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Storia Di Un Altro Occidente Sesta Edizione Definitiva Gennaio 2015 PDF

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GIAN CARLO BENELLI

STORIA DI UN ALTRO OCCIDENTE

Sesta edizione online del 2015, accresciuta di una Rassegna bibliografica ragionata sulle
origini dellIslam e la loro importanza nel determinarne i successivi sviluppi

www.giancarlobenelli.com
Dedico la sesta e definitiva
edizione dellopera
a mia moglie Ileana che ha protetto
i ventisette anni
di continua ricerca
LA STORIA DI UN ALTRO OCCIDENTE

PRESENTAZIONE DELLA V EDIZIONE ONLINE DEL 2007


ACCRESCIUTA CON LA NUOVA SEZIONE
DOPO E A LATO DEL 2009

Storia di un altro occidente narra le vicende di un mito, quello di un mondo finale perfetto, sottratto ai disagi
della storia; e di come esso aliment per molti secoli le utopie della marginalit nelloccidente cristianizzato,
sotto forma di devianze religiose, che furono lantecedente delle utopie sociali del mondo secolarizzato.
Questo mito per tuttora dominante nelle attese storiche e sociali di una delle tre Religioni del Libro,
lIslam, che sembra custodire nelle proprie origini la memoria di singolari contatti con le eterodossie espulse
nel corso della formazione dellideologia occidentale, rimaste vive e pullulanti nelle regioni che avevano
costituito la parte orientale dellImpero. Un filo segreto sembra dunque legare la formazione dellideologia
occidentale con il costituirsi di unalternativa radicale alla sua periferia; lo stesso filo sembra legare questa
alternativa a forme di opposizione radicale esistenti allinterno dello stesso occidente.
LOccidente, visto nella trama di questa vicenda, appare dunque una costruzione sempre in pericolo, e non
sembra poter costituire una meta futura per tutto il pianeta. Una spia di questa incertezza si pu vedere nei
dubbi che il relativismo della sua cultura nutre, verso i valori della propria storia.
Il percorso di Storia di un altro occidente parte dal fenomeno dello Gnosticismo, per dipanarsi lungo le
eterodossie del mondo orientale, iranico ed islamico, e del nostro Medioevo; prosegue affrontando i
fenomeni della Qabbalah, dellAlchimia, della Magia rinascimentale, dello Spiritualismo riformato, della
Teosofia, per concludere con il Romanticismo e con uno sguardo sulla modernit. Le Appendici sono
dedicate nuovamente allesame delle dottrine islamiche; in particolare, lultima di esse ha per oggetto
lattuale scontro tra Occidente e mondo islamico e la natura della crisi dellOccidente. La sezione Dopo e a
lato racchiude un ampliamento e aggiornamento (sino a tutto il 2009) degli argomenti trattati, in particolare
nellAppendice alla V edizione, ed rivolta a chiarire i rapporti genetici tra lIslam e lOccidente, la loro
diversit, e lattuale crisi dellOccidente, affrontata attraverso le letture di Strauss, Voegelin e Brague.

PRECEDENTI EDIZIONI A STAMPA

1 Edizione Roma, Bonacci, Gennaio 2000 (ISBN 88-7573-361-9)


2 Edizione Roma, Fondazione Ippolito Nievo/Bonacci, Maggio 2000
3 Edizione, corretta Roma, Bonacci, Ottobre 2000
4 Edizione, corretta e accresciuta Roma, Bonacci, Settembre 2001

EDIZIONI ONLINE

5 Edizione accresciuta di una ulteriore Appendice


e della nuova sezione DOPO E A LATO del
2009 Dicembre 2010
6 Edizione accresciuta di una Rassegna
bibliografica ragionata sulle origini dellIslam Gennaio 2015

(si riproduce qui di seguito il Frontespizio della Prima Edizione)


GIAN CARLO BENELLI

STORIA DI UN ALTRO OCCIDENTE

Bonacci Editore Roma


2000 BONACCI EDITORE ROMA

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale e


parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i
paesi.

Printed in Italy

Bonacci Editore s r l
Via Paolo Mercuri, 8
00193 R O M A (Italia)
tel: (++39)06.68.30.00.04
fax:(++39)06.68.80.63.82
e-mail: [email protected]
http: //w w w.bonacci.it

ISBN 88-7573-361-9

Prima Edizione: Gennaio 2000


AVVERTENZA ALLA QUINTA EDIZIONE

Con questa quinta Edizione arricchita di una seconda Appendice, abbiamo voluto mettere a
punto un ultimo tassello che forse era rimasto, in parte, da chiarire, relativamente alla nostra tesi di un
profondo legame sotterraneo tra il cosiddetto Oriente e alcuni non trascurabili aspetti della cultura
occidentale. Ci riferiamo allorigine del costante mito escatologico presente alla radice di tutte le
religioni del Libro, che asserimmo - quasi en passant- doversi cercare nella lezione di Zoroastro.
Asserito o negato, questo rilevante influsso della religiosit iranica sullescatologia dellA.T. e dei suoi
cosiddetti Apocrifi (o Pseudepigrafi) -quindi del Cristianesimo e dellIslam- stato ed oggetto di
infinite indagini, alle quali facciamo ora un modestissimo cenno, peraltro dovuto, nella nuova
Appendice. Le ragioni di questa nostra preoccupazione di completezza appariranno chiare al lettore, e
non necessitano di essere anticipate. Vogliamo soltanto ricordare che da quel mito escatologico
discendono occultamente, anche nel mondo secolarizzato, molte visioni della storia, dellesistenza, e
della giustizia; esso dunque resta perennemente attivo sul piano sociale, nonostante la pretesa del
moderno Occidente di farne uninnocua opinione. E questo, nellora attuale, induce ad alcune
postille.

Lautore

AVVERTENZA ALLA QUARTA EDIZIONE

Con loccasione della quarta Edizione di questopera, mi parso doveroso dedicare ulteriore
attenzione alla veste editoriale, intervenendo, come gi in precedenza, per correggere una volta di pi i
residui errori di stampa, peraltro scusabili in un testo di tale mole, che ora ho motivo di sperare
definitivamente emendato. Questa quarta Edizione contiene tuttavia anche una novit, costituita dalla
sua Appendice, la cui ragion dessere nel mio desiderio di dare massima completezza -grazie
allesame e alla discussione di ulteriore Bibliografia- alla trattazione di un tema che appare centrale
nella ricerca. Si tratta dei contesti politici (storici, sociali, culturali) a partire dai quali, nelleterodossia
islamica della Sha e dellIsmailismo, presero corpo due originali sviluppi della cultura tardo-antica
che tanto influirono sulla dissidenza occidentale a partire dal XII-XIII secolo. Mi riferisco ai sistemi
neoplatonici ismailiti e allalchimia spirituale, grazie ai quali unantica cultura comune del
Mediterraneo fu mantenuta viva in occidente, dove aliment il pensiero dissenziente. Le ragioni della
centralit di tale tema sono evidenti nel testo, e non necessario ribadirle qui. Ho approfittato inoltre
della stesura dellAppendice, per fornire alcune altre modeste informazioni supplementari, alle quali
rinvio sin dora.

Lautore

AVVERTENZA ALLA TERZA EDIZIONE

Nel licenziare questa terza Edizione, segno dellinteresse suscitato dai temi proposti, ho
ritenuto opportuno mantenere la mia Prefazione allEdizione curata per la Fondazione Ippolito Nievo,
perch il lettore potr trovarvi accennati alcuni ulteriori spunti di riflessione circa il rapporto tra il
pensiero innovativo e lopera letteraria in generale. In particolare, il capitolo destinato al
Romanticismo non avrebbe potuto esser concepito senza tener conto della produzione dei poeti (e dei
pittori) romantici, che si rivelano innovatori raccogliendo leredit di una lunghissima tradizione di
pensiero non-conformista delloccidente. A questa lunghissima tradizione, che fa delloccidente reale
(non di quello ideologico) qualcosa di insospettatamente imparentato con le vicende delloriente,
dedicata questa mia ricerca, forte della convinzione di una storia comune alle sponde del
Mediterraneo.

Lautore
PREFAZIONE ALLEDIZIONE CURATA PER LA FONDAZIONE IPPOLITO NIEVO

La generosa iniziativa della fondazione Ippolito Nievo, che ha voluto finanziare la stampa di
100 copie fuori commercio del mio ultimo libro, recentemente edito da Bonacci, mi induce ad una
breve Prefazione per mettere in luce gli stretti legami che corrono tra la mia ricerca e il grande
oceano della letteratura; letteratura di ogni tempo e di ogni luogo, nella quale luomo ha inseguito le
vie segrete della sua verit.
Chi conosce i temi costanti della mia ricerca, sa infatti che al centro di essa sempre stata
la verit delluomo, quella che d un senso alla sua vita e lo spinge ad agire inseguendo il
desiderio e lutopia; una verit figlia dellesperienza esistenziale, testimoniata nellazione. In
rapporto a questa verit, la verit dimostrata o, come anche suol dirsi, obbiettiva, cio
ladeguamento della proposizione alla cosa raggiunto attraverso i sentieri della logica, mi
sempre apparsa come una scelta normativa e ideologica. La verit delluomo, che non obbedisce a
tali regole, non per questo per ingenua o inadeguata: al contrario, qualcosa di pi complesso,
pi ricco; ed anche assai pi ambigua e, di fatto, indicibile; pura testimonianza. Se la si volesse
raccontare, essa potrebbe trovare soltanto due vie: il mito e larte, quindi la poesia.
Luno e laltra, il mito e la letteratura, fondano nel racconto il modello della verit umana,
il rapporto delluomo col mondo; strutturano gli interrogativi fondamentali sulla vita e sulla morte,
sul senso del nostro fugace viaggio nel mutevole e colorato palcoscenico del mondo, attraverso la
grande macchina che ci circonda.
Il lettore attento avr gi notato che per esprimere questo concetto, ho posto in fila un verso
di Parmenide e una metafora di Gracin: non per vezzo, n per caso. Il fatto che, comunque avessi
voluto esprimere ci che avevo in mente, non avrei potuto fare altrimenti che ripercorrere, magari
travestendole, parole gi dette da poeti e letterati. Questo vale per tutti noi, allorch tentiamo di
andare al fondo delle cose.
Gli sviluppi presi dalla cultura nel corso del XIX secolo, che fondano ancor oggi il modo di
pensare di chiunque non sia un addetto ai lavori -la cultura corrente cio, corrente qui da noi-
sembrano aver posto in oblio una realt che sorprende allorch ci si volga al passato con uno
sguardo non prevenuto: i fondatori della nostra civilt furono tutti poeti. Poeti i mitografi -la
sovrapposizione di arte e mito notazione comune- poeti coloro che scrissero le teogonie, cio i
racconti delle faticose gestazioni divine. Poeti furono gli ignoti visionari che fondarono la religione
del Libro -unosservazione che va tanto lontano quanto ps.Longino e tanto vicino quanto il
Romanticismo- e poeti coloro che diedero voce al meraviglioso del folklore, riportando
prepotentemente alla ribalta i sogni della cultura emarginata. Parte da l, dallalba del nostro
millennio, la dura, secolare lotta verso la modernit, e contro la normativa del potere. Le nostre pi
profonde verit, quelle alla luce delle quali ho tentato loperazione ermeneutica in vista di un altro
occidente, furono tutte additate da poeti.
Soltanto molto tardi, dopo Socrate, si andr affermando con esiti autoritari una verit
che vuol esser una, e inizier il predominio della neonata filosofia, che gi nel nome si arroga la
pretesa di pensare per tutti, come se il pensare umano non fosse ci che , un fare e un farsi
quotidiano nellagire di ogni uomo; un percorso del quale il poeta addita il periplo e non pi, ch
altro non si potrebbe.
Poco a poco, anche quella radicale espressione del rapporto delluomo col mondo, che la
sua religiosit racchiusa nei suoi miti, sar ingessata, in occidente, nella disputa teologica; e si
dimenticher che i grandi pensatori e le grandi anime religiose erano stati dei poeti (poeti e profeti,
poeti e sacerdoti, sono la stessa cosa, dir poi il Romanticismo; e la poesia la sola vera filosofia).
Poeti i grandi pensatori -Eraclito, Empedocle, Parmenide- e pensatori i grandi poeti -Sofocle tra tutti,
ma certamente non lui soltanto. E la religione greca si legge in Omero e in Esiodo. Quanto al Libro,
s gi detto: ma per ripeterlo ricordiamo i Salmi, il Libro di Giobbe, il Cantico dei Cantici: tanto pi
alta la religiosit, tanto pi alta la poesia.
Anche qui, soltanto pi tardi sinizi a distinguere una religione/teologia dal mondo poetico
che ne era a fondamento; filosofia e teologia, come oggi filologia e scienze, apparvero le sole, vere,
serie, degne occupazioni delluomo adulto: il resto, piacevoli bambinate o vaneggiamenti dincolti. Il
percorso di questo equivoco e le sue motivazioni ideologiche sono stati loggetto abituale delle mie
indagini, come anche la riscoperta del rimosso -oriente, femminile, infanzia, mito, fiaba e poesia- ad
opera del Romanticismo: chi mi legge sa gi quel che penso.
Venendo per pi allimmediato, credo di poter affermare che non si pu sperare di
conoscere unepoca senza averne almeno avvicinato la letteratura; credo anche, riprendendo una
vecchia notazione di Schleiermacher, che la letteratura o, se vogliamo, la poesia, non si fa
soltanto sotto la specifica etichetta. Poetica qualunque opera che esprima autentici contenuti umani;
isolare la poesia in un apposito genere nasconde il tentativo ideologico di negarle valore veritativo
e innovativo nella vita degli uomini, isolandola nel parco recintato di un generico, quanto fatuo e
misterioso Bello.
Questo tentativo ha uno scopo preciso: evitare lirruzione della vita, e con essa del nuovo, a
turbare gli assetti dominanti. Il mio libro la storia di questa lotta sullarco di venti secoli; perci il
suo naturale culmine la rivoluzione romantica, con la quale, per la prima volta da quando il
Razionalismo si era imposto come depotenziamento del mito, dellarte e della poesia, mito arte e
poesia tornano a proporsi come sede previlegiata della verit umana, stavolta nellambito di una
cultura ormai cristiana. La lotta che io narro infatti la lotta per il ritorno al primato delle ragioni
della vita, radicato nella cultura testamentaria, che la cultura egemone ha sempre tentato di porre al
margine della sua Ragione.
Con la letteratura il mio racconto ha dunque molto a che fare, in special modo nel lungo
capitolo dedicato al Romanticismo, la cui dottrina essenzialmente chiusa nellopera dei suoi poeti e
narratori: Hlderlin e Novalis, Tieck e Wackenroder; e degli artisti: Runge, Friedrich, Carus;
esattamente ci che rilevava -sono ormai cinquantanni- Garin per il Rinascimento: la sua filosofia
nelle opere dei suoi poeti e dei suoi artisti. Il raffronto non casuale: il Romanticismo riporta infatti
alla luce il pensiero rinascimentale, che aveva ricevuto tramite la tradizione magico-alchemico-
teosofica, e il suo dominante vitalismo.
Non si meraviglier il lettore, che a ci viene condotto gradualmente, se al termine di una
vicenda di eresie, di condanne, di lotte anche sanguinose; al termine di una storia di dottrine che
testimoniano un ripetuto e solitario dissidio di intellettuali al margine, si trover proiettato
nellanalisi di testi letterari: l, che la vicenda ha un suo sbocco. Espressione finale di questo
percorso laffermazione che lopera creatrice di Dio costituisce larchetipo dellopera darte: Dio
un artista, e il cosmo la Sua scrittura. Lartista, il poeta, crea dunque la nuova terra per luomo,
quella intravista dai Profeti, almanaccata dagli alchimisti, pretesa dai rivoluzionari.
Enfasi, certo; esaltazione; ma tanto basta perch il vero scossone nella ricerca di una verit
alternativa, che d inizio al XX secolo, sia opera della letteratura. Gi altrove sottolineai, e qui non
posso che ripeterlo, un dato acquisito: con Hoffmansthal, Joyce e Proust, il XX secolo volta le spalle
al XIX. Sono loro che, nellordine, disgregano il dualismo razionalista-borghese di soggetto e
oggetto, che indagano lintelligenza della materia e il primato del corpo e del desiderio, che scoprono
la verit come nullaltro che la sintassi di una vita, mappa di un periplo di coste appena
intravedibili, baluginanti soltanto per lirruzione di raggi obliqui. Il soggetto borghese, perduto il
luogo dellipostasi, si scopre coinvolto nel moto turbinoso delluniverso, non pi autocratico
misuratore del cosmo. significativo che questo affermi il poeta mentre la scienza demolisce la
fisica classica, e nascono relativit, fisica quantistica, principio dindeterminazione. significativo
che un poeta, Rilke, canti leterno fluire e trasformarsi di tutto in tutto, abbatta le frontiere tra la vita
e la morte, tra angeli, uomo, animali, vegetali, terra: un tema sollevato gi nellIsmailismo.
Glinfiniti volti del Neoplatonismo, con i loro fasti e nefasti eversivi, rappresentano il
principale filo conduttore della mia ricerca; nel corso di questa debbo per arrestarmi un attimo per
constatare che la pi nitida espressione della sua ontologia fu data anchessa, in tempi recenti, da un
poeta, da Pessoa: il lettore lo trover citato. Pessoa volge indubbiamente lo sguardo ad una grande
stagione, al Barocco, che unitamente al Manierismo mi appare un haut-lieu del Neoplatonismo. Nel
Barocco la materia si anima, si tende, si spiritualizza, e luniverso tutto si fa palcoscenico duna
realt altra, leggibile soltanto nella trasparenza nella quale si ri-vela: il theatrum mundi del Siglo
de oro, il palcoscenico dellagudeza, che il Romanticismo riscoprir come Witz. Non un caso che io
abbia preso in prestito da Gracin e dal suo Criticn le parole con le quali apro e chiudo il mio testo.
Un maestro di questa lettura fantastica (in realt, pensosa) del mondo, fu Shakespeare,
altra riscoperta dei Romantici, che da Herder a Tieck ne fanno il loro Omero. La magia, uno degli
argomenti della mia ricerca, un filone non tanto occulto che si associa agli eterni miti delluomo (la
Fontana di giovinezza, il Paese di Cuccagna) alla sua nostalgia del Paradiso. C tutta una
letteratura -una grande letteratura- del fantastico, che non conosce confini di luogo, di tempo e di
ceto. La magia dotta o popolare; occidentale o islamica; ellenistica, medievale, rinascimentale,
barocca; ovunque per alla radice di capolavori letterari, dai cicli romanzati di Alessandro, al
meraviglioso medievale, al teatro di Shakespeare. significativo che precisamente nella letteratura si
osservi la diversa valutazione della magia al passaggio dei tempi: tanto lOrlando furioso che la
Gerusalemme liberata hanno la magia al centro delle pagine pi straordinarie, ma quale differenza
tra loro! Se si vuol leggere lopera della risorgente normativa razionalista, che mette fine alla
stagione ermetica liquidando gli ultimi maghi, Bruno e Campanella, nel rogo o nel disprezzo di
Cartesio, sufficiente confrontare i due poemi. Ariosto guarda la magia con occhio gi scettico, ma
non ne perde di vista il significato profondo, lo stesso dellalchimia (e del sogno lucido di Ruggiero
Bacone): un mondo che si conforma allopera delluomo, che si fa a sua misura. Tasso legge ormai
nella magia ci a cui la condanna la nuova normativa che si va componendo attorno allassolutismo e
al suo sostegno, il Razionalismo: essa pu esistere soltanto come inganno diabolico, velo illusorio sul
Nulla del Male. diabolico infatti ribellarsi, anche soltanto in sogno, alla cogenza deterministica
dello status quo, della derelizione postlapsaria, o di leggi meccanicistiche della natura. Ma non era
stato il mago ed eretico Bruno, colui che aveva formulato lunica estetica oggi possibile, quella del
poeta che fa lui stesso le proprie regole? Il parallelismo evidente.
Il XVIII secolo, che si ribella allordine dellautoritarismo per levidente fallimento di Re
solari e di Stati-moloch nel secolo di ferro, ritenuto il secolo della Ragione e dei Lumi: di certo lo
, ma singolare che ad uno sguardo meno superficiale si riveli anche, in una simultaneit
inestricabile, il secolo delloccultismo, della teosofia, dei sogni visionari, dellattesa dellinaudito. Tra
Illuministi e Illuminati la differenza chiara, ma sottile, tanto glintrecci appaiono complessi; non
tutti accettano la distinzione. Un secolo quel che , le distinzioni si fanno soltanto per studiarlo
meglio, e per studiarlo occorre la lettura di unimmensa mole di carte; per conoscerlo per con un
impatto incancellabile, vale per tutte unopera letteraria (purtroppo da noi sottovalutata in questa sua
letterariet, che avrebbe aiutato a prevenire certe bolsaggini del nostro Ottocento): i Mmoires di
Casanova. Chi raccoglie e trasmette lanima oscura del Settecento comunque sempre la letteratura:
Balzac e De Nerval si rifanno in modo del tutto esplicito alle visioni di Swedenborg, scoprendone una
potenzialit letteraria di sicuro non presente nel pedante funzionario dellaldil, la cui dottrina sulla
preesistenza in cielo delle coppie non sarebbe ricordata pi di tanto senza la letteratura dellamore
romantico e delle affinit elettive.
Anche per dove il XVIII secolo aveva lasciato il segno con la sua impietosa decostruzione
dei vecchi luoghi comuni, sar ancora un poeta che, fondando sulla ragione illuminista la critica al
Razionalismo sopravveniente con le magnifiche sorti, lascier documenti straordinari sulla
condizione delluomo nel mondo. Nellopera di Leopardi non assolutamente possibile distinguere
poesia e filosofia (ma si pu vivisezionare il pensiero?): singolarissimo esempio di romantico
malgr lui, Leopardi esprime un continuum dai Canti allo Zibaldone, che suona a monito dei
percorsi del secolo. Insieme a Dostoevskij, luno a monte laltro a valle, entrambi costituiscono la pi
alta critica (poetica? filosofica? la distinzione fuorviante) al corso del secolo borghese. Lapologo
dellInquisitore, ma non quello soltanto, fa della maestosa Storia degli storicisti una via di mezzo tra
il Museo degli orrori e un bric--brac di tutte le possibili mascalzonate. Gli Gnostici non la
pensarono diversamente, e di sette neognostiche la Russia pullulava, almeno sino alla Rivoluzione;
quanto ai testi dei primi eretici della storia, cassata per palese insussistenza laccusa di follia, non
presentano forse anchessi pi di unimmagine poetica? Pensiamo soltanto al mito del pentimento di
Sophia, alla visione delle acque tenebrose nella Parafrasi di Shem, ai logia del Vangelo secondo
Tommaso.
Certo, il Classicismo, espressione letteraria del Razionalismo, non ha mai amato ci che
definisce sprezzantemente ingenuo; difficilmente apprezzerebbe la gustosa folkloricit della
Interrogatio Iohannis, o darebbe valore letterario alla lingua popolare; forse per lingenua ma
fresca lingua latina dellignoto traduttore della Vita di S. Antonio, pi accattivante del pomposo
linguaggio di Sulpicio Severo nella sua Vita di S. Martino. Letti senza pregiudizio, i documenti della
cultura marginale hanno dunque non di rado valenze letterarie. Anche una delle vicende che ho
narrato, quella del mito celtico, ha molto a che vedere con la letteratura, perch sinterseca, in
Francia, con la lotta contro la Pliade e larroganza delle lingue e dei modelli classici verso gli
idiomi nazionali.
La poesia e la letteratura sono egualmente in primo piano allorch ci si volge allIslam, che
tanta parte ha nel mio racconto; nonostante lIslam abbia esordito con la condanna e la damnatio
memori della grande poesia araba, troppo legata ai miti, al folklore, e soprattutto al senso della vita
del periodo pre-islamico, i grandi mistici dellIslam sono grandi poeti. Anche qui, nella lotta tra
pensiero normativo e immaginazione, la vita conculcata riprende il sopravvento. Le opere di Rm, di
Fard od-Dn Attr, di Shabestar, di Sana, sono al tempo stesso religiose e capolavori poetici; alto
il valore poetico e letterario del mistico e teosofo Sohraward. LIslam rimbalza per anche in
occidente con risultati letterari: tramandando al nostro Medioevo un mito iranico, quello del viaggio
in cielo del quale fece protagonista Maometto, diede spunto a Dante per comporre la sua Divina
Commedia.
Poesia e pensiero mitico sono sempre connessi: Platone, che non amava i poeti, si faceva
poeta quando doveva inventare miti per scavalcare abissi insondabili alla Ragione. Cos, la
riemergenza della cultura folklorica in Europa, innanzitutto un fatto letterario: essa accade nelle
neonate lingue nazionali. Questo un evento di portata storica, linizio di un percorso che culmina
col Romanticismo, e nel quale lemergenza della cultura popolare fa parte di una lotta di
liberazione plurisecolare. Questa connessione appare evidente se si nota che il problema della lingua
simpone sempre allorch c da ascoltare la voce della marginalit; il rifiuto delle ragioni di questa
sempre associato al rifiuto della sua lingua. Sembra che Dio parli soltanto le lingue classiche, e chi
non le possiede, se non sospetto deresia quantomeno un idiota che deve tacere.
Eppure non un mistero per noi, a tanti secoli di distanza e soprattutto grazie al
Romanticismo -che fu definito una rivoluzione soltanto letteraria, ma che resta pur sempre una
rivoluzione autentica e non di carta- non un mistero, dicevo, che il patrimonio immenso della
letteratura medievale l, nel folklore.
Erich Khler ha indagato le connessioni sociali dei cicli cavallereschi che crescono poi
sullonda di questa rinascita: i cicli arturiani, le vicende di Lancillotto, le canzoni di Troubadores e
Minnesnger, si rivelano espressione di concreti eventi storici, e additano unutopia: forse il caso di
ricordare quindi ancora una volta, che per comprendere il problema del rapporto tra storia e utopia,
necessario volgere lo sguardo al Medioevo. Il testo sottolinea che il modello resta quello in s
perfetto delle leggende melusiniane; questo delizioso insieme di racconti, opera di letterati pi o meno
noti, racchiude nelle sue molteplici sfaccettature il volto ambiguo e sfuggente di una dialettica
irrisolvibile: la vicenda di queste fate e creature dacqua, narra in filigrana i dubbi della cultura
marginale additati allautoritarismo ideologico di ogni cultura che voglia porsi come egemone.
Infine, una domanda che fa riflettere: non fu un letterato, il povero Vilgardo, che nel X
secolo fu condannato (e ritenuto uno sciocco) per aver sognato Virgilio, Orazio e Giovenale, e avere
appreso da loro che la via della verit passa per la poesia? Il suo nome il primo nella lista a noi
nota dei ribelli, dilagante subito dopo di lui. Essi sognavano, come tanti dopo di loro, il ritorno ad
una mitica et delloro: la stessa cosa che sognava e cantava Virgilio, forse illuso sullet di Augusto,
forse stanco di una storia di violenze. il mito del regno antico di Saturno, che torner pi volte
accanto al mito del regno futuro di Dionyso. Lo sguardo amareggiato dalla realt del presente si
sempre rivolto, in modo ambiguo, tanto al passato quanto al futuro.
Il mito di unEt delloro, di un Paese di Cuccagna, di un ritorno nel Plroma divino, di un
Millennio in terra: tanti volti dello stesso miraggio, quello di un mondo a misura duomo per tutti gli
uomini. Un miraggio tuttavia non folle, perch ha da sempre mosso la storia dietro la spinta degli
insoddisfatti: lo sviluppo delle tecniche negli ultimi secoli e il mutare dei regimi politici, non
sembrano altro che le risposte sociali a questa pressione sociale. Questa la storia che narro, e in
essa si constata che i pi antichi documenti della nostra cultura, relativi a questo sogno, sono i
frammenti di Ferecrate e Metagene, due commediografi greci, tramandati casualmente nel
fantasmagorico emporio letterario di Atheneo, i Deipnosofisti.
Poco rimasto, perch la cultura aulica ha sempre guardato con sospetto i marginali e i
loro miti, sinch giunse a dichiarare infantilismo il mito stesso; ad ogni buon conto, ha sempre fatto
tacere la voce della diversit. Ma dove, se non nel disagio culturale, potrebbe nascere il progetto del
nuovo e del diverso, con esso il mito che sempre lo fonda e perci anche tanta letteratura? e, sin dalla
Mesopotamia, non furono forse i grandi miti che fondavano la condizione umana -Gilgamesh, Inanna
e le loro peripezie- opere innanzitutto poetiche, letteratura nel senso usuale della parola, anche per il
diletto che se ne traeva?
Dunque, semplicemente questo volevo dire: la vicenda che narro, la storia di un pensiero
diverso, sintreccia necessariamente da sempre con levento letterario.

Gian Carlo Benelli, 27 Marzo 2000


INDICE E SOMMARIO

STORIA DI UN ALTRO OCCIDENTE

Prologo, per riprendere un discorso p. 3


Il Razionalismo ha costituito la logica della cultura egemone in occidente, lideologia stessa di Occidente. Lo
Storicismo stata la sua ultima espressione, il Dio biblico sembra incompatibile con esso. Esiste una diversa
tradizione di pensiero, un altro occidente, che fu rinvigorita dal messaggio testamentario. La sua storia va
indagata, perch giunge sino ai nostri giorni.

PARTE PRIMA - IL TEMPO DELLE ERESIE DUALISTE


SEZIONE PRIMA - LO GNOSTICISMO NELLA SOCIET ELLENISTICO-ROMANA
Capitolo primo - Loggetto e le ragioni p. 12

Il punto di partenza costituito dallo Gnosticismo; le ragioni del riaccendersi dellinteresse al riguardo. Le
dottrine gnostiche sul Male nel mondo non sono folli come vorrebbero gli eresiologi, che sembrano incapaci di
capirne le ragioni. I miti gnostici non vanno razionalizzati. Diversit e affinit delle dottrine in un secolo di
lotte. Necessit di andare oltre i malintesi, perch gli Gnostici colgono aspetti del messaggio testamentario tenuti
a margine dalla costituenda ortodossia, quelli libertari.

Capitolo secondo - Le dottrine degli Gnostici p. 27

Esame delle dottrine gnostiche sulla base dei testi sopravvissuti e delle testimonianze coeve. Loro caratteristica
generale: la storia in terra come riflesso di un dramma in cielo. Schemi teo/cosmo/antropogonici presenti nei vari
testi noti. La polemica degli Gnostici contro lerigenda ortodossia. Luomo, creatura divina, merita ben altro che
questo mondo malvagio, dove la Legge e il potere sono lespressione del Male. La figura del Cristo gnostico.
Obbiettivi dello Gnostico sulla terra; come salvarsi. Lo Gnostico straniero a questo mondo. La prima critica
alla letteralit dei testi. Singolarit dei Carpocraziani; limpegno sociale non manc tra gli Gnostici. Loro
antinomismo. Normativit razionalista dellortodossia. La lunga vicenda del Marcionismo. Il profetismo
montanista. Artificiosit della costruzione di Ireneo. Cultura ellenistica e giudeo-ellenistica nelle varie sette. Il
Cristianesimo orientale: Taziano e il ridimensionamento della cultura greca classica. Possibili rapporti del
giudeo-ellenismo con la nascita dellIslam. Gli Gnostici appaiono alla storia quando gi sono perdenti.

Capitolo terzo - Gnosticismo e ortodossia nel contesto dei primi tre secoli p. 61

La formazione dellortodossia e la nascita dellIstituzione come operazione politica nel contesto storico-sociale
dei primi secoli. Gli inizi e gli sviluppi del Cristianesimo a Roma; situazioni storiche, sociali, economiche. Il
Razionalismo e lideologia apollinea di Augusto. I mutamenti tra il I e il II secolo; lImpero ellenizzante del II
secolo. La nascita dellortodossia in rapporto agli eventi storici che interessano la societ romana.
Listituzionalizzazione come esigenza di sopravvivenza e di affermazione; lespulsione come Gnostici delle
frange pericolose: leresia gnostica si rivela tale come conseguenza della formazione dellortodossia, una sua
creazione. Gli Gnostici come corpo estraneo al potere politico romano. Ideologicit della critica di Plotino.
Lincupirsi dei tempi allarga la frattura. Declino dello Gnosticismo in occidente dopo la fine del II secolo; nel III
secolo gli Gnostici sono gi oggetto di sola derisione.

Capitolo quarto - Loccidente esce di scena p. 86

La crisi economico-sociale del IV-V secolo toglie supporto socio-culturale al dissenso. Digressione sul
Manicheismo nelle provincie orientali: suoi rapporti sincretisti con lo Zoroastrismo. La cristianizzazione
dellImpero. Ultime manifestazioni in Africa, in Gallia e in Spagna. Lo scisma Donatista e i Circumcellioni. Il
Priscillianismo in Spagna e Aquitania; suoi possibili rapporti col fenomeno dei Bacaud. Sua ipotetica origine
orientale. Sue dottrine. Priscilliano, giustiziato da Magno Massimo, primo martire delleresia. Sopravvivenza del
Priscillianismo sino al VI secolo. Il Cristianesimo contadino nella Gallia e i santi dei Bacaud. Il

XIII
Pelagianesimo, dottrina opposta allo Gnosticismo, subisce la stessa condanna. Reciproca conversione:
dellImpero al Cristianesimo e del Cristianesimo allImpero

SEZIONE SECONDA - BUSCAR EL PONIENTE POR EL LEVANTE


Capitolo primo - Il Cristianesimo doriente p. 99

Leterodossia nel mondo siriano-mesopotamico. Le varie sette, le dottrine, i testi. Le testimonianze degli
eresiologi e quelle degli storici arabi. Il ruolo fondamentale della Siria. Le sue eresie; le caratteristiche del
Cristianesimo siriano. Tendenza generale allenkratismo. La sopravvivenza delle sette gnostiche nella parte
orientale dellImpero sino al VI secolo. Manifestazioni eretiche a Costantinopoli sotto il regno di Giustiniano.
Rapporti con lIran Sassanide.

Capitolo secondo - Percorsi iranici: il Mazdakismo p. 110

Il movimento Mazdakista in Iran nel V secolo: suoi rapporti con lo Gnosticismo e la religione zoroastriana. Suoi
rapporti col mondo bizantino e arabo, suoi echi nei secoli successivi. Suo radicamento sociale e sue connessioni
con la crisi politico-militare. Rapporti dottrinali con Gnosticismo e Manicheismo. Le teorie sociali furono
mutuate dal mondo greco? Struttura neoplatonica della dottrina. Zurvanismo e Mazdakismo, le due eresie
zoroastriane Il tema sempre quello di metter fine a un mondo malvagio. Le sopravvivenze del Mazdakismo
dopo la sconfitta. Piccoli nuclei ancora segnalati.

Capitolo terzo - I Pauliciani p. 119

Difficolt di comprendere lorigine della setta; fonti armene e fonti greche; sicura esistenza dal VII secolo;
possibile esistenza gi nel VI. Rapporti tra Cristianesimo armeno e siriano; sopravvivenza di sette antiche, in
particolare del Marcionismo; suoi possibili rapporti con questa setta, la prima del Medioevo, caratterizzata da
aspetti localistici. Esame delle fonti bizantine e di quelle armene; possibili sviluppi del VI secolo. Ipotetici
rapporti col Mazdakismo. I Pauliciani, dai quali originano le grandi dottrine del dissenso medievale, sono la
prima setta bellicosa. Loro presenza nelle lotte iconoclaste; loro massacro e successiva lotta di sopravvivenza in
Armenia. Stanziamenti nel territorio bizantino e loro presenza in Italia, dove giungono con gli eserciti bizantini.
Sopravvivenze sporadiche sino al XIX secolo.

Capitolo quarto - I Bogomili p. 131

Il Bogomilismo, eresia popolare, contadina, bulgara del X secolo, veicola il dissenso verso la classe dirigente
bizantina. Sua dipendenza dalla predicazione pauliciana alla fine del IX secolo. Sue dottrine e suoi miti nelle
prime testimonianze. Situazione socio-politica di Bisanzio nel X-XI secolo. Diffusione del Bogomilismo nel
mondo bizantino. Bulgari e Armeni fanno fronte comune contro Bisanzio. Nuova e pi sicura documentazione
sulle dottrine, che a Costantinopoli si trasformano e si arricchiscono, tramite la penetrazione in ambienti del
basso clero, sino al XIII secolo. Complessa presenza di Apocrifi gnostici e di miti slavi; il mito fondamentale
della Interrogatio Iohannis. Espansione del Bogomilismo e fondazione di Chiese regionali

Capitolo quinto - Il sonno e il risveglio delloccidente p. 147

Cultura popolare e sua repressione ad opera della cultura alta. Moti popolari e dissenso clericale in Francia e
Spagna tra il VI e il X secolo, tutti senza esito in una societ dicotomica. Il risveglio attorno al Mille: monaci
basiliani, intellettuali al margine e contadini autodidatti. Vicende sociali e improvvisa emersione del dissenso in
Francia, poi in Italia e in Germania: lincubo del neo-Manicheismo; i fenomeni non costituiscono eresie
spontanee o popolari; origine non chiara delle dottrine, che comunque rivelano una elaborazione dotta. In
realt la migliorata situazione economica consente una rinnovata elaborazione ideologica del dissenso. Sua
diffusione nel basso clero. Primi moti violenti in Europa nel XII secolo con il coinvolgimento dei ceti popolari.
Presenza dellaristocrazia minuta. Conclusione di questa fase alla met del XII secolo.

Capitolo sesto - LInternazionale delleresia: il Catarismo p. 165

Nascita del Catarismo alla met del XII secolo: le dottrine delle precedenti eresie vengono raccolte e unificate
nello schema dottrinale Pauliciano-Bogomilo, conosciuto a Bisanzio dai Crociati. Nel 1167 primo Concilio, sotto

XIV
la supervisione di un inviato dellEuropa orientale; delimitazione delle Chiese territoriali e autonomie
dottrinali/amministrative. Il Catarismo, fenomeno diffuso ovunque. Esame delle dottrine e delle pratiche
attraverso i testi rimasti e i documenti dellInquisizione. Una Cristologia complessa e variegata. Lo
sdoppiamento dello Spirito Santo. Il mondo creazione di Satana, tanto nella dottrina come nei miti. I miti e gli
apocrifi rinviano al Bogomilismo. Organizzazione interna della Chiesa Catara, suoi Sacramenti. Fortune e
sfortune del Catarismo sino alla sua fine in Occitania nel XIV secolo; sua base sociale, sue dimensioni. Rapporti
col mondo musulmano ed ebraico. Sua diffusione in Dalmazia e in Bosnia. Catarismo e Islam in Bosnia; il
Catarismo diffusissimo ancora nel XVII secolo; molte le conversioni allIslam; fenomeni di sincretismo. Ebrei,
Musulmani e Catari in Linguadoca. Rapporti dei fenomeni ereticali con le autonomie locali. Fine delle antiche
eresie dualiste e chiusura di unepoca in occidente con il XIII secolo.

PARTE SECONDA - LE SUGGESTIONI DELLO SPIRITO


SEZIONE PRIMA - PERCORSI DORIENTE E DOCCIDENTE
Capitolo primo - Una mappa per orientarsi p. 191

Il dissenso del XIII-XVII secolo ha radici neoplatoniche, mistico, panteista, spiritualista, magico-ermetico,
alchemico, teosofico; ma anche millenarista, con esiti sanguinosi. Per capirne i fondamenti culturali
indispensabile prenderne in esame le radici orientali ed islamiche.

Capitolo secondo - Ordine celeste e disordini terreni p. 194

Vicende religiose dellIslam nellIran e in Mesopotamia dopo la conquista. Rapporti con le sette preesistenti
(Manicheismo, Mazdakismo, Gnosticismo in generale, Zurvanismo). Linizio e levoluzione della Sha. Il ruolo
del Neoplatonismo. Non estraneit dello stesso mondo arabo pre-islamico a questo pensiero non-conformista. Le
sette shite in rapporto a problemi politici e sociali. Utopismo egualitarista e teocrazia; il Millenarismo. Le
grandi rivolte iraniche; aspetti sincretisti del dissenso religioso nellIslam in rapporto alle antiche sette. Sha
duodecimana e settimiana: la genesi dellIsmailismo. Strutture neoplatoniche delle dottrine non-conformiste. Le
dottrine ismailite. Lutopia della fine dei tempi. I Fratelli della Purezza. La nascita dellalchimia spirituale
nellambito della Sha. LIsmailismo di Alamt: dottrina e vicende. La Grande Resurrezione. La mistica dei
Sf. La teosofia. Propaggini nel XIX secolo: il Bbismo. Ricapitolazione: comuni fondamenti culturali del non-
conformismo orientale e di quello occidentale; influenza dellevoluzione del primo sugli sviluppi del secondo
dopo il XII secolo.

Capitolo terzo - sulle nuvole del cielo uno simile a un figliol duomo (Dan. 7, 13) p. 247

Breve esame del Millenarismo, dal mondo iranico e bizantino alloccidente. Il Millenarismo una peculiare
concezione religiosa della storia. Sua origine zoroastriana, le religioni del Libro lo ereditano. Le vicende degli
Oracoli Sibillini. Il millenarismo cristiano, avversato dallortodossia dopo i primi due secoli. Le tecniche e le
fonti dei calcoli millenaristi. Sincretismi con le leggende di Alessandro e con quelle di Gog e Magog. Le Dieci
Trib. Le Apocalissi bizantine e il loro arrivo in occidente. La leggenda del Prete Gianni. Generale continuit
tra antichit e Medioevo.

Capitolo quarto - Lesilio e il ritorno p. 258

Due fondamenti della dissidenza medievale: Millenarismo e Neoplatonismo. Canali di trasmissione del
Neoplatonismo in Occidente: Macrobio, Boezio e la tradizione latina; Scoto Eriugena e la Patristica greca. Lo
schema cosmogonico/escatologico del De divisione natur. Rinnovato interesse per Scoto nel XII secolo. La
cultura neoplatonica del XII secolo: sistemi elaborati nellIslam, loro influenza nella cultura ebraica, loro
trasmissione alloccidente. Fondamentale ruolo di Avicebron. La scuola di Chartres. Riscoperta di Aristotele e
lotte dottrinali al passaggio tra XII e XIII secolo. Eckhart e la mistica: suoi accenti paradossali non lontani da
quelli dei Sf. La grande crisi sociale del XIV secolo e la caccia alle streghe. Wyclif e il rifiuto dellautorit.
Radici del cosiddetto panteismo popolare che costituisce il non-conformismo del XIII-XVI secolo.

Capitolo quinto - Libertinaggi spirituali p. 276

Il fenomeno del Libero Spirito e le sue varie sette: Amalriciani, Begardi, Beghine. Sua diffusione e persecuzione.
Carattere sfuggente delleresia; autopunizioni e libertinaggio. Delle dottrine si sa poco. Forte presenza
femminile: la singolare setta dei Guglielmiti. Carattere minaccioso dei Begardi. Le Beghine e la situazione

XV
femminile. La setta degli Amalriciani, spedita al rogo, e i suoi legami col Neoplatonismo del XII secolo. Il
fenomeno interessa persone di cultura, anche se molti movimenti sono costituiti da fanatici. Il concetto
fondamentale: si pu divenire simili a Dio, ed essere al di sopra delle norme. I movimenti della Provenza e gli
Spirituali Francescani. I fatti dellInquisizione. Preoccupazione sociale nel XIV-XV secolo. Evoluzione del
movimento verso il Libertinismo del XVI secolo. Persecuzione dei Libertini anche ad opera dei Protestanti;
lodio di Calvino che ripete le accuse di Tertulliano agli Gnostici. Complessit del fenomeno libertino.

Capitolo sesto - Da Gioacchino al Gioachimismo p. 290

Dottrina di Gioacchino da Fiore: sua natura spirituale e sua trasformazione in agitazione sociale. Gioacchino
rinnova lo schema dellApocalittica. Sua esperienza del Cristianesimo come evento storico che indirizza la
storia; incompatibilit con laristotelismo. Il Vangelo trasformato in Legge giudaizzazione del Cristianesimo.
Lo Spirito non pu fissarsi nella lettera, sempre in movimento. Il Gioachimismo una svolta verso la
modernit; uscito dai conventi si fa rivoluzionario. Pietro Olivi, Giovanni Rupescissa, Arnaldo da Villanova. I
Francescani. Gerardo da Borgo San Donnino e il Vangelo Eterno. La condanna del Gioachimismo ad Anagni.
Segarelli e gli Apostolici. Lepopea di Dolcino, primo rivoluzionario. Diffusione sotterranea del Gioachimismo
in Europa dopo la strage dei Dolciniani.

Capitolo settimo - Lo Spirito Santo va alla guerra p. 303

Il periodo rivoluzionario del XV-XVI secolo chiude il Medioevo. Da Wyclif e dal Gioachimismo il movimento
Hussita. Sue vicende: Taboriti e Adamiti. Loro sconfitta; sopravvivenza dei Fratelli Moravi. Lagitazione di
Nicklashausen forse connessa con legualitarismo boemo. Sua repressione. Il Bauernkrieg: dottrine, protagonisti,
episodi. Thomas Mntzer: levoluzione della sua dottrina, lo scontro con Lutero e la radicalizzazione della sua
posizione rivoluzionaria sino a Frankenhausen. Suoi rapporti con la nascita dellAnabattismo. Vicende
dellAnabattismo sino a Mnster: protagonisti e dottrine. La tragica fine e gli ultimi episodi in Olanda.

SEZIONE SECONDA - LALTO, IL BASSO, IL PROFONDO


Capitolo primo - La svolta p. 341

Dopo le crisi del Bauernkrieg e di Mnster, altre sono le forme nelle quali si manifesta la cultura non-
conformista: alchimia, Qabbalah, magia, Spiritualismo riformato e teosofia.

Capitolo secondo - Un lungo viaggio dalla Provenza a Parigi p. 344

Storia della Qabbalah ebraica. Le origini, il nuovo corso nella Provenza del XII secolo, le strutture
neoplatoniche. I principali cabbalisti di Narbona e Gerona, e le strutture dei principali sistemi: il Sepher Yetzirah,
il Bahr e lo Zohar. Il grande dibattito sul problema del Male: levoluzione gnostica della dottrina.
Peggioramento delle condizioni della Diaspora e Qabbalah di Safed. Suoi esiti millenaristi: la grande eresia
sabbatiana del XVII secolo e il suo antinomismo. Entusiasmo, crisi, e sopravvivenza occulta nellIslam e nei
Balcani sino allinizio del XX secolo. Dal Sabbataismo il movimento Frankista nellImpero asburgico nel XVIII
secolo. Suo occultamento nel Cristianesimo sino a tempi recenti. Lantinomismo e lascesa sociale nelle Logge.
Lavventura del Frankista Dobruschka-von Schnfeld-Frey, da Vienna alla ghigliottina nel corso della
Rivoluzione Francese.

Capitolo terzo - Il calderone magico e il pot-pourri degli opposti p. 377

Dietro il cosiddetto ermetismo rinascimentale c una vicenda che inizia con le traduzioni dallarabo nel XII
secolo. Dottrine magico-astrologiche nellIslam; loro recezione in occidente; loro evoluzione nel Rinascimento.
Il sostrato magico popolare del mondo arabo, simile a quello occidentale. Importanza dellastrologia indiana e
iranica nello sviluppo di quella araba; formazione di una magia dotta che teurgia. Testi arabi in occidente: il
Picatrix e il suo fondamento neoplatonico; il De radiis e il suo meccanicismo; il De secretis natur. Ficino, la
traduzione di Sinesio, e la genesi della magia dotta rinascimentale. La pretesa di una magia naturale che non
eresia. Ambiguit del suo fondamento. Pico della Mirandola, Reuchlin, e la Cabbala cristiana: suo carattere
teurgico. Agrippa. Importanza dellebraico: la cultura anticlassicista. Luomo onnipotente. Lullo e la logica
universale. Il mago Guillaume Postel; suoi viaggi e sua dottrina; il mito etrusco di Annio da Viterbo d origine al
suo mito celtico, in entrambi i casi come priorit della cultura orientale su quella greca. Sua attenzione alle eresie
del mondo orientale; sua attenzione al Nuovo Mondo. La dottrina della Restituzione. Bruno: suoi rapporti con
Avicebron e David di Dinant; lintelligenza della materia; sguardo retrospettivo sulla dottrina del Fons Vit di

XVI
Avicebron. Modernit di Bruno; il primato dellindividuo contro la normativa e lestetica anticlassicista.
Campanella ultimo mago.

Capitolo quarto - Lalto e il basso p. 418

Alto e basso si equivalgono nellalchimia, e cos spirito e materia. Lalchimia dallantichit al mondo arabo; suoi
diversi aspetti. Il crogiolo irano-mesopotamico. Il cosmo alchemico neoplatonico. Limpulso islamico, larrivo
in occidente, e la sua recezione nel XII-XIII secolo. Ambiguit dei suoi fondamenti. I primi alchimisti. Intesa
dapprima come scienza si trasforma poi in disciplina spirituale nel XIV-XV secolo sotto limpulso
gioachimita. Villanova, Rupescissa, il Libro della Santa Trinit. La dottrina alchemica nel momento del suo
pieno sviluppo. Tensione utopica, rapporti con il Millenarismo e con lo Spiritualismo riformato. I testi, le
variazioni dottrinali, il simbolismo. Paracelso, il pi grande degli alchimisti. Sua vita ribelle; il suo sistema
gnostico-alchemico. Suo volontarismo e sua vicinanza ai sistemi neoplatonici islamici e ad Avicebron. Sua
sistematizzazione del folklore medievale. La teologia e lantropologia di Paracelso. Maria lEva celeste
emanata da Dio. Rapporti con le dottrine di Mntzer e dello Spiritualismo riformato: cristificazione delluomo.
I paracelsisti del XVII secolo; i Rosacroce e la Guerra dei Trentanni. Testi rosicruciani. Il declino nel XVIII
secolo.

Capitolo quinto - Il rifugio dello Spirito p. 474

Lo Spiritualismo, rifugio dopo il fallimento rivoluzionario. Episodi italiani. Lo Spiritualismo riformato in


Germania: Schwenckfeld, Franck e Weigel contro lappiattirsi della Riforma in una nuova ortodossia. Loro
connessione con Paracelso. Loro vite e dottrine. Interesse per le antiche eresie, rifiuto della letteralit. Il
Cristianesimo tende a semplificarsi in religione universale dellamore. Weigel per primo inizia la trasformazione
della tradizione mistica in teosofia. Esame della sua dottrina, che anticipa quella di Bhme. Sociologia dei suoi
fedeli. Primato del volontarismo testamentario sul razionalismo greco. Lo spazio come luogo della volont. Il
mito della caduta di Lucifero e di Adamo, e la formazione del mondo sensibile. Il processo emanativo. Le acque
superiori, sede di Eva celeste: echi della dottrina paracelsiana. La salvezza come cristificazione interiore,
nascita interiore del nuovo Adamo. Il peccato come rifiuto di aderire alla volont di autotrasformazione divina,
come sguardo a ritroso. Il Male insito nel divino, come parte della totalit originaria che Dio rifiuta nel Suo
divenire. In Weigel, lalto si rifugia nel profondo.

Capitolo sesto - Lalto e il profondo p. 502

Bhme e il dislocamento dellutopia: soltanto un uomo interiormente rinnovato pu costruire una nuova societ.
Lalchimia di Paracelso si trasforma in teosofia. La linea di sviluppo ParacelsoWeigelBhme una realt.
Bhme un teosofo, non un filosofo. Sua improvvisa illuminazione. La dottrina iniziale di Aurora. Nel processo
teogonico appare ipostatizzato il processo di formazione dellIo. Dio pu esser pensato soltanto dal Suo
manifestarSi nellUniverso; rinasce in ogni momento. Il Male viene da Lui, che per non lo vuole. Analogia tra il
Dio di Bhme e quello della Qabbalah ebraica. I miti delle cadute di Lucifero e di Adamo. Incompatibilit del
Dio bhmiano in divenire, con il pensiero razionalista. Stato corrotto del Creato, nel quale Dio tuttavia
presente. Evoluzione della dottrina di Bhme. Il mito di Sophia. Affermarsi in Bhme di un disprezzo della
materia intesa come testimonianza sensibile della disarmonia. Il Mysterium Magnum mutuato da Paracelso,
analogo alla materia prima di Avicebron, primo elemento della Creazione. La materia armonica il mondo
quintessenziale. Neoplatonismo di Bhme: lUno nel molteplice e la signatura rerum. La teogonia, lotta di Dio
con Se stesso. Il mondo storico pi ricco di quello progettuale. Il linguaggio adamico. Utopismo di Bhme. Il
suo pensiero segna una svolta epocale.

PARTE TERZA - IL CALEIDOSCOPIO GIRA


Capitolo primo - Il diverso e leguale p. 539

Il XVIII secolo non soltanto il Secolo dei Lumi. Teosofia e Filosofia della natura. Il caso di Newton. La
Teologia dellelettricit. Oetinger continuatore di Bhme. Meccanicismo della sua lettura di Bhme. Suo
millenarismo: fine del potere, eguaglianza, benessere magico per luomo rigenerato. Suo interesse per il
visionario Swedenborg. Nel XVIII secolo la teosofia mostra la propria subordinazione al Razionalismo; nel
secolo della scienza, essa diviene perci irrazionalismo: le visioni di Swedenborg e la polemica di Kant. Sua
motivazione nella nuova concezione kantiana della metafisica. Il Pietismo, dal XVII secolo sino a tutto il XVIII,
traghetta il pensiero bhmiano verso il Romanticismo; suoi protagonisti e dottrine. Le radici del Romanticismo:
le fonti mistiche secondo Benz; quelle occulte secondo Viatte. La crisi alla vigilia della Rivoluzione Francese:

XVII
rivoluzionari e teosofi. Paracelsisti e bhmisti come ponte tra il neoplatonismo rinascimentale e il
Romanticismo, secondo Faivre. Oetinger ultimo tramite. Romanticismo tedesco e Rivoluzione Francese: la
presenza di Burke. Origini del Romanticismo tedesco secondo Ayrault: la crisi generale che lo precede. I
Romantici non assumono il Neoplatonismo dalla riscoperta di Plotino, ma lo ereditano dal non-conformismo
religioso. Nel Romanticismo, larte prende il posto della religione come luogo di lotta ideologica.

Capitolo secondo - Le insidie della bellezza p. 576

Il problema del Bello come crisi del Razionalismo. Prime riflessioni di Batteux. Baumgarten fondatore
dellEstetica; suo rapporto con Leibniz, il problema di una conoscenza che va oltre quella della Ragione e che
passa attraverso i sensi. Sua dottrina. Burke e il Sublime: anticlassicismo e antirazionalismo. Lo sforzo del
pensiero razionalista per risolvere il problema del Bello, e il suo fallimento: la Critica del Giudizio. Hamann,
punto davvio del Romanticismo, affronta il problema dellarte nellambito del pensiero religioso: suo
antigrecismo. Herder discepolo di Hamann: concezione vitalista della natura e rifiuto del gi detto nella
filosofia della nave. Suo sguardo rivolto ad oriente. Luomo una creazione del linguaggio. Continuit di
storia naturale e delluomo. Sua Filosofia della storia. Critica allo Stato e alleurocentrismo. Il linguaggio
concettuale segno, quindi allontana dalla natura. Arte, religione e simbolo, rendono visibile linvisibile.
Anticlassicismo. Mito del linguaggio adamico come poetizzazione del mondo. Senza lorganicismo di Herder
non ci sarebbe Romanticismo. Imprevedibilit della storia. Heidelberg e Jena. Il Bello in Schiller. La critica
alla Ragione in Fr. Schlegel; lAllegoria e il Witz. Linfluenza di Bhme sulla concezione della natura in Fr.
Schlegel: ontologia neoplatonica. Rapporto del finito con lInfinito, della materia con lo Spirito, come ritorno di
antichi temi alchemici e bhmiani: luomo perfezionatore della Creazione. Con Fr. Schlegel i primi passi verso
un pensare diverso. Wackenroder e Tieck: testi e dottrine. Larte come rapporto diretto con il soprarazionale.
Negazione di un loro preteso Nihilismo: il loro pensiero religioso, il Nihilismo nasce soltanto dalla pretesa di
secolarizzarlo. Il rapporto stretto di Tieck con Bhme. Il paesaggio come luogo di rispecchiamento dellanima,
fondamentale contributo di Tieck alla nascita del sentimento romantico della natura. Analogia tra il sottofondo
sociale delle fiabe di Tieck e quello del leggendario medievale: il modello melusiniano. Schleiermacher e la
religiosit dellarte come rapporto con lUniverso. Lutopia della gldene Zeit trasferita nel progresso tecnico.
Sogno pietista di unumanit liberata, e falsa tolleranza: il punto darrivo del pianeta in un Cristianesimo
razionalizzato. Novalis, il poeta-filosofo. Larte come culmine soprarazionale del sapere. Sua concezione
alchemica del rapporto spirito/materia. Suo Idealrealismo. Il Romanticismo ripropone il triangolo alchemico,
teosofico e della Naturphilosophie (Dio/uomo/natura) che consente la conoscenza del divino ad opera
dellanima, tramite la natura. Notturno, femminile e oriente. Mito dellarmonia. Rapporto piccolo-
borghese con lo Stato-organismo inteso come Macranthropos, copia terrena del modello utopico del cosmo.
Hlderlin e il culmine dellutopismo. Labolizione dello Stato. La tragedia di Empedocle, specchio della vicenda
personale di Hlderlin: lestremizzazione dellutopia non consente il dialogo con la datit della storia. Mito
dellEra di Saturno. Il poeta mediatore del divino. Fondazione del mito nella natura; natura, mito e mitologia
greca in Hlderlin: gli Di, forze elementari della natura. Il Romanticismo di Heidelberg: Grres. Suoi stretti
rapporti con Herder. Ruolo del mito: loriente a monte della Grecia. Sua ammirazione per Paracelso: vitalismo
alchemico del suo cosmo. Origine alchemico-teosofica del suo neoplatonismo. Unit di poesia e scienza. Il
mito come tentativo di risolvere le aporie della Ragione nel pensare lAssoluto. La teosofia, culmine della
scienza; la Fantasia, culmine dellintelligenza che si fa religione. Crescita organica della storia. Ripresa del
tema di Herder: le mitologie, chiave di lettura della storia. Creuzer, compagno intellettuale di Grres. Il suo
studio della mitologia negli interpreti neoplatonici. Il simbolo allorigine del mito. La storia inizia in oriente; il
mito greco come decadimento dal sapere originario, che si conserva nei Misteri. Arte e mito, coesistenza degli
opposti e ostensione dAltro. Bachofen: primogenitura del sotterraneo e del femminile. Rivalutazione del
mito nei confronti del simbolo. Bachofen capostipite della ricerca sul mito nel XX secolo. La sua concezione
della storia come dialettica di opposti, maschile e femminile, leggibile nei miti. Ambiguit di questa dialettica tra
Romanticismo e Idealismo, tra la logica dellalternanza e quella del superamento. La Roma di Augusto come
vittoria del principio maschile, apollineo. Ambiguit romantiche e metafisica dellOccidente.
Strumentalizzazione ideologica di Bachofen nel periodo tra le due guerre. Il mito secondo Schelling: sua
connessione con la Rivelazione. La Ragione non giunge a Dio, che pura Volont. La mitologia non un
ricordo del sapere originario, come in Grres e Creuzer; Schelling filosofizza lo schema teogonico di Bhme e
ne fa un processo di crescita della coscienza dopo la perdita del sapere inconscio, prelapsario. Carattere
destinale dellOccidente nella Filosofia della Rivelazione. Oscillazioni del pensiero di Schelling; i testi
bhmiani del periodo intermedio. Lanima e il suo sapere inconscio come la pi alta delle facolt umane.
Suo rapporto con arte e poesia. La Filosofia della natura come teosofia, cede il posto alla Filosofia della
mitologia e della Rivelazione. Nellarte sincontrano il sapere cosciente e quello inconscio dellanima. Il divino
che nella natura percepito dalla Fantasia, e la Einbildungskraft costruisce limmagine, dove esso appare come
Bellezza. Dio, artista in quanto Creatore, anche origine dellarte. Vertice della speculazione sullarte nella Rede
del 1807. Lanima come principio sovrindividuale che si rivela grazie alla natura. Referenti in Hamann. I pittori

XVIII
romantici: Friedrich. Runge, artista e teorico dellarte, legato a Tieck e Bhme, esemplifica la concezione
schellinghiana dellarte. La sua dottrina del colore come mappa del cosmo. La Bellezza come ricerca dellordine
divino sotto il disordine della natura. Larte, seconda Creazione, riporta il mondo alla condizione edenica. Carus
e la sistematizzazione del rapporto anima/paesaggio. Il Romanticismo erede del pensiero non-conformista.

Capitolo terzo - Heri dicebamus p. 680

La ricerca terminata con il Romanticismo; ragioni dellimportanza di esso. Uno schema dubbio: Taubes, 1947.
La sua disattenzione al Romanticismo si lega alleterna tentazione del tlos. Kierkegaard e la storia come
decisione quotidiana dellindividuo. Il suo Esistenzialismo ha punti di contatto con il Romanticismo. Tenersi in
contatto con queste forme di pensiero come antidoto alla storia-percorso. Religiosit romantica e religione. La
storicizzazione del Cristianesimo e la fine dellUtopia. Difficolt di leggere leredit romantica: Klages. Il
ritorno del mito: Otto. La psicologia junghiana e il Romanticismo: sua necessit per fondare la lettura del mito di
Kernyi. Nuovi sviluppi della psicologia: Hillman e la liberazione delle capacit creative. La letteratura e la
critica al Razionalismo. La diversit femminile mette in dubbio i percorsi della filosofia: Luce Irigaray. La
critica alla metafisica dellOccidente in Lvinas. Pareyson e il problema della libert: il mito biblico di Bhme,
Oetinger e Schelling. Libert e mito. Una storia che corre dallo Gnosticismo al Romanticismo. Nella societ
secolarizzata, il mito come libert dai percorsi fissati istituzionalmente.

Epilogo p. 702

Un Epilogo non una Conclusione. Uno sguardo agli inizi del contrasto tra Messaggio e Ragione. Pericolosit
della religione, innocuit delle opinioni. LOccidente tende a dimenticare le proprie origini. Sue connessioni con
lOriente, suo desiderio di reciderle. Cultura e potere. Realt della prospettiva. Forza dellUtopia. Il pensiero
globale. Una cultura pi delle sole espressioni della Cultura. LOccidente aristotelico e cartesiano. Cultura
e globalizzazione. LUtopia non morta. Arroganza della Storia. Il ruolo dellarte nellideologia del Moderno.
Le ideologie non sono finite, altre ne sono in gestazione e ne verranno. Lalterit come fenomeno interno
allOccidente. Razionalismo, Millenarismo, libert per il futuro. Storia e natura. Lostinazione nello happy end
nasconde la realt del Male. Miti del Moderno. Sospetti sulla Cultura e sul Mercato. Tutto si rovescia
nellopposto. Larrivo nella partenza.

AVVERTENZE EDITORIALI p. 715

ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI USATE p. 716

BIBLIOGRAFIA p. 721

INDICE ANALITICO p. 783

APPENDICE ALLA QUARTA EDIZIONE p. 811


Il significato delle sette shite - Naturphilosophie - Sette gnostiche russe nellepoca della
Rivoluzione

La ricerca ha mostrato che parte del pensiero formatosi nel mondo mediterraneo venne emarginata dalla cultura
dellOccidente e tuttavia vi torn dalloriente come radice del dissenso. Ci fu possibile per le comuni radici
originarie e rende interessante un ulteriore sguardo sul fenomeno della Sha. Essa ha radici politiche, e soltanto
col tempo assunse connotati gnostici per il formarsi di gruppi estremisti attorno al 5 e 6 Imm. Le vicende
iniziali non si conciliano con la pi tarda dottrina duodecimana, sono politicamente bellicose ma non riescono
nella presa di potere. Esse furono lato sensu razionali; pi tardi, ai tempi delloccultamento del 12 Imm si
aprir una nuova divisione attorno alle scelte esoteriche. Laffermazione degli Abbsidi e il quietismo del 5 e
6 Imm spostano la componente rivoluzionaria in direzione di dottrine gnostiche. Loro sviluppo. Anche la
dottrina duodecimana, che pure si muove nellambito di una ragione politica ha una componente esoterica
foriera di sviluppi autonomi. I diversi percorsi delle due tendenze. La cultura alchemica legata al variegato
fenomeno che pu considerarsi connesso ad una riflessione dellIslam sulle proprie origini. Sfondo sociologico e
politico. La tendenza alchemica alla divinizzazione delluomo si trasferir nelle eresie del Medioevo occidentale.
In occidente avr un proprio autonomo percorso culminato con la Naturphilosophie. Questultima un nodo
della trasmissione della Teosofia e dellalchimia spirituale verso il Romanticismo. Carattere rivoluzionario delle
sette gnostiche: in Russia documentabile una continuit tra i Chlisty del XVII secolo e la Rivoluzione. La loro

XIX
dottrina si pone in antitesi al binomio Stato/Chiesa. Questa cultura, nonostante le successive persecuzioni,
continu anche sotto il regime comunista, per riemergere al suo dissolversi.

BIBLIOGRAFIA PER LAPPENDICE ALLA QUARTA EDIZIONE p. 817

APPENDICE ALLA QUINTA EDIZIONE p. 819


Lescatologia zoroastriana nei suoi rapporti con il Giudaismo e il Cristianesimo, seguita da
alcune postille

Origine zoroastriana del Millenarismo e dellApocalitticismo presenti nel Giudaismo e nel Cristianesimo. Le
utopie dei popoli nascono nelle religioni e da esse discendono le utopie delle culture secolarizzate. Il mito di un
uomo risorto nella perfezione del Modello originario nasce nello Zoroastrismo. Su questo non tutti sono
daccordo anche a causa dellet tarda di molti testi zoroastriani; nei testi sicuramente antichi il mito non sarebbe
chiaramente attestato. I tre momenti che lo fondano, sono: la cosmogonia, il significato della storia e la struttura
dellAldil. Origine iranica del mito della retribuzione post-mortem, della fine del mondo e dellavvento di un
nuovo mondo, nel quale il Male (non i malvagi!) sar annientato in una finale salvezza universale. Questo mito
si trova al fondo delle eterodossie giudaiche, cristiane e islamiche. Nel mito zoroastriano la punizione post-
mortem appare unespiazione provvisoria. La vittoria finale del Bene riassorbe il Dualismo in un Monismo pur
nella constatazione della realt del Male in questo mondo, del quale smentisce la creazione ad opera di un Dio
buono. Sderblom (1901) gi segnalava il retroterra sociale di questo mito. Sua esposizione, con esclusione delle
sue versioni tarde, di et post-islamica. Differenze col mito gnostico. Sua importanza nel modificare lantica
concezione ebraica dellAldil. Somiglianza dellAldil zoroastriano con quello cristiano. Presenza del mito
nella concezione dellApocatastasi. La divinit originaria delluomo, che parte del mito, torna nelle eterodossie
giudaiche, cristiane e islamiche. Questo mito trasforma la storia in un percorso necessario per giungere alla
inevitabile vittoria del Bene sul Male, e vive ancora, in altre forme, allinterno della societ secolarizzata. Esso
immanente alla cultura nella quale ha origine lIslam, anche a prescindere dagli apporti successivi dellarea
irano-mesopotamica. LApocalitticismo vi motivo diffuso e ricorrente; lobbiettivo islamico la costruzione di
un mondo perfetto, sintomo rivelatore della cultura della marginalit che ne fu allorigine. Le istanze sociali
che in occidente si sono secolarizzate, vi sono rimaste in forma religiosa. Entrambi gli utopismi sono ostili alla
cultura egemone dellOccidente; sono eredit di una cultura comune e mostrano che le connessioni tra Occidente
e Islam non possono essere comprese sulla scorta dellOrientalistica. Lattualit: il fondamentalismo islamico
nellanalisi di vari studiosi. Il ruolo di Ibn Taymiyya e di Ibn Abd al-Wahhb. Il pensiero di Sayyid Qutb e il
mito di un mondo di giustizia. Il jihd. Il pensiero di Al Sharat. Lanalisi di Khosrokhavar della
rivoluzione iranica. Il mondo di giustizia un miraggio sempre presente nella cultura della marginalit.
Inesistenza dello scontro di civilt e crisi dellOccidente: possibile impatto della presenza islamica in
occidente. Le analisi degli studiosi. Il modello occidentale sembra divenuto estraneo a molti. Leo Strauss:
esposizione del suo pensiero. Strauss vorrebbe recuperare il pensiero politico classico, ma il suo limite nel
trascurare la rivoluzione che fu portata dal messaggio neotestamentario nella cultura classica. Secondo Strauss,
lOccidente dubita del proprio progetto e ci al tempo stesso causa ed effetto della crisi, che si compendia nella
deriva relativista del Liberalismo. Una scienza politica avalutativa pone a rischio il proprio stesso fondamento;
non si possono trascurare i valori; il suo non-dogmatismo diventato dogmatico. Le convinzioni dei gruppi
autorevoli determinano il regime di una societ. Regime e intellighentzie: loro estrazione sociale. La
presenza dellIslam pone problemi che lOccidente non sembra in grado di risolvere. Remy Brague: una legge
divina a monte della societ non implica necessariamente una normativa, pu costituire un modello per la libert
delluomo. Porsi il problema del senso costringe ad andare oltre la Ragione calcolante. Se le fondamenta
dellOccidente sembrano scricchiolare forse bene constatarne il carattere mitico, e il mito ambivalente,
mostra nel divenire i suoi opposti volti. Lontana origine religiosa, sia del mito del Progresso, che del mito di un
mondo di giustizia: il primo si per secolarizzato ed economicizzato in una corsa senza fine che non conduce
in alcun luogo. Contraddittoriet dei suoi sogni. LIslam non una realt estranea, coagula le ragioni che
lOccidente scart nel suo costituirsi in ideologia. Il nostro Razionalismo non razionalmente fondato. Scienza e
Scientismo: una cultura ferma ad epigonismo del XVIII secolo, al mito della Ragione, perde di vista la
complessit dellesistenza e conduce alla perdita del senso. LOccidente, che pensava se stesso come capolinea
della storia, sta forse gi passando.

BIBLIOGRAFIA PER LAPPENDICE ALLA QUINTA EDIZIONE p. 847

XX
DOPO E A LATO

1 - azzardato, o comunque troppo originale, affermare che lIslam, in quanto problema,


un problema che rinvia alla formazione dellOccidente? p. 853

La Vulgata islamica ha sempre sollevato dubbi, lIslam non pu essere nato fuori della religiosit mediorientale e
ci chiama in causa il Giudeocristianesimo. Becker vi scorgeva il momento unificatore di una religiosit
preesistente e ricordava persino lunificazione ellenistica, ma soprattutto la religiosit aramaica. LIslam assume
il proprio volto attuale dopo il IX secolo. Schoeps sosteneva che il Giudeocristianesimo, espulso dalla Chiesa
cristiana, trov la propria continuit nellIslam. Un medesimo Messaggio, da un lato si istituzionalizza nel
Razionalismo classico, dallaltro sopravvive come attesa millenaristica nella cultura della marginalit. Recente
rinascita dellindagine sulle origini. La ricerca di Sfar. Crone-Hinds e il Califfo di Dio. Gli ulam inventori
della Sharah. Una storia che doveva terminare con la conquista della Mecca e la Fine dei Tempi, diviene punto
di partenza per la storia del mondo. La nascita di una classe sacerdotale e la raccolta degli ahdth. Tarda et dei
testi della Vulgata (VIII-IX sec.). Scetticismo sulle vicende dellHijz: esposizione di 5 testi di P. Crone.
Efficacia della sua critica, perplessit sulla sua storia alternativa dellIslam. Importanza del periodo abbside
per laffermazione degli ulam. Von Grunebaum: per lIslam il compimento della storia si realizza
nellislamicit dello Stato. La costruzione della Sunnah e il tentativo dei primi Abbsidi di restituire il potere
religioso ai Califfi. Dubbi sulla natura del commercio dei Qurayshiti. Dubbi sulla data di nascita del Profeta.
Lopera di Wansbrough: la Vulgata non opera storica, ma letteraria. Il Corano raccoglie logia del millenarismo
delle sette monoteiste mediorientali. Hawting: il racconto sugli eventi dellHijz nacque fuori della penisola
araba, la storia narrata non credibile. Berg: non ci sono testimonianze archeologiche sulla storia dellHijz. Per
gli scettici non possibile ricostruire una autentica storia. Burton: il Corano originario doveva essere diverso da
quello canonico. Motzki non daccordo con gli scettici, soprattutto per quanto riguarda la tarda et del Corano.
Ritiene che gli asnd siano affidabili, almeno sino ad al-Zuhr. Le deviazioni come la Sha, anche quella
estremista, sembrano per dipendere da una religiosit vernacolare delle origini, lipotesi della ripetitivit della
profezia tema giudeocristiano; ci giustifica un certo scetticismo verso la Vulgata. Prudenza di Motzki: non
possiamo avere certezze, ma lorigine delle tradizioni comunque antica. Scetticismo di Burton; la Legge si
forma progressivamente a partire dal I sec. H. Shfi e la creazione della Sunnah del Profeta. Ibn Hanbal.
Motivi e risultati della loro operazione. Le ricerche di Juynboll e i suoi metodi per valutare lattendibilit degli
ahdth. Sue conclusioni scettiche. Scetticismo di M. Cook: lIslam si forma progressivamente lungo un arco di
tempo storico, non come racconta la Vulgata. Gilliot sostiene che lIslam si form in un ambiente a presenza
cristiana, giudaica e manichea. La teoria di Luxenberg circa alcuni passaggi poco chiari del Corano. Le ricerche
archeologiche di Nevo e Koren: allinizio ci fu soltanto un generico monoteismo. La politica anticristiana
dellIslam inizia soltanto con lVIII secolo; a quel tempo i Cristiani vedevano nellIslam soltanto uneresia del
Cristianesimo. Conclusioni: lIslam appare lerede di forme di cultura che lOccidente scelse di bandire da s.
Cenni su questo fenomeno. Di qui anche la nostra incapacit di comprendere.

2 - Un Dio a misura duomo e un uomo a misura di Dio p. 875

La disputa tra al-Ghazl e Averro. La filosofia aristotelica sulla quale si disput per neoplatonica, perch
il compromesso tra il pensiero classico e il Creazionismo si risolse in un emanatismo. Nel Creazionismo la
razionalit aristotelica del mondo crea un inestricabile rapporto tra il mondo e Dio, dal quale derivano le
eterodossie. Centrale nel dibattito tra al-Ghazl e Averro la coeternit del mondo con Dio, una questione che
sembra fumosa ma non lo . I problemi aperti con il De Anima. La differenza tra il dio dei filosofi e il Dio
testamentario. Il passaggio dal primo al secondo cambia il rapporto delluomo col mondo. Il mondo classico
resta un revenant. Il pensiero di Aristobulo, il mondo giudaico alessandrino e lopera di Filone. Il Profetismo
stabilisce un rapporto tra Dio e luomo. Lequazione aristotelica tra ordine del mondo, Ragione e struttura del
discorso, e la divinizzazione delluomo perfetto. Il tentativo di soluzione di Filone, la Profezia come incontro
con il lgos divino al tramonto della Ragione. Il Dio trascendente anche immanente. La storia come
percorso assiologicamente orientato. LIslam ha dato a ci una sua risposta in presenza degli stessi strumenti
concettuali dellOccidente, e la diversa lettura del medesimo Messaggio dipende dallinadeguatezza della
Ragione nel pensare la totalit del reale. Lopera di Porfirio, quella di Alessandro di Afrodisia, e il loro ruolo
nella trasmissione e trasformazione del pensiero greco. Centralit del problema dellIntelletto in Aristotele e
nascita dellIntelletto Agente La Provvidenza scende nel mondo sublunare. Le traduzioni arabe e le nuove
interpretazioni. La comprensibilit del mondo e una medesima Ragione in terra e in Cielo. Il problema della
Profezia. Il Neoplatonismo islamico. Al-Frb e la sua collocazione religiosa (islamica). La sua Citt virtuosa. Il
suo schema ontologico arriver sino al Medioevo occidentale. LIntelletto Agente e la Profezia. Ibn Ba
(Avenpace). Il concetto di solitario e le avanguardie rivoluzionarie messe in moto dallIntelletto Agente. Ibn

XXI
Tufayl e il suo racconto filosofico. Suoi rapporti con al-Frb, Avicenna e al-Ghazl. Il percorso razionale alla
conoscenza da parte del suo protagonista. La tradizione sf verso un percorso panteista. Ibn Tufayl, come i suoi
predecessori, resta un Musulmano che medita come giungere alla societ perfetta. Tre livelli di verit e tre
livelli di conoscenza. I suoi tre mediatori: i sensi, la Ragione e lIntuizione Intellettuale. Il salto ontologico che
porta allunificazione con Dio. Critica implicita al sistema giuridico/religioso dellIslam. Insufficienza della
filosofia: come mero pensiero dellessere (Aristotele) conduce allIlozoismo; come tentativo di razionalizzare
la Rivelazione conduce al Panteismo. Avicenna vuol presentarsi come un aristotelico, ma un neoplatonico. Suo
determinante ruolo in occidente a partire dalla Scuola di Chartres e dalle sue conseguenze eterodosse. La sua
dimensione religiosa lontana dallintellettualismo di Ibn Ba. Non un mistico, un filosofo, e tuttavia la
strada della conoscenza resta limmedesimazione con lIntelletto Agente. La sua ontologia. Il ruolo dellAnima.
Il Male originato dallindigenza intrinseca alla materia. La Profezia dipende dalla perfezione dellIntelletto, ma il
Profeta parla per metafore. La Profezia investe anche la facolt intellettuale, non soltanto quella immaginativa,
come in al-Frb, ma la sua dottrina inaccettabile per al-Ghazl e Ibn Taymiyya, perch rischia di fare del
Profeta un affabulatore. Altri due punti della sua dottrina sono inaccettabili: lidentificazione della haecceitas
delluomo con la sola Anima, la sola che risorger; e lemanatismo, che rende il mondo coeterno con Dio e la
Creazione un atto non libero. Limiti del tentato accordo tra filosofia e Rivelazione. Lopera di al-Ghazl
restituisce preminenza alla seconda; il suo rifiuto della filosofia non che un tassello della sua opera.
Neoplatonismo, esoterismo ed eterodossia: la critica di al-Ghazl e Ibn Taymiyya. Preminenza dellinteresse
politico e sociale nella religiosit islamica. La prima preoccupazione di al-Ghazl la Legge e la finalit politica
della Rivelazione. Lincontro/scontro tra pensiero greco e cultura islamica: gli Abbsidi e il mutazilismo. La
vittoria degli ulam e del tradizionalismo. Shfi: Dio inconcepibile, impossibilit di interpretare la Sua
Legge; il Corano deve bastare, al massimo si possono operare deduzioni dal testo. Accanto al Corano c la
Sunnah del Profeta, ci che egli disse e fece. Fossilizzazione della Sharah. Per al-Ghazl lassoluta libert
divina messa in dubbio dal mutazilismo. Soltanto il cuore porta alla conoscenza. Nella fondazione di una
teologia dogmatica, al Ghazl si inserisce nellopera dei tradizionalisti. Gli ulam matres penser
autoproclamati del popolo islamico secondo Blanquis. In questo contesto pensare al-Ghazl, filosofo anche
lui ma scettico sulla Ragione. N lui n Averro si discostano dallormai affermata giurisprudenza islamica. Il
dogma del Corano increato e la Sunnah del Profeta fanno ormai della Sharah la quintessenza dellIslam,
secondo Lucchetta. Ruolo determinante dei Selgiukidi. Al contrario di Averro, che era un aristotelico, al-
Ghazl pensava lassoluta trascendenza di un Dio rivelato che si pone al di l del principio di non-
contraddizione. Ibn Taymiyya: se la Ragione insufficiente restano soltanto gli indizi, la nostra verit ha
natura giuridica. Il Dio di al-Ghazl assolutamente libero, lordine del mondo empiricamente constatabile,
non logicamente necessario. Suo Occasionalismo. La filosofia costringerebbe Dio nei limiti dellumano.
Averro aristotelico, ma anche buon Musulmano, e per giunta qd: va inteso in questo ambito. Tre modi di
giungere alla Verit. Il filosofo non deve comunicare al popolo la propria scienza; la religione viene da lui
forzata ad un accordo con la filosofia. La critica di Ibn Taymiyya a questo modo di procedere. Averro nega la
coesistenza degli opposti in Dio, e cos riduce Dio allumano. Al-Ghazl, lo Scetticismo e il Testamento di
Ardashr. La religione atto legislativo, sociale e politico. Ibn Taymiyya contro il Neoplatonismo; il suo
pensiero e la crisi del mondo islamico. Prima di lui, e dopo al-Ghazl, la straordinaria stagione poetico-mistico-
neoplatonica del XII secolo Differenza tra al-Ghazl e Ibn Taymiyya. Sua attenzione alla Profezia sul piano
giuridico e sua tensione verso una societ monolitica. La Sunnah dei Compagni e il Salafismo. Intransigenza
verso i culti popolari, il Cristianesimo e il Giudaismo. Esasperazione di una visione giuridica immobilizzante.
Riflessioni conclusive. Una postilla sulla Sha estremista e sulle sue propaggini successive alla
istituzionalizzazione di una Chiesa duodecimana sotto i Safavidi.

3 - La crisi dellOccidente: Leo Strauss e la filosofia politica; Voegelin e il XX secolo


gnostico; Brague e lordine medievale. Con alcune divagazioni apparentemente fuori tema
p. 904

La crisi dellOccidente la crisi della sua ideologia razionalista, ci angoscia i conservatori. Non sembra casuale
che analisti della crisi come Leo Strauss sognino un ritorno al Razionalismo greco classico. La storia che parte
dallo Gnosticismo la storia di questa cultura egemone vista nellottica dellemarginazione. Tappe nella
formazione di una ideologia del dominio. La critica di Mc Allister allopera di Strauss. Il ruolo essenzialmente
sociale della religione: Strauss cita Averro, Voegelin ossessionato dallo Gnosticismo. Nelle sue analisi
Strauss ignora il Neoplatonismo e persino il Cristianesimo. Per Mc Allister lassimilazionismo fu il suo vero
problema. Motivi e risultati di una sua prospettiva non corretta. Complessit del Giudaismo intertestamentario.
Lanticristianesimo di Strauss fa parte della sua insistenza sulla Legge, una scelta che lo spinge ad analizzare il
pensiero politico dellIslam come ritorno alla Grecia. Strauss non inquadra correttamente neppure Maimonide.
Secondo Mc Allister, i suoi veri problemi sono personali, non universali. Strauss trasforma la Torah in Sharah.
Le sue tesi sulla Legge. Errata comprensione di al-Frb. Infondate tesi di P&AW. La sua prospettiva lo porta
ad ignorare alcune differenze tra Spinoza e Hobbes. Lordine sociale deve essere fondato su una Legge che

XXII
trascende lindividuo. La razionalizzazione della religione, a partire da Spinoza, sarebbe allorigine della crisi.
Fondamento della critica allo Storicismo. Coerenza di Strauss, dalla quale derivano anche le sue sviste: lo
sguardo soggettivo di partenza le condiziona. Analisi degli scritti di Strauss. Denuncia del ruolo corrosivo del
Liberalismo, a partire da Spinoza e Hobbes. Gli studi su Maimonide. Il problema personale di Strauss potrebbe
essere un problema generale dellOccidente. Prosegue lanalisi dei testi di Strauss. La sua critica a Hobbes
mostra la mancanza di fondamento razionale della Modernit. Prosegue la critica allirrazionalit e ai rischi del
pensiero politico di Hobbes. Lo Stato come costruzione artificiale. Tra Platone e Aristotele il contrasto non
filosofico, ma politico. Atene, Gerusalemme. Strauss e Brague. Lepistme e i Sofisti. Ancora su Hobbes.
Considerazioni finali. NR&H una critica alla scienza politica moderna. Mancanza di fondamento del
Relativismo, che non pu essere pensato coerentemente sino in fondo. Prosegue la critica di Strauss, che investe
Weber. In Strauss fondamentale la posizione platonica sul contrasto tra epistme e dxa. Sua polemica con i
Sofisti, sua avversione per lEpicureismo. Il diritto naturale. La sua critica mette in luce linconsistenza del
concetto di religione come opinione privata. Anche nel pensiero classico, luomo per natura animale sociale.
Critica di Strauss a Locke, a Rousseau e a Burke. La filogenesi della modernit, secondo Strauss, avviene lungo
due percorsi: (Machiavelli)HobbesSpinoza e HobbesLockeRousseauBurke. Di qui si giunge a Hegel
e allo Storicismo, oltrech a NietzscheHeidegger, con il Relativismo; Storicismo e Relativismo segnano la
crisi dellOccidente. Polemica antiromantica sul tema del linguaggio. Singolari convergenze con Taubes (che
peraltro non stimava). Il suo confronto tra Atene e Gerusalemme artificioso e problematico. La critica della
Cassin allepistme di Platone. Strauss attacca il mito del Progresso. Per Strauss il pensiero politico diviene
unastrazione intellettuale indipendente dalle circostanze nelle quali si genera. Oscilla tra Atene e
Gerusalemme ignorandone quel mix eversivo che fu lo Gnosticismo. Impropria lettura di al-Frb e di
Maimonide. Ancora su Atene e Gerusalemme; il fondamento anticristiano delle sue posizioni. La sua
corrispondenza con Voegelin. Le ragioni della Chiesa di Roma che si istituzionalizza entro le strutture del
Razionalismo classico. Mia critica a Strauss. RCPR sorregge il rapporto posto da Strauss tra Ragione e
Rivelazione, filosofia e Profezia. La critica di Tamer sulla capacit di capire da parte di Strauss: attribuisce ad
altri pensieri suoi. La sua Atene e la sua Gerusalemme sono ideologiche, non reali. I percorsi di pensiero che
vanno da Alessandria a Baghdad, passando per la Siria: una messa a punto contro le ideologizzazioni di Strauss,
con il contributo di molti studiosi. Leaman considera errata linterpretazione straussiana della filosofia islamica.
Di nuovo la critica di Tamer: per Averro lautorit del Corano veniva innanzitutto. Strauss non interpreta bene
il significato della parola nms con riferimento a Platone. La dottrina della Profezia di Avicenna legata al
De Anima. LIslam non fu grecizzato dai falsifa, se mai fu islamizzata la filosofia. Prosegue la critica di
Tamer. Perch Strauss si rivolge a Schmitt. I malintesi di Strauss non sono casuali, gli servono per costruire un
percorso che risponda al suo problema di partenza. Il pensiero di Strauss culmina in un ossimoro, per questo
deve fraintendere lIslam. Altre sue incongruenze. Il suo particolare problema comprensibile, assai meno la sua
pretesa di costruirvi sopra una filosofia politica universalmente valida. Tamer: Strauss accosta Giudaismo e
Islam soltanto perch rifiuta una religiosit interiorizzata. Interpretazione straussiana di Maimonide. Quando
afferma che il Profeta il fondatore dello Stato platonico, non registra il cambiamento di prospettiva sul mondo e
sul fondamento del sapere che intercorre tra un filosofo e un Profeta. Ulteriore analisi delle opere di Strauss.
Artificiosit di un percorso costruito per suffragare una tesi. La filosofia greca sopravvisse soltanto nel proprio
adattamento alla Rivelazione: Avicenna, Maimonide e Tommaso. Tamer: altri errori di Strauss nelle lettura di
Avicenna. Impossibilit storica e filosofica di collegare il nmos alla Sharah. Fede e opinione. Strauss -ateo-
strumentalizza la religione. Il Razionalismo classico il cerchio di gesso che ipnotizza lOccidente. Nota Tamer,
che per Strauss la religione non vera utile: Strauss convalida la Bibbia e nega Dio. Si torna la suo
problema: una lettera a Klein del 1934. Secondo Tamer, per Strauss la Sharah la facciata essoterica di una
verit esoterica accessibile soltanto ai filosofi. Personalmente, vedo nel rifiuto di Strauss ad ancorare il pensiero
alle circostanze, il passepartout per creare percorsi di pensiero arbitrari. Tamer nota altri errori significativi nella
comprensione di parole e concetti della lingua araba. Insostenibilit di P&AW. Strauss sogna forse una
corporazione di filosofi; forse era uno Gnostico nel senso che dettero alla parola i Padri della Chiesa.
Nonostante i suoi evidenti errori di percorso e il rifiuto di percorsi pi reali, la sua critica alla mancanza di
fondamento della Modernit abissale. Per Tamer, il grande merito di Strauss aver compreso le parentele
culturali che esistono tra lOccidente e lIslam. Mie considerazioni finali e divagazioni non casuali su Don
Chisciotte, il Barocco e la natura dellUtopia; di qui si passa a Voegelin e alla sua ossessione di vivere in un
mondo di Gnostici. Abnorme dilatazione dellintuizione di Jonas. Il mio esame si limita a questo dettaglio
della sua corposa produzione. Voegelin vede -come Strauss- nel Razionalismo classico, e -a differenza di
Strauss- nel Cristianesimo, le grandi vie per la ricerca della Verit. Suo interesse per lo Gnosticismo; Jonas e
Quispel come suoi maestri. Entrambi rimasero assai tiepidi sugli sviluppi che ne ebbe la visione storica di
Voegelin, che trasform un puntuale evento storico in un modello cosmico e metafisico dellintera storia.
Voegelin pensa la concreta realt del Male e immagina un conflitto perenne, con la conseguenza di inquadrare
metafisicamente puntuali fenomeni storici e politici. I percorsi storici da lui delineati si compendiano nella
successione GnosticismoGioachimismo(Illuminismo) Hegelcrisi della Modernit. Altro percorso
parallelo tracciato tra lApocalitticismo e lIlluminismo (passando per Cristianesimo e Rinascimento) per
proseguire con MassoneriaProgressismoMarx-Engels, cio Comunismo, associato a Nazismo e Fascismo.

XXIII
Voegelin considera cos scontati i suoi percorsi, che non si cura di chiarirli. Intende ristabilire una Filosofia
della Storia. Anche lui, come Strauss, combatte una battaglia per lepistme contro la dxa. Nella
corrispondenza con Strauss, critica Weber per avere ignorato il Cristianesimo medievale come luogo dellordine
umano e sociale. Attacco a Gioacchino da Fiore, la cui ultima conseguenza sarebbe stata....lo Stato Nazista. Il
suo metodo: destoricizza un evento storico puntuale estraendone dei simboli, che poi ritrova in altri eventi
dando luogo a un collegamento. Altre sue fantastiche catene di trasmissione. Contraddizioni nella sua lotta ai
fantasmi gnostici che lo circondano. Scoto Eriugena tra i precedenti di Karl Marx? I Puritani diventano
Gnostici. Vero rapporto di Calvino con lo Gnosticismo, stabilito attraverso i suoi testi. Gnosticismo diventa in
Voegelin parola vuota, oppure espediente politologico. Gnostico tutto e il contrario di tutto: lo la destra
ma anche la sinistra. Altri suoi testi di riferimento in Taubes e N. Cohn. Hegel giocava con le parole. Dal
Progressismo alla Psicanalisi al Nazismo, tutto gnostico. Voegelin non documenta le proprie affermazioni,
d per scontato ci che per lui ovvio. Analisi delle motivazioni di Voegelin e della reale dimensione dello
Gnosticismo. Brague guarda anche al mondo romano e, soprattutto, al Medioevo cristiano. Per lui lOccidente si
identifica con lEuropa, e questa con i confini della latinit: i suoi confini sono infatti marcati dallIslam e dal
mondo ortodosso. A differenza di Strauss, vede Gerusalemme in unottica ebraico-cristiana. Importanza della
cultura romana, capace, contrariamente allIslam, di far proprio ci che le estraneo. Idealizzazione della
Europa. Forse fu lopposizione tra Papato e Impero a fare dellEuropa un caso unico. Singolarit del
Cristianesimo, che non una religione del Libro; la sua Rivelazione non viene da un Libro, ma dallesempio di
una Persona. Nascita dellUtopia e cambiamento del mondo legati al messaggio neotestamentario. Il mito del
Progresso collegato al Marcionismo. Contro il Relativismo culturale. Esposizione di La loi de Dieu. Riflessione
medievale sul tema della Legge. LIslam ignora la Politica di Aristotele e cos Bisanzio. Gelasio invoc la
separazione di Stato e Chiesa. Centralit del confronto tra al-Frb, Maimonide e Tommaso. La verit di Dio
nella Sua Creazione. I Padri escono dallorbita del Giudaismo ed entrano in quella della filosofia greca. La
Legge nel cuore delluomo. La Legge non unesternazione di Dio, in Dio. esposizione della dottrina di
Tommaso relativa alla Legge (Summa Theologi, Qustiones 90-97). Il grandioso ordine neoplatonico
medievale preso a modello da Brague. La legge di natura cambi col cambiare del concetto di natura.
Anche Brague, come Strauss, cerca un Bene oggettivo. La teodicea illuminista ha nascosto la realt del Male,
perch non ha capito la contraddittoriet del reale. La Modernit vecchia. Carattere implicitamente cristiano del
giudizio gnostico su questo mondo. Secondo Brague, la nostra democrazia non fa riferimento a quella greca, ma
di origine cristiana: non nel principio maggioritario (lelezione era un principio aristocratico) ma nella
convinzione che nelle coscienze parli la Voce di Dio. Il problema dellIslam non la democrazia. In Occidente,
la legge oggi pi vicina al concetto islamico di lecito e proibito che non a quello cristiano; per giunta, i regimi
sono, pi che altro, laocratici. Anche in Iran, la velayt-e faqh un momento politico che ha sostituito quello
religioso. Letica fondata sul desiderio mina la societ, su questo Strauss e Brague sono daccordo. Lordine del
comportamento individuale era fondato sul modello dellordine cosmico. Vari modelli del mondo. Ritorno
allEpilogo di Storia di un altro occidente. Il Male, problema insondabile per la cultura egemone. Brague
propende per la soluzione di Maimonide, ma anche per una visione religiosa del Progresso. Letica va desunta
dal libro del mondo. Lapprodo moderno come terminale di un percorso iniziato con Socrate e Platone.
Strauss, Voegelin e Brague: tre scelte diverse contro la deriva dellOccidente (ideologico); nessuna riflessione
sulloccidente (reale) che altra cosa. Dittature del XX secolo e neopaganesimo. Non ci si riferisce pi a una
legge di natura. Debolezza culturale dellOccidente, mancanza di risposta culturale alle istanze dellIslam.
razionalmente evidente che la ragione pu risultare vincente soltanto se esiste una razionalit naturalmente
inscritta nel mondo e nelluomo; perci la razionalit non pu essere dissociata dalla religiosit.

AGGIORNAMENTI BIBLIOGRAFICI AL CAP. 1 p. 1011

AGGIORNAMENTI BIBLIOGRAFICI AL CAP. 2 p. 1012

BIBLIOGRAFIA RIASSUNTIVA PER DOPO E A LATO p. 1013

INDICE ANALITICO PER LE PP. 811-1012 p. 1019

ADDENDUM p. 1027

XXIV
RASSEGNA BIBLIOGAFICA RAGIONATA SULLE ORIGINI DELLISLAM E LA LORO
IMPORTANZA NEL DETERMINARNE I SUCCESSIVI SVILUPPI

1 -Dal problema delle origini alla formazione di una retta opinione p. 1035

Lo scopo di tutta la ricerca fu tracciare una storia di ci che lOccidente aveva espulso da s. utile inseguire
quella storia anche fuori dellOccidente stesso; la tesi sostenuta sinora che essa si prosegue nellIslam. Questa
tesi divenuta centrale, perci bene non lasciare dubbi, esaminando a fondo la bibliografia sulle origini
dellIslam, e sulla conseguenzialit con esse dei suoi sviluppi. Shoemaker e la sua replica a Grke-Schoeler
come pretesto per iniziare. La storia delle origini immersa in una zona grigia. Il diverso giudizio di Motzki.
Suo cattivo sillogismo: la mancata dimostrazione della falsit di una storia non implica, come lui pensa, la sua
veridicit. Il mondo preislamico doveva essere sostanzialmente monoteista. Indizi nel Corano. Necessit di
formulare ipotesi. Donner si discosta dagli scettici. Noth sottolinea gli stereotipi della Vulgata islamica, e
qualche evidente falso. Per Donner importante la concordanza sui fatti da parte delle diverse ortodossie
dellIslam. Kister segnala un episodio della giovent dal Profeta, che smentirebbe la tradizione di una sua
giovanile purificazione. Divergenze sullet del Corano. Nel Corano non v cenno ai contenuti politici degli
ahdth. Rigido pietismo della nuova fede. Laridit una caratteristica della marginalit, gi notata negli
Gnostici e nei Catari. Verso la fine del I sec. H., lIslam si pone il problema della propria identit. Sellheim
riconosce nella Sra la presenza di tre strati: eventi storici, loro trasformazione ad esaltazione del Profeta,
giustificazione del ruolo degli Abbsidi. Anche senza aderire alla scuola scettica, la Vulgata non comunque
credibile: una tarda autorappresentazione. LApocalitticismo islamico mette in luce la continuit con la cultura
della marginalit; anche il fondamentalismo ha radice nella cultura delle sette. Gli studi di Busse e i rapporti
dellIslam con il Giudaismo, ma anche con il Cristianesimo. Il ruolo di Qumrn e la continuit tra Giudaismo e
Cristianesimo (cfr. p. 907). Analisi della Sra al-Mida: polemica del Profeta contro Giudei e Cristiani,
lIslam risale a monte, al Messaggio originario da loro tradto. La punizione delladulterio e la polemica
anticristiana, luomo non pu mutare la Legge. Il ruolo di al-Zuhr come fonte di ahdth e della loro scrittura.
Gilliot: il Corano frutto progressivo di un lavoro collettivo. Nascita dellIslam in presenza di una cultura
cristiana. De Prmare nota nel Corano temi e vocabolario dei precedenti monoteismi. Gli Ansr non erano
idolatri. Per Gibb, basta il buonsenso per capire che lIslam nasce in rapporto ai monoteismi precedenti. La
critica di Juynboll alle tradizioni. Juynboll e Gilliot negano lesistenza iniziale di una ortodossia sunnita. Il
Sunnismo tardo. I testi di Rubin tendono a collegare lIslam delle origini al Giudaismo. Lecker sostenitore
della tesi di un ambiente idolatra. Sviluppo delle loro tesi e dubbi su entrambe. Di quale Giudaismo e di quale
Cristianesimo si parla? Lo stesso Rubin accenna agli Pseudepigrafi. Hakim segnala lautorit di Umar come
non inferiore a quella del Profeta, che fu consacrata nel tempo. Antiche tradizioni riferiscono di un diverso inizio
della Profezia in Maometto. Rubin considera lo Hanfismo non troppo lontano dalla religione giudaica. Le
antiche tradizioni della Mecca. La citt di Hra, i Persiani, i Bizantini, le trib federate e la riscossione delle tasse
a Medina. Bashear separa la politica di conquista araba e la nascita della nuova religione. Le trib arabe prima
dellIslam. Gli studi di Hinds sul periodo che va dalluccisione di Uthmn alla battaglia di Siffn: si sposta il
centro del potere, cambiano i gruppi sociali che ne beneficiano. Rivoluzionari della prima ora e ritorno del
vecchio establishment. Per Hoyland, uno Stato esplicitamente islamico nasce soltanto con il 70 H. Inizialmente i
Musulmani erano una minoranza, e il loro potere sempre in pericolo. Lo spinoso problema del
Giudeocristianesimo Le tesi di Wasserstrom che previlegiano lelemento etnico giudaico; loro critica. Pi
meditate posizioni di S. Pines. Bausani: lIslam venne a mettere fine a un mondo e a compiere le attese. Naturale
adesione allIslam dei Giudeocristiani. Lattesa millenarista non fu soltanto giudaica, fu anche del primo
Cristianesimo, la Chiesa di Roma la mise al bando. Alla radice c lAdozionismo, che fu anche del Diatessaron
e della Chiesa Siriana, ed premessa alla ripetitivit del fenomeno profetico. Studi sul ruolo del Cristianesimo
nella nascita dellIslam, legami tra il Corano e gli Apocrifi. De Blois: rapporti tra lIslam e il Manicheismo. De
Prmare: apocrifi e Pseudepigrafi, ma anche il Manicheismo, erano presenti nella penisola araba. Hawting: il
quadro di unArabia politeista prima dellIslam, falso. Chi erano i mushrikn. Chi critica le ipotesi alternative
alla Vulgata, di fatto trasforma la zona grigia in una zona buia, perch la Vulgata non comunque credibile.
Soltanto le ipotesi possono dare un senso a ci che non chiaro. Le accuse di shirk riguardano anche i Cristiani;
confronto col Medioevo occidentale. Le tre divinit femminili e limmaginario sugli Angeli. Peters: il messaggio
del Profeta sarebbe stato incomprensibile per chi non conosceva le religioni testamentarie. Il dibattito sulla
Costituzione di Medina, unico documento unanimemente ritenuto testimonianza storica. Posizioni di Rose e
Serjeant, polemiche della Crone. Crone ha ragione quando nota che i problemi debbono essere affrontati coi
metodi degli storici, non degli arabisti. Le controvertibili traduzioni di alcuni termini condizionano la
comprensione. I Giudei di Yathrib (Medina). Loro rifiuto e derisione del Profeta. Chi sono i contraenti del
documento, che un Patto, non una Costituzione. Ampliamento dellesame. I mercati e la geografia di
Medina. Il significato dei termini controversi. La tesi di Serjeant. Chi sono i muminn, i kfirn e i mushrikn?
Un altro termine dal riferimento dubbio, la Ummah. Rubin d un contributo scegliendo il testo di Ab Ubayd, in

XXV
luogo di quello, generalmente usato, di Ibn Ishq. Gli studi di Lecker. Problemi di retorica politica tra gruppi
avversi. I munfiqn. La Moschea del dissenso. Le divisioni locali. Gli studi di Gil. Conclusioni provvisorie:
gli Ansr erano in parte gi Musulmani, in parte non Musulmani ma monoteisti. Secondo Saadi, tra i
conquistatori arabi del VII secolo vi erano molti Cristiani e Giudeocristiani. Nel Corano abbondano le
citazioni da Apocrifi e Pseudepigrafi: cera un mondo religioso variegato estraneo alle ortodossie giudaica e
cristiana. I Giudei di etnia giudaica rimasero ostili e furono combattuti a Medina. Gli studi sul
Giudeocristianesimo: la ricerca di Skarsaune-Hvalvik e quella di Boyarin. Ancora sullAdozionismo. Variet
delle sette. Genericit ed equivoci sul termine giudaizzanti. Le vaghezze degli eresiologi sono pi attendibili
delle puntualizzazioni degli accademici. Il ruolo dellArianesimo. Lantecedente giudeocristiano non legato al
Giudaismo etnico. Boyarin: genesi e conseguenze della formazione delle due ortodossie, che, alla fine del VI
secolo, erano evento consolidato. Lortodossia rabbinica ha fondamento etnico. Altra cosa gli arabi convertiti al
Giudaismo a Medina. Ancora sugli eventi di Medina e sulla nascita dellIslam, che tuttavia una nuova e
originale sintesi religiosa a partire dalle attese messianiche di una religiosit non ortodossa. Come il
Cristianesimo delle origini era diverso da quello che divenne, cos lIslam delle origini. La Vulgata non storia,
ma va considerata come mito di fondazione per comprendere lIslam. Le ricerche dei neotradizionalisti in
opposizione agli scettici. Motzki e i suoi massicci studi. Secondo Motzki, sono attendibili le trasmissioni da
Urwa ibn Zubayr ad al-Zuhr e da isha a Urwa, che Juynboll giudica dei falsi. Solito cattivo sillogismo.
Motzki non pu comunque risalire oltre il 50 H. come data dinizio della circolazione dei racconti. Sua convalida
delle tradizioni che risalirebbero ad Abdallh ibn Umar. Tentativo di ricavare un nucleo di verit da un
materiale agiografico, ma la Vulgata, come mito di fondazione, autoreferenziale. Non esiste una
eccezionalit dellIslam. Mito e storia hanno percorsi diversi, vanno rispettati e capiti, non confusi. Le ricerche
di Grke e Schoeler. Trasmissione orale e scritta: lipotesi di Schoeler mutuata dagli alessandrini. Il rapporto di
al-Zuhr con la dinastia Omeyyade; interessi politici di questa. Schoeler tenta di delimitare un nucleo di
tradizioni attendibili avvalorando lipotesi (inattendibile per Noth) di una presunta corrispondenza tra Urwa e
Abd al-Malik. Critica pungente di Berg. Autenticit del Kitb al-amwl. Critica di coloro che accettano come
autentiche soltanto le tradizioni che mettono in cattiva luce il Profeta. Noto la verosimiglianza di quelle che
mostrano la sua debolezza a Medina. Anche Grke e Schoeler, come Motzki, debbono fermarsi al 50-70 H. Loro
studio di 8 tradizioni di cui 3 autentiche, e critica di Shoemaker: anche quelle possono derivare dai cantastorie;
anche una, sicuramente antica, non per questo necessariamente vera. La revisione di Berg. Nelle tradizioni
sintrecciano processi di formazione sociale e di produzione mitica. Critiche reciproche. La confusione tra storia
e letteratura genera la eccezionalit dellIslam. La ricostruzione del primo Islam in Robinson mette in luce gli
errori degli orientalisti e le falsit degli islamisti, nonch limpossibilit di tesi attendibili in mancanza di una
archeologia dellHijz. Melkert: le ricerche di Motzki non danno risultati pratici. Osservo che le ricerche dei
neotradizionalisti mettono per il freno alle storie alternative degli ultrascettici; alcuni esempi. Due sintesi di
de Prmare sui fondamenti dellIslam e la formazione del Corano. Le varie versioni, gli anni di Abd al-Malik e i
dubbi sui racconti tramandati. Opinioni di de Prmare sui rapporti tra Corano e ahdth. Documentazione
prodotta. La definitiva canonizzazione del testo avviene nel 936. Documenti sulla sua storia e i suoi protagonisti.
I garanti dellautenticit. Differenze tra le varie storie del testo. Abd al-Malik avoca a s la definizione degli
aspetti legali. Ambiguit di alcuni passi, evidenza di rapporti con la religiosit preesistente. Le sue incongruenze
sono il risultato delle sue vicende. D. Cook e altri: studi sullApocalitticismo alle origini dellIslam e sulla sua
costante presenza nella sua storia. Universale diffusione dellattesa messianica nel Medio Oriente. LIslam
collettore di queste attese della Tarda Antichit: non capirlo non capire lIslam attuale. LIslam colloca se
stesso come evento che pone fine alla Storia. Espressa attesa del mondo di giustizia e jihd. Nelle sue
eterodossie c lattesa della fine della Legge; in ci v convergenza con le eterodossie giudaiche e cristiane.
Per gli apocalitticisti anche lIslam un fallimento storico, occorre una nuova chiamata. Fondamento sociale
dellapocalittica. Contraddizione intrinseca dellattesa palingenetica. Conseguenzialit degli sviluppi dellIslam
con le sue origini. Il tempo degli Abbsidi e la sua centralit per gli sviluppi dellIslam. La lettura dei secoli
VIII-X vista dalla prospettiva della corte. ahm b. Safwan. Ibn al-Muqaffa. Sua collocazione religiosa.
Ecumenismo della Baghdad byide vista dalla prospettiva della corte. Molto diverso il quadro dellintolleranza
popolare e dei conflitti per le strade. Ancora su Ibn al-Muqaffa e sulla lotta di potere tra il Califfo e gli ulam.
Importanza del dualismo e dello scetticismo della cultura iranica per il confronto al quale si deve esporre lIslam.
Al-Warrq e lo scontro con i tradizionalisti. Ibn al-Rwand. I Selgiukidi e limpiego dei vittoriosi ulam per
governare le masse nelle madrase. Vicende e dottrine dei Mutaziliti. Teologia razionale e teologia dogmatica,
loro contrasto. Lavanzata del tradizionalismo col supporto popolare. Ibn Hanbal e la disputa sulla creazione del
Corano. Progressiva intolleranza. Digressione sul ruolo sociale delle religioni e delle ortodossie. Digressione
sugli intrecci tra teologia e giurisprudenza nellIslam: definizione della ortodossia. Tra lottavo e il nono
secolo cambia la prospettiva sulla Sunnah: con Shfi si identifica con il corpus degli ahdth. Teologia
razionale e teologia dogmatica. La Risla, suo impatto su Hanafismo e Mlikismo. Usl al-fiqh, scienza della
Rivelazione e scienza della Ragione: la teologia dogmatica, ma la giurisprudenza richiede lo sforzo razionale.
Il contributo di Shfi innanzitutto teologico. Le quattro scuole giuridiche sunnite. Usl al-fiqh come
strumento a disposizione del tradizionalismo. Ragioni del fallimento di Asharismo e Zhirismo, sul piano
teologico il primo, sul piano giurisprudenziale il secondo. La formazione delle scuole giuridiche sunnite. La

XXVI
digressione serve a far comprendere come gli assestamenti dottrinali riflettano il cambiamento politico e sociale
del IX-X secolo. Declino del Califfato, ascesa dei religiosi come garanti dellunit della Ummah frazionata in
una pluralit di Regni. Ruolo dello Hanbalismo nella evoluzione tradizionalista dellIslam. Suoi aspetti
dottrinali. Importanza dei rigurgiti identitari delle masse per la sua affermazione. Matrice hanbalita del
Salafismo. Disordini provocati nella Baghdad byide. Cambiamenti politici e sociali nellXI-XIII secolo. Ibn
Qudma. Ibn Taymiyya: sue difficolt con il potere e allinterno del mondo islamico, sua lotta per laffermazione
dello Hanbalismo. Problemi dellIslam del suo tempo. Da lui sono discesi il Wahhbismo e il fondamentalismo
attuale. Difficolt del pensiero a fare i conti con il proprio fondamento. Stretto rapporto tra Hanbalismo e
intolleranza religiosa. Pensiero logicamente conseguenziale e fraintendimento della ragione. Lanalisi del
pensiero di Ibn Taymiyya nella ricerca di Laoust. Ruolo politico della Profezia: il Profeta non va venerato, va
obbedito. Le colpe dei Giudei e dei Cristiani. Egualitarismo e totalitarismo. Il modello teologico/politico: il
Sultano lombra di Dio sulla terra, non ne il Vicario, e neppure il Califfo lo . Lo Stato di Ibn Taymiyya
una diarchia tra potere politico-militare e ulam; questi ultimi, come guide della comunit, sola detentrice del
potere, detengono il potere ideologico e possono patteggiare il proprio appoggio al potere politico. Per Ibn
Taymiyya la giurisprudenza deve esprimere il proprio giudizio sulle fattispecie a partire dallidentificazione della
causa nella normativa sharaitica. La sua xenofobia confessionale motivata dallossessione per lunit della
Ummah, il cui retroterra la tensione millenarista a creare in terra la societ perfetta. Misure repressive contro
Cristiani. Ostilit verso la formazione di una gerarchia clericale come nella Sha e nel Cristianesimo. Primo
dovere del Musulmano il jihd. Sua lotta contro le interpretazioni razionalizzanti o esoteriche del Corano. Suo
Occasionalismo. Virt dei Compagni. Il processo subto per laccusa di antropomorfismo. Sua contrariet agli
eccessi nella devozione. Il suo Trattato sulla Hisbah. Suo rifiuto di storicizzare il codice delle punizioni. Ordini e
divieti sono lessenziale della religione e della sua funzione sociale. La politica secondo la Legge divina (al-
Siysa al-Shariyya). Rifiuto di una comunit plurale. Il pensiero di Ibn Taymiyya va ricondotto al suo contesto
storico, e tuttavia esso mira ad una societ-modello, non soggetta al contesto storico. Forte influenza di Ibn
Taymiyya sullIslam contemporaneo. La sua dottrina rispecchia la tensione messianico/apocalittica dellIslam
delle origini. La lotta di Ibn Taymiyya contro lo Stato mongolo, negazione della societ da lui pensata. Laccusa
contro i Mongoli di non applicare la Sharah, ma la propria legge, la Ys, e di non discriminare tra le varie
religioni dei propri sudditi; gli lkhnidi non sono dunque Musulmani, sono apostati. La polemica contro Giudei
e Cristiani accusati di aver falsificato i propri testi. La Lettera a un Re Crociato ripete analoghi argomenti. La
Fatw sui monaci e la preoccupazione di evitare ogni confronto per mantenere una Ummah monolitica. La sua
confutazione del pensiero greco; ragioni politiche di essa. Circolarit del sillogismo, superiorit della analogia.
Carattere empirico della conoscenza umana, inesistenza degli Universali fuori dalla mente dove si formano. Il
vero motivo del trattato di Ibn Taymiyya lattacco allontologia emanatista, madre di tutte le eresie. Inesistenza
della prima materia. Validit della sua critica. La particolarit dellanalogia giuridica (qiys) fondata
sullaccertamento della causa. La conoscenza fondata sulla Rivelazione la sola conoscenza certa. La critica ad
Averro e la superiorit dei Compagni. Coerenza di Ibn Taymiyya con il senso del messaggio testamentario. Il
Salafismo e il mito di unet delloro, passata e/o futura. Ibn Taymiyya pone il problema del fondamento della
Ragione. Inoltrarsi sulla via filosofica, teosofica o esoterica, avrebbe portato alla disintegrazione della societ
islamica da lui vagheggiata. La sua coerenza con le pulsioni dellIslam delle origini certamente ben motivata,
ma non un percorso obbligato; altri sviluppi dellIslam hanno avuto anchessi la loro coerenza.

2 - Le opinioni diverse e la nascita di unaltra retta opinione p. 1155

Precisazioni iniziali sulle precedenti esposizioni dellargomento. LIslam una religione dalle ortodossie
plurime, ve ne sono di sicuro tre: il Sunnismo, la Sha duodecimana, la cui storia non per quella degli
eresiologi, e il Khridjismo. LIsmailismo non pu essere considerato tale, un superamento dellIslam ancorch
ben radicato nelle sue stesse premesse. Vi sono poi anche varie sette. Il Khridjismo la pi antica delle
ortodossie, fondata su una rigida fedelt al dettato coranico, sullo spirito originario dellIslam e su una teologia
razionalista. Sue vicende ed evoluzione nella pi moderata versione dellIbdismo, presente oggi nellOman,
nella pentapoli di Ghardaya, nellisola di Djerba e a Zanzibar. Il ruolo dellopposizione al califfato di Uthmn.
Ribellismo khridjita e conflitto sociale. Etica delle loro comunit, spiritualismo. La loro scuola giuridica in
rapporto con quelle sunnite. Ragioni del loro comportamento a Siffn. La Sha duodecimana frutto di una
elaborazione del IX-X secolo, non la Sha originaria. La leggenda di Abdallh Ibn Sab. Gli eresiografi
fanno storia di comodo, lImmismo duodecimano non nasce con Al. Gli estremisti sono tali perch
dichiarati tali nel periodo formativo dellImmismo duodecimano. Il comportamento di Hasan e il quietismo
degli Husaynidi.; il dissenso attorno a questo atteggiamento. La storia della Sha una storia di attese deluse e
di scelte politiche discordanti. LImmismo inizia a prender forma nella seconda met dellVIII secolo; in quei
decenni si allarga il distacco teologico/politico tra una linea eversiva e una quietista; tuttavia il rapporto del 5 e
6 Imm con la gnosi estremista, equivoco. Il taglio dei ponti con lestremismo scelta tarda ed opera di
una classe dirigente di notabili. Slittamento del sapere degli Imm verso un sapere etico-teologico-giuridico.
Ruolo dei maggiorenti shiti nelloccultamento del XII Imm e condanna dellantinomismo mistico di al-Hallj.

XXVII
C una progressione nel passaggio da un primo, generico Immismo, allImmismo duodecimano, termine
usato per la prima volta soltanto attorno al 1000. La dottrina duodecimana utilizza temi dottrinali maturati in
precedenza nel cosiddetto estremismo, non per opportunismo, ma perch risultato di un negato percorso
comune. Il cambiamento di rotta nel periodo delloccultamento non fu dettato da divergenze sullontologia, ma
da ragioni politiche. Costruzione agiografica della figura di Al; elaborazione del concetto di Immato come
pilastro religioso. La gnosi connaturata alla cultura dalla quale nasce lIslam. LIslam originario non va
confuso con la sua immagine retroproiettata. Osservazioni di G.R. Scarcia sulla islamicit della Sha, non
meno islamica del Sunnismo. Artificiosit della distinzione tra ortodossia ed eterodossia shite, esse hanno
un lungo percorso in comune. Radice sociale delle tendenze rivoluzionarie. Levoluzione della Sha vede
allinizio un movimento politico, poi gnostico e rivoluzionario, per giungere infine allapprodo duodecimano.
Anche le polemiche sulla falsificazione del Corano, assenti allinizio, scompaiono nuovamente alla fine con
laffermarsi dellImmismo duodecimano in epoca byide. La fondamentale differenza tra la Sha duodecimana
e lIsmailismo che per questultimo lImm non soltanto necessario, anche necessariamente presente.
Lestremismo attraversa tutta la rivoluzione abbside. Lanalisi di Moezzi: il corpus duodecimano contiene
quasi tutte le dottrine estremiste. Scomunica di Nusayr al-Numayr, primo esponente del Nusayrismo. Il
processo di razionalizzazione della dottrina duodecimana attraverso i suoi teorici sino allXI secolo.
Loccultamento e il rinvio a un tempo imperscrutabile dellavvento del Mahd; mantenimento del messianismo
consustanziale allIslam. Le vicende e i protagonisti della razionalizzazione. LImmismo come sistema politico
nellanalisi di B. Scarcia Amoretti e di altri studiosi. Una finale analogia con la dottrina politica di Ibn
Taymiyya? Antecedenti e formazione del Nusayrismo: i suoi testi. Nusayrismo e Ismailismo germogliano
entrambi dalla lunga storia del ghuluww; lIsmailismo si richiama al 7 Imm, il Nusayrismo all11. Nel
Nusayrismo le manifestazioni divine in terra non si susseguono per via genealogica, ma per successione
spirituale. Il vero fondatore del Nusayrismo, nel X secolo, al-Khasib, che ne struttur la teologia. La Sha
duodecimana avvertita come tradimento; ancora sullo sfondo sociale della spaccatura. Dottrina Nusayrita, sue
analogie con quella Drusa. Il Nusayrismo islamico. La via della salvezza non nella pratica della Legge, ma
nella conoscenza interiore. Struttura neoplatonica della dottrina nusayrita. Il divino non si incarna nelluomo,
vi si manifesta doceticamente. Inesistenza di presunti prestiti cristiani nella dottrina. Ibn Taymiyya aveva buone
ragioni per accomunare nella medesima fatw Nusayriti e Ismailiti, le sue idee erano politicamente chiare. Gli
odierni Nusayriti hanno mutato il nome in Alawiti e sono pi vicini alla Sha ortodossa. Gli esordi del
movimento ismailita: Qarmati e Ftimidi. Oscurit delle loro origini; loro comparsa improvvisa negli ultimi tre
decenni del IX secolo. Rinvio alle loro dottrine, gi esposte in precedenza. Anche la presunta scissione delle due
branche da un movimento unico, dubbia. dubbio che il movimento possa risalire ai tempi della successione al
6 Imm. Natura sociale della scelta duodecimana e possibile reazione sociale alla base di questi movimenti. La
rivolta dei Zanj e la base rurale e beduina delle rivolte qarmate. LIslam del Profeta ricercava la giustizia in terra.
Possibile una discendenza dai Khattbiti e dai circoli radicali che ruotavano attorno al 6 Imm. Analogie col
Nusayrismo. Le oscure origini della dinastia ftimide. Tutte le rivolte testimoniano grave disagio sociale e sono
rivolte anti-abbsidi. La realizzazione di uno Stato qarmata nel Bahrain. I successi ftimidi nel Maghreb e la
conquista del Cairo. Fondamento contraddittorio del Califfato ftimide: un potere quotidiano gestito nellattesa
di una Fine della Legge che sollecita attese chiliastiche. Negazione dei presunti influssi gnostici. I sudditi del
Califfato sono Sunniti e restano governati dalla Sharah. Il turbolento califfato di al-Hkim. Suo
incomprensibile comportamento. Fu segreto promotore, o complice, dellestremismo druso che ne faceva una
manifestazione di Dio? Sua misteriosa scomparsa. Nascita e dottrina dello scisma druso. La dottrina drusa era
forse liniziale dottrina segreta dei Ftimidi, ed vicina a quella nizrita. Anche per i Drusi non si deve parlare di
incarnazione ma di manifestazione (docetista) del divino in personaggi della storia. La dottrina mostra un
radicamento nella sofferenza sociale. La successione ad al-Hkim. Nasr-i Khosrow e la sua dottrina. La sua
cosmogonia neoplatonica e i paralleli con quella degli Ikhwn as-Saf e degli alchimisti. La dottrina di
Nasroddn Ts. Differenze con la formulazione di Hasan-i Sabbh. Necessit dellImm nellIsmailismo e
nellIslam. Lo scisma nizrita. Ultimi anni dei Ftimidi del Cairo. La Grande Resurrezione rimase un evento
sconosciuto sino alla caduta di Alamt. Muhammad II dichiara suo padre Hasan II discendente di Nizr.
Coalescenza di Nizrismo e Sufismo. Shabestar e il suo cosmo neoplatonico. Lhj. Rm: il Mathnaw e le
Poesie mistiche. Linterpretazione di Soroush. Linquietudine del pensiero e lautoritarismo delle ortodossie. La
mistica di Attr. Cenni sul Sufismo. Mistica, Panteismo, Neoplatonismo e dottrine eversive. Lunicit
dellesistenza. Illusoriet del tempo tripartito. La ricerca di Izutsu. Ayn al-Qudt Hamadn: brevi cenni alla sua
dottrina. Natura islamica del Sufismo. La creazione continua. Sufismo e Ismailismo, il Qutb e lImm. Fazlullh
Astarbd e lo Hurfismo: sfondo sociale e dottrine; confluenza nei Bektsh. Analisi dello Jvdn nma: il
mondo rivela larchitettura segreta del divino. I nomi sono le cose. Il libro dei sogni di Fazlullh. Divinit
delluomo. Movimenti rivoluzionari dei Sf nel periodo tmride e post-tmride. Per comprenderli necessario
inquadrarli nelle condizioni socio-economiche della Persia, dallinvasione mongola al periodo tmride e post-
tmride. Condizioni disastrose, in particolare per i ceti umili e rurali. La repubblica dei Sarbedr. Duodecimani
ed estremisti: le radici sociali delle differenze. Le devastazioni di Tmr seguono quelle mongole. Il
saccheggio della Persia. La disintegrazione dellimpero di Tmr. Diffusione di una Sha popolare dopo la
fine del califfato abbside. Le contese delle trib turche, raggruppate in Qar Quynl e Aq Quynl. Il

XXVIII
Sufismo trascorre dal Sunnismo alla Sha: la vicenda dei Kubrwiyya. La Sha estremista e la protesta
popolare. Mahdsmo e giustizia sociale. I Mushasha. C una logica costante nella Sha. La lunga epopea dei
Safavidi, dal Sunnismo legalitario iniziale alla Sha rivoluzionaria: lopera di Junayd e Haydar con una
digressione sulla rivolta di Bedreddn; i legami familiari con Uzun Hasan, dal 1467 padrone della Persia. I
Qizilbsh in Anatolia. La lotta dei sultani ottomani contro i Sf rivoluzionari, in particolare i Qizilbsh che
costituivano i seguaci di Isml. I Safavidi alla conquista della Persia: da Junayd in poi sono figure divine.
Isml proclama la Sha duodecimana religione ufficiale. La religione vernacolare. Digressione sulle sette
eretiche sopravvissute nellIslam: alcune ricerche di Irne Mlikoff. Il processo di definizione geografica dei
due Stati, Safavide e Ottomano, dopo la battaglia di Chldirn. Stato e Chiesa sotto i Safavidi. Le varie
espressioni della Sha e il controllo dellestremismo Qizilbsh. Principali cariche dello Stato sotto Isml I e
Tamhsp I: crescente importanza della burocrazia amministrativa persiana. La cultura religiosa dei notabili e
quella degli ulam. Freddezza dei dottori shiti arabi verso la Sha di Persia. Lopera di al-Karak. Aspetti
sociologici delle diverse espressioni religiose. Akhbriti e Usliti. Costruzione della dottrina della vicarianza
dellImm. I Safavidi favoriscono laffermazione della ierocrazia uslita. Opposizione dei giurisperiti ai teosofi.
La dottrina di Moll Sadr Shrz e i suoi aspetti ismailiti. Contraddittoriet del cesaropapismo safavide in
rapporto ai nuovi assetti. La vittoria del clero sullo Stato sotto i Qjr; i due poteri sono tuttavia inestricabilmente
legati nella dottrina delle due vicarianze. Cenni su altri eventi del XIX secolo e sugli sbocchi del XX. Il Bbismo
non un corpo estraneo nelle vicende della Sha. Lantecedente shaykhita. Il Mahd shita diverso da quello
sunnita. Teosofia e Rivoluzione. Crisi della Persia sotto i Qjr e parassitismo degli ulam. La dottrina
shaykhita: lo shita perfetto accede con le proprie visioni allImm occultato. Antecedenti nel periodo
delloccultamento minore. Lapparizione del Bb in un momento di crisi e di diffuso anticlericalismo; adesione
di appartenenti alle sette minori della Sha. Provenienza sociale del Bb e suoi atteggiamenti giovanili. Nel 1844
annuncia la sua nuova Rivelazione che si collega al fondamento stesso della Sha. La sua Rivelazione supera
quella del Corano e poggia sul concetto della ripetitivit progressiva delle Rivelazioni divine. Rapporto non
chiaro tra il suo mite misticismo e il millenarismo rivoluzionario di gran parte dei seguaci. Loro sociologia. Il
ruolo carismatico di Qurratu l-Ayn. Persecuzione dei Bbisti, loro sollevamenti repressi nel sangue. Esecuzione
del Bb e di Qurratu l-Ayn. Difficolt di definire eresia il Bbismo: la dottrina khomeynista pu pi
facilmente esser definita tale. Cenni sulle ardite innovazioni di Khomeyni. Nella Sha si nasconde sempre la
protesta contro lingiustizia sociale.

3 - Il volto di Al p. 1246

La distanza tra Dio e luomo, elemento di frattura tra ortodossia islamica e eterodossie shite. La religiosit
vernacolare e la normativit ortodossa. La divinizzazione di Al ha una sua ragion dessere: la riflessione di
Strothmann. Radice delle attuali eterodossie nel movimento Qizilbsh. Shabak, Sarliya e Kk. Gli Ahl-i Haqq.
Loro rapporti con i Bektsh. Tracce di rapporto con i Safavidi. La loro eterodossia ha un fondamento islamico.
Loro vicinanza agli Aleviti, nome moderno degli antichi Qizilbsh. Il Banchetto dei Quaranta. La cosmogonia
degli Ahl-i Haqq. I cicli della manifestazione divina. Loro credenza nella trasmigrazione delle anime. Tracce di
culti solari. La cosmogonia degli Yezdi strettamente simile a quella degli Ahl-i Haqq. Chi Melek Twus:
Satana o il trickster dei miti asiatici del tuffo cosmogonico. Lorigine degli Yezdi controversa, ma sembra
accettabile lipotesi di Guidi che la colloca in un antico ghuluww omeyyade che si richiamava a Yazd b.
Muwiyya, poi trasformatosi assumendo antiche tradizioni locali e miti folklorici, per il contatto con il ghuluww
shita veicolato dai Sf e per apporti ismailiti. I fondatori storici divengono manifestazione del divino tra gli
uomini. Satana nel pensiero di al-Hallj tramandato dai Sf. Melek Twus non Satana. Lanalisi di Stoyanov
permette di riconoscere il fondamento islamico delle eterodossie Yezda e Ahl-i Haqq. I Bektsh e gli Aleviti.
Confutazione della presunta origine non islamica di queste eterodossie. Origine dei Bektsh. Loro altalenante
rapporto con gli Ottomani. I quattro livelli della conoscenza. Richiami a motivi alchemici nella dottrina dello
insn al-kmil. La forte presenza di dottrine hurfite. I sostenitori dellorigine non islamica invocano un
sincretismo turcomanno di elementi sciamanici, buddhisti, e del Cristianesimo nestoriano, verniciati di
religione islamica. Ruolo dei Bektsh nellislamizzazione dei Balcani. Esigenza della presenza divina tra gli
uomini per realizzare il mondo di Giustizia, aspirazione che alle origini dellIslam e che mutuata dalla
marginalit giudeocristiana. Lassorbimento di antiche tradizioni e di motivi folklorici presente anche nel
Cristianesimo. LAnatolia, luogo di incontri e mediazioni, ha favorito il sincretismo, cos come ha fatto il
Sufismo; cosicch lislam balcanico non quello saudita o iraniano, ma le differenze non giustificano la
negazione dellappartenenza allIslam di queste eterodossie. Cenni e rinvii sulla situazione attuale dei loro
rapporti con le ortodossie sunnita e duodecimana.

4 - Il senso di un percorso p. 1259

Lesperienza di Postel e il senso di questo racconto: legami nascosti tra lOccidente e lIslam. Il ruolo sociale
delle religioni: i Profeti e il loro messaggio. LOccidente e la metafisica della storia. Limiti dellorientalistica.

XXIX
Necessit di conoscere la genealogia della nostra Ragione prima di affrontare le vicende altrui: la Ragione ha
una storia, ed ideologica. LIslam si innesta in continuit sul fenomeno che port alla nascita dello
Occidente. Il Fons Vit nella Qabbalah, la Creazione continua nella Teosofia ishraq e nel Sufismo e un
diverso concetto di infinito. Il desiderio mette in moto la storia e la rende un luogo di erramenti. Gli esistenti e
lEssere. Ambivalenza delle eterodossie. Continuit del fenomeno religioso testamentario. Complessit della
manifestazione religiosa: il campo semantico di una religione include ortodossia ed eterodossie, corpus dottrinale
e accezioni folkloriche. Apocalitticismi in maschera. LIslam come scelta alternativa nei confronti di un
medesimo Messaggio. LOccidente non il traguardo del pianeta. Le ortodossie dividono, le eterodossie
convergono. Ortodossia e teodicea: il problema del Male per gli Gnostici e per Kant. Bene e Male: la religione
come Legge e la legge come convenzione. LOccidente e la teodicea della storia. Lequivoco sulla modernit e
lideologizzazione della storia. Verit/epistme e verit/testimonianza. Vero soltanto ci che fa muovere la
storia. Le amnesie dellOccidente. Riflessioni sullattualit

POSTILLE 2013-2014 p. 1271

Approfondimento e ulteriore discussione dei principali argomenti trattati nel corso del testo, essenzialmente nel
corso della Rassegna bibliografica ragionata: ma non soltanto: si ricapitola molto brevemente tanto il senso
della Rassegna quanto quello dellintera ricerca

NOTA SULLE TRASLITTERAZIONI DALLALFABETO ARABO p. 1339

ULTERIORE BIBLIOGRAFIA DISCUSSA O CITATA NEL CORSO DELLA RASSEGNA p. 1341

INDICE ANALITICO PER LE PP. 1035-1337 p. 1355

XXX
individuale, senza mediazione sacerdotale, rapporto che conduce caso per caso ad unesperienza irripetibile: per
ciascun individuo il divino una singola, irripetibile teofania.
Il Mnard 78 ha esaminato la presenza del tema del corpo spirituale e della imprescindibilit della
Resurrezione nei testi gnostici siriani -nonch in Paolo- riconducendola alle ascendenze iraniche, dove essa
conseguenza necessaria della stessa antropologia. La cosa messa in luce dalla citata Lettera a Rheginos 79 sulla
base della duplice natura, umana e divina, di Cristo, e ricordando che della Resurrezione non si pu dubitare 80
perch nelluomo c una componente divina; la resurrezione una liberazione da questo mondo apparente e
rivelazione di ci che veramente esiste. 81
In ci si comprende la posizione di quegli Gnostici che ritengono la Resurrezione -che diviene
trasformazione interiore- come gi avvenuta con lavvento di Cristo in qualit di Rivelatore. Di qui lenfasi
sullesegesi, la conoscenza, la trasformazione interiore; e viceversa il disinteresse per lattivismo cristiano nelle
opere materiali, che caratterizza lo Gnostico. Il perfetto Gnostico dunque gi risorto.
La riunificazione dellIo col S nel Vangelo secondo Filippo, che viene tradotta nella simbologia
sessuale del matrimonio, trattata dal Mnard congiuntamente alla Esegesi dellanima, 82 perch in entrambi i
testi viene portato in evidenza il fondamentale mito gnostico, che sar anche alchemico, dellandroginia come
stato iniziale e finale di perfezione. Si noti che tale struttura, cio lidentit circolare tra inizio e fine, il motore
del percorso storico delluomo, inteso come ritorno verso una meta utopica alimentato dalla cosiddetta nostalgia
del Paradiso. 83 Il carattere mistico e simbolico dellunione sessuale nel Vangelo secondo Filippo messo in
luce anche dal Grant; 84 naturalmente, anche su questo argomento Ireneo non perde loccasione per fare del
pesante umorismo e per fraintendere il significato delle immagini. 85
Alcune delle affermazioni contenute nel Vangelo secondo Filippo meritano di essere riportate per
chiarire il modo assolutamente simbolico di intendere il messaggio cristiano secondo gli Gnostici. Cos in 73, 1,
sgg. si legge: Coloro che dicono che prima moriranno e poi risorgeranno sono in errore. Se prima non ricevono
la resurrezione mentre sono vivi, alla morte non riceveranno nulla.. Ci significa che la vera Resurrezione il
ritorno alla conoscenza di s, cui perviene lo Gnostico per la Rivelazione portata da Cristo. In 68, 22, sgg.
detto: Quando Eva era ancora in Adamo la morte non esisteva. Quando fu separata da lui venne allessere la
morte. Se egli diviene nuovamente completo e raggiunge il suo precedente S, la morte non esister pi.. Si
esprime qui in termini chiarissimi il mito dellandroginia come stato iniziale e finale di perfezione e, al tempo
stesso, la riunione delle due parti scisse dellindividuo, lIo e il S, come scopo dellesistenza gnostica. Che ci
riguardi soltanto gli pneumatici lo afferma 69, 1, sgg.: La camera nuziale non per gli animali, n per gli
schiavi n per le prostitute: ma soltanto per gli uomini liberi e per le vergini.. Cio: il Plroma non per gli ilici
n per le anime schiave del mondo materiale. E ancora, 70, 10, sgg. afferma che la morte nasce dalla separazione
del femminile dal maschile, e che Cristo venuto a riunire i due nella camera nuziale. La Rivelazione rende
tuttuno con ci che rivelato: chi vede lo Spirito diviene Spirito, chi vede Cristo diviene Cristo, chi vede il
Padre diviene il Padre (61, 28, sgg.). Vedere gi esser redenti, perch implica un atto spirituale di adesione a
se stessi, cio al divino. Chi conosce libero, e chi libero non pecca (77, 15, sgg.); pu divenire libero chi
schiavo contro volont (79, 14) cio lo pneumatico che soffre nel mondo materiale.
Come e quando avvenga il mistero dellunione e della redenzione, non lo si pu sapere; soltanto i due
sposi (cio lanima e lo spirito) lo sanno: liniziazione ineffabile. Soltanto facendosi uno essi entreranno per
nella camera nuziale, cio nel Plroma. 86 In ci essi non fanno che ripetere la legge del Plroma ove gli opposti,

78
J.E. Mnard, La notion de Rsurrection dans leptre Rhginos, Essays etc. P. Labib, cit. Il Mnard, nel sottolineare il passaggio di un
tema iranico sin nellescatologia paolina, la transformation du monde et du corps materiels en un monde et un corps spirituels, enuclea
quanto di pi dirompente passa per lo Gnosticismo e lalchimia, a riprova di una comune radice. Ci trover singolare nuova espressione in
Paracelso e nella sua teoria della costruzione di un corpo spirituale come fenomeno di trasformazione del mondo materiale: cfr. lo schema
prodotto in Lutopia alchemica etc., cit.
79
44, 24, sgg.
80
47, 2, sgg.
81
48, 27, sgg.
82
J.E. Mnard, Lvangile selon Philippe et lExegse de lme, in Les textes de Nag Hammadi, Coll. Int. de Strasbourg 1974, ed. par J.E.
Mnard, Leiden, E.J. Brill, 1975. Per il testo cfr. The Exegesis on the Soul, in Robinson, cit. Qui lanima appare decaduta nel corpo ove
diviene prostituta e anela il ritorno allo stato primitivo, allunione androgina con il proprio fratello.
83
Ci sembra appena il caso di ricordare che questa struttura mitica la stessa che alimenta le ideologie rivoluzionarie. Le rivoluzioni sociali,
mentre si adoprano per il mutamento e la creazione di nuove situazioni, sono in realt mosse ideologicamente dalla tensione verso una
situazione giusta in assoluto (e perci ab terno) della quale luomo viene deprivato a causa di un potere ingiusto. Benveniste, Il
vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Torino, Einaudi, 1976, pp. 367-383, ha messo in evidenza le trasformazioni culturali che sono
sottintese nel passaggio dal concetto di ius a quello di iustitia, ed il carattere utopico di questultima che mette in moto le trasformazioni di
quello. Per questa ragione abbiamo gi altre volte sostenuto che il mito gnostico, nonostante lapparente fuga dal mondo con la quale viene
usualmente etichettato, uno dei miti che fondano la modernit.
84
R.M. Grant, The Mistery of Marriage in the Gospel of Philip, V. Ch. 15, 1961.
85
Adv. Hr., I, 6, 3. Per Ireneo la simbologia sessuale dei testi e delle cerimonie gnostiche uno straordinario appiglio per costruire
limmagine del libertinaggio gnostico. Val la pena di sottolineare che, mentre nulla sappiamo di tale presunto libertinaggio (se non tramite i
non verificabili luoghi comuni degli eresiologi, sospetti perch ripetitivi come un clich) viceversa evidente in molte sette gnostiche
lenkratismo, connesso con la condanna dellatto sessuale che prolunga la permanenza nel mondo della scintilla divina. Sul linguaggio
simbolico e sulla nostalgia dello stato iniziale da parte dellanima caduta nella materia, cfr. anche J.E. Mnard, Symboles et Gnose,
R.Sc.R., 49, 1975.
86
Sul tema della camera nuziale cfr. M. Nold, A Consideration of Alexandrinan Christianity as a possible Aid towards further
Understanding of Nag Hammadi Religion: a Case Point for a joint Methodology, S.P. 14, 1976, che cita la disapprovazione di Clemente in
Stromata, III.

40
simboleggiati dal maschile e dal femminile, coesistono: nel regno dellandroginia Sophia/Achamoth la
compagna del Salvatore col quale forma una syzygie (Adv. Hr., I, 7, 1). Anche il ruolo eminente di Maddalena
nei testi gnostici, come figura di perfezione gnostica, parla in tal senso; in Pistis Sophia 96 lei che destinata a
sedere alla destra del Cristo per leternit; e nel Vangelo secondo Filippo persino definita, per ben due volte, la
compagna di Cristo (59, 8-9; 63, 33) ci che, in termini gnostici, significa essere il volto femminile di Cristo.
Il Vangelo secondo Filippo affronta dunque un tema fondamentale della critica gnostica: la composizione degli
opposti, cio della base stessa sulla quale si articola la logica razionalista, in una superiore unit. Questo tema
utopico sar sviluppato ancora una volta, secoli pi tardi, dallalchimia.
Questa la lezione del Vangelo secondo Filippo. Altrettanto importante quella del Vangelo secondo
Tommaso, forse il testo pi importante in assoluto, non soltanto per avvicinarci allanimo dello Gnostico, ma
anche per le molte ipotesi formulate circa la possibilit che in esso siano tracce della lezione originaria di Ges
non presenti nei Canonici. 87
Il Vangelo secondo Tommaso stato tradotto in italiano unitamente alle lezioni su di esso tenute dal
Puech al Collge de France dal 1956 al 1972, in Sulle tracce della Gnosi, cit.; costituito esclusivamente da una
serie di 114 detti di Ges, ed databile alla met del II secolo. Il testo originario doveva essere scritto in greco e
da esso -per la cui interpretazione utile rifarsi al testo del Puech- 88 si evince unautentica lettura alternativa del
messaggio di Cristo, coincidente con quella del Vangelo secondo Filippo, ma dispensata attraverso una notevole
pluralit di approcci.
Il tema sempre il medesimo: lindividuo deve riunirsi con se stesso, fare del due luno, unificando
gli opposti. 89 A tal fine indispensabile la comprensione profonda di ci che Cristo venuto a rivelare: il Regno
gi venuto, dice egli ai discepoli, 90 dentro ciascuno di noi. 91 La realizzazione di questo Regno possibile a
partire da una conoscenza che sia autoconoscenza: il logion 8, che ripete con una significativa variante Mt. 13,
47-49, sostituisce il giorno del Giudizio con la presa di coscienza del proprio S. 92 A questo logion si collegano i
logia 18-19, dei quali il Puech d una significativa lettura: il nostro S unimmagine di noi che preesiste alla
nostra venuta nel mondo, immagine della quale noi siamo soltanto un riflesso appannato. Quaggi noi non siamo
noi stessi, lo eravamo e lo saremo soltanto nel Plroma. La nostra realt ontologica dunque nascosta da quella
apparente e riflessa. 93
Questo stato di oblio di noi stessi cui ci costringe il mondo, argomento di uno straordinario testo
poetico, noto da gran tempo e facente parte di uno scritto del III secolo, nel quale esso fu inserito ma del quale
non era originariamente parte costitutiva . Si tratta dellInno della perla, sulla cui interpretazione e sulla cui

87
Questa possibilit si fonda sullesame comparato dei testi e sulle ipotesi relative alle diverse fonti cui i Vangeli canonici -e quello di
Tommaso- avrebbero attinto. Vi sono buoni argomenti per ritenere che questultimo abbia dunque attinto in modo diretto a tali fonti
originarie, rappresentando cos un fondamentale documento circa lesistenza di una tradizionale lettura del messaggio di Cristo altrettanto
antica di quella offerta dai Canonici. H. Koestler e J. Robinson sono gli autori che hanno maggiormente affrontato tale argomento. Il Vangelo
secondo Tommaso raccoglie una tradizione che vede in Cristo un Maestro di Sapienza, del quale sono raccolti e conservati i detti mentre
restano nellombra le vicende storiche della vita. Largomento, molto seriamente fondato, importantissimo al fine di comprendere come
nello Gnosticismo non si racchiuda una posteriore deformazione del messaggio (tesi degli eresiologi) ma un modo di intenderlo radicato
nelle origini. Lopera degli eresiologi assumerebbe dunque il valore tutto politico di una resa dei conti allinterno del Cristianesimo, per
eliminare lala socialmente scomoda al momento dellistituzionalizzazione. Per lantichit delle fonti del Vangelo secondo Tommaso cfr.
larticolo di H. Koester, Gnomai diaphoroi, H.Th.R. 58, 1985, che valuta il ruolo del testo per la comprensione del messaggio di Cristo; la
raccolta di testi di J. Robinson - H. Koester, Trajectories through Early Christianity, Philadelphia, Fortress Press, 1971; in particolare i saggi
Logoi Sophon di J. Robinson e The Structure and Criteria of Early Christian Beliefs, di H. Koester, che collocano il testo nella prima
cristianit; di H. Koester, Apocryphal and Canonical Gospels, H.Th.R. 73, 1980, che mette in rilievo lantichit del testo in rapporto con i
Papiri di Oxyryncho; dello stesso, One Jesus and Four Primitive Gospels, H.Th.R. 61, 1968, dove sottolineata lenfasi gnostica del testo in
direzione di una salvezza gi raggiunta in terra grazie alla conoscenza; questa interpretazione viene intesa come una di quelle inizialmente
possibili. Unanalisi approfondita, nella quale si mettono in luce dipendenze dai Canonici introdotte dalla versione copta del testo rispetto
alloriginale greco di cui ai Papiri di Oxyryncho, quella fornita da J. Robinson, On Bridging the Gulf from Q to the Gospel of Thomas (or
vice versa), in Nag Hammadi, Gnosticism and Early Christianity, Peabody, Hendrickson, 1986. Pi di recente tutto il problema stato
ripreso in H. Koester, Ancient Christian Gospels, London, S.C.M. - Philadelphia, Trinity Press, 1990. La tesi sostenuta che il testo
gnostico accede direttamente a fonti anche pi antiche da quelle usate da Matteo e Luca per le sentenze di Cristo. Diverso il parere del
Quispel, che si interessato al Vangelo secondo Tommaso in rapporto al fenomeno del giudeo-cristianesimo o delle interpretazioni
giudaizzanti del messaggio cristiano. Secondo il Quispel il testo deriva da un apocrifo che da porsi in relazione anche col Diatessaron di
Taziano, cio con lantico Vangelo secondo gli Ebrei (per le cui testimonianze cfr. Erbetta, cit., I, 1). Sulla tesi di Quispel cfr. i suoi
Lvangil selon Thomas et le Diatessaron e Gnosis and the new Sayings of Jesus, entrambi riprodotti in Gnostic Studies, vol. II, Istambul,
1975; The Gospel of Thomas revisited, in Coll. Int. sur les textes de N.H., cit. Quispel definisce non gnostico il testo in quanto enkratita. A
nostro avviso questo un problema squisitamente accademico, che ha scarsa rilevanza su ci che stiamo cercando di mettere in luce nella
nostra ricerca. Quel che viceversa molto interessante, che lesistenza di questo Vangelo era stata segnalata da Ippolito (El. V, 7) che ne
mette i contenuti in relazione con la setta gnostica dei Naasseni, da lui ritenuti i capostipiti delleresia (cfr. lintroduzione di Marcovich, cit.,
alled. critica, p. 35).
88
alle pp. 381-578. Di J.E. Mnard cfr. anche Les problmes de lvangile selon Thomas, S.P. 14, 1976; e Lvangile selon Thomas, Leiden,
E.J. Brill, 1975.
89
cfr. logia 22 e 106.
90
logion 51.
91
logion 3.
92
Cfr. linterpretazione junghiana del pesce in Quispel, Tatian and the Gospel of Thomas, Leiden, E.J. Brill, 1975.
93
Sulle tracce della Gnosi, cit., p. 421. Sulla materia come specchio che sembra possedere tutto e non contiene nulla cfr. G. Filoramo,
Dal mito gnostico al mito manicheo, etc., in Le trasformazioni della cultura nella tarda antichit, a cura di C. Giuffrida e M. Mazza, vol. II,
Roma, Jouvance, 1985.

41
di un Dio ineffabile che invia il proprio messaggio tramite Cristo, la cui figura interpretata in modo docetista.
Resta, vero, una differenza tra il mito originario di Marcione 149 e i miti che vengono pi strettamente definiti
gnostici: lanima umana creazione del Dio giusto biblico, creatore del mondo e delluomo in toto, e quindi
non una scintilla consustanziale al Dio ineffabile.
giusto quindi -a prescindere dalle osservazioni di Tertulliano 150 - rilevare alcune singolarit e
incoerenze nel pensiero di Marcione cos come esposto da Ireneo, e la necessit interiore del suo sistema di
raggiungere un rapido assestamento in senso gnostico-valentiniano, cui provveder gi il discepolo Prepone151 e
poi il pi tardo Apelle. 152
Secondo il May, che si ricollega in primo luogo alle tesi di Clemente in Stromata III, il pensiero di
Marcione influenzato dalla filosofia platonica; questa possibilit di un Marcione non del tutto digiuno di
speculazione greca avvalorata anche dagli altri eresiologi. 153 Su queste basi il May sviluppa le proprie
conclusioni nellambito di una conoscenza molto erudita e documentata ma, a nostro avviso, eccessivamente
accademica nellangolatura.
Gi singolare sembra infatti la domanda che egli si pone, se cio il tardo Marcionismo siriano che ci
noto attraverso Ephrem ed Eznik, del quale parleremo a suo tempo, sia uno sviluppo o un declino rispetto al
Marcione/filosofo che egli sembra propenso a tratteggiare. 154 Pur sottolineando che il moderno concetto
(accademico, aggiungiamo noi) di Gnosticismo una mera astrazione identificata con una serie di parametri
dottrinali, egli si sforza di porre in luce che cosa, nel suo style of thinking sia greco o non-greco. Nel
sottolineare, con molta giustezza, che i problemi dibattuti da Marcione e dagli altri Gnostici nascono da una
lettura greca (ci sia concesso precisare: razionalista) del messaggio di Cristo, egli si sforza di porre in luce gli
aspetti filologici o filosofici della risposta di Marcione. Il May conclude il proprio articolo esprimendo infine
meraviglia per la secolare sopravvivenza del Marcionismo nelle provincie orientali dellImpero: questo ci
sembra lindizio di qualcosa che devesser rivisto nellangolatura del testo. Con ci non affatto nostra
intenzione polemizzare con uno studioso cos autorevole; vogliamo soltanto arrivare ad enucleare quello che a
noi interessa nella vicenda, ed un successo plurisecolare ci sembra importante, perch ci fa pensare che si stiano
toccando problemi un po pi palpabili delle astratte opinioni filosofiche.
Non c dubbio che Marcione, come giustamente nota il May, 155 deve aver reagito razionalisticamente,
da greco, al Dio-persona della Bibbia: la struttura delle Antitesi e il titolo della raccolta di Apelle (Sillogismi)
lasciano chiaramente intendere che il problema consisteva nella constatazione esistenziale del male in presenza
di una teologia razionalista del Dio Sommo Bene: ma qui, per lappunto, il problema non lo pone la teoria,
ma lesistenza; il male non t kakn ma unesperienza quotidiana fisica e psichica. Una religione la si
fonda andando al cuore di realt umane, non con argute opinioni.
Questo il punto cruciale che fa lo Gnostico, come ha sempre insistito a sottolineare Tertulliano; il
porre la realt interiore delluomo ad un livello pi alto rispetto alla miseria della contingenza storica, revoca in
dubbio ogni normativa sociale o sacerdotale: questo avverte perfettamente Ireneo -forse meno erudito dei
moderni accademici, ma di certo reso chiaroveggente dalla pressione di contingenti problemi- allorch
costituisce nella categoria degli Gnostici una serie personaggi dalle metafisiche non sempre congruenti, ma
convergenti in un unico risultato.

149
Il problema dovremo affrontarlo pi avanti, a proposito delle testimonianze sul Marcionismo del V secolo. Il mito sembra avere una
evoluzione non soltanto dottrinale; esso sembra anche evolvere da un sostrato filosofico ad uno folklorico.
150
Adv. Marc. I, 23, 8. Tertulliano osserva che il Dio buono tuttavia ingiusto se va ad impadronirsi di ci che creatura daltri. Il
Mhlenberg (cit., p. 105) non manca tuttavia di rilevare come la giustizia di Tertulliano sia da questi esplicitamente collegata alla legge del
taglione. Egli nota che, al contrario, tutta la logica di Marcione sta nel contestare quella norma della mulatio che poi -a prescindere dal
suo ruolo nel Dio di Tertulliano del quale si occupa il Mhlenberg- quella esclusiva tendenza allautorealizzazione nella quale si brucia
lordine della societ romana nel corso del II secolo, e che certamente non pu far da stella polare al programma per un utopico mondo
ideale. Ancora una volta, i problemi teologici debbono esser letti unitamente al loro risvolto sociale.
151
Secondo Ippolito (El., VII, 31) Prepone, contrariamente a Marcione che considera lesistenza di due principi, uno buono e uno malvagio,
introduce un terzo principio intermedio tra il bene e il male, la giustizia. Qui ci si pu domandare se Ippolito definisca bene e male i due
principi divini (lineffabile e il biblico) di Ireneo; o non dia notizia, come ritiene il Drijvers, Marcionism in Syria: Principles, Problems,
Polemics, S.C. 6,3, cit., dei tre principi che caratterizzano il Marcionismo nelle notizie di Ephrem e di Eznik (relative al IV-V secolo) e cio:
un principio buono che il Dio ineffabile; uno giusto, che il Dio creatore; uno malvagio che la materia. Ci sembra molto verosimile e
aggiusta le posizioni marcionite in una logica gnostica. Il Beck, Die Hyle bei Markion nach Ephrm, O.C.P., 44, 1978, ha ipotizzato
viceversa una tarda influenza manichea, sulla cui attendibilit il Drijvers appare scettico. In effetti sembra che il sistema marcionita, cos
come presentato da Ireneo, abbia una interiore necessit logica di introdurre un terzo principio, per rendere conto del problema del male che
poi il problema fondamentale per la dialettica delle Antitesi, ripetuta da Apelle nei 38 libri dei Sillogismi (cfr. Harnack, cit. pp. 178-179).
Esiste infatti unopera del IV secolo, autore Adamanzio, che presenta un dialogo tra due Marcioniti, Meghezio e Marco, luno sostenitore dei
tre principi, laltro dei due iniziali (cfr. Harnack, cit. p. 344* sgg.). In questo dialogo si nota lesigenza di riportare la natura dellanima al
principio superiore (buono) con ci assumendo esplicitamente la struttura gnostica. Il male come realt incomprensibile daltronde il
punto fondamentale di partenza di Marcione, come degli altri: su questo Tertulliano torna ripetutamente (cfr. anche J.P. Mah,cit.). Qui
dunque il nodo vero della discussione, che non trova soddisfacente risposta nella ortodossia: almeno per gli eretici.
152
Harnack (cit., p. 189) sottolinea che Apelle modific quello che sembra il rigido Docetismo di Marcione in termini valentiniani,
attribuendo a Cristo un corpo fatto della sostanza dei quattro elementi assunti nel passaggio dalle sfere celesti. Un vero corpo astrale
dunque, con tutte le propriet di tale corpo (visibile, mortale, immateriale: lo ritroveremo e lo esamineremo in Paracelso). Apelle riconduce
inoltre lanima umana ad una origine divina, superando la contraddizione che si avrebbe nel salvataggio -ad opera del Dio ineffabile- di
unanima creata dal Dio biblico.
153
Cfr. May, cit., p. 140 sgg.
154
ivi, p. 143.
155
ivi, p. 145.

50
Il Mhlenberg 156 sottolinea che le conclusioni cui giunge Marcione nei confronti della natura delle
leggi, coincidono con lanalisi dei Sofisti e degli Scettici, cio di quelle correnti filosofiche le quali, sviluppando
razionalisticamente sino allestrema aporia le conseguenze della normativa razionalista, dovettero confrontarsi
con la totale relativit di ogni norma e con lequivalenza degli opposti. Ci conferma quanto avevamo notato gi
sopra, parlando dei Carpocraziani.
Ne La Gnosi, etc., cit.,avevamo messo in evidenza che questi sono i risultati di un uso ingenuo del
Razionalismo -del quale gli Gnostici si resero subalterni pur denunciandone le aporie- non disgiungibili dalla
particolare cultura dei ceti nei quali sembrano radicarsi gli Gnostici, che sembrano trovare il proprio vertice
sociale in alcuni esponenti benestanti del ceto mercantile. 157 La domanda fondamentale cui questo pensiero
tenta di dar risposta formulata con precisione dai Marcioniti: perch mai un Dio buono non avrebbe creato
lumanit buona? 158 In conclusione, se da considerarsi superata lopinione dello Harnack, che vedeva Marcione
fuori dagli schemi del razionalismo greco al quale fa riferimento il pensiero degli Gnostici; se si deve constatare
che tanto il May quanto il Drijvers hanno messo in luce leffettiva origine del pensiero di Marcione nel
Platonismo; sono tuttavia da sottolineare le equilibrate conclusioni del Drijvers che vede sia in Platone, sia in
Paolo, le radici (conflittuali) della dottrina di Marcione. Il permanere di questa conflittualit entro un sincero
desiderio religioso di salvezza, avrebbe consentito di mantenere acceso il fervore della discussione allinterno
della chiesa Marcionita.
Ireneo conclude il suo excursus su Marcione con unaffermazione singolare: partendo dalla denunciata
falsificazione delle Scritture operata da Marcione, sostiene che tutti coloro che adulterano la verit sono seguaci
di Simon Mago, anche se omettono di richiamarsi al suo nome; 159 tutte le sette gnostiche sono sorte dai
personaggi sin qui nominati a causa della diffusa ambizione degli eretici, ognuno dei quali tende a fondare una
propria dottrina. Questa tecnica dellalbero genealogico consente ad Ireneo di incasellare nellunica vicenda altri
due gruppi, grazie ai quali pu esemplificare la teoria degli opposti estremismi sulla quale si eserciter poi
Clemente. Egli pu quindi porre in luce indirettamente la moderazione dei Cristiani ortodossi, destinata, col
tempo, a piacere alla cultura egemone.
I primi a cadere sotto il suo anatema sono gli Enkratiti, coloro cio che rifuggono dalla procreazione
in odio al mondo. Secondo Ireneo essi sono discesi dalle predicazioni di Saturnino e di Marcione; ci gli
consente di inserire con disinvoltura nellelenco il nome di Taziano, che era stato a lungo seguace di Giustino
senza manifestare idee ereticali, ma che successivamente, a detta di Ireneo, mont in superbia: si dichiar contro
il matrimonio come Marcione e Saturnino, ed escogit un sistema di eoni come Valentino. Lincastro perfetto.
Peccato che, nonostante le pazienti ricerche degli studiosi, dei presunti eoni di Taziano non vi sia
traccia: eppure la sua opera nota e costituisce un luogo di grande interesse. Taziano compose infatti una silloge
della documentazione testamentaria, conosciuta con il nome di Diatessaron, cio concordanza dei quattro
Vangeli; un testo di grande importanza per la conoscenza della pi antica documentazione scritta e delle dottrine
giudaizzanti; nonch per il suo influsso sulla religiosit orientale, dalla quale scaturiranno le eresie del mondo
bizantino.
Allo stato attuale degli studi si pu infatti concludere 160 che il suo Diatessaron deriva dalla perduta
Armonia del suo maestro Giustino, che presentava delle differenze rispetto ai successivi (ed attuali) Vangeli
canonici: la tendenza del testo era al tempo stesso pi giudaizzante e pi antigiudaica. 161 In altre parole esso
precede la fase di storicizzazione del Cristianesimo operata dagli eresiologi che, come abbiamo gi notato,
mentre si tengono lontani dai rischi gnostici dellAdozionismo implicito nella visione giudaizzante 162 e dai
limiti alluniversalismo che essa comporta, 163 hanno tuttavia motivi diversi ma convergenti per ricollegare il
Cristianesimo alla legge veterotestamentaria. In una fase pi arcaica viceversa, era sembrato meno importante
proporre una dottrina razionalizzata, e pi importante distinguersi dagli Ebrei.
Altrettanto ragionevolmente si pu concludere che, accanto alla Armonia di Giustino, Taziano us
unaltra fonte per la propria opera -come testimoniano i Padri- fonte che per potrebbe giungere a Taziano
attraverso la stessa Armonia: il cosiddetto Vangelo degli Ebrei (o degli Ebioniti, o dei Nazorei) che dovrebbe

156
Cit., p. 111, dove cita le conclusioni di J. Woltmann.
157
Passim nel testo, e pi in particolare alle pp. 123; 131-133; 347-349.
158
Cfr. Drijvers, cit., p. 154. Questa la radice delle Antitesi ipoteticamente ricostruite dal Von Harnack (cit., pp. 74-92). J.R. Harris,
Marcions Book of Contradictions, Journ. of the Rylands Libr., 6, 3, 1921, ritiene che Marcione, osservando il male nel mondo, si sia
convinto di una imperfezione originaria della materia, della quale il Creatore non si preoccup; in ogni caso, la limitatezza del Creatore
emerge dai fatti del mondo.
159
Questa denuncia serve ad Ireneo per ribadire il suo obbiettivo: la verit oggettiva e immutabile del canone scritturario ortodosso,
discostarsi dal quale -anche in materia di esegesi- significa discostarsi da una verit storica assoluta. Cfr. lanalisi di Le Boulluec, cit., pp.
245-253.
160
Per questa conclusioni cfr. lesaustiva ricerca di W.L. Petersen, Tatians Diatessaron. Its Creation, Dissemination, Significance & History
in Scholarship, Leiden, E.J. Brill, 1994.
161
ivi, p. 428.
162
Ricordiamo che Ireneo pone assieme Cerinto, i Carpocraziani e gli Ebioniti, e che il suo passo pu indurre a ritenere che essi facessero
uso di un unico Vangelo (come infatti intender Epifanio nel suo Panarion XXX)
163
La scelta giudaizzante mal si presta alla predicazione tra i Gentili, e mal si presta alluniversalismo che pu impostarsi soltanto a partire
da una visione razionalista.

51
identificarsi con quel Vangelo di Matteo del quale riferisce Ireneo con riguardo agli Ebioniti. 164 Se cos fosse,
si aprirebbe uno spiraglio interessante sulla formazione dei Canonici.
La questione estremamente intricata e non rientra nelleconomia del nostro studio; tuttavia riteniamo
di dover accennare ad un minimo di bibliografia perch nel Diatessaron si trovano elementi giudaizzanti che
adombrano lAdozionismo nellepisodio del battesimo sul Giordano, e che hanno precedenti in Giustino. 165
Laltra opera nota di Taziano ha per noi un particolare interesse, per le ragioni stesse dalle quali
muove il nostro studio. La Oratio ad Grcos da lui composta, introduce infatti un tema che vedremo tornare pi
volte nella storia di quel pensiero occidentale che si oppone alla metafisica del Razionalismo: il nessun diritto dei
Greci a vantare la presunta gloria della propria cultura, e la priorit temporale -e perci anche culturale- del
pensiero biblico, ebraico. Come avremo modo di vedere, questo sar il tema dominante del pensiero alchemico;
su questo tema si fonderanno anche i moderni miti nazionalisti, in particolare quello celtico o celto-germanico di
Guillaume Postel. 166
Linvettiva forte: smettetela, dice subito ai Greci Taziano, di spacciare per vostre invenzioni ci che
avete fatto ad imitazione di altri che son venuti prima di voi in oriente e in occidente; e cita le culture e le opere
dei popoli di maggiore antichit. Questo per, non che linizio; Taziano passa poi a ridicolizzare i filosofi e a
contrapporre al loro vano sapere la propria fede, sostenendo che i Greci adorano nullaltro che demoni. Il testo si
dilunga poi in modo abbastanza ovvio nel deridere il comportamento umano dei maggiori filosofi e la loro
conflittualit -un argomento che sempre piaciuto ai sostenitori della Verit Unica. Tuttavia, al di l di questi
argomenti banali, ci che torna in seguito come argomento principe, la maggiore antichit del testo mosaico
rispetto alla cultura greca. Questo argomento, di per s non sorprendente entro la cultura del tempo, importante
perch sta ad indicare la possibilit di fondare culturalmente il contrasto con la cultura classica: vi un
pensiero pi antico cui ricollegarsi a buon diritto perch, venendo dal dettato divino, sicuramente pi antico,
originario, non ha subito corruzione storico-terrena, come, al contrario, lha subita il pensiero filosofico espresso
dai Greci. Largomento cronologico dunque, sul quale Taziano torna ad insistere sino alla fine del testo,
largomento capitale per smontare la macchina della cultura egemone, anteponendole la superiorit di una fede
basata su un sapere originario. appena il caso di sottolineare quale importanza potrebbe assumere, in un tale
contesto, la profezia: un argomento a quei tempi scottante, che divise i Montanisti, i Marcioniti e tutti gli
spiritualisti in genere, dallortodossia, che inizi a proclamare la profezia stessa conclusa, e inattuale. Profezia e
Millenarismo non si addicono ad unIstituzione che vuol fondarsi nellordinario quotidiano; la profezia infatti
contraddice, con la propria verit direttamente collegata a Dio, la quotidiana autorit del sacerdote, mentre il
Millenarismo ne svilisce il ruolo, fondato su un mondo al declino.
Sotto questo profilo interessante esaminare gli aspetti dellantropologia di Taziano presenti nella
Oratio. 167 Secondo Taziano il mondo fu creato dalla Parola che origin da Dio; vi dunque nel processo una
sorta di mediazione che stabilisce un ordine gerarchico: Dio, la Parola, il mondo, inclusi gli angeli e luomo.
Lanima delluomo mortale, ma luomo ha una scintilla divina, lo Spirito, che lelemento ad immagine di
Dio e che immortale: unendosi ad esso, lanima guadagna limmortalit. 168 Luomo ha dunque una triplice
costituzione, ricalcando il classico modello gnostico-alchemico destinato a giungere sino a Paracelso. 169 Questa

164
Cfr. Petersen, cit., p. 29 sgg; 427; 440. Sullargomento dei Vangeli giudeo-cristiani cfr. per anche A.F.J. Klijn, Jewish-Christian Gospel
Tradition, Leiden, E.J. Brill, 1992. Il Klijn prende in considerazione e delinea i tre Vangeli ipotetici di cui alla letteratura (dei Nazorei, degli
Ebioniti e degli Ebrei) laddove il Petersen (cit., p. 41) riduce i tre titoli ad una speculazione accademica, ritenendo che uno solo sia il
Vangelo giudaizzante, cui egli attribuisce il nome di Vangelo degli Ebrei. .
165
Cfr. Justin, Dialogue avec Triphon, par G. Archambault, Paris, Picard, 1909, 2 voll.: al momento del battesimo come se il Giordano si
incendiasse. La questione stata riassunta dal Leloir, Le tmoignage dEphrem sur le Diatessaron, C.S.C.O. 227, Subs. T. 19, Louvain,
1962, pp. 105-107. La presenza di un Vangelo giudaizzante nel Diatessaron stata discussa anche attraverso il problema del nome
dellopera, che sarebbe stato Diapente secondo Vittore di Capua, che nel 546 attesta lesistenza di una versione latina (cfr. Petersen, cit., pp.
45-51); probabile per (cfr. Leloir e Petersen, citt.) che vi sia al riguardo un problema di uso della terminologia musicale, e non un quinto
Vangelo. Per la trasmissione del testo in occidente cfr. lo stemma prodotto dal Petersen a p. 490; il problema si intrica con quello della
lingua originaria, siriana per il Petersen, secondo il quale il problema di rintracciare le vie di trasmissione in occidente sarebbe complicato
dalla presenza di un Doppelgnger, vale a dire lArmonia di Giustino. Sui rapporti del Diatessaron con il Vangelo secondo Tommaso si
molto occupato il Quispel: cfr. Tatian and the Gospel of Thomas, cit.; Lvangil selon Thomas et le Diatessaron, cit.; The Gospel of Thomas
revisited, cit. Il Quispel ritiene che vi siano evidenti segni dellapporto di un Vangelo giudaizzante. Cfr. anche G. Messina, Diatessaron
persiano, Roma, Pont. Ist. Biblico, 1931, 2 voll., secondo il quale nel Diatessaron sarebbero presenti tracce del Protovangelo di Giacomo
(noto anche come Vangelo di Maria) un testo assai antico, scoperto e tradotto dallumanista francese Guillaume Postel, e del quale anche
traccia in Giustino, Dialogo con Trifone, cit, 78 (per il testo e lintroduzione ad esso cfr. Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di L.
Moraldi, vol. I, Torino, U.T.E.T., 1971). Per le versioni italiane del Diatessaron cfr. Il Diatessaron in volgare italiano, a cura di U. Tedesco,
A. Vasari, M. Vattasco, Studi e Testi 81, Citt del Vaticano, 1938; per la versione di Liegi cfr. The Lige Diatessaron, Ed.. with a Txtual
Apparatus by D. Ploij, Amsterdam 1929-1931, 2 voll. Per la versione araba cfr. A.S. Marmardji, Diatessaron de Tatian, Beyrouth, Impr.
Cath., 1935.
166
Per il testo della Oratio ad Grcos, cfr. Tatian, Oratio ad Grcos , cit.
167
Cfr. anche G. Sfameni Gasparro, Enkrateia e antropologia, Roma, Ist. Patr. Augustinianum, 1984, in particolare al cap. I, pp. 23-56, ove
esaminata la dottrina di Taziano.
168
G. Quispel, Genius and Spirit, cit., vede infatti linflusso di Taziano nellInno della Perla, ove si descrive per lappunto lunione del
principe col suo abito o gemello celeste.
169
Sulla diversit dei modelli antichi (su quello di Paracelso ci fermeremo opportunamente a suo tempo) cfr. Sfameni Gasparro, cit., p. 53 in
nota: il problema sempre, per tutti, quello di dare un corpo non materiale allanima, e di spiegare in qualche modo la doppia creazione del
Genesi e lesistenza -precedente la caduta- di un proptoplasto che soltanto dopo fu racchiuso nella tunica di pelle. Pi in generale si tratta
di seguire lo schema neoplatonico per il quale la creazione relativa ad un mondo formale, che precede quello materiale formato,
impensabile altrimenti; la hle infatti informe nel pensiero greco. La Sfameni Gasparro richiama, per Taziano, il dettato biblico e lesegesi
filoniana.

52
Elchasai si rivela, per la sua profezia, in posizione ostile nei confronti del potere imperiale romano.
Quanto ci sia dovuto ad un attaccamento a tradizioni culturali nazionali o etniche; quanto ad una generica
ostilit verso lideologia razionalista-universalista del potere forte e centralizzato che caratterizza ogni impero;
quanto, infine, a motivi sociali o personali, non dato n sapere n congetturare: interessante tuttavia
sottolineare come la vicenda di tante future eresie di tipo gnostico sia sempre legata al rifiuto della normativa,
non soltanto di quella sociale e sacerdotale, ma anche di quella centralizzatrice: lo vedremo nei Pauliciani e nei
Bogomili, lo vedremo nei Catari; lo vedremo anche, per brevi cenni, nel mondo iranico e irano-islamico.
Quanto ai seguaci di Elchasai, il Cirillo mostra un intreccio difficile a districarsi, specialmente in base
alla testimonianza di Epifanio, tra essi e gli Ebioniti: sia gli uni che gli altri praticano la circoncisione. Epifanio
cita poi altre eresie giudaizzanti, e sovrappone gli Elchasaiti ai Sampsei, una setta battista del Mar Morto della
quale potrebbe avere conoscenza diretta. Egli cita anche altre sette giudaizzanti, facendo distinzione tra i nomi,
assai vicini, dei Nazorei e dei Nazareni; questi ultimi costituirebbero una setta giudaica il cui nome
significherebbe gli osservanti, mentre i primi sarebbero dei giudeo-cristiani. Le pratiche battesimali, il culto
dellacqua e la proibizione delle carni, sono elementi che unificano tutti questi gruppi, e li porterebbero in
relazione con i pi antichi Esseni da un lato, con i Battisti citati nel C.M.C dallaltro, cio con la comunit
originaria di Mani dalla quale questi si separ per fondare la propria religione. La sovrapposizione di Ebioniti ed
Elchasaiti (al cui riguardo il Cirillo ipotizza influenze reciproche) resa ancor pi forte dal comune
antipaolinismo segnalato da Origene. La comune credenza di una manifestazione ciclica del Cristo come discesa
della vera profezia in uomini eletti, attestata da Epifanio, si manifesterebbe nel probabile ruolo di Elchasai,
ultimo profeta in ordine di tempo, e trova un parallelo nel ruolo di Mani, del tutto analogo.
Questa vicenda ha dei risvolti interessanti: come noto il ritorno ciclico della profezia un tema
anche islamico -Maometto lultimo e definitivo profeta- ed i Sampsei e gli Elchasaiti sono presenti
continuativamente in Arabia prima di Maometto; 199 il possibile rapporto tra lIslam e uno sfondo culturale
gnostico giudaizzante infatti un vecchio tema con illustri sostenitori 200 recentemente richiamato anche da S.
Lgasse in un suo articolo sulle sette giudaizzanti. 201 Egli infatti, nel constatare la misteriosa scomparsa di
queste sette dalla letteratura patristica a partire dal V secolo, da un lato dubita che esse siano rientrate in parte
nel Giudaismo; dallaltro esclude che il loro rigido monoteismo possa averle portate a confluire nel
Manicheismo (abbiamo gi notato infatti, che Mani nemico di quei Battisti messi in rapporto con Ebioniti ed
Elchasaiti). Il problema della loro evoluzione si pone viceversa, secondo lui, plus srieusement et depuis
longtemps pour lIslam: Al riguardo egli fa esplicito riferimento alla approfondita ricerca di J. Magnin sugli
Ebioniti 202 per definire con lui lIslam, in via ipotetica, un bionisme qui a russi.
La ricerca del Magnin, che si avvale anche di uno studio del Pines 203 dal quale si pu presagire la
persistenza entro lIslam di tracce di Ebionismo, esamina le testimonianze relative a Ebioniti, Elchasaiti e
Nazorei, ma non pu che avanzare, oltre a quanto gi noto per altre vie, nulla pi che ipotesi sulle possibili vie
dinfluenza delle sette giudaizzanti sulla nascita dellIslam. In effetti, per quanto concerne lipotesi di una tale
influenza, il contributo della ricerca sembra soprattutto concentrarsi sulla pista ebionita -previlegiata rispetto a
quelle elchasaita e nazorea- fermo restando quanto abbiamo gi accennato, e cio lintreccio molto ambiguo di
queste sette nellambito delle testimonianze: le loro dottrine sono infatti mal distinguibili. Occorre daltro canto
constatare, aggiungiamo noi, che una maggior chiarezza non proviene neppure dalla ricerca sulle fonti condotta
da Klijn e Reinink, 204 i quali sollevano dubbi sullautenticit di alcune di esse, sottolineando la rielaborazione
ripetitiva della stessa notizia tra i vari eresiologi. Esaminando in particolare la testimonianza di Epifanio su

199
Cfr. Cirillo, Elchasaiti etc., cit, p. 103; Klijn-Reinink, cit, p. 267 e sua nota p. 65.
200
Tra questi in primo luogo lo Harnack, Lehrbuch der Dogmengeschichte, vol. II, Tbingen, J.C.B. Mohr (Paul Siebeck), 1909, p. 529 sgg.
Egli identifica negli Elchasaiti un giudeo-cristianesimo in grado di evolvere in senso islamico per alcune sue proprie caratteristiche, che egli
elenca a p. 535. Esse sono luniversalismo (con labbandono delle pratiche sacrificali proprie del Giudaismo) e lo spirito di propaganda, la
convinzione che il proprio Cristianesimo non sia una novit ma un perfezionamento dellantico Giudaismo dei Profeti. Il rigido monoteismo
-con la negazione del Figlio di Dio- fa da supporto a questa posizione, in quanto Cristo viene ad essere un nuovo e pi grande profeta, ma,
per il resto, nullaltro che un uomo. Il loro sarebbe dunque un ritorno alle origini della religione assoluta e universale degli Ebrei. Altre
caratteristiche degli Elchasaiti sottolineate da Harnack (p. 536) sono: limportanza delle abluzioni, lorigine celeste o angelica del libro, il
ripresentarsi ciclico dello spirito di profezia, la moderata ascesi -il matrimonio fortemente consigliato- unita alla proibizione del vino,
lobbligo di pregare rivolti verso Gerusalemme (per lIslam, verso la Mecca). Commenta lo Harnack (p. 536): Die ueber Einstimmungen
mit dem Islam sin hier unmittelbar deutlich. Egli perci vede nellIslam una trasformazione finale del Giudaismo precedentemente
trasformato in giudeo-cristianesimo; tutto ci grazie ad un grande profeta e sulle basi della cultura araba (p. 537). Tra gli altri grandi studiosi
di questo secolo che hanno ipotizzato un analogo rapporto -che poi la vecchia idea di Giovanni Damasceno ancora seguita da Dante, che
colloca Maometto nellinferno tra gli scismatici, di dove gli fa inviare un ammonimento per Fra Dolcino- occorre citare il Widengren (cfr.
The Ascension of the Apostle and the Heavenly Book, Uppsala Univ., Acta, 1950, 7; Muhammed the Apostle of God and His Ascension, ivi,
1955, 1) e K. Rudolph, Die Mander, Gttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1960, che ne tratta a proposito delle sette battiste dei Sabei (vol.
I, p. 36 sgg.). Del Rudolph segnaliamo anche Antike Baptisten, S.S.A.W.L. 121, 1981, dove le caratteristiche delle varie sette sono
raffrontate tra loro.
201
S. Lgasse, La polmique antipaulinienne dans le judo-christianisme hterodoxe, B.L.E. 90, 1989. Il Lgasse, che affronta i temi intricati
relativi allidentit degli Ebioniti, degli Elchasaiti e dello sfondo (ebionita? elchasaita?) delle ps.Clementine, sottolinea innanzitutto che per
sette giudeo-cristiane si devono intendere gruppi di Cristiani (prevalentemente ebrei) che si distaccano dallortodossia, ritenendo di dover
rispettare anche la legge mosaica (circoncisione e altre pratiche rituali). Non si tratta quindi del giudeo-cristianesimo cui fa riferimento il
Danielou, costituito non da eretici, ma dai primi Giudei convertiti, ortodossi nella fede ma necessariamente portatori di uneredit giudaica.
202
J. Magnin, Notes sur lbionisme, P.O.C., 1973, 1974, 1975, 1976, 1977, 1978.
203
S. Pines, The Jewish-Christians of the Early Centuries of Christianity according to a new Source, I.A.S.H., Proceed. vol. II, n 13,
Jerusalem, 1966.
204
Patristic Evidence, cit.

57
Ebioniti ed Elchasaiti, essi avanzano lipotesi di una possibile reciproca influenza (cfr. supra), ma poi
concludono diversamente ridimensionando il ruolo dottrinale degli Elchasaiti 205 e complicando ulteriormente il
quadro complessivo.
Ci sembra quindi miglior cosa abbandonare queste sabbie mobili che non contribuiscono a
raggiungere il particolare obbiettivo che ci proponiamo, per segnalare altri due studi che mettono lIslam in
rapporto con il giudeo-cristianesimo.
In uno di essi, Dorra-Haddad 206 ha insistito con molta veemenza sulla certezza di tale rapporto,
tramite lesame del testo coranico e le molte citazioni che esso produce circa i rapporti tra Maometto e i
Nasr, nei quali lautore identifica i Cristiani (giudeo-cristiani) dArabia.
Lo studio che pi ci interessa, anche per le considerazioni in esso contenute, quello del Roncaglia
tradotto su P.O.C. 207 Egli prende avvio dalla testimonianza di Epifanio su Ebioniti ed Elchasaiti per accostarli ai
Sabei-Sampsei, identificandoli con la setta battista nota ai Musulmani come Mughtasila; i Sabei-Ebioniti-
Elchasaiti sarebbero i Nasr dei quali parla il Corano.
Ci premesso il Roncaglia sottolinea e sviluppa il tema giudaico-cristiano e poi islamico della ciclicit
della profezia, non senza ricordare il carattere neoplatonico-gnostico di tale ciclicit. 208 In tale contesto si spiega
la discesa del libro che da sempre scritto in cielo: tema elchasaita, tema islamico, ma anche tema che
vedremo comparire nella Qabbalah con la concezione di una Torah non scritta o scritta in cielo, dalla quale
deriva quella terrena. La speranza ebionita di un nuovo Profeta ha, secondo il Roncaglia, influenzato la nascita
dellIslam; a questo si deve quanto di cristiano vi nel Corano. 209
Parimenti evidente sarebbe linfluenza ebionita-elchasaita nella proibizione del vino, ci che fa
ritenere possibile che anche per loro tramite giungessero nellIslam altri divieti e precetti oltre a quelli di origine
giudaica; di origine ebionita-elchasaita sarebbe lobbligo delle abluzioni (i giudeo-cristiani erano sette battiste
con un forte culto dellacqua). Egli conclude quindi affermando sia la plausibilit delle ipotesi che furono mosse
per primo dallo Harnack, sia la validit dellantica intuizione che vedeva nellIslam uneresia cristiana, o, per
meglio dire, che vi potrebbe essere unottica ebionita secondo la quale vi un movimento dialettico che va da
Adamo, Abramo, Mos, sino a Ges, per trovare compimento storico e teologico in Maometto. 210
Nel Corano verrebbe dunque a terminare un processo che aveva di per s la potenzialit di proseguire
ulteriormente: 211 vedremo infatti che tali potenzialit troveranno sfogo nellIsmailismo, e si tratter di un seguito
radicalmente gnostico.
A questo punto viene largomento che pi ci interessa, introdotto dal Roncaglia e sviluppato in una
importante nota aggiunta al testo a cura della Redazione della Rivista: 212 il nostro atteggiamento di superiorit
nei confronti dellIslam prettamente eurocentrico perch dovuto alla platonizzazione della nostra cristologia.
Platonizzazione significa, nel linguaggio del presente studio, traduzione in termini razionalisti. Se tornassimo
alla Chiesa di Gerusalemme e di Giacomo, il fratello di Cristo, le nostre opinioni sarebbero diverse. Mutuando il
linguaggio teologico dalla filosofia greca -la nota cita Aristotele- abbiamo reso astratto il nostro linguaggio (cio,
traduciamo noi, razionalista); mentre il linguaggio del primo Cristianesimo, conservato nel giudeo-cristianesimo
dellIslam, mitico: non nel senso denigratorio della parola presente nelluso volgare di essa, ma nel suo
esprimersi simbolicamente. Tentar di comprendere un simile pensiero nelle categorie concettuali di Aristotele o
di Cartesio, porta soltanto a dire autentiche sciocchezze.
Il nostro excursus pu esser sembrato un po lungo, posto che esso apparentemente al margine del
nostro discorso principale, ma era necessario: in primo luogo perch, come vedremo, nel XII secolo
torner a far irruzione nel pensiero occidentale ci che, dopo lontane origini comuni, era andato migrando
nella speculazione islamica. In secondo luogo perch ne risulta ribadita lemarginazione, operata in Occidente, a

205
ivi pp. 67-73; ma vedi anche le pp. 54-65 per quanto riguarda le testimonianze di Ippolito ed Epifanio sugli Elchasaiti. Klijn-Reinink
tendono ad attribuire uno Gnosticismo giudaico-cristiano agli Ebioniti, oltrech ai Nazorei e ad altri due gruppi non meglio identificati, da
uno dei quali discenderebbero gli Ebioniti e gli Elchasaiti di Epifanio, in realt tutti Ebioniti, ma di uno specifico gruppo diverso da quello di
Ireneo. La teoria, che si riconnette con quella di Klijn dei tre Vangeli giudeo-cristiani (cfr. supra) ci sembra alquanto accademica, perch
tende a complicare situazioni di per s obbiettivamente intricate e poco chiare, con aggiunte ipotetiche. Meglio, a nostro avviso, cercar di
semplificare, unificando in ci che v di comune, le varie manifestazioni che sembrano ruotare attorno allo stesso fenomeno.
206
Coran, prdication nazarenne, P.O.C., 1973. Il Dorra-Haddad ha scritto un voluminoso testo dallo stesso titolo per documentare la
propria tesi.
207
lements bionites et elksates dans le Coran, P.O.C., 1971. Si tratta della traduzione di una conferenza tenuta a Roma nel 1969.
208
Sulla particolarit di un tempo inteso come progressione di cicli segnati allinizio e alla fine dallirruzione del divino, cfr. anche C. Puech,
La gnosi e il tempo, in Sulle tracce etc, cit.; cfr. anche H. Leisegang, Die Begriffe der Zeit und Ewigkeit im spteren Platonismus,
B.G.Ph.MA., Bd. 13, H. 14, 1913. Il Leisegang appare tuttavia datato nei suoi referenti kantiani ai fini di intuire nel Neoplatonismo la
presenza di un simile tempo, che scandito da puntuali manifestazioni terrene di ripetute eternit, facenti parte di quella che potremmo
definire una eternit inviluppo. Presenze che sono trasparenze dellassenza: tali sono i cicli profetici, i scula sculorum cui fa
riferimento il Roncaglia, coestensivi alleternit di Dio (p. 111). Queste possibilit del Neoplatonismo sono a nostro avviso leggibili nel
rapporto istituito da Plotino tra anima ed eternit, tramite la reminiscenza e il pensiero.
209
Roncaglia, cit., p. 115.
210
ivi, p. 124.
211
ivi.
212
ivi, p. 125 nel testo, e nella nota 84 aggiunta dalla Redazione.

58
far sperare nella desiderata stabilit. La storia dellImpero dalla met del I secolo sino alla fine del II secolo, pu
quindi esser letta come una progressiva trasformazione in senso borghese (e anche piccolo-borghese) con
accentuata burocratizzazione ed aumento dellintervento e dellapparato statale nella vita civile ed economica. 19
La grande svolta nella politica dellImpero avviene con Nerone nel 62, e d origine alla prima
persecuzione dei Cristiani. Sin allora, al contrario, il rapporto era stato buono, anche con lo stesso Nerone,
sintantoch la scena politica era stata dominata da Burro e Seneca, forse ucciso il primo nel 62, suicida il
secondo nel 66 dopo essersi ritirato dalla vita politica. 20 Un rapporto cos buono che Paolo, probabilmente non
ignoto a Seneca per averne conosciuto il fratello, 21 immaginato, in un celebre falso, in corrispondenza
epistolare con Seneca stesso; il falso tuttavia cos ben ancorato nella realt storica -pur essendo decisamente
pi tardo- che si sospettata la presenza di una precedente tradizione. 22
I motivi della rottura tra Nerone e Seneca, che sin allora aveva condizionato la politica
dellimperatore, sono da ricercarsi nellimpossibilit di mantenere il governo dellImpero sulle basi della politica
ultrasenatoria ispirata dal filosofo, interprete di una realt ideologica assolutamente inattuale e dagli effetti
dirompenti nei confronti di quei ceti borghesi e piccolo-borghesi che rappresentavano ormai la realt vivente
dellImpero stesso. 23 La rottura si manifester, sul piano economico, nella riforma monetaria che, mentre
procedeva ad una generale svalutazione che favoriva le casse statali, apprezzava il valore del denarius, la moneta
argentea tesaurizzata dai ceti medio-bassi, nei confronti della moneta aurea.
Questa svolta neroniana coinvolge i rapporti con i Cristiani che vengono additati allopinione pubblica
come responsabili dellincendio del 64, e, per la prima volta, sono oggetto di crudeli persecuzioni. Per quale
ragione ci avvenga difficile ricostruire, se non per indizi. tuttavia importante sottolineare che tra le vittime
della persecuzione sono assenti figure di alta estrazione sociale, nonostante il Cristianesimo avesse in piccola
parte penetrato, sin dallinizio, i ceti dirigenti romani.
I motivi che sono stati addotti 24 per giustificare tali persecuzioni, sono sostanzialmente due. Il primo
concerne le convergenze tra morale cristiana e morale stoica dellaristocrazia, entrambe avverse allaffermarsi
del potere assoluto del Principe. Pu darsi che ci sia stato un obbiettivo taciuto e trasversale, ma le concomitanti
persecuzioni di aristocratici non riguardano elementi cristiani, riguardano soltanto seguaci di idee stoiche.25
Laltro motivo, pi evidente, pu forse ricercarsi in un atteggiamento demagogico tendente al consenso popolare.
In tal caso si comprende lesclusiva presenza di personaggi socialmente modesti tra i perseguitati; ci mostra
tuttavia una frizione sociale ai livelli inferiori (tra popolazione pagana e nuclei cristiani) che meriterebbe un
approfondimento.
Lopinione attuale sulla sociologia dei primi gruppi cittadini cristiani, riassunta dal Meeks. 26 Si
tratta di uno spaccato interclassista ove dominano artigiani o membri emergenti del ceto medio, che hanno
raggiunto livelli sociali effettivi superiori a quelli tradizionalmente riconosciuti. Non mancherebbero tuttavia

19
Sulla nuova realt socioeconomica cfr. Mazzarino, cit., p. 215 sgg.; E. Lo Cascio, Forme delleconomia imperiale, Storia di Roma, 2, II,
cit.; dello stesso, Le tecniche dellamministrazione, ivi; W. Eck, La riforma dei gruppi dirigenti: Lordine senatorio e lordine equestre, ivi.
20
Cfr. M. Sordi, Il Cristianesimo e Roma, cit., p. 70 sgg; Mazzarino, cit., p.203 sgg.
21
Sordi, cit., p. 463.
22
ivi, pp. 462-463. Ben altra la conclusione della Bocciolini Palagi, che ha curato ledizione critica dei carteggi (Il carteggio apocrifo di
Seneca e S. Paolo. Introduzione, testo, commento, Acc. Toscana di Sc. e Lett., Studi XLVI, Firenze Olschki, 1978). Nella sua lunga
Introduzione, dopo aver negato lesistenza di una tradizione anteriore al IV secolo, ella individua la motivazione del falso in problemi che
riguardano linserimento della letteratura cristiana nella cultura classica, problemi che riguardano soprattutto il IV secolo, allorch il
Cristianesimo vincente rivendica la propria realt anche culturale, contro le sopravvivenze del paganesimo.
23
Nonostante i molti anni trascorsi, linterpretazione sintetica offerta dal Mazzarino (cit. p. 218 sgg.) rappresenta sempre il pi chiaro
termine di riferimento, pur nella sua schematicit. Leconomia della classe senatoria, basata sullostentazione del luxus, rappresentava un
danno per leconomia dello Stato e della collettivit. Il processo messo in moto da Augusto, e proseguito con incertezze e oscillazioni da
Tiberio e da Claudio, la formazione di uno Stato quale unica soluzione possibile per organizzare la sopravvivenza dellenorme dominio
territoriale creatosi negli ultimi due secoli della Repubblica. La nuova realt non poteva pi essere gestita con latteggiamento tradizionalista
della vecchia classe dirigente che aveva guidato la fase della conquista. Per quel che riguarda la nostra ricerca, concernente la continuit -
nelle trasformazioni- del razionalismo classico, ci sembra importante sottolineare (cfr. Zanker, Augusto, etc., cit.) che la fondazione dello
Stato da parte di Augusto avviene prendendo in prestito gli strumenti ideologici del razionalismo greco, che trovano espressione
nellideologia apollinea. Per quanto concerne sia le trasformazioni socio-economiche che marcano il passaggio dalla Repubblica al
Principato, con uno sviluppo di forze e di interessi che potrebbero grossolanamente definirsi borghesi, sia i loro riflessi nella struttura e
nella gestione dello Stato, cfr. F. Serrao, Il modello di costituzione. Forme giuridiche, caratteri politici, aspetti economico-sociali, Storia di
Roma, vol. 2, II, cit., in particolare le pp. 54-71.
24
Cfr. M. Sordi, Il Cristianesimo etc., cit, pp. 73-74; della stessa, The Christians and the Roman Empire, London & Sidney, Croom Helm,
1983 cit., p. 157 sgg., ove si afferma (p. 160) both Christians and Stoics became unpopular with the masses. La Sordi mette in luce, nei
due testi, un Nerone che, se non vicino alla figura di psicopatico vizioso tramandata da Svetonio, certamente animato da motivazioni
basse e strettamente personali; tuttavia ci sembra legittimo restare perplessi, come fa il Mazzarino (cit., p. 211) dinnanzi ad una tradizione
che presenta un Tiberio ipocrita, un Caligola pazzo, un Claudio imbecille, un Nerone istrione e sanguinario. Il problema enorme che
toccato in sorte agli imperatori Giulio-Claudi, sembra piuttosto quello di rendere definitiva la rivoluzione augustea senza pi il carisma che la
persona e il momento avevano conferito ad Augusto; e di proseguire tale rivoluzione con successivi assestamenti, in una Storia di Roma
che ormai storia di un Impero mediterraneo, ed destinata a divenire sempre pi, per motivi socio-economici, storia delle sue provincie e
di un apparato amministrativo professionale.
25
Cfr. Mac Mullen, cit.
26
W.A. Meeks, The First Urban Christians. The Social World of the Apostle Paul, New Haven and London, Yale Un. Press, 1983, pp. 52-53.
Limportanza, per il Cristianesimo, dellespansione cittadina piuttosto che rurale, ai fini del consolidamento e della sopravvivenza, ribadita
dallo stesso Meeks in Il Cristianesimo, Storia di Roma 2, III, cit., p. 289.

63
Marcione, che aveva per primo ritenuto di raccogliere un corpo di scritti ritenuti veri da lui, costituito da una
particolare versione del Vangelo di Luca e del corpus paolino. 185
Prima di procedere vogliamo per sottolineare ancora una volta che le interpretazioni che vengono
espunte sono quelle che introducono a inquietanti nuove visioni del rapporto tra la sacralit dellindividuo e la
normativa sociale, le singole ragioni e la Ragione del dominio.
Come abbiamo gi sottolineato, tra gli apocrifi di alta et (prima met del II secolo) v quello noto
come Vangelo secondo Tommaso, che mostra di ricollegarsi in modo indipendente dai canonici ad unantica
fonte, quella ipotizzata relativa ai detti sapienziali di Ges, nota come Q (Q = Quelle). Il Vangelo secondo
Tommaso ha rappresentato un fatto nuovo e recente negli studi sul Cristianesimo antico, essendo stato
conosciuto soltanto grazie al ritrovamento di Nag Hammadi, ed ha dato subito luogo ad una vastissima
bibliografia. Rinvenuto nella versione copta, ha permesso tra laltro di riconoscere come frammenti della sua
versione greca numerose testimonianze papiracee note da tempo.186
bene ricordare che Tommaso non il noto apostolo, ma il nostro modo di tradurre, seguendo il
greco Thomas, la parola aramaica tma, che significa gemello. Chi scrive dunque un certo Giuda, detto
Thomas, cio il gemello -gemello di Ges- che tale perch depositario della parola segreta. 187 Questo
vangelo rappresenta una radicale alternativa nel modo di intendere il messaggio di Cristo; radicale perch ne
emerge un messaggio totalmente destoricizzato -astratto cio dal contesto della testimonianza esistenziale di
Ges- che si presenta come espressione di una saggezza eterna, esoterica nel senso pi alto della parola, 188 valida
per tutti i tempi e in tutti i luoghi, ma perseguibile soltanto a titolo strettamente individuale. Questo suo
rivolgersi allindividuo antropologicamente considerato nei suoi eterni problemi esistenziali -leterna dialettica
tra lesperienza individuale dellesistere e le ideologie che consentono la costruzione sociale tramite la
normativa- ci che rende universale il messaggio trasmesso da Tommaso.
La salvezza, secondo Tommaso, non un evento futuro, oggetto di unattesa, ma una realt gi
accaduta tramite la Rivelazione portata da Cristo: un nuovo modo di intendere se stessi, la propria realt pi
segreta, il proprio ruolo individuale nelleconomia dellesistenza.
Sin dal Convegno di Messina, 189 si molto insistito sul carattere distintivo dello Gnosticismo, che
consiste nellidentit del conoscente (lo Gnostico, come portatore della scintilla divina); del conosciuto (la
scintilla stessa); e del mezzo di conoscenza (la divinit della scintilla che, in quanto tale, consente di conoscere).
Ci dipende, come abbiamo gi detto, dal processo antropogonico che identifica la realt interiore dello Gnostico
con la stessa sostanza divina. 190 A noi sembra tuttavia che, al di l della non discussa correttezza di queste
affermazioni, la lettura di un documento come il Vangelo secondo Tommaso consenta delle considerazioni pi
vaste e certamente di maggior interesse, nelleterna battaglia utopica condotta dalluomo alla ricerca di realizzare
le proprie potenzialit. Il tema fondamentale di questo vangelo infatti unindicazione esistenziale di alto valore,
ancorch opinabile come tutte le indicazioni. La salvezza, sembra dire Ges per bocca del gemello Giuda,
consiste soltanto nel comprendere la propria pi profonda realt perseguendone lesplicazione, in questo mondo
ma indipendentemente dal mondo, che di per s non potr mai offrire salvezza alcuna. Adeguarsi alla propria
natura, seguire la propria legge interiore, proclamarla, e ignorare ogni ideologia: questa una fuga dal mondo? o
non forse un impegno esistenziale? 191
Ci sia consentito sospendere ogni giudizio e rinviare alla meditazione del testo; vogliamo per
sottolineare che da troppo tempo la nostra cultura giudica -e questo vale contro gli Gnostici- con il velo
pregiudiziale di unepoca abituata a condannare come fuga e deresponsabilizzazione ogni rifiuto di
identificarsi con unideologia e con i suoi fini materiali immediati. 192 Tornando a noi, vorremmo dire che ci
sembra vi sia del cristiano anche nello gnostico Tommaso.

185
Cfr. la bibliografia gi citata su Marcione; al riguardo val la pena di notare due cose. Per quanto riguarda il Vangelo di Luca, mutilato ad
arbitrio di Marcione secondo gli eresiologi, difficile stabilire il rapporto dei testi noti con possibili precedenti protovangeli. Per quanto
riguarda invece il corpus paolino certo che quello canonico include anche testi deutero-paolini, che sono di impronta antignostica. La
costituzione del Canone manifesterebbe quindi, almeno per quanto riguarda questo aspetto, unevidente manovra antignostica.
186
Cfr. H. Koester, Ancient Christian Gospels, cit., p. 75 sgg. Sullantichit del Vangelo secondo Tommaso si son pronunciati numerosi
autori che ne hanno mostrato lindipendenza dai canonici; tra quelli citati in precedenza ricordiamo J.M. Robinson, G. Quispel, pi
recentemente A.D. De Conick, The Yoke Saying in the Gospel of Thomas 90, V.Ch. 44, 1990. Sulla crescente importanza atribuita alla fonte
Q, cfr. F. Neyrink, Q, from Source to Gospel, E.T.L., 71, 4, 1995.
187
H.C. Puech, Sulle tracce della Gnosi, cit. pp. 351-372, Per il testo italiano, cfr, ivi, pp. 329-343.
188
Lattributo esoterico usualmente circondato da un alone di sospetto; il termine usato frequentemente in modo dispregiativo per
indicare forme di sapere astruse e deliranti, inaccessibili ai non eletti. Ci pu esser dovuto ai motivi pi vari, che vanno dalla qualit di ci
che viene contrabbandato abitualmente per via conventicolare, allinsuperabile ottusit del pregiudizio razionalista: in realt il greco
esteros significa soltanto interiore, intimo. Conoscenza esoterica significa perci tentativo di conoscer se stessi nel presupposto, tutto
neoplatonico, che non esista forma di conoscenza che non sia, in primo luogo, autoconoscenza.
189
Cfr. il relativo Documento finale.
190
Cfr. ad esempio J. Mnard, Normative Self-Definition in Gnosticism,Jewish and Christian ,etc., vol. II, cit., p. 149: Phenomenologically
speaking, true Gnosis could easily be defined as being a mystical theology of the identification of God with the self.
191
Questo richiama limpegno esistenziale cristiano espresso da S. Kierkegaard, Timore e tremore, a cura di C. Fabro, Milano, Rizzoli, 1986,
un impegno che consiste nella lotta del singolo contro il generale, del quale il singolo pi in alto, tramite il rapporto diretto con
luniversale. Questo anche il concetto heideggeriano di autenticit dellesistere. Di questa lotta e dei suoi esiti, come tiene a sottolineare
Kierkegaard, non si pu giudicare in base a risultati materiali.
192
Questesistenza del pregiudizio (epocale) chiaramente espressa da H. Gadamer, Verit e metodo, Trad. it. a cura di G. Vattimo, Milano,
Bompiani, 1983.

81
ingabbiare per quanto possibile la spiritualit eversiva, intrinseca a questo pensiero, entro la tradizione classica,
ed autore, in nome dellordine, di un violento attacco agli Gnostici presenti accanto a lui. Dallaltro le vicende
di quei neoplatonici invisi al potere di Aureliano, che prenderanno la via della ribelle Palmyra ai tempi di
Zenobia -uno di essi, Longino, gi maestro di Porfirio ad Atene, fu fatto uccidere da Aureliano nel 272 alla
distruzione della citt- e che costituiscono il primo tramite tra il Neoplatonismo e la cultura persiana destinato a
dar frutti eversivi a lungo. Anche la tradizione della speculazione gnostica, come vedremo, proseguir ad oriente,
per poi tornare ad occidente non appena le condizioni saranno propizie. 201
doveroso soffermarsi un attimo sulla critica che Plotino rivolge agli Gnostici (cristiani) che
frequentavano la sua scuola, anche perch il cap. II, 9 delle Enneadi troppo noto per non farne cenno. Plotino
non era cristiano -Salonina, sua protettrice, aveva delle simpatie- e la sua critica di natura estranea a quella
dellortodossia; tuttavia sintomatica la convergenza che egli mostra di fatto con quella, allorch vuol difendere
altro, vale a dire la tradizione razionalista greca di un cosmo ordinato, che da sempre il supporto dellideologia
imperiale.
Karin Alt 202 ha messo in luce lincapacit, da parte di Plotino, di comprendere come e perch
lesperienza del mondo potesse essere ben altra per altri individui; egli non capiva perci la ricerca di unutopica
nuova terra (vecchio tema biblico: Isaia, 65, 17) n la Gnosi come esperienza spirituale che tende al
cambiamento della vita attraverso la percezione dellunione delluomo con Dio. 203
Per conto nostro vogliamo ribadire quanto gi notato, 204 e tornare a sottolineare i tre significativi
passaggi di Enn., II, 9, che la dicono sin troppo lunga sulle posizioni ideologiche che sottendono la visione cos
positiva del mondo, e perci del divino che in esso si riflette: il saggio non deve curarsi dellineguaglianza
sociale e della miseria; la folla degli umili deve costituire la base del lavoro manuale per fornire il sostentamento
ai pi ragguardevoli; infine giusto che vi siano vincitori e vinti, tanto pi perch i torti subiti non intaccano
lessenza immortale delluomo, e perch essere uccisi non poi cosa cos malvagia per chi disprezza il mondo -
sic!-. 205
Lo scontro tra la Ragione astratta e la verit dellesperienza appare quindi accompagnarsi come
sempre allo scontro tra chi si schiera dalla parte delle strutture -e quindi degli apparati- ritenute positivo riflesso
di un assolutamente positivo ordine metafisico (positivit e ordine sono di fatto sinonimi nel Razionalismo) e
chi, partendo dallesperienza che si articola nella mobilit delle passioni, vede nellordine -che da piano divino si
declassa a dato di fatto storico- il risultato duna violenza: come gi pensarono i Sofisti. Le turbolenze
dellanima sono dunque il vero punto di discrimine tra i due neoplatonismi: quello dotto da un lato, e quello
che stato detto popolare, emergente dalla religiosit ellenistico-orientale, dallaltro. In un caso, un immobile
ordine logico che ha il proprio vertice nella neutra impersonalit dellUno plotiniano -erede delle immobili idee
platoniche e delloppressiva sfera di Ananke- ingabbia lanima rendendola responsabile del proprio male con
lirrazionalit dei propri moti. Nellaltro lanima partecipe di un divino che, nonostante le premesse filosofiche
prese a prestito, ha pur esso una storia e quindi una sua mobilit, rivendica a s e a s soltanto il diritto ai propri
moti ascensionali di ritorno, e identifica come Male la datit della resistenza del mondo. Lordine arcontico di
questo, nella sua estraneit costrittiva, assume perci tutti gli aspetti della proiezione metafisica di un ordine
mondano ormai ideologicamente estraneo allesperienza esistenziale. Ci che rende tuttavia subalterna lopzione
gnostica, il persistere di questo pesante fardello filosofico, ingenuo retaggio di una tradizione classica revocata
in dubbio dal messaggio testamentario. Le manca ci che vedremo pi tardi nel pensiero teosofico, la forte
individualit di un Dio interventista, quale quello protagonista della Bibbia, la cui nascosta presenza nellanima
fa di questultima la creatrice della storia. Sociologicamente vi si potrebbe ravvisare la mediocre espressione
dellintellettuale greco, cui si contrapporr la marcia verso il futuro dellaltra ala dello Gnosticismo, quella che
inizia a diventare oriente ma che torner pi tardi ad occidente.

201
Sulluccisione di Longino cfr. Silvestrini, cit., p. 190. Su Palmyra centro di cultura ellenistica e sede di un neoplatonismo avverso alla
linea romana, antignostica; e sui rapporti con la Persia, cfr. Mazzarino, cit., pp. 556-558 e 568-570. Il pensiero di Porfirio, che Longino
avrebbe voluto a Palmyra, noto in Persia, e sar ipoteticamente invocato circa la nascita del Mazdakismo (cfr. infra); la conoscenza del suo
pensiero posta anche in rapporto con lIsmailismo, la pi radicale, conseguenziale ed eversiva manifestazione di pensiero gnostico (cfr.
Jambet, cit., p. 155). Alla corte sassanide sar presente, nel IV secolo, il discepolo di Giamblico, Eustazio; lultimo grande apporto di cultura
neoplatonica avr luogo nel 529, quando alla corte di Khosroe I giungeranno i filosofi della Scuola di Atene, Damascio in testa, cacciati per
la chiusura della Scuola da parte di Giustiniano. Tra essi Simplicio, e Prisciano, autore delle Solutiones ad Chosroem. Il risultato di questa
migrazione fu la traduzione delle opere dei filosofi greci in persiano e forse anche in siriano, e quindi la loro conoscenza e il loro influsso nel
mondo sassanide. Lo stemma del neoplatonismo greco nel mondo irano-islamico stato tracciato da G.C. Anawati, Le noplatonisme dans la
pense musulmane. tat actuel des recherches, Atti Conv. Int. Plotino e il Neoplatonismo in Oriente e in Occidente, Roma 1970, ivi, A.N.L.,
1974. Sul piano religioso, Zenobia appoggi come vescovo Paolo di Samosata (deposto poi da Aureliano) che predicava una teologia di tipo
monarchiano-subordinaziano (in pratica: adozionista); in altre parole, Dio si sarebbe manifestato come Figlio entrando nel corpo di Ges.
Una posizione affine a quelle Nestoriana e Monofisita (cfr. infra) e che fu poi assunta, erroneamente, a origine delleresia Pauliciana (cfr.
infra) cio della prima risorgenza gnostica del mondo bizantino. Sulle tesi di Paolo di Samosata, cfr. H. de Riedmatter, Les actes du procs
de Paul de Samosate. tudes sur la Christologie du IIIe au IVe sicle, Fribourg en Suisse, d.St. Paul, 1952.
202
Philosophie gegen Gnosis, etc., cit.
203
ivi, pp. 63-64.
204
La Gnosi, etc., cit., p. 128.
205
Enn., II, 9, 1-16.

83
Capitolo secondo - Ordine celeste e disordini terreni

Con la met del VII secolo, lIran entra completamente nellorbita dellIslam a seguito della conquista
araba e della fine della dinastia Sassanide; da quel momento le sue vicende non possono essere lette fuori da
questo contesto religioso. Questa premessa si pone per evitare di leggere, come fu fatto, la storia degli eventi che
ivi si succedettero, come ribellione di uno spirito o di una cultura iranica in opposizione a quella arabo-
islamica, opposizione che si esprimerebbe attraverso le ripetute agitazioni maturate allinterno della Sha.
Le premesse delle vicende delle quali ci occuperemo sono assai pi intricate di questo vecchio schema
semplicista, n si pu dire che se ne sia venuti a capo se non per tracciare quegli ampi lineamenti che tuttavia
forniscono, per quanto concerne il nostro studio, convergenti motivi dinteresse.
Le storie gnostiche delle quali ci occuperemo nel presente capitolo e altrove -eresie e rivolte shite,
teosofia, alchimia spirituale- sinnestano su una cultura che deve tener conto di almeno tre componenti. La prima
di esse costituita dal lungo sopravvivere, nellIran islamico, delle due tradizioni gnostiche costituite dal
Mazdakismo e dal Manicheismo. La seconda viceversa interna allo stesso Islam, ed costituita dalla presenza
in esso di elementi gnostici sin dalle origini, dei quali abbiamo accennato a suo tempo. Lestraneit dello
Gnosticismo, anche nei suoi aspetti estremisti, al cuore stesso della religiosit islamica, non che un clich degli
eresiologi musulmani del tutto paragonabile a quello degli eresiologi cristiani, che non pu esser recepito
ulteriormente. Del resto, anche sul piano della nazionalit, le rivolte iraniche tagliano trasversalmente tanto la
popolazione locale, quanto gli occupanti arabi. 1 Questi due fattori, che convergono nel costruire i fondamenti
stessi della cultura irano-islamica, rendono conto a loro volta di un terzo fattore: il permanere e il rinvigorirsi
della tradizione neoplatonica, da sempre presente, nel cui quadro si svilupper loriginale costruzione del
neoplatonismo arabo, destinato a larga diffusione in occidente dove eserciter un permanente influsso. 2

1
Per questi temi rinviamo a B.S. Amoretti (= B. Scarcia Amoretti), Sects and Heresies, C.H.I. IV, 1975 e a S. Moscati, Per una storia
dellantica Sha, R.S.O. 30, 1955. Il Moscati, che adduce numerosi argomenti a favore di unorigine delleresia interna alla stessa dottrina
dellIslam, sottolinea la difficolt di enucleare lestremismo shita dal complesso della Sha in generale, in base a sicure differenze dorigine
(p. 254; p. 262 sgg.). Dopo aver tuttavia sottolineato anche gli argomenti che fanno risaltare la componente persiana della Sha religiosa (da
distinguersi dalliniziale fase puramente politica legata alla successione al vertice dellIslam dopo la morte di Maometto) e dopo aver
sottolineato la freddezza dei primi Alidi verso il movimento religioso stesso, il Moscati conclude tuttavia ricordando come alla base
dellIslam stesso sia quellinnegabile concorso di Giudeo-cristianesimo, Manicheismo e Zoroastrismo che compongono la religiosit
mesopotamica (p. 266; su questo argomento rinviamo ai citati studi del Widengren, in particolare Muhammad, the Apostle of God, etc., del
1955). Pi complesso ed esteso agli aspetti sociologici il citato articolo dellAmoretti, che gi in apertura sottolinea (p. 482) come la
religione iranica, prima dellIslam, fosse costituita non soltanto dal Mazdeismo -la religione ufficiale dellImpero- ma, in modo non
trascurabile, da Manicheismo e Mazdakismo, cio da una Iranian Gnosis, which seems to consist in a synthesis of disparate, not strictly
iranian elements. Questo concorso di elementi ellenistici, neoplatonici e giudeo-cristiani, tuttavia presente anche alla radice dellIslam
(cfr. ad esempio, larticolo di G.G. Blum, Christlich-orientalischer Mystik und Sufismus, O.C.A. 221, 1983, che sottolinea limportanza sia
del Neoplatonismo che del monachesimo orientale nella nascita del Sufismo arabo, Sunnita) e perci consente la gemmazione di un
estremismo religioso dalloriginaria matrice islamica, allorch il Corano venga visto come derivato da, e interpretato attraverso, la cultura
gnostica ellenistico-cristiano-iranica (p. 488). Le rivolte iraniche shite mostrano infatti connotazioni coraniche e proto-islamiche (ivi).
Sotto un profilo pi generale richiamiamo allora al riguardo quanto affermato dal Lory, Alchimie et mystique en terre dIslam, Lagrasse,
Verdier, 1989, pp. 16-18. Nel trattare dei caratteri originali ed evolutivi dellalchimia araba, il cui sviluppo strettamente connesso alla
struttura del cosmo shita, il Lory sottolinea il carattere stereotipo della contrapposizione tra arabi guerrieri incolti, e la cultura dei popoli
conquistati. Egli ricorda infatti quanto poco si conosca sulla cultura araba del VI-VII secolo e in epoca omeyyade; di essa per son noti sia i
rapporti stretti con Giudei e Giudeo-cristiani, sia i contatti con i maggiori centri della cultura mediorientale ermetista e neoplatonica. Al
riguardo necessario ipotizzare la presenza di una cultura esoterica di lite per giustificare la nascita di un testo complesso come il Corano.
La gnosi shita non pu quindi esser vista senza connessioni con il Corano stesso, e con la cultura nella quale vide la luce il testo. Per quanto
riguarda la capacit di tali movimenti ereticali nel fungere da catalizzatori di rivolte sociali, lAmoretti ritiene inoltre di poter individuare due
blocchi sociali dalle tendenze opposte: da una lato la grande aristocrazia terriera, padrona del paese in epoca sassanide, che sostiene
lortodossia; dallaltro una piccola borghesia composta da piccoli proprietari dellaristocrazia minore e dalle colonie di occupanti arabi, ai
quali si devono aggiungere i commercianti, i cui interessi erano legati allo sviluppo delle economie locali, ed erano perci in contrasto con
ogni tendenza centralizzatrice. Da questa piccola borghesia, che dunque anche araba, nasce il sostegno ad unelaborazione ideologica
ereticale, che diviene strumento di interessi localistici. A tale scopo essa pu anche avvalersi del proprio appello demagogico nei confronti
del pi vasto strato sociale, quello della popolazione contadina, naturalmente legata a vecchie tradizioni iraniche, e poco penetrata
dallIslamismo dei conquistatori (pp. 487-491).
2
Al pensiero neoplatonico si deve, nellambito della Sha, tanto la dottrina ismailita, quanto la nascita dellalchimia spirituale, quanto,
infine, lo sviluppo di una teosofia le cui possibili valenze eversive non furono sottovalutate dagli ortodossi. Il Browne, Literary History of
Persia, vol. I, Cambridge, Un. Press, 1928, pp. 303-304, ha sottolineato al riguardo limportanza dei cosiddetti Sabei di Harrn nel
mantenimento della tradizione neoplatonica entro il mondo islamico; importanza sulla quale si sofferma anche il Nasr, Philosophy and
Cosmology, C.H.I. IV, cit., p. 420, e il Widengren, Die Mander, Religiongeschichte des Orients in der Zeit der Weltreligionen, H.O. 1, 2, 8,
Leiden, E.J. Brill, 1961, p. 100. Questi Sabei di Harrn (da non confondersi con i veri Sabei, setta battista mesopotamica della quale
abbiamo fatto cenno, possibili antenati degli odierni Mandei) debbono il proprio nome ad una curiosa circostanza riportata nel Fihrist, p.
751, sgg. Si tratterebbe di una popolazione di religione essenzialmente pagana, platonico/ermetica (ivi, p. 746 sgg.; cfr. anche al Brn, cit.,
pp. 186-188 e p. 315, Shahrastn, cit., II, 61 sgg.). Essi avrebbero assunto il nome di Sabei per sfuggire le persecuzioni riservate ai non
appartenenti ad una religione del Libro, e molti di loro, divenuti Musulmani, avrebbero conservato in segreto le proprie convinzioni. Il loro
ruolo nella trasmissione della cultura neoplatonica, sovente invocato in generale, controverso tuttavia nei casi concreti; dalle notizie sui loro
culti astrologici e sullimportanza che aveva per loro la figura di Ermete Trismegisto e quella di Agathodaimon, come anche dai loro riti
magico-teurgici, si pensato ad una religiosit ermetista fondata su una teurgia analoga a quella espressa da Giamblico. Invisi allIslam,
scompaiono nel X secolo, ma si ritiene che prima di allora abbiano contribuito a configurare la dottrina ismailita dei Fratelli della purezza
(cfr. infra). Ancorch ormai vetusta, la maggior raccolta di dati relativi a questa setta ancora quella del Chwolson, Die Ssabier und der
Ssabismus, S. Petersburg, Kaiserliche Akademie der Wissenschaften, 1856, 2 voll.

