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Elettrotecnica - de Menna

istituzioni di Elettrotecnica di base. Italiano. Electrotechnology basis. Italian lecture.

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Luciano De Menna

Elettrotecnica

Vittorio Pironti Editore


Napoli

PSpice e Probe sono marchi registrati della MicroSim Corporation

Copyright 1998 by Vittorio Pironti Editore, 209/217, via Lago Patria Giugliano in Campania - Napoli, Italy
Tutti i diritti sono riservati, nessuna parte di questa pubblicazione pu essere
riprodotta con qualsiasi mezzo, memorizzata o trasmessa per mezzo elettronico
senza il permesso delleditore.

Prefazione
questa la seconda edizione di un testo che raccoglie le lezioni del corso di
Elettrotecnica da me tenuto nei primi mesi del 1993 per il Consorzio Nettuno, nell'ambito di un Diploma teleimpartito in Ingegneria Informatica ed Automatica.
Questo "peccato di origine" ne ha condizionato, nel bene e nel male, la sua stesura.
Volendo conservare lo stretto legame tra testo e lezioni videoregistrate, si stati, infatti, in qualche modo condizionati da scelte a suo tempo fatte in merito ai contenuti ed
alla sequenza di esposizione degli argomenti. D'altra parte lo stretto coordinamento ci
sembrato un vantaggio non indifferente che convenisse conservare. La stessa impostazione grafica del libro lo riflette: mentre nella colonna di sinistra si sviluppa il testo,
nella colonna di destra scorrono le immagini, con l'indicazione della lezione, utilizzate
nel corso video. Spesso le immagini sono soltanto un rimando visivo alla lezione; altre
volte esse fanno parte integrante del discorso sviluppato nel testo. Questa continua
connessione tra i due testi, quello scritto e quello per immagini, costituisce un aspetto innovativo a nostro avviso significativo dal punto di vista didattico.
Alcuni argomenti, non trattati nel corso video per motivi di tempo, sono stati aggiunti nel testo ed opportunamente segnalati anche dal punto di vista grafico.
Per altri, di maggior peso, si preferito una scelta diversa. Il corso del Consorzio
Nettuno fu concepito inizialmente, infatti, per essere impartito al secondo semestre del
primo anno, a valle di un solo corso di Fisica. In tali condizioni la scelta di limitare il
programma al solo modello circuitale era obbligata. Del resto, sempre pi spesso, esigenze di varia natura portano a scelte simili anche nei corsi di laurea tradizionali. C'
il rischio per, cos facendo, di non riuscire a far cogliere quella stretta connessione tra

II

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

il modello dei campi e quello dei circuiti che uno dei punti formativi di un corso di
Elettrotecnica.
Per questo motivo si pensato di integrare il testo con alcune appendici che ne consentono una duplice lettura, come diffusamente spiegato nell'introduzione.
Questa seconda edizione non molto diversa dalla precedente; sono stati corretti alcuni errori tipografici e si cercato in qualche punto di migliorare lesposizione degli
argomenti, in particolare nel capitolo sulla trasformata di Laplace. Inoltre si deciso
di non accludere il software didattico al testo, essenzialmente perch, essendosi esso,
nel frattempo, ampliato notevolmente, si preferito allegarlo ad una nuova pubblicazione specifica, di prossima edizione, che ne illustrasse il funzionamento in modo pi
dettagliato, dal titolo Laboratorio Virtuale di Elettrotecnica.
Lo spirito complessivo che ci ha animato stato quello di produrre un testo essenzialmente didattico; cos in diversi punti sono proposti al lettore semplici esercizi che
hanno lo scopo di chiarire aspetti trattati nella teoria, o di introdurre problematiche
nuove. Nei paragrafi successivi le soluzioni di alcuni dei problemi proposti vengono
brevemente discusse; per altri si rimanda al testo di esercizi consigliato.
Ogni libro non mai il frutto del lavoro di una persona sola: oltre a chi materialmente lo scrive, in esso c il contributo di quanti hanno interagito con lautore ed hanno
contribuito a creare lambiente culturale in cui egli si formato. Da questo punto di
vista sono lieto di dover riconoscere il mio debito nei confronti del mio maestro,
Ferdinando Gasparini, e dei colleghi Oreste Greco e Scipione Bobbio. Giovanni
Miano ha contribuito in modo importante a definire la impostazione di alcune parti del
libro e Luigi Verolino ne ha impietosamente cercato gli errori nella prima edizione.

Napoli 17 settembre 1998

Introduzione

Tradizionalmente il corso di Elettrotecnica per gli allievi elettrici ed elettronici fa parte di quel gruppo di corsi
che fanno da ponte tra le materie formative in senso
lato del primo biennio e quelle, altrettanto formative,
ma in maniera pi specifica ed applicativa, del successivo triennio del corso di studi in Ingegneria. In questo
senso tale corso avrebbe lo specifico compito di partire dallapprofondimento dei principi base trattati in
corsi come Fisica, Analisi, Geometria ecc.., e portare
lallievo alla padronanza delle metodologie e tecniche
che da questi princpi producono applicazioni, fino alle
soglie dello studio delle stesse applicazioni concrete.
LElettrotecnica in particolare ha il compito di
approfondire il modello del campo elettromagnetico
lentamente variabile, o stazionario, ed il modello circuitale. Sempre pi spesso, per, in questi ultimi anni,
il corso di Elettrotecnica trova una collocazione, nel
curriculum complessivo degli studi, che non consente
tale impostazione tradizionale. Talvolta, per esempio,
come accade in alcuni Diplomi, il corso viene impartito a valle di un solo corso di Fisica; in tal caso, evidentemente, la trattazione del modello del campo elettromagnetico lentamente variabile, modello che alla base
e giustifica quello circuitale, deve necessariamente essere rimandata ad altro corso.

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Corso di Elettrotecnica

Gli elementi di base di una teoria dei circuiti elettrici,


invece, possono essere forniti in maniera assiomatica,
prescindendo, in qualche modo, dalla loro fondamento
elettromagnetico: si danno per assunti alcuni assiomi
fondamentali e da questi si derivano tutte le propriet
del sistema cos costruito. Questo approccio anzi da
alcuni autori preferito, in quanto presenta il vantaggio
di una maggiore sistematicit e organicit. La connessione, per, con i fenomeni fisici che quel modello
descrive viene ad allentarsi ed questo, dal punto di
vista didattico e formativo, a nostro avviso, un difetto
grave delle impostazioni assiomatiche; tali teorie, invece, sono utilissime in una fase successiva di sistematizzazione della materia.
A noi sembra di grande importanza didattica non
rinunciare, in un corso di Elettrotecnica, a fornire quegli elementi di connessione con il vasto campo di fenomeni che vengono detti elettromagnetici, cos compiutamente descritto dal modello introdotto, nella seconda met dellottocento, dallo scienziato inglese James
Clerk Maxwell e racchiuso nel suo famoso sistema di
equazioni.
Per questo motivo si pensato di realizzare un testo
che consenta due possibili letture: il corpo centrale
della trattazione costituito dagli elementi di base della
teoria dei circuiti, con brevi richiami di nozioni elementari di elettromagnetismo, l dove strettamente
necessari. Alcune appendici poi - opportunamente
richiamate nel testo - consentono, a chi abbia acquisito
in un corso di Fisica le basi necessarie, di approfondire
le connessioni tra teoria elettromagnetica e modello circuitale.
Tratteremo dunque del modello circuitale, un modello
ed una teoria che danno conto del funzionamento di
sistemi apparentemente molto diversi tra di loro: dal
tradizionale circuito elettrico, ai dispositivi integrati
che sono alla base della moderna elettronica; dai com-

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Corso di Elettrotecnica

ponenti microscopici che hanno consentito lincredibile sviluppo dei computers dei nostri giorni, agli
impianti di grandi dimensioni che consentono la distribuzione dellenergia elettrica in modo capillare. Infine
varr la pena di ricordare che concetti e schemi caratteristici del modello circuitale trovano la loro applicazione anche in campi in cui sembrerebbe pi difficile
adattarli: nella teoria dei cosiddetti circuiti a microonde, o in sistemi, come le antenne, in cui la propagazione delle onde - teoricamente assente l dove si rende
necessaria lipotesi del lentamente variabile - un
fattore dominante.
Cominciamo quindi con alcuni richiami elementari di
elettromagnetismo - forse sarebbe pi indicato dire
elettrologia - indispensabili per introdurre i due attori principali della teoria dei circuiti: differenza di
potenziale ed intensit della corrente elettrica.
Chi ritiene opportuna una introduzione pi articolata
ed approfondita, pu leggere la prima delle menzionate appendici integrative e riprendere poi dal capitolo I.

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Cariche elettriche e forze elettriche


I corpi materiali possono presentare propriet particolari che danno luogo alle cosiddette interazioni elettriche e magnetiche. Elemento chiave di tali interazioni
la carica elettrica, una propriet individuata da una
grandezza scalare q che prende il nome, appunto, di
carica elettrica. Per inciso, questa propriet quantizzabile, nel senso che esiste una carica minima pari ad e,
tutte le altre essendo multiple di questa.
Le cariche elettriche interagiscono tra di loro esercitando forze le une sulle altre. In particolare esistono
due diverse qualit di cariche: cariche dello stesso
tipo si respingono e cariche di tipo opposto si attraggono. Ci porta a dare a q un segno, negativo o positi-

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Corso di Elettrotecnica

vo, per distinguere le due possibili alternative. In particolare lelettrone, uno dei componenti dellatomo, ha
carica negativa pari a -e, mentre nel nucleo dellatomo
sono presenti altri elementi, i protoni, che presentano
una carica positiva pari a +e.
Apriamo, a questo punto, una brevissima parentesi sui
sistemi di unit di misura. Non discuteremo questo
tema e tutta la sottile problematica che esso implica,
perch ci sembra un argomento pi adatto ad altro
corso; ci limiteremo a dichiarare che nel seguito faremo
sempre riferimento al Sistema Internazionale (S.I.), e
ricorderemo di volta in volta le unit di misura delle
grandezze che introdurremo. Daremo per implicito che
per ogni grandezza si possa immaginare di costruire
uno strumento in grado di misurarla.
Nel Sistema Internazionale la carica elettrica si misura
in coulomb (C) e la carica dellelettrone , in modulo,
pari a 1,60210 . 10-19 C.
Linterazione elettrica tra i corpi materiali pu essere
ricondotta ad una legge elementare che prende il nome
di legge di Coulomb. Questa legge immagina una situazione ideale in cui i corpi materiali portatori delle cariche si riducano a punti geometrici. Introduciamo cos il
concetto di carica puntiforme: un corpuscolo che occupa un volume idealmente nullo intorno ad un punto,
ma con massa non nulla, e che portatore di una carica elettrica q (positiva o negativa). Si tratta certamente
di una idealizzazione, ma non del tutto priva di fondamento fisico, se si pensa che i volumi occupati dai
naturali portatori elementari di cariche, protoni ed
elettroni, sono generalmente molto piccoli rispetto alle
dimensioni che caratterizzano il fenomeno particolare
che si vuole studiare; gli esperimenti ci dicono che, per
esempio, la carica di un protone si pu immaginare
concentrata in una sfera di 10-13 cm di raggio.

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Corso di Elettrotecnica

Orbene, la legge di Coulomb afferma che se due cariche puntiformi di tale tipo, q1 e q2, fossero poste
(ferme) alla distanza r luna dallaltra, su ognuna delle
cariche agirebbe una forza; in particolare, quella esercitata dalla carica 1 sulla carica 2 espressa dalla formula:
q q
F 12 = k 1 2 r12 .
(1)
r2
La forza F12 dunque diretta lungo la congiungente tra
le due cariche, proporzionale al prodotto delle stesse,
inversamente proporzionale al quadrato della distanza
che le separa e, come si desume dalla presenza del versore r 12, diretta nel verso che va dalla posizione occupata dalla carica q1 a quella occupata dalla carica q2, se
entrambe le cariche hanno lo stesso segno; tale forza ,
dunque, attrattiva se le cariche q1 e q2 hanno segno
opposto, e repulsiva se esse invece hanno lo stesso
segno. Sulla carica q1 agisce una forza eguale ed opposta:
F 12 = - F 21 .
Se le cariche sono libere di muoversi, tali forze producono movimento, secondo le ben note leggi della dinamica newtoniana.
Se ci limitassimo a considerare solo cariche ferme ed
aggiungessimo, alla legge di Coulomb, la propriet che
tali forze di interazione sono sovrapponibili - in presenza, cio, di pi cariche puntiformi, la forza agente su
ognuna di esse la somma vettoriale delle forze che
ogni altra carica produrrebbe sulla stessa carica, in
assenza delle altre - potremmo derivare, dalla sola legge
di Coulomb, tutte le leggi della interazione elettrica. Le
cose si complicano un poco quando consideriamo cariche in movimento: la legge di Coulomb va leggermente modificata, o sostituita con altre leggi ad essa equivalenti. Non possiamo, per, in questa sede, approfondire oltre largomento.

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Tensione e differenza di potenziale


Supponiamo di avere, in una regione dello spazio, una
distribuzione di cariche. Non ci occuperemo delle
caratteristiche di tale distribuzione, ma soltanto dellazione che tali cariche esercitano su altre cariche.
Supponiamo ancora di poter disporre di una carica
puntiforme, e positiva, che goda delle propriet di non
disturbare la posizione o il movimento delle altre cariche. In qualsiasi punto si venga a trovare la carica in
questione, che dora in poi chiameremo carica di prova,
essa risentir di una forza prodotta dalle altre cariche,
che dora in poi chiameremo cariche sorgenti. Se la carica di prova unitaria, chiameremo campo elettrico E la
forza che essa risente. Per una carica di valore q, per la
legge di Coulomb, la forza sar F = qE. In realt la
forza percepita dalla carica di prova non dipende soltanto dalla posizione in cui essa si trova, ma anche dalla
velocit con cui essa passa per il punto in questione.
Anche questo argomento che non ci dato approfondire in questa breve sintesi.
In ogni caso se immaginiamo di portare la carica di
prova q, da un punto A ad un punto B lungo una linea
, la forza F che agisce sulla carica compir un lavoro
per unit di carica che potremo calcolare come:
B

F dl .
q

TAB =

(2)

Nella prima immagine della pagina illustrato il significato dell'integrale: somma di infiniti contributi infinitesimi. A tale lavoro viene dato il nome di tensione
lungo la linea tra i punti A e B, e si misura in volt (V).
Lo strumento che la misura verr detto voltmetro e
avremo modo di parlarne nel seguito.
Si noti che per poter parlare di tensione tra due punti
bisogna aver specificato una linea tra gli stessi, ed il

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Corso di Elettrotecnica

verso in cui ci si muove sulla linea (da A a B oppure da


B ad A); ci giustifica anche il simbolo utilizzato.
Supponiamo ora di spostare la carica di prova lungo
unaltra linea, , tra gli stessi punti A e B, come mostrato in figura. Anche in questo caso verr compiuto un
lavoro TAB, che in generale sar diverso dal precedente.
In determinate situazioni accade invece che tale lavoro
sia indipendente dal percorso e dipende esclusivamente dai due punti estremi. Sarebbe facile far vedere, utilizzando la legge di Coulomb, che una tale situazione si
verifica se le cariche sorgenti sono tutte ferme e la carica di prova si immagina mossa lentissimamente, un
processo che in fisica viene definito adiabatico. Si osservi che in questo caso il lavoro compiuto dalla forza F
quando la carica di prova mossa lungo un percorso
chiuso - per esempio lunione di e , questultimo
orientato nel verso opposto - identicamente nullo.
Supponiamo di essere in queste condizioni e di calcolare il lavoro che il campo compie quando la carica di
prova si muove da un punto qualsiasi nello spazio ad
un punto O fisso. Per ogni punto A prescelto avremo
un valore di tale lavoro, indipendentemente dal percorso compiuto per andare da A a O. Abbiamo in pratica costruito una funzione V(A) dei punti dello spazio
che chiameremo potenziale del punto A rispetto ad O.
In particolare evidente che la funzione V in O nulla.
Si dice che il punto O stato scelto come punto di riferimento dei potenziali. Se ora, per esempio, immaginiamo di calcolare la tensione tra A e B (vedi immagini
a lato), otteniamo:
TAB = TAO - TBO = V(A) - V(B)
perch il lavoro da A a B, nelle nostre ipotesi, lo stesso sia che si vada lungo AB sia che si vada lungo , nel
verso segnato in figura, e lungo , nel verso opposto.
Nel caso in cui, dunque, il lavoro indipendente dal

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percorso esso pu essere messo sotto la forma di una


differenza di potenziale (d.d.p. nel seguito) tra i due
punti in esame. Si noti che tale lavoro positivo, e
quindi le sorgenti compiono effettivamente lavoro sulla
carica di prova, se il potenziale di A, V(A), maggiore
di quello di B, V(B).
Intensit della cor rente elettrica
Come si detto, i portatori di cariche elettriche possono essere in movimento. Supponiamo di avere in una
regione dello spazio un gran numero di tali portatori,
tutti di egual carica q e tutti con la stessa velocit v. Le
cariche siano tanto numerose, ed i loro portatori occupino un volume tanto piccolo - la solita idealizzazione della carica puntiforme - da poter descrivere la loro
distribuzione attraverso una funzione densit n: se dV
un volumetto elementare, i portatori contenuti in tale
volume sono, per definizione, dN= ndV.
Consideriamo ora una superficie piana S attraverso la
quale, nel loro moto, le cariche si trovano a passare.
Vogliamo calcolare la quantit di carica che nel tempo
dt attraversa detta superficie nel verso che va da sinistra
a destra. Costruiamo un cilindro con base sulla superficie S e lunghezza, nella direzione parallela a v, pari a
vdt. Per costruzione tutte le particelle che, allistante t,
si trovano nel cilindro considerato, nel tempo dt, percorrendo lo spazio vdt, si troveranno a passare attraverso la superficie S, mentre tutti i portatori al di fuori
del volume considerato, o mancheranno la superficie
S, oppure percorreranno una distanza insufficiente ad
incontrarla. Se ne deduce che il numero di portatori
che attraverseranno la superficie S nel tempo dt pari
al numero di portatori contenuti nel cilindro di volume
S vdt cos , cio nS vdt cos , dove langolo fra la
direzione di v e quella della normale ad S.

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Dato che ogni portatore dotato di carica q, la carica


totale che attraversa la superficie S nel tempo dt :
dQ = nqS vdt cos ,
e nellunit di tempo:
dQ
I=
= nqS v cos .
dt
A tale grandezza viene dato il nome di intensit di cor rente elettrica.
Naturalmente la definizione di intensit di corrente
elettrica che abbiamo illustrato in un caso semplice,
pu essere estesa al caso in cui i portatori siano dotati
di carica diversa, non abbiamo tutti la stessa velocit, e
la loro densit vari da punto a punto. Si noti che il concetto di intensit di corrente richiede, oltre ad una
distribuzione di cariche in movimento, la scelta di una
superficie attraverso cui si intende valutare il flusso di
cariche e quella di un verso, lorientazione della normale su S. Nel seguito parleremo spesso di intensit di
corrente senza specificare la superficie attraverso la
quale intendiamo calcolarla, mentre specificheremo
sempre il verso; ci accade perch, nei casi in questione, la superficie implicitamente definita. il caso in
cui il moto dei portatori obbligato a svilupparsi lungo
un percorso determinato, il conduttore appunto.
Vale la pena di sottolineare, ancora una volta, che sia il
concetto di tensione che quello di corrente presuppongono la scelta di un verso: la tensione da un punto A ad
un punto B e la corrente in un verso lungo il percorso
stabilito.
Ricordiamo infine che lunit di misura dellintensit di
corrente elettrica nel Sistema Internazionale lampere
(A), pari ad un coulomb al secondo, e che lo strumento che la misura viene detto amperometro.
La legge di Ohm ed il bipolo resistor e

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Corso di Elettrotecnica

I corpi materiali si comportano in maniera differente


quando ad essi viene applicata una differenza di potenziale. Come sappiamo, tra i costituenti elementari della
materia vi sono portatori di cariche elettriche: elettroni
e ioni. Tali portatori possono essere pi o meno legati
alla struttura del corpo materiale e quindi pi o meno
liberi di muoversi. Sotto lazione della differenza di
potenziale i portatori liberi (ma non completamente
liberi, come vedremo), si muovono e danno luogo ad
una corrente elettrica.
Da questo punto di vista, e con una classificazione per
il momento solo grossolana, potremmo inserire ogni
materiale in una scala che vede ad un estremo lisolan te perfetto - un materiale in cui i portatori di cariche o
sono completamente assenti, o, se presenti, sono del
tutto impediti nel loro moto - ed allaltro estremo il
conduttore perfetto in cui i portatori di cariche, presenti in gran numero, sono completamente liberi di muoversi. Il vuoto perfetto, per esempio, fin tanto che rimane tale, certamente un perfetto isolante, mentre un
corpo metallico, rame per esempio, portato a bassissima temperatura pu essere considerato una buona
esemplificazione di un conduttore perfetto. Nei materiali metallici, o conduttori di prima specie, in particolare, i portatori di carica responsabili della corrente sono
gli elettroni periferici degli atomi o molecole che costituiscono, con il loro reticolo, la struttura del materiale
stesso. Tali elettroni, debolmente legati ai rispettivi
atomi, formano in effetti una sorta di nube elettronica
che, sotto lazione di una forza prodotta dallapplicazione di una differenza di potenziale, si mette in moto
e produce una corrente.
Per un gran numero di tali conduttori, e per un campo
di variabilit dei parametri in gioco discretamente

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ampio, sussiste una relazione di proporzionalit tra la


d.d.p. applicata e la corrente prodotta: a tale relazione
di proporzionalit viene dato il nome di legge di Ohm.
Cerchiamo di approfondire il contenuto della legge di
Ohm facendo riferimento ad una configurazione ideale semplice. Supponiamo di avere un corpo materiale e
di individuare sulla superficie che lo racchiude due
punti ai quali immaginiamo di applicare la d.d.p. V.
Supponiamo inoltre di essere in grado di portare ad
uno dei due punti e di prelevare dallaltro, una qualsiasi corrente I; non domandiamoci, per il momento,
chi applica la d.d.p. n come portiamo e preleviamo la corrente nei due punti. Una volta fissati i punti di
accesso della corrente, il moto delle cariche allinterno
del corpo si svilupper in una ben precisa maniera che
non necessario, per, in questa fase, specificare in
maggior dettaglio. Se, in queste condizioni, immaginiamo di applicare agli stessi punti, diverse differenze di
potenziale, e misuriamo la corrente che ne deriva, verificheremo che:
V = R I.
(3)
Alla costante di proporzionalit R, che nel Sistema
Internazionale si misura in ohm, viene dato il nome di
resistenza del corpo in esame, quando alimentato nella
maniera indicata. Questa precisazione necessaria perch il valore della costante R, in generale, cambia se
cambiano i due punti di applicazione della d.d.p., cos
come cambia ancora, se, invece di due punti ideali pensiamo a due superfici attraverso le quali la corrente
viene portata e prelevata; in questo caso R dipende
anche dalla forma ed estensione di tali superfici (gli
elettrodi). Per questo motivo ci siamo resi indipendenti dalla forma degli elettrodi supponendoli, in una
situazione ideale, addirittura puntiformi.
Naturalmente la stessa legge di proporzionalit pu

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Corso di Elettrotecnica

essere espressa nella forma:


I = G V,
(4)
dove G = 1/R prende il nome di conduttanza ed misurata in Siemens (S).
interessante approfondire lanalisi del contenuto
della legge di Ohm allo scopo di cercare di distinguere
in essa la parte che dipende dalla geometria del corpo
da quella che invece dipende strettamente dalla natura
del materiale. Per semplicit espositiva assumiamo una
geometria molto semplice: un cilindro abbastanza
lungo rispetto alla sua dimensione trasversale, in modo
da poter ritenere che la maniera in cui viene applicata
la d.d.p. non possa influenzare in modo significativo la
distribuzione del moto delle cariche allinterno del
cilindro. In tali ipotesi una indagine sperimentale
mostra che
R =L
(5)
S
dove prende il nome di resistivit del materiale - il
suo inverso quello di conducibilit - e dipende solo
dalla sua natura e dalle condizioni fisiche in cui si trova
ad operare, L la lunghezza ed S la misura della sezione trasversale del cilindro. Nella immagine a lato sono
riportati valori indicativi della resistivit di alcuni materiali alla temperatura ambiente. Come si vede rame ed
argento hanno una bassa resistivit. Il rame costituisce
il miglior compromesso - bassa resistivit e basso costo
- e per questo motivo di gran lunga il materiale pi
usato nelle applicazioni elettriche, tanto che nel linguaggio comune rame diventato sinonimo di conduttore elettrico.

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Il modello di Drude
Il fatto che alcuni materiali - che vengono appunto detti ohmici - sottostanno
alla legge di Ohm, ha un significato molto sottile che cercheremo di esaminare
sia pure solo qualitativamente. Dalla definizione di intensit di corrente risulta
evidente che la stessa proporzionale alla velocit media dei portatori di carica. Daltra parte la differenza di potenziale, in quanto integrale del campo,
deve essere proporzionale alla forza esercitata sui portatori stessi; il campo
infatti la forza per unit di carica. La legge di Ohm, dunque, afferma che la
velocit proporzionale alla forza, in apparente contraddizione con le leggi
della dinamica che vogliono questultima proporzionale allaccelerazione:
F = ma.
In effetti la contraddizione solo apparente in quanto la legge di Newton
immagina il corpo, soggetto a forze, completamente libero di muoversi.
Evidentemente i portatori di carica in un conduttore ohmico non sono completamente liberi di muoversi! Il reticolo che costituisce il corpo materiale in
cui i portatori sono costretti a muoversi offre un qualche ostacolo al moto delle
cariche. La legge di Ohm, in effetti, ci consente di determinare quale tipo di
ostacolo. Supponiamo infatti che leffetto complessivo delle cariche ferme,
costituenti il reticolo, sia equivalente ad un attrito e quindi proporzionale alla
velocit; la forza complessiva che agisce sulle cariche sar allora F - k v, dato
che lattrito si oppone allazione del campo elettrico.
Se si raggiunge una condizione stazionaria, la velocit delle cariche sar costante, e la loro accelerazione, quindi, nulla. Avremo dunque:
F - k v = m a = 0,
e quindi F = kv, come prescritto dalla legge di Ohm. Questo modello della
conduzione nei conduttori ohmici, che va sotto il nome di modello di Drude,
e che abbiamo esposto solo in maniera qualitativa, pu, in realta, essere
approfondito anche ad un livello quantitativo con buoni risultati. A noi interessava farne cenno soprattutto per sottolineare il fatto che la validit della
legge di Ohm richiede il verificarsi di una condizione abbastanza particolare.
Non stupisce quindi che tale legge non sia soddisfatta da tutti i materiali, e che

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Corso di Elettrotecnica

gli stessi materiali ohmici siano tali solo in determinate condizioni; per esempio al variare della temperatura del corpo in esame la resistivit del materiale
non si mantiene costante, come vedremo meglio nel seguito. Non meno importante, dal punto di vista applicativo, il caso di quei materiali che non sottostanno alla legge di Ohm e che quindi presentano una dipendenza non lineare
tra tensione e corrente. La moderna elettronica tutta basata sul comportamento di tali materiali.

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Cariche elettriche e forze elettriche


I corpi materiali possono presentare propriet particolari che danno luogo alle cosiddette interazioni elettriche e magnetiche. Elemento chiave di tali interazioni
la carica elettrica, una propriet individuata da una
grandezza scalare q che prende il nome, appunto, di
carica elettrica. Per inciso, questa propriet quantizzabile, nel senso che esiste una carica minima pari ad e,
tutte le altre essendo multiple di questa.
Le cariche elettriche interagiscono tra di loro esercitando forze le une sulle altre. In particolare esistono
due diverse qualit di cariche: cariche dello stesso
tipo si respingono e cariche di tipo opposto si attraggono. Ci porta a dare a q un segno, negativo o positi-

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Corso di Elettrotecnica

vo, per distinguere le due possibili alternative. In particolare lelettrone, uno dei componenti dellatomo, ha
carica negativa pari a -e, mentre nel nucleo dellatomo
sono presenti altri elementi, i protoni, che presentano
una carica positiva pari a +e.
Apriamo, a questo punto, una brevissima parentesi sui
sistemi di unit di misura. Non discuteremo questo
tema e tutta la sottile problematica che esso implica,
perch ci sembra un argomento pi adatto ad altro
corso; ci limiteremo a dichiarare che nel seguito faremo
sempre riferimento al Sistema Internazionale (S.I.), e
ricorderemo di volta in volta le unit di misura delle
grandezze che introdurremo. Daremo per implicito che
per ogni grandezza si possa immaginare di costruire
uno strumento in grado di misurarla.
Nel Sistema Internazionale la carica elettrica si misura
in coulomb (C) e la carica dellelettrone , in modulo,
pari a 1,60210 . 10-19 C.
Linterazione elettrica tra i corpi materiali pu essere
ricondotta ad una legge elementare che prende il nome
di legge di Coulomb. Questa legge immagina una situazione ideale in cui i corpi materiali portatori delle cariche si riducano a punti geometrici. Introduciamo cos il
concetto di carica puntiforme: un corpuscolo che occupa un volume idealmente nullo intorno ad un punto,
ma con massa non nulla, e che portatore di una carica elettrica q (positiva o negativa). Si tratta certamente
di una idealizzazione, ma non del tutto priva di fondamento fisico, se si pensa che i volumi occupati dai
naturali portatori elementari di cariche, protoni ed
elettroni, sono generalmente molto piccoli rispetto alle
dimensioni che caratterizzano il fenomeno particolare
che si vuole studiare; gli esperimenti ci dicono che, per
esempio, la carica di un protone si pu immaginare
concentrata in una sfera di 10-13 cm di raggio.

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Corso di Elettrotecnica

Orbene, la legge di Coulomb afferma che se due cariche puntiformi di tale tipo, q1 e q2, fossero poste
(ferme) alla distanza r luna dallaltra, su ognuna delle
cariche agirebbe una forza; in particolare, quella esercitata dalla carica 1 sulla carica 2 espressa dalla formula:
q q
F 12 = k 1 2 r12 .
(1)
r2
La forza F12 dunque diretta lungo la congiungente tra
le due cariche, proporzionale al prodotto delle stesse,
inversamente proporzionale al quadrato della distanza
che le separa e, come si desume dalla presenza del versore r 12, diretta nel verso che va dalla posizione occupata dalla carica q1 a quella occupata dalla carica q2, se
entrambe le cariche hanno lo stesso segno; tale forza ,
dunque, attrattiva se le cariche q1 e q2 hanno segno
opposto, e repulsiva se esse invece hanno lo stesso
segno. Sulla carica q1 agisce una forza eguale ed opposta:
F 12 = - F 21 .
Se le cariche sono libere di muoversi, tali forze producono movimento, secondo le ben note leggi della dinamica newtoniana.
Se ci limitassimo a considerare solo cariche ferme ed
aggiungessimo, alla legge di Coulomb, la propriet che
tali forze di interazione sono sovrapponibili - in presenza, cio, di pi cariche puntiformi, la forza agente su
ognuna di esse la somma vettoriale delle forze che
ogni altra carica produrrebbe sulla stessa carica, in
assenza delle altre - potremmo derivare, dalla sola legge
di Coulomb, tutte le leggi della interazione elettrica. Le
cose si complicano un poco quando consideriamo cariche in movimento: la legge di Coulomb va leggermente modificata, o sostituita con altre leggi ad essa equivalenti. Non possiamo, per, in questa sede, approfondire oltre largomento.

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Tensione e differenza di potenziale


Supponiamo di avere, in una regione dello spazio, una
distribuzione di cariche. Non ci occuperemo delle
caratteristiche di tale distribuzione, ma soltanto dellazione che tali cariche esercitano su altre cariche.
Supponiamo ancora di poter disporre di una carica
puntiforme, e positiva, che goda delle propriet di non
disturbare la posizione o il movimento delle altre cariche. In qualsiasi punto si venga a trovare la carica in
questione, che dora in poi chiameremo carica di prova,
essa risentir di una forza prodotta dalle altre cariche,
che dora in poi chiameremo cariche sorgenti. Se la carica di prova unitaria, chiameremo campo elettrico E la
forza che essa risente. Per una carica di valore q, per la
legge di Coulomb, la forza sar F = qE. In realt la
forza percepita dalla carica di prova non dipende soltanto dalla posizione in cui essa si trova, ma anche dalla
velocit con cui essa passa per il punto in questione.
Anche questo argomento che non ci dato approfondire in questa breve sintesi.
In ogni caso se immaginiamo di portare la carica di
prova q, da un punto A ad un punto B lungo una linea
, la forza F che agisce sulla carica compir un lavoro
per unit di carica che potremo calcolare come:
B

F dl .
q

TAB =

(2)

Nella prima immagine della pagina illustrato il significato dell'integrale: somma di infiniti contributi infinitesimi. A tale lavoro viene dato il nome di tensione
lungo la linea tra i punti A e B, e si misura in volt (V).
Lo strumento che la misura verr detto voltmetro e
avremo modo di parlarne nel seguito.
Si noti che per poter parlare di tensione tra due punti
bisogna aver specificato una linea tra gli stessi, ed il

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verso in cui ci si muove sulla linea (da A a B oppure da


B ad A); ci giustifica anche il simbolo utilizzato.
Supponiamo ora di spostare la carica di prova lungo
unaltra linea, , tra gli stessi punti A e B, come mostrato in figura. Anche in questo caso verr compiuto un
lavoro TAB, che in generale sar diverso dal precedente.
In determinate situazioni accade invece che tale lavoro
sia indipendente dal percorso e dipende esclusivamente dai due punti estremi. Sarebbe facile far vedere, utilizzando la legge di Coulomb, che una tale situazione si
verifica se le cariche sorgenti sono tutte ferme e la carica di prova si immagina mossa lentissimamente, un
processo che in fisica viene definito adiabatico. Si osservi che in questo caso il lavoro compiuto dalla forza F
quando la carica di prova mossa lungo un percorso
chiuso - per esempio lunione di e , questultimo
orientato nel verso opposto - identicamente nullo.
Supponiamo di essere in queste condizioni e di calcolare il lavoro che il campo compie quando la carica di
prova si muove da un punto qualsiasi nello spazio ad
un punto O fisso. Per ogni punto A prescelto avremo
un valore di tale lavoro, indipendentemente dal percorso compiuto per andare da A a O. Abbiamo in pratica costruito una funzione V(A) dei punti dello spazio
che chiameremo potenziale del punto A rispetto ad O.
In particolare evidente che la funzione V in O nulla.
Si dice che il punto O stato scelto come punto di riferimento dei potenziali. Se ora, per esempio, immaginiamo di calcolare la tensione tra A e B (vedi immagini
a lato), otteniamo:
TAB = TAO - TBO = V(A) - V(B)
perch il lavoro da A a B, nelle nostre ipotesi, lo stesso sia che si vada lungo AB sia che si vada lungo , nel
verso segnato in figura, e lungo , nel verso opposto.
Nel caso in cui, dunque, il lavoro indipendente dal

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percorso esso pu essere messo sotto la forma di una


differenza di potenziale (d.d.p. nel seguito) tra i due
punti in esame. Si noti che tale lavoro positivo, e
quindi le sorgenti compiono effettivamente lavoro sulla
carica di prova, se il potenziale di A, V(A), maggiore
di quello di B, V(B).
Intensit della cor rente elettrica
Come si detto, i portatori di cariche elettriche possono essere in movimento. Supponiamo di avere in una
regione dello spazio un gran numero di tali portatori,
tutti di egual carica q e tutti con la stessa velocit v. Le
cariche siano tanto numerose, ed i loro portatori occupino un volume tanto piccolo - la solita idealizzazione della carica puntiforme - da poter descrivere la loro
distribuzione attraverso una funzione densit n: se dV
un volumetto elementare, i portatori contenuti in tale
volume sono, per definizione, dN= ndV.
Consideriamo ora una superficie piana S attraverso la
quale, nel loro moto, le cariche si trovano a passare.
Vogliamo calcolare la quantit di carica che nel tempo
dt attraversa detta superficie nel verso che va da sinistra
a destra. Costruiamo un cilindro con base sulla superficie S e lunghezza, nella direzione parallela a v, pari a
vdt. Per costruzione tutte le particelle che, allistante t,
si trovano nel cilindro considerato, nel tempo dt, percorrendo lo spazio vdt, si troveranno a passare attraverso la superficie S, mentre tutti i portatori al di fuori
del volume considerato, o mancheranno la superficie
S, oppure percorreranno una distanza insufficiente ad
incontrarla. Se ne deduce che il numero di portatori
che attraverseranno la superficie S nel tempo dt pari
al numero di portatori contenuti nel cilindro di volume
S vdt cos , cio nS vdt cos , dove langolo fra la
direzione di v e quella della normale ad S.

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Dato che ogni portatore dotato di carica q, la carica


totale che attraversa la superficie S nel tempo dt :
dQ = nqS vdt cos ,
e nellunit di tempo:
dQ
I=
= nqS v cos .
dt
A tale grandezza viene dato il nome di intensit di cor rente elettrica.
Naturalmente la definizione di intensit di corrente
elettrica che abbiamo illustrato in un caso semplice,
pu essere estesa al caso in cui i portatori siano dotati
di carica diversa, non abbiamo tutti la stessa velocit, e
la loro densit vari da punto a punto. Si noti che il concetto di intensit di corrente richiede, oltre ad una
distribuzione di cariche in movimento, la scelta di una
superficie attraverso cui si intende valutare il flusso di
cariche e quella di un verso, lorientazione della normale su S. Nel seguito parleremo spesso di intensit di
corrente senza specificare la superficie attraverso la
quale intendiamo calcolarla, mentre specificheremo
sempre il verso; ci accade perch, nei casi in questione, la superficie implicitamente definita. il caso in
cui il moto dei portatori obbligato a svilupparsi lungo
un percorso determinato, il conduttore appunto.
Vale la pena di sottolineare, ancora una volta, che sia il
concetto di tensione che quello di corrente presuppongono la scelta di un verso: la tensione da un punto A ad
un punto B e la corrente in un verso lungo il percorso
stabilito.
Ricordiamo infine che lunit di misura dellintensit di
corrente elettrica nel Sistema Internazionale lampere
(A), pari ad un coulomb al secondo, e che lo strumento che la misura viene detto amperometro.
La legge di Ohm ed il bipolo resistor e

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I corpi materiali si comportano in maniera differente


quando ad essi viene applicata una differenza di potenziale. Come sappiamo, tra i costituenti elementari della
materia vi sono portatori di cariche elettriche: elettroni
e ioni. Tali portatori possono essere pi o meno legati
alla struttura del corpo materiale e quindi pi o meno
liberi di muoversi. Sotto lazione della differenza di
potenziale i portatori liberi (ma non completamente
liberi, come vedremo), si muovono e danno luogo ad
una corrente elettrica.
Da questo punto di vista, e con una classificazione per
il momento solo grossolana, potremmo inserire ogni
materiale in una scala che vede ad un estremo lisolan te perfetto - un materiale in cui i portatori di cariche o
sono completamente assenti, o, se presenti, sono del
tutto impediti nel loro moto - ed allaltro estremo il
conduttore perfetto in cui i portatori di cariche, presenti in gran numero, sono completamente liberi di muoversi. Il vuoto perfetto, per esempio, fin tanto che rimane tale, certamente un perfetto isolante, mentre un
corpo metallico, rame per esempio, portato a bassissima temperatura pu essere considerato una buona
esemplificazione di un conduttore perfetto. Nei materiali metallici, o conduttori di prima specie, in particolare, i portatori di carica responsabili della corrente sono
gli elettroni periferici degli atomi o molecole che costituiscono, con il loro reticolo, la struttura del materiale
stesso. Tali elettroni, debolmente legati ai rispettivi
atomi, formano in effetti una sorta di nube elettronica
che, sotto lazione di una forza prodotta dallapplicazione di una differenza di potenziale, si mette in moto
e produce una corrente.
Per un gran numero di tali conduttori, e per un campo
di variabilit dei parametri in gioco discretamente

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ampio, sussiste una relazione di proporzionalit tra la


d.d.p. applicata e la corrente prodotta: a tale relazione
di proporzionalit viene dato il nome di legge di Ohm.
Cerchiamo di approfondire il contenuto della legge di
Ohm facendo riferimento ad una configurazione ideale semplice. Supponiamo di avere un corpo materiale e
di individuare sulla superficie che lo racchiude due
punti ai quali immaginiamo di applicare la d.d.p. V.
Supponiamo inoltre di essere in grado di portare ad
uno dei due punti e di prelevare dallaltro, una qualsiasi corrente I; non domandiamoci, per il momento,
chi applica la d.d.p. n come portiamo e preleviamo la corrente nei due punti. Una volta fissati i punti di
accesso della corrente, il moto delle cariche allinterno
del corpo si svilupper in una ben precisa maniera che
non necessario, per, in questa fase, specificare in
maggior dettaglio. Se, in queste condizioni, immaginiamo di applicare agli stessi punti, diverse differenze di
potenziale, e misuriamo la corrente che ne deriva, verificheremo che:
V = R I.
(3)
Alla costante di proporzionalit R, che nel Sistema
Internazionale si misura in ohm, viene dato il nome di
resistenza del corpo in esame, quando alimentato nella
maniera indicata. Questa precisazione necessaria perch il valore della costante R, in generale, cambia se
cambiano i due punti di applicazione della d.d.p., cos
come cambia ancora, se, invece di due punti ideali pensiamo a due superfici attraverso le quali la corrente
viene portata e prelevata; in questo caso R dipende
anche dalla forma ed estensione di tali superfici (gli
elettrodi). Per questo motivo ci siamo resi indipendenti dalla forma degli elettrodi supponendoli, in una
situazione ideale, addirittura puntiformi.
Naturalmente la stessa legge di proporzionalit pu

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essere espressa nella forma:


I = G V,
(4)
dove G = 1/R prende il nome di conduttanza ed misurata in Siemens (S).
interessante approfondire lanalisi del contenuto
della legge di Ohm allo scopo di cercare di distinguere
in essa la parte che dipende dalla geometria del corpo
da quella che invece dipende strettamente dalla natura
del materiale. Per semplicit espositiva assumiamo una
geometria molto semplice: un cilindro abbastanza
lungo rispetto alla sua dimensione trasversale, in modo
da poter ritenere che la maniera in cui viene applicata
la d.d.p. non possa influenzare in modo significativo la
distribuzione del moto delle cariche allinterno del
cilindro. In tali ipotesi una indagine sperimentale
mostra che
R =L
(5)
S
dove prende il nome di resistivit del materiale - il
suo inverso quello di conducibilit - e dipende solo
dalla sua natura e dalle condizioni fisiche in cui si trova
ad operare, L la lunghezza ed S la misura della sezione trasversale del cilindro. Nella immagine a lato sono
riportati valori indicativi della resistivit di alcuni materiali alla temperatura ambiente. Come si vede rame ed
argento hanno una bassa resistivit. Il rame costituisce
il miglior compromesso - bassa resistivit e basso costo
- e per questo motivo di gran lunga il materiale pi
usato nelle applicazioni elettriche, tanto che nel linguaggio comune rame diventato sinonimo di conduttore elettrico.

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Il modello di Drude
Il fatto che alcuni materiali - che vengono appunto detti ohmici - sottostanno
alla legge di Ohm, ha un significato molto sottile che cercheremo di esaminare
sia pure solo qualitativamente. Dalla definizione di intensit di corrente risulta
evidente che la stessa proporzionale alla velocit media dei portatori di carica. Daltra parte la differenza di potenziale, in quanto integrale del campo,
deve essere proporzionale alla forza esercitata sui portatori stessi; il campo
infatti la forza per unit di carica. La legge di Ohm, dunque, afferma che la
velocit proporzionale alla forza, in apparente contraddizione con le leggi
della dinamica che vogliono questultima proporzionale allaccelerazione:
F = ma.
In effetti la contraddizione solo apparente in quanto la legge di Newton
immagina il corpo, soggetto a forze, completamente libero di muoversi.
Evidentemente i portatori di carica in un conduttore ohmico non sono completamente liberi di muoversi! Il reticolo che costituisce il corpo materiale in
cui i portatori sono costretti a muoversi offre un qualche ostacolo al moto delle
cariche. La legge di Ohm, in effetti, ci consente di determinare quale tipo di
ostacolo. Supponiamo infatti che leffetto complessivo delle cariche ferme,
costituenti il reticolo, sia equivalente ad un attrito e quindi proporzionale alla
velocit; la forza complessiva che agisce sulle cariche sar allora F - k v, dato
che lattrito si oppone allazione del campo elettrico.
Se si raggiunge una condizione stazionaria, la velocit delle cariche sar costante, e la loro accelerazione, quindi, nulla. Avremo dunque:
F - k v = m a = 0,
e quindi F = kv, come prescritto dalla legge di Ohm. Questo modello della
conduzione nei conduttori ohmici, che va sotto il nome di modello di Drude,
e che abbiamo esposto solo in maniera qualitativa, pu, in realta, essere
approfondito anche ad un livello quantitativo con buoni risultati. A noi interessava farne cenno soprattutto per sottolineare il fatto che la validit della
legge di Ohm richiede il verificarsi di una condizione abbastanza particolare.
Non stupisce quindi che tale legge non sia soddisfatta da tutti i materiali, e che

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gli stessi materiali ohmici siano tali solo in determinate condizioni; per esempio al variare della temperatura del corpo in esame la resistivit del materiale
non si mantiene costante, come vedremo meglio nel seguito. Non meno importante, dal punto di vista applicativo, il caso di quei materiali che non sottostanno alla legge di Ohm e che quindi presentano una dipendenza non lineare
tra tensione e corrente. La moderna elettronica tutta basata sul comportamento di tali materiali.

Capitolo I

I bipoli
Al fine di una futura estensione dei concetti esposti,
introduciamo una opportuna terminologia: chiameremo bipolo resistore il sistema descritto nel capitolo precedente. Le sue propriet possono essere cos riassunte:
Un bipolo resistore una scatola chiusa che comuni ca con lesterno, dal punto di vista elettromagnetico, solo
attraverso due suoi punti ben definiti (morsetti del bipo lo). Esso gode delle seguenti propriet:
- la corrente che entra in un morsetto uguale a quel la che esce dallaltro;
- la tensione tra i due morsetti del bipolo indipen dente dal cammino prescelto per calcolarla e quindi
pu essere espressa come differenza di potenziale;
- la tensione tra i morsetti proporzionale alla'inten sit di corrente che li attraversa; la costante di propor zionalit R prende il nome di resistenza del bipolo;
Come vedremo in seguito, per estendere il concetto di
bipolo, baster che la seconda propriet sia verificata
per ogni linea che non entri nella scatola che racchiude il bipolo in questione, e che tale linea non sia
comunque lunga. La relazione V = RI si dice caratte -

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ristica del bipolo. Vogliamo osservare che nello scrivere la legge di Ohm abbiamo implicitamente fatto delle
scelte sui versi positivi della corrente e della tensione.
Con riferimento alla figura I.1, se V lintegrale di linea
del campo tra i punti A e B, nel verso che va da A a B,
ed I la corrente nello stesso verso scelto per calcolare
la tensione, cio da A a B, allora la legge di Ohm assume la forma espressa dalla relazione (3) del capitolo
precedente, con R dato dalla (5), e quindi positivo per
definizione.

Fig.I.1
Ma erano possibili anche scelte diverse. Si supponga di
non conoscere a priori quale dei due morsetti A e B sia
quello effettivamente a potenziale maggiore, ma di
volere comunque indicare con un simbolo, per esempio V*, per distinguerlo dal precedente, la differenza di
potenziale; non si potr, evidentemente, che scegliere
arbitrariamente uno dei punti - B per esempio - e definire V* la differenza di potenziale tra B e A.
Supponiamo invece di mantenere invariata la scelta per
la corrente, e cio definiamo I la corrente che entra da
A ed esce da B. Per quanto detto in precedenza si avr:
V* = - RI

(I.1)

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dato che V* = - V, evidentemente; la caratteristica del


bipolo appare in queste condizioni alquanto diversa!
Occorre dunque precisare che un resistore ha una
caratteristica del tipo V=RI, con R positivo, se i versi
positivi scelti per la tensione e la corrente sono tali che
la corrente positiva quando entra nello stesso morsetto
che, se a potenziale maggiore dellaltro, determina una V
positiva. Questo tipo di scelta viene detta dellutilizza tore per ragioni che saranno chiare in seguito. Prima
spendiamo qualche parola sui simboli grafici.
Indicheremo un resistore con i simboli mostrati in figura. Il segno + accanto ad un morsetto individua la scelta del verso positivo per le V, mentre la freccia indica
quello delle correnti. Nella stessa figura sono anche
indicate le quattro alternative possibili.
facile convincersi che lalternativa a) coincide con la
c) (basta ruotare di 180 il disegno), mentre quella d)
coincide con la b). Le alternative a) e c) le abbiamo gi
dette dellutilizzatore, diremo invece del generatore
quelle b) e d). Vediamo perch questa terminologia.
La legge di Joule
Come noto, la tensione tra due punti pu anche essere vista come il lavoro compiuto per portare una carica
unitaria da un punto allaltro. Basta rifarsi alla definizione di tensione e ricordare che F = q E. Se nellunit
di tempo vengono portate I cariche da un punto allaltro, tra i quali esiste la differenza di potenziale V, si
compir, dunque, un lavoro per unit di tempo VI, cio
il resistore sar interessato da una potenza VI. Con le
posizioni fatte, chiaro a questo punto che il prodotto
VI, cio la potenza ai morsetti del resistore, risulter
positivo solo se stata scelta una convenzione dellutilizzatore per la coppia tensione-corrente. Per laltra

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convenzione tale prodotto, sempre nel caso del resistore, risulter negativo. Consideriamo infatti la convenzione a: per definizione V positivo se il punto indicato con il segno + a potenziale maggiore dellaltro. Ma
in tali condizioni il campo E far muovere le cariche
positive nel verso che va dal punto contrassegnato con
il + allaltro, e quindi I risulter positiva. Daltra parte,
come noto, lenergia associata alla potenza VI interessante un resistore, viene dissipata, o meglio trasformata in un altro tipo di energia: calore. Infatti per
un tempo dt si ha:
dW = P dt = VIdt = RI2 dt,
che , appunto, la ben nota legge di Joule. Appare quindi naturale parlare di energia e potenza assorbita ed
utilizzata dal bipolo resistore e definire convenzione
dellutilizzatore quella convenzione che fa s che tale
potenza risulti positiva. Se, dunque, su di un resistore
si fatta la convenzione dellutilizzatore, la potenza
assorbita risulter sempre positiva. vero anche lopposto: se si fa per un resistore la convenzione del generatore, la potenza, che converr a questo punto chiamare potenza generata, risulter sempre negativa.
La caratteristica di un bipolo, almeno di quelli che
intendiamo introdurre in questa prima fase, pu essere
utilmente rappresentata nel piano (I,V). Per un bipolo
resistore, tale rappresentazione , evidentemente, una
retta passante per l'origine degli assi. Si noti la diversa
rappresentazione a seconda della convenzione scelta.
Nel caso di una convenzione dell'utilizzatore, l'inclinazione della retta, rispetto all'asse delle correnti, tale
che tg = R.
Supponiamo ora di avere a disposizione pi bipoli ed
immaginiamo di collegarli tra di loro. Per far ci
abbiamo bisogno di elementi di connessione tra i morsetti, che negli schemi grafici rappresenteremo con dei

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tratti di linea che uniscono le scatole rappresentative


dei bipoli. Si suppone che tali elementi di connessione
non abbiano alcuna influenza sul sistema. Essi si limitano a portare la corrente senza introdurre alcuna
d.d.p. aggiuntiva. Nella pratica essi saranno realizzati
con conduttori ad elevata conducibilit, tipicamente in
rame.
Dati due soli bipoli, sono possibili soltanto due tipi di
collegamento e sono mostrati nelle immagini a lato. Il
primo collegamento prende il nome di collegamento in
parallelo ed il secondo di collegamento in serie. Se nel
primo caso consideriamo un nuovo bipolo i cui morsetti siano non quelli A, B del primo bipolo, n quelli
C, D del secondo, bens quelli indicati con E ed F, possiamo domandarci quale sar la caratteristica di questo
nuovo bipolo; o, con linguaggio specifico, quale la
caratteristica del bipolo equivalente che si ottiene collegando due bipoli in parallelo.
Evidentemente lelemento caratterizzante un collegamento in parallelo di due resistori aventi resistenza R1
ed R2, sta nel fatto che i due bipoli sono, per costruzione, soggetti alla stessa tensione V. Si potr dunque scrivere, avendo fatto la convenzione dellutilizzatore:
V = R1 I1 = R2 I2 .
Daltra parte la corrente I deve essere la somma delle
correnti I1 ed I2, per cui si ha:
I1 + I 2 = V + V = V 1 + 1 .
R1 R2
R1 R2

(I.2)

Il bipolo equivalente avr dunque una caratteristica


individuata dal parametro R eq :
Req = R1 R2 .
R1 + R2

(I.3)

interessante notare che la corrente in uno dei rami

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del partitore di corrente - questo il nome che viene


dato spesso alla disposizione in parallelo di due bipoli
- si ottiene facilmente, quando sia nota la corrente totale entrante nel parallelo, con la formula:
I1 = V = I R2 .
R1
R1 + R2

(I.4)

la cos detta formula del partitore di corrente.


Ragionamenti analoghi portano allindividuazione della
caratteristica del bipolo equivalente ad una serie di due
resistori. Questa volta lelemento caratterizzante il collegamento dato dal fatto che i due resistori sono attraversati dalla stessa corrente. Si avr dunque:
I = V1 = V2
R1 R2

(I.5) .

Daltra parte, per definizione, si ha che V=V1+V2 e


quindi:
V = R1 I + R2 I = I R1 + R2 = ReqI.

(I.6)

Ne segue che il bipolo equivalente ancora un resistore con resistenza pari ad Req = R1 + R2. In maniera analoga a quanto detto per la disposizione in parallelo
molto semplice ricavare la formula del partitore di ten sione:
V1 = R1 I = V R1 ,
(I.12)
R1 + R2
che fornisce la tensione ad uno dei bipoli in serie, quando sia nota la tensione totale sulla serie delle due resistenze.
Come gi notato, i collegamenti serie e parallelo sono
gli unici possibili quando si dispone di due soli bipoli.
Immaginiamo ora di poter disporre di pi bipoli resistori e di collegarli fra di loro in una maniera qualsiasi
attraverso i loro morsetti, come nell'esempio mostrato

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nelle immagini riportate a lato. Il sistema cos ottenuto


prende il nome di rete di bipoli e verr studiato in dettaglio nel seguito. Per ora vogliamo soltanto porci il
problema di determinare il bipolo equivalente della rete
vista da due sue morsetti. Se immaginiamo infatti di
scegliere due morsetti A e B della rete e assumiamo che
tali morsetti siano gli unici punti di comunicazione
della rete con l'esterno, la rete stessa ci apparir come
un unico bipolo. La caratteristica di un tale bipolo si
pu generalmente determinare, una volta nota quella
dei bipoli componenti, con un procedimento di riduzione successiva. Con riferimento all'esempio mostrato, infatti, evidente che i resistori R4 ed R5, essendo
attraversati dalla stessa corrente, sono tra di loro in
serie. Ad essi potr quindi essere sostituito un unico
bipolo equivalente di valore Re1, secondo quanto illustrato in precedenza. Nella rete cos ridotta, i bipoli R2
ed Re1 sono ora in parallelo e potranno quindi essere
sostituiti da un unico bipolo equivalente Re2. A questo
punto R3 ed Re2 sono in serie e quindi equivalenti ad un
bipolo di resistenza Re3. Infine i bipoli R1 ed Re3
appaiono ora in parallelo e quindi la resistenza vista dai
morsetti A e B pari a Re4 che - riepilogando - pu
essere scritta come:
R4 + R5 R3
+ R2 R1
R
+
R
+
R
3
4
5
Re4 =
.
R4 + R5 R3
R1 + R2 +
R3 + R4 + R5

(I.8)

Questo procedimento di riduzione successiva della rete


generalmente molto semplice e conduce alla immediata determinazione della caratteristica del bipolo
equivalente.
Val la pena per di sottolineare che la resistenza equivalente di una rete di resistori, vista da una coppia di
suoi morsetti, dipende dai morsetti prescelti. Nella

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stessa rete precedente, infatti, scegliendo un'altra coppia di morsetti si ottiene un risultato diverso, come illustrato dalla sequenza di immagini a fondo pagina che
ripercorre il procedimento descritto per la nuova scelta della coppia di morsetti.
Non bisogna per pensare che tutte le reti, per ogni
coppia di morsetti, siano riconducibili ad un unico
bipolo equivalente, utilizzando esclusivamente le formule della serie e del parallelo di due resistori. Un
esempio mostrato nella figura a sinistra; si tratta di
una tipica rete a ponte spesso utilizzata in dispositivi di
misura per le sue specifiche caratteristiche. La riduzione di una tale rete, per la coppia di morsetti indicata,
sar possibile utilizzando una trasformazione particolare che introdurremo in seguito.

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Esercizi
Siamo ora in grado di poter proporre qualche semplice
esercizio. Cogliamo l'occasione per sottolineare che la
parte esercitativa in questo corso determinante.
Come spesso accade in molti campi, non si pu affermare di aver realmente assimilato una teoria, in tutte le
sue implicazioni, se non si provato ad applicarla; e
spesso l'applicazione riserva inattese sorprese!
Alcuni problemi verranno proposti nel testo e la loro
soluzione sar illustrata pi avanti. Per altri problemi,
invece, si rimanda al testo di esercizi proposto: S.
Bobbio, L. De Menna, G. Miano, L. Verolino, Esercizi
di Elettrotecnica, vol. I, II, III e IV, ed. CUEN, Napoli,
1998.
Nel caso presente nelle figure vengono proposte tre reti
per le quali calcolare la resistenza equivalente ai morsetti indicati. Per la rete di cui al n.1 si chiede di calcolare anche il valore di R1 che rende RAB = R0. Si noti
che la rete contrassegnata con il numero 3) la successione di infinite celle tutte identiche tra di loro; la risoluzione di questo problema richiede un pizzico di intuizione.

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Altri bipoli
Come abbiamo visto, nel piano (I,V) la caratteristica
V=RI di un resistore una retta che passa per lorigine,
con inclinazione tg = R. Al variare di R, quindi, la
retta sar pi o meno inclinata sullasse delle I.
Si noti che il fatto che la potenza assorbita da un resistore in ogni caso positiva si riflette nel fatto che la
caratteristica dello stesso si trova sempre nel primo e
nel terzo quadrante del piano (I,V). Ci accade, naturalmente, se la convenzione scelta quella dellutilizzatore. Si pongono in evidenza immediatamente due casi

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speciali: il caso in cui langolo nullo e quello in cui


esso pari a 90. Nel primo caso si ha R = 0, ed il bipolo, per qualsiasi valore della corrente che lo attraversa,
presenta sempre una differenza di potenziale nulla ai
suoi morsetti. Un tale bipolo prende il nome di bipolo
corto circuito e pu essere in teoria realizzato con un
ideale conduttore perfetto. In un tale conduttore infat ti, caratterizzato da una resistivit nulla ( = ), per
qualsiasi valore della corrente si ha sempre una d.d.p.
ai morsetti nulla. Naturalmente un buon conduttore
reale pu al pi approssimare tale comportamento, e
lapprossimazione sar tanto migliore quanto pi
corto sar il tratto di conduttore: da ci il nome
corto circuito.
Laltro caso corrisponde a quello in cui = 0 ( = ).
In tale evenienza si ha, al contrario, che per qualsiasi
d.d.p. V ai morsetti la corrente che attraversa il bipolo
sempre nulla. Un tale bipolo si potrebbe realizzare
frapponendo tra i morsetti un perfetto non conduttore, cio un materiale isolante. Esso prende il nome di
bipolo circuito aperto o a vuoto. Le denominazioni di
corto circuito, circuito aperto o circuito a vuoto sono in
parte autoesplicative ed in parte saranno meglio chiarite in seguito.
Immaginiamo ora un bipolo del tutto diverso che sia
definito da questa condizione: pur avendo fatto su di
esso la convenzione dell'utilizzatore, la potenza risulta,
in alcune condizioni, negativa. Un tale bipolo non pu
certamente essere un resistore. Cerchiamo di capire
quale laspetto caratteristico che lo distingue da un
resistore. Nel resistore, come abbiamo visto, il moto
delle cariche positive va sempre dal punto a potenziale
maggiore a quello a potenziale minore, secondo il
campo che possiamo immaginare agire al suo interno.
questo che fa s che la potenza assorbita - convenzione dellutilizzatore dunque - sia sempre positiva. Nel
bipolo che stiamo immaginando deve accadere loppo-

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sto: le cariche devono andare dal punto a potenziale


minore a quello a potenziale maggiore, apparentemente contro il campo. Ne consegue che un tale bipolo, se
esiste, deve essere sede di fenomeni diversi da quelli fin
qui analizzati e - questo importante - deve mettere in
gioco anche fenomeni di natura diversa da quelli che
producono il campo. Ipotizziamo per ora lesistenza di
tale bipolo; vedremo in seguito quali possono essere le
sue pratiche realizzazioni, anche se lo studio approfondito di tali bipoli, che dora in poi chiameremo genera tori, travalica i limiti di un corso di Elettrotecnica.
Esaminiamo quali forme pu assumere la caratteristica
di un bipolo generatore. Se abbiamo scelto la convenzione dell'utilizzatore essa dovr almeno in parte svolgersi nel secondo e nel quarto quadrante: solo in tali
quadranti, infatti, il prodotto VI negativo. Se invece
scegliamo la convenzione del generatore, la caratteristica dovr, almeno in parte, svilupparsi, per le stesse
ragioni, nel primo o nel terzo quadrante. Il caso pi
semplice, ma ideale, che possiamo immaginare quello
in cui un tale bipolo presenta sempre la stessa d.d.p. ai
suoi morsetti, indipendentemente dalla corrente che lo
interessa, o che il bipolo eroga. Un tale generatore
prende il nome di generatore ideale di tensione o anche
di forza elettromotrice (f.e.m.).
Conveniamo di assumere la convenzione del generatore; in tale ipotesi il bipolo in esame funziona effettivamente come generatore (VI>0) solo per il tratto della
sua caratteristica che si trova nel primo quadrante. Nel
tratto che interessa il secondo quadrante, esso ha VI<0
e quindi si comporta come uno strano resistore o utilizzatore. Un elemento che certamente distingue tale
bipolo da un resistore normale sta nel fatto che, mentre
in un resistore normale la caratteristica passa sempre
per lorigine del piano (I,V) (questa propriet viene
detta inerzia del bipolo), nel bipolo generatore ideale
anche per I = 0 si ha una tensione ai morsetti diversa da
zero. Il simbolo generalmente utilizzato per tale gene-

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ratore rappresentato in figura. In realt tale simbolo


individua una pi
generale classe di
generatori di f.e.m.
che sono in grado
di fornire una
d.d.p. ai loro morsetti variabile nel
tempo e che introFig.I.2
durremo nel seguito. Per il generatore di tensione costante si usa spesso il
simbolo pi specifico mostrato in Fig.I.2 dove il tratto
pi lungo individua il morsetto positivo.
Un caso del tutto analogo, ma opposto, quello del
bipolo che per qualsiasi valore della tensione ai morsetti eroga sempre la stessa corrente I. naturale chiamare un tale bipolo generatore ideale di corrente. Il simbolo riservato per un tale generatore e la sua caratteristica sono mostrati in figura. Si noti il segno + accanto
ad uno dei morsetti o la freccia accanto al simbolo; per
il generatore di tensione esso sta ad indicare che la tensione E la differenza di potenziale tra il morsetto contrassegnato con il segno + e l'altro, mentre per il generatore di corrente la freccia indica il verso della corrente I fornita dal generatore stesso. I due generatori fin
qui mostrati fanno parte di una pi ampia classe di
bipoli che per ovvie ragioni si dicono attivi. Essi sono
anche generatori indipendenti in quanto la tensione o
la corrente, nei due casi, da essi erogata ai morsetti non
dipende da alcuna caratteristica del sistema in cui vengono inseriti. Introdurremo in seguito generatori che
non godono di tale propriet
Proviamo ora a prendere in considerazione anche per i
bipoli generatori i due tipi di collegamento, serie e
parallelo, che abbiamo esaminato nel caso dei bipoli
resistori. Nella immagine a lato sono mostrati quattro
diversi casi ottenuti combinando generatori ideali di

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corrente e di tensione. Per quanto riguarda i casi a) e b)


facile convincersi che il bipolo equivalente ancora
un generatore ideale, rispettivamente di tensione pari
ad E 1 + E2 , e di corrente pari a I1 + I2.
I casi c) e d) sono leggermente meno evidenti: per
comprendere la natura del bipolo equivalente rappresentato nel caso c), per esempio, basta considerare che,
per il modo in cui il collegamento realizzato, il generatore di tensione impone la sua tensione ai morsetti
del bipolo equivalente; se ne conclude che tale bipolo,
che in grado di erogare qualsiasi corrente mantenendo costante la sua tensione ai morsetti, ancora un
generatore ideale di tensione. Analogamente nel caso
d) avremo un generatore equivalente ideale di corrente.
Di proposito abbiamo lasciato da parte i due casi rappresentati nella successiva immagine. Tali collegamenti
danno luogo ad una contraddizione non eliminabile.
Infatti, consideriamo per esempio il caso b): i due generatori vorrebbero entrambi imporre la loro tensione ai
morsetti del generatore equivalente. Daltra parte tale
tensione non pu che essere unica. In sintesi si pu dire
che questo un caso in cui entrano in contraddizione
due idealit: quella dei generatori - appunto ideali -,
che presentano, in quanto tali, sempre la stessa tensione ai loro morsetti, e quella dei conduttori di collegamento che, essendo anche essi ideali, non possono produrre una caduta di tensione. un caso di contrasto
non raro quando in un modello vengono introdotti elementi ideali. Il caso a) si analizza in maniera analoga.
Allo scopo di approfondire meglio il problema, osserviamo che un generatore ideale di tensione o di corrente per definizione in grado di fornire ai suoi morsetti
una potenza infinita; la potenza fornita infatti pari al
prodotto della tensione per la corrente erogata e, quin-

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di, nei due casi considerati pu essere infinita se una


delle due grandezze pu andare allinfinito - la corrente per il generatore di tensione e la tensione per il generatore di corrente. Si pu facilmente immaginare che
nessun generatore reale potr mai essere in grado di
erogare una potenza infinita. La caratteristica di un
generatore reale dovr dunque essere sostanzialmente
diversa da quella di un generatore ideale; allaumentare della corrente erogata, la tensione ai morsetti non
potr rimanere costante, come, per esempio, nella
caratteristica mostrata in figura.
In una tale caratteristica possiamo individuare un valore della tensione a vuoto E0, presente ai morsetti del
generatore quando esso non eroga corrente, - ossia la
tensione che dovrebbe essere mantenuta dal generatore per qualsiasi valore di corrente, qualora fosse un
generatore ideale di tensione - e la corrente di corto circuito Icc, cio la corrente che il generatore fornisce
quando chiuso, appunto, in corto circuito.
Facciamo vedere che possibile costruire, con gli elementi che abbiamo a disposizione, un bipolo che, pur
essendo ancora ideale, approssima il comportamento
del generatore reale, almeno in un tratto della sua
caratteristica. Consideriamo, infatti, i possibili collegamenti serie-parallelo che si possono realizzare utilizzando un bipolo generatore ideale ed un bipolo resistore. lultimo caso che ci resta da esaminare; nelle
figure sono rappresentati le due configurazioni significative. Nella stesse figure sono rappresentate anche le
relative caratteristiche dei bipoli equivalenti; nel caso
del generatore ideale di tensione con in serie una resistenza, infatti, la tensione V ai morsetti del bipolo equivalente sar pari alla tensione E0 del generatore diminuita della tensione RI che cade sulla resistenza R:
V= E0 - RI,
(I.9)

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che appunto la caratteristica descritta nel diagramma


in figura. Come si vede, dunque, il bipolo equivalente
in questione ancora un bipolo attivo, ma la potenza
che esso in grado di fornire non pu pi essere illimitata. ancora dunque un bipolo ideale - nessun
generatore reale avr mai una caratteristica rappresentabile rigorosamente con una retta - ma il suo comportamento indubbiamente pi vicino a quello di un
generatore reale: potremmo chiamare un tale bipolo
generatore reale idealizzato. Nella figura in cui rappresentata la caratteristica di un possibile generatore
reale, indicata anche la retta che ne approssimerebbe,
almeno nel primo tratto, il comportamento con un
generatore reale idealizzato.
Per il caso del generatore di corrente con un resistore
in parallelo si possono fare analoghe considerazioni.
Fin qui abbiamo descritto bipoli la cui caratteristica
pu essere individuata da una relazione tra V ed I del
tipo V=aI+b. Tali bipoli prendono il nome di bipoli
normali. Se b=0, se cio il bipolo anche inerte, si parla
di bipolo lineare. Abbiamo gi visto invece che se la
caratteristica - avendo fatto la convenzione dell'utilizzatore - giace tutta nel primo e terzo quadrante, si parla
di bipoli passivi, mentre se essa ha tratti nei quadranti
adiacenti, per esempio primo e secondo, si dice che il
bipolo attivo. Questa definizione di passivit ed attivit del bipolo - che adeguata in regime stazionario,
altrimenti detto anche regime di corrente continua
(c.c.) - dovr essere opportunamente modificata quando introdurremo i bipoli in regime dinamico.
possibile per concepire anche bipoli la cui caratteristica sia non normale, e quindi anche non lineare.
Un esempio classico quello del bipolo diodo nella sua
forma reale ed idealizzata mostrate in figura. Ma si possono presentare anche altre tipologie di caratteristiche,
come quelle del bipolo diodo tunnel o del diodo a gas

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mostrate anche esse, qualitativamente, in figura. Tali


bipoli sono tutti passivi, nel senso precisato precedentemente. Si osservi che mentre per il diodo tunnel la
caratteristica I=I(V) una funzione ad un sol valore,
quella V=V(I) , in alcuni tratti, a pi valori. Per il
diodo a gas accade lopposto. Per questa propriet si
dice che il diodo tunnel controllato in tensione ed il
diodo a gas, invece, controllato in corrente.
Affrontiamo, infine, il caso della serie di un bipolo
generatore reale idealizzato e di un resistore. Se assumiamo le convenzioni indicate in figura, possiamo
immaginare di riportare entrambe le caratteristiche dei
due bipoli sullo stesso piano (I,V). Questa rappresentazione consente una soluzione grafica del problema
della determinazione della corrente e della tensione
comune ai due bipoli. Infatti, dovendo il punto caratterizzato dalle coordinate I e V - soluzioni del nostro
problema - necessariamente appartenere sia alla caratteristica del generatore che a quella del resistore, esso
non potr che essere il punto di intersezione tra le due
caratteristiche. Tale punto prende il nome di punto di
lavoro e la retta che rappresenta la caratteristica del
bipolo passivo R, detta retta di carico per il bipolo attivo ai cui morsetti tale carico appunto collegato. Si noti
che questo tipo di soluzione grafica applicabile anche
quando uno dei bipoli non lineare, o anche quando
entrambi non sono lineari, a condizione per che il
punto di intersezione tra le due caratteristiche sia
unico. In presenza di intersezioni multiple occorrer
avere un criterio, che esula dall'attuale modello, per
determinare quale dei diversi punti possibili sia quello
di lavoro effettivo.
Come noto i bipoli non lineari sono di estrema importanza nelle pratiche applicazioni. Naturalmente la loro
non linearit introduce notevoli difficolt nella soluzio-

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ne di problemi in cui essi sono coinvolti. Un artificio


che pu essere utilizzato quello di approssimare la
loro caratteristica con una opportuna spezzata. Si
parla di linearizzazione a tratti. Daltra parte tale artificio, se risolve alcuni aspetti del problema, introduce a
volte altre difficolt connesse con la presenza di punti
di discontinuit nella caratteristica. Lo studio delle reti
non lineari rappresenta un affascinante campo in cui
molto c' ancora da chiarire. Naturalmente la piena
complessit e variet di queste reti si manifesta soltanto quando si introduce la variabile temporale; ma questo un discorso che affronteremo nel seguito.
Esercizi
Nel primo degli esercizi proposti si richiede di determinare il valore di R per il quale la potenza dissipata
nel carico - il bipolo R, appunto - sia massima.
Evidentemente, al variare di R, la corrente erogata dal
generatore di tensione varia e con essa varier anche la
potenza dissipata in R. Per R=0 tale potenza nulla
perch nulla la tensione sul bipolo (bipolo corto circuito); analogamente per R=, la potenza ancora
nulla perch nulla la corrente che circola nel bipolo
(bipolo circuito aperto). Esister necessariamente
quindi un valore di R per il quale la potenza dissipata
assume un valore massimo. Si chiede di determinare
tale valore. Per inciso, quando la condizione di massimo trasferimento di potenza verificata, si dice che il
carico ed il generatore sono adattati in potenza.

