis
quello delle azioni quotate. Alla fine del 2004 le obbligazioni pesavano per
il 3 per cento sul totale delle passività delle imprese.
Attività e passività finanziarie delle banche. – Il decennio novanta
non si era aperto in modo positivo per le banche. Durante la recessione
intervenuta tra il marzo del 1992 e il luglio del 1993, le difficoltà
dell’economia avevano condotto a una caduta del rapporto prestiti/PIL e a
una nuova crescita del portafoglio titoli. In risposta alla crisi valutaria del
settembre 1992, un ultimo episodio di sorveglianza dei prestiti fu in vigore
fino all’inizio del 1993. Dopo una stasi, influenzata dalla recessione
intervenuta tra il novembre del 1995 e il novembre del 1996, i prestiti sono
tornati a crescere, una volta migliorata la qualità dei finanziamenti e
superata la crisi di redditività che aveva colpito il sistema creditizio tra il
1994 e il 1997. Dalla fine degli anni novanta le scorte liquide delle banche
si sono ridotte. Il peso dei titoli è oggi intorno al 13 per cento del totale
delle attività bancarie, un punto di minimo nel cinquantennio esaminato.
Nel 2004 il rapporto tra prestiti bancari e PIL si è riportato su valori vicini
all’unità, superando per la prima volta i livelli raggiunti nel 1972, prima
dell’introduzione del massimale.
Passando alla composizione delle passività bancarie, le modifiche
fiscali che hanno svantaggiato dal 1996 l’emissione di certificati di
deposito a medio e lungo termine, l’allungamento della durata media dei
prestiti bancari, l’estensione regolamentare del numero delle banche che
possono emettere titoli, l’emissione di passività subordinate hanno
contribuito a far toccare nel 2004 alle obbligazioni il 24 per cento del totale
delle passività del sistema creditizio, un valore mai prima osservato nel
periodo analizzato (tav. 6). Le difficoltà persistenti dei certificati di
deposito configurano un caso, più unico che raro, di “crescita, declino,
scomparsa” di uno strumento finanziario: alla fine del 2004, i certificati di
deposito erano pari al poco più del 3 per cento del totale dei depositi
bancari, contro il 35 per cento di metà 1996.
Nelle emissioni di obbligazioni diverse da quelle delle
Amministrazioni pubbliche, le banche continuano a prevalere. A partire dal
1999 sono state realizzate ingenti emissioni di titoli dalle società di
cartolarizzazione, per le operazioni effettuate dalle banche e dal Ministero
dell’Economia e delle finanze. Negli ultimi anni il valore dei titoli emessi
dalle società di cartolarizzazione è stato talvolta superiore a quello delle
emissioni delle imprese non finanziarie.
Ricchezza finanziaria e indebitamento dell’economia italiana 331
Il rafforzamento patrimoniale delle banche è colto, dalla metà degli
anni ottanta, da un maggior peso delle azioni nel passivo. La
patrimonializzazione crebbe tra il 1989 e il 1991, per effetto
dell’introduzione, nel 1987, dei primi coefficienti patrimoniali minimi
obbligatori. Superate le fasi di difficoltà del sistema creditizio a cavallo
della metà del decennio novanta, anni nei quali la patrimonializzazione è
diminuita, le azioni emesse sono tornate su livelli elevati nel confronto
storico.
Passando agli investimenti delle banche in azioni e partecipazioni,
esse sono state contenute in passato, a causa della separatezza tradizionale
tra banca e impresa. Dopo il 1993, l’espansione dei limiti al possesso di
partecipazioni in imprese industriali, insieme alla crescita continua dei
gruppi bancari, hanno condotto le azioni e partecipazioni in portafoglio a
raggiungere negli ultimi anni la soglia del 7 per cento del totale dell’attivo
bancario.
7. Conclusioni
Negli ultimi cinquantacinque anni l’evoluzione delle attività e delle
passività finanziarie può essere sintetizzata in sette tendenze principali.
1. C’è stato financial deepening
Il rapporto tra attività finanziarie dei residenti e PIL è cresciuto da
1,4 nel 1950 a 6,1 nel 2004 (fig. 3). Un andamento simile ha avuto il
rapporto tra passività finanziarie dei residenti e PIL. Pur con la cautela
imposta da un utilizzo del criterio del valore di mercato più vasto nel
decennio novanta rispetto al passato, derivante dall’introduzione del
SEC95, gli anni novanta hanno visto una crescita degli strumenti finanziari
mai osservata in passato. I fattori decisivi sono stati il rialzo dei corsi
azionari dal 1995 al 2000 e lo sviluppo del risparmio gestito.
La maggiore finanziarizzazione dell’economia italiana è colta anche
dalla crescita, con oscillazioni cicliche, del rapporto tra attività finanziarie
delle famiglie e le loro attività reali (fig. 4). Gli aumenti significativi del
rapporto sono collegati al rialzo dei corsi di Borsa nella prima parte degli
anni ottanta e nella seconda metà del decennio novanta. Le diminuzioni
rilevanti del rapporto sono derivate dall’agire combinato di “crescita dei
332 Riccardo De Bonis
prezzi delle abitazioni e crisi di Borsa” all’inizio degli anni settanta, alla
fine degli anni ottanta e dopo il 200034.
2. Il sistema finanziario si è aperto alle operazioni con i non residenti
Dagli anni settanta la stagione del protezionismo valutario e i limiti
ai movimenti di capitale avevano mantenuto le attività e le passività
finanziarie dei residenti verso il resto del mondo su livelli contenuti. Negli
anni novanta le quote delle attività e delle passività del resto del mondo sul
totale di quelle dell’economia hanno raggiunto livelli mai osservati in
passato.
3. Più azioni, più titoli, meno depositi, meno circolante
La diffusione di strumenti di pagamento alternativi al contante ha
condotto a una diminuzione del peso di biglietti e monete sul totale degli
strumenti finanziari. L’aumento dell’importanza dei mercati finanziari è
testimoniato, a partire dagli anni ottanta, dal peso crescente di azioni e
partecipazioni, titoli, fondi comuni, riserve tecniche e quote dei fondi
pensione. La crescita è evidente, sia rispetto al PIL (fig. 7) sia sul totale
degli strumenti finanziari dell’economia (fig. 8). Le azioni, le
partecipazioni e i fondi comuni erano pari all’80 per cento del PIL nel
periodo compreso tra i primi anni ottanta e il 1995: oggi sono il 120 per
cento del PIL. Il peso dei depositi nelle attività finanziarie totali è
diminuito, a causa della sostituzione con titoli, prima, con azioni e quote di
fondi comuni di investimento, poi.
4. Dopo la crescita degli anni settanta, il leverage delle imprese è
diminuito
Pur tenendo conto delle discontinuità esistenti nella stima delle
azioni non quotate al passivo delle imprese, il leverage (il rapporto tra
prestiti bancari più titoli emessi rispetto a prestiti bancari, titoli e azioni
emesse) è oggi su livelli inferiori a quelli degli anni cinquanta (fig. 9).
Contribuisce a spiegare il leverage ridotto il volume contenuto dei titoli
emessi dalle imprese35. Le molte riforme introdotte, ad esempio la
creazione di cambiali finanziarie e certificati di investimento, non hanno
dato frutti. Per anni ha pesato il limite del capitale come tetto alle
emissioni; più di recente hanno influito i default di importanti società
__________
34
Un indice dei prezzi delle abitazioni in Italia è riportato in Muzzicato, Sabbatini e Zollino (2002).
35
Sul mercato dei titoli privati cfr. Banfi e Onado (2002).
Ricchezza finanziaria e indebitamento dell’economia italiana 333
italiane. C’è da sperare nella recente riforma del diritto societario per le
imprese non quotate.
5. Dopo l’aumento degli anni settanta, oggi le società finanziarie pesano
meno …
L’incidenza di società finanziarie e banche nell’economia può essere
misurata utilizzando il rapporto di intermediazione (financial
intermediation ratio) come definito da Goldsmith. Il rapporto tra attività
finanziarie delle società finanziarie e le passività di famiglie, imprese,
Amministrazioni pubbliche e resto del mondo raggiunse i valori massimi
(oltre l’80 per cento) a metà degli anni settanta, durante la grave crisi
dell’economia (fig. 10). Successivamente il rapporto è diminuito, fino a
toccare il 50 per cento. Dopo il 1995, il ruolo crescente dei fondi comuni
ha riportato il FIN verso il 60 per cento.
6. ... ma le banche restano centrali
Il rapporto di intermediazione delle banche ha avuto un andamento
simile a quello del complesso delle società finanziarie, riducendosi dopo
gli eccessi degli anni sessanta e settanta (fig. 11). A differenza del
complesso delle società finanziarie, per le banche il rapporto è diminuito
anche negli anni novanta, riprendendosi solo dopo il 2000. Questa evidenza
è compatibile con l’idea di Goldsmith che, nel lungo periodo e in paesi
sviluppati, le banche dovrebbero perdere quote di mercato a favore di altri
intermediari. Negli ultimi anni le società finanziarie diverse dalle banche
hanno raggiunto una quota del 14-15 per cento del totale delle
attività/passività finanziarie del paese, contro valori di circa il 10 per cento
negli anni ottanta. Questa perdita di centralità delle banche è però solo
apparente, dato che esse controllano buona parte degli intermediari
finanziari non bancari.
7. Espansione e discesa del peso delle Amministrazioni pubbliche
Il peso delle passività finanziarie delle Amministrazioni pubbliche,
sul totale delle passività dell’economia, è costantemente cresciuto, da
valori inferiori al 20 per cento negli anni sessanta fino a sopra il 25 per
cento in molti degli anni ottanta e novanta. I progressi della finanza
pubblica hanno riportato questo valore sotto il 20 per cento negli ultimi
334 Riccardo De Bonis
anni36. Il crescente intervento pubblico nell’economia negli anni sessanta e
settanta, necessario anche per fronteggiare crisi industriali, aveva innalzato
la quota delle attività finanziarie dell’economia detenute dalle
Amministrazioni pubbliche. Dopo il punto di massimo toccato all’inizio
degli anni ottanta (quasi il 14 per cento del totale delle attività del paese),
la diminuzione del ruolo dello Stato nell’economia e le privatizzazioni
hanno ridotto questa quota a un valore comparabile a quello registrato negli
anni cinquanta.
Fig. 1
Attività (passività) finanziarie del totale settori sul PIL
7,5 7,5
7 7
6,5 6,5
6 6
5,5 5,5
5 5
4,5 4,5
4 4
3,5 3,5
3 3
2,5 2,5
2 2
1,5 1,5
1 1
1950 1952 1954 1956 1958 1960 1962 1964 1966 1968 1970 1972 1974 1976 1978 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004
__________
36
Esula dagli obiettivi del lavoro un’analisi della finanza pubblica italiana, per la quale si
rimanda a Balassone et al. (2002).
Ricchezza finanziaria e indebitamento dell’economia italiana 335
Fig. 2
Attività e passività finanziarie dei non residenti sul PIL
1,2 1,2
Attività
1 Passività 1
0,8 0,8
0,6 0,6
0,4 0,4
0,2 0,2
0 0
1950 1952 1954 1956 1958 1960 1962 1964 1966 1968 1970 1972 1974 1976 1978 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004
Fig. 3
Attività e passività finanziarie dei settori residenti sul PIL
6,5 6,5
Attività
6 6
Passività
5,5 5,5
5 5
4,5 4,5
4 4
3,5 3,5
3 3
2,5 2,5
2 2
1,5 1,5
1 1
1950 1952 1954 1956 1958 1960 1962 1964 1966 1968 1970 1972 1974 1976 1978 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004
336 Riccardo De Bonis
Fig. 4
Famiglie: rapporto tra le attività finanziarie e le attività reali
(valori percentuali)
70 70
60 60
50 50
40 40
30 30
20 20
10 10
1950 1952 1954 1956 1958 1960 1962 1964 1966 1968 1970 1972 1974 1976 1978 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004
Fig. 5
Prestiti e depositi bancari sul PIL
(valori percentuali)
100 100
Prestiti
90 90
Depositi
80 80
70 70
60 60
50 50
40 40
30 30
20 20
1950 1952 1954 1956 1958 1960 1962 1964 1966 1968 1970 1972 1974 1976 1978 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004
Ricchezza finanziaria e indebitamento dell’economia italiana 337
Fig. 6
Amministrazioni pubbliche: attività e passività finanziarie sul PIL
(valori percentuali)
150 150
Attività
125 Passività 125
100 100
75 75
50 50
25 25
0 0
1950 1952 1954 1956 1958 1960 1962 1964 1966 1968 1970 1972 1974 1976 1978 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004
Fig. 7
Principali strumenti finanziari sul PIL
2 2
Depositi
1,8 1,8
Prestiti
1,6 Azioni 1,6
Titoli
1,4 1,4
1,2 1,2
1 1
0,8 0,8
0,6 0,6
0,4 0,4
0,2 0,2
0 0
1950 1952 1954 1956 1958 1960 1962 1964 1966 1968 1970 1972 1974 1976 1978 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004
338 Riccardo De Bonis
Fig. 8
Principali strumenti finanziari su totale attività finanziarie
0,4 0,4
0,35 0,35
0,3 0,3
0,25 0,25
0,2 0,2
0,15 0,15
0,1 Depositi 0,1
Titoli
0,05 Prestiti 0,05
Azioni
0 0
1950 1952 1954 1956 1958 1960 1962 1964 1966 1968 1970 1972 1974 1976 1978 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004
Fig. 9
Imprese: rapporto di indebitamento
0,9 0,9
0,85 0,85
0,8 0,8
0,75 0,75
0,7 0,7
0,65 0,65
0,6 0,6
0,55 0,55
0,5 0,5
0,45 0,45
0,4 0,4
0,35 0,35
0,3 0,3
1950 1952 1954 1956 1958 1960 1962 1964 1966 1968 1970 1972 1974 1976 1978 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004
Ricchezza finanziaria e indebitamento dell’economia italiana 339
Fig. 10
*
Società finanziarie: rapporto intermediazione
(valori percentuali)
90 90
80 80
70 70
60 60
50 50
40 40
30 30
20 20
1950 1952 1954 1956 1958 1960 1962 1964 1966 1968 1970 1972 1974 1976 1978 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004
*
Rapporto percentuale tra il totale delle attività finanziarie delle società finanziarie e
le passività finanziarie degli altri settori, compreso l’estero.
Fig. 11
Banche: rapporto di intermediazione*
(valori percentuali)
90 90
80 80
70 70
60 60
50 50
40 40
30 30
20 20
1950 1952 1954 1956 1958 1960 1962 1964 1966 1968 1970 1972 1974 1976 1978 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004
*
Rapporto percentuale tra il totale delle attività finanziarie delle banche e le passività
finanziarie degli altri settori, compreso l’estero.
340 Riccardo De Bonis
Tav. 1
Strumenti finanziari
(composizione percentuale per strumento)
Biglietti e Altre di cui:
Fondi Riserve
Anno monete Depositi Titoli Prestiti Azioni attività e crediti Totale
comuni tecniche
(*) passivi comm.li
1950 8,8 26,3 13,1 28,0 13,9 n.e. 1,9 8,1 7,2 100
1955 5,8 25,0 12,6 28,6 18,7 n.e. 2,3 7,0 6,6 100
1960 5,8 22,2 11,4 24,8 26,7 n.e. 2,2 6,9 6,4 100
1965 4,6 26,8 12,5 30,4 14,8 n.e. 2,3 8,6 6,0 100
1970 3,7 27,2 13,6 33,7 10,5 n.e. 2,3 9,0 5,3 100
1975 2,7 30,6 17,1 34,3 6,8 n.e. 1,9 6,6 5,0 100
1980 4,0 29,3 15,4 28,5 11,1 n.e. 1,4 10,3 6,2 100
1981 3,9 30,2 16,7 26,5 13,2 n.e. 1,5 8,0 6,8 100
1982 3,4 29,8 17,6 26,7 14,0 n.e. 1,5 7,1 6,3 100
1983 3,8 29,0 20,3 22,5 15,3 0,0 1,6 7,6 6,7 100
1984 3,2 25,7 19,3 26,5 14,2 0,2 3,5 7,5 6,6 100
1985 2,7 24,0 19,7 25,4 16,8 0,9 3,3 7,2 6,3 100
1986 2,3 22,4 19,8 23,0 20,9 2,0 3,2 6,6 5,7 100
1987 2,4 22,7 21,4 23,6 18,0 1,7 3,4 6,8 5,8 100
1988 2,2 21,9 21,7 24,4 18,1 1,4 3,5 6,8 5,9 100
1989 2,0 24,7 21,7 21,2 19,1 1,1 3,2 6,9 5,7 100
1990 1,8 24,1 22,4 22,6 17,7 1,0 3,3 7,1 5,9 100
1991 1,7 23,1 22,8 23,3 18,1 1,0 3,4 6,7 5,6 100
1992 1,7 23,9 23,0 24,4 15,7 0,9 3,5 6,9 5,4 100
1993 1,6 22,9 23,5 23,3 16,8 1,5 3,4 7,0 5,4 100
1994 1,7 22,3 25,7 21,0 16,5 1,6 3,6 7,6 5,7 100
1995 1,6 24,9 23,7 22,4 14,7 1,7 4,0 7,2 5,3 100
1996 1,5 24,0 25,6 21,2 14,8 2,3 4,1 6,6 4,8 100
1997 1,3 21,5 25,6 20,1 17,7 3,7 4,0 6,2 4,4 100
1998 1,3 18,1 25,7 18,3 20,8 6,1 4,0 5,8 4,1 100
1999 1,2 16,8 22,8 17,4 25,4 6,8 4,0 5,5 3,8 100
2000 1,2 16,1 22,6 17,9 26,6 6,2 4,2 5,2 3,5 100
2001 1,1 16,2 24,6 19,1 23,3 5,7 4,7 5,2 3,6 100
2002 1,1 17,7 25,5 19,7 20,0 5,0 5,2 5,7 4,1 100
2003 2,2 17,3 25,2 19,8 20,4 5,1 5,6 5,5 3,8 100
2004 1,2 17,1 25,4 19,6 21,1 4,7 5,8 5,2 3,6 100
* Comprende oro monetario e DSP.
Ricchezza finanziaria e indebitamento dell’economia italiana 341
Tav. 2
Famiglie: attività finanziarie
Composizione percentuale per strumento
Biglietti
Fondi Riserve Altre di cui:
Anno e Depositi Titoli Azioni Totale
comuni tecniche attività crediti
monete
commerciali
1950 12,3 51,2 16,2 12,8 n.e. 4,9 2,6 0,0 100
1955 10,0 42,0 17,0 23,0 n.e. 6,8 1,2 0,0 100
1960 7,7 31,8 16,4 35,4 n.e. 7,0 1,7 0,0 100
1965 9,2 41,8 16,9 18,1 n.e. 8,5 5,5 0,0 100
1970 8,3 45,4 19,2 10,7 n.e. 8,5 7,8 0,0 100
1975 7,9 62,5 14,0 2,7 n.e. 7,4 5,5 0,0 100
1980 4,9 49,2 14,5 24,3 n.e. 5,0 2,2 0,0 100
1981 4,6 44,9 17,5 26,5 n.e. 4,7 1,8 0,0 100
1982 4,2 45,1 18,2 27,5 n.e. 4,6 0,4 0,2 100
1983 4,0 41,3 22,4 27,4 0,0 4,5 0,4 0,2 100
1984 3,5 37,6 23,9 23,7 0,8 10,2 0,4 0,2 100
1985 3,1 33,4 23,6 27,9 2,5 9,2 0,3 0,2 100
1986 2,6 29,0 21,5 33,3 5,2 8,1 0,3 0,2 100
1987 2,7 30,2 26,0 27,5 4,6 8,7 0,3 0,2 100
1988 2,5 29,7 29,2 26,0 3,6 8,7 0,3 0,2 100
1989 2,9 30,3 28,0 28,3 2,6 7,7 0,2 0,2 100
1990 2,7 31,8 29,9 25,0 2,3 8,1 0,2 0,2 100
1991 2,6 31,7 29,6 25,5 2,3 8,1 0,2 0,2 100
1992 2,8 33,8 30,5 21,5 2,4 8,8 0,2 0,2 100
1993 2,7 32,4 30,1 22,0 3,8 8,7 0,2 0,2 100
1994 2,7 31,2 30,9 21,5 4,3 9,2 0,2 0,2 100
1995 2,6 39,1 27,4 15,3 4,1 10,5 1,0 0,2 100
1996 2,4 36,9 29,0 14,2 5,9 10,6 1,0 0,2 100
1997 2,3 31,4 27,6 17,4 9,7 10,7 1,0 0,2 100
1998 2,2 26,8 22,8 20,2 16,4 10,8 0,9 0,2 100
1999 2,2 23,2 16,9 27,3 18,6 11,1 0,8 0,2 100
2000 2,1 22,4 18,4 27,9 16,6 11,9 0,7 0,1 100
2001 1,8 24,3 20,7 24,9 14,3 13,5 0,6 0,2 100
2002 1,7 25,0 22,6 23,3 12,0 14,8 0,6 0,2 100
2003 2,0 24,9 21,8 22,4 12,2 16,0 0,6 0,2 100
2004 2,1 23,9 22,1 24,1 10,8 16,5 0,5 0,2 100
segue
342 Riccardo De Bonis
segue Tav. 2
Famiglie: passività finanziarie
( composizione percentuale per strumento)
Riserve Altre
Anno Titoli Prestiti Totale
tecniche passività
1950 0,0 100,0 0,0 0,0 100,0
1955 0,0 100,0 0,0 0,0 100,0
1960 0,0 100,0 0,0 0,0 100,0
1965 0,0 100,0 0,0 0,0 100,0
1970 0,0 100,0 0,0 0,0 100,0
1975 0,0 100,0 0,0 0,0 100,0
1980 0,0 100,0 0,0 0,0 100,0
1981 0,0 98,0 0,0 2,0 100,0
1982 0,0 97,6 0,0 2,4 100,0
1983 0,0 97,4 0,0 2,6 100,0
1984 0,0 97,2 0,0 2,8 100,0
1985 0,0 97,3 0,0 2,7 100,0
1986 0,0 96,9 0,0 3,1 100,0
1987 0,0 97,0 0,0 3,0 100,0
1988 0,0 97,5 0,0 2,5 100,0
1989 0,0 80,8 12,8 6,3 100,0
1990 0,0 81,3 12,3 6,3 100,0
1991 0,1 81,6 12,0 6,3 100,0
1992 0,1 81,0 12,0 6,9 100,0
1993 0,2 79,4 12,4 8,0 100,0
1994 0,1 78,0 12,6 9,4 100,0
1995 0,0 81,7 7,2 11,0 100,0
1996 0,0 79,5 7,1 13,3 100,0
1997 0,0 77,7 7,1 15,2 100,0
1998 0,0 75,8 6,8 17,3 100,0
1999 0,0 76,2 6,5 17,4 100,0
2000 0,0 75,4 6,3 18,3 100,0
2001 0,0 75,6 6,4 17,9 100,0
2002 0,0 76,2 6,4 17,4 100,0
2003 0,0 76,1 6,3 17,6 100,0
2004 0,0 78,0 6,1 15,8 100,0
Ricchezza finanziaria e indebitamento dell’economia italiana 343
Tav. 3
Imprese: attività finanziarie
(composizione percentuale per strumento)
Biglietti
Fondi Riserve Altre di cui:
Anno e Depositi Titoli Prestiti Azioni Totale
comuni tecniche attività crediti
monete
comm.li
1950 16,4 5,3 0,3 1,9 32,5 n.e. 0,5 43,2 43,2 100
1955 7,2 24,0 0,2 0,6 37,4 n.e. 0,5 30,1 30,1 100
1960 3,5 28,6 0,2 0,7 45,3 n.e. 0,4 21,4 21,4 100
1965 3,8 39,1 0,9 3,3 29,2 n.e. 0,5 23,1 22,9 100
1970 3,1 44,7 0,9 4,9 21,6 n.e. 0,7 24,2 23,9 100
1975 2,9 45,6 0,6 4,0 16,1 n.e. 0,9 29,8 27,8 100
1980 2,5 37,7 2,8 6,6 13,7 n.e. 0,8 35,9 35,2 100
1981 2,4 34,5 3,3 5,2 16,0 n.e. 0,8 37,7 37,6 100
1982 2,5 33,9 4,0 5,7 17,5 n.e. 0,9 35,5 35,4 100
1983 2,4 34,5 4,4 5,3 17,6 0,0 0,9 34,8 34,7 100
1984 2,3 33,2 5,9 0,6 18,6 0,0 0,9 38,5 38,4 100
1985 1,9 30,8 6,6 1,6 20,1 0,0 1,0 38,0 37,9 100
1986 1,8 28,5 7,2 1,6 25,7 0,0 1,0 34,4 34,3 100
1987 1,8 28,6 9,0 1,4 23,0 0,0 1,1 35,1 35,0 100
1988 1,7 25,8 9,8 1,8 24,6 0,0 1,1 35,1 35,0 100
1989 1,0 14,0 8,7 1,9 29,7 0,1 0,9 43,7 43,6 100
1990 0,9 12,2 9,0 2,0 31,9 0,1 0,9 43,0 42,9 100
1991 0,9 11,4 9,4 2,6 33,1 0,1 1,0 41,6 41,6 100
1992 1,0 10,8 8,5 2,8 33,5 0,1 1,1 42,2 41,8 100
1993 0,9 10,5 7,5 3,5 34,6 0,1 1,0 41,9 41,4 100
1994 0,9 10,6 7,2 3,9 33,8 0,1 1,0 42,6 42,0 100
1995 1,3 15,6 5,3 2,0 29,7 0,8 2,0 43,4 37,0 100
1996 1,2 14,6 5,5 2,0 32,3 1,1 2,1 41,2 35,5 100
1997 1,2 14,0 5,2 2,3 35,8 1,4 2,0 38,2 33,0 100
1998 1,1 12,3 5,0 2,6 40,6 2,0 1,8 34,6 30,2 100
1999 1,0 10,1 4,5 2,2 49,6 1,6 1,5 29,5 26,0 100
2000 0,9 9,3 4,6 2,3 56,2 1,3 1,4 24,0 21,5 100
2001 0,8 9,8 4,9 2,6 52,6 1,4 1,5 26,4 24,0 100
2002 0,8 11,4 5,3 2,0 45,3 1,3 1,7 32,2 29,6 100
2003 0,9 11,6 4,6 2,3 47,4 1,2 1,6 30,3 28,0 100
2004 1,0 12,1 5,1 4,1 46,2 1,1 1,7 28,7 26,2 100
segue
344 Riccardo De Bonis
segue Tav. 3
Imprese: passività finanziarie
(composizione percentuale per strumento)
Riserve Altre di cui:
Anno Titoli Prestiti Azioni Totale
tecniche passività debiti
comm.li
1950 4,1 37,5 37,3 n.e. 21,1 21,1 100
1955 3,1 37,1 43,5 n.e. 16,4 16,4 100
1960 3,6 29,7 54,4 n.e. 12,3 12,3 100
1965 7,3 42,9 36,5 n.e. 13,4 13,4 100
1970 7,3 51,4 27,5 n.e. 13,9 13,9 100
1975 7,0 58,8 18,4 n.e. 15,8 15,6 100
1980 4,2 44,3 31,3 n.e. 20,2 19,8 100
1981 3,5 41,6 32,6 n.e. 22,3 19,7 100
1982 3,7 39,2 36,8 0,0 20,3 17,8 100
1983 3,4 38,1 38,0 0,0 20,5 17,9 100
1984 2,9 38,1 33,4 4,9 20,8 18,3 100
1985 2,6 35,5 37,1 4,4 20,3 17,8 100
1986 2,6 32,3 42,6 4,0 18,5 16,0 100
1987 2,9 34,4 39,3 4,2 19,2 16,5 100
1988 2,6 35,7 37,8 4,1 19,8 17,2 100
1989 2,4 32,5 41,8 3,7 19,7 18,3 100
1990 2,0 34,2 40,3 3,7 19,9 18,5 100
1991 2,0 34,5 40,6 3,6 19,2 17,8 100
1992 1,8 37,4 37,4 3,7 19,7 18,2 100
1993 1,7 35,8 38,5 3,6 20,5 18,7 100
1994 1,5 33,9 39,3 3,5 21,9 19,5 100
1995 1,4 40,1 35,6 4,4 18,5 18,0 100
1996 1,6 38,1 38,3 4,5 17,5 17,0 100
1997 1,5 35,3 42,3 4,3 16,6 16,1 100
1998 1,6 32,4 46,2 4,1 15,8 15,1 100
1999 1,0 28,6 53,0 3,5 13,9 13,2 100
2000 1,1 28,9 54,4 3,4 12,2 11,5 100
2001 1,8 30,8 50,9 3,6 12,8 12,1 100
2002 2,3 32,1 47,1 3,9 14,6 13,9 100
2003 2,6 33,0 46,1 4,0 14,2 13,5 100
2004 2,7 32,2 47,8 4,0 13,3 12,7 100
Ricchezza finanziaria e indebitamento dell’economia italiana 345
Tav. 4
Totale attività finanziarie dei settori
(composizione percentuale per strumento)
Resto
Società Amm.ni
Anno Famiglie Imprese Banche del Totale
finanziarie pubbliche
mondo
1950 36,7 16,5 38,6 23,1 3,0 5,3 100
1955 32,4 22,1 37,0 25,2 4,4 4,1 100
1960 31,6 27,5 32,9 24,1 3,8 4,2 100
1965 26,7 21,3 36,0 29,7 9,9 6,1 100
1970 26,7 18,1 39,9 33,8 8,4 6,9 100
1975 23,3 13,6 45,2 37,1 10,7 7,1 100
1980 27,0 13,8 40,2 31,9 12,7 6,3 100
1981 29,2 14,4 38,2 30,3 13,4 4,8 100
1982 29,9 14,0 37,6 30,5 13,6 5,0 100
1983 32,2 15,1 40,1 32,3 6,7 5,9 100
1984 32,6 14,1 38,5 31,0 6,0 9,0 100
1985 34,8 14,0 37,2 29,2 5,8 8,3 100
1986 37,9 14,1 35,4 27,5 5,4 7,2 100
1987 37,7 13,9 35,7 27,2 5,4 7,3 100
1988 38,2 14,4 34,3 26,1 5,3 7,7 100
1989 40,4 11,4 34,4 24,7 5,4 8,3 100
1990 39,8 12,0 34,1 24,3 5,3 8,8 100
1991 40,2 11,7 34,1 24,6 5,0 9,1 100
1992 38,0 11,4 35,5 26,0 4,7 10,4 100
1993 37,8 11,6 34,8 25,1 4,9 10,9 100
1994 37,5 12,0 34,1 23,9 5,2 11,2 100
1995 34,6 12,4 35,0 24,7 6,7 11,3 100
1996 34,7 11,8 35,2 24,3 6,6 11,8 100
1997 34,2 11,7 35,1 22,5 6,2 12,9 100
1998 33,7 11,8 35,4 21,0 5,5 13,5 100
1999 33,3 12,8 35,1 19,5 4,9 13,9 100
2000 32,7 13,9 34,3 19,6 4,9 14,2 100
2001 32,5 13,0 35,2 20,2 4,9 14,4 100
2002 32,7 12,1 35,9 21,9 4,8 14,6 100
2003 32,3 12,1 37,1 22,2 3,9 14,6 100
2004 32,8 12,2 36,3 22,3 3,9 14,8 100
segue
346 Riccardo De Bonis
segue Tav. 4
Totale passività finanziarie dei settori
(composizione percentuale per strumento)
Resto
Società Amm.ni
Anno Famiglie Imprese Banche del Totale
finanziarie pubbliche
mondo
1950 1,2 34,1 35,0 19,4 24,1 5,7 100
1955 1,4 40,4 33,1 21,3 21,5 3,7 100
1960 1,3 46,8 30,0 21,3 16,5 5,5 100
1965 2,0 36,0 36,1 29,3 17,9 8,0 100
1970 2,1 30,7 39,7 33,2 17,5 10,0 100
1975 2,2 24,2 43,4 35,0 23,1 7,1 100
1980 1,7 24,1 40,2 30,1 24,4 9,6 100
1981 1,7 27,8 36,1 28,1 27,2 7,3 100
1982 1,6 28,2 35,5 28,2 28,7 6,0 100
1983 1,7 29,4 36,6 29,5 25,0 7,2 100
1984 1,6 29,7 36,1 29,5 23,9 8,8 100
1985 1,7 29,8 36,3 27,4 24,5 7,6 100
1986 1,8 30,2 37,2 25,4 24,1 6,7 100
1987 2,0 29,5 35,8 25,5 25,9 6,8 100
1988 2,1 29,4 35,2 24,7 26,2 7,0 100
1989 4,8 27,4 36,8 26,3 24,0 7,0 100
1990 5,0 27,9 35,4 25,1 24,7 7,1 100
1991 5,0 27,5 36,0 25,7 24,4 7,1 100
1992 4,9 26,3 36,2 26,4 24,9 7,7 100
1993 4,6 25,7 35,8 25,4 25,0 9,0 100
1994 4,6 25,9 34,5 24,3 26,1 8,9 100
1995 4,4 25,6 33,6 23,7 26,3 10,0 100
1996 4,4 24,6 33,5 23,6 26,6 10,8 100
1997 4,2 24,0 34,5 23,1 24,7 12,6 100
1998 4,2 23,7 36,3 23,1 22,9 12,9 100
1999 4,1 25,4 35,3 21,4 19,6 15,6 100
2000 4,2 26,0 36,1 22,1 18,5 15,2 100
2001 4,4 25,9 35,4 21,3 19,1 15,2 100
2002 4,8 25,8 36,6 22,8 19,4 13,4 100
2003 4,9 25,0 38,3 23,1 18,0 13,7 100
2004 5,1 25,1 38,8 23,4 17,7 13,3 100
Ricchezza finanziaria e indebitamento dell’economia italiana 347
Tav. 5
Società finanziarie: attività finanziarie
(composizione percentuale per strumento)
Oro
Biglietti
monetario Fondi Altre
Anno e Depositi Titoli Prestiti Azioni Totale
e comuni attività
monete
DSP
1950 1,9 1,9 19,0 17,9 58,9 0,5 n.e. 0,0 100
1955 1,4 1,1 18,2 19,3 59,4 0,6 n.e. 0,0 100
1960 6,8 0,9 17,5 18,6 55,2 0,9 n.e. 0,0 100
1965 3,3 0,5 15,1 18,8 60,7 1,6 n.e. 0,0 100
1970 2,0 0,4 14,8 20,2 60,7 1,7 n.e. 0,1 100
1975 0,8 0,3 17,6 29,8 49,7 1,8 n.e. 0,0 100
1980 5,8 0,3 20,4 28,0 42,6 1,6 n.e. 1,2 100
1981 5,5 0,3 21,8 28,5 40,4 1,9 n.e. 1,7 100
1982 4,4 0,2 21,4 30,1 40,0 2,0 n.e. 1,8 100
1983 5,0 0,2 21,3 30,4 38,8 2,4 0,0 1,9 100
1984 4,1 0,3 19,7 26,9 44,5 2,5 0,0 2,0 100
1985 3,3 0,3 18,4 27,4 45,0 3,4 0,0 2,2 100
1986 2,7 0,3 17,9 28,4 43,3 5,2 0,0 2,3 100
1987 2,8 0,2 17,8 27,3 44,7 4,6 0,0 2,5 100
1988 2,5 0,2 17,2 24,7 48,0 5,1 0,0 2,4 100
1989 1,9 0,2 20,9 23,0 47,2 4,9 0,0 1,9 100
1990 1,6 0,3 19,0 22,5 50,1 4,5 0,0 2,0 100
1991 1,4 0,3 16,4 23,4 51,7 5,0 0,0 2,0 100
1992 1,2 0,2 16,7 23,6 51,5 4,6 0,0 2,2 100
1993 1,3 0,2 15,8 23,6 50,1 6,3 0,0 2,6 100
1994 1,4 0,2 14,6 28,9 44,9 6,5 0,0 3,4 100
1995 1,3 0,2 14,8 27,7 48,0 7,3 0,2 0,4 100
1996 1,1 0,2 15,9 29,0 45,9 7,4 0,3 0,3 100
1997 0,9 0,2 15,4 28,9 43,9 10,1 0,4 0,1 100
1998 0,9 0,2 12,1 31,7 40,5 13,8 0,6 0,0 100
1999 0,8 0,2 12,3 29,2 38,7 17,8 1,0 0,0 100
2000 0,8 0,2 12,1 27,2 40,8 17,4 1,4 0,0 100
2001 0,8 0,3 11,5 28,9 42,1 14,2 2,1 0,0 100
2002 0,8 0,3 15,1 27,4 43,2 10,8 2,3 0,0 100
2003 0,8 0,3 14,6 26,6 43,4 12,0 2,3 0,1 100
2004 0,7 0,2 14,5 26,6 43,4 12,1 2,3 0,1 100
segue
348 Riccardo De Bonis
segue Tav. 5
Società finanziarie: passività finanziarie
(composizione percentuale per strumento)
Biglietti
Fondi Riserve Altre
Anno e Depositi Titoli Prestiti Azioni comuni tecniche passività Totale
monete
1950 21,7 58,9 3,8 10,9 2,2 n.e. 2,6 0,0 100
1955 14,8 60,0 6,9 12,3 3,0 n.e. 3,0 0,0 100
1960 11,4 61,4 9,5 11,1 3,4 n.e. 3,2 0,0 100
1965 9,3 59,6 12,3 9,8 3,1 n.e. 2,7 3,2 100
1970 7,1 57,4 13,0 12,8 3,1 n.e. 2,5 4,1 100
1975 5,4 61,6 14,1 12,8 4,1 n.e. 2,0 0,0 100
1980 4,3 59,3 10,1 9,2 8,0 n.e. 1,6 7,3 100
1981 5,0 66,3 11,4 5,0 10,4 n.e. 1,9 0,1 100
1982 4,9 68,1 11,1 4,8 9,0 n.e. 2,0 0,1 100
1983 4,7 67,2 10,6 6,4 9,0 0,0 2,1 0,0 100
1984 4,4 61,6 9,1 12,5 8,7 0,1 3,5 0,1 100
1985 4,0 57,0 8,1 12,9 12,8 1,7 3,5 0,1 100
1986 3,6 51,5 7,2 11,3 18,3 4,6 3,5 0,1 100
1987 3,8 53,9 7,9 11,8 14,5 4,1 4,0 0,1 100
1988 3,7 52,1 7,6 12,7 16,2 3,2 4,4 0,1 100
1989 3,6 55,2 6,8 8,4 17,7 2,5 4,4 1,3 100
1990 3,6 55,6 6,7 10,4 15,1 2,3 4,9 1,4 100
1991 3,4 53,5 6,5 12,2 15,7 2,4 5,0 1,2 100
1992 3,4 55,8 6,4 13,2 12,3 2,3 5,3 1,2 100
1993 3,3 53,5 6,8 12,7 13,7 3,8 5,4 0,9 100
1994 3,4 53,0 7,4 11,8 12,9 4,5 6,1 0,9 100
1995 3,3 58,0 6,2 10,4 10,1 4,1 7,6 0,1 100
1996 3,1 54,7 9,5 9,5 9,3 5,8 7,9 0,1 100
1997 2,9 46,3 11,2 9,8 12,7 9,3 7,8 0,1 100
1998 2,6 37,4 12,1 9,0 16,2 15,2 7,5 0,0 100
1999 2,6 36,2 11,0 8,6 16,3 17,2 8,2 0,0 100
2000 2,5 34,6 12,6 9,0 18,0 14,7 8,6 0,0 100
2001 2,2 35,2 15,1 10,8 13,3 13,5 9,9 0,0 100
2002 2,0 37,9 16,7 10,8 10,3 11,6 10,7 0,0 100
2003 2,1 36,9 16,8 10,3 11,7 10,9 11,1 0,1 100
2004 2,2 36,7 18,1 9,0 12,7 9,6 11,6 0,1 100
Ricchezza finanziaria e indebitamento dell’economia italiana 349
Tav. 6
Banche: attività finanziarie
(composizione percentuale per strumento)
Riserve
Biglietti
Fondi Riserve tecniche
Anno e Depositi Titoli Prestiti Azioni Totale
comuni tecniche e altre
monete
attività
1950 1,5 15,6 19,3 63,0 0,6 n.e. n.e. 0,0 100
1955 0,9 16,4 16,7 65,4 0,6 n.e. n.e. 0,0 100
1960 0,7 14,9 19,1 64,3 1,0 n.e. n.e. 0,0 100
1965 0,6 17,3 17,3 63,4 1,4 n.e. n.e. 0,0 100
1970 0,5 16,1 17,0 64,8 1,6 n.e. n.e. 0,1 100
1975 0,3 20,8 22,7 54,4 1,8 n.e. n.e. 0,0 100
1980 0,4 22,0 26,5 48,0 1,7 n.e. n.e. 1,5 100
1981 0,3 23,6 26,1 44,0 3,8 n.e. n.e. 2,2 100
1982 0,3 23,3 28,6 41,9 3,7 n.e. n.e. 2,2 100
1983 0,3 22,8 28,9 41,0 4,7 0,0 0,0 2,3 100
1984 0,3 21,0 25,1 47,8 3,2 0,0 0,0 2,5 100
1985 0,3 21,0 24,1 48,0 3,8 0,0 0,0 2,8 100
1986 0,3 20,7 22,6 47,0 6,5 0,0 0,0 3,0 100
1987 0,3 20,4 22,4 48,7 4,9 0,0 0,0 3,3 100
1988 0,3 19,2 20,0 52,4 5,0 0,0 0,0 3,1 100
1989 0,3 23,7 18,0 53,8 1,6 0,0 0,0 2,5 100
1990 0,4 20,9 16,7 57,7 1,6 0,0 0,0 2,7 100
1991 0,4 18,5 17,6 58,4 2,4 0,0 0,0 2,7 100
1992 0,3 19,5 18,4 57,1 2,0 0,0 0,0 2,7 100
1993 0,3 18,8 17,6 57,4 2,6 0,0 0,0 3,3 100
1994 0,3 17,4 19,9 55,9 2,0 0,0 0,0 4,5 100
1995 0,3 15,6 18,6 62,7 2,2 0,0 0,1 0,6 100
1996 0,4 16,5 19,3 61,1 2,3 0,0 0,1 0,4 100
1997 0,4 16,9 18,0 61,2 3,2 0,0 0,1 0,2 100
1998 0,4 15,9 17,9 60,3 5,2 0,1 0,1 0,1 100
1999 0,4 14,2 17,5 60,8 6,9 0,2 0,1 0,1 100
2000 0,4 14,4 15,3 62,3 7,3 0,3 0,1 0,1 100
2001 0,5 13,4 15,8 63,5 6,3 0,4 0,1 0,1 100
2002 0,5 18,3 13,4 61,9 5,4 0,4 0,1 0,1 100
2003 0,4 17,7 12,7 61,8 6,8 0,5 0,1 0,1 100
2004 0,4 17,8 13,3 60,9 6,9 0,5 0,1 0,1 100
segue
350 Riccardo De Bonis
segue Tav. 6
Banche: attività finanziarie
(composizione percentuale per strumento)
Riserve
Riserve tecniche
Anno Depositi Titoli Prestiti Azioni Totale
tecniche e altre
attività
1950 76,0 6,8 14,7 2,6 n.e. 0,0 100
1955 72,0 10,7 14,3 3,0 n.e. 0,0 100
1960 68,6 13,4 14,1 4,0 n.e. 0,0 100
1965 66,7 15,1 11,9 3,5 n.e. 2,7 100
1970 62,6 15,6 15,1 3,4 n.e. 3,4 100
1975 66,5 17,4 12,3 3,8 n.e. 0,0 100
1980 70,6 13,5 11,9 4,0 n.e. 0,0 100
1981 75,2 14,5 5,7 4,6 n.e. 0,0 100
1982 76,6 13,9 5,5 4,0 n.e. 0,0 100
1983 74,7 13,1 6,9 5,3 0,0 0,0 100
1984 67,1 11,1 14,5 6,1 1,2 1,2 100
1985 66,4 10,7 15,0 6,7 1,2 1,2 100
1986 66,5 10,6 14,2 7,4 1,3 1,3 100
1987 66,1 11,1 14,2 7,2 1,4 1,4 100
1988 65,0 10,9 15,3 7,4 1,4 1,4 100
1989 69,0 9,5 6,4 12,8 1,3 2,3 100
1990 69,7 9,4 7,6 10,8 1,3 2,4 100
1991 67,2 9,1 9,7 11,8 1,3 2,3 100
1992 69,9 8,8 10,9 8,3 1,2 2,2 100
1993 68,8 9,5 11,1 8,5 1,2 2,1 100
1994 67,9 10,5 10,9 8,5 1,3 2,2 100
1995 75,5 8,7 6,9 7,4 1,3 1,4 100
1996 72,3 13,3 5,8 7,2 1,2 1,3 100
1997 63,6 16,5 6,5 12,2 1,1 1,2 100
1998 56,8 18,9 6,0 17,3 0,9 0,9 100
1999 56,3 17,4 6,0 19,4 0,9 0,9 100
2000 54,2 19,1 6,2 19,7 0,8 0,8 100
2001 56,6 21,4 8,1 13,2 0,7 0,7 100
2002 59,0 22,3 7,4 10,6 0,6 0,6 100
2003 56,1 22,7 7,6 13,0 0,6 0,6 100
2004 55,1 24,2 6,6 13,4 0,5 0,6 100
Ricchezza finanziaria e indebitamento dell’economia italiana 351
Tav. 7
Amministrazioni pubbliche: attività finanziarie
(composizione percentuale per strumento)
Biglietti
Fondi Altre
Anno e Depositi Titoli Prestiti Azioni Totale
comuni attività
monete
1950 0,0 0,0 25,3 74,0 0,6 n.e. 0,0 100
1955 0,0 0,0 19,9 79,7 0,4 n.e. 0,0 100
1960 0,0 0,0 14,7 84,8 0,5 n.e. 0,0 100
1965 0,3 18,0 13,1 57,2 11,3 n.e. 0,1 100
1970 0,4 13,4 7,5 63,4 15,3 n.e. 0,0 100
1975 0,4 17,5 3,7 66,0 12,3 n.e. 0,1 100
1980 0,4 24,9 2,8 59,4 12,4 n.e. 0,0 100
1981 0,4 23,6 2,5 60,6 12,9 n.e. 0,0 100
1982 0,3 21,8 2,2 61,8 13,9 n.e. 0,0 100
1983 0,7 20,9 4,6 42,0 31,7 0,0 0,0 100
1984 0,8 19,1 6,2 40,0 34,0 0,0 0,0 100
1985 0,7 19,8 6,0 40,2 33,4 0,0 0,0 100
1986 0,7 17,3 7,1 41,5 33,5 0,0 0,0 100
1987 0,7 17,0 7,8 41,1 33,4 0,0 0,0 100
1988 0,7 16,4 8,1 43,1 31,8 0,0 0,0 100
1989 0,0 15,7 7,9 44,6 26,6 0,0 5,2 100
1990 0,0 15,2 8,6 45,4 26,0 0,0 4,7 100
1991 0,0 15,4 8,7 45,9 25,6 0,0 4,5 100
1992 0,0 15,9 9,0 45,3 26,3 0,0 3,4 100
1993 0,0 22,2 8,0 42,2 25,3 0,0 2,2 100
1994 0,0 27,4 7,4 41,9 21,9 0,0 1,3 100
1995 0,0 22,9 3,7 33,4 29,3 0,1 10,6 100
1996 0,0 18,9 4,2 33,9 31,4 0,1 11,5 100
1997 0,0 17,8 4,4 31,0 33,0 0,2 13,6 100
1998 0,0 16,1 4,6 29,1 32,5 0,3 17,4 100
1999 0,0 20,2 5,8 28,3 25,2 0,4 20,1 100
2000 0,0 16,8 5,5 27,4 27,0 1,0 22,3 100
2001 0,0 17,4 4,8 29,0 24,5 1,8 22,5 100
2002 0,0 15,8 4,2 31,2 23,4 1,7 23,7 100
2003 0,0 15,8 3,3 22,9 25,4 1,9 30,6 100
2004 0,0 15,9 3,2 26,0 24,6 1,8 28,6 100
segue
352 Riccardo De Bonis
segue Tav. 7
Amministrazioni pubbliche: passività finanziarie
(composizione percentuale per strumento)
Biglietti Riserve Altre
Anno Depositi Titoli Prestiti Azioni Totale
e monete tecniche passività
1950 0,3 22,2 40,1 33,3 0,0 4,1 0,0 100
1955 0,9 22,4 37,0 33,7 0,0 5,9 0,0 100
1960 0,7 21,0 37,6 33,0 0,0 7,8 0,0 100
1965 0,6 26,6 25,8 38,9 0,0 7,8 0,3 100
1970 0,6 20,5 32,2 38,5 0,0 7,9 0,3 100
1975 0,3 15,5 39,2 40,5 0,0 4,3 0,2 100
1980 0,2 19,2 41,5 35,8 0,0 3,2 0,1 100
1981 0,2 19,7 42,1 35,1 0,0 2,9 0,1 100
1982 0,2 17,7 44,3 35,0 0,0 2,8 0,1 100
1983 0,2 13,0 60,2 23,4 0,0 3,3 0,1 100
1984 0,2 10,7 62,0 23,8 0,0 3,2 0,2 100
1985 0,1 10,5 64,9 21,2 0,0 3,0 0,2 100
1986 0,1 10,3 67,0 19,3 0,0 3,0 0,3 100
1987 0,1 10,5 67,4 18,7 0,0 2,9 0,3 100
1988 0,1 10,5 68,0 18,3 0,0 2,8 0,2 100
1989 0,1 8,9 73,9 17,0 0,0 0,0 0,0 100
1990 0,1 8,8 74,5 16,6 0,0 0,0 0,0 100
1991 0,1 8,6 74,8 16,5 0,0 0,0 0,0 100
1992 0,1 8,1 75,5 16,3 0,0 0,0 0,0 100
1993 0,1 7,6 76,8 15,5 0,0 0,0 0,0 100
1994 0,1 7,7 81,4 10,8 0,0 0,0 0,0 100
1995 0,1 10,2 73,3 11,9 0,0 0,0 4,6 100
1996 0,1 9,9 75,1 11,0 0,0 0,0 3,9 100
1997 0,1 10,0 75,7 10,4 0,0 0,0 3,9 100
1998 0,1 10,1 77,1 9,2 0,0 0,0 3,6 100
1999 0,1 11,2 74,9 10,1 0,0 0,0 3,8 100
2000 0,1 11,5 75,2 9,6 0,0 0,0 3,5 100
2001 0,1 12,4 75,1 9,4 0,0 0,0 3,0 100
2002 0,1 12,7 75,0 9,1 0,0 0,0 3,0 100
2003 0,1 9,7 76,7 10,4 0,0 0,0 3,1 100
2004 0,2 9,4 76,6 10,8 0,0 0,0 3,1 100
segue
Ricchezza finanziaria e indebitamento dell’economia italiana 353
Tav. 8
Resto del mondo: attività finanziarie
(composizione percentuale per strumento)
Riserve
Fondi Riserve tecniche di cui:
Anno Depositi Titoli Prestiti Azioni Totale
comuni tecniche e altre crediti
attività comm.li
1950 1,8 0,7 59,9 37,6 n.e. n.e. 0,0 n.d. 100
1955 2,1 0,7 53,3 44,0 n.e. n.e. 0,0 n.d. 100
1960 5,8 0,6 34,4 43,6 n.e. n.e. 15,7 15,7 100
1965 0,6 0,6 44,4 34,5 n.e. n.e. 19,9 19,9 100
1970 0,1 0,4 57,6 26,2 n.e. n.e. 15,7 15,7 100
1975 0,9 0,2 61,6 18,9 n.e. n.e. 18,4 17,7 100
1980 0,8 0,8 58,6 14,0 n.e. n.e. 25,9 25,5 100
1981 0,9 1,1 50,3 17,9 n.e. n.e. 29,7 29,7 100
1982 0,9 1,5 53,7 15,5 n.e. n.e. 28,4 27,4 100
1983 0,6 1,3 58,1 13,5 0,0 0,0 26,5 25,6 100
1984 0,4 1,1 74,7 10,1 0,0 0,0 13,8 13,8 100
1985 0,2 2,0 71,0 14,1 0,0 0,0 12,8 12,8 100
1986 0,1 3,8 69,6 14,4 0,0 0,0 12,1 12,1 100
1987 0,4 3,4 69,6 13,6 0,0 0,0 13,1 13,1 100
1988 0,3 4,0 68,2 16,3 0,0 0,0 11,2 11,2 100
1989 32,5 11,6 29,1 15,0 0,7 0,0 11,1 9,5 100
1990 28,8 13,5 33,7 12,3 0,5 0,0 11,2 9,2 100
1991 28,3 14,8 35,5 11,4 0,4 0,0 9,7 8,0 100
1992 29,7 15,4 36,2 8,6 0,3 0,0 9,8 6,7 100
1993 25,0 22,9 31,9 10,9 0,3 0,0 9,1 5,6 100
1994 24,2 27,7 27,9 10,4 0,3 0,0 9,5 6,1 100
1995 23,5 31,7 27,2 10,4 0,3 0,9 6,9 6,1 100
1996 22,6 37,4 22,1 11,6 0,3 0,9 6,1 5,2 100
1997 20,1 39,9 19,2 15,2 0,4 0,8 5,3 4,5 100
1998 17,8 43,6 15,2 18,7 0,5 0,7 4,3 3,6 100
1999 17,7 43,9 15,8 17,6 0,4 1,0 4,7 3,7 100
2000 17,8 44,6 15,5 17,0 0,3 1,0 4,8 3,7 100
2001 14,9 47,4 17,6 15,0 0,3 1,0 4,8 3,5 100
2002 13,3 51,2 17,3 13,2 0,3 1,1 4,7 3,4 100
2003 12,6 52,2 17,1 13,4 0,3 1,1 4,3 3,2 100
2004 12,5 52,4 15,7 15,1 0,3 1,2 4,1 2,9 100
segue
354 Riccardo De Bonis
segue Tav. 8
Resto del mondo: passività finanziarie
(composizione percentuale per strumento)
Oro Biglietti di cui:
Fondi Altre
Anno monet. e Depositi Titoli Prestiti Azioni Totale
comuni passività debiti
e DSP monete
comm.li
1950 12,9 6,5 6,1 12,2 38,6 7,1 n.e. 16,6 n.d. 100
1955 13,6 4,6 10,4 29,6 26,9 4,5 n.e. 10,5 n.d. 100
1960 39,4 1,9 6,0 12,2 15,2 4,1 n.e. 21,2 11,6 100
1965 14,6 0,1 4,6 12,0 27,4 8,1 n.e. 33,1 15,0 100
1970 7,9 0,1 5,5 7,1 38,4 9,7 n.e. 31,3 10,7 100
1975 4,8 0,1 2,0 5,4 39,9 8,7 n.e. 39,1 17,7 100
1980 24,0 0,0 10,2 5,4 31,4 6,1 n.e. 22,9 16,6 100
1981 29,0 0,0 13,8 7,8 13,4 9,7 n.e. 26,3 20,0 100
1982 28,2 0,0 12,7 5,2 18,0 12,4 n.e. 23,5 23,1 100
1983 27,7 0,0 13,9 7,7 17,1 12,6 0,0 21,0 20,7 100
1984 17,8 0,0 10,7 6,3 34,9 14,0 2,4 14,0 14,0 100
1985 16,3 0,0 8,1 3,5 39,2 15,6 3,5 13,9 13,9 100
1986 14,2 0,0 8,5 3,8 37,2 19,0 4,2 13,0 13,0 100
1987 14,9 0,0 10,3 5,4 33,1 18,5 3,8 14,0 14,0 100
1988 12,1 0,0 11,3 7,9 33,0 20,0 3,4 12,3 12,3 100
1989 9,5 0,0 35,5 13,4 8,2 19,4 2,8 11,2 11,2 100
1990 7,7 0,0 34,0 18,0 8,7 18,1 2,0 11,5 11,5 100
1991 6,5 0,0 26,6 24,5 11,0 19,5 1,6 10,3 10,2 100
1992 5,4 0,0 24,1 21,1 15,6 20,5 1,4 11,7 8,9 100
1993 5,2 0,0 23,0 18,0 18,1 24,4 1,2 10,1 6,9 100
1994 5,5 0,0 24,4 19,3 14,1 23,2 1,1 12,5 7,7 100
1995 4,4 0,0 26,7 19,1 18,6 21,6 2,7 6,9 6,9 100
1996 3,5 0,0 28,1 18,9 20,4 20,3 3,2 5,6 5,6 100
1997 2,6 0,0 24,3 21,2 18,9 24,8 3,8 4,6 4,6 100
1998 2,4 0,0 17,1 25,3 16,4 30,8 4,2 3,8 3,8 100
1999 1,9 0,0 11,6 25,6 13,3 39,5 4,7 3,3 3,3 100
2000 1,8 0,0 9,6 25,5 14,5 39,1 5,8 3,6 3,5 100
2001 2,0 0,0 9,1 29,3 14,5 35,6 6,3 3,4 3,4 100
2002 2,3 0,0 9,8 31,9 15,7 30,6 6,0 3,7 3,7 100
2003 2,1 0,0 10,4 31,7 14,2 31,8 6,3 3,5 3,4 100
2004 2,0 0,0 8,7 31,2 16,1 31,5 7,1 3,4 3,3 100
Ricchezza finanziaria e indebitamento dell’economia italiana 355
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DISCUSSIONE DEL LAVORO DI R. DE BONIS
Giorgio Calcagnini∗
Gli studi sullo sviluppo economico italiano hanno tradizionalmente
posto l’accento sulle variabili che descrivono l’economia reale: PIL,
consumi, investimenti, esportazioni e importazioni, occupazione, ecc.
L’aver relegato le variabili finanziarie a svolgere, almeno apparentemente,
un ruolo non di primo piano all’interno dello schema interpretativo è stata
una scelta spesso dettata più dalla indisponibilità di informazioni
quantitative omogenee sufficienti a coprire un lungo arco di tempo, che da
motivazioni teoriche. Anche se il giudizio non è condiviso dalla totalità
degli economisti, la finanza è una delle componenti del modello di
sviluppo di un’economia. Non tenerne conto significherebbe non
comprendere appieno i complessi meccanismi che sono alla base della
crescita economica, tanto dei paesi più arretrati che di quelli più avanzati. Il
lavoro di De Bonis offre finalmente agli studiosi la possibilità di rileggere
il tragitto percorso dalla nostra economia senza trascurare i legami e i nessi
di causalità intercorsi tra sfera reale e finanziaria. Questa rilettura permette,
inoltre, di avanzare un’ipotesi interpretativa, tra le tante che già circolano,
sul declino dell’economia italiana di questi ultimi anni. Di conseguenza,
questo contributo non è un vero e proprio commento, così come siamo
soliti intenderlo, al lavoro di De Bonis, ma una riflessione nata dal suo
lavoro basato sulla ricostruzione storica dei conti finanziari italiani portata
avanti in questi anni dalla Banca d’Italia.
Che la finanza sia strettamente connessa con lo sviluppo economico
lo si ricava guardando semplicemente alla relazione tra credito, una delle
proxy più utilizzate per misurare le dimensioni del settore finanziario, e
livello del PIL pro capite (fig. 1).
Senza addentrarsi nel dibattito se sia lo sviluppo economico a
determinare la quantità di credito domandata o, viceversa, se sia la
disponibilità di credito a facilitare le decisioni di consumo e investimento,
e quindi a determinare il livello di reddito, il grafico mostra
inequivocabilmente come sfera reale e finanziaria tendano a essere
collegate da una relazione positiva di lungo periodo.
__________
∗
Facoltà di Economia, Università di Urbino “Carlo Bo”.
360 Giorgio Calcagnini
Fig. 1
Relazione sviluppo finanziario e reale. Medie 1970-2000
16 0
14 0
12 0
Credito in % del PIL
10 0
80
60
40
20
0 20 40 60 80 10 0 120
PIL pro capite (USA=100)
Svi l u pp a t i E me r g e n t i In vi a d i s vi l u pp o Li ne a di t e n de nz a
Fonte: Fondo monetario internazionale, World Economic Outlook, aprile 2004, p. 148.
Nel caso specifico dell’economia italiana, e per il periodo 1950-
2004, la relazione tra queste due sfere è riportata nella figura 1 del lavoro
di De Bonis, e qui riprodotta per convenienza (fig. 2).
Il numeratore del rapporto riportato nella figura 2 è il totale delle
attività finanziarie (biglietti e monete, depositi, titoli, prestiti, azioni,
riserve tecniche, e altre attività) lorde. Questo rapporto, che nel seguito
chiameremo di finanziarizzazione, è passato da un livello di circa 1,5 agli
inizi del periodo a un livello di poco superiore a 7 a fine periodo.
Discussione del lavoro di R. De Bonis 361
Fig. 2
Attività (passività) finanziarie del totale settori sul PIL
7.5
6.5
5.5
4.5
3.5
2.5
1.5
1
1950 1952 1954 1956 1958 1960 1962 1964 1966 1968 1970 1972 1974 1976 1978 1980 1982 1984 1986 1988 1990 1992 1994 1996 1998 2000 2002 2004
Dall’ispezione grafica della serie sono individuabili tre periodi:
1950-1973; 1974-19831; 1984-2004. Nel primo e ultimo periodo il rapporto
di finanziarizzazione è in crescita, mentre nel periodo centrale il rapporto
tra attività finanziarie e PIL è in moderata contrazione.
Questa periodizzazione dell’intero arco temporale, 1950-2004,
coincide con fasi di sviluppo dell’economia italiana ben note. La prima
fase (1950-1973) è il periodo di crescita economica iniziato negli anni
cinquanta e interrottosi a causa di vari shock (prezzi delle materie prime,
costo del lavoro) agli inizi degli anni settanta. Questo periodo storico è
caratterizzato da elevati tassi di crescita del PIL e da moderati tassi di
inflazione. Lo sviluppo economico è accompagnato in questi anni da
cambiamenti che interessano i portafogli degli operatori economici e,
quindi, la composizione delle attività finanziarie dell’economia italiana2.
__________
1
Questo secondo periodo potrebbe essere esteso fino al 1992 quando il rapporto tra attività
finanziarie e PIL torna sui livelli di inizio anni settanta, ma senza che l’interpretazione del
fenomeno ne risenta significativamente.
2
Cfr. anche Bonci e Coletta (2006).
362 Giorgio Calcagnini
Un ruolo di primo piano nello sviluppo finanziario dell’Italia viene svolto
dalle banche favorendo la detenzione di depositi da parte delle famiglie e
intervenendo in misura crescente nel finanziamento delle imprese.
In sintesi, l’andamento del rapporto tra attività finanziarie e PIL fino
agli inizi degli anni settanta, tenendo conto delle dinamiche del numeratore
e denominatore, può essere considerato “naturale”. Esso infatti riflette
l’adozione anche in Italia di comportamenti e decisioni finanziarie tipiche
di economie in fase di sviluppo, a cui si accompagna un’espansione della
ricchezza finanziaria.
Durante “i terribili anni settanta”, o meglio il decennio 1973-1983, il
rapporto tra attività finanziarie e PIL si riduce leggermente rispetto al
livello massimo raggiunto, a causa degli elevati tassi di inflazione che
hanno caratterizzato questo periodo (fig. 2). Il processo di
finanziarizzazione subisce così una battuta di arresto. Infatti, accanto a
valori del denominatore in rapido aumento in seguito alla dinamica dei
prezzi, il processo inflazionistico, erodendone sia il valore sia i rendimenti,
aveva reso relativamente meno convenienti gli investimenti di natura
finanziaria (ad eccezione di quelli in oro) rispetto ad altre forme di
accumulazione della ricchezza che, in Italia, assumono tipicamente la
forma degli investimenti immobiliari. A questi fattori va necessariamente
aggiunta una politica monetaria con un’impostazione tipicamente
restrittiva, sotto forma sia di limitazioni ai movimenti di capitale con
l’estero dei residenti sia di massimali sui prestiti bancari (cfr. De Bonis,
par. 4).
Gli ultimi venti anni (1984-2004) sono spesso considerati quelli
della “bolla o dell’ubriacatura” finanziaria. Il rapporto tra attività finanziare
e PIL passa dal 3,5 circa del 1984 ad un valore di circa 7,0 nel 2004, con
un’accelerazione particolarmente forte nella seconda metà degli anni
novanta (fig. 2). La principale spiegazione di questo andamento deve
essere ricercata soprattutto nell’evoluzione del numeratore del nostro
rapporto di finanziarizzazione, dal momento che, tra il 1984 e il 2004, il
tasso medio del PIL reale è stato inferiore a quello del periodo 1950-1973,
e che anche il tasso di inflazione si è mediamente mantenuto più basso
rispetto agli anni settanta. La dinamica delle attività finanziarie italiane nel
periodo 1984-2004 ha diverse spiegazioni. Da un lato, gli investitori
italiani hanno imitato quello che stava accadendo in altre economie,
soprattutto in quella americana, dove le prospettive di maggiori profitti
Discussione del lavoro di R. De Bonis 363
associate alla rivoluzione informatica avevano spinto al rialzo, in
particolare nel periodo 1995-2000, i prezzi delle attività finanziarie3.
Dall’altro, i successi ottenuti nel controllo dell’inflazione e le prospettive
di far parte a pieno titolo dell’Unione monetaria avevano spinto i tassi di
interesse verso il basso, determinando di conseguenza sia uno spostamento
della domanda di attività finanziarie tradizionali (titolo di Stato) verso
impieghi più rischiosi, quali i titoli azionari, sia un aumento del valore di
mercato dei titoli a reddito fisso. Non vanno dimenticati, infine, il numero
crescente di operazioni di fusioni e acquisizioni, l’uscita dal massimale sui
prestiti bancari e una rinnovata liberalizzazione internazionale nei
movimenti di capitale. Accanto a queste due spiegazioni, ve ne è almeno
un’altra sulla quale vorrei soffermare la mia attenzione.
Dalle precedenti osservazioni è chiaro che il legame tra sfera reale e
finanziaria che aveva caratterizzato la prima fase dello sviluppo economico
italiano è meno forte negli anni più recenti. Infatti, all’aumento delle
attività finanziarie è corrisposto, nel periodo 1984-2004, un aumento del
PIL reale proporzionalmente inferiore rispetto a quanto osservato nel
periodo 1950-19734. L’importanza della finanza quale fattore di sviluppo
economico dipende dal grado di dipendenza delle decisioni reali (in
particolare gli investimenti) da fonti di finanziamento esterne (banche e
mercato), e dal grado di imperfezione dei mercati finanziari. Un indicatore
di questo tipo di dipendenza è rappresentato dal rapporto tra
autofinanziamento e investimenti.
La figura 3 mostra l’andamento del rapporto autofinanziamento/
investimenti per il campione di 980 imprese di Mediobanca, per il periodo
1968-2002.
Fino ai primi anni ottanta l’autofinanziamento delle imprese italiane,
pur se elevato, era insufficiente a finanziare totalmente gli investimenti. Di
conseguenza, la domanda di risorse dai settori in disavanzo a quelli in
surplus si rifletteva anche in un aumento della ricchezza finanziaria del
paese. A partire dalla metà degli anni novanta l’autofinanziamento è invece
__________
3
A fine periodo, il livello del rapporto attività finanziarie/PIL era più basso in Italia rispetto agli altri
paesi più industrializzati. Per quanto riguarda la variazione dello stesso rapporto nel periodo 1995-
2004, l’Italia si colloca in posizione intermedia rispetto agli altri paesi. La variazione più
bassa è osservata in Giappone, quella più elevata nel Regno Unito (cfr. Bartiloro et al., 2006, tav.
1).
4
In verità, l’aumento delle attività finanziarie nell’ultimo periodo è stato significativamente inferiore
a quello registrato nella fase di avvio dello sviluppo economico italiano (cfr. Bonci e Coletta, 2006,
tav. A.15.
364 Giorgio Calcagnini
sistematicamente superiore agli investimenti; quindi l’aumento della
ricchezza finanziaria ha un rapporto meno diretto con le vicende legate alla
produzione del reddito5.
Fig. 3
Rapporto autofinanziamento/investimenti: 1968-2002
(valori percentuali)
200,00
180,00
160,00
140,00
120,00
100,00
80,00
60,00
40,00
20,00
0,00
1967 1971 1975 1979 1983 1987 1991 1995 1999 2003
Fonte: Ns. elaborazioni su dati Mediobanca:
http://www.mbres.it/ita/mb_pubblicazioni/cumulati.htm#
__________
5
L’aumento dell’autofinanziamento intorno alla metà degli anni novanta trova conferma anche nelle
informazioni pubblicate dalla Banca d’Italia (2005), fig. D7, p. 267, anche se i valori differiscono
da quelli di Mediobanca per la diversa composizione del campione.
Discussione del lavoro di R. De Bonis 365
La ricchezza finanziaria di un’economia aumenta principalmente
grazie alla presenza di risparmio (reddito meno consumo) positivo. Questo
vale soprattutto per la ricchezza netta, una volta cioè che nell’aggregato sia
avvenuta la compensazione tra crediti e debiti. La ricchezza finanziaria che
compare al numeratore del rapporto della figura 2 è, invece, ricchezza
finanziaria lorda. Quest’ultima aumenta anche semplicemente perché
aumentano i prezzi delle varie attività o i trasferimenti di risorse tra i vari
operatori economici. È quindi una misura delle dimensioni raggiunte dal
mercato finanziario di un paese. Ma negli anni più recenti, all’aumento
della ricchezza finanziaria lorda ha corrisposto invece una minore intensità
del processo di accumulazione rispetto al passato.
Sembrerebbe che nel periodo 1984-2004 si sia creata una situazione
ben descritta circa trent’anni fa da Balducci (1979, p. 359) nei seguenti
termini:
“...Nelle fasi di accentuata espansione del settore industriale, cui si
accompagni anche un’ampia formazione di risparmio di impresa, il
rapporto che il sistema finanziario può instaurare con il mondo industriale
è importante, ma non essenziale; ha spesso riflessi congiunturali, ma non
strutturali; è, in definitiva, non dominante.
Se poi, come è normale attendersi in questo contesto, le disponibilità
monetarie manovrabili dagli intermediari finanziari si ampliano con
rapidità, è pensabile che il sostegno finanziario si indirizzi verso nuovi
canali, quali l’edilizia, il commercio, alcuni comparti del terziario, che
definiamo settori “di rendita” intesa in senso ampio. …”
L’aumento dei prezzi degli immobili degli ultimi anni, il perverso
intreccio tra alcune istituzioni finanziarie e alcuni imprenditori del settore
immobiliare, un settore dei servizi che, protetto dalla concorrenza
internazionale, rimane strutturalmente meno efficiente rispetto a quanto si
osserva negli altri paesi, una distribuzione del reddito che sta
progressivamente favorendo chi opera nei settori meno concorrenziali,
sono solo alcuni degli elementi che caratterizzano un’economia come
quella italiana, sempre più basata sulla rendita. Il fenomeno sembra aver
assunto dimensioni così rilevanti che la sua percezione sta diventando
comune al complesso delle scienze sociali, travalicando il ristretto ambito
degli economisti. Diamanti (2005) ha recentemente scritto che in Italia si
osserva una “…progressiva sopraffazione della finanza sull’economia ….
366 Giorgio Calcagnini
Per cui, più dell’andamento delle imprese, degli indici della produzione e
delle vendite, oggi contano le operazioni di borsa. I movimenti di capitale.
Le acquisizioni e cessioni azionarie. … Da ciò la difficoltà, da parte della
società, di “capire” la ricchezza. ….”
Il dibattito sempre più acceso sul declino dell’economia italiana, a
mio avviso, non può prescindere da queste considerazioni. Eventualmente,
ci si potrebbe chiedere quale sia l’origine di questa situazione. Se, cioè, la
sopraffazione della finanza sull’economia, intesa come dissociazione tra
decisioni reali e finanziarie, non sia che la conseguenza di una caduta del
rendimento atteso sul capitale reale. Perfettamente capita e anticipata da
settori dell’economia diversi da quello industriale, il quale resta ancora il
motore trainante delle economie moderne6. Una caduta dei rendimenti che,
a sua volta, va ricercata nella incapacità da parte delle istituzioni di dare
risposta a una serie di problemi strutturali che “da sempre” affliggono
l’economia italiana. Nella mancanza, in ultima analisi, di una vera politica
economica per lo sviluppo.
__________
6
Su questo tema si veda Torrini (2005), paragrafo 4.
Discussione del lavoro di R. De Bonis 367
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551.
CONTI FINANZIARI E FISCALITÀ: UN’ANALISI STORICA
Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli∗
1. L’evoluzione della disciplina fiscale dei redditi finanziari: un
quadro generale
L’analisi degli effetti della tassazione sul volume e sull’allocazione
del risparmio è uno dei filoni tradizionali degli studi di finanza pubblica.
La letteratura economica e le ricerche empiriche hanno evidenziato che le
variazioni delle diverse forme di imposizione hanno effetti tendenzialmente
ambigui sul livello complessivo di risparmio, mentre possono incidere in
maniera significativa sull’allocazione delle risorse finanziarie.
Nel presente lavoro si ricostruisce l’evoluzione della legislazione
fiscale in materia di redditi finanziari in Italia a partire dagli anni sessanta,
allo scopo di verificare se, e in quale misura, tale disciplina abbia
contribuito a influenzare le scelte di allocazione del risparmio, da un lato, e
le modalità di finanziamento dei settori in deficit strutturale di risorse
(imprese e pubblica Amministrazione), dall’altro e, di riflesso, le
caratteristiche stesse dell’industria bancaria e finanziaria. L’esame si basa
sull’analisi dei dati riportati nei conti finanziari, integrati, ove occorra, con
informazioni di maggior dettaglio tratte dalle Relazioni, dai Bollettini
Economici e dalle pubblicazioni statistiche della Banca d’Italia. La
ricostruzione è incentrata esclusivamente sugli effetti dell’imposizione
diretta1.
L’analisi viene condotta sui “fatti stilizzati”, esaminando l’impatto
dei singoli interventi di modifica della disciplina fiscale sui mercati
__________
∗
Banca d’Italia, Servizio Rapporti Fiscali. Si ringraziano S. Giannini e i partecipanti al convegno “I
conti finanziari: la storia, i metodi, l’Italia, i confronti internazionali”, V. Ceriani e A. Magliocco,
per gli utili commenti ricevuti su diverse versioni del lavoro; S. Manestra, per le osservazioni e i
suggerimenti di carattere storico e bibliografico. Il lavoro riflette esclusivamente le opinioni degli
autori e non impegna in alcun modo l’Istituto di appartenenza. Pur essendo frutto di un impegno
comune e di un continuo scambio di idee tra gli autori, le singole parti di esso sono attribuibili
come segue: Giacomo Ricotti ha curato i paragrafi 2, 4.2, 5.2. e 5.3.2; Alessandra Sanelli i
paragrafi 3, 4.1, 5.1, 5.3.1 e 5.4; i paragrafi 1 e 6 non sono attribuibili individualmente. La
responsabilità per eventuali errori o imprecisioni è esclusivamente degli autori. Il lavoro è dedicato
alla memoria di Guido Ancidoni, amico e maestro.
1
Per un esame dell’incidenza dell’imposizione indiretta sull’allocazione del risparmio e sul
funzionamento dei mercati finanziari si rinvia a Ancidoni et al. (1987). In Ciocca (2000) è
rinvenibile un’ampia panoramica sugli effetti delle imposte dirette e indirette sulla finanza.
370 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
finanziari, con particolare attenzione alla composizione dei portafogli dei
risparmiatori e alla struttura finanziaria degli intermediari e delle imprese;
le considerazioni tengono conto delle decisioni prese, nello stesso periodo,
dalle autorità monetarie. Modifiche nel comportamento degli operatori in
concomitanza con gli interventi delle autorità fiscali e in senso conforme
alle aspettative, configurandosi come “reazioni” a tali provvedimenti,
confermano la tesi dell’influenza della politica tributaria sulla morfologia
dei mercati finanziari (Guerra, 1989).
Dal 1960 si possono individuare almeno tre fasi nel rapporto tra
fisco e mercati finanziari.
In una prima fase, che abbraccia gli anni sessanta e settanta, la
legislazione tributaria ha svolto un ruolo proattivo rispetto al mercato,
indirizzando le scelte dei settori in surplus e in deficit di risorse finanziarie.
La leva fiscale contribuì all’instaurazione di un regime di doppia
intermediazione, nel quale i risparmiatori (principalmente le famiglie)
affidavano le loro risorse alle banche, che a loro volta sottoscrivevano i
titoli emessi dagli istituti di credito speciale, la cui raccolta era diretta al
finanziamento delle imprese, spesso sotto forma di credito agevolato a
medio e lungo termine. In questo modo si promuoveva lo sviluppo delle
attività imprenditoriali e la creazione delle infrastrutture. Veniva invece
disincentivato il ricorso diretto al mercato dei capitali da parte delle
imprese.
In una seconda fase, tra l’inizio degli anni ottanta e i primi anni
novanta, le scelte di politica tributaria in materia di attività finanziarie sono
state contrassegnate da un atteggiamento reattivo sotto un duplice profilo.
In primo luogo, le crescenti esigenze di gettito determinarono una diversa
considerazione del comparto finanziario da parte del legislatore: se in
precedenza si rinunciava implicitamente a massimizzare le entrate fiscali
sui proventi del risparmio, pur di ottenere l’allocazione desiderata delle
risorse, già dalla fine degli anni settanta – ma ancor più decisamente da
metà anni ottanta – l’attenzione si spostò progressivamente sulle possibilità
di incrementare tali entrate. Ne derivò un innalzamento del livello
complessivo delle aliquote di ritenuta. In secondo luogo, la comparsa e il
rapido sviluppo di tecniche di innovazione finanziaria – contraddistinte da
finalità di elusione della disciplina fiscale e di vigilanza – determinarono
una continua rincorsa del mercato da parte del legislatore fiscale, oltre che
delle autorità di politica monetaria.