194
Siamo dunque in presenza di una vicenda culturale che a nessun titolo possiamo scindere dalla nostra,
nella quale ellenismo, religiosit irano-mesopotamica, Islamismo e occidente, si incontrano ripetutamente lungo
un arco di tempo che va quantomeno dal IV sec. a.C. sino al XIII, costituendo cos una tradizione destinata a
protrarsi ben oltre nelloccidente stesso, e stabilendo quelle parentele che giustificano lasserita (da noi) esistenza
di un altro occidente, esteso dallo Gnosticismo al Romanticismo.
Nel primo secolo successivo alla conquista islamica, lIran vede la nascita dun sincretismo religioso
fondato sulla fusione di tradizioni locali eterodosse, quali principalmente il Mazdakismo e il Manicheismo, 3 con
la religione del Corano. In questo sincretismo, un ruolo specifico ricoperto dallantico tema religioso iranico
dellascensione celeste e del rapporto diretto dello spirito individuale con quello divino, che pu fare
dellindividuo un Apostolo partecipe della divinit, per lanalogia microcosmo/macrocosmo. 4 Questo
sincretismo religioso non casuale, un catalizzatore che consente di far coaugulare gli elementi musulmani e
quelli non musulmani attorno al grande problema delle autonomie locali e del rifiuto del centralismo. 5 Come
tale, esso entra nella vicenda della Sha trasformando laurorale movimento politico per proseguirlo come
movimento religioso; e anche in questo caso, la feroce avversione dellortodossia sunnita per Manichei e
Mazdakiti (come tali vengono identificati gli eretici) si fonde con le esigenze centralizzatrici del potere. 6
Prima di occuparci delle dottrine e delle vicende di questa dissidenza religiosa, tuttavia opportuno
esaminare le strutture di pensiero che la sottendono rendendola possibile. Esse sono importanti perch
appartengono ad una concezione della realt fenomenica e della storia che sono essenzialmente
neoplatonico/gnostiche, e conducono alla lettura di ci che appare e si d, come trasparenza dun ordine
segreto, e perci a una visione della storia come trasparenza duna segreta ierostoria. Il loro carattere eversivo
consiste dunque nellutopia radicale che conduce il possessore di questa verit a tradurre la visione celeste in una
pretesa storica, e perci in una petizione per la trasformazione del mondo. Questa petizione, allorch si
trasferisca dal campo sociale alla ricerca individuale, diviene la stessa che presiede alla concezione dellalchimia
come scienza e pratica spirituale; una pratica che consentirebbe allindividuo di trasformare il mondo
trasformando se stesso conformemente ad un modello divino. Questa nuova alchimia si trasferisce poi dallIslam
alloccidente, ove nel frattempo, in modo indipendente ma da comuni radici antiche, sono andate maturando altre
utopie. Si stabiliscono cos dei rapporti che sono di grande interesse, sia per ci che concerne generiche analogie,
sia per ci che concerne vere dipendenze; perch tanto in oriente quanto in occidente queste forme di pensiero
hanno comuni lontane radici, e in entrambi i casi esse cozzano con limpossibilit di calare un messaggio utopico
entro strutture normative.
La visione neoplatonica del mondo come trasparenza daltro, si concretizza nel mondo islamico nei
due concetti di btin e di zhir, 7 dietro i quali si schierano da un lato gli esoteristi e i profeti, che leggono il testo
per individuarvi significati nascosti (esattamente come gli Gnostici); dallaltro i custodi della sua letteralit. I
Btin, cio gli esoteristi per eccellenza, sono, per gli eresiologi islamici, i Manichei e i Mazdakiti dai quali si fa
discendere la Sha estremista, i cui pi celebri esponenti, gli Ismailiti, vengono nominati anche tout court come
Btin.
Il rapporto dopposizione che percorre questa vicenda (come le altre da noi narrate) tra coloro che,
sulla scorta del Weber, potremmo definire rispettivamente profeti e sacerdoti, 8 va tuttavia inteso come

3
Lelemento mazdakita nelle insurrezioni iraniche riconoscuto dai cronisti sin dentro il IX secolo, con il movimento di Bbak; importante
notare al riguardo il ruolo del Khursn -il rifugio dei Mazdakiti dopo la carneficina di Khosroe- nei movimenti ribelli: cfr. Amoretti, cit., p.
495; B. Spuler, Iran in frh-islamischer Zeit, Wiesbaden, Steiner, 1952, pp. 49-53. Quanto ai Manichei, detti Zindq, termine che indica il
miscredente, in particolare dualista, essi sono oggetto di persecuzione, si occultano sovente sotto unapparente ortodossia, e costituiscono
unlite intellettuale: cfr. G. Vajda, Les Zindqs en pays dIslam au debut de la priode abbaside, R.S.O. 17, 1938.
4
Per uno studio dellargomento cfr. G. Widengren, The Great Vohu Manah and the Apostle of God, cit. Il Widengren ha rintracciato questi
temi gnostici ed ermetici nelle figure di numerosi capi delle rivolte shite; un caso del tutto particolare poi quello della rivolta di Bihfard,
che inizia precisamente con la rivelazione, da parte di costui, del proprio viaggio in cielo: cfr Widengren, Muhammad, etc., cit., pp. 80-85. Il
Widengren (ivi, p. 41) vede nei Manichei di lingua araba il veicolo di questo tema gnostico, perch il Manicheismo inteso da lui
essenzialmente come ricettacolo di tradizionali temi mitici iranici e mesopotamici (cfr. Mesopotamian Elements in Manichaeism, cit.). I citati
testi del Widengren sono fondamentali per intendere le connessioni tra la Sha religiosa e questi antichi temi; connessioni possibili
allinterno della dottrina islamica perch questa stessa che, secondo lo studioso, influenzata sin dallinizio dai temi di cui sopra. La
sostanziale differenza si porrebbe in una fissazione dellortodossia islamica con la figura di Maometto sigillo dei profeti, cui si
contrappone, nella Sha, il persistere del ciclo profetico di figure carismatiche, secondo lantico modello elchasaita (cfr. Muhammad, etc.,
cit., pp. 214-216). Questa matrice comune alla base anche del continuo ripetersi, nella teosofia islamica, del tema del gemello celeste
(che abbiamo notato nei catari). Su Bihfard, ritenuto zoroastriano dai cronisti arabi, cfr. anche al Brn, cit., pp. 193-194.
5
Amoretti, cit., p. 495.
6
Cfr. ad es. Nizamulmulk, Siysatnma, cit., pp. 284-286, che fa una premessa alla storia delle rivolte shite, interpretate come eredit
mazdakita, nella quale viene posto in evidenza il ruolo degli eretici come eversori dellordine costituito; essi sono per definizione nemici del
sovrano e capo religioso, e dispiegano tutti i propri mezzi intellettuali e la propria doppiezza a supporto di questa inimicizia per lordine
religioso e statale emanante dal centro.
7
I due termini stanno ad indicare rispettivamente ci che interiore, nascosto (btin) e ci che esteriore, manifesto (zhir).
8
Cfr. M. Weber, Economia e societ, cit., vol. I, p. 446. Nella logica del nostro studio, la distinzione tra profeti e sacerdoti cos come
analizzata dal Weber, di importanza fondamentale, perch mette in luce il contrasto tra le spinte al rinnovamento che trovano espressione in
personalit ispirate (il profeta parla direttamente con Dio, non con i sacerdoti) e il letteralismo testuale (o linterpretazione ortodossa) nel
quale si esprime la conservazione impersonata dal clero. Come ogni rivoluzionario, il profeta non rinnega la dottrina, ma la rinnova tornando
a reinterpretarla in nome di origini oscurate, cio del suo spirito. Il Weber, nel ricordare che un profeta raramente esce dal clero, sottolinea
le condizioni di svantaggio nelle quali esso opera, perch, diversamente dal clero, non ha legittimazione sociale e deve autolegittimarsi.

195
espressione di quella concretezza storica che si esplica nello scontro ideologico. Sul piano puramente logico
infatti, la lettera e lo spirito non sono affatto in opposizione: 9 lopposizione nasce dalle concrete circostanze
per le quali, sotto lo scontro dottrinale, si cela (ma non tanto) uno spostamento dei confini tra le esigenze di
individui e di gruppi e la normativa delle istituzioni, ovviamente impersonata dalla classe dirigente che a nome
di essa giustifica il proprio ruolo.
Facciamo questa precisazione per ricordare che non sono le dottrine in s ad interessarci, quanto le
conseguenze che esse hanno mostrato di innescare sul piano sociale; o avrebbero potuto innescare, secondo i
timori che portano alla repressione. Non si dimentichi infatti che pi di una condanna -dottrinale e materiale- nei
confronti delle dottrine non-conformiste e dei loro portatori giustiziati, non ha trovato giustificazione nel
concreto comportamento di questi ultimi, ma nel timore delle possibili conseguenze delle loro dottrine.
La storia delle numerose sette shite (come gli Gnostici, gli Shiti si frammentano in gruppi e
gruppuscoli) stata raccolta dal filosofo e teologo persiano an Nawbakht, vissuto tra il IX e il X secolo. 10 Come
noto il movimento, che fu allinizio puramente politico, nacque attorno alla successione di Maometto come guida
dellIslam; gli Shiti ritenevano che tale ruolo spettasse di diritto ad Al, che aveva sposato Fatima, la figlia del
Profeta; e, dopo di lui, a uno dei loro figli. 11 Il movimento politico aveva per tutti i crismi per trasformarsi in
religioso, come di fatto avvenne, perch investiva una vicenda strettamente connessa con il problema del carisma
divino, e quindi con i temi religiosi ai quali abbiamo gi pi volte accennato. LImm infatti, chiamato a
difendere e a interpretare la Legge, e perci la sua figura pu essere oggetto di infinite speculazioni gnostiche
per quanto concerne lorigine del suo carisma. 12
Per capire come ci sia possibile, e quale sia limportanza del problema, occorre ricordare che, nel
rigido monoteismo islamico, Maometto non rappresenta unentit divina; egli soltanto un uomo, ancorch
divinamente ispirato, che sal al cielo -secondo la leggenda del Libro della scala- e al quale dal cielo venne
comunicata la Legge, scritta nel Corano. Bench egli sia lultimo dei Profeti, dopo Mos e Cristo (secondo la
dizione: il Sigillo dei Profeti) evidente che il problema dellinterpretazione di ci che egli ha lasciato scritto nel
Corano, pone lesigenza di un contatto non meno stretto con il divino per quanto riguarda la figura dellImm,
esigenza che viene affrontata mediante le ricordate speculazioni gnostiche. Infatti non v alcuna stringente
ragione in base alle quale, prescindendo dal carattere definitivo della letteralit del Corano, il rapporto diretto
concesso ad un uomo non debba venir concesso anche ad altri; tanto pi che di quella lettera ci si deve sforzare
di comprender lo spirito -come gi notava lo Gnostico Tolomeo- e ci richiede una qualche forma di
partecipazione al divino stesso. 13 Quando per ci si ponga in concreto la domanda su come riconoscere lImm,
il problema generale si sbriciola in teorie divergenti: si pu infatti invocare la successione familiare da Maometto
tramite i discendenti di Fatima, 14 ma al tempo stesso una scelta tra uno o pi discendenti tramite linvestitura da

Questanalisi del Weber per noi del massimo interesse, perch esula dallo stretto problema della dialettica religiosa, esprimendo
quellinsopprimibile lotta tra visione soggettiva e tesi normative che troveremo laicizzata nellantiaccademismo dei Romantici. Va da s che
il carisma del profeta, in tanto si propone e si manifesta, in quanto egli riesce ad esprimere esigenze di rinnovamento diffuse, e non
semplicemente il proprio disadattamento; tuttavia anche questultimo pu divenire elemento di coaugulo ideologico allorch il contrasto tra
normativa ed esperienza sia tale (come avviene nelle ideologie decotte) da produrre il disadattamento come epidemia.
9
Ci quanto si impegna a dimostrare De Smet, Au-del de lapparent: les notions de zhir et de btin dans lsotrisme musulman,
Scrinium Lovaniense, Louvain, 1961. Secondo la concezione neoplatonica in base alla quale pensabile uno zhir e un btin (cio una
manifestazione esteriore e sensibile di una realt interiore intelligibile, onde il mondo fenomenico epifania di una vicenda spirituale) luno
e laltro non sono in antitesi, e neppure possono esserlo. Il btin pu infatti esser letto soltanto nello zhir, e perci la visione del primo non
pu condurre al disprezzo del secondo, che lo simbolizza e che indissolubile da esso. Prendendo a sostegno tesi indubbiamente moderate, il
De Smet mette quindi in evidenza quanto sta a cuore alla sua tesi: lIsmailismo stesso non conduce necessariamente allantinomismo;
questultimo soltanto uno sbocco estremista. La stessa dottrina ismailita di una Resurrezione finale (qiymat) vista come ritorno
dellesteriore al proprio archetipo, interpretabile come movimento di epistroph che segue il prodos (p. 206) in analogia con la discesa,
tramite Maometto, di uno zhir, la cui interpretazione tramite lImm non che una risalita al btin. Il De Smet analizza tanto le posizioni
degli Shiti che quelle dei Sunniti per giungere a delineare la visione neoplatonica di una struttura teofanica dellessere come lettura
mistico/filosofica di un generale equilibrio, eliminando ci che egli considera estremismo. Ci non toglie che mistici neoplatonici come
Sohraward furono giustiziati; che in occidente si condannasse formalmente (post mortem) la dottrina neoplatonica di Scoto Eriugena, nella
quale si vide il prodromo del Libero Spirito, o quella di Gioacchino da Fiore, che non per propria volont fu lorigine di moti eversivi; che,
infine, gi dallantichit il potere imperiale non amasse i neoplatonici in generale (con leccezione di Plotino). Il problema di fondo allora
un altro: che di fatto la tensione al ritorno nel divino messa in moto da queste strutture di pensiero opera in modo dirompente contro le
ingiustizie e le oppressioni del pi modesto e quotidiano ordine terreno. La lettura plotiniana che De Smet fa dellintero fenomeno,
non sembra perci corrispondere alle concrete sue manifestazioni, necessariamente esorcizzate come estremismo; essa sembra piuttosto
rispecchiare quella che fu la posizione politica dei Fatimidi.
10
Cfr. M.J. Mashkur, An Nawbati. Les sectes sites, R.H.R. 153, 1958; 154, 1958; 155, 1959, che ne d il testo in francese.
11
Sha significa letteralmente setta, fazione.
12
Imm, guida, il capo spirituale della comunit, custode e interprete della Legge che, ricordiamolo, nellIslam anche la legge della
comunit e dello Stato. Per quanto concerne levoluzione gnostica e linfinita speculazione dottrinale che investono la sua figura nella
Sha, cfr. M.A. Moezzi, Le guide divin dans le Shisme originel, Lagrasse, Verdier, 1992.
13
Altro aspetto che occorre tener presente la differenza che passa tra il Nuovo Testamento e il Corano: mentre i Vangeli sono scritti da
testimoni della predicazione di Cristo, il Corano un libro disceso dal cielo, nel senso che esso dettato dallalto a Maometto. Il problema
della comprensione della Verit in esso contenuta passa dunque necessariamente attraverso un nuovo rapporto col divino.
14
Limportanza e il significato esoterico della figura di Fatima nella gnosi ismailita stato studiato da H. Corbin, piphanie divine et
naissance spirituelle dans la Gnose ismalienne, E.J. 23, 1954, ristampato in inglese in Man and Transformation, ed. by J. Campbell,
Princeton Un. Press, 1964 (qui cfr. pp. 116-118). Cfr. anche, dello stesso Corbin, De la Gnose antique la Gnose ismalienne, XII Congr.
Volta, cit., pp. 133-135; e di L. Massignon, Der gnostische Kult der Fatima im schitischen Islam, E.J. 1938, ristampato in Opera minora, T.
I, Beirut, Dar el Maouf Libanon, 1963. Fatima diviene unEva celeste che simboleggia la Gnosi, cui si contrappone unEva terrestre che

196
parte dellImm in vita, che per sua natura dovrebbe essere infallibile. Un Imm pu tuttavia morire senza
discendenza, ovvero si pu non esser daccordo sullesistenza di una legittima discendenza. In tal caso la divinit
stessa della sua figura impedisce di accettarne la morte, e si ammette quindi che egli viva in uno stato di
occultamento, di dove torner come Imm Qim , il Resurrettore, 15 colui che proclamer la Resurrezione, e con
essa la fine della Legge.
Si comprende quindi facilmente quante sette si siano costituite nel tempo nellambito della Sha, al di
l della sua pi nota dicotomia in Settimiani (coloro che si richiamano al 7 Imm) tra i quali i pi celebri sono
gli Ismailiti, e, tra loro, quelli di Alamt noti col nome di Assassini; e Duodecimani, per i quali lultimo Imm
il 12, pi comunemente noti soltanto col nome di Sciiti, oggi la religione dominante in Iran. Noi non ci
occuperemo di tutte queste sette, ma soltanto di quei gruppi che proclamarono ideologie rivoluzionarie in nome
delle proprie architetture celesti.
Tra le prime sette che si formarono attorno al problema della successione di Maometto, nellambito
della quale i partigiani del genero Al presero il nome di Shiti, dando origine al movimento destinato poi a
trasformarsi in mille fazioni, particolarmente interessante appare quella dei Khridjiti, 16 che non appartiene alla
Sha stessa. Essi infatti abbandonarono lesercito di Al provocandone indirettamente la sconfitta, e
rappresentano una terza scelta -dalle evidenti implicazioni democratiche- nei confronti di quella sunnita e di
quella shita, relativamente al problema della successione. Mentre gli Shiti considerano Al come primo
successore legittimo, e limamato prerogativa dei suoi discendenti maschi; e i Sunniti ritenevano che la guida
dellIslam dovesse affidarsi a un Califfo scelto entro la trib di Maometto, i Qurayshiti; 17 i Khridjiti sostenevano
un principio rivoluzionario: lelezione dellImm, ruolo aperto a chiunque senza distinzione di razza o
discendenza. Ci consent loro di attirare entro le proprie file elementi provenienti da popoli di recente
conquista; in particolare, a seguito delle ripetute sconfitte nelle ripetute sommosse mesopotamiche contro gli
Omayyadi, essi finirono col volgersi sempre pi verso la Persia. 18 Essi combatterono quindi accanto agli
Abbasidi quando, alla met dellVIII secolo, scoppiarono le rivolte che portarono alla fine della dinastia sunnita
degli Omayyadi.
Gli aspetti interessanti del loro egualitarismo consistono nellemergere di elementi dottrinali che ne
fanno al tempo stesso un partito popolare e unattrattiva per gli intellettuali, 19 e si riassumono in un radicale
spiritualismo che, se da un lato fa loro considerare come apostati tutti gli altri Musulmani, dallaltro li rende
tolleranti verso le altre religioni espressioni di altri popoli, perch il divino, in base al presupposto adozionista
della ripetitivit del profetismo, pu manifestarsi a diversi popoli con diversi Profeti. 20 Soltanto entro questo
radicale spiritualismo pu leggersi la loro radicale dottrina dellImamato, aperto a tutti ma anche revocabile, in
entrambi i casi in nome di un giudizio popolare che deve ritenersi a sua volta anchesso carismatico, assoluto, ma
tale non per ragioni formali, essendo rivolto a valutare la purezza della coscienza dellImm.

simboleggia la Shara, la legge coranica nella sua letteralit. Sulle complesse speculazioni relative alla figura di Fatima madre di suo
padre, attraverso la quale si trasmette lImamato sino allultimo Imm, incarnazione divina per gli Shiti, che porr fine alla Legge, cfr.
larticolo di L. Veccia Vaglieri su E.I. vol. II, voce Fatima. Fatima anche onorata al maschile (cfr. Shahrastn, cit., pp. 202-203) e fa parte
delle 5 realt che simboleggiano il divino, secondo la gnosi dellUmm al kitb: Maometto, Al, Fatima, e i loro figli Hasan e Hosan. Per
lanalisi di tutto il problema rinviamo al citato articolo di Corbin (piphanie, etc., cit.) che sottolinea i parallelismi con la cristologia ebionita
(elchasaita) e catara, e con la figura bogomilo/catara di Maria/angelo, ed inoltre i fondamentali temi del Docetismo e dellAdozionismo. Per
lUmm al kitb, cfr. il testo tradotto, annotato e introdotto da P. Filippani Ronconi (Napoli, Ist. Orientale, 1966) che mette in luce linfluenza
manichea sulle speculazioni del testo.
15
Lultimo di questi Imm nascosti, il 12 Imm degli Shiti Duodecimani, Muhammad, presunto figlio dell11 Imm, morto nell874.
Nato nell869, Muhammad, nascosto, avrebbe comunicato per circa settantanni tramite suoi rappresentanti (occultazione minore) per poi
scomparire del tutto (occultazione maggiore). Egli vive in Jbars, citt di smeraldo sulla montagna cosmica della mitica terra celeste
mazdea: cfr. an Nawbakht, cit., R.H.R. 155, p. 68. Su Jbars, cfr. H. Corbin, Corpo spirituale e terra celeste, Milano, Adelphi, 1966,
passim. In Jbars lindividuo sopravvive come corpo sottile nella sua forma acquisita in terra. LImm nascosto si pu paragonare alle
figure di Enoch ed Elia, rapiti in cielo, che torneranno nel giorno del Giudizio. Lultimo Imm noto anche come al Mahd, il ben guidato.
Nel corso della storia sono apparse molte figure di rivoluzionari che si sono proclamate sue incarnazioni. Il titolo di Mahd fu attribuito pi
volte nellambito della tradizione shita: con tale titolo troviamo, ad esempio, Muhammad b. al Hanafiyya (figlio di Al ma non di Fatima,
Imm dei Kaysnyya) e suo figlio Ab Hshim, Imm degli Hshimiti (cfr. an Nawbakht, R.H.R. 153, p. 204, p.205, p.209). Al Mahd fu
anche il nome di Ubayd Allh, che diede inizio alla dinastia Fatimida; etc. Sulla complessit e importanza della figura del Mahd, sulla sua
evoluzione, sui personaggi che si sono dichiarati tali, cfr, W. Madelung, voce al Mahd, E.I. vol. V. Vedi anche E. Kohlberg, voce Radja,
ivi. vol. VII. La Radja, ritorno, resurrezione, la fine delloccultamento del Mahd, il cui ritorno evento escatologico che coincide con la
fine del mondo, la distruzione degli infedeli e la vittoria della Sha.
16
an Nawbakht, R.H.R. 153, pp. 177-194; cfr. inoltre C. Levi della Vida, voce Khridjites, E.I. vol. IV, con la sua Bibliografia; Spuler, cit.,
pp. 167-170; J. Wellhausen, The Religio-political Factions in Early Islam, Amsterdam/Oxford, North Holland Publishing Co., 1975, che
contiene la traduzione del vecchio studio apparso sugli A.G.W.G nel 1901; R. Strothmann, Schiiten und Charidsciten, H.O. 1, 2, 8, cit.
17
Si noti la differenza tra Imm e Califfo: mentre luno guida spirituale e per conseguenza capo politico, e sulla sua figura divina
simposta la complessa speculazione gnostica degli Shiti; il Califfo soltanto il capo politico della comunit islamica. Sulle
caratteristiche carismatiche dellImm, cfr. anche an Nawbakht, R.H.R. 153, pp. 195-197.
18
Spuler, cit., p. 168.
19
Levi della Vida, cit.; Wellhausen, cit., p. 20, coglie in essi tratti che li rendono simili agli Zeloti. Essi predicano la destituibilit e la
decadenza dellImm che abbia deviato dalla retta via. Un tratto inconfondibilmente antisacerdotale caratterizzava le loro moschee, prive di
minbar (pulpito): cfr. Spuler, cit., p. 169 in nota.
20
Il procedere della speculazione su questo argomento, sempre nellambito di quella ripetitivit delle manifestazioni divine che non
estranea alla radice del Corano, porta in seguito a postulare la possibilit di nuovi Profeti e nuove religioni per altri popoli, p.e. per i Persiani.
Cfr. Levi della Vida, cit.

197
I Khridjiti puri non rappresentano un ramo della speculazione shita, rispetto alla quale costituiscono
un episodio anteriore, ma mostrano di avere in comune con essa, dalla quale sembrano infinitamente lontani, il
radicalismo rivoluzionario di ogni spiritualismo. Una religiosit che guarda allo spirito assume infatti
necessariamente toni profetico-millenaristici che la rendono eversiva dellordine legale; per questo ne abbiamo
fatto cenno prima di passare agli antefatti puramente politici della Sha e ai suoi gruppi religiosi.
Gli elementi dottrinari in base alla cui parziale o totale presenza i commentatori musulmani hanno
identificato la cosiddetta Sha estremista, circa i quali hanno insistito nel vedere influssi dottrinali estranei
allIslam, sono stati riassunti da Shahrastn nella divinizzazione delluomo, nella teoria che Dio possa cambiare
opinione (bad), nella teoria del ritorno dellImm, e nella migrazione delle anime. 21
La prima setta nella quale si deve perci riconoscere una manifestazione di tale estremismo (che
potremmo definire atteggiamento gnostico) costituiti dai Sabiti. Il suo fondatore Abdallh ibn Sab,
yemenita, forse un Ebreo convertito, fu il primo a sostenere la divinit di Al, nel quale si era sustanziato
lImamato; per questa ragione era stato rimproverato dallo stesso Al. Dopo la morte di questi, ibn Sab
proclam che egli non era affatto morto, era semplicemente nascosto sulle nuvole e sarebbe tornato. La divinit
presente nel 1 Imm, Al, trasmigra, secondo i Sabiti, di Imm in Imm. Da questa setta, secondo
Shahrastn, discende tutta la Sha estremista. 22
Unaltra setta risalente al VII secolo appare importante nella formazione progressiva della Sha
etremista, quella dei Kmiliyya, 23 seguaci di Ab Kmil, la cui dottrina viene posta da Shahrastn in relazione
con Zoroastriani, Mazdakiti, Brahmani, Sabei, e filosofi, per sottolinearne la totale estraneit al Corano. Tra le
tesi di Ab Kmil che preludono al futuro Ismailismo, da segnalare la concezione che lImamato sia una luce
che trasmigra da persona a persona, manifestandosi sia come Imamato, sia, talvolta, come profetismo. Questa
concezione si collega sia a quella della migrazione delle anime, sia a quella della presenza stessa di Dio nelle
persone ispirate, attraverso le quali Egli parla in ogni luogo e in ogni lingua, mentre si d come apparizione
angelica. Si noti, al riguardo, laffinit con lo spiritualismo e lantisacerdotalismo Khridjita, pur in un contesto
nel quale la democrazia diretta stabilita allinterno di una struttura teocratica, che vede nellImm un capo
sprituale da non mettersi in discussione. 24
La complessa vicenda delle dottrine e delle sommosse shite inizia tuttavia pi tardi, con il problema
della successione dei figli di Al allImamato. Al ebbe due figli da Fatima, al Hasan e al Hosayn, e un terzo da
unaltra moglie, Muhammad ibn al Hanafiyya, morti rispettivamente nel 667, nel 680 e nel 700. Mentre le due
linee di Imamato divenute poi note come Settimiani e Duodecimani ritengono che Hasan e Hosayn siano stati il
2 e il 3 Imm, seguiti da Al figlio di Hosayn; un gruppo ritenne che il designato dal 1 Imm, Al, fosse stato
Muhammad. Questo gruppo noto col nome di Kaysniti, dal soprannome del loro capo. La loro storia
estremamente complessa e ci porta nel cuore dei movimenti che partono dalla Persia nel periodo di ascesa della
dinastia Abbaside, che essi sostennero, ma dalla quale furono mal ripagati. In Persia essi si fusero con altre
correnti locali di discendenza mazdakita, e per un secolo circa diedero filo da torcere agli Abbasidi. Nelle loro
successive trasformazioni ed evoluzioni confluirono in altri movimenti eversivi dellIslam, dai quali emersero sia
la dinastia Fatimida, sia, attraverso un processo di scissione, i famigerati Assassini di Alamt.
Anticipiamo questi accenni per fornire le direttrici generiche di un percorso tortuoso e accidentato,
lungo il quale si potrebbe smarrire la bussola; ma anche per mettere in luce aspetti che non dovranno essere
dimenticati nel corso dellesposizione dottrinale. Sar infatti opportuno notare sin dora, che tutte queste
complesse costruzioni, allorch hanno la possibilit di operare concretamente sul piano politico e non muoiono
nel chiuso duna conventicola o sullo scrittoio dun dotto, hanno sempre la direzione eversiva consustanziale ad
ogni pensiero gnostico. Esse infatti si configurano, come abbiamo accennato, in difesa di interessi locali o
particolari, contro il centralismo, che si struttura a sua volta entro lortodossia.
Questa loro configurazione non tuttavia priva di ambiguit, e frammentarie ed ambigue sono le
vicende che accompagnano i vari movimenti, contrariamente a quanto accade per i fenomeni che avevamo
esaminato sinora. Generalizzando moltissimo, si pu infatti affermare che tutte le emergenze che vanno dallo
Gnosticismo al Catarismo, mostrano una certa linearit come manifestazioni del ripetuto tentativo di stabilire un
diverso rapporto tra normativa ideologica e individuo, nellambito di organismi statali gi chiaramente definiti:
ci vale anche , in senso pi lato, quando, dai Pauliciani ai Catari, la dottrina diviene veicolo di istanze locali.

21
Religionspartheien, etc., cit., p. 200. Per la dottrina della bad, (cambiamento) cfr. la relativa voce di I. Goldziher-A.S. Tritton, in E.I. vol.
I. Sulla presenza di miti zoroastriani e induisti nella speculazione esoterica e nel mito dellImm, nonch di una tradizione magica anchessa
estranea allIslam, cfr. Le guide divin, etc., cit. pp. 148-154 nel testo e nelle note. Sullorigine gnostica della migrazione delle anime nella
Sha estremista, cfr. R. Freitag, Seelenwanderung in der islamische Hresie, I.U. 110, 1985, pp. 253-255. La migrazione ascendente e
discendente nella contiguit neoplatonica delle manifestazioni del cosmo, realizza la separazione del Bene dal Male, dello Spirito dalla hle.
22
An Nawbakht, 153, pp. 199-200, Shahrastn, pp. 200-201. appena il caso di ricordare che sino alla conquista musulmana, lo Yemen fu
luogo dinfluenza bizantina e copta, nel quale si fusero elementi culturali giudaici, cristiani e mesopotamici, questi ultimi per tradizionali
rapporti con i Sassanidi. Va tuttavia segnalato che esistono dubbi su una data cos antica delle dottrine dei Sabiti e sul fatto che ibn Sab
fosse un Ebreo.
23
Shahrastn, pp. 201-202.
24
La radicale differenza tra la democrazia dei Khridjiti e la teocrazia delle sette shite, espressa in modo chiarissimo nel discorso del
Khridjita Ab Hamza contro gli Shiti nel 747, riportato da Wellhausen, cit., p. 154.

198
Le sette shite, viceversa, fioriscono in una societ nella quale manca un solido punto di riferimento
politico nello Stato, sicch lo scontro tra localismo e centralismo estremamente ambiguo, cos come ambiguo
resta il confine tra libera espressione religiosa e dogmatismo, democrazia e teocrazia.
Lassenza di tradizione statale e la conseguente sovrapposizione di comunit politica e comunit
religiosa, identificano da un lato centralismo, dogmatismo e teocrazia; ma dallaltro fanno s che ogni alternativa
politico-dottrinale, quale che sia il suo punto di partenza (dissenso religioso, esigenze localistiche, movimento
sociale) non possa che offrirsi come alternativa globale. Ogni alternativa dunque, se vincente, non pu che
configurare un nuovo dominio: gli Imm, nel cui nome si lotta, sono emblematici di tale ambiguit, figure al
tempo stesso rivoluzionarie e teocratiche.
Il ruolo divino dellImm -in contrasto con lanarchismo gnostico e il federalismo cataro in materia di
Chiesa, ed in contrasto anche con la democrazia diretta, sia religiosa che politica, dei Khridjiti, il cui Imm
elettivo e revocabile- tende a fornire alle varie manifestazioni della Sha la logica di un centralismo alternativo.
Infatti, in assenza di uno Stato indipendente dalla religione, la vittoria di una setta non pu che portare
questultima ad impadronirsi del centro; al contrario, chi non si ponga nel nuovo centro, non ha uno Stato
nel cui ambito godere i frutti di una raggiunta affermazione.
Il comportamento degli Abbasidi e dei Fatimidi, una volta giunti al potere, nei confronti dei
movimenti dottrinari che li avevano sostenuti, mostra chiaramente questa ambiguit. Per queste dottrine, la
vittoria diviene una sconfitta: dovendo portare i loro Imm al potere, il loro utopismo radicale diviene un
impaccio alla razionalit politica nel cui ambito questi debbono agire. 25
Lo schiacciamento del potere politico sulla dottrina religiosa, azzera la dialettica di storia e utopia,
assegnando la realizzazione di questultima a una teocrazia. Soltanto le estreme conseguenze della dottrina
ismailita, con la proclamazione della Grande Resurrezione e la fugace realizzazione della divinit delluomo in
terra proponendo lUtopia come Assoluto, avrebbero potuto tentar di siglare il compimento dun percorso
dottrinale: ma il condizionale dobbligo, come si vedr.
Per il resto, la storia della Sha e del suo anelito libertario, anche una complicata storia di sette,
agglutinata e dispersa attorno a puntuali eventi religioso-politici. Da questi eventi ci dobbiamo sforzare di trarre
un filo conduttore sfrondando e generalizzando, senza dimenticare linestricabile relazione che esiste tra questa
storia e la grande utopia, perch le innumerevoli sette che lottano per il proprio Imm sognano tutte un futuro di
libert e di pienezza esistenziale in terra. Sognano tutte di essere guidate alla Grande Resurrezione, un evento
che si va dissociando dal Giudizio finale, per divenire la realizzazione in terra dellUtopia.26
Ci premesso, riprendiamo il filo dalla setta dei Kaysniyya. Questa setta prende il nome da Kaysn,
seguace di al Mukhtr b. Ab Ubayd, che nel 685 simpadron di Kufa, in una rivolta nella quale si proclam
inviato di Muhammad ibn al Hanafiyya; 27 questultimo, alla data della propria morte nel 700, fu poi proclamato
Mahd dai Kaysniyya.
Costoro erano frequentemente detti anche Sabiyya, una sovrapposizione che trova ragione sia
nellestremismo, sia nella presenza di elementi dottrinali giudaizzanti yemeniti; 28 quanto a Kaysn, egli si diceva
in contatto con larcangelo Gabriele. 29
I Kaysniti elaborarono i termini fondamentali della dottrina estremista, che discenderanno nelle
moltissime sette da essi originate. I lineamenti di questa dottrina, che si vanno elaborando nel tempo sino
allIsmailismo, possono cos compendiarsi: trasmigrazione delle anime, che persistono in un mondo puramente
formale; ciclicit della storia attraverso il succedersi di eoni; divinit dellImm che, come tale, gi sottratto
alla Legge; interpretazione della Resurrezione non nei termini ortodossi, ma nelle forme terrene come detto
sopra. Da queste teorie discende quella della Radja, cio del ritorno del Mahd, che si collega con la
trasmigrazione. I Kaysniyya elaborarono inoltre (necessariamente) la teoria della Bad (cambiamento
dopinione di Dio), per giustificare gli errori di previsione dellImm, di per s infallibile in quanto divino. 30

25
Il problema stato intuito da H. Corbin, che conformemente alla propria logica lo ha sviluppato in termini di zhir e di btin: cfr. Nsir-i-
Khusrau and Iranian Ismilism, C.H.I. IV, cit., pp. 524-525. Sulla continuit di fatto che si stabilisce nel Califfato, per le ragioni esposte, al
momento della rivoluzione abbaside, cfr. I. Bligh-Abramsky, Evolution versus Revolution, Der Islam 65, 1988: la continuit nella burocrazia
e nellesercito fu dovuta al fatto che gli Abbasidi non avevano alcuna ideologia dello Stato alternativa a quella dei loro predecessori (p. 243).
26
Cfr. il citato discorso di Ab Hamza, in Wellhausen, p. 154. Lattesa shita merita il sarcasmo della razionalit dei Khridjiti (Mutaziliti,
cio razionalisti nellinterpretare il Corano: Mutazil = che si stacca, si separa = scismatico) in tal veste cio non-conformisti in materia
dinfallibilit dellImm, sottoposto a giudizio popolare. Come nota W.M. Watt, Shism under the Umayyads, J.R.A.S. 1960, p. 159, mentre
per gli Shiti era carismatico lImm, per i Khridjiti era carismatica la comunit. Tuttavia anche la Sha movimento popolare, in quanto
attesa millenarista, e su questo bene insistere. Quando si parla del Qim in contesto shita, si parla infatti di un Resurrettore che instaura
un regno di pienezza (e di superamento della Legge) in questo mondo. significativo notare che il discorso anti-shita del Khridjita Ab
Hamza avviene nel 747, cio nel momento nel quale i Khridjiti sono comunque dalla stessa parte degli Shiti Abbasidi, nel corso della
rivolta del 747-748 che abbatte gli Omayyadi: le due ideologie non si avvicinano ma sono alleate come espressione popolare (cfr. Spuler, cit.,
p. 169; sugli eventi per i Khridjiti, cfr. Wellhausen, pp. 85-88).
27
Il quale si tenne tuttavia ben lontano dalla rivolta di al Mukhtar; cfr. F. Buhl, voce Muhammad ibn al Hanafiyya, E.I. vol. VII.
28
Cfr. W. Madelung, voce Kaysniyya, E.I. vol. IV; ed inoltre vedi supra alla n. 22 circa la data dorigine dubbiosa dei Sabaiyya; cfr. inoltre
an Nawbakht, 153, p. 200 sgg.; sugli elementi giudaizzanti yemeniti, cfr. anche G.R. Hawting, voce al Mukhtr, E.I. vol. VII.
29
an Nawbakht, loc. cit., p. 201.
30
id., RH.R. 154, pp. 94-95. Sembra che la dottrina sia stata escogitata dallo stesso al Mukhtr.

199
Per lestrema complicazione delle discendenze dal primitivo movimento Kaysnita, forse opportuno
premettere un breve schema, prima di trattare le singole dottrine.
Una parte dei seguaci di al Mukhtr, noti come Mukhtriyya, sostenne che Kaysn fosse un
soprannome dato ad al Mukhtr da Muhammad ibn al Hanafiyya. 31 Di al Mukhtr, un ribelle che sembra aver
oscillato tra vari Aldi prima della rivolta del 685, si diceva che fosse visitato dagli arcangeli Michele e
Gabriele; di lui anche stato posto in luce il ruolo apocalittico, forse in vista di un arrivo del Mahd, poich egli
si atteggiava a vendicatore della morte di al Hosayn, il terzo Imm dopo Al e al Hasan, e degli altri Aldi
assassinati. Con lui, nel nono decennio del VII secolo, inizia con sicurezza la dottrina del Ghul.32
Dai Kaysniti discende una linea che an Nawbakht definisce Kaysniti puri; secondo essi
lImamato sarebbe passato da Muhammad ibn al Hanafiyya, al figlio Ab Hshim; da questi al fratello Al e da
lui ai discendenti (al Hasan, Al e al Hasan). Soltanto da questa linea pu uscire il Qim al Mahd. 33
Mentre per il gruppo dei Karbiti il Mahd restava Muhammad ibn al Hanafiyya del quale si negava la
morte, e gli Hshimiti si pronunciavano viceversa per lImamato del figlio di lui Ab Hshim, che alla propria
morte (717) veniva proclamato Mahd; altri reclamavano per s la missione divina, e predicavano
lantinomismo. 34 Tra questi Bayn, dopo la morte di Hshim e la sua proclamazione a Mahd, avanz pretesa di
esser profeta, e scrisse ad Ab Djafar (Muhammad al Bqir, 5 Imm) 35 invitandolo ad accettare questo suo
ruolo profetico; Ab Djafar rispose costringendo il messaggero ad ingoiare il messaggio. 36
Successivamente alla morte di al Bqir, i Bayniyya (ex Hshimiti, nemici di al Bqir) unitamente ai
Mughriyya (seguaci di al Bqir) scelsero di ribellarsi agli Abbasidi sostenendo il diritto allImamato della linea
alde di al Hasan, nelle persone di Muhammad e Ibrhm, figli di Abdallh figlio di al Hasan, figlio a sua volta
di al Hasan il 2 Imm; questi furono per sconfitti e uccisi dallabbaside al Mansr nel 762. Bayn elabor la
dottrina della luce divina che passa di Imm in Imm; al Mughra elabor uninterpretazione del divino fondata
sulla mistica delle lettere. 37
Il gruppo degli Hrithiti, anchessi antinomisti, riconduceva lImamato al ribelle Abdallh ben
Muwiyya, che discendeva da un fratello del 1 Imm. LImamato gli sarebbe stato conferito dallo stesso
Hshim; la ribellione, iniziata nel 744, ebbe lappoggio degli Zayditi, un gruppo che riconosceva il 5 Imm non
in al Bqir, ma nel fratello Zayd. 38 Una parte di questi infatti, detta Zayditi forti, 39 era pronta a seguire
chiunque, nella discendenza di Fatima, avesse innalzato la bandiera della vera fede, pronto a combattere per essa.
Perci, dopo la morte di Zayd e Yaya seguirono Abdallh ben Muwiyya, il quale ebbe lappoggio anche dei
Khridjiti sopravvissuti alla rivolta contro Marwn del 747. La setta di Abdallh ben Muwiyya credeva nella
migrazione delle anime, riconoscendo i percorsi propri di ciascuno dai tempi di No e di Maometto; i suoi
seguaci si chiamavano come i Compagni del Profeta, perch si ritenevano portatori delle anime di quelli. 40

31
ivi, pp. 204-205.
32
G.R. Hawting, cit. Sulla rivolta del 685-687, cfr. Wellhausen, cit., pp. 138-139. Sulla estrema variabilit del concetto di Ghul, usato con
diversi significati con obbiettivi e in contesti diversi, cfr. tuttavia W. al Qadi, The Development of the Term Ghult in Muslim Literature,
with Special Reference to Kaysniyya, Akten des VII. Kongresses fr Arabistik und Islamwissenschaft, Gttingen 1974, A.A.W.G., ivi,
Vandenhoeck & Ruprecht, 1976.
33
an Nawbakht, loc. cit., pp. 209-210. I Kaysniti puri non seguono quindi gli altri Hshimiti, che diverranno sostenitori degli Abbasidi.
34
ivi, pp. 205-209, e ancora, per le idee estremiste degli Hshimiti, 154, p. 83. Per i Karbiti (o Karibiyya o Kurabiyya) cfr. infra.
35
Ci riferiamo al 5 Imm degli Ismailiti e degli Imamiti (altro nome dei Duodecimani) che Ab Djafar Muhammad, detto al Bqir, figlio
di Al, 4 Imm, figlio di al Hosayn, 3 Imm. Al Bqir muore in data imprecisata attorno al 735. Su di lui cfr. la relativa voce di E.
Kohlberg, E.I. vol. VII.
36
an Nawbakht, 153, pp. 212-213.
37
Cfr. su E.I. le seguenti voci: Bayn ben Samn (M.G.S. Hodgson, vol. I); al Mughriyya (W. Madelung, vol. VII); Ibrhm ben Abd Allh
(L. Veccia Vaglieri, vol. III); Muhammad ben Abd Allh (F. Buhl, vol. VII). Per i due figli di Al, al Hasan e al Hosayn, cfr. le relative voci
di L. Veccia Vaglieri in E.I. vol. III. Per i Mughriyya, cfr. anche an Nawbakht, 154, pp. 92-93. Su di lui cfr. anche W.F. Tucker, Rebels and
Gnostics: al Mura ibn Sad and the Muriyya, Arabica 22, 1975. Secondo il Tucker, al Mughra fu forse seguace di al Bqir, sicuramente
di Muhammad ibn Abdallh; fu uno gnostico terrorista versato nelle arti magiche, che aveva appreso da una donna ebrea. I suoi seguaci
erano sia arabi che Mawl (cfr. infra, n. 57) probabilmente persiani (pp. 35-36) ma forse anche aramei. Il gruppo si riteneva composto di
Eletti contrapposti ai figli delle tenebre. Dopo la morte di Muhammad, i Mughriyya ritennero che questi di fosse occultato sul Monte
Hgir (cos come M. ibn al Hanafiyya sul Monte Radw). Al Mughra fu il primo partigiano dei discendenti di Hasan ibn Al; per alcuni
suoi seguaci fu Imm egli stesso (p. 38). La sua concezione della divinit aveva affinit con quella dei Mandei (p. 39) a quei tempi diffusi in
Iraq; elementi manichei sembrano comunque presenti nella sua dottrina fortemente dualista sul piano antropologico (pp. 39-40). Ritenuto
erroneamente un Sabiyya, egli, con la sua setta, fu certamente rappresentante di spicco dellala rivoluzionaria della Sha, che sembra
scegliere i leaders negli Aldi allo scopo essenziale di dare un fondamento ideologico alle proprie rivoluzioni sociali.
38
Per gli Hrithiti, cfr. an Nawbakht, 153, pp. 210-211; per gli Zayditi, cfr. Wellhausen, cit., p. 163 sgg. Zayd, ribelle contro gli Omayyadi,
viene ucciso nel 740, e prima della rivolta di Abdallh ben Muwiyya viene ucciso anche suo figlio, Yaya, che ne aveva mantenuto viva la
ribellione. Ab Muslim (cfr. infra) ne vendic la morte. Lo stesso Ab Muslim fece viceversa soffocare Abdallh ben Muwiyya, che si era
recato da lui per aiuto nel 747, dopo la sconfitta della propria rivolta. Lantinomismo hrithita si fonda sulla divinit dellImm che, come
tale, si sottrae alla Legge. Sugli Zayditi e sulle loro divisioni, cfr. anche an Nawbakht, 154, pp. 88-89. Sono questi gli anni delle violente
rivolte che hanno per protagonista Ab Muslim, e che portano alla cacciata degli Omayyadi -mai accettati dalle infinite accezioni del
settarismo islamico- ad opera degli Abbasidi, ed evidente che la disparit di scelte di Ab Muslim nei confronti di Abdallh ben
Muwiyya e degli Zayditi, alleati tra loro e, come lui, nemici degli Omayyadi, da legarsi a valutazioni politiche relative alla rivolta
abbaside da lui guidata, che dopo la fine degli Zayditi si appresta ad abbattere gli Omayyadi (749) e vede in Abdallh soltanto un rivale.
39
an Nawbakht, loc. cit., p. 89. Sugli Zayditi e sulle loro connessioni con altri gruppi rivoluzionari, cfr. W. Madelung, Der Imam al Qsim
ibn Ibrhm und die Glaubenslehere der Zayditen, Berlin, W. De Gruyter, 1965, pp. 44-86.
40
an Nawbakht, loc. cit., pp. 70-71 e 153, p. 213. Sulla rivolta Khridjita del 740, cfr. Wellhausen, pp. 85-90; ivi, p. 165 per la rivolta del
747.

200
stesso, senza possibilit di separare luno dallaltro risvolto, si pu intendere luno e laltro fenomeno: lutopia
sociale che si sviluppa nella favola alchemica e quella spirituale perseguita dallantinomismo radicale. 106
Poich ci sembra importante esaminare entrambi gli sviluppi, sia per mostrare le analogie sorprendenti
tra eventi orientali ed eventi occidentali, sia per mettere in evidenza che tali analogie sono frutto di comuni
radici; sia, infine, per chiarire quanto pi possibile il codice genetico dellalchimia cos come essa giunge in
occidente dallIslam; esporremo qui di seguito entrambe le vicende iniziando da quelle dellIsmailismo, delle sue
dottrine e dei suoi esiti. Inoltre, non potendosi mai tracciare una linea netta di demarcazione tra le varie
emergenze di una stessa cultura, ci sentiamo obbligati ad accennare marginalmente anche al fenomeno del
Sufismo -per il quale si insistentemente parlato, tra laltro, di possibili influssi cristiani- e ad alcuni
raggiungimenti della teosofia islamica che possono essere significativi per lanalogia di conclusioni con altri
delloccidente, quasi a far rimarcare sommessamente, e per nascosti sentieri, lideologica artificiosit di certe
distinzioni, quelle cio tra lOccidente e lOriente, assai pi problematiche una volta abbandonata
lideologia egemone.
La vicenda ismailita si articola in tre momenti: la setta originaria, la scissione tra Qarmati e Fatimidi, e
lavventura nizrita di Alamt. 107 La setta dei Qarmati, che ne costituisce lala radicale, sembra prendere origine
dai Khattbiyya, una delle sette shite pi estremiste; 108 quanto al movimento ismailita in generale, esso diede
origine alla pi importante tra le scissioni shite, perch la linea di Imm da essi considerata si ferma al 7
(shiti settimiani) che non coincide con il 7 Imm dei Duodecimani.
Alla morte di Djafar al Sdiq infatti, essi riconobbero il di lui figlio Isml in luogo del fratello Ms
al Kzim, con il quale si prosegue viceversa la linea duodecimana. Lorigine della scelta risiede nel fatto che
Djafar aveva inizialmente destinato Isml come successore, ma lo aveva poi rinnegato per il suo amore per il
vino (cfr. supra); ed interessante notare che gli Ismailiti, Btiniti e antinomisti, ritenevano tale uso un alto
insegnamento, uninterpretazione allegorica della Legge futura, che sarebbe stata rivolta a colpire gli errori dello
Spirito, non ad imporre divieti materiali. In realt, degli Ismailiti non si sa nulla per oltre un secolo dopo la morte
di Djafar, perch le prime notizie che se ne hanno risalgono alla predicazione di Hamdn Qarmat nell877. A
questo momento la setta appare per gi costituita come setta segreta e iniziatica dal programma rivoluzionario,
fondata sullattesa del Mahd e caratterizzata da grande espansione missionaria. Gi nell890, grazie alle
disponibilit acquisite con i contributi obbligatori degli aderenti, essa in grado di acquistare una fortezza da
adibire alle missioni segrete. 109
Per quanto concerne la fase iniziale delle loro dottrine, che conobbero in breve lussureggianti sviluppi
neoplatonici, possiamo far riferimento a quelle di Hamdn Qarmat e dei Qarmati di an Nawbakht. Essi
attendevano il ritorno del Mahd nella figura di Muhammad il figlio di Isml, considerato il 7 Imm, 110 che
avrebbe proclamato il btin. Egli cio avrebbe abolito la legge coranica nella sua letteralit, per rivelare il suo
significato segreto e quello delle religioni precedenti; da quel momento egli avrebbe regnato in un mondo di
eterna giustizia. Naturalmente gli iniziati accedevano gi parzialmente a questa verit nascosta, e ci li
dispensava dalla normativa. Alla base di questa dottrina vi era poi una misticadelle lettere di tipo cabbalistico.
Interessante la concezione ciclica della storia secondo gli Ismailiti. Essa ritenuta la ripetizione
di 7 ere ciascuna inaugurata da un Profeta razionale, parlante (ntiq): nellordine, Adamo, No, Abramo, Mos,

106
Come vedremo, la societ pacificata e tollerante sar un preciso obbiettivo degli alchimisti rosicruciani alla vigilia della guerra dei
trentanni e lideale di armonia del mondo che gli alchimisti trasmettono al Romanticismo; per converso, la totale spiritualizzazione
dellesistenza il preludio di tutti gli antinomismi radicali di ogni regione e di ogni epoca. La separazione dei due risvolti conduce al
fraintendimento.
107
Cfr. Browne, cit., pp. 391-415, W. Madelung, voci Ismliyya e Karmati, E.I. vol IV; M. Canard, voci Ftimides e Hamdn Karmat, ivi.
voll. II e III; inoltre gli articoli dello stesso Madelung su Der Islam: (24 Ftimiden und Bahrainqarmaten, 1959) e Das Immat in der frhen
ismailitischen Lehre (27, 1961); S.M. Stern, The Early Ismli Missionaries in North West Persia and in Khursn and in Transoxiana,
B.S.O.A.S. 23, 1960; ed inoltre il grande studio di M.G.S. Hodgson, The Order of Assassins, s Gravenhage, 1955; e, dello stesso, il pi
succinto, The Ismli State, C.H.I., vol. V, 1968. Sulle vicende della scissione, cfr. F. Daftari, A Major Schism in the Early Ismli
Movement, S.I. 87, 1993. Per quanto riguarda lavventura fatimida sino allascesa al trono del Cairo, cfr. H. Halm, The Empire of the Mahd.
The Rise of the Ftimids, H.O. 1. Abt., 26. Bd., Leiden-N. York-Kln, E.J. Brill, 1966; in particolare alle pp. 1-57 sono narrate le vicende
iniziali degli Ismailiti sino alla divisione tra Fatimidi e Qarmati. Un articolo molto utile per non perdere lorientamento nellevoluzione
dottrinale dellIsmailismo quello di S.M. Stern, Ismlis and Qarmatians, Llaboration de lIslam, cit. Vi sono quattro fasi di questa
dottrina: quella originale, mantenuta dai Qarmati di Bahrain, che attende il Mahd Muhammad ben Isml e non contempla ulteriori figure
divine di Imm; quella fatimida, che diverge su questo punto sostanziale; la successiva evoluzione neoplatonica del sistema allinizio del X
secolo, che riguarda gli uni e gli altri. In questi primi tre stadi, il movimento totalmente islamico. Alla met del X secolo, gli Ikhwn as
Saf (Fratelli della Purezza, o Fratelli Sinceri: cfr. infra) sviluppano un sincretismo che far evolvere leresia in una logica interreligiosa
secondo la quale le varie religioni sono stadi verso la verit finale: in questa logica si traspare lantico tema della ripetizione della profezia.
108
an Nawbakht, 154, pp. 150-155. Stern, cit. pp. 100-101, nega tuttavia questo rapporto, sostenendo che essi erano separati dalla dottrina
relativa alla divinit degli Imm, sostenuta dai Khattbiyya e negata dai Qarmati e dai primi Ismailiti.
109
Lo Halm, cit., p. 5 sgg., risale alle leggendarie origini (per le quali cfr. anche Browne, cit.) che restano comunque confinate alla seconda
met del IX secolo; prima di allora, degli Ismailiti non v traccia. interessante notare che il presunto fondatore, Abdallah al Akbar (=
senior) sarebbe stato, secondo un cronista posteriore, un Bardesanita, cio un eretico dualista cristiano. Lantenato dei Fatimidi sarebbe stato
Abdallh ibn Slim ibn Sindn, il cui padre, secondo un altro cronista abbaside, sarebbe stato giustiziato come Manicheo (p. 8). Lortodossia
vede dunque negli Ismailiti una parentela con eresie non islamiche. Per quanto concerne la genealogia reclamata dai Fatimidi, cfr. ivi, pp.
155-159; Madelung, p. 6 sgg.
110
Cfr. supra n. 55: altra soluzione fu poi considerarlo 7 e non 8 dopo Isml, perch nella successiva dottrina ismailita il 1 Imm Al ha
un ruolo diverso: lass dellera muhammadiana (cfr infra) e non entra perci nel computo. Sulle dottrine iniziali cfr. anche Stern, cit.

210
speranza di assumervi un ruolo determinante. Gli Ikhwn sembrano aver avuto al riguardo una pi vasta visione
sociale, pur nellambito della stessa logica; su un piano generale infatti, essi sembrano far chiaramente appello
alla piccola borghesia dei mercanti e degli artigiani, i quali ultimi hanno un ruolo di tutto rispetto, come abbiamo
gi visto, nelle loro formulazioni dottrinali.
Il carattere religioso e messianico della loro dottrina sociale rende tuttavia inquietante il loro
programma, perch, come abbiamo gi rilevato, nellIslam si verific la tendenza a sovrapporre la comunit
religiosa allo Stato, del quale non esisteva una precisa tradizione. Cos, affermazioni come quella che non si pu
governare sui corpi senza governare sulle anime, 251 che sono coerenti con lantropogonia ismailita, possono
fondare s, una resistenza spirituale al malgoverno, ma fondano anche, e lo si vede bene nel progetto sociale, la
dottrina di uno Stato che elimina il dissenso con unocchiuta opera ideologica, degna delle peggiori dittature del
XX secolo. 252 Nonostante la loro tolleranza, e la convinzione che ogni religione avesse il proprio ruolo nella
storia, gli Ikhwn erano infatti certi che, alla fine, tutti si sarebbero convertiti allIslam (al loro Islam): 253 un
misto dunque di Ragione fideistica e di Fede nella ragione, di eguaglianza gerarchizzata, di progressione
astrologicamente inevitabile, e via via di tutti gli ossimori di cui capace ogni pensiero che non sappia
distinguere la dimensione utopica da quella politica. Ci sembra appena il caso di ribadire che questo Islamismo
esoterico o esoterismo islamico, uno dei tanti possibili modi nei quali gli gnosticismi di tutti i tempi
rivelano la propria subordinazione al Razionalismo, che ideologia della nullit dellAltro, della sua riduzione al
Medesimo: alla storia senza utopia si contrappone lUtopia realizzata nella storia. Non ci sembra casuale il
fatto, osservato dal Marquet, che i neoplatonici Fratelli argomentassero usando sillogismi aristotelici. 254
Abbiamo gi sottolineato i rapporti degli Ikhwn as Saf con lalchimia, e abbiamo pi volte ripetuto
che questa scienza, cos come si svilupper in occidente a partire dalle prime traduzioni nel XII secolo,
strettamente dipendente dal quadro culturale che le diede forma nellambito dellIsmailismo. Ci sembra ora
giunto il momento di affrontare questo aspetto formativo della moderna alchimia, 255 precisando che non negli
scopi di queste brevi note percorrerne la storia, per la quale rinviamo alla relativa Bibliografia. Qui ci limitiamo
ad affrontare i suoi rapporti genetici con lIsmailismo; in altro capitolo pi specificamente dedicato ad essa ne
segnaleremo gli sviluppi in occidente, dove eserciter un ruolo influente sino al Romanticismo; nellambito di
questo secondo momento esamineremo la continuit tra alchimia araba e alchimia occidentale.
Il legame tra lalchimia spirituale e lIsmailismo fu affermato per la prima volta con vigore nel celebre
testo del Kraus, 256 ed al centro di una notevole controversia, perci non unanimemente accettato. 257 Ci ch
in gioco tuttavia, non la dipendenza della moderna alchimia dallelaborazione che essa sub nellambito delle
dottrine islamiche; il problema riguarda la datazione dellopera di Djbir (i cui scritti non vanno confusi
con quelli del latino Geber) e quindi la sua connessione temporale con lIsmailismo. Infatti, mentre di
questultimo si hanno notizie soltanto a partire dalla fine del IX secolo, lattivit dellenigmatico Djbir,
assegnata dal Kraus al IX-X secolo, potrebbe risalire allVIII, come da tradizione che lo vuole intimo di Djfar
al Sdiq, il 6 Imm. Va da s che anche in tal caso il problema resta aperto, perch lIsmailismo stesso
potrebbe aver inizio nellVIII secolo, se vero quel che segnala an Nawbakht, e cio che il suo nucleo iniziale
sarebbe stato costituito dai Mubrakiyya. Ci che in ogni caso resta comunque indiscusso (ed questo ci che

251
ivi, p. 378.
252
Cfr. passim alle pp. 513-531. A p. 512 il Marquet fa notare come la citt spirituale si identifichi con la confraternita e questa con un
partito politico clandestino, il cui scopo lassunzione del potere; a questa segue poi il programma di educazione permanente della societ.
Una tale struttura ideologica, nota il Marquet nelle sue Conclusioni, la forza e la debolezza dellIsmailismo, che volle fare la felicit
delluomo contro la sua volont (p. 587).
253
ivi, p. 447.
254
ivi, p. 529.
255
Moderna nel senso che si rif direttamente alle concezioni sviluppate dagli Arabi a partire dallalchimia bizantina, e non allalchimia
greca, che sembra aver avuto rapporti pi o meno lontani con procedimenti metallurgici. Chiariamo ancora una volta che noi ci riferiamo alla
cosiddetta alchimia spirituale, che tuttavia non soltanto spirituale, fondandosi su una concezione neoplatonico/ermetica del cosmo, e
quindi sul rapporto simpatico di Spirito e materia.
256
P. Kraus, Jbir ibn Hayyn. Contribution lhistoire des ides scientifiques dans lIslam, Mm. presentes lInst. dEgypte, 2 voll.;
tome XLIVme, 1943,tome XLVme, 1942. Le tesi che il Kraus sviluppa nella propria ricerca sono riassunte e chiarite a p. XLVIII sgg. del
1 vol.
257
La principale contestazione alle tesi del Kraus viene da F. Sezgin, Geschichte des arabischen Schrifttums, Bd. 4, Leiden, E.J. Brill, 1971.
Contro lopinine del Sezgin (e a favore del Kraus) cfr. il duro articolo di M. Plessner, bir ibn Hayyn und die Zeit der Entstehung der
arabischen bir Schriften, Z.M.D.G. 115, 1965 (le tesi del Sezgin erano state presentate dallautore gi nel 1961, al Congresso degli
orientalisti tedeschi di Gttingen). Il Sezgin rifiut di contestare il Plessner, ritenendolo inutile (op. cit., p. 183 in nota) ma il Plessner ritorn
sullargomento in Ambix, 19, 1972, p. 209, recensendo lopera del Sezgin. Qui il Plessner mise in luce alcune macroscopiche arbitrariet del
Sezgin (che in effetti vanno al di l dello scientificamente lecito) unendole alla sua polemica su Djbir. Il Plessner ha comunque ignorato la
bibliografia contraria alle tesi del Kraus, allorch si trovato a rivedere la voce Djbir ibn Hayyn nel vol. 2 della nuova edizione dellE.I.
(curata dal Kraus nella 1 ed.; ora Kraus-Plessner). Una posizione analoga a quella del Sezgin , cui fa riferimento, stata assunta da P. Lory,
cit., il quale sembra anche interessato a quanto in esse gli consente di avvalorare le tesi spiritualiste di Corbin relative a Djbir, espresse ne
Le Livre du Glorieux de Jbir ibn Hayyn (E.J. 18, 1950, ristampato in Alchimie comme art hiratique, Paris, LHerne, 1986, dal quale
citiamo infra). Sullalchimia araba in generale, cfr. M. Ullmann, Die Natur und Geheimwissenschaften im Islam, H.O., Ergnzungband VI,
Leiden, E.J. Brill, 1972, pp. 145-270; e, dello stesso, la voce al Kmyy, E.I. vol. V. Ullmann, Die Natur, etc., cit., p. 199, riferisce sulle
diverse posizioni, e, esponendo quelle del Sezgin, inizia esplicitamente con: Mit enem gewissen Dogmatismus vertritt er, etc. e conclude
(p. 200) che non gli sembra che il Sezgin riesca a confutare le tesi del Kraus. Quale che sia il giudizio, resta comunque da osservare che
anche il Kraus si basa, necessariamente, su molte ipotesi.

228
che derivano dalla datazione del corpus stesso in base alle dottrine (VIII-IX secolo se le opere sono sue, tesi di
Sezgin, Lory e Holmyard; IX-X secolo se non lo sono, tesi di Kraus difesa da Plessner e da Ullmann; VIII-X
secolo se sono in parte sue e in parte apocrife, tesi di Nasr) il pensiero di Djbir non pu che essere collegato alle
posizioni ideologiche della Sha estrema, qarmata o, pi genericamente, legata a quelle correnti che sembrano
aver generato lIsmailismo (Khattbiyya): in tal caso indipendentemente dal fatto che Djfar incarnasse
personalmente uno spirito di mediazione tra le varie anime della Sha.
Esponiamo brevemente ora alcuni aspetti delle sue dottrine, cos come si possono prendere dallopera
del Kraus al quale risale la dettagliata analisi del carattere radicalmente innovativo dellalchimia di Djbir
rispetto a quella greca, con lavvio di una scienza che ha come referente una cosmogonia neoplatonica.
Secondo il Kraus, precisamente questa premessa filosofica ci che costituisce laspetto pi originale dellopera
di Djbir, tanto che la base stessa della trasmutazione vi fondata su dei principi numerici, dottrina estranea ai
Greci. 268
La cosmologia djbiriana si basa su una serie di ipostasi che ricordano, anche se non sono del tutto
eguali, quelle che abbiamo segnalato riguardo alle cosmologie ismailite: la Causa Prima, che sottost a Dio;
lintelletto, lanima, la sostanza; 269 da questa discendono le 4 nature (caldo, freddo, secco, umido) rispetto alle
quali la sostanza di fatto un quinta natura disposta a ricevere ogni forma, e dalla quale tutto deriva.
La sostanza, incorporea, diviene corporea ricevendo una forma; anche le 4 nature sono incorporee,
ma divengono corporeee unendosi alla quinta natura, cio alla sostanza; al loro livello si realizza quindi il
passaggio dallincorporeo al corporeo. 270 Ci che d forma alla sostanza lanima. 271 Il Kraus rintraccia le
origini della dottrina delle 4 nature (in luogo dei 4 elementi) negli Stoici; 272 ma questa dottrina resa in Djbir
pi complessa dal fatto che egli ipostatizza anche le 4 nature; sia esse che la sostanza sono concepite quindi tanto
come principi spirituali che come entit corporee. 273 Ci consente di stabilire la dottrina fondamentale di Djbir,
la cosiddetta teoria delle bilance, fondata sul fatto che i rapporti fisici con i quali le nature si compongono nei
corpi, vengono ad essere lo specchio di rapporti numerici, fondati a loro volta su una speculazione esoterica di
stampo pitagorico. 274
La dottrina delle bilance si applica ai tre regni presenti sulla terra: minerale, vegetale e animale,
regolandone in base a leggi matematiche, o meglio, aritmologiche, i fenomeni di generazione, corruzione e
trasmutazione. questa evidentemente la base concettuale che consente di ipotizzare loperazione alchemica
che, fondata com in unontologia, diviene qualcosa di radicalmente diverso da ci che era stata lalchimia
greca. La chiara conseguenzialit logica della dottrina djbiriana genera infatti due macroscopiche differenze
messe in luce dal Kraus.
La prima consiste nel passaggio da una raccolta di scritti sedicenti tecnici, contenenti ricette segrete
dal simbolismo poco a poco dimenticato e distorto a mero verbalismo, ad una lucidit dottrinale grazie alla quale
la pratica una precisa conseguenza della teoria. 275 La seconda consiste nel fatto che, mentre lalchimia greca
costituta da un coacervo di ricette metallurgiche, lalchimia djbiriana riguarda, per la prima volta, anche il
mondo organico. 276 Ci non significa che lispirazione dellalchimia di Djbir non sia ellenistica, e che non
abbia precedenti nel mondo greco-bizantino; da Zosimo in poi (IV secolo) la pratica metallurgica passa in
seconda linea, ed inizia un processo di sempre maggior interesse per le strutture filosofiche atte a sostenere
lintero sistema. In questo processo sinserisce lopera di Olimpiodoro (VI secolo), di Christiano e di Stefano
(inizio VII secolo); in altre parole si ha un passaggio da quella che Kraus definisce alchimia dispirazione
gnostico-ermetica, ad unalchimia neoplatonica, nel senso che essa la conseguenza pratica di una
cosmologia neoplatonica. 277
268
Kraus, cit., vol. 2, pp. VIII-IX
269
ivi, pp. 139-142.
270
ivi, pp. 152-155.
271
ivi, p. 156.
272
ivi, p. 168; per a p. 171 ritiene improbabile o impossibile uninfluenza diretta.
273
ivi, pp. 172-176.
274
ivi, pp. 184-185.
275
ivi, p. 32.
276
ivi, p. 41; si tratta dellevidente conseguenza della concezione neoplatonica della continuit del cosmo.
277
ivi, pp. 32-35. Il Kraus esamina anche (pp. 38-39, nel testo e in nota) il movimento di ritorno in base al quale lalchimia cos come fondata
da Djbir, cio lalchimia araba, ebbe una forte influenza su quella bizantina, con relative traduzioni in greco. Egli perci invita ad una
grande cautela nel valutare ipotetiche fonti bizantine di Djbir; vi sono testi greco-bizantini tardi che sono, al contrario, testimonianza
dellinfluenza araba sullalchimia bizantina. Il Kraus afferma inoltre (p. 40) che Olimpiodoro e Stefano sono del tutto sconosciuti a Djbir;
egli conosce per Zosimo. Per quanto concerne la duplice figura di Stefano, cfr. Sezgin, cit., pp. 107-110 (nella letteratura compaiono due
Stefano, il cui ruolo non chiaro, e che per Ruska sono la stessa persona): la questione del rapporto Stefano/Djbir non cos decisa come
vorrebbe il Kraus perch il Lory (cit., p. 54) ritiene che lo Stefano che compare in Djbir sia lalchimista bizantino. La vicenda di Stefano
merita attenzione. Il Taylor tradusse e comment i suoi lavori in un articolo, The Alchemical Works of Stephanos of Alexandria. Translation
and Commentary, apparso su Ambix 1, 2, 1937 e 2, 1, 1938, rimasto incompiuto. Nel suo articolo egli non mostra grande considerazione per
questo autore, precisamente per le ragioni che interessano noi: egli non pratic lalchimia in laboratorio, ma espose la teoria, cos come era
ormai intesa nel VII secolo; egli fu ben noto agli Arabi, il suo stile vicino a quello degli autori arabi, egli potrebbe costituire un important
link tra lalchimia greca e quella araba (Ambix, I, 2, 1937, p. 119). Pi recentemente, M. Papathanassiou, sempre su Ambix, 37, 3, 1990, ha
per dato maggior attenzione alla cosmologia che sorregge lalchimia di Stefano (Stephanos of Alexandria: Pharmaceutical Notions and
Cosmology in his Alchemical Work). Stefano stabilisce innanzitutto la necessit di un sistema filosofico a fondamento della pratica (p. 125) e
sottolinea lunit del cosmo in vari modi: parlando di uno spirito dei metalli, della necessaria relazione tra alchimia e astrologia e, pi in
generale, della natura cosmica del processo alchemico, che abbraccia micro e macrocosmo; per questa ragione, sostiene la Papathanassiou,
da ritenere che il suo vero intento consista nella fondazione dellalchimia come scienza universale, inserendola nella filosofia e portandola a
condividere lonnipotenza creativa di Dio (p. 128). Questo, come vedremo, lo scopo finale dellalchimia di Djbir; come abbiamo gi visto,

230
Sulle proprie basi teoriche Djbir pu quindi riprogettare lalchimia in modo originale, attraverso la
teoria dellelixir, che si pu preparare a partire tanto da sostanze minerali, quanto vegetali o animali. Il principio
in base al quale pensabile lesistenza stessa dellelixir, il seguente. Ogni corpo il risultato duna
composizione, in proporzioni determinate, costanti e conoscibili, delle 4 nature con la sostanza; 278 ogni composto
ha un interno che lopposto dello esterno. 279 Il perfetto equilibrio delle 4 nature si realizza soltanto
nelloro; gli altri metalli sono imperfetti ma possono essere condotti alla loro perfezione (creazione delloro)
agendo sullequilibrio delle nature. Questa operazione ha lequivalente nella somministrazione di una medicina
ad un corpo malato; lelixir il prodotto che riequilibra lo squilibrio delle nature; lelixir universale il supremo
medicamento di tutti i metalli. Naturalmente, necessario conoscere lesatta composizione di tutti i corpi: a tal
fine rivolta la teoria delle bilance. 280 Con lelixir si introduce quindi una natura che vince la
natura 281 squilibrata e nociva dei corpi: siamo ci allantichissimo concetto di medicina come operazione che
riconduce nellambito di una giustezza turbata. 282 Siamo per anche dinnanzi ad un altro concetto davvero
rivoluzionario, nel quale si racchiude uno dei significati pi profondi dellalchimia: la natura non perfetta ma
perfettibile, e il segreto della sua perfezione chiuso nella natura stessa; luomo , grazie allarte (arte reale, sar
definita lalchimia) pu compiere questo perfezionamento, e perci si pone come continuatore dellopera di Dio.
Qui si tocca con mano limportanza di un sistema filosofico coerente quale sostegno della teorica alchemica: la
pratica non pi un semplice ricettario pi o meno magico, diviene conseguenza di un assunto generale e si
propone di por mano alla trasformazione del mondo.
Djbir va ancora oltre: la conoscenza del tempo e del luogo (ricordare il ruolo determinante degli
astri) della quantit e della qualit delle nature necessarie, consente alluomo di creare a partire dalle nature che
soltanto Dio crea, sino al miracolo di generare luomo artificiale. Nasce il mito dellhomunculus, che far
sognare lalchimia rinascimentale e trover posto tra le dottrine paracelsiane. 283
Questipotesi djbiriana pu apparire talmente audace da far ipotizzare a Corbin la possibilit di un
contesto puramente simbolico relativo alla rigenerazione delluomo. 284 Lipotesi ha una sua ragion dessere ma
non per questo le sue conseguenze sarebbero meno audaci; saremmo infatti in presenza duna teoria della
divinizzazione delluomo, quella cio che percorre tutta lalchimia occidentale, dove la pietra filosofale
rigeneratrice delluomo Cristo, nuovo Adamo che rinnova lumanit intera, reintegrandola nelloriginaria sua
divinit. Molto verosimilmente, per limpianto cosmologico dellalchimia siamo dinnanzi alluno e allaltro
fenomeno: la continuit e contiguit del cosmo neoplatonico, e il ruolo dellanima nella composizione delle
nature, indicano infatti un processo contemporaneamente spirituale e materiale, dove un aspetto si riflette e si
ripercuote nellaltro.
Come abbiamo visto infatti, la dottrina delle Bilance, fondata sullaritmosofia, una teoria generale
della struttura del cosmo, 285 attraverso la quale si rivelano i ritmi stessi dellanima; 286 lipotesi di una creazione

il concetto delluomo come continuatore dellopera divina della Creazione, alla base della dottrina ismailita della resurrezione, ed
esplicito nelle epistole degli Ikhwn as Saf.
278
Ricordiamo quanto avevamo gi notato con Sijistn: le diverse proporzioni sono funzione delle diverse attrazioni provate dallanima per
ciascuna natura.
279
Kraus, cit., vol. 2, p. 2. Questo principio sar ribadito in ogni momento dallalchimia occidentale, e sembra avere origini assai antiche; lo
Stapleton, The Antiquity of Alchemy, Ambix, 5, 1-2, 1953, parla a proposito delle dottrine sabee di Harrn (p. 27): i minerali sono composti
di due opposti, materia e spirito.
280
Lo Stapleton, cit., ha rintracciato lorigine dellaritmosofia djbiriana, fondata sui rapporti 1:3:5:8 (origine che il Kraus aveva dichiarato di
ignorare) nel quadrato magico del 9, noto ai Cinesi ed ai Sf, che forse derivano la propria conoscenza dai Cinesi. Ora, Djbir noto come
Sf (sui suoi attributi cfr. Holmyard, cit.) e Djafar, il 6 Imm, considerato uno dei primi Sf (Stapleton, pp. 1-18). Naturalmente
Stapleton parla della figura storica di Djbir, vissuto tra lVIII e il IX secolo; quanto al suo corpus egli concorda con la datazione pi tarda
sostenuta dal Kraus, ritendolo frutto di rimaneggiamenti ismailiti. Lalchimia di Djbir, come ci giunta, quindi il risultato della redazione
tarda, ismailita, di un corpus djbiriano autentico, precedente.
281
Cfr. Kraus, vol. 2, p. 7. Lelixir anche il veleno dei veleni (cfr. Rex, cit., p. 115). La dottrina dei veleni nellalchinia djbiriana,
funzione della composizione dei corpi come risultato di una diversa attrazione dellanima per le 4 nature, che intervengono in precise
proporzioni; il veleno ci che distrugge questo equilibrio operando attraverso le proprie nature; la medicina ristabilisce lequilibrio turbato
sempre attraverso le nature (perci un veleno pu anche divenir medicina). Lelixir, come elemento equilibratore assoluto, dunque il
veleno dei veleni. Per la dottrina dei veleni, cfr. A. Siggel, Das Buch der Gifte der bir ibn Hayyn, Wiesbaden, Steiner, 1958, pp. 10-30.
282
Cfr. Benveniste, cit, vol. 2, pp. 370-383 relativamente ai concetti impliciti in ius e *med: entrambi ruotano attorno allidea di
normalit, regolarit, equilibrio che, se turbati, debbono esser ristabiliti. Lo iudex e il meddex, che misurano e giudicano,
riportano lordine nel disordine. In particolare cfr. p. 381 per il significato di medeor.
283
Kraus, cit., vol. 2, p. 97 sgg. Possiamo porre la nascita di questa dottrina in Djbir, bench essa sia molto pi antica, perch con lui che
il tema viene sviluppato su basi razionali. In precedenza lhomunculus appare nella visione di Zosimo (cfr. Zosime de Panopolis, cit.
Mem. X-XII, pp. 34-47); nelle ps.Clementine (Hom. II, 26 e II, 32) si d notizia della creazione di un uomo dallaria e della capacit di
animare le statue ad opera di Simon Mago. Kraus (p. 119 sgg.) segnala lantichit del mito, e il radicamento nella tradizione islamica della
nascita spontanea del primo uomo (lo abbiamo gi visto nel mito degli Ikhwn as Saf). Per quanto concerne Djbir, egli ritiene che gli
antecedenti siano da ricercarsi in Porfirio e nella tradizione delle statue animate; tuttavia egli conclude (p. 134) affermando limportanza del
monoteismo del Libro come cardine attorno al quale la demonologia neoplatonica si trasforma in scienza naturale. Troviamo qui ancora
una volta il ruolo chiave della speculazione maturata nel mondo islamico e da esso trasmessa alloccidente: lelaborazione del
Neoplatonismo in un coerente sistema di pensiero fondato sul monoteismo creazionista della Bibbia. Da questa trasformazione prende
impulso la stessa modernit, intesa come nuovo sentimento che luomo ha della propria collocazione nel cosmo.
284
Le Livre du Glorieux, cit., p. 151, ripreso dal Lory, cit., p. 141.
285
Kraus, vol. 2, pp. 187-188; con riferimento allo stesso, pp. 136-137. La dottrina si rispecchia anche in una teoria del linguaggio (nella
quale il linguaggio la cosa) attraverso una mistica delle lettere che ha attratto lattenzione: essa richiama infatti da vicino quella del Sepher
Yetzirah, il primo testo cabbalistico che lo Scholem assegna al II-III secolo (cfr. G.G, Scholem, Ursprung und Anfnge der Kabbala, che
citiamo nella trad. francese, Les origines de la Kabbale, cit., p. 38). Cfr. Kraus, p. 267-268.
286
Cfr. Corbin, Le Livre du Glorieux, cit., pp. 179-180.

231
puramente spirituale di un nuovo uomo vi appare tanto pi plausibile in quanto Djbir parla forse della
possibilit di creare dei Profeti. 287
Il processo alchemico diverrebbe dunque quel processo di resurrezione e di ritorno generale allUno
che, come abbiamo visto sopra con gli Ikhwn as Saf, viene messo in moto dal 7 Imm; con la radicale
differenza che, come ha mostrato lanalisi del Corbin, per Djbir questa via ad autoperfezionarsi sino al massimo
livello aperta a ciascun individuo. 288 Il processo alchemico diviene dunque quello formativo dellImm come
individuazione dellintelletto universale e mediatore tra lUno e il molteplice. 289 interessante sottolineare che
questo processo altro non che la nota syzygie di Taziano, ed simbolizzato in tutta lalchimia dallunione di
mercurio e zolfo, anima e Spirito.
La svolta concettuale che si verifica a partire da Djbir rende necessario, quantomeno ai nostri fini e
sia pur limitatamente ad essi, formulare alcune ipotesi sullet e sullambiente nel quale questa svolta si verifica;
e poich nulla nasce dal nulla, ci sembra egualmente necessario tentar di comprendere su quale substrato si
verifichi la svolta. In altre parole: esisteva gi, prima di Djbir, unalchimia araba? se s, in quali ambienti?
Abbiamo gi accennato sopra, parlando di al Muqanna, a questesistenza alla met dellVIII secolo in ambienti
della Sha estremista. Riprendiamo largomento per delineare lipotesi evolutiva che ci sembra pi plausibile.
Let tarda degli scritti djbiriani cos come essi sono giunti, sembra un dato difficilmente
contestabile, anche se possibile conciliare questo fatto con le notizie storiche sullalchimista Djbir vissuto tra
lVIII e il IX secolo. Il Marquet 290 parla di autori djbiriani riferendosi agli anonimi redattori di un corpus che
appare concettualmente molto vicino a quello degli Ikhwn as Saf; la composizione dei testi sembrerebbe
avvenuta nella prima met del X secolo; le tesi estremiste in essi contenute e una struttura neoplatonica meno
rigorosa di quella dellIsmailismo evoluto, lasciano pensare a quegli ambienti vicini ai Qarmati (e loro
predecessori nel tempo a partire dai Khattbiyya) che an Nawbakht designa come Mubrakiti. Sul piano
concettuale tuttavia, linsieme dei testi djbiriani presenta un carattere non omogeneo; come nota giustamente
M.Y. Haschemi, 291 il Libro dei veleni non presenta alcun accenno a temi religiosi, ci che lascia maggiormante
pensare a tradizioni alchemiche diverse e pi antiche del IX-X secolo.
A questo riguardo occorre sottolineare che non soltanto vi sono numerose testimonianze del fatto che
gli Arabi conoscevano e praticavano lalchimia sin dallVIII secolo, 292 ma, come avevamo gi visto a proposito
di al Muqanna, il fenomeno riguardava la Sha estremista dei Kaysniyya e, a quel che sembra, anche i
Khridjiti. 293 La dipendenza del corpus djbiriano dal Libro dei segreti della creazione, falsamente attribuito a
Balns (cio a ps.Apollonio di Tyana) un testo non pi tardo dellinizio del IX secolo, concordemente
ammessa; 294 ma questo testo contiene la famosa Tabula Smaragdina, cio la Bibbia degli alchimisti
occidentali, che opera sicuramente araba, 295 ed un testo nel quale la dottrina alchemica ha gi un proprio
compiuto sviluppo, che rimanda necessariamente ad un periodo di formazione.296

287
Kraus, vol. 2, p. 104.
288
Le Livre du Glorieux, cit., p. 179; Lory, cit., p. 84. Queste sono tesi khattbite e qarmate, con precedenti, fuori della Sha, nei
Khradjiti. Lestremismo di Djbir ne sembra avvalorato.
289
Lory, cit., pp. 59-63, in particolare p. 62, ultimo capoverso. Ci corrisponde alla natura del processo alchemico che considerato il
mesocosmo, cio un intermediario tra macro e microcosmo attraverso il quale questi rendono operativa la loro identit. Scopo dellarte, che
anche una filosofia, di imitare lopera creatrice di Dio (Kraus, vol. 2, p. 99) guidare cio i processi insiti nella natura dovuti allopera
dellanima universale (ivi, p. 145) della quale parte lanima umana. Luomo diviene cos partecipe in prima persona, e in quanto tale, del
progetto divino. Questo il messaggio implicito nella concezione alchemica del mondo, i cui effetti potenzialmente dirompenti sul piano
sociale saranno per rapidamente elusi dal mito della confraternita di eletti, destinato ad affermarsi e a durare, metamorfosandosi, anche in
tempi moderni.
290
La philosophie des alchimistes, etc., cit.
291
The Beginning of Arab Alchemy, cit., p. 159.
292
ivi, pp. 157-161; cfr. anche M. Grignaschi, Lorigine et les mtamorphoses du sirr al srr (Secretum secretorum), A.H.D.L.M.A. 43,
1976, p. 9, che rimanda gli inizi dellalchimia araba allVIII secolo.
293
cfr. supra, n. 101.
294
Ullmann, Die Natur, etc., cit., pp. 172-173; Stapleton, cit., p. 5; Kraus, vol. 2, pp. 270-303; Marquet, La philosophie des alchimistes, etc.,
cit., p. 131.
295
Ullmann, cit., p. 171; il Plessner, Neue Materialen zur Geschichte der Tabula Smaragdina, Der Islam, 16, 1927, data questopera allVIII
secolo.
296
Sembrano perci ragionevoli le conclusioni di Haschemi, cit., p. 161. La tendenza ad abbassare la datazione, che risale al Ruska, resta
sempre legata alla convinzione che nel mondo arabo mancassero le basi culturali per un simile sviluppo prima della massiccia traduzione di
opere greche nel IX secolo. Per quanto riguarda il Libro dei segreti della creazione vi sono molte ragioni per ritenere che esso abbia origini
anteriori al IX secolo: cfr. Kraus, vol. 2, pp. 278-280; per Sezgin, cit., p. 79, in ambiente siriaco. Il complesso problema delle origini del
libro trattato da U. Weisser, Das Buch ber das Geheimnis der Schpfung von ps.Apollonius von Tyana, Berlin-N. York, W. de Gruyter,
1980. La Weisser propende per un ipotetico autore del VI secolo, forse cristiano, che scrive in greco; il testo arabo potrebbe avere per
intermediario, almeno in parte, una traduzione siriana; alla fonte del testo originario potrebbe essere un testo ermetico. Quale che sia la
letteratura alle origini del testo, esso presenta tuttavia un carattere di novit che ne fa il testo base delle nuova alchimia, allorch lega, in una
concezione tutta animata, anche i minerali alle piante e agli animali. La sua cosmologia assunta nellenciclopedia degli Ikhwn as Saf;
Djbir vi attinge ripetutamente, facendo riferimento anche alla Tabula Smaragdina, che la Weisser ritiene estranea al testo originale.
Lo Ullmann, cit. pp. 151-152, considera alla base dellalchimia araba tutti quegli Apocrifi (tra i quali, per lappunto, Blinas; lopera del
suo misterioso discepolo Artephius; il famoso testo della Turba philosophorum, etc.) di varia e incerta origine, la cui composizione oscilla tra
lVIII e il X secolo. Poich i seguaci dellalchimia araba appartenevano alle sette shite, comprensibile che, nella tradizione, le grandi
figure della Sha come Djafar as Sdiq siano state identificate con i grandi iniziati dellarte (ivi, p. 195).

232
In conclusione, si potrebbe ipoteticamente delineare il seguente schema. Lalchimia araba risale
allVIII secolo nellambito della Sha estremista e si riaggancia alla tradizione ellenistica sviluppatasi
nelloriente bizantino. Il corpus djbiriano una tappa di questo sviluppo, i cui albori possono anche esser legati
alla figura di Djbir nel passaggio tra lVIII e il IX secolo; cos come ci giunto esso il risultato di pi tardi
rimaneggiamenti che conducono dentro il X secolo. Il fenomeno alchemico, forse inizialmente Kaysnita poi
legato ai Khattbiti e ai Mubrakiti, le sette dalle quali discendono i Qarmati alla cui imamologia il corpus
comunemente connesso. In questambito religioso si verifica progressivamente la grande svolta che fa
dellalchimia araba qualcosa che ormai radicalmente diversa dallantica alchimia greca: in unevoluzione di
difficile ricostruzione che va da Zosimo e Stefano alla Sha, a Djbir, allIsmailismo, quello che era un
complesso di ricette metallurgiche diviene parte integrante di una coerente dottrina neoplatonica, che postula la
possibilit di operare sulla natura e sullanima -i due fenomeni non possono essere disgiunti- conducendo luno e
laltra al proprio perfezionamento in vista di una reintegrazione delluomo e del cosmo nelloriginario pleroma
divino. Essa diviene in tal modo un elemento ideologico potenzialmente rivoluzionario, perch presuppone sia la
fondamentale divinit delluomo, sia la possibilit per ciascun individuo di realizzare questa propria interiore
realt tramite limpegno individuale nella ricerca di s; sia, infine, il carattere di redenzione cosmica di tale
autorealizzazione.
In tale nuova veste, lalchimia verr dagli Arabi trasmessa alloccidente, ove proseguir il proprio
percorso; ed appena il caso di sottolineare che, come gi riferimmo riguardo al Neoplatonismo in generale,
loperazione avvenuta nel mondo islamico consist nella rielaborazione originale di una parte della cultura
antica, in modo tale da riproporla come strumento ideologico per una cultura radicata nel monoteismo
creazionista. Le strutture di pensiero nellambito delle quali sar elaborata quella parte della cultura occidentale
oggetto della nostra ricerca, quella cio che non sidentifica con il Razionalismo egemone, hanno dunque stretti
rapporti con una speculazione avvenuta nellambito dellIslam. Qui, come in precedenza nello Gnosticismo e pi
tardi nelle eresie medievali doriente e doccidente, viene elaborato in termini rivoluzionari il contenuto dun
messaggio che proclama la natura divina delluomo, che chiama ad operare alla fattuale realizzazione, qui e
ora, di questa sua prerogativa.
Dopo quanto abbiamo esposto, e tenendo bene in mente il significato della Resurrezione cos come ne
abbiamo accennato a proposito degli Ikhwn as Saf, giunto ora il momento di ricordare lavventura degli
Ismailiti (Nizriti) di Alamt, i famigerati Assassini -vittime di una storiografia avversa- coi quali tent di
concretizzarsi, nella storia, la dottrina sociale ismailita e il sogno della Resurrezione. Una vicenda conclusa dalla
sconfitta e dal passaggio delle idee nella clandestinit.
Abbiamo gi detto della secessione nizrita dai Fatimidi, avvenuta alla fine dellXI secolo, e della
vasta diffusione del movimento ismailita in Persia gi dai primi decenni del X secolo. Declinato ormai il
califfato degli Abbasidi a una rispettabile facciata, la Persia faceva parte del dominio selgiukide quando Hasan-i
Sabbh simpadron della fortezza di Alamt, grazie anche alla larga disponibilit di danaro, nel 1090. Quattro
anni dopo, nel nome di Nizr, successore mancato al trono fatimida, egli formalizzava la scissione dal Cairo: da
quel momento i Nizriti di Alamt iniziano la propria dawa, cio costituiscono una propria indipendente
gerarchia religiosa, che nel giro di pochi decenni diviene dominante anche in Siria. 297 Nel frattempo erano
iniziate le prime rivolte che videro i Nizriti contendere il potere ai Selgiukidi (sunniti) e contemporaneamente
occuparsi, sotto lalacre direzione di Hasan-i Sabbh, di rendere inespugnabile ed autosufficiente Alamt.
Lo Hodgson, al quale ci riferiamo per questi brevi cenni, ha diviso i 166 anni dellavventura nizrita
in tre periodi. 298 Un primo periodo (1090-1162) vede le rivolte ismailite e il rafforzamento dei domini contro i
Selgiukidi sino ad un punto di stallo, oltre il quale lo sviluppo viene meno; in questo periodo sono signori di
Alamt Hasan-i Sabbh, Buzurgummd e Muhammad ibn Buzurgummd. Un secondo periodo, che quello che
maggiormente cinteressa, vede il figlio di Muhammad, Hasan II, proclamare la Grande Resurrezione l8 Agosto
1164; assassinato nel 1166, gli succeder il prudente figlio Muhammad II che mantenne un atteggiamento
ambiguo nei confronti della proclamata fine della Legge. Il terzo periodo, che va dal 1210 al 1256, un periodo
di grandi difficolt; la Legge viene ripristinata, si tenta lalleanza col califfato seguita da un isolamento
aggressivo, ma, alla fine, nel 1256 Alamt cade nelle mani dei Mongoli (che due anni dopo entreranno a
Baghdad) e lavventura ismailita avr fine. In questo terzo periodo i signori di Alamt sono, nellordine, Hasan
III, Muhammad III e Khwurshh, che regner soltanto un anno prima della caduta.
Hasan-i Sabbh diede al movimento il ferreo contenuto etico che ne fece un autentico pericolo per
ogni establishment nellarco della sua durata, tanto da lasciare dietro di s, alla sua caduta, leco duna
leggenda che ancora non s spenta. Egli fu al tempo stesso un grande e instancabile organizzatore, che
dedic tutte le proprie energie allazione militare, politica e amministrativa; e un risoluto teorico nel disegnare la
figura -e la necessit- dellImm, quale guida autocratica di un movimento di eletti a lui ciecamente fedeli.

297
M.G.H. Hodgson, cit., pp. 69-72.
298
Cit., p. 42.

233
Questaspetto teorico merita di esser delineato, 299 perch essenziale per comprendere lo spirito che
anim il movimento di Alamt.
Largomento di Hasan-i Sabbh fu il seguente. A proposito di Dio si possono dire due cose: si pu
conoscerlo direttamente fondandosi sulla ragione, ovvero tramite linsegnamento di un maestro degno di fede. In
base alla prima affermazione tuttavia impossibile contestare ogni altra opinione, perch chi nega insegna, e
perci stabilisce che laltro ha bisogno di un maestro. Questambiguit il risultato del fatto che Ragione e
giudizio possono poco: quando si afferma qualcosa dunque, o ci si basa soltanto su se stessi o sullinsegnamento
di qualcun altro.
Hasan prosegue poi cos: se si ammette lesigenza di un insegnamento, si deve seguire un maestro
qualsiasi o soltanto quello degno di fede? Evidentemente, nel primo caso si deve poi accettare anche un
insegnamento opposto al proprio; negandolo si cade nel secondo caso. Questa proposizione nega la coerenza dei
Sunniti, che si basano sulla tradizione (hadth) nellinterpretare la Legge.
La terza proposizione era la seguente. Se necessario un maestro autorevole, necessario o no
assicurarsi in primo luogo al suo riguardo? oppure si pu accettarne uno qualsiasi senza che sia dimostrato il suo
esser degno di fede? La seconda scelta di fatto un ritorno alla prima: chi non pu procedere per via senza un
maestro, scelga prima il maestro, poi la via. Questa proposizione rivolta contro limamologia shita. Infatti,
come prima si visto che i pareri contrastanti della tradizione rendono tutti i maestri indegni di fede
(altrimenti le loro opinioni sarebbero alla pari con quelle degli eretici); cos ora vediamo che il punto debole
della tradizione shita consiste nellimpossibilit di dimostrare lautorevolezza del loro Imm.
La quarta proposizione di Hasan, quella che occorre seguire pi attentamente. non scioglie il nodo, lo
taglia; in ci consiste la sua intelligenza religiosa, cio la comprensione che il fenomeno religioso, se tale, deve
raggiungere ben altre profondit dellopinionistico filosofare o del cieco obbedire.
Il circolo vizioso nel quale ci si trova avvolti dunque il seguente: senza Imm la ragione non
conduce a nulla, ma la ragione necessaria per decidere chi lImm; dobbiamo dunque riconoscere il
veritiero tramite la verit. Da questo circolo vizioso Hasan esce sostituendo il concetto meramente speculativo
di verit con quello esistenziale di bisogno, ed in ci consiste quellintelligenza religiosa della quale
dicevamo. Il Veritiero ci di cui gli uomini hanno bisogno, e veritiero colui che conosce questo bisogno. Non
crediamo sia necessario alcun commento per sottolineare la radicale traslazione di piano del concetto stesso di
verit, in direzione della concretezza esistenziale. 300

299
cfr. Sharastn, cit. 1 Th, p. 225 sgg.: lo stesso testo tradotto anche in Hodgson, p. 235 sgg., commentato alle pp. 52-61. Il testo costituisce
il manifesto della nuova chiamata (dawa djadda) basata sullinsegnamento autorevole (talim) che si contrappone alla dawa fatimide o
antica chiamata (dawa qadma)
300
Hodgson commenta giustamente (p. 56) che ai critici di Hasan sembrava che questi affermasse una tautologia: il mio Imm quello vero
perch dice di esserlo. Lerrore di una tale critica risiede tuttavia nella pregiudiziale razionalista del dire: il vero Imm non dice ma
mostra di essere tale, nel momento in cui colma il bisogno facendosi punto di riferimento di esso, luogo di sua convergenza. LImm
come tale un punto immateriale, pura teofania, solo modo del divino di darsi nella storia. Sottolinea Nsiroddn Ts (cfr. Jambet, cit., p. 81
in nota e p. 272) che la critica ismailita alla realt storica (la stessa degli Gnostici, la stessa che troveremo nella Qabbalah) che la storia il
luogo ove gli opposti si mescolano senza che possano esser riconoscibili; il paradiso , viceversa, il luogo della distinzione. Ora, lImm
come teofania colui che pu additare questa distinzione, perch egli la porta in s. La radice sociologica piccolo-borghese di tale tensione a
distinguere ci che appare indistinguibile nella storia una costante del pensiero dei marginali, di coloro cio che non hanno elaborato la
matrice ideologica della Ragione egemone. I movimenti gnostici, come abbiamo pi volte sottolineato, restano subalterni al Razionalismo
nel postulare la possibilit di liberarsi di questa matrice nella storia. Riguardo poi a Nsiroddn Ts, principale testimone dellIsmailismo di
Alamt, riteniamo doveroso fermarci a riflettere sul suo Rawdat al taslm (Giardino della sottomissione, noto anche come Tasawwurt,
Immagini) recentemente tradotto da C. Jambet sotto il titolo La convocation dAlamt, Lagrasse, Verdier, 1996. La concezione dellImm
come epifania dellAssoluto, che era maturata a lungo nelle dottrine della Sha estremista, va oltre la dottrina iniziale enunciata dal Moezzi,
cit., p. 24 (lImm lo aql esteriore, lo aql lImm interiore); qui lImm lepifania del Verbo supremo (p. 282; p. 293) e di un Reale
(contrapposto allapparenza del mondo) che si pone al di l dellaffermazione e della negazione (p. 282); per conseguenza, lobbedienza
cieca del fedele porta questultimo a parlare, pensare, agire entro il mondo dellImperativo stesso (Introduzione, p. 81) cio in quello di amr
che precede lo stesso aql. (Nsiroddn ricalca lo schema cosmogonico ismailita, classico sin dai tempi di Sijistn: amr, aql [al kull ] nafs
[al kull] [cfr. p. 129 sgg.] cio Imperativo, intelletto universale, anima universale). Il concetto di Imm che epifanizza il divino nellumano,
trasformando il legame di sottomissione alla Legge in un rapporto di libert perch il fedele si vincola ad una religione vivente, plausibile
soltanto allorch il polo della citt virtuosa immaginata da Hasan-i Sabbh (Intr. p. 119; p. 60) concepito entro una pluralit di epifanie che
mostrino linesauribilit del divino nellumano (ivi, p. 100). A nostro avviso assume invece valenza opposta in Nsiroddn, a causa della
logica razionalista entro i cui schemi egli cala il progetto. La totale continuit e contiguit del reale che egli mutua dal neoplatonismo degli
Ikhwn as Saf (p. 173 sgg.; pp. 201-202; p. 249; p. 271) si continua infatti in unantropologia gerarchica (p. 185 sgg.) che fa del credente
uno strumento a totale disposizione della volont dellImm (p. 294). Come abituale nelleresia islamica, vediamo allora la radicale
democrazia (Khridjiti, Khattbiti) ribaltarsi in teocrazia assoluta; in particolare, la differenza con loriginale dottrina Khattbita proto-
ismailita, marcata nellesoterismo della gerarchia delle ipostasi divine. Per Nasroddn essa si rivela come successione Al-Salmn-
Maometto (p. 282) e non in quella democratica Khattbita Salmn-Al-Maometto (cfr. H. Corbin, Le Livre du Glorieux, p. 169 sgg.). In
altre parole, ferma restando la precedenza del btin e del smit -lImm- sullo zhir e sul ntiq -il Profeta- per la Sha democratica la
religione culminava nel perfetto discepolo, nellindividuo che si fa maestro; mentre lesoterismo ismailita di Alamt prevede, nella
formulazione di Nasroddn Ts, leterna subordinazione del discepolo al maestro calato dallalto, per lovvia ragione che questi , a titolo
divino, lAssoluto incarnato. Questaspetto razionalista della dottrina, un razionalismo a volte anche ingenuo, va tenuto ben presente per
circoscrivere nei dovuti limiti il mito di Alamt, dove la libert si realizza nelle forme di una teocrazia assoluta. Segnaliamo infine -il fatto
non ci sembra casuale- che anche per Nsiroddn il male non esiste (pp. 188-190) come egli vorrebbe dimostrare con un ragionamento a dir
poco naf. In altre parole: ancora una volta lantinomismo della rivoluzione vittoriosa si ribalta in normativa, come inevitabile allorch ci si
attende che la libert scenda dallalto e sia conseguibile con un atto di sottomissione, dimenticando che il fine ultimo della lezione esoterica
luccisione (simbolica) del maestro.

234
Dalla regione a sud del Caspio ove si trova Alamt, una regione che fu gi al centro dello scisma
zaydita e il punto di partenza della dinastia Byide 301 prese il via la guerriglia ismailita contro i Selgiukidi,
fondata su incursioni che rendevano impervie le comunicazioni; su rivolte cittadine; sullappoggio, entro le citt,
da parte di confratelli organizzati in societ segreta; su ambigui comportamenti dei funzionari shiti al servizio
del potere selgiukide, sunnita. 302 Essa ebbe esiti alterni, dapprima favorevoli, poi contrari, sinch si giunse ad
una situazione di stallo, che vide gli Ismailiti saldamente insediati in Persia e in Siria entro le loro fortezze e nei
territori dinfluenza, ma non pi in grado di espandersi; per queste vicende rinviamo tuttavia al citato testo dello
Hodgson. 303 Bench gli Ismailiti non avessero avuto alcuna intenzione di creare un proprio Stato, levolvere
degli eventi vide infatti il costituirsi di un loro dominio articolato in 4 zone (o pi): una parte del Quhistn (pers.:
Kuhistn) con molte citt; la fortezza di Ghird Kh (montagna rotonda) nella regione di Qum; Rdbr con
Alamt, un tratto di territorio a sud del Caspio con molte fortezze e villaggi; la parte meridionale del Djabal
Bahr in Siria, cio la montagna prospiciente il Mediterraneo, una zona paragonabile a quella di Rdbr. 304 In
tutte queste zone, fuorch nel Quhistn, il loro dominio sembra caratterizzato da continuit territoriale.
Lo Hodgson sottolinea la natura strumentale del tradizionale orrore per gli Ismailiti, adducendola,
almeno in parte, a motivi dinteressi costituiti; egli ricorda infatti che la tendenza btinita in generale fu sempre
favorevole ai ceti medio-bassi, dei quali era espressione; significativo al riguardo il legame stabilito dagli
eresiologi con la discendenza di idee comuniste mazdakite. Lo Stato ismailita, governato centralmente da
Alamt, sembra esser stato viceversa alquanto tranquillo al proprio interno; relativamente assai tranquilla, per i
parametri del tempo, fu la logica della successione al vertice. 305 Quanto allo straordinario episodio della Grande
Resurrezione proclamata da Hasan II, lo Hodgson ritiene che tra le sue motivazioni vi potesse essere il tentativo
di risollevare lentusiasmo in una comunit le cui fortune ormai stagnavano in una continua guerriglia contro i
Selgiukidi, dalle alterne sorti. Motivi egualmente politici, cio il bisogno di alleanze per uno Stato in difficolt,
potrebbero aver indotto il nipote Hasan III a ristabilire la Legge. 306
La proclamazione della Grande Resurrezione avvenne ai piedi di Alamt l8 Agosto 1164 (17 giorno
del Ramadan) con una cerimonia semplice e al tempo stesso solenne, della quale rimasta la descrizione.307 Da
un pulpito volto verso la Mecca, Hasan II abbandon il tradizionale ruolo di d che competeva al signore di
Alamt, per autoproclamarsi Califfo di nomina divina; cio Imm, nonostante non provenisse dalla discendenza
Alde. Questatto tipico della Sha estremista fu seguito dagli enunciati relativi alla Fine dei Tempi: fu
proclamata la fine della Legge, la resurrezione dei morti, e limminente fine del mondo. Il carattere
rivoluzionario del gesto apparir ancor pi evidente quando si consideri che gli Ismailiti, nellattesa della fine
della Legge, erano tuttavia stretti osservanti di essa. La conclusione del suo annuncio fu perentoria: da quel
momento la fine del mondo doveva considerarsi un fatto avvenuto; chi rispondeva allappello era gi risorto a
vita immortale; coloro che non avevano inteso erano gi condannati e sprofondati nella non-esistenza. Follia? no,
quantomeno non nel senso volgare della parola: questa vicenda va esaminata e capita con lattenzione che si
deve a strutture di pensiero che certamente non sono quelle della logica razionalista.
In primo luogo opportuno comprendere meglio in qual senso Hasan II possa aver parlato del proprio
ruolo. La documentazione pervenutaci non univoca, ed inoltre necessario aggiungere che Hasan II fu studioso
di filosofia e di mistica sf, e port un atteggiamento critico nei confronti delle limitazioni della logica
razionalista. 308 possibile quindi che egli abbia proclamato un imamato puramente spirituale, in quanto
continuatore della linea nizrita e portatore di una verit interiore, non gi che egli fosse lImm in persona.
del resto singolare luso dellattributo tutto terreno di Califfo in luogo di Imm, un termine che egli evit.
A parte ci tuttavia, lapparente enormit dellevento annunciato deve trovare anchessa una chiave di
lettura. Il Resurrettore (Qim), nella tradizione ismailita figura pi alta dello stesso Profeta, e realizza in s la
syzygie di anima e Spirito (nafs e aql) universali; cio il ritorno della prima nel secondo, che caratterizza la fine
del mondo, allorch tutto ritorna nello stato divino iniziale. Sul piano pratico la fine della Legge e del lavoro,
lera della felicit terrena, il millennio della tradizione biblica. Di questo Resurrettore, verosimilmente Hasan II

301
I Byidi furono la dinastia che pose alla propria merc il califfato abbaside tra la met del X e la met dellXI secolo, prima dellavvento
dei Selgiukidi.
302
Hodgson, p. 72 sgg.
303
Un cenno merita tuttavia la ben nota pratica dellassassinio politico, che rese celebri gli Ismailiti di Alamt. Lo Hodgson (pp. 110-115)
giunge a conclusioni molto meno fosche di quelle leggendarie: lassassinio politico era infatti una pratica normale in ogni schieramento, ed
era rivolta contro i singoli leaders (militari, religiosi o amministrativi) in grado di dar vigore al partito avverso. Esso fu quindi
normalmente praticato nella fase di espansione; forse furono uccisi, nel caso degli Ismailiti, anche confratelli che, per tradimento o
sventatezza, potevano rivelare i segreti della setta. Sembra per accertato che, nella successiva fase di sviluppo, gli Ismailiti, in particolare
quelli di Siria, abbiano praticato lomicidio a pagamento, mettendo a disposizione di terzi la propria collaudata organizzazione segreta, in
grado di infiltrarsi ovunque. Per altre truci leggende, da riportarsi piuttosto nella logica della dedizione ad una causa, cfr. pp. 133-139.
304
Hodgson, p. 115. Il toponimo Rdbr indica una zona irrigua (Rd = ruscello, fiume) e ci ricorda i grandi lavori di sistemazione compiuti
da Hasan-i Sabbh per rendere Alamt una fortezza del tutto autosufficiente in caso di assedio.
305
ivi, pp. 115-139.
306
ivi, p. 120.
307
ivi, p. 148 sgg.
308
ivi, p. 153; cfr. la traduzione e il commento alle Haft bb-i Bb Sayyid-n (Sette porte del Padre nostro Signore) in Appendice al testo
dello Hodgson; in particolare, per questa critica, le pp. 281-284. Il testo in oggetto risale ai tempi del figlio di Hasan II, Muhammad II, ed
espone la dottrina della Resurrezione.

235
si proclamava rappresentante come Califfo; da lui veniva il secondo dei due squilli di tromba che annunciavano
la resurrezione. Il primo, circa quarantanni innanzi, sarebbe stato lanciato con gli annunci di Hasan-i Sabbh,
morto nel 1124.
In una logica spiritualista tuttavia, la fine dei tempi non poteva essere interpretata nel senso materiale
col quale lintendeva lortodossia sunnita: non dimentichiamo infatti che gli Ismailiti furono i Btin per
eccellenza, cio coloro che di ogni affermazione del Corano andavano cercando il senso profondo e nascosto: se
gli squilli di tromba non venivano intesi in senso letterale, neppure doveva esserlo la Resurrezione; o meglio,
essa andava intesa in un senso pi vero, quello riguardante la vita spirituale. Se ricordiamo allora la
cosmologia ismailita e la conseguente escatologia, la cui impronta gnostica si riverbera in un futuro divino e
puramente spirituale, si pu dunque ben pensare che il proclama di Hasan II riguardasse lavvento in terra di una
vita puramente spirituale, di unumanit rigenerata in grado di realizzare, qui e ora, il paradiso. Ci sarebbe stato
possibile grazie alla verit del messaggio ismailita, che insegna la partecipazione interiore al divino, la
resurrezione come rigenerazione e reintegrazione prima della morte fisica, evento che diviene, in questa logica,
quasi irreale, come non reale il mondo della materia disceso dallerrore di Adamo. Si tratta, per luomo, di
riscoprire la propria interiore originaria divinit, lidentit con Dio predicata dai Sf; non comprendere
equivale alla morte spirituale, cio esser condannati dallora in poi al nulla del mondo. Grande Resurrezione
guardare Dio de facie ad faciem. Messaggio folle quanto si vuole, dunque, ma di una divina, utopica follia, non
demenziale, come potrebbe apparire a prima lettura.
Ma la Resurrezione cos intesa, non forse lequivalente della trasformazione alchemica? Se cos ,
diviene importante non sottovalutare lelaborazione ricevuta dal Neoplatonismo nellIslam, con la creazione di
strutture di pensiero che hanno avuto ampia diffusione anche in occidente, giungendo a far risuonare la loro eco
ancora per secoli; con il che non si vuol dire che gli sviluppi occidentali partano da queste premesse, ma che di
certo tra i due percorsi v molto di comune se si guarda alla dottrina della Restituzione, comune allo
spiritualismo riformato e agli Anabattisti; ovvero a quel neoplatonismo potenzialmente o apertamente ereticale e
sovversivo che, dal XIII secolo sino alla teosofia di Bhme, batte e ribatte attorno al Dio ch nascosto nel
profondo dogni uomo, che nessuna normativa pu quindi coartare.
Su questo piano le conseguenze della Resurrezione sono radicali: lavvento del btin, delloccultato
che diviene zhir, mette fine alla dissimulazione (taqiyya) celata sotto la Legge: in paradiso non ci sono leggi,
nulla pi devessere dissimulato. Hasan invita a mangiare nel Ramadan: la rottura, anche formale, con i
Sunniti. Politicamente, la dichiarazione dindipendenza duna comunit autonoma che soppone allIslam
circostante; socialmente, la fine delle gerarchie e delle distinzioni mondane di ogni genere. Un anno e mezzo
dopo, Hasan fu assassinato dal cognato, appartenente alla potente dinastia locale dei Byidi.
Il figlio di Hasan II, Muhammad II,, che gli succedette, sistematizz la proclamazione paterna:
secondo il suo insegnamento Hasan II fu vero Imm e visione di Dio in terra per i credenti, cio autentica
teofania, come gi dicemmo, perch lImm, pi che testimonianza di Dio, Suo darsi nel mondo.
Questasserzione trova il proprio significato nel neoplatonismo radicale della dottrina maturata in
Alamt. Come, infatti, una visione parziale delle cose constata la materialit delle cose stesse, ma una
comprensione totale del cosmo vede in tutte le cose nullaltro che lo spirito divino che le sottende e che in esse
traspare; cos lImm pu essere restrittivamente visto come un uomo in carne ed ossa, ma, alla luce della verit,
egli appare come rivelazione divina. In questa straordinaria rappresentazione dunque, il mondo reale scompare
dietro la realt del mondo simbolico; il molteplice diviene lUno manifesto che addita lUno nascosto; il
caleidoscopio del mondo velo di Maja soltanto per chi non vuol vedere: lo Gnostico vi legge limmobile
eternit del divino.
In questo mondo di verit e di realt, Resurrezione, compimento dellopera alchemica, alzarsi un
giorno e scoprirsi diversi, altra cosa di ci che fa di noi la Legge, della quale siamo oggetto: scoprire Dio in
noi nello specchio dellImm, immagine teofanica proprio perch riflette il nostro volto. LImm dunque tale
perch la risposta al nostro bisogno, secondo il senso profondo delle proposizioni di Hasan-i Sabbh; la
Resurrezione perde le proprie originali connotazioni materiali, per identificarsi con lacquisizione di un livello di
conoscenza mistico.
In rapporto a tale livello, subentra allora nellIsmailismo una tripartizione nuova, che ricalca
pienamente lantico schema gnostico: vi sono i nemici, immersi nella materialit della Legge; vi sono i fedeli
Ismailiti che vanno oltre lo zhir, raggiungendo una verit parziale; vi sono poi coloro che raggiungono la
perfetta verit. In altre parole, oltre il btin vi un interiore dellinteriore. 309 La resurrezione in terra, stabilisce
dunque una vera corte divina attorno allImm, nella quale ciascuno ricopre un ruolo simbolico eterno: ogni
Imm sempre Al, ogni perfetto credente Salmn; la storia , in ogni attimo, trasparenza duna totalit e dun
ordine scritti altrove. 310
A questo livello evolutivo, la dottrina ismailita mostra sorprendenti analogie con quella gnostica, ma
non si fermano qui le interessanti corrispondenze con il mondo della cristianit, considerato nei suoi risvolti
ereticali. Vi infatti nellIsmailismo una tensione allavvento di una nuova e finale et in terra, unet dello

309
Hodgson, pp. 172-174.
310
ivi, p. 175.

236
Spirito che richiama molto da vicino le aspettative dei moti gioachimiti con i quali si apre il XIII secolo
doccidente. Lumanit, o meglio, una parte di essa, attende la pienezza dei tempi, luscita da quella Legge fatta
di obblighi e divieti che essa avverte come estranea e accidentale. 311
Lo Hodgson ha sottolineato le affinit tra gli esiti dellIsmailismo e quei presupposti di superamento
della Legge, quella tendenza ad una pi profonda spiritualit nella manifestazione religiosa, che sono allorigine
del Cristianesimo. In effetti gli Ismailiti, sin dai tempi di al Kirmn, avevano conoscenza delle Scritture, un
fenomeno che riguarda anche lo scisma dei Drusi. 312 Vi tuttavia un fatto che colpisce: per dirla con le parole
stesse dello Hodgson: la proclamazione della libert spirituale fu una direttiva dallalto. 313 Si nota, in questo,
unastrattezza teorica, una certa mancanza di spessore nella stessa dottrina (un tratto frequente negli
gnosticismi dogni tempo) che la rende, anche politicamente, un po irrealistica.
La proclamazione della Resurrezione non ebbe infatti gran successo: rimase una vicenda poco nota ai
suoi tempi, segno preciso della sua scarsa rilevanza politica. Pi successo avranno certe idee nelle penne dei
teosofi e dei mistici, come nota lo Hodgson. 314 Dopo un lungo periodo di relativa ambiguit, Alamt torn alla
legge islamica con Hasan III nel 1210; venne proclamato il satr, o nascondimento dellImm, ci che significava
anche la soppressione di tutto ci che il suo apparire rappresentava. Gli Ismailiti di Alamt accettarono, almeno
formalmente, la legge sunnita: gli anni che seguono, non hanno tuttavia pi alcun interesse per la nostra vicenda.
Nel 1256 Alamt fu consegnata ai Mongoli; pi tardi, le ultime fortezze di Ghird Kh e Lamassar. Gli Ismailiti
di Siria conservarono ancora una parvenza dautonomia; quelli persiani ripresero Alamt nel 1275, per riperderla
lanno successivo. 315
Negli anni che precedettero la caduta, i Nizriti avevano tentato vari approcci con la Cristianit,
principalmente con i Francesi, 316 per un fronte comune contro il pericolo mongolo; lecumenismo della loro
religione -che si poneva come sintesi di tutte le religioni e nella quale Ges aveva un ruolo rilevante- consentiva
loro di costituire un ponte tra la Cristianit e lIslam. I tentativi non ebbero successo; del resto la Cristianit, a
quel tempo percorsa dal mito del Prete Gianni che sarebbe venuto dallAsia a combattere gli infedeli, vedeva di
buon occhio lavanzata mongola contro lIslam. da ritenere infatti che la politica di Alamt marciasse, a quel
momento, di comune accordo con quella del Califfo; e il grande nemico, nellimmaginario cristiano che
vagheggi per un buon secolo il misterioso alleato orientale, era lIslam, non il Khan dei Mongoli.
Lo Hodgson fa rimarcare, al contrario, che la caduta dello Stato ismailita di Alamt, ha costituito una
perdita secca per loccidente, a causa del ruolo stabilmente acquisito dallIsmailismo quale punto di raccordo tra
la cultura islamica mediorientale e quella europea. 317 Labisso che si crea progressivamente da quel momento,
tra unEuropa che ha iniziato la propria corsa verso la modernit e linarrestabile declino del mondo
mediorientale, ha spezzato unantica unit culturale; le conseguenze di ci, a nostro avviso, non sono del tutto
positive neppure per loccidente odierno: anche questo il senso delle vicende che narriamo tentando
didentificare un altro occidente.
Lo Jambet ha dedicato al fenomeno nizrita e allIsmailismo in generale un testo cos denso
di considerazioni 318 da non consentire sintesi affrettate. Ci limitiamo soltanto a segnalare alcuni dei
temi da lui letti nella dottrina della Resurrezione: limpossibilit di costringere la verit entro i limiti di un sapere
311
Lestraneit della Legge, un tema che si presenta costantemente sin dagli albori dello Gnosticismo, costantemente una spia dellorigine
sociale delleresia, ma non va necessariamente intesa come indizio di ceti scarsamente socializzati. opportuno considerare infatti che, sul
piano religioso, divieti e obblighi sono connessi con una situazione decaduta delluomo, metafisicamente fondata nei vari miti, ma pur
sempre estranea alle origini delluomo stesso. Se egli deve scontare un primo peccato, la situazione sua accidentale e transitoria; se egli
creato collaboratore con Dio nelleliminazione del Male, egli paga comunque per una vicenda che subisce: in ogni caso la sua condizione
storica impropria. Questa condizione di decadimento metafisicamente fondata, fonda a sua volta ideologicamente la necessit
dellintervento sociale, che si esplica tramite le costrizioni e la gerarchia; questo lultimo anello, quello con il quale lemarginazione si
confronta, avvertendone lestraneit a qualunque geometria cosmogonica fondata sulla dialettica di Uno e molteplice, onde questultimo la
manifestazione del primo, e ciascuno deve trovare la Legge soltanto al proprio interno, come espressione spirituale. Questobbiettivo utopico
talmente costante da presentarsi ovunque, anche fuori del contesto monoteista: abbiamo notato infatti (cfr. Il mito e luomo, cit., pp. 224-
235) che il mito plebeo del Paese di Cuccagna mostra chiaramente di avere come obbiettivo ultimo non gi la grascia piovuta dal cielo;
questo soltanto un mezzo per rendere improponibile qualsiasi gerarchia sociale, vero obbiettivo finale del mito stesso.
312
Hodgson, cit. pp. 175-178. Lo Hodgson fa riferimento allarticolo di P. Kraus, Syrische und hebrische Zitate in den ismailitischen
Schriften, Der Islam 19, 1931. Egli sottolinea tuttavia anche la fondamentale differenza tra Ismailismo e Cristianesimo: nonostante le strette
analogie tra limamologia del primo e la Cristologia di Giovanni, manca nellIsmailismo di Alamt non soltanto il tema della Passione, ma
anche -e vorremmo dire: soprattutto- quello dellamore, che presiede alla Passione stessa; testimonianza, a sua volta, in termini laici, del
distacco tra storia e utopia. LImm infatti, e resta un autocrate, e la liberazione dalla Legge che egli proclama ha la conseguenzialit
meccanica di una costruzione concettuale: ne manca il prezzo. Esisteva comunque una certa vicinanza degli Ismailiti al Cristianesimo, come
mostrano le vicende del loro ramo siriano nei rapporti con i Crociati. Laccostamento, pur nelle lotte, fu cos forte, da far ipotizzare anche
una conversione, mandata in fumo dallostilit dei Templari. Questi ultimi sembrano aver costituito un modello per gli Ismailiti siriani: cfr.
Hodgson, pp. 204-205.
313
cfr. p. 178.
314
ivi, p. 181. Tuttavia con essi la Resurrezione si snatura in faccenda privata, laddove essa era sempre stata concepita, in una dottrina anche
politica e con precisi riferimenti sociali, come un evento cosmico. Cfr. Hodgson, p. 227; per L. Massignon, Essai sur les origines du lexique
technique de la mystique musulmane, Paris, Vrin, 1954, pp. 80-81: principale imputata la scuola di Ibn Arab. Massignon, parlando
dellevoluzione tarda di una dottrina che fu sociale, entro consorterie mistiche, parla di fumeries dopium surnaturel.
315
Per tutte queste vicende, cfr. Hodgson, pp. 217-276.
316
ivi, p. 246 sgg; dello stesso, The Isml State, cit. p. 479.
317
The Order of Assassins, cit., p. 33.
318
cit.

237
codificato 319 , la scoperta della libert creatrice dello Spirito come realizzazione nel mondo della realt
paradisiaca. 320 il caso di sottolineare al riguardo ci che gi notammo in precedenza per quanto riguarda la
dottrina degli Ikhwn as Saf: la lettura ismailita dellIslam, proprio in quanto sovversiva, avviene in
prospettiva del ristabilimento dellIslam autentico, 321 perch lautenticit dellIslam fu letta come suo porsi
quale ultima delle religioni rivelate, religione che perci rinvia ad un oltre non detto, e precisamente per ci
incombente come lultimo squillo di tromba.
In effetti lIsmailismo nostalgia di uno stato perfetto delluomo e tensione al suo recupero, secondo
una logica gnostica e nellambito di una cosmogonia neoplatonica che sono strettamente legate alla cultura
ellenistica mediorientale ereditata dal mondo musulmano; 322 un ruolo determinante nella loro trasmissione fu
svolto dai Sabei di Harrn. 323 In questa sua utopia del riscatto, che riscatto dellintero Creato, lIsmailismo
rielabor in modo assolutamente originale lantico sapere gnostico/ermetico del mondo alessandrino, per
costituire, grazie a strutture cosmogoniche neoplatoniche, luniverso della nuova alchimia. Per tale via nascer in
occidente una cultura dalle segrete affinit con lIsmailismo: ne vedremo di sorprendenti e non dovremo
stupirci. 324
Si conclude con lIsmailismo una lunga vicenda dottrinale nata con i Khridjiti e con la Sha, vicenda
che ha radici e ragioni storiche con precisi riscontri sociali. Sino alla caduta di Alamt infatti, la storia della
dissidenza religiosa nellIslam non soltanto astratta meditazione metafisica o mistica esaltata: anche e
principalmente il tentativo di creare una societ diversa e pi giusta, unipotesi di paradiso in terra. Se questo o
altro (o questo ed altro) fosse il messaggio dellIslam, non importa: cos fu sentito da schiere di uomini nel corso
di sei secoli.
In un suo excursus che giunge sino ai giorni nostri, la Scarcia Amoretti 325 ne ha sottolineato la
continuit non soltanto dottrinale, nella quale si legge il sempre rinnovato tentativo di costruire lideologia -
necessariamente religiosa- di una societ pi duttile, pi attenta alle esigenze individuali e locali, incarnate
abitualmente dalla piccola propriet, dai commercianti e dagli artigiani. In questa vicenda difficile negare il
ruolo peculiare rivestito dallIran, dalle rivolte Khurramite ad Alamt, 326 e, come abbiamo anche visto, nella
costruzione dottrinale; al riguardo stata invocata la persistenza della dissidenza mazdakita, tradizione
rivoluzionaria il cui ricordo torna sin nel XIX secolo come tentativo di comprendere il movimento religioso-
sociale dei Bbisti.
Con la caduta di Alamt tuttavia, la mistica religiosa destinata a perdere il contatto con una realt
politica nella quale non ha pi possibilit di agire; il pensiero ismailita sincanala nella tradizione sf, mentre gli
Ismailiti come comunit sopravviveranno senza pi impatto nella storia. 327

319
ivi, p. 113.
320
ivi, p. 129.
321
ivi, p. 223.
322
Su questo argomento cfr. H.H. Schaeder, Die islamische Lehre vom volkommenen Menschen, ihre Herkunft und die dichterische
Gestaltung, Z.M.D.G. 79, 1925, pp. 218-235, in particolare p. 225. Per il modo nel quale lIslam ha ricevuto leredit del pensiero antico,
Gnosticismo e filosofia ellenistica sono inscindibili. Conseguentemente entra nellIslam la speculazione gnostica sulluomo archetipale
(Urmensch) unitamente al pensiero neoplatonico, e da questa irruzione di concetti originariamente estranei allIslam (eine Vorstellung, die
der islamische Theologie ebenso fremd ist wie den groen pholosophischen Systemen) nasce la speculazione imamologica (p. 221). Il
processo di teorizzazione delluomo perfetto -una figura che raccoglie tradizione gnostica, ellenistica e profetico/biblica- si compie con Ibn
Arab (pp. 241-242) Il processo di formazione della speculazione imamologica sembra effettivamente il frutto delleredit citata dallo
Schaeder; qualche perplessit ci sorge relativamente alla sua estraneit allIslam originario, legato come sembra alla concezione elchasaita,
e comunque giudeo-cristiana, del profetismo. Larticolo dello Schaeder, come mostra il richiamo ai grandi sistemi filosofici datato entro
una cultura razionalista che tende ad escludere da filosofia e religione il pensiero come esperienza dellemarginazione e tensione utopica
al riscatto. La tensione alluomo perfetto diviene, nellIsmailismo, un evento coerente con la tendenza di tutto il Creato alla propria
perfezione, con il principio evolutivo che lo anima, e che non riguarda soltanto luomo; lo abbiamo visto con gli Ikhwn as Saf e lo
constatiamo ancora nel mito nizrita descritto da Nasroddn Ts, cit., per una cui sintesi si pu anche far riferimento a W. Ivanow, An
Ismailitic Work by Nasirud-din Tusi, J.R.A.S., 1931.
323
Su questo ruolo cfr. anche Y. Marquet, Sabens et Ihwn as Saf, S.I. 24-25, 1966. Il Marquet, dopo aver delineato i percorsi (ipotetici)
che conducono gli Ikhwn alla conoscenza della religione segreta dei Sabei, ed aver sottolineato il loro atteggiamento istituzionalmente
sincretista, nota che loperazione fu agevole e macroscopica nei confronti dellermetismo sabeo, perch in esso gli Ikhwn inconsciamente
ritrovavano il substrato culturale semita giunto ai Sabei attraverso il sincretismo babilonese (S.I. 25, p. 109). Per laccoglimento della cultura
babilonese in quella araba tramite lermetismo e lalchimia, cfr. anche M. Plessner, Hermes Trismegistus and Arab Science, S.I. 2, 1954.
324
Il Marquet (loc. cit. in nota) sottolinea la straordinaria affinit tra Paracelso e i Rosa-Croce da un lato, gli Ikhwn as Saf dallaltro. Lo
Halleux, The Reception of Arab Alchemy in the West, Encyclopedia of Arab Science ed. by R. Rashed, London-N. York, Routhledge, vol. 3,
1996, dopo aver ricordato le parole di Ruska (bersetzung und Bearbeitung al Rzs Buch Geheimnis der Geheimnisse, Quellen und
Schriften der Naturwissenschaften und Medizin, Bd. 4, Heft 3, Berlin, Springer, 1935, p. 1) relative alla discendenza dellalchimia
occidentale da quella araba e non da quella greca, conclude (p. 897) sottolineando la perfetta continuit che va da ps.Apollonio (Balns,
che a monte di Djbir) a Paracelso. Questa continuit cos radicale, che gi nel XVII secolo lopera di Paracelso fu tradotta in arabo; ma il
pensiero di Paracelso discende in Weigel, Bhme, e di l al Romanticismo, con ci assicurando il permanere in occidente di una cultura e di
una tradizione antiche, assunte anche grazie alla mediazione araba. Detto pi chiaro: questa cultura antica fu intesa anche attraverso gli
schemi in cui fu riplasmata dalla cultura araba; come tale essa fa ora parte di un occidente inquietantemente altro.
325
Die historische Entwicklung der Sekten im Islam, Sonderdruck aus Der Islam-Die Religionen der Menschheit, Bd. 25., 3, Stuttgart-Berlin-
Kln, Kohlhammer, 1990.
326
ivi, p. 121; p. 123 sgg.
327
Sulla continuazione della speculazione ismailita allinterno del Sufismo sono concordi i vari Autori (cfr. Scarcia Amoretti, cit., p. 135;
Hodgson, p. 276; Corbin tratta abitualmente largomento); sullinfluenza di tale presenza in particolar modo in Persia, in un movimento
essenzialmente mistico, cfr. Scarcia Amoretti, cit., p. 138 sgg.: il Sufismo alimenta attese messianiche. Lo stesso vale per i Bektshi (ivi)
appartenenti allordine dei Dervisci alla cui origine il poeta e mistico Jall od Dn Rm, molto vicino alle idee ismailite (Hodgson, p. 276).
Come comunit gli Ismailiti sopravvivono oggi essenzialmente in India, nei Khoja, che costituiscono il nucleo della potente comunit,

238
Luniverso del Sufismo e i suoi aspetti teorici non interessano la nostra narrazione; diamo tuttavia
qualche cenno sintetico, rinviando per il resto alla vasta bibliografia, 328 perch il fenomeno in s troppo
importante, anche sul piano delle maggiori emergenze teoriche, per poter essere ignorato.
Come abbiamo gi accennato, verosimile che i lontani albori del Sufismo nel VII secolo traggano
origine dal contatto col monachesimo del Cristianesimo orientale; 329 tuttavia, il Sufismo come tale, nella sua
maturit, va collocato senza dubbio allinterno duna specificit islamica. In tale ambito esso ricerc un
fondamentale obbiettivo: lunione immediata delluomo con Dio, una pratica che tuttavia si rivel col tempo
passibile anche di sviluppi teorici entro schemi neoplatonici, col risultato di richiamare echi ismailiti. Del resto il
Sufismo stesso, quietista nei fatti e accettato entro lortodossia grazie allopera di Ab Hamd al Ghazl detto il
testimone dellIslam, pu essere, almeno potenzialmente, eversivo a causa della radicale esclusione di ogni
mediazione tra lo slancio del singolo e Dio stesso.
Tale fu quindi il giudizio in alcune circostanze, che videro la condanna a morte di alcuni grandi
mistici da parte dellautorit statale. Fu questo il caso di al Hallj, 330 atrocemente giustiziato per blasfemia nel
922. Al Hallj aveva proclamato i paradossi della verit nella propria identificazione con Dio e nellesaltazione
della pura fede di Ibls quale sola fonte della divina condanna:331 affermazioni pericolose, perch mostravano
linteriore contraddittoriet di ogni dottrina positiva, tali perci da farlo considerare, non a torto, un sovversivo.
Egli fu ritenuto infatti un Qarmata, e la valutazione politica gioc un ruolo determinante nella feroce condanna.
Prima di lui, altrettanto folle era stato Bistm ( 875 o 878) nel proclamare la propria identit con Dio. Si noti
che questa soluzione mistica rivela il sottofondo democratico (ogni uomo pu assurgere al divino) che ha
sempre attirato ai Sf le antipatie degli Shiti. 332 Tanto al Hallj quanto Bistm provenivano da famiglie
zoroastriane.
Nel Sufismo le scelte mistiche non possono essere disgiunte da una premessa razionale relativa alla
constatazione dei limiti della ragione stessa, e perci della non coincidenza di verit e legge positiva (in termini
laici e occidentali di reale e razionale; in termini islamici di haqqah e shara) e alla possibilit di superare
laporia soltanto attraverso la via mistica (tarqat). Questo fondamento razionale della scelta mistica fa
comprendere lintrinseca permeabilit del Sufismo nei confronti del Neoplatonismo: quanto si verifica nel
sistema filosofico di Sohraward (1155-1191) fondatore della cosiddetta filosofia orientale, il quale pag con
la vita tanta sapienza (e coerenza) dottrinale. Il suo sistema infatti pu essere facilmente considerato una dottrina
ismailita, e tale fu considerato da Saladino, che aveva da poco messo fine al potere fatimida in Egitto. 333

commercialmente assai attiva, guidata dallAgh Khn. Sulle vicende dei vari gruppi dopo la fine di Alamt, cfr. la citata voce Ismliyya,
in E.I.
328
Una trattazione concisa ma molto chiara e sviluppata lungo un individuato percorso storico la si pu trovare nellarticolo di A.J. Arberry,
Sufism, H.O. 1. Abt., 2. Abschn., 8. Bd., cit. Dello stesso Arberry cfr. anche il noto Sufism, London, Allen & Unwin, 1960; e The Doctrine of
the Sfs, Transl. from the Arabic of Ab Bakr al Kalbd, Cambridge, Un. Press, 1935. Cfr inoltre H. Corbin, Storia della filosofia
islamica, cit.; Browne, cit. Importante studio sulla mistica islamica quello gi citato di L. Massignon, Sur les origines, etc., dove
largomento analizzato in un ampio quadro di premesse storico-culturali; per i Sf, cfr. p. 153 sgg. Per una bibliografia sui maggiori
contributi, cfr. Corbin, cit.
329
G.G. Blum, cit. Si pone tuttavia anche la possibilit del reciproco. Linfluenza del monachesimo cristiano sullascetismo musulmano
sostenuta anche da O. Livne-Kafri, Early Muslim Ascetics and the World of Christian Monasticism, J.S.A.I. 20, 1996.
330
Su al Hallj cfr. il monumentale lavoro di L. Massignon. La passion dal Hallj, Paris, Gallimard, 1975, 4 voll.; dello stesso e di L.
Gardet, per una pi rapida consultazione, la voce al-Halldj, E.I. vol. III.
331
Ibls, nel rifiutare di adorare Adamo secondo lordine divino, manifesta la propria adamantina adesione al monoteismo, che glimpedisce
di adorare chi non sia Dio.
332
Cfr. H. Corbin, Storia della filosofia islamica, cit., p. 193 e pp. 198-200. Il Sf realizza un rapporto diretto di amicizia con Dio, senza
mediazione dellImm; avevamo sottolineato lo stesso tema a proposito della trasmutazione alchemica, che lascia intuire linflusso
dellestremismo religioso. Tanto al Hallj (Browne, cit., p. 430) quanto, prima di lui, Dhu l Nn al Msr ( 861; cfr. Arberry, H.O. cit., pp.
452-453) erano ritenuti alchimisti. Sul carattere esoterico (btin) della haqqa (verit) raggiunta in modo assoluto dai Sf tramite lestasi; sul
carattere gnostico della dottrina sf; sulla convinzione (prudentemente non esplicitata) di molti di loro, relativa alla propria identificazione
con Dio; sulla loro dottrina del profetismo; sulla loro concezione della perfezione come pratica, onde anche coloro che, tra di essi, vengono
eletti a polo (qutb) possono decadere dal proprio ruolo (come lImm khridjita) e, daltro canto, sulla contrapposizione della loro verit a
quella letterale, buona per la gente comune, cfr. lancora fondamentale lavoro di E. Blochet, tudes sur lsotrisme musulman, Muson 7-
10, 1906-1909. Uninteressante riflessione sul rapporto tra Sha e Sufismo opera di S.H. Nasr, Le shisme et le soufisme, Le shisme
immite, Coll. de Starsbourg, 1968, Paris, P.U.F., 1970. Il Nasr sottolinea le strette convergenze tra i due esoterismi; tuttavia lascia un po in
ombra sia gli sviluppi dello Shismo duodecimano (egli cita soprattutto la convergenza nel Sufismo dei superstiti Ismailiti, settimiani) sia la
differenza, sopra segnalata, tra il qutb e lImm shita (che tende ad identificare). tuttavia importante quanto egli sottolinea con vigore,
cio la comune radice nellIslam delle origini: lesoterismo, in altre parole, parte costitutiva della dottrina originaria.
333
Nellimpossibilit di accennare in sintesi allopera di Sohraward, rinviamo a quanto il Corbin ha pubblicato al riguardo. Il suo pensiero,
oltre a brevi cenni in Storia della filosofia islamica e in Corpo spirituale e terra celeste, citt., ampiamente esposto in tutto il II vol. di En
Islam iranien, cit. (Sohraward et les platoniciens de Perse). Esiste inoltre la traduzione di numerosi suoi testi in Larchange empourpr,
Paris, Fayard, 1976; egualmente tradotto il trattato detto Le livre de la sagesse orientale, Lagrasse, Verdier, 1986, che contiene anche i
commenti relativi di Qotboddn Shrz e di Moll Sadr Shrz. Sohraward legge la tensione sf allunione con il divino entro strutture
razionali; il suo cosmo unemanazione di luci gerarchicamente disposte, i cui aspetti oscuri (come, ad esempio, le limitazioni intrinseche
alla stessa dipendenza gerarchica) formano un duplice schermo: quello della sfera delle stelle fisse, e, al di sotto, quello della materia.
Questultima dunque non veramente esistente, se non nella sua capacit di riflettere le luci angeliche che le conferiscono le singole forme.
Ogni uomo il riflesso dun angelo, che il suo Spirito santo personale. Compito di ciascuno il riconoscimento del proprio S nel proprio
angelo, gemello celeste; cio riconoscere il proprio stato di esilio occidentale (nel luogo dove la luce muore) e risvegliarsi alla luce
dellOriente mistico. Lanima che ha riconosciuto il nulla tenebroso del mondo, e in s lombra dunimmagine luminosa che vive nel mondo
delle forme,risorge a quel mondo, che il suo mondo, come corpo sottile: loperazione tutta interiore. Questo mondo delle forme,
intermedio tra quello della luce e la materia, il luogo ove reale tutto ci che nel mondo apparenza. Si nota, nel tema della syzygie con il
doppio celeste, uno schema gnostico pi volte incontrato, che fonda lo spostarsi altrove della verit dellindividuo. Ci conferisce al pensiero
di Sohraward un aspetto potenzialmente sovversivo analogo a quello dello Gnosticismo, sotto il duplice aspetto di ricerca di una via

239
Contemporaneo di Sohraward Fard od Dn Attr, nato in anno imprecisato nella prima met del
XII secolo, e morto tra la fine del XII e i primi decenni del XIII secolo. Nel caso di Attr, come pi tardi in
quello di Rm, entrambi tra i massimi rappresentanti della poesia mistica, si nota in modo assolutamente
evidente il grande nodo che si venuto formando tra poesia e misticismo. Attr, come Sohraward,
strettamente legato alla mistica di Hallj; 334 la sua opera pi famosa il Mantiq at Tar, tradotto in italiano come
Il Verbo degli uccelli. 335 In questa parabola si narra del viaggio mistico di trenta uccelli alla ricerca di Smurgh,
il mitico uccello, una sorta di Fenice che vive sul monte Qf,336 protagonista anche dei racconti di Sohraward. 337
Il gioco di parole nel quale si muove la logica di Attr consiste nel fatto che S Murgh significa, in persiano,
trenta uccelli (Murgh=Tar); dunque lUno nel quale il molteplice, costituito dai trenta uccelli sopravvissuti
alle peripezie del viaggio, si specchia scorgendo il proprio volto, dopo aver annullato il proprio Io. In questo
raggiungimento estatico della propria verit si racchiude dunque una concezione tutta esistenziale della verit
stessa, che nega i valori normativi della logica concettuale. 338 Gli uccelli sono protagonisti frequenti di questa
mistica, per il loro simbolismo di anime. 339
Il pi celebre dei Sf resta comunque, per la sua opera di teorico, lo spagnolo Ibn Arab (1165-
1240), dichiaratamente sunnita ma certamente influenzato anche da temi ismailiti nella sua onnivora erudizione.
Abbiamo gi riferito del giudizio negativo che diede di lui Massignon; al di l di ogni valutazione sembra
innegabile tuttavia il carattere assolutamente individuale della perfezione da lui ricercata. Il suo cosmo una
costruzione neoplatonica tutta vivente, creata per la perfezione, per la realizzazione delluomo perfetto. 340
Substrato del mondo fenomenico lintelletto universale che sidentifica, per Ibn Arab, con la realt
mohammediana, con lo spirito divino cio, che fu soffiato in Adamo, da sempre esistito, manifestatosi
parzialmente nei Profeti e completamente in Maometto loro sigillo; nella sua luce si epifanizza Allh, e questa
luce anche lo scopo di tutta la vita spirituale tesa alla realizzazione delluomo perfetto.341
Ibn Arab, nella sua dottrina secondo la quale santi e profeti erano manifestazioni parziali di questo
spirito, mise se stesso in parallelo con Maometto: come questi fu il Sigillo dei Profeti, cos egli era il Sigillo dei
Santi, o meglio, dei Santi mohammediani, quale solo Santo solare, che brilla cio di luce non riflessa,
interprete della scienza sacra. 342
Ibn Arab ha sviluppato apertamente, in questo senso, il concetto di alchimia spirituale: come tutti i
metalli si riconducono allarchetipo perfetto (loro), cos luomo. Trasmutazione dei metalli e delluomo si
riflettono luna nellaltra, luomo perfetto loro filosofico, 343 il principio originario al quale luomo deve
assimilarsi tramite lopera alchemica.

strettamente personale al divino, e di negazione della realt del mondo. In esso non vi nulla delle implicazioni sociali presenti
nellIsmailismo, ma vi pur sempre il rifiuto di ogni verit o legge mediatrici della salvezza, unitamente al disinteresse per ci che agisce nel
mondo e mondanamente si esplica nelle forme del potere. Diversamente tuttavia dai Sf, Sohraward giunge a questo atteggiamento in
conseguenza di una cosmogonia razionale di derivazione neoplatonica, come nel caso dellIsmailismo ma con laggravante della mancanza
di una figura istituzionale come lImm. Ci fa s che latteggiamento mistico debordi in scelta personale, facendosi ideologia disgregatrice;
ragionevole perci che i Dottori della Legge -e Saladino- considerassero Sohraward un pericolo.
334
Cfr. S.H. Nasr, Some Observations on the Place of Attr within the Sufi Tradition, Coll. Int. su Fardoddn Attr, Roma 1977, ivi,
A.N.L., 1978, p. 11; su Attr cfr. il vasto studio di H. Ritter, Das Meer der Seele, Leiden, E.J. Brill, 1978.
335
A cura di C. Saccone, Milano, S.E., 1986. In italiano stato tradotto anche lo Ilah Nmah (Poema celeste) a cura di M.T. Granata,
Milano, Rizzoli, 1990, una raccolta di racconti che ruotano attorno alla mistica sf. Ai Sf e al loro insegnamento, Attr dedic unopera
dal titolo Tadhkirat al Awliy (Memorie dei Santi). Il problema della traduzione della parola Mantiq analizzato dal Nasr, perch con essa
sintende una forma di logica che va oltre i limiti del concettuale, perch concerne lIntelligibile come principio cosmogonico.
336
Per il tema originariamente avestico del Monte Qf, rinviamo a H. Corbin, Corpo spirituale, etc., cit.. Qf un centro del mondo dal
quale scaturiscono le acque che alimentano la vita. Su Smurgh e Qf, cfr. anche il commento di Corbin in Trilogie ismalienne, cit., p. (123)
sgg.
337
Cfr. Larchange empourpr, passim.
338
Nota il Saccone, cit., p. 233, che i razionalisti sono i destinatari della critica di Attr, il cui scopo destrutturare il pensiero razionale per
sua natura dualizzante (ivi, p. 236).
339
Tra i precedenti di Attr, vi una Rislat at Tar di Avicenna (Epistola degli uccelli) e un Dstn-i Murghn (Storia degli uccelli) di
Ahmad Ghazl (fratello del pi famoso mistico, gi citato). Per il simbolismo delluccello, cfr. Dictionnaire des symboles, cit., vol. 3. Cfr.
anche H. Corbin, Avicenne et le rcit visionnaire, Paris, Berg, 1979, pp. 180-220.
340
Cfr. H.H. Schaeder, cit. Sulluomo perfetto nella mistica, cfr. R.A. Nicholson, Studies in Islamic Mysticism, Cambridge, at the Un. Press,
1921, Reprint 1967, pp. 77-142. Su Ibn Arab esiste una vasta letteratura che esula dalla nostra ricerca. Il lavoro di H. Corbin, Limagination
cratrice dans le soufisme dIbn Arab, Paris, Flammarion, 1958 e 1977, considerato un classico; ma cfr. le osservazioni di M.
Chodkiewicz, Le sceau des saints. Prophtie et saintet dans la doctrine dIbn Arab, Paris, Gallimard, 1986, p. 15: Corbin tende a fare di
Ibn Arab uno shita clandestino.
341
Sullargomento cfr. lesegesi di Chodkiewicz, cit., pp. 88-92. La differenza tra le due manifestazioni delluomo consiste nel riferirsi della
realt mohammediana ad una situazione archetipica, e delluomo perfetto alla finalit dellesistenza. Per una sintesi della dottrina dIbn
Arab, cfr. Arberry, Sufism, 1950, cit., pp. 100-101; per approfondire il concetto di realt mohammediana cfr. A. Jeffery, Ibn al Arabs
Shajarat al Kawn, S.I. 10-11, 1987-1988.
342
Chodkiewicz, cit., pp. 145-179. Il santo determina, al proprio passaggio, un campo di forze benefiche permanente (p. 18); di qui il ruolo
imperituro del loro sigillo nei confronti degli uomini (p. 178).
343
Cfr. Mohyddn Ibn Arab, Lalchimie du bonheur parfait, trad. et prs. par R. Ruspoli, Paris, Berg, 1981, p. 33 sgg. Il testo, che
comprende la famosa ascensione (Mirj) che Asin Palacios volle mettere in rapporto con la Divina Commedia, parte del monumentale
Libro delle conquiste spirituali della Mecca (Kitb al Fotht al Makkya), per la cui traduzione parziale e riassunto cfr. Ibn Arab, Les
illuminations de la Mecque, Textes choisis sous la direction de M. Chodkiewicz, Paris, Sindbad, 1988 (il testo raccoglie varie collaborazioni,
parte in inglese). Una traduzione critica del Mirj data da J. Morris, The Spiritual Ascension: Ibn Arab and the Mirj, J.A.O.S. 107-108,
1987-1988.

240
La trasformazione interiore delluomo, che fa di lui un santo, si compie grazie al viaggio iniziatico,
allAscensione (Mirj) dalla quale il mistico pellegrino torna reintegrato nella verit, dopo essersi liberato, per
dissoluzione (passaggio alchemico), della propria accidentale, storica esteriorit. 344
Questo motivo del viaggio celeste, gi presente nellIslam col famoso Libro della Scala, che
probabilmente influenz Dante, lo conosciamo gi da tempo, appartiene alla mitologia mesopotamica ed stato
analizzato dal Widengren. Qui assistiamo ad una sua ulteriore metamorfosi: divenuto il viaggio mistico del sf
assume connotazioni alchemiche e, come tale, destinato a strani percorsi verso la modernit. Esso diverr
infatti il viaggio del poeta romantico verso lindicibile con Novalis, e lo troveremo teorizzato in linguaggio
oracolare in un saggio di Heidegger sulla poesia di Stefan George. 345 Esso diviene dunque parte costitutiva
dellestetica romantica, legata ad unontologia che deve non poco a Paracelso e a Bhme. 346
Ci conduce a riflettere sulla gi segnalata coincidenza della grande poesia e della grande mistica
nellIslam, gi sottolineata sin dal secolo scorso dal Nicholson. 347 Siamo evidentemente in presenza, come
avverr poi in modo e su basi del tutto analoghe nel Romanticismo, di una vera e propria critica della
conoscenza: il sapere, se non il sapere saputo della logica concettuale, diviene alchemica creazione di nuova
realt attinta nel non-luogo delle forme, il mondo immaginale di tutti i mistici e poeti, che non un rifugio per
sognatori: , al contrario, lunico luogo dal quale proviene la linfa che circola nella storia, e alimenta il mondo
rigenerandolo. un luogo di battaglia, della battaglia per la vita, come sottolineava Arnheim a proposito della
seriet dellarte. 348
Questintreccio forte di pensiero sf e poesia si riverbera nellopera del pi famoso dei poeti sf,
Jall od Dn Rm (1207-1273) autore del celebrato Mathnaw e di una non meno nota raccolta di mistiche, il
Dwn-i Shams-i Tabrz o Canzoniere, 349 e fondatore dellordine dei Dervisci Malw. Rm stato considerato
frequentemente come teosofo dipendente dal pensiero di Ibn Arab, dimenticando che egli portatore non tanto
di un pensiero sistematico, quanto duna visione poetica, attraverso la quale egli si esprime e comunica; ci che
di lui va recepito dunque il genio poetico delle sue immagini. 350
Altri ancora sono gli esiti poetici della mistica sf, come ad esempio il Roseto del mistero (Golshan-e
Rz) di Shabestar o lopera di San, 351 ma tutto ci esula dal nostro argomento; ci stato sufficiente
accennarne per dare una breve informazione sul mondo mistico nel quale sopravvisse, latente, qualcosa
dellIsmailismo.
Non si deve tuttavia ritenere che leredit rivoluzionaria di questultimo fosse definitivamente
scomparsa; essa torn a farsi sentire ancora nel XIX secolo con la rivolta dei Bb, nella quale lo Hodgson, come
abbiamo gi riferito, vede una riemergenza dellIsmailismo. In effetti questa fu lopinione dei contemporanei e
dei primi studiosi, opinione suffragata dalle dottrine, delle quali diamo qui alcuni cenni. Queste dottrine non
sono tuttavia ismailite in senso stretto, in quanto discendono dallevoluzione del Sufismo in ambiente shita
persiano (ogni riferimento al Qim deve intendersi come ritorno del 12 Imm); esse comunque, nel ricalcare
posizioni ismailite, mostrano che queste ultime rappresentano una conseguenzialit immanente nella Sha.
Il movimento Bb nasce con il 1844, allorch Mrz Al Muhammad -detto poi per lappunto Bb,
cio porta (della verit)- proclam la propria missione divina e la manifestazione (zuhr) dellImm
resurrettore; 352 ci avveniva nel millenario delloccultazione del 12 Imm 353 e corrispondeva alle attese

344
Les illuminations, cit., pp. 361-363; p. 584 n 53 ; p. 586, n. 68 ; cfr. inoltre p. 365 e pp. 63-65
345
M. Heidegger, Lessenza del linguaggio ne In cammino verso il linguaggio, trad. di A. Caracciolo e M. Caracciolo Perotti, Milano,
Mursia, 1979, pp. 127-171.
346
G.C. Benelli, Lutopia alchemica, etc., cit.
347
Cfr. Schaeder, cit., p. 245 sgg., che cita per esteso il Nicholson alle pp. 249-250.
348
Verso una psicologia dellarte, loc. cit. Il viaggio del poeta come viaggio iniziatico, comporta il rischio del non-ritorno, della morte
psichica nella follia. Cfr. H. Corbin, Luomo di luce nel sufismo iraniano, trad. di F. Pregadio, Roma, Mediterranee, 1988, p.133; G.C.
Benelli, Arte, Memoria, Utopia, cit., passim.
349
Cfr. The Mathnaw of Jalluddn Rm, ed. by R.A. Nicholson, Leiden, E.J. Brill, 1925 sgg., 8 voll.
350
Sul Sufismo come anima della poesia di Rm, cfr. S.H. Nasr, Rm et la tradition Soufie, Roma, A.N.L., 1975.
351
Sul Roseto del mistero, cfr. lesegesi di H. Corbin, Trilogie ismalienne, cit.; lopera stata pubblicata e tradotta da Hammer-Purgstall
(Mahmud Shebsteris Rosenflor des Geheimnisses, Pest und Leipzig, 1838); su San cfr. Colloquio italo-iraniano sul poeta mistico San,
Roma, A.N.L., 1979
352
Per queste note ci siamo basati sui seguenti riferimenti: A. Gobineau , Les religions et les philosophies dans lAsie centrale, Paris, Leroux,
1900, 3 (edito nel 1865) pp. 141-358; Kazem Beg (Mrz), Bb et les Bbs, ou le soulevement politique et religieux en Perse de 1845
1853, cit. (ristampa dellarticolo apparso su J.A.,1866, 7, pp. 324-384 e 457-522; 8, pp. 196-252, 357-400 e 473-500); F.G. Browne, The
Bbs of Persia, J.R.A.S., 1889; id. Materials for the Study of Bb Religion, Cambridge Un. Press, 1961 (ristampa della 1 ed. del 1918); id,
Literary History of Persia, cit., vol. 4, 1930; id., Some Remarks on the Bbs Texts edited by Baron Victor Rosen, J.R.A.S., 1892; Personal
Reminiscenses of the Bb Insurrection at Zanjn in 1850 written in Persian by q Abdul Ahad-i-Zanjn and translated into English by
E.G. Browne, J.R.A.S., 1897; A Travellers Narrative written to illustrate the Episode of the Bb, ed. persiana e trad. inglese di E.G. Browne,
Cambridge, Un. Press, 1891, 2 voll.; Sheil (Lady), Glimpses of Life and Manners in Persia, London, Murray, 1856; A.L.M. Nicolas, Seyyed
Al Mohammed dit le Bb, Paris, Dujarric & C.e, 1905; H. Roemer, Die Bb-Beh-i. Eine Studie zur Religiongeschichte des Islams,
Potsdam, Verlag der Deutschen Orient-Mission, 1911 (un testo molto chiaro e sistematico sullintera materia), A. Bausani, voci Bb, Bbs,
Bahs, E.I. vol. 1 (cui rinviamo per ampliamenti bibliografici); dello stesso, Il martirio del Bb secondo la narrazione di Nabl Zarand,
O.M., 30, 1950; id., Un gazal di Qurratu l Ain, ivi, 29, 1949; G. Scarcia, I tratti Neo-Bb del Khomeinismo, ivi, N.S. 1 (62), 1982. Il
principale testo dottrinale del Bb stato tradotto dal Nicolas, Le Beyan Persan, Paris, Geuthner, 1911-1914, 4 voll.
353
Roemer, cit., p. 16.

241
messianiche che si erano andate diffondendo nellala estrema del Sufismo. 354 In seguito la posizione del Bb
mut: da annunciatore del Mahd and assumendo il ruolo di Mahd egli stesso. 355
La sua dottrina aveva tratti molto vicini a quelli dellIsmailismo, in certi aspetti era del tutto eguale;
Lady Sheil, nel riferire che essa ripercorreva il comunismo di Mazdak, la ritiene eguale a quella di Hasan-i
Sabbh. 356 Anche se di fatto il Bb ebbe un atteggiamento quietista; e se le accuse dimmoralit e di comunismo
(le stesse gi riversate contro Mazdak) vengono esclusivamente dal campo degli avversari; 357 una dottrina come
quella del Bb era comunque potenzialmente sovversiva. Come tale essa fu avvertita dalla classe dirigente, e
come tale fu vissuta negli anni tra il 1848 e il 1852, anni di rivolte e di stragi.
La vicinanza di questa dottrina con lIsmailismo stata comunemente notata, ma sottolineata in
particolare dal Roemer, che mette in luce anche quanto di neoplatonico vi in essa, nonch i legami con la
teosofia di Moll Sadr. 358 Secondo il Roemer, la concezione bbista del Profeta come manifestazione
dellIntelletto, e la concezione della Resurrezione, tipicamente ismailita, che attende il ritorno dellanima nel
divino e nega la resurrezione della carne, sinquadrano in un emanatismo neoplatonico/gnostico che esplicito
nello stesso Sufismo, nella sua tensione al ritorno. 359
La dottrina bbista del profetismo ripete esattamente le concezioni ismailite: ogni profeta un invio
del mondo divino ai popoli secondo una serie di cicli, ogni religione contiene una sua progressiva verit,
destinata a culminare con il messaggio del Bb-Mahd; questo rappresenta dunque lultima e definitiva religione,
nella quale tutte le altre convergono, essa segna quindi la fine della Legge coranica, della quale rappresenta il
btin. 360 Siamo dunque in presenza, come nellIsmailismo, di una religione del Mahd ecumenica e tollerante
nei confronti di tutte le religioni. 361
Tra gli aspetti della legge coranica che il Bbismo intendeva superare, vi erano quelli riguardanti la
condizione femminile: luso del velo, la poligamia, e la generale impossibilit di autodeterminazione della
donna, e di suo sviluppo intellettuale e sociale. 362 Qui interessante constatare ancora una volta la coincidenza

354
Una rapida panoramica in Scarcia Amoretti, Die historische, etc., cit., pp. 138-145. Il culto del 12 Imm fu caratteristico degli Ahl-i
Haqq (abitanti della verit). Cfr. anche Nasr, Le shisme et le soufisme, cit., per quanto concerne la rinascita del Sufismo in Iran ad opera di
Shiti indiani nel XVIII secolo.
355
Nicolas, cit., p. 218 e p. 223. Lopinione attestata dai Bb stessi, e riportata da Gobineau e Browne, il quale, nella nota N a A
Travellers Narrative, cit. (vol. 2, p. 290 sgg.) riporta due passi del Bayan che lo dimostrerebbero (cfr. p. 292). Su Bb = porta della verit,
cfr. ivi, p. 226.
356
Glimpses of Life, cit., p. 180. Il ricordo del Mazdakismo come termine di confronto era comune: cfr. Browne, The Bbs of Persia, p. 502
Laccusa della classe dirigente persiana era anche di nihilismo e comunismo, un tema che fu ripreso, lo ricordiamo, dal Nldeke.
357
ivi, p. 501; Roemer, p. 48. La sociologia del movimento, che si diffuse in tutti i ceti, anche tra gli intellettuali, oltrech nella piccola
borghesia e nel popolo, descritta in termini negativi in molti autori (Kazem Beg, Lady Sheil, Gobineau; non dal Browne e da Nicolas) che
vi vedono soprattutto ladesione di modesti agitatori frustrati. da notare che tutti gli autori tendono a distinguere tra il quietismo che
attribuiscono al Bb -e che fu la scelta esplicita dei suoi successori, alla guida del movimento in esilio dopo la sconfitta- e i moti di folla,
sistematicamente condannati. Nessuno ha potuto tuttavia ignorare leroismo e la fede dei ribelli che combatterono nel Mzandern e a
Zanjn. Una descrizione molto viva e immediata dei fedeli presenti in Persia dopo la fine dei moti, data dal Browne, The Bbs of Persia,
cit. Il Browne, nellaccennare ai gruppi sociali pi interessati al moto (pp. 503-504) sottolinea tre componenti: lattesa millenaristica,
implicita nellIslam, di un mondo di giustizia (realizzato dal Mahd per gli Shiti); il desiderio di modernizzazione, realizzabile grazie alla
tolleranza bbista che consentiva un avvicinamento alloccidente (il Roemer, p. 57, cita come ostacolo a ci il bigottismo del clero shita); il
movimento sf, che da tempo era in agitazione in attesa del Mahd, e le cui dottrine si fondavano sulla divinit delluomo e sulla
realizzazione delluomo perfetto. Per ci che concerne il problema della modernizzazione e delle riforme, la visione moderata
antirivoluzionaria rappresentata da Kazem Beg, esprime fiducia nelle neocostituite (in Persia) logge massoniche. Il movimento Bbista, con
il successore Beh e ancor pi con suo figlio Abd al Bah, prese unanaloga coloritura nella propaganda allestero. In tutti i citati storici del
movimento, sopravvissuto nel quietismo dei Bah, evidente un generico illuminato progressismo filoccidentale, che respinge le ragioni
rivoluzionarie, attribuendole esclusivamente al fanatismo.
358
Roemer, p. 23. Moll Sadr uno dei pi importanti commentatori e prosecutori del pensiero di Sohraward, vissuto nel XVII secolo. Cfr.
anche Bausani, voce Bb, cit., che sottolinea limportanza del mondo immaginale nel pensiero del Bb.
359
Roemer, pp. 32-35. A proposito della Resurrezione come ritorno dellanima e della conseguente negazione della resurrezione del corpo
materiale, il Roemer ricorda (p. 50 in nota) che gi nello Shaykismo esiste il precedente (sul quale si intrattenuto a lungo il Corbin) della
resurrezione in un corpo spirituale. Questo tema di lontana ascendenza paolina (Paolo e Giovanni fanno parte della spiritualit sf, cfr. p. 53)
, come noto, molto diffuso nelleterodossia cristiana, e si inserir molto bene nella logica alchemico/gnostica di Paracelso. Il Browne, The
Bbs of Persia, pp. 890-891, ripercorre le tappe dellinfluenza di Moll Sadr sul Bb tramite lo Shaykismo, con particolare riferimento alla
resurrezione in Hrkhaliy entro un corpo sottile; argomento sul quale cfr. Corbin, Terra spirituale, etc., cit., p. 108 sgg.
360
Roemer, pp. 42-45.
361
ivi, p. 53. interessante notare che lesoterismo persiano si pone storicamente quale punto dincontro di Zoroastrismo, Giudaismo,
Cristianesimo e Islamismo; religioni che non soltanto sono connesse storicamente lun laltra, ma che, tradizionalmente, sincontrano in
Siria, Mesopotamia e Iran, ove vengono rilette entro il sincretismo ellenista. In questarea si assiste quindi al tentativo di costruzione di una
religiosit nuova ed ecumenica, allinsegna di due principi: ciclicit della profezia e suo sigillo tramite il raggiungimento dello spirito
racchiuso sotto il dettato. Ci non toglie tuttavia che questo sincretismo si presenti egualmente come dogmatico: la tolleranza infatti -e questo
vale espressamente per il Bb- limitata al rifiuto di ogni violenza. Per il resto, chi non Bbista un infedele, in nome di una verit
assoluta che si manifesta in modo progressivo e sempre pi perfetto attraverso i vari profeti. Si deve dunque aderire allultimo Profeta, in
questo caso il Bb; questi tuttavia pensava di poter essere a sua volta superato in un lontano futuro: cfr. Browne, The Bbs, cit., pp. 913-915
e p. 924. Questo conservatorismo del Bb, che scardina la Legge per fondare una nuova Legge (la sua) si lega allintima contraddittoriet
dellantinomismo ismailita, diretto dallalto, contraddittoriet che non sfugge al Roemer (pp. 48-49). Si noti lo stretto legame tra Bbismo e
Ismailismo nella concezione di un progresso della verit, inviata agli uomini tramite i profeti.
362
Browne, The Bbs, cit., p.499. Tra le altre importanti differenze con la pratica islamica vi sono: labolizione della circoncisione, luso di
un calendario basato su 19 mesi di 19 giorni, con 5 giorni intercalari come nellanno zoroastriano, labolizione del digiuno di Ramadan,
sotituito da 19 giorni di digiuno prima del capodanno persiano. Nella mistica bbista il 19 sembra derivare dalle speculazioni di Ibn Arab;
cfr. ivi, pp. 920-921; Roemer, pp. 25-29. La dottrina del Bb contiene inoltre una mistica delle lettere analoga a quella cabbalistica, che ha
fatto avanzare raffronti con il cabbalismo degli Hurfiti (setta del XIV secolo) per la quale cfr. A. Bausani, voce Hurfiyya, E.I. vol. 3; e
Browne, Some Notes on the Literature and Doctrines of the Hurf Sect, J.R.A.S., 1898. Per i testi degli Hurfiti, cfr. inoltre Textes

242
di eterodossia religiosa e questione femminile, un fenomeno gi segnalato nello Gnosticismo e nel Catarismo e
che ritroveremo nelleresia del Libero Spirito. Vi furono donne che parteciparono al movimento bbista; di esse,
una ebbe un ruolo di primo piano, la rivoluzionaria e poetessa Qurratu l Ayn, giustiziata nel 1852. 363
Nonostante il quietismo personale del Bb, la predicazione suscit fermenti in tutti gli strati sociali,
con veri moti insurrezionali nel Mzandern e a Zanjn tra il 1848 e il 1850, terminati con atroci repressioni. 364
Il Bb stesso, per lungo tempo detenuto, fu giustiziato a Tabrz nel Luglio del 1850; lesecuzione si dovette
ripetere perche il Bb usc illeso dalla prima fucilazione. 365
Un fallito attentato allo Shh nel 1852, scaten nuove persecuzioni; i superstiti conobbero lesilio
(Baghdad, Istanbul, Adrianopoli, Cipro, Acri) e le divisioni. Alla fine prevalse il gruppo che faceva capo ad
Husayn Al, autoproclamatosi nel 1866 BahAllh, cio la manifestazione di Dio che era stata vaticinata dal
Bb. 366
Da questa proclamazione discende lattuale religione Bah, presente anche in occidente (soprattutto
negli Stati Uniti), e che ha un proprio centro nel mausoleo del Bb ad Haifa. Frutto della predicazione condotta
da Abbs Efend, figlio di Husayn Al, presso molti gruppi religiosi e logge massoniche negli Stati Uniti e in
Europa, essa costituisce un atteggiamento teosofico di tipica impronta ottocentesca, quietista, e non interessa
questa nostra ricerca. 367 Quanto al Bbismo, segnaliamo che i suoi tratti potrebbero ancora ravvisarsi nella
rivoluzione Khomeinista; 368 a quel ch dato di capire, principalmente nei termini di quella contraddizione gi
segnalata, intrinseca allIsmailismo e in generale alla Sha estremista, quella cio di una liberazione
autoritarista. 369
Abbiamo con ci prolungato la nostra indagine oltre i limiti temporali indispensabili, quelli cio
necessari agli sviluppi di alcuni aspetti del pensiero islamico sino allIsmailismo e alla nascita della moderna
alchimia, e lo abbiamo fatto per completare in qualche modo unesposizione che sarebbe stata altrimenti mutila,

Houroufs, etc., edits par C. Huart, suivis dune tude par le Dr. R. Tevfq, E.J.W. Gibb Memorial, Leiden-London, E.J. Brill-Luzac, 1909.
La dottrina hurfita considera Maometto come sigillo della profezia ma, analogamente al Bbismo e allIsmailismo, ritiene che alla profezia
debba seguire un pi alto stadio di sviluppo umano, quello della manifestazione del divino nelluomo. Le dottrine hurfite penetrarono anche
nellordine dei Bektshi (cfr. Bausani in E.I., cit.) cui fa riferimento la Scarcia Amoretti per quanto concerne il permanere di un clima
dattesa messianica nel Sufismo (cfr. supra, n. 327). Questa setta, diffusa in Albania estremamente interessante sia per il suo sincretismo
islamico-cristiano, sia per il ricordo della comunione gnostica con il pane e il formaggio degli Artotyriti; sia, soprattutto, per la sua
partecipazione alla modernizzazione rivoluzionaria dellIslam turco in questo secolo. Nei Bektshi la donna non portava il velo, cos come
decise poi la Bbista Qurratu l Ayn: cfr. R. Tschudi, voce Bektshiyya, E.I., vol. 1. Sul sincretismo islamo-cristiano della Macedonia, cfr. le
notizie fornite da Lady Montagu (cit., p. 17) relative alla setta degli Arnauti, tra i quali si reclutavano i Giannizzeri. Per quanto concerne
infine la setta sopra citata degli Artotyriti ricordiamo che essa segnalata asciuttamente da Filastrio (Filastri Episcopi Brixiensis, Diversarum
haereseon liber, cura et studio F. Heylen, C.Ch.S.L. IX, Tournhout, Brepols, 1957) come 74 eresia. Epifanio (Pan. 48, 14, 1 - 49) la mette in
relazione con i Montanisti, relazione non del tutto certa (cfr. P. de Labriolle, voce Artotyrit, R.A.Ch., vol. 1). Luso della comunione col
formaggio viene collegato alla visione di cui alla Passio Sanctarum Perpetu et Felicit, 4, 8-10; il Van Beek, che ne ha curato ledizione del
1938 in Florilegium Patristicum 43, ritiene non certo che le due martiri, immolate a Cartagine tra la fine del II e linizio del III secolo,
fossero Montaniste. Le ultime segnalazioni di Artotyriti risalgono al VII secolo. Una serie di considerazioni di grande interesse sulle
analogie tra Bbisti, Hurfiti e Bektshi stata avanzata dal Roemer, pp. 178-185, sulla scorta dei testi di Browne e, soprattutto,
dellimportante studio di G. Jacob, Die Bektshijje in ihrem Verhltnis zu verwandten Erscheinungen, A.K.B.A.W., 24. Bd., 3. Abt., 1909.
Ci che hanno in comune queste tre sette il concetto di una religione progressiva per la successione dei profeti; il manifestarsi della santit
nei 12 Imm; lattualit della teofania nelluomo che fa di esso il luogo del divino, la tendenza al martirio, latteggiamento ascetico
accompagnato dal rifiuto degli atti esteriori del culto; dunque un ascetismo antinomista. Lantinomismo si manifesta in particolare anche nel
rifiuto del ruolo consuetudinario della donna e nella dottrina egualitarista, che comportano una posizione favorevole ai programmi di riforma
sociale. Accanto a questi aspetti, sono conservate altre tradizionali posizioni della sha estremista, come il carattere esoterico (gnostico) della
conoscenza, e la conoscenza come salvezza (il paradiso qui, ed la conoscenza; linverso per linferno, che una vita senza Gnosi). Torna
inoltre il concetto della trasmigrazione delle anime. Laspetto pi significativo che si pu cogliere nelle tre sette, tuttavia la radicata
convinzione che nelluomo perfetto, nel microcosmo, si manifesti il Lgos (Roemer, p. 181).
363
Su questa figura straordinaria per audacia rivoluzionaria nel rivendicare la parit e la dignit per la donna islamica, notevole poetessa e, a
quanto si tramanda, bella e affascinante (il suo soprannome significa refrigerio degli occhi; il Bb la nomin Thirah, cio la pura) cfr.
Kazem Beg, p. 72 sgg; Nicolas, pp. 273-287; Gobineau, pp. 167-170 e pp. 180-184; Browne, The Bbs, pp. 522-523, p. 525, p. 887, p. 889,
pp. 934-937 e pp. 991-992; id., Literary History of Persia, vol. IV, cit., p.197; id., commento e note a A Travellers Narrative, vol. II, pp. 309-
316 e inoltre pp. 203-204, pp. 207-208 e passim; Bausani, Un Gazal, etc., cit. Originaria di Qazvn , altro suo nome era anche Zern Tdj
(corona doro) ed ebbe vari soprannomi, ma conosciuta con i due sopra citati. Il Bausani (voce Bbs in E.I. cit.) cita in Bibliografia
unopera a lei dedicata da Martha Root, Thir, the Pure, Irans Greatest Woman, Karachi 1938, con il testo (persiano) di numerose sue
poesie. Della sua morte si sa che fu un martirio eroicamente sopportato. Una versione pi dettagliata (e molto partecipe) di questa morte in
Nicolas, cit., pp. 446-452. Nicolas d anche (p. 283) una descrizione molto vivace dellepisodio nel quale leroina rifiuta il velo islamico.
364
Le atrocit si trovano narrate in Personal Reminiscences, etc., cit.
365
Sulla vicenda esistono due versioni; una quella universalmente riportata (il Bb fugg nelledificio del corpo di guardia, mentre avrebbe
potuto rifugiarsi tra la folla sbalordita ed eccitata dal miracolo; l fu colpito da un ufficiale e poi ricondotto al plotone desecuzione); laltra,
pubblicata dal Bausani, Il martirio del Bb, cit. Questa seconda narrazione , ritenuta dal Bausani pi attendibile, elimina lepisodio
drammatico nelledificio del corpo di guardia. Si ha tuttavia limpressione di trovarsi dinnanzi ad un racconto agiografico.
366
Per una cronologia riassuntiva, cfr. Browne, The Bbs, cit., pp. 521-526. Lultimo martire della setta, perseguitata dal potere in Persia,
risale al 1888 (ivi, pp. 998-999).
367
Cfr. Bausani, voce Bahs, cit., al quale rinviamo per la lunga trattazione dei vari aspetti e la Bibliografia. Molto pi ampia e assai
completa la trattazione ad opera di AA.VV. in E.Ir., vol. 3 (voce Bah, che occupa ben 36 pagine) cui si debbono aggiungere, ivi, le voci
Bah Allh (J.R.I. Cole) e Azali Babism (D.M. Mac Eoin) nonch la voce Abd al Bah (A. Bausani - D.M. Mac Eoin) nel vol. 1. Si deve
segnalare, in queste voci, un accento fortemente favorevole allindirizzo dato alla setta dal Bah Allh e dal figlio Abd al Bah. Sulla
manipolazione delle rivoluzione bbista ad opera dei Bah, cfr. per Browne nellintroduzione al Kitb-i Nuqtatu l Kf, Gibb Memorial
XV, Leiden-London, E.J. Brill-Luzac, 1910, alle pp. XXXVI-XXXVII: esaltazione degli aspetti morali a scapito della metafisica e quietismo
in luogo di rivolta antigovernativa. Si ricordi quindi quanto segnalato supra in n. 357 nel consultare la trattazione delle voci Bb e Babism ad
opera del Mac Eoin nello stesso vol. 3 della E.Ir.
368
Cfr. G. Scarcia, cit.
369
Cfr. Scarcia Amoretti, Die historische, etc., cit., p. 156.

243
fu lala radicale. 15 Questo infatti il momento nel quale marciano nella stessa direzione tutte quelle forze cui
accennavamo sopra, destinate poi a differenti percorsi segnati gi dalle lontane radici. 16
I diversi interessi dei nobili, dei borghesi e del clero hussita; e le due diverse tendenze, quella
moderata, che non desiderava uno scisma aperto, e quella radicale, riuscirono in qualche modo a convivere
sinch la situazione non divenne tale da condurre allo scontro aperto con il Papato, nel 1418. 17 Quando ci
avvenne gli eventi precipitarono: il 30 Giugno 1419 una folla composta dai ceti popolari di Praga, mossa dalla
predicazione del clero minuto sotto la guida di Jan Zelivsk, oper la famosa defenestrazione dei maggiorenti,
dal Municipio dove essi tenevano prigionieri alcuni Hussiti. Pochi giorni prima, un piccolo aristocratico in
miseria, Mikul, aveva riunito 40.000 pellegrini dalla Boemia e dalla Moravia per dare il via alla fondazione
della mitica nuova citt di Tabor, su una collina della Boemia meridionale. 18 Con questevento giunse alla sua
aperta formulazione una prima radicale frattura che corre allinterno della rivoluzione hussita; da questo
momento gli eventi che cinteressano muovono dalla corrente taborita. La fondazione di Tabor avviene infatti in
un momento in cui i leaders hussiti di Praga, borghesi e aristocratici, fanno di tutto per frenare un movimento
rivoluzionario che sta sfuggendo loro di mano, e che assume un volto millenarista negli artigiani e nei contadini
che accorrono sulla collina. 19
Laspetto innovativo di questa fondazione -un fatto di per s senza precedenti, se si eccettua il
nebuloso e subito sradicato tentativo di Dolcino- non fu semplicemente nel chiliasmo che lanimava, 20 ma nel
fatto che, per la prima volta, il programma non era una generica lotta contro il Male, ma una concreta lotta
armata contro i malvagi, 21 accompagnata dallabolizione delle tasse e dalla messa in comune dei beni; una misura
poi destinata a cadere con levoluzione della comunit. 22 Per la prima volta, la comunit dei Giusti si erige a
strumento di giustizia.
Nella primavera del 1420 giunse a Tabor Jan ika, il generale cui legata la fama delle armate
taborite, che iniziarono la loro lotta contro la nobilt boema, 23 dunque unazione che non aveva rapporto con la
natura del movimento hussita di Praga. Qui per la lotta degli artigiani contro lestablishment hussita moderato,
iniziata nel 1419, aveva fatto precipitare la situazione; contro la citt fu bandita una Crociata nel 1420, e in
occasione di questi eventi si assist ad una redistribuzione degli Hussiti di Praga in funzione dei propri
contingenti interessi. I vincitori, in questa prima fase, furono gli uomini di ika giunti da ogni parte del paese,
che sconfissero i Crociati guidati dal re Sigismondo. La loro ideologia millenarista fu tuttavia respinta dai
maggiorenti di Praga, la citt che essi avevano salvato. 24
Gli eventi che seguirono sino alla morte di ika nel 1424 non interessano, se non come cornice, la
natura e gli scopi della nostra ricerca, 25 se non per lepisodio fondamentale del 1421: lespulsione dellala
radicale dei Taboriti, i cosiddetti Piccardi; ci che ne segu, e le dottrine di questi estremisti.
C infatti da domandarsi, con il Werner, 26 se i Taboriti fossero davvero degli Hussiti; se tali cio
avrebbe mai potuto considerarli Hus, qualora fosse vissuto. I Taboriti costituirono un insieme di comunit
(Comunitates, Bruderschaften) animate da aspirazioni egualitarie. 27 Era una societ nella quale la leadership

15
ivi, p. 161 sgg.
16
Non sempre queste radici sono accertate: mentre stato ampiamente ricostruito il percorso della rivolta cittadina, borghese e aristocratica,
non molto chiari sono gli antecedenti che conducono allHussitismo chiliasta. Il Werner, Der Kirchenbegriff bei Jan Hus, Jakoubek von
Mies, Jan Zelivsk und den linken Taboriten, S.D.A.W.B. 1967, ritiene che lala estrema piccarda e adamita fosse riconducibile alla pi
antica eresia del Libero Spirito (cfr. pp. 48-53: condivisibile la distinzione che egli pone allorch afferma, a p. 55, che lala hussita borghese
anticipa, in un certo qual modo, le rivoluzioni del XVII-XVIII secolo). Kalivoda-Kolesnik, Das hussitische Denken im Licht seiner
Quellen, Berlin, Akademie, 1969, p. 62, sostengono che lala taborita radicale si ricollega alle eresie pre-hussite che definiscono (p. 65)
popolari, un termine che sincontra sovente negli studiosi di eresie medievali, ma che va preso con cautela allorch, da un generico
anticlericalismo e/o millenarismo, si passa a vere e proprie eresie o ad attese apocalittiche dottrinalmente fondate. Questo il caso del
Libero Spirito e del Gioachimismo, sulla cui preesistenza allHussitismo in Boemia si hanno notizie attendibili, ancorch non quantificabili
sul piano delleffettiva consistenza della loro presenza.
17
Kaminsky, cit., pp. 264-266.
18
Macek, cit., pp. 32-35.
19
Kaminsky, cit., pp. 326-329; Schwarz, cit., p. 210; Macek, p. 37: tutti sottolineano il conflitto dinteressi. Lala taborita ha la composizione
classica dei moti ai quali si assiste abitualmente a partire dal Medioevo: piccola borghesia artigiana, clero minuto, piccola aristocrazia
indigente, oltre, naturalmente, ai contadini e al proletariato cittadino.
20
Macek, cit., p. 37.
21
Werner, cit., p. 50.
22
Una rapida sintesi in J. Macek, Villes et campagnes dans le Hussitisme, Hrsies et socits, cit.
23
Macek, The Hussite Movement, cit., pp. 39-41.
24
ivi, pp. 42-50.
25
Brevemente, da Macek, cit., pp. 51-63. La morte di Mikul alla vigilia di Natale del 1420, lascia lelemento radicale privo di guida, e
consente a ika di proclamarsi comandante in capo; allinterno della citt di Tabor i radicali sono sconfitti e lasciano la citt in cerca di
nuovi orizzonti sotto la guida di Martin Hska; ika reprime la rivolta nel suo esercito, poi sconfigge lelemento radicale di Tabor, poi i
seguaci di Hska; lo stesso Hska viene giustiziato; si forma unalleanza di citt attorno alla Praga popolare guidata da Zelivsk ed una
attorno alla Tabor di ika; un momento di grande unit (1421) che porta a nuove sconfitte di Sigismondo; poi Zelivsk assassinato dai
borghesi di Praga (1422), ika fonda una nuova fratellanza lontano da Tabor, ritenuta troppo radicale, ma muore nel 1424, e la sua armata
resta in rapporto di alleanza con la vecchia Tabor. In sintesi si assiste alla scissione tra elementi borghesi e aristocratici che hanno lucrato
dalla rivoluzione e vogliono ristabilire lordine, e la base popolare animata dal miraggio di una nuova societ.
26
Cit., p. 48.
27
Seibt, Hussitica, cit., pp. 161-163.

306
iniziale appartenne alla piccola nobilt e al clero minuto, al cui interno maturarono, sotto il carisma dei profeti
(dellimminente Millennio) una pluralit di correnti, che come dire una pluralit di eresie. 28 Una delle
aspirazioni fondamentali, di fatto subito disattesa, era stata labolizione di ogni forma di tasse; la sua Chiesa
tuttavia si mantenne povera, vivendo di elemosine. 29 Figura di assoluto spicco era quella del futuro martire
Martin Hska, il cui estremismo religioso si risolver in pacifismo e assenza di ambizioni mondane, tanto che fu
lui ad ordinare vescovo della comunit, nel 1420, Nicola di Pelhimov, 30 destinato a restare lunico vescovo
taborita.
In effetti, la diversit delle correnti presenti a Tabor invita a guardare anche allestremismo con ottica
non unilaterale: come sempre il radicalismo non porta necessariamente ad una particolare soluzione, perch esso
pu dar luogo tanto ad esiti violenti nei confronti dellordine sociale, quanto al pi totale desinteresse per le sue
vicende. Certamente era presente, nellideologia di Tabor, una corrente che ostentava il totale rifiuto dellautorit
dello Stato, di qualunque Stato, dello Stato in s in quanto istituzione non cristiana.31 Nei confronti del
movimento taborita considerato nel suo complesso, il gruppo che faceva capo a Chelcick costituiva quindi una
setta interna; ed in effetti le fratture si stavano facendo evidenti. 32
Nel Settembre del 1420 le correnti dei millenaristi che, come Martin Hska, attendevano una terza et
gioachimita nella quale gli uomini sarebbero cambiati e la Legge sarebbe venuta meno, avevano raggiunto una
larga diffusione tra i Taboriti; in questo momento sinizia a parlare di Piccardi e si apre una polemica
antipiccarda. Questa improvvisa comparsa del fenomeno, il cui retroterra resta, come abbiamo ricordato sin
dallinizio, poco chiaro, ha indotto il Kaminsky a formulare unipotesi senza dubbio interessante: il movimento
dei Piccardi, pur avendo radici nel Libero Spirito, non sarebbe una sua continuazione, ma una nuova emergenza
regressiva di opposizione religiosa e secolare, conseguenza dei cambiamenti avvenuti in Tabor, che si
andava trasformando inesorabilmente in una societ stabile. 33
Tra il Dicembre del 1420 e il Gennaio del 1421, fu cos consumata lemarginazione e la persecuzione
dellala chiliasta. Praga era in mano alla borghesia, incline alla trattativa con i cattolici, e Tabor, divenuta
sostenitrice dellordine, non tollerava la presenza di non-conformisti; bench su posizioni opposte, Praga e Tabor
desideravano in comune la fine della corrente radicale. 34
Gli errori che simputarono ai Piccardi, 35 partivano dalla loro convinzione dellimminente fine del
mondo e del loro diritto ad ergersi a giustizieri dei malvagi -erano tra laltro convinti che Praga/Babilonia
sarebbe stata distrutta e che soltanto le loro comunit di Giusti sarebbero sopravvissute- alla negazione della
presenza reale di Cristo nellEucarestia. Per quanto concerne i sopravvissuti al Giudizio -che avrebbe visto la
resurrezione dei Santi, Hus incluso- essi avrebbero avuto figli senza necessit di rapporto sessuale; le donne
avrebbero partorito senza dolore e i nuovi nati sarebbero stati mondi dal peccato originale: non vi sarebbe stata
pi gerarchia sociale. Tra le riforme che essi propugnavano vi era labolizione del latino nella Messa, e dei
digiuni; unico oggetto di fede sarebbe stata la Sacra Scrittura senza intermediazione alcuna. I preti avrebbero
potuto scegliere i vescovi, questi consacrare i laici; le messe si sarebbero celebrate in luoghi qualunque, ma non
avrebbero potuto celebrarle i preti in stato di peccato mortale.
Si assiste qui, secondo il Kaminsky, 36 ad un preciso tentativo di ereticare (singolare operazione,
condotta da eretici Hussiti!) il movimento taborita; loperazione rimase nellaria perch, di fatto, Praga e i
moderati di Tabor avevano ottime ragioni per collaborare nel compromesso, ed entrambe, bench antagoniste, a
liberarsi dai radicali di Hska. 37 Cos, nel breve giro di un mese, Hska si trov a divenire un sovversivo e ad
essere imprigionato; 38 riusc tuttavia a farsi rilasciare, ma non cess di operare come Piccardo. 39

28
Kaminsky, cit., pp. 384-385.
29
ivi, pp. 386-389.
30
ivi, p. 400 e p. 385.
31
ivi, pp. 391-395. Il teorico del rifiuto dello Stato era Peter Chelcick, piccolo gentiluomo, sostenitore dellesigenza di una riforma
spirituale e pacifista, strettamente ancorato al messaggio neotestamentario; ma le violenze chiliaste non mancavano.
32
ivi, pp. 395-399; Kaminsky tuttavia, in polemica con Macek e Kalivoda, ritiene che, pur ricalcando tale frattura le distinzioni di censo, non
vi siano prove che in essa, nella divisione cio tra moderati e radicali, vi sia una cosciente opposizione di classe.
33
ivi, pp. 399-405.
34
ivi, pp. 407-421.
35
Kalivoda-Kolesnik, pp. 396-410. Kaminsky, p. 407, sottolinea che dovesse trattarsi della dottrina di Hska, non esistendo ancora a quel
momento con certezza una setta dei Piccardi.
36
cit., pp. 415-416.
37
ivi, pp. 417-418; Kalivoda-Kolesnik, p. 75. Seibt, Hussitica, cit., p. 180, sottolinea che, di fatto, lutopia sociale dei chiliasti non riusc ad
esser centrale, e rimase soltanto unalternativa.
38
Il 29 Gennaio 1421: cfr. Kaminsky, cit., p. 420.
39
ivi, p. 425. Hska sembra andasse anche oltre nella formulazione della dottrina, sostenendo che la Comunione potesse essere somministrata
anche dai laici. Complessivamente sembra di notare nei Piccardi quattro diverse componenti dottrinali: un evidente ritorno allo stato
primitivo della Chiesa, con labolizione della separazione tra laici e sacerdoti; una componente razionalista ingenua molto forte (cfr.
Schwarz, cit., p. 215) dalla quale dipende la negazione della presenza reale del corpo di Cristo nel pane e nel vino; unattesa gioachimita che
assume sfumature diverse, dal giustizialismo armato al sogno di una societ senza lotte e senza storia, alimentato da vecchi miti
(procreazione asessuata, etc.); elementi del Libero Spirito, tra i quali la possibilit di eguagliarsi a Cristo (Kaminsky, pp. 422-423) o la
nascita senza peccato originale dei figli dei Giusti. Le differenze tra i citati 76 articoli di Jan Pbram (Dllinger, cit., p. 691 sgg.) e i 72
articoli riportati in Kalivoda-Kolesnik, p 303 sgg., indicano, secondo Kaminsky (cit., p. 421 in nota) quale sia la dottrina pi propriamente
specifica di Hska.

307
Nel frattempo per la vicenda si era ancor pi radicalizzata in rapidissima sequenza, ci che lascia
ritenere si fosse deciso di giungere alla resa dei conti.
I Piccardi, venuti allo scoperto e accusati di costumi immorali nel corso delle loro riunioni segrete,
furono espulsi da Tabor nel numero di alcune centinaia; stabilitisi non lontano, continuarono ad avere contatti
con i loro simpatizzanti. Tuttavia, da questo momento, essi sono formalmente estranei alla rivoluzione hussita,
dalla quale essi avevano atteso altro e la cui evoluzione in direzione di un nuovo establishment fatto di nobilt e
borghesia nazionaliste, non era certamente da loro condivisa; cos come chi intendeva stabilire un nuovo potere,
vedeva necessariamente in loro nullaltro che pericolosi anarchici.
Il momento della decisione era giunto: nellAprile del 1421 ika li stermin, mandandone al rogo le
molte decine da lui catturati vivi. I fuggiaschi vagarono per le foreste, dove molti altri furono giustiziati;
fuggirono ancora, stabilendosi su unisola del fiume Nezarka, dove furono trucidati, tutti tranne uno, nello stesso
Ottobre. Poco prima era stato nuovamente catturato Hska, torturato e giustiziato nellAgosto; nonostante si
fosse dissociato dal gruppo, era tuttavia ritenuto il loro capo. 40
Questi Piccardi sono passati alla storia con il nome di Adamiti, a causa dei costumi loro imputati;
secondo le accuse, che facevano di loro dei folli, essi avrebbero vagato nudi nelle foreste per testimoniare il
proprio ritorno allinnocenza iniziale: unaccusa poco credibile, per il periodo al quale si riferisce (Gennaio-
Marzo 1421) nel pieno inverno dellEuropa continentale. 41
Poco credibili, perch farcite di luoghi comuni, sono in generale le accuse che furono lanciate contro
di loro; tuttavia bene elencarle, perch vi si mostra una stretta parentela con quanto sempre stato rimproverato
ai seguaci del Libero Spirito.
Secondo i cosiddetti Articoli Adamitici, 42 il gruppo che viveva sullisola fluviale non aveva libri
(scil. dottrinari) perch sosteneva che la legge di Dio scritta nei cuori. Del resto, essi consideravano la dottrina
ufficiale un errore; non distinguevano i giorni festivi dagli altri; ritenevano che Dio e Satana non fossero nel
cielo e nellinferno, ma nel cuore di buoni e dei malvagi. Assumevano nomi evangelici o biblici, e dicevano
Cristo loro fratello, non perfetto, perch mor: mentre lo Spirito Santo, dal quale deve venire il Figlio di Dio, non
muore. Viene poi la parte relativa ai costumi sessuali, descritti cos antinomici da lasciare qualche perplessit.43
Ritenevano poi che fosse giunta la fine del mondo, e si ritenevano angeli inviati per la vendetta divina; di giorno
lussuriosi, la notte uccidevano. Naturalmente, consideravano demoni i preti.
Anche se sono evidenti alcuni tratti da considerare caratteristici della setta nella sua specificit, la
radicale spiritualizzazione e interiorizzazione della lettera del dettato, mostra il legame genetico degli Adamiti
con leresia tardomedievale del Libero Spirito. 44 Sembra che lo stesso Hska, al quale gli Adamiti si ritenevano
legati, paragonasse se stesso allo Spirito Santo. 45 La notizia, riferita dal suo nemico Jan Pbram, va tuttavia
attentamente meditata in rapporto al suo concreto significato dottrinale: abbiamo visto infatti che il paragone tra i
Perfetti e lo Spirito Santo in vario modo fondato in molte eresie.
Kalivoda-Kolesnik parlano non a torto di campagna demagogica contro i Piccardi e gli Adamiti, 46
nei quali ultimi scorgono il pi coerente sviluppo del razionalismo taborita/piccardo; 47 in tal senso essi tendono a
separare gli Adamiti dai seguaci del Libero Spirito, perch nei primi presente uno spirito rivoluzionario che li
distingue dai secondi: essi si propongono infatti di costruire una nuova societ con la violenza. 48 Il chiliasmo
fatalista, cederebbe dunque il posto alla trasformazione della societ.49
In realt, i dati modesti e contraddittori dei quali disponiamo, consentono di accettare queste
affermazioni soltanto come ipotesi, suffragata dallaccusa, mossa loro, di autodefinirsi angeli vendicatori.
Contrasta viceversa, a nostro avviso, con tanto presunto impegno sociale, laltra accusa, secondo la quale essi
vagavano nudi occupandosi essenzialmente di giochi erotici. Di fatto, su questi Adamiti non si pu dir molto;
anche le razzie da loro condotte nelle campagne possono essere attribuite, come quelle dei dolciniani,
allesigenza di sopravvivere in ambiente ostile.
Le cose andrebbero capite, qui come in altri casi, nella concretezza degli eventi, quando ci fosse
possibile; sfortunatamente la carenza di notizie conduce sovente a dedurre ipotetiche realt da dottrine che, sin
dal tempo degli Gnostici, abbiamo viste essere di per s ambivalenti: fuga dal mondo e lotta contro il mondo
sono alternative legate, a nostro avviso, pi a circostanze puntuali che non a formule dottrinarie.
Di certo, alla comprensione degli eventi non hanno giovato molto le ideologie degli storici: abbiamo
infatti potuto constatare, nel caso specifico, unoscillazione tra le storie dei marxisti che cercano, in positivo o in

40
Kaminsky, cit., p. 430.
41
Schwarz, cit., p. 220.
42
Kalivoda-Kolesnik, cit., pp. 327-329.
43
Per una societ secolarizzata i costumi sessuali degli eretici appaiono sovente meno antinomici di quel che si pretende dal cronista o
dalleresiologo del passato; per costoro viceversa, il comportamento sessuale costituiva uno dei fondamentali capi daccusa, di qui la
tendenza a calcare la mano, in modo tuttavia stereotipo, tale da lasciar perplesso. difficile avvertire nelle accuse le prove di una concreta
testimonianza; di certo assolutamente inverosimile che gli Adamiti vagassero nudi nei boschi dinverno.
44
Werner, cit., p. 53.
45
ivi, p. 51.
46
Cit., p. 75.
47
ivi, p. 78.
48
ivi.
49
ivi, p. 79.

308
negativo, il percorso che conduce alle lotte di classe del XX secolo; e le storie Occidentali che cercano a loro
volta il percorso che conduce, con gli scismi vittoriosi (Hussiti, Luterani, Calvinisti e quantaltro) allo Stato
borghese, laico e liberale, del XIX secolo. Questi ultimi previlegiano naturalmente i moderati Hussiti vittoriosi, e
il loro realismo; i primi, viceversa, gli aspetti popolari della rivolta; entrambi, quelli razionalisti.
Piccardi e Adamiti restano cos nellombra: utopisti, anarchici, estranei al gioco politico delle forze in
campo perch portatori di pretese individuali; sicuramente estranei ad ogni ipotesi nazionalista, in quanto
portatori di richieste che nulla avevano a che vedere con i valori del nazionalismo, al contrario, si richiamano a
valori del tutto universali; scomodi per tutti perch alternativi alla morale corrente; appaiono per un attimo alla
storia, come gli Gnostici, soltanto al momento in cui si decide di eliminarli. Prima del 1420, come abbiamo
notato, di loro non si sa nulla.
Essi rappresentano dunque un fugace momento dellutopia, venuto alla luce, come facilmente accade,
allorch un ordine si esaurisce per dar luce a un nuovo ordine; non appena la frattura si ricompone essi tornano
nel buio, n aiuta a conoscerli una ricerca storica sinora interessata ad altro, per la quale essi costituiscono un
breve incidente di percorso.
Unica testimonianza indiretta, e di parte avversa, della loro dottrina, restano i gi citati 76 articoli. Dal
loro disorganico e ripetitivo assemblaggio si pu ricavare, facendo ordine, quanto segue. Essi erano antitrinitari e
negavano la divinit di Cristo; 50 negavano la presenza reale di Cristo nellEucarestia, alla quale attribuivano un
valore puramente simbolico; 51 sostenevano una serie di posizioni il cui significato globale era costituito da un
ritorno alla Chiesa primitiva, con la negazione non soltanto delle gerarchie sacerdotali, ma anche degli sviluppi
dottrinali, rituali e sacramentali intervenuti successivamente nei secoli; 52 nei confronti dei sacerdoti indegni
assumevano una posizione di tipo donatista. 53 Essi inoltre davano uninterpretazione radicalmente spiritualista
della religione, 54 inscindibile, concettualmente, dalla loro attesa millenarista di unepoca dello
Spirito, 55 caratterizzata sia dalla vendetta sui malvagi, 56 sia da sogni utopici ed egualitaristi, con riflessi anarchici
e rifiuto dei tributi. 57 Essi rigettavano infine qualunque scritto che non fossero gli scritti testamentari;
diffidavano della cultura laica, 58 ed erano portatori di tab alimentari nei confronti della carne e del sangue. 59
In conclusione, nulla di scandaloso, molto di utopico, e, soprattutto, estraneit totale agli interessi di
un moto -quello hussita dopo il 1421- che si va definitivamente configurando come lotta di potere per il ricambio
della classe dirigente. In questa sua veste il movimento hussita conobbe grandi successi militari in Europa, grazie
alle milizie taborite, sino al 1434, sotto la guida di Procopio il Grande che era succeduto a ika. Con il 1437
torna il re Sigismondo e Tabor, sconfitta, vivr di una vita modesta sino alla sua cancellazione nel 1452. 60 Come
citt indipendente dal movimento nazionalista e animata soltanto dallo spirito religioso, anelante ad una
comunit cristiana guidata dal vescovo Nicola di Pelhimov, essa era ormai un patetico relitto. 61 Non scomparir
tuttavia dalla memoria leco di un movimento rivoluzionario che aveva scosso lEuropa, penetrando con le
proprie armate ben dentro la Germania, e, con la propria ideologia, un po dovunque; soprattutto, ci che restava
era il sogno duna nuova societ destinato a dar luogo a nuovi esiti altrove, sino al quarto decennio del XVI
secolo.
Siamo qui in presenza di una continuit sui generis, che non sempre da intendersi come
continuazione e propagazione di un movimento, quanto piuttosto come persistere di unutopia pronta a farsi
movimento non appena potesse esser convogliata entro strutture ideologiche. Ci non toglie che esistano anche
forme di continuit dottrinale vere e proprie, in grado di sopravvivere perch ristrette allinterno di piccole
comunit chiuse ormai su se stesse, senza pi forza di propagazione rivoluzionaria. Cos, ad esempio, ideali della
rivoluzione hussita -non quelli dei nazionalisti vittoriosi- sopravvissero nella comunit pacifista dei Fratelli
Moravi (o Boemi) che ebbe in Icick il proprio ispiratore e in Luca di Praga il proprio teologo. 62 I Fratelli, che
perseguivano obbiettivi sociali comunitari e sceglievano i propri sacerdoti a nulla affidandosi fuori delle Sacre
Scritture, furono malvisti sempre dai riformatori vincenti -Hussiti e Luterani- perch ritenuti dei Piccardi.63

50
Dllinger, loc. cit., artt. 1-2. Viene spontaneo ricordare che, nel generale chiliasmo del momento e della situazione, gli Ebrei boemi videro
nel movimento hussita il prodromo di una conversione dei Cristiani al Giudaismo, indizio dellimminente fine del mondo: cfr. R. Gladstein,
Bohemian Jewery during the Hussite Period, Prophecy and Millenarianism, cit.
51
Dllinger, artt. 3-8; artt. 14-16.
52
ivi, artt. 9-10; 17; 20; 63-75.
53
ivi, artt. 11-13.
54
ivi, artt. 18-19; 22-24; art. 51.
55
ivi, artt. 25-26; 42-45; 48-50.
56
ivi, artt. 27-41. Anche questo potrebbe essere interpretato come tratto veterotestamentario giudaizzante.
57
ivi, artt. 46-47; 52-57.
58
ivi, artt. 58-62.
59
ivi, art. 76.
60
Per una rapida sintesi, cfr. Macek, cit., p. 66 sgg.
61
Per le sue vicende, cfr. Kaminsky, cit., pp. 434-494. Molnr, Lvolution, etc., cit. caratterizza le fasi della teologia taborita in tre momenti:
quello iniziale, del 1419-1421, animato da attese escatologiche delle quali erano portatori i Piccardi, poi espulsi e sterminati; quello dei
grandi successi militari tra il 1421 e il 1436, durante il quale i Taboriti vennero a trovarsi dapprima sullala destra, poi su quella sinistra
degli eventi rivoluzionari; infine quello del declino, tra il 1436 e il 1452, nel corso del quale la lotta per la conservazione degli ideali iniziali
divenne lotta di retroguardia, sino alla capitolazione militare dinnanzi al nuovo ordine consolidato.
62
Cfr. J. Macek, Die bhmische und die deutsche radikale Reformation bis 1525, Z.KG. 85, 1974, pp. 14[158]-25[169].
63
ivi, p. 20[164]; G.H. Williams, The Radical Reformation, Philadelphia, The Westminster Press, 1962, p. 213.

309
ambizioni economiche nello scisma. Come ha notato E. Wolgast, 254 le rivoluzioni religiose del XVI secolo non
toccarono le strutture del potere ad eccezione di quella di Mnster, dove la rivoluzione sociale fu conseguenza
necessaria della visione religiosa: un fatto che spiega da s la ferocia della lotta che ne deriv.
Non entreremo qui nella narrazione dettagliata degli eventi, per i quali rinviamo alla Bibliografia;
tenteremo tuttavia di mettere in evidenza la logica, che non quella di uno scoppio di follia, ma quella di uno
scontro di culture irrisolto, che non sa trovare altra via che non sia lannientamento della diversit.
In questa vicenda gli interessi della conservazione aprono il secolo di ferro, costringendo i
rinnovatori ad un impossibile scontro frontale, e poi al ritiro dal mondo. Soltanto questa palese rinuncia ad
intervenire nella societ, che pure avrebbe dovuto costituire il luogo di verifica della loro visione religiosa, -la
loro logica era quella di una teocrazia- consent loro di proseguire una propria storia che giunge sino ai nostri
giorni, ma che, da quel momento, esce necessariamente dal nostro racconto.
I prodromi dei fatti di Mnster risalgono agli anni della guerra contadina, e sono da rintracciarsi
nellavversit delle ghilde e della borghesia nei confronti del clero, che costituiva un elemento di concorrenza
previlegiato sui mercati. La lotta avvenne senza esclusione di colpi, e un facoltoso commerciante di tessuti,
Bernhard Knipperdollinck, futuro protagonista della rivolta, dovette sborsare una cifra esorbitante per uscire
dalle carceri del principe-vescovo. 255
Il protagonista sul piano dottrinale fu Bernhard Rothmann, il predicatore che nel 1529 era stato
sovvenzionato dalla ghilde per studiare a Wittemberg, e che nel 1531 era tornato pieno di zelo riformatore. A
Mnster gi nel Venerd Santo del 1531, poco prima del suo ritorno, una folla di suoi seguaci aveva spogliato la
chiesa di S. Maurizio dei suoi ornamenti, in ostilit alle forme del culto cattolico.256
Laltro protagonista fu quel Bernhard Knipperdollinck che gi nel 1527 era stato posto in carcere dal
vescovo, in un periodo di grandi agitazioni; il popolo e le ghilde erano con lui, perci era stato liberato dopo
riscatto. 257 Lo stato dagitazione delle ghilde contro il vescovo era iniziato, a Mnster, nel 1525, in concomitanza
con il Bauernkrieg; allora anche il convento di Niesinck era stato assalito in un tentativo di saccheggio. 258
Nonostante un atteggiamento moderato, Rothmann, con le proprie prediche, costituiva un punto di
riferimento per la fede popolare, onde la predicazione gli fu ripetutamente proibita dalle autorit religiose.259 La
sua posizione in materia di fede era accettabile entro una logica riformata, e non costituiva alcuna minaccia per
lordine; tuttavia essa non poteva certamente essere accettata dal principe-vescovo. La sua predicazione fu pi
volte repressa, vi furono interventi e pressioni sulle autorit comunali; la vicenda and avanti sino al Luglio
1532, allorch, con lappoggio del popolo, il senato gli garant il diritto alla predicazione e al sacerdozio. 260 Non
per questo ebbe fine la prova di forza con il principe-vescovo, deciso a stroncare ogni innovazione religiosa;
Franz von Waldeck, che aveva assunto questa carica in primavera, port la situazione allo scontro, nonostante il
langravio Filippo dAssia lo avesse invitato alla prudenza sin da Luglio.261
Alla fine dellanno si giunse tuttavia allo scontro: circa mille cittadini marciarono su Telgt, residenza
del principe-vescovo in quel momento assente, e simpadronirono di ostaggi, 18 tra patrizi e canonici. Von
Waldeck rispose con la levata di truppe, ma la sua politica era costosa e non condivisa: Filippo intervenne ancora
per mediare. Il 14 Febbraio fu stabilito un accordo sulla pace religiosa: la Chiesa riformata entrava di diritto in
Mnster; le ghilde si affermavano. 262
La situazione si rivel tuttavia instabile per due ragioni latenti che iniziarono immediatamente a far
sentire il proprio peso. La prima di esse era costituita dallasprezza raggiunta dal conflitto, per la tenace
opposizione alla Riforma, condotta nella pi totale intransigenza dal principe-vescovo. La provvisoria pace
religiosa e la forzata tolleranza non rappresentarono linizio di una nuova fase di concordia cittadina, ma una
semplice tregua imposta dalle circostanze nel conflitto tra un potere sulla difensiva ed una opposizione popolare

254
Herrschaftsorganization und Herrschaftskrisis im Tuferreich von Mnster, 1534/1535, A.RG. 67, 1976, p. 179. Lopposto atteggiamento
sociale di Luterani e Anabattisti perfettamente coerente con un opposto atteggiamento nei confronti del problema della salvezza. Mntzer e
lAnabattismo, prendendo a metro lesperienza cristica come sentiero da ripercorrere, sognano il capovolgimento del mondo; il Luterano,
affidando la propria salvezza alla sola fede e alla predestinazione, separa Chiesa e mondo, accettando e vivendo pienamente la legge di
questultimo (cfr. Williams, German Mysticism, cit., p. 294). Si ha qui un bellesempio della differenza che corre tra razionalit e
Razionalismo: in luogo di scrutare se stesso sotto lassillo del dubbio, solo vero approdo della ragione, Lutero trasferisce questo dubbio, che
esistenziale, in un dubbio metafisico extrarazionale. La ragione razionalista organizza dunque economicamente il mondo, e chiude tra
parentesi ci che lo eccede.
255
Kltzer, cit., pp. 22-23.
256
ivi, p. 23.
257
ivi; cfr. Kerssenbrock, pp, 155-156.
258
Cfr. la Cronaca di Niesinck in Berichte, etc., cit., p. 425. I tumulti furono causati dalla ghilde, lassalto al convento fu una vicenda limitata
a quattro individui, che ebbe luogo il 22 Maggio 1525. Il Kerssenbrock, pp. 127-128, riferisce anchegli del tentato saccheggio; per quanto
concerne listigazione dei tumulti accusa lopera di piccoli intellettuali.
259
Sul suo ritorno nel 1531 e gli eventi successivi, cfr. Kerssenbrock, p. 160 sgg; cfr anche Gresbeck, p. 6.
260
Kltzer, cit., pp. 24-30; per i decisivi giorni dal 15 al 25 Luglio 1532, cfr. Kerssenbrock, pp. 220-223. La dottrina sostenuta da Rothmann
nel Gennaio (cfr. Kerssenbrock, cit., pp. 176-189) era moderatamente luterana.
261
Kerssenbrock, pp. 227-228. Sulla figura e sul ruolo di Filippo, vincitore a Frankenhausen, cfr. P. Wappler, Die Stellung Kursachsen und
des Landgrafen Philipp von Hessen zur Tuferbewegung, R.S.T. 13-14, Mnster, Aschendorff, 1910. Filippo era molto tollerante in materia
dottrinale, purch non si trattasse di dottrine che conducevano allinsubordinazione contro lautorit.
262
Kltzer, pp. 37-42. La trattazione di Kerssenbrock per il periodo Agosto 1532 - Marzo 1533, alle pp. 229-402.