Nel secondo problema proposto si chiede di determinare quale dovrebbe essere la suddivisione della corrente totale I entrante nel parallelo dei due resistori,
perch la potenza dissipata nel sistema nel suo com-

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plesso sia minima. Commenteremo pi avanti il risultato.


Nelle altre immagini sono illustrate le soluzioni di problemi proposti nelle pagine precedenti. I primi due non
richiedono particolari commenti: il valore di R1 che
rende la resistenza equivalente del bipolo uguale a
quella di carico R 0, dato in figura.

Per quanto riguarda il terzo esercizio, osserviamo che


la chiave per la sua soluzione sta nella osservazione che,
se la rete si ripete identicamente a se stessa all'infinito,
in qualsiasi punto della catena di celle identiche si
immagini di valutare la resistenza equivalente, si dovr
ritrovare lo stesso risultato. Questa considerazione giustifica lo schema equivalente mostrato in figura che
porta ad una equazione di secondo grado la cui incognita la risposta cercata. Inutile dire che, delle due
soluzioni possibili, quella negativa va scartata perch
fisicamente inconsistente: nei limiti dei bipoli finora
introdotti la resistenza non pu essere negativa!

Capitolo II

Le reti elettriche
Fino ad ora abbiamo immaginato di disporre di due
soli bipoli da collegare attraverso i loro morsetti; supponiamo ora, invece, di disporre di l bipoli e di collegarli tra di loro in una maniera qualsiasi. Quello che si
ottiene un circuito elettrico o anche rete elettrica (il
secondo termine a volte riservato ai circuiti di grande
estensione).
In generale sono note le caratteristiche dei singoli bipoli, quindi i legami tra tensioni ai morsetti e correnti circolanti - naturalmente una volta scelta una convenzione per i versi positivi di tensioni e correnti - mentre
invece non noto il particolare valore di corrente o di
tensione che effettivamente si stabilisce nella rete cos
fatta in ogni bipolo. Determinare tali valori significa
risolvere la rete. Le leggi da noi introdotte ci consentono di risolvere tale problema.
Per studiare in maniera sistematica i metodi di soluzione delle reti elettriche conviene premettere qualche
definizione. In primo luogo chiameremo lato o ramo
di una rete linsieme di quei bipoli che nella rete stessa
compaiono fra di loro collegati in serie. Come abbiamo
visto per i resistori, e vedremo in seguito per altri tipi
di bipoli, ad essi si potrebbe sostituire un unico bipolo

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equivalente. Chiameremo ancora nodo di una rete un


punto in cui convergono pi di due lati della rete stessa. Infine ogni insieme di lati della rete che forma un
anello chiuso prender il nome di maglia della rete.
Orbene, in base alle definizioni ora date ed a quella di
bipolo, facile vedere che per ogni rete possibile scrivere un certo numero di equazioni che legano tensioni
tra i nodi e correnti nei lati fra loro.

La prima legge di Kirchhof f


La prima legge di Kirchhoff o legge di Kirchhoff per le
correnti (LKC) afferma: in ogni nodo la somma alge brica delle correnti entranti (o uscenti) nel nodo iden ticamente nulla. Il termine algebrica sta a indicare
che ogni corrente va presa con il suo segno se il verso
positivo scelto sul ramo corrispondente effettivamente entrante nel nodo (o uscente se si scelto di effettuare la somma delle correnti uscenti dal nodo!), o con
il segno opposto nel caso contrario. In simboli:
I1 + I2 + I2 +.......+ I k = 0

(II.1)

Val la pena di osservare che la validit di tale legge


strettamente legata alla definizione di bipolo, e precisamente al fatto che ogni bipolo supposto interagire
con lesterno esclusivamente attraverso i suoi morsetti.
In pi, la conservazione della carica presupposta.
Infatti la somma algebrica delle correnti entranti nel
nodo rappresenta, per definizione di intensit della
corrente elettrica, la quantit di carica che nell'unit di
tempo viene globalmente portata nel nodo. In regime
stazionario, quando cio le correnti non variano nel
tempo, tale contributo, per unit di tempo, resta evidentemente costante. In queste condizioni se esso non

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fosse nullo, a condizione di attendere un tempo sufficientemente lungo, si potrebbe portare nel nodo in
questione una carica grande quanto si vuole. Ci evidentemente impossibile, non fosse altro per il fatto che
i portatori di carica sono dotati di massa non nulla e,
quindi, con la carica, crescerebbe indefinitivamente
anche la massa del nodo. In un regime dinamico, con
correnti che variano nel tempo, occorrer fare un
discorso pi articolato. Osserviamo infine che se n
sono i nodi presenti in una rete, le LKC ci forniscono n
relazioni lineari tra le varie correnti di lato della rete
stessa. Dimostreremo in seguito che di queste n equazioni una, scelta a caso, pu essere ottenuta come combinazione lineare delle altre n-1, che risultano invece
indipendenti.
La seconda legge di Kirchhof f
Consideriamo ora una maglia di una rete e supponiamo
di percorrerla - di andare cio da un lato al successivo
- in uno dei due possibili versi. La scelta di un verso su
di una maglia equivale, in termini specifici, alla sua
orientazione. Proviamo a sommare algebricamente le
tensioni su ogni lato della maglia cos come le incontriamo seguendo lorientazione prescelta. Anche qui
algebricamente sta a indicare che ogni tensione verr
presa con il proprio segno o con il segno opposto a
seconda che il verso prescelto per essa sul singolo lato
coincida o non con quello di orientazione della maglia.
Dato che la tensione su ogni ramo per definizione
lintegrale di linea del campo E lungo una linea che
collega i due morsetti del bipolo inserito nel ramo, ed
in virt della scelta di sommare algebricamente tali
tensioni lungo la maglia, tale somma verr a coincidere
con l'integrale di E lungo una linea chiusa. In regime
stazionario tale circuitazione deve essere nulla e tale
sar dunque la somma delle tensioni lungo la maglia.

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V12 +V23 + V 34 +V45 +...........+Vk1 = 0

(II.2)

Ne discende dunque la seguente seconda legge di


Kirchhoff o legge di Kirchhoff per le tensioni (LKT) :
in una maglia la somma delle tensioni di lato, prese con
il proprio segno o con il segno opposto a seconda che il
loro verso coincida o non con un verso di orientazione
della maglia in precedenza scelto, identicamente nulla.
Possiamo verificare la validit della legge precedentemente enunciata ragionando anche in un altro modo: in
regime stazionario ogni tensione in realt una differenza di potenziale e potr essere messa sotto la forma
Vr - Vs, dove con Vr e Vs si sono indicati i potenziali nei
nodi, rispettivamente, r ed s. La somma di cui sopra
avr dunque laspetto seguente:
V1 - V2 + V2 -V3 + V3 - V4 + ........ + V k - V1 ,
ed , evidentemente, identicamente nulla perch ogni
potenziale di nodo compare due volte e con segno
opposto. Osserviamo quindi che la validit della LKT
pu essere anche fatta discendere dalla semplice definizione di bipolo, in particolare dal fatto che per un
bipolo si pu, per definizione parlare di una tensione ai
suoi morsetti indipendente dal percorso, cio di una
differenza di potenziale. Osserviamo infine che la LKT
impone legami lineari tra le tensioni di lato.
Per una rete di l lati non in generale possibile dire,
senza specificare meglio la rete, quante sono le maglie
chiuse che in essa si possono formare. E ci evidente
se si pensa che alcuni nodi possono non essere collegati tra di loro direttamente. Anche in questo caso vedremo per che solo un sottoinsieme di tutte le equazioni
che si possono scrivere alle maglie in realt costituito
da equazioni linearmente indipendenti: per la preci-

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sione un numero di l -(n - 1) equazioni. Vedremo in


seguito come le equazioni scritte in base alla LKC ed
alla LKT ci consentono di risolvere una qualsiasi rete,
nel senso specificato in precedenza.
Il grafo di una rete e le equazioni indipendenti
Per studiare una rete possiamo per il momento prescindere dalla natura dei vari bipoli che ne costituiscono i diversi rami, e focalizzare la nostra attenzione sulla
struttura della rete stessa, cio sul modo in cui i bipoli
sono collegati tra loro. Una tale struttura, che per la
rete in esame mostrata nelle immagini a lato, prende
il nome di grafo della rete.
In un grafo possiamo individuare rami e nodi, i punti
cio in cui convergono pi di due rami. Se poi orientiamo ogni ramo del grafo, scegliendo uno dei due versi
possibili su ogni ramo, diremo che il grafo orientato.
Chiameremo albero di una rete un insieme di rami che
unisce fra di loro tutti i nodi della rete senza formare
maglie chiuse. Ovviamente esistono in generale pi
alberi per una rete avente un determinato grafo. Il
complemento di un dato albero a tutta la rete, cio linsieme dei rami che restano esclusi dallalbero, prende il
nome di coalbero della rete. Nelle immagini sono indicati con tratto pi grosso due possibili alberi per la rete
che stiamo esaminando.
Sfruttando queste definizioni possibile ricavare in
maniera molto semplice alcune propriet generali di un
grafo. Per un grafo orientato, infatti, possiamo scrivere
n equazioni ai nodi, se n sono i nodi, che derivano dallapplicazione della LKC ad ogni singolo nodo.
Supponiamo di scrivere tali equazioni nella forma che
esse assumono quando si sceglie di imporre lannullamento della somma delle correnti entranti; naturalmente possibile anche la scelta opposta, ma, per il

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ragionamento che vogliamo sviluppare, essenziale che


si convenga di fare la stessa scelta per ogni nodo. In
queste condizioni nel sistema di equazioni cos ottenuto ogni corrente comparir una volta con il segno
meno in una equazione ed una volta con il segno
pi in unaltra equazione, dato che ogni ramo collega due nodi ed uno stesso orientamento risulter
entrante per luno e uscente per laltro. Se, a questo
punto, sommiamo tutti i primi membri delle equazioni
del sistema abbiamo una espressione algebrica che, per
costruzione, identicamente nulla. La stessa cosa accade per la somma dei secondi membri. Il fatto che dal
nostro sistema di equazioni, sommando membro a
membro tutte le equazioni, si ottiene una identit, ci
dice che in realt almeno una delle equazioni presa a
caso potrebbe essere ottenuta con una opportuna combinazione lineare delle altre n-1. Le n equazioni, dunque, non sono tra di loro indipendenti, il che significa,
in termini fisici, che linformazione contenuta in una
delle equazioni gi contenuta nelle altre: essa in
realt ridondante.
Siamo portati a dire, dunque, che la LKC consente, per
una rete con n nodi, di scrivere al pi n-1 equazioni
indipendenti tra di loro. possibile affermare anche
che almeno n -1 sono indipendenti. Infatti immaginiamo di scegliere un albero della rete che abbia la caratteristica di non avere pi di due rami che confluiscono
in ogni singolo nodo, cos come mostrato, per esempio, nelle immagini; esso sar costituito per definizione
da n -1 rami.
Supponiamo di numerare i nodi del grafo in ordine
progressivo cos come essi vengono incontrati percorrendo lalbero prescelto. Per ognuno dei primi n -1
nodi scriviamo le equazioni che esprimono la LKC.
Numeriamo anche i rami, magari con numeri romani
per non creare confusione, cos come vengono incon-

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trati percorrendo lalbero della rete. Si avr dunque che


il ramo I dellalbero congiunger i nodi 1 e 2, il ramo II
i nodi 2 e 3 e cos via. Nella figura sono mostrati anche,
con tratto pi sottile, i rami del coalbero. Orbene dalla
equazione che esprime la LKC al primo nodo possiamo
ricavare lincognita iI in funzione delle correnti in altri
rami non appartenenti allalbero, cio del coalbero.
Nella equazione relativa al secondo nodo compariranno le correnti iI ed iII, ma utilizzando la prima equazione si potr ottenere una equazione in cui iII comparir
in funzione di tutte correnti del coalbero. Loperazione
pu essere evidentemente ripetuta per tutte le n-1 correnti dei rami dellalbero. A questo punto abbiamo
ottenuto un sistema di equazioni, derivato dal precedente, nel quale in ogni equazione compare in esclusiva una corrente di un ramo dellalbero. Pertanto tale
sistema deve essere necessariamente costituito da equazioni tutte indipendenti tra loro.
Abbiamo, dunque mostrato che la LKC consente di
scrivere n -1 equazioni indipendenti per le correnti
della rete. Dimostreremo ora che le LKT consentono
invece di scrivere l - (n - 1) equazioni indipendenti tra
le tensioni di lato (l il numero complessivo di rami del
grafo). Infatti osserviamo in primo luogo che i rami
del coalbero sono pari ad l -(n - 1) per definizione.
Costruiamo, poi, un sistema di l - (n - 1) maglie chiuse
aggiungendo, di volta in volta, ai rami dell'albero uno
ramo, ed uno solo, del coalbero. Che questa operazione porti alla costruzione di maglie chiuse discende in
maniera evidente dalla definizione di albero. Esso,
infatti, congiunge tutti i nodi della rete. Laggiunta di
un altro ramo, che collega due nodi a caso, dovr
necessariamente chiudere una maglia - eventualmente
con qualche appendice che converremo di non prendere in considerazione. Orbene le equazioni che si

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ottengono dalla LKT per tali maglie sono necessariamente indipendenti, in quanto in ognuna di esse comparir una incognita in esclusiva: quella del particolare
ramo del coalbero che ha contribuito a formare la
maglia.
In conclusione, dunque, la LKT ci consente di scriver e
un numero di l - (n - 1) relazioni lineari tra le tensioni
sui rami della rete. Nel complesso, dunque, attraverso
lapplicazione della LKC e della LKT si possono scrivere l relazioni lineari indipendenti tra le l correnti di
lato e le l tensioni di lato. Daltra parte le caratteristiche
dei bipoli ci forniscono ancora l relazioni - questa volta
non necessariamente lineari - tra le tensioni e le correnti, per cui nel complesso avremo 2l equazioni in 2l
incognite. Se la rete costituita da generatori indipendenti e da bipoli con caratteristiche lineari, allora le 2l
equazioni sono anchesse tutte lineari. In tal caso,
essendo esse anche indipendenti, come abbiamo
mostrato, forniscono certamente una ed una sola soluzione del problema: la conoscenza di tutte le tensioni
sui rami e di tutte le correnti nei rami. Il problema di
come si arrivi a trovare tale soluzione a questo punto
di puro carattere matematico risolvibile con diversi
metodi: dal semplice metodo di sostituzione, molto
conveniente quando il numero di equazioni ridotto,
al pi complesso, ma ancora di semplice applicazione,
metodo detto di Cramer che utilizza concetti studiati
nella teoria dei sistemi di equazioni algebriche lineari.
Se invece le caratteristiche dei bipoli non sono tutte
lineari, allora il problema di trovare una soluzione
diventa pi delicato; pu accadere, per esempio, che
esista pi di una soluzione, se sono presenti bipoli con
caratteristiche a pi valori. In generale la presenza di
bipoli non lineari rende difficile una trattazione generale ed ogni caso va studiato nei suoi aspetti particolari.

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Equazioni nelle incognite cor renti


Limitiamoci per ora ai bipoli lineari e osserviamo che,
in generale, non necessario trattare lintero sistema di
2l equazioni di cui si parlava in precedenza; una semplice sostituzione delle relazioni caratteristiche dei
bipoli nelle equazioni ottenute applicando la LKC e la
LKT, ci conduce immediatamente ad un sistema di l
equazioni in l incognite, siano esse le correnti nei rami
o le tensioni sui rami. La scelta delle incognite in questo caso del tutto equivalente.
Un esempio a questo punto chiarir pi di molte parole: prendiamo in considerazione una rete particolare e
mostriamo tutte le fasi della sua risoluzione, riducendo il commento al minimo necessario.
Nelle immagini a lato sono rappresentati il circuito, il
suo grafo orientato (formato da 10 lati), i nodi ( sei nel
caso particolare), un possibile albero, il relativo coalbero e le cinque maglie che da esso possono essere generate.
Infine, le equazioni ai nodi (si scelto di non utilizzare
lequazione al nodo F):
nodo A)

I + I1 + I4 = 0,

nodo B)

I1 + I2 + I3 = 0,

nodo C)

I2 + I5 - I8 = 0,

nodo D)

I3 - I4 + I7 + I8 = 0,

nodo E)

I5 + I6 + I0 = 0,

e le equazioni alle maglie:

(II.3)

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maglia I)

R1I1 - R3I3 - R4I4 = 0,

maglia II)

R2I2 - R3I3 + R8I8 = 0,

maglia III)

R5I5 - R 6I6 - R7I7 + R8I8 = 0,

maglia IV)

R4I4 + R 7I7 - RI - E0 = 0,

maglia V)

R6I6 + V0 = 0.

(II.4)

Notiamo subito che lequazione alla maglia V si limita


a fornirci il valore della tensione V0 ai capi del generatore di corrente una volta nota la corrente I6; essa
aumenta di uno il numero di equazioni ma contemporaneamente aggiunge una nuova incognita, V0. Infatti,
se non si interessati a conoscere il valore di tale tensione, la maglia V pu essere completamente ignorata,
come se il circuito fosse effettivamente costituito da 9
lati e non da 10; ci naturalmente dipende dalla presenza in un ramo di un solo generatore ideale di corrente. Il circuito in esame, infatti, potrebbe anche essere ridisegnato alla maniera mostrata nella immagine a
lato.
Il sistema di equazioni formato dalle II.3 e II.4 (escluso lultima) costituisce il sistema di 9 equazioni in 9
incognite che ci consente di risolvere la rete.
Per essere ancora pi espliciti, sviluppiamo fino al
risultato numerico un caso pi semplice (minor numero di equazioni). Le immagini che seguono descrivono
il circuito (con i valori assegnati), il procedimento ed i
risultati in maniera esauriente.

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Esercizi
A lato sono proposti alcuni circuiti da risolvere scrivendo le equazioni che esprimono la validit delle leggi
di Kirchhoff ai nodi ed alle maglie. Le soluzioni saranno discusse in seguito. Infine forniamo la soluzione di
problemi proposti in precedenza.
La condizione di massimo trasferimento di potenza,
per il problema gi posto in un precedente paragrafo,
si determina agevolmente una volta espressa la potenza
dissipata nel resistore in funzione della sua resistenza:
P=R

E2
.
R + R0 2

(II.5)

Luciano De Menna

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Corso di Elettrotecnica

Derivando, infatti, rispetto ad R tale espressione si


ottiene facilmente la condizione di stazionariet:
R = R0 .
(II.6)
Che si tratti poi di un massimo di facile verifica.
Si noti che, nelle condizioni di massimo trasferimento
di potenza, met della potenza viene dissipata nella
resistenza di carico e l'altra met nella resistenza inter na del generatore. questo lo scotto che bisogna pagare per ottenere l'adattamento in potenza tra generatore
e carico: un rendimento, inteso come rapporto tra la
potenza utilizzata e quella generata, di appena 0,5.
Il successivo problema chiedeva di calcolare la ripartizione delle correnti in un parallelo di due resistori
imponendo che la potenza dissipata nel circuito sia
minima, con il vincolo che la somma delle due correnti si mantenga fissata ad un assegnato valore I. In altri
termini si utilizza la LKC ai nodi ma non si utilizza la
LKT alle maglie. Vediamo il risultato per poi commentarlo. La potenza dissipata nel circuito :
2

P = R 1 I1 + R 2 I2 = R 1 I1 + R 2 I - I 1 .

(II.7)

Si naturalmente fatto uso della condizione I1+I2 = I.


Derivando rispetto ad I1, per determinare la condizione di stazionariet, si ottiene:
2R1 I1 - 2R2 I - I1 = 0,
o anche
I1 = R2 I,
R1 + R2
che la stessa relazione che si sarebbe ottenuta applicando la LKT all'unica maglia presente. In definitiva la
configurazione di equilibrio per le correnti che si stabilisce nel circuito quella che assicura la minima dissipazione di potenza, e questo un risultato molto significativo dal punta di vista fisico.

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Equazioni nelle incognite cor renti


Limitiamoci per ora ai bipoli lineari e osserviamo che,
in generale, non necessario trattare lintero sistema di
2l equazioni di cui si parlava in precedenza; una semplice sostituzione delle relazioni caratteristiche dei
bipoli nelle equazioni ottenute applicando la LKC e la
LKT, ci conduce immediatamente ad un sistema di l
equazioni in l incognite, siano esse le correnti nei rami
o le tensioni sui rami. La scelta delle incognite in questo caso del tutto equivalente.
Un esempio a questo punto chiarir pi di molte parole: prendiamo in considerazione una rete particolare e
mostriamo tutte le fasi della sua risoluzione, riducendo il commento al minimo necessario.
Nelle immagini a lato sono rappresentati il circuito, il
suo grafo orientato (formato da 10 lati), i nodi ( sei nel
caso particolare), un possibile albero, il relativo coalbero e le cinque maglie che da esso possono essere gene rate.
Infine, le equazioni ai nodi (si scelto di non utilizzare
lequazione al nodo F):
nodo A)

I + I1 + I 4 = 0,

nodo B)

I1 + I2 + I 3 = 0,

nodo C)

I2 + I 5 - I8 = 0,

nodo D)

I3 - I4 + I 7 + I8 = 0,

nodo E)

I5 + I 6 + I0 = 0,

e le equazioni alle maglie:

(II.3)

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maglia I)

R1I1 - R 3I3 - R4I4 = 0,

maglia II)

R2I2 - R 3I3 + R8I8 = 0,

maglia III)

R5I5 - R6I6 - R7I7 + R8I8 = 0,

maglia IV)

R4I4 + R 7I7 - RI - E0 = 0,

maglia V)

R6I6 + V 0 = 0.

(II.4)

Notiamo subito che lequazione alla maglia V si limita


a fornirci il valore della tensione V0 ai capi del generatore di corrente una volta nota la corrente I6; essa
aumenta di uno il numero di equazioni ma contemporaneamente aggiunge una nuova incognita, V0. Infatti,
se non si interessati a conoscere il valore di tale tensione, la maglia V pu essere completamente ignorata,
come se il circuito fosse effettivamente costituito da 9
lati e non da 10; ci naturalmente dipende dalla presenza in un ramo di un solo generatore ideale di corrente. Il circuito in esame, infatti, potrebbe anche essere ridisegnato alla maniera mostrata nella immagine a
lato.
Il sistema di equazioni formato dalle II.3 e II.4 (escluso lultima) costituisce il sistema di 9 equazioni in 9
incognite che ci consente di risolvere la rete.
Per essere ancora pi espliciti, sviluppiamo fino al
risultato numerico un caso pi semplice (minor numero di equazioni). Le immagini che seguono descrivono
il circuito (con i valori assegnati), il procedimento ed i
risultati in maniera esauriente.

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Esercizi
A lato sono proposti alcuni circuiti da risolvere scrivendo le equazioni che esprimono la validit delle leggi
di Kirchhoff ai nodi ed alle maglie. Le soluzioni saranno discusse in seguito. Infine forniamo la soluzione di
problemi proposti in precedenza.
La condizione di massimo trasferimento di potenza,
per il problema gi posto in un precedente paragrafo,
si determina agevolmente una volta espressa la potenza
dissipata nel resistore in funzione della sua resistenza:
P=R

E2
.
R + R0 2

(II.5)

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Derivando, infatti, rispetto ad R tale espressione si


ottiene facilmente la condizione di stazionariet:
R = R0 .
(II.6)
Che si tratti poi di un massimo di facile verifica.
Si noti che, nelle condizioni di massimo trasferimento
di potenza, met della potenza viene dissipata nella
resistenza di carico e l'altra met nella resistenza inter na del generatore. questo lo scotto che bisogna pagare per ottenere l'adattamento in potenza tra generatore
e carico: un rendimento, inteso come rapporto tra la
potenza utilizzata e quella generata, di appena 0,5.
Il successivo problema chiedeva di calcolare la ripartizione delle correnti in un parallelo di due resistori
imponendo che la potenza dissipata nel circuito sia
minima, con il vincolo che la somma delle due correnti si mantenga fissata ad un assegnato valore I. In altri
termini si utilizza la LKC ai nodi ma non si utilizza la
LKT alle maglie. Vediamo il risultato per poi commentarlo. La potenza dissipata nel circuito :
2

P = R 1 I1 + R 2 I2 = R 1 I1 + R 2 I - I 1 .

(II.7)

Si naturalmente fatto uso della condizione I1+I2 = I.


Derivando rispetto ad I1, per determinare la condizione di stazionariet, si ottiene:
2R1 I1 - 2R2 I - I1 = 0,
o anche
I1 = R2 I,
R1 + R2
che la stessa relazione che si sarebbe ottenuta applicando la LKT all'unica maglia presente. In definitiva la
configurazione di equilibrio per le correnti che si stabilisce nel circuito quella che assicura la minima dissipazione di potenza, e questo un risultato molto significativo dal punta di vista fisico.

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Metodo dei potenziali ai nodi


Esiste un modo per ridurre ulteriormente il numero
delle incognite. Esso consiste nello scegliere, come
incognite del problema, invece delle tensioni sui lati o
delle correnti nei rami, i potenziali relativi ai nodi della
rete. A tale scopo, possiamo porre ogni tensione di lato
nella forma V r-Vs, dove V r e Vs sono, evidentemente, i
potenziali dei nodi r ed s rispetto ad un riferimento
che, come noto, arbitrario. Se in particolare scegliamo come riferimento per i potenziali quello assunto da
uno dei nodi, che per comodit poniamo a potenziale
zero, ci ritroveremo con n -1 incognite Vi, potenziali
assunti dai restanti nodi della rete. Il nodo con potenziale nullo viene detto nodo di riferimento o nodo a
terra - terminologia che ricorda il fatto che in un circuito in generale conveniente collegare un punto
dello stesso ad un corpo il cui potenziale sia eguale a
quello delloperatore e possa ritenersi stabile, e ci sia
per ragioni di sicurezza degli operatori, sia per evitare
che gli effetti esterni al circuito stesso possano rendere
fluttuanti, entro certi limiti, i potenziali dei nodi.
Entrambi questi fenomeni, per essere compresi a
pieno, richiedono lanalisi della struttura dei campi
coinvolti.
Il sistema di n - 1 equazione nelle n - 1 incognite (i
potenziali ai nodi) che ci occorre per risolvere la rete, si
pu facilmente ottenere scrivendo le equazioni dettate
dalla LKC ad n - 1 nodi esprimendo per, attraverso le
relazioni caratteristiche, le correnti nei singoli rami
mediante le differenze di potenziale Vi - Vj.
Osserviamo che per le incognite V i non occorre scrivere le equazioni che esprimono la LKT; esse infatti, per
definizione, le soddisfano, trattandosi, appunto, di
potenziali.
Lautomatica riduzione delle equazioni rende pertanto

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conveniente la scelta dei potenziali ai nodi come incognite. Naturalmente la conoscenza dei potenziali in
ogni nodo equivale ad aver risolto la rete. Infatti, la differenza dei due potenziali relativi ad un determinato
ramo fornisce la tensione sul lato, e da questa, mediante la caratteristica del lato, si pu risalire alla corrente
che lo interessa. Per chiarire meglio il metodo, proviamo a scrivere le relative equazioni per il circuito gi
precedentemente analizzato, avendo scelto come
potenziale di riferimento quello del nodo D (VD = 0)
In primo luogo le caratteristiche dei singoli rami:
ramo 1)

VA - VB = R1 I1 ,

ramo 2)

VC - VB = R2 I2 ,

ramo 3)

VD - VB = - VB = R3 I3 ,

ramo 4)

VA - VD = VA = R4 I4 ,

ramo 5)

VC - VE = R5 I5 ,

ramo 6)

VF - VE = R6 I6 ,

ramo 7)

VD - VF = - VF = R7 I7 ,

ramo 8)

VD - VC = - VC = R8 I8 ,

ramo di E0 )

VA - VF - E0 = RI.

Quindi, ricavandole dalle equazioni precedenti, le correnti in funzione delle differenze di potenziale:

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I1 = VA - VB ,
R1
I2 = VC - VB ,
R2
I3 = - VB ,
R3
I4 = VA ,
R4
I5 = VC - VE ,
R5
I6 = VF - VE ,
R6
I7 = - VF ,
R7
I8 = - VC ,
R8
I = VA - VF - E0 .
R
Ed infine, le equazioni ai nodi scritte in termini delle
differenze di potenziale:
nodo A) VA - VF - E0 + VA - VB + VA = 0,
R
R1
R4
nodo B) VA - VB + VC - VB + - VB = 0,
R1
R2
R3
nodo C) VC - VB + VC - VE - - VC = 0,
R2
R5
R8
nodo D) - VB - VA + - VF + - VC = 0,
R3 R4
R7
R8
nodo E) VC - VE + VF - VE + I0 = 0.
R5
R6
Il sistema cos ottenuto, di 5 equazioni nelle 5 incognite potenziali dei nodi rispetto al nodo D, consente di
risolvere la rete. Si noti che, mentre abbiamo scelto di
non scrivere l'equazione per il nodo F, come potenzia-

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le di riferimento stato scelto quello del nodo D; le due


scelte sono infatti indipendenti. Un po di pratica metter in condizione di scrivere queste equazioni direttamente senza passare per lespressione esplicita delle
correnti di ramo in funzione dei potenziali di nodo.
Metodo delle cor renti di maglia (o di Maxwell)
Come abbiamo visto la caratteristica che rende le incognite potenziali ai nodi cos convenienti, sta nel fatto
che tali incognite soddisfano automaticamente la LKT
alle maglie; occorre quindi solo imporre che soddisfino
la LKC. possibile fare una scelta analoga per le correnti. Si tratta di scegliere un sistema di correnti (l - (n
- 1) in particolare) che soddisfi automaticamente la
LKC ai nodi e che richieda quindi soltanto la scrittura
della LKT alle maglie. Per costruire un tale sistema
consideriamo un insieme di maglie indipendenti della
rete in esame: un sistema di maglie chiuse, cio, le cui
equazioni ottenute attraverso lapplicazione della LKT
siano indipendenti tra di loro. Abbiamo gi visto che
attraverso la scelta di un albero facile individuare un
sistema di tale tipo. Associamo ora ad ogni maglia una
corrente di maglia ed esprimiamo la corrente in ogni
lato come la somma o differenza di correnti di maglia di cui il lato in questione rappresenta la parte in comune - a seconda dei versi scelti per le correnti di maglia.
Un semplice esempio, ancora una volta, sar chiarificatore.
Nelle immagini sono mostrate, per la rete gi considerata, le maglie indipendenti scelte e le relative correnti
di maglia: per esempio, con questo formalismo, la corrente nel ramo 3 sar espressa come differenza tra la
corrente di maglia III e la corrente di maglia II (il segno
meno dovuto alla scelta fatta per i versi delle correnti di maglia); la corrente nel ramo 1, invece, coincider

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con la corrente di maglia II. Tutte le correnti nei rami


saranno esprimibili in tale modo. Infatti, se il nostro
insieme di maglie stato costruito aggiungendo ai rami
dellalbero di volta in volta un ramo del coalbero, in
ogni maglia esister almeno un ramo in esclusiva, quello appunto del coalbero; per un tale ramo, corrente di
ramo e corrente di maglia dovranno necessariamente
coincidere - al pi possono essere opposte se si scelto
un verso per la corrente di maglia che non coincide nel
ramo con quello scelto per il ramo stesso. La corrente
in ogni altro ramo, essendo tale ramo necessariamente
in comune con unaltra maglia, si potr porre come
somma o differenza di correnti di maglia.
Abbiamo in pratica dimostrato lassunto perch abbiamo trovato l - (n - 1) incognite - una per ogni maglia attraverso le quali possibile esprimere tutte le l correnti di ramo. Orbene tali incognite correnti di maglia
godono, per costruzione, della propriet di soddisfare
la LKC ai nodi. Infatti in ogni nodo una corrente di
maglia entra ed esce e quindi le LKC ai nodi, scritte in
termini di correnti di maglia, si riconducono a pure
identit. Per tali incognite occorrer scrivere esclusivamente la LKT alle maglie. Le immagini possono aiutare a comprendere quanto detto: si guardi quella in cui,
a scopo esplicativo, le maglie sono state fisicamente
separate ed in ognuna di esse segnato il verso della
corrente di maglia in ogni ramo.
Descriviamo a questo punto in dettaglio tutti i passi del
procedimento. In primo luogo, le correnti nei rami in
funzione delle correnti di maglia:

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I1 = I I ,
I2 = - III ,
I3 = III - II ,
I4 = IIII - II ,
I5 = IIV ,
I6 = - IIV - IV ,
I7 = - IIV + IIII ,
I8 = IIV - III ,
I = - IIII ,
I0 = I V .
Successivamente, le equazioni alle maglie in termini
delle correnti di maglia:
I) R1 II - R3 III - II - R4 IIII - II = 0,
II) R2 III - R3 III - II - R8 IIV - III = 0,
III) R4 IIII - II - R7 - IIV + IIII - RI - E0 = 0,
IV) R5 IIV+R6 IIV +IV - R7 -IIV +III +R8 IIV -III = 0,
V) - R6 IIV + IV + V0 = 0.
Anche in questo caso la pratica metter in condizione
di scrivere direttamente tali equazioni senza passare
attraverso lespressione esplicita delle correnti di ramo
in funzione di quelle di maglia; in ogni caso il metodo
che abbiamo seguito nellesempio, e cio di scrivere
prima le equazioni della LKT in termini delle correnti
di ramo e poi sostituire ad ognuna di esse la sua espressione in termini di correnti di maglia, sempre applicabile. Si osservi che, nel caso illustrato, la quinta equazione introduce una nuova incognita; la tensione ai
morsetti del generatore. Infatti la corrente di maglia IV
coincide con la corrente erogata dal generatore di corrente ed quindi nota. Da questo punto di vista il cir-

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cuito avrebbe potuto essere riguardato come un circuito a quattro maglie indipendenti, segnalando soltanto i nodi di ingresso e di uscita della corrente del generatore con delle opportune frecce. La quinta maglia,
per, anche se non esplicitamente disegnata, fa sentire
la sua presenza: infatti essendo il ramo 10, per il nostro
sistema di maglie indipendenti, il ramo di chiusura
della quinta maglia, la corrente I0, che coincide con I10,
circoler in tale ramo. Una scelta diversa di maglie indipendenti avrebbe portato ad un altro percorso per la
corrente del generatore, e quindi a diverse equazioni,
cos come illustrato nelle immagini a lato. Queste
considerazioni giustificano l'apparente stranezza della
seguente affermazione:
In presenza di generatori di corrente in una rete per la
quale si intende applicare il metodo delle correnti di
maglia, si pu scegliere ad arbitrio il percorso della cor rente del generatore tra il nodo di ingresso e quello di
uscita.
chiaro ora che l'arbitrariet riguarda, in effetti, la
scelta del sistema di maglie indipendenti.
Abbiamo, dunque, visto come sia possibile scrivere in
diversi modi un sistema di equazioni che consenta di
risolvere una rete. In seguito vedremo ancora altri
metodi, pi formali, che consentono addirittura di rendere automatica tale scrittura; il che molto conveniente in modo particolare per la realizzazione di codici numerici per la soluzione delle reti.
Esercizi
Ancora un p di spazio agli esercizi. Per la reti mostrate nelle immagini, gi proposte in precedenza, diamo
come risultato, per una verifica, il valore della corrente
nel ramo 3, I3=2,14A, e di quella nel ramo 7, I7=1,2A,

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rispettivamente. Si possono ottenere gli stessi risultati


affrontando le stesse reti con il metodo dei potenziali ai
nodi o con quello delle correnti di maglia.

Capitolo III

Il teorema di Tellegen
Continuando lesame generale di una rete dal punto di
vista del suo grafo, vogliamo illustrare ora una notevole propriet caratteristica delle reti di bipoli: la propriet descritta dal teorema che va sotto il nome di
Teorema di Tellegen. Consideriamo due reti che abbiano lo stesso grafo, cio due reti in cui bipoli diversi
sono collegati alla stessa maniera tra di loro.
Consideriamo per la prima rete un sistema di tensioni
Vk sui rami che soddisfi la LKT e per la seconda rete
un sistema di correnti I *k che soddisfi la LKC. Con Vk
intendiamo la tensione positiva nel nodo in cui entra la
corrente I*k positiva - convenzione dellutilizzatore per
ogni ramo della rete! Per ogni ramo del grafo consideriamo il prodotto Vk I*k e sommiamo tali prodotti per
tutti i rami della rete:

VkI*k

(III.1)

Il teorema di Tellegen afferma che tale sommatoria


identicamente nulla.
C qualche difficolt ad esprimere, in generale, questa
sommatoria in termini dei nodi r ed s perch non sappiamo a priori quali rami, tra due nodi (r,s), effettiva-

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mente sono presenti nella rete; in un grafo, infatti, non


tutti i nodi sono direttamente collegati tra loro.
Possiamo, per, facilmente superare lostacolo aggiungendo al grafo i rami di collegamento che mancano tra
i nodi, assumendo per che nelle due reti particolari
considerate tali rami aggiunti siano in realt dei bipoli a vuoto. chiaro che una tale modifica non cambia
in nulla la rete, n modifica la sommatoria di cui sopra,
in quanto per tali rami sar I*rs=0. A questo punto la
sommatoria pu essere estesa a tutti i valori possibili di
r e di s, e si ottiene:
Vrs I*rs
(III.2)
VkI*k = 12
r,s
k
Il fattore un mezzo necessario, altrimenti ogni ramo
preso due volte in considerazione; per esempio il ramo
tra i nodi 1 e 2 sar incluso per r=1 ed s=2 nonch per
s=1 ed r=2!
Se le Vrs soddisfano la LKT sar possibile metterle
sotto la forma di differenza di potenziale Vrs = V r - V s
ottenendo:
Vrs I*rs = VrI*rs - Vs I*rs

r,s
r,s
r,s

(III.3)

Daltra parte nella prima sommatoria Vr pu essere


portato fuori della sommatoria su s (Vr per definizione fisso quando s corre!) mentre nella seconda sommatoria si pu fare una cosa analoga per Vs se prima si
scambiano le sommatorie su r e su s. Si ha, in conclusione:
Vrs I*rs = Vr I*rs - Vs I*rs

r,s
r
s
s
r

(III.4)

In entrambe le sommatorie compaiono termini del tipo

sI*rs per un fissato r o rI*rs per un fissato s. Tali termini, per un fissato nodo, esprimono la somma delle

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correnti uscenti dal nodo o delle correnti entranti nel


nodo. Si osservi che quanto affermato vero solo se si
avuto la cura di usare sempre la stessa convenzione su
ogni bipolo: convenzione dellutilizzatore, come nel
nostro caso, o convenzione del generatore, indifferentemente. Le sommatorie del tipo sI*rs sono, dunque,
nulle in base alla LKC. Se ne deduce:
Vrs I*rs = 0
VkI*k = 12
r,s

(III.5)

importante sottolineare che non si sono dovute fare


speciali ipotesi sulla natura dei bipoli o del grafo. La
propriet descritta dalla (III.5) molto generale e
discende soltanto dal fatto che sono soddisfatte la LKT
e la LKC per le due reti. La propriet quindi valida
anche se sono presenti bipoli non lineari. Naturalmente
essa ancora valida per il caso particolare in cui le due
reti coincidono: in tal caso i prodotti VkIk sono le
potenze assorbite dai singoli bipoli ed il Teorema di
Tellegen si riduce allaffermazione che in una rete la
somma di tutte le potenze assorbite dai rami della rete
nulla. Si badi bene, assorbite; e ci in base alle scelte
che abbiamo inizialmente fatte sul verso di Ik ed Vk. Se
in qualche ramo sono presenti generatori, la loro
potenza assorbita risulter negativa e quindi si pu
anche dire che il Teorema di Tellegen afferma che in
una rete la potenza fornita dai generatori presenti pari
alla potenza assorbita dai bipoli passivi della rete stessa.
Con buona pace, dunque, del principio di conservazione dellenergia, che altrimenti sarebbe violato!
Ma nella forma (III.5) il teorema di Tellegen stabilisce
qualcosa in pi. In questa forma esso prende anche il
nome di teorema delle potenze virtuali, e ci sar molto
utile in regime sinusoidale per introdurre il concetto di
potenza reattiva.

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Le propriet di non-amplificazione
Unaltra propriet delle reti di bipoli che discende dal
mero fatto che per tali reti valgono la LKT e la LKC,
il cos detto principio di non amplificazione delle tensio ni : se in una rete di bipoli esiste un solo lato attivo, allo ra il potenziale dei due nodi a cui il lato si appoggia sono
luno il massimo e laltro il minimo tra tutti i potenziali
dei nodi della rete. La dimostrazione immediata se ci
si convince prima della seguente affermazione: se per
un nodo r di una rete tutti i prodotti VrsIrs delle tensioni e correnti di tutti i lati che convergono nel nodo stesso - con le convenzioni implicite nellordine dei pedici
- sono maggiori od eguali a zero, il potenziale di tale
nodo non pu essere n quello massimo n quello minimo della rete. Infatti dato che s Irs=0 per la LKC,
alcune delle Irs - per r fissato - saranno positive ed altre
negative. Ci comporta che, nella ipotesi che tutti i prodotti V rsIrs siano maggiori di zero - sempre per un fissato r -, anche tra le Vrs ve ne saranno alcune positive
ed altre negative; ci equivale a dire che il potenziale
del nodo r non n il minimo n il massimo della rete.
Ritornando ora al nostro teorema iniziale si vede chiaramente che nel caso sia presente un solo lato attivo
nella rete, i suoi nodi sono gli unici per i quali non si
pu affermare che VsrIrs > 0 per ogni s, perch nel
ramo in questione presente un generatore. Per i nodi
interni, a cui fanno capo solo bipoli passivi, questa propriet invece certamente verificata. Daltra parte in
ogni rete deve pur esserci un nodo a potenziale minimo
ed uno a potenziale massimo; se ne conclude che tali
potenziali sono assunti dai due nodi dellunico lato attivo. Qualcuno avr forse riconosciuto in questa affermazione il riflesso di quella propriet di cui gode la
funzione potenziale di un campo conservativo: essa,
infatti, non pu avere n massimi n minimi nei punti

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interni del suo dominio di definizione. Massimi e minimi sono assunti sui punti della frontiera.
Lasciamo al lettore lenunciato e la dimostrazione del
teorema duale che prende il nome di principio di non
amplificazione delle correnti.
Va osservato, per, che i due teoremi di non amplificazione valgono soltanto in regime stazionario; vedremo
in seguito dove la dimostrazione illustrata cade in difetto in regime dinamico.
Sovrapposizione degli effetti
Fin qui si parlato soltanto di propriet delle reti di
bipoli che non dipendono dalla natura dei bipoli stessi,
ma solo dal fatto che tali reti sono sottoposte ai dettami della LKC e della LKT. Vogliamo ora invece occuparci di propriet delle reti di bipoli che dipendono
dalla natura dei bipoli stessi. In primo luogo la sovrap ponibilit degli effetti. questa una propriet del tutto
generale dei sistemi lineari; sistemi, cio, in cui leffetto
linearmente dipendente dalla causa. Essa si pu esprimere affermando che una particolare combinazione
lineare di cause produce la stessa combinazione lineare
degli effetti che ognuna delle cause produrrebbe se si
trovasse ad agire da sola. Si potrebbe utilizzare la precedente affermazione quale definizione di sistema
lineare, tanto i due fatti sono intimamente legati. In
particolare consideriamo una rete con pi generatori;
se individuiamo nei singoli generatori le cause e nelle
correnti e nelle tensioni sui rami gli effetti, siamo portati ad affermare che le correnti o le tensioni sui lati di
una rete in cui agiscono pi generatori possono essere
calcolate come somma delle tensioni e correnti indotte
sugli stessi rami dai generatori quando essi agiscono
singolarmente. necessario qualche commento su questultima affermazione: per far s che un generatore agi-

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sca da solo occorre evidentemente eliminare gli altri.


Cosa significhi eliminare un generatore dipende evidentemente dal tipo di generatore: un generatore di
tensione ideale, per esempio, per sua natura si lascia
percorrere da una qualsiasi corrente e produce ai suoi
morsetti sempre la stessa tensione. Per eliminare i suoi
effetti bisogna ridurre la sua tensione a zero ma non
impedire il passaggio della corrente nel ramo occupato
dal generatore. Questo, in realt, equivale a sostituire il
bipolo generatore ideale di tensione con un bipolo
corto circuito. Un ragionamento del tutto analogo
porta alla conclusione che i generatori ideali di corrente, invece, debbono essere sostituiti con dei bipoli a
vuoto. Nel linguaggio corrente si parla di cortocircuita re i generatori di tensione ed aprire i generatori di cor rente, il che, preso alla lettera non corretto; un generatore ideale di tensione, per definizione, non consente
che la sua tensione venga annullata da un corto circuito in parallelo. Analogo discorso si pu fare per il generatore ideale di corrente. Ci nonostante l'espressione
sintetica molto comoda e largamente usata; essa va
intesa nel senso prima specificato di sostituire i bipoli
in questione rispettivamente con bipoli corto circuito
ed a vuoto. A questo punto perfettamente definito
ogni aspetto della sovrapposizione degli effetti nelle
reti lineari.
Ancora una osservazione di carattere pratico: quando
si applica il principio di sovrapposizione degli effetti
bisogna fare attenzione ad utilizzare, in ognuna delle
reti elementari in cui si scompone la rete con pi generatori, sempre la stessa orientazione per ogni ramo.
Altrimenti si rischia di sottrarre quello che andrebbe
sommato o viceversa!
Il principio di sovrapposizione degli effetti di grande
utilit sia dal punto di vista pratico che dal punto di
vista puramente speculativo. Dal punto di vista pratico

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esso fornisce, se vogliamo, il pi elementare metodo di


soluzione di una rete. Il principio ci consente infatti di
affermare che la soluzione di una rete comunque complessa, con pi generatori, riconducibile alla soluzione di pi reti in ognuna delle quali agisce un solo generatore. Orbene, come abbiamo gi sottolineato, una
rete con un solo generatore pu essere ricondotta ad
una rete elementare, di una sola maglia, in cui il generatore in questione chiuso su di un unico bipolo equivalente. Tale bipolo si identifica attraverso successive
riduzioni della rete, mediante sostituzione di rami in
serie o di rami in parallelo con il loro bipolo equivalente. Naturalmente, come abbiamo gi sottolineato, non
sempre queste due trasformazioni sono sufficienti;
occorre anche, talvolta, una ulteriore trasformazione
che viene detta stella - poligono e che studieremo in
seguito. In ogni caso quello che pi importa che
sempre possibile ricondurre la rete passiva, vista dai
due morsetti dellunico generatore presente, ad un
unico bipolo equivalente. Una volta effettuata questa
operazione facile calcolare la corrente erogata dal
generatore, se di tensione, o la tensione che compare ai
suoi morsetti, se di corrente; basta applicare la relazione caratteristica del bipolo equivalente trovato. A questo punto si tratta di determinare le correnti nei vari
rami effettivi della rete, ripercorrendo a ritroso la strada precedentemente fatta.
Una semplice applicazione render subito chiaro il
metodo. Nel circuito, mostrato nelle figure, agiscono
due generatori di tensione. Nelle stesse figure sono
mostrati i due circuiti in cui la rete pu essere scomposta cortocircuitando un generatore di tensione alla
volta. La determinazione delle correnti nei vari rami,
nei due casi, molto agevole, ed i risultati sono sinteticamente riportati. Le correnti nella rete di partenza si
ottengono sommando quelle omologhe delle reti com-

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ponenti.

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Generatori equivalenti di tensione e cor rente


Il teorema di sovrapposizione degli effetti anche una
notevole arma speculativa che consente di dimostrare
propriet particolari delle reti lineari. Esaminiamone
una applicazione estremamente importante. Abbiamo
visto che una rete passiva vista tra due nodi sempre
riconducibile ad un unico bipolo equivalente. possibile una riduzione simile anche per una rete che contenga bipoli attivi, in base a quanto affermato dal teo rema del generatore equivalente di tensione, comunemente detto anche teorema di Thvenin, e dal suo
duale, teorema del generatore equivalente di corrente,
o teorema di Norton .
Consideriamo, dunque, una qualsiasi rete attiva e scegliamo su di essa due nodi. Per sottolinearne la generalit, rappresenteremo la rete con una scatola chiusa. I
simboli allinterno della scatola stanno a ricordare che
nella rete sono in generale presenti generatori di tensione, generatori di corrente e bipoli passivi.
I due nodi scelti sono stati prolungati fuori della scatola, mediante conduttori perfetti che, com noto, non
introducono nessun disturbo, e sono indicati con le lettere A e B.
Se volessimo ricavare sperimentalmente la caratteristica del bipolo equivalente, il legame cio tra tensione ai
morsetti e corrente che attraversa il bipolo, potremmo
inserire tra i morsetti A e B un generatore ideale di corrente I che sia regolabile a piacere, che sia cio in grado
di erogare una corrente I del valore desiderato.
In figura sono anche mostrati i versi positivi scelti. Si
noti che abbiamo scelto la convenzione del generatore
per il bipolo equivalente della rete e quella dell'utilizzatore per il generatore di corrente.
Se riportiamo nel piano (I,V) per ogni valore di I il corrispondente valore di V, opportunamente misurato,

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otterremo graficamente la caratteristica cercata.


Senza effettivamente compiere le misure cerchiamo di
anticipare, in base ad alcune elementari considerazioni,
il tipo di caratteristica che possiamo aspettarci. In effetti, essendo la rete per definizione una rete di bipoli
lineari, non c motivo di pensare che la caratteristica
equivalente non sia anche essa lineare. Questo risultato
di per s evidente, sar anche ottenuto tra breve per via
pi formale.
Nel piano (I,V) dunque, la caratteristica una retta che
in generale non passa per lorigine degli assi, essendo
presenti anche bipoli attivi. Sar, pertanto, una retta
del tipo mostrato in figura.
Per individuare una retta occorrono, naturalmente,
due suoi punti. Si propongono a tale scopo, in maniera
molto evidente, i due punti in cui la caratteristica interseca gli assi coordinati. Il primo punto di coordinate
V=E0 ed I=0 corrisponde alle condizioni in cui il bipolo non attraversato da corrente; i suoi morsetti sono,
dunque, chiusi su di un bipolo circuito aperto.
Appare naturale indicare questa tensione con il termine tensione a vuoto del bipolo. Laltro punto quello
individuato da V=0 ed I=Icc. In tali condizioni di funzionamento tra i morsetti A e B c tensione nulla,
come se il bipolo fosse chiuso su di un bipolo corto
circuito. Chiameremo, quindi, Icc la corrente di corto
circuito del bipolo. Data la rete, generalmente molto
agevole calcolare sia E0 che Icc e quindi la caratteristica
del bipolo equivalente, che sar rappresentata da una
equazione del tipo:
V = E0 - E0 I.
Icc

(III.6)

Tale , infatti, l'equazione della retta che passa per i


punti (E 0,0) ed (0,Icc). Se poniamo Ri=E0/Icc la (III.6)

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si pu scrivere nel seguente modo:


V = E0 - Ri I.

(III.7)

La (III.7) ci appare come la caratteristica, di cui si gi


parlato, di un bipolo costituito da un generatore di tensione E0 con in serie un bipolo passivo Ri.
Abbiamo dunque dimostrato lequivalenza, almeno ai
morsetti A e B - faremo qualche ulteriore commento su
questo punto - tra la rete originaria ed una elementare
costituita dalla serie di un generatore di tensione ed un
resistore. Di tale resistore, introdotto in precedenza
come rapporto tra E0 ed I cc, pu darsi una interpretazione molto interessante che , se vogliamo, il vero contenuto del teorema del generatore equivalente di tensione. Applichiamo, infatti, la sovrapposizione degli
effetti alla rete originaria - con il generatore di corrente tra i morsetti A e B - scomponendola in due reti componenti. Nella prima abbiamo lasciato tutti i generatori della rete e abbiamo aperto, come prescritto dalla
sovrapposizione, il generatore di corrente esterno; nella
seconda invece abbiamo cortocircuitato tutti i generatori di tensione ed abbiamo aperto quelli di corrente
presenti nella rete, lasciando agire il solo generatore di
corrente esterno da noi applicato. Con locuzione concisa, ma molto espressiva, si dice che nel secondo caso
la rete di partenza stata resa passiva.
Il teorema di sovrapposizione ci assicura che ogni grandezza elettrica nella rete di partenza pu essere ottenuta come somma dei valori assunti dalla stessa grandezza nei due circuiti componenti; abbiamo avuto infatti
laccortezza di conservare le stesse convenzione dei
segni. Per esempio la tensione V ai morsetti, nella rete
originaria, potr essere posta come somma di una V" e
di una V', dove V"=E0, perch i morsetti A e B nella
seconda rete sono aperti, e V'= -RiI', avendo indicato

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con Ri la resistenza equivalente vista dai morsetti A e B


della rete resa passiva. Quindi:
V = E0 - Ri I' .
(III.8)
Daltra parte la sovrapposizione per le correnti fornisce:
I = I' + I'' = I'
dato che I" evidentemente nulla, per cui, come avevamo gi dedotto in precedenza:
V = E0 - Ri I.

(III.9)

Va notato per che ora sappiamo anche come calcolare


Ri.
Concludendo enunciamo il teorema del generatore equi valente di tensione :
Ogni rete considerata da una coppia di nodi pu essere
vista come un bipolo attivo costituito dalla serie di un
generatore ideale di tensione pari alla tensione a vuoto
tra i morsetti in esame della rete, ed un resistore la cui
resistenza pari a quella vista tra gli stessi morsetti quan do si sia provveduto a rendere passiva la rete di partenza,
cortocircuitando i generatori ideali di tensione e
aprendo quelli di corrente.
Questo teorema , come vedremo, di grande utilit sia
pratica che speculativa. importante sottolineare che il
teorema enunciato assicura lequivalenza tra i due
bipoli soltanto ai fini di quello che accade a valle dei
morsetti A e B. Ci sembra del tutto evidente dato che
nel bipolo equivalente si persa qualsiasi traccia della
complessit della rete di partenza. Si potrebbe per
incorrere nellerrore di pensare che lequivalenza si
estenda anche ad altre grandezze globali; si potrebbe
per esempio credere di poter affermare che quando il
bipolo di partenza eroga una corrente I, la potenza dissipata al suo interno sia pari ad RiI2, che , appunto, la

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potenza dissipata nel bipolo equivalente. Ci non


assolutamente vero! Per convincersene basta immaginare che nella rete di partenza vi sia da qualche parte
un resistore R in parallelo ad un generatore ideale di
tensione E. In tale resistore sar dissipata una potenza
E2/R. Di tale resistore R invece non c' alcuna traccia in
Ri, perch questultima stata calcolata nella rete resa
passiva, in cui al generatore ideale di tensione stato
sostituito un cortocircuito. Come noto il parallelo di
un resistore qualsiasi con un bipolo cortocircuito
ancora un bipolo corto circuito, indipendentemente
dal resistore ad esso in parallelo! Bisogna dunque fare
attenzione ad interpretare correttamente lequivalenza
imposta dal teorema del generatore equivalente di tensione!
La caratteristica di cui alle immagini precedenti per
interpretabile anche in un altro modo. Essa pu essere
vista come la caratteristica di un generatore ideale di
corrente che eroga la corrente Icc con in parallelo un
resistore Ri. Si ha, infatti, applicando la LKC ad uno
dei due nodi (vedi figura a lato):
Icc = V + I,
Ri
che, tenendo conto della relazione E0 = RiIcc, equivalente alla III.9. questo il teorema del generatore equi valente di corrente :
Una qualsiasi rete vista da due morsetti pu ritenersi
equivalente ad un generatore di corrente che eroga la
stessa corrente che, nella rete di partenza, circolerebbe tra
i due morsetti scelti, qualora gli stessi siano messi in
corto circuito, con in parallelo un resistore Ri di resisten za pari a quella vista dai due morsetti dopo aver avuto
laccortezza di rendere passiva la rete, cio ecc. ecc.
facile modificare la dimostrazione descritta per il teorema del generatore equivalente di tensione in modo da

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ottenere direttamente quella del generatore equivalente di corrente.


Reciprocit nelle reti elettriche
Unaltra propriet generale delle reti quella descritta
dal cosiddetto principio di reciprocit. Eccone l'enunciato: si consideri una rete passiva qualsiasi e si individuino in essa due rami, diciamo il ramo a ed il ramo b.
Alimentiamo la rete ponendo un generatore di tensione Ea nel ramo a e indichiamo con Ib la corrente, in un
determinato verso, che circola nel ramo b in conseguenza dellinserimento del generatore Ea nel ramo a.
Viceversa sia I'a la corrente prodotta nel ramo a quando un generatore E'b inserito nel ramo b della rete
passiva. In conclusione una volta si alimenta la rete dal
lato a ed unaltra volta si alimenta dal lato b individuando le rispettive correnti prodotte nei rami b e a.
Orbene il teorema afferma che: Ea/Ib = E'b/I'a. Cio, in
sintesi, il rapporto tra causa in a ed effetto in b uguale al rapporto tra causa in b ed effetto in a. Da ci il
nome di reciprocit.
La dimostrazione immediata se si applica il teorema
di Tellegen alle due reti mostrate in figura. Nel riquadro c, evidentemente, una rete passiva. Il teorema di
Tellegen afferma che:
VkI'k = 0 ed V'kIk = 0
k

Cio, evidenziando il ramo attivo, e tenendo conto che


per ogni ramo della rete passiva Vk = R k Ik ed V' k =
Rk I'k:
- EaI'a + RaIaI'a + Rk Ik I' = 0,
k

ka

- E'b Ib + Rb I'b Ib + Rk I'k Ik = 0.


kb

Inserendo di nuovo i termini relativi ai lati a e b nelle

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sommatorie:

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- EaI'a + Rk Ik I'k = 0,
k

- E'b Ib + Rk I'k Ik = 0.
k

Le sommatorie stesse sono ora estese a tutti i rami della


rete. Dalla eguaglianza di tali sommatorie deriva
Ea/Ib=E'b/I'a, che quanto volevasi dimostrare.

Esercizi
Ancora due reti da risolvere. Per la seconda istruttivo
applicare il metodo dei potenziali ai nodi per calcolare
la differenza di potenziale tra il nodo O ed O'. La formula che si ottiene pu essere facilmente generalizzata
e va sotto il nome di formula di Millmann; ci sar molto
utile per lo studio dei sitemi trifasi squilibrati.

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Metodi sistematici per la risoluzione delle reti


La scrittura delle equazioni risolventi per una rete di
bipoli attivi e passivi pu essere resa automatica e quindi adatta ad essere implementata in un codice per calcolatore; tra le diverse impostazioni possibili, ci limiteremo a descrivere quella basata sul concetto di matrice
delle conduttanze ai nodi, anche perch essa presenta
una stretta analogia con quanto diremo per la descrizione di un sistema a pi poli nel prossimo capitolo.
Sia dunque data una qualsiasi rete di n nodi ed l lati;
come abbiamo pi volte rilevato, le informazioni contenute in una rete elettrica sono di due tipologie distinte. In primo luogo la rete descrive un particolare modo
di connettere bipoli tra di loro; tale descrizione contenuta in quello che abbiamo detto grafo della rete. In
secondo luogo deve essere fornita la particolare natura
di ogni bipolo presente nei rami della rete; in altre
parole debbono essere note le caratteristiche dei bipoli. Queste informazioni contenute nello schema di una
rete possono essere mantenute distinte e trattate separatamente. Cominciamo dal grafo della rete e poniamoci il problema di fornire le informazioni in esso contenute in una maniera diversa.
Costruiamoci una matrice Ac, di n righe ed l colonne, il
cui generico elemento a ij sia cos definito:
+1 se il lato j esce dal nodo i
aij = -1 se il lato j entra nel nodo i
(III.10)
0 se il lato j non interessa il nodo i
chiaro che una tale matrice, che prende il nome di
matrice d'incidenza completa della rete, definisce univocamente il grafo orientato della rete stessa. Per dare pi
concretezza all'esposizione riportiamo nelle immagini a
lato un esempio di grafo orientato e la relativa matrice
d'incidenza.