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 371
Nello stesso periodo la crescita del fabbisogno determinò una
sempre maggiore importanza dell’emittente pubblico sul mercato dei
capitali; fu necessario affrontare la tematica della tassazione dei titoli di
Stato, sia sotto il profilo delle distorsioni allocative derivanti dall’esenzione
dei proventi da obbligazioni pubbliche, sia con riferimento agli effetti netti
sul bilancio dello Stato.
Un tratto comune delle prime due fasi è rappresentato dall’esplicito
utilizzo della leva fiscale a fini di indirizzo delle scelte dei risparmiatori,
degli intermediari e delle imprese, spesso di concerto con la politica
monetaria. Tale utilizzo si è tradotto nella discriminazione della tassazione
in base alla natura del debitore e dello strumento. Neutralità ed equità
dell’imposizione sino alla fine degli anni ottanta sono stati obiettivi
secondari, se non estranei, alla disciplina fiscale dei redditi finanziari.
A partire dai primi anni novanta, la liberalizzazione dei movimenti
di capitale e la crescente integrazione dei mercati, derivante anche dalle
rapide innovazioni tecnologiche, hanno determinato una progressiva
rinuncia del fisco al perseguimento di finalità allocative, a favore della
neutralità del prelievo e di una maggiore attenzione agli effetti
dell’imposizione sull’efficienza dei mercati, sempre nel rispetto del vincolo
rappresentato dalle esigenze di gettito.
Tali obiettivi sono stati perseguiti dapprima con l’introduzione di
meccanismi impositivi atti a contenere gli oneri amministrativi e finanziari
connessi con la tassazione delle attività (sistema dell’imposta sostitutiva
introdotto dal decreto legislativo n. 239/1996), e successivamente con
l’adozione di una tassazione omogenea e onnicomprensiva, estesa a
qualsiasi tipologia di strumento e di provento finanziario (ivi incluse le
plusvalenze).
Il lavoro è articolato secondo un criterio temporale. Nel paragrafo 2,
dopo una breve descrizione del sistema tributario esistente prima della
riforma del 1973, si esamina la tassazione dei redditi finanziari nel periodo
1960-1973, indicandone gli effetti sulle scelte di allocazione del risparmio.
Nel paragrafo 3 si illustra l’inquadramento dei redditi finanziari
nell’ambito della riforma del sistema tributario, per poi seguire
l’evoluzione del rapporto tra fisco e attività finanziarie fino ai primi anni
ottanta. Nel paragrafo 4 l’attenzione è posta sul rapporto tra fisco e
innovazione finanziaria che ha contraddistinto gli anni ottanta, insieme alla
decisione di tassare i titoli pubblici. Nel paragrafo 5 si esaminano le
principali riforme degli anni novanta, cercando di valutarne gli effetti sugli
372 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
strumenti e sulle decisioni di emittenti e investitori. Il paragrafo 6 raccoglie
le principali conclusioni del lavoro.
2. Il periodo precedente la riforma: dal 1960 al 1973
2.1 Il sistema tributario ante riforma: le principali imposte sul reddito2
All’inizio degli anni sessanta il sistema tributario italiano si
presentava contrassegnato dalla presenza di più imposte sul reddito, reali e
personali. La struttura del sistema affondava le proprie radici nel secolo
precedente, per le imposte reali, mentre le imposte personali erano state
introdotte più di recente, durante gli anni venti.
Le imposte reali (imposta sul reddito dominicale dei terreni,
imposta sul reddito dei fabbricati, imposta sul reddito agrario, imposta sui
redditi di ricchezza mobile) colpivano persone fisiche e società secondo la
fonte del reddito. Questi tributi erano tra loro autonomi: le perdite
sopportate in una categoria di reddito non erano compensabili con
l’imponibile di un’altra imposta reale.
In particolare, l’imposta di ricchezza mobile (di seguito, imposta di
R.M.) colpiva la produzione di redditi non tassati con altre imposte reali,
derivanti dal capitale o dal lavoro, o dal concorso di entrambi, incluse le
plusvalenze (D’Amati, 1968). Era suddivisa in: categoria A, redditi di puro
capitale; categoria B, redditi misti, derivanti da capitale e lavoro (redditi di
impresa e commerciali); categoria C/1, redditi da lavoro autonomo;
categoria C/2, redditi da lavoro dipendente (incluse le pensioni). Le
aliquote d’imposta erano diverse per ogni categoria di reddito:
proporzionali per la categoria A e progressive per le altre. I proventi da
titoli di Stato, sui quali ci si soffermerà più diffusamente in seguito, erano
esenti da imposta di R.M.
Oggetto delle imposte personali era il reddito complessivo del
contribuente, che includeva anche redditi non colpiti da imposte reali.
Sul reddito delle persone fisiche erano prelevate sia un’imposta
complementare, versata allo Stato, sia un’imposta di famiglia, percepita dai
Comuni. Rispetto alle imposte reali, le imposte personali – e soprattutto la
__________
2
Come riferimento generale per questo paragrafo, cfr. Gangemi (1967) e Tremelloni (1964).
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 373
complementare – non diedero mai un gettito all’altezza delle potenzialità,
sia per l’esistenza di numerose esenzioni, sia per le difficoltà di
accertamento.
Il reddito imponibile dell’imposta complementare (D’Amati, 1967)
includeva tutti i redditi percepiti dal contribuente nell’anno, compresi
quelli non soggetti a imposte reali (ad esempio, i redditi da titoli di Stato e i
redditi derivanti da partecipazione in società). L’imposta complementare,
insomma, si aggiungeva alle imposte reali, contribuendo ad inserire nel
sistema, in qualche modo, quei criteri di progressività richiesti dall’art. 53
della Costituzione. L’aliquota d’imposta, progressiva per scaglioni, variava
dal 2 per cento al 65 per cento.
L’imposta di famiglia, personale e progressiva, colpiva l’“agiatezza”
dell’intera famiglia, desunta da qualsiasi indicatore di reddito o ricchezza;
era commisurata anche alla popolazione del Comune di residenza, con
deduzioni dall’imponibile più elevate per i contribuenti che risiedevano nei
Comuni maggiori (Bernardino, 1961). Le aliquote variavano dal 2 per
cento al 12 per cento3.
L’imposta sulle società colpiva sia il patrimonio, con aliquota dello
0,75 per cento, sia il reddito, con aliquota del 15 per cento, ma solo per la
parte che eccedeva il 6 per cento del patrimonio (Uckmar, 1976; Montuori,
1960). Aliquote inferiori erano previste per gli istituti di credito e per le
holding: il patrimonio era inciso nella misura dello 0,5625 per cento e
l’eccedenza di reddito per l’11,25 per cento; se la società era a
partecipazione statale, le aliquote d’imposta erano ulteriormente ridotte,
rispettivamente, allo 0,45 per cento e al 9 per cento. Anche per l’imposta
sulle società, come per quella complementare, nel reddito imponibile erano
inclusi non solo i redditi già soggetti ad imposta di R.M., ma anche quelli
esenti, quali gli interessi da titoli di Stato e i dividendi.
L’imposta sulle società, introdotta nel 1954, sostituì l’imposta di
negoziazione, dovuta su ogni trasferimento di qualsiasi titolo di credito
riferibile a una società (azioni ed obbligazioni), e quella sul capitale delle
società straniere4. Per evitare discriminazioni nella raccolta sul mercato,
__________
3
Sin dall’introduzione dell’imposta complementare nel 1923, fu evidente la sovrapposizione tra
l’imponibile di quest’ultima e quello dell’imposta di famiglia: ne fu quindi decretata l’abolizione.
Le preoccupazioni dei comuni, che vedevano così scomparire una delle loro maggiori entrate,
fecero però desistere il legislatore da questo intento.
4
L’imposta sulle società fu introdotta per motivi di gettito e di perequazione. I motivi perequativi
erano riconducibili sia alla possibilità dei soci di società di capitali di eludere l’imposizione diretta
(continua)
374 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
all’imposta sulle società – che colpiva, seppure indirettamente, i
trasferimenti di azioni – si affiancò, quindi, l’imposta sulle obbligazioni.
Quest’ultima era applicata annualmente sul valore (di mercato o, in
mancanza, nominale) delle obbligazioni emesse dalle società, con
un’aliquota dello 0,5 per cento, ridotta allo 0,125 per cento per i titoli
emessi, tra gli altri, dagli istituti di credito e dai soggetti che avevano
diritto alla riduzione dell’imposta sulle società. L’imposta, indeducibile da
altre imposte, era dovuta dagli emittenti, con facoltà di rivalsa sui
sottoscrittori (Giorgi, 1968).
Infine i redditi da impresa, commercio o libere professioni erano
soggetti a un’imposta locale, l’imposta sulle industrie, commerci, arti e
professioni; prelevata da Comuni e Province sui redditi prodotti nel loro
territorio, anche se esenti ai fini dell’imposta di R.M., era fissata in misura
non superiore al 3,5 per cento, per i redditi di categoria B, e al 2,8 per cento
per i redditi di categoria C/1, a livello comunale, e, rispettivamente,
all’1,75 per cento e all’1,4 per cento, a livello provinciale.
Alle imposte richiamate, con l’eccezione dell’imposta sulle
obbligazioni, si applicavano le addizionali a favore degli enti comunali di
assistenza (addizionale E.C.A.) e “pro Calabria”, pari entrambe al 5 per
cento dell’imposta; quest’ultima non si applicava all’imposta sulle società.
L’addizionale E.C.A. fu innalzata al 10 per cento dal 1962. Nel novembre
1966 fu introdotta anche un’addizionale straordinaria “pro-alluvionati” del
10 per cento. Dal 1971 quest’ultima addizionale fu innalzata al 15 per
cento, aumentato al 20 per cento sui redditi imponibili dei soggetti non
tassati in base al bilancio che superavano i dieci milioni di lire.
Sotto il profilo del gettito, la pressione tributaria media nel periodo
1960-1973 fu pari al 16,2 per cento del PIL; il gettito era assicurato per
circa due terzi dalle imposte indirette5.
Per quanto riguarda le imposte sul reddito e sul patrimonio (cfr. tav.
1), il gettito maggiore era garantito dall’imposta di R.M.;
complessivamente le imposte sulla società, sulle obbligazioni e
complementare garantivano entrate inferiori alla metà di quelle derivanti
sugli utili non distribuiti, a differenza di quelli di società di persone, sia all’elusione delle imposte
indirette sui trasferimenti delle azioni, non colpiti nella pratica dall’imposta di negoziazione
(Giorgi, 1968).
5
Elaborazione su dati tratti da Ceriani et al. (1992b). I dati riportati nel prosieguo sono il risultato di
elaborazioni su informazioni contenute in Tremelloni (1964).
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 375
dall’imposta di R.M. All’interno di quest’ultima il 56 per cento del gettito
era fornito dai redditi di categoria B, il 28 per cento dalla categoria C/2 ed
appena l’11 per cento dalla categoria A, relativa ai redditi finanziari.
Tav. 1
Entrate tributarie dello Stato, degli enti locali e
degli enti minori – 1960
Imposte Quota del gettito complessivo
Imposte sugli scambi 37,5%
Imposte sul reddito e sul patrimonio 29,9%
di cui
Imposta di ricchezza mobile 11%
Imposta sulle società e sulle obbligazioni 3%
Imposta complementare 2%
Altre imposte 32,6%
Fonte: elaborazione dati contenuti in Tremelloni (1964).
Per quanto riguarda la finanza locale, l’imposta di famiglia
assicurava, nel 1960, il 17 per cento del gettito complessivo dei Comuni,
seconda solo alle imposte di consumo.
Riassumendo, i redditi erano tassati secondo la loro fonte
(imposizione “reale”), in misura sostanzialmente proporzionale, mentre i
compiti redistributivi, tipici di una tassazione progressiva, erano affidati
(con scarsi risultati, come dimostrano i dati di gettito) all’imposta
complementare e all’imposta di famiglia (Di Majo e Frasca, 1975).
2.2 La tassazione dei redditi finanziari tra evasione ed esenzione
Il sistema tributario delineato nel paragrafo precedente includeva, tra
i redditi imponibili, anche i redditi finanziari, la tassazione dei quali si
presentava particolarmente articolata.
Da un punto di vista formale, i redditi provenienti dall’investimento
in attività finanziarie erano sempre soggetti a tassazione: l’imposta dovuta
variava in funzione del soggetto percipiente. Nella realtà, per effetto da un
lato di una giungla di esenzioni o agevolazioni (variabili per tipologia di
376 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
emittente e di strumento), e dall’altro di una forte evasione (soprattutto
dell’imposta complementare), il prelievo effettivo sui redditi finanziari era
del tutto disomogeneo, con riflessi sulla domanda e sull’offerta di attività
finanziarie.
2.2.1 La tassazione degli interessi
Gli interessi da obbligazioni erano soggetti a diversi tributi.
Scontavano, in principio, l’imposta di R.M. categoria A e l’imposta
sulle obbligazioni, riscosse alla fonte dagli emittenti, con facoltà di rivalsa
sui sottoscrittori.
Inoltre sui percettori gravavano l’imposta complementare (per le
persone fisiche) e l’imposta sulle società (per i soggetti tassati in base al
bilancio).
L’aliquota di prelievo dell’imposta di R.M. categoria A crebbe nel
periodo considerato, passando dal 24,2 per cento al 36,45 per cento in poco
più di un decennio6.
Di fatto, il prelievo non era generalizzato, in quanto erano previste
numerose esenzioni, secondo la dottrina dell’epoca “intese a facilitare la
raccolta del risparmio e la sua destinazione ai finanziamenti produttivi”
(Pietrafesa, 1966). Risultavano esenti: i titoli di Stato, i buoni postali, le
cartelle di credito comunali e regionali, le obbligazioni emesse dall’IRI7,
dalla Società Autostrade, dall’ENEL8, da alcuni enti internazionali (BEI,
BIRS, CECA).
Per le obbligazioni emesse dall’ENI l’imposta di R.M. non era
dovuta grazie al pagamento di un’imposta di abbonamento, pari allo 0,1
per cento del capitale emesso, che copriva anche altre imposte minori. Lo
stesso regime si applicava alle obbligazioni emesse dagli istituti di credito
__________
6
L’aliquota legale, pari al 22 per cento fino al 30 giugno 1959, passò successivamente al 23 per
cento e fu aumentata al 26 per cento a partire dal 1962; divenne del 27 per cento dal novembre del
1964. Considerando anche le addizionali l’aliquota complessiva di prelievo fu pari al 24,2 per
cento fino al 1959, al 25,3 per cento dal 1960 a novembre 1962, per poi passare al 29,9 per cento;
dal novembre 1964 fu pari al 31,05 per cento, salendo al 33,75 per cento dal 1967; dal 1971 fu pari
al 35,1 per cento sui primi dieci milioni di imponibile e al 36,45 per cento sull’imponibile
rimanente.
7
L’esenzione non riguardava però l’imposta sulle obbligazioni.
8
L’ENEL era tenuta al pagamento di un’imposta sull’energia prodotta, che sostituiva, tra le altre,
l’imposta di R.M., l’imposta sulle società e sulle obbligazioni.
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 377
speciale: l’esenzione da imposta di R.M. categoria A era concessa poiché
tali emittenti corrispondevano un’imposta di abbonamento dello 0,15 per
cento sull’ammontare dei finanziamenti a medio lungo termine (cioè di
durata non inferiore a tre anni) esistenti alla fine di ogni esercizio9 (cfr. tav.
2).
Tav. 2
Tassazione delle obbligazioni per emittente
Imposta
emittente
RM categoria A Sulle obbligazioni Di abbonamento
Stato, enti
internazionali, Esente Esente ---
Soc. Autostrade
ICS Esente 0,125% 0,1-0,15%
IRI Esente 0,5% ---
ENEL Esente Esente ---
ENI Esente 0,5% 0,1%
Società finanziarie 36,45 % 0,125% ---
Altre società 36,45% 0,5% ---
La riforma del 1973 non intaccò i vantaggi esistenti al momento
della transizione: fu disposto, infatti, che alle obbligazioni esistenti si
applicasse il più favorevole tra il regime previgente e quello delineato dalla
riforma; nella sostanza, tutte le obbligazioni esenti sottoscritte prima
dell’entrata in vigore della riforma rimasero esenti.
Per quanto riguarda gli interessi sui depositi, su quelli a risparmio
era dovuta l’imposta di R.M. categoria A; così come accadeva per le
obbligazioni private, le banche non esercitavano la rivalsa, determinando
un’esenzione di fatto di questi redditi per i percettori (Bianchi, 1975a).
Agli interessi su conti correnti non si applicava, in origine, l’imposta di
R.M. categoria A, in quanto si riteneva, presuntivamente, che tali conti
fossero utilizzati da imprese e quindi che i relativi proventi rientrassero tra
quelli soggetti alle imposte sui redditi d’impresa. La difformità di
__________
9
L’imposta di abbonamento era ridotta allo 0,10 per cento per alcuni ICS, tra i quali l’IMI, il
Mediocredito centrale e l’Isveimer. Sul punto, Adonnino (1967).
378 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
trattamento fiscale determinò uno spostamento dei fondi dai depositi a
risparmio a quelli in conto corrente, che fu contrastato
dall’Amministrazione fiscale assoggettando quote forfetarie dei conti
correnti all’imposta di R.M. categoria A sugli interessi (Valiani, 1976).
Oltre a scontare l’imposta di R.M., come già rilevato, gli interessi
percepiti dalle persone fisiche dovevano essere inseriti anche nella base
imponibile dell’imposta complementare. In questo caso, la tassazione si
presentava omogenea su tutti gli strumenti finanziari, dato che non erano
previste esenzioni. Erano però assenti strumenti di accertamento adeguati,
che impedissero, di fatto, l’evasione generalizzata di questo tributo: le
imposte sugli interessi percepiti su obbligazioni, in quanto titoli al
portatore, e su depositi, per il segreto bancario, erano evase senza che
l’Amministrazione finanziaria potesse accertare i redditi in questione
(Merlino, 1960).
Gli interessi attivi percepiti dalle società erano inclusi tra i redditi
soggetti a imposta sulle società. Per quanto riguarda l’imposta di R.M.
categoria B applicata sui redditi d’impresa, invece, gli interessi attivi erano
inclusi nell’imponibile solo se non erano già stati assoggettati all’imposta
di R.M. categoria A; gli interessi attivi su titoli, quindi, non erano tassati
con imposta di R.M. categoria B, dato che erano o esenti o soggetti ad
imposta di R.M. categoria A (Montuori, 1960; Bosisio, 1970).
Per riuscire a competere sul mercato dei capitali, assicurando ai
risparmiatori rendimenti netti pari a quelli garantiti dagli emittenti esenti, le
imprese erano costrette a rinunciare all’esercizio della facoltà di rivalsa
dell’imposta di R.M. e dell’imposta sulle obbligazioni: ciò significava
accollarsi un costo di finanziamento ulteriore, superiore a quello dello
Stato o degli ICS, per di più aggravato dall’indeducibilità di tali imposte
dal reddito tassato con imposta di R.M. categoria B (Montuori, 1960).
A fronte di un rendimento netto del 5 per cento per il risparmiatore,
il costo effettivo dell’indebitamento era pari al 5 per cento per lo Stato e gli
altri soggetti esenti, cresceva al 5,3 per cento per gli ICS e al 5,8 per cento
per le altre società tenute al pagamento delle imposte di abbonamento e
sulle obbligazioni, ma raggiungeva il 7,8 per cento per le società
finanziarie e l’8,3 per cento per le società commerciali, che dovevano tener
conto sia della scelta di non rivalersi per l’imposta di R.M. categoria A e
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 379
per l’imposta sulle obbligazioni, sia dell’indeducibilità di queste
dall’imposta di R.M. categoria B10.
In termini di cuneo complessivo d’imposta (cfr. tav. 3), la differenza
tra il costo del finanziamento per l’emittente e il rendimento per il
percettore evidenzia ancor più il vantaggio fiscale per i titoli emessi, oltre
che dallo Stato, dagli ICS.
Tav. 3
Cunei d’imposta su emittenti e percettori
Cuneo su
Cuneo su percettore Cuneo complessivo
emittente
Percettore
Percettore Percettore Percettore
Emittente persona
società persona fisica società
fisica
Stato, enti
internazionali, 0,00% 0,00% 18,75% 0,00% 18,75%
Soc. Autostrade
ICS 5,99% 0,00% 18,75% 5,99% 23,62%
IRI 12,41% 0,00% 18,75% 12,41% 28,83%
ENI 14,53% 0,00% 18,75% 14,53% 30,55%
Società
35,56% 0,00% 18,75% 35,56% 47,64%
finanziarie
Altre società 39,69% 0,00% 18,75% 39,69% 51,00%
Nota: i calcoli si basano sulle ipotesi che le società non esercitassero la facoltà di rivalsa dell’imposta
di R.M. e dell’imposta sulle obbligazioni e che il percettore persona fisica evadesse l’imposta
complementare.
2.2.2 La tassazione dei dividendi
Gli utili erano tassati in capo alle società con l’imposta sulle società
e con l’imposta di R.M. categoria B. In caso di distribuzione, i soggetti
percipienti erano tenuti al pagamento dell’imposta complementare (se
__________
10
I calcoli sono stati effettuati sulla base delle aliquote di imposta nel 1971 (imposta di R.M.
categoria A pari al 36,45 per cento e categoria B pari al 41,658 per cento per le società con reddito
imponibile superiore ai 100 milioni di lire; imposta sulle società pari al 18,75 per cento del reddito
imponibile); non si è tenuto conto degli aggi di riscossione.
380 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
persone fisiche) o dell’imposta sulle società; si realizzava, quindi, una
doppia imposizione economica.
In un primo periodo i contribuenti riuscirono ad eludere tale doppia
imposizione. L’obbligo di nominatività dei titoli azionari, esistente dal
194211, non era riuscito ad ottenere i risultati sperati. La contestuale
istituzione dello schedario generale dei titoli azionari, nel quale dovevano
essere registrati tutti i trasferimenti delle partecipazioni, produsse effetti
irrilevanti sotto il profilo fiscale, poiché, attraverso riporti prorogati
continuamente, i contribuenti eludevano la segnalazione. Per contrastare
l’evasione delle imposte sui dividendi, nel 1956 venne introdotto l’obbligo
di segnalare mensilmente anche le operazioni a termine, onere aggirato
attraverso operazioni di riporto settimanale (Bianchi, 1975b; Valiani,
1976).
A partire dal 1963, proprio per riuscire ad assoggettare a tassazione
gli utili distribuiti da società di capitali, fu introdotto un prelievo alla fonte
sui dividendi distribuiti (la cosiddetta “imposta cedolare”12), difficilmente
eludibile dai contribuenti. L’imposta cedolare prevedeva l’obbligo, per gli
enti incaricati del pagamento dei dividendi, di effettuare sugli stessi una
ritenuta del 15 per cento. La ritenuta era effettuata a titolo di acconto ed era
deducibile dall’imposta complementare o dall’imposta sulle società dovuta
dal percettore. La cedolare era “secca”, trattenuta a titolo definitivo, nei
confronti dei soggetti esenti da imposte e dei non residenti13.
Nel 1964 si introdusse l’opzione tra una cedolare “secca” del 30 per
cento (con la quale si otteneva anche l’anonimato fiscale) e una d’acconto
del 5 per cento. Dal 1967 la facoltà di scelta tra ritenuta definitiva e
d’acconto fu abrogata, tornando al sistema della cedolare d’acconto al 5 per
cento, lasciando però al 30 per cento il prelievo definitivo sui non residenti
e sui soggetti residenti non tassati.
Con l’introduzione dell’imposta cedolare non fu eliminata la
nominatività delle azioni, che rappresentava la vera discriminante fiscale
tra l’investimento in capitale di rischio e quello in capitale di debito:
quest’ultimo, in virtù della mancanza della nominatività, godeva di una
esenzione di fatto. La registrazione nello schedario solo nel momento della
__________
11
R.D.L. 25 ottobre 1941, n. 1148; R.D. 29 marzo 1942, n. 239.
12
Legge 29 dicembre 1962, n. 1745. Sul punto, Piazza (1968).
13
Era prevista anche una ritenuta a titolo definitivo dell’8 per cento sugli utili delle azioni al
portatore emesse in base alle legislazioni previste nelle Regioni a Statuto speciale.
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 381
percezione dei dividendi riduceva gli oneri degli intermediari, rimuovendo
anche gli intralci al mercato a termine, ma fu accresciuta la penalizzazione
dell’investimento in azioni.
L’introduzione della cedolare comportò quindi un drastico aumento
del cuneo d’imposta sui dividendi percepiti da persone fisiche. Prima
dell’introduzione della cedolare – qualora si considerino unicamente le
imposte dovute dal percettore – la tassazione sui dividendi era, nei fatti,
nulla. Con la cedolare il dividendo non poteva essere sottratto alla
tassazione progressiva prevista dall’imposta complementare: quest’ultima,
tenendo conto anche delle addizionali, variava tra il 2,7 per cento e l’87,75
per cento. L’opzione per la cedolare “secca” permetteva di scegliere tra
tassazione alla fonte definitiva e tassazione progressiva con imposta
complementare: il cuneo d’imposta variava, quindi, tra il 2,7 per cento
(aliquota minima dell’imposta complementare) e il 30 per cento (prelievo
alla fonte previsto in caso di opzione per la cedolare “secca”).
Nel dibattito di politica tributaria si continuò a richiedere
l’equiparazione del trattamento fiscale di obbligazioni e azioni; questo
obiettivo si sarebbe potuto raggiungere attraverso: a) l’abrogazione della
nominatività delle azioni, già promessa quale contropartita al momento
dell’introduzione dell’imposta sulle società (Gangemi, 1967); b)
l’estensione della nominatività alle obbligazioni; c) la concessione di
un’opzione per assoggettare sia i dividendi, sia gli interessi a ritenuta secca
(Berliri, 1969).
In definitiva, l’investimento in capitale di rischio, rispetto a quello in
obbligazioni, risultava fortemente penalizzato sotto il profilo fiscale. Le
stesse società erano disincentivate nella raccolta di mezzi propri dalla
particolare configurazione dell’imposta sulle società, che colpiva non solo
il reddito, ma anche il patrimonio. Per far fronte alla crescente
sottocapitalizzazione delle imprese furono introdotte, all’inizio degli anni
settanta14, agevolazioni per le società che si quotavano o che, se già
quotate, varavano aumenti di capitale sociale: nel primo caso l’imposta
sulle società era ridotta del 10 per cento per 5 esercizi; nel secondo,
l’aumento di capitale non era soggetto, sempre per cinque anni, all’imposta
sulle società calcolata sul patrimonio.
__________
14
Legge 18 dicembre 1970, n. 1034.
382 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
2.2.3 La tassazione delle plusvalenze
Le plusvalenze erano, in teoria, soggette ad imposta di R.M.,
qualora fossero state realizzate su operazioni effettuate con “intento
speculativo”. Dato che la dimostrazione dell’intento speculativo era
rimessa all’Amministrazione finanziaria, senza che fossero previste
presunzioni assolute o relative di “speculazione”, le plusvalenze di fatto
non erano tassate, tranne in casi molto rari (Falsitta, 1966).
2.3 Gli effetti sul mercato finanziario: il circuito risparmiatori-banche-
ICS-imprese
Il sistema tributario ante riforma prevedeva dunque differenze di
trattamento fiscale non solo tra capitale di debito e capitale di rischio, ma
anche tra le diverse modalità di indebitamento: queste distonie non
mancarono di riflettersi sulla struttura del mercato finanziario italiano.
Nella scelta di finanziarsi con capitale di debito rispetto al capitale di
rischio, dato il maggior costo fiscale di quest’ultimo (Cosciani, 1972; Di
Majo, 1974; Valiani, 1976; Rossi, 1979), le imprese preferirono indebitarsi.
Ma anche i risparmiatori, soprattutto per l’impossibilità di eludere le
imposte sui dividendi dovuta all’istituzione della cedolare, abbandonarono
progressivamente l’investimento in azioni: mentre nel 1961 i privati ne
detenevano il 36,2 per cento, nel 1970 erano scesi al 30,5 per cento;
parallelamente, anche per motivi di elusione fiscale, aumentava dal 9,9 per
cento al 22,6 per cento la quota di azioni possedute da non residenti
(Cosciani, 1972). L’esterovestizione per motivi fiscali delle partecipazioni
detenute da residenti, avvenuta in seguito all’introduzione della cedolare,
risultò essere anche una delle cause delle anormali esportazioni di capitali,
avvenute tramite trasferimento all'estero di banconote nel periodo 1960-69
(Vicarelli, 1970).
Le imprese trovarono più conveniente, sempre per motivi fiscali,
richiedere prestiti agli istituti di credito speciale, in condizione di
raccogliere fondi a costi inferiori (Valiani, 1976), piuttosto che ricorrere
direttamente al mercato dei capitali. Le obbligazioni delle società, pari nel
1950 all’8,2 per cento del totale dei titoli a reddito fisso, ne
rappresentavano solo il 3,9 per cento nel 1970 e l’1,4 per cento nel 1975
(Bianchi, 1980). La preferenza per il finanziamento con gli ICS era
constatata già all’epoca; veniva infatti rilevato che “nel periodo 1959-1970,
il metodo prevalente cui hanno fatto ricorso le imprese per il finanziamento
con esplicita scadenza a medio e lungo termine è stato l’indebitamento con
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 383
gli istituti speciali, (…), che ha rappresentato il 41 per cento
dell’indebitamento a medio e lungo termine” (Banca d’Italia, Relazione sul
1970) e che “i finanziamenti a medio e lungo termine presso ICS sono stati
utilizzati dalle imprese in luogo del finanziamento diretto sul mercato
tramite obbligazioni. Su quest’ultima scelta possono avere influito anche i
maggiori oneri fiscali gravanti sulle obbligazioni emesse da imprese
private rispetto a quelle degli ICS.” (Banca d’Italia, Relazione sul 1971).
Le imprese ricorrevano alla raccolta diretta di capitali di debito sul
mercato, tramite l’emissione di obbligazioni, prevalentemente nei periodi
contrassegnati da agevolazioni fiscali – consistenti in esenzioni o riduzioni
temporanee dell’imposta di R.M. categoria A – dirette a favorire la raccolta
diretta di capitale di debito sul mercato.
Un’analisi delle emissioni nette sul mercato interno di obbligazioni
avvenute nel periodo 1959-1973 (cfr. tav. 4) mostra come quelle delle
imprese private – diverse cioè da IRI, ENI, ENEL e Autostrade – abbiano
raggiunto i picchi più alti tra il 1960 e la metà del 1962, periodo
contrassegnato da una riduzione alla metà dell’imposta di R.M. per le
obbligazioni emesse tra il 16.12.1959 e il 30.6.1962: le emissioni nette
riconducibili ad imprese private furono in media pari al 19 per cento del
totale delle obbligazioni emesse nel periodo 1960-62, mentre tale media si
ragguagliò a zero tra il 1963 e il 1973. La rilevanza delle emissioni
effettuate grazie alle agevolazioni fiscali era tale che alla fine del 1973
circa due terzi dei prestiti obbligazionari delle imprese ancora in essere
erano stati emessi nel periodo che va dalla fine del 1959 alla metà del 1962
(Bianchi, 1975b)15.
L’effetto “annuncio” dell’introduzione di misure temporanee sui
mercati dei capitali era tale che anche la ripartizione delle emissioni nel
corso dei singoli trimestri era influenzata dai provvedimenti tributari, reali
o presunti che fossero. Nel 1959, ad esempio, l’esecuzione delle emissioni
programmate di obbligazioni fu ritardata nell’attesa dell’entrata in vigore
dei provvedimenti agevolativi: il 40 per cento delle emissioni del 1959 si
concentrarono nella seconda metà di dicembre (Banca d’Italia, Relazione
sul 1959); l’anno successivo risentì del rinvio delle emissioni programmate
__________
15
Lo stesso fenomeno si era verificato alla fine del 1949: grazie all’esenzione dall’imposta di R.M.
categoria A prevista per le obbligazioni sottoscritte tra il 4 dicembre 1947 e il 31 dicembre 1949 le
obbligazioni emesse da imprese rappresentavano il 17 per cento del totale dei titoli a reddito fisso
(erano solo il 4 per cento due anni prima) (Bianchi, 1980).
384 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
nel 1959 e l’83 per cento delle emissioni avvenne nel primo semestre
(Banca d’Italia, Relazione sul 1960).
Tav. 4
Emissioni nette di valori mobiliari sul mercato interno
(dati in miliardi di lire)
Emittente IRI-ENI-
Totale
Stato ICS ENEL- Imprese Altri Azioni
anno AUTOSTRADE obbligazioni
1959 343,5 262,8 82,9 30,0 0,0 719,2 225,0
1960 162,0 412,1 59,4 192,4 0,0 825,9 495,7
1961 135,3 514,0 115,4 137,4 15,0 917,1 514,6
1962 62,0 718,2 60,0 205,4 30,0 1.075,6 715,5
1963 -71,3 774,7 275,3 93,9 14,6 1.087,2 397,5
1964 228,6 714,4 474,4 32,5 0,0 1.449,9 554,8
1965 662,3 646,5 656,2 -7,6 13,9 1.971,3 406,2
1966 1.576,3 860,7 313,9 2,9 72,2 2.826,0 470,1
1967 1.009,6 986,6 440,9 -38,0 14,6 2.413,7 395,6
1968 1.343,8 1.188,6 549,8 -33,6 43,6 3.092,2 472,7
1969 1.552,1 1.284,2 554,1 -59,8 12,4 3.343,0 681,1
1970 1.084,4 1.483,8 86,3 -42,5 -1,6 2.610,4 996,6
1971 2.260,5 2.229,1 551,8 -43,1 35,8 5.034,1 976,7
1972 2.660,2 2.446,3 822,1 -65,1 106,1 5.969,6 1.241,1
1973 3.202,5 6.438,2 794,0 3,1 38,3 10.476,1 1.983,2
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 385
segue Tav. 4
Emissioni nette di obbligazioni sul mercato interno
(ripartizione percentuale)
Emittente IRI-ENI-ENEL-
Stato ICS Imprese Altri
anno AUTOSTRADE
1959 48 37 12 4 0
1960 20 50 7 23 0
1961 15 56 13 15 2
1962 6 67 6 19 3
1963 -7 71 25 9 1
1964 16 49 33 2 0
1965 34 33 33 0 1
1966 56 30 11 0 3
1967 42 41 18 -2 1
1968 43 38 18 -1 1
1969 46 38 17 -2 0
1970 42 57 3 -2 0
1971 45 44 11 -1 1
1972 45 41 14 -1 2
1973 31 61 8 0 0
Media 1959-1973 32 48 15 4 1
Media 1960-1962 14 58 9 19 1
Media 1963-1973 36 46 17 0 1
Fonte: Banca d’Italia, Relazioni annuali, 1959-1973.
Nota: la somma per ogni riga può essere diversa dal 100 per cento a causa degli
arrotondamenti.
Un altro esempio dell’influenza del fisco sui mercati si ebbe nel
1967, quando le emissioni si arrestarono quasi completamente nel secondo
trimestre16 “a causa dei timori suscitati nel pubblico, intorno alla metà di
__________
16
Nel secondo trimestre del 1967 le emissioni nette furono pari solo al 6,5 per cento di quelle
dell’intero anno (Banca d’Italia, Relazione sul 1967, tav. 78).
386 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
aprile, riguardo alla futura disciplina del regime fiscale sui redditi
obbligazionari” (Banca d’Italia, Relazione sul 1967).
All’inizio degli anni settanta17, per contrastare la
sottocapitalizzazione delle imprese italiane e per far fronte alle tensioni
esistenti sul mercato dei capitali interno, si decise di agevolare le imprese
nel reperimento di fondi sul mercato azionario e sul mercato estero. A tal
fine furono esentate dall’imposta di R.M. sia le obbligazioni convertibili in
azioni emesse da Spa e Sapa quotate (questi titoli erano esenti anche
dall’imposta sulle obbligazioni), sia gli interessi sui titoli in valuta e sui
finanziamenti contratti all’estero, anche sotto forma obbligazionaria.
L’agevolazione ebbe effetti immediati: a partire dalla fine del 1970 crebbe
velocemente la raccolta sull’estero delle imprese italiane (inesistente negli
anni precedenti), a scapito di quella interna, contraddistinta da emissioni
nette negative già a partire dal 1965 (cfr. tav. 5).
Tav. 5
Emissioni nette di obbligazioni delle imprese
private sul mercato interno e sui mercati esteri
(dati in miliardi di lire)
Anno Mercato interno Mercato estero Totale
1968 -33,6 0 -33,6
1969 -59,8 0 -59,8
1970 -42,5 89,5 47,0
1971 -37,0 260,0 223,0
Fonte: Banca d’Italia, Relazione annuale sul 1971.
La stessa dinamica non è rilevabile, invece, per le altre società non
finanziarie (IRI, ENI, ENEL e Autostrade): grazie alle agevolazioni fiscali
di cui godevano, le emissioni nette di queste società furono sempre
positive, arrivando nel 1965 a rappresentare un terzo dell’intero mercato;
nell’intero periodo 1959-1973 raccolsero circa il 15 per cento dei fondi
complessivi, per un ammontare pari a quasi quattro volte quello delle altre
imprese (cfr. tav. 4).
__________
17
L. 18.12.1970, n. 1034.
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 387
Il primato sul mercato spettava agli ICS: nel periodo in esame, in
media, è attribuibile agli ICS il 48 per cento delle emissioni nette; allo
Stato solo il 32 per cento (cfr. tav. 4). L’importanza degli ICS era cresciuta
nel periodo 1959-1973: con riferimento alla consistenza dei titoli, nel
quadriennio iniziale (1959-1962) i titoli di Stato rappresentavano il 42 per
cento dei titoli esistenti, quelli degli ICS il 37 per cento; nel quadriennio
finale (1970-73) i rapporti si erano invertiti, dato che agli ICS era
riconducibile il 44 per cento dei titoli esistenti e all’emittente pubblico il 38
per cento; alla fine del 1973 il 47 per cento delle obbligazioni esistenti era
rappresentato da titoli degli ICS e il 38 per cento da titoli di Stato (cfr. tav.
6).
Tav. 6
Consistenze delle obbligazioni e degli altri titoli a reddito fisso
(dati in miliardi di lire)
Emittente
anno Stato ICS Altri Totale
1959 2.425,0 1.603,0 956,0 4.984,0
1960 2.613,0 2.034,0 1.214,0 5.861,0
1961 2.768,0 2.572,0 1.439,0 6.779,0
1962 2.846,8 3.337,0 1.696,0 7.879,8
media 1959-1962 2.663,2 2.386,5 1.326,3 6.376,0
ripartizione
percentuale
consistenze medie
42 37 21 100
1959-1962
1970 10.715,7 12.127,2 5.605,8 28.448,7
1971 13.236,0 14.705,0 6.205,6 34.146,6
1972 16.068,4 17.476,1 7.115,1 40.659,6
1973 19.457,7 24.342,6 7.990,5 51.790,8
media 1970-1973 14.869,5 17.162,7 6.729,3 38.761,4
ripartizione
percentuale
consistenze medie
38 44 17 100
1970-1973
ripartizione
percentuale
consistenze medie
38 47 15 100
1973
Fonte: Banca d’Italia, Relazioni annuali, 1959-1973.
Nota: la somma per ogni riga può essere diversa dal 100 per cento a causa degli
arrotondamenti.
388 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
I titoli degli ICS erano sottoscritti da risparmiatori privati e da
banche (Bianchi, 1975b): nei quindici anni esaminati il 36 per cento della
provvista degli ICS era riconducibile alle banche; il mezzo tecnico
prevalente (più dell’80 per cento in media tra il 1960 e il 1973) era
rappresentato dalla sottoscrizione di obbligazioni (cfr. tav. 7).
Tav. 7
Banche: apporto di fondi agli istituti di credito speciale
(dati in miliardi di lire)
Apporto banche / Obbligazioni ICS
Apporto di cui: con Obbligazioni / provvista acquistate da banche /
Anno
complessivo obbligazioni apporto (%) complessiva ICS provvista complessiva
(%) (%)
1960 210,0 170,4 81,1 32,8 26,6
1961 214,6 143,5 66,9 27,7 18,5
1962 513,3 382,1 74,4 49,3 36,7
1963 356,2 330,2 92,7 29,0 26,9
1964 305,5 210,9 69,0 27,8 19,2
1965 435,3 315,6 72,5 41,4 30,0
1966 522,7 425,4 81,4 39,0 31,7
1967 763,1 514,2 67,4 44,7 30,1
1968 647,1 473,5 73,2 29,9 21,9
1969 818,7 722,3 88,2 40,9 36,1
1970 985,8 842,6 85,5 37,3 31,9
1971 909,6 770,3 84,7 23,8 20,2
1972 1112,9 1124,7 101,1 28,4 28,7
1973 4924,2 4897,7 99,5 51,6 51,3
media
908,5 808,9 81,3 36,0 29,3
1960-1973
Fonte: Banca d’Italia, Relazioni annuali, 1960-1973.
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 389
Il risparmio privato era così canalizzato, anche attraverso la leva
fiscale, sia verso l’emittente pubblico (o parapubblico), sia verso le banche
e gli istituti di credito speciale. Su questo versante, si realizzava così il
fenomeno della doppia intermediazione cui si è accennato in precedenza,
imperniato sul circuito “risparmiatori Æ banche Æ istituti di credito
speciale Æ imprese”. Si osservava che “tra il 1959 e il 1970 il risparmio
finanziario delle famiglie incanalato verso le aziende di credito era stato
pari, in media, al 48 per cento del totale. Nello stesso periodo, il metodo
prevalente cui avevano fatto ricorso le imprese per il finanziamento a
medio e lungo termine era stato l’indebitamento con istituti di credito
speciale, spesso ottenuto a condizioni agevolate. Gli ICS si erano finanziati
soprattutto attraverso l’emissione di titoli di debito (cartelle fondiarie). In
assenza di una piena coincidenza, a causa dei tassi di rendimento e delle
aspettative in essere, tra gli strumenti di credito offerti e le attività
finanziarie domandate dall’Economia (famiglie e imprese), ampia parte
delle disponibilità a breve termine raccolte dalle aziende di credito sotto
forma di depositi era stata investita dalle stesse aziende di credito nella
sottoscrizione dei titoli a medio-lungo termine emessi dagli ICS, dando
luogo ad una trasformazione delle scadenze di ampia portata e alla
cosiddetta “doppia intermediazione del risparmio” (Banca d’Italia,
Relazione sul 1970); inoltre, “nel corso degli anni cinquanta e sessanta, la
quota dei finanziamenti concessi dagli ICS sul totale degli impieghi del
sistema creditizio è aumentata costantemente, passando dal 25,4 per cento
alla fine del 1951 al 36,4 per cento alla fine del 1971. Ciò è dipeso sia
dall’importanza crescente assunta dal credito agevolato nel finanziamento
dell’economia sia dall’insufficiente ricorso a capitale di rischio da parte
delle imprese.” (Banca d’Italia, Relazione sul 1971). Il fenomeno della
“doppia intermediazione”, nei vari passaggi, era contraddistinto, come già
rilevato, da vantaggi di tipo fiscale; in particolare, nelle scelte di impiego
delle banche, la preferenza per l’investimento in titoli degli ICS piuttosto
che per la concessione diretta di mutui alle imprese era riconducibile anche
al fatto che gli interessi attivi derivanti dall’impiego in titoli erano esenti da
imposta di R.M. categoria B, mentre quelli da mutui erano soggetti a
questo tributo.
Anche la raccolta di fondi a titolo di capitale di rischio fu influenzata
dalla variabile fiscale. L’emissione di azioni diminuì sensibilmente in
seguito all’introduzione dell’imposta cedolare (cfr. tav. 4); ritornò a
crescere solo alla fine degli anni sessanta, grazie sia all’ “esaurirsi degli
effetti negativi dell’istituzione dell’imposta cedolare e delle sue successive
modifiche” (Banca d’Italia, Relazione sul 1969), sia all’introduzione di
390 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
agevolazioni in materia di imposte indirette sugli aumenti di capitale
azionario e agli incentivi fiscali alla quotazione delle società (cfr. supra).
3. La tassazione dei redditi finanziari nella riforma tributaria degli
anni settanta
3.1 Le linee generali della riforma
La scelta compiuta dal legislatore tributario all’atto della riforma dei
primi anni settanta18 fu quella di escludere i rendimenti delle attività
finanziarie dall’alveo dell’imposta personale progressiva (Irpef),
nonostante la costruzione teorica di quest’ultimo tributo come imposta
generale sul reddito19.
L’eccezione alla regola della tassazione personale progressiva ed
onnicomprensiva, cui la riforma intendeva aderire in via di principio, era
allora giustificata soprattutto in relazione alle difficoltà di accertamento dei
redditi finanziari. In un contesto caratterizzato dall’assenza dell’obbligo di
nominatività per i titoli obbligazionari e da limiti sostanziali all’accesso
delle autorità fiscali ai dati bancari, l’assoggettamento dei redditi finanziari
a imposizione progressiva si sarebbe tradotto in un’esenzione di fatto.
D’altra parte, si riteneva che l’adozione di strumenti di accertamento più
efficaci in vista dell’inclusione degli interessi nella base imponibile
dell’imposta personale progressiva avrebbe determinato un’eccessiva
penalizzazione rispetto alla disciplina precedente e avrebbe comportato il
rischio di fughe di capitali all’estero (Ceriani et al., 1992b). Sul piano
dell’equità, la scelta si riteneva accettabile sulla base della considerazione
che gli impieghi finanziari del risparmio – in particolare, in strumenti di
debito – fossero scelti in misura prevalente dai soggetti con redditi medio-
bassi, ipotizzandosi invece che “nessuno dei grandi patrimoni e dei grandi
redditi” fosse “fatto di obbligazioni, di titoli di Stato e di depositi
bancari”20.
__________
18
Legge delega 9 ottobre 1971, n. 825.
19
La Commissione di studio presieduta da B. Visentini nella Relazione presentata al Parlamento nel
1967 aveva suggerito di includere nel reddito complessivo ai fini dell’imposta personale tutti i
redditi e di ridurre al minimo le tassazioni sostitutive (Visentini, 1969).
20
Relazione alla legge delega del 1971.
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 391
La maggior parte dei redditi da capitale fu assoggettata a una
imposizione sostitutiva di tipo proporzionale, attraverso una ritenuta alla
fonte con obbligo di rivalsa, prelevata dall’emittente all’atto della
corresponsione dei proventi con aliquote differenziate per tipologie di
strumenti e natura dei debitori. Per le persone fisiche la ritenuta era
applicata a titolo d’imposta, rappresentava, cioè, un prelievo definitivo. Per
le persone giuridiche la ritenuta costituiva invece un acconto dell’imposta
sul reddito (Irpeg). Dalla tassazione sostitutiva furono esclusi gli interessi
dei titoli pubblici, per i quali si confermò, attribuendogli rilevanza
normativa, il precedente regime di esenzione di fatto. La scelta della
tassazione sostitutiva dei redditi di capitale percepiti da persone fisiche,
che nei fatti non si discostava eccessivamente dal sistema previgente,
rispondeva all’esigenza di non provocare sostanziali turbative di mercato
nella fase di entrata in vigore della riforma, ma soprattutto mirava alla
creazione di un sistema di imposta flessibile, utilizzabile dalle autorità
come strumento di controllo e di canalizzazione del risparmio.
A differenza degli altri redditi di capitale, i dividendi furono
inizialmente ricompresi nella base imponibile dell’imposta progressiva,
confermando l’applicazione della ritenuta alla fonte a titolo di acconto,
nella misura del 10 per cento, ma senza il riconoscimento di un credito
d’imposta per la tassazione subita a monte dalla società distributrice. Si
accolse cioè il sistema cosiddetto classico, che comportava la doppia
imposizione degli utili societari. Quasi subito, peraltro, la tassazione
sostitutiva proporzionale fu estesa anche ai dividendi in via opzionale,
attraverso la reintroduzione, per effetto della legge n. 216 del 1974, di una
ritenuta alla fonte del 30 per cento, applicata a titolo definitivo; si tornò,
nei fatti, alla “cedolare secca” dei primi anni sessanta. Tenuto conto della
struttura delle aliquote Irpef introdotta con la riforma e della distribuzione
dei redditi nel 1974, il prelievo definitivo riguardava in astratto un numero
piuttosto limitato di investitori21. Tuttavia, l’anonimato consentito dalla
tassazione definitiva alla fonte spingeva molti risparmiatori a optare per
tale forma di prelievo pur in mancanza di oggettive condizioni di vantaggio
economico.
Infine, per le plusvalenze realizzate da persone fisiche al di fuori
dell’esercizio di imprese si confermò l’imponibilità solo in presenza del
__________
21
Di fatto, la convenienza scattava solo per gli investitori con redditi superiori a nove milioni di lire,
la cui aliquota marginale era pari nel 1974 al 31 per cento. I redditi di pertinenza di tali soggetti
rappresentavano una percentuale relativamente esigua rispetto al totale dei redditi tassati in Irpef.
392 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
cosiddetto “intento speculativo”, che, come già rilevato, si traduceva in un
regime di sostanziale esenzione.
Lo spettro di aliquote inizialmente stabilito per le ritenute sui redditi
di capitale risultava piuttosto ampio (cfr. tavola in Appendice). L’aliquota
ordinaria, individuata nel 30 per cento, si applicava in realtà soltanto ai
proventi delle obbligazioni emesse dalle società non finanziarie diverse da
quelle a partecipazione pubblica, e, in via opzionale, ai dividendi. Per gli
altri strumenti, e in particolare per le diverse forme di raccolta bancaria,
erano previste aliquote ridotte, scelte in relazione al vantaggio relativo che
si intendeva attribuire a ciascuna tipologia di attività: oltre a sancire
normativamente l’esenzione dei titoli pubblici, le agevolazioni più
significative erano riconosciute alla raccolta obbligazionaria degli ICS, con
la fissazione di un’aliquota pari al 10 per cento; seguivano i conti correnti e
i depositi bancari e postali, con il 15 per cento, e le obbligazioni emesse
dagli enti di gestione delle partecipazioni statali, con una ritenuta del 20
per cento. Nella sostanza, attraverso la differenziazione delle aliquote si
riproduceva la scala di vantaggi fiscali accordati ai diversi strumenti ed
emittenti nel regime ante riforma mediante una combinazione di esenzioni
ed assoggettamento a tributi diversi.
In particolare, nel regime delineato dalla riforma per i redditi da
capitale potevano riconoscersi alcuni orientamenti di fondo, non dissimili
da quelli rinvenibili nel sistema di tassazione precedente e tendenti ad
incidere sull’allocazione del risparmio e sull’equilibrio dei mercati
finanziari:
a) una netta discriminazione a favore degli emittenti pubblici rispetto a
quelli privati. Questa discriminazione era evidente nel regime di esenzione
riconosciuto ai titoli pubblici in capo a qualunque sottoscrittore (persona
fisica o giuridica), ma anche nel trattamento di favore per le obbligazioni
emesse da Istituti di Credito Speciale (ICS), con la previsione di
un’aliquota ridotta del 10 per cento;
b) un trattamento di favore per i depositi bancari e postali (i cui interessi
erano tassati con l’aliquota agevolata del 15 per cento), giustificato sia
dalla volontà di incentivare la formazione del risparmio in tutte le sue
forme sia dall’intento di agevolare in modo particolare gli impieghi più
liquidi. Sotto questo profilo si confermava, nella sostanza, il trattamento
agevolato dei depositi nel regime ante-riforma, che aveva assecondato il
fenomeno della “doppia intermediazione del risparmio” (cfr. supra, par.
2.3);
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 393
c) una netta discriminazione a sfavore dell’investimento nel capitale di
rischio delle imprese, penalizzato rispetto a quello in titoli obbligazionari
dalla doppia imposizione dei dividendi, oltre che dal diverso trattamento
fiscale di interessi e dividendi in capo agli emittenti (deducibilità dal
reddito imponibile per i primi, indeducibilità per i secondi: cfr. infra, par.
3.2).
3.2 L’evoluzione successiva sino ai primi anni ottanta
Dalla seconda metà degli anni settanta, le crescenti esigenze di
finanziamento del disavanzo pubblico22 e l’introduzione dei controlli
sull’attivo delle banche (massimali sugli impieghi e vincoli di portafoglio)
innescarono un processo di graduale disintermediazione della raccolta
bancaria a favore dei titoli del debito pubblico e della sottoscrizione diretta
di titoli emessi dagli ICS. Il fenomeno si accentuò tra il 1978 e il 1981. In
quel periodo, a fronte di un rallentamento nella raccolta di depositi si
assistette ad una crescita del collocamento diretto di titoli pubblici a breve
termine (BOT) e di obbligazioni degli ICS presso famiglie e imprese: le
emissioni nette di BOT passarono da 9.822 miliardi di lire nel 1979 a
33.783 miliardi nel 1981 e quelle di titoli degli ICS da 4.656 miliardi nel
1979 a 7.508 miliardi nel 1981 (cfr. infra, tav. 9); nello stesso periodo il
tasso di crescita dei depositi passò dal 19,4 per cento al 12,3 per cento
(Banca d’Italia, Relazione sul 1981).
Le modifiche della disciplina fiscale assecondarono il fenomeno.
L’aliquota di ritenuta sui depositi bancari fu progressivamente innalzata fra
il 1976 e il 1983, passando dal 15 per cento al 25 per cento, contribuendo
ad ampliare il differenziale di rendimento tra due prodotti sostituti quali i
depositi e i BOT: negli anni fra il 1978 e il 1985 il differenziale fra
interessi offerti dai BOT e il tasso sui depositi e conti correnti, liberi o
vincolati, di entità almeno pari ai venti milioni di lire, fu in media di 3,26
punti, al lordo della ritenuta, e di circa 6 punti, al netto della stessa; nel
1981, anno in cui si registrò la maggiore ampiezza di tale differenziale,
esso risultava pari a 5,81 punti al lordo e 8,59 punti al netto dell’imposta23.
__________
22
Dalla prima crisi petrolifera del 1973-74, il disavanzo pubblico assunse in Italia valori intorno al 10
per cento del PIL nella seconda metà degli anni settanta e all’11 per cento negli anni ottanta. Ne
derivò, anche in relazione alla dinamica dei tassi di interesse, una crescita esponenziale del debito
pubblico, che alla fine degli anni ottanta si attestava su valori prossimi al 100 per cento del PIL
(Morcaldo, 1992).
23
Il differenziale si mantenne elevato (superiore ai 4 punti) anche dopo l’introduzione, nell’autunno
1986, della ritenuta sui rendimenti dei titoli pubblici (del 6,25 per cento, elevata al 12,5 per cento
(continua)
394 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
La raccolta degli ICS fu stimolata a partire dalla fine degli anni
settanta dalle modifiche regolamentari che interessarono tali istituti, quali
l’attenuazione del vincolo di portafoglio – che intervenne a fronte della
conferma del massimale sugli impieghi bancari – e l’autorizzazione ad
emettere buoni fruttiferi e certificati di deposito24, ma registrò un vero e
proprio boom nei primi anni ottanta, in corrispondenza dell’apertura di una
serie di “finestre” di esenzione fiscale per i titoli emessi dai medesimi ICS
tra il 1980 e il 198225. Dal 1983, a seguito del venir meno dell’esenzione, le
emissioni nette degli ICS si dimezzarono, con una riduzione particolare nel
comparto dei CD, che nel 1982 si erano rivelati la componente più
dinamica della raccolta degli stessi26. Contestualmente, la disciplina fiscale
contribuì alla disintermediazione delle banche rispetto alle emissioni degli
ICS: nel 1981, per la prima volta dal 1973, gli acquisti da parte delle
banche rappresentarono meno del 50 per cento; nel 1982, le banche
sottoscrissero solo il 9-10 per cento dei CD emessi dagli ICS. L’accresciuto
ruolo della raccolta diretta degli ICS era favorito dal diverso trattamento
fiscale di persone fisiche e imprese: mentre per le prime l’esenzione fiscale
degli interessi sui CD era totale, per le imprese (e, quindi, anche per le
banche) il beneficio dell’esenzione incontrava un limite nei vincoli alla
deducibilità degli interessi passivi corrisposti, previsti in relazione al
possesso di redditi esenti (cfr. infra, par. 4.2.1).
Rispetto al decennio precedente, in cui la differenziazione delle
aliquote di ritenuta sui diversi strumenti di debito aveva scoraggiato il
ricorso diretto al mercato dei capitali di debito da parte delle imprese
private, favorendo l’accensione di prestiti con gli ICS e la doppia
intermediazione, a partire dai primi anni ottanta il riavvicinamento delle
nel 1987), anche per effetto dell’ulteriore innalzamento dell’aliquota sui depositi dal 25 al 30 per
cento dal 1988 (Guerra, 1989).
24
L’emissione di certificati di deposito da parte degli istituti e delle sezioni di credito mobiliare,
fondiario ed agrario fu autorizzata con DM 23 dicembre 1981, in attuazione della legge 10 febbraio
1981, n. 23.
25
Il DL. n. 288/1980 e il successivo D.L. n. 503/1980, i cui effetti furono fatti salvi dalla L. n.
687/1980, disposero l’esenzione fiscale per le obbligazioni e titoli similari emessi dagli ICS con
qualsiasi durata nel periodo 3/7/1980-30/9/1980; il DL. n. 693/1980, conv. in L. n. 891/1980,
stabilì l’esenzione fiscale sui titoli emessi da ICS, enti di gestione delle partecipazioni statali e
società quotate, di durata superiore a 3 anni, per il periodo 1/10/1980-30/9/1981; il DL. n.
540/1981, conv. in L. n. 676/1981, estese l’esenzione ai medesimi titoli emessi nel periodo
1/10/1981-30/9/1982 con durata superiore ai 18 mesi.
26
Una relativa ripresa delle emissioni degli ICS si registrò nel 1985, anche per l’effetto indiretto del
provvedimento fiscale del novembre 1984 che, disponendo l’indeducibilità degli interessi passivi
delle imprese fino a concorrenza degli interessi attivi esenti, ricondusse di fatto a tassazione i
proventi dei titoli pubblici sottoscritti dalle medesime (cfr. infra, par. 4.2.1).
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 395
aliquote relative ai titoli dei diversi emittenti – inizialmente attraverso le
“finestre di esenzione” sopra richiamate e successivamente con una
maggiore uniformità del prelievo sulle obbligazioni – conseguì il risultato
voluto di favorire l’investimento a medio e lungo termine, riportando sul
mercato le imprese private. Come per gli ICS, anche le emissioni
obbligazionarie da parte di queste ultime e degli enti di gestione delle
PP.SS. registrarono livelli significativi nel biennio 1981-82, in
corrispondenza delle “finestre di esenzione”.
L’incremento delle emissioni interessò in modo particolare le
obbligazioni convertibili, alle quali peraltro era riconosciuto un trattamento
agevolato sin dall’aprile del 1974 (legge n. 216/1974), consistente
nell’assoggettamento a un’aliquota di ritenuta pari alla metà di quella
prevista per i rendimenti delle altre obbligazioni emesse dalle imprese: 15
per cento fino al 5/12/1975; 10 per cento successivamente27. Inoltre, il loro
rendimento era in gran parte rappresentato dalle plusvalenze realizzate a
seguito della conversione in azioni, non imponibili per le persone fisiche. È
presumibile che proprio in ragione dei vantaggi fiscali tali obbligazioni
fossero presenti sul mercato in misura non irrilevante anche negli anni
1974-1980, periodo in cui l’emissione degli altri titoli a reddito fisso da
parte delle imprese era inibita da una disciplina fiscale sfavorevole, oltre
che dagli elevati tassi di inflazione (Guerra, 1989)28. Infine, come gli altri
titoli obbligazionari, anche le obbligazioni convertibili registrarono un
forte incremento nel 1981-82, in corrispondenza delle “finestre di
esenzione”.
Considerazioni analoghe valgono per le azioni di risparmio, che
consentivano ai sottoscrittori di optare per una ritenuta secca del 15 per
cento, con completo anonimato fiscale, e alle imprese emittenti di dedurre
dal reddito imponibile i dividendi corrisposti, fino al 5 per cento del valore
nominale delle azioni (quest’ultima agevolazione fu abolita dal 1°
dicembre 1983)29.
__________
27
Rispetto alle azioni, le obbligazioni convertibili godevano dell’ulteriore vantaggio della
deducibilità fiscale degli interessi in capo all’emittente, non riconosciuta ai dividendi.
28
A titolo di esempio, nel 1977 le emissioni nette di obbligazioni convertibili furono pari a 140
miliardi di lire, pari all’80 per cento dell’ammontare complessivo delle emissioni nette di titoli
obbligazionari delle imprese (Banca d’Italia, Relazione sul 1977).
29
Un altro strumento che incontrò una certa diffusione nel corso degli anni ottanta, anche grazie ad
un trattamento fiscale favorevole, è rappresentato dalle azioni delle banche popolari cooperative,
che contribuirono in misura significativa alla crescita dei listini dei mercati ristretti istituiti alla fine
(continua)
396 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
L’emissione di azioni ordinarie continuò, almeno inizialmente, ad
essere penalizzata dal sistema classico di doppia imposizione dei dividendi
confermato dalla riforma del 1973. Oltre a discriminare la raccolta di
capitale di rischio rispetto a quella di debito, tale sistema costituiva un forte
disincentivo alla distribuzione degli utili: per le persone fisiche, il regime
di non imponibilità delle plusvalenze rendeva più conveniente la
realizzazione degli utili sotto forma di guadagni di capitale; per i dividendi
infrasocietari, la doppia imposizione (che diventava multipla nel caso di
passaggi successivi) poteva costituire un onere significativo, temperato
attraverso l’applicazione di una minore aliquota societaria solo per le
società e gli enti finanziari, e in presenza di date condizioni (cfr. riquadro
3.1).
Lo svantaggio legato alla doppia imposizione dei dividendi si
aggiungeva alle penalizzazioni derivanti dal diverso regime fiscale del
costo della raccolta in capo all’emittente (indeducibilità dal reddito
imponibile nel caso dei dividendi, deducibilità per gli interessi). In
presenza di aliquote elevate di imposizione societaria (dovute anche
all’Ilor, che si sommava all’imposta sul reddito, l’Irpeg) e di alta
inflazione, che contribuiva a tenere alto il livello dei tassi di interesse, il
diverso trattamento fiscale di dividendi e interessi si traduceva spesso in un
vero e proprio sussidio per le imprese fortemente indebitate (Ciocca, 2000).
La doppia imposizione dei dividendi fu eliminata nel 1977, quando
fu introdotto un meccanismo di credito d’imposta (cfr. riquadro 3.1) che
consentì di eliminare le duplicazioni di imposta per i dividendi
infrasocietari e di tassare esclusivamente con l’imposta progressiva sul
reddito quelli percepiti da persone fisiche. Per effetto di tale meccanismo,
lo svantaggio relativo dei dividendi rispetto agli interessi si attenuò: pur
permanendo la discriminazione legata al diverso regime fiscale dei
proventi erogati in capo all’emittente, a parità di dividendo lordo
distribuito il credito d’imposta determinava un incremento del rendimento
netto in capo ai percettori di circa il 30 per cento e, a parità di dividendo
netto per l’azionista, una diminuzione del costo della remunerazione del
capitale per le società pari al 25 per cento30.
degli anni settanta. Ai sottoscrittori di tali azioni era garantito sia l’anonimato fiscale sia la
percezione di utili esclusi da qualunque prelievo alla fonte (Banca d’Italia, Relazione sul 1979).
30
Banca d’Italia, Relazione sul 1977.
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 397
Gli effetti della misura, adottata in parallelo con l’istituzione dei
mercati ristretti e con altre disposizioni volte a migliorare lo spessore e la
trasparenza del mercato azionario, sono di difficile valutazione. Il ricorso
delle imprese private (diverse dalle banche) al finanziamento mediante
capitale di rischio non registrò un aumento significativo, soprattutto in
termini relativi: tra il 1977 e il 1982 le nuove emissioni di azioni si
attestarono sempre su livelli non superiori al 10-11 per cento del totale dei
nuovi finanziamenti esterni, livelli addirittura inferiori al valore medio del
periodo 1974-76, pari al 12,4 per cento31.
Negli anni immediatamente successivi all’introduzione del credito
d’imposta si riscontrarono politiche di distribuzione di dividendi più
generose, ma sempre relativamente contenute rispetto al valore dei titoli
azionari se raffrontate con quelle dei maggiori paesi industriali32. Tuttavia,
non è chiaro se questo effetto derivasse dalla modifica fiscale o fosse
invece riconducibile alle migliorate condizioni di redditività delle imprese.
Il credito d’imposta rese indifferente la scelta fra distribuzione e
accantonamento degli utili nei rapporti infrasocietari, contribuendo a
migliorare i gradi di libertà nelle politiche di dividendo dei gruppi
d’imprese. Nei confronti degli investitori persone fisiche, il credito
d’imposta rese possibile solo un’attenuazione dei disincentivi alla
distribuzione: il permanere dell’esenzione fiscale accordata per le
plusvalenze azionarie continuava a rendere più conveniente
l’accantonamento in vista del realizzo degli utili sotto forma di capital
gains.
__________
31
A fronte di un netto decremento tra il 1973 e il 1977, nel periodo 1978-1986 la consistenza delle
azioni crebbe costantemente, passando dallo 0,3 per cento allo 0,9 per cento del PIL e da poco più
del 7 per cento a oltre il 20 per cento del valore totale delle attività finanziarie (Bonci e Coletta,
2006). Le emissioni lorde di azioni passarono da 2.251 miliardi di lire nel 1977 a 6.892 miliardi di
lire nel 1982. Tuttavia, ad eccezione del 1980 e del 1982, oltre il 50 per cento delle nuove
emissioni proveniva da imprese a prevalente partecipazione statale (Banca d’Italia, Relazioni
annuali, numeri vari). Più che di un maggior ricorso delle imprese private al capitale di rischio, si
trattava quindi, nella sostanza della copertura delle perdite registrate dalle società a prevalente
partecipazione statale, attraverso l’aumento dei fondi di dotazione delle stesse.
32
Banca d’Italia, Relazione sul 1983, p. 221.
398 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
Riquadro 3.1
La tassazione dei dividendi: dal sistema classico
al credito d’imposta
La scelta compiuta dal legislatore della riforma per i dividendi e gli
altri utili societari fu quella di un sistema classico “puro”, caratterizzato da
una doppia imposizione dei redditi societari, dapprima come utili con
l’imposta societaria, e successivamente in capo ai soci persone fisiche o
giuridiche, secondo le rispettive regole di imposizione (imposta personale
progressiva o imposta sul reddito delle persone giuridiche). In sede di
distribuzione era inoltre applicata una ritenuta del 10 per cento a titolo
d’acconto.
Dal 9 aprile 1974 (legge n. 216/1974) fu reintrodotta l’opzione per la
cedolare secca del 30 per cento, sia per le persone fisiche sia per le persone
giuridiche. Nel periodo 11.10.76 - 31.12.78 l’aliquota della cedolare fu
innalzata al 50 per cento. L’opzione per il prelievo liberatorio fu nuovamente
abrogata dal 1979, per essere reintrodotta – per le sole persone fisiche –
molto più tardi, nel 1994.
Al fine di attenuare la doppia tassazione dei dividendi infrasocietari,
nel regime introdotto dalla riforma era previsto un trattamento di favore per
le società e gli enti finanziari, che si sostanziava nella riduzione al 7,50 per
cento dell’aliquota Irpeg. Tale regime, riservato alle società ed enti il cui
oggetto statutario fosse l’assunzione di partecipazioni in altre società e che
possedessero titoli partecipativi per un ammontare non inferiore al 60 per
cento di tutte le attività iscritte in bilancio, fu eliminato dalla legge n.
904/1977, istitutiva del credito d’imposta sui dividendi.
Con la legge 16/12/1977, n. 904 (cosiddetta legge Pandolfi) il sistema
classico fu rimpiazzato da un meccanismo di integrazione piena, attraverso
l’introduzione – dall’1.1.1977 – di un credito d’imposta pari a 1/3 del
dividendo distribuito (al lordo della ritenuta d’acconto del 10 per cento). Il
credito era riconosciuto a tutti gli investitori residenti (persone fisiche, soci di
società di persone, società di capitali), a condizione che gli utili fossero
inclusi nel reddito imponibile del percettore. Il credito non poteva invece
essere fatto valere per gli utili assoggettati a ritenuta a titolo d’imposta
(come, ad esempio, nel caso delle azioni di risparmio, soggette al prelievo
definitivo del 15 per cento). Inoltre, esso non era riconosciuto agli investitori
non residenti, che scontavano in sede di distribuzione una ritenuta a titolo
definitivo del 30 per cento (32,40 per cento dall’1.1.1986)33.
La misura del credito d’imposta fu successivamente elevata ai 9/16 del
dividendo distribuito, in corrispondenza dell’innalzamento dal 25 per cento al
36 per cento dell’aliquota IRPEG (legge 25.11.1983, n. 649). Sia il livello
dell’aliquota IRPEG che quello del credito d’imposta furono confermati dal
TUIR del 1986.
__________
33
Tuttavia, successivamente il credito fu attribuito – a condizione di reciprocità – agli investitori
residenti in alcuni paesi (ad esempio, Francia e Regno Unito) attraverso l’inserimento di specifiche
previsioni nei trattati bilaterali contro le doppie imposizioni.
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 399
4. Gli anni ottanta: innovazione finanziaria e tassazione dei titoli di
Stato
Nel corso degli anni ottanta le scelte di politica fiscale in tema di
redditi finanziari furono improntate a un generale innalzamento del livello
medio di imposizione, in linea con l’evoluzione del sistema fiscale nel suo
complesso, che risentiva delle crescenti esigenze di gettito determinate
dall’espansione della spesa pubblica. L’aumento delle aliquote di ritenuta,
pressoché generalizzato, interessò in modo particolare gli interessi sulla
raccolta a breve e a vista (depositi e conti correnti bancari e postali), che
passarono progressivamente dall’iniziale aliquota del 15 per cento a quella
del 30 per cento dal 1988. Si registrò, inoltre, una prima graduale riduzione
delle differenze tra le aliquote di ritenuta riservate ai diversi emittenti nel
comparto delle obbligazioni, fino all’eliminazione del regime di esenzione
per i titoli pubblici. Questi cambiamenti determinarono una sostanziale
bipartizione delle aliquote, che discriminava il trattamento fiscale dei
redditi di capitale in base alla durata, favorendo, in un contesto dominato
da un’inflazione di notevole entità, l’investimento a lungo termine rispetto
a quello a breve (cfr. tavola in Appendice; Guerra, 1989).
Sempre sotto la pressione delle esigenze di gettito, un’altra tendenza
caratterizzante la produzione normativa degli anni ottanta fu l’introduzione
di modifiche volte a colmare le lacune che permettevano l’elusione della
disciplina fiscale e della regolamentazione creditizia attraverso il ricorso a
strumenti finanziari innovativi. Esempi di questa tendenza furono, tra gli
altri: l’introduzione, nel 1981, di una ritenuta alla fonte sui proventi delle
accettazioni bancarie; la definizione, nel 1983, di un regime fiscale ad hoc
per i titoli cosiddetti “atipici”; l’estensione, sempre nel 1983, della ritenuta
alla fonte al cosiddetto scarto di emissione dei titoli obbligazionari e la
specificazione del concetto di titoli similari alle obbligazioni.
4.1 La nascita di nuovi strumenti finanziari: le determinanti fiscali
L’innovazione finanziaria può in parte essere spiegata dal tentativo
degli operatori di eludere la disciplina regolamentare e di sfruttare le
eventuali lacune della disciplina fiscale. Anche dopo la riforma degli anni
settanta, il sistema tributario italiano era incentrato su un’elencazione
analitica e tassativa delle fattispecie imponibili, senza nessuno spazio per
interpretazioni analogiche o integrative (Guerra, 1989). Nel corso del
tempo, l’emersione di fattispecie elusive che sfruttavano proprio le rigidità
400 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
della normativa fiscale, oltre che di quella regolamentare, rese necessaria
l’introduzione di norme di chiusura sempre più stringenti.
Uno dei primi strumenti innovativi affermatosi grazie a una
disciplina regolamentare e fiscale disorganica fu l’accettazione bancaria
(cfr. riquadro 4.1). Comparsi in Italia a partire dal 1974, questi strumenti di
finanziamento a breve delle imprese ebbero un notevole sviluppo nel
periodo 1979-1981, dapprima favoriti, e successivamente limitati, da
provvedimenti delle autorità monetarie e fiscali.
Riquadro 4.1
Le accettazioni bancarie
Le accettazioni bancarie erano strumenti di mercato
monetario utilizzati per il finanziamento diretto delle imprese. Di
norma, erano emesse sotto forma di cambiali tratte spiccate da un
cliente a carico di un’azienda di credito che, nell’apporre la sua
firma sul titolo per accettazione, diveniva l’obbligata principale. Le
accettazioni così rilasciate rientravano nei crediti di firma della
banca; solo quelle acquistate dalle aziende di credito davano luogo
a un’effettiva erogazione di fondi da parte del sistema bancario.
I titoli così emessi erano collocati sul mercato da
intermediari finanziari, che potevano coincidere o meno con le
banche accettanti. Le imprese emittenti si impegnavano a fornire
alla banca l’ammontare necessario al rimborso del titolo alla
scadenza.
Le accettazioni erano vendute agli investitori ad un prezzo
inferiore al valore nominale, ottenuto scontando quest’ultimo valore
al tasso di rendimento prefissato. In tal modo, il rendimento del
titolo, costituito dalla differenza tra il valore di rimborso (o il prezzo
di cessione) e il prezzo di acquisto, poteva configurarsi come
plusvalenza, non imponibile per i risparmiatori persone fisiche.
L’intervento che favorì maggiormente la diffusione delle
accettazioni fu la riduzione, nel 1978, dell’imposta di bollo a esse
applicabile (dall’8 per mille previsto per le cambiali ordinarie allo 0,1 per
mille), riduzione condizionata alla sussistenza di determinati requisiti, tra
cui la durata non superiore a 12 mesi. Pressoché parallelamente, nel 1979,
la Banca d’Italia dispose l’esclusione delle accettazioni bancarie dal limite
al massimale sui prestiti. La rimozione di questi ostacoli favorì la
successiva diffusione dello strumento, la cui consistenza passò da 2
miliardi di lire a fine 1979 a 1.134 miliardi nel 1980 e a 1.847 miliardi nel
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 401
1981 (Guerra, 1989). Questo sviluppo fu favorito anche dalla circostanza
che le accettazioni non erano ricomprese nel massimale sugli impieghi
imposto alle aziende di credito (in quanto considerate crediti di firma) e
dalle incertezze legate al trattamento fiscale. Essendo il rendimento delle
accettazioni bancarie costituito dalla differenza tra il valore di rimborso e
quello di sottoscrizione, non era chiaro se a tali proventi dovesse
riconoscersi la natura di interessi – e quindi di redditi di capitale
assoggettabili alla ritenuta “residuale” del 15 per cento di cui all’ultimo
comma del DPR n. 600/1973 – ovvero quella di plusvalenze, esenti da
tassazione per le persone fisiche. Sfruttando questa situazione di
incertezza, le banche non assoggettavano a ritenuta i proventi, assicurando
così l’esenzione ai sottoscrittori persone fisiche, ed evitando la formazione
di eventuali crediti d’imposta per i sottoscrittori persone giuridiche.
Il mercato delle accettazioni subì una flessione a seguito
dell’intervento delle autorità monetarie del marzo 1981, volto a introdurre
un massimale per il rilascio delle medesime accettazioni. Il crollo
definitivo si ebbe poco dopo, nell’ottobre del 1981, a seguito
dell’introduzione di una ritenuta del 15 per cento sui proventi delle
accettazioni, a titolo definitivo per le persone fisiche e d’acconto per le
persone giuridiche (DL. n. 546/1981, conv. in L. n. 692/1981)34.
Fra le tecniche di elusione fiscale, particolarmente diffusa era quella
che consisteva nel configurare i proventi dei prodotti finanziari come
plusvalenze non imponibili, soprattutto attraverso l’utilizzo di titoli senza
cedola (titoli zero coupon). Al fine di arginare tali comportamenti, nel
1983 fu disposto l’assoggettamento a ritenuta del cosiddetto “scarto di
__________
34
Un altro strumento di mercato monetario sulla cui diffusione le rigidità della regolamentazione
creditizia e della legislazione fiscale sembrano avere giocato un ruolo è rappresentato dalle polizze
di credito commerciale. Nel 1987, a seguito della reintroduzione di un massimale per gli impieghi
in lire delle aziende di credito, si assistette ad un notevole incremento dei crediti di firma, che
interessò prevalentemente le fidejussioni, accompagnandosi, in particolare, ad una forte diffusione
delle polizze di credito commerciale, strumenti finanziari a breve termine assimilabili alle
commercial papers esistenti nel mercato statunitense, dalle quali differivano per la rinuncia alla
forma cambiaria. In particolare, l’emissione di una polizza commerciale consisteva nell’accensione
da parte di un’impresa di un credito esigibile a scadenza prefissata e garantito da una fidejussione
bancaria. La normativa fiscale può essere annoverata tra i fattori che hanno contribuito allo
sviluppo delle polizze di credito commerciale, soprattutto per ciò che attiene ai profili di
imposizione indiretta: essendo le operazioni regolate attraverso lo scambio di corrispondenza
commerciale, per gli investitori era possibile eludere l’imposta di bollo gravante su altri strumenti
di finanziamento a breve termine, come le accettazioni bancarie o, più tardi, le cambiali finanziarie.
Sotto il profilo dell’imposizione diretta, l’assoggettamento dei proventi delle polizze ad imposta
progressiva per le persone fisiche, unitamente all’elevato taglio minimo delle operazioni, ha
favorito – e favorisce tuttora – il prevalente collocamento dello strumento presso imprese e
investitori istituzionali.