329
nel Libero Spirito. 222 Al tempo stesso egli vede questo rinnovamento come ritorno ad unarmonia originaria,
secondo il fondamentale schema millenarista: non per nulla egli considerato un vero e proprio Gioachimita, e
fu attento lettore dellapocalittica. 223 Ne consegue una metafisica della storia postlapsaria fondata su una dottrina
delle 4 et: una prima et, da Adamo a No, sarebbe stata caratterizzata da una religione naturale, tramandata
oralmente; una seconda et, da Mos a Cristo, fu caratterizzata dalla Legge scritta, che Mos ricevette
direttamente da Dio; una terza et, caratterizzata dalla Legge evangelica -lepoca della Grazia di Gioacchino- va
da Cristo sino alla met circa del XVI secolo, allorch inizia la quarta e ultima et, quella della Restituzione, che
segna il ritorno allunit e alla concordia delle origini. 224
Questo passaggio dello schema, da tre a quattro fasi, 225 a parte le propensioni generali di Postel, mette
in luce una caratteristica importante della sua riflessione: il ruolo, nella storia della salvezza, di uno stato
naturale, nel corso del quale il peccato, ignoto nello stato iniziale edenico, viene conosciuto attraverso la
coscienza, senza legge scritta e ritualismi. 226 Lo stato di natura fondamentale per la logica di un Cristiano
del XVI secolo: la scoperta dellAmerica e dei suoi popoli pone il problema di una sorta di religiosit naturale
di fondo, comune a tutti gli uomini di tutte le religioni, relitto di una perduta unit aurorale del genere umano. A
questa unit Postel particolarmente legato: profondamente agostiniano per formazione culturale, 227 egli pensa
222
Largomento stato sviluppato in particolare dal Rotond, Studi e ricerche di storia ereticale italiana del Cinquecento, Torino,
Giappichelli, 1974, pp. 117-159, che riporta in Appendice, alle pp. 473-490, anche due scritti inediti del Postel (gli inediti postelliani sono
molti; egli pubblic molto, ma ci fu soltanto una parte del tantissimo che scrisse). Postel ebbe contatti epistolari con lo spiritualista
riformato Schwenckfeld, ed ebbe rapporti in Basilea con i Davidisti di Joris (cfr. p. 125). Come spiritualista, i suoi rapporti con le nuove
ortodossie luterana e calvinista furono pessimi; in particolare egli difese Serveto contro Calvino (cfr. anche Kuntz, cit., pp. 110-112;
Bouwsma, cit., p. 23). Il suo rapporto con il Libero Spirito sottolineato dal Bouwsma (p. 153) per quanto concerne il ruolo del femminile
nel percorso della salvezza; il Simoncelli, La lingua di Adamo. Guillaume Postel tra accademici e fuorusciti fiorentini, Firenze, Olschki,
1984, parla di un progetto di recupero del Begardismo (p. 153), e in questambito inquadra il rapporto con il circolo di Joris (pp. 153-154);
cita al riguardo (p. 154) lammirazione di Postel per Jacopone da Todi, che probabilmente fece parte del Libero Spirito. Per Postel la lingua
di Jacopone, lumbro, un fondamentale vestigio dellantica lingua, perch, secondo la sua storia del genere umano, gli Umbri furono, subito
dopo i Galli, il popolo originariamente post-diluviano della stirpe di Jafet. Nella dottrina di Postel vi sono accenti che riecheggiano
lAnabattismo radicale: nel mondo restituito non vi sar propriet privata (cfr. G. Postel, Le sicle dor, in Les tres-merveilleuses victoires
des femmes du Nouveau Monde suivi de la Doctrine du sicle dor, Torino, Gay, 1869, p. 92). La convergenza stata notata dal Bouwsma
(pp. 275-276) e ritenuta consonante ad unepoca nella quale, dalla Spagna degli Alumbrados agli Anabattisti del nord Europa, pullula una
cultura di contestatori (p. 171). Il Rotond (p. 148) ritiene tuttavia che le convergenze, frutto di analoghe premesse spiritualiste, non debbano
far postulare incautamente contatti di Postel con gli Anabattisti. Di certo egli ebbe rapporti con un esponente del Libertinismo spirituale,
leditore Plantin (Bouwsma, pp. 27-28).
223
Cfr. Bouwsma, cit., p. 35 sgg.
224
Cfr. G. Postel, Interprtation du candlabre de Moyse (edizione quadrilingue) Intr. et notes par F. Secret, Nieukoop, De Graaf, 1966, p.
377 (testo francese) e pp. 401-404.
225
Il 4 un numero di perfezione che regge tutta larchitettura del cosmo di Postel, assieme al suo triplo, il 12: cfr. Bouwsma, p. 107 e p.
291. Vedi anche Interprtation, etc., cit., p. 405: ci sono nel mondo 4 ordini; 4 sono le lettere del Tetragramma; 4 i fiumi del paradiso; 4 le
monarchie universali (assiro-babilonese, medo-persiana, greca, romana); etc.
226
Interprtation, etc., cit., p. 403: Car la raison monstre que pour cognoistre le pch, il nous failloit tous passer pour la loy de nature, le
cognoissant en conscience sans loy escripte ou crmonies qui obligeassent les bons son observations, et depuis retourne tout lesprit
celui qui le donne, nous avions besoing de cognoistre et confesser par force de lois divines, ou humaines que, cognoissant le bien, nous
suivions le mal. Et au tiers lieu, falloit que par la sang du Rdempteur cogneu entre les Chrestiens et cach en tout homme qui fait bien et
garde justice feust le fondement de la Rdemption, l o lme est rpare, jusques ce que, au quart lieu, nous tous renassions du corps
comme de lme restitus par Elie, lequel en son prsent esprit estant venu restituira toutes les choses par Satan destruictes. Si notino alcuni
punti di questo periodo. Vi si afferma in primo luogo lesigenza di uno sviluppo della riflessione razionale nella coscienza di tutta lumanit,
fondata nella sua comune origine e decadimento, e fondante leffettiva unit di fondo del genere umano; subito dopo per necessario che
sia rivelata (da Mos) la reale coincidenza della Ragione con la Legge divina che normativa e coincide con le leggi umane della societ;
una coincidenza che appare ovvia in Postel, e sulla quale dovremo ritornare. In un terzo momento diviene allora necessaria la venuta di
Cristo e la sua morte, perch la coscienza della nostra origine divina fossse risvegliata, preparandoci spiritualmente alla Redenzione, che
verr allorquando saremo restituiti, nel corpo e nellanima come Elia, alloriginario stato edenico. Di questa rivelazione portatore Postel
sotto il nome di Pandocheo che cos conclude il testo (p. 412): Car ce qui a est cach dedans toute la nature humaine et par trois jours de
nature, Loy et Grce, quant lentendement ensevely et mort ceste heure sera avec la vertu de lternelle loy par Pandoche resuscit et
ainsi sera la nef au port o elle tend. Postel viene a rivelare ununit nascosta che occorre realizzare per recuperare lo stato primitivo, essere
restituiti; egli stesso si considerava gi tale (cfr. infra) e si firmava anche Renatus o Restitutus (oltrech Rorispergius, dispensatore
della rugiada della nuova aurora). Postel Gioachimita, la sua tensione al futuro radicale, e si rif allantico Millenarismo; cfr. De orbis
Terr Concordia, Basel, Oporinus, 1544, p. 124: la felicit in un futuro senza pi generazione e corruzione; ma se il passato fu uneternit
senza materia, il futuro sar il godimento di una materia resa perfetta, che, a somiglianza dellArte che tende al raggiungimento della quiete,
vivr in eterna quiete. La struttura del ragionamento teosofico/alchemica; come afferma la Kuntz, cit., p. 168, Postel riteneva di aver
trovato nello Zohar la chiave per la comprensione dellalchimia. Qui c per un elemento del tutto nuovo nello schema delle fasi della storia
umana: lo stato di natura, problema che si pone alloccidente con la scoperta dellAmerica e la conoscenza della religione e dellarte dei
popoli ivi trovati, e ritenuti primitivi (il concetto di primitivo destinato ad abbandonare letnologia soltanto in questo secolo, quando si
comprender che non di un minore, ma di un diverso sviluppo si tratta; ma per lideologia dellOccidente il diverso sempre stato
necessariamente un meno o un prima, per limpossibilit strutturale di pensare il diverso entro tale logica).
227
Limportanza di Agostino per Postel stata sottolineata dal Bouwsma, che nellesaminarne gli antecedenti culturali elenca Agostino, i
Francescani e Lullo come i tre pi importanti (cfr. pp. 64-97). A partire dal neoplatonismo di Postel, che ha scarsa simpatia per Aristotele,
pur sovente citato, il Bouwsma afferma lesistenza di un rapporto nel quale Postel ha convergenze e divergenze da Agostino, entrambe
significative. Postel riprende il concetto agostiniano di pace del mondo come rapporto di conformit con lordine progettato da Dio, ordine
che universale in quanto presiede allatto stesso della Creazione, dal quale tutto il creato discende. Questo concetto, espresso nel De civitate
Dei, presiede alla struttura stessa del testo, che si fonda sulla concezione della storia come storia unica e collettiva dellintero genere umano,
che tutto insieme risponde ad un solo progetto e deve concorrere ad un solo obbiettivo. Per conseguenza, le istituzioni umane hanno senso
soltanto in rapporto allordine divino: non c dubbio che Postel abbia interpretato Agostino in questo senso. Per ci che concerne linflusso
dei Francescani (pp. 69-78) il Bouwsma fa riferimento ancora al concetto di pace come conseguenza di una scelta spirituale -la tensione
verso la pace fondamentale in Francesco- ma anche al problema dellindispensabile riforma della Chiesa, quale premessa allesercizio della
missione spirituale, riforma nella quale il cardine era costituito dalla rinuncia alla ricchezza. Il mito di un Francesco secondo Cristo
introdusse tuttavia nellOrdine una forte tensione escatologica, ed appena il caso di ricordare la diffusione che vi ebbe il Gioachimismo

400
infatti la formazione dei popoli, delle lingue e delle religioni, come ramificazioni di errori da un puro ceppo
originario: il suo obbiettivo dunque ora ricostruire, grazie anche alla Ragione, lunit iniziale che deve
articolarsi su tre piani: quello interiore delluomo, quello degli uomini tra loro, e quello degli uomini con Dio. 228

(cfr. in generale M. Reeves, The Influence of Prophecy, cit., pp. 175-241). Qui si viene al punto che riguarda Postel: il normanno fu un
Gioachimita, su questo punto il Bouwsma insiste pi volte (pp. 56-57; p. 236; p. 267; pp. 273-277) e, del resto, Postel cita abitualmente testi
millenaristi gioachimiti: cfr. p.e. G. Postel, Le thrsor des prophties de lUnivers, Intr. et notes par F. Secret, La Haye, Nijhoff, 1969, p. 236
sgg. Tra queste profezie ricordiamo quelle di Rupescissa, uno dei vessilliferi della profezia del secondo Carlomagno, il re francese che
avrebbe dato inizio al Millennio, analogamente a quel che predica Postel (la Kuntz per, in Guillaume Postel and the Universal Monarchy,
Actes du Coll. G. Postel, Avranches, 1981, p. 233, n. 2, esprime dubbi sulla dipendenza dellescatologia di Postel da Gioacchino, ritenendola
derivata da fonti ebraiche: cfr. ivi, p. 234). Anche altri testi gioachimiti, come il Mirabilis Liber, fanno parte tuttavia del bagaglio postelliano
(cfr. lintroduzione di F. Secret a Le thrsor, etc., cit., p. 14); importante ricordare al riguardo che Postel si convinse di essere il Papa
angelico: cfr. Kuntz, Guillaume Postel, cit., p. 168 e p. 173. Postel conosceva ps.Methodio e frequenti sono nei suoi testi i riferimenti agli
Oracoli sibillini. Come nota il Bouwsma che cita la Prefazione a De magistratibus atheniensium Liber, Basel, Oporinus, 1543, Postel era
inoltre fortemente imbevuto del concetto gioachimita di Progresso; ugualmente F. Secret nellintroduzione a Interprtation du Candelabre,
etc., cit., p. 17. Per quanto concerne il terzo fondamento posto alla base del pensiero di Postel, Lullo, il Bouwsma ricorda il progetto lulliano
di una scienza in grado di convertire Giudei e Musulmani sulla base della Ragione, che coinciderebbe con quello di Postel; lo stesso
Bouwsma tuttavia constata che Postel ne fa scarsa menzione, e in tono generalmente negativo (p. 79). A nostro avviso, tra i due progetti v
una sostanziale differenza: mentre Lullo parte da una Ragione concettuale, astratta, Postel fonda il proprio progetto su una razionalit che
egli vede limpida nella teosofia del Bahr e dello Zohar. Siamo quindi in presenza di due mondi inconciliabili, senza contare lintrinseca
diversit di un progetto che si fonda sulla storicit della ragione, cos come essa si rivela nella religione di natura, la vera base comune a tutti
gli uomini che ne consente il dialogo. A ben vedere questa ragione universale perch sorge dinnanzi alle fondamentali esperienze della vita,
universali anchesse anche se, nella dottrina di Postel, tale ragione intesa come barlume della situazione divina iniziale. Postel vede barlumi
di Cristianesimo negli Indios del Messico -sospetto che era stato avanzato dai primi Missionari- e considera loriente come il luogo nel quale
la religione di natura, e con essa cultura e civilt, raggiunse livelli pi elevati rispetto alloccidente ; in ci egli rispecchia i dubbi dello
studioso rispetto al tradizionale eurocentrismo: cfr. Bouwsma, pp. 209-213. I Brahmani hanno infatti la stessa civilt originaria degli Umbri e
dei Galli: cfr. De Etruri regionis, etc, Firenze, Torrentino, 1541, p. 81. La ragione universale comunque il risultato di un comune stato
delluomo, non una scienza come in Lullo. Le differenze, come le sovrapposizioni, sono sottili ed equivoche, ma a nostro avviso si riflettono
molto bene in un diverso orientamento della ricerca; basti pensare al rapporto con la Qabbalah, che nel Lullismo una combinatoria, in
Postel unautentica teosofia.
228
Bouwsma, p. 111; p. 277. I concetti di Restituzione e di Concordia sono il fondamento del millenarismo di Postel, nel quale il
Gioachimismo fuso con la logica cabbalistica (zoharica) del suo pensiero, e, verosimilmente, con le forti influenze ismailite maturate nel
corso dei suoi viaggi in oriente, dove, nella sua ricerca di testi rari, entr in contatto con varie sette islamiche: Postel infatti fu un vero
orientalista, e conosceva lebraico e larabo (sui suoi viaggi e sulle sue esperienze cfr. le biografie del Bouwsma e della Kuntz, citt.). Il piano
dellunit interiore quello che determina gli altri due, ed costituito dal recupero dello stato interiore prelapsario grazie alla syzygie di
intelletto e ragione, detti anche animus o mens il primo, anima o spiritus la seconda (Bouwsma, pp. 114-115). Il processo ben descritto in
Les tres merveilleuses victoires des femmes, cit., perch esso rappresenta una riunione di maschile e femminile, secondo la straordinaria
esperienza/rivelazione vissuta da Postel a Venezia nel 1547. La vicenda descritta in dettaglio da tutti i biografi di Postel (Kuntz, cit. pp. 74-
106; Bouwsma e Weill, citt., passim). A Venezia, Postel conobbe una pia donna, Giovanna, che da gran tempo viveva santamente al servizio
dei poveri presso lOspedaletto, e che lo volle come confessore. Ella gli rivel che nel 1540 era sceso in lei Ges Cristo, del quale era quindi
divenuta la sposa; ella aveva anche ricevuto ordine di rivelare a Postel, suo figlio spirituale, che Dio affidava a lui la riunione del genere
umano e il suo ritorno allo stato prelapsario. Alcuni anni pi tardi, Postel ebbe una tremenda crisi, dal Natale del 1551 allEpifania del 1552,
nel corso della quale percep il corpo spirituale di Giovanna (morta nel corso del suo secondo viaggio in oriente, nel 1549-1550) avvolgerlo
interamente, coprendolo dun matello candido e di uno scarlatto, anima e animus, onde egli fu restituito nella sua essenza inferiore e in
quella superiore. Questo fenomeno egli lo defin immutazione, ed era lo stesso subito da Giovanna con la discesa di Cristo del 1540 (per
limmutazione subita cfr. il racconto dello stesso Postel in F. Secret Lmithologie de Guillaume Postel, Umanesimo ed esoterismo, cit., p.
428 sgg.). Postel identific Giovanna con la Sheknah e con la fidanzata di Cristo, ma anche con il Papa angelico femminile, il Messia donna
(una singolare analogia con i Guglielmiti) che apriva lera della Restituzione; lui stesso, dopo limmutazione, si consider Papa angelico,
Elia redivivo (si noti che Postel mutuava dallo Zohar la dottrina del triplice passaggio delle anime in terra, formulata nel commento al Libro
di Ruth, che gli ben conosceva; egli si considerava perci il terzo Elia, il secondo essendo stato Giovanni Battista: cfr. Les tres merveilleuses,
etc., cit., pp. 54-55 e pp. 58-59; cfr. anche p. 63 sgg; in un manoscritto precedente tuttavia, il secondo Elia, come Eliana la stessa
Giovanna: cfr. Kuntz, p. 91). Siamo in presenza di un concetto di Restituzione come syzygie, nel quale si fondono lelemento giudeo-
cristiano con quello alchemico e cabbalistico, perch la riunione concerne anche il maschile e il femminile, la Sheknah con il flusso Keter-
Tipheret-Yesod; la Kuntz, p. 106, evoca le nozze chimiche di Sol e Luna. Questesperienza di riunione interiore e recupero di una situazione
perduta con il peccato, allorch si perdette larmonia di anima e animus, ragione e intelletto, trova ampia descrizione e spiegazione in Les
tres merveilleuses, etc., cit., pp. 8-20 e pp. 33-41. La restituzione, gi iniziata nella parte superiore delluomo con la venuta di Cristo, deve
compiersi anche in quella inferiore; il maschile e il femminile (Cristo/Giovanna-Sheknah) cos riuniti, sono la riunione di Intelletto agente e
passibile, o possibile (universale) del quale partecipano gli individui. Soltanto grazie alla nuova Eva si potr quindi godere
dellimmortalit nel corpo spirituale; Padre e Madre, forma e materia, sono le due vesti spirituali dimmortalit, delle quali la seconda
avvolge la prima. Lanima avvolger quindi lanimus come questi lo Spirito, questo la Mente, e la Mente, Dio (p. 39); e poich Mente e
Spirito sono la matrice di animus e anima, cio corrispondono a intelletto universale e anima universale (noi siamo Spirito dello Spirito di
Dio, Mente della Sua Mente: cfr. Interprtation, etc., cit. p. 355) siamo qui in presenza di un sistema neoplatonico e di un concetto di
Restituzione che sembrano molto vicini ai sistemi ismailiti e al concetto di Grande Resurrezione. Il Bouwsma ha attentamente sottolineato (p.
47; p. 157) questa vicinanza con il misticismo e il neoplatonismo arabi, con al Kind e al Frb, con lIsmailismo; ha ritenuto di scorgere nel
ruolo autoassegnatosi dal Postel, quello dellImm: non per nulla egli si pone come secondo Messia, Messia inferiore subordinato al primo,
come la moglie al marito, il corpo allanima (p. 163) e questa simmetria di un alto rispecchiato nel basso, cio in terra, nel corpo dun
uomo, la stessa che contraddistingue la figura dellImm secondo lo schema ismailita; Postel, del resto, considerava, come Lullo, i
Musulmani come i pi vicini al Cristianesimo (pp. 204-205). Il raggiungimento della concordia interiore tramite la Restituzione, il
precedente ontologico della Restituzione dellintero Creato. In primo luogo infatti, il concetto di Restituzione consiste in un recupero del
corpo celeste (cfr. De originibus, etc., Basel, Oporinus, 1533, p. 135) che avviene attraverso la Restituzione dei 4 elementi, i quali dunque
tornano al loro stato archetipo, secondo lo schema del neoplatonismo ismailita che resta in eredit allalchimia. Anima, animus, Spiritus e
Mens, le 4 entit riunificate nella Restituzione, sono infatti terra, acqua, aria e fuoco: cfr. Les tres merveilleuses, etc., cit., p. 16. In secondo
luogo, Postel pensava ad una concordia del genere umano che fosse al tempo stesso religiosa e politica, nel senso che unumanit restituita
dovesse necessariamente vivere in concordia tra s e con Dio, la Legge divina essendo nullaltro che armonia. La dottrina esplicita ne Le
sicle dor, cit.: luomo perfetto somiglia al Padre (p. 93), vive senza tirannie e disordini (p. 96), tanto pi che non desidera la propriet
privata e ha tutto in comune (p. 92; p. 95). Il principio della sovranit di questo mondo quello stesso emanato da Dio (cfr. Kuntz, Guillaume
Postel and the Universal Monarchy, cit., p. 250) e in questo mondo non v bisogno di leggi emanate dal papa (ivi, p. 253). La visione
sociale di Postel in questo molto conseguente: egli vede perfettamente il nesso tra normativa etica e gestione del potere: al riguardo, F.

401
La ricerca di questa unit iniziale lo conduce ad una singolare ricostruzione della storia universale del
genere umano, fondata sul racconto biblico e sul mito cabbalistico della lingua prebabelica, la lingua di Adamo.
Lo schema agostiniano del De civitate Dei si sviluppa in lui tra Bibbia, testimonianze classiche, etimologie
fantastiche fondate sullebraico -la lingua originaria- e assunzione di testi apocrifi, in direzione dun programma
politico-culturale di assoluta attualit, tant vero che ebbe grande influenza sui contemporanei. In esso, la
tendenza al superamento di una cultura ormai insoddisfacente, in direzione della modernit, si fondeva con il
senso di crisi del mondo perdurante ormai sin dal XIII secolo 229 con esiti contraddittori che portavano alla ricerca
di un mitico e perduto stato edenico delle origini. Lungo questo percorso, il teocratico Postel si trov per un certo
periodo nel campo dei rivoluzionari, ma non per un equivoco: era insita nella sua logica la possibilit
dellambivalenza. Vediamo dunque schematicamente qual la storia dellumanit ricostruita da Postel, alla
quale necessario premettere un piccolo inciso: il suo uso entusiastico del materiale apocrifo coniato da Annio
da Viterbo. 230
La vicenda del mito etrusco stata narrata dal Cipriani, cit., cui rinviamo; qui ci limitiamo a
ricordarne i lineamenti. Nato con la Cronica di Giovanni Villani, il mito etrusco costituisce lo sfondo ideologico
di una contrapposizione al mito romano-imperiale sul quale si erano sempre fondate le pretese di papi e
imperatori in direzione di una qualche forma di ordine mondiale accentrato. Attorno ad esso si era aggregata la
mitologia duna Firenze sillana, repubblicana, armoniosamente fusa con la tradizione colta e religiosa degli
Etruschi; dunque unideologia dindipendenza comunale e repubblicana che per era andata trasformandosi in
quella medicea, tesa alla fondazione duno Stato toscano. In questa costruzione intervenne in modo determinante
il falsario Gianni Nanni, noto come Annio da Viterbo, che con i falsi frammenti di Beroso e Manethone costru
lo schema fondamentale del mito: gli Etruschi sono pi antichi e pi religiosi dei Romani perch discendono
direttamente da No, giunto in Etruria dopo il Diluvio. Si noti il duplice spostamento dasse che questa posizione
comporta: sul piano politico si destituisce la pretesa del primato imperiale centralizzatore, e sul piano culturale si
torna a rivendicare il primato della cultura ebraica, biblica, su quella classica. Le etimologie si costruiscono su
parole ebraiche (Giano il nome dato in Italia a No, da Iain, voce aramaica che significa: vino) e gli Etruschi
sono per lappunto i discendenti degli antichi Ebrei.
Intervenne nella questione il dotto cardinale Egidio da Viterbo (1469-1532) che sottoline i rapporti
tra No e gli Etruschi, aggiungendo particolari come lanalogia tra i 12 Lucumoni e i 12 Apostoli, per
sottolineare il carattere sacro del potere tra gli Etruschi, governati dai sacerdoti. Pi tardi, nel 1545, il
Giambullari, ne Il Gello, riprendeva la questione, attualissima, rifacendosi alla contemporanea opera del Gelli,
oltrech ad Annio e a Egidio. 231 Egli portava a sostegno dello ps.Beroso un frammento di Atheneo, sin allora
sconosciuto, nel quale si parlava di Giano navigatore in Italia, della sua opera civilizzatrice, e del suo approdo a
Roma. 232 Si confermava perci che i Toscani, discendenti dagli Etruschi e perci da No, avevano una civilt pi
antica e pi alta dei Romani e dei Greci, come era gi stato attestato da Annio e da Egidio sulla scorta di
ps.Beroso.
Il falso di Annio aveva per fatto proseliti anche in Francia, dove Le Maire de Belges ne fece uso gi
nel 1509 per fondare il mito del primato celtico. Facendo uso di una complessa storia universale, assolutamente
fantastica, egli si proponeva lo scopo di demolire il primato della cultura classica: egli tracciava infatti i
lineamenti di una storia nella quale si esaltavano unitamente, sia Troia in rapporto ai Greci, sia la Francia e la
Germania in rapporto a Italia e Roma; si attribuiva a Roma un ruolo del tutto marginale, nessun ruolo positivo
alla Grecia; si considerava lItalia come una terra che aveva subito linvasione dei maledetti discendenti di

Secret, Un cheval de Troie dans leglise de Christ: la kabbale chrtienne, Aspects du Libertinisme, cit., ha raccolto alcuni passi illuminanti.
Nel mondo restituito ciascuno si autoregoler e il concetto di peccato sar sovvertito; uno Stato madre comune stabilir altre leggi (ivi, p.
153). Il peccato sar ucciso insieme alla Legge (p. 154) perch le leggi civili hanno come garante Dio, e chi non obbedisce al principe,
disobbedisce a Dio (ivi; cfr. anche lApologia del Postel, in Premessa alla sua traduzione del Bahr, pubblicata parzialmente dal Rotond, cit.,
in Appendice I). Come nota nel suo articolo il Secret, le convergenze con il Libertinismo spirituale e con lAnabattismo, sono forti. La sua
concezione della fede come fatto spirituale, lo lascia indifferente alle forme del culto (cfr. Bouwsma, pp. 235-237) conformemente al
comportamento tenuto dai Gesuiti nei confronti degli abitanti del Nuovo Mondo; qui si nota la convizione del Postel, di una comune origine
della ragione umana nellIntelletto divino, e quindi limportanza che assume per lui il Nuovo Mondo, la cui scoperta viene sostanzialmente a
coincidere con linizio del processo di Restituzione. Lopera di diffusione di questa novella, e di unificazione del mondo, spetter al re di
Francia, ed significativo che, secondo Postel, la ragionevolezza della Legge divina dovr essere cos evidente, che chiunque vi si opporr
dovr essere ucciso come una bestia che viva contro la ragione (Les tres merveilleuses, etc., cit., pp. 84-86). Qui si pu pensare ad una
possibile influenza shita, perch siamo improvvisamente dinnanzi ad una concezione teocratica della salvezza: di nuovo Legge di Dio e
legge del sovrano coincidono in una figura carismatica che assomma entrambi i piani. notevole osservare che, nonostante il millenarismo
di Postel abbia fondamento religioso, chi ne scapita proprio la figura sacerdotale, interamente riassorbita dal carisma divino del sovrano,
che agisce in nome di Dio e di una collettivit di uomini restituiti, che non giustifica pi una distinzione tra sacerdoti e laici (Bouwsma,
pp. 279-280).
229
Bouwsma, pp. 263-264. Abbiamo rilevato pi volte questa continuit della crisi, e il fatto che la spinta verso il superamento prende corpo
in una tensione diretta al ripristino dun passato utopico.
230
Sullargomento, oltre al Simoncelli, cit., cfr. anche G. Cipriani, Il mito etrusco nel Rinascimento fiorentino, Firenze, Olschki, 1980; C.G.
Dubois, Celtes et Gaulois au XVIe sicle. Le dveloppement littraire dun mythe rationaliste, Paris, Vrin, 1972; ancora, di G. Cipriani,
lIntroduzione a G. Postel, De Etruri regionis, Testo, Intr., note e commento a cura di G. Cipriani, Roma, C.N.R., 1986. interessante al
riguardo quanto nota il Secret nellintroduzione a Le thrsor, etc., cit, p. 27: in un suo scritto giovanile del 1538 il Postel aveva respinto come
non autorevoli i frammenti di ps.Beroso e ps.Manethone coniati da Annio che, a partire dal De Etruri regionis del 1551 (Firenze,
Torrentino) divengono un caposaldo della sua dottrina, e vengono riutilizzati in moltissimi dei suoi testi; la genealogia dellumanit da lui
coniata compare infatti un po ovunque a sostegno delle sue dottrine -il cui scopo vero soltanto escatologico (Bouwsma, p. 281)- o anche
soltanto come inciso.
231
Su questo cfr. anche Simoncelli, cit.
232
Il frammento riprodotto dal Cipriani nellIntroduzione al De Etruri regionis da lui curato, a p. 17, n.24.

402
il secondo gli impedisce di riconoscere un valore salvifico alle Scritture e ai riti: la fede pu nascere soltanto da
unilluminazione dello Spirito, che consente di penetrare il senso delle Scritture stesse.
La salvezza diviene cos il risultato di un rapporto diretto che, di fatto, divinizza luomo. 37 Tuttavia,
proprio questo spiritualismo, nel momento in cui rifiuta la creaturalit di Cristo ma non pu non attribuirgli un
corpo, lo conduce ad una dottrina della carne spirituale dalla quale, contrariamente a quel che accade in
Paracelso, deriva una dottrina della comunione assai astratta e singolarmente venata di Gnosticismo. 38 Questa
dottrina cos configurata, mentre fa di Schwenckfeld uno Spiritualista che vede la salvezza come unuscita dalla
storia, ne fa per anche un appartenente allala sinistra della Riforma, in quanto egli condivide con Anabattisti,
mistici e antitrinitaristi, la totale opposizione ad ogni forma di Chiesa istituzionalizzata. 39 In questa direzione
egli esercita uninfluenza del tutto sotterranea sui movimenti a venire, in particolare sul Pietismo, con la sua
difesa della libert di coscienza e di religione che, come nel caso degli italiani, aveva radici nel Neoplatonismo;
certo che tanto Weigel quanto Bhme lessero attentamente le sue opere. 40
Il concetto di libert di coscienza in Schwenckfeld legato alla fine dellidentificazione di Stato,
Chiesa e societ che caratterizza lAntico Testamento; Cristo rappresenta la fine della Legge, e quindi
rappresenta una nuova epoca. 41 Da questa constatazione parte la critica alle sette e allintolleranza che le
contraddistingue, e che caratterizza di fatto lo stesso Luteranesimo: 42 il regno di Cristo tutto interiore, e non si
pu realizzare con mezzi esteriori; esso soltanto l dove gli uomini seguono lesempio di Cristo.
In tal senso Schwenckfeld, come Franck, si colloca sulla scia della Riforma e al di l di questa, di fatto
tradita dalla stessa ortodossia luterana dopo esser stata inaugurata da Lutero con laffermazione della libert di
coscienza, intervenuta con la fine della Legge sancita da Cristo. 43 In Schwenckfeld la libert di coscienza una
conseguenza del suo stesso radicale spiritualismo, che rifiuta ogni forma di materialit; la coscienza cristiana
quando essa sidentifica totalmente con lo Spirito Santo, con lo Spirito di Verit che non mai circoscrivibile,
che conduce al di l della materialit o letteralit delle stesse parole di Cristo. 44 Per questa ragione non
ammissibile che Lutero ristabilisca ancora una volta, come gi fece il Cattolicesimo, uningerenza dello Stato e
dei poteri sociali nella coscienza dei singoli; 45 con Cristo venuta meno ogni possibile Legge.
Schwenckfeld protestava a ragione in nome di una libert conculcata; n lui n i suoi seguaci ebbero
tuttavia a subire persecuzioni violente. Come avevamo gi notato per lo Spiritualismo in generale, in rapporto
alle violenze subite dallAnabattismo, e come sottolinea lo Schmid in modo specifico per gli
Schwenckfeldiani, 46 la ragione della relativa tolleranza da legarsi alla loro collocazione sociale, radicata nella
nobilt e nei ceti colti. Anche tra i ceti meno elevati, il loro seguito fu rappresentato da individui relativamente
colti; non costituirono un fenomeno di massa, socialmente rivoluzionario, come gli Anabattisti, ma dei circoli
ristretti, delle conventicole che assumevano pi che altro laspetto di circoli letterari, senza particolari segni
esteriori dappartenenza, anche a motivo della concezione di una Chiesa tutta spirituale e interiore. Anche il
Weigelt, nella sua storia del movimento in Slesia, 47 ha sottolineato le simpatie della nobilt per il movimento
stesso; ci nonostante esso sub comunque delle persecuzioni. interessante notare tuttavia che, in ambiente

37
ivi, pp. 9-13
38
ivi, pp. 16-19; Williams, p. 335: attraverso la carne mistica di Cristo, non creaturale, luomo si divinizza assumendo la natura umana non
creaturale. Gli sviluppi fortemente spiritualisti -di fatto dualisti- ponevano tuttavia dei problemi al momento di accettare che il corpo celeste
di Cristo potesse essere assunto attraverso la materialit del pane; cfr. la dottrina di Krautwald in H. Weigelt, Valentin Krautwald. Der
fhrende Theologe des frhen Schwenckfeldertums. Biographische und kirchenhistorische Aspekte, Les dissidents au XVIe sicle, cit. p. 178.
Sulle effettive difficolt di Schwenckfeld ad identificare il corpo celeste con il pane, cfr. W. Knocke, Schwenckfelds Sakramentverstndnis,
Z.R.GG., 11, 1959, pp. 324-325. Tra Schwenckfeld e Paracelso vi la radicale divergenza che intercorre tra Spiritualismo e alchimia
spirituale; nonostante lattributo questultima, in quanto alchimia, esalta il ruolo della materia rendendola laltra faccia, e non lopposto, dello
Spirito. Dietro questa differenza vi una differenza di cultura: lo Spiritualismo astratto di Schwenckfeld espressione dei ceti elevati, legati
alla cultura classica; non cos Paracelso. La dottrina del pane celeste di Schwenckfeld essenzialmente legata a quella di Giov.,6; ne
consegue che la dottrina della salvezza si fonda su una fede tutta interiore, che fa nascere Cristo nel cuore e che per, evitando ogni forma di
materialit, diviene di fatto una sorta di misteriosa adesione/elevazione, di risveglio interiore operato tramite la rivelazione della divinit di
Cristo. Giovanni 6 ne emerge di conseguenza pienamente illuminato da quella luce gnostica che ne costituisce lambiguo contenuto.
39
P.L. Maier, Caspar Schwenckfeld. A Quadricentennial Evaluation, A.RG. 54, 1963, p. 94.
40
Maier, pp. 95-96. Sui contatti tra Schwenckfeldiani e Pietisti cfr. anche H. Weigelt, Spiritualistische Tradition und Protestantismus. Das
Schwenckfeldertum in Schlesien, Berlin-N. York, W. De Gruyter, 1973, p. 279; W. Knocke, cit.
41
Cfr. K. Deppermann, Die Argumente der deutschen Tufer und Spiritualisten gegen ihre Verfolgung, cit., p. 241.
42
ivi, pp. 241-242.
43
J. Lecler, La libert de conscience chez S. Franck et Schwenckfeld, R.H.Ph.R. 57, 1977, pp 183-185.
44
ivi, p. 189, con riferimento a Giov. 16, 12-13. La cattiva coscienza viceversa leredit di Adamo, che cerc una scienza tutta terrena.
Anche questo concetto, che contrappone lillimitato al finito, ha un evidente accento gnostico: il peccato, che poi un errore, si compendia
nella direzione verso la quale si volge la coscienza.
45
ivi, p. 190. Molto interessante largomentazione luterana di J. Brenz contro la libert di coscienza, ivi riportata dal Lecler: perch vi sia
una coscienza, necessario che prima vi sia una scienza. Il Luteranesimo assume dunque largomento ideologico della cultura egemone, il
fondamento obbiettivo della Verit Una, allorch ritiene di dover opprimere una coscienza perch falsa, e tale perch erronea la sua
scienza.
46
H.D. Schmid, Nrnberg, Schwenckfeld und die Schwenckfelder, Festgabe E.W. Zeeden, R.S.T. 76, Supplbd. 2, Mnster, Aschendorff,
1976, p. 247.
47
Cit., p. 279.

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Tractatus aureus de Lapide Philosophico, ab Anonymo, etc.;
Aureum seculum redivivum, Henrici Mandathani;
Hydrolithus Sophicus, seu Aquarium sapientium;
Demonstratio Natur, Iohannis de Meung;
Summarium Philosophicum, Nicolai Flamelli;
Via Veritatis unic;
Gloria Mundi, seu Tabula Paradisi;
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Lambspringii Nobilis Germani, de Lapide Philosophorum Figur & Emblemata;
Tripus Aureus, Michlis Majeri, hoc est Tres Tractatus Chimici, etc., Basilii Valentini, etc.;
Thom Nortoni, Angli Philosophi, Crede mihi seu ordinale, etc.;
Cremeri cujusdam, etc., Testamentum, etc.;
Michlis Sendivogii, Novum Lumen Chemicum, etc.;
Novi Luminis Chemici Tractatus alter de Sulphure;
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Iohannis Friderici Helvetii, Vitulus Aureus, etc.;
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778
Bisanzio 53; 80; 99; 113; 119; 122; 128; 440; 446; 449; 452; 454; 466; 475; 485; 571;
129; 130; 131; 133; 136; 137; 138; 145; 149; 572; 573; 578; 589; 607; 626; 640; 641; 648;
164; 181; 208; 246; 252; 254; 256; 267; 364; 660; 671; 696
380; 419; 705; 706 Bucer 336
Bistm 239 Buddismo, Buddisti 207; 208; 700
Bittere 506; 507; 508; 512; 515; 526; 546 Bulgari 131; 133; 138
Bloemardinne, Helwig, Beghina 279 Bulgari, altro nome dei Catari 166
Boccalini 466 Bulgaria 126; 130; 131; 132; 133; 138; 148;
Boemia 274; 277; 296; 301; 304; 305; 306; 167; 168; 172; 175; 331; 335
310; 365; 369; 466; 682 Bundos 108; 110; 111; 112; 114
Boezio 259; 266; 501 Bundschuh 310; 312
Bogomili, Bogomilismo 56; 57; 99; 105; buon Samaritano 170
106; 119; 130; 131-146; 154; 155; 158; 159; buon selvaggio 404
160; 162; 163; 165; 167; 168; 170; 172; 179; Burcardo 148; 149; 378
180; 181; 183; 187; 272; 335; 354; 553 Burke 567; 568; 575; 576; 578; 581-582;
bogu mili 133 585; 590; 677
Bheim o Bhm 310 Burro 63
Bhme 7; 8; 11; 45; 54; 103; 192; 236; 238; Byidi 235; 236
241; 246; 263; 265; 268; 286; 315; 320; 321; Buzurgummd, Signore di Alamt 233
324; 342; 345; 348; 374; 375; 377; 378; 385;
391; 398; 399; 424; 432; 444; 445; 460; 464; C
465; 472; 475; 477; 478; 480; 482; 484; 485;
491; 498; 501; 502-536; 541; 543; 544; 545; cabbala (cristiana) 344; 345; 543; 545; 547;
562; 604
546; 548; 549; 550; 551; 552; 553; 554; 555;
Cagastro (termine paracelsiano) 520
556; 558; 559; 560; 561; 563; 564; 568; 569;
Caino 33; 48; 140; 278; 523
571; 572; 575; 587; 588; 589; 597; 600; 602;
Cairo 25; 108; 210; 211; 212; 215; 233; 365
604; 606; 607; 609; 610; 611; 614; 615; 616;
Calabria 130; 290
618; 621; 622; 625; 626; 627; 628; 631; 632;
Calcedonia 107; 128
634; 636; 647; 648; 658; 659; 660; 661; 662;
Calcidio 267
664; 665; 666; 667; 669; 671; 672; 673; 674;
Califfato 210; 211; 212; 215; 233; 235; 681
675; 676; 680; 681; 682; 683; 684; 686; 699;
Califfo 197; 201; 205; 235; 236; 237
700; 710
Callinico 112
Boh 265; 281; 348; 349; 353; 355; 362
Callisto, papa 22; 23; 25; 46; 56; 60; 79
Boileau 581
Calomena, sorella di Caino nel mito
Bojari 133
bogomilo 140
Bolo di Mende 425; vedi anche:
Calvinisti 286; 309; 465
ps.Democrito
Calvino 20; 176; 284; 285; 286; 287; 305;
Bologna 298; 300
400; 475
Bolscevichi 683
Cam, Camesiti 403; 404
Bolscevismo 160
Cambrai 160
Bolsward (localit della Frisia) 334
Campanella 385; 386; 414-417; 466; 475
Bomarzo 405
Candace 654
Bonaccorso, Cataro pentito 165; 167; 168;
Canone 20; 37; 48; 73; 75; 76; 77; 80; 81;
185
89; 92; 93; 121; 123; 517
Bonaventura 143; 268
Cantor, Egidio, libertino 284
Bonifacio VIII 282; 298; 299
Carausio, ribelle britannico 91
Bonneville 560
Carcassona 167; 173
Borboriti 108; 127; 128; 287
Cardozo, Marrano Sabbatiano 368
Borch, alchimista 472
caretas 175
Bordeaux 91; 147
Carlo il Calvo 150
Boris, re bulgaro 133
Carlo IV, imperatore 304
Bosnia 145; 176
Carlo VIII, re di Francia 682
Bosnia, Chiesa di 167; 180; 181
Carlostadio 315; 321; 323; 324
Braga, concilio di 92; 147; 181
Carneade da Cirene 702; 709
Brahmani 198; 256; 401; 407
caro spiritualis 458; 459; 460
Bran, leggendario navigatore irlandese 174
Carpocrate 45; 46; 47; 53; 69; 114
Brentano 567; 600; 642; 672
Carpocraziani 17; 45; 46; 51; 79; 108; 114;
Britannia 91
184; 359; 655
Brno, Brnn 372; 373
Bruno 53; 84; 192; 213; 216; 341; 342; 385; Cartesio 4; 6; 58; 192; 266; 289; 342; 383;
394; 396; 408-414; 416; 417; 421; 425; 431; 386; 398; 399; 416; 417; 430; 432; 465; 473;

787
499; 540; 542; 549; 560; 568; 569; 570; 571; clero minore o minuto 148; 151; 154; 156;
572; 575; 594; 664; 668; 696; 697 250; 306; 429; 445; 705; vedi anche: basso
Carus 377; 567; 618; 626; 676-678; 689; clero
691 Clves 330
Casamari 290; 291 Clitemnestra 653
Casanova, Giovanni Alvise 673 cna domini 270; 459
Casimiro, re di Polonia 369 Cola di Rienzo 296; 304
Caspio 212; 235; 252 Collegianti, gruppo interreligioso olandese
Castiglia 183; 354 368
Catacefaliti 108; 276 Collesson, alchimista 445; 472
Catalogna 167; 296; 297; 391; 426 Colonia 160; 165; 166; 282; 283; 284; 333
Catari, Catarismo, cataro 8; 55; 56; 57; Comenio 397; 398; 399
102; 106; 108; 119; 126; 130; 131; 133; 134; Commodo 71; 74; 79; 82
135; 139; 141; 142; 143; 145; 147; 148; 155; Comneni 137
156; 157; 158; 159; 162; 163; 164; 165-188; Compostela, Compostella (Santiago di )
192; 195; 198; 207; 227; 243; 249; 259; 267; 93; 301
271; 272; 274; 278; 283; 299; 323; 331; 335; Concionator (personaggio di Weigel) 226;
336; 341; 342; 344; 351; 359; 364; 388; 389; 492; 500
429; 462; 463; 474; 495; 496; 497; 706 Concorezzo, Chiesa di 142; 167; 168;
Ceciliano, vescovo di Cartagine 89 170; 172; 173
Cecoslovacchia 374 Condorcet 544; 547
Celestino V 298; 299 consolamentum 174; 175; 179
Celestio, discepolo di Pelagio 94 Constable 567
Celso 68 Constantinus, alchimista 432; 433
Cerdagna 180 convenenza 175
Cerdone 48 Copernico 409
Cerinto 46; 47; 51; 53; 55; 76; 130; 546 Coppin, libertino 286
Cesare 62; 273; 404; 635; 640; 654; 683; Corano 56; 58; 86; 183; 187; 194; 195;
685; 712 196; 197; 198; 199; 207; 211; 224; 236;
Chabot 374 345; 379; 422
Chlons-sur-Marne 155; 156 Corday, Carlotta 565; 567
Champagne 179; 180 Cordoba, Cordova 263; 264; 300
Chaos 27; 28; 29; 30; 32; 265; 435; 439; Cordovero, Mos 358; 360; 361; 362; 363;
441; 454; 480; 482; 498; 519; 528; 605; 694 365; 368
Chartres, Scuola di 266; 268; 279; 280; corpo astrale 50; 123; 441; 448; 449; 450;
397 451; 452; 454; 455; 457; 458; 459; 462;
Chasma 441 486; 631
Chelcick, Peter, Taborita 307 corpo di Resurrezione 219; 335; 440; 441;
Chiliasmo, Chiliasti, 214; 250; 252; 321; 452; 454; 458; 459; 460; 461; 462; 463;
682 497; 499; 520; 661; 667
Chlisty, setta gnostica ucraina 369 corpo glorioso 406; 434; 436; 439; 441;
Christiano, alchimista bizantino 230; 420 461
Chrysocheir 129; 130 corpo psichico 32; 38; 53; 386
Cibele 654 corpo sottile 197; 239; 242; 386; 388; 427;
Ciberreoti, Tema dei 139 448; 450; 457; 458
Cina 86; 206; 419 corpo spirituale 32; 39; 40; 56; 76; 121;
Cinici 64 140; 141; 169; 170; 171; 242; 270; 335;
Cipriano 82; 89; 90 341; 386; 401; 406; 408; 424; 427; 435;
Cipro 69; 243; 467 436; 440; 452; 455; 458; 459; 461; 462;
Circumcellioni 90; 91; 93; 303; 479 463; 464; 497; 506; 519; 520; 528; 530;
Cistercensi 176; 291 533; 545; 556; 609; 613; 630; 661; 706
Clarembaud dArras 266 Cosma, prete 132; 133; 134; 135; 139; 145
Clareno 425 Costantino, imperatore 61; 62; 82; 88; 89;
Classicismo 192; 412; 581 90; 101; 112; 121; 125; 149; 250; 252; 254;
Claudio, imperatore 63 255; 298; 709
Claudio Textor, eretico, paracelsista 477 Costantino, imperatore bizantino redivivo
Clemente Alessandrino 18; 19; 25; 37; 45; 256 Costantino, donazione di 709
46; 50; 57; 60; 79; 114; 276; 280; Costantino o Silvano, discepolo di Mani,
284;318;603;682 presunto primo Pauliciano 119; 121; 125;
Clemente Romano 34; 47; 64; 72 126
Clemente V 282; 300 Costantino Chrysomallo 145; 146
Clemenzio, eretico di Soissons 160 Costantino V 129
Cleopatra, regina, alchimista pseudepigrafa Costantinopoli 100; 107; 108; 126; 128;
255; 418; 419; 420; 654 129; 130; 131; 132; 137; 138; 144; 146;
clerici vagantes 152 180; 366
788
Diocleziano 66; 72; 86; 88; 89; 91; 108; E
110; 112; 114; 420
dionisismo 643; 653
Eberardo, eretico di Soissons 160
Dionyso 5; 9; 10; 16; 76; 531; 540; 541;
Ebioniti 21; 22; 23; 34; 44; 47; 48; 51; 52;
650; 651; 653; 654; 655
53; 55; 56; 57; 58; 59; 69; 76; 87; 135
Dippel, Pietista, seguace di Arnold 555; 556
Ebrei, Ebreo 34; 35; 41; 43; 46; 51; 57; 76;
Divara, prima moglie di Giovanni di
121; 182; 184; 198; 220; 244; 245; 252; 259;
Leida 334
263; 277; 287; 288; 294; 309; 318; 324; 359;
Divisch 551
360; 366; 367; 368; 379; 402; 411; 416; 432;
Djafar al Sdiq, 6 Imm 202; 204; 206;
500; 507; 543; 547; 548; 556; 561; 594; 681;
207; 210; 219; 229; 231; 232; 420
696
Djabal Bahr 235
Ebraismo, ebraico 8; 9; 10; 11; 16; 20; 21;
Djbir 228-235; 238; 335; 381; 420; 421;
22; 23; 24; 31; 47; 52; 55; 56; 68; 69; 71;
422; 424; 425; 426; 427; 428; 430; 431; 436;
72; 73; 74; 75; 77; 87; 101; 131; 150; 161;
439
184; 185; 191; 192; 215; 218; 220; 221; 222;
djbiriano 213; 225; 229; 231; 232; 233;
247; 248; 251; 252; 258; 263; 264; 265; 266;
381
267; 268; 276; 283; 284; 290; 291; 293; 342;
Djmsb: vedi Amsp
344; 345; 346; 347; 348; 354; 357; 365; 368;
djasad 459
369; 371; 373; 381; 391; 393; 394; 396; 404;
Djinn 379
470; 479; 562; 578; 587; 592; 594; 598; 656;
djism 459
663; 680; 681; 682; 709
Dobruschka, Dobruka 372; 373; 374;
Ecberto di Schongau 166
vedi anche: Frey, Junius; Von Schnfeld
Eckhart 268; 269; 270; 271; 273; 276; 286;
Docetismo 37; 47; 48; 49; 50; 56; 73; 75;
321; 428; 462; 475; 484; 485; 488; 500; 587
107; 122; 125; 126; 127; 128; 130; 141; 143;
Edessa 102; 103; 104; 105
149; 155; 158; 160; 169; 170; 182; 197; 281;
Efeso 22; 71; 76; 94; 107; 126; 128
454; 546
Egeria, matrona galiziana 91
Dolcino, Dolciniani 57; 278; 297; 298; 299;
Egesippo, Giudeo-cristiano 73
300; 303; 304; 306; 321; 341; 475
Egidio da Viterbo 402; 403
Domenico (S.) 298
Egitto 3; 8; 16; 23; 25; 42; 86; 91; 107; 211;
Domitilla 64
239; 252; 256; 355; 416; 419; 420; 500; 593;
Domiziano 62; 64; 65; 66; 67; 72; 76
648; 649; 655
Don Chisciotte 21; 323
Eglinus, alchimista 465; 466
Donatismo 77; 89; 90; 91; 158
Egran, predicatore 313; 314
doppia verit 223
Eichstdt 283
Dorn 392; 428; 432; 435; 437; 438; 439;
Einbildungskraft 586; 605; 669
440; 441; 442; 443; 445; 447; 448; 456; 460;
Elchasai, elchasaita, Elchasaiti 22; 23; 56;
477
57; 58; 59; 86; 87; 88; 101; 106; 149; 171;
dottrina dei colori 443
195; 197; 206; 209; 238; 388; 607; 705
Dragovitza o Drugunthia, Chiesa di
Eldad ha Dani 252
167; 168; 175
Eleati 689
Dresda 601; 606; 673; 677
Eleazar di Worms 545
Druidi 404
Elemento, puro (di Bhme) 519; 520; 522;
Drusi, druso (scisma) 214; 237
529
dualismo 35; 56; 75; 86; 102; 103; 106;
Elena, di Tiro, compagna di Simon Mago
108; 111; 112; 115; 116; 117; 121; 122; 126;
44; 326
128; 132; 134; 135; 144; 152; 157; 158; 159;
Eletti 31; 35; 36; 87; 108; 165; 200; 301;
167; 168; 172; 185; 186; 187; 218; 255; 264;
304; 314; 316; 317; 321; 322; 325; 332; 335;
265; 266; 267; 270; 344; 352; 354; 359; 386;
336; 337; 468; 487; 495; 532; 567; 585; 608;
406; 409; 417; 455; 475; 477; 480; 481; 482;
643; 682; 683
505; 530; 532; 568; 570; 572; 595; 602; 603;
Eliano, eroe popolare della Gallia 9
607; 609; 613; 614; 621; 646
Elio Aristide 65
Duchesne, alchimista 465; 466
elixir 231; 419; 422; 427; 430; 435; 437;
ductores 175
438; 440; 441; 442
Dulcigno 368
Elipando, Arcivescovo di Tolosa 149
Dunmeh, gruppo sabbatiano 369; 370; 371;
Ellenismo, ellenista, ellenistico 5; 7; 8; 9;
372
10; 11; 13; 19; 21; 22; 35; 36; 38; 39; 43;
Duodecimani 197; 198; 200; 202; 210; 229
56;59; 61; 62; 66; 68; 69; 70; 71; 74; 75; 76;
Durand de la Huesca 168; 169; 172
77; 78; 80; 82; 83; 87; 99; 101; 107; 115; 116;
Durazzo 145
117; 119; 122; 137; 144; 183; 191; 194; 195;
Drer 319; 405; 479; 611; 613; 614; 632
204; 208; 216; 224; 229; 230; 233; 238; 242;
Dusentscheur 333
248;
Dvin, concilio di 122; 123; 124; 125

790
403; 444; 465; 466; 467; 468; 484; 485; 501; 142; 237; 242; 251; 252; 253; 268; 272; 273;
510; 553; 554; 556; 561; 565; 566; 567; 573; 294; 323; 569; 580; 623; 661
608; 636; 638; 640 Giovanni Battista 55; 59; 143; 170; 401; 476
Gerolamo, (S.) 102; 250; 255; 700 Giovanni Damasceno 57; 105; 106; 143; 182
Gerona 266; 276; 283; 352; 353; 354; 358 Giovanni di Leida 328; 330; 331; 332; 333;
Gerusalemme 56; 57; 58; 69; 172; 253; 254; 334; 336; 337; vedi anche: Beukels
256; 263; 293; 294; 300; 304; 317; 327; 328; Giovanni di Lugio 168; 169; 184; 268
331; 333; 336; 337; 365; 366; 405; 440; 486; Giovanni di Odzun 123; 124; 125; 132
500; 502; 532; 535; 552; 635; 680; 682; 683; Giovanni di Salisbury 152
688; 712 Giovanni di Siviglia 383
Gervasio di Tilbury 152; 166 Giovanni Italo 145
Gestirn, Gestirne 448; 449; 450; 452; 453; Giovanni Maury 171; 172
455; 456; 457; 458; 459; 460; 486; 487; 494; Giovanni Tzourillas, Phundagiagita 139
495; 509; 528; 529; 533 Giovanni XXII 191; 272; 278; 283; 423; 426;
Ges 28; 29; 30; 33; 36; 37; 41; 42; 43; 45; 47; 427
48; 49; 53; 56; 58; 59; 80; 81; 83; 86; 100; 101; Giove 380; 406; 407
123; 142; 144; 149; 155; 156; 201; 211; 213; Giovenale 154
237; 318; 393; 394; 401; 453; 515; 547 giudaico, Giudaismo, giudaizzanti 8; 9; 11;
Gesuiti 402; 429; 430; 565 16; 22; 23; 29; 33; 34; 35; 41; 44; 47; 48; 49; 51;
Geworfenheit 693; 698 52; 55; 56; 57; 58; 59; 62; 64; 67; 68; 69; 72; 74;
Ghibellini 167; 176; 296; 300 75; 76; 78; 82; 86; 103; 104; 105; 107; 108; 117;
Ghird Kh, roccaforte ismailita 235; 237 122; 127; 130; 135; 142; 147; 170; 171; 181;
Ghult, Ghul (estremisti, estremismo nella 183; 184; 189; 209; 211; 222; 229; 242; 247;
Sha) 191; 200; 201; 203; 207; 219; 229 248; 249; 252; 253; 254; 259; 294; 301; 309;
Giacobbe 348; 357; 371; 494 335; 345; 347; 349; 352; 360; 369; 371; 375;
Giacobini 374; 561; 637 407; 419; 474; 547; 587; 623; 661; 663; 670;
Giacomo di Sarug 143; vedi anche: Jacob di 688; 690
Sarugh Giudei, Giudeo 59; 122; 157; 159; 182; 184;
Giacomo I 465; 466; 471 185; 187; 192; 194; 204; 215; 222; 284; 296;
Giamblico 83; 112; 194; 220; 381; 390; 471; 314; 315; 316; 318; 344; 371; 389; 391; 398;
573 399; 401; 426; 450; 453; 482; 500; 548; 661;
Giambullari 402; 403 663; 696; 706
Giannizzeri 243 Giudeo-cristiani 194
Giano 402; 405 Giudizio 6; 41; 59; 140; 143; 164; 169; 170;
Gichtel 555; 556; 562 171; 197; 199; 245; 250; 251; 252; 253; 254;
Gilgamesh 655 255; 290; 292; 307; 316; 322; 325; 327; 367;
Gilgl (rotazione delle anime) 351; 362; 364 392; 461; 462; 497; 501; 515; 523; 525; 533;
ginecocrazia 653 543; 568; 569; 573; 576; 580; 581; 582; 583;
Gioacchino, padre di Maria 524 584; 585; 586; 590; 601; 602; 625; 667
Gioacchino da Fiore 12; 130; 140; 171; 183; Giuliano, arcivescovo di Toledo 250
196; 247; 249; 251; 254; 257; 267; 268; 269; Giuseppe, figlio di Giacobbe 208; 316; 357
276; 290; 291; 292; 293; 294; 295; 296; 297; Giuseppe, Messia figlio di 364
298; 299; 301; 304; 320; 321; 353; 391; 400; Giuseppe II 372; 374
401; 416; 432; 476; 509; 556; 682; 705 Giustiniano 83; 100; 108; 122
Gioachimismo 152; 171; 185; 191; 192; 247; Giustino, apologista 20; 22; 23; 43; 46; 48; 51;
251; 254; 259; 268; 274; 276; 277; 278; 283; 52; 55; 62; 69; 71; 72; 73; 80; 100; 294; 322;
286; 290-302; 304; 306; 316; 320; 321; 323; 344; 482; 547; 703
326; 328; 336; 341; 400; 415; 422; 426; 428; Gnomi 448; 454; 561
431; 433; 457; 473; 474; 475; 476; 484; 501; Gnosticismo, anche: Gnosi 4; 6; 7; 8; 9; 11;
502; 546; 552; 555; 559; 560; 600; 608; 650; 13-95; 100; 101; 103; 104; 108; 109; 114; 116;
676; 682 117; 118; 119; 120; 126; 127; 128; 131; 132;
Giobbe 16; 48; 59; 344; 346; 351; 354; 370; 133; 135; 140; 143; 144; 145; 152; 157; 159;
433; 481; 512; 514; 524; 547; 658; 662; 664; 160; 166; 168; 171; 177; 181; 183; 184; 187;
686 192; 194; 195; 197; 198; 201; 206; 209; 211;
Giordania 419 213; 214; 216; 219; 224; 233; 237; 238; 240;
Giovani Turchi 369 243; 255; 258; 261; 262; 266; 268; 274; 275;
Giovanna, pia donna padovana, sedicente 277; 279; 282; 287; 288; 294; 302; 303; 304;
madre di Cristo 401; 405; 406 305; 326; 335; 336; 341; 342; 345; 346; 347;
Giovanni, angelo 170; 174 349; 351; 354; 357; 359; 360; 362; 372; 375;
Giovanni, Apostolo, Evangelista e suo 376; 380; 381; 388; 407; 416; 420; 433; 451;
Apocrifo 37; 47; 67; 71; 75; 76; 80; 106; 123;

793
Muammar ben Ahmar 202 Nathan di Gaza 365; 366; 367; 368; 374
Muammariyya 202 Ntiq (parlante) 202; 210; 234
Mutazili 199; 267 Nazareni 674
Mutazilismo 344; 346 Nazario, vescovo cataro di Concorezzo 142;
Mubaiyyda 206 168; 170
Mubrakiti, Mubrakiyya 202; 219; 228; 229; Nazismo 160; 247; 376; 565; 608; 691
232; 233 Nazorei 57; 58
mudejares 182 necromanzia 451; 515; 521
Mughriyya 200; 202 Nefesh 353; 358
Mughtasila, setta battista 58 Nein 514; 534; 535; 552
Muhammad, 12 Imm dei Duodecimani 197 neo-Gnosticismo 126; 127; 128; 143; 157; 171;
Muhammad al Bqir, 5 Imm 200; 201; 202; 181
vedi anche: Ab Djfar neopitagorismo 224
Muhammad ben Abdallh, 200; 204 Neoplatonismo 7; 8; 9; 10; 11; 75; 76; 82; 83;
Muhammad ben Al ben Abdallh ben 84; 114; 115; 117; 150; 157; 171; 183; 187;
Abbas 201; 205 191; 194; 209; 212; 213; 216; 219; 220; 221;
Muhammad ben Isml, 7 Imm dei 222; 226; 231; 233; 236; 239; 244; 245; 254;
Settimiani 202; 210; 211; 214; 218 258; 259; 260; 263; 264; 266; 267; 268; 269;
Muhammad ibn al Hanafiyya, fratellastro del 273; 274; 280; 288; 345; 346; 347; 351; 352;
2 e 3 Imm 197; 199; 200; 203; 206; 207; 355; 357; 375; 377; 381; 385; 386; 388; 390;
208; 229 397; 403; 423; 426; 455; 478; 479; 562; 563;
Muhammad ibn Buzurgummd, Signore di 569; 571; 572; 636; 638; 659; 671; 689; 699;
Alamt 233 706
Muhammad II, Signore di Alamt 233; 235; Nerone 62; 63; 64
236 Nerva 65; 67; 68
Muhammad III, Signore di Alamt 233 Neshama 358
Muhammarah 206 Nestoriani 107; 122; 125; 128; 138; 208; 209;
Mhlhausen 319; 324; 325 220; 229; 420
Mnster 171; 247; 256; 263; 265; 266; 267; Nestoriani Khujiks (del Khujistan, cfr.
268; 270; 286; 301; 310; 323; 326; 327; 328; Xuzastan) 124
329; 330; 331; 332; 333; 334; 335; 336; 337; Nestorio 107; 149
341; 342; 385; 390; 408; 466; 474; 475; 478; Netsah 350; 351; 353; 356
483; 499; 501; 502; 676; 680; 682; 683 Neumann, Erich 655; 694
Mntzer 270; 285; 305; 310; 311; 312; 313; Newton 368; 378; 465; 473; 541; 542; 550;
314; 315; 316; 317; 318; 319; 320; 321; 322; 551; 553; 560; 564; 643
323; 324; 325; 326; 327; 328; 330; 332; 335; Nezarka, fiume 308
336; 337; 341; 377; 385; 388; 431; 445; 450; Nicea, concilio di 607; 695
451; 452; 459; 463; 464; 466; 483; 500; 548; Niceforo I, imperatore bizantino 122
552; 554; 565; 622; 682; 683 Niceforo Foca 130
Ms al Kzim 202; 210 Niceta o Niquinta, Bogomilo 167; 180
Musil 696 Nicodemismo 286; 289
Mylius 436; 438; 439; 440; 441; 442; 443; 445; Nicodemo 286
465; 467; 468; 469 Nicola di Pelhimov, vescovo di Tabor 307;
Mysterium Magnum 348; 447; 449; 454; 455; 309
456; 471; 509; 511; 512; 513; 516; 517; 522; Nicolaiti 286
523; 524; 526; 527; 528; 529; 531; 532; 533; Nicolas o Niklaes, Henry 241; 242; 243; 286;
660 326
Nicol I, papa 150; 260
Nicolsburg 325; 326
N Nicomaco 224
Niesinck, convento di 327; 329; 331
Nabucadnetsar 315 Nietzsche 5; 502; 591; 635; 650; 657; 687; 688;
Nafs (anima) 211; 216; 217; 234 689; 712
Nag Hammadi 7; 16; 22; 24; 25; 73; 81; 215; Nihilismo 568; 599; 610; 611; 614; 615; 617;
681 618; 619; 624; 625; 626; 627; 628; 630; 641;
Napoli 682 647; 652; 655; 656; 687; 688; 690; 700
Narbona 182; 184; 266; 276; 283 Niklaes: vedi Nicolas
Narsete II, patriarca armeno 122 Niklashausen 310; 312
Narsete III, patriarca armeno 122 Nilo di Calabria 130
Nasr, setta citata nel Corano 58 Ninfe 379; 394; 448; 461
Nasroddn Ts 234; 238 Niquinta: vedi Niceta

800
paracelsismo 465; 466; 471; 502; 519; 545; Persia 66; 82; 83; 86; 88; 100; 101; 102;
553; 555; 556; 563; 564; 600; 606; 645; 677 108; 110; 112; 113; 114; 115; 117; 118; 122;
Paracelso 7; 8; 102; 170; 171; 191; 213; 126; 128; 132; 186; 194; 197; 198; 201; 202;
219; 220; 226; 238; 241; 242; 245; 246; 267; 203; 204; 205; 208; 210; 211; 212; 215; 222;
268; 270; 321; 326; 335; 336; 337; 341; 342; 229; 233; 235; 238; 241; 242; 243; 248; 251;
348; 377; 378; 379; 382; 385; 386; 387; 389; 252; 256; 380; 419; 425; 649
392; 394; 398; 404; 406; 410; 418; 419; 421; Pessoa 696
426; 427; 428; 429; 431; 432; 435; 438; 439; peste partica 70; 82
440; 441; 445-465; 466; 467; 469; 470; 471; Petersen, Johann W. 555; 556
475; 476; 477; 478; 479; 480; 482; 483; 484; Petrobrusiani 162; 163
485; 486; 487; 488; 489; 490; 492; 495; 496; Petrus Alphonsi, Ebreo convertito 183;
497; 499; 500; 502; 504; 506; 509; 510; 517; 267; 290; 291; 391
521; 523; 524; 527; 528; 530; 533; 549; 550; Petrus Bonus: vedi Pietro Bono
551; 552; 555; 556; 559; 560; 561; 562; 563; Pfeiffer 319; 324; 325
564; 569; 570; 572; 600; 603; 606; 609; 610; Phanaroia 121
618; 626; 631; 632; 641; 643; 645; 660; 677; Phantasey 503; 512; 513; 517; 525; 535;
681 547; 614; 617
paradiso 22; 40; 53; 80; 104; 117; 139; 142; Phundagiagiti 139
143; 171; 173; 175; 182; 192; 201; 202; 204; Piccardi 304; 306; 307; 308; 309; 325; 451
207; 211; 213; 217; 219; 227; 234; 236; 238; Piccardia 304
243; 251; 280; 284; 327; 354; 358; 400; 405; Pico, Giovanni 268; 375; 390; 391; 392;
433; 441; 449; 462; 491; 492; 493; 514; 519; 393; 394; 395; 398; 467; 559; 602
520; 521; 522; 525; 529; 684; 690; 706 Pierre Autier 174
Parma 297; 298 Pierre Clergue 174
Parmenide 249; 391 Pierre Maury 170; 173; 174; 180
Parmigianino 405 Pietismo, Pietisti, pietista 7; 103; 192; 478;
Parola 213; 348; 352; 384; 394; 447; 449; 485; 504; 507; 535; 544; 545; 547; 550; 553;
454; 455; 456; 463; 465; 480; 481; 482; 483; 554; 555; 556; 557; 559; 560; 561; 562; 569;
494; 498; 500; 508; 509; 516; 519; 520; 523; 570; 571; 572; 578; 580; 587; 589; 591; 596;
524; 527; 528; 531; 532; 534; 545; 546; 587; 600; 623; 625; 630; 636; 637; 642; 661; 663;
588; 589; 590; 667 665; 681; 682; 688; 689
Parti 68 Pietro, Apostolo e suo Apocrifo 47; 48; 59;
Pascal 563; 700 73; 122; 123; 294; 297; 661
Passagini 159; 184; 185 Pietro, re di Bulgaria 132; 133
Passione 80; 86; 121; 140; 237; 281; 428; Pietro, spagnolo, traduttore di Avicebron
430; 434; 465 263
Pastor angelicus 252 Pietro III d'Aragona 283; 296
patriarcato 333; 653; 654; 655; 657 Pietro Bono, Petrus Bonus, medico-
Patripassiani 23; 92 alchimista 425; 426; 427; 428; 432; 441;
Pauliciani, anche: Paulini, Pauliani, Pietro di Bruys 162; 163
Paulianisti; Paulicianesimo 36; 49; 57; 83; Pietro di Lugo 301
99; 100; 102; 106; 107; 108; 119-130; 131; Pietro il Venerabile 162
132; 133; 134; 135; 136; 138; 139; 140; 141; Pietro l'Igumeno 120; 124
143; 144; 145; 149; 154; 155; 162; 163; 165; Pietro Lombardo 269; 291; 292; 293; 476
166; 167; 179; 181; 198; 208; 272; 326; 331; Pietro Siculo 119; 120; 121; 123; 125; 126;
359; 474; 553; 713 127; 129; 131; 144
Pelagianesimo 94 Pigmei 448
Pelagio 94; 163 Pio, papa 54; 73
Pelasgi 688; 689; 690; 693 Piphles (altro nome dei Catari) 166
pensiero mitico 4; 5; 8; 9; 10; 11; 12; 15; Prz 110; 113; 114
16; 17; 18; 19; 28; 39; 74; 148; 262; 291; Pisa 163
346; 349; 350; 351; 423; 434; 435; 436; 475; Pisidia 130
540; 562; 563; 565; 570; 572; 573; 574; 580; Pistis 25; 104
589; 590; 594; 616; 617; 625; 630; 636; 641; Pitagora, Pitagorismo, pitagorico 23; 45;
642; 650; 658; 684; 687; 688; 691; 693; 694 84; 114; 224; 230; 391; 470; 471; 560; 626;
Pentecostali 106 655; 661
Peregrinus Episcopus, forse pseudonimo di Platone 5; 9; 19; 21; 111; 114; 183; 212;
Priscilliano 91 220; 221; 222; 224; 248; 266; 318; 385; 390;
Perfetti 103; 108; 140; 144; 158; 170; 175; 403; 404; 420; 425; 557; 569; 573; 598; 689;
176; 177; 178; 179; 185; 187; 282; 286; 299; 690; 697
308 Plinio 67
Persefone 694
802
Plotino 7; 10; 11; 17; 61; 62; 76; 82; 83; Pruystink 285; 286
108; 112; 196; 211; 212; 221; 222; 224; 258; ps.Apollonio 232; 238; 377; 380; 384; vedi
259; 261; 344; 362; 377; 385; 409; 479; 516; anche: Blins
531; 549; 572; 599; 602; 604; 625; 626; 630; ps.Aristotele 384; 436
631; 643; 645; 676; 681; 682 ps.Callisthene 245; 251
Plovdiv 130; 167; vedi anche: Filippopoli ps.Democrito 425
Plutarco 461; 471; 479; 560; 653; 654; 655; ps.Empedocle 264; 265; 381
661 ps.Ephrem 252; 253
pneuma 33; 35; 37; 86; 87; 382; 386; 387; ps.Longino 411; 581
388; 389; 392; 394; 426; 427; 431; 442; 447; ps.Lullo 426; 438; 439; 441; 442; 445; 477
448; 451; 452; 456; 461; 533; 551; 552; 553; ps.Methodio 251; 253; 254; 255; 256; 401
627; 666 ps.Policarpo 304
Pocques o Pocquet, libertino 285; 286; 287 ps.Psello 134; 135; 187; 272; 304; 394; 471;
Podolia 369 662 (anche sotto: Psello)
Poeldijk 337 Psello 137; 145; 187; 354; 394
Policarpo, di Smirne 71; 73; 95 Psychopannychismo 462; 474; 477
Polonia 362; 365; 368; 369; 446; 477 Publicani (altro nome dei Catari) 130; 166
Pontormo 405; 414 Puritani 681
Popelicani (altro nome dei Catari) 166 Putagio, Guido 300
Pordage 555; 556 putrefactio 365; 424; 442
Porete: vedi Margherita Porete
Porfirio 83; 112; 231; 259; 390; 394; 471; Q
573
Qim (Resurrettore) 197; 199; 200; 201;
Portogallo 174
213; 214; 218; 235; 241; 283
Postel 5; 23; 52; 192; 245; 278; 324; 326;
Qabbalah 8; 21; 87; 150; 181; 184; 187;
341; 342; 378; 392; 396; 399-408; 416; 431;
191; 192; 215; 222; 234; 261; 263; 264; 265;
432; 452; 466; 475; 477; 485; 490; 493; 497;
268; 276; 283; 342; 343; 344-376; 377; 378;
499; 501; 505; 545; 547; 548; 552; 558; 559;
385; 387; 390; 391; 392; 393; 395; 396; 397;
594; 608; 610; 640; 642; 643
398; 399; 401; 403; 404; 405; 407; 410; 412;
Potours, setta sincretista cataro-musulmana
425; 431; 467; 471; 473; 483; 488; 496; 497;
181
504; 506; 507; 511; 523; 525; 540; 543; 544;
Poussin 412
545; 546; 549; 553; 556; 562; 571; 572; 603;
Praga 282; 304; 305; 306; 307; 309; 314;
636; 665; 682; 699
368; 374; 405; 465; 467; 470; 518
Qadar (predestinazione, heimarmne) 216;
predestinazionismo 75; 174; 468; 477
217; 218
Presocratici 641
Qf, monte 240
Prete Gianni 237; 252; 256
Qairawn, Qairouan 212; 252
Pbram, Jan, Taborita, nemico di Hska
Qarmati 202; 204; 206; 207; 208; 210; 211;
307; 308
212; 213; 229; 232; 233
prima materia 447; 450; 454; 459; 460;
Qazvn 243
461; 592; vedi anche: materia prima
Qelipt (scorie) 362; 363
Primo Principio 264
Qiymat 114; 196; 209; 213; vedi anche:
Prisciano 83; 220
Priscilliano, Priscillianismo, Priscillianisti Grande Resurrezione
Qobd 110; 111; 114
88; 91-93; 103; 127; 147; 148; 157; 176;
Quaccheri 485
181; 287; 378
Quadi 70
Proclo 182; 211; 212; 220; 221; 222; 224;
Quadrato, apologista cristiano 72
259; 270; 381; 382; 390; 397; 459; 471; 486;
Quaternit 524
531; 573
Quattrami, Evangelista, frate 434; 435; 442
Procopio il Grande, condottiero Taborita
Querelle (degli Antichi e dei Moderni) 566;
309
573; 575; 581; 598
profetismo 71; 73; 75; 76; 88; 92; 93; 116;
Querido, Jacob, Sabbatiano 369
118; 128; 149; 151; 197; 198; 206; 238; 239;
242; 249; 251; 369; 465; 487; 556; 561; 711 Quhistn 235
prodos 196; 494; 497 Quietismo 337
Protestantesimo 77; 428; 466; 578 Quietisti 485
Proudhon 686 quinta natura 230; 426
Prous Boneta, mistica beghina 278 Quintessenza 245; 426; 427; 430; 431; 439;
Proust 615; 696 440; 441; 442; 459; 460; 516; 518; 519; 520;
Provenza 162; 163; 171; 278; 282; 295; 521; 525; 528; 529; 667
296; 297; 344; 345; 347; 349; 374; 375 Quintin Thieffry 285
Provenzali, Catari 167 Qum 235

803
Veneto 474; 476; 477 548; 555; 556; 559; 572; 587; 607; 609; 614;
Venezia 397; 401; 403; 405; 406; 411; 466; 615; 661; 669; 676; 677; 681; 682; 683; 713
477 Weil, Simone 65; 696
Verdi, fazione del Circo 108; 122; 364; 704 Weimar 315; 316; 319; 642; 677
Vergine 134; 140; 156; 161; 170; 284; 310; Weisheit 73; 450; 453; 457; 514; 519; 520;
330; 331; 371; 372; 433; 495; 519; 520; 521; 523; 524; 525; 528; 602
523; 524; 525; 645 Werner, Gotthold Abraham, medico
Vernunft Vernunfft 15; 118; 446; 448; paracelsista 570
449; 450; 451; 458; 486; 487; 490; 496; 503; William of Newburg 164; 166
509; 513; 516; 517; 525; 530; 533; 552; 554; Winckelmann 5; 16; 593; 611; 630; 636;
562; 563; 564; 637; 669 649; 650; 652; 670; 694
Vero 70 Windischmann, Carl Joseph, naturalista
Verstand 452; 486; 487; 490; 496; 509; romantico 568; 600; 606
511; 513; 525; 527; 530; 562; 669 Wittemberg 285; 313; 329
Vertus, nella Marne 154 Witz 602; 604; 608; 610; 709
Vespasiano 64; 65 Wolff 153; 179; 542; 543; 549; 554; 556;
Veteroluterane, Veteroluterani 468 569; 571
Vicenza 168; 477 Wurzach 319
Vienna 326; 368; 372; 374; 406; 605 Wrzburg 91; 92; 93; 143; 310
Vienne 279; 282; 284 Wyclif, Wyclifiti 273; 303; 304; 305; 489
Vilgardo 154; 666
Villani, Giovanni 402 X-Y
Vincenzo di Beauvais 425
Xuzastan 124
Vincenzo di Lerins 92
Yaldabaoth 33; 34; vedi anche: Jaldabaoth
Virgilio 154; 255
Yaya, figlio di Zayd 200; 205
Visconti 299; 300
Yemen 198; 211; 212; 215; 254; 366; 419
Vtsp: vedi Hystaspes
Yetsirah, mondo di 358; 362; 363; 364
vita "aerea", termine paracelsiano 461
YHWH 351; 357; 360; 362; 470; 527; 540;
vita "enochidiana", termine paracelsiano
682
245; 461
yin e yang 419; 646
vita cosmographica, termine paracelsiano
Yliaster, Yliastes 454; 456; 460; 461; 521;
461
vedi anche: Iliastri
vita longa, termine paracelsiano 245; 387;
427; 441; 460; 461; 479; 533
Voltaire 535; 575; 591 Z
von Balthasar, Ur 682 Zachaire, Zacharias, alchimista 432; 435;
von der Wieck, sindaco di Mnster 327; 437; 472
330; 331 zhir (senso letterale) 195; 196; 213; 217;
von Rosenroth, Knorr 362; 368; 399; 504; 218; 225; 236
541 Zmsp: vedi Amsp
von Schnfeld 373; vedi anche: zandaqa 204
Dobruschka, Frey, Junius Zanjn 241; 242; 243
von Waldeck, principe vescovo di Mnster Zayd, fratello di Muhammad al Bqir;
327; 329; 330; 332 Zayditi, Zayditi forti 200; 203; 205
Zefirino, papa 20; 22
W Zelivsk, Jan 306
Zeloti 101; 197; 681
Wackenroder 567; 600; 610-614; 615; 616;
Zenobia, di Palmyra 83
617; 618; 619; 620; 625; 632; 673
Waldshut 326 Zern Tdj: nome di Qurratu l Ain, q.v.
Was 216 Zeus 5; 9; 10; 66; 350; 439; 540; 576; 639;
650; 653; 654; 657; 691; 693
Wassenberg, predicatori di 328; 330;
336 Zevi, trib 252
Weber, Max 12; 64; 77; 129; 195; 390; 539; Zevi, Sabbatai: vedi Sabbatai Tsevi
545; 635; 666 Zindq 195; 201
Weigel 7; 8; 11; 155; 162; 219; 226; 238; Zinzendorf 310; 545; 555; 556
ika 306; 308; 309
268; 269; 310; 314; 315; 318; 320; 321; 324;
335; 377; 385; 398; 399; 432; 445; 450; 462; Zodiaco 87
477; 478; 480; 482; 484-501; 502; 504; 508; Zohar 169; 345; 354; 355; 356; 357; 358;
359; 360; 361; 362; 363; 364; 365; 371; 374;
509; 510; 511; 512; 513; 515; 517; 519; 520;
523; 524; 526; 529; 530; 531; 532; 533; 534; 376; 399; 400; 401; 403; 488; 504; 543; 544;
545; 547; 548; 682

809
APPENDICE ALLA QUARTA EDIZIONE

Il significato delle sette shite

Uno dei punti nodali della nostra trattazione, se non forse quello cruciale, costituito dal duplice
movimento in grazia al quale il pensiero marginale del mondo antico venne sviluppato in oriente (Bisanzio,
Persia, Islam) e di l torn in occidente nel XII secolo: ci che il mondo mediterraneo aveva in comune era stato
espunto dallOccidente per poi tornarvi come radice del nuovo dissenso, come riscoperta di antiche ascendenze
in una novit che conservava una strana aria di famiglia. Ci sembrato perci opportuno ripercorrere
sinteticamente le vicende gi illustrate della Sha ampliando ulteriormente il campo dindagine, per rafforzare
quella stessa impostazione che ci era gi apparsa significativa.
Lampliamento della bibliografia utilizzata conferma infatti limpostazione del capitolo gi intitolato
Ordine celeste e disordini terreni, rendendola ancor pi significativa. Nellambito delle diverse prese di
posizione dei vari autori, il quadro che ne emerge chiaro nei lineamenti che concernono i problemi da noi
affrontati. In sintesi si pu affermare quanto segue.
Il fenomeno della Sha ha radici politiche, e soltanto col tempo assume caratteri di marginalit
gnostica; al proprio interno esso manifesta una linea quietista e una linea eversiva. Lo estremismo (Ghul)
un connotato originario, nel senso che laccusa ad alcuni gruppi di esser tali un fenomeno relativamente tardo,
che prende corpo allorch si former una vasta corrente (destinata a confluire massimamente nella Sha
duodecimana) ad orientamento quietista. Essa tender perci a distinguersi da coloro che ancora lottavano per
una diversa gestione della societ islamica. Questa divaricazione prende corpo essenzialmente nellepoca del 5
e 6 Imm (Muhammad al Bqir e Djafar al Sdiq) e non da escludersi che allo stesso 6 Imm risalga la
dottrina canonica di un Imamato che si trasmette di padre in figlio a partire da Husayn (che per succedette al
fratello Hasan). Del 4 Imm si dubita persino che abbia mai ricoperto tale ruolo.
In effetti, le vicende iniziali sembrano conciliarsi poco con la dottrina duodecimana. I movimenti
politici degli inizi (a prescindere dalle dottrine gnostiche imputate al mitico ebreo Ibn Sab, che non certo
risalgano a lui) alludono semplicemente alla richiesta di un Imm da identificare con un Alde, tale per che
avanzasse una simile pretesa e combattesse per essa. Quanto ad Al ben Talb, il genero di Maometto, ben
noto che non trov a che ridire sulle scelte di Ab Bakr e di Umar a primo e secondo successore del Profeta. Il
contrasto sorge dopo, e mostra un mondo di lotte strettamente politiche, con compromessi che riguardano lo
stesso Hasan (Madelung, 1997).
Kaysniti, Hshimiti e Zayditi forti (Djrditi) si muovono nellambito di questa tradizione politica
genericamente Alde e certamente bellicosa sul piano politico, una linea che tenter vanamente la presa di
potere che viceversa riuscir agli Abbsidi. Il loro atteggiamento ideologico lato sensu razionale e
democratico, se cos pu essere lecito definirlo in antitesi ai successivi sviluppi gnostici e teocratici e in
funzione di una certa analogia col movimento Khridjita. Razionale nel senso che non si invocano gerarchie
metafisiche, e democratico nel senso che improntato ad una richiesta di giustizia terrena, secondo lo spirito
originario dellIslam e sotto la guida di un capo, scelto perch affidabile. Al riguardo, si pu interpretare la stessa
divinizzazione kaysnita di Al come un prodromo di successivi wqifismi (dottrine che arrestavano ad un
certo punto la catena degli Imm, dellultimo dei quali, ritenuto asceso in cielo, si attendeva il futuro ritorno)
cio di quei gruppi che si posero il problema di una gestione della comunit in nome, ma in assenza, di un Imm,
quindi ad opera di altre figure-guida (sui Wqifiti, cfr. Buyukkara; propriamente tali sono coloro che arrestano la
linea degli Imm al 7 dei Duodecimani, Ms al Kzim).
Molto interessante la divaricazione dottrinale che si gener, in questa logica, tra coloro che pensavano
ad un possibile ambasciatore (safr) dellImm occultato; e coloro che invocavano esotericamente una vera e
propria porta (bb) daccesso a lui (Capezzone, 1995): da un lato una scelta politica, dallaltro una gnostico-
teocratica, certamente generatrice di maggior estremismo.
La linea pi marcatamente gnostica della Sha aveva tuttavia gi preso origine essenzialmente ai
tempi della progressiva affermazione Abbside e attorno al 5 e 6 Imm, al cui insoddisfacente atteggiamento
quietista rappresent una risposta: lapocalittica, tra coloro che sostengono le scelte rivoluzionarie, si afferma gi
con un contemporaneo di al Bqir, Djbir ben Yazd al Djuf, un Mughrita, (Halm, 1981). La scelta gnostica
pu anche trovare fondamento nellipotesi di Strothmann, cio che si rendeva necessario colmare labisso tra
lumano e il divino lasciato aperto da Maometto, stabilendo la figura intermedia delluomo divino come nello
Gnosticismo; tuttavia la ragione storica della Sha, che religiosa, ma anche -originariamente- politica, resta
altra cosa rispetto a quella dello Gnosticismo.
Vari sono gli sviluppi che prendono corpo: quello nusayrita parte da Mufaddal ben Umar al Djuf,
Khattbita (cfr. p. 202, n. 50), seguace del 6 Imm, poi Wqifita (Halm 1978 e 1981 delinea la linea
dottrinale che conduce ai Nusayriti, in Karbiti, Hrithiti e Mughriti) e culmina in un Islam senza nemmeno pi

811
settari. Al di l di problematiche aperte e non facilmente risolubili, si pu leggere in filigrana lo sfondo politico
delle differenziazioni.
Qui, soprattutto si pu scorgere la definitiva emersione, come contrasto, di quella che fu da sempre
lambiguit della Sha: rivoluzionaria, in nome della giustizia terrena attesa dallIslam, nelle intenzioni e negli
sforzi dei maggiori seguaci; quasi sempre quietista nei primi 6 Imm duodecimani, con leccezione di Husayn. I
rivoluzionari, che avevano dato alimento a quelle correnti shite (Kaysniti, Hshimiti, Zayditi, etc.) sostenitrici
di altre figure Aldi, disposte ad impugnare le armi; e che poi elaboreranno un orientamento gnostico; finirono
pi volte esecrati. La morte del 6 Imm segna la frattura definitiva, e da questo momento inizia a prender corpo
nelle cronache la categoria dello estremismo (Ghul) tramite la quale gli eresiologi riscrivono la storia della
Sha e delle sue infinite correnti (noi ci siamo limitati, nel testo, ad alcune etichette; occorre per ricordare che
esistono ulteriori suddivisioni, il pi delle volte mere creazioni ad hominem: vedi p.e. Ibn Hazm in Friedlaender,
cit. in Bibliografia a p. 757).
Della presa di coscienza circa la necessit di battere altre strade, si pu arguire partendo dai due
fenomeni circa contemporanei che si sviluppano attorno al tempo del 5 e 6 Imm, soprattutto attorno a
questultimo: lattesa messianica di un Imm occultato, che comporta una riorganizzazione politica degli
shiti senza Imm, in vista della Resurrezione che porr fine ai tempi (il 7, come il 12, un numero eletto, e vi
furono vari gruppi settimiani; cfr. anche Bar Asher 1990); e la nascita dellalchimia islamica, non soltanto con
Djbir, ma anche con Kaysniti, Khattbiti e Mubrakiti, dai quali passer agli Ismailiti.
Come si ricorder, lalchimia spirituale comporta la divinizzazione delladepto; perci importante
far riferimento al contesto storico-sociale nel quale si sviluppa, nel X secolo, il corpus djbiriano e la dottrina
degli Ikhwn as Saf, nella Baghdad byide. La presa di coscienza costituita, a nostro avviso, dalla crisi del
modello quietista che ha scisso la Sha in due tronconi. Uno, il futuro partito duodecimano, crea verosimilmente
al tempo di Djafar la successione canonica (Hasan oHusayn oAl Zayn al bidn o Muhammad al Bqir
oDiafar al Sdiq oMs, etc.). La realt storica di questa linea infatti dubbia, sia perch, prima di allora,
Kaysniti, Hshimiti, Zayditi e altri, avevano proclamato Imm altri Aldi concretamente ribelli; sia perch
dubbio che Al Zayn al bidn sia mai stato proclamato Imm (Hodgson, in Madelung 1965, cit: in
Bibliografia a p. 765). Pi tardi, con la proclamazione del grande occultamento del 12 Imm, anche costoro
decisero che era pi opportuno gestire il movimento in assenza dellImm, sempre tuttavia allinterno di
unottica teocratica.
Laltro troncone scelse viceversa da subito la via che manteneva aperto il sogno di giustizia terrena.
La deflagrazione gnostica di questi gruppi deve intendersi in un senso che vorremmo definire, anche se
impropriamente, democratico. La trasmigrazione delle anime fu infatti invocata ripetute volte per sanzionare
limamato attribuito a capi ribelli non appartenenti al ceppo Alde: appena il caso di ricordare Abmuslimiyya
e Khattbiti, per restare tra i protagonisti gi citati. Questo errore dottrinale, che deriva da quello giudeo-
cristiano (tema fisso di Ibn Hazm) di confondere umano e divino, rappresenta una scelta gnostico-democratica
che una via di mezzo tra quella democratica e razionale dei Khridjiti, di attribuire alla comunit il carisma
divino e la conseguente scelta dellImm in base ai suoi meriti; quella razionale epper verticistica di
Kaysniti, Hshimiti e Zayditi di scegliersi un leader forte e caricarlo di attributi divini, sempre al fine di
realizzare la giustizia in terra; e quella teocratica che consister nel credere nella divinit di un uomo cui affidare,
in perfetta sottomissione, il compimento dei tempi (luso delle virgolette evidentemente dettato
dallimpropriet della tentata traduzione in concetti attuali di ci che mal vi si presta).
Con i Qarmati prende corpo una scelta radicalmente esoterica (come con i Nusayriti) dalle complesse
cosmogonie che alterano la dottrina originaria dellIslam; il compimento politico di questa scelta si avr a
Bahrain e ad Alamt. I Fatimidi non saranno lontani da un analogo atteggiamento, salvo doversi preoccupare di
gestire la legalit di un regno; la loro teocrazia resta un ibrido tra il modello gnostico e quello immita fondato
sulla discendenza.
Nellambito di questo processo, che va dallVIII al X secolo, conta ora comprendere il significato
degli sviluppi alchemici e la collocazione degli Ikhwn as Saf. In questa vicenda, oltre allopposizione al
Califfato Abbside, un ruolo decisivo sembra esser stato giocato dalla crisi di questultimo, e dagli ambienti di
corte della Baghdad Byide.
Sulla natura dellalchimia djbiriana (che, lo ricordiamo, si sviluppa tra lVIII e il X secolo, e quindi
conosce unevoluzione) utile rifarsi al testo della O Connor; ma vedi anche le fonti tradotte e commentate da
Garbers-Weyer: siamo in presenza di unalchimia spirituale, non di metallurgia, come abbiamo ripetutamente
sottolineato nel testo.
La ricerca della O Connor, pur avendo il limite di un esame dei testi djbiriani che prescinde dalla
cronologia, quindi dal contesto storico-sociale nel quale andrebbe valutato ogni passaggio, di importante
sostegno alla nostra tesi, perch mostra chiaramente la natura spirituale dellopera alchemica. Questo ci che
viene trasmesso alloccidente, anche se loccidente, in un primo momento, fraintender (cfr. anche Garbers-
Weyer, che sottolineano le differenze tra lalchimista, il tecnico di laboratorio, e il puro e semplice
imbroglione). Lalchimia, sostiene la O Connor il cui interesse principale rivolto al mito della creazione
dellhomunculus, un pensiero eretico del quale portatrice la cultura marginale. Il modello metallurgico

813
BIBLIOGRAFIA PER LAPPENDICE ALLA QUARTA EDIZIONE

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818
eterodossie ultra-shite, imparentate tra loro; diffuse nelle regioni balcanico-anatoliche e irano-mesopotamiche
dal Caucaso alla Siria (Aleviti, Yezdi, Ahl-i Haqq, Bekhtashi e quantaltri) con reciproche influenze;
caratterizzate da fenomeni di diffuso sincretismo con altre religioni, incluso il Cristianesimo, e da frequente
antinomismo nei confronti della Sharah, sette per le cui dottrine rinviamo alla Bibl. infra; se si eccettua il
quietismo dellIslam mistico; il vero problema culturale nel rapporto tra Islam e occidente, costituto dal rigido
rapporto tra dettato religioso e normativa giuridica in rapporto allutopia sociale (realizzazione di un mondo di
giustizia).
Tale rapporto viene incanalato attraverso i princpi della giurisprudenza (usl al-fiqh) messi a punto da
Shfi (cfr. infra in Bibl.) posti in opera dalle principali scuole giuridiche (cfr. Makdisi, 1962-63, 1984 e 1986;
Modarressi; sullutopia sociale cfr. Campanini, 2003; Guolo; Fouad Allam, 2002; Rosenthal, 1962 e 1973).
NellIslam la religione, tramite il diritto, modella la societ in direzione della perfezione ordinando il
Bene e vietando il Male, sulla base del Corano e della Sunnah, cio, in termini di Legge, sulla base della
Sharah; inoltre, per lIslam, la societ migliore non si realizza nella libert, ma nella giustizia, tanto che
Massignon lha definito una teocrazia laica egualitarista. Ora, il modo corretto dinterpretare il Corano
secondo lusl al-fiqh, richiede uno sforzo razionale di comprensione (ijtihd) che concerne per lapplicazione
del dettato alla fattispecie (sforzo indispensabile alla stessa realizzazione di un Islam) non linterpretazione
razionale del dettato stesso -Corano e Sunnah- magari per metafora o analogia, laddove esso si presenti oscuro o
persino contrario alla ragione. Il dettato va accettato cos com, perch di fonte divina, direttamente o
indirettamente. Il Corano, nella sua letteralit, inteso infatti essere increato, espressione di una immutabile
volont divina, non necessariamente comprensibile alluomo; e gli hadth del Profeta sono intesi comunque
derivati da unispirazione divina. Questa scelta fu storicamente operata nellambito dellIslam sconfiggendo le
diverse posizioni del mutazilismo, scuola razionalista di pensiero secondo la quale non soltanto la volont
divina sarebbe stata comunque espressa nel supporto della materia (dunque, il Corano fu creato), ma, quel che
pi conta, la Legge divina deve essere comunque comprensibile razionalmente perch la Volont divina non pu
essere in contrasto con la ragione umana. Per costoro essa non pu essere arbitraria, ancorata al concetto di
giustizia: ci che, ci sia consentito per inciso, comporterebbe necessariamente la storicizzazione della sua
comprensione. La necessit di comprensione del Corano e degli hadth fu infatti tentativamente messa in opera
nel kalm dai mutakallimn, la cui opera fu per sconfessata. Ci della massima importanza se si considera
che, come sottolinea Ibn Khaldn allorch considera levolversi storico delle societ islamiche, per lIslam un
governo fondato sulla religione sempre superiore a uno fondato su leggi umane.
La rigida immutabilit della Sharah ancora pi forte nel neo-fondamentalismo, che discende dal
dettato dello hanbalita Ibn Taymiyya (per il quale cfr. anche Laoust, 1939, infra in Bibl.) letto in modo ancora
pi rigido, nel XVIII secolo, da Ibn Abd al-Wahhb, padre del ben noto wahhbismo applicato nel Regno
Saudita. Ibn Taymiyya, si noti, mette in atto il pi rigido razionalismo, applicato per alla incomprensibilit della
volont divina per la ragione umana.
Queste considerazioni trovano la loro importanza alla luce di quanto pi volte sottolineato da Roy
riguardo al neo-fondamentalismo, precisamente al fatto che esso emerge da uno stuolo di autodidatti la cui
interpretazione personale (lecita nellIslam, dove non esiste il dettato di una Chiesa istituzionalizzata) lontana
dalle complessit dottrinali e politiche che attraversano la storia dellIslam. Per giunta, esso si rivolge alla re-
islamizzazione di masse ancor pi lontane da tutto ci, con la conseguenza di configurare, nel complesso, ci che
noi abbiamo definito pi volte un razionalismo subalterno.
Di fatto, il problema della storicizzazione del Corano sembra al momento insormontabile, bench vi
siano chiari indizi che esso si sia formato progressivamente nel VII-VIII secolo (cfr. Crone, 1994 (b) e (a);
Nevo) s che the muslim recollection of the Prophet reflects the lives and thoughts of all the believers who
create a new civilisation in allegiance to him, not just those of Mohammed himself (Crone, 1994, a). Questo
vale sicuramente per quanto concerne la normativa legale, parte della quale, almeno, deve essersi consolidata,
cos come la conosciamo, soltanto con la fine dellVIII secolo (Crone, 1994, b) il secolo che vide, come abbiamo
esposto nel testo e ancora nellAppendice alla 4 ed., lesplosione della Sha estremista. Nevo poi, sulla scorta
delle antiche iscrizioni, propende per una progressiva formazione, non prima del periodo Abbaside, della stessa
concezione religiosa, tramite il concorso delle popolazioni mediorientali che erano state sottomesse
nellespansione. Molti dei contributi presenti in Liberal Islam, cit., che sono opera di autori islamici, lasciano
intendere infatti la necessit di storicizzare il testo, quantomeno nella sua interpretazione.
Un modello molto chiaro e razionale per la lettura storicizzata del dettato coranico in rapporto alla
Sunnah e agli hadth, tramite linterpretazione personale, lo sforzo di comprensione, quello esegetico e il
consenso (ray, tafsr, ijtihd e ijm) quello fornito da Fazlur Rahman su Islamic Studies del 1962 (cfr. infra in
Bibl.). Egli sottolinea come lopera di Shfi abbia congelato levoluzione dellIslam; daltronde Shfi era
rivolto a contenere un processo di atomizzazione dellIslam stesso, dovuto allassenza di una dottrina
istituzionalizzata. Ricordiamo, per inciso, che il formarsi del Canone e laffermarsi della Chiesa di Roma
nellambito della polemica con gli Gnostici, ebbe motivazioni in parte simili; non per nulla Shfi rimprover
ai propri oppositori quel che Ireneo rimproverava agli Gnostici: non siete daccordo su nulla. Il canonizzarsi di
un corpo di hadth ritenuto veridico in corrispondenza allopera di Shfi paralizz cos la lettura della

829
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852
DOPO E A LATO

Il titolo di queste aggiunte al testo suonerebbe pi propriamente come "Parerga e Paralipomena":


troppo aulico per, e gi usato. Il senso tuttavia resta quello, e sta ad introdurre commenti e notazioni su
problemi emergenti dal testo in rapporto ad affermazioni e prese di posizione che, per necessaria concisione,
possono apparire apodittiche. Altre notazioni sono poi frutto di successivi approfondimenti, seguono cio, nel
tempo, la stesura della V edizione del Gennaio 2007 qui prodotta online. In particolare, nell'ultima Appendice
figuravano affermazioni derivanti da una precisa presa di posizione maturata in venti anni di ricerca, ma
volutamente contenute nell'estensione e meritevoli di una pi ampia analisi. Conferme di quelle scelte debbono
perci venire da un esame pi di dettaglio e da una pi ampia letteratura: ci che faccio qui, parlando in prima
persona com' ovvio, poich mi riferisco ai miei appunti che riporto cos come nascono. Sono riflessioni in corso
d'opera in generale, ma, pi in particolare e sovente, annotazioni al margine dei testi esaminati. L'ordine delle
cose raccolto in singoli paragrafi disposti in ordine casuale, per singoli argomenti che si succedono al maturare
della raccolta degli appunti entro appropriate titolazioni. Tutte le traduzioni da testi in lingua straniera sono mie,
tranne quando diversamente evidente nel discorso o dai riferimenti bibliografici. Quando faccio riferimento al
"testo", mi riferisco, ovviamente, a Storia di un altro occidente nella sua V edizione online.

1 - azzardato, o comunque troppo originale, affermare che l'Islam, in quanto


problema, un problema che rinvia alla formazione dell'Occidente?

Questa affermazione torna pi volte nel testo e credo di averne dato ragione, sia pure in modo
sintetico; al riguardo c' tuttavia un retroterra di studi che potrebbero giustificarla, sul quale sembra utile
soffermarsi. Senza necessariamente tornare indietro a Goldziher o seguire le criticate posizioni di Schacht, non
bisogna ignorare che gi a cavallo tra il XIX e il XX secolo si era intuita la possibilit che la nascita e lo sviluppo
dell'Islam fossero avvenute in un contesto storico non esattamente riconducibile al racconto della storiografia
islamica, notoriamente assai tarda rispetto agli eventi degli albori. L'intuizione di fondo era che l'Islam fosse nato
e avesse conosciuto la propria evoluzione iniziale all'interno di una temperie religiosa diffusa a livello popolare
nell'area mediorientale, e da essa avesse maturato alcuni propri lineamenti. Ci che veniva chiamato in causa
erano le pullulanti sette giudeocristiane, in particolare l'Ebionismo e l'Elchasaismo, ma non soltanto: veniva
invocata infatti anche la cultura religiosa dell'area irano-mesopotamica. Nel testo, e nelle Appendici alla IV e V
edizione, non ho mancato di fare dei riferimenti; qui per vorrei entrare pi nel vivo.
Gi nel 1920, il primo numero della prestigiosa rivista Der Islam si apriva con un famoso articolo di
C.H. Becker intitolato Der Islam als Problem nel quale si ponevano interrogativi, e si davano risposte, circa
l'incredibile espansione dell'Islam nel corso del VII-VIII secolo, e sul consolidarsi delle sue strutture dottrinali,
ci che significa anche giuridiche, al termine di questo periodo. Becker vedeva nel fenomeno religioso il
momento unificatore di una cultura preesistente: i due consolidamenti sopra evocati avrebbero consentito la
rapida espansione araba e la formazione di un nuovo mondo nel prossimo e nel medio oriente come fenomeni
interconnessi. Aggiungeva comunque (p. 13) "Non la religione islamica ha generato la civilt unitaria, ma fu la
civilt unitaria del Califfato, fondata su ben altre basi, la premessa dell'espansione e dell'avanzata vittoriosa della
religione islamica". Passando in rassegna gli apporti culturali dei popoli conquistati, Becker mostrava che essi,
non gli Arabi, furono il fondamento del mondo islamico; ci che essi avevano ricevuto dagli Arabi era stata una
religione che rispondeva in senso unificante alla loro cultura. Poich l'unificazione di quel mondo era stata opera
di Alessandro Magno, Becker affermava (p. 15): "Per bizzarro che possa sembrare: senza Alessandro Magno non
vi sarebbe stata alcuna civilt islamica". Accennando agli sviluppi della regione unificata dai Greci e dai Romani
e ai lunghi contatti di questi con il mondo iranico, nonch alla presenza imprescindibile di popolazioni semite,
notava poi (ivi): "Il variopinto miscuglio culturale del Medio Oriente trov la sua piena espressione nella
cristianit aramaica. Gi la lingua di questa gente mostra......una straordinaria mescolanza di elementi semiti,
greci e persiani. Essi costruirono anche, con la loro comunit religiosa, un importante ponte grazie al quale gli
elementi culturali superarono senza fatica lo hiatus dei confini di Stato". E ancora (p. 16): "la base pi
importante per l'unit della cultura islamica resta in tutti i casi quella aramaica". Infine, sottolineando la
fondamentale svolta che avvenne nell'Islam con la met dell'VIII secolo, affermava (p. 19): "La vittoria del
Califfato Abbside sul regno degli Omeyyadi non soltanto la vittoria delle idee religiose di Maometto sulle
tendenze pagane dell'aristocrazia meccana; egualmente la vittoria delle Chiese di Stato persiana e cristiana,
della visione ultrareligiosa dell'Antico Oriente sull'indifferenza religiosa di un regno puramente mondano della
Nazione Araba. Resta il nome Islam, ma il suo contenuto completamente diverso" (corsivo mio). Poich certi
cambiamenti non sono mai istantanei, ma frutto di un processo, possiamo concluderne che in circa un secolo e
mezzo maturato un processo formativo, destinato a completarsi nel IX secolo e ad affermarsi definitivamente
nei secoli successivi, che ha dato all'Islam il volto che conosciamo. Prima di lasciare Becker, citiamo per ancora
alcune sue ultime affermazioni (pp. 19-20) che c'introducono pi compiutamente al problema. Scrive Becker:
"L'unit sta visibilmente innanzi a noi nella poderosa regolamentazione dell'esistenza della Sharah"; e ancora:
853
"Nei primi tempi dell'Islam l'idea religiosa sta al servizio dell'idea di potenza, sotto gli Abbsidi si fatto tutto
nell'interesse di sviluppare e di ampliare la concezione religiosa dello Stato". Sottolineando come la
regolamentazione della convivenza sociale divenga preminente rispetto all'idea dello Stato, e come quindi la
legge religiosa di una comunit ideale prendesse progressivamente il posto dei "costumi", vedeva il trasformarsi
della Sharah da mero ideale a precisa realt, in grado di circoscrivere tutti gli aspetti dell'esistenza.
Sin qui Becker, il quale pose, sia pure in termini generali, problemi imprescindibili. Escludendo una
pedissequa osservanza alla tarda Vulgata islamica sulle origini dell'Islam, ci sono infatti domande cui gli storici
hanno tentato di rispondere, che riguardano non soltanto le origini e lo sviluppo, ma anche gli antecedenti
dell'Islam, perch nulla, nella storia, nasce dal nulla, e gi nel XIX secolo la presenza del Giudeocristianesimo
era stata invocata alle radici dell'Islam.
Su questo argomento possiamo prendere spunto dagli studi sul Giudeocristianesimo di Schoeps,
particolarmente dedicati a quell'importante snodo che fu l'Ebionismo. Nel suo Theologie und Geschichte des
Judenchristentums, Tbingen, J.C.B. Mohr (Paul Siebeck), 1949, nel paragrafo dedicato alla presenza di
elementi dottrinali ebioniti nell'Islam (pp. 334-342) riprendendo l'opinione di Von Harnack (citata nel mio testo a
p. 57) circa un rapporto che legherebbe il Giudeocristianesimo (Ebioniti ed Elchasaiti) all'Islam, insiste molto sul
concetto di ripetitivit della Profezia. Questo concetto, unito a quello della natura strettamente umana del
Profeta, elemento portante di entrambe le dottrine, ed connesso a quell'Adozionismo che caratteristica del
Cristianesimo orientale, da Taziano ai Nestoriani, in funzione di una precisa dottrina del fenomeno profetico
sulla quale dovremo tornare in altre note. Va da s che la ripetitivit del profetismo elemento intrinsecamente
eversivo connesso all'attesa millenarista.
Perci Schoeps ricorda in parallelo (p. 339) il concetto giudeocristiano di "vero Profeta" e quello
islamico di "uomo perfetto", e, insieme ad esso, il carattere che accomuna Giudeocristianesino e Islam in
contrapposizione alla dottrina cristiana: il rigido monoteismo centrato su un Dio assolutamente trascendente, che
si esplica nella negazione della divinit di Cristo, visto soltanto come "vero Profeta" o "uomo perfetto". Schoeps
ricorda inoltre elementi giudaici e giudeocristiani come le abluzioni, la proibizione del vino ("forse"), la presenza
nelle Scritture di "false pericopi", alcuni divieti alimentari, etc. Schoeps conclude cos (p. 342): "Si d perci
come paradosso di una storia di dimensioni davvero di una storia universale, che il Giudeocristianesimo di fatto
fu obliterato nella Chiesa cristiana, ma si conservato nell'Islam in alcuni suoi impulsi traenti sin dentro i
giorni nostri.La combinazione ebionita di Mos e Ges ha trovato compimento in Maometto" (corsivi suoi).
Mi sembra il caso di aggiungere, come ho sostenuto pi volte nel testo, che questo paradosso segna la
distanza tra l'istituzionalizzazione di un Messaggio nel Razionalismo del mondo classico, e la sua successiva
comprensione nell'ambito di una teologia platonico-aristotelica; e la sua comprensione nella logica della
marginalit utopista segnata dal Millenarismo, che attende la fine della storia nella costruzione di un mondo
perfetto, quindi di una societ e di un individuo che dovranno essere perfetti: cio, nella concretezza di questo
mondo, perfezionati, volenti o nolenti. Non per nulla, compito dei reggitori della societ islamica, "ordinare il
Bene e proibire il Male". il modello celeste, l'Utopia, che deve trasferirsi in terra.
Schoeps era molto legato a quella sua conclusione, che ripet alla lettera a chiusura del suo successivo
e sintetico Das Judenchristentum, Bern und Mnchen, Francke Verlag, 1964, dal quale cito questa sintetica
affermazione (p. 107): "molte loro (scil.: degli Ebioniti) dottrine centrali appaiono essere sopravvissute in quel
(scil.: della Siria orientale) miscuglio religioso e poi esser giunte in Arabia al tempo delle controversie
monofisite con i Nestoriani. Ci che di fatto si present a Maometto all'inizio del suo percorso come
Cristianesimo arabo, non fu la religione di Stato bizantina, ma un Cristianesimo settario d'impronta ebionitico-
monofisita". Ricordata l'eredit dottrinale ricevutane dall'Islam (nel cui conto rientra anche la circoncisione)
Schoeps evoca infine dottrine, usanze e tradizioni dell'area siro-mesopotamica (p. 108) che influirono non
soltanto sulla Chiesa nestoriana, ma anche su pi tarde sette islamiche, come i Drusi, i Nusairiti e gli Yezidi.
Siamo dunque a quel "crogiolo" e a quella realt della "religione vernacolare" ai quali ho fatto cenno pi volte:
un sottofondo complesso e radicato che rende meno lineare e semplicistica la definizione dell'Islam.
Negli ultimi decenni infatti una schiera di studiosi ha ripreso l'intero argomento: la nascita dell'Islam,
la sua formazione sino all'inizio del IX secolo, gli eventi storici relativi alla vicenda del suo Profeta, la
formazione e l'origine stessa del Corano, il formarsi del corpus degli ahdth (pl. di hadth), la loro reale storicit,
quindi le vicende della Sunnah -e per conseguenza della Sharah. I nomi sono tanti: da Wansbrough a Patricia
Crone, con M. Cook e M. Hinds; da Juynboll a Nevo e Koren; a Luxenberg, Gilliot e Van Reeth con l'ipotesi di
un'origine siriana (aramaica) di molti passaggi del Corano dei quali appare altrimenti difficile comprendere il
senso; e ancora Jeffrey, Conrad, Rubin, Rippin, Ibn Warrq, Ibn al Rwand, tanto per citare alcuni nomi. Tutti
partono da un dato: l'inverificabilit della Vulgata sulla storia dell'Islam. Prima per, per motivi di continuit
nell'esposizione, ricordiamo la ricerca di M. Sfar, che legge nell'Islam una continuit con la tradizione
dell'ideologia religiosa e di potere dell'area mediorientale (La Coran, la Bible et l'Orient Ancien, Sfar d., Paris
[[email protected]] 2e d. revue et corr., 1998).
Sfar adduce molte ragioni per sostenere la propria tesi: dal carattere giuridico di patto tra il Sovrano e
il suo popolo che accomuna il dettato islamico a quella tradizione, alle analogie tra le prescrizioni coraniche e le
norme dei pi antichi codici sumeri; dal concetto di Paradiso come giardino, al tema dell'ascensione di
Maometto; e cos via. Non questo per l'aspetto di maggior interesse, a mio avviso; lo invece, nell'ottica della
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mia ricerca, l'esame della figura di Maometto nella tradizione mediorientale del Re-sacerdote. Detto per inciso,
questa figura troverebbe conferma nelle tradizioni giacobite, nestoriane e samaritane, testimoniate da varie
cronache siriane citate da Crone-Cook (P. Crone - M. Cook, Hagarism, the Making of the Islamic World,
Cambridge, Un. Press, 1977, p. 4 e pp. 152-153 in nota 7) che presentano Maometto come capo militare al
momento della conquista della Palestina.
Questa figura di Re-sacerdote appare significativa per inquadrare alcuni aspetti dell'evoluzione
dell'Islam che sono e restano centrali in rapporto alla comprensione della sua natura: le vicende del Califfato e la
genesi e la natura della Sharah che significano, in altre parole, il rapporto tra religione e societ. Sfar mette in
luce alcuni punti che indicherebbero la natura contingente di alcune normative emanate da Maometto, relative a
casi specifici e quindi emanate in qualit di Re-sacerdote, che divennero poi norme giuridico-religiose ad opera
degli ulam (come le norme sul pudore femminile) con ci mostrando un'origine non coranica della loro
estensione al di l della contingenza. Al tempo stesso egli si sofferma per sulla contraddittoriet interna alla
stessa figura storica di Maometto, dalla quale deriveranno le successive difficolt nella definizione del Califfato,
a loro volta importanti per inquadrare la natura della Sharah. Se, da un lato, come Profeta, Maometto s'inquadra
nella tradizione giudeocristiana della ciclicit della Profezia (e si presenta anche come Re-sacerdote che legifera
quale rappresentante della divinit); il suo ruolo di "sigillo dei Profeti", sancito, si noti bene, in rapporto a un
evento contingente e molto personale in Cor., XXXIII, metterebbe fine al possibile ripresentarsi di una figura
analoga. Uso il condizionale perch ho gi ricordato a p. 814 la doppia valenza del termine sigillo, presente
anche nel termine arabo khtam.
Ci procur non pochi problemi nei successori di Maometto, da Ab Bakr agli Abbsidi, secondo
una vicenda della quale Sfar ricorda gli inizi, mentre P. Crone e M. Hinds (God's Caliph, Cambridge, Un. Press,
1986) ne raccontano anche l'evoluzione, al termine della quale la classe degli ulam spodest il Califfo nel suo
ruolo di portavoce ("vicario") di Dio, facendo degli ulam stessi i veri "inventori" della Sharah. Questa fu poi
definitivamente "ossificata", attraverso un lungo strascico di dispute, nel suo fondamento, a partire dal IX secolo.
Sfar ricorda anche (p. 327) la posizione attribuita ad Umar (forse apocrifa) riportata in Ibn Hishm, di negazione
di una possibile morte di Maometto, e la successiva correzione di Ab Bakr, come evidenza di un'oscillazione
tra la concezione di un ciclo profetico ancora aperto, ovvero definitivamente chiuso.
Al riguardo occorre tener conto della necessit di non considerare questa seconda soluzione come
annuncio della Fine dei Tempi, come sarebbe stato logico in coerenza con la concezione stessa del ciclo
profetico (con l'ultimo Profeta sarebbe dovuta giungere la Fine dei Tempi). Secondo Sfar, con Ab Bakr il potere
religioso lascia il "vicario" e torna ad Allh, ci che rappresenta, sempre secondo Sfar, "radere al suolo" l'edificio
coranico. Mentre Umar vuol salvare la teologia del Corano, ma non ha soluzioni per la continuazione della
teocrazia instaurata da Maometto, Ab Bakr assicura la continuit a spese del sistema profetologico (p. 329).
Si apre qui il problema che andr esaminato sulla base di God's Caliph; certo che, come nota Sfar
(p. 331 sgg.) con l'uscita da questo difficile passo l'Islam cambia non soltanto rotta, ma, innanzitutto, natura:
Maometto "cessa di essere il compimento della tradizione araba e abramica per trasformarsi in punto di partenza
della storia del mondo". La storia che si sarebbe dovuta concludere con la conquista della Mecca e la Fine dei
Tempi, cede il passo ad una nuova era, l'instaurazione di un ordine islamico post-profetico. La tarda "Vita" di
Maometto (Sra) di Ibn Hishm, attribuisce ad Ab Bakr l'inaugurazione del nuovo jihd. Con ci "l'Islam cessa
di essere una religione tradizionalista, per divenire una religione innovatrice e intemporale" (p. 333). Con gli
Abbsidi, a partire dalla seconda et dell'VIII secolo, nascono le quattro grandi scuole giuridiche e teologiche,
che hanno "definitivamente codificato l'Islam post-profetico" (ivi)
Come si vede, un processo lungo ben due secoli e non privo di contributo umano-troppo-umano:
comunque "normale" per qualunque religione, che, anche se discesa dal cielo, non pu che mostrarsi in un suo
concreto conformarsi in terra, tra gli uomini.
Alla rivelazione vivente di Allah succedette quindi, secondo la definizione di Sfar, una "scrittocrazia"
e una "bibliocrazia": leggere il Corano e spiegarlo ad opera di una classe sacerdotale che divenne quindi arbitra
degli affari legislativi per la natura stessa, giuridica, della religione coranica. Nascer cos la vicenda degli
ahdth e della Sunnah (p. 334 sgg.) che verr sistematizzata soltanto dopo la met del IX secolo. Di questa
vicenda ci occuperemo pi in dettaglio seguendo altri Autori; qui trovo interessante citare la posizione relativa di
Sfar (p. 336): "Appare chiaro che i fondamenti della Sharah musulmana, elaborati nei primi secoli dell'Islam,
non corrispondono n allo spirito, n alla lettera del Corano, ma che si dovuto imporli per disperazione di
fronte a necessit sempre pi pressanti. La decisione di "far parlare" i testi coranici e gli ahdth la conseguenza
logica dello scacco del sistema profetico di Maometto. Questo ritorno al Corano e la fabbricazione di ahdth che
lo ha accompagnato, si spiegano senza dubbio anche con l'estensione dell'Impero musulmano a etnie che non
hanno gli stessi costumi arabi prescritti dal testo coranico. Era allora necessario legittimare questi costumi
stranieri incorporandoli agli ahdth e "facendo parlare" il Corano nel loro senso, grazie alla sua interpretazione
(tawl) e alla sua spiegazione (tafsr)".
Ci che qui interessa, per quel che vado cercando di mostrare, non tanto l'interezza di questa
conclusione, quanto un suo aspetto sul quale vorrei porre l'accento sin dall'inizio di questa nota: l'Islam che
conosciamo raccoglie le tensioni religiose popolari di tutta quell'area mediorientale, dalla Siria al mondo irano-
mesopotamico, nella quale vedemmo prender corpo e pullulare le infinite eterodossie che lessero in senso
855
millenaristico e potenzialmente eversivo il messaggio testamentario, e ne rifiutarono l'istituzionalizzazione entro
il Razionalismo classico della cultura ellenistico-romana. I costumi di Allh, per riassumere il pensiero di Sfar,
sono i costumi che furono di quelle genti; e la cosiddetta "Sunnah profetica" (cio l'insieme di detti e fatti
attribuiti al Profeta stesso negli ahdth) estranea al Corano in quanto abbandona il costume puramente arabo
degli antenati (p. 350). Si pu cos realizzare l'eversione della prospettiva profetica da compimento della storia a
inizio di un nuovo ordine mondiale" (p. 351). Il paradosso della storia che cos l'Islam ortodosso pi lontano
dall'esperienza coranica di quanto questa non lo sia dalle antiche religioni orientali (ivi) un punto, questo, che
sfugge a quella storiografia che ha separato la societ araba dal suo passato orientale (P. 427).
Ho riferito, per completezza, la posizione di Sfar anche per ci che esula dall'argomento in oggetto.
Ora vi torno prendendo da lontano una serie di studi che ci riportano al centro del problema.
Un quadro riassuntivo lo offre il volume di Ibn Warrq (nom de plume, come quello di Ibn al-
Rwand, di autore guardato con qualche degnazione da alcuni accademici) The Quest for the Historical
Muhammad, Amherst, Prometheus Books, 2000, che raccoglie articoli precedentemente editi da vari autori e
offre una sua propria revisione critica della materia. In questa egli fa il punto su alcuni dati di fondo dai quali
non si pu prescindere per affrontare il problema. In primo luogo le fonti. La vita di Maometto (Sra) stata
scritta alla met dell'VIII secolo (e, come nota in seguito nel suo articolo Ibn al-Rwand, la conosciamo soltanto
in un'edizione dichiaratamente modificata del IX secolo). Inoltre essa ricavata dal Corano. Al IX secolo
appartiene anche il racconto delle prime vittorie dell'Islam (Mghaz). Ci sono poi da esaminare i papiri, le
iscrizioni, le monete, i reperti archeologici, i documenti del VII secolo di origine non islamica; anche perch dal
Corano in s non si evince alcun evento storico, e l'inattendibilit della vulgata storica ormai un dato accettato
anche dagli studiosi pi conservatori. Le ipotesi che sono andate emergendo dagli studi di Wansbrough, Crone,
M. Cook e Bashear, fanno ritenere che la legge islamica derivi da pratiche popolari del tempo degli Omeyyadi;
la presenza negli ahdth di materiale antico, non significa necessariamente che essi risalgano al Profeta
(vedremo in seguito come sono stati ricostruiti gli asnd [pl. di isnd], cio le catene di trasmissione che
dovrebbero ricondurre i detti ad un'origine nel Profeta). L'origine dell'Islam nell'Hijz sarebbe frutto di una tarda
elaborazione volta a configurare anche per gli Arabi una storia profetica analoga a quella ebraica e cristiana; gli
Arabi avrebbero dunque costruito una propria religione a partire da tradizioni monoteiste esistenti,
rielaborandone gli elementi nell'ambito di una mitica storia nell'Hijz. Questo fenomeno sarebbe avvenuto tra la
fine del VII e l'inizio dell'VIII secolo, allorch questo "Islam arabo" si sarebbe coniugato ideologicamente con la
storica ondata di conquista.
Una vera e propria panoramica degli studi la offre il citato articolo di Ibn al-Rwand, Origins of
Islam: A Critical Look at the Sources, che ci consente di entrare in concreto nei singoli studi dei singoli autori.
Ibn al-Rwand, dopo aver sottolineato i seri interrogativi posti dalle fonti, dopo aver notato che la
Sra va intesa come storia della salvezza, e che il tema dell'abrogazione dei versetti coranici (come gli ormai
celebri "versi satanici") non fa che ripetere il tema giudeocristiano delle false pericopi, inizia con l'esporre il
contenuto di cinque noti testi di P. Crone. Essi sono, nell'ordine: Hagarism, etc. scritto con M. Cook nel 1977 e
citato sopra; Slaves on Horses, Cambridge, Un. Press, 1980; God's Capliph, scritto con M. Hinds nel 1986 e
citato sopra; Roman, Provincial and Islamic Law, Cambridge, Un. Press, 1987; e Meccan Trade and the Rise of
Islam, Oxford, Basil Blackwell, 1987. Questa successione ha un senso, ed utile entrare nel contenuto partendo
direttamente dai testi stessi.
In Hagarism, un testo a dir poco iconoclasta che va maneggiato con estrema cautela, gli Autori,
usando soprattutto cronache non islamiche, ricostruiscono un'immaginaria storia alternativa dell'Islam, della
quale deve dirsi che, se la pars destruens certamente aggressiva ma non infondata, la pars construens una
brillante prova d'ingegno su fondamenta quasi evanescenti (vedi al riguardo la recensione estremamente cauta di
J. Wansbrough su BSOAS, 41, 1978). Troppa abilit viene messa in atto per combinare in una "storia"
documenti disparati, integrandone le discrepanze e i generici riferimenti con pure ipotesi. All'origine di tutta la
vicenda vi sarebbe il messianismo giudaico coagulato nel movimento dell'Hagarismo; i muhjirn ne sarebbero
stati la componente araba la cui hijra avrebbe avuto luogo in Gerusalemme (nessuna fonte antica indica un esodo
verso Medina, p. 9). Maometto sarebbe stato l'annunciatore di un Messia ebreo (il nucleo del suo messaggio " il
messianismo giudaico", p. 4) Umar al Farq il conquistatore della Palestina. Da questo movimento, e dalla
presa di coscienza della dominante comunit araba, sarebbe poi nato l'Islam che conosciamo soltanto ai tempi di
Abd al Malik, sul fondamento degli elementi religiosi settari sopra ricordati e dopo un fallito avvicinamento al
Cristianesimo (Ges era una figura "puramente spirituale", p. 21) del quale resta traccia nella figura coranica di
Ges. Sin dal 643 sappiamo comunque che gli Arabi datavano l'inizio della loro Era nel 622 (p. 17) ma la prima
apparizione del termine Muslim del 691, sul Duomo della Roccia (p. 8). Anche dell'esistenza del Corano non
v' traccia prima della fine del VII secolo (p. 18). Il testo va oltre con ulteriori interpretazioni dei successivi
sviluppi , ma penso che basti fermarsi qui per la costruzione che intendo far balenare in queste pagine,
ricordando per che, secondo P. Crone e M. Cook, uno degli elementi che costruirono la Vulgata fu la tarda
trasposizione dei luoghi di Abramo, Hagar e Ismaele, nel nord-ovest della penisola araba (p. 23) onde delineare
un'origine araba per una religione abramica quale si manifest nell'Islam.
Il successivo Slaves on Horses costituisce un'interpretazione di alcuni aspetti dello sviluppo della
societ islamica dal periodo Sufynide (661-684, cio dopo la scomparsa dei primi quattro Califfi "ben guidati")
856
sino a tutto l'arco del Califfato Omeyyade. Ad apertura di testo troviamo un'affermazione che, come vedremo,
importante per quanto sto cercando di mostrare, anche perch si rispecchia nelle tesi dei moderni studiosi gi
citati: "Gli eredi del Profeta furono i Califfi, alla cui guida unitaria l'embrionale religione dovette la propria
iniziale sopravvivenza. Gli ulam appaiono con la tradizione orale stessa, forse alla met del periodo
omeyyade, forse prima, e la storia dell'Islam da allora in gran parte la storia della loro vittoriosa emersione"
(pp. 5-6). La Crone nota poi che le controversie su questa tradizione orale furono l'origine delle centinaia di
migliaia di ahdth che comparvero sin dentro il IX secolo, e cita le omissioni operate da Ibn Hishm sul testo
(perduto) della Sra di Ibn Ishq, come connesse a ci che l'autore ritenne ripugnante e offensivo, in altre parole,
inaccettabile, nel testo originario. Ripetuti sono in seguito i riferimenti alle conclusioni di Schacht, negative
sull'affidabilit della trasmissione di tutti gli ahdth; occorre peraltro notare che Schacht un autore fortemente
criticato in generale, e che quindi questo appare un aspetto debole dell'argomentazione. comunque innegabile
la giustezza, per non dire l'ovviet, della posizione di fondo della Crone: "non c' dubbio che l'Islam fu, come
altre religioni, il prodotto di una evoluzione religiosa" (p. 16, corsivo suo).
Venendo alle vicende dell'espansione dell'Islam, sostiene la Crone che nel periodo Sufynide il
rapporto degli Arabi con le culture e le popolazioni sottomesse in Siria, fu una combinazione di sfruttamento
economico e tolleranza culturale (p. 30) caratterizzato dal permanere delle strutture tribali della societ araba
ante-conquista, con compiti di governo affidati alle loro tradizionali aristocrazie; ma che gi al termine del
periodo queste strutture tribali andarono logorandosi (p. 33). Con le contese che conducono al periodo
Marwnide (Omeyyade, 684-744) compaiono dunque nell'esercito di Abd al-Malik i mawl, gruppi di diversa
provenienza etnico-religiosa convertiti all'Islam, e l'esercito cos mutato divenne lo strumento di controllo
indipendentemente dall'etnia dei controllori e dei controllati. Accanto alla fazione armata siriana degli Omeyyadi
si formarono anche altre fazioni: particolarmente significativa quella iranica del Khursn.
Durante il periodo Omeyyade i convertiti erano stati arruolati tramite il dispositivo della wla, che
faceva di loro i mawl, cio, di fatto, degli affidati a un protettore; tuttavia erano costoro che fornivano la classe
colta in una struttura che necessitava di un'amministrazione per la quale i conquistatori arabi non avevano una
tradizione; questi ultimi, da guerrieri quali erano stati, iniziarono a dedicarsi sempre pi ad attivit mercantili.
Quando gli Abbsidi giunsero al potere al termine d'una rivoluzione vittoriosa, le loro truppe venivano dal
Khursn, e il rimodellamento del governo avvenne sulla base del modello persiano (p. 62).
Fu in questo periodo, afferma la Crone (ivi) che gli ulam, in un mutato significato del potere, si
adoprarono di riscoprirne il fondamento in un passato arabo. La politica assunse connotati religiosi, e lo Stato
elementare dei primi Califfi a Medina divenne il modello ideale dal quale gli Omeyyadi avrebbero deviato (p.
63) avocando a s il potere religioso. Gli Abbsidi posero l'accento sulla propria origine Hshimita per
proclamarsi membri di una stirpe sacerdotale (p. 65); ci per cre il contrasto con gli Shiti che riconducevano
il Califfato agli Aldi, cosicch agli Abbsidi non rest che il sostegno sunnita, cio di quel partito degli
ulam che avevano ritenuta empia la dinastia Omeyyade. Il nipote di uno dei rivoluzionari che dall'Iran aveva
sostenuto la rivolta abbside divenne poi il famoso Ibn Hanbal, cio il fondatore della pi tradizionalista e
intransigente scuola coranica (p. 70).
Il seguito della trattazione lo tralascio perch non interessa questa ricerca, ed relativo alla
formazione dello Stato islamico medievale e al distacco tra i suoi apparati amministrativi e militari, quindi tra lo
Stato nella sua espressione, e la comunit religiosa. Quanto esposto sopra invece la premessa generale alla
dettagliata esposizione dello sviluppo dell'eredit religiosa e politica di Maometto nelle figure dei Califfi. God's
Caliph, scritto con M. Hinds, un testo d'interesse specifico per questa vicenda.
God's Caliph narra la storia del Khalfat, cio del "vicario" o "rappresentante" dalla morte del Profeta
al Califfato abbside, di come, cio, fu inteso il titolo: vicario del Profeta o di Allh? e quale il suo ruolo, la sua
autorit? Siamo in presenza di un momento centrale per comprendere l'evoluzione dell'Islam, una religione che si
formata, ha avuto cio una vicenda terrena che non pu essere dissociata dall'incipit celeste; non pu perch tra
loro corre un rapporto dialettico di obliterazione/svelamento. In altre parole: nell'atto stesso di rimodellare,
l'evoluzione fa luce sull'incipit.
Va detto subito inoltre, che questo testo della Crone importante perch espone rigorosamente una
documentazione che suffraga la tesi di partenza: il primo Califfato fu concepito in modo assai differente
dall'istituzione classica, essendo concentrati in esso ogni potere religioso e politico; era il Califfo colui che
doveva definire la Legge islamica, il nucleo stesso della religione, e senza fedelt al Califfo nessun musulmano
poteva raggiungere la salvezza (p. 1). E aggiunge (ivi): "In breve, possiamo dedurre che il primo Califfato fu
concepito lungo linee familiari all'Islam shita". Tuttavia il Califfo non riusc a essere l'unica autorit in materia
religiosa; questa rimase connessa a Maometto attraverso i ricordi dei suoi "Compagni", che sarebbero stati
trasmessi alle generazioni successive sotto forma di detti e fatti (gli ahdth) un sapere che divenne appannaggio
della classe degli ulam, gli studiosi. La divisione non si mostr agli inizi, perch i primi tre Califfi (Ab Bakr,
Umar e Uthmn) erano essi stessi dei Compagni (p. 2). Lo era anche il quarto, Al, per giunta parente del
Profeta, ma non fu unanimemente accettato; dopo di lui il Califfato pass agli Omeyyadi, convertitisi tardi e
malvolentieri (quindi non certo autorit religiose) determinando l'inizio della separazione tra Califfi e ulam
(ivi).

857
Di qui la dissidenza shta, il cui vertice ideale rimase una figura religiosa, profetica, ci che fa
comprendere gi nell'impianto, nel fondamento di questa religiosit, le infinite gemmazioni gnostiche nate dalla
Sha, cui ho accennato in Ordine celeste e disordini terreni e nelle due Appendici, e cui dovette porre riparo la
dottrina "ufficiale" duodecimana. L'Islam porterebbe dunque in s un lontano retroterra "gnostico" in linea con la
discendenza giudeocristiana (non ultima fonte di attrazione per molti occidentali) nel quale si potrebbe vedere
risolto l'antico motivo orientale del Re-sacerdote invocato da Sfar anche per il profetismo ebraico. Non questo
per il punto che interessa l'analisi, quanto, piuttosto, quello della realt nascosta della sharah, che si va
formando precisamente nei primi due secoli dell'Islam. Per questo importante capire come fu inteso il Califfato
all'inizio, tenendo conto, come avverte la Crone (p. 3). che quasi tutta la documentazione proviene da parte
sunnita, ci che potrebbe falsare le nostre convinzioni.
La documentazione prodotta dalla Crone mostra che inizialmente il Califfo era Khalfatu 'l-lh,
vicario di Allh in terra, o, almeno, poteva dichiararsi tale; e che questo titolo pass dai Sufynidi agli Omeyyadi
e anche agli Abbsidi, per i quali ben attestato fin oltre la met del IX secolo e seguit ad esserlo,
sporadicamente, ancora a lungo (p. 15). Al contrario, il titolo di vicario del Profeta sembra sconosciuto agli
Omeyyadi (e non adottato dagli Omeyyadi della Spagna) ma appare sotto gli Abbsidi. Va da s che anche
Ismailiti e Zayditi si sentirono vicari di Allh (pp. 17-18). Col tempo viceversa, il Califfo sunnita perse la propria
autorit religiosa a favore degli ulam, e anche il potere politico a favore dei Sultani. L'autorit politica e quella
religiosa si separarono, la seconda rimanendo il modello della societ che divenne una realt distaccata dallo
Stato. Per chiarire meglio questo punto traduco qui di seguito un'argomentazione di G.E. Von Grunebaum, tratto
da The Sources of Islamic Civilisation , Der Islam, 46, 1970, pp. 1-54.
Grunebaum ricorda come a partire dagli Abbsidi il modello della citt e del potere amministrativo e
militare si conform sempre pi sulla tradizione bizantina e persiana dei convertiti, mentre, per converso,
l'islamizzazione veniva connessa sempre pi strettamente con la cultura e la lingua araba, e il modello islamico
di societ andava conformandosi ai depositari degli ahdth, fossilizzandosi con Ahmad ibn Hanbal. Nota poi a
p. 29 del suo lungo saggio: ".....una decisione fondamentale del primo Islam port al rifiuto del concetto
dominante di una struttura politica e amministrativa che, in molti altri aspetti, era stata assunta nei meccanismi
dello Stato islamico. La separazione di ummah e Stato (corsivo mio) verso la quale gravitava la societ pur
insistendo simultaneamente sulla funzione di servizio dello Stato nei confronti della ummah, ripete in modo
notevole la visione agostiniana della comunit dei credenti come civitas dei, inattingibile, cos com', dalla
civitas terrena, la cui giustificazione ultima resta tuttavia nel promuoverla e difenderla. D'altro canto, la nozione
che il regno della legge divina e l'ordine esterno dovrebbero, in ipotesi, coincidere, che ci pu essere identit
tra una particolare forma di organizzazione politica e il regno di Dio, incompatibile con ogni concezione
cristiana della societ: questa credenza comune dell'Islam nel compimento della storia con l'islamicit dello
Stato (altro corsivo mio) come caratteristica durevole, ricorre nel Cristianesimo soltanto nel Millenarismo
marginale esemplificato dagli Anabattisti di Mnster (terzo corsivo mio)".
Questo accostamento tra utopia islamica e marginalit culturale eversiva dell'occidente, non pu che
trovarmi consenziente in vista di quella lontana matrice comune che ritengo si debba individuare, e che permane
nella storia anche al di l di ogni secolarizzazione; la sostituzione del modello religioso della Gerusalemme
celeste, con quello non meno metafisico e ancor pi astratto (in quanto puramente ideologico) di un ordine
sociale atopico, non cambia nulla alla matrice "religiosa" di ogni tentativo politico volto ad instaurare una
Gerusalemme terrena.
Tornando al testo della Crone, mi sembra che esso ci porti nel vivo del problema: la mutazione
dell'Islam iniziale in quello che conosciamo, come avvento di un dettato giuridico-religioso degli ulam, che
certamente non emerge dal nulla. Parimenti, singolare la peculiarit "laica" della grande arte Omeyyade, e il
fatto che gli Omeyyadi siano stati sempre esecrati nella tradizione islamica, nonostante lo splendore e i fasti
guerrieri della dinastia, dopo che una rivoluzione religiosa a forte componente non araba (su questo argomento
vedi per anche nel mio testo a p. 194 in nota 1) mise fine al Califfato di Damasco. Gli Omeyyadi, scrive la
Crone (p. 23), furono condannati per il loro allontanamento da ipotetiche norme patriarcali; ipotetiche perch
furono verosimilmente gli ulam a cambiare le carte in tavola, visto che essi vennero dopo i primi Califfi (p.
22). Gli Omeyyadi avevano viceversa chiaramente stabilito che dovesse essere il Califfo, in qualit di imm,
colui che era chiamato a guidare la societ (p. 33). Anche nelle rivalit politiche, affidarsi a un Califfo
significava aderire a una ummah (pp. 40-41). Il Califfo era elemento costituente della fede (p. 42) e i suoi editti
erano costitutivi della Legge sacra, infatti se ne trovano citati negli ahdth (p. 45).
La Crone viene cos a trattare della costruzione della Sunnah, originariamente espressione dei costumi
tradizionali, e della sua trasformazione nell'esempio del Profeta ad opera degli ulam (p. 58). Secondo loro
questo secondo concetto risalirebbe al tempo stesso di Maometto, la cui vita sarebbe stata presa a modello dai
Compagni; in questa luce, il concetto omeyyade di Califfato diverrebbe deviazionismo non islamico, respinto da
gran parte della comunit (ivi). Dell'evoluzione della Sunnah in "Sunnah del Profeta" vi sono chiare
testimonianze (p. 69). Gli ahdth provengono dalle regioni orientali (Iraq?) gi al tempo di Abd al Malik e
divengono importanti nel tardo Califfato omeyyade, divenendo, come "Sunnah del Profeta", alternativi alla legge
califfale (pp. 71-72). Con essa gli Abbsidi dovettero convivere sin dagli inizi (p. 84): nell'ultimo quarto
dell'VIII secolo uno scambio epistolare tra Hrn al Rashd e il fondamentalista Khridjita Hamza, vede il
858
Califfo invocare la Sunnah del Profeta, autenticata dagli ahdth, come propria legge, mentre il ribelle a parlare
di "Califfo", citando "coloro che sono guidati da Dio nel cuore", come fonte di tradizione esemplare (pp. 89-90).
Sul ruolo del Califfo nei Khridjiti, la Crone poi tornata con l'articolo The Khridjites and the
Caliphal Title, ripubblicato in From Khavd to al Ghazl. Religion, Law and Political Thought in the Near
East, c. 600 - c. 1100.
Perci Al Mamn tent di recuperare autorit religiosa assumendo ad erede Al al Rid, l'ottavo
Imm degli Shiti, emanando, nell'833, la famosa mihna (scil.: l'editto con il quale tent d'imporre una teologia
razionale sul problema dell'origine del Corano) e riesumando sulle monete il titolo di vicario di Allh (p. 94). In
ogni caso ne usc sconfitto: sotto la guida di Ibn Hanbal il tradizionalismo dei tradizionisti (gli esperti di
ahdth), cio il "popolo della Sunnah", usc definitivamente vincente. Da allora, soprattutto ora che il mondo
moderno impone la propria realt anche al mondo islamico, sembra che governare quel mondo secondo la logica
della politica implichi di necessit il controllo del potere sui religiosi; su coloro cio, che, di fatto, danno le
norme della societ.
La mihna, che favoriva la teologia razionale dei mutaziliti, fu abolita quindici anni dopo: ma questa
vicenda fa parte anche di un'altra storia che riprenderemo in seguito.
Il quarto testo della Crone, Roman, Provincial and Islamic Law, affronta un argomento molto limitato
ma che ha qualche interesse in questo contesto: la legge islamica sul patronato (wal) in base alla quale si
formarono i mawl dei quali s' detto nel testo. L'interesse in questo: la Crone pu stabilire che quella legge
non di origine araba, ma deriva da leggi consuetudinarie delle popolazioni conquistate; altro chiaro segno della
natura composita di quella legge che si form dunque -almeno in questo caso- nei luoghi dell'espansione, e non
deriv da consuetudini arabe pre-islamiche.
Torniamo cio a quella koin invocata da Becker come culla dell'Islam, che smentirebbe il mito della
culla in Hijz, di una cultura politico-religiosa nata ed esportata come un monolite per il favore divino. Del resto
la Crone non manca di ricordare (p. 17 e n. 160 a p. 121) che il solo campo per il quale abbiamo conoscenza
documentata sul primo secolo della civilt islamica, l'arte omeyyade che non ha alcun rapporto con l'Hijz, ma
un preciso collegamento con l'arte greca e bizantina. Per quanto poi riguarda la legge in generale, la Crone
ricorda i risultati delle recenti ricerche critiche sugli ahdth (cfr. infra) che indicano la loro reale origine (non
quella attribuita loro dagli asnd) nel corso dell'VIII secolo (p. 31). Un ulteriore tassello s' dunque aggiunto a
mettere in dubbio la vulgata storica islamica.
Decisamente "sovversivo" al riguardo il quinto testo della Crone, Meccan Trade and the Rise of Islam.
Qui le vicende nell'Hijz vengono direttamente revocate in dubbio sulla base della documentazione disponibile,
dalla quale, al di l delle ricostruzioni di una "realt" troppo ipotetica, una cosa emerge con certezza: la vulgata
delle origini nell'Hijz non ha pi motivo di essere sostenuta, il suo scenario non mai esistito. Le conclusioni
della ricerca, sinteticamente riassunte da Ibn al-Rwand alle pp. 98-100, sono senza scampo: l'Islam non si
origin nella Mecca attuale, la Kaba ove pregavano gli arabi pre-islamici era verosimilmente vicina alla Moka
(Mecca?) di Tolomeo, nell'Arabia Petrea; il commercio dei Qurayshiti, se mai esistette, era un commercio
insignificante; perci tutto ci che sappiamo sulle origini dell'Islam un falso.
Posta cos la cosa, sembra necessario aggiungere che non siamo in presenza di un'eccentricit: il testo
della Crone seriamente documentato e l'analisi condotta lungo una logica precisa, come rivelano g gli stessi
titoli, e poi i contenuti, dei capitoli. La successione la seguente: 1) il commercio delle spezie, a) nel mondo
arabo, b) alla Mecca; 2) le esportazioni della Mecca; 3) i luoghi verso i quali s'indirizzava il suo commercio; 4)
ci che quel commercio non era e ci che poteva essere; 5) i rapporti tra il commercio e il santuario. Seguono le
analisi delle fonti e le ipotesi (queste, s, ipotetiche) sull'origine dell'Islam.
Sinteticamente si pu dire, sulla scorta dei documenti, che il commercio delle spezie dallo Yemen
verso il mondo occidentale pre-cristiano, avveniva essenzialmente per via marittima, non certo lungo le piste
carovaniere della penisola araba, e gli Arabi non avevano rapporti marittimi con l'India almeno sino al III secolo
a.C.: i carichi risalivano via mare il Golfo Persico. Dal I secolo d.C. Romani e Greci si recavano a rifornirsi
direttamente in India; nel VI secolo d.C. l'Etiopia il fornitore di Bisanzio e il traffico marittimo nel Mar Rosso
non era in mani arabe. Con il VI secolo il traffico di spezie era fortemente diminuito, e comunque non era
associato alla Mecca (p. 51). Alla Mecca associato viceversa un commercio ben pi modesto, quello del cuoio
(p. 87), al quale la Crone ha dedicato poi un recente e pi diffuso articolo, Quraysh and the Roman Army:
Making Sense of the Meccan Leather Trade, BSOAS, 70, 2007. In esso viene sottolineato il possibile
arricchimento dei Meccani originato dalle forniture di cuoio all'esercito bizantino nel corso delle guerre con
l'Impero Sassanide: un'ipotesi impossibile da provare ma compatibile con la documentazione, che aprirebbe
nuovi spiragli per comprendere la nascita dell'Islam.
Meno attestate del cuoio sarebbero le esportazioni di vestiario, animali, e generi alimentari vari. Si
tratterebbe comunque di vestiario di lana alquanto rozzo (p. 101); i Qurayshiti avrebbero poi esportato cammelli
verso la Siria (p. 103); i prodotti alimentari sarebbero provenuti dalla vicina Tif; vi sarebbe stato commercio di
profumi dello Yemen; nel commercio degli schiavi la Mecca non avrebbe avuto un ruolo particolare rispetto ad
altre localit (pp. 104-107). Si sarebbe trattato, in ogni caso, di commercio limitato ai limitrofi Siria ed Egitto (p.
132).

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A questo punto, adducendo ulteriore documentazione, la Crone ritiene di poter affermare tre cose in
negativo sul commercio meccano: 1) non fu un commercio di transito; 2) non fu un commercio di beni
particolarmente importanti per Siriani ed Egiziani; 3) non fu un commercio che presupponeva il controllo delle
vie commerciali della penisola araba (p. 133). Si trattava comunque di un commercio essenzialmente legato alle
esigenze degli Arabi, non dei ricchi vicini (p. 151).
Quanto alla localizzazione della Moka di Tolomeo (identificata con l'odierna Mecca) essa era
localizzata nell'Arabia Petrea (p. 136) e vicino ad essa doveva collocarsi la Kaba, luogo di culto di cui parla
Giacomo di Edessa (p. 137). Sorge infatti anche un altro problema: se il commercio era quello che abbiamo
visto, come pu ci conciliarsi con la tradizione di una Mecca centro commerciale? I clienti dei Qurayshiti erano
paesani o gruppi tribali che potevano avere quei modesti beni anche da altri carovanieri, ma, si dice, Mecca era
un santuario che attirava i pellegrini (p. 160). Qui la Crone conduce un'analisi complessa, che, partendo dai
dubbi, giunge a conclusioni che debbono dirsi del tutto ipotetiche; dalla documentazione si pu ipotizzare
soltanto che i Qurayshiti avessero due centri, uno a nord, vicino alla Siria, associato agli Omeyyadi; e un altro
"in qualche luogo del sud", associato agli Hshimiti (p. 164): le due aree che emergono dalla vita del Profeta (p.
166). Si pu sospettare che quanto riportato da queste tradizioni sia opera dei pi tardi narratori di storie, ci che
spigherebbe molte incoerenze (ivi); allora, se la vera natura del commercio meccano resta un problema, non
meno problematica la localizzazione della "Mecca" cui ci si riferisce (p. 167).
La genesi del commercio della Mecca legata, nella tradizione, all'area del santuario (haram) con il
relativo pellegrinaggio e il connesso divieto di contesa; le notizie sul suo commercio iniziano con la sua
occupazione da parte dei Qurayshiti, ma ci deriva dall'identificazione della Mecca con la Makoraba di
Tolomeo, che insostenibile (p. 168). Sappiamo inoltre che la Mecca, in epoca pre-islamica, non era uno dei
luoghi arabi di pellegrinaggio (pp. 170-176); vi sono ragioni per ritenere che essa lo fu soltanto con l'avvento
dell'Islam (p. 172 e p. 173). Il pellegrinaggio si fermava a breve distanza da essa, e i santuari nei quali
prosperava il commercio dei Qurayshiti erano fuori della citt (p. 178) e comunque il commercio di questi ultimi
era prevalentemente altrove, in altre aree della penisola (p. 180). Essi inoltre sembravano aver preso coscienza di
una discendenza abramica degli Arabi gi dal V secolo, in Ghaza dove avevano uno dei loro centri di commercio
(pp. 190-191 nel testo, e in n. 104). La tradizione ce li presenta come difensori di luoghi di culto abramici mentre
il Corano (LIII, 19-23) li mostra anche compromessi con il culto di divinit pagane, dei cui templi essi peraltro
non erano custodi (pp. 189-190): come mai?
Queste le conclusioni della Crone (p. 196): "Si dice che il commercio qurayshita si svilupp perch la
Mecca era una tappa sulla via dell'incenso, situata all'incrocio delle principali vie di commercio arabe, e in
particolare perch la Mecca era un santuario che attirava annualmente i pellegrini dando protezione a coloro che
vi si volevano stabilire. Tutte queste pretese sono errate. La Mecca non era situata sulla via dell'incenso,
tantomeno all'incrocio delle principali vie arabe. Non era oggetto di pellegrinaggio, Non era un santuario, o, se lo
era, i Qurayshiti non sembrano esserne stati i custodi. E, di fatto, non dava protezione a coloro che vi si
stabilivano: chi si stabiliva alla Mecca doveva la propria sicurezza all'alleanza con membri dei Qurayshiti, non
alla pretesa santit del territorio della Mecca. Il luogo era desertico, privo di un retroterra fertile tranne Tif, mal
equipaggiato per il commercio marittimo, e troppo lontano per un commercio carovaniero con la Siria del genere
di quello descritto dalle fonti. Avevano davvero i Qurayshiti un centro commerciale in questo luogo? Se
accettiamo ci, dobbiamo pensare che i Qurayshiti divennero mercanti nonostante la natura del luogo nel quale
risiedevano, non a causa di esso: e dobbiamo anche reinterpretare la natura del loro commercio, ammettendo che
debba essere stato condotto in gran parte indipendentemente dalla Mecca, pi o meno su modello degli Uqailiti
(scil.: nome attribuito a mercanti di cammelli verso la Siria e l'Egitto). Se respingiamo l'identificazione del loro
centro con la moderna Mecca, possiamo ricollocarlo in qualche luogo dell'Arabia nord-occidentale e accettare
cos il quadro del loro commercio come ci viene presentato; di conseguenza ci troviamo con una connessione
enigmatica con il Sud. In ogni caso, le fonti sull'origine dell'Islam sbagliano su uno o pi aspetti fondamentali".
Il sospetto sulle fonti pi che legittimo; la vicenda, certamente un'altra; questo quanto interessa,
senza entrare in ipotesi destinate a rimanere tali. Certamente non si deve sottovalutare, e la Crone lo mette in
rilievo (pp. 217-225) il ruolo dei narratori di storie nella pi tarda costruzione della tradizione, e il carattere
immaginario delle loro storie (p. 221). La tradizione offre cos "una massa di informazioni dettagliate, nessuna
delle quali rappresenta semplici fatti" (p. 222); "i soli fatti che abbiamo sono fatti relativi alle tradizioni, non al
passato che pretendono di narrare" (p. 223). Ci tanto pi evidente in quanto le "notizie" tendono a crescere
rapidamente nel tempo; la Sra di Wqid ( 823) molto pi ampia di quella di Ibn Ishq ( 767) bench gli
episodi narrati siano gli stessi (pp. 223-224). La tradizione fu dunque inventata dai narratori di storie, favole
dietro le quali non ci sono precisi eventi storici; questi eventi sono stati accettati soltanto perch facenti parte di
storie molto note, ma, di fatto, gli storici si sono basati su documenti secondari i cui autori erano tagliati fuori dal
passato, cos come lo sono gli storici odierni (pp. 225-226).
L'ultimo caso eclatante riportato dalla Crone la datazione della battaglia di Badr (pp. 227-230), che
conferma le sue ipotesi ma sulla quale non necessario insistere perch basta quanto riferito. Conclude la Crone
(p. 230): "L'intera tradizione tendenziosa, il suo scopo essendo la creazione di una storia araba della salvezza, e
la sua tendenziosit ha fabbricato i fatti che abbiamo ricevuto, non ha semplicemente aggiunto opinioni di parte,
che potremmo isolare" (tesi ripresa da Wansbrough). La sola speranza di capire qualcosa pu fondarsi su fonti
860
non arabe: archeologia, papiri, e cos via (p. 230). Questa la fondamentale conclusione del lavoro, dalla quale
non si pu prescindere.
Torniamo ora ad Ibn al-Rwand dove lo avevamo lasciato per entrare in dettaglio nella ricerca della
Crone. Dopo aver notato che nelle cronache siriane dei primi tempi dell'Islam, Maometto descritto come "Re"
degli Arabi, e aver introdotto opinioni critiche relative a una possibile influenza ebraica sull'idea del santuario
della Mecca, Ibn al-Rwand prende in esame uno studio di L. Conrad sulla datazione della nascita di Maometto,
che mostra l'inattendibilit della tradizione araba. L'articolo di Conrad, Abraha and Muhammad. Some
Observations propos of Chronology and Literary Topoi in the Early Arabic Historical Tradition, apparso in
BSOAS, 50, 1987, introdotto nello stesso volume di Ibn Warrq (p. 368 sgg.). Abraha era il Signore etiopico
dello Yemen che nel 570 avrebbe attaccato la Mecca conducendo col proprio esercito un elefante, onde
quell'anno fu detto "anno dell'elefante" ed in quell'anno, secondo la tradizione, sarebbe nato Maometto. O
meglio: si ritiene che il Profeta abbia avuto la prima rivelazione nel 610; detto che a quel tempo aveva 40 anni;
si dice che era nato nell'anno dell'elefante, e perci questo coincide con il 570. La ricostruzione della vita del
Profeta per tarda, viene da un insieme confuso di notizie, il quadro cronologico arbitrario e potrebbe non
coincidere con la realt degli eventi (p. 369). Nota quindi Conrad, che "40" un numero arbitrario (come 4000 o
40000) usato dagli Arabi per indicare una quantit discreta ma imprecisata; in particolare rappresenta un'et
ideale per la fioritura intellettuale di una persona (p. 374). Ora, la documentazione epigrafica bizantina e persino
araba, collocano la spedizione di Abraha un po' prima del 554, forse nel 552; nel 572 lo Yemen cadde in mano
persiana. Se Maometto fosse nato in quell'anno, avrebbe avuto la Rivelazione a circa sessant'anni, e sarebbe
morto a ottanta, nel 632; cosa non impossibile, ma che contrasta con il fatto che sappiamo che mor
relativamente giovane (p. 379).
C' di pi. Esaminando le varie fonti sulla possibile data di nascita del Profeta, ci si rende conto che la
fluttuazione sarebbe tale (85 anni) da invalidare l'attendibilit della tradizione, mostrando al tempo stesso che nel
II secolo dell'Egira la Sra era ancora un argomento fluido. L'unica cosa certa che, sin dall'inizio, l'Islam dat la
propria era a partire dal 622. La leggenda del Profeta non appartiene dunque al primo Islam; l'Islam che
conosciamo impieg almeno due secoli a formarsi (Ibn al-Rwand, p. 103) e tutta la vicenda meccana e
medinese che va sino al 622 assume l'aspetto di un'invenzione letteraria (ivi, pp. 104-105)
Questa ipotesi stata esplorata da J. Wansbrough nei suoi due fondamentali lavori, Quranic Studies.
Sources and Methods of Scriptural Interpretation, Oxford, Un. Press, 1977; e The Sectarian Milieu. Content and
Composition of Islamic Salvation History, ivi, 1978. Nonostante Cook e Crone si dichiarino in debito con gli
studi di Wansbrough, le posizioni di quest'ultimo sono diverse (vedi infatti supra la sua tiepida recensione a
Hagarism) come nota subito, nel recensire Quranic Studies, W. Graham (JAOS, 100, 1980) a sua volta poco
entusiasta della ricerca di Wansbrough. Il tema ruota sempre attorno all'attendibilit delle fonti, e Graham
rimprovera a Wansbrough l'estensione al Corano della critica di Schacht degli ahdth (che ometto perch ormai
datata nel tempo, e troppo, a sua volta, criticata: qui il tema che interessa altro, il pi generico rapporto
storico dell'Islam e della sua Weltanschauung con la cultura popolare di un Medio Oriente pullulante di sette
giudeocristiane, millenariste, gnostiche, espressione potenzialmente eversiva della marginalit).
Decisamente critica poi la recensione di M. Cook a The Sectarian Milieu, apparsa su JRAS, 1980.
Un pi dettagliato articolo sulle metodologie di Wansbrough stato poi scritto da A. Rippin, Literary Analysis of
Qurn, Tafsr and Sra. The Methodologies of John Wansbrough, ripubblicato in The Qurn and its
Interpretative Tradition, Aldershot-Burlington, Ashgate, 2001. Il punto rilevato da Rippin molto interessante:
la totale mancanza di fonti storiche sul primo Islam un ostacolo insormontabile anche per un testo come
Hagarism: come ho rilevato, un conto la pars destruens, un altro la pars construens. Wansbrough parte da
una posizione ben diversa: poich abbiamo soltanto testi tardi, dobbiamo usarli esaminandone la natura
letteraria, e stabilire da ci il loro reale contenuto. Secondo Wansbrough, ci che narra il Corano e che il Tafsr
(commento) e la Sra tentano di spiegare, una "storia della salvezza" relativa all'intervento di Allh nella storia
del mondo; qualcosa, quindi, che non fa riferimento ad eventi, ma una narrazione letteraria di eventi suoi
propri. In ci Wansbrough si rif a metodologie usate per gli studi biblici e per l'analisi del Cristianesimo, e ne
evince, per quanto concerne l'Islam, che i documenti in nostro possesso riguardano il pensiero e la fede di
generazioni pi tarde; in altre parole, non sappiamo ci che accadde, ma ci che pi tarde generazioni pensarono
fosse accaduto. Secondo Wansbrough il Corano fu composto come convenzione letteraria, sulla linea delle
polemiche delle sette giudeocristiane, e il testo and stabilizzandosi man mano che si form la comunit
islamica, sino alla fine dell'VIII secolo.
Certamente Wansbrough d molto peso all'infondatezza storica delle fonti, nelle quali ritiene si
condensi la retroproiezione -sulla presunta origine nell'Hijz- di una tradizione maturata fuori dell'Arabia, in Iraq
(Graham in JAOS 100, cit.; cfr. Quranic Studies, p. 50); certamente Rippin si domanda, a chiusura del suo
articolo e con ragione, se la comprensione di una religione debba essere inserita nel primato della storia; ma
precisamente qui mi sembra debba porsi l'accento, per quel che mi riguarda: comprendere l'Islam nell'ambito di
una tradizione settaria giudeocristiana, di una cultura mediorientale, di un clima "gnostico", e, pi in generale, di
una Gnosi che ha un haut lieu precisamente nell'area irano-mesopotamica, non collegarlo a una storia che ci
riguarda -e contrario, per espulsione razionalistica- come occidentali, come eredi dell'istituzionalizzazione del
messaggio testamentario entro schemi razionalisti?
861
Wansbrough (Quranic Studies, pp. 50-52) ravvisa nel Corano la presenza di logia maturati nel
profetismo millenarista delle sette monoteiste mediorientali, e anche questo mi sembra significativo al riguardo.
Profetismo e Millenarismo, Millenarismo ed eversione, evanescenza del reale in nome dell'utopico/atopico e
dell'immaginario stato (e Stato) perfetto, sono da sempre il contrassegno della marginalit, di ci che ebbi a
definire "razionalismo subalterno" (la sindrome settaria, nota Wansbrough, una lingua franca, si ripete in
termini analoghi ovunque). C' dunque il perpetuarsi di una cultura, la cui costante messa al bando segna la
nascita della moderna ideologia di "Occidente". Dico "moderna" perch essa si fonda non gi, come nella Grecia
classica, sulla distinzione civilt/barbarie; o sulla distinzione tra i liberi cittadini ateniesi e i sudditi del
dispotismo "orientale"; la moderna ideologia di "Occidente" nasce sulla "razionalit" come prerogativa esclusiva
della nostra storia e della nostra cultura, "razionalit" garantita dal fatto che l'occidente stato vincente sul
pianeta (con ci consentendo a qualcuno d'ipotizzare la Storia stessa come dispiegamento della Ragione, quindi
l'obbligatoriet di un suo percorso, estrapolabile dal passato al futuro).
Tornando per a Wansbrough, vorrei riportare in modo sporadico alcune sue riflessioni e conclusioni
da The Sectarian Milieu che mi sembrano di particolare interesse, sia perch sembrano delineare una storia della
"ortodossia" islamica che ha punti in comune con le vicende di altre "ortodossie"; sia, anche, per altri motivi che
contraddistinguono la peculiarit dell'Islam. Cos, a p. 116, viene notata una caratteristica che accomuna gli
eresiologi islamici e quelli cristiani, l'intendere l'eresia come frutto di eccentricit; viene ripreso, in tutto il III
capitolo ma gi prima, lo schema di W. Bauer (del quale ho parlato nel testo) come applicabile ad ogni forma di
"ortodossia": non soltanto cattolica, ma anche rabbinica e islamica; onde la comunit "ortodossa" quella che
sopravvive vincente sui gruppi che leggono diversamente (e in modo "erroneo") il Messaggio, e la "ortodossia"
prende la forma di una costruzione retrodatata che sorregge la propria autorit anche su una pretesa priorit
temporale: cfr. pp. 124-126. Nel caso dell'Islam, se ci si fosse ricordati che la storiografia una forma di
letteratura (p. 118) si sarebbe anche fatto attenzione che la prima letteratura (Sra e Maghz, vita del Profeta e
storia delle battaglie) tarda e non ci pu dar conto dei primi 150 anni (p. 119).
Nel corso della vicenda di formazione dell'ortodossia, Wansbrough deve notare "il tortuoso percorso
tramite il quale la Sunnah fu identificata con la Sunnah del Profeta" (p. 33) ad opera di Shfi, che,
paralizzandone lo sviluppo (come ho accennato nell'Appendice alla V edizione) trasform una ummah storica, in
divenire, in una ummah "metafisica" (p. 86). Il concetto stesso di ummah quale si and codificando, segna il
passaggio da una Staatnation, inizialmente una comunit etnica che pu costituire la base di una nazione fondata
sulla pratica politica, a una Kulturnation, una comunit fondata su un'etica esemplare -un'operazione condotta
dagli ulam- (p. 123). Mi sia concesso aggiungere che questa confusione tra la natura politica della convivenza
fondata dallo Stato, e la pretesa di concepire lo Stato come realizzatore di una visione etica (di fatto: ideologica),
lo svelamento per eccellenza della marginalit culturale, equipaggiata da un razionalismo subalterno. L'etica
esemplare del mondo islamico divenne cos quella della Sharah fondata sugli ahdth costituenti la "Sunnah del
Profeta". Il termine "ftna", dalle molteplici sfaccettature (sedizione, discordia, anarchia, calamit, empiet,
peccato, errore, divergenza di opinioni, etc) esprime questo contrasto che si venne a creare tra l'autorit statale e
la petizione etica di una pia minoranza (p. 99).
Il ruolo di Wansbrough appare centrale per la moderna ricerca sulla storia dell'Islam, e mi sembra
quindi utile considerare altri due articoli di H. Berg e G.R. Hawting che appaiono nel testo edito da Ibn Warrq,
entrambi riprodotti da originali del 1997, vent'anni dopo la pubblicazione dei due libri di Wansbrough sopra
esaminati.
Secondo Hawting, John Wansbrough, Islam and Monotheism, l'aver sostenuto che l'Islam, quale lo
conosciamo, si svilupp in Medio Oriente, fuori dalla penisola araba, e che in questo contesto si deve inquadrare
il racconto sulle origini nell'Hijz, ha accresciuto la comprensione del fenomeno. Un Islam originato nell'Hijz,
nota Hawting, si dissocia, di fatto, dallo sviluppo dei monoteismi; nonostante la ripetutamente segnalata presenza
di Ebrei e Cristiani in Arabia e alla Mecca ai tempi del Profeta, la tradizione islamica insiste sulla
contrapposizione tra la nuova religione e il tradizionale paganesimo degli Arabi; sull'origine dell'Islam non grava
alcun antecedente storico, siamo in presenza di un'improvvisa irruzione di Allh con la Sua Rivelazione. In
questa sua contrapposizione, l'Islam mostrerebbe un'origine del tutto diversa dagli altri due monoteismi, ma ci
contrasta con la notizia di Sozomeno (cfr. supra) che gli Arabi, almeno in parte, gi nel V secolo avevano preso
coscienza di una propria discendenza abramica. Sull'argomento vedi anche U. Rubin, Hanifiyya and Kaba,
JSAI, 13, 1990, ove, oltre ad un'indagine sulla presenza del culto abramico in Arabia e alla Mecca, si ricorda la
testimonianza di Giuseppe Flavio, cio del I secolo d.C., relativa alla coscienza araba della propria discendenza
abramica, confermata dalla pratica della circoncisione.
L'accettazione della tradizione islamica in Occidente da parte degli studiosi, si pu attribuire quindi,
secondo Hawting, alla grande quantit di dettagli che essa sembrava fornire, indipendentemente dalla loro
attendibilit. Quelle fonti sono tuttavia tarde, nessuna di esse antedatando il passaggio tra l'VIII e il IX secolo.
Wansbrough mise dunque in luce alcuni sviluppi sicuramente tardi, e soprattutto la complessit di una religione
che regola minuziosamente la vita sociale, politica ed economica, la legge penale e i dettagli cultuali: siamo
dunque in presenza di una vera e propria cultura, di una civilt. Un fenomeno simile richiede un ritorno alle
intuizioni di Becker (cfr. supra) sul ruolo di una diffusa cultura del Medio Oriente preesistente all'espansione
araba. In questo, il risultato della ricerca di Wansbrough non si risolve in un rifiuto della tradizione intesa come
862
autocomprensione delle proprie origini da parte di una comunit, ma fa giustizia alla complessit dell'Islam,
facendone il terzo grande protagonista della tradizione monoteistica mediorientale.
L'articolo di H. Berg, The Implication of, and Opposition to, the Methods and Theories of John
Wansbrough, ha una diversa angolazione, ed esordisce mettendo in luce la ragioni che hanno determinato la
diffusa opposizione degli studiosi occidentali, nonostante sia comunemente nota e riconosciuta la non
verificabilit della Vulgata. Berg inizia col mettere in luce alcuni punti della ricerca di Wansbrough
relativamente ad una evoluzione dello stesso Corano, i cui logia profetici furono codificati dopo un periodo di
crescita e di trasmissione orale, e soltanto grazie ad un lavoro di esegesi furono connessi ad una figura di Profeta
arabo, la cui biografia fu creata dall'esegesi stessa. La stessa lingua del Corano subiva contemporaneamente uno
sviluppo che condusse all'arabo classico. Il periodo coperto da questa evoluzione fu stimato da Wansbrough in
150-200 anni, al termine dei quali la cultura delle sette giudeocristiane produsse una nuova religione, n giudea,
n cristiana. Nel frattempo, la storia della Sunnah fece di questa uno strumento autorevole come testimonianza
certa, sia della condotta paradigmatica del Profeta, sia dei suoi comandamenti, facendo di entrambi la fonte
essenziale della Legge. Berg, dopo aver esposto le reazioni a queste conclusioni da parte di alcuni studiosi,
insiste tuttavia su un fatto obbiettivo: le fonti sono del IX secolo e la letteratura non costituisce, in quanto tale,
una "testimonianza" come l'archeologia; cos come frammenti coranici antecedenti il IX secolo possono
testimoniare soltanto la preesistenza di alcuni logia, non del Corano quale lo conosciamo.
Prescindendo dagli studiosi islamici, dei quali si pu comprendere la reazione, l'opposizione di quelli
occidentali pu essere intesa come il tentativo di fare comunque una "storia" dell'Islam sui documenti in
possesso (quelli islamici) mentre Wansbrough avrebbe mostrato una cosa molto semplice ma determinante: la
"storia" non si pu fare, mancano documenti attendibili, e l'unica possibilit l'analisi critica dei testi intesi come
letteratura. Non sono mancate, in passato, le accuse di pigrizia intellettuale nei confronti degli islamisti
occidentali anche per la ristrettezza del loro approccio, nel quale la sola competenza ammessa quella relativa
alla lingua araba e la familiarit con l'Arabia islamica. Berg parla poi apertamente (e non il solo) di un filo-
islamismo preconcetto presente nel mondo degli studiosi dell'Islam, derivato da simpatie religiose per l'Islam (su
questo si parlato anche di studiosi "con un turbante nel cervello" [Ibn Warrq, p. 78]; basti ricordare fenomeni
come il guenonismo, o l'attrazione per il Sufismo, o altri atteggiamenti intellettuali, al cui riguardo occorrerebbe
aprire un lungo discorso sulla crisi dell'Occidente e sul rapporto di questa crisi con la pretesa laicista di
espungere la religiosit dal mondo contemporaneo). Perci, conclude Berg, si deve tener conto delle obbiezioni a
Wansbrough, anche se si deve aver coscienza che esse non riescono ad essere convincenti.
Certamente, su un punto occorre giungere a chiarezza, sul dubbio che grava prepotente e ineludibile
sulla storicit o sulla letterariet della vulgata islamica, che involve altri problemi, quali l'origine del Corano e
della Sunnah, quindi la credibilit degli asnd e degli ahdth, e, infine, la stessa figura storica del Profeta.
Per quanto concerne il Corano, Ibn al-Rwand (p. 110) ricorda l'importante distinzione che ha
ritenuto di dover fare J. Burton (cfr. infra) tra il Corano come fonte e il Corano come documento. Burton ha
dedicato i propri studi alla dottrina del naskh (cio "abrogazione" dei versetti abrogati da parte di quelli
abroganti) e ne ha tratto la conclusione che il Corano deve essere esistito in forma diversa da quella canonica
prima della fissazione di quest'ultima (che, nella Vulgata, avviene non per opera del Profeta, ma dei suoi
successori Umar e Uthmn). Questa diversa e pi antica stesura deve essere stata una fonte autorevole, della
quale le versione in nostro possesso, cio il Corano quale lo conosciamo, soltanto il documento "di Maometto";
ipotesi diversa da quella di Wansbrough che, pur non negando l'antichit della fraseologia parenetica del Corano,
insiste essenzialmente sulla precedenza della sua accettazione come documento d'origine divina, fonte della
Legge, rispetto alla sua canonizzazione all'inizio del IX secolo. In sostanza, conclude Wansbrough, il Corano il
risultato di due secoli di evoluzione socio-culturale dell'Islam. Come egli aveva sostenuto gi (Quranic Studies,
p. 47) il Corano " il prodotto dello sviluppo organico di tradizioni inizialmente indipendenti, nel corso di un
lungo periodo di trasmissione" ci che spiegherebbe le ellissi e le ripetizioni del testo.
Sulle difficolt di comprensione del testo trdito vedremo, infra, l'importante lavoro di Luxenberg;
nota comunque Ibn Warrq (pp. 113-114) a proposito dei testi che formano la Vulgata: "CI che emerge da un
esame attento delle fonti islamiche, che nei primi tempi dell'Islam, Corano, Hadth, Tafsr e Sra, furono
categorie letterarie fluide e interagenti, non entit distinte. Non un caso che sin dai primi tempi ci fu il testo
canonico del Corano, e che Hadth, Tafsr e Sra commentassero quel fondamento come commentario ed
esemplificazione; il Corano il Tafsr di se stesso e della Sunnah, la Sra il Tafsr del Corano e della Sunnah
come anche una raccolta di Hadth, e lo Hadth un'alternativa al Corano. Tutti questi generi interagiscono
continuamente, ognuno modellando gli altri al succedersi delle generazioni, sinch l'Islam defin se stesso nella
sua forma classica come reazione alle sue precedenti forme e al suo ambiente non islamico". Ci vollero tre secoli
per formare l'Islam (ivi).
Per quanto riguarda le origini storiche del Corano, ritengo di poter omettere l'Introduzione di Ibn
Warrq a un altro suo testo collettaneo, The Origins of the Koran, Amherst, Prometheus Books, 1998, perch,
pur essendo importante, ripete cose gi dette qui. Tutt'altro discorso con H. Motzki, del quale va esaminato
l'articolo The Collection of the Qurn. A Reconsideration of Western Views in Light of Recent Methodological
Developments, apparso su Der Islam, 78, 2001, anche perch si muove in direzione critica verso molte
affermazioni degli studiosi sopra riportati. Motzki attacca le conclusioni che sono state tratte da vari studiosi del
863
passato, e, recentemente, soprattutto da Wansbrough e Burton, relative alla canonizzazione tarda del Corano, tra
il II e il III secolo dell'Egira.
Il problema riguarda la ben nota tradizione di una presunta canonizzazione avvenuta ad opera di
Umar e Uthmn. Il racconto tradizionale il seguente (riportato dall'Introduzione di Ibn Warrq sopra citata).
Umar, preoccupato per la progressiva scomparsa dei primi depositari della Rivelazione del Profeta, avrebbe
incaricato, ai tempi di Ab Bakr, Zayd Ibn Thbit, segretario di Maometto, di raccogliere il testo dai frammenti e
dalle testimonianze, e avrebbe consegnato la raccolta ad Ab Bakr, che, alla morte, l'avrebbe lasciata ad Umar,
e questi alla figlia Hafsa. Un'altra storia narra poi che Uthmn diede anche lui l'incarico a Zayd Ibn Thbit, che
utilizz anche i fogli in possesso di Hafsa. Le vicende del Corano proseguirebbero oltre, ma mi fermo qui perch
ci sono numerosi e ben motivati dubbi sulla credibilit di queste storie, che comunque lasciano aperti altri
problemi reali, quali l'evoluzione di un testo che, non avendo segni diacritici di punteggiatura per le consonanti,
n segni vocalici per le brevi, doveva essere interpretato, e poteva esserlo, in molti modi. Il punto che la scarsa
credibilit della vicenda iniziale ha fatto ritenere la Vulgata un falso di epoca tarda. Motzki prende allora una
diversa strada: esamina la credibilit degli ahdth che la tramandano, e giunge a risultati interessanti.
Per quanto riguarda la verifica degli asnd (la successione di attribuzioni che garantisce la veridici
del detto o del fatto trdito) e del matn (testo) degli ahdth (che possono essere trasmessi per diverse vie con
testo eguale o diverso) esiste una precisa metodologia (cfr. infra) che consente di stabilire l'attendibilit dei detti
e dei fatti contenuti nelle raccolte (le pi note quelle di Bukhr e Muslim, della seconda met del IX secolo).
Seguendo i percorsi delle tradizioni relative agli interventi di Umar e Uthmn, Motzki stato in grado di
stabilire che entrambe le tradizioni risalgono con certezza ad una fonte, Ibn Shihb al-Zuhr ( 742) e che quindi
erano gi sicuramente attestate nel primo quarto del II secolo dell'Egira. Dove per possono nascere dubbi, sul
loro percorso precedente al-Zuhr (che potrebbe essere stato inventato, eventualmente dallo stesso al-Zuhr: su
questo si pu aggiungere che Motzki non esclude tuttavia la veridicit delle tradizioni, al contrario di altri assai
dubbiosi). Tutto ci per significa una cosa almeno, che smentisce alcune conclusioni di Wansbrough: la
tradizione -almeno: quella tradizione- era consolidata prima del II-III secolo dell'Egira. Per conto mio mi limito
a notare che lo spostamento della data, per quanto sia importante nella specificit dello studio, non sposta il
problema esaminato in queste note, quello dell'origine dell'Islam nei suoi rapporti con la cultura religiosa
preesistente.
A questo punto l'esame deve quindi trasferirsi necessariamente sulla vicenda degli ahdth e della
Sharah, che, con il Corano, formano l'ossatura di quel conglomerato indissolubile di religione e Legge, essenza
stessa dell'Islam. Prima di farlo per necessaria una breve premessa a partire dai dubbi e dalle certezze sinora
maturati circa la Vulgata e il suo rapporto con la realt storica. Il fatto che il Corano con le sue vicende formative
fosse gi "storia" nel primo quarto del II secolo dell'Egira (ante 742) nulla toglie al fatto che molte vicende
dottrinali dell'Islam, essenzialmente le sue deviazioni (se la Sha alde mai lo fu; ma certamente lo furono le
tante sette ultrashite) mostrano comunque una forte dipendenza da aspetti della religiosit diffusa ab antiquo
nel Medio Oriente. La discendenza dal Giudeocristianesimo e il rapporto con la religiosit vernacolare del
mondo mediorientale, sono evidenti in quella ripetitivit della Profezia che continuamente riemerge nelle sette
islamiche estremiste, e nella peculiarit della "Gnosi" islamica che non devia dal monoteismo; monoteismo e
dottrina della Profezia restano i tratti distintivi di questa religiosit, e hanno un retroterra comune. Questo
retroterra quello giudeocristiano, un retroterra che non per caso sar espunto e condannato dalla Chiesa di
Roma con una scelta che sancisce il distacco. Dietro la dottrina della Profezia, di un prescelto adottato a ricevere
lo Spirito Santo e a parlare la Voce di Dio, c' infatti il tornasole di una marginalit eversiva che sogna il
compimento dei Tempi: ci che Roma mise presto tra le parentesi di una seconda parusia, ponendo al bando sin
dai tempi di Montano ogni nuova tangenza di umano e divino e ogni pretesa di farsi portavoce dello Spirito.
Questo, come ebbi occasione di notare, fu il realismo di una classe dirigente con una consolidata esperienza dello
Stato.
Spero di aver con ci chiarito ancora una volta il senso del mio capitolo sui disordini terreni e la
ragione della ripresa del tema delle sette e della religiosit mediorientale nelle due Appendici; nonch l'accento
posto sin dall'inizio sul sottofondo "gnostico" dal quale si manifesta la nascita e l'espansione dell'Islam, e sul
ruolo della religiosit vernacolare evocata per certi suoi sviluppi.
Tornando a Motzki, mi sembra comunque significativo riportare le sue conclusioni correttamente
prudenti (p. 31): "Non siamo in grado di provare che i racconti sulla storia del Corano risalgano alla
testimonianza oculare degli eventi che si afferma siano accaduti. Non possiamo essere sicuri che le cose
accaddero realmente cos come riportato dalla tradizione. Tuttavia i racconti islamici sono molto pi antichi e
molto pi vicini al tempo degli eventi narrati, di quanto ritenuto sinora dagli studiosi occidentali".
Questo per quanto concerne la collocazione del Corano. Resta per da domandarsi quale fosse
l'origine degli elementi che lo compongono, e se quel Corano raccolto ai tempi di Uthmn esprimeva l'Islam che
noi conosciamo, con la sua Sunnah e la sua Sharah, la cui costruzione dipende essenzialmente da altro, dalla
raccolta degli ahdth.
Al tema della loro datazione (sostanzialmente: dell'attendibilit che essi conservino una tradizione
risalente al Profeta, tale quindi da farne i mattoni costitutivi della Legge islamica) H. Motzki ha dedicato una
raccolta di studi di vari autori (Hadith, ed. by H. Motzki, Aldershot, Ashgate, 2004).
864
Nella sua Introduzione, Motzki ripercorre la vicenda e illustra le varie posizioni, sottolineando
l'importanza fondamentale dell'argomento, perch, come noto e come egli anticipa ad apertura di testo (p. XIV)
"il Corano mostr di essere insufficiente come fonte di guida per la vita pratica della comunit, non appena essa
si allarg oltre i confini dell'Arabia". Si dovette perci fare riferimento alle decisioni del Profeta e al suo esempio
-la "Sunnah del Profeta"- raccogliendo le notizie reperibili; si fece ricorso agli ahdth, eventualmente inventati,
grazie essenzialmente al contributo dei narratori di storie. Diverse sono state perci le posizioni degli studiosi
occidentali circa la loro attendibilit e la loro effettiva data d'origine. Come noto, i tradizionisti islamici (i
raccoglitori di ahdth) dovettero operare nel IX-X secolo una severissima selezione tra centinaia di migliaia di
ahdth per ricavarne alcune migliaia, a loro avviso "attendibili", in quanto "sicuramente" riferibili ai tempi del
Profeta. Gi all'inizio del IX secolo infatti, Shfi aveva codificato la possibilit di una condivisa legge islamica
(la Sharah) fondandola non sulla generica e variegata tradizione (Sunnah) nota ai giuristi, ma su una "tradizione
del Profeta" ritenuta, come tale, divinamente ispirata, quindi Legge tout-court.
Motzki espone quindi le varie prese di posizione a partire da quelle radicalmente scettiche di
Goldziher e di Schacht, il quale ultimo sottoline il ruolo cruciale di Shfi nel superamento dell'antecedente
variet di tradizioni giuridiche. Schacht consider gli ahdth risalenti al Profeta, come una pi tarda invenzione
rispetto alle altre tradizioni esistenti, e quindi anche del tutto "recente" la biografia del Profeta (la Sra). Questa
posizione stata oggetto di critica nelle seconda met del XX secolo. Ad esempio, Juynboll e Burton hanno
potuto stabilire che tradizioni relative al Profeta esistevano gi nel I secolo dell'Egira (VII-VIII secolo); in
particolare, una trasmissione formale e standardizzata dovette iniziare nel 670-680 (p. XXIV). Ci non significa
per che i contenuti, opera dei narratori di storie, fossero genuini. Secondo Juynboll non vi furono tradizioni
legali (hall wa-haram, ci che lecito e ci che proibito) in quel primo secolo; esse maturarono soltanto
nell'VIII secolo (II dell'Egira).
Diversa la posizione di Burton, decisamente scettico; secondo lui, la Sunnah origin in gran parte
come commento al Corano, e gli ahdth non hanno riferimento in una reale pratica storica di Maometto e dei
Compagni, sono perci un falso che tuttavia si radica nella riflessione sul Corano e nella discussione di materiali
che risalgono al tempo del Profeta e dei Compagni (p. XXVIII). La posizione di Burton cui fa riferimento
Motzki contenuta in un articolo riprodotto da questultimo Notes towards a Fresh Perspective on the Islamic
Sunna, nel quale Burton sviluppa il caso delle norme coraniche e legali relative al digiuno di Ramadn (Cor., 2,
183 sgg) per mostrare come la Sunnah abbia codificato largomento a partire da tarde discussioni
sullinterpretazione dei versetti, suffragate da un materiale che, da esegetico, divenne storico, e quindi cogente
Sunnah del Profeta in Shfi.
Motzki espone anche altre posizioni, ma resta evidente che il fondamento per ogni ragionevole presa
di posizione non pu che ancorarsi allesame della possibile veridicit degli asnd, cio delle catene di
trasmissione dei singoli ahdth, i quali mostrano di essersi diffusi lungo percorsi diversi a partire da alcune fonti
comuni (a volte tuttavia con contenuti diversi; dunque lesame del contenuto [matn] deve procedere accanto a
quello della trasmissione). Questi punti dirradiazione sono stati detti Common links, e i pi antichi di essi nelle
catene, Lowest common links. Ebbene: questi ultimi si attestano nella terza-quarta generazione successiva al
Profeta. Juynboll vede in questo nodo la invenzione dello hadth, non essendovi la possibilit di verificare la
veridicit dellulteriore percorso a ritroso, caratterizzato da una linea unica di trasmissione (che pu giungere al
Profeta) linea che potrebbe essere stata inventata dal Lowest common link. Motzki ritiene che ci non sia
necessariamente vero, cio che quel percorso unico possa non essere necessariamente falso: osservazione giusta
sul piano logico, ma soltanto su quel piano. A ci si aggiunga che non si pu accertare per vero un evento che
abbia un solo assertore (C dice di ricevere da B che dice di aver ricevuto da A: mancano altri percorsi di verifica,
tutto parte dal solo C) e, stante i fatti di cui si parla, fatti del Profeta o dei suoi tempi, tanta esattezza pu
generare sospetto.
Si pu pensare anche altro: non tanto che il Lowest common link abbia inventato la tradizione,
quanto che ci si possa trovare in presenza di una tradizione esistente a quel tempo, e da quegli trasformata in
autorevole detto o fatto del Profeta. Un processo grazie al quale unusanza diffusa diviene Legge autorevole,
e, successivamente, dal IX secolo, Sacra e non pi modificabile. In questo fu determinante lopera di Shfi, il
quale stabil che, in presenza di una tradizione risalente al Profeta, nessun altro argomento potesse esser valido.
Su questo ruolo di Shfi insiste anche J. Burton, Rewriting the Timetable of Early Islam, JAOS, 115, 1995, p.
460, perch, se il Corano interpretabile in molti modi, il ruolo principale nella Legge va assegnato alla Sunnah
del Profeta, che ne costituisce linterpretazione autentica (vedi supra la posizione di Burton in Motzki, cit.).
Burton ha raccolto pi tardi il frutto della propria ricerca in due importanti testi: The Sources of
Islamic Law. Islamic Theory of Abrogation, Edinburgh, Un. Press, 1990; e An Introduction to the Hadth, ivi,
1994. Il primo particolarmente dedicato allanalisi della dottrina dellabrogazione (naskh) in base alla quale
alcuni versetti sono abrogati (manskh) da altri, detti abroganti (nsikh). Burton parte dal problema di alcune
contraddizioni interne al Corano, risolte dai giurisperiti in base al principio suddetto (una norma coranica pu
prendere il posto di unaltra che la precede, abrogandola; la dottrina ha fondamento nel Corano stesso, nella 2 e
nella 16 Sra) salvo notare che i giurisperiti stessi non erano sempre in grado di decidere quale delle due norme
fosse la prima, e quale la seconda.

865
Per la definizione della Legge fu perci necessario tener presente una complessit di argomentazioni
basate non soltanto sul testo, ma anche sulla sua possibile esegesi (tafsr) e sugli ahdth relativi ai detti e ai fatti
del Profeta e dei Compagni che in questa discussione potevano fornire supporto alle argomentazioni dei vari
giurisperiti. Questultimo aspetto divenne fondamentale con Shfi, per il quale le decisioni del Profeta (cio
attribuite al Profeta negli ahdth) dovevano intendersi come decisioni di Dio, tali quindi da superare eventuali
divergenze nelle norme coraniche.
Il conflitto emerso tra Legge e Testo trova dunque origine nella diversit delle esegesi, e nel fatto che i
fondamenti della Legge furono articolati grazie a quelle esegesi, che furono, a loro volta, la fonte della Sunnah.
Una vicenda complessa nata gi col I secolo dellEgira, che mostra per la storicit del formarsi della Sharah,
che era stata una Legge vivente nelle sue controversie giuridiche, certamente non prescindibile da usanze diffuse,
quindi diverse nelle diverse popolazioni. Una storicit tuttavia congelata dallopera di Shfi allorch elemento
dirimente divenne linsieme degli ahdth che costituivano la Sunnah del Profeta, cio quella decisioni
attribuite a Maometto e ritenute ispirate da Dio, in grado di sovrapporsi a qualunque altra norma e/o
interpretazione.
Il secondo testo di Burton appare di particolare interesse, perch si articola a lungo sul solo problema
degli ahdth, della storia della loro comparsa nel I secolo dellEgira, e della loro affermazione come Sunnah
del Profeta con Shfi. Una vicenda vista anche attraverso le tensioni che percorsero la comunit islamica nel
contatto con altre culture, tensioni che si risolsero nella pietrificazione tradizionalista operata da Shfi, e,
successivamente, da Ahmad ibn Hanbal. Nota Burton, che fin dallinizio negli ahdth vi fu una dimensione
politica: cercare di definire il modello di vita e il giudizio politico espresso in varie circostanze dal Profeta,
significava esprimere anche una logica religiosa, che tendeva allapprovazione o alla disapprovazione di
affermazioni e di atteggiamenti nellambito delle contese che si susseguirono sino allaffermazione degli
Omeyyadi e oltre, alla contestazione del loro esercizio del potere. Vi si esprimono cio delle opinioni su ci che
dovrebbe essere, e su ci che si dovrebbe fare per rispettare il dettato religioso. Per la natura stessa dellIslam,
tale problema si estende a tutti gli aspetti normativi della convivenza civile, e, sotto tale aspetto, Burton segue e
illustra levolversi del dibattito che si ebbe attorno a problemi come la punizione delladulterio, listituzione del
matrimonio temporaneo (Muta, accettato dagli Shiti), le varie obbligazioni della preghiera, e cos via. Lo
hadth, osserva Burton, non un documento della storia iniziale dell'Islam, ma una riflessione sulle tendenze
della comunit nel corso della propria maturazione (p. 35). Nel corso di questa evoluzione, in rapporto agli
esempi analizzati da Burton, si possono notare aspetti che interessano il tema che sto cercando di illustrare; ad
esempio nel caso della lapidazione degli adulteri che alla met del II secolo dell'Egira era in uso, ma, non
essendo prescritta dal Corano, Mlik b. Anas non sapeva come giustificare. Il fatto che successivamente Shfi
potesse giustificarla con la sua "Sunnah del Profeta" fondata sugli ahdth dotati di una corretta catena di
trasmissione, mostra che c' un "costume", una tradizione culturale dei popoli entrati nell'orbita dell'Islam, che
contribuisce prepotentemente a formare la Legge.
L'opera di Shfi appare fondamentale in quanto viene a capo di due problemi che costituivano un
potenziale fattore di disgregazione. Il primo era costituito dalle lacune del Corano come fonte legislativa e dalle
sue contraddizioni (superato, come visto sopra, con la dottrina del naskh). Le lacune non potevano che essere
colmate, in pratica, se non con le divergenti pratiche locali, che per, per essere giustificate nel nuovo ordine,
dovevano pur fondarsi su qualche autorevole tradizione. La riconduzione di queste tradizioni entro un unico
ordine legale, attraverso una precisa logica di verifica degli ahdth e la loro elezione a Legge unica e immutabile
fondata sull'esempio del Profeta, fu precisamente l'opera di Shfi. Utilizzando lo stesso testo del Corano, egli
pot dimostrare che la compiuta Legge di Dio si era manifestata nella condotta e nelle prescrizioni quotidiane e
minuziose del Profeta; e poich queste non risultavano dal Corano, ma dai detti e fatti tramandati, la Sunnah
divenne elemento vincolante per la Sharah, naturalmente dopo un'attenta verifica dell'attendibilit "storica" e
della logica stessa degli ahdth.
Se si riflette sul significato di questa operazione e sulle sue conseguenze, si possono trarre conclusioni
significative. La prima che il risultato di rendere Legge divina (perci immutabile ed eterna) qualcosa che, di
fatto, nasceva da ragionamenti e tradizioni di uomini e societ mediorientali del VII-IX secolo, fu di pietrificare
in questa "Legge" costumi e tradizioni, sottraendoli alla loro evoluzione. La seconda che il fondamento della
Legge, sottratto alla semplice esegesi del Corano, diveniva appannaggio di una classe di esperti in tradizioni, la
cui validit risiedeva essenzialmente nell'accertata "storicit" del testo e certezza della trasmissione. Si escludeva
quindi la possibilit di una legge passibile di un proprio divenire sulla base dell'interpretazione razionale del
Testo Sacro. Nota con esattezza Burton che ci avvenne nell'ambito di una lotta, emersa tra l'VIII e il IX secolo,
contro l'irruzione della filosofia greca, e contro le conseguenti tendenze razionaliste della nascente filosofia
islamica (p. 180).
Quel che per pi gli preme di sottolineare la differenza tra i risultati della propria indagine e quelle
di Goldziher e di Schacht: per Burton gli ahdth testimoniano e conservano il pensiero dei Musulmani nel
periodo immediatamente seguente l'et del Profeta (p. 181). Non sono n una costruzione artificiale n un
documento tardo, e neppure, essenzialmente, un documento della lotta tra ulam e Omeyyadi: sono il pensiero
di coloro che dall'Arabia, alla Siria, alla Mesopotamia, all'Iran, abbracciarono l'Islam. E lo fecero, si potrebbe
aggiungere, in base alle tradizioni: il che ci riporta al tema delle origini, al proposito delle quali vorrei ricordare
866
un'osservazione di Wansbrough (The Sectarian Milieu) in quel suo interessante capitolo intitolato Identity (p. 98
sgg.). La "situazione settaria" (da lui invocata come cultura d'origine) "mostra una lingua franca" che dalla
polemica passa al proselitismo, e di l fonda un'ortodossia. C' continuit, tra l'Islam come si costitu, e ci che
v'era prima; la Rivelazione si modellata sul costume al momento di farsi Legge. Come nota Burton (An
Introduction to the Hadth, p. XIX) "L'oggetto dello ilm (scienza) il dettato divino; fiqh (il diritto) il risultato
del contributo umano".
Su questo aspetto della costruzione della Legge, pu essere significativo riportare le conclusioni di A.
Rippin, The Function of the asbb al-nuzl (scil.: occasioni di rivelazione) in Quranic Exegesis, BSOAS, 51,
1988, secondo il quale il commento narrativo al Corano (originatosi, secondo Rippin, nel mondo dei narratori di
storie) appare essere stato assunto come base per estrarne un'argomentazione legale (halakhica) laddove il
Corano fosse carente, o si prospettasse un problema di abrogazione.
Il problema di datare la vera origine degli asnd (chi e quando li origin) stato ampiamente
affrontato da G.H.A. Juynboll. Contrariamente a Schacht, che pone la terza guerra civile del 743 (quella che
rovesci gli Omeyyadi) come momento nel quale essi cominciarono a circolare, Juynboll retrodata tale inzio alla
seconda guerra civile, quella che vide il khridjita Abd Allh b. Zubayr proclamarsi Califfo alla Mecca nel 683,
dando inizio ad un conflitto terminato nel 693 con la vittoria del Marwnide Abd al-Malik (colui che edific il
Duomo della Roccia). Sulla scelta di questa datazione da parte di Juynboll, si pu far riferimento a due suoi
articoli: The Date of the Great Fitna, Arabica XX, 1973; e Muslim's Introduction to his Sahh (scil.: titolo della
sua raccolta di ahdth, cio "il veritiero") translated and annotated with an Excursus on the Chronology of fitna
and bida, JSAI, 5, 1984. In questa circostanza documentata un'opposizione tra lo ahl al-Sunnah (la gente della
tradizione) e lo ahl al-bida (la gente dell'innovazione; soltanto in seguito, probabilmente, bida divenne
sinonimo di eresia). I trasmettitori di tradizioni di quel periodo hanno una strana caratteristica: vivono anche pi
di cento anni, raccordando cos tra loro generazioni lontane; Juynboll tenter una spiegazione di questa stranezza
(cfr. infra). Ahl al-bida sono considerati, oltre i Khridjiti e i Rfiditi (q.v. all'Indice analitico) i Murjiiti e i
Qadariti (per antrambi i quali, cfr. infra, p. 869).
Partendo dunque dall'assunzione della data del 680-690 come data d'inizio della formazione degli
ahdth, Juynboll ha esaminato in dettaglio la catena delle trasmissioni per verificare la correttezza dell'assunto.
Sull'argomento si possono prendere in esame, in ordine di apparizione, cinque suoi articoli.
Some new Ideas on the Development of Sunna as a Technical Term in Early Islam, JSAI, 10, 1987,
rif la storia dell'uso del termine, sottolineando come al tempo del Profeta tale termine, inteso come modello di
comportamento normativo, fu applicato anche al Profeta stesso; ma soltanto nel IX secolo, con Shfi, esso
divenne sinonimo di "Sunnah del Profeta"; tuttavia, dalla lettura degli ahdth, non si pu capire se determinate
norme siano nate con lui o pi tardi. Certamente il primo Umar non nomina la Sunnah come strumento cui
ricorrere in caso di decisioni da prendere, e per lungo tempo la parola ebbe soltanto un significato generico; lo
aveva ancora di certo nel primo quarto del II secolo dell'Egira. Probabilmente originaria di quel periodo l'idea
che la Sunnah prenda il posto del Corano in caso d'incertezza, con ci attribuendole un ruolo fondamentale.
L'idea sembra risalire a Yahy b. Ab Kathr, un pio mawl oppositore degli Omeyyadi, cui per fu anche rivolta
l'accusa di sostenere tradizioni false. L'emergere progressivo dei tradizionisti (alla met del IX secolo l'Islam
s'identifica ormai con la Sunnah) a partire dall'VIII secolo, lascia tuttavia intravedere una singolare circostanza:
il loro emergere coincide con la scomparsa dei narratori di storie. Su questo argomento, Juynboll torner pi
tardi.
Some Isnd Analytical Method illustrated on the Basis of Several Woman-demeaning Sayings from
Hadth Literature, al Qantara, 10, 1989, un articolo tutto dedicato a determinare il punto d'origine reale degli
ahdth, grazie all'esame critico della catena di trasmissione. L'analisi condotta su alcune specifiche tradizioni,
e mostra come vi sia un nodo della trasmissione -il Common Link dal quale partono le varie linee di
trasmissione- a monte del quale la trasmissione avviene lungo una sola linea (dunque non verificabile, perci
verosimilmente inventata) che risale al Profeta, generalmente attraverso tre generazioni. Juynboll ritiene che
questo nodo rappresenti la vera origine o invenzione dello hadth, e localizza la sua et sempre attorno alla fine
del VII secolo (il pi vecchio sembra essere del 699).
Juynboll attribuisce particolare valore alla molteplicit delle trasmissioni da un Common Link ad altri
nodi successivi, che egli chiama Common Links parziali, perch ci metterebbe al riparo la correttezza dell'isnd,
cio delle storiche vie di trasmissione, rispetto ad un'ingegnosa ipotesi avanzata da Cook (cfr. infra), in base alla
quale lo stesso Common Link potrebbe essere il risultato di posteriori arbitrarie costruzioni. Juynboll mette cos
un punto fermo nel passaggio dal VII all'VIII secolo, circa l'inizio della vicenda grazie alla quale una tradizione
"vera" (anche se fittiziamente attribuita al Profeta) viene trasmessa alle generazioni successive, contribuendo a
costituire il corpus della Sunnah.
Naturalmente l'analisi non va limitata ai soli asnd, ma anche ai differenti testi coi quali uno stesso
hadth pu essere trasmesso per vie diverse. Su questo punto Juynboll fa un'interessante osservazione: quando le
vie di trasmissione scendono a personaggi (Compagni) vissuti in tempi diversi (Compagni pi giovani o pi
anziani) i testi attribuiti ai Compagni pi giovani sono pi elaborati, quindi sono entrati in circolazione
verosimilmente pi tardi. Egualmente pi elaborati sono per i testi le cui vie di trasmissione non passano per il
Common Link, ma vanno direttamente a livelli pi antichi, eventualmente al Profeta. Questi testi debbono
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dunque essere frutto di un'elaborazione pi tarda. Juynboll ne ricava una legge generale (non lontana dalle
conclusioni di Schacht): se la linea di trasmissione termina in un Successore, essa deve essere stata elaborata
prima di una linea che termini in un Compagno, e questa, a sua volta, prima di una linea che, evitando il
Common Link, vada direttamente al Profeta. Lo scopo della ricerca si volge cos a tentar di capire da chi e
quando realmente furono messe in circolazione le tradizioni che, pi tardi, furono attribuite al Profeta.
Un aspetto interessante della ricerca di Juynboll emerge in The Role of Muammrn in the Early
Development of Isnd, WZKM, 81, 1991. Muammarn termine che indica i grandi longevi, coloro che, in
questa vicenda, per svolgere il ruolo di trasmissione loro attribuito, avrebbero dovuto vivere -a volte anche di
molto- oltre i cento anni, un evento poco verosimile. Juynboll parte dall'esame dei termini iniziali della
trasmissione degli ahdth. Lo schema generale, che ovviamente presenta varianti nel numero dei passaggi, il
seguente: Profeta Compagno Successore Successore un'autorit pi tarda il Common Link i
suoi allievi etc. Il Common Link ritenuto responsabile del testo e della creazione della catena che lo precede.
Esaminando i vari centri d'origine degli ahdth (Mecca, Medina, Damasco, Kufa, Bassora) Juynboll nota che
negli ahdth di Kufa frequente il caso di trasmettitori, Compagni o Successori, che dovettero raggiungere et
inusuali, 120 o 130 anni. Altro dato curioso, che molti Successori sono detti morire nello stesso anno, il 701,
ci che Juynboll mette in connessione con il fatto che la maggior parte dei famosi giurisperiti (fuqah) di
Medina mor nel 712. La lunga vita assegnata ai Successori viene resa necessaria per poter costituire un legame
storico con un Compagno ad un estremo, e un Common Link (origine dello hadth) all'altro. Questo fenomeno
delle pretese longevit diminuisce drasticamente sino a scomparire per quanto riguarda i pi tardi trasmettitori,
quelli dell'VIII secolo; dunque evidente che l'esigenza di ricorrere a trasmettitori inverosimilmente longevi un
fenomeno che riguarda essenzialmente il I secolo dell'Egira. Le conclusioni di Juynboll sono dunque le seguenti.
La necessit di creare un isnd per una tradizione emerge nell'ultimo decennio del VII secolo: fu
allora che si rese necessario invocare un'autorit risalente ai tempi del Profeta per far accettare una scelta
giuridica. Noto, per inciso, che qui s'intravede un Islam che si istituzionalizza in un mondo reale immaginando
per s un retroterra fittizio: a prescindere da tempi e modi, una sostanza delle cose che mostra analogia con i
dubbi generati dalla Crone e da Wansbrough. Infatti la scelta giuridica nasce da un atteggiamento sociale, mentre
l'attribuzione di essa al passato profetico crea un legame improbabile con l'ispirazione divina di un Profeta;
siamo quindi di nuovo alla domanda: come e da che cosa nato l'Islam? perch "l'Islam" coincide con la sua
propria Legge, e nessuna autorit religiosa pu imporre un sistema morale e legale cos totalitariamente
pervasivo quale l'Islam: ci significa che esso pot affermarsi soltanto perch nasceva su una cultura e una
religiosit gi radicate e diffuse.
Per conseguenza, prosegue Juynboll, siamo in presenza di una tradizione e di asnd che hanno una
evoluzione di 150 anni; soltanto dopo una trasmissione verosimilmente inventata attraverso 3, 4, anche 5
personaggi, si giunge alla vera fonte, al Common Link. Kufa (e in parte anche Bassora, dunque la Mesopotamia)
appare un singolare centro d'origine delle tradizioni, per l'improbabile longevit di coloro che dovrebbero
costituire il legame storico con le opinioni del Profeta; questi longevi sono in parte figure storiche realmente
esistite; in parte personaggi immaginari.
Diviene a questo punto significativo rivolgere lo sguardo alla nascita della giurisprudenza islamica
attraverso gli ahdth, e citare un successivo articolo di Juynboll, Some Notes on Islam's First fuqah distilled
from Early Hadth Literature, Arabica XXXIX, 1992. Qui Juynboll riprende i risultati della propria ricerca
(esposti sopra): il Common Link al terzo o quarto posto della catena, dopo il Profeta. Molte di queste catene
sono prive di un anello di trasmissione, e questo di norma il Compagno che avrebbe trasmesso l'opinione del
Profeta a trasmettitori pi tardi. Su questa constatazione si pu immaginare uno scenario. Alla fine del VII
secolo, i giurisperiti, richiesti di un parere avanzarono il proprio, sostenendo di riferire quello del Profeta, cosa
impossibile a causa del salto generazionale (i pi vecchi fuqah nacquero da 20 a 40 anni dopo la morte del
Profeta) . Per questa ragione alcuni di loro, o i loro allievi, dovettero inventare la presenza di un Compagno nella
trasmissione dal Profeta al giurisperito, e questa pratica and rinforzandosi man mano che l'isnd andava
acquistando importanza; in essa emergono quindi per necessit le figure dei longevi (i muammarn). In tal
modo si formarono degli asnd perfetti, che debbono ritenersi pi tardi di quelli manchevoli, iniziali, posti a
supporto dai giurisperiti, alle cui vite furono sovrapposte quelle di alcuni Compagni, divenuti cos origine di
un'enorme quantit di tradizioni. L'insistenza di Shfi sulla necessit di risalire al Profeta come fonte della
Legge, ebbe infine un ruolo importante nella retrodatazione a posteriori degli asnd raccolti nelle collazioni
dell'VIII-IX secolo: un fenomeno, dunque, tardo.
Si noti, tra l'altro, che gli stessi studiosi islamici dopo Shfi, ebbero dubbi sulla reale risalita degli
asnd sino al Profeta, e la discussione prosegu sino all'XI secolo, quando gli interessi utilitaristici dei
giurisperiti misero definitivamente a tacere la critica: vedi quel che scrive al riguardo J. Brown, Critical Rigor
vs. Juridical Pragmatism: How Legal Theorists and Hadth Scholars approached the Backgrowth of Isnds in
the Genre of Ilal al-hadth, The Islamic Law and Society, 14, 1, 2007.
Nelle raccolte, va detto, raramente figurano i nomi dei giurisperiti nella posizione di Common Link
(dunque, di originatore della tradizione, che si trova invece un po' oltre nella catena) probabilmente perch essi
non furono coinvolti nella trasmissione; Juynboll ritiene tuttavia che furono essi, a partire dalla fine del VII
secolo, gli estensori della giurisprudenza relativa al lecito e al proibito, e fa degli esempi che fanno propendere
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per l'antichit di alcune normative. Da questi emerge per anche un'altra possibile conclusione: la tradizione
legale di Medina dovette essere assai composita, avendo fatto proprie, grazie a tradizioni inventate, molte
tradizioni provenienti da Kufa. Noto al riguardo, che ci contribuisce ad avvalorare la visione di un Islam nato
per buona parte in Iraq.
Le vicende della formazione della Legge, e quindi della societ islamica, vengono dunque cos
riassunte da Juynboll in Early Islamic Society as reflected in the Use of Isnds, Le Muson, 107, 1994, dalla cui
esposizione ometto l'analisi dei punti gi ripetutamente trattati sopra. Secondo Juynboll, necessario apprezzare
il ruolo degli asnd se si vuole capire che cosa accadde nei primi due secoli, nel corso dei quali si crearono le
basi di liturgia, rituali e legge, con il loro ancoraggio a un retroterra storico; in cui, insomma, fu creata la societ
islamica. "Storie" e prescrizioni s'intrecciano tra loro sostenendosi reciprocamente, ed entrano in tutto il
materiale prodotto, non soltanto le norme, ma anche la vita del Profeta o la storia militare del primo Islam; gli
asnd sono alla fonte della Legge ma anche della "storia", involvendo anche il problema della prima
Rivelazione ricevuta dal Profeta. L'esame degli asnd mostra che la Sra viene trasmessa a partire da Umayd b.
Umayr , un narratore di storie morto nel 687, che dava anche pareri legali; questi narratori di storie sono per
poco citati, perch, col tempo, essi persero prestigio nei confronti dei produttori di ahdth. Molti narratori di
storie avevano per anche l'incarico di giudice (qd) e in alcuni casi ci avrebbe potuto comportare il ruolo di
giurisperito (faqh); "e ci che pu essere distillato dalle fonti islamiche come materiale di narratori di storie
sembra essere stato gradualmente messo in ombra, se non sostituito, dai pi prestigiosi prodotti dei giurisperiti,
al momento opportuno puntellato con appropriati congegni, gli isnd. La loro istituzione compare dalla met
degli anni 70 (scil.: dell'Egira) cio la fine degli anni 690. All'inizio questi isnd non sono tutti egualmente
sofisticati: i mawqft e i mursalt (scil.: quelli mancanti di anelli della catena o della testimonianza di un
Compagno) sono molto pi numerosi di quelli marft, cio di quelli che giungono indietro sino al Profeta con
un percorso essenzialmente ininterrotto. Tutto ci mostrato chiaramente da alcune delle voluminose collezioni
di hadth pre-canoniche." (p. 191). Questi crescono di numero dopo il VII secolo, e, a causa della loro origine
tarda, non detto che rispecchino l'opinione dei Compagni.
Il materiale antico si occupa non soltanto di rituale, di ci che lecito e di ci che illecito, del
prescritto e del vietato, ma apparentemente indaga anche la cronologia dei frammenti coranici, cio parte dei
primi tentativi di tafsr (pp. 192-193). Gli asnd nel complesso hanno una potenzialit storica; nonostante nel
tempo le raccolte di storie si differenziassero da quelle di ahdth, storie e sentenze sembrano scaturire da una
comune origine; l'esame degli asnd dunque importante in entrambi gli studi, e aiuta a capire la credibilit
storica e la rilevanza sociale. Una volta identificati i loro originatori e ci che intendevano descrivere e
trasmettere, si possono trarre indicazioni su chi partecip alla formazione e alla formulazione dell'Islam
nascente, e con quali fini (p. 194).
Scettico sulla possibilit di localizzare nel tempo l'origine degli ahdth tramite l'analisi degli asnd
viceversa M. Cook, che ha fornito un esempio dei suoi dubbi in un articolo del 1992, Eschatology and the
Dating of Traditions, raccolto in Hadth, ed. by E. Motzki, cit. M. Cook, oltre che coautore del citato Hagarism,
anche l'autore di un importante testo, Early Muslim Dogma. A Source Critical Study, Cambridge, Un. Press,
1981. In esso egli sostiene che non si pu datare l'origine delle tradizioni grazie agli asnd: per farlo occorrono
criteri esterni, e ci quel che egli indaga in rapporto ad alcuni documenti relativi alla condanna di dottrine
ritenute non "ortodosse" dalla tradizione sunnita. Si tratta, specificamente, della dottrina murjita e di quella
qadarita. Attraverso l'esame comparato con tendenze filosofiche e religiose presenti nell'area siriana e in quella
mesopotamica, egli ritiene di poter concludere che la prima legata alla tradizione filosofica dello scetticismo e
dell'empirismo presente in Iraq e attiva all'interno dei Nestoriani (i Murjiti ritenevano di dover sospendere il
giudizio nei confronti del presunto "peccatore", ma questa, nota Cook, una tarda accezione religiosa del
Murjismo; inizialmente esso significava sospensione di giudizio sulla vicenda dell'uccisione di Uthmn in
quanto peccatore, divenuta problema centrale nella contesa tra Al e Muwiyya). Quanto alla seconda, la
polemica contro di essa sarebbe contenuta in uno pseudepigrafo tardo-omeyyade, e Cook vi ravvisa paralleli in
analoghe polemiche dei Cristiani di Siria. I Qadariti erano essenzialmente sostenitori della libera scelta
dell'uomo tra il Bene e il Male, ma sotto lo stesso nome erano anche designati dei predestinazionisti; il fatto ,
come nota J. Van Ess (E.I., vol IV, pp. 384-388, voce Kadariyya) che "qadarita" fu usato come generico epiteto
spregiativo contro gli avversari nelle dispute. Per i Qadariti, Dio cre soltanto il Bene, ma l'uomo pu scegliere
per il Male; questa posizione, inizialmente non eretica perch non negava la prescienza divina, si estremizz poi
sino a postulare l'ignoranza di Dio delle scelte umane. I Qadariti furono avversi al dominio qurayshita e
perseguitati da al-Hishm e da al-Wald II: furono quasi certamente sotto l'influenza di dottrine cristiane diffuse
in Siria.
La posizione di Cook ripercorre quindi il tema sviluppato con la Crone in Hagarism, relativo ad una
progressiva configurazione dell'Islam nel tempo, a partire da una cultura diffusa nell'area mediorientale. Egli
critica in ci i risultati della ricerca sugli asnd che vedrebbe nella generazione dei Successori (la generazione
successiva a quella dei Compagni e del Profeta) un orizzonte letterario oltre il quale sembra impossibile andare.
Viceversa, andando oltre, Cook intravede la sostanziale identit formale (indipendentemente dai contenuti
teologici) tra i modi argomentativi della teologia del Cristianesimo tardo-antico e quelli dell'Islam. Su questo
argomento egli si era gi espresso in un articolo del 1980, The Origins of Kalm, BSOAS, 43, 1980, nel quale
869
egli aveva sostenuto che non soltanto la tecnica dialettica del Kalm presa in prestito dalla teologia cristiana,
ma anche, a proposito della "originalit della cultura islamica" che "la materia prima di questa cultura per la
pi gran parte antica e familiare, e che l'interesse del fenomeno e la sua caratteristica distintiva risiede nella
riconfigurazione di questi materiali" (p. 43).
Problemi connessi alla configurazione della legge islamica e ad alcuni suoi inspiegabili contrasti con il
dettato coranico, sono ripresi da P. Crone, Two Legal Problems bearing on the Early History of the Qurn, cit.
in Bibl. a p. 848, anche in rapporto con alcuni termini incomprensibili del testo sacro (su quest'ultimo problema,
cfr. infra l'opera di Ch. Luxenberg). La Crone esamina le teorie di Schacht, Burton e Wansbrough al riguardo, e
osserva che manca ancora una prospettiva storica sull'evoluzione del testo, che esisteva certamente prima di
quanto pensasse Wansbrough, ma non si sa in quale forma. Certamente il contrasto tra la fustigazione prevista
dal Corano per gli adulteri e la lapidazione sancita dalla Legge, unito ad un accenno coranico al Pentateuco e alle
storie inventate sulla scelta operata di fatto dal Profeta per la pena pi severa (cio per la lapidazione) lascerebbe
pensare ad un Islam che inizialmente accett il Pentateuco come Scrittura; difficile infatti capire come la
normativa coranica fosse contraddetta sul piano legale, sia pure in presenza di un'esegesi operata dai narratori di
storie, perch il Corano dovette essere inteso sin dagli inizi come testo inalterabile, come testimonia il fatto che
vi siano rimaste incluse parole incomprensibili. Tutto ci non spiegabile, e, se si vorr spiegarlo, sar
necessario abbandonare la vulgata relativa alla genesi del testo.
Ad una formazione progressiva della dottrina in ambiente caratterizzato dalla presenza di Giudei,
Cristiani e Manichei, fa riferimento C. Gilliot (Muhammad, le Coran et les contraintes de l'histoire, in The
Qurn as a Text, ed. by S. Wild, Leiden-N. York-Kln, E.J. Brill, 1996; e Les "informateurs" juifs et chrtiens
de Muhammad, JSAI, 22, 1998). Secondo Gilliot, ci che pi importante comprendere del Corano, la sua
archeologia; per far questo esistono tre problemi storici emergenti dal testo stesso sui quali necessario far
chiarezza: chi erano gli Hanf (cio i monoteisti arabi che sembrano precedere, ma anche avversare, Maometto);
che cos'era la dn Ibrhm, cio la religione abramica cui si fa riferimento; e chi erano i misteriosi "informatori"
religiosi stranieri di Maometto, cui si fa riferimento maligno due volte nel Corano (nelle Srt 16 e 25; in
quest'ultima in particolare, i nemici del Profeta insinuano anche che egli andasse ripetendo cose vecchie, gi
note).
La risposta di Gilliot che sono esistiti due momenti dello Hanfismo; uno tradizionale, impersonato a
Medina da Ab mir e avverso a Maometto su problemi relativi alla visione della nuova societ, specificamente
la tassazione e la guerra, che sarebbe stato fortemente influenzato dal Manicheismo; l'altro, innovativo, sarebbe
stato impersonato dallo stesso Profeta, il quale, prima di scegliere come qibla Gerusalemme, poi abbandonata
per la Kaba, aveva pregato in direzione di quest'ultima come santuario abramico, come facevano gli Hanfiti
della Mecca, che sarebbero all'origine della vocazione religiosa di Maometto stesso. Di qui anche l'insinuazione
che egli predicasse cose risapute.
Gilliot sostiene inoltre che all'inizio una parte degli stessi Musulmani interpretasse la nuova religione
come un innesto sul Giudaismo, dando vita a dei "Musulmani biblici" (Muhammad, le Coran, etc., cit, p 18)
sorta di parallelo islamico del Giudeocristianesimo. Il Profeta dovette comunque agire entro una cornice di pi
generalizzato profetismo (d'onde la sua avversione per la divinazione, ritenuta falsa profezia: cfr. pp. 24-25) ed
ebbe successo perch seppe elaborare un modello sovratribale ed espansionista, gradito alla societ araba.
Maometto si mosse dunque entro una religiosit monoteista ampiamente diffusa, caratterizzata dalla presenza di
Cristiani (v'era un cimitero cristiano alla Mecca) Giudei e Manichei. In questo ambiente si spiega l'accusa che gli
fu mossa, di avvalersi di informatori religiosi stranieri -le cui figure storiche sono ricostruite da Gilliot- che lo
avrebbero aiutato nel costruire il proprio edificio religioso.
Per quanto concerne questo edificio, appare inoltre indispensabile gettare uno sguardo non
convenzionale sull'origine del Corano, intesa come origine del materiale in essa contenuto. Opinioni non
convenzionali (nel senso di opposte alla Vulgata) ne esistono dal XIX secolo, ma qui sembra opportuno, se non
anche necessario, soffermarsi sulla meticolosa ricerca di Ch, Luxenberg (nom de plume) apparsa nel 2000,
ampliata nel 2004 e ancora nel 2007, quando all'edizione tedesca si affiancata quella inglese, The Syro-
Aramaic Reading of the Coran, Berlin, Verlag Hans Schiler.
I motivi che rendono importante questa indagine sono almeno due: il fatto che ci che viene definito
"siro-aramaico" costituisse una versione dell'aramaico originariamente parlata in Edessa e ampiamente diffusa
nell'area ove si svilupp l'Islam, nonch, prima dell'Islam, lingua scritta predominante nel Cristianesimo
mediorientale; e il fatto che il Corano contenga notoriamente molti passaggi di difficile comprensione non
soltanto nel contenuto, ma anche nella loro logicit rispetto al contesto in cui si trovano, ci che ha indotto molti
commentatori a cavarsela con "Dio sa meglio". Il 25% del Corano risulta cos sinora non spiegato (p. 107).
Il siro-aramaico costituisce inoltre il 70% delle parole non arabe presenti nel Corano, e Luxenberg
ritiene che per ricostruire il significato reale di espressioni "apparentemente" arabe sia necessario ricostruirne le
possibili radici aramaiche, rivederne la semantica, tener conto di possibili errori di trascrizione nel passaggio,
approfondire il problema dei segni diacritici inizialmente mancanti nel testo. Questi segni sono infatti
determinanti per la fissazione delle consonanti e delle vocali brevi. Inizia cos la puntigliosa e lunga analisi
linguistica, che Luxenberg conduce sui singoli casi e con ampie digressioni, con risultati di dettaglio che tuttavia
si cumulano sino ad esiti sorprendenti. Mi limito a riportare alcuni esempi scelti dal testo, laddove essi incidono
870
sul significato di alcune srt (pl. di sra). Certamente l'interesse maggiore va a quei casi nei quali sono in gioco
temi di fede e origini della Scrittura.
La Sra XIX o "Sra di Maria" suona alquanto strana nei vv. 24 sgg; la rilettura critica di Luxenberg
(pp. 127-142) ha il pregio di eliminare questa stranezza introducendo una vicenda ben altrimenti logica: Ges,
nel v. 24, comunica alla madre la propria legittimazione divina, e questa rivendicazione rende logico il resto
della vicenda.
La Sra CVI, o "Sra dei Quraysh" (una sra che ha creato problemi dibattuti dalla Crone) cambia
significato esaminando l'etimologia della parola. "Quraysh" non sarebbe il nome di una trib, quella del Profeta,
come vuole la Vulgata. La parola indicherebbe una confederazione tribale, precisamente le trib in parte
cristianizzate note come "fderati" nell'Impero Romano d'Oriente, cui si predice la rivincita dopo la sconfitta
subita ad opera dei Persiani nel corso delle guerre bizantino-persiane. La cosa ha importanza anche nell'ottica dei
loro commerci, citati nella sra e tradizionalmente intesi come "meccani", oggetto di analisi scettica da parte
della Crone nel suo Meccan Trade, cit.
Le cose pi interessanti vengono per dopo, alle pp. 247-283 e 284-291, dove sono esaminati in
successione i temi delle Hr e dei giovinetti del Paradiso, con riferimento a tutti i luoghi coranici nei quali se ne
fa menzione. Di questa analisi estremamente dettagliata e complessa, certamente non superficiale, si debbono
dare le due conclusioni pi significative, che aprono un panorama davvero diverso (ancorch in parte gi
intravisto da precedenti studiosi). Entrambi i soggetti, le Hr -le presunte vergini del Paradiso- "dai grandi occhi
neri", e i giovinetti, risulterebbero il prodotto di una vera e propria fantasia (le illazioni introdotte per giungere a
stabilire il testo canonico furono molte) esercitata a partire dalla non comprensione del fondamento siro-
aramaico di partenza. Ci che prometterebbe il Corano infatti, secondo la classica tradizione orientale del
"Paradiso", un giardino ricchissimo di meravigliose frutta, uva in particolare, con le caratteristiche di un'uva di
Tif detta al-baydh, "la bianca", dagli acini bianchi, freschi e fragranti. Scompaiono "vergini" e "giovinetti", e
appare, con l'aiuto di alcuni versetti, una sorta di Paese di Cuccagna di derivazione paleocristiana (Papia) nella
quale il frutto delizioso si offre spontaneamente ai Beati.
La sorpresa non si ferma qui, anche se finalmente, con la scomparsa delle Hr, scompare
l'imbarazzante contraddizione con la promessa, formulata altrove nel Corano, che i fedeli potranno andare in
Paradiso insieme alle proprie mogli. La parte pi significativa della sorpresa viene dal precedente che a monte
di questa visione del Paradiso: un inno di Ephrem Siro. Dunque un precedente cristiano del Corano, in accordo
con sospetti antichi pi di un secolo da parte della critica occidentale.
Altra sorpresa viene dalla Sra CVIII, o "Sra del Kawtar", nella quale, correggendo il testo trdito, si
scoprono analogie con Pietro I, 5; 8-9 (P. 292 sgg.); ma la cosa pi eclatante emerge dal riesame della Sra
XCVI, o "Sra del grumo di sangue", ritenuta da molta esegesi coranica la prima rivelazione annunciata al
Profeta, dunque quella che fonderebbe il Testo Sacro. Qui, tanto per iniziare, il "grumo di sangue" (al-alaq) dal
quale Dio avrebbe creato l'uomo, diviene "argilla", e l'intera sra diviene il proemio che introduce la liturgia
della Comunione. Se cos fosse, dunque, il nucleo del Corano proverrebbe da un'origine cristiana siriana.
Il testo di Luxenberg fu recensito calorosamente da C. Gilliot e da J.M.F. Van Reeth in due articoli
(Langue et Coran. Une lecture syro-aramenne du Coran; e Le vignoble du Paradis et le chemin qui y mne. La
thse de C. Luxenberg et les sources du Coran) apparsi entrambi su Arabica, L, 2003 e LIII, 2006. Gilliot, nel
sottolineare la nuova comprensione del retroterra siriaco dell'Islam portata da Luxenberg, d evidenza ad alcuni
particolari come il fatto che i Quraysh e gli abitanti di Tif impararono a scrivere da elementi cristiani locali, e
la convinzione che la provenienza cristiana di parte del Corano rinforzi l'ipotesi di un Maometto esponente di un
Islam abramico, cristiano, primitivo, che si rifacesse al Giudeocristianesimo. La natura composita del Corano
lascia pensare inoltre che il testo sia stato il frutto di un lavoro collettivo.
Van Reeth mette in luce inoltre la presenza manichea in questa tradizione giudeocristiana che sarebbe
a monte dell'Islam, e l'importanza, nelle citazioni del Vangelo presenti nel Corano, della versione di Taziano, il
Diatessaron, al quale farebbero capo quelle citazioni.
Altra recensione che mette conto citare quella di R. Brague, Le Coran: sortir du cercle?, Critique,
671, Aprile 2003, del quale cito lipotesi da lui dedotta: se Luxenberg ha ragione, il Corano non pretendeva di
rimpiazzare la Bibbia, ma fornirne uninterpretazione intelligibile agli Arabi dellepoca.
Con questa rafforzata convinzione di un'origine in ambito giudeocristiano, dunque in ambito settario,
dell'Islam, grazie a una protostoria che ha, oltretutto, qualche difficolt a fondarsi nell'Hijz descritto dalla
vulgata, siamo giunti a quella che a me sembra l'ultima e conclusiva ricerca da esporre, la ricostruzione storico-
archeologica di Nevo e Koren. Un'esposizione sintetica dei loro risultati (Nevo muore nel 1992) si trova in
Methodological Approaches to Islamic Studies, Der Islam, 68, 1991. Viene mosso alla scuola tradizionale un
appunto certamente non trascurabile: lo scarso o nessun rilievo conferito ai dati archeologici, epigrafici e
numismatici. Punto di partenza di tutti gli studiosi "revisionisti" infatti l'inutilit di avvalersi della letteratura
islamica per studiare gli albori dell'Islam; inoltre la scuola tradizionale rifiuta le argomentazioni cosiddette "e
silentio", cio rifiuta, nel caso specifico, di accettare come attestazione della non esistenza di un determinato
assetto, la mancanza di documentazione al riguardo. Questa seconda obbiezione mi sembra tuttavia meno forte,
perch il silenzio dei documenti pu (e deve) indurre soltanto alla sospensione del giudizio; certamente per il
silenzio totale di fonti diverse dalla Vulgata circa gli eventi da essa attestati, giustifica dubbi radicali. Infine -e
871
questo stato gi detto qui troppe volte sulla scorta di tanti Autori- non si pu ignorare che la letteratura della
Vulgata ha inizio dopo 150 anni dall'Egira nell'ambito di un regime, quello degli Abbsidi, che tende a
legittimare se stesso e a svalutare gli Omeyyadi. Ci importante perch, come abbiamo visto in precedenza,
siamo in presenza di una ribellione clericale contro l'ideologia omeyyade di un "Vicario di Dio" la cui legge
prevale su quella del Profeta (vedi anche, al riguardo, la voce di Hawting, Umayyades, in E.I., vol. X, p. 913).
Nevo e Koren fanno quindi propria l'affermazione di Wansbrough, secondo il quale non esistono fatti che
provino i racconti.
Ricapitolata buona parte della letteratura che va da Goldziher alla Crone, essi riprendono gli studi di
Brock sulle fonti siriane coeve all'emergere dell'Islam, per ricordare che le fonti non percepiscono una conquista
organizzata, e che soltanto alla fine del VII secolo si parla di "Impero Arabo". In quel periodo per non si parla
di Islam, e non ci sono notizie siriane o bizantine su Maometto, n si percepisce l'esistenza di una religione
"araba". Secondo Nevo e Koren, gli Arabi presenti in Siria erano pagani, con una lite genericamente monoteista
e genericamente giudeocristiana; inoltre, da quanto riferisce Giovanni Damasceno, si deve pensare che alla met
dell'VIII secolo il Corano non fosse stato ancora canonizzato.
L'archeologia mostra altri dati significativi: i Bizantini tolsero la propria presenza militare alla met
del VI secolo; nelle citt rimasero soltanto presenze limitate all'inizio del VII, e, anche dopo la vittoria di Eraclio
sulla Persia, i Bizantini non si spinsero pi a sud di Antiochia. Quanto all'Hijz, non si sono trovati i siti pagani
descritti nelle storie islamiche, mentre se ne trovano nel Negev, con una continuit che cessa soltanto in epoca
abbside. Dunque, ci di cui parla la Vulgata non esisteva nell'Hijz, ma nel Negev, e vi doveva essere
acquiescenza a tale paganesimo, nel periodo omeyyade. Per quanto riguarda la monetazione, la prima menzione
di Maometto del 691. Infine nell'Hijz non esistono iscrizioni in arabo classico prima di quella risalente al
califfato di Muawiyya nel 660, e presente a Tif. L'arabo classico, che sembra essere nato in ambiente non
pagano, dalle iscrizioni risulta aver adottato inizialmente un alfabeto aramaico di 22 lettere, nonostante le trib
pagane della penisola adottassero gi prima un alfabeto di 28-29 lettere, originario dell'Arabia meridionale.
Questi argomenti vennero riportati in altra forma in un articolo di Nevo apparso postumo, Towards a
Prehistory of Islam, cit. in Bibl. a p. 850. Afferma Nevo che l'Islam non nacque nell'Hijz, ma nelle terre
conquistate, e che manca ancora una connessione chiara tra l'Islam del tardo II secolo dell'Egira (fine VIII
secolo) e l'ambiente apparentemente giudeocristiano del I secolo dell'Egira. L'unico legame dato dalle
iscrizioni su roccia del deserto siro-giordano, che mostrano un credo arabo monoteista non ancora islamico, dal
quale potrebbe essersi sviluppato l'Islam. Caratteristica del periodo Sufynide e Marwnide (seconda met del
VII secolo) la mancanza di riferimenti al Profeta sino al 691. Anche il primo papiro arabo (bilingue,
arabo/greco) egiziano, del 642, genericamente monoteista; dunque un monoteismo generico precede la
religione "maomettana" (Nevo distingue tra questa e l'Islam classico) che si manifesta soltanto con Abd al-
Malik.
Quanto alle iscrizioni del Negev, esse citano soltanto Allh, anche come Rabb (Signore) e, in
particolare, una lo designa come "Signore di Mos e Ges" (rabb Ms wa-s). Nei protocolli e nelle monete si
canonizzarono poi i vari logia come posizione dello Stato, ma questi tardarono ad affermarsi in privato; soltanto
alla fine del II secolo dell'Egira i "maomettani" divennero finalmente "islamici" (vedi infra). La differenza tra i
due momenti valutata da Nevo sulla base dei concetti espressi nei testi, e dalla lingua; il punto di svolta, che
avviene in epoca abbside, segnato dalla comparsa, nelle iscrizioni, di verbi derivati dalla radice -h-d (che
esprimono il concetto di "testimonianza" come annuncio di una fede).
Largamente postuma, grazie anche al lavoro di ricostruzione cui hanno partecipato molti dei maggiori
studiosi, apparsa nel 2003, di Nevo e Koren, la vasta ricerca pubblicata dalla Prometheus Books di Amherst
con il titolo Crossroads to Islam, dove tutte le tesi sopra esposte sono riprese e sviluppate in dettaglio. L'opera
divisa in tre grandi sezioni, dedicate al retroterra storico dei paesi nei quali avvenne la prima espansione; ai modi
dell'avvento arabo e della sua espansione; alla religione degli Arabi e alla formazione dell'Islam nei suoi primi
150 anni. Evitando di ripetere, sia pure con pi ampio dettaglio documentario, concetti gi esposti sopra, se ne
pu evincere in pi quanto segue, che viene anticipato alle pp. 10-11:
- gli Arabi s'impadronirono delle province orientali di Bisanzio senza combattere;
- a quel tempo essi erano pagani, poi l'lite adott un generico monoteismo giudeocristiano che in 100-150 anni
divenne l'Islam;
- Maometto non una figura storica; entra nella religione nel 690 e la sua biografia fu scritta nel II secolo
dell'Egira;
- il Corano una composizione tarda, fu canonizzato al passaggio tra il II e il III secolo dell'Egira.
A mio avviso ci sono motivi per non abbracciare posizioni cos radicali, perch anche qui, come con
Hagarism, l'efficacia della pars destruens nei confronti della Vulgata non trova riscontro nella pars construens
di una storia alternativa, troppo condizionata da ipotesi e mere deduzioni. Infatti i documenti non islamici non
parlano pi di tanto nel delineare la storia "vera", salvo ignorare gli eventi della vulgata, che perci non trova
conferma; quanto agli argomenti e silentio, essi danno soltanto assenza di certezza storica, non certezza di una
qualche storia "altra"
Resta il fatto che la documentazione prodotta sufficiente a revocare irrimediabilmente in dubbio la
Vulgata, e a confermare la tesi di uno sviluppo graduale di ci che conosciamo come "Islam", a partire da un
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generico monoteismo giudeocristiano. Quanto alla figura storica di Maometto, verrebbe spontaneo dire anche qui
"Dio sa meglio", perch se gli elementi della sua vita e della sua predicazione, cos come raccolti nella Sra, nella
Sunnah e nel Corano, sono resi nebulosi da quanto sinora esposto; se il nome stesso (che significa "il Prescelto"
e appare soltanto quattro volte nel Corano) pu essere il risultato di un misunderstanding; ci non toglie che
possa essere esistito, alle origini e magari non nell'Hijz, un predicatore vincente emerso in un contesto di
profetismo generalizzato, tipico della cultura settaria di zone a quel tempo turbolente e non integrate in una
cultura dello Stato. Basti pensare, per un confronto, a come furono liquidate, a Roma, in una diversa cultura e a
causa di essa, le sette che immediatamente pullularono attorno al messaggio di Cristo, in particolare il
profetismo esagitato e il Chiliasmo dei Montanisti.
Detto questo, si possono estrarre dall'ampia documentazione del volume alcuni dettagli che servono a
suffragare la visione revisionista riguardo alla formazione dell'Islam. Ad esempio, la famosa battaglia di Dtin
sembra essere stata qualcosa di pi modesto (p. 98); le fonti in generale non parlano di battaglie (p. 106), ma
soltanto della fine della presenza bizantina. Non vi sono prove certe della storia militare vulgata, n si parla di
Islam nel VII secolo; soltanto alla fine del VII secolo si ha la coscienza che si sia formato un Impero Arabo, e
comunque il primo leader appare essere stato Muawiyya, perch prima della sua affermazione sulle altre fazioni
arabe, gli Arabi sembrano ancora gli antichi fderati (p. 154). Quanto ai Bizantini, ancora alla met del VII
secolo sembrano essere in buoni rapporti con i nuovi occupanti arabi; e ancora influenti, tanto che vengono loro
richieste maestranze all'inizio dell'VIII secolo; del resto, l'architettura del Duomo della Roccia (fine VII secolo)
sembra -secondo Nevo e Koren, ma la cosa controversa- opera di maestri bizantini (p. 159 sgg.).
La prima politica anticristiana risale all'inizio dell'VIII secolo con al-Wald (p. 293); a quel tempo, i
Cristiani vedevano l'Islam come eresia cristiana (p. 245). Il fenomeno di islamizzazione della popolazione appare
comunque una scelta guidata dall'alto; trascorrono circa 40 anni tra l'iscrizione "maomettana" del Duomo della
Roccia e le prime iscrizioni "maomettane" popolari; il primo protocollo datato con formula islamica risale al 707
(p. 284) ma soltanto 70-80 anni pi tardi, a Sde Boqer, scompare il culto pagano e compaiono le prime iscrizioni
islamiche (p. 299). Nel 740, una lettera dell'Imperatore bizantino Leone III al Califfo Umar II parla del concorso
delle tradizioni di vari popoli nella stesura del Corano (p. 343); ma gi ai tempi di Abd al-Malik, in Iraq ne
erano state distrutte versioni non autorizzate (ivi). Soltanto con l'avvento degli Abbsidi dunque, prender il
sopravvento la linea religiosa della quale s' detto, che apre l'era sicuramente "islamica". Da questo momento la
saga non pi la conquista araba, ma la diffusione dell'Islam; l'Arabo cede il posto al Musulmano (p. 350) e,
come abbiamo visto, si affermer progressivamente una "Sunnah del Profeta".
A questo punto, resta soltanto da chiudere questa lunga esposizione traendone la somma. Il punto di
partenza era stata una domanda sull'impostazione data al problema nel testo e nelle sue Appendici: l'Islam ha
antenati comuni con le ideologie antioccidentali dell'occidente; l'Occidente si formato come scelta ideologica
delegittimando le potenzialit eversive di una religione portatrice delle attese millenariste di un mondo "di
giustizia"; queste potenzialit sono rimaste vive alla periferia dell'Occidente (periferia "esterna": ma ve n' anche
una "interna", che fu l'oggetto del testo) e da esse disceso l'Islam; l'Islam stato dunque un diverso prodotto
dello stesso processo attraverso il quale l'Occidente ha definito se stesso; all'interno dell'occidente rimasero
comunque vive nella marginalit quelle potenzialit eversive, tornate sin dentro il Medioevo, vivificate da
apporti culturali esterni (casi del Catarismo e del Libero Spirito); la secolarizzazione dell'occidente tolse poi i
connotati religiosi a questa dissidenza, lasciandone intatto il mito. Conclusioni, parziali e limitate all'attualit:
l'Islam non pu essere argomento riservato all'orientalistica, va inteso in una visione pi ampia; sono del tutto
naturali ("parentali") le convergenze politiche tra l'Islam rivoluzionario e le eversioni occidentali di destra e di
sinistra, tra esso e le ideologie e i paesi fascisti e comunisti, riscontrate nel XX secolo e oltre.
Dall'esposizione che precede, mi sembra perci si sia chiarita la plausibilit di scelte che, nel testo,
sono state fatte senza voler ampliare troppo il discorso al fine di evitare il rischio di sopraffare un ritmo
espositivo e narrativo che avrebbe potuto disperdersi in rigagnoli, smarrendo il senso del percorso. Vorrei
soltanto aggiungere che siamo in presenza di una storia che ci riguarda globalmente, pur in presenza di due storie
che evolvono separatamente, ciascuna con una sua propria coerenza. A pensarci bene, c' una precisa logica,
dettata dalle stesse origini, nell'evoluzione che seguir l'Islam sul piano "teologico" (se l'espressione lecita per
chi rifiut l'intromissione della filosofia nella religione): per questo anche importante stabilirne bene l'origine
in quella frangia millenarista che prese il via dal messaggio testamentario ab antiquo. Egualmente importante
vedere come un'ideologia -quella che diverr l'ideologia di "Occidente"- si delineata a partire dalla
istituzionalizzazione di quel messaggio entro una teologia "platonico-aristotelica". Perch la nostra distinzione
come "Occidente", non -come gi notato supra- la vecchia distinzione dei Greci tra il proprio mondo e quello
dei "barbari"; e non neppure la distinzione tra i liberi cittadini della democrazia Greca e i sudditi/servi delle
satrapie asiatiche: tra Ragione e ci che alla Ragione appare come irrazionalit; la scelta di una "parte" in un
"tutto" indivisibile, nel quale la Ragione razionalista non neppure la magna pars.
Perci quella distinzione trov l'incipit precisamente nell'istituzionalizzazione di una ortodossia che
venne a patti con l filosofia, una filosofia che fu -ed - pretesa di continuare a ragionare "da Greci": il contrario
di quel che accadde all'Islam tra il IX e il XIII secolo. Perci la nostra difficolt di comprendere la diversit va
oltre le nostre buone intenzioni (in questo dialoga meglio il Cattolicesimo, per ci che ha conservato, delle
origini, nella propria "ortodossia") perch il Razionalismo introiettato (che gi stenta a capire la stessa religiosit
873
cristiana) porta ad incanalare la "comprensione" entro strutture tracciate sul binario della Ragione, di un
principio, cio, che nega le ragioni: e non pu non farlo, pena perdere la propria apodittica unicit logico-
matematico-formale. Il nostro approccio al diverso ammette tutt'al pi, nel limbo di ci che non si attinge con la
Ragione, la diversit di opinioni: ma l'opinione una cosa vacua, che non tocca il senso dell'esistenza, di ci che
si esprime viceversa in una religione: e l'esistenza molto, molto di pi di ci che si attinge con la Ragione.