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Facendo uso della matrice di incidenza si possono


esprimere le equazioni di Kirchhoff per la rete in forma
matriciale. facile verificare che il sistema di equazioni simbolicamente espresso dalla relazione (dove I
naturalmente il vettore colonna delle correnti nei rami):
Ac I = 0,
(III.11)
il sistema di equazioni che esprime l'applicazione
della prima legge di Kirchhoff agli n nodi della rete.
Infatti in ognuna delle equazioni della (III.11) - per
esempio quella relativa al nodo r (riga erresima) - la
generica corrente Ik comparir con il segno positivo,
negativo o non comparir affatto, a seconda che il ramo
orientato k rispettivamente esca, entri o non interessi
affatto il nodo r. Una semplice applicazione al caso
descritto dal grafo mostrato potr meglio chiarire
quanto affermato.
Come sappiamo le equazioni di un tale sistema non
sono tutte linearmente indipendenti; basta per eliminare una delle equazioni per ottenere n-1 equazioni
indipendenti ai nodi. Ci equivale ad eliminare una
riga della matrice di incidenza completa, per esempio
quella relativa al nodo IV negli schemi mostrati, e considerare la matrice A di dimensioni (n-1)xl. Tale matrice prende il nome di matrice di incidenza ridotta o semplicemente matrice di incidenza, quando implicito che
si tratti di quella ridotta. Con questo formalismo le
equazioni indipendenti agli n-1 nodi saranno espresse
dalla relazione:
A I = 0.
(III.12)
Per quanto riguarda le LKT, abbiamo pi volte osservato che esse risultano automaticamente soddisfatte se
si esprimono le tensioni sui lati come differenza di
potenziale nei nodi. Se il lato k, per esempio, insiste tra
il nodo r ed il nodo s, si avr Vk= Er - Es, dove Er ed Es

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sono i potenziali dei nodi r ed s rispetto ad un riferimento preso ad arbitrio. In particolare possiamo scegliere, come riferimento, il potenziale del nodo per il
quale si scelto di non scrivere la corrispondente equazione. In tal modo le l tensioni di lato Vk saranno esprimibili attraverso gli n-1 potenziali ai nodi Er. Se definiamo, a questo punto, il vettore colonna E dei potenziali degli n-1 nodi, per i quali abbiamo scritto le LKC,
rispetto al restante nodo preso come riferimento, facile convincersi che le l relazioni, che esprimono le tensioni di lato in funzione dei potenziali ai nodi, hanno la
seguente espressione matriciale:
V = AT E,
(III.13)
dove AT la matrice, di dimensioni lx(n-1), trasposta di
A. Infatti nella espressione della generica Vk, fornita
dalla (III.13), compariranno i potenziali dei due nodi a
cui il lato k afferisce, con il segno positivo o negativo a
seconda dell'orientazione del lato k stesso; se, in particolare il lato k connesso al nodo di riferimento, nella
sua espressione comparir soltanto il potenziale dell'altro nodo, essendo il nodo di riferimento a potenziale 0
per costruzione. Anche in questo caso la semplice verifica delle affermazioni fatte per il caso della rete
descritta dal grafo in esame, potr essere chiarificatoria.
Affrontiamo ora il problema della descrizione della
generica caratteristica di lato. I teoremi del generatore
equivalente di f.e.m. e di corrente ci consentono di
assumere che ogni lato della rete sia riconducibile,
indifferentemente, o ad un generatore ideale di f.e.m.
con una resistenza in serie, o ad un generatore ideale di
corrente con una conduttanza in parallelo, cos come
mostrato in Fig.III.1 a e b, rispettivamente.

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a)

b)
Fig.III.1
facile infatti trasformare un ramo del tipo descritto in
Fig.III.1a, con caratteristica
Vk = E0k + Rk Ik ,

(III.14)

in uno equivalente del tipo descritto in Fig.VIII.1b,


con caratteristica
Ik = - I0k + G k Vk ,
(III.15)
e viceversa.
Applicando, per esempio, al bipolo di Fig.III.1a il teorema di Norton, si ottengono immediatamente la corrente di corto circuito ai morsetti AB e la resistenza
equivalente vista dagli stessi morsetti per la rete resa
passiva.
Per trasformare dunque una caratteristica di lato del
tipo descritto dalla relazione III.14 in una del tipo
descritta dalla relazione III.15, basta porre I0k= E 0k/Rk
ed Gk=1/Rk. Si osservi che allo stesso risultato si poteva
banalmente giungere dividendo l'equazione III.14 per
Rk e risolvendo rispetto ad Ik. Quest'ultima osservazione evidenzia, in realt, un problema: esistono due casi
limiti in cui la trasformazione non possibile ed i teoremi di equivalenza non consentono di passare da un
ramo con generatore ideale di f.e.m. ad un ramo con

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generatore ideale di corrente. Sono evidentemente i


due casi del generatore ideale di f.e.m. senza resistenza
in serie e quello del generatore ideale di corrente senza
conduttanza in parallelo. Nel primo caso, infatti, l'applicazione del teorema di Norton ci porterebbe alla
necessit di porre il generatore ideale di f.e.m. in corto
circuito, per calcolare la corrente di corto circuito ai
morsetti AB, il che, come sappiamo, contraddittorio.
Alla stessa conclusione ci conduce la semplice operazione algebrica di dividere l'equazione III.14 per Rk,
dato che, nel nostro caso, tale resistenza nulla. Se ne
conclude che non possibile trasformare un generatore ideale di f.e.m. in uno di corrente e viceversa, quando essi siano da soli nel ramo in esame. Poich nel
seguito ci sar utile poter assumere per il generico lato
k indifferentemente una caratteristica del tipo descritto
dalla III.14 o dalla III.15, mostreremo come tali situazioni limiti siano in realt non essenziali ed eliminabili.
Ci sar utile allo scopo fare uso del cos detto teorema
di sostituzione. Tale teorema afferma che se in una rete
di bipoli lineare si sostituisce, ad un ramo interessato
dalla tensione V, un generatore ideale di f.e.m. E0 = V,
nulla cambia nella restante parte della rete.
facile convincersi della veridicit di tale affermazione
se si considera che la "restante parte della rete" in
realt anche essa rappresentabile come un bipolo lineare - ossia con un legame caratteristico tensione-corrente di tipo lineare e, quindi, anche ad un sol valore: ad
ogni valore della corrente corrisponde un valore, ed
uno solo, della tensione e viceversa . Se quindi la tensione imposta ai morsetti dal generatore identica a
quella V esistente agli stessi morsetti nella rete originaria, la corrente erogata dal bipolo equivalente alla
restante parte della rete non pu che essere identica a
quella presente nel ramo in esame nella rete di parten-

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za.
In maniera del tutto simile si pu dimostrare la forma
duale del teorema di sostituzione: se in un rete lineare
si sostituisce ad un ramo interessato dalla corrente I un
generatore di corrente che fornisce la stessa corrente,
nulla cambia nella restante parte della rete. Dalle due
forme enunciate del teorema di sostituzione discendono immediatamente le seguenti conseguenze: se due
punti di una rete lineare sono allo stesso potenziale essi
possono essere collegati con un bipolo corto circuito
senza modificare in alcun modo il funzionamento della
rete stessa. E ancora: se in un ramo di una rete lineare
non circola corrente, tale ramo pu essere sostituito
con un bipolo circuito aperto senza modificare in alcun
modo il funzionamento della rete.
Le due conseguenze appaiono subito evidenti se si considera che un generatore di f.e.m. ideale di tensione
nulla equivale ad un bipolo corto circuito e che un
generatore ideale di corrente che eroghi una corrente
nulla equivale ad un bipolo circuito aperto.
Facendo uso di questi risultati si vede facilmente che
un ramo di una rete in cui sia presente un solo generatore ideale di f.e.m. pu essere facilmente eliminato
modificando la rete, come mostrato nelle immagini a
lato.
Infatti, in tale rete modificata, i punti C,D ed F sono
allo stesso potenziale per costruzione; ne consegue che
essi possono essere cortocircuitati, cos come mostrato nella successiva immagine. evidente, a questo
punto, che la rete cos ottenuta equivalente a quella di
partenza, perch i tre generatori ideali di egual f.e.m. in
parallelo possono essere sostituiti con un solo generatore.
Analogo il caso del generatore ideale di corrente
senza una conduttanza in parallelo.
Dalla rete mostrata in alto nella immagine qui a lato si
passa facilmente a quella mostrata in basso nella stessa

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immagine, passando attraverso la rete mostrata nellimmagine a sinistra, considerando che essa identica alla
rete modificata salvo per il fatto che si usato l'artificio
di scomporre un nodo in due nodi, A e B. Non circolando nel tratto AB alcuna corrente - per convincersene basta applicare la prima legge di Kirchhoff - tale
tratto pu essere eliminato ritornando alla rete di partenza.
Avendo eliminato in questo modo tutti i lati singolari di
una rete possiamo a questo punto supporre che nel
generico lato siano presenti o un generatore ideale di
f.e.m. con una resistenza in serie o un generatore di
corrente con una conduttanza in parallelo; per mantenere aperte tutte le possibilit possiamo addirittura
supporre che in ogni ramo siano presenti entrambi i
generatori, cos come mostrato in Fig.III.2a e b, nelle
due configurazioni equivalenti.

a)

b)
Fig.III.2

Se tutte le I0k sono nulle i generatori di corrente sono


stati ricondotti a generatori di f.e.m. e viceversa nel
caso in cui tutte le E0k sono nulle. In conclusione, senza
perdere alcuna generalit, si pu assumere che la generica caratteristica di lato sia in una delle due forme
equivalenti:
Vk = E0k + Rk Ik + I0k ,
(III.16)

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Ik = - I0k + G k Vk - E0k .

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(III.17)

Possiamo descrivere le caratteristiche di lato in una


forma molto sintetica utilizzando il formalismo matriciale. Sia infatti G la matrice delle conduttanze di lato,
definita come la matrice quadrata e diagonale, di
dimensioni lxl, il cui generico elemento Grk nullo se
rk ed pari a Gk se r=k:
G11
0
0
0
0
........ ........ ........ ........ ........
G=
,
0
0
Grr
0
0
........ ........ ........ ........ ........
0
0
0
0
Gll
e siano I0, E0, I e V i vettori colonne (o righe) cos definiti:
I01
E01
I1
V1
I02
E02
I2
V2
I0 = ..... , E0 = ..... , I = ..... , V = ..... .
I0l-1
E0l-1
Il-1
Vl-1
I0l
E0l
Il
Vl
Con questo formalismo, e facendo riferimento alla formulazione di cui alla (III.17), le caratteristiche di lato
possono essere sinteticamente descritte dalla relazione:
I = - I 0 + GV - GE 0 ,

(III.18)

dove i prodotti tra matrici vanno intesi nel senso usuale (righe per colonne).
Sostituendo nella relazione (III.12) l'espressione del
vettore I fornita dalla (III.18), e utilizzando la (III.13)
per esprimere il vettore V in funzione del vettore E, si
ottiene:
YE = AI 0 + AGE 0 ,
(III.19)

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dove si posto:
Y = AGA T.

(III.20)

La matrice Y, di dimensioni (n-1)x(n-1), prende il


nome di matrice delle conduttanze ai nodi. Il sistema di
equazioni rappresentato dalla III.19, nelle incognite
potenziali ai nodi, il sistema risolvente della rete. Nel
capitolo successivo ritoveremo risultati analoghi partendo da un altro punto di vista.
Esercizi
Nei due schemi proposti si richiede di risolvere la rete,
nel primo caso applicando il principio di sovrapposizione degli effetti, e nel secondo caso applicando il teorema del generatore equivalente ai morsetti A e B. In
quest'ultimo caso, infatti, l'applicazione del teorema
del generatore equivalente - di tensione, per esempio, consente di ridurre la rete ad una con due sole maglie.
La corrente nel ramo 5 si calcola quindi agevolmente e
dalla sua conoscenza facile risalire ad ogni altra corrente nei rami della rete. Unaltra notevole semplificazione si ottiene applicando lo stesso teorema ai morsetti del lato 2!

Nella immagine successiva descritta la soluzione di un


problema posto in precedenza. La soluzione si determina con una elementare applicazione del metodo dei
potenziali ai nodi. Si noti che tale soluzione generalizzabile al caso di n rami in parallelo tra due soli nodi;
in questa forma viene spesso detta "formula di
Millman".

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Ei Gi
VO'O =

Gi

(III.21)

Infine per la verifica della soluzione dell'esercizio proposto nell'ultima immagine, diamo il valore della tensione tra i morsetti A e B, VAB = 192 V.

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Metodi sistematici per la risoluzione delle reti


La scrittura delle equazioni risolventi per una rete di
bipoli attivi e passivi pu essere resa automatica e quindi adatta ad essere implementata in un codice per calcolatore; tra le diverse impostazioni possibili, ci limiteremo a descrivere quella basata sul concetto di matrice
delle conduttanze ai nodi, anche perch essa presenta
una stretta analogia con quanto diremo per la descrizione di un sistema a pi poli nel prossimo capitolo.
Sia dunque data una qualsiasi rete di n nodi ed l lati;
come abbiamo pi volte rilevato, le informazioni contenute in una rete elettrica sono di due tipologie distinte. In primo luogo la rete descrive un particolare modo
di connettere bipoli tra di loro; tale descrizione contenuta in quello che abbiamo detto grafo della rete. In
secondo luogo deve essere fornita la particolare natura
di ogni bipolo presente nei rami della rete; in altre
parole debbono essere note le caratteristiche dei bipoli. Queste informazioni contenute nello schema di una
rete possono essere mantenute distinte e trattate separatamente. Cominciamo dal grafo della rete e poniamoci il problema di fornire le informazioni in esso contenute in una maniera diversa.
Costruiamoci una matrice Ac, di n righe ed l colonne, il
cui generico elemento a ij sia cos definito:
+1 se il lato j esce dal nodo i
aij = -1 se il lato j entra nel nodo i
(III.10)
0 se il lato j non interessa il nodo i
chiaro che una tale matrice, che prende il nome di
matrice d'incidenza completa della rete, definisce univocamente il grafo orientato della rete stessa. Per dare pi
concretezza all'esposizione riportiamo nelle immagini a
lato un esempio di grafo orientato e la relativa matrice
d'incidenza.

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Facendo uso della matrice di incidenza si possono


esprimere le equazioni di Kirchhoff per la rete in forma
matriciale. facile verificare che il sistema di equazioni simbolicamente espresso dalla relazione (dove I
naturalmente il vettore colonna delle correnti nei rami):
Ac I = 0,
(III.11)
il sistema di equazioni che esprime l'applicazione
della prima legge di Kirchhoff agli n nodi della rete.
Infatti in ognuna delle equazioni della (III.11) - per
esempio quella relativa al nodo r (riga erresima) - la
generica corrente Ik comparir con il segno positivo,
negativo o non comparir affatto, a seconda che il ramo
orientato k rispettivamente esca, entri o non interessi
affatto il nodo r. Una semplice applicazione al caso
descritto dal grafo mostrato potr meglio chiarire
quanto affermato.
Come sappiamo le equazioni di un tale sistema non
sono tutte linearmente indipendenti; basta per eliminare una delle equazioni per ottenere n-1 equazioni
indipendenti ai nodi. Ci equivale ad eliminare una
riga della matrice di incidenza completa, per esempio
quella relativa al nodo IV negli schemi mostrati, e considerare la matrice A di dimensioni (n-1)xl. Tale matrice prende il nome di matrice di incidenza ridotta o semplicemente matrice di incidenza, quando implicito che
si tratti di quella ridotta. Con questo formalismo le
equazioni indipendenti agli n-1 nodi saranno espresse
dalla relazione:
A I = 0.
(III.12)
Per quanto riguarda le LKT, abbiamo pi volte osservato che esse risultano automaticamente soddisfatte se
si esprimono le tensioni sui lati come differenza di
potenziale nei nodi. Se il lato k, per esempio, insiste tra
il nodo r ed il nodo s, si avr Vk= Er - Es, dove Er ed Es

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sono i potenziali dei nodi r ed s rispetto ad un riferimento preso ad arbitrio. In particolare possiamo scegliere, come riferimento, il potenziale del nodo per il
quale si scelto di non scrivere la corrispondente equazione. In tal modo le l tensioni di lato Vk saranno esprimibili attraverso gli n-1 potenziali ai nodi Er. Se definiamo, a questo punto, il vettore colonna E dei potenziali degli n-1 nodi, per i quali abbiamo scritto le LKC,
rispetto al restante nodo preso come riferimento, facile convincersi che le l relazioni, che esprimono le tensioni di lato in funzione dei potenziali ai nodi, hanno la
seguente espressione matriciale:
V = AT E,
(III.13)
dove AT la matrice, di dimensioni lx(n-1), trasposta di
A. Infatti nella espressione della generica Vk, fornita
dalla (III.13), compariranno i potenziali dei due nodi a
cui il lato k afferisce, con il segno positivo o negativo a
seconda dell'orientazione del lato k stesso; se, in particolare il lato k connesso al nodo di riferimento, nella
sua espressione comparir soltanto il potenziale dell'altro nodo, essendo il nodo di riferimento a potenziale 0
per costruzione. Anche in questo caso la semplice verifica delle affermazioni fatte per il caso della rete
descritta dal grafo in esame, potr essere chiarificatoria.
Affrontiamo ora il problema della descrizione della
generica caratteristica di lato. I teoremi del generatore
equivalente di f.e.m. e di corrente ci consentono di
assumere che ogni lato della rete sia riconducibile,
indifferentemente, o ad un generatore ideale di f.e.m.
con una resistenza in serie, o ad un generatore ideale di
corrente con una conduttanza in parallelo, cos come
mostrato in Fig.III.1 a e b, rispettivamente.

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a)

b)
Fig.III.1
facile infatti trasformare un ramo del tipo descritto in
Fig.III.1a, con caratteristica
Vk = E0k + Rk Ik ,

(III.14)

in uno equivalente del tipo descritto in Fig.VIII.1b,


con caratteristica
Ik = - I0k + G k Vk ,
(III.15)
e viceversa.
Applicando, per esempio, al bipolo di Fig.III.1a il teorema di Norton, si ottengono immediatamente la corrente di corto circuito ai morsetti AB e la resistenza
equivalente vista dagli stessi morsetti per la rete resa
passiva.
Per trasformare dunque una caratteristica di lato del
tipo descritto dalla relazione III.14 in una del tipo
descritta dalla relazione III.15, basta porre I0k= E 0k/Rk
ed Gk=1/Rk. Si osservi che allo stesso risultato si poteva
banalmente giungere dividendo l'equazione III.14 per
Rk e risolvendo rispetto ad Ik. Quest'ultima osservazione evidenzia, in realt, un problema: esistono due casi
limiti in cui la trasformazione non possibile ed i teoremi di equivalenza non consentono di passare da un
ramo con generatore ideale di f.e.m. ad un ramo con

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generatore ideale di corrente. Sono evidentemente i


due casi del generatore ideale di f.e.m. senza resistenza
in serie e quello del generatore ideale di corrente senza
conduttanza in parallelo. Nel primo caso, infatti, l'applicazione del teorema di Norton ci porterebbe alla
necessit di porre il generatore ideale di f.e.m. in corto
circuito, per calcolare la corrente di corto circuito ai
morsetti AB, il che, come sappiamo, contraddittorio.
Alla stessa conclusione ci conduce la semplice operazione algebrica di dividere l'equazione III.14 per Rk,
dato che, nel nostro caso, tale resistenza nulla. Se ne
conclude che non possibile trasformare un generatore ideale di f.e.m. in uno di corrente e viceversa, quando essi siano da soli nel ramo in esame. Poich nel
seguito ci sar utile poter assumere per il generico lato
k indifferentemente una caratteristica del tipo descritto
dalla III.14 o dalla III.15, mostreremo come tali situazioni limiti siano in realt non essenziali ed eliminabili.
Ci sar utile allo scopo fare uso del cos detto teorema
di sostituzione. Tale teorema afferma che se in una rete
di bipoli lineare si sostituisce, ad un ramo interessato
dalla tensione V, un generatore ideale di f.e.m. E0 = V,
nulla cambia nella restante parte della rete.
facile convincersi della veridicit di tale affermazione
se si considera che la "restante parte della rete" in
realt anche essa rappresentabile come un bipolo lineare - ossia con un legame caratteristico tensione-corrente di tipo lineare e, quindi, anche ad un sol valore: ad
ogni valore della corrente corrisponde un valore, ed
uno solo, della tensione e viceversa . Se quindi la tensione imposta ai morsetti dal generatore identica a
quella V esistente agli stessi morsetti nella rete originaria, la corrente erogata dal bipolo equivalente alla
restante parte della rete non pu che essere identica a
quella presente nel ramo in esame nella rete di parten-

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za.
In maniera del tutto simile si pu dimostrare la forma
duale del teorema di sostituzione: se in un rete lineare
si sostituisce ad un ramo interessato dalla corrente I un
generatore di corrente che fornisce la stessa corrente,
nulla cambia nella restante parte della rete. Dalle due
forme enunciate del teorema di sostituzione discendono immediatamente le seguenti conseguenze: se due
punti di una rete lineare sono allo stesso potenziale essi
possono essere collegati con un bipolo corto circuito
senza modificare in alcun modo il funzionamento della
rete stessa. E ancora: se in un ramo di una rete lineare
non circola corrente, tale ramo pu essere sostituito
con un bipolo circuito aperto senza modificare in alcun
modo il funzionamento della rete.
Le due conseguenze appaiono subito evidenti se si considera che un generatore di f.e.m. ideale di tensione
nulla equivale ad un bipolo corto circuito e che un
generatore ideale di corrente che eroghi una corrente
nulla equivale ad un bipolo circuito aperto.
Facendo uso di questi risultati si vede facilmente che
un ramo di una rete in cui sia presente un solo generatore ideale di f.e.m. pu essere facilmente eliminato
modificando la rete, come mostrato nelle immagini a
lato.
Infatti, in tale rete modificata, i punti C,D ed F sono
allo stesso potenziale per costruzione; ne consegue che
essi possono essere cortocircuitati, cos come mostrato nella successiva immagine. evidente, a questo
punto, che la rete cos ottenuta equivalente a quella di
partenza, perch i tre generatori ideali di egual f.e.m. in
parallelo possono essere sostituiti con un solo generatore.
Analogo il caso del generatore ideale di corrente
senza una conduttanza in parallelo.
Dalla rete mostrata in alto nella immagine qui a lato si
passa facilmente a quella mostrata in basso nella stessa

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immagine, passando attraverso la rete mostrata nellimmagine a sinistra, considerando che essa identica alla
rete modificata salvo per il fatto che si usato l'artificio
di scomporre un nodo in due nodi, A e B. Non circolando nel tratto AB alcuna corrente - per convincersene basta applicare la prima legge di Kirchhoff - tale
tratto pu essere eliminato ritornando alla rete di partenza.
Avendo eliminato in questo modo tutti i lati singolari di
una rete possiamo a questo punto supporre che nel
generico lato siano presenti o un generatore ideale di
f.e.m. con una resistenza in serie o un generatore di
corrente con una conduttanza in parallelo; per mantenere aperte tutte le possibilit possiamo addirittura
supporre che in ogni ramo siano presenti entrambi i
generatori, cos come mostrato in Fig.III.2a e b, nelle
due configurazioni equivalenti.

a)

b)
Fig.III.2

Se tutte le I0k sono nulle i generatori di corrente sono


stati ricondotti a generatori di f.e.m. e viceversa nel
caso in cui tutte le E0k sono nulle. In conclusione, senza
perdere alcuna generalit, si pu assumere che la generica caratteristica di lato sia in una delle due forme
equivalenti:
Vk = E0k + Rk Ik + I0k ,
(III.16)

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Ik = - I0k + G k Vk - E0k .

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(III.17)

Possiamo descrivere le caratteristiche di lato in una


forma molto sintetica utilizzando il formalismo matriciale. Sia infatti G la matrice delle conduttanze di lato,
definita come la matrice quadrata e diagonale, di
dimensioni lxl, il cui generico elemento Grk nullo se
rk ed pari a Gk se r=k:
G11
0
0
0
0
........ ........ ........ ........ ........
G=
,
0
0
Grr
0
0
........ ........ ........ ........ ........
0
0
0
0
Gll
e siano I0, E0, I e V i vettori colonne (o righe) cos definiti:
I01
E01
I1
V1
I02
E02
I2
V2
I0 = ..... , E0 = ..... , I = ..... , V = ..... .
I0l-1
E0l-1
Il-1
Vl-1
I0l
E0l
Il
Vl
Con questo formalismo, e facendo riferimento alla formulazione di cui alla (III.17), le caratteristiche di lato
possono essere sinteticamente descritte dalla relazione:
I = - I 0 + GV - GE 0 ,

(III.18)

dove i prodotti tra matrici vanno intesi nel senso usuale (righe per colonne).
Sostituendo nella relazione (III.12) l'espressione del
vettore I fornita dalla (III.18), e utilizzando la (III.13)
per esprimere il vettore V in funzione del vettore E, si
ottiene:
YE = AI 0 + AGE 0 ,
(III.19)

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dove si posto:
Y = AGA T.

(III.20)

La matrice Y, di dimensioni (n-1)x(n-1), prende il


nome di matrice delle conduttanze ai nodi. Il sistema di
equazioni rappresentato dalla III.19, nelle incognite
potenziali ai nodi, il sistema risolvente della rete. Nel
capitolo successivo ritoveremo risultati analoghi partendo da un altro punto di vista.
Esercizi
Nei due schemi proposti si richiede di risolvere la rete,
nel primo caso applicando il principio di sovrapposizione degli effetti, e nel secondo caso applicando il teorema del generatore equivalente ai morsetti A e B. In
quest'ultimo caso, infatti, l'applicazione del teorema
del generatore equivalente - di tensione, per esempio, consente di ridurre la rete ad una con due sole maglie.
La corrente nel ramo 5 si calcola quindi agevolmente e
dalla sua conoscenza facile risalire ad ogni altra corrente nei rami della rete. Unaltra notevole semplificazione si ottiene applicando lo stesso teorema ai morsetti del lato 2!

Nella immagine successiva descritta la soluzione di un


problema posto in precedenza. La soluzione si determina con una elementare applicazione del metodo dei
potenziali ai nodi. Si noti che tale soluzione generalizzabile al caso di n rami in parallelo tra due soli nodi;
in questa forma viene spesso detta "formula di
Millman".

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Ei Gi
VO'O =

Gi

(III.21)

Infine per la verifica della soluzione dell'esercizio proposto nell'ultima immagine, diamo il valore della tensione tra i morsetti A e B, VAB = 192 V.

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I resistori nella loro realizzazione concreta


Nella prima immagine a lato sono mostrati alcuni resistori di dimensioni molto diverse. Si potrebbe pensare
che ci corrisponda al fatto che essi hanno valori di
resistenza molto diversi tra loro. Per inciso, per poter
indicare tutta la gamma di possibili valori delle resistenze, oltre all'unit di misura ohm (), si utilizzano
multipli e sottomultipli dell'unit fondamentale, come
indicato nel quadro riassuntivo. Cos un resistore di
10k (dieci kilohm) in realt un resistore di 10 x 103
= 10.000 ohm.
Per resistori di dimensioni abbastanza ridotte, pu
risultare difficile riportare sulla loro superficie esterna
il valore della resistenza da essi offerta. Si convenuto
quindi di segnalare tali valori mediante un codice a
barre colorate, che risulta per altro anche molto pi
visibile ed evidente. Il significato dei vari colori riportato in tabelle che si possono trovare in qualsiasi
manuale specialistico.
Accanto alle bande che indicano il colore, se ne trova,
in generale, una che indica la precisione con cui il valore della resistenza viene fornito. Questa tolleranza
dipende naturalmente dalle diverse tecniche costruttive ed ha, come facile immaginare, una grande influenza sul costo del componente.
Ma torniamo ai resistori di diverse dimensioni. L'idea
che tali dimensioni dipendano soltanto dalle differenze
dei valori in ohm delle rispettive resistenze, non esatta. Infatti, nel caso particolare, i tre resistori hanno la
stessa resistenza. Il valore in ohm della resistenza di un
resistore non quindi l'unico parametro sufficiente a
caratterizzare il bipolo fisico resistore. Vediamo brevemente per quali motivi.
In primo luogo ricordiamo che quando abbiamo introdotto il bipolo resistore, abbiamo sottolineato come la

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sua resistenza dipenda, oltre che dalla geometria del


sistema, anche dal materiale di cui il bipolo costituito.
Nella formula (5) tale ruolo svolto dalla resistivit .
Abbiamo anche visto che il modello della conduzione
elettrica di Drude d una giustificazione microscopica
di questa dipendenza lineare tra tensione e corrente.
Proprio il modello di Drude, per, ci ha indotti a
immaginare che la legge di proporzionalit tra "attrito"
resistente e "velocit" dei portatori di cariche, che
alla base appunto della legge di Ohm, non possa essere
verificata in ogni condizione. logico quindi supporre
che la resistivit di un materiale non sia una costante
indipendente dalle condizioni fisiche del materiale stesso.
Un fattore importante da cui la resistivit dipende la
temperatura del corpo. Nellimmagine a lato sono
riportate qualitativamente in un diagramma alcune
tipiche dipendenze della conducibilit = 1/ in funzione della temperatura, per tre materiali diversi.
Come si vede si riscontrano comportamenti anche
molto diversi: mentre la conducibilit del rame e del
piombo diminuisce al crescere della temperatura, quella della grafite aumenta. E comportamenti anche pi
complessi si possono riscontrare se si aumenta il campo
di variazione delle temperature o se si usano materiali
diversi. Ma limitiamoci ai casi classici mostrati in figura e osserviamo che la dipendenza (T) non in generale sempre lineare. Ci nonostante se il campo di
variazione delle temperature limitato, possiamo pensare di approssimare tale dipendenza con una relazione
lineare del tipo:
T = 0 1 + 0 T - T0

(III.22)

dove 0 la resistivit alla temperatura T0 e 0 un

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opportuno coefficiente che prende il nome di coeffi ciente di temperatura. Un osservatore attento riconoscer nella (III.22) il semplice sviluppo in serie di
potenze della funzione (T) con punto iniziale T0; il
termine 00 non altro che il valore di d/dT valutato in T0, e ci giustifica il fatto che tale coefficiente
dipende dalla scelta del punto iniziale. I valori di 0 si
trovano facilmente in opportune tabelle per i diversi
materiali: generalmente per T0 si sceglie la "temperatura ambiente" che si assume pari a 20C circa. Per il
rame, prodotto con procedimento elettrolitico, per
esempio, tale coefficiente vale 0 = 0,0038 (C)-1.
Dalle curve osserviamo che 0 pu anche essere negativo.
Il fatto che la resistivit vari con la temperatura porta
una conseguenza che non si rileva, forse, immediatamente. Come sappiamo, un resistore R attraversato da
una corrente I per un tempo t sede di una trasformazione energetica che porta alla produzione di una
certa quantit di calore Q = RI2 t. In conseguenza di
questo fenomeno, la temperatura del bipolo resistore
tende a crescere e quindi la sua resistenza a variare. Ne
consegue dunque una indiretta dipendenza di R da I,
con il che la legge di proporzionalit tra V ed I non
risulta pi verificata. In effetti per si raggiunge rapidamente una temperatura di regime, che si pu facilmente determinare con un semplice bilancio energetico; la temperature raggiunta sar quella alla quale la
potenza dissipata per effetto Joule esattamente eguale alla quantit di calore che nell'unit di tempo il bipolo resistore trasferisce all'ambiente esterno. Una volta
che la temperatura si sia stabilizzata, anche il valore di
R resta costante pur se diverso da quello iniziale.
Ma c' di pi. Se infatti la temperatura di regime che si
dovrebbe raggiungere per il valore della corrente che

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attraversa il bipolo, e quindi per la potenza che esso


costretto a sviluppare, troppo elevata, le caratteristiche del materiale possono cambiare totalmente: al limite, per correnti troppo elevate, il conduttore di cui
fatto il resistore, pu fondersi localmente e la conduzione stessa pu esserne compromessa.
chiaro dunque che di ogni resistore deve essere fornito, oltre al valore della sua resistenza, anche il valore
della corrente limite che esso in grado di tollerare
senza uscire dai margini di precisione indicati o, conseguenza pi grave, senza autodistruggersi.
Naturalmente per consentire ad un resistore di dissipare una maggiore potenza, mantenendo la sua temperatura entro limiti accettabili, il metodo pi immediato
che possiamo immaginare quello di aumentare la sua
superficie di contatto con l'ambiente esterno, di modo
che aumenti la quantit di calore trasmessa nell'unit di
tempo all'ambiente esterno. Ma potremmo immaginare anche altre tecniche: per esempio, una ventilazione
forzata. D'altra parte superfici pi grandi comportano
volumi maggiori; ecco quindi uno dei motivi per cui
resistori con lo stesso valore di resistenza possono avere
volumi anche molto differenti. Sono progettati per
diverse potenze!
Un altro fattore che pu influenzare le dimensioni di
un bipolo resistore la tensione di lavoro per cui esso
costruito. Questo parametro importante per resistori costruiti per tensioni elevate. Fino ad ora abbiamo
implicitamente assunto il resistore immerso in un
mezzo isolante - l'aria tipicamente - di modo che il
moto delle cariche fosse obbligato a svilupparsi esclusivamente attraverso il resistore stesso. In effetti qualsiasi mezzo isolante si comporta come tale solo se la forza
che agisce sulle cariche in esso presenti, che proporzionale al campo E, non supera determinati limiti.

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Oltre tali limiti l'isolante perde le sue caratteristiche, si


sviluppa una scarica al suo interno ed il passaggio di
cariche non pi interdetto. Per l'aria, per esempio,
tale valore, che prende il nome di rigidit dielettrica, si
aggira intorno ai 25 kV/cm, e dipende dalle sue condizioni fisiche. chiaro dunque che non sarebbe possibile realizzare un bipolo resistore, atto a sopportare
una tensione di 25kV, che non abbia tra i suoi morsetti
una distanza sufficientemente maggiore di un centimetro. Anche per questo motivo i resistori per elevate tensioni hanno generalmente dimensioni pi grandi, indipendentemente dalla potenza, generalmente non elevata, che sono in grado di dissipare.
Dei generatori reali abbiamo gi fatto cenno in precedenza e del come essi debbano necessariamente
avere una caratteristica del tipo mostrato in figura in
cui con l'aumentare della corrente erogata, la tensione
ai morsetti, come suol dirsi, si siede. Avremo dunque
una tensione a vuoto, che sar la massima possibile, ed
una corrente di cortocircuito, valore che in generale
non concretamente raggiungibile, a meno che non si
voglia rischiare di distruggere il dispositivo.
Il proporzionamento dei conduttori
Abbiamo sempre immaginato di poter connettere i
nostri generatori al carico mediante conduttori perfetti
che non introducono alcuna caduta di tensione.
Naturalmente ci non possibile nella realt; le connessioni al carico utilizzatore sono realizzate con materiali che, per quanto buoni conduttori, presentano sempre una certa resistivit.
Con riferimento allo schema riportato a lato, immaginiamo che la distanza tra carico e generatore sia L e che
la sezione del conduttore sia S. Quali conseguenze
dovremo attenderci da queste circostanze?

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In primo luogo, evidentemente, la tensione sul carico R


non sar uguale a quella fornita dal generatore ai suoi
morsetti; facile calcolare tale caduta di tensione,
tenendo conto che la lunghezza complessiva del collegamento 2L:
V = 2L I .
S

(III.23)

Dalla (III.23) appare chiaro che, se immaginiamo fissata la corrente I assorbita dal carico e la distanza L, la
caduta di tensione pu essere ridotta attraverso l'utilizzo di un miglior materiale conduttore (generalmente
pi costoso), oppure aumentando la sezione S dei conduttori. ragionevole dunque un proporzionamento dei
conduttori inteso ad ottimizzare aspetti specifici dell'impianto nel suo complesso. La caduta di tensione,
infatti, non l'unico elemento che va tenuto in conto:
la corrente I, che attraversa i conduttori di resistivit ,
produce una dissipazione di potenza che, per la legge
di Joule, data da:
P = R l I2 = 2L I2 .
(III.24)
S
Volendo ridurre tale potenza dissipata, chiaro che
ancora una volta possibile agire sulla sezione S in base
a quanto dettato dalla formula (III.24), piuttosto che
dalla formula (III.23). Ma non tutto: la potenza dissipata nel conduttore viene, come noto, trasformata in
calore e di conseguenza produce un innalzamento della
temperatura T del conduttore rispetto alla temperatura
ambiente T 0. La temperatura di regime che si raggiunge , come sempre, fissata dalla condizione di equilibrio tra la potenza elettrica dissipata e la quantit di
calore che, nell'unit di tempo, viene trasferita all'ambiente esterno. Quest'ultima proporzionale al salto di
temperatura T - T0 ed all'area della superficie di contatto tra corpo conduttore ed ambiente esterno.

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Abbiamo implicitamente fatto l'ipotesi che il meccanismo principale di trasferimento del calore all'ambiente
esterno sia quello della convezione, il che abbastanza
naturale dato che il conduttore sar, in ultima analisi,
circondato da un fluido isolante - l'aria, per esempio. In
definitiva, all'equilibrio si avr:
2
P = 2L I = k 2Lpl T,
(III.25)
S
dove k un coefficiente di convezione che dipende da
diversi fattori che sarebbe lungo qui elencare, S=r2 e
pl=2r sono rispettivamente l'area ed il perimetro della
sezione trasversale del conduttore supposto cilindrico e
di raggio r. questa la relazione che bisogna prendere
in considerazione qualora sia T= T - T0 la grandezza
che si vuole tenere sotto controllo. Naturalmente la
(III.25) pu essere ulteriormente raffinata se si tiene in
conto che la stessa resistivit del materiale dipende
dalla temperatura.
Come si vede il problema del proporzionamento dei
conduttori, almeno in corrente continua, , in linea di
principio, abbastanza semplice: una volta fissati i valori di V, P e T ammissibili, basta determinare quale
delle tre relazioni (III.23), (III.24) e (III.25) porta alla
condizione pi stringente nel caso specifico. Per
impianti comuni di tipo classico spesso si assume che
tutto ci porti in definitiva a fissare la densit di corrente I/S ammissibile nel conduttore. In altri casi i valori delle sezioni necessarie sono direttamente riportati in
tabelle che si trovano nei diversi manuali.
Gli strumenti di misura visti come bipoli
Un cenno agli strumenti di misura delle grandezze elettriche. Fino ad ora non ne abbiamo parlato anche perch il loro studio dettagliato esula certamente dai limiti di un corso di base di Elettrotecnica. In effetti quel-

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lo che ci interessa discutere non tanto il principio di


funzionamento di tali strumenti, quanto il ruolo che
essi si trovano a svolgere in quanto elementi di una rete,
quando vengono inseriti in essa per misurare le diverse
grandezze elettriche.
Cominciamo dal voltmetro che , ovviamente, uno strumento in grado di misurare la d.d.p. tra due punti. Un
tale dispositivo dovr disporre di due sonde - o morsetti - che dovranno essere posti in contatto elettrico con
i punti tra i quali si desidera misurare la differenza di
potenziale. Se si prescinde dalla sua specifica funzione
e si focalizza l'attenzione sul suo inserimento nella rete,
si pu vedere un voltmetro come un bipolo; in tal
senso esso sar caratterizzato da una sua resistenza
interna, se supponiamo si tratti di un voltmetro per la
misura di tensioni continue.
Supponiamo dunque di voler caratterizzare dal punto
di vista elettrico un voltmetro di tal tipo. Considerato
come bipolo, esso presenter ai suoi morsetti una resistenza interna Ri. Una caratteristica fondamentale di
ogni strumento di misura che esso deve "disturbare"
quanto meno possibile il sistema in cui esso viene
inserito. Se ci non fosse, lo strumento non misurerebbe la grandezza voluta nel sistema "indisturbato" dalla
sua presenza. Uno sguardo allo schema di principio
mostrato a lato - dove, per inciso, anche mostrato il
simbolo che utilizzeremo per lo strumento in esame - fa
subito comprendere che un voltmetro ideale, per avere
una tale propriet, deve presentare ai suoi morsetti una
resistenza infinita; solo in tal caso infatti la corrente
derivata dal voltmetro nulla e quindi la tensione ai
morsetti del carico risulta indipendente dalla presenza
del voltmetro stesso.
Considerazioni del tutto analoghe possono svolgersi
per l'amperometro, lo strumento che misura l'intensit

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della corrente. L'amperometro, naturalmente, dovr


essere inserito in serie nel ramo di cui si vuole misurare la corrente, cos come indicato schematicamente.
Esso, se ideale, dovr presentare una resistenza nulla ai
suoi morsetti, altrimenti la tensione ai morsetti del carico, e quindi la corrente da esso assorbita, non risulteranno indipendenti dalla presenza dell'amperometro
stesso.
In regime continuo non necessario fare appello ad
uno strumento speciale per la misura della potenza: un
voltmetro ed un amperometro sono in linea di principio sufficienti. Come vedremo, in regime sinusoidale,
occorrer introdurre un tale dispositivo speciale che
prender il nome di wattmetro; come facile intuire,
esso non potr essere un semplice bipolo, dovendo presentare quattro morsetti.
Esercizi
Per la rete mostrata nel primo schema, determinare la
matrice di incidenza e la matrice delle conduttanze di
lato.

Nel secondo problema si richiede di determinare la


tensione tra i morsetti A e B del parallelo di due gene ratori reali idealizzati. La soluzione banale ma ci servir in seguito per alcuni commenti sul parallelo dei
generatori.

Infine per la verifica dei due problemi successivi, gi


proposti in precedenza, diamo i valori della corrente
nel resistore R3, I 3= 0,5A, e di quella nel resistore R5,
I5= 1,06A, rispettivamente.

Capitolo IV

L n-polo
Abbiamo osservato che una qualsiasi rete, vista da due
nodi, diventa, a tutti gli effetti esterni, un bipolo unico
e questo in qualche misura ovvio e abbiamo anche
mostrato come costruire il bipolo equivalente alla rete
data, sia nel caso che essa sia passiva, sia nel caso in cui
sia attiva. Abbiamo anche osservato, per, che non
tutte le possibili configurazioni sono risolvibili riducendo la rete attraverso successivi accoppiamenti serie
o parallelo di due o pi bipoli. A confermarlo abbiamo
portato l'esempio della classica rete a ponte mostrata in
figura. Si immagini, infatti, di voler determinare il bipolo equivalente alla rete vista dai morsetti A e B. Siamo
subito in difficolt perch non troviamo nella rete n
rami in serie n rami in parallelo. facile convincersi
che nessuno dei 5 rami aggregabile ad un altro per
costruire un primo bipolo equivalente da cui prendere
le mosse. Val la pena di notare che un tal problema
non esisterebbe se si volesse il bipolo equivalente alla
rete vista dai morsetti C, D. In tal caso, infatti, si ha
immediatamente che si tratta del parallelo di tre bipoli:
il bipolo 3, il bipolo che si ottiene dalla serie di 1 e 2 e

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quello che si ottiene dalla serie di 4 e 5.


Ma torniamo ai nodi A e B. La nostra difficolt dovuta alla presenza nella rete di strutture del tipo a trian golo o a poligono come 1, 2, 3 e 3, 4, 5 o equivalentemente a stella come 2, 3, 4, che non sono riconducibili
ad un sistema a due morsetti e cio ad un bipolo. Siamo
portati dunque a prendere in considerazione sistemi a
pi poli, cio un complesso di bipoli collegati tra di
loro e visti da n nodi; un sistema che schematizzeremo
dora in poi alla maniera rappresentata in figura.
Si pone il problema a questo punto di estendere il concetto di caratteristica ad un tale sistema. Ragioniamo
alla maniera seguente: supponiamo di alimentare ogni
polo con n generatori ideali di tensione Er come
mostrato in figura, e supponiamo ancora che la rete sia
costituita da tutti bipoli lineari. In tal caso per calcolare le n correnti nei rami dei generatori potremo usare il
teorema di sovrapposizione e affermare che la corrente
Ii nel ramo del generatore iesimo la somma delle varie
correnti Iir che si ottengono nel ramo iesimo quando di
volta in volta lasciamo operare il solo generatore nel
ramo erresimo, cos come mostrato in figura.
Daltra parte in ognuna delle reti cos ottenute, a causa
della linearit dei bipoli componenti, la corrente Ii
dovr risultare proporzionale alla tensione Er.
Chiamiamo Gir tale fattore di proporzionalit, che ha
appunto le dimensioni dellinverso di una resistenza,
cio di una conduttanza. In conclusione sommando
leffetto di tutti i generatori presenti avremo:
I1 = G 11 E1 +...+ G 1r Er +...+ G 1n En
...........................................
Is = G s1 E1 +...+ G sr Er +...+ G sn En
...........................................
In = G n1 E1 +...+ G nr Er +...+ G nn En

(IV.1)

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In altri termini ln-polo invece di essere individuato da


un solo parametro G come un bipolo, individuato da
n2 parametri Grs cio da una matrice di ordine n di
conduttanze che prende appunto il nome di matrice
delle conduttanze. Come vedremo, in realt, i parametri
indipendenti da cui realmente dipende la matrice delle
conduttanze non sono n2, bens in numero molto minore. Per ora osserviamo che tra le Grs ve ne sono alcune
che si distinguono dalle altre: quelle del tipo Grr con
pedici eguali, e cio gli elementi della diagonale della
matrice. Esse infatti, per costruzione, sono derivate da
schemi circuitali del tipo mostrato nella quarta figura.
Risulta evidente che esse sono delle reali conduttanze
equivalenti del bipolo (questa volta un vero bipolo)
che si ottiene prendendo in considerazione un polo
delln-polo e come altro estremo linsieme di tutti gli
altri n - 1 poli collegati in corto circuito tra di loro.
Natura diversa hanno invece le Grs che rappresentano
semplicemente il rapporto tra la corrente nel ramo r e
la tensione nel ramo s, quando tutti gli altri poli, tranne lessesimo, sono collegati in corto circuito. Si tratta
certamente di grandezze che hanno le dimensioni di
conduttanze, ma non sono conduttanze mostrate dalla
rete a particolari coppie di morsetti. Per questa ragione
si distinguono le due grandezze con nomi diversi: con duttanze proprie o autoconduttanze, le prime e condut tanze mutue, le seconde.
Vediamo ora di quali propriet godono gli elementi di
una matrice di conduttanze. Osserviamo in primo
luogo che avendo fatto la convenzione dellutilizzatore
a tutti i poli, dovr necessariamente essere, per la passivit della rete, Grr 0, in quanto effettive conduttanze
di bipoli equivalenti. Le Grs invece non sono necessariamente positive; anzi possibile dimostrare facilmente che deve risultare:

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Grs 0.

(IV.2)

Infatti perch si abbia Grs > 0 dovrebbe essere Ir > 0


con E s >0; ma in tal caso allinterno della rete, alimentata dalla sola Es tra il nodo s ed il nodo O, comune a
tutti gli altri poli, dovrebbe esistere un nodo a potenziale minore di quello di O, (solo in tal caso infatti la Ir
> 0 sarebbe compatibile con la supposta passivit del
particolare ramo dove la Ir si trova a circolare); ma ci
impossibile per il principio di non amplificazione
delle tensioni.
Ma c di pi. Se proviamo ad applicare il teorema di
reciprocit alle due reti che hanno portato allindividuazione di Grs e Gsr troviamo immediatamente il
seguente risultato:
Grs = Gsr .

(IV.3)

La matrice G necessariamente simmetrica. Questo


significa che degli n2 parametri che la compongono,
solo n2-(n2-n)/2 sono indipendenti.
Se infine proviamo ad applicare la LKC al nodo O troviamo che la somma delle Ir deve essere nulla. Cio:

s Gs1 E1+..+ s GsrEr+..+ s Gsn En= 0. (IV.4)


Il che, essendo le Es qualsiasi, comporta che:

s Gsr = 0,

(IV.5)

per qualsiasi r, o anche:


Grr = - Gsr .

(IV.6)

sr

Una volta note le mutue conduttanze, dunque, le autoconduttanze possono essere ottenute in base alla IV.6.

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91

Ne deriva che altri n parametri sono dipendenti. In


conclusione i parametri indipendenti nella matrice G
sono:
2
nn-1
n2 - n - n - n =
.
2
2

(IV.7)

Per assegnare, dunque, una matrice di conduttanza


non si possono scegliere n2 numeri qualsiasi, anzi il
modo pi immediato per farlo quello di assegnare
n(n-1)/2 grandezze, negative naturalmente, che rappresentano le n(n-1)/2 mutue conduttanze delln-polo!
Delle infinite reti che possono dare luogo ad un n-polo
se ne distinguono immediatamente due di tipo particolare: la rete a poligono completo e quella a stella. La
prima si ottiene collegando ogni coppia di poli r ed s
con un bipolo di resitenza Rrs. La rete cos ottenuta
prende il nome di rete a poligono completo con n verti ci. facile verificare che il numero di lati di una tale
rete pari ad n(n-1)/2; le combinazioni, cio, di n
oggetti a due a due senza ripetizione. In un n-polo a
poligono, completo o non, non vi sono nodi interni.
Laltro schema caratteristico quello a stella, costituito
da l lati ognuno collegato tra uno degli n poli ed un
nodo interno comune, come mostrato nella stessa figura. Un n-polo a stella, dunque, ha un solo nodo interno.

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Poniamoci ora il problema di stabilire in quali condizioni due n-poli dello stesso numero di poli possono considerarsi equivalenti. Come logica estensione
dellequivalenza dei bipoli, potremo dire che essi possono ritenersi equivalenti quando, sottoposti alla stessa
ennupla di tensioni, assorbono la stessa ennupla di correnti. evidente che ci comporter anche la uguaglianza delle due matrici delle conduttanze. In particolare cerchiamo le concrete condizioni di equivalenza

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tra un n-polo a poligono ed uno a stella.


Consideriamo in primo luogo un n-polo a stella e cerchiamo la relazione che lega la generica corrente I i nel
ramo iesimo alla ennupla di potenziali Vr ai poli (simboli e convenzioni sono illustrati in Fig. IV.1).

Fig.IV.1
Si avr:
Ii = Vi - V0 .
Ri

(IV.8)

Una relazione analoga si potr scrivere per uno qualsiasi dei rami, quindi per il ramo erresimo:
Ir = Vr - V0 .
Rr

(IV.9)

Daltra parte dalla LKC applicata al nodo O si ottiene:


Vr - V0 =
r Ir =
Rr
r
=
r

E quindi:

Vr - V
1 =0.
0
Rr
r Rr

(IV.10)

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93

V0 =

r VRrr
r

1
Rr

= 1
G0

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r VRrr .

(IV.11)

dove si posto:
G0 = 1 .
r Rr

(IV.12)

Ritornando ora alla espressione IV.8 della Ii , si ottiene:


Ii = Vi - 1 Vr ,
Ri Ri G0 r Rr

(IV.13)

o anche, estraendo dal segno di sommatoria il termine


iesimo, in modo da separare la parte di Ii che dipende
esclusivamente da V i da quella che dipende da tutti gli
altri valori di V r:
Ii = Vi 1 - 1 - 1 Vr . (IV.14)
Ri R2 G0 Ri G0 ri Rr
i
Consideriamo ora laltro caso: il poligono di n(n-1)/2
lati come schematicamente mostrato in figura.

Fig.IV.2
In questo caso si avr:

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94

Ii = Vi - Vr = Vi 1 - Vr . (IV.15)
Rri
R
R
ri
ri ri ri ri
Confrontando le due espressioni, (IV.14) e (IV.15),
delle Ii cos determinate, si verifica immediatamente
che esse sono identiche per qualsiasi ennupla di Vr se e
solo se:
Rri = Rr Ri G0 .

(IV.16)

In tal caso infatti la (IV.15) diventa:


Ii = Vi

1
- Vr
=
RRG
RRG
ri r i 0 ri r i 0
= Vi 1 - 1 Vr =
Ri G0 ri Rr Ri G0 ri Rr
(IV.17)
V
V
V
i
1
i
1
r
=
=
Ri G0
r Rr R2i G 0 Ri G 0 ri Rr
= Vi - Vi - 1 Vr .
Ri R2 G0 Ri G0 ri Rr
i
Lequivalenza dunque assicurata se risultano verificate le n(n-1)/2 relazioni di cui alla IV.16:
Se dunque si ha un n-polo a stella, sempre possibile
costruire un n-polo a poligono completo le cui n(n-1)/2
resistenze di lato Rri siano date appunto dalle n(n-1)/2
relazioni trovate, e che quindi risulta equivalente alla
stella di partenza.
Il caso opposto, invece, in cui siano note le n(n-1)/2
resistenze di lato in un poligono completo, e si voglia
conoscere le n resistenze di lato di un eventuale poligono a stella equivalente, risolvibile solo nel caso in
cui il numero delle equazioni, n(n-1)/2, pari al numero di incognite n, cio solo nel caso n=3! Per n>3 il
numero delle equazioni superiore al numero delle
incognite ed il problema, quindi, non ammette soluzione!

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Abbiamo dunque mostrato che, mentre sempre possibile ricondurre una stella ad un poligono, la trasformazione opposta possibile solo nel caso n=3 e cio,
come si dice, dal triangolo alla stella a tre rami.
Una importante osservazione la seguente: mediante
successive trasformazioni delle stelle relative ai nodi
interni di un n-polo, possibile far via via scomparire
tali nodi interni. Ne consegue che un qualsiasi n-polo
riconducibile ad un n-polo a poligono. Si abbia dunque
un tale n-polo a poligono (completo o non, questo non
ha importanza), e si voglia calcolare gli elementi della
matrice delle conduttanze. Per quanto detto in precedenza baster calcolare le n(n-1)/2 grandezze Grs con
rs! facile verificare che risulta:
Grs = - 1
(IV.18)
Rrs
se Rrs la resistenza tra i nodi r e s delln-polo!
Per calcolare G rs, infatti, bisogna collegare tutti i nodi,
tranne il nodo s, al morsetto O del generatore, come
mostrato in figura. Ma cos facendo ogni bipolo che si
trovi su di un lato non collegato ad s viene ad essere
cortocircuitato e quindi in esso non potr circolare corrente. Ne consegue che la corrente Ir dovr riversarsi
tutta nellunico ramo che partendo da r sia collegato
anche ad s, il ramo con resistenza Rrs. Si ha quindi Es
= - Rrs Ir (il meno deriva dalla convenzione che, in tali
condizioni, del generatore), da cui Grs = - 1/Rrs
Il procedimento per cui, data la rete, se ne determina la
matrice delle conduttanze viene detto di analisi dell'npolo. Ne abbiamo mostrato una possibile soluzione che
passa attraverso la sostituzione delln-polo di partenza
con uno equivalente a poligono.
Il processo inverso, prende il nome di sintesi dellnpolo: data cio una matrice quadrata n che soddisfi alle
condizioni di cui in precedenza, che giustamente ora

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possono prendere il nome di condizioni di fisica realiz zabilit, determinare un n-polo che presenti appunto
quella data come matrice delle conduttanze.
Rileggendo con una prospettiva diversa quanto sviluppato precedentemente, si pu dire che almeno una
soluzione al problema della sintesi labbiamo gi data.
Se infatti, sono Grs i valori fuori diagonale della matrice assegnata, ln-polo costituito da un poligono completo i cui rami abbiano resistenza Rrs = - 1/Grs ha
appunto la desiderata matrice delle conduttanze!
Riprendiamo in considerazione, ora, il problema del
circuito a ponte da cui siamo partiti per introdurre
gli n-poli. chiaro che il problema di trovare il bipolo
equivalente tra A e B si risolve rapidamente se, per
esempio, si trasforma il triangolo costituito dai rami 3,4
e 5. Il circuito si riduce a quello mostrato in figura e la
resistenza tra A e B si calcola ora agevolmente. Come si
detto il circuito in esame viene denominato ponte di
Wheatstone e trova una applicazione molto interessante nel campo delle misure. Senza soffermarci sull'argomento, si noti che qualora le resistenze nei rami
1,2,4,5 soddisfino la relazione:
R1 R4 = R2 R5 ,
(IV.19)
allora la corrente nel ramo 3 identicamente nulla. Si
dice in tal caso che il ponte in equilibrio. Se il valore
di uno dei resistori nei quattro lati del ponte non
noto, ed un altro variabile, possibile determinare il
valore della resistenza incognita dalla relazione IV.19,
una volta raggiunta la condizione di corrente nulla nel
ramo 3, modificando la resistenza del resistore variabile. Naturalmente occorre che nel ramo 3 sia presente
uno strumento in grado di rilevare l'annullamento della
corrente.
Ritornando alla trasformazione stella-poligono, notiamo che dalle (IV.16) si ottengono facilmente le resi-

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stenze del poligono equivalente una volta siano note


quelle della stella di partenza. Per il caso n=3 facile
determinare le relazioni inverse che forniscono le resistenze della stella se sono note quelle del triangolo:
Ri = Rir Ris .
(IV.20)
R0
Dove si posto:
R0 = R12 + R23 + R31
Esercizi
Nella rete in figura, che abbiamo gi risolto con diversi metodi, possiamo ora provare ad utilizzare le trasformazioni poligono-stella. Applicando, infatti, il principio di sovrapposizione degli effetti, ci troviamo a dover
risolvere due reti con un solo generatore; una volta
quello di tensione ed un'altra quello di corrente. La
determinazione della resistenza equivalente del bipolo
connesso ai morsetti dei generatori nei due casi ostacolata da strutture a ponte del tipo di quelle studiate.
Utilizzando le formule della trasformazione triangolostella il problema trova una semplice soluzione.
Infine per la stessa rete riportiamo la matrice di incidenza e la matrice delle conduttanze di lato.

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LN-bipolo o N-porte
Una rete passiva con un certo numero di poli pu
anche essere considerata da unaltro punto di vista.
Assumiamo che il numero di poli n sia pari e poniamo
N = n/2. Se scegliamo N coppie di poli e conveniamo
di collegare sempre tale n-polo al resto del mondo
avendo cura che la corrente che entra in un polo di
ogni singola coppia sia uguale a quella che esce dallaltro, la struttura cos ottenuta godr evidentemente di

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speciali propriet. Vogliamo evidenziare tali propriet


del sistema descritto che dora in poi chiameremo Nbipolo. Un generico N-bipolo sar rappresentato come
in figura e sar caratterizzato da N porte costituite dalle
N coppie di morsetti associati. Si parler infatti anche
di un sistema ad N porte.
La teoria generale dellN-bipolo lineare ricalca quella
dello n-polo. Anche per lN-bipolo, alimentato con N
generatori di tensione, si pu applicare alle N porte come al solito assumeremo la convenzione dellutilizzatore per ogni porta - il principio di sovrapposizione ed
ottenere un sistema del tipo:
I1 = G 11 E1 + ...+ G 1r Er +...+ G 1NEN
...........................................
Is = G s1 E1 + ...+ G sr Er +...+ G sNEN (IV.21)
...........................................
IN = G N1E1 + ...+ G NrEr +...+ G NNEN
Le Grs sono gli elementi di una matrice NxN che prende il nome di matrice delle conduttanze e che nel seguito indicheremo con il simbolo G.
Non inganni la apparente somiglianza tra i sistemi di
equazioni delln-polo e dellN-bipolo. Le singole Grs
hanno evidentemente significati diversi. Si avr infatti:
Grs = Ir
Es

Ei =0 per ogni i
ES0

(IV.22)

In altri termini quando tutte le porte salvo la essesima


sono cortocircuitate. In particolare per s=r si avr una
conduttanza propria vista dalla porta r quando tutte le
altre sono in corto. Ne consegue, come per il caso delln-polo, che G rr 0. Non sar invece vero che le conduttanze mutue debbano necessariamente risultare
negative. Si guardi, infatti, allo schema da cui la Grs
generica viene dedotta, rappresentato in figura. Questa

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99

volta la corrente I r va da un nodo interno della rete ad


un altro nodo anchesso interno. Nulla ci assicura quindi che essa sia negativa (per Es positiva)! Daltra parte
il teorema di non amplificazione delle tensioni, o se si
vuole quello di non amplificazione delle correnti, fornisce qualche informazione sulle Grs. Dato che infatti
nel circuito di figura certamente Ir Is , tenendo
conto del fatto che Grr definito positivo, si avr:
Grr =

Ir
Er

Ei =0
Er0

Is
Er

Ei =0
Er0

= Gsr

(IV.23)

Una propriet del tutto analoga, invece, sia nell n-polo


che nell N-bipolo, quella che discende dalla reciprocit. Si ha, infatti, che:
Grs = Gsr ,

(IV.24)

e quindi solo (N2-N)/2 + N = N(N+1)/2 elementi della


matrice delle conduttanze sono linearmente indipendenti. Si osservi che tale numero non diminuisce ulteriormente come nel caso delln-polo, perch questa
volta la legge di Kirchhoff ai nodi non fornisce ulteriori vincoli, dato che essa identicamente soddisfatta per
costruzione: da ogni porta una stessa corrente entra da
un morsetto ed esce dallaltro.
Le condizioni (IV.23), (IV.24), e quella che impone che
le Grr siano tutte positive, sono le condizioni di fisica
realizzabilit per l'N-bipolo
Si pu descrivere lN-bipolo attraverso una matrice
delle resistenze invece che di conduttanze. Basta risolvere il sistema di equazioni (IV.21) rispetto alle Es, ottenendo:

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E1 = R11 I1 +...+ R 1r Ir +...+ R 1NIN;


...........................................
Es = Rs1 I1 +...+ R sr Ir +...+ R sNIN;

(IV.25)

...........................................
EN = RN1I1 +...+ R NrIr +...+ R NNIN.
dove si avr, evidentemente:
Ars ,
det(G)
e det(G) il determinante della matrice delle conduttanze ed Asr il minore aggiunto del termine di posto
s,r. In altri termini la matrice delle G la inversa della
matrice delle R. Vale la pena sottolineare che, di conseguenza, R sr 1/Gsr .
Rrs =

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Il caso N = 2 particolarmente interessante tanto da


meritare un nome speciale: doppio bipolo. I parametri
indipendenti saranno tre: R11, R22 ed R12=R21 nella
matrice delle resistenze, e G11, G22 ed G12=G21 in
quella delle conduttanze. Nei due casi avremo le equazioni:
V1 = R11 I1 + R12 I2 ,
(IV.26)
V2 = R21 I1 + R22 I2 ,
per la matrice R, e:
I1 = G 11 V1 + G 12 V2 ,
I2 = G 21 V1 + G 22 V2 ,

(IV.27)

per la matrice G. Utilizzando il formalismo matriciale


le (IV.26) ed (IV.27) prendono la forma :
V =RI,
(IV.28)
I =GV,
dove V ed I sono rispettivamente i vettori colonna (o
riga) delle tensioni e delle correnti ed R e G le matrici

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101

dei parametri R e G.
evidente che per sintetizzare un doppio bipolo si
avr bisogno di almeno tre bipoli resistori; infatti tre
sono i parametri indipendenti che determinano la
matrice delle R o delle G di un doppio-bipolo. Daltra
parte tre bipoli resistori possono essere collegati in due
fondamentali modi diversi: a stella (o a T, in questo
caso) o a triangolo (o anche a p greco, , per la caratteristica forma dello schema elettrico).
facile ricavare i parametri R e G nei due casi del doppio bipolo a T ed a . Nel primo caso si ha che:
R11 = Ra + Rb ;
R22 = Rc + Rb ;
R12 = Rb ;

(IV.29)

e:
1
;
Ra + Rb Rc
Rb + Rc
1
=
;
R
R
b
a
Rc +
Rb + Ra
Rb
=.
Ra Rb + Rc + Rb Rc

G11 =
G22
G12

(IV.30)

Mentre nel secondo caso si ha:


R' a R' b + R' c
;
R' a + R' b + R' c
R' c R' b + R' a
=
;
R' a + R' b + R' c
R' aR' c
=
;
R' a + R' b + R' c

R' 11 =
R' 22
R' 12
e:

(IV.31)

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G' 11 = R' a + R' b ;


R' aR' b
R'
G' 22 = c + R' b ;
R' cR' b
G' 12 = - 1 .
R' b

(IV.32)

Le relazioni scritte quindi consentono in ogni caso di


determinare le resistenze Ra, R b e R c, R' a, R' b e R' c del
doppio bipolo a T o a che realizza una qualsiasi
matrice delle R o delle G che soddisfino le condizioni
di fisica realizzabilit. Se ne conclude che un qualsiasi
insieme di parametri R o G pu essere sintetizzato da
un doppio bipolo a T o a , e quindi anche che un
qualsiasi doppio bipolo pu essere ricondotto ad un
doppio bipolo a T o a .
In verit gli schemi utilizzati consentono di risolvere
solo met dei problemi possibili. Abbiamo osservato
infatti che la R12 e la G12 possono essere sia positive
che negative. Le relazioni trovate, invece, consentirebbero di sintetizzare solo matrici delle R con Rm0 e
delle G con Gm<0. Il problema si risolve brillantemente aggiungendo le due possibilit ulteriori, illustrate
nelle immagini a lato, con i morsetti secondari invertiti.
Per la stella si avr infatti:
R12 = - Rb ,
(IV.33)
Rb
G12 =
.
Ra Rb + Rc + Rb Rc
Mentre per il triangolo si avr:
R' aR' c
R' 12 = ;
R' a + R' b + R' c
G' 12 = 1 .
R' b

(IV.34)

Supponiamo, ora, di chiudere la porta secondaria su di


un carico R, come mostrato, e poniamoci il problema di

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103

determinare il valore della resistenza vista dalla porta


primaria. Le equazioni sono:
V1 = R11 I1 + RmI2 ,
V2 = RmI1 + R22 I2 ,

(IV.35)

V2 = - RI2 .
Ricavando I 2 dalla seconda, in cui V2 stato eliminato
in base alla terza, si ottiene:
I2 = - RmI1 ,
R + R22
e sostituendo nella prima si ha:
2
Re = V1 = R11 - Rm .
I1
R + R22

(IV.36)

Come si vede, utilizzando un doppio bipolo come tramite, possibile variare a piacimento la resistenza equivalente vista, per esempio, da un generatore collegato a
monte. Questo uso del doppio bipolo come mezzo per
variare caratteristiche di un carico ed adattarle a quelle
del generatore molto comune. L'adattamento non si
ottiene per senza pagare uno scotto: la potenza che
viene necessariamente dissipata nel doppio bipolo
adattatore. Proviamo a calcolarla: essa evidentemente
pari a V1 I1 + V2 I2. Utilizzando i parametri R per esprimere le tensioni in funzione delle correnti, si ottiene:
P = R 11 I21 + 2 Rm I1 I2 + R22 I22 .

(IV.37)

Una espressione pi significativa della potenza assorbita si ottiene ricavando I1 dalla prima delle (IV.26) e
sostituendola nella (IV.27), tenendo conto della
(IV.25). Dopo alcuni passaggi si ottiene:
P=

V21
I2
+ 2 .
R11
G22

(IV.38)

104

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Nella (IV.38) la potenza assorbita espressa come


somma della potenza assorbita dalla porta primaria
quando la secondaria a vuoto e la potenza assorbita
dalla porta secondaria con la primaria in corto circuito.
Facciamo ora un brevissimo cenno ad altre possibili
rappresentazioni dellN-bipolo ed, in particolare, del
doppio bipolo. Invece di esprimere le tensioni alle
porte in funzione delle correnti, o viceversa, possibile esprimere, per esempio, la V1 e la I2 in funzione della
V2 e della I1. Si ottiene:
V1 = h11 I1 + h12 V2 ,
(IV.39)
I2 = h21 I1 + h22 V2 .
I parametri h cos definiti prendono il nome di para metri ibridi; si noti, infatti, che essi non hanno tutti le
stesse dimensioni. Mentre h11 ha le dimensioni di una
resistenza ed h22 ha quelle di una conduttanza, h12 ed
h21 hanno le dimensioni di numeri puri. Per definizione sar infatti:
h12 = V1
V2

; h21 = I2
I1
I1=0

.
V2=0

Si noti infine che per i parametri h la reciprocit


espressa dalla relazione h 21 = - h 12.
La rappresentazione ibrida analoga, in cui V2 e I1 sono
espressi in funzione di V1 ed I 2 , viene detta dei para metri g e di essa diamo solo la definizione:
I1 = g11 V1 + g12 I2 ,
(IV.40)
V2 = g21 V1 + g22 I2 .
Un cenno infine alla descrizione del doppio bipolo con
la cosiddetta matrice di trasmissione che mette in relazione le grandezze ad una porta con quelle allaltra:

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V1 = t11 V2 + t12 I2 ,
I1 = t21 V2 + t22 I2 .

105

(IV.41)

Si noti la scelta della convenzione del generatore alla


porta secondaria; il motivo di tale scelta sar immediatamente chiaro.
Le rappresentazione con la matrice di trasmissione sottolinea il fatto che il doppio bipolo pu essere visto
come un sistema di trasferimento ingresso-uscita (o
segnale-risposta o causa-effetto). Questo modo di concepire le cose sar molto utile quando tratteremo il
doppio bipolo in regime dinamico qualsiasi.
Utilizzando la matrice di trasmissione T possibile
esprimere in modo molto sintetico la caratteristica di
due doppi bipoli in cascata, o in serie; si ha infatti:
U ' = T' U

ed

U " = T" U '.