402 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
emissione”, ossia della “differenza fra la somma corrisposta ai possessori
dei titoli alla scadenza e il prezzo di emissione” (DL. n. 512/1983, conv. in
L. 649/1983)35.
Il tentativo di sfruttare la non imponibilità delle plusvalenze
finanziarie, oltre agli altri spazi lasciati scoperti dal legislatore fiscale,
contraddistinse anche un’altra tipologia di strumenti innovativi: quella dei
titoli atipici (cfr. riquadro 4.2). Questi strumenti fecero la loro comparsa in
Italia a metà degli anni settanta e incontrarono notevole diffusione
soprattutto nel periodo 1980-82, quali veicoli di canalizzazione del
risparmio dei privati verso “beni rifugio” (immobili e terreni) in una
situazione di elevata inflazione. Il mercato si ridimensionò notevolmente
dal 1983-1984, in concomitanza con il rallentamento dell’inflazione e la
caduta del prezzo degli immobili, ma soprattutto per effetto delle
modifiche al trattamento fiscale.
I titoli atipici presentavano aspetti problematici per l’attività di
vigilanza, sotto il profilo della tutela degli investitori: la complessità degli
schemi contrattuali utilizzati non sempre consentiva una chiara
ricostruzione dei diritti dei sottoscrittori e della congruità delle garanzie
offerte. Inoltre, si temeva che lo sviluppo di un mercato dei titoli atipici
non regolamentato, al di fuori dei circuiti ufficiali, potesse compromettere
l’efficacia della politica monetaria (Bianchi et al., 1982).
Sul piano fiscale, i titoli atipici consentivano di eludere del tutto la
tassazione. La molteplicità di forme e modalità attraverso le quali poteva
avvenire la corresponsione dei proventi determinava la non applicazione
della ritenuta d’acconto del 15 per cento prevista dalla norma di chiusura
dell’ultimo comma dell’articolo 26 del DPR n. 600/1973, e la conseguente
esenzione per i percettori persone fisiche, in tutti i casi in cui esisteva
incertezza circa la natura, l’ammontare e il momento di corresponsione del
reddito. In genere, si faceva in modo di attribuire i proventi sotto forma di
plusvalenze, così che le persone fisiche potessero godere di totale
esenzione e le persone giuridiche non essere assoggettate alla ritenuta
d’acconto.
__________
35
Le prime emissioni di titoli zero coupon sul mercato italiano furono lanciate da IMI e da Interbanca
nel 1981-82. La diffusione di tali titoli nel nostro Paese fu però assai contenuta, anche in relazione
alla tempestiva modifica della disciplina fiscale. Al contrario, nel corso degli anni ottanta i titoli
zero coupon hanno riscosso notevole successo sui mercati internazionali, in relazione alla
possibilità, riconosciuta dai sistemi tributari di molti paesi, di configurare i loro proventi come
capital gains esenti (Guerra, 1989).
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 403
Riquadro 4.2
I titoli atipici36
I titoli atipici si svilupparono come strumenti dalla natura giuridica
incerta, commercializzati al di fuori dei mercati ufficiali e senza l’intervento
di intermediari istituzionali.
Un primo gruppo, costituito dai certificati di partecipazione, si basava
sullo schema del contratto di associazione in partecipazione di cui
all’articolo 2549 c.c.. L’associante era l’impresa che gestiva l’affare
(compravendita o gestione di immobili, finanziamento di iniziative
imprenditoriali, conduzione di imprese agricole, ecc.). L’associato era una
società che finanziava l’operazione, ottenendo a fronte del proprio apporto
titoli di credito all’ordine di piccolo taglio, che rappresentavano pro-quota i
diritti dell’associato; quest’ultimo provvedeva, direttamente o tramite
intermediari, al collocamento dei titoli sul mercato, principalmente presso
privati risparmiatori. Il reddito percepito dall’investitore poteva assumere la
forma di partecipazione agli utili periodici (canoni d’affitto o di leasing,
interessi su crediti, utili d’impresa) e/o ricavi finali quali plusvalenze. In molti
casi i certificati di partecipazione combinavano in vario modo le
caratteristiche delle azioni e delle obbligazioni. La durata dei titoli dipendeva
dall’orizzonte temporale dell’affare sottostante, potendo essere anche
indeterminata. A seconda dell’affare finanziato, tali strumenti si
distinguevano in: certificati finanziari, immobiliari, agricoli, ecc.
Un secondo gruppo comprendeva le quote di partecipazione a fondi
comuni di investimento immobiliare. In genere, questi titoli non davano
luogo alla corresponsione di redditi periodici, per cui l’intero provento era
conseguito sotto forma di plusvalenza a seguito di riscatto o cessione delle
quote37.
Un terzo gruppo era costituito dai titoli emessi da Enti di Gestione
Fiduciaria (enti di cui all’art. 45 del DPR. 13.2.1959, n. 449, Testo unico
sulle Assicurazioni Private), che svolgevano un’attività di raccolta di tipo
parabancario. A fronte di un conferimento di capitale da parte del
risparmiatore “fiduciante” finalizzato all’esecuzione di un dato investimento,
l’Ente di gestione rilasciava titoli che si differenziavano a seconda che la
remunerazione offerta fosse rappresentata da utili o interessi. Nel primo caso
– che peraltro non trovò applicazioni concrete di rilievo – i titoli erano
denominati certificati patrimoniali, ed erano assimilabili in senso lato alle
azioni. Nel secondo caso – che, al contrario, riscontrò ampia diffusione tra gli
operatori – i titoli erano denominati fedi di investimento o fedi patrimoniali,
ed erano considerati similari alle obbligazioni.
__________
36
La ricostruzione è effettuata sulla base delle informazioni tratte da: Guerra (1989); De Nova et al.
1984); Banca d’Italia, Relazione annuale, varie annate.
37
I due fondi comuni immobiliari operanti in Italia nei primi anni ottanta furono liquidati nel 1984 in
corrispondenza della crisi del mercato immobiliare.
404 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
Nel 1983 le preoccupazioni delle autorità monetarie e di vigilanza
spinsero il legislatore a intervenire sul mercato. Sotto il profilo della
disciplina regolamentare, si sancì l’obbligo di comunicazione alla Banca
d’Italia e alla Consob, rispettivamente, delle emissioni e delle operazioni di
compravendita di valori mobiliari di qualsiasi natura destinati al
collocamento presso il pubblico; inoltre, si modificò la disciplina fiscale in
funzione prettamente “regolamentare”. Così, da un lato si introdusse la
categoria, fiscalmente rilevante, di titoli similari alle obbligazioni, ai quali
si rese applicabile la stessa disciplina dei titoli obbligazionari38; dall’altro,
fu disposta l’applicazione di una ritenuta del 18 per cento sui proventi
corrisposti sotto qualunque forma in relazione ai titoli cosiddetti “atipici”,
categoria residuale nella quale far ricadere strumenti finanziari, privi di una
specifica disciplina tributaria, emessi sotto forma di titoli o certificati di
massa diversi sia dalle azioni, obbligazioni e titoli similari, sia dai titoli o
certificati rappresentativi di quote di partecipazione in organismi di
investimento collettivo del risparmio39. La ritenuta, applicata a titolo
d’imposta indipendentemente dalla natura dei sottoscrittori, fu elevata al 30
per cento nel 198940.
Sotto il profilo strettamente fiscale, tuttavia, la categoria dei titoli
atipici mantenne – e conserva tuttora – una certa rilevanza. Nel tempo, essa
ha svolto e continua a svolgere la funzione di “norma di chiusura”,
__________
38
I titoli similari alle obbligazioni furono individuati nei titoli di credito, in serie o di massa, a
scadenza fissa non inferiore a 18 mesi, contenenti l’obbligo di pagare alla scadenza una somma
non inferiore a quella in essi indicata, che si differenziassero dalle azioni nel non attribuire ai
possessori alcun diritto di partecipazione o di controllo sulla gestione dell’impresa emittente o
dell’affare in relazione al quale erano emessi. Si consideravano inoltre similari alle obbligazioni i
buoni fruttiferi e i certificati di deposito con scadenza non inferiore ai 18 mesi, emessi da ICS o
sezioni speciali di aziende di credito o da società esercenti la vendita a rate di autoveicoli (i buoni
fruttiferi emessi da queste ultime società erano stati storicamente assimilati alle obbligazioni). Con
questo intervento si intese ricondurre al medesimo trattamento previsto per le obbligazioni un
ampio insieme di titoli, identificati sulla base di caratteristiche economiche comuni (destinazione
all’investimento di durata pluriennale, obbligo di rimborso integrale del capitale, nessun diritto di
partecipazione o controllo sulla gestione dell’emittente). La specificazione del concetto di
similarità alle obbligazioni fu funzionale alla successiva identificazione dei titoli atipici come titoli
“diversi dalle azioni e obbligazioni, o titoli similari, e dai certificati di partecipazione a fondi
comuni di investimento mobiliare”. Furono proprio le caratteristiche dei titoli atipici in
circolazione (cfr. Bianchi et al., 1982) a influenzare il legislatore nella definizione del concetto di
similarità. Emerse che i titoli atipici potevano avere scadenza inferiore ai 18 mesi, che la loro
scadenza non era sempre a data fissa, che risultava incerto l’obbligo di restituzione, e che essi
potevano attribuire al sottoscrittore diritti di partecipazione e controllo. La definizione di titoli
atipici fu data allora in termini puramente negativi, con l’unico requisito positivo rappresentato
dall’essere titoli o certificati in serie o di massa.
39
DL. n. 512/1983, convertito in L. n. 649/1983.
40
D.L. 2 marzo 1989, n. 69, conv. in L. 27 aprile 1989, n. 154.
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 405
permettendo di ricondurre a tassazione, in via interpretativa, i proventi –
non qualificabili come plusvalenze – di titoli o certificati di massa non
tipizzati. A titolo di esempio, la disciplina ha trovato di recente
applicazione per i titoli reverse convertible, non assimilabili alle
obbligazioni a causa dell’assenza della garanzia di rimborso integrale del
capitale. Fino alla prima metà degli anni novanta, la disciplina dei titoli
atipici ha inoltre conservato la funzione primaria per la quale era stata
introdotta, di strumento regolamentare “indiretto”, volto a dissuadere gli
operatori dall’introduzione di prodotti finanziari con caratteristiche non
tipizzate.
Il legame fra innovazione, da un lato, e regolamentazione di
vigilanza e disciplina fiscale, dall’altro, non si esaurì però nella nascita di
strumenti finanziari atti ad eludere i controlli o la tassazione, né nella
risposta delle autorità a tali comportamenti elusivi. In alcuni casi
l’innovazione di prodotto è stata, al contrario, un risultato voluto
dell’azione di politica economica, che è stata diretta a rimuovere vincoli
preesistenti o a introdurre incentivi specifici (Guerra, 1989). L’esempio più
significativo in questo senso è quello dei certificati di deposito (di seguito,
CD). Negli anni ottanta, il progressivo aumento dei collocamenti di titoli
pubblici presso l’economia si accompagnò a una riduzione della quota di
depositi bancari sul totale delle attività finanziarie. In presenza di una
relativa stabilità degli impieghi, soprattutto a medio e lungo termine, gli
ICS prima, e le banche successivamente, furono spinti a innovare l’offerta
di passività, introducendo una maggiore differenziazione degli strumenti di
raccolta per scadenze e condizioni di remunerazione (Focarelli e Tedeschi,
1993). Le autorità di Vigilanza assecondarono il processo, incentivando il
ricorso a strumenti innovativi quali le obbligazioni indicizzate e/o a tasso
variabile, i buoni fruttiferi e i CD. In un contesto di elevata inflazione e
incertezza sui mercati finanziari, che favoriva l’accorciamento della durata
degli strumenti finanziari, i titoli obbligazionari a tasso fisso non erano
ritenuti uno strumento adatto, anche in relazione alle perdite subite dagli
investitori negli anni precedenti per effetto dell’elevata inflazione. I
certificati e i buoni fruttiferi, viceversa, potevano offrire condizioni di
durata e di remunerazione più flessibili, e quindi più adatte a fronteggiare
le condizioni di incertezza richiamate41.
__________
41
Secondo quanto riportato nella Relazione della Banca d’Italia sul 1981, le autorità di Vigilanza
intesero in tal modo “consentire un ampliamento delle forme di raccolta degli Istituti di credito
speciale, al fine di favorirne una maggiore adattabilità operativa in periodi di instabilità del
mercato obbligazionario”.
406 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
All’inizio degli anni ottanta le emissioni di CD interessarono
dapprima gli ICS, quando due interventi coevi delle autorità monetarie e
fiscali determinarono un vero e proprio boom dello strumento. Il DM.
23.12.1981, in attuazione della legge 10/2/1981, n. 23, autorizzò tutti gli
ICS a emettere buoni fruttiferi, nominativi e al portatore, e CD con
scadenza compresa fra i 18 mesi e i 5 anni. Contemporaneamente, con
legge 27.11.1981, n. 676, l’esenzione fiscale concessa agli interessi di
obbligazioni e titoli similari di durata superiore a tre anni venne estesa, per
il periodo 1/10/1981-30/9/1982, ai titoli di durata compresa fra i 18 mesi e i
tre anni, ricomprendendo così la maggior parte dei CD. A seguito di tali
provvedimenti, la consistenza dei CD emessi dagli ICS con scadenza
compresa fra i 18 e i 60 mesi passò dai 6.695 miliardi di lire del 1979 ai
18.060 miliardi del 1982, anno in cui i certificati costituirono il 38 per
cento della raccolta degli ICS.
L’emissione di CD da parte delle banche fu autorizzata a partire dal
gennaio 1983 (DM 28.12.1982). I CD emessi dalle banche soffrirono
inizialmente la concorrenza di quelli degli ICS che non erano soggetti agli
obblighi di riserva e beneficiavano, grazie alla più lunga scadenza (minimo
18 mesi), di una più favorevole ritenuta fiscale (12,5 per cento, pari alla
metà di quella del 25 per cento applicata sui CD delle banche, che
dovevano avere scadenza compresa fra 6 e 18 mesi). Ben presto, però, le
autorità di Vigilanza cercarono di incentivare l’emissione di CD da parte
delle banche, offrendo, sui titoli con scadenza compresa fra sei e diciotto
mesi, una remunerazione della riserva superiore rispetto a quella relativa ai
depositi (9,5 per cento in luogo di quella ordinaria del normale 5,5 per
cento). Dal 1987 la raccolta bancaria in CD aumentò ulteriormente,
stimolata da una combinazione di fattori, tra cui quelli fiscali rivestirono
importanza non secondaria. Nel 1986 la maggiore remunerazione della
riserva obbligatoria42 fu estesa ai CD di durata superiore a 3 mesi. Nel
1987 fu concessa a tutte le categorie di banche l’autorizzazione a emettere
CD con scadenza compresa fra 18 mesi e 5 anni, assoggettati, in ragione
della durata, alla ritenuta del 12,5 per cento anziché del 25 per cento e a
loro volta ammessi alla maggiore remunerazione della riserva obbligatoria.
Sempre nel 1986, fu eliminato il regime di esenzione per i titoli di Stato, i
cui proventi furono assoggettati dapprima alla ritenuta del 6,25 per cento e
poi, a partire dal settembre 1987, a quella del 12,5 per cento prevista per i
titoli obbligazionari (cfr. infra, par. 4.2). In conseguenza di queste
modifiche fiscali, e grazie alla possibilità per le banche di offrire
__________
42
Nel frattempo ridotta dal 9,5 all’8,5 per cento.
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 407
condizioni di remunerazione più vantaggiose sui CD, il differenziale di
rendimento netto fra i titoli di Stato (BOT in particolare) e i CD si ridusse.
La consistenza dei CD emessi dalle banche passò dai 3.257 miliardi di lire
nel 1983 ai 291.186 miliardi a fine 1992, per raggiungere l’importo
massimo di 399.079 miliardi nel giugno 1996, prima del provvedimento
che unificò al 27 per cento la ritenuta fiscale sugli interessi da depositi e
CD (cfr. infra, par. 5.2.3). La diffusione di questi strumenti consentì alle
banche, dalla metà degli anni ottanta, una relativa stabilità della raccolta,
nonostante la quota crescente di titoli pubblici nei portafogli delle famiglie.
I CD assunsero infatti soprattutto il ruolo di sostituti dei tradizionali
depositi a risparmio, piuttosto che di altri strumenti di mercato monetario
quali i buoni del Tesoro (Caranza e Cottarelli, 1986). Dalla fine degli anni
ottanta la principale componente della raccolta in CD fu rappresentata da
emissioni oltre i 18 mesi, anche in ragione del più favorevole trattamento
fiscale.
4.2 La tassazione dei titoli di Stato
Se le basi della crescita del debito pubblico erano state poste già
negli anni settanta, la sua consistenza esplose a partire dagli anni ottanta.
Le emissioni di titoli dello Stato crebbero sia in quantità assoluta, sia in
importanza relativa, passando dal 66 per cento nel 1975 al 93 per cento nel
1985 delle emissioni nette effettuate in Italia43 (cfr. tav. 8). All’aumento
dell’offerta corrisposero mutamenti dal lato della domanda: con il
cosiddetto “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro, a partire dal 1981 il
collocamento del debito doveva avvenire integralmente sul mercato, con
acquisti da parte di banche, imprese e risparmiatori, residenti e non
(Sarcinelli, 1987). Nel corso degli anni ottanta le autorità monetarie furono
sempre più restie a introdurre vincoli amministrativi sull’attività degli enti
creditizi. (Bernareggi, 1986). Le modificazioni intervenute dal lato della
domanda resero sempre più onerose le condizioni di collocamento per il
Tesoro.
__________
43
I dati riportati includono anche le emissioni di BOT. Se si escludono i BOT, i titoli di Stato
crebbero, rispetto alle emissioni nette, dal 47 per cento del 1975 al 93 per cento del 1985.
408 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
Tav. 8
Emissioni nette di valori mobiliari sul mercato interno
(dati in miliardi di lire)
Emissioni
Emittente BOT
Altri titoli IRI-ENI-ENEL- complessive Emissioni
anno
e
di Stato ICS AUTOSTRADE
Imprese Altri
esclusi BOT complessive
Azioni
BTE
e BTE
1974 6.703 2.974 2.153 214 -118 -2 5.221 11.924 7.71
1975 6.991 6.042 5.410 1.327 16 21 12.816 19.807 1.672
1976 7.905 3.509 4.163 879 76 -13 8.614 16.519 1.872
1977 4.795 15.324 4.413 1.061 175 -13 20.960 25.755 1.846
1978 5.881 19.816 4.762 797 177 -13 25.539 31.420 2.985
1979 9.822 9.302 4.656 466 16 -19 14.421 24.243 2.732
1980 25.500 -1.927 5.648 121 72 33 3.947 29.447 3.085
1981 33.783 7.498 7.508 112 708 -13 15.813 49.596 7.186
1982 32.604 23.626 8.147 3.811 778 -19 36.343 68.947 6.004
1983 11.071 69.942 7.640 1.333 1.060 -19 79.956 91.027 10.899
1984 9.300 63.797 4.315 1.239 667 129 70.147 79.447 9.774
1985 13.181 94.308 5.178 1.002 685 509 101.682 114.863 12.220
1986 9.697 88.043 6.805 4.405 917 749 100.919 110.616 18.872
1987 27.482 58.146 11.012 3.254 435 348 73.195 100.677 10.433
1988 42.013 61.837 7.966 81 176 452 70.512 112.525 9.697
1989 43.042 65.546 8.205 215 -393 213 73.786 116.828 18.369
1990 40.569 76.184 5.985 -1.523 -1.185 117 79.578 120.147 21.246
1991 11.641 115.492 15.939 4.425 -843 230 135.243 146.884 18.363
1992 46.674 89.763 10.848 -2.110 -930 -424 97.147 143.821 16.194
segue
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 409
segue Tav. 8
Emissioni nette di obbligazioni sul mercato interno
(ripartizione percentuale)
Emittente BOT e Altri titoli IRI-ENI-ENEL-
ICS Imprese Altri
anno BTE di Stato AUTOSTRADE
1974 56 25 18 2 -1 0
1975 35 31 27 7 0 0
1976 48 21 25 5 0 0
1977 19 59 17 4 1 0
1978 19 63 15 3 1 0
1979 41 38 19 2 0 0
1980 87 -7 19 0 0 0
1981 68 15 15 0 1 0
1982 47 34 12 6 1 0
1983 12 77 8 1 1 0
1984 12 80 5 2 1 0
1985 11 82 5 1 1 0
1986 9 80 6 4 1 1
1987 27 58 11 3 0 0
1988 37 55 7 0 0 0
1989 37 56 7 0 0 0
1990 34 63 5 -1 -1 0
1991 8 79 11 3 -1 0
1992 32 62 8 -1 -1 0
segue
410 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
segue Tav. 8
Emissioni nette di obbligazioni sul mercato interno
al netto di BOT e BTE
(ripartizione percentuale)
Emittente Altri titoli di IRI-ENI-ENEL-
ICS Imprese Altri
anno Stato AUTOSTRADE
1974 57 41 4 -2 0
1975 47 42 10 0 0
1976 41 48 10 1 0
1977 73 21 5 1 0
1978 78 19 3 1 0
1979 65 32 3 0 0
1980 -49 143 3 2 1
1981 47 47 1 4 0
1982 65 22 10 2 0
1983 87 10 2 1 0
1984 91 6 2 1 0
1985 93 5 1 1 1
1986 87 7 4 1 1
1987 79 15 4 1 0
1988 88 11 0 0 1
1989 89 11 0 -1 0
1990 96 8 -2 -1 0
1991 85 12 3 -1 0
1992 92 11 -2 -1 0
Fonte: Banca d’Italia, Relazioni annuali, 1974-1993.
Nota: la somma per ogni riga può essere diversa dal 100 per cento a causa degli arrotondamenti.
Il dibattito in tema di debito pubblico, a metà anni ottanta, verteva
principalmente su tre questioni (Sarcinelli, 1987): il debito pubblico
doveva essere consolidato o bisognava cercare di allungarne la vita media
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 411
residua, passata da più di nove anni nel 1972 a un anno nel 1980? Sarebbe
divenuto insostenibile nel lungo periodo?44 I titoli di Stato dovevano esser
tassati o dovevano rimanere esenti?
Le considerazioni che seguono si riferiscono esclusivamente
all’ultimo quesito; qualsiasi riflessione, però, deve tenere sempre in
considerazione, oltre che il costo netto per lo Stato, anche gli altri termini
del dibattito.
4.2.1 La tassazione dei titoli di Stato detenuti dalle imprese
Si è soliti ritenere che i titoli di Stato, prima del decreto legge n. 556
del 1986, siano sempre stati esenti da imposte. Nei primi anni dello Stato
unitario, invece, gli interessi su titoli di Stato erano soggetti ad imposta di
R.M.; solo dal 1894 le nuove emissioni furono esentate da qualsiasi
imposta diretta reale. L’esenzione non si estendeva però alle imposte
personali: così i redditi derivanti da titoli pubblici confluivano
nell’imponibile dell’imposta complementare (Sarcinelli, 1987). Nella
realtà, come già rilevato (cfr. supra, par. 2.2.1), l’impossibilità di accertare
questi redditi, dovuta al fatto che i titoli erano al portatore, rendeva tali
proventi di fatto esenti. E la riforma del 1973 non fece altro che legalizzare
lo status quo, disponendo esplicitamente l’esenzione dei titoli di Stato.
L’esenzione non era però assoluta: forme di tassazione indiretta dei
titoli di Stato (cosiddetta “tassazione obliqua”) erano previste per chi,
nell’ambito del reddito di impresa, percepiva anche redditi esenti. Il
legislatore della riforma del 1973, riprendendo una norma già presente nel
Testo unico sull’imposta di R.M. del 1958, si preoccupò di evitare
fenomeni di arbitraggio, consistenti nell’indebitarsi, deducendo gli interessi
passivi, per investire in titoli esenti. La disciplina sul reddito di impresa
prevedeva quindi un coefficiente di indeducibilità degli interessi passivi e
delle spese generali, pari al rapporto tra ricavi tassati e ricavi complessivi45.
__________
44
Il rapporto tra debito pubblico e PIL, pari in media al 56 per cento nel periodo 1973-1981 era
cresciuto sino al 96,3 per cento nel 1985 (Sarcinelli, 1987).
45
Al momento dell’introduzione dell’Irpeg il coefficiente di indeducibilità era
Rt + 1 Rv
a= 2
Rt + Rv + 9 R + Ree
10 es
(continua)
412 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
La tassazione effettiva dei titoli di Stato variava per ogni impresa e
dipendeva dalla composizione del conto economico (rapporto tra ricavi
tassati e redditi esenti, incidenza degli interessi passivi rispetto agli altri
costi, esistenza di spese generali); i ricavi rimanevano comunque esenti per
le imprese con interessi passivi e spese generali pari a zero (il caso più
importante era rappresentato dalle imprese di assicurazione).
Grazie alla deducibilità, seppure parziale, degli interessi passivi,
l’arbitraggio rimaneva possibile anche se i tassi attivi sui titoli di Stato46,
acquistati soprattutto da banche e ICS, erano inferiori al costo
dell’indebitamento47. Inoltre, per il meccanismo del credito d’imposta
introdotto nel 1977 (cfr. supra, par. 3.2), considerando l’imposizione
complessiva su socio e società, il socio realizzava profitti di arbitraggio
ancora più facilmente della società48.
Le possibilità di arbitraggio, unite al ritorno a rendimenti reali
positivi sui titoli di Stato, determinarono un incremento degli acquisti da
parte delle imprese diverse da banche e ICS: le consistenze detenute da
nel quale Rt erano i ricavi tassati, Rv gli interessi su titoli – diversi dai titoli di Stato – sottoscritti
prima della riforma (questi ricavi partecipavano all’imponibile Irpeg per metà, mentre erano del
tutto esenti da Ilor), Res i redditi da titoli di Stato, Ree gli altri ricavi esenti. Sul punto, cfr.: Di Majo
(1980); Di Majo et al. (1981); Di Majo e Franco (1987a). I titoli pubblici rimanevano comunque
agevolati rispetto ad altri ricavi esenti poiché contribuivano al rapporto di indeducibilità non
integralmente, ma solo per il 90 per cento; secondo Di Majo (1980) “si può pensare che la
considerazione dei nove/decimi dei ricavi esenti tenda a mitigare forfettariamente l’onere derivante
dal fatto che la parte del rendimento dei titoli pubblici realizzata attraverso i guadagni di capitale
viene inclusa, come tutte le plusvalenze, nei ricavi tassati, limitando il vantaggio del possesso dei
titoli esenti rispetto a quelli tassati”. Con la L. 626/1981 si decise di considerare l’intero importo
dei titoli di Stato esenti nel coefficiente di indeducibilità, che fu modificato in
Rt + 1 Rv
a= 2
Rt + Rv + Res + Ree
46
L’arbitraggio poteva interessare anche altri titoli esenti, come, ad esempio, le obbligazioni emesse
dagli ICS tra luglio 1980 e settembre 1982, e quelle emesse da altre imprese tra gennaio 1981 e
settembre 1982.
47
La condizione di arbitraggio era pari a TS
r − r (1 − ta 2 )
P , dove rTS erano i rendimenti attivi
sui titoli di Stato, rP il costo dei prestiti, t l’aliquota legale sui redditi societari, a il valore del
coefficiente di deducibilità (Matteuzzi, 1985).
48
Matteuzzi (1985) dimostra che nel periodo 1981-84 il socio poteva realizzare profitti da arbitraggio
per qualsiasi valore del costo dell’indebitamento, del tasso di rendimento dei titoli pubblici e del
coefficiente di deducibilità, purché la propria aliquota di tassazione fosse inferiore a quella della
società.
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 413
queste ultime passarono dal 2,9 per cento del 1977 al 4,7 per cento del
1983 (Matteuzzi, 1985); la redditività dell’operazione è dimostrata dal fatto
che nel periodo tra il 1981 e il 1984 l’arbitraggio fu sempre realizzabile
qualora l’incidenza dei redditi esenti fosse inferiore al 30 per cento dei
ricavi complessivi (Matteuzzi, 1985).
Agli arbitraggi descritti si rimediò con due distinti provvedimenti.
Con il primo si introdusse nel 1983 la cosiddetta “maggiorazione di
conguaglio”, che assoggettava a imposta societaria gli utili esenti, qualora
fossero distribuiti. Con il secondo, nel 1984 si stabilì che gli interessi
passivi erano deducibili solo per la quota che eccedeva l’ammontare dei
proventi esenti da obbligazioni pubbliche di nuova acquisizione: erano così
annullati i profitti da arbitraggio (Piscitelli, 1986). Quest’ultima misura,
“rozza ma necessaria”, secondo la definizione del Ministro del Tesoro
Goria, poneva sulle banche la maggior parte dell’onere: dato che la raccolta
delle aziende di credito avveniva a tassi inferiori alla remunerazione offerta
dai titoli pubblici, gli interessi passivi indeducibili eccedevano il costo
della raccolta necessaria ad acquistare titoli pubblici e si riferivano anche a
fondi utilizzati per impieghi che generavano ricavi tassati.
I diversi interventi, anche se incisero sui profili di arbitraggio, non
sciolsero il nodo principale: la tassazione media dell’impresa continuava a
dipendere dalla composizione del proprio conto economico. Poiché i
provvedimenti interessavano solo i titoli di nuova acquisizione, le aliquote
marginali effettive sui proventi da titoli esenti di nuova emissione si
avvicinarono progressivamente a quelle sui ricavi tassati, rendendo la
scelta dei titoli da acquistare non più dipendente dalla variabile fiscale49. Di
contro, fino al momento in cui non si è realizzata l’integrale sostituzione
dei titoli esenti presenti in bilancio con titoli tassati, l’aliquota effettiva
media ha continuato a dipendere dalla struttura del conto economico.
Sul mercato obbligazionario fino alla scomparsa dei titoli esenti i
privati “specializzarono” i propri portafogli, detenendo titoli di questa
specie e lasciando alle imprese il mercato delle obbligazioni tassate. La
ragione di questa segmentazione si può trovare sia nella simultanea
presenza sul mercato di investitori soggetti a diversi regimi tributari
__________
49
Di Majo e Franco (1987b) rilevarono come per un campione di banche il differenziale tra le
imposizioni marginali sui titoli tassati ed esenti era passato da 8 punti percentuali nel 1975 a 1
punto percentuale nel 1985. L’aliquota marginale sui titoli di Stato, dovuta alla tassazione
“obliqua”, rimaneva comunque nulla per le imprese con interessi da titoli pubblici superiori agli
interessi passivi; ciò accadeva soprattutto per le imprese di assicurazione.
414 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
(tassate le persone giuridiche, ovvero, in sostanza, le banche; esenti gli
investitori privati), sia nell’esistenza di vincoli amministrativi per le banche
all’acquisto di determinati titoli. L’operare congiunto delle due normative
contribuiva a determinare equilibri dei tassi sui due mercati che
dipendevano in buona parte dalla struttura dei bilanci delle aziende di
credito; conseguentemente si determinavano scarti tra i rendimenti delle
attività tassate e quelli dei titoli esenti che non erano sufficienti ad attrarre i
privati sul mercato delle obbligazioni soggette ad imposta (Di Majo, 1980).
4.2.2 La tassazione dei titoli di Stato detenuti dai privati
A metà degli anni ottanta, dunque, non si poteva parlare di completa
esenzione dei titoli di Stato: più correttamente, erano esenti solo le
obbligazioni pubbliche detenute dai privati50, pari a poco meno della metà
del totale51. Nel 1986 il Governo decise di assoggettare a tassazione le
obbligazioni pubbliche: il DL 556 del 19.9.1986 introdusse una ritenuta
alla fonte del 6,25 per cento sui titoli emessi a partire dal 20 settembre
1986, prevedendo l’aumento della ritenuta al 12,5 per cento – aliquota di
tassazione delle obbligazioni private (tavola storica in Appendice) – per i
titoli emessi dopo il 20 settembre 198752; la ritenuta era a titolo definitivo
per le persone fisiche e le società di persone53, a titolo di acconto per le
società di capitali. Il provvedimento non abrogava però integralmente
l’esenzione sui titoli pubblici: continuavano a essere esenti le obbligazioni
pubbliche emesse all’estero; questa distonia fu eliminata solo nel 1992.
Furono addotte diverse motivazioni alla decisione di tassare i titoli
pubblici (Sarcinelli, 1987; Zatterin, 1989): la necessità di ottenere una
maggiore neutralità tributaria nelle scelte allocative delle risorse
finanziarie; la volontà di evitare che si generassero effetti imitativi, che
__________
50
Anche i titoli di Stato detenuti da fondi comuni di investimento non erano esenti da imposta, dato
che sui fondi si applicava un prelievo patrimoniale, variabile tra lo 0,10 per cento e lo 0,25 per
cento (cfr. infra).
51
Sulla base dei conti finanziari riferiti al 1985 (Banca d’Italia, Relazione sul 1986, tav. aD36) il 47
per cento dei titoli pubblici era posseduto da famiglie, il 30 per cento da aziende di credito ed ICS,
il 13 per cento dalla Banca d’Italia e il 7 per cento da altre imprese; i fondi comuni detenevano il 2
per cento dei titoli pubblici e il restante 1 per cento era posseduto da non residenti.
52
L’aumento della ritenuta fu poi anticipato al 31 agosto 1987.
53
La previsione di una ritenuta a titolo definitivo per le società di persone lasciò spazio a margini di
arbitraggio: le società di persone, infatti, erano tassate a titolo definitivo sugli interessi, con
aliquota del 12,5 per cento, ma deducevano gli interessi passivi dal reddito d’impresa, tassato per
trasparenza in capo al socio. Il problema fu risolto solo alla fine del 1988 (D.L. 550/1988),
assimilando le società di persone alle società di capitali (Matteuzzi, 1988).
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 415
sfociassero nella richiesta di regimi agevolativi per altri strumenti
finanziari; l’intenzione di migliorare l’equità del sistema, anche attraverso
effetti redistributivi dell’onere fiscale; l’urgenza di eliminare l’incertezza
che gravava sui mercati, a causa delle voci di tassazione dei titoli di Stato,
con conseguente aumento della volatilità dei corsi; la necessità di venire
incontro alle richieste delle parti sociali; last but not least, la possibilità di
eliminare una delle principali distorsioni insite nel sistema tributario
italiano, ponendo le basi per una revisione dell’intera disciplina della
tassazione delle attività finanziarie.
Il dibattito si incentrò soprattutto sugli effetti che la misura avrebbe
potuto avere sul gettito netto dell’Erario; ovvero, se le maggiori entrate
derivanti dall’applicazione della ritenuta sarebbero state superiori alla
maggiore spesa per interessi sostenuta dal Tesoro per garantire ai
sottoscrittori rendimenti netti invariati. Si trattava, in altri termini, della
possibilità che il provvedimento si risolvesse in una “partita di giro” per lo
Stato, secondo la definizione che Einaudi (1913) aveva adottato all’inizio
del Novecento per analizzare l’introduzione di un’imposta sui titoli del
debito pubblico: in assenza di illusione finanziaria, i sottoscrittori
sarebbero stati influenzati unicamente dall’interesse netto ricavabile
dall’investimento in titoli di Stato, così da richiedere un aumento
dell’interesse lordo pari all’imposta dovuta; l’aumento di gettito per
l’Erario quindi sarebbe risultato esattamente pari alla maggiore spesa per
interessi pagata dal Tesoro.
Le conclusioni di Einaudi valevano però solo se tutti gli interessi sui
titoli di Stato fossero stati assoggettati a un’unica aliquota di imposta,
uguale per tutti i sottoscrittori: in Italia, invece, convivevano diverse
modalità di tassazione dei titoli pubblici, che variavano a seconda del
detentore del titolo.
L’introduzione della ritenuta sui proventi percepiti dalle persone
fisiche comportò una redistribuzione a favore delle società dell’onere
fiscale complessivo sui titoli pubblici; più correttamente, si attenuò il
vantaggio per le persone fisiche implicito nell’esenzione dei titoli di Stato.
Le analisi svolte al momento della modifica del regime di tassazione
evidenziarono come il pericolo di una “partita di giro” fosse abbastanza
remoto (Bernareggi, 1986; Bernareggi, 1987; Denicolò, 1987; Spaventa,
1987; Frasca e Paladini, 1988). La traslazione completa “all’indietro”, sul
debitore, dell’imposta dipendeva sia dalla composizione della domanda tra
sottoscrittori tassati con ritenuta definitiva alla fonte (le persone fisiche) e
416 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
sottoscrittori tassati in base al bilancio (le società), sia dall’elasticità della
domanda dei due gruppi. In particolare, la “partita di giro” si sarebbe
verificata nei seguenti casi: a) titoli detenuti unicamente da persone fisiche;
b) elasticità della domanda delle persone giuridiche nulla; c) elasticità della
domanda delle persone fisiche infinita. In generale, la variazione del tasso
di interesse dovuta all’introduzione dell’imposta dipendeva sia dal rapporto
tra le elasticità della domanda dei due gruppi di sottoscrittori, sia dalla
ripartizione della domanda tra i due gruppi54. Sulla base dei valori assunti
da queste due variabili a metà anni ottanta, si arrivava alla conclusione che
un aumento dell’onere netto per il Tesoro – pari alla somma algebrica di
maggiori oneri per interessi passivi, maggiori entrate da persone fisiche e
variazione nel gettito dell’Irpeg sulle società – sarebbe stato alquanto
improbabile55 (Spaventa, 1987).
Altri studi (Bernareggi, 1995) evidenziarono come, in analisi di
equilibrio parziale – che tenessero conto cioè degli effetti dell’introduzione
dell’imposta solo sul mercato dei titoli di Stato – il Tesoro poteva ottenere
un gettito netto positivo solo tassando con aliquota maggiore l’insieme di
sottoscrittori caratterizzato dall’elasticità inferiore; in caso contrario, il
gettito netto sarebbe risultato negativo.
Le conclusioni descritte, ottenute attraverso approcci di statica
comparata, erano basate sull’ipotesi che si fosse raggiunta una situazione
“a regime”. La valutazione degli effetti dinamici dell’introduzione
dell’imposta nel periodo transitorio, nel quale coesistono più regimi fiscali,
si è mostrata più complessa, in quanto si dovevano considerare anche gli
effetti di capitalizzazione dell’imposta che si verificavano nel passaggio da
un sistema all’altro; in ogni caso, si perveniva alla conclusione che la
traslazione dell’imposta fosse sempre parziale (Di Majo e Franco, 1987a;
Franco e Sartor, 1988).
__________
54
Denicolò (1987) dimostra che l’equilibrio sul mercato (e, di conseguenza, gli effetti sull’onere
netto per il Tesoro) dipende, oltre che dalle elasticità delle curve di domanda, anche dal rapporto
tra i complementi ad uno delle aliquote d’imposta sui titoli di Stato vigenti per i due insiemi di
sottoscrittori.
55
A conclusioni opposte arrivarono le analisi di equilibrio generale, che tenevano conto anche del
comportamento delle banche: in particolare, ipotizzando che (a) il mercato bancario fosse di tipo
oligopolistico, (b) la domanda di titoli delle banche fosse rigida, e che (c) i tassi di interesse sui
prestiti e sui depositi fossero fissati in base ad un mark-up sul tasso lordo dei BOT, si arrivava a
ottenere alte probabilità che si determinasse una “partita di raggiro” per lo Stato (Sylos Labini,
1989).
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 417
4.2.3 Il mercato dei titoli obbligazionari: gli effetti della tassazione dei
titoli
Le modifiche che si sono succedute nel trattamento fiscale dei titoli
hanno determinato diversi effetti sui mercati dei capitali.
Gli interventi realizzati durante gli anni ottanta, fino alla piena
tassazione dei titoli pubblici, hanno cercato di ridurre le segmentazioni
segnalate in precedenza (cfr. supra, par. 4.2.1) per aumentare l’efficienza
dei mercati (Ceriani et al., 1992a). Le modalità tecniche di applicazione
delle modifiche tributarie, però, hanno contribuito a determinare nuove
segmentazioni.
Per ciò che riguarda più specificamente i titoli di Stato, infatti, i
diversi provvedimenti che hanno interessato le società hanno condotto a un
progressivo “congelamento” degli attivi; le normative transitorie, infatti,
hanno spesso previsto un trattamento più favorevole per i titoli già in
portafoglio o emessi prima della modifica della legislazione tributaria56:
conseguentemente, i possessori dei titoli hanno preferito detenerli sino a
scadenza per non perdere le agevolazioni fiscali.
Un’analisi della composizione dei sottoscrittori dei titoli di Stato nel
periodo 1975-1987 evidenzia solo in parte mutamenti connessi con le
modifiche della disciplina fiscale (cfr. tav. 9). In particolare, si può
osservare un incremento della quota detenuta da imprese nel periodo
(1981-84) in cui erano possibili profitti da arbitraggio. D’altra parte, a
seguito dell’introduzione dei provvedimenti antielusivi, le banche hanno
ridotto la quota di titoli di Stato, così come previsto anche dalle analisi
microeconomiche (Di Majo et al., 1981; Di Majo e Franco, 1987b). Non
sono viceversa ravvisabili effetti di disaffezione da parte dei risparmiatori
privati a seguito dell’introduzione della ritenuta sui titoli di Stato.
__________
56
Possono essere ricordati diversi esempi di trattamento più favorevole per i titoli di Stato già in
portafoglio o emessi prima della modifica della legislazione tributaria: a) i titoli emessi prima della
riforma del 1974 godevano di una tassazione Ilor ridotta; b) non tutti gli interessi esenti
comportavano l’indeducibilità di un pari ammontare degli interessi passivi, ma solo quelli percepiti
su titoli acquistati dopo l’entrata in vigore, nel 1984, della disposizione antielusiva; c) i titoli
pubblici emessi prima del 1986 rimasero esenti fino alla scadenza.
418 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
Tav. 9
Titoli di Stato: ripartizione percentuale
delle consistenze tra i detentori
Detentori Fondi
Famiglie Imprese BI - UIC Banche ICS Estero Altri
anno comuni
1974 8 1 49 4% 1 0 0 1
1975 8 0 53 35 2 0 0 2
1976 11 1 57 27 1 0 0 2
1977 13 2 39 42 2 0 0 2
1978 18 2 32 44 2 0 0 2
1979 24 3 24 44 2 0 0 2
1980 31 3 20 42 2 0 0 2
1981 38 4 19 34 2 0 0 2
1982 37 4 16 37 4 0 0 2
1983 42 4 13 36 4 0 0 2
1984 47 5 11 31 4 0 0 2
1985 47 5 13 26 4 2 1 2
1986 46 6 12 23 3 6 1 3
1987 51 6 10 21 2 5 1 3
Fonte: elaborazione sulla base dei conti finanziari, Banca d’Italia, Relazione annuale, 1975-1988.
Nota: la somma per ogni riga può essere diversa dal 100 per cento a causa degli arrotondamenti.
5. Le riforme degli anni novanta
Nei primi anni novanta proseguì la “rincorsa dell’innovazione” da
parte del legislatore fiscale, che, come già rilevato, era stata uno dei leit
motiv degli interventi normativi degli anni ottanta. Allo stesso tempo, il
verificarsi di circostanze nuove, quali la liberalizzazione dei movimenti di
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 419
capitale57 e le innovazioni tecnologiche nei settori delle comunicazioni e
dell’informatica, rese sempre più arduo sia per il legislatore fiscale sia per
le autorità di Vigilanza intervenire sul mercato con la finalità di indirizzare
le scelte di allocazione del risparmio o di finanziamento degli investimenti.
L’accesso ai mercati finanziari esteri offriva agli investitori residenti nuove
e più ampie possibilità di diversificazione dei portafogli, che furono
sfruttate appieno: tra il 1990 e il 2001 le passività finanziarie emesse da
non residenti nel portafoglio degli italiani passarono dal 7 al 16 per cento
del totale delle passività di residenti e non residenti (De Bonis, 2006)58. Tra
le determinanti dell’attrattività dell’investimento estero, importanza non
trascurabile aveva anche la possibilità di porre in essere transazioni
penalizzate sul mercato interno da una normativa fiscale o regolamentare
particolarmente stringente. Sul piano fiscale, la diffusione degli
investimenti in attività finanziarie estere rese necessaria – in assenza di
presidi di altra natura – l’introduzione di un sistema di “monitoraggio
fiscale” delle relative transazioni (cfr. infra), ai fini dell’accertamento e
della tassazione dei redditi.
Nel decennio, il tratto dominante dell’evoluzione normativa in
campo tributario fu quindi il deciso abbandono degli obiettivi di indirizzo
delle scelte di allocazione del risparmio: sotto la pressione delle istanze
interne di incremento del gettito e di quelle internazionali di concorrenza
fra ordinamenti, derivanti dal venir meno dei vincoli ai movimenti di
capitali e dalla crescente integrazione delle economie, gli obiettivi di fondo
della tassazione delle attività finanziarie divennero sempre più quelli della
neutralità del prelievo e dell’efficienza dei mercati.
D’altra parte, ben presto le autorità si resero conto delle opportunità
offerte dai mercati internazionali, comprendendo come, a certe condizioni,
__________
57
La direttiva n. 88/361 del 24 giugno 1988 prevedeva l’eliminazione di tutte le restrizioni valutarie
nei paesi della Comunità dal 1° luglio 1990. In Italia, il processo di liberalizzazione valutaria era
iniziato già nel 1987, con il cosiddetto “decreto Sarcinelli” (DM. 13 maggio 1987), che aboliva
l’obbligo di costituire in deposito infruttifero un importo pari al 50 per cento del valore degli
investimenti in attività estere, e fu portato a compimento con il decreto del Ministro per il
Commercio con l’estero e del Ministro per il Tesoro del 27 aprile 1990 e la successiva
comunicazione dell’Ufficio italiano dei cambi del 2 maggio dello stesso anno. Con tali
provvedimenti fu abolito il monopolio dei cambi e attribuita ai residenti la facoltà di detenere in
Italia e all’estero, sotto qualsiasi forma, valute estere, titoli ed altri valori mobiliari esteri, senza più
obbligo di cederli o depositarli presso il sistema delle “banche abilitate”. Fu inoltre abolito
l’obbligo di canalizzare tutte le transazioni di rilevanza valutaria attraverso il sistema bancario.
58
Gli effetti della liberalizzazione valutaria furono avvertiti già nel primo anno di piena vigenza del
nuovo regime: nel 1991 le acquisizioni nette di attività finanziarie estere da parte delle famiglie si
approssimarono a 16.000 miliardi di lire, con una crescita sull’anno precedente di circa quattro
volte (Banca d’Italia, Relazione annuale sul 1991).
420 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
il collocamento di crescenti quantità di titoli pubblici presso investitori non
residenti avrebbe potuto ridurre notevolmente il costo del debito (cfr. infra,
par. 5.4.1). Fu intrapresa con decisione la riduzione degli ostacoli
amministrativi e dei costi di transazione nei confronti degli investitori
esteri; contestualmente furono adottati presidi contro il possibile l’utilizzo
del canale estero da parte di residenti per finalità di mera elusione fiscale
(la cosiddetta “estero-vestizione” del risparmio).
Nel perseguimento degli obiettivi indicati, furono gradualmente
eliminati i regimi di agevolazione o di esenzione che determinavano
segmentazioni di mercato e consentivano arbitraggi con finalità di elusione
fiscale. Vennero via via ricondotte a tassazione le nuove tipologie di
strumenti finanziari, fino ad arrivare, con la riforma “Visco”,
all’introduzione dal luglio 1998 di un sistema di tassazione
onnicomprensivo, che si estende a tutti i redditi finanziari conseguiti da
persone fisiche, incluse le plusvalenze. Il numero delle aliquote fu
progressivamente ridotto, fino agli attuali due livelli del 27 per cento e 12,5
per cento, stabiliti dalla stessa riforma “Visco”. Il sistema di prelievo venne
razionalizzato, riducendo il più possibile le ritenute alla fonte a titolo
d’acconto per le imprese, in modo da evitare gli oneri finanziari connessi
con la formazione dei crediti di imposta, e introducendo regimi di
esenzione generalizzati per gli investitori non residenti, in modo da
sostenere la concorrenza di altri ordinamenti nell’attrazione di capitali
esteri (Giannini e Guerra, 2000).
5.1 I primi anni novanta: innovazione finanziaria e liberalizzazione
valutaria
Nei primi anni novanta continuò l’innovazione finanziaria di
prodotto. Uno degli esempi più significativi è rappresentato dalle
operazioni di pronti contro termine (di seguito, P/T), in lire e in valuta, che
conobbero un particolare sviluppo dal 1991. Anche se l’iniziale utilizzo di
tali operazioni fu legato all’abolizione del vincolo di riserva obbligatoria
nel maggio 1991, il forte incremento registrato nel biennio 1991-92 fu
stimolato principalmente dalla circostanza che i proventi dei P/T non erano
tassati per le persone fisiche, essendo inquadrabili come plusvalenze su
titoli obbligazionari. Circa l’80 per cento delle operazioni ebbe infatti come
controparte il settore delle famiglie. La rilevanza dei P/T si ridusse in
misura significativa alla fine del 1992, a seguito dell'inclusione dei
proventi fra i redditi di capitale e l’introduzione di una ritenuta alla fonte
del 12,5 per cento sugli stessi. Negli anni seguenti, tuttavia, le cessioni
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 421
temporanee di titoli (in genere, a tre mesi) tornarono a rappresentare una
componente significativa della raccolta bancaria. Sebbene ridotta rispetto
ai livelli del periodo 1991-92, la quota di operazioni effettuate con le
famiglie rimase consistente, anche in relazione alla minore ritenuta fiscale
(12,5 per cento) applicata sui proventi rispetto a quella prevista per le altre
operazioni di raccolta a breve termine, quali i depositi (30 per cento)59.
Sul fronte delle nuove opportunità offerte a emittenti e investitori
dalla liberalizzazione dei movimenti di capitale, nei primi anni novanta
assunsero una certa consistenza i titoli obbligazionari collocati sul mercato
delle eurovalute e, in particolare, dell’eurolira. Per gli emittenti, l’assenza
di prelievi fiscali sugli interessi – che caratterizzava il mercato delle
euroemissioni accanto al completo anonimato dei sottoscrittori – rendeva
possibile una riduzione significativa del costo della raccolta. Questa
opportunità fu colta dal Tesoro italiano, che se ne avvalse collocando quote
crescenti di debito pubblico presso soggetti non residenti (cfr. infra, par.
5.2). Per gli investitori italiani, i titoli emessi sull’euromercato offrivano
nuove possibilità di diversificazione. In particolare, il mercato dell’eurolira
– aperto nel 1984, ma sviluppatosi soprattutto a seguito dei provvedimenti
di liberalizzazione valutaria – permetteva, tra l’altro, la sottoscrizione di
titoli emessi all’estero dallo Stato e da alcuni enti sovranazionali senza
rischio di cambio e in regime di esenzione fiscale60. L’interesse degli
investitori residenti per i titoli emessi sul mercato dell’eurolira (e per le
euroemissioni in genere) diminuì nel 1992, a seguito dell’introduzione di
una ritenuta “d’ingresso” uniforme del 12,5 per cento sui proventi dei titoli
emessi all’estero61. L’intervento era volto principalmente ad allineare il
regime fiscale dei titoli di Stato emessi sul mercato domestico ed estero per
gli investitori residenti, eliminando per questi ultimi la possibilità di
sottoscrivere titoli di Stato in regime di esenzione fiscale; si determinò un
ridimensionamento delle emissioni nette di euro-obbligazioni in lire
(sottoscritte principalmente da residenti), che dai 12.300 miliardi di lire del
__________
59
Alla fine del 1996 quasi il 67 per cento delle cessioni temporanee in lire alla clientela aveva come
controparte famiglie consumatrici (Banca d’Italia, Relazione annuale sul 1996).
60
Fino al 1992 erano esenti da ritenuta i titoli di Stato emessi all’estero, quelli collocati sul mercato
internazionale da alcuni enti pubblici italiani (Ferrovie dello Stato, Enel, Anas, Crediop) nonché i
titoli di alcuni emittenti sovranazionali (Banca Mondiale, BEI, Ceca, Euratom). Le obbligazioni
collocate da imprese private, italiane o estere, erano invece soggette ad una ritenuta “d’ingresso”
del 30 per cento nei confronti di residenti italiani, applicata dalla banca italiana che interveniva
nella riscossione dei proventi.
61
Nell’occasione la misura della ritenuta sui titoli emessi all’estero dalle imprese private fu ridotta
dal 30 per cento al 12,5 per cento.
422 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
1991 passarono in quell’anno a 9.100 miliardi (Banca d’Italia, Relazione
sul 1992).
Un altro effetto della liberalizzazione dei movimenti di capitale fu il
venir meno della possibilità di utilizzare l’ordinamento valutario ai fini
dell’applicazione delle imposte sui redditi finanziari di fonte estera. In
mancanza di altri strumenti di controllo dei trasferimenti di capitale da e
per l’estero, per i soggetti diversi dalle imprese, non tenuti a specifici
obblighi contabili, si rese necessario introdurre un sistema di rilevazione
per fini fiscali delle transazioni finanziarie con l’estero, ai fini
dell’accertamento e della tassazione dei relativi redditi. Nel 1990 fu quindi
introdotta una disciplina, detta di “monitoraggio fiscale”, che impose
obblighi di rilevazione e segnalazione al fisco dei trasferimenti da e per
l’estero di denaro e strumenti finanziari effettuati da persone fisiche.
Così come i sistemi analoghi adottati in altri ordinamenti, nel tempo
tale disciplina si è rivelata non del tutto efficace: l’inclusione di attività
estere nei portafogli dei risparmiatori ha sempre tenuto conto delle scarse
possibilità di accertamento dei redditi esteri da parte del fisco che,
accompagnandosi ai regimi di esenzione da prelievi alla fonte nei paesi di
residenza degli emittenti, hanno determinato un onere fiscale molto
contenuto.
5.2 Dalle ritenute alla fonte all’imposta sostitutiva: il decreto legislativo
n. 239/1996.
All’inizio degli anni novanta lo Stato, in qualità di emittente, si trovò
a dover fronteggiare cambiamenti radicali (Giovannini, 1997; Scarpelli,
2001). Con la liberalizzazione dei movimenti di capitale il mercato
finanziario italiano si apriva: diveniva possibile per i risparmiatori e gli
intermediari residenti, almeno in via teorica, investire all’estero. Ciò
significava, tra l’altro, che il costo del debito dipendeva sempre più dai
mercati internazionali: lo Stato – che fino agli anni ottanta si era
comportato prevalentemente come un soggetto price-maker – diveniva
price-taker. E questo nello stesso momento in cui il debito esplodeva, sino
a superare nel 1991 il 100 per cento del PIL. La crisi valutaria del 1992
rese la gestione del debito pubblico ancora più difficile, con lo spread tra i
rendimenti del BUND e del BTP che superò i 700 basis points.
Al fine di minimizzare il costo del debito si cercò di aumentare la
liquidità dei titoli di Stato.
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 423
Il primo intervento fu la creazione di un mercato secondario dei titoli
pubblici nel 1988. Su tale mercato tuttavia sussistevano segmentazioni,
dovute alle differenziazioni nella fiscalità (cfr. supra, par. 4.2 e 4.3): la
disomogeneità di trattamento fiscale tra i vari operatori e tra i vari titoli
comportava la frammentazione del mercato sia tra soggetti, sia tra
strumenti62. Per quanto riguarda i primi, sul mercato erano presenti sia
soggetti residenti tassati “a bilancio” (banche e altre società, che
recuperavano la ritenuta, effettuata a titolo di acconto, solo in sede di
dichiarazione annuale), sia soggetti non residenti (che potevano chiedere il
rimborso della ritenuta), sia risparmiatori tassati con ritenuta alla fonte a
titolo definitivo (privati e fondi comuni). Inoltre, le banche e le società
erano tassate anche sugli eventuali capital gains ottenuti sul trading dei
titoli, mentre i privati erano esenti da imposte su plusvalenze. Per quanto
riguarda gli strumenti, poi, coesistevano sul mercato secondario titoli esenti
e titoli tassati.
Le diverse caratteristiche fiscali comportavano difficoltà nella
valutazione dei titoli. I rendimenti effettivi osservati sul mercato
secondario convergevano a volte sui rendimenti teorici netti, a volte sui
rendimenti teorici lordi, a seconda di quale operatore “marginale”
prevalesse sul mercato: per ogni operatore e per ogni strumento si
rilevavano infatti aliquote fiscali effettive diverse, con possibilità di
arbitraggio (Di Majo, 1980; Penati, 1993; Codogno e Zorzi, 1996;
Marseglia e Rizzo, 1997). Le frammentazioni fra titoli e operatori e le
divergenze nella valutazione dei titoli diminuivano lo spessore, la liquidità
e, in sintesi, l’efficienza del mercato.
L’esistenza di una ritenuta alla fonte rendeva poi difficoltoso lo
sviluppo di prodotti finanziari innovativi quali il prestito titoli (Consiglio di
Borsa, 1996) e il “coupon stripping”, che avrebbero potuto assicurare
maggiore liquidità al mercato secondario (Caleffi e Pecchi, 1995).
La scarsa liquidità del mercato dei titoli di Stato era dovuta anche
alla composizione della domanda. In particolare veniva evidenziata la
scarsa presenza, tra i sottoscrittori dei titoli pubblici, dei non residenti63,
che all’inizio degli anni novanta detenevano il 5,6 per cento dei titoli di
__________
62
Un altro motivo di frammentazione del mercato (e, quindi, di scarsa liquidità) era la mancanza di
standardizzazione dei titoli in circolazione.
63
La scarsità di una domanda di titoli dall’estero non significa che obbligazioni pubbliche italiane
fossero assenti dai mercati esteri. Come si è visto supra, infatti, il Tesoro ha iniziato ad emettere
titoli sull’euromercato nel 1984, divenendone presto uno dei principali players.
424 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
Stato (Scarpelli, 2001). Analisi delle scelte di portafoglio degli investitori
esteri evidenziavano come la quota di titoli pubblici italiani fosse
sottorappresentata, rispetto ai profili di rischio e rendimento di questa
asset-class: la composizione effettiva dei portafogli degli investitori
internazionali non rispecchiava, a discapito dei titoli di Stato italiani, le
indicazioni provenienti da modelli basati sul CAPM (Drudi e Majnoni,
1993).
La variabile fiscale fu da subito individuata fra le determinanti di
questa situazione: in particolare, più che il livello di imposizione,
rilevavano le modalità di tassazione dei non residenti (cfr. infra, par. 5.2.1).
Gli interessi percepiti da non residenti erano soggetti a ritenuta del 12,5 per
cento; la ritenuta era poi rimborsata sulla base dei trattati contro le doppie
imposizioni, ma l’inefficienza delle procedure amministrative, anche se
velocizzate dal 1994, rendeva incerta e onerosa la restituzione del maggior
onere fiscale, tanto che solo un terzo dei non residenti chiedeva il rimborso
(Penati e Alworth, 1995). Dato che quest’ultimo avveniva 30-45 giorni
dopo la scadenza della cedola, il ritardo medio nel rimborso della ritenuta
subita dagli investitori era pari a circa quattro mesi (Caleffi e Pecchi,
1995).
Gli ostacoli richiamati si riflettevano anche sul costo del debito. I
costi finanziari connessi con la procedura di rimborso si traducevano in un
incremento dello spread richiesto sulle obbligazioni italiane. Dalle stime
condotte in quel periodo emergeva che “fino a 100 punti base di
rendimento sulle obbligazioni del Tesoro italiano” potevano dipendere
dalla modalità di applicazione e rimborso della ritenuta (Giovannini e Piga,
1993)64.
In altri termini, oltre a un premio per il rischio di cambio e uno per il
rischio di default, i non residenti chiedevano un ulteriore spread per coprire
i costi connessi con l’an e il quantum del rimborso della ritenuta. La
rilevanza del problema era tale da indurre alcuni intermediari a proporre
contratti che “coprissero” una quota del rischio connesso con il mancato
rimborso del prelievo (Favero et al., 1996).
Le analisi, anche se condotte con metodologie differenti,
concludevano univocamente che un intervento sulla ritenuta effettuata ai
__________
64
Stime della componente fiscale dello spread richiesto sui titoli pubblici italiani sono effettuate
anche da Codogno e Zorzi (1996), e Favero et al. (1996).
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 425
non residenti avrebbe contribuito ad attrarre investitori esteri sul mercato e
a ridurre i rendimenti.
5.2.1 L’evoluzione normativa
Il principale limite del sistema delle ritenute alla fonte adottato per la
tassazione dei redditi finanziari, in particolare degli interessi, con la
riforma dei primi anni settanta, era rappresentato dal fatto che il prelievo,
essendo applicato dall’emittente, colpiva indistintamente tutti i percettori,
indipendentemente dalla natura degli stessi. Nell’organizzazione dei
mercati finanziari molto spesso tra emittenti e sottoscrittori si interponeva
un numero più o meno elevato di intermediari. Dal momento che
l’emittente non conosceva, nella maggior parte dei casi, il beneficiario
effettivo degli interessi o di altri proventi erogati, non era possibile
prevedere modalità di tassazione differenziate in funzione del percettore.
Per le imprese, per le quali il prelievo alla fonte costituiva un
acconto delle imposte sul reddito, il meccanismo delle ritenute poteva
determinare – soprattutto se di ammontare rilevante, come nel caso delle
banche – l’accumularsi di crediti di imposta, con effetti significativi in
termini di oneri finanziari e conseguenti modifiche nelle strutture di
bilancio (cfr. infra, par. 5.2.3). Le ritenute alla fonte rappresentavano un
ostacolo significativo soprattutto rispetto al collocamento di strumenti
finanziari italiani, in particolare titoli pubblici, presso gli investitori non
residenti. Sebbene, infatti, tali investitori avessero spesso diritto al
rimborso della ritenuta ai sensi delle convenzioni contro le doppie
imposizioni stipulate dall’Italia con i rispettivi paesi di residenza, le
difficoltà amministrative connesse con l’accertamento del periodo di
possesso effettivo e della residenza e i tempi lunghi di rimborso
scoraggiavano le richieste, rendendo spesso il prelievo un onere definitivo,
con effetti negativi sulla domanda estera di titoli (Giovannini, 1996).
Nel 1991 si introdusse una procedura manuale per il rimborso delle
ritenute sui titoli di Stato, con apposita modulistica, che consentì di
superare le difficoltà di tipo documentale. Tuttavia, a causa della ricorrente
carenza di fondi e dell’assenza di strutture dedicate nell’Amministrazione
finanziaria permaneva un ritardo significativo nei tempi di rimborso
(almeno cinque anni). Nel 1994 fu quindi implementata – sempre per i soli
titoli di Stato – una procedura automatizzata, che consentì di ridurre
notevolmente i tempi di restituzione delle somme, a circa 30-45 giorni dal
pagamento degli interessi.
426 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
In ogni caso le procedure descritte operavano solo nei confronti
degli investitori residenti in paesi con i quali l’Italia avesse stipulato una
convenzione contro le doppie imposizioni che prevedesse l’azzeramento o
la riduzione della ritenuta sui proventi dei titoli pubblici. Questa
condizione si verificava per quasi tutti i paesi UE, mentre risultavano
svantaggiati gli investitori residenti in alcuni importanti Stati extra-UE, per
i quali la disciplina convenzionale non consentiva alcun rimborso, come gli
Stati Uniti (ritenuta convenzionale: 15 per cento), o un rimborso molto
contenuto, come il Giappone (ritenuta convenzionale: 10 per cento).
Un deciso cambiamento di rotta si ebbe con l’entrata in vigore, dal
1° gennaio 1997, del decreto legislativo n. 239/1996. In luogo della
ritenuta alla fonte applicata dagli emittenti, il decreto introdusse
un’imposta sostitutiva del 12,5 per cento sui proventi dei titoli pubblici e
delle obbligazioni emesse dai cosiddetti “grandi emittenti” (banche, società
quotate ed enti pubblici economici trasformati in società per azioni); il
prelievo era effettuato dalle banche o da altri intermediari finanziari all’atto
dell’erogazione dei proventi o del trasferimento dei titoli. L’applicazione
del prelievo da parte dell’intermediario a diretto contatto con i beneficiari
effettivi consentì di differenziare il regime fiscale dei proventi in base alla
natura del percettore: persone fisiche, imprese, soggetti non residenti. Per
le prime, l’imposta sostitutiva continuò sostanzialmente a rappresentare un
prelievo definitivo, analogamente alla ritenuta alla fonte applicata in
precedenza65. Per le società fu eliminato il prelievo alla fonte, permettendo
così di rimuovere una delle cause della formazione di crediti d’imposta
(cfr. infra, par. 5.2.3). Si passò quindi da un regime in cui l’emittente
applicava la ritenuta indistintamente a tutti i percettori a un sistema nel
quale l’intermediario prelevava l’imposta sostitutiva solo su alcuni
percettori; ciò era reso possibile dal fatto che l’intermediario, nella veste di
paying agent a diretto contatto con il percettore, era in possesso di
informazioni sulle caratteristiche fiscali del beneficiario effettivo. Il
sistema del paying agent ha conosciuto una crescente diffusione anche in
altri paesi ed è stato infine adottato in sede internazionale: la Direttiva UE
sulla tassazione del risparmio, infatti, prevede che la ritenuta sugli interessi
percepiti da non residenti sia effettuata proprio dagli intermediari incaricati
del pagamento, sulla base della natura del percettore66.
__________
65
Per i proventi conseguiti da una persona fisica nell’esercizio di impresa, l’imposta sostitutiva
rappresentava un acconto dell’imposta personale sul reddito.
66
Anche nell’ordinamento italiano il sistema dell’agente pagatore – introdotto con il decreto
legislativo n. 239/1996 – non era del tutto sconosciuto. L’imposta sostitutiva ex d.lgs. n. 239/1996
(continua)
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 427
L’aspetto forse più significativo del provvedimento fu però
l’introduzione di un regime di esenzione per tutti gli investitori esteri, con
la sola eccezione di quelli residenti in paradisi fiscali o in paesi con i quali
l’Italia non avesse stipulato una convenzione contro le doppie imposizioni
che consentisse lo scambio di informazioni tra amministrazioni fiscali. A
differenza delle procedure di rimborso dei primi anni novanta, l’esenzione
si applicava anche quando non contemplata espressamente dalla
convenzione; erano previsti soltanto specifici requisiti documentali67.
Come era avvenuto per altri paesi che in precedenza avevano introdotto
analoghi regimi di esenzione, e come si vedrà meglio nel paragrafo
seguente, la modifica contribuì in misura significativa al collocamento di
quote crescenti delle nuove emissioni di titoli pubblici presso investitori
non residenti, permettendo una sensibile riduzione del costo del debito.
Il decreto n. 239/1996 segnò un passaggio importante anche sotto il
profilo delle modalità di accertamento e controllo dei redditi finanziari,
dando inizio a un processo di “canalizzazione” del risparmio verso gli
intermediari, ai quali venne attribuito un ruolo centrale nella gestione degli
adempimenti fiscali. L’applicazione dell’imposta sostitutiva e dei connessi
regimi di esonero (per le imprese) o di esenzione (per i non residenti) fu
infatti subordinata al deposito dei titoli presso una banca o un altro degli
intermediari finanziari residenti, designati dal fisco quali “incaricati del
non costituiva, infatti, il primo esempio di prelievo applicato a cura degli intermediari in luogo
dell’emittente. Per i redditi di capitale di fonte estera sin dalla riforma del 1973 era stata introdotta
la cosiddetta “ritenuta d’ingresso”, un prelievo applicato a cura degli intermediari residenti che
intervenivano nell’incasso dei proventi. Tuttavia, a differenza del sistema adottato nel 1996, era
applicata nei confronti di tutti i percettori, senza distinzione alcuna tra le persone fisiche, per le
quali costituiva un prelievo definitivo, e le imprese, per le quali si trattava invece di un mero
acconto dell’imposta sul reddito (Ancidoni et al., 1987; Capomassi et al., 1989). Ancora prima, la
legge n. 1745/1962 aveva introdotto l’obbligo, per le banche che intervenissero nel pagamento di
dividendi di fonte estera, di effettuare su tali redditi un prelievo del 15 per cento a titolo d’acconto.
67
Per poter beneficiare dell’esenzione, i soggetti non residenti erano tenuti a fornire al fisco (per il
tramite degli intermediari) i propri dati identificativi, unitamente ad un certificato di residenza, con
validità annuale, rilasciato dall’autorità fiscale del proprio paese di origine. Nel corso degli ultimi
anni, i requisiti sostanziali e documentali per l’esenzione dei non residenti sono stati gradualmente
ridotti, ampliando la platea dei soggetti interessati. In particolare, nel 1997 l’esenzione è stata
riconosciuta agli enti sovranazionali. Dal 2001 è stata estesa alle banche centrali dei paesi con i
quali non fossero in vigore convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni. Dal 1° gennaio
2002 hanno avuto accesso diretto al regime di esenzione tutti gli investitori istituzionali esteri,
anche privi di un’autonoma soggettività tributaria (ad esempio, i fondi pensione), purché costituiti
in paesi, diversi dai paradisi fiscali, che consentissero un adeguato scambio di informazioni tra
amministrazioni fiscali. Dal 2004 una ulteriore semplificazione ha eliminato per tutte le categorie
di investitori la condizione della residenza in un paese diverso dai paradisi fiscali, lasciando come
unico requisito quello della residenza in un paese che consenta un adeguato scambio di
informazioni tra amministrazioni fiscali.
428 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
versamento” dell’imposta e degli altri adempimenti68. L’intervento degli
intermediari consentì di applicare il prelievo sulla sola quota di proventi
maturata nell’effettivo periodo di possesso da parte del beneficiario
anziché sull’intera cedola. Inoltre, al fine di prevenire potenziali fenomeni
di “esterovestizione” da parte di residenti, fu introdotto a carico degli
intermediari l’obbligo di effettuare in via telematica segnalazioni
nominative periodiche all’Amministrazione finanziaria per i proventi
erogati a soggetti non residenti in regime di esenzione.
5.2.2 Gli effetti sul mercato dei titoli pubblici
La riforma introdotta con il d.lgs. 239/1996 intervenne con successo
sui problemi evidenziati in precedenza.
Le contrattazioni sul mercato secondario non si svolsero più “al
netto”, ma “al lordo”, con maggiore trasparenza e maggiore confrontabilità
dei rendimenti dei vari titoli69.
Fu eliminato un vincolo (la ritenuta) all’innovazione finanziaria,
permettendo, tra l’altro, la creazione del mercato del coupon stripping dei
BTP, avviato a metà del 1998.
Con riferimento allo spread, una riduzione si ebbe già al momento
dell’annuncio della riforma: i rumors su una riforma allo studio
contribuirono, a maggio 1995, a far scendere il differenziale BTP-BUND
sotto i 600 punti base, sui quali si era attestato a fine 1994 (Flaminio,
1995). Anche l’iter parlamentare influì sulle aspettative degli operatori e,
conseguentemente, sull’ampiezza del premio “fiscale”: a dicembre 1995, lo
spread si ridusse di altri 20 punti base, grazie all’approvazione di un
emendamento che estendeva l’esenzione non solo ai soggetti esteri
residenti in paesi che già prevedevano una ritenuta sugli interessi pari a
zero, ma anche a quelli di altri paesi (come USA e Giappone) diversi dai
“paradisi fiscali” (Olivieri, 1995).
Anche la domanda da parte dei non residenti seguì l’evolversi della
normativa. Un’analisi può essere condotta sulla base dei conti finanziari,
__________
68
Nel caso in cui i titoli fossero depositati presso un intermediario non residente, l’esenzione da
imposta sostitutiva era condizionata all’intervento di un intermediario residente (cosiddetto “di
secondo livello”).
69
Il passaggio ad un sistema di negoziazione “al lordo”, in linea con quanto già avveniva nei mercati
esteri ed internazionali più avanzati, interessò anche i titoli obbligazionari privati dei cosiddetti
“grandi emittenti” (banche, società quotate, ecc.).
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 429
tenendo conto sia delle variazioni trimestrali delle attività finanziarie
detenute dal settore “resto del mondo”, sia della ripartizione, anno per
anno, delle consistenze.
Fig. 1
Variazioni delle consistenze dei titoli di Stato
(dati trimestrali 1991 – 1996)
milioni di euro
35000
30000
25000
20000
15000
10000
Consistenze
detenute da
5000 non residenti
Consistenze
0 detenute da
residenti
-5000
-10000
-15000
1 9 /1
1 9 /2
1 9 /3
1 9 /4
1 9 /1
19 2
1 9 /3
1 9 /4
1 9 /1
1 9 /2
1 9 /3
1 9 /4
1 9 /1
1 9 /2
1 9 /3
1 9 /4
1 9 /1
1 9 /2
1 9 /3
1 9 /4
1 9 /1
1 9 /2
1 9 /3
/4
/
91
91
91
91
92
92
92
92
93
93
93
93
94
94
94
94
95
95
95
95
96
96
96
96
19
Fonte: Banca d’Italia, Base informativa pubblica, conti finanziari
Per le variazioni sono stati esaminati i dati trimestrali riferiti al
periodo 1991-99, a partire quindi dalla liberalizzazione dei movimenti di
capitale e fino all’adesione all’UME, confrontandoli con le variazioni dei
settori “interni”. Nella figura 1 è riportato l’andamento dei due aggregati
nel periodo precedente l’entrata in vigore del d.lgs. 239/1996. Dal 1991 al
1993 l’ammontare degli investimenti netti provenienti dall’estero è di
scarsa importanza, benché sempre positivo: un “picco” si avverte a fine
1993, in coincidenza con l’avvio della procedura di rimborso accelerato. La
crescita degli investimenti esteri si interrompe però già nel secondo
trimestre del 1994, forse perché gli operatori non residenti iniziano a
430 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
valutare come non del tutto soddisfacenti gli esiti della nuova procedura di
rimborso. L’interesse invece si ravviva a partire dal secondo trimestre del
1995, in seguito alla diffusione delle prime voci sull’esenzione da ritenuta
per i non residenti: anche il risultato poco brillante del primo trimestre del
1996 può essere spiegato dalle incertezze sull’effettiva entrata in vigore
della riforma (Bufacchi, 1996). A partire dal trimestre successivo, con
l’approvazione del decreto legislativo 239/1996, gli investimenti netti
provenienti dall’estero sono sempre positivi. Questo trend prosegue dopo
l’entrata in vigore del d.lgs. 239/1996 (cfr. fig. 2): dal 1997 al 1999 gli
“investimenti netti” del resto del mondo sono sempre positivi, in
controtendenza rispetto a quelli del comparto interno.
Fig. 2
Variazione delle consistenze dei titoli di Stato
(dati trimestrali 1997 –99)
milioni di euro
50000
40000
30000
20000
10000
-10000
-20000
-30000
Consistenze detenute
-40000 da non residenti
Consistenze detenute
-50000 da residenti
-60000
1997/1 1997/2 1997/3 1997/4 1998/1 1998/2 1998/3 1998/4 1999/1 1999/2 1999/3 1999/4
Fonte: Banca d’Italia, Base informativa pubblica, conti finanziari
Anche l’esame della composizione della domanda mostra come sia
cresciuto l’interesse degli investitori non residenti per il mercato dei titoli
pubblici italiani. Dai conti finanziari si evince come la quota di titoli di
Stato detenuta dal “resto del mondo” sia passata dal 6,4 per cento del 1991
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 431
al 47,3 per cento nel 2004 (cfr. fig. 3): in poco più di un decennio i non
residenti sono divenuti i più importanti investitori in titoli di Stato italiani.
Alla luce degli elementi richiamati l’introduzione del d.lgs.
239/1996 può essere individuata come uno dei fattori che hanno contribuito
alla riduzione del costo del debito pubblico. La variabile fiscale, infatti,
influendo sulla composizione della domanda di titoli e contribuendo a
ridurre la segmentazione del mercato, ha concorso allo sviluppo del
mercato italiano dei titoli di Stato: quest’ultimo è divenuto uno dei più
importanti del mondo grazie all’elevata liquidità dei titoli oggetto di
contrattazione, dovuta a “molteplici fattori connessi all’efficienza dei
mercati primario e secondario nonché all’evoluzione nella composizione
della domanda” (Scarpelli, 2001).
Fig. 3
Quota dei titoli di Stato detenuta da non residenti
50%
47,5% 47,3%
45% 43,5%
41,8% 41,7%
40% 38,4%
35%
30,2%
30%
24,8%
25%
20,1%
20%
16,5%
13,9%
15% 12,1%
10% 7,5%
6,4%
5%
0%
1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
Fonte: Banca d’Italia, Base informativa pubblica, conti finanziari
432 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
5.2.3 Gli effetti della tassazione sull’attivo e sul passivo delle banche
Gli effetti della variabile fiscale sul settore creditizio sono stati
molteplici e si prestano a diverse chiavi di lettura; sia la tassazione
esplicita, sia la tassazione implicita hanno contribuito a modellare il
sistema creditizio70.
In questa sede il focus si concentrerà sulle modifiche dell’attivo e del
passivo delle banche dovute a variazioni della fiscalità degli strumenti
finanziari. In particolare, si esamineranno, dal lato degli impieghi, gli
effetti della ritenuta d’acconto sui depositi interbancari e sui titoli pubblici
e, dal lato della raccolta, le conseguenze dell’aumento della ritenuta sui
CD.
La ritenuta d’acconto sui depositi interbancari e sui titoli pubblici
Dal 1973 le banche sono tenute a effettuare una ritenuta sugli
interessi corrisposti sui depositi; il prelievo è a titolo definitivo nei
confronti di persone fisiche e a titolo di acconto per le imprese. Fino al
1992, si applicava anche agli interessi da depositi interbancari.
L’esistenza di questa ritenuta d’acconto contribuì, sin dagli anni
settanta, all’accumularsi di un ingente ammontare di crediti d’imposta delle
banche verso l’Erario. Tali crediti non trovavano “capienza” nell’Irpeg
dovuta dalle banche, perché il debito d’imposta, grazie anche alla presenza
di ricavi esenti, risultava inferiore alle imposte prelevate a titolo di acconto.