Altri testi usati per la stesura di queste note, ma non espressamente citati:

Hawting, G.R., The "Sacred Offices" of Mecca from Jayliyya to Islam, JSAI, 13, 1990
Jarrar, M., The Martyrdom of Passionate Lovers: Holy War as a Sacred Wedding, ivi
Kister, M.J., On Strangers and Allies in Mecca, ivi
Pines, S, Notes on Islam and Arabic Christianity, The Collected Works of Shlomo Pines, Vol. IV, Jerusalem,
Magnes Press, 1996
Rubin, U., Hanfiyya and Kaba, JSAI, 13, 1990

Una rapidissima sintesi degli studi sull'argomento ad opera di P. von Sivers, si trova in internet, dove riportato
il suo articolo su History Compass, 1, 2003, The Islamic Origins Debate goes Public.

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2 - Un Dio a misura d'uomo e un uomo a misura di Dio

A p. 57 del testo avevo citato un anonimo articolo della Redazione di Proche Orient Chrtien, apparso
sulla rivista nel 1971, nel quale si indicava nell'eurocentrismo e nella platonizzazione della cristologia, la ragione
dell'incapacit occidentale di capire l'Islam; pi espressamente vi si diceva che, se tornassimo alla Chiesa di
Gerusalemme e di Giacomo, le nostre opinioni sarebbero diverse.
Poich l'affermazione non di poco conto, mi sembra opportuno aprire una riflessione su questo
rapporto di Dio con l'uomo e col mondo (che poi alla radice di gran parte della storia che ho narrato) partendo
da una celebre disputa che ebbe luogo nel mondo islamico: quella di al-Ghazl contro la filosofia, seguita a un
secolo di distanza da quella di Averro, campione della filosofia aristotelica, contro al-Ghazl. Una filosofia
"aristotelica" che per non pu non farsi anche "neoplatonica", con tutte le conseguenze che ci comporta;
perch, di fatto, da quando lo schema creazionista biblico entr in contatto con la filosofia greca, il risultato non
pot esser diverso da un'ipotesi emanatista. Il problema insito nello stesso aristotelismo che, se consolidato nei
termini in cui lo pens lo Stagirita, quelli di un mondo non "creato", ma semplicemente "mosso" da un Dio
motore immobile, non poteva condurre ad altro che a un semplice ilozoismo, come conseguenza della sua stessa
intrinseca razionalit. Se per si passa ad un mondo creato da Dio, questa razionalit del mondo espressa nei
modi stessi in cui la pens Aristotele attraverso i concetti di forma, di intelligibili e di intelletto passivo e
produttivo, non poteva non condurre a quell'inestricabile rapporto di Dio col mondo e con l'uomo che fu madre
di tutte le eterodossie e di tutte le pretese intimit con lo Spirito. Vicende che, come ho tentato di spiegare, hanno
i piedi ben piantati in terra, ma che non possono esser pensate senza uno sguardo rivolto alle ambiguit del cielo,
e agli illusori percorsi ivi tracciati dall'indigenza del lgos.
La disputa tra al-Ghazl e Averro si pu seguire bene a partire dall'opera polemica di quest'ultimo,
che, nella sua traduzione italiana (L'incoerenza dell'incoerenza dei filosofi, a cura di M. Campanini, Torino,
U.T.E.T., 1997, ristampa U.T.E.T. Libreria, 2006) si avvale di una Introduzione del curatore, focalizzata
precisamente su quel rapporto. Non un caso che il nodo principale dello scontro sia il problema, dibattutissimo
nel pensiero islamico, della coeternit del mondo con Dio: se, cio, un Dio eterno abbia creato il mondo per atto
di volont in un momento ubicato nel tempo "storico", ovvero se la creazione (non negata da Averro, ma
"filosofizzata") abbia rappresentato un evento intrinsecamente necessario alla natura di Dio, rendendo il mondo
coeterno con Dio. Sembra un problema fumoso, ma c' dentro qualcosa di decisivo.
Dobbiamo perci fare un passo indietro, al ginepraio generato dai possibili rapporti di Dio col mondo
e con l'uomo (e viceversa) che sorse dall'incontro della filosofia greca con la religiosit mediorientale, biblica in
particolare: perch se Dio cre il mondo, davvero arduo pensare di estrometterLo dai fatti della natura: dir di
pi, della stessa storia. "Natura" infatti un termine generico che include anche la "natura" dell'uomo, fatto di
anima razionale e di intelletto, cos come aveva concluso anche la filosofia greca con Platone e poi con lo
schema aristotelico; dove per tutta la razionalit del mondo, che consentiva la conoscenza e la sua articolazione
nel discorso, era interna al mondo stesso, increato. Pi precisamente, il rapporto tra intelletto "passivo" e
intelletto "produttivo", che astrae gli intelligibili e trasforma la conoscenza del primo dalla potenza all'atto (come
adeguamento alla "cosa"), era tutto interno all'uomo, e parallelizzava il rapporto tra materia e causa efficiente.
Esso rientrava quindi nello schema generale che informa il pensiero di Aristotele (cfr. De anima, 430, a, 10-
29) a partire dalla sua critica alle idee platoniche e dall'introduzione del concetto di "sinolo", a significare
l'indivisibilit della materia dalla forma.
Tutto questo coerente con la natura intellettualistica, impersonale ed astratta, del Dio aristotelico;
nella Metafisica aristotelica, che scienza dell'essere in quanto essere e delle sue strutture la ricerca della causa
prima del divenire conduce ad un "centro" che non crea, non ama, non interviene, perch, come suprema
perfezione (atto puro), semplicemente il punto focale verso il quale converge l'anelito di tutta la natura, con ci
stabilendo il moto del cosmo. L'essere di Aristotele un mondo chiuso, autosufficiente, animato da proprie leggi
immutabili e razionalmente indagabili, immerso in un ciclo eterno di generazione e corruzione. Il pensiero di
Aristotele un pensiero dell'essere nel quale non v' posto per la trascendenza; un pensiero rimasto peraltro di
lungo corso in occidente, tanto che ancor oggi, nei suoi raggiungimenti contemporanei, l'oggetto di serrata
critica da parte di chi, come Lvinas, giustamente legato allo straordinario cambiamento portato dal pensiero
testamentario, nel quale si fonda la libert dell'uomo.
La differenza radicale che intercorre tra il "dio dei filosofi", impersonale ed astratto, e il Dio/Persona,
il Dio/Volont, il Dio/Creatore dei tre monoteismi sorti dal messaggio veterotestamentario, una differenza
radicale che corrisponde ad un epocale cambiamento storico nell'atteggiamento della societ. Il primo
corrisponde ad un mondo eternamente eguale a se stesso nelle proprie regole autonome e immutabili, un mondo
soggetto alla sfera impersonale e inesorabile di Ananke; il secondo, un Dio/Creatore che perci ha cura delle
proprie creature con le quali stabilisce un intimo legame, instaura un mondo che reclama giustizia contro lo stato
di fatto. Tra il crepuscolo della prima figura e l'avvento della seconda cambiato il rapporto dell'uomo col
mondo: dalla rassegnazione allo stato di fatto, alla tensione verso la realizzazione dell'utopia (anche, ovviamente

875
e come s' messo in luce nel testo, che di ci si occupa, con tutti i disastri che ne possono conseguire quando non
si ha chiara l'inubicabilit dell'utopia stessa). Dopo l'avvento del messaggio testamentario, il mondo classico
irrimediabilmente finito e sopravvive soltanto come revenant: ci che fu messo in luce dalla famosa Querelle
della quale s' parlato a proposito dell'ubicazione dell'arte e del Romanticismo. Questa antitesi il filo rosso che
corre non tanto sotterraneo nell'argomento che mi propongo di trattare, al quale torno dopo la breve digressione.
Un rapporto tra Dio e il mondo legato al concetto di "creazione", implic sin dall'epoca ellenistica,
-epoca assolutamente formativa a causa dell'incontro/scontro tra la filosofia greca e la religiosit mediorientale
nell'ambito dell'unificazione ellenistica e romana- una necessit di confronto tra Rivelazione profetica e filosofia.
Dare una spiegazione "razionale" dei contenuti della prima -inevitabile per il prestigio culturale della seconda,
propria del mondo dei conquistatori- pur mantenendone gli assunti, signific definire quantomeno due problemi
fondamentali: il rapporto tra la progettualit divina e l'ordine del cosmo, e il rapporto tra questo ordine, quindi la
sua intelligibilit per l'intelletto umano, e quest'ultimo. Ci non poteva che ricondurre in qualche modo al nodo
principale, quello del rapporto tra l'intelletto umano e Dio, un nodo che gener molte eterodossie nel mondo dei
tre monoteismi.
Questo era davvero un problema nuovo, perch tanto Aristotele, con un mondo increato e dotato di un
ordine proprio dove l'azione divina non penetrava la sfera sublunare; quanto la Bibbia, con l'assoluta
trascendenza divina, avevano a loro modo tracciato una linea di demarcazione tra un'inattingibile perfezione
assoluta e questo nostro mondo di approssimazioni, tra Urbild e Abbild. Restava per il fatto che la filosofia
greca poteva giustificare la demarcazione con la condanna dell'opacit della materia, mentre per il pensiero
testamentario la materia era opera del Creatore, da Lui stesso giudicata positivamente ("E Dio vide che ci [scil:
la natura e l'ordine materiale del mondo ancora inabitato, da Lui meticolosamente disposti] era buono" (Gen., 1,
10).
Significativo punto di contrasto questo, che emerge presto nella differenza riscontrata da R. Radice
(La filosofia di Aristobulo e i suoi nessi con il "De mundo" attribuito ad Aristotele, Milano, Vita e Pensiero,
1994, p. 106) tra lo pseudo-aristotelico De mundo e i frammenti dell'Ebreo Aristobulo (met II sec. a.C.). La
differenza consiste in questo: se per il De mundo l'ordine del mondo proprio del mondo, ancorch messo in
moto da Dio; per Aristobulo l'ordine del mondo non pu che essere opera divina.
Nasce in quei tempi, nel mondo giudaico alessandrino alle prese con la spiegazione "razionale" (cio
accordata con la filosofia greca) del Testo Sacro, un singolare concetto destinato a lunga vita: la filosofia greca,
in particolare quella platonica nella quale il Demiurgo crea il mondo, non che un'interpretazione o
un'imitazione della sapienza mosaica. Singolare dottrina che serpeggia da Postel ai Romantici, con il mito di una
Rivelazione originaria oscurata nella grca fabulositas. Dottrina peraltro indispensabile per dimostrare quel
sostanziale accordo di Rivelazione e Ragione che l'obbiettivo del monumentale lavoro di Filone (cfr. Filone di
Alessandria, Tutti i trattati del commento allegorico alla Bibbia, a cura di R. Radice, Present. di G. Reale,
Milano, Bompiani, 2005). In esso implicito un concetto fondamentale che sar al centro della disputa islamica:
la Rivelazione afferma in linguaggio allegorico e metaforico le verit che il filosofo pu raggiungere per via
razionale. Si tratter di capire -e qui il nocciolo della questione- se la Rivelazione piega a s la filosofia o la
filosofia piega a s la Rivelazione.
C' di pi: la Rivelazione una vicenda di Profeti, e il profetismo chiama in causa il rapporto tra
uomo e Dio. Pu l'uomo essere la Voce di Dio? se s, come? forse che l'intelletto umano pu, per insondati
percorsi, unirsi a quello divino? e, se ci avviene per un corto circuito che va oltre la Ragione, il suo risultato
come pu costituire un percorso ripercorribile dalla logica concettuale? Il problema non da poco, perch se
l'ordine del mondo, della Ragione e del discorso, sono la stessa cosa (posizione aristotelica indispensabile alla
razionalit del mondo concepita come adeguamento senza residui della proposizione alla cosa nella Verit a tutto
tondo) se questo valido, tutto ci non fa forse dell'uomo -quantomeno dell'uomo "perfetto"- una figura divina?
problemi che verranno in luce col tempo, ma che sono in nuce gi tutti qui, anche se Filone era stato categorico:
"se porremo fiducia nei nostri ragionamenti costruiremo e fortificheremo la citt dell'intelletto che distrugge la
verit" (Legum allegori, III, 228, trad. R. Radice). Attenzione per: "ragionamenti" -nel testo: logismi, da
lgos (umano): e se ci fosse, nell'uomo stesso, un'altra via alla conoscenza, "altra" rispetto a quel lgos?
L'Ermetismo aveva comunque gi aperto una via alternativa: l'uomo non che un archetipo divino
precipitato nella materia, e deve prendere coscienza di ci per tornare a splendere; un tema che abbiamo
sviscerato con lo Gnosticismo ma che, occorre ricordarlo, nasce forse gi prima, e nasce con un concetto
singolare della Creazione intesa come emanazione progressiva da Dio. Un concetto che, quando si entrer
nell'ipotesi di un mondo creato da Dio, potr significare emanazione anche della materia, con il conseguente
rischio di approdo panteista. Abbiamo gi visto nel testo come questo problema tormentasse Avicebron, e come
egli abbia tentato di risolverlo.
Secondo il giudizio di Cruz Hernandez che ho riportato nel testo, il vero iniziatore del Neoplatonismo
fu Filone (tradizionalmente inquadrato come "medioplatonco") et pour cause, direi. Il Neoplatonismo infatti
quell'intreccio di motivi platonici (e stoici) con l'aristotelismo, che si mostr indispensabile per tentar di
accordare Ragione e Rivelazione, suscitando peraltro quel vespaio di nuovi problemi dei quali s' dato sopra un
pallido cenno. Il Neoplatonismo un sistema di pensiero che utilizza le strutture del pensiero aristotelico per dar
vita ad un'ontologia che tradisce il pensiero dello Stagirita, ma che fa ci anche per rispondere ai troppi
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interrogativi che esso lascia irrisolti, pur non omettendo di metterli in luce. Certamente il Neoplatonismo diviene
una scelta cos "naturale", che vi sar un momento, quello della filosofia islamica, nel quale aristotelismo e
neoplatonismo divengono cos intricati da rendere impropria ogni categorizzazione. Se ci accade, perch gli
stessi intermediari che trasmettono l'aristotelismo al mondo islamico, sono gi, di fatto, sostanzialmente dei
neoplatonici, precisamente perch non si poteva pi prescindere da quel rapporto tra Dio e il mondo (e le sue
leggi) che Aristotele evitava e la Creazione imponeva. Perci anche in Filone, pur tanto critico circa la possibilit
della Ragione umana di giungere alla sapienza divina, il problema di un tale possibile corto circuito si riaffaccia
prepotente per il semplice motivo che, quale esponente di una religione rivelata, gli s'imponeva il compito di
fornire una spiegazione "razionale" al fenomeno del profetismo, il fenomeno imprescindibile in forza del quale
chi enuncia la Legge di Dio, un uomo.
Infatti Filone sostiene l'ipotesi di due livelli di conoscenza: quella, limitativa, della nostra Ragione, e
quella estatica resa possibile soltanto dal "tramonto" (questa la metafora da lui usata) di essa. In questa
situazione di calma intellettuale, accade allora che l'uomo (naturalmente il "Giusto") possa entrare in sintonia
con l'Universo e perci col lgos divino, e profetare. Al "tramonto" ci s'imbatte dunque nel lgos divino. Filone,
dovendo porre la trascendenza di Dio, si avvale di questo elemento intermedio, il lgos divino, inteso come
principio ordinatore del mondo che per s'identifica al tempo stesso anche con Dio: questo non cambia dunque il
problema, tanto pi che a conclusione del Quis hres Filone identifica la Terra Promessa (ad Abramo) con la
comprensione "asphals ki bebaa" cio del tutto certa e definitiva, della Sapienza di Dio, di quella Sapienza
dalla quale Dio cre il mondo. La "vera" conoscenza dunque quella estatica, che in linea di principio aperta
ad ogni uomo, ed possibile anche nel sogno veridico (Quis hres; De somnis).
Da dove nasce questa possibilit? Nasce evidentemente dallo schema ontologico filoniano, espresso
ripetutamente nei testi con ripetute citazioni, ma in particolare nel De opificio mundi. Secondo Filone, Dio, per il
quale pensare e creare la stessa cosa, atto simultaneo, trasse dalla propria mente il modello ideale in base al
quale, a partire dalla materia da Lui stesso creata, forgi il mondo materiale a imitazione del modello,
conferendogli perci quell'ordine divino che in esso regna, onde la legge naturale legge divina, e l'uomo
virtuoso ad essa si conforma. Il mondo peraltro anche razionale, perch contiene quel modello (gli intelligibili)
che contenuto anche nell'anima umana. Anche l'uomo ebbe infatti una doppia creazione, come tutto il mondo:
come archetipo ideale e come uomo in carne ed ossa; quest'ultimo ha, oltretutto, un'anima che ha la natura del
soffio divino, cio qualcosa che si distaccata da Dio stesso, un Suo frammento, per venire in noi.
Dunque, per quanto concerne la capacit dell'uomo di giungere al Vero, possiamo dire che ci sono in
Filone due forme di conoscenza, una razionale e una soprarazionale, la seconda delle quali, quella "profetica",
preminente perch l'intelletto umano (l'anima, per Filone, in quanto elemento divino) pu apprendere in modo
immediato tramite il contatto con il lgos divino, che emanazione divina e costituisce l'ordine del mondo. La
Ragione pu leggere questa verit in via mediata attraverso le metafore con le quali essa espressa nel discorso
profetico.
L'ordine che Dio pensa ( il Suo stesso pensiero) e impone al mondo come dnamis che lo pervade,
l'ordine che regge il mondo, il quale, senza questa continua presenza di Dio, precipiterebbe nel non-essere; Dio
dunque la trama e l'ordito del mondo, e l'immutabilit divina non immobilit, ma continuit di creazione. Ci
che regola il mondo dunque questo Fons vit, questa continua Volont: un'elargizione, non la legge fisica della
necessit. L'immutabilit di Dio, si potrebbe dire, ci che rende il mondo sempre nuovo. In questo senso si pu
anche notare che le Idee, in Filone, non sono pi quelle platoniche, somigliano anche alle Forme aristoteliche,
perch esplicitano l'opera divina che causa efficiente (ma anche formale e finale) del manifestarsi del mondo
(Legum allegori; De confusione linguarum).
Siamo dunque in presenza di un Dio che al tempo stesso trascendente, ma anche immanente; ed in
effetti la lettura filoniana del Genesi porta a frequenti oscillazioni di pensiero, perch sul piano razionale
difficile coniugare un Dio "Altro" con la Provvidenza divina attiva nel mondo. Per esprimere pi chiaramente
ci che intendo, scelgo di riportare qui di seguito un passo della Monografia introduttiva di Radice e Reale ai
testi filoniani sopra citati (p. LXXVI): "L'Alessandrino si trova dinanzi ad un problema dei pi assillanti e
parimenti dei pi ardui: posto che la natura divina sia totalmente altra (corsivo degli Autori) rispetto a quella
umana e cosmica, ossia posto che la sua trascendenza sia assoluta, come si dimostra la provvidenza di Dio sul
mondo e sulla storia dell'uomo? Filone non ha modo di eludere questo dilemma, perch vi si trova costretto dallo
stesso contenuto del testo biblico in generale, e in particolare dal senso pi intimo della sua fede giudaica, per la
quale il Dio ineffabile e assolutamente trascendente della Sacra Scrittura pur sempre il Dio di Israele,
impegnato nelle vicende del Suo popolo e in un disegno di natura anche mondana. D'altra parte, l'apporto della
teologia razionale greca non trae Filone dalle difficolt; anzi, gli complica il problema, perch la luce della
ragione non fa che mettere in evidenza questa aporetica convivenza tra i due aspetti di Dio".
Questo problema non per un problema della sola "fede giudaica" o del popolo eletto di Israele,
perch anche il Dio del Cristianesimo e dell'Islam un Dio creatore, impegolato quindi con questo mondo e
impegnatissimo in una storia che riguarda l'uomo; senza contare che il Dio cristiano in particolare ha persino
soggiornato quaggi per occuparSi di noi. Il problema -che ci aiuter a capire un po' meglio le scelte dell'Islam,
motivate anche loro da una propria razionalit- : come si pu inquadrare un Dio creatore che parla agli uomini
grazie ai Suoi Profeti, usando le strutture di un pensiero che fu pensato con esclusivo riguardo all'essere, che
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pens un mondo increato, che pens un dio astratto e assente dagli eventi sublunari, che non pens la storia come
percorso teleologicamente e assiologicamente orientato? (il corsivo sull'assiologia, e il minuscolo per il "dio
filosofico" sono d'obbligo nella logica di questa trattazione). Questo il nodo al quale l'Islam ha dato una propria
soluzione, non in assenza, ma in presenza degli stessi strumenti concettuali dell'Occidente. I quali strumenti, con
la loro inadeguatezza che poi l'inadeguatezza della Ragione a pensare la totalit del Reale, sono precisamente
loro alla radice del frantumarsi di un messaggio verso percorsi diversi, tutti per scaturenti dalla stessa radice.
Ci premesso, proseguiamo, ma per farlo dobbiamo sostare un attimo sull'evoluzione cui la filosofia
and incontro nel mondo ellenistico e poi nella tarda antichit, un momento cruciale nel quale la crisi del mondo
classico s'incontra con la religiosit orientale e prende corpo il Neoplatonismo. Questo il momento nel quale la
logica aristotelica diviene propedeutica all'ontologia platonica; l'analogia di cosa, concetto e parola, ovvero
l'analoga struttura di mondo, Ragione e sintassi, che costituisce il senso del pensiero aristotelico, diviene
l'impalcatura che sottende il rapporto biunivoco Dio/mondo (dove Dio diviene il neutro Das Eine di Plotino, per
il rifiuto "filosofico" -ma, nel fondo, socioculturale- di quel Dio/Persona della Bibbia, che avrebbe cambiato le
coordinate mentali del mondo classico).
Significativa fu l'opera di Porfirio, che, con la sistemazione delle Categorie nella Isagog, e con le
Sentenze, queste ultime influenti per la Elementatio theologica di Proclo, nota poi come Liber de causis;
direttamente o indirettamente, insieme al Plotino della cosiddetta Teologia di Aristotele, ad Alessandro di
Afrodisia come commentatore di Aristotele, e ad altri tardi esegeti di un Aristotele "neoplatonizzato", costituisce
il patrimonio di pensiero greco all'origine della successiva speculazione islamica. In particolare la Isagog
contribuisce molto a formare quella singolare lettura medievale -islamica e occidentale- dello Stagirita, che , di
fatto, un "Neoplatonismo".
Le operazioni di trasformazione compiute da Porfirio sono rilevanti al fine della commistione di
Aristotele e Platone. Innanzitutto lo la combinazione delle Idee platoniche con le Forme aristoteliche, che
costituiscono due livelli degli Intelligibili, separato l'uno, come l'Idea platonica; immanente il secondo
nell'unione coi corpi, come la Forma aristotelica. Questo significa che, se l'individuo resta sostanza prima, come
in Aristotele, nella conoscenza, ontologicamente esso diviene sostanza seconda. Ci che prende corpo in Porfirio
una serie di analogie per le quali le Idee, divenute Forme nelle cose, divengono infine concetti nella logica
(onde gli Universali sono ante rem, in re, e post rem) e la struttura logica si parallelizza a quella del mondo
lungo una linea discendente nell'ontologia, e ascendente nella conoscenza. Si realizza quindi una continuit dal
divino all'umano e viceversa, istituendo il meccanismo neoplatonico della Processione (dall'Uno) e del Ritorno
(all'Uno), mentre il rapporto ontologico tra l'Uno e il molteplice diviene analogo al rapporto logico tra sostanza e
accidente.
Questa trasformazione di una struttura logica in una struttura ontologica direzionata, nella quale
soltanto l'anima ek-statica pu contemplare l'Idea, mentre l'anima incarnata la conosce tramite la Forma nella sua
unione col corpo, segna il passaggio dalla concretezza del pensiero aristotelico dell'essere, ad un mondo che
mera apparenza del Vero: un'accezione tutta greco-platonica della religiosit, lungo la tradizione orfico-
pitagorica che svaluta il mondo materiale. Una risposta pagana al montante bisogno di religiosit in una
direzione per ben diversa da quella testamentaria, che, in un mondo opera "buona" di un Dio interessato ad
esso, implica l'intento assiologico che revoca in dubbio la societ del mondo classico. Una risposta che indica i
rischi cui la religiosit testamentaria potrebbe andare incontro una volta "letta" entro schemi "filosofici", vale a
dire "greci".
Potente intermediario dell'aristotelismo verso il mondo islamico fu Alessandro di Afrodisia, vissuto un
po' prima di Porfirio, tra il II e il III secolo d.C. Anche lui vive dunque da protagonista quel grande momento di
trasformazione del pensiero, declassato come "eclettismo" o come "decadenza" della classicit, o, peggio ancora,
come "popolare", nella cultura del XIX secolo e in alcune sue sopravvivenze; un momento che, al contrario, vede
le acquisizioni della filosofia greca adattarsi al tentativo di comprendere i grandi problemi che essa aveva
ignorato, e che il messaggio testamentario proponeva prepotentemente. Un'elaborazione destinata a continuarsi
nella filosofia islamica, e che ruota sempre attorno a due problemi: il rapporto di implicazione di Dio nel mondo
e il rapporto genetico tra Dio e l'umano intelletto, rapporto che aveva gi travagliato Filone alle prese con la
Profezia, ma che non pu non travagliare anche il filosofo alle prese con l'attingibilit, da parte dell'uomo, di un
"Vero" che non pu non risiedere in Colui che ha conferito ordine al mondo. Un pensiero dunque creativo,
problematico, e foriero di lunghi percorsi, che ci deve far comprendere per quale ragione, nel mondo islamico e
poi nel Medioevo occidentale che riscopre Aristotele, l'aristotelismo sar di fatto un neoplatonismo.
Gli scritti di Alessandro di Afrodisia, che sono sopravvissuti in parte nella traduzione araba, sono
essenziali per comprendere come verranno risolti i due problemi (il rapporto tra Dio e il mondo e quello tra Dio e
l'intelletto umano): risolti "neoplatonicamente" ma anche risolti in modo insoddisfacente, perch precisamente da
quelle soluzioni nascono poi le pi serie controversie sul concreto piano sociale. Si noti bene che il carattere
problematico di queste soluzioni prescinde del tutto da un'ipotesi creazionista (cio di una creazione nel tempo di
un mondo destinato a perire) quale si afferma nel messaggio testamentario; si tratta di un percorso di pensiero
strettamente "filosofico", che per non pu pi evitare di affrontare ci che Aristotele aveva costantemente
evitato: le conseguenze della stessa compattezza del suo pensiero nei confronti di domande che esso apre e alle
quali egli non risponde.
878
Partiamo dal problema dell'intelletto. Nel suo trattato sull'anima, Aristotele vede nell'intelletto la parte
pi elevata dell'anima (la parte razionale che propria dell'uomo). Mantenendo il proprio schema concettuale,
egli considera l'esistenza di un intelletto in potenza che diviene intelletto in atto; il rapporto tra essi pu farsi
coincidere per analogia al rapporto tra materia prima e corpo dotato di forma, perch il primo (l'intelletto
"materiale") ha la possibilit di ricevere gli intelligibili; il secondo (l'intelletto "in habitus" o "kath'exin"), quello
che realmente pu "pensare", li ha ricevuti. Qui interviene la vera divisione operata da Aristotele, che tra
l'intelletto materiale e un diverso intelletto, detto "produttivo" (poietiks, il futuro Intelletto Agente, madre di
tutte le eresie) il quale come una "luce" che consente di intelligere gli intelligibili, astraendo gli universali dal
sensibile.
Questo intelletto produttivo costituisce la parte immortale dell'uomo, ma non personale, separato
(chorists) dall'individuo, alla cui morte rientra in una "unit" di non chiara definizione, se nell'intelletto della
specie (umana) o in quello divino, cio nell'atto puro, poich atto puro anch'esso (De anima, 430 a). Qui il
passo oltre il quale Aristotele non d lumi, ma dal quale trae le conseguenze Alessandro, per il quale l'Intelletto
Agente non pu che essere l'Intelletto divino. Questo un passo fondamentale in direzione del Neoplatonismo,
che sar perfezionato, vedremo come, dalla filosofia islamica, per la quale Alessandro fa fede sul pensiero di
Aristotele. Non questo per il solo fatto nuovo; Alessandro, che si muove all'interno della scuola peripatetica
(dunque un "aristotelico" che intende sviluppare il pensiero del Maestro in risposta alla scuola platonica)
compie altri passi decisivi in direzione di un neoplatonismo di fatto per quanto concerne il rapporto tra Dio e il
mondo. Questi passi riguardano tanto la cosmologia, quanto l'estendersi della provvidenza divina al mondo
sublunare, in ci preceduto dall'ignoto autore del De mundo, per il quale una forza (dnamis) divina presente
nell'attivare e conservare l'ordine del mondo. Questa dottrina pienamente mutuata dalla logica, tutta
neoplatonica, di una forza che tiene al proprio posto nell'ordine dovuto ogni manifestazione del cosmo (lo stesso
schema imperiale che giustifica il potere centrale dell'Imperatore) generando al tempo stesso una tensione
imitativa della periferia verso il centro (schema neoplatonico dell'epistroph o "ritorno" verso l'Uno da cui tutto
procede, ma anche schema del rapporto del suddito verso il potere centrale).
Questa penetrazione della Provvidenza nel mondo sublunare il punto d'arrivo di un moto celeste che
ruota attorno al motore immobile: ma qui c' una profonda differenza con la dottrina fisica e metafisica di
Aristotele. Infatti i corpi celesti, per la necessit della loro perfezione, non possono che essere animati, quindi
dotati di passioni e di volont; le irregolarit dei loro moti sono frutto della combinazione dell'impulso ricevuto
dal motore immobile e di un moto proprio, suscitato dal desiderio e commisurato in ciascuno alla propria natura;
questo moto si trasmette di sfera in sfera sino al mondo sublunare, e investe anche i quattro elementi, i quali si
muovono verso l'alto o verso il basso anche in funzione della loro interiore natura.
Precisamente a proposito degli elementi, Alessandro introduce nelle sue Qustiones un'importante
novit che avr lunghissimo corso nelle ontologie medievali e nell'alchimia: il doppio livello dei quattro
elementi, che esistono, prima ancora che nella loro accezione materiale, come "Forme" (ne abbiamo parlato pi
volte nel testo). Se si considera che il mondo delle Forme (recepito come Intelligibili, come Universali nel nostro
intelletto) di emanazione divina, ci troviamo introdotti alla cosmogonia neoplatonica tipica, fondata su un
doppio livello di creazione (formale e materiale) che abbiamo gi visto in Filone per quanto riguardava la
creazione dell'uomo. Appare delineata la dottrina di un Dio "dator formarum" contenente in S tutte le "ragioni
seminali".
In rapporto a questo mondo di forme la materia appare un puro ricettacolo, come esplicitamente
definita nelle Qustiones, anche se accanto ad altra definizione che la mostra come terreno potenzialmente
adatto a ricevere le Forme, ci che per non la qualifica comunque in accordo al concetto aristotelico di
"potenza", che implica una capacit attiva di cambiamento di stato. E. Gannag, Matire et lments dans le
commentaire d'Alexandre d'Aphrodise in De Generatione et corruptione, in Aristotele e Alessandro di Afrodisia
nella tradizione araba, a cura di C. D'Ancona e G. Serra, Padova, Il Poligrafo, 2003, confrontando i testi greci di
Alessandro e le traduzioni arabe, ritiene tuttavia che lo slittamento in senso decisamente neoplatonico di
Alessandro sia frutto di manipolazioni arabe. Su questo problema torner; per ora trovo interessante aggiungere
un altro dettaglio. S. Fazzo, Alessandro di Afrodisia sulle "contrariet tangibili" (De Ge. et Corr. II, 2: fonti
greche e arabe al confronto) in Aristotele e Alessandro, etc., cit., facendo riferimento ai testi di Djbir (ma anche
ai commenti di Filopono e Averro) ritiene di poter "dire con sicurezza che Alessandro consegna alla tradizione
successiva una teoria definitiva e sistematica della costituzione dei corpi esistenti e percepibili, a partire dalla
materia e dalle forme prime ed assolute.......le quattro forme () o nature () elementari: caldo,
secco, freddo e umido" (p. 161). Il loro accoppiamento ( in Alessandro) d i quattro corpi elementari:
fuoco, aria, acqua e terra (p. 162). Siamo, dunque, alla radice di ogni futura cosmologia neoplatonica e della
dottrina alchemica che si svilupper da Djbir: ma quest'ultimo un discorso che esula dal nostro argomento.
Tornando per alla dottrina del moto dei corpi celesti, c' ancora una cosa che va segnalata: con
l'impostazione di Alessandro l'irregolarit dei moti pu fare a meno, per essere giustificata, della lezione
aristotelica relativa alle 55 sfere (Metafisica, , 1074 a): le sfere adesso sono soltanto otto (stelle fisse e sette
pianeti) e si preparano a trasformarsi in una catena di Intelletti, che stabiliscono il passaggio progressivo sia
dell'emanazione cosmogonica, che del rapporto Dio/uomo, nelle future ontologie neoplatoniche, a partire da al-

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Frb. Su questi temi qui soltanto accennati, cfr. C. Genequand, Alexander of Aphrodisias on the Cosmos,
Leiden-Boston-Kln, E.J. Brill, 2001; G. Endress, Alexander arabus on the First Cause. Aristotle's First Mover
in an Arabic Treatise attributed to Alexander of Aphrodisias, in Aristotele e Alessandro, etc, cit.
Ne potr anche emergere la dottrina medievale degli astri "ministri di Dio", e quella, altrettanto
diffusa ed equivalente, degli astri "cause seconde"; del resto, gi Filone, precisamente a seguito del suo ordine
universale neoplatonico, aveva sostenuto su base "filosofica" la possibilit di leggere il futuro nel moto degli
astri (De opificio mundi, 58-61). Sono qui anche le radici della visione ordinata del cosmo nell'occidente
medievale, luminoso ordine divino che s'irraggia per ogni dove.
opportuno tuttavia tornare al nostro intelletto "poietiks" per capire attraverso quali passaggi, in
Alessandro e nei suoi traduttori arabi, si compie la parabola che ne far l'Intelletto Agente, aprendo la via alle
dottrine eterodosse dell'Islam e del Cristianesimo. In questo seguiamo il serrato raffronto tra il testo greco di
Alessandro e la traduzione araba, operato da M. Geoffroy, La tradition arabe du d'Alexandre
d'Aphrodise, in Aristotele e Alessandro, etc., cit.
Il punto fondamentale della trasformazione del pensiero di Alessandro nella traduzione araba, consiste
in questo. Abbiamo gi visto in Aristotele che l'intelletto produttivo (= Agente) separato, e che sembra venire
"da fuori", motivo per cui Alessandro, posto a confronto con un intelletto che viene da fuori (thrathen) ed
immortale, non pu che identificarlo con l'Intelletto divino. Il passo ulteriore implicito nella traduzione araba
significativo, e ha una precisa logica che si conclude con al-Frb in funzione di una progressiva perdita di
rapporto con l'originale greco: se l'intelletto materiale diviene intelletto in atto grazie all'apporto esterno
dell'Intelletto Agente, allora l'intelletto acquisito si pone all'altezza dell'Intelletto Agente, divenendo Intelletto
Agente acquisito. L'origine "testuale" del radicale cambiamento di prospettiva posta da Geoffroy
nell'equivocit della traduzione araba di Alessandro (pp. 206-208); ma certamente, negli sviluppi che avvengono
in al-Frb, c' qualcos'altro.
Lo stesso Geoffroy lo sottolinea: al-Frb legge l'Alessandro Arabo a partire dalla Teologia di
Aristotele, cio da Plotino; egli aveva inoltre come punto di riferimento il cardine di tutto il Neoplatonismo, cio
la concordanza di Platone e Aristotele, sulla quale aveva anche scritto un trattato. Cos, in al-Frb l'Intelletto
Agente diviene l'ultimo di una catena di Intelletti che fa da trait-d'union tra la sfera divina e l'intelletto umano,
azionando la Provvidenza divina nel mondo sublunare. Questa tendenza, a partire gi da una visione
neoplatonica, una scelta della filosofia araba del IX secolo: lo sottolinea anche C. Martini, La tradizione araba
della Metafisica di Aristotele: libri A-, in Aristotele e Alessandro, etc., cit., facendo presente che il libro A,
dove si criticano le Idee platoniche, fu deliberatamente trascurato gi da al-Kind, al fondamento della cui
riflessione restano, come sempre, la Teologia di Aristotele, il Liber de causis, e le traduzioni arabe delle
Qustiones di Alessandro. La scelta neoplatonica antica, risale ai problemi posti dal creazionismo, risale a
Filone e prosegue, in occidente, nella Patristica; il nocciolo sempre nel rapporto tra il Creatore e il Creato, che
conduce necessariamente a riutilizzare la filosofia greca travisandone il senso originario. Come ricorda Endress
(p. 43) gi in ambiente monofisita, nel VI secolo, ci si era interessati al De cosmo, ed era stato rielaborato, con
altro nome e in altra prospettiva, il trattato sull'Universo di Alessandro.
Mi sembra perci il caso di sottolineare ancora una volta la profonda discontinuit che esiste tra la
filosofia greca e il messaggio testamentario. La prima conclude il pensiero di una cultura che vede
l'autosufficienza del mondo con le sue leggi fisiche, e che, eliminata l'ambigua presenza del divino nel mito,
riconduce il divino stesso ad una sfera di astratta perfezione, culmine di un percorso puramente logico. Il
messaggio testamentario parla viceversa di un Dio/Volont che crea il mondo con un proprio Progetto e un
proprio giudizio su ci che "buono". Perci, porsi la domanda sul rapporto tra questo Dio, il Suo mondo, e
l'uomo a Sua immagine indagando la razionalit del cosmo con la razionalit dell'uomo, che non pu che
collegarsi alla razionalit del Progetto "buono"; porsi la domanda e tentare di rispondervi usando gli strumenti
della logica aristotelica e dell'ontologia platonica (la prima non ha sbocchi senza la seconda, se non l'Ilozoismo)
non pu che condurre a rischi panteisti Un Panteismo che nasce da una Ragione che estende, per motivi genetici
il proprio dominio a tutte le cose che sono in terra e nel cielo. Senza contare il non trascurabile problema della
Profezia, di un Dio cio che parla nella bocca dell'uomo, fenomeno la cui interpretazione sul piano della Ragione
razionalista moltiplica quei rischi con la massima espressione dell'eversione: l'uomo divino, cio l'uomo (ovvero
la societ o il progetto) connesso ad una Verit che garantita come tale dalla propria stessa intrinseca struttura,
e che non pu esser messa in discussione perch la "Verit" la struttura stessa; la struttura e non altro, una
volta eliminate le passioni, cio la volont, che della vita la manifestazione fenomenica e che conduce su
sentieri imprevedibili. La "verit" razionalista, che non una costruzione operata dalla vita, viceversa una
struttura che sottende la vita stessa e alla quale questa non pu che adeguarsi: c' quindi una profonda differenza
tra l'ipotesi di un "dio filosofico" e la promessa di un Dio/Vivente, di un Dio/Volont; senza contare che
quell'ipotesi, quel "dio", non che un corto circuito, perch la struttura che lo "dimostra" in realt stabilita
dall'uomo. Inserire "Dio" entro una struttura misurata sulla Ragione non soltanto impresa che conduce ad
un'astratta insignificanza in cielo; impresa che, ripercorsa nel senso inverso, produce in terra il mostro di un
uomo Demiurgo di se stesso, conduttore folle di un meccanismo senza senso: senza senso perch il "senso"

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sempre e soltanto nel rapporto con l'altro, senza questo v' soltanto tautologia. E l'Altro, per la ragione umana,
per definizione ci che la trascende.
Il punto qui: la "filosofia" , per come s' formata, non ha posto per la trascendenza; la trascendenza
vi pu esistere soltanto come miraggio mistico perch non pu essere l'oggetto di un pensiero che pensa l'essere.
Questa per non una condanna del pensiero all'impotenza, perch la "filosofia", cio il pensiero che si forma
tra Socrate e Aristotele e tutto ci che n' disceso sino ai giorni nostri, non il "pensiero" tout-court. Il pensiero
qualcosa di pi, un non-detto che parla nelle sconnessure e nelle beanze del discorso concettuale, che, con la
propria "razionalit", produce l'inevitabile ideologizzazione di quell'indicibile che di giorno in giorno, di uomo in
uomo, di attivit in attivit, germoglia oscuro nei peripli inubicabili delle esistenze, creando una "verit" che si
testimonia, non si "dimostra".
Ci detto, dopo la digressione torniamo al neoplatonismo islamico, cio alla lettura islamica della
filosofia greca, che si sviluppa a partire da quel IX secolo nel quale anche si afferma il tradizionalismo e nasce la
"Sunnah del Profeta": forse non per caso, forse anche in risposta ad una lettura del rapporto col divino che
insidiava il senso del dettato profetico. Certo che le prime disavventure dei filosofi, con al-Kind, coincidono
con la crisi del Califfato abbside nella contesa con gli ulam, culminata con il ritiro della mihna nell'849 ad
opera di al-Mutawakkil, grande estimatore di al-Kind. Di quest'ultimo abbiamo visto sopra le premesse
neoplatoniche, che si concretizzano in una dottrina dell'anima e dell'intelletto visti in continuit, ancorch
mediata, con il divino. L'anima, nel sonno, pu divinare, sia pure per immagini, grazie all'acquisizione diretta
degli intelligibili senza mediazione sensoriale; l'intelletto si attualizza grazie ad un Intelletto Agente che
emanazione divina attraverso il sistema delle sfere.
Con al-Frb entriamo direttamente nel cuore di quella sistematizzazione della filosofia islamica che
ci fa meglio apprezzare la distanza che si viene a stabilire tra essa e il dettato profetico, culminata nel dialogo-
scontro a distanza tra Avicenna, al-Ghazl e Averro, con il rifiuto di una lettura filosofica della religione, e, pi
in generale, di un rapporto propedeutico tra filosofia e teologia. Per inquadrare il pensiero di al-Frb (870-950)
bene sottolineare alcuni aspetti relativi alla sua biografia e alla sua influenza. Al-Frb studi in Baghdad con
un Maestro Nestoriano e con condiscepoli Nestoriani; visse nell'epoca della grande tolleranza byide e del
corrispondente scambio culturale tra le varie correnti islamiche e le altre religioni monoteiste, in presenza di una
diffusione del pensiero greco nella sua elaborazione neoplatonico/aristotelica descritta sopra; fu contemporaneo
alla diffusione della Sha con i Byidi, e alla nascita e all'affermazione dell'Ismlismo ftimida; fu
contemporaneo di Nasaf e Sijistn, per le cui ontologie cfr. il testo in Parte II, Sez. I, Cap. II. In effetti v'
somiglianza strutturale tra queste e l'ontologia di al-Frb, con la differenza di una maggiore "filosoficit" di
quest'ultima rispetto alle tendenze esoteriche degli altri. Esistono infine analogie tra il pensiero di al-Frb e le
concezioni degli Ikhwn as-Saf (vedi il Cap. cit.) e non da escludere che egli abbia avuto in mente anche la
preoccupazione di ridefinire la figura della guida del mondo islamico nell'epoca della decadenza abbside (cfr.
l'Appendice alla IV ed.); quel che certo che la figura "teofanica" del filosofo-Re immaginata da lui, aliena
dalle preoccupazioni dinastiche dei Settimiani e dei Duodecimani, ma ricalca la figura dell'Adepto degli Ikhwn
as-Saf, un ruolo aperto a qualunque uomo che sia "perfetto".
Quel che c'interessa qui un punto preciso: la gerarchia degli Intelletti e la collocazione dell'Intelletto
Agente, fermo restando che, per la maggior comprensione del suo pensiero si pu fare riferimento, oltre ai testi
cit. in Bibliografia a p. 728 e alle introduzioni e alle note dei loro curatori, anche alle note e ai commenti di M.
Campanini, nella sua traduzione italiana di La citt virtuosa, Milano, Rizzoli, 1996, che mi sembrano importanti
anche per restituire al nostro filosofo una collocazione "religiosa" (islamica). Il fatto che egli abbia assunto a
modello di guida della propria citt ideale la figura platonica del Re-filosofo, non pu far ignorare il contesto
ormai mutato nel quale egli si muove, che non pu pi prescindere da una Rivelazione profetica (su questo
argomento mi sembra opportuno ignorare le poco convincenti ipotesi di L. Strauss circa la dissimulazione, citate
nell'Appendice alla V ed.).
Lo schema di al-Frb, destinato a giungere sino al Medioevo occidentale, il seguente: da Dio
emana un 1 Intelletto e da questo seguono le sfere delle stelle fisse e dei sette pianeti, mosse dagli
Intelletti/potenze angeliche che vanno dal 2 al 9; il 10 Intelletto l'Intelletto Agente (quello che rende "in
atto" l'intelletto "in potenza" dell'uomo) che anche il Dator formarum; con lui finisce la catena degli esseri
spirituali e si realizza l'intervento divino sul mondo materiale. Compito dell'uomo raggiungere il contatto con
l'Intelletto Agente; a questo massimo livello giunge il filosofo che diviene perci Profeta. Il punto, ora, questo:
nel contatto che consente al filosofo di contemplare direttamente gli Intelligibili, si realizza un'identit, o una
vicinanza? Il problema reale e non si evita con le parole, perch, se il filosofo giunge a tanto, non si capisce in
che cosa il suo intelletto "acquisito" differisca dall'Intelletto Agente. Secondo problema: l'Intelletto Agente
agisce sull'intelletto umano nella sua facolt immaginativa, che diviene il canale attraverso il quale il Profeta
elabora le allegorie grazie alle quali pu rendere comprensibile al popolo il Vero, sotto forma di dettato divino.
Dunque la religione sembrerebbe un sottoprodotto della filosofia (su posizioni simili si attester Averro) non in
quanto favola, ovviamente, ma in quanto metafora di quelle supreme verit che soltanto il filosofo pu attingere
senza tale schermo. Questo non sembra accettabile sul piano dell'uomo religioso che legge nel dettato profetico il
"Vero" tout-court, non altrimenti attingibile.

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Vi infine un terzo problema, che riguarda la natura comunque divina dell'Intelletto Agente.
Nonostante al-Frb ponga Dio come sovraessenziale, estraneo quindi all'essere che promana dal 1 Intelletto,
vi anche qui un nodo che non si pu sciogliere con le parole, perch v' comunque una catena neoplatonica che
lega l'Alto al basso nei due movimenti di processione e ritorno: un Dio che emana sino all'Intelletto Agente, e un
uomo che risale a quest'ultimo, danno vita comunque ad un rapporto equivoco nella sua lettura.
A ci si aggiungano altri due aspetti dello schema di al-Frb. Il primo riguarda la concezione
neoplatonica (gi propria dell'et tardo imperiale e bizantina) di un ordine gerarchico terreno modellato su quello
celeste, Il secondo, il tema squisitamente islamico di un ordine regolato dalla Legge divina, che realizza nella
Ummah la societ perfetta, perch soltanto nella societ si realizza la potenzialit virtuosa dell'uomo (questo
tema, al-Frb lo ritrova in Platone). Ne consegue una tentazione ideologica foriera di gravi conseguenze.
Scrive Campanini (p. 47) che l'ipotesi di al-Frb (al tempo stesso, direi, tanto islamica quanto neoplatonica)
"individuare le catene che fanno di terra e cielo un organismo profondamente interconnesso".
Ora, questa visione mi sembra generarsi nella convergenza di due istanze: quella di un Dio Creatore
inevitabilmente implicato nel mondo, nell'uomo e nella storia, e quella di una ragione umana che pretende di
individuare i nessi razionali di questa implicazione -mi si scusi il termine- assolutamente mitica (termine che non
implica alcuna svalutazione da parte mia, perch ho sempre sostenuto il significato profondo del mito, anche in
funzione del suo rapporto con l'Utopia). Non per nulla intitolai il capitolo dedicato all'Islam nel confronto
delusorio tra ordine celeste e disordini terreni; e non per nulla, credo, la grande tradizione sunnita si
trasformata in un "quietisitco" distacco tra societ ideale (ma "reale" per gli ulam) -diciamo pure, tra societ
civile- e potere politico. Non per nulla la Sha duodecimana mantenne l'ordine sotto i Safavidi inviando in luogo
occulto il 12 Imm e fissandone il ritorno in un futuro imprecisato. Cedere alle tentazioni della Gerusalemme
terrena ha generato ovunque seri problemi: la tensione teleologica e assiologica, uscita dallo studiolo del
filosofo, si trasformata negli innumerevoli moti agitatori della marginalit culturale, conseguenza del mito di
un mondo "di giustizia" comune ai tre monoteismi (vedi l'Appendice alla V ed.). Questo il frutto della pretesa
razionalizzazione -di fatto, ideologizzazione- dell'Utopia entro ci che ho definito "Razionalismo subalterno".
L'Utopia, che come tale mette in moto la storia dal suo non-luogo grazie alle tensioni generate dalla differenza,
allorch si pretenda di calarla razionalisticamente a tutto tondo nella storia, non pu che uscirne sconfitta,
tuttavia dopo molti disastri.
Tornando ad al-Frb, resta da sottolineare il carattere nodale del suo pensiero: da lui discendono
direttamente Ibn Ba e Avicenna, e, indirettamente, Ibn Tufayl e Averro, con il quale l'aristotelismo tende a
purificarsi, senza tuttavia riuscire a perdere quell'impronta neoplatonica che sembra costituire la condanna di
ogni "filosofia" implicata nel creazionismo. Una filosofia che, come gi si nota in al-Frb ma ancor meglio si
vedr in Avicenna e Averro (e qui si concentra la grande opposizione di al-Ghazl) ha il grave inconveniente di
obbligare Dio a creare, e a creare cos come ha creato, lo rende cio strumento di una necessit (come ogni dio
filosofico o filosofizzato) che snatura completamente la Sua figura nei monoteismi, la Sua libert: e qui c' un
problema che pu sembrare "metafisico", ma non lo , perch riguarda la libert dell'uomo.
Un grande continuatore del pensiero di al-Frb nella Spagna almoravide (rigidamente dominata da
una giurisprudenza tradizionalista di scuola mlikita) fu Ibn Ba, il nostro Avempace (ca. 1085-90 - 1138). La
sua opera interessante perch estremizza le conseguenze della dottrina di al-Frb sull'intelletto, giungendo a
conclusioni che mettono in chiara luce i rischi insiti in essa. Ibn Ba fu infatti accusato di empiet (in effetti
non sembra che il suo stile di vita fosse esemplare sotto il profilo della Sharah) eppure non si pu dire che il
suo pensiero fosse estraneo ad una prospettiva fondamentalmente islamica. Ibn Ba, che non nomina mai
Avicenna, ostile ad al-Ghazl (ma forse per allinearsi al regime almoravide) ed esalta al-Frb, potrebbe
avere qualche rapporto intellettuale con gli Ikhwn as-Saf (Lomba, cit. in Avempace. Il regime del solitario, a
cura di M. Campanini e A. Illuminati, Milano, Rizzoli, 2002, p. 27). L'osservazione non senza rilievo, perch
mette in luce una preoccupazione quantomeno teorica per la societ ideale, in un periodo nel quale il suo
progetto sembra naufragare, e il pensiero islamico riflette su ci in cerca di soluzioni alternative. Quanto al
rapporto con al-Ghazl, mi sembra per significativa l'osservazione di Asn Palacios, La carta de adis de
Avempace, al-Andalus, 8, 1943, p. 6, che rileva come egli non fu simpatico n ai filosofi ellenizzanti del tipo di
Averro (e Ibn Ba fu un filosofo ellenizzante) n ai giuristi del clero ufficiale: una posizione scomoda che
sar pi chiara dall'esposizione del suo pensiero (infra).
Ibn Ba s'interessa fondamentalmente del problema aristotelico dell'intelletto partendo dalle
posizioni raggiunte da Alessandro d'Afrodisia e da al-Frb, per compiere l'ulteriore e inevitabile passo. Nel suo
trattato Sull'unione dell'Intelletto con l'uomo (cfr. M. Asn Palacios, Tratado de Avempace sobre la unin del
intelecto con el hombre, al-Andalus, 7, 1942) egli teorizza tre livelli di conoscenza, che corrispondono, si pu
dire, a tre livelli antropologici della societ: quello del volgo, ottenebrato dall'oscurit della caverna (secondo il
mito platonico divenuto metafora); quello di coloro che sono usciti dalla caverna e vedono la luce, cui si deve
attribuire la conoscenza razionale; e quello di coloro che possono fissare il volto direttamente nel sole, cui si
deve attribuire l'intuizione intellettuale. Secondo il simbolismo di Aristotele nel De anima, la luce infatti la
manifestazione dell'Intelletto Agente che interviene a trasformare in atto l'intelletto in potenza: qui per siamo
ben oltre. Qui si postula un contatto con l'Intelletto Agente che eleva il sapiente al suo stesso livello; e per Ibn
Ba, come sottolinea M. Cruz Hernandez (cit. in Bibl. a p. 752, vol. II, p. 84) l'Intelletto Agente "non pi un
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motore nel mondo delle sfere, ma la forma stessa dell'atto intellettuale concepita nel suo momento pi alto di
eternit, universalit, semplicit e realt; un essere cos concepito pu essere soltanto Dio". In questa unione si
realizza la capacit profetica.
Ora, il fine del sapiente precisamente la realizzazione di questa coniunctio, raggiunta la quale egli
necessariamente un "solitario" nella societ, abitata da uomini per lo pi viziosi e ignoranti: i due aspetti sono
sostanzialmente coincidenti in una visione intellettualistica quale quella di Ibn Ba. Sull'evidente impronta
intellettualistica del suo pensiero bene insistere, perch egli non ama la mistica sf, nella quale vede
sostanzialmente un autoinganno. L'unione "faccia a faccia" con l'Intelletto Agente, configura allora una singolare
forma di mistica intellettuale: la Ragione che rende divino l'uomo (qualunque uomo, come negli Ikhwn as-
Saf) che sappia portarsi al livello delle realt spirituali. Sotto questo aspetto, Campanini e Illuminati (cit.) nella
loro Introduzione parlano di "scientismo" (p. 50) del filosofo di Saragozza.
Le analogie con alcuni aspetti del pensiero degli Ikhwn as-Saf vanno per anche oltre. Infatti per
Ibn Ba il "solitario" non del tutto "solo", in quanto egli forma, con gli altri suoi simili, una vera e propria
confraternita di Eletti, che pu estendersi anche al di l del tempo e dello spazio; unione di Intelletti (si ricordi
che in Aristotele il solo elemento immortale dell'anima l'intelletto "separato") che sembra formare una catena
di risalita verso il mondo intelligibile tale da ricordare il Macranthropos dell'umanit redenta degli Ikhwn as-
Saf, la citt spirituale, utopica, corpo unico di anime angelicate (pp. 226-227 del testo).
L'apparente estraniamento del saggio dalla societ dunque ambiguo: la constatazione del fallimento
storico del mito islamico sembra spingere s, a un radicale scetticismo sul presente, ma anche a un faticoso
tentativo di riformulazione lungo nuovi percorsi, che per appaiono particolarmente inquietanti se si deve
accettare una lettura che ne danno Campanini e Illuminati nella citata Introduzione. Scrivono infatti a p. 71: "I
solitari, per, non solo formano una sola anima in seno all'Intelligenza Agente......ma fanno comunit all'interno
delle societ imperfette e al di l dei loro confini, attraversano le strutture corrotte e oppressive del potere e
prefigurano, con accento quasi sovversivo, l'avvento della societ perfetta. Per chi accetta l'ipotesi di una loro
possibile funzione politica viene in mente l'analogia.....del platonico J.J. Rousseau fra il chiamarsi fuori
dell'eletto incorrotto dalla societ e il suo ruolo di fondatore di una comunit politica perfetta, dunque fra
isolamento.....e pratica oggettivamente rivoluzionaria. Con tutta la discendenza storica giacobina e comunista
degli ultimi secoli del trascorso millennio. I "solitari" filosofi.....costituiscono gli elementi rivoluzionari di
cambiamento che potrebbero aprire la strada alla realizzazione della citt perfetta. Essi potrebbero formare una
"rete" di intelligenze e di "volont" politiche disponibili a una profonda trasformazione dello stato di cose
presente. Certamente i "solitari" perseguono una perfezione intellettuale e spirituale che li rende simili alla
divinit, ma siffatto perfezionamento ha un fine senza dubbio pratico, politico".
Una lettura che d un quadro agghiacciante e ci riporta agli orrori rivoluzionari dell'ultimo secolo, ma
che sottolinea anche altre cose che credo di aver messo in luce in passato. Innanzitutto le radici religiose delle
ideologie sovversive; poi il ruolo delle intellighentzie piccolo-borghesi di sempre, nel tracciare le "lucide
geometrie" della follia paranoica (la paranoia una logica perfetta applicata alla totale ignoranza e inesperienza
di ci che l'uomo, e di quali sono le leggi non scritte della societ: un risultato della marginalit). Poi
l'infondabile aristocraticismo delle avanguardie, che tali si sentono semplicemente perch hanno abolito il
mondo. Infine, tipico del Razionalismo subalterno, il non saper trovare collocazione, sia pure utopica (ma non
atopica) in un mondo che costituzionalmente "postlapsario". Platone, che di queste tendenze alquanto
responsabile, sapeva per anche che l'anima umana quel che : pu s, contemplare e sospirare il cielo, ma
prova anche una singolare attrazione per la frequentazione degli angiporti, onde la societ perfetta soltanto u-
topia, in nessun luogo e l resta; e Aristotele, che era ben pi uomo di mondo degli aristotelici, diceva a chi
voleva scandagliare tutto con la logica, che " ignoranza (apaideousa) non sapere di quali cose si debba
ricercare una dimostrazione e di quali, invece, non si debba ricercare" (Metafisica, 1006 a, 6-8, trad. G. Reale).
Queste cose sono i "principi" (archai) (ivi, 10-11). Come dire che alla base di tutto, anche della societ, vi sono
realt entro le quali tutti necessariamente dobbiamo muoverci, perch costituiscono le "regole" la cui conoscenza
fa parte di una buona paidia, non di costruzioni teoriche. Apaideousa anche incultura e rozzezza, cos come
paidia "cultura" in senso ampio, qualcosa di ben altro dell'aver letto libri e sviluppato sillogismi nel vuoto; e
arch indica s la causa, il principio, ma, semanticamente, anche il dominio in senso sia autoritativo che fisico,
ci che tutto regge, e il suo ambito. I due termini associati evocano un ambito di forze dal quale illusorio
uscire, e nel quale vigono leggi che si apprendono soltanto a patto di saperle riconoscere. La preparazione di
Aristotele alla sua Politica, quell'Etica a Nicomaco nella quale la parola "etica" ( da thos, costume, indole,
inclinazione) sta a significare non astratti modelli, ma una catalogazione dei comportamenti umani, la cui
conoscenza indispensabile a una "politica" che meriti questo nome.
I problemi posti dalla connessione filosofia/creazionismo, che riguardano i tre monoteismi e che
stiamo seguendo attraverso gli sviluppi della filosofia islamica, si manifestano nella duplice dimensione sotto la
quale inquadrato Ibn Tufayl, come filosofo neoplatonico che affronta le conseguenze del pensiero di Ibn
Ba, e come mistico ritenuto legato alla tradizione sf. Ibn Tufayl fu certamente un filosofo, e fu il mentore
del giovane Averro presso il Califfo almohade quale proprio successore a corte. Come filosofo ebbe evidenti i
limiti del pensiero di Ibn Ba, e si rivolse, non senza peraltro distanziarsene, ad al-Ghazl e ad Avicenna. Il
suo sbocco fu la mistica, e ci, a mio avviso, in piena coerenza logica. Ibn Tufayl rimasto famoso per il suo
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conte phylosophique intitolato Hayy ibn Yaqzn (Il figlio vivente del Vigilante) nel quale sviluppa, attraverso
l'allegoria d'un personaggio fantastico (che forse l'archetipo tanto del Robinson Cruso, quanto del Crtilo del
Criticn) il proprio sistema di pensiero circa la via al sapere.
Il racconto di Ibn Tufayl (accessibile anche su Internet http://www.filosofico.net/ibntufaylautodidatta)
si apre con una premessa che dice gi molto sulle idee che saranno poi veicolate dall'allegoria. Nel mentre loda
Avicenna, egli pone in partenza una distinzione tra quei Sf non coltivati nella filosofia (come Bistm e al-
Hallj) che a seguito della visione estatica pretesero l'unificazione con Dio, e coloro che, come al-Ghazl,
riconobbero l'inaccessibilit della visione alla comprensione, e vi si adeguarono rinunciando a porsi domande,
limitandosi a pregare. Subito dopo critica Ibn Ba, che aveva sostenuto la dottrina dell'unione intellettuale
come culmine della speculazione filosofica, del cui pensiero sottolinea i limiti identificandoli nell'incapacit ad
andare oltre la via intellettuale. Si ricordi, al riguardo, che Ibn Ba aveva a sua volta criticato le visioni dei
Sf, ritenendole frutto della sola immaginazione, eccitata con le pratiche ascetiche. Ibn Tufayl sottolinea
viceversa la linea di Avicenna, che vuol raggiungere il contatto con Dio andando oltre la via della comprensione
intellettuale, e introduce una prima parabola, quella di un cieco dalla nascita che giunge con l'intelligenza a
percepire il mondo che lo circonda, e che, acquistata miracolosamente la vista, riconosce ci che gi conosce, ma
con ben altra, diretta e chiara esperienza.
Ci posto, Ibn Tufayl sottolinea l'impossibilit di calare in un discorso razionale, per i limiti intrinseci
della Ragione e del linguaggio, l'intima esperienza del Vero, che diviene perci altra cosa e si presta alla disputa
delle interpretazioni. Allusione al dettato profetico? Certamente, egli nota, il sapere che si pu apprendere dai
libri quello, e perci limitato e limitativo. Chi ha visto il Vero pu parlare soltanto per simboli: non per nulla,
l'Islam e la Legge del Profeta scoraggiano le inutili speculazioni. Si delinea allora una via progressiva ai gradi
della conoscenza che sar quella del protagonista del racconto, e che Ibn Tufayl rispecchia anche nella storia del
pensiero islamico in Spagna: prima vennero i naturalisti, poi i filosofi che culminarono con Ibn Ba: ma
occorre andare oltre, ad un terzo stadio di sviluppo della conoscenza.
Ibn Tufayl critica poi al-Frb, specialmente per la sua attribuzione della profezia alla facolt
immaginativa; di Avicenna sostiene che il suo pensiero va oltre i limiti dell'aristotelismo e che va compreso
esotericamente (e infatti nel suo racconto fa omaggio, con il titolo e il nome dei personaggi, ad un'opera esoterica
di Avicenna). Passando poi ad al-Ghazl, egli mette ancor meglio in luce l'adombrata triplice via alla
conoscenza, sostenendo che per al-Ghazl esistono un'opinione volgare, un'opinione che si sviluppa nel dialogo
tra i dotti, e infine un'opinione che intima e incomunicabile del singolo individuo. Pur lodando molto il suo
pensiero, egli ne fa per una critica: nei libri che ci sono giunti da lui mancano indicazioni circa alcuni pretesi
raggiungimenti incomunicabili. Perci sorse in Ibn Tufayl un desiderio di ricerca che lo condusse in un cammino
verso la verit, che verr da lui proposto allegoricamente nel racconto della vita e delle esperienze di Hayy ibn
Yaqzn.
Questi un neonato adottato da una gazzella su un'isola deserta (come vi sia nato o vi sia giunto
oggetto d'ipotesi) la cui crescita e i cui successivi progressi speculativi segnano la tappe di un percorso guidato
dalla Ragione, dapprima come apprendimento teorico/pratico dall'osservazione del mondo circostante, poi come
speculazione logico/filosofica sulla totalit dell'essere, incluso il cielo stellato; infine come riflessione metafisica
sulla causa dell'essere, che lo condusse alla ricerca di una prima causa, alla concezione dell'esistenza di un
Essere necessario, nella cui sperata visione riporre la propria felicit. Per giungervi decise di ripercorrere la scala
dell'essere, dal mondo della generazione e della corruzione del quale egli partecipava con il proprio corpo, a
quello dei corpi celesti nei quali scorse similitudini con l'Essere necessario (ricordiamo la catena degli Intelletti e
delle sfere); infine a quest'ultimo. Il primo livello lo raggiunse con adeguati rapporti di comportamento nei
confronti del cibo, il secondo evitando sporcizia e turpitudini sino a rendersi splendente, e imitando i moti
circolari degli astri. Per giungere al terzo livello tent di liberarsi del proprio Io annichilendo i sensi e la
memoria con una vorticosa rotazione (una tecnica ben nota). Dovette anche tentare di pensare questo Essere in
modo da evitare di associargli ogni possibile qualit o forma, e si allontan da tutto chiudendosi in una caverna.
appena il caso di ricordare che uno dei capisaldi del mutazilismo consisteva nel negare l'antropomorfismo e
l'esistenza degli attributi divini, e che il mutazilismo giungeva a ci sviluppando un rigido Razionalismo.
Hayy ibn Yaqzn giunse cos a contemplare il mai visto e a udire l'inaudito, il linguaggio di Dio, pur
non conoscendo egli alcun linguaggio, a causa della sua esistenza vissuta fuori di ogni contesto umano. La Voce
di Dio gli parl e gli impose di essere ricevuta senza fare (farsi) alcuna domanda, ed egli comprese una cosa:
essendo l'essenza del Vero la non-molteplicit, la conoscenza che l'Essere Supremo aveva di S era la Sua stessa
essenza; quindi chi Lo avesse conosciuto si sarebbe identificato con Lui. Cap per poi che questa comprensione
era inadeguata, e che l'inadeguatezza dipendeva dalla pretesa di voler capire con l'aiuto della Ragione ci che
contiene in s gli opposti, essendo l'Essere supremo Uno e molteplice a seconda dei percorsi con i quali il
ragionamento si sforza di comprenderLo. Cos proseguendo, egli si forgi una precisa visione dell'universo a
partire dalle sfere, ma cap anche che tutto ci costituiva un'immagine insufficiente di Dio, fosse soltanto una
mera conoscenza dell'ombra di quel mondo divino senza il quale il nostro mondo non sussisterebbe: esso
soltanto un'apparenza che continuamente si disfa e si trasforma come l'immagine di un caleidoscopio. Hayy
matur quindi l'indifferenza al mondo materiale e una capacit sempre maggiore di astrarsi nell'estasi.

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Su un'isola accanto alla sua v'era una comunit che praticava una religione predicata da un Profeta
tramite simboli, come si fa quando si parla alle masse: la posizione filosofica di Ibn Tufayl appare evidente.
Proseguiamo. V'erano due bravi giovani, Salmn e Absl; il primo era attento agli aspetti letterali della
predicazione, il secondo meditava sui simboli; il primo era attento agli aspetti della predicazione centrati sulla
vita comunitaria, il secondo a quegli aspetti esoterici che esortavano al ritiro e alla contemplazione solitaria. La
religione in questione poteva avere infatti aspetti contraddittori a seconda dell'interpretazione dei suoi principi
Absl decise perci di partire e di rifugiarsi in quell'isola deserta dov'era Hayy, e dove i due s'incontrarono con
qualche peripezia, perch Hayy non sapeva parlare. Absl gli insegn il linguaggio e gli raccont i principi della
propria religione, che Hayy trov coincidenti coi raggiungimenti delle sue estasi. Queste nel frattempo s'erano
allontanate, perch Hayy aveva interrotto il digiuno, attratto dai cibi portati da Absl. Lo sorprendeva tuttavia
che il Profeta avesse parlato in termini simbolici, invece di rivelare direttamente il Vero: non conoscendo i limiti
degli uomini, Hayy riteneva che essi in tal caso avrebbero seguito la legge divina pi completamente. Per
aiutarli, decise di recarsi con Absl nell'isola dove ora regnava Salmn, e qui scopr che la predicazione del
Vero veniva rifiutata dal popolo; cap la natura dell'uomo, e con ci anche la saggezza dei profeti. Si scus
perci con Salmn, lo esort a proseguire nella sua applicazione letterale della legge, e con Absl torn alle
proprie meditazioni sull'isola deserta.
Questa la trasparentissima allegoria di Ibn Tufayl, sul cui inserimento nella cultura islamica si
discusso, fermo restando che i ripetuti riferimenti ai versetti del Corano citati nel testo, fanno s che essa
s'inquadri senza dubbio in una riflessione che, filosofica o no, parte comunque dalla premessa religiosa islamica,
elaborata a partire dal pensiero di al-Frb, Avicenna, al-Ghazl e Ibn Ba: ma non soltanto. Di essa sono
state infatti messe in luce le connessioni tanto col Sufismo, quanto con la tradizione razionalista, sia mutazilita,
sia giurisprudenziale, sia filosofica, neoplatonico-aristotelica. Sull'argomento si pu vedere una raccolta di
articoli ad esso dedicata, The World of Ibn Tufayl. Interdisciplinary Perspectives on Hayy Ibn Yaqzn, ed. by L.
Conrad, Leiden-N. York-Kln, E.J. Brill, 1996.
Nella sua Introduzione, che riassume rapidamente alcune conclusioni dei diversi contributi, Conrad
sottolinea il clima di persecuzione in cui furono costretti ad operare i filosofi in Spagna, dovuto alla forza dei
giurisperiti mlikiti ultratradizionalisti, alle cui pressioni non poterono sottrarsi neppure quei Califfi che
protessero Ibn Tufayl e il suo erede Averro. Su questo punto, V.J. Cornell, nel suo Hayy in the Land of Absl:
Ibn Tufayl and Sfism in the Western Maghrib during the Muwahhid Era , ivi, ha chiarito le cause sociali di
questa fossilizzazione giurisprudenziale, connesse al mantenimento dei previlegi dei vecchi gruppi dirigenti
omeyyadi, a danno di gran parte della popolazione, Berberi e convertiti, che diedero origine a ripetute rivolte.
Quanto agli aspetti pi specificamente attinenti alla dottrina, interessanti riflessioni si possono trarre
dai citati articoli di Conrad e Cornell, nonch dai contributi di J.Ch. Brgel, "Symbols and Hints": Some
Considerations concerning the Meaning of Ibn Tufayl's Hayy ibn Yaqzn, e di B. Radtke, How can Man reach
the Mystical Union? Ibn Tufayl and the Divine Spark, entrambi ivi. Evitando di sottolineare aspetti che balzano
gi evidenti nella sin troppo scoperta allegoria del racconto, mi sembra utile segnalare quanto segue.
Brgel ha sottolineato come Ibn Tufayl, convintamente musulmano, abbia proceduto a una lettura del
Corano guidata dalla distinzione tra il senso apparente e quello nascosto (zhir e btin) e che quindi, nella sua
impostazione aristotelico/neoplatonica, sia andato oltre la logica, in direzione della Gnosi e dell'identificazione
con Dio. A questo riguardo, Cornell ha insistito sulla presenza di una tradizione sf nel Maghreb, alla quale
deve essere ricondotto anche il pensiero di Ibn Tufayl; mentre Radtke sottolinea come Avicenna venga citato nel
testo per aver raggiunto il contatto con Dio attraverso l'approccio estatico, non per illuminazione intellettuale.
Il punto che pi mi preme sottolineare, tuttavia come Ibn Tufayl giunga alla propria scelta. Il
percorso che egli fa seguire al suo protagonista nella via alla conoscenza, assolutamente razionale, tanto
razionale da essere persino razionalista. Prive di ogni utopismo sono anche le sue considerazioni sulla realt
umana. Il fatto , che tanto lui quanto il suo personaggio comprendono che c' un punto oltre il quale la Ragione
non pu andare. Razionalmente si giunge alle verit delle leggi fisiche; razionalmente, per analogie, si pu
indagare il significato simbolico di una legge, rendersi conto della realt della trascendenza: ma se la Ragione
vuol afferrare, con adeguamento all'oggetto, il Vero tout-court, allora essa deve cedere il passo alla mistica.
Altra via non v', e il misticismo rivela allora la propria nascosta natura: una via di fuga del Razionalismo. La
via "filosofica" al Vero indicata da al-Frb e Ibn Ba si rivela puramente illusoria. Tuttavia, anche su questo
punto, il pensiero di Ibn Tufayl, che resta un tentativo di armonizzare la Rivelazione con un pensiero che matur
in Grecia, non esce dall'ambiguit.
Come ha messo in luce Radtke, Ibn Tufayl resta comunque un filosofo, e perci, con lui, la tradizione
della mistica sf si trova a un punto di svolta. Il rapporto tra mondo e Dio, uomo e Dio, ha una sola soluzione, se
si vuole conciliare Rivelazione e filosofia, quella stessa che si delinea gi mille anni prima e che impronta, in
modi diversi ma tutti simili, tutta la relativa speculazione: l'emanatismo neoplatonico. Con ci, e soltanto con
ci, nota Radtke, la tradizione sf prende la via del Panteismo, influenzando in modo decisivo il pensiero di Ibn
Arab. I Sf, nota ancora Radtke (p. 187), parlando della loro "unione" con Dio, non avevano mai usato il
termine ittihd, che significa il divenire tutt'uno; usavano termini che indicavano l'annichilamento e il
congiungimento, il raggiungimento: il termine ittihd nasce con Avicenna e al-Ghazl, cio con i filosofi.
Questa deviazione verso il Panteismo avvenuta per la speculazione islamica, cos come avvenne, nonostante la
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ricerca di espedienti logici, in quella ebraica, e come avverr per quella cristiana del Medioevo, collegata tanto
alla tradizione occidentale con Scoto Eriugena, quanto all'influenza delle traduzioni dall'arabo, e che sfocia nei
panteismi dell'eterodossia dagli Amalriciani in poi, precisamente per l'elaborazione "filosofica". Sia che si
contempli il percorso a Dio a partire dall'uomo, sia che si adotti l'ottica inversa, il risultato sempre quella
divinizzazione dell'uomo che l'obbiettivo non tanto nascosto dell'alchimia, e che alla radice di tutte le ipotesi
eversive, una volta che il pensiero sia uscito dallo studiolo del filosofo.
Ibn Tufayl perci fa capire, e Averro predicher espressamente (ma non soltanto lui) l'inopportunit
di raccontare certe cose al volgo. Una cosa anche certa: Ibn Tufayl si rivela ancora una volta un musulmano
che medita sul fallimento del progetto islamico di societ perfetta: neppure la via della consorteria dei "solitari",
sognata da Ibn Ba, praticabile. Chi vuole seguire un proprio percorso individuale di perfezionamento,
l'unico possibile, non pu che ritirarsi su un'isola, isolarsi: magari, per sicurezza, in una caverna.
Si pu comunque dire che con Ibn Tufayl e la sua allegoria, si delinea il quadro di una "verit" che,
pur restando "una", si esplica in tre livelli: quello letterale, da osservare senza troppe domande per il volgo;
quello di una verit da interpretare dialetticamente nel dibattito giuridico/teologico di chi deve indirizzare la
societ e giudicare degli atti; infine, quello direttamente accessibile, ma non comunicabile nella sua essenza, che
dei filosofi/mistici. Questa ripartizione si riflette nella triplice via alla conoscenza seguita da Hayy ibn Yaqzn,
e si pu parallelizzare con i tre mediatori classici della conoscenza: i sensi, la Ragione, e l'Intuizione
intellettuale. Quest'ultima richiede tuttavia un "salto" mistico, una vera e propria discontinuit, per far compiere
all'intelletto umano un salto ontologico, l'unificazione con Dio. Ci significa implicitamente, come gi pi volte
sottolineato, criticare un sistema religioso/giuridico che ha come obbiettivo la piena realizzazione del modello
divino nella societ, una sua ripetizione nell'obbedienza alla Legge; criticarlo perch vi si afferma che il Vero
non riconducibile alla razionalit, tantomeno alla materialit della lettera. Contemporaneamente viene per
mantenuto il concetto di conoscenza come identificazione, ora per via mistica, dell'intelletto (umano) con la
cosa, con l'oggetto, in questo caso divino. Questo il presupposto razionalista (filosofico) dal quale non ci si
libera, al contrario, lo si sottolinea, adottando la fuga mistica, il salto ontologico reso necessario
dall'inadeguatezza della Ragione. L'insufficienza della filosofia rende infatti obbligatorio questo salto che porta
comunque in un cul de sac: se, come mero pensiero dell'essere, la filosofia poteva condurre soltanto
all'Ilozoismo, come tentativo di razionalizzare la Rivelazione essa conduce al Panteismo. In entrambi i casi si
hanno conseguenze irreparabili per una Rivelazione profetica, perch nell'un caso si cadrebbe nel mero
materialismo, irreligioso; nel secondo ciascuno potrebbe esser Profeta e ne sarebbe disgregata la Legge, come
avviene al termine di ogni esoterismo, e avvenne anche nell'eterodossia islamica.
Giunti a questo punto nodale del nostro discorso, mi sembra quindi che si possa volgere lo sguardo a
quella polemica di al-Ghazl con i filosofi, e di Averro con al-Ghazl, che segna un momento fondamentale
nelle scelte "teologiche" dell'Islam, che vanno comprese per raffrontarle ad altri percorsi: e poich i "filosofi"
sono innanzitutto al-Frb e Avicenna (980-1037) soffermiamoci allora un attimo su quest'ultimo. Su Avicenna
esiste una letteratura immensa, anche perch egli influ in modo determinante sul Neoplatonismo del Medioevo
occidentale, a partire dalla Scuola di Chartres: un Neoplatonismo le cui conseguenze eterodosse sono state
segnalate nel testo. Per conseguenza, essendomi impossibile affrontare un tale monumentale complesso di studi,
mi limito a sottolineare punti che mi sembrano essenziali per restare nel tema introdotto dal titolo.
Avicenna vuol presentarsi come un aristotelico, di fatto un autentico neoplatonico; ci viene
imputato al suo rapporto con il presunto Aristotele della Teologia e con gli altri antecedenti greco-arabi: ed
ovvio. Tuttavia la ragione pi profonda di tale inevitabile inclinazione resta sempre, a mio avviso, l'esigenza di
coniugare il pensiero greco con un Dio creatore annunciato da un Profeta. In altre parole, quello che si definisce
pensiero greco-arabo ha gli stessi problemi del Neoplatonismo cristiano, al quale si ricongiunger nel Medioevo
occidentale; e di quello ebraico, perch rappresenta l'inevitabile approdo di chi voglia pensare il senso di questi
tre monoteismi entro le strutture del pensiero greco, che, per tutti i "filosofi", rappresenta il pensiero tout-court,
entro il quale soltanto si potrebbe "pensare".
Avicenna riprende temi che gli vengono da al-Frb e discendono da Alessandro di Afrodisia, ma in
lui presente una spiccata dimensione religiosa che lo tiene radicalmente lontano dagli esiti intellettualistici di
un Ibn Ba. Avicenna, come, del resto, gli altri filosofi islamici, sempre e comunque innanzitutto un
Musulmano che non perde di vista i cardini della propria fede, pronto eventualmente a piegare il pensiero alla
loro comprensione razionale. Il risultato che la pi alta forma della conoscenza sar da lui identificata con
quella profetica, e la via per raggiungerla sar quella di un pensiero soprarazionale, intuitivo, unito a particolari
disposizioni dell'anima. Questo punto importante perch Avicenna non pu considerarsi un mistico, un Sf;
Avicenna un filosofo il quale tuttavia ritiene che il raggiungimento del Vero avvenga per un atto di adesione
immediata, esperienza per la quale egli usa tanto il termine ittisl, che indica un rapporto, una relazione; quanto
il termine ittihd, vera e propria immedesimazione nell'Intelletto Agente.
Sul ruolo di quest'ultimo come dator formarum, Avicenna si riaggancia alla dottrina farabiana dei
moti, ai dieci Intelletti, con gli astri ad influire sulle cose del mondo, in quanto determinano, grazie ai propri
moti, la "preparazione" della materia, rendendola idonea al recepimento delle singole forme. Questo della
materia "preparata" un argomento intricato, che anticipa gli equilibrismi di Avicebron (cfr. p. 455). Avicebron
pens di risolverlo con un doppio flusso della Volont divina, nella materia e nella forma, armonicamente
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prestabilito; in Avicenna uno dei due flussi passa per gli astri, l'altro per l'Intelletto Agente, ma l'implicito non
pu che essere il medesimo: un'armonia "prestabilita" che consenta l'unione della Forma con la materia
"preparata".
L'ontologia di Avicenna, che pure ricalca schemi farabiani nel tema della catena discendente degli
Intelletti e in quello della risalita del mondo sublunare in direzione dell'Intelletto Agente ("la perfezione
dell'anima razionale di divenire un mondo intellettuale in cui si disegni la forma del tutto, l'ordine intelligibile
che nel tutto e il bene che fluisce nel tutto", Metafisica, a cura di O. Lizzini e P. Porro, trad. di O. Lizzini,
Milano, Bompiani, 2002, pag. 425) si differenzia tuttavia per la spiccata impronta neoplatonica sostenuta dal
ruolo determinante dell'anima.
L'anima tutta intera assume un ruolo guida laddove la Ragione vacilla; sulla base della Ragione non si
raggiunge la Verit, dice Avicenna nel Trattato sul destino, ma l'anima potr raccogliere i suoi frutti se accetter
di procedere con umilt, senza fare affidamento soltanto sulla propria razionalit. l'anima, come principio di
moto, che guida nella giusta direzione. Anche i corpi celesti sono animati, per questo tendono verso il bene
supremo in un moto circolare infinito, metafora dell'eterno inseguimento dell'Utopia, della fonte di ogni divenire.
Quando si cerca il Vero non si giunge al proprio scopo senza un aiuto dall'Alto, dall'assolutamente Altro,
imperscrutabile alla ragione umana.
L'anima dunque principio di moto tramite la rappresentazione immaginativa, che veridica; il moto
infinito che il Primo Motore genera nelle anime dei corpi celesti, tale perch procede da esso verso un altro
motore, cos come l'amato diviene il fine per l'amante, per il quale il Bene. Tutta la natura procede da questo
centro, e muove verso di esso a causa del desiderio naturale di perfezione, intellezione del Bene per propria
scelta, per volont del Bene reale: "e questo movimento come se fosse un culto angelico o celeste" (Met., cit.,
IX, 2, 391). la stessa visione che ebbe Dante nell'ultimo canto del Paradiso: un ruotare attorno a Dio di un
mondo angelico e animico che da Lui si "squaderna" e in Lui "s'interna" (Par. XXXIII, 85-87). il moto gi
formulato da Aristotele nel Libro della sua Metafisica, 1072 b: kine d os ermenon, ma il quadro totalmente
diverso: qui (come anche in Dante) l'amore non una sorta di deterministica attrazione verso la perfezione,
una scelta della volont in un cosmo tutto vivo e vibrante, angelico e animico, che si rispecchia nell'atto umano
della preghiera, moto di conversione in Dio; soprattutto, questo amore delinea un quadro religioso attorno al
Signore, come descritto nei testi religiosi, in questo caso il Corano.
Si tratta di un luogo importante nel pensiero di Avicenna, che ha un momento centrale nel suo
Trattato sull'amore, ispirato dal Simposio di Platone, ma che ormai ben al di l di esso, entro un'ontologia
neoplatonica e una visione essenzialmente religiosa. Qui si parte dal rifiuto della materia come non-essere, che
persiste nella Metafisica dove il Male originato da un'indigenza intrinseca della materia, a causa della quale la
Provvidenza pu esercitarsi soltanto entro i limiti del possibile nel mondo sublunare; e da una concezione
tipicamente platonica dell'anima, come colei che si colloca in posizione mediana tra l'assoluta perfezione e
l'estrema indigenza. Essa per dotata di un amore innato verso l'Essere dal quale promana, dando vita al
duplice movimento di processione e ritorno in un cosmo nel quale l'amore tutt'uno con l'essere. L'amore, come
desiderio o come nostalgia esiste ovunque: negli elementi (ricordate Ficino?), nei corpi inanimati, nei vegetali,
negli animali, esplicandosi nei modi propri a ciascuno di questi livelli dell'essere.
Nell'uomo la facolt razionale viene in aiuto alla forza animale conducendola a pi elevate
realizzazioni, come anche la facolt immaginativa viene in aiuto di quella razionale, sicch esse, unite,
raggiungono la pi alta chiarezza. Questa premessa serve a comprendere perch, grazie all'unione della facolt
razionale e della forza animale, il saggio abbia una naturale attrazione verso la bellezza della giovent, e come
ci possa poi risolversi in una crescita in direzione del Bene.
Le anime umane, come anche quelle angeliche, essendo di origine divina amano necessaramente il
Sommo Bene, pur non conoscendolo; e lo amano al fine di raggiungere la propria perfezione; il massimo
avvicinamento ad esso l'unione con la Sua manifestazione, che la Sua essenza. Il primo a riceverla come in
uno specchio l'Intelletto Universale, e questa trasmissione/recezione si ripete nella catena degli Intelletti sino
all'Intelletto Agente. Di l la manifestazione del Sommo Bene discende ancora e muove sin le potenze animali,
vegetali e fisiche, le quali, secondo ci che possono, si sforzano tutte di disporsi a Sua somiglianza. L'amore
dunque al tempo stesso principio di moto e principio di conoscenza, che pervade tutta la natura; ci comporta di
conseguenza che l'emanazione divina sia un atto di continua creazione: se essa s'interrompesse, l'universo tutto
cadrebbe nel non-essere.
Anche l'anima umana, intermediaria tra perfezione e indigenza, pu essere attratta nelle due direzioni;
dunque evidente che, all'interno di questa ontologia, tanto pi si persegue la conoscenza, quanto pi l'anima
s'allontana dalla materia, volgendosi al mondo intellettuale dell'Intelletto Agente. Veniamo dunque al problema
della Profezia, la quale, come s' visto, trae origine dall'incontro del moto discendente del flusso divino
attraverso gli Intelletti, con la risalita del mondo sublunare sino all'intelletto in atto, che va a specchiarsi
nell'Intelletto Agente. L'anima di colui il cui intelletto raggiunge la massima perfezione, raggiunge la capacit
della Profezia. Gli angeli gli appariranno assumendo forma, ed egli udr la Voce di Dio. Tuttavia la dottrina della
Profezia di Avicenna alquanto complessa, ed utile accennarne, per comprendere quanto egli si distacchi
dall'intellettualismo di al-Frb e Ibn Ba, in qualit di portatore di un'intensa religiosit neoplatonica.

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Questo suo neoplatonismo va chiamato in causa anche nel determinare una precisa e importante
caratteristica del suo pensiero, la distinzione tra un pensiero "discorsivo" -quello cio che si fonda sulla Ragione-
e il rapporto immediato con il Vero tramite l'Intuizione intellettuale. Questo argomento pu essere affrontato a
partire da D. Gutas, Avicenna and the Aristotelian Tradition. Introduction to Reading Avicenna's Philosophical
Works, Leiden-N. York-Kbenhavn-Kln, E.J. Brill, 1988; e da un articolo di P. Adamson, Non-discursive
Thought in Avicenna's Commentary on the Theology of Aristotle, inserito nel collettaneo edito da Mc Ginnis,
Interpreting Avicenna, Boston-Leiden, E.J. Brill, 2004; nonch da un altro articolo ivi incluso, quello di M. Afifi
al-Akiti, The three Properties of Prophethood in Certain Works of Avicenna and al-azl.
Avicenna ha sottolineato tre caratteristiche necessarie alla Profezia: una facolt immaginativa capace
di ricevere il flusso divino sotto forma di immagini e di parole; un particolare acume che consenta l'Intuizione
intellettuale, cio quel contatto diretto con l'Intelletto Agente che consente un'apprensione immediata del Vero
senza procedere per sillogismi; un'anima purificata dalla preghiera che consenta alle facolt psichiche di agire
sulla natura operando il miracolo.
All'interno di questa struttura vi sono tuttavia alcune osservazioni da fare. L'Intuizione intellettuale
che conduce al Vero, non un evento mistico, la conoscenza che ne deriva non mistica, anche se conoscere
Dio diverso dal conoscere un triangolo. Per Avicenna, anche se l'Intellezione precede la logica nella scala della
conoscenza, la conoscenza del Vero s'identifica con quella della realt ontologica, ovvero delle Forme o degli
Intelligibili. Ci significa che Intuizione apprensione totale e immediata, non per via sillogistica, di un reale la
cui struttura comunque sillogistica. Ci che l'Intuizione afferra immediatamente, senza sforzo di ricerca, e che
viene subito alla mente, il termine medio del sillogismo, e con esso la conclusione; entrambi vengono dal
flusso divino la cui recezione predisposta dalla purezza dell'anima. Avicenna conosceva l'Asclepio; se
pensiamo poi a quanto gi detto, alle facolt dell'anima purificata che possono agire sulla natura, sembra
spontaneo andare con la mente alla magia di Ficino.
Per altro aspetto, considerando la conoscenza del reale come conoscenza immediata che cortocircuita
la Ragione in direzione di una struttura comunque logica del reale stesso, viene in mente anche il rapporto di
analogia con il primato romantico dell'artista/filosofo/profeta nella via della conoscenza; analogia motivata dalla
comune matrice neoplatonica e con la necessit di superare i limiti del Razionalismo senza cadere
nell'irrazionalismo. Viene in mente anche la concezione, tutta moderna, dei processi psichici inconsci. In questo
processo di apprensione immediata, non si deve perci dimenticare l'importanza della facolt immaginativa,
perch, come afferma lo stesso Avicenna (in Gutas, cit., pp. 161-162) pu accadere che la potenza del flusso
inondi l'immaginazione, che, in tal caso, riverbera quel flusso in immagini visive o auditive. Non per nulla, una
delle vie di apprensione del reale indicate da Avicenna, il sogno.
Il flusso divino che investe l'intelletto di un'anima purificata, dunque una discesa dello Spirito Santo
(al-ruh al-muqaddas) che genera la Profezia; ma il Profeta, precisamente perch chiamato a dare agli uomini la
Legge divina che ne regola la convivenza e svela loro realt inaccessibili, non potr che esprimersi attraverso
parabole e metafore, al fine di rendersi comprensibile a tutti. Perci parler dell'Aldil nei modi pi accessibili
alla gente comune: con ci Avicenna sottolinea la propria concezione filosofica, che, in accordo con le premesse,
non pu prevedere piaceri e castighi corporali. Egli, seguendo una logica neoplatonica, vede infatti nell'anima il
solo elemento immortale, onde i piaceri e i castighi possono riguardare soltanto lei, n pensabile una
Resurrezione dei corpi: una dottrina che sar considerata definitivamente ereticale da al-Ghazl, e che meriter
un lungo trattato di confutazione da parte di Ibn Taymiyya, perch, di fatto, smentisce inequivocabilmente la
Rivelazione con la pretesa d'interpretarla filosoficamente. Riducendo il dettato profetico a metafora per gli
incolti, Avicenna pretende che il filosofo sia il solo in grado d'indagarne il simbolismo, di andare oltre la lettera
comprendendo ci che essa vela, ricavando per s uno statuto previlegiato entro la Ummah. La Profezia cos
com', resta comunque per lui una necessit della societ umana, e anche gli aspetti rituali che essa impone sono
indispensabili a mantenere viva e attuale la Rivelazione, che, altrimenti, potrebbe cadere in oblio.
La dottrina della Profezia di Avicenna si distacca da quella di al-Frb perch investe anche la facolt
intellettuale (cos sar anche in Maimonide) e non soltanto quella immaginativa, ma sar comunque inaccettabile
per al Ghazl come per Ibn Taymiyya, i quali hanno ben presente il rischio di dare dell'affabulatore al Profeta, e
i rischi che correrebbe la religione stessa una volta disancorata dalla letteralit del dettato: e la religione, nel caso
dell'Islam, la struttura che configura la societ, norma anche (e soprattutto) sociale, quindi giuridica. Sembra
oltretutto poco "islamico" suddividere antropologicamente la Ummah tra coloro che debbono stare "contenti al
quia" e una schiera di Eletti che possono porsi, sia pure con discrezione, al di sopra del clero e dei giurisperiti in
materia di religione.
Vi sono dunque almeno tre punti nei quali la conciliazione di filosofia e religione operata da
Avicenna, pu creare un contrasto con la Rivelazione e concreti rischi di dissoluzione della religione rivelata. Il
primo la dottrina della Creazione come irradiazione da un Dio nel quale s'identificano essenza ed esistenza
(Egli il necessariamente Esistente) onde il Suo conoscere la propria essenza conoscenza dell'essere che,
precisamente in quanto conosciuto da Lui, instaurato nell'esistenza. Ci significa, come gi notato, che
l'esistenza del mondo sorretta dall'esistenza di Dio e che la creazione un atto eterno e necessario: dunque
eterno anche il mondo, che non fu creato nel tempo; e che la Creazione non un atto libero della Volont divina.

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Due punti che non soltanto smentiscono la Rivelazione, ma che snaturano la figura stessa del Dio dei tre
monotesmi, dunque anche di quello islamico.
Il secondo quello appena esposto, un dettato profetico che si articolerebbe per simboli, allegorie,
metafore, al fine di rendere comprensibili a tutti verit accessibili a pochi. Inficiare la letteralit di un dettato
significa aprirlo a infinite interpretazioni, senza contare che ne conseguirebbe lo svilimento di quella classe
sacerdotale, che della letteralit custode e interprete, a favore della corporazione dei filosofi. Ci significa
innanzitutto gettare nell'incertezza la massa dei fedeli, quindi minare la compattezza di quella Ummah che
preoccupazione prima dell'Islam, perch soltanto una societ "giusta" -come pensava, a suo modo, anche al-
Frb- consente lo sviluppo virtuoso dell'individuo.
Il terzo riguarda il fondamento neoplatonico dell'ontologia di Avicenna, con tutte le considerazioni e
le conseguenze che si possono trarre dalla sua Epistola sulla vita futura, a cura di F. Lucchetta, Padova,
Antenore, 1969. Qui Avicenna sostiene la totale svalutazione del corpo, quindi della materia, e sviluppa la
dottrina che identifica l'Io, la hcceitas dell'uomo (la discussa anniyya, per la quale cfr. la nota di O. Lizzini a
pp. 1302-1303 della Metafisica, cit., e il saggio di M.T. D'Alverny, Anniyya-Anitas, ripreso come art. X in
M.T.D'Alverny, Avicenne en Occident, Paris, Vrin, 1995) con la sua sola anima. Per Avicenna la materia diviene
ricettacolo per un'anima che sostanza separata dal corpo, sostanza spirituale, luogo inesteso degli intelligibli,
ci di cui egli d una lunga e dettagliata "dimostrazione". L'anima umana, aggiunge, quando raggiunga la propria
massima perfezione, s'identifica con le sostanze angeliche, diviene anch'essa una pura Intelligenza separata; la
sua felicit ultraterrena sar dunque precisamente nel raggiungimento di questo stato, una volta liberata
dall'ingombro del corpo. Con un'affermazione esplicitamente non aristotelica, Avicenna nega infatti che il
rapporto tra l'anima (nafs) e il corpo umano (badan) sia identificabile con quello tra la forma (sra) e la materia
seconda (mdda). Tuttavia l'effetto negativo del legame con il corpo pu manifestarsi con un suo influsso
sull'anima, che pu restare contaminata dalle passioni; di qui la complessa gerarchia dei trattamenti post mortem
riservati alle anime. Siamo dunque alla negazione di due cardini della Rivelazione: premi e castighi legati a
piaceri e sofferenze corporali, come affermato dal Corano; e Resurrezione dei corpi preconizzata per la Fine dei
Tempi (ma per un mondo eterno, levitante sull'eternit di Dio, non si comprende come possa esservi una Fine dei
Tempi, se non nell'interpretazione esoterica degli Ikhwn as-Saf). Avicenna chiude il suo trattato dicendo
qualcosa di pi: anime rimaste troppo sotto l'influsso del corpo potrebbero per immaginare la propria
condizione nella tomba (una problematica che esiste nell'Islam, questa della remunerazione nella tomba, e che
risponde al dilemma del doppio giudizio trattato nell'Appendice alla V ed.) sotto forma di sensazioni corporee
positive o negative.
V' poi un quarto punto nel quale la filosofia di Avicenna si scontra con la Rivelazione, riguardo
l'omniscienza divina, intesa in modo troppo elaborato per poter combaciare con il suo significato rivelato.
Avicenna, in Metafisica, VIII, 6, negava che Dio potesse conoscere le cose particolari; infatti, per l'adeguamento
dell'intelletto all'intelligibile che sottost al concetto razionalista di conoscenza (adeguamento della proposizione
alla cosa) se Dio conoscesse le cose particolari, Egli diverrebbe le cose stesse. Egli, viceversa, intellige ci di cui
Principio a partire dall'Intelligenza di Se stesso, dunque intellige le cose soltanto in modo universale, coglie
cio le cose particolari soltanto in quanto Universali. Ci non significava, per Avicenna, negare la conoscenza
divina dei particolari, ma postulare una conoscenza di essi diversa da quella umana, che li conosce nel loro
accadere nel tempo, e affermare in Dio una conoscenza assoluta, atemporale, di tutte le possibili cause e degli
infiniti causati che ne derivano. Evidentemente ci andava oltre il dettato profetico, che veniva a perdere il
proprio significato concreto per divenire una mera oversimplification ad uso degli incolti: e qui si va contro il
significato stesso di ogni possibile religione del Dio dei monoteismi.
Mi sembra evidente che l'accordo di "filosofia" e Rivelazione si mostri ancora una volta come una
forzatura di quest'ultima per farle posto nell'ordine razionalista della prima: siamo cio al tentativo di accordare,
con i dovuti aggiustamenti, una religione a una filosofia, non allo sforzo religioso di avvicinarsi alla religione
con la ragione, di comprenderne cio la razionalit. Se si considera che, nell'Islam, la religione un sistema
giuridico che regge la comunit, la cui compattezza la sua prima preoccupazione; che al tempo di Avicenna
erano emersi problemi quali la presenza di un Califfato ismlita, quello dei Ftimidi del Cairo con la loro
penetrante propaganda religiosa; che poco dopo la sua morte i Selgiukidi si erano impadroniti di Baghdad, dove
il Califfo Abbside era ormai una figura puramente di facciata per quanto riguardava l'esercizio del potere
politico; si comprender facilmente la preoccupazione che la filosofia in s poteva generare nel pio musulmano
pensoso delle sorti della Ummah, di una Ummah che, con l'arrivo dei Selgiukidi, veniva confermata nella sua
compattezza sunnita dopo la cacciata dei Byidi shiti.
In questa preoccupazione matura l'opera di al-Ghazl, che, se qui viene presa in considerazione nella
sua guerra ai filosofi, in particolare al-Frb e Avicenna, importante per illuminare la differenza tra un
Dio/Volont e il dio dei filosofi; non pertanto andrebbe vista in un'ottica cos limitativa. Il "rifiuto" della filosofia
non che un tassello dell'opera intellettuale di al-Ghazl, che, tra l'altro, va vista essenzialmente nell'ambito di
una polemica contro l'Ismailismo. Come ho ricordato nel testo, l'esoterismo ismlita poggia su un'ontologia
neoplatonica, con la quale mostra un deciso parallelismo: basti pensare a Sijistn e agli Ikhwn as-Saf, dei
quali ultimi si sempre ipotizzata la matrice ismlita. Il problema della "filosofizzazione" della religione
infatti centrale per tutte quelle deviazioni dal dettato che nascono dalla pretesa umana di razionalizzare il divino,
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come intu bene Ibn Taymiyya nel suo attacco al Neoplatonismo e ad Ibn Arab, centrato sulla negazione degli
intelligibili e del concetto di "essenza": la ragione umana costruisce a posteriori i propri universali, per mera
astrazione, e non pu contenere l'inesauribilit del reale: la cosa irriducibile alla proposizione, il reale al
razionale. In questo egli fu un seguace di al-Ghazl come critico degli esiti della filosofia greco-islamica, da al-
Frb ad Avicenna.
Al-Ghazl dunque, critico della filosofia, fu un critico per nulla estraneo all'oggetto delle proprie
critiche (tanto che, su questo, fu a sua volta criticato da Ibn Taymiyya). Come ha sottolineato F. Griffel,
Apostasie und Toleranz im Islam. Die Entwicklung zu al-azl Urteil gegen die Philosophie und die Reaktionen
der Philosophen, Leiden-Boston-Kln, E.J. Brill, 2000, p. 260 sgg., la filosofia gli fu familiare sin dalla
giovent. Del resto, la sua confutazione dei filosofi e la successiva confutazione del suo testo da parte di
Averro, s'iscrivono espressamente in una controversia "filosofica", con un particolare peraltro essenziale: al-
Ghazl parla da uomo religioso, cui sta essenzialmente a cuore la letteralit di una Rivelazione e il suo
significato sociale e politico.
La preminenza di questo interesse politico e sociale, imprescindibile da un'autentica religiosit
islamica, appare evidente dagli obbiettivi della sua battaglia, che non riguardavano soltanto la filosofia del
neoplatonismo islamico. Ai filosofi egli associava infatti gli esoteristi (btiniyya) cio gli Ismliti, ma anche i
mistici nelle loro estasi e pretese d'identificazione divina; nonch la religiosit settaria delle varie fazioni. Fu
critico infatti tanto nei confronti degli hanbaliti, quanto dei mutaziliti; i primi sostenevano infatti un lettaralismo
tradizionista, i secondi pensavano di poter fondare sulla ragione umana le norme legali ed etiche, che non sono
fondabili, secondo al-Ghazl, senza una Rivelazione. Ci che egli persegue qualcosa di apparentemente
mediano tra le due vie, uno sforzo di ricerca razionale a partire dal dato di fatto della Rivelazione: l'ordine
delle priorit dei filosofi viene invertito. Non il dettato a dover essere interpretato (di necessit,
allegoricamente) nella cornice filosofica; il pensiero, che deve trovare una propria razionalit a partire dal
dettato.
La prima preoccupazione di al-Ghazl la Legge, e questa pu provenire soltanto dalla Rivelazione,
perch viene da Colui che, creando, ha impresso il proprio ordine al Creato: dunque ci che Egli impone
all'uomo risponde alla natura stessa delle cose, dell'uomo e della societ, nella quale si esplica il solo modo
possibile di esser uomo; l'uomo infatti animale soltanto sociale. La Rivelazione perci la fonte della
razionalit della vita sociale; per questa ragione v' un interesse fondamentale di al-Ghazl verso la teologia
dogmatica; e per questa stessa ragione, cio per l'importanza di un'armoniosa vita sociale, egli fu anche nemico
delle dispute tra le scuole.
In effetti egli assunse al riguardo una posizione indipendente: fu sicuramente shfita (il richiamo a
Shfi costante in materia di diritto) a prescindere dal suo discusso rapporto con lo Asharismo (vedi al
riguardo l'articolo di Makdisi, The non-asharite shfiism, etc., cit. in Bibl. a p. 850; ma anche Griffel, cit., pp.
264-265 in nota 22); fu per anche vicino al pur criticato hanbalismo per quanto riguarda il richiamo salafita,
volto a considerare l'epoca d'oro dei Compagni come paradigmatica di un Islam esemplare nell'accettazione
indiscussa della Rivelazione. In effetti, la razionalit di al-Ghazl, non tanto si applica alla dimostrazione della
"verit" della Rivelazione, quanto al convincimento della razionalit di adeguarsi ad essa.
Nella preminenza che ebbe per lui la finalit politica della Rivelazione, la sua razionalit diviene
essenzialmente ragionevolezza, sfiorando anche un sostanziale quietismo (che contrasta con l'intransigenza cui
pu giungere il Razionalismo mutazilita); in presenza di un sovrano ingiusto miglior cosa evitare la ribellione,
perch l'ordine il bene pi importante, soltanto nell'ordine il pio musulmano pu vivere una vita rispettosa del
dettato religioso. In questa visione s'inquadra anche il profondo interesse di al-Ghazl per il fondamento del
diritto (usl al-fiqh) quindi per Shfi. Al riguardo mi sembra importante segnalare quanto rilevato da Makdisi
(cit., p. 240) cio che a partire da Shfi si form una linea di "giureconsulti-teologi" che, al di l delle personali
differenze di opinioni, diedero vita a un movimento religioso tradizionalista (avverso alla teologia razionale dei
mutaziliti, e vittorioso nella fondazione di una "ortodossia" sunnita) che va da Shfi a Ibn Hanbal, ad al-
Ghazl a Ibn Taymiyya. Si tratta di una linea di pensiero che si articola all'interno di quel fenomeno di distacco
tra la guida spirituale della Ummah e il potere politico, che segna la crisi del concetto di Califfo come "Vicario
di Dio".
Questa vicenda trova un'interessante interpretazione all'interno della storia dell'accoglimento del
pensiero greco nell'Islam, da parte di D. Gutas, Pensiero greco e cultura araba, a cura di C. D'Ancona, trad. di
C. Martini, Torino, Einaudi, 2002, pp. 89-121. Gutas sottolinea le vicende politiche che condussero l'usurpatore
al-Mamn ad instaurare la famosa mihna, con la quale il mutazilismo diveniva "ortodossia di Stato". Questa
vicenda ha aspetti personali (i modi dell'avvento al trono, grazie all'uccisione del fratello al-Amn, legittimo
Califfo); culturali (la formazione persiana a Marw di al-Mamn, e i suoi stretti rapporti con gli ambienti
persiani, la loro cultura, il loro potere, e la visione imperiale centralizzata della tradizione sassanide) e politici (la
necessit di rinsaldare il declinante concetto di Califfo/Vicario di Dio, cio supremo depositario della legge
religiosa).
Su quest'ultimo punto, l'interesse ad esaltare il Razionalismo della filosofia greca si univa a quello di
porre a fondamento della legge religiosa islamica la teologia "razionale" (meglio sarebbe dire "razionalista") del
kalm, praticata dai mutaziliti. In una discussione teologica fondata su argomentazioni "logiche", evidente
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infatti che il Califfo sarebbe sempre stato in grado d'imporsi, specialmente in un consesso di teologi che, in
questa struttura, non potevano che costituire una casta di funzionari dello Stato, obbligati verso il potere politico
per la propria stessa posizione.
La vicenda ha un preciso riscontro, sottolineato da Gutas, nell'ideologia politica promossa, da al-
Mamn, bellicosamente anti-bizantina e poggiante sulla proclamazione dell'Islam come vero e unico erede della
"razionalit" greca, abbandonata dai Bizantini per la loro adesione al Cristianesimo. Non per nulla, una precisa
linea dei falsifa, i filosofi islamici, sar un virulento anti-Cristianesimo motivato dall'irrazionalit della
religione cristiana: una linea peraltro comune al non meno rigido razionalismo dei loro pi fieri avversari, come
quell'Ibn Taymiyya del quale scrive Laoust, Essai sur les doctrines, etc., cit. in Bibl. a p. 849, che fu pi
aristotelico di molti teologi scolastici (p. 244). L'irrazionalit del Cristianesimo consisterebbe in quella figura di
Cristo "Figlio di Dio" estranea gi al Giudeocristianesimo, che faceva di Cristo un semplice Profeta.
Griffel (cit., pp. 3-199) ha rievocato l'affermarsi dell'usl al-fiqh e dello hanbalismo nell'ottica del suo
studio sull'avvento dell'intolleranza all'interno dell'Islam, come una vicenda che parte dal IX secolo e dalla
mihna, e che vede in primo piano l'affermarsi della dottrina giuridica di Shfi, con la nascita del concetto di
"Sunnah del Profeta", la razionalizzazione del concetto di naskh, e la possibile prevalenza della Sunnah del
Profeta sullo stesso Corano: esempio principale, l'introduzione della pena di morte per gli apostati, negata dal
Corano ma affermata dalla Sunnah. Nella Baghdad tollerante di al-Mansr si erano sviluppati, come ricorda
Gutas a p. 90, atteggiamenti culturali diversi e contrastanti, che erano sfociati in disordini e in aperti dissensi con
l'avvento di al-Mamn, anche per il modo in cui questi era giunto al potere, una vicenda che rafforz il dissenso
popolare verso la politica califfale. Uno dei punti sui quali si acu l'opposizione al mutazilismo dello Stato, fu la
dottrina relativa al Corano, "creato" (nel senso di opera d'ispirazione divina, ma materialmente umana) per i
mutaziliti; "increato", cio esistente presso Dio nella sua letteralit e da Lui disceso, per i tradizionalisti, a
fondamento del loro rifiuto di una sua "interpretazione" razionale.
Gli effetti della mihna furono al riguardo negativi: la posizione dei tradizionalisti divenne, per
costoro, un dogma, la cui negazione avrebbe comportato la condanna a morte per apostasia (Griffel, p. 116). Vi
furono sommosse di plebe, e un rigido tradizionalista come Ibn Hanbal ( 856) fin in prigione come avversario
politico del Califfo, ma il dissenso popolare rimase tale che la mihna dovette essere rapidamente abrogata
nell'848 da al-Mutawakkil (Griffel, pp. 116-118). I filosofi divennero dei nemici, e il ruolo dello Hanbalismo
divenne determinante nell'ambito di una giurisprudenza fondata sulla dottrina di Shfi. Sono gli anni della sua
definitiva affermazione, con la compilazione di un corpus di ahdth "certificati" grazie all'opera di Bukhr
(870) e di Muslim ( 875). Con l'inizio del X secolo infine definita la versione canonica del Corano, grazie
allo stabilimento della vocalizzazione e degli altri segni diacritici.
In questi decenni, che vedono dunque l'affermarsi definitivo di tradizionisti e tradizionalisti e nei quali
la filosofia dichiarata nemica della fede, tradizionalismo e shfismo procedettero, per dirla con Griffel (p.
146) "mano nella mano". Non soltanto l'ipotesi mutazilita di un Corano "creato" e la negazione, mutazilita e
filosofica, della "corporeit" di Dio che emergerebbe dalla letteralit del Corano; ma anche l'affermazione
filosofica di una coeternit del mondo con Dio, divennero anatema, insieme alla teologia dell'Ismailismo
connessa con la filosofia neoplatonica, e con i filosofi tout-court, considerati come una sorta di setta religiosa
ereticale sotto il nome eponimo di ahmiti, da ahm b. Safwn che, come i mutaziliti e al-Frb, aveva negato
l'esistenza degli attributi divini.
Con l'editto del Califfo al-Qdir (1018) scatta anche ufficialmente la condanna dei filosofi per
apostasia; non fu dunque al-Ghazl a seppellire la filosofia nell'Islam: al-Ghazl fu essenzialmente un giurista
che, al contrario, ebbe rispetto per la razionalit, e formul concetti di tolleranza sui quali lo stesso Averro
avrebbe potuto convenire (Griffel, p. 11). Se esiste una rigidit nel pensiero giuridico, questa va piuttosto
ricercata nelle conseguenze dell'opera di Shfi, cui al-Ghazl costantemente si richiama, e nei fondamenti del
diritto da lui fissati. Shfi aveva certamente dinnanzi a s il problema delle diverse scuole giuridiche locali, e
l'esigenza, opposta, di un sistema giuridico valido per quello che era ormai un Impero; aveva il problema degli
ahdth proliferanti e l'esigenza di stabilire principi per scremare l'attendibile dalle invenzioni individuali,
impresa che fu condotta a termine poco dopo da Bukhr e da Muslim. Aveva per anche la posizione ideologica
di un partito di religiosi che intendeva sottrarre la normativa giuridica dalle decisioni del Califfo, col risultato
concreto di bloccarne l'evoluzione. Per giungere a questo risultato, a monte della fissazione degli stessi criteri
giuridici, era per necessario bloccare ogni tentativo di teologia razionale, dalla quale sarebbe potuta discendere
un'interpretazione, e ancor pi, un'applicazione, evolutiva dei principi dell'Islam.
Per questa ragione, gi all'inizio della sua Risla (cit. in Bibl. a p. 851) compare l'affermazione che,
essendo Dio inconcepibile per la ragione umana, del tutto inutile scervellarsi nell'interpretare il senso della Sua
Legge, il cui testo va considerato nella sua letteralit; tutto quel che c' da sapere sta nel Corano, e lo sforzo
interpretativo (ijtihd) che deve applicarsi al testo, di natura semplicemente deduttiva.
Accanto al Corano, l'altra, e forse maggiore, fonte del diritto la Sunnah del Profeta, che rappresenta
l'esempio concreto, ispirato da Dio, della Legge divina, e che pu aiutare a comprendere certe rivelazioni,
contenute nel Corano, di difficile interpretazione. Sull'interpretazione della Legge saranno poi presi in
considerazione il consenso relativo, specialmente dei Compagni, e infine le analogie stabilite dai Compagni e dai
Successori. La Sharah conosce cos con Shfi la propria cristallizzazione, come volevano i tradizionalisti,
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primo tra tutti Ibn Hanbal che, col riferirsi a un fondamento intangibile posto a monte dello sforzo interpretativo
-sempre neccessario nelle fattispecie- ponesse un freno all'innovazione non soltanto soggettiva o localistica, ma
anche e soprattutto califfale.
La Rivelazione si era manifestata e chiusa col Profeta, il Corano era un documento increato esistente
presso Dio con la Sua Legge, la mente umana non ne poteva interpretare un senso recondito (btin) e doveva
prenderlo alla lettera, salvo comprenderlo alla luce dei detti e fatti tramandati sul Profeta, e, subordinatamente,
sui Compagni e i Successori, che dalla sua prassi erano stati direttamente o indirettamente guidati. In questa
cornice teologico/giuridica opportuno riferirsi ad al-Ghazl (1058-1111) la cui vita si svolge nell'ambito della
restaurazione sunnita di Nizm al-Mulk e dei Selgiukidi; e nei tempi della predicazione nizrita di Alamt, con i
suoi effetti destabilizzanti.
Il suo punto di partenza dottrinale, la sua ferma convinzione asharita, che non si possa stabilire una
scienza religiosa senza aver fede (Griffel, p. 262) e che la teologia non pu fondarsi sulla logica, ma pu
emergere soltanto da una profonda fede nella Rivelazione (ivi, p. 275); la Ragione uno strumento insufficiente,
utile soltanto per chiarire, entro i suoi ristretti limiti, le intuizioni che vengono dal cuore (Cruz Hernandez,
Historia, etc., vol. I, p. 255).
Nel suo Kitb Ihy ulm al-dn (Rinascita delle scienze religiose), egli pone sin dagli inizi una
dichiarazione di fede (aqda) alla quale deve essere tenuto ogni buon sunnita. Dio, secondo al-Ghazl,
assolutamente trascendente; tramite la Ragione si pu soltanto asserire che Egli esiste. Segue a ci l'affermazione
che Lo rende incompatibile con il dio dei filosofi: Dio non soltanto onnipotente, innanzitutto vivente, ed
creatore; la Sua omniscienza conoscenza dei minimi particolari, dei pi riposti pensieri e dei percorsi di ogni
insetto; nel mondo visibile e invisibile nulla accade, se non per Suo decreto. Dio fa quel che vuole: dunque non
soggetto ad alcuna legge e muta le leggi a Suo piacimento. Che Dio sia, oltrech un Dio/Volont, anche un
Dio/Persona, lo attesta la difesa di al-Ghazl dell'antropomorfismo che emerge dal Corano (la "faccia di Dio", le
"mani di Dio", etc.) che i filosofi declassano a metafora, ipotesi inaccettabile se si vuole considerare il Corano
nella sua letteralit, come Libro increato che comunica la Legge divina, ci che infatti ribadisce subito dopo al-
Ghazl. Perci Dio vede, ode, parla, e cos via, senza che ci possa in alcun modo far riferimento a organi e
sensi umani: ci avviene, ma come avviene incomprensibile all'uomo. Siamo quindi in presenza di attributi
divini: Dio Vivente, Conoscente, Potente, Volente, Udente, Veggente, Parlante, per vita, conoscenza, potenza,
volont, udito, vista, parola, non per mera essenza (Scritti scelti di al-Ghazl, a cura di L. Veccia Vaglieri e R.
Rubinacci, Torino, U.T.E.T., 1970, p. 155, corsivo mio). Questo "antropomorfismo" possibile in quanto non c'
nulla che assomigli a Dio; perci non serve immaginarLo con occhi, orecchie, etc; cos la Sua Parola non
somiglia alle nostre parole, non nel suono o nelle lettere.
La giustizia divina non pu essere giudicata dall'uomo; tutto ci che esiste stato creato nel tempo e
dal Nulla; Dio ordina e proibisce, promette e minaccia, premia e castiga; la natura delle ricompense e dei
tormenti post mortem deve essere intesa nella sua letteralit, anche corporea. In questi e altri punti del Corano,
l'uomo deve dunque credere alla letteralit del dettato, ad iniziare dal grande tema del Giudizio Finale e della
Resurrezione.
L'assoluta libert divina sta molto a cuore al al-Ghazl, e su questo punto egli si oppone a filosofi e
mutaziliti, cio a quel Razionalismo che vede Dio "obbligato" entro lo schema delle Sue proprie leggi, che Egli
non potrebbe contraddire; Egli ha fatto ci che ha fatto come lo ha fatto in assoluta libert; ha fatto anche delle
leggi, ma precisamente per ci ne al di sopra: la Sua maest non pu essere misurata col lgos dei mutaziliti,
anzi, non con la Ragione che si percorre la giusta via della salvezza. Ci non significa fare della conoscenza un
fatto mistico: l'anima la via della conoscenza, perch Dio ha fatto dell'uomo un microcosmo che ricalca il
macrocosmo; per questo motivo, l'anima umana pu giungere intuitivamente alla conoscenza degli attributi di
Dio. Al-Ghazl non neppure alla ricerca di un cieco fideismo, gli sono per assolutamente chiare l'inutilit
delle puntigliosit sofistiche e dei dubbi della teologia scolastica, cui erano totalmente estranei i Compagni del
Profeta: a quei tempi la disputa era biasimata e la conoscenza era conoscenza del Corano. Perci egli condanna
le vane elucubrazioni dei filosofi e le liti dei giurisperiti, accanto al libertinismo cui conduce l'esoterismo dei
btiniti, e all'arroganza estatica dei Sf che si autoproclamano divini: tutto ci disgrega la Ummah, alla cui
conservazione e difesa venuta la Rivelazione.
La vera conoscenza che parte dal mondo sensibile per giungere alla Causa Prima, possibile soltanto
per una illuminazione del cuore, che innalza ad un mondo ove gli opposti coesistono, una "verit" del tutto
estranea alla Ragione, che non pu chiederne conto a Dio, non pu chiederGli conto di quel che fa: dinnanzi
all'assolutamente Altro c' soltanto l'accettazione interiore di ci che Egli ha detto per bocca del Profeta (vedi
l'ispirata allegoria di al-Ghazl in Scritti scelti, cit., pp. 502-512).
La religione dunque per lui ben al di l delle vanit dei "sapienti", un modo di essere interiorizzato
che guida le azioni dell'uomo, una "verit" cui si aderisce e che si testimonia, una "verit" di vita, percezione di
un ordine che non si pu "dire" -le parole e la Ragione non possono circoscriverlo- si pu soltanto avvertire ed
accettare nel cuore. Al-Ghazl tutt'altro che estraneo alla logica e alla filosofia, semplicemente ne avverte i
limiti nei confronti di una religione. Egli conosceva la filosofia, ma riteneva i filosofi dei miscredenti (Griffel,
pp. 277-279) la cui eventuale ritrattazione non poteva essere accettata (contrariamente a quella degli uomini

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semplici che si ravvedevano) perch essi, coscienti della strumentalit delle proprie dottrine, potevano aver di
mira soltanto il potere: pertanto andavano giustiziati (ivi, pp. 290-291).
Su quest'ultimo aspetto del pensiero di al-Ghazl mi sembra necessaria una riflessione, mi sembra
cio necessario aver presente la differenza tra la teologia dogmatica -che stabilisce i fondamenti di una fede,
senza l'accettazione dei quali si fuori da quella fede- e la giurisprudenza. Su quest'ultimo piano al-Ghazl
s'inserisce indubbiamente nella catena tradizionalista che va da Shfi e Ibn Hanbal sino a Ibn Taymiyya, con
tutto il suo peso sull'ossificazione di una Legge modellata sui costumi delle societ mediorientali dell'VIII
secolo, un fenomeno sul quale agisce, oltre alla costituzione della "Sunnah del Profeta", la dottrina di un Corano
"increato", e perci l'accettazione letterale di un testo trdito la cui storica costruzione, e i relativi rapporti con le
contingenze storiche, vengono cos ad essere obliterati. Su questo piano, non si creda per che le posizioni di un
qd (giudice) quale era Averro, possano essere troppo diverse; le diversit potrebbero venire soltanto da una
nuova "Legge" e quindi da qualche nuovo "ispirato di Dio", quali si dichiararono Hasn II con la Grande
Resurrezione di Alamt, o il Bb; una linea di pensiero antica obliterata con la "sigillazione" della Profezia. Sul
piano ideologico, le posizioni di al-Ghazl meritano per una riflessione nel momento in cui vengono in
contrasto con quelle dei filosofi, perch ci che entra in gioco il rapporto tra il divino e l'umano.
Questo contrasto nasce dal noto testo di al-Ghazl contro la filosofia, il Tahfut al-Falsifah, cui
rispose, circa settant'anni dopo la morte di lui, Averro, con il suo Tahfut at-Tahfut. "Tahfut" stato tradotto
con "incoerenza" da M. Campanini, nel titolo L'incoerenza dell'incoerenza dei filosofi, cit. Al-Ghazl vi
condannava la dottrine di al-Frb e Avicenna, e Averro rispose in parte prendendone le difese, in parte
sottolineando il non corretto aristotelismo delle loro dottrine, creando quindi una nuova e migliore linea
difensiva sulla scorta di Aristotele. Averro riport in abbondanza nel proprio testo, il testo dell'avversario,
contestandolo puntualmente sui singoli passaggi: dunque costituisce una guida opportuna per analizzare il
contrasto.
Prima di trattarne mi sembra tuttavia interessante qualche cenno alle conseguenze pi immediate che
aveva avuto la condanna della filosofia da parte di al-Ghazl, sia per non attribuirle un peso indebito nel
progressivo inaridimento del pensiero islamico, sia per riflettere un istante sulle condizioni sociali e culturali
nelle quali deve essere inquadrata; anche perch, obbiettivamente, la filosofia non scomparve affatto dal
panorama dell'Islam, mentre l'appiattimento della riflessione religiosa a mera prassi giuridica tradizionalista era
un fenomeno ormai affermato gi ai tempi di al-Ghazl.
Ho gi citato lo studio di J. Brown (p. 868) nel quale si segnalano i contingenti interessi pratici dei
giuristi come causa dell'acritica accettazione generale dei principi stabiliti da Shfi. P. Crone ha pubblicato a
sua volta un'interessante analisi sui tre secoli che corrono all'incirca tra l'850 e il 1150 (Post-Colonialism in
Tenth-Century Islam, Der Islam, 83, 1, 2006) nel quale analizza la crisi del Califfato e le mutazioni della societ
islamica in qual periodo, allorch venne meno la leadership politica e culturale della componente araba del
primo Impero islamico, cui succedette, con gli Abbsidi, un'alta burocrazia e un'intellighentzia prevalentemente
persiana, con il conseguente progressivo allontanamento della societ islamica dalle strutture del potere. Con un
potere in mano dapprima a truppe mercenarie, poi ai Byidi, e una cultura d'impronta iranica, ellenizzante,
l'Islam non aveva pi quella semplice autoevidenza degli albori. Dinnanzi ai dubbi indotti dal razionalismo dei
mutakallimn e della teologia razionale in generale, e a un potere politico guidato da una propria logica lontana
dall'antico ideale islamico, la gente "cercava una verit unica e assoluta che non avesse nulla a che fare col
potere, e che tutti gli uomini potessero accettare" (p. 23). La risposta fu la gnosi ismlita e l'affermazione al
Cairo del Califfato Ftimide; questa situazione ebbe fine con l'avvento dei Selgiukidi e col relativo processo di
consolidamento di un'ortodossia sunnita, nel quale fu determinante l'opera di al-Ghazl.
Il nuovo equilibrio che si stabil descritto in modo sostanzialmente convergente con la Crone (anche
se da diverse angolazioni) da Th. Blanquis (Regard clair des lites, suivisme aveugle des masses, un truisme
pour les ulam arabes mdivaux, in Autour du regard, Mlanges Gimaret, d. par E. Chaumont, etc.,
Louvain, Peeters, 2003). Blanquis parte dall'ideale egualitario della societ araba, per sottolineare come tra la
mihna di al-Mamn e la sua abolizione ad opera di al-Mutawakkil, si siano andate tessendo due ragnatele. Una
avrebbe condotto, a partire dalle discendenze di Hasn e Husayn e con vari passaggi, ai Qarmati, ai Ftimidi, ai
Nizriti di Alamt; l'altra part dai funzionari e dalla classe colta, che presero a dominare due diversi indirizzi: il
campo culturale scientifico/filosofico e quello della scienza degli ahdth. In questa seconda veste, essendo stati
espropriati del potere dagli eserciti dominanti, essi cercarono una nuova base di potere nel popolo attraverso il
suo indottrinamento: questa l'epoca nella quale si affermarono le dottrine di Shfi e di Ibn Hanbal (vicende di
intellighentzie piccolo-borghesi al margine sembrano alquanto comuni nelle nostre storie: nota mia). Osserva
Blanquis, a proposito della dottrina del primo, che essa portava ad un processo di inserimento quasi automatico,
grazie all'analogia, di problemi attuali in un contesto relativo alla societ dell'epoca del Profeta, ci che limitava
la possibilit di dare un fondamento razionale ai giudizi. Quanto alla dottrina di Ibn Hanbal, essa si fondava sul
divieto di porsi domande in materia di religione, rinviando alla letteralit del testo.
Tra i rappresentanti dei due indirizzi, filosofico e tradizionalista, si cre una forte tensione: da un lato
una visione ecumenica e ottimista, che vedeva nel progresso umano la realizzazione del compito affidato da
Allh all'uomo; dall'altro una visione pessimista e passatista, che aveva come imperativo il modellamento della
societ su quella dei primi vent'anni dell'Egira. Il potere degli ulam, appartenenti a questa seconda schiera, si
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fond sugli strati inferiori della popolazione che ne furono indottrinati, anche per la presenza di molte anime
religiose distaccate da un potere ormai in mano ai militari. Gli Hanbaliti e gli Shfiti appartenenti ai cultori
dello hdith, ritenendo il popolo incapace di ragionare, e se stessi unici detentori della verit tramite la Sunnah;
condannavano tutti coloro che esercitavano il proprio giudizio razionale, i mutaziliti, gli Hanafiti, e gli stessi
Shfiti ashariti, funzionari del potere politico-militare; condussero la propria opera con l'apertura di madrase
sempre pi numerose, e, tramite i fondi religiosi, divennero anche i funzionari dei qudt (pl. di qd). Chi voleva
sfuggire a questo nuovo clima religioso trov rifugio nel sfismo, in una dicotomia che and accentuandosi. La
societ rimase nelle mani degli ulam, "matres penser autoproclamati del popolo musulmano" (p. 245) che
rifiutarono ogni confronto culturale col mondo reale loro contemporaneo, e dedicarono tutti gli sforzi
all'apprendimento mnemonico del Corano.
Questa dunque la societ dell'XI- XII secolo sulla quale si affaccia l'opera di al-Ghazl, e che non
aveva certo visto la fine della ricerca filosofica; "filosofo", come abbiamo visto, ancorch scettico sulla Ragione,
fu anche al-Ghazl, che fu anche Sf; certamente per non poteva ormai pi prescindere da una giurisprudenza
che era quel che era divenuta, alla quale non poteva sfuggire neppure Averro: anche lui, come qd, riteneva
giusto uccidere gli eretici (L'incoerenza, etc., cit., p. 486). Si sarebbe potuto avere un'alternativa soltanto
distruggendone i due fondamenti ormai acquisiti, che ne restringevano le scelte entro un recinto obbligato: il
dogma del Corano increato (non ammetterlo divenuto apostasia punibile con la morte) e il retroterra
leggendario della "Sunnah del Profeta", che paralizza la Sharah a norme, giudizi e costumi divenuti paradigma.
Come nota F. Lucchetta nella sua Introduzione a: Averro, L'accordo della legge divina con la filosofia, Trad.,
Intr. e Note di F. Lucchetta, Genova, Marietti, 1994, p. 100, "la ara finisce per diventare la quintessenza
dell'Islam, la rivelazione sentita soprattutto come rivelazione di una Legge: posizione legalista molto diffusa,
che sviluppa una spiritualit di obbedienza". Per inquadrare l'importanza, ma anche i limiti, del dibattito
"filosofico" innestato da al-Ghazl, viene allora da chiedersi: fu sempre cos? davvero una Rivelazione
soltanto una Legge con tanto di specifiche normative? o fu cos intesa e imposta dalla classe degli ulam nel
corso degli eventi sopra accennati? che cosa ha significato, nell'evoluzione del modo d'intendere, l'erosione e
l'eliminazione del potere innovativo che avrebbe potuto essere rappresentato dal Califfo "Vicario di Dio"? In
linea generale infatti, un potere politico che voglia rimanere tale e non essere scavalcato dagli eventi, dev'essere
attento a ci che fermenta; il contrario vale per le intellighentzie ideologizzate, che sopravvivono soltanto con la
cooptazione del Medesimo e l'emarginazione del Diverso. Vero , come suggeriva Ardashr (vedi infra) che i
religione e politica hanno interesse ad associarsi nella p infernale delle alleanze.
Punto l'attenzione su questo interrogativo perch in realt, nonostante tutti gli sviluppi giuridici che
mettevano ormai in pericolo la vita stessa dei filosofi, il dibattito non fu affatto arrestato dalla teologia dogmatca
di al-Ghazl; il problema sembra consistere, se mai, sull'influenza che essa pot avere negli sviluppi di una
societ ormai chiusa nella gabbia di una Legge pietrificata nei propri "fondamenti".
Secondo Griffel (p. 339) l'elemento determinante per l'affermazione dei giurisperiti tradizionalisti
(cio della cosiddetta "gente dello hadth") fu l'invasione dei Selgiukidi, che legittimarono il proprio dominio
nella lotta alla filosofia, tentando di farla scomparire. Nella lotta che si era sviluppata, il tradizionalismo
costituiva al tempo stesso una fazione in campo e un elemento di forza, perch, affermandosi come fazione
vincente, aveva a propria disposizione l'arma dell'intolleranza, garantita dal fatto che gli avversari potevano
essere accusati di apostasia, e l'apostasia poteva essere legalmente punita con la morte in base alla "tradizione".
Soltanto su questo piano giuridico e di collaborazione con i Selgiukidi si pu quindi considerare una eventuale
responsabilit di al-Ghazl, che, come sottolinea Griffel (p. 290) -e come abbiamo gi notato- era disposto ad
accettare la ritrattazione della gente semplice per la remissione della pena capitale: ma non quella dei filosofi.
Ci sono tuttavia altri aspetti significativi dei quali tener conto. A pp. 5-6, Griffel sottolinea come la
decadenza della filosofia nel mondo islamico non fu una semplice conseguenza della condanna di al-Ghazl, ma
di una vera e propria decadenza culturale generalizzata, concomitante con la crisi della cultura urbana provocata
dall'invasione selgiukide. Il mondo islamico, almeno nella sua parte orientale, sembra giunto al punto conclusivo
di un'involuzione culturale che parte da lontano, e, sotto l'aspetto giuridico, al-Ghazl non rappresenta che un
punto terminale di un'operazione iniziata da da Shfi e da Ibn Hanbal. Infatti, una disputa teologico-filosofica
(i due aspetti non possono essere disgiunti nell'Islam) pu anche far ritenere contrari ai dogmi della fede i tre
punti della divergenza (creazione del mondo nel tempo, conoscenza divina dei particolari e resurrezione dei
corpi): ma che ci significhi apostasia e comporti la condanna a morte non una conseguenza teologica,
un'opzione giuridica; e che la dottrina giuridica fosse quel che era, non fu opera di al-Ghazl, ma di Shfi e di
Ibn Hanbal. Prova ne sia che, mentre nel 1192 i libri di Avicenna sono bruciati a Baghdad (e ad Aleppo viene
condannato a morte Sohraward) nella scuola hanafita del XII secolo, la lezione di Avicenna genera persino una
corrente di diritto a lui ispirata (Griffel, p. 353).
Le opere dei filosofi del XII secolo, nel mondo orientale, eviteranno comunque di prender posizione
(se non per difenderle) riguardo le tre cause di apostasia ravvisate da al-Ghazl (Griffel, p. 350) mentre gli
studenti della madrase istituite dai Selgiukidi conosceranno le opere dei filosofi peripatetici soltanto nei riassunti
e nelle confutazioni redatti dai religiosi (p. 353). Diversa per , come abbiamo gi visto, la vicenda in Spagna,
da Ibn Ba a Ibn Tufayl ad Averro.

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Tutte queste premesse mi sono sembrate necessarie per affrontare il senso pi propriamente teologico-
filosofico della disputa di Averro con i testi di al-Ghazl; un senso che dev'essere a mio avviso ristretto,
almeno per il tema che ha aperto questo capitolo, a una diversa se non opposta figura di Dio.
Nella sua Introduzione (pp. 9-55) Campanini mette in luce in modo chiaro i termini del contrasto.
Averro fu un aristotelico, per il quale valeva necessariamente il cardine stesso del pensiero di Aristotele:
l'identica struttura della sintassi, della logica e del reale, dalla quale deriva un concetto di "verit" come adesione
della proposizione alla cosa; la verit quindi "una" e la si raggiunge nel discorso con un corretto uso della
logica. Se questa "verit" cos raggiunta fosse il corrispettivo, necessariamente unico, della realt, si giungerebbe
per ad un paradosso che resta l'insuperabile barriera divisoria tra una filosofia intesa come pensiero dell'essere,
e una religiost che va oltre le aporie della Ragione, aprendosi al pensiero della trascendenza. Ne conseguirebbe
infatti che "Dio" -il dio dei filosofi- non rappresenterebbe pi l'assoluta libert, non sarebbe l'Onnipotente e
Omnisciente Dio della Rivelazione, ma una ben povera cosa condizionata da leggi astratte come il principio
"logico" di non contraddizione. Non potrebbe fare, insomma, ci che vuole, ma sarebbe costretto a fare soltanto
ci che ha fatto. L'aristotelismo, sotto questo profilo, mal si adatta al Dio rivelato: abbiamo gi visto nel testo (p.
269) che esso fu condannato per le stesse ragioni dalla dottrina cristiana. L'aristotelismo costituzionalmente
inadatto per il semplice motivo che Aristotele aveva pensato un mondo eterno e governato da leggi proprie, onde
il suo "Dio" non era una Persona, ma una sorta di sublime attrazione del pensiero verso la quale tendeva tutto
l'essere: il pensiero di Aristotele era un pensiero dell'essere pago dell'essere stesso.
Al-Ghazl, al contrario -e lo abbiamo gi visto- pensava l'assoluta trascendenza del Dio rivelato per il
quale non vale il principio di non contraddizione che regola la logica del discorso: in Dio gli opposti coesistono,
come mostr con una bellissima parabola (loc. cit.). Ne conseguiva un principio importantissimo che domina la
religiosit islamica: la non aderenza della verit (logica, umana) con la realt: un principio che mette in crisi ogni
possibile Razionalismo e che viene espresso anche nel pensiero giuridico islamico, lo abbiamo visto nel testo a
proposito di Ibn Taymiyya (p. 223): la logica uno strumento insufficiente, all'uomo resta soltanto il concorso
degli indizi che porta al convincimento.
Qui forse opportuna una breve riflessione per mettere a fuoco quanto lontana da ci possa essere la
concezione di una razionalit del mondo equiparata a quella divina, che presente nella logica occidentale e che
un presupposto dell'Occidente stesso, inteso come ideologia: senza di essa non sarebbe nato il mito illuminista
del Progresso, tantomeno lo Storicismo. In questa visione per, la libert umana che sembra dispiegarsi,
viceversa coartata da una legge a lei esteriore, una legge meccanica dell'essere che ignora la trascendenza: una
trascendenza che nell'uomo stesso come Volont. Estrapolando il tlos ridotto alla sua misurabilit, si potuto
cos anche accusare di posizioni "antistoriche" chi non vedesse nella datit degli eventi la manifestazione
irrecusabile del Progresso: e questa per inciso, sembra un'autentica mascalzonata intellettuale. Viceversa un
Dio/Volont imperscrutabile che fa ci che vuole, portatore di una infinit che scacco alla pretesa della
Ragione di stabilire percorsi; garanzia della libert umana di correre percorsi imprevedibili, nascenti dalla
volont e portatori di una "verit" fondata sul vissuto, manifestata non nelle parole, ma nel fare quotidiano.
Perch le parole non circoscrivono il reale, al massimo tentano d'incartarlo per vendere una merce taroccata,
l'ideologia: la verit del mondo classico era una verit ideologica perch negava, forse neppure sospettava,
l'Utopia. L'annuncio testamentario, il Dio rivelato dei monoteismi, l'ha resa improponibile perch ha spostato la
"verit" altrove: un Altrove che, laicamente, si pu soltanto intuire in quell'Altro che parla nella sconnessure del
discorso, nel non-detto ove ha sede la nostra verit, nel buio oltre la Ragione razionalista ove si frantuma la
sintassi, germina la vita, e si prepara il futuro possibile che in noi.
Il Dio di al-Ghazl, dicevamo dunque, un Dio/Persona, un Dio/Volont, lo stesso Dio che disse a
Mos: Io son Chi sono. Un Dio che non deve, e tutto sommato, neppure potrebbe render ragione all'uomo del
proprio operato, per i limiti di comprensione dell'uomo; un Dio che fece ci che volle e fa ci che vuole
nell'infinita apertura della Sua trascendenza. Un Dio assoluta libert: il contrasto totale con il Razionalismo di
Averro. D'altronde, sostiene al-Ghazl, il Dio rivelato un Dio vivente, e il vivente dotato di volont, e le
Sue scelte sono imperscrutabili alla ragione, che pu intuire il Vero soltanto per illuminazione divina. Detto per
inciso, questa imperscrutabilit delle scelte ricorda la svolta impressa da Bhme al problema del Bene e del
Male: "Bene" ci che va nella direzione del percorso di Dio, "Male" ci che lo rimette in discussione. La
libert umana diviene libero adeguamento alla scelta che regge l'universo, una scelta che trascende l'uomo.
Letto con la lente della Ragione filosofica, l'ordine del mondo non appare "logicamente" necessario,
secondo al-Ghazl, ma soltanto empiricamente constatabile; cos, sul piano etico, il premio e il castigo di Dio
sono al di l della nostra valutazione di merito: il Dio di al-Ghazl quello di Giobbe. Le scelte di Dio in
materia di creazione e di giudizio sono "buone" per il semplice fatto che sono Sue, in assoluta libert. Si noti che
per al-Ghazl non in discussione la razionalit del mondo, n il carattere necessario del suo ordine: entrambe
le esigenze sono per garantite dalla Provvidenza divina, che avrebbe potuto scegliere altri ordini e altre
razionalit. In altre parole: ordine e razionalit del mondo sono alla portata dell'uomo che ne fa parte, ma non
esauriscono l'infinit di Dio, c' dell'Altro, nel reale. Al contrario, la "filosofia" tende a ridurre Dio entro i limiti
della ragione umana. Come "filosofo", al-Ghazl non nega la logica, ne limita soltanto il campo di applicazione.
Aristotele volle risalire dall'ordine logico del discorso e delle cose all'ordine del reale, ma nell'ottica creazionista
il "reale" pensato da Aristotele un contingente: il reale include infatti anche la trascendenza, che pu essere
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soltanto intuita per concessione divina, ma nulla pi. Al-Ghazl molto logico. Averro, aristotelico ma anche
musulmano, vede nell'ordine del mondo la scienza di Dio, ma legge questo ordine a partire dalla propria scienza
umana; egli vede nell'ordine del mondo la Volont di Dio e nella sua razionalit la Provvidenza divina, che
consente all'uomo di decifrare quell'ordine, nulla di pi: laddove per al-Ghazl il compasso divino comprende
quello e Altro. Questo "Altro" la trascendenza, ed garantita dalla Rivelazione di un Dio vivente.
Sotto questo profilo va detto che Averro, aristotelico ma anche buon musulmano, e per giunta qd,
alquanto in imbarazzo, e deve calibrare con attenzione le proprie affermazioni, non certamente per un
"esoterismo" originato dal timore, come sarebbe sempre propenso a credere Leo Strauss. Quando al-Ghazl
afferma che il dio dei filosofi un morto che non sa ci che accade al mondo (siamo al problema della Sua
conoscenza dei particolari) salvo conoscere Se stesso; e che "i perversi.....congetturano su Dio.....ritenendo che la
potenza umana sia bastante ad afferrare le cose divine.....l'intelletto umano in grado di liberarsi dalla tradizione
profetica e dall'obbedienza ai profeti" (p. 234), Averro deve rispondere con una lunghissima citazione
aristotelica, che per ha una premessa e una conclusione tutte particolari. La premessa che i filosofi sono in
grado di giungere a verit inaccessibili al volgo, il quale ha bisogno di altri argomenti in grado di generare
semplice persuasione (potremmo dire: argomentazioni retoriche); e la conclusione, che viene dopo l'esposizione
di una metafisica d'impronta aristotelica, che vi sono comunque argomenti dei quali l'intelletto umano non sa
venire a capo, per i quali si deve far riferimento alla Legge del Profeta.
Tutto ci non affatto "aristotelico", ma un modo per affermare una pretesa che sta molto a cuore ad
Averro, alla quale egli dedica un libro, il Kitb Fasl al-Maql, tradotto da F. Lucchetta col titolo L'accordo,
etc., cit., relativo all'accordo della legge divina con la filosofia. La verit, che una, si pu raggiungere per tre
vie: la via del ragionamento apodittico, che dei filosofi; la via della dialettica, che dei teologi; e quella del
convincimento retorico, che del volgo, al quale dev'essere interdetta la filosofia (che viceversa obbligatoria
per i sapienti) affinch, mal comprendendola, non si perda nelle confusione e nell'errore. Questa dottrina, che, si
noti bene, non estranea ai "filosofi" tutti, e non lo neppure ad al-Ghazl, enunciata pi volte anche ne
L'incoerenza, etc., cit., ad esempio a p. 348: "Se si indugia a discutere col volgo di siffatte [questioni] (scil.: la
conoscenza che Dio ha di S e del diverso-da-S) si annulla nelle loro menti il significato [stesso] dell'essere di
Dio: per cui l'approfondimento di questo tipo di conoscenza proibito (corsivo mio) alle masse". Una simile
affermazione, va da s, lontana mille miglia non soltanto dal senso profondo di una Rivelazione divina, ma di
una religione stessa "del Libro": innanzitutto per la sua dicotomia antropologica, e poi, forse, anche nel
contenuto cui si riferisce. Al riguardo si veda anche alle pp. 402-404, dove si parla del problema della creazione
nel tempo, negando la figura fondamentale dell'Islam e dei tre monoteismi, il Dio/Persona che pu anche
cambiare le proprie decisioni (a questo, in fondo, indurrebbe la preghiera) e che pu anche inquietarSi o pentirSi,
come in Gen. 8, 21; e ci in nome di un dio filosofico estraneo alle passioni; poi si conclude affermando che il
volgo non deve essere informato delle verit che si possono raggiungere speculando al di l della legge religiosa
(p. 404).
Vi sono dunque aspetti del dettato che il filosofo deve interpretare andando oltre, ma senza far sapere
al popolo che essi sono interpretabili: il popolo deve prendere il dettato alla lettera. In questo modo, con
argomentazioni che hanno di mira il simbolo e la metafora, Averro stabilisce la concordanza tra il dettato e la
filosofia, dove per evidente che il primo deve adattarsi alla seconda, forzando il senso stesso di una
Rivelazione che, a prescindere dall'interpretazione "gnostica" di Cor. III, 5, con la quale Averro accosta i
"sapienti" a Dio stesso, un messaggio rivolto a tutti, eguale per tutti: i tre monoteismi sono assolutamente
democratici, e, se formulano una dicotomia antropologica, lo fanno soltanto sul piano etico. Mi sembra
significativo ricordare al riguardo l'osservazione di Y. Michot , A Mamlk Theologian's Commentary on
Avicenna's Risla Adhawiyya (cio "Epistola in occasione della festa del Sacrificio" [scil. sulla vita futura] citata
supra come "Epistola sulla vita futura") Being the Translation of the Dar al-Tarud (cio Rifiuto della
contraddizione [scil. tra ragione e tradizione]) of Ibn Taymiyya, with Introduction, Annotations and Appendices,
Journal of Islamic Studies, 13, 2-3, 2003. Nota Michot (14, 2, p. 172) che meglio l'umana conciliazione di fede
e ragione perseguita da Ibn Taymiyya, che non l'arroganza della Ragione di Averro nel Fasl al-Maql.
Il fatto che, come nota lo stesso Michot, nel suo precedente Vanits intellectuelles...L'impasse des
rationalismes selon le Rejet de la contradiction d'Ibn Taymiyyah, O.M., LXXX (n.s. XIX), 2000, in Ibn
Taymiyya si d un approccio analogo a quello di al-Ghazl per quanto concerne la limitatezza della Ragione; vi
quindi una critica del pensiero classico, ormai non pi sostenuto da una politica califfale. Vorrei sottolineare
che entrambi i pensatori islamici sostengono, mutatis mutandis, l'impossibilit di una metafisica razionale, tesi
che fu sostenuta anche dal razionalista Kant. Quando la filosofia vuol "dimostrare" i contenuti della Rivelazione,
cade in contraddizione con i propri stessi fondamenti. In questo Ibn Taymiyya fu buon conoscitore della logica e
dell'argomentazione razionale, come mostra J. Hoover, Perpetual Creativity in the Perfection of God: Ibn
Taymiyya's hadth Commentary on God's Creation of this World, Journal of Islamic Studies, 15, 3, 2004. Egli
dirime la questione della creazione nel tempo (Dio crea eternamente, ma ogni cosa creata ha origine nel tempo,
dunque preceduta dalla non-esistenza) con una soluzione di tipo agostiniano, perch come dire che il tempo si
origina con la creazione; inoltre d conto del dinamismo del mondo, laddove la dottrina della creazione di
Avicenna (cfr. p. 888) darebbe origine a un mondo statico.

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Di adattamenti, la Rivelazione deve comunque subirne molti, con Averro, soprattutto nei tre punti
dogmatici ribaditi da al-Ghazl: dalla creazione nel tempo alla conoscenza divina dei particolari (in entrambi
Averro non si discosta sostanzialmente da Avicenna) sino alla Resurrezione, che Averro immagina avvenire
con ipotesi che non apparterrebbero mai ad Aristotele, ma che rappresentano un vero funambolismo tra la sua
filosofia e la Rivelazione: in un corpo "sottile" composto di materia spirituale emanata dai corpi celesti, e che
forma un simulacro del corpo! (L'incoerenza, etc., cit., pp. 530-531).
Il punto ove per si tocca con mano il fondamento dell'impossibilit dell'aristotelismo a concepire la
dimensione del Dio rivelato, tutto nella negazione da parte di Averro del tema ghazaliano relativo alla
compresenza degli opposti in Dio (p. 411 e p. 498). Affermare che Dio sceglie affermare, come in Bhme, che
Dio Volont (p. 411); ma negare (p. 498) che gli opposti siano comunque sempre presenti in Lui (cosa che
viceversa Bhme afferma), significa, per Averro, affermare che l'intelletto, umano o divino che sia, non possa
essere diverso da quello che (p. 499). Ora, il punto precisamente qui: al-Ghazl non nega il rapporto
razionale dell'intelletto con l'essere, afferma piuttosto che ci vale per questo mondo; detto diversamente: la
trascendenza irriducibile all'essere. Condizionare Dio al principio aristotelico di non contraddizione per
affermare, come fa Averro (p. 489): "Se fosse possibile che negli esistenti siano presenti [contemporaneamente]
due contrari.....non vi sarebbe affatto scienza di alcunch" semplicemente ridurre la conoscenza al suo modello
razionale e scientista. Nel mito, come nell'arte o nella psiche, gli opposti coesistono; e coesistono nelle
misteriose strade del destino umano. Ma di questo ho gi trattato ne Il mito e l'uomo, e l'ho spiegato ancora nella
vicenda del biondo Eckbert della novella di Tieck (pp. 615-617): e credo anche di aver mostrato quale via alla
conoscenza siano il mito e l'arte.
Un'ultima cosa che mi sembra importante segnalare, sono le riflessioni di Griffel sul rapporto al-
Ghazl/Averro relativamente al tema del suo studio, apostasia e tolleranza. Nota Griffel, che all'aumentata
influenza di al-Ghazl fece riscontro un uso mlikita delle sue dottrine (i mlikiti ne avevano inizialmente
bruciato i libri) come strumento contro i filosofi: e ai mlikiti sembra piuttosto rivolgersi la polemica del qd
almohade Averro (p. 446). Per il resto, il Trattato decisivo essenzialmente rivolto a mostrare la concordanza
di religione e filosofia, e concordanza c', perch anche per Averro chi nega la religione un eretico, con quel
che ne consegue (cfr. L'accordo, etc., cit., p. 141). Per il resto, il vero disaccordo tra al-Ghazl e Averro, non
sui fondamenti interpretativi della religione, ma sui limiti della metafisica come scienza (p. 459). Per il primo,
conoscenza apodittica e Rivelazione hanno domini diversi; per il secondo, insistono sullo stesso dominio (ivi).
Per quanto riguarda il rapporto di al-Ghazl con la Ragione, si deve tener presente che egli fu molto
influenzato, sin dalla sua prima formazione, dallo Scetticismo (pp. 260-265 e p. 468). Quanto all'identificazione
della miscredenza con l'apostasia, e alla relativa condanna a morte sostenuta da al-Ghazl, questa una vicenda
che inizia prima di lui in ambito shfita (p. 283) e riguarda egualmente gli hanbaliti (ivi). La cosa ha un certo
fondamento coranico nella differenza tra mn (fede) e islm (p. 470; cfr. Cor. 49, 14) ma l'identificazione era
venuta a configurarsi nello studio degli ahdth (p. 470) e aveva trovato il suggello nell'editto califfale del 1018
(p. 471) relativo al problema del Corano "increato" (cfr. supra). Tra il IX e l'XI secolo infatti, le reciproche
accuse di miscredenza che si lanciavano le diverse sette e scuole giuridiche, non avevano mai identificato
miscredenza e apostasia, con relativa condanna a morte.
Al-Ghazl negli ultimi tempi aveva molto riflettuto sul significato del Testamento di Ardashr (cit. in
Bibl. a p. 848 sub voce Grignaschi), uno pseudepigrafo tardo-sassanide (VII secolo) nel quale il sovrano ricorda
al figlio e successore che religione e potere statale sono realt inscindibili: senza il braccio armato del primo la
religione non sopravviverebbe, e senza il supporto ideologico della religione il potere statale non avrebbe
fondamento. La ragione di questa scelta di al-Ghazl appare motivata nel suo trattato La retta bilancia (cfr. Al-
azl, La bilancia dell'azione e altri scritti, a cura di M. Campanini, Torino, U.T.E.T., 2005, ristampa U.T.E.T.
Libreria, ivi, 2008): tra l'uomo del volgo e il sapiente vi una categoria di uomini che usa la propria superiore
intelligenza soltanto per sollevare cavilli, provocando scismi. Costoro sono gli abitanti dell'Inferno, e vanno
repressi dal potere politico (p. 337).
Un tale atteggiamento cos violentemente normativo del pensiero di al-Ghazl lo si pu comprendere
a partire dalle sue convinzioni circa la natura della religione islamica -che innanzitutto Legge divina a regola di
una giusta societ- e dalle sue preoccupazioni politiche circa l'eversione ismlita, il cui estremismo sociale e il
cui messaggio chiliastico sono sottolineati da Campanini nella sua Introduzione a La bilancia dell'azione (p. 31 e
p. 35; sulle attese chiliastiche suscitate dall'ismailismo ftimida cfr. anche Van Ess, Chiliastische Erwartungen,
etc., cit. in Bibl. p. 779).
Come nota Campanini, al-Ghazl fu filosofo, ma svilupp un pensiero al tempo stesso filosofico,
teologico e mistico (p. 11) che ha al proprio fondamento l'assoluta libert di Dio, la cui interiore razionalit e
necessit sfugge alle certezze della logica. Tra "certezza" e "realt" v' differenza, perch la seconda va oltre la
prima, onde la proposizione non pu -aristotelicamente- adeguarsi alla cosa. Lo abbiamo gi visto: al-Ghazl
risente della lezione scettica, e ci a causa dell'assoluta trascendenza di Dio. All'uomo non resta che la libera
adesione alla Sua Volont, accettandone la necessit. "Filosoficamente", al-Ghazl proclama l'impossibilit di
anteporre la filosofia (intesa come un "pensare da Greci") alla Rivelazione.
Di qui alcune significative conseguenze, come il rifiuto di una scienza intesa come conoscenza in
senso epistemologico: essa ha senso soltanto come ricerca di una nuova vita interiore (Campanini, cit., p. 58); e
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la preminenza dell'azione quale agente di perfezionamento (La bilancia dell'azione, pp. 154-155); soltanto
dall'azione traluce la verit, per ci verso cui indirizzata (ivi, pp. 128-129). Tutto ci perfettamente coerente
con una cultura islamica per la quale non ha molto senso una conoscenza che sia fine a se stessa, lo abbiamo
visto negli Ikhwn as-Saf, lo si pu vedere in Ibn Taymiyya; lo scopo del pensiero pu consistere soltanto nel
creare il fondamento che dia un senso al nostro essere nel mondo, nel chiarire fini e valori.
Questa la ragione della rivelazione profetica che, nel dare all'uomo la Legge di Dio, diviene atto
"religioso" nel pi ampio senso che la religione ha per l'Islam: atto legislativo, sociale e politico. C' dunque
una politica dei Profeti, che rivolta tanto all'lite quanto alle masse, tanto alla normativa sociale quanto
all'educazione della coscienza di tutti; laddove la politica del Sultano valida per l'lite e per le masse soltanto in
rapporto al comportamento sociale; quella degli ulam riguarda soltanto l'educazione della coscienza dell'lite,
e quella dei giurisperiti l'educazione della coscienza di tutti (ivi, p. 208). Perci il Profeta, nella normativa
sociale che emana, si esprime con parole che sono alla portata della comprensione di tutti (p. 238). Al contrario,
un sapere "filosofico" trasmesso a chi non in grado di comprenderlo, pu gettare scompiglio nel volgo, e la
conoscenza pu divenire cos strumento del Male (pp. 239-240).
La concezione del rapporto Dio/uomo di al-Ghazl, con l'abisso che spalanca tra la trascendenza
divina e la limitatezza della ragione umana, rigidamente razionalista in difesa della Rivelazione, ma non segna
certamente la fine del pensiero nell'Islam: non soltanto perch dopo di lui verr l'aristotelismo di Averro, che
rappresenta la scelta soccombente per l'intrinseca inadattabilit dell'aristotelismo alla Rivelazione, ma perch la
riflessione, di fatto, non si ferma. Certamente si dicotomizza: da un lato avremo il neoplatonismo incondizionato
e mistico di Ibn Arab; dall'altro la linea ghazaliana che trova una rigida rielaborazione in Ibn Taymiyya; ma la
filosofia non per questo si estinse nell'Islam, visto che, come nota Michot, 2003, cit., p. 165, nel 1500 le opere di
Avicenna circolavano e non erano affatto proibite.
Non per nulla Ibn Taymiyya aveva di mira precisamente il neoplatonismo di Ibn Arab nel criticare
l'esistenza di universali ante rem quale via per immaginare l'unione con Dio (cfr. M.U. Memon, Ibn Taimya's
Struggle against Popular Religion, The Hague-Paris, Mouton, 1976, pp. 35-40; il libro contiene la traduzione del
Kitb iqtid contro il culto dei Santi e ogni forma di religiosit fondata su un possibile percorso tra l'uomo e
Dio). Ci su cui opportuno riflettere, sono infatti le conseguenze di queste forme di pensiero, che, come
abbiamo visto nel testo, conducono a possibili esiti antinomici conseguenti l'implicita divinizzazione dell'uomo:
un'eventualit socialmente pericolosa, combattuta perci anche nel Medioevo occidentale, ma particolarmente
deprecabile per l'Islam, la cui Rivelazione e i cui sviluppi sono fortemente centrati sugli aspetti giuridici e sui
loro riflessi sociali nella compattezza della Ummah.
Il pensiero di Ibn Taymiyya infatti guidato da una rigida coerenza tra teologia e giurisprudenza:
come osserva Laoust, cit., p. 176, egli non concorda con quanto di pragmatico vi in al-Ghazl; la Legge una,
totalizzante e razionale, deve perci adattarsi a tutte le contingenze, e lo sforzo del giurisperito consiste
precisamente nel comprendere i percorsi logici che rendono questa Legge "una" adattabile alla contingenza della
fattispecie. Come nota Laoust a p. 244, il sillogismo giuridico ricalca la segreta causalit impressa da Dio nella
natura. Ibn Taymiyya dunque non soltanto un rigido razionalista, ma anche decisamente "aristotelico", epper
con una fondamentale differenza: l'abisso ontologico invalicabile posto tra la Ragione (umana) e l'infinit divina.
Su questo punto mi sembra utile riportare un passo della Prefazione di S. Noja Noseda a Ibn Abd al-
Wahhb, L'unicit divina, Trad. Intr. e Note di V. Colombo, Pref. di S. Noja Noseda, Bologna, Centro
Interdisciplinare di Scienze dell'Islam "Re Abdulaziz" dell'Un. di Bologna, 2000, p. XIV: "Nell'Islm, come
nelle altre religioni monoteistiche, si pu osservare un contrasto tra coloro che sostengono l'alterit di Dio e la
Sua esistenza distinta dalla creazione ( questa la posizione degli eruditi islamici, ossia gli ulem) e coloro che
sostengono che la creazione parte integrante di Dio e che Egli si manifesta ovunque. In base alla prima
osservazione se Dio distinto dalla creazione, l'uomo pu pervenire a una conoscenza mediata di Dio e dei Suoi
precetti solo attraverso Maometto e pi precisamente attraverso il Corano e il hadit. La maggior parte dei mistici
musulmani, che come abbiam visto nel XVIII secolo vivevano il periodo aureo, invece considera, similmente ai
mistici cristiani, Dio insito nella creazione e crede nella possibilit di entrare in contatto diretto con Lui
attraverso l'esperienza estatica".
Questa dicotomia sempre esistita nell'Islam diventa linea dominante dopo Averro, e occorre tener
presente che Ibn Taymiyya (1263-1328) opera non soltanto nell'ambito della grave crisi che coinvolge il
fondamento della societ islamica dopo la fine del fantasma del Califfato nel 1258, ma anche dopo la
straordinaria stagione poetico/mistico/neoplatonica del XII-XIII secolo, che brilla del nome non soltanto di Ibn
Arab (1165-1240), ma di Sohraward (1155-1191), Attr (1140?-1229), Rm (1207-1273), Shabestar (
1320), Sanai ( 1151), Rzbehn (1128-1209), Nizm (1141-1204). Sul piano filosofico-teologico, accanto al
razionalismo giuridico, la scelta mistico-neoplatonica rester viva nel mondo shita con la teosofia di Moll
Sadr e con lo Shaykhismo (segnalato nel testo a p. 242, pi in generale nelle pp. 239-241 e nelle note 358 e 359
a proposito del Sfismo e del Bb).
Ora, mentre al-Ghazl era ancora in una posizione oscillante come Sf, Ibn Taymiyya, che assume
una posizione contraria a tutte le scelte mistiche e neoplatoniche, come anche a tutte le forme di religiosit
popolare centrate sul culto dei Santi, si arrocca in una posizione rigidamente tradizionalista. Questa dicotomia tra
le scelte mistico/neoplatoniche e il letteralismo della "ortodossia" sunnita, che in ultimo sfocia nel salafismo e
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nel fondamentalismo, mi sembra significativa dello scacco della Ragione nella fallita pretesa di conciliare
filosofia e Rivelazione, una conciliazione che era stata tentata nella lettura neoplatonica, da Filone in poi, salvo
rivelarsi a rischio di eterodossia e anche di antinomismo in tutti i tre "grandi monoteismi". Entrambe le scelte
prendono atto dei limiti della Ragione: l'una riducendola a mera logica da applicarsi per "dedurre"
razionalisticamente da un testo e da una tradizione assunti nella loro letteralit; l'altra per trovare una via, ora
soprarazionale, non "razionale" come in al-Frb e Ibn Ba, di intuire il divino; l'una ponendo il divino fuori
di ogni possibilit umana di comprensione che non sia lo sforzo di obbedienza a un dettato, l'altra scorgendo il
divino ovunque, nella natura, negli eventi, nell'esperienza di se stesso da parte dell'individuo. Questa dicotomia
segnala, nell'Islam, il fallimento della filosofia, verosimilmente per gli assunti razionalisti mutuati dal pensiero
greco classico ed enfatizzati entro una religiosit che, esprimendosi attraverso una Legge minuziosa,
concentrandosi sul problema del regime sociale, e quindi volgendosi in primo luogo ai principi della
giurisprudenza, era per la sua stessa natura, indotta ad enfatizzare la razionalit razionalista. La deriva estrema,
quindi irrazionale, del Razionalismo, infatti nel letteralismo. Il problema, che esiste in tutti i tre monoteismi,
qui portato verosimilmente agli estremi, a mio avviso, per l'enfasi giuridica sul monolitismo sociale
particolarmente in evidenza nell'Islam. La teologia di Ibn Taymiyya sembra dunque essenzialmente pensata in
funzione di questa esigenza.
Laoust (p. 158) considera quest'ultimo un prosecutore dell'eresiografia sunnita, e un critico delle
dottrine in funzione del loro impatto sociale. La conoscenza umana, relativa a causa dell'insufficienza della
Ragione, fa s che questa impoverisca il reale entro un sistema di astrazioni (ad esempio il concetto di essenza)
onde Avicenna riduce l'esistenza a un accidente dell'essenza, la quale per soltanto il semplice risultato di
un'ambivalenza semantica generata nelle lingue indoeuropee dal doppio significato che vi assume la copula, ci
che fece ironizzare Nietzsche su questo "mondo dietro il mondo". In arabo, come nota Corbin, esiste il termine
haqiqt che indica il concreto esistere di una cosa, perch soltanto esistendo un essere ci che . Tantomeno si
pu ridurre Dio a "Intelligenza", perch Dio innanzitutto Volont; il Dio vivente non crea per necessit, come
il dio dei filosofi, ma per Sua scelta. Egli inoltre, che premia e punisce, conosce i singoli pensieri direttamente;
non, come pretendono i filosofi, tramite la conoscenza di Se stesso. Su tutto ci, Ibn Taymiyya ripete posizioni
teologiche ghazaliane.
Non resta dunque che adeguarsi al Verbo di Dio, al quale il lettore d soltanto la propria voce: il
Corano non contemplazione per l'intelligenza, ma preghiera per il cuore che alimenta la volont del fedele
(Laoust, p. 172). Dio ha creato per essere servito (questo mi ricorda l'opinione di Sfar, sul rapporto della figura
di Allh con quella del Sovrano mediorentale) e ha creato per Volont libera e imprevedibile, che i filosofi Gli
tolgono svuotandone la figura; per questo la filosofia incompatibile con la Rivelazione (pp. 173-174). Questo
concetto di un uomo a servizio di Dio importante in Ibn Taymiyya: ne consegue che la Legge alla base di
tutta la sua sociologia sul piano politico e morale, e regge importanti suoi trattati come la Syash al-Shara (Il
buon governo dell'Islam, cit. in Bibl. a p. 849) e il suo trattato sulla Hisba (il dovere di comandare il bene e
proibire il male, cit. in Bibl. a p. 849). Tutta la dottrina di Ibn Taymiyya relativa alla Profezia rivolta al suo
aspetto giuridico, non alla sua individuazione ontologica (Laoust, p. 179) e qui sta il centro del suo pensiero: la
Rivelazione ebbe come scopo il superamento dell'incertezza umana, fornendo una Legge imperativa che deve
disciplinare la societ (p. 181). Per inciso, nota Michot, 2000, cit., p. 603, che il personale scetticismo di al-
Ghazl divenuto un vero fenomeno sociale al tempo di Ibn Taymiyya.
Questa tensione a una societ monolitica entro una Legge indiscussa il motivo ispiratore di tutta la
sua dottrina: a tal fine egli si allontana dalla stessa passata attivit giurisprudenziale, per riaprire la via
dell'ijtihd su tre fondamenti: il Corano, la Sunnah con le sue glosse, e il consenso, che per ha per lui un
significato preciso. Il riferimento infatti al solo consenso dei Compagni, dei "Salaf" (i "predecessori") e degli
Imm "ben guidati"; questo consenso, che poi una Sunnah dei "Rshidn", la "Sunnah del Profeta" e il Corano
non possono non concordare, perch la Legge "Una". Quanto alle scuole coraniche, il sogno di Ibn Taymiyya
il loro superamento attraverso una mediazione che passi per il ruolo primario della Sunnah dei Rshidn, che
cos diviene infallibile (mentre non lo sono i quattro grandi caposcuola) e includa anche le istanze dei Khridjiti
e degli Zhiriti (pp. 229-239). Nota Laoust (p. 239) che questo concetto di ijm risulta una fusione di dottrine
zhirite (alle quali Ibn Taymiyya fu attento) e shite; quel che mi sembra per pi interessante del
tradizionalismo, o meglio, ormai, Salafismo, che la Sunnah dei Compagni diviene importante come quella del
Profeta, che essa infallibile, che ogni innovazione diviene un errore: e poich l'errore eresia, con Ibn
Taymiyya il dissenziente diviene eretico rispetto a....una "tradizione". Questa una precisa petizione relativa
alla societ; la richiesta esasperata di una societ monolitica attorno a un dettato totalizzante spiega la sua
intolleranza, espressa diffusamente contro ogni diversit: Cristiani ed Ebrei rappresentano corpi estranei entro
una societ islamica (pp. 265-270) nella quale ogni presenza di un pensiero diverso diviene un attentato alla
coesione. Sotto questo profilo si deve condannare la liberalit dei Ftimidi (p. 266) e bisogna uccidere l'infedele
che travia il Musulmano, castigare l'eretico per salvare la religione (p. 239); mentre l'Islam popolare va
condannato perch frutto di influenze cristiane (p. 267).
Perci l'ijm che, sotto forma di consenso degli esperti, poteva rappresentare sino allora un fattore
evolutivo nella giurisprudenza, diviene, con Ibn Taymiyya, il fondamento della sua fossilizzazione, nella pretesa
riconduzione della societ a un mitico tempo delle origini.
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Vorrei sottolineare che questa pretesa di monolitismo sociale sembra caratteristica dell'Islam
precisamente a causa del suo fondarsi su una Legge valida per tutti gli uomini, dunque universale. Il problema
infatti, investe assai meno il Cristianesimo che ha s, una religione anch'essa "universale", ma che fonda, come
gi notato (p. 840) la propria dottrina non tanto su una Legge, quanto su un Esempio; al punto che lo
Spiritualismo riformato riusc a pensare una "religione universale dei cuori". Riguarda ancor meno il Giudaismo,
che, pur fondandosi, come l'Islam, su una Legge, tuttavia legato a un solo popolo senza alcuna propensione per
il proselitismo, anzi, come religione minoritaria, interessato alla propria libert di culto e quindi alla convivenza
in generale, ciascuno entro il proprio preciso ambito.
Laoust (Le reformisme d'Ibn Taymiya, Islamic Studies, I, 3, 1962) mentre esprime qualche dubbio su
un reale rapporto dottrinale tra Ibn Taymiyya e al-Ghazl, un legame a suo avviso affermato per la prima volta
nel XVIII secolo ai tempi di Ibn Abd al-Wahhb, sottolinea il rapporto di Stato e religione da lui caldeggiato
(una riedizione del Testamento di Ardashr) e nota che la sua intransigenza rappresenta una sorta di ritorno al
Khridjismo. Sull'intransigenza di Ibn Taymiyya non v' alcun dubbio, perch essa fattore diffuso e costante
nei testi gi citati; dai culti popolari, considerati innovazione ereticale, al Cristianesimo, al Giudaismo, ai
filosofi, tutto ci che esula dall'applicazione stretta e rigorosa di una Sharah fondata sulla Sunnah del Profeta e
dei Compagni, cio dalla messa in atto del suo salafismo, da lui condannato. Sul piano storico, questa
intransigenza nella pretesa di creare con la forza una legge durissima scrupolosamente applicata dal potere
politico, una societ senza divergenze e forse senza pi dibattito, l'espressione di una crisi, cos come
espressione di una crisi il fondamentalismo contemporaneo. Sul piano dottrinale tuttavia -a prescindere dalla
crescente rigidit che si manifesta nel rigetto della pratica sf, cio di ogni via mistica verso Dio, e quindi del
volgere di un Razionalismo estremo verso il letteralismo con qualche scivolamento zhirita e khridjita- non mi
sembra si debba valutare tanta chiusura in modo troppo diverso rispetto alla posizioni di al-Ghazl, ferma
restando la grande differenza segnata dalla pensosa apertura di quest'ultimo verso la via sf. Tuttavia non mi
sembra si debba ritenere che l'esasperazione salafita della Legge debba considerarsi conseguenza della teologia.
Questa esasperazione, che viene invocata nella prassi, sul piano teorico un fenomeno gi pienamente delineato
non con la condanna della filosofia, ma con la "santificazione" della Sunnah del Profeta ora ampliata alla
"Sunnah dei Compagni", sanzionata con il singolare concetto di una possibile eresia nei confronti di una
tradizione. Se la teologia viene usata per avvalorare un tale singolare concetto, ci non significa che esso ne
dipenda necessariamente: qui c' una vicenda tutta storica, sociale e culturale.
Innanzitutto, premesso che non ha senso identificare il pensiero o la religione islamica, ivi inclusa
l'esasperazione della trascendenza divina, con il salafismo di Ibn Taymiyya e, pi estremisticamente, di Ibn Abd
al-Wahhb, occorre anche pensare questo rapporto di estraneit ontologica tra Dio e uomo anche attraverso
l'alternativa che si offre a un pensiero che neghi la superbia della Ragione, cio la religiosit mistica. Anche lo
zhirita -e duro eresiologo- Ibn Hazm, le cui posizioni sul problema degli attributi divini, sulla non conoscenza
di Dio dei particolari, sulle costruzioni cosmologiche aristotelico/neoplatoniche, sugli universali ante rem, sono
di deciso rifiuto; la cui riduzione della filosofia alla logica in qualit di mero strumento per la lettura razionale
del dettato, non poi tanto lontana dalle posizioni anti-filosofiche di al-Ghazl e Ibn Taymiyya, non per questo
era stato un teorico del Salafismo.
La negazione della pretesa della filosofia a spiegare la Rivelazione per confermarne la "verit", salvo
ridurne la letteralit a metafora per il volgo, non conduce necessariamente a quell'evento ideologico-politico che
fu l'instaurazione di una Sunnah del Profeta, ampliata poi a Sunnah dei Compagni, come obbligo legale di
origine divina. L'esasperata preminenza di una visione giuridica immobilizzante emersa nel corso di lotte
ideologico-politiche frutto di crisi sociali che datano dal tempo degli Omeyyadi, pu essere impostata su una
teologia, ma non ne dipende necessariamente. La natura increata del Corano -quantomeno a monte dei segni
diacritici- fondamentale per evitare ogni discussione sull'attualizzazione dei suoi contenuti (per non dire
dell'analisi filologica) non fu una dottrina di tutto l'Islam, divenne argomento di fede nell'ambito e in funzione di
quelle lotte. La natura certamente giuridica del dettato non divenne ossessione primaria se non nei timori di
dissoluzione di una societ, e quale strumento di potere per delle intellighentzie. Quanto al mito del ritorno ad
un'Et dell'oro, condensato nell'et esemplare dei Salaf (predecessori) e dei Califfi "ben guidati", si tratta di un
mito che nasce in corrispondenza alla decomposizione, frantumazione, e finanche sottomissione dell'antico
Impero Califfale.
Il problema teologico un'altra cosa; altra cosa la reazione alla pretesa d'ingabbiare la fede religiosa
nelle dubitose elucubrazioni di una Ragione geneticamente estranea alla Rivelazione. Altra cosa rifiutare le
fantasie di una "essenza" sottostante la concretezza dell'esistente; altra cosa rifiutare gli universali ante rem,
Intelligibili, Intelletti e Intelligenza, che, allontanati dalla concretezza immanentista del pensiero aristotelico,
inquadrati per giustificare il rapporto con un Dio rivelato, divengono ectoplasmi vaganti nel cosmo, la cui cattura
serve a divinizzare la schiera dei "pneumatici". Quanto allo straordinario fascino immaginale, estetico e, se
vogliamo, esoterico, del cosmo neoplatonico, una volta calato nella quotidianit esso sempre stato l'origine di
avventure antinomiche; la sua collocazione migliore fu infatti soltanto nel non-luogo dell'arte, nella pura
rappresentazione dell'utopia, dove lo cal il Romanticismo: nuvola passeggera, instabile miraggio destinato a
dissolversi in altro. In quella visione, l'eterno triangolo Dio/uomo/Natura, onde l'uomo portatore di un divino
che gli consente di riconoscere il divino nella Natura/specchio-di-Dio, consentiva di risalire ad un sapere
900
poetico/profetico oltre i limiti della Ragione: favola del mondo che troviamo anche nei grandi poeti mistici
dell'Islam, perch i grandi mistici furono grandi poeti, e viceversa.
Il Dio dell'Islam, tornando a Lui, dunque un Dio/Volont che fa ci che vuole, che fa perch vuole;
un Dio/Persona (anche il Dio dei mistici lo ) che non ha nulla a che vedere con l'impotente e anonimo dio dei
filosofi, dio/orologiaio asservito al proprio stesso meccanismo, molto simile al deus otiosus di antiche mitologie,
che usciva di scena dopo aver messo a punto il giocattolo.
La tradizione razionalista dell'Occidente rimasta viceversa affascinata dal gemellaggio tra la
razionalit umana e la razionalit del mondo, cio da un pensiero ridotto a pensiero dell'essere, e ha preteso di
modellare su questa equazione la figura del proprio "Dio", salvo poi cancellarla dal cielo per la sua evidente
superfluit e riproporla in terra con il Moloch della Storia: una Storia con la maiuscola, figlia com' del
Razionalismo. Eliminando un "Dio" ridotto ormai alla famosa "costante K" dei testi d'algebra, si potuto dar vita
al mito di un Progresso la Condorcet, peggio ancora, allo Storicismo: estrapolazione geometrica del tlos nella
retta o nella spirale ascendente. Ma il Dio/Volont, il Dio/Persona di cui parl per primo l'Antico Testamento,
il luogo di un'infinit che non il geometrico peiron, l'infinito Suo riproporSi, quella di un Dio Vivente che
d scacco alla Ragione precisamente come fa la vita lungo i suoi percorsi imprevedibili, che rendono
imprevedibile la nostra modesta storia (senza la maiscola). Una storia che nasce sui percorsi scaturiti dalla libert
dell'uomo, dal suo pensiero fondato sul vissuto, che non si manifesta nelle parole, ma nel fare quotidiano di tutti.
Il distacco del pensiero dalla riflessione sull'incognita della condizione umana, sull'abisso inesplorato sul quale
sporge ogni decisione, ogni mattone di questa instabile verit che costruzione umana; il trasformarsi del
pensiero in esercizio razionalistico di una classe di addetti ai lavori, fu scelta ideologica legata a un tempo e a
una societ. Questa scelta per soltanto un inquietante revenant dopo l'annuncio testamentario che spost la
"verit" altrove, nella testimonianza.
Il dio impersonale ed astratto dei filosofi non si cura dell'uomo; il Dio/Persona ha cura delle proprie
creature: il primo appartiene a un mondo che accetta la datit come fatalit, che dominato dalla sfera di
Ananke; il secondo appartiene a un mondo che reclama giustizia contro lo stato di fatto. Tra i due cambiato il
rapporto col mondo, iniziata la costruzione dell'Utopia. La Querelle che precedette il Romanticismo mise per
prima in luce questo cambiamento epocale con il mondo classico.
L'insondabile Dio/Volont che fu alla radice di una nuova societ, il garante della libert nella storia
e dalla storia, come certamente non pu esserlo il dio miseruzzo dei filosofi, a disposizione dei loro teoremi. Se
per "filosofia" s'intende, come alcuni mostrarono e mostrano ancora d'intendere, seguitare a pensare "da Greci"
(di fatto: come il loro razionalismo, perch "la Grecia" fu molto di pi, cos come Aristotele fu ben altra cosa
dall'aristotelismo) allora, dopo il messaggio testamentario, per la "filosofia" c' posto soltanto sulle cattedre,
come storia di se stessa; il pensiero, che non s'arresta come non s'arresta la vita, corre altrove: nel grembo oscuro
del fare.
Soltanto l pu leggersi il pensiero, perch il pensiero deborda la sintassi: nei confronti di quel "figlio
prediletto dell'uomo" che "Dio", non tanto il pensiero umano ad esser limitato, quanto la sintassi nella quale
sono obbligati ad articolarsi l'uno e l'altro -Dio e il pensiero- per adeguarsi alla Ragione. L'inavvicinabile
trascendenza ci , di fatto, molto vicina, e appartiene a tutti, perch tutti facciamo, e perci non soltanto
pensiamo, ma anche ci sporgiamo sullAbisso.
La preoccupazione sociale delle religioni rivelate, al di l dei contingenti schemi ideologici nei quali
pu manifestarsi, trova forse in questo "tutti" il suo fondamento. Il Profeta rivela infatti una "verit" che nasce
dal vissuto di un popolo, una percezione della realt dell'uomo e del mondo quale quella che caratterizza una
comunit, quella cui si rivolge il Profeta; perch ogni comunit in tanto esiste in quanto ha dei "valori" e un mito
di fondazione. Di questi "valori" e di questo mito costituita quel che si dice una "cultura". Il Profeta va dunque
oltre la presunzione razionalista di circoscrivere la verit nella sintassi finita del linguaggio: il linguaggio del
Profeta, come quello del poeta e del mistico, allude viceversa all'infinito, al trascendente, all'Oltre, e trasmette il
proprio messaggio come una "verit" la cui razionalit accessibile soltanto per libera adesione, e in questa
adesione vede la luce e si consolida una comunit. Se qualcosa emerge, come lezione; se qualcosa c' da
comprendere nella lunga disputa del mondo islamico attorno alla filosofia, questa cosa un problema centrale
attorno al quale sembra ora riflettere una parte almeno dell'occidente: la convinzione -che l fu vincente- che una
societ ha maggior bisogno di certezze nei valori che non di dubbi intellettuali; e che quindi la razionalit va
usata nel costruire, non nel disgregare, tantomeno per farsene puntello di superbia intellettuale.
Per concludere queste note sembra infine interessante citare un articolo di M. Campanini, Il hadt in
una prospettiva filosofica: la critica di Hasan Hanaf, O.M., LXXXII (n.s. XXI), 2002. La revisione portata da
Hanaf parte da un concetto pi volte espresso in questo testo: Dio il tlos cui tende la prassi umana; in gioco
non la Sua "realt", ma la sua "vita di verit" nella storia dell'uomo. In questa prospettiva, secondo Hanaf, il
tawhd si rivela il sostegno di un'attesa di giustizia sociale (ne discende infatti il concetto di eguaglianza tra gli
uomini) cosicch la religione diviene un'ideologia che ispira la prassi (p. 208). Nella formulazione di una tale,
condivisibile lettura, mi sia concesso sospettare ancora una volta -come rischio- la pretesa di realizzare in terra
l'Utopia che caratterizza il razionalismo subalterno della marginalit, nella quale -nel "Sectarian Milieu"- sembra
nascere l'Islam.

901
In tale prospettiva, nella quale "Dio un valore" ma "la terra ci che viene cercato" (ivi) la
Rivelazione rifonda i rapporti umani, individuali e collettivi (ivi); ecco allora che lo hadth testimonia un vissuto,
un'esperienza collettiva e individuale. Esso evidenzia elementi etnici, sociali e culturali; il significato storico,
politico e sociale della Rivelazione. Lo hadth si rivela perci non soltanto coscienza storica del passato, ma
anche del futuro, perch la coscienza storica un atto creativo che immagina il futuro del mondo; essa perdura
oltre la contingenza dei fatti. Lo hadth diviene allora parte integrante della Rivelazione (p. 210) la traduce nelle
applicazioni particolari relative all'ambito del comportamento individuale e sociale (ivi).
Tutto ci apre indubbiamente, come nota Campanini, all'esegesi filologica e storica (la cui assenza,
vorrei notare, la causa principale dell'ossificazione della Sharah); tuttavia sembra che, nei fatti, i risultati di
tale coincidenza dello hadth con la coscienza storica dell'Islam, si rivelino altri. Nota M.K. Masud, Hadit and
Violence, O.M., LXXXII (n.s. XXI), 2002, che vi parallelismo tra il ritorno allo hadth e la violenza islamista.
Da Ibn Abd al-Wahhb in poi, jihdisti e islamisti non sono studiosi, sono attivisti, e perci fanno un uso
strumentale e non corretto dello hadth, traendone il fondamento per l'uso della violenza, per un jihd come
obbligo perenne di stroncare la "apostasia", cio la diversit.
Il mito che percorre gran parte dell'Islam resta allora la convinzione di poter calare in terra
l'inubicabile Utopia "comandando il Bene e proibendo il Male": in altre parole, abolendo il diverso entro i propri
confini, realizzando quella societ perfetta che il mito di ogni razionalismo subalterno, alla radice del
Chiliasmo; il mito che l'Occidente ha sempre messo al margine, dalla cui messa al margine nata l'ideologia di
"Occidente": ma precisamente in ci traluce l'antico e ormai oscuro legame tra i due mondi.
Quando, al contrario, il messaggio profetico viene razionalizzato, la prima ed essenziale parte di esso
che va perduta precisamente la componente chiliastica, e ci, se apre la strada a una visione pi "politica" e
tollerante della convivenza nella diversit, se evita l'esito autoritario e paralizzante di ogni utopia "realizzata",
apre per anche la strada alla messa in discussione dei "valori", e al progressivo scivolamento verso il
relativismo, che disgrega la comunit nel suo stesso mito di fondazione. La Genealogia della morale
paradigmatica di come una critica razionalista applicata a "valori", la cui "razionalit" soltanto nella libera
adesione, ripeta il noto percorso lungo il quale ogni Razionalismo naufraga nello Scetticismo e nel Relativismo.
Questo approccio, connesso a un "mito" (nel senso comune e negativo della parola) mai riconosciuto
come tale, cio come scelta razionalmente non fondabile (mi riferisco al mito di una verit commisurata alla
cosa), ha fatto dimenticare che ogni individuo, ogni societ, ogni cultura ha una sola possibile "verit": quella
che ha maturato e testimoniato con la propria esperienza storica. Questa "verit" non si dimostra, si costruisce e
con ci si mostra, portando alla luce della storia una civilt: senza di essa non si ha nulla da proporre e si terra
di conquista. Le "civilt" non si scontrano, si scontrano gli Imperi: ma esse possono dissolversi: perch se
nessuna sconfitta pu farle scomparire sinch vivo il loro mito di fondazione, allorch questo si corrode,
l'edificio si dissolve.
Ci che sembra incomprensibile, e perci preoccupare la Ragione dell'Occidente nei confronti
dell'Islam, non la pseudostoria mitica di questa religione, ma la forza del suo mito, cos com' stato costruito e
difeso dai suoi ideologi -teologi, giurisperiti e quant'altro- un mito che sembra resistere alle insidie di una
concezione corrosiva della "razionalit". Un mito che sembra avere forza in quanto sembra dare "senso". La
marginalit sembra aver creato, per la prima volta, una propria societ: e l'Occidente ritrova, sui propri confini
geografici e sociali, il fantasma di ci che pensava di aver bandito per sempre da s.

Altri testi usati per la stesura di queste note ma non espressamente citati:

Alessandro di Afrodisia, Sulla provvidenza, a cura di S. Fazzo, Milano, Rusconi, 1999


Al-Ghazl, The Book of Knowledge being the Translation of Kitb al Ilm by Dr. Nabih Amir Taris, Lahore, Sh.
Muhammad Ashraf, 2nd Revised Ed., 1969, Reprint 1979
Aristotele, L'anima, a cura di G. Movia, Milano, Bompiani, 2001
Metafisica, a cura di G. Reale, Milano, Rusconi, 1993
Avicenna, Risla f lIq, Le trait sur l'amour d'Avicenne, Trad. et t. par T. Sabri, REI, 58, 1990 e 61-62, 1993-
1994
Corbin, H, Avicenne et le rcit visionnaire, cit. in Bibl. a p. 752 (contiene la traduzione di Le rcit de Hayy ibn
Yaqzn alle pp. 154-165)
Introduction a Molla Sadra Shirazi, Le livre des pnetrations mtaphysiques, Lagrasse, Verdier 1988
Laoust, H, La politique de Ghazl, Paris, Geuthner, 1970
Lomba, J., Ibn Ba (Avempace) "Sobre el fin de l'hombre", Sharq al-Andalus, 10-11, 1993-1994
Porfirio, Isagoge, a cura di G. Girgenti, Milano, Bompiani, 2004
Trait d'Avicenne sur le destin (al Qadari), Trad. et comm. par T. Sabri, REI, 55-57, 1, 1987-1989

Postilla
La frase in corsivo che chiude questo capitolo, merita una breve postilla. Alle pp. 811-815 avevo gi
dato una lettura del fondamento rivoluzionario delle sette shite. A p. 845 avevo ricordato lattrazione che sta

902
esercitando ora lIslam sullantioccidentalismo interno alloccidente stesso, cercando le ragioni in un rapporto
intimo e contraddittorio dellIslam con la formazione dellideologia occidentale. Alle pp. 828-829 avevo inoltre
accennato alle sette ultra-shite presenti ancora nellarea balcanica e mediorientale, antinomiche nei confronti
della Sharah. Il discorso era stato introdotto a p. 826 per un dubbio sottile sulle tesi espresse da Halm nel suo
Die islamische Gnosis, circa il formarsi di questa gnosi per leredit dello Gnosticismo antico, cristiano e
giudeocristiano. Su questo argomento non mi ero dilungato, limitandomi a far notare la profonda differenza tra la
gnosi islamica e lo Gnosticismo, perch nel testo mi occupavo daltro. La conclusione cui sono giunto sopra
rende per utile rimarcare lo sviluppo tutto interno allIslam di quella gnosi, ancorch con prestiti da miti
antichi e altre religioni, maturati nel mondo rurale. Ci perch aiuta a rafforzare il quadro di una carica
rivoluzionaria permanente in opera nel messaggio profetico, quella stessa che nel Cristianesimo fu
marginalizzata e tenuta a bada dallistituzionalizzazione della Chiesa di Roma, nonostante ci pur sempre
esistente nel mondo giudaico e cristiano, ma di certo continuamente emergente in quello islamico.
Come gi segnalato, tutta la Sha estremista nasce con la crisi politica del movimento (Abdallah ibn
Sab resta un personaggio alquanto di leggenda) per la definitiva affermazione degli Abbsidi; inizia intorno al
5 e 6 Imm, prosegue con la formazione dellIsmailismo, e conosce ulteriori sviluppi con la morte dell11
Imm. Il periodo che corre dalla met dellVIII alla fine del X secolo vede anche il formarsi del corpus
alchemico di Djbir; in esso nascono le sette ultra-shite che divinizzano Al, e che producono cosmogonie
opera di ipostasi divine, innanzitutto del 1 Imm, ma non soltanto. Questo anche il momento nel quale si
sviluppa la dottrina emanatista neoplatonica, che, da al-Frb allIsmailismo agli Ikhwn as-Saf, vede
nelluomo perfetto il contatto con lIntelletto Agente, o, nellAdepto, colui che chiamato a risolvere il problema
del potere politico nella fattispecie del leader religioso che rinnova la parola profetica.
Sul fondamento di quanto hanno notato Marquet (1959, cit. in Bibl. A p. 850) e Hollenberg, le ipostasi
che Halm (1982) considera fenomeno gnostico eredit dello Gnosticismo, possono per forse considerarsi
lequivalente popolare di quello schema neoplatonico, cos da intenderne lorigine tutta interna alla storia
dellIslam. Si noti che Halm, per sviluppare la propria tesi, esclude dalla propria storia della Sha gli Zayditi, in
quanto non gnostici (p. 85): laddove il fenomeno generale non sembra quello della gnosi, quanto quello
della Sha, un prodotto del primissimo Islam (forse lIslam iniziale secondo lipotesi della Crone) che evolve in
forme gnostiche, cio esoteriche nel momento della sua marginalizzazione politica. Quanto lontani siamo dalla
cultura dello Gnosticismo lo mostrano quei gruppi esaminati da Halm (Khattbiti, Mughriti, Bazghiti) che
furono politicamente rivoluzionari. A questo messianismo rivoluzionario dellVIII-X secolo Ocak (1997) collega
le sette in questione, presenti dai Balcani al Medio Oriente (Ahl-i Haqq, Yezidi, Nusayriti, Kizilba, Aleviti-
Bektshi -verso i quali convergono gli Hurfiti [Algar, 1992; cfr. Anche Van Bruinessen, 1992, cit. in Bibl. p.
852]- et.). Mokri (1974) nota nel mito Ahl-i Haqq la sopravvivenza dellepopea di Ab Muslim, il vincitore
tradto della rivolta Abbside, espressione di moti rivoluzionari popolari (cfr. supra, pp. 200-207). Come tutti
mettono in rilievo, la genesi di queste sette vede la tradizione esoterico/rivoluzionaria mediata dalla presenza
Sf portatrice di influssi iranici e asiatici anche estranei allIslam (Ocak, 1992) fusi tuttavia in una religiosit
vernacolare di matrice sicuramente islamica, alde, nella quale evidente la tradizione neoplatonica (Mokri,
1962; Faroqi, 1992). Una sintesi in questo senso anche articolata da During, che sottolinea il ruolo delle attese
millenaristiche della marginalit. Il crogiolo culturale nel quale queste sette sono allopera, con il movimento
Sf e in ambiente shita, il momento rivoluzionario che port allavvento dei Safavidi, salvo restare
marginalizzate dopo listituzionalizzazione della Sha duodecimana da parte di questi ultimi, giunti al potere.
Lelemento millenaristico/rivoluzionario si pu ben leggere in ci che le accomuna alle pi antiche sette shite:
la ripetitivit dellincarnarsi divino e della profezia che tende alla destituzione della Legge (Sharah) e, per
conseguenza, a divenire una religione universale, come nel caso dei Bbisti e dei Bah (Mir Kasimov).