Evidentemente i vettori U, U' ed U" sono i vettori di


ingresso e di uscita, nei diversi casi, distinti dagli apici.
Combinando le due relazione si ottiene:
U " = T' T" U ,
e la matrice equivalente il prodotto delle due matrici
di trasmissione dei doppi bipoli in cascata.
Val la pena di osservare che non tutti i doppi bipoli
permettono tutte le diverse rappresentazioni possibili.
Lo strano doppio bipolo mostrato nel primo schema
della seconda immagine a lato ha una rappresentazione
mediante i parametri G, mentre non consente una reppresentazione con i parametri R. Per il secondo schema
accade l'inverso: mentre il doppio bipolo ha una matrice R, non ha invece una matrice G. Per rendersi conto
del perch ci accada basta provare a calcolare i relativi parametri secondo le classiche definizioni. Su questo
argomento ritorneremo nel seguito.

106

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A titolo di esempio proviamo a calcolare le matrici R e


G per il doppio bipolo riportato a lato. Per determinare la R11 bisogna determinare il rapporto tra tensione e
corrente primaria quando la porta secondaria aperta;
in tali condizioni i resistori R2 e R5 sono in serie e la
loro serie in parallelo con R4. A questo parallelo va
aggiunto in serie il resistore R1. Il calcolo di R22 del
tutto simile. Per calcolare R12 bisogna invece assumere,
per esempio, la porta primaria aperta e calcolare il rapporto tra la tensione primaria e la corrente secondaria.
Ma in tali condizioni la corrente I2 si ripartisce evidentemente nei due rami in parallelo costituiti dal resistore R5 e dalla serie di R2 e R4. Quest'ultima corrente, circolando nel resistore R4 dar luogo alla caduta di tensione che poi si rileva anche ai morsetti primari. Nel
resistore R1, infatti, non circola alcuna corrente.
Infine i parametri G. Per calcolare G11 occorre cortocircuitare la porta secondaria. In tali condizioni la resistenza vista alla porta primaria - la conduttanza G11
sar proprio l'inverso di tale resistenza - data dalla
serie del parallelo tra R3 e R5 con il resistore R2; il bipolo equivalente cos determinato a sua volta in parallelo con R4 ed infine in serie con R1. Il calcolo di Gm pu
condursi alla maniera seguente. In primo luogo bisogna
cortocircuitare una delle due porte; si osservi che se si
sceglie di cortocircuitare la porta secondaria - il che
equivale a scegliere di calcolare G21 piuttosto che G 12
- lo schema elettrico che ne deriva lo stesso utilizzato
per calcolare G11. In queste condizioni, dunque G11 V1
la corrente che entra alla porta primaria. agevole a
questo punto ripartire tale corrente nei diversi rami in
parallelo fino a trovare il contributo circolante in R 3. Il
rapporto tra questa corrente e la tensione V1 la conduttanza cercata. Attenti al segno di Gm!

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107

Esercizi
Per la rete proposta in precedenza e mostrata nella
immagine a lato, diamo, per una verifica dei risultati, il
valore della corrente nel resistore R7 , I7 = 1,2 A.
Correnti e tensioni negli altri rami della rete si deducono facilmente dalla conoscenza di questa grandezza.
Per il secondo esercizio la formula di Milmann fornisce
immediatamente la soluzione:
VAB =

E1 R1 + E2 R2
.
1 R1 + 1 R2

(IV.43)

Si noti il ruolo giocato dalle due resistenze in serie ai


generatori ideali di tensione: sono loro che rendono
possibile un collegamento che altrimenti, come abbiamo visto, non sarebbe possibile. Se infatti R1 ed R2
vanno a zero, la formula perde di significato. Le cadute di tensione sulle due resistenze, dovute alla corrente
circolante nella maglia, rendono eguali, e quindi compatibili, le due tensioni ai morsetti A e B. Si osservi che
nel circuito in esame vi dissipazione di potenza anche
quando i morsetti A e B non sono chiusi su di un carico; il generatore equivalente, dunque, dissipa anche
quando a vuoto. Tenendo conto di alcune osservazioni fatte in precedenza questo non pu stupire.
Infine qualche problema sui doppi bipoli. Nel primo
caso si richiede di calcolare le matrici R, G, ibride e di
trasmissione, per il doppio bipolo mostrato.
Nel successivo due problema vengono proposte due
matrici 2x2 e si chiede di stabilire quale di esse pu
essere la matrice R per un doppio bipolo. Una volta
determinata la matrice fisicamente realizzabile, si chiede di sintetizzarla con un circuito, per esempio a T.

108

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

I generatori dipendenti o pilotati e gli amplificatori operazionali


Abbiamo pi volte ricordato che i generatori fin ora introdotti, di tensione e
di corrente, vengono detti ideali
per il fatto che essi forniscono ai
loro morsetti una tensione o una
corrente che non risente in alcun
modo del carico a cui essi vengono connessi. Per questo motivo essi
vengono anche detti generatori
indipendenti. Abbiamo anche sottolineato che in un generatore
reale impossibile che ci accada. In un generatore di tensione reale la
d.d.p. ai morsetti dipender dalla corrente erogata secondo una legge V=V(I)
del tipo di quella mostrata qualitativamente in
figura. Potremmo affermare, da questo punto di
vista, che il generatore reale un generatore dipen dente. Questa osservazione fornisce lo spunto per
l'introduzione di una nuova classe di generatori
nei quali la tensione ai morsetti, se si tratta di
generatori di tensione, per esempio, s dipendente, ma non dalla corrente che essi stessi erogano, bens da un'altra corrente circolante in altro
ramo della rete. Chiameremo tali generatori gene ratori pilotati ed useremo per essi i simboli
mostrati, a seconda che si tratti di generatori di tensione o di corrente. In effetti non necessario che la tensione di un generatore sia pilotata da una corrente: la grandezza che pilota, secondo una ben determinata legge, pu anche
essere un'altra tensione che insiste su di un altro ramo della rete. In conclusione siamo portati a definire quattro diversi tipi di generatori pilotati:
Generatore di tensione pilotato in corrente (GTPC)

Vr=Vr(Is)

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Corso di Elettrotecnica

109

Generatore di corrente pilotato in tensione (GCPT)


Generatore di corrente pilotato in corrente (GCPC)
Generatore di tensione pilotato in tensione (GTPT)

Ir=Ir(Vs)
Ir=Ir(Is)
Vr=Vr(Vs)

Naturalmente se le relazioni che caratterizzano tali dipendenze sono di tipo


lineare si parler di generatori lineari e si avr:
Generatore di tensione pilotato in corrente (GTPC)
Generatore di corrente pilotato in tensione (GCPT)
Generatore di corrente pilotato in corrente (GCPC)
Generatore di tensione pilotato in tensione (GTPT)

Fig. IV.3

Vr=RmIs
Ir=GmVs
Ir=Is
Vr=Vs

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110

Corso di Elettrotecnica

dove R m detta transresistenza, Gm transconduttanza, rapporto di trasferimento di corrente, e rapporto di trasferimento di tensione.
Abbiamo tardato fino a questo punto ad introdurre i generatori pilotati perch, a ben guardare, essi non sono dei semplici bipoli bens dei doppi bipoli:
per essere definiti essi hanno bisogno di un'altra coppia di morsetti che sia
interessata dalla grandezza pilotante, secondo gli schemi di seguito riportati, per il caso lineare.
interessante domandarsi quali rappresentazioni, fra le diverse introdotte per
i doppi bipoli, i singoli generatori pilotati ammettono. Per esempio il GTPC
ammette solo una rappresentazione mediante una matrice delle resistenze:
V=

0
Rm

0
0

I.

Si noti che la condizione R12 = R 21 non verificata: si tratta infatti di doppi


bipoli che contengono dei generatori, e quindi possono essere non reciproci.
I generatori pilotati sono estremamente utili per costruire circuiti equivalenti
di dispositivi pi complessi, come, per esempio, i transistori. Anzi si pu affermare che lesigenza di introdurre tali doppi bipoli nasce proprio dal bisogno
di rappresentare opportunamente il comportamento dei transistori nei loro
diversi modi di funzionamento.
Non rientrando tali dispositivi tra gli argomenti del nostro corso, avremo
poche opportunit di utilizzare i generatori pilotati; ci nonostante ci sembrato utile introdurli per inserirli nel quadro generale che stiamo costruendo.
Oltre tutto, i generatori pilotati non sono soltanto degli elementi ideali; possibile, utilizzando dei dispositivi che prendono il nome di amplificatori opera zionali, realizzare delle concrete ottime approssimazioni di tali generatori.
Anche degli amlificatoiri operazionali si pu
iu
Vi
introdurre un modello
idealizzato che rappresentato in Fig.IV.4.
i+
Vu
Fig.IV.4

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111

La caratteristica di questo dispositivo descrita dalle seguenti relazioni:

i- = Ii+ = I+
vu = f vi

Esat
vu = Esat v = Av
i
i
-Esat

vi
-<vi <

(IV.42)

vi -

Nel piano (vi,vu) la rappresentazione grafica di tale caratteristica mostrata in


Fig.IV.5.
Le costanti I- e I+ sono
generalmente molto piccole
(da pochi decimi di mA a
pochi decimi di nA, - tanto
che in una idealizzazione
ancora pi spinta possono
essere assunte nulle) ed il
parametro A, generalmente
molto grande (i valori tipici
vanno da 100.000 a
200.000, tanto che nella
stessa logica precedente
pu essere assunto infinitamente grande) prende il
nome di guadagno di tensio ne in anello aperto.
Il dispositivo reale di cui quello fin qui descritto una idealizzazione in effetti non ha quattro morsetti ma almeno cinque, in quanto esso ha bisogno di
essere alimentato in modo opportuno per funzionare correttamente, secondo
lo schema riportato in Fig. IV.6.
Il componente circuitale di cui alla Fig.IV.4 quindi lidealizzazione di quanto contenuto nel riquadro di Fig.IV.6. Esso pertanto un elemento attivo per

Luciano De Menna

112

Corso di Elettrotecnica

la presenza dei generatori.

i-

iu

Vi

i+

Vu

E
+

Fig.IV.6
Se si accetta lidealizzazione spinta di cui in precedenza (I- = I+ = 0 e A = ),
le relazioni di cui alle (IV.42) diventano:
i- = 0
i+ = 0
vu = Esat sgn vi
- Esat < vu < Esat

per vi 0
per vi = 0

(IV.43)

Nella regione di linearit (vi = 0) quindi, lamplificatore operazionale avrebbe


le seguenti leggi caratteristiche:
i- = 0
i+ = 0
vi = 0

vu = qualsiasi valore
iu = qualsiasi valore

(IV.44)

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113

Queste considerazioni giustificano lintroduzione di due nuovi bipoli ideali


che prendono il nome di nullatore e noratore rispettivamente, i cui simboli
sono riportati in Fig.IV.7.
Il nullatore ha v=0 ed i = 0 per ogni
i
condizione di funzionamento: in altri
termini la sua caratteristica nel piano
(i,v) si riduce ad un punto e precisav
v
mente lorigine degli assi. Mentre il
noratore non descritto da nessuna
relazione, nel senso che sia i che v ai
suoi morsetti sono qualsiasi: Nel
Fig.IV.7
Fig.IV.8
piano (i,v) la sua caratteristica viene a
coincidere con lintero piano.
Utilizzando questi due nuovi bipoli un amplificatore operazionale ideale, nella
sua regione di linearit, pu essere rappresentato secondo lo schema di
Fig.IV.9.

iu

iVi

Vu
i+
Fig.IV.9

Utilizzando i componenti ideali introdotti, come gi detto, possibile costruire schemi equivalenti di altri componenti. A titolo di esempio si considerino i
due schemi riportati nelle figure IV.10, IV.11 e IV.12. Il primo rappresnta un
generatore ideale di tensione ed il secondo, un doppio bipolo lineare resistivo
ma non reciproco. Infatti, nel primo la corrente primaria sempre nulla per
definizione e quindi non c' caduta di tensione sulla resistenza in serie al generatore ideale; di conseguenza la tensione secondaria indipendente dalla cor-

Luciano De Menna

114

Corso di Elettrotecnica

rente erogata.

Fig.IV.10
Nel secondo caso le relazioni tra tensioni e correnti sono quelle che si avrebbero in un doppio bipolo resistivo; si noti che anche in questo caso puo non
essere verificata la condizione R12=R21 e quindi il doppio bipolo puo non
essere reciproco.

Fig.IV.11
Per il circuito di Fig.IV.12, invece, lequazione alla maglia della porta di ingresso dellamplificatore operazionale ci fornisce la relazione:
v1 + R i2 + vi = 0,

(IV.44)

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115

che, tenendo conto della caratteristica dellamplificatore operazionale, diventa:


v
i2 = - 1 v1 + vi = - 1 v1 + u = - 1 v1 ,
(IV.45)
R
R
A
R
che per A che tende allinfinito descrive la caratteristica di un generatore ideale di corrente pilotato in tensione di transconduttanza Gm = - 1/R.

i1
i2

Vi
V1

V2
i2
Fig.IV.12

Capitolo V

I bipoli in regime dinamico: bipoli passivi


Nellesposizione della teoria dei circuiti, che abbiamo
fin qui presentato, il tempo entrato in maniera veramente marginale. Dovendo trattare di correnti, quindi
di moto di cariche, non si pu certo dire che il tempo
non sia stato per nulla preso in considerazione; ma laver limitato tutto al caso di correnti stazionarie ha fatto
s che il tempo non sia entrato direttamente in gioco.
In questo capitolo cercheremo di estendere la gran
parte dei concetti che abbiamo sviluppato per il regime
stazionario al caso in cui le grandezze in gioco non sono
pi costanti nel tempo.
La prima domanda da porsi se sia possibile anche in
regime non stazionario parlare di bipoli. A rigore la
risposta negativa. Infatti in un regime non stazionario
non pi possibile parlare di differenza di potenziale,
n lecito assumere che la corrente entrante in un morsetto di un resistore sia eguale a quella uscente dall'altro: due affermazioni che, come sappiamo, sono alla
base della definizione di bipolo. Quando il campo elettrico (e magnetico) varia nel tempo, il suo integrale di
linea tra due punti dipende dalla linea che si percorre

118

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

per andare da un punto all'altro; cos come la quantit


di carica elettrica che entra in una superficie chiusa non
necessariamente eguale, istante per istante, alla quantit di carica che ne esce. Ci comporta, naturalmente,
che la quantit di carica contenuta nella superficie stessa si modifichi nel tempo: cresca in un determinato
intervallo di tempo per poi diminuire in un intervallo
successivo.
Per fortuna questi fenomeni sono tanto pi rilevanti
quanto pi grande la rapidit di variazione nel tempo
delle grandezze elettriche. Cos accade che, se le variazioni sono sufficientemente lente, l'errore che si commette nel trascurare tali fenomeni sufficientemente
piccolo. questo un enunciato puramente qualitativo
che pu lasciare largamente insoddisfatti. Si rimanda
coloro che fossero interessati ad una trattazione pi
approfondita del problema alla seconda appendice
integrativa. Si consiglia per di affrontare tale appendice soltanto dopo aver completato la lettura del presente capitolo.
Anche in regime dinamico, dunque, parleremo di differenza di potenziale ai morsetti di un resistore e di un
unico valore, in ogni istante, della corrente che lo attraversa; il legame tra queste due grandezze sar fornito
dalla caratteristica del bipolo che scriveremo (convenzione dell'utilizzatore):
vt =Rit,

(V.1)

dove l'uso delle lettere minuscole v ed i serve appunto


a ricordare, per convenzione, che si tratta di grandezze
variabili nel tempo.
In regime dinamico il bipolo resistore non l'unico
bipolo lineare e passivo che possiamo introdurre; si
pu pensare, per esempio, ad una relazione di proporzionalit non pi tra corrente e tensione, bens tra corrente e derivata della tensione o tra tensione e derivata

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

della corrente. Essendo l'operatore derivata un operatore lineare, tali caratteristiche saranno anche esse
lineari. Siamo cos portati ad introdurre due nuove tipi
di bipoli. Il condensatore, in cui tensione e corrente
sono legate dalla relazione:
dv t
,
(V.2)
it =C
dt
e l'induttore in cui la relazione caratteristica descritta
da:
di t
.
(V.3)
vt =L
dt
Le relative costanti di proporzionalit prendono il
nome, rispettivamente, di capacit del condensatore e
di induttanza, o coefficiente di autoinduzione, dell'induttore. Nel Sistema Internazionale la capacit si misura in farad e l'induttanza in henry e sono entrambe definite positive, se si assume una convenzione dell'utilizzatore sul bipolo.
Si osservi che le caratteristiche dei due nuovi bipoli
lineari introdotti non possono essere descritte, come
accadeva per il resistore, in un piano (i,v). questo soltanto il riflesso di differenze ben pi significative che
vogliamo ora cercare di porre in evidenza.
Nella immagine a lato sono rappresentati gli andamenti di tensione e corrente in un condensatore per un caso
particolare: si noti che, essendo la corrente proporzionale alla derivata della tensione, essa nulla dove la
tensione ha un massimo o un minimo. Daltra parte v,
per definizione, il lavoro svolto per portare una carica unitaria attraverso il salto di potenziale pari appunto a v. Per "i" cariche al secondo la potenza, istante per
istante, sar:
2
p = v(t) i(t) = C v dv = 1 C dv .
(V.4)
dt 2
dt
Avendo assunto una convenzione dell'utilizzatore, tale

119

Luciano De Menna

120

Corso di Elettrotecnica

potenza una potenza assorbita dal bipolo. Nella successiva immagine riportato anche l'andamento nel
tempo di tale potenza; come si vede essa , per alcuni
intervalli di tempo, negativa. Ma una potenza assorbita
negativa corrisponde ad una potenza generata positiva;
questo vuol dire che il condensatore in alcuni intervalli di tempo in grado di fornire potenza ai suoi morsetti piuttosto che assorbirla. Il comportamento dunque radicalmente differente da quello del bipolo resistore che invece solo in grado di assorbire potenza.
Per approfondire ancora l'argomento proviamo a calcolare l'energia fornita al bipolo in un intervallo di
tempo (t0, t0+T). Si avr:
t 0 +T

t 0 +T

dv
dt =
dt

v(t) i(t) dt =1 C
2

w(t) =
t0

t0

(V.5)

v t 0 +T

=1C
2

dv2 = 1 C v2 t0 + T - v2 t0 .
2
2

v t0

Se per esempio scegliamo t0 nellistante in cui v=0, possiamo affermare che lenergia assorbita fino allistante t,
dipende soltanto dal valore della tensione ai capi del
condensatore allo stesso istante t ed , per la precisione, pari a Cv 2/2.
Una conseguenza immediata di tale affermazione che,
se il condensatore fino all'istante iniziale t0 ha assorbito una energia nulla (v=0), l'energia che verr assorbita
in un successivo intervallo (t0,t) sar sempre positiva
(Cv2/2). In altri termini un condensatore in grado di
fornire energia ai suoi morsetti, durante un certo intervallo, di tempo soltanto se tale energia stata assorbita
in un intervallo precedente. Si dice che l'energia stata

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

121

in precedenza immagazzinata dal condensatore e per


questo motivo essa pu successivamente essere restituita; nel seguito faremo una dettagliata verifica di tale
affermazione in un caso particolarmente emblematico,
e troveremo che l'energia che un condensatore pu fornire durante la sua scarica esattamente eguale a quella che ha immagazzinato durante la sua carica. Per ora
limitiamoci a questa osservazione e notiamo che, non
essendo il condensatore in grado di produrre energia
elettrica, ma soltanto di immagazzinarla, esso va considerato a tutti gli effetti un bipolo passivo; il suo comportamento, per, ci consiglia di modificare la definizione fin qui usata di passivit di un bipolo. Diremo
che un bipolo passivo se l'energia da esso assorbita convenzione dell'utilizzatore, quindi - dall'origine dei
tempi (-) fino ad un qualsiasi istante t non negativa:
t

vidt 0.

(V.6)

Ragionamenti analoghi per linduttore ci portano a


concludere che anche in questo caso c una energia
immagazzinata, ma questa volta dipendente dalla corrente, e data dalla seguente espressione:
w = 1 L i2 .
2

(V.7)

Il fatto che sia linduttore che il condensatore abbiano


in generale una energia immagazzinata, ha come conseguenza che essi sono bipoli che, in un certo senso, posseggono una "memoria". In ogni istante il valore di
energia da essi posseduto dipende dalla loro storia passata e condizioner la loro storia futura. dunque una
memoria a tutti gli effetti e vedremo quanto ci condizioner il loro comportamento dinamico.
Pur se con le loro specificit, i bipoli induttore e condensatore, se inseriti in una rete insieme ad altri bipoli,

122

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

devono anche loro sottostare alle leggi di Kirchhoff: la


LKC e la LKT, istante per istante. La conseguenza
immediata di questa constatazione che tutte le propriet delle reti che abbiamo potuto dimostrare valide
in regime stazionario basandoci sulle sole leggi di
Kirchhoff, restano valide, istante per istante, anche in
regime dinamico. Proviamo a ricordarle.
In primo luogo si possono scrivere per una rete in regime dinamico n-1 equazioni ai nodi ed l-(n-1) equazioni
alle maglie, oppure n-1 equazioni nelle incognite
potenziali ai nodi, o ancora l-(n-1) equazioni nelle incognite correnti di maglia. Le equazioni conterranno in
alcuni termini delle derivate temporali, e quindi saranno equazioni differenziali ordinarie: ci porremo tra
breve il problema della loro soluzione.
E ancora: si potr considerare valido il teorema di
Tellegen istante per istante! Dal teorema di Tellegen si
potr derivare un teorema di reciprocit anch'esso valido istante per istante. Si intuisce anche che tutti i teoremi di equivalenza tra bipoli sarebbero facilmente
estendibili se sapessimo come trattare in maniera adeguata le caratteristiche dinamiche dell'induttore e del
condensatore
Non invece pi valido il teorema di non amplificazione delle tensioni e quindi delle correnti. Il motivo
facilmente intuibile: come si visto, in regime dinamico esistono bipoli in grado di immagazzinare e poi
restituire energia; partendo da questa considerazione si
pu provare ad individuare, nella dimostrazione che
abbiamo dato di tali teoremi, quale lipotesi che viene
meno quando le grandezze variano nel tempo.
Possiamo dunque costruire una rete di bipoli non pi
solo resistivi, e scrivere per tale rete delle relazioni tra
tensioni e correnti dettate dalle leggi di Kirchhoff.
Resta da vedere come da queste equazioni si giunge alla

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

123

determinazione delle grandezze elettriche, tensione e


corrente, nel loro andamento temporale. Tratteremo
questo aspetto partendo da casi particolari estremamente semplici fino a giungere ai casi pi complessi.
Cominciamo con osservare che non pone alcun problema una rete costituita o da soli induttori o da soli condensatori. infatti molto facile ricavare regole di equivalenza per i quattro casi indicati negli schemi riportati nelle immagini a lato. Si ha infatti per la serie di due
induttori:
di1
di
, v 2 = L2 2 , v = v 1 + v2 , i = i 1 = i2 ,
dt
dt
di1 + L di2
v = v1 + v2 = L1
= L1 + L2 di ;
2
dt
dt
dt

v1 = L1

e quindi due induttori in serie sono equivalenti ad un


unico induttore la cui induttanza sia pari alla somma
delle loro induttanze:
L = L1 + L2 ;

(V.8)

Per i condensatori in serie si ha invece:


i1 = C1 dv1 , i 2 = C2 dv2 , v = v 1 + v2 , i = i 1 = i2 ,
dt
dt
dv = dv1 + dv2 = i1 + i2 = i 1 + 1 ;
dt
dt
C1 C2
dt
C1 C2
e quindi la capacit equivalente di due condensatori in
serie si ottiene dalla:
C = C1 C2 .
C1 + C2

(V.9)

Analogamente per gli induttori in parallelo si ha:


v1 = L1 di1 , v 2 = L2 di2 , v = v 1 = v2 , i = i 1 + i2 ,
dt
dt
di = di1 + di2 = v1 + v2 = v 1 + 1 ;
L1 L2
dt dt
dt
L1 L2
e quindi la loro induttanza equivalente :

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124

L=

L1 L2 .
L1 + L2

Corso di Elettrotecnica

(V.10)

Ed infine, per il caso dei due condensatori in parallelo


si ottiene:
dv1
dv
, i 2 = C2 2 , v = v 1 = v2 , i = i 1 + i2 ,
dt
dt
dv
1
i = i1 + i2 = C1
+ C2 dv2 = C1 + C2 dv ;
dt
dt
dt

i1 = C1

e quindi:
C = C1 + C2 .

(V.11)

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Corso di Elettrotecnica

Prima di passare a casi pi complessi, in cui nella rete


siano presenti sia bipoli induttori che condensatori,
opportuno sottolineare che tali bipoli non sono soltanto delle pure astrazioni ma hanno, come era facile
immaginare, delle concrete realizzazioni. Un sistema a
due morsetti come quello mostrato nella pagina successiva, per esempio, ha una caratteristica che, in un
largo campo dei parametri, pu essere assimilata a
quella di un bipolo condensatore. Il sistema costitui-

133

Luciano De Menna

134

Corso di Elettrotecnica

to da due piastre piane (di area S), realizzate in un


materiale buon conduttore, separate da uno strato di
materiale isolante di spessore d. La corrente viene portata alle due piastre attraverso due conduttori, che supporremo molto sottili, che giocano il ruolo dei morsetti del bipolo. La costante di proporzionalit tra corrente e derivata della tensione, che abbiamo chiamato
capacit del condensatore, in questo caso specifico,
data da:
C=S ,
d
dove la cos detta costante dielettrica caratteristica
del mezzo interposto tra le piastre, che prendono anche
il nome di armature del condensatore. Naturalmente
per giustificare queste affermazioni, e per comprenderne anche i limiti di validit, bisognerebbe valicare quei
confini che fin dall'inizio ci siamo proposti. Ci limitiamo ad osservare che se teniamo conto della definizione
di intensit della corrente elettrica - quantit di carica
trasportata nell'unit di tempo -, ed integriamo la caratteristica del condensatore, di cui alla (V.2), a partire da
un istante in cui il condensatore scarico (v=0), otteniamo:
t

Q=

i dt = C
0

dvC dt = C V.
dt

Poich nelle nostre ipotesi il mezzo interposto un isolante perfetto, la carica portata dalla corrente entrante
nel morsetto superiore, per esempio, non pu che fermarsi sulla corrispondente armatura del condensatore;
un ragionamento analogo porta a concludere che sull'altra armatura si dovr ritrovare una carica eguale in
modulo ma di segno opposto. La capacit C dunque
anche il rapporto tra carica depositata sulle armature
del condensatore e differenza di potenziale tra le armature stesse. Ricordiamo infine che nel Sistema

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

Internazionale la capacit si misura in farad.


In maniera del tutto analoga un sistema costituito da N
spire di un filo conduttore avvolte su di un supporto
cilindrico, in modo tale che l'avvolgimento nel suo
complesso abbia lunghezza l e sezione S, presenta ai
suoi morsetti, entro buoni limiti di approssimazione,
una caratteristica del tipo illustrato nella (V.3).
L'induttanza, o coefficiente di autoinduzione, in questo caso data da:
SN 2
L=
,
l
dove la cos detta permeabilit magnetica del materiale di cui costituito il supporto. L'induttanza, nel
Sistema Internazionale, si misura in henry. Anche qui
non possiamo spingerci oltre nell'analisi, ma rimandiamo alla appendice A2 per un approfondimento.

135

Luciano De Menna

124

Corso di Elettrotecnica

I circuiti RC ed RL
Se nella rete sono presenti anche resistori, le cose si
complicano. Consideriamo il caso della serie di un condensatore e di un resistore. Se fossimo in regime stazionario, per la presenza del condensatore che non
consente il passaggio di una corrente stazionaria, la
soluzione sarebbe banale: i=0. Se invece le grandezze
variano nel tempo, diventa necessario precisare quando
il fenomeno ha inizio.
Come abbiamo visto, infatti, i nuovi bipoli introdotti
sono in grado di immagazzinare energia; evidente,
quindi, che il comportamento dell'intero circuito sar
necessariamente condizionato dal livello di energia
posseduto all'istante iniziale. In un caso concreto l'i stante iniziale chiaramente definito dalla procedura
che si mette in opera per collegare il bipolo. Per esempio, dopo aver collegato il morsetto B, collego il morsetto A nellistante ecc. ecc. Com' noto, per effettuar e
concretamente tali collegamenti si utilizzano dispositivi
che chiamiamo interruttori. Conviene a questo punto
introdurre una opportuna idealizzazione di tali disposi-

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

125

tivi e, precisamente, un bipolo che abbia la caratteristica di essere del tutto simile ad un circuito aperto prima
di un determinato istante t0, che viene detto istante di
chiusura dellinterruttore, e viceversa si comporti come
un bipolo corto circuito per tutti gli istanti t t0.
Ovviamente, dove possibile, conviene porre t0 = 0,
coincidente con larbitraria origine dei tempi!
Il bipolo cos definito un interruttore in chiusura; in
maniera del tutto analoga si potr definire un interrut tore in apertura.
Completiamo, dunque, il circuito precedentemente
preso in considerazione inserendo appunto un bipolo
interruttore ideale - questo il nome che gli riserveremo anche se spesso il termine ideale verr sottinteso. I
relativi simboli sono quelli mostrati nelle figure, dove le
frecce indicano chiaramente se si tratta di interruttore
in chiusura o in apertura.
Notiamo che nella rete - molto semplice in verit - non
esistono generatori. Questo non vuol dire che la corrente in essa sia necessariamente nulla, perch, come
abbiamo visto, in generale c' dellenergia immagazzinata nel condensatore C all'istante iniziale. Fissiamo il
livello di tale energia assegnando il valore V0 che la tensione sul condensatore ha allistante t=0. questo il
solo parametro che occorre dare in quanto tutta la storia passata del condensatore racchiusa nella sua energia immagazzinata allistante considerato; energia che
dipende in maniera univoca dal valore della tensione ai
suoi capi: w=Cv 2/2.
Scriviamo ora lequazione che esprime la LKT allunica maglia presente:
vR + vC = 0,
(V.12)
cio:
R i + vC = 0,

(V.13)

Luciano De Menna

126

Corso di Elettrotecnica

dove:
i=C

dvC
,
dt

(V.14)

e quindi:
RC

dvC
+ vC = 0.
dt

(V.15)

In modo naturale siamo pervenuti ad una equazione in


cui compare come incognita la tensione v C sul condensatore. Se ne pu ricavare una equivalente in cui l'incognita sia la corrente i; basta derivare una volta la (V.13)
e tenere conto della (V.14). Si ottiene:
R di + i = 0.
(V.16)
dt C
Le equazioni (V.15) e (V.16) sono equivalenti, anche se,
come vedremo subito, lequazione (V.15) nella forma
pi conveniente, in presenza di un condensatore.
Lequazione (V.15) una equazione differenziale ordinaria, omogenea, lineare, del primo ordine, a coefficienti costanti nella incognita vC(t). una equazione
differenziale, perch l'incognita compare con le sue
derivate; ordinaria, perch tali derivate sono appunto
ordinarie e non parziali; omogenea, perch non vi compare un termine indipendente dalla incognita a secondo membro; del primo ordine, perch questo il massimo ordine di derivazione presente; a coefficienti
costanti, infine, perch i coefficienti dei vari termini
non sono funzioni del tempo.
Il caso pi generale quello di una equazione di ordine n del tipo:
dn y
dn-1 y
dy
+
a
+ a0 y = 0,
(V.17)
+ ...... + a 1
n-1
n
n-1
dx
dx
dx
dove abbiamo scelto di indicare con la lettera x la variabile indipendente e con la y la funzione incognita.
Un classico capitolo dell'Analisi Matematica ci fornisce

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

127

una metodologia del tutto generale per la sua soluzione; proviamo a ricordare, sinteticamente, le basi su cui
tale metodologia si fonda.
Cominciamo con l'equazione di primo ordine:
dy
+ a0 y = 0,
dx

(V.18)

e osserviamo che se y 1(x) una soluzione dell'equazione, allora anche y2(x)=ky1(x), dove k una costante
arbitraria, soluzione della stessa equazione: una semplice conseguenza della linearit che facile verificare
sostituendo la nuova soluzione nell'equazione. Questo
vuol dire che non esiste una unica soluzione, bens una
famiglia di soluzioni che differiscono per una costante
moltiplicativa. Vedremo subito che tale famiglia comprende anche tutte le soluzioni possibili.
Possiamo immaginare di rappresentare tutte le soluzioni dell'equazione (V.18) nel piano (x,y) ottenendo cos
una famiglia di curve. facile rendersi conto che tali
curve non possono intersecarsi; infatti, se due curve
avessero un punto in comune, in quel punto esse
dovrebbero avere in comune anche la derivata prima,
come si deduce immediatamente dalla (V.18) in cui il
valore della funzione in un punto messo in relazione
univoca con quello della sua derivata nello stesso
punto. Derivando poi l'equazione (V.18) si vede immediatamente che un tale ragionamento estendibile alle
derivate di ordine superiore: se nota la derivata prima
in un punto nota anche la derivata seconda nello stesso punto. Si noti che tutto ci possibile in quanto il
coefficiente a0 costante!
In definitiva si conclude che se due soluzioni avessero
un punto in comune, nella rappresentazione nel piano
(x,y), esse dovrebbero avere anche tutte le derivate in
comune in quel punto, e quindi dovrebbero essere

Luciano De Menna

128

Corso di Elettrotecnica

coincidenti.
Le osservazioni fatte portano a due ulteriori conclusioni. In primo luogo, per individuare una sola soluzione
all'interno della famiglia di soluzioni, basta fissare il
valore che essa assume in un punto, diciamo x0. In
secondo luogo, poich se noto il valore in x0 sono noti
i valori di tutte le derivate nello stesso punto, possibile esprimere la soluzione cercata sotto forma di uno
sviluppo in serie di potenze di punto iniziale x0:

yx =
0

y(n) x0
n!

x - x0 n .

(V.19)

Nella V.19, per snellire le formule, si usato il simbolo


y(n)(x) per indicare la derivata ennesima della funzione
y(x). D'altra parte, dall'equazione V.18 si ha:
y(1) x0 = - a0 y x0 ,
y(2) x0 = - a0 y(1) x0 = a20 y x0 ,

(V.20)

e, in generale:
y(n) x0 = - a0 n y x0 .

(V.21)

In conclusione si ottiene:

y x = y x0

- a0 (n)
x - x0 n .
n!

(V.22)

Un osservatore attento avr riconosciuto che lo sviluppo di cui alla (V.22) quello dell'esponenziale
y x0 e- a0 x - x 0 .
Abbiamo dunque determinato la soluzione dell'equazione (V.18), attraverso un suo sviluppo in serie; proviamo a ritrovare lo stesso risultato guardando le cose
da un altro punto di vista. Il nuovo punto di vista ci
sar molto utile quando vorremo generalizzare il procedimento al caso di equazioni di ordine superiore.
Supponiamo che qualcuno ci abbia suggerito che la
soluzione debba essere del tipo kex, senza per darci

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

129

il valore di . L'ipotesi non poi tanto strana: la forma


della V.18 ci dice che la sua soluzione deve essere tale
da avere una derivata che coincida, a meno di una
costante moltiplicativa, con la soluzione stessa; immediato pensare alla funzione esponenziale!
Volendo determinare basta sostituire la soluzione
ipotizzata nell'equazione ed ottenere:
kex + a0 = 0,
(V.23)
cio = - a0.
Per determinare il valore di k baster fissare il valore
della funzione in un punto.
L'equazione + a0 = 0, prende il nome di equazione
caratteristica della equazione di partenza.
Proviamo ad applicare questa tecnica all'equazione
(V.15) del nostro circuito. In primo luogo lequazione
caratteristica:
+ 1 = 0,
(V.24)
RC
la cui soluzione = - 1/RC. Lintegrale generale sar:
vC t = k e- t RC.

(V.25)

La soluzione dipende da una costante arbitraria; il che


naturale perch non abbiamo ancora imposto la condizione che il condensatore all'istante iniziale abbia la
tensione V0. Imponendo tale condizione si ottiene:
vC t = 0 = k = V0 ,
e quindi la soluzione :
vC t = V0 e- t RC.

(V.26)

La costante di tempo T = RC, che caratterizza il decadimento della tensione sul condensatore, ha una interessante interpretazione geometrica. Se si considera infatti la tangente alla curva che rappresenta l'andamento di
tale tensione nel punto t = 0, e la si prolunga fino ad
intersecare l'asse dei tempi, si verifica facilmente che

130

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Corso di Elettrotecnica

tale intersezione individua un intervallo di tempo pari


a T. Si noti che, a causa dell'andamento esponenziale, il
valore finale raggiunto, a rigore, solo dopo un tempo
infinito. In pratica, per, dopo un tempo pari ad alcune volte la costante di tempo, il valore della tensione
gi molto vicino a quello finale; per t= 3T, per esempio,
si ha che:
vc(3T) = V 0 e-3 = 0,05V0.
Ricordando che i= C dvC/dt si ha anche:
V
i t = - 0 e- t RC.
R

(V.27)

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130

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Se avessimo provato a risolvere la (V.16) invece della


(V.15) avremmo ottenuto, con un procedimento del
tutto simile:
i t = k' e- t RC.

(V.28)

Per individuare completamente la soluzione, abbiamo


bisogno di determinare la nuova costante k'. In analogia a quanto fatto in precedenza k' potrebbe essere
determinata conoscendo il valore della corrente iniziale i(0). Ma apparentemente tale valore non ci noto!
Confrontando la (V.27) e la (V.28) possiamo dedurre
che deve essere i(0) = k' = - V0/R. Infatti alla stessa conclusione si arriva se si considera che la LKT, applicata
all'unica maglia della rete, deve essere verificata in
qualsiasi istante, e quindi anche allistante t=0, cio:
vC t=0 + vR t=0 = 0,
e quindi:
vC t=0 = V0 = - vR t=0 = - R i t=0 ,
da cui si deduce, appunto, il valore anticipato di i(t=0).
Questo procedimento pu essere generalizzato: ogni
volta che occorre conoscere il valore iniziale di una
grandezza che non sia esplicitamente noto, basta appli-

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care le LK allistante 0 e ricavare dai valori esplicitamente noti quelli noti solo in maniera implicita.
Siamo ora in grado di effettuare la verifica che avevamo
promesso. La (V.27) ci dice che la rete sede di una
corrente che, partendo dal valore - V0/R, va a 0 con
legge esponenziale. Dato che la corrente i attraversa
una resistenza R, essa produrr una dissipazione di
energia che possiamo calcolare:

Ri2 dt =
0

V2
= RC 0
2 R

R V0 e- 2t/RC dt =
R

e- d = 1 CV20 .
2

Cio lenergia dissipata nel resistore da t=0, inizio del


fenomeno, a t=, pari a CV02/2, a conferma del fatto
che tale energia era effettivamente immagazzinata nel
condensatore allistante t=0. Ricapitolando, ed introducendo per loccasione un linguaggio pi idoneo, possiamo dire che allatto della chiusura di un interruttore
in un circuito costituito dalla serie di un resistore e di
un condensatore inizialmente carico alla tensione V0, si
stabilisce una corrente che decade esponenzialmente
con una costante di tempo T=RC. Il fenomeno transi torio nel senso che per t che tende ad la corrente va
a zero. Anche la tensione V sul condensatore va a zero
con la stessa legge, riducendo di pari passo anche lenergia immagazzinata nel condensatore! La terminologia introdotta verr nel seguito applicata a casi sempre
pi generali.
Esaminiamo ora un caso simile al precedente in cui al
posto del condensatore sia presente un induttore L; la
storia la stessa, cambiano solo i protagonisti.
Ci limiteremo ad elencare un certo numero di passaggi
che dovrebbero essere di per s chiari!
In primo luogo l'equazione all'unica maglia presente:

131

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132

Corso di Elettrotecnica

vR + vL = 0

(V.29)

con vL = Ldi/dt ed v R = Ri si ha:


Ri + Ldi = 0,
dt

(V.30)

di + R i = 0.
dt L
In conclusione si ha che:

(V.31)

e quindi:

i = k e- Rt/L.
Se i(0) = I0, se cio linduttore aveva una energia
magnetica Wm = L I 02/2 immagazzinata allistante t=0,
o anche, mutuando il linguaggio introdotto per il condensatore, se linduttore era inizialmente carico alla cor rente I0, si ha:
i = I0 e- Rt/L.
(V.32)
In termini di v L, tensione sullinduttore, si ha:
vL = L di = -RI0 e- Rt/L,
dt
che poteva anche essere ricavata risolvendo lequazione
che si ottiene derivando una volta la (V.30):
R v + dvL = 0.
L L dt
Anche in questo caso la condizione iniziale sulla vL si
pu ottenere dalla scrittura della LKT allistante t=0.
Prima di passare a casi pi complessi, in cui nella rete
siano presenti sia bipoli induttori che condensatori,
opportuno sottolineare che tali bipoli non sono soltanto delle pure astrazioni ma hanno, come era facile
immaginare, delle concrete realizzazioni. Un sistema a
due morsetti come quello mostrato nella pagina successiva, per esempio, ha una caratteristica che, in un
largo campo dei parametri, pu essere assimilata a
quella di un bipolo condensatore. Il sistema costitui-

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to da due piastre piane (di area S), realizzate in un


materiale buon conduttore, separate da uno strato di
materiale isolante di spessore d. La corrente viene portata alle due piastre attraverso due conduttori, che supporremo molto sottili, che giocano il ruolo dei morsetti del bipolo. La costante di proporzionalit tra corrente e derivata della tensione, che abbiamo chiamato
capacit del condensatore, in questo caso specifico,
data da:
C=S ,
d
dove la cos detta costante dielettrica caratteristica
del mezzo interposto tra le piastre, che prendono anche
il nome di armature del condensatore. Naturalmente
per giustificare queste affermazioni, e per comprenderne anche i limiti di validit, bisognerebbe valicare quei
confini che fin dall'inizio ci siamo proposti. Ci limitiamo ad osservare che se teniamo conto della definizione
di intensit della corrente elettrica - quantit di carica
trasportata nell'unit di tempo -, ed integriamo la caratteristica del condensatore, di cui alla (V.2), a partire da
un istante in cui il condensatore scarico (v=0), otteniamo:
t

Q=

i dt = C
0

dvC dt = C V.
dt

Poich nelle nostre ipotesi il mezzo interposto un isolante perfetto, la carica portata dalla corrente entrante
nel morsetto superiore, per esempio, non pu che fermarsi sulla corrispondente armatura del condensatore;
un ragionamento analogo porta a concludere che sull'altra armatura si dovr ritrovare una carica eguale in
modulo ma di segno opposto. La capacit C dunque
anche il rapporto tra carica depositata sulle armature
del condensatore e differenza di potenziale tra le armature stesse. Ricordiamo infine che nel Sistema

133

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134

Corso di Elettrotecnica

Internazionale la capacit si misura in farad.


In maniera del tutto analoga un sistema costituito da N
spire di un filo conduttore avvolte su di un supporto
cilindrico, in modo tale che l'avvolgimento nel suo
complesso abbia lunghezza l e sezione S, presenta ai
suoi morsetti, entro buoni limiti di approssimazione,
una caratteristica del tipo illustrato nella (V.3).
L'induttanza, o coefficiente di autoinduzione, in questo caso data da:
SN 2
L=
,
l
dove la cos detta permeabilit magnetica del materiale di cui costituito il supporto. L'induttanza, nel
Sistema Internazionale, si misura in henry. Anche qui
non possiamo spingerci oltre nell'analisi, ma rimandiamo alla appendice A2 per un approfondimento.
Esercizi
Per cominciare a sviluppare un certa pratica anche con
le reti contenenti i nuovi bipoli, proviamo a scrivere l'equazione risolvente della rete con resistore ed induttore in serie, scegliendo, per, questa volta come incognita la tensione sull'induttore e non la corrente nello
stesso; determiniamo anche l'opportuna condizione
iniziale.
Il circuito RLC serie
A questo punto possiamo provare a mettere insieme i
due nuovi bipoli in un circuito RLC serie come a lato
mostrato.
L'equazione all'unica maglia presente fornisce:
vR + vC + vL = 0.
(V.33)

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135

Cio:
R i + vC + L di = 0,
(V.34)
dt
dove i = C dvC/dt .
Per eliminare v C dalle due equazioni precedenti si pu
derivare la prima. Si ottiene:
2
dvC
R di +
+ L d i = 0,
(V.35)
dt
dt
dt2
e tenendo conto della caratteristica del condensatore:
2
R di + i + L d i = 0.
dt C
dt2
Riordinando, infine, si ha:
d2 i + R di + i = 0.
dt2 L dt LC

(V.36)

Se invece, nella (V.34), si sostituisce alla corrente i la


sua espressione in funzione della tensione sul condensatore si ottiene l'equivalente equazione in cui compare come incognita la tensione vC invece della corrente i:
d2 vc + R dvc + vc = 0.
(V.37)
L dt
LC
dt2
La (V.36) e la (V.37) sono equazioni differenziali ordinarie, lineari, omogenee, di secondo ordine a coefficienti costanti. Ragionamenti del tutto analoghi a quelli esposti per il caso dell'equazione di primo ordine ci
porterebbero a costruire una soluzione sotto forma di
sviluppo in serie di potenze. Pi semplicemente possiamo generalizzare il metodo dell'equazione caratteristica. Per una equazione di secondo ordine:
d2 y
dy
+ a0 y = 0,
(V.38)
+ a1
2
dx
dx
supponendo che la soluzione sia di tipo esponenziale,
ex, e sostituendo tale espressione nell'equazione, si
ottiene una equazione caratteristica nella forma:
2 + a1 + a0 = 0.
(V.39)

136

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Corso di Elettrotecnica

Esistono dunque due valori di che rendono l'esponenziale ex soluzione della nostra equazione, e tali
valori sono le radici dell'equazione caratteristica (V.39).
Per la linearit dell'equazione, e fatta eccezione per il
caso in cui le radici della (V.39) sono coincidenti - caso
che esamineremo pi avanti -, possiamo affermare che
una famiglia di soluzioni dell'equazione V.38 data da:
y = k1 e1x + k2 e2x ,
(V.40)
dove 1 ed 2 sono le radici della (V.39) e k1 e k 2 due
costanti arbitrarie; per convincersene basta sostituire
tale espressione nell'equazione e verificare che essa
soddisfatta per qualsiasi valore delle costanti. D'altra
parte, come per il caso dell'equazione di primo ordine,
la struttura stessa dell'equazione (V.38) ci dice che, se
sono noti in un punto il valore della funzione incognita e quello della sua derivata prima, sono noti anche i
valori assunti nello stesso punto da tutte le derivate, di
ogni ordine, della funzione stessa; il valore della derivata seconda , infatti, direttamente valutabile dall'equazione, mentre quello delle derivate di ordine superiore si ottiene facilmente derivando di volta in volta
l'equazione stessa. Ma la conoscenza delle derivate di
ogni ordine in un punto implica, salvo condizioni
molto particolari che in questo contesto possiamo
escludere, la conoscenza della funzione. D'altra parte la
famiglia di soluzioni descritta dalla (V.40), dipendendo
da due costanti arbitrarie, in grado di fornirci una
soluzione che si adatti, appunto, a valori assegnati della
funzione e della sua derivata in un punto: basta determinare gli opportuni valori delle costanti. Di conseguenza tale famiglia di soluzioni costituisce anche la
totalit delle soluzioni della (V.38), e ne rappresenta
quindi l'integrale generale.
Resta ora da esaminare i vari casi che la natura dell'equazione caratteristica pu presentare.

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Le soluzioni dell'equazione (V.40) sono:


- a a21 - 4a0
1,2 = 1
.
(V.41)
2
2
A seconda del valore del discriminate, = (a 1) -4a0, le
radici possono essere reali e distinte, reali e coincidenti ed immaginarie coniugate; quest'ultima affermazione
legata al fatto, che nel nostro caso, i coefficienti della
(V.40) sono, per ipotesi, reali. Qualche problema pu
sorgere nel caso di radici coincidenti in quanto apparentemente la tecnica utilizzata non sembra portarci
alla conoscenza di due soluzioni distinte, necessarie per
costruire l'integrale generale della (V.38). Faremo vedere, invece, che anche nel caso di radici coincidenti
possibile costruire un'altra soluzione dell'equazione in
esame utilizzando un semplice ed intuitivo processo al
limite.
Partiamo dal caso in cui le radici siano distinte e
poniamo, per comodit, 1 = ed 2= + .
Osserviamo che, in virt della linearit dell'equazione,
una qualsiasi combinazione lineare di soluzioni ancora una soluzione; tale sar dunque anche la particolare
combinazione lineare descritta dalla espressione
seguente:
+ x - ex
.
(V.41)
yx =e

Facendo tendere a zero, e quindi 2 ad 1, per


ritrovare la condizione di radici coincidenti, si vede
chiaramente che tale nuova soluzione tende alla derivata di e x rispetto ad ; la (V.41), infatti, altro non che
il rapporto incrementale della funzione ex interpretata come funzione di e non di x:
y x = lim e
0

+ x

- ex = dex = xex . (V.42)


d

Abbiamo in pratica dimostrato che, nel caso di radici

137

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138

Corso di Elettrotecnica

reali e coincidenti, due soluzioni distinte sono:


y1 x = ex ed y2 x = xex .
(V.43)
Torniamo ora all'equazione del circuito RLC che ha
originato questa digressione; lequazione caratteristica
:
2 + R + 1 = 0.
(V.44)
L
LC
con radici:
1,2 =

-R
L

R
L

- 4
LC

(V.45)

che naturalmente sono reali e distinte, reali e coincidenti o immaginarie coniugate a seconda che =
(R/L)2 - 4/LC maggiore di zero, nullo o negativo,
rispettivamente. Conviene porre:
T = 2L
ed
0 = 1 ,
R
LC
si ha allora:
= 4 1 - 20 T2 ,
T2
e quindi le diverse condizioni su possono scriversi in
termini di 0T.
Analizziamo i diversi casi uno per uno:
1)

0T < 1;

caso aperiodico.

In questo caso le radici 1 ed 2 dellequazione caratteristica sono reali e distinte:


1 = - 1
ed 2 = - 1 ,
T1
T2
con
T
T
; T2 =
.
T1 =
2
1 - 1 - 0 T
1 + 1 - 0 T 2
La soluzione sar, dunque, del tipo:

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vc t = k1 e-

t T1

+ k2 e-

139

t T2 ,

(V.46)

dove, evidentemente, k 1 e k 2 sono da determinarsi utilizzando le condizioni iniziali. Infatti, essendo presenti
nel circuito due elementi a memoria, per determinarne
univocamente l'evoluzione occorrer conoscere il loro
livello energetico all'istante iniziale; in altri termini
occorrer conoscere il valore della tensione sul condensatore, diciamo V0, e quello della corrente nell'induttore, diciamo I0, all'istante iniziale. La prima condizione ci fornisce facilmente:
vc 0 = k1 + k2 = V0 .
(V.47)
Come abbiamo visto, per determinare una unica soluzione dalla famiglia di soluzioni descritta dalla (V.46),
necessario conoscere anche il valore della sua derivata
nell'istante iniziale, mentre apparentemente la seconda
condizione ci fornisce solo il valore della corrente nello
stesso istante. facile per, da quest'ultimo, determinare il valore cercato. Dalla caratteristica del condensatore si ha infatti:
i 0 = C dvc
= - k1 - k2 = I0 .
(V.48)
dt t = 0
T1 T2
A questo punto, dalla V.47 e dalla V.48, le costanti k1 e
k2 possono essere calcolate:
k1 = V0 T1 + T1 T2 I0 ;
T1 - T2 T1 - T2 C
(V.49)
k2 = - V0 T2 - T1 T2 I0 .
T1 - T2 T1 - T2 C
Nelle immagini a lato sono rappresentati alcuni andamenti tipici per il caso in questione; essi corrispondono
a valori diversi delle costanti R, L e C, e quindi a valori diversi delle due costanti di tempo T1 e T2, ed a valori diversi delle condizioni iniziali.
Risolvendo l'equazione (V.36) invece della (V.37) si
sarebbe potuto ottenere l'andamento della corrente i.

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140

Corso di Elettrotecnica

Naturalmente, avendo l'equazione gli stessi coefficienti, l'equazione caratteristica coincide con la precedente.
questo un fatto generale: in un circuito lineare tutte
le grandezze evolvono con le stesse costanti di tempo.
Variano, naturalmente, le espressioni delle costanti k1 e
k2.
La corrente i pu anche essere ottenuta direttamente
dalla espressione della tensione vc sfruttando la caratteristica del condensatore. Si ottiene:
dv
k
k
i t = C c = C - 1 e- t T1 - 2 e- t T2 . (V.50)
dt
T1
T2
2)

0T = 1;

caso critico.

In tal caso R = 2 L/C e le radici sono reali e coincidenti. Un tale valore di R prende il nome di resistenza
critica, per gli assegnati valori di L e C, in quanto separa due regimi che, come vedremo, sono sostanzialmente differenti. Lintegrale generale, per quanto detto in
precedenza, :
vc(t) = k1 e- t T + k2 t e- t T.

(V.51)

In modo simile al precedente si ricavano le seguenti


espressioni:
k1 = V0 ; k2 = I0 + V0 .
(V.52)
C T
Nelle immagini a lato sono rappresentati alcuni casi
tipici per diversi valori dei parametri.
Naturalmente anche in questo caso l'andamento della
corrente pu essere ottenuto o risolvendo l'equazione
(V.36) e imponendo le condizioni iniziali - che daranno
luogo ad altre espressioni per le costanti - oppure direttamente derivando la tensione sul condensatore, come
mostrato nella prima immagine della pagina seguente.

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3)

Corso di Elettrotecnica

0T > 1;

141

caso oscillatorio.

In questo caso, essendo il discriminante dell'equazione


caratteristica negativo, le soluzioni di tale equazione
sono complesse. Esse sono anche coniugate in quanto i
coefficienti dell'equazione sono reali. Avremo dunque:
1 = R + j ed 2 = R - j .
La soluzione generale , dunque, una combinazione
lineare con due costanti arbitrarie delle funzioni:
y1 = e

R + j t

ed y2 = e

R - j t

Daltra parte, invece di tali funzioni possibile prendere in considerazione le funzioni:


jt

-jt

y1 + y2
e +e
= eR
= eRcos t;
2
2
(V.53)
jt
-jt
y1 - y2
e -e
= eR
= eRsen t.
2j
2j
Esse infatti, essendo combinazioni lineari di soluzioni,
sono ancora soluzioni della nostra equazione. Si ottiene quindi:
R

vc t = e

k1 cos t + k2 cos t ;

(V.55)

che pu anche scriversi:


vc t = K eR sen t + ;

(V.56)

dove le costanti K e giocano lo stesso ruolo che in


precedenza giocavano le costanti k1 e k2.
In termini delle grandezze definite in precedenza, risulta:
R = - 1 ; = 0
T

1-

1 ;
T2

20

(V.57)

Con qualche passaggio si ricavano facilmente anche le


costanti K e . Si ha infatti, per le condizioni iniziali:

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142

Corso di Elettrotecnica

vc(0) = V0 = K sen ,

i(0) = I0 = C K R sen + cos ,

(V.58)

e quindi:
= arctg

K=

CV0
;
I0 - RCV0
V0

CV0
sen arctg
I0 - RCV0

(V.59)
.

Nella immagine a lato mostrato un tipico andamento


di tale soluzione: si tratta di una oscillazione smorzata
secondo la costante di tempo T. Nella figura, per evidenziare l'andamento smorzato, sono tracciati anche
gli andamenti dei due esponenziali Ke- t T e - Ke- t T .
La presenza di oscillazioni rende particolarmente evidente la differenza tra i due regimi: quello in cui la resistenza maggiore di quella critica, caratterizzato da
andamenti esponenziali decrescenti, e quello in cui la
resistenza inferiore a quella critica, in cui tensioni e
correnti nel circuito possono oscillare. Ci spiega
anche il nome resistenza critica dato a quel particolare
valore di R che separa i due regimi.
Nella ipotesi R=0 il fattore di smorzamento nullo e la
soluzione ha quindi la forma di una oscillazione permanente della tensione e della corrente:
vc(t) = K sen 0 t + ,
(V.60)
i(t) = C 0 K cos 0 t + .
Si noti che corrente e tensione non raggiungono i
rispettivi massimi contemporaneamente: esse sono sfa sate tra di loro di un angolo di /2. In particolare il
massimo della corrente viene assunto prima di quello
della tensione; si dice in tal caso che la corrente antici -

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

pa di /2 la tensione. Se avessimo calcolato e tracciato


anche la tensione sull'induttore - che proporzionale
alla derivata della corrente - avremmo trovato che la
corrente ritarda di /2 rispetto alla tensione sull'induttore. Di questo argomento parleremo pi diffusamente
in seguito.
Per comprendere da cosa abbia origine un tale fenomeno oscillatorio permanente, proviamo a calcolare le
energie WL ed WC, immagazzinate in ogni istante
rispettivamente nell'induttore e nel condensatore. Si
ha:
2
2
WC(t) = 1 C vc (t) = 1 C K sen 0 t + ,
2
2
(V.61)
2
2
WL(t) = 1 L i (t) = 1 L C0 K cos 0 t + .
2
2
Tenendo conto dell'espressione di 0, l'energia immagazzinata nell'induttore pu anche essere scritta:
2
2
WL(t) = 1 L i (t) = 1 C K cos 0 t + .
2
2
A questo punto, per la ben nota propriet delle funzioni seno e coseno, la somma, istante per istante, della
energia immagazzinata nel condensatore e di quella
immagazzinata nell'induttore risulta essere pari ad una
costante:
2
WC(t) + WL(t) = 1 CK .
(V.62)
2
Come ben si vede dal grafico riportato in figura, quando l'energia W L cresce la W C decresce in modo che la
loro somma resti sempre costante. Se si tiene conto,
poi, della espressione di K fornita dalle (V.58) nel caso
in cui R = 0 (e cio R=0):
vc(0) = V0 = K sen ,
(V.63)
i(0) = I0 = C K 0 cos ,
si trova facilmente:

143

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144

Corso di Elettrotecnica

I0

2
2
2
(V.64)
+ V0 = L I0 + V0 .
2 2
C
C 0
Dalla (V.62) si ricava quindi:
2
2
WC(t) + WL(t) = 1 CV0 + 1 LI0 ;
(V.65)
2
2
e cio la somma delle due energie sempre pari all'energia inizialmente immagazzinata nel condensatore e
nell'induttore all'istante t = 0. Se ne conclude che loscillazione permanente proprio dovuta allo scambio
di energia senza perdite, per la mancanza di una qualsiasi forma di dissipazione, tra condensatore ed induttore.
Nel caso in cui sia presente una causa dissipativa, una
resistenza R, l'energia totale non pu mantenersi
costante. interessante verificare, con una semplice
integrazione, come mostrato graficamente nella
immagine a lato, che la quantit di cui gradualmente,
istante per istante, diminuisce l'energia totale presente
nel circuito proprio pari all'energia che viene dissipata nel resistore; quest'ultima si calcola facilmente integrando la potenza istantanea dissipata, pari ad R i2.

K =

Esercizi
Si provi a ricavare le espressioni delle costanti di integrazione per la soluzione dell'equazione (V.36), nei tre
casi, smorzato, critico e subcritico, quando le condizioni iniziali siano I0 e V0. Si verifichi la congruit con i
risultati gi trovati.

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

I bipoli in regime dinamico: bipoli attivi.


I circuiti in regime dinamico che abbiamo fino ad ora
studiato contenevano esclusivamente bipoli passivi. La
dinamica che tali circuiti mostrano dovuta alla presenza di una certa energia inizialmente immagazzinata
nei componenti con memoria.
Vogliamo ora introdurre, anche in regime dinamico, i
bipoli attivi, cominciando da un generatore di tensione
costante E0, che inseriamo nel circuito RC serie gi studiato nel paragrafo precedente.
Applicando la LKT alla unica maglia presente si ottiene:
R i + vc = E0 ,
che, facendo uso della caratteristica del condensatore,
diventa:
dv
R C c + vc = E0 .
dt
Infine, riordinando:
dvc + vc = E0 .
(V.66)
dt R C R C
L'equazione (V.66) ancora una equazione differenziale, ordinaria, a coefficienti costanti, ma a differenza
delle precedenti, non pi omogenea per la presenza
di un termine assegnato, o noto, a secondo membro. Ci
viene in aiuto a questo punto, ancora una volta, la teoria delle equazioni differenziali ordinarie a coefficienti
costanti che ci assicura che l'integrale generale dellequazione pu porsi nella forma:
vc t = vc0 t + vcp t ,
(V.67)
dove vc0(t) la soluzione, gi trovata, dellequazione
che si ottiene annullando il termine noto - l'equazione
omogenea associata a quella data - e vcp(t) una solu-

145

Luciano De Menna

146

Corso di Elettrotecnica

zione particolare dellequazione di partenza o equazione completa. facile convincersi della veridicit di
questa affermazione se si osserva che la (V.67) certamente soluzione della nostra equazione, per definizione. Inoltre essa dipende dal giusto numero di costanti
arbitrarie - nel nostro caso una sola perch l'equazione
del primo ordine - richiesto per poter descrivere tutte
le soluzioni dell'equazione e, quindi, l'integrale generale; le costanti infatti sono contenute nell'integrale generale della omogenea associata vc0(t):
vc0 t = k1 e- t RC.

(V.68)

La vco dunque gi nota; bisogna determinare una


soluzione particolare vcp(t). La scelta pi semplice
evidentemente quella di supporre che vcp(t) in realt
non dipenda dal tempo e sia una costante; in tal caso,
annullando la derivata, lequazione (V.66) diventa:
vcp E0
=
,
RC RC
e quindi v cp(t) = E 0. L'integrale generale , dunque:
vc t = k1 e- t RC + E0 .

(V.69)

A questo punto bisogna imporre la condizione iniziale


vc(0) = V 0, ottenendo cos il valore di k1 = V0 - E0.
In conclusione la soluzione cercata :
vc t = V0 - E0 e- t RC + E0 ,

(V.70)

vc t = E0 1 - e- t RC + V0 e- t RC .

(V.71)

o anche:

Le due forme (V.70) e (V.71) della soluzione, pur essendo del tutto equivalenti, denotano, come vedremo
meglio in seguito, un diverso punto di vista.
Supponiamo per un momento che sia V0 = 0; in tal caso
la (V.71) afferma che la tensione, partendo dal valore
vc(0) = 0 raggiunge gradualmente, con legge esponen-

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147

ziale di costante di tempo T=RC, un valore pari ad E0.


Tale valore in realt assunto solo dopo un tempo infinito. Daltra parte data la notevole rapidit di decadimento dellesponenziale, gi dopo un intervallo di
tempo pari a qualche costante di tempo, il valore di
vc(t) molto prossimo al suo valore finale. Per
t=3T=3RC, per esempio, si ha:
vc 3T E0 1 - 1 0.95 E 0 .
20
il fenomeno della carica del condensatore!
Uno sguardo alla (V.71) ci dice anche che, se il condensatore inizialmente carico, alla evoluzione precedentemente descritta si sovrappone un fenomeno di
scarica, sempre con legge esponenziale, che porta
all'annullamento della carica inizialmente presente sul
condensatore; il valore finale, o di regime, che si raggiunge, sempre lo stesso, ma levoluzione pu cambiare anche notevolmente. Si pensi, per esempio, al
caso particolare V0 = E0; la (V.71) afferma che non si ha
nessuna dinamica; il valore di v c gi pari a E 0 e a tale
valore rimane fermo. A conferma della particolarit di
tale dinamica si calcoli la corrente i:
i t = C dvc = E0 - V0 e- t RC.
dt
R

(V.72)

Per V0 = E0, i(t) =0. Non c alcuna corrente nel circuito! Questi risultati ci inducono ad una descrizione
del fenomeno che, anche se poco formale, ha il pregio
di farne comprendere la sua reale natura. Il generatore
"vuole imporre" la sua tensione E0 sul condensatore;
questultimo, daltra parte, ha la sua V0 "da rispettare".
Ne consegue un conflitto tra le due esigenze. Il condensatore, per, destinato a soccombere in quanto ha
a sua disposizione soltanto una energia limitata (C
V0/2), mentre il generatore ideale E0 pu mettere in
gioco quanta energia desidera. Lunico caso in cui

148

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

ovviamente il conflitto non si crea quello in cui c


convergenza tra la "volont" del generatore e le "esigenze storiche" del condensatore, e cio quando
E0=V0. Questa modo di vedere le cose ci consente di
introdurre un linguaggio specialistico adeguato ed efficace. La soluzione vco(t) viene detta evoluzione libera
del circuito, a partire naturalmente da determinate
condizioni iniziali imposte dalla storia precedente. ,
per cos dire, la tendenza naturale del circuito, che
dipende dalla sua natura, appunto, - i parametri R e C
ed il modo in cui sono collegati - e dalla sua storia, congelata nellenergia inizialmente presente in esso, e quindi in V 0.
Il generatore E0 viene invece detto forzamento e rappresenta un fattore che dallesterno cerca di imporre
determinate condizioni di funzionamento a regime. In
questo senso, mentre la vco viene detta risposta in evo luzione libera, la vc della (V.71) prende anche il nome di
risposta in evoluzione forzata o pi semplicemente
risposta forzata. A questo punto dovrebbe essere chiara
la differenza di punto di vista implicita nelle due formulazioni (V.70) e (V.71): mentre nella seconda sono
evidenziate la risposta in evoluzione libera e quella che
dipende dalla presenza del forzamento, nella prima
messa in evidenza la soluzione di regime E0 - quella che
verr comunque raggiunta, anche se dopo un tempo
infinitamente lungo - e quella parte della soluzione che,
invece, tende ad annullarsi. A quest'ultima parte
potremmo dare il nome di termine transitorio, anche se
tale nome spesso usato per indicare genericamente
tutto il fenomeno, descritto dalle V.70 e V.71, nel suo
complesso.
Il circuito RL serie alimentato con un generatore ideale di tensione costante si risolve agevolmente con ragionamenti analoghi. L'equazione alla maglia :

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di + R i = E0 ,
dt L
L

149

(V.73)

e la soluzione:
E0 1 - e- Rt L
- Rt L
+ I0 e
.
(V.74)
R
La corrente, dunque, tende al suo valore di regime E/R
che indipendente da L. Come il condensatore equivalente ad un bipolo a vuoto in corrente continua, perch non consente il passaggio di una corrente che non
sia variabile, cos linduttore si comporta come un
bipolo corto circuito, nelle stesse condizioni. Un facile
calcolo mostrerebbe che, nel caso del circuito in evoluzione libera, lenergia totale dissipata nel resistore
proprio pari a quella inizialmente immagazzinata nell'induttore.
Passiamo ora ad esaminare il caso del circuito RLC
serie in presenza di un forzamento costante.
L'equazione nella incognita v c :
2

d vc

dv
v
E
+R c+ c = 0 .
L dt LC LC

(V.75)
2
dt
Anche in questo caso essendo l'integrale generale della
omogenea associata gi noto, occorrer determinare
soltanto la soluzione particolare. Essendo il forzamento costante, possibile utilizzare la stessa tecnica usata
per l'equazione del primo ordine: si assume che la soluzione particolare sia una costante e si ricava immediatamente che vcp= E0. Si noti che in questo modo si
automaticamente scelto come soluzione particolare
quella di regime; infatti, essendo il forzamento costante, il regime verr raggiunto quando tensioni e correnti
nel circuito non varieranno pi nel tempo.
Utilizzeremo questa tecnica in seguito anche quando il
forzamento non pi costante nel tempo; naturalmente la soluzione di regime non potr essere costante ma
dovr ricalcare l'andamento del forzamento.