La quota del credito eccedente il debito Irpeg non poteva essere
compensata con altre imposte, ma era rimborsata dall’Erario in tempi
molto lunghi, con una remunerazione inferiore a quella di mercato e
conseguenti oneri finanziari impliciti per le banche. Solo a partire dal 1988
fu introdotta la possibilità di scegliere tra il rimborso dei crediti e la loro
compensazione con le imposte degli anni successivi.
Il costo implicito dei crediti d’imposta per l’impresa bancaria che
prestava i fondi si rifletteva sul funzionamento del mercato interbancario,
non solo in termini di liquidità ed efficienza, ma anche con riferimento alle
scelte delle modalità d’impiego dei fondi: dato che il rendimento
complessivo di ogni operazione doveva tenere conto anche dei crediti
d’imposta, era preferita la forma del deposito a vista, che comportava la
__________
70
Per un’approfondita disamina di questi aspetti Ciocca (2000).
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 433
formazione di minori crediti d’imposta, poiché l’accredito degli interessi
avveniva solo una volta all’anno; si cercava invece di evitare depositi
vincolati o a tempo, sui quali gli interessi erano corrisposti alla scadenza
del deposito stesso71.
L’accumularsi dei crediti d’imposta determinò una modifica negli
attivi delle banche: rispetto ai fondi intermediati la quota dei depositi
interbancari diminuì a partire dal 1988, in corrispondenza dell’aumento
dell’aliquota di ritenuta dal 25 per cento al 30 per cento, che si tradusse
nella formazione di maggiori crediti d’imposta e, di conseguenza, nella
diminuzione della redditività dell’impiego dei fondi sul mercato
interbancario. L’esenzione da ritenuta per i rapporti con banche estere e la
liberalizzazione valutaria determinarono, a partire dal 1990, un incremento
dell’attività delle banche italiane sul segmento interbancario
dell’euromercato, sottraendo fondi al mercato interno.
Il fenomeno dei crediti d’imposta fu aggravato dall’introduzione, nel
1986, della ritenuta sui titoli pubblici. Anche sul rendimento effettivo
dell’investimento in titoli di Stato pesavano dunque gli oneri finanziari
connessi con il formarsi dei crediti.
Sotto il profilo quantitativo, già all’inizio degli anni ottanta si
parlava di “migliaia di miliardi” di crediti d’imposta a favore delle banche
dovuti al meccanismo della ritenuta d’acconto sugli interessi (Di Majo,
1980). I rimborsi maturati fino al 1983 furono consolidati: in cambio dei
crediti d’imposta furono attribuiti alle banche titoli di Stato per 5.000
miliardi (Ceriani e Ferri, 1991). Ma l’importo dei crediti riprese a crescere:
quelli formatisi tra il 1984 e il 1986 erano pari a circa 2.900 miliardi;
raggiunsero gli 11.500 miliardi di lire alla fine del 1991; a partire dal 1989
più della metà dei crediti era riconducibile alle ritenute su titoli (Ceriani et
al. 1992a).
Nel complesso le ritenute sui titoli e sui depositi interbancari
comportarono un processo di riallocazione dei portafogli delle banche tra la
fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, consistente nella
riduzione dei prestiti sull’interbancario, nella diminuzione della quota dei
titoli in portafoglio e nello spostamento della funzione di offerta degli
impieghi, con effetti di compressione dei tassi praticati sui prestiti.
__________
71
Anche la banca debitrice sopportava un onere finanziario: il prelievo sui depositi determinava
maggiori versamenti in acconto in relazione alle ritenute operate nell’anno, versamenti che
potevano essere recuperati solo successivamente, al momento della liquidazione del saldo (Ceriani
e Ferri, 1991).
434 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
I problemi creati dai crediti d’imposta furono risolti con diversi
interventi. Dapprima, nel 1992, si abolì la ritenuta sugli interessi da
depositi interbancari72 e si concesse alle banche, come alle altre imprese, di
compensare i crediti Irpeg con i versamenti Ilor. Successivamente, nel
1997, con il d.lgs. 239/1996 le banche furono annoverate tra i soggetti
“lordisti”, ai quali non si applicavano le ritenute sui titoli di Stato e sulle
altre obbligazioni emesse dai cosiddetti “grandi emittenti”. Infine, nel 1998
fu introdotta la possibilità di compensare “orizzontalmente” i crediti e i
debiti derivanti da imposte e contributi.
Le componenti della raccolta bancaria: il passaggio dai certificati di
deposito alle obbligazioni
In un decennio contraddistinto da una rinnovata enfasi sulla
neutralità della tassazione rispetto ai mercati finanziari, esemplare appare il
caso dei CD, rapidamente sostituiti dalle obbligazioni quale componente di
rilievo della raccolta bancaria a seguito di una modifica fiscale, dopo avere
conosciuto uno sviluppo esponenziale nel corso degli anni ottanta e dei
primi anni novanta proprio grazie a un favorevole regime di tassazione (cfr.
supra, par. 4.1; Focarelli e Tedeschi, 1993).
All’inizio degli anni novanta la raccolta delle banche era composta
per più del 15 per cento da CD (cfr. fig. 4). Il processo di espansione dei
CD continuò nella prima metà degli anni novanta: nel 1995 costituivano
una quota della raccolta pari a quella sull’estero (21 per cento), con i
depositi scesi sotto il 40 per cento e le obbligazioni e i pronti contro
termine che coprivano il rimanente 20 per cento; nella prima metà degli
anni novanta la raccolta effettuata con i CD fu sempre superiore a quella
derivante dalle obbligazioni (cfr. fig. 5); le emissioni di CD con durata
superiore a 18 mesi erano costantemente maggiori di quelli a breve (cfr.
fig. 6).
__________
72
L’eliminazione della ritenuta sull’interbancario abbreviò sensibilmente per gli intermediari i tempi
di recupero delle ritenute sugli interessi dei titoli di Stato, che non si cumulavano più con quelle
sugli interessi da depositi, ed un conseguente maggior rendimento al netto degli oneri finanziari
connessi con lo stesso recupero del prelievo alla fonte. Sul punto, cfr.: Ceriani e Ferri (1991); Di
Giovanni e Varisco (1992).
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 435
Fig. 4
Composizione della raccolta delle banche
(consistenze di fine periodo)
100%
20% 21% 23% 23% 21% 20% 22% 22% 23% 22% 22% 22%
24% 25% 24%
80%
11% 11% 12%
10% 11% 13% 15%
20% 23% 24% 25% 26% 27%
23% 24% estero
60% 16% 17%
1% 18% 20% 21% obb
19% 19% 2%
12% 3% 2% 2%
4% 8% 5% 4%
6%
CD
5% 6% 7% 5%
7% 6% 6% 6%
5% 8% 7%
40% 7% pct
depositi
52%
48%
41% 41% 43% 42% 42% 44% 44% 44%
20% 40% 40% 39% 38% 39%
0%
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
Fonte: Banca d’Italia, Base informativa pubblica, Istituzioni finanziarie e monetarie:
banche e Fondi comuni monetari.
A metà del 1996, nell’ambito della cosiddetta “Manovrina Prodi”73,
fu deciso di unificare il trattamento fiscale della raccolta tramite CD e
quello della raccolta tramite depositi, fissando per entrambi l’aliquota al 27
per cento; per le obbligazioni invece la ritenuta rimase invariata al 12,5 per
cento. Pochi mesi dopo la Banca d’Italia modificò la normativa secondaria
sulle obbligazioni bancarie, ampliando notevolmente le possibilità di
ricorso a questa tipologia di strumento74.
__________
73
DL. 20 giugno 1996, n. 323, convertito dalla legge 8 agosto 1996, n. 425. Con tale provvedimento
l’aliquota di ritenuta sulle diverse forme di raccolta bancaria venne unificata al 27 per cento
indipendentemente dalla durata; fu inoltre eliminata l’assimilazione alle obbligazioni dei CD con
scadenza superiore ai 18 mesi.
74
In particolare, si consentì a tutte le banche di emettere obbligazioni con taglio minimo di 5 milioni
di lire, purché con “caratteristiche di mercato” (emissioni di importo complessivo non inferiore a
300 miliardi di lire o aventi i requisiti per la quotazione); negli altri casi, il taglio minimo fu
(continua)
436 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
Fig. 5
CD e obbligazioni: consistenze di fine esercizio
milioni di euro
400.000
350.000
300.000
250.000
CD
200.000 obbligazioni
150.000
100.000
50.000
-
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
Fonte: Banca d’Italia, Base informativa pubblica, Istituzioni finanziarie e
monetarie: banche e Fondi comuni monetari.
L’effetto sulla raccolta delle banche fu immediato. Nel breve
periodo, il provvedimento determinò una leggera ripresa dei CD a breve
termine, la cui aliquota di ritenuta era scesa dal 30 al 27 per cento; a fine
1997 la consistenza dei CD con durata superiore a 12 mesi era meno della
metà di quella esistente un anno prima (cfr. fig. 6); le obbligazioni, per la
prima volta, superavano i CD (fig. 5). Il trend si è rafforzato negli anni
successivi (cfr. fig. 4): alla fine del 2004 le obbligazioni sono ormai pari a
più di un quarto dei fondi raccolti, mentre i CD rappresentano circa il 2 per
cento della raccolta, dieci volte meno che nel 1995; di questi, la
componente a medio lungo termine è quasi del tutto scomparsa (cfr. fig. 6).
abbassato da 100 a 20 milioni. Le obbligazioni potevano avere durata originaria anche inferiore a
tre anni, ma la durata media non doveva scendere al di sotto dei 24 mesi. L’eventuale facoltà di
rimborso anticipato doveva essere specificamente prevista nel regolamento del prestito e non
poteva essere esercitata prima di 18 mesi dall’emissione.
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 437
Fig. 6
CD e obbligazioni: consistenze di fine esercizio
milioni di euro
200.000
CD di durata superiore a 18 mesi
180.000
CD di durata inferiore a 18 mesi
160.000
140.000
120.000
100.000
80.000
60.000
40.000
20.000
-
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
Fonte: Banca d’Italia, Base informativa pubblica, Istituzioni finanziarie e monetarie:
banche e Fondi comuni monetari.
5.3 La riforma “Visco”: una tassazione onnicomprensiva
5.3.1 I tratti salienti della riforma
Il decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461 – emanato
nell’ambito di un più ampio disegno riformatore che ha investito molti
aspetti del sistema fiscale – ha realizzato un riordino complessivo del
trattamento tributario dei redditi da risparmio, rimasto sostanzialmente
invariato, nella sua impostazione di fondo, dalla riforma dei primi anni
settanta75.
I principi ispiratori del disegno di riforma fiscale sono stati la
neutralità e la semplicità dell’imposizione. A tal fine, è stata istituita per la
__________
75
Sul riordino del regime fiscale della finanza realizzato con la riforma “Visco”, cfr. Ciocca (1998a),
Ciocca (1998b) e Guerra (1998).
438 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
prima volta una tassazione generalizzata sui redditi da attività finanziarie,
ricomprendendo nell’alveo impositivo, oltre ai redditi di capitale
(ricondotti, come in precedenza, alla nozione civilistica di “frutti”, ossia di
proventi non aleatori derivanti da un impiego di capitale), tutte le
plusvalenze finanziarie (inquadrate come proventi che, pur derivando da un
impiego di capitale, sono incerti sia nel quantum che nell’esistenza). A
differenza del precedente regime (cfr. riquadro 5.1), nell’alveo impositivo
sono state ricompresse non soltanto le plusvalenze su partecipazioni
azionarie, ma anche i capital gains su obbligazioni e i proventi derivanti da
valute, metalli preziosi e strumenti finanziari derivati76. Sono state altresì
introdotte norme di chiusura volte a evitare forme di elusione o di
arbitraggio e a ricondurre a tassazione i proventi per i quali non sia prevista
una specifica disciplina.
Le aliquote di prelievo sugli interessi sono state accorpate su due
livelli: 12,5 per cento per i titoli di Stato e le altre obbligazioni e per le
cambiali finanziarie; 27 per cento per i depositi e conti correnti bancari e
postali, i CD, le obbligazioni con durata inferiore ai 18 mesi, le
accettazioni bancarie, i titoli atipici. In prospettiva, si prevedeva
l’unificazione delle aliquote.
È stata semplificata la tassazione dei dividendi, attraverso
l’abolizione della ritenuta d’acconto del 10 per cento applicata nei
confronti di tutti gli investitori. Per le persone fisiche residenti è stata
confermata la tassazione progressiva con credito d’imposta; in alternativa,
è stata riconosciuta la possibilità di optare per una ritenuta definitiva del
12,5 per cento, limitatamente però ai dividendi su partecipazioni non
qualificate. Per le imprese, l’imposizione dei dividendi è rimasta invariata,
fatta eccezione per l’abolizione della ritenuta d’acconto77.
La tassazione delle plusvalenze è stata realizzata attraverso
l’introduzione di un’imposta proporzionale, sostitutiva dell’imposta
personale sul reddito e applicabile in via ordinaria con l’aliquota del 12,5
per cento. Per le sole plusvalenze su partecipazioni qualificate è stata
prevista l’aliquota più elevata del 27 per cento.
__________
76
In precedenza, i proventi degli strumenti finanziari derivati erano tassati in casi molto limitati (ad
esempio, quelli dei financial futures), soprattutto a causa della difficoltà ad essere ricondotti a
categorie espressamente disciplinate.
77
Per gli investitori non residenti, la misura della ritenuta alla fonte è stata ridotta dal 32,4 per cento
al 27 per cento (12,5 per cento per le azioni di risparmio) ed è stata introdotta una procedura che
consente la diretta applicazione del prelievo nella misura più bassa eventualmente prevista dai
trattati internazionali contro le doppie imposizioni.
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 439
Riquadro 5.1
La tassazione delle plusvalenze negli anni novanta
Come già ricordato (cfr. supra, par. 2.2.3 e 3.1), sia nel
regime antecedente sia in quello successivo alla riforma tributaria
del 1973, le plusvalenze finanziarie realizzate da persone fisiche
erano tassate solo in presenza del cosiddetto “intento speculativo”.
Una presunzione assoluta di intento speculativo, che comportava la
tassazione in Irpef, era stata introdotta solo a seguito della fase
espansiva attraversata dal mercato azionario nel periodo 1985-8678,
con riferimento a fattispecie molto limitate (partecipazioni
societarie di ammontare rilevante possedute per meno di cinque
anni). Subito dopo, con il Testo unico delle imposte dirette del 1986
la casistica delle plusvalenze imponibili divenne tassativa e venne
eliminato 8il criterio dell’intento speculativo.
Occorrerà attendere i primi anni novanta per una tassazione
generalizzata delle plusvalenze su azioni e altre partecipazioni
conseguite al di fuori dell’esercizio d’impresa79. La tassazione si
applicava secondo due possibili regimi: nel regime ordinario,
obbligatorio per le plusvalenze su partecipazioni qualificate80, le
plusvalenze realizzate erano determinate analiticamente come
differenza tra il prezzo di cessione delle partecipazioni e il costo di
acquisto rivalutato sulla base del tasso di inflazione effettivo; la
tassazione (del 25 per cento) era quindi applicata sulle plusvalenze
al netto di eventuali minusvalenze81 e liquidata dal contribuente in
sede di dichiarazione annuale. Nel regime forfetario – applicabile
solo per le cessioni di partecipazioni non qualificate effettuate
attraverso intermediari – si operava invece una ritenuta del 15 per
cento su una plusvalenza teorica calcolata sulla base del prezzo di
vendita attraverso appositi coefficienti presuntivi. In quest’ ultimo
caso il prelievo si traduceva, nella sostanza, in una forma di
imposizione patrimoniale o di tassa sulle transazioni, con
un’incidenza compresa fra lo 0,3 e l’1.05 per cento del valore di
cessione.
segue
__________
78
L’aumento dei corsi azionari del periodo 1985-86 fu ascrivibile all’effetto congiunto dello scarso
spessore della Borsa Italiana e del mutamento strutturale derivante dall’introduzione dei fondi
comuni di investimento. Sul punto, cfr. Sartor (1993).
79
Da tale disciplina erano in ogni caso escluse le plusvalenze su titoli obbligazionari e su quote di
fondi comuni.
80
Erano considerate partecipazioni qualificate quelle superiori al 2, 5 e 15 per cento del capitale, a
seconda che si trattasse, rispettivamente, di azioni quotate in Borsa, altre azioni o partecipazioni
non azionarie.
81
Era consentito il riporto in avanti per cinque anni delle eventuali minusvalenze eccedenti.
440 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
segue Riquadro 5.1
Nelle intenzioni dell’Esecutivo, tali sistemi di tassazione delle
plusvalenze erano transitori, essendo finalizzati a ridurre – in attesa
del riordino integrale del regime tributario dei redditi finanziari da
attuare entro il 199282 – le possibilità di elusione delle imposte
attraverso la trasformazione dei redditi di capitale in plusvalenze.
Anche a seguito della mancata revisione normativa di cui si è detto,
su pressione degli operatori l’imposizione sulle plusvalenze
derivanti da cessione di partecipazioni non qualificate in società
quotate fu sospesa dal 10 novembre 1992.
Dopo tale modifica, e fino alla riforma Visco del 1997-98,
restarono quindi soggette a tassazione esclusivamente le plusvalenze
su partecipazioni qualificate e quelle su azioni e altre partecipazioni
non quotate.
Nella determinazione delle plusvalenze tassabili la scelta del
legislatore è stata quella – pressoché unica nel panorama internazionale –
di adottare il principio del “maturato”: la tassazione colpisce cioè le
plusvalenze maturate nel periodo d’imposta, valutate secondo il criterio del
mark to market. Questa scelta rispondeva alla volontà di evitare il
cosiddetto effetto di “lock-in”, ossia l’effetto di rinvio del disinvestimento
connesso all’applicazione del prelievo all’atto del realizzo. La tassazione
sul maturato neutralizza infatti il beneficio finanziario derivante dal rinvio
della tassazione (tax deferral).
Per l’applicazione del prelievo, al contribuente è stata data facoltà di
scelta fra tre distinti regimi impositivi (salvo casi specifici, come quelli
delle plusvalenze su partecipazioni qualificate e su valute,
obbligatoriamente tassate secondo il regime della dichiarazione; cfr.
riquadro 5.2)83:
__________
82
Il riordino avrebbe dovuto essere attuato sulla base della delega contenuta nella legge n. 408/1990,
che non venne però mai esercitata.
83
Sui regimi di tassazione delle plusvalenze introdotti dalla riforma “Visco” si vedano: Ancidoni
(1999); Hamaui e Quarantini (1998).
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 441
Riquadro 5.2
I regimi impositivi delle attività finanziarienella riforma “Visco”
I tre regimi impositivi delle attività finanziarie introdotti dalla riforma
“Visco” si distinguono soprattutto per la diversa tassazione delle plusvalenze e
per i diversi compiti affidati agli intermediari.
Il principio del maturato ha trovato la sua piena e diretta realizzazione
nel regime del risparmio gestito, riservato alle gestioni individuali di
portafoglio e del tutto allineato con il nuovo sistema di tassazione dei fondi
comuni di investimento mobiliare (cfr. infra, riquadro 5.3). In tale regime
l’imposta sostitutiva viene applicata annualmente con l’aliquota del 12,5 per
cento sul “risultato netto di gestione”, determinato come differenza tra il
valore del patrimonio gestito alla fine di ciascun anno solare, al lordo
dell’imposta sostitutiva, e il valore del patrimonio stesso all’inizio dell’anno
solare84. Tenuto conto dell’inclusione dei redditi di capitale nel risultato netto
di gestione, è stata prevista la disapplicazione dei prelievi alla fonte su alcuni
proventi afferenti alle gestioni85.
In alternativa al regime del risparmio gestito, i contribuenti possono
optare, nel caso di risparmio affidato in custodia, amministrazione o deposito
a intermediari finanziari (banche, Sim o altri soggetti autorizzati), per il
regime del risparmio amministrato, nel quale la tassazione è applicata,
sempre a cura degli intermediari, sulle singole plusvalenze all’atto del realizzo
nonché sui redditi di capitale (dividendi e interessi) all’atto della percezione.
Infine, nel regime della dichiarazione i risparmiatori provvedono
autonomamente allo svolgimento degli adempimenti fiscali relativi alle
plusvalenze realizzate nell’anno, indicandone l’ammontare nella propria
dichiarazione dei redditi e applicando il prelievo sostitutivo.
A differenza del regime del risparmio gestito, nel quale la particolare
modalità di calcolo del risultato di gestione permette la compensazione di
eventuali minusvalenze o perdite sia con plusvalenze che con redditi di capitale
(dividendi e interessi), nei regimi della dichiarazione e del risparmio
amministrato le minusvalenze (realizzate nello stesso anno e nei quattro
precedenti) possono essere compensate soltanto con plusvalenze, ma non con
redditi di capitale86.
__________
84
Tale importo deve essere aumentato dei prelievi e diminuito dei conferimenti effettuati nell’anno
nonché dei redditi esenti, tassati alla fonte (ad esempio, i proventi derivanti da OICVM di diritto
italiano soggetti a imposta sostitutiva, cfr. infra) o per i quali sussista l’obbligo di tassazione in
dichiarazione annuale (ad esempio, dividendi o plusvalenze su partecipazioni qualificate). Nel caso
in cui il risultato di gestione sia negativo, è ammesso il riporto in avanti, in diminuzione del
risultato di gestione degli anni successivi, ma non oltre il quarto.
85
In particolare, non si applicano: l’imposta sostitutiva sugli interessi obbligazionari pubblici e
privati; la “ritenuta d’ingresso” sui proventi dei titoli emessi all’estero; quella sui dividendi e quella
sugli interessi da depositi e conti correnti bancari e postali (a condizione che la giacenza media di
questi ultimi non sia superiore al 5 per cento dell’attivo medio gestito).
86
Mentre nel regime della dichiarazione la compensazione si estende a tutte le plusvalenze e
minusvalenze, anche se realizzate presso intermediari diversi, nel regime del risparmio
amministrato essa ricomprende soltanto i guadagni e le perdite di capitale realizzate presso il
singolo intermediario che gestisce il rapporto.
442 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
Al fine di dare piena attuazione al principio del maturato nella
tassazione delle plusvalenze, eliminando l’effetto di tax deferral nei casi in
cui il prelievo viene applicato all’atto del realizzo (regimi della
dichiarazione e del risparmio amministrato), era stato previsto dalla riforma
un apposito meccanismo di rettifica, il cosiddetto “equalizzatore”, che
consentiva di rendere equivalente la tassazione in base al realizzo, propria
dei regimi in questione, con la tassazione in base alla maturazione, propria
del risparmio gestito. Tuttavia, tale meccanismo, adottato solo nel 2000, è
stato abrogato nel 200187. Di conseguenza, il principio del maturato trova
ora applicazione solo per le gestioni individuali e i fondi di diritto italiano;
negli altri casi (regimi della dichiarazione e del risparmio amministrato;
fondi di diritto estero) le plusvalenze sono invece tassate al realizzo.
L’assenza dell’equalizzatore – previsto dalla riforma, ma abrogato
successivamente – e la presenza di due aliquote di tassazione – delle quali,
come ricordato in precedenza, era prevista l’unificazione – costituiscono i
principali motivi di distorsione presenti nel sistema di tassazione disegnato
dalla riforma “Visco” (Alworth et al., 2003).
Nell’ambito della riforma è stato altresì rivisto completamente il
regime di tassazione degli organismi di investimento collettivo del
risparmio di diritto italiano e dei fondi cosiddetti ex-lussemburghesi88. In
luogo della precedente tassazione patrimoniale (differenziata in funzione
della natura delle attività detenute dall’OICVM), è stata introdotta
un’imposizione annuale del 12,5 per cento sul risultato netto di gestione,
analoga a quella prevista per le gestioni individuali (cfr. infra, riquadro
5.3). Agli stessi criteri si è ispirata la modifica della tassazione della
previdenza integrativa nel 2000, per quel che riguarda il prelievo sui frutti
dell’investimento dei contributi versati ai fondi pensione (cfr. infra, par.
5.3.2).
Nel nuovo sistema impositivo centrale è il ruolo degli intermediari
finanziari, ai quali è affidata una mole rilevante di adempimenti fiscali. In
__________
87
L'equalizzatore, entrato in funzione il 1° gennaio 2001, è sopravvissuto per il limitato arco
temporale di sette mesi: a seguito dell'ordinanza del TAR del Lazio, è stato sospeso a decorrere dal
4 agosto 2001 e successivamente abrogato per effetto del decreto legge n. 350 del 2001, convertito
dalla legge 23 novembre 2001, n. 409. Un analogo meccanismo era stato previsto dalla riforma con
riferimento ai titoli zero coupon, per i quali la corresponsione degli interessi – e la conseguente
applicazione del prelievo – solo alla scadenza consente un significativo effetto di tax deferral.
L’equalizzatore per gli zero coupon, introdotto nel 1998, è stato abrogato a partire dal 2004.
88
Si tratta degli OICVM esteri già autorizzati al collocamento presso il territorio dello Stato prima
dell’entrata in vigore della legge n. 429/1992 di recepimento della direttiva UCITS (Direttiva
85/611/CE del 20 dicembre 1985, successivamente integrata dalla 88/220/EC del 22 marzo 1988).
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 443
generale, i risparmiatori possono sempre scegliere di svolgere direttamente
gli obblighi connessi con l’applicazione del prelievo. In questa ipotesi, al
fine di consentire all’Amministrazione finanziaria adeguate possibilità di
controllo dei redditi finanziari, agli intermediari sono attribuiti specifici
obblighi di segnalazione al fisco. In alternativa, nella maggior parte dei
casi i risparmiatori possono scegliere di delegare l’applicazione del
prelievo, con notevoli vantaggi in termini di semplicità amministrativa e di
anonimato nei confronti del fisco (assenza di segnalazioni). Proprio in
relazione a questi vantaggi il regime di tassazione introdotto con la riforma
Visco ha impresso una ulteriore spinta al processo di concentrazione degli
adempimenti fiscali in capo agli intermediari finanziari, processo avviato
con l’introduzione dell’imposta sostitutiva sugli interessi obbligazionari ad
opera del D.lgs. n. 239/1996 e favorito dalla contestuale
dematerializzazione degli strumenti finanziari.
La riforma “Visco” è intervenuta su numerosi altri fronti. Tra questi,
meritano un richiamo le modifiche alla tassazione delle imprese, che tra il
1997 e il 1998 hanno segnato un’inversione di tendenza nel tradizionale
quadro di vantaggio fiscale del capitale di debito rispetto a quello di
rischio89. Da un lato, l’introduzione nel 1997 della Dual Income Tax (DIT)
ha stimolato la capitalizzazione delle imprese attraverso la previsione di
un’aliquota Irpeg ridotta sulla quota di utili corrispondente al rendimento
ordinario degli incrementi di capitale (Ricotti, 2000). Dall’altro, l’adozione
dell’Imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) ha reso meno
conveniente l’indebitamento, essendo stati resi ugualmente indeducibili ai
fini del tributo interessi e dividendi pagati. L’abolizione dell’Imposta sul
patrimonio netto (introdotta nel 1992) e dell’Ilor, eliminate all’atto
dell’introduzione dell’IRAP, ha rimosso le altre penalizzazioni per il
capitale di rischio esistenti nel sistema italiano. Tra il 1996 e il 2000 il
rapporto tra debiti finanziari e patrimonio netto delle imprese non
finanziarie è diminuito da valori prossimi al 100 per cento sino al 56 per
cento; a partire dal 2001, anno in cui è stata di fatto abolita la DIT, questo
indicatore ha iniziato a crescere di nuovo, raggiungendo quasi il 70 per
cento nel 2002 (cfr. fig. 7).
__________
89
Sul punto, si vedano: Giannini (1997); Panteghini (1998); Bordignon et al. (1999); Giannini e
Guerra (1999); Ciocca (2000).
444 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
Fig. 7
Il leverage delle imprese non finanziarie
Debiti finanziari
------------------
patrimonio netto
140%
138%
127%
120%
121% 120% 119%
117%
100% 103%
87%
80%
73%
69%
66%
60%
57% 56%
40%
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002
Fonte: P. Ciocca, 2003
5.3.2 L’influsso della fiscalità sullo sviluppo del risparmio gestito
Il risparmio gestito ha conosciuto un rapido sviluppo in Italia sin
dall’introduzione dei fondi comuni aperti nel 1984: pari allo 0,6 per cento
delle attività finanziarie complessive nel 1985, alla fine degli anni novanta
i fondi comuni si ragguagliavano a più del 6 per cento dello stesso
aggregato e al 12 per cento delle attività finanziarie di famiglie e imprese.
Lo stesso fenomeno non si è ripetuto per i fondi pensione. Di seguito si
tratteggiano le tappe principali dell’evoluzione della legislazione fiscale dei
fondi comuni, dei fondi pensione e delle polizze vita, che rappresentano
case studies interessanti per quel che riguarda la connessione fra
trattamento fiscale e sviluppo del risparmio gestito.
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 445
I fondi comuni90
La disciplina fiscale dei fondi comuni ha presentato, al momento
della loro introduzione, caratteristiche particolari rispetto alla tassazione
delle altre attività finanziarie.
A differenza di quanto accaduto in altri paesi dell’UE91, il sistema di
imposizione dei fondi è stato sempre contraddistinto da una tassazione
definitiva in capo all’intermediario, permettendo ai risparmiatori di evitare
qualsiasi incombenza amministrativa di carattere tributario e di ottenere
l’anonimato fiscale. In altri paesi (ad es., Francia e Germania) vige invece
il principio del “no veil”: i proventi derivanti dalla partecipazione al fondo
vengono tassati per trasparenza in capo al sottoscrittore delle quote, con le
stesse regole previste in caso di investimento diretto.
Nel 1984, al momento dell’introduzione dei fondi comuni di diritto
italiano92, si optò per una tassazione di tipo patrimoniale: il fondo era
soggetto a un prelievo commisurato al valore netto del patrimonio, con
aliquote variabili in funzione dei titoli detenuti93. Gli interessi e i dividendi
percepiti erano però soggetti a ritenuta alla fonte a titolo definitivo, così
come previsto anche per le persone fisiche. Ceteris paribus, quindi, l’onere
fiscale su un investimento effettuato attraverso un fondo comune era
sempre superiore a quello gravante sullo stesso investimento effettuato
acquistando direttamente i titoli sul mercato (Mignarri, 1992).
__________
90
Nel paragrafo si restringe l’analisi ai fondi comuni mobiliari di tipo aperto, in considerazione del
limitato sviluppo delle altre tipologie di fondi mobiliari (chiusi, riservati, speculativi, ecc.): alla
fine del 2004, su 1385 fondi operativi in Italia, 1167 erano di tipo aperto, 81 chiusi e 137
speculativi; i fondi aperti non speculativi gestivano il 95 per cento del patrimonio netto
complessivo dei fondi comuni italiani (fonte: Banca d’Italia, Relazione sul 2004). Per un’analisi
storica e comparata della tassazione dei fondi chiusi si rinvia a Magliocco e Sanelli (2004).
91
Per la tassazione dei fondi in altri paesi, cfr. Magliocco et al. (1999); Ricotti e Sanelli (2004).
92
Fondi comuni di diritto estero – in prevalenza lussemburghesi – erano commercializzati in Italia
già negli anni sessanta. L’autorizzazione alla vendita delle quote in Italia era rilasciata dal Ministro
per il Commercio con l’Estero, a condizione che almeno la metà dell’attivo del fondo fosse
rappresentato da titoli italiani. Prima del 1983 erano stati autorizzati solo 10 fondi comuni
mobiliari aperti (Pisanti e Mastrangelo, 2003).
93
Inizialmente l’aliquota di prelievo era pari allo 0,25 per cento del valore netto del fondo, ridotta
allo 0,10 per cento se il patrimonio gestito era composto per almeno il 55 per cento da azioni di
società italiane che esercitavano attività industriali. A partire dal 1992 l’imposta fu applicata in
proporzione alla composizione del fondo, con aliquote dello 0,05 per cento sulla quota dell’attivo
costituita da titoli di Stato, conti correnti e depositi, obbligazioni e quote di altri fondi, dello 0,10
per cento sulla quota costituita da azioni di società italiane che esercitavano attività industriali, e
dello 0,25 per cento sulla quota residua.
446 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
Riquadro 5.3
La tassazione degli OICR nella riforma “Visco”
La riforma “Visco” ha introdotto, per gli organismi di investimento
collettivo del risparmio di diritto italiano e i fondi ex-lussemburghesi, un
sistema di imposizione sul risultato di gestione maturato nell’anno, analogo
a quello previsto per le gestioni individuali di patrimoni.
Il risultato di gestione è determinato sulla base della variazione
annuale del valore del patrimonio. Nel caso in cui il risultato di gestione di
un fondo sia negativo, è ammesso il riporto in avanti senza limiti di tempo;
in alternativa, il risultato di gestione negativo di un fondo può essere
compensato con il risultato positivo di altri fondi della medesima società di
gestione.
Con l’eliminazione dei prelievi alla fonte, anche i fondi sono
diventati soggetti “lordisti”, come le imprese e i non residenti.
I proventi conseguiti dagli investitori persone fisiche in relazione
alla partecipazione ai fondi non sono tassati, avendo già scontato
l’imposizione in capo al fondo. Nel caso delle imprese, i proventi
concorrono invece alla formazione del reddito imponibile, ma è
riconosciuto un credito d’imposta del 15 per cento. Infine, per gli investitori
non residenti è prevista la possibilità di chiedere il rimborso di un
ammontare pari al 15 per cento dei proventi distribuiti dal fondo o percepiti
in sede di riscatto o cessione delle quote94.
Il regime fiscale dei fondi di diritto estero, disciplinato per la prima
volta nel 1992 in sede di recepimento della direttiva europea sugli
organismi di investimento collettivo del risparmio (direttiva UCITS), è
invece rimasto sostanzialmente invariato a seguito della riforma. I proventi
percepiti da tali fondi su attività finanziarie italiane sono tassati con le
stesse modalità previste per gli altri soggetti non residenti. Per le persone
fisiche residenti in Italia, i proventi derivanti dalla partecipazione a OICVM
di diritto estero conformi alla direttiva richiamata (cosiddetti fondi
armonizzati) percepiti in sede di distribuzione, riscatto o cessione sono
tassati con una ritenuta alla fonte del 12,5 per cento a titolo d’imposta
applicata dall’intermediario incaricato del collocamento delle quote in
Italia95.
La medesima ritenuta si applica anche sui proventi derivanti da
fondi non armonizzati, ma opera a titolo d’acconto, essendo i proventi
medesimi soggetti a tassazione personale progressiva. Per le imprese, i
proventi sono in ogni caso ricompresi nel reddito imponibile e le eventuali
ritenute operano sempre a titolo d’acconto.
__________
94
In base alla nuova disciplina è altresì possibile la costituzione di fondi riservati a soggetti non
residenti, esenti dall’imposta sostitutiva sul risultato di gestione. Non risulta tuttavia che gli
intermediari si siano sinora avvalsi di tale possibilità.
95
Qualora i proventi siano conseguiti direttamente all’estero, l’investitore è tenuto a indicarli nella
propria dichiarazione annuale, provvedendo in tale sede alla liquidazione dell’imposta con la stessa
aliquota del 12,5 per cento prevista per la ritenuta.
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 447
La riforma “Visco” ha contribuito a ridurre la penalizzazione fiscale
dei fondi comuni italiani rispetto all’investimento diretto. Pur confermando
la scelta di un’imposizione sostitutiva in capo al fondo, si è passati da una
tassazione sul patrimonio a una sul reddito maturato (cfr. riquadro 5.3).
La tassazione sul maturato, a causa dell’abrogazione
dell’equalizzatore (cfr. supra par. 5.3.1), si è tradotta in un possibile
svantaggio fiscale per i fondi rispetto ad altre forme di investimento del
risparmio: ciò vale – in caso di rialzo delle quotazioni – sia per
l’investimento diretto, sia per l’investimento in fondi esteri armonizzati,
qualora l’investitore opti per la tassazione al momento del realizzo (nei
regimi del “risparmio amministrato” e della “dichiarazione”). Infatti, per
periodi superiori all’anno, la possibilità di tax deferral insita nei due regimi
di tassazione richiamati permette, ceteris paribus, di ottenere maggiori
rendimenti dall’investimento96.
Sulla concorrenza tra fondi italiani e fondi esteri armonizzati hanno
inciso anche fattori riconducibili alla concorrenza fiscale e regolamentare
tra ordinamenti. All’interno dell’UE, il maggior attivo netto è gestito dai
fondi lussemburghesi, seguiti da quelli di diritto francese e inglese (cfr. fig.
8). Se si considera però un indice dimensionale quale il rapporto tra attivo
gestito e PIL del paese di residenza, si può notare una concentrazione non
ordinaria di tale industria in Lussemburgo e in Irlanda (cfr. fig. 9).
__________
96
La tassazione sul risultato maturato ha avuto un’altra conseguenza per i fondi comuni di diritto
italiano rispetto a quelli esteri armonizzati: la formazione di “risparmi d’imposta”. Si tratta delle
minori imposte future dovute dai fondi, in ragione delle minusvalenze maturate, e che sono iscritte
tra le attività del fondo stesso. Ciò da un lato permette al fondo italiano, a parità di altre condizioni,
di esporre un valore della quota maggiore di quello del fondo estero, in quanto comprende anche il
“risparmio d’imposta” atteso. D’altro lato, però, ciò significa che nell’attivo del fondo figurano
poste illiquide e infruttifere, recuperabili solo attraverso la compensazione con plusvalenze
maturate successivamente o con le imposte dovute da altri fondi gestiti dalla stessa società di
gestione. Negli anni successivi al 2000, in seguito all’andamento negativo registrato dalle borse
mondiali, i risparmi d’imposta hanno raggiunto valori ingenti (circa 10 miliardi di euro, secondo le
stime dell’Assogestioni).
448 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
Fig. 8
UCITS – Attivo al 31 dicembre 2004
miliardi di euro
1200
1.025 1.007
1000
800
600
400 376 376
343
233 225
200
93 89 80 75
48 32 28 23
0
l ia
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cia
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gn
Po
Da
G
ss
Pa
Re
Lu
Fonte: Efama (2005).
Fig. 9
Rapporto tra attivo gestito dagli UCITS e PIL
(dati al 31-12-2004)
3942%
100%
235%
90%
80%
70%
62%
60%
50%
42%
40% 38%
33%
29% 29% 28%
30%
25%
22%
20% 18%
20% 17% 16%
10%
10%
0%
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Re
M
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Fonte: elaborazione su dati Efama (2005).
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 449
A ciò ha contribuito, tra l’altro, l’incidenza della tassazione sulle
componenti della filiera produttiva dell’industria dei fondi. Uno degli snodi
principali è rappresentato dalle società di gestione. La minore tassazione
delle management companies in Lussemburgo e Irlanda ha concorso a
determinare i fenomeni di localizzazione di questa “fase” del processo
produttivo dei fondi, considerato anche che il vantaggio fiscale
riconosciuto nei due paesi alle società di gestione può essere poi trasferito
alle società controllanti che risiedano in un altro Stato della UE, proprio
grazie alla direttiva “madre-figlia” (Ricotti e Sanelli, 2004).
L’assenza di un meccanismo di correzione del tax deferral e le
agevolazioni fiscali per le società di gestione insediate in altri paesi
dell’UE, insieme a forme di concorrenza regolamentare, possono
contribuire a spiegare la crescita dei fondi comuni esteri in Italia: questi
ultimi rappresentavano nel 2004 il 20 per cento delle quote di fondi comuni
presenti tra le attività finanziarie dei residenti, mentre si ragguagliavano al
9 per cento nel 1998 (cfr. tav. 10).
Tav. 10
Quote di fondi comuni emesse da residenti e non residenti
tra il 1998 e il 2004
(dati in milioni di euro)
Quote di fondi Quote di fondi Quote di fondi Quote di fondi
comuni comuni comuni comuni
Anno Totale
emesse da emesse dal resto emesse da emesse dal resto
residenti del mondo residenti del mondo
1998 372.274 36.761 409.035 91% 9%
1999 475.301 58.041 533.342 89% 11%
2000 449.931 75.450 525.381 86% 14%
2001 403.689 80.519 484.208 83% 17%
2002 360.557 68.991 429.548 84% 16%
2003 378.781 78.288 457.069 83% 17%
2004 358.292 90.977 449.269 80% 20%
Fonte: Banca d’Italia, Base informativa pubblica, conti finanziari.
Nota: nella tavola sono riportate le consistenze delle quote di fondi comuni esistenti alla fine
di ogni anno.
450 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
L’analisi svolta mostra come lo sviluppo dei fondi comuni non possa
essere ricondotto all’esistenza di particolari vantaggi fiscali diretti97; in
ogni caso, non possono essere sottovalutati due aspetti, che, seppure
indirettamente, hanno aiutato (o, quantomeno, non hanno ostacolato)
l’affermazione di questo comparto del risparmio gestito. Da un lato, il
sistema di tassazione basato sugli intermediari ha liberato gli investitori da
qualsiasi preoccupazione di carattere amministrativo; dall’altro, la scelta di
applicare, a partire dal 1998, un’aliquota di imposta pari a quella dei titoli
di Stato ha evitato fenomeni di “concorrenza sleale” tra i due strumenti e
ha permesso il passaggio dei risparmi delle famiglie dall’emittente
pubblico a forme più sofisticate di allocazione degli investimenti (Ciocca,
2000).
Il risparmio previdenziale: i fondi pensione e i contratti di assicurazione
sulla vita
Il risparmio previdenziale è stato generalmente agevolato dal fisco,
sia nella sua componente privata (i contratti di assicurazione sulla vita), sia
in quella contrattuale (i fondi pensione). Gli effetti di queste agevolazioni,
tuttavia, sono stati contrastanti: se, da un lato, si è assistito a uno sviluppo
dei contratti di assicurazione della vita, dall’altro, i fondi pensione non
hanno conosciuto una crescita rilevante.
Il limitato sviluppo dei fondi pensione è annoverato tra gli elementi
peculiari del sistema finanziario italiano: a fine 2004 la previdenza
complementare gestiva solo lo 0,9 per cento delle attività finanziarie delle
famiglie, mentre negli Stati Uniti questo valore era pari al 18 per cento; sul
fronte interno, le attività gestite dai fondi pensione rappresentavano nel
2004 solo il 2,5 per cento del totale di quelle gestite da investitori
istituzionali (fondi comuni, assicurazioni, fondi pensione e gestioni
patrimoniali).
Se si esamina l’evoluzione della fiscalità dei fondi pensione, si può
notare che il trattamento tributario della previdenza complementare ha
cercato, soprattutto negli anni più recenti, di favorirne lo sviluppo98.
__________
97
Sui fattori di sviluppo del risparmio gestito in Italia, si vedano, tra gli altri: Banfi e Di Battista
(1998); Ciocca (2000); Pisanti e Mastrangelo (2003); Onado (2004).
98
Per un’analisi dell’influenza degli incentivi fiscali sul risparmio previdenziale, cfr.: Whitehouse
(1999); Guerra (2001).
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 451
Una disciplina organica dei fondi pensione è stata dettata in Italia
con il d.lgs. 124 del 1993, che contiene la normativa tributaria per le tre
fasi in cui si può suddividere il ciclo di vita di un fondo pensione:
versamento dei contributi, gestione delle risorse, erogazione delle
prestazioni.
Al pari di altri paesi, anche in Italia sono stati concessi incentivi
fiscali alla previdenza complementare99. In particolare, fin dal 1993 è stata
riconosciuta la deducibilità, con limiti variabili nel tempo, dei contributi
versati sia dal lavoratore, sia dal datore di lavoro: per il primo, i contributi
non costituiscono reddito di lavoro dipendente, da assoggettare a imposta
progressiva; per il secondo, rientrano tra i costi deducibili dal reddito
d’impresa; inoltre, a partire dal 1995, per le imprese è stato possibile
accantonare, in sospensione d’imposta, una riserva pari al 3 per cento del
TFR devoluto al fondo. Le erogazioni sono soggette a imposte – quelle
sotto forma di capitale con tassazione separata e quelle sotto forma di
rendita con tassazione progressiva – ma sono previste riduzioni della base
imponibile.
Il trattamento fiscale del versamento dei contributi e dell’erogazione
delle prestazioni determina un effetto di tax deferral che ha reso – e rende
– particolarmente vantaggioso l’investimento in un fondo pensione rispetto
ad altri strumenti finanziari.
La disciplina fiscale dei fondi pensione relativa alla gestione dei
contributi – i cui rendimenti sono stati sempre soggetti a prelievo – è stata
in sostanza allineata a quella delle altre forme di risparmio.
In un primo momento – dal 1993 a metà 1995 – la tassazione del
fondo fu mutuata da quella dei fondi comuni, essendo incentrata su un
prelievo di tipo patrimoniale100. Era però prevista una penalizzazione,
legata a un’imposta del 15 per cento dei contributi versati dovuta dal
fondo: questo prelievo rappresentava un credito del fondo pensione a
valere sulle prestazioni erogate dal fondo stesso, ma comportava minori
rendimenti nella fase di investimento delle somme (Minotti, 1993).
__________
99
Per un confronto con la fiscalità dei fondi pensione in altri paesi, cfr. Panzeri e Ancidoni (2003);
Guerra (2004).
100
La tassazione patrimoniale era applicata con le stesse aliquote previste per i fondi comuni nel 1993
e con un’aliquota ridotta allo 0,125 per cento per il 1994 e metà 1995. I redditi di capitale percepiti
dal fondo erano in ogni caso soggetti a ritenuta definitiva, così come avveniva per i fondi comuni.
452 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
Gli svantaggi insiti in questa disciplina furono eliminati a metà 1995,
abrogando il prelievo del 15 per cento sui contributi versati e sostituendo
l’imposta patrimoniale con un’imposta in cifra fissa, pari a 10 milioni di
lire101. Il regime di tassazione era quindi più favorevole di quello dei fondi
comuni, ma permaneva lo svantaggio rispetto alla tassazione prevista per il
TFR, la cui rivalutazione non era soggetta a imposte annuali e veniva
assoggettata a tassazione separata, insieme alle quote accantonate ogni
anno, al momento della liquidazione dell’intero TFR.
L’ultima riforma, in vigore dal 2001, ha riportato la tassazione dei
rendimenti ottenuti dal fondo pensione in linea con quella prevista per i
fondi comuni dalla riforma “Visco”. È stata introdotta un’imposta
sostitutiva sui risultati di gestione maturati ogni anno, ma si è mantenuto
l’approccio agevolativo del risparmio previdenziale, fissando l’aliquota di
prelievo all’11 per cento a fronte del 12,5 per cento previsto per i fondi
comuni. Inoltre, è stato stabilito che la parte delle prestazioni riconducibili
ai rendimenti finanziari ottenuti dal fondo pensione non sia tassata al
momento dell’erogazione. Allo stesso tempo si è provveduto ad
assoggettare a tassazione anche la rivalutazione annuale del TFR, con la
stessa aliquota prevista per i fondi pensione102.
Riassumendo, la fiscalità dei fondi pensione italiani è stata
improntata ad un sistema di tipo ETT, i.e. “Esenzione (dei contributi
versati) – Tassazione (dei rendimenti) – Tassazione (delle prestazioni)”.
La tassazione dei fondi pensione è stata dunque contraddistinta dalla
concessione di un vantaggio fiscale rispetto ad altre forme di investimento
del risparmio e dalla tendenza ad accrescere tali vantaggi nel tempo. Anche
le recenti proposte di modifica, contenute nella legge delega sulla riforma
del sistema pensionistico, si muovono nella stessa direzione: ampliamento
dei limiti di deducibilità; conferma delle agevolazioni per la tassazione dei
rendimenti; riduzione dell’onere fiscale sulle prestazioni. Gli sforzi
compiuti in campo fiscale però, come evidenziato in precedenza, non sono
riusciti a svolgere una funzione di volano per lo sviluppo delle forme di
previdenza complementare, frenato da altri problemi, tra i quali si
ricordano le scelte sulla destinazione del TFR e i contrasti sulla portabilità
dei contributi.
__________
101
L’imposta era ridotta a 5 milioni di lire per i primi 5 anni dalla data di costituzione del fondo.
102
Sull’attuale regime di tassazione dei fondi pensione in Italia e sugli effetti delle diverse forme di
agevolazioni per la previdenza complementare, cfr. Guerra (2004).
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 453
Il risparmio previdenziale individuale privato, in Italia, ha assunto
prevalentemente la forma delle polizze vita, che rivestono maggior
importanza dei fondi pensione tra gli investimenti delle famiglie: a fine
2004 le riserve su assicurazioni “ramo vita” si attestavano al 9,4 per cento
delle attività finanziarie delle famiglie italiane, contro lo 0,9 per cento dei
fondi pensione (Banca d’Italia, Relazione sul 2004). Si tratta, in
particolare, dei contratti di assicurazione sulla vita di tipo “misto”: dietro
pagamento di un premio periodico, il risparmiatore, oltre ad assicurarsi un
capitale nel caso si verifichino gli eventi di morte o di invalidità, può
ricevere alla scadenza del contratto una rendita o un capitale. Sotto il
profilo finanziario, le polizze con maggior diffusione sono state quelle “a
prestazione rivalutabile”, introdotte negli anni settanta, che consentono al
risparmiatore di ottenere un rendimento finanziario pari o superiore a
quello fissato nel contratto, dipendente dalla performance dell’investimento
effettuato dalla compagnia di assicurazione (Corinti e Cucinotta, 1998;
Corvino e Gandolfi, 2001). Negli anni novanta, a questi prodotti si sono
affiancati polizze il cui rendimento è connesso con l’andamento di un
paniere di titoli o di fondi comuni (polizze unit-linked) o con quello di
indici finanziari (polizze index-linked). Nella sostanza, si tratta di strumenti
finanziari che sono stretti sostituti di altri strumenti di risparmio gestito, nei
quali la componente finanziaria, nelle scelte degli investitori, assume
un’importanza pari, se non superiore, a quella assicurativa (Fornero, 1993).
Il legislatore fiscale ha sempre agevolato questi prodotti. Già a
partire dall’imposta complementare sul reddito era prevista l’integrale
deducibilità dal reddito dei premi assicurativi sulla vita, deducibilità che fu
confermata anche dal Testo unico sulle imposte dirette del 1958 e dalla
riforma del 1973 (Persano Adorno e Mattei, 1998). L’esenzione nella fase
di versamento dei premi non costituiva l’unica agevolazione: erano esenti,
infatti, anche i rendimenti degli investimenti effettuati dalla società di
assicurazione103 e i capitali corrisposti al termine del contratto. Si trattava,
quindi, di uno schema di tipo EEE, con il quale il risparmio investito nei
contratti assicurativi sfuggiva a qualsiasi tassazione.
__________
103
L’assenza di tassazione nella fase di investimento è dovuta alla peculiarità della tassazione del
reddito delle assicurazioni. Per queste ultime, infatti, sono interamente deducibili gli
accantonamenti alle riserve tecniche, che, nel caso dei contratti esaminati, corrispondono, nella
sostanza, ai rendimenti ottenuti dall’investimento dei premi che dovranno poi essere retrocessi ai
sottoscrittori. Grazie alla deducibilità di questi accantonamenti, i proventi di tali investimenti non
sono tassati.
454 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
L’agevolazione sul versamento dei premi fu ridotta a partire dal
1977, quando fu introdotto un limite di deducibilità di due milioni di lire,
limite poi aumentato a 2,5 milioni di lire nel 1980; al contempo, si fissava
in cinque anni la durata minima del contratto per aver diritto alla
deducibilità dei premi. Dal regime di deduzione si passò a quello di
detrazione nel 1992: dapprima si poteva detrarre il 27 per cento del premio
versato (sempre entro i limiti di 2,5 milioni di lire); dal 1995 la misura
della detrazione fu ridotta al 22 per cento, per passare al 19 per cento dal
1998.
Le prestazioni corrisposte sotto forma di capitale non sono state
tassate sino al 1985; per i capitali corrisposti a partire dal 1° ottobre 1985
fu introdotta una ritenuta a titolo d’imposta del 12,5 per cento, da applicare
sulla differenza tra capitale incassato dal risparmiatore e premi versati104.
Sono rimasti esenti i capitali incassati in caso di morte del contraente.
Le prestazioni corrisposte sotto forma di rendita, invece, sono state
sempre incluse nel reddito da assoggettare a imposta progressiva: prima
della riforma del 1973 rientravano tra i redditi soggetti a imposta di RM
categoria C/2 e l’obbligo del pagamento dell’imposta era posto a carico
delle società di assicurazione, con facoltà di rivalsa sul contribuente; dal
1973 furono assimilate ai redditi da lavoro dipendente e soggette a
tassazione progressiva IRPEF. La differenza di trattamento rispetto alle
prestazioni sotto forma di capitale fu parzialmente mitigata nel 1988,
prevedendo che solo il 60 per cento delle rendite percepite fossero soggette
a tassazione progressiva.
Il regime di tassazione delle assicurazioni sulla vita è stato
radicalmente modificato a partire dal 2001, nell’ambito della riforma dei
fondi pensione. Per i contratti stipulati dopo il 1° gennaio 2001 non è più
ammessa la detrazione del 19 per cento dei premi. Per quanto riguarda la
tassazione delle prestazioni, è stato previsto, anche per questi strumenti, un
meccanismo di equalizzazione delle imposte per eliminare il fenomeno del
tax deferral sui rendimenti e per equiparare la tassazione di questi
strumenti con quella di altri strumenti finanziari e previdenziali, così come
previsto dalla riforma “Visco”.
__________
104
Era prevista anche una riduzione della base imponibile, qualora il capitale fosse corrisposto dopo
almeno dieci anni dalla sottoscrizione del contratto: per ogni anno superiore al decimo, la base
imponibile era diminuita del 2 per cento.
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 455
Riquadro 5.4
La tassazione dei dividendi e delle plusvalenze su partecipazioni
Per le società, è stato introdotto un regime di participation
exemption che prevede l’esenzione del 100 per cento delle
plusvalenze – e la corrispondente indeducibilità delle minusvalenze –
realizzate su partecipazioni in società residenti ed estere. Si tratta di
un istituto adottato da tempo, seppure con molteplici varianti, in altri
ordinamenti europei, diretto ad attrarre investimenti dall'estero,
favorendo l’insediamento di holding multinazionali.
L’adozione della participation exemption si è tradotto anche in
nuove regole di tassazione delle plusvalenze realizzate da investitori
individuali non imprenditori:
- le plusvalenze realizzate su partecipazioni qualificate105 non
sono più soggette al prelievo proporzionale del 27 per cento, ma
ricadono nel reddito soggetto a tassazione personale progressiva,
limitatamente al 40 per cento del loro ammontare;
- le plusvalenze derivanti da partecipazioni non qualificate
continuano invece a essere soggette all’imposta sostitutiva del 12,5
per cento, applicabile secondo i tre regimi sopra richiamati.
Con l’adozione dell’Ires è stato abolito il credito d’imposta sui
dividendi. Per le imprese, tale meccanismo è stato sostituito da un
regime di non imponibilità degli utili derivanti da qualsiasi
partecipazione, limitatamente al 95 per cento del loro ammontare106.
Per le persone fisiche, sono stati previsti due distinti regimi:
- i dividendi derivanti da partecipazioni qualificate e da
partecipazioni possedute nell’esercizio di un’impresa ricadono nel
reddito soggetto a tassazione personale progressiva, limitatamente al
40 per cento del loro ammontare. È’ previsto, cioè, un meccanismo di
tassazione identico a quello delle plusvalenze realizzate sulle stesse
partecipazioni qualificate;
- gli utili da partecipazioni non qualificate sono soggetti
all’imposta sostitutiva del 12,5 per cento. È stata abolita la facoltà di
richiedere la non applicazione del prelievo alla fonte in vista
dell’inclusione degli utili nella base imponibile dell’imposta
progressiva.
__________
105
Si considerano qualificate le partecipazioni che superano il 5 per cento (partecipazione in società
quotate) o il 25 per cento (partecipazione in altre società) del capitale sociale; la partecipazione è
comunque qualificata se rappresenta una percentuale di diritti di voto esercitabili in assemblea
superiore al 2 per cento (partecipazioni in società quotate) o al 20 per cento (partecipazioni in altre
società).
106
La percentuale, mutuata dalla direttiva comunitaria "madri-figlie", è stata scelta per tenere conto
dei costi di gestione della partecipazione, che vengono dedotti dalla partecipante e che a tal fine
sono quantificati a forfait nel 5 per cento dei dividendi.
456 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
5.4 Gli sviluppi intervenuti nei primi anni duemila
Una nuova delega per la revisione della fiscalità dei redditi finanziari
era stata prevista nella legge 7 aprile 2003, n. 80 di riforma del sistema
fiscale statale, delega decaduta nel maggio 2005 senza essere esercitata107.
Nell’ambito della nuova imposta societaria (Ires), introdotta dal 1° gennaio
2004, sulla base della stessa legge delega è stato peraltro modificato il
regime di tassazione dei dividendi e delle plusvalenze su partecipazioni
(cfr. riquadro 5.4)108.
6. Conclusioni
Una rilettura diacronica del rapporto tra conti finanziari e fiscalità
delle attività finanziarie negli ultimi quaranta anni permette di individuare
alcune tendenze di fondo.
Osservando l’intero periodo di riferimento, si rileva come a una
funzione del fisco di indirizzamento del risparmio verso gli impieghi
ritenuti di volta in volta più utili allo sviluppo dell’economia o volto a
sopperire alle esigenze della finanza pubblica, si sia progressivamente
sostituito un approccio più neutrale, che ha lasciato al mercato la funzione
allocativa. Tra le determinanti principali di questo cambiamento di rotta
sono da annoverare l’apertura dei mercati internazionali dei capitali, il peso
crescente della concorrenza fiscale tra ordinamenti e l’innovazione
finanziaria.
L’utilizzo della leva fiscale in funzione allocativa appare spiccato
negli anni sessanta e settanta: sia prima che a seguito della riforma
tributaria del 1973 era frequente la previsione di regimi di esenzione o di
agevolazione per particolari categorie di attività o emittenti. La stessa
differenziazione delle aliquote ha operato, specie dopo la riforma, come
strumento di indirizzamento del risparmio verso determinate forme di
impiego. In molti casi, la legislazione tributaria è stata utilizzata in
funzione complementare rispetto alla regolamentazione creditizia,
contribuendo al perseguimento degli obiettivi di politica economica di
volta in volta ritenuti prioritari. L’esempio più significativo in questo senso
__________
107
Per una disamina dei contenuti della legge delega n. 80/2003 in materia di redditi finanziari cfr.
Panzeri (2002).
108
L’Ires è stata introdotta con il decreto legislativo 12 dicembre 2003, n. 344.
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 457
è stata la creazione di un circuito di “doppia intermediazione”
(risparmiatori – banche – ICS – imprese).
Dalla fine degli anni settanta le pressioni esercitate dall’espansione
del disavanzo del settore pubblico operano in una duplice direzione: da un
lato, con l’aumento delle esigenze di gettito, si assiste a un iniziale
abbandono delle finalità allocative da parte del legislatore fiscale, a favore
del contrasto ai comportamenti di elusione e di arbitraggio fiscale resi
possibili dalla comparsa di strumenti finanziari innovativi, e a un
incremento della tassazione sui depositi. Dall’altro, il collocamento di
quote crescenti di titoli del debito pubblico presso famiglie, imprese e
banche trae un notevole beneficio, almeno fino alla metà degli anni ottanta,
dal regime fiscale di favore riservato a tali emissioni. L’operare congiunto
di questi elementi contribuì ad assecondare il graduale processo di
disintermediazione del sistema bancario.
A partire dagli anni ottanta divennero sempre più evidenti le
distorsioni derivanti dall’esenzione dei proventi dei titoli pubblici, con
influssi sulle scelte di allocazione delle risorse da parte degli intermediari,
delle imprese e dei privati; una serie di modifiche apportate in questo
periodo ricondusse a tassazione i titoli pubblici.
Negli anni novanta l’apertura dei mercati, seguita alla
liberalizzazione valutaria e alla crescente internazionalizzazione delle
economie, ha posto l’intero sistema fiscale di fronte alla sfida
concorrenziale con altri ordinamenti, sfida particolarmente avvertita nel
comparto della fiscalità finanziaria in considerazione della elevata mobilità
dei capitali.
La reazione del legislatore fiscale è stata informata alla
razionalizzazione del sistema di prelievo e al perseguimento della
neutralità della tassazione rispetto alle scelte di allocazione del risparmio.
Dapprima, si è proceduto a ridurre il più possibile le ritenute per le
imprese, in modo da evitare gli oneri finanziari connessi con la formazione
di rilevanti crediti di imposta, e a introdurre regimi di esenzione per gli
investitori non residenti, anche per sostenere la concorrenza di altri
ordinamenti nell’attrazione di capitali esteri. Questi obiettivi sono stati
conseguiti grazie al passaggio da un regime in cui l’emittente applicava la
ritenuta indistintamente a tutti i percettori a un sistema nel quale
l’intermediario, nella veste di paying agent, preleva l’imposta solo su
alcuni percettori. Successivamente, l’obiettivo della neutralità è stato
458 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
perseguito sia riducendo il numero delle aliquote di prelievo, sia
estendendo l’ambito impositivo a tutte le tipologie di proventi finanziari.
In tutto il periodo considerato, gli elementi del sistema di tassazione
che possono avere maggiormente contribuito allo sviluppo del comparto
della finanza sono individuabili nell’assenza di adempimenti
amministrativi a carico dei risparmiatori persone fisiche e nell’anonimato
garantito ai medesimi risparmiatori per la maggior parte dei proventi, a
fronte dell’applicazione di un (contenuto) prelievo definitivo alla fonte.
Anche la struttura finanziaria delle imprese, nonché il loro ricorso
diretto al mercato dei capitali, sono stati influenzati dalle scelte del
legislatore fiscale. Il diverso trattamento tributario di dividendi e interessi
in capo agli emittenti, in un contesto contrassegnato in alcuni periodi da
elevata inflazione e alte aliquote di imposizione societaria, hanno
contribuito alla sottocapitalizzazione delle imprese italiane. Nella raccolta
di capitale di debito, il ricorso diretto al mercato è stato ostacolato, fino
agli anni ottanta, dall’esistenza di esenzioni e agevolazioni per titoli emessi
da altri soggetti (Stato, ICS, enti a partecipazione statale). Questi svantaggi
regolamentari sono stati rimossi negli anni novanta; con l’introduzione
della DIT e dell’IRAP, inoltre, si è manifestata un’inversione di tendenza
nel tradizionale quadro di vantaggio fiscale del capitale di debito rispetto a
quello di rischio.
La variabile fiscale ha avuto effetti sia sulla struttura del bilancio
delle banche, sia sul ruolo svolto dagli intermediari nel sistema finanziario.
La composizione dell’attivo e del passivo delle banche è stata direttamente
influenzata dalla fiscalità degli strumenti finanziari, determinando, da un
lato le scelte allocative delle risorse, e, dall’altro, il successo o la
scomparsa di specifiche forme di raccolta. Sotto il primo profilo è
significativo la rilevanza degli impieghi in titoli esenti negli anni settanta;
per il secondo aspetto, va ricordata la parabola dei CD (in crescita a
discapito dei depositi a partire dai primi anni ottanta, e quasi del tutto
sostituiti dalle obbligazioni nella seconda metà degli anni novanta). La
scelta di tassare i redditi finanziari con prelievi sostitutivi alla fonte, in
luogo della dichiarazione degli stessi a cura del contribuente, ha agevolato
l’afflusso del risparmio verso gli intermediari.
Conti finanziari e fiscalità: un’analisi storica 459
APPENDICE
Tavole storiche
Tav. 1
460
Tavola storica: le modifiche legislative
Data decorrenza Strumento interessato Intervento Atto legislativo
1/1/1974 Depositi e c/c bancari e postali Introduzione R 15% Art. 26, c. 2, DPR n. 600/73
1/1/1974 Certificati di deposito e buoni fruttiferi Introduzione R 15% Art. 26, c. 2, DPR n. 600/73
1/1/1974 Titoli di stato ed equiparati E Art. 31, c. 1, DPR n. 601/73
Obbligazioni emesse da ICS, sezioni
1/1/1974 Introduzione R 10% Art. 26, c. 1, DPR n. 600/73
credito speciale e banche
Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
Obbligazioni emesse da enti a gestione
1/1/1974 Introduzione R 20% Art. 26, c. 1, DPR n. 600/73
Statale e da società PP.SS.
Obbligazioni emesse da società
1/1/1974 quotate, non quotate e soggetti non Introduzione R 30% Art. 26, c. 1, DPR n. 600/73
residenti
1/1/1974 Titoli atipici Introduzione R 15% Art. 26, c. 5, DPR n. 600/73
1/1/1974 Utili Introduzione RA 10% Art. 27, c. 1, DPR n. 600/73
1/1/1974 Plusvalenze Non imponibilità* Art. 76, c. 1. DPR n. 597/73
Art. 7 DL. 8/4/74, n. 95,
9/4/1974 Utili derivanti da azioni ordinarie Opzione tra RA al 10% e R al 30%
conv. dalla L. 216/74
23/6/1974 Utili derivanti da azioni di risparmio Introduzione R 15% Art. 20, c. 2, L. 7/6/74, n. 216
Obbligazioni convertibili emesse da
23/6/1974 Diminuzione R al 15% Art. 9 L. 7/6/74, n. 216
società quotate
∗ Più precisamente, imponibilità solo in presenza di “intento speculativo”, la cui dimostrazione era rimessa all’Amministrazione.
segue Tav. 1
Tavola storica: le modifiche legislative
Data decorrenza Strumento interessato Intervento Atto legislativo
Obbligazioni ordinarie emesse da Art. 12, c. 1, L. 2/12/75, n.
6/12/1975 Diminuzione R al 20%
società quotate 576
Obbligazioni convertibili emesse da Art. 12, c. 1, L. 2/12/75, n.
Conti finanziari e fiscalità:un’analisi storica
6/12/1975 Diminuzione R al 10%
società quotate 576
Obbligazioni emesse da società non Art. 12, c. 1, L. 2/12/75, n.
6/12/1975 Diminuzione R al 20%
quotate 576
18/3/1976 Depositi e c/c bancari e postali Aumento R al 16% DL 18/3/76, n. 46
18/3/1976 Certificati di deposito e buoni fruttiferi Aumento R al 16% DL. 18/3/76, n. 46
DL. 23/12/77, n. 936;
1/1/1978 Depositi e c/c bancari e postali Aumento R al 20%
reiterato: DL. 26/5/78, n. 216
DL. 23/12/77, n. 936;
1/1/1978 Certificati di deposito e buoni fruttiferi Aumento R al 20%
reiterato: DL. 26/5/78, n. 216
Art. 5, c. 2, L. 16/12/77, n.
1/1/1979 Utili derivanti da azioni ordinarie RA al 10%
904
Certificati di deposito e buoni fruttiferi
3/7/1980 E Art. 20 DL. 3/7/80, n. 288
vincolati a non meno di 18 mesi
Obbligazioni emesse da ICS, sezioni
3/7/1980 E Art. 20 DL. 3/7/80, n. 288
credito speciale e banche
461
segue Tav. 1
462
Tavola storica: le modifiche legislative
Data decorrenza Strumento interessato Intervento Atto legislativo
Obbligazioni emesse da enti a gestione
31/12/1980 E L. 22/12/80, n. 891
Statale e da società PP.SS.
31/12/1980 Obbligazioni emesse da società quotate E L. 22/12/80, n. 891
DL. 2/10/81, n. 546, conv. In
3/10/1981 Accettazioni bancarie Introduzione R 15%
Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
L. 1/12/81, n. 692
DL. 22/12/81, n. 787, conv. In
1/1/1982 Depositi e c/c bancari e postali Aumento R al 21,6%
L. 26/2/82, n. 52
DL. 22/12/81, n. 787, conv. In
1/1/1982 Certificati di deposito e buoni fruttiferi Aumento R al 21,6%
L. 26/2/82, n. 52
Obbligazioni emesse da società non DL. 22/12/81, n. 787, conv. In
1/1/1982 Aumento R al 21,6%
quotate L. 26/2/82, n. 52
DL. 22/12/81, n. 787, conv. In
1/1/1982 Accettazioni bancarie Aumento R al 16,2%
L. 26/2/82, n. 52
Fine esenzione: art. 1 DL.
28/9/81, n. 540, conv. in L.
27/11/81, n. 676;
Certificati di deposito e buoni fruttiferi
1/10/1982 Aumento R al 10,8% addizionale 8% alla ritenuta di
vincolati a non meno di 18 mesi
cui all’art. 26 DPR 600/73:
DL. 22/12/81, n. 787, conv. in
L. 26/2/82, n. 52
segue Tav. 1
Tavola storica: le modifiche legislative
Data decorrenza Strumento interessato Intervento Atto legislativo
Obbligazioni emesse da ICS, sezioni
1/10/1982 Aumento R al 10,8% Cfr. Supra
credito speciale e banche
Obbligazioni emesse da enti a gestione
1/10/1982 Aumento R al 10,8% Cfr. Supra
Conti finanziari e fiscalità:un’analisi storica
Statale e da società PP.SS.
Obbligazioni emesse da società quotate
1/10/1982 Aumento R al 10,8% Cfr. Supra
e non quotate
Art. 1 DL. 30/9/83, n. 512,
1/10/1983 Depositi e c/c bancari e postali Aumento R al 25%
conv. in L. 25/11/83, n. 649
Art. 1 DL. 30/9/83, n. 512,
1/10/1983 Certificati di deposito e buoni fruttiferi Aumento R al 25%
conv. in L. 25/11/83, n. 649
Art. 5 DL. 30/9/83, n. 512,
1/10/1983 Titoli atipici Introduzione R 18%
conv. in L. 25/11/83, n. 649
Art. 10, c. 2, DL. 30/9/83, n.
Certificati di deposito e buoni fruttiferi
1/1/1984 Aumento R al 12,5% 512, conv. in L. 25/11/83, n.
vincolati a non meno di 18 mesi
649
Art. 11, c. 2bis, DL. 30/9/83,
Obbligazioni emesse da ICS, sezioni n. 512, come modificato dalla
1/1/1984 Aumento R al 12,5%
credito speciale e banche legge di conversione (L.
25/11/83, n. 649)
Obbligazioni emesse da enti a gestione
1/1/1984 Aumento R al 12,5% Cfr. Supra
Statale e da società PP.SS.
463
segue Tav. 1
464
Tavola storica: le modifiche legislative
Data decorrenza Strumento interessato Intervento Atto legislativo
Obbligazioni emesse da società
1/1/1984 Aumento R al 12,5% Cfr. Supra
quotate e non quotate
Fine periodo applicabilità
addizionale 8% introdotta dal
1/1/1984 Accettazioni bancarie Diminuzione R al 15%
DL. 22/12/81, n. 787, conv. in L.
Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
26/2/82, n. 52
Plusvalenze su partecipazioni P (Introduzione presunzione Art. 3, c. 11, DL. 19/12/84, n.
20/12/1984
qualificate assoluta di intento speculativo) 853, conv. in L. 17/02/85, n. 17
1/10/1985 Capitali riscossi su assicurazioni vita Introduzione R al 12,5% Art. 6, L. 26/9/1985, n. 482
Art. 1, D.L. 19/9/1986, n.556,
20/9/1986 Titoli di Stato emessi in Italia Introduzione R al 6,25%
conv. in L. 17/11/1986, n. 759
Art. 3, D.L. 27/8/1987, n. 348,
non convertito, i cui effetti sono
1/9/1987 Titoli di Stato emessi in Italia Aumento R al 12,5%
stati fatti salvi dall’art. 1, della
L. 21/11/1987, n. 477
Art. 4, D.L. 29/12/1987, n. 533;
art. 2, D.L. 13/1/1988, n. 3;
Depositi e c/c bancari e postali a
1/1/1988 Aumento R al 30% decreti non convertiti, i cui
vista e vincolati a meno di 3 mesi
effetti sono stati fatti salvi
dall’art. 7, L. 11/3/1988, n. 67
segue Tav. 1
Tavola storica: le modifiche legislative
Data decorrenza Strumento interessato Intervento Atto legislativo
Art. 4, D.L. 29/12/1987, n. 533;
art. 2, D.L. 13/1/1988, n. 3;
1/1/1988 Obbligazioni emesse da non residenti Aumento R al 30% decreti non convertiti, i cui effetti
Conti finanziari e fiscalità:un’analisi storica
sono stati fatti salvi dall’art. 7, L.
11/3/1988, n. 67
Art. 32, c.2, D.L. 30/12/1988, n.
Obbligazioni emesse da società non 550, non convertito in legge; art.
1/1/1989 Aumento R al 30%
quotate 32, c .2, D.L. 2/3/1989, n. 69,
conv. In L. 27/4/1989, n. 154
Art. 32, c.1, D.L. 30/12/1988, n.
550, non convertito in legge; art.
1/1/1989 Titoli atipici Aumento R al 30%
32, c .1 D.L. 2/3/1989, n. 69,
conv. In L. 27/4/1989, n. 154
D.L. 28/9/1990, n. 267, non
convertito; D.L. 27/11/1990, n.
28/9/1990 Plusvalenze su partecipazioni Introduzione R al 12,5%-20% 350, non convertito; D.L.
28/1/1991, n. 27, conv. in L.
25/3/1991, n. 102
Plusvalenze su partecipazioni Art. 2, D.L. 28/1/1991, n. 27,
28/1/1991 Aumento R al 25%
qualificate conv. in L. 25/3/1991, n. 102
465
segue Tav. 1
466
Tavola storica: le modifiche legislative
Data decorrenza Strumento interessato Intervento Atto legislativo
Plusvalenze su partecipazioni non Art. 3, D.L. 28/1/1991, n. 27,
1/4/1991 Aumento R al 15%-25%
qualificate conv. in L. 25/3/1991, n. 102
Art. 1, D.L. 1/10/1991, n.
Depositi e c/c bancari e postali
3/10/1991 Aumento R al 30% 307, conv. in L. 29/11/1991,
vincolati da 3 a 12 mesi
n. 377
Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
Art. 1, D.L. 1/10/1991, n.
Certificati di deposito e buoni fruttiferi
3/10/1991 Aumento R al 30% 307, conv. in L. 29/11/1991,
vincolati da 3 a 12 mesi
n. 377
10/9/1992 Titoli di Stato emesis all’estero Introduzione R al 12,5% Art.1, D.L. 9/9/1992, n. 372,
conv. in L. 5/11/1992, n. 429
Art.3, D.L. 9/9/1992, n. 372,
10/9/1992 Obbligazioni emesse da non residenti Diminuzione R al 12,5%
conv. in L. 5/11/1992, n. 429
Plusvalenze su partecipazioni non Art. 7, D.L. 9/9/1992, n. 372,
9/11/1992 E
qualificate in società quotate conv. in L. 5/11/1992, n. 429
13/1/1994 Cambiali finanziarie Introduzione R al 15% Art.3, L. 13/1/1994, n. 43
Art. 4, D.L. 10/6/1994, n.
Utili da azioni ordinarie di società
12/6/1994 RA 10% - R 12,5% 357, conv. in L. 8/8/1994, n.
quotate
489
Obbligazioni emesse da società non Art. 5, c. 1, L. 23/12/1994, n.
1/1/1995 Diminuzione R al 12,5%
quotate 725
segue Tav. 1
Tavola storica: le modifiche legislative
Data decorrenza Strumento interessato Intervento Atto legislativo
1/1/1995 Utili da azioni di risparmio Diminuzione R al 12,5% Art. 5, c. 2, L. 23/12/1994, n. 725
Conti finanziari e fiscalità:un’analisi storica
Aumento / Diminuzione R al
20/6/1996 Depositi e c/c bancari e postali Art. 7, D.L. 20/6/1996, n. 323
27%
Aumento / Diminuzione R al
20/6/1996 Certificati di deposito e buoni fruttiferi Art. 7, D.L. 20/6/1996, n. 323
27%
Art. 14, D.L. 30/8/1996, n. 449,
Obbligazioni con durata inferiore a 18 reiterato con D.L. 23/10/1996, n.
30/8/1996 Aumento ritenuta al 27% 547, non convertito, i cui effetti
mesi
sono stati fatti salvi dalla L.
23/12/1996, n. 662
Art. 12, c.1, D.Lgs. 21/11/1997, n.
1/7/1998 Cambiali finanziarie Diminuzione R al 12,5%
461
Art. 12., c. 9, D.Lgs. 21/11/1997,
1/7/1998 Accettazioni bancarie Aumento R al 27%
n. 461
Art. 12, c. 8, D.Lgs. 21/11/1997,
1/7/1998 Titoli atipici Diminuzione R al 27%
n. 461
Art. 12, c.4, D.Lgs. 21/11/1997, n.
1/7/1998 Utili da azioni ordinarie e di risparmio R al 12,5%
467
461
segue Tav. 1
468
Tavola storica: le modifiche legislative
Data decorrenza Strumento interessato Intervento Atto legislativo
Plusvalenze da partecipazioni Art. 5, c. 1, D.Lgs. 21/11/1997, n.
1/7/1998 Aumento R al 27%
qualificate 461
Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
Plusvalenze da partecipazioni non Art. 5, c. 2, D.Lgs. 21/11/1997, n.
1/7/1998 Aumento R al 12,5%
qualificate in società quotate 461
Plusvalenze da partecipazioni non Art. 5, c. 2, D.Lgs. 21/11/1997, n.
1/7/1998 Diminuzione R al 12,5%
qualificate in società non quotate 461
Plusvalenze su obbligazioni e altri Art. 5, c. 2, D.Lgs. 21/11/1997, n.
1/7/1998 Introduzione R al 12,5%
strumenti finanziari 461
Utili e plusvalenze da partecipazioni
1/1/2004 P sul 40% del provento D. Lgs. 12/12/2003, n. 344
qualificate
Legenda: R = ritenuta/imposta sostitutiva a titolo definitivo; RA = ritenuta a titolo di acconto; E = esenzione; P = tassazione progressiva attraverso l’inclusione
nel reddito personale soggetto ad Irpef.