Per questa Postilla vedere i titoli di Bar Asher-Kofsky, Capezzone, Halm e Strothmann alle pp. 815-817, oltre a
quelli relativi allargomento citati alle pp. 847-852. Si fa riferimento inoltre a:

Bar Asher, M., Sur les lments chrtiens de la religion nusayrite-alawite, J.A. 289, 2001
Capezzone, L., Abiura della Kaysniyya e conversione allImmiyya: il caso di Ab Hlid al-Kabl, O.M. 66,
1992
During, J., A Critical Survey on Ahl-e Haqq Studies in Europe and Iran, in E. Odzalga ed., Religion, Cultural
Identity and Social Organization among Alevi in Ottoman and Modern Turkey, Istanbul, Swed. Res. Inst., 1998
Frieman, J., al-Husayn ibn Hamdn al-Khasib. A Historical Biography of the Founder of the Nusayr-Alawite
Sect, S.I. 93, 2001
Hollenberg, D., Neoplatonism in pre-Kirmnian-Ftimid Doctrine. A Critical Edition and Translation of the
Prologue of the Kitb al-fatart wa al-kirnt, Le Muson, 22, 2009
Mir Kasimov, O., tude des textes hurfi anciens: luvre fondatrice de Fadlullh Astarbd, R.H.R., 226,
2009
Mokkri, M., tude dun titre de propriet du dbut du XVIe sicle provenant du Kurdistan, J.A., 251, 1963
Van Bruinessen, M., A Kizilbashi Community in Iraqi Kurdistan: the Shabak, Les Annales de lautre Islam, 5,
1998
903
3 - La crisi dell'Occidente: Leo Strauss e la filosofia politica; Voegelin e il XX secolo
gnostico; Brague e l'ordine medievale. Con alcune divagazioni apparentemente fuori tema

L'Occidente, come abbiamo appena concluso, sembra dunque in crisi, una crisi che riguarda
innanzitutto la sua propria identit. Di questa crisi si sono occupati alcuni autori del XX secolo, noto tra tutti Leo
Strauss. Nell'Appendice alla V ed. avevo introdotto (pp. 839-843) alcune rapide notazioni sull'analisi da lui
condotta per lunghi anni, analisi impietosa sulla crisi, da lui diagnosticata, della societ e della cultura
occidentale. Il tema in s non nuovo n sorprendente: gi subito dopo la fine del primo conflitto mondiale,
Spengler aveva scritto un pesante tomo denso di analisi, per attestare "Il tramonto dell'occidente". Poco dopo
Hans Jonas, non insensibile all'allarme che iniziava a diffondersi, rilanci il tema dello Gnosticismo -destinato a
divenire una sorta di incubo per Voegelin- come atteggiamento spirituale in grado di inquinare la cultura
europea del XX secolo, manifestandosi nei movimenti estremisti di destra e di sinistra.
Su questa ipotesi di Jonas, proseguita poi da Voegelin in toni ancora pi generalizzati, esprimevo i
miei dubbi ne La Gnosi. Il volto oscuro della storia (pp. 343-346) nel senso che, pur considerando lo
Gnosticismo (non gi come concreto fenomeno storico, ma come astratto modello di pensiero) "una storia del
potere vista nell'ottica dell'emarginazione" (p. 348) e vedendone una "eredit", non certo una continuazione, nel
Nihilismo anarchico (p. 344); ritenevo infondata la conclusione di Jonas. Infatti, la fede nel Dio buono e nel
destino luminoso dell'uomo, potevano far considerare gli Gnostici come gli antesignani e gli archetipi
dell'utopismo progressista, non gi delle cupe ideologie maturate nella destra europea. Il problema di Jonas,
come quello di Voegelin sul quale torner nel seguito, mi sembrava piuttosto un altro: l'angoscia conservatrice
(ultrconservatrice in Voegelin) per il declino dell'ideologia razionalista dell'Occidente quale si era espressa nel
XIX secolo borghese, ed era sopravvissuta nella prima met del XX.
In quell'inciso "una storia del potere vista nell'ottica dell'emarginazione" erano contenuti due concetti
sviluppati nel testo che restano a guida della Storia di un altro occidente: il buon senso storico di non cercare
improbabili continuit tra l'una e l'altra delle grandi manifestazioni di un occidente alternativo succedutesi nel
tempo (l'ultima che ha un qualche legame indiretto con lo Gnosticismo antico, pu considerarsi l'eresia catara)
vedendo viceversa in esse la continuit dei fenomeni di rifiuto generata dalla sola, vera, grande "continuit"
dell'Occidente (ideologico): il Razionalismo del pensiero egemone, che riusc a reagire vittoriosamente anche
alla sfida del messaggio testamentario, incanalandone la comprensione entro schemi teologici platonico-
aristotelici.
Questa continuit fu ed , dunque, il secondo concetto-guida, che non vuole tuttavia adombrare un
altro monolite, perch quantomeno ovvio, e non mette conto parlarne, che tra la Grecia classica e l'attuale
Occidente infinita acqua trascorsa sotto i ponti. Dovrebbe tuttavia far riflettere il fatto che alla Grecia classica
si volga ancor oggi un filosofo come Leo Strauss per contrastare l'angoscia del conservatore in crisi. In crisi, ma
certamente dotato di uno sguardo acuto, che si manifesta anche nella diffidenza verso gli apporti del
Cristianesimo, accettato soltanto di sfuggita e nell'ambito tomista: et pour cause.
Nonostante l'infinita acqua trascorsa -tanta, cosicch abbiamo perso coscienza del nostro stesso
fondamento, ovvero di chi scav il letto e costru gli argini- certo che, come autorevolmente osservato, la
costituzione dell'Occidente resti ancora aristotelica; ci che non sarebbe affatto disprezzabile se ci si rifacesse
alla straordinaria concretezza, duttilit e buon senso dello Stagirita -tanto concreto da lasciare saggiamente
interrogativi senza risposta- invece che alle geometrie di un pedante aristotelismo di maniera.
La logica dell'Occidente non per soltanto aristotelica; al suo fondamento, nonostante la critica di
Aristotele stesso, resta ancora la Ragione astratta di Platone, non quella espressa nei suoi folgoranti miti, ma
quella messa in scena - il caso di dirlo: si recita una trama- da quel Socrate al quale, non per caso si volge
ossessivamente Leo Strauss. Socrate il vero, grande Sofista: non nel senso positivo in cui lo furono Gorgia e
Antifonte, che della Ragione mostrarono l'ambiguit, ma nel senso negativo di chi vuol dimostrare
artificiosamente che la Ragione una sola, possibilmente la propria. Dico "artificiosamente" perch l'artifizio
in quel metodo eristico-diairetico supinamente subito dall'interlocutore, grazie al quale Socrate colui che -sia
concesso l'irriverente paragone- "d le carte", opportunamente scelte per condizionare la dialettica che ne segue,
dalla quale gli interlocutori escono con la coda tra le gambe dopo borbottii di consenso. La risposta a Socrate,
proseguendo l'indegno paragone, potrebbe consistere soltanto in ci che all'educato interlocutore non concesso:
rovesciare il tavolo con tutte le carte e aprire una nuova partita con una vera dialettica, quella delle "verit" o
delle "ragioni" che si testimoniano in tutta la diversit dei loro presupposti, che non ammettono la reductio ad
unum se non sul piano della comune umanit, della vita che va capita tra le righe del non-detto, non ha confini
definiti e aborre ogni astratta geometria. Pi che mai, le rigidit del metodo diairetico.
Ora, se si riflette sulla grande evoluzione del pensiero che fu operata tra Socrate e Aristotele, ci si
accorge che essa consistette nella messa a punto di una logica capace di enucleare, o, quanto meno, di rincorrere
razionalmente, una "Verit" unica, "obbiettiva", come si dice in linguaggio corrente. Riflettendo ancora pi a
fondo si potrebbe anche pensare che tale elaborazione in tanto fu possibile, in quanto avvenuta all'interno di una

904
societ che si identificava in una plis antropologicamente dicotomica, della quale soltanto alcuni erano da
considerarsi cittadini (Aristotele, Politica, 1275a, 22-23; vedi anche la sacrosanta ironia di Gorgia, ivi, 1275b,
26-30) nella quale l'allargamento della cittadinanza agli artigiani poteva anche considerarsi quasi contro natura,
quantomeno contro Ragione (ivi, 1277b, 2).
Il risultato duraturo di questa evoluzione fu un'ideologia del dominio del tutto indipendente da un
puntuale, e perci transeunte, sostegno a qualunque regime; si potrebbe forse dire la messa a punto di un metodo
per sostenere l'ideologia di un qualunque dominio; per questa ragione ho costantemente definito il Razionalismo
come "ideologia del dominio". Sua caratteristica fondamentale istituire un metodo che consente di eliminare
dalla discussione la pluralit delle esperienze, quindi delle "ragioni", per la stessa discriminazione antropologica
dell'altro, che, essendo portatore di un diverso fondamento, non pu contribuire all'edificazione della Ragione
unica. Per citare due esempi che riportai nel testo, Vilgardo e Leotardo, come tutti gli ydioti illitterati della
nostra storia, furono messi sbrigativamente nell'angolo grazie al fondamento unico dell'unica Ragione. dunque
all'interno di questo Razionalismo, di questa ideologia, che pu collocarsi la sola, vera continuit dell'Occidente.
Una continuit che va ben oltre il Razionalismo classico: con Cartesio, lo "altro" sul quale la Ragione
dovr esercitare il dominio sar la natura, operazione che segna la nascita del Razionalismo scientifico come
inizio della grande avventura della tecnica. L'ultimo passo di questa galoppata della Ragione sar finalmente
l'abolizione tout-court della natura nel suo ruolo di trasparenza dell'Altro, trasparenza del divino nel
Romanticismo, secondo la tradizione neoplatonica. Per inciso, qui si nota una "distrazione" di Strauss, allorch
nella sua fondata critica al Moderno sembra non accorgersi che il Razionalismo cartesiano, dal quale il Moderno
discende e che egli respinge, ha una radice riconoscibile nelle strutture del pensiero greco classico, al quale egli
viceversa indulge come "filosofo" considerandolo un'alternativa alla Rivelazione nella fondazione della Legge.
Premessi dunque questi assunti, che possono essere accettati o respinti ma che costituiscono nel bene
e nel male l'alveo nel quale si sviluppa tutto il mio discorso non soltanto in questo testo, ma in tutto ci che ho
scritto, si pu iniziare l'esame dell'oggetto annunciato, a partire dall'opera di Leo Strauss che penso di articolare
come segue.
Per prima cosa, prima cio di passare ad un esame di dettaglio dell'opera di Strauss, mi sembra utile
prendere qualche spunto dall'opera di T.V. Mc Allister (Revolt against Modernity. Leo Strauss, Eric Voegelin, &
the Search for a Postliberal Order, Lawrence, Un. Press of Kansas, 1995), limitandomi alla sua rassegna
dell'opera di Strauss ed escludendone gli aspetti estranei alle presenti note. Mc Allister infatti conduce un'attenta
e interessante critica ai due autori, ma l'angolo di visuale che lo caratterizza rivolto a comprendere la vitalit o
meno, non della societ occidentale in generale, ma del liberalismo della societ statunitense in particolare. Ci
ben motivato dalle radicali differenze tra l'utopia che fonda gli Stati Uniti e il pesante fardello storico che grava
sull'Europa, onde i due autori, che pure operarono a lungo e fecondamente come rifugiati degli anni 30 negli
Stati Uniti, hanno a loro volta lo sguardo puntato alla crisi del liberalismo europeo, una vicenda non comparabile
con gli eventi della societ nord-americana.
Mi sia concesso notare che ci senz'altro valido se si pensa alla vitalit dell'utopia (o, se volete, del
mito di fondazione) in quest'ultima, in grado di liberare energie per i cambiamenti quando i percorsi appaiono
condurre in un cul de sac, e, soprattutto, secondo un profilo che ho pi volte sfiorato e che sembra rivestire una
qualche importanza attuale, se si tien conto tra la differenza tra la neutralit di quello Stato nei confronti delle
religioni, associata ad una sua non neutralit nei confronti della religione (Dio al centro del mito della libert
negli USA); e la concezione europea della "laicit" dello Stato, di uno Stato cio che considera la religione in
generale una mera opinione personale.
Tuttavia ci non esime dal considerare alcuni aspetti della critica di Strauss alla modernit come
perfettamente validi nei confronti dell'Occidente in generale; mi riferisco in particolare alla cultura storicista-
relativista della quale sono portatrici le intellighentzie di entrambe le sponde dell'Atlantico. Questa cultura si
pone a valle di un processo che prende l'avvio con l'Illuminismo -fenomeno fondante di tutta la modernit
occidentale- e, oltre a condurre a effetti che sembrano potenzialmente disgregatori della nostra societ, sembra
sboccare, con il fallimento del multiculturalismo e il patente sciocchezzaio del politically correct, in una
sostanziale incapacit di comprendere la natura dell'uomo e le esigenze della societ come luogo nel quale
orientarla positivamente. Direbbe Strauss: luogo nel quale "giusto" che Prospero comandi su Calibano.
Mc Allister fa precisi rilievi relativi al percorso culturale e alla personalit di Strauss, la cui
fondatezza emerge in modo chiaro allorch se ne esamini l'opera. Egli nota gi ad apertura di testo (p. 26) che il
problema dal quale prende spunto inizialmente l'opera di Strauss, l'assimilazionismo e la relativa risposta
sionista, che lo vede in posizione di netto rifiuto nei confronti del primo, e di relativa incertezza nei confronti
della seconda, a causa della sua natura strettamente politica. Strauss avrebbe preferito uno Stato ebraico non
estraneo al dettato veterotestamentario.
Si noti che Strauss consider se stesso un filosofo nel senso pi laico della parola (cfr. la lettera a
Scholem del 7-7-1973, cit. in App. V ed., p. 842) impostando la propria ricerca su basi esclusivamente
filosofiche, ma non escludendo una possibile "verit" della Rivelazione, precisamente per l'impossibilit della
Ragione a giudicare della fede (ivi, p. 839). Secondo Strauss, che non per caso in quella lettera citava Averro, il
ruolo cruciale della Rivelazione si avverte sul piano sociale: tramite essa, il Profeta assegna all'uomo una Legge
funzionale al conseguimento del Bene, quello stesso Bene circa il quale il filosofo s'interroga. Uno Stato ebraico
905
sembrava a Strauss concepibile soltanto in rapporto alla Torah. La filosofia, per Strauss, s'identifica dunque
prima facie con la filosofia politica.
Questo punto di partenza di Strauss fondamentale per lo sviluppo della sua opera, che ad esso resta
coerente anche negli errori di valutazione -li vedremo- nei quali lo induce, nel tentativo di dare un fondamento
razionale -Strauss un razionalista- a un rispettabile assunto la cui "verit" pu risiedere soltanto nella sua
testimonianza.
All'impostazione generale del suo pensiero, la riflessione iniziale sulla condizione giudaica nella
Germania liberale contribuisce anche per altra via. Egli constata infatti nella Repubblica di Weimar la
noncuranza verso le proprie stesse radici, inseparabili dalla fede giudaica e cristiana, ci che la rese vulnerabile
nei confronti della sopravveniente dittatura nazista (Mc Allister, p. 142). interessante notare qui un'analogia
con le premesse della "rivolta contro la modernit" di Eric Voegelin, il quale anche, ma per altre vie, vede una
inevitabile conseguenzialit di sviluppo tra la Germania liberale e quella nazista, aperta dal trascinamento
dell'Assoluto nella storia operato da Hegel. Per entrambi, una societ priva di fondamento religioso e
conseguentemente affidata all'onnipotenza dell'uomo, risulta esposta ad ogni possibile deriva ideologica.
Questa convergenza per vie assolutamente diverse (ci che accomuna i due autori soltanto la
ribellione alla modernit che corrode il tessuto etico delle societ occidentali, e una reciproca stima attestata da
un lungo carteggio epistolare) ha forse, a mio modesto e personale avviso, una radice nel comune interesse che
entrambi, per ragioni diverse, mostrano verso l'opera di Hans Jonas. Nel caso di Voegelin, parte di l la sua
ossessiva crociata contro lo "Gnosticismo" ( il caso di metterlo tra le virgolette) che, secondo lui, avrebbe
permeato di s il XX secolo. Nel caso di Strauss (alquanto tiepido nei confronti di Jonas "filosofo") la
convergenza con Jonas non affatto specifica, ma debbo notare che tanto lui, quanto Jonas -e Taubes, del quale
ho trattato alle pp. 680-684- mostrano dei tratti comuni di pensiero. In tutti si tracciano vicende del pensiero
occidentale diverse negli esiti e negli intenti (tra l'altro, Strauss aveva una pessima opinione di Taubes come
studioso e come uomo, come si evince dalla sua corrispondenza con Scholem, G.S., Bd. 3, pp. 728-736) ma
accomunate dalla singolare "ignoranza" (voluta?) di fondamentali aspetti dello sviluppo del pensiero occidentale
che vanno dal messaggio testamentario al XIX secolo: pi o meno, quelli dei quali ho trattato nella Storia di un
altro occidente.
Nel caso di Strauss mancano all'appello tutto il Neoplatonismo che si sviluppa dall'Ellenismo al
Rinascimento e le altre forme di pensiero connesse; ci che davvero singolare perch il Neoplatonismo
(sovente inteso dai suoi protagonisti come "aristotelismo", per gli eventi della transizione dei quali ho parlato nei
precedenti due capitoli, e sui quali torner) di fatto il patrono del grandioso ordine cosmico che domina il
pensiero medievale, tanto islamico, quanto giudaico e cristiano.
Nelle sue versioni eterodosse poi anche il motore di quel fenomeno che dalla magia e dall'alchimia,
allo Spiritualismo riformato, alla Frhromantik, accompagna la singolare evoluzione della religiosit
occidentale, la cui secolarizzazione operata da Hegel all'origine del Moderno. Ma l'operazione di Hegel, bene
ricordarlo subito per comprendere quel che segue, non fu conseguenza necessaria di quel fenomeno, non vi si
innesta in continuit; al contrario, una ripresa del Razionalismo illuminista che ha radici nel Razionalismo del
XVII secolo, a sua volta nato in reazione al Neoplatonismo rinascimentale.
Il risultato della prospettiva zoppa di Strauss si fa sentire in tutta la sua opera. Su di essa non pu che
premettersi - bene chiarirlo subito, senza alcuna intenzione polemica ma per indispensabile messa a punto
analitica- ci che afferma Mc Allister (p. 142): "Il silenzio di Strauss sul Cristianesimo fragoroso (loud) e il
significato del silenzio, al momento, non chiaro" L'affermazione quasi ricalcata da J. Ranieri (The Bible and
Modernity: Girardian Reflections on Leo Strauss, www.uibk.ac.at/theol/cover/events/innsbruck2003_ranieri_
paperandabstract.doc) che definisce il silenzio di Strauss sul Nuovo Testamento "particolarmente assordante
(deafening)", p. 17.
Come facile notare esaminando il pensiero di Strauss, la centralit che ha per lui il problema della
Legge, inseguito da Platone a Maimonide passando per la filosofia araba, come normativa che trascende le
umane opinioni, ha certamente un ruolo nel trascurare un messaggio che si fonda essenzialmente su un esempio,
non su una normativa. Ne consegue, come abbiamo visto nel corso di tutta la vicenda narrata, che esso appare
come un terreno fertile per le scorribande dello Spirito, che pu leggere il messaggio in filigrana
relativizzandone gli aspetti letterali. Si stabilisce cos un percorso grazie al quale il Cristianesimo tende a
razionalizzarsi facendosi religione universale, e ad autosuperarsi, come pensava Schleiermacher: di fatto, a
secolarizzarsi.
Questo infatti il percorso che legge Strauss nella sua critica al Moderno, un percorso che parte
dall'Illuminismo divenuto una nuova religione, per giungere allo Storicismo e allo Scientismo, con il
conseguente Relativismo. La sua posizione critica nei confronti del Cristianesimo quale radice del Moderno,
evidente in vari luoghi della sua corrispondenza con Krger (G.S., Bd. 3); in particolare egli nota la differenza
tra questi sviluppi, che conducono a un diritto naturale, e la loro improponibilit per la cultura islamica e
giudaica.
Particolarmente significativa appare la lunga lettera del 27-12-1932 (pp. 419-422) nella quale sembra
evidente il rifiuto "filosofico" di considerare l'avvento del Cristianesimo come l'evento che sovverte la
concezione classica del mondo, rendendola improponibile con il passaggio da una "verit" intesa come
906
adeguamento della proposizione alla cosa, a una verit "testimoniata"; un passaggio che ne sposta la sede dalla
"cosa" e dal suo rapporto con la Ragione (e viceversa) alla vita, con tutta la sua incontenibile imprevedibilit; un
passaggio che segna la fine della "necessit" -il cosmo regolato dalla sfera di Ananke- e l'apertura a una libert
mutuata da un Dio/persona.
Aprire qui un discorso sulla complessit del Giudaismo intertestamentario (cfr. al riguardo A. Paul,
Qumrn et les Essniens. L'clatement d'un dogme, Paris, Cerf, 2008) mostrerebbe la continuit realizzata tra
Giudaismo, Cristianesimo -e Gnosticismo- prima che s'irrigidisse la frattura con la "creazione" (vedi il sempre
citato W. Bauer) di due "ortodossie". Strauss segue viceversa un percorso divergente: legato, per il problema
dell'assimilazionismo, alla Torah (come nota Mc Allister a p. 184, la legge giudaica non pu trovare posto
nell'universalismo cristiano) aggira il problema storico ignorandolo, o meglio, vedendovi le radici di un
avveniente disgregamento sociale, per ricollegarsi a monte con la filosofia "greca" intesa nel suo Razionalismo
classico (Platone e Aristotele). Il risultato collaterale di inchiodare "Atene" cio il pensiero greco a un suo
particolare momento: mentre quel pensiero nasce molto prima ed evolve molto dopo, nell'Ellenismo che s'inoltra
nell'Era volgare.
La polemica anticristiana si rinviene anche nella corrispondenza con Lwith (p. 625: "meglio il Ghetto
che la Croce"; poi, alle pp. 630-633 nella stroncatura di Kierkegaard -che ricorda Taubes- per la sua risposta
"cristiana" che pensa ad un'esistenza sottratta alla politica e il cui interrogativo quello della "moderna umanit
borghese"). La sua posizione chiaramente espressa nelle lettera a Lwith del 15-8-1946 (pp. 660-664): la
filosofia moderna, contro la quale egli si schiera, discende dal Cristianesimo; Strauss ricorda inoltre la Querelle
sostenendo le ragioni degli Antichi, per concludere che il vero ordine politico quello di Platone e di Aristotele,
contro il quale c' s, la Rivelazione, ma non altri argomenti. Di qui l'accenno al dualismo Atene/Gerusalemme,
uno dei grandi temi di Strauss sul quale torner in seguito.
Di questo dualismo oggetto una significativa riflessione di Mc Allister (pp. 198-200): "Il ritorno di
Strauss alla Legge...... una critica al Cristianesimo" (p. 198); "vicino al centro della sua comprensione della
modernit, e delle moderne limitazioni che gravano sull'ipotetico filosofo, resta la sua aspra critica al
Cristianesimo" (ivi). "Il contrasto che Strauss tracci tra il Giudaismo (e l'Islam) e il Cristianesimo, riguardava il
ruolo sociopolitico rivestito dalla Legge" (ivi). Il contrasto tra queste religioni consiste nel fatto che alla base del
Cristianesimo vi una teologia, mentre alla base di Giudaismo e Islam vi la Legge (p. 199). Contro
l'Illuminismo, che discende dal Cristianesimo, Strauss si fa paladino di un "Illuminismo medievale" giudaico e
islamico (ivi). Le caratteristiche di questo Illuminismo le vedremo poi; qui mi limito ad accennare che Strauss, a
causa della distorsione prospettica dalla quale parte, lo interpreta nell'ambito del platonismo, obliando
letteralmente la matrice aristotelica che lo configura come Neoplatonismo, un'altra cosa in tutti i sensi. Che
questo e non altro sia il "platonismo" medievale assolutamente patente dai suoi testi e dalla sua genesi; e da
come tutti sanno, o dovrebbero sapere almeno sin dall'articolo di Baeumker, cit. in Bibl. a p. 746. Il
Neoplatonismo -va ripetuto per l'ennesima e ultima volta- fu il risultato del tentativo di razionalizzare (in alcuni
casi di "paganizzare") i monoteismi e la loro religiosit, ormai imprescindibile nella crisi dell'Antico, entro gli
schemi della prestigiosa filosofia greca: e il "filosofo" per eccellenza era Aristotele. Questo fenomeno si ripet
con l'avvento dell'Islam, non soltanto per motivi politici come ricorda Gutas citato nel precedente capitolo, ma
verosimilmente anche come forma di affermazione del monoteismo.
Una prima conseguenza delle premesse della ricerca di Strauss la si pu constatare non soltanto nella
sua singolare prospettiva sulla filosofia islamica, che vedremo in seguito; ma anche nella sua lettura di
Maimonide, al quale lui si volge per contrapporlo a Spinoza, la cui critica, come nota Mc Allister (p. 179)
costituisce concettualmente e cronologicamente il luogo d'inizio e di arrivo per la comprensione di Strauss (circa
40 anni separano i suoi studi iniziali del 1925-1928, dalla tarda Prefazione all'edizione americana del 1968,
cinque anni prima della morte). Il problema giudaico nei confronti dell'assimilazione nasce infatti con lo
scomunicato Spinoza.
Come nota Mc Allister (pp. 201-205) Strauss non cap che in Maimonide l'aspetto politico del
pensiero discendeva dalla metafisica, palesemente neoplatonica; anteponendo la filosofia politica alla filosofia
tout-court, egli ne fece un platonico, cosa che Maimonide non era, come non lo erano i suoi referenti islamici.
Dice giustamente Mc Allister, a proposito dell'opera di Strauss vista nel pi generale contesto nel quale Strauss
pone il problema giudaico, del popolo eletto, come il problema umano universale sotto il profilo politico e
sociale (pp. 178-179): "Nonostante l'universalit del problema, non dobbiamo consentire a Strauss di distrarci dai
suoi personalissimi, difficili e perci non universali problemi (corsivo mio) relativi alla sua propria identit
giudaica, vale a dire dal suo atteggiamento verso la sua cultura, e, innanzitutto, la sua eredit religiosa".
Non ce ne dobbiamo far distrarre, aggiunge, perch la concreta realt del problema non pu esimere
dal considerare la premessa culturale di Strauss come verosimile origine di conclusioni che lasciano francamente
perplessi sotto il profilo storico e filosofico, alle quali egli giunge, a mio modesto ma non personalistico avviso,
per le vistose lacune del suo panorama.
Per conseguenza si pu restare perplessi non soltanto dinnanzi all'emergere di una visione della Legge
che fa della Torah quasi un'altra Sharah precisamente in rapporto all'accennata vicinanza tra Islam e Giudaismo
contrapposti al Cristianesimo -una visione che lascia perplesso anche il comune buonsenso dell'esperienza- ma
anche e soprattutto per la sua impostazione del problema filosofico nei tre monoteismi, che non sfugge a Mc
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Allister (pp. 198-200 e n. 67 a p. 301). Certamente lecito osservare che il comune buonsenso dell'esperienza
non ha il valore probante delle dotte e rigorose decostruzioni; tuttavia resta un buon termometro per misurare la
febbre di queste ultime.
La tesi di Strauss la seguente. Il contrasto tra Giudaismo e Islam da un lato, Cristianesimo dall'altro,
nella Legge rivelata che regola gli atti dell'individuo (lo ha sottolineato anche Brague, cfr. supra, p. 833). Nei
primi essa costituisce una comunit circoscritta, che il Cristianesimo tende ad inglobare nel proprio generico
universalismo. Questo universalismo, per inciso, attrasse Spinoza (si ricordi che Spinoza il centro doloroso del
pensiero di Strauss, inizio e chiusura della sua ricerca) che lo consider portatore di una societ liberale nei
confronti della filosofia, almeno sul piano teorico. Nel Cristianesimo, dunque, la filosofia divenne centrale
nell'elaborazione della dottrina: il Cristianesimo una teologia, il Giudaismo e l'Islam sono, ciascuno con una
propria specificit, una Legge. La conseguenza fu negativa. Il Cristianesimo si rivel debole rispetto alla deriva
filosofica che avvenne per sua responsabilit: l'Illuminismo fu figlio del Cristianesimo e dall'Illuminismo
discende la filosofia contemporanea che ha oscurato la "vera" filosofia.
Questa pseudofilosofia, secondo Strauss, costituisce una rinuncia alla libert di pensiero: una tesi che
egli avanza in Persecution and the Art of Writing (p. 56) in riferimento alla marginalizzazione di tesi come le sue
che intendono interpretare in modo eterodosso il pensiero antico. Qui per il Cristianesimo c'entra ben poco: se
la cultura dell'Occidente contemporaneo sembra ormai incapace di uscire dalla ripetitivit, sono piuttosto da
invocare le complesse ragioni sociali che la hanno incernierata nelle schiere accademiche e nel loro seguito
crocidante di intellettuali prt--porter, espressione di quella societ piccolo-borghese che ha occupato buona
parte del XX secolo. L'inserimento di questo tema in Mc Allister mi sembra dunque un po' forzato, cos come
speciosa la generica affermazione di Strauss.
La conclusione paradossale di Strauss che i filosofi crebbero pi robusti in una societ fondata su
leggi religiose e che controllava atti e pensieri (leggi: Giudaismo e Islam). Strauss sostiene questa tesi su due
fondamenti che egli ritiene di far emergere da una personale lettura dei filosofi islamici e di Maimonide
(Avicebron e i suoi antecedenti giudaico-arabi sono introvabili nella sua panoramica).
Il primo l'interpretazione che egli d di questa filosofia, diversa da quella comune e lontana da
quanto sembrerebbe esplicito in quei filosofi. Il secondo la conseguenza che egli ne trae e che fonda il testo
sopra citato: i filosofi espressero le loro "verit" sotto un velo esoterico, riservato a pochi iniziati, per sfuggire
alla persecuzione religiosa.
Questa seconda tesi , a mio avviso, insostenibile, perch insostenibile, anche ad avviso di studiosi
della filosofia islamica, l'interpretazione di al-Frb e di altri data da Strauss, come vedremo oltre. Essa per
un fondamentale puntello di tutta la visione filosofico-politica di Strauss, che spiega in buona parte il suo acceso
platonismo: ci che gli consente di stabilire una visione della societ, della quale va a trovare conferma anche
in Averro, antropologicamente dicotomizzata in un ristretto circolo di sapienti in grado di elaborare le giuste
norme per il suo reggimento, e in una massa di ignoranti cui queste norme possono essere tradotte sotto forma di
normativa religiosa. Per questa ragione, noto per inciso, Strauss fortemente interessato al rapporto tra filosofia
e Profezia, che egli insegue in Maimonide ma che di fatto ha il proprio fondamento in Avicenna.
Mc Allister ha indagato i paradossi cui conduce la dottrina di P&AW: a me interesser essenzialmente
mostrarne il cedevole fondamento per le dubbiose interpretazioni della filosofia islamica che la sorreggono;
certamente, questa visione del rapporto tra filosofo, potere politico e societ che ne emerge ricorda le infinite
petizioni, dette "specchi dei Principi", degli intellettuali di tutti i tempi, che dalle proprie posizioni di funzionari
in bilico, aborrono il popolo al quale si sentono superiori e che perci non capiscono, e vogliono porsi a ispiratori
di una prassi del potere che capiscono ancor meno perch ne sono del tutto estraniati.
Ci detto, mi sembra giunto il momento di seguire pi da vicino la ricerca di Strauss a partire dalla
centralit del suo rapporto con Spinoza, seguendo i due distinti percorsi attraverso i quali si configura la sua
critica all'Occidente, percepito in pericolo. Da un lato, partendo da Spinoza, cui egli trover come antecedente
Hobbes, e, pi a monte, Machiavelli, egli delinea il fondamento della moderna societ occidentale sino
all'odierna deriva che si manifesta nello Storicismo -figlio dell'Illuminismo- cui Strauss addebita l'approdo
relativista e nihilista. Personalmente ritengo il Relativismo figlio pi che altro dello Scientismo.
Questo suo percorso certamente fecondo perch, decostruendo con logica serrata l'impalcatura
culturale del Moderno, ne mostra il volteggiare sul vuoto di un pensiero che ha rinunciato a porsi il problema del
"bene" sociale. L'uomo infatti non pensabile fuori della societ, ed quindi quest'ultima, non l'individuo con le
sue pulsioni, il punto di partenza dal quale pensare diritti e doveri.
Si deve tuttavia notare che la tendenza di Strauss a pensare la filosofia politica indipendentemente
dalla contingenza storica -una tendenza che potrei ascrivere ad una indebita espansione del motivato rifiuto dello
Storicismo e ad una sottovalutazione della storica contingenza nella quale matura ogni pensiero- oblitera ab
initio la irrecusabile concretezza nella quale matura il pensiero di Spinoza. Detto altrimenti: Strauss tende a fare
una storia delle idee trascurandone la connessione con gli eventi.
L'ottica interna alle vicende giudaiche dalla quale egli muove e nel cui ambito si posiziona, gli fa
inoltre trascurare un aspetto importante del pensiero di Spinoza, che non consente un legame lineare di esso con
la metafisica materialista di Hobbes. Il pensiero politico di Spinoza infatti sorretto da una metafisica
neoplatonica (Ethica, De Deo, propositio VII: ordo & connectio idearum idem est ac ordo & connectio rerum)
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che lo induce a ipotizzare una conoscenza naturale intuitiva al cui ambito pu ricondursi, con un livello pi alto,
la stessa Profezia, le cui "verit" sono filtrate dalla forte immaginazione (Tractatus, I: De Prophetia; II, De
Prophetis). La conoscenza naturale intuitiva, in tanto possibile in quanto la stessa natura esprime l'ordine
divino: essa media dunque il rapporto con Dio, ci che fa comprendere l'importanza di Spinoza, insieme a
Bruno, per il Romanticismo.
Non per nulla Spinoza fu vicino al Libertinismo spirituale, come ricordavo a pp. 367-368, i cui
rapporti con lo Scetticismo si coniugano con la diffidenza di Spinoza per il Razionalismo greco e per ogni forma
di "ortodossia", scavalcata dalla possibilit di una razionale conoscenza "naturale" (quidquid enim contra natura
est, id contra rationem est, Tractatus, VI) comune a tutti (cognitio naturalis omnibus hominibus communis, ivi,
I). Sembra perci significativo che Spinoza mostrasse interesse per l'eterodossia di Sabbatai Zevi: ogni forma di
"ortodossia" gli era estranea, essendo per lui incoercibile la libert di pensiero ed essendo il pensiero non
districabile dalle passioni, delle quali la conduzione degli uomini non pu non tener conto. Esse sono una realt
che ha una propria possibile "giustezza" se pensata nel rapporto delle parti con il tutto che il Divino, perch
tutto, secondo la visione neoplatonica, in Dio (Quidquid est in Deo est, & nihil sine Deo esse, neque concipi
potest, Ethica, De Deo, Prop. XV).
Dunque, anche se molto della sua dottrina dello Stato discende da Hobbes (cfr. Tractatus, Cap. XVI)
il suo libertinismo spirituale e la razionalit dell'ordine neoplatonico del cosmo, ne fanno complessivamente un
sostenitore della democrazia (lo Stato non un Leviatano) e il propugnatore di una ragione misurata sulla
concretezza, non arbitra, come in Hobbes, di stabilire una metafisica materialista della storia dedotta da
un'astratta antropologia.
Queste differenze metafisiche incidono non poco sulle rispettive concezioni dell'uomo e della vita
associata regolata nell'ambito dello Stato. Se, da un lato, Hobbes immagina uno "stato di natura" antecedente la
societ civile, caratterizzato da una guerra di tutti contro tutti generata da un'irrazionale violenza finalizzata al
dominio (un'astrazione analoga a tante altre che fioriranno circa una condizione "primitiva") Spinoza, al
contrario, vede nella natura una manifestazione dell'ordine razionale, nel cui ambito considerare anche le
passioni, perch ciascuno ha una propria "natura", espressione molteplice di una totalit razionale che la
"Natura". Una metafisica neoplatonica, come si diceva, che si presenta nella storia con infinite metafore, dallo
specchio infranto di Dionyso al fondamento della fisiognomica in Carus, dall'Ellenismo al Romanticismo.
Il comune diritto degli uomini nell'ambito della Natura, dunque il fondamento della concezione dello
Stato in Spinoza, fondamento razionale che finalizza la funzione dello Stato alla garanzia della libert, che a sua
volta coincide con una vita vissuta secondo Ragione, realizzazione dei suoi dettami nei quali si fonda il patto
sociale. Libert e Ragione coincidono perci nella realizzazione della concordia degli individui.
Tutta diversa la concezione di Hobbes relativamente al patto sociale, anche perch radicalmente
diverso il punto di partenza, cio il fine dell'elaborazione teorica. Il suo problema infatti la lotta della Chiesa
Anglicana, cio di una Chiesa autocefala che ha il proprio vertice nel Sovrano, contro l'universalismo della
Chiesa Cattolica; il suo intento perci quello di rompere la logica di una totalit gerarchicamente ordinata
lungo linee discendenti. Egli dunque difensore di quella Monarchia assoluta -il Leviatano- che si era affermata
nella disgregazione dell'universalismo imperiale, e che contrastava perci con ogni forma di universalismo, in
primis quello cattolico romano. Ci che Hobbes intende destituire precisamente il pensiero della totalit, di un
ordine universale modellato dalla Ragione; di qui il carattere puramente empirico di un patto, un
"Commonwealth", che nasce dall'interno di un gruppo umano per contenere la violenza e realizzare il supremo
principio della sicurezza individuale. Perci viene affidato al Sovrano dello Stato-Leviatano il monopolio di una
violenza ora finalizzata al mantenimento della sicurezza individuale. In questa logica, lo Stato vieta, e ci che
non vieta consentito. "Libert" diviene quindi libert di fare tutto ci che non vietato dalla legge: una visione
che sosterr il nascituro Stato liberale, e che esclude ogni proprio fondamento nella trascendenza.
Hobbes dunque, osserva giustamente Strauss, nega la naturale socialit dell'uomo e focalizza la
discussione soltanto sui diritti, non sui doveri. Sulla critica di Strauss a Hobbes torneremo in seguito; per ora mi
limito a notare che molto difficile porre in conseguenza Hobbes e Spinoza, il sostenitore dello Stato assoluto e
il portatore delle idee e delle esigenze della nuova borghesia mercantile dei Paesi Bassi; l'iniziatore di quel
processo che, secondo l'analisi a mio avviso non recusabile di Strauss, conduce all'odierna crisi d'identit
dell'Occidente, e il sostenitore di un ordine universalmente basato su una Ragione che ha sede nella stessa
natura, come specchio divino. Per giungere a questo, Spinoza deve per negare ogni autoritarismo calato
dall'alto, fosse l'ipse dixit del filosofo o la Legge della Torah: questo per Strauss il punto dolente dal quale egli
guarda a un Occidente che ruota, per lui, attorno al problema dell'assimilazionismo.
Diverso discorso dovr farsi per l'altro filone di ricerca di Strauss, che quello di un ordine sociale
fondato su una Legge che trascende l'individuo e la sua dxa. Qui il filosofo Strauss deve trovare una
convergenza d'obbiettivo tra due alternative: una Legge divina dettata da un Profeta, e una legge razionale
pensata in vista di un Bene assoluto (dunque trascendente, perch l'immanentizzazione dell'Assoluto il misfatto
hegeliano) ricercato dal filosofo: non una dxa, ma una epistme.
Si noti bene: una convergenza di obbiettivo, non una convergenza logica. Questa sarebbe infatti la via
della teologia platonico-aristotelica del Cristianesimo, rifiutata da Strauss come prodromo di una deriva
filosofica -di qui il suo insistere sulle sole due alternative di "Atene" e "Gerusalemme", intese come
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Razionalismo greco e Torah- e detestata anche da Spinoza (Tractatus, Cap. VII e Prfatio). Tanto la rifiuta, che
questa impossibilit di accordo tra le due culture convergenti nel medesimo obbiettivo (il Bene sociale fondato
oltre le opinioni, dunque una normativa cogente) a mio avviso una delle premesse implicite che distorce la sua
ottica sul senso e il fondamento della filosofia islamica, distorsione da lui puntellata con la singolare teoria di
P&AW.
L'alternativa filosofica cui si rivolge Strauss in dialettica con una Legge rivelata, una dialettica non
suscettibile di hegeliane conciliazioni tra sintesi e superamenti, il Razionalismo greco: Socrate, Platone e
Aristotele, soprattutto i primi due, con la loro visione delle Leggi e della Repubblica. Aristotele, certamente utile
allo scopo di Strauss con la sua visione di una societ di non eguali, resta tuttavia un po' nell'ombra; lo resta
senz'altro nei suoi aspetti problematici dell'Etica e della Politica, che si mostrano aperti all'uomo com', e
suonano critici all'Idea di Bene socratico e platonico. Si noti -l'ho gi detto sopra- che l'inconciliabilit di
filosofia greca e Rivelazione, era stata ben sottolineata anche da Spinoza nella Prefazione al Tractatus, dove,
parlando per l'appunto dei teologi, afferma: "Inoltre, se avessero una qualche illuminazione divina, ci
risulterebbe, se non altro, dalla dottrina; mi rendo conto che saranno rimasti quanto mai ammirati dai misteri
della Scrittura, per non gli ho visto insegnare altro se non le dottrine dei platonici e degli aristotelici, che
adattarono alla Scrittura per non sembrare seguaci dei pagani. Non bast loro dire sciocchezze insieme ai Greci,
pretesero che i Profeti avessero delirato insieme a loro". Ma la risposta di Spinoza a questa inconciliabilit va in
senso diametralmente opposto alla ricerca che sar condotta da Strauss, perch apre la via a quella
razionalizzazione della religione nella quale Strauss vede il prodromo della crisi dell'Occidente. Spinoza ritiene
infatti che il senso della Scrittura vada compreso alla luce della ragione naturale comune a tutti gli uomini
(Tractatus, Cap. VII) e afferma nella Prefazione che ognuno debba interpretare la fede secondo il proprio uso
della Ragione, giudicando poi della bont di questa fede "ex solis operibus": come, del resto, ammoniva
Giacomo, 2, 18, che al senso iniziale del messaggio era alquanto pi vicino, almeno cronologicamente.
Strauss viceversa, in alternativa alla Legge divina si volge indietro ad un'antica polemica socratico-
platonica che fonda tutto il Razionalismo: quella che contrappone dxa e epistme: una polemica per
contingente a una precisa e storica situazione sociale, che trova espressione "filosofica" nella polemica con i
Sofisti. La distinzione tra dxa e epistme -due parole dall'etimologia significativa- il fondamentale tratto
parmenideo che sussiste nel pensiero socratico-platonico. Una differenza tra "verit" e opinione -anche:
apparenza- la prima delle quali appartiene all'essere -t en- immobile e rotondo quale la "verit" (alethees
enkyklos atrems tor). Verit e opnione differiscono come essere e apparire; e se si pone l'accento sul primo
termine, come fanno Socrate e Platone, con una opposizione che Strauss sembra irrigidire maggiormente,
l'apparire non sar pi il molteplice sciorinarsi dell'essere nel tempo, come in Parmenide (similmente alla
dialettica di finito e infinito in F. Schlegel, cfr. supra, pp. 604 sgg.) esattamente come le opinioni non saranno
pi il volto mutevole e transeunte nelle quali si manifesta la Verit. Le opinioni, soltanto se contrapposte al Vero
e ritenute, esse, "vere", diventano puri nomi (onmata) per Parmenide: Strauss, viceversa sembra intenderle
sempre in rapporto di opposizione. Il suo ritorno a Platone dunque il ritorno alla ricerca di un Assoluto (che in
Platone trascendente, avendo sede nelle Idee) paragonabile alla Rivelazione; un Assoluto che certamente non si
pretende di raggiungere, ma che va perseguito dal filosofo come suo compito specifico. Esso va per cercato non
leggendolo in trasparenza nelle opinioni, ma andando oltre esse, intese nella loro fallacia.
La verit viene cos sottratta alla sua testimonianza ad opera della vita, per irrigidirsi in una "Verit" a
tutto tondo, "obbiettiva", da raggiungersi per adeguamento della proposizione alla cosa; con la verit-
testimonianza, Strauss respinge infatti l'Esistenzialismo. L'epistme diviene una ideologia del dominio.
La proponibilit di un ritorno a Socrate e Platone sostenibile ad una condizione: nella storia del
pensiero tutto il pensiero attuale e pu essere posto a confronto perch non vi Aufhebung; il pensiero un
dialogo diacronico tra filosofi. La critica di Strauss allo Storicismo, cui ho gi accennato in Appendice alla V ed.
e sulla quale perci non ritorno, si rivela cos doppiamente utile: da un lato destituisce come insensatezza il
Moderno che ne discende; dall'altro consente di proporre l'attualit del pensiero platonico e del Razionalismo
classico in generale.
Su questo punto occorre tuttavia fare attenzione circa i modi nei quali Strauss dispiega la propria presa
di posizione. Se la sua radicale pronuncia circa l'assoluta infondatezza dello Storicismo sacrosanta, alta cosa
lo slittamento che ne consegue silenziosamente nell'analisi del pensiero classico. Strauss infatti, una volta
destituito lo Storicismo da ogni validit, non prende in considerazione le concrete condizioni storiche e sociali
nelle quali maturano le diverse espressioni del pensiero, che vengono assunte nella loro astratta veste di
formulazioni teoriche, senza alcun riferimento alle condizioni nelle quali esse hanno preso forma, n al
posizionamento che esse intesero assumere nell'ambito della disputa sociale e ideologica. evidente infatti che
la societ nella quale trovano espressione le dottrine di Platone e Aristotele, una societ di non eguali
considerata allora come "naturale"; quanto alla posizione di Platone, essa ha una precisa collocazione nella
temperie della crisi ateniese, ideologicamente evidente in s e nel contrasto con le posizioni di Antifonte e di
Trasimaco.
Questa limitazione dell'analisi di Strauss ha chiara espressione nell'irrigidimento dell'opposizione tra
epistme e dxa, quest'ultima ridotta a mero flatus vocis, che gli fa ignorare non soltanto la possibilit di una
"verit" che trovi sede nella testimonianza, ma anche, e pi modestamente, il nesso inscindibile di pensiero e
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esperienza. Il suo radicale rifiuto dell'Esistenzialismo (vedi la lettera a Voegelin del 17-12-1949 nella quale si
dichiara alla ricerca di una verit "obbiettiva" [virgolette sue] e nemico dell'Esistenzialismo, in Faith and
Political Philosophy, Columbia, Un. of Missouri Press, 2004, p. 63) si giustifica considerando quest'ultimo una
forma estrema di Storicismo. Sul rapporto di Strauss con l'Esistenzialismo -strettamente legato da lui al
Relativismo che egli connette agli sviluppi dello Storicismo- si vedano inoltre i due saggi alle pp. 13-46 di The
Rebirth of Classical Political Rationalism, Chicago, Un. Press, 1989; e vedi la lettera a Voegelin del 14-3-1950
(F&PPh, p. 65) dove si afferma con risolutezza che la Verit non condizionata dall'esistenza, che la storia non
mostra alcuna verit, che il concetto "esistenziale" destituisce l'ideale di una vita contemplativa, perch
contrappone il "pratico" al "teorico", ci che conduce all'assurdo. E conclude (p. 66): "la radice della moderna
oscurit a partire dal XVII secolo, l'oscuramento della differenza tra teoria e prassi"; onde la prassi diviene
teoria e la teoria viene respinta in nome di una prassi non pi comprensibile come tale.
Il passo ampiamente discutibile e verosimilmente contraddittorio nelle sue contorsioni, ma ci che
ne emerge quanto potremo vedere ampiamente in seguito: l'aspirazione a una vita contemplativa da "filosofo"
in cerca di una epistme al cui inseguimento non contribuiscono le dxai dei comuni mortali. Queste infatti non
sono pi i mutevoli volti nei quali traluce l'inubicabile "Verit", ma semplici errori di prospettiva rispetto
all'obbiettivo che soltanto il "filosofo" pu traguardare correttamente. Non credo di fare un torto a Strauss se
affermo che gli del tutto estraneo un possibile rapporto tra essere e apparire (il Neoplatonismo
completamente estraneo alla sua prospettiva) e che, connaturato con questa estraneit, del tutto assente in
Strauss il fondamento stesso di ogni possibile "democraticit" della cultura, il fatto cio che tutti concorrano con
la propria testimonianza all'inseguimento del non-luogo della Verit. Il fatto cio che in ciascuno si rifletta, con
infiniti volti, il Volto dell'Altro, come direbbe Lvinas, o, pi modestamente, che ogni "errore" sia la traccia di un
"erramento" infinito lungo i sentieri di un labirinto nel quale tutti siamo.
Un'ultima considerazione generale ritengo opportuno fare, prima di passare ad un esame pi
ravvicinato di alcuni aspetti dell'opera di Strauss. Il rapporto a-storico di Strauss con il pensiero di differenti
epoche e culture, unito al suo punto di partenza nella critica a Spinoza cui contrappone Maimonide, nonch al
desiderio di costituire una tradizione di pensiero politico antitetica nei confronti del moderno Occidente, lo
inducono a costituire una sponda nel pensiero platonico rivisitato nella filosofia islamica, e, successivamente, in
Maimonide. Ho gi ricordato sopra la conseguente dislocazione e fraintendimento di quest'ultimo, attribuibile
all'aver sorvolato sul fondamento metafisico della sua profetologia. Pi grave ancora per la distorsione
introdotta dall'ottica di Strauss nel pensiero islamico, del quale viene ignorata la radice in un Neoplatonismo (da
esso inteso come "aristotelismo") che evolve in modo coerente dall'Ellenismo nei tre monoteismi, ci che gli
consente di evincerne un'esoterica critica della religione in nome della "filosofia".
Questa critica alla ricostruzione di Strauss potremo seguirla poi sulla scorta della puntuale analisi di
Tamer (Islamische Philosophie und die Krise der Moderne. Das Verhltnis von Leo Strauss zu al-Frb,
Avicenna und Averroes, Leiden-Boston-Kln, E.J. Brill, 2001) e di altre osservazioni; ci che m'interessa per
sottolineare che tanta insistenza critica non rivolta, per quel che mi riguarda, a destituire un pensiero che
viceversa implacabilmente preciso nel denunciare la crisi del moderno Occidente. Mi interessa piuttosto per
un'altra ragione, per mostrare cio che tante posizioni insostenibili non nascono per caso, perch il pensiero di
Strauss ha una grande coerenza ovunque egli volga il suo sguardo critico. Questa coerenza per dettata dallo
sguardo soggettivo di partenza, che egli deve risolvere nei raggiungimenti attraverso l'esclusione di interi
sviluppi del pensiero, dall'Ellenismo al Medioevo e al Rinascimento; dalle eterodossie e dalla teosofia al
Romanticismo: tutti avvenuti sotto il segno del Neoplatonismo. Soltanto cos egli pu evitare sviluppi che
porterebbero all'universalismo nel quale evolve la cultura dominante dell'Occidente, sorta dalla razionalizzazione
della religiosit che in Strauss agita lo spettro dell'assimilazionismo. Nasce qui una storia vista soltanto nella
dialettica, irrisolvibile, tra il Razionalismo greco classico e la Rivelazione veterotestamentaria, che per, anche a
seguito dell'estraneit di Strauss alla dialettica che si svilupp a monte e all'interno di quell'Islam che egli indaga,
finisce col trasformarsi in una sorta di alternativa sharaitica all'epistme del filosofo. Per questa ragione ho
ritenuto, nell'Appendice alla V ed., fondamentale la critica di Strauss al moderno Occidente, ma irrealistica e
infondata, oltrech improponibile, la sua ricetta platonica, il ritorno cio a una filosofia politica che ha una
continuazione soltanto esteriore (il retroterra di al-Frb e di Maimonide un altro) e che resta perci confinata
nelle contingenti motivazioni del filosofo greco.
Passando ora ad esaminare pi in dettaglio alcuni aspetti della ricerca di Strauss, con diretto
riferimento ai singoli suoi testi, va segnalata l'intrinseca difficolt connessa all'esposizione di un'opera che
presenta a primo sguardo due cronologie: una relativa alla successione temporale dell'apparizione dei suoi studi,
e una relativa alla successione storica degli autori che egli presenta quali protagonisti della filosofia politica, da
Platone ad Heidegger; senza contare i continui ritorni di Strauss, nei diversi testi, sul medesimo autore. Resta la
possibilit di affidarsi ad un ordine arbitrario, con gli inevitabili inconvenienti dei ritorni su un medesimo
argomento e/o di ripetizioni, al fine di tentar di cogliere i percorsi interiori del suo pensiero, che, come ho gi
notato, presenta una coerente circolarit nel ritornare da angolature diverse sul medesimo obbiettivo, che
consiste a sua volta nel presupposto del suo personale problema.
Inizio quindi dal suo saggio su Spinoza, anche ricordando l'affermazione di Mc Allister gi riportata al
riguardo. Il saggio inizia con la premessa all'edizione americana, punto d'arrivo della ricerca quarant'anni dopo il
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saggio originale in tedesco che ne costituisce il punto di partenza. Riprendo il testo dai G.S., Bd. 2, cit. in Bibl. a
p. 851.
Strauss vi esordisce affermando, in nome del Sionismo, il fallimento dell'assimilazione nell'ambito
della societ liberale (p. 11) perch lo spazio lasciato al privato dal Liberalismo lasci aperta la possibilit della
discriminazione religiosa a titolo privato, ci che avvenne nella Germania liberale (pp. 13-14). Premesso questo
evento storico, e affermato che il Giudaismo secolarizzato religione della Ragione, sottolinea il ruolo dei
Profeti come distruttori di ogni certezza e le differenze tra i percorsi della filosofia occidentale, che secolarizza il
Cristianesimo, e il fondamento del popolo ebraico nella Torah, cio nelle prescrizioni della Legge che il
Cristianesimo intende superate, Strauss passa poi a trattare direttamente di Spinoza, del quale sottolinea la
reazione al pensiero cartesiano di Hobbes, che vede l'uomo contrapposto alla natura come suo dominatore (p.
29). La speculazione di Spinoza, dice Strauss, simile a quella neoplatonica ("gleicht dem Neopatonismus", ivi);
qui si arresta la sua constatazione, perch Strauss, come ho gi sottolineato, sorvola sempre su questo fenomeno,
sulla sua origine, diffusione e ragion d'essere; su un pensiero cio, che dominante dall'Ellenismo al
Rinascimento.
Spinoza fu il precursore dello Stato liberal-democratico (p. 30) e la sua dottrina politica si fonda su
una legge di natura come fonte di tutti i possibili doveri, ci che per lui significa, in contrasto con il pensiero
classico, la naturalit delle passioni. Questo punto, l'ho sottolineato pi volte, mi sembra un tratto fondamentale
del realismo politico di Spinoza, che non alla ricerca di un astratto "Bene" come Platone. Del resto, l'idea
platonica di "Bene" era gi stata sottoposta a critica da parte di Aristotele (Eth. Nic., 1096a, 11 sgg.). Strauss
critica il razionalismo di Spinoza sottolineando che la sua Chiesa ideale al tempo stesso giudaica e cristiana,
ovvero n l'una n l'altra, perch al suo vertice un filosofo; in essa l'Ebreo emancipato nella secolarizzazione.
Ora, nota Strauss, il razionalismo filosofico il peggior nemico del razionalismo sacerdotale del Giudaismo
ufficiale (p. 32) la cui razionalit risiede nel legalismo (il Dio che ha creato il mondo lo regge sub ratione boni
con la propria Legge). Con ci, mi sia concesso ricordarlo, si delinea un tema di discussione che diventa centrale
anche per l'Islam.
Spinoza, in opposizione al legalismo, sostiene che da un Dio quale quello biblico che fonda in S il
proprio diritto, avendo creato l'uomo a propria immagine e somiglianza, tale assoluta libert si trasmette
all'uomo, onde tutti i comportamenti di quest'ultimo, dove hanno un ruolo le passioni, non sono che modi di
manifestarSi dell'unico Dio. Questo l'abbiamo ricordato gi sopra, ma qui Strauss, nel trattarne, non sottolinea la
chiara concezione neoplatonica che ne a sostegno, nota viceversa un'altra cosa: a suo avviso, Spinoza eleva a
teologia il machiavellismo. Il testo di Strauss tardo, viene al termine del suo arco di studi, e gli torna utile per
ribadire quella linea di sviluppo del pensiero occidentale che egli ritiene di aver individuato: una linea che parte
da Machiavelli e poi da Hobbes e di l giunge a Spinoza, per proseguire nell'Illuminismo e nel Moderno.
Strauss espone poi a lungo la critica di Cohen a Spinoza in nome dell'ortodossia giudaica, critica con
la quale non concorda pienamente e che comunque ometto perch non pertinente questa ricerca (il saggio
originale sulla critica di Cohen a Spinoza, del 1924, alle pp. 363-386). Egli comunque ritiene utile una tale
critica, per metter fine al giudizio favorevole su Spinoza e alla sua "canonizzazione" nel Romanticismo "per non
dire della canonizzazione nel Liberalismo" (p. 40).
Ci si avvia cos alle pagine conclusive (pp. 50-54) significative di un definitivo giudizio di Strauss,
non soltanto su Spinoza. La critica alla credibilit della Rivelazione frutto di un pregiudizio, quello che la
Ragione possa giudicare di ci che le istituzionalmente estraneo (argomento gi segnalato nell'App. alla V ed.);
per giunta la fine della fede si accompagna alla progressiva restrizione dei vincoli di natura con l'emergere di un
uomo che pu travalicare le leggi; la distruzione della Ragione che ne consegue dunque figlia del Razionalismo
moderno, che diverso da quello pre-moderno, in particolare da quello giudaico medievale e dal suo fondamento
classico, platonico-aristotelico. Superfluo dire che tutta l'opera di Strauss consiste non soltanto nella difesa, ma
anche nella connessione di queste due espressioni del Razionalismo, che egli opera per l'intermediario di una
propria lettura della filosofia islamica. A complemento l'altro filone di cui s' detto, la confutazione di tutto ci
che va da Machiavelli ad Heidegger, avendo come obbiettivo il sistematico rifiuto della moderna "scienza
politica", nella quale, in assenza di una assiologia, i mezzi sono divenuti il fine.
Si noti comunque, che in una serie di conferenze degli anni 50, il cui contenuto costituisce il 10
capitolo di RCPR, alle pp. 230-232 Strauss si mostra molto vicino alla critica di Cohen a Spinoza, cio all'accusa
di attacco all'ortodossia, anche se con un diverso obbiettivo: la sua neutralit tra Giudaismo e Cristianesimo, la
sua visione della Legge mosaica non pi vincolante dopo la fine dello Stato ebraico, la sua societ liberal-
democratica con una religione razionale n giudaica n cristiana, aprono la via alla soluzione del problema
giudaico fondato sull'assimilazionismo, che precisamente ci cui Strauss si oppone.
Come si vede dunque, due diversi sentieri convergono, ed difficile sottrarsi all'idea che il percorso
filosofico assai franoso costruito da Strauss sia stato il frutto di questo suo problema iniziale.
Il saggio su Spinoza che segue (G.S., Bd. 1, pp. 55-337) si apre con un lungo capitolo sulla critica alla
religione di Da Costa, La Peyrre e Hobbes, come suoi predecessori. Strauss esordisce notando l'assurdit di una
critica scientifica alla religione, diversi essendo i domini della fede e della scienza; attendersi dalla scienza una
"liberazione" dalla religione significa anteporre uno scopo alla scienza, al fine di darsi una risposta che, in realt,
viene presupposta. Questo presupposto appare pi chiaro nella critica epicurea, che la fonte principale della
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critica del XVII secolo. Siamo di fronte a quel fenomeno del Libertinismo del quale ho fatto cenno nel testo, al
quale Strauss fa seguire l'esposizione dell'Epicureismo. Strauss fu un attento lettore dell'opera di Lucrezio, alla
quale ha dedicato un ampio capitolo in Liberalism, Ancient and Modern, cit. in Bibl. a p. 852) dove si trova, a p.
131, questa sua riflessione sul De rerum natura, V, 1194-1240: "Vediamo ancora che la religione pu esercitare
un salutare compito di contenimento (scil.: della presunta onnipotenza dell'uomo). certamente preferibile che il
contenimento sia esercitato dalla filosofia.....Ci implica tuttavia che il filosofo appartenga alla societ politica
non meno della religione". Gerusalemme e Atene, per l'appunto, nella nota visione di Strauss, come poli
imprescindibili dell'ordinamento sociale. E, dalle parole di Lucrezio "nessuna cosa nata dal nulla per volere
divino", legge i legami di Epicuro con la metafisica materialista di Democrito che fonderebbe il pensiero di
Hobbes, Spinoza, Hume, Holbach, Feuerbach e Marx (p. 74). L'Epicureismo al fondamento delle metafisiche
materialiste che partono dal XVII secolo e che pongono l'antitesi tra scienza e religione.
Diversa, secondo Strauss, la posizione averroista: la religiosit d ordine alla societ ed fondata (da
una Rivelazione), non "naturale".
Dopo aver proseguito l'analisi dell'Epicureismo presente nel pensiero che apre alla modernit, Strauss
passa poi ad esaminare il pensiero di La Peyrre e di Da Costa, con una premessa che ha sapore di psicologismo:
furono Marrani (sui Marrani e sulla loro presenza o interesse nel movimento Sabbatiano, cfr. il testo passim, nel
capitolo dedicato alla Qabbalah). Qui Strauss sottolinea il ruolo dei Sociniani (presenti in Olanda e tra le
frequentazioni di Spinoza) per mettere in luce i rapporti tra la loro dottrina -una religiosit razionale- e lo
Gnosticismo in generale, il Marcionismo in particolare (p. 99, n. 38a) come punto di partenza per il Deismo, che
corre dal XVII secolo all'Illuminismo.
Sulle diverse manifestazione del Libertinismo nel XVI-XVII secolo e sul loro ruolo nella
razionalizzazione della religione in direzione di un generico Deismo, ovvero nell'antinomismo conseguente alla
divinizzazione dell'uomo, ho gi fatto un cenno alle pp. 286-289, come anche ho ricordato la presenza dei
Marrani in queste correnti, presenza ovvia, considerata la loro dislocazione fuori di due ortodossie. In generale
siamo in presenza di tre fenomeni: la critica al Razionalismo classico che si prosegue nell'ortodossia cattolica,
tramite il recupero dello Scetticismo; la liberalizzazione della religione dopo gli scismi e la nascita di uno
spiritualismo tendenzialmente trasversale alle diverse fedi; la divinizzazione dell'uomo come eredit di un
Neoplatonismo che fu detto "popolare" nel Medioevo, ma che in realt fu ben "dotto" nel pensiero magico-
alchemico del Rinascimento, attivo in tutto il XVII secolo. Furono fenomeni questi che contribuirono, sotto le
differenti motivazioni, a revocare in dubbio un modello di societ fondato su una rigida normativa etico-religiosa
che ne regolava i comportamenti e ne consentiva la coesione. Il ruolo dei Marrani e delle varie forme di
criptoreligioni che si generarono nel movimento Sabbatiano (cfr. supra, pp. 365-376) che suscit interesse anche
nella cultura dell'occidente, rappresentarono in particolare un possibile elemento di disgregazione delle comunit
ebraiche.
Intendo con ci notare che la posizione di Strauss sull'argomento deve essere inquadrata in un
conservatorismo la cui preoccupazione -evidente in tutta l'opera di Strauss, dove si riverbera nella critica
all'Occidente- si concentra sul ruolo corrosivo che la liberalizzazione del pensiero assume nei confronti della
compattezza sociale, ritenuta indispensabile per un armonioso esercizio della cittadinanza. Come Platone,
Strauss teme il cambiamento e l'instabilit, nella quale vede sempre il fenomeno della "corruzione" e non anche
quello della "generazione".
La necessit, avvertita nel XVII secolo, di coniugare la religione ereditata con la nascente scienza
della natura, appare a Strauss determinante nel percorso che conduce a Spinoza, un percorso che sta a significare
una Ragione in progress, in dialettica con l'evento storico della Rivelazione. Sul ruolo di questa storicit rinvio
supra a p. 293, ma su questo si dovr tornare a proposito degli incubi che suscita Gioacchino da Fiore in
Voegelin. Noto che Strauss vede lucidamente in essa il fondamento di un'inversione di prospettiva da parte di
Socino; ma essa agisce anche ben dentro la visione illuminista del Progresso quale si manifesta, in chiave
religiosa, in Herder (cfr. supra, pp. 594-595): l'immortalit dell'uomo e la sua collocazione nell'Eden sono al
termine, non agli albori del percorso umano. Nel caso di Herder, dell'Illuminismo e del Romanticismo, parlavo
di un "divino riassorbito nelle scienze naturali" (p. 593) ed questo, infatti, il percorso aperto dall'incipiente
razionalizzazione della religione che Strauss segue per giungere a Spinoza.
Lungo questo percorso egli incontra Hobbes, del quale bene trattare a parte, in rapporto ai lunghi
studi che gli dedic Strauss, che qui si limita a pochi cenni e a poche pagine. Egli pone Hobbes sulla stessa linea
di Epicuro e Lucrezio, in una critica della religione che vede religione e scienza contrapporsi (p. 127) con ci
introducendo un fattore di novit: infatti, per Epicuro scienza e religione avevano lo stesso fine, liberare l'uomo
dall'ansia, compito nel quale la scienza si sarebbe rivelata pi efficiente. Per Hobbes, al contrario, la scienza non
soltanto si oppone alla religione e ne fonda la critica, ma ha un diverso e progressivo scopo, il dominio della
natura. Essa essenzialmente metodo, e come tale pi efficace della religione nella ricerca delle vere cause (p.
134).
Su Hobbes torner, come detto sopra, in rapporto alle specifiche ricerche di Strauss; qui mi limito a
segnalare quanto da lui notato a p. 145, e cio che la dottrina hobbesiana dello Stato, fondata sulla necessit di
sicurezza che conduce oltre lo stato ferino dell'uomo, non d alcun ruolo politico alla religione; laddove Spinoza,
da Strauss collocato nella tradizione averroistica, le riconosce un ruolo importante nella stabilit dello Stato. Qui
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si inizia a intravedere l'interesse di Strauss per il pensiero islamico (a prescindere dall'interpretazione che ne d)
quale pensiero che ha enfatizzato il ruolo del Profeta come legislatore e fondatore della comunit; onde la
religione si configurerebbe essenzialmente come Legge divina data agli uomini per il bene della loro vita
associata. Mi permetto di notare che si configura qui una societ necessariamente statica, in coerenza con la
segnalata inclinazione di Strauss nel suo rapporto con Platone. Si inizia cos a prefigurare anche il percorso che
egli riterr di individuare nella filosofia politica dalla Grecia al Medioevo (islamico-giudaico) cui si contrappone
quello dal Rinascimento ai nostri giorni.
La parte principale del testo per ovviamente dedicata al solo Spinoza, la cui opera vista sotto
diverse angolature, le pi importanti delle quali sono la sua critica della religione e la critica a Maimonide:
importante quest'ultima, perch Maimonide diviene uno dei pilastri della ricerca di Strauss nell'inseguimento del
platonismo, implicando, come elemento di trasmissione della filosofia greca classica, lo studio della filosofia
islamica.
Come gi accennato, Spinoza sosteneva che la religione, giuntaci attraverso una tradizione testuale
che si deve tenere per vera, insegua null'altro che cose evidenti alla ragione naturale, espresse in modo semplice
e accessibile dai Profeti, che predicavano a persone non istruite. La speculazione filosofica non appartiene alla
religione, tant' che i sapienti che vi si dedicano non fanno che ripetere il pensiero di Platone e di Aristotele; essa
pu costituire uno strumento soltanto per chi sia animato da intenti scismatici (Tractatus, pp. 165-168 ed.
Gebhardt). Il problema di Spinoza, in questo senso, veramente "politico", in quanto egli si pone in una duplice
prospettiva: da un lato il comportamento sociale dell'uomo comune, al quale le "verit" della legge naturale
debbono essere accessibili in modo evidente; dall'altro la libert di pensiero del saggio nel poter vagliare la
Legge stessa alla luce di una Ragione, "naturale" anch'essa. Ragione e fede si pongono dunque in rapporto
armonico nel condurre ad una vita retta, attraverso un duplice ma concorde possibile accesso a una "verit" la cui
reale comprensione si legger poi, di fatto, nel comportamento. La religione viene cos razionalizzata -fenomeno
fondante del moderno Occidente- fuori dal dogma ma anche dalla critica razionalista che conduce allo
Scetticismo.
Mi sembra di poter sottolineare in ci il substrato neoplatonico di un primato dell'anima nel suo
rapporto diretto con la natura, equivalente ad un rapporto indiretto con Dio presente in entrambe. Conseguenza
della posizione di Spinoza che le Scritture vanno assunte nella loro letteralit, in quanto non possono essere
contraddittorie; tuttavia esse fondano la devozione, non la speculazione filosofica, che ne risulta indipendente
(G.S., Bd. 1, p. 159). Le incongruenze apparenti delle Scritture non possono essere interpretate con allegorie;
esse vanno intese considerando che le Scritture sono opera di uomini che comprendevano e si esprimevano
nell'ambito dei propri limiti; la speculazione filosofica si rivolge quindi a quel divino che esse intendono
inseguire in modo del tutto indipendente (Tractatus, pp. 102-103, ed. cit.). Ci riguarda, ad esempio, il problema
dei miracoli, che indicano un modo tutto umano di comprendere, rappresentare e tramandare, eventi della cui
fattualit non v' motivo di dubitare, bench la natura abbia in s un ordine immutabile che non consente di
ammettere il miracolo.
L'obbiettivo cui mira Spinoza con la sua indipendenza/convergenza di fede e ragione, duplice. Da un
lato riaffermare la validit delle Scritture per il retto comportamento sociale di chi si limita alla fede -i pi-
ponendo in alternativa la possibilit che il saggio giunga alle stesse conclusioni "concrete" in modo
indipendente, autonomo e personale, guidato dalla Ragione (Tractatus, p. 188, ed. cit.). Dall'altro condannare
quella illecita commistione di filosofia e religione che conduce alla formazione delle sette (ivi, p. 173) che sono
per natura intolleranti in quanto altra cosa dall'inclinazione individuale -concedibile a tutti- di adattare le
Scritture alla propria personale interpretazione.
Qui si condensa dunque il fine politico del rapporto di Spinoza con fede e Ragione, del suo respingere
gli scettici che vogliono adattare la religione alla Ragione, e dei dogmatici, che pretendono l'inverso (ivi, p. 180);
di Maimonide e del Rabbino Alphaker (ivi, pp. 181-185). Il fine politico l'abbozzo di una societ liberal-
democratica fondata sulla libert di pensiero e sulla comune obbedienza ai dettati di un lumen natur fondato in
Dio e nella Sua Ragione, nel Suo ordine che pervade la natura.
Su questo approdo s'inserisce l'analisi di Strauss, che intende confutare la critica di Spinoza a
Maimonide. Maimonide, afferma Strauss (G.S., Bd. 1, p. 196), non sostenne soltanto la concordanza di
Rivelazione e Ragione, ma in primo luogo la necessit della Rivelazione per la salvezza, uno scopo al quale la
Ragione insufficiente. Maimonide impugna contro l'ortodossia i diritti della Ragione, e, contro la filosofia, i
limiti della Ragione stessa (ivi). Secondo Strauss, la Ragione sostenuta da Maimonide contro l'ortodossia,
quella influente sul mondo giudaico che fu mutuata dal Kalm islamico: i passi delle Scritture che appaiono
incomprensibili vanno interpretati allegoricamente (ivi, p. 197). Maimonide e Spinoza sono inoltre in contrasto
sul tema controverso (qui esposto nel precedente capitolo a proposito della filosofia araba) dell'eternit, ovvero
della creazione del mondo. L'eternit del mondo sostenuta dai filosofi sotto la falsa affermazione che essa
sarebbe stata "dimostrata" da Aristotele: in realt, come mostra Maimonide con un serrato riesame dei relativi
passaggi della Fisica e del De Clo, Aristotele sa benissimo che non pu "dimostrare" l'eternit del mondo; si
limita soltanto ad insistere sulla maggior credibilit e verosimiglianza di questa ipotesi, rispetto a quella,
contraria, di Platone, che ritenne il mondo creato da un Demiurgo (cfr. Maimonide, La guida dei perplessi, a
cura di M. Zonta, Torino, U.T.E.T, 2003, Parte II, Cap. XV). La questione, che aveva duramente intrigato il
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mondo islamico, risolta da Maimonide con l'ipotesi dell'emanazione connessa alla natura stessa di Dio come
Fons Vit (Parte I, Cap. LIX; Parte II, Cap. XIII): una soluzione analoga a quella di Avicenna.
Le opposizioni che Strauss rileva tra Spinoza e Maimonide (G.S., Bd. 1, pp. 198 sgg.) sono
interessanti in quanto mostrano i legami di Maimonide con la speculazione islamica su molti argomenti
teologici, quali l'identit di sapere e volere in Dio e l'inconcepibilit degli attributi divini a causa
dell'inconcepibilit, per la Ragione umana, dell'essenza di Dio. Con molta attenzione, Strauss coglie per una
significativa diversit tra Spinoza e Maimonide: il Dio di Maimonide, nella Sua incommensurabile libert ( un
Dio/persona) rende comprensibile la possibilit di una Rivelazione; non cos il Dio di Spinoza, che, in effetti,
non ha nulla da rivelare, perch si identifica con il lumen natur e con l'ordine del mondo: le "verit" che
regolano la retta vita dell'uomo sono quindi "naturali" (ivi, p. 204) e la Rivelazione non affatto necessaria. Dal
Dio nascosto di Maimonide discende una teologia fatta di analogie e di enigmi; dal testo letterale di una Bibbia
rischiarata dal lume della ragione naturale discende viceversa, per Spinoza, una teologia dimostrabile "in modo
geometrico" (ivi, p. 205).
Il centro della speculazione di Maimonide resta la Creazione, ovvero l'eternit del mondo come
problema non risolvibile dalla Ragione, come egli mostra vivisezionando le parole di Aristotele; il pensiero
umano resta quindi il pensiero di questo mondo sublunare -tema che ho gi affrontato nel precedente capitolo-
onde la Ragione umana, nella sua limitatezza, pu sbagliare e necessita della guida portale dalla Rivelazione (ivi,
pp. 206-207). Spinoza, al contrario, vede nella legge mosaica un complesso di prescrizioni cerimoniali, estranee
alla razionalit della Legge divina (Tractatus, ed. cit., p. 62; pp. 69 sgg.). Siamo evidentemente in presenza di
quel fenomeno di lunga portata caratteristico dell'Occidente cristiano e precursore della modernit, che la
razionalizzazione della religione: precisamente il fenomeno combattuto da Strauss partendo dal proprio
problema personale, l'assimilazionismo.
Si noti tuttavia, che questo problema "personale" mette in luce un problema ben altrimenti universale
che ho segnalato sin dalla prima pagina del Prologo a questo testo: l'Occidente mette in gioco la credibilit
dell'ideologia che lo fonda come punto d'arrivo della storia planetaria, precisamente nella capacit -ovvero nel
fallimento- di assimilare altri popoli e culture al proprio universalismo e al suo contingente manifestarsi come
democrazia liberale. Il fallimento in questo processo sarebbe qualcosa i cui esiti sarebbero difficilmente
contenibili, perch metterebbe in discussione la nostra stessa possibilit di essere "occidentali", prospettando
l'ipotesi di un'implosione delle ideologie che regolano le forme della nostra organizzazione sociale, e il loro
stesso orizzonte.
Strauss tuttavia coglie l'occasione per sottolineare come, nella discussione sull'eternit del mondo,
Maimonide si leghi alla dottrina platonica della creazione da una materia coeterna ad opera di un Demiurgo (ivi,
p. 212); ci che a mio avviso una forzatura, perch Maimonide si limita a citarla come alternativa all'ipotesi
aristotelica, per giunta evocata dallo stesso Aristotele; come tutti sanno, e come ho ricordato sopra, Maimonide si
riaggancia viceversa al Neoplatonismo in generale, in particolare a quello islamico, nella dottrina della creazione
per emanazione dalla sorgente divina. Questa dottrina regolarmente ignorata da Strauss, forse -sia consentito il
personale sospetto- perch scomoda fonte di tutte le eterodossie a fondamento panenteista; fonte inoltre di quella
Qabbalah che Strauss, pur nel pi grande rispetto dell'opera di Scholem -peraltro "razionalizzatore" del
fenomeno se si tien conto della critica di Idel della quale ho riferito a pag. 374 in n. 234- guard sempre con
sospetto (cfr. la corrispondenza con Scholem in G.S., Bd. 3) Senza contare che dalla Qabbalah emersero i
movimenti antinomisti di Sabbatai Tsevi e di Franck, con tutte le loro compromissioni con l'Islam e col
Cristianesimo: quanto di pi estraneo alla prospettiva di Strauss.
D'altronde, la dottrina della Profezia di Maimonide, come i suoi antecedenti islamici che abbiamo
ampiamente visitato, rigorosamente neoplatonica, fondata sul ruolo che l'Intelletto Agente and assumendo
gradatamente nei commentatori aristotelici citati nel precedente capitolo. "Neoplatonismo" come progressivo
adattamento religioso dell'aristotelismo: questo il pensiero dominante nel Medioevo filosofico/religioso dei tre
monoteismi. Questo il fondamento del grandioso ordine unitario cosmo/antropologico espresso dal Medioevo.
Il fondamento della Profezia, che implica necessariamente -come, del resto, anche l'allegoria- una
compenetrazione di Immaginazione e Ragione (introdotta gi a proposito di Oetinger come stato originario
perduto con la caduta, il solo che consente l'intuizione oltre la Ragione) precisamente ci che viene messo in
dubbio con la scissione delle due facolt (G.S., Bd. 1 p. 223) da parte di Spinoza, che infatti respinge anche
l'interpretazione allegorica delle Scritture. Si tratta di una posizione tipica del Razionalismo, che Strauss
riconduce alla svolta cartesiana (ivi, p. 224); una svolta che va ben oltre il Razionalismo classico di Aristotele,
un pensatore "concreto", ben aperto nei confronti del ruolo dell'entimema e della retorica. Qui si affaccia dunque
qualcosa di nuovo, le cui conseguenze negative sulla nostra attuale cultura ho gi ricordato pi volte e torner a
ricordare a proposito del Razionalismo scientifico.
Sugli equivoci sviluppi di quest'ultimo Strauss ha sempre insistito, e perci non perde l'occasione per
segnalare (p. 229) che l'Illuminismo manifesta il desiderio di procedere senza alcun limite sul piano della
"dimostrabilit", un tratto ultrarazionalista che sarebbe contraddetto dallo stesso Aristotele, il quale afferm:
lgos d'arch ou lgos alla ti kretton (Eth. Eud., 1248a, all'inizio di un'esposizione semplicemente straordinaria)
cio che la Ragione non pu fondarsi su se stessa, ma su qualcosa che al di l di lei.

915
Nella critica del Razionalismo scientifico che ne consegue, Strauss nota dunque il principale errore di
prospettiva che prende corpo con la svolta cartesiana: la pretesa di giungere a una "verit" che liberi per sempre
l'uomo dal dubbio (ivi, pp. 233-234). Il non certo viene cos a identificarsi col falso (p. 236) e da ci consegue la
critica di Spinoza alla Profezia (ivi). Vero e falso si identificano con veglia e sogno (p. 237) ci che ricorda
l'ironia di Hobbes sull'illusoriet della visione divina nel sogno, dalla quale nasce la Profezia.
Qui per c' una frase che rivela la distorsione prospettica di cui soffre Strauss, e che, a mio avviso, fa
da sfondo a una ricostruzione non condivisibile della storia del pensiero: "Tra la critica del rinnegato Spinoza e
la lezione del fedele Giudeo Maimonide, c' la rifondazione della scienza ad opera del cattolico Descartes". Una
frase a mio avviso del tutto gratuita perch non si capisce -n lo spiega Strauss- in qual modo l'esser cattolico di
Cartesio abbia influito nel determinare con lui la nascita del Razionalismo scientifico. Strauss, per vero, abbozza
una giustificazione, ma per nulla convincente e pertinente, legata alla distinzione tra sogno veridico e non
veridico nella Summa theologi, IIa, II, q. 172, oltrech a Calvino e Des Marets che cattolici non sono, una
distinzione che peraltro si trova gi in Macrobio e che affonda le proprie radici nella pi antica oniromanzia. A
questa distinzione Strauss contrappone la "naturalit" del fenomeno Profetico aperto ad ogni uomo, espressa da
Maimonide, ma anche dalla speculazione islamica, circa la quale non fa cenno alle possibili derive ereticali di
questa dottrina, derive legate al "naturale" rapporto tra umano e divino (cfr. pp. 238-239)
La fissazione di un termine per la Profezia come argine al suo presentarsi improvviso, fu
indispensabile alla nascente ortodossia romana, ma non meno indispensabile a qualunque "ortodossia"; laddove
il suo ripresentarsi fuori del canone fu causa sempre ed ovunque di quella eversione sociale che all'opposto
della filosofia politica di Strauss: non per nulla, Maimonide rimase sospetto ai Rabbini. Una citazione come
quella sopra riportata, non soltanto non pertinente, ma controproducente ai fini stessi di Strauss, appare quindi il
tornasole di un pregiudizio.
Un problema analogo si apre subito dopo in rapporto alla giustificazione dei miracoli in Maimonide e
in Spinoza (pp. 239-247). Se, per Spinoza, il miracolo altro non che l'interpretazione umana di un evento non
altrimenti comprensibile, per Maimonde viceversa testimonianza di un intervento volontario di Dio che
interrompe il succedersi "naturale" degli eventi. Il contrasto ricalca una disputa che abbiamo visto delinearsi nel
Cristianesimo tra il XII e il XIII secolo (cfr. supra, pp. 268-269) tra aristotelismo e Neoplatonismo; il problema
risiede, nota Strauss a p. 242, nel diverso posizionamento nei confronti della fisica aristotelica. La Creazione, in
Maimonide, rientra per l'appunto nell'ambito del miracolo, e, pi in generale, il miracolo rientra nell'operare di
un Dio che ha cura dell'uomo (p. 243). In questo senso esso si lega per alla dottrina della Profezia come opera
dell'Intelletto Agente; e poich la dottrina della Profezia occupa un posto rilevante ne La guida dei perplessi
(Parte II, Capp. XXXII-XLVIII) sar necessario tornarvi in seguito.
Strauss esamina poi il contrasto tra la dottrina di Spinoza e quella di Calvino, che respinge la
sufficienza del lumen natur e fonda la religione nella Scrittura quale sola via alla conoscenza del vero Dio, una
conoscenza che non "sapere" che Egli esiste, ma servirLo e onorarLo, richiamandosi alla testimonianza
interiore dello Spirito Santo. Il riconoscimento dell'operare di Dio nel mondo non raggiungimento ascetico, ma
affermazione della fede. Nonostante le loro diverse posizioni, Maimonide e Calvino concordano su un aspetto
che appare capovolto in Spinoza: la religione non spiega l'usuale -l'ordine della natura- ma l'insolito, il miracolo,
opera di Dio che, per Calvino, si legge quotidianamente nei continui mutamenti della natura.
In questo diverso posizionamento di Spinoza, Strauss legge un'eredit dell'Epicureismo, che
rappresenta un'opposizione alla concezione giudaica di Dio, ed "pi o meno strettamente legata" (p. 265) a
quella del Cristianesimo, volta alla tranquillit e alla consolazione dell'uomo. E aggiunge (ivi): l'interesse al
miglioramento e alla sicurezza della vita deve essere considerato come caratteristica dell'Illuminismo. Spinoza
diviene cos un nodo fondamentale di uno sviluppo tutto occidentale/cristiano che conduce, tramite
l'Illuminismo, alla modernit.
Tanto Spinoza quanto Hobbes si collegano quindi alla tradizione epicurea, con una differenza: Hobbes
insegue l'antico ideale con il continuo e progressivo dominio sulla natura, quindi con la scienza intesa come
fondamento della tecnica; Spinoza pi vicino all'antico Epicureismo in quanto vede nella conoscenza in s il
fondamento della serenit (pp. 267-268). In questa sua affermazione, Strauss trova conforto nelle parole stesse
con le quali Spinoza apre la Prefazione al suo trattato.
La dottrina dello Stato di Spinoza fondata sul diritto di natura, il cui radicamento in una metafisica
neoplatonica conduce, come gi accennato, all'accettazione del ruolo delle passioni, quindi alla considerazione
dell'uomo quale esso , quindi non come dovrebbe essere. Di conseguenza, Spinoza si muove sul piano del
realismo politico. In un passaggio alquanto complesso (p. 285) Strauss vede nel realismo politico di Spinoza un
preannuncio delle posizioni anti-idealistiche e anti-ideologiche maturate nel XIX secolo borghese, quindi, di
fatto, una ostilit nei confronti dell'Utopia che sarebbe "nel fondamento nient'altro che ostilit contro la
religione", in quanto anch'essa fondata nel desiderio. Nel proprio realismo, Spinoza ritiene quindi la politica
indipendente dalla speculazione teorica; al contrario, quest'ultima che deve tener conto della realt di quella.
Ecco dunque, secondo Strauss, l'eredit di Machiavelli; in tal modo viene a stabilirsi, secondo lui, quella
continuit MachiavelliHobbesSpinoza, che, dal nodo di Spinoza, stabilisce il punto di partenza per il
Moderno; anche se, come si vedr in seguito, il punto di partenza verso lo Stato moderno va situato in Hobbes,

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Spinoza costituendo pi che altro il luogo culturale dal quale parte il problema personale di Strauss, il timore
dell'assimilazione. I due percorsi si sovrappongono rendendo alquanto tortuosa la via intrapresa da Strauss.
Pi interessante per un'osservazione di Strauss a p. 287: Spinoza non combatte l'Utopia in nome
della politica, ma della filosofia. Spinoza sa che il politico non se ne cura, quindi neppure il lettore del suo
trattato, in quanto politico. Tuttavia egli si preoccupa di metterlo in guardia, non come Machiavelli che ritiene
l'Utopia pericolosa, ma perch essa risibile, perci vergogna per un filosofo. Questa osservazione mi sembra
importante perch richiama il contrasto tra filosofia e Rivelazione, quel contrasto che Strauss pone tra "Atene" e
"Gerusalemme", in modo assai pi generale di quanto egli non faccia: il contrasto che ho pi volte ricordato tra
Razionalismo classico e il messaggio neotestamentario, ovvero l'Islam. L'assiologia, checch ne pensi Taubes,
non riguarda soltanto il Giudaismo, un problema pi generale che trova espressione nei tre monoteismi e nelle
infinite loro eterodossie e che si pone al pensiero sin da quando dal concetto di ius nacque quello di iustitia;
anche se non si pone al cattivo pensiero che si ferma alla datit.
Tuttavia, non mi sembra certo che questa sia la posizione di Spinoza, del quale certa soltanto la
denuncia del danno sociale che deriva dalla pretesa di fondare in terra l'Utopia a tutto tondo come nelle sette
apocalittico/rivoluzionarie che scatenano guerre religiose (Tractatus, ed. cit. p. 199; 220; 222-223; 225). Il
problema di Spinoza di assicurare a ciascuno il diritto di pensare ci che crede, salvo esercitare tale diritto
nell'ambito della ragionevolezza fondata sulla religiosit naturale. Tanto Spinoza quanto Hobbes, vedono lo
scopo essenziale della societ umana nell'autoconservazione; ma mentre Hobbes vede nello Stato il rimedio per
superare la ferinit dello stato di natura regolato dalla violenza reciproca e dalla sete di dominio connaturate
all'uomo; Spinoza vede nel potere connaturato all'individuo una parcella (non necessariamente eguale per tutti)
del potere divino, di un Dio che fonte di ogni potere e diritto, dei quali partecipano in modo diverso tutte le
manifestazioni della natura.
Ne consegue un "realistico" prevalere delle passioni della massa sulla ragione dei saggi: cfr. al
riguardo la p. 193 del Tractatus relativa alla dottrina "democratica" del trasferimento del potere individuale a un
leader che assomma cos la quantit dei poteri individuali che gli vengono conferiti. Spinoza fonda la razionalit
dello Stato su questa dottrina del potere collettivo, e notava Strauss che questo significa fondare il potere dello
Stato sugli interessi privati della borghesia. La notazione fondata, resta da vedere se Strauss ha qualcosa di
meglio da suggerire, in base all'esperienza, rispetto allo Stato liberal-democratico.
Con questa premessa, Strauss torna sulla dottrina che Spinoza espone nel Cap. V del Tractatus: la
religione risulta pi forte della Ragione nel convincere le masse, perci le sue prescrizioni sono fondamentali
affinch il popolo superstizioso contribuisca al bene della societ. Si noti bene: ci non sta a significare, per
Spinoza, l'ingannevolezza della religione: sta soltanto a testimoniare la sua maggior forza persuasiva in direzione
della medesima verit. Per Spinoza la religione ha, nel giudizio di Strauss, un posto intermedio tra superstizione
e Ragione; un giudizio che non mi sento di condividere. Mi sembra piuttosto che la religione, che per Spinoza
una sorta di Cristianesimo razionalizzato, sia "vera" perch coincide con la Ragione.
Come abbiamo visto nel precedente capitolo, il problema della "precedenza" tra religione e Ragione
-se la prima sia giustificata dalla seconda o viceversa- ha lungamente occupato il pensiero islamico, che lo
risolse in modo opposto rispetto a Spinoza: ma Spinoza non certamente "religioso" nel senso che la parola ha
per una religione positiva. Altrettanto certamente Leo Strauss aborre l'idea di una religione trasversale dei cuori,
quale si elabor a partire dallo Spiritualismo riformato; per lui, che si dichiara filosofo e non religioso, la
religione sembra, all'opposto, un indispensabile instrumentum regni per trasformare in comandamento per gli
"ilici" la verit che soltanto una schiera di eletti pu raggiungere con il pensiero; un atteggiamento che lo porta a
fraintendere, come ho gi detto e mostrer oltre, i filosofi islamici. Tuttavia, se accettiamo le premesse della sua
ricerca come appaiono evidenti dalla cronologia delle opere, e come ho riportato sulla scorta di Mc Allister,
anche questo atteggiamento che viene definito "conservatore" del suo pensiero, sembra avere un'ulteriore e pi
radicale premessa: il timore di una possibile assimilazione che lo porta a criticare lo stesso Stato liberale. Pi che
non l'Occidente, sembra che sia lui, Strauss, a oscillare in un irrisolto e instabile rinvio tra la sua Atene e la sua
Gerusalemme.
Nelle pagine conclusive, Strauss trova inoltre il modo di attaccare Spinoza ricollegandone la scelta
religiosa al pregiudizio illuminista-storicista: qui si vede ancora una volta la "circolarit" del suo pensiero, per il
quale tutte le argomentazioni, in qualunque direzione sviluppate, convergono in un unico bersaglio da colpire.
Nel raffronto tra la lettera di Giacomo e quella di Paolo ai Romani, egli vede un parallelo del passaggio
dall'Antico al Nuovo Testamento, dalla devozione alla fede, dalla Legge di un popolo alla legge etica universale;
e poich questo un evento storico contraddistinto da un prima e da un dopo, e Spinoza segue questo percorso di
"superamento" in nome della razionalit, evidente in lui, secondo Strauss, il pregiudizio illuminista-storicista
del Progresso. Con ci Spinoza definitivamente ingabbiato in un percorso storico del pensiero.....dall'anti-
storicista Strauss. N, credo, si pu sottovalutare l'uso strumentale che vi si fa della lettera di Giacomo, la quale
segna piuttosto il passaggio dalla verit-epistme, quella ricercata da Strauss, alla verit-testimonianza del
messaggio neotestamentario, essenziale nel Cristianesimo e nel pensiero che ne discende (Kierkegaard) ma
estraneo a Strauss.
Per proseguire lungo i percorsi di questa molteplice ricerca, mi sembra utile ora esaminare la critica di
Strauss al pensiero politico moderno, cos come esso si sviluppa dopo Spinoza; per farlo, per, non si pu
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ignorare il ruolo di Hobbes, che viene prima di Spinoza, ma temporalmente "dopo" nella ricerca di un percorso
da parte di Strauss. In un successivo momento egli trover inoltre un ulteriore precedente a monte di Hobbes,
Machiavelli. Su quest'ultimo per non mi sembra necessario soffermarsi se non per sottolineare ci che rileva
Strauss: con Machiavelli inizia la nuova scienza politica avalutativa, che non s'indirizza pi al raggiungimento di
un fine, identificato con il Bene della societ; al contrario, si concentra sull'efficacia dei mezzi da esaminare e
mettere in opera per il raggiungimento di un fine sottratto alla valutazione etica.
I due fondamentali saggi su Hobbes, che coprono un periodo tra gli anni 30 e gli anni 60, pi o meno
come nel caso di Spinoza, sono raccolti nei G.S., Bd. 3. Il secondo di essi porta come sottotitolo: Contributo alla
comprensione dell'Illuminismo, un sottotitolo significativo di quanto s' gi detto sui percorsi di Strauss. Il
primo, Hobbes' politisches Wissenschaft in ihrer Genesis [1935-1965] precisa inoltre nell'Introduzione del 1964
(pp. 9-10) che Strauss aveva ritenuto, all'inizio della propria ricerca, Hobbes il fondatore della moderna filosofia
politica, e confessa ci come un errore, perch l'approfondimento dello studio lo ha convinto che il vero
fondatore fu Machiavelli; ma di ci basti quanto sopra.
L'apertura del testo pone in fila una serie di considerazioni che a me paiono assai significative nella
loro conseguenzialit, e che meritano attenzione. La filosofia politica di Hobbes la prima moderna, dalla quale
dipendono le successive (p. 11); possiamo inoltre affermare che essa costituisce lo strato pi profondo della
coscienza moderna (p. 17). I principi che la fondano -nonostante il richiamo ad un ipotetico stato "di natura"
iniziale dell'uomo- non provengono per dalle scienze naturali (e neppure, aggiungo, da una qualche fondatezza
storica sulla realt di questo presunto stato di natura): provengono dall'esperienza che noi abbiamo di noi stessi
(p. 20). Il carattere psicologistico del fondamento che conduce alla dottrina del contratto tra gli uomini , del
resto, evidentissimo nei primi 13 capitoli del Leviatano (cfr. Hobbes, Leviathan, ed. by R. Tuck, Cambridge Un.
Press, 1996, pp. 13-90). Per Hobbes, la naturale e inesauribile avidit umana, che porta alla guerra di tutti contro
tutti, gener una tale insicurezza per la propria vita da indurre gli uomini a stabilire un "contratto" sociale,
fondando cos lo Stato. Lo Stato, la vita associata, non rappresenta quindi una condizione naturale dell'uomo;
esso un fenomeno storicamente generato ed una costruzione artificiale.
Lo Stato che si genera da un simile contratto, concepito al fine di garantire la sicurezza; come tale ad
esso conferito il potere di tutti i suoi membri, un potere che diviene assoluto, un Leviatano che sottomette gli
arroganti. Lo Stato, dice Hobbes nella sua Introduzione al Leviathan un "uomo artificiale", una sorta di
Macranthropo meccanico; ed necessario perch gli uomini, per loro natura eguali tra loro e portatori di eguali
diritti, tendono alla reciproca sopraffazione, perch la natura dell'uomo tale che egli prende in considerazione il
rapporto con l'altro soltanto nella logica dell'asservimento (Cap. XIII). Si noti che questo esattamente il
rapporto che il razionalista Cartesio istituisce tra l'uomo e la natura, rapporto al quale si connette la concezione
del Progresso come progressiva conquista del dominio su di essa, tramite lo sviluppo della tecnica.
Un simile patto, un simile conferimento dei diritti individuali, un simile Stato, si rendono dunque
necessari perch l'uomo , per sua natura, malvagio. Che l'uomo sia per sua natura malvagio (bse) lo afferma e
lo pone in corsivo Strauss (p. 26); questa sottolineatura mi sembra significativa di un suo intervento che
soltanto in parte giustificato. Infatti Hobbes non dice che l'uomo "malvagio"; per Hobbes l'uomo quel che
(o meglio, quello che lui pensa che sia, nel suo psicologismo che svela una metafisica materialista). L'uomo
infatti per Hobbes non diverso dall'animale, a sua volta meccanicisticamente concepito come un automa
(l'automa il mito del XVII-XVIII secolo) epper, contrariamente all'animale, dotato di un appetito insaziabile.
"Malvagio" lo dice e lo ripete (p. 27) Strauss; ma l'attributo non senza significato, perch implica un modello
rispetto al quale il "malvagio" si pone come alterit.
In altre parole: la concezione dello Stato di Hobbes quella di un organismo il pi adeguato possibile
alla "realt" di un uomo che quel che , al di l del giudizio etico; quella di Strauss (e di Socrate/Platone)
quella di un organismo che in tanto pensabile in quanto i suoi componenti tendono ad adeguarsi ad un modello
di uomo quale esso dovrebbe essere, generando cos la dicotomia buono/malvagio. Una disputa inesauribile,
dove per si configura da un lato lo Stato liberale, dall'altro si profila all'orizzonte l'ombra minacciosa dello Stato
etico dagli esiti totalitari: lo Stato-allucinazione delle Leggi di Platone, dove si stabiliscono per legge anche le
ore di sonno (Leggi, 807d-808b) e l'infanzia viene irreggimentata sin dalla culla al fine di garantire la perpetuit
del sempre-eguale grazie alla coartazione di un pensiero troppo vivace (ivi, 808d).
Questa pagina di Strauss mette tuttavia bene in luce il nodo della sua critica allo Stato liberale, che si
attorce attorno ad una disputa di fatto inesauribile, come si diceva sopra,. La disputa riguarda la responsabilit
dell'uomo nei confronti delle proprie azioni: l'uomo di Strauss non un animale incolpevole (kein [corsivo suo]
unschuldiges Tier ist, p. 27) che possa demandare la ragione dei propri comportamenti a una propria presunta
"natura". Da questa sua presa di posizione si intravede dunque il senso del contrasto: per Hobbes la costruzione
della civilt, con i suoi giudizi di valore, storica, e perci artificiale; per Strauss la sua storicit, il suo essersi
avverata, dimostra la sua "verit" come gi da sempre inscritta nella "natura" dell'uomo. Si propone dunque qui il
tema della Legge (rivelata o raggiunta con la Ragione) come barriera al Relativismo etico che discende, nello
Stato liberale, da una concezione meramente pattuaria delle leggi, affidate all'arbitrio della contrattazione
individuale.
Si tratta di stabilire se l'uomo possa disporre liberamente di se stesso, o se in lui sia inscritta una legge
costituita dalla sua "natura". Si notino allora gli opposti significati che questa parola assume come realt
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deresponsabilizzante, ovvero responsablizzante, nei confronti del comportamento dell'uomo. Nel primo caso la
"natura" diviene il meccanismo che regola l'automa; nel secondo, la Legge che regola il cosmo e alla quale
l'uomo, nella sua libert, deve adeguarsi. Per inciso, questa la concezione di ordine che regola la grandiosa
costruzione cosmica del Neoplatonismo medievale, una visione dalla quale peraltro Strauss si tiene ben lontano,
a mio avviso precisamente per la natura non universalistica del problema che lo assilla sin dagli esordi.
Avvicinarsi a questa problematica avrebbe significato inoltre entrare in quella disputa tra "spirito" e
"lettera" di una Legge mal definibile sul piano positivo, disputa che caratterizza l'occidente cristianizzato:
laddove la Legge cui pensa Strauss una Legge -rivelata o meno- disquisibile soltanto sul piano giuridico-
interpretativo ancorato comunque alla lettera (nel caso di una Legge rivelata) oppure sul piano meramente
logico-dimostrativo (nel caso di una Legge attinta filosoficamente). Estranea alla sua prospettiva razionalista
infatti l'apertura illuminante dell'intuizione fondata su un terzo concetto di "natura", quello neoplatonico di
trasparenza del divino nel quale l'anima si ri-conosce, che sorregge il pensiero del Romanticismo e il particolare
ruolo da questo attribuito alla creazione artistico/poetica. Si tratta qui di un'accezione assai significativa di quel
Proteo che la "natura", perch apre all'ipotesi di un sempre-eguale che tuttavia, nelle infinite possibilit della
sua lettura, apre ad un sempre-nuovo non arbitrario, in quanto rinnovamento fondato sulla trascendente presenza
dell'Altro, eternamente intraducibile nell'immanenza. Un concetto che illumina il fondamento della religiosit dei
Profeti e l'ipotesi di una ripetitivit della Profezia.
Tornando alla lettura del testo di Strauss, si nota come l'analisi del fondamento del pensiero di Hobbes
sia volta al fine preciso di metterne in evidenza la dubbiosit degli esiti. Strauss nota le oscillazioni di Hobbes tra
il volgersi alla lezione della storia, onde ricavarne quei lumi per la politica che non possono venirgli dalle
costruzioni dei filosofi che Hobbes critica insieme alle norme della Rivelazione (cfr. il Cap. XLVI del Leviathan
dal titolo assai significativo: Of Darknesse of Vain Philosophy and Fabulous Traditions) e una storia che si fa
insensata a causa della nuova costruzione "scientifica" della politica. Nota infatti Strauss (G.S., Bd. 3, p. 115)
che l'obbiettivo della storia, delineato con i mezzi della filosofia tradizionale, vien rimosso dalla nuova scienza
politica, cosicch la storia -il modello al quale si era rivolto Hobbes contro le geometriche trame della filosofia-
torna alla propria filosofica insensatezza.
Strauss ha qui evidentemente di mira l'abolizione del contenuto assiologico della storia stessa, ma la
critica di Hobbes alla storia (cfr. Leviathan, Cap. VII) non sembra di questo genere: essa rivolta pi che altro
all'impossibilit di conoscere l'oggettiva realt degli eventi accaduti, che gli storici tramandano attraverso le
proprie interpretazioni al fine di intravvederne un possibile "senso". Perci appare un po' forzata l'interpretazione
di Strauss (pp. 116-117) che vede contraddittoriet nei fondamenti stessi del pensiero di Hobbes, anche perch
non v' dubbio che questi legga la storia attraverso le lenti di una propria metafisica, destituendo di fatto la
possibilit di usarla come critica alle costruzioni teoriche dei filosofi. In altre parole: la critica di Strauss ha una
sua validit ma l'obbiettivo di Strauss travalica questa validit, essendo rivolto a criticare essenzialmente la
scomparsa dell'assiologia.
Assolutamente a-storica certamente, in Hobbes, l'assunzione del preteso stato iniziale di guerra di
tutti contro tutti (p. 121); ma la critica vera e finale di Strauss (pp. 125-126) questa: se l'ordine della societ
non discende da un ordine trascendente ma si fonda sulla volont dell'uomo, esso non ha quindi fondamento
filosofico, e l'uomo si pone a misura dei propri ordinamenti con uno sguardo che si volge da una storia atopica a
quella reale, facendo cos della storia la progressiva instaurazione di un proprio ordine, ci che rende l'ipotizzato
disordine iniziale un ordine difettoso, una barbarie rispetto alla quale la storia un percorso definibile come
Progresso. Ci implica quindi la possibilit di ulteriore progresso e i limiti dell'umanit divengono
continuamente superabili in assenza di un ordine trascendente, il quale sia esso, e soltanto esso, ad assegnare un
posto all'umanit nel cosmo. L'uomo si libera quindi dell'autorit del proprio passato, la storia diviene critica
storica e la filosofia si storicizza. Strauss sente forte l'impulso a richiamarsi a Condorcet (p. 126 in n. 85) e
sottolinea l'assenza di un ordine trascendente in grado di indirizzare la ragione umana, che perde cos il proprio
stesso fondamento. La sua critica mostra lucidamente l'abissale mancanza di fondamento del Moderno,
l'irragionevole tentativo della Ragione (umana) di fondarsi su se stessa.
C' veramente in questo, a mio avviso, una svolta storica del pensiero che giustifica il richiamo di
Strauss all'Epicureismo: alla ricerca di un Vero inattingibile fa seguito la rinuncia autarchica alla ricerca stessa e
l'inizio di una rapporto meramente acquisitivo nei confronti dell'universo. La scelta di Strauss di collocare una
linea ideale tra Machiavelli, Cartesio e Hobbes, suggestiva e convincente. Il presunto "stato di natura" di
Hobbes appare allora come la proiezione, in una pseudostoria, del nuovo atteggiamento psicologico.
Tutto ci significa anche (p. 127) abbandonare vecchie norme ritenute inapplicabili per nuove norme
di pi concreto utilizzo, passare cio da norme religioso/filosofiche ad altre "scientifiche": salvo per il fatto che
la possibilit del Progresso che ne deriva si fonda sulla pseudoscientificit dell'iniziale "stato di natura"; detto pi
chiaramente: su un mito.
Su questo fondamento mitico, o se vogliamo, su questa mancanza di fondamento razionale del
Moderno e del Razionalismo scientifico (contro il quale Strauss invoca un ritorno al Razionalismo classico) ho
gi fatto cenni nel testo e torner a farne altri, in particolare sullo Scientismo. Qui mi preme soltanto ricordare
che un mito, allorch cessa di essere espressione simbolica di una tensione utopica e pretende di trasformarsi in
raggiungimento della Ragione, non pi un mito, ma un'ideologia. Ideologia ho definito perci l'Occidente con
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la maiuscola (distinguendolo da quello reale e geografico con la minuscola) e, come ideologia, lo ritengo cosa
transeunte. Per questa ragione, sin dall'ultima Appendice ho dedicato attenzione alla radicale critica di Strauss
anche se non sono affatto convinto delle sue ricette platoniche, e, men che mai, dalla sua ricostruzione artificiosa
del pensiero medievale.
In nome di una Ragione a buon mercato -pi vicina al banale che al razionale- Hobbes fonda il proprio
mito su una genesi naturale dell'uomo dalla natura (ricordando in ci Lucrezio, non per caso oggetto di studio da
parte di Strauss) alle cui leggi l'uomo deve attenersi perch esse sono espressione dell'onnipotenza di Dio (p.
143). Con ci egli fa tabula rasa non soltanto della Creazione, ma anche, ovviamente, della Profezia, che non
manca di criticare esplicitamente (cfr. supra). Ci che pi conta per, che in tal modo egli crea un "prima"
come livello zero della civilt, rispetto al quale il "dopo" il risultato di un movimento storico in progress, del
quale non ipotizzabile il limite. La mancanza di un riferimento dialettico iniziale in un Assoluto col quale
confrontarsi, rende infatti il moto della storia aperto all'arbitrio di una scelta umana incondizionata, ma per ci
stesso, priva di senso: e questo, come ho spesso sottolineato con particolare riferimento all'arte, il volto pi
evidente di un Moderno che inizia a scoprire l'irrazionalit del proprio Razionalismo, e la deriva conseguente
alla sua mancanza di ancoraggio. Per inciso, ne anche testimonianza lo stato confusionale di un Occidente che,
dinnanzi ai grandi movimenti planetari, umani, culturali ed economici con i quali si aperto il XXI secolo, stenta
a definire la propria identit.
Sul piano della scienza politica, che prende il posto dell'antica filosofia politica, l'innovazione di
Hobbes rilevante, perch, come nota Strauss a p. 149, segna il passaggio a una concezione dello Stato come
costruzione artificiale a partire dal diritto naturale dell'individuo; uno Stato che non prevede, in quanto
artificiale, alcun dovere naturale; scomparso per conseguenza l'ipotetico ordine naturale che si richiami alla
Legge naturale (divina) la costruzione dello Stato perde ogni riferimento al passato e diviene libera costruzione
del futuro.
Il cambiamento di prospettiva di Hobbes vuol costituire il passaggio della scienza politica dallo studio
filosofico dell'uomo quale dovrebbe essere, alla constatazione storica dell'uomo quale esso , ci che giustifica
l'ingresso nella scienza politica dell'imprescindibile realt delle passioni, un argomento che abbiamo visto
centrale in Spinoza. Ci comporta un'attenzione particolare all'Etica e alla Politica di Aristotele, e, parimenti,
alla sua Retorica (pp. 150-151). Ci costituisce un tratto di notevole realismo politico, se si considera la critica
che Aristotele muove alle geometriche costruzioni socratico-platoniche della Repubblica e delle Leggi, quali
matrici di uno Stato non soltanto oppressivo e invivibile, ma in primo luogo irrealistico e insensato gi in ipotesi
(Politica, libro B).
Tuttavia Strauss non sottolinea tale passaggio nella sua ragionevolezza, e si limita a proseguire
nell'analisi delle incongruenze di Hobbes, alcune, per verit, alquanto tirate per i capelli (cfr. p. 159). Ci che
appare chiaro nella critica che egli muove a Hobbes circa la sua incomprensione di Platone, comunque la scelta
di Strauss per l'astratto modello platonico, e il suo declassare l'approccio aristotelico a mera descrizione della
prassi delle repubbliche greche. Dico questo perch, per il resto, giusto vedere in Aristotele non soltanto la
confutazione, ma anche il proseguimento e il completamento della critica di Platone ai Sofisti. Platone infatti, a
partire dalle parole, intendeva mostrare, tramite la dialettica, la contraddittoriet del loro uso da parte dei Sofisti.
In ci egli inseguiva una verit come adeguamento della parola alla cosa (fondamento della negazione del
pensiero mitico) ancorata alla dottrina delle Idee; una dottrina che , s, criticata da Aristotele, ma nell'ambito di
un'operazione che consolida l'aggancio della parola alla cosa, grazie all'equazione che egli stabilisce tra la
struttura del cosmo, della logica -cio del ragionamento razionale- e della sintassi del discorso. Non esiste
dunque un contrasto filosofico di indirizzo tra Platone e Aristotele; il contrasto, che c' ed radicale, politico.
il contrasto tra una costruzione atopica cui giunge l'astratta propensione platonica a geometrizzare una
costruzione ideologica antidemocratica, e il realismo di un attento osservatore degli uomini e della societ, quale
fu Aristotele. Un contrasto che si risolve nell'inseguimento del modello spartano da parte del primo, e nella
lucida analisi del suo fallimento da parte del secondo. Un contrasto che trova eco nell'apertura di Aristotele ad
una concezione non geometrica del reale, con la valorizzazione del contenuto veritativo della retorica e
dell'entimema.
A Strauss per interessa essenzialmente l'aspetto politico dei due filosofi, e in ci previlegia Platone
per il ruolo determinante che ha per lui la politica nella vita del filosofo (pp. 168-169) cos come ne previlegia
l'ideologia, non tanto "conservatrice", quanto essenzialmente antidemocratica nella dicotomia antropologica tra
sapienti e masse, un'ideologia che Strauss andr inseguendo nella sua lettura della filosofia islamica, da al-Frb
ad Averro.
Detto per inciso, una propensione antidemocratica egli andr tentando di rintracciare anche nei suoi
studi su Tucidide (The City and the Man, cit. in Bibl. a p. 851; Studies in Platonic Political Philosophy, Chicago
and London, The Un. of Chicago Press, 1983) ove tende ad indicare la radice dei disastri di Atene nella sua
deriva democratica, senza chiedersi n quali ragioni vi fossero dietro il movimento che da Atene si propaga alla
Grecia nella grande guerra del Peloponneso, n quali e quante energie intellettuali prendessero sviluppo da quel
movimento (basti pensare all'enorme dibattito politico sollevatosi a partire dai Sofisti, cui Platone voleva metter
fine). Senza domandarsi, infine, se il massimo splendore della Grecia nel suo messaggio al mondo futuro, non

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abbia avuto luogo nel successivo Ellenismo, grazie alle energie liberate e alla nuova visione universalistica
assunta dalla sua cultura a seguito della politica di Alessandro.
Strauss cerca in Platone e in Tucidide gli ammiratori del regime spartano e guarda alla crisi
dell'imperialismo ateniese con i loro occhi, senza notarne le debolezze nel provincialismo e nell'arcaicit che lo
differenziano da quello romano, ben altrimenti propositivo e vincente, perch non capace di guardare a Roma
come fa Brague (Il futuro dell'occidente, trad. di A. Soldati e A.M. Lorusso, Intr. di A. Gnoli e F. Volpi, Milano,
Bompiani, 2005). Non lo fa perch dovrebbe sottolineare il carattere propositivo e vincente dell'universalismo di
una cultura aperta a tutti gli apporti, pronta a farli propri; e non pu farlo perch precisamente da visioni
universalstiche egli rifugge. Con ci non intendo proporre una critica ad hominem, ma soltanto sottolineare che
l dove la sua analisi giunge a risultati non sostenibili, ci dovuto alle premesse personali alle quali essa
dovrebbe dare una risposta, come notava Mc Allister. Atene e Gerusalemme, i due poli della sua dialettica, sono
proposti da lui nell'ambito di questo particolarismo, l dove Brague sostiene (p. 36) usando per giunta il corsivo,
che l'Occidente greco ed ebraico soltanto perch innanzitutto romano, ha assimilato cio l'altro-da-s
facendolo proprio in una universale visione. Qui allora in discussione il concetto stesso di plis, sul quale
s'appunta viceversa l'analisi politica platonico-straussiana.
Tornando, dopo questo inciso, alla lettura straussiana di Hobbes, va sottolineata l'osservazione sul
legame ta il modello di Hobbes e il metodo scientifico galileiano. Hobbes pensa a una visione politica che risulti
vittoriosa sul piano dell'applicabilit, dunque la sua "scienza" una pura tecnica che non s'interroga sullo scopo
dello Stato (pp. 172-173). In altre parole, essa manca di radicalit, laddove Platone era partito dalla domanda
fondamentale sul buono e sul giusto (p. 174). Al riguardo egli cita il passo della Repubblica (370a) nel quale
Socrate introduce -col suo solito sistema eristico sul quale ho gi detto quel che penso- la divisione sociale del
lavoro nella chiusa comunit della plis come cosa assolutamente ovvia sul piano antropologico. Sul significato
di questo passo, si deve notare che in esso si fonda, del tutto en passant, quella struttura gerarchica cara a Platone
il cui scopo collocare ogni cittadino entro una cella dell'alveare costruito dal "filosofo", paralizzando quella
continua tensione sociale generata dalla ricerca di ruolo da parte dell'individuo, che il sale di ogni struttura
dinamica, ma che per Platone la radice della stsis. Platone e Strauss hanno orrore del mutamento come
apertura sull'abisso del Nulla.
Su questo punto Strauss cita poi quel passo della Repubblica (472, c-e) che va seguito, a mio avviso,
sino a 473e, nel quale Socrate, ponendo per l'appunto la necessit di uno Stato che approssimi al meglio la
realizzazione della Giustizia (dikaiosne) sostiene che innanzitutto sia necessario stabilire che cosa sia la
Giustizia, per giungere infine a postulare, come conseguenza, la reggenza del "filosofo". Ora, poich tutta la
vicenda nasce (cfr. G.S., Bd. 3, p. 174) dal problema socratico/platonico di superare l'ambiguit delle parole per
ancorarle in una corrispondenza alla cosa, e poich ci avviene in funzione della polemica antisofistica di
Platone e viene condotto col solito metodo eristico-diairetico, mi sembra opportuno notare che ci troviamo
all'interno di un circolo chiuso che ci riconduce all'eterno problema, quello nel cui ambito il Razionalismo
classico socratico-platonico soprattutto, ma anche aristotelico (fatte salve le aperture all'esperienza presenti in
Aristotele), ha fondato un'immortale ideologia del dominio buona per tutte le stagioni.
Il nucleo di questa polemica sempre quello di negare il concetto di una verit/testimonianza, che
emerger poi con l'irruzione del messaggio testamentario e che i Sofisti avevano tentato d'introdurre
precisamente sottolineando l'ambiguit della parola, l'aspetto veritativo presente nella retorica, e la non aderenza
della parola alla cosa; quei Sofisti dei quali amo ricordare ci che scrisse Untersteiner: "I Sofisti coincidono in
una concretezza antidealistica che non batte le vie dello Scetticismo, ma piuttosto quelle di un realismo e di un
fenomenismo che non imbrigliano la realt in uno schema dogmatico, perch, al contrario, la lasciano fremere in
tutte le sue antitesi (corsivo mio) in tutta la sua tragicit, in tutta la spregiudicatezza imposta da una conoscibilit
che dester la gioia del vero......rester il merito dei Sofisti di aver concesso all'uomo vita, parola, pensieri
umani" (I Sofisti, cit. in Bibl. a p. 778, p. 6).
Il concetto di "verit" in Socrate, viceversa quello puntualizzato in Menone, 97e-98a: l'epistme
che prevale sulla dxa anche quando questa un'opinione "vera" che il politico pu raggiungere (ivi, 99c) ma
soltanto per intuizione: una conoscenza che Socrate svaluta come quella di "vati e Profeti che non hanno alcuna
cognizione di ci che dicono". Varrebbe la pena di confrontare tutto ci con la saggezza e l'esperienza di
Aristotele (De divinatione per somnium) dal quale la conoscenza Profetica non soltanto affermata, ma attribuita
agli uomini semplici nonch alle nature melanconiche: e i melanconici sono, per Aristotele, uomini
intellettualmente eccellenti per capacit intuitive (Problemata, XXX, 953a, 10 sgg.; Eth. Eud., 1248a-b,2: qui
con preciso riferimento alla capacit di deliberare giustamente grazie a queste doti intuitive). Al riguardo vorrei
anche ricordare quanto s' gi detto di Avicenna, per il quale la conoscenza intuitiva non che un cortocircuitare
i passaggi della logica, onde la struttura razionale del reale, viene afferrata per una via immediata. Il metodo
socratico si rivela allora cos come l'ho sempre definito: una via per ricondurre la Ragione alle proprie ragioni,
un uso autoritario di quel metodo sofistico che era nato per mettere in dubbio l'autorit del punto di vista unico.
Un uso che lo condurr a quella morte giustificata nel Critone, della quale Strauss sottolinea pi volte la
coerenza etica (cfr. SPPPh., pp. 38-66 su Apologia e Critone, e i lunghi studi sulla figura di Socrate attraverso
Platone, Senofonte e Aristofane) e che per, sul piano della ragionevolezza, ricorda tanto quella di Naphta nelle

921
ultime pagine de La montagna incantata: entrambe rispettabili, ma entrambe testimonianze molto personali al
limite del demonico.
Tornando alla critica di Hobbes, Strauss prosegue per lunghe pagine con argomentazioni il cui senso
ormai chiaro; in particolare egli aggiunge il legame che si stabilisce tra Hobbes e Rousseau nel senso di una
rottura con l'impostazione razionalistica del problema politico, con il che viene data via libera "alle passioni e
all'immaginazione" (p. 182). Contro questa svolta, Strauss non soltanto non spiega come la razionalit possa
governare una comunit umana ignorandone o vietandone le passioni e oscurandone le "immaginazioni", ma,
nelle aggiunte al testo in inglese, ribadisce la sua scelta per un modello razionalisticamente perfetto e chiuso,
salvo riportare le osservazioni di Aristotele nella sua Politica, relative all'impossibilit di una gestione che non
sia fondata anche sull'attenzione al vicinato, cio alla politica "estera", e sottolineare che questo problema si
pone anche in Hobbes, e, dopo di lui, nella moderna filosofia politica, come afferma esplicitamente anche Kant
(pp. 182-184).
Complessivamente, la differenza tra Platone e Hobbes consiste nel fatto che il primo distingue il
"buono" dal necessario (previlegiando il primo) mentre Hobbes si volge soltanto al necessario, aprendo cos la
strada a un progressivo affermarsi del Relativismo; il primo guarda all'eterno, il secondo a un futuro da costruire.
La mancanza di una gerarchia di rango nella natura umana (il mito dello stato di natura di Hobbes postula
un'eguaglianza di natura al fondamento di uno Stato frutto di convenzione) fa della vita civile non un ordine
agganciato a un "vero" immutabile, ma una costruzione progressiva infinita. Si genera cos una lotta dello Spirito
contro la natura; nell'uomo storico nulla innato, tutto acquisito e perci trasformabile (pp. 185-190). La
politica di Hobbes segnata da questo dualismo conflittuale nei confronti della natura, sulla scorta del dualismo
cartesiano. Il monismo della metafisica materialista implicito nello stato di natura postulato, viene cos
contraddetto dalla conseguente dottrina politica.
Con queste notazioni, Strauss consegue due risultati che gli stanno a cuore: mostrare in Hobbes, e nel
suo "erede" Spinoza -"un naturalista pi conseguente" (p. 191) nel suo pieno riconoscimento della realt delle
passioni- l'iniziatore della scienza politica moderna, e mostrarne al tempo stesso l'intrinseca contraddittoriet. La
scienza politica moderna non ha dunque fondamento, precisamente per non aver voluto cercare quel modello di
"Bene" oggetto della filosofia politica classica
Per quanto concerne il rapporto di Strauss con Hobbes per importante esaminare anche l'altro
grande saggio a lui dedicato negli anni 30, il cui titolo assai significativo del percorso di pensiero che vi si
intende delineare, e delle ragioni dell'interesse di Strauss per la filosofia medievale islamica e giudaica nel suo
rapporto con la Legge dei Profeti: Die Religionskritik des Hobbes. Ein Beitrag zum Verstndnis der Aufklrung
(G.S., Bd. 3, pp. 267 sgg.). Gli obbiettivi sotto esame sono dunque due: la linea di sviluppo che da Hobbes
conduce all'Illuminismo e alla moderna scienza politica (rifiutata da Strauss) e la critica del Razionalismo
scientifico alla religione rivelata, che ne la premessa.
Osserva Strauss che i fondatori delle moderne scienze naturali (basti pensare a Newton) furono
tutt'altro che irreligiosi, e che la critica di Hobbes alla religione non sembra tanto legata al suo naturalismo,
quanto piuttosto, e chiaramente, alla scienza politica da lui pensata. Con essa Hobbes introdusse una novit
assoluta nel pensiero politico, che conduce direttamente al Moderno. L'osservazione fondamentale di Strauss,
che mostra la profondit radicale della sua critica, infatti questa: per parlare correttamente della moderna
concezione dello Stato necessaria una metafisica e una teologia sulla quale fondarla, perch ogni visione
dell'uomo e dello Stato implica una visione -teistica o atea- che riguardi Dio e il mondo (p. 270). Tradotto in
altre parole, ci significa che il relativismo etico-religioso dello Stato moderno, non un modello di per s
razionalmente imprescindibile, non un ovvio postulato della Ragione che consegni "giustamente" la religione
all'opinione privata, come pu sembrare a una cultura disattenta al fondamento: esso il risultato della revoca in
dubbio della Rivelazione avvenuta a monte del suo sviluppo. Senza quella revoca in dubbio, la moderna scienza
politica non avrebbe visto la luce.
Strauss attribuisce la virata del pensiero politico alle guerre di religione, che provocarono il rifiuto
delle teologia politica e la necessit di una nuova fondazione della politica stessa. Questa osservazione appare
ragionevole, ma solleva qualche interrogativo a chi assiste alla cronaca qualche decennio dopo la morte di
Strauss: come mai secoli di stragi fraterne -altro che le nostre guerre limitate al XVI-XVII secolo!- non hanno
mai indotto analoghe virate nel mondo islamico? La domanda troppo alta perch io mi senta in condizione di
avanzare un tentativo di risposta, ma mi sembra si possa riflettere su un differente rapporto tra la sfera divina e la
Ragione umana, che certamente si fa pi intimo quando un Dio decide di farsi uomo, un processo, questo, molto
storico, perch la divinit di Cristo assunse contorni precisi col tempo, anche se nel tempo dei primordi. Il
dubbio che cos si solleva non per fine a se stesso, perch induce a volgere uno sguardo meno sourcilleux al
fenomeno gnostico e a tutte le eterodossie del Neoplatonismo cosiddetto "popolare", espressione di un'utopia
forse iscritta nelle viscere di questo occidente figlio di Hermes.
Tornando a Hobbes, Strauss nota un parallelo tra le domande che si pose Socrate con il tramonto delle
divinit greche, e quella che si pone a Hobbes per la caduta dell'autorit della Rivelazione: la critica della
Rivelazione ha per lui la stessa valenza costitutiva che ebbe per Platone la critica ai Sofisti. Su questa critica di
Hobbes, Strauss sviluppa un importante ragionamento (pp. 279, sgg.)

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Hobbes, nota Strauss, separa la religione dalla filosofia tramite la distinzione tra la religione e la
teologia, la quale ultima non che un intreccio tra religione e filosofia greca, dunque pagana. Il risultato che ne
consegue del tutto inverosimile, e poich la religione non pu insegnare cose in contrasto con la Ragione, la
sua vera lezione va recuperata con una critica razionale. In questo, sia detto per inciso, Hobbes non si differenzia
dalle principali correnti di pensiero che si andavano sviluppando in occidente, alle quali fa capo anche Spinoza, a
partire dal Libertinismo nella sua declinazione razionalista.
La Scrittura non pu essere irrazionale, se mai sovrarazionale; pertanto la sua letteralit va riveduta
e interpretata l dove afferma cose che contraddicono la Ragione; se, viceversa, la contraddizione interna a
passi scritturali, essa deve essere eliminata ricorrendo alla Ragione.
Strauss si diffonde poi nell'analisi dei dettagli che qui sorvolo, per giungere ad affermare (p. 313) che
Hobbes ha voluto fondare un ordine della societ indipendente dalla Scrittura cos come essa viene interpretata
dalla teologia e dalla Chiesa. Il fatto che la sua critica si appunti essenzialmente contro il concetto di uno
"Spirito" distinto dalla materia e contro l'esistenza del Male, mostra che il suo fondamento risiede
nell'Epicureismo (p. 315) cio in quel pensiero che, per la tradizione ebraico-cristiana, costituisce la negazione
della Bibbia. Strauss (p. 318) sospetta Hobbes anche di Marcionismo, rifacendosi a Tertulliano che vide legami
tra Marcione ed Epicuro (p. 318 nel testo e in n. 151). Aggiunge Strauss: Marcione e lo Gnosticismo furono
avversi all'Antico Testamento (p. 319).
Qui si delinea un problema molto serio, che certamente riguarda il Razionalismo illuminista e post-
illuminista e il moderno concetto di "diritto naturale" dell'uomo, nel quale, contrariamente a quanto avveniva con
l'antico concetto di legge naturale, non v' traccia di un dovere, altrettanto "naturale". Mi riferisco alla
progressiva deresponsabilizzazione, caratteristica della cultura della marginalit, che tende a sottrarre l'uomo al
peso delle proprie scelte, onerosa conseguenza della sua libert. Scelte che comportano l'errore, quando non la
propensione per il Male: ipotesi che viene allontanata nella metafisica dimensione di un Dio malvagio dagli
Gnostici, o della societ imperfetta dal Razionalismo illuminista e post-illuminista. Ora, non c' dubbio che
questa visione irrealistica dell'umano abbia un peso non trascurabile nell'accettazione del Relativismo etico della
moderna scienza politica, ma la radice del Relativismo da ricercarsi altrove, nella visione scientista che
destituisce di realt tutto ci che non "scientificamente dimostrabile", confinandolo nel nulla ontologico
dell'opinione personale.
Questa convinzione marcionita/illuminista di un Dio soltanto buono pone perci Hobbes, secondo
Strauss, nell'ambito delle tendenze sociniane; in effetti, le sue ipotesi sull'Aldil e sulla vita eterna adombrano lo
psychopannychismo. Di fatto, Hobbes si mostra convinto che la fede nella verit delle Scritture sia legata
essenzialmente alla tradizione culturale, non essendovi possibilit di verificare, sia pure indirettamente, gli eventi
asseverati (direttamente men che mai: sono infatti lontani e trascorsi). D'altra parte, Hobbes dubita che Dio possa
aver mai "parlato"; Egli parla soltanto tramite la conoscenza umana di una morale "naturale", non certo con
l'ispirazione, perch lo "Spirito" non esiste (Hobbes crede a una futura vita eterna soltanto in terra, e ritiene che
una qualunque affermazione umana su un Dio inconcepibile non possa che essere insensata). Quanto ai
"miracoli" e alle loro cause, essi sarebbero conoscibili con la Ragione naturale se ne conoscessimo le cause
naturali.
Su questa metafisica materialista di Hobbes, Strauss sviluppa altre interessanti considerazioni.
Intendere tutto nel solo ambito della materialit (anche lo Spirito ha un corpo "sottile", ipotesi, questa,
notoriamente antica, e, lo ricordo, ben presente nella speculazione alchemica) significa intendere l'essere come
"palpabilit" (primato del tatto come esperienza sensoria) e quindi essenzialmente come "resistenza". Per
Hobbes, contrariamente a Cartesio, autoevidente l'esistenza delle "cose in s" indipendenti da noi e dalla nostra
esperienza, e noi la sperimentiamo come contrasto. La nostra coscienza non quindi indipendente dall'esistenza
delle cose, qualche indipendenza la raggiunge soltanto nella memoria e nell'immaginazione. Dice Strauss:
"l'irresistibile superiore potenza del mondo contrapposto nei confronti della nostra coscienza, per Hobbes
autoevidente" (p. 361). In questa potenza si fonda il materialismo e il determinismo, che discende dalla
convinzione che l'uomo sia in potere di questo mondo che si oppone a noi. Di qui la visione di un onnipotente
Dio materiale. Strauss ritiene che Hobbes sia partito dal materialismo mutuato dal dualismo cartesiano, per
giungere ad un approdo nel Fenomenalismo. Hobbes, che nega la teologia razionale perch Dio inconcepibile,
vede nel mondo l'inconcepibile creazione di questo Dio inconcepibile, postulabile esclusivamente come Causa
Prima. Il materialismo di Hobbes non per l'origine della sua critica alla religione, esso piuttosto
conseguenza della elaborazione "scientifica" del concetto pre-scientifico di corpo. La natura di Hobbes non
mostra una propria comprensibile razionalit, soltanto l'opera umana appare razionale. La filosofia di Hobbes,
conclude Strauss (p. 366) dunque una filosofia della civilizzazione e la civilizzazione opera umana. C'
dunque una filosofia naturale e una filosofia civile, che si occupa del corpo artificiale, dello Stato, quest'ultima
divisa in una dottrina dello stato di natura dell'uomo e in una dello Stato, che costruzione meramente umana,
nel senso che svincolata dalla natura.
Qui Strauss conclude il proprio saggio traendone le conclusioni che ci si attendeva. Arte e natura sono
correlate: l'arte (se vogliamo, l'artificio) il fondamento del cambiamento, la natura lo del cambiato. L'arte
dunque cambiamento della natura, ma nel concetto hobbesiano di una natura priva di razionalit evidente, l'arte
non pu essere (come l'alchimia, noto io) imitazione della natura: essa diviene quindi una invenzione arbitraria.
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L'artefice sa quel che fa, ma questo "sapere" pu essere inteso in modi diversi: per Socrate e Platone il suo
"sapere" nasce per dalla contemplazione di un ordine che egli intende stabilire e "il sapere dell'artefice in tanto
eccellente in quanto la conoscenza della forma e dell'ordine grazie al quale e per il quale ogni cosa quel che ,
autentica conoscenza" (p. 369).
Con questo rinvio al dialogo di Socrate con Callicle nel Gorgia si conclude dunque il saggio, cui val
la pena di aggiungere alcune brevi considerazioni.
Questo delinearsi di un rapporto, se non conflittuale quanto meno di appropriazione civilizzatrice, tra
la res cogitans e la res extensa alla radice del lungo viaggio del progresso tecnico che corre dal XVII secolo
all'Illuminismo, e da questo ai nostri giorni, applicato ad un percorso infinito del sempre-eguale dalla scienza e
dall'industria del XIX-XX secolo. L'Illuminismo, contro le cui ingenue proiezioni la Condorcet si volge
giustamente la critica di Strauss, pur nel suo autoinganno fu tuttavia qualcosa di molto pi significativo, e,
soprattutto, pi complesso di quello schemino razionalista che forma il catechismo e il breviario di tanti
intellettuali di carriera e di complemento che, tra media e politica, soffiano ancora nelle trombe stonate del
Progresso.
L'Illuminismo, che comprese in s i due diversi ma intricati volti degli "Illuministi" e degli
"Illuminati", ebbe un fondamento spirituale che, al di l dell'ingenuit delle speranze e dei proclami, aveva di
mira una complessit del progresso che, precisamente per le sue stesse radici, vedeva il progresso materiale
procedere congiuntamente con quello spirituale. Il miraggio non erano soltanto le conquiste tecniche e le
scoperte scientifiche, ma anche una nuova umanit: non si deve dimenticare che l'avvertita fine dell'ancien
rgime fu vissuta come l'attesa di una fine del mondo, ch tale era. Il fatto che noi abbiamo assistito per oltre due
secoli ad un progresso tecnico-scientifico-economico che il pi delirante degli utopisti non avrebbe saputo
immaginare, mentre l'umanit dell'uomo non certo migliorata, anzi, per misantropi e atrabiliari sembra perdere
ogni giorno qualcosa del proprio antico patrimonio -in qualche caso, come nell'arte e nella sapienza artigianale,
lo ha certamente perduto- precisamente ci che spinge ad uno sguardo disincantato sul mito della modernit.
Forse il punto da considerare, anche nella filosofia politica, che l'uomo resta quel che , e che
un'iniezione di realismo dovrebbe far riflettere sull'esistenza di una "natura" intesa come limite che rende
inevitabile il confronto. Lo avevo ricordato per l'arte con Adorno; lo avevo reso implicito sottolineando la
tautologica perdita di senso di un progresso senza fine ma fine a se stesso (quello che, seguendo Strauss, prende
corpo a partire da Hobbes). Forse il caso di riflettervi anche per quanto riguarda la scienza politica, e Strauss
certamente una guida utile. La sua opera, a prescindere dagli abbagli, conseguenza delle distorsioni prospettiche,
richiama alla durezza sommersa di ci che permane sotto lo sciorinarsi di ci che muta. Non per nulla l'ho
definito un Eleata.
Natural Right and History (cit. in Bibl. a p. 851) il testo nel quale Strauss riprende in modo organico
la sua critica alla scienza politica moderna ripartendo da Hobbes, non senza aver esaminato prima il concetto di
"diritto naturale" nella sua genesi storica, e aver posto il confronto con la filosofia politica classica. Si tratta di un
lato molto significativo della visione matura complessiva che egli ha al riguardo.
Il testo perci diviso essenzialmente in tre parti: il concetto e la sua origine, il diritto naturale
classico, il diritto naturale moderno. La prima parte importante per un quadro riassuntivo esplicito e chiaro
delle posizioni di Strauss nei confronti della societ occidentale moderna; sin dalla Prefazione all'edizione del
1971 egli dichiara infatti la propria scelta per il diritto naturale classico e il rifiuto del Relativismo che
caratterizza il moderno Occidente. Posizione semplice e chiara che segna la sua opera matura negli USA, e che
giustifica l'attenzione rivolta dalla critica alla sua opera. Comunque si giudichi l'evidente crisi dell'attuale
Occidente, e quale che sia la prognosi e l'eventuale terapia escogitata, sembra infatti evidente che la moderna
societ occidentale sia portatrice di un tratto culturale che la distingue sia dalle precedenti societ espresse
dall'Occidente, sia dalle contemporanee societ non occidentali. Questo tratto il Relativismo, termine con il
quale si intende essenzialmente il Relativismo etico al quale si improntano sempre pi le leggi del mondo
occidentale; che poi questo sia un "progresso" destinato a segnare il futuro, un baluardo utopico sul quale
immolarsi dinnanzi a un pianeta che esprime tendenze in contrasto, ovvero il tornasole della debolezza e della
decadenza, giudizio che resta aperto. Resta il fatto che il Relativismo etico la nota distintiva della moderna
societ occidentale e che perci importante comprenderne il fondamento, eventualmente come assenza di
fondamento, e quindi, a lungo termine, l'insostenibilit all'interno e l'improponibilit all'esterno, dell'Occidente
stesso.
Strauss apre il testo facendo riferimento ad un concetto assai comune e diffuso, quello cio che una
legge possa essere "giusta" o "ingiusta" nel giudizio del cittadino. Ci significa, a suo avviso, che esiste in
ciascuno di noi, implicito, un metro di giudizio indipendente dalla datit del diritto positivo; e tuttavia ci non
significa che la "giustezza" di una legge sia assicurata dalla sua accettazione -o, magari, pretesa- da parte dei
cittadini. Altrimenti, egli dice (p. 3), in una societ ove fosse accettato e praticato il cannibalismo "i principi del
cannibalismo sarebbero altrettanto difendibili e corretti di quelli di una vita civile".
L'estremismo voluto di questo raffronto non pu essere ignorato con un'alzata di spalle: Strauss un
pensatore che sa pensare con rigorosa conseguenzialit, e l'estremo introdotto mostra gi che il Relativismo non
un pensiero conseguente, non ha fondamento perch non pu essere pensato sino in fondo.

924
Tuttavia l'affermazione apre vaste praterie sul pensiero di Strauss. Gi il richiamo ad una societ
"civile" contrapposta a quella dei cannibali, mostra che per lui esiste una autoevidenza della "civilt" legata a
precisi valori e dettami etici; quali questi siano lo sappiamo gi, sono quelli della Rivelazione e della filosofia
socratico-platonica.
La Rivelazione di certo un tratto forte nella legislazione sociale, resta per il fatto che nulla
autoevidente o esente da lettura (per i cabbalisti sarebbero esistite 600.000 versioni della Torah) e che l'Islam ha
una Rivelazione diversa, resa ancor pi diversa, ed estranea all'occidente, dalla tradizione giuridica aggiuntale
con ahdth e Sunnah (cfr. capp. precedenti) a fondamento di una "civilt" (come giusto definirla) che cozza
radicalmente con la concezione occidentale dei diritti umani. Quanto alla filosofia, noto che essa l'arte di
porre domande, pi che non di dare risposte sul piano positivo.
Ci significa che sul piano obbiettivo, la nozione di diritto naturale tanto attraente quanto vaga e
inubicabile -la sua evidenza somiglia a quella di un miraggio- ci che fa s che essa venga di fatto ricondotta da
Strauss, se non esplicitamente quanto meno implicitamente, come polo non troppo occulto di riferimento, al suo
piano soggettivo che si colloca in qualche luogo di un percorso che rinvia ad "Atene" o a "Gerusalemme", di
fatto all'incontro-scontro tra Platone e Mos. Viene cos ristretta l'ampiezza di un problema che ha radici nella
pi generale dialettica di storia e utopia, sulla cui genesi ho fatto cenno dell'App. alla V ed.; a un mito del quale
le Rivelazioni sono espressione, coscienza di un'esigenza di cambiamento del mondo, dunque motori di un
divenire storico, non colonne che chiudono il finis terr.
La possibilit di comprenderne un tale ruolo certamente lontana da Strauss, per il motivo che egli
nega la storicit del pensiero, una negazione che a me sembra un'indebita estrapolazione del suo giusto rifiuto
dello Storicismo. Egli si attesta quindi -platonicamente, ma forse pi ancora socraticamente- su una assolutezza
della Ragione che lo porta ad affermare due cose (p. 9). La prima che non ci pu essere diritto naturale senza
principi immutabili di giustizia, che non si possono fondare sul mutevole consenso sociale nel corso della storia.
La seconda che, essendo il diritto naturale un attingimento razionale, che presuppone dunque un'educazione
alla Ragione, esso non pu essere conosciuto universalmente, e non ci si pu attendere una sua effettiva
conoscenza "tra i selvaggi". Qui le praterie che si aprono sul suo pensiero si fanno sconfinate, perch lasciano
spazio soltanto a due ipotesi possibili sul suo fondamento, apparentemente contrastanti ma di fatto storicamente
connesse: quella del Greco, che dal chiuso della propria plis definisce "barbari" gli abitanti del mondo; e quella
del colonizzatore che vuol portare al pianeta la (propria) civilt, obbiettivo non necessariamente umanitario,
visto che l'omogeneizzazione delle regole la premessa all'espansione dei commerci. Il fondamento di Strauss
sembra piuttosto il primo ( contrario alla propria assimilazione) ma non c' dubbio che la sua schietta presa di
posizione sia di qualche utilit anche a un rapporto di colonizzazione.
La posizione di Strauss sembra essenzialmente ignorare l'ipotesi di una precedenza dello ius sulla
iustitia; al contrario, la scelta per la Rivelazione, o, in alternativa, per la "Idea di Bene", antepone la iustitia a
tutte le concrete manifestazioni dello ius. La negazione della storicit del pensiero conduce poi a negare in
queste ultime i mutevoli volti della utopica iustitia, condizionabili e condizionati dalla contingenza, e quindi
anche dalla inderogabilit di una qualche sufficiente manifestazione del consenso.
Certamente a Strauss non sfugge che le differenti nozioni di diritto non smentiscono l'esistenza di un
diritto "naturale" (p. 10) ma ci appare contraddittorio con la sua negazione di un possibile riferimento ad esso
"tra i selvaggi". Questo sognato diritto naturale apparirebbe in tal caso come qualcosa in qualche modo inscritta
nell'anima dell'uomo, secondo l'ipotesi sostanzialmente neoplatonica che balen nel Rinascimento con la
sorpresa del Nuovo Mondo. Una sorpresa che contribu, pi di quanto si sia soliti ricordare, a mutare le
coordinate del pensiero: almeno in chi non pensava soltanto al bottino.
Il convenzionalismo, dice poi Strauss (p. 11), afferma al contrario che diritto e giustizia non hanno
alcun fondamento in natura; essi sono dunque conseguenza di una storia intesa come superamento o fuga dalla
natura ("contro la natura"); diritto e giustizia si fondano su scelte esplicite o implicite delle diverse societ, e si
fondano soltanto sul consenso. E aggiunge: "il consenso produce pace, ma non la verit". Strauss,
evidentemente, non accetta che la "verit" sia un miraggio perseguito dall'umanit tutta attraverso la
testimonianza di ognuno -una sorta di cerca del Graal che conduce i cavalieri su personali e sovrapposti sentieri
nella stessa foresta. No: la "verit" razionalisticamente intesa come adeguamento della proposizione alla cosa,
diviene riserva di caccia per il club dei "filosofi". Aggiunge infatti (p. 12): ogni visione del mondo
(Weltanschauung) non che la caverna di Platone; questo lo Storicismo.
Il carattere puramente storico del diritto nasce in Inghilterra come reazione ai principi astratti della
Rivoluzione Francese. Strauss non certamente un giacobino, tuttavia riconosce alla Rivoluzione il merito di
aver cercato un assetto sociale assoluto fondato sulla Ragione, i cui limiti nascono dalla particolare accezione
che assunse il progresso nel XVIII secolo, un progresso tecnico/materiale. La scuola storica distrusse questo
tentativo di trascendere il fondamento nella datit: lo Storicismo che ne consegu, culmin col Nihilismo (pp. 15-
16). Il tentativo di dare una "patria" in questo mondo si risolse in una umanit senza "patria": dove per "patria" si
intende "fondamento" (p. 18).
Della critica-rigetto di Strauss nei confronti dello Storicismo, e del suo fondamento, ho gi detto in
App. alla V ed., e non mi ripeto; mi limito a segnalare per che essa, qui condotta a lungo con dovizia di pagine
e di argomentazioni, gli serve anche per argomentazioni collaterali, come la negazione di una possibile
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verit/testimonianza che si ri-vela nelle scelte, la cui "teoretica certezza" separata dalla completa insensatezza
soltanto dalla scelta stessa (p. 27): un rinvio dunque della verit alla propria autotestimonianza, che non d
fondamento. Ho gi detto pi volte che cosa penso della verit intesa come "theora": l'immagine virtuale
fissata nello specchio, senza pi la complessit e la mutevolezza della vita, senza le sue contraddizioni, senza
una delle sue dimensioni.
Accanto alla critica dello Storicismo, Strauss sviluppa la critica del Relativismo come critica a M.
Weber e alla sua distinzione tra fatti e valori (pp. 35-80).
La critica di Strauss parte dalla critica allo Storicismo, sulla quale non torno se non per segnalarne il
punto d'avvio nel senso pieno della parola, perch la riflessione possibile, per Strauss, soltanto in presenza di
un orizzonte naturale assoluto. Soltanto da questo orizzonte possibile affrontare i problemi fondamentali e le
fondamentali alternative che accompagnano da sempre il pensiero umano. Ora, da un lato abbiamo gi visto che
lo Storicismo un pensiero fallimentare perch sega il ramo stesso sul quale siede; dall'altro interessante notare
la pertinenza dell'osservazione di Strauss, perch l'assenza di un orizzonte naturale assoluto rende la riflessione
dell'uomo sul proprio cammino, che coincide in parte con la filosofia politica, molto simile concettualmente alla
falsa opinione della colomba di Kant (Critica della ragion pratica, Introduzione, III) o all'espediente del famoso
Barone per uscire dalla palude.
Dopo questo esordio, Strauss prosegue l'intero capitolo sulla scorta di un'analisi serrata della scienza
politica di Weber e della sua distinzione tra "fatti" e"valori". Anche su questo argomento mi pare superfluo
tornare, se non per alcune puntuali osservazioni. La prima e la pi generale appare la relazione esplicita ed
implicita che Strauss pone abitualmente tra Storicismo e Relativismo etico. Questa connessione ha certamente
una sua logica -basti pensare agli approdi della Genealogia della morale- ma a me sembra che esista altrove un
fondamento ben pi solido, meritevole di quell'attenzione che gli ho riservato abitualmente.
Il fondamento del Relativismo etico mi sembra infatti debba ricercarsi nello Scientismo, un
atteggiamento culturale vecchio di un paio di secoli che ha pervaso di s le strutture del pensiero volgare
dell'Occidente. Il trasferimento del concetto stesso di "Verit" nelle verit della scienza, scientificamente
dimostrate, ha fatto s che sia atteggiamento diffuso confinare nella pura "opinione" -intesa come atteggiamento
esclusivamente soggettivo, rispettabile ma non estensibile al di fuori di tale ambito- ogni affermazione che, per
sua natura, non possa neppure in ipotesi rientrare nella "dimostrabilit scientifica" presente o futura. In questo
rapporto con la "Verit", le scienze naturali hanno preso il posto -con ben altra autorit- dell'antica filosofia,
ribadendo, come nel vecchio Razionalismo la nullit ontologica della dxa.
L'esigenza di un fondamento nell'orizzonte "naturale assoluto" di ogni riflessione di filosofia politica,
non giustifica per, a mio avviso, quanto Strauss afferma alle pp. 61-62, cio che lo storico che nega la
possibilit del giudizio di valore non possa realmente comprendere gli eventi passati, perch non mi sembra che
la storia (per la quale Strauss non ha molta stima, preferendole il dialogo diacronico della filosofia) possa
risolversi in giudizi di valore: fare storia -mi sembra- cio tentare di comprendere l'accaduto o quanto meno
ordinarlo all'interno di una logica, operazione che non pu andare a buon fine se non tentando di comprendere
le discordanti ragioni che vi concorsero, e le relative, non esorcizzabili passioni che le mossero o che vi furono
messe in moto. Strauss, al contrario, ritiene che tra "opinioni opposte" (opposite views) una soltanto possa essere
pensata in accordo con la "Giustizia" (p. 69), delineando con accenti polemici l'ipotesi opposta. Qui si nota il suo
radicamento in un dualismo dxa-epistme che ignora volutamente quanto dovrebbe essere alla base di ogni
riflessione politica: l'esigenza di trovare una linea-guida attraverso la pluralit delle ragioni. In Strauss, la
"verit" non pu trovare fondamento nella vita; essa si fa esterna all'uomo e ci d adito a qualche
preoccupazione quando si parla di politica, qualcosa che riguarda l'uomo, e quindi, in ogni caso, un "naturale
assoluto" che non pu essere pensato al di fuori dell'uomo stesso, di una "natura" intesa come natura umana.
Tra il Razionalismo classico di Strauss, socratico-platonico, e il Razionalismo scientifico che conduce
al Relativismo, il vero luogo della contesa sembrerebbe dunque costituito dalle pretese della scienza (naturale):
per il resto, entrambi cercano l'adeguamento della proposizione alla cosa, entrambi sono estranei alla
verit/testimonianza, alla verit come costruzione continua e collettiva. Che il luogo del contendere sia quello,
Strauss lo afferma infatti chiaramente alle pp. 78-79, e la sua posizione netta: occorre tornare alla
comprensione naturale del mondo, cio a monte della sua comprensione "scientifica", e in ci possono essere
d'ausilio soltanto la filosofia classica e la Bibbia (p. 80).
Questa comprensione naturale del mondo infatti da lui invocata come condizione indispensabile alla
stessa possibilit di parlare di un "diritto naturale" (p. 81). Questo diritto naturale fu una "scoperta" a monte della
quale vi fu la politica, e fu opera della filosofia: tant' che L'Antico Testamento, al cui fondamento v'
"l'implicito respingimento" della filosofia, ignora il concetto di natura: il cielo e la terra dei quali vi si parla, non
sono "natura", perci nell'Antico Testamento non v' cenno di un diritto naturale, occorreva prima scoprire la
"natura", una realt che meglio porre tra le virgolette considerati gli equivoci semantici che essa genera, come,
del resto, la greca phsis. Natura e phsis sembrano assumere una qualche illusoria chiarezza soltanto quando
vengano contrapposte ad arte/artifizio e a nmos: ma questa chiarezza pu essere pensata soltanto entro un
pensiero che ignori il divenire, cristallizzando l'alternativa nell'ideologia.
L'equivalente pre-filosofico della natura il "costume" (che come dire lo ius) nel quale il "buono" si
identifica con l'uso tramandato; ma la distinzione metafisica (che riguarda, per l'appunto, il pensiero parmenideo
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e pre-classico) di un permanente sottostante il transeunte, condusse a dividere il costume in phsis e nmos (pp.
89-90). Il permanente sottostante il fondamento di ogni metafisica, e questo spiega anche la progressiva
identificazione della natura con il luogo del divino, un'evoluzione che Strauss dovrebbe prendere in
considerazione portando in gioco il Neoplatonismo, cosa che egli non far. Lo dovrebbe, perch il
Neoplatonismo si interess nuovamente a Parmenide, cio a una concezione del rapporto altheia-dxa che
precede la trasformazione nella contrapposizione epistme-dxa di Platone; una concezione interessante perch
nel frattempo l'essere era andato trasferendo la propria trascendenza nel divino, e il rapporto posto da Parmenide
poteva parallelizzarsi nel rapporto neoplatonico tra il divino, trama e tessuto del mondo, e la natura come sua
manifestazione nel tempo. Comunque, questo problema del permanente sottostante porta alla ribalta molte
considerazioni, non tutte in linea con la ricerca di Strauss.
Gi in primo luogo si dovrebbe tener conto della critica di Nietzsche al "mondo dietro il mondo" e alla
conseguente ipotesi che la fede in Dio sia soltanto una fede nella grammatica generata dagli equivoci del nostro
"essere", duplice non soltanto nell'uso, ma anche ambiguo in quel rapporto conservato con la radice stessa del
greco pho, onde lo sbocciare, il venire all'apparenza, si configura come un ek-sistere da un misterioso "essere",
che, pur nella sua rotonda immobilit, non potr ignorare il proprio legame con il germogliare della phsis.
Epper, da questa concezione di un essere immobile deriver non soltanto il concetto di sub-stantia, perch
questa, nella sua immobile autoidentit, dovr colorarsi con lo accidens-synbebeks, il sopravveniente che si
aggiunge, per consentire la definizione della cosa. Al tempo stesso deve nascere l'ipotesi di un sotterraneo
permanere immobile di un sub-iactum, il soggiacente-durevole nel quale la percezione di un sempre identico,
caratteristica dell'essere, si ipostatizza come immutabilit dell'Io nel tempo. Questi incappa allora nello ob-
iactum, lo ypokeimnon, il messo-innanzi -Gegenwurf, come giustamente tradusse Weigel l'odierno Gegenstand.
Soggetto, oggetto, sostanza e accidente, articolano il discorso della metafisica occidentale, il metafisico discorso
sull'essere che consente il rapporto con l'altro soltanto tramite la riduzione al medesimo.
La domanda sul "che cos'" ci che "", l'essenza del Razionalismo ed la radice del suo proporsi
come ottimo strumento del dominio, precisamente per questa conseguenza di consentire il rapporto all'altro
soltanto tramite la riduzione al medesimo; essa implica una riflessione della cosa nella bidimensionalit della sua
immagine virtuale. Si tratta quindi di una struttura logica che non si articola sulla irriducibilit del vivente, il cui
continuo mutare pu essere cos controllato entro schemi puramente concettuali: una logica che ha comunque il
merito di aver contribuito alla nascita della scienza classica. Come ho sottolineato pi volte, la conseguenza
che il luogo della vita e del suo desiderare, viene a costituirsi in un non-luogo quale il lato non-apparente di
quell'immagine virtuale (il suo volto u-topico).
La metafisica sembra dunque il risultato di un equivoco del linguaggio, ed perci molto sensata
l'osservazione di Kant circa l'impossibilit di una metafisica "razionale", salvo giungere a questa considerazione
partendo da una sua accertata impossibilit di dar luogo a un qualche "progresso" (Prolegomeni, etc.,
Prefazione). I problemi del Razionalismo non si possono dunque risolvere razionalmente, inconveniente
sospettato dallo stesso Aristotele.
Del vespaio che si solleva con la scoperta di una natura/phsis che ha a che vedere con un permanente
sottostante, e di come tutto ci dipenda da una struttura di pensiero radicata nel linguaggio, Strauss sembra non
preoccuparsi; il contrasto che si genera tra datit e u-topia viene da lui tradotto, come suo costume, come
quello tra ci che per convenzione e ci che per "verit" (pp. 90-91) portandolo perci all'interno di quel
Razionalismo nel cui ambito esso non soltanto insolubile, ma persino improponibile.
Qui varrebbe forse la pena di riflettere sul tentativo di risposta che venne da Herder, quando afferm
che l'Eden non era stato all'inizio, ma sar forse al termine di un processo; tradotto nella problematica nella quale
si dibatte Strauss, forse la "natura" (termine del quale egli fa uso non senza giocare sulla sua ambiguit) non
tanto un permanente sottostante, quanto un miraggio che si costruisce nel tempo.
Sul problema di natura e convenzione, Strauss si addentra in un'interessante analisi. Dice Strauss (p.
91): l'emergere della filosofia ha effetto sull'atteggiamento dell'uomo verso la legge, perch influisce
radicalmente sul modo d'intenderla. In effetti, ci significa il passaggio dall'appartenenza allo ius alla domanda
sulla iustitia, un passaggio che ricalca quello dal "ci che " al "che cos' ci che ". La iustitia cos intesa, non
per un inubicabile modello u-topico, ma l'assolutamente certo nascosto sotto il caleidoscopio delle opinioni:
cio delle passioni. Una certezza assoluta che pone, per conseguenza, la vita stessa sotto il segno del
nascondimento. Su questa scelta, non esplicitata perch evidentemente ovvia per un razionalista, Strauss
sviluppa l'argomentazione delle pagine successive. Dice Strauss (pp. 92-93): la natura, ponendosi a monte
dell'ancestrale, ne mina l'autorit; emerge la distinzione tra natura e convenzione e con ci l'esistenza di un
diritto naturale, sulla cui base, e non su quella della convenzione, giudicare del giusto e dell'ingiusto. Il diritto
naturale implica infatti dei principi immutabili (p. 97) la cui conoscenza indispensabile per la vita stessa
dell'uomo (p. 98). Qui Strauss insiste molto sul concetto -mi sia concesso dire: non troppo filosofico- di uomo
"normale" come fondamento di un necessario consenso universale sui princpi; laddove questo consenso manchi,
dice Strauss, ci imputabile alla corruzione umana e non pu essere attribuito, come afferma il
convenzionalismo, alla diversit delle culture (ivi.)
Su questo punto Strauss sente il dovere di richiamare l'obbiezione di Locke (p. 99) secondo il quale
dietro una simile definizione del diritto naturale si nasconde la pretesa di dare valore universale ai pregiudizi
927
della propria cultura. Insisto a dire che un tale ginepraio nasce dalla pretesa straussiana di separare la verit dalla
testimonianza, fare cio della dxa un falso pi che una prospettiva, e dell'epistme il luogo del dominio, pi che
non un miraggio inubicabile; a ci consegue la totale destoricizzazione del pensiero. Dice infatti Strauss (ivi):
l'obbiezione di Locke decade se si tiene conto che la conoscenza del diritto naturale deve essere acquisita tramite
lo sforzo umano, perch essa una scienza, e non sempre (cio: non a tutti, traduco io) accessibile.
Esiste perci un'intrinseca differenza tra il legale e il "giusto", che pu anche essere intesa come
difficolt di adeguare il primo al secondo (pp. 100-101), e, per stabilire che cos' il "giusto", necessaria
un'esperienza politica paragonabile all'arte del medico (p. 102). Qui mi sembra singolare che, in un momento
aporetico del discorso, Strauss si cavi d'impaccio sovrapponendo "l'arte" alla "scienza", cosa possibile soltanto
facendo della scienza un'empiria e togliendo all'arte l'invenzione. Quanto al "giusto", mi sembra interessante
ricordare che Aristotele definisce "giustizia" ci che utile alla comunit (Pol., 1286b, 15-17), affermazione
coerente con la sua critica all'Idea di Bene socratico-platonica (Eth. Nic., 1096a, 11 sgg.).
Strauss contesta poi l'argomentazione di Antifonte sul carattere convenzionale delle leggi,
argomentazione che egli costruisce in modo complesso a partire da molte diverse fonti (cfr. n. 36 a p. 105) ma
che non tocca la sostanza della sua posizione ben pi radicale, a giudicare dai frammenti superstiti (cfr. Sofisti.
Testimonianze e frammenti, vol. IV, cit. in Bibl. a p. 736). Antifonte dice infatti che le leggi non possono
rappresentare la giustizia, opponendo a tal fine il nmos, frutto della dxa, alla phsis, e sostenendo che il primo
manca di obbligatoriet perch non partecipa al fondamento della realt/phsis; una posizione che molto simile
a quella di chi si ribella alla legge (umana) ingiusta che tale perch contraddice l'obbligatoriet etica di una
Legge divina, e che precisamente da questa Legge divina autorizzato, anzi, invitato alla ribellione. Questo un
contrasto forte e non eludibile, che nasce precisamente dalla visione di un "vero" (filosofico o religioso) quale
quello inseguito da Strauss. Per l'esattezza, Antifonte dice (44, fr. 1 nella traduzione di Untersteiner): "le
disposizioni delle leggi (scil: del nmos) sono occasionali, quelle della natura (scil: della phsis) necessarie";
precisando ancora che i contenuti delle leggi non sono naturali in quanto convenzionali. Nel seguito della sua
esposizione, egli mette infatti chiaramente in luce il carattere problematico della legge, allorch essa viene a
cozzare con l'atteggiamento che potrebbe essere "naturale" in un individuo; dal che non necessariamente si
evince un invito alla trasgressione, quanto invece il carattere meramente pratico/convenzionale delle norme
"ragionevolmente" pensate per garantire la salute della societ. Da un ragionamento come il suo derivano infatti
le note eccezioni per le quali nessuno tenuto a dichiararsi colpevole o a testimoniare contro un proprio
congiunto.
Nelle pagine successive, Strauss si diffonde quindi sulle ragioni del convenzionalismo, per giungere a
mostrare come esso si fondi su una concezione del Bene come soddisfazione individuale, e, come conseguenza
di questa concezione, a mostrare il legame del convenzionalismo con l'Epicureismo (la bestia nera di Strauss)
che identifica per l'appunto il Bene con il piacevole e con l'utile (p. 109). Tutto ci gli consente di arrivare a
Hobbes, e soprattutto a sferrare l'ennesimo attacco ai Sofisti, accusati di convenzionalismo "volgare", cio non
filosofico, e di non interessarsi alla ricerca del "vero"; e anche di trasformare la polemica definizione di
"Sofista" che fu di Aristotele (Conf. Sof., 171b) in un velenoso improperio, per poi tornare a parlare del moderno
convenzionalismo nel quale l'ipotesi di "natura" stata abbandonata. "Naturalmente", nel corso dell'esposizione
la "natura" andata assumendo significati diversi, rendendo il discorso di Strauss contrastabile con
obbiezioni....aristoteliche; ma ci un aspetto formale che interessa molto meno del punto d'arrivo che preme a
Strauss: l'elogio della posizione di Socrate, fondatore del pensiero politico classico con la sua identificazione di
Natura e Legge. Si deve infatti notare che in tal modo la Legge come "assoluto", oggetto dell'indagine filosofica,
viene a coincidere, nel suo significato intrinseco, con la Legge divina rivelata: una cogenza intrinseca alla
struttura razionale del cosmo che si deve obbligatoriamente riflettere in una societ attenta alla propria salute.
Nel suo rapporto con la struttura della societ, Strauss alla ricerca di un ne varietur, fine al quale di supporto
funzionale la sua destoricizzazione del pensiero.
In tal senso egli intende la dialettica socratica come un'ascesa dalle opinioni (meri riflessi del "vero")
al "vero"; laddove il convenzionalismo a disinteressarsi di quel poco o quel tanto di "vero" che si riflette nelle
opinioni. Una simile polemica sembra tuttavia alquanto segnata dal pregiudizio, sia perch ignora volutamente
quanto di "senso comune" esiste nelle convenzioni, sia perch sembra sottovalutare quanto di "pilotato" vi
nella tecnica socratica, ci che rende alquanto artificiosi gli sviluppi del suo argomentare. Tra l'altro, Strauss
assume come certezza un presupposto rispettabile ma non dimostrabile quale l'affermazione che la perfezione
dell'uomo, essendo esso un animale sociale, possa realizzarsi soltanto nella virt sociale per eccellenza, la
giustizia (p. 129). L'equilibrio tra le esigenze della societ e quelle dell'individuo infatti il problema pi grande
che si sia mai posto nel pensiero politico, e ha avuto infinite diverse soluzioni nella storia, a dimostrazione che le
premesse non sono cos lineari come vorrebbe Strauss.
Tuttavia una simile impostazione non appare fine a se stessa nel discorso di Strauss; essa sembra
piuttosto funzionale a quel che emerge nelle pagine successive. Partendo dall'affermare la legittimit di una
societ coercitiva ("il dominio di Prospero su Calibano , per natura, giusto", p. 133) egli afferma (p. 134) che i
classici consideravano il problema politico ed etico nella logica del perfezionamento umano, perci "non erano
egualitaristi". Il rifiuto dell'eguaglianza "naturale" degli uomini (affermata viceversa da Antifonte) un tema
ricorrente che Strauss, come vedremo, andr tentando di evincere dalla filosofia islamica. Dopo avere introdotto
928
(pp. 137-138) il concetto di "regime" (che ho ricordato nell'App. alla V ed.), egli identifica quindi il miglior
regime, sulla scorta di Platone, con quello stabilito dai filosofi, perch il Bene comunque dipendente dalla
sapienza (p. 140). Con ci si stabilirebbe un diritto nel quale il sapere prevale sul consenso, un diritto non
egualitario nel quale la moltitudine ignorante dovrebbe seguire "liberamente" l'ordine imposto dai saggi: una
soluzione peraltro impraticabile, perch i saggi dovrebbero governare con la forza le masse che, in quanto
ignoranti, recalcitrerebbero. Con lo sguardo rivolto al passato, Strauss pensa perci all'ipotesi "ciceroniana" di un
patriziato urbano colto, educato alla filosofia (p. 143).
Pi semplicemente, per la fede biblica il miglior regime la Citt di Dio, un'ipotesi che si diffuse in
occidente grazie al Cristianesimo; in conseguenza di ci vi furono, tra i classici, tre modi di intendere il diritto
naturale: quello socratico-platonico, quello aristotelico e quello tomista; la prassi della vita associata ha tuttavia
richiesto sempre un certo compromesso con il convenzionalismo, perch il diritto naturale, se applicato
integralmente, avrebbe fatto esplodere la societ per la sua antitesi con le tradizioni (p. 153). Ancora una volta si
nota in Strauss la ricerca di una "verit" disgiunta dalla vita, espressione del suo razionalismo ma anche, a mio
avviso di un posizionamento sociale che ha pi volte caratterizzato i ceti intellettuali, al margine rispetto
all'esercizio effettivo del potere: quello di chi si pone come depositario di un sapere dottrinale prevalente
sull'esperienza.
Non questo certamente il caso di un Aristotele, del quale Strauss non pu fare a meno di sottolineare
la concretezza sul tema del diritto naturale (p. 159). Quanto al Tomismo, che egli tratta brevemente ma del quale
intendo tornare brevemente a far cenno infra a proposito del cosmo ordinato del Medioevo, Strauss nota che
Tommaso sostiene l'armonia tra societ civile e diritto naturale: la legge naturale pu e deve essere
obbligatoriamente valida per tutti gli uomini cos come formulata nella seconda tavola del Decalogo (p. 163).
Al riguardo Strauss domanda per come essa possa essere accessibile a coloro che non avessero
ricevuto la Rivelazione del Sinai, ai quali dovrebbe essere presente soltanto l'esigenza di una perfezione
intellettuale e morale, laddove la prima non richiede la seconda. Ora, la soluzione di Tommaso a questa
difficolt, riportata da Strauss, quella fondamentale della teologia cristiana, fondata sulla razionalit della
Legge divina, inscritta nelle coscienze: il fine naturale dell'uomo va oltre la filosofia (e aggiunge: "per non dire
della politica", p. 164); infatti la stessa ragione naturale indica l'esigenza di una Legge divina a perfezionamento
di quella naturale. Ci significa riassorbire nella teologia la legge naturale, un'ipotesi che notoriamente non piace
a Strauss e che non fa parte del pensiero politico moderno.
A prescindere da quest'ultimo, e prima di occuparci di esso nella successiva trattazione di NR&H (pp.
165 sgg.) mi sembra tuttavia opportuno soffermarmi a segnalare un aspetto che reputo importante per giustificare
l'interesse all'opera di Strauss. Ci che essa mette in luce a prescindere dalle personali inclinazioni e dai problemi
del suo autore -e che vedremo ancor meglio a proposito del suo "naturale" rivolgersi al pensiero islamico- il
ruolo sociale che assume la religione in quanto fondamento legislativo.
Se c' un merito della ricerca di Strauss, questo l'aver fatto risaltare la fallacia della moderna
concezione occidentale della religione come "opinione" privata. La religione, al contrario, come emerge dalla
sua ricerca, l'espressione di quanto di pi radicato vi sia nei popoli per quanto concerne il rapporto dell'uomo
col mondo e con la societ, l'ordine inscritto nelle cose; in questo senso essa tende ad improntare il
comportamento non soltanto privato, ma anche pubblico dell'individuo, nel suo sforzo di modellare una societ
conforme a quell'ordine. La religione si esprime perci essenzialmente come Legge, non importa se civile o
morale, una legge che ben difficile fondare altrove, anche se Strauss ritiene si potesse fondare anche sul
Razionalismo classico. Sottolineo questo "anche" perch, come ho gi ricordato nell'App. alla V ed., Strauss
stesso ha espresso la critica razionale alla pretesa filosofica di giudicare della fede, e tutta la sua opera sembra
segnata dall'interesse a mostrare la dialettica necessaria, ancorch irrisolta, tra "Atene" e "Gerusalemme".
Il diritto naturale moderno, dice Strauss, nasce con Hobbes, "il primo filosofo plebeo" (p. 166) che si
dissocia dal pensiero classico perch non considera l'uomo per natura animale politico sociale. La sua
convinzione del fallimento della filosofia tradizionale, nasceva dalla convinzione che i suoi dogmi non potessero
sopravvivere alla critica scettica, un convincimento che, come ho gi ricordato, si afferma in Europa nel
Libertinismo del XVII secolo. Questa convinzione , a mio avviso, di importanza generale nel rapporto col
pensiero classico: abbiamo gi visto come una convinzione analoga abbia avuto un ruolo nella dottrina di al-
Ghazl e nella sua chiusura verso una possibile "filosofizzazione" della Rivelazione. Essa avr un ruolo ancor
pi importante nella critica definitiva di Ibn Taymiyya al pensiero greco, che orienta la teologia dogmatica
dell'Islam su una linea diversa e opposta alla teologia razionale dell'Occidente cristiano. Una linea che per
serpeggia anche nella posizione di Strauss (vedi l'accusa di avere "shariatizzato" la Torah) e che, non avendo
giustificazione nel suo pensiero, orientato in senso platonico-socratico, pu attribuirsi soltanto ai problemi
personali cui si accennato all'inizio. Infatti Strauss ha sempre negato la possibilit di coniugare "Atene" e
"Gerusalemme", laddove la teologia razionale del Cristianesimo occidentale, con la sua radice nell'aristotelismo
neoplatonizzato del Medioevo, nasce dalla convinzione della razionalit del mondo e di una ragione umana
plasmate sulla razionalit divina, ancorch come suo riflesso, come Abbild rispetto a un Urbild.
A ci potrebbe aggiungersi che precisamente dall'incontro di Atene con Gerusalemme e dal loro
rapporto, nasce quel fermento intertestamentario dal quale discenderanno tanto il variegato Cristianesimo delle
origini -non ancora canonzzato- quanto le infinite sette giudaiche -anch'esse specchio di un Giudaismo da
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canonizzare al pi presto- quanto la Gnosi giudeocristiana (cfr. il recente lavoro di A. Paul, cit.). Notava del resto
Quispel (Transformation through Vision, etc., cit. in Bibl. a p. 772) il carattere pluriforme, variegato, visionario
ed esoterico del Giudaismo intertestamentario, e concludeva: "che cosa hanno in comune Gerusalemme e Atene?
si domandava Tertulliano. La risposta corretta potrebbe essere: molto". Una prole in comune certamente la
ebbero: lo Gnosticismo; e non a caso i canonizzatori del Cristianesimo, nel II secolo, per combattere lo
Gnosticismo, menavano fendenti contro Atene e contro Gerusalemme, cio contro la congiunzione
giudeoellenistica, madre di tutte le eversioni, e perci sicuramente estranea a Strauss; cos come estranea a quel
Canone palestinese, anch'esso maturato nel II secolo, lontano da quel che accadeva in Alessandria.
Cristianesimo e Giudaismo, notava Quispel, si preoccuparono entrambi di trasformare la Creazione dal Chaos in
una Creazione dal Nulla, punto cruciale per evitare incesti filosofici.
Quanto al Cristianesimo, come ho pi volte sottolineato, esso si istituzionalizzer nel rispetto del
Razionalismo classico della cultura egemone platonico-aristotelica (e stoica), eterno baluardo contro possibili
eversioni "gnostiche", inaccettabili per l'ordine imperiale.
Chiusa questa breve digressione, torniamo a Hobbes, sul cui conto Strauss ripete brevemente quanto
esposto pi diffusamente altrove (cfr. supra). Egli avanza tuttavia alcune osservazioni che meritano di essere
ricordate perch hanno qualcosa a che vedere con l'attuale crisi dell'Occidente.
Sostiene Strauss che la metafisica materialista di Hobbes, la conseguenza di un universo inteso come
incomprensibile per l'uomo, straniero ad esso, onde l'uomo pu riferirvisi soltanto per l'intermediazione di un
modello astratto da lui stesso elaborato (questa l'essenza della razionalit scientifica descritta da Bachelard, Le
rationalisme appliqu, Paris, P.U.F., 1949). Precisamente questa estraneit, che esclude la possibilit di capire il
mondo, pone l'uomo in condizione di dominarlo grazie al modello. Nota Strauss che una tale soluzione rese
felice Hobbes, mentre avrebbe dovuto costituire un motivo di disperazione (p. 175). Lo sguardo distolto dal
mondo e dalla crisi provocata da tale distoglimento, si rivolse cos, dimentico della totalit e dell'eternit, alla
misteriosa costruzione della Storia.
In effetti lo Storicismo, contro il quale si sempre schierato Strauss, non che il trascinamento
dell'Assoluto in terra, un fenomeno sulla cui analisi si lungamente speso Voegelin vedendovi la conclusione
del Gioachimismo. La critica di Strauss a Hobbes si appunta per qui sul suo rapporto con il Liberalismo (p.
181) una concezione dello Stato non come promotore della vita virtuosa, ma come salvaguardia del diritto
naturale individuale, una dottrina rivolta quindi essenzialmente ai diritti, e non anche ai doveri.
Con Hobbes, lo "stato di natura" che era termine teologico cristiano contrapposto allo "stato di grazia"
diviene il contrapposto dello "stato di societ civile"; in ci, nota Strauss, Hobbes rigetta tanto l'opinione classica
quanto il convenzionalismo, perch nega l'esistenza di un fine naturale; la concezione di Hobbes inoltre
egualitaria, laddove il convenzionalismo non necessariamente lo era.
Molte concezioni cambiarono con Hobbes, nota Strauss. Il consenso divenne pi importante della
saggezza; la sovranit divenne il luogo di convergenza della forza del consenso, ebbe maggiore estensione; la
giustizia, priva di parametri trascendenti, si ridusse al rispetto dei contratti; la pace divenne un mito politico
edonistico (pp. 186-189).
Il percorso della concezione moderna del diritto naturale continua con il pensiero di Locke, esaminato
subito dopo da Strauss. Secondo Locke la legge di natura eterna, concorda con la Ragione e pu quindi essere
attinta con il lumen natur, senza necessit di una Rivelazione; essa la voce di Dio nell'uomo ma anche una
scienza dimostrativa, ed "Legge" in quanto riconosciuta come Legge divina; la Ragione naturale, non potendo
giungere ad affermare un Aldil con punizioni e premi, non potrebbe infatti essere riconosciuta come "Legge"; o
meglio, non potrebbe essere riconosciuta la natura legale di questa legge, cio il fatto che la sua trasgressione
comporta una sanzione. La Legge divina rivelata diviene la perfetta formulazione della legge di natura; la
Ragione guidata dalla Rivelazione scopre la natura razionale della Legge rivelata nel Nuovo Testamento, come
si pu notare comparando questa Legge con gli altri codici morali (pp. 202-205). Se cos fosse, nota Strauss,
Locke avrebbe dovuto estrarre una Politica dal Nuovo Testamento, cosa che egli non fece, contraddicendosi (pp.
205-206).
Locke dissoci infatti la logica, che non ammette compromessi, dalla politica, la cui essenza stessa
consider essere il compromesso. L'analisi di Strauss mostra dunque che, per Locke, come gi per Spinoza e
Hobbes, la politica non poteva essere pensata senza rapporto con le passioni degli individui, distinguendo il
piano di ci che l'uomo dovrebbe essere, da ci che l'uomo concretamente . In altri termini, lo stato di natura si
fa duplice: lo stato d'innocenza iniziale pensato dalla Bibbia e quello storico postlapsario, ma, di fatto, per Locke
esso costituto da una confusione dei due. Mentre infatti non v' dubbio che l'uomo quale cui si riferisce la sua
concezione della politica, il secondo; lo stato di natura cui egli fa riferimento per ci che concerne il diritto,
quello d'innocenza prelapsario, nel quale l'uomo aveva tutti i diritti e i previlegi connessi a tale stato. Gli obblighi
imposti da Yahw con la caduta non sembrano trovare riscontro nella sua dottrina (p. 216) e infatti egli nota che
il comportamento dell'uomo -nella fattispecie, nelle operazioni belliche di saccheggio- appare del tutto privo di
coscienza etica. Le sanzioni che rendono legale una legge debbono quindi essere applicate dalla societ civile,
che frutto della convenzione. D'altronde l'uomo non pu che essere sottomesso in tal modo a una "legge di
natura" che non inscritta nella sua coscienza, e che pu essere conosciuta dalla Ragione soltanto tramite lo
studio, una possibilit che manca a gran parte degli uomini.
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Tuttavia la natura ha inscritto nel cuore dell'uomo il desiderio della felicit e l'avversione per la
miseria, e questo un diritto naturale assoluto che deve essere consentito perch non pu essere represso; a
monte di tutto, l'attaccamento alla vita, cio il principio di autoconservazione, il pi fondamentale di tutti i
diritti; contrariamente alle conclusioni di Hobbes, che ne deduce la necessit di un potere assoluto che imponga
la legge agli uomini, Locke ritiene che tale diritto implichi la libert dall'arbitrio del potere assoluto: il contratto
sociale implica la democrazia che decide a maggioranza, anche in direzione di un cambiamento rivoluzionario
delle istituzioni (pp. 231-232).
Un altro aspetto fortemente innovativo distingue la visione di Locke da quella di Hobbes, e anticipa a
grandi passi la modernit: la dottrina della propriet, che costituisce il centro del suo insegnamento politico (p.
234). La propriet istituita dalla legge di natura, che ne definisce anche i giusti modi e i limiti, ma, nella societ
civile, cede il passo alla legge positiva, che stabilisce la legittimit di quella che si pu definire la propriet
"civile" o "convenzionale" (p. 235) cio la propriet quale essa si determina storicamente all'interno della
societ.
Su questo punto c' un passaggio che vorrei dire epocale, certamente decisivo, tra l'antichit e il
Medioevo da un lato, l'Occidente moderno dall'altro. Locke esalta il lavoro come produttore di ricchezze e il
lavoratore indefesso come colui che costringe i pi pigri a mettersi in qualche modo al suo passo, lungo un
processo di acquisizione che va anche oltre gli stretti bisogni, un processo che pu essere pensato soltanto
all'interno di un'economia monetaria. Poich il diritto alla propriet antedata la stessa societ civile, compito di
questa semplicemente creare le condizioni per il perseguimento di tale diritto. La societ civile pu essere
costruita soltanto sulla base dell'egoismo (p. 247).
Per apprezzare quanta modernit -nel bene e nel male- sia contenuta in una tale dottrina, necessario
riflettere sullo spostamento che essa genera nella diseguaglianza antropologica. Si passa infatti dalla dicotomia
tra il sapiente e il volgo, che da Platone a Strauss caratterizza il pensiero di una societ chiusa e stagnante, a
quella tra l'imprenditore creatore di ricchezza e coloro che non vanno oltre la riproduzione del proprio consumo.
Strauss pu oggi apparire giustamente critico nei confronti di questa "non gioiosa ricerca di gioia" (p.
251) e non c' dubbio che la societ occidentale stia ora riflettendo sugli esiti sociali negativi di un mondo chiuso
in un inesauribile ciclo produzione/consumo alimentato dalla "invenzione" di sempre nuovi "bisogni"; e tuttavia
il modello sembra non soltanto conquistare altre societ un tempo stagnanti, contrastato soltanto da vecchi
modelli religiosi: c' dell'altro da osservare. L'impressione che Strauss, visto attraverso il suo pensiero e la sua
opera, sembri rimpiangere l'antico modello caro a Platone -e non soltanto- che vede il culmine della perfezione
umana nella vita contemplativa del "filosofo". Un modello che per -Strauss lo dimentica- richiederebbe una
societ gerarchica -forse quella tripartita di Dumzil- ove chi lavora, come sosteneva Plotino, ha il dovere di
mantenere chi "pensa".
Questa societ non c' pi per i tanti eventi degli ultimi due millenni, ma Strauss, che coerente,
ritiene che gli eventi non abbiano alcun rapporto col pensiero. Strauss previlegia il permanere diacronico delle
medesime domande rispetto al mutare delle prospettive nelle quali esse si pongono al mutare delle circostanze.
Dopo aver concluso sarcasticamente sulla societ prospettata da Locke -che il prodromo di quella moderna-
egli apre infatti il capitolo sulla sua crisi con Rousseau e con la sua critica della modernit "in nome di due idee
classiche: la citt e la virt da un lato, e la natura dall'altro" (p. 253). I politici dell'antichit parlavano della virt;
"i nostri parlano di null'altro che di commercio e di danaro" (ivi).
L'esposizione del pensiero di Rousseau prosegue cos senza particolari riflessioni sull'inconsistenza di
certi suoi sguardi sul passato, su Sparta, Atene e Roma, illustrate attraverso il velo delle ideologie. In particolare
viene ignorato che la potenza di Roma nacque dal suo essere un centro di commerci, e dalla sua costante
attenzione alle esigenze dell'economia; e che Sparta scomparve per la propria fissit su modelli sociali che
ignoravano l'economia. Rousseau imposta la retorica del cittadino in opposizione al "borghese", quasi
anticipando ideologie che hanno dato amare prove nel XX secolo, e lo fa anche nel suo elogio delle virt
patriottiche e delle anime semplici (pp. 255-256).
Un luogo importante della concezione sociale di Rousseau merita di essere sottolineato, anche per il
modo con il quale viene risolto da Strauss (pp. 258-259). Rousseau contesta il ruolo del sapere come ricerca di
una verit fine a se stessa, una presa di posizione essenzialmente "religiosa" che abbiamo visto dominante
nell'Islam, esplicita negli Ikhwn as-Saf. Il sapere pu persino condurre allo scetticismo, come conseguenza
dell'inattingibilit del "vero", e ci contrasta con la visione di Rousseau, che immagina un egualitarismo di
cittadini accomunati nel mito patriottico. Strauss non sottolinea gli abissi aperti alla modernit da questa
ideologia, ma sembra interessato soltanto a notare: Rousseau stabilisce l'incompatibilit della scienza e della
filosofia con una societ "libera" (virgolettato mio) grazie all'uso della scienza e della filosofia.
Comunque l'atteggiamento di Rousseau appare equivoco, perch invoca il pensiero contro una societ
malvagia, con lo sguardo rivolto alla preparazione di una rivoluzione; una volta stabilita una societ "libera" la
critica torna ad essere bandita. L'esperienza del XX secolo mostra ad evidenza il carattere terribilmente
ideologico delle "geometrie" della Ragione cos messe in atto: la critica alla societ liberale facile, ma i suoi
risultati possono essere imprevedibili.
Per quanto concerne lo stato di natura, Rousseau tuttavia condivide con Hobbes l'ipotesi di uno stato
non sociale e di non socievolezza, quindi il principio individualistico di autoconservazione e il successivo
931
fondamento convenzionale della societ, ma va pi in profondit. In realt. il presunto "stato di natura" stato
pensato da Hobbes a partire dall'osservazione dell'uomo storico, sociale, le cui passioni potrebbero non essere
naturali, ma suscitate dal rapporto con la societ. Perci la definizione del vero stato di natura richiede una
ricerca scientifica in direzione di un quadro pre-razionale delle passioni; qui Rousseau conclude che l'uomo
"naturalmente buono".
Rousseau, mi permetto di osservare, stato un pensatore assai influente sul mondo moderno, ed , in
sostanza, un vero razionalista nella sua esclusione del Male, e della propensione al Male nell'uomo, quindi della
responsabilit personale di ogni scelta. Da lui discende la semplicistica risposta delle intellighentzie
rivoluzionario/progressiste del XIX e XX secolo, secondo la dottrina di una "colpa della societ" alla base di
molti comportamenti individuali. La tendenza alla deresponsabilizzazione delle scelte infatti il sotterraneo
fondamento di molto relativismo etico che rende vulnerabile l'Occidente.
Non solo. Il suo concetto di una malleabilit della natura umana ad opera della storia, apre la via
all'ipotesi di un possibile illimitato progresso dell'uomo stesso, in altre parole a quel concetto illuminista di
Progresso che esattamente ci che vedemmo smentito dalla crisi dell'Occidente, giunto alla constatazione che il
"progresso" posto in atto esclusivamente tecnico/economico, un progresso che pone seri problemi ad un uomo
che non sembra mutare la propria "natura".
Tornando all'esposizione della dottrina di Rousseau fatta da Strauss, questi rileva il valore centrale che
vi assume la libert concepita come autolegislazione, obbedienza dell'individuo alla legge che egli stesso si d
nello stato di natura, libert naturale che deve restare a modello di quella civile. Nella societ l'individuo diventa
infelice a causa della perdita di questa indipendenza, perch dalla societ egli dipende, e ne dipende anche in
rapporto alla volont degli altri individui e al formarsi della propriet secondo lo schema di Locke. Il rimedio
sar allora la totale alienazione dei diritti di tutti gli individui a favore della societ, della quale l'individuo
diverr l'indifferenziata parte di una generica totalit, che fatta sovrana come volont generale in grado di
restituire a ciascuna sua parte la rispettiva libert, non condizionata ad opera di altri. Nonostante l'astratto
egualitarismo di questa "democrazia" (che sembra seppellire il "contratto sociale" dietro la presunta "volont
generale", come se l'esito di una votazione avesse potuto annullare le differenze) Rousseau piomba nuovamente
nella realt di questo mondo allorch formula l'ipotesi di un voto "pesato" e non "contato": il maggior peso di
voto deve andare alla classe media e alla popolazione rurale, per tenere a freno il sottoproletariato cittadino.
Questa conclusione rivelatrice: le ingegnerie sociali e i piani atopici del "filosofi politici" sembrano
avere da sempre la stessa matrice: l'intellettuale piccolo-borghese estraneo sia al potere che al popolo, e perci
frustrato nelle proprie ambizioni di "sapiente" inascoltato. Un dislocamento eterno che forse risale -per
parafrasare Fossier- ai tempi di Hammurabi. Cosciente del divario tra la realt e le proprie astrazioni, Rousseau
ripieg ragionevolmente sui piaceri di un'esistenza contemplativa, nel solitario contatto con la natura; e sulla pi
abbordabile realizzazione della umana bont nei rapporti privati, in ci verosimilmente aiutato da accorti modi di
autoconservazione. Strauss lo considera pi un sognatore che un filosofo: lo stato di natura diviene per Rousseau
una personale aspirazione. Tutto sommato, nota Strauss, questa divent la "libert" per molti uomini;
nell'impossibilit di rapportare un'indefinibile libert con gli obblighi sociali, emerge, a mio avviso, il moderno
concetto di "tempo libero" e l'aspirazione a farne una malinconica realt dilatata, nella quale assumere la statura
indefinita del rifugiato in un mondo virtuale. Non per nulla, Rousseau termin specchiandosi negli eroi di
Plutarco.
Secondo Strauss, le difficolt incontrate da Rousseau nell'affrontare la concezione moderna del diritto
naturale, potrebbero aver suggerito il ricorso a concezioni pre-moderne tentato da Burke (pp. 294-295).
Burke un convenzionalista (la societ ha origine in un trattato) ma non si richiama a uno "stato di
natura" che di per s non potrebbe costituire il fondamento di una societ civile: il vero stato naturale dell'uomo
quello della societ civile nata da un contratto, e poich in questa gli individui non sono indipendenti l'uno
dall'altro, la societ civile non pu esistere senza un codice etico.
Burke previlegia la storicit e peculiarit di ogni processo formativo delle varie societ civili, sicch
non ritiene che un astratto diritto naturale possa esserne metro di giudizio: legittima ogni costituzione che in
una particolare societ sia in grado di soddisfare i desideri e la ricerca di felicit degli individui, che hanno diritto
ad essere ben governati senza che ci significhi necessariamente il diritto di partecipare al governo. Pi che non
artefici della propria costituzione, gli individui ne sono il prodotto: essi e i loro costumi sono regolati dallo ius,
pi importante dell'atto costitutivo originario. La posizione di Burke, fondata sulla difesa dei singoli diritti
consuetudinari delle societ e degli individui, fu una presa di posizione radicalmente avversa alle astratte
geometrie intellettuali poste a fondamento della Rivoluzione Francese. In esse egli scorgeva la chiara matrice
ideologica e il tentativo di imporre l'ideologia sulle storiche manifestazioni della societ, dalla religione sino alle
stesse strutture del pensiero. In questo egli fu fautore di un approccio schiettamente politico all'assetto della
societ, mai astrattamente razionalistico, riconducendo il problema dei diritti al rispetto dello ius
consuetudinario, e al saggio e prudente esercizio di essi. In politica, la teoria doveva dunque cedere il passo alla
pratica, perch il miglior ordine sociale non pu venire offerto dall'opera del legislatore (vorrei dire: del filosofo)
ma dal consenso; e viene alla luce lentamente e impercettibilmente, e con molti erramenti, nel corso della storia.
Il consenso richiede il giudizioso governo delle inclinazioni degli individui, e non si devono urtare le opinioni

932
consolidate, che contribuiscono alla tranquillit dello Stato. Le peggiori repubbliche sono quelle costruite sulle
teorie, perch ci che il miglior filosofo pu pensare sempre meno di ci che stato prodotto dal tempo.
Strauss chiama in causa anche il trattato di Burke sul Sublime (per il quale cfr. supra, p. 581) per
sottolinearne lo scetticismo nei confronti della Ragione, meglio, il suo vero e proprio antirazionalismo.
Ho ricordato, a suo tempo, il conseguente successo del Burke antirivoluzionario e antirazionalista
nella Frhromantik, dove fu introdotto da Novalis; a Strauss interessa notare che, introdotto in Germania, Burke
"lastric la strada per la scuola storica" (p. 316).
Si pu comprendere il motivo per il quale mi sono dilungato ad esporre la ricostruzione storica del
diritto operata da Strauss: attraverso la catena (Machiavelli) Hobbes Spinoza; e Hobbes Locke
Rousseau Burke; egli stabilisce una filogenesi della modernit che giunge a Hegel, e dallo Storicismo al
Relativismo, con Nietzsche e Heidegger, alla crisi dell'Occidente come crisi della modernit, cio di quel
Liberalismo moderno che egli contrappone all'antico in un altro suo testo, Liberalism, Ancient & Modern. Del
resto, la sua indagine aveva preso inizio precisamente dalla critica all'insufficienza della Germania liberale, che
aveva aperto la strada al Nazismo. In opposizione al Liberalismo che nasce con Hobbes egli porta dunque a
confronto il "liberalismo della filosofia politica classica". Ora, parlare di Liberalismo per l'antichit potrebbe
sembrare improprio, ma Strauss si dilunga ad apertura sul concetto classico di "educazione liberale" prima
ancora di parlare di "liberalismo", riunendo nello stesso volume saggi pregevoli ma poco congruenti.
Malignamente, si potrebbe rinviarlo alle Confutazioni sofistiche per l'uso dislocatorio, ancorch subliminale,
della semantica, posto che l'educazione "liberale" non ha molto a che vedere con il "Liberalismo".
Strauss sostiene dunque che la cultura contemporanea, nella quale dominano "positivismo ed
esistenzialismo" (p. 26) respinge la filosofia politica classica per due ragioni: il positivismo perch la considera
non scientifica; l'esistenzialismo perch la considera astorica e razionalista (pp. 26-27). Per quanto concerne
questo secondo aspetto, Strauss non manca d'introdurre tra le righe la polemica antiromantica: la filosofia
politica classica sarebbe razionalista perch nega "la fondamentale dipendenza della Ragione dal linguaggio" una
dipendenza notoriamente affermata nel Romanticismo, a partire da Hamann.
Si nota qui una singolare convergenza antiromantica con Taubes (che Strauss peraltro detestava, cfr.
G.S., Bd. 3, cit.) una convergenza che nasce sul comune rifiuto e assenza di discussione nei confronti di tutto il
filone culturale "neoplatonico" che dalle eterodossie medievali, dall'Alchimia, allo Spiritualismo riformato, alla
Teosofia, al Romanticismo, segna il percorso di secolarizzazione del Cristianesimo, "filosofizzato" infine da
Schleiermacher (il Cristianesimo come religione ultima destinata ad autosuperarsi). Ora, se tutto ci
perfettamente comprensibile in chi, come Strauss, riduce la religione a legge sociale per la comunit (d'onde la
sua tendenza a fare della Torah una Sharah) ci nondimeno contraddittorio per chi cerca nella filosofia una
"verit" destoricizzabile. evidente infatti che l'intendere la religione come legge sociale di una societ,
storicizza ipso facto il suo dettato, togliendogli l'universalit proclamata per la filosofia classica. Ci rende del
tutto problematico -e forse artificioso- il confronto di Atene e Gerusalemme nei modi da lui impostati, in assenza
del terzo incomodo (non estraneo al confronto perch erede di dispute iniziate con lo Gnosticismo) la cui
progressiva evoluzione secolare verso una religione "razionale" e "trasversale, dei cuori", accompagna la
formazione non soltanto dell'occidente reale, ma anche dell'Occidente in senso ideologico, con la sua pretesa di
porsi a modello universale.
Di fatto, si pu pensare che qui Strauss abbia di mira quella concezione maturata nella teologia
cristiana, da lui sottolineata criticamente in Spinoza, di una razionalit della Legge divina inscritta nella
coscienza dell'uomo, che non soltanto riassorbirebbe la legge naturale nella Teologia (cristiana) ma aprirebbe la
via precisamente a quell'universalismo che costitu il problema del giovane Strauss, sottolineato da Mc Allister
nella fattispecie dell'assimilazionismo.
Strauss sviluppa comunque il proprio discorso attaccando il Liberalismo moderno su due fronti: nella
metafisica materialista ad esso sottintesa sin dai tempi di Hobbes; e nello Storicismo che considera l'etica una
variabile sottoposta alle cangianti situazioni storiche. Ci gli consente il raffronto con la filosofia platonica, e, a
chiusura, di dedicare alcune pagine alla polemica politica di Platone con i Sofisti.
Strauss, come ho gi notato, ignora sempre il contesto sociale delle controversie che vedono
protagonista Platone e/o i Sofisti; qui per (p. 61) usa ragionamenti davvero capziosi e insostenibili contro
Antifonte (ignora il complesso del fr. 44, isolandone singole parole) per minarne la stessa credibilit. In realt,
ci che Antifonte attaccava era il legame tra il nmos e la dxa, cui contrapponeva quello tra phsis e altheia,
dal quale derivare tutto il carattere puramente storico e socialmente contingente degli ordinamenti legislativi, che
non si possono far risalire ad un fondamento che ne sancisca l'obbligatoriet etica. Su Antifonte comunque,
ritengo pi significativo rivolgersi ad Untersteiner, nei testi citati.
A questo punto, ci si propone ancora una volta il problema di tentar di comprendere il fondamento e
l'obbiettivo della ricerca di Strauss, magari cercandolo lacanianamente nel non-detto o nei luoghi meno
convincenti sul piano della coerenza, perch a me sembra che tutto il suo discorso tenda a dei risultati il cui
conseguimento comporta qua e l oblii e distorsioni. Distorsioni prospettiche nel valutare il contesto nel quale
maturano il pensiero socratico/platonico e il ruolo dei Sofisti; un contesto nel quale dovrebbero mettersi in conto
anche i limiti della Grecia classica, destinata ad evolvere verso la ben pi universalistica cultura dell'Ellenismo.

933
Oblii nell'ignorare capitoli fondamentali della storia dell'occidente che corrono tra il Medioevo e il
Romanticismo.
Al di l della sua giusta critica della modernit occidentale, cio della sua critica allo Storicismo e al
Relativismo, sembra infatti che egli voglia costruire per s una piattaforma dalla quale muovere critiche
diversamente motivate. Ho gi notato la problematicit del rapporto tra ci che egli cerca nella legge mosaica e
ci che egli cerca nella filosofia socratico/platonica, vale a dire tra una Legge e una Verit che, cos come egli le
intende, non sono suscettibili di dialettica (l'una riguarda esclusivamente un popolo, l'altra pretende
l'universalit). Vedremo in seguito il grande fraintendimento del pensiero islamico cui andr incontro per crearsi
un retroterra. Ora perci proponiamoci con lui la domanda: che cos' la filosofia politica? (WPPh, cit in Bibl a p,
851).
Qui Strauss apre il testo con una domanda che ci riporta al centro della sua ricerca, e perci anche
delle sue contraddizioni, che a me non interessa mostrare in quanto tali ("dimostrare", mai!) quanto piuttosto
additarle per sottolineare come chiunque parta alla ricerca di una pretesa epistme non possa di fatto sottrarsi al
duro fondamento storico-sociale e personale dei problemi e delle scelte.
Dice Strauss (p. 10) "Ogni azione politica guidata da una qualche idea del meglio e del peggio. Ma il
pensiero del meglio e del peggio implica il pensiero del Bene" e prosegue affermando che la nostra percezione
del Bene un'opinione, perci opinabile e ci deve indirizzarci alla ricerca di un Bene che non sia opinione,
ma conoscenza/epistme. Epistme, lo ricordo ancora, conoscenza scientifica nel senso aristotelico della parola,
vale a dire qualcosa di "dimostrabile" a partire da quei principi/archi, che, come noto, non sono dimostrabili
secondo Aristotele (cfr. anche An. sec., oltre a Met., 1006a).
Ora, un meglio che presupponga un Bene (assoluto) contro il quale si alza gi il dubbio aristotelico,
pu essere ipotizzato soltanto a partire dal pregiudizio parmenideo dell'essere, cio dal luogo del conflitto con i
Sofisti illustrato da B. Cassin (L'effetto sofistico. Per un'altra storia della filosofia, Trad. di C. Rognoni, Milano,
Jaca Book, 2002). I Sofisti, nei quali la Cassin scorge l'alternativa "alla genealogia classica della filosofia" (p.
14) non cercavano il Vero (il luogo dell'essere) ma, giustamente, il meglio come sua misura; in altre parole, e
con riferimento alla politica, un meglio che viene messo in luce dalla capacit di convincimento della parola, che
in tanto convince -notavo in Arte, Memoria, Utopia a proposito dell'Encomio di Elena- in quanto addita ed
esplicita l'interiore convinzione inespressa dell'altro. Di qui il rinvio della Cassin (p. 19) a nozioni pi reali del
presunto "vero": l'importanza, la necessit, l'interesse. Del resto, che la metafisica (pensiero dell'essere in quanto
tale) nasca da un bisticcio tra i significati del verbo essere, cosa gi notata.
Tutto il Razionalismo poggia da venticinque secoli su questo piede d'argilla (il pensiero di Parmenide
confutato da Gorgia) e perci l'osservazione di Strauss (p. 11) secondo il quale "La filosofia politica sar quindi
il tentativo di rimpiazzare l'opinione sulla natura delle cose politiche con la conoscenza della natura delle cose
politiche"; "tentativo di conoscere.....il giusto buon ordine politico" (p. 12) significa di fatto esprimere una
posizione politica cio ideologica connessa a interessi e passioni, al fondamento storico e sociale pi volte
ricordato. Definire "buono" e "giusto" un ordine politico senza esprimere di fatto una posizione politica -dunque
un'opinione- mi sembra quanto meno un adnaton, a meno di non riuscire a pensare un pensiero astratto dalla
vita e dall'esperienza. Questo infatti il tentativo di Socrate, Platone e Strauss (e di tanti altri nella storia) cio il
tentativo impossibile di porsi a monte di se stessi, di costituire l'osservatore esterno e immobile della fisica
classica: ma nessuno pu dislocarsi ponendosi dove non .
Ci premesso, Strauss pone il proprio concetto di filosofia politica a confronto con la scienza politica
che si distingue, giusta la premessa scientista, nell'essere avalutativa in rapporto all'etica; scienza dei mezzi
indipendente dal giudizio sui fini, come l'aveva pensata Machiavelli: ma questo argomento che abbiamo gi
valutato.
Proseguendo nell'analisi del proprio concetto di filosofia politica, Strauss afferma recisamente che
essa non una disciplina storica, laddove essa stata posta in relazione con la storia nella modernit storicista
(pp. 56-57). La storia della filosofia, aggiunge poi, al tempo dei classici era soltanto una disciplina antiquaria.
Come ovvio, una storia della filosofia impensabile per chi, come Strauss, ritiene il pensiero tutto
contemporaneo: certamente ci pu essere sostenuto ma non si pu ignorare che ogni pensiero nasce in un luogo
e in un tempo e in rapporto a una persona, cosicch anche il concetto di un Vero e di un Bene assoluti e
immobili, un concetto che matura all'interno di un tempo, una societ e una situazione. Nasce cio con la
reazione socratico-platonica nelle convulsioni ateniesi del V-IV secolo con precisi obbiettivi: svalutazione del
sapere mitico, quindi anche poetico, che svalutazione di un "vero" interno al discorso (vedi l'analisi della
Cassin); lotta politica antidemocratica contro i Sofisti (vedi al riguardo non soltanto l'Antifonte politico, ma
anche il terapeuta che curava con la parola); lotta contro la magia nelle sue implicazioni eversive di religione
individuale alternativa (cfr. al riguardo Viano, cit. in Bibl. a p. 779). La domanda che ci si pone allora: si pu
recepire un pensiero senza esaminarne il certificato di nascita? o precisamente questo certificato di nascita ci
che rende quel pensiero paradigmatico per Strauss? nella filosofia politica, dove il sostantivo non sembra
scindibile dall'attributo, legittimo farsi domande politiche sul filosofo a partire dalla sua filosofia?
Cruciale tuttavia per l'intelligenza di Strauss resta la successiva osservazione (p. 59) a proposito dello
Storicismo volgare dominante nelle cultura del moderno Occidente: non ci si interroga pi sulla natura della
politica, ma sul suo trend, non pi sullo Stato e sui modi di vita, ma sullo Stato moderno e sulla vita moderna. In
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questo storicismo volgare infatti, il moderno buono per l'ovvia ragione che moderno, quindi pi avanti nel
percorso di un immaginario progresso; e tuttavia lo Storicismo nacque, come ricorda lo stesso Strauss (p. 61)
come reazione alle astratte geometrie sociali del 1789. Lo Storicismo ebbe successo, ma, come nota Strauss (ivi)
"se non veneriamo il successo in quanto tale, non possiamo sostenere che la causa vincente sia necessariamente
la causa della verit. Perci anche se siamo sicuri che la verit, alla fine, prevarr, non possiamo essere sicuri che
la fine sia gi arrivata".
Osservazione di particolare acutezza, alla quale si pu soltanto aggiungere che, giustamente, il Padre
dello Storicismo era storicista coerente, perch pensava che la fine fosse giunta col tempo della Restaurazione;
osservazione che sembra avallata da quanto Strauss sostiene (p. 73) nella sua critica dello Storicismo: uno
storicista considererebbe il passaggio dalle proprie posizioni a posizioni non storiciste, come un regresso.
Strauss sviluppa cos il proprio argomento. Il fatto che il pensiero di Platone fosse pensato per la
Grecia del IV secolo, nulla toglie al fatto che quello di Locke lo fosse per l'Inghilterra del 1688, e poich non c'
ragione perch il dopo sia meglio del prima, "non possiamo escludere la possibilit che una filosofia politica
emersa molti secoli or sono sia la (corsivo suo) vera filosofia politica, vera oggi come la prima volta in cui fu
esposta" (p. 64). Perci la critica di una filosofia politica, prima che al contesto storico, deve guardare alla sua
verit o falsit (p. 66).
Strauss attacca giustamente il mito del Progresso, che per ha origini religiose e si fonda
sull'escatologia testamentaria, che non appannaggio del solo Cristianesimo come penso di aver gi messo in
luce nell'App. alla V ed.: Zoroastrismo, Giudaismo intertestamentario, Cristianesimo, Gnosticismo,
Manicheismo, vedono tutti la storia come progresso in direzione della salvezza da una situazione insoddisfacente
dell'uomo. Fuori da questo mito, egli dice, per valutare correttamente i pensatori del passato necessario tentare
di capirli cos come essi capirono se stessi, e non come una preparazione del presente (p. 67). Non considerare le
cose sub specie ternitatis significa farsi condizionare dal proprio tempo (p. 71); dal che si evince che Strauss
pensi si possa non esserlo, quantomeno che invochi per s l'extraterritorialit. Ma la sua stessa riflessione non
nasce forse dall'attualit, cio da una percepita crisi dell'Occidente?
Anche in questa circostanza, come altrove, Strauss mescola illecitamente nel proprio discorso due
argomentazioni: il non essere acriticamente incanalato nel trend dominante (Storicismo, Relativismo,
Scientismo, etc.) e l'essere fuori da un tempo e da un luogo, l'Occidente di oggi con i suoi problemi, ai quali e sui
quali si prende "parte", magari contro il trend, ma sempre da questo luogo e da questo tempo. E se un errore
traguardare Platone da qui, non minor errore pretendere di traguardarlo fuori dal suo luogo e dal suo tempo,
quelli di una lotta politica che si svolgeva in sua presenza e in presenza di una sua presa di parte, anche se non
necessariamente in senso "politico".
Il fatto si che Socrate e Platone, con la loro dialettica, come pi tardi Aristotele con la sua
equiparazione delle strutture del reale, del pensiero e del discorso, tentavano di estrarre un ipotetico "vero" dalle
parole, cos come i Sofisti, con omofonie e anfibolie, di quelle parole stesse mostravano l'ambiguit; gli uni
cercavano un vero che andasse "oltre", gli altri sembravano convinti che la sola casa del pensiero fosse il
linguaggio cos com', coi suoi vicoli ciechi e i suoi circoli viziosi, ma anche con la sua capacit di convincere
toccando corde segrete e costruendo verit esistenziali: un anticipo della disputa tra filosofia e arte. Per questo
giusto definire democratici i Sofisti, e costruttori dell'ideologia del dominio Socrate e Platone.
Aristotele, ben altrimenti aperto alla concretezza, cap che per agganciare le parole a qualcosa che
stesse "oltre", occorreva partire da principi indimostrabili, ma raggiungibili con l'intuizione intellettuale:
soluzione che per, a ben riflettere, apre la via soltanto alla religiosit come percezione dei limiti della Ragione.
La "filosofia", cio il Razionalismo greco, gira attorno alle parole, cio a se stessa, come capirono gli scettici e
come duramente contest Ibn Taymiyya (cfr. W.B. Hallaq, Ibn Taymiyya against the Greek Logicians, Oxford,
Clarendon Press, 1993). Per stabilire una Legge (con la maiuscola) la Ragione insufficiente, non pu fondarsi
su se stessa, deve aprirsi alla trascendenza.
Annotava Kafka (Terzo quaderno in ottava) che verit e menzogna sono inseparabili, e che perci chi
vuole conoscere la verit deve farsi menzogna. Era quindi necessario un diverso approccio ad essa: non tutti
possono vedere la verit, tutti per possono esserlo (ivi). Diceva poi a Januch che la verit necessaria per
vivere, ma poich nessuno la pu dare, ognuno deve produrla dal proprio intimo.....La verit la vita stessa.
Kafka quindi non soltanto allude alla verit come testimonianza, ma, affermando che per dire la verit
necessario farsi menzogna, addita nel non-detto il luogo-non-luogo della verit stessa.
Secondo la critica condotta dalla Cassin, Kafka sarebbe per stato classificato dal Razionalismo greco
tra i portatori di una verit meramente "poetica" (cfr. p. 15 e p. 44) negata da Platone, posta in un parco-giochi da
Aristotele. Personalmente considero Aristotele un pensatore pi attento alla realt del mondo dei tanti
aristotelici, capace quindi di sembrare (e forse di essere) contraddittorio, come tutti coloro che pensano
veramente. Certamente non gli sfuggiva, anche se lo strumentalizzava, il ruolo costruttivo della retorica e della
poesia. Non c' dubbio tuttavia, che dal contrasto Gorgia-Parmenide sino ai nostri giorni, la disputa sul luogo
della verit non sia mai cessata, con un haut lieu nel Romanticismo, e, prima ancora, nel Barocco, e -perch no?-
nell'Ellenismo.
Strauss comunque prosegue la critica congiunta dello Storicismo e della scienza politica moderna con
un interessante ragionamento, che dice molto sul suo approccio al problema (pp. 74-75). Dice Strauss, che la
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filosofia politica classica si modellava a partire dalla coscienza pre-filosofica del fenomeno politico; perci i suoi
concetti potevano essere sperimentati direttamente nei fenomeni. Su quei concetti, e in accordo o in opposizione
ad essi, nata la filosofia politica moderna; perci per capire questa occorre conoscere quella, ci che rende
intrinsecamente necessaria una storia della filosofia. Non cos procedeva il filosofo medievale, il quale, se
s'impegnava nello studio di Aristotele, non si dedicava a una ricerca storica (p. 76).
Con queste affermazioni, Strauss mostra ancora una volta di considerare il pensiero (per giunta il
pensiero politico) come un'astrazione intellettuale che si genera indipendentemente dalle circostanze nelle quali
si genera, un pensiero che non avrebbe nulla a che vedere con la vita e con gli eventi. La cosa non di piccolo
momento, perch ne consegue un'impostazione filosofico-politica che ignora (anche perch qua e l non manca
di stigmatizzarlo) il rivolgimento portato da oltre tre secoli di sviluppi tecnici, quindi economici, quindi di
rapporti sociali, quindi di cambiamento sociale tout-court. Si noti bene, non cambiato l'uomo, alle cui pulsioni
si potrebbero applicare schemi di lunghissima durata; sono cambiati i rapporti tra gli uomini per motivi che sono
al tempo stesso ideologico/culturali e di forza tra i ruoli singoli e le categorie (evito il termine "classi" per non
essere frainteso).
Anche a voler ignorare la rivoluzione culturale intervenuta per la diffusione del messaggio
testamentario con il Cristianesimo, non si pu ignorare che quantomeno da Spinoza (per implicita notazione
negativa dello stesso Strauss) si cerca di delineare una politica adeguata a situazioni economico-sociali
profondamente mutate rispetto al Medioevo, nel quale si poteva ancora ragionare, come Platone, su laboratores,
bellatores e oratores come termini fissi di una societ immobile. Ormai avevano vinto, almeno in Olanda, i
mercatores -e non per colpa di Spinoza!- poi, con il fenomeno industriale e la societ dei consumi,
modificheranno il proprio ruoli anche i laboratores. Questo non un giudizio di "progresso" (progresso e
regresso sono il risultato di ottiche ideologiche) ma certamente una sottolineatura sul cambiamento che rende
problematico un pensiero pensato altrove.
Si tratta quindi di sapere se si cerca un modello fondato sul fenomeno o un modello che ingabbia il
fenomeno. Strauss, nell'indicare il platonico Bene, si rivolge ad una soluzione che, in concreto, non pu essere
delineata, precisamente per la sua astrazione dal tempo e dal luogo, se non a partire da una opinione, che sar
necessariamente quella "pi forte", cio del pi forte. Come modello che supera il tempo perch si fonda su una
attenta osservazione di ci che non muta, l'uomo, allora pi realistico il modello aristotelico, che non soltanto
ricusa l'astratto "Bene", ma anche gli ideologici modelli sociali socratico-platonici, e indica, come perenne
obbiettivo politico, qualcosa che ancora vive nella Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti: la ricerca
individuale della felicit (Eth. Nic., 1095a).
Strauss tuttavia talmente platonico da abbracciarne ancora la polemica antisofistica nei termini di un
rifiuto della retorica come fondamento della scienza politica (pp. 82-83); il filosofo classico era alla ricerca del
"miglior ordine politico", di un ordine che fosse il migliore "ovunque e sempre" (p. 87) di un insegnamento
valido, naturalmente, soltanto per i migliori (p. 89). "Migliori" qui inteso sul piano etico, perch in politica non
tollerabile la neutralit etica (p. 90).
Questa istanza, che forte in Strauss pur nei limiti di chi insiste a fare appello a una non meglio
identificabile aristocrazia dello spirito (solitamente risultato di autoproclamazione) coglie a mio avviso nel segno
come critica ai tardi sviluppi dell'Occidente. In effetti, come ho notato gi nell'App. alla V ed., Strauss indica
l'impossibilit di una societ coesa in assenza di un mito comunitario di fondazione, che usualmente si colloca in
un'etica religiosa; un problema sollevato anche da Brague ne La loi de Dieu. Essa trova compimento nell'opera
sociale della Profezia. La differenza tra la sua fondazione Profetica e quella filosofica, cercata da Strauss
nell'unico luogo possibile, nel Razionalismo classico socratico-platonico, che la prima rigorosamente
democratica, la seconda elitaria.
L'oscillare di Strauss tra Atene e Gerusalemme (evitando il loro pericoloso mix eversivo al punto di
ignorarne l'esistenza) risponde al suo problema emerso dagli scritti giovanili, trovare un percorso filosofico che,
destituendo la centralit di quello occidentale, parallelizzi in modo universale il senso della costruzione Profetica
della Torah, intesa come legge sociale di un popolo il cui problema " il simbolo pi evidente (handgreiflichste)
del problema umano in quanto problema politico e sociale" (G.S., Bd. 1, p. 13). Per questo, alla critica
dell'Illuminismo e di ci che ne seguito, egli contrappone un "illuminismo medievale giudaico" che delinea
attraverso gli scritti raccolti in G.S., Bd. 2 sotto il significativo titolo di Philosophie und Gesetz. Lungo questa
via, per creare un percorso a monte del proprio personale pensiero, risalir alla filosofia islamica con una serie di
fraintendimenti la cui origine ha qui il suo fondamento. Ma di ci, poi.
Qui mi sembra opportuno segnalare quanto Strauss veda collegati i propri diversi percorsi, da Hobbes
al Relativismo, e da Platone a Maimonide via al-Frb, in una precisa logica di ricerca. Ci testimoniato dalla
struttura stessa di WPPh nel cui testo seguono, prima di passare al filone HobbesLocke, due articoli su al-
Frb e Maimonide, riproponendo un percorso che trova conclusione nella dottrina, singolare a dir poco ma
necessaria alla logica di Strauss per giustificare le interpretazioni date, espressa in Persecution and the Art of
Writing (cit in Bibl. a p. 851).
Di Maimonide e di al-Frb, come ho detto, vedremo infra; in particolare, per ci che concerne la
filosofia islamica, intendo seguire la lettura di Strauss attraverso il fondamentale studio di Tamer. Qui per, far
qualche cenno sull'argomento in rapporto ai due capitoli citati.
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How Frb read Plato's Laws un'analisi del testo noto come Compendium legum Platonis nella
traduzione latina del Gabrieli, e riprende l'articolo di Strauss (Frb's Plato) del 1945, la cui critica vedremo
con Tamer. Questa lettura "platonica" del neoplatonico al-Frb, rappresent un punto di partenza per la lettura
di Maimonide da parte di Strauss (oltrech della "necessit" di P&AW). Essa ignora completamente tutta
l'evoluzione che ho gi segnalato, e sulla quale torner, che dall'interpretazione di Aristotele ad opera di
Alessandro di Afrodisia, e, prima ancora, dall'opera di Filone, attraverso l'esigenza di coniugare la filosofia greca
con le Rivelazioni, conduce al neoplatonismo, o allo "aristotelismo neoplatonizzato" che d corpo alla filosofia
islamica (vedi cap. precedente). Strauss collega viceversa al-Frb a un problematico Platone, per giungere ad
affermare (WPPh, p. 144) che al-Frb "us gli standards platonici per giudicare o criticare specifiche istituzioni
islamiche, (anche) se non per rifiutare del tutto l'Islam. Egli pot sostenere che l'Islam, e l'Islam soltanto,
mantenne vivi gli standards elaborati da Platone, e su questa base elaborare una giustificazione puramente
razionale sia del contenuto che delle origini dell'Islam".
Questa impropria lettura di al-Frb gli consent di interpretare a suo modo Maimonide (Tamer, pp.
10-11) e cos di tornare a quanto ho ricordato sopra: a dare valore filosofico universale (perch razionale) alla
fede in una Legge rivelata, la Torah. Cos facendo per, sottopose la Torah al vaglio filosofico (WPPh, pp. 157-
158) e ne fece una branca della filosofia politica (p. 160). Strauss, nota Tamer (p. 9) si rivolge a Maimonide non
da Ebreo, ma per l'atteggiamento razionale che egli legge in lui, in particolare nella sua dottrina della Profezia: la
Profezia colmerebbe l'esigenza umana di una Legge divina (WPPh, p. 161). Per ritrovare questa dottrina in al-
Frb come antecedente di Maimonide, Strauss non trova di meglio che forzarne il pensiero, sostenendo (p. 163)
che per il filosofo arabo la Sharah sarebbe l'approssimazione, per esigenze umane, del governo ad opera del
"perfect ruler", cio dell'Imm/Insn al-Kmil: una soluzione apertamente ismailita che si trasformerebbe in
Maimonide nella distinzione (presa da Avicenna: p. 161) tra il nmos e la Legge rivelata, due diversi modi per
rivolgersi all'lite o alle masse (p. 168): "un'epitome capolavoro del problema della Rivelazione come esso si
presenta all'esame del "filosofo" (p. 169). Tamer (p. 35) definisce Strauss un averroista, e a buona ragione.
Sembra perci giunto il momento, prima di passare a Maimonide e all'Islam, di affrontare il
citatissimo Jerusalem and Athens, che prendo da F&PPh, un testo che include anche scritti di Voegelin e la
corrispondenza Strauss-Voegelin in traduzione inglese (Jerusalem and Athens stato stampato anche in SPPPh).
Nonostante la sua fama, a me sembra un testo poco rilevante, e, per certi aspetti, confutabile; esso
tuttavia rilevante per Strauss perch pone i poli della sua irrisolta oscillazione, che vorrebbe conferire valore
universale a due culture particolari: quella della Torah, da lui intesa in senso esclusivamente legale, come tale
vincolante per un popolo soltanto; e quella di una "Grecia" identificata nei valori particolaristici della plis al
tramonto, o meglio, nel Razionalismo socratico-platonico orbato dell'alternativa sofistica; in ogni caso,
oscurando l'universalismo ellenistico, la sua evoluzione nella tarda antichit, e la sua lunga evoluzione nel
tentativo di conciliazione con le Rivelazioni. Come ho detto pi volte, una costante di Strauss l'ignorare il
Neoplatonismo, cercando Platone l dove c' un "Aristotele neoplatonizzato".
Secondo la Bibbia, dice Strauss, l'inizio della sapienza nel timor di Dio; secondo i Greci, nello
stupore. Poich noi vogliamo essere sapienti, siamo quindi costretti a fare una scelta tra "le incompatibili pretese
di Gerusalemme e Atene" (p. 112). Dovendo comprendere le varie culture cos come esse comprendono se
stesse, non fondabile la critica biblica di Spinoza condotta in nome del lgos; la distinzione tra questo e/o la
storia e il mthos tutta greca, e non pu attagliarsi alla Bibbia. Strauss non d esplicite spiegazioni, ma sembra
che la sua giusta osservazione possa cos tradursi: la distinzione non pu applicarsi perch la Bibbia fonde i due
termini, la ierostoria di un popolo, una storia cio che accade in terra ma si fonda in cielo, riunisce in s tanto
la storia quanto il mito. Come egli aggiunge poi (p. 113) quella storia pu essere compresa soltanto a partire da
quel mito; la Bibbia credibile per il sapiente alla luce del concetto biblico di sapienza. Nella Bibbia inoltre,
assente il concetto greco di natura e perci anche quello di "miracolo", cio di una effrazione possibile alla legge
"naturale" (ivi). Problematico il rapporto della Bibbia con il Male; vi si parla piuttosto dei mali che affliggono
l'uomo, che per non sono impliciti alla sua condizione originaria, bench qualche responsabilit risalga anche a
Dio, come Colui che cre la luce e le tenebre (Isaia, 45, 7). Nella creazione dell'uomo vi sono poi due distinti
racconti (cfr. La Gnosi, etc. a proposito della "doppia creazione" che ha un ruolo centrale nello Gnosticismo); vi
si parla di un uomo creato "a immagine e somiglianza" ma anche di un uomo creato "dall'argilla". All'uomo fu
vietata la conoscenza del Bene e del Male, di qui il peccato e la caduta, che per Strauss il primo capitolo
dell'educazione dell'uomo da parte di un Dio la cui natura insondabile (p. 120).
Strauss prosegue la narrazione del Genesi con la vicenda di Caino, massima alienazione dalla
semplicit iniziale, che uccide il fratello e diviene il fondatore della citt e delle arti. Anche Caino, con il suo
ruolo, figura centrale nello Gnosticismo. Seguono le vicende che conducono al Diluvio, dopo il quale viene
alla luce un'umanit nuova, che rappresenta un declino rispetto all'umanit longeva che la precedette. Anche
questo un tema di riflessione nel Giudaismo intertestamentario, con il mito dei Giganti. Tuttavia quest'umanit
nuova ricevette la Torah, e questo fu un progresso, ci che pone in luce ambigua anche il significato del Diluvio,
un secondo fallimento che mostr come l'umanit potesse vivere soltanto sotto la Legge (p. 122).
Tre eventi segnano la storia post-Diluvio: la maledizione di Cam, la potenza di Nimrod, discendente
di Cam, e il tentativo umano di evitare la dispersione costruendo la torre di Babele alta sino al cielo. Poi venne la
chiamata di Abramo e l'emergere di un popolo eletto. La ierostoria prosegue con altre ambiguit e culmina con la
937
domanda di Mos sul Sinai, cui Yahw dar la risposta "Io sono che Io sono" (p. 126) che rende perfettamente
l'intraducibilit del Dio biblico nei termini di una logica razionalista, quella della sciocca traduzione dei Settanta:
"Io sono Colui che ". Strauss preferisce dire, in singolare sintonia con Eckhart "Io sar quello che sar",
collegando la Rivelazione al Patto. Non si pu sapere in anticipo, chiosa Strauss, il modo in cui Egli manterr la
promessa (pp. 126-127). Il Dio della Bibbia misterioso, viene in una nuvola e non pu essere visto.
Segue il racconto di Esiodo posto a confronto, con la vicenda delle Muse che dicono menzogne simili
al vero; il noto frammento parmenideo del colloquio con la Dea; e il testo di Empedocle: tutti libri, dice Strauss,
ma la Bibbia non un libro. I suoi ignoti autori, resero nel modo loro possibile antichi e autorevoli discorsi sacri,
con tutte le loro contraddizioni; ma leggere la Bibbia come se fosse un libro un errore.
I libri di Esiodo, Empedocle e Parmenide, sono, viceversa, libri, con una loro coerenza dalla quale
emerge che tutto venne alla luce e che ci che vi venne destinato a perire; poich anche gli Dei sono stati
generati, anch'essi periranno. Per i filosofi, Parmenide ed Empedocle, ci che veramente non perisce ci che
non mai venuto alla luce. Il Dio filosofico di Aristotele soltanto pensiero puro. Soltanto Platone immagin un
Demiurgo creatore, che stato paragonato al Dio biblico per la sua identificazione con il Bene; egli per non
cre con la parola, ma ispirandosi alle Idee eterne. Sia Platone che i Profeti tuttavia, hanno in comune
l'insegnamento del Vero. Strauss preferisce a questo punto stabilire il confronto non con Platone, ma con
Socrate, perch Socrate intendeva il proprio insegnamento come una missione: c' una convergenza tra la ricerca
socratica del miglior ordine sociale, e l'annuncio profetico dell'et messianica, con una differenza: per Socrate il
compimento sar con la perfezione dei filosofi, per i Profeti con la diffusione a tutti della "conoscenza del
Signore", che stata rivelata ed aperta a tutti come perfezione morale.
Questo il contenuto, sufficientemente scontato, del famoso saggio, che potrebbe riassumersi con una
constatazione ovvia, ripetutamente segnalata in questo testo: la differenza tra l'intellettualismo greco e la verit
testimoniata del messaggio testamentario. Del fondamento sociale del primo non v' parola; del fatto che la
diffusione del secondo, destinata a cambiare il mondo, avvenne quando la Legge fu mostrata in un esempio e
resa universale, fuori dalle prescrizioni riguardanti un popolo, neppure. Eppure parte da l quella contesa tra lo
spirito e la lettera che corre nella storia dell'occidente; l che i due poli si mostrano nel loro contrasto dialettico.
Prima di allora essi sono termini non paragonabili, sono piani sghembi che non hanno ragione d'incontrarsi, sia
pure nel contrasto; al pi si pu assistere a un conflitto irresolubile, quindi tragico, tra la pretesa universalit
della Ragione e il radicamento forte della tradizione religioso/sociale di un popolo. Per parte mia, come avvenne
l'incontro/scontro e quali furono le conseguenze, l'ho accennato alle pp. 703-705. Delle ragioni che sembrano
indurre Strauss a formulare questo scenario che lascia interdetti ha detto Mc Allister, credo con ragionevolezza.
Io non intendo scendere a psicologismi e critiche ad hominem, mi limito a considerare le conclusioni di Strauss
con estrema perplessit.
Strauss torna comunque sull'argomento alle pp. 217-233 di F&PPh, sottolineando giustamente la
duplice radice dell'Occidente, nella Bibbia e nella filosofia greca, e il contrasto strutturale tra esse (p. 221).
Anche qui per si constata una grande lacuna: non si parla di quel lungo processo -del quale ho fornito un pallido
e fugace, parziale accenno nel capitolo precedente- nel corso del quale Rivelazione biblica e Razionalismo greco
tentarono di adattarsi l'un l'altro, e di tutto il pulviscolo settario che ne nacque; delle vicende di queste sette, del
nuovo scontro in quell'altra Rivelazione non ignara della Bibbia, dei diversi risultati cui si giunse, delle infinite
Gnosi sbocciate l dove esigenze esistenziali si coniugavano con pretese razionali al di fuori di un quadro
istituzionale in grado di imporre un Canone.
Strauss dice per qualcosa di molto significativo riguardo al proprio pensiero: il senso originario della
filosofia come scelta di vita fu oscurato nel Medioevo cristiano, perch l la filosofia divenne soltanto uno
strumento, importante quanto si voglia, ma strumento (p. 223). L'allusione alla teologia va da s; un'allusione
fondata ma non dice tutto, perch se mai, soprattutto pensando agli esiti islamici, si pu dire che nel
Cristianesimo fu la religione ad essere plasmata dall'Istituzione entro strutture per quanto possibile platonico-
aristoteliche. Ci rinvia evidentemente al processo di istituzionalizzzione avvenuto all'interno di un Impero ben
forte e radicato nella propria cultura, non disposto a tollerare gli aspetti eversivi che avrebbero potuto svilupparsi
dal messaggio testamentario; aspetti che si riaffacciarono poi nel Medioevo grazie a un uso un po' libero della
speculazione, suggerito dai nuovi apporti di provenienza anche esterna, in grado di strutturare dottrinalmente
esigenze esistenziali che premevano.
Del resto, lo stesso Strauss con il suo richiamo rivolto pi a Socrate che a Platone, pronto a
segnalare (ivi) che la ricerca filosofica, intesa come scelta di vita -quindi necessariamente con ottica soggettiva-
mal si adegua alla normativa biblica; ma mi domando come questa apertura di Strauss si concili con la sua
richiesta di un ordine sociale e con la sua critica agli esiti del mondo occidentale. A meno di non voler pensare,
sulla scorta di ci che egli pregia in Platone e Averro, ad una dicotomia antropologica tra filosofi e popolo,
ipotesi verosimile alla luce di quanto vuol dimostrare in P&AW: il filosofo ricerca una verit adatta a pochi con i
quali comunica esotericamente; il popolo segue i precetti, non importa se del filosofo o del sacerdote, che il
necessario successore del Profeta.
Insisto sul sacerdote -quindi su un ordine autoritario- perch il Profeta fonda s, ma fonda in quanto
rivoluziona; e che questo sia un problema, lo mostrano quei monoteismi che hanno dovuto proclamare chiuso il
ciclo profetico, ovvero rinviarne la chiusura a un tempo indeterminabile che non avesse nulla a che fare con il
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presente. Quanto all'ordine del filosofo, che poi quello pensato dal Platone delle Leggi e della Repubblica,
esso, nonostante le premesse di una vita di ricerca, non meno autoritario nel momento in cui non revocabile
in una struttura democratica che ne smascheri il volto ideologico, perch non si mai dato il caso di qualcuno
che pensasse in astratto, al di fuori della propria collocazione. E se Strauss pensa di trovare in Socrate il
modello, come ha voluto mostrare con pazienti ricerche in Platone, Senofonte e Aristofane, dovrebbe riflettere
che un simile modello potrebbe essere ritenuto quello di un Sofista ribelle alla deontologia della professione
remunerata: forse un anarchico, come pensava Hobbes.
Qualche sospetto sul rapporto parentale di Socrate con i Sofisti -entrambi cercavano la propria dottrina
nel discorso: l'uno per attingere l'essere, gli altri per mostrarne l'inattingibilit- certamente presente in Strauss,
che afferma: "Socrate non fu il nemico mortale dei Sofisti (lo fu infatti Platone, nota mia) n i Sofisti furono
nemici mortali di Socrate; il pi grande nemico della filosofia, il pi gran sofista (dunque il vero nemico di
Platone, altra nota mia) la moltitudine politica (Rep., 492a, 5- e, 6) cio coloro che scrivono le leggi ateniesi"
(SPPPh, p. 88).
Il passo citato da Strauss mostra la radicale avversione di Platone alla realt di una democrazia le cui
nefandezze Strauss va tentando di mettere in luce in tutti i modi nell'opera di Tucidide (cfr. The City and the
Man, cit. in Bibl. a p. 851; SPPPh, pp. 89 sgg.). singolare per che Platone detestasse il mare e i porti con i
commerci e i mercanti, tutti fattori di corruzione (Leggi, 705a) e che quindi, nel complesso, si pu dire che in
politica detestasse le esigenze della vita con le continue trasformazioni che esse comportano: da filospartano
sogna quella chiusa plis che si sta rivelando sempre pi inattuale (la plis, non la democrazia, il grande malato
della guerra peloponnesiaca) e che dovr ceder il passo all'universalimo ellenista.
Universale l'Ellenismo, universale il messaggio cristiano: qui si cominciano a scorgere le radici di un
Occidente che nasce poi entro l'universalismo imperiale romano. Il fraintendimento di questo punto sembra
legarsi inestricabilmente, in Strauss, con l'esaltazione di Platone e con la pretesa di extraterritorialit per il
filosofo. Un groviglio di per s eterogeneo, che per trova unit nel tentativo straussiano di assolutizzare
razionalmente ci che sembra un suo problema personale: rispettabile come tale perch emerge dall'esistenza, ma
che mostra derive insostenibili quando vuole imporsi erga omnes.
F&PPh contiene per altri punti d'interesse; oltre a saggi di Voegelin, sui quali torner in seguito,
esso contiene la corrispondenza Strauss-Voegelin in traduzione inglese, che offre ulteriori spunti di riflessione
sulle radici dell'Occidente, con riferimento a quanto commentavo sopra.
Alle pp. 5-11, Voegelin mette infatti in luce il vero nodo della questione: il messaggio cristiano che fa
emergere la singolarit spirituale di ogni individuo destituisce l'ordine sociale platonico-aristotelico, anche per la
nuova coscienza storica che rompe l'immobilit del mito (qui vorrei tradurre: per l'irruzione della vita nel mondo
dell'ontologia serrato dalla sfera di Ananke; ma forse Voegelin non gradirebbe, a causa del possibile seguito
gioachimita). Un'altra cosa importante dice Voegelin: non era possibile un messaggio universale sul
particolarismo della Grecia classica; la pretesa universalit della sua cultura una vicenda nata nel
Rinascimento. E qui aggiungo: anche nel XIX secolo borghese e nel suo modo ideologico di leggere il
Rinascimento.
Una ragione per c' e l'ho gi sottolineata: il Razionalismo classico platonico-aristotelico ha fondato
un'ideologia universale del dominio, buona per tutti i regimi, ed in quell'ideologia si infatti fondato l'Occidente
ideologico; perci ho voluto raccontare la storia di un altro occidente (uno dei tanti altri) nel tentativo di diradare
un po' i fumi. Aggiungerei che forse non per caso, tanto il secolo borghese che il classicismo rinascimentale,
presentano tratti neo-pagani.
Tornando al carteggio, un altro punto d'interesse per confermare quella comprensione di Strauss che
sto ricercando, si trova nella sua lettera del 17-12-1949 (p. 63) dove egli afferma testualmente: "Esistenziale
opposto a oggettivo, teoretico"; "io cerco la (corsivo suo) verit oggettiva"; "Il Sofista un uomo cui non
importa la verit"; "Tutti gli uomini, tranne i filosofi, sono Sofisti". Le affermazioni sono radicalmente coerenti e
non mi necessario commentarle, per non ripetere sempre le stesse cose; mi offrono per l'occasione per
ricordare ancora una volta il fondamento dell'ideologia del dominio nella theora (cfr. La Gnosi, etc. p. 351).
Per quanto concerne poi il rapporto fede/Ragione, altrettanto interessante il richiamo di Voegelin ad
Aristotele, che fa capire bene i modi nei quali si andato conformando l'universalismo della teologia cristiana:
Ragione e fede sono nel rapporto aristotelico di epistme e nos, un rinvio chiarissimo ad An. sec. 100b, 15: il
fondamento, l'arch, non pu essere dimostrato, ma pu essere intuito. Dunque la fede razionale in quanto
un'esigenza posta dalla Ragione. Non si pu tuttavia ignorare che l'indimostrabilit dei principi invocata da
Aristotele in Met., 1006a, 4-11, in difesa della ovviet del principio di non contraddizione; questo appare quindi
un tentativo autoritario di destituire la critica sofistica. Voegelin perci ben prudente allorch si pronuncia
contro la filosofizzazione della religione (et pour cause! la sua bestia nera infatti, come vedremo, lo
Gnosticismo) che, al contrario, viene a chiarire e a fondare la Ragione, facendo dell'ordine dell'essere e della sua
intelligibilit un suo presupposto. Una soluzione che sarebbe contestata da al-Ghazl, e che ci fa capire quanto
denso di insidie sia il cammino di Strauss, e perch egli abbia sempre voluto tenere distinte fede e Ragione.
Strauss ribadisce infatti questa sua distinzione (pp. 88-89) e fa notare al cristiano Voegelin di sentirsi pi in
armonia di lui con l'insegnamento cattolico a questo riguardo.