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150

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Come nel caso dell'evoluzione libera avremo i tre casi


possibili:
1) 0T < 1; caso aperiodico, o smorzato, o sopracritico:
vc t = k1 e-

t T1

+ k2 e-

t T2

+ E0 .

(V.76)

2) 0T = 1; caso critico:
-t T

vc(t) = k1 e

-t T

+ k2 t e

+ E0 .

(V.77)

3) 0T > 1; caso oscillatorio, o subcritico:


vc t = K e

sen t + + E0 .

(V.78)

Evidentemente, le costanti k 1, k2, K e sono da determinarsi utilizzando le condizioni iniziali.


Nelle immagini a lato della pagina precedente sono
riportati andamenti tipici per i tre casi. Si noti come la
tensione ai morsetti del condensatore pu, in alcuni
istanti, essere maggiore della tensione dell'unico generatore presente; nulla di strano, dato che il teorema di
non amplificazione delle tensioni limita la sua validit
al regime stazionario.
Esercizi
L'equazione nella incognita i per il circuito RLC serie
si ottiene facilmente se si deriva una volta l'equazione
alla maglia:
vc t + vR t + vL t = 0.
(V.79)
Si ottiene:
dvc + dvR + dvL = 0.
dt
dt
dt
Utilizzando poi le caratteristiche dei bipolo si ha:

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d2 i + R di + i = 0.
(V.80)
dt2 L dt LC
La soluzione sar del tipo - supponiamo di essere nel
caso aperiodico:
i t = k1 e- t T1 + k2 e- t T2 .
Sviluppiamo in dettaglio anche il calcolo delle costanti
di integrazione. Una condizione iniziale posta direttamente sulla corrente, per cui si ottiene facilmente:
i 0 = k1 + k2 = I0 .
L'altra condizione invece posta sulla tensione ai morsetti del condensatore, mentre occorrerebbe conoscere
il valore della derivata della corrente all'istante iniziale.
Per risolvere il problema si procede nel modo descritto: si particolarizza l'equazione (V.79), che esprime la
validit delle leggi di Kirchhoff, all'istante t =0:
vc 0 + R i 0 + L di
= 0.
(V.81)
dt t = 0
Nella equazione (V.81) l'unico termine incognito
quello contenente la derivata della corrente valutata
all'istante iniziale. Si ottiene dunque:
di
= - V0 + R I0 .
dt t = 0
L
Derivando poi l'espressione della soluzione trovata per
la i(t), si ottiene facilmente la seconda equazione che
consente la determinazione delle costanti di integrazione:
di
= - k1 - k2 = - V0 + R I0 .
dt t = 0
T1 T2
L
Come ulteriore esercizio, si provi a calcolare l'espressione delle costanti di integrazione, nei tre regimi possibili, per il circuito RLC serie con forzamento in tensione costante, sia nel caso che l'incognita sia la tensione v c sia in quello in cui l'incognita sia la corrente i.

151

152

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Generatori ideali non costanti


Fino a questo punto abbiamo preso in considerazione
esclusivamente generatori di tensione e di corrente
costanti. Essendo ora il nostro modello in grado di
descrivere anche regimi dinamici, possiamo prendere
in considerazione anche generatori di tensione e di corrente variabili nel tempo. Si tratter sempre di generatori ideali nel senso che si assume che l'andamento nel
tempo della grandezza erogata - nel seguito parleremo
di forma d'onda della tensione o della corrente - non
dipenda in alcun modo dalle condizioni in cui il generatore lavora. In altri termini la forma d'onda della tensione di un generatore ideale di tensione non dipende
dal carico a cui tale generatore collegato, e analogamente per il generatore di corrente. In fondo era proprio questo l'aspetto ideale anche nei generatori in
regime continuo!
In un primo momento limiteremo la nostra attenzione
ai generatori in grado di fornire forme d'onda periodiche, ed in particolare sinusoidali. I motivi per questa
scelta sono diversi e proveremo ad illustrarne alcuni
brevemente pi avanti. Per ora ricordiamo qualche
definizione che ci sar necessaria nel seguito.
Una variazione temporale che si ripeta identicamente
dopo un certo intervallo di tempo T viene detta perio dica; l'intervallo T viene detto periodo della grandezza
periodica.
Nel periodo T la funzione periodica a(t) assumer un
massimo che indicheremo con il simbolo AM.
Definiremo ancora, per a(t), il valore medio in un perio do:
T

Am = 1
T

a t dt.
0

(V.82)

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153

In generale il valor medio di una funzione periodica


non nullo: l'area sottesa dalla funzione nella sua parte
positiva non eguale alla corrispondente area della sua
parte negativa. La condizione di valor medio nullo
individua una particolare classe di funzioni periodiche
per le quali potr essere utile definire il valor medio in
mezzo semiperiodo:
T2

Am/2

=2
T

a t dt.

(V.83)

Pi interessante in questi casi il valore efficace definito come la radice quadrata del valore quadratico
medio:
T

A=

1
T

a2 t dt .

(V.84)

Particolari funzioni periodiche a valor medio nullo


sono le ben note funzioni sinusoidali e cosinusoidali:
a t = AM sen t + = AM cos t + - 2 .
facile verificare che il valore efficace di una grandezza sinusoidale pari al suo valor massimo diviso la radice di 2 e che il suo valor medio in un semiperiodo pari
al valor massimo moltiplicato per 2/. L'argomento
della funzione sinusoidale viene detto fase istantanea
della funzione stessa mentre prende il nome di fase
iniziale.

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Per le funzione periodiche si pu dimostrare una


importante propriet che prende il nome di sviluppo
in serie di Fourier. Tale propriet consente di porre una
qualsiasi funzione periodica a(t) come somma di infiniti termini del tipo Ansin(nt) ed Bncos(nt), con n
intero ed = 2/T = frequenza angolare, o spesso, per
brevit, solo frequenza. In realt si preferisce conservare al termine frequenza il significato di inverso del

153

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154

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periodo per cui f=1/T=/2; da cui il nome di frequenza angolare per .


Se si pone infatti, per una generica funzione periodica
a(t):

a t = A0 + An sen nt + Bn cos nt , (V.85)


1

si prova facilmente che:


T

A0 = 1
T

a t dt .

(V.86)

Il coefficiente A0 , dunque, il valore medio della grandezza periodica. Analogamente si dimostra che:
T

An = 2
T
Bn = 2
T

a t sin nt dt;
0
T

(V.87)
a t cos nt dt.

Nella dimostrazione basta far uso delle seguenti propriet delle funzioni seno e coseno (con n m):
T

sin nt cos mt dt=

sin nt cos nt dt =
0

0
T

sin nt sin mt dt =
0

0
T

1
T

sin nt 2 dt = 1
0

cos nt cos mt dt = 0;

cos nt 2 dt = 1 .
2

In altri termini si fa uso del fatto che le funzioni sinusoidali hanno valor medio nullo, valore quadratico
medio pari ad 1/2, e sono, come si dice, ortogonali tra
di loro, intendendo con questo il fatto che il valor

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medio del prodotto di due funzioni sinusoidali di frequenza, m/2 ed n/2, con mn, nullo.
Nell'immagine a lato sono rappresentate le prime tre
componenti - che prendono il nome di armoniche della
funzione sviluppata - di una funzione ad andamento
"rettangolare"; nella seconda immagine le tre armoniche sono sommate e confrontate con la funzione originaria. Come si vede, anche se lo sviluppo di Fourier
prevede un numero di armoniche infinito, spesso, utilizzando solo poche armoniche si ottiene una approssimazione soddisfacente della funzione sviluppata.
Le funzioni sinusoidali godono, dunque, della notevole propriet di poter rappresentare un grandissimo
numero di funzioni diverse; non sono le sole in realt,
ma certamente le pi comunemente usate.
Infatti se siamo in regime lineare, se cio valido il
principio di sovrapposizione degli effetti, una volta
noto il comportamento di un sistema quando in esso
tutte le grandezze variano con legge sinusoidale, possibile ricavare il comportamento del sistema, utilizzando appunto la sovrapposizione degli effetti, in condizioni di variabilit temporale diverse.
questo uno dei motivi che, come avevamo anticipato,
ci spinge a focalizzare la nostra attenzione sui generatori ideali di tipo sinusoidale. Un altro motivo, altrettanto importante, , potremmo dire, di carattere essenzialmente pratico. Infatti sarebbe facile far vedere, utilizzando la legge di Faraday-Neumann, che il modo pi
naturale, in linea di principio, per costruire un generatore di f.e.m. quello di far ruotare una spira conduttrice in un campo magnetico. Se il campo uniforme, e
la velocit angolare di rotazione della spira costante,
la forza elettromotrice che ne scaturisce di forma
d'onda sinusoidale. Naturalmente, le cose sono molto
pi complesse di quanto una descrizione cos sintetica
possa far immaginare; ma, al fondo, questo uno dei

155

156

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

principali motivi per cui la produzione, e poi la trasmissione e la distribuzione, della energia elettrica si
realizza in regime sinusoidale. ragionevole, quindi,
anche per questo motivo, dedicare a tali regimi un'attenzione particolare.
Limitiamoci, dunque, a queste considerazioni di principio e interessiamoci invece di come lintroduzione dei
generatori variabili nel tempo, modifica il modello
delle reti elettriche. Ancora una volta, chi desiderasse
un approfondimento dell'argomento pu leggere l'appendice A3.
Consideriamo, per esempio, il circuito RL serie che
abbiamo gi preso in considerazione, e supponiamo
che esso sia alimentato da un generatore di tensione
sinusoidale e(t)= EM sen (t + ) - si noti il simbolo per
il generatore ideale di tensione sinusoidale. necessario assumere una fase iniziale 0 in quanto lorigine
dei tempi gi stata fissata quando si assunto che l'interruttore viene chiuso a t=0.
Scriviamo lequazione che esprime la LKT all'unica
maglia presente. Si ha:
vL + vR = e t .
(V.88)
Tenendo conto delle caratteristiche dei bipoli presenti
si ottiene:
di + R i = e t = 1 E sen t + .
(V.89)
L L M
dt L
La soluzione dellomogenea associata sar ancora del
tipo k1 e-R t/L, ma non possiamo pi supporre che la
soluzione particolare sia costante, in quanto il forzamento non costante. Possiamo, per, utilizzare lo
stesso modo di ragionare che ci ha portato a trovare la
soluzione particolare quando il generatore di tensione
era costante. In fondo nel caso del forzamento costante abbiamo cercato una soluzione particolare che avesse le stesse caratteristiche del forzamento, e cio

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

157

costante. Nel caso del forzamento sinusoidale possiamo cercare una soluzione particolare che sia dello stesso tipo, cio sinusoidale.
Posto dunque i(t)=I M sen(t - ), si ha:
di = IMsen t - + 2 ,
dt
e quindi, sostituendo nella (V.89):
IM sen t - + 2 + R sen t - =
L
(V.90)
1
= E sen t + .
L M
Ricordando ora che se:
AMsen t + + BMsen t + = CMsen t + ,
si ha:
C2M = A2M + B2M + 2AMBMcos - ,
e:
= arctg

AMsen + BMsen

AMcos + BMcos
si ottiene in definitiva:
IM =

R2

EM
,
+ L 2

(V.91)

e:
= arctg L .
R

(V.92)

Come si vede, anche per un caso cos elementare, i calcoli possono essere laboriosi. Fortunatamente c' come
evitarli. Prima di esaminare questo aspetto concludiamo il discorso sulla soluzione completa dell'equazione
(V.89). Essa del tipo:
i t =ke- Rt L + IMsen t - .
(V.93)
A questo punto si determina il valore della costante di
integrazione imponendo la condizione iniziale:

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158

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i 0 = k - IMsen = I0 .

(V.94)

La soluzione (V.93) ancora una volta somma di un


termine che tende a zero ed un termine che, invece, si
ripete periodicamente senza mai scomparire: la soluzione a regime permanente. A questo punto ci appare
logico interpretare anche il regime stazionario, da cui
abbiamo preso le mosse, come un regime permanente
in cui i generatori, stazionari appunto, abbiano preso il
sopravvento, e si sia persa traccia di un termine transitorio ormai estintosi nel tempo.
Resta il fatto che il calcolo della soluzione permanente
in regime sinusoidale pi complicato sul piano operativo. Nel seguito mostreremo come sia possibile
costruire una metodologia che ci consenta di trattare il
regime sinusoidale alla stessa maniera in cui abbiamo
trattato il regime continuo. Sar cos possibile estendere le propriet ed i teoremi delle reti gi studiati anche
al nuovo regime.

Esercizi
Per il circuito nell'immagine a lato si scriva l'equazione
risolvente nella corrente iL. Occorrer scrivere le equazioni che esprimono la validit delle leggi di Kirchhoff
alla rete e, quindi, con qualche elaborazione, giungere
ad una unica equazione nella incognita iL.

Capitolo VI

I regimi sinusoidali
Siamo dunque alla ricerca di una tecnica che ci consenta di semplificare le operazioni sulle grandezze sinusoidali. Osserviamo che nelle equazioni relative alla
LKC ed alla LKT intervengono essenzialmente le
seguenti operazioni:
a) moltiplicazione per una costante, come nella
caratteristica di un resistore.
b) somma, come nella somma dei vari termini in una
equazione.
c) derivata, come nelle caratteristiche di induttori e
condensatori.
Immaginiamo ora di trovare un insieme di grandezze,
che chiameremo insieme delle "A" - mentre chiameremo "a" l'insieme delle funzioni sinusoidali di pulsazione - e supponiamo che esista una corrispondenza biu nivoca che metta in relazione ogni elemento di a con
uno di "A" . Supponiamo anche che tale corrispondenza conservi le operazioni che abbiamo in precedenza
elencato; con questa affermazione intendiamo che se il

160

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

risultato di una determinata operazione - per esempio


la somma - fatta su elementi di "a" un certo elemento c, cio:
a+b=c,
e se il risultato della operazione corrispondente - simbolo - fatta sugli elementi corrispondenti di "A"
C :
A B = C,
allora risulta anche che C lelemento associato a c
nella corrispondenza in esame. Dunque, se esiste un
tale insieme "A" ed una tale applicazione, e se operare
su "A" risulta pi agevole che operare su "a", si potr
in ogni caso trasformare tutte le grandezze di "a" nelle
corrispondenti di "A" , operare su queste e, una volta
ottenuto il risultato, ritornare in "a" mediante l'applicazione inversa.
Orbene, facciamo vedere che linsieme di tutte le funzioni complesse di variabile reale del tipo Aej(t+) un
possibile candidato insieme "A" . Infatti, dato che ogni
elemento di "a" del tipo a(t) = AM sen (t + ) dipende da tre parametri, e precisamente AM, ed , e che
lo stesso accade per ogni elemento di "A" (perch
A = Aej(t+) ), evidente che tra gli insiemi "a" e
"A" descritti esiste una corrispondenza biunivoca se ad
ogni valore AM facciamo corrispondere un opportuno
valore A. Naturalmente la scelta pi immediata sarebbe di porre A = AM. Per motivi che saranno chiari in
seguito, si preferisce porre A = AM/ 2 , cio pari al
valore efficace della corrispondente grandezza sinusoidale invece che al suo valore massimo.
Notiamo che, per la formula di Eulero,
Aej t + = A cos t+ + j A sen t+ ,
si pu affermare che l'applicazione introdotta fa corri-

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spondere ad ogni elemento di "A" un elemento di "a"


che, a meno del fattore 2 , coincide con il coefficiente
della parte immaginaria di A .
Che una tale applicazione conservi le operazioni che
abbiamo elencato in precedenza, cosa semplice da
dimostrare. Per quanto riguarda la somma e la moltiplicazione per una costante, il fatto di per s evidente. Per quel che riguarda l'operazione di derivazione,
notiamo che:
d Aej t + = j Aej t + =
dt
= j A cos t+ - AM sen t+ .
Anche in questo caso, quindi, il coefficiente della derivata , sempre a meno del fattore 2 , uguale alla derivata dell'elemento di partenza, a(t) = AM sen (t + ).
facile verificare, invece, che l'operazione di prodotto,
come usualmente definita nei due insiemi in esame,
non viene conservata dall'applicazione introdotta. Si ha
infatti:
Aej t + Bej t + = AB ej 2t + + =
= AB cos 2t + + + j sen 2t + + .
Il coefficiente dell'immaginario dell'espressione trovata non coincide con il prodotto delle due funzioni sinusoidali corrispondenti.
In conclusione in regime sinusoidale si pu cos operare: in primo luogo si trasformano tutte le grandezze tensioni e correnti che variano con legge sinusoidale nelle corrispondenti funzioni complesse del tipo
Aej(t+); d'ora in poi useremo il termine fasori per tali
grandezze e conserveremo il simbolo A per indicarle.
Successivamente si scrivono le equazioni che rappresentano le condizioni imposte dalla LKC e dalla LKT,
tenendo conto delle caratteristiche dei singoli bipoli -

161

162

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espresse in termini di fasori - e ricordando che ogni


operazione di derivazione equivale ad una moltiplicazione per j. Cos facendo le equazioni differenziali si
trasformano in equazioni algebriche ed , dunque, semplice risolverle, ricavando i fasori rappresentativi delle
grandezze incognite. A questo punto si pu ritornare
alle funzioni sinusoidali e determinare le grandezze
incognite nel dominio del tempo.
Proviamo ad applicare questo metodo al circuito RL
serie gi risolto in precedenza. L'equazione all'unica
maglia presente si scrive
E = RI + j L I ,

(VI.1)

da cui si ricava immediatamente:


E
I=
.
(VI.2)
R + j L
Il modulo del numero complesso rappresentativo della
corrente , dunque, il rapporto tra i moduli
I=

R2

E
,
+ L 2

e la sua fase la differenza tra le fasi del numeratore e


del denominatore:
= arctg L .
R
Il che in perfetto accordo, se si tiene conto della relazione tra valor massimo e valor efficace di una funzione sinusoidale, con i risultati gi trovati.
Come si vede, la tecnica che abbiamo costruito semplifica notevolmente tutte le operazioni. In pratica, per un
circuito in regime sinusoidale, baster scrivere direttamente le equazioni relative alla LKC ed alla LKT in termini di fasori, esprimendo anche le caratteristiche dei
bipoli presenti nella rete come relazioni tra fasori.
In particolare, per il resistore, v=Ri si trasforma in:

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163

V=RI ;
per l'induttore, v=Ldi/dt si trasforma in:
V = j L I ;
per il condensatore, i C dv/dt si trasforma in:
I = j C V .
Il rapporto tra i due fasori rappresentativi della tensione e della corrente prende il nome di impedenza e
verr indicato d'ora in poi con il simbolo Z :
Z=R+ jX.

(VI.3)

L'impedenza Z dunque un numero complesso; la sua


parte reale conserva il nome di resistenza, mentre il
coefficiente della parte immaginaria detto reattanza.
Si noti che, coerentemente alle definizioni date, si pu
affermare che l'impedenza caratteristica di un induttore pari a jX=jL e che la sua reattanza X=L, positiva per definizione. Un condensatore invece presenter una impedenza -jX=-j/C, ed una reattanza
X=1/C. Infine chiameremo ammettenza Y l'inverso
di una impedenza. In questo caso:
Y=

1
R
X
=
-j
. (VI.4)
R+ jX
2
2
2
2
R +X
R +X

Anche l'ammettenza dunque un numero complesso la


cui parte reale una conduttanza mentre il coefficiente dell'immaginario prende il nome di suscettanza.
Come tutti i numeri complessi, anche l'impedenza e
l'ammettenza possono essere rappresentate in forma
polare,
Z = Z ej ;
Si ha, quindi:

Y = Y e- j ,

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164

j t +

I = Ee
Z ej

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= E ej t +
Z

La corrente i(t) dunque sfasata di un angolo -


rispetto alla tensione e(t), dove l'angolo di fase dell'impedenza. Osserviamo che, nella equazione (VI.1),
sia il fasore rappresentativo della tensione, a primo
membro, che il fasore rappresentativo della corrente,
presente a secondo membro, contengono come fattore
il termine e jt; tale fattore dunque inessenziale e pu
essere eliminato. evidente che ci si verifica in ogni
equazione scritta in termini fasoriali. In pratica questa
scelta equivale a utilizzare, come grandezze simboliche
rappresentative delle funzioni sinusoidali, numeri complessi del tipo Eej e non funzioni complesse del tipo
Eej(t+). Il fattore ejt comune a tutti i termini.
Sarebbe giusto riservare simboli diversi per le grandezze Eej(t+) ed Eej, ma in pratica si soliti utilizzare lo
stesso simbolo per le due grandezze, dato che il contesto, in generale, chiarisce l'oggetto del discorso. Il
senso di questa scelta sar ancora pi chiaro quando si
introdurr una rappresentazione grafica dei fasori.
Questa lunga introduzione al metodo simbolico pu
sembrare un po' eccessiva, data la semplicit dell'argomento. Essa ha un unico scopo: mettere bene in evidenza che l'insieme delle "a" e quello delle "A" sono
due insiemi completamente distinti, ognuno dei quali
pu essere usato per rappresentare l'altro. Non lecito
per mescolare elementi dei due insiemi; non lecito,
per esempio, sommare una funzione sinusoidale
a = a(t) ed un fasore rappresentativo A = A ej(t+)!
Esercizi
Per l'esercizio proposto precedentemente, le equazioni

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alle maglie forniscono:


E = vL + vR ;

165

vL = vc.

Mentre l'equazione ad uno dei due nodi :


i = ic + iL.
Con facili passaggi si ricava l'unica equazione:
E = d2 iL + 1 diL + iL .
RCL dt2
RC dt CL
L'altro esercizio proposto richiede di calcolare le reattanze di alcuni bipoli assegnati. Notare il ruolo giocato
dalla frequenza angolare: al suo aumentare la reattanza
dell'induttore aumenta mentre quella del condensatore
diminuisce in valore assoluto.
Il circuito RLC con forzamento sinusoidale
Proviamo ad applicare il metodo dei fasori per calcolare la soluzione di regime in un caso pi complesso: il
circuito RLC serie con forzamento costante.
La soluzione dell'omogenea associata gi nota; limitiamoci quindi a calcolare la soluzione a regime con il
metodo dei fasori. L'equazione alla maglia :
E = RI + jLI - j 1 I.
(VI.5)
C
Si ricava immediatamente:
I=

E
.
R + jL - j 1
C

(VI.6)

Da cui:
-j 1 E
1
C
Vc = - j
I=
.
C
R + jL - j 1
C

(VI.7)

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166

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Ricordando che
- j = e-

j 2 ,

la VI.7 pu anche essere scritta:


Vc = 1
C

E ej t + - - 2
2

R + L - 1
C

(VI.8)

dove la fase iniziale del generatore di f.e.m. e ,


L - 1
C ,
=arctg
(VI.9)
R
l'angolo di sfasamento tra la tensione del generatore
e la corrente:
i(t) = IMsen t+- = 2Isen t+- . (VI.10)
In conclusione abbiamo:
vcp (t) = 2 Vc sen t + .

(VI.11)

Dove
Vc = 1
C

E
R2

+ L - 1
C

(VI.12)

e:
=--2.

(VI.13)

Aggiungendo questa soluzione di regime all'integrale


generale della omogenea associata, si ottiene l'integrale
generale della equazione completa.
Anche in questo caso abbiamo i tre regimi caratteristici del circuito RLC, sopracritico, critico e subcritico:
vc(t) = k1 e1t +k2 e2t + 2Vcsen t + . (VI.14)
vc(t) = k1 et +k2 tet + 2Vc sen t + . (VI.15)

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vc(t) = ket sen t+ + 2Vcsen t+ . (VI.16)


Nelle immagini a lato sono mostrati alcuni tipici andamenti.
Naturalmente, per determinare la soluzione del particolare problema in esame, occorre imporre le condizioni iniziali e determinare le costanti di integrazione.
Per il caso subcritico, per esempio, con facili passaggi
si ha:
V0 = ksen - 2 Vc cos - ,
(VI.17)
I0
= k sen + k cos + 2 Vc sen - .
C
Dalle (VI.17) si ricavano i valori di k e .
Si osservi ancora una volta che le condizioni iniziali
vanno imposte all'integrale generale dell'equazione
completa, e non a quello dell'omogenea associata,
anche se, e questo pu indurre in errore, le costanti da
determinare sono tutte contenute in quest'ultimo.
Le formulazioni (VI.14),(VI.15) e (VI.16) della soluzione sono tutte del tipo termine transitorio + termine di
regime; come abbiamo visto non questo l'unico
punto di vista dal quale guardare a tali espressioni.
Infatti, dalla (VI.17) si vede che le costanti k e non
dipendono soltanto dalle condizioni iniziali, ma anche
dal forzamento e(t), attraverso ed E, che contenuto
in V c (vedi la VI.12). Si pu quindi guardare alla soluzione (VI.16) immaginando di separare il termine che
dipende esclusivamente dalle particolari condizioni iniziali da quello che dipende dal forzamento e che sarebbe nullo in sua assenza. Ma, a differenza del caso
discusso nel capitolo V, questa volta una tale separazione non immediata. Che essa sia sempre possibile, in
condizioni di linearit, lo assicura, per, il principio di
sovrapposizione degli effetti. Infatti, possiamo immagi-

167

168

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nare che la dinamica del circuito sia in realt determinata dalla sovrapposizione di due fenomeni: l'evoluzione libera del circuito, dovuta alle assegnate condizioni iniziali, e la dinamica con cui il forzamento, partendo da condizioni iniziali tutte nulle, porta il circuito
al suo regime.
I due diversi punti di vista sono graficamente mostrati
nelle due ultime immagini a lato, per il caso in esame.
L'evoluzione libera si sviluppa indipendentemente dal
forzamento ed destinata comunque ad estinguersi per
la presenza di una causa dissipativa e di una energia
disponibile limitata. Il generatore, invece, disponendo
di energia illimitata, potr imporre alla lunga il suo
regime.
Queste considerazioni portano, ancora una volta, alla
conclusione che bisogna aspettarsi che, per particolari
condizioni iniziali che assicurano la completa compatibilit tra regime voluto dal forzamento e "tendenza
spontanea" del circuito, il fenomeno transitorio non
abbia luogo ed il regime si stabilisca istantaneamente.
Dalla VI.16 si vede che ci effettivamente si verifica,
nel nostro caso, per k=0. Perch ci accada le condizioni iniziali debbono essere:
V0 = 2 Vc cos - ,
I0 = - 2 V sen - .
c
C

(VI.18)

Si noti che la frequenza di oscillazione a regime , naturalmente, quella imposta dal forzamento, diversa, in
generale, da quella 0 = 1 LC alla quale il circuito
in grado di oscillare in evoluzione libera, in assenza di
una causa dissipatrice (R=0). C' da attendersi un comportamento singolare, e quindi interessante, quando
tali frequenze coincidono!

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Esercizi
Per il circuito mostrato, scrivere l'equazione risolvente
in termini della incognita vc.

utile prendere dimestichezza con il passaggio dall'insieme delle grandezze sinusoidali a quello dei fasori,
come indicato negli esercizi proposti a lato.

169

170

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Fasori e vettori rappresentativi


Come abbiamo visto, in regime sinusoidale possibile
caratterizzare ogni bipolo attraverso la sua impedenza:
un numero complesso con una parte reale, che continueremo a chiamare resistenza, ed una parte immaginaria il cui coefficiente prende il nome di reattanza.
L'impedenza il rapporto tra il fasore rappresentativo
della tensione ai morsetti del bipolo e quello rappresentativo della corrente che lo attraversa. Se sul bipolo
si assunta una convenzione dell'utilizzatore, la resistenza necessariamente positiva, almeno per i componenti fin qui introdotti. Analogamente possibile
caratterizzare lo stesso bipolo attraverso la sua ammettenza: il rapporto tra fasore rappresentativo della corrente e fasore rappresentativo della tensione. La parte
reale dell'ammettenza prende il nome di conduttanza e,
con una convenzione dell'utilizzatore, definita positiva; il coefficiente della parte immaginaria prende il
nome di suscettanza e pu essere positivo o negativo.
Resistenze e reattanze si misurano in ohm, mentre conduttanze e suscettanze si misurano in siemens.
Introduciamo una rappresentazione grafica dei fasori
che ci sar di grande utilit nel seguito. Consideriamo
il piano complesso {Re ( A ), Im ( A )} e seguiamo in
esso il punto rappresentativo della funzione Aejt
durante lo scorrere del tempo.
All'istante 0 tale punto sull'asse reale ad una distanza
pari al modulo A del numero complesso. Negli istanti
successivi il punto rappresentativo, essendo il modulo
di A costante, si muove lungo una circonferenza di
raggio pari ad A con una velocit angolare . Il fasore
A pu dunque essere rappresentato con un vettore
rotante che ha un estremo nell'origine delle coordinate
e l'altro nel punto sulla circonferenza. Se rappresentia-

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Corso di Elettrotecnica

mo tutte le grandezze sinusoidali del nostro circuito


sullo stesso piano, essendo esse tutte caratterizzate
dalla stessa frequenza, i vettori rappresentativi ruoteranno tutti con la stessa velocit angolare , e si conserveranno, quindi, tra loro gli stessi sfasamenti che si
presentavano all'istante 0. Se siamo dunque interessati
esclusivamente alle relazioni in modulo e fase tra i vari
fasori basta prendere in considerazione il diagramma
vettoriale rappresentativo all'istante 0, o ad un qualsiasi altro istante t.
Tutte le operazioni necessarie nel campo complesso per
la soluzione di una rete hanno le loro corrispondenti
operazioni grafiche nel piano complesso; per esempio,
immediato rendersi conto che l'operazione di somma
di due fasori corrisponde, nel diagramma vettoriale
rappresentativo alla consueta somma di vettori (regola
del parallelogramma). L'operazione di derivazione corrisponde a ruotare il vettore rappresentativo di /2 in
verso antiorario (anticipo) oltre che a moltiplicare il
suo modulo per .
Si noti che mentre il fasore Aej(t + ) corrisponde ad un
vettore rotante con velocit angolare , il fasore Aej
corrisponde al vettore fermo alla sua posizione all'istante 0. In generale consentito utilizzare lo stesso
simbolo A per tutte queste grandezze, non potendo
ci generare alcuna confusione.

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Fasori e vettori rappresentativi


Come abbiamo visto, in regime sinusoidale possibile
caratterizzare ogni bipolo attraverso la sua impedenza:
un numero complesso con una parte reale, che continueremo a chiamare resistenza, ed una parte immaginaria il cui coefficiente prende il nome di reattanza.
L'impedenza il rapporto tra il fasore rappresentativo
della tensione ai morsetti del bipolo e quello rappresentativo della corrente che lo attraversa. Se sul bipolo
si assunta una convenzione dell'utilizzatore, la resistenza necessariamente positiva, almeno per i componenti fin qui introdotti. Analogamente possibile
caratterizzare lo stesso bipolo attraverso la sua ammettenza: il rapporto tra fasore rappresentativo della corrente e fasore rappresentativo della tensione. La parte
reale dell'ammettenza prende il nome di conduttanza e,
con una convenzione dell'utilizzatore, definita positiva; il coefficiente della parte immaginaria prende il
nome di suscettanza e pu essere positivo o negativo.
Resistenze e reattanze si misurano in ohm, mentre conduttanze e suscettanze si misurano in siemens.
Introduciamo una rappresentazione grafica dei fasori
che ci sar di grande utilit nel seguito. Consideriamo
il piano complesso {Re ( A ), Im ( A )} e seguiamo in
esso il punto rappresentativo della funzione Aejt
durante lo scorrere del tempo.
All'istante 0 tale punto sull'asse reale ad una distanza
pari al modulo A del numero complesso. Negli istanti
successivi il punto rappresentativo, essendo il modulo
di A costante, si muove lungo una circonferenza di
raggio pari ad A con una velocit angolare . Il fasore
A pu dunque essere rappresentato con un vettore
rotante che ha un estremo nell'origine delle coordinate
e l'altro nel punto sulla circonferenza. Se rappresentia-

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mo tutte le grandezze sinusoidali del nostro circuito


sullo stesso piano, essendo esse tutte caratterizzate
dalla stessa frequenza, i vettori rappresentativi ruoteranno tutti con la stessa velocit angolare , e si conserveranno, quindi, tra loro gli stessi sfasamenti che si
presentavano all'istante 0. Se siamo dunque interessati
esclusivamente alle relazioni in modulo e fase tra i vari
fasori basta prendere in considerazione il diagramma
vettoriale rappresentativo all'istante 0, o ad un qualsiasi altro istante t.
Tutte le operazioni necessarie nel campo complesso per
la soluzione di una rete hanno le loro corrispondenti
operazioni grafiche nel piano complesso; per esempio,
immediato rendersi conto che l'operazione di somma
di due fasori corrisponde, nel diagramma vettoriale
rappresentativo alla consueta somma di vettori (regola
del parallelogramma). L'operazione di derivazione corrisponde a ruotare il vettore rappresentativo di /2 in
verso antiorario (anticipo) oltre che a moltiplicare il
suo modulo per .
Si noti che mentre il fasore Aej(t + ) corrisponde ad un
vettore rotante con velocit angolare , il fasore Aej
corrisponde al vettore fermo alla sua posizione all'istante 0. In generale consentito utilizzare lo stesso
simbolo A per tutte queste grandezze, non potendo
ci generare alcuna confusione.
Il diagramma vettoriale del circuito RLC serie molto
semplice da costruire. Si parte dall'assegnare il vettore
rappresentativo della corrente I . La somma della caduta di tensione resistiva R I , in fase con la corrente, di
quella induttiva jL I , sfasata di 90 in anticipo, e di
quella capacitiva -1/jC I , sfasata di 90 in ritardo, fornisce il vettore rappresentativo della tensione E del
generatore.
immediato, a questo punto, determinare graficamen-

171

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te lo sfasamento fra tensione e corrente.


Nel caso rappresentato nella prima immagine a lato si
supposto che il modulo della caduta induttiva sia maggiore del modulo della caduta capacitiva.
Naturalmente se accade l'inverso il diagramma prende
la forma rappresentata nella successiva immagine.
Nel primo caso la corrente sfasata in ritardo rispetto
alla tensione (carico prevalentemente induttivo, > 0);
nel secondo caso, in anticipo (carico prevalentemente
capacitivo, < 0).
Osserviamo che nel caso particolare in cui L = 1/C
il diagramma vettoriale assume la caratteristica forma
descritta nella prima immagine della pagina seguente.
In pratica le cadute induttive e capacitive si compensano mutuamente con il risultato che al generatore il carico appare puramente resistivo; l'impedenza complessiva si riduce alla sola resistenza ed ha quindi solo parte

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reale. questo il fenomeno della risonanza che esamineremo in dettaglio in uno dei prossimi paragrafi.
Per ora limitiamoci a riepilogare il comportamento dei
tre bipoli introdotti in regime sinusoidale, induttore,
condensatore e resistore, mostrandone le relazioni
caratteristiche nelle diverse formulazioni.
Bipolo induttore:

Bipolo condensatore:

Bipolo resistore:

173

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174

Corso di Elettrotecnica

Insieme agli andamenti di tensione e corrente nei tre


casi stato riportato anche l'andamento del prodotto
v(t)i(t). Per definizione tale prodotto rappresenta,
istante per istante, la potenza assorbita dal bipolo convenzione dell'utilizzatore. Si noti che solo per il
resistore tale potenza sempre positiva; per l'induttore
e per il condensatore, invece, la potenza positiva in un
semiperiodo - pari ad un quarto del periodo di tensione e corrente - e negativa nel successivo. Ma questo
argomento merita una trattazione a parte.
Potenza nei regimi sinusoidali
Affrontiamo il problema dal punto di vista generale. La
potenza istantanea assorbita da un qualsiasi bipolo sottoposto alla tensione v(t) e percorso dalla corrente i(t)
, per definizione, p(t) = v(t) i(t). Nel caso particolare
di un regime sinusoidale si ha:
p t = v t i t = 2 V sen t 2 I sen t - =
(VI.19)
= V I cos + sen 2t - - 2 ,
In altri termini, la potenza in regime sinusoidale la
somma di un termine costante, pari al prodotto del
valore efficace della tensione per il valore efficace della
corrente per il coseno dell'angolo tra i due fasori, pi
un termine oscillante di frequenza 2. Dato che il termine oscillante ha valor medio nullo, il valore medio
della potenza istantanea pari al termine costante
VIcos:
T

P= 1
T

v t i t dt = V I cos .

(VI.20)

Ci giustifica anche la nostra scelta di utilizzare il valore efficace anzich il valore massimo quale modulo del

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Corso di Elettrotecnica

175

fasore rappresentativo di tensioni e correnti. In particolare, con questa scelta, se si d all'operatore prodotto
scalare tra due vettori l'usuale significato di prodotto
dei moduli dei vettori per il coseno dell'angolo che essi
formano, si pu affermare che in regime sinusoidale la
potenza media pari al prodotto scalare del vettore
rappresentativo della tensione per quello rappresentativo della corrente:
P = VI = V I cos .

(VI.21)

La potenza media viene anche detta potenza attiva. In


effetti il valore della potenza media consente di calcolare agevolmente la quantit di energia, trasferita in un
determinato intervallo di tempo t-t0, come il prodotto
della potenza media per l'intervallo stesso (si presume,
naturalmente che l'intervallo t-t0 contenga molti periodi T).
Ci aspettiamo dunque che per la potenza media valga,
cos come per l'energia, un teorema di conservazione:
la potenza attiva fornita dai generatori deve essere
eguale a quella utilizzata dagli utilizzatori.
Propriet delle reti in regime sinusoidale
Come abbiamo visto, a condizione di trasformare tutte
le grandezze sinusoidali nei corrispondenti fasori, si
pu operare in regime sinusoidale alla stessa maniera in
cui si operato in regime continuo. Ai concetti di resistenza e di conduttanza dei bipoli si sostituiscono quelli di impedenza ed ammettenza. Tali grandezze, a differenza delle precedenti, sono espresse da numeri complessi, e ci naturalmente comporter inizialmente
qualche lieve complicazione. Per superarle basta ricordare le principali operazioni sui numeri complessi,
nella loro forma cartesiana:

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176

Corso di Elettrotecnica

a + jb + c + jd = a + c + j b + d ,
a + jb c + jd = ac - bd + j bc + ad ,
a + jb
a + jb c - jd
ac + bd + j bc - ad
=
=
;
c + jd
c2 + d2
c2 + d2
ed in quella polare:
a + jb = A ej , con A = a2 + b2 e tg = ba ,
A ej B ej = A Bej

A ej = A ej - .
B ej B
Cos, per esempio, serie e parallelo di due bipoli portano alle stesse formule utilizzate in continua.
Serie:
Z = Z1 + Z2 ,

Y = Y1 Y2 .
Y1 + Y2

Z = Z1 Z2 ,
Z1 + Z2

Y = Y1 + Y2 .

Parallelo:

In generale potremo affermare che tutte le propriet ed


i teoremi sulle reti, dimostrati in regime continuo sulla
base delle leggi di Kirchhoff, hanno un loro equivalente in regime sinusoidale in termini di fasori. Fanno
eccezione i teoremi di non amplificazione; ripercorrendo i passi della dimostrazione a suo tempo sviluppata,
non sar difficile evidenziarne il motivo.
Il teorema di Tellegen, merita una discussione pi
approfondita. Naturalmente tale teorema valido
istante per istante:

vt
k

i t = 0,

(VI.22)

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177

in quanto le tensioni e le correnti ad ogni istante soddisfano le leggi di Kirchhoff. La (VI.22) l'espressione
di un teorema di conservazione delle potenze istantanee che avremmo potuto dedurre anche da semplici
considerazioni sulla conservazione dell'energia.
Ma dato che il sistema dei fasori rappresentativi delle
tensioni sui lati e quello rappresentativo delle correnti
nei rami soddisfano anche essi alle leggi di Kirchhoff, si
pu certamente affermare che anche la somma di tutti
i prodotti V I, estesa all'intera rete deve essere identicamente nulla. Con facili passaggi si pu sviluppare il
generico termine, ma il risultato non particolarmente
significativo.
Pi interessante invece il caso in cui al posto dei fasori rappresentativi delle correnti si utilizzano i rispettivi
coniugati. evidente infatti che anche tali coniugati in cui, si ricorder, cambia solo il segno della parte
immaginaria - debbono sottostare alla prima legge di
Kirchhoff. Si avr dunque:

VkIk= Vkej t+
k

Ik e-j t+k- k =0. (VI.23)

Lo sviluppo del generico termine della sommatoria fornisce:


Vk Ik = Vk Ik cos k + j sen k .

(VI.24)

Tale grandezza viene detta potenza complessa; la sua


parte reale coincide con la potenza media o attiva.
La (V.23) esprime un teorema di conservazione per le
potenze complesse: in una rete in regime sinusoidale la
somma delle potenze complesse fornite dai generatori
deve essere uguale alla somma delle potenze complesse
assorbite dagli utilizzatori. D'altra parte l'annullarsi di
un numero complesso implica l'annullarsi della sua
parte reale e di quella immaginaria. L'annullamento
della somma delle parti reali delle potenze complesse

178

Luciano De Menna

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fornisce di nuovo il teorema di conservazione delle


potenze attive che avevamo gi dedotto in base a semplici considerazioni energetiche. L'annullamento della
parte immaginaria, invece, introduce la conservazione
di un'altra grandezza, rappresentata per ogni bipolo da
VI sen. A tale grandezza, che ha evidentemente le
dimensioni di una potenza, si d il nome di potenza
reattiva, e si usa per essa il simbolo Q. In un resistore,
la potenza reattiva assorbita evidentemente nulla,
mentre diversa da zero la potenza attiva che pari a
VI, dato che cos = 1. Per l'induttore ed il condensatore, invece, la potenza attiva assorbita nulla, cos =
0, mentre la potenza reattiva rispettivamente pari a VI
ed a -VI.
Una potenza reattiva non nulla in una rete indubbiamente indice della presenza di energie immagazzinate
associate al campo elettrico o al campo magnetico; per
ogni induttore presente nella rete si avr, infatti:
QL = VI = L I2 = 1 L I2M = WBM. (VI.25)
2
mentre per ogni condensatore:
Qc = - VI = - C V2 =
(VI.26)
= - 1 C V2M = - WEM.
2
La potenza reattiva totale dunque proporzionale,
secondo il fattore , alla differenza tra i valori massimi
dell'energia associata al campo magnetico e di quella
associata al campo elettrico nella rete. Ma questa relazione non particolarmente utile.
Infine va ricordato che al prodotto VI viene dato il
nome di potenza apparente. Si noti che tra le tre potenze, attiva P a, reattiva Q ed apparente P, sussiste la relazione:
P=

P2a + Q2 .

(VI.27)

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Tale relazione pu utilmente essere rappresentata graficamente in un cosiddetto triangolo delle potenze.
Il fatto che la potenza reattiva sia una grandezza che si
conserva pu essere di grande utilit nella risoluzione
delle reti. Si consideri per esempio il caso di due carichi in parallelo di cui siano note le potenze attive e reattive assorbite da ognuno di essi; si pu affermare che il
complesso dei due carichi equivalente ad un unico
carico che assorbe una potenza attiva e reattiva che
sono la somma algebrica (la potenza reattiva pu essere negativa!) delle rispettive potenze dei singoli carichi.
A riprova del fatto che questo non un risultato banale, si osservi che la stessa affermazione non pu essere
fatta per le potenze apparenti, come facile verificare
con i semplici calcoli mostrati nella successiva immagine a lato.
Esercizi
Per il circuito proposto in precedenza l'equazione
risolvente :
d2 vc + 1 dvc + vc = 1 de ,
dt2 ReC dt LC R0 C dt
con:
Re = R R0 .
R + R0
Si noti che Re il parallelo tra le due resistenze R ed R0.
Per la rete nella successiva immagine si calcolino le
potenze attive, reattive ed apparenti assorbite dai singoli bipoli e quelle erogate dal generatore e si verifichino i teoremi di conservazione.
Si risolva la rete mostrata nell'ultima immagine.

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180

Corso di Elettrotecnica

Il circuito risonante
Abbiamo visto che in un circuito RLC serie, alimentato da un generatore di forza elettromotrice sinusoidale
di frequenza angolare , si pu verificare la condizione
per cui la caduta capacitiva compensa perfettamente la
caduta induttiva ed il circuito appare al generatore
come puramente ohmico. Per assegnati valori di L e C,
ci accade per una frequenza del generatore pari ad 0,
0 = 1 ,
(VI.28)
LC
che proprio la frequenza alla quale il circuito, in
assenza di cause dissipative (R = 0), in grado di oscillare liberamente. Siamo dunque nella gi menzionata
condizione di risonanza tra la frequenza del forzamento e quella propria del sistema. Un circuito di tal genere detto anche circuito risonante.
Del tutto equivalente il caso del circuito RLC parallelo, a volte detto anche antirisonante. In esso la corrente erogata dal generatore, che somma delle tre correnti rispettivamente nell'induttore, nel resistore e nel
condensatore, si riduce ad essere uguale alla sola corrente nel resistore perch le altre due si compensano
perfettamente, essendo eguali ed opposte.
Mentre nel circuito serie, in assenza della resistenza R,
l'impedenza risultante nulla, nel circuito parallelo,
sempre in assenza di resistenza (questa volta R = ),
l'impedenza risultante infinita.
Si noti che nel circuito antirisonante senza perdite, cio
per R = 0, pur essendo la corrente totale fornita dal
generatore identicamente nulla, non sono nulle le correnti nell'induttore e nel condensatore, che si calcolano
agevolmente come rapporto tra tensione applicata e
relativa impedenza.
Per comprendere il fenomeno della risonanza bisogna

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

tener presente che implicitamente si assunto che la


rete sia a regime; il che vuol dire che si suppone vi sia
stato un transitorio - in tempi lontani di cui sembra non
essere rimasto traccia - che ha portato all'attuale situazione di regime. Durante il transitorio il generatore ha
fornito al complesso dei due elementi con memoria
presenti nella rete una certa quantit di energia; d'altra
parte, dato che l'energia immagazzinata nel condensatore proporzionale al quadrato della tensione su di
esso e quella nell'induttore proporzionale al quadrato della corrente che lo attraversa, evidente che se
tensione e corrente non sono in fase, ma in quadratura, come nel nostro caso, accadr che quando l'energia
associata al campo elettrico (condensatore) massima,
quella associata al campo magnetico (induttore) nulla
e viceversa. Se poi in particolare tali energie massime
sono eguali, una volta raggiunto il regime si assister ad
un periodico scambio di energia tra campo elettrico e
campo magnetico che vede completamente estraneo il
generatore; esso dovr solo occuparsi di fornire la
potenza dissipata nel resistore.
Il fenomeno della risonanza, caratteristico di qualsiasi
sistema che abbia la capacit di oscillare su frequenze
proprie, molto importante anche dal punto di vista
applicativo, specialmente nel campo dei circuiti.
Esaminiamolo dunque in maggior dettaglio.
Supponiamo che, nel circuito risonante serie, il generatore di tensione sia a frequenza variabile; si possa cio
variare a piacimento tra 0 ed la frequenza della tensione che esso eroga. Riportiamo in un diagramma la
curva del modulo della corrente I in funzione della frequenza; evidentemente tale diagramma anche il diagramma dell'inverso del modulo della impedenza. Per

181

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= 0, I = 0 perch il condensatore a tale "frequenza"


presenta una impedenza infinita; analogamente per
che va all'infinito la corrente nulla, questa volta per
merito dell'induttore. Per = 0 il modulo della corrente ha un massimo pari ad E/R, cos come mostrato
nel diagramma a lato, dove riportato l'andamento di
I normalizzato al suo valore massimo E/R. Nello stesso
diagramma rappresentata la fase della impedenza al
variare di . Come era prevedibile, per frequenze inferiori a quella di risonanza il circuito si comporta globalmente come un carico prevalentemente capacitivo:
l'impedenza offerta dal condensatore prevale. Per frequenze invece superiori a quella di risonanza, il carico
prevalentemente induttivo. Alla frequenza di risonanza, come abbiamo visto, il carico si comporta come se
fosse puramente resistivo. La curva di cui al diagramma
precedente , in effetti, la rappresentazione della funzione:
R
f =
.
(VI.29)
2
2
1
R + L C
Con qualche semplice passaggio, avendo posto
Q = 0 L = 1 ,
(VI.30)
R
0 RC
si ottiene anche:
1
f =
.
(VI.31)
2

1 + Q2 - 0
0
La curva che descrive la funzione f() prende il nome
di curva di risonanza ed il parametro Q quello di fatto re di qualit o di merito del circuito.

182

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

All'aumentare del fattore di qualit del circuito, la


curva di risonanza diventa sempre pi ripida nell'intor-

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

no della frequenza di risonanza 0.


Le motivazioni di tale terminologia si comprendono
facilmente se si considera la seguente situazione. Si
immagini che la tensione del generatore non sia sinusoidale ma semplicemente periodica. Come si visto,
una tale tensione pu essere scomposta in una somma
di infiniti termini sinusoidali di frequenza diversa (le
armoniche della serie di Fourier). Vediamo il circuito
come un doppio bipolo che abbia in ingresso il generatore a frequenza variabile e dal quale si prelevi in uscita la tensione sul resistore R. Evidentemente, per la
sovrapponibilit degli effetti, anche la tensione in uscita pu essere vista come somma delle risposte alle singole armoniche. D'altra parte ogni armonica della tensione in ingresso vede una diversa impedenza del circuito a causa della diversa frequenza. Se ne conclude
che le ampiezze delle armoniche con frequenze vicine a
quella di risonanza risulteranno amplificate rispetto
alle altre.
Per questo motivo si dice che il circuito si comportato come un filtro, lasciando "passare" di preferenza un
determinato intervallo di frequenze (banda), e attenuando le altre. Cos, per esempio, se in ingresso abbiamo una onda quadra, il cui sviluppo in serie di Fourier
abbiamo gi visto, in uscita avremo un andamento temporale che sar tanto pi vicino ad una sinusoide quanto pi alto il fattore di qualit (curva di risonanza pi
ripida!). Se la frequenza di risonanza del circuito pari
a quella della fondamentale armonica dell'onda quadra, in uscita si avr una sinusoide a quella frequenza;
essa sar leggermente deformata per la presenza delle
armoniche di ordine superiore che, seppur attenuate,
sono sempre presenti. Ma se la frequenza di risonanza
del circuito uguale a quella della succesiva armonica
(di frequenza tripla di quella fondamentale, nel nostro

183

Luciano De Menna

184

Corso di Elettrotecnica

caso) ecco che in uscita comparir la terza armonica.


Coerentemente con tutto ci, se il circuito sintonizza to sulla seconda armonica - se cio la sua frequenza di
risonanza pari al doppio di quella della fondamentale dell'ingresso - in uscita si avr un segnale nullo. Lo
sviluppo in serie di Fourier dell'onda quadra, infatti,
non prevede armoniche pari!
Le applicazioni che sfruttano il fenomeno della risonanza nelle reti elettriche sono numerosissime e tutte di
importanza eccezionale; a titolo di puro esempio citiamo quello del circuito di sintonia di un apparecchio
radiofonico o televisivo: quando ruotiamo la manopola
della sintonia di un ricevitore possiamo immaginare di
non fare altro che modificare la capacit di un circuito
risonante, variando quindi la sua frequenza di risonanza, in modo tale da selezionare l'opportuna banda che
desideriamo filtrare.
interessante notare che l'introduzione del concetto di
potenza media ci consente di dare una interpretazione
del fattore di qualit di un circuito risonante in termini
di energie in gioco. Alla risonanza infatti l'energia totale immagazzinata nel condensatore e nell'induttore
pari a:
2
2
W t = 1 Li t + Cv2 t = 1 L IM sen2 t +
2
2
2
2
+ 1 C VM sen2 t + = 1 L IM sen2 t +
2
2 2
(VI.32)
2
I
2
+ 1 C M cos2 t = 1 L IM sen2 t +
2 2
2
2
C
0

+ 1 L IM cos2 t = 1 L IM .
2
2
Essa dunque costante ed uguale all'energia massima
immagazzinata nell'induttore (o nel condensatore).
D'altra parte l'energia dissipata nel resistore in un

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

periodo pari a R I2T per cui si ha:


2
2
Q = 0 L = 0 LI T = 2LI .
R
RI2 T
RI2 T

185

(VI.33)

Se ne deduce dunque:
energia immagazzinata
Q=2
. (VI.34)
energia dissipata in un periodo

Esercizi
Le potenze richieste, nell'esercizio proposto in precedenza sono:
Pa = 5 W; Qc = 10 VAr; QL = - 5 VAr .
Per l'esercizio successivo ci limitiamo a mostrare alcuni passi della soluzione.

186

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

La stessa soluzione pu anche essere ottenuta applicando la regola del partitore di corrente.

Ancora un esercizio sulla verifica della conservazione


delle potenze nella prima immagine in colonna.

Nei due esercizi successivi si chiede il calcolo delle


impedenze equivalenti dei bipoli mostrati.

Infine l'ultimo esercizio richiede la soluzione della rete


con il metodo dei fasori.

Luciano De Menna

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Le motivazioni di tale terminologia si comprendono


facilmente se si considera la seguente situazione. Si
immagini che la tensione del generatore non sia sinusoidale ma semplicemente periodica. Come si visto,
una tale tensione pu essere scomposta in una somma
di infiniti termini sinusoidali di frequenza diversa (le
armoniche della serie di Fourier). Vediamo il circuito
come un doppio bipolo che abbia in ingresso il generatore a frequenza variabile e dal quale si prelevi in uscita la tensione sul resistore R. Evidentemente, per la
sovrapponibilit degli effetti, anche la tensione in uscita pu essere vista come somma delle risposte alle singole armoniche. D'altra parte ogni armonica della tensione in ingresso vede una diversa impedenza del circuito a causa della diversa frequenza. Se ne conclude
che le ampiezze delle armoniche con frequenze vicine a
quella di risonanza risulteranno amplificate rispetto
alle altre.
Per questo motivo si dice che il circuito si comportato come un filtro, lasciando "passare" di preferenza un
determinato intervallo di frequenze (banda), e attenuando le altre. Cos, per esempio, se in ingresso abbiamo una onda quadra, il cui sviluppo in serie di Fourier
abbiamo gi visto, in uscita avremo un andamento temporale che sar tanto pi vicino ad una sinusoide quanto pi alto il fattore di qualit (curva di risonanza pi
ripida!). Se la frequenza di risonanza del circuito pari
a quella della fondamentale armonica dell'onda quadra, in uscita si avr una sinusoide a quella frequenza;
essa sar leggermente deformata per la presenza delle
armoniche di ordine superiore che, seppur attenuate,
sono sempre presenti. Ma se la frequenza di risonanza
del circuito uguale a quella della succesiva armonica
(di frequenza tripla di quella fondamentale, nel nostro

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caso) ecco che in uscita comparir la terza armonica.


Coerentemente con tutto ci, se il circuito sintonizza to sulla seconda armonica - se cio la sua frequenza di
risonanza pari al doppio di quella della fondamentale dell'ingresso - in uscita si avr un segnale nullo. Lo
sviluppo in serie di Fourier dell'onda quadra, infatti,
non prevede armoniche pari!
Le applicazioni che sfruttano il fenomeno della risonanza nelle reti elettriche sono numerosissime e tutte di
importanza eccezionale; a titolo di puro esempio citiamo quello del circuito di sintonia di un apparecchio
radiofonico o televisivo: quando ruotiamo la manopola
della sintonia di un ricevitore possiamo immaginare di
non fare altro che modificare la capacit di un circuito
risonante, variando quindi la sua frequenza di risonanza, in modo tale da selezionare l'opportuna banda che
desideriamo filtrare.
interessante notare che l'introduzione del concetto di
potenza media ci consente di dare una interpretazione
del fattore di qualit di un circuito risonante in termini
di energie in gioco. Alla risonanza infatti l'energia totale immagazzinata nel condensatore e nell'induttore
pari a:
2
2
W t = 1 Li t + Cv2 t = 1 L IM sen2 t +
2
2
2
2
+ 1 C VM sen2 t + = 1 L IM sen2 t +
2
2 2
(VI.32)
2
I
2
+ 1 C M cos2 t = 1 L IM sen2 t +
2 2
2
2
C
0

+ 1 L IM cos2 t = 1 L IM .
2
2
Essa dunque costante ed uguale all'energia massima
immagazzinata nell'induttore (o nel condensatore).
D'altra parte l'energia dissipata nel resistore in un

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periodo pari a R I2T per cui si ha:


2
2
Q = 0 L = 0 LI T = 2LI .
R
RI2 T
RI2 T

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(VI.33)

Se ne deduce dunque:
energia immagazzinata
Q=2
. (VI.34)
energia dissipata in un periodo

Esercizi
Le potenze richieste, nell'esercizio proposto in precedenza sono:
Pa = 5 W; Qc = 10 VAr; QL = - 5 VAr .
Per l'esercizio successivo ci limitiamo a mostrare alcuni passi della soluzione.

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La stessa soluzione pu anche essere ottenuta applicando la regola del partitore di corrente.

Ancora un esercizio sulla verifica della conservazione


delle potenze nella prima immagine in colonna.

Nei due esercizi successivi si chiede il calcolo delle


impedenze equivalenti dei bipoli mostrati.

Infine l'ultimo esercizio richiede la soluzione della rete


con il metodo dei fasori.

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Daremo ora un rapido cenno agli strumenti di misura


di tensione e corrente in regime dinamico. Come nel
regime continuo, voltmetri e amperometri vanno inseriti il primo in parallelo al carico ed il secondo in serie
allo stesso. Trattandosi per di grandezze che variano
nel tempo occorrer stabilire cosa intendiamo in effetti misurare. Per il regime sinusoidale, o pi in generale
alternativo, abbiamo diverse scelte: possiamo avere
voltmetri o amperometri che forniscono il valor massimo della tensione o della corrente nella loro evoluzione temporale, o strumenti che forniscano il valor medio
in un periodo od in un semiperiodo della grandezza da
misurare. Per quanto detto in precedenza sulla potenza nei regimi sinusoidali, chiaro per che il caso pi
interessante quello del voltmetro e dell'amperometro
che forniscono il valore efficace della tensione o della
corrente.
Naturalmente, per gli stessi motivi descritti per gli analoghi strumenti in continua, occorrer che il voltmetro
abbia una elevata impedenza interna, mentre l'amperometro dovr presentare una bassa impedenza interna.
Uno strumento molto diffuso nei laboratori o, comunque, nella pratica operativa, il multimetro. Si tratta di
un dispositivo molto duttile che pu essere voltmetro,
amperometro ed altro ancora, semplicemente variando
la posizione di opportuni commutatori.
In regime dinamico, per, pu sorgere la necessit di
misurare, istante per istante, l'andamento temporale di
una grandezza elettrica; gli oscilloscopi, o anche oscillografi, siano essi digitali o analogici, svolgono appunto una tale funzione. Il risultato della misura un gra-

205

206

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

fico, evidenziato su di uno schermo o tracciato su di un


foglio, che rappresenta appunto l'andamento nel
tempo della grandezza. Particolare complessit e raffinatezza richiedevano, un tempo, gli oscilloscopi in
grado di rilevare anche grandezze non periodiche.
Oggi un tale problema brillantemente risolto con
l'uso del calcolatore come strumento di misura o,
comunque, di sistemi di acquisizione dati sotto forma
digitale. In pratica il segnale viene misurato automaticamente, utilizzando un opportuno trasduttore, in un
gran numero di istanti egualmente distanziati nel
tempo; i risultati delle misure vengono memorizzati
come dati e possono successivamente essere visionati
nella modalit desiderata. chiaro che una volta
memorizzato il risultato della misura sotto forma di
sequenza di numeri, possibile immaginare ogni sorta
di successiva elaborazione degli stessi mediante calcolatore. Ci ha fatto oggi del calcolatore - o di dispositivi digitali progettati per scopi specifici - lo strumento
principe di ogni sistema di misura in laboratorio.
Esistono in commercio software molto raffinati ai quali
possibile demandare, con estrema semplicit, tutta la
gestione di un esperimento o di un processo.
Un strumento di cui non si sentiva particolare necessit
in continua, ma che di interesse in regime sinusoidale, il wattmetro: lo strumento che misura la potenza
attiva. In continua infatti, la potenza data dal prodotto VI, e pu essere facilmente ottenuta con due misure,
rispettivamente, di tensione e di corrente. In alternata
invece la potenza attiva VIcos, e sarebbero quindi
necessarie tre misurazioni, avendo per a disposizione
uno strumento in grado di misurare lo sfasamento tra
tensione e corrente. Fortunatamente esistono strumenti in grado di fornire direttamente il prodotto VIcos
con una sola misura. Nel wattmetro dovremo distin-

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

guere due coppie di morsetti: i morsetti voltmetrici,


che verranno collegati ai punti tra i quali insiste la
d.d.p., e quelli amperometrici che dovranno essere
attraversati dalla corrente, cos come mostrato nelle
immagini a lato. Si parler di circuito amperometrico e
circuito voltmetrico del wattmetro.
Il wattmetro dunque , per sua natura intrinseca, un
doppio bipolo ed facile convincersi in base a ragionamenti simili a quelli gi sviluppati per il voltmetro e per
l'amperometro, che esso deve presentare, per essere
ideale, una impedenza infinita ai suoi morsetti voltmetrici ed una impedenza nulla a quelli amperometrici.
Esistono anche strumenti che misurano la potenza reattiva assorbita da un carico: essi vengono detti Varmetri
dal nome della unit di misura che abitualmente si utilizza per le potenze reattive, i volt-ampere reattivi.
Esercizi
Per la rete di figura, gi proposta, la tensione ai morsetti A e B, ottenuta applicando il teorema del generatore equivalente di corrente, :
vAB t = 200 sen t - 4 .
Nell'esercizio successivo presente un accoppiamento
mutuo; non sar difficile risolverlo se si utilizzer il circuito equivalente dell'accoppiamento e si ricondurr
l'impedenza secondaria al primario.
L'ultimo esercizio proposto richiede di rifasare un carico, di cui sono date le caratteristiche, a cos = 1. un
caso puramente teorico, scelto per semplificare i calcoli, in quanto, per motivi che sarebbe lungo spiegare in
questa sede, non si richiede mai un rifasamento totale.

207

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

187

Gli n-poli e gli N-bipoli in regime sinusoidale


La teoria degli n-poli e degli N-bipoli in regime sinusoidale si sviluppa in maniera del tutto analoga a quanto fatto per gli stessi dispositivi in corrente continua.
Cos avremo una matrice delle impedenze ed una
matrice delle ammettenze del tutto analoghe a quelle
delle resistenze e delle conduttanze introdotte per il
regime continuo. Gli elementi delle matrici avranno
definizioni analoghe a quelle gi introdotte per i corrispondenti parametri in continua; l'unica differenza sar
nel fatto che si dovr operare con fasori e numeri complessi piuttosto che con numeri reali. Le propriet dei
parametri Y o Z sono le stesse gi dimostrate per i
parametri G ed R, salvo quelle per la dimostrazione
delle quali si fatto uso del teorema di non amplificazione delle tensioni o delle correnti che, come abbiamo
pi volte rilevato, non sono validi se non in regime continuo.
Per i doppi bipoli, in particolare, abbiamo le due rappresentazioni, della matrice delle impedenze,
V1 = Z11 I1 + Z12 I2

(VI.35)

V2 = Z21 I1 + Z22 I2 ,
e delle ammettenze,
I1 = Y11 V1 + Y12 V2

(VI.36)

I2 = Y21 V1 + Y22 V2 .
Nei regimi dinamici ha senso introdurre un particolare
doppio bipolo, che non ha il suo equivalente in c.c.:
l'accoppiamento magnetico mutuo tra due circuiti.
Vediamo di cosa si tratta.
Abbiamo gi visto che un induttore altro non che un
avvolgimento di un certo numero di spire su di un supporto che, in generale, ha anche il compito di amplifi-

188

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

care il fenomeno sul quale il sistema fonda le sue propriet: il campo magnetico prodotto dalla corrente che
circola nell'avvolgimento. I due estremi dell'avvolgimento costituiscono i morsetti del bipolo.
Supponiamo che il campo magnetico prodotto dalla
corrente in un avvolgimento si estenda anche in una
regione di spazio in cui presente un altro avvolgimento. Avremo, in tal caso, un sistema a quattro morsetti, e quindi un doppio bipolo. Sarebbe facile dimostrare in base alle leggi fondamentali del campo elettromagnetico che le relazioni caratteristiche di un tale
doppio bipolo sono, in condizioni abbastanza generali:
v1 = L1 di1 + M12 di2
dt
dt
(VI.37)
di
di
1
2
v2 = M21
+ L2
,
dt
dt
dove i coefficienti M12 ed M21 prendono il nome di
coefficienti di mutua induzione, e, per contrasto, quelli L1 ed L2, rispettivamente, di coefficienti di auto induzione primaria e secondaria. A differenza dei coefficienti di autoinduzione, i coefficienti di mutua induzione possono essere sia negativi che positivi.
Per una introduzione del doppio bipolo mutuo accoppiamento, che metta meglio in risalto il ruolo svolto dal
campo magnetico, si consiglia di leggere l'appendice
A4.
Un sistema di questo genere si presenta dunque intrinsecamente come un doppio bipolo e sar schematizzato con il simbolo di cui alle immagini a lato, dove i due
puntini neri stanno ad indicare che, se si sceglie come
verso positivo per le correnti quello entrante nel morsetto contrassegnato con il punto, e si adotta una convenzione dell'utilizzatore, allora il segno di M quello

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

189

fornito.
La semplice applicazione del teorema di reciprocit
induce a richiedere che: M 12 = M21. Infatti M21 di1/dt
non nient'altro che la tensione prodotta al secondario
per la presenza della corrente i1 al primario, e, viceversa, M12 di2/dt la tensione prodotta al primario per la
presenza della corrente i2 al secondario. D'altra parte
allo stesso risultato si giunge anche in base a considerazioni energetiche, che ci aiuteranno a fare ulteriori
passi nella comprensione del comportamento di un tale
doppio bipolo. Infatti la potenza istantanea assorbita
(convenzioni dell'utilizzatore ad entrambe le porte) dal
doppio bipolo :
p = v1 i1 + v2 i2 = L1 i1 di1 + M12 i1 di2 +
dt
dt
(VI.38)
di
di
1
2
+ M21 i2
+ L2 i2
.
dt
dt
Quindi l'energia assorbita dW in un intervallo infinitesimo di tempo dt :
dW = p dt = 1 L1 di21 + M12 i1 di2 +
2
+ M21 i2 di1 +1 L2 di22 .
2

(VI.39)

D'altra parte la variazione infinitesima di energia deve


essere un differenziale esatto: solo in tal caso infatti la
variazione finita di energia che si ottiene integrando
quella infinitesima tra due "punti" (i1-,i2-) ed (i1+,i2+)
del piano delle correnti [i1,i2], sar indipendente dal
"percorso", cio dal modo in cui si andati dalla condizione in cui le correnti erano (i1-,i2-) a quella in cui
esse erano (i1+,i2+) - vedi l'immagine a lato. Perch ci
sia vero occorre che M12=M21=M e, in tal caso, dW il
differenziale esatto della funzione W:

190

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

W = 1 L1 i21 + Mi1 i2 + 1 L2 i22 .