Tav. 2
Evoluzione delle aliquote di tassazione sulle principali tipologie di redditi finanziari
per le persone fisiche residenti
1974 1975 1976 1977 1978 1979 1980 1981
31/12
23/6
6/12
18/3
3/10
1/1
1/1
3/7
INTERESSI E ALTRI PROVENTI SU:
Depositi e c/c bancari e postali:
Conti finanziari e fiscalità:un’analisi storica
a) a vista e vinc. a meno di 3 mesi
b) vinc. da 3 a 12 mesi 15 16 20 (1)
c) vinc. da più di 12 a meno di 18 mesi
d) vinc. a non meno di 18 mesi
Cert. di dep. e buoni fruttiferi:
a) vinc. da 3 a 12 mesi 15 16 20 (1)
b) vinc. da più di 12 a meno di 18 mesi
c) vinc. a non meno di 18 mesi E (2)
Titoli di Stato ed equiparati:
a) emessi in Italia E
b) emessi all'estero
Obbligazioni e titoli similari emessi da:
a) ICS e Sez. Cred. Spec./banche 10 E (2)
b) enti gest. PP.SS. 20
c) soc. quotate:
- ordinarie 20 E (2)
- convertibili 15 10
469
d) soc. non quotate 20
segue Tav. 2
470
470
Evoluzionedelle aliquote di tassazione sulle principali tipologie di redditi finanziari
per le persone fisiche residenti
1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989
1/10
1/10
1/10
20/9
1/1
1/1
1/9
1/1
1/1
INTERESSI E ALTRI PROVENTI SU:
Depositi e c/c bancari e postali:
a) a vista e vinc. a meno di 3 mesi 30
b) vinc. da 3 a 12 mesi 21,60 (3)
c) vinc. da più di 12 a meno di 18 mesi 25
Giacomo Ricotti
Giacomo
d) vinc. a non meno di 18 mesi
Cert. di dep. e buoni fruttiferi:
Ricotti ee Alessandra
a) vinc. da 3 a 12 mesi 21,60 (3) 25
b) vinc. da più di 12 a meno di 18 mesi
c) vinc. a non meno di 18 mesi E (2) 10,80 (3) 12,50
Alessandra Sanelli
Titoli di Stato ed equiparati:
a) emessi in Italia E 6,25 12,50
b) emessi all'estero
Sanelli
Obbligazioni e titoli similari emessi da:
a) ICS e Sez. Cred. Spec./banche E (2) 10,80 (3) 12,50
b) enti gest. PP.SS.
c) soc. quotate:
- ordinarie E (2) 12,5
- convertibili 10,80 (3)
d) soc. non quotate 21,60 (3)
e) sogg. non residenti 30
Cambiali finanziarie
segue Tav. 2
Evoluzione delle aliquote di tassazione sulle principali tipologie di redditi finanziari
per le persone fisiche residenti
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996
3 /1 0
1 0 /9
1 3 /1
2 0 /6
3 0 /8
1 /1
INTERESSI E ALTRI PROVENTI SU:
Conti finanziari e fiscalità:un’analisi storica
Depositi e c/c bancari e postali:
a) a vista e vinc. a meno di 3 mesi 30
b) vinc. da 3 a 12 mesi 27 (7)
c) vinc. da più di 12 a meno di 18 mesi 25
d) vinc. a non meno di 18 mesi
Cert. di dep. e buoni fruttiferi:
a) vinc. da 3 a 12 mesi 30
b) vinc. da più di 12 a meno di 18 mesi 25 27
c) vinc. a non meno di 18 mesi 12,50
Titoli di Stato ed equiparati:
a) emessi in Italia 12,5
b) emessi all'estero E
Obbligazioni e titoli similari emessi da:
a) ICS e Sez. Cred. Spec./banche 12,5 12,5
b) enti gest. PP.SS. (8)
c) soc. quotate:
- ordinarie 12,5
- convertibili 12,5
d) soc. non quotate 30 (6) (8)
471
segue Tav. 2
472
Evoluzione delle aliquote di tassazione sulle principali tipologie di redditi finanziari
per le persone fisiche residenti
1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
1/7
1/1
1/1
INTERESSI E ALTRI PROVENTI SU:
Depositi e c/c bancari e postali:
a) a vista e vinc. a meno di 3 mesi
b) vinc. da 3 a 12 mesi 27
c) vinc. da più di 12 a meno di 18 mesi
d) vinc. a non meno di 18 mesi
Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
Cert. di dep. e buoni fruttiferi:
a) vinc. da 3 a 12 mesi
b) vinc. da più di 12 a meno di 18 mesi 27
c) vinc. a non meno di 18 mesi
Titoli di Stato ed equiparati:
a) emessi in Italia
12,5
b) emessi all'estero
Obbligazioni e titoli similari emessi da:
a) ICS e Sez. Cred. Spec./banche
12,5 (8)
b) enti gest. PP.SS.
c) soc. quotate:
- ordinarie
- convertibili
12,5 (8)
d) soc. non quotate
e) sogg. non residenti
Cambiali finanziarie 15 12,5
Accettazioni bancarie 27
Titoli atipici 30 27
Capitali riscossi su assicurazioni vita 12,5 12,5 (9)
segue Tav. 2
Evoluzione delle aliquote di tassazione sulle principali tipologie di redditi finanziari
per le persone fisiche residenti
1974 1975 1976 1977 1978 1979 1980 1981
Conti finanziari e fiscalità:un’analisi storica
2 3 /6
1 /1
9 /4
1 /1
UTILI DERIVANTI DA:
a) azioni ordinarie
- partecipazioni qualificate 10 (10) 10/30 (11) 10 (10)
- partecipazioni non qualificate
b) azioni di risparmio 15 (12)
PLUSVALENZE
a) su azioni di società quotate
- partecipazioni qualificate
- partecipazioni non qualificate
- su azioni di altre società
- partecipazioni qualificate
- partecipazioni non qualificate
b) su obbligazioni
473
474
segue Tav. 2
Evoluzione delle aliquote di tassazione sulle principali tipologie di redditi finanziari
per le persone fisiche residenti
1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989
20/12
1/1
UTILI DERIVANTI DA:
Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
a) azioni ordinarie
- partecipazioni qualificate 10 (10)
- partecipazioni non qualificate
b) azioni di risparmio 15 (12)
PLUSVALENZE
a) su azioni di società quotate
- partecipazioni qualificate P (13)
- partecipazioni non qualificate
- su azioni di altre società
- partecipazioni qualificate P (13)
- partecipazioni non qualificate
b) su obbligazioni
segue Tav. 2
Evoluzione delle aliquote di tassazione sulle principali tipologie di redditi finanziari
per le persone fisiche residenti
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996
Conti finanziari e fiscalità:un’analisi storica
2 8 /0 1
2 8 /9
9 /1 1
1 2 /6
1 /4
1 /1
UTILI DERIVANTI DA:
a) azioni ordinarie
- partecipazioni qualificate 10 (10) 10/12,50 (17)
- partecipazioni non qualificate
b) azioni di risparmio 15 (12) 12,5
PLUSVALENZE
a) su azioni di società quotate
- partecipazioni qualificate P (13) 25 (15)
- partecipazioni non qualificate (14) 25/15 (15) E (16)
- su azioni di altre società
- partecipazioni qualificate P (13) 25 (15)
- partecipazioni non qualificate (14) 25/15 (15)
b) su obbligazioni
475
segue Tav. 2
476
Evoluzione delle aliquote di tassazione sulle principali tipologie di redditi finanziari
per le persone fisiche residenti
1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
1/7
1/1
UTILI DERIVANTI DA:
Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
a) azioni ordinarie
- partecipazioni qualificate 10/12,50 (17) 12,50 (18) P
- partecipazioni non qualificate
b) azioni di risparmio 12,5
PLUSVALENZE
a) su azioni di società quotate
- partecipazioni qualificate 25 (15) 27 (19) P
- partecipazioni non qualificate E (16) 12,50
- su azioni di altre società
- partecipazioni qualificate 25 (15) 27 (19) P
- partecipazioni non qualificate 25/15 (15) 12,50
b) su obbligazioni
Conti finanziari e fiscalità:un’analisi storica 477
NOTE
(1) Il DL. 23.12.1977, n. 936, conv. in L. 23.2.1978, n. 38, aumentò dal 16
per cento al 18 per cento la ritenuta sugli interessi, premi ed altri frutti
dei depositi e c/c bancari e postali maturati dall'1.1.1978. Il successivo
DL. 26.5.1978, n. 216, conv. in L. 24.7.1978, n. 388, aumentò la
medesima ritenuta dal 18 per cento al 20 per cento, sempre per gli
interessi maturati dall'1.1.1978.
(2) Per i titoli emessi nel periodo 1.10.1980 - 30.9.1981 l'esenzione si
applicava solo se la durata era superiore a 3 anni. Per i titoli emessi da
ICS e Sez. di credito speciale l'esenzione decorreva dal 3.7.1980.
(3) Con DL. 22.12.1981, n. 787, conv. in L. 26.2.1982, n. 52 venne istituita
un'addizionale dell'8 per cento su IRPEG e ILOR e sulle ritenute di cui
ai commi 1 e 2 dell'articolo 26 del DPR n. 600/1973 e al penultimo
comma dell'articolo 27 del DPR n. 600/1973. L'addizionale fu abolita
con effetto dall'1.10.1983 per gli interessi da depositi e c/c bancari e
postali.
(4) Il DL 550/1988 aveva portato la ritenuta al 25 per cento, poi ridotta al
18 per cento in sede di conversione.
(5) Le cambiali finanziarie sono state introdotte con legge n. 43 del
13.1.94.
(6) Per le obbligazioni emesse da società non quotate, a partire dal
1.1.1995 la ritenuta è pari al 12,5 per cento solo se il rendimento
all'emissione è allineato ai limiti di legge. In caso contrario si applica il
30 per cento sui titoli emessi fino al 30.6.1998 e il 27 per cento su quelli
emessi successivamente a tale data.
(7) Per i depositi a risparmio postale l'aliquota del 27 per cento si applica a
partire dal 9.8.1996.
(8) Per le obbligazioni e titoli similari emessi dal 31.8.1996, in Italia o
all'estero, si applica l'aliquota del 27 per cento, invece di quella del 12,5
per cento, se la scadenza dei titoli è inferiore ai 18 mesi.
(9) I contratti di assicurazione sulla vita "misti" sottoscritti dopo il
1°.1.2001 non hanno più diritto alla detrazione del 19 per cento dei
premi versati. La tassazione, introdotta a partire dal 1.10.1985, è
effettuata sempre con aliquota del 12,5 per cento sulla differenza tra
capitale riscosso e premi versati. La base imponibile è ridotta del 2 per
cento per ogni anno di durata del contratto superiore al decimo.
478 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
(10) La ritenuta del 10 per cento si applicava a titolo di acconto.
(11) La ritenuta del 30 per cento a titolo d'imposta poteva essere applicata
su opzione del percettore. Per i dividendi la cui distribuzione era stata
deliberata nel periodo 11.10.1976 - 31.12.1978 l'aliquota della cedolare
secca era pari al 50 per cento. Dall'1.1.1977 era riconosciuto ai
percettori un credito per l'imposta pagata dalla società.
(12) Per le azioni di risparmio nominative era prevista la possibilità di
opzione per la ritenuta d'acconto prevista per le azioni ordinarie.
(13) Dal 20.12.1984 l'art. 3, comma 11, del DL 19.12.1984, n. 853,
convertito nella L. 17.2.1985, n. 17, ha introdotto una presunzione
assoluta di "intento speculativo" ai sensi dell'art. 76 del DPR n.
597/1973 per le cessioni di partecipazioni societarie qualificate. Fino
al 31.12.1987 si consideravano qualificate le partecipazioni superiori
al 2 per cento, 10 per cento o 25 per cento del capitale,
rispettivamente per le società quotate, le società per azioni non
quotate e le partecipazioni non azionarie. Dall'1.1.1988 le percentuali
di partecipazione rilevanti sono state portate, rispettivamente, al 2 per
cento, 5 per cento e 15 per cento (ridotta al 10 per cento dal
30.12.1993). La tassazione veniva realizzata attraverso l'inclusione
delle plusvalenze nel reddito personale soggetto a tassazione
progressiva.
(14) Nel periodo 28.9.1990 – 27.1.1991 l'imposta sostitutiva sulle
plusvalenze si applicava a cura degli intermediari e con l'aliquota del
12,5 per cento o del 20 per cento a seconda che il periodo di possesso
fosse stato di durata superiore o inferiore a 18 mesi (DL. 28.9.1990, n.
267, decaduto e sostituito dal DL. 27.11.1990, n. 350).
(15) Dal 28.1.1991, il DL. 28.1.1991, n. 27, conv. con modificazioni dalla
L. 25.3.1991, n. 102, ha introdotto due regimi di tassazione delle
plusvalenze. Nel regime analitico l'imposta sostitutiva sulle
plusvalenze si applicava in sede di dichiarazione annuale e con
l'aliquota del 25 per cento sulla differenza tra il prezzo di cessione e il
costo di acquisto rivalutato, al netto di eventuali minusvalenze. Nel
regime forfetario, non applicabile alle plusvalenze derivanti da
partecipazioni qualificate, il prelievo era operato dagli intermediari e
con l'aliquota del 15 per cento (pari al 20 per cento fino al 31.3.1991,
poi ridotta al 15 per cento per effetto della legge di conversione) su
una plusvalenza teorica calcolata come percentuale (7 per cento fino
Conti finanziari e fiscalità:un’analisi storica 479
al 23.5.1994; 14 per cento fino al 29.9.1997) del corrispettivo di
cessione.
(16) L'applicazione dell'imposta sostitutiva sulle plusvalenze derivanti da
azioni quotate era stata sospesa dal 9.11.1992 (DL. 9.9.1992, n. 372,
conv. in L. 5.11.1992, n. 429).
(17) La ritenuta del 12,5 per cento si applicava, in via opzionale, sugli utili
distribuiti da società quotate.
(18) La ritenuta si applica a titolo d'imposta sugli utili relativi a
partecipazioni non qualificate, con opzione per la tassazione
progressiva. Per i dividendi la cui distribuzione è stata deliberata
dall'1.1.2004 non è più ammessa l'opzione per la tassazione progressiva.
(19) Dall'1.7.98 si considerano qualificate le partecipazioni superiori al 2 o
al 20 per cento dei diritti di voto ovvero al 5 o al 25 per cento del
patrimonio, secondo che si tratti di titoli negoziati in mercati
regolamentati o di altre partecipazioni.
480 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
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488 Giacomo Ricotti e Alessandra Sanelli
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DISCUSSIONE DEL LAVORO DI G. RICOTTI E A. SANELLI
Silvia Giannini ∗
Il lavoro di Alessandra Sanelli e Giacomo Ricotti rappresenta un
interessante excursus sulle modalità con cui la politica tributaria ha
contribuito, nel corso degli ultimi quattro decenni, a modellare la
morfologia dei mercati finanziari e a influenzare le scelte di portafoglio
degli investitori in Italia.
L’evoluzione del trattamento fiscale delle attività finanziarie è
ricostruita con particolare cura e chiarezza. Gli autori compiono un
notevole sforzo per individuare alcune possibili chiavi di lettura dei
cambiamenti intervenuti negli ultimi quarant’anni. Ne emerge un quadro
interessante e variegato, che offre anche utili spunti di riflessione in vista di
futuri interventi di riforma.
Come è stato evidenziato dalla letteratura (cfr., per tutti, Bernheim,
2002), la tassazione influenza non tanto il volume complessivo, quanto
l’allocazione del risparmio, ossia le scelte di impiego fra prodotti e circuiti
diversi. Gli studi empirici, perlopiù limitati al caso statunitense, sembrano
confermare queste conclusioni. Pur se affetti da una serie di limitazioni
metodologiche, tali studi mostrano come la tassazione eserciti effetti di
maggior rilievo sulla scelta delle attività in cui investire il risparmio (asset
selection), rispetto alla decisione di quanto investire in ciascuna attività
(asset allocation).
In questo senso è vero che “il fisco conta”, come concludono gli
autori. Occorre tuttavia fare delle distinzioni, come sottolineato da Ricotti e
Sanelli. Con riferimento all’Italia, in alcuni casi la tassazione ha
rappresentato il principale fattore, se non l’unico, di sviluppo di uno
strumento o mercato finanziario. In altre occasioni il fisco ha contribuito,
in concorso con altri elementi, a delineare l’evoluzione dei mercati
finanziari, orientando le scelte dei risparmiatori verso date forme di
impiego. A questo proposito, è significativo il legame, evidenziato nel
lavoro, tra fisco e regolamentazione. Infine, ci sono casi in cui il fisco non
solo non è stato determinante per favorire lo sviluppo di un comparto, ma
non è riuscito ad avere alcuna influenza, essendo prevalsi altri fattori.
__________
∗
Docente di Economia Pubblica presso l’Università di Bologna.
490 Silvia Giannini
Significativo a questo riguardo è l’esempio della previdenza integrativa,
rispetto al quale gli incentivi fiscali non sono stati in grado di agevolare lo
sviluppo del comparto.
Un altro aspetto evidenziato dagli autori è la maggiore attenzione
prestata negli ultimi anni alla neutralità della tassazione. In passato il
sistema fiscale è stato contraddistinto da numerosi elementi di irrazionalità.
Le scelte compiute rispondevano spesso a logiche contraddittorie: talvolta
si “rincorreva il mercato”, nel tentativo di chiudere i possibili spazi di
elusione fiscale; in altri casi, viceversa, con la leva fiscale si introducevano
incentivi per favorire lo sviluppo di dati strumenti o comparti finanziari.
Dagli anni novanta si è assistito a un progressivo mutamento di rotta
a favore della neutralità. Gli autori riconducono questo mutamento
soprattutto all’internazionalizzazione dei mercati. Anche a mio avviso, la
liberalizzazione dei movimenti di capitale e l’integrazione dei mercati
hanno contribuito ad attenuare gli intenti allocativi delle scelte di politica
tributaria.
Tra i fattori che, invece, non hanno favorito la neutralità sono da
annoverare le esigenze di gettito. Ad esempio, negli anni ottanta il
crescente fabbisogno erariale ha portato ad aumentare l’aliquota sui
depositi, contribuendo ad acuire le distorsioni sul mercato finanziario. Un
altro esempio è stato rappresentato dall’aumento dell’aliquota societaria,
che ha innalzato il divario con gli altri paesi europei nella tassazione delle
imprese.
Il processo verso la neutralità non è completo, come conferma, tra
l’altro, la permanenza di due distinte aliquote di tassazione dei redditi delle
attività finanziarie. Negli ultimi anni sono stati, anzi, introdotti nuovi
elementi di non-neutralità, ad esempio con l’abolizione dell’equalizzatore
per l’equiparazione della tassazione delle plusvalenze realizzate a quelle
maturate, e nuovi incentivi, che andrebbero ripensati, come quelli a favore
della previdenza complementare di recente introdotti (anche se a valere dal
2008). Vi sono poi alcuni arretramenti, come l’abolizione della Dual
income tax, che ha contribuito a riaprire il divario tra finanziamento con
capitale di debito e finanziamento con capitale di rischio.
A quest’ultimo proposito, sottolineo che non si può riformare la
tassazione dei redditi finanziari disgiuntamente da quella societaria.
L’intreccio tra i due elementi non può essere trascurato, e non potrà essere
ignorato anche in eventuali proposte future di riforma.
Discussione del lavoro di G. Ricotti e A. Sanelli 491
Sotto questo profilo, ritengo che il lavoro dovrebbe essere integrato
estendendo l’analisi alla tassazione societaria. Il paper, infatti, contiene
solo qualche richiamo ai profili inerenti alla tassazione delle imprese. Una
trattazione più sistematica di questo aspetto potrebbe rappresentare un utile
completamento dell’analisi storica condotta dagli autori, soprattutto se si
considerano le strette interazioni fra tassazione societaria e regime fiscale
dei proventi finanziari in capo agli investitori.
La lettura di un paper così analitico stimola interrogativi su cosa
accada negli altri paesi della UE, ovvero su quale rapporto vi sia all’estero
tra fisco, prodotti e mercati. Anche questo aspetto potrebbe costituire un
elemento da prendere in considerazione per futuri approfondimenti: se
risulta più difficoltosa, per ovvie ragioni, una ricostruzione storica della
tassazione delle attività finanziarie, sarebbe in ogni caso interessante
esaminare lo status quo a livello comparato, con un lavoro simile a quello
che gli stessi autori hanno effettuato sui fondi comuni nella UE.
Infine, tenuto conto del pregevole sforzo di ricostruzione delle
variabili fiscali, nonché dei conti finanziari, effettuato in occasione di
questa ricerca, in una prospettiva storica sufficientemente lunga e densa di
eventi, sarebbe molto interessante se gli autori utilizzassero in futuro
queste informazioni per approfondire, attraverso indagini econometriche, il
contributo del fisco alla morfologia dei conti finanziari italiani,
individuando i settori che hanno risentito di questo influsso in misura più
significativa.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Bernheim, B.D. (2002), Taxation and Savings, in A. Auerbach e M.
Feldstein (a cura di.), Handbook of Public Economics, vol. 3,
Amsterdam, North Holland.
EFFETTI DELLA POLITICA MONETARIA SUI FLUSSI
FINANZIARI: IL CASO ITALIANO
Riccardo Bonci* e Francesco Columba∗
1. Introduzione
Una ricca letteratura, iniziata con il lavoro di Sims (1980), ha
analizzato con modelli regressivi autovettoriali (VAR) gli effetti degli
shock esogeni di politica monetaria sul ciclo economico, considerando
l’economia nel suo insieme. L’effetto di variazioni inattese della politica
monetaria sulle decisioni di investimento/indebitamento finanziario delle
singole categorie di agenti del sistema economico – imprese, famiglie,
Amministrazioni pubbliche – non è stato, invece, approfondito in egual
misura. Ciò nondimeno, l’analisi dei cambiamenti della domanda e
dell’offerta di attività e passività finanziarie attuati dai diversi settori
dell’economia, in risposta a movimenti inattesi del tasso di interesse di
policy, è di sicuro interesse per approfondire ulteriormente l’analisi del
meccanismo di trasmissione della politica monetaria.
Per cogliere la dimensione settoriale della propagazione degli
impulsi di politica monetaria, Christiano, Eichenbaum ed Evans (di seguito
CEE, 1996) studiano l’effetto della politica monetaria statunitense
sull’attività economica con un modello VAR che utilizza i dati trimestrali
dei flow of funds dal 1961 al 1991. Ciò consente un’analisi per settore delle
variazioni delle attività e delle passività finanziarie (flussi finanziari attivi e
passivi) e, nell’ambito di entrambi gli aggregati, delle differenti categorie
di strumenti finanziari. Le ragioni per le quali la letteratura non ha
successivamente approfondito questa linea di ricerca, per esempio
estendendo l’analisi ad altri paesi, sono probabilmente da ricercarsi nella
mancanza di serie storiche di profondità, frequenza e livello di dettaglio
adeguati.
__________
∗
Banca d’Italia, Servizio Studi. Desideriamo ringraziare Massimo Caruso, Riccardo De Bonis,
Leonardo Gambacorta, Stefano Neri, Andrea Nobili, Luigi Federico Signorini e i partecipanti a due
seminari presso la Banca d’Italia per utili commenti e discussioni, Massimo Coletta per il prezioso
aiuto nella costruzione della base dati, Luisa Dell’Armi ed Edvige Lucci per l’assistenza editoriale.
Le opinioni espresse sono esclusivamente degli autori e non coinvolgono la responsabilità
dell’Istituto.
494 Riccardo Bonci e Francesco Columba
La recente disponibilità di serie storiche trimestrali dei conti
finanziari italiani ricostruite dal 1980 consente, ora, di analizzare gli effetti
della politica monetaria sulla domanda/offerta di fondi finanziari da parte
degli agenti economici. A tal fine, questo lavoro utilizza un modello VAR
che permette di sfruttare il valore informativo dell’eterogeneità delle
risposte dei settori dell’economia agli shock della politica monetaria.
A nostra conoscenza questo lavoro dovrebbe rappresentare il primo
tentativo di utilizzare uno schema contabile integrato e dettagliato come i
conti finanziari per esaminare gli effetti della politica monetaria in Italia.
Secondo l’analisi sviluppata nelle pagine seguenti, l’utilizzo di questa base
dati arricchisce la valutazione empirica degli effetti della politica
monetaria, fornendo elementi utili per una sua migliore comprensione e
offrendo nuovi interessanti spunti di riflessione.
2. Letteratura
Negli ultimi anni l’utilizzo della metodologia VAR per valutare gli
effetti degli shock inattesi di politica monetaria sul sistema economico si è
molto diffuso1. In questo paragrafo richiamiamo alcuni risultati della
letteratura utili per la successiva analisi che si avvale dei dati dei conti
finanziari.
La valutazione empirica della reazione dell’acquisizione di attività
finanziarie e dell’emissione di passività finanziarie, da parte delle diverse
categorie di agenti economici, agli shock di politica monetaria è stata
effettuata per la prima volta da CEE (1996) con i dati sui flow of funds
statunitensi. Secondo uno dei risultati, dopo una restrizione monetaria i
fondi netti raccolti dalle imprese sui mercati finanziari, ovvero le passività
emesse al netto delle attività acquisite, aumentano per circa un anno e
iniziano a diminuire solo successivamente, quando l’effetto recessivo della
restrizione inizia a produrre i suoi effetti. Tale risultato indicherebbe
l’esistenza di attriti finanziari che impediscono alle imprese di adeguare
immediatamente il livello delle loro scorte al nuovo e inferiore livello della
domanda, come, invece, previsto dai modelli monetari standard del ciclo
economico. Ciò sarebbe dovuto alla capacità limitata delle imprese di
ridurre rapidamente il livello delle spese nominali, probabilmente per
__________
1
Per una rassegna della letteratura si vedano, tra gli altri, Bagliano e Favero (1998), Bernanke e
Mihov (1998), Christiano, Eichenbaum ed Evans (1999) e Kim (1999; 2001).
Effetti della politica monetaria sui flussi finanziari 495
l’esistenza di vincoli contrattuali. Un secondo risultato è che le famiglie
non adeguano le proprie scelte di portafoglio agli shock di politica
monetaria per alcuni trimestri, in linea con quanto previsto dai modelli di
limited participation2, nei quali si ipotizza un certo grado di rigidità
nell’adeguamento delle attività e delle passività finanziarie delle famiglie
alle mutate condizioni economiche. I tre economisti, infine, osservano,
seppur in maniera non concordante con l’intuizione, una temporanea
riduzione dei fondi netti raccolti dal settore pubblico, ovvero un
miglioramento del suo saldo finanziario3.
Poiché siamo interessati a estendere lo schema di analisi di CEE
(1996) al caso italiano, riteniamo importante confrontare i nostri risultati
con quelli degli economisti che hanno utilizzato modelli VAR per lo studio
del meccanismo di trasmissione della politica monetaria in Italia,
richiamandone brevemente alcuni risultati.
Gaiotti (1999) individua nel tasso di interesse sulle operazioni di
rifinanziamento principale tra la Banca d’Italia e il sistema creditizio
l’indicatore più idoneo della politica monetaria in Italia4. Utilizzando un
modello VAR strutturale, egli osserva che, in seguito a un aumento del
tasso di interesse di policy, si ha una diminuzione della produzione e del
livello dei prezzi, coerentemente con i risultati della letteratura
internazionale.
De Arcangelis e Di Giorgio (2001) forniscono un ulteriore termine
di paragone, proponendo un metodo di identificazione basato su una
dettagliata analisi istituzionale della prassi operativa della politica
monetaria italiana negli anni novanta. I risultati dell’analisi li persuadono a
scegliere il tasso di interesse overnight come il miglior indicatore della
politica monetaria. Il tasso di cambio, inoltre, ha un ruolo fondamentale
nella loro specificazione, avendo essi classificato l’Italia come una piccola
economia aperta.
__________
2
Si veda al riguardo Christiano, Eichenbaum ed Evans (1997).
3
Gli autori definiscono questo risultato puzzling e avanzano l’ipotesi che ciò sia da addebitarsi a un
aumento delle entrate fiscali derivanti dall’imposizione sulle persone fisiche, atteso che la
posizione finanziaria delle famiglie non varia nei primi trimestri seguenti lo shock.
4
Si rimanda a Gaiotti (1999) per un’accurata analisi della trasmissione della politica monetaria
italiana dal 1967 al 1997; cfr. pure Buttiglione, Del Giovane e Gaiotti (1997), Passacantando
(1996) e Gaiotti e Rossi (2004).
496 Riccardo Bonci e Francesco Columba
Dedola e Lippi (2005) analizzano il meccanismo di trasmissione
delle politica monetaria con dati disaggregati relativi a cinque paesi
industrializzati, tra cui l’Italia. Essi individuano differenze significative
degli effetti della politica monetaria a seconda del settore produttivo
considerato. Le risposte della produzione nei diversi settori risultano
sistematicamente correlate con la durata temporale del prodotto, il bisogno
di finanziamento, la capacità di indebitamento e la dimensione delle
imprese. Seguendo Christiano, Eichenbaum ed Evans (1999; nel seguito
CEE, 1999), per identificare la componente inattesa della politica
monetaria gli autori utilizzano l’assunzione di ricorsività nella causalità
delle variabili, che sembra funzionare adeguatamente per il caso italiano.
Neri (2004) si concentra sulla relazione tra politica monetaria e corsi
azionari, proponendo un VAR strutturale per studiare il caso italiano.
Analogamente ad altri lavori, si sceglie uno schema identificativo à la
Choleski per il blocco della matrice di varianza-covarianza dei residui di
forma ridotta, corrispondente all’indice del prezzo delle materie prime, al
tasso di cambio nominale, al prezzo dei beni al consumo e alla produzione
industriale. Restrizioni non ricorsive vengono, invece, imposte sulle
equazioni per il tasso di interesse a breve termine, per l’aggregato
monetario e per l’indice del mercato azionario. I risultati del lavoro sono
coerenti anche con lavori che utilizzano schemi identificativi differenti.
Per quanto concerne lo studio della reazione delle imprese italiane
agli shock di politica monetaria, Gaiotti e Generale (2002) analizzano gli
effetti della politica monetaria sul comportamento di investimento di
alcune categorie di imprese italiane, utilizzando una base dati panel estratta
dagli archivi della Centrale dei bilanci. I principali risultati ottenuti
indicano che le variabili finanziarie sono rilevanti e che la differenza nella
risposta dell’investimento dei diversi tipi di imprese non è trascurabile5.
3. I conti finanziari
I dati dei conti finanziari consentono di esaminare le relazioni che
legano le posizioni finanziarie dei diversi settori dell’economia, rendendo
possibile la riconciliazione a livello macroeconomico tra gli investimenti e
il risparmio, pur prevedendo la possibilità per i singoli settori di investire
__________
5
Si veda anche Guiso et al. (1999).
Effetti della politica monetaria sui flussi finanziari 497
nel capitale tangibile somme diverse dall’ammontare del proprio risparmio.
Per ogni settore, infatti, la differenza tra gli investimenti fissi e il risparmio
lordo è, per definizione, pari all’indebitamento (o, se di segno positivo,
all’accreditamento) finanziario netto. Per il generico settore i si ha:
I i − S i = FLi − FA i = ricorso netto a nuovi finanziamenti (1)
dove S è il risparmio, ovvero l’eccesso del reddito disponibile sul consumo,
I rappresenta gli investimenti fissi lordi (creazione di capitale tangibile e
variazioni delle scorte), FL e FA sono, rispettivamente, i flussi di passività
e attività finanziarie nette6.
Poiché a ogni attività finanziaria di un settore corrisponde
necessariamente una passività finanziaria di un altro settore7 (compreso il
settore estero), per l’economia nel suo complesso l’eguaglianza FL = FA e
l’equazione (1) si riducono alla ben nota identità di contabilità nazionale
I = S. La variabile “ricorso netto a nuovi finanziamenti” indica, se di segno
positivo, un indebitamento del settore considerato verso gli altri settori, per
finanziare un flusso di investimenti (reali) maggiore del proprio risparmio;
se di segno negativo, la variabile indica il prestito netto di fondi che il
settore i concede agli altri settori, disponendo di risparmio in eccesso
rispetto alle proprie decisioni di investimento reale.
Adottando la classificazione propria dei conti finanziari, dividiamo
l’economia nei seguenti settori8: (i) famiglie, (ii) imprese (società non
finanziarie), (iii) società finanziarie, (iv) Amministrazioni pubbliche, (v)
estero. Per ogni settore, oltre ai fondi finanziari netti raccolti, esaminiamo
separatamente il totale delle attività (FA) e delle passività (FL) finanziarie.
Inoltre nel caso delle famiglie e delle imprese effettuiamo alcuni
__________
6
I flussi (o variazioni) dei conti finanziari sono “netti”, nell’accezione per cui i flussi di attività
finanziarie sono calcolati come acquisizioni di attività finanziarie al netto delle dismissioni delle
stesse e analogamente per le passività.
7
O dello stesso settore, essendo i conti finanziari utilizzati in questo lavoro prodotti su base non
consolidata.
8
In questo lavoro consideriamo nel settore famiglie le sole “famiglie consumatrici”, avendo incluso
le “famiglie produttrici” (società semplici o di fatto e imprese individuali) tra le imprese (società
non finanziarie). Nei conti finanziari pubblicati dalla Banca d’Italia nel Supplemento trimestrale al
Bollettino Statistico, invece, le “famiglie consumatrici” sono classificate insieme a quelle
produttrici nel settore famiglie. Le società finanziarie includono le banche, i fondi comuni
monetari, gli ausiliari finanziari, le compagnie di assicurazione e i fondi pensione (la Banca d’Italia
non è inclusa). Fanno parte delle Amministrazioni pubbliche, l’Amministrazione centrale, gli enti
locali e gli enti di previdenza e assistenza sociale. Il settore estero include le unità istituzionali non
residenti in Italia.
498 Riccardo Bonci e Francesco Columba
approfondimenti su specifiche categorie di strumenti finanziari. Per le
famiglie, per esempio, analizziamo distintamente, tra le attività, i depositi e
il circolante, i titoli a breve termine, i titoli a lungo termine e le azioni
(quotate e non quotate); tra le passività distinguiamo i prestiti a breve da
quelli a medio-lungo termine. Con riferimento alle imprese, invece, ci
concentriamo in maggior misura sulle passività, distinguendo tra breve e
medio-lungo termine, e suddividendo queste ultime tra azioni e altri titoli
(obbligazioni societarie e prestiti a lungo termine).
Utilizziamo una recente ricostruzione delle serie storiche dei conti
finanziari italiani (flussi trimestrali attivi e passivi) dal 1980, realizzata
dalla Direzione Statistica del Servizio Studi della Banca d’Italia.
La figura 4 mostra i dati trimestrali del ricorso netto a nuovi
finanziamenti (valori positivi) o del prestito netto di fondi (valori negativi)
per i settori dal 1980 al 2002. Le famiglie italiane sono prestatrici nette in
tutto il periodo: questo settore, nel caso italiano, ha storicamente
sperimentato un eccesso di risparmio rispetto alle proprie necessità di
investimento; al contrario le Amministrazioni pubbliche e, con poche
eccezioni, le imprese, mostrano regolarmente un fabbisogno di nuovi
finanziamenti9.
4. Misure degli shock di politica monetaria
4.1 Identificazione
Seguendo CEE (1999) utilizziamo un VAR ricorsivo10 che include la
produzione industriale, l’indice dei prezzi al consumo, il prezzo
all’importazione delle materie prime, il tasso di cambio nominale tra la lira
e il marco11, il tasso di interesse di policy (il tasso sulle operazioni pronti
contro termine12) e un aggregato monetario (M2). Nei modelli VAR
__________
9
Si vedano al riguardo Fazio (2004) e Paiella (2002).
10
Il modello è descritto in dettaglio nell’Appendice.
11
Il tasso di cambio dal gennaio 1999 è una costante a seguito dell’adozione delle parità irreversibili
tra le valute dell’area dell’euro.
12
Dal 1980 al 1991: tasso di interesse medio sulle anticipazioni a scadenza fissa; dal 1992 al 1998:
tasso d’asta sulle operazioni pronti contro termine tra la Banca d’Italia e le istituzioni creditizie; dal
1999 al 2004: tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principale effettuate dal
Sistema europeo di banche centrali. Quest’ultimo tasso di interesse è in sostanziale continuità con
il tasso sulle operazioni pronti contro termine effettuate dalla Banca d’Italia alla fine del 1998. La
(continua)
Effetti della politica monetaria sui flussi finanziari 499
ricorsivi è solo l’ordinamento delle variabili che rileva nella derivazione
delle funzioni di risposta (IRF) agli shock di politica monetaria.
Nel nostro modello consideriamo il seguente vettore yt di variabili
endogene, ordinate secondo un grado di crescente endogeneità, dalla più
esogena alla più endogena:
yt′ = (IP, PIMP, P, EXR, R, M2 ) (2)
dove IP è l’indice della produzione industriale, PIMP è il prezzo
all’importazione (in lire) delle materie prime, P è l’indice dei prezzi al
consumo, EXR è il tasso di cambio nominale tra la lira e il marco, R è il
tasso di interesse di policy, M2 l’aggregato monetario. Tutte le variabili, a
eccezione di EXR e R, sono corrette per la stagionalità.
L’ordinamento delle variabili nel vettore yt corrisponde alla nostra
ipotesi identificativa secondo la quale gli shock di politica monetaria hanno
solo effetti ritardati (non contemporanei) sulle prime quattro variabili del
vettore. Ciò nondimeno, ipotizziamo che le autorità monetarie conoscano
queste variabili quando il livello del tasso di interesse viene determinato:
esse fanno quindi parte del set informativo dell’autorità di politica
monetaria. L’aggregato monetario, M2, è l’unica variabile che nel nostro
modello si ipotizza risponda alle variazioni del tasso di interesse nello
stesso trimestre in cui esse avvengono.
Dall’identificazione ottenuta con l’assunzione di ricorsività di CEE
(1999) consegue che nel nostro modello la politica monetaria reagisce
contemporaneamente alle seguenti variabili non di policy: produzione
industriale, indice dei prezzi al consumo, prezzo all’importazione delle
materie prime e tasso di cambio. Queste variabili reagiscono con ritardo
alla politica monetaria, la cui misura è rappresentata dal tasso di interesse
sulle operazioni pronti contro termine. Includiamo il tasso di cambio nella
specificazione del modello, in linea con la considerazione secondo cui, nel
periodo esaminato, l’Italia può essere considerata una piccola economia
aperta13. Consideriamo l’aggregato monetario M2 come una variabile di
____________________________________________________________
convergenza dei tassi di interesse nazionali verso un unico livello, iniziata nel 1993, ha accelerato
fino a raggiungere il massimo nel 1998 (cerchiamo di considerare tale fenomeno inserendo una
variabile dummy nel VAR).
13
Il tasso di cambio, la cui analisi esula dai principali obiettivi di questo lavoro, è considerato come
una variabile non di policy, in linea con Neri (2004), per le difficoltà della politica monetaria
nell’influenzare tale variabile, soprattutto nella prima metà degli anni ottanta. Anche considerando
(continua)
500 Riccardo Bonci e Francesco Columba
policy, ovvero una variabile che reagisce contemporaneamente a uno shock
di politica monetaria, ma alla quale quest’ultima risponde con ritardo14.
La nostra scelta delle variabili non di policy è parzialmente ispirata a
Kim e Roubini (2000), che hanno studiato gli effetti delle innovazioni di
politica monetaria nei paesi del G7 con un modello SVAR (VAR
strutturale) che sembra affrontare con un certo successo i puzzles empirici
che hanno afflitto gran parte della letteratura. Abbiamo scelto un tasso di
interesse R come indicatore di politica monetaria, in linea con l’approccio
di Bernanke e Blinder (1992) e di De Arcangelis e Di Giorgio (1998,
2001), i quali argomentano che gli indicatori basati su tassi di interesse
funzionano meglio di quelli basati su aggregati monetari
nell’identificazione degli shock di politica monetaria. La scelta del tasso di
interesse sulle operazioni pronti contro termine tra la Banca d’Italia e le
istituzioni creditizie è confortata dalle considerazioni di Gaiotti (1999) e
Gambacorta e Iannotti (2005), secondo i quali è questo il tasso che descrive
meglio le operazioni di politica monetaria effettuate dalla Banca d’Italia15.
Il processo di scelta del numero di ritardi temporali da includere nel
VAR è stato guidato dai criteri di selezione riportati nella tavola 5
(rapporto tra le verosimiglianze ed errore finale di predizione) e della
considerazione della frequenza trimestrale dei dati. Questi criteri ci hanno
condotto a scegliere quattro trimestri come numero adeguato di ritardi
(lags), in linea con la maggioranza dei VAR stimati con dati trimestrali.
I test sui residui delle varie equazioni del VAR escludono la
presenza di autocorrelazione (i risultati del test LM sono riportati nella
tavola 1) e di eteroschedasticità ( i risultati del test di White sono riportati
nella tavola 2). Anche l’ipotesi di normalità non è rigettata con un alto
____________________________________________________________
il tasso di cambio come variabile di policy, cioè inserendola dopo il tasso di interesse
nell’ordinamento del VAR, non abbiamo comunque osservato cambiamenti di rilievo nei risultati.
14
Abbiamo scelto di non effettuare un’analisi di cointegrazione, in linea con l’approccio empirico nel
modellare gli effetti degli shock inattesi di politica monetaria abitualmente utilizzato nella
letteratura. Inoltre, secondo Sims, Stock e Watson (1990) i test asintotici standard rimangono validi
se il VAR è stimato in livelli, anche se le variabili sono cointegrate.
15
Abbiamo provato come indicatori alternativi della politica monetaria gli aggregati delle riserve, in
linea con CEE (1996). Le difficoltà incontrate nell’interpretazione di questi dati, soprattutto
all’inizio degli anni ottanta, ci hanno indotto, al pari di altri autori che hanno considerato la politica
monetaria in quegli anni come non basata su un approccio orientato al mercato, a utilizzare
indicatori basati su tassi di interesse.
Effetti della politica monetaria sui flussi finanziari 501
livello di significatività per i residui di tutte le singole equazioni del VAR16
(si vedano i risultati del test di Jarque-Bera nella tavola 3). Tre variabili
dummy puntuali sono state incluse nel modello, in modo da ottenere
residui sufficientemente “bianchi” nelle sei equazioni stimate17.
4.2 Valutazione delle misure degli shock di politica monetaria
La nostra misura degli shock esogeni alla politica monetaria è uno
shock ortogonale al tasso di interesse di policy, ovvero il tasso di interesse
sulle operazioni pronti contro termine. La figura 1, dove le aree grigie
corrispondono alle recessioni dell’economia italiana identificate da
Altissimo, Marchetti e Oneto (2000), mostra che i residui dell’equazione
del tasso di interesse sono piuttosto coerenti con la cronologia delle
recessioni; con la possibile eccezione del primo periodo 1980-83, quando il
tasso di policy è molto variabile, la stance di politica monetaria osservata è
relativamente restrittiva prima di ogni recessione e diviene più
accomodante durante la recessione.
Per un ulteriore controllo della corretta identificazione degli shock di
politica monetaria, consideriamo la risposta a un aumento di una
deviazione standard del tasso di interesse di policy delle variabili
macroeconomiche direttamente influenzate dalla politica monetaria; la
figura 2 mostra tutte le funzioni di risposta a impulso del VAR18.
La produzione industriale inizia a diminuire, anche se non subito in
maniera significativa, nel trimestre successivo allo shock e continua a
scendere per quasi due anni, per poi recuperare il livello di partenza tre
__________
16
Per il caso multivariato, come succede spesso in questo tipo di applicazioni, non possiamo rigettare
l’ipotesi che vi sia non normalità, a causa della presenza di curtosi (si veda la tavola 4).
17
Le tre dummy, inoltre, coincidono con le tre principali perturbazioni della politica monetaria nel
periodo di osservazione. La dummy del terzo trimestre del 1992 tiene conto della restrizione di
politica monetaria durante la crisi del tasso di cambio dell’autunno 1992; la seconda dummy, nel
primo trimestre del 1995, corrisponde alla restrizione monetaria che ha contrastato le pressioni
inflazionistiche e la svalutazione del tasso di cambio; la dummy del terzo trimestre del 1998
considera la serie di riduzioni dei tassi di interesse operati per ottenere la convergenza al livello dei
tassi di interesse della nuova area valutaria nata nel 1999.
18
Le risposte delle variabili a uno shock di politica monetaria sono state calcolate con 1000
simulazioni Monte Carlo su 16 trimestri; seguendo Sims e Zha (1999), le bande di confidenza sono
di larghezza pari a un errore standard, che corrisponde a un intervallo di confidenza del 68 per
cento, poiché “[…], per caratterizzare la forma della verosimiglianza, bande che corrispondono al
50 per cento o 68 per cento di probabilità a posteriori sono spesso più utili di bande al 95 per cento
o al 99 per cento, e gli intervalli di confidenza con una così bassa probabilità di copertura delle
probabilità non hanno generalmente probabilità a posteriori vicine alle loro probabilità di
copertura.”
502 Riccardo Bonci e Francesco Columba
anni dopo lo shock. Questo risultato è coerente con i risultati empirici per
l’Italia e con quelli dei VAR stimati per altri paesi. I prezzi, misurati
dall’indice dei prezzi al consumo, si riducono in maniera persistente a
partire da due trimestri dopo lo shock; diversamente da quanto si osserva
spesso in letteratura, non si manifesta un “price puzzle”. Il tasso di cambio
si apprezza (per come è definita la variabile EXR, un valore più basso
corrisponde a una rivalutazione della lira), anche se con una significatività
statistica molto bassa, raggiungendo il massimo apprezzamento tre
trimestri dopo lo shock19. L’aggregato monetario M2 risponde subito alla
restrizione inattesa (lo scostamento dalla base-line è significativo nel corso
del primo anno dopo lo shock), coerentemente con la presenza di un effetto
liquidità e risale successivamente. È interessante notare come la risposta
dell’aggregato monetario sia significativa negli stessi trimestri nei quali lo
è anche l’aumento del tasso d’interesse, ovvero durante il primo anno
successivo allo shock.
Per controllare ulteriormente la correttezza della nostra
identificazione degli shock di politica monetaria, seguendo CEE (1996)
esaminiamo anche le risposte di altri aggregati macroeconomici, non
inclusi nella specificazione del VAR finora analizzato. Come riportato
nella figura 3, i consumi privati scendono persistentemente dopo un
aumento inatteso del tasso di interesse, raggiungendo la contrazione
massima dopo 5 trimestri; i consumi pubblici reagiscono positivamente,
anche se in maniera poco significativa. Come atteso, sia dal punto di vista
teorico sia da quello empirico, la reazione negativa degli investimenti fissi
lordi allo shock di politica monetaria, massima a due anni dallo shock, è
più intensa di quella dei consumi privati: -1 per cento a fronte di una
diminuzione dello 0,3 per cento dei consumi privati. Anche il tasso di
disoccupazione, come atteso dalla teoria e analogamente ai risultati di CEE
(1996), aumenta dopo la restrizione monetaria. I salari scendono,
probabilmente come risultato di un calo della produzione e di un aumento
della disoccupazione. Le reazioni di queste variabili macroeconomiche
sembrano confermare la bontà della nostra identificazione del tasso di
interesse sulle operazioni pronti contro termine come indicatore della
politica monetaria e rafforzano la nostra fiducia in una corretta
identificazione degli shock di politica monetaria.
__________
19
Questo risultato mitigherebbe l’exchange rate puzzle evidenziato in Chiades e Gambacorta (2004)
e in De Arcangelis e Di Giorgio (2001), probabilmente perché il periodo analizzato in questo
lavoro include anche gli anni precedenti il 1984 e quelli successivi al 1998.
Effetti della politica monetaria sui flussi finanziari 503
Complessivamente i risultati sono coerenti con le previsioni della
teoria sugli effetti degli shock inattesi di politica monetaria e con la
letteratura empirica sui VAR. È da rilevare che i risultati non sono
significativamente influenzati dai puzzle che si trovano spesso nella
letteratura VAR per l’economia italiana e così riassumibili: dopo uno shock
restrittivo di politica monetaria si ha un“price puzzle” quando si osserva
un aumento dei prezzi, un “liquidity puzzle”20 se aumentano gli aggregati
monetari e un “exchange rate puzzle” se si riscontra un deprezzamento del
cambio.
4.3 Robustezza
Traendo ispirazione dalla letteratura disponibile, abbiamo
confrontato diverse specificazioni del modello. I nostri risultati principali
restano sostanzialmente invariati dal punto di vista delle risposte
qualitative e quantitative delle variabili considerate. In particolare, abbiamo
considerato diversi tassi di interesse, come un tasso a breve termine (tre
mesi), un tasso di interesse overnight (parzialmente ricostruito) e diverse
loro medie e il tasso sulle operazioni di rifinanziamento principale. In
alternativa alla produzione industriale abbiamo incluso nel VAR misure del
prodotto interno lordo (PIL). Abbiamo provato a utilizzare anche altri
aggregati monetari, quali M1 e M3 (ricostruiti), calcolati sia come media
semplice sia come media mobile, e diverse definizioni di ciascun
aggregato21. Abbiamo anche considerato una diversa misura dell’inflazione
(il deflatore del PIL) e dei prezzi delle materie prime (al netto o al lordo del
prezzo del petrolio) e, infine, varie definizioni del tasso di cambio:
effettivo, reale, nominale e rispetto al dollaro statunitense. Abbiamo anche
considerato l’ipotesi di esogeneità dei prezzi delle materie prime22, ma ne è
conseguito un peggioramento della qualità della risposta di M2, senza
osservare miglioramenti nella risposta delle altre variabili: abbiamo dunque
abbandonato tale ipotesi. Infine, abbiamo effettuato delle stime escludendo
gli ultimi quattro anni del campione, così da tenere conto del probabile
cambiamento nel regime di politica monetaria causato dall’avvio dell’area
__________
20
Si veda al riguardo Strongin (1995).
21
Durante il periodo esaminato, a parte la principale discontinuità metodologica del 1999, quando
nuove definizioni degli aggregati monetari sono state adottate, la definizione di M2 stessa è variata;
anche di M1 sono disponibili diverse definizioni. Inoltre, entrambi gli aggregati possono essere
considerati come valori alla fine del periodo, come valori medi (media aritmetica o mobile) e
possono essere corretti per la stagionalità o meno.
22
Si veda Pesaran e Smith (1998).
504 Riccardo Bonci e Francesco Columba
dell’euro. In conclusione, pur non avendo osservato variazioni sostanziali
nei risultati con i cambiamenti appena descritti, un’analisi completa della
stabilità dei parametri potrà certamente costituire materia di ulteriore
approfondimento.
5. Effetti degli shock di politica monetaria sui flussi finanziari dei
settori economici
Seguendo CEE (1996), il nostro scopo è valutare gli effetti degli
shock di politica monetaria, vale a dire di un aumento inatteso del tasso di
interesse di policy pari a una deviazione standard (corrispondente a 92
punti base), sulle attività di prendere/dare a prestito fondi finanziari da
parte dei vari settori dell’economia23. A questo scopo, fiduciosi di aver
identificato una misura sufficientemente attendibile degli shock di politica
monetaria, passiamo all’analisi dei dati dei conti finanziari per individuare
la risposta dinamica delle imprese (società non finanziarie), delle famiglie,
delle Amministrazioni pubbliche, delle società finanziarie e del settore
estero, relativamente alle decisioni di domanda e offerta di risparmio
finanziario sul mercato.
A tale scopo utilizziamo il cosiddetto metodo “marginale”,
aggiungendo volta per volta come ultima variabile nel VAR il ricorso a
nuovi finanziamenti (sia come totale che per classe di strumenti finanziari
dell’attivo e del passivo) da parte di un settore. Dato il nostro schema
ricorsivo di identificazione, la politica monetaria non reagisce nel breve
termine alle variazioni dell’andamento di questa variabile, mentre il settore
considerato risponde agli shock di politica monetaria nello stesso trimestre
in cui si manifestano.
Nel resto del paragrafo descriviamo i principali risultati ottenuti per i
diversi settori dell’economia italiana.
Imprese (società non finanziarie). – La risposta del settore delle
imprese non finanziarie allo shock di politica monetaria può essere
analizzata osservando la figura 5. CEE (1996) hanno sottolineato
l’esistenza di un certo grado di inerzia nel livello della spesa nominale
delle imprese. I nostri risultati sono simili: non c’è una reazione forte dei
__________
23
Si veda anche Anzuini e Levy (2004) che analizzano la relazione tra struttura finanziaria e
trasmissione della politica monetaria per alcuni paesi dell’Europa orientale.
Effetti della politica monetaria sui flussi finanziari 505
fondi netti raccolti dalle imprese. Ciò è conseguenza di due reazioni
opposte: si riducono, infatti, sia l’acquisizione di nuove attività finanziarie
sia l’emissione di nuove passività. Il calo dei flussi delle attività è
significativo nei primi due trimestri dopo lo shock, mentre l’emissione
netta di nuove passività diminuisce per circa due anni.
L’emissione di azioni da parte delle imprese (quotate e non quotate)
diminuisce significativamente solo nel trimestre successivo allo shock. La
diminuzione osservata nelle altre passività a medio-lungo termine
(obbligazioni societarie e prestiti), si prolunga invece per un anno e mezzo.
La mancata diminuzione dell’indebitamento a breve termine, che anzi
aumenta a seguito di un aumento del tasso di interesse, anche se con scarsa
significatività, potrebbe essere spiegata da rigidità delle spese nominali
delle imprese, probabilmente causate da contratti già in vigore, che
provocano un’accumulazione delle scorte in presenza di un calo delle
vendite conseguente alla recessione indotta dallo shock. L’impossibilità (o
i costi troppo alti) di un rapido ridimensionamento del livello della spesa
nominale impedirebbe alle imprese di adeguare velocemente l’emissione di
passività al nuovo, più basso, livello di attività economica. L’effetto
osservato in questo lavoro, tuttavia, è inferiore a quello identificato da CEE
(1996) per gli Stati Uniti24.
Famiglie. – Il ricorso netto a nuovi finanziamenti da parte delle
famiglie diminuisce significativamente nel primo anno successivo allo
shock; in altre parole, la loro posizione finanziaria (o saldo finanziario)
netta migliora, come risultato di un minor ricorso all’indebitamento (minori
flussi finanziari passivi) e di una maggiore quantità di fondi prestati agli
altri settori (maggiori flussi attivi). Come si può vedere nella figura 6, le
famiglie diminuiscono l’ammontare di fondi presi a prestito nel primo anno
successivo allo shock, con un effetto massimo ottenuto nel secondo
trimestre; l’acquisizione netta di attività finanziarie, invece, aumenta nei
primi due-tre trimestri, dopo i quali l’effetto svanisce.
Tra le attività finanziarie, che nondimeno aumentano a livello
aggregato, si osserva una diminuzione dei depositi e dell’acquisto di azioni
nel primo trimestre dopo lo shock. La risposta sembra ragionevole per
l’investimento in azioni, dato il peggioramento delle prospettive
__________
24
CEE (1996) osservano che negli Stati Uniti esistono attriti che impediscono alle imprese di
adeguare immediatamente il livello di scorte alla minore domanda come, al contrario, i modelli
monetari standard del ciclo economico prevedrebbero. Sull’argomento si vedano anche Bernanke e
Blinder (1992) e Gertler e Gilchrist (1993).
506 Riccardo Bonci e Francesco Columba
economiche che potrebbe essere percepito dalle famiglie dopo l’aumento
dei tassi di interesse. La riduzione potrebbe anch’essa essere considerata
ragionevole per i depositi, la cui diminuzione potrebbe essere la
conseguenza del maggiore costo opportunità di questo strumento
finanziario, se assumiamo che gli istituti di credito non adeguano i tassi di
interesse passivi con la stessa rapidità degli strumenti liquidi alternativi
disponibili sul mercato, quali i titoli di Stato a breve termine (BOT)25.
L’acquisto di tali titoli, in gran parte BOT, da parte delle famiglie risulta in
effetti accresciuto nei primi due trimestri dopo l’aumento del tasso di
policy; durante il secondo anno si ha una diminuzione significativa,
gradualmente riassorbita quando, probabilmente, anche il tasso di interesse
sui depositi, più rigido rispetto ai tassi di mercato, è cresciuto
sufficientemente da far ridiventare questo strumento relativamente
appetibile. Ciò sarebbe confermato dalla risposta dei flussi di contante e
depositi acquisiti dalle famiglie, che, dopo la riduzione iniziale, tornano ai
livelli pre-shock a partire dal secondo anno. L’acquisto di titoli a medio-
lungo termine (obbligazioni societarie, BTP e CCT), dopo un modesto
incremento iniziale non sembra reagire in maniera significativa allo shock.
Dal lato delle passività, i prestiti a breve termine (bancari e di società
di finanziamento) aumentano leggermente nel primo anno, mentre le
famiglie riducono significativamente l’indebitamento a medio-lungo
termine tre trimestri dopo la restrizione monetaria. Ipotizzando che soltanto
la parte a breve termine della curva del tasso di interesse si sposti verso
l’alto (nel caso l’aumento del tasso di interesse fosse percepito come
temporaneo), il maggiore ricorso all’indebitamento a breve da parte delle
famiglie nel primo trimestre dopo lo shock potrebbe indicare qualche
difficoltà nel riposizionamento dai prestiti a breve termine verso quelli a
scadenza più lunga. Se, invece, l’aumento fosse percepito come
permanente e fosse quindi l’intera curva dei tassi a spostarsi verso l’alto (la
convenienza relativa dei prestiti a lungo termine rispetto al breve termine
resterebbe dunque invariata), probabilmente non osserveremmo attriti
finanziari, ma una rapida ottimizzazione razionale della struttura delle
passività delle famiglie. È evidente, tuttavia, che questo costituisce solo un
primo e approssimativo schema interpretativo e che l’argomento merita
un’analisi più approfondita.
__________
25
Evidenza di una certa lentezza nella risposta dei tassi di interesse sui depositi bancari è stata fornita
da Gambacorta e Iannotti (2005), specialmente prima dell’introduzione del Testo unico bancario
del 1993.
Effetti della politica monetaria sui flussi finanziari 507
Altri settori. – L’insieme degli effetti di una restrizione monetaria
inattesa sul ricorso a nuovi finanziamenti da parte degli altri settori
dell’economia può essere esaminato con le funzioni di risposta a impulso
della figura 7. Le Amministrazioni pubbliche evidenziano un
deterioramento del saldo finanziario (si potrebbe dire che aumenta il deficit
pubblico), aumentando le risorse finanziarie prese a prestito sul mercato;
l’effetto è statisticamente significativo durante il secondo anno seguente lo
shock e potrebbe essere dovuto a una riduzione delle entrate fiscali e
all’aumento dell’onere del servizio del debito. Tale risultato, coerente con
la letteratura, rappresenterebbe un miglioramento rispetto a CEE (1996),
che hanno ottenuto un risultato opposto (cioè un minor deficit), ritenuto
dagli stessi autori di difficile interpretazione.
La modesta entità del livello assoluto dei fondi finanziari netti
raccolti dalle società finanziarie, il cui ruolo principale è l’intermediazione
e che quindi manifestano flussi attivi di entità simile a quelli passivi, unita
all’elevata volatilità (si veda la fig. 4), non consentono di trarre conclusioni
chiare per questo settore.
Il saldo finanziario dell’estero (fig. 7), infine, non rivela una
significativa risposta all’aumento inatteso del tasso di interesse di policy,
con l’eccezione di un modesto aumento dell’indebitamento sull’Italia un
anno dopo lo shock.
6. Conclusioni
Dall’analisi della risposta del sistema economico a un incremento
inatteso del tasso d’interesse di policy di 92 punti base (pari a una
deviazione standard) si possono trarre le seguenti conclusioni.
I risultati dell’analisi del VAR per le principali variabili
macroeconomiche sono coerenti con le previsioni della teoria e con la
letteratura empirica. Nei primi quattro trimestri successivi alla variazione
del tasso di interesse di policy la produzione industriale scende di 0,42
punti percentuali, i prezzi e la moneta (M2) di 0,11 e di 0,34 punti,
rispettivamente. I nostri risultati non mostrano il “price puzzle”, il
“liquidity puzzle” né, seppur con un basso livello di significatività,
l’“exchange rate puzzle”, riscontrati in altri contributi.
Le imprese nei primi quattro trimestri seguenti lo shock riducono
sensibilmente sia l’acquisizione di nuove attività finanziarie sia l’emissione
508 Riccardo Bonci e Francesco Columba
di nuove passività. Le passività a breve termine, in particolare, aumentano,
mentre diminuisce l’indebitamento a medio e lungo termine. Tali
andamenti sono sostanzialmente in linea con l’evidenza empirica per le
imprese degli Stati Uniti e sembrano indicare l’esistenza, nel breve
periodo, di alcuni attriti di natura finanziaria, che impedirebbero alle
imprese di adeguare velocemente il proprio livello di spesa nominale a
seguito della restrizione monetaria.
Le famiglie, nel trimestre immediatamente successivo allo shock,
aumentano l’indebitamento a breve termine e riducono l’acquisizione delle
attività finanziarie più liquide, preferendo investire in titoli.
L’aggiustamento relativamente rapido del proprio portafoglio da parte delle
famiglie farebbe valutare con cautela l’ipotesi di lento aggiustamento tipico
dei modelli di “limited participation”, nei quali, al contrario, non si
osserva un cambiamento significativo nelle scelte delle famiglie nei mesi
immediatamente successivi alla variazione del tasso d’interesse.
Il settore pubblico aumenta il ricorso alle nuove fonti di
finanziamento (una proxy del deficit) per quasi 2 anni dopo lo shock, come
conseguenza di un aumento del costo del servizio del debito e di una
contrazione delle entrate fiscali. Questo risultato, coerente con la
letteratura, costituisce un miglioramento rispetto al lavoro originario di
CEE (1996), i quali ottengono, contrariamente a quanto ci si potrebbe
aspettare, un miglioramento del saldo finanziario del settore pubblico.
In conclusione, pur riconoscendo che sono necessari ulteriori
approfondimenti dei nostri risultati, per esempio riguardo all’opportunità di
procedere ad altri test di robustezza, o alla possibilità di tenere conto di
differenti regimi di politica monetaria nel periodo di osservazione (in
particolare a causa dell’adozione della moneta unica), il presente lavoro
può contribuire a una maggiore comprensione dei meccanismi di
trasmissione della politica monetaria, fornendo risultati empirici aggiuntivi
sui suoi effetti sui flussi finanziari dell’economia.
Effetti della politica monetaria sui flussi finanziari 509
APPENDICE I
I dati
Variabili endogene utilizzate nel VAR:
IP: indice della produzione industriale destagionalizzato (logaritmo).
P: indice dei prezzi al consumo destagionalizzato (logaritmo).
PIMP: indice dei prezzi (in lire) delle importazioni di materie prime
destagionalizzato (logaritmo).
EXR: tasso di cambio nominale lira/marco (lire italiane per marchi
tedeschi; costante dal 1999).
R: tasso di interesse a breve (dal 1980 al 1981: tasso medio sulle
anticipazioni a scadenza fissa; dal 1982 al 1998: tasso di interesse
sulle operazioni contro termine tra la Banca d’Italia e le
istituzioni creditizie; dal 1999: tasso d’interesse sulle operazioni
di rifinanziamento principale della BCE).
M2: aggregato monetario M2 destagionalizzato (logaritmo).
Variabili endogene del VAR
IP P P_IMP
4.9 6.4 4.8
4.8 6.0 4.6
4.4
4.7 5.6
4.2
4.6 5.2
4.0
4.5 4.8
3.8
4.4 4.4 3.6
80 82 84 86 88 90 92 94 96 98 00 02 80 82 84 86 88 90 92 94 96 98 00 02 80 82 84 86 88 90 92 94 96 98 00 02
EXR R M2
7.2 24 13.6
7.0 20
13.2
6.8 16
12.8
6.6 12
12.4
6.4 8
12.0
6.2 4
6.0 0 11.6
80 82 84 86 88 90 92 94 96 98 00 02 80 82 84 86 88 90 92 94 96 98 00 02 80 82 84 86 88 90 92 94 96 98 00 02
510 Riccardo Bonci e Francesco Columba
Serie dei conti finanziari (trasformate in miliardi di lire del 1995 con il
deflatore del PIL, e destagionalizzate quando necessario) per i vari settori
dell’economia:
- Imprese (società non finanziarie): ricorso a nuovi finanziamenti
(NFNET=NFTLI-NFTAS), totale attività finanziarie (NFTAS), totale
passività finanziarie (NFTLI=NFSLI+NFLLI), passività a breve termine
(NFSLI), passività a medio/lungo termine (NFLLI=NFELI+NFDLI),
azioni e partecipazioni (NFELI), altri debiti a medio/lungo termine
(NFDLI);
- Società finanziarie: ricorso a nuovi finanziamenti (FCNET=FCTLI-
FCTAS), totale attività finanziarie (FCTAS), totale passività finanziarie
(FCTLI);
- Famiglie: ricorso a nuovi finanziamenti (HTNET=HTTLI-HTTAS),
totale attività finanziarie (HTTAS), contante e depositi (HTDAS), titoli a
breve termine (HTSAS), titoli a medio/lungo termine (HTBAS), azioni e
partecipazioni (HTEAS), totale passività finanziarie (HTTLI), prestiti a
breve termine (HTSLI), prestiti a medio/lungo termine (HTLLI);
- Settore pubblico: ricorso a nuovi finanziamenti (GGNET=GGTLI-
GGTAS), totale attività finanziarie (GGTAS), totale passività finanziarie
(GGTLI);
- Settore estero: ricorso a nuovi finanziamenti (RWNET=RWTLI-
RWTAS), totale attività finanziarie (RWTAS), totale passività finanziarie
(RWTLI).
Effetti della politica monetaria sui flussi finanziari 511
APPENDICE II
Note metodologiche
Si assume che l’economia sia rappresentabile da una relazione
strutturale del tipo:
A( L ) y t = u t (1)
dove A(L) è un polinomio nell’operatore ritardo L, cioè
A( L) = A0 + A1 L + A2 L2 + ... , yt è il vettore n×1 delle variabili considerate e
ut è il vettore n×1 dei disturbi strutturali. Sia Ω = var(u t ) = E [u t u t′ ] la
matrice n×n delle covarianze dei disturbi strutturali; poiché i termini ut si
assumono reciprocamente indipendenti, la matrice Ω è diagonale e gli n
elementi sulla diagonale principale sono le varianze degli n shock
strutturali.
Riscrivendo la (1) in forma ridotta si ha:
y t = B ( L ) y t + et (2)
che può essere stimata applicando semplicemente i minimi quadrati
ordinari alle singole equazioni. B(L) è un polinomio di matrici
nell’operatore ritardo L e i termini et nella (2) sono i residui del VAR (o
residui di forma ridotta) che risultano dalla stima delle n regressioni. Sia
Σ = var(et ) = E [et et′ ] la matrice delle covarianze dei residui di forma
ridotta.
Con 2 ritardi, la (1) è A0 y t = − A1 y t −1 − A2 y t − 2 + u t , con forma
ridotta ( ) ( )
yt = − A0−1 A1 yt −1 − A0−1 A2 yt − 2 + A0−1ut , cioè la (2) con
B ( L) = −( A0−1 A1 L
+ A0−1 A2 L2 )
; inoltre si verifica immediatamente che i
disturbi strutturali ut e i residui di forma ridotta et sono legati alla relazione:
et = A0−1ut (3)
dove i coefficienti della matrice A0 descrivono le relazioni contemporanee
tra le variabili del VAR, cioè tra gli elementi del vettore yt. Dalla (3) e
512 Riccardo Bonci e Francesco Columba
ricordando che var(et ) = Σ e var(u t ) = Ω , si ricava
′ ′
var(et ) = E (et e′)t = E ( A0−1ut u ′A0−1 ) = A0−1E (ut ut′ )A0−1 , e quindi:
′
Σ = A0−1ΩA0−1 (4)
Il problema ora è risalire dalle stime dei coefficienti della forma
ridotta (2) ai parametri della forma strutturale (1). Le stime di Σ posso
essere utilizzate per ottenere stime di massima verosimiglianza delle
matrici Ω e A0. Poiché Σ è una matrice n×n simmetrica, essa contiene
n×(n+1)/2 parametri che possono essere stimati con il metodo OLS. Nei
termini a destra dell’uguale nella (4), invece, compaiono n2 parametri da
stimare in A0 e n in Ω, ovvero un totale di n×(n+1) parametri liberi. Ciò
implica che sono necessarie almeno [n×(n+1)–n×(n+1)/2] = n×(n+1)/2
restrizioni sui termini di destra della (4) per ottenere l’identificazione: se n
di queste restrizioni derivano semplicemente dalla normalizzazione ad 1
degli elementi diagonali di A0, le restrizioni necessarie si riducono a n×(n-
1)/2.
In questo lavoro facciamo uso di una fattorizzazione a-la Choleski
per rendere ortogonale la matrice delle varianze-covarianze Σ. Ciò equivale
ad imporre appunto n×(n-1)/2 restrizioni sulla matrice A0, che si ipotizza
diagonale inferiore (tutti gli elementi sopra la diagonale principale sono 0);
ne consegue che in questo modo il VAR è esattamente identificato.
Effetti della politica monetaria sui flussi finanziari 513
APPENDICE III
Tavole e grafici
Fig. 1
Shock di politica monetaria stimati
(percentuale, media mobile centrata a 3 termini del tasso annualizzato)
-1
-2
81 83 85 87 89 91 93 95 97 99 01
trimestri
514 Riccardo Bonci e Francesco Columba
Fig. 2
Effetti di uno shock restrittivo di politica monetaria
sulle variabili del VAR
(deviazioni percentuali dalla base-line)
Produzione industriale Livello dei prezzi
.006 .002
.004 .001
.002
.000
.000
-.001
-.002
-.002
-.004
-.003
-.006
-.008 -.004
-.010 -.005
-.012 -.006
0 4 8 12 16 0 4 8 12 16
Prezzi delle importazioni Tasso di cambio
.020 .012
.010 .008
.004
.000
.000
-.010
-.004
-.020
-.008
-.030 -.012
-.040 -.016
0 4 8 12 16 0 4 8 12 16
Tasso d'interesse Moneta (M2)
1.20 .008
1.00 .006
.004
.80
.002
.60
.000
.40
-.002
.20
-.004
.00 -.006
-.20 -.008
-.40 -.010
0 4 8 12 16 0 4 8 12 16
trimestri dopo lo shock trimestri dopo lo shock
Nota: stima delle impulse response functions successive a un incremento del tasso di interesse pari a
una deviazione standard. Le linee tratteggiate delimitano le bande di confidenza di ampiezza pari
all’errore standard della stima, calcolato con ripetizioni Monte Carlo come in Sims e Zha (1999).
Effetti della politica monetaria sui flussi finanziari 515
Fig. 3
Effetti di uno shock restrittivo di politica monetaria
su altre variabili economiche a prezzi costanti del 1995
(deviazioni percentuali dalla base-line)
Consumi privati Consumi pubblici
.003 .006
.002
.004
.001
.000 .002
-.001
.000
-.002
-.003 -.002
-.004
-.004
-.005
-.006 -.006
0 4 8 12 16 0 4 8 12 16
Investimenti fissi lordi Tasso di disoccupazione
.010 .350
.005 .250
.000 .150
-.005 .050
-.010 -.050
-.015 -.150
-.020 -.250
0 4 8 12 16 0 4 8 12 16
Salari trimestri dopo lo shock
.004
.002
.000
-.002
-.004
-.006
-.008
0 4 8 12 16
trimestri dopo lo shock
Nota: le impulse response functions sono stimate su un VAR con 7 variabili nel quale abbiamo
aggiunto, rispetto al VAR iniziale con 6 variabili, nell’ultima posizione una variabile alla volta, tra
quelle riportate sopra. Le linee tratteggiate delimitano le bande di confidenza di ampiezza pari
all’errore standard della stima, calcolato con ripetizioni Monte Carlo come in Sims e Zha (1999).
516 Riccardo Bonci e Francesco Columba
Fig. 4
*
Ricorso a nuovi finanziamenti da parte dei settori
(miliardi di lire del 1995)
Famiglie Imprese
-40 120
-60 100
-80 80
-100 60
-120 40
-140 20
-160 0
-180 -20
1980 1985 1990 1995 2000 1980 1985 1990 1995 2000
Società finanziarie Amministrazioni pubbliche
120 160
140
80
120
40 100
80
0
60
40
-40
20
-80 0
1980 1985 1990 1995 2000 1980 1985 1990 1995 2000
Estero
80
60
40
20
-20
-40
-60
-80
1980 1985 1990 1995 2000
*
Nuove passività emesse (flussi finanziari passivi) al netto delle nuove attività acquisite (flussi
finanziari attivi) dai settori dell’economia.
Effetti della politica monetaria sui flussi finanziari 517
Fig. 5
Effetti di uno shock restrittivo di politica monetaria
sulle attività e passività finanziarie delle imprese
(miliardi di lire del 1995)
R ic ors o a nuovi finanz iam enti
8
-2
-4
-6
-8
0 4 8 12 16
T otale attività finanz iarie T otali pas s ività finanz iarie
8 10
4 5
0 0
-4 -5
-8 -10
- 12 -15
0 4 8 12 16 0 4 8 12 16
P as s ività a breve term ine P as s ività a m edio-lungo term ine
8 6
6 4
2
4
0
2
-2
0
-4
-2
-6
-4
-8
-6 -10
-8 -12
0 4 8 12 16 0 4 8 12 16
Az ioni e partec ipaz ioni em es s e Altre pas s ività a m edio-lungo term ine
6 4
4 2
2 0
0 -2
-2 -4
-4 -6
-6 -8
0 4 8 12 16 0 4 8 12 16
trimestri dopo lo shock trimestri dopo lo shock
Si veda la nota alla figura 3.
518 Riccardo Bonci e Francesco Columba
Fig. 6
Effetti di uno shock restrittivo di politica monetaria
sulle attività e passività finanziarie delle famiglie
(miliardi di lire del 1995)
R ic ors o a nuo vi fina n z ia m e nti
6
0
-2
-4
-6
-8
0 4 8 12 16
T o ta le a tt iv ità fin a n zia r ie T o ta le p a s s ività fin a n z ia rie
20 3
15 2
10 1
5 0
0 -1
-5 -2
-1 0 -3
-1 5 -4
0 4 8 12 16 0 4 8 12 16
A tt iv ità : c o n ta n t e e d e p o s it i A ttività : a zio ni e p a rte c ip a zio ni
9 6
6 4
3 2
0 0
-3 -2
-6 -4
-9 -6
-1 2 -8
0 4 8 12 16 0 4 8 12 16
Attiv ità : tito li a b re ve te r m in e A ttiv ità : tito li a m e d io - lu n g o te r m in e
9 15
6 10
3
5
0
0
-3
-6 -5
-9 -1 0
-12 -1 5
0 4 8 12 16 0 4 8 12 16
P a s s ività : p re s titi a b re ve te rm ine P a s sività : p re s titi a m e d io /lung o te rm .
7 3
5 2
3 1
1 0
-1 -1
-3 -2
-5 -3
-7 -4
0 4 8 12 16 0 4 8 12 16
Si veda la nota alla figura 3.
Effetti della politica monetaria sui flussi finanziari 519
Fig. 7
Effetti di uno shock restrittivo di politica monetaria
sui flussi finanziari dei settori
(miliardi di lire del 1995)
Ricorso a nuovi Nuove attività Nuove passività
finanziamenti
Net funds raised finanziarie
Total acquisite
financial assets Totalfinanziarie emesse
financial liabilities
8 8 10
Non-financial firms
4 5
4
Billions of 95ITL
Imprese
2 0 0
0
-4 -5
-2
-4
-8 -10
-6
-8 -12 -15
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16
6 20 3
4 15 2
1
Billions of 95ITL
Famiglie
2 10
Households
5 0
0
-1
-2 0
-2
-4 -5
-3
-6 -10
-4
-8 -15
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16
18 40 40
Società finanziarie
Financial corporations
30 30
12
20 20
Billions of 95ITL
6
10 10
0 0 0
-10 -10
-6
-20 -20
-12
-30 -30
-18 -40 -40
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16
10 6 18
Amm.ni pubbliche
8 12
4
General government
6
Billions of 95ITL
6
2
4
0
2 0
-6
0
-2
-12
-2
-4 -18
-4
-6 -6 -24
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16
12 24 20
18 15
8
Rest of the world
Billions of 95ITL
12
10
6
Estero
4
5
0
0
0 -6
-5
-12
-4
-18 -10
-8 -24 -15
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16
Quarters after shock Quarters after shock Quarters after shock
trimestri dopo lo shock trimestri dopo lo shock trimestri dopo lo shock
Si veda la nota alla figura 3.
520 Riccardo Bonci e Francesco Columba
Tav. 1
Test diagnostici sul VAR: test LM per l’autocorrelazione
(H0: assenza di correlazione seriale al ritardo h-imo)
Ritardi Statistica LM Probabilità
1 42.3 0.22
2 36.5 0.45
3 43.1 0.19
4 38.7 0.35
5 23.6 0.94
6 40.0 0.30
7 30.9 0.71
8 31.3 0.69
Probabilità da una distribuzione Chi2 con 36 gradi di libertà.
Tav. 2
Test diagnostici sul VAR: test di White per l’eteroschedasticità
Test congiunto:
Chi2 gdl Prob.