939
Prima di andar oltre con Strauss, apro qui una delle mie divagazioni apparentemente fuori tema,
perch il mio rapporto con la filosofia politica di Strauss, con la sua denuncia della crisi dell'Occidente
relativista, pu essere compreso meglio a partire da un chiarimento sull'opera di Ireneo e dal giudizio politico
sullo Gnosticismo, che utile puntualizzare anche perch dovremo poi parlare di un altro critico della modernit,
Voegelin, che ha usato i termini "Gnosticismo" e "Gioachimismo" come mazze ferrate nelle proprie battaglie.
Ireneo non fu quel che si dice un gentiluomo nella sua polemica contro gli Gnostici. Prendiamo il caso
della sua lettura del sistema valentiniano degli Eoni, che egli espone con disprezzo e con pretese di umorismo
sgradevole in Adv. Hr., I, 11, 4-5. In realt, come ho ricordato altrove, il processo di creazione del mondo a
partire dall'Uno ineffabile, totalmente trascendente, grazie all'artificio di emanazioni intermedie, non fu n una
vicenda da poco, n, come pretendeva Festugire, un degradazione della filosofia greca in direzione di un
platonismo "popolare". Il problema invest gi il Medioplatonismo e poi il Neoplatonismo, dal Corpus
hermeticum al commento al Genesi di Filone (De opificio mundi; De mutatione nominum). Era il pensiero
classico, che "in an Age of Anxiety" era costretto a confrontarsi con la religiosit mediorientale, in particolare
testamentaria, che poneva alla riflessione il problema di un Dio unico, Creatore, trascendente: Volont, e non
pensiero puro. In quel confronto, mentre gli eredi del pensiero classico tentavano di risolvere il problema di una
"religione dei filosofi" con un Dio astratto e impersonale (l'Uno-Das Eine di Plotino, che per non gi pi
un'astrazione pensante, un Dio che "fa") il pensiero testamentario si sforzava a sua volta di mostrare l'accordo
tra una periferica Rivelazione di provincia e la maest della prestigiosa Ragione classica.
Il problema di questo compromesso, di per s quasi insolubile, divenne persino improponibile quando
l'apparizione di un Dio/uomo nell'hic et nunc della storia, fece del Dio-Das Eine un Dasein, suscitando in alcuni
possibili interpretazioni eversive in vista del fondamento storico di un qualche diritto universale, magari
filosofizzando dei miti che avevano al centro l'irrazionale malvagit di questo nostro mondo: cio, tradotto, della
societ storicamente esperita con le sue regole di funzionamento.
Ireneo, campione di una verit indiscutibile e non bisognosa di supporto filosofico, perch fondata su
una certezza storica, fu sprezzante e persino volgare nei confronti dei risvolti mitici (ivi, I, 4, 4) che pure
avevano a tratti una certa bellezza (ivi, I, 4, 2): eppure comp una grande opera politica, di non poco momento e
determinante sul piano istituzionale.
Il nascente Cristianesimo si trov infatti a confrontarsi con due gravi problemi. In primo luogo evitare
di frantumarsi nel pulviscolo delle sette, che poteva dare origine a una religione priva di una Legge, consegnata
alla libera interpretazione dell'esempio-Ges. Al tempo stesso, riuscire a confrontarsi con la normativa
ideologico-sociale dell'Impero, che non ammetteva forme di pensiero potenzialmente eversive, perch non
consolidate in un preciso alveo costituzionale approvato. I Padri si trovarono quindi a combattere su due fronti.
Da un lato dovettero prendere le distanze da quegli aspetti della filosofia ellenistica, che potevano trasformare la
nuova religione in una incontrollabile religiosit individuale fondata su elucubrazioni filosofiche. Dall'altro
assumere la Legge mancante, identificata col Decalogo, dall'Antico Testamento, sottolineando per la sua
convergenza con la morale filosofica classica caratteristica della classe dirigente romana, e sottolineando altres
la discendenza del Cristianesimo dall'Ebraismo -quindi da una religione antica e accettata- per in qualit di sua
retta interpretazione. Era infatti utile prendere le distanze dagli Ebrei, invisi e ribelli precisamente a causa del
loro particolarismo e del rifiuto dell'universalismo imperiale. Nasce cos quell'autentico btin che la Didach
di Barnaba. Ireneo segu perci Giustino nello stabilire la doppia distanza entro la quale si defin l'ortodossia. Sul
realismo politico dei fondatori del Canone influ probabilmente la presenza, nel primo Cristianesimo, di membri
dell'aristocrazia romana, di cultura stoica. Ci non avveniva tra gli Gnostici, il cui disordine morale e sociale era
oggetto della denuncia di Tertulliano (De prscr. hr., XLI) nella quale l'inaudito la ricerca individuale della
verit, e lo scandaloso il ruolo delle donne.
Cos delineato il quadro, non si deve perci pensare che nella Chiesa romana parlasse una semplice
lotta di potere o il mero opportunismo politico. Ci che spinse la nascente istituzione ad armonizzare il
messaggio cristiano con l'etica razionale e la logica istituzionale del mondo classico, cio con il pensiero del
Razionalismo classico, fu, al fondo, la convinzione di una missione da assolvere, che non poteva essere assolta
senza una catarsi nella cultura e nel linguaggio di una societ realisticamente ordinata. Le altre possibili letture
del messaggio resteranno perci al margine, e occorreranno molti secoli prima che una nuova e diversa visione
prenda corpo con Gottfried Arnold, sottolineando il rapporto dialettico sempre esistito tra ortodossia ed
eterodossia.
Ci posto, credo sia evidente che nella Storia di un altro occidente vi sia una scarsa simpatia per i
campioni dell'ortodossia, ma non una propensione all'eversione, come si potrebbe pensare per la non celata
ironia sul pensiero normativo. Il punto che non mi interessava la storia dei vincitori, semplicemente perch
falsa nel suo sbandierare la Ragione, e gli argomenti razionalisti necessariamente non concludono. C' di pi.
Tutta l'analisi che sto cercando di condurre su Strauss, mostra ad abbondanza come l'accantonamento delle storie
sdegnate come marginali da chi mantiene il sopracciglio alzato, porti alla costruzione di percorsi storici
insostenibili, come nel caso di Strauss e del suo fraintendimento del rapporto Grecia-Islam e di altri volti
dell'occidente dal Medioevo al XIX secolo.
La storia dei vinti, degli esclusi, degli accantonati al margine del percorso, storia peraltro
difficilissima perch di essa scarsa traccia, e ancor pi scarso il numero dei lettori, fondamentale per
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comprendere il doppio volto delle presunte "verit" (e perci scelsi l'esergo filo-sofista di Balthasar Gracin) e lo
per riflettere su ci che resta irrisolto, e torna come un revenant quando si pensi d'avere imboccato il percorso
d'arrivo della storia.
Il germe del futuro non nella luce del presente, nelle sue ombre, nei recessi d'onde provengono gli
strani scricchiolii dell'impalcatura: nell'opera indecifrabile, sotterranea e costante dei tarli che la rodono.
Per la stessa ragione -e qui rispondo a Strauss- la "verit" della politica pu essere vista in chiave
ontologica soltanto da chi vuole ignorare le passioni: di fatto, essa una costruzione retorica, un convincimento
veicolato dalla parola. In fondo, anche l'ontologia una passione, quella dei razionalisti che vogliono chiudere il
discorso, cosa che a volte Strauss ha fatto con qualche stranezza. Come nella prima delle tre conferenze raccolte
in Nihilisme et politique (cit. in Bibl. a p. 851) dove sostiene che l'arte nulla ha a che fare con la verit, non,
semplicemente, ignorando il Romanticismo ( un suo costume ormai assodato) ma giustificandosi con l'amore di
Hitler per l'arte e pensando il Nazismo legato al Romanticismo nel rifiuto della filosofia occidentale (inglese e
francese) del XVIII secolo: che per Strauss ha sempre criticato! (dunque a una sciocchezza palese segue una
ancor pi palese autocontraddizione); infine, vedendo in tutto ci un ritorno alla "filosofia presocratica".
Nell'anno 1941, in piena Guerra mondiale e dinnanzi a un pubblico inglese sosteneva poi che la cultura classica
fu salvata in nessun luogo meglio che a Oxford e a Cambridge, come se altri luoghi storici della cultura non
avessero nulla a che vedere con la formazione dell'occidente; e mostrava di capire molto poco affermando che gli
Inglesi "meritano di restare una nazione imperiale". Sic. Infine, notazione ultima ma a mio avviso significativa
del suo modo di procedere, dopo aver inventato una sua genealogia del Nazismo, non faceva il minimo cenno
alle condizioni reali che lo alimentarono: la tragedia economica della Germania di Weimar negli anni 20.
Ora, tutto questo non pu essere il frutto del caso o della distrazione, non quando ci si riferisce a uno
studioso del calibro di Strauss; si tratta, a mio avviso, dei risultati contraddittori cui si giunge quando si parte da
problemi personali che conducono a delle prese di posizione (negare il rapporto del pensiero con l'esperienza)
che generano risultati contraddittori; anche perch, negare il ruolo della passioni contraddittorio per un
pensiero che prende le mosse da una passione rispettabile, ma non per questo meno appassionata. La polemica
antisofistica e filoplatonca una presa di parte motivata da un fine che a monte. Non questa per la mia
critica vera: tutti muoviamo da una premessa nella vita. La mia critica si rivolge all'insostenibile pretesa di
extraterritorialit che necessariamente genera incoerenze, come sempre accade nel pensiero razionalista e ben
videro gli Scettici e gli Gnostici: nonch i critici dei limiti della Ragione, come al-Ghazl e Ibn Taymiyya.
La pretesa di mettersi alla ricerca di una verit "oggettiva", adeguamento della parola alla cosa,
negando che la "verit" possa essere una testimonianza, una costruzione, contraddittoria con la critica al
Relativismo etico: perch questo figlio di quello Scientismo che un prodotto del Razionalismo nella sua
accezione scientifica, che persegue lo stesso mito che fu del Razionalismo classico, quello, per l'appunto, della
verit oggettiva, relegando la testimonianza, in primis la religione, a mera opinione priva di capacit veritativa.
Perch s, vero, che Strauss si batte contro il Razionalismo scientifico cercando la propria verit "oggettiva"
nel Razionalismo classico, ma ci non cambia la parentela gemellare dei due: si tratta soltanto di sostituire la
pretesa del filosofo a quella dello scienziato nella fondazione di un diritto corporativo.
Su questo punto, Strauss non si presta a fraintendimenti: a p. 11 di The Rebirth of Classical Political
Rationalism, etc., selected and introduced by T.L. Pangle, Chicago, Un. Press, 1989, egli s'indigna infatti perch
la Bibbia e Platone vengono privati dell'ascolto culturale "generosamente accordato a ogni trib selvaggia"; e
subito dopo (p. 12) la sua critica al Relativismo etico sembra muovere dall'indignazione per il negato primato
della tradizione occidentale, ribadendo cos involontariamente l'ipotesi da lui sempre negata, quella dell'esistenza
di un "progresso": perch soltanto questa premessa potrebbe conferire all'Occidente il dritto a una colonizzazione
culturale. Altrimenti, se tale "diritto" non venisse dall'esistenza di un "progresso", dovrebbe essere inscritto in un
codice genetico: cosa che non oso pensare. Purtroppo, non sono rare le affermazioni di Strauss che sembrano pi
viscerali che razionali: cosa sulla quale non vi sarebbe nulla da obbiettare, se Strauss non fosse un razionalista.
Le sue simpatie, d'altronde, sono singolari: a p. 19 simpatizza con al critica di Lukks a Weber senza
porsi il problema dell'ideologia che sorregge l'opera di Lukks in un'opera come La distruzione della ragione,
della quale apprezz probabilmente l'attacco frontale al Romanticismo.
Certamente Strauss non aveva una grande considerazione per l'opera degli artisti: alle pp. 170-172 di
RCPR sostiene infatti la dottrina politica delineata da Platone nella sua richiesta di sottoporre le arti al controllo
dello Stato, affinch fossero usate soltanto per insegnare la "Verit" dello Stato, guidato dai filosofi; la poesia
perci legittimata soltanto in una funzione ministeriale (p. 183) per giungere a concludere platonicamente (ivi):
"la poesia autonoma cieca sul punto decisivo". L'arte che Strauss pensa insieme a Socrate e a Platone
dunque un'arte di regime, ci che rende ovvia la sua insensibilit al Romanticismo ma che alquanto in
contraddizione con la sua critica al Nazismo e al Comunismo, veri campioni dell'arte di regime. Personalmente
ritengo (cfr. Arte, Memoria, Utopia) che chi cieco all'arte cieco alla vita e al suo eterno sbocciare: una
prospettiva non esaltante in questo nostro viaggio nell'ignoto, che ci fa sporgere in ogni istante sull'abisso a
malapena rischiarato dai lampi dell'intuizione poetica; una prospettiva che sembra fondata sulla paura della vita.
In RCPR per contenuto un ultimo articolo sul quale vale la pena di soffermarsi, perch d qualche
indicazione sul grande capitolo straussiano che dobbiamo ancora affrontare, quello della filosofia medievale
islamica e giudaica, che sorregge l'argomentazione di Strauss sul rapporto tra Ragione e Rivelazione, filosofia e
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Profezia, i due poli che in lui fondano il rappl l'ordre; argomentazione e rapporto che si limita all'Islam e al
Giudaismo perch la Rivelazione affrontata da Strauss soltanto in termini di filosofia politica, perci di Legge.
Dopo aver posto le proprie abituali premesse circa l'esigenza di comprendere un filosofo come egli
stesso si comprese, senza perci considerare il suo pensiero come tappa verso un pensiero successivo, Strauss
sottolinea che ci particolarmente importante nel caso della filosofia medievale (etichetta sotto la quale si
allude essenzialmente a Maimonide) perch essa potrebbe essere "superiore" a quella attuale (p. 211) e da essa
potremmo imparare qualcosa (ivi). Sull'argomento egli entra in contraddittorio con Scholem (pp. 212-213)
riguardo al rapporto tra Qabbalah e filosofia. Per Scholem infatti, la Qabbalah un tentativo di risolvere, nella
logica della religione, le aporie della filosofia. La tesi centrale di Scholem l'insufficienza dell'impianto
filosofico di origine greca a dar ragione del Dio biblico, un problema che abbiamo gi visto a proposito della
filosofia islamica. Ora, l'avversione di Strauss a questa evoluzione che egli definisce "mistica" da sottolineare.
Innanzitutto egli parla di "mistica" ma il termine qui sembra improprio, parlerei piuttosto di soluzione
"esoterica", nel senso che si sviluppa su percorsi estranei al Razionalismo, laddove, come ho notato nel capitolo
precedente, la mistica la via di fuga del Razionalismo, quindi dovrebbe esser messa in continuit con questo.
L'argomento fondamentale avanzato da Strauss, inoltre rivelatore, anche perch ben fondato e fondabile:
Strauss respinge la mistica perch essa annulla la differenza tra Giudaismo, Cristianesimo e Islam (argomento
diversamente affrontato da Scholem, che sottoline la diversit delle "mistiche") minimizzandone i conflitti
dottrinali (p. 215).
Per capire la filosofia medievale, continua Strauss, occorre evitare di porsi sotto l'influenza del
pensiero moderno, che guarda al passato nella logica di una "storia" della filosofia, onde ogni testimonianza del
passato viene interpretata come un passo in direzione del presente. Ora, poich la storia della filosofia un
prodotto dell'Europa cristiana, lo studioso non riesce a comprendere la filosofia islamica e giudaica se non in
rapporto con la Scolastica (p. 221). Ci una seria limitazione, perch, a differenza del Cristianesimo,
Giudaismo e Islam non si fondano su una teologia rivelata, ma su una scienza della Legge (halaqah, fiqh) che ha
poco a che vedere con la filosofia, onde lo stato di quest'ultima, nelle due religioni, precario (ivi). Essa fu un
fatto essenzialmente politico (p. 223) e la disciplina filosofica che ebbe a che fare con la religione fu la filosofia
politica, non la filosofia della religione. Il Profeta fu interpretato da al-Frb, Avicenna e Maimonide, come il
filosofo-Re di Platone (p. 224).
Qui Strauss afferma che la filosofia islamica e giudaica fu platonica, e non vi fu presa in
considerazione la Politica di Aristotele. Al contrario, in occidente la Scolastica port ad una legge "di natura"
razionale; questa legge di natura appare soltanto presso i mutakallimn. In occidente, un parallelo con la filosofia
islamica e giudaica si determin con l'averroismo, dove matur la dottrina della doppia verit (teologica e
filosofica). Nell'Islam la doppia verit fu intesa come esoterica ed essoterica, cosicch si deve badare al fatto che
il vero pensiero dei filosofi non quello esposto al pubblico (p. 225).
Questa la sintesi dell'articolo; ma quale sia pi ampiamente il pensiero di Strauss su questo tema,
importante per la sua dottrina, lo vedremo adesso sulla scorta dello studio di Tamer (cit.) estremamente
dettagliato e critico; e anche seguendo le ricerche di Strauss su Maimonide raccolte in G.S., Bd. 2 sotto il titolo
Philosophie und Gesetz.
Tamer esordisce in premessa con una constatazione: l'importanza dell'opera di Strauss consiste in ci
che egli ha mostrato i legami profondi dell'odierno occidente con un pensiero maturato altrove nel passato: il
riferimento va al Medioevo islamico e giudaico e alle sue connessioni con il Medioevo occidentale. Strauss,
osserva Tamer, si muove nell'orizzonte di una domanda centrale, se cio tutta la storia della filosofia non sia
altro che una serie di tentativi con lo scopo di stabilire la giustizia tra gli uomini: e tuttavia Strauss non fu
certamente un egualitarista. In questo quadro la religione ha un significato funzionale in quanto vi viene assunta
nel suo significato legale. Egli respinge un legame di filosofia e religione ma considera la religione nell'ambito di
una sua strumentalizzazione da parte dei filosofi per rafforzare tesi politiche: i contenuti della fede acquistano
cos legittimazione, l'utile si illumina della luce del Vero.
La tesi impegnativa e richiede una lunga analisi, che Tamer fa precedere da una Introduzione nella
quale passa in rassegna varie letture critiche che di Strauss furono date, e nota tre tendenze. Una vede in lui un
filosofo ebreo il cui interesse centrato essenzialmente sulla filosofia giudaica. Un'altra vede in lui un platonico
che vuol fare della filosofia contemporanea sulla scia di Socrate. Una terza vede in lui un esoterista che nasconde
idee enigmatiche e socialmente pericolose dietro una maschera grandiosa, con sfoggio di interpretazioni.
Per quanto riguarda la prima tendenza, occorre notare che in Strauss fondamentale il legame con al-
Frb, Avicenna e Averro, e che la genesi del suo pensiero si colloca nell'analisi dell'opera di Spinoza; di qui
inizia la sua ricerca teologico-politica che contiene innegabili temi averroisti e che sub fortemente l'influenza di
al-Frb; tuttavia, sin dal suo studio su Spinoza evidente il suo interesse per Maimonide. In questi studi
matur le convinzioni espresse in P&AW. Tamer (p. 7) sottolinea la tendenza a sopravvalutare gli interessi
politici di Maimonide, rispetto a quelli metafisici, in ci che concerne la sua dottrina della Profezia. Questo,
aggiungo io, un tratto costante di Strauss, che riguarda in primo luogo la sua comprensione di al-Frb. Strauss
sembra ignorare che le dottrine politiche siano comprensibili soltanto nel quadro di una metafisica, e questo, a
mio avviso, non un problema di gerarchie d'interessi (in al-Frb, verosimilmente, l'interesse politico doveva
essere forte, in connessione con la crisi del califfato Abbside; e lo stesso vale per altri filosofi islamici dopo di
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lui). Il problema, a mio avviso, consiste nel fatto che quelle metafisiche si inquadrano nella tradizione del
Neoplatonismo mediorientale del quale ho fatto cenno nel capitolo precedente e sul quale torneremo; mentre
Strauss insiste sul platonismo di quei filosofi, al fine di ricostruire la sua catena ideale che risale alla Repubblica
e alle Leggi, e, su su, sino a Socrate.
Ne risulta una strumentalizzazione del pensiero altrui che si riverbera nel tema centrale di Strauss, il
rapporto tra Ragione e Rivelazione; cos, egli fece di Maimonide un razionalista prima ancora che un Ebreo (pp.
8-9). Tamer puntualizza che Strauss volle costruire una linea ascendente Maimonideal-FrbPlatone e che
la conoscenza di al-Frb, successiva a quella di Maimonide, rappresent la chiave per la sua interpretazione di
Maimonide: alla luce di al-Frb interpret infatti successivamente la dottrina della Profezia di Maimonide, e al-
Frb rappresent al tempo stesso la via per risalire a Platone.
Per quanto riguarda la seconda tendenza interpretativa, non c' dubbio che Socrate sia per Strauss la
figura centrale di un autentico filosofare, contro la crisi della modernit; Socrate il terminale del suo percorso
ascendente. Questo precorso a ritroso si direbbe determinato dalla sua estraneit all'Illuminismo e ai suoi
sviluppi in direzione del Moderno (p. 18). Non ripercorro, in Tamer, molti aspetti che abbiamo gi visto, se non
per segnalare che a p. 24, concludendo, egli si domanda se le interpretazioni che Strauss d dei filosofi antichi,
non siano forse altro se non le proiezioni del suo stesso pensiero; dubbio che mi vede consenziente per quanto ho
gi fatto notare, la sua tendenza alla strumentalizzazione dei filosofi del passato al fine di costruire un proprio
percorso ideale grazie al quale risolvere il proprio problema.
Venendo all'ultima tendenza interpretativa, essa si basa su alcune considerazioni. In primo luogo,
Strauss riserv il proprio insegnamento orale ad un ristretto gruppo di allievi, onde si pu ritenere che le sue vere
idee non vadano ricercate nei suoi libri, ma nelle idee degli straussiani. Vi fu anche un culto della sua persona tra
i suoi allievi, i quali diedero interpretazioni diverse dell'opera di Strauss, ciascuno convinto di possederne la
chiave, col risultato che difficile farvi il punto a partire da loro. A ci si aggiunga che Strauss stesso afferm
che i filosofi scrivevano in chiave esoterica, perch le loro idee erano socialmente/politicamente pericolose e
avrebbero potuto comportare la persecuzione (P&AW). Infine c' da rilevare il metodo aggrovigliato con il quale
Strauss tent d'interpretare i testi, senza per giungere a un contenuto interpretativo, cosicch il risultato
filosofico non ha alcun rapporto con le sue fatiche filologiche. I suoi lavori sono deludenti, in quanto trasmettono
un guscio senza alcun nocciolo filosofico (p. 26).
A mio avviso il giudizio pesante, e ingiustificato se ci si rivolge all'opera complessiva di Strauss;
certamente si resta delusi, e a volte interdetti, da molte sue indagini, tra le quali citerei soprattutto quelle su
Aristofane e Senofonte, ma anche quelle su Tucidide, delle quali non ho ritenuto opportuno riferire precisamente
per lo scarso o nullo costrutto che se ne ricava.
Tamer cita molte recensioni critiche dell'opera di Strauss, alcune delle quali, condivisibili o meno,
sembrano ideologiche o comunque rivolte alla persona. Pi interessanti, viceversa, quelle che sottolineano la sua
tendenza a fraintendere o strumentalizzare il pensiero del passato per veicolare in altri le proprie idee; questo lo
abbiamo notato pi volte, e ci rinvia alle notazioni di Mc Allister.
Certamente, ancora pi interessanti sono le critiche riportate alle pp. 29-34, che mettono in luce
un'errata percezione del fenomeno politico da parte di Strauss, che ha origine nella sua pretesa di fondarlo -come
Platone- su una dicotomia antropologica tra i "filosofi" e le masse acefale. Questo aspetto l'ho sottolineato pi
volte, ed strettamente connesso all'intellettualizzazione di un fenomeno che non ha senso considerare fuori
delle passioni, fuori cio dal contesto delle dxai e delle esperienze. Strauss viene perci accusato di ideologicit
e di voler fare dei filosofi una classe di parassiti che gravano sulla societ. L'accusa forse eccessiva, ma
certamente addita la usuale pretesa di extraterritorialit avanzata da intellighentzie forse frustrate, certamente
estranee all'esercizio del potere, che reclamano per s un ruolo con i propri "specchi dei principi". Non sembra
per questo, almeno in via principale e comunque a mio avviso, il problema di Strauss, quanto la strada
sdrucciolevole da lui imboccata per risolvere alla luce di una cogente razionalit universale un problema reale
ma particolare, col risultato di aggrovigliarsi (il carattere inutilmente complicato e contraddittorio di alcuni suoi
sviluppi sovente denunciato dalla critica) nel suo scontro/sovrapposizione di una "Atene" e di una
"Gerusalemme" pi ideologiche che storicamente reali. Di fatto, come noto, la Grecia reale e la Gerusalemme
reale hanno avuto molti e non casti connubi, sollevando e consegnando alla storia non pochi problemi. Di queste
vicende, di ci che ne venne poi, Strauss per non parla: perci c' qualcosa di pi serio da criticare in lui, di
quanto non si sia detto circa la sua discutibile ricostruzione di una "storia delle idee". Il fatto , come ho
sottolineato, che egli ignora un intero capitolo fondamentale della storia, quello che nasce dai suddetti connubi,
ed difficile pensare che ci sia avvenuto per distrazione: per soltanto questo oscuramento gli pu consentire la
falsificazione, volta ad ammantare con l'universalit della Ragione il problema particolare di Strauss.
Sotto questo profilo, ho qualche dubbio che le idee politiche di Strauss siano socialmente pericolose,
anche se forse vorrebbero esserlo, almeno in qualche suo seguace. Mi sembrano piuttosto del tutto irrealistiche,
anche dal punto di vista della tirannia, che si fonda sulla concreta comprensione e uso strumentale delle passioni.
Tutto ci dispiace, perch lascia nella penombra la sua lucida e rigorosa critica del fondamento della crisi
occidentale.
Tamer chiude la sua panoramica delle critiche esponendo infine il proprio pensiero (pp. 34-38).
Secondo Tamer si sottovaluta l'enorme influsso che ebbe al-Frb sul pensiero di Strauss, relegandolo a una
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conseguenza dell'influsso di Maimonide; e non si valuta l'influsso che ebbero su Strauss la dottrina della Profezia
di Avicenna e la sua lettura della Legge religiosa nelle "Leggi" di Platone (in realt un testo pseudoplatonico: cfr.
infra). Osservarlo attentamente nei suoi legami con i due filosofi islamici, ci evita di cadere nell'ipotesi di funesti
enigmi esoterici; e questa frequentazione influisce anche nella sua critica del Moderno.
Il ruolo di al-Frb fu importante, secondo Tamer, perch indusse Strauss a leggere la storia della
filosofia come una "caduta" (nel mondo cristiano) seguita da un "rinnovamento" (nel mondo islamico): ricordo
che nel capitolo precedente ho citato il testo di Gutas, che sottolinea come precisamente questa fosse l'ideologia
califfale, impressa da al-Mamn: pura ideologia califfale, per l'appunto.
Mi permetto di sottolineare tuttavia che anche a Strauss faceva comodo questa interpretazione, che gli
permetteva di ignorare tutti gli sviluppi neoplatonici che la filosofia aveva avuto nell'ambiente siriano (cristiano)
e il loro ruolo determinante su quella filosofia islamica pretesa platonica, in realt tentativamente aristotelica, e,
di fatto, neoplatonica.
Questa (pretesa) restaurazione della filosofia politica classica, dice Tamer, comporta, come in al-
Frb, la composizione delle differenze tra Platone e Aristotele, al fine di introdurre nel Moderno, da parte di
Strauss, una filosofia classica unitaria.
Qui mi sento in obbligo di fare una precisazione e di aprire una parentesi. La precisazione la traggo
dalla Cassin (cit., p. 125) che in modo sintetico esprime la profonda differenza di prospettiva sulla politica che si
pone tra Platone e Aristotele: "Tra Platone e Aristotele diversa l'intuizione di partenza: per Platone la citt
innanzitutto una, per Aristotele innanzitutto pluralit". In altre parole, Platone costruisce un modello astratto,
parto del filosofo, al quale i cittadini -anonime entit numeriche, come in tutti i modelli razionalisti sino alla
Rivoluzione Francese (e oltre)- devono piegarsi in un ordine geometrico che azzera le loro passioni; Aristotele
viceversa, ragiona nei termini della pluralit e delle differenze che debbono trovare nella Costituzione la via per
la composizione delle diverse e individuali "ricerche di felicit". La "conciliazione" di Strauss, come segnala
Tamer dunque una sua esigenza (come lo era per al-Frb) ma un'esigenza insoddisfatta, perch Strauss,
nella sua concezione di ordine politico, ha poco di aristotelico ed di fatto assolutamente platonico: ci che lui
invoca uno schema filosofico-religioso nelle cui strutture deve necessariamente collocarsi l'individuo, la cui
individualit scompare insieme alle sue "passioni".
Quanto a ci che giunge ad al-Frb ho gi detto, credo a sufficienza, nel precedente capitolo, ma qui
apro una parentesi per aggiungere dell'altro: un piccolo numero di ulteriori riferimenti bibliografici che esporr
singolarmente, senza dar loro una personale unificazione espositiva, lasciando al lettore di farsi un quadro.
Qualcosa, per brevit, la ometter, salvo citare i titoli al termine del capitolo come ho fatto nei capitoli
precedenti.
J. Lameer, From Alexandria to Baghdad. Reflections on the Genesis of a Problematical Tradition, in
The Ancient Tradition in Christian and Islamic Hellenism, ed. by G. Endress - R. Kruk, Research School CNWS,
Leiden, 1997, tenta di ricostruire i passaggi che conducono i percorsi della filosofia dalla Scuola di Alessandria
al circolo di Baghdad. La Scuola di Alessandria chiuse probabilmente i battenti con la partenza di Stefano nel
610. Stefano, si ricordi, ritenuto, con Olimpiodoro, uno dei termini di passaggio dall'alchimia greca a quella
islamica, e l'alchimia, lo abbiamo visto, si sviluppa in Alessandria accanto allo Gnosticismo, come espressione di
una religiosit non istituzionale, potenzialmente eversiva, che prender corpo nell'ambito della Sha. La sua
cosmologia strettamente legata a quella della magia, argomento che ho gi esposto. Del loro contrasto con la
religione istituzionale nell'Islam parla P. Carusi, Alchimia islamica e religione: la legittimazione difficile di una
scienza della natura, O.M., 80 (19), 2000. Come fu detto a suo tempo, il fondamento il moto degli astri con le
loro emanazioni, una dottrina che abbiamo gi visto in al-Kind e che fa capo agli sviluppi del Neoplatonismo
medievale, da oriente a occidente.
Lameer esamina poi l'ipotesi tradizionale di Masd, secondo la quale il sapere alessandrino
neoplatonico/ermetico avrebbe proseguito il proprio percorso in Antiochia tra il 720 e l'860; poi in Harrn sino
alla fine del IX secolo, per approdare infine a Baghdad. Il passaggio per Harrn , a suo avviso, non attendibile;
lo stesso Thbit ibn Qurra sembrerebbe aver avuto la propria educazione pi in Baghdad che in Harrn. Anche
per quanto riguarda Antiochia, non ci sono prove reali della presenza di una scuola filosofica. Le ragioni per
indicare nella tradizione le citt di Antiochia e di Harrn potrebbero allora essere altre: la presenza in Baghdad di
Sabei, tra i quali preminente Ibn Qurra, e di Cristiani Nestoriani, che avevano origine spirituale in Antiochia.
G. Troupeau, Le rle des syriaques dans la transmission et l'exploitation du patrimoine philosophique
et scientifique grec, Arabica, 38, 1991, sottolinea il ruolo fondamentale dei Cristiani siriani nella traduzione delle
opere greche, a partire dal V secolo. Le traduzioni comprendono molti testi aristotelici o ritenuti tali, la Isagoge,
massime e dialoghi attribuiti a Platone, Pitagora, Socrate e Plutarco; 26 trattati di Galeno, etc. Dal V al VII
secolo, le traduzioni furono dal greco al siriaco, dall'VIII secolo furono dal greco all'arabo e dal siriaco all'arabo,
e ne furono protagonisti i Melkiti (che chiamavano se stessi: Bizantini). I Siriani non furono soltanto traduttori
delle opere greche, ma anche epitomatori e commentatori. A Baghdad vi fu una scuola di logici siriani: al-Frb,
giunto a Baghdad, fu in contatto con loro. I sapienti siriani operarono anche in un altro campo, furono
lessicografi, crearono cio l'equivalente siriano del linguaggio filosofico greco (cfr. Lameer, infra). Conclude
quindi Tropeau che il ruolo del Cristianesimo siriano fu fondamentale per la trasmissione agli Arabi del
patrimonio greco.
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S. Brock, Syriac Translations of Greek Popular Philosophy, in Von Athen nach Baghdad, ed. P.
Bruns, Bonn, Borengsser, 2003, segnala molte traduzioni dal greco di testi apocrifi, ma anche testi come lo
pseudoaristotelico Per ksmou e il trattato sul cosmo di Alessandro di Afrodisia. Di Themistio, R. Brague ha
curato l'edizione della Paraphrase de la mtaphisyque d'Aristote (livre lambda), Paris, Vrin, 1999; in essa si nota
lo slittamento dell'interpretazione di Aristotele verso concezioni platoniche: l'estensione della Provvidenza alla
sfera sublunare sancisce il ruolo degli astri, anche nella generazione; l'ordine del cosmo, il cui riflesso terreno
l'ordine imperiale; soprattutto, l'indipendenza della forma dalla materia.
G. Endress, Athen-Alexandria-Bagdad-Samarkand. bersetzung, berlieferung und Integration der
griechischen Philosophie im Islam, in Vom Athen etc. cit., sottolinea il ruolo di Monofisiti e Nestoriani
nell'elaborare quel Neoplatonismo che condurr al-Frb a pensare la Rivelazione coranica come allegoria del
sapere razionale, aprendo la via ad Avicenna e alla teosofia shita: filosofia come commento alla Rivelazione.
C' dunque una storia, una vicenda complessa, nel recepimento della scienza greca da parte del mondo islamico
per il tramite dei manuali: agli Arabi non giunse la scienza degli antichi, ma la sua mediazione attraverso molte
scuole, nella quale Aristotele si mescol a Proclo e al Neoplatonismo. Particolare rilievo ebbe la cosmologia
neoplatonica fondata sulla congruenza di Macrocosmo e Microcosmo e sulla continuit e contiguit di tutto con
tutto. In particolare, fu importante l'opera di Philopono (cfr. infra) che, dopo la chiusura della Scuola di Atene,
scrisse un trattato contro Proclo per dimostrare, con argomenti aristotelici, la falsit della dottrina di Aristotele
circa l'eternit del mondo.
Questa cultura conflu nel circolo di al-Kind. Noto, al riguardo, che l'influenza di Philopono nella
metafisica di al-Kind, fu studiata e sostenuta da J. Jolivet, L'intellect selon al-Kind, cit. in Bibl. a p. 761,;
mentre la conoscenza di Philopono e del suo trattato sopra ricordato da parte di al-Frb (e anche dell'Ebreo
Saadia) stata analizzata da H. Davidson, John Philoponus as a Source af Medieval Islamic and Jewish Proof
of Creation, JAOS, 89, 1969; e da M. Mahdi, Alfarabi against Philoponus, Journal of Near Eastern Studies, 26,
1967; ma su questo cfr. Leaman, infra.
Tornando a Endress, che si riferisce al trattato Sulla prima filosofia di al-Kind (cfr. Al-Kindi's
Metaphysics, a Translation etc., with Introd. and Commentary by A. L. Ivry, Albany, State Un. Press of New
York, 1974) sottolinea il rapporto che si pu generare nel Neoplatonismo tra l'Uno trascendente e il rigido
monoteismo dell'Islam -tema accennato supra in P. 2, Sez. 1, Cap. 2, con riferimento agli sviluppi neoplatonici
della filosofia islamica- anche perch la dottrina emanatista, come nota Ivry, consente al buon musulmano di
superare la differenza ontologica tra un Dio assolutamente trascendente e il cosmo. Le prospettive teologiche che
si configurano, nota Ivry, sono sia cristiane che islamiche; qui, come in quanto detto sinora, si nota il retroterra
cristiano a monte della speculazione islamica. Naturalmente a monte di al-Kind, come pure di al-Frb, vi la
neoplatonica Teologia di Aristotele, della quale s' gi detto a suo tempo.
L'armonia di Platone e Aristotele, prosegue Endress, fu un tema importante del Neoplatonismo dopo
la fine della sua corrente pagana nel 529, resa d'attualit dall'uso della filosofia come interpretazione
scientifica della Rivelazione; d'altronde essa una radicata tradizione della cultura ellenistica, circa la quale
Endress cita Porfirio e Ammonio, che ebbe diffusione generale nell'Alessandria del VI secolo dopo la scomparsa
dell'anticristianesimo militante.
L'aristotelismo arabo, dice Endress, in realt un Neoplatonismo che di l si trasmetter al Medioevo
occidentale; sotto il nome di Aristotele circolavano, come abbiamo visto a suo tempo, testi neoplatonici.
Nell'ultima fase del periodo delle traduzioni, a met del X secolo, i traduttori e i commentatori cristiani di
Baghdad costituirono un corpus aristotelico che per tre secoli rimase fondamentale per i dotti del Mediterraneo.
Restava da compiere il passo verso un'autentica filosofia islamica che includesse Rivelazione e Profezia in una
visione totale del cosmo, grazie anche al corpus dei commentatori, da Alessandro di Afrodisia a Olimpiodoro
(anche Olimpiodoro fa parte della catena di trasmissione dell'alchimia).
Il primo a compiere questo passo fondando la filosofia islamica, dice Endress, fu al-Frb, a
proposito del quale per, prima di proseguire con Endress, vorrei aggiungere una nota. Comunque si voglia
intendere il pensiero di al-Frb, e, dopo di lui, quello di Avicenna, non si pu ignorare -come fa Strauss- che il
pensiero "greco" che giunge a lui visto nelle lenti di una cultura diffusa, quella ellenistico-mediorientale, il cui
particolare Neoplatonismo anche la via di trasmissione di culture "marginali" come astrologia, magia e
alchimia, e di "eversioni" varie come Ismailismo, Qabbalah, ed eterodossie occidentali del XII-XVI secolo. A
conferma di ci mi sembra di poter invocare lo stesso articolo che sto citando, nel quale Endress indica lo
sviluppo conclusivo della filosofia islamica nel percorso che da Avicenna conduce alla teosofia shita, via
Sohraward e Moll Sadr.
Di al-Frb, Endress sottolinea il richiamo agli Analitici secondi e all'autorit di Aristotele, che sar
invocata anche da Avicenna. Come giunga "Aristotele" agli Arabi, e quale sar, in quella filosofia che ruota
attorno alla Profezia, il ruolo dell'Intelletto Agente, lo abbiamo gi visto ed inutile ripetersi. Ci che vorrei
sottolineare la prospettiva del tutto diversa -rispetto ai Greci- con la quale, dall'Islam, si traguarda il pensiero
greco, con una logica che innanzitutto religiosa, onde le stesse prospettive politiche che vi si enunciano,
connesse al Profetismo, sono funzione di una costruzione metafisica, una cosmologia, un'ontologia, che non
pi quella di Platone, l'ateniese dl V-IV secolo. Platone, nella tradizione islamica, sovente un alchimista e un
mago, mentre il vero Platone respingeva la magia per il suo sottofondo di religiosit alternativa, individuale,
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potenzialmente eversiva dell'ordine della plis. Il Profetismo dell'Islam, e soprattutto quello delle sue infinte
eterodossie e accezioni vernacolari, porta viceversa con s l'impronta rivoluzionaria che gli discende dalla lettura
giudeocristiana del messaggio testamentario. L'Insn al-Kmil, l'Imm, il Profeta della filosofia islamica -non
per nulla messa al bando dalla "ortodossia" sunnita- nascono da un'ontologia che vede l'umano incontrarsi col
divino sul confine emanatistico dell'Intelletto Agente.
Su questo punto segnalo il noto studio di S. Pines, The Arabic Recension of Parva Naturalia and the
Philosophic Doctrine concerning Veridical Dreams, etc., in Collected Works, cit., vol. II, nel quale si sottolinea
l'origine ellenistica della recensione araba del De divinatione per somnium, caratterizzata da qualcosa che in
Aristotele non c': l'origine divina della visione profetica. Questa dottrina, che investe la filosofia islamica,
Averro incluso, presenta inoltre una significativa variante che lascia intendere la diversit di prospettive, e che
perci ritengo opportuno segnalare a complemento di quanto osservato da Pines: il suo uso, ai fini della
giustificazione filosofica della Rivelazione da parte di al-Frb, Avicenna e Averro -con la relativa
trasmissione da Avicenna a Maimonide- porta a chiamare in causa l'Intelletto di individui eccezionali, in grado
di risalire in prossimit del divino. Al contrario, il concretissimo Aristotele, notava che la divinazione nel sogno
particolarmente caratteristica degli uomini semplici (463b, 11 sgg) e, da tutta l'argomentazione, non conferisce
al fenomeno alcuna nota sacrale, anzi!
Da questa linea si distacca Averro (e infatti, dice Tamer, Strauss un averroista) in qualit di
magistrato che parte dal primato del Corano, del quale offre soltanto tentativi d'interpretazione razionale l dove
il dettato appare poco comprensibile alla Ragione. In Averro presente infatti una capacit naturale della
Ragione che lo accomuna al suo mentore Ibn Tufayl (cfr. D. Gutas, Ibn Tufayl on Ibn Sna Eastern Philosophy,
Oriens, 34, 1994, che sottolinea il ruolo indipendente della Ragione e il radicamento di questa indipendenza nel
pensiero islamico; su questo, vedi anche G. Vajda, D'une attestation peu connue du thme du "philosophe
autodidacte", Al Andalus, 31, 1966).
Tuttavia, come segnala Rosenthal, The Place of Politics in the Phlosophy of Ibn Rushd, BSOAS, 16,
1963, Averro vede il pensiero greco con gli occhi di un ortodosso (p. 250), lo Stato ideale resta quello della
Sharah realizzato dai quattro rshidn; Platone e Aristotele sono "usati" come strumenti a tale fine. Rosenthal
vede nel Fasl al-Maql il testo decisivo per delineare la filosofia di Averro; falso definire irreligioso Averro,
al contrario, egli cerca di dare una risposta filosofica islamica alla sfida del pensiero greco. La connessione della
filosofia con la politica, cavallo di battaglia di Strauss, si realizza in Averro in difesa della Sharah: questo pu
essere un riconoscimento delle tesi di Strauss, ma un riconoscimento che ha un prezzo, perch la Legge divina,
in quanto divina, pu soltanto essere giustificata, mai interpretata dalla Ragione.
Su questo punto vorrei ricordare quanto dice M. Mahdi in Philosophy and Political Thought:
Reflections and Comparisons, Arabic Science and Philosophy, I, 1, 1991. Premesso che la Rivelazione provoc
un "radicale cambiamento" (p. 9) nel pensiero politico, "che non fu una continuazione del pensiero politico
pagano ovvero della filosofia politica classica" (ivi), tutta la filosofia medievale, egli dice, rimane inintelligibile
se non si presta attenzione al conflitto religione-filosofia e all'accomodamento reciproco che intervenne nel tardo
Ellenismo e nel primo Medioevo, in altre parole, nel Neoplatonismo che vi si gener.
Sforzo gigantesco di pensiero, aggiungo io, altro che decadenza e volgarizzazione! Ci che ci presenta
al-Frb dunque una "non platonica interpretazione di Platone" (p. 17) o quantomeno un Platone visto nella
tradizione ellenistica e nelle sue sopravvivenze medievali (ivi).
Premesso che Mahdi fa anche riferimento generale al Neoplatonismo giudaico e cristiano (con ci
mettendo in luce che il problema riguarda la comune esistenza di una Rivelazione) va detto che egli sottolinea in
modo inequivocabile, parlando di al-Frb ma comunque non riferendo soltanto a lui, il ruolo preminente della
religione come dato di partenza, che, dalla rivisitazione filosofica vede soltanto riconfermata la propria autorit
(p. 19). Il problema che si pone al filosofo nell'Islam (a proposito del quale ricordo il ruolo determinante della
Ummah per ogni filosofia politica ivi pensabile) dunque cos formulato (p. 22): "Perch la comunit politica
deve essere una comunit religiosa? Perch il governante e il legislatore della comunit politica deve essere un
Profeta o il rappresentante di un Profeta? Perch una comunit politica deve essere governata da una Legge
divina?". In una costruzione che tenda a rispondere a queste domande, sembra a me, l'uso eventuale di Platone
non pu che essere non platonico. Rosenthal sottolinea (p. 262) la singolarit di Averro nei confronti dei
falsifa (e di Maimonide): la sua distanza da una dottrina della Profezia fondata sull'emanazione, le cui
conseguenze abbiamo visto essere un uomo che pu troppo avvicinarsi a Dio, con tutte le implicazioni eversive
del caso. Al contrario di Averro, al-Frb non fu uomo di Stato, fu un metafisico in materia di politica (p. 271).
Rosenthal conclude, dopo aver segnalato ci che accomuna il pensiero greco a quello islamico
sull'importanza della Legge, sottolineando la differenza fondamentale: la Sharah fornisce una Legge che unisce
gli eletti e le masse, il nmos ne sottolinea la distanza e non offre strumenti per superarla. Se mi consentito
chiosare questa differenza che il portato di una Rivelazione, vorrei dire una cosa: Strauss senza dubbio un
"averroista" nel dualismo che pone tra la comprensione razionale e la semplice accettazione della Legge, ma non
lo certamente nello spirito quando pensa ai filosofi-governanti di Platone cui consentita la menzogna (Rep.,
382c-d; 389b) sia pure per ci che essi giudicano il bene comune. Una certezza del Musulmano -e Averro lo
era, ed era un Qd- che il Profeta non soltanto non mente, ma neppure parla per metafore, neppure a "fin di
bene", perch anche questo potrebbe costituire un inganno.
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Ritornando a Endress, cit., e al ruolo che ha l'Intelletto Agente in al-Frb, si deve notare la
successione da lui identificata tra al-Kind, al-Frb e Avicenna nel fatto che lo Stato ideale utopico non
fondato su un primato della filosofia, ma su una metafisica che "dimostra" il ruolo del Profeta come mediatore
della Verit, cio della Legge divina, grazie alla sua eccezionalit umana. Contro questa dottrina emanatista si
appunt la critica dei giuristi, e l'opera di Averro, con il suo sforzo di ristabilimento dell'aristotelismo, si
appunt precisamente contro quella metafisica, la cui maggiore espressione fu la Metafisica di Avicenna.
Stabilita dunque la posizione singolare di Averro nell'ambito della filosofia islamica, perlomeno nei
confronti dell'emanatismo che caratterizza al-Frb e Avicenna (e, come abbiamo visto, Ibn Ba) torniamo
dunque ad occuparci ancora brevemente di ci che si pone a monte della nascita della filosofia islamica stessa,
prima di riprendere il discorso iniziato con Tamer.
S. Fazzo-H. Wiesner, Alexander of Aphrodisias in the Kind-Circle and in al-Kind Cosmology,
Arabic Science and Philosohy, 3, 1993, segnalano un punto di particolare interesse per l'evoluzione del
Neoplatonismo in oriente: le mutazioni che subiscono il Per prnoias e le relative Qstiones di Alessandro,
nelle traduzioni operate dal circolo di al-Kind, circa il modo in cui la Provvidenza giunge al mondo attraverso
gli astri. Da qui si sviluppa una religiosit magico-astrologica con tratti deterministici (come vedemmo a suo
tempo nel De radiis attribuito da al-Kind). Questa interpretazione astrologica della Provvidenza non che uno
dei segnali del diverso sguardo con il quale l'Islam si rivolge alla filosofia greca, una diversit che frutto di una
lunga evoluzione determinata dalla pregiudiziale religiosa alla quale essa deve rispondere. Anche Aristotele
viene piegato, analogamente a quanto fece Philopono, per "dimostrare" la finitezza dell'universo, argomento
imprescindibile per i tre monoteismi.
Argomentazioni convergenti si trovano in G. Endress, The Circle of al-Kind. Early Arabic
Translations from Greek and the Rise of Islamic Philosophy, The Ancient Tradition, etc., cit. Endress ritiene che
per mettere a fuoco la trasmissione del pensiero greco all'Islam, sia necessaria in primo luogo l'analisi filologica.
La sua indagine parte dal Bayt al-Hikma e dalla presenza di disparati apporti culturali al tempo dei Barmekidi:
iranici, nestoriani, monofisiti, sabei. Nell'ambiente di al-Kind le figure ricordate sono tuttavia di estrazione
greco-bizantina mediorientale, e la cultura che fu trasmessa all'Islam fu una cultura platonico-aristotelica, nella
quale tuttavia gli scritti di Platone erano stati eliminati per l'ostilit cristiana alla teologia platonica sviluppata
dalla Scuola di Atene; nella trasmissione erano inclusi commentatori aristotelici e neoplatonici, nonch scritti
neoplatonici attribuiti ad Aristotele. Aristotele, Platone e i Neoplatonici, erano intesi come concordanti su una
medesima verit, uno sforzo di armonizzazione durato secoli. Aristotele era considerato il "filosofo" in assoluto,
Platone era visto nella logica "del sapere popolare e dello Gnosticismo volgare" (p. 52). Il giudizio sprezzante,
ripetuto a p. 62 con l'attributo di "subcultura" lo lascio a Endress; di certo Platone era gi considerato un
alchimista e un mago, e questo lo dovremo ricordare a proposito della messa a punto di Tamer (infra) che mette
in luce il serio malinteso di Strauss sul "platonismo" di Avicenna. Nota e usata anche l'argomentazione di
Philopono sulla creazione dell'universo, che verr confutata da al-Frb, ma vedremo in quale logica.
Endress sottolinea poi che nell'ambito di questa trasmissione della cultura greca dal siriaco e dal
persiano, furono coniati i corrispondenti arabi dei termini "tecnici" greci. Venendo quindi ad al-Kind, ne
sottolinea il condizionamento da parte di questa cultura, messo in evidenza dal suo "platonismo" gnostico-
ermetico, conseguenza del lungo oscuramento in ambiente cristiano. Endress prosegue sottolineando come la
trasformazione di Aristotele in sostenitore dell'immortalit dell'anima, fosse il risultato di un'operazione di
esegesi iniziata da Themistio e proseguita con Philopono. Dalla concezione esposta da al-Kind circa la
reminiscenza dell'anima (del mondo intellettuale) deriverebbe il platonismo gnostico della teosofia shita.
Tralasciando questo argomento e quanto ad esso collegato, che non riguarda le presenti note, giungo
alle conclusioni di Endress. Al-Kind per primo oper una sintesi di fonti eterogenee, dando origine a una
filosofia islamica che per fu tracciata per la prima volta con sicurezza dal al-Frb, e portata a sviluppo da
Avicenna. Per "islamica" Endress intende: rispettosa del dettato religioso, cosa che certamente volle essere, ma
che, secondo i teologi dogmatici, non fu.
Gli stessi argomenti sono sviluppati da Endress in Al-Kind ber die Wiedererinnerung der Seele.
Arabischer Platonismus und die Legitimation der Wissenschaften im Islam, Oriens, 34, 1994, che precedente e
include la traduzione del testo arabo. Segnalo comunque l'insistenza sulle armonizzazioni platonico-aristoteliche,
la trasformazione gnostico-ermetica del platonismo, la neoplatonizzazione di Aristotele, quali caratteristiche che
ebbe l'evoluzione del pensiero greco in ambiente cristiano mediorientale. In particolare appare interessante, sotto
il profilo della nuova religiosit, l'armonizzazione della cosmologia del Timeo con il Motore immobile di
Aristotele e con il Dio Creatore della Rivelazione, nei testi classici della tradizione islamica.
S. Khalil Samir, S.J., La fin de l'cole d'Alexandrie dans la littrature syro-arabe, in Autori classici in
lingue del vicino e medio oriente, etc., Roma, Ist. Poligrafico dello Stato, 2001 (il testo per del 1987)
ripercorre le vicende di questa Scuola, fondamentale per la trasformazione del pensiero classico; e gli sviluppi
che essa ebbe in particolare dopo la chiusura della Scuola di Atene in rapporto alla definitiva affermazione di
una lettura cristiana della filosofia greca, con tutte le conseguenti trasformazioni.
Un'attenzione a parte meritano alcune considerazioni dell'articolo di M. Walzer, The Rise of Islamic
Philosophy, Oriens, 3, 1950, bench rispettabilmente datato. Walzer dice una cosa semplice ma rigorosa:
improprio parlare di "filosofia islamica"; la filosofia in senso proprio soltanto greca. L'Islam, dice Walzer, ha
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una Rivelazione e perci una fede. Inoltre, aggiunge, l'operazione di armonizzare Razionalismo classico e
Rivelazione avvenne nel Giudaismo ellenistico (si ricordino Aristobulo e Filone). L'operazione si continu con il
Cristianesimo, del quale Walzer sottolinea l'universalismo (che lo accomuna all'Islam). Dopo aver segnalato
quegli sviluppi sui quali ci stiamo intrattenendo da qualche pagina, e aver segnalato l'importanza del coincidere
dell'opera di al-Frb con il declino del Califfato Abbside (si ricordino le ipotesi di un suo cripto-ismailismo e
comunque di una sua preoccupazione politica nel ridisegnare la figura dell'Imm) Walzer afferma che
comunque, nonostante la prudenza per le difficolt, al-Frb non si espresse mai in modo enigmatico. Una
sconfessione, dunque, della tesi di Strauss. Secondo Walzer, al-Frb assegna alla Sharah il ruolo delle Leggi
di Platone. Dunque, in politica egli sarebbe stato un platonico ma non nel senso di Strauss, che vede viceversa il
platonismo occupare il posto della Sharah e al-Frb mascherare per prudenza le proprie idee. Su questo
argomento dovremo tornare, a partire dalle osservazioni di Tamer; resta il fatto che, secondo Walzer, c' un
cambiamento culturale tra al-Kind e al-Frb.
F. Klein-Franke, Zur berlieferung der platonischen Schriften im Islam, Israel Oriental Studies, 3,
1973, fa delle osservazioni che mi sembrano centrali per gli argomenti di questa discussione. Prendendo l'avvio
dal rifugio dei Neoplatonici di Atene in Persia, riferisce quel che racconta Ibn Khaldn in piena consonanza con
quella che fu l'ideologia abbside propagandata da al-Mamn: i Cristiani non seppero accogliere l'eredit greca,
che pass al mondo islamico. Klein-Franke prosegue ricordando contro tale ideologia quel che s' gi detto
sull'evoluzione della filosofia greca in ambiente cristiano, sottolineando l'estraniamento dalla cultura greca e la
presenza di Platone sotto forma di pseudepigrafi. Che cosa dunque conoscevano gli Arabi di realmente
platonico? L'elenco degli scritti platonici lasciatoci dagli Arabi, tra i quali al-Frb, coincide con quello ritenuto
tale dagli alessandrini; l'ordine degli scritti platonici in al-Frb concorda con quello di Trasyllo, con i relativi
sottotitoli.
Klein-Franke prosegue esaminando quali scritti platonici e in quale versione (compendi, perifrasi)
siano giunti agli Arabi, e, dopo aver espresso alcuni dubbi di ordine generale sul clima culturale, afferma
esplicitamente: "Non si pu ipotizzare che al-Frb abbia mai avuto tra le mani la traduzione di un dialogo
platonico" (p. 133). Molto materiale platonico giunse sotto forma di raccolte di detti, originati da florilegi
ellenistici e bizantini, e sono uno specchio di ci che, per gli eruditi bizantini, costituiva l'antichit. Ora,
mettendo a confronto il concetto di Regno dei filosofi come recepito dagli Arabi, con la corrispondente, pi
ironica affermazione di Rep., 473c-d, Klein-Franke fa notare la prospettiva completamente diversa,
aproblematica, con la quale gli Arabi affrontavano il pensiero greco. Lo stesso vale per altri confronti che
seguono, uno dei quali pu richiamare alla mente magari Agostino, non certo Platone. Alcuni di questi concetti
poi, non hanno nulla a che vedere con Platone.
Conclude Klein-Franke (p. 139) che ci che gli Arabi conoscevano o credevano di conoscere della
filosofia platonica, mostra che essa era molto meno conosciuta di quella di Aristotele. Mentre le traduzioni di
quest'ultimo si confrontano col testo greco, non ci giunta alcuna opera completa per quanto riguarda le
traduzioni arabe di Platone. Aristotele ebbe dunque ben altra importanza per gli sviluppi del pensiero islamico;
tuttavia il Politico, il Timeo e le Leggi hanno avuto, insieme alle raccolte dei detti platonici, un ruolo
determinante nello sviluppo dell'etica.
Venendo all'armonizzazione di Platone con Aristotele, che, come sappiamo, fu perseguita dal al-
Frb (anche se la paternit del testo non condivisa da tutti) F.M. Najjar, Al-Frb's Harmonization of Plato
and Aristotle's Philosophies, The Muslim World, 94, 1, 2004, nota che al-Frb aveva in mente qualcosa che
andava oltre a un'armonizzazione fine a se stessa; il suo lavoro si inserisce in una lunga tradizione ellenistica
(infatti Walzer ritiene che esso sia un prodotto ellenistico anche perch le stesse posizioni si trovano in al-Kind).
Autori come Endress e Klibansky riconoscono anche essi la linea che risale a Porfirio, Simplicio e Ammonio;
tuttavia chiaro, secondo Najjar, che al-Frb ne fece uso per propri scopi. Perch, allora, era cos importante
l'armonizzazione?
Secondo Najjar, il fatto che le due filosofie debbano necessariamente armonizzarsi, costituisce il tratto
tipicamente religioso di al-Frb: se Platone e Aristotele rappresentano il fondamento stesso della filosofia, e c'
un accordo di filosofia e religione, Platone e Aristotele debbono necessariamente armonizzarsi: per un fedele
Musulmano la verit una. Najjar segnala al riguardo il fondamentale disaccordo etico-politico tra i due filosofi,
con riferimento all'Etica Nicomachea e all'Idea platonica di Bene. Su questo punto significativo allora notare lo
sforzo armonizzativo di al-Frb: sebbene Aristotele critichi l'Idea platonica, deve tuttavia ammettere che le
particolari accezioni di ci che Bene nelle varie attivit, non possano costituirsi se non in presenza della
possibilit del "Bene" come realt assoluta.
Usualmente, per quanto riguarda il problema della conoscenza come reminiscenza (Platone) o
esperienza (Aristotele), al-Frb, che concorda con Aristotele, tenta "ingegnosamente e disperatamente" di
stabilire l'armonia in una soluzione che riecheggia quella che si adombra nell'Isagog, pensando l'ipotesi di
universali che siano ante rem, in re e post rem: che poi la concezione del triangolo Dio/uomo/Natura destinato
a dar frutti sin nel Romanticismo. A monte, c' il ruolo della Teologia di Aristotele.
Al-Frb ne fece tesoro, ed da considerarsi il massimo neoplatonista islamico: tale egli
nell'ontologia che sottende al-Madnah al-Fdilah e al-Siysah al Madaniyya, cio i suoi trattati "politici".
Tuttavia la ragione del suo sforzo armonizzativo fu di altra natura: nella disputa coi teologi, egli, che voleva
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mostrare la superiorit della dimostrazione filosofica con i suoi argomenti razionali, doveva indicare l'accordo
tra i massimi filosofi come condizione per la loro compatibilit con la verit unica della religione, stabilendo
grazie a ci la concordanza di filosofia e fede islamica.
M. Fakhri, Al-Farabi and the Reconciliation of Plato and Aristotle, raccolto in Philosophy, Dogma
and the Impact of Greek Thought in Islam, Aldershot-Brookfield, Ashgate, 1994, dopo aver riassunto i percorsi
del Neoplatonismo pi volte esposti sopra, e aver definito il testo di al-Frb sulle opinioni degli abitanti della
citt virtuosa come il pi comprensivo sistema neoplatonico prima di Avicenna, sottolinea l'importanza di
Porfirio per al-Frb, e il fatto che i suoi riferimenti a Platone e Aristotele nella Concordanza siano vicini a
quelli di Simplicio, Siriano e Philopono. Nota infine che per quanto riguarda il problema dell'eternit del mondo
(per il quale cfr. anche Al-Frb against Philoponus, cit.) al-Frb stabilisce la sua (forzata) concordanza a
partire da argomentazioni neoplatoniche (come, del resto, evidente nel testo).
Tanto evidente che Lameer, Al-Frb and the Aristotelian Syllogistic. Greek Theory and Islamic
Tradition, Leiden-N. York-Kln, E.J. Brill, 1994, p. 30 e p. 37, giudica il testo come un apocrifo, per motivi
stilistici e di divergenza da altri testi di al-Frb: senza tuttavia negare il neoplatonismo di quest'ultimo, fin
troppo esplicito negli altri suoi testi nei quali affrontata la dottrina dell'Intelletto Agente. Tuttavia, e questo ci
interessa, Lameer afferma (p. 39) di non condividere n l'approccio di Strauss al pensiero di al-Frb, n il suo
approccio alla filosofia islamica in generale, e in ci rinvia a Leaman (cfr. infra). A Leaman rinvia anche M.
Campanini (La citt virtuosa, cit.) il quale respinge sia l'interpretazione di Strauss -quella di un preteso
esoterismo di al-Frb- sia quella di Walzer, che, anch'egli, "laicizza" un pensiero che pu essere inteso soltanto
in chiave di religiosit islamica. Su questo punto la sua posizione, che tende se non ad avvalorare, quanto meno a
non escludere la lettura di al-Frb come tentativo filosofico di fondazione dell'Imm shita-ismailita, diverge
da quella di Lameer, il quale, nonostante il disaccordo con Strauss, vede egualmente in al-Frb, se non proprio
un platonico, un filosofo che pone la filosofia al di sopra della religione, in un rapporto analogo a quello tra
epistme e dxa. Al riguardo Lameer sottolinea l'insistenza di al-Frb sul primato del metodo apodittico e sugli
stretti rapporti con l'Aristotele degli Analitici secondi, sul cui fondamento egli avrebbe introdotto le concezioni
del Politico e della Repubblica. La religione rappresenterebbe un modo retorico di persuadere il volgo delle
verit della filosofia (cfr. le sue conclusioni a p. 283).
Se si considera il ruolo nel quale verrebbe declassato il legislatore/Profeta, Maometto, ci appare
decisamente non islamico, perch andrebbe ben oltre le posizioni di un Averro, per il quale il dettato religioso
ha sempre la precedenza l dove la Ragione si mostra insufficiente ad interpretarlo. Soprattutto, a me sembra
contraddire quanto al-Frb afferma nei Capp. 27-28 di La citt virtuosa circa il rapporto del Profeta/legislatore
con la scienza divina, tramite l'Intelletto Agente.
Venendo infine alle citate considerazioni di O. Leaman, Does the Interpretation of Islamic Philosophy
rest on a Mistake?, IJMES, 12, 1980, l'articolo esordisce in polemica con Strauss sottolineando la poca
consistenza dell'ipotizzato conflitto tra religione e filosofia nella filosofia islamica, e contestando l'ipotesi
straussiana che i filosofi islamici, per questa ragione, si fossero espressi in modo criptico. Il contrasto presunto
sembra piuttosto un pregiudizio che una realt; ci che i filosofi islamici appresero dalla filosofia greca,
principalmente da Aristotele che fu riguardato come il massimo tra i filosofi, fu un nuovo modo logico di
pensare, esporre, dimostrare: non le dottrine dell'eternit del mondo o l'impossibilit della Resurrezione dei
corpi. Su questi argomenti Aristotele appariva problematico perch formalmente corretto ma nella sostanza
avverso a ci che veniva dall'insegnamento religioso. I filosofi tentarono perci una conciliazione, ma il
problema non era, per loro, cos importante. Non quindi corretto pensare che al-Frb avesse qualcosa da
nascondere del proprio pensiero, perch contrario all'Islam.
Strauss, dice Leaman, sostiene che per al-Frb la religione rappresenta una forma di conoscenza
inferiore alla filosofia; in realt per al-Frb l'argomento diverso, che la religione non pu andare contro la
filosofia perch una diversa forma di conoscenza; non il caso, per al-Frb, che in ci si oppone a Philopono,
di usare la religione contro la filosofia, perch i due campi non sono congruenti, la religione stabilisce la propria
verit in modo non filosofico. Diverso il caso di Maimonide, dice Leaman, secondo il quale Strauss estrapol
per al-Frb ci che valido soltanto per Maimonide; per costui valeva (ma la cosa non cos certa come
pretende Strauss) un divieto ebraico allo studio della filosofia, ci che non valeva per al-Frb. Di Maimonide
parleremo per in seguito.
Mi resta da fare ancora una segnalazione prima di chiudere questa lunga parentesi, tuttavia
indispensabile per fare il punto sulla cultura filosofica che giunge ad al-Frb. G. Verbecke, nella sua
Introduction sur la doctrine philosophique d'Avicenne, che apre Avicenna latinus, Liber de anima seu sextus de
naturalibus, Louvain-Leiden, Ed. Orientalia-E.J. Brill, 1968, alle pp. 59 sgg., traccia una "storia" delle
vicissitudini dell'Intelletto Agente dal De anima di Aristotele attraverso Teofrasto, Alessandro di Afrodisia,
Themistio, Philopono, al-Kind, al-Frb, sino ad Avicenna, facendo di questo problema, che il problema della
conoscenza che si trasforma in problema della conoscenza profetica, la linea-guida evolutiva della
"neoplatonizzazione" di Aristotele, dall'Ellenismo all'Islam, tema cui avevo accennato nel capitolo precedente.
In questa vicenda val la pena di ricordare il ruolo di Themistio, autore noto agli Arabi, nella
rielaborazione del punto cruciale del De Anima ( 430a, 14-25, in Heinze pp. 98-109) oggetto di attenta analisi
da parte di Averro nel suo Commentarium Magnum. Le aporie del testo aristotelico vengono infatti superate con
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uno spostamento di prospettiva: l'Intelletto Agente entra in contatto con l'uomo parcellizzandosi nei singoli
intelletti agenti personali (un po' come lo Spirito Santo dei Catari) aprendo la via ad una possibile conoscenza
profetica. Tutto lo schema aristotelico si "neoplatonizza" grazie alla concordanza stabilita con il Platone del
Timeo, mentre Aristotele e Teofrasto sono compresi in una prospettiva ormai "altra" e lo schema della
conoscenza si riconduce inevitabilmente a quello aperto dalla Isagog, dovendo gli intelligibili/universali essere
contemporaneamente ante rem, in re e post rem.
Ci posto, possiamo tornare a Tamer, il quale inizia ad esaminare la genesi del pensiero di Strauss,
che parte notoriamente dal rapporto con Spinoza, il cui pensiero egli mise in rapporto con Averro (pp. 43-44 e
n. 17) per quanto concerne la critica della religione vista come strumento per guidare il popolo: una necessit per
lo Stato, che fa della religione uno strumento politico e conferisce alla politica un sottofondo teologico; religione
e politica hanno la stessa finalit. Poich per resta il problema che ho gi ricordato nel precedente capitolo (se
la religione giustifichi la filosofia o viceversa), Tamer annota: "Averro non avrebbe in alcun modo abolito
l'autorit del Corano. Al contrario, essa deve restare ben salda nell'interesse della filosofia" (p. 52). Dunque
Spinoza, nella sua critica alla Rivelazione, si allontana non soltanto da Maimonide, ma anche da Averro (p. 53)
in quanto egli vede la Rivelazione in accordo con la voce di Dio inscritta nel cuore degli uomini (p. 56) dunque
la considera pienamente razionale. Come s' visto nel precedente capitolo, la posizione di Averro nel Fasl al-
Maql diversa, e non di poco.
"Scoperta e cambiamento" s'intitola il successivo capitolo di Tamer, un capitolo molto significativo.
Strauss risal dalla sua lettura di Spinoza come "averroista" a quella di al-Frb, con la convinzione di leggervi
un'interpretazione della religione come strumento per comunicare determinate "verit" alle masse; di qui la
comprensione della religione come Sharah e del rapporto filosofia/religione come rapporto filosofia/Legge. La
sua scoperta al riguardo, fu il maturare in lui del "sospetto" (p. 59) che il Razionalismo moderno conducesse alla
distruzione della religione.
Dal ruolo di Maometto come Profeta ma anche uomo di Stato, all'analogo ruolo attribuito a Mos,
matur lo studio della profetologia di Maimonide e da qui la risalita ad Avicenna. Capitale per Strauss fu
l'importanza di un testo di Avicenna che faceva riferimento a due testi di Platone sulle "leggi" (nawms, plur. di
nms, dice Avicenna): di qui il suo collegamento tra la Rivelazione e la filosofia politica in un percorso che
risale a Platone (pp. 60-61). Ma Strauss, si domanda Tamer, ha veramente capito il testo di Avicenna? (p. 62).
Qui inizia l'analisi che porta a ben diversi risultati.
Innanzitutto, dice Tamer, il manoscritto usato da Strauss ascrive un libro sulle leggi a ciascuno dei due
filosofi, Platone e Aristotele (pp. 64-65) ci che porta Strauss ad affermare che Avicenna abbia preso a
fondamento le Leggi di Platone; c' per un problema, Aristotele non ha mai scritto un libro sulle "Leggi", titolo
che non si rinviene neppure nelle traduzioni pseudoaristoteliche arabe. Tutto ci dovrebbe gi mettere in
sospetto; c' poi un altro manoscritto dello stesso testo di Avicenna che parla di due libri delle "Leggi" senza
citare alcun autore. "Nms" ha tuttavia un duplice significato, filosofico e volgare; la concezione filosofica di
nms, in Avicenna, corrisponde alla Rivelazione, ma il significato volgare ben altro, "astuzia", "inganno"
(cfr. Steingass, che accanto alle accezioni che fanno riferimento a Gabriele, dunque alla Rivelazione, segnala
anche "hidden fraud" e "concealed deceit", frode o inganno subdolo, nascosto; in Tamer vedi p. 66, n. 24).
Il testo di Avicenna non consente di decidere al riguardo; Tamer identifica tre testi islamici dal titolo
Nawms Afltn, uno dei quali, un testo di magia relativo agli inganni dei ciarlatani, corrisponde al significato
citato anche da Avicenna per nms.
Qui ricordo ancora non soltanto il Platone "mago" della tradizione islamica, ma anche i testi alchemici
pseudoplatonici arabi citati supra (cfr. Waley-Singer a p. 425, n. 49). Nel caso specifico si tratta, secondo Tamer
(pp. 67-68) di testi magici pseudoplatonici, che vengono prodotti in traduzione alle pp. 290-298, la cui influenza
sulla dottrina della Profezia di Avicenna (o, quantomeno, concordanza) appare evidente. Essa si riallaccia a
quelle dottrine neoplatoniche maturate nel mondo mediorientale, delle quali s' gi detto. I testi sono
chiaramente islamici, e tipicamente islamica (presente nel Corano, e, per esempio, ben descritta da Ibn Khaldn)
la distinzione tra la Profezia e le varie forme della mantica. Tamer fa anche dei confronti terminologici con i
testi sf, con Sijistn e con gli Ikhwn as-Saf (p. 73, nel testo e in nota).
Importante anche la distinzione, tipicamente islamica, che si trova in al-Frb, tra nab e rasl,
entrambi "Profeti", ma soltanto il secondo anche legislatore (legislatori furono, per al-Frb, Adamo, No,
Abramo, Mos, Ges, Maometto: un successione che abbiamo visto a suo tempo nei sistemi shiti e ismailiti).
Siamo, insomma, all'interno di una cultura che non ha nulla a che vedere con Platone.
Ora, per quanto concerne Avicenna, Tamer nota, come mi sembra ovvio, che la sua dottrina della
Profezia strettamente legata al De anima di Aristotele, recepito attraverso i successivi commentari (vengono
citati Alessandro di Afrodisia e Themistio) e che essa rappresenta uno sviluppo della profetologia di al-Frb. Il
fondamento della sua dottrina "nella rappresentazione organica del cosmo stoico-neoplatonico" e il legame
dell'anima umana con il Tutto consente la possibilit di miracoli (p. 80). Notevole anche la sua dottrina che la
volont dell'uomo sia soggetta a molteplici influssi terreni e celesti, forze ad essa sovrastanti, onde pratiche come
la preghiera e l'elemosina la liberano dal cattivo comportamento e vi radicano la Legge religiosa. Lo scopo di
questa dunque espressamente spirituale (p. 81). Aggiungo io, si mostra ancora una volta l'importanza di queste
dottrine per quella che sar la "magia dotta" rinascimentale, in particolar modo di Ficino.
950
La conclusioni di Tamer (pp. 81-86) sono chiare. Innanzitutto egli delinea come nel Riassunto delle
Leggi di Platone esposto da al-Frb, non vi sia nulla di simile a quanto emerge da Avicenna. L'incontro di
Strauss con quest'ultimo indusse Strauss ripensare la filosofia medievale giudaica ed islamica sotto l'aspetto di
una Legge rivelata che facesse da pendant al nmos greco, e a vedere la religione nel quadro di una "filosofia
politica platonizzante". Perci, aggiunge Tamer, Strauss vede il rapporto filosofia/religione nell'ottica dello
scontro tra Platone e i poeti (p. 82). In realt, il "Platone" degli Arabi -mago, alchimista, astrologo- era un
Platone visto con gli occhi non soltanto di Plotino, ma di Proclo, Giamblico, Ammonio, Olimpiodoro e
Philopono (p. 83). I massimi filosofi greci sono visti piuttosto in una logica profetica (ivi); e qui vorrei ricordare
che essi sono presenti in massa nei testi alchemici, famoso il Turba philosophorum.
Tuttavia, l'osservazione pi importante di Tamer, che coincide con quanto s' detto pi volte, che il
recepimento islamico della filosofia greca non ebbe il risultato (e neppure lo scopo) di grecizzare l'Islam, ma di
islamizzzare la filosofia greca, perch i grandi filosofi dell'antichit, in particolare Platone, diventarono "Profeti"
(p. 84). Si nota una coincidenza con l'opinione di Brague, Il futuro dell'occidente, cit. p. 102, secondo il quale il
rapporto degli Arabi con la cultura greca fu quello di una materiale "appropriazione" di contenuti di verit
all'interno della propria cultura e della propria lingua, che, come tale, conformava a se stessa quei contenuti in
un'ottica ad essi estranea. Perci al-Frb non assunse lo Stato platonico, ma port dei cambiamenti nell'opera e
nella figura del governante, cosicch lecito parlare del lavoro di un Musulmano influenzato dalla filosofia
platonica, che cerc di far coincidere le esigenze della sua appartenenza religiosa e quelle della sua costruzione
filosofica. Averro, dal canto suo, introdusse cambiamenti formali alle strutture platoniche, sicch il lettore del
suo Commentario non sa pi che Platone ha costruito il libro in forma di dialogo. Egli cre un legame tra il
pensiero platonico e la situazione politica del proprio tempo, per far s che il proprio Commentario
rappresentasse un buon fondamento per la critica politica riferita al suo presente (p. 85). Quanto ad Avicenna,
Strauss non lo ha affatto inteso come lui si intendeva. Il "Platone" cui si riferiva conteneva opinioni che non
coincidono con l'interpretazione straussiana di Platone. Inoltre Avicenna non limitava il significato della Profezia
all'interpretazione politica della Legge, come Strauss riteneva della concezione del Profetismo da parte di
Spinoza (p. 86).
Strauss infine riteneva che i veri platonici non si interessassero delle contingenti verit storiche, ma di
verit eterne, e in ci gett tra Avicenna e Platone un ponte che non c' (ivi). Questa la prima conclusione di
Tamer, che, come si vede, a partire dall'analisi filologica dei testi, ma anche da molte considerazioni pi generali
che ho pi volte segnalato circa la filosofia islamica, revoca in dubbio l'artificioso percorso escogitato da Strauss
attraverso la filosofia di diverse epoche e di diverse culture.
"Conseguenze del cambiamento" il titolo del capitolo successivo. La lettura di Avicenna port
Strauss a considerare la religione come Legge da interpretare in rapporto alla filosofia politica di Platone; di
conseguenza egli si schier contro la corrente dominante degli studi che considerava aristotelica la filosofia
medievale islamica, sostenendone il carattere essenzialmente platonico/politico; in funzione del pensiero
platonico vide la possibilit di stabilire un conflitto tra il pensiero religioso e l'Illuminismo. Qui Tamer inserisce
il rapporto di Strauss con il pensiero di Schmitt in funzione antiliberale, e la critica radicale di Strauss al
Liberalismo nel suo fondamento stesso, la dottrina di Hobbes. Matura qui quel sentiero a ritroso, attraverso il
Medioevo sino all'antichit, che Strauss intese come strumento per la critica della modernit.
Strauss combatt perci il concetto che il momento politico del pensiero fosse connesso alla cultura
(riferisce al noto rifiuto di Strauss della storicizzazione del pensiero); la filosofia politica, come la religione,
sarebbero i fatti originari che trascendono il momento culturale. Il ruolo fondamentale del momento politico fu
maturato in rapporto al pensiero di Schmitt, ma in Strauss, in rapporto ad Avicenna, prese l'aspetto di un
fondamento divino orientato alla pratica. La sua visione teologico-politica si orient in senso opposto a quello di
Spinoza e Hobbes; questi avevano di mira la separazione di politica e religione volta a garantire la libert della
filosofia; Strauss la loro radicale unit, e, su questa motivazione, il fondamento della filosofia.
Strauss inizi su questo fondamento la doppia critica contro la modernit e contro l'ortodossia
religiosa, contro quell'ateismo di ascendenza epicurea che leggeva in Spinoza e nell'Illuminismo, che non sono in
grado di venire a capo del problema religioso; e in difesa del Razionalismo classico, meglio in grado di
comprenderlo. Egli individu cos un proprio modello nel Razionalismo di Maimonide, e questo passo fu
fondamentale perch lo port al confronto con la filosofia islamica. Strauss trov quindi il proprio modello di
critica al Razionalismo scientifico e all'ortodossia religiosa nella sua lettura della filosofia islamica.
Di questa lettura s' gi detto, e anche dei travisamenti; lasciamo perci ora per un attimo la lettura di
Tamer, per esaminare il percorso suggerito (in base alla successione temporale degli studi di Strauss) sugli scritti
di Strauss stesso contenuti come Philosophie und Gesetz in G.S., Bd. 2, che contiene sia gli scritti giovanili di
Strauss, sia quelli su Maimonide; nonch sulle sue note a C. Schmitt in G.S., Bd. 3.
Iniziamo di qui. La tesi di Schmitt che il momento politico sia fondamentale in quanto precedente lo
stesso Stato; il Liberalismo fu un tentativo durato tre secoli di depoliticizzare lo Stato, e "ora" giunto al
termine. "Ora" la vigilia del Nazismo, cui Schmitt non si oppose. Lo Stato, ovvero il tentativo di una
convivenza razionale, non pu essere fondato negando l'autonomia del momento politico; e neppure pu esserne
compreso lo stesso concetto. Il naufragio del Liberalismo dunque nel suo stesso punto di partenza: proponendo

951
una politica antipolitica, non ha abolito il momento politico -ci impossibile- ma ne ha impedito la
comprensione.
Per Carl Schmitt il fondamento di esso nel rapporto amico/nemico, che corrisponde in etica a
Bene/Male, in estetica a Bello/Brutto, in economia a utile/dannoso. Il suo problema per, nota Strauss, non
dare al momento politico un'autonomia pari a quella che il Liberalismo ha conferito a estetica, scienza,
economia, etc; il suo problema sostituire il concetto di cultura attuale con altro concetto. La cultura non pu
che essere cultura della natura umana, e poich l'uomo un animale sociale, essa deve riguardare la naturale
convivenza. Strauss nota l'opposizione con Hobbes, per il quale la cultura riguarda uno stato civile contrapposto
allo stato naturale, mentre per Schmitt lo stato naturale l'autentico stato politico. Su questo punto vorrei
sottolineare soltanto una cosa: la politicizzazione dell'esistenza umana ha costituito la premessa e l'obbiettivo di
tutte le dittature.
Strauss delinea poi con chiarezza i termini della totale opposizione della concezione di Hobbes a
quella di Schmitt, e li riassume nell'individuazione delle radici del Liberalismo precisamente nella negazione -e
nel superamento- dello stato di natura. Riprendendo le tesi di Schmitt, egli nota che il fondamento dello stato di
natura non , per lui, l'individuo, ma le comunit, nelle vicende dei cui rapporti reciproci pu compendiarsi
l'intera storia dell'umanit. Considero interessante notare che Strauss non si ribella a questa concezione, nella
quale implicita una pregiudiziale ideologica che adombra una metafisica della razza attraverso la negazione
dell'individuo; ma Strauss, occorre dirlo, per motivi di tutt'altra natura comunque orientato in senso
antiliberale, e non pu non cercare punti d'interesse in chiunque, a qualunque titolo, muova una critica al
Liberalismo. Come ha notato Tamer, egli apprezza dunque in Schmitt il ruolo fondamentale del momento
politico, che costituisce il punto di partenza per ogni possibile critica al Liberalismo.
Il momento politico fonda la lotta tra le comunit alla quale non ci si pu sottrarre: anche il pacifista
deve fare comunque la guerra, quella contro i nemici del pacifismo, una realt dell'esistenza. In Schmitt c'
un'etica della guerra e perci egli critica la "malvagit" naturale dell'uomo di Hobbes come un pregiudizio:
questa "malvagit" deve essere considerata incolpevole, perch in questo stato naturale non esiste un concetto di
"colpa", e l'uomo altrettanto colpevole quanto gli animali.
In sostanza, nota Strauss, le premesse di Schmitt non sono poi tanto diverse da quelle di Hobbes: la
differenza in una sua simpatia per la forza animale; Schmitt contro il pacifismo perch nell'affermazione del
momento politico, la cui essenza minacciosa, vede l'affermazione del momento etico, dell'autenticit della vita
umana. L'affermazione del momento politico affermazione di uno stato di natura che stato di lotta. Ma, nota
Strauss, se l'affermazione del momento politico affermazione della lotta indipendentemente da ci per cui si
combatte, allora l'affermazione del momento politico diviene neutrale rispetto a qualsiasi raggruppamento
amici/nemici, Schmitt si consegna al privato e diviene altrettanto tollerante come un liberale, con una differenza:
mentre il liberale rispetta tutte le sincere convinzioni che siano legali e pacifiche, Schmitt rispetta tutte le sincere
convinzioni che conducono alla lotta: il suo un Liberalismo di segno opposto. La battaglia contro il
Liberalismo preparatoria a sgombrare il campo per la battaglia decisiva tra la tecnica e la spiritualit.
Conclude Strauss: la critica di Schmitt al Liberalismo si compie nell'orizzonte del Liberalismo, le sue
tendenze illiberali provengono da un pensiero liberale non ancora superato; la costruzione di Hobbes viene
portata alle sue conseguenze; la ragione dell'interesse per la lezione di Schmitt mostrare cosa ci sia da capire in
essa.
Dunque questo interessante: Strauss, che ha visto nel Nazismo il porto obbligato della Germania
liberale, usa Schmitt (1932) per rafforzare la contemporanea critica di Hobbes (1931-1935; quella di Spinoza
del 1930). A questa conclusione di Tamer vorrei aggiungere un'altra considerazione, ancorch del tutto ovvia,
ma che bene ribadire. Il mettere in parallelo, nella critica, la dottrina di Schmitt con quella liberale, mostra bene
il punto di fondo della richiesta di Strauss: una dottrina della societ che si fondi sul giudizio relativo al Bene e al
Male, non sulla meccanica dei rapporti; un giudizio che sia a monte e che distingua il lecito dall'illecito in quella
meccanica. Al di l della vaga genericit che pu assumere una tale richiesta di principio, essa resta comunque
un'esigenza insoddisfatta nel relativismo etico della societ occidentale contemporanea.
Del 1932, nota Tamer, l'incontro di Strauss a Parigi con Massignon, che lo fa riflettere sul pensiero
islamico dopo la sua lettura di Avicenna (1929-1930). Massignon descritto con grande entusiasmo in una
lettera di Strauss a Krger del 17 Novembre di quell'anno (G.S., Bd. 3, p. 408). Il grande studio su Maimonide in
G.S., Bd. 2, risale al 1935. Sulla base della successione temporale appare quindi logica la ricostruzione di Tamer:
Strauss individua in pretesi percorsi del Razionalismo classico il fondamento per la lotta contro il Moderno, ma
anche la presa di distanza dall'ortodossia religiosa. C' da aggiungere soltanto che il malinteso individuato da
Tamer nel fraintendimento del "Platone" di Avicenna, sembra, mio avviso, pi il risultato che non la causa
dell'atteggiamento di Strauss. Quel "malinteso" pu consentire infatti di soddisfare un'esigenza, quella di creare
un percorso necessario alla soluzione dei particolari problemi del giovane Strauss, segnalati da Mc Allister ed
evidenti negli scritti giovanili sul pericolo dell'assimilazionismo. Criticare l'universalismo della cultura
dell'Occidente secolarizzato -pensabile soltanto in una logica liberale- e, al tempo stesso, dare un valore
universale, grazie alla Ragione del Razionalismo classico, quindi alla filosofia platonica, ad una Legge rivelata,
di per s non universale come Legge religiosa, tenuta perci a distanza in quanto "religiosa" ma recepita in

952
quanto "razionale", consente l'ossimoro di un particolarismo fondato sull'universalit della Ragione
razionalista.
La filosofia islamica viene quindi reinterpretata ben diversamente da come essa intese se stessa, per
creare il ponte tra Platone e Maimonide. Si veda al riguardo la lettera a Krger del 25-12-1935: "Ho
provvisoriamente accantonato Hobbes per fare innanzitutto una buona volta idee chiare sulla storia del
platonismo nel Medioevo islamico e giudaico. Del tutto sorprendentemente, Farabi l'iniziatore di questa
filosofia" (G.S., Bd. 3, p. 450). Il Giudaismo e l'Islam vengono cos assimilati in opposizione a un percorso
specificamente interno al Cristianesimo, che conduce all'Occidente secolarizzato: si veda, sull'argomento, la
corrispondenza con Krger in G.S., Bd. 3. Per inciso: questo il percorso occidentale criticato da Voegelin, che
lo identifica con l'eredit gnostica del Gioachimismo (cfr. infra); per ora, ricordo soltanto la stima di Strauss per
Voegelin e la sua dichiarata maggior simpatia per il Cattolicesimo (cfr. anche la lettera a Voegelin del 4-6-1951
in F&PPh, pp. 88-89). Ora mi sembra per giunto il momento di esaminare il ruolo di Maimonide nel pensiero
di Strauss.
Philosophie und Gesetz si apre con una lunga critica al Moderno, all'Illuminismo e al Relativismo che
non offre spunti nuovi rispetto a quanto gi detto, ma che offre l'occasione per qualche puntualizzazione.
Innanzitutto, l'attacco al moderno Razionalismo ad apertura di testo (p. 9) si pone su un piano che non pu essere
trascurato, perch denuncia in modo preciso il retroterra di Strauss.
Io credo di avere speso un intero testo per sottolineare gli inconvenienti del Razionalismo, "classico"
o "scientifico" che sia, e di averlo fatto su tutti i fronti, in primis sul piano della creativit, del pensiero mitico e
dell'arte, collocando la verit come costruzione nell'ambito della testimonianza, identificandola nel buio del non-
detto, ritenendo che essa possa essere soltanto mostrata, non dimostrata; perci, in determinate circostanze, ho
espresso il mio interesse per Eraclito, per Gorgia, per l'Ellenismo, per il pensiero mitico, per il Manierismo e
l'Antirinascimento, per il Barocco, per il Romanticismo. Ora, leggere in Strauss che il Razionalismo moderno
debba essere combattuto come moderna sofistica, potrei considerarlo una sciocchezza tout-court se non mi fosse
divenuto piuttosto chiaro nel frattempo il punto di vista politico di Strauss, il suo radicamento nell'ontologia
come ideologia del dominio, incombere di un "essere" metafisico che detta le regole univoche del linguaggio e
dell'oggetto filosofico, rinviando al parco-giochi dell'evasione quello poetico, quello che costruisce dalla propria
ambiguit fatta anche di silenzi, i segnavia del reale. Pretendere di adeguare la proposizione alla cosa allorch la
"cosa" scompare nelle nebbie metafisiche di un "essere" per sua natura immobile e rotondo, significa porsi
politicamente in un ruolo sacerdotale, persino al di fuori di quel poco o quel tanto di aporetica che occhieggia in
Socrate e che irrompe, dalla vita, in Aristotele, anche al di l del suo puntellamento razionale della fragile e
artificiosa costruzione platonica.
Nonostante la chiara denuncia della metafisica materialista che sorregge il mito illuminista, e del suo
rapporto con il Razionalismo moderno e la sua scienza "avalutativa" (Zweckfreie, p. 22) che non pu fondare se
stessa sulla Ragione perch non reca in s alcun rinvio al dovere (keinerlei Verweisung auf das "Sollen" in sich
birgt) Strauss non vede altra via d'uscita se non il ritorno al Razionalismo classico, e non scopre il collegamento
non tanto sottile tra questo e quello, in forza del quale il Razionalismo "scientifico" non che la prosecuzione di
quello "classico". Il punto cruciale, perch stata la logica dello Scientismo -con ben maggiore efficacia di
Platone e di Aristotele- a spedire nel limbo dell'opinione ci che non istituzionalmente passibile di
dimostrazione (scientifica) a cominciare dalla Religione. Perci Strauss non trova altra via se non condannare
tutto ci come "sofistica", e perci io ne ricavo l'impressione di una ricostruzione di percorsi forzati del pensiero
occidentale, giustificabili soltanto con la presenza a monte di una motivazione "altra". Motivazioni esistenziali
che tutti abbiamo, e che perci necessario dichiarare apertamente a inizio di partita, onde consentire a se stessi
e agli altri l'identificazione di un percorso di verit: uno dei tanti labirintici sentieri tracciati nella hle e che, nel
loro vagare esplorandola, la conformano come paesaggio.
La lunga premessa di Strauss sulla lotta tra Illuminismo e ortodossia, Illuminismo come nuova "fede"
nella Ragione (la Rivoluzione Francese non potr mai far dimenticare i suoi altari) una "fede" che propone
l'alternativa atea rispetto all'ortodossia, una premessa che serve ad introdurre l'argomento vero dell'opera: il
pensiero di Maimonde sul rapporto tra fede e Ragione. Nota Strauss per anche, e ci significativo: sotto molti
punti di vista, non forse l'Illuminismo moderno il nemico pi pericoloso per lo spirito del Giudaismo? (p. 27).
Senza esprimere valutazioni sulla consistenza dell'affermazione, una cosa sembra ora chiara: Strauss esprime
giustamente una propria valutazione di un particolare problema, ma non pu pensare di costruire cos una
filosofia politica, non perlomeno sulla base di quel Razionalismo platonico la cui pretesa la validit erga
omnes; pu farlo soltanto grazie all'escamotage che ho segnalato, di sostenere che il problema ebraico il
problema umano in assoluto. In realt, come ho ricordato a p. 703 segnalandone anche le conflittuali
conseguenze, la Ragione classica, con la sua pretesa universalit, poteva accasarsi soltanto con un Dio
universale, che tale poteva pretenderSi anche perch umano, storico, e privo di Legge scritta con un preciso
destinatario: e si accas, iniziando cos l'irrisolto conflitto con lo Spirito.
Altra ragione per occuparsi di Maimonide a proposito di filosofia politica questa, gi segnalata
sopra: Religione e politica sono per Strauss le realt originarie (die ursprnglichen (corsivo suo) Tatsachen:
G.S., Bd. 2, pp. 30-31 in n. 2) quindi una critica radicale di una cultura pu esprimersi soltanto in un trattato
religioso-politico.
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Seguono pagine di critica alla cultura moderna (sarebbe meglio dire: alla cultura del Moderno, della
modernit; la "cultura" moderna, salvo quella delle intellighentzie, sempre in arretrato a causa della cooptazione,
pi variegata) e la rivendicazione del pensiero giudaico medievale contro il pensiero moderno. Pensiero
giudaico medievale strettamente connesso a quello islamico, fu per -noto io- anche quello neoplatonico di
Avicebron, che giunse anche a stuzzicare le idee eterodosse di Giordano Bruno (dopo David di Dinant) ma che
Strauss non mette in conto. Come non mette in conto tutto il neoplatonismo teosofico della Qabbalah, che
disloca nella categoria fumosa della "mistica".
Del pensiero giudaico medievale (di quel tanto che rientra nei suoi schemi) Strauss apprezza il fatto
che esso riusc a provare filosoficamente la possibilit della Rivelazione e a provare storicamente la realt di
essa; e aggiunge (p. 46): "Dalla sovrumana sapienza e giustizia della Torah vede il Giudeo osservante, dalla
sovrumana bellezza del Corano vede il Musulmano osservante, che la Rivelazione una realt" preparando cos
la strada al legame storico tra le due filosofie, ma anche, implicitamente, tra le due religioni, in contrapposizione
all'occidente cristiano. Sembra ignorare, Strauss, che anche il Dio dell'Islam ha pretese universali -la Sua Legge
dovr valere per tutti- e che ha la peculiarit, razionalmente fondata sui limiti della Ragione, di avere rapporti
burrascosi con la filosofia.
Strauss prosegue poi affermando che l'autorit della Rivelazione costituisce la premessa alla
possibilit stessa di fare filosofia, alludendo a quel passaggio del Fasl al-Maql nel quale un'interpretazione
alquanto btinita del Corano sembra chiamare il sapiente a filosofare su invito stesso di Allh (cfr. Cap.
precedente). Il fondamento della filosofia un fondamento legale (p. 47). Diversa cosa il fondamento
filosofico della Legge, nel quale la Rivelazione diviene un tema della filosofia, della sua metafisica (p. 48).
Saadia parla di loro accordo, qualcosa di diverso da una non-contraddizione, e la convinzione di Maimonide,
dice Strauss fu che l'interesse filosofico per la Rivelazione nasce allorch il filosofo constata l'insufficienza della
Ragione umana per la conoscenza della verit (sein Erkenntnis vermgen prinzipiell Unzulnglich ist um die
Wahrheit zu erkennen; p. 51, corsivi suoi).
Nota Tamer (p. 98) che Strauss accosta il Giudaismo all'Islam in base al suo rifiuto di una religione
interiorizzata nella coscienza, con le sue implicazioni soggettive; la Rivelazione, per Strauss, essenzialmente
Legge. Quanto a Maimonide, si potrebbe notare che nella sua Introduzione alla Parte I di La guida dei perplessi,
cit., pp. 69 sgg., il suo accostamento al problema un po' pi obliquo. Dice infatti Maimonide che i Profeti che
hanno compreso i misteri divini (vedremo poi la natura della Profezia per Maimonide) non sono in grado di
spiegare cose simili in modo perfetto e ordinato, perci si esprimono tramite metafore, enigmi, e discorsi oscuri;
sicch difficile comprendere i misteri che si celano dietro quel linguaggio. Se si prende quel linguaggio alla
lettera si rischia di considerare i Profeti come degli ignoranti; se si cerca di fornire spiegazioni esoteriche si
rischia di dare un'interpretazione del tutto soggettiva di quelle parole. Maimonide dichiara perci di voler trovare
un'altra via, e si rivolge a chi ha studiato filosofia ma anche crede alla Legge, e resta perci perplesso quando ha
l'impressione che la Legge sia in contraddizione con la Ragione. A stretta logica non si pu parlare di
insufficienza della Ragione, ma della insufficiente preparazione di alcuni nel trovare il giusto modo per mettere
in luce l'accordo della Ragione con la Rivelazione. bens vero (Strauss, p. 54) che la Ragione necessita della
Rivelazione; ed bens vero che la Profezia, pur provenendo da un'emanazione, non da Immaginazione e
Ragione, deborda le facolt razionali del Profeta inducendolo a parlare per metafore ed enigmi; per anche
vero che la Rivelazione, per il suo medium nella Ragione del Profeta, non pu essere discordante alla Ragione
umana, che pu riconoscerne la razionalit. Perci (Strauss, p. 56) la Ragione una chiave per la Torah, che un
intero mondo pieno di segreti e di enigmi e presenta enormi difficolt alla comprensione razionale.
Il vero scopo della Profezia politico (p. 58), dare una Legge all'uomo che animale sociale: il
filosofo perci, essendo un uomo, tenuto anch'egli all'osservanza della Legge profetica p. (59). Si passa
dunque, secondo Strauss, dal filosofo-Re al Profeta-legislatore, stabilendo un parallelismo tra filosofia
(platonica) e Rivelazione, nel nome della Legge (p. 62); ora il Profeta che fonda lo Stato ideale (p. 63).
La fondazione di una nazione perfetta, per conseguenza la proclamazione di una Legge perfetta che
debba servire alla costituzione di una nazione perfetta: l, secondo Maimonide, la ragion d'essere della
Profezia. Cos si esprime Strauss in Quelques remarques sr la science politique de Maimonide et de Frb
(G.S., Bd. 2, p. 143); e Tamer commenta a proposito di questo scritto (Tamer, p. 105) che il problema di Strauss
lo status teologico-politico del popolo d'Israele nel mondo. Ma come giunge Strauss a delinearlo? Da un lato
collegando Maimonide ad al-Frb e Avicenna (e Ibn Ba, aggiunge Zonta a p. 49 e a p. 50; un collegamento
che Strauss ignora); dall'altro, grazie al fraintendimento del testo di Avicenna messo in luce sopra, nella
"inattaccabile convinzione" (unerschttlichen Uberzeugung) che i filosofi islamici e Maimonide fossero
essenzialmente platonici (Tamer, p. 98).
Ora, se ragionevole quanto afferma Zonta (p. 43) che Maimonide non segue la linea di Isaac Israeli
e di Avicebron, anche vero, come chiaro dal testo de La guida dei perplessi, che egli si colloca in quella linea
eclettica dell'aristotelismo neoplatonizzato dei suoi predecessori islamici (l'emanazione, l'opera dell'Intelletto
Agente, etc.) e che, nella lettera a Shamuel Ibn Tibbon citata da Zonta, egli afferma (p. 45) che "Le parole di
Platone, maestro di Aristotele, sono, nei suoi libri, espresse in termini difficili e metaforici, e non servono perch
bastano quelle di Aristotele, e non abbiamo bisogno di affaticarci sui libri dei suoi predecessori" (corsivi miei).

954
Tornando al punto dove abbiamo lasciato Strauss (p. 63), egli dice infatti: "Attraverso la conoscenza
della essenziale (corsivo suo) dipendenza degli aristotelici islamici e dei loro allievi giudei da Platone" (dove
quel corsivo sembra alquanto equivoco) si pu interpretare la dottrina loro "fondamentalmente" (altro corsivo
suo che rafforza l'equivoco) derivata dalla filosofia platonica; per giungere infine a confermare la "profonda"
idea di Cohen che Maimonide "fu in pi profonda consonanza con Platone che con Aristotele" (p. 66). La
distorsione interpretativa serve cos a fondare quel rapporto filosofia-religione nell'ottica politica che preme a
Strauss: come dato di partenza, non come risultato di una ricerca, che risulta cos orientata allo scopo.
Un'impressione convalidata da quei corsivi che hanno il ruolo ambiguo di rafforzare -ma al tempo stesso di
circoscrivere- la validit delle affermazioni di Strauss.
Strauss passa poi ad esaminare due aspetti del possibile rapporto tra filosofia e religione che abbiamo
gi incontrato a proposito del dibattito islamico: se cio la filosofia trovi fondamento nella Legge (pp. 67-88)
ovvero la Legge nella filosofia (pp. 88-123). Sotto il primo aspetto, esamina il pensiero di Averro nel Fasl al-
Maql.
Strauss omette di ricordare -come ho gi notato- che tutta la costruzione di Averro resa possibile da
un'interpretazione contestata e contestabile, in quanto apertamente btinita, del Corano. L dove, nella 3 Sra, vi
si afferma che la vera interpretazione dei versetti non conosciuta se non da Dio, e i sapienti dovranno
adeguarsi, Averro interpreta: "da Dio e i sapienti" derivandone l'obbligo di interpretazione per i filosofi. Salvo
poi dover ammettere che, in caso di insuccesso filosofico, prevale la letteralit della Legge. Strauss, a p. 76 in n.
115, riporta soltanto la lettura di Averro (ill Allh wa ahl al-buhrn: tranne Dio e i sapienti [gli uomini della
dimostrazione]). Maimonide, dice Strauss, concorda con Averro su questo, e anche sul fatto che
l'interpretazione deve essere interdetta al volgo.
Pi lungo spazio dedica Strauss al secondo aspetto, perch questo gli offre il destro di trattare la
dottrina di Maimonide sulla Profezia, non senza esser prima tornato a porre in parallelo la speculazione sulla
Torah con l'ideale greco di vita contemplativa. Maimonide riprende pienamente la dottrina di Avicenna (cfr.
Cap. precedente) secondo il quale il Profeta uomo perfetto sotto tre aspetti: doti intellettuali, potenza
immaginativa e virt etica (La guida dei perplessi, II, XXXII, p. 445). La Profezia, secondo Maimonide (ivi, II,
XXXVI) il frutto di un'emanazione che proviene da Dio tramite l'Intelletto Agente, ed inviata da Dio soltanto
a chi Egli presceglie (ivi, II, XXXII, p. 447). Come si vede, c' una radicale differenza religiosa (la volont di
Dio) rispetto agli automatismi della tradizione filosofica, dove il contatto con l'Intelletto Agente frutto di un
processo di elevazione umana (cfr. Cap. precedente).
Strauss nota poi (p. 98) la differenza tra il sogno veridico -dovuto al contatto notturno tra l'emanazione
e l'Immaginazione- e la Profezia, nella quale l'emanazione agisce anche sull'Intelletto (il sogno veridico
soltanto un sessantesimo della Profezia, avverte Maimonide, p. 456); la filosofia, dice Strauss, nasce dall'azione
sul solo Intelletto. La relativa dottrina in Maimonide II, XXXVII; dove per Maimonide associa ai vaticinatori
che hanno il sogno veridico, anche "governanti delle citt e legislatori" evidentemente non nel senso di Profeti-
legislatori. Maimonide si preoccupa infatti anche di stabilire (come gli islamici) la differenza tra il semplice
Profeta e il Profeta-legislatore (ivi, II, XXXVIIII: il Profeta-legislatore ovviamente Mos, la cui peculiarit
segnalata in vari capitoli). La differenza dovuta al fatto che Mos non parl per metafore, ma disse con
esattezza per mandato divino ci che era dovuto e ci che era vietato, diede, cio, la Legge. Questa differenza
spiegata da Maimonide (II, XXXVI) col fatto che "la sua facolt immaginativa non partecipava alla sua profezia,
ma l'Intelletto esercitava l'emanazione profetica su di lui senza intermediario" (p. 459).
La dottrina di Maimonide appare quindi alquanto complessa (e pone problemi a Strauss: cfr. n. 44 alle
pp. 105-106) perch il Profeta-legislatore appare posto sul piano di una razionalit "filosofica" ancorch di
provenienza divina, ci che fonderebbe la convergenza razionale di filosofia e Profezia, anche al di l della
comprensione degli enigmi asserita nell'Introduzione alla Parte I, in direzione della stessa Legge (vedi comunque
infra il commento di Tamer sull'argomento).
Questa dottrina potrebbe comunque ricollegarsi ad Avicenna, De anima, V, 6, allorch questi
conclude la possibilit di una Profezia quale si verifica in un'anima "clara et cohrens principiis intellectualibus,
ita sit inspirata ut accendatur ingenio ad accipiendum omnes qustiones ab intelligentia agente.....firmiter
impressas, non probabiliter, sed cum ordine qui comprehendit medios termines.....Et hic est unus modus
propheti qui omnibus virtutis propheti altior est" Siamo cio all'interno di una struttura sillogistica del reale,
come gi segnalato per Avicenna (cfr. p. 888).
Maimonide, che riprende da Avicenna sia la dottrina della Profezia come perfezione della natura
dell'uomo (La guida dei perplessi, II, XXXII) che quella di un universo sorretto nella propria esistenza
dall'emanazione divina (ivi, I, LXIX, p. 244), precisamente a partire da questa continua emanazione
dell'esistenza lascia trasparire un universo perfettamente logico, nel quale l'emanazione luce intellettuale grazie
alla quale l'uomo che ne investito giunge alla comprensione intellettuale (ivi, II, XIII, p. 357). la sua ontologia
neoplatonica, il panteismo una conseguenza sempre possibile.
La figura del Profeta-legislatore richiama in Strauss un precedente, quello di al-Frb della citt
virtuosa (p. 109); e si domanda (ivi): " la mantica o la politica la funzione pi eminente del Profeta? qual' lo
scopo ultimo della Profezia? perch il genere umano affidato ai Profeti?". La risposta di Maimonide, dice
Strauss, che l'uomo, animale politico, necessita di una guida nei comportamenti individuali, e la legge che d
955
perfezione all'uomo una Legge divina annunciata da un Profeta" (p. 110, corsivi suoi). Lo scopo della Profezia
politico, la pi eminente funzione del Profeta la guida politica. La Legge divina si distingue da quella umana
perch quest'ultima si occupa soltanto della perfezione materiale, ed proclamata dal governante: questa la
risposta di Maimonide, e, prima di lui, di Avicenna (pp. 113-114).
Strauss mostra cos di porre in secondo piano il carattere religioso della Rivelazione; e il fatto che
tanto nel caso di Maimonide, quanto in quello di Avicenna, a monte delle conclusioni politiche vi sia una
costruzione metafisica che si pone il problema di comprendere la Rivelazione come un Tutto, viene a mio avviso
sottovalutato. Soprattutto per viene posto in sottordine, sempre a mio avviso, il fatto che l'inserimento
dell'ordine sociale in un ordine cosmico dovrebbe richiamare alla mente quel grandioso ordine medievale
espresso dall'occidente al quale, come vedremo, fa riferimento Brague ne La sagesse du monde, Paris, Fayard,
1999; un ordine che ha segnato un'intera civilt e dal quale l'Occidente usc per iniziare una diversa avventura.
Un ordine cosmico che chiaramente espresso da al-Frb nel Cap. XXVII della sua Citt virtuosa. Un ordine
che neoplatonico, e che Brague ha definito "cosmo etico" derivandone un'etica "cosmologica".
Strauss ha per un particolare interesse a far risalire il pensiero di Maimonide ad al-Frb, segnando
un punto di differenza tra Maimonide ed Avicenna che sembra avere un significato nel rapporto straussiano tra
Rivelazione e filosofia. Nella lunga nota 44 alle pp. 105-106, prendendo spunto da un vecchio trattato sulla
filosofia di Averro (non si sottolinea mai a sufficienza l'averroismo empatico di Strauss, un averroismo
occidentalizzato nell'esaltazione dell'autosufficienza della Ragione) Strauss mette in luce il fatto che per
Maimonide la Profezia pu scendere soltanto su un profondo studioso, mentre per Avicenna essa consisterebbe
nella capacit di conoscenza immediata caratteristica di alcuni individui. Avicenna, come ha messo in luce Gutas
(cfr. supra, p 888) aveva una ragione anche autobiografica per considerare la possibilit di una intuizione del
termine medio del sillogismo, cio della conoscenza intuitiva della struttura di un cosmo comunque
"sillogistica". Strauss vuol viceversa sottolineare che il problema consisterebbe in una differenza istituzionale tra
il Profeta giudaico, Mos (e i filosofi), e quello islamico, Maometto, "che era un illetterato tra gente semplice,
nomade, illetterata", che non si occupava di scienza o di filosofia, come i Greci.
Perci, dice Strauss, la posizione di Maimonide deve considerarsi anche come una polemica contro
l'Islam. interessante tuttavia notare, con al-Faruq (cit. in Bibl. a p. 848) che il termine umm (pl.: ummiyyn)
potrebbe significare "privo di Scritture" (usato anche in senso ironico nel Corano, verso Giudei e Cristiani, che
avevano una Scrittura ma non l'osservavano) ci che potrebbe valere per coloro cui predicava Maometto, gli
hunaf (pl. di hanf, gli Abramiti legati ad una tradizione precedente la Torah). Resta tuttavia dubbio, secondo al-
Faruq, il fatto che il Profeta possa essere lo umm sdiq, il veritiero senza Libro, cosa strana per un Profeta. C'
da aggiungere che il termine "illetterato" (umm) potrebbe riferirsi anche a colui che non accede alla Bibbia in
ebraico o in greco: Brague (La loi de Dieu, p. 92 e relative note) segue questa ipotesi. Quindi l'argomentazione di
Strauss potrebbe risultare un diversivo inconsistente, e certamente lo in rapporto al sapere filosofico, perch ci
che in gioco comunque la conoscenza di un Libro sacro.
Secondo Strauss, il primo ad affermare la natura preminentemente politica della Rivelazione fu al-
Frb, per il quale il Profeta -guida della comunit- era colui che fosse al tempo stesso filosofo e veggente
(come per Maimonide); la profetologia di al-Frb e Maimonide viene da lui conseguentemente ricollegata alla
dottrina platonica del filosofo-Re (p. 118). Essi, dice Strauss, "comprendono la Rivelazione alla luce della
politica platonica" (ivi) cio comprendono la premessa non platonica della Rivelazione a partire dalla politica
platonica. Ci comporta dei cambiamenti, ma resta il legame che unisce filosofia e politica, anche se il filosofo
non pi sufficiente a fondare lo Stato perfetto, e diviene necessario il Profeta. Questo cambiamento intervenne
nel corso dell'Ellenismo, allorch (qui cita Cicerone e Poseidonio) fu detto che alle origini Signore, filosofo e
veggente coincidevano nella stessa persona.
L'illuminazione del Profeta vene cos paragonata all'uscita dalla caverna di Platone: ipotesi a mio
avviso forzata, perch dimentica delle diverse ontologie nel cui contesto si situano la due dottrine; tanto forzata
che la dottrina della caverna, del sole non visto, visto di riflesso o direttamente, riportata come platonica da
Strauss a p. 117, non altro che la ben diversa -nel suo fondamento neoplatonico- dottrina di Ibn Ba (cfr.
supra, p. 882).
Strauss dunque cos ricapitola: il Profeta il fondatore dello Stato platonico (p. 118). Segue una
ricapitolazione di quanto appena riportato, nella quale si minimizzano le differenze, ridotte praticamente alla
nuova figura del veggente, come se dietro questo fatto nuovo non vi fosse un radicale cambiamento di
prospettiva sul mondo, sul "sapere", e sulla collocazione dell'uomo nel cosmo. Il processo di adattamento
ellenistico tra filosofia e Rivelazione iniziato con Aristobulo e con Filone, le sue conseguenze cosmologiche, il
processo di trasformazione dell'aristotelismo, e tutto ci che a monte di al-Frb, sorvolato. Soltanto in una
nota a p. 120 ci si ricorda en passant del pneuma di Filone, equiparato all'Intelletto Agente: come se il problema
fosse strutturale, e non il cambiamento di un modo di concepire l'uomo nel cosmo.
All'obbiezione contro il platonismo di Maimonide e dei filosofi islamici (notoriamente aristotelico-
neoplatonici) Strauss risponde che ogni aristotelico e ogni neoplatonico comunque uno scolaro di Platone (p.
120) senza riflettere sulle ragioni (politiche?) che potevano aver spinto i falsifa a perorare la concordanza di
Aristotele e Platone. A prescindere da questo sospetto, ci che comunque evidente in Strauss, il tentativo
forzato di fondare la presupposta continuit "platonica" tramite una serie di technicalities, distogliendo gli occhi
956
dall'abisso che separa lo sguardo sul mondo di Platone, da quello dei filosofi medievali. Quanto alla visione di un
uomo che pu essere pensato soltanto in rapporto alla societ, Strauss non sembra porsi il problema della
differenza che intercorre tra la plis e la ummah; parimenti egli afferma (p. 122) un'identit che non c' tra la
concezione della plis di Platone e quella di Aristotele (cfr. supra, l'incisiva distinzione della Cassin).
Il rapporto di Strauss con la filosofia islamica chiaramente espresso in un altro suo saggio, On
Abravanel's Philosophical Tendency and Political Teaching (G.S., Bd. 2) dove, a p. 197, afferma che i filosofi
islamici non credevano alla Rivelazione, ed erano filosofi nel senso classico della parola, si attenevano alla
filosofia e alla filosofia soltanto; la Rivelazione dovevano accettarla, ma soltanto nei limiti dell'umana Ragione.
Kantiani ante litteram? Per saperlo, occorrerebbe interpretarli esotericamente, secondo la teoria di P&AW.
Tamer (pp. 100-123) conclude il suo capitolo esaminando gli scritti di Strauss espressamente dedicati
ad al-Frb, e parte dal gi citato Quelques remarques, etc., del quale sottolinea il collegamento effettuatovi tra
l'interpretazione della Torah da parte di Maimonide e l'influsso di al-Frb. Il ruolo del filosofo turco qui
fermamente stabilito in quello di fondatore della tradizione platonica nella filosofia medievale, un pilastro della
dottrina di Strauss "sino al termine della sua vita" (p. 100). Tamer nota poi molte altre cose della trattazione di
Strauss, per concludere con l'osservazione che ho gi citato circa l'adombrarsi di un fondamento teologico-
politico del popolo d'Israele in rapporto al mondo.
Segue l'analisi di Eine vermite Schrift Frbs (G.S., Bd. 2, pp. 167-177) una ricostruzione circa la
quale Tamer alquanto critico e che comunque viene condotta nella logica che gi conosciamo circa il legame
Platoneal-FrbMaimonide.
Der Ort der Vorsehungslehre nach der Ansicht Maimunis (ivi, pp. 179-194) il terzo studio preso in
esame, nel quale Strauss riconferma il carattere politico della Legge rivelata in Maimonide, ricollegando tutto ci
ad al-Frb, e insiste sull'esigenza di un doppio livello di lettura, esoterico ed essoterico.
Farabi's Plato uno scritto del 1945, che Strauss riutilizz per l'Introduzione a P&AW, nel quale egli
ampiamente tornato su La guida dei perplessi. Qui Strauss stabilisce ancora una volta (P&AW, p. 9) la comune
visione di Islam e Giudaismo, che li distanzia dal Cristianesimo: la Rivelazione fonda una Legge, non una fede
con i suoi dogmi; i falsifa tentarono di comprenderla e videro il Profeta come il filosofo-Re accettandone la
Legge come razionale, ma non nel senso cristiano di legge "naturale" da identificarsi con legge della Ragione e
legge etica. Per un filosofo, quale fu al-Frb, la "filosofia" dunque quella dei pagani, Platone e Aristotele (ivi,
p. 13) rispetto alla quale la conoscenza religiosa costituisce un gradino inferiore. Di qui l'ipotesi di Strauss che
egli mascheri il proprio pensiero per timore di persecuzioni, sostenuta con varie argomentazioni. Segue un
ritorno sulle differenze con il Cristianesimo e l'affermazione che la filosofia rimase pi libera nel Giudaismo e
nell'Islam precisamente perch perseguitata, non assimilata. Questo nel testo di P&AW. Tamer vede delle
incongruenze nell'interpretazione straussiana di un al-Frb che maschera il proprio pensiero.
How Frb read Plato's Laws un testo del 1957 riprodotto in WPPh, e si riferisce al Compendium
legum Platonis (cfr. supra), ed. F. Gabrieli in Plato arabus, vol. III, ed. R. Klibansky, London, Warburg, 1952 e
1973. Secondo Strauss vi si riflette il rapporto tra filosofia e Rivelazione come due mondi diversi (WPPh, p. 139,
riportato da Tamer, p. 119). Tuttavia l'intento di Strauss sostenere che al-Frb fece in modo di dimostrare,
riconoscendo Platone nella Sharah, che l'Islam soltanto realizza le condizioni poste da Platone (WPPh, p. 144;
Tamer, p. 121). Strauss conduce anche molti raffronti con un altro testo di al-Frb (cfr. De Platonis
philosophia, etc. ed. F. Rosenthal et R. Walzer, in Plato arabus, cit., vol. II, ed. R. Klibansky, London, Warburg,
1943 e 1979) e, dai vari rinvii e dai passi platonici non menzionati ne deduce una ambiguit di al-Frb, che
nasconderebbe un sostanziale ateismo. Nota Tamer (p. 122) che l'analisi di Strauss dovrebbe presupporre la reale
conoscenza dei testi platonici da parte di al-Frb, ipotesi non suffragabile, anzi da respingere (cfr. nota 121 a
pp. 122-123). Ne consegue anche l'ipotesi di una scrittura esoterica, cavallo di battaglia di Strauss connessa al
presunto platonismo del filosofo turco, dovuta a "un gracile fondamento filologico" (eine dnne philologische
Grundlage, p. 122).
Risulta quindi confermata l'artificiosit della catena platonica costruita da Strauss per formare il
proprio quadro di riferimento, e questo importante perch va ricordata l'affermazione di Tamer (p. 10) gi
citata, che resta fondamentale sull'argomento: Strauss trova in al-Frb la via per giungere a Platone dopo che
Maimonide gli aveva aperto il panorama, ed biograficamente documentato che egli ha conosciuto al-Frb
dopo la conoscenza di Maimonide. Il percorso dunque stato costruito per dimostrare una tesi, il parallelismo
tra la filosofia politica di Platone e la lettura filosofica della Torah, intesa, questa, sul piano meramente legale. Il
risultato fu il parallelismo con la Sharah, il tutto come alternativa agli sviluppi del pensiero politico occidentale
-secolarizzazione del Cristianesimo- e al suo universalismo, che poneva il problema dell'assimilazione al quale
Strauss si oppose sin dai propri esordi.
"Crisi e profezia" s'intitola il successivo capitolo di Tamer (pp. 124-166) nel quale s'iniziano a tirare le
fila della critica al modo in cui Strauss interpreta il pensiero di Maimonide, Avicenna e al-Frb. Nota Tamer
che la ricerca filosofica di Strauss va vista in connessione con la crisi del Moderno; egli intende infatti la crisi
della filosofia come crisi del moderno Occidente. Tamer evoca anche l'ombra di Spengler, che deve essere
associata, aggiungo io, a quella di Jonas, come coloro che hanno segnato, in forme diverse, l'inizio di una
riflessione critica sulle tendenze in atto nel corso del XX secolo, interpretandole come crisi delle illusioni del
secolo precedente. L'Occidente non sembrava incamminato sui percorsi ipotizzati ai tempi delle magnifiche
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sorti: da uomo che scrive nel XXI secolo aggiungerei che il XX stato un secolo orribile, nella sua violenza
diffusa, per l'occidente; convulsione agonica del percorso iniziato nel XIX o forse prima, un secolo dal quale
(illusione del Millennio?) si pu sognare di uscire.
La critica di Strauss si appunt sugli aspetti etici della cultura post-illuminista; in questa ottica egli
rivolse lo sguardo alla filosofia giudaica e islamica del Medioevo. Oggetto della sua analisi fu il rapporto tra la
visione teocentrica e cosmocentrica del Medioevo, e la visione antropocentrica della modernit, che ha messo in
sordina il freno etico alle passioni. Tamer espone con accuratezza la critica di Strauss al Moderno, centrata su
The City and the Man e su Progress or Return? (in RCPPh, pp. 227-270), ma, a mio avviso, non pone
sufficientemente in luce il punto che, al di l di ogni opinione, resta il pilastro della critica di Strauss alla
modernit: la destituzione di ogni possibile fondamento razionale dello Storicismo (e del mito del Progresso che
esso sussume dall'Illuminismo) e la relativizzazione della scienza a un contingente modo di rapportarsi col
mondo, argomento per il quale posso rinviare alla pi volte citata ricerca di K. Hbner. A mio avviso, sono
questi punti che rendono abissale la reazione di Strauss al Moderno, al di l della sua insostenibile ricostruzione
di percorsi platonici che oggetto principale dell'analisi di Tamer, e che deve essere pensata in rapporto ai
particolari problemi di Strauss.
In Progress or Return? l'obbiettivo di Strauss il Relativismo etico moderno, minato nella sua
consistenza filosofica e additato come elemento disgregatore della societ che non pu sussistere senza un
fondamento nella trascendenza, senza un mito di fondazione, una Legge rivelata, un "Vero" quale fu quello
perseguito dal Razionalismo classico, una "Natura" con le sue proprie ineludibili leggi: un fondamento, insomma
che trascenda, senza possibilit di essere revocato in dubbio, l'individuo e le sue pulsioni, che fanno della libert
una mera licenza. Questo l'obbiettivo di Strauss, l'obbiettivo che gli si pu riconoscere un volta sfrondato
dall'insostenibile risalita platonica. Certamente non facile districare i due aspetti sul piano logico, stante la
coerenza del pensiero straussiano; possibile farlo soltanto sul piano storico e filologico, come fa Tamer,
mostrando gli errori di lettura che consentono quella risalita a Platone. Errori, come ho sottolineato pi volte,
dovuti al particolarismo del suo problema iniziale, l'assimilazionismo: eppure anche questo posizionamento
apparentemente improprio ha un suo aspetto significativo, nel momento in cui viene a testimoniare il rifiuto alla
omogeneizzazione in un "pensier dominante" (quello delle intellighentzie) in nome di una radicata tradizione; il
fondarsi, quindi, della libert nello ius di una comunit. Sotto questo profilo Strauss avrebbe dovuto
maggiormente riflettere sul pensiero di Burke; questo per lo avrebbe dovuto conseguentemente condurre ad una
diversa valutazione del Romanticismo, che non capiva, e, soprattutto, disprezzava (cfr. G.S., Bd. 2, p. 26). A
Strauss manc l'attenzione a un percorso cui guardava con occhio pregiudizialmente ostile. Una ignoranza che
ho gi rilevato in Taubes.
Strauss, dice Tamer (p. 130), avverte l'irresolvibilit della crisi con i mezzi della modernit, e cerca un
punto di vista esterno per traguardare il Moderno nella sua interezza, onde percepire l'intero panorama
autodistruttivo del Razionalismo moderno. Di qui il suo sguardo al passato e la pretesa scoperta in Avicenna,
nella filosofia araba, di un ponte verso il Razionalismo classico rifiutando il tramite del pensiero cristiano perch
in esso la filosofia greca fu assimilata. Qui c' gi un errore di fondo, una forzatura insostenibile che pone
Strauss nell'ottica ideologica del Califfato Abbside: la filosofia greca fu infatti soltanto strumentalizzata nel
pensiero islamico, che poi, alla fine, la espulse da s come corpo estraneo. La sola via di sopravvivenza del
pensiero greco fu infatti nel suo adattamento alla Rivelazione che si realizz nel Neoplatonismo dei tre
monoteismi. Di questo adattamento in termini di Legge sar poi opportuno esaminare infra il caso di Tommaso,
il cui nome compare soltanto di sfuggita in Strauss; ma qui varrebbe la pena di notare che precisamente dalla
fusione della razionalit greca (universale) e di una Rivelazione anch'essa universale, nasce quel singolare
percorso della secolarizzazione e della societ liberale, che precisamente in quanto universalizzante pose a
Strauss (e non soltanto a lui) il problema dell'assimilazionismo. Detto per inciso, l'interiore coerenza del pensiero
di Strauss fa s che la critica di esso sia anch'essa circolare, costringendo a tornare sempre a porre in evidenza il
medesimo problema.
Tamer ricorda quindi il percorso intrapreso e gi esaminato, quello che grazie al fraintendimento dei
presunti nmoi di Platone consente a Strauss una risalita a Platone nella quale prende corpo il ruolo di al-Frb.
Strauss riconosce in Maimonide la dottrina della Profezia di Avicenna e quella di al-Frb (cfr. La citt
virtuosa, capp. XXV e XXVII); Tamer nota tuttavia (p. 138 in n. 44) quanto sottolineato sopra circa la
singolarit profetica di un Mos che riceve l'emanazione soltanto tramite l'Intelletto, e il modo alquanto
complesso (basato su altre affermazioni di Maimonide) con il quale Strauss salva la continuit di Maimonide con
la profetologia di al-Frb e Avicenna (cfr. G.S., Bd. 2, pp. 105-106 in n. 44): Mos avrebbe udito la Parola di
Dio nella veglia, non in visione, dunque senza enigmi e metafore. Alle nn. 45 e 46, pp. 139-140, Tamer nota
inoltre quanto gi sopra osservato a proposito del Profeta che guarda il sole direttamente, fuori dalla caverna:
questa dottrina, Maimonide non la prese da Platone, ma da Ibn Ba.
Per Strauss resta comunque fondamentale il riferimento alla filosofia islamica, per il fatto che ivi si
pone il problema di una Rivelazione il cui scopo fondamentale la costruzione di una societ perfetta. Ora, se
ci ha una sua verit, debbo d'altro canto segnalare che il modo in cui Strauss inquadra questo problema,
alquanto contraddittorio. Abbiamo visto infatti che questa preoccupazione non riguarda semplicemente la
filosofia islamica, o meglio, la riguarda in quanto islamica, in quanto necessitata a comprendere
958
"filosoficamente" quella specifica Rivelazione in una logica islamica: la stessa logica di quei tradizionalisti che
decretarono la condanna della filosofia nell'Islam in quanto disgregatrice della Ummah: un'accusa nella quale
stette attento a non incorrere Averro. Tutto ci ben poco nello spirito della filosofia greca, che, insisto, entra
nell'Islam per via ideologica e vi resta come strumento.
Strauss, nota a sua volta Tamer (pp. 142-143 in nn. 56 e 57), sottovaluta il carattere sf della
profetologia di Avicenna, compendiato nella dottrina eterodossa di una ittisl (unione) con l'Intelletto Agente
(Avicenna usa anche il termine ittihd, cfr. p. 885) una dottrina che non ha niente di platonico e che apre la via ai
panteismi maturati nel Neoplatonismo islamico, Sha estrema e Ismailismo. Dai quali, noto, sono discesi pi
facilmente disordini sociali, piuttosto che societ ordinate. Il Profeta di Avicenna, conclude Tamer (p. 143) ha
ben poco a che vedere col filosofo platonico; per, poich per Strauss la filosofia medievale platonica, egli fa
del Profeta un Capo di Stato che fonda la citt ideale. Strauss identifica il filosofo-Re con il Profeta (di
Maimonide e Avicenna) e con il ras al-awwal della Citt virtuosa (Cap. XXVII; Tamer, p. 145). Secondo
Strauss, i filosofi islamici recepiscono la filosofia platonica nel tentativo di comprendere la Legge oggetto della
Rivelazione alla luce di quella filosofia (Tamer, p. 147); al contrario, nota Tamer (pp. 148-149) i filosofi islamici
vedono nella Rivelazione un evento straordinario che ha origine nella Volont divina; in questo evento prende
corpo la figura del Profeta, che diversa da quella del filosofo-Re perch sul suo Intelletto e sulla sua
Immaginazione scende l'emanazione divina tramite l'Intelletto Agente, e questo pone un limite allo sforzo
filosofico. Il fondamento dell'interpretazione di Strauss per sempre in quei presunti nmoi platonici dei quali
parlerebbe Avicenna (p. 150).
Anche per quanto riguarda il commento ad Averro alla Repubblica, questi non intese il testo
platonico come un antecedente della Rivelazione, ma come un progetto etico-politico che non aveva nulla a che
vedere con una religione, sebbene con la fondazione di uno Stato giusto; Averro non identific lo Stato ideale
platonico con i contenuti della Rivelazione (p. 152). Per quanto riguarda le idee di Avicenna, esse sono piuttosto
riconducibili alle sue inclinazioni per i Sf e alla sua appartenenza alla Sha (ivi; quest'ultimo aspetto per da
raffrontarsi col percorso del filosofo, che si distacc dall'ambiente familiare shita). Per Avicenna il Profeta
una figura "sufica" che ha realizzato l'unione con Dio (p. 154 e n. 91). Per al-Frb, la figura del Capo della
Citt virtuosa, il ras al-awwal, esprime un concetto diverso dalla figura del filosofo-Re, per definizione un
"Capo", un Imm nel senso di guida, nel quale si attualizza l'Intelletto Agente; pu essere paragonato all'Imm
ismailita ma non da considerarsi una figura analoga a quella di Maometto (vedi l'excursus di Tamer alle pp.
156-163). Nel ras al-awwal si realizza, secondo Tamer, una sintesi di valori filosofici e religiosi (p. 160); la
situazione storica nella quale oper al-Frb lascia intendere che il suo pensiero corresse a una via d'uscita per la
crisi del Califfato Abbside (non diverso il contesto degli Ikhwn as-Saf). L'armonia di conoscenza filosofica
e religione in al-Frb era pensabile in quanto entrambe risalivano ad un'unica fonte; in questo c' da
aggiungere, da parte mia, che in effetti l'Imm (ismailita?) di al-Frb un "uomo perfetto", e,
conseguentemente, figura teofanica, l'interprete veritiero del significato della letteralit coranica.
Secondo Tamer, quindi, Strauss, unificando il Profeta di Avicenna con il ras al-awwal, rende
erroneamente comparabile la figura del filosofo-Re con quella del Profeta, la filosofia platonica con quella
islamica (pp. 154-155). Tamer afferma che questa interpretazione di Strauss si collega alla sua sopravvalutazione
della politica nella Profezia, che mette in ombra le vie attraverso le quali il Profeta giunge ad essere tale.
Secondo Tamer, Strauss sottovaluta che la dottrina giudaica ed islamica della Profezia fonda la superiorit del
Profeta sul filosofo nel fatto che il primo raggiunge verit inaccessibili al secondo, e perci, soltanto per ci, pu
fondare la societ perfetta. Questa sua conclusione mi sembra condivisibile: la sopravvalutazione del momento
politico conduce Strauss a perdere di vista la specificit pi ampia di quello religioso, e conseguentemente a
trascurare la differenza tra il Profeta e il filosofo; di qui l'implausibilit del "platonismo" di al-Frb, Avicenna e
Maimonide, anche a prescindere dal diverso contesto di pensiero nel quale essi si calano, la lunga tradizione
neoplatonica, o, se vogliamo, dell'aristotelismo "neoplatonizzato" attraverso la dottrina dell'emanazione.
Nelle successive pagine (163-166) Tamer ricapitola i risultati della propria analisi critica in modo
chiaro e sintetico, nelle seguenti conclusioni. Strauss interpreta in chiave politica la profetologia di Maimonide,
che peraltro debole e contraddittoria, grazie al riaggancio a quelle di Avicenna e al-Frb. Queste gli sono
essenziali non soltanto per la lettura di Maimonide, ma anche per fondare la natura politica della Rivelazione.
Strauss segue la dottrina medievale della superiorit del Profeta sul filosofo, fondata sulla conoscenza immediata
delle esigenze materiali e spirituali dell'uomo; tuttavia va indubbiamente oltre questa dottrina allorch riconduce
le esigenze spirituali dell'uomo al loro mero aspetto intellettuale, e intende l'opera di fondazione religiosa dei
Profeti come esclusivamente politica.
Poich Strauss intende la Rivelazione come mezzo per raggiungere uno scopo politico, essa gli
sembra avere un significato in quanto realizza gli scopi politici a lui propri; in tal modo evidente che egli
riduce drasticamente il significato della Profezia. Politica e filosofia prendono il sopravvento sul significato
stesso della Rivelazione. Il problema di Strauss in ci che egli avverte come crisi del Moderno, ma il suo
rivolgersi al Medioevo (islamico e giudaico) non ha una motivazione religiosa, perch egli si dichiara ateo; la
sua motivazione politica, il suo ateismo si esprime, a parere di Tamer, nella pretesa di trarre conclusioni
politiche da una teologia alla quale non crede. Egli vede la possibilit di mescolare gli orizzonti nel discusso
passo nel quale Avicenna fa riferimento ai nawms di Platone. Nella fondazione sociale -spirituale e materiale-
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del Profeta, il problema ultraterreno diviene secondario: la Profezia diviene una missione politica e assume
significato soltanto su questa base.
A questa lucida analisi vorrei aggiungere soltanto una postilla: questa totale incomprensione di una
cultura meramente strumentalizzata si lega -come presupposto o come conseguenza non ha importanza, un
pensiero che cerca la coerenza sul piano logico anche circolare- alla convinzione di Strauss che la filosofia sia
originariamente filosofia politica, senza riflettere che una filosofia politica non formulabile se non nell'ambito
di una ontologia (nel caso del Neoplatonismo medievale anche di una cosmologia). Strauss inverte le premesse
con le conseguenze, le fondamenta con il tetto di una costruzione.
Perci, prosegue Tamer, Strauss, a nome dei filosofi islamici e giudei, vede nella religione rivelata la
realizzazione dello Stato ideale di Platone. In questo per non possono aiutarlo n la dottrina della Profezia di
Avicenna, n quella di Maimonide: una tale raffigurazione della religione egli la rinviene nell'affaccendarsi di al-
Frb attorno alle Leggi. Pi importante ancora la sua raffigurazione del governante, il ras al-awwal nel quale
Strauss crede di rinvenire l'equivalente del filosofo-Re. Nota Tamer che per quella figura, al tempo stesso
Profeta e filosofo-Re, non pu essere identificata con nessuno dei due. Essa infatti, aggiungo io, stata pi
ragionevolmente e concordemente identificata con quella dell'Imm shita-ismailita, in connessione con una
precisa crisi del Califfato Abbside: anche qui l'aspetto politico emerge, ne La citt virtuosa, da una premessa
metafisica e cosmologica.
Tamer conclude tuttavia il proprio sommario critico con una constatazione positiva che non pu essere
sottaciuta. Dal proprio discutibile percorso, Strauss non emerge a mani vuote: la sua pretesa comprensione della
religione fonda quantomeno un'idea alla quale non ci si pu sottrarre: nella moderna filosofia politica non si pu
pretendere d'ignorare l'ipotesi della necessit di un fondamento religioso della Legge. l'ipotesi discussa anche
da Brague, e non soltanto da lui.
Ragione, religione e ordine sociale" dunque il titolo del capitolo successivo di Tamer (pp. 167-
206). Strauss identifica la religione con la Legge, perci si rappresenta la Sharah come fondata sul nmos,
entrambi di origine divina; perci stabilisce un corpo unico per religione e filosofia. Il Compendium legum
Platonis di al-Frb rappresenta, secondo Strauss, l'interpretazione del nmos nella filosofia islamica medievale,
tant' che ci si affaccend per tre decenni (pp. 167-169). Le conclusioni di Strauss furono che esso conteneva una
dottrina che pretendeva una validit eterna; Tamer dice per che Strauss ci trascina al centro del suo pensiero: le
Leggi di Platone somigliano alle leggi religiose del Giudaismo e dell'Islam, sono in concorrenza con quelle.
Perci un filosofo islamico poteva decidere a favore della filosofia o della religione; ovvero sostenere che
soltanto nell'Islam si possono rintracciare i valori platonici. Al-Frb, secondo Strauss, ne dedusse che soltanto
in Platone si poteva trovare chiaramente espressa la verit che l'Islam espone in modo enigmatico; perci l'uomo
razionale non ha necessit di seguire la Legge profetica. Sharah e nmos sono quindi equivalenti, ma il
caratterizzare la Legge come divina offre il vantaggio di renderla indiscutibile. Mi sia consentito osservare che
questa "filosofia politica" sarebbe piaciuta ad Ardashr.
Il filosofo, aggiunge Tamer, si trova cos a cavallo tra le due nature della Legge, e pu porsi in
posizione divina, distinguendo il vero dal falso. Tamer, mi sia concesso dirlo, dipinge cos Strauss come uno
Gnostico nel senso pi negativo del termine: sembra infatti, a dire di alcuni, che un'aura di conventicola
aleggiasse nel circolo dei suoi allievi. Prende corpo comunque una "religione dei filosofi" una "religione
razionale" non priva di dubbi, che evita il conflitto tra le Leggi rivelate perch si pone come universale. Questa
conclusione, Tamer la trae contrapponendo due citazioni da WPPh (p. 164 prima, p. 11 poi); ed singolare
trovare precisamente a p. 11 un riferimento a Tommaso. Il fatto per non particolarmente significativo di
un'apertura da parte di Strauss: dal contesto emerge chiaro l'eterno suo platonismo, come pretesa del filosofo di
sostituire l'epistme alla dxa.
L'interpretazione straussiana del legame tra nmos e Sharah, nota Tamer, "urta tuttavia contro
difficolt sistematiche e di storia della filosofia" (p. 175, corsivo mio). Tra Platone e al-Frb, dice Tamer, non
ci pu essere un legame immediato, perch c' di mezzo il Neoplatonismo, la mediazione siriana e un'ignota
epitome ellenistica (p. 176), ci che mi sembra evidente da tutto quanto detto in queste pagine, motivo per il
quale mi sembrano giustificati i corsivi da me introdotti a rafforzare un fatto tanto evidente e tanto
unanimemente acclarato da restare quantomeno perplessi dinnanzi alla "distrazione" di Strauss. "Perplessi" un
eufemismo, perch difficile pensare che il fatto sia casuale. Ci dispone a favore del possibile pregiudizio di
chi ha motivi "altri" per ignorare che, da Filone in poi, la "filosofia" ha dovuto mettersi al servizio della
Rivelazione. Ha dovuto, perch il mondo nel quale essa era nata, e la societ alla quale era connessa, non erano
pi proponibili (politicamente parlando, Platone non lo era stato neppure ai suoi tempi, quelli della democrazia
ateniese).
Il nmos, scrive ancora Tamer (ivi) non viene da Dio, ma da Zeus, che non pu essere paragonato
all'onnipotente Dio Creatore. Non lo pu, aggiungo, perch quel nuovo e incomprensibile (per i Greci) Dio,
veniva a cambiare lo stato dell'uomo sulla terra, liberandolo dal cerchio di ferro di Ananke. La Sharah altra
cosa, e pu essere stabilita soltanto da Dio e soltanto tramite chi vuole Dio (ivi; cfr. Compendium, I, 624a e
638a-b). E la politica soltanto un aspetto della Sharah (Tamer, p. 178).
Al-Frb non intese mai mettere in dubbio la realt della Rivelazione; tent soltanto di comprenderla
sul piano filosofico senza sminuire la religione e senza neppure farsi troppo tentare dall'armonizzazione di
960
religione e filosofia; si tenne a distanza dalla teologia soltanto perch volle tenere separate teologia e filosofia,
Sharah e Leggi platoniche, che non appartenevano, per lui, allo stesso genere (ivi, p. 179; in n. 42 Tamer cita
anche Rosenthal, Political Thought, etc. cit in Bibl. a p. 851). Tamer afferma quindi di nuovo che le Leggi di
Platone costituirono, per al-Frb, non un testo religioso, ma un libro etico, per concludere cos il proprio
ragionamento (p. 180): "Leo Strauss ha evidentemente frainteso". Soltanto l'unit di Dio consente al filosofo
islamico di rinvenire un unico fondamento per il sapere umano. Il fraintendimento di Strauss dunque sempre il
medesimo: considerare la legge religiosa come una legge politica (p. 182).
Tamer mette perci in luce i passaggi grazie ai quali Strauss trasforma l'alternativa tra fede e sapere in
una alternativa tra Legge rivelata e filosofia, identificata con la miscredenza; e tratta la religione rivelata come
un importante fattore d'ordine sociale e politico: un ruolo che non si pu negare che essa esercit nel corso del
Medioevo. Egli afferma (p. 186): "Strauss intende da ci trattare un essenziale rapporto della filosofia illuminista
con la religione, in quanto la religione vi ridotta a un aspetto della coscienza. Strauss pu fare ci in quanto
assume, con i filosofi islamici, l'indispensabilit della religione per la societ, e la vede fondata nella natura
politica dell'uomo".
Questa analisi di Tamer merita una riflessione, non perch essa non sia corretta, ma perch apre ad
una diversa possibilit di prendere in considerazione la crisi di fondamento del Moderno, non in disaccordo con
Strauss, ma da un diverso, e, a mio avviso, pi significativo, punto di vista.
La domanda che si pone questa: sia pure la religione (una particolare religione, ovvero la religiosit
in generale) un momento della coscienza; pu, l'uomo, agire contro la propria coscienza, ovvero non combattere
per i convincimenti della propria coscienza in una societ che li nega o li ritiene irrilevanti? E non questa,
forse, la via per la quale anche nell'ambito del Moderno, la religione conquista il diritto di farsi politica? Il
problema si sposta allora non tanto in direzione di una delimitazione coscienziale della religione, quanto in
direzione di una critica radicale di quella componente volgare della modernit che lo Scientismo, il carattere
cio totemico che assume nella cultura moderna il Razionalismo scientifico. Questo assume infatti almeno due
aspetti in rapporto ai quali politicamente (cio dal punto di vista della conduzione sociale) criticabile per la sua
mancanza di fondamento.
Il primo di essi di ritenere degno di considerazione come elemento veritativo soltanto ci che
scientificamente dimostrato, ovvero passibile di esserlo in un futuro prossimo o lontano; ne consegue che tutto
ci che sfugge istituzionalmente a tale possibilit -prima tra tutto una fede religiosa- viene lasciato non tanto alla
coscienza -che una cosa seria e che guida chi la possiede- ma alla opinione intesa come soggettivit irrilevante
ai fini di qualunque normativa. In altre parole: segui pure la religione che vuoi e sarai rispettato, ma non
pretendere di agire politicamente in suo nome affinch nella societ -nel nmos, nella legge dello Stato- quei
principi trovino posto. questo il principio laicista che scricchiola in Europa in presenza di una forte minoranza
islamica, ma che realizza, singolare dirlo, la pretesa, difesa da Strauss sulle orme del Razionalismo classico, di
una filosofia politica che ignori la passioni e le verit che prendono corpo nella testimonianza. Sotto questo
profilo, la critica al Moderno di Strauss mostra di muoversi con un piede malcerto, anche perch in un altro
punto l'approdo del Moderno si attaglia singolarmente a Strauss, allorch egli vede nello scontro sempre
incombente tra le religioni (cio, traduco io, tra le profonde ma contrastanti convinzioni sulla collocazione
dell'uomo nel mondo, i suoi compiti, i suoi fini, e il ruolo inevitabile della societ per realizzarli) un fattore di
conflitto insanabile. In questo, nulla pi della modernit pu venire incontro a Strauss, collocando le religioni
non lontane dagli hobbies.
Infatti Strauss non per nulla religioso, ateo; soltanto, egli vede nelle religioni, come Ardashr, un
elemento imprescindibile di ordine sociale, con un limite, che per Strauss non esplicita: per essere tali esse
richiedono non soltanto societ monoreligiose, ma anche prive di eterodossie. Perci a lui non resta che il
Razionalismo classico con la sua "verit" unica, ma fondata sulla Ragione, quindi universale: una "verit" che
per relativa ad un ordine sociale gi messo in dubbio, insieme a quella "verit", dalla critica dei Sofisti, e
definitivamente reso improponibile dall'affermarsi di una verit testimoniata, come tale scandalosa per la Legge,
folle per la Ragione (I Cor., 1, 19-23). Se la verit si testimonia e se l'essere frutto del discorso, la verit
platonica, quella del Razionalismo classico, non che una "verit" rispettabilmente ideologica, quella di
un'ideologia del dominio buona per tutti i luoghi e tutti i tempi, che a questa sua adattabilit deve la propria
longevit; la cui sopravvivenza pu per essere messa in dubbio per il rapporto inscindibile con la specifica
situazione nella quale matur. Il Razionalismo classico il cerchio di gesso che ipnotizza la gallina occidentale.
Vi poi un secondo punto da prendere in considerazione in rapporto al carattere totemico del
Razionalismo scientifico, che assume tale nome perch addita la scienza come luogo della verit. In realt, la
scienza non rappresenta se non un modo storicamente condizionato di intendere la verit; Hbner ne ha mostrato
la stretta dipendenza dalla tecnica nell'ambito del sorgere di un rapporto tra l'uomo e la natura intesi come il
cogitans e la extensa, cio di un rapporto di sottomissione e continua conquista grazie alla tecnica. Questa
relativit della scienza, il suo fondamento puramente storico in una metafisica, ne minano la pretesa all'assoluto,
e perci la sua pretesa di negare verit alla testimonianza. Ne consegue che non ha alcuna validit la sua pretesa,
giustamente combattuta da Strauss, di sottrarsi al giudizio etico sui propri indirizzi. La "libert di ricerca"
svincolata dal giudizio etico, non essendo fondabile, mostra il proprio volto puramente ideologico. C' per di
pi, un di pi che verosimilmente Strauss non ha considerato: il mito della scienza, combattuto da Strauss, non
961
che l'aggiornamento (pi efficiente) del mito della "filosofia", da lui perseguito: entrambi pongono la "verit" in
un sapere appannaggio di un corpo sacerdotale, sottraendone la costruzione all'umanit, cui la "verit" viene
semplicemente "dispensata". Ma cos facendo, chi perde di ruolo precisamente la politica ridotta a burocratica
gestione del potere.
Ritornando all'analisi di Tamer sui ruoli sociali di filosofia e religione in Strauss, si deve notare che
questi conclude su posizioni che lasciano qualche perplessit, se non politica, quantomeno etica -alludo alla
nostra etica di occidentali contemporanei; perch mentre la filosofia non pu che respingere la religione come
fede, deve per accettarla come Legge per la societ (p. 187), ci che comporta almeno due contraddizioni: come
possa una Legge rivelata proclamarsi valida senza la fede che la fonda, e come possa fondarsi la pretesa
antropologica "averroista" di Strauss che immagina due livelli di umanit: i "sapienti" che si comportano
"secondo Ragione", e le masse che si accontentano del quia. Tuttavia Strauss fermo al riguardo, come nota
Tamer (p. 188) riportando un suo passaggio da NR&H: una societ non pu vivere senza un fondamento
condiviso, sia esso dettato dalla Ragione o da una Rivelazione. L'argomento ha un suo peso, e infatti da
ritenersi valida la critica di Strauss alla deriva della societ occidentale, addebitata al Relativismo: anche se ci
sarebbe da discutere se il Relativismo ne la causa o il prodotto. Ci che resta poco convincente per la
pretesa di Strauss di avocare per s, pi genericamente, per i "filosofi", uno statuto previlegiato
Sia come sia, si deve concordare con Tamer allorch egli conclude (p. 189) che per Strauss il
significato della religione "per il filosofo non consiste nella sua verit, ma nella sua utilit per la vita sociale".
Per un filosofo che, come Strauss, si dichiara socraticamente alla ricerca della verit, l'approdo alquanto
opportunistico, e perci, sotto il profilo della verit, fallimentare. Anche Spinoza, nota Tamer, considerava la
religione uno strumento del potere politico, come contenimento della passioni (p. 191). Anche Strauss, quindi, la
pensa come Spinoza, soltanto che, sulla base della filosofia islamica, in particolare di al-Frb, ritiene che la
Rivelazione, sebbene falsa, non vada smentita, perch necessaria alla societ e politicamente utile (ivi).
Naturalmente Strauss sa bene (e afferma: cfr. App. V ed.) che la Ragione non ha strumenti per negare la validit
della fede, e che una simile affermazione non pu essere fondata (sotto questo profilo egli difende le "ragioni"
della fede); soltanto, congettura Tamer, egli non considera la religione, in questo particolare caso, sotto il profilo
ontologico, ma sotto quello puramente sociale-esistenziale. Questa mi sembra una buona soluzione; soltanto non
mi chiaro in base a quale sottile logica si possa fondare il secondo profilo senza il primo. Nel discorso vi
"concretezza" ma non certo filosofia: l'ombra di una critica sofistica alla filosofia vi aleggia inquietante.
Con queste premesse, prosegue Tamer (p. 193), Strauss si accost alla filosofia medievale giudaica ed
islamica. L'affermazione di Tamer va soppesata attentamente, perch non di poco conto: essa certifica che il
radicale fraintendimento di Strauss -quasi una strumentalizzazione- il frutto del pregiudizio: guardare non per
capire, ma per trovare ci che ci si attende di trovare. Ci premesso, Tamer prosegue analizzando il rapporto di
Strauss con Averro, ricordando innanzitutto il pensiero di quest'ultimo, in particolare il Fasl al-maql, del quale
Strauss ha essenzialmente a cuore la premessa che la filosofia sia un obbligo imposto ai sapienti dalla
Rivelazione, a partire dalla citata interpretazione esoterica di un passo del Corano.
Tamer riassume infine la propria analisi nei seguenti termini. Strauss convalida la Bibbia mentre nega
Dio; fa della fede qualcosa che sfugge alla Ragione ma fa della religione una necessit politica in rapporto
all'ordine sociale. Il suo problema il naufragio dell'Illuminismo e perci vede nella religione uno strumento per
superare i pericoli del Relativismo e stabilizzare l'ordine sociale. La sua definizione dei filosofi islamici come
"platonici" si regge o cade sulla base dell'identificazione della Sharah con il nmos. La sua rappresentazione
della concezione della religione nel Medioevo incoerente almeno in un punto: da un lato sottolinea che i
filosofi islamici e giudei del Medioevo si distinguono dai moderni e dagli antichi per la loro fede nella
Rivelazione, che ha la precedenza. Dall'altro afferma che essi hanno posto l'identit di Sharah e nmos e che
hanno scoperto in questo il fondamento per la comprensione filosofica di quella. Ci per avrebbe significato,
per quei filosofi, la negazione della Rivelazione. A Strauss si deve perci rinfacciare questa contraddizione,
oppure di avere strumentalizzato i filosofi medievali in funzione del proprio ateismo. Di fatto, la sua una
battaglia su due fronti: contro il Liberalismo e contro l'ortodossia religiosa.
Vorrei completare queste osservazioni di Tamer con una mia: si torna ancora una volta al problema
iniziale che investe tutta l'opera di Strauss, l'antiassimilazionismo, che lo vede schierarsi contro il Liberalismo su
due fronti. In una cultura universalizzante il particolarismo rispettato come particolarismo religioso: ma
Strauss, che non voleva assimilarsi, non era neppure interessato ad individuarsi in una fede religiosa. Uno scritto
come Ecclesia militans, del 1925 (G.S., Bd. 2, pp. 351 sgg.) significativo del suo atteggiamento. "Non senza
fondamento che io sia stato sempre sionista" scrive a Klein il 23-6-1934 (G.S., Bd. 3, p. 517); al riguardo si veda
la sua posizione negli scritti giovanili e le precisazioni nel seguito della lettera citata.
L'ultimo e il pi lungo capitolo di Tamer infine dedicato al rapporto di Strauss con al-Frb, e al
primato della filosofia politica. Strauss, dice Tamer, vide nell'influenza del Positivismo la fine dell'interesse per
la filosofia politica, e consider che vi fosse una naturale ostilit della societ verso i filosofi; di questa ostilit
tiene conto la filosofia politica, che costituisce il rapporto della filosofia con la societ. In al-Frb egli vide in
tal senso il fondatore di un'epoca, che riport in auge la filosofia dopo la sua crisi, e lo fece non orientandosi
sulla Politica di Aristotele, ma sulle Leggi di Platone. Secondo Strauss egli aveva in mente due obbiettivi, l'uso
della Sharah contro scettici ed eretici, e la speranza del ritorno dell'Imm in occultazione (pp. 207-210). Di
962
fatto, prosegue Tamer, Strauss deform il pensiero di al-Frb: contro la sua esplicita affermazione della
realizzazione ultraterrena della felicit, Strauss disloc l'obbiettivo nella realizzazione di un ordine pubblico
ideale. Nota Tamer (p. 211 in n. 12) che Strauss tradusse il termine arabo ilm con Wissenschaft, e quindi lo ilm
al-madan con Politikwissenschaft, trasformato poi in Politische Philosophie, dando cos al lettore l'impressione
che al-Frb considerasse la filosofia di Platone in senso politico.
Secondo Strauss, per al-Frb la beatitudine consisteva nella vita contemplativa (p. 213) ma una
simile affermazione, nota Tamer, avrebbe comportato due grosse deviazioni ereticali: la negazione
dell'immortalit dell'anima e la beatitudine come monopolio dei filosofi. Strauss vide nella "Citt virtuosa"
l'alternativa alla vita ultraterrena; essa divenne per lui il simbolo dell'ideale di vita filosofico, nella quale
realizzare la perfetta giustizia.
Per quanto riguarda il rapporto tra filosofo e societ, Strauss assegn alla filosofia politica, a partire da
Platone, il compito di distruggere le opinioni correnti sulla verit, le dxai, in modo da avvicinare i profani alla
verit/epistme, o, quantomeno, di trasmetterla loro sul piano dell'Immaginazione, e ritenne che al-Frb avesse
di mira la preminenza dei filosofi nella politica; il filosofo-Re condensa nella propria figura i filosofi, soli
conoscitori della "verit". La filosofia essoterica di al-Frb dunque nient'altro che la filosofia politica di
Strauss.
Secondo Strauss, al-Frb distinse la filosofia in senso stretto dalla filosofia politica, teorica la prima,
pratica la seconda, nella quale i filosofi danno alle masse la rappresentazione della verit, della quale essi sono i
mediatori. Questa posizione teoretica della filosofia consentirebbe una sfida alla Rivelazione, l'osservanza dei
cui precetti da parte dei fedeli promette eterna beatitudine; e perci in s distruttiva della societ e della
filosofia stessa, perch scatenerebbe la rabbia sociale contro i filosofi qualora le masse potessero sospettare in
loro una tale dottrina. La filosofia politica stabilisce allora un rapporto della filosofia con la societ, una pratica
essoterica di facciata che si presenta con il velo dell'etica. Il compimento delle virt morali non quindi lo scopo
dell'esistenza umana (il filosofo pone tale scopo nella contemplazione del "Vero") ma ha una funzione politica.
La moralit comunemente intesa fatta di principi comunemente accettati, e l'aspetto politico della filosofia
politica nel suo rivolgersi non all'etica individuale, ma alla realizzazione della felicit della societ.
In conclusione, la Sharah rappresenterebbe la facciata essoterica della verit esoterica accessibile
soltanto ai filosofi (pp. 217-218). Vi sarebbe dunque differenza tra la beatitudine terrena delle masse fondata sui
doveri morali, e quella vera del filosofo, il quale per rispetta anch'egli quei doveri, ma soltanto al fine di una pi
elevata visione teoretica dell'esistenza.
Questa la lettura "platonica" di al-Frb condotta da Strauss, circa la quale mi permetto una sola
osservazione. A mio avviso, l'incomprensione e la conseguente deformazione del pensiero di al-Frb, al di l di
ogni arrire pense, hanno una radice strutturale negli assunti teorici che sorreggono il pensiero di Strauss, e
precisamente nella sua destoricizzazione del pensiero. Togliere la connessione tra un pensiero e il luogo, il
tempo, le circostanze nelle quali esso stato pensato, consente connessioni e interpretazioni che non hanno
rispondenza nella realt, perch la realt dei tempi, dei luoghi e delle circostanze non le autorizza. Al-Frb era
un buon musulmano con una tradizione neoplatonica alle spalle e l'occhio al pensiero che maturava in tempi di
crisi per il Califfato e di rapide evoluzioni per la Shah (occultazione dell'ultimo Imm, affermazione
dell'Ismailismo). Attribuirgli i pensieri che gli attribuisce Strauss significa estraniarlo dai suoi problemi, dai
problemi del suo tempo; significa limitare l'interpretazione al livello delle parole, ma le parole, le medesime
parole, possono veicolare realt diverse nelle diverse situazioni. Il risultato dell'interpretazione "platonica" di al-
Frb si pu rinvenire in quella dottrina della doppia lettura, esoterica ed essoterica, che sorregge il poco
credibile P&AW.
Tamer dedica poi molte pagine ad analizzare il concetto di "filosofia" per Strauss, ripercorrendo
argomenti cui ho gi accennato: la filosofia come esercizio di previlegiati al margine della societ, e la filosofia
politica come ideale pedagogico per i rampolli dei gentlemen, che educa ad un ordine non tirannico e a una
libert non licenziosa. Siamo in pieno wishful thinking secondo una tradizione che, volendo, si pu anche far
risalire a Platone, ma che certamente diffusa nei tempi e nei luoghi come eterna pretesa di intellettuali al
margine del potere reale, vogliosi di guadagnarsi un ruolo offrendo atopici specchi a Principi in ben altro
affaccendati.
La sopravvalutazione dei prodotti intellettuali cos generati, porta Strauss persino ad invocare per essi
una sorta di Arte de prudencia, perch, come credo di aver gi ricordato e come comunque ci ricorda Tamer, una
filosofia non opportunamente schermata nella sua dispensazione al popolo, sarebbe, a parere di Strauss,
"dinamite per la societ civile" (NR&H, p. 152; Tamer, p. 234). L'affermazione di Strauss non da sottovalutare,
perch ricorda i danni causati dai geometrici propositi di intellettuali luciferini, danni fortunatamente limitati
dalla irrealistica insensatezza di quei propositi, normalmente respinti da qualunque societ, recepiti soltanto in
ristretti margini di essa. Si tratta tuttavia di un'affermazione che una cosa soltanto pu mostrare, come
ridimensionamento dell'autoconsiderazione dei filosofi in politica: il distacco totale tra le elucubrazioni di chi
medita sui teoremi, e la realt; il distacco tra certe ideologizzazioni del filosofo come filosofo politico, e una
societ fatta di uomini con i loro incontri/scontri di interessi e passioni, con le loro esigenze, con le esigenze
delle singole vite. Rispetto a tutto ci, la gestione del potere una ricerca del baricentro (la presenza di un
baricentro era stata ben compresa da Spinoza); i modelli sono ideologie che tendono a spostare quel baricentro,
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la sua collocazione; quello di Strauss in direzione di esoterici Professori, come vedremo infra nelle parole di
Tamer.
Il quale (p. 237) nota che la concezione straussiana della filosofia politica implica la trasmissione, da
parte del filosofo, di menzogne volte al fine del bene sociale, come quelle della fratellanza patriottica o del
fondamento divino della gerarchia. Tamer aggiunge poi (pp. 238-239) che per un conoscitore della lingua araba,
il concetto straussiano di "politico" appare connesso a quello di siysah, forse per la sua frequentazione dei
filosofi arabi. Questa parola, in arabo, si connette con una radice che ha a che vedere con l'ammaestramento degli
animali; sis significa, tra l'altro, colui che cura o guida i cavalli (cfr. Steingass). Nella parola quindi implicito
il significato di cura e conduzione degli uomini; essa pu far riferimento anche al dominio della ragione sulle
passioni, perci pu anche tradursi con politica-politia; ma l'equivalente di polteuma, cio governo politico,
riysah, che ha a che vedere con ris, capo; siys la religione che indirizza gli uomini al comportamento
voluto. Ne consegue che nella concezione adottata da Strauss implicito un senso di dominio che pone su un
piano di naturale diseguaglianza (corsivo mio) il dominatore e il dominato; ovvero implica, nel dominio di se
stessi, un luogo elevato per l'elemento razionale, infimo per quello passionale. Perci, chi ha nelle proprie mani
la siysah della comunit politica, la guida fisica, morale, spirituale e intellettuale di essa (p. 240). Per inciso:
infatti il concetto di Siysah sharah di Ibn Taymiyya: la guida dell'umanit tramite l'applicazione della Legge
divina, la sua giusta guida; come ricorda Tamer, un tema oggetto di vasta letteratura nell'Islam (pp. 240-241).
Per i filosofi, siysah assunse il significato di conduzione dell'umanit al fine dell'ordine e della felicit sociali
(p. 243) cos come voluto da Dio.
Su questa base perfettamente chiara l'ipotesi straussiana di P&AW; sempre a proposito di al-Frb
questa doppiezza della scrittura ipotizzata da Strauss anche nel Compendium legum Platonis: il filosofo la
guida intelligente di un popolo che pu essere soltanto guidato. L'interpretazione , naturalmente, smentita, ma,
secondo Tamer, conseguente al concetto straussiano di "politica" come siysah (p. 246). Tamer ritiene che
l'influenza dell'incontro con al-Frb sia stata determinante per lo sviluppo della dottrina di P&AW, in
particolare l'apologo dell'asceta che al-Frb introduce nel Prologo al sommario delle Leggi: la menzogna si
configura come un'autodifesa necessaria del filosofo, quando questi deve trattare verit scandalose. Secondo
Strauss, al-Frb sarebbe stato un perfetto platonico che us l'interpretazione di testi consacrati dalla storia, per
veicolare quel genere di verit che sono eterne, perch il filosofo platonico non si cura della contingenza storica,
insegue verit che non mutano (pp. 246-249). L'approccio di al-Frb alla filosofia di Platone fu elevato da
Strauss a paradigma di approcci platonici ai testi. Dunque, secondo Tamer, l'elemento portante del pensiero di
Strauss nacque da questo incontro con al-Frb e dalla sua erronea comprensione di quest'ultimo.
Il paragrafo conclusivo dedicato da Tamer a una serie di argomenti che ho gi trattato a lungo,
quindi mi limito a far cenno di alcune osservazioni da lui introdotte.
I filosofi, dice Tamer, costituiscono una setta nell'ambito della comunit religiosa cui appartengono.
Su questo punto c' da domandarsi: Strauss uno Gnostico? La domanda non irrilevante, perch dovremo
affrontare la sua corrispondenza con Voegelin, e, a seguire, un assaggio dell'opera dello stesso Voegelin, l'autore
che fece la critica del Moderno con l'ossessione di vedere in esso il trionfo dello Gnosticismo. Certamente
Strauss sembra avere, dello Gnostico, la superbia intellettuale denunciata dai Padri, con un fine per opposto:
non gi negare valore alle leggi del mondo, ma stabilirne per gli ilici, pur sapendo di mentire.
Al contrario di ci che fanno i "filosofi" con le loro menzogne, l'Illuminismo inizi la distruzione
dell'Occidente, rivelando le proprie verit senza rendersi conto dei danni che avrebbero provocato alla societ (p.
253); la pericolosit della filosofia non cessata, essa vale anche ora: nella politica vale, per Strauss, l'eterno
ritorno di Nietzsche.
Per quanto concerne la posizione del filosofo, esso appare isolato in una sua torre d'avorio da ogni
preoccupazione sociale, e la sua filosofia si pone in rapporto con la politica come l'epistme con la dxa, la
Ragione con la fede, l'essere con l'apparire. Questa posizione pone per interrogativi circa il ruolo della filosofia
politica. Se essa , come dice di essere, ricerca di un ordine migliore, perch se ne dovrebbero occupare quei
filosofi il cui principale interesse la vita contemplativa? "Migliore" per chi? forse per loro stessi? Una volta
posti in una posizione elitaria i "filosofi" possono soltanto temere nuovi equilibri sociali; dunque la filosofia
politica pu essere davvero interessata alla realizzazione del miglior ordine sociale? (pp. 260-261).
"La giustificazione della filosofia dinnanzi al tribunale e nel linguaggio della comunit politica sembra
quindi consistere, per i filosofi, nello scendere nella caverna delle opinioni popolari per convincere l'umanit che
la filosofia salvifica, e perci popolare. Da ci ha una qualche ragion d'essere il sospetto che una filosofia
politica che comprende se stessa in tal modo sia uno strumento per influenzare la societ a favore dell'interesse
proprio dei filosofi" Cos Tamer, p. 261, riprendendo una critica da altri espressa a Strauss. Il solco scavato da
Strauss tra filosofi e societ, prosegue Tamer, un ostacolo all'impegno del filosofo per il miglioramento sociale
e culturale, ci che conduce a una contraddizione filosofica e alla scissione della verit. Una societ interessata al
proprio miglioramento non pu che essere scettica su una tale posizione.
Questa penultima osservazione di Tamer contiene, non esplicitata, una concezione della verit
radicalmente diversa da quella di Strauss, una concezione post-testamentaria nella quale non c' verit senza
testimonianza. Al contrario, la verit/epistme di Strauss consiste in un adeguamento del discorso all'essere, della

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parola alla cosa, che prevede la possibilit di essere tenuta gelosamente segreta dal filosofo. Una "verit" non pi
proponibile, maturata in rapporto a una societ non pi pensabile.
Di questa nuova concezione della verit testimonia, secondo Tamer, al-Frb, radicalmente frainteso
da Strauss: "Contro l'interpretazione di Strauss, la teoria e la prassi, nella filosofia di al-Frb, si mostrano
reciprocamente complementari. Nella sua opera l'interesse al sapere teorico, al comportamento virtuoso e alla
riforma della prassi politica e sociale del suo tempo, si mostrano strettamente collegati". Cos si chiude, a p. 262,
l'analisi del rapporto tra Strauss e al-Frb. A me resta una domanda che rester sul fondo nella successiva
analisi di Voegelin: Strauss era forse un vero Gnostico nel senso in cui lo intesero i Padri, quello della superbia
intellettuale del sedicente "sapientone"?
Per quanto mi concerne ripeto quello che ho gi detto pi volte: la sua critica alla mancanza di
fondamento razionale del Moderno, quindi alla sua ideologicit, abissale, e resta. La sua costruzione
"platonica" un colossale fraintendimento, cos patente da giustificare in alcuni suoi critici persino il sospetto
personale. Le due cose non si implicano necessariamente: la critica razionale alle conseguenze sociali di
Illuminismo, Storicismo e Scientismo -il cui risultato sar il Relativismo- non implica l'invocazione castale. Sta
alla societ, quindi al pensiero e alla prassi di tutti, trovare il percorso per un nucleo unificante -il cosiddetto
"mito di fondazione"- che consenta di superare il pericolo di implosione che sembra delinearsi ora. Certamente,
senza di esso una societ si disgrega, e va dato atto a Strauss di averlo compreso pi di ogni altro, e
radicalmente. Sinch per l'occidente (quello reale, non quello ideologico, che transeunte come tutte le
ideologie, ed gi in crisi) finch l'occidente, dicevo, sar vivo, potr sempre sperare che il suo nume protettore,
Hermes -Dio dei mercanti e dei ladri ma molto ragionevole ed empatico, perci anche astuto e vincente- possa
guidarlo per i segreti sentieri che soltanto a lui si aprono, verso nuovi lidi.
A conclusione di questa lunga disamina del pensiero di Strauss, seguita attraverso la lettura di Tamer
perch la comprensione dei limiti di Strauss va centrata sulla sua falsificazione del Medioevo islamico (che,
come ho notato, tutt'uno con il suo rifiuto dei percorsi dell'occidente cristiano e con la sua disattenta
ignoranza dei percorsi delle eterodossie, dal Neoplatonismo all'alchimia, alla teosofia, al Romanticismo) non mi
resta che accennare all'Epilogo e al Sommario prodotti da Tamer.
L'inizio della crisi del Moderno, cos egli riassume il pensiero di Strauss, si apre con il confinamento
della religione nella sfera del privato. I filosofi sono s, nemici della fede, ma la religione non pu essere
cancellata perch il vero e l'utile non coincidono; contro la negazione illuminista di Dio si deve pensare alla sua
affermazione politica. Di qui la lettura esoterica dei filosofi antichi, che, secondo Strauss, compresero meglio il
problema trascurato dall'Illuminismo. Questo dunque fallito perch non ha compreso che esiste un solco tra il
filosofo e l'uomo comune.
La convinzione di Strauss, mi sia concesso dirlo, non una sua pretesa, la pretesa della filosofia
come fu intesa nel Razionalismo classico, da Platone e da Aristotele che la codific in Met., 1060b: " propria
del filosofo la conoscenza dell'essere in quanto essere, nella sua interezza, e non nelle sue parti". La filosofia
come scienza delle scienze, il filosofo come colui dalla cui riflessione, e soltanto da essa, si giunge a un Vero la
cui evidenza si sottrae a chi la affronti nell'ottica della sua professione o mestiere. Una simile ipotesi,
incompatibile con quella di una verit testimoniata e costruita dall'uomo, richiederebbe quantomeno la
famigerata societ tripartita -quella che, discutibili gerarchie a parte, esclude i commerci, la gloria di Hermes e di
tutto l'occidente a partire da Atene, come sapeva Pericle. Comunque, dice Tamer, l'ipotesi di una verit che si
debba tener nascosta per amore del popolo, si fonda su un concetto della verit con il quale l'esoterismo e tutto
l'edificio filosofico di Strauss si regge o cade, e al cui fondo c' l'assunzione che nessuna societ possa essere
illimitatamente libera. La verit prende forma in una societ limitatamente libera, che deve ancorarsi a significati
falsi ma utili per sopravvivere. La filosofia diviene cos un colloquio in circoli ristretti di studenti selezionati, e
ci appare giustamente a Tamer in pieno contrasto con il tanto esaltato (da Strauss) metodo socratico.
La degradazione della religione a politica operata da Strauss mostra che egli non assegnava alcun
valore alla religione in s, ma soltanto alla Legge: questo evidente nella critica al Cristianesimo che informa
l'intera opera di Strauss. Aggiungo che questa osservazione di Tamer non svela un mistero, lo si pu constatare
nella corrispondenza di Strauss con Krger, e di frequente anche in quella con Lwith; in forma esplicita si nota
marginalmente ma chiaramente nei suoi scritti: il Cristianesimo era ritenuto da Strauss un religione debole per la
mancanza di una Legge. Ne consegue un ruolo della religione che, secondo Tamer, molto simile a quello delle
societ fondamentaliste (p. 269).
Tamer nota poi il punto centrale della comprensione/incomprensione di al-Frb da parte di Strauss:
entrambi erano convinti dell'unit di intenti di Platone e di Aristotele, entrambi volevano rifondare la filosofia;
ma, mentre al-Frb giunge all'armonizzazione con un sistema neoplatonico frutto della pseudoaristotelica
Teologia, e quindi sul fondamento di una metafisica, Strauss vuol costruire una filosofia politica. Tutto il
pensiero islamico medievale, sottolinea Tamer (p. 270) si fonda su una metafisica, una catena dell'essere che
emana da Dio e coinvolge le sfere celesti, gli elementi, le piante, gli animali e l'animo umano: un ordine
cosmico. Lo stesso, aggiungo io, che sostiene il pensiero cristiano medievale, a partire dalla Scuola di Chartres,
e, prima ancora, da Scoto Eriugena, che fu una grande riscoperta del Medioevo. L'una e l'altro, lo ricordo, furono
in entrambi i casi origine di agitate eterodossie connesse alla divinizzazione dell'uomo: una cosa da far inorridire

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un amante dell'ordine come Strauss. Ci fu anche un Neoplatonismo ebraico e una Qabbalah, ma di questo,
Strauss, non fa cenno.
Nel pensiero neoplatonico che sorregge il grandioso ordine cosmico medievale, la struttura della
societ vista come una copia del mondo celeste, dunque, mi permetto di notare, uno specchio della verit, non
il suo prudente camuffamento ad opera di filosofi conventicolari che nascondono le proprie "illuminazioni".
Tamer prosegue ancora con una puntigliosa e corretta esposizione del pensiero islamico medievale,
che non ripeto e che ha uno scopo preciso: mostrare che esso non fu compreso e che fu quindi strumentalizzato
da Strauss. In particolare egli ricorda che per al-Frb la realizzazione della citt virtuosa implicava la piena
consapevolezza filosofica onde realizzare nel mondo l'ordine divino: l'esatto contrario di ci che pensa Strauss.
La convinzione di al-Frb era che il perfetto ordine politico fosse l'analogia dell'ordine celeste.
Io credo si comprenda qui la sua distanza politica da Strauss, ma anche le ragioni di un pensare
opposto da parte di quest'ultimo: la pretesa di realizzare in terra l'ordine celeste ha sempre generato disordini
terreni. Questo non significa per porvi rimedio con il dualismo antropologico di Strauss. Significa
semplicemente dimenticare il concetto razionalista del "Vero" e cercare il "meglio" nell'intreccio di "verit",
"ragioni", percorsi e passioni che costituiscono la societ: non, inventare un modello astratto che ingabbia la vita.
Significa scendere dall'Olimpo e trovare la compagnia di Hermes, cos come l'ho descritta ne Il mito e l'uomo
alle pp. 165-177; di colui che trova la via della ragionevolezza.
Tamer prosegue ancora nella sua analisi e afferma: al-Frb fu notoriamente non un ateo, per marcare
ancora una volta la svista di Strauss, delle cui ricette in materia di societ si mostra dubbioso, ma delle cui
ricerche sottolinea l'importanza, per l'apertura di un dibattito e per essersi calato in un'ottica opposta a quella
dello scontro tra le culture; la sua convinzione dell'esistenza di parentele spirituali lo port a sottolineare il
significato di una cultura moderna pi aperta; perci Strauss merita l'interesse dei suoi critici.
Tamer completa il proprio lavoro con un Sommario (pp. 223-233), da non riportare per non ripetere il
gi detto, ma che ha il vantaggio di concentrarsi in modo chiaro sui raggiungimenti delle lunghe analisi. Mi
limito a riportare la frase di chiusura perch in essa si condensa quanto in Strauss non pu esser preso in
considerazione, essendo frutto di un radicale malinteso: "Sembrerebbe che il modo di Strauss di far uso della
filosofia medievale islamica per la ricerca di risposte alle sfide della modernit, non abbia raggiunto gli
obbiettivi che egli si era proposto".
Quanto forte sia il fraintendimento s' gi detto, ma forse vale la pena di ripeterlo ricordando la rapida
sintesi sulla filosofia islamica che C. Baffioni premette (pp. 15-64) a L'epistola degli Ikhwn as-Saf "Sulle
opinioni e le religioni", Ist. Orientale di Napoli, Dip. di Studi su Africa e Paesi Arabi, Napoli, 1989. La Baffioni
ricorda l'uso costante di una ontologia emanatista (p. 17) e il fondamento coranico (ivi); nonch "la dimensione
religiosa, addirittura confessionale.....della filosofia musulmana" che trascura l'alternativa tra fede e Ragione, in
quanto scontata dal fatto che la Ragione inglobata nel sistema della fede (p. 22). In essa le scienze antiche sono
"viste in una prospettiva escatologica e salvifica" (p. 27) e il fine della conoscenza non strettamente
gnoseologico, ma di edificazione (p. 29). Ne consegue la radicale trasformazione della filosofia greca nell'ambito
della sua appropriazione islamica, perch i falsifa verosimilmente non si riconobbero del tutto in essa (p. 31); il
corrispondente arabo del greco philosopha piuttosto hikmah, sapienza, e il sapiente (hakm) detto anche
ilh: partecipe della sapienza comunicata da Dio (p. 32).
Persino nel caso di Averro, certamente il pi "aristotelico" e quindi il pi "filosofo" tra gli islamici,
certamente lontano da quella tendenza shita che caratterizza la filosofia islamica, J. Jolivet ha segnalato le
Divergences entre les mtaphysiques d'Ibn Rud et d'Aristote, in Philosophie mdievale arabe et latine, Paris,
Vrin, 1995. Si tratta di divergenze importanti che dislocano l'intendimento di Aristotele in direzione
neoplatonica, emanatista (pp. 137-138) facendo dell'Intelletto umano lo specchio dell'ordine cosmico (p. 139).
Del resto, questa l'operazione di lunga durata fondata sull'interpretazione dei punti oscuri del De anima,
iniziata gi dai commentatori di Aristotele, come Alessandro di Afrodisia.
Nella visione neoplatonica del cosmo elaborata da Averro (p. 144) un ruolo importante potrebbe
averlo infatti persino Alessandro, col suo concetto di Provvidenza (p. 145), tesi teologica estranea ad Aristotele.
Dove Averro non neoplatonico nel senso di al-Frb e di Avicenna, che, come abbiamo notato, debbono
porre Dio in una posizione trascendente rispetto al cosmo, per evitare il Panteismo, nell'includere Dio nel
cosmo; ma, cos facendo, egli d alla propria filosofia una dimensione religiosa che non certamente quella di
Aristotele (p. 152). Conclude Jolivet (p. 153) che Averro non soltanto legge Aristotele in chiave neoplatonica,
ma ne associa il pensiero a concezioni religiose (ivi).
Chiuso definitivamente questo argomento, quello della deformazione operata da Strauss, una
riflessione merita l'osservazione di Tamer sul fatto che Strauss ha avuto il merito di comprendere l'esistenza di
parentele culturali tra l'occidente e l'Islam. Per essere chiari, ritengo che ci sia vero in assoluto, ma che tale
comprensione non necessariamente si esplicitata nelle giuste linee. Strauss infatti mette in parallelo l'Islam con
il Giudaismo ignorando il Cristianesimo, salvo sottolinearne gli sviluppi -responsabili del moderno Occidente- in
termini negativi rispetto ai primi due; mette in rapporto l'Islam con la Grecia ma in modo non corretto; distacca
l'occidente dalla Grecia, ci che vero soltanto in parte: lo se si guarda all'irruzione del Cristianesimo, non lo
per quanto concerne il persistere e il riaffermarsi -con la scienza- della tradizione razionalista. Il Razionalismo
scientifico non sarebbe stato fondabile senza alcuni presupposti del Razionalismo classico: la distinzione tra
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soggetto e oggetto, l'ontologia, la verit come adeguamento della proposizione alla cosa, il sapere come epistme
e theora, la logica aristotelica.
Per riportare su un piano che a me sembra meno parziale il rapporto tra Occidente e Islam, mi sembra
perci utile qualche accenno ricapitolativo alla complessit dell'uno e dell'altro -eterno oggetto di questa mia
discussione- perch soltanto il riferimento alle rispettive articolazioni interne pu contribuire a localizzare
approssimativamente i nodi comuni di questo groviglio filosofico/teologico, quindi a fornire una qualche luce da
proiettare sull'Occidente attuale; perch alla fin fine, per quanto riguarda me e questo testo, l'interesse si appunta
sull'occidente, di altro non saprei come interessarmi.
Vediamo dunque che cosa ha ignorato Strauss, perch dalla sua visione troppo parziale emerge la
deformazione di una cultura: deformazione e parzialit che frutto di un non-detto, l'evidente convinzione della
nullit veritativa di tutto ci che egli ha omesso. In primo luogo si dovrebbe ricordare la dicotomia originaria del
pensiero greco circa il luogo della verit e sulla natura di questa. Strauss sceglie la via immobilizzante di
Parmenide nella rilettura "parricida" di Platone (non in nella forma originaria che poteva coesistere con il
divenire di Eraclito), una rilettura elaborata per ragioni politiche contro i Sofisti, e che destituisce di valore la
dxa. Oscurando la lezione originaria di Parmenide si dimentica quanto di essa fu trasferito nel Neoplatonismo;
dimenticando Eraclito si dimentica una via alla conoscenza destinata a una lunga vicenda, quella dei percorsi
dell'anima, e con essa una verit che pu essere soltanto mostrata, che racchiusa nel simbolo, che non si
riferisce alla cosa. Si dimentica che l'anima creatrice di realt -l'anima accresce se stessa- che il sogno e l'utopia
spingono su strade altrimenti impercorribili -i dormienti sono artefici delle cose che accadono nel mondo; chi
non spera l'insperabile non lo scoprir- che in quegli oscuri recessi nasce il nuovo, che tutto muta e trascorre. Si
dimentica che soltanto l'ambiguit caratterizza il ri-velarsi del Vero; si dimentica il luogo ove fermenta la verit
dell'anima, nella vita e nel non-detto. Qui il punto di partenza di molti sviluppi: il sapere dell'arte, il ruolo
dell'intuizione nell'accesso analogico-simbolico all'indicibile -che con buona pace di Wittgenstein non soltanto
esiste perch agisce, ma esiste come tale soltanto nel discorso, oltre l'apodissi incanalata nei percorsi della logica
che pu dire soltanto il gi-detto. Soprattutto, riferendosi a dei percorsi, si aprono le porte a una verit intesa
come costruzione che si palesa additata negli erramenti dell'anima. Un "Vero" che si ri-vela nel fluire della vita.
Parmenide credette viceversa di giungere a quel "Vero" pensandolo immobile sotto il cangiante
mantello delle dxai, come un intelligibile nascosto sotto il sensibile; e di poter trovare la via per adeguare il
pensiero a quel "Vero", custodito da Dike e chiuso nella sfera di Ananke, che ne garantivano l'ordine
indipendentemente dal disordine multicolore delle mutevoli opinioni. Giungervi attraverso la Ragione anche nel
discorso divent fondamentale, perch il disordine pu insinuarvisi nell'ambiguit della parole, nella loro
capacit di muovere le passioni grazie alla suggestione delle immagini suscitate, apparenze simili al vero. Il
disagio dell'incertezza, l'esigenza di un fondamento della parola nell'essere al quale essa deve aderire, un tratto
costante del pensiero classico ed esprime un atteggiamento sociale; in ci esso gi politico, in quanto esprime
un timore per il cambiamento. Temere il cambiamento temere l'utopia e le sue strade invisibili, che nascono nel
buio dell'anima e del sogno, significa temere la vita che instabilit e plemos; e poich tutto ci si articola nel
linguaggio necessario mettere al bando tutto ci che di esso fa balenare l'ambiguit. Nel linguaggio, la critica al
grandioso sforzo aristotelico dell'Organon, nel quale culmina l'opera maieutica a dialettica di Socrate e di
Platone, il Witz, che addita fulmineamente l'assurdit della logica e la logica dell'assurdo; l'Agudeza, il
cortocircuito delle analogie e degli entimemi che crea collegamenti impensati aprendo nuovi percorsi dell'anima,
che "dice" il non-detto nel quale si ri-vela il nuovo che nasce. Va comunque dato atto ad Aristotele di aver
superato la condanna platonica della retorica e dell'arte e di aver restituito loro un ruolo, incanalandole con
successo a fini utilitaristici eterodiretti: tecnica della convinzione la prima, della creazione di un mondo parallelo
la seconda; la prima per trasmettere un vero pensato altrove, la seconda per purificare dalle passioni.
Il significato politico del Razionalismo classico, in particolare del pensiero di Platone, credo possa
leggersi con trasparenza assoluta nel mito di Adrastea esposto da Socrate nel Fedro, nell'ordine gerarchico di
nobilt attribuito alle anime (248, d-e). Al primo posto viene ovviamente il filosofo, al secondo il guerriero, al
terzo il politico e colui che si occupa di economia e finanza, al quarto l'atleta e il medico, al quinto l'indovino, al
sesto il poeta e l'artista, al settimo l'artigiano e l'agricoltore, all'ottavo il Sofista e il demagogo, al nono e ultimo il
tiranno.
I Sofisti, cio coloro che negano la "verit" razionalista smentendola nella pratica del linguaggio e
corteggiando le pretese democratiche, sono dunque demagoghi, appena al di sopra dell'abiezione del tiranno (cui,
forse, aprono la via); le attivit produttive manuali sono al livello minimo di una scala sociale che pone il
gradino pi alto nella "contemplazione". Poeti e artisti, cio coloro che sanno soltanto "imitare" (dunque, in un
certo senso, falsificano come i Sofisti), valgono poco di pi, e comunque meno di un atleta e di un medico che
curano l'aspetto infimo del reale, il corpo, ma che pur sempre di realt, e non di imitazione, si occupano. Si noti
la sottile coincidenza che c' qui tra Platone e Aristotele nel porre fuori gioco il pericoloso concorrente della
filosofia; l'artista e il Sofista, il retore, tra loro molto vicini, sono posti da Platone sul piano dell'imitazione e del
falso, "riabilitati" da Aristotele come utili "tecnici" della persuasione, ma sempre posti fuori dal rapporto col
"Vero" , che non pu essere frutto di una creazione o di una costruzione, ma soltanto il risultato di una
"contemplazione", con due conseguenze: il "Vero" da sempre l, immutabile come quello di Parmenide,

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nonostante, anzi, grazie, al "parricidio"; e soltanto alcuni hanno gli strumenti idonei, il cannocchiale galileiano,
per "contemplarlo".
Se ne possono trarre anche queste conseguenze: se il "Vero" non costruzione, non aperto al
contributo di colui che non rientra nella classe "sacerdotale"; se esso da sempre l, e perci non modificabile,
esso incombe come la sfera di Ananke, e all'uomo non resta che riporre la speranza, il desiderio, l'utopia. Un
verdetto confermato pi tardi anche da Cartesio, a dimostrazione della parentela di sangue di tutti i razionalismi.
La guerra di Strauss contro il Razionalismo scientifico, a favore di quello classico, somiglia a una lite familiare
per l'eredit.
Dei mercanti, poi, non parola, perch essi non rientrano n tra gli economisti e i finanzieri, uomini
comunque dediti alla theora; n tra gli artigiani e gli agricoltori, uomini estranei a tanta contemplazione ma
comunque dediti alla produzione di beni "reali" indispensabili alla comunit. Di ci non da far meraviglia; i
commerci, per Platone, sono nefasti alla plis perch costituiscono una via ai cambiamenti. Essi non piacciono
dunque ai Sacerdoti: tra Hermes e Argo, il guardiano del costituito per eccellenza, non correva notoriamente
buon sangue, come tra Hermes e i cani; i cani, diceva Eraclito, abbaiano a chiunque non riconoscano. difficile
riconoscere il nuovo quando esso occhieggia, nell'apparente nonsense dell'omofonia e dell'anfibolia, da un non-
detto forse non dicibile ma non per ci meno "vero", che capovolge il detto nel Witz, che spalanca l'inaudito
nell'Agudeza, che genera perci meraviglia, produce il thuma, costituzionalmente estraneo all'apodissi (i Sofisti,
nota Cassin, le contrapposero infatti l'epidissi). E se il fine del poeta non fosse la catarsi cara al paternalismo,
ma, per l'appunto, la meraviglia? Lo svelamento di ci che attendeva nel profondo dell'anima e che turba,
perch, alla luce, appare nuovo, costruito, arte-fatto, creato e con l'arte e quindi anche con l'artificio (retorico,
cio della capacit di dire)? La parentela stretta di arte e artificio, biasimo e condanna per il Sacerdote,
esaltazione del fare umano per chi non ha motivo di amare il sempre-eguale, era ben nota anche al Gozzano di
Paolo e Virginia: "quel tropico, ricordi, di maniera/un poco falso, come piace a me?". vero perch "falso",
come i racconti delle Muse, perch creato dall'uomo, artificiale, non imita nulla, segue i labirintici sentieri
dell'anima. Non per nulla, i Sofisti furono gli antesignani della psicoterapia.
Strauss, che condanna i Sofisti, ignora anche l'altro grande prodotto dell'occidente che sfugge alla
normativa razionalista, la cultura dell'Ellenismo, che nacque dall'incontro reale di due grandi astrazioni
ideologiche, l'Occidente e l'Oriente; nacque da una Grecia che, dopo aver lobotomizzato il proprio mito, ne
riscopr la freschezza nell'espansione fuori dai propri pietrosi confini. L'Ellenismo il tempo dei mitografi, il
tempo della nascita del romanzo grazie all'extraterritorialit concessagli da Aristotele. il tempo nel quale il
fumoso e pretenzioso dio dei filosofi (per il quale uso deliberatamente la minuscola) dovette incontrarsi con un
Dio "vero", non disponibile a far manipolare dall'umana Ragione la propria Volont. il tempo di un
ripensamento dell'ordine cosmico, della cosmologia neoplatonica che tende a identificare l'essere parmenideo
con il divino, che genera da s il futuro progetto di ordine medievale come Abbild di questo Urbild. Peccato che,
per amore dell'ordine, questa cosmologia divenisse in seguito anche la radice del disordine, facendo balenare
l'ipotesi di un uomo divinizzato capace di stabilire la Gerusalemme terrena, e di metter cos fine al fastidio di una
storia che rende tutto sempre incerto e transeunte. "Il fine", o, se vogliamo, "la fine" della storia, un sogno, o
forse un incubo, che ci portiamo dietro dai tempi di Zoroastro. Anche questa un'ambiguit che esibisce la
contraddittoriet della Ragione: demonizzarne uno dei due corni rivela soltanto la paura del plemos del quale
tutto figlio come costruzione che emerge dalla lotta, la cui ineliminabilit non che il volto visibile dell'abisso
sul quale sporge ogni atto dell'esistenza: di quel fondamento che non possiamo scorgere, tantomeno parametrare,
perch in quello noi siamo.
Strauss ha certamente contribuito a mettere in luce quanto di comune vi sia stato (e perci v') tra
l'Islam e l'Occidente; ma precisamente per aver voluto ignorare gli intrecci tra filosofia e Rivelazione che egli
volle vedere distinti, poli di alternative convergenti/conflittuali non in grado di ibridarsi, tralascia quanto di pi
comune vi sia stato (e perci vi possa essere) tra loro a seguito di quegli intrecci.
Che cosa sia questo "pi comune" non star a ripeterlo, perch ne ho parlato in tutto il testo: sono gli
esiti "gnostici" -il primo, lo Gnosticismo in senso stretto- che hanno nomi diversi, possono chiamarsi anche
alchimia o teosofia, possono manifestarsi nei sincretismi dell'area balcanica e mediorientale, possono
concrescere in un sostrato folklorico antichissimo, dai tratti comuni. Del resto, una protostoria comune dei tre
monoteismi esistita, la filosofia greca li ha poi posti di fronte a tentazioni eterodosse, conducendoli su sentieri
che presentano molte analogie: l'emanatismo, la divinizzazione dell'uomo, il miraggio di un mondo reso perfetto
da un uomo perfetto che crea una societ perfetta, arrogandosi la perfezione di Dio e portando al naturale
compimento un progetto cosmico inceppato. Il pulviscolo settario ha molte pi analogie delle "ortodossie", frutto
dell'affermarsi di singole scelte a conclusione di un percorso magmatico, la cui difficile lettura si fa evidente
nelle "sviste" degli eresiologi, che confondono tra Pauliciani e Manichei, tra Khurramiti e Mazdakiti, e cos via
sin oltre il Medioevo. Temi come la metensomatosi; la ripetitivit della discesa dello Spirito e, con esso, della
Profezia; l'attesa millenarista: sono comuni. Contro di essi scendono in campo tutte le ortodossie che tendono a
fondare identit matrici di diversit, una diversit che nella quotidianit vernacolare tende a diluirsi. Le diversit
delle ortodossie si fondano nelle diversit delle Rivelazioni e nei contingenti percorsi storici che hanno
consentito ad alcune scelte interpretative di affermarsi sulle altre. Le ortodossie dividono.

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La filosofia solleva viceversa dubbi analoghi, perch la Ragione ambivalente, non "fonda": pu
divenire al massimo una lingua franca allorch si dissolve in ragionevolezza. Il problema "filosofico" nel quadro
delle Rivelazioni sempre stato conducibile a comuni interrogativi: come unire e distinguere razionalmente un
Dio creatore e un mondo creato, un uomo fatto a immagine e somiglianza e una discontinuit ontologica.
D'altronde, anche limitare l'essere al cosmo ponendo Dio al di sopra in un diverso piano ontologico, non senza
controindicazioni: pu portare al Wahhbismo, che non il migliore dei mondi possibili. Fondare il mondo
dell'uomo razionalisticamente porta a disastri su ogni versante. Le eterodossie dissolvono viceversa le differenze
nel pulviscolo gnostico: "Gnosi" infatti la pretesa di conoscere razionalmente ci che sfugge alla Ragione e
persino contraddirla: obbliga a percorsi esoterici, a vedere nel manifesto la trasparenza d'Altro; la Gnosi si
annida facilmente nelle concezioni neoplatoniche del cosmo
Aver trascurato, anzi, del tutto ignorato i percorsi del Neoplatonismo, ha significato molto nel
pensiero di Strauss. Non l'ha condotto soltanto a non comprendere la filosofia islamica, n soltanto a trascurare
esiti come l'alchimia, l'astrologia, la magia, che percorrono l'Ellenismo tardo, l'Islam e l'occidente -lo stesso
Giudaismo medievale- con strutture di pensiero analoghe e documentati scambi. Il discorso di Strauss, tutto
interno al Razionalismo classico e alla critica del Razionalismo scientifico, si rapporta ad un occidente mutilato
di una lunghissima vicenda che ha un peso nella cultura occidentale e che ha agito e agisce nei suoi sviluppi. In
quella vicenda si espressa la componente utopica che ha messo in moto la storia degli eventi pi di quanto non
possa far pensare la sua costante e ripetuta marginalizzazione. Una cultura che si espressa anche, e, vorrei
dire, soprattutto, nel luogo deputato dell'utopia, cio nell'arte, dove l'anima pu rappresentare la non dicibile
"verit", una verit che agisce nella storia agendo sull'animo umano.
Qui vorrei aprire un'altra divagazione apparentemente fuori tema, che di fatto riconduce al problema
sollevato dai Sofisti, tacciati di fellonia per motivi politici. Vorrei accennare all'essenza del Barocco, da me
sempre indicato come un haut lieu del Neoplatonismo, di una verit che si costruisce come costruzione
dell'anima. Nel Barocco il poeta e l'artista debbono suscitare meraviglia e coinvolgere il fruitore nella
rappresentazione, operazione retorica e magica il cui fine il convincimento, e l'orientamento dell'anima a nuove
aperture sul reale. La struttura del cosmo barocco , in partenza, quella stessa del Neoplatonismo: ci che appare
trasparenza d'Altro, il mondo allude e nasconde, levita su un tessuto che costituisce il "Vero" come "Altro". Il
mondo un simbolo che ri-vela: nasconde ma anche addita, esso anche la via unica, ancorch labirintica e
ingannevole, al "Vero". Nell'ontologia neoplatonica del Barocco esso diviene una macchina teatrale, il theatrum
mundi, la gran mquina di Gracin. Il fine abitualmente religioso, ma non necessariamente, anche se
precisamente in questo ambito si assiste al recupero dell'entimema come "concetto predicabile", cio adeguato a
una trasmissione retorica del vero, sorretta con la rete simbolica delle metafore e delle analogie. La retorica non
limitata all'arte del dire, un'arte del porgere in generale, capace di coinvolgere creando la realt dell'illusione,
veicolando cio il vero per il tramite dell'immaginazione: nella scultura il rappresentato esce dal proprio spazio
invadendo quello del fruitore che viene cos coinvolto nella rappresentazione; nella pittura il quadraturista usa la
prospettiva per calare il cielo nello spazio sacro del Tempio e trascinare il fedele in quello spazio, a tu per tu col
mondo dei Santi: il Tempio diviene cos il luogo d'accesso teatrale e perci reale al Sacro.
Ci che appare essenziale nel Barocco e nelle sue technicalities, tra le quale primeggia l'Agudeza che
proietta nell'inaudito, che l'arte diviene creatrice di nuova realt, non semplicemente quella della macchina
teatrale costruita, che fa da tramite, ma di quella che provoca nell'animo dello spettatore. Il Barocco realizza il
profondo detto di Gorgia riferito da Plutarco (De glor. Ath., 5, 348c): chi inganna pi nel giusto di chi non
inganna, e chi si fa ingannare pi saggio di chi non si fa ingannare. Dove la "giustezza" dell'inganno e la
"saggezza" dell'ingannato consenziente, indicano una via al vero che passa per l'empatia generata dalla
comunicazione, capace di portare alla luce la "verit" ri-velata nel non-detto, la verit non dicibile in rapporto
alla quale la logica dell'apodissi si rivela ambigua e perci anche falsa e falsificante. Dunque "vero" soltanto il
saggio inganno di chi va oltre la logica. Il Barocco "festa", il luogo ove l'Altro appare e perci , in radicale
opposizione alla tradizione razionalista che svaluta l'apparenza della dxa in nome dell'essere dell'epistme.
La pi straordinaria esposizione di questa inaudita verit chiusa nella parabola dell'eroe di
Cervantes, che merita di essere analizzata perch da essa si evince la realt di questa "verit".
Nel Primo Libro del Don Chisciotte (Parte III, Cap. XXV) il Cavaliere dalla Triste Figura, rifugiato
nella Sierra Morena, decide di inviare per mezzo di Sancho una lettera alla contadina Aldonza Lorenzo, da lui
coscientemente trasformata per sempre nella bella Dulcinea del Toboso. Sancho dovr riportare la risposta
dell'inconsapevole Dama, dopo averle riferito che il Cavaliere ha perso il senno e fa cose strane nei boschi (come
Orlando rifiutato da Angelica e altri infelici eroi della Cavalleria). Sancho gli domanda stupito perch mai farsi
pazzo, visto che la povera Aldonza non gli ha fatto alcun torto, non avendo neppure l'idea di essere stata
trasformata nella sua Dulcinea. Ecco la sorprendente risposta di Don Chisciotte:

Qui sta il punto -rispose Don Chisciotte- e qui sta la sottigliezza della mia faccenda; perch il fatto che un Cavaliere
errante diventi pazzo per una qualche ragione, non merita considerazione: il punto sragionare senza che ve ne sia
motivo......Cosicch, amico Sancho, non perder tempo a consigliarmi di lasciare una cos rara, cos felice, cos non
vista imitazione. Sono pazzo e pazzo debbo essere......

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Qui si avanza, in metafora, una straordinaria dichiarazione sulla natura dell'arte nell'estetica barocca.
Essere pazzo senza ragione di esserlo, cio fingere di esserlo non essendolo, e tuttavia ritenere di doverlo essere,
dunque esserlo sapendo di non esserlo, metafora della creazione artistica: un mondo che non c' va creato con
la convinzione che vi sia pur sapendo che non c'; ci che come dire che va usato l'artifizio per far s che vi sia
ci che non v' pur essendovi. Questa follia simulata mostra inoltre la sorprendente somiglianza e la profonda
differenza tra il rapporto dell'artista con la propria finzione e quello del folle con i propri fantasmi: il folle
letteralizza la propria menzogna nel senso che non sa viverla come finzione. In altre parole, al folle manca la
capacit di chi sa porsi in miracoloso equilibrio sul doppio piano che rende vera una cosa "non vera". Una cosa
"non vera" diversa da una menzogna -lo sapeva gi Esiodo- e infatti la verit creata dall'artista altra cosa
dalla "verit" dell'ovvio e del quotidiano, perch vera soltanto su un piano inubicabile. L'artista e il folle
vivono entrambi i fantasmi dell'immaginazione (o della fantasia, secondo la nota distinzione) ma soltanto il
primo ha la capacit di manipolarli come tali e sapendoli tali. Qui c' anche un problema di cultura, perch conta
la capacit di percepire la differenza tra "vero" e "reale" insieme alla loro convergenza. Rendere reale un non-
vero significa renderlo vero su quel piano inubicabile, ma potentissimo costruttore di storia, che il piano u-
topico dell'anima.
Che Don Chisciotte (voce di Cervantes) abbia dunque chiara l'esigenza che per creare un mondo si
debba sviluppare il pensiero su due piani, evidente dalle parole che seguono immediatamente nel punto dove
abbiamo interrotto il discorso:

......sinch tornerai con la risposta alla mia lettera, che penso d'inviare per tuo tramite alla mia Signora Dulcinea; e se
quale la si deve alla mia fedelt, avr fine la mia stupidit e la mia fatica; e, se fosse il contrario, diverrei veramente
pazzo, e, essendolo, non proverei nulla. Cosicch, comunque lei risponda, uscirei dal mio tormento e dalla fatica nella
quale mi lasci, godendo, da savio, il bene che mi procurerai; o non provando, da folle, il male che mi apporterai.