(VI.40)
2
2
La VI.40 l'espressione della energia magnetica immagazzinata in un accoppiamento mutuo. Essa ci consente ulteriori deduzioni; infatti, l'energia magnetica
immagazzinata deve, evidentemente, essere definita
positiva. Tale sar dunque anche il rapporto tra l'energia immagazzinata ed il quadrato della corrente alla
porta primaria
2
W = 1 L1 + M i2 + 1 L2 i2 =
2
i1 2
i21
i21

= 1 L1 + M x2 + 1 L2 x .
2
2

(VI.41)

dove si detto x il rapporto tra le due correnti. La


parabola che la VI.41 descrive nel piano[x,W] rappresentata nella immagine a lato. evidente che, solo
nel caso in cui la parabola non interseca l'asse delle x,
non esister alcuna coppia di valori delle correnti per
cui l'energia immagazzinata negativa - il che corrisponde al fatto che l'equazione, che si ottiene annullando la VI.41, ha radici complesse. Questa condizione
si verifica quando:
M L1 L2 .

(VI.42)

La condizione limite M2 =L1L2 si dice di accoppiamento perfetto; infatti se tale condizione verificata,
esiste una coppia di valori di i1 ed i 2 per i quali risulta
W = 0. Ma dato che per annullare l'energia magnetica
associata ad un campo magnetico bisogna necessariamente annullare lo stesso campo magnetico in ogni
punto dello spazio, l'affermazione precedente equivale
alla seguente: se l'accoppiamento perfetto, possibile annullare completamente il campo prodotto dalla
corrente in uno dei due circuiti, facendo circolare nel-

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

l'altro una opportuna corrente. E ci giustifica evidentemente il fatto che tale condizione si dica di accoppiamento perfetto. Al coefficiente k,
k = M ,
(VI.43)
L1 L2
viene dato il nome di coefficiente di accoppiamento;
esso varia tra -1 ed 1.
Esercizi
Le impedenze dei due bipoli assegnati precedentemente sono, nel primo caso,
Ze = 100 - j 90 ,
e nel secondo caso,
Ze = 10 + j 5 .
Per l'esercizio successivo diamo il valore della corrente:
i t = 2 sen 1000 t + 4 mA.
Per risolvere la rete, naturalmente, si sar utilizzato la
sovrapposizione degli effetti considerando i due generatori separatamente; ci necessario in quanto i generatori hanno frequenza diversa - uno dei generatori ha
frequenza nulla -. Si noti che la rete in risonanza
rispetto alla componente sinusoidale e quindi la corrente da essa prodotta in fase con la tensione. La componente continua della tensione non produce una corrispondente corrente per la presenza del condensatore
che non consente il passaggio di una corrente continua.
Si noti che la tensione sul condensatore (convenzione
dell'utilizzatore), per, ha una componente continua:
vc t = 10 + 2 0,1 sen 1000 t - 4 . V
Quando i generatori presenti invece hanno la stessa frequenza non necessario utilizzare la sovrapposizione
degli effetti, come nel caso dell'esercizio seguente.

191

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

L'accoppiamento mutuo in regime sinusoidale


In particolare, se il doppio bipolo accoppiamento
mutuo in regime sinusoidale, si potr fare uso del simbolismo vettoriale e parlare di impedenza propria o
autoimpedenza ed impedenza mutua. Le equazioni
saranno:
V1 = Z11 I1 + Z12 I2 = j L1 I1 + j M I2
V2 = Z21 I1 + Z22

(VI.44)
I2 = j M I1 + j L2 I2 .

Il doppio bipolo accoppiamento magnetico in regime


sinusoidale dunque caratterizzato globalmente dai
valori delle tre impedenze Z11 , Z22 ed Zm , corrispondenti ai tre parametri indipendenti che lo individuano
L1, L2 ed M. possibile, per, costruire un circuito
equivalente del doppio bipolo in esame, nel quale la
dipendenza da tre parametri indipendenti messa in
particolare evidenza. Cominciamo dal caso dell'accoppiamento perfetto; sar allora M2 = L1 L2 e quindi
L1/M = M/L2. A tale quantit daremo il nome di rap porto di trasformazione e lo indicheremo con il simbolo
a. Consideriamo ora le equazioni (VI.44) e riscriviamole mettendo in evidenza nella prima equazione il fattore jL1 e nella seconda jM. Si ottiene:
V1 = I + M I = I + I2
1
a
j L1
L1 2 1
(VI.45)
V2 = I + L2 I = I + I2 .
1
a
jM
M 2 1
Dividendo membro a membro le due ultime equazioni
si ottiene ancora:
V1 = a .
(VI.46)
V2
Mentre dalla prima delle (VI.45) si ha:

192

193

Luciano De Menna

I1 = - Ia2 + V1 .
j L1

Corso di Elettrotecnica

(VI.47)

Le due equazioni (VI.46) e (VI.47), essendo equivalenti alle equazioni (VI.44), descrivono anche esse il doppio bipolo accoppiamento magnetico perfetto.
Nella ipotesi che L1 sia molto grande, al limite per L1
che tende all'infinito, si ha:
V1 = a ,
I1 = - 1 .
(VI.48)
a
V2
I2
Le equazioni (VI.48) definiscono un doppio bipolo
ideale che chiameremo trasformatore ideale e che rappresenteremo con il simbolo mostrato nell'immagine a
lato; esso ideale in quanto descrive un doppio bipolo
accoppiamento magnetico perfetto solo nel limite in
cui l'induttanza primaria di tale accoppiamento vada
all'infinito. Il trasformatore ideale caratterizzato da
un solo parametro: il suo rapporto di trasformazione a.
Se ora ritorniamo alle equazioni (VI.46) e (VI.47), che
descrivono il doppio bipolo accoppiamento perfetto,
vediamo che mentre la prima di esse afferma che le tensioni sono nello stesso rapporto che avrebbero in un
trasformatore ideale, la seconda ci dice che la corrente
al primario pu essere vista come somma di una corrente, che la stessa che si avrebbe in un trasformatore ideale, pi la corrente che circola nell'induttanza L1
quando essa sottoposta alla tensione primaria. In altri
termini le stesse equazioni (VI.46) e (VI.47) caratterizzano anche un circuito del tipo mostrato nelle immagini a lato, e quindi tale circuito equivalente all'accoppiamento magnetico perfetto.
Il caso dell'accoppiamento non perfetto si risolve ora
con grande semplicit. Supponiamo, infatti, di scomporre le due induttanze L1 ed L2 in due parti L1' ed L2',
e L1" ed L 2" tali che L 1" L2" = M 2:

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

L'1 + L"1 = L1 ,
L'2 + L"2 = L2 ,
L"1 L"2 = M2 .

194

(VI.49)

Evidentemente, le tre equazioni (VI.49) definiscono i


quattro parametri L con un grado di libert in quanto
le equazioni che li determinano sono solo tre. Esistono
dunque infinite scelte possibili per la scomposizione
descritta; per ottenerne una baster fissare ad arbitrio
uno dei parametri ed ottenere gli altri dalle (VI.49).
Introduciamo ora le posizioni fatte nelle equazioni
(VI.44):
V1 = j L'1 I1 + j L"1 I1 + j M I2 ,
V2 = j L'2 I2 + j M I1 + j L"2 I2 .

(VI.50)

evidente che i termini in parentesi, per come li abbiamo costruiti, descrivono un accoppiamento perfetto.
Per ottenere il circuito equivalente di un accoppiamento non perfetto, baster aggiungere, a quello di un
accoppiamento perfetto, le due cadute di tensione
jL'1 I1 e jL'2 I2 rispettivamente al primario ed al secondario, cos come mostrato nella seconda immagine a
lato.
Naturalmente, data l'arbitrariet della scelta di cui alla
(VI.49), si possono costruire infiniti circuiti equivalenti dell'accoppiamento dato; in particolare sono possibili le due scelte L' 1 = 0 oppure L'2 = 0: in questo secondo caso il circuito equivalente che ne risulta quello
mostrato in figura.
Si noti che se i morsetti secondari di un doppio bipolo
trasformatore ideale sono chiusi su di una impedenza
Z , il rapporto tra tensione e corrente al primario dato
da:

Luciano De Menna

195

Corso di Elettrotecnica

V1 = - a2 V2 = a2 Z.
I1
I2

(VI.51)

Cio il primario vede una impedenza a2 volte pi grande di quella su cui chiuso il secondario. Questa osservazione fornisce un metodo generale per eliminare gli
accoppiamenti mutui presenti in un circuito e ricondurre la rete ad una equivalente cos come mostrato
nelle immagini a lato.
L'accoppiamento mutuo, e a maggior ragione il trasformatore ideale, sono, evidentemente, trasparenti per
le potenze attive; infatti in tali doppi bipoli non sono
presenti elementi dissipativi e quindi la potenza attiva
alla porta primaria eguale ed opposta a quella alla
porta secondaria - si ricordi che si assunta una convenzione dell'utilizzatore ad entrambe le porte - di
modo che la potenza attiva totale assorbita dal doppio
bipolo identicamente nulla.
Mentre per il trasformatore ideale trasparente anche
per le potenze reattive - ed in generale per qualsiasi
tipo di potenza - l'accoppiamento mutuo invece assorbe una certa potenza reattiva; si dimostri che tale
potenza pu essere messa nella forma:
Q = L1 I21 +

V21
.
2
M

L2

(VI.52)

Esercizi
Per il primo esercizio a lato, proposto in precedenza,
diamo la corrente i1, per verificare i risultati ottenuti:
i1 t = 100 sen 100t - 4 .
Si provi a risolvere la stessa rete applicando la sovrapposizione degli effetti.
Nell'esercizio successivo si propone la soluzione con il
metodo delle correnti di maglia o dei potenziali ai nodi.

Luciano De Menna

196

Corso di Elettrotecnica

Il trasformator e
Il nome "trasformatore ideale" dato al doppio bipolo
introdotto per costruire il circuito equivalente di un
accoppiamento mutuo, deriva dal fatto che "trasformatore" viene detto un dispositivo, di larghissimo uso
nelle pratiche applicazioni, del quale il trasformatore
ideale , appunto, una idealizzazione. Si tratta di un
accoppiamento mutuo realizzato con due avvolgimenti, che, con accorgimenti tecnici sui quali non possibile ora soffermarsi, vengono fatti interagire in maniera molto stretta (coefficiente di accoppiamento in
modulo prossimo ad 1!). La relazione (VI.46) stabilisce
che in tali condizioni le tensioni primarie e secondarie
sono nel rapporto a, mentre, trascurando la corrente
derivata dalla induttanza L 1 del circuito equivalente, la
(VI.47) afferma che le correnti primarie e secondarie
sono nel rapporto - 1/a. Sarebbe facile dimostrare che
tale rapporto di trasformazione altro non che, con
buona approssimazione, il rapporto tra il numero delle
spire dell'avvolgimento primario e quello dell'avvolgimento secondario. Un tale dispositivo, dunque, consente con grande semplicit di ridurre o elevare una
tensione, aumentando o riducendo nel contempo la
corrente; da ci il suo nome. Si noti che tutto ci accade, almeno nel caso teorico che stiamo qui esaminando,
senza nessuna dissipazione di potenza attiva. Il trasformatore dunque consente di adattare la tensione alla
particolare applicazione. Ma c' di pi e, per comprenderlo, bisogna sviluppare qualche considerazione elementare sul problema della produzione e della distribuzione dell'energia elettrica.
Motivi di sicurezza degli operatori, e ragioni di ordine
economico, consigliano l'uso di tensioni relativamente
basse per la distribuzione capillare dell'energia elettri-

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ca. abbastanza intuitivo infatti comprendere che il


danno prodotto sugli organismi viventi, a parit di condizioni, tanto maggiore quanto maggiore la tensione. Inoltre gli "isolamenti", sempre necessari in un
dispositivo elettrico, diventano sempre pi costosi e
delicati quando la tensione cresce. Nell'Europa continentale, come noto, il valore efficace della tensione
alla distribuzione di 220 V. D'altra parte il trasporto
dell'energia elettrica, dal punto di produzione a quello
di utilizzo, avviene mediante conduttori che, naturalmente, non essendo perfetti, presentano una certa resistenza. In una situazione schematica di un generatore
G ad una distanza L dal carico che assorbe una corrente I con un determinato cos, sotto una tensione V, la
potenza dissipata lungo la linea :
Pd = 2 L I2 ,
(VI.53)
S
dove la resistivit del materiale di cui i conduttori
di linea sono fatti ed S la loro sezione. Tale potenza
dipende soltanto dal quadrato del valore efficace della
corrente richiesta dal carico! evidente che se a monte
dell'utilizzatore disponessimo un trasformatore riduttore di tensione in modo da mantenere bassa la tensione sul carico ma da elevare quella sulla linea di trasporto, potremmo nel contempo ridurre la corrente di
linea - vedi le VI.48 - e quindi le perdite su di essa. Se
si pensa ai chilometri e chilometri di linee di trasmissione elettrica che caratterizzano il panorama di un
qualsiasi paese sviluppato, si comprende la convenienza del trasportare l'energia elettrica, sulle grandi tratte,
ad alta tensione e relativamente bassa corrente.
Si potrebbe pensare di produrre l'energia elettrica
direttamente a tale tensione elevata. Ma anche questo
non conveniente economicamente perch, come si

197

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detto, la complicazione ed il costo di un qualsiasi


dispositivo elettrico - e quindi anche di un generatore cresce notevolmente al crescere della tensione. Ci
porta al classico schema, rappresentato a lato, che prevede un trasformatore elevatore di tensione a valle dei
generatori ed a monte della linea, ed un trasformatore
riduttore a monte del carico. Naturalmente le cose
sono in realt molto pi complesse ed articolate di
quanto queste semplici considerazioni possano far credere; si pensi, per esempio, al semplice fatto che supporre un trasformatore privo di perdite chiaramente
una idealizzazione, non foss'altro perch gli avvolgimenti di cui esso costituito presentano necessariamente una certa resistenza e quindi introducono una
dissipazione aggiuntiva. Queste ed altre problematiche
sono oggetto di studio di altre discipline che si occupano in modo specifico delle macchine elettriche e degli
impianti elettrici; a noi basta qui aver evidenziato, in
linea di principio, il fondamentale ruolo svolto nella
tecnica dal dispositivo "trasformatore".

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Il problema del rifasamento nelle reti elettriche.


La necessit di lunghe linee di trasmissione dell'energia
elettrica che collegano i luoghi della generazione con
quelli della utilizzazione e la presenza di una inevitabile dissipazione in linea dovuta alla resistenza dei conduttori, ha anche altre interessanti conseguenze che
cercheremo ora di illustrare in maniera molto elementare.
Consideriamo un carico che sotto una determinata tensione V, assorbe una potenza attiva P ed una potenza
reattiva Q. Supponiamo ancora che la fase della impedenza equivalente del carico, =arctg(Q/P), sia positiva (carico induttivo), come in realt si verifica nella
maggioranza dei carichi industriali. Il diagramma fasoriale corrispondente alla situazione descritta rappresentato a lato. Nella successiva figura rappresentata
anche una diversa condizione di funzionamento in cui
la stessa potenza attiva P assorbita con una differente
potenza reattiva Q'. La potenza attiva la stessa nei
due casi perch la componente Icos del fasore rappresentativo della corrente, la sola che entra a determinare la potenza attiva, non variata. Il fatto ancora
pi chiaro se si considera il triangolo delle potenze nei
due casi considerati, cos come mostrato in figura.
evidente per che, nei due casi, diverso il modulo
della corrente I, e quindi diverse sono le potenze dissipate lungo la linea che che collega il carico ai generatori che lo alimentano. Tali potenze, infatti, sono proporzionali al quadrato del modulo della corrente secondo
un fattore R che rappresenta, appunto, la resistenza
equivalente della linea. Queste perdite potrebbero,
dunque, essere ridotte se si disponesse in parallelo al
carico un secondo carico, puramente reattivo - nelle
nostre ipotesi, capacitivo - in grado di assorbire una

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Luciano De Menna

200

Corso di Elettrotecnica

potenza reattiva pari a - (Q - Q'); ci senza variare in


alcun modo la potenza attiva assorbita dal carico stesso. In tali condizioni il carico si dir rifasato da cos a
cos'. In pratica con il rifasamento si evita che l'energia immagazzinata nel carico, che, come noto, oscilla
tra un punto di massimo ed uno di nullo, venga continuamente trasferita lungo la linea, avanti ed indietro,
con le conseguenti perdite; l'aver disposto un "serbatoio di energia" in controfase in prossimit del carico questa appunto la funzione che svolgono i condensatori posti in parallelo al carico - consente che tale scambio di energia avvenga tra il "serbatoio" ed il carico e
non tra i generatori ed il carico stesso. Gli Enti produttori di energia elettrica, interessati a questo risparmio
di energia, cercano di favorire l'uso di tale tecnica adottando opportune politiche contrattuali e tariffarie. In
pratica l'energia utilizzata viene fatturata a prezzi diversi a seconda del cos, quando esso scende al di sotto di
un certo valore. In Italia tale valore cos = 0,9.
In conclusione il problema del rifasamento si riduce al
calcolo della capacit del banco di condensatori da
disporre in parallelo al carico per ottenere il voluto rifasamento. Tale banco dovr assorbire la potenza reattiva:
Qc = - (Q-Q') = - P(tan-tan').
Si avr, quindi:
2

Qc = - V = - CV2 ,
Xc

(VI.54)

da cui:
C =

P tg - tg'
V2

(VI.55)

dove l'angolo di fase del carico non rifasato e '


quello che si vuole ottenere dopo il rifasamento.

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Esercizi
La corrente che circola nel condensatore centrale, della
rete assegnata in precedenza, nulla. Il circuito ha,
infatti, un grafo a ponte - di cui si gi parlato in regime continuo - con i lati del ponte che verificano la condizione di equilibrio:
jXL2 -jXC4 = R1 R3 .
Allo stesso risultato si pu arrivare rapidamente applicando il teorema del generatore equivalente di tensione
ai morsetti del condensatore centrale.

L'ultimo esercizio richiede di applicare il teorema del


generatore equivalente di corrente ai morsetti A e B
della rete mostrata.

201

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Bipoli e strumenti di misura in regime dinamico


Anche i bipoli introdotti in regime dinamico, nella loro
concreta realizzazione, si discostano in alcuni aspetti
dalla loro idealizzazione, che fin qui abbiamo preso in
considerazione. Abbiamo gi visto che un condensatore pu essere realizzato con una semplice struttura
piana di due armature conduttrici con un isolante (dielettrico) interposto. Se S l'area delle armature, d la
distanza tra le stesse, ed la costante dielettrica del
mezzo interposto, la capacit del condensatore :
C = S .
(VI.56)
d
Cominciamo con l'osservare che l'unit di misura farad
in realt molto grande; facile verificare, per esempio, che per ottenere una capacit di un farad con un
condensatore ad armature piane separate da uno spazio vuoto - o con aria - di un decimo di millimetro,
occorrerebbe una superficie delle armature di dieci
milioni di metri quadri. Per questo motivo sono molto
usati, come unit di misura delle capacit, i sottomultipli del farad: millifarad, microfarad, nanofarad e picofarad.
Come per i resistori, il valore della capacit del condensatore non l'unico parametro che caratterizza il
componente. Tra gli altri parametri importanti ricordiamo la tolleranza, il margine di incertezza, cio, con
cui il valore della capacit dato, e la tensione di lavo ro che la tensione per la quale lo spessore di isolante
stato progettato; tensioni maggiori mettono a rischio
l'integrit del componente. A caratterizzare ulteriormente il componente, intervengono a volte, le modalit
di costruzione dello stesso; alcuni condensatori, per
esempio, detti polarizzati, hanno le polarit dei loro
morsetti fissate a priori, nel senso che uno dei morset-

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ti, opportunamente contrassegnato, deve necessariamente essere mantenuto nel circuito ad un potenziale
maggiore rispetto a quello dell'altro. Essi sono realizzati con particolari tecniche che consentono di ottenere
sottilissimi strati di dielettrico e quindi capacit molto
elevate. Va osservato infine che nessun isolante, naturalmente, perfetto, e quindi tra le due armature si
avr necessariamente anche un passaggio di ordinaria
corrente di conduzione. Ci implica una dissipazione
dovuta alla resistivit del "materiale isolante". come
se esistesse in effetti un'altra via di passaggio in parallelo per la corrente; ci giustifica lo schema equivalente spesso adottato che vede connesso in parallelo al
condensatore un opportuno resistore che, naturalmente, avr, in generale, una elevata resistenza, detta resi stenza di dispersione del condensatore. A volte, per
tenere in conto anche gli effetti dovuti alle connessioni
interne alle armature ed alla non perfetta conducibilit
delle armature stesse, si dispone anche un resistore in
serie al condensatore nel suo circuito equivalente; quest'ultimo avr, naturalmente, una resistenza molto
bassa.
Per quanto riguarda il bipolo induttore, si gi detto
che esso pu immaginarsi costituito da un avvolgimento di un certo numero di spire su di un supporto materiale. Tale supporto pu avere l'unico scopo di sostenere semplicemente l'avvolgimento, o svolge esso stesso
una funzione, amplificando il valore dell'induttanza,
quando realizzato con particolari materiali detti fer romagnetici. In tal caso per non si pu evitare una
certa non linearit del componente. Essendo l'avvolgimento realizzato con un conduttore necessariamente
non perfetto, un circuito equivalente adeguato dell'induttore prevede una resistore, di norma di bassa resistenza, in serie all'induttore stesso. Uno schema pi

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raffinato contempla anche un condensatore, di relativamente bassa capacit, in parallelo alla serie dell'induttore e del resistore. Tale condensatore tiene in
conto, in modo complessivo, la capacit, detta parassi ta, che necessariamente viene a stabilirsi tra spira e
spira dell'avvolgimento. Le singole spire giocano il
ruolo delle armature e l'isolante di cui esse sono ricoperte, per impedirne il contatto elettrico, quello del
dielettrico interposto. Ci spiega anche perch si parla
a volte, in alcune applicazioni, del fattore di qualit - si
ricordi il circuito risonante - di un induttore.
Del trasformatore e dei suoi usi abbiamo gi fatto
cenno; possiamo immaginarlo costituito da due avvolgimenti sovrapposti o comunque messi in condizione
di interagire in modo molto stretto (alto fattore di
accoppiamento) utilizzando particolari strutture realizzate con materiali ferromagnetici. Del trasformatore
occorrer conoscere la tensione nominale primaria e
quella secondaria che sono le tensioni per le quali il
dispositivo stato costruito e, di conseguenza, per le
quali stato proporzionato l'isolamento. In luogo di
una delle due tensioni pu essere assegnato equivalentemente il rapporto di trasformazione. Sar necessario
conoscere anche la corrente nominale che possiamo
intendere come la corrente per la quale sono stati proporzionati i conduttori degli avvolgimenti - si pensi alla
dissipazione che in essi si produce ed al conseguente
sviluppo di calore -. Altri due fattori che caratterizzano
un trasformatore e che fanno parte dei cos detti dati di
targa del dispositivo, sono la tensione di cortocircuito e
la corrente primaria a vuoto. La prima la tensione con
cui bisogna alimentare il primario perch nel secondario, messo in cortocircuito, circoli la corrente nominale. La seconda la corrente che circola nel primario
quando il secondario a vuoto. Non possiamo, in que-

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sto contesto, approfondire oltre sull'argomento; ci


basti dire che i due ultimi dati citati sono nel complesso indicativi della qualit del dispositivo, delle sue dissipazioni interne e del suo grado di accoppiamento.
Daremo ora un rapido cenno agli strumenti di misura
di tensione e corrente in regime dinamico. Come nel
regime continuo, voltmetri e amperometri vanno inseriti il primo in parallelo al carico ed il secondo in serie
allo stesso. Trattandosi per di grandezze che variano
nel tempo occorrer stabilire cosa intendiamo in effetti misurare. Per il regime sinusoidale, o pi in generale
alternativo, abbiamo diverse scelte: possiamo avere
voltmetri o amperometri che forniscono il valor massimo della tensione o della corrente nella loro evoluzione temporale, o strumenti che forniscano il valor medio
in un periodo od in un semiperiodo della grandezza da
misurare. Per quanto detto in precedenza sulla potenza nei regimi sinusoidali, chiaro per che il caso pi
interessante quello del voltmetro e dell'amperometro
che forniscono il valore efficace della tensione o della
corrente.
Naturalmente, per gli stessi motivi descritti per gli analoghi strumenti in continua, occorrer che il voltmetro
abbia una elevata impedenza interna, mentre l'amperometro dovr presentare una bassa impedenza interna.
Uno strumento molto diffuso nei laboratori o, comunque, nella pratica operativa, il multimetro. Si tratta di
un dispositivo molto duttile che pu essere voltmetro,
amperometro ed altro ancora, semplicemente variando
la posizione di opportuni commutatori.
In regime dinamico, per, pu sorgere la necessit di
misurare, istante per istante, l'andamento temporale di
una grandezza elettrica; gli oscilloscopi, o anche oscillografi, siano essi digitali o analogici, svolgono appunto una tale funzione. Il risultato della misura un gra-

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fico, evidenziato su di uno schermo o tracciato su di un


foglio, che rappresenta appunto l'andamento nel
tempo della grandezza. Particolare complessit e raffinatezza richiedevano, un tempo, gli oscilloscopi in
grado di rilevare anche grandezze non periodiche.
Oggi un tale problema brillantemente risolto con
l'uso del calcolatore come strumento di misura o,
comunque, di sistemi di acquisizione dati sotto forma
digitale. In pratica il segnale viene misurato automaticamente, utilizzando un opportuno trasduttore, in un
gran numero di istanti egualmente distanziati nel
tempo; i risultati delle misure vengono memorizzati
come dati e possono successivamente essere visionati
nella modalit desiderata. chiaro che una volta
memorizzato il risultato della misura sotto forma di
sequenza di numeri, possibile immaginare ogni sorta
di successiva elaborazione degli stessi mediante calcolatore. Ci ha fatto oggi del calcolatore - o di dispositivi digitali progettati per scopi specifici - lo strumento
principe di ogni sistema di misura in laboratorio.
Esistono in commercio software molto raffinati ai quali
possibile demandare, con estrema semplicit, tutta la
gestione di un esperimento o di un processo.
Un strumento di cui non si sentiva particolare necessit
in continua, ma che di interesse in regime sinusoidale, il wattmetro: lo strumento che misura la potenza
attiva. In continua infatti, la potenza data dal prodotto VI, e pu essere facilmente ottenuta con due misure,
rispettivamente, di tensione e di corrente. In alternata
invece la potenza attiva VIcos, e sarebbero quindi
necessarie tre misurazioni, avendo per a disposizione
uno strumento in grado di misurare lo sfasamento tra
tensione e corrente. Fortunatamente esistono strumenti in grado di fornire direttamente il prodotto VIcos
con una sola misura. Nel wattmetro dovremo distin-

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guere due coppie di morsetti: i morsetti voltmetrici,


che verranno collegati ai punti tra i quali insiste la
d.d.p., e quelli amperometrici che dovranno essere
attraversati dalla corrente, cos come mostrato nelle
immagini a lato. Si parler di circuito amperometrico e
circuito voltmetrico del wattmetro.
Il wattmetro dunque , per sua natura intrinseca, un
doppio bipolo ed facile convincersi in base a ragionamenti simili a quelli gi sviluppati per il voltmetro e per
l'amperometro, che esso deve presentare, per essere
ideale, una impedenza infinita ai suoi morsetti voltmetrici ed una impedenza nulla a quelli amperometrici.
Esistono anche strumenti che misurano la potenza reattiva assorbita da un carico: essi vengono detti Varmetri
dal nome della unit di misura che abitualmente si utilizza per le potenze reattive, i volt-ampere reattivi.
Esercizi
Per la rete di figura, gi proposta, la tensione ai morsetti A e B, ottenuta applicando il teorema del generatore equivalente di corrente, :
vAB t = 200 sen t - 4 .
Nell'esercizio successivo presente un accoppiamento
mutuo; non sar difficile risolverlo se si utilizzer il circuito equivalente dell'accoppiamento e si ricondurr
l'impedenza secondaria al primario.
L'ultimo esercizio proposto richiede di rifasare un carico, di cui sono date le caratteristiche, a cos = 1. un
caso puramente teorico, scelto per semplificare i calcoli, in quanto, per motivi che sarebbe lungo spiegare in
questa sede, non si richiede mai un rifasamento totale.

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Gli n-poli e gli N-bipoli in regime sinusoidale


La teoria degli n-poli e degli N-bipoli in regime sinusoidale si sviluppa in maniera del tutto analoga a quanto fatto per gli stessi dispositivi in corrente continua.
Cos avremo una matrice delle impedenze ed una
matrice delle ammettenze del tutto analoghe a quelle
delle resistenze e delle conduttanze introdotte per il
regime continuo. Gli elementi delle matrici avranno
definizioni analoghe a quelle gi introdotte per i corrispondenti parametri in continua; l'unica differenza sar
nel fatto che si dovr operare con fasori e numeri complessi piuttosto che con numeri reali. Le propriet dei
parametri Y o Z sono le stesse gi dimostrate per i
parametri G ed R, salvo quelle per la dimostrazione
delle quali si fatto uso del teorema di non amplificazione delle tensioni o delle correnti che, come abbiamo
pi volte rilevato, non sono validi se non in regime continuo.
Per i doppi bipoli, in particolare, abbiamo le due rappresentazioni, della matrice delle impedenze,
V1 = Z11 I1 + Z12 I2

(VI.35)

V2 = Z21 I1 + Z22 I2 ,
e delle ammettenze,
I1 = Y11 V1 + Y12 V2

(VI.36)

I2 = Y21 V1 + Y22 V2 .
Nei regimi dinamici ha senso introdurre un particolare
doppio bipolo, che non ha il suo equivalente in c.c.:
l'accoppiamento magnetico mutuo tra due circuiti.
Vediamo di cosa si tratta.
Abbiamo gi visto che un induttore altro non che un
avvolgimento di un certo numero di spire su di un supporto che, in generale, ha anche il compito di amplifi-

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care il fenomeno sul quale il sistema fonda le sue propriet: il campo magnetico prodotto dalla corrente che
circola nell'avvolgimento. I due estremi dell'avvolgimento costituiscono i morsetti del bipolo.
Supponiamo che il campo magnetico prodotto dalla
corrente in un avvolgimento si estenda anche in una
regione di spazio in cui presente un altro avvolgimento. Avremo, in tal caso, un sistema a quattro morsetti, e quindi un doppio bipolo. Sarebbe facile dimostrare in base alle leggi fondamentali del campo elettromagnetico che le relazioni caratteristiche di un tale
doppio bipolo sono, in condizioni abbastanza generali:
v1 = L1 di1 + M12 di2
dt
dt
(VI.37)
di
di
1
2
v2 = M21
+ L2
,
dt
dt
dove i coefficienti M12 ed M21 prendono il nome di
coefficienti di mutua induzione, e, per contrasto, quelli L1 ed L2, rispettivamente, di coefficienti di auto induzione primaria e secondaria. A differenza dei coefficienti di autoinduzione, i coefficienti di mutua induzione possono essere sia negativi che positivi.
Per una introduzione del doppio bipolo mutuo accoppiamento, che metta meglio in risalto il ruolo svolto dal
campo magnetico, si consiglia di leggere l'appendice
A4.
Un sistema di questo genere si presenta dunque intrinsecamente come un doppio bipolo e sar schematizzato con il simbolo di cui alle immagini a lato, dove i due
puntini neri stanno ad indicare che, se si sceglie come
verso positivo per le correnti quello entrante nel morsetto contrassegnato con il punto, e si adotta una convenzione dell'utilizzatore, allora il segno di M quello

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189

fornito.
La semplice applicazione del teorema di reciprocit
induce a richiedere che: M 12 = M21. Infatti M21 di1/dt
non nient'altro che la tensione prodotta al secondario
per la presenza della corrente i1 al primario, e, viceversa, M12 di2/dt la tensione prodotta al primario per la
presenza della corrente i2 al secondario. D'altra parte
allo stesso risultato si giunge anche in base a considerazioni energetiche, che ci aiuteranno a fare ulteriori
passi nella comprensione del comportamento di un tale
doppio bipolo. Infatti la potenza istantanea assorbita
(convenzioni dell'utilizzatore ad entrambe le porte) dal
doppio bipolo :
p = v1 i1 + v2 i2 = L1 i1 di1 + M12 i1 di2 +
dt
dt
(VI.38)
di
di
1
2
+ M21 i2
+ L2 i2
.
dt
dt
Quindi l'energia assorbita dW in un intervallo infinitesimo di tempo dt :
dW = p dt = 1 L1 di21 + M12 i1 di2 +
2
+ M21 i2 di1 +1 L2 di22 .
2

(VI.39)

D'altra parte la variazione infinitesima di energia deve


essere un differenziale esatto: solo in tal caso infatti la
variazione finita di energia che si ottiene integrando
quella infinitesima tra due "punti" (i1-,i2-) ed (i1+,i2+)
del piano delle correnti [i1,i2], sar indipendente dal
"percorso", cio dal modo in cui si andati dalla condizione in cui le correnti erano (i1-,i2-) a quella in cui
esse erano (i1+,i2+) - vedi l'immagine a lato. Perch ci
sia vero occorre che M12=M21=M e, in tal caso, dW il
differenziale esatto della funzione W:

190

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W = 1 L1 i21 + Mi1 i2 + 1 L2 i22 .


(VI.40)
2
2
La VI.40 l'espressione della energia magnetica immagazzinata in un accoppiamento mutuo. Essa ci consente ulteriori deduzioni; infatti, l'energia magnetica
immagazzinata deve, evidentemente, essere definita
positiva. Tale sar dunque anche il rapporto tra l'energia immagazzinata ed il quadrato della corrente alla
porta primaria
2
W = 1 L1 + M i2 + 1 L2 i2 =
2
i1 2
i21
i21

= 1 L1 + M x2 + 1 L2 x .
2
2

(VI.41)

dove si detto x il rapporto tra le due correnti. La


parabola che la VI.41 descrive nel piano[x,W] rappresentata nella immagine a lato. evidente che, solo
nel caso in cui la parabola non interseca l'asse delle x,
non esister alcuna coppia di valori delle correnti per
cui l'energia immagazzinata negativa - il che corrisponde al fatto che l'equazione, che si ottiene annullando la VI.41, ha radici complesse. Questa condizione
si verifica quando:
M L1 L2 .

(VI.42)

La condizione limite M2 =L1L2 si dice di accoppiamento perfetto; infatti se tale condizione verificata,
esiste una coppia di valori di i1 ed i 2 per i quali risulta
W = 0. Ma dato che per annullare l'energia magnetica
associata ad un campo magnetico bisogna necessariamente annullare lo stesso campo magnetico in ogni
punto dello spazio, l'affermazione precedente equivale
alla seguente: se l'accoppiamento perfetto, possibile annullare completamente il campo prodotto dalla
corrente in uno dei due circuiti, facendo circolare nel-

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l'altro una opportuna corrente. E ci giustifica evidentemente il fatto che tale condizione si dica di accoppiamento perfetto. Al coefficiente k,
k = M ,
(VI.43)
L1 L2
viene dato il nome di coefficiente di accoppiamento;
esso varia tra -1 ed 1.
Esercizi
Le impedenze dei due bipoli assegnati precedentemente sono, nel primo caso,
Ze = 100 - j 90 ,
e nel secondo caso,
Ze = 10 + j 5 .
Per l'esercizio successivo diamo il valore della corrente:
i t = 2 sen 1000 t + 4 mA.
Per risolvere la rete, naturalmente, si sar utilizzato la
sovrapposizione degli effetti considerando i due generatori separatamente; ci necessario in quanto i generatori hanno frequenza diversa - uno dei generatori ha
frequenza nulla -. Si noti che la rete in risonanza
rispetto alla componente sinusoidale e quindi la corrente da essa prodotta in fase con la tensione. La componente continua della tensione non produce una corrispondente corrente per la presenza del condensatore
che non consente il passaggio di una corrente continua.
Si noti che la tensione sul condensatore (convenzione
dell'utilizzatore), per, ha una componente continua:
vc t = 10 + 2 0,1 sen 1000 t - 4 . V
Quando i generatori presenti invece hanno la stessa frequenza non necessario utilizzare la sovrapposizione
degli effetti, come nel caso dell'esercizio seguente.

191

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L'accoppiamento mutuo in regime sinusoidale


In particolare, se il doppio bipolo accoppiamento
mutuo in regime sinusoidale, si potr fare uso del simbolismo vettoriale e parlare di impedenza propria o
autoimpedenza ed impedenza mutua. Le equazioni
saranno:
V1 = Z11 I1 + Z12 I2 = j L1 I1 + j M I2
V2 = Z21 I1 + Z22

(VI.44)
I2 = j M I1 + j L2 I2 .

Il doppio bipolo accoppiamento magnetico in regime


sinusoidale dunque caratterizzato globalmente dai
valori delle tre impedenze Z11 , Z22 ed Zm , corrispondenti ai tre parametri indipendenti che lo individuano
L1, L2 ed M. possibile, per, costruire un circuito
equivalente del doppio bipolo in esame, nel quale la
dipendenza da tre parametri indipendenti messa in
particolare evidenza. Cominciamo dal caso dell'accoppiamento perfetto; sar allora M2 = L1 L2 e quindi
L1/M = M/L2. A tale quantit daremo il nome di rap porto di trasformazione e lo indicheremo con il simbolo
a. Consideriamo ora le equazioni (VI.44) e riscriviamole mettendo in evidenza nella prima equazione il fattore jL1 e nella seconda jM. Si ottiene:
V1 = I + M I = I + I2
1
a
j L1
L1 2 1
(VI.45)
V2 = I + L2 I = I + I2 .
1
a
jM
M 2 1
Dividendo membro a membro le due ultime equazioni
si ottiene ancora:
V1 = a .
(VI.46)
V2
Mentre dalla prima delle (VI.45) si ha:

192

193

Luciano De Menna

I1 = - Ia2 + V1 .
j L1

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(VI.47)

Le due equazioni (VI.46) e (VI.47), essendo equivalenti alle equazioni (VI.44), descrivono anche esse il doppio bipolo accoppiamento magnetico perfetto.
Nella ipotesi che L1 sia molto grande, al limite per L1
che tende all'infinito, si ha:
V1 = a ,
I1 = - 1 .
(VI.48)
a
V2
I2
Le equazioni (VI.48) definiscono un doppio bipolo
ideale che chiameremo trasformatore ideale e che rappresenteremo con il simbolo mostrato nell'immagine a
lato; esso ideale in quanto descrive un doppio bipolo
accoppiamento magnetico perfetto solo nel limite in
cui l'induttanza primaria di tale accoppiamento vada
all'infinito. Il trasformatore ideale caratterizzato da
un solo parametro: il suo rapporto di trasformazione a.
Se ora ritorniamo alle equazioni (VI.46) e (VI.47), che
descrivono il doppio bipolo accoppiamento perfetto,
vediamo che mentre la prima di esse afferma che le tensioni sono nello stesso rapporto che avrebbero in un
trasformatore ideale, la seconda ci dice che la corrente
al primario pu essere vista come somma di una corrente, che la stessa che si avrebbe in un trasformatore ideale, pi la corrente che circola nell'induttanza L1
quando essa sottoposta alla tensione primaria. In altri
termini le stesse equazioni (VI.46) e (VI.47) caratterizzano anche un circuito del tipo mostrato nelle immagini a lato, e quindi tale circuito equivalente all'accoppiamento magnetico perfetto.
Il caso dell'accoppiamento non perfetto si risolve ora
con grande semplicit. Supponiamo, infatti, di scomporre le due induttanze L1 ed L2 in due parti L1' ed L2',
e L1" ed L 2" tali che L 1" L2" = M 2:

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L'1 + L"1 = L1 ,
L'2 + L"2 = L2 ,
L"1 L"2 = M2 .

194

(VI.49)

Evidentemente, le tre equazioni (VI.49) definiscono i


quattro parametri L con un grado di libert in quanto
le equazioni che li determinano sono solo tre. Esistono
dunque infinite scelte possibili per la scomposizione
descritta; per ottenerne una baster fissare ad arbitrio
uno dei parametri ed ottenere gli altri dalle (VI.49).
Introduciamo ora le posizioni fatte nelle equazioni
(VI.44):
V1 = j L'1 I1 + j L"1 I1 + j M I2 ,
V2 = j L'2 I2 + j M I1 + j L"2 I2 .

(VI.50)

evidente che i termini in parentesi, per come li abbiamo costruiti, descrivono un accoppiamento perfetto.
Per ottenere il circuito equivalente di un accoppiamento non perfetto, baster aggiungere, a quello di un
accoppiamento perfetto, le due cadute di tensione
jL'1 I1 e jL'2 I2 rispettivamente al primario ed al secondario, cos come mostrato nella seconda immagine a
lato.
Naturalmente, data l'arbitrariet della scelta di cui alla
(VI.49), si possono costruire infiniti circuiti equivalenti dell'accoppiamento dato; in particolare sono possibili le due scelte L' 1 = 0 oppure L'2 = 0: in questo secondo caso il circuito equivalente che ne risulta quello
mostrato in figura.
Si noti che se i morsetti secondari di un doppio bipolo
trasformatore ideale sono chiusi su di una impedenza
Z , il rapporto tra tensione e corrente al primario dato
da:

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195

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V1 = - a2 V2 = a2 Z.
I1
I2

(VI.51)

Cio il primario vede una impedenza a2 volte pi grande di quella su cui chiuso il secondario. Questa osservazione fornisce un metodo generale per eliminare gli
accoppiamenti mutui presenti in un circuito e ricondurre la rete ad una equivalente cos come mostrato
nelle immagini a lato.
L'accoppiamento mutuo, e a maggior ragione il trasformatore ideale, sono, evidentemente, trasparenti per
le potenze attive; infatti in tali doppi bipoli non sono
presenti elementi dissipativi e quindi la potenza attiva
alla porta primaria eguale ed opposta a quella alla
porta secondaria - si ricordi che si assunta una convenzione dell'utilizzatore ad entrambe le porte - di
modo che la potenza attiva totale assorbita dal doppio
bipolo identicamente nulla.
Mentre per il trasformatore ideale trasparente anche
per le potenze reattive - ed in generale per qualsiasi
tipo di potenza - l'accoppiamento mutuo invece assorbe una certa potenza reattiva; si dimostri che tale
potenza pu essere messa nella forma:
Q = L1 I21 +

V21
.
2
M

L2

(VI.52)

Esercizi
Per il primo esercizio a lato, proposto in precedenza,
diamo la corrente i1, per verificare i risultati ottenuti:
i1 t = 100 sen 100t - 4 .
Si provi a risolvere la stessa rete applicando la sovrapposizione degli effetti.
Nell'esercizio successivo si propone la soluzione con il
metodo delle correnti di maglia o dei potenziali ai nodi.

Luciano De Menna

196

Corso di Elettrotecnica

Il trasformator e
Il nome "trasformatore ideale" dato al doppio bipolo
introdotto per costruire il circuito equivalente di un
accoppiamento mutuo, deriva dal fatto che "trasformatore" viene detto un dispositivo, di larghissimo uso
nelle pratiche applicazioni, del quale il trasformatore
ideale , appunto, una idealizzazione. Si tratta di un
accoppiamento mutuo realizzato con due avvolgimenti, che, con accorgimenti tecnici sui quali non possibile ora soffermarsi, vengono fatti interagire in maniera molto stretta (coefficiente di accoppiamento in
modulo prossimo ad 1!). La relazione (VI.46) stabilisce
che in tali condizioni le tensioni primarie e secondarie
sono nel rapporto a, mentre, trascurando la corrente
derivata dalla induttanza L 1 del circuito equivalente, la
(VI.47) afferma che le correnti primarie e secondarie
sono nel rapporto - 1/a. Sarebbe facile dimostrare che
tale rapporto di trasformazione altro non che, con
buona approssimazione, il rapporto tra il numero delle
spire dell'avvolgimento primario e quello dell'avvolgimento secondario. Un tale dispositivo, dunque, consente con grande semplicit di ridurre o elevare una
tensione, aumentando o riducendo nel contempo la
corrente; da ci il suo nome. Si noti che tutto ci accade, almeno nel caso teorico che stiamo qui esaminando,
senza nessuna dissipazione di potenza attiva. Il trasformatore dunque consente di adattare la tensione alla
particolare applicazione. Ma c' di pi e, per comprenderlo, bisogna sviluppare qualche considerazione elementare sul problema della produzione e della distribuzione dell'energia elettrica.
Motivi di sicurezza degli operatori, e ragioni di ordine
economico, consigliano l'uso di tensioni relativamente
basse per la distribuzione capillare dell'energia elettri-

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

ca. abbastanza intuitivo infatti comprendere che il


danno prodotto sugli organismi viventi, a parit di condizioni, tanto maggiore quanto maggiore la tensione. Inoltre gli "isolamenti", sempre necessari in un
dispositivo elettrico, diventano sempre pi costosi e
delicati quando la tensione cresce. Nell'Europa continentale, come noto, il valore efficace della tensione
alla distribuzione di 220 V. D'altra parte il trasporto
dell'energia elettrica, dal punto di produzione a quello
di utilizzo, avviene mediante conduttori che, naturalmente, non essendo perfetti, presentano una certa resistenza. In una situazione schematica di un generatore
G ad una distanza L dal carico che assorbe una corrente I con un determinato cos, sotto una tensione V, la
potenza dissipata lungo la linea :
Pd = 2 L I2 ,
(VI.53)
S
dove la resistivit del materiale di cui i conduttori
di linea sono fatti ed S la loro sezione. Tale potenza
dipende soltanto dal quadrato del valore efficace della
corrente richiesta dal carico! evidente che se a monte
dell'utilizzatore disponessimo un trasformatore riduttore di tensione in modo da mantenere bassa la tensione sul carico ma da elevare quella sulla linea di trasporto, potremmo nel contempo ridurre la corrente di
linea - vedi le VI.48 - e quindi le perdite su di essa. Se
si pensa ai chilometri e chilometri di linee di trasmissione elettrica che caratterizzano il panorama di un
qualsiasi paese sviluppato, si comprende la convenienza del trasportare l'energia elettrica, sulle grandi tratte,
ad alta tensione e relativamente bassa corrente.
Si potrebbe pensare di produrre l'energia elettrica
direttamente a tale tensione elevata. Ma anche questo
non conveniente economicamente perch, come si

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Corso di Elettrotecnica

detto, la complicazione ed il costo di un qualsiasi


dispositivo elettrico - e quindi anche di un generatore cresce notevolmente al crescere della tensione. Ci
porta al classico schema, rappresentato a lato, che prevede un trasformatore elevatore di tensione a valle dei
generatori ed a monte della linea, ed un trasformatore
riduttore a monte del carico. Naturalmente le cose
sono in realt molto pi complesse ed articolate di
quanto queste semplici considerazioni possano far credere; si pensi, per esempio, al semplice fatto che supporre un trasformatore privo di perdite chiaramente
una idealizzazione, non foss'altro perch gli avvolgimenti di cui esso costituito presentano necessariamente una certa resistenza e quindi introducono una
dissipazione aggiuntiva. Queste ed altre problematiche
sono oggetto di studio di altre discipline che si occupano in modo specifico delle macchine elettriche e degli
impianti elettrici; a noi basta qui aver evidenziato, in
linea di principio, il fondamentale ruolo svolto nella
tecnica dal dispositivo "trasformatore".

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Il problema del rifasamento nelle reti elettriche.


La necessit di lunghe linee di trasmissione dell'energia
elettrica che collegano i luoghi della generazione con
quelli della utilizzazione e la presenza di una inevitabile dissipazione in linea dovuta alla resistenza dei conduttori, ha anche altre interessanti conseguenze che
cercheremo ora di illustrare in maniera molto elementare.
Consideriamo un carico che sotto una determinata tensione V, assorbe una potenza attiva P ed una potenza
reattiva Q. Supponiamo ancora che la fase della impedenza equivalente del carico, =arctg(Q/P), sia positiva (carico induttivo), come in realt si verifica nella
maggioranza dei carichi industriali. Il diagramma fasoriale corrispondente alla situazione descritta rappresentato a lato. Nella successiva figura rappresentata
anche una diversa condizione di funzionamento in cui
la stessa potenza attiva P assorbita con una differente
potenza reattiva Q'. La potenza attiva la stessa nei
due casi perch la componente Icos del fasore rappresentativo della corrente, la sola che entra a determinare la potenza attiva, non variata. Il fatto ancora
pi chiaro se si considera il triangolo delle potenze nei
due casi considerati, cos come mostrato in figura.
evidente per che, nei due casi, diverso il modulo
della corrente I, e quindi diverse sono le potenze dissipate lungo la linea che che collega il carico ai generatori che lo alimentano. Tali potenze, infatti, sono proporzionali al quadrato del modulo della corrente secondo
un fattore R che rappresenta, appunto, la resistenza
equivalente della linea. Queste perdite potrebbero,
dunque, essere ridotte se si disponesse in parallelo al
carico un secondo carico, puramente reattivo - nelle
nostre ipotesi, capacitivo - in grado di assorbire una

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Corso di Elettrotecnica

potenza reattiva pari a - (Q - Q'); ci senza variare in


alcun modo la potenza attiva assorbita dal carico stesso. In tali condizioni il carico si dir rifasato da cos a
cos'. In pratica con il rifasamento si evita che l'energia immagazzinata nel carico, che, come noto, oscilla
tra un punto di massimo ed uno di nullo, venga continuamente trasferita lungo la linea, avanti ed indietro,
con le conseguenti perdite; l'aver disposto un "serbatoio di energia" in controfase in prossimit del carico questa appunto la funzione che svolgono i condensatori posti in parallelo al carico - consente che tale scambio di energia avvenga tra il "serbatoio" ed il carico e
non tra i generatori ed il carico stesso. Gli Enti produttori di energia elettrica, interessati a questo risparmio
di energia, cercano di favorire l'uso di tale tecnica adottando opportune politiche contrattuali e tariffarie. In
pratica l'energia utilizzata viene fatturata a prezzi diversi a seconda del cos, quando esso scende al di sotto di
un certo valore. In Italia tale valore cos = 0,9.
In conclusione il problema del rifasamento si riduce al
calcolo della capacit del banco di condensatori da
disporre in parallelo al carico per ottenere il voluto rifasamento. Tale banco dovr assorbire la potenza reattiva:
Qc = - (Q-Q') = - P(tan-tan').
Si avr, quindi:
2

Qc = - V = - CV2 ,
Xc

(VI.54)

da cui:
C =

P tg - tg'
V2

(VI.55)

dove l'angolo di fase del carico non rifasato e '


quello che si vuole ottenere dopo il rifasamento.

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Esercizi
La corrente che circola nel condensatore centrale, della
rete assegnata in precedenza, nulla. Il circuito ha,
infatti, un grafo a ponte - di cui si gi parlato in regime continuo - con i lati del ponte che verificano la condizione di equilibrio:
jXL2 -jXC4 = R1 R3 .
Allo stesso risultato si pu arrivare rapidamente applicando il teorema del generatore equivalente di tensione
ai morsetti del condensatore centrale.

L'ultimo esercizio richiede di applicare il teorema del


generatore equivalente di corrente ai morsetti A e B
della rete mostrata.

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Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

Bipoli e strumenti di misura in regime dinamico


Anche i bipoli introdotti in regime dinamico, nella loro
concreta realizzazione, si discostano in alcuni aspetti
dalla loro idealizzazione, che fin qui abbiamo preso in
considerazione. Abbiamo gi visto che un condensatore pu essere realizzato con una semplice struttura
piana di due armature conduttrici con un isolante (dielettrico) interposto. Se S l'area delle armature, d la
distanza tra le stesse, ed la costante dielettrica del
mezzo interposto, la capacit del condensatore :
C = S .
(VI.56)
d
Cominciamo con l'osservare che l'unit di misura farad
in realt molto grande; facile verificare, per esempio, che per ottenere una capacit di un farad con un
condensatore ad armature piane separate da uno spazio vuoto - o con aria - di un decimo di millimetro,
occorrerebbe una superficie delle armature di dieci
milioni di metri quadri. Per questo motivo sono molto
usati, come unit di misura delle capacit, i sottomultipli del farad: millifarad, microfarad, nanofarad e picofarad.
Come per i resistori, il valore della capacit del condensatore non l'unico parametro che caratterizza il
componente. Tra gli altri parametri importanti ricordiamo la tolleranza, il margine di incertezza, cio, con
cui il valore della capacit dato, e la tensione di lavo ro che la tensione per la quale lo spessore di isolante
stato progettato; tensioni maggiori mettono a rischio
l'integrit del componente. A caratterizzare ulteriormente il componente, intervengono a volte, le modalit
di costruzione dello stesso; alcuni condensatori, per
esempio, detti polarizzati, hanno le polarit dei loro
morsetti fissate a priori, nel senso che uno dei morset-

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ti, opportunamente contrassegnato, deve necessariamente essere mantenuto nel circuito ad un potenziale
maggiore rispetto a quello dell'altro. Essi sono realizzati con particolari tecniche che consentono di ottenere
sottilissimi strati di dielettrico e quindi capacit molto
elevate. Va osservato infine che nessun isolante, naturalmente, perfetto, e quindi tra le due armature si
avr necessariamente anche un passaggio di ordinaria
corrente di conduzione. Ci implica una dissipazione
dovuta alla resistivit del "materiale isolante". come
se esistesse in effetti un'altra via di passaggio in parallelo per la corrente; ci giustifica lo schema equivalente spesso adottato che vede connesso in parallelo al
condensatore un opportuno resistore che, naturalmente, avr, in generale, una elevata resistenza, detta resi stenza di dispersione del condensatore. A volte, per
tenere in conto anche gli effetti dovuti alle connessioni
interne alle armature ed alla non perfetta conducibilit
delle armature stesse, si dispone anche un resistore in
serie al condensatore nel suo circuito equivalente; quest'ultimo avr, naturalmente, una resistenza molto
bassa.
Per quanto riguarda il bipolo induttore, si gi detto
che esso pu immaginarsi costituito da un avvolgimento di un certo numero di spire su di un supporto materiale. Tale supporto pu avere l'unico scopo di sostenere semplicemente l'avvolgimento, o svolge esso stesso
una funzione, amplificando il valore dell'induttanza,
quando realizzato con particolari materiali detti fer romagnetici. In tal caso per non si pu evitare una
certa non linearit del componente. Essendo l'avvolgimento realizzato con un conduttore necessariamente
non perfetto, un circuito equivalente adeguato dell'induttore prevede una resistore, di norma di bassa resistenza, in serie all'induttore stesso. Uno schema pi

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raffinato contempla anche un condensatore, di relativamente bassa capacit, in parallelo alla serie dell'induttore e del resistore. Tale condensatore tiene in
conto, in modo complessivo, la capacit, detta parassi ta, che necessariamente viene a stabilirsi tra spira e
spira dell'avvolgimento. Le singole spire giocano il
ruolo delle armature e l'isolante di cui esse sono ricoperte, per impedirne il contatto elettrico, quello del
dielettrico interposto. Ci spiega anche perch si parla
a volte, in alcune applicazioni, del fattore di qualit - si
ricordi il circuito risonante - di un induttore.
Del trasformatore e dei suoi usi abbiamo gi fatto
cenno; possiamo immaginarlo costituito da due avvolgimenti sovrapposti o comunque messi in condizione
di interagire in modo molto stretto (alto fattore di
accoppiamento) utilizzando particolari strutture realizzate con materiali ferromagnetici. Del trasformatore
occorrer conoscere la tensione nominale primaria e
quella secondaria che sono le tensioni per le quali il
dispositivo stato costruito e, di conseguenza, per le
quali stato proporzionato l'isolamento. In luogo di
una delle due tensioni pu essere assegnato equivalentemente il rapporto di trasformazione. Sar necessario
conoscere anche la corrente nominale che possiamo
intendere come la corrente per la quale sono stati proporzionati i conduttori degli avvolgimenti - si pensi alla
dissipazione che in essi si produce ed al conseguente
sviluppo di calore -. Altri due fattori che caratterizzano
un trasformatore e che fanno parte dei cos detti dati di
targa del dispositivo, sono la tensione di cortocircuito e
la corrente primaria a vuoto. La prima la tensione con
cui bisogna alimentare il primario perch nel secondario, messo in cortocircuito, circoli la corrente nominale. La seconda la corrente che circola nel primario
quando il secondario a vuoto. Non possiamo, in que-

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sto contesto, approfondire oltre sull'argomento; ci


basti dire che i due ultimi dati citati sono nel complesso indicativi della qualit del dispositivo, delle sue dissipazioni interne e del suo grado di accoppiamento.
Daremo ora un rapido cenno agli strumenti di misura
di tensione e corrente in regime dinamico. Come nel
regime continuo, voltmetri e amperometri vanno inseriti il primo in parallelo al carico ed il secondo in serie
allo stesso. Trattandosi per di grandezze che variano
nel tempo occorrer stabilire cosa intendiamo in effetti misurare. Per il regime sinusoidale, o pi in generale
alternativo, abbiamo diverse scelte: possiamo avere
voltmetri o amperometri che forniscono il valor massimo della tensione o della corrente nella loro evoluzione temporale, o strumenti che forniscano il valor medio
in un periodo od in un semiperiodo della grandezza da
misurare. Per quanto detto in precedenza sulla potenza nei regimi sinusoidali, chiaro per che il caso pi
interessante quello del voltmetro e dell'amperometro
che forniscono il valore efficace della tensione o della
corrente.
Naturalmente, per gli stessi motivi descritti per gli analoghi strumenti in continua, occorrer che il voltmetro
abbia una elevata impedenza interna, mentre l'amperometro dovr presentare una bassa impedenza interna.
Uno strumento molto diffuso nei laboratori o, comunque, nella pratica operativa, il multimetro. Si tratta di
un dispositivo molto duttile che pu essere voltmetro,
amperometro ed altro ancora, semplicemente variando
la posizione di opportuni commutatori.
In regime dinamico, per, pu sorgere la necessit di
misurare, istante per istante, l'andamento temporale di
una grandezza elettrica; gli oscilloscopi, o anche oscillografi, siano essi digitali o analogici, svolgono appunto una tale funzione. Il risultato della misura un gra-

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fico, evidenziato su di uno schermo o tracciato su di un


foglio, che rappresenta appunto l'andamento nel
tempo della grandezza. Particolare complessit e raffinatezza richiedevano, un tempo, gli oscilloscopi in
grado di rilevare anche grandezze non periodiche.
Oggi un tale problema brillantemente risolto con
l'uso del calcolatore come strumento di misura o,
comunque, di sistemi di acquisizione dati sotto forma
digitale. In pratica il segnale viene misurato automaticamente, utilizzando un opportuno trasduttore, in un
gran numero di istanti egualmente distanziati nel
tempo; i risultati delle misure vengono memorizzati
come dati e possono successivamente essere visionati
nella modalit desiderata. chiaro che una volta
memorizzato il risultato della misura sotto forma di
sequenza di numeri, possibile immaginare ogni sorta
di successiva elaborazione degli stessi mediante calcolatore. Ci ha fatto oggi del calcolatore - o di dispositivi digitali progettati per scopi specifici - lo strumento
principe di ogni sistema di misura in laboratorio.
Esistono in commercio software molto raffinati ai quali
possibile demandare, con estrema semplicit, tutta la
gestione di un esperimento o di un processo.
Un strumento di cui non si sentiva particolare necessit
in continua, ma che di interesse in regime sinusoidale, il wattmetro: lo strumento che misura la potenza
attiva. In continua infatti, la potenza data dal prodotto VI, e pu essere facilmente ottenuta con due misure,
rispettivamente, di tensione e di corrente. In alternata
invece la potenza attiva VIcos, e sarebbero quindi
necessarie tre misurazioni, avendo per a disposizione
uno strumento in grado di misurare lo sfasamento tra
tensione e corrente. Fortunatamente esistono strumenti in grado di fornire direttamente il prodotto VIcos
con una sola misura. Nel wattmetro dovremo distin-

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guere due coppie di morsetti: i morsetti voltmetrici,


che verranno collegati ai punti tra i quali insiste la
d.d.p., e quelli amperometrici che dovranno essere
attraversati dalla corrente, cos come mostrato nelle
immagini a lato. Si parler di circuito amperometrico e
circuito voltmetrico del wattmetro.
Il wattmetro dunque , per sua natura intrinseca, un
doppio bipolo ed facile convincersi in base a ragionamenti simili a quelli gi sviluppati per il voltmetro e per
l'amperometro, che esso deve presentare, per essere
ideale, una impedenza infinita ai suoi morsetti voltmetrici ed una impedenza nulla a quelli amperometrici.
Esistono anche strumenti che misurano la potenza reattiva assorbita da un carico: essi vengono detti Varmetri
dal nome della unit di misura che abitualmente si utilizza per le potenze reattive, i volt-ampere reattivi.
Esercizi
Per la rete di figura, gi proposta, la tensione ai morsetti A e B, ottenuta applicando il teorema del generatore equivalente di corrente, :
vAB t = 200 sen t - 4 .
Nell'esercizio successivo presente un accoppiamento
mutuo; non sar difficile risolverlo se si utilizzer il circuito equivalente dell'accoppiamento e si ricondurr
l'impedenza secondaria al primario.
L'ultimo esercizio proposto richiede di rifasare un carico, di cui sono date le caratteristiche, a cos = 1. un
caso puramente teorico, scelto per semplificare i calcoli, in quanto, per motivi che sarebbe lungo spiegare in
questa sede, non si richiede mai un rifasamento totale.

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Il trasformator e
Il nome "trasformatore ideale" dato al doppio bipolo
introdotto per costruire il circuito equivalente di un
accoppiamento mutuo, deriva dal fatto che "trasformatore" viene detto un dispositivo, di larghissimo uso
nelle pratiche applicazioni, del quale il trasformatore
ideale , appunto, una idealizzazione. Si tratta di un
accoppiamento mutuo realizzato con due avvolgimenti, che, con accorgimenti tecnici sui quali non possibile ora soffermarsi, vengono fatti interagire in maniera molto stretta (coefficiente di accoppiamento in
modulo prossimo ad 1!). La relazione (VI.46) stabilisce
che in tali condizioni le tensioni primarie e secondarie
sono nel rapporto a, mentre, trascurando la corrente
derivata dalla induttanza L 1 del circuito equivalente, la
(VI.47) afferma che le correnti primarie e secondarie
sono nel rapporto - 1/a. Sarebbe facile dimostrare che
tale rapporto di trasformazione altro non che, con
buona approssimazione, il rapporto tra il numero delle
spire dell'avvolgimento primario e quello dell'avvolgimento secondario. Un tale dispositivo, dunque, consente con grande semplicit di ridurre o elevare una
tensione, aumentando o riducendo nel contempo la
corrente; da ci il suo nome. Si noti che tutto ci accade, almeno nel caso teorico che stiamo qui esaminando,
senza nessuna dissipazione di potenza attiva. Il trasformatore dunque consente di adattare la tensione alla
particolare applicazione. Ma c' di pi e, per comprenderlo, bisogna sviluppare qualche considerazione elementare sul problema della produzione e della distribuzione dell'energia elettrica.
Motivi di sicurezza degli operatori, e ragioni di ordine
economico, consigliano l'uso di tensioni relativamente
basse per la distribuzione capillare dell'energia elettri-

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ca. abbastanza intuitivo infatti comprendere che il


danno prodotto sugli organismi viventi, a parit di condizioni, tanto maggiore quanto maggiore la tensione. Inoltre gli "isolamenti", sempre necessari in un
dispositivo elettrico, diventano sempre pi costosi e
delicati quando la tensione cresce. Nell'Europa continentale, come noto, il valore efficace della tensione
alla distribuzione di 220 V. D'altra parte il trasporto
dell'energia elettrica, dal punto di produzione a quello
di utilizzo, avviene mediante conduttori che, naturalmente, non essendo perfetti, presentano una certa resistenza. In una situazione schematica di un generatore
G ad una distanza L dal carico che assorbe una corrente I con un determinato cos, sotto una tensione V, la
potenza dissipata lungo la linea :
Pd = 2 L I2 ,
(VI.53)
S
dove la resistivit del materiale di cui i conduttori
di linea sono fatti ed S la loro sezione. Tale potenza
dipende soltanto dal quadrato del valore efficace della
corrente richiesta dal carico! evidente che se a monte
dell'utilizzatore disponessimo un trasformatore riduttore di tensione in modo da mantenere bassa la tensione sul carico ma da elevare quella sulla linea di trasporto, potremmo nel contempo ridurre la corrente di
linea - vedi le VI.48 - e quindi le perdite su di essa. Se
si pensa ai chilometri e chilometri di linee di trasmissione elettrica che caratterizzano il panorama di un
qualsiasi paese sviluppato, si comprende la convenienza del trasportare l'energia elettrica, sulle grandi tratte,
ad alta tensione e relativamente bassa corrente.
Si potrebbe pensare di produrre l'energia elettrica
direttamente a tale tensione elevata. Ma anche questo
non conveniente economicamente perch, come si

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detto, la complicazione ed il costo di un qualsiasi


dispositivo elettrico - e quindi anche di un generatore cresce notevolmente al crescere della tensione. Ci
porta al classico schema, rappresentato a lato, che prevede un trasformatore elevatore di tensione a valle dei
generatori ed a monte della linea, ed un trasformatore
riduttore a monte del carico. Naturalmente le cose
sono in realt molto pi complesse ed articolate di
quanto queste semplici considerazioni possano far credere; si pensi, per esempio, al semplice fatto che supporre un trasformatore privo di perdite chiaramente
una idealizzazione, non foss'altro perch gli avvolgimenti di cui esso costituito presentano necessariamente una certa resistenza e quindi introducono una
dissipazione aggiuntiva. Queste ed altre problematiche
sono oggetto di studio di altre discipline che si occupano in modo specifico delle macchine elettriche e degli
impianti elettrici; a noi basta qui aver evidenziato, in
linea di principio, il fondamentale ruolo svolto nella
tecnica dal dispositivo "trasformatore".

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Il problema del rifasamento nelle reti elettriche.