1097.60 1071 0.28
Singole componenti:
Residui nella R2 F(51,34) Probabilità Chi2(51) Probabilità
equazione di:
IP 0.39 0.44 0.99 34.22 0.97
P 0.77 2.18 0.01 65.88 0.08
PIMP 0.64 1.17 0.31 54.85 0.33
EXR 0.77 2.27 0.01 66.50 0.07
R 0.65 1.22 0.27 55.69 0.30
M2 0.55 0.82 0.74 47.57 0.61
Effetti della politica monetaria sui flussi finanziari 521
Tav. 3
Test diagnostici sul VAR: statistiche descrittive sui residui
e test di normalità univariata
Residui nella
IP P PIMP EXR R M2
equazione di:
Media 2.32E-15 -1.25E-15 1.96E-13 3.91E-14 -3.64E-12 -8.03E-15
Mediana -0.0007 6.39E-05 0.0013 0.0004 -0.0006 -0.0004
Max 0.0273 0.0083 0.1076 0.0446 2.7194 0.0230
Min -0.0246 -0.0085 -0.0967 -0.0502 -2.2028 -0.0255
Dev. Std. 0.0090 0.0030 0.0418 0.0177 0.9212 0.0093
Somma 2.00E-13 -1.07E-13 1.69E-11 3.36E-12 -3.13E-10 -6.91E-13
N..oss.. 86 86 86 86 86 86
Skewness 0.237 -0.208 0.041 0.063 0.125 0.133
Curtosi 3.496 3.186 2.821 3.835 3.587 3.469
Jarque-Bera 1.687 0.744 0.139 2.558 1.461 1.046
Probabilità 0.430 0.689 0.933 0.278 0.482 0.593
Tav. 4
Test diagnostici sul VAR: normalità dei residui (Lutkepohl)
(ipotesi nulla: residui normali)
Jarque-
Compon. Skew. Chi2 gdl Prob. Kurt. Chi2 gdl Prob. gdl Prob.
Bera
1 0.13 0.25 1 0.62 1.59 7.12 1 0.01 7.37 2 0.02
2 -0.12 0.19 1 0.66 1.55 7.52 1 0.01 7.71 2 0.02
3 -0.02 0.01 1 0.95 1.24 11.03 1 0.01 11.03 2 0.01
4 0.04 0.03 1 0.87 1.91 4.30 1 0.04 4.32 2 0.12
5 0.06 0.05 1 0.82 1.56 7.39 1 0.01 7.44 2 0.02
6 0.09 0.13 1 0.72 1.64 6.65 1 0.01 6.77 2 0.03
Cong. 0.649 6 0.99 44.01 6 0.00 44.66 12 0.00
522 Riccardo Bonci e Francesco Columba
Tav. 5
Test diagnostici sul VAR: selezione del numero dei ritardi
Ritardo LogL LR FPE AIC SC HQ
0 325.650 NA 3.33e-11 -7.0977 -6.4079 -6.8202
* *
1 1090.81 1350.27 1.19e-18 -24.254 -22.530 -23.561
2 1128.94 61.9144 1.15e-18 -24.305 -21.545 -23.195
3 1168.47 58.5918 1.11e-18 -24.387 -20.594 -22.862
4 1208.92 *54.2555 *1.08e-18 -24.492 -19.664 -22.550
5 1246.37 44.9327 1.19e-18 *-24.526 -18.664 -22.168
*
indica il ritardo selezionato da quel criterio. LR: statistica del test LR sequenziale (ogni test al 5 per
cento); FPE: Final prediction error; AIC: Akaike information criterion; SC: Schwarz information
criterion; HQ: Hannan-Quinn information criterion.
Effetti della politica monetaria sui flussi finanziari 523
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DISCUSSIONE DEL LAVORO DI R. BONCI E F. COLUMBA
Francesco Nucci∗
1. Introduzione
Il progetto della Banca d’Italia di ricostruire le serie dei conti
finanziari dei settori istituzionali costituisce un’iniziativa benemerita che
concorre a migliorare in modo significativo il quadro informativo in campo
economico e finanziario. Ne è testimonianza il convegno organizzato dalla
Banca, in cui si ha avuta la riprova di come la varietà degli aggregati resa
disponibile sia estremamente utile per analizzare le caratteristiche della
struttura finanziaria italiana e la sua evoluzione nel tempo.
Anche il lavoro di Riccardo Bonci e Francesco Columba si inserisce
nell’ampio filone di analisi che mira a investigare la struttura finanziaria
italiana attraverso le variazioni degli stock finanziari dei settori
dell’economia. Tuttavia, la domanda alla base del loro lavoro ha un
carattere specifico, che colloca il contributo in un filone di ricerca diverso
da quello degli altri saggi inseriti in questo volume.
L’obiettivo è, infatti, studiare gli effetti di uno shock esogeno alla
politica monetaria sulle decisioni di prendere e dare a prestito dei vari
settori dell’economia. L’area di interesse è dunque quella degli effetti della
politica monetaria sul sistema economico. La motivazione di fondo che
muove gli autori è decifrare meglio il meccanismo di trasmissione degli
shock monetari, allargando il campo alla considerazione di come
rispondano le attività e le passività finanziarie delle famiglie, delle imprese
e delle Amministrazione pubbliche. In questo modo, si può valutare il
merito, in termini empirici, dei modelli teorici in circolazione ed,
eventualmente, tener conto delle evidenze documentate per formulare un
nuovo modello monetario delle fluttuazioni cicliche che fornisca predizioni
sulla risposta degli aggregati in linea con le risposte empiriche ottenute
dagli autori.
Nella parte rimanente di questa nota si discutono i principali risultati
del lavoro, soffermando l’attenzione sull’approccio seguito per
l’identificazione dello shock monetario, sul meccanismo di trasmissione
__________
∗
Università di Roma “La Sapienza”.
528 Francesco Nucci
dell’impulso in assenza degli aggregati finanziari e, infine, sul grado di
coerenza tra la risposta delle attività e delle passività stimata dagli autori e
la risposta documentata in altri studi empirici o rinvenuta nei principali
modelli teorici.
2. L’approccio seguito e l’identificazione degli shock
Nel primo stadio del lavoro gli autori si pongono l’obiettivo di
misurare in maniera adeguata gli shock alla politica monetaria. L’approccio
adottato è quello di stimare un modello VAR di tipo strutturale (structural
vector autoregression, SVAR), la cui caratteristica è consentire
l’identificazione degli effetti sugli aggregati economici di shock alla
politica monetaria. La ragione per cui tale approccio è largamente usato è
che, per isolare gli effetti della politica monetaria, occorre far riferimento
alle innovazioni alla politica monetaria e non all’azione di policy.
Quest’ultima, infatti, risulta endogena rispetto allo stato dell’economia.
Come hanno ben argomentato Christiano et al. (1996), la risposta degli
aggregati dell’economia alle azioni di una Banca centrale che reagisce ai
segnali esterni riflette l’effetto combinato sia dell’azione di policy sia della
dinamica delle variabili a cui la Banca centrale risponde. Allo scopo di
isolare gli effetti della sola politica monetaria, occorre dunque identificare
la componente dell’azione di policy che non rappresenti la reazione ad altre
variabili. Tale componente è la componente esogena, non sistematica, della
politica monetaria e a essa si contrappone la componente sistematica, ossia
la policy reaction function.
In teoria, anche la componente sistematica può essere studiata
attraverso il VAR. Infatti, la parte sistematica dell’equazione del VAR
riferita alla variabile di policy (quale, ad esempio, il tasso sui fed funds per
l’economia USA) può essere interpretata come funzione di reazione
dell’autorità monetaria (Walsh, 2003). In realtà, Rudebusch (1998) ha
dimostrato come la funzione di reazione desumibile da un VAR strutturale
abbia una configurazione ben diversa rispetto a quella che emerge laddove
si formulino funzioni di reazione di tipo standard. Questo risultato induce
qualche elemento di critica nei confronti dell’approccio VAR anche
perché, come osserva Sims (1998), la stragrande parte della variazione
nello strumento di politica monetaria è spiegata dalla reazione delle
autorità alle condizioni dell’economia e non dai “disturbi casuali”
all’azione di policy.
Discussione del lavoro di R. Bonci e F. Columba 529
Nella specificazione del loro modello SVAR, Bonci e Columba
scelgono il tasso sulle operazioni pronti contro termine di rifinanziamento
quale strumento di policy, conformemente a precedenti studi effettuati
sull’economia italiana (per esempio, Gaiotti, 1999). Anche le scelte sulla
dimensione del modello e sulle variabili da includervi risultano standard
per l’economia italiana nel periodo considerato (1980-2002). La
produzione industriale (y), i prezzi al consumo (p), i prezzi
all’importazione delle materie prime (pm), il tasso di cambio lira-marco
(e), il tasso di interesse di policy (repo rate, r) e l’aggregato monetario M2
sono le sei variabili che formano il modello di base. Quest’ultimo viene in
seguito accresciuto con l’inclusione di una settima variabile, che può essere
un’altra variabile macroeconomica (ad esempio, i salari) oppure il flusso di
attività o passività finanziarie di uno dei settori istituzionali.
Allo scopo di identificare le innovazioni alla politica monetaria
occorrono assunzioni opportune. Nel lavoro viene seguito l’approccio della
scomposizione di Choleski, che si basa sull’imposizione di restrizioni alla
matrice A0 che lega gli errori della forma strutturale del VAR, εt, a quelli
della sua forma ridotta, ut:
(1) A0ut = ε t
Le restrizioni sulla matrice A0 sono inserite in modo da imporre un
ordine causale ricorsivo per le variabili inserite nel modello (recursiveness
assumption), in base al quale la variabile inserita per prima nel VAR è
quella ritenuta più esogena, al contrario dell’ultima che, invece, si ritiene
essere la più endogena. La scelta adottata è quella di inserire prima le
variabili non di policy e dopo le rimanenti variabili, seguendo lo stesso
ordine con cui, poco sopra, ho enumerato le variabili inserite dagli autori
nel modello di base. Operativamente, l’implicazione dell’assunzione
adottata è che tutte le variabili che precedono lo strumento di policy (il
tasso repo) sono quelle che rispondono allo shock con un ritardo temporale
di un periodo. Al contrario, le variabili che nell’ordine di inserimento nel
VAR appaiono dopo lo strumento di policy sono quelle la cui risposta si
manifesta già nello stesso periodo in cui l’impulso viene impartito.
Pertanto, nel VAR analizzato da Bonci e Columba solo l’aggregato M2
risponde allo shock nello stesso periodo in cui questo si registra.
Riguardo alla specificazione del VAR, una questione che si ritiene
critica riguarda il tasso di cambio, che Bonci e Columba inseriscono nel
modello empirico anteponendolo rispetto al tasso d’interesse di policy.
530 Francesco Nucci
L’inclusione del tasso di cambio all’interno del sistema è certamente
opportuna, data l’importanza del vincolo esterno per l’economia italiana in
larga parte del periodo temporale considerato. L’inserimento del tasso di
cambio quale variabile non-policy, tuttavia, implica che il cambio reagisca
con ritardo all’impulso monetario. Sebbene questo aspetto non sia centrale
rispetto agli obbiettivi del paper, orientati verso l’effetto della politica
monetaria sulle attività di dare e prendere a prestito dei vari settori, tuttavia
è importante che le innovazioni monetarie (e il loro meccanismo di
trasmissione) siano identificati nel modo più appropriato.
A tal proposito, sarebbe forse opportuno consentire una causalità
simultanea tra il tasso di interesse e il tasso di cambio. Per far ciò sarebbe
necessario conferire “più struttura” al modello, invece di limitarsi
all’ordinamento ricorsivo delle variabili. Una strategia possibile è quella
proposta da Smets (1997) e Gaiotti (1999) che, allo scopo di identificare il
modello altrimenti sotto-identificato, prescelgono opportune variabili
strumentali per il tasso di cambio nell’equazione del VAR relativa al tasso
d’interesse di policy. Se si esprimono le due equazioni del VAR del tasso
di interesse (r) e del tasso di cambio (e) facendo riferimento ai residui della
forma ridotta:
(2) ur = β0 · ue + β1 · uy + β2 · up +… εr
(3) ue = δ0 · ur + δ1· uy + δ2 · up +… εe,
risulta chiaro che la variabile ue nella (2) deve essere strumentata per
consentire l’identificazione.
Per la scelta di strumenti appropriati, l’esperienza dello SME può
fornire utili indicazioni. Infatti, almeno negli anni in cui questo sistema era
in vigore, risulta condivisa la visione che la politica monetaria della
Germania abbia spiegato larga parte della politica monetaria in Italia. Lo
strumento di policy in mano alle autorità monetarie veniva largamente
utilizzato per assicurare il rispetto del vincolo esterno, ossia la stabilità del
cambio all’interno dei suoi margini di oscillazione (Dornbusch, Favero e
Giavazzi, 1998). Pertanto, alla luce delle caratteristiche dello SME si
potrebbero adottare, quali variabili strumentali rilevanti per il tasso di
cambio lira-marco, le misure di shock al tasso di policy tedesco nonché il
tasso di cambio dollaro-marco (si vedano Smets, 1997 e Gaiotti, 1999).
Discussione del lavoro di R. Bonci e F. Columba 531
3. I risultati
3.1 Il meccanismo di trasmissione senza i flow of funds
Prima di introdurre all’interno del VAR le attività e le passività
finanziarie dei vari settori dell’economia, gli autori stimano il modello
originario ed esaminano le risposte dei principali aggregati a un impulso
restrittivo di politica monetaria. In generale, tali risposte risultano in linea
con gli a priori forniti dalla teoria economica e da altri studi empirici.
In particolare, dall’analisi delle risposte allo shock monetario non
sembra emergere alcun paradosso, che invece si è manifestato in altri studi
simili. Ad esempio, non vi è un liquidity puzzle, in quanto si documenta
che la restrizione monetaria dà luogo a una riduzione della liquidità.
Inoltre, il livello dei prezzi, sia pur debolmente, mostra una tendenza ad
abbassarsi a seguito della restrizione monetaria, conformemente a quanto
suggerito dalla teoria. Infine, il tasso di cambio mostra una debole tendenza
iniziale all’apprezzamento, per poi ritornare ai livelli di partenza. Non vi è
dunque un exchange rate puzzle, che vi sarebbe stato in presenza di un
deprezzamento generato dalla restrizione monetaria. È opportuno
osservare, tuttavia, che la risposta del tasso di cambio documentata nel
lavoro, pur essendo a grandi linee coerente con la teoria dell’overshooting,
risulta assai debole. La strategia alternativa di identificazione del modello
indicata nella sezione precedente potrebbe forse condurre a una risposta del
tasso di cambio più marcata e dunque ancora più in linea con il
meccanismo dell’overshooting (Gaiotti, 1999).
Si ritiene, inoltre, che un utile esercizio aggiuntivo, in grado di
accrescere il quadro informativo del lavoro, consista nella scomposizione
della varianza dell’errore di previsione (FEDV) e nell’esame, dunque, di
quale sia la frazione della variabilità ciclica riconducibile a shock di tipo
monetario.
Nel lavoro, risulta anche d’interesse la parte in cui il modello VAR
originario a sei variabili viene accresciuto per includervi una settima
variabile. Vari esercizi vengono effettuati e documentati nel saggio con
riferimento all’aggiunta di una variabile alla volta nel VAR e, in
particolare, di indicatori di attività economica. Si tratta dei consumi privati
e di quelli pubblici, degli investimenti fissi lordi, del tasso di
disoccupazione e dei salari. Un risultato appare alquanto sorprendente,
visto che è ottenuto per l’economia italiana: a seguito della restrizione
532 Francesco Nucci
monetaria i salari nominali scendono e, dal momento che i prezzi risultano
rigidi nel breve periodo, i salari reali esibiscono di fatto una lieve flessione.
Tale evidenza è in linea con quanto documentato per l’economia americana
(cfr., per esempio, Christiano et al., 1996) ma non appare conforme rispetto
ad altri studi empirici per l’Italia (cfr. , per esempio, Gaiotti, 1999).
Una questione di carattere tecnico che si vuole segnalare è che
ciascuna di queste variabili aggiuntive inserite nel VAR quale settima
variabile è assimilabile a una variabile non-policy e in quanto tale, alla luce
della discussione fatta prima, andrebbe inserita prima del tasso d’interesse,
così come avviene per output e prezzi. Al contrario, nel lavoro di Bonci e
Columba ciascuna di esse viene inserita nel VAR dopo lo strumento di
policy, generando così una possibile incoerenza riguardo alla logica
adottata per l’identificazione dell’intero modello.
3.2 Il meccanismo di trasmissione con i flow of funds
La parte centrale del lavoro è quella che riguarda gli effetti della
politica monetaria sulle attività di dare e prendere a prestito dei vari settori
dell’economia. Prendiamo in considerazione innanzitutto il settore delle
imprese non finanziarie ed esaminiamo i risultati empirici associati alla
stima di diversi modelli VAR. In ciascuno di essi si inserisce
alternativamente, quale settima variabile, il flusso di attività finanziarie
detenute da questo settore, il flusso di passività finanziarie ovvero il saldo
di queste due grandezze.
Le principali evidenze che Bonci e Columba ricavano per questo
settore sono le seguenti. Il livello delle attività e delle passività finanziarie
delle imprese mostra una flessione nel trimestre in cui viene impartito lo
shock monetario restrittivo e nei due trimestri successivi. Esaminando il
saldo di queste due grandezze, ossia la raccolta netta di fondi (NFR), la
risposta di questa variabile non risulta mai significativa, tranne che
all’impatto, dove mostra un incremento. Anche se si vanno a inserire nel
VAR specifiche tipologie di passività finanziarie, ad esempio quelle a
breve o a lungo termine, il quadro rimane sostanzialmente immutato: la
restrizione monetaria genera un ridimensionamento delle passività più o
meno sensibile.
Per valutare il grado di plausibilità dei loro risultati, Bonci e
Columba fanno continuo riferimento al lavoro di Christiano et al. (1996)
citato in precedenza, che, per primo, affronta la questione degli effetti della
politica monetaria sull’andamento delle attività e passività finanziarie dei
Discussione del lavoro di R. Bonci e F. Columba 533
vari settori mediante la metodologia VAR. Studiando l’economia
americana, Christiano et al. (1996) ottengono risultati empirici che
appaiono alquanto diversi da quelli documentati da Bonci e Columba.
Iniziamo con il settore delle imprese non finanziarie. Gli autori
americani mostrano che, a seguito della restrizione monetaria, si osserva un
accrescimento sia delle passività sia delle attività finanziarie di questo
settore nonché della raccolta netta di fondi (NFR). Per tentare di
riconciliare questo risultato empirico con qualche modello teorico,
Christiano et al. (1996) invocano un quadro di analisi in cui sia
contemplata una certa inerzia nei costi delle imprese dovuta a frizioni
finanziarie. In base a questo meccanismo, la restrizione monetaria,
accompagnandosi a condizioni cicliche meno favorevoli e a una riduzione
del cash-flow, implica un maggior indebitamento per far fronte alle spese
relative a impegni contrattuali pregressi e, come tali, difficilmente
comprimibili.
Questa visione risulterebbe dunque compatibile con un aumento
delle passività delle imprese a seguito dello shock monetario, ma non trova
supporto empirico nell’analisi di Bonci e Columba. Nonostante questo
chiaro segnale che emerge dai dati italiani, Bonci e Columba cercano di
riconciliare i loro risultati con quelli di Christiano et al. (1996). A tal fine
utilizzano la disaggregazione delle passività per scadenza e, pur ottenendo
di fatto gli stessi risultati ricavati per il totale delle passività, giungono a
concludere che i loro risultati empirici sono coerenti con quelli
dell’economia americana e con le predizioni teoriche dei modelli con
frizioni finanziarie e inerzia nell’aggiustamento dei costi d’impresa.
Sarebbe, al contrario, opportuno che Bonci e Columba rimarcassero
le differenze tra i loro risultati empirici sulle imprese non finanziarie e
quelli ottenuti da Christiano et al. (1996). Peraltro, è da sottolineare come
la riduzione, a seguito di restrizione monetaria, dei prestiti contratti dalle
imprese risulti perfettamente coerente con i meccanismi di trasmissione dei
principali modelli in circolazione. Tra questi si citano quelli ispirati alla
c.d. “money view” (ad esempio, il modello IS-LM), quelli ispirati alla
“credit view” (cfr., per esempio, Bernanke e Blinder, 1988) o ai modelli
monetari del ciclo del tipo DSGE (dynamic stochastic general equilibrium
model; si veda, ad esempio, Fuerst, 1994).
Similmente, anche la riduzione delle attività finanziarie delle
imprese in seguito a una contrazione monetaria risulta perfettamente in
534 Francesco Nucci
linea con le predizioni standard della maggior parte dei modelli in
circolazione.
Passando a esaminare la risposta delle attività e passività del settore
delle famiglie a fronte di uno shock alla politica monetaria, viene
spontaneo muovere a Bonci e Columba una critica che attiene
all’interpretazione dei risultati e, come tale, equivalente a quella mossa per
il settore delle imprese. Vediamo nel dettaglio. Gli autori documentano una
riduzione significativa della raccolta netta di fondi delle famiglie a seguito
della restrizione. Tuttavia, esaminando la risposta separata del totale delle
passività e delle attività, la loro dinamica risulta debole e poco significativa
dal punto di vista statistico. Al contrario, nel lavoro di Christiano et al.
(1996) la risposta di entrambi questi aggregati risulta molto più forte.
Eppure, in tale lavoro sui dati americani si afferma che i risultati sarebbero
coerenti con i modelli di “limited participation” formulati, tra gli altri, da
Christiano ed Eichenbaum (1992). In base a questa teoria, lo ricordiamo, le
famiglie non aggiusterebbero le loro attività e passività finanziarie nella
fase immediatamente successiva allo shock di politica monetaria.
Se tale teoria viene invocata per interpretare i risultati ottenuti per gli
USA, a maggior ragione essa potrebbe essere invocata per spiegare le
evidenze empiriche trovate da Bonci e Columba per l’economia italiana. Se
si guarda, infatti, agli aggregati (totale attività e passività finanziarie) la
risposta debole e poco significativa risulterebbe coerente con quanto
affermato dai modelli di “limited participation”. Al contrario, Bonci e
Columba affermano l’opposto, semplicemente perché guardano alla
risposta della raccolta netta di fondi, che è effettivamente diversa da zero,
invece che alle due componenti che la costituiscono (le attività e le
passività).
In realtà, esaminando con maggiore attenzione i risultati di Bonci e
Columba e, in particolare, la distinzione effettuata dagli autori per tipologia
di asset e liability, si riscontra un aggiustamento significativo nel
portafoglio finanziario. A seguito della restrizione, infatti, il portafoglio
viene modificato detenendo meno depositi e azioni, da un lato, e più titoli
obbligazionari, sia a breve sia a lunga scadenza, dall’altro. Sono queste, e
non altre, le evidenze che rendono incoerente il limited participation model
con i risultati del loro paper. Tale aspetto andrebbe esplicitamente messo in
rilievo, unitamente alla circostanza che i risultati documentati dagli autori
non risultano affatto incoerenti con le predizioni teoriche dei principali
modelli in circolazione.
Discussione del lavoro di R. Bonci e F. Columba 535
Infine, viene esaminato nel lavoro il settore delle Amministrazioni
pubbliche (AP) e anche per esso si esamina come le attività e le passività
rispondano nel tempo a una politica monetaria restrittiva. Nel lavoro di
Christiano et al. (1996) il risultato empirico ottenuto a tal riguardo è
quantomeno sorprendente e certamente contro-intuitivo. Gli autori
americani, infatti, documentano che uno shock restrittivo di politica
monetaria riduce in modo significativo la raccolta netta di fondi (NFR)
delle AP, che, sostanzialmente, riflette il fabbisogno pubblico. Nel lavoro
di Bonci e Columba, al contrario, la raccolta netta delle AP sale
leggermente a seguito dello shock e questo, a prima vista, implicherebbe
l’assenza nei loro risultati di quel paradosso inspiegabile che invece si
ricava dallo studio di Christiano et al. (1996).
Tuttavia, un’analisi più attenta dei risultati empirici di Bonci e
Columba evidenzia che la risposta allo shock delle sole passività
finanziarie delle AP (di fatto il debito pubblico) risulterebbe non
significativa e talvolta di segno negativo. Dato il peso della spesa per
interessi nella finanza pubblica italiana, è lecito domandarsi se, alla luce di
questa evidenza aggiuntiva, il puzzle sia del tutto venuto meno, ovvero se
continui a permanere, sia pur in forma attenuata.
536 Francesco Nucci
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Bernanke, B. e A. Blinder (1988), Credit, Money, and Aggregate Demand,
in “American Economic Review”, vol. 78, n. 2, pp. 435-439.
Christiano, L. e M. Eichenbaum (1992), Liquidity Effects and the Monetary
Transmission Mechanism, in “American Economic Review”, vol.
82, n. 2, pp. 346-353.
Christiano, L., Eichenbaum, M. e C. Evans (1996), The Effects of Monetary
Policy Shocks: Evidence from the Flow of Funds, in “Review of
Economics and Statistics”, vol. 78, pp.16-34.
Dornbusch, R., Favero, C. e F. Giavazzi (1998), Immediate Challenges for
the European Central Bank, in “Economic Policy”, vol. 26, pp. 17-
64.
Fuerst, T. (1994), The Availability Doctrine, in “Journal of Monetary
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Gaiotti, E. (1999), The Transmission of Monetary Policy Shocks in Italy,
1967-1997, Banca d’Italia, Temi di discussione, n. 363.
Rudebusch, G.D. (1998), Do Measures of Monetary Policy in a VAR Make
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931.
Sims, C.A. (1998), Comment on Rudebusch’s ‘Do Measures of Monetary
Policy in a VAR Make Sense?’, in “International Economic Review”,
vol. 39, n. 4, pp. 933-941.
Smets, F. (1997), Measuring Monetary Policy Shocks in France, Germany
and Italy:Tthe Role of the Exchange Rate, Bank for International
Settlements, Working Paper n. 4.
Walsh, C.E. (2003), Monetary Theory and Policy, Cambridge, Mass., The
MIT Press.
Sessione 4
I CONFRONTI INTERNAZIONALI
Presidente: Luigi Federico Signorini
LE STRUTTURE FINANZIARIE DEI PRINCIPALI PAESI
INDUSTRIALI: UN’ANALISI DI MEDIO PERIODO
Laura Bartiloro, Riccardo De Bonis, Andrea Generale e Irene Longhi∗
1. Introduzione e motivazione
L’esame delle strutture finanziarie può essere effettuato da
molteplici punti di vista. Differenze nei sistemi finanziari sono espressione
di tipi diversi di capitalismo; possono essere legate alla distinzione classica
tra sistemi basati sulle banche e sistemi fondati sui mercati; possono essere
state determinate da scelte istituzionali e di supervisione, da eterogeneità
nelle scelte di politica economica in risposta a crisi finanziarie; possono
essere ricondotte alle origini legali dei paesi.
Le differenze tra sistemi finanziari sono al centro della letteratura
che investiga il nesso tra finanza e crescita economica, con direzioni di
causalità non facili da discernere; rilevano per le asimmetrie nei canali di
trasmissione di una politica monetaria unica in un’area composta da paesi
diversi; possono influire sul finanziamento delle attività innovative e sulla
crescita dimensionale delle imprese; segnalano diverse propensioni al
rischio degli agenti economici; sono importanti per la stabilità finanziaria.
Richiamandosi ad alcuni di questi temi, il lavoro analizza la
ricchezza finanziaria e reale, il ruolo di intermediari e mercati,
l’indebitamento di famiglie e imprese nei principali paesi industriali: Stati
Uniti, Giappone, Italia, Regno Unito, Francia, Germania, Spagna (solo per
attività e passività finanziarie). Il contributo ruota intorno a quattro gruppi
di domande.
a) Quali sono le differenze tra paesi nella dimensione della
sovrastruttura finanziaria? Che rapporto esiste tra attività finanziarie e
ricchezza reale?
__________
∗
Banca d’Italia, Servizio Studi. Giancarlo Marra ha predisposto una procedura di conversione
automatica e di aggregazione dei dati degli Stati Uniti e del Giappone. Giuseppe Acito, Cristiana
Rampazzi e Stefano Vicarelli hanno collaborato alla preparazione delle tavole e dei grafici. Le
opinioni espresse sono quelle degli autori e non impegnano l’Istituto di appartenenza.
540 Laura Bartiloro, Riccardo De Bonis, Andrea Generale e Irene Longhi
b) Le differenze nella finanziarizzazione delle economie sono
attribuibili a determinati settori istituzionali? Qual è il ruolo delle
banche e degli altri intermediari finanziari?
c) Qual è stata l’evoluzione della ricchezza (finanziaria e reale) e
dell’indebitamento delle famiglie? È mutata la composizione degli
strumenti finanziari a seconda del loro grado di rischiosità?
d) Qual è il peso relativo delle fonti esterne e interne di finanziamento
delle imprese? Come si sono evoluti l’indebitamento e la composizione
delle passività finanziarie?
Per verificare la persistenza delle differenze tra i sistemi finanziari,
abbiamo analizzato un lasso di tempo sufficientemente lungo, gli anni dal
1995 al 2004, durante i quali si sono verificati un rialzo, una caduta e una
successiva ripresa della Borsa. Il lavoro usa, come base statistica
principale, i conti finanziari. Per i paesi europei le statistiche recepiscono le
definizioni del Sistema europeo dei conti (SEC95; cfr. Appendice), la cui
adozione ha accresciuto la comparabilità delle informazioni dei conti
finanziari. Rimangono differenze nelle definizioni dei settori istituzionali e
degli strumenti per gli Stati Uniti e il Giappone.
Il contributo è diviso in sei paragrafi. Dopo l’introduzione, il
secondo paragrafo presenta un primo confronto tra attività finanziarie e
ricchezza reale. Il terzo paragrafo è dedicato agli intermediari. Il quarto
paragrafo discute la composizione della ricchezza e l’indebitamento delle
famiglie. Il quinto analizza la struttura finanziaria e l’indebitamento delle
imprese. Il sesto paragrafo riporta le conclusioni principali del lavoro.
2. Attività finanziarie e reali
2.1 La crescita recente delle attività finanziarie
Nell’ultimo decennio si è assistito a una forte espansione delle
attività finanziarie. Nel periodo 1995-2004 la loro consistenza è
raddoppiata in Italia, Regno Unito e Stati Uniti, mentre è cresciuta di circa
l’80 per cento in Francia (tav. 1) e del 70 in Germania. Le attività
finanziarie sono cresciute di meno del 10 per cento in Giappone, riflettendo
la riduzione dei valori di Borsa e la contrazione del ricorso ai finanziamenti
esterni da parte del settore privato, in una fase di prolungata e intensa
recessione economica.
Le strutture finanziarie dei principali paesi industriali 541
In rapporto al prodotto il peso delle attività finanziarie è cresciuto in
tutti i paesi. L’aumento della finanziarizzazione è stato sospinto dalla
deregolamentazione dell’attività finanziaria, che ha ampliato gli strumenti
disponibili per l’allocazione del risparmio; i progressi nelle tecnologie
della comunicazione hanno accresciuto le possibilità di scelta di debitori e
creditori. I bassi tassi di interesse, nominali e reali, hanno favorito il ricorso
ai finanziamenti esterni1.
2.2 L’aumento dell’apertura internazionale
La maggiore integrazione dei mercati finanziari si è riflessa in una
crescita delle transazioni finanziarie con l’estero. In tutti i paesi, con
l’eccezione del Giappone, è aumentato il peso delle attività finanziarie del
resto del mondo in rapporto al prodotto. L’aumento nel periodo è stato più
forte nel Regno Unito e in Germania.
Pur essendo difficile individuare i nessi di causalità, uno sviluppo
maggiore del sistema finanziario può essere accompagnato da un grado più
elevato di apertura alle transazioni internazionali2. La dispersione tra paesi
del rapporto tra le attività del resto del mondo e il prodotto è elevata e
riflette tradizioni storiche, dimensione dei mercati interni, tempi e modi di
attuazione delle liberalizzazioni valutarie. Considerando i livelli attuali,
Giappone e Stati Uniti appaiono come i paesi più chiusi alle relazioni con
l’estero. L’Italia è in una posizione intermedia, mentre in Francia e in
Germania si osservano valori più alti delle attività con l’estero. Il Regno
Unito, dove il peso della finanza è influenzato dalla consolidata apertura
commerciale del paese e dal ruolo primario di Londra quale centro di
operatività interbancaria, si conferma il paese con il maggior grado di
apertura con l’estero3.
__________
1
La finanziarizzazione crescente dell’economia risale all’inizio degli anni ottanta, come riassunto in
Giannini (2004), capitolo VII, ma è accelerata negli ultimi dieci anni.
2
Sul nesso tra apertura commerciale e integrazione internazionale, cfr. Quy-Toan Do e Levchenko
(2004) e Rajan e Zingales (2001).
3
Nel 2004 il peso delle attività finanziarie del resto del mondo sul totale delle attività era pari a circa
il 25 per cento nel Regno Unito, era compreso tra il 15 e il 18 per cento nei principali paesi
europei, era circa l’8 per cento negli Stati Uniti e il 4 in Giappone. Considerando i diversi strumenti
finanziari, nei paesi europei circa un terzo dei titoli è detenuto dal settore estero, mentre nel Regno
Unito il resto del mondo detiene una quota consistente di tutte le principali tipologie di attività
finanziarie. Negli Stati Uniti e in Giappone la quota dei titoli in portafoglio al settore estero è
relativamente più ridotta. Dal lato del passivo finanziario dell’estero, tra i paesi dell’Europa
continentale la quota delle azioni emesse da non residenti sul totale risulta particolarmente elevata
in Italia, in Germania e in Francia; in questo paese lo strumento più rilevante è costituito dai titoli
(continua)
542 Laura Bartiloro, Riccardo De Bonis, Andrea Generale e Irene Longhi
2.3 Attività finanziarie versus attività reali: il FIR di Goldsmith
Il rapporto tra le attività finanziarie lorde e la ricchezza reale
nazionale – il FIR (Financial Interrelations Ratio) – è cresciuto tra il 1995
e il 2000, in una fase caratterizzata dall’andamento favorevole della Borsa,
dalla diminuzione dei tassi di interesse, dall’andamento positivo delle
economie (tav. 1). Dal 2000, al calo delle Borse e all’aumento dei prezzi
degli immobili si è associata una riduzione del FIR in Francia, Italia e Stati
Uniti. Fa eccezione il Giappone, dove il FIR è continuato a crescere per
effetto della contrazione della ricchezza reale, determinata dalla riduzione
del valore dei terreni4. In Germania il FIR è sceso soltanto nel 2002 e in
misura lieve, a causa di una dinamica contenuta dei prezzi delle attività
reali5. Nel Regno Unito, dove l’aumento dei prezzi degli immobili si è
manifestato in anticipo rispetto ai paesi dell’Europa continentale, il FIR ha
iniziato a scendere, seppur lievemente, prima che negli altri paesi.
Nonostante i mutamenti osservati nel periodo, l’Italia ha tuttora il
più basso rapporto tra attività finanziarie e ricchezza reale (tav. 1) e il
rapporto più alto tra ricchezza reale e PIL. Pur con la prudenza imposta
dall’assenza di un’armonizzazione metodologica nei criteri di misurazione
(ad esempio nel calcolo del valore degli immobili), il peso della ricchezza
reale in Italia può essere ricondotto ai tradizionali elevati tassi di risparmio;
all’importanza del settore manifatturiero; alla sostituzione di lavoro con
capitale perseguita dalle imprese a partire dagli anni settanta; alla minore
varietà di strumenti finanziari disponibili prima del processo di
liberalizzazione dei mercati.
____________________________________________________________
obbligazionari, mentre nel Regno Unito è elevato sia il peso degli strumenti più liquidi (titoli e
depositi), sia quello delle azioni. Negli Stati Uniti tra le passività del resto del mondo una quota
rilevante è rappresentata dalle altre passività (tra cui figurano i debiti commerciali).
4
Secondo lo Statistical Handbook of Japan (2003): “With the collapse of the bubble economy,
national wealth followed a downward trend and in 2001 fell by 18 percent [with respect to 1990].
Among the assets, the decline in land prices was particularly sharp, and it reduced the proportion
of land in national wealth from 69 percent in 1990 to 50 percent in 2001. Due to the fall in land
values and other factors, national wealth at 2001 year-end was 2906.7 trillion yen, down 1.9
percent (56.2 trillion yen) from the figure at 2000 year-end, recording a fourth consecutive year of
decline”.
5
Il rapporto “Structural factors in the EU housing markets” (BCE, 2003), a cura dell’Eurosistema,
documenta una sostanziale stabilità dei valori degli immobili in Germania.
Le strutture finanziarie dei principali paesi industriali 543
2.4 Una scomposizione del FIR: da che cosa dipendono le sue
variazioni?
Goldsmith (1985) presenta una scomposizione del FIR nei suoi
elementi fondamentali. Il rapporto tra attività finanziarie e ricchezza reale
in un dato momento del tempo dipende, direttamente, dall’ammontare delle
emissioni di passività finanziarie nel periodo, dalle variazioni nel valore
della consistenza delle passività in essere e delle nuove emissioni e,
inversamente, dal rapporto tra ricchezza nazionale e prodotto.
Pur con le cautele dovute al breve lasso temporale a disposizione per
l’analisi, che non consente di estrapolare indicazioni strutturali dai risultati,
l’evoluzione del FIR può essere scomposta come:
FIRt = AFt/RRt = [(δnf + ϖnf + δfa + ϖfa + δap + ϖap + δrm + ϖrm +δsf
+ ϖsf )* PILt/RRt ]+ AFt-n/RRt
dove δ sono le emissioni di nuove passività dei diversi settori
istituzionali tra t-n e t (nf=imprese; fa=famiglie; ap=amministrazioni
pubbliche; rm=resto del mondo; sf=settore finanziario), al netto degli
effetti dovuti alla variazione dei prezzi degli strumenti finanziari. ϖ sono le
variazioni di valutazione. Sia δ sia ϖ sono espresse in rapporto al prodotto
al tempo t (alla fine del periodo). PILt/RRt è il rapporto tra prodotto e
ricchezza nazionale; infine, il rapporto tra attività finanziarie all’inizio del
periodo e ricchezza nazionale alla fine del periodo ha natura di residuo.
Questa scomposizione consente di misurare la rilevanza degli effetti
quantità e degli effetti prezzo sull’andamento del FIR. In altre parole, si
può valutare in che misura l’aumento della finanziarizzazione sia dovuto
alla crescita delle emissioni dei diversi settori istituzionali (effetto quantità)
o alla rivalutazione degli strumenti finanziari (effetto prezzo).
Nel complesso del periodo 1996-2004, l’effetto quantità prevale
sull’effetto prezzo (tav. 2): le emissioni nette di nuove passività (i δ) sono
state maggiori della variazione del valore delle loro consistenze indotto
dall’andamento dei prezzi. Limitando l’analisi agli anni 1996-2000, la fase
di boom della Borsa, le variazioni dei prezzi hanno dato un contributo
positivo alla crescita del FIR in tutti i paesi, pur restando inferiori ai flussi
netti di nuove passività: l’effetto quantità è prevalso sull’effetto prezzo
anche negli anni di aumento dei corsi azionari. Negli anni successivi
544 Laura Bartiloro, Riccardo De Bonis, Andrea Generale e Irene Longhi
(2001-04), il calo del FIR, attribuibile alla forte crescita delle attività reali,
ha risentito degli effetti di valutazione di segno negativo, legati alla caduta
delle Borse, nonché, nei paesi dell’Europa continentale, della flessione
delle nuove emissioni.
2.5 Il peso dei settori nelle emissioni
Nel periodo 1996-2004, considerando i flussi di nuove passività al
netto degli effetti di valutazione (i δ), in tutti i paesi circa la metà delle
nuove emissioni fa capo al settore finanziario (tav. 2). Tra i settori non
finanziari, le emissioni estere sono state particolarmente rilevanti in
Germania e nel Regno Unito, confermando, come visto nel punto 2.2, che i
due paesi sono quelli che di recente hanno più accresciuto i rapporti con
l’estero. In Italia e negli Stati Uniti sono i flussi debitori di imprese e
famiglie ad avere un ruolo importante. Diverso è il caso del Giappone, in
cui, accanto alle società finanziarie, un ruolo primario è quello delle
amministrazioni pubbliche. Queste ultime in Europa hanno invece dato
luogo a emissioni basse rispetto a quelle degli altri settori, a causa dei
vincoli di finanza pubblica.
Considerando il profilo temporale delle nuove emissioni (tav. 3), per
i settori non finanziari i flussi netti di nuove passività in rapporto al PIL
sono cresciuti nel triennio 1998-2000 rispetto ai tre anni precedenti nella
gran parte dei paesi. L’espansione delle passività delle imprese è stata
ampia in tutti i paesi occidentali; è dipesa anche dalla necessità di far fronte
agli impegni finanziari assunti in seguito a operazioni di finanza
straordinaria, in una fase in cui gli elevati valori di Borsa consentivano di
limitare la crescita del grado di indebitamento. Nel 2001-03, durante la fase
di calo dei mercati dei capitali e di rallentamento delle economie, il flusso
di nuove passività si è ridotto rispetto al triennio precedente6.
3. Intermediari e strumenti finanziari
3.1 Sul ruolo delle istituzioni finanziarie
L’analisi del grado di finanziarizzazione delle economie ha mostrato
che a paesi con un rapporto più contenuto tra attività finanziarie e PIL, in
__________
6
L’eccezione positiva è la Francia, dove i flussi di nuove passività finanziarie sono cresciuti anche
nel triennio 2001-03.
Le strutture finanziarie dei principali paesi industriali 545
particolare Italia e Germania, si contrappongono economie con valori
elevati di questo indicatore, come la Francia, gli Stati Uniti, il Giappone e,
soprattutto, il Regno Unito. Le differenze tra i paesi nella rilevanza delle
attività finanziarie riflettono, tra l’altro, il diverso peso degli intermediari.
La scomposizione del FIR ha già indicato il rilievo delle istituzioni
finanziarie per la sua crescita. Il peso delle attività dei diversi settori
dell’intermediazione illustra quale comparto specifico dell’industria
finanziaria sia caratterizzato da un ritardo rispetto ad altri paesi.
In Italia il rapporto tra le attività finanziarie delle banche, dei fondi
comuni monetari, degli altri intermediari finanziari, dei fondi pensione
privati e delle assicurazioni e il prodotto è cresciuto da 1,7 a 2,6 tra il 1995
e il 2004 (tav. 4), ma rimane inferiore a quello degli altri paesi7. Tale
differenza, insieme al peso minore delle attività dei non residenti, spiega il
rapporto più contenuto tra attività finanziarie complessive e prodotto
osservato nel nostro paese rispetto agli altri paesi europei. Nel confronto
con gli Stati Uniti e il Giappone, il minor grado di finanziarizzazione
dell’Italia è attribuibile, oltre che al differente peso del settore finanziario,
anche a livelli più contenuti delle attività finanziarie di famiglie e imprese
(per la cui analisi si rimanda ai parr. 4 e 5).
Una prima determinante delle differenze tra paesi nel rapporto
attività finanziarie/PIL del settore finanziario deriva dall’esistenza di
sistemi pensionistici diversi. Nel 2004 il rapporto tra le attività finanziarie
del settore delle assicurazioni e dei fondi pensione e il prodotto era di 0,3
in Italia e in Spagna, contro circa 0,7 in Germania e in Francia. Valori più
elevati si osservano tradizionalmente nel Regno Unito e negli Stati Uniti,
dove gli schemi pensionistici pubblici sono poco importanti; ciò spinge le
famiglie a investire in fondi pensione privati. In Spagna e in Italia
prevalgono sistemi pensionistici a ripartizione, le cui passività implicite
non appaiono nei conti finanziari8. La rilevanza del sistema pensionistico
pubblico ha ridotto gli incentivi delle famiglie a investire in fondi pensione
privati.
Nel confronto con i paesi europei e il Giappone, anche il rapporto tra
le attività delle banche e il prodotto risulta inferiore in Italia, nonostante le
banche italiane offrano prestiti alle società non finanziarie e alle famiglie
__________
7
Il dato non è pienamente confrontabile nel caso degli Stati Uniti, dove i depositi interbancari attivi
sono al netto delle relative passività.
8
Cfr. il contributo di Semeraro in questo volume.
546 Laura Bartiloro, Riccardo De Bonis, Andrea Generale e Irene Longhi
produttrici per volumi in linea o superiori alla media europea. In Italia
l'incidenza più bassa delle attività bancarie sul prodotto dipende da livelli
più contenuti del portafoglio titoli, del credito al consumo, dei prestiti per
acquisto abitazioni, dell'attività con non residenti, dei rapporti interbancari;
in quest’ultimo caso fa premio l’efficienza del mercato interbancario dei
depositi, che determina livelli inferiori di questi strumenti all’attivo e al
passivo delle banche9.
3.2 Il rapporto di intermediazione finanziaria
Il rapporto di intermediazione finanziaria (Financial Intermediation
Ratio – FIN), del quale esistono definizioni diverse10, può essere misurato
dal rapporto tra le passività delle società finanziarie (banche, banca
centrale, altri intermediari finanziari, assicurazioni e fondi pensione) e il
totale delle attività finanziarie. Il rapporto indica il grado di
“istituzionalizzazione” della struttura finanziaria di un paese e il ruolo
svolto dagli intermediari.
Il FIN è elevato in Giappone, Germania e Regno Unito (fig. 1). Su
valori intermedi si collocano Francia e Stati Uniti. L’Italia, insieme alla
Spagna, si trova tra i paesi nei quali l’intermediazione finanziaria è meno
sviluppata rispetto alle attività degli altri settori istituzionali.
Una semplice scomposizione indica la relazione tra FIR e FIN11. Per
valori dati della ricchezza reale complessiva e della consistenza delle
passività finanziarie dei settori non finanziari, l’identità contabile implica
che un FIN più alto si associa a valori più elevati del FIR. Ad esempio, se il
FIN dell’Italia si portasse al livello osservato nel Regno Unito (da circa 0,4
a 0,5 nel 2004), il FIR del nostro paese salirebbe da 1,03 a oltre 1,2, un
valore comunque assai contenuto nel confronto internazionale. Queste
indicazioni confermano che vi sono fattori non finanziari – quali l’elevato
__________
9
Sui bilanci bancari cfr. Gambacorta, Gobbi e Panetta (2001); Affinito, De Bonis e Farabullini
(2006).
10
Sul punto si veda Goldsmith (1969), capitolo 7; analisi si ritrovano in Bianco e Massaro (1998),
Ciocca (2000).
11
Ricordiamo che il FIR è dato dal rapporto tra attività finanziarie totali e ricchezza nazionale; può
quindi essere riscritto come FIR=(PFSf+PFSnf)/RR, dove PFSf sono le passività finanziarie del
settore finanziario e PFSnf sono le passività dei rimanenti settori istituzionali. Il rapporto di
intermediazione finanziaria è definito come FIN=PFSf/(PFSf+PFSnf); risolvendo per le passività
finanziarie del settore finanziario e sostituendo nella formula del FIR, si avrà FIR= [PFSnf/(1-
FIN)]/RR.
Le strutture finanziarie dei principali paesi industriali 547
stock di capitale fisico – che spiegano il livello particolarmente contenuto
del FIR nel nostro paese.
Per quanto riguarda l’evoluzione del FIN nel decennio, l’indicatore
si riduce fino al 2000 in Francia, Germania e Spagna, mentre aumenta in
Italia e negli Stati Uniti. Nel nostro paese l’aumento è attribuibile allo
sviluppo dei fondi comuni12. In concomitanza con la flessione dei valori di
Borsa e le minori emissioni di passività delle imprese sul mercato, negli
anni successivi il FIN torna a crescere anche negli altri paesi, con
l’eccezione del Giappone, dove cala lievemente. Nel complesso, nel
decennio il FIN cresce in Italia, nel Regno Unito e negli Stati Uniti, si
riduce negli altri paesi13.
Si può calcolare il rapporto di intermediazione finanziaria per le sole
banche, per meglio comprenderne il ruolo svolto nelle diverse economie. In
Germania il peso delle banche, in un sistema caratterizzato dal modello
della banca universale e da tradizionali rapporti partecipativi con le
imprese, è nettamente superiore ai valori degli altri paesi (fig. 2). Tra gli
altri paesi europei, la “disintermediazione” dell’attività bancaria è risultata
accentuata fino al 2000 soprattutto in Francia e in Spagna;
successivamente, si osserva un nuovo aumento dell’indicatore in tutti i
paesi, ad eccezione della Spagna. Il FIN delle banche è particolarmente
ridotto negli Stati Uniti, confermando lo sviluppo dei mercati finanziari e
di altri intermediari.
__________
12
L’Italia ha una quota superiore a quella di Spagna e Germania delle attività detenute dagli “altri
intermediari finanziari” (fondi comuni diversi da quelli monetari; istituzioni che erogano credito
come le società di leasing e factoring). Queste istituzioni sono più rilevanti in Francia, ma
soprattutto nel Regno Unito e negli Stati Uniti, dove sono importanti, oltre ai fondi comuni, gli
intermediari che operano in titoli. Il dato italiano riflette la permanenza di intermediari specializzati
all’interno dei gruppi bancari, mentre in Germania la prevalenza del modello della banca
universale riconduce quelle attività all’interno delle istituzioni creditizie.
13
Il FIN al tempo t può essere riscritto come FINt = α * FINt-1 + (1- α) ∗ γ. γ è il rapporto tra il flusso
di nuove passività del settore finanziario e il flusso totale di passività (già discussi a proposito del
FIR; si veda sopra). In particolare, γ= (δSf/δSf+δSnf) dove δSf sono le emissioni totali del settore
finanziario tra t-1 e t e δSnf sono le emissioni degli altri settori. α è definito come 1/(1+∆pAF), dove
∆pAF è il tasso di crescita tra t-1 e t della consistenza delle attività finanziarie complessive. Il FIN
al tempo t è più elevato del rapporto al tempo t-1 quando γ è maggiore di
FINt-1. È questo il caso di Italia, Regno Unito e Stati Uniti tra il 1996 e il 2004. Questa
scomposizione è utile per valutare la riduzione del FIN in paesi caratterizzati da un peso elevato
delle nuove emissioni del settore finanziario sul totale, ma che partivano da livelli già elevati del
FIN.
548 Laura Bartiloro, Riccardo De Bonis, Andrea Generale e Irene Longhi
L’andamento del FIN riflette l’evoluzione della composizione delle
attività finanziarie tra strumenti emessi direttamente sui mercati e attività
intermediate, alla cui analisi è dedicato il paragrafo successivo.
3.3 Un confronto tra strumenti intermediati e non intermediati
Le classificazioni dei sistemi finanziari si basano di frequente sulla
distinzione tra sistemi finanziari orientati agli intermediari, soprattutto
banche, o orientati ai mercati. Un’altra classificazione distingue i sistemi
finanziari tra quelli contraddistinti da relazioni strette con la clientela
(relationship based) e quelli caratterizzati da un grado elevato di anonimità
(arm’s length). Questa ultima classificazione non coincide pienamente con
la prima: una parte dell’attività degli intermediari utilizza strumenti tipici
dei mercati, ad esempio le emissioni obbligazionarie; viceversa, alcuni
strumenti diffusi nei sistemi finanziari orientati al mercato celano relazioni
intense tra intermediari e imprese: si pensi alle partecipazioni dei venture
capitalist in un’impresa14.
Il “Rapporto sulle strutture finanziarie nell’area dell’euro” (BCE,
2002) dell’Eurosistema ha analizzato l’importanza relativa dei mercati dei
capitali e degli intermediari nell’unione monetaria. È stato mostrato
l’aumento del peso dei mercati nel sistema finanziario dell’area; al tempo
stesso, è stato confermato il ruolo centrale delle banche e degli altri
intermediari nell’allocazione delle risorse finanziarie15. Allen e Gale (2001)
hanno esaminato l’evoluzione dei sistemi finanziari negli Stati Uniti,
Regno Unito, Giappone, Germania e Francia, mettendo in risalto le
differenze nel grado di rischiosità dei portafogli finanziari delle famiglie –
più elevato per quelle dei paesi anglosassoni – e il maggiore ricorso ai
__________
14
Rajan e Zingales (2003) sintetizzano così i pregi e i difetti dei due sistemi: “Relationships-based
systems perform better when markets and firms are smaller, when legal protection is weaker, when
there is little transparency, and when innovation is mostly incremental, rather than revolutionary.
By contrast, arm’s length financing delivers superior results when markets and firms are bigger,
when firms are more formally organized, when there is better legal enforcement and transparency,
and when innovation tends to be more revolutionary. A relationship-based system can provide
better forms of insurance, but it does that at the cost of reducing access to financing and curtailing
future opportunities”.
15
Nel Bollettino mensile della BCE dell’ottobre 2003 i risultati del “Rapporto” vengono sintetizzati e
aggiornati. L’analisi evidenzia “un progressivo processo di disintermediazione che ha preso avvio
alla fine degli anni novanta in concomitanza con il significativo aumento dei corsi azionari,
l’introduzione dell’euro, la forte innovazione finanziaria e un incremento dei risparmi a fini
pensionistici. La correzione dei listini e gli episodi di turbolenza sui mercati finanziari intervenuti a
partire dalla metà del 2000 hanno parzialmente invertito tale tendenza”. Sui paesi dell’area
dell’euro si veda pure Bartiloro e De Bonis (2005).
Le strutture finanziarie dei principali paesi industriali 549
mercati dei capitali da parte delle imprese degli Stati Uniti e del Regno
Unito.
Le statistiche aggregate consentono di illustrare l’evoluzione
dell’importanza relativa degli strumenti finanziari “intermediati” e “non
intermediati” (tav. 5). Nella prima categoria, dal lato delle attività
finanziarie, rientrano i depositi, le quote di fondi comuni di investimento,
le riserve tecniche d’assicurazione e i fondi pensione. Tra le attività “non
intermediate” sono incluse le obbligazioni e le azioni e partecipazioni. Dal
lato delle passività finanziarie, consideriamo “intermediate” i prestiti; “non
intermediate” azioni e titoli. Si tratta di una distinzione convenzionale, che
aiuta a capire l’evoluzione recente dei sistemi finanziari.
Negli ultimi dieci anni le attività non intermediate sono,
generalmente, cresciute più degli strumenti intermediati. La consistenza
rispetto al PIL delle attività “non intermediate” è più che raddoppiata in
Francia e Spagna e quasi raddoppiata in Italia. La maggiore rilevanza degli
strumenti di mercato è una costante negli Stati Uniti, mentre nei tre paesi
europei le attività totali “non intermediate” hanno superato in misura
significativa la consistenza degli strumenti “intermediati” sia nel 2000 sia
nel 2004. Nel 1995, in Francia e Spagna erano invece ancora prevalenti gli
strumenti “intermediati”, mentre in Italia la rilevanza degli strumenti di
mercato rifletteva l’elevato ammontare di titoli pubblici. La Germania e il
Giappone sono ancora dominati dalla prevalenza degli strumenti
“intermediati”, alla luce della centralità delle banche. Non deve
sorprendere il predominio degli strumenti “intermediati” nel Regno Unito,
data l’importanza delle società assicurative e dei fondi pensione.
3.4 Sulla composizione dei portafogli delle istituzioni finanziarie
Il diverso sviluppo dei mercati e degli intermediari si riflette sulla
composizione dei bilanci delle istituzioni finanziarie; nell’analisi dei
portafogli del settore finanziario rileva il grado di rischiosità e di liquidità
degli strumenti.
In Italia la quota dei prestiti sul complesso delle attività delle
istituzioni finanziarie monetarie è maggiore rispetto a quanto osservato
negli altri paesi (tav. 6). Il peso dei depositi è invece inferiore: l’Italia ha un
peso minore di depositi con scadenza prestabilita e una più efficiente
operatività interbancaria, che limita il volume di queste attività.
550 Laura Bartiloro, Riccardo De Bonis, Andrea Generale e Irene Longhi
La composizione delle attività delle altre istituzioni finanziarie
(fondi comuni e altre società finanziarie) è diversificata tra paesi (tav. 6). In
Francia è elevata la quota di attività, quali le azioni, caratterizzate da
maggiore rischiosità, mentre in Germania prevalgono le obbligazioni. In
Giappone la quota maggiore è rappresentata dai prestiti concessi da società
finanziarie; in questo paese è cresciuto l’ammontare di finanziamenti
concessi dalle società finanziarie pubbliche, incluse tra le altre istituzioni
finanziarie16; in contrasto, si è avuta una contrazione del credito concesso
dalle banche, legata al peggioramento dei bilanci. In Italia la quota dei titoli
e quella delle azioni sono entrambe pari a circa un terzo del totale delle
attività. Nel Regno Unito le quote più elevate si registrano per le azioni e
per i depositi. Negli Stati Uniti le altre istituzioni finanziarie detengono, in
misura rilevante, azioni e prestiti, mentre è assai contenuta la quota di
attività liquide quali i depositi.
Anche la composizione delle attività del settore delle imprese di
assicurazione e dei fondi pensione è differenziata tra paesi, con le attività
più rischiose che risultano maggiormente diffuse nei paesi anglosassoni
(tav. 6). Nel Regno Unito prevalgono le azioni e le partecipazioni, che
rappresentano oltre il 50 per cento del complesso delle attività; negli Stati
Uniti le quote più rilevanti sono quelle relative a azioni e titoli. In Italia,
Francia, Spagna e Giappone i titoli sono le attività prevalenti, mentre in
Germania è rilevante sia il peso dei depositi sia quello delle azioni.
4. Le famiglie
4.1 Ricchezza reale e ricchezza finanziaria
Eterogeneità tra paesi nei livelli e nella composizione della ricchezza
delle famiglie possono dipendere dalla diversa dinamica dei redditi e da
una differente propensione al risparmio; possono essere ricondotte a fattori
istituzionali, quali la rilevanza di sistemi pensionistici di tipo privatistico.
Differenze nell’ammontare del risparmio finanziario possono anche
riflettere la rischiosità dei portafogli nei paesi esaminati (Kapteyn e Panis,
2003).
__________
16
“At the end of 2001 the balance of outstanding loans by public financial institutions was 527
trillion yen, which is approaching the level of loans held by commercial institutions (681 trillion
yen)”, Statistical Handbook of Japan, 2003. Questo spiega anche il FIN particolarmente elevato per
il Giappone.
Le strutture finanziarie dei principali paesi industriali 551
Nello scorso decennio, le attività finanziarie delle famiglie sono
cresciute in rapporto al reddito disponibile17. Nella seconda metà degli anni
novanta l’aumento del valore delle attività finanziarie contribuisce in
misura determinante all’aumento della ricchezza netta totale. Il processo
prosegue fino al 2000; in una fase caratterizzata dall’espansione
dell’attività economica, dall’incremento degli utili aziendali e dalla crescita
dei corsi azionari, i risparmiatori si orientano maggiormente verso
l’investimento azionario, sia in via diretta sia mediante il ricorso a
investitori istituzionali18. Nel 2000 le attività finanziarie erano pari a circa
cinque volte il reddito disponibile nel Regno Unito, negli Stati Uniti e in
Giappone, a oltre tre in Italia e a oltre 2,5 negli altri paesi europei.
Dopo il 2000, il crollo delle borse e la stagnazione economica si
sono associate alla ripresa degli investimenti in attività reali, soprattutto in
immobili residenziali. Il rapporto tra attività finanziarie e reddito
disponibile si è ridotto nella gran parte dei paesi. Alla fine del 2004 il
rapporto italiano era pari a 3,3, un valore superiore a quello di Germania e
Francia, inferiore a quanto osservato in Giappone, negli Stati Uniti e nel
Regno Unito.
Tra il 1995 e il 2004 il rapporto tra la ricchezza netta (attività
finanziarie e reali al netto delle passività finanziarie) e il reddito
disponibile delle famiglie italiane è aumentato da 7,5 a 9,2 (tav. 7). Questo
valore è particolarmente elevato nel confronto internazionale ed è
attribuibile a livelli più alti del rapporto tra ricchezza reale e reddito e, in
__________
17
In Giappone, tuttavia, si assiste a una riduzione rispetto al decennio precedente: la ricchezza netta
delle famiglie aveva, infatti, raggiunto valori particolarmente elevati negli anni ottanta (8 volte il
reddito disponibile); negli anni novanta, allo scoppio della bolla speculativa e al forte
rallentamento dell’economia si è associata la riduzione del rapporto, che è, tuttavia, rimasto elevato
nel confronto internazionale (FMI, 2002).
18
Negli Stati Uniti la ricchezza netta delle famiglie aumenta di oltre il 50 per cento negli anni
novanta; più del 60 per cento della crescita è dovuto all’incremento del valore della componente
azionaria (Paiella, 2002). Anche in Italia, nella seconda metà degli anni novanta è la componente
finanziaria a costituire la principale determinante dell’aumento della ricchezza complessiva delle
famiglie. La ricomposizione della ricchezza verso le attività finanziarie è un fenomeno comune a
tutti i paesi del G7 (FMI, 2002): mentre negli anni ottanta la gran parte della ricchezza delle
famiglie era costituita da attività reali, nel corso degli anni novanta i risparmiatori si sono orientati
verso le attività finanziarie, in particolare le azioni. L’aumento è risultato di diversa intensità, con
una crescita del peso delle attività finanziarie inferiore nel Regno Unito e in Canada, dove già esso
risultava molto elevato; l’espansione delle attività finanziarie è stata più intensa in Francia e in
Italia, dove la partecipazione al mercato azionario era più limitata. Sempre secondo il Fondo
monetario internazionale, negli Stati Uniti l’aumento della ricchezza azionaria è da ricondurre
soprattutto all’aumento dei corsi azionari e non a nuove sottoscrizioni nette.
552 Laura Bartiloro, Riccardo De Bonis, Andrea Generale e Irene Longhi
minor misura, al più basso indebitamento delle famiglie italiane19. Il valore
consistente della ricchezza reale delle famiglie italiane potrebbe essere
ricondotto, oltre che alle ragioni indicate per spiegare gli elevati livelli di
attività reali dell’intera economia, alle imperfezioni del mercato degli
affitti, che incentiverebbero l’acquisto degli immobili. Inoltre, la differenza
rispetto agli altri paesi può in parte dipendere dalle diverse metodologie di
valutazione delle attività reali e delle azioni non quotate nel portafoglio
delle famiglie.
Il peso della ricchezza reale sul totale delle attività finanziarie e reali
è di circa il 70 per cento in Italia e in Germania, del 60 in Francia, attorno
al 50 nel Regno Unito, inferiore alla metà della ricchezza lorda negli Stati
Uniti e in Giappone.
4.2 La composizione delle attività finanziarie
Tra il 1995 e il 2000, la crescita dei corsi azionari, le privatizzazioni
di imprese pubbliche, i progressi nel risparmio gestito si sono associati
all’aumento del peso delle azioni e delle quote di fondi comuni nei
portafogli delle famiglie; sono anche cresciuti, seppur generalmente in
misura minore, i fondi investiti in strumenti assicurativi e fondi pensione
privati (tav. 8). Nell’area dell’euro la ricomposizione delle attività e delle
passività è stata accentuata dal calo dei tassi di interesse nominali e reali,
con una riduzione del peso di depositi e titoli. Nel 2000 in Italia tra le
attività finanziarie delle famiglie la quota più elevata riguardava le azioni e
le quote di fondi comuni, un mutamento notevole rispetto al 1995, quando
il portafoglio era composto in prevalenza da depositi e obbligazioni
pubbliche20.
Dopo il 2000, l’andamento negativo delle Borse e i fallimenti di
importanti imprese europee e statunitensi hanno allontanato le famiglie da
azioni e fondi comuni. Sono tornati a salire gli investimenti in depositi e, in
misura minore, in titoli. È proseguita la crescita di assicurazioni e fondi
pensione. Nel 2003-04, le famiglie sono tornate con prudenza verso azioni
e fondi comuni. Rispetto al 1995 è confermato il forte spostamento dei
__________
19
Il settore delle famiglie negli Stati Uniti non include le imprese artigiane.
20
Tuttavia, la componente delle obbligazioni è rilevante nella composizione del portafoglio dei fondi
comuni italiani.
Le strutture finanziarie dei principali paesi industriali 553
portafogli verso attività caratterizzate da maggiore rischiosità rispetto ai
depositi e ai titoli a breve termine21.
Restano ampie differenze nella composizione delle attività
finanziarie delle famiglie. I depositi rimangono elevati in Spagna e
Germania, riflettendo l’importanza delle banche in questi paesi; sono assai
rilevanti anche in Giappone, dove la gran parte di questi strumenti fa capo
al sistema postale. Mentre la disintermediazione bancaria è stata forte in
Italia dal lato dei depositi, gli investimenti in titoli obbligazionari sono
rimasti cospicui, a causa dell’elevatezza del debito pubblico e,
successivamente, delle emissioni degli stessi intermediari creditizi. Tale
ultimo fattore mitiga la rilevanza della disintermediazione bancaria nel
nostro paese, indicata dalla crescita del peso delle attività “non
intermediate” (tav. 5).
Le differenze maggiori nella composizione della ricchezza
finanziaria delle famiglie emergono per le attività nei confronti di
assicurazioni e fondi pensione. Nel Regno Unito esse sono pari a oltre il 50
per cento della ricchezza finanziaria totale, mentre in Italia e Spagna
l’incidenza è al di sotto del 20 per cento.
È anche elevata la dispersione tra paesi nel peso, sul complesso delle
attività finanziarie, delle azioni, delle partecipazioni e delle quote di fondi
comuni. Tra le principali economie dell’area dell’euro, Spagna e Germania
si pongono agli estremi opposti. In Germania azioni e fondi comuni hanno
un ruolo contenuto, a conferma dello sviluppo più limitato dei mercati
rispetto agli intermediari, mentre la quota è assai elevata in Spagna. Tra gli
altri paesi, è elevato il peso delle azioni e delle quote di fondi comuni sia
negli Stati Uniti, sia in Italia.
La ricomposizione dei portafogli in favore di strumenti più rischiosi
è confermata anche guardando ai flussi di attività finanziarie (tav. 9), che
non sono influenzati dagli effetti di valutazione. Dal 1995 al 2000 le
famiglie italiane hanno ceduto titoli e accresciuto i loro investimenti in
quote di fondi comuni in misura nettamente superiore a quanto osservato
__________
21
Numerosi lavori di comparazione si sono basati su dati microeconomici provenienti dalle indagini
sui bilanci delle famiglie, approfondendo quanto osservato sulla base delle statistiche aggregate. In
sintesi, i principali risultati di questi lavori indicano che nello scorso decennio l’intensità della
ricomposizione delle attività delle famiglie verso strumenti finanziari più rischiosi è stata
differenziata tra i paesi. In Italia il possesso azionario risulta ancora concentrato presso le famiglie
più agiate. Su questi temi si vedano: Guiso, Haliassos e Jappelli (2002) e (2003); Faiella e Neri
(2003); Paiella (2002); Norman, Sebastia-Barriel e Weeken (2002).
554 Laura Bartiloro, Riccardo De Bonis, Andrea Generale e Irene Longhi
negli altri paesi22. Successivamente, tra il 2000 e il 2004, l’Italia ha
sperimentato, insieme al Giappone, la riduzione più forte degli investimenti
in quote di fondi comuni.
4.3 Sull’indebitamento delle famiglie
La propensione a indebitarsi delle famiglie varia tra i paesi in
funzione di atteggiamenti culturali, dei livelli dell’inflazione e dei tassi di
interesse, della deducibilità fiscale del debito, della tipologia dei prestiti a
seconda di diverse caratteristiche contrattuali quali le condizioni di tasso
(fisso/variabile), l’importo massimo di mutuo concesso in relazione al
valore dell’immobile, le possibilità di rifinanziamento del debitore in
presenza di un aumento del prezzo delle abitazioni. Rileva anche
l’efficienza nelle procedure di recupero delle garanzie bancarie in caso di
insolvenza del debitore.
Nel periodo in esame il rapporto tra passività finanziarie e reddito
disponibile delle famiglie è cresciuto in tutti i paesi (tav. 7). Fa eccezione il
Giappone, dove è rimasto stabile su valori elevati. Negli altri paesi
l’aumento delle passività finanziarie è stato determinato dalla crescita dei
debiti a medio e a lungo termine, in una fase di intensa attività sul mercato
immobiliare.
La rivalutazione dei valori delle attività e il livello contenuto dei
tassi di interesse hanno favorito l’aumento dei finanziamenti. I prestiti
hanno beneficiato, ad esempio nel Regno Unito e negli Stati Uniti, del
ricorso al meccanismo del “mortgage equity withdrawal”. Le famiglie
hanno ricevuto nuovi prestiti garantiti dall’aumento del valore del vecchio
immobile acquistato; la destinazione del prestito non è stata l’acquisto di
altre abitazioni, ma spese di consumo e/o miglioramenti qualitativi degli
immobili23.
__________
22
Sul tema si veda. Filippa e Franzosi (2001).
23
Negli Stati Uniti e nel Regno Unito l’aumento dell’indebitamento delle famiglie è stato favorito
dalla crescita del valore delle attività da stanziare a garanzia dei debiti contratti. “…contributing to
the sustained rise in debt has been the willingness of households to access the increased value of
their assets through home mortgage loans. The rise in mortgage debt during the current economic
expansion has been due in part to increased borrowing via loans for which accumulated home
equity is used as collateral” (Federal Reserve Board of Governors, 2001). Sul caso inglese si veda
Bank of England (2003).
Le strutture finanziarie dei principali paesi industriali 555
Rispetto al reddito disponibile le famiglie italiane continuano a
caratterizzarsi per i livelli più bassi dell’indebitamento (tav. 7)24. Debiti più
alti, ma ancora contenuti nel confronto internazionale, si riscontrano in
Francia e in Germania. L’indebitamento del settore è particolarmente
elevato nel Regno Unito, negli Stati Uniti e in Giappone; i primi due paesi,
pur partendo da livelli già alti, hanno registrato, insieme all’Italia,
l’incremento più forte delle passività nel decennio.
5. Le imprese non finanziarie: autofinanziamento, flusso dei fondi,
leverage e composizione delle passività
Una vasta letteratura, teorica ed empirica, ha studiato come la
composizione del passivo di bilancio influenzi il valore delle imprese e
incida sui loro investimenti25. In questo paragrafo esaminiamo le differenze
tra paesi nella composizione delle fonti di finanziamento, nel grado di
indebitamento e nella struttura finanziaria delle imprese.
5.1 Il flusso dei fondi
In linea con la teoria della gerarchia delle fonti di finanziamento,
negli ultimi dieci anni l’autofinanziamento ha continuato a fornire il
contributo più rilevante alla formazione delle risorse delle imprese (tav.
10). Nella gran parte dei paesi, l’espansione dell’attività economica nel
triennio 1995-97 si è associata a utili elevati. Il grado di copertura degli
investimenti con fonti generate all’interno dell’impresa è stato alto. Nel
triennio 2001-03, il rapporto autofinanziamento/investimenti è calato nei
paesi dell’area dell’euro, riflettendo la stagnazione economica; è rimasto
pressoché stabile negli Stati Uniti; è aumentato nel Regno Unito e in
Giappone, paese dove il ristagno dell’economia si è associato a una
contrazione degli investimenti.
__________
24
In Italia, dove le famiglie produttrici sono importanti, oltre al credito al consumo e ai mutui
immobiliari, sono rilevanti anche i prestiti per l’attività d’impresa, nonché i debiti commerciali.
Questo aspetto è comune ad altri paesi, come la Spagna, dove la dimensione delle imprese è
piccola.
25
Questi studi includono il teorema di Modigliani e Miller, la discussione dell’effetto delle tasse sul
debito, la teoria statica del trade-off esistente tra debito e azioni, la teoria della gerarchia delle fonti
di finanziamento (pecking order), modelli con costi di agenzia tra azionisti e amministratori,
modelli con contratti incompleti tra intermediari e imprese e sui conflitti di interesse che possono
insorgere tra gli azionisti e i detentori del debito raccolto dalle imprese. Myers (2000) è una
rassegna utile.
556 Laura Bartiloro, Riccardo De Bonis, Andrea Generale e Irene Longhi
Le differenze tra paesi riguardano il contributo dei prestiti, delle
obbligazioni e delle azioni alla formazione delle risorse. In Italia, Germania
e Spagna, dove le banche mantengono una centralità nel finanziamento
delle imprese, sono i prestiti a fornire in media il contributo più rilevante
rispetto alle azioni e alle obbligazioni. In Francia è la raccolta di capitale di
rischio a costituire la fonte più importante dopo l’autofinanziamento,
confermando i progressi della struttura finanziaria francese, perseguiti dalle
autorità con l’obiettivo di rafforzare i mercati dei capitali. Nel Regno Unito
sia le azioni sia i prestiti forniscono contributi elevati; è anche maggiore
che negli altri paesi il flusso di obbligazioni emesse dalle imprese. Negli
Stati Uniti la rilevanza delle obbligazioni è pressoché equivalente a quella
dei prestiti, mentre le azioni forniscono un contributo negativo alla
formazione delle risorse: i rimborsi netti di azioni sono riconducibili a
ingenti operazioni di buy-back e all’effetto delle operazioni di fusione26.
Dal lato degli impieghi delle risorse raccolte, si è avuto in tutti i
paesi, ad eccezione degli Stati Uniti, un calo marcato del peso degli
investimenti reali, mentre è cresciuto l’investimento in azioni (tav. 11). Il
fenomeno è connesso all’aumento dell’attività di finanza straordinaria,
soprattutto delle grandi imprese, e alla crescita degli investimenti di
portafoglio27. La crescente finanziarizzazione delle economie è dunque un
fenomeno che ha coinvolto i comportamenti del sistema industriale. In
Francia e nel Regno Unito è anche elevato il peso di attività più liquide
quali i depositi.
Per l’analisi del flusso di risorse e impieghi delle imprese, Corbett e
Jenkinson (1996) notano che è preferibile analizzare i flussi di risorse al
netto dei relativi impieghi. Ciò per due ragioni. In primo luogo, dal punto
di vista economico, tra gli impieghi è cresciuto, come abbiamo visto, il
peso degli investimenti finanziari: per una quantificazione delle risorse che
finanziano gli investimenti reali è preferibile analizzare i flussi di passività
finanziarie al netto delle relative attività28. La seconda ragione, forse quella
__________
26
“Corporations retired an extraordinary volume of equity over 1995-2000 – on net $819 billion.
Although many firms issued equity to finance capital investment and meet other corporate needs,
for the sector as a whole the value of shares issued was far surpassed by the value of shares retired
in cash-financed mergers and through firms’ own-share repurchase programs” (Federal Reserve
Board of Governors, 2001).
27
Per gli Stati Uniti i criteri di consolidamento adottati nel bilancio aggregato delle imprese non
finanziarie non permettono di valutare l’ammontare di azioni all’attivo di questo settore. Le azioni
al passivo del settore sono, infatti, al netto delle relative attività.
28
Corbett e Jenkinson (1996) notano infatti: “Some of the sources of an enterprise’s funds go toward
the accumulation of financial, rather than physical assets. To identify financing which is
(continua)
Le strutture finanziarie dei principali paesi industriali 557
principale, è di tipo statistico e riguarda l’impiego di diversi criteri di
consolidamento a livello internazionale: l’analisi dei flussi netti rende
maggiormente comparabili le informazioni. Anche nel caso dei flussi netti
si conferma il ruolo preponderante delle risorse generate all’interno
dell’impresa (tav. 12); emerge inoltre la rilevanza dei prestiti anche in paesi
tradizionalmente orientati ai mercati, quali il Regno Unito e gli Stati
Uniti29.
5.2 La struttura finanziaria
Nel periodo dell’andamento positivo di Borsa, le imprese hanno
accresciuto il peso dei mezzi propri sul totale delle passività, diminuendo il
loro grado di indebitamento (leverage, il rapporto tra i debiti finanziari e
l’aggregato composto dagli stessi debiti finanziari e dal patrimonio
azionario), che ha toccato un punto di minimo alla fine degli anni novanta
(fig. 3). Successivamente, le difficoltà della Borsa e la flessione degli utili
aziendali, dovuta al rallentamento delle economie, hanno contribuito ad
aumentare il peso dei prestiti bancari sul patrimonio. Il leverage è tornato a
crescere fino al 2002. Negli anni più recenti la ripresa dei corsi azionari e
la riduzione dei flussi di nuovi debiti finanziari si sono accompagnati a un
nuovo calo dell’indicatore. Nel 2004 in Italia e in Francia il leverage
risultava inferiore di oltre dieci punti percentuali rispetto al 1995, mentre
l’indicatore è aumentato nel Regno Unito e negli Stati Uniti.
Nel 2004 i valori più elevati del leverage si osservano in Giappone e
in Germania; livelli inferiori caratterizzano le imprese inglesi e italiane;
valori ancora minori si riscontrano in Spagna e, soprattutto, in Francia e
negli Stati Uniti.
È stato da più parti osservato che negli ultimi anni il debito delle
imprese ha raggiunto livelli storicamente elevati nei principali paesi
industriali30. In rapporto al prodotto il peso dei debiti finanziari delle
imprese è massimo in Giappone (fig. 4), sebbene la stagnazione
____________________________________________________________
associated with physical investment, one approach is to subtract enterprises’ acquisition of
financial assets from increases in equivalent liabilities. This approach measures the finance of
physical investment in terms of the net finance from various sources.”
29
Con riferimento agli anni settanta e ottanta, Corbett e Jenkinson concludono che, sulla base
dell’analisi dei flussi finanziari netti, anche paesi i cui sistemi finanziari vengono usualmente
classificati come “orientati ai mercati” fanno affidamento soprattutto sull’autofinanziamento.
30
Jaeger (2003) osserva che: “The recent boom-bust cycle in equity valuations has left behind a
legacy of high corporate indebtedness.” Sul punto si veda anche Sylos Labini (2003).
558 Laura Bartiloro, Riccardo De Bonis, Andrea Generale e Irene Longhi
dell’economia e la crisi bancaria abbiano ridotto il rapporto da 1,5 a 1,1.
Negli altri paesi il rapporto è cresciuto negli ultimi dieci anni,
mantenendosi sotto l’unità. In Italia e in Germania si osservano i valori più
bassi.
Tra le passività finanziarie, considerando le consistenze in essere, le
azioni sono lo strumento più rilevante in tutti i paesi esaminati (tav. 13).