Qui il duplice e opposto piano nel quale si dicotomizza il ragionamento, mostra la sua sottile natura di
coincidenza degli opposti, perch i due piani, apparentemente destinati a non incontrarsi, convergono di fatto in
un terzo e imprevedibile piano: una realt che prima non v'era, e che non sarebbe certamente esistita fuori
dall'ingegnosa costruzione di Don Chisciotte, fuori cio da quel luogo inubicabile.
Molto di pi lascia poi capire Cervantes, nello sviluppo del suo romanzo, sul ruolo di questo mondo
apparentemente inesistente e fantastico. Man mano che il romanzo si avvia a conclusione, i personaggi di Don
Chisciotte e di Sancho tendono a configurare uno straordinario intreccio sulla profonda "verit" del non-vero, del
"falso" artistico. Da un lato Don Chisciotte, conscio della visionariet del proprio mondo, non rinuncia ad esso,
perch lui stesso non avrebbe pi realt fuori da quel mondo, e la sua vita, di uomo e di personaggio, perderebbe
ragion d'essere. Dall'altro Sancho, conscio dell'inesistenza del mondo di Don Chisciotte, preferisce prenderlo per
vero, e credervi non credendovi, perch soltanto grazie a quel mondo di miraggi ha aperto gli occhi su una
possibile diversa dimensione, che, una volta percepita, non gli consente il ritorno al grigiore contadino, a ci che
sembrava realismo e realt, e tale sembra ancora alla sua terragna consorte. Al termine del romanzo, il "vero"
Don Chisciotte e il "vero" Sancho, sono altra cosa dal Don Chisciotte vero e dal Sancho vero degli inizi: sono
irresistibilmente cresciuti di vita propria tra i fogli del loro inventore, gli hanno preso la mano e si sono collocati
di propria iniziativa nella dimensione utopica della creazione artistica: hanno acquistato una propria "verit" e
sono diventati, non pi se stessi, i personaggi di se stessi. Questo, checch se ne pensi, raggiungere e
testimoniare la propria verit, creare una nuova realt che azzera l'apparenza dell'ovvio quotidiano. Questa la
creativit, parente nobile della follia; ed poetica perch evidentemente nasce sull'educazione al dominio del
mondo immaginale dell'anima, degli stessi fantasmi che travolgono i "non educati" a suscitarne la follia, perch
non hanno saputo combattere la lotta col Drago che custodisce l'acqua di vita. L'acqua li ha sommersi nel proprio
indistinto: soltanto il poeta nuota nel mare periglioso dell'anima.
Quando Don Chisciotte sar costretto a non proseguire nella rappresentazione della follia, morir di
malinconia, perch non potr pi farsi personaggio e quindi morir anche poeticamente, e con ci finir il
romanzo che non potr proseguire; per nel momento della sua morte anche un mondo morir attorno a lui,
perch il mondo perder il proprio incanto, anche per coloro che avevano voluto far rinsavire il Cavaliere con la
violenza, ma di fatto erano stati coinvolti nella sua finzione. Chi fu testimone dei fatti, rimprover all'artefice
della catastrofe messa in atto "a fin di bene" l'errore di aver voluto far rinsavire "il pi bel pazzo del mondo",
togliendo al mondo la grazia che lui e Sancho gli avevano dato. L'uomo non , come si ripete per pigrizia, un
animale razionale: un animale immaginante, che non "scopre", crea la verit.
Prendiamo ora di nuovo per mano il personaggio Don Chisciotte. Al vecchio hidalgo il mondo "reale"
non piace, non ne ama il metabolismo materiale che appiattisce l'esistenza sul calcolo di conservazione; e questo
mondo non sembra trasformabile in altro. Il momento cruciale della geniale invenzione nello sguardo che cade
casualmente su una qualunque contadina, Aldonza Lorenzo, della quale egli non raccoglie neppure la figura,
perch ella per lui essenzialmente il veicolo e lo strumento di una rivelazione (analoga all'illuminazione
gnostica o alla percezione paranoica: ma anche Zurbarn e Caravaggio dovettero aver guardato ci che per gli
altri era un qualunque cesto di frutta). Aldonza diviene cos la bella Dulcinea, adorna di tutte le fantastiche virt
delle eroine del romanzo cortese. Questo per soltanto il necessario fondamento della vera messa in scena che

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egli medita e vuol porre in atto: costituirsi in Cavaliere errante secondo le norme dei romanzi; quindi, per fedelt
all'invenzione -senza questa fedelt egli sarebbe un vero folle, questo punto va tenuto fermo se non si vuol
cadere nel giudizio volgare- gettare sul mondo uno sguardo nuovo e inaudito. In questo sguardo il mondo si
trasforma in quello dei romanzi di cavalleria, e quando gli eventi smentiranno quello sguardo, sottili e geniali
percorsi del pensiero "folle" tenderanno ad avvalorare singolari conclusioni: il mondo "reale" soltanto un
malvagio incantesimo (intuizione gnostica); il mondo "vero" quello costruito dall'anima del Cavaliere, dalla
sua immaginazione. A ci egli crede fermamente conoscendone per l'invenzione, come dir spontaneamente nel
finale: "io non sono Don Quijote, sono Alonzo Quijano". La convinzione che ne fa un pazzo per l'uomo ovvio
della quotidianit ci che fa viceversa di lui un creatore, che vedr la propria fine -come creatore, come uomo
mortale e come personaggio- nel momento in cui la convinzione stessa dovr essere smentita. Le sole opinioni
false sono quelle di colui che privo di fede. Da quel momento, da quando "rinsavisce" il suo vissuto passato
diviene veramente quello di un folle. La follia l'atto notarile della sconfitta.
Qui c' un gioco di specchi che va portato in luce, il rapporto tra il personaggio e l'autore. Don
Chisciotte infatti la proiezione creata da Cervantes che mostra l'illusoriet del mondo; perci Cervantes vive
l'invenzione su due piani: su quello del personaggio Don Chisciotte, che paga con la sconfitta e con la vita la
pretesa di fare del mondo reale il mondo utopico dei romanzi cavallereschi; e su quello di se stesso come autore
(vero autore dell'invenzione escogitata nel libro da Don Chisciotte) che sa che l'operazione possibile soltanto
come creazione artistica, destinata al solo piano u-topico della rappresentazione. Perci Cervantes colloca la
propria utopia sul piano dell'opera d'arte, dove la pu far "vera" e viverla come tale pur conoscendone l'utopicit.
La convinzione della verit del mondo immaginale crea la verit artistica del mondo immaginato, e questa verit
artistica, ancorch sconfitta dal mondo reale, destinata a mutare coloro che hanno assistito al suo
fantasmagorico dispiegarsi, e che, dopo la rivelazione, torneranno con disagio e inquietudine all'evidenza
dell'ovviet di un mondo, non pi cos certa. L'evento si annuncia simile a quello di una Grande Resurrezione, e
il percorso dell'artista/creatore , dopo la Resurrezione, guardare al mondo con uno sguardo "altro" e con due
certezze: quella della visione e quella che la visione non pu trovar posto nel mondo. Questa forza di vivere su
due piani la forza dell'Utopia, che d forza alla creazione e che crea un mondo agendo sull'anima, Fons vit
che alimenta la carcassa di un mondo rinsecchito, e lo fa rifiorire.
L'utopia la convinzione di una verit il cui posto non nel mondo, perci la sua vittoria si realizza
soltanto nel suo essere "follia per i Greci", cio per la Ragione; soltanto cos essa lascia, come Melusina, la sua
traccia nel mondo, e lo trasforma. L'utopia richiede coscienza del mondo, al contrario dell'atopia di chi non
conosce e non capisce il mondo, e pensa di invertirne la Ragione -detta a volte Ragion di Stato- riconducendo
cos se stessa a un mero Razionalismo subalterno. "Invertendo l'ordine dei fattori il prodotto non cambia"
recitavamo da bambini: nella storia il prodotto persino peggiore perch pi astratta si fa in tal caso la pretesa
razionalista, perci ancora pi oppressiva, in quanto non sorretta da una realistica cultura della prassi. Questo
incidente occorso talvolta ad alcuni "gnostici", cosa che mi offre l'opportunit di lasciare Strauss per rivolgermi
a un altro grande avversario della modernit, a quel Voegelin che fece di se stesso l'antignostico par excellence,
poich vide nella modernit non gi "l'ombra lunga", ma il rutilante e osceno trionfo dello Gnosticismo.
Come ebbi occasione di accennare di sfuggita nel testo, Voegelin stato colui che ha interpretato la
modernit, in particolare le tendenze del pensiero politico, nella categoria dello Gnosticismo, facendo uso di
un'estensione estrema, perci anche dubbia, nell'uso del termine. Tutto il "negativo" del nostro mondo, e la storia
che a quel negativo conduce, sono da lui interpretati nell'ambito di una "storia dello Gnosticismo" che, dagli
albori del Cristianesimo, allunga i propri tentacoli attraverso il Medioevo sino ai giorni nostri, avviluppando il
mondo.
Si assiste con lui a un'espansione abnorme dell'intuizione che era stata di Jonas, allorch questi aveva
ravvisato analogie tra la filosofia e gli eventi politici, del XX secolo, e l'antica eterodossia. In particolare egli
sosteneva che le dittature di destra e di sinistra sorte nel XX secolo fossero una riemergenza dello Gnosticismo.
A questa sua lettura avevo avanzato una critica ne La Gnosi, il volto oscuro della storia, alle pp. 344-346,
sostenendo che, se una certa suggestione poteva essere giustificata per quanto concerne la sinistra, ideologie
come il Nazismo rappresentavano l'esatto contrario dello spirito di critica sociale e delle tendenze libertarie insite
nella critica gnostica a questo mondo. E poi: certe "eredit", o si testimoniano nell'indagine storica, oppure
restano mere suggestioni: in ogni caso il termine "Gnosticismo" andrebbe usato soltanto per lo storico fenomeno
che interess il Cristianesimo, in particolare nel II-III secolo.
Voegelin, che si occupato per tutta l'esistenza del problema dell'ordine sociale sotto il profilo
teologico e filosofico, estendendo l'analisi praticamente a tutta la nostra storia, godeva della stima di Strauss, che
considerava le sue interpretazioni superiori a quelle di tanti altri, e che ebbe con lui un carteggio pubblicato in
F&PPh insieme a saggi dei due filosofi. Voegelin ha prodotto una vastissima letteratura sull'argomento (la sua
opera raccolta in 34 volumi) ma io qui mi limito al suo specifico rapporto con lo Gnosticismo, cio con
l'argomento dal quale partita la mia ricerca su un "altro occidente". Pi precisamente, faccio riferimento agli
scritti raccolti nel quinto volume delle sue opere, Modernity without Restraint, ed. by M. Henningsen, Columbia
and London, Un. of Missouri Press, 1999. In esso si trovano i suoi pi importanti saggi nei quali chiamato in
causa lo Gnosticismo quale elemento costituente del pensiero politico moderno; tema che fu trattato da lui anche

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altrove negli scritti e nelle conferenze, ma poich i concetti restano sempre gli stessi, ritengo che questa ristretta
analisi sia sufficiente per chiarire il problema.
Prima di entrare direttamente sull'argomento, trovo tuttavia interessante soffermarsi brevemente sulle
note introduttive di Henningsen, perch vi si sottolineano alcune cose da tener presenti. La prima (p. 8)
costituita dall'associazione che egli sembra additare tra i portatori della critica alla modernit, e le loro radici
religiose; ci vale per Strauss -peraltro dichiaratamente ateo- e per il protestante Voegelin. Questi infatti, come
vedremo, prende le mosse dall'avvento di Cristo come mutamento epocale che rende non pi proponibile la
societ del mondo classico. Voegelin si distingue dunque da Strauss nel fatto di escludere la possibilit di un
ritorno alla filosofia politica platonica (p. 11); ci non toglie che egli vedesse nel Razionalismo classico e nel
Cristianesimo le grandi strade per la ricerca della verit, e nelle dittature di destra e di sinistra del XX secolo i
prodotti dell'Illuminismo filtrati negli sviluppi del pensiero tedesco. In ci si pu dire che vi fosse una
sostanziale convergenza tra lui e Strauss; e fu su tali fondamenti che egli elabor la convinzione di una
continuit di pensiero tra lo Gnosticismo antico, il Millenarismo medievale, e quello che, secondo lui, era il
moderno Gnosticismo (p. 15).
Sull'argomento dello Gnosticismo dunque, egli volle documentarsi sia direttamente, sia tramite il
rapporto con Hans Jonas (del quale ho gi segnalato la determinante influenza) e con il grande studioso dello
Gnosticismo di orientamento junghiano (Jung fu un grande conoscitore dello Gnosticismo, considerato a sua
volta uno "Gnostico") Gilles Quispel. significativo allora sottolineare quanto Henningsen annota a p. 16:
entrambi mantennero le proprie riserve sulla "filosofia della storia" ( lecito definirla cos) ideata da Voegelin,
che fece dello Gnosticismo un filone ininterrotto, direi una categoria della storia, che dagli albori del
Cristianesimo giunge alla modernit, marcando le tappe di una crisi della societ occidentale.
Il volume si apre con il saggio The Political Religions, che del 1938, l'anno dell'Anschluss e della
partenza di Voegelin dall'Austria. Il saggio scritto perci al cospetto della minaccia nazista sull'Europa, ma gi
dalla Prefazione (pp. 23-25) mostra la tendenza di Voegelin ad inserire un puntuale fenomeno storico non
soltanto all'interno di una deriva culturale o di un malessere sociale, ma di un vero e proprio quadro cosmico e
metafisico; in altre parole: la tendenza a delineare una "filosofia della storia" che mostra sotterranee analogie con
la logica "gnostica".
Voegelin esordisce affermando in modo perentorio che il collettivismo politico non soltanto un
fenomeno politico, ma innanzitutto un fenomeno religioso. Di ci non gli si pu far torto; al contrario, gli va dato
atto di aver compreso ci che la moderna cultura occidentale, nel suo spensierato post-illuminismo, non sembra
pi in grado di comprendere, il ruolo fondante della religione nella politica: perch le idee -i miti, le ideologie-
che vi agiscono, hanno un fondamento nel senso che l'uomo attribuisce al proprio essere nel mondo.
Visto sotto il profilo religioso dunque, il Nazismo si illumina per Voegelin di una luce cosmica: esso
la testimonianza della concreta presenza del Male nel mondo. Esso inoltre espressione di un malessere e di una
crisi, riassumibile nel fenomeno della secolarizzazione che , a sua volta, espressione del fallimento della cultura
occidentale: il Nazismo anticristiano. In ci esso non soltanto atroce e luciferino, ma ha anche, in quanto
luciferino, una grande forza di attrazione.
Questa dunque la Prefazione, che merita attenzione. La concreta realt del Male come sua concreta
presenza nel mondo, non una tesi propria soltanto delle religioni tradizionali, perch si trova anche in Kant,
nella dottrina del Male radicale elaborata all'interno di una religiosit puramente razionale; essa inoltre una
constatazione aperta a chiunque non guardi all'uomo con lo sciocco ottimismo illuminista, che tuttora fonte di
gravi errori di valutazione sul piano sociale. Quando per si fa riferimento alla sua forza di attrazione, il pensiero
deve correre a Schelling e a chi ne costitu il modello, a Bhme, e si entra dunque all'interno di una riflessione
metafisica. Per giunta, ponendo il problema del Nazismo all'interno di un contagio che assale il pianeta,
Voegelin adombra, forse inconsapevolmente ma di certo con toni visionari, il conflitto cosmico tra gli avversi
princpi che fu formulato da Zoroastro. Con ci, ovviamente, non intendo stabilire accostamenti impropri: voglio
soltanto sottolineare la sua tendenza ad inquadrare metafisicamente i problemi storico-politici.
Ci non impedisce che Voegelin abbia una visione del fenomeno ben pi chiara delle intellighentzie
post-illuministe accecate dalla luce del Progresso, perch al di l del legame (non evidenziato) del Nazismo col
fenomeno otto-novecentesco del Neopaganesimo (e infatti il Nazismo anticristiano) Voegelin in grado di
sottolineare come esso non sia affatto un "ritorno alla barbarie", ma sia un fenomeno del tutto moderno, interno
alla modernit. In ci la sua analisi giunge a conclusioni analoghe a quelle di Strauss, conclusioni di enorme
portata anche per l'analisi delle attuali tendenze dell'Occidente, sulle quali non si riflette a sufficienza nella
cultura delle sullodate intellighentzie.
Voegelin entra poi nello specifico del suo argomento ponendo il problema del rapporto tra la politica e
la religione, dove il concetto di "religione" riguarda essenzialmente le religioni di redenzione, ma pu essere
esteso anche ad altre manifestazioni religiose. La politica concerne lo Stato e il potere di governare, che tuttavia
non pu porsi come assoluto: questa pretesa nasce con Hegel, che vide in esso la presunta manifestazione dello
"Spirito". Di fatto, il fondamento del potere non pu che essere in qualcosa che al di sopra del potere stesso,
che lo trascende.
Si noti come in questa analisi Voegelin riassuma la lunga formazione dell'occidente cristiano,
maturata nelle contese tra Stato e Chiesa con le quali si pose la distinzione tra l'esercizio e il fondamento del
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potere. Lo Stato non pu quindi fondare il proprio diritto su se stesso, soltanto Hegel fece dello Stato e della
Storia due moloch. Lo Stato Assoluto dunque il prodotto della modernit, e di una modernit pagana. Hegel
sar sempre nel mirino di Voegelin, e giustamente.
Il seguito dell'esposizione consiste dapprima in un excursus particolarmente sintetico, perch in poche
pagine va da Akhenaton al Medioevo; si sofferma quindi in poche righe sulla soluzione tomista del rapporto tra i
poteri, su Aristotele, su Federico II di Sicilia, per giungere infine a quello che resta il nodo principale delle
preoccupazioni di Voegelin, il Millenarismo come annuncio dell'avvento di una societ perfetta.
Gioacchino da Fiore infatti il perno attorno al quale ruota tutta la filosofia della storia di Voegelin, e
diverr, grazie alla "scoperta" dello Gnosticismo, il trait-d'union per fare di quest'ultimo il male patente della
modernit. Una dottrina che si basa per su troppe semplificazioni e generalizzazioni per non risultare alla fine
un generico semplicismo. Per il momento (1938) Voegelin si limitava al seguente percorso ideale:
Apocalitticismo ideale cristiano di una storia di salvezza Gioacchino da Fiore perfettibilit della
Ragione umana (Rinascimento) Illuminismo Massoneria Fede nel Progresso Marx, Engels, Nazismo
e Fascismo. In meno di due pagine. Lo Gnosticismo non ancora chiamato in causa, ma gi si intravede il
percorso che Voegelin fisser per la storia dell'occidente: GnosticismoGioachimismo(Illuminismo) Hegel
crisi della modernit (pp. 51-52).
Ora, ci che mi sembra si debba mettere in causa in questo percorso, che ha, s, degli innegabili punti
di appoggio, ma che finisce per debordare ogni possibile concretezza, la "facilit" (per non dir altro) dei
riferimenti e dei collegamenti. Il problema si delinea gi ora quando egli pone all'interno di una pura "storia
delle idee" il rapporto tra l'ideale monastico di Gioacchino e la sua rilettura tutta secolare nel Gioachimismo,
senza soffermarsi sugli eventi concreti che determinarono il mutamento di prospettiva.
Ora, se vero che le idee permangono e agiscono nella storia, anche vero che esse agiscono perch
vengono raccolte e utilizzate ideologicamente in rapporto a concrete circostanze e interessi, operazione nel
corso della quale esse mutano perch muta il contesto, la prospettiva, l'obbiettivo. Detto per inciso, vero che la
lezione di Cristo ha innestato tensioni escatologiche, vero che la tensione assiologica domina i tre monoteismi
(e lo Zoroastrismo), vero che queste forze sono divenute un elemento di spinta al cambiamento sociale nel
corso dei secoli di formazione dell'Occidente: ma non per questo avrebbe alcun senso imputare al Cristianesimo
la Rivoluzione Francese o quella Russa. Basti pensare, a proposito dei collegamenti operati da Voegelin, che lo
Gnosticismo non pi una realt significativa a partire dal III secolo, e che, al di l di sporadici eventi locali di
nessun peso, dopo i tempi del Montanismo le tensioni millenaristiche del Cristianesimo appaiono soltanto
all'alba del secondo Millennio: fenomeni di scomparsa e ricomparsa ben radicati in specifiche situazioni
economico-sociali, nei quali per giunta importante capire come e perch manifestazioni di dissenso puramente
religioso possono evolvere in moti tendenti a un nuovo ordine sociale, quindi politico.
Il rischio di scadere nella fantasia altrimenti in agguato: un esempio lo si ha quando Voegelin, a p.
52, evoca, al termine della sua galoppata storica, il mito fascista della terza Roma che non si capisce quale
rapporto abbia con tutto il resto. In effetti Voegelin mostra una certa disinvoltura nel racchiudere la storia degli
eventi in uno schema prefissato: dal XVII secolo in poi essa gli sembra scorrere all'interno di un unico evento, la
secolarizzazione della tensione escatologica che fu puramente spirituale in Gioacchino. Egli intreccia questo
fenomeno con la frammentazione della Chiesa e dell'Impero nelle entit nazionali, un'evoluzione nel corso della
quale Hobbes, con il suo Leviatano, diviene il teorico della nuova e diversa fondazione dello Stato nel patto
comune.
The New Science of Politics, del 1952, il lungo testo che segue e che contiene la critica di Voegelin
alla modernit. L'esistenza storica dell'uomo, esordisce Voegelin, si svolge e si sempre svolta nella societ
politica organizzata; perci una teoria della politica e dei suoi princpi deve essere al tempo stesso una filosofia
della storia. Con queste parole egli giustifica quindi la natura della propria indagine, che, come gi sottolineato,
consiste per l'appunto nel delineare una filosofia della storia. Questo modo di procedere, prosegue, oggi
desueto ed necessario restaurarlo: i due campi del sapere (scil.: filosofia e storia) sono oggi separati, ma erano
uniti all'atto della nascita della filosofia politica, che ebbe luogo con Platone nel momento della crisi della
societ della plis. Per questa ragione il momento attuale (1952) nel quale una societ si sta disintegrando, il
pi adatto ad esaminare il problema dell'esperienza politica nella storia. I grandi momenti analoghi del passato,
dice Voegelin, furono, oltre la crisi greca segnata dall'opera di Platone e di Aristotele, quella della crisi
dell'ordine romano, caratterizzata dalla riflessione di Agostino, e quella del primo grande terremoto della crisi
occidentale, segnata dalla filosofia di Hegel. La restaurazione, prosegue, non pu certamente avvenire tornando a
qualcuno di questi tre momenti.
Qui si nota una profonda differenza con Strauss e con il suo vagheggiamento di un ritorno a Platone;
Voegelin si richiama al grande sforzo delle ultime due generazioni sulla via di una tentata rifondazione, cio al
tentativo della prima met del XX secolo di riteorizzare una scienza politica che era stata distrutta dal
positivismo del XIX secolo, legato al grande sviluppo della scienze naturali e alla convinzione della loro
rilevanza epistemologica; alla convinzione cio che i problemi posti in termini metafisici fossero irrilevanti o
persino inesistenti. La critica allo Scientismo, quella che ho pi volte formulato in queste note, chiara, e
Voegelin la completa rivendicando ad ogni scienza una propria specifica metodologia.

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Cos, egli dice, se nei nostri sforzi per giungere alla concezione di un ordine umano, giungessimo a
quello platonico di Bene, o a quello aristotelico di nos, o a quello stoico di lgos, o alla ratio terna di
Tommaso, potremmo non esserne soddisfatti, ma ci resterebbe la consapevolezza che siamo alla ricerca di un
ordine di questo tipo; mentre se giungessimo alla dottrina della volont di potenza avremmo perso di vista
l'essenza del problema.
Interessante al riguardo la discussione che Voegelin apre subito dopo (p. 93) allorch nota la difficolt
di comprendere la "perversione" (parola sua) del positivismo, qualora tentassimo di definirlo a partire da uno dei
suoi rappresentanti, anche da Comte, perch di fatto nessuno ha mai pensato di costruire un modello matematico
della scienza sociale, conscio del sicuro fallimento cui sarebbe andato incontro. Se partissimo da questa ricerca,
potremmo anche concluderne che il positivismo non mai esistito. Di fatto, esso si per rivelato come cultura
che sta a monte della ricerca stessa, che ha indirizzato verso l'accumulo di materiali statistici irrilevanti, e la
trattazione inappropriata di quelli rilevanti, in un profluvio di "storie della filosofia" miranti a scoprire nei
classici i precursori degli esiti moderni. Ne sono nate terminologie del tutto estranee alla filosofia, come
"giudizio di valori" o "scienza avalutativa", e la distinzione tra "dati oggettivi" e "giudizi soggettivi", dei quali
soltanto i primi sono ammessi alla considerazione, in quanto "scientifici": tutto un bagaglio estraneo all'etica e
alla politica cristiana. La scomparsa dell'ontologia, sostiene Voegelin, non ha pi consentito di comprendere
l'etica e la politica come scienze miranti alla realizzazione della natura umana, perch questo campo di ricerca
divenne sospetto in quanto origine di "opinioni", soggettive e non critiche (p. 96). La scomparsa dell'epistme le
ha ricondotte nel campo della dxa (p. 97).
Come si nota, a prescindere dal diverso approccio, Voegelin viene a convergere in questo punto con
Strauss: l'importanza dell'ontologia e del connesso epistme come via per sfuggire all'irrilevanza della dxa. A
tutto ci segue, come prevedibile, la critica a Weber, che offre a Voegelin la possibilit di un inciso nel quale
attacca l'esistenzialismo. Anche qui l'accordo con Strauss pieno, e fu espresso anche nello scambio epistolare
(Strauss a Voegelin del 17-12-1949 e risposta di Voegelin a Strauss del 02-01-1950, in F&PPh, pp. 63-64).
Voegelin tuttavia riconosce a Weber che il suo rifiuto dei valori era motivato dal timore che essi fossero
strumentalizzati nell'ambito delle ideologie, e che il suo pensiero deve quindi essere considerato come avente per
fine l'ordine sociale.
Questo punto infatti caratterizza lo sforzo intellettuale di Voegelin, il quale, come Strauss ma in modo
assolutamente esplicito, orient la propria ricerca alla definizione di una filosofia politica che avesse per
obbiettivo l'ordine sociale. Il concetto di ordine sociale di Voegelin stato notoriamente criticato come una vera
e propria pulsione repressiva (cfr. Faber, cit. in Bibl. a p. 756); di fatto egli sottolinea i tentennamenti di Weber
al riguardo, con una critica che illumina bene i suoi obbiettivi. Dice Voegelin che Weber riconobbe s, alle fedi,
una tensione in direzione dell'ordine sociale, tant' vero che si guard dal considerare i loro "valori" alla stregua
di quelli delle ideologie; ma affronta il problema religioso ignorando quel Cristianesimo medievale che
costituisce un luogo deputato della scienza razionale dell'ordine umano e sociale. Weber avrebbe potuto
affrontare una "scienza" dell'ordine soltanto se si fosse "seriamente occupato di filosofia greca" (p. 103). Le
convergenze con Strauss appaiono qui chiare unitamente alle differenze: sul pensiero politico cristiano del
Medioevo dovremo tornare a riflettere con Tommaso.
Il risultato finale del giudizio di Voegelin su Weber resta dunque un complesso di luci e di ombre:
viene dato atto che, pur nell'ambito di una scienza avalutativa, Weber trasse la ricerca fuori dalle secche
metodologiche del Relativismo con il dare il dovuto peso ai fattori veramente rilevanti, contribuendo cos a
ristabilire un ordine teorico.
Nel complesso, Voegelin giudica tuttavia l'evoluzione del pensiero politico occidentale in direzione di
un Razionalismo scientifico che pone il divieto alla metafisica, come un passaggio a forme di razionalit
inferiori, quindi un regresso, un fenomeno distruttivo che culmina nel XIX secolo, al quale si tenta di opporre
una ricostruzione nel XX. Segue un'analisi dei regimi politici nella storia, che va dalla Francia e dall'Inghilterra
medievali, alla Persia e a Gengis Khan, e che non ha molto interesse nel nostro contesto.
Un riferimento significativo agli obbiettivi di Voegelin si ha viceversa quando egli torna di sfuggita
sulla societ medievale come modello d'ordine ispirato all'ordine cosmico: un argomento che affronteremo in
seguito con Brague. Le tendenze autoritarie di Voegelin hanno tuttavia occasione di manifestarsi nella sua
successiva analisi del pensiero platonico. Se mi permetto di insistere sull'argomento dell'autoritarismo, ci
perch soltanto in questa luce si pu forse comprendere la sgangherata lotta contro i fantasmi gnostici nella quale
si andr condensando la critica di Voegelin alla modernit. Secondo Voegelin la filosofia di Platone il tentativo
di stabilire un "vero ordine" dell'anima; la teoria quindi, non un'opinione sull'esistenza dell'uomo nella societ,
ma il tentativo di formulare il significato dell'esistenza spiegando il contenuto di determinate esperienze dalle cui
scelte deriva la validit della formulazione. Lo sviluppo della teoria, aggiunge per Voegelin, non possibilit
accessibile a chiunque: necessaria un'inclinazione e una base economica che consenta di dedicarsi ad anni di
studio. Qui cita a sostegno delle proprie posizioni elitarie due passi della Politica di Aristotele, nei quali si
constata il difficile attecchimento sociale della delicatissima pianta dell'uomo attivo e virtuoso in tal senso;
peccato dimentichi di ricordare le conclusioni del filosofo (Pol. 1302a, 13-15) secondo il quale il miglior regime
si fonda sulla classe media, pi vicina al popolo che ai pochi, che per tale ragione d origine al regime pi sicuro.

974
Platone e Aristotele restano comunque per Voegelin i portatori della verit sull'esistenza; ed davvero
straordinario apprendere che per lui tale "verit" testimoniata dall'ordine gerarchico delle anime stabilito da
Platone (p. 141), quello stesso che mi sono permesso di ricordare con qualche perplessit nelle pagine
precedenti. Pi interessante, per tentar di capire Voegelin, appare il modo in cui egli affronta la concezione della
"verit" -quindi della societ e del potere- nella societ romana, e la nuova visione apportata dal Cristianesimo;
interessante perch Voegelin sembra guardare alla complessit del Cristianesimo delle origini, e alle
implicazioni rivoluzionarie che ne potevano emergere, con lo sguardo del Cristianesimo medievale, tomista.
Questo significa guardare alle premesse con lo sguardo agli sviluppi -ad alcuni, specifici sviluppi- un po' come
gli eresiologi che vedono nell'ortodossia l'incipit, invece dello sbocco di un processo conflittuale. Leggere il
Cristianesimo in un'ottica gi platonico-aristotelica, significa rinunciare a capire il fondamento delle letture
divenute poi eterodosse: rinunciare a prender atto delle ragioni degli Gnostici. In effetti, Voegelin riteneva che
l'orizzonte teorico potesse essere circoscritto entro i limiti di una compatibilit del Razionalismo classico con
l'esperienza cristiana (p. 151).
Sono tuttavia significative le ultime pagine dedicate da Voegelin alla trattazione del problema
dell'ordine sociale nel mondo romano (pp. 169-174). Egli sostiene la natura rivoluzionaria del Cristianesimo,
dovuta al fatto che esso "de-divinizz" il mondo. Ci certamente vero, ed precisamente in questa logica che
Voegelin dovrebbe capire le ragioni dello Gnosticismo, che rifiutava l'ottimismo di regime sulla bont divina di
questo mondo: ma la cosa sembra "stranamente" sfuggirgli. Non gli sfugge viceversa l'aspetto politico del
progressivo costituirsi del Neoplatonismo nel passaggio dal De mundo a Filone: esso fa infatti dello schema
emanatistico dall'Uno, il modello cosmologico/ontologico della societ imperiale.
Il cuore della trattazione di Voegelin si raggiunge per con il quarto capitolo, il cui titolo quanto mai
significativo: Gnosticism. The Nature of Modernity. Per capire il senso della sua trattazione del fenomeno,
occorre riandare mentalmente al titolo del citato articolo di Faber: Gnosis-Verdacht als polit(olog)isches
Stratagem, perch l'uso che Voegelin fa di questa "categoria della storia" definibile soltanto in tal modo.
Soltanto come uso politologico nell'ambito di una polemica politica infatti comprensibile il suo concetto di
"Gnosticismo" come malattia immanente alle vicende umane.
Voegelin esordisce in modo alquanto contorto: dopo la de-divinizzazione del mondo operata dal
Cristianesimo (nel senso che esso introdusse la fede in un destino trascendente dell'uomo) il mondo sarebbe stato
ri-divinizzato dai moderni movimenti di massa, che non sono neo-pagani, ma discendono da una versione
ereticale del Cristianesimo. Inizia qui la descrizione della gemmazione del Cristianesimo dal messianismo
ebraico, e dell'attesa della seconda parusia che mostra chiaramente come egli si stia riferendo di fatto al
Millenarismo, un fenomeno che abbiamo visto essere presente ovunque, dunque non specifico del Cristianesimo,
e con lontane ascendenze iraniche. Ci gli consente di balzare a pi pari nel Medioevo, a Gioacchino da Fiore del
quale dice testualmente (p. 179) che "Nella sua escatologia trinitaria.....cre l'aggregato di simboli che governa
l'autointerpretazione della moderna societ politica sino ai nostri giorni": con ci riferendosi al movimento
triadico presente nella dottrina hegeliana, marxista, e in altre; pi precisamente alla loro tensione verso la
gestazione di una societ futura perfetta; ma non soltanto. Un altro simbolo creato da Gioacchino sarebbe quello
del Capo di questa nuova societ, simbolo che si fonde con un terzo, quello del Profeta della societ finale. La
capacit di conoscere questo futuro con certezza, configura quindi una vera e propria Gnosi. L'intellettuale
gnostico caratterizza la societ moderna, e Gioacchino fu il primo della specie. Il quarto simbolo fu quello della
fratellanza che caratterizza questa et finale.
Un caso caratteristico di questo Terzo Regno sarebbe lo Stato Nazista, che deriverebbe il proprio
Gioachimismo dal movimento Anabattista rivoluzionario del XVI secolo (p. 180). Qui confesso la mia radicale
incapacit di capire i nessi di Voegelin, a meno di non pensare che stia facendo un minestrone generale di tutto
ci che gli appare indigesto. Poich ho trattato con un certo dettaglio sia Gioacchino, sia il movimento
anabattista di Mnster, ho un'enorme difficolt a intravedere un loro rapporto con il Nazismo; intravedo
viceversa il metodo di Voegelin che mi sembra decisamente improprio, per non dire scorretto, per condurre
un'analisi storica. Egli infatti dapprima astrae da un evento storico (la profezia di Gioacchino sulla storia a
venire) alcuni elementi che definisce "simboli"; ritiene poi di ritrovare quei "simboli" (il Terzo Regno, il Capo
carismatico/Profeta, etc) in un evento storico posteriore di sette secoli e stabilisce che il secondo evento (il
Nazismo) conseguenza del primo (la Profezia di Gioacchino). Un'operazione simile pu serenamente definirsi:
mistificazione. una mistificazione perch ignora la concretezza degli eventi, gli obbiettivi in gioco, il carattere
mistico della Profezia di Gioacchino, la ribellione degli Anabattisti contro la violenza del Vescovo (e i fatti
economici in gioco) e la cupa mitologia totalitaria e razzista del Nazismo giunta al potere sull'onda di una crisi
tremenda della Germania. Col "simbolo" i conti si possono far tornare a piacimento: la specificit azzerata.
Ancora una volta la "filosofia della storia" fa scomparire la storia con un gioco di prestigio, in questo caso anche
goffo: e non rende un buon servizio neppure alla filosofia.
Intermediari tra l'Anabattismo e Hitler sarebbero stati inoltre Hegel e Schelling: tutto questo,
naturalmente, soltanto affermato. Voegelin va anche oltre: mette di mezzo Bisanzio, i Turchi, Napoleone, la
Russia da Pietro il Grande a Carlo Marx, il tutto partendo da Agostino e in meno di tre pagine: difficile seguirlo.
Il discorso riprende pi pacato al termine di p. 183. "Dall'esposizione dei simboli di Gioacchino e
dalla rapida rassegna delle loro ultime varianti a dall'apocalisse politica della Terza Roma (scil.: ora quella
975
moscovita, non pi quella fascista) chiaro che la nuova escatologia influisce sulla politica moderna" (p. 184).
Inizia qui una nuova analisi del pensiero di Gioacchino a partire dalla tradizione del Millenarismo raccolta dal
Cristianesimo, una riflessione che consente di aprire un nuovo spiraglio sul pensiero non gi dell'Abate, ma di
Voegelin.
Voegelin afferma giustamente che Gioacchino non perse la connessione col Cristianesimo; tuttavia
egli tent di immanentizzarne il significato nella storia, e questo fu il primo tentativo occidentale in tal senso.
Ora, qui mi sembra patente che Voegelin veda nel Cristianesimo soltanto un messaggio di giustizia ultraterrena
senza alcun riflesso nella storia, cio nel comportamento e negli obbiettivi sociali di coloro che ne recepiscono il
messaggio. Al luogo debito (pp. 290-294, e in particolare a p. 293 a proposito della polemica antigioachimita di
Tommaso) ho sottolineato come Gioacchino raccolga un aspetto essenziale del Cristianesimo, lo storicizzarsi del
mondo divino. Questo aspetto fu ben presente nel primo Cristianesimo, in particolare in quelle frange che furono
emarginate ed espulse. Dimenticare tutto ci, vedere il Cristianesimo sin dall'origine con lo sguardo rivolto al
termine del suo lungo processo di istituzionalizzazione, significa, tutto sommato, essere alquanto estranei al suo
complesso significato storico, porsi sul piano di una preminenza dell'ordine che riporta -con una logica pi greca
che cristiana- il mondo di qua sotto la sfera di una politicissima Ananke, collocando di l un mondo separato
dove tutto andr per il meglio, evitando all'ordine il disturbo che ne verrebbe da indebite speranze. La religione
viene cos ricondotta a puro quietismo e la coscienza del credente viene scissa: tutto ci ha poco a che vedere
con il messaggio testamentario e col suo esempio.
Ci nulla toglie alle ragioni della sua istituzionalizzazione, ma non si pu ignorare la dialettica sempre
esistita al suo interno e le scomode insorgenze che ne sono derivate, le cui radici sono interne allo stesso
messaggio, non estranee: e ci vale per lo stesso Gnosticismo e per il Profetismo e il Millenarismo dei
Montanisti. La posizione di Voegelin, il modo in cui egli legge non soltanto gli eventi, ma le dottrine, mostra che
il suo vero oggetto non il Cristianesimo, ma l'ordine, inteso non come instabile esito storico e politico, ma
come modello immobile. Voegelin resta ancorato al Razionalismo classico e alla sua logica, quella di
un'ideologia del dominio trasferita all'interno di una religiosit non pi viva, ma istituzionalizzata al servizio
dell'ordine (politico) del mondo; e, per il resto, fatta di sola fede nella trascendenza. Con il risultato, non voluto
ma inevitabile, di non disturbare inumane dittature.
"Dall'immanentizzazione di Gioacchino" prosegue Voegelin a p. 185, "nasce un problema teorico che
non si presenta n nell'antichit classica, n nel Cristianesimo ortodosso (corsivi miei) cio il problema di un
eidos nella storia". Questa frase non soltanto la conferma di quanto ho appena sostenuto, cio dei due soli
parametri che guidano la ricerca di Voegelin, quindi dei suoi politici interessi; ma anche della poca attenzione
che egli dedica al percorso che conduce al Cristianesimo, e che non ha nulla a che vedere con l'antichit
"classica" (anzi, la smentisce). Anche perch, a chi, come lui, ha indagato le societ antiche sin dagli Assiri, non
pu sfuggire che il problema di un "eidos nella storia" non nasce con Gioacchino, ma con Zoroastro; da l si
ripercuote nel Giudaismo, agita il periodo intertestamentario e trova sbocco nel Cristianesimo, che, per
sopravvivere e non disperdersi tra gruppuscoli e persecuzioni, trover il modo di maneggiarlo con juicio: ci che
non potr impedirne la periodica risorgenza carsica.
Voegelin sembra inoltre dimenticare che all'avvento del Cristianesimo non estranea la crisi
dell'antichit classica e del suo Razionalismo, tant' che mi sono permesso d'interpretare sin da La Gnosi, etc.,
cit., il ripresentarsi di insorgenze "gnostiche" nella storia, non tanto come risultato di una presunta continuit
conventicolare, quanto come conseguenza del perdurare in Occidente del Razionalismo classico come ideologia
del dominio e del ripetersi delle sue crisi che si manifestano nei periodi di grande trasformazione, quando la
societ perde consolidati equilibri e si frammenta alla ricerca dei nuovi. Che cosa sia il "suo" Cristianesimo,
Voegelin lo dice infatti subito dopo: l'uomo e l'umanit hanno ora un compimento, ma esso al di l della
natura.
Ora, a prescindere che questo tutt'al pi Tommaso nella sua polemica con Gioacchino dodici secoli
dopo la venuta di Cristo, e che Tommaso non comunque "il Cristianesimo" ma una sua lettura, ancorch
autorevole, una cosa mi sembra singolare come prodotto dell'iniezione platonico-aristotelica. Abbandonare il
mondo alla derelizione per rifugiarsi nel miraggio di un luminoso mondo di pienezza posto altrove,
semplicemente gnostico! I nemici dello Gnosticismo in nome del Razionalismo classico, una volta posti a
confronto con la religiosit testamentaria ricadono facilmente nello Gnosticismo, che precisamente il risultato
di quella miscela indigesta. La Ragione, condotta alle conseguenze ultime, pu soltanto contraddirsi, come gi
mostrarono gli Scettici; di queste contraddizioni costellata la storia di un Occidente che non esce dal cerchio di
gesso. Eppure, che la "verit" nasca altrove come testimonianza, lo intuiva assai bene il "politico" Aristotele
quando citava Eraclito: difficile opporsi alle passioni, perch per esse si disposti a pagare con la vita (Pol.,
1315a). La realt del politico infinitamente lontana dagli specchi dei Principi, perch la politica, come
sosteneva Spinoza, deve sempre tener conto delle passioni: e delle loro ragioni.
Anche la "Ragione" di Voegelin rassomiglia a un'incontenibile passione per l'ordine. Ci che egli
mette giustamente in luce (p. 187) che il tentativo di costruire un eidos della storia porta ad una falsa
immanentizzazione dell'schaton; ma ci che egli non vede che questa manifestazione di Razionalismo
subalterno non che l'atopia imposta dal Razionalismo egemone che ignora il ruolo dell'utopia nella storia;
una falsa dialettica interna al Razionalismo, il quale nasce come pensiero chiuso sull'immanenza; soltanto la
976
dialettica di storia e utopia costituisce la versione "laica" dell'unica dialettica reale, quella tra immanenza e
trascendenza.
Perci Voegelin condanna quella immanentizzazione in nome e per conto della propria professione di
fede: la vera essenza del Cristianesimo l'incertezza (ivi). Una volta posto l'errore nella mancata percezione di
questa incertezza, gli possibile porre nell'esperienza gnostica, la cui storia e la storia della sua trasmissione al
Medioevo non gli possibile nell'economia del testo (dunque la d per scontata, mentre una vexata qustio
nella quale ho pi modestamente tentato di muovermi con cautela) l'inizio di una straordinaria galoppata. Da
Gioacchino, egli corre attraverso "l'Umanesimo, l'Illuminismo, il Progressismo, il Liberalismo, il Positivismo e il
Marxismo" (p. 189) con un pensiero a latere che unisce Marx e Hitler (ivi). Lo aveva per onestamente
anticipato a p. 188: "The historical detail is not the present concern"; che, tradotto, significa: non mi preoccupo
di riferirmi agli eventi reali, fastidio del quale Voegelin si gi liberato trasformando gli eventi in simboli.
La radicale generalizzazione gli torna comunque utile per togliere ogni dubbio ai lettori sulla
digeribilit del suo pot pourri, assicurando che "I simboli intellettuali dei vari tipi di Gnostici (sic) sono
frequentemente in conflitto tra loro, e i vari tipi di Gnostici (sic) si oppongono l'un l'altro" come i Liberali e i
Marxisti (p. 189). In sostanza: tutto l'occidente gnostico. Qui non si tratta pi di una "ombra lunga" gettata
dallo Gnosticismo sulla modernit: qui siamo tutti travolti da un inesplicabile movimento epocale fonte della
crisi di un'intera civilt, crisi che dura quindi da almeno mille, forse duemila anni.
La debolezza dell'argomentazione addita la forza della passione. L'impressione si conferma nella
successiva p. 190: dopo un ricordo della iniziale "eresia" gnostica definita anticristiana, si vagabonda qua e l nei
due millenni, notando che, ovviamente, l'eresia si andata trasformando nell'odierno anticristianesimo, e che
forse anche i movimenti medievali potrebbero essere anticristiani. Domande difficili si pongono, e perci, dice
Voegelin, " meglio lasciar cadere tali domande e riconoscere l'essenza della modernit negli sviluppi dello
Gnosticismo". Parole sue. Naturalmente, aggiunge (p. 191) non c' stata soltanto una Gnosi cristiana, ma anche
una giudaica e islamica; tuttavia il suo nucleo dottrinale nell'Alto Medioevo, e non necessariamente essa
condusse a una falsa interpretazione della storia come con Gioacchino. Voegelin rinvia a Ireneo per la
comprensione dello Gnosticismo -come dire che in un processo la "verit" appannaggio di un Pubblico
Ministero espresso, per giunta, dalla parte avversa- e ritiene che l'espansione dell'occidente abbia avuto un ruolo
nel conformare la dominante comprensione "gioachimita" della storia. La quale, a sua volta, fu messa in moto
dallo "gnostico" Scoto Eriugena, che, con la sua opera e la traduzione di ps.Dionigi, esercit "una continua
influenza sulle sette gnostiche sotterranee, prima che venissero alla luce nel XII e XIII secolo" (corsivo mio).
Questa la chiamerei cultura del sospetto, per evitare definizioni cliniche che non sono di mia competenza. Mi
domando come uno studioso serio e un pensatore profondo, quale fu Strauss, potesse definire "towering" sulle
altre, la lettura della storia occidentale fatta da Voegelin, con la quale, a merito di Strauss, si deve dire che egli
non concordava.
La storia dell'occidente di Voegelin come storia dello Gnosticismo, offre a questa "eresia" almeno un
merito, aver alimentato spiritualmente la corsa verso la civilt materiale; cos l'iniziale tensione verso la Salvezza
diventata una "apocalisse della civilt", apocalisse sulla quale cade un'ombra: accanto all'espansione cresce il
pericolo insito in questo progresso, e una civilt pu anche avanzare e declinare contemporaneamente, come
quella occidentale dopo il Medioevo, ma non per sempre, perch c' un limite. "Il limite raggiunto quando una
setta attivista portatrice della verit gnostica organizza la civilt in impero da essa dominato. Il Totalitarismo,
definito come dominio esistenziale degli attivisti gnostici, la forma finale della civilt progressista" (p. 195).
Un esempio della sua lettura della storia, Voegelin lo offre subito dopo in un capitolo dedicato al
"caso dei Puritani", definito come "rivoluzione gnostica" (pp. 196-241). Il confronto con i Puritani guidato
dalla rilettura di ci che scrisse il Reverendo Hooker, un prete anglicano noto per il suo adattamento del
Tomismo alla religione anglicana, e che dei Puritani fu, ovviamente, acerrimo nemico.
La modernit viene subito definita come sviluppo dello Gnosticismo, un fenomeno che per Voegelin
ha inizio nel IX secolo; ci tanto evidente "che non ha bisogno di ulteriori riflessioni" (p. 196): il suo pensiero
va evidentemente a Scoto Eriugena, arruolato d'autorit nel variopinto corteo che giunge a Carlo Marx. Al
termine di questo sviluppo lo Gnosticismo dominer la nostra civilt; anche la periodizzazione della storia in
Medioevo ed Et Moderna un suo prodotto culturale, si connette alla Terza Et e all'autopercezione degli
Gnostici come rinnovatori del mondo. La Riforma fu intesa come "l'invasione vittoriosa delle istituzioni
occidentali dai movimenti gnostici" (p. 197) e il miglior campo di studio il Puritanesimo. Qui entra in scena il
Reverendo Hooker.
La descrizione che Hooker offre dei Puritani molto simile a quella che Tertulliano e gli altri eresiologi
dettero degli Gnostici; al riguardo credo di aver sottolineato pi volte nel mio testo la ripetitivit degli schemi
con i quali gli eresiologi di tutti i tempi accusano i pi diversi avversari, indizio di un'origine meramente
letteraria delle accuse. Si tratta di schemi abusati applicati a fenomeni che sfuggono sul piano culturale, anche
per la necessaria chiusura solidaristica che consente ai gruppi minoritari perseguitati di sopravvivere, ma che li
rende poco comprensibili dall'esterno. Tornano cos i luoghi comuni di sempre: nei Puritani forte il ruolo delle
donne, cio di persone di debole intelletto, puramente emotive ma in grado di influenzare mariti, figli, amici e
servitori; al vertice ci sono degli imbroglioni, si praticano iniziazioni progressive che mettono in atto il lavaggio

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del cervello. Certamente, si osserva, difficile persuadere con la ragione gente simile: seguono esempi della loro
impenetrabilit psicologica.
Voegelin sembra ben felice d'ingoiare l'esca porta dal Reverendo, e afferma: la descrizione dei
Puritani proprio quella degli Gnostici! Emerge a questo punto il nome di Calvino come colui che formula la
nuova dottrina in termini scritturali, garante del vero che azzera tutte le precedenti interpretazioni della Scrittura.
Questo il giudizio di Voegelin (p. 201) che va riportato letteralmente perch apre un ampio squarcio non su
Calvino o sul Corano, ma su Voegelin stesso: "Per la definizione di questo genere di letteratura gnostica (scil.:
quella prodotta da Calvino) necessario un termine tecnico; poich lo studio del fenomeno gnostico troppo
recente per averne sviluppato uno, per ora pu essere usato il termine arabo Corano. Cos, il lavoro di Calvino
pu essere definito il primo Corano gnostico deliberatamente creato. Un uomo che pu scrivere un tale Corano,
che pu rompere con la tradizione intellettuale dell'umanit perch crede che con lui inizi una nuova umanit e
un mondo nuovo, deve trovarsi in un particolare stato pneumopatologico" (corsivo mio).
Potrei commentare a lungo queste frasi, ma credo si commentino da sole. Questa non critica
filosofica o lettura storica, pamphlettistica da trivio che chiama in causa anche un significativo rapporto con
l'Islam al semplice livello d'informazione. Altri "Corani" sono le opere di ps.Dionigi, di Scoto, e l'Encyclopdie
di Diderot; l'opera di Comte e quella di Carlo Marx con la sua "Patristica" leninista-stalinista. Poich l'arabo
qurn significa innocentemente soltanto "recitazione", debbo quindi pensare che l'uso di questa parola a mo' di
bastone debba sottintendere un suo uso puramente spregiativo.
Il Puritanesimo fu dunque un movimento anticristiano accuratamente camuffato (p. 200) un "Corano
gnostico" dato per nutrimento ai fedeli (p. 202). Questa chiusura al pensiero altrui che impone alcune letture
vietandone altre, crea il paragone con il moderno totalitarismo gnostico, cio il comunismo sovietico, e si rivela
nella critica dei Calvinisti a Hooker, accusato di porre a proprio fondamento Aristotele, nemico della fede e delle
Scritture.
Io penso che Voegelin dovrebbe aver presente il fondamento di quest'ultima critica, un discorso serio
e non nuovo nelle religioni rivelate; quanto all'insistenza nella costruzione di una "Storia dello Gnosticismo" che
giunge continuamente al binario morto del Marxismo, debbo pensare alla strumentalizzazione di una mal digerita
lezione di Jonas. Sembra che Voegelin abbia trovato nello "Gnosticismo" la chiave magica per aprire la porta di
una storia che lo terrorizza; e c' da chiedersi se ci stiamo occupando di un "filosofo della storia" (specie
comunque pericolosa) o di un puro ideologo d'antan.
Infatti una nota di Hooker citata subito dopo, nella quale il Reverendo cita a sua volta Averro, mostra
che siamo nell'ambito del suddetto discorso serio e non nuovo, che altra cosa dall'incubo gnostico-marxista di
Voegelin; il quale ritiene tuttavia poco congruo il richiamo alla filosofia islamica e alla soluzione di Averro,
perch "i Puritani non erano gli oppositori in un dibattito teorico, ma rivoluzionari gnostici" (p. 204); "la
propaganda gnostica azione politica e non -forse- una ricerca di verit nel senso teorico" (ivi). Dunque per
Voegelin forse inutile riflettere, necessario combattere; la deduzione mia ma autorizzata da quanto
Voegelin conclude a p. 205: "Un governo democratico, si suppone, non tenuto a diventare complice del proprio
rovesciamento permettendo ai movimenti gnostici di crescere prodigiosamente sotto lo scudo di
un'interpretazione fangosa dei diritti civili" come sembra stesse avvenendo secondo lui.
Prima di proseguire l'esame del testo di Voegelin vorrei per fermarmi a sottolineare un'altra delle sue
disinvolture, del genere di quelle che trasformano secoli di eventi storici in dettagli sui quali inutile
soffermarsi, tanto le cose son chiare.
Voegelin d dello Gnostico a Calvino. Ecco come Tertulliano descrive gli Gnostici (De prscr.
hret., XLI):

"Non ometter la descrizione del loro stesso rapporto tra eretici, quanto sia futile, terreno, umano; senza gravit,
senza autorevolezza, senza disciplina, conformemente alla fede che lo contraddistingue. In primo luogo incerto chi
sia un catecumeno e chi un fedele: senza distinzione entrano, senza distinzione ascoltano, senza distinzione pregano;
anche i pagani, se vi giungono per caso, getteranno ci ch' santo ai cani, e ai porci le perle, ancorch non vere.
Ritengono che la semplicit sia lo svilimento dell'istruzione, e la nostra sollecitudine verso di essa la chiamano
arruffianamento; la pace anche sconvolgono dovunque, in relazione ad ogni cosa. Nulla anzi interessa loro, bench
usino argomentazioni contrastanti, purch si accordino nell'abbattimento dell'unica verit. Tutti vanno superbi, tutti
offrono conoscenza. I catecumeni sono perfetti prima di essere istruiti. E le stesse donne eretiche, quanto sono
sfacciate, esse che osano insegnare, disputare, compiere esorcismi, promettere guarigioni, fors'anche battezzare. Le
loro ordinazioni sono avventate, insignificanti, incostanti: ora vi assegnano dei neofiti, ora persone immerse nella vita
profana, ora apostati della nostra fede, onde attrarli con la vanagloria, perch non possono (farlo) con la verit. In
nessun luogo si hanno pi facilmente dei vantaggi come nell'accampamento dei ribelli, ove merito lo stesso essere
l. E cos oggi Vescovo l'uno, domani un altro; oggi Diacono uno che domani sar Lettore, oggi Presbitero uno
che domani sar laico: infatti anche ai laici addossano compiti sacerdotali".

Ometto, perch note, le accuse di immoralit da parte di Ireneo e Epifanio; ed ecco come Calvino
descrive quei Libertini, cio gli eredi di quel Libero Spirito nei quali Voegelin non avrebbe problemi a
riconoscere gli Gnostici (Contre les Libertins, cit. in Bibl. a p. 724):

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Cap. I: Quanto alla dottrina.....(per il resto) la prendono dai Valentiniani, dai Cerdoniti o dai Manichei, che hanno
turbato la Chiesa millequattrocento anni or sono.....

Cap. III: Titolo: Della somiglianza che c' tra i Libertini e molti eretici antichi. Nel testo si citano: Cerdone,
Marcione, gli Gnostici, i Borboriti, i Valentiniani, Apelle, i Manichei; "essi non fanno che resuscitare queste vecchie
eresie". Segue la citazione dei Priscillianisti.

Cap. IV: dopo aver fatto i nomi dei Libertini, tra i quali Pocque e Quintin, dice: "ci che ha trasformato Quintin e i
suoi compagni da sarti in dottori, che essi amavano essere ben nutriti a proprio agio, e non c'era modo di convincerli
a lavorare"

Cap. V: "Se si guarda da vicino, si vedr che ci sono stati due vizi che sono stati causa del far cadere tanta gente in
questo errore. Gli uni amano darsi a una folle curiosit applicando il proprio spirito a questioni vane e superflue,
invece di cercare argomenti di edificazione; e non contentandosi della semplicit delle Scritture volteggiano nell'aria
di speculazioni frivole, o per soddisfare il proprio folle desiderio, o per mostrarsi sottili e di alta intelligenza. Gli altri,
avendo avuto qualche iniziazione alla pura dottrina del Vangelo, ne avevano abusato come di una scienza profana, ma
anche per allentare le briglie a una licenza carnale e condurre vita dissoluta.....desideravano trovare (scil.: nel
Vangelo) qualche pretesto per abbandonarsi a ogni turpitudine. E, di fatto, tutti i discepoli di questa setta sono
compresi in queste due specie: vale a dire sono dei fantastici che non pensano che ad agitare questioni stravaganti e
hanno piacere di dilettarsi in cose inutili; oppure sono dei profani stanchi di portare il giogo di Cristo e hanno cercato
di addormentare le proprie coscienze al riguardo, al fine di servire Satana senza rimorso n scrupolo".

Cap. VII: "i Quintinisti hanno un linguaggio selvaggio.....non che non usino le parole comuni anche agli altri, ma ne
svisano talmente il significato che non si sa mai quale sia il soggetto dell'argomento del quale parlano, n ci che
vogliano affermare o negare"

Cap. IX: Dice che seguono "i loro predecessori Priscillianisti" nel deformare con allegorie il senso delle Scritture

Cap. XXI: (sono trascorse pagine e pagine di insulti) "Abbiamo gi visto come questi disgraziati profanino il
matrimonio, mescolando gli uomini e le donne come le bestie, secondo l'estro della concupiscenza. E come, sotto il
nome di matrimonio spirituale, colorino questa brutale polluzione, chiamando moto spirituale l'impeto furioso che
pulsa e infiamma l'uomo come un toro, e la donna come una cagna in calore"

Il testo complessivo lunghissimo, ma il senso chiaro come lo lo sguardo a Tertulliano e agli altri
eresiologi del II-IV secolo. Ora, a prescindere dal fatto che non necessariamente lo Gnosticismo si identifica con
l'intolleranza -questa una personale idea di Voegelin- anche ammesso che cos fosse, ci non significa che tutti
gli intolleranti siano Gnostici. Tertulliano e Calvino furono sicuramente intolleranti, ma altrettanto sicuramente
furono nemici degli Gnostici. Definire gnostico Calvino non neppure una follia, semplicemente una
sciocchezza: oppure ignoranza totale dello Gnosticismo. Voegelin non si fa prendere sul serio, perch la sua
idea dello Gnosticismo dimostra reale ignoranza dello Gnosticismo stesso, un appellativo da lui conferito a tutti i
gruppi radicali di qualunque estrazione e di qualunque origine, religiosa o politica, di tutti i tempi. In altri
termini: una parola vuota o un curioso neologismo; oppure uno "stratagemma polit(olog)ico".
Voegelin prosegue comunque per molte pagine con proprie considerazioni, dalle quali colgo
l'affermazione sconcertante (p. 210) che la concezione gnostica di due mondi in conflitto gener le due guerre
mondiali del XX secolo; e un attacco a Hobbes, la cui dottrina egli legge nell'ottica di un rinnovato
Cesaropapismo bizantino.
L'ultimo capitolo del testo di Voegelin s'intitola La fine della modernit. I movimenti gnostici, scrive
Voegelin (p. 221) volevano soppiantare la verit, e, non soddisfatti di riempire il vuoto della teologia civile,
volevano abolire il Cristianesimo. Chi si occupa di eventi e non di simboli, mi permetto di osservare,
difficilmente trover traccia di simili moventi in quei gruppuscoli emarginati; ma Voegelin ha una storia tutta
sua da raccontare, tant' che subito dopo aggiunge che dovunque quei movimenti si diffusero, distrussero la
verit, e il Cristianesimo and in rovina. Poich non parla per, almeno per una volta, di Marxismo, Leninismo,
o altri suoi "ismi", difficile capire di che cosa parli: nella storia dello Gnosticismo (quello vero, non quello
fantastico) v' traccia soltanto di gruppuscoli dispersi e talvolta martirizzati. Voegelin per ne deduce l'esistenza
di cicli storici giganteschi che coinvolgono intere civilt: la moderna civilt gnostica il nostro "ramo
discendente" (ivi).
L'onda gnostica non tuttavia esaurita: "nella variante marxista" (p. 222) si espande in Asia, mentre
altre varianti dello Gnosticismo, come "il Progressismo, il Positivismo e lo Scientismo" penetrano nei paesi
arretrati come forma di occidentalizzazione. "Westoxification, arbzadegh" avrebbe detto Jamal al-Ahmal, ed
in effetti, al di l del suo incubo gnostico, Voegelin riesce a cogliere, sia pure a modo suo, il punto ove zoppica
l'Occidente, la sua ideologia: l'immanentizzazione dell'schaton che impone un tlos alla storia (p. 223). Lo si
vede ancor meglio nelle pagine successive, nei quali mette in luce il carattere atopico dei tentativi di sovvertire
l'ordine sociale e la sua etica; salvo il fatto che in lui sembra non vi sia posto neppure per quella diversa cosa che
l'utopia. Comunque il suo obbiettivo polemico, i suoi "Gnostici", sono i pacifisti con la loro fiducia in
operazioni magiche fatte di parole, e il loro mondo dei sogni, capaci soltanto di precipitare il mondo nella guerra.

979
Colpa degli Gnostici se i Bolscevici sono giunti sull'Elba e la Cina diventata comunista. Naturalmente non si
parla degli Gnostici marxisti, ma degli Gnostici dell'Occidente. Sinceramente difficile seguirlo, per certo
che una cosa gli chiara, l'impreparazione culturale del Razionalismo subalterno del quale sono portatori i
movimenti ispirati alla cultura della marginalit. Letta nel 2009, questa visione del 1952 pu sembrare anche
lungimirante, con quel che accadde dopo il 68; in realt essa prende corpo in un contesto discorsivo troppo
generico e genericamente fuori bersaglio, per poter assumere la lucidit di una profezia. Fattori di crisi vanno
ricercati nell'hic et nunc, ancorch con lo sguardo al retroterra culturale che pu illuminarne la genesi; non
possono essere ricondotti a una fantastica storia di un eterogeneo e incircoscrivibile fenomeno unico, battezzato
"Gnosticismo".
Esemplare il caso della "preistoria" della seconda Guerra Mondiale, nella quale l'inadeguata e vile
reazione delle potenze occidentali all'ascesa del Nazismo fu, per Voegelin, un fenomeno.....gnostico! Chi legge,
ha difficolt a trovare un filo conduttore.
Voegelin per precisa che la sua una "esposizione dei danni dello Gnosticismo come teologia civile
dell'occidente" (p. 229) e che lo Gnosticismo si divide in due rami, quello idealistico e progressista della societ
occidentale e quello attivista degli imperi totalitari (ivi). Egli deve usare evidentemente continui stratagemmi,
sempre meno credibili, per evitare lo stallo cui l'ha portato la svista iniziale, svista che risiede evidentemente
nella sua ignoranza dello Gnosticismo reale e nella pretesa di far la storia con i "simboli", ma alla quale
potrebbe aver anche contribuito, per il mancato possesso degli strumenti critici, il modo in cui egli intese la
lezione dei suoi mentori. Va detto infatti che, sia pure con intuizioni del tutto diverse, e sia pure con l'occhio
attento alla realt storica, tanto Jonas quanto Quispel tesero a fare dello Gnosticismo il risultato di un
atteggiamento umano perenne; Jonas in particolare defin "gnostico" Heidegger e oper una connessione tra
l'atteggiamento gnostico, il Marxismo e il Nazismo.
Al riguardo vorrei precisare ancora una volta che, quando ricordo la presenza di un'ombra lunga dello
Gnosticismo sulla modernit, io faccio riferimento al problema che fu sollevato per la prima volta dallo
Gnosticismo (quello del II-III secolo) al cospetto del messaggio cristiano calato nel mondo classico greco-
romano: l'insufficienza della Ragione razionalista a dar conto della problematicit dell'esistenza, una
insufficienza che illumina ancor oggi l'incompatibilit del malessere esistenziale esperito in questa societ, con il
suo ideologico autoritratto di sbocco razionale e progressivo della storia. Come nello Gnosticismo, il vero
malessere, non per il malessere esistenziale in s, ma l'incompatibilit di esso con l'ideologia razionalista
della societ. Il male dell'esistenza, per gli Gnostici, era infatti l'indistinguibile mescolanza del Bene e del Male
in questo mondo, esattamente ci che il Razionalismo rifiuta in via di principio, e che nega in quanto ideologia
del dominio. Questo malessere emerge alla luce dell'evidenza nei grandi processi di trasformazione della societ,
allorch diviene impossibile riconoscersi nel suo fondamento, in una Ragione che ignora le ragioni. Lo
Gnosticismo fu la prima opposizione dottrinalmente strutturata a quel fondamento ideologico; con il XX secolo
la societ occidentale, razionalista e borghese del XIX, ha iniziato la propria crisi; di qui l'ombra lunga di
problemi irrisolti che non continuit dottrinale sotterranea, la risposta ricorrente alle immutabili strutture
razionaliste dell'ideologia egemone dell'Occidente. Su questo punto Strauss, al di l della sua improponibile
restaurazione platonica, ben pi lucido e corrosivo di Voegelin nei confronti del dominante Razionalismo
scientifico.
Per questa ragione riesce ad essere credibile anche Voegelin quando si scaglia (pp. 229-230) contro un
subcultura post-illuminista che vede nel Comunismo la realizzazione del Cristianesimo ("insignificanti Paracleti
nei quali si agita lo Spirito, che sentono il dovere di rivestire un ruolo pubblico e di essere maestri dell'umanit");
ma evidentemente lo un po' per caso, perch condannando tutto, qualche volta s'indovina. Il problema di
Voegelin ha tuttavia qualche analogia con quello di Strauss, perch la condanna del Razionalismo scientifico
come origine dell'impasse odierna, viene condotta in nome del Razionalismo classico senza scorgerne la
continuit nel problema dell'epistme. In Voegelin in particolare, che si attestato sullo Gnosticismo come
avversione al Razionalismo classico, ci ha potuto contribuire a far balenare l'incubo di una sovversione
ininterrotta generata da quell'eresia, vista come un mare di fango che si divide in mille rivoli lungo venti secoli di
storia, e scende a sommergere la civilt dell'ordine . Trasferita la storia degli eventi nelle peregrinazioni di un
"simbolo", lo Gnosticismo di Voegelin non pi un fatto storico, ma un Male metafisico che incombe nella
storia, tutto ci che si oppone in qualunque modo all'ordine del Razionalismo. Tutto ci ben poco razionale,
una smodata passione per l'ordine.
Voegelin traccia cos una sorta di "fisiologia dello Gnosticismo" diviso in destra e sinistra, in correnti
interattive a sfondo teleologico, assiologico e attivistico (p. 231) nelle societ moderne e pre-moderne; la loro
linea di partenza resta l'Alto Medioevo e giunge ad esiti radicali nel presente, costituiti dal Nazismo e dal
Comunismo sovietico (p. 232). Questa indubbiamente una estremizzazione della lezione di Jonas. Dinnanzi a
simili pericoli l'occidente in crisi per debolezza interna; "Hobbes tent di affrontare il pericolo elaborando una
teologia civile" (p. 233) dal che si evince che anche il Cesaropapismo potrebbe costituire un argine. Infatti
Voegelin, nelle pagine seguenti, prende cos a cuore questo tentativo di Hobbes, senza preoccuparsi della
metafisica materialista che lo sostiene, cosicch viene da domandarsi se il "Cristianesimo" di Voegelin sia vera
religiosit o la maschera di un conservatorismo borghese. Anche perch, per lui, l'essenza del Cristianesimo il
dubbio, mentre egli non sembra mai avere dubbi sulle proprie avventurose affermazioni.
980
Nelle ultime quattro pagine del suo saggio, Voegelin riepiloga la storia dell'occidente da Gioacchino
alla Rivoluzione Americana, ma penso che quanto detto sinora sul saggio stesso sia sufficiente, e perci sorvolo.
Seguono altri due saggi, il primo dei quali s'intitola Science, Politics and Gnosticism. La Prefazione
all'edizione americana dei due saggi si apre cos (p. 247): "Quanto pi veniamo a conoscere circa la Gnosi
dell'antichit, tanto pi diviene certo che i moderni movimenti di pensiero, quali il Progressismo, il Positivismo,
l'Hegelismo e il Marxismo, siano varianti dello Gnosticismo" e cita a sostegno l'opera di Jonas. Il traguardo della
Gnosi sia antica che moderna, dice, la morte di Dio: ci che mi sembra il frutto distratto dell'enfasi, perch lo
Gnosticismo non uccise, se mai duplic, la figura di Dio. Purtroppo, prosegue, non facile combattere lo
Gnosticismo, perch la conoscenza filosofica necessaria stata distrutta nel clima intellettuale prevalente,
motivo per il quale si tenta di lottare contro lo Gnosticismo usando il suo stesso linguaggio.
Il saggio citato si apre viceversa con la citazione della famosa opera di Ch. Baur, Die christliche
Gnosis (cit. in Bibl. a p. 746) e prende di petto il filone, esaminato da Baur, che va dalla teosofia di Bhme alla
filosofia della natura di Schelling, alla dottrina della fede di Schleiermacher, alla filosofia della religione di
Hegel. La ricerca di Baur, dice Voegelin, non rappresenta un fenomeno isolato, perch gi da un secolo ci si
occupava di eresie e di Gnosticismo. Voegelin cita al riguardo varie opere uscite tra la met del XVIII secolo e i
primi decenni del XIX; peccato dimentichi di citare l'opera di Gottfried Arnold, dalla quale avrebbe potuto trarre
qualche spunto. Peccato anche che non noti la nascita del filone nello Spiritualismo riformato del XVI secolo,
con Sebastian Frank.
Fu questo, dice Voegelin, l'inizio di un fenomeno massiccio; e questo gli offre l'occasione per volare
in poche righe a Lenin, Bakunin e Sorel (p. 252). Ora, ci che pi interessante, l'apprendimento delle fonti
alle quali si richiama Voegelin, perch tra esse si ritrova il Taubes della Abendlndische Eschatologie, del quale
o gi detto quel che penso alle pp. 680-684, e il Normann Cohn de I fanatici dell'Apocalisse, cio il testo forse il
pi inaccettabile scritto sui movimenti "gnostici". Un testo che si ammanta di "storicit" per aver semplicemente
riportato i documenti d'accusa degli eresiologi inquisitori, come se essi da soli potessero stabilire la "storia" (cfr.
supra la p. 160 e le relative note 89, 90, 91). Un testo che esce malconcio dalla ricostruzione degli eventi,
rivelandosi fallimentare, inutile e fazioso: ma che, come notavo gi allora, nella sua volgarizzazione delle tesi di
Jonas, fu in grado di influenzare autori tra i quali Voegelin, pronti ad assumere acriticamente le sue affermazioni.
Segue un abreg di storia dello Gnosticismo che dalla Mesopotamia giunge alla Geworfenheit di
Heidegger. Secondo Voegelin, in questo percorso la fede nel Dio buono (il Padre) degli Gnostici, viene sostituita
dalla libert di una vita pienamente umana, raggiunta al termine di una dialettica dell'alienazione generata dalla
propriet privata e dalla fede in Dio. Altra possibile via di fuga costituita dalla volont di natura (Die Wille zur
Macht?) che trasforma l'uomo in superuomo.
Contrariamente al giudizio sul mondo dato dagli Gnostici, l'analisi platonico-aristotelica mostra,
secondo Voegelin, che c' un ordine dell'essere attingibile dal sapere al di l di ogni opinione. Il fatto decisivo
nello stabilire una epistme politica, fu la constatazione filosofica che il livello dell'essere riconoscibile nel
mondo sormontato da una fonte trascendente dell'ordine e dello stesso essere (pp. 258-259). Segue perci
un'esaltazione della moderazione e dell'equilibrio di Platone, che mostrerebbe la capacit delle sua scienza
politica di andare oltre l'opinione, la quale non tanto falsa, quanto espressione di disordine morale; onde
l'analisi platonica una sorta di "terapia dell'ordine", alla quale per la societ oppone resistenza (p. 260). Questa
resistenza si fa pericolosa quando la dxa si spaccia per filosofia, che per in Grecia non venne meno. Le cose
sono cambiate da quando il Cristianesimo contrappose la Rivelazione alla Ragione, rendendo difficile la
filosofia, e il paradigma platonico-aristotelico non pi adeguato ai nostri tempi. Tuttavia la posizione della
scienza politica non per questo mutata: il problema resta sempre quello di un'epistme politica, e il prerequisito
dell'analisi la percezione dell'esistenza di un ordine e la sua origine nella trascendenza (pp. 260-261). Con
questo percorso aggirante, Voegelin si pone in una collocazione sostanzialmente tomistica, e comunque nella
convinzione cristiana discussa da Strauss, di una legge di natura razionalmente accessibile. Siamo cio in
quell'armonizzazione di filosofia e Rivelazione che Strauss critica.
L'equivocit della parola "natura" entrata gi nel nostro discorso; qui per Voegelin vuol sgombrare
il campo mostrando, nell'analisi di un testo di Marx, come essa possa essere usata in modo deviante. Nell'analisi
del materialismo storico, essa infatti usata in poche pagine da Marx in tre significati diversi: come essere che
tutto include, come realt opposta all'uomo, e come essenza dell'uomo. In tal modo egli costruisce una dialettica
dell'essere che elude il problema della trascendenza rendendolo improponibile; in ci egli si pone in parallelo al
positivismo di Comte, rivolgendosi alle leggi sociali senza porsi la domanda sulla natura e il destino dell'uomo,
anzi, dichiarandola improponibile. Voegelin ritiene che questa domanda, estranea all'uomo socialista, sia stata
sbarrata anche dalle menti delle S.S. (pp. 262-264).
Ora, qui Voegelin pone certamente un problema rilevante, non dissimile, ancorch in una logica
completamente diversa, da quello di Strauss circa la vivibilit, e per ci stesso, anche la sopravvivenza, di una
societ che non risponda a quelli che usualmente son detti "valori etici": i quali non possono fondarsi su un
individuo autoreferenziale.
Inizia qui una critica a Nietzsche e a Hegel che , analogamente a Strauss, una critica ai nefasti esiti
della cultura germanica del XIX secolo. Egli riconosce in Nietzsche, come in Marx, una truffa intellettuale
(intellectual swindle, p. 267) che caratteristica del pensatore gnostico. Si tratta di pensatori animati da una
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libido dominandi (ivi) nei quali l'inganno si fa autoinganno, persistenza nell'errore la cui sola motivazione la
ribellione a Dio (pp. 267-268). Da qui Voegelin parte alla rievocazione del mito di Prometeo, che egli ritrova
nell'alchimia di Zosimo e nell'inversione di valori presente nei miti gnostici, che notoriamente esaltano il
serpente e Caino (pp. 268-271). Ora, si domanda Voegelin, qual' il rapporto tra la ribellione prometeica e la
soppressione degli interrogativi? All'origine c' Hegel che vuole abolire l'amore per il sapere reale (p. 272,
citando dalla Fenomenologia dello Spirito). Come giunge a ci? Qui va dato atto a Voegelin di aver colto nel
segno con Hegel: "gli Gnostici tedeschi in particolare, amano giocare con il linguaggio e nascondere il loro non-
pensiero in giochi di parole" (p. 273). Aggiungerei che, con le parole, Hegel ha tentato di incartare il mondo;
quanto al suo "Gnosticismo", non c' dubbio che in Hegel sia presente l'eredit gioachimita, come non c' dubbio
che esista una Gnosi romantica frutto dell'eredit alchemica e teosofica (cfr. La Gnosi romantica e L'utopia
alchemica e la nascita del sentimento romantico della natura, citt. in Bibl. a p. 747) ma di questa Gnosi
l'Idealismo hegeliano oper il tradimento. Dei modi e del perch di questo ho gi parlato e non vi torno sopra:
essi si condensano in quella razionalistica risoluzione della dialettica in Aufhebung, che contrasta con il plemos
sempre aperto della dialettica romantica e con l'infinibilit dell'opus alchemico.
Se poi vogliamo accostarci realmente alla temperie gnostica, alle ragioni degli Gnostici, e non
arrestarci a presunte similitudini esteriori, si dovr constatare che le ragioni di Hegel, la sua filosofia, i suoi
obbiettivi "ministeriali" sui quali ironizzava Schopenhauer (per non dire della sua rivelatoria lettera a
Niethammer) si pongono in totale opposizione alla tensione gnostica verso un mondo diverso da questo. In
questo mondo Hegel stava benissimo, riusciva persino a vedere lo Spirito della Storia a Cavallo (anche il nostro
cavallo merita la maiuscola, con quel che si portava in groppa).
Voegelin prosegue e termina l'analisi della filosofia "gnostica" tedesca con riferimento ad Heidegger,
immancabile dopo la prima denuncia di Jonas, e usa quindi il termine "parusiasmo" e "pensatori parusiastici" per
coloro che attendono un tempo di pienezza; questo gli sembra un termine pi adatto al presente rispetto al
Chiliasmo che percorre il Medioevo; "oggi esso divenuto un potere mondiale" (p. 277).
Voegelin scriveva al tempo dell'impero sovietico, che certamente fu un potere mondiale -ammesso
che fosse gnostico. Per il resto, l'impero del "parusiasmo" ha conosciuto una certa gloria nell'editoria e nelle
intellighentzie. possibile quindi che Voegelin volesse alludere ai paesi comunisti di allora, dove per l'attesa
"parusiastica" del sol dell'avvenire stava gi tramontando in delusione, come tutte le attese di questo genere. Con
tutto ci gli "Gnostici" hanno poco a che vedere, con la loro specificit storica e dottrinale che rinvia a un tempo
e a un luogo.
Come notavo nell'App. alla V ed., sembra pi opportuno chiamare in causa un mito di origine
certamente religiosa che riguard in origine i tre monoteismi oltre allo Zoroastrismo, sua patria d'origine, ma da
secoli divenuto una componente culturale diffusa anche nel mondo secolarizzato dopo aver perduto i connotati
iniziali. Si tratta del mito di un mondo "di giustizia" largamente diffuso nella cultura della marginalit estranea
all'esperienza del potere. Un mito che pu alimentare l'utopia e con essa le atopie, ma che nel concreto pu
risolversi soltanto in una tensione a un cambiamento dello ius che riconosca il cambiamento della societ.
Quanto alla iustitia, essa resta una prospettiva tanto abbagliante quanto illusoria, se non altro perch ciascuno
pu configurarla come crede in rapporto al proprio Erlebnis. Questo mito della giustizia per, che da religioso
si fatto ormai culturale, si andato conseguentemente espandendo anche fuori dalla propria area di gestazione,
e caratterizza la tensione di tutto il mondo moderno, un fatto "nuovo" del quale siamo debitori al messaggio
testamentario.
Appare quindi poco sensato scagliare anatemi contro gli "Gnostici" col risultato di inventare storie
fantastiche, mentre sembra pi significativo mettere in guardia contro le atopie, che, per la loro configurazione di
"razionalismo subalterno", si risolvono in un immaginato capovolgimento delle norme sociali che lascia intatta la
logica razionalistica del dominio, salvo inasprirne la prassi che deve imporsi contro la realt dell'uomo per farlo
divenire ci che dovrebbe essere nei geometrici schemi di un'astratta Ragione. L'ideologia del dominio infatti
tutta nello schema del pensiero razionalista che definisce Ragione le proprie ragioni; e nella verit "una"
dell'epistme che non accetta la verit testimoniata riferita all'Erlebnis.
L'ultimo capitolo del saggio di Voegelin dedicato allo "assassinio di Dio" (The Murder of God) e si
riferisce, come evidente, al pensiero di Nietzsche e di Hegel. Non mi sembra necessario tornare sui noti
percorsi del primo: la vicenda nota e la scoperta che la figura di Dio possa rappresentare la proiezione mitica
dell'uomo "perfetto", non mi sembra di per s deicidio: pu trasformare Dio nell'Utopia tout court, ma non gli
toglie il posto come polo di riferimento dell'umano (quanto al pazzo che gridava "Dio morto", meglio arrestarsi
dinnanzi alla tanta esegesi). Il "mondo dietro il mondo" e la fede come fede nella grammatica riguardano poi la
storia buffa di una ontologia, nata su un bisticcio e divenuta madre della metafisica, una vicenda gi mandata in
scena al tempo dei Greci ma poi censurata. Voegelin attribuisce tuttavia il "deicidio" allo "Gnosticismo
parusiastico" (p. 282) che sogna la nascita del superuomo (pp. 282-284). Marx, secondo lui, molto vicino a
Nietzsche e dipende da Hegel, la cui Fenomenologia dello Spirito il magnum opus dell'assassinio di Dio (p.
286).
Ora, in tutto questo discorso gli elementi fondanti della critica a Nietzsche e Hegel sono due. Il primo
il mito dell'onnipotenza prometeica, che tuttavia, nelle sue forme moderne, non mi sembra essenzialmente di
origine gnostica, anche se appare in modo evidente in molta speculazione alchemica. Esso mi sembra piuttosto
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legato al mito della scienza e della tecnica come strumento di dominio su una natura intesa come alterit opposta
all'uomo, opacit da illuminare e assoggettare. Diversamente dalla tecnica, l'alchimia prescriveva di assecondare
la natura al fine di condurla alla sua stessa perfezione, e partiva dall'ipotesi di un reciproco rispecchiamento tra la
natura e l'uomo, onde la perfezione dell'una e dell'altro costituivano un fenomeno simultaneo, reciproco e
speculare. La stessa secolarizzazione e desacralizzazione del mondo (che Voegelin chiama: immanentizzazione)
nasce con l'identificazione della "verit" con il dato "scientifico" e con la negazione della metafisica, un processo
che si conclude con Kant ma che ha origine gi in Cartesio; si tratta di un lungo percorso che caratterizza la
modernit e che ha ben poco a che vedere con lo Gnosticismo.
Questo fenomeno deicida della immanentizzazione costituisce il secondo elemento di critica di
Voegelin, e si tratta di una critica rivolta a Hegel. noto infatti che l'operazione hegeliana consistette nel
trascinare l'Assoluto in terra per incarnarlo in una "Storia" che da quel momento assunse la maiuscola, e divenne
un macigno calato dal potere (tanto sociale quanto accademico) sulle spalle dei sudditi. In nome della "Storia" si
giustific quindi il proseguimento ad oltranza di trends, il dubbio sui quali diveniva perci "antistorico" e veniva
ricacciato nel Nulla. Caratteristica di tutti i razionalismi, di quello classico come di quello scientifico, infatti
collocare nel Nulla ontologico dell'opinione tutto ci che nega o smentisce il modello veritativo, cio la vita.
Hegel, in questo, non quindi diverso da Platone o dalla cultura scientista in ci che concerne l'obbiettivo, anche
se diverso , ovviamente, il suo pensiero: tutti concorrono alla definizione della verit come Una e teorica, cio
frutto di contemplazione, traguardabile: non come eterno sbocciare, costruzione, testimonianza. Nulla di pi
lontano da loro di una verit ri-velata nel discorso, nel linguaggio e nel suo non-detto.
Ersatz Religion. The Gnostic Mass Movements of our Time il titolo del secondo saggio col quale si
chiude il quinto volume dei Collected Works di Voegelin, dedicato alla polemica antignostica intesa come critica
della modernit.
"Movimenti gnostici di massa", dice Voegelin, termine di uso non comune, di significato non
facilmente definibile in anticipo, e che perci merita un processo di analisi per essere enucleato (p. 295). Per
prima cosa egli ne d dunque un elenco: movimenti gnostici sono "il Progressismo, il Marxismo, la Psicanalisi, il
Comunismo, il Fascismo e il Nazismo" (ivi). Se non ci fossimo abituati alla Wunderkammer di Voegelin, ci
sarebbe di che restare interdetti per l'eterogeneit della raccolta. Non tutti, precisa, sono per di massa. I
movimenti di massa non sono tuttavia fenomeni autonomi, perch la differenza tra le masse e le lites
intellettuali, non poi cos grande come si ritiene convenzionalmente: nella realt sociale intellettuali e masse si
fondono, e possono dare origine a movimenti politici di massa, pur avendo tutti trovato nascita in ristretti gruppi
di intellettuali.
Quanto allo Gnosticismo, esso fu un movimento religioso dell'antichit che fu a lungo ritenuto
un'eresia del Cristianesimo. La continuit storica dello Gnosticismo dall'antichit a oggi, dice poi Voegelin a p.
277, attraverso il Medioevo, il Rinascimento e la Riforma, sufficientemente chiarita al punto di consentirci di
parlare in questi termini. Qui occorre davvero congratularsi con Voegelin per tanta chiarezza di idee, alle quali
non ritiene di dover fornire alcun supporto; certamente, una volta affermata una "chiara" continuit, egli si sente
autorizzato a proseguire il percorso che ha in mente.
Le caratteristiche dello "Gnostico" -a questo punto evidentemente eternate nell'Idealtype- sono le
seguenti: insoddisfatto della propria situazione esistenziale; crede che ci sia dovuto all'inadeguatezza del
mondo; crede che sia possibile salvarsi da questo mondo; da quanto sopra crede che il mondo dovr essere
cambiato agendo nella storia; crede che ci sia possibile per intervento dell'uomo; ritiene di poter giungere a
capire come ci possa avvenire (pp. 297-298).
Mi sia consentito notare che le prime tre caratteristiche non distinguono lo "Gnostico" da un
impiegato frustrato che spera tutte le settimane nella lotteria; le seconde tre, dai cospiratori delle avanguardie
anarco-ricoluzionarie. A volte le due circostanze s'incontrano. Il fatto si che, con i suoi sei punti, Voegelin
toglie allo Gnosticismo la sua natura religiosa; poi lo identifica genericamente con i rivoluzionari d'ogni tempo e
luogo.
Questo ruolo non fu certamente quello degli Gnostici, che volevano semplicemente tornare nel
Plroma, e, nel frattempo, tentare di eludere i codici del mondo nel proprio privato; eppure, dice Voegelin, essi
hanno "il multiforme simbolismo dei moderni movimenti di massa" in modo "cos estensivo che non pu essere
compiutamente descritto nel presente saggio" (p. 298).
Voegelin lascia sempre intendere di saperne molto di pi di quanto non riesce a dire; riesce sempre ad
eludere con non chalance i nodi della documentazione dei propri assunti; l'unica cosa che si potrebbe dire circa
un preteso influsso "rivoluzionario" degli Gnostici semplicemente che essi furono i primi a sostenere che
questo mondo, cos come veniva loro ammannito da Yahw o dall'Imperatore (c' una metafora o una metonimia
che lega il mondo materiale a quello storico-sociale) non era poi il migliore dei mondi possibili: osservazione
confutabile ma non del tutto priva di senso. Furono anche tra coloro (non per i primi) che si immaginarono
cittadini di un mondo perfetto, che per si guardarono bene dal mettere in rapporto di trasformazione con questo
mondo, irredimibile -per loro- nel proprio stesso fondamento.
Voegelin tuttavia ripercorre la propria strada abituale: gli Gnostici produssero un simbolismo che
torna nei moderni movimenti di massa. Non neppure sfiorato dall'ipotesi che il preteso "simbolismo" sia il
prodotto di una specifica situazione di marginalit (sociale, culturale, economica, e quant'altro). Ci gli
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permetterebbe di cogliere analogie -nulla pi che analogie- e differenze, restituendo ad ogni manifestazione la
sua specificit storica, in luogo di architettare una dubitosa "storia della Gnosi", nella quale la "Gnosi",
considerata in astratto, diviene necessariamente un fenomeno psicologico e metastorico.
Tralascio quindi quanto nella sua esposizione appare ripetitivo, per giungere all'analisi negativa
dell'utopismo che egli intraprende a partire dalla p. 305. Essa interessante perch appare evidente che Voegelin
confronta la realt di un mondo che rimane comunque come , con le costruzioni atopiche, metafisiche, o
meramente parolaie di Thomas More, Hobbes e Hegel, onde stabilire una "strana, anormale condizione spirituale
dei pensatori gnostici" (p. 306). Manca il confronto vero, quello con l'utopia -non con l'atopia- che non lascia il
mondo esattamente come era, anche se le passioni umane restano le medesime. Al pensatore "cristiano" manca
totalmente la percezione del carattere utopico del messaggio cristiano, che qualcosa, nel mondo, ha contribuito a
cambiarla, nel momento in cui entravano in crisi le societ antiche. Das Werden im Vergehen: dalle crisi nasce il
nuovo, e nelle crisi, nelle trasformazioni, emerge l'immaginario, un immaginario che tuttavia ha salde radici
nella realt, nell'esperienza. Voegelin sembra voler disperatamente esorcizzare l'inevitabile realt dei
cambiamenti, non sembra ammettere un esistere che sia un trascorrere, non soltanto dei mortali, che,
trascorrendo, trascinano con s il proprio mondo. Perch questo mondo una costruzione che trascorre con noi,
al pi possiamo idealizzarne il ricordo in un nostro Shhnma.
Quando Voegelin chiude la propria reprimenda affermando che "I movimenti gnostici di massa del
nostro tempo tradiscono, nel loro simbolismo, una certa derivazione dal Cristianesimo e dalla sua esperienza di
fede", dice qualcosa di condivisibile, non per nell'etichetta "gnostica" che egli giustifica a suo modo nell'ultima
frase: "abbiamo tentato teoreticamente di riportare il fenomeno alle sue radici ontiche, e di ridurlo in concetti di
tipo ontologico. Questo lo scopo della scienza" (p. 313).
Questa precisamente l'operazione che gli fa dimenticare la storia: perch egli dimentica di dire che
gli Gnostici (a parte il caso, peraltro dubbio, dei Carpocraziani) non volevano cambiare il mondo, si limitavano a
ignorarlo nel privato; che i Messaliani o i seguaci del Libero Spirito o i Libertini non erano su posizioni molto
diverse; che Pauliciani e Catari furono attaccati per motivi puramente politici dai governi centralisti; che i
Dolciniani dovettero combattere per difendersi; che gli Anabattisti di Mnster furono portati agli estremi dal
Vescovo; che dopo di loro la "Gnosi" persegu le vie private, personali e pacifiche di Paracelso, Weigel e
Bhme; che i Pietisti rifiutarono la via rivoluzionaria. I movimenti rivoluzionari moderni sono stati altra cosa,
anche se hanno in comune con gli Gnostici, pi ancora con i Millenaristi, il tlos di un mondo perfetto.
Questo tlos fu colto dallo Gnosticismo come particolare accezione di ci che offriva all'uomo la
religiosit testamentaria in opposizione al mondo classico: un mondo liberato dalla sfera di Ananke, che perci
poteva essere messo in discussione con l'ipotesi di altro, pi luminoso e pi cogente modello: una Creazione ad
opera di un Dio/Volont che potrebbe anche sollecitare l'uomo ad agire, a fare la storia; un Dio/Persona che
fonda l'individuo e la sua libert; per non dire della convinzione di una verit espressa nella testimonianza.
Dinnanzi a questo sconvolgimento lo Gnosticismo, con il suo rinunciatario rifiuto del mondo, rappresent, se
mai, un compromesso con la vecchia verit/epistme. vero, le religioni possono essere pericolose, e Voegelin
sembra voler mettere la sua al riparo da questo rischio, scaricando in una metafisica alterit ci che per lui si
configura come il Male nel mondo. Sottrarsi alla turbolenza, trovare un ubi consistam dove assumere il ruolo
ideologico dell'osservatore esterno e di l stabilire un ordine: lo Gnosticismo deve aver provocato in lui
l'illuminazione, gli deve essere apparso come il grimaldello per aprirsi le porte di una storia che stava sboccando
in ci che gli appariva come l'inimmaginabile.
L'inimmaginabile era l'anti-Occidentalismo presente in occidente, ai suoi tempi costituito dalla
debolezza o dalla connivenza delle intellighentzie con il nemico comunista. Oggi, le stesse considerazioni si
affaccerebbero dinnanzi alle debolezze delle stesse intellighentzie nei confronti dell'aggressione fondamentalista.
Il fondamento intellettualistico della critica gnostica, facile a sconfinare nella pura costruzione
verbale, cos come denunciato dai Padri, gli deve essere apparso l'antecedente ideale per collocare le
inconsistenti "magie di parole" delle intellighentzie; come pure la comune tendenza all'autoreferenzialit e a
sentirsi depositari di un sedicente "sapere", anch'esse a suo tempo denunciate dai Padri nel loro realismo politico.
Se si guarda alla radice della critica di Voegelin ai cosiddetti "movimenti gnostici di massa" ci si accorge che
essa ricalca, con le dovute differenze di tempo e di luogo ma con atteggiamento politico e collocazione personale
del tutto analoga, la critica di Aristotele ai Sofisti. In altre parole, Voegelin si presenta all'interno di una
dicotomia da sempre esistente nel pensiero occidentale, tra una "verit" che fa riferimento ad un "reale" esterno
al discorso e una verit unicamente interna ad esso.
Questa dicotomia ha investito anche la lettura del Cristianesimo come problema interno alla stessa
dottrina che nasce come critica del letteralismo col quale veniva recepita la Legge, ed evolve in un'autentica
lettura esoterica di essa come annuncio del Cristo storico. Con il Cristianesimo si apre la contrapposizione,
enunciata da Paolo, ta Spirito e lettera. Si insedia qui la tensione utopica che sorregge il dinamismo
dell'occidente nella sua storia. Prendiamo ora la lettera di Voegelin a Strauss del 22 Aprile 1951 (F&PPh, pp.
79-87) nella quale si affronta il problema "della persuasiva imposizione del giusto ordine sulla daimona del
desiderio" (p. 84) e nella quale Voegelin prende posizione sul versante platonico. Il "giusto" in quanto tale,
espressione di unicit perch non ha alternative se non il falso, e pu aver sede soltanto in una letteralit; laddove
lo "Spirito" altro non che quella diversa lettura espressione del desiderio, che traspare nel solo luogo che gli si
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apre, il discorso che contesta la lettera: esso quindi non fa riferimento alla "cosa", al "reale", che, sotto forma di
"giusto", congelato nella theora, nella lettera. "Giusto" e "desiderio" si oppongono dunque come lettera e
Spirito in una dialettica della quale precisamente il Cristianesimo ha mostrato l'irresolubilit in una eterna e
feconda tensione. Una dialettica che non poteva non avere anche un risvolto politico.
Poniamoci ora il problema del realismo e dell'utopismo in termini di schieramento, cio di
posizionamento ideologico del giudizio. Per la logica razionalista c' una razionalit del reale che significa una
razionalit del mondo (per metonimia: di questo mondo) di per s "buona" (il buono e il vero coincidono)
seguendo la quale si costruisce una societ "buona", l'unica possibile nel rispetto del "vero". Il Male nella
deviazione da questa societ, causata dalle passioni, cio dai desideri degli individui che portano a derogare dal
"giusto" e perci a conformare una "colpa" che la colpa del dissenziente. Qual', per, l'esperienza dello
Gnostico? quella di vivere in una societ non credibile perch frustrante, e al tempo stesso priva di alternative,
quindi in una societ irrimediabilmente (lo Gnostico non sognava rivoluzioni) nemica. Meraviglia che ne
nascesse la dottrina di un mondo irrimediabilmente e intrinsecamente malvagio? Nel ribaltamento dell'ordine
razionalista, il Male e la colpa spostano la propria sede dal desiderio dell'individuo alla legge del mondo e della
societ.
Questa effettivamente rimasta la logica del Razionalismo subalterno e qui si impernia la virulenta
polemica antignostica di Voegelin come polemica contro le espressioni di quella che una crisi dell'Occidente,
riguardo la quale il problema non la giustezza o la pericolosit di quelle espressioni, pericolosit connessa
eventualmente ad un irrealismo atopico, quanto la situazione che esse testimoniano. La situazione che esse
testimoniano una crisi dell'Occidente come implosione della sua ideologia, iniziata con un oggettivo declino
planetario dopo l'apogeo ante 1914, e resasi ancor pi evidente nel contrasto al suo ruolo-guida del pianeta dopo
la caduta dell'alter ego sovietico. Una crisi ideologica -lo sottolineo- che apre la via alla frantumazione della
coesione culturale. Un Occidente che ha fallito nel proporsi come logica planetaria si espone alla contestazione
interna di chi al suo interno, per qualunque ragione, si senta penalizzato dal suo modello di ordine.
Perci la violenza antignostica di Voegelin va intesa politicamente come difesa di quell'ordine
minacciato, condotta tuttavia con un falso pretesto -lo "Gnosticismo"- che lo conduce a delineare una storia del
tutto immaginaria, figlia forse del suo desiderio, il desiderio di un "ordine" da realizzare ignorando la realt.
Ne consegue una pessima "storia delle idee" che potrebbe intitolarsi "peregrinazioni di un simbolo", a
caratterizzare la quale sono sufficienti tre esempi: la genericit del suo "Gnosticismo" che esula completamente
non dir dalla comprensione, ma dalla realt del fenomeno storico, un fenomeno religioso interno alla dialettica
dell'ortodossia nascente, da lui ricondotto a mera frustrazione quotidiana; il caso del rigido antignosticismo di
Calvino, feroce e intollerante con gli "Gnostici" libertini, spacciato per Gnosticismo grazie alla singolare
identificazione di Gnosticismo e intolleranza; infine il fulcro vero della sua polemica, cui lo Gnosticismo fu
aggiunto semplicemente come retroterra che allunga la catena, che s'impernia su Gioacchino da Fiore. Ora, del
pio Abate si pu pensare tutto il male che si vuole, ma non che egli non radicasse la propria fede nel pi
cristallino Cristianesimo (tant' che fu prediletto di molti Papi) una fede che nella storicit della venuta di Cristo
vedeva la luce della Salvezza dispiegarsi nella storia e illuminarne il senso. Gioacchino avr magari avuto
tendenze millenariste (di attesa del Millennio) ma "gnostico" non fu davvero. Se si considera la fuga dal mondo
degli Gnostici, "gnostico" era piuttosto chi considerava il mondo una valle di lacrime e attendeva di raggiungere
un mondo "altro". Brutti scherzi accadono quando si coniuga la Rivelazione con il Razionalismo greco: il
discorso si attorce su se stesso e non ha sbocchi se non contraddittori, come accade alla Ragione e fu compreso
sin dal tempo degli Scettici.
Con l'insostenibilit della propria "storia" e la contraddittoriet dei propri assalti, Voegelin si rivela
non tanto un "cristiano", quanto un disperato difensore della societ occidentale della prima met del XX secolo,
una societ della quale vedeva con relativa lucidit la crisi (non per con la lucidit di Strauss, nel suo percorso
IlluminismoStoricismoRelativismo). In entrambi i casi, nel mirino il conformismo di intellettuali prt--
porter cooptati all'interno di una corporazione, e perci megafoni di ides reues, crocidante palude che ha il
proprio Re Travicello nel politically correct di un relativismo insensato, prima ancora che becero. Ci che nel
politically correct pu sembrare comprensione delle ragioni dell'altro viceversa azzeramento delle ragioni
proprie e altrui in un mondo che ha perduto ogni senso. E il mondo non pu esistere senza un proprio "senso":
un mondo simile si disintegra per l'assenza del fondamento. Non era cos nel Neoplatonismo medievale, allorch
la trama e l'ordito che sorreggevano l'apparire del mondo, di ci che si d come si d, era costituita dal divino,
che si manifestava nell'ordine del cosmo, a sua volta modello dell'ordine sociale.
Gli Gnostici, contestatori di quel mondo, ma pur sempre "religiosi", e, per giunta, marginali, non
centrali come le odierne intellighentzie che di religioso non hanno assolutamente nulla (hanno soltanto una
propria liturgia) hanno poco o nulla a che spartire con queste ultime, se non la logica del Razionalismo
subalterno che per non un tratto distintivo di continuit, semplicemente una possibilit sempre interna a un
pensiero razionalista. Lo perch il sospetto che questo mondo sia la falsificazione del "vero" mondo al quale
l'uomo destinato, sospetto avanzato per la prima volta dagli Gnostici, autorizzato dalla contraddittoriet
intrinseca agli approdi della Ragione: questa l'ombra che lo Gnosticismo -ma anche la Sofistica- getta sulle
rotonde verit della Ragione, e perci anche sull'ideologia di Occidente. Se per dalla marginalit si passati
alla centralit di questo atteggiamento, ci non dovuto a una vittoria dilagante di una presunta eredit gnostica:
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pi semplicemente dovuto al proliferare delle piccole borghesie -una vera eutrofizzazione del bacino sociale-
collegato all'espansione dello Stato moderno prima, degli apparati delle grandi concentrazioni economiche poi,
che hanno fatto del XIX, ma soprattutto del XX secolo, la prima societ piccolo-borghese della storia, della
quale le intellighentzie sono non soltanto la voce, ma parte integrante come suo corpo d'lite.
L'analisi di Voegelin, in conclusione, appare quindi poco centrata e per nulla convincente a causa di
un percorso storico fantastico, e deve cedere il passo a una diversa analisi, della quale s'era fatto cenno nell'App.
alla V ed., quella di Rmi Brague che guarda a diversi modelli: non soltanto al pensiero greco ma anche alla
cultura romana; non soltanto al pensiero giudaico e islamico, ma anche, e soprattutto, al Medioevo cristiano. Si
pu dire, anzi, che il Medioevo cristiano, con la sua concezione di un ordine cosmico al quale deve ispirarsi
l'ordine umano sia il modello di riferimento nella sua analisi dell'Occidente moderno. Per quanto riguarda
l'esposizione del suo pensiero far dunque un'eccezione all'ordine cronologico di apparizione dei suoi lavori, per
aver modo di sottolineare maggiorente quest'ultimo punto.
Nel 1992 appariva il suo Europe, la voi romaine, tradotto in italiano con il titolo Il futuro
dell'Occidente. Nel modello romano la salvezza dell'Europa, Milano, Bompiani, 2005. Brague, che intende
riflettere sulla crisi dell'Occidente -e l'Occidente si identifica per lui con l'Europa- apre il testo sottolineando la
difficolt di definire l'Europa stessa, le cui frontiere non sono individuabili nella geografia, ma nella cultura.
Essere europei caratterizza dunque un'appartenenza culturale che ha avuto e ha un'evoluzione, un attestato di
adesione a una cultura che deve essere continuamente rinnovato. Ai suoi confini, osserva Brague, sono l'Islam,
con il quale si lungamente disputata l'area mediterranea, e il mondo ortodosso. Dunque Brague considera
l'Europa nell'ottica di "Occidente", e nel parlare di "Occidente" si attesta alla sola storia europea.
Grandi eventi storici del passato le danno origine: dalle guerre persiane alle conquiste di Alessandro;
dall'orientalizzazione dell'Impero Romano all'espandersi e prender forma, in quello spazio unificato, del
Cristianesimo; dalle lotte con l'Islam allo scisma ortodosso, alle fratture della stessa cristianit occidentale
nell'epoca della Riforma. Culture e religioni s'intrecciano e si frammentano in questi mondi, ci che rende
difficile, per l'Europa come per il confinante Islam o per il mondo ortodosso, stabilire delle origini culturali
univoche. L'opinione di Brague che la sola cosa che l'Europa, cos come oggi la si pu intendere nei suoi
confini con l'Islam e con il mondo ortodosso, possa rivendicare come propria eredit, la latinit (p. 30, corsivo
suo).
Il piano dell'opera dunque cos concepito: mettere in luce le varie componenti di questo rapporto
dell'Europa con il suo modello romano e la possibilit di sopravvivenza di questo modello. Il tema specifico e
rappresenta soltanto un aspetto di quello sinora trattato (la crisi dell'Occidente) e che anche Brague tratter;
tuttavia mi sembra importante iniziare di qui per mettere meglio in luce una identit del cui possibile futuro ci
stiamo interessando.
Brague inizia facendo riferimento alle componenti sempre invocate a fondamento dell'Europa, quella
greca e quella ebraico-cristiana, riguardo le quali cita positivamente il noto saggio di Strauss su Atene e
Gerusalemme, del quale ho gi detto quel che penso. Noto soltanto che Brague parla di componente ebraico-
cristiana, mentre Strauss, quando riferisce a Gerusalemme, pensa soltanto alla Torah. Brague afferma comunque
che, cos facendo, si dimentica un terzo paradigma, a suo avviso il pi importante, quello romano. Come afferma
esplicitamente a p. 36 (in corsivo) noi siamo e possiamo essere "greci" ed "ebrei" soltanto perch siamo
innanzitutto "romani".
Sull'argomento egli intende sfatare alcuni diffusi luoghi comuni (per un Francese) come l'esaltazione
celtica anti-romana, o il mito eroico di Roma nella Rivoluzione Francese; parimenti critica l'ipostatizzazione
negativa della romanit in rapporto al potere imperiale o il binomio grecit/ebraismo impostato da Graetz (detto
per inciso: lo stesso di Strauss). Il tratto distintivo della cultura romana che Brague vuole porre in evidenza la
capacit di confessarsi debitori degli altri e di accogliere nel proprio mondo altre culture, grazie alle quali ri-
iniziare una storia, dare origine a un nuovo mondo. In ci egli vede una profonda affinit tra l'esperienza romana
e quella degli Stati Uniti, che mostra il fondamento europeo di questi ultimi.
Brague dedica alcune pagine ad illustrare questa grande capacit di accoglienza e di sintesi che
caratterizz la cultura romana; io credo che ci si possa comprendere ancor meglio se si ricordano le origini di
Roma, non popolo di agricoltori e di soldati come nella tarda retorica augustea, ma nodo commerciale ove sin
dagli inizi convergevano elementi disparati. Quanto di greco e quanto di ebraico entrer in questo crogiolo,
cesser quindi di essere tale per diventare essenzialmente romano.
Brague fa poi un parallelismo in questa tendenza all'assimilazione degli apporti, mettendo a confronto
il diverso rapporto istituito dal Cristianesimo e dall'Islam nei confronti dell'Antico Testamento, fatto proprio dal
Cristianesimo, considerato una falsificazione dall'Islam, religione di un popolo e di un Profeta che dichiaravano
di non possedere un Libro (il Profeta umm, il popolo di ummiyyn).
L'esempio "romano" visibile anche nella trasmissione dei testi filosofici greci. Una notazione di
Brague che merita di essere sottolineata (pp. 76-77) il modo riduttivo con il quale si intende la filosofia "greca"
che, di fatto, copre un'evoluzione che va quanto meno da Talete a Damascio, cio un arco di dodici secoli. Di
quella grande produzione, che necessitava continue trascrizioni per il deteriorarsi dei supporti, andato perduto
ci che di volta in volta veniva giudicato non pi interessante, quindi non meritevole di costosi interventi. Ne
consegue che ci che oggi consideriamo "cultura greca" non corrisponde a ci che essa era veramente, perch
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parte della sua produzione scomparsa senza lasciare traccia nella memoria storica. Gli Arabi ricevettero la
filosofia greca attraverso i traduttori siriani, dunque attraverso il Neoplatonismo cristiano; accanto alla
mediazione siriaca ci fu poi quella persiana. I Romani, pi che tradurre i testi, li hanno viceversa ripensati
attraverso i propri scritti, le vere e proprie traduzioni dal greco in occidente interverranno pi tardi, e le prime
furono quelle dai testi arabi nella Spagna del XII secolo, poi vennero quelle dai manoscritti bizantini che
consentirono di scavalcare la mediazione araba che, a partire dal Rinascimento, venne svalutata, cos come gli
Arabi, al tempo degli Abbsidi, avevano svalutato l'eredit bizantina.
Molti altri sono per i prestiti tra le culture del Mediterraneo, a volte con percorsi di andata e ritorno;
perci, conclude Brague, vano cercare le fonti di una cultura andando a ritroso nella storia, pi significativo
vedere nella ricerca dei propri antenati la scelta di chi se ne ritiene il discendente. Cos il ruolo culturale
preminente che attribuiamo ai Greci dipende dal fatto che ci sentiamo in qualche modo e per qualche ragione
loro discendenti.
Ci che dunque caratterizza la cultura dell'Europa la capacit di appropriarsi di ci che le estraneo:
la cultura greca o la Bibbia. In questa appropriazione essa profondamente diversa dall'Islam: essa concerne gli
aspetti estetici e linguistici che lasciano sopravvivere le lingue originali, a differenza di quanto far la lingua
araba che trascura gli originali per appropriarsi soltanto della "verit" contenuta in essi. Le culture originarie
continuano cos ad essere inesauribili nella cultura occidentale, non cos in quella araba: come notava F.
Schlegel, l'acquisizione del pensiero greco nel mondo islamico resta cos un fatto esteriore (pp. 111-112) e vi
sono impossibili quelle rinascenze che sono il frutto di una rilettura.
Brague estende la caratteristica della cultura occidentale al Cristianesimo, col suo sentimento di
dipendenza dall'Antico Testamento, "secondariet" religiosa nei confronti dell'Ebraismo che si rivela nel rifiuto
del Marcionismo, forse il tentativo pi radicale di fare del messaggio di Cristo un fatto nuovo ripiegato su una
vecchia cultura; sotto questo profilo, dice Brague, Ireneo non fu soltanto un Padre della Chiesa, ma anche un
Padre dell'Europa. L'Islam ha viceversa rifiutato gli apporti che potevano venirgli dai precedenti monoteismi, li
ha considerati privi di verit e perci li ha studiati ma senza uno specifico interesse in tal senso. In altre parole, la
sua rimasta una cultura paga di se stessa. Esso conosce dei revivals ma non delle rinascenze in senso europeo,
che sono sforzi di risalire alle origini ma non alla purezza iniziale, sebbene a ci che proveniva da fuori. Questa
percezione di una propria secondariet fu propria di Roma ed propria dell'Europa, non dell'Islam n di
Bisanzio. In questo senso, la stagnazione dell'Islam potrebbe paradossalmente attribuirsi ad un eccesso di
assimilazione (p. 131) che ha interrotto il rapporto vitale con l'apporto esterno.
Brague prosegue molto a lungo su questo schema, dal quale sembra affascinato e che estende al
Cristianesimo occidentale (il Cristianesimo romano, afferma a p. 159); io non mi dilungo otre a descriverne
altri risvolti per non allontanarmi troppo dai temi che stiamo trattando, tanto pi che lo schema in oggetto mi
sembra ormai chiaro. In esso, c' da dire, si perde progressivamente il significato corrente di ci che "Europa"
ed "europeo"; la cultura europea diventa una sorta di modello ideale che significa semplicemente capacit di
rinnovarsi in continuazione aprendosi all'apporto esterno. In ci mi sembra che il pensiero di Brague si rivolga,
anche se non esplicitamente, al problema della massiccia immigrazione di portatori di una diversa cultura, in
particolare islamica; quindi al futuro culturale di un'area geografica comunemente definita "Europa"
(occidentale). Se la mia ipotesi corretta, Brague sta pensando alle conseguenze sulla centralit del problema
religioso che egli ritiene, come vedremo oltre, debba tornare d'attualit anche in Occidente. Su questo punto egli
sottolinea una diversit esplicita del Cristianesimo rispetto all'Islam, costituita dalla divisione del momento
religioso da quello politico, che i pensatori dell'Islam hanno generalmente criticato come momento di debolezza
intrinseco al Cristianesimo. Il Papa come ostacolo alle ambizioni di Re e Imperatori "forse" ci che ha fatto
dell'Occidente un fenomeno unico (p. 165); egualmente, l'unione di umano e divino in Cristo costituisce una
seconda singolarit, che, secondo Brague, ha la stessa radice della distinzione tra politico e religioso.
Secondo Brague, precisamente questa unione ci che ha consentito l'emergere di un abito profano; la
secolarizzazione sarebbe frutto del ritirarsi di Dio dal mondo, possibile soltanto per il fatto che Egli non
pensato come assoluta trascendenza; riprendendo ps.Dionigi e Scoto Eriugena, Brague afferma che Egli pu
nasconderSi perch Si mostra: "mostrandosi si nasconde" (p. 171). Di conseguenza, egli sostiene, non ha pi
fondamento la scelta diffusa di un "laicismo militante" (ivi) perch essa si inserisce in una dialettica
autodistruttiva. Separare il pubblico dal privato confinando il religioso nel privato, e negare il manifestarsi del
divino in un individuo, pu portare alla nascita di un "sacro" impersonale (ivi).
La rivelazione cristiana altra cosa: il Cristianesimo, dice Brague, non una religione "del Libro":
oggetto della sua Rivelazione una persona, la sua libert, la sua azione come forma di vita (p. 172). Non c' una
lingua o una cultura sacra; "sacra" diviene l'umanit stessa, l'umanit di ogni uomo consacrata dall'Incarnazione
(ivi). interessante ricordare al riguardo, che, di fatto, soltanto con il Cristianesimo matura il concetto di
individuo; e che soltanto nell'ambito di una cultura cristiana sono potuti maturare i "diritti umani", non per caso
rifiutati da culture diverse, e persino avvertiti come colonialismo culturale dell'Occidente.
A mio avviso, precisamente in questo trasferimento del Sacro nell'individuo si radica la possibilit di
quella secolarizzazione che stata fenomeno peculiare dell'occidente cristiano; un legame che si nota anche nella
facilit con la quale il Cristianesimo ha accolto culture e lingue diverse, in una apertura che caratteristica sua

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come anche dell'Europa: un parallelismo che Brague non manca di porre in evidenza in ogni circostanza (cfr. p.
173).
C' un punto tuttavia che mi preme sottolineare, perch in esso si mette in luce un meccanismo della
storia sul quale ho avuto occasione d'insistere infinite volte. A p. 177, Brague sottolinea che l'entrata di Dio nella
storia lascia tracce indelebili che vi si perpetuano. Queste tracce sono ci che ho pi volte definito "Utopia" in
termini laici: visione della possibilit, anzi, dell'esistenza di un non-luogo nel fondo oscuro del desiderio, di un
mondo "altro" la cui u-topica ma certa realt agisce in questo mondo, mettendo in moto quella "storia" che, al di
l di ogni S maiuscola, di ogni metafisica, di ogni tlos, un processo di continua trasformazione. In questa
visione, la storia diviene il luogo instabile ove noi siamo; e poich vi siamo e con essa siamo coinvolti nel moto,
non possiamo "contemplarla": ma possiamo agirvi.
Se non si prende in considerazione questo cambiamento, non si comprendono due cose: la prima, la
rivoluzione portata nella storia dall'evento-Cristo, che ha mandato in frantumi la sfera di Ananke; la seconda, che
lo Gnosticismo rappresent una possibile interpretazione di quell'evento, e che quindi fa parte della nostra storia
sulla quale proietta la sua ombra (con buona pace degli incubi di Voegelin) facendo anche parte della dialettica
del Cristianesimo, come alcuni spiriti religiosi pi acuti hanno ben inteso. Se cos, come penso che sia, la
distinzione del politico come sfera pubblica dal religioso come sfera privata, mi sembra procedere su un filo
sottile e problematico, bisognoso sempre di una qualche pragmatica rete che eviti disastri. Se una lezione viene
dall'antichit, dal pensiero politico di Aristotele confrontato con quello di Platone, il ruolo politicamente
determinante del common sense nei confronti di ogni geometrico modello intellettuale o "filosofico". Anche il
common sense infatti, "filosofia", e a me sembra che ci sia compatibile con quanto afferma Brague, perch
common sense non banalit, ma capacit di capire, e quindi recepire, il possibile contributo di culture "altre": la
necessit di ci.
Tornando a Brague, dopo aver ribadito il profondo legame che si stabil tra Cristianesimo ed Europa
nell'analogo rapporto da essi istituito con le eredit culturali, egli si pone la domanda se l'Europa abbia
conservato questa sua caratteristica "romana", e quali siano le sue possibilit di sopravvivenza dinnanzi alle sfide
planetarie che le vengono dall'esterno con l'emergere di economie rivali; e che si presentano al suo interno con il
fenomeno migratorio. Brague torna perci a considerare il fenomeno della modernit in rapporto al Medioevo,
chiedendosi se tra le due culture vi sia stata una frattura; non un mistero infatti che l'interesse di Brague
sempre rivolto al Medioevo. Partendo dall'affermazione che l'Europa si sia formata nel Medioevo, evidente che
egli guardi alla continuit e consideri pericolosa una eventuale frattura.
Su questo egli confronta due dottrine: quella di Voegelin con il suo incubo gnostico che gi
conosciamo (modernit come ritorno dello Gnosticismo) e quella di Blumenberg che vede nel Medioevo uno
sforzo fallito per superare lo Gnosticismo, da cui la necessit-legittimit della modernit. Quel che penso al
riguardo l'ho gi detto troppe volte e ripetuto poco sopra; insisto comunque a considerare stucchevole questo
tornare ad evocare i fantasmi del passato perch, se evidente che siamo dinnanzi ad un momento irrisolto della
storia dell'Occidente, che inizia con l'eliminazione d'imperio di un "altro occidente" a partire dal II secolo -di qui
i continui revenants che svolazzano sulla storia occidentale- trovo d'altro canto poco interessante definire "nuovo
Marcionismo" la modernit, come fa Brague con suggestione meramente intellettuale, che non contribuisce alla
puntualizzazione storica dei fenomeni.
Brague definisce "Marcionismo culturale" la pretesa di rompere col passato rifiutandone
l'insegnamento. Ora, la modernit ha certamente un incipit col rifiuto rinascimentale del Medioevo, e
precisamente con la rilettura dell'antichit (rileggere un pregio dell'occidente, come abbiamo visto sopra,
secondo Brague) in contrapposizione a quel Medioevo che con l'antichit, come notava Seznec, si era posto in
inconscia continuit; "inconscia" perch, effettivamente, si era trattato di una non-coscienza della sua fine:
laddove la rilettura rinascimentale nacque precisamente dalla constatazione di trovarsi in presenza di un reperto.
L'antichit poteva "insegnare" soltanto a patto di considerarla un fenomeno concluso, da essere studiato, non pi
"vissuto".
Ora, secondo Brague, questa storicizzazione del passato funzionale all'ideologia del Progresso, onde
la modernit pu dirsi contagiata dalla "eresia" marcionita (p. 187); affermazione che lascia perplessi
nell'enunciato perch il concetto di "eresia" considerato superato, almeno dai tempi di Gottfried Arnold, dalla
stessa Theologische Real-Enzyklopedie. Aggiungo che, sinch si usa questo concetto, si torna a serrare quel nodo
che non fu sciolto sin dall'inizio. Che questo mondo non sia il migliore dei mondi possibili -anche se l'unico a
disposizione- un sospetto che sorse duemila anni or sono, e che ha mille ragioni per restare oggetto di
riflessione.
Secondo Brague, la perdita di contatto con l'antichit non grave di per s, ma lo come perdita di
quella capacit di assimilazione che fu caratteristica del mondo romano, capace di riformulare in s l'eredit
greca e quella ebraica. Pi grave ancora, dice a p. 190, il fatto che si perderebbe la capacit di distinguere tra
classicismo e barbarie. Il pericolo per l'Europa quindi tutto interno alla sua cultura, e si risolve in quel
relativismo culturale che si manifesta nell'incapacit di assimilare il rapporto che viene dalla massiccia
immigrazione. Il relativismo culturale, aggiungo, il prodotto della mancata fiducia nella propria cultura unita al
timore di quella altrui, ed una scelta perdente, anzi, una scelta di perdenti, ridicolmente mascherata nel
patetico politically correct del multiculturalismo. Una cultura vivente un processo di continua osmosi con
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l'altro, e di trasformazione: qui, allora, il problema non Marcione -che riposi in pace- ma il Razionalismo gi
classico, ora scientifico, sempre eguale a se stesso e Leitmotiv dell'ideologia di Occidente.
Brague interpreta tuttavia questo problema con un accento particolare che non mi sento di
condividere: la nostra civilt sarebbe portatrice di "valori" universali grazie al fatto che, per l'eredit romana, ha
ricevuto la cultura greca che non vale soltanto per s, ma deve valere anche per le altre culture (p. 191).
Basterebbe un raffronto con le scelte operate dall'Islam per capire che il persistere del Razionalismo classico
l'ostacolo fondamentale ad un rapporto che non passi per la pretesa di ridurre l'altro al medesimo, di ridurre le
ragioni alla Ragione una, la propria, come faceva il Socrate di Platone. Trovo significativo che le sole due
critiche radicali (a mia conoscenza) alla tradizione filosofica fondata su Platone, siano venute, nel moderno
occidente, da due donne -la Irigaray e la Cassin- cio dall'alterit per eccellenza nello sviluppo del Razionalismo
greco (cfr. Il mito e l'uomo). Se l'occidente (quello reale e variopinto) vuol restare vivo, la sua cultura deve
decidersi a varcare il cerchio di gesso. Una ridistribuzione delle carte sul pianeta, richiede un immenso sforzo
d'immaginazione per sopravvivere: forse i poeti possono tornare pi utili dei "filosofi".
Brague comunque ne conclude che la sopravvivenza dell'Europa legata alla coscienza del ruolo che
ha avuto il Cristianesimo nel costruire la sua cultura, indipendentemente da ogni precetto e militanza (pp. 193-
194): ipotesi che apre di nuovo il problema dal quale prendemmo le mosse, il rapporto tra filosofia, religione e
politica nella crisi dell'Occidente, ovvero, il fondamento della legge. Di questo torno dunque ad occuparmi con
un successivo e importante testo di Brague, La loi de Dieu, dopo aver chiarito sin qui le sue idee circa il futuro
dell'occidente, e aver precisato che la sua personale posizione da lui definita come quella di un "cattolico,
filosofo di formazione, universitario di mestiere (p. 216). Da tale sua posizione egli ritiene, giustamente e con
onest, di non poter prescindere. La loi de Dieu, che del 2005, appare dopo La sagesse du monde, che del
2002 ed affronta il problema generale del fondamento della legge. Sotto il profilo cronologico e di sviluppo di un
pensiero, l'ordine dell'esposizione andrebbe invertito, ma io ho scelto questa anomala successione perch La
sagesse du monde tratta della fondamentale premessa che consente di ipotizzare una "loi de Dieu", premessa che
non pu essere disgiunta da quanto Brague ha testimoniato di se stesso: cattolico, filosofo e accademico.
L'accettazione o il rifiuto, quanto meno il dubbio su quella premessa, cio che il mondo sia "buono" quando in
esso vi un ordine, risulta quindi decisiva per valutare la problematicit di tutta la costruzione relativa a un
fondamento trascendente dell'ordine: simul stabunt, simul cadent. Tutto ruota attorno al dubbio gnostico sulla
bont, quindi su un naturale ordine del mondo, ma anche, e soprattutto, su che cosa intendiamo realmente con la
parola "mondo" usata, a parer mio, con non poca ambiguit: alludiamo al mondo fisico o a questo nostro mondo,
cio alla societ dell'uomo? Oscillando nella metonimia o nella metafora la parola pu condurre ad esiti
"sofistici" nel senso che Aristotele avrebbe criticato.
"Io mi propongo" dice Brague ad apertura di testo "di studiare in questo libro l'idea di legge divina.
Questa idea suppone che l'agire umano riceva la propria norma dal divino" (p. 7). Lo far, prosegue, esaminando
le tre aree culturali del mondo medievale (Cristianesimo, Giudaismo e Islam) e le loro basi comuni, il pensiero
classico, soprattutto greco, e la Rivelazione biblica. La differenza con il mondo moderno che quest'ultimo
intende espellere dal proprio fondamento morale tutto ci che appare eteronomo. Al riguardo, Brague intende
tuttavia eliminare dalla discussione alcuni luoghi comuni che egli indica subito: il cosiddetto "diritto divino" dei
Re, che formulazione del XVII secolo; il tema dell'unione del trono con l'altare, che risale soltanto alla
Restaurazione; e il concetto di "laico" che di origine cristiana e sta ad indicare il "popolo di Dio". Quanto alla
distinzione tra il secolare e il religioso, essa esistita da sempre (pp. 15-16).
Partendo da alcuni cenni sulla pi alta antichit, Brague giunge al cuore del proprio argomento, che
la Legge divina, per affrontare la diversa concezione di essa nel mondo greco e nell'Antico Testamento: nel
primo "divina" in quanto esprime le strutture profonde di un ordine naturale permanente; nel secondo perch
proviene da un Dio che Signore naturale della storia (p. 31).
Per quanto concerne i Greci, Brague prende le mosse dalla celebre vicenda di Antigone per
sottolineare l'antica contrapposizione di thsmos e nmos, ovvero tra una legge di natura (phsis) e lo stesso
nmos; opposizione che sar trasformata in pretesa (giudizio mio) armonia con la nascita del Razionalismo
classico. L'interesse per una legge "di natura" andr poi crescendo sino a sfociare nella versione stoica, raccolta
da Cicerone, destinata ad avere una forte influenza sul Cristianesimo; una concezione che rientra all'inizio in uno
schema rigidamente razionalista, destinato poi ad erodersi (sull'argomento cfr. Ph. Mattis, Natural Law and
Natural Right in post-Aristotelian Philosophy. The Stoics and their Critics, ANRW, 36, 7, Berlin, De Gruyter,
1974). Brague giunge poi a Platone per sottolineare due aspetti generali del pensiero greco, peraltro ben noti: la
presenza in esso del concetto di una legge "divina" e il carattere impersonale di tale "divinit" (la Legge "divina"
non un dettato di un qualche specifico "Dio") onde la sostanziale coincidenza della Legge divina con una
generica legge di natura, oggettivamente inscritta nelle cose.
Brague passa poi al sommario riferimento ai tre monoteismi e al loro rapporto con il potere politico,
sottolineando le differenze. In particolare, egli nota, il Cristianesimo conquist lo Stato a partire dalla societ
civile, mentre l'inverso accadde per l'Islam; il Cristianesimo si colloc all'inizio fuori della sfera politica mentre
una dimensione politica coestensiva al Corano, in conseguenza del periodo di Medina. Per l'Islam quindi, non
c' separazione di politica e religione: la citt ideale deve realizzarsi in questo mondo e deve essere musulmana
(pp. 53-54).
989
Prima di procedere nella trattazione, apro qui un breve inciso per segnalare un particolare relativo ala
trattazione dell'Islam da parte di Brague, che pu essere d'aiuto per inquadrare le sue affermazioni: per quanto
riguarda il processo storico di formazione dell'Islam, Brague ha in mente, come risulta dalle note, una
Bibliografia analoga a quella qui recepita nel Cap. 1: Crone, M. Cook, Hinds, Nevo, Luxenberg, Burton,
Wansbrough. Si tratta quindi di un processo di formazione che esula dalla vulgata islamica, notoriamente
inverificabile.
Dopo aver sottolineato (p. 72) il carattere innovativo, per il popolo d'Israele, del dettato profetico -che
resta un antecedente per i tre monoteismi- costituito dal fatto che per la prima volta nel Medio Oriente vengono
fusi l'elemento etico e quello religioso (religione e morale, in qualit di culto e usanze, erano prima divisi)
Brague passa ad esaminare il ruolo della legislazione nei libri sacri dei tre monoteismi. Per quanto concerne
l'Antico Testamento, egli nota che esso non si apre con la Rivelazione del Sinai, ma con una serie di racconti,
veri o immaginari, che tendono a sacralizzare il diritto al possesso di una terra. Quanto al Talmud, che
posteriore al Nuovo Testamento, vi chiaramente espressa la separazione di potere politico e potere spirituale (p.
82) ci che non significa tuttavia che l'uomo (ogni uomo) non sia soggetto alla legge (p. 83). Questa legge non
quella naturale, ma la legge storica che pi si avvicina ad essa (ivi).
"Con l'Antico Testamento entra in scena un modo nuovo di provare la divinit della Legge: la Legge
essenzialmente l'oggetto di un dono" (ivi); con questa conclusione/premessa, Brague passa ad esaminare il
Nuovo Testamento, che egli intende limitare ai soli Canonici -escludendo quindi i cosiddetti Apocrifi- perch
l'ortodossia la sola lezione recepita nel Medioevo (p. 84) cio nel periodo storico di riferimento di Brague per
la sua critica alla modernit. Per verit il Medioevo ha conosciuto una vistosa fioritura di eterodossie,
prevalentemente antinomiche, quindi non ininfluenti sul rapporto con la Legge che pu germinare nel
Cristianesimo, che non soltanto ortodossia: ma tant', questa la visione di Brague, "cattolico, filosofo e
accademico".
Brague nota subito la lontananza di Ges dal movimento zelota come indizio del livello pi alto al
quale Egli intende collocarsi: quando Dio interviene di persona, l'azione politica si fa ridondante (ivi). Egli
tuttavia non nasconde il carattere politico sovversivo che fu subito attribuito al massaggio cristiano; la sua
incidenza politica nasceva dalla creazione di una societ puramente religiosa priva di una dimensione statuale,
con un principio unificante non "politico" (p. 85). In ci consisteva il carattere rivoluzionario del messaggio,
nonostante esso non contenesse alcuna rivendicazione politica propriamente detta (p. 86).
Il Nuovo Testamento quindi non contiene aspetti specificamente giuridici, caratteristica che, come
noto, ha sempre suscitato critica nei Musulmani. Ges si limitava a "compiere" la Legge, nel senso di darne,
essendo Lui stesso Dio, l'interpretazione autentica (p. 88). L'interpretazione cristiana dei comandamenti non
riguarda dunque il loro contenuto, ma il contesto del rapporto di Dio con l'uomo, cio ci che Egli chiede
all'uomo (p. 89). Si genera quindi una distinzione tra comandamenti e "consigli" che diverr un classico di tutto
il Cristianesimo posteriore, ma che esisteva gi nella letteratura sapienziale dell'Antico Testamento (ivi). Questa
distinzione gi esplicita in Paolo. Brague ritiene di poter concludere che il Nuovo Testamento non contiene
alcuna politica, e "in fondo, neppure alcuna morale". Ci nonostante, esso contiene i germi della trasformazione
di tutto il dominio pratico (p. 90).
Quanto all'Islam, egli, come gi ricordato, parte da un processo storico di canonizzazione del Corano e
di fondazione dell'Islam, che ha inizio da un Profeta umm per un popolo di ummiyyn, da intendersi non come
Profeta e popolo di illetterati o privi di un "Libro", ma che non si riconoscevano nel testo biblico corrente. Come
noto infatti, secondo l'Islam gli Ebrei avrebbero falsificato i propri testi, e cos pure i Cristiani: la sola verit al
riguardo, come anche ogni altra verit, contenuta soltanto nel Corano. Questo per, non un testo
integralmente giuridico: i suoi aspetti legislativi sono riferibili alle esigenze del periodo medinese, e la deduzione
da esso di una "Legge" (sharah) un fenomeno tardo (cfr. supra, Cap. 1). Brague adduce alcuni esempi
concreti a dimostrazione di tale storicit (pp. 95-96) e nota il carattere restrittivo delle norme rispetto ai costumi
pre-islamici. Interessante, a mio avviso, la sua rapida notazione a p. 97: "Sembra che i primi partigiani siano stati
dei giovani e dei poveri, noi diremmo degli (individui) socialmente decaduti, dei marginali". Ci lo induce a un
paragone con i primi Cristiani, e a un commento sulla disponibilit dei marginali alle ideologie eversive.
Il Dio del Corano, aggiunge Brague, tuttavia un Dio intrinsecamente politico: "la personificazione
della sovranit dello Stato" (citazione da Wellhausen a p. 99, con la quale coincide l'analisi di Sfar riportata
supra a p. 854). Egli non Padre, l'Onnipotenza in persona, una onnipotenza "esplicitamente collocata sulla
terra" tramite l'obbedienza al Profeta. In questo senso, nota a p. 100, l'esecrato Faraone non tirannico, come
nella Bibbia, nei confronti del popolo d'Israele, ma pretende di esserlo nei confronti di Allh.
Il Corano si presenta cos come un testo di diritto penale (p. 101) una legittimit "aperta in attesa di un
contenuto che verr a colmarla" (ivi). Non vi si pone il problema di un particolare regime politico (monarchia,
aristocrazia, democrazia) perch il problema della natura del braccio secolare non si pone: vi si trova piuttosto
l'idea di un potere politico esercitato dallo stesso Allh. Al tempo stesso, sul piano politico, il Corano rinnova la
promessa escatologica relativa ai "Giusti" che possiederanno la terra.
I tre monoteismi, conclude Brague, rivelano dunque profonde differenze in relazione al momento
politico. Il messianismo giudaico aveva l'aspetto di un evento parossistico a giustificazione religiosa. L'Impero
cristiano era la sovrapposizione di due elementi concettualmente distinti, senza giustificazione religiosa per il
990
regime imperiale. Per Giudei e Cristiani, l'autorit non poteva comunque sussistere senza giustificazione
religiosa: questa giustificazione l'oggetto fondamentale dell'Islam (p. 104). Vorrei soltanto ricordare che
"l'Impero cristiano" trova fondamento ideologico nel modello neoplatonico che si afferma nella tarda antichit e
nel Medioevo.
Brague sviluppa poi l'analisi del Cristianesimo e dell'Islam nel loro rapporto con l'Antico Testamento,
in quanto religioni sue "figlie". Il Cristianesimo visto nell'ottica paolina della "fine della Legge", che "finita"
in quanto il suo scopo realizzato dalla Grazia. I mezzi per conoscere la Legge li abbiamo gi in noi, scritta nei
cuori, pu essere testimoniata anche dai Pagani; questa idea della conoscenza della Legge tramite la sola
coscienza estranea al Giudaismo rabbinico. Il contrario si d per l'Islam: non si pu sapere come agire
correttamente senza un Libro rivelato. Questo Libro il Corano soltanto, perch, come gi detto, i testi
dell'Antico Testamento e del Nuovo Testamento che possediamo sono delle falsificazioni. Contrariamente al
Cristianesimo, che ha in comune col Giudaismo l'Antico Testamento, l'Islam non ha una base scritturale comune
con i monoteismi che lo precedono; in questo senso esso non tanto un fatto nuovo, quanto si presenta come un
testo nuovo (p. 121). I temi testamentari in esso presenti sono dei midrashin giudaici o cristiani circolanti in
forma scritta o orale (ivi): questa constatazione di Brague interessante perch ci riconduce ad una origine nel
milieu eterodosso giudaico-cristiano (il sectarian milieu di Wansbrough). Se il Cristianesimo ha allegorizzato i
testi dell'Antico Testamento leggendoli esotericamente come un annuncio del Cristo, l'Islam li ha sostituiti (p.
122). Il Corano un testo autoreferenziale che non ammette la contraddizione, surrogata dal concetto di
abrogazione.
Ci premesso, Brague si volge all'antefatto delle leggi che caratterizzano l'ordine medievale,
affrontando l'evoluzione del pensiero greco in rapporto al monoteismo nel corso dell'Ellenismo, sottolineando
che da parte degli stessi Greci vi fu uno sforzo di comprendere la Rivelazione veterotestamentaria; il ruolo
fondamentale del Giudaismo alessandrino, soprattutto di Filone; e l'impostazione data da Giuseppe Flavio alla
Legge mosaica. Il valore cogente di questa Legge non verrebbe, secondo lui dal fatto che Dio, conoscendo
l'uomo, gli riveli una Legge adatta alla sua natura, ma dal fatto che Mos, conoscendo la natura di Dio, ne abbia
dedotto la Legge promulgata. Il fondamento erroneo della legge greca consisterebbe dunque nel fatto che i Greci
non conoscevano la natura di Dio (p. 130). Dunque non Dio che impone la Legge a Israele, ma Mos che a
Israele impone Dio (ivi).
Questa Legge, secondo i dotti giudei e islamici, avrebbe dovuto regolare ogni atto della vita
individuale (esempi imbarazzanti si trovano in Maimonide e nelle raccolte di ahdth -ad esempio in Bukhr- e
riguardano anche al-Ghazl, che con Maimonide e Tommaso costituisce i tre paradigmi di Brague). Il concetto
di "Legge" usato anche nel Cristianesimo medievale come Lex cristiana, che tuttavia qualcosa di diverso da
un complesso di divieti e di prescrizioni: essa designa una economia della salvezza che si dispiega nei momenti
di una storia (p. 133). Brague tiene molto, in tutta la sua ricerca, a sottolineare questa distinzione che costituisce
una peculiarit del Cristianesimo, il quale, in effetti, non possiede una vera "Legge", ma si muove comunque
nella luce di un esempio.
La riflessione della filosofia medievale sul tema della Legge si naturalmente svolta sul fondamento
del pensiero platonico-aristotelico, e, su questo, due differenze debbono considerarsi essenziali tra l'Islam e il
Cristianesimo. La prima che l'Islam ha ignorato la Politica di Aristotele, cosicch la sua filosofia politica si
formata essenzialmente su Platone, a partire da al-Frb. La seconda, a mio avviso altrettanto fondamentale e,
per certi aspetti, convergente con la prima nel delineare la radicale differenza tra le due culture, che Cristo
morto sulla Croce, Maometto nel proprio letto e come Profeta vittorioso. Questo fatto sempre stato rimarcato
nell'Islam, per il quale non pensabile una sconfitta apparente che si risolve in una vittoria pi profonda (p.
139). Manca, nel pensiero islamico, il concetto dell'Utopia quale motore della storia, sostituito dall'atopia di un
ordine perfetto da realizzare in terra comandando il Bene e vietando il Male.
Nella stessa direzione ha agito a mio avviso, come ho accennato, la non conoscenza della Politica di
Aristotele (fu un caso se non fu mai tradotta?) con le riflessioni che essa suscita: il modellarsi del pensiero
politico sulle Leggi e sulla Repubblica nasconde infatti, sempre a mio avviso, una affinit che a monte: il
geometrico e astratto assolutismo razionalista della normativa platonica si presta bene ad essere strumentalizzato
nella logica atopica che pretende di realizzare in terra, con l'uso del potere, un ordine "celeste".
Anche Bisanzio, che pur conosceva la Politica di Aristotele, non ne fece uso, forse perch essa si
presentava nell'ottica -superata e improponibile a Bisanzio- di una dialettica tra diversi possibili regimi. Il mondo
cristiano d'occidente pot a sua volta usufruirne nella traduzione di Guglielmo di Moerbecke, e qui l'opera dello
Stagirita apr la via a fruttuose riflessioni. Queste, secondo Brague, sono le premesse alla cui luce deve essere
compresa la diversa speculazione sulla Legge che ebbe luogo nel Medioevo.
Il primo punto importante da chiarire quello dei rapporti tra la Chiesa romana e l'Impero, entrambi in
difesa dei propri diritti. Brague afferma che la laicizzazione del pensiero politico non avvenne contro la Chiesa,
al contrario, fu il Papato a generare questo fenomeno rivendicando a s il potere spirituale che neg
all'Imperatore: "il concetto istituzionale di societ secolarizzata un effetto del Cristianesimo nella sua rivalit
con l'Impero" (p. 167, citato da J. Quillet). Quanto all'idea di un diritto divino del Sovrano, essa si afferm
soltanto con il XVII secolo, con l'aumentato potere dello Stato e la formazione dello Stato Assoluto. Nel

991
Medioevo il diritto del Sovrano era stato bilanciato dalla dottrina del necessario consenso popolare, venuta meno
verso la fine del Medioevo allorch rimase viva la sola dottrina di una natura divina del potere.
Brague afferma quindi l'infondatezza della vulgata secondo la quale lo Stato moderno sarebbe
conseguenza di una secolarizzazione: l'assolutizzazione dello Stato passa in primo luogo attraverso la sua
sacralizzazione, non attraverso una rivendicazione di laicit; una sacralit rivendicata a s dall'Impero in
contrapposizione al potere papale (p. 170).
La separazione tra sacro e profano, che nel Medioevo non era marcata come oggi, , se mai, una
rivendicazione del Papato che nasce nel V secolo con Gelasio (p. 174). A quei tempi il diritto canonico si
occupava di molti aspetti della vita sociale che oggi non considereremmo di pertinenza religiosa, e di ci, nel
corso del processo di separazione, lasci molte tracce nel diritto civile. noto il caso del matrimonio, che la
Chiesa, da contratto tra famiglie, trasform in unione spontanea tra individui. Altro esempio, l'istituzione del
processo con obbligo di prove, in sostituzione dell'ordalia. La Chiesa quindi, modific profondamente in senso
"moderno" e razionale i costumi che erano retti dalla consuetudine dei popoli che avevano occupato lo spazio
dell'Impero Romano, della cui razionalit la Chiesa era l'erede.
Per quanto riguarda l'evoluzione del diritto nel mondo islamico, Brague ricalca in grandi linee
l'evoluzione qui tracciata in pi luoghi nei precedenti capitoli: la contrapposizione tra ulem e Califfi, risoltasi
a vantaggio dei primi; l'affermazione della Sunnah e del concetto di Corano increato -un Corano quindi che non
pu essere interpretato, pu essere soltanto applicato- e quant'altro gi qui esposto in precedenza. Questo
processo condusse l'Islam, secondo Brague, ad una "stagnazione relativa in rapporto ad altre culture, in
particolare in rapporto alla cristianit latina europea" (p. 187). Brague parla apertamente di anchilosi giuridica e
di "chiusura dell'ijtihd" (pp. 187-188) un tema molto dibattuto all'interno dello stesso Islam (su questo tema,
sulla stagnazione del mondo sunnita a partire dall'XI secolo, Brague fa riferimento a Schacht). Il tessuto sociale
and ricostruendosi, a partire dal XII secolo, attorno alle confraternite mistiche dei Sf, che rappresentano in
molti casi le cellule degli Stati islamici moderni. Raccogliendo l'opinione di Gardet, la storia della civilt
islamica medievale si condensa, secondo Brague, nel sogno di un "Regno della Legge" coranica, della Sharah
dunque. In generale tutto il periodo che noi definiamo con lo strano (secondo Brague) nome di Medioevo,
costituisce l'apogeo della Legge divina: tanto il Giudaismo quanto l'Islam, in contesti radicalmente diversi
(necessariamente apolitico quello giudaico) elaborarono sistemi di diritto religioso nei quali Dio dettava le
norme. Il Cristianesimo, al contrario, si rifaceva al diritto romano, salvo, ovviamente, quanto vi si riferiva al
culto dell'Imperatore. Il Cristianesimo elimin, dalla Legge giudaica, tutto quanto andava oltre le regole morali
"naturali" (p. 190).
Qui si apre il capitolo centrale (per interesse, non per collocazione) dell'opera di Brague, quello
relativo alle diverse elaborazioni della Legge divina nel Medioevo, i cui punti di riferimento sono, come gi
detto, al-Ghazl, Maimonide e Tommaso. Questo capitolo centrale perch la rottura della modernit si
configurer come "distruzione della Legge divina", materia dell'ultimo capitolo del testo e della riflessione di
Brague, che, ricordiamolo, con Strauss e Voegelin, l'altro grande critico della modernit. "Grande critico"
perch insieme agli altri due, attraverso l'indagine storica e filosofica, ne ha messo in luce la fragilit del
fondamento e i conseguenti rischi di implosione. In questo capitolo l'ordine dell'analisi si inverte, e va dall'Islam
al Giudaismo al Cristianesimo, che sar il "luogo" della modernit.
Per l'Islam, Brague prende le mosse dal testamento di Ardashr (come si ricorder, oggetto di
riflessione per al-Ghazl) e passa poi ad enunciare il principio secondo il quale il solo legislatore Dio, non la
Ragione umana; n esiste un riferimento alla "natura" delle cose, cio alla Legge naturale: la Legge precede lo
Stato, che ha l'obbligo di applicarla. L'Islam un sistema regolatore di una moralit oggettiva. Brague sottolinea
la posizione asharita (cui faceva riferimento al-Ghazl) che si potrebbe definire occasionalista, nel senso che
Dio a decidere in tutte le cose, e che si risolve in una affermazione fondamentale per la concezione islamica della
Legge: la Legge (rivelata) non accessibile alla Ragione. La stessa creazione dell'uomo non , come nel
Cristianesimo, un atto di adozione, ma ha per fine la sottomissione a Dio delle creature. Giudicare la Legge
significa pretendere di porsi nel ruolo di Dio, Associazionismo, colpa gravissima per il rigido monoteismo
islamico. In questa cultura artificioso distinguere i filosofi come una categoria a parte (p. 205).
La tesi fondamentale prevalente, l'abbiamo gi visto pi volte, che Brague enuclea anche a partire da
Maimonide poich concerne il ruolo della Profezia, che la filosofia non pu pensare la sopravvivenza della
societ senza la giustizia, che garantita dalla Legge rivelata dai Profeti. Di qui la tesi: la sopravvivenza della
societ resa possibile soltanto dalla Profezia; l'uomo, che un animale sociale, senza la Profezia non
sopravviverebbe (p. 207). Si stabilisce cos una forte connessione tra religione e politica, ci che lascia supporre
che lo scopo della religione sia essenzialmente politico, quello di civilizzare, reprimendola, la barbarie umana (p.
208). Su questo punto abbiamo gi visto la posizione di Averro, che, secondo Brague, rappresenta l'estremo
limite dell'ambiguo rapporto tra filosofia aristotelica e Legge rivelata nell'Islam (p. 211).
Brague espone poi vari luoghi della vicenda, che qui sarebbero ripetitivi, e ne deduce che nell'Islam la
filosofia rimasta "un passe-temps d'amateurs" certamente geniali ma privi di quei legami istituzionali in grado
di assicurare la diffusione della filosofia stessa nella societ (p. 217). Da ci lo sbocco mistico, che pone ai
mistici innanzitutto un problema radicale, comune in chi cerca e trova il contatto con Dio: l'antinomismo. Il
problema si ben posto, dunque, nell'Islam: Brague ricorda il caso dei Qarmati di Bahrain (per il quale cfr.
992
Ordine celeste e disordini terreni) e anche tutto l'Ismailismo in generale. Legge e mistica trovarono tuttavia un
punto d'incontro nell'Islam nell'XI secolo; la mistica infatti necessaria nell'Islam perch la Legge non pu
essere interpretata, richiede di "salire" in qualche modo sino all'intenzione del Legislatore, ci che
precisamente lo scopo del mistico (p. 220).
Questo approccio consente a Brague di giungere ad al-Ghazl, il migliore esempio di unione tra
Legge e piet vissuta, del quale sottolinea le connessioni con la scuola giuridica shfita, ma anche la vocazione
mistica. Per al-Ghazl l'unico legislatore Dio; il Suo disegno non conoscibile e la Ragione pu tutt'al pi
giungere a delineare la coerenza formale della Legge. L'osservanza della Legge testimonia il nostro amore verso
Dio; questo accento sull'amore testimonia, secondo Brague, la coscienza che al-Ghazl aveva di un rischio di
sclerosi dell'Islam, manifestatosi con il progressivo abbandono della scienza religiosa in favore del diritto; egli
sposta infatti l'accento in direzione del valore morale del compimento delle obbligazioni; egli inietta nella pratica
una forte dose di spiritualit sf (pp. 224-225).
Brague conclude (p. 226) che con al-Ghazl ci si trova in presenza di una possibile soluzione del
problema che egli intende esaminare: il tentativo di restituire alla Legge una dimensione divina.
Brague passa poi a trattare il Giudaismo medievale, il suo riesame dei testi biblici, la sua riconduzione
del Patto d'alleanza con Dio al dono della Torah tutta intera, nella quale il Decalogo assume un valore soltanto
relativo a causa dell'appropriazione di esso da parte del Cristianesimo. Ricorda poi lo sviluppo della filosofia
giudaica all'interno del mondo islamico, in conseguenza del quale la Rivelazione biblica fu pensata sul modello
di quella coranica. Questo sviluppo fu particolarmente rigoglioso nella Spagna araba dove nacque l'opera di
Maimonide, il secondo paradigma di Brague.
Maimonide, che si rif ad al-Frb, fu giudice rabbinico. Per lui la scienza politica non ha per fine il
potere, ma la felicit, come nella Citt virtuosa (p. 238). Brague ripercorre la dottrina della Profezia e il rapporto
tra il filosofo e la massa, cose sulle quali non necessario ripetere quanto detto sopra, se non per sottolineare con
lui la necessit di una societ che consenta alle masse di vivere in pace, e ai filosofi di dedicarsi alla
contemplazione, il tutto nella prospettiva di un'Era messianica a venire. Quanto alla Legge, essa deriva il proprio
carattere divino dal fatto che viene "dal Cielo" e alla perfezione che procura all'osservante. Il "cielo" tra le
virgolette in Brague (p. 246) perch egli vi nota una metonimia analoga a quanto abbiamo gi osservato per il
"mondo": esso riferisce alla sfera divina ma anche al perfetto ordine gerarchico del cosmo, creazione di Dio; la
perfezione umana conoscere la verit su Dio, che come dire sulla Sua Creazione. Questo punto
fondamentale per Brague, che, come vedremo anche ne La sagesse du monde, ha come proprio riferimento il
grandioso ordine cosmico del Neoplatonismo medievale.
Anche la Qabbalah, nota Brague (p. 251), si occuper della natura divina della Legge in rapporto a
questa posizione di Maimonide; quando si afferma che la Legge viene dal Cielo non ci si riferisce pi n al Cielo
metafora di Dio, n al cielo fisico della cosmografia di Aristotele, ma al mondo celeste come vita interiore della
divinit. Personalmente mi limito a ricordare che, in materia di Torah, la Qabbalah ebbe molteplici dottrine, ad
iniziare da quella delle tre Torah, per terminare con gli esiti apertamente antinomici del XVII-XVIII secolo (cfr.
supra: Un lungo viaggio dalla Provenza a Parigi).
Inizia qui la trattazione del Cristianesimo, intitolata La fine della Legge. Significativamente, l'incipit
dedicato agli Gnostici, in particolare a Marcione e a Valentino, che interpretarono la venuta di Cristo come fine
della Legge veterotestamentaria, opera di un Dio non buono. Anche dopo la messa al bando degli Gnostici si
parl comunque del Nuovo Testamento come di una "nuova Legge", e Cristo fu visto, anche iconograficamente,
come un Legislatore. Il concetto stoico di governo come "legge animata" lo si ritrova nella Patristica greca a
partire da Clemente di Alessandria, ma anche nel Cristianesimo latino, con Lattanzio, il quale afferma che Dio
invi a un mondo ingiusto una "Legge vivente". La Legge diventa dunque l'esempio di Cristo, quindi non pi un
insieme di comandamenti; ci che il sacrificio di Cristo ha inaugurato diviene un nuovo regime di salvezza (p.
254).
La lotta dei Padri per questo obbiettivo si svolse quindi su due fronti: contro i giudaizzanti e contro i
Marcioniti (ivi). L'interpretazione allegorica dell'Antico Testamento da parte di Barnaba consent l'abolizione di
una serie di precetti, mentre Origene afferm che la sola parte della Legge mosaica non abolita era quella
coincidente con la Legge di natura (p. 255). Si pu notare, in questi indirizzi, la tendenza fondamentale della
Chiesa ad interpretare la Legge in accordo con la Ragione. Quanto ad Ambrogio, egli sottolineer la differenza
tra l'ordine che si d ai sottomessi, e il consiglio che si d a chi si ama: e dove c' il consiglio, l la Grazia,
mentre l'ordine riservato alla natura.
I Padri, nota Brague (p. 256) escono dall'orbita del Giudaismo ed entrano in quella della filosofia
greca; la Legge divina sia quella mosaica, sia quella naturale che regge il cosmo secondo la lezione stoica.
Per Agostino, la Legge divina inscritta nel cuore degli uomini, coincide con la natura ed
conoscibile da ognuno; essa non discende dalla Volont di Dio ma dalla Sua Saggezza, e non concerne il
dominio politico. Agostino sostiene quindi l'indifferenza dei Cristiani al regime politico e giuridico che ha per
obbiettivo la pace terrena; la Chiesa varca gli Stati, universale, e alle varie istituzioni politiche e statuali cui si
rivolge chiede soltanto che non le sia impedito il culto di Dio (p. 259). Secondo Brague, si pu vedere qui il
nucleo "anacronistico" dell'idea liberale, intesa come rifiuto dell'ordine platonico e affermazione dell'inutilit

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della citt ideale: il cittadino non vede assegnarsi d'arbitrio un proprio ruolo, ma lo cerca in base alle proprie
inclinazioni.
Agostino contrappone l'essere sotto la Legge, come nell'Antico Testamento, ed essere nella Legge;
essere agito e agire; essere schiavi e liberi. osservazione di Paolo: lo Spirito vivifica, la Legge uccide. Non
credo sia necessario sottolineare la radicalit della rivoluzione cristiana, che all'inizio di un lungo percorso,
quello che sembra ora in crisi nella modernit.
L'idea che si and radicando nell'occidente latino, fu che la divinit della Legge fosse tale non a causa
della Rivelazione, ma per la sua caratteristica di essere naturale. La "natura" cui si fa riferimento non
ovviamente la natura intesa in senso moderno di res extensa opposta all'uomo; si tratta di una natura "intesa in
senso formale come natura di ogni cosa" (p. 262, corsivo di Brague). "Essa graduata secondo il livello d'essere
occupato da ci di cui natura; ogni essere ha assegnato un diritto che consiste nel fare ci che conforme alla
sua natura" (ivi).
L'introduzione di questo concetto, dice Brague, fonda l'intuizione fondamentale del Cristianesimo,
quella di non essere portatore di alcun nuovo comandamento. E poich la natura centrale per la filosofia, essa
consente di cercare un accordo con i filosofi: per i teologi, l'etica filosofica , nel suo contenuto, irreprensibile, e
pu essere integrata in una teologia morale (ivi). Si realizza in questo la tendenza ravvisata gi nella Chiesa degli
inizi: la convinzione della razionalit del dettato, che fu un motivo apologetico per la propria legittimazione
nell'Impero Romano e un elemento che determin una certa iniziale sovrapposizione con lo Stoicismo
dell'aristocrazia.
Si sviluppa cos un'idea che parte dall'identificazione di Dio con la Verit e la Giustizia: la Legge non
una esternazione della Volont di Dio, la Legge in Dio. La conseguenza che le leggi assicurano la
continuit tra il Creatore e le creature, perch sono la natura stessa di Dio. Le tre Leggi, scritta, di natura e della
Grazia, dice Bonaventura, sono la vita di Dio. Perci il rapporto dell'uomo con la Legge stabilisce un contatto
dell'uomo con Dio che non di semplice obbedienza, ma partecipazione al divino. Legge divina, umana e
naturale ci che, vengono ripensate in questo nuovo rapporto.
La pi grande sintesi al riguardo quella di Tommaso, che Brague esamina attraverso la Summa
theologi Ia, II (nelle Qstiones, 90-97 Tommaso ne esamina l'essenza e i particolari aspetti; nella Qstiones,
98-114 la Legge antica, la nuova, la Grazia) e il Libro III della Summa contra Gentiles.
Le due trattazioni di Tommaso hanno obbiettivi diversi; nella Summa theologi si tratta dell'essenza
della Legge e dei vari tipi di leggi; nella Summa contra Gentiles la Legge divina, inquadrata nell'ambito della
Provvidenza, vista come insita nel Creato quale legame che ordina in Dio la natura delle cose e l'uomo. Nei
Capp. 64-70 del Libro III, il fondamentale Neoplatonismo di Tommaso pone come punti fermi il fatto che la
Provvidenza governi le cose, onde Dio che conserva le cose all'essere, il quale, tutto, insiste nella natura divina:
Dio ovunque, la "causa operandi" di tutto, s che Egli ha informato della propria bont -della propria Legge-
non soltanto le cose, ma anche la loro capacit di farsi causa di altre cose.
Questa posizione di Tommaso sta molto a cuore a Brague, perch in essa egli identifica la compiuta
novit del Cristianesimo in rapporto alla Legge, che non ordina, ma consente all'uomo di fare ci che deve, gli
fornisce gli strumenti. In essa la Provvidenza si dispiega come natura e come storia: come natura rappresenta
quel tessuto divino che sostiene l'esistenza dell'essere; come storia, con la Legge, indirizza alla salvezza, e si
manifesta nelle legislazioni umane, in ci che fa s che esse tentino di plasmarsi sulla Legge naturale.
Per comprendere la complessa architettura tramite la quale Tommaso affronta e dirime il rapporto tra
la Legge eterna, naturale, divina e umana, necessario addentrarsi nella selva delle Qustiones, 90-97 della
Summa theologi, delle quali conviene dare qui soltanto qualche cenno sottolineando che cosa renda possibile
l'impresa: l'uso dello strumento razionale guidato dal common sense nell'ambito di un'architettura ideale senza
vuoti, quale quella del Neoplatonismo, ove tutte le parti si rinviano reciprocamente. Va anche detto per che
Tommaso sviluppa il tema della Legge nell'ambito di una teodicea che implica la bont del Tutto; dunque una
visione razionalista che non considera la possibilit di un Male radicale; il Male il risultato di un atteggiamento
contrario alla Ragione, alla razionalit vincolante della Legge eterna (inclinatio naturalis ad virtutem depravatur
per habitum vitiosum; et iterum ipsa naturalis cognitio boni in eis obtenebratur per passiones et habitus
peccatorum: Ia, II Q. 93, a.6 co.). Il Male dunque una realt esteriore al mondo ordinato della Creazione; la
Q. 90 si apre affermando che "Principium autem exterius ad malum inclinans est Diabolus".
Lo schema "ad albero" di Tommaso il seguente. Riguardo la Legge, si deve considerare quale ne sia
l'essenza; quali le differenze tra le leggi; quali i loro effetti. La Legge pertinente alla Ragione (Q. 90, a.1 co.)
regola e misura degli umani; ogni legge tende al bene comune (Q 90, a.2 co.). La natura interiore della Legge
cos espressa (Q. 90, a.3 ad 1): "lex est in aliquo non solum sicut in regulante, sed etiam participative sicut in
regulato. Et hoc modo unisquisque sibi est lex". La Legge, aggiunge, scritta nei cuori. Questa "iscrizione" altro
non che la promulgazione divina della Legge naturale (Q. 90, a.4 ad 1).
Venendo quindi ai vari tipi di legge, Tommaso ne distingue quattro: eterna, naturale, umana e divina;
si domanda poi se la Legge sia soltanto una e se esista una qualche legge "del peccato". Riguardo la Legge
eterna, la risposta di Tommaso tranchante (Q. 91, a.1 co.): il mondo retto dalla Divina Provvidenza, tutto
l'Universo governato dalla Ragione divina; dunque "ipsa ratio gubernationis rerum in Deo sicut in principe
universitatis existens, legis habet rationem". Perci necessario dire eterna la Legge. Tommaso ribadisce poi (Q.
994
91, a.1 ad 3) che il fine del governo divino Dio stesso, e non c' Legge se non da Lui (dunque Dio causa
formale e finale della Legge).
Quanto alla Legge naturale, Tommaso afferma (Q. 91, a.2 co.) che tutte le cose partecipano della
Provvidenza, perci della Legge eterna che si manifesta come inclinazione ai propri fini specifici, ai quali le cose
hanno dunque una naturale inclinazione; in ci esse partecipano della Ragione eterna: "signatum est super nos
lumen vultus tui, domine, quasi lumen rationis naturalis, quo discernimus quid sit bonum et malum".
Qui c' un punto fondamentale: tutto il cosmo razionale in quanto creazione divina, l'uomo ha in s
questa Legge come bussola che gli consente di distinguere autonomamente il Bene dal Male, egli quindi libero
e responsabile nei confronti di una Legge che non obbliga, ma fa capire. La Legge naturale partecipazione alla
Legge eterna (Q. 91, a.2 ad 1) e la razionalit del cosmo in essa espressa riguarda anche gli istinti delle creature
irrazionali (Q. 91, a.2 ad 3); tuttavia, poich esse non ne partecipano razionalmente, si pu parlare di "Legge"
soltanto per similitudine.
Tommaso opera neoplatonicamente in un cosmo totalmente razionale per la razionalit stessa del
Creatore, e ne fa, aristotelicamente, un cosmo totalmente razionalizzabile. Su questo punto si struttura la diversa
concezione cristiana (filosofica) e islamica della Legge, fissata nella constatazione di al-Ghazl, che il reale
pi del razionale, per l'inaccessibilit della Ragione divina alla Ragione umana.
Venendo alla legge umana, Tommaso ne opera l'incernieramento nella Legge eterna e naturale
attraverso il rapporto di imperfezione che contraddistingue lo Abbild dallo Urbild, ci che significa sottoporla a
un tlos, l'approssimazione al modello nei limiti delle possibilit umane.
L'operazione gli resa possibile da una serie di citazioni dalla Metafisica di Aristotele (1057a, 12;
1053a, 33; 1052b, 36-37) che giustificano i limiti della Ragione umana nel porsi come misura. A queste egli
risponde su due piani non esplicitati, ma che sostengono la dislocazione della prospettiva: da un lato la struttura
necessariamente neoplatonica connessa "filosoficamente" al Creazionismo: il Creato partecipa in qualche modo
della Legge che quindi inscritta in noi; dall'altro dalla presenza di questa Legge sotto forma di princpi ("inest
nobis cognitio quorundam communium principiorum": Q. 91, a.3, ad 1) che ricorda certe soluzioni aristoteliche
(Met., 1006a, 6-8; Eth. Eu., 1248a, 32-34; An. Post., 100b, 15) dalle quali emerge l'affermazione di una
conoscenza puramente intuitiva, sia dei princpi che delle scelte corrette, quindi in rapporto immediato con le
strutture del reale.
Si tratta di una partecipazione "immediata" a questi princpi, per la quale "homo participat legem
ternam secundum qdam communia principia, non autem secundum particulares directiones singulorum qu
tamen in ternam legem continentur" (ivi). Dunque la Ragione umana non "misura" di per s, ma in quanto in
essa sono impiantati i princpi che danno la norma del retto agire (Q. 91, a.3 ad 2). Naturalmente, poich la
ragione pratica opera nel contingente, non nel necessario come la ragione speculativa, le leggi umane non hanno
l'infallibilit delle conclusioni apodittiche della scienza: non necessario che siano infallibili, fanno soltanto il
possibile (Q. 91, a.3 ad 3). Qui si vede la differenza tra una meditata "conoscenza del mondo" e le geometrie del
Razionalismo subalterno.
All'uomo tuttavia necessaria anche una Legge divina, perch egli destinato alla beatitudine eterna
che supera le naturali facolt umane; inoltre l'incertezza umana nelle circostanze rende necessaria una Legge che
indirizzi gli atti dell'uomo: soltanto una Legge divina pu consentirgli di non errare (Q. 91, a.4 co.). L'uomo erra
a causa delle passioni, ma, come dice Agostino, una legge umana che volesse eliminare il Male porterebbe alla
perdita di molto Bene, e impedirebbe quel conseguimento del Bene comune che necessario alla conservazione
dell'uomo. Per punire il Male perci necessaria una Legge divina che non governa soltanto le azioni, ma le
anime (ivi). La Legge divina si separa da quella umana perch il suo fine oltremondano, e non pu essere
imposta con la legge umana; la Legge divina guida l'uomo ad un livello ontologico superiore; grazie ad essa la
Legge eterna viene partecipata ad un pi alto livello.
La Legge divina tuttavia duplice, antica e nuova; la prima, si dice, mirava al Bene terreno, la
seconda a quello celeste; ma poich essa dirige gli uomini anche nei comportamenti particolari, giusto che essa
sia stata duplice, come duplice ci che un padre impone ai figli, se infanti o se adulti (Q. 91, a.5 co.; a.5 ad 3).
Quanto ad una possibile "legge del peccato", essa non esiste: il Male indotto dalle passioni, perci
non ha una "legge" "sed magis est deviatio a lege rationis" (Q 91, a.6 co.). L'effetto della Legge fare l'uomo
buono, ovvero comandare, proibire, permettere e punire (Q. 92, pr.): si parla di leggi umane. Qui Tommaso
costretto a varie sottigliezze. Il legislatore umano tende a fare gli uomini "buoni" rispetto ai fini di un regime;
peraltro il Bene pu trovarsi anche nel Male: si pu essere un "buon" ladro, dipende dal fine. D'altronde, l'uomo
essendo parte di una citt, "buono" pu essere soltanto in rapporto al Bene comune. Su questo punto, Tommaso
rinvia ad Aristotele, Pol. 1276b, 16 sgg. dove si pone la differenza tra l'uomo dabbene e il buon cittadino.
Tuttavia il concetto di "cittadino" in Aristotele (Pol. 1275a, 22-23; 1275b, 18-20) era qualcosa di non pi
pensabile con la fine della plis, una concezione gi messa in ridicolo da Gorgia (Pol. 1275b, 26-30); mi sembra
quindi che il rinvio non sia dei pi felici per un autore cristiano per il quale la Legge inscritta nella coscienza
dovrebbe costituire un metro di giudizio prioritario. Si nota qui l'accantonamento politicamente prudente del
contenuto rivoluzionario del Cristianesimo. Dice infatti Tommaso (Q. 92, a.1 ad 4) che la legge tirannica
contraria alla Ragione una perversione della Legge, e tuttavia in quanto legge intende produrre il buon
cittadino in rapporto al regime vigente: una risposta sottile, ma francamente insoddisfacente.
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La Qstio 93 dedicata alla Legge eterna: che cos', se nota a tutti, se ogni legge derivi da essa, se
le cose necessarie, quelle contingenti, o tutte le cose umane, le siano soggette. Qui riemerge, a proposito del
primo punto, tramite Agostino, l'obbiezione di al-Ghazl, l'incomparabilit della Ragione divina con quella
umana, quindi l'impossibilit di ricondurre la Legge eterna all'equazione con quella divina. Tommaso risponde
con un "distinguo": "lex terna nihil aliud est quam ratio divin sapienti, secundum quod est directiva omnium
actuum et motionum" cio ci che della Legge (Sapienza) divina nel Creato; infatti "ratio divin sapienti,
inquantum per eam cuncta sunt creata, rationem habet artis vel exemplaris vel ide" (Q. 93, a.1 co.). Soluzione
neoplatonica: Dio ha creato il mondo materiale dal mondo delle Idee che in Lui. La Legge eterna la ratio
dell'ordine cosmico (Q. 93, a.1 ad1)
Coerentemente, essa pu essere conosciuta "in s" soltanto dai Beati che conoscono Dio nella Sua
essenza; le creature razionali Lo conoscono "secundum aliquam eius (scil: della Legge) irradiationem, vel
maiorem, vel minorem" (Q. 93, a.2 co.). Perci essa non si manifesta loro totalmente, e nessuno ne pu
giudicare.
Quanto alle leggi, non tutte derivano da quella eterna, ma da essa non pu procedere nulla di
malvagio; il male di una legge dipende dall'inclinazione di chi la promulga. Una legge umana ha valore di legge
soltanto se guidata da una retta intenzione, manifestando cos di derivare dalla Legge eterna. Altrimenti
violenza, non legge (Q. 93, a.3 ad 2). Tuttavia, per quanto iniqua, conserva qualcosa di legale in quanto emersa
dalla potest del legislatore (ivi). La legge umana, permette alcune cose non perch le approvi, ma perch non
titolata ad occuparsene. Molte cose sono infatti dirette dalla Legge divina e non possono esserle da quella
umana: questa separazione nell'ordine della Legge eterna; la legge umana non deve intromettersi in quella
divina e non pu approvare ci che quella disapprova, ma se non ci non accade non perch la legge umana
non derivi da quella eterna, ma perch non sa seguirla compiutamente (Q. 93, a.3 ad 3). Una legge umana che sia
in contrasto con quella divina imperfetta (ivi).
Interessante poi la risposta di Tommaso al quarto quesito: tutto il Creato sottomesso alla Legge
eterna, non per la Volont divina che la Sua stessa essenza e perci essa stessa la Legge eterna (Q 93 a.4
co.) Alla Legge eterna sono sottomessi tutti: gli uomini in ci che razionale, e poich Dio impronta tutta la
natura dei propri princpi, lo sono, in altro modo, anche le creature irrazionali, perch ne sono mosse, non perch
comprendano (Q. 93, a.5 co.) In altre parole, la Ragione umana e l'istinto animale sono entrambi sorretti dalla
Provvidenza. Quanto alla domanda se alla Legge eterna siano sottomesse tutte le cose create, la risposta,
affermativa in Q. 93, a.4 co., cit.
Venendo alla Legge di natura, Tommaso si propone di indagare che cos', quanti e quali siano i suoi
precetti, se tutti gli atti virtuosi ne dipendano, se essa la stessa per tutti gli uomini, se pu mutare, e se pu
essere cancellata dalla mente umana. Si dice che nell'animo umano -ricorda Tommaso citando Aristotele,
Eth.Nic., 1105b, 20-21- vi siano disposizioni, facolt e passioni; la Legge naturale non fa parte delle prime e
delle ultime, dunque una facolt; e tuttavia, osserva, una legge non pu essere una facolt in senso proprio ed
essenziale, una facolt della quale si usa al bisogno; una facolt che contiene i precetti della Legge naturale,
che sono i princpi dell'agire umano (Q 94, a.1 ad 2).
I precetti della Legge naturale sono tutti quelli che possono essere regolati dalla Ragione (Q. )94, a.2
ad 3) perch se essa una, essa riguarda tutti i doveri dell'uomo (ivi). Il fine della Ragione il Bene, ci che
razionalmente si sa per natura sia buono a farsi (Q. 94, a.2 co.). Tutte le inclinazioni umane, anche concupiscibili
e irascibili, in ci che sono controllate dalla Ragione fanno parte della Legge; sono dunque molti i precetti che
vengono da questa unica radice (Q. 94, a.2 ad 2).
Tutti gli atti virtuosi dipendono dalla Legge di natura in quanto tali, ma non tutti gli atti virtuosi fanno
capo ad essa, perch vi sono atti virtuosi che non provengono da naturale inclinazione, bens sono perseguiti
grazie alla Ragione; tutti i peccati per, in quanto contrari alla Ragione, sono contro natura (Q. 94, a.3 co.; a.3
ad 1; a.3 ad 2).
La legge di natura concerne ci cui l'uomo tende naturalmente, incluso l'agire secondo Ragione; e
anche nel contingente si deve tener presente che comuni sono i princpi della Ragione, non soltanto speculativa
ma anche pratica, che detta le opportunit nelle contingenze; epper certi principi vengono meno a causa delle
passioni o delle cattive abitudini (Q. 94, a.4 co.). Tuttavia nell'uomo la Ragione dominante e tutti convengono
che sia giusto che le inclinazioni dell'uomo siano governate dalla Ragione (Q. 94, a.4 ad 3).
Per quanto concerne la possibilit che la Legge naturale muti, Tommaso possibilista: essa
immutabile nei princpi ma pu mutare in qualche suo particolare per cause speciali che impediscano di
osservare alcuni precetti (Q. 94, a.5 co.). Essa non pu essere cancellata dal cuore umano se non in singoli atti a
causa delle passioni; le cattive opinioni ne possono cancellare aspetti particolari, come anche pu farlo la colpa:
mai per del tutto (Q. 94, a.6 co.; a.6 ad 1)
Per quanto concerne la legge umana, Tommaso si propone di considerarla in s, in rapporto al suo
potere e alla sua mutevolezza; circa la legge umana in s egli si pone il problema dell'utilit, dell'origine, della
qualit e delle suddivisioni. Alla legge umana in s quindi dedicata l'intera Qustio 95.
La legge umana, dice Tommaso, necessaria al perfezionamento delle virt e a trattenere da ci che
illecito; necessaria per mantenere la pace tra gli uomini, e inoltre c' chi non disposto a comportarsi
virtuosamente se non costretto (Q.95 a.1 co.; a.1 ad 1). Essa ha natura di legge se deriva dalla Legge di natura,
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altrimenti corruzione (Q. 95, a.2 co.) secondo quella concatenazione gi vista (legge eternanaturaleumana)
che incardina ogni legge nella Legge cosmica; ma poich i princpi della Legge di natura non si possono
applicare a tutti nello stesso modo, ne consegue la variet delle leggi umane (Q. 95, a.2 ad 3). Si passa dunque
dall'universale allo specifico secondo una ramificazione discendente caratteristica delle strutture neoplatoniche.
La congruenza delle particolari accezioni delle leggi umane con la Legge di natura, richiede la valutazioni di
uomini esperti e prudenti (Q. 95, a.2 ad 4), dice Tommaso con espresso rinvio a Eth. Nic., 1143b, 11-14. Si noti
che tutto il passaggio aristotelico 1143a, 25-1143b, 17 un elogio della saggezza e dell'esperienza come capacit
di intuire il modo di ricondurre il particolare all'universale.
Circa la qualit della legge umana, Tommaso prende le mosse da Isidoro: la legge deve essere non
soltanto "onesta" e "giusta" (richiesta francamente vaga e generica) ma possibile in rapporto alla natura, al paese;
conveniente al luogo e al tempo; chiara e non oscura; non volta a interessi particolari ma alla comune utilit. La
legge umana inoltre, deve essere congruente con la Religione e la Ragione, essere utile alla disciplina nonch
alla salvezza dell'uomo (Q. 95, a.3 arg. 1). Su questo schema, Tommaso fa delle osservazioni generali, ma da
esso sostanzialmente non si discosta.
Per quanto riguarda la suddivisione delle leggi, Tommaso fa viceversa una lunga precisazione (Q. 95,
a.4 co.). evidente, dice, che la legge umana deriva da quella naturale, e ne deriva in due forme: come ius
gentium e come ius civile. Al primo appartengono i corretti rapporti reciproci, perch l'uomo non pu vivere se
non in societ. Le determinazioni particolari, riferite cio allo specifico, sono di competenza del secondo. Si
determina cos una derivazione: legge di natura princpi generali delle leggi in rapporto alla convivenza
legislazione del singolo Stato. Quest'ultima varia anche in rapporto ai singoli regimi, per la cui definizione si
rinvia alla Politica di Aristotele (1278b, 6 sgg.). La legge umana dirige gli atti degli uomini relativamente ai
singoli reati.
Quanto al potere della legge umana, Tommaso si domanda se essa debba riguardare tutta la comunit;
se debba reprimere ogni vizio e obbligare ogni virt; se obblighi l'uomo sul piano della coscienza; se tutti gli
uomini siano sottomessi ad essa; se chi vi soggetto possa agire fuori di essa (Q. 96, pr.).
Il fine della legge, risponde, il Bene comune, dunque essa rivolta ai molti e a ciascuno per ci che
lo concerne (Q. 96, a.1 co.); se essa discriminasse, cesserebbe la sua funzione regolatrice (Q. 96, a.1 ad 2).
Quanto alla repressione dei vizi, Tommaso parte dalla constatazione che non si pu imporre all'infanzia ci che
si impone agli adulti; per la stessa ragione, si debbono tollerare nei non virtuosi molte cose che sarebbero
inaccettabili da parte dei virtuosi: e gli uomini in generale non sono virtuosi. Perci la legge umana non pu
vietare quei vizi dai quali i virtuosi si astengono, ma soltanto i peggiori, e in particolare quelli che sono di
nocumento agli altri e che distruggerebbero la convivenza, come l'omicidio e il furto (Q. 96, a.2 co.).
Quanto all'indizione della virt bene, dice altrettanto saggiamente Tommaso, che l'azione della legge
sia graduale, e richiama la metafora del vino nuovo in otri vecchi (Q. 96, a.2 ad 2). Subito dopo (Q. 96, a.2 ad 3)
ribadita la dipendenza della Legge naturale da quella eterna e l'imperfezione istituzionale di quella umana
rispetto a quest'ultima, ribadisce che la legge umana non pu vietare tutto ci che vietato da quella naturale.
La legge umana pu teoricamente occuparsi di tutto, tuttavia si occupa soltanto di ci che concerne il Bene
comune; perci proibisce soltanto alcuni vizi e promuove soltanto alcune virt (Q. 96, a.3 co.; a.3 ad 1).
Quanto ad obbligare sul piano della coscienza, Tommaso lapidario: le leggi umane possono essere
giuste o ingiuste; se sono giuste ricalcano la Legge naturale e perci obbligano; se non lo sono non rispettano la
Legge naturale e perci non obbligano, se non per quanto riguarda evitare scandali e turbolenze. Se poi sono
ingiuste contro la Legge divina, come nell'obbligo di adorare il Sovrano, non vanno neppure rispettate: obdire
oportet Deo magis quam hominbus (Atti, 5, 29; Q. 96, a.4 co.) Comunque, opportuno resistere al tiranno se lo
si pu senza scandalo e danno (Q. 96, a.4 ad 3).
Interessante, sotto il profilo della comprensione del concetto di soggezione alla legge, il modo con il
quale Tommaso risponde al quesito circa la sottomissione di tutti gli uomini alla legge umana. Secondo
Tommaso, la soggezione che comporta coazione di una volont contraria, riguarda soltanto i malvagi, perch la
volont dei buoni all'unisono con la legge, che perci nei loro confronti non coattiva (Q. 96, a.5 co.; a.5 ad
1). Anche il Principe che promulga la legge non ne coatto, perch nessuno pu costringere se stesso; perci egli
non soggetto alla legge, e non lo si pu condannare qualora agisca contro la legge; ma il Principe comunque
soggetto ad essere giudicato da Dio (Q. 96, a.5 ad 3). Siamo quindi in presenza di un atteggiamento quietistico,
perch fondato su una concezione religiosa della legge umana; su questo punto, il contrasto con la concezione
moderna della legge radicale.
Interessante per altri aspetti anche la risposta all'ultimo quesito, se i sottomessi alla legge possano
sottrarsene. Dice Tommaso che il legislatore guarda al Bene comune nella sua generalit; possono perci esservi
dei casi specifici nel cui riguardo essa sia un danno, e non un bene: in tal caso non va osservata. Segue un
esempio, ma ci che conta la conclusione: le leggi vanno rispettate comprendendone le intenzioni, non nella
lettera (Q. 96, a.6 co.) anche perch nessuna sapienza umana pu pensare e mettere per iscritto tutte le singolari
emergenze (Q. 96, a.6 ad 3).
Quanto alla possibile mutevolezza delle leggi umane, Tommaso contempla le seguenti ipotesi: se la
legge umana sia mutevole; se debba cambiare sempre quando opportuno; se possa essere abolita dalla

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consuetudine e se questa possa aver forza di legge; infine, se il rapporto con la legge possa mutare per dispensa
dei governanti (Q. 97, pr.).
La legge umana, dice Tommaso, pu cambiare per due ragioni: ex parte rationis e ex parte hominum.
Sotto il primo aspetto, poich essa comunque imperfetta potendo soltanto approssimarsi alla Legge di natura,
pu sempre migliorare. Sotto il secondo, deve mutare al mutare delle condizioni della societ, adottando in modo
diverso i precetti della Legge di natura (Q. 97, a.1 co.). La legge pu inoltre cambiare se cambia la valutazione
del Bene comune, accogliendo la consuetudine (Q. 97, a.2 co.). Quanto al ruolo della consuetudine, essa non pu
abrogare la legge, ci che pu fare soltanto l'autorit; essa pu tuttavia divenire forza prevalente ed essere fatta
legge ad opera dell'autorit stessa (Q. 97, a.3 ad 2; a.3 ad 3).
Per quanto concerne l'ultimo quesito, Tommaso osserva che la dispensa comporta il commisurare ci
che comune, al caso singolo; cio in qual modo il precetto comune debba essere adempito dal singolo, o anche
in quali casi, ci che conveniente ai pi, non lo sia per una singola persona. Si tratta di un giudizio rischioso
che deve evitare imprudenze ed arbitrii (Q. 97, a.4 co.). Nell'emetterlo non si deve perci causare pregiudizio al
Bene comune (Q. 97, a.4 ad 1). L'autorit pu comunque emettere tale dispensa se il fine il Bene comune e si
tratta della legge umana, perch dalla Legge divina pu dispensare soltanto Dio (Q. 97, a.4 ad 3).
Ho voluto esporre questo estratto della dottrina di Tommaso, al di l della sintesi di Brague,
escludendone tuttavia i successivi passaggi relativi alle leggi dell'Antico e del Nuovo Testamento che avrebbero
reso l'inciso prolisso e forse eccedente il necessario (la logica messa in campo da Tommaso sufficientemente
evidente da quanto citato) per mettere in evidenza che cosa sto a significare quando parlo del "grandioso ordine
neoplatonico medievale" al quale Brague commisura la modernit. Con ci ho voluto anche chiarire, molto pi
di quanto non sia potuto emergere trattando di Strauss, che cosa significhi la Legge di natura nell'ambito di una
cultura occidentale che si formata sul Cristianesimo medievale. Siamo in presenza di un ordine che discende
dalla razionalit del cosmo, da una Legge eterna che l'impronta della razionalit divina e che si manifesta in
una Legge di natura ove la Provvidenza (entrata nel mondo sublunare dopo Alessandro) ha disposto ogni cosa al
proprio fine. Il cosmo, creazione di Dio, esso stesso espressione della Sua razionalit, e la Legge quindi nelle
cose, non sopra di esse. La libert umana pu certamente esplicarsi nell'adeguarsi o nel contravvenire, ma poich
la Legge inscritta anche nell'uomo, l'uomo sa come comportarsi; lo sa "per natura" e anche con l'uso di una
Ragione che non pu non essere in accordo con la Legge di natura. Soltanto in questo quadro pu essere
concepita la legge umana, necessariamente imperfetta ma migliorabile, rivolta all'uomo come umanit per ci
che concerne il riferimento alla Legge di natura, ma di fatto differenziata secondo le comunit in rapporto alle
contingenze mutevoli del loro Bene comune, e da intendersi in questo suo intento, non nella letteralit, allorch
applicata ai casi singoli.
Come si nota, si tratta di un ordine omnipervasivo -come nella premessa stessa- che reso possibile
dai due elementi costitutivi del pensiero medievale: una logica aristotelica che pensa l'identica struttura razionale
del cosmo, della logica e del discorso; e un'ontologia neoplatonica che vede il cosmo come un tutto continuo e
contiguo entro il tessuto dell'emanazione divina: Dio ha creato il mondo dalle Idee eterne presenti in Lui.
Si tratta di una costruzione impeccabile, cui si pu obbiettare soltanto ci che Dodds obbiettava a
Proclo, la pretesa di attribuire al cosmo le strutture del proprio pensiero; e tuttavia siamo indubbiamente in
presenza di una costruzione che d fondamento alla legge, e con ci d anche alla societ la misura dell'ordine,
una misura indubbiamente a rischio, in quanto non legalmente fondata, nel convenzionalismo. Non si deve infatti
dimenticare che, dopo la divisione cristiana di Stato e Chiesa, l'uomo non riferisce soltanto alla collettivit e allo
Stato, ma anche direttamente a Dio, un tema ripreso da Kierkegaard come rapporto col "generale" e con
l'Assoluto (cfr. supra, pp. 684-685). Abbiamo visto infatti con quanta mondana prudenza, con quanto common
sense condito di "razionalit", Tommaso si muova tra questi due poli.
Perci chiaro per quale ragione Brague, dopo aver esposto il pensiero di Tommaso, intitoli il primo
capitolo dell'ultima parte del suo testo, La modernit. Distruzione dell'idea di Legge divina, ponendo come
esergo un motto di Heine: " pi assurda una legge atea o un Dio-legge, un Dio che non che una legge?".
Brague dichiara di voler sorvolare su ci che accaduto tra il Medioevo e la modernit, perch
chiaro che quest'ultima non che il prodotto di quegli eventi (p. 279) e perch il suo riferimento resta la Legge
divina e la sua interpretazione, nel corso della quale si perso il senso originario di essa, sino alla sua scomparsa
(ivi). Il punto di partenza fu la distinzione tra comandamento e consiglio (cfr. supra) che condusse ad una
"autonomia" della legge e alla conseguente separazione di legge e consiglio, onde quest'ultimo cess di costituire
una pedagogia alla pienezza della legge: divenne consiglio a cercare il proprio interesse in luogo del Bene, e in
questa direzione ag il pensiero liberale (p. 281). Anche per Brague dunque, come per Strauss e Voegelin, la crisi
della modernit pensata come conseguenza della nascita della societ liberale. In essa la legge, separata dal
consiglio, si fece a sua volta precetto, divenendo pura repressione del naturale: per Kant divenne puramente
formale, come freno alla patologia delle passioni (p. 282).
Quanto alla Legge di natura, essa cambi col cambiare del concetto di natura, tese quindi ad
identificarsi con le leggi della natura, cio delle scienze naturali, come le "regolarit" osservabili in una "natura"
senza pi riferimento nel divino (p. 284). Essa divenne quindi puramente descrittiva e normativa, in quanto
descrizione dei rapporti costanti tra i fenomeni e sanzione della loro necessit (ivi). Anche la presenza di Dio nel
Creato assunse i caratteri di un imperativo, e questo segn la fine del Medioevo: il "centro di gravit degli
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attributi divini" si sposta dalla saggezza alla potenza (p. 285). La Legge divenne la volont di Dio imposta al
Creato (p. 286) perci la natura si distacc dall'uomo, e la sua legge non umana si contrappose a una legge
soltanto umana (ivi).
Brague sta di fatto descrivendo, senza far nomi, il capovolgimento del rapporto tra uomo e natura
operato da Cartesio: tra res cogitans e res extensa pu sussistere soltanto un rapporto di assoggettamento, messo
in atto tramite la tecnica. La legge in senso proprio non poteva pi essere "naturale" nel senso metaforico che
aveva la parola "natura", e divenne perci puramente umana (p. 287). Le "leggi" come rapporti necessari tra le
cose divennero le regole imposte alle cose da Dio, non pi la struttura stessa delle cose (p. 288). Anche qui
Brague non fa nomi, ma questa la logica del dualismo cartesiano che sar al fondamento della fisica classica
sino alla crisi di quest'ultima all'inizio del XX secolo con l'emblematica scomparsa del suo dominus,
l'osservatore esterno immobile, una figura non troppo velatamente ideologica. Su questo punto si potrebbe
dunque osservare che la "modernit" qualcosa di vecchio, progressivamente entrata in crisi nel XX secolo; e
che, se sopravvive nelle scienze sociali (la cui insensatezza fu icasticamente segnalata da Strauss con l'aneddoto
"neroniano") ci dovuto soltanto all'arretratezza generata dal sistema di cooptazione circolare tra istituzioni,
media e intellighentzie, pi volte ricordata in queste pagine come "industria della cultura".
Brague sottolinea quindi alcuni paradossi della modernit, che ne mostrano la mancanza di
fondamento e le contraddizioni. Ad esempio, la rivendicazione di sovranit del popolo che diventa fonte di
legittimit politica e di valore etico, ha fatto s che le societ moderne finissero con l'esercitare su loro stesse una
pressione in direzione di un "dover essere" del tutto autocentrico, rendendo cos centrale l'idea di una "normalit"
difesa con una disciplina alla quale esse si identificano (p. 289). La legge non pi divina sostituita dalla
"santit" delle leggi "inviolabili e sacre" a partire dalla Rivoluzione Francese; sicch si fece "sacro" il diritto di
propriet garantito dalla spoliazione dei beni ecclesiastici (p. 290). Lo stesso "gesto" si ritrova nei contemporanei
"diritti dell'uomo", tanto pi "sacri" quanto meno pensato a che cosa l'uomo deve "l'umanit" che gli consente
di avere dei diritti (ivi).
Detto per inciso, qui si legge tutta l'incapacit dell'Occidente a capire perch, altre societ rette da
un'altra visione di Dio e della Sua Legge, rifiutino l'ovviet di questi "diritti", avvertiti come atto sopraffattorio
di colonizzazione culturale.
La riconduzione del momento religioso a quello legislativo/impositivo ha avuto luogo in Occidente
anche a seguito della Riforma, nota Brague, che port a una nuova valorizzazione dell'Antico Testamento nelle
culture da essa influenzate (p. 292). Brague tende a sottolineare questi fenomeni di "esteriorizzazione" della
legge, perch l'ordine medievale si poteva fondare soltanto sulla struttura razionale di un Creato-volto-della-
Legge; evidente che una legge puramente imposta viene infatti a perdere ogni fondamento razionale, e ci apre
al Relativismo come mera registrazione della soggettivit del desiderio, e alla disgregazione del modello sociale:
precisamente ci che criticava Strauss.
Brague sottolinea anche il ruolo di Kant in questa tendenza, col suo rendere l'obbligo morale un
dettato della coscienza svincolato da una razionalit divina, connesso viceversa a una divina legislazione etica
posta al centro della Legge in luogo della saggezza; ma critica al tempo stesso la concezione del Diritto come
crescita organica, cio la lezione di Burke, con ci ponendosi, da una diversa prospettiva, sul piano di Strauss.
Entrambi, per vie diverse e con diversi esiti, cercano la via di un "Bene" oggettivo, tale perch connesso alla
natura/struttura delle cose. In entrambi i casi, anche se in modo non patente in Brague, v' al fondo una
concezione della verit/epistme e il rifiuto di una sua possibile storicit (quale sarebbe il caso di una
verit/testimonianza). Questo punto esplicito anche in Brague, che parla di una "storicizzazione della Legge
divina" (p. 295) che apre la via allo studio sociologico del fenomeno religioso in Durkheim e Weber (p. 299). Il
risultato che "La nozione di Legge divina, in particolare si riduce al contenuto di un'opinione che ha lasciato
tracce e avuto effetti nella storia e nella societ, ma sulla cui verit la sociologia non ha nulla da dire" (ivi). Di
quale "verit" si parli, chiaro: si tratta della verit/epistme, perch l'analisi storica e sociologica pu accertare,
e deve accertare, soltanto la verit/testimonianza che agisce negli individui, e, per loro tramite, nella societ e
nella storia, e che perci si afferma ed "verit".
Dopo questa breve analisi sull'evoluzione dell'Occidente, Brague dedica scarni cenni al Giudaismo e
all'Islam, sottolineando il ritorno all'eteronomia della Legge in Lvinas e facendo appena un cenno al Salafismo,
circa il quale non manca per di ricordare la nascita tardiva dell'idea di Sharah e il carattere mitico della
"leggenda" salafita: quella di un'epoca d'oro dell'Islam fondata sulla Sharah, di un declino dovuto al suo
abbandono, e quindi della necessit del ritorno ad essa per una rinascita (p. 306). Mi permetto di notare che il
fenomeno non sfugge alla regola generale per la quale tutti i movimenti eversivo/rivoluzionari sono nati da uno
sguardo mitico su un passato aureo da restaurare; anche il mito del Progresso (nella storia) nacque da un
tentativo di fuga (dalla storia) per restaurare la perfezione di un Progetto (divino) iniziale, una razionalit
dell'origine minata dal Male (demonico o terreno/economico). La modernit si caratterizzata per l'eliminazione
del Male metafisico quale supporto al malessere terreno, ricondotto a fenomeno meramente storico e perci
sicuramente superabile: effetto della teodicea illuminista della storia che chiuse gli occhi sulla complessa
contraddittoriet del reale, pensato entro un astratto schema razionalista.
Brevi ma importanti le conclusioni finali di Brague, che riconducono il problema del fondamento
della Legge alla sua attualit. Esse partono dal nodo che l'autore ritiene di aver individuato, sul quale dovremo
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ritornare con La sagesse du monde, e cio la separazione dell'etica dalla cosmologia con la quale si realizza
l'abbandono dell'ordine medievale; per affrontare un tema (p. 308) molto attuale nel senso che molto se ne parla,
ma, secondo Brague, a sproposito. Si tratta della separazione della politica dalla religione, percepita come un
progresso in Europa (Brague parla sempre di "Europa" pi che non di "Occidente") e come decadenza nell'Islam.
La formula ingannevole, perch suggerisce l'idea di una unione iniziale (p. 309); infatti in Europa i due
momenti erano separati sin dal Medioevo, mentre, nello stesso periodo, essi, gi uniti all'inizio, andarono
separandosi nell'Islam (p. 308).
Nell'Islam c' un'opinione diffusa che insiste nell'impossibilit di separarli, ma essi erano uniti
soltanto nell'epoca del sogno retrospettivo dei sullf (pl. di salaf) cio dei successori del Profeta. Basta leggere
Ibn Khaldn per rendersi conto della diversa realt storica dell'Islam medievale. Nonostante l'idea di Legge
divina, tanto il Giudaismo quanto l'Islam hanno maturato sin da tempi lontani la separazione di politica e
religione: il Giudaismo per la sua mancanza di potere politico che lo ha portato a centrarsi sulla Torah; l'Islam
per la nascita della Sharah incarnata in una classe di giuristi che ha annullato il ruolo del Califfato. Questa
distinzione ci che ha consentito alla religione di rivendicare il dominio totale non soltanto sulla politica, ma su
tutta la vita pratica (p. 310).
Per ci che riguarda l'Occidente, quel che vale per la politica vale anche per l'etica: non c' pi una
morale teologica, essa ormai pu qualificarsi come "borghese", "tradizionale", e non c' neppure una morale
laica. C' soltanto una morale comune, da interpretare in senso giudaico, islamico, cristiano o altro (ivi). Le
ragioni di ci sono diverse: quanto al Cristianesimo esso ha soltanto la morale comune, parlare di "morale
cristiana" significherebbe confondere l'obbligatorio col facoltativo. Secondo Brague, il ruolo che dovrebbe avere
la religione nell'etica dovrebbe essere la creazione di un ambiente fecondo nel quale cristallizzare versioni pi
affinate della pratica suggerita dalla morale comune (p. 311). Non so se sto interpretando bene il suo pensiero,
ma ho l'impressione che egli raffronti il complesso sistema razionale che sorregge il giudizio contingente nel
pensiero medievale, con il vacillante fondamento di quello moderno.
Il Cristianesimo non pretende che il Diritto ne sia dipendente; esso intese se stesso come un cammino
sulla via della giustizia, perci non pu partorire una Sharah; esso vuole soltanto proporre i mezzi per
percorrere una via che la morale comune: la Grazia come mezzo per realizzare la Legge. Tutto ci viene
attualizzato per mezzo dei Sacramenti: l'Eucaristia non dice al credente che cosa fare, ma gli d la forza di farlo:
, per l'appunto, un viatico.
Nel Giudaismo e nell'Islam, la separazione di religione e politica ha dato alla pratica del divino la
forma di una Legge: il lgos della Rivelazione un dettato di regole da seguire, perci non c' in loco una
teologia (salvo quella dogmatica) ma una giurisprudenza (ivi).
"Teologia" nota Brague, applicazione della Ragione al divino (ivi) ci che l'Islam -ricordo- per
motivi non irrazionali, ha negato sia possibile. Qui c' a mio avviso, un punto-chiave per capire la via alla
secolarizzazione percorsa dall'Occidente. In questo la posizione di Brague mi sembra debole, perch egli esalta
l'antecedente di quella posizione che critica. Dio resta dov' soltanto se inaccessibile alla Ragione, altrimenti
costretto a scendere l dove la Ragione opera, in terra; a calarsi nelle cose panteisticamente, o nella storia,
hegelianamente. Il pericolo incombe gi in Tommaso e viene dal Neoplatonismo -non per nulla la bestia nera di
Ibn Taymiyya e fonte ereticale per l'Ismailismo- che fu sin dall'inizio il solo modo coerente di applicare la
filosofia greca al creazionismo biblico. Se non si esce dal cerchio di gesso del Razionalismo greco classico non
si esce dalla commedia degli equivoci.
Vorrei consentirmi una riflessione, perch l'eclisse di una legge divina ha comunque conseguenze
sulle quali riflettere. Il posizionamento extraumano di quella Legge faceva s che anche il Sovrano assoluto vi
fosse soggetto, e ci poneva un limite al suo arbitrio. Nella modernit il Sovrano assoluto non esiste -di norma-
come persona; ma ancor pi assoluto il potere anonimo di un'opinione comune che non ha altro riferimento che
se stessa. La pressione della "cultura corrente" con i suoi "valori", ha quindi una forza costrittiva del tutto nuova
che non la repressione aperta delle dittature, ma la capacit di confinare nel Nulla della "opinione personale",
"scientificamente non dimostrata" e facilmente "antistorica" il dubbio sulle nostre magnifiche sorti: non il
dubbio, sempre ammesso, sulle concrete decisioni da prendere di volta in volta, ma quello sul futuro del percorso
imboccato tout-court. C' di peggio: tanta forza genera da se stessa la cooptazione di massa che tende a
prolungare il sempre-eguale con effetti di sclerosi sulla societ. Il Moderno , o forse era, sul punto di diventare
un cul de sac.
Come ho gi detto, possibile infatti che la modernit sia gi vecchia; essa un fenomeno iniziato
nel XIX secolo che ha dominato la societ sino ai tre quarti del XX, ed esploso -o imploso- poi nel 68, nel
quale ho creduto di scorgere la percezione della propria crisi da parte della piccola borghesia, divenuta nel
frattempo classe generale. Al momento attuale questa crisi un dato di fatto con gli smescolamenti sociali ed
economici connessi all'evento della cosiddetta globalizzazione; e gli strumenti culturali di trent'anni or sono non
consentono ai fautori della modernit di capire ci che accade. Per motivi strettamente anagrafici, Strauss e
Voegelin combattevano una modernit che oggi ansima nelle retroguardie delle intellighentzie di complemento.
D'altro canto, in risposta all'ordine medievale, "modernit" fu anche accettare la sfida del disordine,
anche del disordine etico, e in questo essa fu una forza vitale. Quanto disordinato sia il mondo -e improbabile,
persino inverosimile- lo ha mostrato la fisica quantistica, con l'ipotesi di conclusioni vergognosamente sofistiche:
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un fenomeno pu accadere e/o non accadere contemporaneamente. Io non intendo pronunciarmi -non lo potrei-
circa la passione divina per il gioco dei dadi, ma so che la vita disordine per il suo stesso negare la tendenza
alla minima entropia, cio all'ordine massimo della materia che regna nei cimiteri. Di norma, la vita non cerca la
norma -il luogo della massima probabilit: al pi, vi si adatta con qualche difficolt, molti sacrifici e un po' di
calcolo.
La vita una fonte che rompe la roccia del codificato e fa germinare il nuovo: si pu certamente
riflettere sul passato e sui percorsi che hanno condotto al presente, ma il rappl l'ordre non mai una
soluzione: questo vale per Strauss. Se la Sofistica e la scienza moderna hanno dubbi sull'ordine "naturale" del
mondo, forse meglio affinare gli strumenti per "governare" (in senso nautico) il disordine. Del resto, il
disordine (umano e sociale) delle eresie, emerse da una possibile lettura di quello stesso Neoplatonismo sul quale
si reggeva l'ordine cosmico medievale.
La modernit non un progresso n una decadenza, un fatto, ed un fatto che sta trasformandosi in
altra cosa attorno a noi, che forse gi superato nei modi in cui fu definito e criticato ai tempi nei quali il suo
disordine veniva cristallizzato in nuovo ordine da un circuito, pi commerciale che culturale, di aspiranti al bon
ton. Se, come ritengo, questo nuovo ordine stato possibile soltanto grazie alla presenza di una piccola
borghesia di massa, allora esso potrebbe conoscere molti scricchiolii nel corso del nostro secolo, il XXI, perch
la composizione della societ sta cambiando. Nei suoi momenti di gloria, nel XX secolo, questo nuovo ordine ha
costituito un momento di intolleranza culturale e ideologica; i suoi sostenitori sono ancora intolleranti, ma non
tutti gli intolleranti sono Gnostici.
Nella loro percezione della realt come rivelazione di percorsi segreti, gli Gnostici avevano tratti di
affinit con i paranoici, ma non per questo erano paranoici, n i paranoici sono Gnostici. Questo vale per
Voegelin, che ha trovato uno strumento troppo comodo -un vero polit(olog)isches Stratagem- per combattere la
propria battaglia; d'altronde non necessario avere elaborato una corretta dottrina per capire che qualcosa non
funziona. Curiosamente, questo vale anche per gli Gnostici (quelli storici) che restano un fenomeno unico nel
loro tratto distintivo, essere stati i primi ad elaborare una dottrina contro l'inevitabilit di questo mondo,
assicurata dalla sfera di Ananke. Un'ideologia religiosa contro un'ideologia del dominio: anche questa fu una
lettura del messaggio cristiano. Si pu seguire l'eredit di quel pensiero sino al Medioevo: trasportarla nella
modernit pura metafora; pi che altro, Stratagem.
Brague pone comunque un problema reale: come pu fondarsi una Legge che non abbia un modello di
riferimento, una luce-guida? E, d'altronde, la modalit normativa non il solo rapporto che si pu stabilire con la
Legge divina; il rapporto col divino potrebbe anche manifestarsi come la via necessaria "al pieno dispiegamento
dell'agire umano" (p. 316). Questa sua posizione ha creato qualche perplessit per un possibile rischio teocratico,
tanto che sulla Intercollegiate Review della primavera del 2006, Brague ha ritenuto di riprendere l'argomento e
precisare il proprio pensiero con l'articolo Are non-theocratic Regimes Possible?
Dopo aver ricordato l'origine del termine in Giuseppe Flavio a proposito del popolo ebraico guidato
dalla Legge mosaica, Brague sottolinea la costante presenza, anche in Occidente, del riferimento divino come
fondamento della Legge; soltanto gli ultimi due secoli avrebbero visto affermarsi l'accezione negativa nei
confronti della parola "teocrazia". Essa non deve essere per pensata nel senso islamico della Sharah; al
riguardo quindi Brague ricorda l'impalcatura tomistica della Summa theologi e il suo significato di
affermazione di un ordine cosmico, espressione della saggezza divina. Questa Legge inscritta nella natura trov
espressione in occidente nel significato assuntovi dalla "coscienza", un'idea che ha antecedenti nello stesso
mondo pagano, pi precisamente nella filosofia degli Stoici.
La nostra stessa democrazia, prosegue Brague, non erede della democrazia greca, ma ha origini
medievali in ambiente monastico, come principio connesso alle scelte morali della coscienza nell'elezione dei
superiori, e il suo fondamento "teocratico" appare evidente nel detto "vox populi, vox Dei". Non dunque un
semplice principio maggioritario, ma l'idea che nella convinzione delle coscienze parlasse la divina Sapienza,
conferendo legittimit al principio stesso.
Quanto all'Islam, non vi sono dubbi che il valore dell'azione umana esista soltanto nel suo fondamento
divino, da cui la legge divina della Sharah. Lo stesso Hobbes riteneva che l'obbedienza allo Stato fosse il modo
migliore di obbedire a Dio; perci l'Occidente e l'Oriente fondarono entrambi nel divino l'origine della Legge.
Ci su cui Cristianesimo e Islam si sono sempre divisi stata la natura di questa Legge; sotto questo profilo si
pu persino pensare che la moderna concezione occidentale della legge sia pi islamica che cristiana
(riferimento a quanto prima ricordato nella chiusura a La loi de Dieu a proposito della progressiva
esteriorizzazione della Legge). Non si pu dire quindi che l'Islam sia una societ "medievale" (un termine
divenuto spregiativo e sinonimo di arretratezza) che stia all'opposto della svolta "moderna" dell'Occidente.
Vedere il problema del mondo islamico in termini di "democrazia" perci deviante; la democrazia
manca in tanti paesi non islamici ed , secondo Brague, un problema non centrale; anche secondo il pensiero
politico classico, in Platone e in Aristotele, essa non era che uno dei sei regimi possibili, con le sue proprie
possibili degenerazioni: non dunque l'obbiettivo principale. La comprensione islamica della Legge non
soltanto politica; essa si occupa di normare tutte le regole del comportamento ed questo il suo obbiettivo
principale, non lo specifico regime attraverso il quale realizzare ci. L'Islam, comunque, intende se stesso come

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sistema egualitario -questo fu il punto di partenza per la discussione interna alla democrazia- un egualitarismo
che si esprime nel rapporto non gerarchicamente mediato di ogni Musulmano con Dio.
Quanto all'Occidente, Brague, che aveva gi ricordato l'origine monastica medievale della nostra
concezione di democrazia, sottolinea le sue radicali differenze con quella greca, fondata sul sorteggio delle
cariche, laddove l'elezione era piuttosto una caratteristica dei regimi aristocratici (qui il rinvio di Brague alla
Politica di Aristotele decisamente sommario; occorre una pi ampia lettura del testo per afferrarne il senso).
Anche il nostro concetto di libert, come noto, non ha nulla a che vedere con quello greco, come pure il concetto
di laicit. Ugualmente, il concetto di democrazia islamico diverso dal nostro: in quella cultura sarebbe una
"ummacrazia" governata da una Legge scritta di origine divina che sbarra il percorso alla ricerca di una giusta
via fondata sulla coscienza. Qui per Brague sottovaluta l'importanza fondamentale dell'ijtihd, anche se lo
sforzo interpretativo si ferma necessariamente all'identificazione della fattispecie.
Dunque la democrazia occidentale si caratterizza per essere fondata sul valore della coscienza, la
quale per ora separata dal rapporto con il divino; essa dunque non riverbera pi una luce "teocratica", cio di
presenza in essa di una Legge divina. Al contrario, essa intesa come espressione di pressioni sociali, pregiudizi,
e quant'altro, sicch, nel parlare corrente significa semplicemente ci che ciascuno intende decidere in base al
proprio capriccio individuale. I nostri regimi occidentali, pi che non "democratici", sono quindi sostanzialmente
"laocratici" nel senso greco della parola; questa l'opinione di Brague riguardo la quale bene ricordare che la
Laocrazia da considerare, cos come introdotta, un impoverimento del concetto di democrazia, espressione di
una societ che ha perduto la propria stella polare.
Si nota, nella diversit dell'approccio, una sostanziale convergenza di giudizio tra Strauss e Brague
circa la crisi di una societ, manifesta nei suoi comportamenti e nella sua cultura, che, in Strauss, fa riemergere la
critica platonica contro la democrazia e i Sofisti, equivalenti costoro, secondo Strauss, ai moderni "intellettuali".
Qui si fonda la domanda che si rivolge, e rivolge a noi, Brague: nel lungo periodo, sono davvero
possibili regimi "non teocratici", cio regimi nei quali il fondamento della Legge non abbia un riferimento nella
trascendenza? Dove "teocrazia" nel senso di Brague, bene sottolinearlo ancora, non significa "governo
clericale". Governo "clericale" non c' mai stato neppure nell'Islam, nonostante la sovrapposizione di politica e
religione.
Al riguardo, aggiungo, si pu non soltanto ricordare l'analisi di Ibn Khaldn, ma anche esaminare
l'attuale velyat-e faqh della Rivoluzione Iranica con occhio meno ingenuo, per rendersi conto che ci si trova
dinnanzi a un momento politico che ha alquanto esautorato il vero, e religiosamente fondato, potere dell'alto
clero (cfr. R. Guolo, La via dell'Imam. L'Iran da Khomeini a Ahmadinejad, Roma-Bari, Laterza, 2007). Lo
stesso Brague ricorda che, per al-Frb, il regime di Medina apparteneva ad un remoto passato, e che un
"regime degli Imm" poteva esser visto soltanto nella Persia Sassanide, cio pre-islamica.
Nei regimi occidentali attuali, il fondamento della legge inteso in senso convezionalista come
risultato di un "contratto", e questo fondamento contrattuale si ora esteso anche alle norme etiche. I
fondamentalisti della secolarizzzione accusano di "teocrazia" chiunque pensi che la Legge etica sia qualcosa di
"dato", da scoprirsi, non da inventarsi; il contratto ha condotto alla radicale esclusione dell'extraumano, e ci
non senza conseguenze. Qui Brague pone l'argomento decisivo: se noi siamo una societ, non possiamo
dimenticare che una societ deve continuamente decidere sulla propria sopravvivenza. Il contratto per non ha
riferimenti esterni a se stesso, quindi una societ che tale soltanto per contratto non ha gli strumenti per
decidere se la sopravvivenza della specie umana sia un Bene o un Male.
Tanto Brague quanto Strauss avvertono dunque il medesimo pericolo: la deriva che fonda l'etica
sociale sulla contingente espressione del desiderio mina il fondamento, e con ci l'esistenza stessa di una societ.
Il problema dell'Occidente dopo la secolarizzazione pu quindi esser visto come esigenza di ritrovare un'etica
sociale, alla quale commisurare i "diritti" dell'individuo. A differenza per dell'improponibile revival platonico
di Strauss, Brague lascia aperta una domanda che esige quanto meno una riflessione. Non la fonda su una Legge-
Sharah quale quella pensata da Strauss, n, direttamente, sul pensiero greco, che viene evocato soltanto
indirettamente per ci che l'aristotelismo ha contribuito a conformare il pensiero neoplatonico di Tommaso. La
fonda su una tradizione che ha realmente formato l'occidente, quella cristiana medievale, e su una Legge che non
un coacervo di precetti e divieti, ma un invito alla riflessione razionale sul cosmo e sulla societ. Poi, si pu
chiudere il cerchio dell'ordine come nel Medioevo, o aprire le porte al rischio del disordine, come nella
modernit: a patto di non perdere di vista che anche il "disordine" ha una propria "ratio".
La domanda pu essere formulata come constatazione in questi termini: anche la societ un
organismo vivente con proprie leggi di conservazione che possono contraddire il desiderio dell'individuo.
Queste leggi debbono essere tenute in dovuto conto, perch, senza la societ, non c' neppure l'individuo, che, in
s, non ha un ubi consistam ove fondare il proprio "diritto", a meno che non lo rinvii alla propria origine divina,
nel qual caso si torna al punto di partenza.
La radice di questo giro vizioso risiede, a mio avviso, in quella che a suo tempo definii la "cattiva
secolarizzazione" operata da Hegel, che fu semplicemente l'appiattimento del divino sulla storia, ove assunse le
forme di un Assoluto impersonale, non pi quelle di un Dio vivente. Con Hegel nasce l'assurdo contemporaneo,
la Teologia della Storia, di un Moloch nei cui confronti il desiderio dell'individuo si trasforma in licenza, perch

1002
la societ si dicotomizza nella reciproca estraneit di una norma esterna all'uomo e di un uomo senza norme.
Succede, quando si pretende d'incartare il mondo in una diluviale verbigerazione.
Ho lasciato per ultima cosa l'esposizione di La sagesse du monde perch mi sembrato di trovare in
esso una chiave per capire ancora meglio ci che Brague espone in La loi de Dieu, quale sia il modello che egli
intravede nel Medioevo occidentale. Il Medioevo, non soltanto nella visione di Brague, che non una visione
nostalgica, non pu essere evocato con quel sottinteso dispregiativo che and crescendo dal Rinascimento,
all'Illuminismo, al XIX secolo (con l'eccezione del Romanticismo) cio nel corso dell'affermarsi del nuovo
Razionalismo. Il Medioevo fu, al contrario, un'epoca segnata dallo sforzo di creare un nuovo mondo sulle ceneri
di quello classico che aveva fallito: fu perci un'epoca profondamente cristiana che, al tempo stesso, vedeva in
quelle ceneri il proprio humus. Il Medioevo pensa con una vocazione all'universale che pu costituire ancora un
punto di riferimento per un'epoca come la nostra, che, nell'ansia di liberazione, ha perso i rapporti col proprio
stesso fondamento, un fondamento che ha sede, non di rado, nel Medioevo.
Brague parte da un'analisi delle civilt antiche che precedono la Grecia, per mettere in luce come
l'ordine del comportamento individuale e della societ vi sia stato considerato nell'ambito della cosmologia, cio
di un ordine omnipervadente del cosmo. Dopo un breve preambolo, egli ritiene di individuare quattro modi di
rapportare l'uomo al mondo, rispetto ai quali si distinguono, a suo avviso, Sofisti, Cinici e Scettici, che non
partecipano di alcuno di essi, perch non sembrano essersi posti il problema; essi sono perci esclusi dal suo
studio (p. 44). Questa scelta capitale, ha l'apparenza di una premessa pi che di una conclusione. Brague
esclude le forme di pensiero che non intravedono la possibilit di riflettere un ipotetico ordine del mondo
nell'ordine esplicito del discorso. Premessa grave, perch indirizza l'indagine in modo parziale, stabilendo
implicitamente che un ordine esterno esprimibile nel discorso come suo ordine debba pur esserci.
Il primo modello esposto da Brague quello socratico-platonico, culminante a suo avviso nel Timeo,
troppo noto per insistervi qui. Il secondo quello di Democrito e di Epicuro, il cui ordine morale imitare gli
Dei (intracosmici) nel non curarsi del mondo, grazie alla conoscenza del mondo. Questo modello si mostra retto
dal determinismo di una metafisica materialista che coinvolge anche l'anima destinata a perire; la saggezza
umana non dunque quella del mondo, ma, non potendo essere acosmica, metacosmica, fondata sulla regole di
un buon vivere tra gli uomini.
Il terzo modello quello aperto con l'Antico Testamento: il mondo ha una saggezza che la sapienza
artigianale insita nella sua creazione ad opera di Dio, non un ordine suo proprio; esso soltanto il palcoscenico
sul quale destinata a svolgersi la storia dell'uomo. Di qui non soltanto il rifiuto del culto astrologico, ma una
vera e propria svalutazione del mondo a vantaggio della storia. Questa traslazione si esprime nell'Apocalittica: il
mondo finir con la fine della storia, che anche il fine della storia, perch la storia deve compiersi. Questo
modello non smentito n dal Nuovo Testamento, n dal Corano: essi hanno in comune un mondo "buono"
creato da un Dio buono: il mondo un edificio ordinato, ma le sue realt non sono le pi alte, non valgono
l'uomo del quale sono al servizio (p. 92).
L'ultimo modello preso in considerazione da Brague quello gnostico, che egli considera giustamente
nella sua posteriorit rispetto al Cristianesimo, perch risalente al terzo quarto del I secolo, ma con antecedenti
nel mondo di Qumrn (cfr. A. Paul, cit.). Su questo non ritengo di dover aggiungere nulla rispetto alla trattazione
gi data nel testo: il mondo estraneo all'anima, il cui compito fuggirne per tornare alla vera patria, al Plroma.
Brague espone poi altri modelli di minor rilievo storico, e mette in evidenza il permanere
dell'alternativa sempre esistita tra l'idea di un cosmo come luogo dell'ordine, ovvero di un Universo retto dal
caso: una disputa che, per inciso, si prosegue ancor oggi nell'ambito della scienza. Personalmente ritengo
interessante che egli si soffermi sul modello di Filone (p. 119) che delinea un ordine divino insito nelle cose del
mondo, perch Filone il punto di partenza del Neoplatonismo, armonizzazione del pensiero greco con la
Rivelazione testamentaria. Brague ricorda poi il conflitto tra il modello cristiano e quello gnostico, con la sua
appendice balcanica (Pauliciani, Bogomili) e il carattere gnostico della marginalit islamica, che ancora
sopravvive in numerose sette.
Viene sottolineata cos (p. 127) la nascita di un modello standard, quello neoplatonico della Tarda
Antichit, che innesta sullo schema del Timeo la logica, la fisica e l'etica aristoteliche, con prestiti stoici, nel cui
ambito viene calato il modello biblico. Conoscenza "scientifica" del mondo e problema esistenziale dell'essere-
nel-mondo appaiono in continuit nel medesimo modello cosmologico, che accomuna il pensiero medievale sia
nello schema macrocosmo/microcosmo, sia nella nobilitazione degli astri (p. 141; lo abbiamo visto a partire da
Alessandro di Afrodisia) che diventano "ministri di Dio" (ricordiamo la Scuola di Chartres). Brague parla di uno
schema cosmico "a cipolla" (p. 130) e ricorda, per l'Islam, un esempio su tutti: gli Ikhwn as-Saf.
L'uomo, al centro del mondo, diviene "cosmomorfo", e il modello dell'ordine cosmico diviene il
modello del suo dover essere (p. 156). Il fuoco di questo modello l'abbiamo gi visto in Tommaso, e ha un
lontano antecedente in Alessandro di Afrodisia: l'azione della Provvidenza, da lungo tempo discesa al di sotto
della sfera lunare. Aristotele aveva fermato il meraviglioso congegno dell'ordine al di sopra di quella sfera; al di
sotto, come ben sapevano gli antichi autori, l'andamento delle cose lasciava molto a desiderare; tuttavia questa
divisione tra ordine e disordine non era pi possibile, da quando era apparso sulla scena un Dio creatore del
Cielo e della Terra, nonch di un uomo a Sua immagine e somiglianza: perch Dio (anche il dio filosofico di
Aristotele) era l'origine dell'ordine, anzi, era l'ordine per definizione.
1003
Verrei comunque sottolineare come questa caratteristica di Dio sia stata il prodotto della Sua
progressiva razionalizzazione nell'ambito di un pensiero che s'inchinava alla Grecia, perch "l'ordine" impartito
dal Dio biblico era pi che altro l'espressione di una Volont, tanto che occorrer attendere Bhme per ritrovare
un Dio che Gli assomigli. Il Dio biblico poteva anche permettersi delle smagliature in tanto ordine, come quella
di organizzare il Diluvio per poi pentirsene e constatarne l'inutilit, perch al disordine umano non c' rimedio.
Se mi soffermo a sottolineare questi non trascurabili dettagli, perch mi sembra opportuno insistere sulla
struttura di pensiero che sorregge l'analisi di Brague che andremo ad esaminare, e che comunque gi
conosciamo.
Il Brague "cattolico" vede infatti il Cristianesimo con gli occhi del Brague "filosofo e di professione
accademico": lo vede come un'armonia di fede e Ragione, dove la seconda ha un ruolo non certo secondario e si
manifesta come la Ragione classica della tradizione filosofica dominante dell'Occidente. Vede, insomma, un Dio
comprensibile dall'uomo, scelta che gener da s il proprio opposto, quella di un uomo tentato dall'ipotesi di
salire lui, al Suo trono. La riproposizione da parte mia di questo argomento non fuori contesto, nello specifico,
perch non allude semplicemente a quelle letture ereticali definite troppo sprezzantemente "popolari", ma al fatto
che il fenomeno tutto occidentale della modernit sembra davvero figlio di un'evoluzione (gnostica! direbbe
Voegelin) del Cristianesimo razionalizzato: infatti la modernit un evento verificatosi in Occidente, in quel
luogo culturale ove convolarono a nozze Ragione greca e Dio biblico, che rischi di farsi paredro.
Bisogna credere all'azione della Provvidenza perch ci conduce all'ordine e all'armonia sociale:
Brague fa sue le parole di al-Baghdad a p. 157. Certo, l'andamento delle cose terrene non sembra suffragare
tanto ottimismo, sicch furono in molti a pensare che il problema fosse nel noto disordine della materia cos ben
descritto negli Oracoli Caldaici (ma il mondo materiale fu pur creato da Dio!) e quindi nelle tuniche di pelle
guadagnate col Peccato. La realt del Male era innegabile, ma significativo notare (pp. 160-164) la costante
tendenza a sottovalutarla riconducendola al Nulla (quindi a una privatio boni) o alla natura difettosa del mondo
materiale: Brague riporta un campionario di soluzioni che vanno da Aristotele, ad Agostino, ad Avicenna,
passando per molte altre illustri testimonianze. Il Male un problema insolubile per gli interessati all'ordine: fa
rispuntare la contestazione degli Gnostici, e, molto a monte, gli sberleffi dei Sofisti e degli Scettici. difficile
infatti negare che la realt del Male sia conseguenza dell'identificazione razionalista di un Progetto, insito nel
reale, che identifica l'ordine progettuale ipotizzato con il Bene: e poich l'esperienza testimonia che le cose non
vanno cos bene, dai tempi di Zoroastro che si tenta di individuare il guasto nei luoghi pi disparati, pur di non
abbandonare l'idea che esista un Bene privo di ombre. La luce che la Ragione ha proiettato sul reale ha nascosto
la sua complessit, creandone di necessit un "volto oscuro". Soltanto il pensiero mitico (e i Sofisti, combattuti
da Platone insieme al mito) aveva visto l'ambiguit del reale, e infatti ambiguo era il divino nell'intuizione
mitica.
Cos, se Tommaso trova l'origine del Male, come Avicenna, nell'imperfezione della materia -soluzione
singolarmente "greca", che smentisce il giudizio di Dio sulla "bont" della Sua creazione materiale- la soluzione
definita da Brague "potentemente orchestrata" quella di Maimonide (cfr. La guida dei perplessi, cit., III, XII,
pp. 538-540) nella quale l'uomo e la terra sono disprezzati rispetto ai cieli -ci che pi aristotelico che biblico-
e i mali sono sia conseguenza dell'imperfezione del mondo elementale (creato da Dio!) sia della "Colpa"
dell'uomo che si farebbe male da solo, verosimilmente in conseguenza del suo stato postlapsario. Se non c'
l'imperfezione della materia c' dunque il peccato dell'uomo: l'importante che la Ragione mantenga l'artificiosa
luminosit che ne costituisce il marchio d'origine, e che non consente di dubitare di essa.
Brague mostra poi (pp. 164-167) come questa considerazione negativa di un uomo che porta con s le
conseguenze della "colpa", possa condurre conseguentemente alla visione di Hobbes di uno stato di natura
ferino; e tuttavia respinge l'accettazione di un uomo che quel che , ribadendo la distinzione tra essere e dover
essere, perch dovunque nel cosmo, tranne nel mondo sublunare, l'Essere s'identifica con il Bene. Brague si
oppone per alla comprensione di questa distinzione cos come essa intesa nel pensiero contemporaneo,
delineando la soluzione medievale che quella gi vista ne La loi de Dieu: la differenza tra essere e dover essere
stabilisce un moto nel quale l'essere vede nel dover essere la propria stella polare e tende ad approssimarvisi. La
Legge come guida, dunque; come consiglio e strumento per le scelte: la "natura" diviene la fonte dell'etica (p.
169). appena il caso di sottolineare che ci troviamo di fronte all'idea di progresso nella sua originale
formulazione religiosa, quella che fu poi secolarizzata nel Progresso scientifico/economico, cio nel Progresso
"storico": salvo scoprire poi che si tratt d'un malinteso ideologico.
Secondo Brague (p. 169) questo processo ascensionale verso un modello ha una conseguenza
importante: la "natura" dell'uomo viene a identificarsi con la sua perfezione: idea certamente "religiosa", sotto un
determinato profilo anche "filosofica", ma politicamente fuorviante -tocca infatti uno degli abbagli
dell'Illuminismo- perch l'uomo reale ha ben poco a che vedere con il suo "modello" razionalistico, una autentica
astrazione, tanto che lo stesso Kant dovette ammettere l'esistenza di un Male radicale.
Un modello che veda la giustizia insita nella natura (p. 174) e che ha un'origine greca, si apre inoltre al
rischio di far riemergere i fantasmi di Ananke e Dike; occorre dunque vedere questa giustizia nella concezione di
Bernardo di Chartres (p. 175) che ne d la versione adottata da Tommaso: la giustizia insita nelle cose come
accordo di ciascuna con la sua propria natura. L'idea di fondo del Medioevo, nota con esattezza Brague, che il
mondo sia legato all'uomo in un medesimo sistema di significazione: che sia cio portatore di un significato che
1004
l'uomo in grado di decifrare traendone lezione (p. 176). Il mondo come testo aperto, pienamente leggibile, che
parla il linguaggio di Dio.
Su questo punto Brague fa un'osservazione rilevante. In questa visione, nota, non c' posto per l'idea
di "valore", perch in essa sottintesa l'ipotesi di un giudizio soggettivo sul Bene e sul Male; i "valori" hanno
dunque una debolezza intrinseca perch porli come tali significa che essi non hanno un'esistenza autonoma;
"valore" ci che "vale", cio che si stima, che ha un prezzo.
L'identificazione, sostenuta da Brague, dell'Essere e del Bene, passa dalla metafisica alla cosmologia,
insita nella struttura del mondo e ha conseguenze etiche; l'etica diventa un obbiettivo ed qualcosa che non va
prodotta, va tradotta dal libro del mondo ove essa gi (pp. 176-177). Brague fornisce un'ampia documentazione
su questa visione dell'ordine cosmico, citando anche quella Scuola di Chartres che, pure, ha qualche ruolo
indiretto nella nascita delle eterodossie medievali; ricorda inoltre la contemporanea nascita dell'alchimia
occidentale -rifacendosi a M. Idel- come primo progetto di modificazione tecnica della natura (p. 188). Sul
carattere "ereticale" dell'alchimia s' parlato a sufficienza, per non dovervi ritornare.
Il modello neoplatonico del cosmo, dice poi Brague, una "descrizione statica" della struttura
gerarchica del reale, che contiene anche "un modello della pratica morale" (p. 192). "Noi possiamo contribuire a
far regnare l'ordine nelle cose nella misura in cui siamo noi stessi parte dell'ordine" (p. 195); ma interessante
ricordare che questa unione e reciproca influenza dell'anima con la natura precisamente la preoccupazione
dell'alchimista, nel tentativo di far giungere alla perfezione del modello tanto l'anima quanto le cose.
Nelle pagine seguenti, Brague insiste ancora molto su questa cosmologia, senza per far cenno alla
sua ambiguit negli esiti eterodossi ed alchemici: ben vero che questo risvolto del Neoplatonismo fu
sprezzantemente definito "popolare", ma non per questo se ne cancellata la realt. Tanto pi che se l'uomo,
nell'ambito di questo schema, deve rinunciare a realizzare la propria "divinit" per l'inevitabile derelizione del
mondo sublunare, allora non avrebbe altra speranza -questa s, gnostica- che la fuga dal mondo. Lo schema
dell'ordine cosmico responsabile della nascita del disordine: il destino delle soluzioni razionaliste applicate
ad un mondo creato da Dio.
L'osservazione dell'ordine cosmico come modello etico comunque presente con l'alba del
Neoplatonismo in Filone (p. 199) e passa dall'antichit al Cristianesimo; nell'Islam, il pensiero di riferimento ,
ovviamente, Ibn Tufayl, sul cui apologo Brague si diffonde (pp. 209-220). I limiti, o meglio, le controindicazioni
del modello di ordine cosmico, sono per di nuovo evidenti quando si considera (p. 221) la disobbedienza di
Adamo ed Eva nell'Eden come una caduta, laddove essa potrebbe costituire un'iniziazione all'et adulta, alla
responsabilit delle scelte, a far divenire cio l'uomo ci a cui destinato; o quando si cita l'Imperatore Marco
Aurelio che sogna dei sudditi simili a insetti industriosi (pp. 222-223). Non dimentichiamo infatti che il modello
proposto stato anche a lungo il modello di una gerarchia sociale, divinamente -perci irrecusabilmente- sancita.
Questa mia notazione va considerata allorch, subito dopo, Brague passa ad esaminare la "forma
virulenta" degli "aspetti sovversivi dell'Abramismo" (pp. 227-228) superati dal Cristianesimo; sicch nasce il
sospetto che i Padri, nel mettere in dubbio il culto astrale e l'ordine deterministico del cosmo, avessero di mira la
giustezza dell'ordine gerarchico imperiale; anche perch, nella Rivelazione, il cosmo avr una fine, quindi non
sembra cos importante: "il cielo e la terra passeranno" (Mt., 24, 25). Il centro della Rivelazione testamentaria
l'uomo, e il mondo il teatro nel quale si recita il dramma storico della sua redenzione; questo uno scenario che
appare gi con Zoroastro.
Nel Cristianesimo, nota Brague (p. 245), sembra che anche il mondo sia decaduto insieme all'uomo (e
qui ricordo lo straordinario mito di Bhme) e che perci sia coinvolto nel processo di riscatto dell'uomo:
osservazione interessante perch, se mai, valorizza il mito alchemico che a questo indirizzato, e che quindi
attribuisce precisamente all'uomo il gravoso compito di collaborare al progetto divino nella configuranda
Apocatastasi. Al riguardo comunque, i tre monoteismi non sono concordi: se l'Islam certo della fine del mondo,
del quale non ha un gran concetto (per una lontana parentela gnostica?) il Giudaismo, stando alla sola Bibbia,
non ha idee molto chiare.
Brague espone a lungo i percorsi del pensiero che conducono alla concezione del mondo come
specchio di un divino da imitare, e quelli che, al contrario, portano alla desacralizzazione del mondo partendo
dalla Rivelazione, ma evidente che la scelta che egli ha in mente, in quanto portatrice d'ordine, quella di
Tommaso; quel modello medievale nel quale si sovrappongono "a una cosmologia di ispirazione platonica,
degli elementi provenienti dalle religioni che si richiamano ad Abramo" (p. 267). In altre parole, il suo modello
discende da quell'accordo di filosofia greca e Rivelazione che caratterizza la teologia platonico-aristotelica del
Cristianesimo.
Questo modello, dice per a p. 271, non pi il nostro, appartiene ad un'epoca finita, quella che va
dall'antichit post-classica al Medioevo; esso si fondava su una cosmografia che consentiva l'articolazione di
un'etica. Questa cosmografia stata destituita dalla scienza, ma quella nuova che si andata conformando
eticamente indifferente; essa ci presenta un gioco di forze materiali nel quale non c' posto per la riflessione sul
Bene (p. 272). Brague segnala poi il carattere tutto occidentale di questa rivoluzione, che ha destituito il
fondamento dell'antica etica; il mondo musulmano, soltanto alla fine del XVII secolo dedica una frase di
menzione a Copernico; nel mondo (ex) bizantino, ancora nel XVIII secolo si copiavano i trattati di cosmologia di
Aristotele (p. 275). Un tratto caratteristico della modernit, nota a p. 276, che la divulgazione scientifica
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(esistita anche nell'antichit) non mette pi l'accento sulla validit delle visioni cosmologiche, ma sulla loro
evoluzione storica che considerano evidentemente pi importante. Questa evoluzione ha condotto a un mondo
non pi in rapporto con l'uomo, quindi amorale (p. 278).
Per verit, si deve notare che tutte le critiche di Brague sembrano orientate contro le concezioni della
fisica classica, contro le sopravvivenze del positivismo nel mondo scientifico, e, soprattutto, contro la cultura
scientista con la quale viene interpretato il dato scientifico. Non mi sembra giusto affermare che le moderne
descrizioni del cosmo non possano essere interpretate alla luce di una concezione unitaria dotata di senso, e che
conferisca un senso alla presenza dell'uomo. Ci che lo vieta semplicemente la cultura scientista, in base alla
quale l'attribuzione di senso resta una pura opinione, dove a questa parola viene dato il significato spregiativo
che le discende dal tempo di Platone, sicch essa non pu essere presa a fondamento di nulla. Non la scienza, ma
lo Scientismo marca la crisi del fondamento etico nella modernit; una deriva del Razionalismo che ha tolto ogni
razionalit nel rapporto dell'uomo col mondo.
Il modello medievale cui fa riferimento Brague non era che una interpretazione dell'antica
cosmografia, e la nuova cosmografia potrebbe anch'essa essere "interpretata"; se ci non accade, se il cosmo
resta muto e separato dall'uomo, questa una conseguenza della perdita di legittimit di tutto ci che non
"scientificamente dimostrabile"; e ci conseguenza dello Scientismo, visione che, oltretutto, nasce con la fisica
classica che tramontata da un secolo, che figlia del dualismo cartesiano, ma che perdura nella consuetudinaria
arretratezza della cultura volgare, cui soggiace a volte anche lo "specialista" precisamente a causa della
specializzazione del sapere/epistme, altra eredit del Razionalismo classico. L'approdo odierno non il
risultato di una incursione che viene da un corpo estraneo, da una "novit" figlia di Copernico e Galilei:
l'approdo odierno il risultato di una strada imboccata dai tempi di Socrate e Platone con il loro azzeramento
della dxa e della verit testimoniata, e con la loro svalutazione del "sapere" mitico e poetico. Chi, dopo di
allora, con l'eccezione dei Romantici e di Rilke, ha osato affermare che la verit una creazione dell'anima e
che il ruolo dell'uomo nel cosmo poetico, poetica la sua grandezza? La mia digressione su Don Chisciotte
non poi del tutto fuori tema. L'incedere grave e serioso del "filosofo" cos come ce lo mostra La scuola di
Atene, tale perch egli vuole affermare una "verit" che ha annullato il fanciullesco sberleffo del Sofista
dinnanzi alla nudit del Re: il Razionalismo ideologia del potere, e col potere non si scherza.
Brague persegue per molte pagine la sua critica della modernit con citazioni e commenti pertinenti,
ma che non aggiungono nulla di nuovo al quadro al quale ho ritenuto di osservare quanto sopra. Anche la sua
critica del Liberalismo (p. 291) ci riporta a Strauss, e nel suo ambito pu collocarsi anche la critica alla riduzione
dell'etica alla convenienza (p. 292) o la riduzione di fisica ed etica al medesimo piano (p. 300). Quanto alla
pretesa di vedere la Gnosi al fondamento del rapporto della tecnica con il mondo (p. 306) ho gi detto quel che
penso dei voli di fantasia di Voegelin: la constatazione che si potrebbe vivere meglio fa parte del buonsenso, e il
progresso tecnico-economico ha radici storiche complesse, che nulla hanno a che vedere con Marcione e
Valentino.
A una presunta rinascita gnostica, Brague dedica anche due brevi pagine (pp. 313-314) dove
l'impressione che, per Brague, "gnostica" sia ogni osservazione dubbiosa o critica sulla inossidabile "bont" di
questo mondo. Si potr certamente parlare di "un'ombra lunga" dello Gnosticismo, dal quale venne la prima
critica ideologica alla commendevolezza di un tale mondo; ma se ogni critica "Gnosticismo", allora davvero
tutte le vacche sono grigie.
L'ultimo capitolo dedicato ai percorsi del pensiero filosofico cristiano che hanno progressivamente
disgregato la concezione medievale di un cosmo etico, e a una nuova riflessione sul senso della presenza
dell'uomo nel mondo, ci che significa anche ridefinire il concetto di "mondo". Ci che noi ora chiamiamo
"mondo", dice Brague, ovvero la totalit delle cose, non ancora "mondo" per l'uomo. Anche se il concetto
greco di "cosmo", che aveva sviluppato nel Medioevo un'antropologia cosmologica, si disfatto nella modernit,
esso deve in qualche modo ricostituirsi, ma perch ci avvenga deve essere ripensata sia l'idea di "mondo", sia
quella di "uomo" nella prospettiva di una loro reciproca appartenenza (p. 333).
A conclusione di questo lungo esame dei tre critici della modernit, si pu notare che, al di l del loro
reciproco apprezzamento (tra Strauss e Voegelin; da parte del pi giovane Brague nei confronti di entrambi) le
loro posizioni sono sensibilmente diverse; essi sono accomunati soltanto da una ricerca di ordine contro una
modernit che sembra loro lo specchio del disordine. Tutti vedono una crisi dell'Occidente, identificato con il
suo volto ideologico, e nessuno si domanda se l'occidente reale riuscir a partorire il nuovo in questa sfida al
disordine, se sapr trovare nuovi percorsi. Brague lo auspica, ma non gli sembra sia possibile se non in una
nuova razionalizzazione.
Strauss fa una critica filosofica fondamentale della modernit in ci che essa deriva dalla pretesa
cristiana di coniugare religione e filosofia, tarpando le ali a quest'ultima e secolarizzando la prima; considera
debole il Cristianesimo, pensa la Torah come una Sharah, e inventa percorsi greco-islamico-giudaici come
alternativa. La sua stella polare il ritorno a Platone, un revival senza prospettive per la sua improponibilit.
Dimentica l'ordine che fu stabilito dal Medioevo in quell'unione di Ragione (greca) e Rivelazione che fu il
Neoplatonismo, una lunga storia culturale alle nostre spalle che, per lui, non esiste.
Voegelin, appreso dell'esistenza dello Gnosticismo, e lettane la "storia" nella diffamazione operata da
N. Cohn, fa di esso una scimitarra per una sua lotta politica un po' autoritaristica, e, da buon combattente, si
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limita a proporre la distruzione del nemico. Peccato che il suo nemico sia un fantasma del quale non riesce a
liberarsi.
Brague decisamente pi aperto, se non altro per la corretta ricostruzione storica e perch apprezza i
risultati di quel Neoplatonismo, del quale sottovaluta per le controindicazioni. Di conseguenza, non apprezza le
ragioni del diverso posizionamento islamico sul rapporto filosofia/religione. aperto anche perch sa che non ci
possono essere soluzioni da suggerire, soltanto percorsi da esperire: magari fidando, aggiungo io, nella guida di
Hermes, un personaggio mitico e perci estraneo a lui, a Voegelin e a Strauss. Hermes significa: capacit di
comprendere oltre gli equivoci circuiti della Ragione. Tanto Brague quanto Strauss, soprattutto il secondo,
stazionano ancora in quel cerchio di gesso che Voegelin difende come l'ultimo dei giapponesi.
Brague e Strauss hanno tuttavia un punto forte in comune: entrambi indicano un vuoto del moderno
Occidente, la messa al bando della religione dalla societ e la perdita di senso -oltrech di una possibile
piattaforma di condivisione sociale- derivata dal suo confinamento nell'opinione, operata dallo Scientismo. Ma
l'opinione insignificante precisamente per la vittoria dell'epistme sulla dxa, dell'adeguamento della
proposizione alla cosa sulla testimonianza, della Ragione sulla vita come luogo della verit: che non pu essere
detta, pu soltanto essere vissuta.
Anche Brague, che pure interpreta molto bene l'interiorizzazione della Legge, non sviluppa l'ipotesi
neoplatonica dell'anima come luogo di creazione della verit. Anche a lui, credo, quella di Don Chisciotte
potrebbe sembrare una finzione artistica, una metafora d'altro, non una verit creata dal percorso obliquo d'uno
sguardo. Non un caso che dietro Platone ci sia la svalutazione della poesia; forse, anche la sua ripugnanza per
la democrazia ateniese (che non la nostra) nasce dalla paura del nuovo come disordine. Perch se l'ordine
quello razionalista, e non quello del prato fiorito di Bhme, ci che nasce diviene sicuramente "disordine".
N a Strauss n a Brague balena il sospetto che la crisi della modernit possa essere l'ennesimo
fallimento di un percorso iniziato venticinque secoli or sono. Un percorso che, ad ogni sua crisi, suscita sciami di
"Gnostici" a turbare i sonni di Voegelin, e di "Sofisti" che irritano Strauss.
Venendo a tempi pi ragionevolmente recenti, la fine dell'Ancien rgime costitu davvero una "fine
del mondo" (come tale sembr viverla il secolo) o meglio, la fine di un mondo, perch da allora ne iniziato un
altro la cui crisi culturale stiamo vivendo ora. Da allora la religione, o, se vogliamo, la religiosit, cess
gradualmente di essere il cemento della societ e il fondamento dell'ordine, approdando, non senza violente
oscillazioni, al relativismo etico delle attuali societ democratico-liberali dell'Occidente.
Il problema della cosiddetta "crisi dell'Occidente" sulla quale tanto Strauss che Brague hanno gli occhi
ben aperti, nella domanda se una concezione utilitaristica, in senso individualista, dell'esistenza, possa essere
accettata dalla societ, nei cui confronti sicuramente distruttiva, anche se voluta (soprattutto se voluta) dalla
maggioranza dei suoi membri. Qui entra in gioco il limite del Liberalismo e della democrazia in rapporto a uno
struggle for life proprio della societ che si configura anch'essa come un'entit portatrice di un proprio diritto,
quello di una sorta di "macrantropo". In questo senso il contrattualismo metafisico nel senso negativo della
parola, cio irrealistico, come notava Brague, in quanto fuori dalla societ non v' salvezza per l'individuo.
L'individuo ab-soluto non pu quindi costituirsi a fondamento del diritto.
L'individuo fu una creazione del Cristianesimo -prima non c'era, e fuori dall'Occidente cristiano fu
importato- che nel porre l'uomo direttamente responsabile dinnanzi a Dio, esaltando il ruolo della coscienza, e
ponendo la divisione tra religione e politica, scavalc il rapporto dell'uomo con lo Stato: non annullandolo, ma
ponendo l'agire umano nel quadro di un rapporto col divino che aveva il proprio baricentro nell'anima.
L'individuo cristiano, precisamente per questo responsabile dell'ordine della societ come avvicinamento alla
Legge divina scritta nei cuori. Il problema, allora, si pone compiutamente cos: nella secolarizzazione, tolto il
riferimento al divino che fonda in S, nella propria Legge, l'individuo, pu sussistere un diritto dell'individuo? In
che cosa, su che cosa si fonda? La societ secolarizzata sembra trovarsi dinnanzi a un'alternativa schizofrenica:
oscillare tra l'oppressione dello Stato etico e la disgregazione relativista, perch un corpo collettivo non pu non
avere un'etica condivisa.
La crisi di credibilit della religione iniziata col XVIII secolo ha tolto valore a quella legge
trascendente che aveva offerto alla collettivit un collante pi "alto" e perci pi forte di quello del governante,
"sacerdote" di un culto poliadico. Le dittature del XX secolo furono, in questo senso, un tentativo di recupero
neopagano della statolatria i cui risultati non furono precisamente edificanti, e il cui antecedente fu quello Stato
emerso dalla Rivoluzione Francese, semplicemente osceno sotto il profilo dell'intelligenza con la sua pretesa
autodivinizzazione.
L'alternativa allo Stato etico divenuta una societ di individui "sovrani" nell'ambito di una Legge
non pi espressione della trascendenza, quindi autoreferenziale, quindi priva di fondamento, perch nessuno pu
uscire dalla palude tirandosi per il codino. Una societ votata alla disgregazione in attesa di trovare un nuovo
fondamento, che tuttavia non appare ancora all'orizzonte.
Il problema religioso -della religiosit intesa come appartenenza dell'uomo al cosmo secondo la
visione di Schleiermacher- emerge anche da un vecchio dibattito che riguardava aspetti positivi del diritto.
Portatore del diritto era infatti il cittadino, e gi le difficolt di definizione di chi fosse "cittadino" non erano
poche, come dimostra l'arguta osservazione di Gorgia alla definizione in uso nella plis. Quando poi portatore
dei diritti divenne l'uomo in quanto tale, sorse il problema di capire da quando un uomo sia da considerarsi tale, e
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perci portatore del diritto. Ne sorse un dibattito soltanto apparentemente bizzarro su quando l'anima prenda
domicilio nel corpo, che in realt poneva il problema di non facile soluzione su ci che caratterizza l'umanit
dell'uomo, in forza della quale egli debba essere difeso dall'arbitrio del pi forte. Un dibattito la cui soluzione
non pu che rinviare a un fondamento trascendente di tale "umanit". Non la battuta geniale di un "artista" la
constatazione espressa da Dostoevskij: se Dio non c', tutto permesso.
Nella nostra societ occidentale tutto permesso, salvo ci che espressamente vietato: la legge una
mera normativa, come notava Brague, che non pu contemplare la possibilit di un non-vietato che tuttavia resti
un non-lecito nel giudizio etico. Gi la scienza, nel suo ruolo di idolo terreno, si ritiene statutariamente non
vincolabile dal giudizio etico; questa identificazione del lecito con il non espressamente vietato fa s che sia
lecito tutto ci che una maggioranza -costituita nel numero, non pi come vox Dei- decida di ritenere non vietato.
Anche l'ipotesi di una Legge di natura scomparsa con la scomparsa della natura, dal tempo delle
estroflessioni dello Spirito hegeliano, o forse da quando Cartesio ne fece un oggetto plasmabile a piacimento per
dei Prometei, che spacciano per conquiste di civilt la realizzazione di modesti desideri individuali. Sotto l'egida
dello Stato sembra non esservi pi una societ, ma una moltitudine di individui che si compongono e si
scompongono in provvisori e trasversali aggregati numerici attorno al proprio privato. difficile scorgervi un
percorso che non sia quello ingannevole di Cuccagna , il luogo del soltanto luminoso.
La mancanza di un'etica condivisa la mancanza di un thos, di un costume: manca il luogo dove
rispecchiarsi per riconoscersi, e questo pu costituire una mancanza d'identit che rende la societ fragile e
facilmente conquistabile dall'interno: i cosiddetti "valori" dell'Occidente rischiano di farsi mera declamazione,
anche perch non sono molto comprensibili altrove nel loro fondamento, e perch l'Occidente non disposto a
pagare il prezzo di una loro testimonianza: dove non c' fede non c' neppure forza, ma dove non c' fondamento
non ci pu essere neppure fede. L'uomo un animale ben pi spirituale di quanto non mostri: ci si pu anche
sacrificare per dare un senso alla propria presenza nel mondo, ma difficile trovare un senso nell'anarchia del
desiderio individuale. difficile giustificare con quest'ultimo la resistenza alla pressione di culture portatrici di
altro e diverso senso.
Paradigmatica di questa condizione appare la debolezza culturale dell'Occidente nei confronti
dell'Islam. Si noti che non sto ponendo il problema in termini militari di forza, n di possibilit di successo
politico del fondamentalismo islamico. Uno storico particolarmente attento all'Apocalitticismo islamico -dalle
origini ai nostri giorni- come D. Cook, nella sua Storia del jihad (trad. P. Arlorio, Torino, Einaudi, 2007)
considera del tutto fallimentari i moderni sforzi jihadisti, sia perch rivolti in primo luogo contro lo stesso mondo
islamico da parte di una minoranza, sia perch l'Islam non in grado di dominare il mondo, anzi, le societ
islamiche sono esasperate dalla constatazione del proprio fallimento.
Tuttavia, lo stesso Cook ha sottolineato l'illusoriet di un Islam moderato, mettendo in evidenza le
strette connessioni tra Islam e potere, tra Sharah e dominio islamico. L'Islam ha creato una cultura e una societ
istituzionalmente in difficolt nella convivenza paritetica con altre culture; una difficolt che trova espressione
precisamente nella sua identificazione con la Sharah. Cook, nel sottolineare il concreto fondamento storico e
culturale del jihd nell'Islam, come ideologia di conquista, ha denunciato il carattere puramente illusorio delle
analisi ireniche di molti studiosi occidentali che vedono l'Islam nella lettura del Sufismo. Ha anche notato, e ci
confortato dalle biografie degli islamisti, che buona parte dei radicali costituita da Musulmani colti, vissuti a
contatto con l'Occidente, che vedono nel jihd una vendetta contro l'incomprensibile (per loro) inferiorit
dell'Islam.
Ora, significativo notare che i paesi occidentali nei quali sono ormai presenti vaste minoranze
islamiche, culturalmente e religiosamente aggressive e non disposte ad abbandonare consuetudini in aperto
contrasto con i costumi e le leggi dei paesi ospitanti, sembrino non trovare adeguata risposta culturale e
normativa per contrastare il formarsi di una "societ nella societ". La risposta equivoca del multiculturalismo
-del tutto unilaterale- non che una manifestazione di debolezza da parte di una societ che non ha pi un
comune fondamento nel quale riconoscersi. Non un mistero che in alcuni paesi dell'occidente esistano gi
tribunali della Sharah, e che vi sia chi ritiene ammissibile una tale disgregazione del Diritto; non un mistero
che esistano e siano diffuse e sottovalutate pratiche matrimoniali e rapporti tra i generi in aperto contrasto con le
leggi dei paesi ospitanti. Fanno parte delle cronache gli omicidi consumati o minacciati in nome di una religione
che sembra culturalmente impossibilitata alla convivenza, e disposta alla lotta e al sacrificio per questo.
Tutto ci non pu essere oggetto di scandalo: la lotta sempre esistita -e presumibilmente sempre
esister- nella storia dell'uomo, lotta culturale o cruenta. N oggetto di scandalo che questa lotta conosca anche
l'eventualit della sconfitta. Colpisce, viceversa, il desiderio di non lottare diffuso nella societ occidentale,
penetrata da inconsistenti atopie ireniste, quelle che facevano disperare gi Voegelin.
Avevo osservato a suo tempo, a proposito della difficolt dell'Occidente a farsi destino del pianeta,
che per realizzare un simile e inverosimile tlos sarebbe stato necessario cristianizzare il mondo per due
millenni, perch l'Occidente l'approdo di due millenni di Cristianesimo culminati nella secolarizzazione. Ci
tanto vero, che i paesi extraoccidentali hanno facilmente avvertito come fenomeno di colonizzazione la
propaganda religiosa cristiana. Ora, significativo notare come l'Occidente finga di non vedere la sistematica
campagna di eliminazione delle comunit cristiane nei paesi islamici, e la presenza di analoghi fenomeni anche
in altre culture, ad esempio nel mondo induista. Tutto ci significativo di una debolezza dell'Occidente che
1008
evita di prendere atto della propria progressiva ritirata, per contrastare la quale non disposto all'impegno, e non
lo perch sta perdendo la propria stessa identit. Nessuna cultura un monolite, ma l'identit occidentale
sembra particolarmente in crisi perch fondata ormai sul solo tranquillante del benessere materiale, cio su una
situazione puramente onirica, una volta venuta meno la societ che ne fu all'origine.
In modi e forme diverse, la convinzione degli autori che abbiamo esaminato, che la crisi
dell'Occidente sia la crisi di una societ che, corrosa dal Relativismo, non ha pi un fondamento. anche
possibile che l'esito relativista non costituisca una "malattia" dell'organismo, ma lo sbocco naturale dello stesso
fondamento iniziale, cio che la secolarizzazione sia il necessario approdo del Cristianesimo, anche se resta da
dimostrare che il Relativismo costituisca il "naturale" esito della secolarizzazione. Schleiermacher riteneva che il
Cristianesimo fosse l'ultima delle religioni, destinata ad autosuperarsi: ma non per questo a metter fine al
fenomeno della religiosit, intesa come un rapporto imprescindibile dell'uomo con il cosmo, dal quale discende
l'impegno a intravedere l'esistenza di un ordine nascosto sotto l'apparenza del disordine.
Soltanto il riferimento a quest'ordine immanente/trascendente pu fondare il diritto di Prospero a
comandare su Calibano, e, a monte, pu stabilire chi sia Prospero e chi Calibano: perch il disordine che
sovverte l'ordine lo fa sempre col risultato di stabilire un nuovo, caduco ordine.
Una cosa mi sembra dover indurre a una riflessione pi seria di quanto non avvenga ai superficiali
discendenti dello sciocco ottimismo illuminista. Non affatto certo che i Musulmani d'Europa, destinati a
divenire una consistente minoranza, tenderanno a secolarizzarsi adeguandosi alla cultura europea. La
secolarizzazione conseguenza di una storia tutta interna all'Occidente cristiano, e non trasmissibile tout-court
a una cultura diversa. Quanto alla Ragione dei razionalisti, essa non "naturale", soltanto un'ideologia nata in
Grecia con Socrate e Platone, sistematizzata da Aristotele, e sopravvissuta perch assunta sin dagli inizi dalla
Chiesa di Roma (lo notarono i Libertini) che la ancor saldamente alla Rivelazione dando origine al grandioso
ordine cosmico del Neoplatonismo medievale. La secolarizzazione ha trasformato questa prospettiva nella
pretesa di un ordine puramente umano intrinseco alla Ragione in quanto tale, assolutizzata. Questo preteso
ordine intrinseco fu reputato in grado di comporre razionalmente, alla lunga, le passioni individuali; da questa
convinzione nacque anche la bonaria certezza econimicista che il Bene comune sarebbe stato assicurato dalla
spontanea composizione dei personali egoismi: un'ipotesi che non ha mai trovato conferma.
comunque razionalmente evidente che la Ragione pu risultare vincente sul lungo periodo soltanto
se esiste una razionalit naturalmente inscritta nelle cose e nell'uomo, e questa ipotesi non pu essere sostenuta
senza rinviare l'origine di questa razionalit cosmica alla trascendenza. Una Ragione fondata su se stessa
l'adnaton del Moderno; molto pi verosimile perci che una cultura cos priva di fondamento sia esposta a
una nuova ventata religiosa.
La razionalit dell'ordine sociale pu essere sostenuta soltanto se non viene dissociata dalla religiosit;
in questo, forse, la logica del richiamo a Dio, che sostiene ancora la societ e la Dichiarazione dIndipendenza
degli Stati Uniti sembra pi attrezzata alla sopravvivenza dell'attuale cultura europea.