La necessit di lunghe linee di trasmissione dell'energia
elettrica che collegano i luoghi della generazione con
quelli della utilizzazione e la presenza di una inevitabile dissipazione in linea dovuta alla resistenza dei conduttori, ha anche altre interessanti conseguenze che
cercheremo ora di illustrare in maniera molto elementare.
Consideriamo un carico che sotto una determinata tensione V, assorbe una potenza attiva P ed una potenza
reattiva Q. Supponiamo ancora che la fase della impedenza equivalente del carico, =arctg(Q/P), sia positiva (carico induttivo), come in realt si verifica nella
maggioranza dei carichi industriali. Il diagramma fasoriale corrispondente alla situazione descritta rappresentato a lato. Nella successiva figura rappresentata
anche una diversa condizione di funzionamento in cui
la stessa potenza attiva P assorbita con una differente
potenza reattiva Q'. La potenza attiva la stessa nei
due casi perch la componente Icos del fasore rappresentativo della corrente, la sola che entra a determinare la potenza attiva, non variata. Il fatto ancora
pi chiaro se si considera il triangolo delle potenze nei
due casi considerati, cos come mostrato in figura.
evidente per che, nei due casi, diverso il modulo
della corrente I, e quindi diverse sono le potenze dissipate lungo la linea che che collega il carico ai generatori che lo alimentano. Tali potenze, infatti, sono proporzionali al quadrato del modulo della corrente secondo
un fattore R che rappresenta, appunto, la resistenza
equivalente della linea. Queste perdite potrebbero,
dunque, essere ridotte se si disponesse in parallelo al
carico un secondo carico, puramente reattivo - nelle
nostre ipotesi, capacitivo - in grado di assorbire una

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potenza reattiva pari a - (Q - Q'); ci senza variare in


alcun modo la potenza attiva assorbita dal carico stesso. In tali condizioni il carico si dir rifasato da cos a
cos'. In pratica con il rifasamento si evita che l'energia immagazzinata nel carico, che, come noto, oscilla
tra un punto di massimo ed uno di nullo, venga continuamente trasferita lungo la linea, avanti ed indietro,
con le conseguenti perdite; l'aver disposto un "serbatoio di energia" in controfase in prossimit del carico questa appunto la funzione che svolgono i condensatori posti in parallelo al carico - consente che tale scambio di energia avvenga tra il "serbatoio" ed il carico e
non tra i generatori ed il carico stesso. Gli Enti produttori di energia elettrica, interessati a questo risparmio
di energia, cercano di favorire l'uso di tale tecnica adottando opportune politiche contrattuali e tariffarie. In
pratica l'energia utilizzata viene fatturata a prezzi diversi a seconda del cos, quando esso scende al di sotto di
un certo valore. In Italia tale valore cos = 0,9.
In conclusione il problema del rifasamento si riduce al
calcolo della capacit del banco di condensatori da
disporre in parallelo al carico per ottenere il voluto rifasamento. Tale banco dovr assorbire la potenza reattiva:
Qc = - (Q-Q') = - P(tan-tan').
Si avr, quindi:
2

Qc = - V = - CV2 ,
Xc

(VI.54)

da cui:
C =

P tg - tg'
V2

(VI.55)

dove l'angolo di fase del carico non rifasato e '


quello che si vuole ottenere dopo il rifasamento.

Luciano De Menna

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Esercizi
La corrente che circola nel condensatore centrale, della
rete assegnata in precedenza, nulla. Il circuito ha,
infatti, un grafo a ponte - di cui si gi parlato in regime continuo - con i lati del ponte che verificano la condizione di equilibrio:
jXL2 -jXC4 = R1 R3 .
Allo stesso risultato si pu arrivare rapidamente applicando il teorema del generatore equivalente di tensione
ai morsetti del condensatore centrale.

L'ultimo esercizio richiede di applicare il teorema del


generatore equivalente di corrente ai morsetti A e B
della rete mostrata.

201

202

Luciano De Menna

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Bipoli e strumenti di misura in regime dinamico


Anche i bipoli introdotti in regime dinamico, nella loro
concreta realizzazione, si discostano in alcuni aspetti
dalla loro idealizzazione, che fin qui abbiamo preso in
considerazione. Abbiamo gi visto che un condensatore pu essere realizzato con una semplice struttura
piana di due armature conduttrici con un isolante (dielettrico) interposto. Se S l'area delle armature, d la
distanza tra le stesse, ed la costante dielettrica del
mezzo interposto, la capacit del condensatore :
C = S .
(VI.56)
d
Cominciamo con l'osservare che l'unit di misura farad
in realt molto grande; facile verificare, per esempio, che per ottenere una capacit di un farad con un
condensatore ad armature piane separate da uno spazio vuoto - o con aria - di un decimo di millimetro,
occorrerebbe una superficie delle armature di dieci
milioni di metri quadri. Per questo motivo sono molto
usati, come unit di misura delle capacit, i sottomultipli del farad: millifarad, microfarad, nanofarad e picofarad.
Come per i resistori, il valore della capacit del condensatore non l'unico parametro che caratterizza il
componente. Tra gli altri parametri importanti ricordiamo la tolleranza, il margine di incertezza, cio, con
cui il valore della capacit dato, e la tensione di lavo ro che la tensione per la quale lo spessore di isolante
stato progettato; tensioni maggiori mettono a rischio
l'integrit del componente. A caratterizzare ulteriormente il componente, intervengono a volte, le modalit
di costruzione dello stesso; alcuni condensatori, per
esempio, detti polarizzati, hanno le polarit dei loro
morsetti fissate a priori, nel senso che uno dei morset-

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ti, opportunamente contrassegnato, deve necessariamente essere mantenuto nel circuito ad un potenziale
maggiore rispetto a quello dell'altro. Essi sono realizzati con particolari tecniche che consentono di ottenere
sottilissimi strati di dielettrico e quindi capacit molto
elevate. Va osservato infine che nessun isolante, naturalmente, perfetto, e quindi tra le due armature si
avr necessariamente anche un passaggio di ordinaria
corrente di conduzione. Ci implica una dissipazione
dovuta alla resistivit del "materiale isolante". come
se esistesse in effetti un'altra via di passaggio in parallelo per la corrente; ci giustifica lo schema equivalente spesso adottato che vede connesso in parallelo al
condensatore un opportuno resistore che, naturalmente, avr, in generale, una elevata resistenza, detta resi stenza di dispersione del condensatore. A volte, per
tenere in conto anche gli effetti dovuti alle connessioni
interne alle armature ed alla non perfetta conducibilit
delle armature stesse, si dispone anche un resistore in
serie al condensatore nel suo circuito equivalente; quest'ultimo avr, naturalmente, una resistenza molto
bassa.
Per quanto riguarda il bipolo induttore, si gi detto
che esso pu immaginarsi costituito da un avvolgimento di un certo numero di spire su di un supporto materiale. Tale supporto pu avere l'unico scopo di sostenere semplicemente l'avvolgimento, o svolge esso stesso
una funzione, amplificando il valore dell'induttanza,
quando realizzato con particolari materiali detti fer romagnetici. In tal caso per non si pu evitare una
certa non linearit del componente. Essendo l'avvolgimento realizzato con un conduttore necessariamente
non perfetto, un circuito equivalente adeguato dell'induttore prevede una resistore, di norma di bassa resistenza, in serie all'induttore stesso. Uno schema pi

203

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raffinato contempla anche un condensatore, di relativamente bassa capacit, in parallelo alla serie dell'induttore e del resistore. Tale condensatore tiene in
conto, in modo complessivo, la capacit, detta parassi ta, che necessariamente viene a stabilirsi tra spira e
spira dell'avvolgimento. Le singole spire giocano il
ruolo delle armature e l'isolante di cui esse sono ricoperte, per impedirne il contatto elettrico, quello del
dielettrico interposto. Ci spiega anche perch si parla
a volte, in alcune applicazioni, del fattore di qualit - si
ricordi il circuito risonante - di un induttore.
Del trasformatore e dei suoi usi abbiamo gi fatto
cenno; possiamo immaginarlo costituito da due avvolgimenti sovrapposti o comunque messi in condizione
di interagire in modo molto stretto (alto fattore di
accoppiamento) utilizzando particolari strutture realizzate con materiali ferromagnetici. Del trasformatore
occorrer conoscere la tensione nominale primaria e
quella secondaria che sono le tensioni per le quali il
dispositivo stato costruito e, di conseguenza, per le
quali stato proporzionato l'isolamento. In luogo di
una delle due tensioni pu essere assegnato equivalentemente il rapporto di trasformazione. Sar necessario
conoscere anche la corrente nominale che possiamo
intendere come la corrente per la quale sono stati proporzionati i conduttori degli avvolgimenti - si pensi alla
dissipazione che in essi si produce ed al conseguente
sviluppo di calore -. Altri due fattori che caratterizzano
un trasformatore e che fanno parte dei cos detti dati di
targa del dispositivo, sono la tensione di cortocircuito e
la corrente primaria a vuoto. La prima la tensione con
cui bisogna alimentare il primario perch nel secondario, messo in cortocircuito, circoli la corrente nominale. La seconda la corrente che circola nel primario
quando il secondario a vuoto. Non possiamo, in que-

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sto contesto, approfondire oltre sull'argomento; ci


basti dire che i due ultimi dati citati sono nel complesso indicativi della qualit del dispositivo, delle sue dissipazioni interne e del suo grado di accoppiamento.
Daremo ora un rapido cenno agli strumenti di misura
di tensione e corrente in regime dinamico. Come nel
regime continuo, voltmetri e amperometri vanno inseriti il primo in parallelo al carico ed il secondo in serie
allo stesso. Trattandosi per di grandezze che variano
nel tempo occorrer stabilire cosa intendiamo in effetti misurare. Per il regime sinusoidale, o pi in generale
alternativo, abbiamo diverse scelte: possiamo avere
voltmetri o amperometri che forniscono il valor massimo della tensione o della corrente nella loro evoluzione temporale, o strumenti che forniscano il valor medio
in un periodo od in un semiperiodo della grandezza da
misurare. Per quanto detto in precedenza sulla potenza nei regimi sinusoidali, chiaro per che il caso pi
interessante quello del voltmetro e dell'amperometro
che forniscono il valore efficace della tensione o della
corrente.
Naturalmente, per gli stessi motivi descritti per gli analoghi strumenti in continua, occorrer che il voltmetro
abbia una elevata impedenza interna, mentre l'amperometro dovr presentare una bassa impedenza interna.
Uno strumento molto diffuso nei laboratori o, comunque, nella pratica operativa, il multimetro. Si tratta di
un dispositivo molto duttile che pu essere voltmetro,
amperometro ed altro ancora, semplicemente variando
la posizione di opportuni commutatori.
In regime dinamico, per, pu sorgere la necessit di
misurare, istante per istante, l'andamento temporale di
una grandezza elettrica; gli oscilloscopi, o anche oscillografi, siano essi digitali o analogici, svolgono appunto una tale funzione. Il risultato della misura un gra-

205

206

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fico, evidenziato su di uno schermo o tracciato su di un


foglio, che rappresenta appunto l'andamento nel
tempo della grandezza. Particolare complessit e raffinatezza richiedevano, un tempo, gli oscilloscopi in
grado di rilevare anche grandezze non periodiche.
Oggi un tale problema brillantemente risolto con
l'uso del calcolatore come strumento di misura o,
comunque, di sistemi di acquisizione dati sotto forma
digitale. In pratica il segnale viene misurato automaticamente, utilizzando un opportuno trasduttore, in un
gran numero di istanti egualmente distanziati nel
tempo; i risultati delle misure vengono memorizzati
come dati e possono successivamente essere visionati
nella modalit desiderata. chiaro che una volta
memorizzato il risultato della misura sotto forma di
sequenza di numeri, possibile immaginare ogni sorta
di successiva elaborazione degli stessi mediante calcolatore. Ci ha fatto oggi del calcolatore - o di dispositivi digitali progettati per scopi specifici - lo strumento
principe di ogni sistema di misura in laboratorio.
Esistono in commercio software molto raffinati ai quali
possibile demandare, con estrema semplicit, tutta la
gestione di un esperimento o di un processo.
Un strumento di cui non si sentiva particolare necessit
in continua, ma che di interesse in regime sinusoidale, il wattmetro: lo strumento che misura la potenza
attiva. In continua infatti, la potenza data dal prodotto VI, e pu essere facilmente ottenuta con due misure,
rispettivamente, di tensione e di corrente. In alternata
invece la potenza attiva VIcos, e sarebbero quindi
necessarie tre misurazioni, avendo per a disposizione
uno strumento in grado di misurare lo sfasamento tra
tensione e corrente. Fortunatamente esistono strumenti in grado di fornire direttamente il prodotto VIcos
con una sola misura. Nel wattmetro dovremo distin-

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guere due coppie di morsetti: i morsetti voltmetrici,


che verranno collegati ai punti tra i quali insiste la
d.d.p., e quelli amperometrici che dovranno essere
attraversati dalla corrente, cos come mostrato nelle
immagini a lato. Si parler di circuito amperometrico e
circuito voltmetrico del wattmetro.
Il wattmetro dunque , per sua natura intrinseca, un
doppio bipolo ed facile convincersi in base a ragionamenti simili a quelli gi sviluppati per il voltmetro e per
l'amperometro, che esso deve presentare, per essere
ideale, una impedenza infinita ai suoi morsetti voltmetrici ed una impedenza nulla a quelli amperometrici.
Esistono anche strumenti che misurano la potenza reattiva assorbita da un carico: essi vengono detti Varmetri
dal nome della unit di misura che abitualmente si utilizza per le potenze reattive, i volt-ampere reattivi.
Esercizi
Per la rete di figura, gi proposta, la tensione ai morsetti A e B, ottenuta applicando il teorema del generatore equivalente di corrente, :
vAB t = 200 sen t - 4 .
Nell'esercizio successivo presente un accoppiamento
mutuo; non sar difficile risolverlo se si utilizzer il circuito equivalente dell'accoppiamento e si ricondurr
l'impedenza secondaria al primario.
L'ultimo esercizio proposto richiede di rifasare un carico, di cui sono date le caratteristiche, a cos = 1. un
caso puramente teorico, scelto per semplificare i calcoli, in quanto, per motivi che sarebbe lungo spiegare in
questa sede, non si richiede mai un rifasamento totale.

207

Capitolo VII

I sistemi trifasi
Nell'introdurre il regime sinusoidale abbiamo accennato a come sia, in linea di principio, molto semplice
immaginare un generatore di tensione sinusoidale
costruito in base ai principi generali della interazione
elettromagnetica: una semplice spira rotante in un
campo magnetico ne stata la concreta esemplificazione. immediato osservare che, una volta prodotto il
campo magnetico, appare logico sfruttarlo in maniera
pi completa disponendo pi spire rotanti nella regione in cui esso agisce. Si osservi che a nulla servirebbe
distribuire un unico avvolgimento lungo tutta la periferia del rotore; il motivo apparir immediatamente chiaro in seguito. Il generatore, che stiamo qui descrivendo
solo in linea di principio, produrr, invece di una sola,
pi tensioni sinusoidali che risulteranno tra di loro sfasate nel tempo di angoli corrispondenti agli angoli che
separano nella disposizione spaziale le singole spire.
Infatti, nella sua rotazione, una spira sperimenter le
stesse condizioni di quella che la precede dopo un
tempo pari a quello necessario a percorrere l'angolo
che le separa.
Un sistema di tensioni di tale tipo prende il nome di

210

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sistema polifase; in particolare se le tensioni sono eguali in modulo (o valore efficace) e sfasate tra di loro di
uno stesso angolo (il che corrisponde ad una disposizione spaziale delle spire perfettamente simmetrica) il
sistema si dir simmetrico; nel caso contrario esso si
dir dissimmetrico. Ragioni pratiche consigliano in
generale di limitarsi al caso di tre sole tensioni; avremo,
dunque, sistemi di tensioni trifasi simmetrici o non, a
secondo del caso. Se diciamo e1(t), e 2(t) ed e3(t) le tre
tensioni dei generatori, sar, in generale:
e1 t = 2 E1 sen t ,
e2 t = 2 E2 sen t - 2 ,

(VII.1)

e3 t = 2 E3 sen t - 3 .
Se in particolare E1 = E2 = E3 ed 2 = 2/3, 3 = 4/3,
allora il sistema simmetrico.
naturalmente ancora simmetrico il sistema con
2=4/3 ed 3=2/3. Per distinguerli diremo il primo
sistema simmetrico diretto ed il secondo simmetrico
inverso. Nella rappresentazione vettoriale i due sistemi
sono descritti dai diagrammi mostrati a lato.
Un generatore trifase si pu sempre immaginare realizzato con tre generatori monofase, del tipo gi introdotto, e disposti come nell'ultima immagine a lato; tale
disposizione si dice, per ovvie ragioni, a stella.
Si noti che dal punto di vista elettrico un tale sistema
pu anche essere disegnato come mostrato nell'immagine successiva.
Le tensioni tra i conduttori di linea prendono il nome
di tensioni concatenate e vengono di regola indicate utilizzando la lettera V, mentre si riserva la lettera E per le
tensioni tra i conduttori ed il punto comune dei tre
generatori che prende il nome di centro stella dei gene ratori. Tali tensioni vengono dette stellate o di fase. Si
avr evidentemente:

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211

V12 = E1 - E2 ,
V23 = E2 - E3 ,

(VII.2)

V31 = E3 - E1 .
Le stesse relazioni sono descritte graficamente nel relativo diagramma vettoriale riportato nella terza immagine a lato: il triangolo delle tensioni concatenate ha per
vertici i tre punti 1, 2 e 3, estremi dei vettori rappresentativi delle rispettive tensioni di fase.
Supponiamo ora di collegare i tre generatori a tre impedenze di carico, come descritto nella successiva immagine. Il sistema cos ottenuto si distingue da quello che
si otterrebbe collegando i tre generatori sui rispettivi
carichi separatamente, solo per il fatto che il conduttore di ritorno dei tre generatori in comune.
Supponiamo ora, per, che il sistema, oltre ad essere
simmetrico diretto (o inverso, non ha importanza) sia
anche caratterizzato dall'avere le tre impedenze di carico eguali tra di loro: un tale sistema si dir equilibrato
nelle correnti (o anche nel carico). In queste condizioni
le tre correnti i 1, i2 ed i3 sono:
i1 t = 2 I sen t - ,
i2 t = 2 I sen t - 2 3 - ,

(VII.3)

i3 t = 2 I sen t - 4 3 - .
dove si indicato con l'angolo di fase comune delle
tre impedenze.
facile verificare che nel caso descritto :
i1 t + i2 t + i3 t = 0.
Il fatto particolarmente evidente nella rappresentazione vettoriale mostrata nella seconda immagine della
pagina successiva. I tre fasori rappresentativi sono

212

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eguali in modulo e sfasati di 2/3 e costituiscono quindi i lati di un triangolo equilatero: la loro somma dunque identicamente nulla. D'altra parte l'applicazione
della LKC al nodo comune delle tre impedenze, O', ci
dice che, nel dominio della rappresentazione simbolica
deve essere:
I1 + I2 + I3 = I0 .

(VII.4)

Dove I 0 la corrente nel conduttore comune di ritorno nel verso indicato. Si conclude che, nelle condizioni
descritte di tensioni simmetriche e carico equilibrato, la
corrente nel conduttore di ritorno necessariamente
nulla; ne consegue, per una nota propriet delle reti,
che tale conduttore pu essere eliminato ed i due punti
O ed O' sono allo stesso potenziale anche se non sono
collegati da un conduttore!
Siamo giunti quindi ad uno schema di collegamento a
soli tre conduttori di linea che, se il carico equilibrato, del tutto equivalente a quello precedente. Un tale
sistema verr detto sistema trifase senza conduttore neu tro (o filo neutro) perch tale appunto il nome che si
riserva al quarto conduttore.

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Immaginiamo ora il complesso dei generatori racchiusi


in una scatola chiusa; fuoriescono soltanto i tre fili di
linea tra i quali sussistono le tensioni concatenate. la
situazione che si pu immaginare si verifichi quando
l'alimentazione fornita da un unico generatore trifase. Si osservi che lo stesso sistema di alimentazione si
pu immaginare prodotto da tre generatori, di tensione
pari alla tensione concatenata e con gli opportuni sfasamenti, collegati come mostrato nelle immagini; si
parler in questo caso di sistema di generatori collegati
a triangolo perch i generatori stessi possono idealmente immaginarsi disposti lungo i lati di un triangolo
In un collegamento a triangolo non c' spazio per un
eventuale filo neutro in quanto manca il punto O a cui
collegarlo.
Anche il carico delle tre impedenze pu essere collegato a triangolo, come mostrato in figura, e, naturalmente, sono possibili le altre combinazioni: generatori a
stella e carico a triangolo o generatori a triangolo e carico a stella.
Nel caso di carico a triangolo le singole impedenze
saranno attraversate da correnti diverse da quelle di
linea; tali correnti verranno dette correnti di fase. Le
relazioni tra correnti di linea e correnti di fase si ricavano facilmente applicando la prima legge di Kirchhoff
ai nodi del triangolo delle impedenze e ricalcano quelle tra tensioni concatenate e tensioni stellate.
facile per rendersi conto che, in una situazione in
cui non si conosce la effettiva disposizione dei generatori, deve essere in effetti possibile prescindere da tale
disposizione e poter comunque determinare le correnti nei conduttori sulla base della conoscenza delle sole
tensioni concatenate.
In effetti, assegnato un triangolo di tensioni concatenate, possiamo immaginare tali tensioni prodotte da una
qualsiasi terna di generatori disposti a stella con tensio-

213

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214

Corso di Elettrotecnica

ni tali che i loro vettori rappresentativi costituiscano


una stella con gli estremi coincidenti con i vertici del
triangolo delle tensioni.
Naturalmente, se la terna di tensioni concatenate simmetrica, sar molto conveniente supporre la terna di
tensioni stellate anche essa simmetrica; in tal caso si
avr V = 3 E , dove si indicato con E e V, rispettivamente, il modulo comune delle tensioni stellate e delle
tensioni concatenate.
Esercizi
Per l'esercizio proposto al capitolo precedente si fornisce, a scopo di verifica, la corrente circolante nel secondario del mutuo accoppiamento:
i2 t = - 0,25 2 sen (1000t - 4).
Sullo stesso schema si verifichi cosa cambia nel risultato se si inverte il segno di M.
Il valore della capacit necessaria per il rifasamento
totale del carico di cui al problema gi proposto :
C = 1,1 F.

Nel successivo esercizio si propone di calcolare i parametri Y per il doppio bipolo mostrato.
Infine nell'ultimo esercizio, viene proposto di trasformare una stella di impedenze in un equivalente triangolo. Le formule sono quelle gi dedotte per il regime
continuo; basta ricordarsi di operare con numeri complessi invece che con numeri reali.

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215

La potenza nei sistemi trifasi


Come abbiamo visto, nel caso di carico equilibrato a
stella e di terna di tensioni simmetrica, anche in assenza di conduttore neutro, il potenziale O' del centro stella del carico coincide con il potenziale del baricentro O
del triangolo delle tensioni concatenate. Ci vuol dire
che, se si immagina il sistema di tensioni concatenate
prodotto da una terna di generatori a stella che fornisce una terna simmetrica di tensioni stellate, il potenziale di O' coincide con quello del centro stella dei
generatori. In tali condizioni le correnti nelle singole
impedenze di carico si calcolano agevolmente come
rapporto tra le tensioni stellate e le relative impedenze
del carico, proprio come se il conduttore neutro fosse
presente
I1 = E1 , I2 = E2 , I3 = E3 .
Z
Z
Z

(VII.5)

Calcoliamo, in queste condizioni, la potenza fornita da


sistema dei generatori. In generale in un sistema trifase,
per qualsiasi terna di tensioni concatenate, la potenza
totale fornita al carico la somma delle potenze erogate da tre generatori collegati a stella che siano in
grado di fornire la assegnata terna di tensioni concatenate; tre generatori, cio, le cui tensioni soddisfino le
(VII.2). Sia ha dunque:
p (t) = e1 t i1 t + e2 t i2 t + e3 t i3 t . (VII.6)
In particolare, se la terna delle V simmetrica, scegliendo anche la terna delle E simmetrica, e se il carico
equilibrato si ottiene:

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216

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p(t) = EI sent sen t- +sen t- 2 sen t- 2 - +


3
3

+ sen t- 4 sen t- 4 - = 3EIcos +


3
3

+EI cos 2t- + cos 2t- 4 - + cos 2t- 2 - .


3
3
Nella espressione della potenza istantanea si riconosce
ancora una termine costante ed un termine fluttuante,
come nel caso monofase. Questa volta per il termine
fluttuante identicamente nullo. Se rappresentiamo
infatti i tre addendi di cui composto in un piano dei
vettori - che questa volta per ruota con velocit 2 vediamo subito che la spezzata che essi formano chiusa e quindi essi sono a somma nulla. Si conclude, dunque, che, nel caso di terna delle tensioni simmetrica e
terna delle correnti equilibrata, la sola potenza che si
trasferisce al carico quella media:
3 EI cos = 3VI cos.

216

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Sulla base delle nozioni introdotte possiamo a questo


punto mostrare un altro motivo di convenienza dell'uso di sistemi trifasi. Confrontiamo due sistemi di alimentazione, l'uno monofase e l'altro trifase senza neutro, che siano del tutto equivalenti per quello che concerne l'utilizzatore, cio il carico. Supponiamo che
detto carico, nel caso del sistema trifase, sia disposto a
triangolo come mostrato nello schema - ad un risultato
identico si giunge se lo si suppone a stella - e che sia
inoltre equilibrato. La potenza fornita a tale carico :
P = 3VI cos.
Un sistema monofase che sia equivalente a quello trifase deve fornire la stessa potenza sotto la stessa tensione
e con lo stesso fattore di potenza; dal confronto tra le

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217

due potenze si deduce che la corrente in tale sistema


monofase deve essere 3 volte pi grande di quella nel
singolo conduttore di linea del sistema trifase:
I1f = 3 I3f

(VII.7)

Fino ad ora abbiamo supposto che i conduttori di linea


che collegano i generatori al carico siano di resistenza
nulla. In effetti, come abbiamo gi sottolineato, essi
sono sempre realizzati con materiali a bassa resistivit,
e quindi tale approssimazione appare ragionevole. Ma
se pensiamo ad una rete di collegamento di dimensioni
ragguardevoli, in cui i generatori siano a chilometri e
chilometri di distanza dagli utilizzatori, come in effetti
accade in una complessa rete elettrica nazionale od
internazionale, si capisce facilmente come anche una
piccola resistivit dei conduttori di linea pu provocare notevoli potenze dissipate lungo la linea stessa.
Paragoniamo le potenze dissipate dei due casi precedentemente descritti:
Pd3f = 3 L I3f 2 ,
S3f
(VII.8)
d
P1f = 2 L I1f 2 .
S1f
Dove la resistivit del materiale dei conduttori di
linea, L la distanza del carico dai generatori ed S1f ed
S3f le sezioni dei conduttori nei due casi esaminati.
Perch le due potenze siano eguali occorre che sia
S3f=S1f /2. In termini di volume di materiale impiegato,
e quindi di costo della linea, a parit di tutti gli altri fattori, ci significa che:
Vol 3f = 3LS3f = 3 2LS1f = 3 Vol 1f . (VII.9)
4
4
Con un risparmio globale di un quarto di materiale.
Questo semplice confronto basterebbe a giustificare la
scelta della trasmissione con sistemi trifasi; naturalmente ci sono altri aspetti del problema che non abbia-

218

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mo esaminato in quanto non congruenti con il livello di


approfondimento al quale riteniamo di doverci mantenere.
Ritornando al problema del calcolo delle correnti in un
sistema trifase, come abbiamo visto, se le tensioni concatenate costituiscono una terna simmetrica (diretta
per esempio), le correnti si calcolano agevolmente
come se si trattasse di tre circuiti monofasi distinti anzich di un unico sistema trifase.
Le cose si complicano leggermente se, pur restando la
terna delle tensioni concatenate simmetrica, le tre
impedenze di carico non sono pi uguali. In tal caso
anche supponendo le tre tensioni dei generatori disposti a stella simmetriche, il potenziale del centro stella
dei generatori non coincide con quello del centro stella del carico; il punto O nella rappresentazione vettoriale, non coincide con il punto O'. Con VOO indicheremo il vettore rappresentativo della differenza di
potenziale tra il centro stella del carico e quello dei
generatori; tale vettore individua il cosiddetto sposta mento del centro stella.
D'altra parte, dal diagramma vettoriale, si ottiene:
E1' = E1 - VO'O,
E2' = E2 - VO'O,
(VII.10)
'
E =E -V .
3

O'O

La conoscenza dello spostamento del centro stella consente, quindi, di calcolare le tensioni che insistono sui
relativi carichi e, di conseguenza, le correnti:
'
Ir = Er = Er - VO'O .
(VII.11)
Zr
Zr
Il calcolo dello spostamento del centro stella, , d'altra
parte, molto agevole; basta applicare il metodo dei
potenziali ai nodi, scrivendo l'equazione che esprime la

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LKC ad uno dei due nodi presenti nella rete. Si ottiene:


(VII.12)
r Er -ZVO'O = 0 ,
r
e quindi, mettendo in evidenza il vettore rappresentativo dello spostamento del centro stella:
r EZr
r
VO'O =
.
(VII.13)
r Z1
r
La formula (VII.13), che pu naturalmente essere
generalizzata, come si gi detto, al caso di n rami in
parallelo, prende il nome di formula di Millmann e
consente di calcolare lo spostamento del centro stella,
se sono noti i valori delle tensioni dei generatori e delle
impedenze di carico.
Resta da vedere come si tratta il caso in cui anche le
tensioni concatenate non sono pi simmetriche. In
effetti il procedimento ora esposto basato sulla determinazione dello spostamento del centro stella, non
richiede necessariamente che le tensioni concatenate
costituiscano una terna simmetrica; esso applicabile
anche nel caso di terna dissimmetrica. In tal caso, naturalmente, il punto O, rappresentativo del potenziale del
centro stella dei generatori E (non simmetrici), non
sar pi il baricentro del triangolo equilatero delle ten sioni concatenate, come nel caso precedente, ma un
punto qualsiasi del piano rappresentativo. Esso dipende dalla scelta fatta per la terna di tensioni stellate che
si suppone producano le assegnate tensioni concatenate. Per esempio possibile scegliere O coincidente con
uno dei vertici del triangolo delle tensioni concatenate;
ci equivalente a supporre che la terna di tensioni
concatenate sia prodotta da due soli generatori, come
mostrato nello schema a lato, dove si supposto O

219

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220

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coincidente con con il vertice 3 del triangolo delle tensioni concatenate.


In tal caso lo spostamento del centro stella dato da:
V13 + V23
Z2 .
VO'O = Z1
(VII.14)
r Z1
r
Si osservi infine che non pone alcun problema il calcolo delle correnti nei singoli lati di un carico disposto a
triangolo. In tal caso, infatti, sono note direttamente le
tensioni sulle singole impedenze, sia nel caso di una
terna simmetrica sia in quello di una terna dissimmetrica.
Esercizi
Per il doppio bipolo in figura si ha:
Y11 =

10 - j60
.
3700

Per la verifica dell'esercizio successivo si fornisce il


valore della impedenza sul lato (1,2) del triangolo equivalente:
Z12 = - 10 + j20 .

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221

La misura della potenza nei sistemi trifasi


Una qualche particolarit presenta l'inserzione dei
wattmetri in un sistema trifase. Supponiamo inizialmente che esso sia a stella con il neutro accessibile
come schematicamente mostrato in figura. Nella stessa
figura anche indicata l'inserzione di tre wattmetri:
evidente che la somma delle indicazioni dei tre wattmetri fornisce la potenza attiva assorbita dal carico trifase. Si ha infatti, indicando con W1 , W2 e W3 rispettivamente le tre indicazioni dei wattmetri:
W1 +W2 +W3 =
= E1 I1 cos1 +E2 I2 cos2 +E3 I3 cos3 . (VII.15)
Naturalmente, se il carico equilibrato e la terna di
tensioni simmetrica, si ha:
W1 = W2 = W3 = EIcos = P ,
(VII.16)
3
ed, in linea di principio, un solo wattmetro sarebbe sufficiente.
Supponiamo ora che il centro stella del carico non sia
accessibile; sembrerebbe, a prima vista, che questo
fatto introduca una difficolt insormontabile. In effetti
ci non pu essere, e non infatti, come si comprender facilmente dalle seguenti considerazioni. Sia O' il
centro stella (non accessibile) del carico ed O'' il punto
comune delle tre voltmetriche dei wattmetri. Se indichiamo con un solo apice le tensioni stellate sul carico
e con due le corrispondenti tensioni alle voltmetriche
dei wattmetri, si ha:
E''r = E'r - VO'O" .

(VII.17)

D'altra parte la somma delle indicazioni dei wattmetri


per definizione:

Luciano De Menna

222

Corso di Elettrotecnica

W1 + W2 + W3 = E''r Ir ,

(VII.18)

dove si usato il simbolismo del prodotto scalare per


rappresentare la potenza attiva. Utilizzando la (VII.17)
nella VII.18 si ottiene:
W1 + W2 + W3 = E'r Ir - VO'O" Ir = E'r Ir,
r

dato che la somma dei fasori rappresentativi delle tre


correnti di linea necessariamente nulla per l'assenza
del conduttore neutro. Se ne conclude dunque - teore ma di Aron - che la somma algebrica delle indicazioni
dei tre wattmetri indipendente dal potenziale del
punto rispetto al quale si valutano le tensioni stellate ed
uguale alla potenza attiva assorbita dal carico. Si noti
che non si dovuto fare alcuna ipotesi sulle tensioni
che alimentano il carico - pu anche trattarsi, dunque,
di un sistema dissimmetrico - n sulla natura del carico
stesso - esso pu anche essere non equilibrato; il risultato del tutto generale. Come applicazione immediata di questo risultato possiamo far vedere come sia possibile utilizzare due soli wattmetri, invece di tre, per la
misura della potenza attiva in un sistema trifase senza
conduttore neutro. Se infatti poniamo il punto O'', per
esempio, in collegamento con il secondo conduttore di
linea, l'indicazione del secondo wattmetro identicamente nulla, perch nulla la tensione ai suoi morsetti
voltmetrici; ci rende inutile la presenza del terzo wattmetro. Si arriva dunque ad una inserzione del tipo
descritto in figura, che prende il nome, appunto, di
inserzione Aron. La somma algebrica delle indicazioni
- esse, infatti, possono anche essere negative - dei due
wattmetri fornisce in ogni caso la potenza attiva assorbita dal carico.

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

223

Va notato infine che nel caso in cui il sistema trifase sia


simmetrico ed equilibrato, e solo in questo caso, la differenza tra le due misure dei wattmetri nell'inserzione
Aron proporzionale alla potenza reattiva. Si ha infatti:
W2 -W1 = VI cos - - cos + =
6
6 (VII.19)
Q

= 2 V I sen sen =
.
6
3
Dove Q appunto la potenza reattiva totale assorbita
dal carico:
Q = 3 E I sen = 3 V I sen .
(VII.20)
Nel caso pi generale la potenza reattiva data da:
Q=

r Er Ir sen r.

(VII.21)

Si noti che in virt del teorema di conservazione delle


potenze complesse, anche nel caso di sistemi trifasi, la
potenza attiva e reattiva totale assorbita dal parallelo di
due carichi pari alla somma delle rispettive potenze
assorbite dai due carichi separatamente.
Questa considerazione consente di affrontare il problema del rifasamento di un carico trifase alla stesso modo
adottato per i carichi monofasi. Nel caso dei sistemi trifasi possibile per una duplice scelta: il banco di condensatori di rifasamento pu essere collegato a stella o
a triangolo. Per la stella si ha:
Q - Q' = P a tg - tg ' = 3 E2 Cs , (VII.21)
e per il triangolo
Q - Q' = P a tg - tg ' = 3 V2 CT. (VII.22)
A parit di potenza reattiva, la capacit necessaria in un
collegamento a triangolo minore di quella necessaria
per un collegamento a stella. Naturalmente, per, nel
secondo caso i condensatori debbono essere progettati

Luciano De Menna

224

Corso di Elettrotecnica

per sostenere una tensione minore.


Si noti infine che mentre un carico squilibrato posto in
parallelo ad uno equilibrato non modifica il potenziale
del centro stella del carico equilibrato, se tra i due centri stella dei carichi si dispone un collegamento, allora
anche il carico equilibrato non potr pi essere trattato
come tale.
Esercizi
Nel primo problema si richiede di calcolare l'indicazione dell'amperometro a valor efficace posto sulla linea 2
del sistema trifase assegnato, costituito da due carichi
equilibrati in parallelo.

Nel secondo esercizio viene proposto un problema


analogo; in questo caso, per, uno dei carichi squilibrato.

Nell'ultimo problema, infine, si richiede di rifasare a


cos=0,9 un sistema di due carichi in parallelo di cui
sono assegnate le rispettive potenze.

Capitolo VIII

Dinamica dei circuiti di ordine superior e


Nei capitoli precedenti abbiamo gi esaminato, partendo da alcuni classici esempi, gli aspetti salienti della
soluzione di una rete elettrica in regime dinamico qualsiasi; proviamo qui a riepilogarli.
Sia data una rete con l lati ed n nodi, alimentata da
generatori di tensione e corrente con evoluzione temporale qualsiasi - ma non controllati - composta da
bipoli resistivi, induttivi e capacitivi le cui caratteristiche non variano nel tempo - si dir che la rete tempoinvariante. Desiderando conoscere l'evoluzione temporale delle grandezze elettriche - tensioni e correnti - dei
singoli bipoli, a partire da un determinato istante iniziale t 0 - istante in cui noto lo stato della rete, e cio
le tensioni sui condensatori e le correnti negli induttori - si procede alla maniera seguente:
Utilizzando le leggi di Kirchhoff si scrivono n-1 equazioni ai nodi ed l-(n-1) equazioni alle maglie; dato che
le caratteristiche dei bipoli, in generale, esprimono
legami differenziali tra tensioni e correnti, il sistema
che ne deriva sar di l equazioni differenziali lineari, se
i bipoli presenti sono appunto lineari.
Mediante successive operazioni di sostituzione, ed
eventuale differenziazione, si ricava dal sistema di partenza una unica equazione differenziale in una delle

Luciano De Menna

226

Corso di Elettrotecnica

incognite in precedenza scelta; il grado dell'equazione


sar pari al numero di bipoli "a memoria" - induttori e
condensatori - presenti nella rete. Quest'ultima affermazione andrebbe dimostrata; noi la consideriamo tale
sulla base di una semplice considerazione di carattere
fisico: se ci non fosse vero il numero di condizioni iniziali assegnate non sarebbe adeguato alla soluzione del
problema. Naturalmente due condensatori in parallelo, o due induttori in serie, vanno contati come un
unico componente; del resto, nei due casi, la condizione iniziale e unica!
La soluzione dell'equazione cos determinata si ottiene
aggiungendo all'integrale generale della equazione
omogenea associata, una soluzione particolare della
equazione completa. L'integrale generale dell'omogenea associata, se le radici sono tutte distinte, sar del
tipo:
n

y0 t = Ar er t

(VIII.1)

r=1

dove le r sono le radici del polinomio caratteristico


associato all'equazione differenziale; tali radici possono
essere complesse, ed in tal caso si avranno fenomeni
oscillatori. Nel caso in cui si hanno radici coincidenti,
la soluzione dell'omogenea ha una espressione diversa.
Ad esempio se la radice k-esima ha molteplicit gk, l'integrale dell'omogenea del tipo:
p

y0 t =

r =1

Arert +

gk

Bk,r t r-1e t. (VIII.2)


k

k = 1 r =1

In ogni caso la parte reale delle radici non potr mai


essere positiva, in quanto le soluzioni non potranno
mai crescere esponenzialmente nel tempo; al limite, in
reti prive di resistenze, le radici potranno essere puramente immaginarie, dando luogo ad oscillazioni permanenti.
Per quanto riguarda la soluzione particolare della completa, abbiamo gi visto come sia possibile determinar-

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

la quale soluzione a regime nei due casi in cui i generatori sono tutti costanti - regime continuo - o di tipo
sinusoidale, tutti con la stessa frequenza - regime sinusoidale, correntemente detto anche regime alternativo.
Naturalmente il procedimento pu essere esteso a regimi periodici di altro tipo: basta assumere che la soluzione di regime abbia lo stesso andamento periodico
dei generatori, inserire tale soluzione nella equazione
differenziale e, imponendo che essa sia soddisfatta,
ricavare i parametri da cui dipende la soluzione stessa.
La soluzione generale cos ottenuta, somma di quella
dell'omogenea e della soluzione particolare, dipende
dalle costanti Ar presenti nella soluzione della omogenea. A questo punto entrano in gioco le condizioni iniziali sulle grandezze di stato che, essendo proprio in
numero pari al grado dell'equazione differenziale risultante, forniscono un adeguato numero di equazioni per
determinare le costanti Ar. Naturalmente va ricordato
che, non essendo in generale le condizioni iniziali fornite direttamente come valori della grandezza che si
scelta come incognita e delle sue derivate nell'istante
iniziale, ma come valori delle correnti negli induttori e
tensioni sui condensatori, occorrer da questi ultimi
ricavare quelli relativi alla grandezza prescelta. Un procedimento generale che consente di effettuare questo
passaggio, consiste nel valutare le equazioni, scritte per
imporre il rispetto delle leggi di Kirchhoff, all'istante
iniziale: in tali equazioni compaiono, come termini
noti, sia le tensioni e correnti dei generatori che le correnti negli induttori e le tensioni sui condensatori; da
esse sar possibile ricavare il valore di ogni altra grandezza all'istante iniziale, come abbiamo gi fatto vedere nei casi sviluppati.
Questo in sintesi il procedimento generale per risolvere una rete lineare tempo-invariante in regime qualsiasi. Un esempio chiarir meglio i vari passi della procedura. Ci limiteremo a descriverli riducendo al minimo
i commenti.

227

Luciano De Menna

228

Corso di Elettrotecnica

Consideriamo la rete mostrata in figura; essa, prima


dell'apertura dell'interruttore in serie al generatore e1 e
della chiusura di quello in serie ad e2, funziona in regime stazionario. All'istante t=0 cambia la topologia e
quindi il funzionamento della rete.

Per determinare le condizioni iniziali occorre risolvere


la rete a regime per t<0. Utilizzando il metodo fasoriale si ha immediatamente:
Vc = E1 1 -

R
,
- j Xc R + j X L
R +
R + j XL - Xc
(VIII.3)

IL =

- j Xc
E1
.
- j Xc R + j X L R + j X L - X c
R +
R + j XL - Xc

Dove:
E1 = 100 5e - j 0,463 = 100 2 - j ,
(VIII.4)
E2 = 100 5e

j 0,463

= 100 2 + j ,

sono i fasori rappresentativi delle tensioni dei generatori.


Introducendo i valori numerici:

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

Vc = E1

229

1-j
= 100 1 - j ,
2-j
(VIII.5)

IL =

j E1 1
= - j 10 .
10 2 - j

Ritornando al dominio temporale:


vc t = 200 sen 100 t - 4 ,
iL t = - 10 2 sen 100 t + 2 .

(VIII.6)

Le condizioni iniziali sono, dunque:


vc 0 = 200 sen - 4 = - 100 2 ,
iL 0 = - 10 2 sen 2 = - 10 2 .

(VIII.7)

Per determinare l'evoluzione per t>0 applichiamo la


LCK e la LTK al circuito nella sua configurazione finale:

e2 = R i2 + L diL ,
dt
L diL = R ic + vc,
dt
i2 = iL + ic,

(VIII.8)

ic = C dvc .
dt
Con alcuni semplici passaggi si ricava l'equazione risol-

Luciano De Menna

230

Corso di Elettrotecnica

vente nella tensione sul condensatore:


d2 vc + R + 1 dvc +
2L 2RC dt
dt2
(VIII.9)
v
de
1
c
1
2
+
=
.
2 LC 2RC dt
La VIII.9 un'equazione differenziale ordinaria del
secondo ordine, lineare, a coefficienti costanti e non
omogenea (si noti che, come previsto, l'ordine dell'equazione uguale al numero di bipoli a memoria presenti nella rete).
Il polinomio caratteristico associato alla (VIII.9) :
2 + 100 + 5 103 = 0,

(VIII.10)

r + j = - 50 j 50.

(VIII.11)

con radici:

La soluzione dell'omogenea associata del tipo:


vc0 t = A e- 50 t sen 50 t + .
(VIII.12)
Resta da calcolare la soluzione di regime che si trova
facilmente con il metodo fasoriale:
jXL -jXc
E2
Vcp =
. (VIII.13)
j XL R-j Xc R+j XL-Xc
R+
R+j XL-Xc
Inserendo i valori:
Vcp = E2 = 100 ,
2+j

(VIII.14)

e nel dominio del tempo:


vcp t = 100 2 sen 100 t .

(VIII.15)

L'integrale generale della completa dunque:


vc t = Ae-50 t sen 50t+ +
+ 10 2sen 100 t .

(VIII.16)

Per determinare le costanti A e occorre sfruttare le

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

231

condizioni iniziali. La prima data direttamente sulla


tensione del condensatore e fornisce:
vc 0 = A sen = - 100 2 .

(VIII.17)

Per la la seconda basta scrivere la LKC e la LKT all'istante iniziale; sottraendo infatti la seconda delle
(VIII.8), valutata all'istante zero, dalla prima, si ottiene
una relazione da cui facile ricavare il valore della derivata della tensione sul condensatore all'istante iniziale:
ic 0 = C dvc
dt

=
t=0

e2 0 -vc 0 -RiL 0
. (VII.41)
2R

Dalla (VIII.17) e dalla (VIII.18) si ricava facilmente:


A - 161 V;

= 1.1 rad .

(VII.42)

L'andamento della soluzione mostrato nell'ultima


figura; dopo alcune oscillazioni transitorie, la tensione
sul condensatore si assesta al suo andamento sinusoidale di regime.
Esercizi
Le potenze totali assorbite dal carico trifase del primo
esercizio sono:
Pa(tot) = 8,99 kW,
P(tot) = 9,04 kW,
mentre l'indicazione dell'amperometro :
I = 13,7 A.

Per il trifase di cui allo schema successivo, l'indicazione dell'amperometro :


I 4,73 A .

232

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

Lo spostamento del centro stella risultato pari a:

VO'O = 126,8 e j 6 .

La capacit necessaria per rifasare il carico del terzo


esercizio pari a:
C = 23 F.
Si supposto di disporre i condensatori di rifasamento
a triangolo.

Nei due ultimi problemi proposti si richiede di determinare l'evoluzione dei circuiti durante un transitorio.
Nel primo caso il forzamento in continua e la chiusura di un interruttore aggiunge, in parallelo al condensatore, un nuovo resistore.

Nel secondo caso, due interruttori agiscono sincronamente, l'uno in apertura e l'altro in chiusura. Un condensatore viene cos aggiunto al circuito.

Capitolo IX

Codici numerici per la risoluzione delle reti


La determinazione delle correnti e delle tensioni nei
singoli lati di una rete un problema che ben si presta
ad una soluzione numerica. Nel caso lineare esso si
riduce, per esempio, alla semplice inversione di una
matrice del tipo descritto al capitolo III. In condizioni
dinamiche si tratta di risolvere passo passo un sistema
di equazioni differenziali ordinarie e lineari, se tali sono
i bipoli della rete; un classico problema del calcolo
numerico.
Per reti non lineari le complicazioni sono maggiori ma
non insormontabili e, naturalmente, la bont della
soluzione dipende dalla criticit delle non linearit presenti.
Esistono numerosi codici numerici che affrontano
egregiamente questo problema e ne danno soddisfacente soluzione.
In effetti l'uso di codici numerici si giustifica per due
ordini di motivi diversi. Da una parte, per reti lineari
ma molto estese, cio con un gran numero di nodi e di
lati, la soluzione analitica, anche se semplice in linea di
principio, pu richiedere tempi di elaborazione proibitivi. Dall'altra parte, la presenza di bipoli non lineari

262

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

pu rendere difficile, se non impossibile, una soluzione


analitica. Naturalmente la presenza di entrambi questi
elementi, come accade nei circuiti integrati di grandi
dimensioni, rende spesso la soluzione numerica l'unica
via praticabile.
Uno dei codici pi diffuso, sia in ambiente di ricerca
che in quello di produzione, SPICE, acronimo che sta
per Simulation Program with Integrated Circuit
Emphasis.
Spice fu sviluppato al Electronic Research
Laboratory dell'Universit della California, e reso
disponibile al pubblico, nel 1975.
I motivi della grande diffusione di tale codice vanno
ricercati, naturalmente, nella sua qualit e funzionalit,
ma anche nella intelligente politica seguita dalla
Universit della California che ha consentito la diffusione gratuita del prodotto, in una versione ridotta, per
scopi educativi. La differenza tra la versione completa
e quella ridotta nella consistenza della biblioteca di
componenti prevista: mentre nella versione completa
sono contemplate le caratteristiche di circa 5000 componenti diversi, la versione distribuita gratuitamente ne
prevede solo 300. Dal punto di vista didattico questo,
per, non costituisce una seria limitazione. Cos anche
le successive versioni di SPICE, elaborate da societ di
software commerciali, prevedono generalmente una
edizione didattica gratuita. il caso, per esempio, di
PSpice1, prodotto dalla MicroSim Corporation, di cui
esistono versioni per ogni tipo di personal computers o
work stations e che rappresenta oggi, forse, l'edizione
pi evoluta di SPICE. Nel seguito faremo riferimento a
questo specifico pacchetto software negli esempi illustrati.
Per interagire con PSpice occorre, naturalmente, utilizzare un linguaggio specifico del quale bisogna impa-

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

dronirsi. Come per tutti i linguaggi, la via pi efficiente per apprenderli di provare a parlarli. Una volta
acquisita una iniziale base di conoscenza pratica, lo
studio della "grammatica, cio del manuale, consentir di approfondire la conoscenza del linguaggio in
tutte le sue possibilit comunicative. Ci proponiamo in
questo capitolo di utilizzare questo approccio a PSpice
con riferimento alla sua prima fase; mostreremo quindi
una serie di esempi limitandoci a commentarne i risultati.
il caso di sottolineare, per, che le grandi potenzialit
di PSpice emergono chiaramente solo quando si
affrontano circuiti complessi ed in presenza di non
linearit dei componenti. Dovendoci limitare ai semplici circuiti trattati in un testo introduttivo come il
nostro, tali potenzailit non sempre verranno sfruttate;
si potr avere a volte l'impressione di sparare ad un un
uccellino con il proverbiale cannone. Altre volte invece
si sar costretti a delle piccole forzature per indurre
PSpice a fornire risposte indubbiamente molto elementari. Si ricordi che SPICE stato progettato, come
dice l'acronimo, con enfasi ai circuiti integrati.
Cominciamo dunque dall'esempio descritto dalle istruzioni di seguito riportate che fanno riferimento al circuito mostrato a lato e gi analizzato in un capitolo precedente.
PONTE 1
*CIRCUITO RESISTIVO IN CONTINUA
R1
2
3
10
R2
2
4
2
R3
3
4
5
R4
3
0
5
R5
4
0
1
R6
1
2
2
V0
1
0
2
.END

263

264

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

La prima linea assegna semplicemente il nome al pacchetto di istruzioni che si conclude con il comando
.END. Tale comando costituisce un primo esempio di
istruzione di controllo che in PSpice sono individuate
dal punto iniziale.
La seconda linea un commento, individuato dall'asterisco iniziale, che viene semplicemente ignorato da
PSpice.
Le righe successive descrivono il circuito individuandone i bipoli presenti tra i diversi nodi, numerati da 0
a n.
Il nodo 0, necessariamente presente, il nodo scelto
quale riferimento per i potenziali. Cos la prima riga
afferma che tra il nodo 2 ed il nodo 3 presente un resistore - la lettera R alla prima posizione del nome scelto
per individuarlo ne testimone - la cui resistenza di
10 . Le altre lettere del nome sono invece del tutto
arbitrarie. Se non diversamente specificato, le resistenze si intendono assegnate in ohm; altrimenti, come per
tutte le altre grandezze che introdurremo, si possono
utilizzare multipli e sottomultipli, secondo il simbolismo specificato nella tabella a lato mostrata, dove,
naturalmente, 1e - 3 sta per 10-3.
Cos, invece di 10 all'ultimo posto del terzo rigo avremmo potuto scrivere, per esempio, 1e4M. Si noti che
PSpice non distingue i caratteri minuscoli da quelli
maiuscoli.
L'ordine in cui vengono indicati i due nodi estremi del
bipolo non indifferente. Esso specifica l'orientazione
scelta per il ramo; tale orientazione va sempre dal
primo nodo menzionato al secondo.
La penultima riga del pacchetto di istruzioni mostrato
comunica a PSpice che tra il nodo 1 ed il nodo 2, nel
verso precisato dall'ordine, inserito un generatore
ideale di tensione - individuato dalla lettera V al primo

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

265

posto del nome scelto per indicare il bipolo - che eroga


una tensione di 2V. Il nome di un generatore ideale di
corrente dovr, ovviamente, cominciare con la lettera I.
Fatta eccezione per la prima e l'ultima istruzione, e per
poche altre che incontreremo in seguito, l'ordine delle
diverse righe del tutto arbitrario.
Se forniamo a PSpice un tale pacchetto di istruzioni,
esso produce in risposta un file, denominato
PONTE 1
****
CIRCUIT DESCRIPTION
***********************************************************
*CIRCUITO RESISTIVO IN CONTINUA
R1
R2
R3
R4
R5
R6
V0
.END

2
2
3
3
4
1
1

3
4
4
0
0
2
0

10
2
5
5
1
2
2

***********************************************************
PONTE 1
****
SMALL SIGNAL BIAS SOLUTION
TEMPERATURE = 27.000 DEG C
***********************************************************
NODE VOLTAGE
NODE VOLTAGE
(
1)
2.0000 (
2)
1.1111 (
VOLTAGE SOURCE CURRENTS
NAME
CURRENT
V0
-4.444E-01
TOTAL POWER DISSIPATION
JOB CONCLUDED
TOTAL JOB TIME

NODE VOLTAGE
3)
.3704 (

8.89E-01 WATTS

.65

NODE VOLTAGE
4)
.3704

266

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

PONTE.OUT, del seguente contenuto:


Come si vede, nella prima parte della risposta, viene
riproposto il file in ingresso; ci pu essere evitato,
con una opportuna istruzione, ma in generale non conviene farlo.
Nella seconda parte, sotto il titolo SMALL SIGNAL BIAS
SOLUTION vengono forniti i valori dei potenziali nei
rispettivi nodi della rete. Il motivo di una tale intitolazione sta nel fatto che PSpice valuta sempre il punto di
lavoro di tutti i componenti, dovuto alla presenza dei
generatori in continua, prima di valutare l'eventuale
dinamica prodotta da segnali di piccola ampiezza intorno a tali punti di lavoro. Per questo motivo non stato
necessario, nel nostro caso, indicare alcuna specifica
richiesta nel file di ingresso: la valutazione del punto
di lavoro era sufficiente.
In pratica si pu immaginare che PSpice abbia applicato il metodo dei potenziali ai nodi ed invertito la
matrice corrispondente di cui al capitolo III. Tra le
altre informazioni fornite, che non commenteremo
tutte perch di intuitiva interpretazione, si noti la presenza del valore della corrente erogata dal generatore
di tensione; PSpice calcola sempre tali correnti allo
scopo di valutare la potenza erogata dai generatori. Ci
ci fornisce un metodo molto semplice per ottenere la
valutazione diretta della corrente in un ramo: basta
inserire in quel ramo un generatore ideale di tensione
che eroghi una tensione nulla, in modo da non influenzare il funzionamento del circuito. Tali generatori svolgono il ruolo di veri e propri amperometri. Cos se
modifichiamo il file di ingresso come mostrato di
seguito, possiamo ottenere la corrente nel ramo 3, per
esempio. Si noti che per inserire il generatore si dovuto introdurre un altro nodo.

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

PONTE 2
*CIRCUITO RESISTIVO IN CONTINUA
R1
2
3
10
R2
2
4
2
R3
3
5
5
VA
5
4
0
R4
3
0
5
R5
4
0
1
R6
1
2
2
V0
1
0
2
.END

In queste condizioni nella risposta di PSpice troviamo


anche:
VOLTAGE SOURCE CURRENTS
NAME
CURRENT
VA
V0

5.551E-17
-4.444E-01

Come si forse rilevato, il circuito a ponte che stiamo


studiando in equilibrio perch R1 R5 = R 2 R4. Infatti
la risposta ci ha fornito una corrente praticamente nulla
nel ramo 3; si ricordi che i calcoli numerici hanno sempre un determinato grado di approssimazione!
Desiderando poi ottenere esplicitamente, nel circuito
in esame, le tensioni di lato, oltre ai potenziali nei nodi,
si possono aggiungere le seguenti istruzioni di controllo:
.DC
V0
.PRINT DC

2
2
1
V(2,3) V(3,4) I(R2)

Esse infatti richiedono a PSpice di valutare la soluzione della rete per diversi valori della tensione del generatore V 0 e di fornirne - la seconda istruzione - i risultati per quanto riguarda le tensioni tra i nodi 2 e 3 e 3

267

Luciano De Menna

268

Corso di Elettrotecnica

e 4 e la corrente nel resistore R2. La prima istruzione di


controllo, infatti, letteralmente chiede a PSpice di eseguire le elaborazioni per i valori di V0 che vanno da 2
(terzo termine dell'istruzione) a 2 (quarto termine dell'istruzione) con un incremento di 1 (quinto termine).
Nel nostro caso, coincidendo il valore di partenza e
quello di arrivo, PSpice si limita a risolvere la rete per
un sol valore della tensione del generatore: 2V.
Il file in uscita conterr le righe:
V0

V(2,3)

2.000E+00

7.407E-01

V(3,4)

I(R2)

5.551E-17

3.704E-01

Naturalmente, la tensione V 34 nulla.


Un altra informazione di controllo utile in questo contesto la seguente (con riferimento al circuito a lato):
.TF

V(4,3) V0

Essa richiede a PSpice di valutare il rapporto tra la tensione individuata dal secondo termine dell'istruzione e
quella individuata dal terzo termine. Nel file di uscita si ritrover anche il valore della resistenza di ingresso vista da V0 e quella di uscita vista dai morsetti A e B:
V(3,4)/V0 = 0.000E+00
INPUT RESISTANCE AT V0 = 4.500E+00
OUTPUT RESISTANCE AT V(3,4) = 4.000E+00

Nel nostro caso il rapporto di trasferimento V34/V0


nullo perch il ponte in equilibrio! Il valore della resistenza di uscita ci consente di costruire facilmente il
circuito del generatore equivalente di forza elettromo-

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

269

trice.
Si consideri ora, con riferimento al circuito mostrato a
lato, il seguente file di ingresso a PSpice:
AC 1
*PONTE IN C.A.
V0
1
0
R1
1
2
L2
1
3
R3
3
0
C4
2
0
.AC
LIN
1
.PRINT AC
Vm(2)
.PRINT AC
Vm(3)
.END

AC
5
0.1
10
2E-3
15.91
Vp(2)
Vp(3)

141.42

15.91
Vr(2)
Vr(3)

Vi(2)
Vi(3)

Il terzo rigo informa che tra i nodi 1 e 0 vi un generatore sinusoidale di tensione di ampiezza pari a 141.42
V e fase 0, altrimenti sarebbe indicata in gradi nel successivo campo. Tra i nodi 1 e 3 inserito un induttore
di 0.1 henry e tra i nodi 2 e 0 un condensatore di 2 millifarad. L'ottava linea del pacchetto di istruzione richiede a PSpice di eseguire una analisi in regime sinusoidale del circuito per un sol valore della frequenza (il terzo
termine nell'istruzione in questione) pari a 15.91 hertz
(gli ultimi due termini, che rappresenterebbero valore
iniziale e finale del campo di frequenze da analizzare,
sono infatti eguali). Le frequenze dovranno variare
linearmente dal valore iniziale a quello finale, come
specificato dal secondo termine (LIN) nell'istruzione.
Naturalmente avendo richiesto nel nostro caso una sola
frequenza - successivamente vedremo il caso pi generale - questa informazione pleonastica.
La nona e decima riga indicano che si richiedono in
uscita i valori in modulo (VM) e fase (VP) ed in forma
cartesiana (VR + j VI), dei potenziali dei nodi 2 (prima
istruzione .PRINT) e 3 ( seconda istruzione).
La risposta di PSpice contiene tra l'altro:

Luciano De Menna

270
****

AC ANALYSIS

TEMPERATURE =

Corso di Elettrotecnica

27.000 DEG C

***********************************************************
FREQ

VM(2)

VP(2)

VR(2)

VI(2)

1.591E+01 1.000E+02 -4.499E+01 7.073E+01 -7.071E+01


****
AC ANALYSIS
TEMPERATURE = 27.000 DEG C
***********************************************************
FREQ
1.591E+01

VM(3)

VP(3)

1.000E+02 -4.499E+01

VR(3)

VI(3)

7.073E+01 -7.071E+01

Che sono appunto i valori dei fasori cercati. Si noti che


anche in questo caso i potenziali del nodo 3 e del nodo
2 sono eguali perch il ponte equilibrato.

270

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

Per utilizzare a pieno le potenzialit dell'istruzione di


controllo .AC, inseriamo il seguente file dati, riferito al circuito mostrato nella colonna delle immagini:
AC 2
*CIRCUITO RLC, ANALISI ARMONICA
V0
1
0
AC
1.41
R1
1
2
5
L2
2
3
0.01
C3
3
0
1E-6
.AC
LIN
51
1K
2K
.PLOT AC
I(V0)
.PROBE
.END

L'istruzione contenuta nella linea 7 chiede a PSpice di


sviluppare l'analisi per frequenze variabili linearmente,
in 51 passi, a partire da 1kHz ed a finire a 2kHz.
L'istruzione successiva richiede di riportare il grafico
della corrente in funzione della frequenza. In queste
condizioni in uscita si ritrovano i seguenti dati:

Luciano De Menna

FREQ

.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
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.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.

0
0
0
0
0
1
1
1
1
1
2
2
2
2
2
3
3
3
3
3
4
4
4
4
4
5
5
5
5
5
6
6
6
6
6
7
7
7
7
7
8
8
8
8
8
9
9
9
9

271

I(V0)

(*)-----1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1

Corso di Elettrotecnica

0
2
4
6
8
0
2
4
6
8
0
2
4
6
8
0
2
4
6
8
0
2
4
6
8
0
2
4
6
8
0
2
4
6
8
0
2
4
6
8
0
2
4
6
8
0
2
4
6

1.0000E-02
_ _ _ _
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
0 E + 0 3
-

1.0000E-01 1.0000E+00
_ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _
1 . 4 6 2 E - 0 2
.
*
1 . 5 3 1 E - 0 2
.
*
1 . 6 0 5 E - 0 2
.
*
1 . 6 8 5 E - 0 2
.
*
1 . 7 7 0 E - 0 2
.
1 . 8 6 2 E - 0 2
.
1 . 9 6 1 E - 0 2
.
2 . 0 6 9 E - 0 2
.
2 . 1 8 6 E - 0 2
.
2 . 3 1 4 E - 0 2
.
2 . 4 5 4 E - 0 2
.
2 . 6 1 0 E - 0 2
.
2 . 7 8 2 E - 0 2
.
2 . 9 7 4 E - 0 2
.
3 . 1 9 0 E - 0 2
.
3 . 4 3 5 E - 0 2
.
3 . 7 1 4 E - 0 2
.
4 . 0 3 6 E - 0 2
.
4 . 4 1 1 E - 0 2
.
4 . 8 5 3 E - 0 2
.
5 . 3 8 2 E - 0 2
.
6 . 0 2 6 E - 0 2
.
6 . 8 2 5 E - 0 2
.
7 . 8 4 0 E - 0 2
.
9 . 1 6 7 E - 0 2
.
1 . 0 9 6 E - 0 1
.
1 . 3 4 6 E - 0 1
.
1 . 7 0 5 E - 0 1
.
2 . 2 0 1 E - 0 1
.
2 . 7 0 7 E - 0 1
.
2 . 7 5 9 E - 0 1
.
2 . 3 0 1 E - 0 1
.
1 . 8 0 6 E - 0 1
.
1 . 4 3 9 E - 0 1
.
1 . 1 8 3 E - 0 1
.
9 . 9 9 3 E - 0 2
.
8 . 6 3 8 E - 0 2
.
7 . 6 0 3 E - 0 2
.
6 . 7 9 0 E - 0 2
.
6 . 1 3 6 E - 0 2
.
5 . 6 0 0 E - 0 2
.
5 . 1 5 2 E - 0 2
.
4 . 7 7 3 E - 0 2
.
4 . 4 4 8 E - 0 2
.
4 . 1 6 7 E - 0 2
.
3 . 9 2 1 E - 0 2
.
3 . 7 0 3 E - 0 2
.
3 . 5 1 0 E - 0 2
.
3 . 3 3 8 E - 0 2
.
-

1.0000E+01 1.0000E+02
_ _ _ _ _ _ _ _ _
.
.
.
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
* .
*
. *
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
. *
*
*
* .
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
*
.
-

.
.
.
.
.
.
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.
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.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.

272

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

Il che rappresenta un dignitoso tentativo di ottenere un


grafico con un terminale non grafico o con una stampante a caratteri e quindi disponibili a chiunque. Ma,
naturalmente, si pu ottenere di pi. L'istruzione
.PROBE, infatti, contenuta nel file di ingresso, ha
richiesto a PSpice di creare un file in uscita, individuato con il suffisso .DAT, che contiene tutti i dati
delle elaborazioni effettuate. Un tale file pu essere
letto da un postprocessore grafico, PROBE, che in
grado di produrre grafici di alta qualit sulla base dei
dati forniti da PSpice. La stessa curva precedente assume ora la forma mostrata in figura.

Si riconoscer, a questo punto, agevolmente la curva di


risonanza del circuito RLC serie di cui al capitolo VI.
Le possibilit del postprocessore grafico PROBE sono
notevoli ed il suo uso rende estremamente agevole la
visualizzazione dei dati elaborati da PSpice.
Veniamo ora ad una dinamica transitoria e proponiamo
a PSpice i seguenti dati, relativi al circuito mostrato a
lato:

Luciano De Menna

Tran 1
*CIRCUITO RC,
V0
1
R1
1
C3
2
.TRAN 0.001
.PROBE
.END

Corso di Elettrotecnica

CARICA DI C
0
DC
2
50
0
1E-3
0.5
UIC

10
IC=0

La quarta linea del pacchetto di istruzioni assegna al


condensatore un valore iniziale della tensione ai suoi
morsetti di 0 volt (IC = 0, dove IC sta per Initial
Condition). La quinta linea richiede di valutare il transitorio a partire dall'istante t=0 fino a T=0.5ms, utilizzando le condizioni iniziali (UIC sta per Utilize Initial
Conditions). Il primo dato dell'istruzione chiede di
mostrare i risultati soltanto a partire da t=1ms.
La risposta, che d'ora in poi esamineremo prevalentemente utilizzando PROBE, fornisce il seguente grafico
del potenziale del nodo 2.

273

Luciano De Menna

274

Corso di Elettrotecnica

Che descrive il caratteristico andamento della tensione


di un condensatore durante un processo di carica. Si
noti che non stato necessario introdurre esplicitamente un interruttore nei dati forniti a PSpice; la presenza delle condizioni iniziali ha svolto un ruolo equivalente. Cambiando infatti tali condizioni
Tran 2
*CIRCUITO RC,
V0
1
R1
1
C3
2
.TRAN 0.001
.PROBE
.END

CARICA DI C
0
DC
2
50
0
1E-3
O.5
UIC

10
IC=20

l'andamento della tensione cambia di conseguenza:

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

La presenza di interruttori pu essere simulata anche in


maniera diversa utilizzando generatori ideali di tensione e di corrente con forma d'onda lineare a tratti, come
illustrato nell'esempio seguente che fa riferimento al
circuito mostrato nell'immagine a lato
Tran 3
*CIRCUITO RLC, OSCILLAZIONI
V0 1 0 PWL(0 0 1e-6 10 1000e-6 10)
R1
1
2
20
L2
2
3
10M
C3
3
0
1E-6
.TRAN 1e-9
2e-3
.PROBE
.END

La terza linea del pacchetto di istruzioni comunica a


PSpice che tra i nodi 1 e 0 inserito un generatore che
fornisce ai suoi morsetti una tensione che vale 0 al
tempo t = 0, 10V al tempo t=1s ed ancora 10V al
tempo t = 1 ms. PSpice interpola linearmente tra questi punti. In pratica con questa istruzione possibile
simulare un qualsiasi andamento della tensione approssimandolo con un andamento lineare a tratti
(PiceWise Linear).
Nel caso in esame, essendo il primo intervallo di variazione estremamente breve, la forma d'onda simulata
quella di un gradino di tensione.
La risposta di PSpice, analizzata con PROBE, fornisce
il seguente grafico della tensione sul condensatore:

275

Luciano De Menna

276

Corso di Elettrotecnica

Ma naturalmente possibile simulare andamenti pi


complessi, come nel caso dell'esempio riportato, che fa
riferimento al circuito mostrato e gi proposto nel capitolo VIII.
Tran 4
*RAMPA
V0 1 0 PWL(0
R1
1
C1
1
R2
2
L2
3
.TRAN 1e-3
.PROBE
.END

0 10 100 10.0001 0 100 0)


2
1
2
1
3
1
0
1
20

facile verificare che la forma d'onda descritta dalle


istruzioni per il generatore quella richiesta dal problema.
La risposta di PSpice fornisce il seguente andamento
per la corrente erogata dal generatore.