Costituiscono eccezioni parziali l’Italia del 1995, quando erano ancora
preponderanti i debiti bancari, e il Giappone, dove questa predominanza è
stata superata solo di recente. Tra il 1995 e il 2000 in tutti i paesi vi è stata
una crescita dell’incidenza delle azioni e una riduzione del peso dei prestiti.
Tra il 2000 e il 2004, tranne che per il Giappone, la tendenza è stata
opposta e si è accompagnata alla discesa dei corsi azionari, contribuendo
ad accrescere il leverage delle imprese. Secondo gli ultimi dati disponibili,
relativi al 2004, la rilevanza delle azioni rimane elevata non solo negli Stati
Uniti e nel Regno Unito, ma anche in Francia.
I prestiti bancari raccolti dalle imprese si differenziano per durata, a
causa di livelli diversi dell’inflazione e di vincoli differenti per le banche
nella trasformazione delle scadenze nel passato, del prevalere di
determinate forme tecniche, ad esempio l’apertura di credito in conto
corrente, a scapito di altre. Alla fine del 2005, il 43 per cento dei prestiti
bancari al passivo delle imprese aveva in Italia una scadenza inferiore
all’anno, contro valori inferiori al 30 per cento in Germania, Francia,
Spagna e Stati Uniti. Corrispondentemente, la quota dei prestiti con durata
superiore ai cinque anni era in Italia pari al 35 per cento del totale, contro il
66 per cento in Germania e il 59 per cento in Francia.
Nelle passività delle imprese di alcuni paesi, tra cui l’Italia, è elevato
il peso delle azioni non quotate, a causa della prevalenza di aziende di
dimensioni piccole. Sul totale delle azioni emesse dalle imprese, la quota
delle azioni non quotate è pari a circa il 70 per cento in Italia, Spagna e
Francia, contro valori intorno al 55 per cento in Germania e al 25 per cento
nel Regno Unito. La minore rilevanza del mercato azionario in Italia è
indicata anche dal valore più basso della capitalizzazione di Borsa: alla fine
del 2004, era pari al 43 per cento del prodotto, contro il 70 per cento del
2000. Il valore italiano del 2004 era allineato a quello tedesco (40 per
cento) e inferiore a quello del Regno Unito (127 per cento) e degli Stati
Uniti (139 per cento).
Nell’area dell’euro, malgrado la crescita delle emissioni
obbligazionarie stimolata dalla moneta unica, queste passività hanno un
Le strutture finanziarie dei principali paesi industriali 559
peso ancora contenuto per le imprese spagnole, italiane e tedesche. Una
maggiore rilevanza si osserva in Francia e, soprattutto, nel Regno Unito, in
Giappone e negli Stati Uniti.
La struttura finanziaria delle imprese si differenzia anche per la
diversa intensità del ricorso a debiti di natura commerciale (inclusi nelle
altre passività finanziarie): tra i paesi europei, la quota è particolarmente
elevata in Italia, Francia e Spagna31.
6. Conclusioni
Questo lavoro ha analizzato l’evoluzione delle strutture finanziarie
dei principali paesi industriali negli ultimi dieci anni. Con riferimento ai
quattro gruppi di domande sollevate nell’introduzione, si riassumono le
indicazioni principali che emergono dall’analisi.
Attività finanziarie e reali. – Nella seconda metà degli anni novanta
il rapporto tra attività finanziarie e reali è cresciuto in tutte le economie,
riflettendo l’accumulazione di attività finanziarie, in particolare di azioni,
in un periodo di ascesa dei valori di Borsa. La ricomposizione dei
portafogli si è mossa in favore di attività più rischiose. Dal 2000 è iniziata
una fase di riduzione dei corsi azionari: la crescita del rapporto tra attività
finanziarie e attività reali (FIR) si è arrestata; i portafogli degli operatori si
sono orientati, fino al 2003, verso attività meno rischiose. L’effetto
negativo della flessione dei valori di Borsa sulla ricchezza complessiva è
stato parzialmente compensato dall’aumento della ricchezza reale, trainato
dalla crescita dei prezzi degli immobili, manifestatasi, seppur con intensità
diversa, in tutti i paesi industriali, con l’eccezione del Giappone.
Malgrado le difficoltà della Borsa iniziate nel 2000 e protrattesi fino
all’inizio del 2003, la maggiore finanziarizzazione delle economie è un
dato acquisito, come indicato da valori del FIR più elevati rispetto al 1995
in tutti i paesi. Un contributo rilevante all’aumento del FIR è provenuto
dalla crescita delle nuove emissioni di passività finanziarie, oltre che dagli
effetti dovuti alla rivalutazione delle attività finanziarie in essere. Tra i
settori di attività economica, in tutti i paesi è stato particolarmente rilevante
il contributo delle emissioni del settore finanziario.
__________
31
Data la sua complessità, in sede europea non si è ancora affrontato il problema di una stima
armonizzata dei crediti commerciali. I paesi adottano metodologie di stima diverse, rendendo
difficile il confronto internazionale.
560 Laura Bartiloro, Riccardo De Bonis, Andrea Generale e Irene Longhi
Nonostante l’aumento degli ultimi dieci anni, l’Italia continua ad
avere un FIR più contenuto rispetto agli altri paesi. Pur con la cautela
imposta dalla diversità delle statistiche utilizzate, l’Italia è infatti il paese
con i livelli più elevati di ricchezza reale.
La finanziarizzazione delle economie e il ruolo degli intermediari. –
Il peso differenziato delle attività finanziarie nei paesi è riconducibile, in
primo luogo, a incidenze diverse delle attività del resto del mondo.
L’apertura finanziaria con l’estero è cresciuta in tutti i paesi, ma Stati Uniti
e Giappone rimangono relativamente chiusi, mentre il Regno Unito ha il
valore più alto delle attività del resto del mondo. L’Italia è in una
situazione intermedia.
Oltre che al peso diverso delle attività estere, le differenze nel grado
di finanziarizzazione sono riconducibili a eterogeneità nell’incidenza delle
attività del settore finanziario (banche, altri intermediari, fondi pensione e
assicurazioni). Queste hanno un peso elevato nel Regno Unito, in Giappone
e negli Stati Uniti, più contenuto in Italia. Nel nostro paese e in Spagna
hanno soprattutto un ruolo ridotto le assicurazioni e i fondi pensione. Pur
se con modalità diverse, le banche sono prevalenti in Germania e nel
Regno Unito; le assicurazioni e i fondi pensione rivestono un ruolo
primario nell’intermediazione nel Regno Unito e negli Stati Uniti.
All’aumento del grado di finanziarizzazione si è accompagnata la
maggiore diffusione di strumenti negoziati direttamente sui mercati. La
crescita di strumenti quali le azioni e le obbligazioni è stata assai intensa e
ha determinato un aumento del peso delle attività di “mercato” in tutti i
paesi. La riallocazione dei portafogli verso attività non intermediate è stata
particolarmente intensa fino al 2000, in presenza del ciclo positivo delle
Borse mondiali. Fino a quell’anno i rapporti di intermediazione finanziaria
sono generalmente calati; successivamente, alla ricomposizione verso
attività meno rischiose si è associata una ripresa del FIN.
Famiglie. – Nella seconda metà degli anni novanta, in tutti i paesi, le
famiglie hanno spostato risorse verso le azioni e i fondi comuni. Il
fenomeno, coinciso con una ricomposizione delle risorse dai depositi e dai
titoli, è stato particolarmente forte in Italia. Nonostante questi mutamenti,
la composizione dei portafogli dei risparmiatori per tipologia di strumento
rimane diversificata tra paesi; in quelli anglosassoni è più elevata la quota
di attività caratterizzate da maggiore rischiosità; anche i portafogli delle
assicurazioni e dei fondi pensione, le cui passività sono largamente diffuse
tra le famiglie, risultano più orientati verso strumenti finanziari più
Le strutture finanziarie dei principali paesi industriali 561
rischiosi. In tutti i paesi le famiglie hanno accresciuto il loro
indebitamento, soprattutto nella componente dei mutui per l’acquisto di
immobili. In Italia il peso dei debiti è inferiore a quello osservato negli altri
sistemi e il rapporto tra la ricchezza netta complessiva e il reddito
disponibile delle famiglie è il più alto, un risultato attribuibile agli elevati
livelli di ricchezza reale e a una ricchezza finanziaria che risulta in
posizione mediana rispetto agli altri paesi.
Imprese. – Fino al 2000 l’aumento dei debiti finanziari delle imprese
non finanziarie si è riflesso in misura limitata sul leverage, che è invece
cresciuto negli ultimi anni. In rapporto al prodotto, l’indebitamento delle
imprese risulta elevato rispetto agli inizi degli anni novanta; i livelli più alti
si riscontrano nel Regno Unito e in Giappone. La composizione per
strumento delle passività finanziarie delle imprese rimane differente tra
paesi, nonostante la tendenza all’aumento delle forme di finanziamento
diretto sul mercato (obbligazionario e azionario) abbia accomunato le
economie che in passato si basavano soprattutto sull’intermediazione
bancaria.
L’esame del flusso dei fondi indica che le risorse generate all’interno
dell’impresa sono la fonte di finanziamento prevalente in tutti i paesi e che
anche nei paesi anglosassoni il contributo dei prestiti alla formazione delle
risorse è rilevante. La crescente finanziarizzazione delle economie si è
riflessa nell’aumento degli investimenti di portafoglio e in partecipazioni
da parte delle imprese, a scapito degli investimenti reali.
In sintesi, l’analisi comparata dei sistemi finanziari ha evidenziato
come nell’ultimo decennio vi siano alcune tendenze comuni nei paesi
occidentali: la forte crescita delle attività finanziarie complessive,
soprattutto nella fase di ascesa dei prezzi di Borsa; la disintermediazione
dell’attività bancaria effettuata attraverso strumenti tradizionali quali i
depositi e la contestuale riallocazione dei portafogli delle famiglie verso
prodotti finanziari più rischiosi; l’aumento dell’indebitamento delle
imprese alla fine degli anni novanta e il maggior ricorso a passività emesse
direttamente sul mercato. Rimangono tuttavia ampie differenze nazionali
che riguardano: il differente peso delle attività reali sul complesso della
ricchezza, il diverso ruolo di fondi pensione e assicurazioni, lo spessore dei
mercati obbligazionari e azionari.
562 Laura Bartiloro, Riccardo De Bonis, Andrea Generale e Irene Longhi
APPENDICE
Attività e passività finanziarie. Dopo l’adozione del sistema
europeo di contabilità nazionale (SEC95), i dati dei conti finanziari dei
paesi europei risultano maggiormente comparabili rispetto al passato, sia
per quanto riguarda la definizione dei settori e degli strumenti, sia per le
metodologie di valutazione utilizzate. Rimangono alcune differenze. In
particolare, l’aggregato delle azioni e partecipazioni non è pienamente
confrontabile, in quanto i criteri adottati per valutare ai prezzi di mercato le
azioni delle imprese non quotate sui mercati regolamentati differiscono tra
paesi. Anche per i crediti e i debiti commerciali permangono metodologie
di stima molto diverse (per un’analisi delle differenze nella quantificazione
del fenomeno, si veda Bartiloro e Coletta, 2003).
La definizione dei settori di attività economica e degli strumenti
finanziari degli Stati Uniti e del Giappone è stata resa il più possibile
comparabile a quella dei conti europei. Riportiamo di seguito alcune
informazioni.
Paesi dell’area dell’euro. – I dati dei conti finanziari nazionali sono
tratti dal sito Internet dell’Eurostat. In virtù di un Regolamento UE, i paesi
membri hanno l’obbligo di inviare annualmente all’Eurostat i conti
finanziari annuali, su base non consolidata e consolidata. Nel presente
lavoro sono utilizzati i dati non consolidati. Per quanto riguarda la
definizione dei settori istituzionali e la composizione degli strumenti
finanziari si può quindi far riferimento al Manuale del SEC95. Rispetto a
tale standard, in questo lavoro, per la scarsa significatività dell’aggregato e
per favorire il confronto con i dati statunitensi e giapponesi, le attività e le
passività finanziarie degli ausiliari finanziari sono state sommate a quelle
degli altri intermediari finanziari. In Italia il settore delle famiglie include
le istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie e le quasi-
società non finanziarie con meno di 5 addetti, mentre quelle con un numero
superiore di addetti sono classificate tra le società non finanziarie. Per
approfondimenti sui conti finanziari di ciascun paese si rimanda ai siti
Internet delle relative banche centrali; per l’Italia, si veda Banca d’Italia,
2003.
Stati Uniti. – I dati dei conti finanziari sono tratti dalla pubblicazione
Flow of Funds Accounts of the United States, a cura del Federal Reserve
Board of Governors.
Le strutture finanziarie dei principali paesi industriali 563
Nella definizione dei settori istituzionali i dati delle famiglie
(households and nonprofit organizations) negli Stati Uniti non
comprendono le imprese artigiane, che sono incluse nelle statistiche delle
imprese non finanziarie (non financial business). Le amministrazioni
pubbliche sono la somma di: state and local government e federal
government.
Il settore delle istituzioni finanziarie monetarie comprende, anche
per i dati degli Stati Uniti qui presentati, le banche, la banca centrale e i
fondi di mercato monetario. I dati delle banche sono la somma dei bilanci
di: commercial banking, savings institutions, credit unions e banks
personal trusts and estates. Il settore degli altri intermediari finanziari
comprende: mutual funds, closed-end and exchange-traded funds,
government-sponsored enterprises, agency- and GSE-backed mortgage
pools, issuers of asset-backed securities, finance companies, mortgage
companies, real estate investment trusts. L’operatività di alcuni di questi
intermediari è assimilabile a quella delle società di finanziamento, incluse
nel settore nei conti europei. Il settore delle assicurazioni e dei fondi
pensione è composto dai seguenti comparti: life insurance companies,
other insurance companies, private pension funds, state and local
government employee retirement funds, federal government retirement
funds. Il settore degli ausiliari finanziari include i: security brokers and
dealers e le funding corporations.
Per quanto riguarda la definizione degli strumenti, i depositi
includono oltre al circolante, ai depositi in conto corrente e vincolati, i
depositi sull’estero, i pronti contro termine e il security credit (depositi
presso altre istituzioni finanziarie). I fondi comuni includono i fondi
monetari e le gestioni patrimoniali delle banche; nei conti finanziari
europei l’ammontare di tale ultima attività è attribuito ai diversi strumenti
finanziari sottostanti la gestione. Le azioni includono le partecipazioni
nelle imprese artigiane. I depositi interbancari attivi sono al netto delle
relative passività. Le azioni al passivo delle imprese sono al netto delle
relative attività. Nei dati di flusso utilizzati per calcolare il flusso dei fondi
delle imprese non finanziarie negli Stati Uniti, le altre attività
comprendono una voce residuale (miscellaneous assets) che risulta
quantitativamente importante: è composta dal flusso di investimenti diretti
all’estero del settore, da variazioni nelle azioni detenute in istituzioni
finanziarie (controllate e non) e da attività verso compagnie di
assicurazione.
564 Laura Bartiloro, Riccardo De Bonis, Andrea Generale e Irene Longhi
Giappone. – I dati dei conti finanziari del Giappone sono tratti da
Bank of Japan, Flow of Funds Accounts. Il settore delle famiglie
comprende le piccole imprese non in forma di società di capitali e, nelle
statistiche presentate in questa nota, i dati delle istituzioni senza fini di
lucro. Il settore delle istituzioni finanziarie monetarie è dato dalla somma
dei bilanci di banche, banca centrale e fondi di mercato monetario. Nelle
statistiche presentate in questo lavoro, per omogeneità con i dati degli altri
paesi, il settore degli altri intermediari finanziari comprende anche le poste
e i collectively managed trusts. Per rendere maggiormente comparabili i
dati sulla composizione delle attività finanziarie, gli investimenti effettuati
nei securities investment trusts, compresi nelle statistiche ufficiali del
Giappone tra i titoli, sono stati attribuiti alle azioni e alle quote di fondi
comuni.
Ricchezza reale. – I dati della ricchezza reale dell’Italia sono frutto
di stime interne del Servizio Studi. In particolare, i dati sullo stock di
capitale sono di fonte Istat e sono stati riportati al costo di rimpiazzo con il
metodo dell’inventario permanente. I dati sulla ricchezza delle famiglie
consumatrici sono stimati utilizzando la metodologia di Brandolini et al.
(2003); il patrimonio delle famiglie risulta rivalutato rispetto alle stime
precedentemente disponibili.
Per la Francia la ricchezza reale dell’economia è tratta da INSEE,
Comptes nationaux. I dati della Germania sono desunti da Statistiches
Bundesamt, Volkswirtschaftliche Gesamtrechnung. Il valore dei terreni è
stimato sulla base del rapporto tra terreni e abitazioni riportato in
Goldsmith (1985; tav. B3); questo rapporto può essere notevolmente
mutato, dato che si riferisce al periodo precedente l’unificazione della
Germania. I dati del Regno Unito sono tratti da Central Statistical Office,
United Kingdom National Accounts, The Blue Book. I dati degli Stati Uniti
sono tratti da Federal Reserve Board of Governors, Flow of Funds
Accounts of the United States. La pubblicazione riporta la ricchezza reale
per il settore privato non finanziario; non sono più pubblicati i dati delle
Amministrazioni pubbliche e delle Istituzioni finanziarie, i cui valori sono
stati stimati per il periodo 1998-2004 sulla base di coefficienti di
riproporzionamento. I dati della ricchezza reale del Giappone sono tratti da
Bank of Japan, Japan’s Flow of Funds Accounts.
Le strutture finanziarie dei principali paesi industriali 565
Tav. 1
Attività finanziarie e ricchezza reale
(consistenze in miliardi di valuta nazionale)
Ricchezza FIR1 AF/PIL RR/PIL
Paesi e Attività finanziarie lorde
nazionale
anni (AF)
(RR)
di cui: di cui:
attività del attività del
resto del resto del
mondo mondo
Italia
1995 4411.8 491.4 5660.7 0.79 4.78 0.53 6.13
2000 8466.3 1189.2 6908.0 1.21 7.26 1.02 5.92
2004 9655.3 1409.3 9548.4 1.03 7.15 1.04 7.07
Francia
1995 8476.9 964.2 4725.7 1.77 7.09 0.81 3.96
2000 15113.0 2406.9 6067.4 2.45 10.49 1.67 4.21
2002 14962.0 2443.9 6995.9 2.09 9.66 1.58 4.52
Germania
1996 11601.0 1277.2 9203.5 1.26 6.18 0.68 4.90
2000 17526.0 2803.4 10084.0 1.74 8.50 1.36 4.89
2004 18965.0 3401.2 10968.0 1.73 8.56 1.53 4.95
Regno Unito
1995 7817.8 1624.8 2795.20 2.83 10.60 2.21 3.89
2000 13615.0 3142.6 4250.50 3.23 13.90 3.22 4.46
2004 17355.0 4290.0 5983.70 2.96 14.30 3.57 5.14
Stati Uniti
1995 54360.0 3428.1 26336.0 2.06 7.35 0.46 3.56
2000 90835.0 6584.9 37170.0 2.38 9.25 0.67 3.79
2004 108700.0 9326.0 48746.0 2.22 9.26 0.79 4.15
Giappone
1995 5446922.0 202703.2 3030646 1.75 10.97 0.41 6.10
2000 5979685.0 218288.3 2815697 2.03 11.68 0.43 5.50
2003 5881484.0 233882.2 2551462 2.16 11.81 0.47 5.12
Per le fonti dei dati, si veda l’Appendice.
1
Il FIR è definito come rapporto tra attività finanziarie di tutti i settori istituzionali (incluso il resto
del mondo) e l’aggregato composto dalla ricchezza reale e dal saldo tra attività finanziarie e passività
finanziarie verso il resto del mondo.
Tav. 2
566
Formazione del FIR
Paesi e periodi δ δ δ δ δ Totale Effetti di
Ammini- valutazione** (PIL/RR)t (I) AFt-1/RRt FIRt
imprese* famiglie* estero* settore flussi netti*
strazioni finanziario*
pubbliche* (a) (b) (c) [(a)+(b)](c)
Laura Bartiloro, Riccardo De Bonis, Andrea Generale e Irene Longhi
Italia
1996-2004 0.50 0.21 0.19 0.52 1.28 2.69 0.55 0.14 0.47 0.56 1.03
1996-2000 0.24 0.10 0.08 0.38 0.63 1.43 0.94 0.14 0.34 0.75 1.21
2001-2004 0.27 0.11 0.10 0.14 0.65 1.27 -0.39 0.14 0.13 0.90 1.03
Francia
1996-2002 0.67 0.14 0.17 1.22 2.91 5.11 -1.34 0.22 0.81 1.27 2.09
1996-2000 0.44 0.10 0.09 0.71 1.76 3.09 0.77 0.22 0.84 1.48 2.45
2001-2002 0.23 0.04 0.07 0.51 1.16 2.01 -2.11 0.22 -0.02 2.11 2.09
Germania
1996-2004 0.51 0.14 0.16 1.03 1.58 3.42 -0.11 0.20 0.67 1.06 1.73
1996-2000 0.41 0.12 0.06 0.58 1.05 2.21 0.45 0.20 0.54 1.15 1.74
2001-2004 0.10 0.02 0.10 0.45 0.53 1.21 -0.56 0.20 0.13 1.60 1.73
Regno Unito
1996-2004 1.02 0.59 0.09 2.16 3.43 7.29 0.38 0.20 1.52 1.44 2.96
1996-2000 0.65 0.19 0.03 1.00 1.32 3.18 1.28 0.20 0.88 2.00 3.23
2001-2004 0.37 0.41 0.07 1.16 2.11 4.11 -0.90 0.20 0.64 2.32 2.96
Stati Uniti
1996-2004 0.46 0.45 0.16 0.25 1.63 2.94 0.83 0.25 0.96 1.26 2.22
1996-2000 0.34 0.17 0.00 0.14 0.79 1.44 0.87 0.25 0.59 1.62 2.38
2001-2004 0.12 0.28 0.16 0.11 0.84 1.50 -0.05 0.25 0.37 1.85 2.22
Giappone
1996-2003 -0.36 -0.02 0.73 0.16 0.36 0.87 -0.09 0.18 0.14 2.02 2.16
1996-2000 -0.20 0.02 0.43 0.04 0.58 0.88 0.10 0.18 0.18 1.86 2.02
2001-2003 -0.17 -0.04 0.29 0.12 -0.22 -0.01 -0.19 0.18 -0.04 2.20 2.16
NOTA: ∗δ=emissioni nette di nuove passività finanziarie tra l’inizio e la fine del periodo considerato in rapporto al PIL di fine periodo.
** Gli effetti di valutazione sono calcolati come differenze tra la variazione della consistenza delle passività finanziarie e il flusso di nuove emissioni. t indica
l’anno finale del periodo di riferimento. t-1 l’anno iniziale del periodo di riferimento. Il FIR è definito come rapporto tra attività finanziarie di tutti i settori
istituzionali (incluso il resto del mondo) e l’aggregato composto dalla ricchezza reale e dal saldo tra attività finanziarie e passività finanziarie verso il resto
del mondo. Il rapporto tra prodotto e capitale si riferisce al 2004 (al 2003 per il Giappone; al 2002 per la Francia). Per ottenere il FIR del 2000 i calcoli nella
colonna (I) sono riproporzionati con il rapporto tra la ricchezza nazionale nel 2004 e quella nel 2000.
Le strutture finanziarie dei principali paesi industriali 567
Tav. 3
Passività finanziarie
(flussi netti, in percentuale del PIL)
Imprese
Totale Amministrazioni
Paesi e periodi non Famiglie
settori1 pubbliche
finanziarie
Italia
1995-97 32.1 4.5 2.2 6.7
1998-2000 46.2 8.2 3.3 2.4
2001-03 35.3 7.7 2.6 2.2
Francia
1995-97 53.9 6.3 1.5 5.7
1998-2000 94.8 14.3 3.1 2.0
2001-03 108.3 11.5 1.5 4.9
Germania
1995-97 46.1 3.1 4.0 5.8
1998-2000 65.8 13.5 3.3 1.3
2001-03 33.9 4.4 0.8 2.4
Spagna
1995-97 47.5 9.2 4.1 6.8
1998-2000 70.9 21.8 6.9 3.0
2001-03 64.8 20.3 7.4 0.8
Regno Unito
1995-97 90.9 8.8 4.5 3.9
1998-2000 102.5 24.1 6.5 0.4
2001-03 98.1 10.6 10.7 0.8
Stati Uniti
1995-97 37.6 6.2 4.5 2.0
1998-2000 49.2 12.8 5.7 -0.4
2001-03 38.2 2.5 6.8 4.0
Giappone
1995-97 32.3 0.4 2.8 7.8
1998-2000 17.8 -4.8 0.1 11.6
2001-03 -0.1 -5.5 -1.3 9.7
1
Comprende il resto del mondo.
Tav. 4
568
Attività finanziarie per settore detentore
(in rapporto al PIL)
Istituzioni finanziarie
Imprese non Amministrazioni
Laura Bartiloro, Riccardo De Bonis, Andrea Generale e Irene Longhi
Paesi e anni Famiglie Istituzioni Assicurazioni
finanziarie pubbliche Altre istituzioni
finanziarie e fondi
finanziarie
monetarie pensione
Italia
1995 1.66 0.60 0.32 1.67 1.36 0.21 0.10
2000 2.38 1.02 0.35 2.49 1.58 0.62 0.25
2004 2.35 0.88 0.28 2.60 1.76 0.50 0.30
Francia
1995 1.42 1.35 0.36 3.16 2.46 0.25 0.41
2000 1.75 2.50 0.37 4.20 2.82 0.56 0.70
2004 1.76 2.30 0.38 4.48 3.05 0.61 0.72
Germania
1995 1.51 0.70 0.18 2.87 2.31 0.15 0.41
2000 1.76 1.11 0.18 4.09 3.09 0.40 0.59
2004 1.83 0.88 0.13 4.18 3.13 0.40 0.66
Spagna
1995 1.51 1.00 0.27 2.32 2.00 0.13 0.18
2000 1.66 1.62 0.29 2.68 2.07 0.32 0.27
2004 1.62 1.85 0.25 3.00 2.23 0.43 0.32
Regno Unito
1995 2.73 0.79 0.22 4.89 2.80 0.75 1.34
2000 3.32 1.27 0.19 6.26 3.40 1.13 1.73
2004 2.81 1.28 0.15 7.08 4.14 1.48 1.46
Stati Uniti
1995 2.91 0.75 0.21 3.01 0.95 0.81 1.02
2000 3.42 1.15 0.22 3.79 1.00 1.22 1.15
2004 3.12 1.11 0.22 4.01 1.07 1.42 1.10
Giappone
1995 2.63 1.60 0.75 5.57 2.44 2.35 0.77
2000 2.86 1.48 0.88 6.05 2.64 2.51 0.86
2004 2.89 1.50 0.98 5.90 2.71 2.24 0.90
Le strutture finanziarie dei principali paesi industriali 569
Fig. 1
FIN Società finanziarie
Italia Francia
0.55 Germania Spagna
Regno Unito Stati Uniti
Giappone
0.5
0.45
0.4
0.35
0.3
1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
Fig. 2
FIN Banche (inclusa Banca centrale)
Italia Francia
0.4 Germania Spagna
Regno Unito Stati Uniti
Giappone
0.35
0.3
0.25
0.2
0.15
0.1
1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
570 Laura Bartiloro, Riccardo De Bonis, Andrea Generale e Irene Longhi
Tav. 5
Strumenti finanziari “intermediati” e “non intermediati”1
(consistenze, in rapporto al PIL)
Passività finanziarie
Attività finanziarie Attività finanziarie
Paesi e anni Imprese non
Settori non finanziari2 Famiglie
finanziarie
“non “non “non
“intermediate” “intermediate” “intermediate”
intermediate” intermediate” intermediate”
Italia
1995 1.16 1.25 0.49 0.45 0.88 0.71
2000 1.57 2.46 0.55 1.05 1.20 1.10
2004 1.50 2.32 0.58 0.91 1.19 1.08
Francia
1995 1.62 1.40 0.59 0.92 1.09 0.24
2000 1.97 3.22 0.64 2.49 1.27 0.37
2004 2.17 2.95 0.69 2.08 1.33 0.32
Germania
1995 1.56 1.11 0.46 0.54 1.10 0.36
2000 2.02 1.83 0.61 0.93 1.25 0.45
2004 2.10 1.69 0.56 0.75 1.36 0.40
Spagna
1995 1.41 1.14 0.44 0.84 0.96 0.35
2000 1.71 2.03 0.58 1.38 1.04 0.48
2004 1.74 2.30 0.80 1.40 1.02 0.46
Regno Unito
1995 3.44 1.54 0.49 1.47 2.07 0.47
2000 4.16 2.60 0.62 2.16 2.51 0.61
2004 4.23 2.17 0.73 1.51 2.24 0.35
Stati Uniti
1995 1.61 1.76 0.34 1.56 1.45 1.41
2000 1.94 2.14 0.39 2.06 1.74 1.63
2004 1.97 2.00 0.39 1.71 1.73 1.34
Giappone
1995 2.90 1.23 1.23 1.20 2.05 0.44
2000 3.20 1.28 0.97 1.15 2.34 0.33
2004 3.16 1.55 0.82 1.13 2.41 0.29
1
Tra gli strumenti “intermediati” rientrano i depositi, i prestiti, le quote di fondi comuni, le riserve
tecniche di assicurazione e i fondi pensione. Tra gli strumenti “non intermediati” rientrano le
obbligazioni e le azioni e partecipazioni.
2
Include il resto del mondo
Tav. 6
Composizione delle attività finanziarie del settore finanziario
(valori percentuali)
Biglietti e depositi Titoli Crediti Azioni e partecipazioni Altre attività
Fondi Imprese di Fondi Imprese di Fondi Imprese di Fondi Imprese di Fondi Imprese di
Paesi e anni Istituz. Istituz. Istituz. Istituz.
Istituz. finanz. comuni e assicurazione comuni e assicurazione comuni e assicurazione comuni e assicurazione comuni e assicurazione
finanz. finanz. finanz. finanz.
monetarie società e fondi società e fondi società e fondi società e fondi società e fondi
monetarie monetarie monetarie monetarie
Le strutture finanziarie dei principali paesi industriali
finanz. pensione finanz. pensione finanz. pensione finanz. pensione finanz. pensione
Italia
1995 16.9 7.8 3.8 24.0 31.9 69.6 55.0 26.3 0.9 2.1 34.0 25.6 0.5 0 0
2000 15.6 4.3 3.4 18.9 39.1 49.2 56.9 16.5 5.7 7.3 40.1 41.7 0.1 0 0
2004 18.1 4.1 7.3 18.6 35.3 58.7 55.1 29.9 2.1 7.0 30.6 31.9 0.1 0.1 0
Francia
1995 35.5 8.1 3.1 16.3 48.3 58.6 37.8 16.3 8.1 5.3 25.1 25.9 4.3 2.2 4.3
2000 33.1 4.6 1.8 18.7 34.5 44.1 30.9 6.7 4.9 13.0 49.6 46.8 3.7 4.5 2.4
2004 33.0 9.7 1.6 20.9 34.7 52.1 29.2 5.1 4.5 13.1 46.4 39.3 3.2 4.1 2.5
Germania
1995 24.4 7.7 35.5 15.2 59.8 15.2 54.0 1.0 14.9 4.9 31.5 22.7 1.3 0 11.7
2000 24.9 6.0 31.1 16.2 38.7 7.1 47.7 2.5 9.4 8.2 52.7 42.4 2.5 0 10.0
2004 27.9 7.7 32.2 18.7 50.4 9.9 44.8 1.1 11.7 5.9 40.7 35.1 2.1 0 11.1
Spagna
1995 35.6 48.9 17.5 16.4 39.4 53.8 41.9 3.3 2.8 4.5 6.3 12.5 1.2 2.1 13.4
2000 23.0 18.5 16.7 14.4 40.3 47.4 47.3 10.9 1.6 13.9 28.4 23.1 1.1 1.9 11.2
2004 19.3 27.7 17.1 16.2 27.8 51.2 53.9 23.4 2.9 9.5 19.8 17.5 0.7 1.2 11.4
Regno Unito
1995 36.2 35.3 4.7 15.6 19.2 23.1 46.1 9.1 2.5 2.1 34.9 68.4 0 1.5 1.2
2000 35.0 38.1 4.3 16.3 14.8 25.9 45.7 6.6 2.9 3.0 39.5 65.8 0 1.1 1.1
2004 38.2 37.2 4.6 12.9 13.3 34.6 45.7 12.2 4.9 3.2 36.2 51.6 0 1.1 4.3
Stati Uniti
1995 4.3 2.9 2.9 31.3 23.4 37.9 45.1 52.0 4.5 6.9 17.9 37.9 11.9 3.7 16.8
2000 5.6 2.1 2.5 31.3 20.8 31.0 43.2 45.6 3.3 7.5 27.9 49.2 12.2 3.7 14.1
2004 5.2 2.0 3.0 31.1 22.0 34.7 44.7 48.4 3.2 5.2 24.0 44.6 13.5 3.6 14.5
Giappone
1995 12.6 19.9 8.7 16.8 18.1 41.4 61.5 56.8 29.5 6.0 3.3 17.9 1.8 1.9 2.0
2000 11.3 20.7 6.3 24.5 18.6 54.4 56.3 54.7 21.7 5.3 3.6 14.4 2.1 2.4 2.3
571
2004 11.8 12.3 3.5 31.6 25.4 64.5 48.1 54.9 16.3 5.8 4.7 13.4 2.1 2.8 1.5
572 Laura Bartiloro, Riccardo De Bonis, Andrea Generale e Irene Longhi
Tav. 7
Ricchezza delle famiglie
Attività Passività Ricchezza
Ricchezza
Paesi e anni finanziarie finanziarie netta RR/(AF+RR)
reale (RR)
lorde (AF) lorde (PF) AF-PF+RR
Valori
In rapporto al reddito disponibile percentuali
Italia
1995 2.41 0.31 5.44 7.54 69.2
2000 3.38 0.43 5.08 8.03 60.0
2004 3.28 0.51 6.40 9.17 66.1
Francia
1995 2.09 0.63 2.82 4.28 57.4
2000 2.67 0.72 3.16 5.11 54.2
2002 2.44 0.71 3.44 5.17 58.4
Germania
1996 2.18 0.93 5.03 6.64 69.3
2000 2.56 1.04 5.39 6.89 67.8
2004 2.63 1.01 5.28 6.90 66.8
Regno Unito
1995 3.84 1.04 2.70 5.50 40.8
2000 4.72 1.11 3.63 7.25 43.3
2004 4.09 1.52 4.98 7.56 54.6
Stati Uniti
1995 3.98 0.94 2.08 5.13 34.3
2000 4.67 1.03 2.19 5.83 32.0
2004 4.23 1.24 2.61 5.61 38.1
Giappone
1995 4.03 1.33 4.38 7.08 52.1
2000 4.45 1.34 3.93 7.05 46.9
2003 4.53 1.28 3.47 6.72 43.3
Le strutture finanziarie dei principali paesi industriali 573
Tav. 8
Composizione delle attività finanziarie delle famiglie
(in percentuale della consistenza totale di attività)
Riserve
Biglietti tecniche di
Azioni e Altre
Paesi e anni e Titoli assicurazione
partecipazioni di cui: attività1
depositi e fondi
fondi
pensione
comuni
Italia
1995 41.7 27.4 19.4 4.1 10.5 1.0
2000 24.5 18.4 44.5 16.6 11.9 0.7
2004 26.0 22.1 34.9 10.8 16.5 0.5
Francia
1995 41.5 5.9 24.3 13.4 24.0 4.4
2000 33.3 2.9 29.7 11.3 29.8 4.3
2004 33.3 1.8 25.9 9.8 33.7 5.3
Germania
1995 41.9 12.6 18.2 7.1 26.2 1.1
2000 34.0 9.7 27.1 11.3 27.9 1.3
2004 35.7 11.0 22.0 11.4 29.9 1.4
Spagna
1995 50.7 3.6 29.8 10.1 10.0 6.0
2000 39.8 2.5 40.2 13.7 13.9 3.6
2004 39.9 2.9 38.2 12.7 15.3 3.7
Regno Unito
1995 24.0 2.1 19.4 3.7 50.8 3.7
2000 20.3 1.3 22.5 4.9 53.1 2.8
2004 26.8 1.5 15.7 4.3 53.0 3.0
Stati Uniti
1995 13.8 9.0 46.7 7.4 29.0 1.5
2000 11.3 6.5 52.3 11.3 28.7 1.1
2004 14.3 5.9 49.2 12.2 29.3 1.4
Giappone
1995 50.6 8.0 13.4 2.4 24.3 3.6
2000 53.7 5.1 11.5 2.6 25.8 3.9
2004 55.4 4.3 11.0 2.7 25.6 3.7
1
Include i crediti commerciali.
574 Laura Bartiloro, Riccardo De Bonis, Andrea Generale e Irene Longhi
Tav. 9
Attività finanziarie delle famiglie
(flussi in percentuale del PIL)
Riserve
Biglietti tecniche di
Azioni e di cui: assicurazione Altre
Paesi e periodi e Titoli
partecipazioni fondi e fondi attività1
depositi
comuni pensione
Italia
1995-97 1.4 1.9 4.1 4.0 2.1 0.3
1998-2000 -0.2 -3.2 9.2 8.7 3.3 0
2001-2003 2.6 3.3 0 0.1 3.6 -0.1
Francia
1995-97 3.7 -0.6 -1.5 -1.8 5.3 0.3
1998-2000 1.6 -0.4 0.4 0.7 4.5 0.5
2001-2003 2.0 -0.1 1.2 0.6 3.9 0.9
Germania
1995-97 2.1 0.7 1.1 0.8 3.3 0.7
1998-2000 0.4 -0.2 2.9 2.1 3.3 0.5
2001-2003 2.6 0.7 0.3 1.8 2.3 0.4
Spagna
1995-97 2.2 0.1 5.6 5.4 2.4 -0.4
1998-2000 5.3 0 0.4 0.1 3.0 0.7
2001-2003 4.4 0.2 1.4 1.1 2.3 0
Regno Unito
1995-97 4.4 0 -1.0 0.5 4.5 0.4
1998-2000 3.7 -0.2 -2.0 0.9 3.9 0.5
2001-2003 5.1 0.3 0.5 0.6 3.1 0.1
Stati Uniti
1995-97 1.7 0.5 0.7 3.4 2.7 0.2
1998-2000 1.9 0.3 -0.7 2.9 2.2 0.1
2001-2003 3.1 -0.3 0 1.6 2.2 0.3
Giappone
1995-97 6.1 -0.8 0.2 0.1 3.5 0.1
1998-2000 3.7 -1.2 0.9 0.8 1.9 -0.2
2001-2003 1.9 -0.8 -0.5 -0.2 0.2 -0.2
1
Include i crediti commerciali.
Le strutture finanziarie dei principali paesi industriali 575
Tav. 10
Composizione delle risorse delle imprese – flussi lordi
(valori percentuali)1
Paesi Per memoria:
e Autofinanzia- Emissione Emissione Flusso di Altre Residuo Autofinanzia-
mento di titoli di azioni prestiti passività statistico mento/Inve-
periodi
stimenti
Italia
1995-97 67.60 -0.36 12.40 15.38 11.03 -6.05 0.82
1998-2000 56.91 -0.27 15.80 28.14 7.35 -7.92 0.87
2001-03 51.87 4.07 12.47 22.22 11.91 -2.54 0.78
Francia
1995-97 59.41 2.81 22.84 12.09 7.27 -4.41 0.91
1998-2000 38.33 7.12 22.26 17.20 5.45 9.64 0.91
2001-03 42.50 11.90 24.72 17.67 0.30 2.92 0.84
Germania
1995-97 85.30 -11.58 7.32 20.32 1.50 -2.86 1.09
1998-2000 40.12 0.38 24.44 34.67 3.28 -2.90 0.72
2001-03 66.36 5.63 11.06 3.92 8.77 4.28 0.90
Spagna
1995-97 61.68 -2.10 10.60 12.89 19.80 -2.86 1.04
1998-2000 37.26 -0.49 19.26 25.30 20.31 -1.64 0.84
2001-03 35.23 -0.68 18.19 32.70 19.19 -4.64 0.73
Regno Unito
1995-97 56.37 7.94 17.61 19.74 0.20 -1.85 1.04
1998-2000 32.69 11.42 36.38 20.36 1.35 -2.20 0.92
2001-03 54.02 8.66 6.68 33.44 1.44 -4.24 1.14
Stati Uniti
1995-97 60.31 10.16 -5.66 13.40 18.62 3.17 0.95
1998-2000 42.30 12.12 -11.50 15.63 39.30 2.15 0.89
2001-03 72.11 10.74 -8.72 10.00 6.55 9.33 0.95
Giappone
1995-97 104.28 -0.60 7.93 -1.43 -11.36 1.18 0.88
1998-2000 110.10 -7.26 8.21 -28.27 -7.53 24.74 1.07
2001-03 123.20 -5.90 3.12 -25.42 -14.26 19.26 1.16
1
Fatto pari a 100 il totale delle risorse. Il residuo statistico è dato dalla differenza tra il totale degli
impieghi e il totale delle risorse ed è considerato come risorsa. L’autofinanziamento include i
trasferimenti. Le altre passività includono i debiti commerciali.
576 Laura Bartiloro, Riccardo De Bonis, Andrea Generale e Irene Longhi
Tav. 11
Composizione degli impieghi delle imprese – flussi lordi
(valori percentuali) 1
Paesi e Investimenti Altre
periodi e scorte Depositi Titoli Azioni attività
Italia
1995-97 81.25 4.12 -3.08 8.30 9.41
1998-2000 65.56 8.88 0.20 21.22 4.14
2001-03 67.03 4.64 -2.37 21.94 8.76
Francia
1995-97 65.27 16.39 -2.83 14.87 6.30
1998-2000 41.38 13.76 7.09 26.00 11.78
2001-03 50.34 21.27 10.52 21.38 -3.51
Germania
1995-97 77.99 6.77 -3.20 10.15 8.29
1998-2000 54.30 8.45 7.19 30.57 -0.50
2001-03 72.89 3.90 -4.94 12.94 15.22
Spagna
1995-97 58.98 9.97 0.26 8.20 22.59
1998-2000 43.75 4.67 1.82 24.97 24.79
2001-03 48.23 8.00 2.58 22.04 19.14
Regno Unito
1995-97 54.33 16.50 0.36 27.89 0.93
1998-2000 35.35 17.82 0.04 44.79 2.00
2001-03 47.53 27.35 1.99 22.46 0.68
Stati Uniti
1995-97 63.12 4.43 -0.86 1.67 31.63
1998-2000 47.47 4.50 0.47 2.52 45.04
2001-03 76.00 1.86 0.93 3.08 18.14
Giappone
1995-97 119.41 -12.28 7.01 0.80 -14.94
1998-2000 100.68 4.81 10.41 2.95 -18.85
2001-03 107.93 9.40 5.50 2.45 -25.29
1
Fatto pari a 100 il totale degli impieghi. Le altre attività includono i crediti commerciali.
Le strutture finanziarie dei principali paesi industriali 577
Tav. 12
Composizione delle risorse delle imprese – flussi netti
(valori percentuali) 1
Autofinanzia- Emissione Emissione Flusso di Altre
Paesi e periodi
mento di titoli di azioni prestiti passività
Italia
1995-97 77.51 3.42 4.59 12.49 1.99
1998-2000 80.46 -1.41 -8.72 25.48 4.19
2001-03 74.68 9.28 -13.88 25.34 4.57
Francia
1995-97 85.04 7.16 11.50 -5.64 1.93
1998-2000 123.12 2.02 -15.11 14.37 -24.42
2001-03 90.56 7.32 6.68 -10.20 5.64
Germania
1995-97 105.01 -9.86 -3.36 16.62 -8.41
1998-2000 69.72 -12.34 -11.41 46.73 7.30
2001-03 95.68 13.10 -1.93 2.60 -9.46
Spagna
1995-97 99.42 -3.74 3.46 4.94 -4.07
1998-2000 81.44 -5.21 -12.47 45.78 -9.54
2001-03 66.68 -6.23 -7.55 46.98 0.12
Regno Unito
1995-97 100.26 13.96 -18.74 5.82 -1.31
1998-2000 86.36 31.79 -20.10 6.08 -4.13
2001-03 103.83 14.39 -33.29 13.54 1.52
Stati Uniti
1995-97 100.77 18.02 -11.83 14.91 -21.87
1998-2000 93.20 25.21 -29.94 24.16 -12.63
2001-03 109.24 15.43 -17.44 11.87 -19.11
Giappone
1995-97 89.38 -4.06 6.80 7.02 0.86
1998-2000 145.35 -23.05 8.02 -44.38 14.07
2001-03 144.95 -11.67 1.32 -43.66 9.07
1
Le emissioni sono al netto degli acquisti netti delle relative attività.
578 Laura Bartiloro, Riccardo De Bonis, Andrea Generale e Irene Longhi
Fig. 3
Grado di leverage
Italia Francia
0.7 Germania Spagna
Regno Unito Stati Uniti
0.65 Giappone
0.6
0.55
0.5
0.45
0.4
0.35
0.3
0.25
0.2
1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
Fig. 4
Rapporto Debiti/PIL
Italia Francia
Germania Spagna
1.6
Regno Unito Stati Uniti
Giappone
1.4
1.2
0.8
0.6
0.4
1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
Le strutture finanziarie dei principali paesi industriali 579
Tav. 13
Composizione delle passività finanziarie delle imprese
(valori percentuali)
Altre
Azioni e
Paesi e anni Obbligazioni Debiti passività1
partecipazioni
Italia
1995 1.4 40.3 35.9 22.4
2000 1.1 29.1 54.8 15.0
2004 2.7 32.4 48.1 16.8
Francia
1995 6.6 30.6 41.1 21.7
2000 5.0 17.9 65.3 11.8
2004 6.8 21.6 58.2 13.3
Germania
1995 2.8 40.4 43.8 13.0
2000 1.5 34.9 51.8 11.9
2004 3.1 36.9 46.2 13.9
Spagna
1995 3.0 24.6 44.3 28.2
2000 1.0 22.6 52.3 24.2
2004 0.5 27.7 47.8 24.0
Regno Unito
1995 6.2 23.1 62.5 8.1
2000 7.9 21.3 65.9 4.8
2004 10.3 30.9 53.7 5.1
Stati Uniti
1995 9.3 14.2 56.8 19.7
2000 8.9 12.8 58.4 19.9
2004 10.4 14.9 54.4 20.3
Giappone
1995 9.2 40.5 30.5 19.8
2000 9.4 36.5 33.9 20.2
2004 9.4 33.2 36.1 21.2
1
Include i debiti commerciali e il trattamento di fine rapporto per i dipendenti.
580 Laura Bartiloro, Riccardo De Bonis, Andrea Generale e Irene Longhi
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DISCUSSIONE DEL LAVORO DI L. BARTILORO, R. DE BONIS,
A. GENERALE E I. LONGHI
Emilio Barucci∗
Negli anni novanta i mercati finanziari sono stati caratterizzati da
un intenso processo di liberalizzazione, integrazione e armonizzazione
delle diverse regolamentazioni. Il dibattito su questo tema è molto vivo. Se
da un lato la letteratura ha stabilito la centralità del sistema finanziario per
promuovere la crescita di un paese, la stessa è sostanzialmente non
conclusiva sulla sua architettura, in particolare sul ruolo degli intermediari
piuttosto che dei mercati finanziari. A oggi non siamo in presenza di un
modello di riferimento per la struttura del sistema finanziario e quindi non
abbiamo una tesi forte sull’evoluzione dei sistemi finanziari; il dibattito è
principalmente dominato da analisi empiriche.
Le indagini a carattere empirico si sono perlopiù concentrate sulla
contrapposizione tra sistemi bancocentrici e sistemi centrati sul mercato e
sulla natura giuridica del sistema, avendo spesso a riferimento indicatori
aggregati dei sistemi finanziari e tralasciando una loro analisi disaggregata.
Questa prospettiva rischia di essere fuorviante, se pensiamo alla
complessità di un sistema finanziario e al fatto che la sua centralità nel
promuovere la crescita di un paese risiede proprio nella sua efficienza nel
ridurre i costi di transazione che derivano dall’asimmetria informativa e dai
costi di agenzia legati al finanziamento degli investimenti. Questi aspetti
possono essere analizzati solo indagando a livello micro il funzionamento
dei mercati finanziari e valutando i sistemi finanziari su più dimensioni.
Il pregio di questo lavoro è quello di fornire un quadro articolato dei
sistemi finanziari facendo riferimento ai conti finanziari dei principali paesi
sviluppati: Italia, Francia, Spagna, Germania, Inghilterra, Stati Uniti,
Giappone. L’analisi riguarda un arco temporale sufficientemente lungo e
interessante per il processo che abbiamo descritto (1995-2004) e fa
riferimento a una fonte statistica che offre buone garanzie di omogeneità.
La differenziazione principale tra i diversi paesi circa la base informativa è
infatti limitata al sistema pensionistico: i fondi pensione privati rientrano
tra le attività finanziarie, mentre nei sistemi pensionistici a ripartizione i
fondi accumulati non compaiono nei conti finanziari. L’analisi permette
__________
∗
Dipartimento di Matematica Politecnico di Milano.
584 Emilio Barucci
un’indagine approfondita del tema da un punto di vista spaziale e
temporale e di valutare l’evoluzione dei sistemi finanziari e il loro grado di
convergenza, non limitandosi all’analisi di qualche indicatore aggregato
ma studiando la composizione del sistema finanziario. Il lavoro si
concentra sui seguenti aspetti: dimensione e struttura del sistema
finanziario (ruolo delle banche, del mercato e degli altri intermediari),
allocazione del risparmio delle famiglie, finanziamento delle imprese.
La lettura del lavoro offre risposte, alcune già acclarate in letteratura,
altre originali, attorno a quattro domande:
a) L’apertura dei mercati finanziari, l’eliminazione di vincoli, la loro
integrazione hanno portato a uno sviluppo dei sistemi finanziari?
b) Assistiamo a una convergenza livello di finanziarizzazione?
c) Assistiamo a cambiamenti strutturali nei sistemi finanziari, vi sono
segni di convergenza nella loro composizione?
d) Come si colloca l’Italia in questo processo?
Sul tema della dimensione del sistema finanziario non è sicuramente
una novità il fatto che il livello di finanziarizzazione, rappresentato dal
rapporto tra attività finanziarie e ricchezza reale nazionale, sia cresciuto in
tutti i paesi. Due sono le osservazioni non immediate proposte nel lavoro: il
livello di finanziarizzazione è cresciuto in tutti i paesi nel periodo 1996-
2000 e diminuito nel periodo 2001-04, ma il livello nel 2004 è maggiore di
quanto veniva registrato nel 1996 (negli Stati Uniti e in Inghilterra in
misura limitata); la crescita nel periodo 1996-2000 è solo in parte dovuta
all’aumento dei corsi dei titoli: al netto di questo effetto (che in alcuni casi
è rilevante), l’aumento del grado di finanziarizzazione è confermato.
Possiamo concludere che l’aumento del ruolo del sistema finanziario è
reale e non è dipeso esclusivamente dal boom della new economy.
All’interno di questo trend di crescita del sistema finanziario
possiamo valutare i segnali di convergenza: i paesi con un rapporto basso
di finanziarizzazione dovrebbero veder crescere il rapporto in misura
maggiore e la dispersione degli indici di finanziarizzazione dovrebbe
diminuire. Il lavoro non offre risultati conclusivi (vedi tav. 1): l’Italia era
nel 1995 e rimane nel 2004 il paese con il più basso grado di
finanziarizzazione, ma il rapporto per Italia, Germania, Francia e Giappone
(che partivano da un livello non elevato) è cresciuto in misura maggiore
rispetto al Regno Unito e agli Stati Uniti.
Discussione del lavoro di L. Bartiloro, R. De Bonis, A. Generale e I. Longhi 585
Riguardo alla struttura del sistema finanziario il lavoro offre
interessanti risultati attorno a tre questioni: ruolo delle istituzioni
finanziarie (banche, fondi comuni, altri intermediari, fondi pensione,
assicurazioni), ruolo delle banche, apertura al mercato/centralità delle
istituzioni finanziarie. L’indagine è guidata dall’analisi della quota delle
attività finanziarie possedute dalle banche, dalle istituzioni finanziarie e
dalla quota intermediata piuttosto che collocata direttamente sul mercato
finanziario.
Il ruolo delle attività finanziarie detenute dalle istituzioni finanziarie
in rapporto al totale delle attività finanziarie mostra la presenza di due
cluster: Regno Unito, Germania e Giappone attorno al 50 per cento;
Francia, Stati Uniti, Italia e Spagna attorno al 40 per cento. Non sembrano
esservi dinamiche comuni tra i diversi paesi e i due cluster sembrano
perdurare nel corso del tempo (vedi fig. 1). La dinamica delle banche
mostra invece due casi estremi (Germania con un rapporto elevato e Stati
Uniti con rapporto basso) che rimangono tali nel corso del tempo; gli altri
paesi sono caratterizzati da una dinamica comune che ha portato a una
diminuzione del ruolo delle banche con un rimbalzo dopo il 2000 e a una
convergenza della quota verso il 25 per cento (vedi fig. 2). In tutti i paesi le
attività finanziarie intermediate sono generalmente cresciute meno delle
attività non intermediate (vedi tav. 5); la Germania e il Giappone sono
comunque caratterizzate da una prevalenza di strumenti intermediati ed è
difficile individuare segnali di convergenza. Questo punto necessiterebbe
di un approfondimento; in questo caso l’utilizzo dei conti finanziari per
discernere il ruolo della attività intermediate e non intermediate non
sembra essere una strada proficua.
Queste osservazioni suggeriscono alcune considerazioni interessanti.
Non vi è una dinamica comune ai diversi paesi del ruolo delle istituzioni
finanziarie. Il peso delle banche tende in generale a diminuire e abbiamo
assistito a una sostituzione tra forme di intermediazione: alle banche si
sono sostituiti fondi pensione, assicurazioni, fondi di investimento. Si
conferma che la distinzione tra sistemi bancocentrici e sistemi centrati sul
mercato rischia di essere fuorviante: il peso delle banche nei due paesi
estremi è rimasto tale nel corso del tempo; negli altri paesi non si
osservano grandi differenze nella loro centralità; inoltre l’indagine sulla
distinzione tra attività intermediate e attività non intermediate non conduce
a risultati ben delineati.
In rapporto al PIL, il ruolo delle istituzioni finanziarie in Italia
rimane all’ultimo posto. Nella composizione delle attività si osserva una
586 Emilio Barucci
peculiarità in Italia e in Spagna rispetto agli altri paesi: il ruolo limitato dei
fondi pensione e delle compagnie di assicurazione. Questa caratteristica è
rimasta inalterata nel corso del tempo (vedi tav. 4). La struttura dei diversi
sistemi finanziari presenta specificità che perdurano.
La crescita delle attività finanziarie e il perdurare delle specificità
dei sistemi finanziari sono confermate guardando alle attività delle
famiglie. Il peso delle attività finanziarie delle famiglie in rapporto al
reddito disponibile è cresciuto in tutti i paesi, ma vi sono caratteristiche
nella loro composizione che mutano nel corso del tempo in misura limitata
(vedi tav. 8). In particolare, Italia, Spagna e Stati Uniti presentano un forte
peso delle azioni e partecipazioni con un limitato ricorso a fondi comuni di
investimento; nel caso della Spagna e dell’Italia il dato è da collegare al
peso elevato delle partecipazioni in società non quotate e quindi a una forte
rischiosità degli investimenti finanziari delle famiglie e a un modesto
ricorso alla delega/diversificazione per il tramite di intermediari.
Considerando le attività detenute in fondi comuni, fondi pensione e
assicurazioni, risulta confermato che le famiglie in Italia e Spagna (e in
Giappone) fanno un modesto ricorso a questi strumenti (il rapporto è
attorno al 28 per cento, mentre nel Regno Unito è pari al 57 per cento).
Queste caratteristiche non mutano nel corso del tempo, sebbene il peso dei
fondi comuni per l’Italia sia cresciuto notevolmente. Le famiglie italiane
continuano inoltre ad avere un modesto livello di indebitamento in
confronto agli altri paesi. La mancanza di convergenza si osserva anche
riguardo al passivo delle imprese, con livelli di leverage differenziati tra i
diversi paesi che variano in funzione della congiuntura.
La liberalizzazione dei mercati finanziari ha portato quindi a una
crescita del ruolo delle attività finanziarie che non è solo dipesa dalla
crescita dei corsi dei mercati. Qualche segno di convergenza sul grado di
finanziarizzazione si osserva, ma i segnali di convergenza sono deboli per
quanto riguarda la composizione dei sistemi finanziari. Il peso delle banche
è rimasto elevato in Germania e basso negli Stati Uniti; negli altri paesi si
osserva una diminuzione del loro ruolo e una loro sostituzione da parte di
altri intermediari. Non vi sono segni evidenti di diminuzione del ruolo
degli intermediari e di crescita del ruolo del mercato. La composizione
delle attività delle famiglie e delle passività delle imprese mostra diversità
notevoli che perdurano nel corso del tempo, anche a causa di profili
normativi diversi.
Il quadro proposto in questo lavoro richiama l’attenzione sulla
difficoltà di valutare la convergenza dei sistemi finanziari attraverso
Discussione del lavoro di L. Bartiloro, R. De Bonis, A. Generale e I. Longhi 587
aggregati finanziari e sulla necessità di valutare attentamente la
composizione dei sistemi finanziari. Mentre una crescita del ruolo della
finanza è un tratto comune a tutti i maggiori paesi industrializzati negli
anni novanta, i diversi sistemi hanno mantenuto le loro specificità nel corso
del tempo. Questa osservazione suggerisce di indagare il tema della
convergenza dei sistemi finanziari considerando più dimensioni e non solo
indicatori sintetici che rischierebbero di condurre a conclusioni fuorvianti e
di scarso interesse. L’indagine dovrebbe spostarsi sull’efficienza del
sistema finanziario indagando aspetti micro legati al loro funzionamento;
un’analisi di questo tipo necessita comunque di una articolata analisi degli
aggregati finanziari quale quella proposta in questo lavoro.
CONVERGENZA NELLE STRUTTURE FINANZIARIE
EUROPEE: UN’APPLICAZIONE DELL’ANALISI DELLE
MATRICI FATTORIALI
Valter Di Giacinto e Luciano Esposito∗
1. Introduzione
A partire dallo studio di Goldsmith (1969), l’analisi dell’evoluzione
di lungo periodo dei sistemi finanziari e della possibilità che si assista o
meno a una riduzione progressiva delle differenze esistenti tra le strutture
dei paesi industrializzati ha ricevuto una crescente attenzione in letteratura.
Il recente saggio di Castelnuovo (2005) fornisce una rassegna
aggiornata delle tesi avanzate a favore e contro l’ipotesi di convergenza
finanziaria, con un’enfasi particolare sull’analisi delle conseguenze
dell’unificazione monetaria europea sugli assetti dei paesi coinvolti. Nel
rinviare a tale saggio, e alla letteratura ivi citata, è possibile sintetizzare le
aspettative avanzate sull’attuale fase evolutiva dei sistemi finanziari dei
paesi dell’Europa unita.
Negli anni precedenti l’avvio della terza fase dell’Unione economica
e monetaria, i paesi che presentavano un quadro macroeconomico
disallineato rispetto ai parametri di riferimento sono stati chiamati a
intraprendere politiche correttive di vasta portata, ai fini dell’eventuale
ingresso nella costituenda area valutaria unica. In particolare,
aggiustamenti fiscali rilevanti sono stati richiesti ai paesi che presentavano
deficit di bilancio eccessivi o un peso elevato del debito pubblico. Allo
stesso tempo, le politiche monetarie nazionali hanno dovuto assicurare
l’allineamento dei tassi di inflazione alla media europea.
Parallelamente al processo di aggiustamento dello scenario
macroeconomico, sono state poste in essere in campo finanziario
innovazioni normative miranti a uniformare il quadro legislativo europeo
__________
∗
Banca d’Italia – Filiale di L’Aquila. Nucleo regionale per la ricerca economica. Le opinioni
espresse sono quelle degli autori e non impegnano in alcun modo l’Istituzione di appartenenza. Pur
trattandosi di un lavoro svolto congiuntamente, Luciano Esposito ha redatto i paragrafi 2, 5 e 8,
mentre Valter Di Giacinto ha curato la stesura delle parti rimanenti.
590 Valter Di Giacinto e Luciano Esposito
e a consolidare il mercato unico dei capitali all’interno dell’aerea
(deregolamentazione dei mercati, armonizzazione della normativa sugli
intermediari).
L’accresciuta integrazione dei mercati finanziari europei ha a sua
volto favorito un incremento della concorrenza tra le piazze e gli
intermediari, che agisce a sua volta come fattore di mutamento degli assetti
finanziari locali muovendo dal lato dell’offerta di servizi.
La convergenza macroeconomica, il passaggio a una moneta unica,
l’accresciuto livello di integrazione dei mercati finanziari nazionali, il più
elevato tenore competitivo sono fattori che hanno suscitato in alcuni autori
l’aspettativa di una progressiva riduzione delle notevoli differenze
riscontrate nelle strutture finanziarie dei paesi appartenenti all’area
all’inizio degli anni novanta.
Altri studiosi hanno, al contrario, sottolineato il permanere di
differenze sostanziali in aspetti centrali del quadro normativo e
istituzionale, quali la tassazione delle rendite finanziarie e del reddito di
impresa, il grado di tutela degli azionisti, le articolazioni del sistema
pensionistico1. Permangono inoltre forti peculiarità nazionali nella struttura
del settore non finanziario, ad esempio nella specializzazione settoriale e
nella dimensione media delle imprese. Il persistere di tali diversità
impedirebbe che, anche nel contesto di una Europa unificata sotto il profilo
monetario, le differenze tra gli assetti finanziari nazionali tendano
progressivamente ad annullarsi.
Obiettivo del presente lavoro è quello di ottenere evidenze
empiriche articolate sull’evoluzione recente dei sistemi finanziari dei paesi
UE, mediante un approccio metodologico di tipo multivariato, basato
sull’analisi congiunta di molti indicatori statistici.
In un primo stadio l’analisi è rivolta a condensare in un numero
contenuto di indicatori compositi l’informazione veicolata dal pool di
variabili considerato. Tali indicatori costituiscono, in un secondo momento,
la base da cui trarre valutazioni di tipo quantitativo sulla esistenza o meno
di un processo di convergenza.
__________
1
Per una disamina delle ripercussioni sui sistemi finanziari europei di una riforma del sistema
pensionistico con l’introduzione di schemi funded si veda Davis (1998).
Convergenza nelle strutture finanziarie europee 591
La fonte informativa utilizzata è costituita in prevalenza dai conti
finanziari nazionali redatti secondo i principi del SEC95. Allo stato attuale
la principale limitazione di tale fonte è la ridotta profondità temporale delle
serie storiche, generalmente disponibili solo a partire dal 1995. L’arco
temporale coperto, ormai prossimo a un decennio, e la coincidenza con un
periodo in cui i paesi considerati hanno intrapreso profonde riforme
strutturali, rendono comunque ragionevole il tentativo di fornire una prima
valutazione delle tendenze in atto.
La parte rimanente del lavoro è così articolata. Il paragrafo 2
fornisce una breve rassegna dei lavori empirici che hanno operato confronti
internazionali delle strutture finanziarie dei paesi avanzati sulla base dei
conti finanziari focalizzandosi, in particolare, sulle conclusioni raggiunte in
termini di convergenza o path dependence. La sezione successiva illustra i
diversi concetti di convergenza economica proposti in letteratura e le
metodologie statistico-econometriche che sono state via via adottate nelle
analisi empiriche del fenomeno. Il quarto paragrafo descrive brevemente la
tecnica di analisi multidimensionale dei dati (FAMA, FActorial Matrices
Analysis) utilizzata per costruire gli indicatori compositi su cui è incentrato
lo studio del fenomeno. La sezione successiva presenta le variabili usate
nell’analisi e fornisce alcune prime evidenze di tipo descrittivo. Il sesto
paragrafo illustra i risultati dell’analisi fattoriale condotta, i quali
costituiscono la base per l’analisi statistica della convergenza sviluppata
nel paragrafo successivo. Il paragrafo 7 conclude fornendo un sintesi delle
principali evidenze raccolte.
2. Convergenza tra sistemi finanziari: una panoramica della
letteratura empirica recente
Un numero crescente di lavori si è occupato del nesso tra sistemi
finanziari e crescita economica e della convergenza tra strutture finanziarie,
studiando la cornice regolamentare, la natura – diretta o indiretta –
dell’intermediazione e la struttura finanziaria delle imprese: il grado di
financial deepening dipende infatti non solo dalle scelte di portafoglio delle
famiglie ma anche dalle decisioni di investimento delle imprese.
Bianco, Gerali e Massaro (1997) portano evidenza di una sostanziale
assenza di convergenza tra le strutture finanziarie delle economie dei paesi
sviluppati, indicando come i mutamenti nelle stesse riflettano la passata
evoluzione storica (path dependence): quando la normativa ha imposto una
592 Valter Di Giacinto e Luciano Esposito
rigida separazione tra banche e imprese, si è osservata una crescita degli
intermediari finanziari non bancari; dove questa separazione non esisteva,
il ruolo delle banche si è ulteriormente accresciuto. Inoltre essi notano
come nei paesi in cui l’intervento dello Stato nell’economia è stato
storicamente importante, il ruolo dello stesso nel comparto finanziario è
rimasto significativo.
De Bondt (1998) studia le strutture finanziarie di sei paesi europei,
per il periodo compreso tra metà degli anni ottanta e metà degli anni
novanta, attraverso approcci distinti: quello dell’intermediazione, quello
della regolamentazione e quello della struttura finanziaria delle imprese;
questi approcci giustificherebbero la predominanza degli intermediari
rispetto ai mercati nel finanziamento degli operatori economici, fornendo
principi di interpretazione della struttura finanziaria e della natura
persistente o evolutiva di alcuni suoi tratti caratteristici. La convergenza
economica e normativa realizzata in Europa con l’avvio dell’unione
monetaria dovrebbe favorire il progressivo avvicinamento delle strutture
dei diversi paesi.
Schmidt et al. (2001) hanno studiato l’evoluzione della struttura
finanziaria dei principali paesi europei nel periodo antecedente l’avvio
della UME, tra il 1980 e il 1998. La convergenza dei sistemi attesa con
l’avvio del mercato unico non si sarebbe realizzata. In particolare il sistema
finanziario tedesco continua a essere bank-oriented, mentre quello inglese
resta market-oriented. Il sistema francese risulta più difficile da
classificare, avendo sperimentato un cambiamento più intenso, soprattutto
nell’organizzazione e nell’assetto dei mercati, risultato di un’interazione
continua tra i diversi attori e le varie componenti del sistema.
Hartman et al. (2003) comparano la struttura finanziaria dell’area
dell’euro, degli Stati Uniti e del Giappone, nel periodo compreso tra il
1995 e il 2001, confermando la prevalenza di una struttura market-based
negli Stati Uniti, rispetto all’area dell’euro e quella giapponese che
risultano bank-based. Il grado di orientamento al sistema bancario dell’area
dell’euro risulterebbe tuttavia meno accentuato del passato, dato che il
ruolo tradizionalmente svolto dalle banche nell’intermediazione di fondi si
è ridotto rispetto a quello svolto dagli investitori istituzionali, anche a
seguito dell’affermarsi delle attività di bancassurance. L’introduzione
dell’euro avrebbe rafforzato questa tendenza, in quanto l’eliminazione del
rischio di cambio ha favorito la diversificazione dei portafogli sostenendo
la domanda di attività finanziarie. Gli autori analizzano inoltre il tema della
convergenza tra i paesi dell’area dell’euro, mostrando che la dispersione
Convergenza nelle strutture finanziarie europee 593
degli indicatori dati dai rapporti tra attività e passività finanziarie è
aumentata nel periodo analizzato.
Blum et al. (2002), nel fornire una rassegna della letteratura sul
nesso tra finanza e crescita, analizzano la struttura finanziaria di 32 paesi,
concludendo che i sistemi finanziari nazionali nella zona dell’euro hanno
raggiunto un livello di convergenza nel complesso contenuto.
Bartiloro e De Bonis (2005) analizzano la dinamica del rapporto tra
attività finanziarie dei residenti e PIL nel periodo 1995-2000 per un
insieme di 12 paesi europei, trovando evidenza di convergenza (nel senso
di mean reversion), a fronte di una accresciuta dispersione tra paesi
dell’indicatore, che può essere ricondotta all’influenza di shock di tipo
transitorio.
Nel complesso la letteratura empirica recente non presenta risultati
univoci in merito all’ipotesi di convergenza delle strutture finanziarie,
anche se appaiono prevalere i lavori che propendono per l’ipotesi
alternativa di path dependence.
3. Analisi della convergenza: concetti e tecniche
Lo studio empirico della convergenza ha trovato ampio risalto nelle
letteratura sulla crescita economica. A partire da Baumol (1986) e Barro
(1991), si è originata una serie di contributi basati su metodologie
diversificate di cui Temple (1999) e Islam (2003) forniscono una rassegna
estesa e un tentativo di sistematizzazione.
Ai fini del presente lavoro è importante sottolineare come il tema
della convergenza, seppure sia stato particolarmente approfondito
nell’ambito degli studi sulla dinamica del reddito pro capite e della
produttività, ha suscitato interesse anche in altri settori della ricerca
economica. Ad esempio, gli studi sulla crescita della dimensione aziendale,
in particolare le analisi rivolte a verificare la validità empirica della legge
di Gibrat, di cui Geroski (1999) fornisce una disamina, si pongono un
problema simile e lo affrontano facendo ricorso a tecniche analoghe a
quelle sviluppate nell’ambito della teoria della crescita. Un ulteriore
esempio di applicazione delle tecniche di analisi empirica della
convergenza in ambito diverso dalla teoria della crescita è rinvenibile negli
studi sull’integrazione dei mercati finanziari e la convergenza dei tassi di
interesse (si veda, ad es., Fase e Vlaar, 1998; Goldberg et al., 2003).
594 Valter Di Giacinto e Luciano Esposito
Di seguito si fornisce una breve descrizione di alcuni dei diversi
concetti di convergenza sviluppati in letteratura, nonché una disamina delle
diverse tecniche statistiche proposte ai fini dell’analisi empirica del
fenomeno.
Islam (2003) fornisce una classificazione delle numerose e assai
diversificate accezioni attribuite al termine convergenza nella letteratura
sulla crescita. Ai fini della presente analisi, è importante distinguere la
convergenza all’interno di una data economia (convergenza within) rispetto
alla convergenza tra economie differenti (convergenza across); la
convergenza-β rispetto alla convergenza-σ; la convergenza assoluta
rispetto alla convergenza condizionata.
Il concetto di convergenza within si riferisce all’esistenza di un
equilibrio di lungo periodo univoco e di un sentiero di transizione stabile
che conduce la singola economia verso l’equilibrio di steady state. Si parla,
invece, di convergenza across nel caso in cui i differenziali nel livello del
reddito pro capite tra diverse aree tendono a ridursi nel tempo.
La convergenza-β individua la situazione in cui aree inizialmente più
arretrate tendono a crescere a ritmi più sostenuti rispetto alle aree più
avanzate, innescando un processo di catching-up, la cui intensità è misurata
dal coefficiente β della regressione del tasso di crescita sul livello iniziale
del reddito. In presenza di convergenza-β, shock al livello iniziale del
reddito non hanno effetti permanenti sul livello di equilibrio di lungo
periodo. Il sistema non presenta, quindi, dipendenza dalle condizioni
iniziali (path dependence).
L’analisi della convergenza-β, inizialmente condotta sulla base di
regressioni non microfondate, è stata successivamente motivata a livello
teorico inserendola nel contesto del modello neoclassico di crescita
esogena, nella formulazione di Solow estesa con l’inserimento del capitale
umano nella funzione di produzione (Mankiw et al., 1992).
Una delle principali implicazioni del modello di Solow è l’esistenza,
per ciascun sistema economico, di un equilibrio dinamico stabile verso cui
il sistema, sotto determinate assunzioni per la tecnologia produttiva e
ipotizzando la sostituibilità dei fattori, converge autonomamente
(convergenza within). Allo stesso tempo, nella fase di transizione il tasso
di crescita predetto dal modello è proporzionale alla distanza dal livello
di equilibrio di lungo periodo. Paesi con un livello di partenza
Convergenza nelle strutture finanziarie europee 595
particolarmente basso rispetto a quello di equilibrio cresceranno più
rapidamente, inducendo una convergenza di tipo across nella fase di
transizione allo steady state.
Lo studio della convergenza-β è stato sottoposto a critiche severe da
parte di Friedman (1992) e Quah (1993). Da un lato la convergenza-β non
è sufficiente a garantire che la dispersione cross-section dei livelli di
reddito si riduca effettivamente nel tempo; da un altro lato, l’approccio è
stato criticato in quanto potenzialmente affetto dal problema della Galton’s
fallacy, che scaturisce dal fatto che, laddove il livello iniziale della
variabile di interesse sia perturbato da variabili transitorie, quali ad
esempio errori di misura, il coefficiente β può indicare una regressione
verso la media che è solo apparente.
Quale alternativa gli autori suggeriscono di fare ricorso a misure
dirette della dispersione del reddito, quale la deviazione standard (σ) o il
coefficiente di variazione. La tendenza alla progressiva riduzione di tale
dispersione è indicata in letteratura come convergenza-σ.
Un’ultima, importante, distinzione proposta in letteratura è quella tra
convergenza-β assoluta e condizionata. Si parla di convergenza assoluta
quando, oltre a non evidenziare path dependence, le economie considerate
nel lungo periodo convergono verso il medesimo livello di equilibrio. La
convergenza si dice condizionata quando si ha convergenza within, ossia i
singoli sistemi economici sono stabili e convergono a un livello di steady
state univoco, ma tale livello differisce tra le diverse aree. In presenza di
convergenza assoluta, la dispersione cross-section è unicamente
determinata dalle condizioni iniziali e dagli shock che allontanano in
maniera transitoria l’economia dal sentiero di crescita bilanciata. L’assenza
di path dependence implica che nel lungo periodo il sistema è indipendente
dalle condizioni di partenza e, quindi, in presenza di convergenza-β
assoluta la residua dispersione spaziale del fenomeno è da imputare
unicamente all’effetto dei disturbi transitori.
Nel caso di convergenza condizionata, la variabilità cross-section del
fenomeno incorpora, al contrario, oltre alla componente transitoria una
componente permanente, derivante dalla dispersione dei livelli individuali
di steady state del fenomeno.
Va sottolineato come, solo nel caso in cui la varianza degli shock
temporanei tenda a ridursi nel tempo si osserverà, oltre alla convergenza
within, anche una convergenza di tipo across.
596 Valter Di Giacinto e Luciano Esposito
Per quanto riguarda le tecniche statistiche utilizzate ai fini della
verifica dell’ipotesi di convergenza-β, in un primo tempo le analisi sono
state condotte mediante regressioni cross-section del tasso di crescita del
PIL pro capite sul livello iniziale. Tale approccio soffre di una serie
rilevante di limitazioni (Temple, 1999), legate all’esistenza di variabili
omesse correlate con il livello iniziale del reddito, alla presenza di errori di
misura, a problemi di simultaneità dei regressori.
Al fine di superare tali difficoltà, a partire dagli studi di Knight et al.
(1993) e Islam (1995), è stato introdotto l’utilizzo di tecniche di tipo panel,
che consentono, mediante l’inserimento di effetti individuali, di controllare
per il problema di variabili omesse costanti nel tempo, quali il livello
iniziale dell’efficienza produttiva. Trattandosi di panel dinamici, per la
presenza della variabile dipendente ritardata tra i regressori, la stima di
questi modelli non è agevole. In un primo momento Caselli et al. (1996)
hanno adottato lo stimatore GMM di Arellano e Bond (1991). Data
l’elevata persistenza che connota le variabili macroeconomiche coinvolte
nell’analisi, lo stimatore di Arellano e Bond soffre di un problema di scarsa
efficacia delle variabili strumentali utilizzate e presenta una forte
distorsione in campioni limitati. Tale problema è stato sollevato
recentemente da Bond et al. (2001), che propongono come soluzione
l’utilizzo dello stimatore system GMM (Arellano e Bover, 1995; Blundell e
Bond, 1998). Sotto l’ipotesi di non correlazione seriale degli errori, al netto
dell’effetto individuale, gli autori mostrano come tale stimatore, mediante
una scelta opportuna dell’ordine di ritardo degli strumenti, possa risultare
consistente anche rispetto alla presenza di errori di misura e regressori
endogeni.
In presenza di serie temporali di lunghezza adeguata è possibile
analizzare le proprietà di convergenza avvalendosi di metodologie di tipo
time series. Vista la ridotta estensione temporale dei dati a disposizione per
l’analisi, tale approccio non risulta praticabile nel nostro caso.
La disponibilità di osservazioni ripetute nel tempo consente
comunque di verificare l’ipotesi di convergenza-β delle strutture
finanziarie dei paesi europei applicando la metodologia panel.
In assenza di un modello teorico formalizzato rimane preclusa
l’interpretazione dei coefficienti stimati in termini di un insieme di
parametri strutturali, ma ciò non pregiudica la validità esplorativa delle
inferenze condotte.
Convergenza nelle strutture finanziarie europee 597
4. L’analisi delle matrici fattoriali
La letteratura empirica sui confronti internazionali sposa sempre più
di frequente un approccio multivariato all’analisi, ritenendo l’utilizzo di un
unico indicatore sintetico, quale ad esempio il FIR di Goldsmith,
insufficiente a catturare appieno le differenze morfologiche tra le strutture
finanziarie.
Tale approccio, se da un lato arricchisce di spessore l’analisi,
dall’altro rende problematico operare un ranking univoco di gruppi di paesi
rispetto al grado di sviluppo finanziario, valutare le evoluzioni temporali
delle strutture in maniera sintetica ed efficace, portare alla luce le
dinamiche comuni ai diversi indicatori.
Le usuali tecniche di analisi statistica consentono nel caso di basi
informative bidimensionali (unità e variabili) di operare in maniera efficace
una riduzione dei dati, arrivando a definire degli indicatori compositi che,
minimizzando la perdita di informazioni rispetto all’insieme dei dati
osservati, ne realizzano una sintesi efficace dal punto operativo.
In letteratura sono state proposte estensioni di tali tecniche idonee a
operare in maniera del tutto analoga a partire da insiemi di dati a più di due
dimensioni (tecniche multiway; Rizzi e Vichi, 1995).
Nella presente sezione si descrive l’approccio seguito dalla tecnica
FAMA (FAMA, FActorial Matrices Analisis; si veda, ad es., Fachin et al.,
2002), che è stata in passato applicata con successo all’analisi di serie
temporali di dati macroeconomici riferiti a un insieme di paesi (Tassinari e
Vichi, 1994).
La metodologia FAMA si pone l’obiettivo di condensare
l’informazione contenuta in una matrice di dati a tre dimensioni – unità
statistiche, variabili e occasioni - in un data-set di dimensionalità ridotta,
minimizzando la perdita di informazioni. La tecnica è articolata in tre fasi:
analisi della dipendenza, sintesi, scomposizione in valori singolari.
1. Analisi della dipendenza: è rivolta alla misura della correlazione
matriciale tra le diverse ‘fette’ che compongono la matrice a tre vie.
Indicando con Xh , h=1,2,…, T, la matrice contenente le osservazioni di K
variabili su N unità statitische relative al periodo (occasione) h, una
espressione generale dell’indice relativo di dipendenza è la seguente:
598 Valter Di Giacinto e Luciano Esposito
vec( X 'h )' C vec( X 'm )
dip( X h , X m ) = .
vec( X ' h )' C vec( X 'h )vec( X 'm )' C vec( X 'm )
Variando la definizione della matrice si ottengono diverse misure
di dipendenza. Le più utilizzate sono:
- indice di dipendenza debole, ottenuto ponendo C = I N ⊗ I K , dove I M
indica la matrice identità di ordine M;
- indice di dipendenza forte, ottenuto ponendo C = I N ⊗ U K , dove U M
indica una matrice quadrata di ordine M con tutti gli elementi pari a 1.
L’indice di dipendenza forte fornisce una misura più ampia della
correlazione tra coppie di matrici, in quanto, nel valutare la dipendenza tra
matrici di dati relative a due differenti occasioni, considera non solo la
covarianza tra le osservazioni della medesima variabile ma anche quella tra
variabili diverse.
2. Sintesi: in questo stadio si definiscono le matrici fattoriali come
combinazione lineare normalizzata delle matrici Xh , h=1,2,…, T. In
particolare la g-esima matrice fattoriale, Fg,, è ottenuta come soluzione del
seguente problema di ottimo:
T
Fg = ∑a
h =1
hg Xh
tale che sia:
T T
∑∑ dip( X
h =1 m=1
h , X m )ahg amg = max
sotto i vincoli:
Convergenza nelle strutture finanziarie europee 599
∑a
h =1
2
hg =1
T T
∑∑ dip( X
h =1 m =1
h , X m )ahf aml = 0, f ≠ l ; f , l = 1,..., g
I pesi con cui vengono combinate linearmente le matrici di dati sono,
pertanto, definiti in maniera tale che le matrici fattoriali siano indipendenti
tra di loro, rispetto alla misura di dipendenza matriciale prescelta, e siano
tali da rendere massima la frazione di dipendenza lineare spiegata dalla
singola matrice.
3. Scomposizione in valori singolari: viene condotta una analisi fattoriale
standard (componenti principali) sulle singole matrici fattoriali individuate
nel passo precedente della procedura. In seguito si definiscono le traiettorie
temporali delle variabili latenti mediante proiezione dei dati osservati sugli
assi fattoriali della matrice di sintesi.
5. Descrizione della base dati
La base dati costruita per lo studio include 14 indicatori, selezionati
tra quelli considerati dalla letteratura empirica e avendo riferimento alla
effettiva disponibilità delle statistiche, per un ampio insieme di paesi
europei. La tavola 1 fornisce l’elenco degli indicatori utilizzati, unitamente
a una breve descrizione del modo in cui le variabili sono state calcolate e
degli aspetti del sistema finanziario che i singoli indicatori pongono in
evidenza. Le principali statistiche descrittive sui singoli indicatori sono
riportate nella tavola A1 dell’Appendice.
Tranne la variabile TURNOVER, ottenuta dal database della Banca
mondiale sulle strutture finanziarie2 e la variabile CAPEX che utilizza, in
parte, dati resi disponibili dalla WFE (World Federation of Exchanges), gli
altri indicatori sono costruiti a partire dai conti nazionali finanziari ed
__________
2
Per una descrizione del data-base si veda Beck et al. (1999).
600 Valter Di Giacinto e Luciano Esposito
Tav. 1
Gli indicatori utilizzati
Acronimo Descrizione
FINAS Totale attività finanziarie/PIL. Costituisce una misura della dimensione
complessiva del sistema finanziario in rapporto a quella dell’economia
reale.
FIN Rapporto tra attività finanziarie verso gli enti creditizi e il totale delle
attività finanziarie. Rappresenta un indicatore di sviluppo
dell’intermediazione bancaria rispetto alla dimensione complessiva del
sistema finanziario .
LOMFI Prestiti erogati dalle MFIs/PIL. Fornisce un indicatore di sviluppo assoluto
del credito bancario.
CAPEX Capitalizzazione di borsa/PIL. Misura la dimensione del mercato azionario.
TURNOVER Rapporto tra ammontare di azioni quotate scambiato e capitalizzazione.
Fornisce un ulteriore indice del grado di sviluppo dei mercati azionari.
INTOPEN Rapporto della somma di attività e passività finanziarie del Resto del mondo
sulla somma di attività e passività dei residenti. Costituisce una misura del
grado di apertura internazionale del sistema finanziario.
BONDNF Rapporto titoli/prestiti nelle passività delle società non finanziarie. Misura
l’incidenza sul debito del settore produttivo del finanziamento diretto sui
mercati obbligazionari.
HOUSDEP Quota depositi sul totale di attività finanziarie delle famiglie. Costituisce un
indicatore della preferenza per la liquidità del settore e di sviluppo del
sistema bancario, visto dal lato della raccolta.
HOUSBOND Quota dei titoli non azionari sul totale di attività finanziarie delle famiglie.
Fornisce una misura dell’incidenza della detenzione diretta di titoli
obbligazionari, pubblici e privati, da parte del settore.
HOUSSHAR Quota delle azioni e altre partecipazioni sul totale di attività finanziarie delle
famiglie (escluse mutual funds shares). Insieme all’indicatore precedente
fornisce una misura della rilevanza delle attività non intermediate all’interno
della ricchezza finanziaria delle famiglie.
HOUSFUND Quota delle partecipazioni in fondi comuni di investimento sul totale delle
attività finanziarie delle famiglie. L’indicatore coglie la rilevanza di tale
tipologia di intermediari non bancari.
HOUSINS Quota delle riserve tecniche di assicurazione e delle quote di fondi comuni
sul totale di attività finanziarie delle famiglie. Come nel caso precedente,
l’indicatore fornisce una valutazione del peso di tale tipologia di
intermediazione extra-bancaria. È fortemente influenzato dal peso degli
schemi pensionistici pubblici.
HOUSDEB Rapporto tra passività finanziarie delle famiglie e reddito disponibile. La
variabile mira a cogliere il grado di sviluppo del mercato del credito alle
famiglie.
DEBGG Rapporto tra passività finanziarie delle Amministrazioni pubbliche e totale
delle attività finanziarie. Costituisce una misura del peso della finanza
pubblica sulla struttura finanziaria.
Convergenza nelle strutture finanziarie europee 601
economici di 13 paesi europei3 nel periodo 1995-2003.
Nel periodo considerato l’indicatore di dimensione complessiva del
sistema finanziario (FINAS) mostra, nella media dei paesi considerati, un
trend positivo che prosegue anche negli anni di forte flessione dei corsi
azionari tra il 2000 e il 2003. La dispersione tra paesi di tale variabile, in
assoluto aumentata, si è leggermente ridotta se rapportata all’accresciuto
livello medio. Una tendenza crescente si riscontra anche per gli indicatori
di sviluppo dei mercati azionari (CAPEX, TURNOVER) e delle
obbligazioni private (BONDNFC), con un incremento della dispersione
relativa fino al termine degli anni novanta e un successivo ritorno sui livelli
di inizio periodo. È sensibilmente aumentata l’apertura verso l’estero dei
sistemi finanziari nazionali, con un calo della variabilità tra paesi
dell’indicatore in rapporto alla media.
Anche il credito bancario mostra un incremento nel periodo
considerato in rapporto alla dinamica delle variabili reali (LOMFI,
HOUSDEB). Rispetto al primo indicatore la dispersione cross-section è
aumentata, sia in termini assoluti che relativi alla media, mentre per il
secondo la variabilità relativa è rimasta sostanzialmente invariata nell’arco
temporale considerato.
Il volume dell’intermediazione bancaria, pur crescendo in rapporto
all’economia reale, ha segnato un arretramento rispetto alla crescita
complessiva delle attività finanziarie (FIN), seppure con segnali di ripresa
nel biennio 2002-03. La dispersione di tale indicatore, aumentata in termini
relativi fino al 2000, si è successivamente ridotta, collocandosi nel 2003 sui
medesimi livelli del 1995.
Il portafoglio di attività finanziarie detenuto dalle famiglie ha visto
incrementarsi la quota di strumenti intermediati non bancari (HOUSINS e
HOUSFUND). È del pari aumentato il possesso diretto di titoli azionari
(HOUSSHR), a fronte di una flessione delle obbligazioni (HOUSBOND).
La quota dei depositi bancari (HOUSDEP), in calo fino al 2000, è
successivamente risalita, rimanendo comunque al di sotto dei livelli
osservati all’inizio del periodo considerato.
__________
3
I paesi considerati sono: Austria (AT), Belgio (BE), Germania (DE), Danimarca (DK), Spagna
(ES), Finlandia (FI), Francia (FR), Italia (IT), Olanda (NL), Norvegia (NO), Portogallo (PT),
Svezia (SE) e Regno Unito (UK).
602 Valter Di Giacinto e Luciano Esposito
L’incidenza della finanza pubblica sul sistema finanziario (DEBGG)
mostra una tendenza flettente nella seconda metà degli anni novanta e una
sostanziale stabilità negli anni successivi. La dispersione dell’indicatore tra
paesi mostra una progressiva riduzione in termini assoluti, ma un
tendenziale incremento rispetto al livello, più contenuto, osservato nella
seconda parte del periodo considerato.
La tavola 2 riporta le correlazioni semplici tra i 14 indicatori,
calcolate includendo congiuntamente i dati per i 13 paesi e i 9 anni
considerati. L’indicatore principale di sviluppo finanziario (FINAS) risulta
correlato negativamente con gli indicatori di sviluppo relativo delle banche
(indicatori FIN e HOUSDEP) e con l’incidenza della finanza pubblica
(DEBGG). La correlazione è invece positiva con gli indicatori di sviluppo
assoluto dei mercati creditizi (LOMFI e HOUSDEB). Nel complesso, al
crescere della dimensione del sistema finanziario in rapporto all’economia
reale anche il volume dell’intermediazione bancaria sale, ma in misura
meno che proporzionale, determinandone un arretramento relativo.
Ulteriori evidenze descrittive sul fenomeno possono essere ottenute
dall’analisi dinamica della distanza tra i paesi considerati, misurata rispetto
all’insieme di tutti gli indicatori (tav. 3). A tale riguardo è possibile rilevare
come la media delle distanze tra i 13 paesi si sia ridotta di circa l’8 per
cento (da 2,6 a 2,4) nel 2003 rispetto al livello osservato nel 1995,
indicando una tendenza alla riduzione della dispersione all’interno delle
strutture finanziarie nazionali. In particolare, i paesi per cui si registra la
diminuzione più accentuata sono il Portogallo (-21,9 per cento), la
Norvegia (-14,0 per cento), il Belgio (-13,9 per cento) e il Regno Unito (-
12,0 per cento). La distanza media dai restanti paesi è, al contrario,
aumentata per l’Italia e la Spagna (4,8 e 4,5 per cento, rispettivamente).
Tav. 2
Matrice di correlazione tra i diversi indicatori
(calcolate su dati pooled anno-paese)
FIN LO INT CAP TURN BOND HOUS HOUS HOUS HOUS HOUS HOUS DEB
FIN
AS MFI OPEN EX OVER NFC DEP SHAR BOND INS FUND DEB GG
FINAS 1,00 0,52 -0,17 0,74 0,62 -0,18 0,38 -0,62 -0,03 -0,02 0,57 -0,11 0,24 -0,52
Convergenza nelle strutture finanziarie europee
LOMFI 0,52 1,00 0,40 0,29 0,25 0,03 0,04 -0,25 -0,54 -0,02 0,65 -0,10 0,64 -0,46
FIN 0,17 0,40 1,00 -0,25 -0,54 -0,04 -0,15 0,51 -0,37 0,28 -0,28 0,39 -0,01 0,05
INTOPEN 0,74 0,29 -0,25 1,00 0,59 -0,38 0,20 -0,31 -0,05 0,07 0,32 -0,29 0,06 -0,35
CAPEX 0,62 0,25 -0,54 0,59 1,00 0,12 0,26 -0,58 0,34 -0,38 0,52 -0,39 0,12 -0,40
TURNOVER -0,18 0,03 -0,04 -0,38 0,12 1,00 -0,16 -0,10 0,10 -0,31 0,11 0,19 0,09 -0,06
BONDNFC 0,38 0,04 -0,15 0,20 0,26 -0,16 1,00 -0,13 0,07 -0,52 0,39 -0,38 0,05 -0,52
HOUSDEP -0,62 -0,25 0,51 -0,31 -0,58 -0,10 -0,13 1,00 -0,22 -0,03 -0,58 -0,06 -0,36 0,20
HOUSSHAR -0,03 -0,54 -0,37 -0,05 0,34 0,10 0,07 -0,22 1,00 -0,16 -0,37 0,13 -0,47 0,15
HOUSBOND -0,02 -0,02 0,28 0,07 -0,38 -0,31 -0,52 -0,03 -0,16 1,00 -0,43 0,48 -0,26 0,67
HOUSINS 0,57 0,65 -0,28 0,32 0,52 0,11 0,39 -0,58 -0,37 -0,43 1,00 -0,44 0,72 -0,63
HOUSFUND -0,11 -0,10 0,39 -0,29 -0,39 0,19 -0,38 -0,06 0,13 0,48 -0,44 1,00 -0,13 0,36
HOUSDEB 0,24 0,64 -0,01 0,06 0,12 0,09 0,05 -0,36 -0,47 -0,26 0,72 -0,13 1,00 -0,52
DEBGOV -0,52 -0,46 0,05 -0,35 -0,40 -0,06 -0,52 0,20 0,15 0,67 -0,63 0,36 -0,52 1,00
603
Tav. 3
604
Matrice delle distanze tra strutture finanziarie nazionali (1)
(distanze euclidee rispetto ai 14 indicatori considerati)
AT BE DE DK ES FI FR IT NL NO PT SE UK Media
1995
AT 0 2,68 1,30 2,33 2,14 1,61 2,56 2,14 3,21 2,37 2,65 2,14 3,67 2,40
BE 2,68 0 2,85 2,57 2,95 3,29 3,23 2,01 3,77 3,85 3,37 2,67 4,25 3,12
Valter Di Giacinto e Luciano Esposito
DE 1,30 2,85 0 1,67 2,05 2,28 2,07 2,60 2,44 2,07 2,60 1,50 3,16 2,22
DK 2,33 2,57 1,67 0 2,29 2,92 2,48 2,84 2,33 2,28 2,84 1,51 3,25 2,44
ES 2,14 2,95 2,05 2,29 0 2,00 1,32 2,93 3,02 2,12 1,08 1,76 3,31 2,25
FI 1,61 3,29 2,28 2,92 2,00 0 2,71 2,67 3,06 2,11 2,27 2,24 3,49 2,55
FR 2,56 3,23 2,07 2,48 1,32 2,71 0 3,45 2,90 2,25 1,74 2,06 2,60 2,45
IT 2,14 2,01 2,60 2,84 2,93 2,67 3,45 0 4,00 3,53 3,28 2,69 4,72 3,07
NL 3,21 3,77 2,44 2,33 3,02 3,06 2,90 4,00 0 2,38 3,24 1,71 2,14 2,85
NO 2,37 3,85 2,07 2,28 2,12 2,11 2,25 3,53 2,38 0 2,19 1,97 2,59 2,48
PT 2,65 3,37 2,60 2,84 1,08 2,27 1,74 3,28 3,24 2,19 0 2,05 3,34 2,55
SE 2,14 2,67 1,50 1,51 1,76 2,24 2,06 2,69 1,71 1,97 2,05 0 2,86 2,10
UK 3,67 4,25 3,16 3,25 3,31 3,49 2,60 4,72 2,14 2,59 3,34 2,86 0 3,28
Media 2,40 3,12 2,22 2,44 2,25 2,55 2,45 3,07 2,85 2,48 2,55 2,10 3,28 2,60
(segue)
Segue Tav. 3
Matrice delle distanze tra strutture finanziarie nazionali (1)
(distanze euclidee rispetto ai 14 indicatori considerati)
AT BE DE DK ES FI FR IT NL NO PT SE UK Media
2003
AT 0 2,68 1,30 2,33 2,14 1,61 2,56 2,14 3,21 2,37 2,65 2,14 3,67 2,40
Convergenza nelle strutture finanziarie europee
BE 2,68 0 2,85 2,57 2,95 3,29 3,23 2,01 3,77 3,85 3,37 2,67 4,25 3,12
DE 1,30 2,85 0 1,67 2,05 2,28 2,07 2,60 2,44 2,07 2,60 1,50 3,16 2,22
DK 2,33 2,57 1,67 0 2,29 2,92 2,48 2,84 2,33 2,28 2,84 1,51 3,25 2,44
ES 2,14 2,95 2,05 2,29 0 2,00 1,32 2,93 3,02 2,12 1,08 1,76 3,31 2,25
FI 1,61 3,29 2,28 2,92 2,00 0 2,71 2,67 3,06 2,11 2,27 2,24 3,49 2,55
FR 2,56 3,23 2,07 2,48 1,32 2,71 0 3,45 2,90 2,25 1,74 2,06 2,60 2,45
IT 2,14 2,01 2,60 2,84 2,93 2,67 3,45 0 4,00 3,53 3,28 2,69 4,72 3,07
NL 3,21 3,77 2,44 2,33 3,02 3,06 2,90 4,00 0 2,38 3,24 1,71 2,14 2,85
NO 2,37 3,85 2,07 2,28 2,12 2,11 2,25 3,53 2,38 0 2,19 1,97 2,59 2,48
PT 2,65 3,37 2,60 2,84 1,08 2,27 1,74 3,28 3,24 2,19 0 2,05 3,34 2,55
SE 2,14 2,67 1,50 1,51 1,76 2,24 2,06 2,69 1,71 1,97 2,05 0 2,86 2,10
UK 3,67 4,25 3,16 3,25 3,31 3,49 2,60 4,72 2,14 2,59 3,34 2,86 0 3,28
Media 2,40 3,12 2,22 2,44 2,25 2,55 2,45 3,07 2,85 2,48 2,55 2,10 3,28 2,60
(1) Al fine del calcolo delle distanze gli indicatori sono stati resi confrontabili trasformandoli in numeri indice rispetto alla media di ciascun anno dei 3
605
paesi.
606 Valter Di Giacinto e Luciano Esposito
6. I risultati dell’analisi FAMA
In questa sezione si riportano le evidenze raccolte dall’applicazione
dell’analisi delle matrici fattoriali al data-base sopra descritto,
separatamente per le tre fasi in cui la procedura è articolata. Nella fase
preliminare le singole variabili sono state rese comparabili trasformandole
in numeri indice rispetto alla media cross-section di ciascun anno. In tal
modo si eliminano le differenze in livello tra indicatori diversi e, per lo
stesso indicatore, tra periodi diversi. Allo stesso tempo tale procedura, a
differenza della completa standardizzazione delle variabili, preserva i
differenziali tra indicatori in termini di variabilità relativa rispetto alla
media, attribuendo un peso più elevato agli indicatori che differenziano
maggiormente l’insieme di paesi analizzato.
6.1 Analisi della dipendenza
Ai fini dello studio della dipendenza tra matrici di indicatori nei
diversi anni, è stato utilizzato l’indice di dipendenza forte, che tiene conto
delle relazioni incrociate tra le variabili. Trattandosi di indicatori di livello
riferiti a caratteristiche strutturali è possibile attendersi a priori un certo
grado di persistenza temporale, e tale attesa è confermata dal pattern degli
indici di correlazione matriciale che mostrano come la dipendenza sia
particolarmente elevata tra anni contigui e come questa, sia pure mostrando
una graduale flessione, rimanga elevata anche a distanza di quasi un
decennio (tav. 4).
Tav. 4
Indici di correlazione forte tra coppie di anni
1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003
1995 1 0,94 0,85 0,77 0,81 0,75 0,76 0,70 0,67
1996 0,94 1 0,95 0,87 0,88 0,81 0,82 0,80 0,73
1997 0,85 0,95 1 0,95 0,93 0,89 0,84 0,85 0,78
1998 0,77 0,87 0,95 1 0,93 0,91 0,87 0,90 0,83
1999 0,81 0,88 0,93 0,93 1 0,98 0,87 0,90 0,89
2000 0,75 0,81 0,89 0,91 0,98 1 0,92 0,95 0,95
2001 0,76 0,82 0,84 0,87 0,87 0,92 1 0,95 0,94
2002 0,70 0,80 0,85 0,90 0,90 0,95 0,95 1 0,96
2003 0,67 0,73 0,78 0,83 0,89 0,95 0,94 0,96 1
Convergenza nelle strutture finanziarie europee 607
6.2. Sintesi
L’elevata persistenza del fenomeno nel tempo è messa in luce dallo
spettro degli autovalori della matrice di correlazione forte, che presenta un
valore largamente dominante (tav. 5).
Tav. 5
Autovalori della matrice di correlazione forte
Autovalori Valore assoluto % dipendenza
spiegata
1 7,923 88,0
2 0,616 6,8
3 0,223 2,5
4 0,128 1,4
5 0,047 0,5
6 0,031 0,3
7 0,016 0,2
8 0,014 0,2
9 0,001 0,0
L’autovettore associato mostra come i contributi dei singoli anni alla
corrispondente matrice fattoriale siano all’incirca gli stessi per tutti i
periodi, che quindi contribuiscono in maniera sostanzialmente paritetica
alla definizione della prima matrice fattoriale (tav. 6). Questa, a sua volta,
rappresenta la matrice di sintesi, che riassume l’88 per cento della
dipendenza tra le matrici di dati dei singoli anni, a partire da cui viene
svolta la fase successiva dell’analisi.
Tav. 6
Contributi dei singoli anni alla matrice di sintesi
Periodi Contributi
1995 0,304
1996 0,328
1997 0,339
1998 0,338
1999 0,345
2000 0,344
2001 0,336
2002 0,338
2003 0,327
608 Valter Di Giacinto e Luciano Esposito
6.3 Scomposizione in valori singolari
In questo stadio della procedura viene inizialmente condotta
un’analisi in componenti principali della matrice di sintesi. L’esame dello
spettro di autovalori della matrice di varianza-covarianza porta
all’individuazione di almeno tre componenti (o assi fattoriali), che
definiscono degli indicatori compositi (in quanto ottenuti come
combinazione lineare degli indicatori originari) che spiegano nel
complesso circa il 70 per cento della varianza complessiva dei 14 indicatori
utilizzati nell’analisi (tav. 7).
Tav. 7
Matrice di sintesi: autovalori
Autovalori % varianza % cumulate
5,08 36,3 36,3
2,56 18,3 54,6
2,03 14,5 69,0
1,65 11,8 80,8
1,01 7,2 88,0
0,71 5,0 93,0
0,43 3,1 96,1
0,33 2,4 98,5
0,11 0,8 99,3
0,05 0,3 99,6
0,04 0,3 99,9
0,01 0,1 100
0 0 100
0 0 100
L’interpretazione degli assi fattoriali può essere condotta a partire
dalla lettura dei contributi che le variabili originarie arrecano agli indicatori
compositi che definiscono tali assi o, analogamente, delle correlazioni delle
variabili con gli assi fattoriali.
Il primo fattore, che spiega il 36,3 per cento della varianza
complessiva, risulta correlato in maniera positiva con il volume di attività
finanziarie (FINAS), la capitalizzazione di borsa (CAPEX), l’apertura
internazionale (INTOPEN), la diffusione delle obbligazioni private
(BONDNFC) e, in maniera molto accentuata, con la quota delle attività
Convergenza nelle strutture finanziarie europee 609
delle famiglie detenuta in strumenti di tipo assicurativo e pensionistico
(HOUSINS; tav. 8). È parimenti positiva la correlazione con
l’indebitamento delle famiglie (HOUSDEB). Esso è, al contrario, correlato
in maniera negativa con il possesso diretto da parte delle famiglie di titoli
obbligazionari e azionari, depositi e quote di fondi comuni e con
l’incidenza delle passività del settore pubblico sul totale. Per le variabili di
intermediazione bancaria, l’associazione è positiva per quanto riguarda la
misura di dimensione assoluta (LOMFI), mentre è negativa per gli
indicatori espressi in rapporto alle attività finanziarie (FIN, HOUSDEP).
Tav. 8
Contributi agli assi fattoriali e correlazioni tra
variabili latenti e indicatori
(correlazioni calcolate su dati pooled anno-paese)
Indicatori Contributi Correlazioni
I II III I II III
componente componente componente componente componente componente
FINAS 0,339 0,012 0,367 0,66 -0,04 0,20
FIN -0,163 0,452 -0,028 -0,37 0,63 0,12
LOMFI 0,266 0,437 0,057 0,52 0,60 -0,04
INTOPEN 0,266 -0,064 0,439 0,48 -0,12 0,32
CAPEX 0,334 -0,296 0,104 0,70 -0,53 -0,13
TURNOVER -0,009 -0,036 -0,396 0,05 -0,08 -0,47
BONDNFC 0,245 -0,160 -0,151 0,59 -0,37 -0,44
HOUSDEP -0,261 0,089 -0,265 -0,51 0,14 -0,17
HOUSSHAR -0,084 -0,517 0,031 -0,12 -0,82 0,01
HOUSBOND -0,230 0,177 0,536 -0,64 0,45 0,93
HOUSINS 0,402 0,146 -0,095 0,89 0,15 -0,38
HOUSFUND -0,259 0,188 0,192 -0,56 0,30 0,42
HOUSDEB 0,260 0,341 -0,161 0,58 0,51 -0,32
DEBGOV -0,349 -0,084 0,218 -0,81 0,03 0,58
610 Valter Di Giacinto e Luciano Esposito
Il primo indicatore composito può essere quindi assimilato a una
misura dello sviluppo complessivo del sistema finanziario (financial
deepening), sospinto dall’avanzamento dei mercati e di alcune tipologie di
investitori istituzionali (assicurazioni e fondi pensione) e dalla crescita
delle relazioni cross-border. Tale processo è associato a un più elevato
accesso al credito da parte delle famiglie e a una minore incidenza del
fenomeno della disintermediazione derivante dal collocamento diretto di
titoli presso i risparmiatori. All’aumentare di tale variabile il sistema
bancario si espande, ma a un ritmo inferiore a quello del sistema
finanziario nel suo complesso, registrando quindi un arretramento relativo.
Il secondo fattore, che spiega circa il 18 per cento della varianza
complessiva, è correlato in maniera positiva con la dimensione assoluta del
sistema bancario (LOMFI, HOUSDEB) e, soprattutto, con le variabili che
forniscono una misura relativa dell’intermediazione bancaria (FIN e
HOUSDEP). Esso può essere interpretato come una misura dello sviluppo
del sistema bancario per un dato grado complessivo di diffusione delle
attività finanziarie.
Il terzo indicatore sintetico, che cattura circa il 15 per cento della
variabilità, risulta correlato in maniera diretta con l’incidenza delle
passività pubbliche e con il possesso di titoli obbligazionari da parte delle
famiglie, soprattutto diretto (HOUSBOND), ma anche mediante fondi
comuni (HOUSFUND); è possibile quindi leggerlo come un indicatore del
peso esercitato sulla struttura finanziaria dalla finanza pubblica. La
correlazione negativa tra tale variabile latente e la quota del debito privato
finanziata direttamente sui mercati (BONDNFC) potrebbe essere
interpretata come un effetto di spiazzamento dei titoli pubblici rispetto a
quelli privati. Allo stesso tempo a un incremento del peso della finanzia
pubblica si associa una maggiore apertura internazionale dei mercati
finanziari, che riflette probabilmente il collocamento di parte del debito
pubblico sui mercati esteri.
La rappresentazione grafica delle posizioni dei singoli paesi rispetto
ai tre assi fattoriali consente di individuare gruppi di paesi che presentano
le maggiori affinità nelle strutture finanziarie.
Nel 1995 i valori più elevati rispetto al primo asse fattoriale
(financial deepening) si osservano per Regno Unito e Paesi Bassi, mentre
Germania, Austria e Danimarca mostrano i livelli più elevati rispetto al
secondo asse (banking; fig. 1). Italia e Portogallo conseguono,
rispettivamente, i valori meno elevati con riferimento al primo e al
Convergenza nelle strutture finanziarie europee 611
secondo indicatore composito. Rispetto al secondo anche per il Regno
Unito si osserva un livello fra i più contenuti.
Nel 2003 il quadro presenta alcuni mutamenti significativi (fig. 2). Il
Portogallo mostra un forte recupero rispetto all’indicatore di sviluppo
bancario, mentre Germania, Austria e Danimarca mostrano un
riavvicinamento rispetto ai valori prevalenti. Anche il Regno Unito si
Fig. 1
Posizione dei 13 paesi rispetto ai primi 2 assi
fattoriali: 1995
Banking
Financial deepening
612 Valter Di Giacinto e Luciano Esposito
muove verso l’alto rispetto a tale asse. I Paesi Bassi presentano un
significativo incremento in termini del primo fattore, collocandosi su valori
prossimi a quello del Regno Unito. Il valore meno elevato della variabile
banking si registra in questo caso per la Finlandia, mentre l’Italia continua
a collocarsi sui valori più bassi rispetto al primo asse fattoriale.
Fig. 2
Posizione dei 13 paesi rispetto ai primi 2 assi
fattoriali: 2003
Banking
Financial deepening
Convergenza nelle strutture finanziarie europee 613
La figura 3 consente di valutare il collocamento nel 1995 dei
singoli paesi anche rispetto al terzo asse fattoriale (public finance). In
questo caso risalta la posizione delle nazioni con debito pubblico elevato
(Belgio e Italia), mentre la Norvegia mostra valori particolarmente
contenuti di tale componente. Il restante gruppo di paesi presenta una
dispersione contenuta.
Nel 2003 il quadro complessivo non muta in maniera radicale, anche
se si assiste a una riduzione della dispersione, con una tendenza a
convergere verso i valori centrali sia dall’alto (Belgio e Italia) che dal
basso (Portogallo e Norvegia).
Fig. 3
Posizione dei 13 paesi rispetto al primo e terzo asse fattoriale: 1995
Public finance
Financial deepening
614 Valter Di Giacinto e Luciano Esposito
Fig. 4
Posizione dei 13 paesi rispetto al primo e terzo asse fattoriale: 2003
Public finance
Financial deepening
7. Analisi statistica della convergenza
In questa sezione gli indicatori sintetici individuati mediante la
metodologia FAMA costituiscono la base per una valutazione del sentiero
evolutivo, convergente o meno, tracciato dalle strutture finanziarie
nazionali nel periodo analizzato.
Vista la notevole attenzione posta in letteratura sulla valutazione del
grado di omogeneità dei sistemi nazionali, ossia alla definizione di
convergenza across, si analizza in primo luogo la convergenza-σ. In un
secondo tempo l’attenzione è rivolta all’analisi delle proprietà dinamiche
del processo, in particolare all’esame dell’ipotesi di path dependence
mediante le tecniche basate sul concetto di convergenza-β.
Convergenza nelle strutture finanziarie europee 615
7.1 Convergenza-σ
Il semplice confronto della dispersione tra paesi rispetto ai tre fattori
latenti individuati consente di apprezzare l’eventuale presenza di
convergenza-σ nel decennio considerato e di qualificarne le dinamiche
rispetto ad aspetti specifici della struttura finanziaria.
Relativamente al primo fattore latente, se si eccettua il dato del 1995,
la deviazione standard mostra una tendenza a ridursi negli anni, anche se
non in maniera marcata (fig. 5). Le dinamiche osservate a partire dalla
seconda metà degli anni novanta hanno quindi consentito un leggero
aumento del grado di omogeneità del livello di financial deepening
all’interno del gruppo di paesi europei considerato.
Fig. 5
Serie storica della deviazione standard: 1° fattore
1,09
1,08
1,07
1,06
1,05
1,04
1,03
1,02
1,01
1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003
616 Valter Di Giacinto e Luciano Esposito
Tale andamento conferma le indicazioni di studi recenti (Bartiloro et
al., in questo volume), che mostrano come nel periodo considerato il grado
di finanziarizzazione delle economie sia aumentato in tutti i paesi
considerati.
Al contrario, nel decennio analizzato la dispersione si è accresciuta
notevolmente per quanto riguarda l’indicatore composito banking, facendo
segnare al termine del periodo un valore all’incirca superiore della metà
rispetto a quello iniziale (fig. 6). In questo caso, non solo non si avrebbe
convergenza-σ, ma si osserverebbe una effettiva divergenza delle strutture
finanziarie nel peso relativo del sistema bancario nell’allocazione delle
risorse. Tale andamento della dispersione è, a sua volta, riconducibile al
fatto che in alcuni paesi con strutture banking-oriented (Germania e
Danimarca) l’incidenza delle banche è rimasta essenzialmente invariata,
mentre negli altri paesi essa si è generalmente ridotta (fanno eccezione
Regno Unito e Olanda, i quali, partendo da livelli particolarmente contenuti
hanno registrato un lieve incremento).
Fig. 6
Serie storica della deviazione standard: 2° fattore
0,85
0,75
0,65
0,55
0,45
1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003
Convergenza nelle strutture finanziarie europee 617
L’evidenza empirica più netta a favore dell’esistenza di un processo
di convergenza-σ la fornisce l’analisi della serie storica della deviazione
standard del terzo fattore latente, la quale mostra, nell’ultima parte del
periodo, una significativa flessione, pari a circa il 20 per cento del livello
riscontrato nella seconda metà degli anni novanta (fig. 7). Una riduzione
delle distanze tra paesi rispetto a tale fattore era attesa, alla luce delle
politiche di controllo del debito pubblico richieste per l’adesione all’area
dell’euro. Come sopra evidenziato dall’analisi grafica della dinamica della
posizione dei paesi rispetto a tale asse fattoriale, alla convergenza hanno
contribuito sia la riduzione del peso della finanza pubblica nei paesi a
debito elevato sia il contemporaneo incremento nei paesi che si
collocavano all’estremità inferiore della distribuzione.
Fig. 7
Serie storica della deviazione standard: 3° fattore
0,9
0,85
0,8
0,75
0,7
1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003
618 Valter Di Giacinto e Luciano Esposito
7.2 Convergenza-β
Le stime econometriche indirizzate all’analisi della convergenza-β
sono state ottenute applicando lo stimatore che, al momento, è ritenuto più
appropriato per panel dinamici che, come nel caso considerato, presentano
un elevato grado di persistenza, ossia lo stimatore GMM system, come
implementato nel pacchetto Stata dalla routine XTABOND2 di David
Roodman4.
Le stime sono riportate nella tavola 9, separatamente per gli
indicatori sintetici individuati. Le stime sono condotte assumendo effetti
individuali differenti per ciascun paese, caso assimilabile a un’analisi di
convergenza condizionale5. In un secondo tempo si sottopone a test
l’ipotesi che gli effetti individuali siano nulli, che è assimilabile a una
verifica dell’ipotesi di convergenza assoluta.
Pur in assenza di un modello teorico formale di riferimento da cui
scaturiscano chiare predizioni sulle determinanti del livello di equilibrio di
lungo periodo delle variabili considerate, una valutazione statistica della
tendenza delle serie a convergere verso uno solo o una molteplicità di
livelli di steady state appare comunque in grado di arricchire, sia pure in
termini descrittivi, la conoscenza empirica del fenomeno.
Indicando con y la variabile dipendente, il modello sottoposto a
stima è il seguente
yit = (1 + β ) yit −1 + δ i + u it
dove uit è un white-noise incorrelato nel tempo e cross-section.
In un primo stadio le stime sono state condotte ponendo pari a 1
l’ordine minimo di ritardo utilizzato dalla procedura nel costruire le
variabili strumentali su cui poggia la stima. Tale situazione è ottimale per il
caso in cui le variabili esplicative siano strettamente esogene o
predeterminate e non siano affette da errori di misura. Al fine di ottenere
stime consistenti anche in presenza di errori di misura di tipo rumore
bianco, la procedura è stata ripetuta ponendo pari a 2 l’ordine minimo di
__________
4
David Roodman, Center for Global Development, Washington, DC. E-mail:
[email protected].
5
Essendo già le variabili di partenza rapportate alla media di ciascun anno non sono stati inseriti nel
modello effetti temporali.
Convergenza nelle strutture finanziarie europee 619
sfasamento temporale degli strumenti, come indicato da Bond et al. (2001).
In tutti i casi le inferenze sono basate su stime robuste degli errori standard.
Le stime sono state condotte sulle variabili non trasformate, che
sono, per costruzione, assimilabili a scarti percentuali dalla media, e sulla
base di dati annuali6. Il coefficiente di regressione misura la variazione, in
punti percentuali, a uno shock pari a 1 punto percentuale nel periodo
iniziale. Valori negativi di β indicano convergenza within, ossia
indipendenza dalle condizioni iniziali e, in questo caso, il valore assoluto
del coefficiente misura la frazione di aggiustamento effettuato in un anno.
Valori nulli o positivi di β indicano assenza di convergenza, ossia
permanenza dell’effetto degli shock transitori sul livello di lungo periodo
della variabile.
Per quanto riguarda l’indicatore di financial deepening, i risultati
indicano la presenza di convergenza-β, sia pure con tempi di riequilibrio
molto lunghi (circa il 2 per cento dello shock passato viene riassorbito in
un anno; tav. 9). Il livello di significatività appare insufficiente nel caso di
strumenti con lag minimo pari a 1, mentre raggiunge le soglie
convenzionali nel caso in cui l’ordine di ritardo è posto pari a 2. Il test F di
uguaglianza a zero degli effetti paese non consente di rifiutare l’ipotesi
nulla, avvalorando l’ipotesi di convergenza assoluta. I test diagnostici (test
di sovraidentificazione di Hansen sulla bontà degli strumenti e test di
Arellano-Bond di autocorrelazione seriale) non evidenziano problemi nella
specificazione dinamica del modello.
Venendo al secondo fattore (banking), analogamente a quanto
riscontrato per l’analisi della convergenza-σ, i risultati si capovolgono,
indicando in entrambi i casi assenza di convergenza. L’incremento
progressivo della dispersione osservato per tale variabile potrebbe quindi,
almeno in parte, riflettere l’accumularsi di disturbi locali che non vengono
riassorbiti nel tempo e che, cumulandosi, allontanano progressivamente le
traiettorie seguite dai singoli paesi. Anche in questo caso i test diagnostici
non suscitano problemi.
__________
6
Negli studi empirici che hanno applicato la metodologia panel all’analisi della convergenza del
reddito pro capite è comune considerare medie pluriennali dei tassi di crescita, con l’obiettivo di
ridurre l’influenza delle oscillazioni cicliche sui risultati dell’analisi. Nel caso considerato tale
procedura avrebbe condotto a una riduzione eccessiva delle osservazioni utilizzabili nella stima. Va
comunque rilevato che, avendo centrato gli indicatori grezzi sulle medie annuali cross-section
prima di condurre l’analisi FAMA, gli indicatori compositi risultano depurati dell’effetto di
eventuali oscillazioni cicliche comuni ai paesi considerati, ad esempio derivanti da fluttuazioni
sincrone dei prezzi delle attività finanziarie.
620 Valter Di Giacinto e Luciano Esposito
Tav. 9
Convergenza-β: i risultati delle regressioni panel
(tra parentesi i livelli di significatività dei test)
Coefficienti e
Variabile dipendente
statistiche
Secondo Terzo Terzo
Primo fattore
fattore fattore fattore (*)
Ordine di ritardo minimo strumenti = 1
Costante 0,0156 (0,396) -0,0135 (0,275) 0,0888 (0,004) 0,0743 (0,019)
-
Beta 0,020
(0,115) 0.0195 (0,206) -0,1049 (0,007) -0,0955 (0,053)
Osservazioni 104 104 104 88
Test F effetti paese 2,48 (0,141) 1,60 (0,230) 7,40 (0,019) 3,74 (0,082)
Test di Hansen 10,57 (1,000) 10,49 (1,000) 11,81 (1,000) 6,92 (1,000)
Test z AR(1) residui -2,19 (0,028) -2,19 (0,028) -2,03 (0,043) -1,94 (0,052)
Test z AR(2) residui -1,55 (0,122) -1,25 (0,210) -0,86 (0,392) -1,04 (0,299)
Ordine di ritardo minimo strumenti = 2
Costante 0,0155 (0,266) -0,0095 (0,486) 0.0655 (0,012) 0,0638 (0,043)
- - -
Beta 0,0203
(0,037) 0,0138 (0,308)
0,0774
(0,009)
0,0805
(0,057)
Osservazioni 104 104 104 88
Test F effetti paese 4,35 (0,059) 1,04 (0,328) 6,87 (0,022) 3,60 (0,087)
Test di Hansen 11,83 (0,992) 9,21 (0,999) 8,64 (0,999) 10,31 (0,997)
Test AR(1) residui -2,24 (0,025) -2,17 (0,030) -1,92 (0,055) -1,83 0,067
Test AR(2) residui -2,53 (0,126) -1,25 (0,210) -0,88 (0,379) -1,05 0,292
(*) Sono esclusi Belgio e Italia.
Il terzo e ultimo fattore, mostrando anche in questo caso un
parallelismo rispetto a quanto evidenziato dallo studio della convergenza-
σ, rappresenta la variabile che mostra in maniera più netta la proprietà di
mean reversion, anche quando si controlli per la presenza di errori di
misurazione o altri shock transitori non osservabili (il risultato appare
quindi robusto relativamente al problema della Galton’s fallacy). La
percentuale di correzione del disequilibrio è sensibilmente più elevata
rispetto al caso del primo fattore, risultando pari all’8-10 per cento circa.
Convergenza nelle strutture finanziarie europee 621
Allo stesso tempo viene però rifiutata l’ipotesi che gli effetti paese siano
nulli: si avrebbe cioè convergenza condizionata, ma non assoluta. Dato che
l’analisi grafica aveva evidenziato nel Belgio e nell’Italia due potenziali
outliers rispetto all’indicatore considerato, le stime sono state ripetute
escludendo i due paesi dal campione. I risultati, esposti nell’ultima colonna
della tavola 9, mostrano come in questo caso non sia possibile rifiutare, al
livello di significatività del 5 per cento, l’ipotesi nulla di convergenza
assoluta. Ad eccezione di Italia e Belgio, nel lungo periodo i paesi europei
considerati mostrerebbero quindi la tendenza a convergere verso un
medesimo livello di equilibrio dell’indicatore di incidenza della finanza
pubblica.
8. Conclusioni
Il presente lavoro si è posto l’obiettivo di fornire, alla luce degli
sviluppi che hanno accompagnato l’istituzione della UME, una valutazione
quantitativa dell’esistenza o meno di una convergenza delle strutture
finanziarie dei paesi europei.
L’approccio statistico utilizzato per misurare le differenze tra sistemi
finanziari nazionali ha seguito un’impostazione di tipo bottom up. A partire
da una selezione ampia di indicatori mutuati dalla letteratura empirica,
sono stati ottenuti, mediante la tecnica di analisi multidimensionale
FAMA, indicatori compositi, in grado di riassumere similarità e divergenze
esistenti tra i sistemi nazionali, nonché di fornire un quadro dell’evoluzione
temporale del fenomeno lungo un numero contenuto di dimensioni.
L’analisi FAMA ha portato all’individuazione di tre variabili latenti,
in grado di spiegare, nel complesso, circa il 70 per cento della dispersione
delle strutture finanziarie tra i paesi. Sulla base delle correlazioni di tali
variabili con gli indicatori di partenza, è stato possibile interpretare il primo
asse fattoriale come un indicatore del grado di financial deepening,
sostenuto principalmente dallo sviluppo dei mercati mobiliari e degli
intermediari non bancari. Il secondo indicatore sintetico può essere, invece,
visto come un indice, a parità di dimensione assoluta del sistema
finanziario, del peso relativo degli intermediari bancari. Il terzo indicatore
sintetico, infine, può essere letto come una misura dell’influenza della
finanza pubblica sulla struttura finanziaria.
622 Valter Di Giacinto e Luciano Esposito
L’analisi delle traiettorie temporali degli indicatori compositi
consente di fornire una valutazione statistica dell’esistenza o meno di
convergenza.
Le tecniche utilizzate hanno attinto all’apparato metodologico
sviluppato nello studio della crescita economica e della convergenza dei
livelli di sviluppo.
Sono state studiate le proprietà di path dependence del processo,
mediante tecniche panel di analisi della convergenza-β, e l’esistenza o
meno di una tendenza della dispersione delle variabili tra paesi a ridursi nel
tempo (convergenza-σ).
I risultati confermano l’ipotesi di convergenza, rispetto a entrambe le
tipologie considerate, per gli indicatori di financial deepening e di peso
della finanza pubblica, con una velocità di aggiustamento al livello di stato
stazionario sensibilmente più elevata per il secondo. Per l’indicatore di
importanza relativa del sistema bancario si riscontra, al contrario, assenza
di convergenza-β e un incremento progressivo della dispersione cross-
section (divergenza-σ).
Per quanto attiene alla convergenza-β, i risultati indicano la presenza
di convergenza di tipo assoluto per il primo fattore; a una conclusione
analoga si giunge anche per il terzo fattore, laddove si escludano dal
campione i due paesi con debiti pubblici storicamente elevati. Pur in
presenza di una dispersione abbastanza accentuata del livello di financial
deepening tra i paesi analizzati, le evidenze empiriche non appaiono,
quindi, in contrasto con l’esistenza di un livello di steady state comune a
tutti i sistemi finanziari considerati.
Tali risultati, inoltre, appaiono robusti rispetto alla presenza di errori
di misurazione e di altri shock di natura transitoria nel livello di partenza
delle variabili.
In generale, sia pure con le limitazioni derivanti dall’avere
analizzato un arco temporale circoscritto a un decennio, l’ipotesi di un
avvicinamento progressivo delle strutture finanziarie dei paesi UE, se si
eccettua il settore bancario, che mostra tuttora caratteristiche di dipendenza
dalle condizioni di partenza, non appare in contrasto con le evidenze
empiriche raccolte.
Convergenza nelle strutture finanziarie europee 623
APPENDICE
Tav. A1
Principali statistiche descrittive per gli indicatori selezionati
1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003
Media
FINAS 7,028 7,399 7,873 8,325 9,473 9,575 9,603 9,272 9,696
LOMFI 1,016 1,034 1,055 1,067 1,144 1,170 1,208 1,237 1,256
FIN 0,294 0,286 0,278 0,267 0,252 0,247 0,254 0,263 0,262
INTOPEN 0,159 0,167 0,183 0,191 0,216 0,240 0,248 0,248 0,253
CAPEX 0,583 0,698 0,765 0,962 1,130 0,957 0,809 0,616 0,676
TURNOVER 0,577 0,617 0,667 0,783 0,703 0,861 0,881 0,939 0,889
BONDNFC 0,106 0,113 0,113 0,117 0,118 0,128 0,141 0,148 0,145
HOUSDEP 0,399 0,371 0,346 0,325 0,304 0,301 0,314 0,335 0,327
HOUSSHAR 0,153 0,179 0,199 0,214 0,234 0,221 0,194 0,161 0,169
HOUSBOND 0,100 0,095 0,085 0,075 0,065 0,067 0,071 0,075 0,072
HOUSINS 0,224 0,229 0,235 0,244 0,247 0,258 0,271 0,282 0,285
HOUSFUND 0,061 0,070 0,084 0,092 0,103 0,104 0,100 0,090 0,092
HOUSDEB 0,850 0,871 0,906 0,947 1,027 1,050 1,080 1,112 1,149
DEBGG 0,131 0,126 0,114 0,106 0,089 0,084 0,082 0,086 0,082
Deviazione standard
INAS 1,954 2,182 2,306 2,293 2,575 2,514 2,557 2,344 2,473
LOMFI 0,259 0,272 0,287 0,275 0,299 0,320 0,335 0,337 0,347
FIN 0,064 0,063 0,061 0,063 0,067 0,065 0,061 0,059 0,056
INTOPEN 0,053 0,051 0,050 0,044 0,050 0,054 0,056 0,056 0,060
CAPEX 0,319 0,392 0,416 0,517 0,777 0,626 0,417 0,338 0,343
TURNOVER 0,262 0,309 0,355 0,412 0,374 0,456 0,484 0,531 0,402
BONDNFC 0,070 0,068 0,071 0,081 0,092 0,102 0,094 0,095 0,087
HOUSDEP 0,154 0,125 0,123 0,116 0,117 0,114 0,107 0,098 0,093
HOUSSHAR 0,073 0,077 0,078 0,091 0,109 0,098 0,087 0,087 0,095
HOUSBOND 0,095 0,096 0,090 0,076 0,065 0,067 0,071 0,074 0,068
HOUSINS 0,153 0,153 0,151 0,156 0,155 0,147 0,148 0,146 0,146
HOUSFUND 0,031 0,034 0,041 0,048 0,046 0,041 0,038 0,035 0,034
HOUSDEB 0,400 0,425 0,446 0,459 0,495 0,524 0,536 0,554 0,549
DEBGG 0,050 0,051 0,049 0,045 0,037 0,035 0,037 0,037 0,034
Coefficiente di variazione
FINAS 0,278 0,295 0,293 0,276 0,272 0,263 0,266 0,253 0,255
LOMFI 0,255 0,263 0,272 0,258 0,261 0,274 0,278 0,272 0,277
FIN 0,216 0,218 0,218 0,236 0,265 0,264 0,239 0,224 0,215
INTOPEN 0,335 0,307 0,272 0,232 0,232 0,225 0,228 0,228 0,238
CAPEX 0,547 0,561 0,544 0,538 0,688 0,655 0,515 0,548 0,507
TURNOVER 0,454 0,501 0,532 0,526 0,532 0,530 0,549 0,565 0,452
BONDNFC 0,660 0,605 0,625 0,687 0,781 0,796 0,666 0,641 0,602
HOUSDEP 0,385 0,336 0,356 0,358 0,386 0,378 0,341 0,294 0,285
HOUSSHAR 0,480 0,428 0,393 0,427 0,464 0,442 0,447 0,539 0,565
HOUSBOND 0,953 1,013 1,064 1,014 1,010 0,992 1,003 0,980 0,935
HOUSINS 0,684 0,669 0,643 0,640 0,629 0,570 0,545 0,516 0,511
HOUSFUND 0,507 0,488 0,486 0,526 0,445 0,390 0,374 0,383 0,372
HOUSDEB 0,471 0,488 0,493 0,485 0,483 0,499 0,496 0,498 0,478
DEBGG 0,382 0,407 0,425 0,422 0,417 0,419 0,451 0,427 0,414
624 Valter Di Giacinto e Luciano Esposito
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di matrici a tre vie”, in “Giornale degli Economisti e Annali di
Economia”, vol. 53, pp. 101-133.
Temple, J. (1999), The New Growth Evidence, in “Journal of Economic
Literature”, vol. 37, pp. 112-156.
DISCUSSIONE DEL LAVORO DI V. DI GIACINTO E
L. ESPOSITO
Alberto Zazzaro∗
1. Storicamente, anche concentrando lo sguardo sui soli paesi
sviluppati, i sistemi finanziari si sono caratterizzati per le loro profonde
diversità negli assetti normativi e regolamentari, nelle strutture
istituzionali, nella diffusione degli strumenti finanziari e delle forme di
finanziamento, nei meccanismi di governo delle imprese. Tuttavia, la
crescente globalizzazione dei mercati, la perfetta mobilità dei capitali
ormai raggiunta e la deregolamentazione che ha investito i mercati e gli
intermediari finanziari hanno spinto molti osservatori ad avanzare l’ipotesi
che queste diversità siano destinate nei prossimi anni a ridursi
notevolmente e che l’architettura dei sistemi finanziari tenderà a
convergere verso un modello unico. Da qui, una serie recente di studi1 si
sono posti l’obiettivo di valutare se questo processo di convergenza dei
sistemi finanziari si sia effettivamente messo in moto e in che misura esso
sia stato realizzato.
Nel complesso, si può dire che dall’evidenza fin qui disponibile non
è emersa una forte indicazione favorevole all’ipotesi di convergenza. Così,
ad esempio, riprendendo alcuni dati riportati in Allen et al. (2004) per il
periodo 1995-2003 (lo stesso analizzato nel lavoro di Di Giacinto ed
Esposito), nei paesi dell’area dell’euro e in Giappone, dove i sistemi
finanziari sono stati storicamente dominati dalle banche, l’importanza dei
prestiti bancari al settore privato è andato aumentando nel tempo, mentre
negli Stati Uniti i mercati di borsa hanno guadagnato altro terreno a scapito
delle banche (vedi fig. 1).
Questa letteratura, per quanto offra indicazioni di notevole interesse,
soffre, però, di alcuni limiti fondamentali: (i) essa si è mantenuta a un
livello sostanzialmente descrittivo, senza tentare una verifica statistico-
econometrica approfondita; (ii) si basa su una troppo ampia e semplicistica
contrapposizione tra sistemi finanziari bank-based e market-based; (iii)
non fa riferimento a una teoria della struttura e dell’evoluzione dei sistemi
__________
∗ Dipartimento di Economia, Università Politecnica delle Marche.
1
Alcuni sono puntualmente richiamati e commentati da Di Giacinto ed Esposito; altri sono contenuti
in questo volume. Per una rassegna più ampia, si può vedere Castelnuovo (2005).
628 Alberto Zazzaro
finanziari, che è certo ancora da sviluppare in maniera completa e rigorosa,
ma per la quale in questi anni sono stati comunque offerti diversi contributi
importanti2; (iv) non chiarisce a quale modello i sistemi finanziari
dovrebbero convergere e se si tratta di una convergenza condizionale o
assoluta.
Il lavoro di Di Giacinto ed Esposito (da qui in avanti DGE) è diretto
a colmare la lacuna (i), ma non affronta i punti (ii)-(iv). La scelta di seguire
un approccio a-teorico alla convergenza dei sistemi finanziari si riflette,
però, sulla strategia di indagine seguita dagli autori, sugli indicatori
impiegati e sull’interpretazione dei risultati ottenuti.
Fig. 1
La composizione dei mercati finanziari in Europa, Stati Uniti e Asia
100%
75%
50%
25%
0%
5
3
5
3
-9
-0
-9
-0
-9
-0
-9
-0
-9
-0
E
o
ti
ne
ne
ti
to
to
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sia
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at
at
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ta
o
G
St
St
gn
gn
es
es
Re
Re
d-
d-
Su
Su
Prestiti bancari Capitalizzazione di borsa
Obbligazioni pubbliche Obbligazioni private
__________
2
Mi riferisco in particolare ai contributi di Boot e Thakor (1996); Allen e Gale (2000); Baliga e
Polak (2004); Merton e Bodie (2004); Monnet e Quintin (2005).
Discussione del lavoro di V. Di Giacinto e L. Esposito 629
2. DGE si propongono di valutare la convergenza delle strutture
finanziarie di 13 paesi dell’Unione europea tra il 1995 e il 2003. A questo
fine, gli autori adottano un approccio a due stadi. In una prima fase, a
partire da 14 indicatori di base – relativi alla dimensione del sistema
finanziario nel suo complesso, a quella del sistema bancario, dei mercati
azionari e obbligazionari, alla diffusione dei diversi strumenti finanziari nei
portafogli delle famiglie, al peso della finanza pubblica – costruiscono con
le tecniche dell’analisi multidimensionale delle matrici fattoriali e delle
componenti principali tre indicatori compositi. Dato il contributo dei
singoli indicatori di base agli assi fattoriali, in termini di varianza spiegata
e di correlazione con le variabili latenti, i tre indicatori sono interpretati
rispettivamente come misure dello sviluppo del sistema finanziario, dello
sviluppo del sistema bancario e del peso della finanza pubblica.
Tav. 1
I risultati dell’analisi di convergenza di Di Giacinto ed Esposito
Sviluppo finanziario Sviluppo bancario Finanza pubblica
Sì
(ma solo a partire dalla
Convergenza-σ No (divergenza) Si
seconda metà degli
anni novanta)
Sì
Convergenza-β (assoluta, ma molto No Si (condizionata)
lenta)
Nella seconda fase, gli autori cercano di valutare il processo di
convergenza delle strutture finanziarie applicando ai tre indicatori
compositi costruiti in precedenza le tradizionali metodologie di
convergenza-β (utilizzando lo stimatore system GMM) e convergenza-σ
introdotte nella letteratura sulla crescita economica3. La tavola 1 sintetizza i
risultati cui giungono DGE, che, in linea con la letteratura, evidenziano una
__________
3 A mia conoscenza, il solo altro lavoro che impiega queste metodologie per valutare la convergenza
dei sistemi finanziari è Bartiloro e De Bonis (2005). A differenza di Di Giacinto ed Esposito, però,
Bartiloro e De Bonis stimano un modello a effetti fissi considerando come variabile dipendente
solo la dimensione complessiva del sistema finanziario (il rapporto tra le attività finanziarie
detenute dai residenti e il PIL).
630 Alberto Zazzaro
tendenza molto debole alla convergenza delle strutture finanziare e
essenzialmente limitata al peso che assume la finanza pubblica.
3. L’analisi condotta dagli autori, per quanto sviluppata in maniera
formalmente rigorosa e con le metodologie disponibili più appropriate,
solleva però alcune perplessità. Anzitutto, la scelta di utilizzare come
variabili endogene gli indicatori compositi al posto degli indicatori di base
introduce un elemento di opacità nella lettura dei risultati. Sebbene sia
indubbio che i sistemi finanziari abbiano molteplici dimensioni e che la
loro convergenza non sia un fenomeno misurabile dall’andamento di un
unico indicatore, è altrettanto indubbio che l’analisi fattoriale impone al
ricercatore di interpretare, con ampi margini di soggettività, il significato
delle variabili latenti. Così, per fare solo un esempio, il grado di apertura
internazionale del sistema finanziario (indicato nel lavoro con INTOPEN),
considerato dagli autori un indicatore importante del grado di sviluppo
complessivo del sistema finanziario, pesa più nel terzo fattore (quello della
finanza pubblica) che nel primo, e lo stesso vale per il totale delle attività
finanziarie sul PIL (FINAS). È ovvio che una diversa interpretazione delle
variabili latenti modificherebbe radicalmente le conclusioni del lavoro. Ma
oltre alle incertezze interpretative, vi sono anche le difficoltà a identificare
in maniera rigorosa quali sono i fattori che hanno guidato, rallentato o
impedito il processo di convergenza. A questo scopo, la strada alternativa
di misurare la convergenza dei singoli indicatori di base avrebbe sì tolto
sinteticità all’analisi, ma avrebbe forse reso più evidenti le dimensioni
lungo le quali nel corso dell’ultimo decennio i sistemi finanziari europei
sono divenuti tra loro più o meno simili.
In secondo luogo, nell’analisi di regressione non sono inserite
variabili di controllo per fattori strutturali specifici come, ad esempio, le
forme di regolamentazione, il grado di tutela dei risparmiatori, la struttura
dimensionale e settoriale del sistema produttivo, condizionando il processo
di convergenza alla sola presenza di dummy paese. Anche in questo caso ci
troviamo di fronte a un atteggiamento agnostico da parte degli autori, che
non tentano una valutazione dei fattori che potrebbero aver contribuito a
individuare diversi “equilibri” nel disegno dei sistemi finanziari.
In terzo luogo, gli indicatori di base impiegati nell’analisi da DGE,
che dovrebbero rappresentare i pilastri fondamentali che compongono
l’architettura di un sistema finanziario, misurano il peso che le grandi
tipologie dei tradizionali strumenti finanziari (azioni, titoli obbligazionari
pubblici e privati, prestiti bancari, quote dei fondi comuni e prodotti
assicurativi) hanno nel finanziamento delle imprese e nel portafoglio delle
Discussione del lavoro di V. Di Giacinto e L. Esposito 631
famiglie. Sono, invece, assenti indicatori relativi all’importanza dei mercati
a termine, alla diffusione degli strumenti derivati, alle attività bancarie
meno tradizionali (investment banking) e al peso degli intermediari non
bancari (venture capital; fondi chiusi). Così come mancano indicatori sulla
qualità degli strumenti finanziari, sulla struttura proprietaria dei diversi
intermediari e sulla loro operatività sui mercati finanziari, sulla
competitività dei mercati, sulle forme di regolamentazione e di tutela del
risparmio, tutti elementi che caratterizzano un sistema finanziario e lo
distinguono dagli altri.
4. A ben riflettere, i limiti dell’analisi di Di Giacinto ed Esposito sono
comuni a gran parte della letteratura sulla convergenza dei sistemi
finanziari e discendono dalla mancanza di un riferimento esplicito a una
teoria della struttura finanziaria e della sua evoluzione.
Leggendo il lavoro, appare evidente che gli autori si rifanno alla
consueta distinzione tra sistemi bank-based e sistemi market-based.
Tuttavia, non ci si sofferma mai a definire quali sono i fattori che
distinguono i due sistemi o, meglio, ci si limita a classificarli sulla base
della prevalenza del finanziamento intermediato rispetto a quello diretto sul
mercato. Tuttavia, come i contributi di Colin Mayer (1988; 1990) hanno
ben chiarito, il peso delle fonti di finanziamento delle imprese non
rappresenta un criterio di distinzione adeguato per i sistemi finanziari, in
quanto l’autofinanziamento e il credito bancario sono ovunque le fonti
principali dei flussi di finanziamento dell’attività produttiva. In letteratura
sono stati suggeriti diversi altri criteri di classificazione dei sistemi
finanziari, come il grado di concentrazione della proprietà delle imprese e
la prevalenza del credito a breve termine (Mayer, 1990); la prevalenza del
relational lending sul transactional lending (Aoki, 2001); l’esistenza o
meno di restrizioni all’attività bancaria (Berglof, 1990); il grado di
commerciabilità dei titoli emessi dalle imprese (Rybczynsky, 1997).
L’adozione di uno o più di questi criteri avrebbe naturalmente suggerito
l’impiego di alcuni indicatori di base piuttosto che di altri e avrebbe
permesso di valutare immediatamente la presenza di convergenza sulla
base del loro andamento nel tempo.
La mancanza di una ipotesi sull’evoluzione dei sistemi finanziari è,
invece, responsabile della scelta degli autori di non condizionare il loro
modello di convergenza a variabili strutturali specifiche. Nella letteratura è
possibile distinguere le spiegazioni esogene dello sviluppo dei sistemi
finanziari da quelle endogene. Per le prime, l’architettura finanziaria di un
632 Alberto Zazzaro
paese dipende dalle regole che sono prevalse in certi fondamentali
momenti storici (tipicamente, la soluzione di una crisi) e che attraverso
fenomeni di path-dependence si sono lentamente adattate ai cambiamenti
istituzionali e tecnologici (Baliga e Polak, 2004; Monnet e Quintin, 2005).
Per le teorie endogene, invece, le istituzioni e gli strumenti finanziari che
prevalgono in un paese in un certo momento sono funzionali ad alcuni
elementi propri del sistema economico e finanziario, come il livello di
sviluppo raggiunto, la struttura dimensionale delle imprese e la loro
reputazione (Boot e Thakor, 1996; Rybczynski, 1997), le tecnologie
prevalenti e il tipo di carenze informative da superare (Allen, 1993; Allen e
Gale, 2000), il tipo di imperfezioni che affliggono i mercati finanziari
(Merton e Bodie, 2004). Ancora una volta, il riferimento a una teoria dei
sistemi finanziari avrebbe consentito di individuare una serie di variabili
che condizionerebbero il processo di convergenza.
Infine, la mancanza di un riferimento a una teoria dell’architettura
dei sistemi finanziari rende più complessa l’interpretazione del risultato di
bassa convergenza cui giungono gli autori. Convergenza a cosa, verrebbe
da dire. Ancora una volta le risposte possibili sono due. O si immagina che
i mercati finanziari debbano tendere alla completezza nel senso di Arrow-
Debreu, nel qual caso la non significatività del coefficiente di mean
reversion e l’aumento della dispersione degli indicatori impiegati non può
che stare a indicare assenza di convergenza nei sistemi finanziari. Oppure,
seguendo l’approccio funzionale di Merton e Bodie (2004), si ipotizza che i
sistemi finanziari e la loro architettura siano una risposta proprio alla
ineliminabile incompletezza dei mercati e alle inefficienze che ne
deriverebbero. In questo caso, a meno di ipotizzare una identica e
immutabile incompletezza dei mercati tra paesi, le strutture dei sistemi
finanziari non possono che essere tra loro differenti, se non in senso
quantitativo (il peso delle banche versus i mercati), certamente in senso
qualitativo (cosa fanno le banche, quali innovazioni introducono e in che
modo operano da complemento ai mercati). In questo caso esisterebbe un
livello fisiologico, e non necessariamente stabile nel tempo, di variabilità
delle strutture finanziarie e la non significatività del coefficiente di mean
reversion potrebbe anche indicare che la convergenza nei sistemi finanziari
è già stata raggiunta.
Discussione del lavoro di V. Di Giacinto e L. Esposito 633
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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Vives (a cura di), Capital Markets and Financial Intermediation,
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Europe, the USA, and Asia, in “Oxford Review of Economic
Policy”, vol. 20, n. 4, pp. 490-508.
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Mass., The MIT Press.
Aoki, M. (2001), Towards a Comparative Institutional Analysis,
Cambridge, Mass., The MIT Press.
Baliga, S. e B. Polak (2004), The Emergence and Persistence of the Anglo-
Saxon and German Financial Systems, in “Review of Financial
Studies”, vol. 17, n. 1, 129-163.
Bartiloro, L. e R. De Bonis (2005), The Financial Systems of European
Countries: Theoretical Issues and Empirical Evidence”, Irving
Fisher Committee Bullettin, n. 21, pp. 80-98.
Berglof, E. (1990), Capital Structure as a Mechanism of Control: A
Comparison of Financial Systems”, in M. Aoki, B. Gustafsson e
O.E. Williamson (a cura di), The Firm as a Nexus of Treaties,
Londra, Sage Pubblications.
Boot, A.W.A. e A.V. Thakor (1996), Financial System Architecture, in
“Review of Financial Studies”, vol. 10, n. 3, pp. 693-733.
Castelnuovo, R.A. (2005), Aspetti generali dell’analisi comparata tra
sistemi finanziari. Alcune proposte metodologiche”, Ente per gli
Studi monetari, bancari e finanziari “Luigi Einaudi”, Quaderni di
ricerche, n. 60, Roma.
Mayer, C. (1988), New Issues in Corporate Finance, in “European
Economic Review”, vol. 32, pp. 1167-88.
–––––––– (1990), Financial Systems, Corporate Finance, and Economic
Development, in R.G. Hubbard (a cura di.), Asymmetric Information,
Corporate Finance and Investment, Chicago, Chicago University
Press.
634 Alberto Zazzaro
Merton, R.C. e Z. Bodie (2004), The Design of Financial Systems:
Towards a Synthesis of Function and Structure, NBER Working
Paper, n. 10620.
Monnet, C. e E. Quintin (2005), Why Do Financial Systems Differ?, ECB
Working Paper, n. 442.
Rybczynski, T.M. (1997), A New Look at the Evolution of the Financial
System, in J. Revell (a cura di), The Recent Evolution of Financial
Systems, Londra, Macmillan.
INTERVENTO CONCLUSIVO
Luigi Federico Signorini∗
Non posso neppure provare a fare il riassunto finale di un insieme
di sessioni che è stato – come avete visto – così ricco di contenuti e di
stimoli. Alla fine di giornate tanto impegnative, mi consentirete di adottare
un tono più leggero, per chiudere il convegno prima di tutto con qualche
doveroso ringraziamento, e poi con qualche idea per il futuro.
Tutti si attenderanno che io voglia rivolgere un ringraziamento
formale, come si usa, a Carlo Muscariello e Alessandra Piccinini per la loro
attività nell’organizzazione di questa conferenza. Ma lasciatemi dire che
sarebbe un ringraziamento superfluo. Molti dei presenti avranno già
partecipato ad altri convegni organizzati da Muscariello e Piccinini, e
sanno dunque che la loro presenza è una garanzia che le cose andranno
perfettamente lisce; che ogni aspetto dell’organizzazione – dalla
distribuzione degli inviti alla scelta dei vini per la cena – sarà impeccabile.
Chi non ne aveva una precedente esperienza l’ha avuta in questi due giorni.
Questa volta è mancato solo un giro sulla ruota gigante di Perugia: ma mi è
stato detto che l’organizzazione non era stata in grado di garantire il
numero preciso di posti necessari sulle gondole. Nulla, come vedete, è
lasciato al caso! L’assenza di ogni intoppo è il segno del lavoro che è stato
fatto per la conferenza, e che tutti abbiamo avuto modo di apprezzare.
La persona che più di tutti devo ringraziare è Riccardo De Bonis.
Riccardo ha avuto l’idea di questo convegno, ci ha creduto, l’ha portata
avanti: ha raccolto i lavori che si erano già fatti e si stavano facendo nel
Servizio Studi, ne ha promossi altri, nel Servizio e fuori. Nello strutturare il
convegno, Riccardo ha creduto utile attenersi a un formato che utilizziamo
da un po’ di tempo, come anche Salvatore Rossi ha ricordato nella sua
introduzione. È un formato che si adatta bene a progetti di ricerca
complessi e organici che, oltre a inserirsi nella nostra tradizione analitica,
hanno un diretto collegamento con le nostre responsabilità istituzionali.
Dopo aver lavorato a un progetto con le nostre forze, viene il momento di
offrire i risultati ottenuti alla condivisione, alla critica, al controllo della
comunità accademica, degli operatori, delle istituzioni. Il formato naturale
sembra essere quello di una serie di presentazioni da parte di persone che
__________
∗
Banca d’Italia, Servizio Studi, Capo della Direzione per l’Informazione e l’Elaborazione Statistica.
636 L. Federico Signorini
hanno partecipato al progetto, seguite da discussioni esterne. È, in un certo
senso, il nostro modo di interpretare l’accountability della funzione di
ricerca svolta nella Banca centrale. Ma è anche una modo di procedere che
produce, dal nostro punto di vista, ottimi risultati: sempre che si scelgano
bene gli interlocutori. Sotto questo profilo, questo convegno mi è sembrato
particolarmente soddisfacente, per l’elevata qualità dei partecipanti e dei
contributi da loro offerti. È stato per noi motivo di orgoglio vedere come
molti dei commentatori più autorevoli e degli esperti più qualificati nei vari
campi affrontati abbiano avuto piacere di venire da noi a discutere i
risultati del progetto.
Non si può d’altra parte non menzionare il fatto che tra i
partecipanti interni ci sono le persone che si sono succedute negli ultimi
anni nel difficile e pesante compito della compilazione dei conti finanziari
italiani: da Grazia Marchese a Riccardo Massaro, da Valter Di Giacinto a
Gabriele Semeraro. Manca oggi Franco Cotula, che Riccardo aveva
naturalmente cercato, per motivi personali1. Grazie anche a tutti loro. E non
ho bisogno di dire che il mio ringraziamento è esteso a tutti quelli che
hanno partecipato e hanno contribuito al dibattito. Almeno per noi, è stato
un convegno molto ricco e interessante.
La bellezza dei conti finanziari è che consentono di parlare di tutto:
per meglio dire, obbligano a prendere in considerazione in modo organico
e simultaneo tutti gli aspetti della struttura finanziaria dell’economia. Ogni
elemento deve essere studiato in relazione a tutto il resto. Questa
caratteristica impone una disciplina alla ricerca: un punto che è stato
sottolineato negli interventi di molti dei discussants. Il valore aggiunto che
i conti finanziari offrono è che avanzare ipotesi o compiere analisi nel loro
contesto statistico e istituzionale costringe a prendere in considerazione
l’aspetto di interesse non separatamente, ma nell’ambito delle compatibilità
contabili che sono il fondamento concettuale della struttura dei conti.
All’ampiezza dei temi si aggiunge la varietà degli strumenti metodologici.
Questo convegno, nella diversità dei contributi offerti dall’una e dall’altra
parte del tavolo, ha mostrato come la costruzione dei conti necessiti del
concorso di uno spettro molto ampio di metodologie statistiche: dagli
standard della statistica ufficiale all’analisi microeconometrica. I conti
finanziari sono dunque un punto d’incontro di metodologie, oltre che di
temi.
__________
1
Ma sono lieto di ricordare che diversi lavori della versione scritta degli atti della conferenza
ringraziano Franco per i suoi commenti, fondamentali per la comprensione dei problemi affrontati
e delle scelte compiute nella difficile fase iniziale della compilazione dei conti finanziari.
Intervento conclusivo 637
Riccardo De Bonis, tra le tante cose, era stato così cortese da
trovare anche il tempo per suggerirmi qualche metafora calcistica per
queste poche e leggere parole conclusive: la necessità di giocare in tanti
campionati, europeo, italiano, internazionale… Ma queste cose riescono
molto meglio a lui che a me. Metafore o no, quello che si voleva ricordare
è che il convegno è stato il modo per presentare una parte del lavoro
compiuto in questi anni, un lavoro analitico che ha convissuto,
alimentandolo ed essendone a sua volta alimentato, con l’immenso lavoro
metodologico per la costruzione dei conti secondo i nuovi standard europei
del SEC95. Questo è stato il campionato europeo a cui la Banca d’Italia ha
partecipato contemporaneamente a tutti gli impegni italiani: un campionato
alla cui organizzazione, dirlo mi pare doveroso nei confronti dei colleghi,
abbiamo dato un contributo credo non piccolo, non poco significativo,
seppure con forze quantitativamente modeste. All’intenso contributo
metodologico nel quadro delle istituzioni europee andrebbe aggiunto quello
offerto in sede OCSE e in altre ancora; non è qui il caso di ripercorrere
l’elenco. Basti ripetere il concetto fondamentale: che abbiamo sempre
considerato essenziale coniugare il lavoro di analisi, la ricerca
metodologica e l’attività di compilazione nelle stesse unità organizzative e
nelle stesse persone.
Quale sia stato il valore di questo convegno, ognuno dei
partecipanti lo giudicherà dal proprio punto di vista. Per noi, l’obiettivo
consisteva in quel passaggio di confronto e verifica al termine di un
progetto a cui ho accennato poco fa. Questo obiettivo è stato conseguito
pienamente. Dal convegno sono emerse tra l’altro varie indicazioni e
proposte delle quali ci ripromettiamo di tenere conto. Ci sono indicazioni
concrete per il lavoro futuro; certe coincidono con programmi di lavoro che
già avevamo; altre suggeriscono strade nuove. Tra i tanti suggerimenti
offerti, merita citarne uno che è stato avanzato da molti degli intervenuti:
l’utilità di disporre di un’evidenza separata per le azioni quotate. Ma ci
sono altre cose che abbiamo in mente di fare, e che non starò a ripetere in
dettaglio in questa sede.
Un’altra questione che è emersa in più occasioni è quella del
rapporto tra le analisi micro e le analisi macro. Su questo abbiamo
intenzione di approfondire l’analisi; ci stiamo già lavorando, come avrete
visto dal lavoro sulla stima della ricchezza delle famiglie. Quest’ultimo
lavoro è una tappa di un progetto più complessivo: quello di ricostruire un
quadro integrato, credibile, stabile della ricchezza delle famiglie. Pensiamo
di poterlo fare appunto integrando le informazioni disponibili da indagini
638 L. Federico Signorini
microeconomiche con quelle disponibili a livello macro. Spero che
riusciremo a presentare almeno una fase di questo lavoro in una prossima
occasione simile a questa.
Quanto ai conti finanziari, se ci sarà sufficiente interesse, non
intendiamo fermarci a questo convegno. Crediamo che valga la pena
continuare a confrontarci – e non soltanto per l’ottima scelta dei vini nella
cena. Ma contiamo di allargare la potenziale partecipazione; di giocare
anche una partita europea. Questo convegno ha avuto una connotazione
nazionale, il che ci ha consentito di concentrarci su una serie di questioni
per le quali la prospettiva nazionale era rilevante, non solo per la
dimensione nazionale della ricostruzione che veniva presentata, ma anche
per la natura degli stessi problemi che si discutevano. Una scelta, io credo,
giusta. Ma è evidente che l’interesse per i temi che abbiamo discusso, sia
per alcuni issues metodologici, sia per certi problemi di sostanza che hanno
una valenza che trascende i confini nazionali, sia più vasto. Se ripeteremo
questa esperienza forse proveremo una forma diversa: aperta a contributi in
ambito europeo e internazionale.
Spero vivamente che abbiate trovato proficua la discussione. Se per
i partecipanti lo è stata anche solo la metà di quello che è stata per me, lo
credo un buon successo.
Grazie ancora a tutti e buon ritorno.