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

Nello stesso diagramma si riportato anche l'andamento della tensione ai morsetti del generatore.
Utilizzando i generatori lineari a tratti possibile
costruire anche modelli pi realistici di interruttori con
una resistenza bassa, ma non nulla, in chiusura ed una
elevata, ma non infinita, in apertura.
Infine, tra i componenti standard previsti da PSpice, si
trovano i diversi tipi di generatori controllati, generatori ad impulso finito, e generatori impulsivi.
Nelle librerie di PSpice si trovano poi tutti i possibili
bipoli, lineari e non, della moderna elettronica, simulati attraverso opportuni modelli. Solo a titolo di esempio, ecco come appare un file di ingresso in cui presente un diodo - vedi circuito a lato:

277

278

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

TRAN 5
*Diodo
MODEL DMOD D(Is=100u N=1 Xti=3 Eg=1.11 Fc=.5
Nr=2)
C1 2 0 1mF
R2 2 0 100
D1 1 2 DMOD
V0
1
0
SIN(010
50
0
0)
.PROBE
.TRAN 1u 0.05
.END

La terza riga specifica il particolare modello della


biblioteca che si intende utilizzare per il diodo; i parametri tra parentesi ne individuano la caratteristica.
La risposta di PSpice ci consente di tracciare l'andamento della tensione ai capi del resistore:

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

Come si vede essa quasi continua, nonostante la presenza del generatore sinusoidale. Il circuito in esame,
infatti, pu considerarsi un esempio elementare di convertitore CA/CC. Il motivo di un tale andamento si
comprende subito se si considera che il condensatore,
una volta caricato dal generatore di tensione, pu scaricarsi soltanto sul resistore in parallelo, dato che il
diodo non consente il passaggio di corrente nel senso
inverso; tale scarica avverr con la costante di tempo
imposta dal resistore. Quando la tensione del generatore riprende un valore superiore a quello della tensione
sul condensatore, lo stesso riprender la sua carica.
Non il caso in questa sede di dilungarci oltre sull'uso
di PSpice, o di codici analoghi, e sulle sue notevoli
potenzialit. Come si osservava all'inizio di questo
capitolo, nulla potrebbe mai essere sostitutivo di una
pratica sul campo, con l'ausilio di un buon manuale.

279

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

I segnali impulsivi
Un metodo completamente diverso di affrontare il problema della dinamica nei circuiti lineari quello basato
sulla convoluzione di risposte impulsive. Daremo una
sintetica introduzione di tale metodo, anche perch
esso pu facilmente essere generalizzato e trova largo
uso nella teoria dei Controlli Automatici.
Consideriamo un circuito molto semplice, e pi volte
esaminato in precedenza: il circuito di carica di un condensatore.
Il sistema alimentato da un generatore di tensione in
continua di valore unitario applicato, mediante un
interruttore, all'istante t = 0. Focalizziamo la nostra
attenzione sulla dinamica della tensione ai capi del condensatore, che supponiamo inizialmente scarico. In
altre parole possiamo dire che guardiamo al circuito
come ad un doppio bipolo che abbia in ingresso, ai
morsetti primari, il generatore di tensione ed in uscita
la tensione ai morsetti del condensatore.
Per inciso, un tale modo di vedere le cose generalizzabile ad una qualsiasi rete di n nodi ed l lati alimentata da un unico generatore ed inizialmente a riposo;
baster scegliere una opportuna uscita che potr essere
la tensione o la corrente interessante uno qualsiasi dei
bipoli costituenti la rete stessa. Il nostro interesse
rivolto alla determinazione di una relazione tra il segnale in uscita e quello in ingresso - il generatore che alimenta la rete. Per questo motivo necessario supporre
la rete inizialmente scarica o, come si dice, allo stato
zero; dobbiamo essere sicuri, infatti, che il segnale in
uscita dipenda esclusivamente dal segnale in ingresso e
non dalle particolari condizioni iniziali della rete.
Tornando al circuito di carica del condensatore, come
sappiamo, l'evoluzione della tensione ai suoi morsetti
data dalla relazione:

233

234

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

vc t = 1 - e- t RC .

(VIII.20)

Dopo un tempo teoricamente infinito il condensatore


raggiunge la tensione di un volt, perch tale e la tensione del generatore in ingresso. Un ingresso di tale tipo
viene anche detto gradino unitario e rappresentato con
il simbolo U(t) o 1(t). Si avr, quindi:
Ut =0
per t < 0 ,
(VIII.21)
Ut =1
per t > 0 .
Naturalmente potremo avere anche un gradino unitario di corrente, se il generatore di corrente e non di
tensione. Con i simboli U(t - t0) o 1(t - t 0) indicheremo
invece un andamento identico al precedente ma traslato nel tempo di un intervallo t0.
Supponiamo ora che il segnale in ingresso non sia un
gradino unitario ma che si annulli improvvisamente
dopo un certo intervallo di tempo . Chiameremo un
tale segnale impulso rettangolare di ampiezza ed useremo per esso il simbolo P(t) o P(t - t0), a seconda
dell'istante iniziale. Osserviamo che, utilizzando il simbolismo introdotto per la funzione a gradino possiamo,
definire l'impulso rettangolare alla seguente maniera:
P t = U t - U t - t0

(VIII.22)

Quando nel circuito di carica del condensatore la tensione del generatore si riduce a zero, il condensatore
comincia a scaricarsi attraverso lo stesso circuito - si
ricordi che un generatore ideale di tensione che eroga
una tensione nulla equivale ad un cortocircuito - con la
ben nota legge:
vc t = Vt 0 e-

t - t 0 RC

(VIII.23)

dove Vt0 la tensione raggiunta all'istante t0 dal condensatore nella sua carica precedente. L'andamento
quello caratteristico descritto nella figura.

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

235

Se ora proviamo a ridurre gradualmente l'ampiezza


dell'impulso rettangolare, la risposta del circuito si
modifica di conseguenza nella maniera mostrata nella
figura successiva, per alcuni valori di . Al limite, per
che tende a zero, la risposta tende ad essere identicamente nulla perch il condensatore non ha il tempo di
caricarsi.
Diversamente vanno le cose se in ingresso poniamo un
segnale pari a P(t)/. Si tratta di un impulso rettangolare la cui intensit varia in ragione inversa della sua
ampiezza temporale, cos come mostrato nelle immagi ni per due valori di .
interessante notare che:
t

d = 1 ,

(VIII.24)

per qualsiasi t > e qualunque sia . L'area sottesa


dalla curva che rappresenta l'andamento della funzione
integranda , infatti, sempre unitaria.
Semplici calcoli mostrano che, al tendere di a zero, la
risposta della rete a segnali del tipo P(t)/ non si
annulla ma tende ad un andamento del tipo:
vc t = V0 e- t RC .

(VIII.25)

Tutto si svolge quindi come se il condensatore si caricasse istantaneamente ad un particolare valore V0 per
poi successivamente scaricarsi con la solita legge esponenziale. Il valore di V0 non immediatamente noto;
esso potrebbe essere calcolato, naturalmente, ricavando l'espressione della curva luogo dei vertici dei diversi andamenti di carica/scarica del condensatore per
valori di decrescenti, e determinandone la sua intercetta con l'asse delle ordinate. un utile esercizio che
consigliamo; noi arriveremo allo stesso risultato per

236

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

altra via analizzando pi a fondo la natura del particolare segnale che stato in grado di caricare istantaneamente il condensatore.
In effetti, facendo tendere a zero, P(t)/ tende ad
una particolarissima funzione - in effetti essa non una
funzione nel senso classico e per introdurla si dovrebbe far ricorso alla teoria delle distribuzioni - che nulla
ovunque eccetto in un intorno arbitrariamente piccolo
dello zero, in cui essa tende ad assumere un valore illimitato; una tale funzione prende il nome di impulso di
Dirac e per essa si usa il simbolo (t).
In ultima analisi potremmo accettare per l'impulso di
Dirac la seguente definizione: (t) vale zero ovunque,
eccetto in t=0, dove per altro non definita, ma tale
che:

t dt = 1 ,

(VIII.26)

qualsiasi sia il valore di purch positivo. Infatti di tale


propriet godevano tutte le funzioni P(t)/ di cui
l'impulso di Dirac il limite. Naturalmente con il simbolo (t-t0) indicheremo l'impulso di Dirac applicato
nell'istante t0.
Con il formalismo introdotto possiamo affermare che
la (VIII.25) non altro che la risposta del circuito di
carica del condensatore quando in ingresso presente
un impulso di Dirac.
Osserviamo che, in base alla definizione (VIII.22),
possibile ricavare la seguente notevole relazione:
P t
t = lim
=
0
(VIII.27)
Ut -Ut-
dU t
= lim
=
.
dt
0

L'impulso di Dirac, quindi, pu essere interpretato


anche come la derivata della funzione gradino unitario.

Luciano De Menna

Corso di Elettrotecnica

Questa osservazione ci consente di ricavare facilmente


la risposta della rete ad una sollecitazione impulsiva.
Infatti, a causa della linearit della rete, e della linearit
della operazione di derivazione, possiamo affermare
che la risposta alla derivata di un ingresso deve coincidere con la derivata della risposta all'ingresso stesso. In
particolare, la risposta ad una sollecitazione impulsiva
deve coincidere con la derivata della risposta al gradino unitario. Ne consegue che alla (VIII.25) possiamo
giungere anche derivando la (VIII.20):
vc t = V0 e- t RC =
(VIII.28)
= d 1 - e- t RC = 1 e- t RC .
dt
RC
Nel seguito conveniamo di utilizzare il pedice per
indicare la risposta all'impulso unitario ed il pedice g
per indicare la risposta al gradino unitario; cos come
useremo il simbolo e(t) per indicare il generico ingresso (e sta per entrata) ed il simbolo u(t) per la risposta
o uscita.
Abbiamo cos ricavato, come anticipato, il valore della
tensione iniziale cui il generatore impulsivo riuscito a
caricare istantaneamente il condensatore:
V0 = 1 .
RC
Possediamo, dunque, una tecnica del tutto generale per
determinare la risposta ad una sollecitazione impulsiva
unitaria: basta calcolare la risposta ad una sollecitazione a gradino e successivamente derivarla. La determinazione della risposta al gradino unitario non pone
alcun problema, trattandosi, in pratica, della determinazione dell'evoluzione transitoria di una rete alimentata da un unico generatore in continua applicato all'istante t = 0. Una certa attenzione andr riservata, come
vedremo in seguito, all'atto della derivazione di tale
risposta, quando essa non nulla nell'istante iniziale.

237

Luciano De Menna

238

Corso di Elettrotecnica

Esercizi
Per l'esercizio riproposto nell'immagine a lato diamo il
valore della corrente erogata dal generatore:
i t = 5 - 2,5 e -100 t 1 sen 300 t + cos 300 t A .
3

Nell'immagine seguente lo stesso andamento tracciato in un diagramma.

Per il secondo esercizio diamo il valore della corrente


circolante nel resistore R 2:
i t = - 2 t e- t 500 1 t mA .

Nell'immagine successiva tracciato il grafico della


stessa i(t).

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239

L'integrale di convoluzione
Vediamo ora come la conoscenza della risposta alla sollecitazione impulsiva unitaria ci consente di determinare in forma chiusa la risposta ad una qualsiasi sollecitazione. Supponiamo che il generatore che alimenta il
sistema - l'ingresso - abbia un andamento qualsiasi e(t),
come mostrato nell'ultima immagine, e supponiamo
ancora che la rete sia lineare, tempo-invariante ed inizialmente allo stato zero. Costruiamoci una approssimazione e*(t) del segnale in ingresso nell'intervallo
(0,T) con una successione di impulsi rettangolari di
intensit opportuna ed ampiezza temporale fissata:
N

e* t =

e k P t - k ,

(VIII.29)

k=0

dove T=(N+1) e k=k con k=0,1,..,N. Abbiamo in


pratica diviso l'intervallo T in N+1 parti uguali di
ampiezza ed in ognuno di tali intervalli abbiamo
approssimato la funzione e(t) con un impulso rettangolare di ampiezza pari al valore della funzione nell'estremo di sinistra dell'intervallo. Si ha infatti:
e t = k = e* t = k ,
per ogni k compreso tra 0 ed N. Si noti ancora che, per
la validit dell'approssimazione (VIII.29), solo richiesto che t sia compreso nell'intervallo (0,T) e quindi che
t (N+1); un qualsiasi N in grado di soddisfare una
tale relazione pu essere un valido estremo superiore
per la sommatoria.
Consideriamo ora la e*(t) per valori di sempre pi
piccoli. Si intuisce immediatamente che quanto pi
piccolo tanto meglio e*(t) approssima la funzione
e(t) per ogni t appartenente (0,T). Quando tende a
zero, e quindi N tende all'infinito, e*(t) dovrebbe tendere al segnale in ingresso e(t) per ogni t appartenente

Luciano De Menna

240

Corso di Elettrotecnica

(0,T). L'espressione esplicita di un tale limite si ottiene


facilmente utilizzando il simbolismo della funzione
impulsiva e osservando che la (VIII.29) pu essere
alternativamente scritta:
N
P t - k
*
e t = e k
.
(VIII.30)

k=0
Infatti, nel limite in cui tende a zero, si ha, per definizione:
P t - k
lim
= t - k ,
0

e la (VIII.30) tende ad una somma di infiniti termini


infinitesimi e, quindi, ad un integrale:
T

e t - d .

et =

(VIII.31)

Tenendo conto dell'osservazione fatta in precedenza


sul valore di N, la (VIII.31) pu anche essere riscritta:
t

e t - d .

et =

(VIII.32)

In tal modo, se l'intervallo di integrazione l'intervallo


chiuso (0,t), abbiamo la certezza che l'istante t vi contenuto. Sul problema degli estremi di integrazione
ritorneremo tra poco quando tratteremo della risposta
al segnale in ingresso.
Si dice che la (VIII.31) esprime la propriet del campio namento della funzione impulsiva. Questa terminologia
si comprende se si riconosce che la funzione impulsiva
simmetrica e che, quindi (t-) = (-t). L'impulso
presente nella (VII.31) pu dunque essere visto come
un impulso applicato nell'istante t, mentre , la variabile di integrazione, gioca il ruolo di variabile corrente.
In quest'ottica la (VIII.31) ci dice che l'impulso ha la
capacit di campionare la funzione, con la quale com-

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pare nell'integrando, nel suo istante di applicazione t.


Tornando al nostro sistema, indicheremo con il simbolo h(t) la sua risposta ad un impulso rettangolare
applicato in ingresso; in altre parole h(t) rappresenta,
nel caso dell'esempio che stiamo trattando, la tensione
ai capi del condensatore, a partire dallo stato zero,
quando in ingresso presente un generatore di tensione descritto dalla funzione P(t).
Esaminiamo alcune propriet della funzione h(t),
implicite nella sua definizione. Innanzitutto si noti che
h(t)=0 per t<0, dato che l'effetto nel nostro sistema
non pu mai anticipare la causa che lo provoca (princi pio di causalit). Inoltre se moltiplichiamo P(t) per
una costante C, per la linearit della rete (nella rete ci
sono solo bipoli passivi lineari), la risposta a partire
dallo stato zero all'ingresso CP(t), dovr essere Ch(t).
Si noti che se la rete non fosse inizialmente a riposo
questa propriet non sarebbe verificata. Supponiamo
ora che l'ingresso sia un impulso rettangolare traslato
di k nel tempo: P(t-k). Allora per la propriet di
tempo-invarianza della rete la risposta a partire dallo
stato di riposo sar h(t-k), cio quella che si ottiene
traslando di k la risposta all'impulso P (t), (invarianza
per traslazione nel tempo). Ancora una volta, se la rete
fosse tempo-variante tale propriet non sarebbe soddisfatta in quanto la risposta all'impulso rettangolare
dovrebbe essere una funzione del tipo h(t,k), cio
dipendente anche dall'istante di applicazione dell'ingresso. Si noti che la possibilit di traslare l'uscita, per
avere la risposta ad un ingresso traslato, non dipende
dalla linearit della rete; inoltre quando la rete non
inizialmente a riposo la propriet di invarianza per traslazione nel tempo non pi soddisfatta. Per quanto
detto in precedenza immediato verificare che, se consideriamo un ingresso del tipo:

241

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242

CkP t - k

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allora la risposta, a partire dallo stato zero, dovr essere del tipo:

Ckh t - k

Ne consegue che la risposta ad un ingresso del tipo


descritto dalla (VIII.30) deve potersi porre nella forma:
N

u* t =

e k

k=0

h t - k

(VIII.33)

E questo, indipendentemente dal valore di . Nel limite in cui tende a zero la (VIII.30) tende alla (VIII.31),
che descrive il generico segnale in ingresso, e la
(VIII.33) tende a:
t

e h t - d .

ut =

(VIII.34)

Dove naturalmente la sommatoria di infiniti termini


infinitesimi si tramutata in un integrale e la h(t) la
risposta all'impulso.
A questo punto necessario qualche commento sugli
estremi dell'integrale nella (VIII.34). L'integrando
infatti pu contenere delle funzioni discontinue, in particolare delle funzioni impulsive che sono in grado di
fornire un contributo finito anche se integrate su di un
intervallo di ampiezza nullo; occorre dunque precisare,
per esempio, se come estremo inferiore intendiamo il
limite di t che tende a 0 da sinistra o da destra. facile rendersi conto che, solo se assumiamo come estremo
inferiore il limite di t che tende a zero da sinistra (0-) e
come estremo superiore il limite da destra (t+), possibile, con il formalismo di cui alla (VIII.34), tenere in
conto anche la presenza di eventuali impulsi presenti
in 0 ed in t, sia nel segnale in ingresso che nella risposta impulsiva. In ultima analisi la (VIII.34) va intesa:

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243

t+

e h t - d ,

u t = lim
0

(VIII.35)

o, con simbolismo pi sintetico:


t+

e h t - d .

ut =

(VIII.36)

0-

L'integrale di cui alla (VIII.34) prende il nome di integrale di convoluzione delle due funzioni e(t) ed h(t) e
gode di alcune propriet notevoli sulle quali, per, non
ci soffermeremo. Esso fornisce la risposta di una rete
lineare, tempo invariante ed inizialmente a riposo
(stato zero) ad un qualsiasi ingresso e(t), a condizione
che si conosca la funzione h(t), cio la risposta della
rete all'impulso. Questo risultato in effetti del tutto
generale: la risposta di un sistema lineare ad una sollecitazione impulsiva contiene tutte le informazioni
necessarie a caratterizzarne il suo funzionamento. A
questo punto il problema resta quello di calcolare h(t).
Abbiamo gi mostrato come il calcolo della risposta
all'impulso di una rete si riduce al calcolo della risposta
al gradino e successiva derivazione; abbiamo anche
anticipato, per, che la derivazione va effettuata con
qualche accorgimento. Per illustrare il problema ritorniamo al circuito di carica del condensatore e supponiamo di scegliere, come uscita, la corrente che in esso
circola invece della tensione ai suoi morsetti. Il calcolo
della risposta impulsiva si effettua derivando la risposta
al gradino e cio:
icg t = 1 e- t RC.
(VIII.37)
R
Si noti che allo stesso risultato, conoscendo gi la tensione prodotta da una sollecitazione impulsiva, si pu
arrivare facendo uso della caratteristica del condensatore:

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244

ic t = C

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dvc
= C d 1 e- t RC . (VIII.38)
dt
dt RC

Si tratta in ogni caso di derivare la stessa funzione.


Operando in maniera "ingenua" si potrebbe pensare
che il risultato di una tale derivazione sia:
ic t = -

1 e- t RC.
R2 C

(VIII.39)

Il dubbio che un tale risultato sia inesatto viene dalla


considerazione che la risposta in corrente cos calcolata ha un valore finito nell'istante t = 0; d'altra parte
abbiamo visto che la tensione sul condensatore "salta"
istantaneamente, a t = 0, da un valore nullo ad un valore finito V0. Un tale fenomeno pu accadere soltanto se
una carica finita Q, paria CV0, viene portata, in un
intervallo di tempo nullo, sulle armature del condensatore. evidente che una corrente finita non pu produrre un tale risultato!
L'apparente contraddizione si risolve se si riconosce
che la (VIII.37) non rappresenta adeguatamente la
risposta al gradino unitario applicato nell'istante zero.
La funzione descritta dalla (VIII.37), infatti, definita
e diversa da zero anche per t < 0; mentre, evidentemente, la risposta al gradino applicato in zero deve
essere nulla per t < 0. In effetti la (VIII.37) esprime la
risposta al gradino solo per t > 0; e questo era per noi
implicito. Ma quando deriviamo dobbiamo necessariamente tener conto che, mentre la funzione descritta
dalla (VIII.37) continua in t = 0, la risposta al gradino presenta una discontinuit nello stesso istante, con
limiti da sinistra e da destra distinti. Possiamo esplicitamente segnalare questa caratteristica utilizzando il
formalismo della funzione a gradino e scrivere:
icg t = 1(t) 1 e- t RC .
R

(VIII.40)

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245

Allora, derivando con la classica regola del prodotto di


due funzioni, si ottiene:
d1(t)
ic t = 1(t) d 1 e- t RC + 1 e- t RC
=
dt R
R
dt
(VIII.41)
= 1(t) - 1 e- t RC + 1 e- t RC (t) .
R
R2 C
Ritornando al formalismo in cui la validit per t > 0
implicitamente assunta, la (VIII.41) pu scriversi
anche:
ic t = - 1 e- t RC + 1 (t) . (VIII.42)
R
R2 C
Si noti che della funzione che moltiplica l'impulso di
Dirac si conservato soltanto il suo valore nello zero,
1/R. L'impulso, infatti, , per definizione, nullo in tutti
gli istanti diversi da quello di applicazione e quindi:
f t (t) = f 0 (t) .

(VIII.43)

L'espressione della risposta all'impulso cos determinata contiene un impulso di ampiezza 1/R nell'origine;
questa corrente impulsiva che responsabile della
istantanea carica del condensatore alla tensione V0. Per
verifica, calcoliamo la carica che l'impulso di corrente
(1/R)(t) riesce a portare all'istante zero sulle armature
del condensatore. Per definizione si ha:
0+

Q=

0+

i t dt =
0-

0-

1 t dt = 1 . (VIII.44)
R
R

e quindi la tensione iniziale sul condensatore risulta


pari a:
Q
V0 = = 1 .
C RC
Risultato gi trovato in precedenza.

246

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Corso di Elettrotecnica

Siamo dunque giunti alla conclusione che un impulso


di corrente k(t) carica istantaneamente un condensatore ad una tensione k/C; questo spiega anche perch il
valore di un impulso di corrente debba essere dato in
coulomb e non in ampere. Del resto, per definizione,
l'impulso ha le dimensioni dell'inverso di un tempo.
Queste considerazioni forniscono anche un metodo
per imporre le richieste condizioni iniziali su di un condensatore; basta disporre in parallelo ad esso un generatore di corrente impulsivo di valore pari a CV 0, dove
V0 la desiderata tensione iniziale sul condensatore.
Che il resto della rete non influenzi il percorso della
corrente erogata dal generatore impulsivo cosa che si
pu facilmente giustificare con il metodo del bilanciamento degli impulsi che tratteremo in seguito. Una giustificazione intuitiva, e molto utile nella pratica, si basa
sull'idea che un condensatore inizialmente scarico, presentando ai suoi morsetti una tensione nulla, viene
visto dal generatore impulsivo - che ha vita solo in un
istante - come un corto circuito; per questo motivo
tutta la corrente impulsiva del generatore confluisce nel
condensatore.
Comportamento del tutto opposto ha, naturalmente un
induttore. Per analizzare tale comportamento consideriamo quello che potremmo chiamare, a buon diritto, il
circuito di carica dell'induttore. Scegliamo la corrente
nell'induttore come uscita. La risposta al gradino :
iLg t = 1 1 - e- R t L ,
(VIII.45)
R
e quella all'impulso si ottiene derivando:
iL t = 1 e- R t L .
L

(VIII.46)

Si noti che in questo caso non si sono presentati problemi nella derivazione in quanto la risposta al gradino

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nulla in t = 0. Se si desidera invece ottenere la tensione sull'induttore dalla caratteristica, derivando la


(VIII.46), occorre tenere in conto la discontinuit nell'origine e si ottiene:
vL t = - R e- R t L + t .
(VIII.47)
L
La tensione sull'induttore presenta, dunque, un impulso.
Con linguaggio mutuato dal caso della carica del condensatore, possiamo dire che la presenza di un generatore impulsivo di tensione in serie all'induttore ha consentito di caricarlo istantaneamente alla corrente 1/L.
Successivamente l'induttore si scarica con la costante di
tempo imposta dal circuito; si osservi che per t > 0 il
generatore di tensione impulsiva, ai cui morsetti vi
una tensione ormai nulla, si comporta, naturalmente,
come un corto circuito, consentendo all'induttore di
scaricarsi.
A riprova di quanto detto, integriamo, in un intorno
dello zero, l'espressione che esprime l'equilibrio delle
tensioni in un ramo in cui siano presenti un induttore
ed un generatore impulsivo di tensione - si faccia attenzione ai rispettivi versi mostrati in figura:
vL = L diL - k t .
(VIII.48)
dt
Integrando si ottiene:
0+

L
0-

diL dt = L i 0+ - i 0- = k . (VIII.49)
L
L
dt

La misura di un impulso di tensione, dunque, espressa in volt per secondi o weber, che l'unit di misura
del flusso del campo magnetico. Si consiglia il lettore di
riesaminare tutte le relazioni ricavate in questo paragrafo per verificare in ognuna la coerenza dimensionale, tenendo conto delle dimensioni della funzione

247

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248

Corso di Elettrotecnica

impulsiva.
Si noti infine che in presenza di generatori impulsivi
non pi possibile richiedere alle tensioni sui condensatori ed alle correnti negli induttori di avere un comportamento continuo nel passaggio da un regime ad un
altro. I generatori impulsivi, come facile verificare
infatti, sono in grado di fornire una potenza infinita in
un intervallo di tempo virtualmente nullo; viene a cadere quindi l'ipotesi su cui avevamo fondato la necessit
della continuit delle variabili di stato.
Esercizi
Nei due problemi proposti nelle immagini a lato, si
richiede di calcolare la risposta all'impulso. L'uscita
prescelta nel primo caso la tensione sul condensatore
mentre, nel secondo caso, la tensione sull'induttore.
In entrambi i casi l'ingresso fornito da un generatore
impulsivo di corrente di 1 coulomb.
La tecnica da utilizzare quella classica: prima si calcola la risposta ad una sollecitazione a gradino e, successivamente, si deriva tale risposta facendo attenzione
ad eventuali problemi nell'origine.

Nel terzo problema la sollecitazione impulsiva e di tensione ed pari a weber. Come uscita si prescelta la
tensione sul condensatore che si assume inizialmente
scarico; si veda, nel risultato, il ruolo giocato dai due
condensatori.

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Nell'ultimo problema sono presenti due generatori,


uno solo dei quali di natura impulsiva; un generatore di
corrente di 0,5 coulomb. Sar utile risolvere il problema applicando la sovrapposizione degli effetti. L'uscita
prescelta la corrente i (t).

249

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250

Corso di Elettrotecnica

Il bilanciamento degli impulsi


Per determinare la risposta ad una sollecitazione
impulsiva, o per risolvere comunque un problema in
presenza di generatori impulsivi in una rete, la tecnica
di ricavare prima la risposta al gradino e poi, derivando, quella all'impulso, non l'unica possibile.
Osserviamo infatti che la funzione h(t), essendo la
risposta ad un ingresso impulsivo, la soluzione di una
equazione differenziale in cui a secondo membro compaiono, come termini noti, funzioni impulsive ed, eventualmente, derivate di funzioni impulsive. Le derivate
delle funzioni impulsive vengono dette impulsi di ordine superiore e corrispondono alla definizione implicita
nelle seguenti relazioni:
n

t = 0 per t 0

(VIII.50)

+
n

t dt =
-

n-1

con >0

L'impulso di ordine n la derivata dell'impulso di ordine n-1. In questo simbolismo l'impulso di Dirac l'impulso di ordine "1" e si conviene di omettere, in questo
caso, l'apice 1. Coerentemente, il gradino unitario pu
essere interpretato come l'impulso di ordine 0.
La presenza di tali impulsi di ordine superiore a secondo membro dell'equazione risolvente del circuito il
risultato delle operazioni di derivazione eventualmente
necessarie per giungere all'unica equazione differenziale di ordine n a partire dalle equazioni ottenute imponendo la validit delle leggi di Kirchhoff.
Orbene, immediato immaginare che la soluzione di
una tale equazione differisce da quella della sua omogenea associata soltanto per la presenza di funzioni

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Corso di Elettrotecnica

251

impulsive di ordine opportuno nell'origine - che assumiamo essere l'istante di applicazione del forzamento
impulsivo - perch solo nell'origine il termine noto dell'equazione diverso da zero. Non difficile a questo
punto costruire la soluzione cercata con una tecnica
che prende il nome di metodo del bilanciamento degli
impulsi e che si basa sul fatto che eventuali impulsi a
secondo membro non possono che essere compensati
da analoghi impulsi, dello stesso ordine, a primo membro dell'equazione. Occorre dunque modificare nell'origine l'integrale generale dell'omogenea associata in
modo tale che esso produca nell'equazione i desiderati
impulsi; eguagliando poi i coefficienti a primo e secondo membro degli impulsi di pari ordine, si ottengono le
relazioni necessarie a determinare le costanti incognite.
Un esempio chiarir meglio la procedura.
Consideriamo la rete tempo-invariante mostrata in
figura, in cui l'ingresso e(t) e la tensione v(t) sull'induttore l'uscita. Supponiamo che l'ingresso abbia
l'andamento descritto nel diagramma della stessa figura: una rampa nell'intervallo (0, T=10 s). Tale andamento pu essere descritto dalla seguente funzione:
e t = 10 t U t - U t - 10

(VIII.51)

Il forzamento nullo per t<0 e quindi, in mancanza di


altre indicazioni, dobbiamo desumere che la rete a
riposo per t= 0 -, cio:
iL t = 0 = 0;

vc t = 0 = 0.

(VIII.52)

Sono dunque verificate le ipotesi che consentono di


applicare il metodo dell'integrale di convoluzione:
linearit, rete tempo-invariante e stato iniziale di riposo. Pertanto la risposta della rete sar esprimibile utilizzando un integrale di convoluzione.
Per determinare la risposta all'impulso h(t), possiamo,

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252

Corso di Elettrotecnica

come abbiamo visto, determinare la risposta ad un gradino unitario e, derivandola ottenere la risposta all'impulso. Per la rete di figura, applicando la LKC e la
LKT, facile ottenere le equazioni risolventi (per t
compreso tra - e +):
iL = iC + iR1 ;
vC + v + v R2 = e t ;

(VIII.53)

vC = vR1 .
Ed utilizzando le relazioni caratteristiche dei bipoli
presenti nella rete, tenendo conto dei valori numerici
indicati in figura, si ottiene facilmente:
d2 v + 2 dv + 2v = d2 e + de .
dt
dt2
dt2 dt

(VIII.54)

L'equazione (VIII.54) del secondo ordine ed ha la


seguente equazione caratteristica dell'omogenea associata:
2

+2+2=0,

(VIII.55)

1,2 = - 1 j .

(VIII.56)

con radici:

Pertanto l'integrale generale della omogenea :


v t = U t e- t Aej t + Be- j t .

(VIII.57)

La presenza di U(t) ricorda che tale funzione la soluzione solo per t>0.
Le due costanti A e B possono essere calcolate in base
alla conoscenza dei valori di v e dv/dt in t = 0 +. D'altra
parte, essendo iL(t=0+) = iR2(t=0+) = 0, anche vR2(t=0+) = 0 e
quindi, dalla seconda delle (VIII.53), si ricava:
v(t=0+) = e(t=0+) = 1.

(VIII.58)

Inoltre, sostituendo l'espressione di vC ottenuta dalla


seconda delle (VIII.53) nella prima, si ottiene:

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253

dv + 2 v + 2 iL = e + de .
dt
dt

(VIII.59)

Tenendo conto della (VIII.58) e del fatto che per un


ingresso a gradino
e t = 0+ = U t = 0+ = 1 ,
de
dt

= dU
dt
t = 0+

(VIII.60)

=0,
t = 0+

si ottiene:
dv
dt

=-1.

(VIII.61)

t = O+

Le (VIII.58) e (VIII.60) forniscono dunque:


A + B = 1,
- (A + B) + j (A - B) = - 1,

(VIII.62)

da cui si ottiene A = B = 1/2, e la risposta al gradino


unitario :
g(t) = U(t) e- t cos t .

(VIII.63)

Derivando la risposta al gradino si ottiene la risposta


all'impulso:
h(t) = - U(t) e- t sen t + cos t +
+ (t)e- tcos t.

(VIII.64)

Tenendo conto del fatto che la funzione impulsiva


nulla per t0 e che all'istante t=0 la funzione e-t cos t
vale 1, la (VIII.64) si pu anche scrivere:
h(t) = - 2 U(t) e- t sen t + 4 + (t) .(VIII.65)
Proviamo a ritrovare lo stesso risultato per altra via con
il metodo del bilanciamento degli impulsi. La h(t)
infatti deve essere soluzione della equazione:
d2 v + 2 dv + 2v = 3 t + 2 t , (VIII.66)
dt
dt2
ottenuta dalla (VIII.54) tenendo conto che, in questo

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254

Corso di Elettrotecnica

caso, e(t)=(t). D'altra parte la (VIII.57) soluzione


della omogenea associata e quindi differisce dalla soluzione della (VIII.66) stessa soltanto per il suo comportamento nell'origine; nel nostro caso infatti il termine
noto diverso da zero solo nell'origine. Ne consegue
che se riusciamo a modificare la (VIII.57) in modo tale
che il suo andamento per t>0 non venga disturbato, ma
che invece il valore che essa assume nell'origine sia in
grado di soddisfare la (VIII.66), avremo trovato la
nostra soluzione. Ci possibile in effetti, ed in modo
del tutto generale, aggiungendo alla (VIII.67) impulsi
di ordine opportuno centrati nell'origine. In particolare, nel nostro caso, derivando la (VIII.57), tenendo
conto della presenza del gradino unitario, si ha:
dv = dU v0 t + U(t) dv0 =
dt
dt
dt
= A + B (t) + U(t) dv0 ;
dt

(VIII.67)

dove si posto:
v0 t = e- t A ejt + B e- jt .

(VIII.68)

Derivando una seconda volta:


d2 v = A + B (2) (t) + dU dv0 + U(t) d2 v0 =
dt dt
dt2
dt2
(VIII.69)
2
(2)
= A+B (t) - A+B +j A-B t + U(t)d v0 .
dt2
Sostituendo tali espressioni nella (VIII.66), non si
avrebbero a primo membro impulsi di ordine 3 e non
sarebbe quindi possibile bilanciare l'impulso dello stesso ordine presente a secondo membro. Se ne conclude
che la soluzione della (VIII.66) deve essere del tipo:
h(t) = U(t) e- t Aejt + Be- jt + k t , (VIII.70)

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Corso di Elettrotecnica

255

con il che nella derivata seconda di h(t) comparir


almeno un impulso di ordine 3.
Infine, inserendo la (VIII.67) nella (VIII.66), si determinano i valori delle costanti A e B, bilanciando opportunamente gli impulsi a primo ed a secondo membro,
cos come mostrato negli sviluppi seguenti:
d2 h + 2 dh + 2 h = A + B (1) (t) +
dt
dt2
2

t + U(t) d v0 + k t +
dt2
(VIII.71)
(2)
dv
0
+ 2 A + B) t + U(t)
+ k t +
dt
+ - A+B +j A-B

+ 2U(t) v0 t =

(3)

(2)

t +

(2)

(3)

t .

Ordinando ed eguagliando i coefficienti degli impulsi


dello stesso ordine a primo ed a secondo membro:
k = 1,
A + B + 2 = 1,

(VIII.72)

- A+B +j A-B + 2 A+B + 2 = 0.


Se ne ricava, quindi:
k = 1,
j-1
,
2
j+1
B =,
2
A =

(VIII.73)

e quindi:
-t

h(t) = U(t) e
2

j - 1 ejt - j + 1 e- jt + t =
(VIII.74)
= - U(t) 2 e- t sen t + 4 + t .

Risultato che, naturalmente, coincide con quello precedentemente trovato. Si noter che, per determinare
direttamente la risposta all'impulso, non si fatto uso

Luciano De Menna

256

Corso di Elettrotecnica

delle condizioni iniziali; infatti, come si detto, quando nella rete sono presenti generatori impulsivi, che
per la loro stessa natura sono in grado di fornire potenze infinite, non pi possibile imporre la continuit
delle grandezze di stato nell'istante di applicazione dell'impulso. Nel nostro caso, per esempio, con condizioni di riposo della rete all'istante 0-, facile controllare
che mentre la tensione sul condensatore si mantiene
continua, la corrente nell'induttore subisce una discontinuit:
iL t = 0+ - iL t = 0- = 1.
Tornando ora al problema iniziale, esprimiamo la
risposta all'ingresso a forma di rampa mediante l'integrale di convoluzione. Si avr:
t+
t-

e-

v(t) = - 2
0-

sen t - + e() d +
4
(VIII.75)

t+

t - e() d ;

+
0-

o anche:
t+

v(t) = - 2e- t
0-

esen t-+ e() d +


4
(VIII.76)

+ e(t).
Per valutare l'integrale che ancora compare nella
(VIII.77), conviene distinguere i due casi t<10 s, e t>10
s (si ricordi che il forzamento a rampa applicato per
soli 10 secondi). Nel primo caso si ottiene:
t+

v(t) = - 2e- t
0-

+ 10t .

esen t-+ 10 d+
4
(VIII.77)

Luciano De Menna

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Mentre nel secondo:


10

v(t) = - 2e- t
0t+

- 2e- t
10

esen t - + 10 d+10t +
4
(VIII.78)

esen t - + e() d ,
4

Dove si scomposto l'integrale in due parti, delle quali


la seconda identicamente nullo, in quanto l'integrando nullo per > 10 s, perch tale la e().
Per reti non troppo complesse possibile utilizzare un
altro metodo per la determinazione della risposta
all'impulso, che potremmo definire metodo della deter minazione diretta delle condizioni iniziali; tale metodo
basato sulle seguenti considerazioni.
Come abbiamo visto i generatori impulsivi - che supponiamo applicati nell'istante t = 0 - sono in grado di
modificare istantaneamente le condizioni iniziali in una
rete: le correnti impulsive che attraversano i condensatori hanno la capacit di caricarli istantaneamente,
mentre le tensioni impulsive in serie agli induttori sono
in grado di stabilire istantaneamente in essi una corrente di valore finito. Per t>0 l'azione dei generatori
impulsivi cessa di farsi sentire direttamente: i generatori impulsivi di corrente si comportano come dei bipoli
aperti, mentre quelli di tensione si comportano come
dei corto circuiti. Per t > 0, quindi, una rete con soli
generatori impulsivi applicati nell'origine dei tempi, si
comporta come se fosse in evoluzione libera a partire
dalle condizioni iniziali raggiunte all'istante t = 0. Se si
in grado, dunque, di valutare le condizioni iniziali
imposte dai generatori impulsivi, la dinamica successiva si determina facilmente utilizzando le equazioni dell'evoluzione libera. Il caso della determinazione della

257

258

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risposta all'impulso rientra nelle condizioni descritte.


In generale non difficile determinare direttamente le
condizioni iniziali imposte dai generatori impulsivi.
Per esempio nella rete che stiamo esaminando, alimentata con un generatore impulsivo e(t)=(t), chiaro
che, comportandosi il condensatore inizialmente come
un corto circuito e l'induttore come un circuito aperto
(non pu esservi dunque corrente nel resistore R e,
quindi neanche tensione ai suoi morsetti), l'impulso di
tensione pu essere equilibrato solo dalla tensione ai
morsetti dell'induttore. Vi sar dunque un impulso di
ampiezza unitaria nella risposta v(t) - come uscita
abbiamo infatti scelto proprio la tensione sull'induttore. La conseguente evoluzione libera del sistema, poi,
dovr partire dalle condizioni iniziali vc(0)=0 e
iL(0)=1/L, dato che l'impulso di tensione, nel nostro
caso, unitario.
Per L = 1 H, si ha iL(0) = 1, e le costanti A e B della
soluzione dell'omogenea associata di cui alla (VIII.69)
saranno determinate dalle equazioni:
v(0) = A + B = 1 ,
(VIII.79)
dv
= - (A + B) + j (A - B) = 0.
dt t = 0
che si ottengono rispettivamente dalla seconda delle
(VIII.53) e dalla (VIII.59), tenendo conto delle condizioni iniziali e del fatto che, per la soluzione dell'omogenea, dobbiamo annullare i secondi membri delle citate equazioni.
Val la pena di osservare che le costanti A e B calcolate
con le tre diverse metodologie adottate, sono diverse:
nel primo caso sono le costanti che entrano nella determinazione della risposta al gradino, nel secondo quelle
che direttamente ci forniscono la risposta all'impulso
(metodo del bilanciamento), e nel terzo caso sono le
costanti relative all'evoluzione libera a partire da con-

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dizioni assegnate. Nei tre casi, per, come evidentemente necessario che sia, il risultato finale lo stesso.
Esercizi
La risposta all'impulso di corrente, nel primo problema
mostrato nella colonna delle immagini, :
vC(t) = 1 e- t RC.
C

Mentre nel secondo caso si ha:


iL(t) = R e- 2Rt L.
L

Si noti che mentre la corrente nell'induttore non presenta comportamenti impulsivi, la tensione sullo stesso
contiene un impulso di ampiezza R:
2

vL(t) = - 2 R e- 2Rt L + R (t).


L

259

260

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La risposta al quesito del problema successivo :


v(t) = 1500 e- 500 t .

Per il caso del circuito alimentato da due generatori, la


corrente nel ramo dell'induttore :
i(t) = 1 - 1(t) 250 sen ( 500 t) e- 500 t .
Si noti che il gradino unitario non moltiplica il termine
costante; a rigore, infatti, tale termine presente anche
per t minore di zero.

Infine viene proposto un ultimo problema da affrontare con il metodo dell'integrale di convoluzione.

Capitolo X

La trasformata di Laplace
La soluzione delle reti in regime dinamico pu essere ricercata anche con un altro metodo che si basa sulle notevoli propriet di una trasformazione, detta di Laplace. Il metodo ricalca quello utilizzato per il regime sinusoidale, ma molto pi generale.
Ricordiamo brevemente definizione e propriet della trasformata di Laplace.
Consideriamo una funzione del tempo f(t) definita sullintervallo (0,). La trasformata
di Laplace della funzione f(t) definita dallintegrale:

f t e-pt dt,

F(p) =

(X.1)

0-

dove p una variabile complessa. Il fatto che per lestremo inferiore dellintegrazione
si sia utilizzato il simbolo 0- sta ad indicare che si prender in considerazione il limite
da sinistra dellintegrale. In questo modo se f(t) contiene nellorigine un impulso k(t)
esso contribuisce allintegrale; come abbiamo gi visto, la presenza di impulsi nellorigine indice del fatto che la rete non , in generale, a riposo nellistante iniziale. Daltra
parte lintegrale nella (X.1) un integrale improprio, quindi anche lestremo superiore
implica una operazione al limite. In altri termini la (X.1) va intesa come forma breve per:
T

Fp =

f t e-pt dt.

lim

T ,

Partendo da quanto detto per introdurre il metodo dei fasori, proviamo ad analizzare
la trasformazione (X.1) con lo scopo di comprenderne meglio la sua struttura e quindi

282

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le sue funzioni.
Come ricorderete lobiettivo che ci proponevamo nellintrodurre il metodo dei fasori
era quello di trasformare linsieme delle funzioni sinusoidali - soluzioni di regime delle
equazioni diffrenziali che governano i circuiti lineari quando il forzamento appunto
sinusoidale - in un altro insieme nel quale le operazioni di calcolo fossero pi agevoli.
In particolare era necessario che nellinsieme di arrivo fossero conservate le operazioni
di prodotto per una costante, somma e derivazione e che questultima si riducesse ad
una operazione algebrica (prodotto per j) in modo tale da trasformare le equazioni differenziali di partenza in equazioni algebriche.
Il fatto che ogni elemento dellinsieme di partenza era individuato da tre parametri frequenza (o pulsazione), ampiezza (o valore efficace) e fase iniziale - ci port ad individuare linsieme delle funzioni complesse di variabile reale del tipo Aej(t+) come un
possibile insieme di arrivo. In particolare, poi, volendosi limitare alle sole grandezze
sinusoidali della stessa frequenza, i parametri diventavano due e questo ci ha consentito di ridurre linsieme di arrivo a quello dei numeri complessi - caratterizzati appunto
da due valori, parte reale e coefficiente dellimmaginario.
Questa volta il problema pi arduo in quanto linsieme di partenza e quello di tutte
le funzioni di una sola variabile reale a partire da un punto iniziale o almeno di una classe abbastanza ampia di tali funzioni. Tale infatti linsieme delle possibili soluzioni delle
equazioni differenziali che governano la dinamica di un circuito a partire da un istante
iniziale t=0. Ogni elemento di un tale insieme di partenza individuato da una infinit
di valori: tutti i valori che la specifica funzione f(t) assume tra 0 ed infinito. Linsieme di
arrivo dovr avere la stessa dimensione e la trasformazione dovr tenere conto di tutti i
valori della funzione di partenza f(t). Dovendosi poi conservare le operazioni di somma
e di prodotto per una costante chiaro che dobbiamo pensare ad una operazione di
tipo lineare che per definizione gode di tali propriet.
La (X.1) soddisfa queste condizioni in virt delle propriet della operazione di integrazione. Essa definisce effettivamente una trasformazione che, se lintegrazione a secondo
membro esiste (esamineremo tra breve questo aspetto), fa corrispondere a funzioni f(t)
dellinsieme di partenza funzioni F(p) dellinsieme di arrivo. Infatti a causa dellintegrazione la variabile t scompare e quello che resta solo funzione della variabile p.
Si noti il ruolo svolto dallesponenziale e-pt: esso, da una parte, introduce la nuova
variabile p dalla quale dipendono le funzioni dellinsieme di arrivo della trasformazione e dallaltra gioca il ruolo di una sorta di funzione peso che in qualche modo contrassegna i singoli valori assunti dalla funzione f(t) in modo tale che di essi non si perda
memoria individuale nellinsieme di arrivo. Si noti anche che lintegrazione deve neces-

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283

sariamente essere impropria - e cio estesa ad un intervallo illimitato - altrimenti


si rischierrebbe di non tener conto di parte della funzione di partenza.
Che il ruolo di funzione peso venga svolto dalla funzione esponenziale e-pt in realt
una scelta obbligata se si vuole che loperazione di derivazione nellinsieme di arrivo si
riduca ad una operazione algebrica. Supponiamo infatti di aver individuato nella forma
generale descritta dalla (X.2) la nostra trasformazione, dove la funzione peso svolta da una generica funzione g(p,t)

F(p) =

f t g p,t dt,

(X.2)

e proviamo a calcolare la trasformata della derivata di f(t):

df t
g p,t dt = f(t) g(p,t)
dt

dg p,t
f t dt.
dt

(X.3)

Nella X.2 si effettuata una integrazione per parti e si tenuto conto del fatto che la
variabile p in questo caso gioca il ruolo di un semplice parametro.
Dalla relazione trovata si deduce che se si vuole che la derivazione si riduca ad una semplice operazione algebrica, occorre che la g(p,t) soddisfi la seguente equazione:
dg p,t
= h(p) g p,t .
(X.4)
dt
dove h(p) una funzione della sola p. Solo in tal caso, infatti, lintegrale a secondo
membro della (X.3) ancora nella forma della trasformata (X.2). Se poi si aggiunge la
richiesta che la relazione algebrica sia anche lineare la funzione h(p) deve evidentemente ridursi alla sola p e di conseguenza lequazione (X.4) avr per soluzione ept.
Lesponenziale e -pt nella (X.1) - la scelta del segno meno naturalmente arbitraria ma
corrisponde ad una esigenza di razionalizzazione che sar pi chiara a valle delle considerazioni che stiamo per sviluppare - svolge anche unaltro ruolo. Come si gi rilevato, lintegrale che figura nella (X.1) necessariamente improprio e per questo motivo
pu divergere se la funzione f(t) non ha un comportamento adeguato per t che tende
allinfinito. Ci rischia di limitare la classe di funzioni che ammette la trasformata. Se
indichiamo con la parte reale di p e con il suo coefficiente dellimmaginario, la (X.1)
pu essere scritta:

f t e-t e-jt dt,

F(p) =

(X.5)

dove messo in evidenza il ruolo svolto da nel contribuire a smorzare landamen-

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284

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to della funzione integranda per t che tende allinfinito: in pratica c da aspettarsi che
per positivo sufficientemente grande anche per funzioni f(t) che divergono per t che
tende allinfinito lintegrale della (X.1) esista.
Nonostante tutte le precauzioni prese non per tutte le funzioni f(t) definite in (0,) lintegrale di cui alla (X.1) esiste ed finito. Ad esempio se consideriamo la funzione et,
la funzione integranda nella (X.1) :
f t e-pt = e - t e- jt .
Se >, lintegrale (X.1) esiste ed finito, mentre se = esso non esiste e se < esso
2
illimitato. Invece se consideriamo la funzione et , la funzione integranda :
f t e-pt = e t -

e- jt .

In questo caso non esiste alcun valore di , finito, per cui lintegrale (X.1) sia finito.
Ogni funzione f(t) definita sullintervallo (0,), per la quale esiste un valore di tale
che lintegrale (X.1) esiste ed finito, si dice trasformabile secondo Laplace. Come illustreremo, infatti, tra breve con alcuni esempi, basta che lintegrale esista e sia finito per
un qualsiasi valore di , perch la trasformata F(p) possa essere estesa a tutto il piano.
Il pi piccolo valore di per cui ci accade si dice ascissa di convergenza per lintegrale di Laplace ed il semipiano a destra di tale valore prende il nome di semipiano di con vergenza. Si mostra facilmente che ogni funzione f(t) per cui verificata la condizione
f t M e0t
per ogni t>0, con M ed 0 costanti positive, trasformabile secondo Laplace.
Loperazione di trasformazione verr indicata con il simbolo L:
F(p) = L[f(t)] .

(X.6)

Per maggior chiarezza riesaminiamo il caso della funzione f(t)=et con reale affrontato in precedenza. Abbiamo:

F(p) =

e
0-

-p t

e -p t
dt =
-p 0 -

(X.7)

Se <Re{p}, si ottiene:
Fp =Lft = 1 .
p-

(X.8)

Lespressione (X.8) stata ottenuta con il vincolo Re{p}>; essa ha senso, per, in tutto

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285

il piano complesso salvo che nel punto p= dove esplode - si dice che F(p) ha un polo
in p=.
Un caso particolarmente significativo quello della funzione impulsiva: f(t)=(t).
Infatti, utilizzando la propriet di campionamento dellimpulso, si ottiene:

Lt =

t e-pt dt = 1.

(X.9)

0-

Allo stesso risultato si giunge anche utilizzando la definizione dellimpulso (t) come
limite della funzione P (t)/ per che tende a zero.
Infine consideriamo la funzione gradino unitario: f(t)=U(t). Abbiamo facilmente:

F(p) =

e- p t dt = -1p e- p t
0-

(X.10)
0

Se Re{p}>0, si ha:
F(p) = L u t = 1p .

(X.11)

Anche in questo caso la F(p) descritta dalla (X.11) pu essere estesa a tutto il piano
complesso salvo che al punto p =0, dove esplode (in questo punto la funzione ha un
polo).
La trasformata di Laplace gode di alcune notevoli propriet. In primo luogo la propriet di unicit: se la funzione f(t) definita in (0,) trasformabile secondo Laplace,
allora la sua trasformata unica. Questo risultato immediato se si pensa a come la trasformata stata definita.
Per quanto riguarda il problema inverso, si pu dimostrare il seguente teorema: se due
funzioni f e g hanno la stessa L-trasformata allora deve risultare:

f t - g t dt = 0.

(X.12)

0-

Il che implica che f e g coincidono, a meno di un numero finito di discontinuit di prima


specie. Loperazione definita dalla trasformata di Laplace stabilisce, dunque, una corrispondenza biunivoca tra le funzioni f(t) definite in (0,) e le funzioni trasformate F(p).
Loperazione di antitrasformazione, che associa alla L-trasformata F(p) la funzione f(t),
prende il nome di antitrasformata di Laplace e e viene indicata con L1:

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286

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f(t) = L-1[F(p)] .

(X.12)

In particolare lantitrasformata (per t > 0) si pu ottenere attraverso una integrazione


lungo una retta, nel piano complesso, appartenente tutta al semipiano di convergenza,
come indicato nella seguente formula di Fourier-Riemann:
+ j

f(t) = 1
2j

F p ept dp.

(X.13)

- j

In generale, per, non sar necessario fare ricorso a tale integrazione, salvo in casi eccezionali, in quanto sar, in generale, facile determinare lantitrasformata utilizzando la
conoscenza di trasformate note e le propriet della trasformazione. Nella tabella (X.I)
sono riportate alcune trasformate notevoli di frequente uso nella risoluzione di reti elettriche.
Il fatto che lantitrasformata sia unica, come la trasformata, rende particolarmente interessante la trasformata di Laplace sul piano operativo. Infatti possiamo immaginare di
trasformare un problema nel dominio del tempo in quello corrispondente nel dominio
trasformato, risolverlo in questo dominio e poi ritornare nel dominio di partenza.
Lutilit di operare nel dominio trasformato una immediata conseguenza delle propriet della trasformata di Laplace che abbiamo messo in luce nella introduzione e che
qui riassiumiamo in forma esplicita.
In primo luogo loperazione di L-trasformata unoperazione lineare; se, infatti, le trasformate di due funzioni f 1(t) ed f2(t) sono, rispettivamente, F 1(p) ed F2(p), e se c 1 e c2
sono due costanti arbitrarie, allora si ha:
L[c1f1(t) + c 2f2(t)] = c 1F1(p) + c 2F2(p).
In secondo luogo, la trasformata di Laplace riduce loperazione di derivazione ad una
operazione di moltiplicazione. Si ha infatti in base alla (X.3), opportunamente riscritta
per g(p,t) = p:
L df = pF p - f 0- ,
dt
dove F(p) la trasformata della funzione f(t) ed f(0- ) il suo valore in t=0-.

(X.14)

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287

Tabella X.I
funzione

trasformata

t
ut

pn
1
p

tn
n!

1
pn+1
1
p+

e-t
tn e-t
n!

1
p+ n+1
p

cos t

p2 +

sint

p2 +

p+

e-t cos t

p+ 2 +

e-t sin t
Ae-t cos t +

B-A

e-t sin t

p+ 2 +
Ap +B

p+ 2 +

La trasformata di Laplace ed i circuiti elettrici.


A questo punto chiaro come si pu procedere. Una volta ottenuto il sistema di equazioni differenziali risolvente per la dinamica di un circuito, lo si trasforma nel dominio

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288

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della variabile p, ottenendo un sistema di equazioni algebriche per le trasformate delle


grandezze incognite. Risolvendo tale sistema e antitrasformando si determinano le grandezze incognite nel dominio della variabile t. Si noti che, a causa della propriet (X.14),
le condizioni iniziali entrano direttamente nel sistema di equazioni. La soluzione, quindi, ne terr automaticamente conto.
Ma in effetti si pu fare di pi: si pu estendere il concetto di impedenza, introdotto
per il regime sinusoidale, anche ai regimi qualsiasi, cos come illustrato nel seguito.
Consideriamo una rete elettrica in regime dinamico qualsiasi costituita da n nodi ed l
lati; volendo studiare il suo funzionamento nellintervallo (0,t), scriviamo in primo
luogo le equazioni che esprimono la validit delle leggi di Kirchhoff per le correnti e le
tensioni nella rete. In forma sintetica potremo esprimere tali equazioni con il seguente
simbolismo:

j () ij(t) = 0

per ogni nodo,

(X.15)

j () vj(t) = 0

per ogni maglia.

(X.16)

Ogni tensione ed ogni corrente , naturalmente, definita nellintervallo (0,).


Supponiamo che ognuna di queste grandezze sia trasformabile secondo Laplace. Allora,
se L{ij(t)}=Ij(p) e L{vj(t)}=Vj(p), le equazioni (X.15) ed (X.16) possono essere scritte:

j () Ij(p) = 0

per ogni nodo,

(X.17)

j () Vj(p) = 0

per ogni maglia.

(X.18)

Queste equazioni, in pratica, si riferiscono ad una rete trasformata che ha la stessa


topologia della rete effettiva (cio lo stesso grafo); alla generica coppia {vj(t), ij(t)}, di
tensioni e correnti associate ad ogni lato, si sostituita la coppia {Vj(p), Ij(p)} delle trasformate che verificano le (X.17) e le (X.18), ovvero le leggi di Kirchhoff.
Resta da stabilire quale sia il legame tra la tensione trasformata V(p) e la corrente trasformata I(p) relativa ad ogni lato. Tale legame, ovviamente, dipende dalla natura del
bipolo inserito nello specifico lato della rete effettiva. Ci limiteremo a considerare reti
di generatori indipendenti di tensione e di corrente, contenenti bipoli passivi lineari e
tempo-invarianti (resistori, induttori, condensatori, doppi bipoli lineari e tempo-invarianti). Avremo dunque essenzialmente le seguenti possibilit:

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289

Bipoli attivi ideali


Al generatore di tensione ideale e(t) corrisponde nel dominio trasformato un generatore descritto da E(p)=L{e(t)}. Come nel generatore effettivo, la corrente che in esso circola dipende dalla rete in cui inserito. Analogamente, al generatore indipendente di
corrente j(t) corrisponde il generatore trasformato I(p)=L{j(t)}. La tensione sul generatore dipende dalla rete in cui inserito.
Bipoli passivi lineari e tempo invarianti
Osserviamo in primo luogo che per un generico bipolo caratterizzato dalla coppia V(p),
I(p) (convenzione dellutilizzatore), se il rapporto V(p)/I(p) indipendente sia da V(p)
che da I(p), se cio:
Vp
=Zp,
(X.19)
Ip
il modello matematico definito dalle (X.17), (X.18) e (X.19) del tutto analogo a quello delle reti lineari in regime stazionario o a quello delle reti in regime sinusoidale rappresentate nel dominio simbolico dei fasori. La grandezza Z(p) prende il nome di impe denza operatoriale.
Ci effettivamente accade per il bipolo resistore; si ha infatti:
vt =Rit

Vp =RI p,

(X.20)

e quindi Z(p) = R, indipendente da V(p) e da I(p).


Per linduttore, invece, abbiamo:
v t = L di
dt

Vp =pLIp -Li0 ,

i t = C dv
dt

Ip =pCVp -Cv0 .

e per il condensatore:

(X.21)

(X.22)

Anche per linduttore ed il condensatore possiamo, dunque, definire una impedenza


operatoriale se risulta, rispettivamente, i(0- )=0 e v(0 - ) = 0, se, cio, i bipoli a memoria
della rete sono inizialmente nello stato di riposo. Pertanto il concetto di impedenza operatoriale Z(p) pu essere utilizzato se, e solo se, la rete inizialmente a riposo.
Riassumendo, nel caso di reti inizialmente a riposo possiamo costruire una rete di impedenze operatoriali corrispondente alla rete data, descritta dal modello matematico definito dalle (X.17), (X.18) e (X.19). Per una tale rete trasformata possiamo utilizzare tutti

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290

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i risultati ottenuti a livello formale nello studio delle reti in regime stazionario. Daltra
parte, come abbiamo visto in precedenza, ogni bipolo inizialmente non in riposo pu
essere visto come un bipolo inizialmente nello stato zero, a patto di aggiungere opportuni generatori impulsivi che tengano conto delle condizioni iniziali. Queste considerazioni ci consentono di utilizzare il concetto di impedenza operatoriale anche nelle reti
inizialmente non allo stato zero.

Un esempio
Un esempio chiarir meglio i diversi aspetti connessi all' applicazione di un tale metodo. La rete descritta in figura. (X.1); il generatore di tensione fornisce una tensione
e(t)=10sen 4t; allistante t=0 linterruttore viene chiuso. In tale istante la tensione sul
condensatore nulla, mentre nellinduttore presente una corrente di 2A.

Fig.X.1
Non essendo la rete inizialmente a riposo, possiamo ricondurla ad una rete allo stato
zero introducendo un generatore di tensione impulsiva pari a 0(t), con 0=Li(0-)=2
weber, cos come mostrato in Fig.X.2.

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291

Fig.X.2
La rete di impedenze operatoriali equivalente mostrata in Fig.X.3, dove E1(p)=40/(p2
+ 16) ed E 2(p)=2.

Fig,X.3
Essendo presenti due generatori, possiamo applicare la sovrapposizione degli effetti e
determinare la soluzione I(p) come somma delle soluzioni I1(p) ed I 2(p) rispettivamente delle due reti mostrate in Fig. X.4

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292

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Fig.X.4
Per la soluzione delle due reti in esame conviene effettuare una trasformazione triangolo stella del triangolo formato dalle impedenze 2/p, 0,5 e 0,5, rispettivamente, cos come
mostrato in Fig.X.5.
I valori delle tre impedenze equivalenti si ricavano agevolmente applicando le classiche
formule della trasformazione triangolo-stella:
0,25 p
ZA = 1 ,
ZB =
,
Zc = 1 .
p+2
p+2
p+2

Fig.X.5

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293

Infine si ricavano le due soluzioni I1(p) ed I 2(p):


I1 p =

ZB + p
ZB + ZC + 5 + p

I2 p = -

ZA + 5
ZA + ZC + 10

E1 p
,
Z + p ZC + 5
5 + ZA + B
ZB + p + ZC + 5

E2 p
.
ZA + 5 ZC + 5
p + ZB +
ZA + ZC + 10

Utilizzando i valori delle diverse impedenze e le espressioni delle trasformate delle tensioni dei generatori, si ottiene:
p2 + 2,25p
p+2
,
I1 p = 40
p2 + 16 5 p + 11 2 p2 + 9,5 p + 11
I2 p = - 2

p2

p+2
.
+ 9,5 p + 11

Considerando che le radici del polinomio di secondo grado al denominatore sono:


p = - 2,
p = - 11/4,
tale polinomio pu anche essere scritto nella forma:
2 p2 + 9,5 p + 11 = 2 p + 2 p + 11 .
4
Inserendo tale forma nella espressione delle correnti, riordinando e semplificando, si
ottiene:
p + 2,25
1 ,
I1 p = 4
2
p + 16 p + 11 p + 11
5
4
1 .
I2 p = p + 11
4
A questo punto, per antitrasformare, occorre scomporre I1(p) in fratti semplici (I2(p)
gi in tale forma). Si ottiene:
Ap+B
I1 p =
+ C + D ,
2
p + 16 p + 11 p + 11
5
4

(X.23)

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294

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con A,B,C e D costanti da determinare. La antitrasformata si ricava ora agevolmente


adoperando la tabella X.I:
i t = L -1 I1 p + I2 p = Acos 4t + B sin 4t + Ce4

11/5 t

+ D - 1 e-

11/4 t.

Ricordiamo che le costanti A,B,C,D della scomposizione in fratti semplici si ricavano


facilmente moltiplicando la (X.23) di volta in volta per il binomio (p-i), dove le i sono
le radici del denominatore di I1(p), e facendo poi tendere p alla radice stessa. Si ottiene:
-4jA+B
= (p+4j)I1 p=-4j ,
-8j
C = p+11 I1
,
5 p=- 11 5

4jA+B
= (p-4j)I1 p=4j ,
8j
D = p+11 I1
.
4 p=- 11 4

Da questo sistema si ottengono i valori delle costanti.


Infine una ultima osservazione sullutilizzo della trasformata di Laplace. In un capitolo
precedente abbiamo fatto vedere come in un sistema ingresso-uscita lineare, tempoinvariante ed inizialmente allo stato zero, sia possibile esprimere la risposta ad un qualsiasi ingresso, che sia nullo per t<0, nella forma di integrale di convoluzione dellingresso stesso e della risposta allimpulso:
t

vt =
0

e h t - d .

Si puo far vedere che applicando la trasformazione di Laplace a questa relazione,


tenendo conto della sua definizione, si ottiene:
V(p) = E(p) H(p).

(X.24)

questa una propriet notevole della trasformazione di Laplace: essa trasforma il pro dotto di convoluzione tra due funzioni del tempo in un prodotto ordinario tra le trasformate delle rispettive funzioni. La relazione (X.22) esplicita ancora meglio le propriet della risposta allimpulso di una rete; la conoscenza di tale risposta, e quindi della
sua trasformata, consente di ricavare immediatamente la trasformata della risposta ad
un ingresso qualunque, mediante la semplice operazione di moltiplicazione per la funzione H(p), che prende il nome di funzione di trasferimento della rete.

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Un metodo ibrido
A volte pu essere conveniente utilizzare un metodo ibrido che sfrutta intelligentemente le caratteristiche migliori delle diverse tecniche introdotte per la risoluzione dei circuiti in regime dinamico. Il metodo si basa sulle seguenti osservazioni: immaginiamo di
rendere passiva la rete che si vuole analizzare e di calcolare lespressione della impedenza operatoriale vista da una coppia di morsetti della rete corrispondenti ad uno dei
bipoli a memoria. In altri termini immaginiamo che la rete sia in evoluzione libera sollecitata da una condizione iniziale su uno solo dei suoi elementi con memoria.
Naturalmente, a secondo del tipo di elemento prescelto, condensatore o induttore, il
punto di vista da cui bisogna calcolare limpedenza equivalente diverso, come descritto sinteticamente dai due schemi riportati in Fig.X.6.

Fig. X.6
Limpedenza equivalente cos calcolata avr la forma:
N(p)
Z(p) =
;
D(p)

(X.25)

dove N(p) e D(p) sono due polinomi in p. Per quanto detto nei paragrafi precedenti
evidente che le radici del denominatore D(p) individuano le costanti di tempo e le frequenze caratteristiche del circuito: in altri termini sono le radici dellequazione cratteristica. Note tali radici possibile scrivere immediatamente la soluzione dellomogenea
nella forma (VIII).1 o (VIII.2). Se a questo punto si determina la soluzione di regime si
pu scrivere la soluzione completa e quindi determinare le costanti contenute nellintegrale generale dellomogenea imponendo le condizioni iniziali. In altri termini, utilizzando questa tecnica si evita di antitrasformare.

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