Gian Carlo Benelli


20 Settembre 2009
Revisionato: Luglio 2010

Altri testi usati per la stesura di queste note ma non espressamente citati

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Aristotele, Analitici secondi, a cura di M. Mignucci, Roma-Bari, Laterza, 2007
Etica Eudemia, Intr., Trad. e Note di M. Donini, ivi, 1999, 2 2005
Etica Nicomachea, Intr., Trad. e Commento di M. Zanatta, Milano, Rizzoli, 1986, 2 1993
L'anima, cit. in Bibl. a p. 902
L'anima e il corpo (Parva Naturalia), a cura di A. L. Carbone, Milano, Bompiani, 2002
La confutazioni sofistiche, Intr., Trad., e Commento di M. Zanatta, Milano, Rizzoli, 1995, 2 2000
Metafisica, cit. in Bibl. a p. 902
Politica, Intr., Trad. e Note di C.A. Viano,, Milano, Rizzoli, 2002, 2 2003
Retorica, a cura di M. Dorati, Milano, Mondadori, 1996
Averrois Cordubensis Commentarium Magnum in Aristotelis De Anima Libros, Rec. F. Stuart Crawford, The
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1009
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Sextus Empiricus, vol. 1: Outlines of Pyrronism, Harvard, Un. Press - London, Heinemann, 1967
Sofisti, Testimonianze e frammenti, vol. 2 e 4, citt. in Bibl. a p. 736
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Toronto, Oxford Un. Press, 1944, Reprint 1951
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1010
AGGIUNTE BIBLIOGRAFICHE AL CAP. 1

Tre articoli di A. Hakim, apparsi su J.S.A.I., 30, 2005; Arabica 54, 3, 2007, e R.H.R., 226, 2, 2009,
portano sostegno alla tesi di Crone-Hinds (Gods Caliph) documentando il passaggio dalla preminenza, anche
religiosa, del potere politico del Califfo -con Umar- alla successiva opposizione religiosa degli ulem che
consacra la figura di Maometto come imprescindibile ai fini della Legge. questa la via che conduce alla
prevalenza del potere clericale su quello politico, ma anche alla costruzione della Sunnah del Profeta come
interpretazione autentica del dettato.
Un articolo di L. Sacco apparso su Iuraorientalia, 4, 2008, torna sulle tesi di Burton relative al
concetto di abrogazione, per sottolineare il ruolo determinante di questo concetto in Shfi, ai fini della
costruzione di una scienza del diritto che tende a surrogare il testo del Corano con consuetudini elevate a dettato
grazie alla costruzione della Sunnah. Larticolo riferisce specificamente al significato assunto dal jihd, ma
incardinato su considerazioni di ordine generale.

Un lungo articolo di H. Modarressi su S.I. 77, 1993, ripercorre le vicende della formazione del Corano
e il dibattito sull'integrit del testo trdito.
Secondo Modarresi, c' evidenza di un testo iniziale compilato durante la vita del Profeta, che sub
successivamente vari tagli in base al concetto di abrogazione. Al contrario, il racconto sunnita riferisce di una
raccolta e compilazione successiva alla morte del Profeta. Questa versione quella ben nota e narra le
vicissitudini del testo tra Ab Bakr, Umar e Uthmn, e coinvolge numerosi protagonisti del primo Islam. In
questa vicenda vi sono testimonianze di tagli e di aggiunte (che riguardano tra l'altro la vexata qustio della
lapidazione per adulterio) e le perplessit durarono a lungo, almeno sino all'VIII secolo, anche perch restarono
differenze tra il testo ufficiale e alcuni codici circolanti; ed noto che Al aveva una sua propria versione,
mentre sembra che alla fonte di alterazioni e omissioni fosse isha (ma non soltanto).
Umar, che raccolse le testimonianze di chi ricordava le parole del Profeta, sostenne che parte del testo
and perduta per la morte di alcuni testimoni; ma nella tradizione c' anche la singolare vicenda secondo la qiale
alcuni fogli sarebbero stati mangiati da un animale..
In conclusione, le accuse shite ai Sunniti di aver alterato il testo, non sembrerebbero prive di
sostegno.
Ricordiamo al riguardo l'ipotesi della Crone, riportata nel Cap.1 (p. 857), secondo la quale la Sha
potrebbe rappresentare con maggiore fedelt l'Islam delle origini.

Un articolo di S. Varlik su R.H.Ph.R., 89, 2009 sottolinea, per la parte che interessa il nostro discorso
e in accordo con le tesi di Arkoun, il ruolo negativo di Shfi nello "scivolamento della sacralit del Corano
verso la Sunnah profetica", condizionando l'Islam a venire in una "strategia di annullamento della storicit".
In questo senso egli ripropone la critica a tale sviluppo cos come condotta dal cosiddetto "Islam
liberale" (cfr. Appendice alla V ed.) e cita Fazlur Rahman, oltre ad autori come Kohberg e Moezzi, che trattano
della falsificazione del Corano.
Varlik sottolinea tuttavia che la storicizzazione del testo corrisponde a una cultura, quella occidentale,
che tende anch'essa a fondare un "senso", ancorch opposto (e non meno ideologico) dal "senso che fu fondato
sottraendo il testo alla sua storicit. In questo vi l'eco della critica di Arkoun (e di altri) all'approccio
occidentale al testo, storicistico e filologico, che perde di vista la verit storica da esso fondata.

1011
AGGIUNTE BIBLIOGRAFICHE AL CAP. 2

In un articolo apparso su Der Islam, 79, 2002, gi cit. in Bibl. a p. 847, R.P. Buckley ripercorre le
vicende della Sha estremista e della sua eredit, secondo le linee pi volte proposte nel presente testo,
sottolineandone la vicinanza dialettica, su scelte opposte, alla politica quietista del 5 e 6 Imm: essa form l'ala
eversiva di un movimento unico. La sua storia e la sua eredit non pu quindi essere intesa se non nell'ambito di
quello stesso movimento alde che ne prese progressivamente le distanze con la formazione della Sha
duodecimana.

1012
BIBLIOGRAFIA RIASSUNTIVA PER DOPO E A LATO

ELENCO DELLE ULTERIORI ABBREVIAZIONI INTRODOTTE

A.S.Ph. Arabic Science and Philosophy


I.L.S. The Islamic Law and Society
I.O.S. Israel Oriental Studies
I.S. Islamic Studies
I.U.O.N. Istituto Universitario Orientale di Napoli
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1018
INDICE ANALITICO PER LE PAGINE 811-1012

al-Qdir 891
al Qida 831
al-Wald 873
Abbsidi/e 811; 813; 831; 854; 855; 857; 858; al-Zuhr (fonte di hadth, 742) 864
872; 873; 881; 889; 893; 903; 942; 948; 957; Alamt 813; 893
958; 959; 960; 986 Alchimia, alchemico/a 813; 815; 825; 838;
Abd al-Malik 856; 857; 858; 867; 872; 873 933; 944
Abd Allh (fratello di Isml) 812 Aleppo 894
Al, 1 Imm shita 811; 812; 828; 833; 857; Alessandro di Afrodisia 827; 878; 879; 880;
869 882; 886; 937; 945; 949; 950; 966; 1003
Al, 4 Imm shita 813 Alessandro Magno 853; 921
Aldi/e 813; 814 altheia 927; 933
Attr 898 Aleviti 825; 829
ayniyya 814 Algeria 828
ilm 867; 963 Alphaker 914
Ubayd Allh 812 Ambrogio 993
ulam, ulem 855; 857; 858; 866; 882; 893; Ammonio 945; 948; 951
894; 898; 992; 1011 Anabattisti/a/ismo 858; 975; 984
Umar (successore di Ab Bakr) 811; 855; Ananke 842; 875; 901; 907; 939; 960; 967;
856; 857; 863; 864; 867; 1011 968; 976; 984; 988; 1001; 1004
Umayd b. Umayr (narratore 687) 869 Anthropos 825
Uthmn (successore di Umar) 857; 863; 864; Anticristo 845
1011 Antifonte 904; 910; 928; 933; 934
Antigone 841; 989
A antinomismo/ista/ico 811; 825; 829; 898; 899;
900; 913; 915; 990; 992; 993
Abele 845 Antiochia 872; 944
Abraha 861 Antirinascimento 953
Abramo/ico/ismo/iti 855; 856; 860; 862; 870; peiron 901
871; 877; 937; 950; 956; 1005 Apocalitticismo/Apocalittica/o 815; 819; 824;
Ab mir (hanf, oppositore del Profeta) 870 832; 833; 973; 1003; 1008
Ab Bakr (successore di Maometto) 811; 855; Apocatastasi 820; 823; 1005
857; 864 Apocrifi 821; 822; 823; 990
Abumuslimiyya 813 Apostasia 891; 894; 897; 902
Adamo 821; 825; 950; 1005 Arabia 854; 859; 860; 861; 862; 863; 865; 866;
Adrastea 967 872; 886
adnaton 934; 1009 aramaico 870; 871; 872
Agostino 840; 948; 973; 975; 993; 995; 1004 Ardashr 894; 897; 900; 960; 961; 992
agudeza 967; 968; 969 Aristobulo 876; 948; 956
Ahl-i Haqq 825; 829 Aristotele 827; 837; 839; 840; 842; 875; 876;
Ahmadinejad 834; 1002 877; 878; 879; 880; 881; 882; 883; 886; 887;
Ahriman 820; 822 893; 895; 897; 901; 904; 905; 907; 910; 912;
al-Amn (fratello di al-Mamn) 890 914; 915; 920; 921; 922; 927; 928; 929; 933;
al-Frb 837; 838; 880; 881; 882; 884; 885; 935; 936; 937; 938; 939; 942; 944; 945; 946;
886; 887; 888; 889; 890; 891; 893; 899; 903; 947; 948; 949; 950; 953; 954; 955; 956; 957;
908; 911; 936; 937; 942; 943; 944; 945; 946; 962; 965; 966; 967; 968; 973; 974; 975; 976;
947; 948; 949; 950; 951; 954; 955; 956; 957; 978; 984; 988; 989; 991; 993; 995; 996; 997;
958; 959; 960; 961; 962; 963; 964; 965; 966; 1002; 1003; 1004; 1005; 1008
991; 1002 Armenia 824
al-Ghazl (Ghazzl, azl) 830; 875; 882; Arnold, G. 826; 940; 981; 988
883; 884; 885; 886; 888; 889; 890; 891; 892; Arsacidi 822
893; 894; 895; 896; 897; 899; 900; 939; 941; Asclepio 888
991; 992 ashariti/ismo 890; 892; 894; 992
al-Hallj 884 assiologia 878; 912; 917; 919
al-Kind 812; 881; 943; 945; 947; 948; 949 Atene 907; 909; 913; 917; 920; 921; 925; 929;
al-Mamn 859; 890; 891; 893; 944; 948 930; 931; 933; 936; 937; 943; 945; 947; 948,
al-Mansr 891 965; 986; 1006
al-Mutawakkil 881; 891; 893

1019
Averro 842; 875; 879; 881; 882; 883; 885; Caucaso 829
886; 890; 891; 893; 894; 895; 896; 897; 898; Cervantes 969; 970; 971
905; 908; 920; 938; 942; 946; 947; 949; 950; Chartres (Scuola di) 886; 965; 1003; 1005
951; 955; 956; 958; 959; 962; 966; 97; 992 Chiliasmo 873; 902; 982
Avicebron 876; 886; 908; 953; 954 Chlisty 815-816
Avicenna 881; 882; 883; 884; 885; 886; 887; Cicerone 956; 989
888; 889; 890; 893; 894; 896; 897; 898; 899; Cina 832; 980
902; 908; 911; 915; 921; 937; 942; 944 ; 945; Cinici 1003
946; 947; 949; 950; 951; 952; 954; 955; 956; Cinvat (Ponte di) 820
957; 958; 959; 966; 1004 Clemente di Alessandria 993
common link 865; 867; 868
B common sense 840; 841; 843; 845; 988; 994;
998
Bb/ismo/ista 819; 823; 834; 837; 838; 893; Compagni/o (del Profeta) 857; 858; 865; 866;
898 867; 868; 869; 890; 891; 892; 899; 900; vedi
Babele 937 anche Salaf
Babilonia 832 Comte 973; 978; 981
bad 814 Comunismo 827; 831; 835; 836; 845; 941; 978;
Badr 860 980; 983
Baghdad 813; 881; 889; 891; 894; 944; 945; Condorcet 840; 901; 919; 924
1004 convenzionalismo 925; 927; 928; 929; 930; 998
Bahrain 813; 992 Copernico 1005; 1006
Barnaba 940; 993 Corano 812; 814; 825; 829; 830; 832; 854; 855;
Barocco 935; 953; 969-971 856; 859; 860; 861; 862; 863; 864; 865; 866;
Bassidj/dji 833; 834 867; 870; 871; 872; 875; 885; 887; 889; 891;
Bassora 868 892; 893; 894; 897; 898; 899; 900; 946; 950;
btin/ita/iniyya 882; 885; 890; 940; 954 954; 955; 956; 962; 978; 989; 990; 991; 992;
Bektashi 829 1003
Bernardo di Chartres 1004 Cristo/tiano/tianesimo 812; 815; 820; 822;
bida 867 823; 824; 826; 832; 833; 837; 838; 840; 853;
Bisanzio/bizantino/i 811; 831; 854; 858; 859; 854; 856; 858; 859; 861; 862; 863; 869; 870;
861; 871; 872; 873; 882; 891; 944; 947; 948; 871; 873; 877; 878; 886; 891; 895; 898; 899;
975; 979; 986; 987; 991; 1005 900; 903; 904; 906; 907; 908; 909; 912; 915;
Bistmi 884 916; 917; 922; 923; 929; 930; 933; 935; 936;
Bogomili 824; 1003 938; 939; 940; 942; 944; 945; 947; 948; 953;
Bhme 821; 826; 895; 897; 972; 981; 1004; 954; 956; 957; 958; 965; 966; 971; 972; 973;
1005; 1007 974; 975; 976; 977; 979; 980; 981; 983; 984;
Bonaventura 994 985; 986; 987; 988; 989; 991; 992; 993; 994;
Brague, R. 838; 841; 843; 871; 904; 908; 921; 995; 998; 1000; 1001; 1002; 1003; 1004; 1005;
936; 945; 951; 955; 956; 960; 974; 985-1006; 1006; 1007; 1008; 1009
1007
Bruno 909; 954 D
Bukhr 864; 891; 991
Burke, E. 932; 933; 958; 999 Da Costa 912; 913
Byidi/e 813; 881; 889; 893 Damascio 986
Damasco 858; 868
C Dante 887
Dtin 873
Caino 845; 937; 982 David di Dinant 954
Califfo/ale/ato 853; 855; 856; 857; 858; 859; Democrito 913; 1003
867; 872; 873; 881; 883; 885; 889; 890; 891; Des Marets 916
892; 893; 894; 896; 897; 898; 900; 942; 944; Descartes: vedi Cartesio
948; 958; 959; 960; 963; 992; 1000; 1011 Diatessaron 871
Callicle 924 Diderot 978
Calvino 916; 978; 977; 979; 985 Dike 967; 1004
Cam 937 Dionyso 909
Caravaggio 970 Djbir (alchimista) 879; 903
Carpocraziani 983 Djbir ben Yazd al-Djuf 811
Cartesio 905; 912; 915; 916; 918; 919; 922; Djafar as-Sdiq (6 Imm shita) 811; 813
923; 968; 983; 999; 1006; 1008 Djrditi 811
Carus 909; 944 Don Chisciotte 969-971; 1006; 1007
Catari/ismo 826; 873; 893; 950 Dostoevskij 1008

1020
dxa 909; 910; 921; 926; 927; 928; 933; 943; Galilei/iano 921; 967; 1006
960; 963; 967; 969; 974; 981; 1007 Gelasio 992
Drusi 854 Germania 827; 906; 912; 933; 941; 952; 975
Dulcinea del Toboso (Aldonza Lorenzo) 969; Gerusalemme 832; 845; 856; 858; 870; 875;
970 882; 907; 909; 913; 917; 921; 925; 929; 930;
Duodecimani 811; 812; 813; 826; 881 933; 936; 937; 943; 968; 986
Ges 825; 854; 856; 871; 872; 940; 950; 990
E gtg 820; 821
Ghaza 860
Ebionismo/iti 853; 854 Ghult, Ghul 811, 813
ebraico-cristiano 923; 986 Giacomo, apostolo 875; 910; 917
Ebrei/aismo 822; 835; 856; 858; 861; 862; 886; Giacomo di Edessa 860
899; 905; 912; 913; 921; 940; 949; 953; 956; Giamblico 951
965; 975; 986; 988; 990; 1001 Gioacchino da Fiore, gioachimiti/ismo 823;
Eckhart 938 826; 827; 913; 930; 939; 940; 952; 973; 975;
Egira 861; 864; 865; 866; 867; 868; 869; 872; 976; 977; 981; 982; 985
893; vedi anche Hijrah Giobbe 895
Egitto 828; 830; 831; 859; 860 Giovanni Damasceno 872
Elchasaismo/iti 814; 825; 853; 854 Giovanni di Odzun 824
Ellenismo/tico 906; 907; 909; 911; 912; 921; Giudei/aismo 821; 822; 823; 870; 900; 907;
930; 933; 935; 939; 940; 944; 945; 946; 948; 908; 912; 917; 929; 930; 935; 937; 942; 948;
949; 953; 956; 960; 968; 969; 991 953; 954; 957; 959; 960; 962; 966; 969; 976;
Empedocle 938 989; 990; 991; 992; 993; 1000, 1005
Engels 973 giudeocristiano/i/esimo 812; 814; 825; 854;
Ephrem 871 855; 856; 858; 861; 863; 864; 870; 871; 872;
Epicuro/eo/eismo 841; 912; 913; 916; 91;9 891; 930; 946
923; 928; 951; 1003 Giustino 940
epistme 909; 910; 911; 917; 921; 926; 927; Gnosi/tico/tici/ticismo 811; 812; 815; 821;
928; 934; 939; 949; 960; 963; 964; 967; 969; 822; 823; 824; 825; 826; 829; 831; 837; 838;
974; 980; 981; 982; 984; 999; 1006 858; 861; 864; 876; 885; 893; 896; 903; 904;
Eraclito 840; 953; 967; 968; 976 906; 907; 913; 922; 923; 930; 933; 935; 937;
Ermetismo 825; 876 938; 939; 940; 941; 944; 947; 952; 960; 964;
Escatologia 835; 935; 975 965; 966; 969; 971; 972; 973; 974; 975; 976;
schaton 976; 979 977; 978; 979; 980; 981; 982; 983; 984; 985;
Esiodo 841; 938; 970 988; 989; 993; 1001; 1003; 1004; 1005; 1006;
Esistenzialismo/ta 838; 910; 911; 933; 974 1007
Esseni 822 Gog e Magog 832
Eutimio della Peribleptos 824 Gorgia 904; 905; 924; 935; 953; 959; 995; 1007
Eznik di Kolb 820 Gozzano 968
Gracin, B. 941; 969
F Grecia 862; 885; 901; 904; 914; 920; 933; 935;
937; 939; 940; 943; 966; 968; 981; 1003; 1004;
falsifa 838; 891; 946; 956; 957; 966 1009
faqh, fuqah 868; 869 Gumecshn (mescolanza) 821
Fascismo/ta 828; 836; 873; 973; 975; 983
Ftimida/i 812; 813; 889; 893; 897; 899 H
Feuerbach 913
Ficino 887; 888; 950 Hades 822
Filone di Alessandria 838; 876; 877; 878; 879; hadth (e pl. ahdth) 829; 854; 855; 858; 861;
880; 899; 909; 912; 933; 937; 940; 948; 956; 862; 863; 864; 865; 866; 867; 868; 869; 891;
960; 975; 991; 1003; 1005 893; 896; 897; 898; 901; 902; 991
fiqh 867; 942 Hafsa (figlia di Umar) 864
Fitna 867 Hagar/ismo 855: 856; 861; 869; 872
Francia 827; 841; 974 Hamann 933
Frank, S. 981 Hamas 827; 831
Fratelli musulmani 828; 830; 831 Hanaf/iti 830; 894; 901
Fratelli sinceri: vedi Ikhwn as-Saf hanbaliti/ismo, Ibn Hanbal 830; 857; 858;
859; 866; 890; 891; 892; 893; 894; 897
G hanf (e pl. hunaf) 870; 956
haqiqt 899
ahm b. Safwn, ahmiti 891 Hrithiti 811
Galeno 944 Harrn 944

1021
Hrn al-Rashd 858 irano-mesopotamico 824; 825; 829; 853; 855;
Hasn (2 Imm shita) 811; 813; 893 861; 866
Hasn al Bann 830 Iraq 832; 833; 858; 861; 869; 873
Hasn II (Signore di Alamt) 893 Ireneo 940; 977; 978; 987
Hshimiti 811; 813; 860 Isaac Israeli 954
Hegel/iano/ismo 906; 909; 910; 933; 973; 975; Islam 811; 819; 824; 825; 826; 827; 828; 830;
981; 982; 984; 1000; 1002; 1008 831; 832; 833; 834; 835; 836; 837; 838; 840;
Heidegger 911; 912; 933; 980; 981; 982 841; 842; 843; 844; 845; 853-903; 906; 907;
Herder 839; 913; 927 908; 910; 911; 912; 914; 915; 916; 917; 920;
Hermes 840; 844; 922; 965; 966; 968; 1007; 922; 925; 928; 929; 931; 934; 936; 937; 938;
Hezbollah 833 940; 941; 942; 944; 945; 946; 947; 948; 949;
Hijz 856; 862; 871; 872; 873 950; 951; 953; 954; 955; 956; 957; 958; 959;
Hijrah 828; 831; 856; vedi anche: Egira 960; 961; 962; 964; 965; 966; 967; 976; 977;
Hikmah, Hakm 966 978; 985; 986; 987; 988; 989; 990; 991; 992;
Hilmand 819 993; 995; 999; 1000; 1001; 1002; 1003; 1005;
hisba 899 1006; 1008; 1011
Hobbes 837; 838; 839; 840; 908; 909; 912; 913; Ismaele 856
916; 917; 918; 919; 920; 921; 922; 923; 924; Isml, Ismliti/a, Ismailismo, 812; 823;
928; 929; 930; 931; 932; 933; 936; 939; 952; 827; 858; 889; 890; 891; 897; 903; 937; 945;
953; 973; 979; 980; 984; 1001; 1004 948; 949; 950; 959; 960; 963; 992; 1000
Hlderlin 844 Isnd (e pl. asnd) 856; 863; 865; 867; 868;
Hooker 977; 978 869
Hume 913 Israele 820; 822; 877; 954; 957; 990; 991
Hr 871 ittihd 885; 886; 959
Husayn (3 Imm shita) 811; 813; 833; 893 ittisl 886; 959
hle 953 ius, iustitia 826; 917; 925; 927; 932; 958; 982;
997
I
J
Ibn Abd al-Wahhb: vedi Wahhbismo
Ibn Arab 812; 885; 898 jhil, jhiliyya 831
Ibn Ba 882; 884; 885; 886; 887; 894; 899; jihd, jihdisti 831; 832; 855; 902; 1008; 1011
947; 954; 956; 958 Jonas, H. 904; 906; 957; 971; 972; 978; 980;
Ibn Hanbal: vedi Hanbaliti 981; 982
Ibn Khaldn 829; 948; 950; 1000; 1002 Jung, junghiano, 972
Ibn Sab 811
Ibn Taymiyya 828; 829; 888; 890; 891; 893; K
895; 896; 898; 899; 900; 929; 935; 941; 964;
1000; 1009 Kaba 860; 870
Ibn Tufayl 882; 883; 884; 885; 886; 894; 946; Kafka 935
1005 Kalm 829; 869; 870; 914
ijm 829; 899 Kant, kantiano 896; 922; 926; 927; 956; 972;
ijtihd 829, 891; 992; 1001 9812 998; 999; 1004
Ikhwn as-Saf 813; 814; 815; 881; 882; 883; Karbiti 811
889; 898; 903; 931; 959; 966; 1003 Kaysniti 811; 813; 814
Illuminismo/ta/ti 834; 835; 842; 895; 905; 906; Khridjiti/a 811; 833; 858; 859; 867; 899; 900
907; 908; 912; 913; 915; 916; 917; 918; 922; Khatam 834
923; 924; 932; 936; 943; 951; 953; 957; 960; Khattbiti 903
962; 964; 965; 972; 973; 977; 980; 985; 999; Khomeyni/ismo 828; 833; 834; 1002
1003; 1004; 1009 Khorsn, Khursn 812; 857
Immaginazione (facolt) 838; 884; 888; 909; Khurramiti 968
915; 923; 954; 955; 959; 963; 969 Kierkegaard 907; 917; 998
Insn al-Kmil (uomo perfetto) 814; 825; 937; Kizilbash 825; 829
946 Krger 840; 842; 906; 953; 965
Intelletto Agente 838; 879; 880; 881; 882; 883; Kufa 868; 869
886; 887; 888; 915; 916; 945; 946; 947; 950; Kur 822
954; 955; 956; 958; 959
Intelletto Universale 838 L
Iran/iano/ico 819; 823; 827; 828; 832; 833;
834; 836; 853; 857; 893; 903; 947, 963; 975; La Peyrre 912; 913
1002 Laicismo/ista 841; 844; 845; 863; 961; 987

1022
Legge (religiosa, rivelata, mosaica, islamica, Mecca, Moka 855; 859: 860; 861; 862; 867;
divina, eterna, naturale) 838; 839; 840; 841; 868; 870
843; 844; 854; 856; 857; 858; 859; 862; 863; Meccano/i/a (relativo a Mecca) 853; 856; 859;
864; 865; 866; 867; 868; 869; 870; 872; 877; 860; 861; 871
882; 884; 885; 886; 888; 890; 891; 892; 893; Medina 856; 857; 868; 869; 870; 989; 1002
894; 895; 896; 897; 898; 899; 900; 903; 905; Medioevo 873; 878; 881; 886; 898; 911; 913;
906; 907; 908; 909; 910; 912; 914; 915; 917; 914; 915; 929; 931; 934; 936; 938; 940; 942;
918; 919; 920; 922; 923; 927; 928; 929; 930; 944; 945; 950; 951; 956; 958; 959; 961; 964;
931; 932; 933; 934; 937; 938; 940; 942; 944; 968; 971; 972; 974; 975; 976; 977; 980; 982;
946; 947; 950; 951; 952; 954; 955; 956; 957; 983; 985; 988; 990; 991; 992; 998; 998; 1000;
959; 960; 961; 962; 964; 965; 981; 984; 989; 1001; 1002, 1003; 1004; 1006; 1009
990; 991; 992; 993; 994; 995; 996; 997; 998; medievale 857; 878; 879; 880; 904; 906; 907;
999; 1000; 1001; 1002; 1006; 1008; 1011 912; 919; 920; 922; 933; 936; 941; 942; 944;
Leotardo 905 945; 946; 950; 951; 953; 955; 956; 957; 958;
Leviatano 909; 918; 973 959; 960; 962; 965; 966; 969; 972; 974; 975;
Liberalismo 838; 840; 841; 842; 905; 912; 930; 977; 985; 986; 989; 991; 992; 993; 998; 1000;
933; 951; 952; 977; 1006; 1007 1001; 1002; 1003; 1004; 1006; 1009
Libero Spirito 873; 978; 984 Melusina 971
Libertini/ismo 892; 908; 913; 923; 929; 978; Melkiti 944
984; 985; 1009 mng 820; 821; 823
Locke 839; 927; 928; 930; 931; 932; 933; 935; Mesopotamia/ico 825; 854; 855; 866; 868; 869;
936 981
Lgos 875; 876; 877; 892; 915; 974 Messaliani 984
Lwith 907; 965 mihna 859; 881; 890; 891; 893
Lucrezio 913; 920 Millenarismo/ta 819; 821; 823; 854; 856; 858;
Lukks 941 861; 862; 873; 968; 972; 973; 976; 984; 985
mimiyya 814
M Moderno (il), modernit 841; 843; 905; 906;
908; 910; 911; 912; 913; 915; 916; 919; 920;
Macbeth 841 922; 924; 931; 933; 934; 935; 940; 943; 944;
Machiavelli 838; 842; 908; 912; 916; 917; 918; 951; 952; 953; 957; 958; 959; 961; 964; 965;
919; 933; 934 966; 971; 972; 973; 974; 975; 977; 979; 980;
Macranthropo, Macranthropos 918; 984; 983; 988; 990; 992; 993; 998; 999; 1000; 1001;
1007 1002; 1003; 1004; 1005; 1006; 1007; 1009
Mghaz (battaglie, di espansione dellIslam) Moll Sadr 898, 945
856; 862 Monofisiti/ita/ismo 854; 880; 945; 947
Mahd 812; 823; 824; 825 Montano/ismo/isti 838; 864; 873; 973; 976
Maimonide 837; 838; 840; 888; 906; 907; 908; Mos 854; 872; 895; 925; 938; 950; 955; 956;
911; 914; 915; 916; 936; 937; 942; 943; 944; 958; 991
946; 949; 950; 951; 953; 954; 955; 956; 957; Muammarn (grandi longevi) 868
958; 959; 960; 991; 992; 993; 1004 Muwiyya 869; 873
mlikita/i 882; 885; 897 Mubrakiti 812
Mandei 824 Mughrita/i 811; 903
Mani, manicheo/i/ismo 812, 814; 820; 821; muhjir (pl. muhjirn) 828; 856
824; 825; 870; 871; 935; 968; 979 Muhammad al-Bqir (5 Imm shita) 811;
Manierismo 953 813
Maometto, Muhammad, Muhammed 811; Muhammad al-Db (figlio di Djafar as-
812; 829; 832; 856; 861; 870 Sdiq, ribelle contro al Mamn e 818) 812
Marcione/ita/ismo 824; 840; 913; 923; 979; Muhammad ben Isml (figlio del 7 Imm
987; 988; 989; 993; 1006 dei Settimiani, e da alcuni di essi considerato il
Marw 890 vero 7 Imm) 812
Marwnidi 857; 867; 872 multiculturalismo/ta 834; 835; 837; 905; 988;
Marx/ismo/ista 913; 973; 975; 977; 978; 979; 1008
980; 981; 982; 983 Murjiiti/ta/ismo 867; 869
Massignon 952 Ms al-Kzim (7 Imm duodecimano) 811;
Masd 944 812; 813
matn (testo [dello hadth]) 864; 865 Muslim (autore del Sahh, raccolta di ahdth)
mawl, pl. mwal 857, 867 864; 867; 891
Mawdudi 828 muslim (musulmano) 856
Mazdak/iti 820; 968 mutakallimn 893; 942
Mazdeo 821, 824 mutazilita/iti/ismo 890; 891; 892
Makoraba 859; 860 mthos 937

1023
N Platone 827, 837; 839; 840; 842; 844; 875; 878;
880; 882; 883; 887; 904; 906; 907; 910; 911;
nab 950 912; 913; 914; 918; 920; 921; 922; 924; 925;
nms (e pl. nawms) 950; 959 927; 929; 931; 933; 934; 935; 936; 937; 938;
Naphta (personaggio di Th. Mann) 921 939; 941; 942; 943; 944; 945; 946; 947; 948;
Nasaf 881 949; 950; 951; 952; 953; 954; 955; 957; 959;
naskh 863; 865; 866; 891 961; 962; 963; 964; 965; 967; 968; 973; 974;
Nazismo/ta 828; 906; 933; 941; 951; 952; 971; 975; 981; 983; 989; 991; 1001; 1004; 1006;
972; 973; 975; 979; 980; 983 1007; 1009
Negev 872 Plotino 827; 878; 880; 931; 940; 951
Neoplatonismo/ico 821; 823; 827; 838; 875; Plutarco 932; 944; 969
876; 877; 878; 879; 880; 881; 882; 883; 885; plemos 967; 968; 982
886; 887; 888; 889; 890; 891; 898; 899; 900; plis 905; 921; 925; 939; 946; 957; 968; 973
903; 905; 906; 907; 908; 910; 911; 912; 913; politia 963
914; 915; 916; 919; 922; 925; 927; 929; 933; polteuma 963
937; 940; 943; 944; 945; 946; 947; 948; 949; politically correct 836; 905; 985; 988
950; 953; 954; 955; 956; 958; 959; 960; 963; Porfirio 827; 878; 902; 945; 948; 949
965; 966; 967; 968; 969; 975; 985; 986; 990; Poseidonio 956
993; 994; 995; 996; 998; 1000; 1001; 1002; Positivismo 838; 933; 962; 973; 974; 977; 979;
1005; 1007; 1009 980; 981; 1006
Nestorio/iani 824; 854; 855; 869; 881; 944; Postel 876
945; 947 Proclo 827; 878; 945; 951; 998
Newton 922 Profezia 838; 840; 854; 855; 864; 870; 878;
Niethammer 982 880; 884; 887; 888; 893; 899; 908; 909; 915;
Nietzsche 838; 841; 842; 899; 927; 933; 964; 916; 919; 920; 936; 937; 942; 943; 944; 945;
981; 982 946; 950; 951; 954; 955; 956; 957; 958; 959;
Nihilismo/ta 841; 904; 908; 925; 941 960; 968; 975; 980; 992; 993
Nimrod 937 Prometeo 841; 846; 982
Nizm al-Mulk 892 Provvidenza 877; 879; 880; 887; 895; 896;
Nizm 898 902; 945; 947; 966; 994; 996; 998; 1003; 1004
No 950 ps.Dionigi 977; 978; 987
nmos 841; 844; 926; 927; 928; 933; 937; 946; Psychopannychismo 822; 923
950; 959; 960; 961; 962 Puritani/esimo 977: 978
Novalis 844; 933
nos 939; 974 Q
Nusayriti, Nusairiti 811; 812; 813; 854
Qabbalah 822; 913; 915; 942; 945; 954; 966;
O 993
Qadariti/ismo/iyya 867; 869
Oetinger 819; 840; 915 Qim 812; 823; 824; 825
Ohrmazd 820; 821; 823 Qarmati 812; 813; 893; 993
Olimpiodoro 944; 945; 950 Qumrn 907; 1003
Omeyyadi 831; 853; 856; 857; 858; 859; 860; Quraysh, Qurayshiti 859; 860; 869; 871
866; 867; 869; 872; 885; 900
Origene 993 R

P Rfiditi 867
ris 964
Palestina 855; 856 ris al-awwal 959; 960
Panteismo 880; 885; 886; 955; 966 Rshidn (i primi 4 Califfi: Ab Bakr, Umar,
Papia 871 Uthmn, e Al, 1 Imm shita) 899; 946
Paracelso 826; 984 rasl 950
Parmenide 839; 910; 926; 927; 934; 935; 938; Razionalismo/ta 838; 840; 843; 845; 854; 856;
967; 968 861; 862; 866; 873; 880; 882; 883; 884; 885;
Psdrn 833 886; 888; 889; 890; 891; 892; 895; 896; 898;
Pauliciani/esimo 824; 825; 968; 984; 1003 899; 901; 902; 904; 905; 906; 907; 909; 910;
Persia/ani 811; 822; 853; 857; 858; 861; 871; 911; 912; 913; 914; 915; 916; 917; 918; 919;
872; 880; 893; 947; 948; 974; 986; 1002 920; 921; 922; 923; 924; 925; 926; 927; 929;
Philopono, Filopono 879; 945; 947; 949; 951 930; 932; 933; 934; 935; 936; 937; 938; 939;
phsis 926; 927; 928; 933 940; 941; 942; 943; 944; 948; 950; 951; 952;
Pietismo 826; 984 953; 958; 961; 965; 966; 967; 968; 969; 971;
Pitagora 944 972; 975; 976; 980; 981; 982; 984; 985; 989;

1024
991; 994; 995; 999; 1000; 1003; 1004; 1005; Selgiukidi 889; 892; 893; 894
1006; 1007; 1009 Senofonte 921; 939; 943
ray 829 Settimiani 812; 881
Relativismo/ta 835; 837; 840; 841; 842; 844; Shabestar 898
845; 902; 905; 906; 908; 911; 918; 922; 923; Shfi, Shfita 829; 865; 866; 867; 868; 890;
924; 926; 932; 933; 934; 935; 936; 940; 941; 891; 893; 894; 897;
952; 953; 958; 962; 965; 974; 985; 988; 999; Shahd (e pl. Shuhad) 831; 832
1007; 1009 Shamuel ibn Tibbon 954
Resurrezione 813; 814; 815; 819; 821; 822; Sharah 828; 829; 830; 853; 854; 855; 862;
823; 888; 889; 892; 894; 897; 949, 971; Grande 864; 866; 891; 894; 899; 900; 902; 903; 907;
R. 893; 971 933; 937; 946; 948; 950; 957; 960; 961; 962;
Rilke 1006 963; 964; 990; 992; 999; 1000; 1001; 1002;
Rinascimento 906; 911; 912; 913; 914; 925; 1006; 1008
939; 953; 973; 983; 987; 1003 Sharat 832; 833
Rivelazione 823; 827; 837; 838; 839; 855; 861; Shaykhismo 823; 825; 898
862; 867; 869; 871; 876; 881; 885; 886; 888; sheol 822
889; 890; 892; 894; 895; 896; 897; 898; 899; Sha, Shita/i, Shismo 811-815; 823; 825;
900; 902; 905; 907; 910; 911; 912; 913; 914; 826; 827; 828; 829; 832; 833; 834; 866; 881;
915; 917; 919; 922; 925; 929; 930; 937; 938; 882; 889; 899; 903; 944; 949; 958; 959; 960;
940; 941; 942; 943; 945; 946; 947; 948; 950; 963; 966; 1011; 1012
954; 956; 957; 958; 959; 960; 962; 963; 968; Sijistn 812; 881; 889
970; 971; 981; 985; 987; 989; 991; 994; 1000; Simplicio 948; 949
1001; 1003; 1005; 1006; 1009 sniyya 814
riysah 964 Sionismo 912
Roma 864; 873; 903; 921; 931; 947; 973; 975; sra 856; 857; 860; 861; 862; 863; 865; 869
986; 987; 1009 Siria/iano/iaco 829; 854; 855; 857; 859; 860;
Romanticismo 815; 876; 900; 901; 905; 909; 861; 866; 869; 871; 872; 944; 947; 949; 960;
911; 912; 913; 919; 933; 934; 935; 941; 948; 986
953; 958; 965; 1003 Siriano (filosofo neoplatonico) 949
Rousseau 837; 839; 840; 883; 922; 931; 932; siysah 964
933 Socino/iniani 913; 923
Rm 898; Socrate 837; 839; 840; 842; 881; 904; 910; 918;
Russia 815; 816; 827; 831; 975 921; 922; 924; 928; 934; 935; 938; 939; 941;
Rzbehn 898 942; 943; 944; 953; 967; 989; 1006; 1009
Sofisti/ica 842; 910; 920; 921; 922; 928; 933;
S 934; 935; 936; 937; 939; 953; 961; 962; 967;
968; 969; 984; 985; 989; 1000; 1001; 1002:
Saadia 954 1003; 1004; 1007
Sabbatai Zevi, Sabbatiani 909; 913; 915 Sohraward 894; 898
Sabei/o 944; 947 Sparta/ano 920; 921; 931; 939
Safavidi 833; 882; 903 Spengler 904; 957
Salafismo/iti, Salaf ( e pl. Sullaf = Compagni, Spinoza 837; 838; 839; 907; 908; 909; 910;
q.v.) 828; 835; 890; 898; 899; 900; 1000 911; 912; 913; 914; 915; 916; 917; 918; 920;
Salmn Pk 814 922; 923; 930; 933; 936; 937; 942; 949; 950;
Sanai 898 951; 952; 962; 963; 976
Sancho 969; 970 Spiritualismo riformato 900; 906; 933; 981
Sassanide/i 821; 822; 824; 834; 859; 890; 897; Stati Uniti 828; 831; 832; 836; 843; 905; 924;
1002 936; 986; 1009
Sayyid Qutb 828; 830; 831; 832; 833 Stefano 944
Scettici 869; 897; 902; 909; 913; 914; 921; 929; Stoici/o 876; 930; 940; 950; 973; 989; 993; 994;
933; 935; 941; 962; 976; 985; 1003; 1004 1001; 1003
Schelling 972; 975; 981 Storicismo/ta 838; 843; 895; 901; 905; 906;
Schleiermacher 837; 906; 933; 981; 1007; 908; 910; 911; 917, 925; 926; 930; 933; 934;
1009 935; 957; 965; 985
Schmitt 951; 952 Strauss, L. 836; 837-843; 844; 845; 904-969;
Scholem 905; 906; 915; 942 972; 973; 974; 977; 980; 981; 984; 985; 986;
Schopenhauer 982 992; 998; 999; 1001; 1002; 1006; 1007
Scientismo/ta 835; 840; 841; 844; 845; 846; Successori/e (dei Compagni) 855; 863; 868;
883; 897; 906; 908; 919; 923; 926; 934; 935; 869; 891; 892; 999
941; 953; 961; 965; 973; 979; 9823 1006; 1007 Sf, Sfsmo, Sufismo 812; 863; 865; 885;
Scoto Eriugena 822; 823; 886; 965; 977; 987 894; 898; 900; 958; 993; 1008
Sde Boqer 873 Sufynidi 856; 872

1025
Sunnah, Sunniti 828; 829; 830; 854; 855; 856; Witz 967; 968
857; 858; 859; 862; 863; 864; 865; 866; 867;
869; 873; 881; 882; 889; 890; 891; 892; 893; X, Y
894; 898; 899; 900; 925; 946; 992; 1011
Yahw 820; 822; 829; 938; 983
T Yahy b. Ab Kathir (mawl, oppositore degli
Omeyyadi) 867
tafsr 829; 855; 861; 863; 866; 869 Yemen 812; 859; 861
Tght 833 Yezdi, Yezidi 825; 854
Tif 859; 860; 871; 872
takfr 830; 831 Z
Talete 986
Taubes 906; 907; 917; 933; 958; 981 zhir/ita/iti 885; 899; 900
tawd 832; 901 Zayd Ibn Thbit (segretario del Profeta) 864
tawl 855 Zayditi 811; 813; 858
Taziano 854; 871 Zoroastro/iano/ismo 819-822, 935; 968; 972;
tlos 895; 901; 979; 984; 988; 995; 1008 973; 976; 982; 1004; 1005
Teofrasto 950 Zurbarn 970
Teosofia 815; 825; 898; 911; 933; 945; 947;
965; 968; 981
Tertulliano 923; 930; 940; 977; 978; 979
Thbit ibn Qurra 944
Themistio 945; 947; 949; 950
Tieck 841; 897
Tolomeo 859; 860
Tommaso dAquino 826; 929; 958; 960; 974;
976; 991; 992; 994-998; 1000; 1002; 1003;
1004; 1005
Tondrakismo 824
Torah 906; 907; 909; 910; 912; 925; 929; 933;
936; 937; 954; 955; 956; 957; 986; 993; 1000;
1006
Trasyllo 948
Tucidide 920; 921; 939; 943

Ummah 828; 832; 833; 844; 858; 862; 882;


888; 889; 890; 892; 898; 946; 957, 959
umm (e pl. ummiyyn) 956; 986; 990
U.R.S.S.: vedi Russia
U.S.A.: vedi Stati Uniti
usl al-fiqh 829; 890; 891

Vangelo 871; 877; 878


velyat-e faqh 832; 1002
Vilgardo 905
Voegelin 904; 905; 906; 911; 913; 930; 937;
939; 940; 953; 965; 971-986; 988; 992; 998;
1000; 1001; 1003; 1004; 1007; 1008

Wahhbismo, Ibn Abd al-Wahhb 828; 829;


898; 900; 902; 969
Wqifiti 811
Weber, M. 835; 838; 840; 841; 926; 941; 974;
999
Weigel 927; 984
Weimar 906; 941

1026
ADDENDUM
CONSIDERAZIONI DELLAUTORE SULLE RAGIONI DELLA RISTAMPA ONLINE PREMESSE ALLA
RIEDIZIONE 2010 DEL TESTO LA GNOSI. IL VOLTO OSCURO DELLA STORIA, NELLE QUALI SI
RIPERCORRONO I FONDAMENTI E LE CONCLUSIONI DELLA RICERCA INIZIATA CON LO
GNOSTICISMO

Ripubblicare, sia pure online, un testo che non soltanto ha venti anni, ma che stato ampiamente
superato dalla successiva Storia di un altro occidente, nella quale il medesimo argomento stato ripreso con ben
altra completezza ed estensione, pu sembrare operazione superflua. Del resto, questa Gnosi (nel titolo
originale: Gnosticismo, poi trasformato in Gnosi a mia insaputa dallEditore) non era, e non voleva essere,
se non la bozza di programma di una pi vasta indagine, dellaltro testo nel quale ho condensato ventitr anni di
ricerche. Una bozza incompleta per quanto riguarda i temi trattati, tra i quali simpose poi -ben prima di quel
triste 11 Settembre 2001- il tema dellIslam inteso nelle sue lontane ascendenze, comuni alle lontane ascendenze
delleversione occidentale.
La decisione di ripubblicare online, dopo molta riflessione, questo vecchio testo, venuta infine in
relazione alle scelte di metodo e alle considerazioni che vi presero corpo, e che, come risulta dalla data apposta
in calce alla scrittura nelledizione a stampa (13 Novembre 1989) risalgono a ben prima della (ormai noiosa a
causa delle chiacchiere) caduta del muro. Esse precedono dunque le stupidaggini sfarfallate attorno alla
presunta fine della storia e lebbro peana di un Occidente che non aveva compreso le forze in gioco nella
storia.
Et pour cause! Le ideologie dominanti si richiamavano tutte al Progresso e alla Ragione (sempre con
la maiuscola) grimaldelli di una cultura che si proponeva a modello ineludibile, con il proprio corredo di
Storicismo, Scientismo e Laicismo; curiosamente distratta nei confronti del punto debole dellarmamentario, la
svalutazione del momento religioso con il suo corollario nel relativismo etico. Non sto ripercorrendo, per altra
via, le filippiche di Voegelin o le ambigue -ancorch stimolanti- analisi di Strauss: mi limito a constatare, senza
pretesa di avanzare ricette autoritarie per una conventicola di Eletti.
Anche perch, se, come si suol dire, il difetto sta nel manico -cio in lontane ascendenze-
opportuno pensare che certi percorsi potrebbero essere obbligatori sino al naufragio, perch una cultura radicata,
la si muta soltanto riflettendo su sconfitte consumate sino al fondo ed elaborando il cordoglio. Un po come fece
il Medioevo cui occorsero secoli di riflessione per la sua opera grandiosa: capire che il mondo classico era finito,
era soltanto un reperto per gli studiosi, e procedere poi allelaborazione di un mondo nuovo. Elaborazione
rimasta in sospeso, come lascia intendere lo stesso ideologico nome di Medioevo, sorta di intermezzo, di
spiacevole contrattempo nella gloriosa marcia della Ragione razionalista, iniziata ad Atene e vigorosamente
ripresa dalla nascente Modernit.
Le considerazioni che mettevano in moto la mia ricerca erano fondate su poche ma decisive
convinzioni che non sono venute meno e che hanno guidato tutta la ricerca successiva, da intendersi come
progressivo ampliamento di un unico nucleo iniziale. In questalveo va pensato anche quel percorso
apparentemente laterale, in realt una messa a punto, che fu il discorso sul pensiero mitico: o quei raccontini
volutamente poco scientifici condotti sullarte, la memoria e lutopia.
La prima di quelle considerazioni cui facevo cenno, concerneva il ruolo delle religioni, guardato allora
(siamo ancora negli anni 80) con molta sufficienza dal demi-monde delle intellighentzie, che, in una cultura
fortemente orientata dal circuito istituzionale/politico/economico dei media influiscono sul regime (sensu
Strauss) ben pi di quanto non possa la ricerca e lo sforzo di comprensione.
La convinzione che nelle religioni si esprimesse in modo profondo -pi profondo che altrove,
precisamente perch non interamente razionalizzabile- una radicata comprensione ed espressione del rapporto
delluomo con il mondo e con lesistenza (un rapporto diverso nelle diverse culture e societ, e una diversit non
eliminabile con dimostrazioni razionaliste) mi portava a porre il loro ruolo in primissimo piano nel tessuto
degli eventi storici. Perci, eventi storici ritenuti sovente marginali rispetto a quelli politici, economici, e
culturali nel senso elitario della parola, quali furono le dissidenze religiose, venivano ad essere intesi non
soltanto in stretto rapporto con quelli, ma anche in grado di far meglio intendere la complessit dei fenomeni in
atto. Se linterezza del rapporto delluomo con la propria esperienza del mondo, della storia, della societ; il
senso stesso dellesistenza, trova espressione nelle religioni -e lo trova precisamente perch esse debordano ci
che pu chiudersi nella compiutezza formale della logica, dei concetti, della Ragione razionalista- allora nelle
religioni e nelle passioni che esse veicolano e che divengono ideologie allorch si tenti di razionalizzarle, va
intuito quel ribollire di umori sociali che si muovono nella storia, e che la storia muovono.
Naturalmente, in tale ipotesi le religioni in questione non possono essere semplicemente le
ortodossie -meri terminali vittoriosi di lotte interne, indipendentemente dalle buone ragioni di tali vittorie- ma,
a monte, le tante disparate espressioni delle eterodossie, delle letture dissenzienti o emarginate. Sono esse, che

1027
emergono dalla pratica vernacolare, a segnalare quanto variegata sia la religiosit espressa da una religione, e a
determinare nel complesso la comune facies, a formare la comune area culturale, spia di profonde, cio antiche,
radici.
Molte valutazioni insostenibili dello Gnosticismo delle quali riferivo in questa prima bozza, hanno in
comune un pregiudizio introiettato, a volte talmente introiettato da non sembrar pi tale; in alcuni casi visibile
soltanto con uno sguardo approfondito. il pregiudizio che esista un solo "Cristianesimo", quello che
conosciamo come tale nella Chiesa di Roma con le varianti dei suoi scismi (luterani, calvinisti, e quant'altro).
Non si riflette che il Cristianesimo possa essere stato un fenomeno passibile di molte letture -anche vernacolari:
anche il vernacolo un linguaggio, e, come tale, ospita un pensiero. Questo perch dentro il pensiero accademico
c' lo stesso pregiudizio degli eresiologi (al di l di ogni conflitto): l'identificazione di pensiero e Razionalismo.
In un suo recente, e, come sempre, affascinante testo, Aldo Magris (Destino, Provvidenza,
Predestinazione, Brescia, Morcelliana, 2008, p. 263) notava la continuit tra l'Illuminismo greco (cio: Sofisti e
Razionalismo classico) e quello moderno, affermando che tale continuit fu assicurata precisamente dal
Cristianesimo (che al primo viene solitamente contrapposto). Gi. Ma questo "Cristianesimo" fu la Chiesa di
Roma, che, per l'appunto, per assicurare la propria istituzionalizzazione, lesse il messaggio entro gli schemi
platonico-aristotelici, che furono perci trasmessi all'Occidente moderno, anche se questo li volse poi in chiave
anticristiana.
Queste strutture di pensiero sono cos interiorizzate, da non essere pi percepite nella loro
ideologicit; e il massimo di interiorizzazione si ha in quegli studiosi illustri, citati nel mio testo, che vedevano
nello Gnosticismo una ellenizzazione del Cristianesimo, un suo adattamento agli schemi del pensiero greco,
come se il loro astratto "Cristianesimo", cio la versione vincente, o, come suol dirsi, "ortodossa", non fosse il
risultato di una lettura fondata sul Razionalismo classico, platonico-aristotelico!
Non ci si accorge pi delle strutture entro le quali si pensa: ci non disdicevole, accade a tutti noi;
per importante ricordarsene allorch si interpreta il pensiero altrui, perch si perde di vista, in questo caso, il
nodo sociale di quella diversa lettura che fu lo Gnosticismo, tema che tentai di enucleare sul fondamento di un
metodo, spogliarsi della Fede nella Ragione. Su questa "Fede", c' da aprire un inciso

La Fede nella Ragione all'origine di molte sviste, non soltanto nel nostro rapporto con altre culture;
anche interna alle aporie della nostra cultura, e scopre il fianco precisamente sul problema dello Gnosticismo,
che non per caso rappresent il fulcro sul quale fondare la ricerca in tutti i suoi successivi esiti.
La convinzione di un legame tra Ragione e Bene ha un lungo percorso in Occidente: parte
quantomeno da Socrate per giungere, tramite Aristotele e il suo commentatore Alessandro di Afrodisia, al
concetto positivo di Provvidenza, e, in campo religioso, alla necessaria bont di un Dio che Si manifesta nella
razionalit del cosmo: convinzione che, alla prova dei fatti, port al pastiche gnostico della doppia divinit, con
un dio malvagio signore di questo mondo. Se Ragione e Bene sono consustanziali, il loro contrario tendeva
inoltre a conformarsi, per analogia, su passioni e Male. Di qui un rafforzamento del fondamento razionalista che,
curiosamente, porter a non comprendere pi adeguatamente il ruolo del momento religioso, non razionalizzabile
e nel quale concorrono molte passioni, quelle che fondano il rapporto di una cultura con l'esistenza.
Dopo il nuovo slancio del Razionalismo a partire dal XVII secolo, la Ragione divenne infine unico
Iddio nel 1789, e da allora ha preso il posto -in Occidente- della religione, come oggetto di fede: l'Occidente
tenta da allora di imporre questa Fede in altre culture, scalzandone i fondamenti identitari in quella che pu esser
vista, dall'altra parte, come un'espansione colonialista.
Una chiave di lettura per mettere a fuoco il luogo del contendere sui temi introdotti, lo offre il modo
sintetico con il quale la Scarcia Amoretti (Il Corano, Carocci, 2009) espone l'atteggiamento prevalente nell'Islam
circa il rapporto tra Creatore e creatura; qui l'unicit di ogni esistente, fa s che le cose create non si rapportino
tra loro n in modo accidentale, n in base a un processo causa-effetto. Vi si collegano due concetti giuridici: Dio
gode di un arbitrio totale nelle Sue decisioni; l'uomo a sua volta totalmente libero di agire nel Bene e nel Male.
Di ci ho dato cenno nella Storia di un altro occidente (Dopo e a lato, cap. 2) a proposito della critica
di al-Ghazl ai falsifa, del suo occasionalismo, e del pensiero di Ibn Taymiyya circa la creazione, che
configura un rapporto continuo tra il Creatore e i singoli creati; circa la necessit di adeguarsi alla Legge di un
Dio che soltanto Lui "sa" (e comunque "sa meglio" come afferma pi volte il Profeta); e circa le sue critiche alla
fondatezza razionale del Razionalismo classico. Sul significato vitalistico (a mio avviso, pi conformemente
"testamentario") di queste posizioni, opposte all'immobile "theora" del Razionalismo classico, si vedano le
conclusioni di J. Moore al suo Ibn Taymiyya's Theodicy of Perpetual Optimism, Leiden-Boston, E.J. Brill, 2007
Diversamente da quanto nota la Scarcia Amoretti per quanto concerne l'Islam, nel Razionalismo di
Aristotele si pone l'ipotesi dell'accidentalit dell'evento come risultato dell'incontro di due o pi catene causali
indipendenti, precisamente come correttivo empirico all'ipotesi -del tutto indimostrabile- della sua rigida
destinalit. Il problema della destinalit o della casualit degli eventi, come si pu evincere nel testo di Magris,
ha un ruolo importante nel pensiero occidentale, e si collega alla domanda sulla "bont" divina in presenza
dell'evidenza del Male, e quindi al problema gnostico, precisamente per le sole due alternative che tale pensiero
pone all'uomo.

1028
L'una di restare alla soluzione classica del destino come disvelamento dell'Essere nel tempo,
un'ipotesi che rinvia ad una legge insita nella phsis, sorvegliata da Ananke e da Dike ed espressa da
Anassimandro, cio ad una soluzione pagana che precede il messaggio testamentario. Rispetto a quella visione,
quest'ultimo rappresent una rivoluzione perch un Dio/Persona, che Volont imperscrutabile, vi si rivelava
come il vero garante della libert dell'uomo. Al contrario, la concezione razionalista finisce col fare
dell'individuo il mero accidente di un "Essere" strutturato nella sintassi del discorso.
L'altra alternativa , per l'appunto, quella -per molti disgraziati assai dubbiosa- della presenza di un
Provvidenza. Questa presenza non sembr tanto evidente a chi soffre in questo mondo -di qui lo Gnosticismo- a
meno di non ricorrere ad espedienti di corto respiro come la "colpa" (non sempre dimostrabile, eventualmente da
addebitarsi al solito Adamo) o la "prova" cui Dio ci sottoporrebbe.
L'inesplicabilit del "Male" come esperienza di vita disgraziata, il risultato di un pensiero articolato
sul Razionalismo classico: ben per questo considerai lo Gnosticismo e i suoi succedanei nella marginalit
dell'Occidente, come forma di Razionalismo subalterno, risultato di un pensiero che non sa uscire da un cerchio
di gesso tracciato ab antiquo.
Quanto al problema del destino/fato, connesso alla necessit, cui si contrappone il "caso"; o a quello
della Provvidenza che guida le cose di quaggi; siamo in presenza di problemi tutti interni al Razionalismo
dell'Occidente, e, nel caso particolare della Provvidenza, alla coincidenza socratica del Vero col Buono
nell'ambito di tale Razionalismo. Poich per il "destino" non di per s "buono" (generalmente si denuncia il
contrario) e il caso non spiega nulla -n si spiega- l'esperienza umana del dolore non pu che rifugiarsi
nell'ipostatizzazione del Male, inteso quantomeno come malasorte, vita dis-graziata, ci che costringe la teodicea
razionalista ai suoi patetici escamotages (la "colpa", la "prova").
Per superare questa impasse dunque indispensabile liberarsi dal fantasma dell'ontologia (anche
Lvinas la detestava, in una logica testamentaria) con la sua conseguente catena causale -la necessit- e
raccogliere pienamente il significato liberatorio dell'irruzione di un Dio/Persona, Volont insondabile, Creatore,
in rapporto diretto e personale con ogni singola creatura; la quale ultima si manifesta quindi come un "esistente"
unico e irripetibile, non come l'elemento di una struttura sintattica calata sul reale. In questo caso, come in Ibn
Taymiyya, la "necessit" quella di adeguarsi alla Legge di Dio, che, per quanto concerne il reale, "sa" meglio:
se non altro, perch l'ha creato Lui.
In questa logica l'uomo diventa libero nelle proprie scelte, esattamente come lo Dio nelle Sue
decisioni, e non si pone l'impaccio di una qualche "legge" (puramente logica, della logica umana) che
vincolerebbe l'Uno e gli altri. Si scopre inoltre un fatto singolare: i Profeti e le loro Rivelazioni appaiono pi
razionali degli epigoni del Razionalismo: confesso che ho sempre avuto questo sospetto.
La cosa pi interessante per, che in questa logica il destino si sposta all'interno dell'individuo: ci
che si rivela nel tempo non il fantasmatico "Essere", ma la nostra personale, irripetibile realt psichica - cosa
che potrebbe pensarsi, laicizzando il discorso, anche in senso junghiano - alla quale diviene necessario adeguarsi
per libera scelta man mano che se ne scopre o se ne disegna il paesaggio (le due ipotesi non sono
contraddittorie). Adeguarsi alla sua unicit, testimoniandola e con ci arricchendo il mondo dell'uomo; e ai suoi
limiti, che sono i limiti di ogni individuo nei confronti della complessit del mondo, fatto di infinite ragioni.
Il problema del Male svanirebbe cos dall'orizzonte, in un "destino" che ciascuno crea per se stesso. In
fondo, il destino che si rivela ad Edipo non che quello derivato dalla sua superficialit nell'affrontare l'enigma
della Sfinge, la banalit della cui soluzione avrebbe dovuto insospettirlo di un tranello teso all'arroganza
giovanile. Anche il biondo Eckbert s'impegol in una vicenda tragica, quanto meno per un mix di sbadataggine e
pervicacia.

Alla base del ragionamento di al-Ghazl c' dunque un assunto che si pone all'opposto dell'ipotesi
razionalista: l'assoluta inaccessibilit alla Ragione umana del Progetto del quale l'uomo stesso, con la sua
esistenza, parte. Nel divino c' una "ragione" che, al massimo, si pu soltanto percepire, e ci soltanto nel
percorso mistico. Sul ruolo di al-Ghazl nel riassumere e indirizzare filosoficamente una "ragione" diversa dalla
Ragione occidentale -un tema che si deve pur affrontare, se si vuol far uscire dell'equivoco un confronto gi di
per s sufficientemente conflittuale- si espresso pi volte Burrell (vedi una sintesi su Islamochristiana, 33,
2007) notando essenzialmente questo: la stroncatura dei falsifa non fu la fine della "filosofia" (se non di quella
mutuata dalla Grecia: ma usualmente si intende per "filosofia" il continuare a "pensare da Greci", ci che, dopo il
messaggio testamentario, a mio avviso improponibile) fu l'avvio di un diverso percorso di "teologia filosofica"
culminante con Moll Sadr.
In altre parole, ci che viene negato, del pensiero occidentale, quell'identit strutturale di pensiero,
linguaggio ed Essere imposta da Aristotele, che tuttavia -sia detto per inciso- va difeso dalle nefande
conseguenze "aristoteliche" cos gravose per l'Occidente. Di fatto egli fu ben pi aperto e problematico, facendo
balenare aporie sulle quali si impostato il pensiero successivo; se mai, c' da dire che egli fu tanto continuatore
del Razionalismo platonico da elaborare l'Organon per dare un fondamento a quella Ragione classica che, in
Socrate e Platone, non aveva davvero gambe sulle quali reggersi, se non sul discorso sofistico (Socrate) e sul
mito (Platone): esattamente ci che i due intendevano combattere. In fondo, Aristotele, con la rivalutazione della
retorica e dell'arte (entrambe apparentate nell'entimema) come percorsi per la verit, e con la sua dichiarata

1029
inattingibilit delle archai, lascia intravedere posizioni non esplicitate ma singolarmente paragonabili a quelle di
Ibn Taymiyya: delineare la nostra "verit" come una verit "giuridica", tutta interna alla correttezza formale del
discorso, ma sostanzialmente soltanto "indiziaria" rispetto a quel "reale" che poi il vero oggetto della
riflessione islamica. Il famoso principio di non-contraddi-zione, infatti un principio puramente formale, tutto
interno ai modi del discorso, che ne sorveglia la correttezza giuridica, ma che non per questo d accesso al reale.

Prima di proseguire, interrompo per una notazione: il discorso sul rapporto tra Islam e Occidente, che
fu oggetto di una significativa parte della Storia di un altro occidente, non affatto estraneo, anzi, strettamente
connesso al rapporto iniziale di rigetto subto dalla lettura gnostica, rigetto che resta, a mio avviso, la culla del
nostro Occidente ideologico, e che perci costitu l'incipit e il fulcro della mia ricerca. Lo si vedr tra breve: ora
riprendo il filo, e lo riprendo con un inciso che, tra l'altro, aiuta a comprendere meglio come al fondamento delle
culture vi siano le religioni (o, quantomeno, dei puntelli "metafisici"): con buona pace del laicismo di Stato alla
francese (vedere, al riguardo, la critica di Arkoun; e si ricordino quelle di O. Roy). Se non altro, perch il
"fondamento" della Ragione non meno "metafisico" (o extrarazionale) di quello profetico, e perch
l'Illuminismo del XVIII secolo e il fenomeno della secolarizzazione, non paiono pensabili senza il retroterra del
Cristianesimo istituzionalizzato.
Il pilastro del rapporto occidentale con l'esistenza venne dunque ubicato nel concetto di Progresso,
concetto che poteva maturare soltanto nell'ideologia occidentale perch ha un'origine precisa: esso figlio della
fusione intima del messaggio testamentario con il Razionalismo classico, e consiste nella secolarizzazione del
percorso di Salvezza nella Storia, un dislocamento reso possibile dalla pretesa di valutare la "ragione" del
progetto con la Ragione umana, facendo di quest'ultima "la Ragione" senza aggettivi.
Per capire poi quanto intimamente l'Occidente "cristiano" (nel senso che l'Istituzione dette al
messaggio) abbia introiettato l'esigenza del Progresso quale metro di verit, si pu risalire a Kant, il quale
rifiutava di perder tempo con la metafisica perch, in tale disciplina, non si poteva constatare alcun progresso;
anzi, il "progresso" era istituzionalmente impossibile. Tutto questo pur vero, ma si dimentica un particolare:
non c' sguardo che traguardi il mondo se non da un punto d'osservazione metafisico. Anche la convinzione che
si possa formulare un solo sapere, quello "scientifico", si radica in un presupposto metafisico (materialista)
quindi non "scientifico".

Riprendo dunque il filo dopo l'inciso, sottolineando perci che il metro del Progresso come rapporto
con l'esistenza, il risultato di una vicenda ideologica tutta peculiare all'Occidente, e che il lontano incipit
dell'Occidente pu ravvisarsi nell'emarginazione della prospettiva gnostica.
Parimenti connessa a questa vicenda la pretesa di valutare ogni fenomeno -e qui ci riferiamo al
fenomeno religioso- unicamente nel crivello del sapere scientifico. Altrove questo non accadde, ma la
convinzione del Progresso, sostenuta, e, in un certo senso, suffragata, dalla "ragione" della forza (tecnologica,
economica, militare) cos guadagnata, pot sostenere, anche in buona fede, il tentativo di colonizzazione
culturale del pianeta. singolare constatare, che precisamente il venir meno della forza, abbia indotto a
dubitare della certezza della Ragione occidentale circa il proprio futuro.
Questa Ragione occidentale, sostiene Arkoun, ha manifestato una notevole incapacit di comprendere
le ragioni dell'Islam, a partire dall'analisi cui ha sottoposto il testo sacro, un'analisi che egli inserisce nella logica
del Positivismo, e che non ha alcuna capacit di comprendere il testo come atto di fondazione di una cultura e
come fenomeno religioso: in altre parole, la sua "verit" storica. Secondo la complessa argomentazione di
Arkoun, che non mi compete discutere in questo contesto, il fenomeno del fondamentalismo va inquadrato, con
tutta la sua negativit che danneggia e stravolge la stessa natura dell'Islam, nell'ambito della reazione identitaria
di una cultura e di una religione contro la tentata colonizzazione da parte di una Ragione maturata altrove e
avvertita come del tutto estranea.
Nel conflitto ideologico che ne emerso, egli vede dunque in atto due opposti dualismi, messi in moto
dalla Ragione occidentale: ed interessante constatare che ci coincide con quanto sostenevo vent'anni or sono,
nel testo che qui si ripropone, a proposito dello Gnosticismo e della conseguente logica della marginalit: al
Razionalismo egemone ne corrisponde uno subalterno, entrambi dualisti con ribaltamento di segno (il Bene
prende il posto del Male e viceversa). Per chi conosce il testo definitivo della Storia di un altro occidente, punto
d'arrivo dell'analisi abbozzata ne La Gnosi. Il volto oscuro della storia, il riferimento non pu che correre
all'affermazione conclusiva del Cap. 2 di della sezione "Dopo e a lato", dedicato all'Islam: "La marginalit
sembra aver creato, per la prima volta, una propria societ: e l'Occidente ritrova sui propri confini geografici e
sociali il fantasma che pensava di aver bandito per sempre da s". O, anche, a quanto si constatava
nell'Appendice alla V edizione: la vicinanza tra l'estremismo eversivo secolarizzato dell'odierno occidente e il
fondamentalismo islamico.
L'analisi condotta partendo dallo Gnosticismo e mettendo a fuoco la natura ideologica dell'epistme
razionalista occidentale, usata come arma nella disputa antignostica, e come scudo nel percorso di
istituzionalizzazione, rendeva infatti necessario ci che, in prima istanza, si era appena accennato: analizzare il
rapporto dialettico con l'Islam a partire dagli sviluppi del Cristianesimo/Giudeocristianesimo orientale, con il suo
posizionamento periferico rispetto alla normativa romanocentrica.

1030
Ora, cosa nota (lo ricorda Arkoun, ma lo diceva gi Bausani) che il Profeta era tutt'altro che
illetterato (traduzione che si vuol dare alla parola umm) e che la sua predicazione nacque in ambiente cittadino,
aperto alla presenza della variegata religiosit giudeocristiana, della quale era egli ben a conoscenza, come hanno
mostrato vari studi e come mostra la messe di riferimenti presente nel Corano (si veda la bella edizione curata
nel 2009 da Ab Sahlieh, per le edizioni L'Aire, di Vevey). Il problema del testo coranico, se mai, quello di
liberarlo, come invoca Arkoun, dal percorso interpretativo determinato da Shfi e dagli ulem (si vedano i
Capp. 1 e 2 di "Dopo e a lato") e dal connesso mito del "testo increato".
Certamente Bausani risentiva della sua ottica Bah, ma la rilettura metaforica, la diversa concezione
del ciclo profetico inteso come irruzione periodica, e del Millenarismo come fine di un mondo (non del mondo) -
tutti temi da lui proposti- spalancano la via di una comprensione che lascia aperta un'inquietante (per
l'Occidente) ma affascinante ipotesi: l'Islam come "luogo" nel quale si era proseguita, nei modi originali di una
nuova Profezia, una nuova sintesi, una nuova fondazione della societ, la comprensione dei due Testamenti
nell'accezione che l'Occidente platonico-aristotelico mise al bando.
Che poi la piega si facesse settaria (e non illuminata, come vorrebbe Arkoun, e come si delinea da al-
Ghazl, a Sohraward, a Ibn al-Arab, a Moll Sadr, per non dire degli sviluppi mistici/esoterici) grazie ad una
"ortodossia" pronta a mettere al bando ogni diverso percorso, come quello che dall'Ismailismo conduce al Bb,
un'altra storia. Altra storia anche il ricordare che tutti i tentativi delle marginalit, anche di quelle occidentali,
di tradurre in prassi con la violenza le proprie utopie trasformate in atopie, hanno sempre prodotto pessimi frutti.

Che cosa significa, in conclusione, questa lunga digressione aperta a partire dalla critica alla ragione
occidentale? Semplicemente questo: che il problema che si apr in occidente con la messa al bando dello
Gnosticismo tuttora aperto; e che lo sia, lo testimonia non soltanto la lunga ombra che lo Gnosticismo proietta
sulla modernit (lo Gnosticismo non fu una malattia, come si credette, fu la febbre sintomatica della malattia
della Ragione occidentale) ma anche l'incancrenito rapporto di incomprensione reciproca, se non di estraneit,
dell'Occidente con l'Islam: un rapporto di progressivo estraniamento che ha il proprio haut lieu nel XIII secolo,
ma che non consente di consegnare l'Islam all'orientalistica. L'Islam non quel che appare, un corpo estraneo,
lo sviluppo di ci che noi mettemmo al bando, e che tuttora non vediamo e non capiamo. De hoc, satis.

Torniamo dunque a parlare del testo che si ripubblica ora online. La seconda considerazione che mi
guidava sin da allora, e che resta uno dei temi sui quali ritorno abitualmente, era dunque connessa alla prima, ed
era levidenza della tensione politico-ideologica nel cui ambito prese forma il Razionalismo classico, quello di
Platone e del suo Socrate, poi sistematizzato in modo pi ampio e ragionato (di qui le aporie che aprono a nuovi
esiti) da Aristotele. La cosa non di piccolo momento: infatti, poich sul quel pensiero si formata la cultura
delle classi dirigenti occidentali -religiose e politiche- succedutesi nei secoli; e poich questa cultura ha costituito
il regime (sempre sensu Strauss) che ha fatto s che loccidente si identificasse come Occidente, mi apparve
evidente la natura puramente ideologica di questo Occidente, altra cosa dalloccidente reale, infinitamente pi
problematico per le tante marginalit che ribollono nella sua pancia.
"Marginalit", l'Occidente ne ha sempre avute nella pancia, ed ci che trattai finalmente in dettaglio
nella Storia di un altro occidente, il mio testo definitivo sulla questione. Ma gi ne La Gnosi. Il volto oscuro
della storia, avevo ricordato alcuni aspetti della societ nella quale era fermentato lo Gnosticismo. Vogliamo
ricordarli? Crisi della piccola borghesia travolta dalla concentrazione delle ricchezze e non pi sovvenzionabile
dallo Stato; proletarizzazione dei ceti medi; denatalit come conseguenza; formazione di nuovi immensi
patrimoni per una classe di speculatori; arricchimento di parvenus (i Liberti) e collasso dell'economia
tradizionale a seguito della "globalizzazione" conseguente all'unificazione di un vasto mondo nell'Impero;
diffondersi di scuole di pensiero portatrici di critica radicale alla societ; distacco di molti dalla societ stessa;
rifugio nei percorsi individuali; diffondersi della magia a illusione di speranze irrazionali per chi non vede pi
una propria collocazione nella dinamica sociale.....Ricorda qualcosa, questa descrizione?
Ricorda qualcosa la vicenda di Imperatori passati alla storia come dementi e criminali, mentre erano
forse soltanto dei poveri mortali impossibilitati a frenare una deriva inarrestabile? E allora, la parabola della
Chiesa di Roma in direzione del IV e V secolo si capisce meglio come quella dell'ultima sponda cui tent di
aggrapparsi l'Impero prima di affogare. La sponda che ne raccolse i resti per lasciarli in eredit a un mondo
nuovo, tutto da inventare: l'Occidente, con la propria ideologia.
Ora, una ideologia, con la sua contingente ragione storica, qualcosa che nasce, che conosce vittorie e
sconfitte, ma che, come tutto ci che nasce, destinata a conoscere la morte e a lasciare soltanto un ricordo,
buono o cattivo, di s. La natura contingente dellideologia di Occidente contrasta perci con la sua pretesa di
conoscere e additare ai dissenzienti le vie del futuro e il traguardo della Storia (anchessa in maiuscolo dai tempi
di Hegel). Pretesa che, oltretutto -si badi bene al punto- non che la pretesa di trasferire in terra il mito che fu
elaborato per disegnare gli eventi di una storia celeste. Un pasticcio ben poco razionale (infatti ideologico, e
l'ideologia non che la "razionalizzazione" di una passione) nel quale dunque lastratta geometria della Ragione
razionalista non disdegn il connubio contro natura con il mito: il mito che essa intese abbattere sin dai tempi di

1031
Socrate! singolare che le visioni gnostiche presentino abitualmente castissime entit spirituali pronte a
fornicare con la lasciva materia, salvo tentare poi di far dimenticare lincidente: la contraddizione sembra il
risultato finale dei processi logici fondati sulla separazione degli opposti (lo sapevano gi gli Scettici) sicch il
fondamento della Ragione puramente fideistico (lo sapevano gi i Sofisti, razionalisti sino in fondo).
Pensare, dicevo una volta, tentare di porsi in luogo altro da quello nel quale si : dove si
limpersonale, cio il luogo comune del pensiero dominante. Nel caso nostro significa dunque scrollarsi di dosso
il mito della Ragione, ricordandone lideologicit e rivalutando in sua vece le ragioni che sono radicate nelle
culture: il dislocamento del pensiero fa allora mutare le prospettive, e si scorgono realt nascoste allo sguardo
distratto dalla chiacchiera. C di pi. Pensare il passato in modo diverso -ci che noi facciamo abitualmente ma
inconsciamente per il nostro personale passato- fa intravedere un diverso futuro. Ricreare il passato tuttuno
col proiettarsi in un futuro diverso. Il tempo lineare un inganno, il tempo tutto qui con noi, nel nostro
presente, da dove creiamo il passato e il futuro.
Questa digressione su argomenti che ebbi modo di ampliare in seguito, ma che erano gi al nucleo del
testo che qui si ripresenta nella sua versione originale stampata (con un tentativo di correzione dei tanti errori di
stampa) ha lo scopo di mettere in luce gli elementi che conferiscono ancora qualche interesse alla sua rilettura
almeno parziale, agli argomenti che lo fondano e al tentativo di trarne una provvisoria conclusione. Provvisoria
perch, come dicevo sopra, passato e futuro sono sempre in contemporaneo divenire: il primo determina il
secondo, ma vale anche il reciproco, contemporaneamente, perch il centro di proiezione di questa lanterna
magica il presente, che continuamente si disloca.

Degli argomenti che fondano la ricerca s dunque detto in sintesi e nei temi principali; sulle
conseguenze che se ne trassero utile riflettere. Il diverso sguardo sul passato che genera una diversa prospettiva
sul futuro sembra trovare una ragionevole conferma in un testo concluso -lo ribadisco e intendo ribadirlo in
modo definitivo- a quattro giorni dalla ormai stucchevole caduta del muro. Dico sembra e ragionevole,
perch, nonostante il mio cattivo rapporto con la Ragione, credo di averne uno tentativamente affettuoso con la
ragionevolezza; per conseguenza, non mi ritengo dotato di virt profetiche, n ho mai pensato di essere, come
Avicenna, un genio dellintuizione. Ritengo viceversa che la ragionevolezza di quelle diverse prospettive,
espresse con decente approssimazione, sia stato il risultato del metodo.
Per esempio, la stupidit gazzettiera con la quale fu accolta la fine del regime sovietico, soffiando a
tutti polmoni nelle trombe della marcia trionfale. Ci su cui non si era riflettuto, era il fatto che il Marxismo
germogliava pur sempre allinterno dellideo-logia occidentale della Ragione, madre del Progresso: un pesce
nellacqua della societ borghese dellOttocento, diceva Foucault. Come tale, con la sua struttura autoritaria, il
Marxismo-Leninismo costituiva un fattore di occidentalizzazione surrettizio per ci che Occidente non era
(penso alle sue propaggini nellIslam, senza dimenticare le differenze che separano da noi il mondo slavo-
ortodosso). In ci esso contribuiva alla stabilizzazione, ancorch precaria e sempre in bilico, dellintero pianeta,
tenendo a freno, pur con crescenti difficolt, pulsioni etnico-religiose tra i cui idoli non figurava la Ragione, il
Vitello doro che condiziona il nostro sguardo sul mondo.
Sembra oggi emblematico che la parabola sovietica si sia chiusa spalancando le porte al Chaos con
lavventura afghana. Era poi cos fantastico il mito di Gog e Magog e delle Porte del Caucaso? Il
Caucaso.....strano emblema del rapporto con il mondo islamico, relativamente prono allOccidente nei secoli
della Ragione -e del colonialismo- trionfante, cio dal XVIII al XX; di nuovo agitato nella crisi di questa. A dirla
tutta, nel colonialismo sembr che la Ragione e la forza andassero insieme: ma se non c stata una forza della
Ragione, si sar trattato di una ragione della Forza.....
Perci, caduto limpero marxista, era abbastanza ragionevole pensare piuttosto a un Occidente
indebolito sul piano del convincimento altrui, nella sua capacit di proporsi come destino del pianeta; e, se
passato e futuro emergono a nuova luce al raggio di un nuovo presente, era ragionevole pensare che la diversit
delle culture (delle storie, delle religioni, delle passioni) avrebbe trasferito il plemos, che di tutto padre,
razionalizzandolo, cio ideologizzandolo, sul piano etnico e religioso, dove la Ragione ha qualche disagio. In
tal modo esso sarebbe divenuto meno controllabile (non si patteggia quando in gioco il senso dellesistenza, lo
sapeva gi Aristotele) e meno prevedibile per quellOccidente che ritiene le ragioni inevitabilmente destinate a
cedere alla Ragione, sin da quando le dxai dovettero cedere allepistme. Le cose che sono accadute e stanno
accadendo erano dunque prevedibilissime in linea di principio, ma, come dice Rm, quando giunta la
decisione (scil. di Dio, del Fato) il sapere non aiuta; la luna si fa nera, si arresta il sole. LOccidente era
semplicemente accecato dalla luce della propria Ragione, della quale non comprende pi la radice ideologica.
Per la precisione, nel testo dicevo: spudoratamente ideologica, cio senza veli (pudore coprire la
nudit) ideologica; e ricordo che quel grande studioso che fu Ugo Bianchi, nel presentare -insieme ad Aldo
Magris- con squisita signorilit il mio testo al C.N.R., ebbe a rimproverarmi garbatamente soltanto
quellavverbio. Eppure, la nascita ideologica della Ragione socratico-platonica nel corso di una crisi politica,
davvero senza veli (come ho tentato poi di raccontare nella Conferenza di Verona del 2009, per la quale cfr.
www.giancarlobenelli.com): lo almeno per chi non si collochi in quella storia della filosofia duramente
contestata dalla Irigaray e dalla Cassin, guarda caso due donne, due alterit.

1032
Questa costruzione che la storia della filosofia con il suo richiamo allorigine nel Razionalismo
classico, marca la continuit del pensiero egemone nellOccidente; e fu precisamente questa constatazione a
offrirmi il bandolo per interpretare il ripetersi nei secoli di fenomeni di contestazione apparentemente
riconducibili a precedenti dottrinali analoghi, di fatto privi di connessioni sicuramente documentabili: lanello
debole era (ed ) notoriamente il passaggio tra lo Gnosticismo antico (e il Manicheismo) e le manifestazioni
medievali, dai Pauliciani ai Catari, questi ultimi con sorprendenti tratti neo-manichei non giustificabili con
alcuna trasmissione dottrinale accertata. Il fatto si , che della trasmissione del Razionalismo classico al
Medioevo era stata portatrice la Chiesa di Roma in qualit di custode di una cultura fatta propria, come notarono
i Libertini. Cos quella cultura divenne il fondamento della cultura tuttora egemone nellideologia di
Occidente. Dei dodici secoli di pensiero greco, del quale molto si perse per mancanza di copiature, quello fu il
lascito principale tramandato dai copisti delle corti e dei monasteri, in un lungo percorso ben guidato che va da
Atene a Roma, a Bisanzio, al Medioevo. Non per nulla esso costitu, come ho avuto occasione di rimarcare,
unideologia del dominio buona per tutte le circostanze: ma non poteva, in quanto Razionalismo, esaurire in s
l'indecifrabile polisemia di un messaggio religioso, con le sue inevitabili testimonianze.
Tutto ci dovrebbe far riflettere i post-illuministi che si ritengono al termine delle sorprese della
storia, inseriti in un percorso traguardabile, circa il ruolo determinante delle religioni nella fondazione delle
culture, perch soltanto esse, con il debordare i limiti del razionalizzabile, possono fornire i parametri per
conferire senso al rapporto delluomo con il mondo, nel suo duplice significato di cosmo e di societ. Soltanto
entro questo spazio che deborda i limiti della Ragione, luomo pu conferire senso alla propria esperienza,
indipendentemente dal fatto che sia credente o meno: la sua cultura di riferimento, quella nella quale
inquadrare il senso della propria esistenza fuori dallautorefe-renzialit.. Si pu accettare o meno questa
premessa, ma da questa premessa stato possibile scorgere un futuro (prossimo) diverso da quello propalato
dai pamphlettisti dOccidente, finito presto nella polvere degli scaffali. Ci non bene, perch loblio degli
errori aiuta il persistere e il riproporsi, con nuove sciocchezze, di una Modernit che, di fatto, vecchia di due
secoli: i fallimenti sono utili e indispensabili soltanto a patto di conservarne memoria.
Se, dopo il crollo del muro, accaduto qualcosa che ha smentito le attese, ci significa
semplicemente che la cultura entro la quale fu inquadrato levento era -e resta- una cultura incapace di cogliere
le coordinate del reale. Lerrore consistito, a mio avviso, nellignoranza del ruolo della religione come
espressione principale del radicamento di una cultura nell'esperienza storica di un popolo, e del carattere
ideologico della nostra "Ragione", nata nei confini delloccidente, che non ha alcuna forza cogente per chi non se
ne senta partecipe: e si pu non esserlo. Soltanto negli artificiosi dialoghi platonici c un interlocutore che
accetta le regole di un gioco impostogli, che non pretende un diverso tavolo, e che si convince della propria
sconfitta uscendo rassegnato di scena con le proprie ragioni nel sacco.
Cos, forse per lillusione che tra un restauro e laltro la casa fosse rimasta quella di prima; o forse
perch, chi si guarda nello specchio ogni mattina, non si accorge di invecchiare impercettibilmente giorno dopo
giorno, nessuno pens che la crisi di un impero altro non fosse che il prodromo della crisi dellaltro.
Tutto questo sarebbe stato di per s piuttosto grave se non si dovesse aggiungervi un altro e pi
decisivo fattore, connesso con la stessa struttura dellideologia di Occidente, che ha costituito il terzo
fondamento-guida della ricerca, dopo il ruolo delle religioni e i confini storici e ideologici della Ragione
occidentale. Infatti, unideologia che si fonda sulla inevitabilit della propria espansione planetaria, qualora
fallisca lobbiettivo e si riveli essere soltanto una tra le altre, con precisi confini storici e geografici, risulter
fallimentare allevidenza, e tender ad implodere anche allinterno dei suoi stessi confini, dove la contestazione
non mai mancata.
Questo il punto che minteressava e minteressa, perch anchio sono un occidentale, e se mi sforzo
di volgere lo sguardo altrove, lo faccio soltanto per riportarlo qui un po meno accecato dalla nostra Ragione, da
un Occidente ideologico che non il variegato e contraddittorio occidente reale, nel quale viviamo e vivr chi
verr dopo di noi. Tento di farlo fuori dagli schemi di una cultura, quella post-illuminista della Modernit,
somigliante ormai a quell'Alibante del Berni, che seguitava a combattere senza accorgersi di essere morto.
Una posizione cos netta senzaltro criticabile da altre prospettive, ma non si pu dubitare che il
testo, con tutto quel che possiede di valido e di non valido, molto sostenuto da questo terzo fondamento, grazie
anche al quale riuscii a formulare qualche non disprezzabile previsione fuori dagli schemi, suffragata dagli esiti
successivi.
Per ritrovare la radice di questo terzo fondamento risalii allo Gnosticismo, fenomeno che, al di l di
ogni sua tentata demonizzazione, addita qualcosa di inaudito: la possibilit di intendere un messaggio come fine
di, e liberazione da, un mondo -per metonimia: una societ- iniquo. l'inizio dell'Utopia, subito negata dal
sempre-eguale. Un fenomeno che mi sembr significativo rileggere nell'esperienza dell'oggi, e tuttavia nei
confini della sua propria storicit. Un'ombra lunga che si proietta su di noi, quindi; ma non l'incubo di Voegelin
che vide -e non volle vedere- la crisi dell'Occidente (ideologico) e si accan contro uno spettro.
La riproposizione di un vecchio testo, trova dunque in questo una sua plausibilit: nel mettere in
evidenza come alcune scelte di metodo abbiano condotto a conclusioni che, a oltre venti anni di distanza,
sembrano aver avuto qualche riscontro fattuale. Ci mi conforta, perch quelle scelte di metodo sono rimaste
costanti in tutta la mia ricerca successiva.

1033
Sono scelte di metodo che, a ben vedere, si rinviano circolarmente tra loro, ma ci normale, perch il
limite di un pensare coerente necessariamente la circolarit, dalla quale pu uscire soltanto altro e diverso
pensiero radicato in altre storie personali o oggettive. Quelle scelte si possono per combinare tra loro
offrendo su ogni argomento prospettive diverse, non necessariamente e non sempre scontate, senza fare di un
racconto un monologo.
C per su tutte una quarta scelta, che ne deriva o che forse ne a monte, mi difficile dirlo: quella
ricordata allinizio, il presupposto che ripensare, cio ricreare il passato schiude il pensiero alla possibilit di
un diverso futuro. A ben vedere, questo il fondamento anche del rapporto tra storia e Utopia del quale ho
parlato pi volte. Parafrasando Agostino, vorrei dire: anni nostri omnes simul stant.

Gian Carlo Benelli


Marzo 2010

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RASSEGNA BIBLIOGRAFICA RAGIONATA SULLE ORIGINI DELLISLAM
E LA LORO IMPORTANZA NEL DETERMINARNE I SUCCESSIVI SVILUPPI

1 - Dal problema delle origini alla formazione di una retta opinione


Ci si pu domandare per quale ragione io abbia stimato necessario questo ritorno -non il primo!- su un
argomento gi trattato, e che ha gi avuto un posto di rilievo nella sezione intitolata Dopo e a lato. La domanda
tanto pi lecita in quanto questo testo, che ormai supera le 1000 pagine, stato intitolato alla Storia di un altro
occidente e si era concluso, nella precedente edizione, con un lungo capitolo sulla crisi dellOccidente odierno
La ragione insita nella stessa idea di tracciare una storia di ci che lOccidente, nel corso della sua
lunga gestazione ideologica, aveva espunto da s considerandolo cosa altra rispetto alla propria ideologia, quella
che per chiarezza ho contrassegnato con la O maiuscola al fine di non confonderla con loccidente reale, che
abbiamo visto essere cosa alquanto pi problematica.
Infatti, se le tesi del testo sono valide, le istanze emerse con il messaggio testamentario ma respinte
dalla costituenda ortodossia, debbono pur avere proseguito la propria storia altrove, perch le istanze non
vengono meno per un atto dautorit che ne dichiari la nullit ontologica: esse hanno una propria ragion dessere
e sopravvivono, magari altrove e in altre forme, in attesa di ripresentarsi dietro il primo angolo della storia.
Anche questo lo avevamo visto, e nello stesso occidente, nonostante le ripetute sconfitte. Avevamo anche visto
che esse avevano trovato un rifugio, bench malsicuro, in quel luogo che chiamiamo Oriente non soltanto per
motivi geografici, ma anche -e soprattutto- per mettere in chiaro che si tratta di un luogo rifiutato (per i non
allineati: vagheggiato) perch non aveva le credenziali giuste per far parte del nostro mondo. Certo, a molti era
sembrato il luogo delle origini della umana sapienza, ma erano degli outsiders, non ultimi i protagonisti della
Frhromantik: poi venne il colonialismo e la paccottiglia di una borghesia in cerca di sensazioni turistiche che la
portassero ad evadere dalla puritana societ industriale, ma di certo fiera di essere figlia della Ragione.
Tornando a quel rifugio, avevamo anche notato che di l le cattive idee avevano la ancor pi cattiva
abitudine di ritornare di tanto in tanto nel nostro lustro palazzo, e fu per questo che, dopo aver parlato un po di
Bisanzio, ci eravamo dovuti rivolgere al mondo islamico per trovarvi la fonte di strane infezioni che di tanto in
tanto si affacciavano ad impensierire lOccidente, segno di una segreta affinit genetica. Fu cos che, in Dopo e a
lato, mi sembr giusto trattare a lungo il problema delle origini dellIslam e dei suoi sviluppi, per convalidare la
tesi che avevo gi espressa, di un suo legame con i fermenti del Giudeocristianesimo e di tutte quelle letture del
Messaggio che avevano trovato le pi variegate espressioni (incluso lo Gnosticismo e il Manicheismo) nel
mondo mediorientale. Avevo espresso questa convinzione fondandomi sugli studi di numerosi autori, ma non
potevo nascondermi che le opinioni al riguardo sono varie e dissenzienti.
Va detto infatti, che dopo i grandi studiosi a cavallo tra il XIX e il XX secolo, assai scettici sulla
Vulgata islamica, e dopo decenni di inversione di tendenza con la relativa (ancorch critica) acquiescenza ad
essa, gli ultimi decenni, che hanno visto emergere di nuovo un forte scetticismo (portabandiera la Crone, sulla
quale ci siamo dilungati) hanno creato una sorta di Kulturkampf tra i sempre pi numerosi scettici o
revisionisti e un agguerrito gruppo di studiosi neotradizionalisti, circa la possibilit di conoscere la realt
(storica, culturale, ambientale e quantaltro) del primo Islam, da contrapporsi allIslam a noi noto, da ritenersi,
con buone ragioni, una creazione ideologica nata tra la fine del VII secolo e linizio del IX.
Poich resto fermo nella mia convinzione di un rapporto diretto tra il messianesimo giudeocristiano e
il sorgere dellIslam come soluzione originale data alle lunghe contese interne al monoteismo testamentario, nel
quale lIslam si radica non soltanto per levidenza riconoscibile, ma essenzialmente -ed ci che conta- come
sbocco di esigenze presenti in quel messaggio e rimaste senza voce nel contesto delle neonate ortodossie, ho
voluto quindi sviluppare questa rassegna delle opinioni correnti e contrastanti dei vari studiosi su un argomento
del quale, a voler parlare schietto, sappiamo pochissimo, ma sul quale bene tener ferma lattenzione, cercando
di comprendere al meglio lo spirito che percorre questo pensiero, questa utopia, questo rapporto con il mondo.
Comprenderlo non soltanto nella sua componente genetica, ma anche nella coerenza che con essa hanno i suoi
molteplici sviluppi: da quelli che abbiamo visto condurre alla Sha estremista (Gnostica) e allIsmailismo, a
quelli che hanno portato al rigido tradizionalismo sunnita, sino ad Ibn Taymiyya, a quelli che hanno condotto
alla teosofia ishrq e alla mistica sf. Perch il mio sospetto questo: nel momento di una sua innegabile crisi
lOccidente si trova dinnanzi a un revenant, a quella che ho gi definito lombra di Banquo. Il volto oscuro di
una vicenda, quella del messaggio testamentario le cui implicazioni pi inquietanti furono espulse dalle rive nord
del Mediterraneo, torna ad affacciarsi dalle rive sud; perci, per prima cosa, dobbiamo capire quanto della nostra
storia c allorigine di quella storia.
Ultima notazione: per la sua natura di rassegna, questo testo redatto in modo molto schematico,
sicch lesigenza di una ragionevole completezza dellinformazione oggettiva induce, per economia, ad una
sintassi scheletrica dellesposizione. Diverso il discorso laddove il commento di chi scrive rende necessaria
unesposizione pi elaborata. Ci detto, mi inoltro rapidamente nellargomento partendo casualmente dalla
citazione di un testo sul quale torner pi tardi, a discussione inoltrata.

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Nel testo di Shoemaker, In Search of Urwas Sra: Some Methodological Issues in the Quest of
Authenticity, Der Islam, 85, 2, 2008, che rappresenta una recensione critica allopera di Grke e Schoeler (cfr.
infra, p. 1087) le conclusioni riassumono chiaramente il problema che si pone allorch si affrontano le origini
dellIslam, problema dal quale germogliata la scuola scettica: ahdth e Corano nascono verso la fine del I
sec. H. per creare unepopea religiosa e guerriera che faccia del popolo arabo e del suo Islam un popolo e una
religione giustamente destinati al dominio del mondo. Ci che realmente era avvenuto (lorigine della
predicazione del Profeta, la sua stessa figura, la sua politica anche religiosa, i modi dellespansione) una storia
avvolta da una zona grigia che non pu essere illuminata dai falsi della Vulgata islamica. Sullanalisi del testo di
Shoemaker torner infra (p. 1089); per ora faccio un primo accenno alle opinioni di Motzki, oggetto anchegli
della critica di Shoemaker.
In Motzki, Dating Muslim Traditions, Arabica, 52, 2005 si notava, al contrario quanto segue:

- a p. 220 Motzki mette in luce tutti i passaggi ipotetici dei metodi criticati (scil.: i vari metodi fondati sullanalisi
degli asnd e dei matn, da Goldziher a Juynboll e Cook) per dedurne la ovvia non certezza dei risultati: ovvia
perch unipotesi -quale quella che guida la loro ricerca- non niente pi di unipotesi. Su questo Motzki ha
ragione, egli per sembra ignorare la necessit di procedere con i limiti dellipotesi, perch la non verificabilit, per
non dire le contraddizioni, della Vulgata islamica, costringe a tentare di formulare unipotetica storia alternativa,
guidata da ipotesi le pi ragionevoli possibili. I limiti evidenti dei metodi criticati non consentono dunque di
rivalutare quella Vulgata che comunque uninvenzione. Al riguardo debbo notare -questo lo vedremo in seguito nel
corso dellesposizione- che il quadro storico parla chiaro circa unorigine dellIslam in ambiente giudeocristiano, e
che le tracce di tale origine sono presenti nel Corano e negli ahdth. La scuola scettica ha certamente i propri
limiti; essa non d certezze, parte soltanto dallevidenza della inattendibilit della Vulgata, ma si sviluppata per
ottime ragioni. Senza giungere alle provocazioni di Hagarism evidente che la Vulgata un falso storico costruito a
posteriori sulla zona grigia delle origini, forse dimenticate: un falso storico costruito ad arte e per ragioni
ideologiche contingenti. Relativamente al testo di Motzki noto inoltre in particolare:
- a p. 222 Motzki non pu pretendere di attribuire storicit ai single strands, cio a quelle catene di trasmissione che
passano da un singolo trasmettitore a un altro singolo trasmettitore, che Juynboll considera inventate: vero che non
tutti i single strands potrebbero essere falsi, ma nessuno, in quanto single, pu ottenere la controprova della propria
veridicit.
- a p. 226 si ripete lo stesso passaggio indebito: la non certezza che lisnd sia falso non pu rendere vera la tradizione
trasmessa per il solo motivo che non si pu escludere che essa sia vera. Lunico approdo cui pu condurre la critica di
Motzki un relativismo che non giova a nulla: tuttal pi porta ad arrestarsi davanti alla zona grigia e a rinunciare a
capire la nascita e il primo sviluppo dellIslam.
- a p. 235, laffermazione di Motzki che non si pu pensare che tutti i trasmettitori di tradizioni costituissero una
banda di falsari, ha una sua ragionevolezza ma cade nel vuoto, perch non considera il modo col quale si forma, in
tema di agiografia, il falso collettivo in buona fede.
- a p. 253 il relativismo del capoverso conclusivo sfonda porte aperte ma conduce nel nulla, a causa della realt
incontestabile della zona grigia e dellentit del suo grigiore. Sottolineare lalta ipoteticit degli assunti dai quali
parte la scuola scettica, non ha come logica conseguenza la rivalutazione della Vulgata. Si tratta di un falso
sillogismo.

La storia degli eventi dellinizio e della prima espansione, con tutti i suoi punti oscuri, un problema
che si pone a tutti gli storici, scettici o col turbante nel cervello che siano; le loro conclusioni sono sempre in
qualche modo insoddisfacenti per la necessit di dover superare la zona grigia avendo soltanto due alternative:
accontentarsi di un racconto agiografico nato a posteriori o formulare ipotesi che hanno tutti i limiti di ogni
ipotesi, quindi non costituiscono certezza. Tuttavia, lorigine della religione islamica nelle forme che
conosciamo storicamente, e con ci le radici della cultura islamica quale essa si manifesta, con le sue
convergenze e le sue divergenze dalla cultura dellOccidente: quellorigine s, minteressa, altrimenti non avrei
condotto questa lunga indagine che parte dallo altro occidente.
Ora, quellorigine si colloca, per quanto dato di congetturare, nella religiosit delle tante eterodossie
giudaiche, cristiane e giudaicocristiane che pullulavano nella penisola araba e che ne costituivano il sottofondo
religioso, al netto di quel paganesimo (jhiliyya) attestato, s, nelle tradizioni, ma elevato sovente al rango di
principale interlocutore nel mondo preislamico. Il termine jhiliyya (paganesimo, ma anche, pi generalmente,
ignoranza dellIslam) , del resto, cos generico da estendersi, per un fondamentalista islamico, alla cultura
delloccidente tout-court. Sembra comunque che il mondo arabo pre-islamico fosse, anche in presenza di idoli,
sostanzialmente monoteista (cfr. M.J. Kister, Labbayka, Allhumma, Labbayka..., J.S.A,I., 2, 1980).
La variegata religiosit testamentaria che abbiamo ricordato, fu dunque rielaborata dal Profeta in un
originale messaggio dal quale scatur lIslam, non per caso posto come vera religione in alternativa alle altre
due (Giudaismo e Cristianesimo) accusate di aver dimenticato o contraffatto il lascito veterotestamentario al
quale lIslam stesso intendeva richiamarsi, in una versione tutta sua.
Questo per fu soltanto linizio di un processo che richiese poco meno di un secolo per condensarsi in
un libro e in una tradizione, ci che avvenne nel preciso momento nel quale gli Arabi, identificandosi con una
propria originale religione, codificarono una propria epopea delle origini che ne faceva i destinali conquistatori
di un mondo. Il processo di definizione religiosa in direzione di una ipotetica ortodossia continu poi ben pi a

1036
lungo, sino alla vittoria degli ulam, alla fondazione dellusl al-fqh, allaffermazione dello ahl al-sunnah wa
l-jama: eventi che coprono un periodo di circa 200 anni e che si possono seguire storicamente.
Levidenza di una evoluzione a partire da oscure origini che appare al di l di ogni ragionevole dubbio
-almeno per chi non si consegni alla Vulgata islamica- pone tuttavia un problema circa i modi concreti in cui
essa avvenne nel corso delloscuro primo secolo, quello che va dalliniziale predicazione del Profeta (610-622
d.C.) e dalla sua morte (632 d.C.) al periodo degli Omeyyadi (685-750). Il problema : questa evoluzione che
lampeggia nel Corano e nella cronologia supposta degli ahdth e dei loro testi, come avvenne? attraverso quali
vicende?
Per questa ragione levoluzione religioso-culturale (i due elementi non vanno mai separati) non pu
scindersi da quella storica; ma la Vulgata islamica, coagulatasi tardi rispetto agli eventi narrati, oltre a non
ricevere conferme esterne dai documenti coevi di origine non islamica alquanto silenti, non offre alcun appoggio
alla constatata evoluzione religiosa. Questa pu essere compresa soltanto a partire dalle ipotesi (ch tali sono) di
studiosi, che, pur non appartenendo in senso stretto alla scuola scettica, senza giungere per lappunto alle
provocazioni di Hagarism, mostrano comunque il carattere artificioso della Vulgata islamica. Con tutti i loro
dubbi e divergenze di opinioni, questi studiosi che mantengono un atteggiamento fortemente critico, pur non
costituendo un fronte dottrinale omogeneo offrono infatti il quadro pi attendibile, ancorch necessariamente
fondato su ipotesi. La differenza tra essi e i rappresentanti della scuola scettica si riassume nel modo di accostarsi
alla Vulgata: mentre questi ultimi ne sostengono linutilit (e magari inventano storie alternative), i primi si
sforzano di raggiungere non tanto un nucleo di verit (c anche chi a ci si adopera) quanto gli indizi di un
processo storico nascosto sotto le invenzioni e rintracciabile attraverso la loro analisi critica
Se il quadro sin qui esposto accettabile -pur con i suoi dubbi- sicch i risultati di un atteggiamento
radicalmente critico verso la Vulgata sembrano gli unici sui quali si possa ragionare abbandonandone gli aspetti
agiografico-ideologico-politici, viene allora confortato quanto ho sostenuto da sempre nella storia dello altro
occidente.
Viene confortata losservazione che lideologia di Occidente e lIslam sono i due esiti antitetici
scaturiti da una medesima radice, il messaggio testamentario nelle sue molteplici possibilit di lettura, che in
occidente furono messe al bando da una istituzionalizzazione avvenuta allinsegna del Razionalismo classico,
mentre nel mondo mediorientale proliferarono dispiegando la propria variegata potenzialit eversivo-
rivoluzionaria sinch non furono rielaborate in nuova propositivit dallopera geniale di un Profeta-guerriero.
Questa osservazione consente di comprendere in una nuova e pi significativa luce la facilit con la quale la
cultura proveniente dal mondo islamico pot far scaturire nuove eterodossie nelloccidente medievale,
innestandosi su un substrato rimosso ma mai eliminato dalla cultura egemone. Nel VII secolo dalleterodossia
nacque lIslam; nel XII lIslam genera in occidente nuove eterodossie (nuove rispetto a quelle che viaggiarono
sullasse Roma-Bisanzio-occidente). Tra queste cospicua fu la cultura alchemica, giustamente definita come una
forma di religione alternativa (cfr. p 430). Il tutto allinsegna di quella visione ontologica genericamente
neoplatonica (pi o meno popolare secondo un tradizionale giudizio sul quale esprimemmo perplessit) che
in modi diversi e contraddittori caratterizz ovunque la lettura razionale -cio dottrinale, tanto egemone quanto
marginale, con esiti opposti per lopposto Erlebnis- del messaggio testamentario.

Tra coloro che si discostano dalla scuola scettica in nome di unanalisi critica dei testi (cio delle
tradizioni) che metta la Vulgata in grado di parlare il suo non-detto sulla storia del primo Islam, interessante
lanalisi di F.M. Donner, Narratives of Islamic Origins, Princeton, The Darwin Press, 1998, che si muove sulla
scorta di A. Noth, The Early Arabic Historical Tradition, 2nd Ed. in coll. with L.I. Conrad, Princeton, The
Darwin Press, 1994. Questultimo aveva notato nella storiografia araba la sospetta ripetitivit di stereotipi (tra i
quali il motivo della superiorit dei Compagni) che denuncia una visione artificiosa del primo Islam, costruita
in epoca pi tarda: in mancanza di documenti originali si ripetono schemi formulari analoghi per eventi diversi.
Sappiamo infatti che ci vollero molti anni prima che si tentasse una datazione degli eventi stessi, al punto che v
incertezza persino sulla data di nascita del Profeta (cfr. Conrad, 1987, cit. in Bibl. a p. 1014); la tradizione fu
inizialmente orale e mancava unannalistica. Si proietta, nella lettura degli eventi, un atteggiamento
anacronistico circa la societ e le strutture del governo del primo Islam, ci che denuncia una costruzione
avvenuta in epoca pi tarda. Vi sono degli evidenti falsi (ad esempio il viaggio di Umar a Gerusalemme,
verosimilmente un hadth nato ai tempi di Abd al-Malik per dare sacralit a Gerusalemme nel momento nel
quale la Mecca era nelle mani dellanticaliffo Ibn al-Zubayr (pp. 180-182); sullargomento vedi anche Busse,
1986, infra). Vi sono poi tpoi che, pur avendo potuto avere origine da fatti storici, sono ripetuti per riempire
vuoti interpretativi. Del resto, vicenda nota che la nascita degli ahdth risalga allepoca omeyyade con al-
Zuhr, argomento sul quale vedi anche C. Cahen, Lhistoriographie arabe: des origines au VIIe sicle H.,
Arabica 33, 1986.
Partendo dunque dalla necessit di esaminare criticamente i testi, Donner si pone una domanda
propedeutica: per quale ragione i Musulmani iniziarono a scrivere la propria storia? Donner segnala innanzitutto
una cosa, che lo vede daccordo con Rubin (infra): un errore considerare il materiale della Sra, cio la
documentazione sulla vita del Profeta, come unelucubrazione cresciuta a commento del Corano; esso, secondo
Donner, fornisce, al contrario, indicazioni sulle origini indipendenti dal Corano. Egli nota inoltre che le diverse
1037
ortodossie dellIslam (Sunniti, Shiti, Khridjiti) sono sostanzialmente daccordo sui fatti relativi alla storia
delle origini, al di l delle proprie differenti posizioni. Tra questi fatti ve ne sono alcuni di indubbio interesse che
vedremo segnalati anche da Rubin; qui ricordo lepisodio segnalato da M.J. Kister, A Bag of Meat: A Study of an
Early Hadth, B.S.O.A.S., 33, 1970, che fa balenare lesistenza di una fase idolatra nel giovane Maometto, prima
della sua Rivelazione, ci che smentirebbe i racconti sulla isma, cio sulla sua natura resa estranea al peccato
grazie allintervento angelico (su questo e su una testimonianza antica e molto pi credibile circa lapparire della
rivelazione, cfr. Rubin infra). Donner peraltro insiste molto, in opposizione alla scuola scettica, contro la tarda
et del Corano cos come lo conosciamo, che, vorrei notare, tuttavia altra cosa dallet di singole sre o
versetti. Su questo argomento si gi trattato nel testo, e tuttavia vi torner nuovamente esaminando lopera di
de Prmare (infra); per ora mi limito a segnalare lintervento di G.R. Puin, Observations on Early Qurn
manuscripts in San in Wild, The Qurn as a Text, cit. in Bibl. a p. 1015, il quale sostiene (p.111) che
dallesistenza di questi frammenti si pu affermare che la pi gran parte delle sre non furono scritte e sistemate
nella loro forma finale al tempo di Maometto e che ci pone domande su che cosa fosse il Corano al tempo dei
quattro Califfi ben guidati (p. 110). Per completezza debbo tuttavia segnalare anche che le affermazioni di
Puin sono state radicalmente smentite in un recente e documentato articolo di B. Sadeghi e M. Goudarzi, San
and the Origins of Qurn, Der Islam, 87, 1, 2010 (pp. 1-129) che analizza un testo abraso del Corano, le cui
tracce sono presenti sotto quello attualmente visibile sulla pergamena, e ritiene che le varianti di questo testo (da
loro datato al 650 grazie ai risultati del radiocarbonio, ma che con certezza pu essere ritenuto soltanto non
posteriore al 670) siano perfettamente compatibili con il testo uthmnico, con ci confermando unesistenza del
testo sacro nella sua formulazione canonica (non nella disposizione delle sre), sin dal tempo dei Compagni. Al
riguardo non si pu tuttavia ignorare che R. Hoyland, New Documentary Texts, and Early Islamic State,
B.S.O.A.S., 69, 2006, ha segnalato, a p. 406 in n. 54 e da fonte orale che sembra attendibile, linattendibilit
delle datazioni al radiocarbonio del documento di San: sicch sembra si possa ragionevolmente concludere
che il valore cronologicamente testimoniale del documento sia ancora puramente ipotetico.
Per Donner comunque, il problema non quello dellantichit del materiale, ma dellet della sua
sistemazione nellattuale forma. Senza contare il legittimo sospetto di alcuni sulla sra 17 (Il viaggio notturno)
per la quale pu valere quanto notato circa il viaggio di Umar a Gerusalemme. Ad ogni buon conto Donner,
come Rubin, tiene ben distinto il materiale del Corano, di natura liturgica, da quello degli ahdth a contenuto
storico: il Corano infatti non fa cenno ai contenuti politici degli ahdth. In alcuni ahdth compare un
substrato storico antico, anche pre-islamico, anche quando questi sono di epoca tarda, ad esempio abbside; la
forte presenza in altri di Profeti Giudei e Cristiani, maggiore che nel Corano, fa di essi un elemento di
autorappresentazione dellIslam, come il fatto che nel Corano il Profeta appare come un semplice uomo (su
questo vedi linteressante analisi di Sellheim, infra). Ci non toglie, debbo notare, che molti ahdth siano
decisamente tardi, come quelli su Umar a Gerusalemme discussi da Busse, o sulladulterio, trattato da de
Prmare, Prophtisme et adultre. Dun texte lautre, RE.M.M.M. 58, 1990/1994 (infra).
Interessanti sono le considerazioni di Donner sul rigido pietismo della nuova fede: apocalitticismo e
una notevole aridit umana, che rende irreali personaggi come quelli della Sra di Giuseppe (per la quale fa
riferimento a Johns e a Stern, i quali peraltro si occupano dellepisodio [Sra 12] sotto altro profilo). A.H.
Johns, Joseph in the Qurn: dramatic Dialogue, Human Emotion and Prophetic Wisdom, Islamochristiana 7,
1981, vi vede infatti un utilizzo strumentale del racconto, volto al fine di creare modelli di ruolo per i
Musulmani proiettando sul Profeta le figure ora di Giuseppe, ora di Giacobbe. Anche M.S. Stern, Muhammad
and Joseph: a Study of Coranic Narrative, J.N.E.S., 44, 1985, vede uno specchiarsi del Profeta nel modello di
Giuseppe; debbo tuttavia segnalare che il suo articolo introdotto da una premessa (non necessaria)
sullambiente religioso della Mecca che mi sembra poco sostenibile, perch trascura la presenza cristiana tra le
radici culturali della predicazione del Profeta, cosa che gli riesce possibile soltanto perch egli tende a delineare
tale presenza in base alla presenza dellortodossia e dei libri canonici. Il quadro era in realt ben diverso, come si
evince dallo stesso testo coranico. Su questo problema (Giudaismo, Cristianesimo e Giudeocristianesimo alla
radice dellIslam) torneremo infra esaminando limportante lavoro di Wasserstrom; tuttavia bene ricordare che
tutti questi gruppi aspettavano un Messia che fu poi identificato con Maometto; e che lattesa del Messia (in
questo caso come seconda Parusia) un tratto del Millenarismo giudaico che passa in eredit anche al primo
Cristianesimo, come s visto a suo tempo. Da questultimo il Millenarismo, duramente combattuto dal realismo
politico della Chiesa di Roma, scompare formalmente soltanto con la scomparsa del Montanismo allinizio del
IV secolo (cfr. p. 74 in n. 120, supra). Per conseguenza, soltanto se ci si rapporta astrattamente ad una
ortodossia cristiana estranea allambiente di riferimento dellIslam, si possono considerare giudaizzanti tutte le
attese messianiche, anche dei Cristiani, che confluiranno nellIslam.
Le considerazioni di Donner sono interessanti, perch richiamano aspetti tipici della cultura della
marginalit e del suo Razionalismo subalterno gi da me segnalati: cfr. supra, p. 169 per quanto riguarda i Catari
e La Gnosi. Il volto oscuro della storia, p. 53, per quanto riguarda gli Gnostici. Il Corano, nota poi Donner,
presenta una morale eterna (p. 83), astorico (p. 84). Il concetto di sunnah appare soltanto nel 66 H. con il primo
riferimento al Profeta: sino ad allora le iscrizioni note hanno contenuti di sola piet religiosa. Dunque nel primo
periodo la fonte di guida dovette essere il solo Corano, peraltro tramandato oralmente, e gli ahdth risalivano ai
Compagni, non al Profeta: la cristallizzazione dei momenti identificati ex-post come arch della comunit
1038
avviene soltanto tra il 60 e il 70 H. allorch essi vengono identificati nel percorso terreno di Maometto. Prima di
allora ai credenti poco importava che cosa avvenne realmente. A quel periodo risale anche linnalzamento
degli asnd al Profeta.
A questo punto possiamo iniziare a delineare il senso che ha per Donner lanalisi critica delle
tradizioni: nellultimo terzo o quarto del I sec. H. la comunit islamica si pone il problema del proprio ruolo e
della propria legittimazione in esso, anche nei confronti delle altre comunit monoteiste che ormai fanno parte
del suo vasto impero (Giudei, Cristiani, Zoroastriani). Questo processo dura sino alla met circa del II sec. H.,
dopo di che inizia il periodo della storiografia classica (II-IV sec. H.) La storia dellIslam cos come ci giunta
attraverso la Vulgata prende in considerazione gli eventi in funzione della comprensione che lIslam ha di se
stesso; non narrazione di fatti, lautorappresentazione dellIslam in una ierostoria. La storia degli storici
musulmani una storia sacra nella quale si specchia il destino dellumanit, una metastoria nella quale gli eventi
sono epifania del progetto divino. La storia di Tabar una spiegazione storica del ruolo della comunit islamica
nel III-IV sec. H., come risultato della guida di Dio nelle vicende umane (p. 130); in questa storia nasce il mito
dellet delloro al tempo dei due primi Califfi, interrotta dalla Fitna (p. 131). I primi tre secoli di storiografia
islamica sono centrati sulla vita del Profeta, sulle conquiste e sulle lotte degli Aldi, e ci vale sempre,
indipendentemente dallappartenenza settaria degli autori (p. 137). Siamo dunque in presenza di elaborazioni di
temi originari della prima storiografia, racconti storici o pseudostorici riarrangiati per mancanza di fonti o per
disinteresse ad esse. Ai Musulmani era impossibile concepire diversamente la propria storia (p. 138).
Due miti nacquero in questo periodo in funzione della distinzione che i Musulmani intesero porre tra
s e gli altri monoteisti, Giudei e Cristiani: la profeticit di Maometto e la falsificazione dei propri stessi testi da
parte di Giudei e Cristiani. La Sra doveva far fronte allagiografia cristiana e il periodo omeyyade il momento
di confronto/distinzione con Giudei e Cristiani. Liscrizione del Duomo della Roccia ha un significato
antitrinitario. Donner sostiene il carattere strumentale dei tanti racconti inventati, ma il suo scopo situare gli
inizi della storiografia islamica nel loro contesto proprio, per comprendere le ragioni di tale fenomeno e quindi
illuminare gli aspetti evolutivi di quella societ. Nel periodo formativo, dunque, i credenti raccolsero ricordi e
documenti con riferimento ai soli temi che per loro erano significativi e utili agli scopi contingenti, sotto
limpulso degli Omeyyadi; in quel momento per non verano pi testimoni degli eventi del periodo meccano e
fu fabbricato un materiale riflettente i problemi del tempo.

Uninteressante conferma del modo di procedere di Donner, viene dallanalisi di Sellheim, Prophet,
Chalif und Geschichte. Biographie des Ibn Ishq, Oriens 18/19, 1995/1996, che riguarda la storia di Ibn Ishq.
Sellheim riconosce nel materiale storico offerto la presenza di tre strati, secondo unanalisi che pu essere
valida in generale anche per altri testi. C un 2 strato, il pi superficiale, nel quale evidente il sostegno
ideologico di Ibn Ishq alla causa degli Abbsidi, per i quali egli lavorava e che divengono il punto darrivo
della vicenda islamica. C poi un 1 strato nel quale si assiste alla presentazione di Maometto come autore di
miracoli. Questo testimonia lo sforzo dei fedeli che singegnano a porre il proprio Profeta sul piano dei
paradigmi offerti dai Profeti del Giudaismo e del Cristianesimo, per mostrare che la sua venuta fu il compimento
della Rivelazione, gi prevista allinterno dei testi giudaici e cristiani (il Paracleto, lEletto). Vengono creati
paralleli con il leggendario giudaico e cristiano, e anche con quello zoroastriano. Il carattere orientato della
vicenda del Profeta si legge nelle sue tre fasi: dapprima povero e perseguitato (un motivo agiografico della Sra,
secondo M. Lecker, Did the Quraysh conclude a Treaty with the Ansr prior to the Hijra?, in People, Tribes and
Society in Arabia around the Time of Muhammad, Aldershot-Burlington, Ashgate, 2005: in realt non ci fu
persecuzione, ci sarebbe stato un accordo per consentire un tranquillo passaggio del Profeta dalla Mecca a
Medina); poi capo di un movimento a Medina; infine signore incontrastato della penisola arabica. Sotto il 1
strato c infine quello che Sellheim definisce lo strato di fondo (Grundschicht) che rispecchia, in qualche
modo, eventi che hanno una loro storicit (p. 73). Del resto, i fatti di Medina dovettero essere rimasti ben chiari
per i contemporanei e per gli immediati successori, anche se non si pu parlare di una puntuale vicenda storica,
perch in essi si pu riconoscere una crescente tendenza a vedere nel Profeta il futuro signore della penisola, cio
a rileggere il passato come prova degli eventi successivi. Tutto visto alla luce delle scelte maturate dalla
comunit dopo la morte del Profeta (la religione come Legge, lespansionismo militare: pp. 78-83). Dopo la
morte, la figura del Profeta si trasforma da quella dello strato di fondo a quella del 1 strato. A p. 86 viene
infine losservazione conclusiva, molto importante, di Sellheim: un errore voler affrontare la storia sul piano di
morti fatti; la storia inizia soltanto l dove essa diviene vivente e comprensibile, dove si incontrano gli uomini
che lhanno fatta, quando ci si trova faccia a faccia con loro sulla base delle testimonianze tramandate: si tratta
di capire perch s fatto ci che s fatto, come nel caso della morte del Profeta (che egli ripete dal testo di Ibn
Ishq). Il senso di quelle tradizioni non nella loro verit ma nel perch della loro nascita. Nel caso addotto,
lanalisi critica mostra che Maometto muore come un uomo normale (strato di fondo) ma le sue ultime parole
sono una profezia della Fitna (1 strato) e muore senza nominare un successore (2 strato, non pro-omeyyade e
non pro-alde, in funzione della finale affermazione degli Abbsidi, per i quali scriveva Ibn Ishq). Conclude
Sellheim che la vita e le opere del Profeta vanno comprese nel quadro della Rivelazione coranica, come storia
sacra che va dalla Creazione agli Abbsidi: Ibn Ishq ha meritato per questo il ruolo di padre della storia
islamica (p. 91).
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Ricapitolando, mi sembra quindi di poter inserire a titolo provvisorio le analisi di Donner e Sellheim
allinterno delle ipotesi che vado perseguendo (e in ripetizione di quanto gi sostenuto in Dopo e a lato) nel
modo che segue.
Ci che si cela nella zona grigia e che la Vulgata tende ad obliterare, che -anche se non ci si pone
sul piano della scuola scettica- lIslam sicuramente non nacque cos come esso afferma di ricordare nella
propria autorappresentazione post-conquista, che fu dettata da circostanze puntuali maturate nellultimo terzo o
quarto del I sec. H. Esso sembra germinare -come affermato in Dopo e a lato e come vedremo nel seguito di
questa rassegna bibliografica- da un crogiolo giudaico-cristiano, cio da una lettura eterodossa dei due
Testamenti (che non per caso vengono ritenuti falsificati nelle loro letture ortodosse) e comunque in continuit
con il messaggio del quale lIslam si proclama infatti il vero compimento. Come ho gi affermato a p. 902, per
la prima volta la marginalit crea una propria societ al termine di una rivoluzione vincente. In questo occorre
cautela nel pensare che lIslam si arroghi, a torto, di essere il compimento di quel messaggio; lIslam infatti ne
resta comunque un (possibile) compimento se il messaggio testamentario lo si intende, come io ho ritenuto di
intenderlo, la grande svolta che delegittima la societ retta dal Razionalismo classico. In tale prospettiva
perfettamente coerente il rapporto che lIslam stabilir con la filosofia, cio con il pensiero greco classico e
con le sue discendenze, e lo nella conclusione che matura con al-Ghazl. Dopo di allora la speculazione
razionale (non per razionalista) potr essere soltanto quella della teosofia ishrq o quello della mistica suf
sullunicit dellesistenza (wahdat al-wud). Il messaggio testamentario, destituendo il concetto di verit come
epistme (calata dallalto dal filosofo-professionista-del-sapere) sostituito con quello di verit/testimonianza, pu
infatti essere letto e vissuto come messaggio rivoluzionario che sovverte il mondo della storia, cristallizzato nella
Ragione classica.
Di qui le due alternative che ho gi sottolineato: quella gnostica (questo mondo una contraffazione
da irridere nelle sue leggi perch il vero mondo altrove) e quella apocalittico-millenarista (questo mondo,
che contraffazione, finir, ovvero sar abbattuto per realizzare qui il vero mondo). Nel primo caso laccento
si pone sul mondo tout court; nel secondo su questo mondo, che sar sostituito da un mondo di giustizia (cfr.
lAppendice alla V ed.). Nella pretesa di realizzare in terra il vero mondo, lutopia si volge per in atopia: qui
si legge la continuit dellIslam con la cultura della marginalit. SullApocalitticismo islamico cfr. D. Cook,
infra; si tratta di un tema tuttora vivo come fa notare in altri testi lo stesso autore (cfr. supra p. 832; cit. in Bibl. a
p. 848)
Naturalmente, quanto meno ovvio che un fenomeno della vastit e della complessit dellIslam non
possa essere rinchiuso in una dimensione sociale e intellettuale cos ristretta: esiste non soltanto, sia pur
minoritario e malvisto, un Islam liberale, cos come esistettero, e ne accenner, almeno sino al IX-X sec. d.C.,
pensatori musulmani decisamente critici dellatopia, che soltanto lavanzare irresistibile del tradizionalismo mise
a tacere; ma ci che intendo sottolineare altro, cio che certi sviluppi sono perfettamente coerenti con certe
origini, da collocarsi nel fenomeno che vide la cultura della marginalit -che lOccidente aveva espulso grazie
alle proprie ortodossie- costituirsi in modello politico vincente.
Il sectarian milieu dal quale lIslam trae origine, si legge nel fondamentalismo. Al di l di tutte le
polemiche, incluse quelle interne allIslam, non si pu infatti negare che il fondamentalismo abbia una propria
logica, coerente con lorigine stessa dellIslam cos come essa si configur, nella forma di autorappresentazione,
tra lepoca omeyyade e quella abbside. Esso ne discende attraverso il vincente tradizionalismo che prende i
toni del Salafismo e che trova strutturazione nel pensiero di Ibn Taymiyya, erede soltanto parziale di al-Ghazl
(cfr. supra, p. 898) Il fondamentalismo pu dunque essere inteso anche cos: rabbia e frustrazione da impotenza
nel momento dellimplosione dellutopia in atopia, momento che disegna il vicolo cieco del razionalismo
subalterno.

Tornando a Donner e a Sellheim, si pu dunque vedere la Vulgata come costruzione nata per dare un
senso storico al ruolo degli Arabi musulmani nel percorso che va dagli albori dellIslam al Califfato abbside; si
tratta di una storia della salvezza, una storia sacra, una teologia della storia che dipana in terra il piano divino sul
destino dei popoli, sicch le origini (ci che realmente accadde) restano immerse pur sempre in una zona grigia. I
barlumi di storia che sintravedono possono soltanto illuminare le ragioni di quella Vulgata e una diversa realt
sottostante, ma la Vulgata in quanto tale viene comunque smentita, senza peraltro consentire storie alternative. In
questo senso la critica di Donner alla scuola scettica ha valore soltanto se si riferisce alle ricostruzioni fragili
come, ad esempio, quella di Hagarism, perch, per il resto, la sua ricerca non fa che ribadire lideologicit della
Vulgata. La critica pi interessante allerrore di prospettiva della scuola scettica viene, se mai, da Sellheim, il
quale lo mette bene in luce, ed quello di pretendere di delineare una storia di ci che realmente accadde,
una storia di morti fatti senza porsi il problema di capire la cosa pi importante, perch accadde ci che
accadde, laddove ci che accadde la costruzione della Vulgata. Quella la possibile storia della nascita
dellIslam, una storia che si forma nei primi 70 anni circa dallEgira. Vedremo questo problema emergere ancora
nellanalisi di Rubin.
Una nota a parte merita infine il problema della cultura della marginalit e del razionalismo subalterno
cos come esso si rivela presente nellIslam, sin dagli albori, in questa costruzione ideologica che ho definito pi
1040
volte la Vulgata. Ho riferito sopra di ci che traspare dalla Sra di Giuseppe; parimenti avevo fatto cenno
(cfr. supra, p. 948) alla rigida letteralit con la quale i falsifa recepiscono il pensiero greco, senza quellaperta o
riservata coscienza autocritica, quel senso del limite delle proprie verit che caratterizza Platone, per .non
parlare di un pensatore problematico come Aristotele (gli Arabi non avevano alcuna sensibilit per il sottile
velo dironia che circonda come unaura tutto ci ch socratico cfr. Klein-Franke, p. 134 [cit. in Bibl. a p.
1016]). Il pensiero islamico accetta (con i filosofi) o respinge (con i teologi) quel pensiero nella sua assolutezza,
col risultato di perderne in parte la ricchezza (con i filosofi) o di rigettarla rinunciando cos a sviluppare un
pensiero pi ricco (con i teologi); ci perch, come ho sottolineato nel criticare la lettura straussiana dei falsifa,
la premessa di questi ultimi era religiosa, e nasceva, come gi era avvenuto per le altre religioni testamentarie,
dallesigenza di misurare la propria fede con la grande cultura classica. Anche lungo questa via lIslam volle
darsi una propria identit, soltanto che, nellIslam, questa fu la via perdente.
Manca dunque, negli schemi dottrinali di un Islam algidamente pietista (per usare la definizione di
Donner) il senso dellironia, nel significato letterale della parola; la capacit di arrestarsi dinnanzi alla
complessit dellumano, allirriducibilit delluomo entro qualsivoglia schema ideale. Il suo obbiettivo, ben
espresso nel concetto di comandare il bene e proibire il male sembra essere la fabbricazione di replicanti. Ma
questa aridit precisamente la caratteristica del razionalismo subalterno, opposto a quello egemone, che ho
rilevato pi volte nel trattare il problema della marginalit e della sua spasmodica tensione verso la realizzazione
di un astratto mondo di giustizia, non pi collocato come stella polare in Utopia, ma calato in terra come
atopia. Lapocalitticismo e il millenarismo delle origini -il tratto distintivo della marginalit sotto ogni latitudine-
sono il prodromo della lunga operazione culturale che va dagli ulam dellottavo-nono secolo a Ibn Taymiyya.

Tornando al problema delle origini, cito ora sei articoli di Busse che vanno nella direzione introdotta.
Il primo di essi, Omar b. al-Hattab in Jerusalem, J.S.A,I., 5, 1984, mette in luce che gli Arabi si consideravano i
legittimi successori dei Giudei (p. 88) in unottica messianica dalla quale deriv ad Umar il titolo di al-Frq,
colui che distingue, cio che ristabilisce la vera Legge, distingue i buoni dai malvagi, i credenti dagli
infedeli: un appellativo, dunque, messianico (pp. 91-94). Il significato dellappellativo Frq lungamente
analizzato da S. Bashear, The Title Frq and its Association with Umar I, S.I. 72, 1990. Bashear esamina
varie possibili ipotesi e conclude che il significato pi probabile da connettersi con lattesa messianica dei
Giudei relativa alla fine della dominazione cristiana di Bisanzio su Gerusalemme, confermando cos lipotesi di
Crone-Cook in Hagarism. Busse mette anche in luce che a quel tempo gli Arabi conquistatori non avevano
ancora assunto la definitiva identit di musulmani (p. 115); la loro posizione era comunque dottrinalmente
anticristiana, come mostrano le iscrizioni del Duomo della Roccia (p. 118).
Il secondo articolo, Omars Image as the Conqueror of Jerusalem, J.S.A,I., 8, 1986, riprende il
precedente per esaminare tutte le leggende (postume) relative alla presenza di Umar alla conquista di
Gerusalemme, e tenta di comprendere la ragione della loro nascita, poich il fatto non sembra essere accaduto
(vedi, al riguardo, Noth, supra). Busse ritiene che ci debba inquadrarsi nella progressiva assunzione della citt
nellambito della storia sacra dellIslam, un evento accompagnato da episodi leggendari, e che da ci risulti
evidente lautorappresentazione dellIslam come compimento del Giudaismo, in opposizione al Cristianesimo.
Largomento trattato ancora nel terzo articolo, The Church of the Holy Sepulchre, the Church of the
Agony and the Temple. The Reflection of a Christian Belief in Islamic Tradition, J.S.A.I., 9, 1987. Qui egli
descrive lintreccio e il rinvio speculare di temi leggendari tra Giudei e Cristiani, riflessi negli ahdth, dal quale
risulta evidente lautorappresentazione dei Musulmani come legittimi eredi del Giudaismo, in opposizione al
Cristianesimo.
Nel quarto articolo, The Destruction of the Temple and its Reconstruction in the Light of Muslim
Exegese of Sra 17: 2-8, J.S.A,I., 20, 1996, egli tratta del diverso rapporto che ebbero i Cristiani e i Musulmani
con larea del Tempio distrutto. I Cristiani non avevano pi alcun interesse alla sacralit dellarea, perch per
loro il Tempio nel Padre e nel Figlio, dunque unentit ultraterrena che splender nella Gerusalemme celeste
alla Fine dei Tempi. I Musulmani, viceversa, si consideravano i restauratori della vera Legge (si ricordi il tema
centrale di tutte le eterodossie, fondamentale anche nella dottrina islamica, la falsificazione dei testi da parte
delle ortodossie) perci vi costruirono il Duomo della Roccia.
Il quinto articolo e il sesto deviano parzialmente dagli argomenti sopra trattati, ma riguardano pur
sempre il rapporto tra lIslam e Gerusalemme.
In Jerusalem in the Story of Muhammads Night Journey and Ascension, J.S.A,I., 14, 1991, Busse fa
riferimento a precedenti di ascensioni che hanno luogo in testi Apocrifi e Pseudepigrafi, cio cristiani o giudaici
di tendenze eterodosse, testi che, com noto e come ho segnalato a suo tempo, hanno un forte rapporto con la
dottrina del Corano. Busse non considera lantecedente iranico che fu oggetto di indagine da parte di Widengren
nei testi citt. in Bibl. a p. 780 (ci che comprensibile sotto il profilo di unanalisi puntuale); e dimentica di
considerare sia il rapporto che il mondo arabo, anche preislamico, ebbe col mondo sassanide, sia, soprattutto,
quanto il fermento intertestamentario cui si connettono gli Pseudepigrafi, sia legato ai motivi introdotti nel
Giudaismo dal lungo contatto col mondo iranico (cfr. Appendice alla V ed.). In altre parole, si limita a
considerare soltanto i rapporti dellIslam con il Giudaismo.

1041
Infine, in Der Islam und die biblischen Kultsttten, Der Islam 42, 2/3, 1966, Busse sottolinea che il
patrimonio testamentario venne assunto dallIslam, grosso modo, nelle sue forme codificate, e che le tradizioni,
in Palestina, erano mediate essenzialmente dal Cristianesimo. Ora, per quanto riguarda il Tempio (qui ci
ricolleghiamo direttamente al 3 e 4 articolo, indirettamente ai primi due) le tradizioni relative erano superate,
per i Cristiani, da quelle relative alla Chiesa del Sepolcro; tuttavia il contatto dei Musulmani con i Giudei riport
alla luce le tradizioni ebraiche. In Siria le tradizioni cristiane, che avevano un ruolo importante, furono assunte
essenzialmente dagli Apocrifi, mentre nella Mesopotamia sassanide, dove la presenza cristiana era limitata, il
contatto con le tradizioni giudaiche fu pi diretto. E c da domandarsi, conclude Busse (p. 137) quanti teologi
giudei e cristiani passati allIslam abbiano contribuito a stabilire liniziale problematica teologica dellIslam.
Come si vede, stiamo sinora trattando esclusivamente del rapporto dellIslam col Giudaismo; di quello col
Cristianesimo vedremo poi.
Quanto sopra consente per gi alcune ulteriori considerazioni circa alcune delle tesi che vado
sostenendo, cio circa la differenza che corre tra la lettura del Messaggio entro la logica realista del
Razionalismo egemone, di matrice classica, assunto dalla Chiesa di Roma; e la lettura del medesimo Messaggio
da parte della marginalit, una lettura gi presente nel crogiolo del Qumrn (cfr. il testo di A . Paul del quale si fa
cenno a p. 1003, cit. in Bibl. a p. 907) espressa poi dalle tante eterodossie giudaiche e cristiane, infine fatta
propria dallIslam in modo vincente. Il realismo della Chiesa di Roma sposta in un indeterminato futuro le attese
millenariste fondate sul mito della seconda parusia che caratterizz le speranze delle origini; lIslam, al contrario,
si pone al culmine della tensione millenarista, e perci dovr essere lui a realizzare in terra la societ perfetta, il
mondo di giustizia. In occidente questo mito torn, come noto, in forma secolarizzata nel XX secolo, sempre
fondandosi sulla medesima tensione, il cambiamento di questo mondo; una tensione che da traguardo u-topico si
trasforma, nel razionalismo subalterno della marginalit, in pretesa a-topica. Questo ci consente di comprendere
dallinterno di quel pensiero, la mancanza di tratti umani rilevata da Donner nei personaggi coranici della sra di
Giuseppe: il Bene e il Male si personificano in algide figure di Buoni e Malvagi, la realt si congela in astratti
schemi contrapposti.

Poich sinora si accennato pi volte al rapporto tra Islam delle origini, Giudaismo e Cristianesimo,
argomento sul quale torner ancora necessariamente infra, mi sembra opportuno fare cenno ad un articolo di
Viviane Comerro, La nouvelle alliance dans la sourate al-Mida, Arabica, 48, 2001 (al-Maida si pu tradurre
con la tavola imbandita della quale si invoca la discesa dal cielo). Innanzitutto si deve ricordare che questa
sra da considerarsi tra quelle conclusive del Corano (n 112 per al-Azhar, 114 per Noldeke e 116 per
Blachre) e che lautrice tiene a sottolinearvi la presenza a di scelte teologiche profondamente coerenti (p.
286). Essa fonda la nuova religione nel suo rapporto con Giudaismo e Cristianesimo, e, secondo la Comerro, le
norme legali che vi appaiono fondano il nuovo Patto in analogia a quello tra Yahw e No (la nozione di
comandamenti noachichi era comune, in forme diverse, a Farisei ed Esseni: p. 292 in n. 17). Qui si configura il
ritorno, a monte, ad un patto tradto in seguito dal Giudaismo; contemporaneamente la sra esprime il rifiuto
dellinnovazione politeista (nella concezione islamica) operata dal Cristianesimo nelle sue tre versioni presenti
e note nellarea geografica: giacobita, nestoriana e melchita. La figura di No, che compare frequentemente nel
Corano e che sembra avere un legame diretto con Maometto (p. 295) adombra un Abramismo che torna a monte
dei tradimenti della Legge operati dai Giudei, cio verso una legislazione religiosa primordiale e universale
(p. 297). Qui si annuncia di fatto la decisione divina di trasferire la propria alleanza dal popolo giudaico a quello
arabo, e in questo ambito si colloca anche il concetto di terra promessa (che, come vedremo in Rubin, infra,
viene a sovrapporsi allinvasione araba di Siria e Palestina). La Comerro rileva una riscrittura deliberata di testi
che mette in luce la disobbedienza degli Israeliti, la cui eredit andr quindi ad altri, pi coraggiosi (pp. 302-
303). Il jihd vi appare come un comandamento che soltanto gli Arabi condurranno a termine (p. 303 in n. 45,
con riferimento a Rubin). Per quanto riguarda il rapporto con i Cristiani, la sra, nella sua parte finale, fa
notoriamente riferimento alla loro empiet in quanto associazionisti, a causa della divinit attribuita a Ges, della
quale Ges stesso fa diniego; molti elementi sono tratti da Vangeli apocrifi (vi si fa riferimento anche alla
divinit attribuita a Maria, una attribuzione che riguarda alcune sette eterodosse). Vi sono inoltre alcune
probabili confusioni sul testo evangelico (p. 305) o forse una trasformazione del sacramento della Cena (p. 306)
nella quale lEucaristia appare come il pasto della Nuova Alleanza (ivi). Certamente, chi elabor il testo
conosceva bene sia i testi cristiani che quelli gnostici. Il nuovo monoteismo viene dunque stabilito in stretto
rapporto polemico con quello giudaico e cristiano ritenuto in entrambi i casi un tradimento della Rivelazione
originaria.
Su questa sra da ricordare anche lapprofondito studio di M. Cuypers, Le Festin. Une lecture de la
sourate al-Mida, Paris, Lethielleux, 2007, fondato sullanalisi della retorica semitica che consente di scovare
il senso del testo sotto le sue apparenti discontinuit. Il Corano, dice Cuypers, vi appare come il compimento e la
chiusura definitiva di tutte le Scritture anteriori, rispetto alle quali vi somiglianza, alterit e novit (p. 389).
Le riprese dei testi biblici non sono ripetizioni, esse orientano verso una nuova e originale sintesi, diversa da
quella alla quale familiare il lettore cristiano. Mentre il Nuovo Testamento, nel ritenersi conclusione
dellAntico, non per questo lo sopprime, il Corano, pur riprendendo i due Testamenti, intende precisamente
sostituirsi ad essi; cos, tutto linsegnamento di Ges nei Vangeli, ricapitolato nel Corano come insegnamento
1042
monoteista di Ges (ivi). Per questa ragione il Corano, come compimento di tutte le Scritture, rende la loro
lettura inutile. La sra redatta in modo da porsi quale conclusione della Rivelazione (p. 391) come abbiamo gi
visto sopra. Secondo Cuypers il suo testo porrebbe delle serie riflessioni sul rapporto tra il Cristianesimo e la
nuova religione islamica, cosa che fu impedita dal tardo dogma del Corano increato che rende inutile il rapporto
con le altre Scritture, il cui superamento enfatizzato dallipertrofia, nella tradizione, dellidea (coranicamente
fondata) dellalterazione delle Scritture ad opera dei Giudei e dei Cristiani (p. 390).
Personalmente debbo rilevare il modo strumentale con il quale sono assunti nella sra gli elementi
testamentari: un fenomeno che avevo gi rilevato nellaccoglimento del pensiero greco da parte dei falsifa e un
atteggiamento che conferisce al pensiero islamico -a mio avviso- i tratti caratteristici della marginalit; un
atteggiamento non diverso, infatti, da quello che si pu rilevare anche nel riuso dei testi da parte delle
eterodossie cristiane.

Un articolo molto interessante su questo rapporto di ritorno alla (vera) Legge in funzione del quale
lIslam si contrappone al Giudaismo, che lavrebbe abbandonata, quello di de Prmare, Prophtisme et
adultre. Dun texte lautre, cit. noto il contrasto tra la prescrizione coranica in materia di adulterio (Cor., 24,
2) che consiste in una punizione di cento frustate; e la legge sharaitica che prevede la lapidazione. La vicenda
ricordata da Abdallh, il figlio del Califfo Umar, secondo un hadth riportato nelle raccolte del II-III sec. H.,
che costituisce un racconto assai interessante. Vi compare infatti la consultazione dei rabbini sul caso di due
Giudei adulteri e la constatazione che lusanza delle frustate avrebbe tradito la Legge della Torah, che
prescriveva la lapidazione. Il Profeta perci li fece lapidare. Il racconto sinquadra nella sintesi di un discorso di
Umar che afferma di ricordare lesistenza di un versetto coranico che prevedeva la lapidazione; egli presentato
ovunque nei testi come un partigiano accanito della lapidazione (p. 121). Nelle varie versioni dei diversi ahdth,
di provenienza varia, anche di al-Zuhr, riportati da Ibn Ishq, si apprende inoltre che Abdallh Ibn Umar
partecip egli stesso alla lapidazione. La narrazione dellevento, al di l delle varianti, infine scandita su tre
momenti: conciliabolo dei rabbini che conducono gli adulteri da Maometto; discussione sul versetto della
lapidazione; esecuzione della sentenza e attestazione di Abdallh relativa alla propria partecipazione. evidente
la presentazione del Profeta come restauratore della Legge mosaica abbandonata dai Giudei (p. 113); questa
Legge fortunatamente ricordata da un rabbino che si associa allimpresa di Maometto (p. 115). Tutto questo ci
riconduce a temi che sono stati gi esposti, e che lo saranno ancora, circa il rapporto dellIslam con Giudaismo in
funzione della restaurazione della Legge; ma lindagine di de Prmare va oltre, perch riguarda anche i rapporti
con il Cristianesimo: ed da segnalare che tanto tra i Giudei quanto tra i Cristiani, gli ahdth fanno comparire
figure che vedono in Maometto il Profeta atteso, un riferimento, questo, alla visione millenaristica caratterizzante
ogni sectarian milieu.
Secondo de Prmare (p. 122) i passaggi della Sra relativi alla vicenda, sono eco di qualcosa che ha a
che vedere con i Cristiani, in un momento nel quale la dominazione islamica si estende su territori ancora in
larga parte abitati dai Cristiani stessi. Per la precisione si tratta del noto episodio di Cristo e delladultera (Giov.
7,53, 8-11, dove costituisce un inserimento tardo, del V sec. d.C.) che Ibn Ishq conosceva molto bene, tanto che
fa riferimento al passaggio 15,23 - 16,1, quello nel quale Ges annuncia linvio del Paracleto, identificato dai
Musulmani con il Profeta. Negli ahdth il discorso di Umar sul versetto della lapidazione, riportato sulla scorta
di Ibn Abbs (si ricordi che siamo in epoca abbside) si conclude sempre con il monito coranico di restare
fedeli alla Legge dei padri: e Abdallh fa esattamente ci che Ges, nellepisodio delladultera, si rifiuta di fare,
ponendosi cos al di sopra della Legge.
Lanalisi di de Prmare molto pi complessa, ma questo punto ne segna a mio avviso lessenziale,
che lautorappresentazione dellIslam nellottavo sec. H.: ripristino della Legge mosaica in continuit con il
Giudaismo, contro il suo tradimento da parte dei Giudei e la pretesa dei Cristiani di ignorarla.

Qui vorrei notare due cose. La prima laffermazione di quella atemporalit o eternit della Legge
che sar il raggiungimento degli ulam tradizionalisti e tradizionisti nel corso del IX secolo, nel lungo cammino
che culmina con Shfi, Bukhr e Ibn Hanbal e con la definitiva affermazione del dogma del Corano increato,
quindi con la fossilizzazione della Sharah. La seconda un inciso del tutto personale che concerne quanto da
me sostenuto sin dal mio testo su La Gnosi. Il volto oscuro della storia: lorigine squisitamente cristiana dello
Gnosticismo, del quale si trovarono gli antecedenti in Giovanni e in Paolo. Di Giovanni si cita qui lepisodio
delladultera, come violazione della Legge; pi esplicitamente Paolo proclama la superiorit di Cristo, Figlio di
Dio, su Mos (Ebrei, 3, 1-6) e labrogazione della Legge da parte di Lui (ivi, 7, 18). Certamente lo Gnosticismo,
nei suoi rapporti con la cultura ellenistica, particolarmente nel caso del Marcionismo, stata una componente
viva, anche se perdente, della lettura cristiana del Messaggio, destinata ad un lungo seguito anche nel mondo
secolarizzato; altrettanto certamente, nellIslam che vuol ristabilire la Legge scritta e immutabile, lossificazione
della societ rimasto il sogno ereditato dal fondamentalismo. Dallarticolo di de Prmare si evince per anche
unaltra importante osservazione (p. 125): Ibn Ishq, nel trattare il tema degli Atti, 2, 1-13, contrappone alla
diversificazione delle lingue lunit del messaggio divino e lobbligo di non deviarne in base al giudizio umano:
ci che lascia intravedere la presenza di quellossessione per lunit della Ummah, della quale ho parlato a
proposito di Ibn Taymiyya.
1043
Torniamo ora ad esaminare parte della molta letteratura che rafforza, con diverse angolazioni, quanto
esposto sinora. Per quanto riguarda il ruolo di al-Zuhr nella tradizione che d corpo alla Vulgata islamica, da
segnalare larticolo di M. Lecker, Biographical Notes on Ibn Shihb al-Zuhr, J.S.S., 41,1996, che, con una
lunga discussione in merito, conferma lo stretto legame, anche di interessi, tra al-Zuhr e gli Omeyyadi, e in
particolare il suo ruolo nello hadth delle tre moschee, nel quale si afferma limportanza sostitutiva del
pellegrinaggio a Gerusalemme in alternativa a quello verso la Mecca, al tempo nel quale questultima era nelle
mani dellanticaliffo Ibn al-Zubayr (cfr. p. 42, p. 43 e p. 47). Su al-Zuhr debbo perci segnalare che, come
noto e ho gi ricordato, si tratta di un fondamentale common link nelle catene degli asnd, quindi di uno dei
principali pilastri della Vulgata, che, come accerta Juynboll, si forma precisamente ai suoi tempi, cio in epoca
omeyyade, a partire dallultimo terzo del I sec. H. Quanto fondamentale sia lopera di al-Zuhr lo si pu evincere
da questo semplice dato numerico: alla voce al-Zuhr, su E.I. vol. XI, M. Lecker segnala che il solo Shuayb, suo
allievo, consegn 1700 ahdth ricevuti dal maestro.
Su di lui si sofferma anche M. Cook, The Opponents of the Writing of Traditions in Early Islam,
Arabica 44, 2007. Il punto di partenza di M. Cook il dimostrare che il rifiuto di scrivere le tradizioni una
costante generale dellIslam prima di al-Zuhr; lunica scrittura , inizialmente, quella coranica. Lopinione di
Cook (p. 442) che questa ostilit abbia origini giudaiche. Dopo aver ricordato il proprio diverso approccio,
rispetto a Schacht e Juynboll, allanalisi degli asnd (cfr. la p. 116 di Early Muslim Dogma, cit. in Bibl. a p.
1014), afferma la centralit di al-Zuhr nel passaggio alla scrittura, e il fatto che a ci non dovesse essere
estraneo il suo rapporto con gli Omeyyadi; lo stesso Hishm b. Urwa non sembra esservi stato molto propenso
(p. 461). Favorevoli alla scrittura erano viceversa i Siriani, e la Siria fu precisamente al centro della controversia
(p. 471). La scrittura era infatti soltanto un fatto privato allorch si prendevano appunti, e loralit era ancora
prevalente allinizio del II sec. H., mentre per il I sec. H. nulla di certo si pu dire. A p. 493, Cook cita Schoeler
(infra, Mndliche Torah, etc.) secondo il quale lopposizione alla scrittura fu conseguenza della scelta omeyyade
di affidarsi ad essa, e successivamente fa un parallelo con il Giudaismo relativamente al diverso suo rapporto con
la Torah scritta e orale. Cook dedica tutta la parte restante del suo articolo a sottolineare la singolare coincidenza,
almeno nella fase iniziale dellIslam, tra Giudaismo e Islam, unica nel suo genere tra due diverse religioni,
nellaccettare la scrittura dei testi sacri rifiutando per quella delle tradizioni.
Linteresse dellarticolo, a proposito di quanto sto segnalando, duplice: la vicinanza al dellIslam
delle origini Giudaismo, che argomento trattato principalmente da Rubin, infra; e il ruolo determinante, del
resto generalmente riconosciuto, di al-Zuhr nella creazione degli ahdth: e al-Zuhr indica non soltanto unet
relativamente tarda, ma anche un legame con linteresse dello Stato omeyyade a creare una giustificazione
ideologica, o, come s detto sinora, unautorappresentazione dellIslam e degli Arabi nei confronti di popoli e
religioni circostanti, dominati con unimpetuosa conquista ma, al momento, ancora maggioritari nellimpero, sia
come popoli che come religioni. Al riguardo mi sembra importante ricordare che precisamente in quel momento,
con il califfato omeyyade, inizia il processo di islamizzazione delle popolazioni sottomesse; che con gli inizi
dellVIII secolo siamo ai tempi nei quali la chiesa di S. Giovanni a Damasco diviene moschea e nei quali
Giovanni Damasceno deve lasciare la propria alta carica, mentre nel suo trattato sulle eresie considera ancora
lIslam come eresia del Cristianesimo. Sui rapporti tra Islam delle origini e Cristianesimo ho gi fatto cenno pi
di una volta in Dopo e a lato; vi torner infra.
Allarticolo di M. Cook si pu accostare quello di G.R. Hawting, The Significance of the Slogan l
hukm ill lillh and the References to the hudd in the Traditions abut the Fitna and the Murder of Uthmn,
B.S.O.A.S., 41, 1978. Anche qui si mette in luce il contrasto tra Legge scritta e tradizione orale, e il relativo
parallelo con il Giudaismo. Qui il ruolo dei Khridjiti paragonato non soltanto a quello dei Karaiti, ma anche a
quello delle sette del Qumrn. Karaiti e Khridjiti sono infatti contrari ai relativi filoni maggioritari (Rabbaniti e
Sunniti) in nome di un rigido attenimento alla letteralit della Scrittura che respinge luso di tradizioni orali; le
sette del Qumrn lo sono in nome della tradizione orale perch, come consuetudine delle sette eterodosse,
ritengono falsificata la Scrittura. Questultima per anche laccusa del Profeta a Giudei e Cristiani, e sembra
che nello Hijz si fossero stabiliti gruppi di discendenti delle sette del Qumrn (p. 455). A questa importante
notazione che conferisce ancora una volta al nodo delle origini la particolare luce del sectarian milieu,
Hawting ne fa seguire unaltra che riguarda le controversie sul Corano: laccusa dei Khridjiti -letteralisti- ad
Al di aver voluto introdurre il giudizio umano in materia di Legge divina trova, secondo Hawting, un parallelo
in quella di isha ad Uthmn di aver depotenziato gli hudd (pp. 461-463) e ci gli fa pensare che la cosa
debba riferirsi alla nota tradizione secondo la quale il 3 Califfo avrebbe eliminato molte varianti del Corano per
stabilirne ledizione ne varietur, suscitando in ci molte opposizioni.
Al riguardo vale la pena di ricordare che, di fatto, varianti del Corano sembrano aver circolato ancora
pi a lungo, verosimilmente sino alla nuova azione autoritaria ad opera di Abd al-Malik, forse oltre; di certo le
varianti non dovevano essere mancate in un testo che conobbe la diffusione orale ad opera dei qurr, cio dei
suoi recitatori, dapprima tenuti in gran pregio, poi caduti in discredito, come nota G.H.A. Juynboll, The Position
of Qurn Recitation in Early Islam, J.S.S., 19, 1974; un articolo nel quale Juynboll, nel trattare dellimportanza
iniziale dei qurr, i recitatori del Corano, un termine che col tempo venne a designare viceversa gli ipocriti o i
villici, formula uninteressante ipotesi (che peraltro non intende contrapporre a quella tradizionale): quando nel
1044
testo compare lesortazione imperativa Iqra (come allinizio della sur 96) essa potrebbe anche essere intesa
non, secondo la tradizione accettata, come formulata dallangelo al Profeta, ma dal Profeta a chi lo ascoltava. Ce
ne dovremo ricordare infra quando vedremo linterpretazione data da Rubin al primo versetto della Sur 96. La
recitazione, comunque, era una pratica importante, tanto che essa costituiva uno dei metodi di conversione e si
tramanda che Umar stesso si sarebbe convertito per la commozione procuratagli dai versetti.
In merito al Corano, un altro gruppo di articoli che deve essere esaminato pu partire da quello di C.
Gilliot, Reconsidering the Authorship of the Qurn. Is the Qurn partly the Fruit of a Progressive and
Collective Work?, in The Qurn in its Historical Context, ed. By G.S. Reynolds, N. York, Routledge, 2008.
Larticolo parte citando gli autori della scuola scettica (Wansbrough, Crone,, M. Cook) e afferma che
lapprofondimento delle fonti islamiche suggerisce sempre pi lipotesi che il testo coranico sia frutto di un
lavoro collettivo portato a compimento in pi fasi. Va segnalato tuttavia che leditore del testo, Reynolds, nel suo
articolo introduttivo, Qurnic Studies and its Controversies, si mostra alquanto dubbioso sui risultati dei
revisionisti, in nome della tradizione della comunit accademica. A p. 19 egli sottolinea infatti, a loro demerito,
che soltanto Wansbrough faceva parte di quella comunit, mentre tutti gli altri se ne resero indipendenti e
appear to be mavericks: una posizione culturale che mi sembra si commenti da sola.
Gilliot si propone di ripercorrere i contributi degli autori che smentiscono la Vulgata islamica, e
accenna in primo luogo al problema degli informatori (esposto supra a p. 870 con riferimento allo stesso
Gilliot). Passa poi ad esaminare alcuni problemi di traduzione del testo, a partire da Cor., 16,103, dove le parole
rivolte dal Profeta ai suoi contestatori sono poste in relazione con Cor., 25, 4-5, e, traducendo larabo mubn in
modo a suo avviso pi appropriato (non chiara [lingua araba] ma [lingua araba] che rende chiare le cose)
ritiene quindi che il riferimento vada ad una cultura biblica o post biblica circolante, e predicata dal Profeta ai
suoi concittadini nella loro lingua. Ipotesi affascinante nel contesto noto di variegato fermento religioso, ma, di
certo, nulla pi di unipotesi. Per la verit non questa la sola ipotesi di Gilliot, unaltra ne avanza rispetto
allorigine delle informazioni ricevute nella circostanza dal Profeta, forse da uno schiavo di origine bizantina,
dunque cristiano. Viene ricordato anche il cugino di Khadja, Waraqa, che praticava i testi biblici e cristiani, e il
ruolo determinante di Khadja stessa, che conosceva le antiche scritture e dovette esercitare un ruolo importante
sugli esordi del Profeta (p. 91). Secondo Gilliot, vi sono molti altri elementi, nei racconti della tradizione
(dallepisodio del monaco Bahr alla reazione di Waraqa dinnanzi alla prima rivelazione) che lasciano pensare
ad un contesto cristiano quale terreno di coltura. Come gi ricordato (cfr. supra, pp. 870-871) Gilliot, con Van
Reeth, stato tra coloro che riservarono una favorevole accoglienza al lavoro di Luxenberg (cit. in Bibl. a p.
1016): nellarticolo torna perci la citazione dei due autori; in particolare si ricorda lopinione di Van Reeth,
secondo il quale il Corano testimonia la tradizione del Diatessaron (p. 99). In conclusione, secondo Gilliot noi ci
muoviamo seguendo due ipotesi entrambe non verificate: che il Corano a noi noto sia veramente quello di
Uthmn, e che comunque quel testo contenesse le autentiche rivelazioni di Maometto (p. 100); la vera storia
potrebbe balenare esaminando la storia siriaca e quella di coloro (Khadja, Waraqa e altri) che fecero di
Maometto un profeta (p. 101).
Ancora Gilliot, Les dbuts de lexgse coranique, RE.M.M.M., 58, 1990/1994 nota che lesegesi
coranica tarda (VIII-IX sec. d.C.) e che i garanti delle tradizioni non sono quelli che ci si attenderebbe, ad
esempio i primi tre Califfi, ma che lesegesi ha sostanzialmente un antenato mitico, cio Ibn Abbs. Il
problema comprendere il formarsi dellesegesi nellambito della storia e del processo di autorappresentazione
dellIslam nei confronti delle religioni e dei popoli facenti parte del suo impero: in questo egli fa propria, a p. 91,
le tesi di Sellheim (Prophet, Chaliph und Geschichte, cit.) . Fa poi riferimento a racconti mitici o pseudostorici
arabi, giudeocristiani o persiani trasmessi dai narratori di storie, da predicatori giudei, cristiani o altri, o da
convertiti (p. 93); materiali che, tramandati oralmente o trascritti, sarebbero stati poi attribuiti ad altri come Ibn
Abbs, Al, isha, etc. Il ruolo di questi qusss noto (sullargomento dei narratori di storie, gi accennato in
Dopo e a lato, vedi anche Athamina, Al-qasas: its Emergence, Religious Origin and its Socio-political Impact
on Early Muslim Society, S.I. 76, 1992, che ne sottolinea la grande importanza nel I sec. H.).
A.L. de Prmare, Les textes musulmans dans leur environnement (Arabica 47, 2000) nota che nel
Corano e negli ahdth c un vocabolario e dei temi religiosi preesistenti; e che i due corpora furono redatti in
modo definitivo rispettivamente nellVIII e nel IX sec. d.C. Essi sono documenti redatti sotto la spinta dei
medesimi eventi; per gli ahdth il ruolo chiave fu quello di al-Zuhr ( 742). Anche qui si torna su un tema che
abbiamo gi affrontato: il problema dei logia non quello della loro autenticit, ma delle circostanze nelle quali
furono scritti. In entrambi i casi (Corano e ahdth) la presenza di parole di origine non araba un problema che
va oltre lipotesi del prestito letterario (vedi Juynboll, infra). Lambiente va tenuto in considerazione: secondo la
tradizione araba, Zayd ibn Thbit (che fu chiamato a raccogliere il Corano) fu incaricato dal Profeta, a Medina,
di studiare i testi ebraici e il siriaco (Su Zayd cfr. M. Lecker, Zayd b. Thbit, A Jew with two Sidelocks:
Judaism and Literacy in pre-islamic Medina (Yathrib), J.N.E.S., 56, 1997). Molti dei letterati citati nello studio
erano tuttavia Ansr, ci che lascia qualche dubbio sul fatto che potessero essere idolatri: cfr. infra). Waraqa ibn
Nawfal, il cugino cristiano (o divenuto tale; si deve parlare comunque di giudeocristianesimo) di Khadja,
aveva tradotto il Vangelo (degli Ebrei? cio degli Ebioniti? cfr. Dorra Haddad e Roncaglia, cit. in Bibl. alle pp.
754 e 773) in arabo e scriveva anche in ebraico: vi era dunque un ambiente nel quale circolavano i testi religiosi,
e testi giudaici e cristiani riformulati sono presenti anche negli ahdth; tanto qui che nel Corano si trovano
1045
elementi provenienti da Apocrifi e Pseudepigrafi, testi espunti dalle due religioni con la canonizzazione, che
tuttavia tarda (II-V sec. d.C.); testi la cui presenza va comunque ben oltre tale data, per la sopravvivenza delle
sette (lambiente era familiarizzato con testi talmudici, pseudepigrafi, apocrifi e neotestamentari: p. 396).
Circolavano anche tradizioni iraniche (ci che ho segnalato gi nei capitoli dedicati allIslam nel testo; sui
contatti del mondo arabo pre-islamico con quello sassanide vedi anche infra) e anche Salmn il Persiano sembra
un personaggio emblematico di una confluenza religiosa iniziale, come Waraqa, o, per i Giudei Abdallh ibn
Salm (p. 397). Abdallh ibn Salm -nome singolare che significa servo di Dio figlio della pace- , con Kab
al-Ahbr, un protagonista del leggendario islamico; essi sono i primi Giudei convertiti, e sono coloro che
riconoscono in Maometto il Profeta atteso dal millenarismo giudaico. Kab al-Ahbr protagonista delle
tradizioni relative alla presenza di Umar a Gerusalemme: cfr. Busse, 1984, 1986, supra. Le figure di questi due
Giudei sono ampiamente trattate in Rubin, infra. I primi commentatori del Corano faranno largo uso di scritti
ebraici e cristiani per spiegare alcune allusioni del testo: sembra che il primo ad opporsi alla circolazione di testi
non musulmani sia stato Umar (p. 398). Dopo aver fatto vari esempi di prestiti linguistici essenziali (a partire
dalla stessa parola Qurn, dal siriaco Qeryna) de Prmare conclude che i prestiti sono pensati in funzione di
qualcosa daltro, di scelte personali del Profeta e collettive dei suoi Compagni e Successori (p. 408).
Il concetto di reinterpretazione come ritorno alle origini, che abbiamo gi notato come tratto distintivo
del rapporto dellIslam con la tradizione testamentaria, tradta da Giudei e Cristiani, riemerge da un altro breve
articolo di de Prmare, critures et lectures, RE.M.M.M. 58, 1990/1994 dove si ricorda che la discesa dal
cielo invocata per il Corano, vale anche per Torah e Vangelo (cfr. Cor., 5,68, dove usato il verbo nazala, che
indica una discesa materiale -p.e. quella della pioggia). Sulla discesa del Corano, cfr. S. Wild, We have
sent down to Thee the Book with the Truth.... Spatial and Temporal Implications of the Qurnic Concept of
nuzl, tanzl, and inzl, in The Qurn as a Text, cit. in Bibl. a p. 1015. Wild discute non soltanto il significato
lessicale dei termini, ma sottolinea che il carattere materiale della discesa essenziale per capire lIslam e la sua
differenza con il Cristianesimo. Nel secondo Dio si incarnato, si fatto uomo, ha portato la Legge nellumano,
ha dato un esempio; nel primo si illibrato, divenuto un testo rigido e immutabile al quale luomo pu
soltanto sottomettersi. Sostiene tuttavia de Prmare che le tradizioni islamiche antiche fanno pensare che anche
le scritture musulmane inclusa quella coranica, fossero inizialmente intese non come fissate, ma come dinamiche
e soggette allinterpretazione delluomo (p. 9). Si torna a un quadro non dissimile da quello di Donner: occorre
capire le Scritture nellambito storico della loro creazione, evoluzione, portata e significato.
Per inciso, viene da ricordare un vecchio articolo di H.A.R. Gibb, Pre-islamic Monotheism in Arabia,
H.Th.R. 55, 1962, nel quale si pongono domande di semplice buon senso circa lambiente religioso nel quale si
svolse la predicazione del Profeta, cio: come poteva essere compresa la sua predicazione se in Arabia non fosse
gi stato presente un vocabolario religioso monoteista? se il Profeta ricorda a chi lo ascolta le tavole di Mos,
come poteva non essere familiare a tutti lEbraismo? Le stesse fonti islamiche e altre notizie lasciano comunque
comprendere la presenza di gruppi monoteisti anche diversi da Giudei, Cristiani e Giudeocristiani, cio gruppi
monoteisti eterodossi.
Venendo alla presenza, segnalata da Gilliot, supra, di temi mitici o pseudostorici giudaici, cristiani e
persiani nel leggendario islamico, utile ricordare un articolo di G.H.A. Juynboll, The Role of non-Arabs, the
Mawl, in the Early Development of Muslim Hadth, Le Muson 118, 2005. Lanalisi di dettaglio significativa
anche per quanto riguarda la nascita della Sunnah, poich precisamente dalla nascita delle tradizioni dipende il
formarsi della Sunnah stessa. Due conclusioni sono da segnalare innanzitutto per quanto riguarda i protagonisti
di questa operazione. La prima che la trasmissione degli ahdth non inizi se non tardi, nei primi decenni
dellottavo sec. d.C. (pp. 371-372). La seconda che verso la fine del II sec. H. tutta la scienza degli ahdth, ma
anche del fiqh, era praticamente in mano ai mawl (pp. 385-386). A loro debitore Ibn Hanbal (p. 386) il noto
tradizionista del IX secolo. Mawl erano Muhammad b. Ishq (p. 383) e Muhammad b. Umar al-Wqid (p.
384) gli autori della Sra e del Maghz; lo era al-Zuhr e lo era Shuba b. al-Hajjj altro grande trasmettitore di
ahdth, figlio di un collaboratore di quello Hajjj, governatore dellIraq, che ebbe un ruolo nella canonizzazione
del Corano (dopo la prima operazione di Uthmn) avvenuta al tempo di Abd al-Malik. I mawl furono anche
gli inventori dei muammarn, personaggi dalla vita straordinariamente lunga, che garantivano la continuit
degli asnd (cfr. supra p. 868). Juynboll ricorda anche il loro ruolo di recitatori e interpreti del Corano, e, alle
pp. 384-385, nota come essi, dopo essere stati inizialmente disprezzati, finirono con limpadronirsi del ruolo di
trasmettitori delle tradizioni al posto degli Arabi. Si noti dunque, lattendibilit di chi afferma, come Gilliot,
supra, la presenza di elementi mitici e pseudostorici giudeo-cristiani e persiani nella tradizione che d corpo alla
Vulgata islamica.
Uno studio a s stato dedicato da Juynboll a Nfi, the mawl of Ibn Umar, and his Position in
Muslim Hadth Literature, Der Islam 70, 2, 1993. Larticolo offre a Juynboll loccasione per tornare ad esporre il
proprio metodo di valutazione degli asnd (cfr. supra, p. 867 sgg.), nel quale la massima sfiducia riguarda i
cosiddetti spiders cio le linee di trasmissione attestate sempre su un solo trasmettitore, che hanno un ruolo
importante nel Sahih di Muslim. Questi spiders caratterizzano gli ahdth che passano per Nfi, perch a lui
giungono attraverso Ibn Umar e da lui sarebbero stati trasmessi a Mlik, il che, per motivi anagrafici, sembra
poco verosimile (Nfi fu acquistato nel 664, e Mlik si ritiene sia nato nel 715). Juynboll ricorda qui quanto da
lui affermato altrove (cfr. supra, p. 868) che le tradizioni sembrano nascere con i primi fuqah e furono
1046
approfondite, nellorigine, ai Successori e poi ai Compagni (teoria di Schacht). Larticolo lungo e complesso
su argomenti che sono qui di minore interesse; quello che interessa, in riferimento a quanto gi detto, per il
quadro che emerge quando si considera il ruolo di Mlik nella Tradizione. Le tradizioni sugli albori dellIslam e
sul Profeta, sembrano infatti provenire in buona parte dal mondo iracheno, forse la vera culla dellIslam cos
come si configur dalla fine del I sec. H. e come lo conosciamo. La tradizione di Medina sembrerebbe nata a
Kfa e a Basra (pp. 222-223; vedi anche Hawting, cit. supra a p. 862). Shfi, che era alla ricerca di asnd
marfut (cfr. supra, p. 869) sponsorizz ben volentieri la tradizione di Mlik, che diviene cos il padre della
Sharah (p. 239). Nfi ebbe un ruolo decisivo anche nel Sahh di Bukhar (p. 240). Larticolo di Juynboll per
criticato da Motzki (cfr. infra).
Con il formarsi del corpus delle tradizioni prende avvio la formazione di quel Sunnismo che viene
considerato come la ortodossia dellIslam, tema riguardo il quale occorre fare due precisazioni. La prima, gi
segnalata e sulla quale torneremo ora con altri due articoli di Juynboll e con uno di Gilliot, che il Sunnismo
formazione tarda, che prende decisamente il sopravvento soltanto dopo il IX sec. d.C.; allinizio il cosiddetto ahl
as-sunnah wa l-jama rappresentava un gruppo largamente minoritario. La seconda che lIslam pu essere
meglio definito come una religione dalle molte ortodossie e che ogni ortodossia, come gi mostr W. Bauer,
non che il risultato di un processo storico di consenso attorno ad una delle possibili letture del messaggio
profetico. Su questo vedremo infra qualcosa, relativamente sia al percorso dellIslam sunnita, sia al percorso di
quello shita, cio al formarsi di queste due ortodossie.
Iniziamo dal testo pi antico di Juynboll, Some new Ideas, etc. del 1987, cit. in Bibl. a p. 1016, che
ho parzialmente esposto (limitatamente alleconomia di quel capitolo) a p. 867 supra e che ora merita di essere
considerato pi a fondo in ragione di questi chiarimenti che vado perseguendo. Juynboll inizia ricordando che
sunnah significa tradizione, ma soltanto col IX sec. e con Shfi che il termine assume il significato di sunnah
del Profeta, e prosegue ricapitolando il problema che si pone circa la datazione della reale data di nascita degli
ahdth. Al riguardo segnala che Umar, morente, ammon a fondare ogni decisione sul Libro di Dio, sui
muhgirn e sugli ansr (i partecipanti allEgira e gli alleati di Medina) senza menzionare alcuna sunnah.
Inoltre, in una sua decisione relativa alla spartizione del bottino, egli ignor la relativa norma coranica (Cor.,8,
41). Al dichiar a sua volta che avrebbe seguito la sunnah dei precedenti Califfi per quanto possibile: ci che
significa che la loro non negata autorit non era tuttavia di origine divina; sunnah non era dunque ancora un
termine giuridico. Soltanto alla met dellottavo secolo si cita una sunnah del Profeta e dei Compagni, cio un
comportamento trdito dei primi tempi; e la sunnah del Profeta venne chiamata in causa con Shfi nel IX
secolo perch necessaria a colmare le incertezze del Corano e a mettere ordine nel problema della abrogazione
(cfr. supra, p. 866). Ab Ubayd ( 838) cita il caso di norme la cui validit fondata sulla loro applicazione da
parte dei quattro Califfi rshidn, che le fa ritenere sunnah del Profeta: cosicch questultima viene ad essere
generata dalla pratica dei Successori! (pp. 108-109; cfr. quanto notavo supra a p. 900 circa la posizione darrivo
giurisprudenziale di Ibn Taymiyya sullargomento: si pu diventare eretici rispetto a una...tradizione). Nel
tempo si svilupp persino lidea che la Sunnah potesse prevalere sul Corano (non fu questa la posizione di
Shfi) il cui primo sostenitore fu Yahy ibn Ab Kathr ( 747-750) che era un mawl annoverato tra gli ashb
al-hadth (cultori dello hadth). Ibn Sad definisce Ab Ishq al-Fazr come shib sunnah...pieno di errori nei
suoi ahdth: un giudizio che evidentemente egli non ritiene contraddittorio (p. 111). Tornando a Yahy, egli
apparteneva a un partito che ai suoi tempi era minoritario; ancora negli anni della mihna (cfr. supra, p. 891) era
praticamente in clandestinit. Ci che colpisce dunque che i primi muhaddthn siano relativamente pochi, che
uno di loro possa essere facilmente criticato e che la maggior parte di essi siano qualificati come produttori di
argomenti di ammonimento e incitazione (p. 113). Anche se la prima citazione dello ahl as-sunnah come
contrapposto allo ahl al-bida appare con Muhammad b. Srn ( 728) e di esso si pu parlare soltanto verso la
fine del VII secolo, significativo che gli storici musulmani non se ne occupino in dettaglio (p. 113).
Concludendo: il significato di sunnah completamente diverso alla met dellottavo secolo e alla met del
nono, allorch il termine diviene sinonimo di Islam. Juynboll avanza unipotesi: possibile che i qurr (vedi
sopra) che parteciparono a molte ribellioni e defezionarono a Siffn, siano stati allorigine dello ahl as-sunnah?
Laltro articolo di Juynboll da citare al riguardo An Excursus on the ahl as-sunnah in Connection
with Van Ess, Theologie und Gesellschaft vol. IV, Der Islam, 75, 2, 1998. Qui Juynboll critica la possibilit di
comprendere levoluzione storica dellIslam partendo dallartificio delle fazioni create da pi tardi eresiografi e
da concetti che emergono nelle tradizioni del tardo II sec. H., quando gli ashab al-hadth ebbero finalmente il
coraggio di opporsi ai loro avversari , i mutakallimn, cio i sostenitori di una teologia razionale. Allinizio lo
ahl as-sunnah era un gruppo limitato; alla fine del VII sec. d.C. se ne potevano trovare ben pochi, tra i quali egli
cita due mawl. Pochi risultano essere i compilatori di testi e registratori di trasmissioni: soltanto un centinaio
hanno il titolo di shib, cultore della Sunnah, e i titoli di merito in questa disciplina vanno presi con molta
cautela (p. 320 in n. 5). I primi sunniti erano anche coscienti della propria modesta consistenza, i loro argomenti
anti-eresie erano nullaltro che meri slogans, n osavano impegnarsi in dibattiti con i mutakallimn (p. 322): la
loro scienza quella del Profeta (p. 323). Prima che la Sunnah potesse diventare argomento autorevole,
dovette trascorrere molto tempo (ivi). Nel ricostruire questa vicenda, Juynboll mette in luce il ruolo determinante
dei mawl, primo tra tutti Shuba b. al-Hajjj ( 776) (p. 329) e il loro odio per lo ahl ar-ray (p. 325) cio per
coloro che intendevano basare il proprio giudizio (legale) sul ragionamento personale.
1047
C. Gilliot, Islam, sectes et groupes dopposition politico-religieux (VIIe-XIIe sicles), Rives
Mditerranennes, 10, 2002, offre un conciso riassunto sul problema della ortodossia islamica, ed esordisce
affermando che allinizio non cera n sha n sunnismo, ma soltanto un Islam che cercava se stesso (in nota 11
c un richiamo esplicito alla dottrina di W. Bauer). I primi a tentar di creare un paradigma musulmano furono
gruppi in seguito definiti deviazionisti quali i khridjiti (il gruppo pi antico) i murjiiti, i qadariti e i
mutaziliti, senza contare diverse manifestazioni della Sha. Ci premesso, Gilliot ricorda le varie storie delle
sette, ovvero delle fazioni politico-religiose, che fiorirono, sia in ambito sunnita che in ambito shita, tra il X e il
XII secolo d.C., vale a dire in epoca decisamente avanzata. Ora, sottolinea, opportuno segnalare non soltanto
che agli inizi il Sunnismo non esisteva, ma anche che esso fu creazione lenta e assai tarda, tra la fine dellottavo
secolo e il nono, come reazione al mutazilismo (cfr. supra, pp. 890-892). A partire dalla prima divisione che si
manifest attorno al califfato di Al, Gilliot fa notare come le scissioni fossero di natura politica, e soltanto in un
secondo tempo si codificarono attorno ad esse delle dottrine, delle quali gli eresiografi tentarono la
sistematizzazione attorno a temi specifici (ho avanzato questa considerazione gi in vari luoghi del testo, per
quanto riguarda sia le varie correnti della Sha, sia per quanto riguarda il formarsi allinterno della fazione alde
delle dottrine gnostico/eversive che furono poi espunte al formarsi della dottrina duodecimana; sul formarsi di
questultima, cfr. infra). Definire ortodossi i Sunniti, cio lo ahl al-hadth, in quanto nemici della teologia
speculativa, non ha inoltre molto senso, se si considera che essi poterono essere accusati di antropomorfismo,
incidente nel quale incorse anche Ibn Taymiyya. Del resto, laffermazione del Sunnismo avviene essenzialmente
nellundicesimo secolo con il dominio Selgiukide e, come nota Gilliot a conclusione, uno dei mezzi per stabilire
un credo ortodosso fu ricorrere allaiuto dello Stato.
Non si pu comunque sottovalutare lincipit del breve saggio di Gilliot, la critica allaffermazione che
la violenza islamica alla quale stiamo assistendo sarebbe estranea ad una presunta ortodossia islamica intesa
come Islam non settario, fedele al messaggio iniziale. La dimostrazione della illusoriet di tale affermazione (che
quanto riassunto sopra) preceduta da una affermazione precisa: la violenza un tratto originario dellIslam,
giustificato nella pratica del Profeta con i propri avversari, ad iniziare dal massacro dei Qurayza, che viene
motivato da un ordine divino; uno dei luoghi classici dellesegesi coranica al riguardo, commenta in nota in
Cor. 33, 9-27. La cosa non deve destare sorpresa, tantomeno giudizi moralistici: Apocalitticismo e Millenarismo
hanno avuto facilmente limpronta delleversione (o della rivoluzione, come si preferisce) per lesigenza di
fondare in terra il regno della giustizia, tema atopico caratteristico della marginalit come mi sono sforzato
sempre di mostrare

Mi sembra per opportuno riprendere ora il filo del discorso interrotto analizzando i testi di U. Rubin,
ad iniziare da The Eye of the Beholder: The Life of Muhammad as viewed by the Early Muslims. A Textual
Analysis, Princeton, The Darwin Press, 1995 (dora in poi EB) e Between Bible and Qurn. The Children of
Israel and the Islamic Self-Image, Princeton, The Darwin Press, 1999 (dora in poi BQ); tratter poi di seguito le
posizioni di Grke, Schoeler, Motzki, i quali dissentono dalla linea di ricerca sin qui esposta; successivamente
quelle, critiche al riguardo, di Shoemaker, soltanto accennate allinizio.
bene considerare congiuntamente i due testi di Rubin, perch essi mostrano due momenti di
unindagine rivolta allo stesso fine: mostrare unevoluzione dellIslam a partire da un sottofondo giudaico che
cede progressivamente il passo ad un fenomeno di progressiva islamizzazione. Ci avvenne tramite la
sostituzione del referente biblico presente nelle tradizioni, con un referente coranico che si forma gradualmente
nel corso del I sec. H.; per questa ragione Rubin deve consolidare due capisaldi della sua ricerca che sono posti
nelle ultime pagine di EB. Il primo consiste nellaffermazione che gli elementi della Sra e gli asbb al-nuzl (le
circostanze della Rivelazione, cio della discesa, secondo il significato del verbo nazala) non emergono
come tafsr (commento) del Corano -opinione diffusa- ma lo precedono; la Sra pi antica e grazie ad essa
possibile il tafsr. Il secondo, che lanalisi degli asnd condotta da Schacht e successivamente da Juynboll -con
le osservazioni di M. Cook- parte da presupposti arbitrari che cozzano con lesame testuale degli ahdth, i quali
mostrano di risalire realmente al tempo dei Compagni. Ci non significa che gli asnd siano reali; significa
semplicemente che le tradizioni sono venute alla luce prima di quanto si creda (EB, p. 234). Su questo mi
permetto alcune considerazioni personali.

La tesi di Rubin, da lui ricapitolata ed argomentata nelle ultime pagine di EB (pp. 226-260) chiara:
gli asnd rappresentano il tentativo di conferire verit storica ad una mera tradizione letteraria racchiusa negli
ahdth, perci inutile esaminarli al fine di costatarne o negarne la verit storica. Come si vede, siamo in
presenza di una tesi diversa ma ben pi radicale, che va oltre le ipotesi ingegnose di Juynboll, le quali scoprono
il fianco alle critiche che sempre si possono portare alle ricostruzioni ipotetiche in un campo che si presenta assai
scivoloso. A mio avviso, nel sostenere la propria tesi elaborata a partire dai matn (i testi -pl. di matn- degli
asnd) Rubin evita il problema che si pone alla scuola scettica nel confrontarsi con la zona grigia delle origini:
questa tradizione, che lui considera letteraria, ha o non ha un referente fattuale, storico? Gli scettici conducono
le proprie analisi negando tale referente grazie alla dimostrazione della sua invenzione in et tarda, epper
sono in tal modo impossibilitati a delineare queste origini, salvo introdurre ipotesi destinate a restare tali, come
nel caso della Crone. Tuttavia anche Rubin, evitando il contesto storico-sociale-dottrinario, non si occupa di
1048
comprendere il senso di queste origini: di quale attesa lIslam compimento? Non a caso egli parla abitualmente
di Giudeo-musulmani (specialmente in BQ) senza per enucleare uno specifico contesto eterodosso giudaico o
giudeo-cristiano (sul Cristianesimo glissa, i riferimenti sono rari, del resto esso non era di certo presente come
ortodossia) cio un possibile sottofondo settario come religiosit diffusa; afferma la presenza di un humus
millenarista (Millenarismo e Apocalitticismo sono costitutivi della Weltanschauung islamica sin dagli albori e ne
decretano il successo) ma non circoscrive il contesto che potrebbe costituirne il quadro di riferimento, facendo
luce sul significato storico dellIslam. Tutto sommato, si evita di affrontare la stessa variegatissima realt del
Giudaismo, perch il riferimento ai testi struttura soltanto levidenza di un generico Giudaismo nelle origini
dellIslam. Inoltre la collocazione della tradizione letteraria al tempo dei Compagni lascia pur sempre aperto il
problema, non indifferente, se questa tradizione abbia o no un riferimento ad oscuri eventi storici, se cio c un
Compagno o un testimone narrante allorigine dellisnd, o se la narrazione debba esser vista come linvenzione
di un contemporaneo qass, di un narratore di storie. Let seriore di molte tradizioni rispetto al testo coranico lo
scopo dellanalisi di Rubin, la tesi che egli intende dimostrare -e lo fa- ma da sola non sufficiente a chiarire il
significato storico dellevento Islam; al tempo stesso non utile per comprendere ci che realmente accadde
senza un rapporto con la sua attendibilit e la sua vera origine. Lanalisi di Rubin sembra sostanzialmente una
raffinata evoluzione della tesi di Wansbrough, che per primo parl di tradizione letteraria, da considerarsi
soltanto come tale.

NellIntroduzione a EB, Rubin afferma infatti: mi interessano le storie, non il loro collegamento con
possibili eventi. Dopo aver ricordato le ricerche di altri storici, afferma quindi che la propria indagine rivolta ad
altro, a considerare le tradizioni come specchi che riflettono lo stato mentale (p. 3) cio la cultura e il mondo
mitico dei credenti, dai quali e tra i quali esse ebbero origine. In ci egli anticipa le conclusioni affermando che
la storia lasciata intravedere dalle tradizioni, pi precisamente, dalla loro evoluzione, mostra la preoccupazione
dellIslam medievale di definire il proprio ruolo nella storia mondiale in qualit di pi degno coronamento della
vicenda del monoteismo, dopo Giudaismo e Cristianesimo. Si noti, per inciso, che a conclusioni del tutto
analoghe giungono, per altre vie, le analisi di Donner, Comerro e de Prmare esaminate sopra, ci che consente
di iniziare a porre un punto fermo.
Rubin esamina poi il problema del profeta umm, che egli ritiene tema di derivazione giudaica,
mettendo in relazione la parola con lebraico goy, al quale attribuisce non soltanto il noto significato di gentile
ma anche quello di non conoscitore dei testi, in tal senso dovendosi intendere la comune interpretazione come
illetterato (cfr. supra, p. 956). Non che non esista anche una tradizione araba al riguardo (pp. 44-55) tuttavia
da rimarcare che ci che pi interessa lautore di EB e di BQ mostrare che il percorso che conduce alla
formazione delle tradizioni islamiche verso la fine del I sec. H., rappresenta unevoluzione da una primitiva
vicinanza al Giudaismo ad una successiva ostilit, al fine di guadagnare una specifica identit arabo-musulmana.
Siamo dunque in presenza dellipotesi di un percorso evolutivo/identitario come nel caso di Donner, con la
differenza che Rubin pone maggiormente laccento su una genesi allinterno di una cultura giudaizzante.
Non lipotesi provocatoria di Hagarism, ma debbo notare che non ne siamo troppo lontani in questo:
Rubin vede lorigine dellIslam nel seno del Millenarismo giudaico, sottovalutando loriginalit dellIslam inteso
come una sintesi che il Profeta pot operare partendo da fermenti di natura complessa, che riguardavano anche
il Giudeocristianesimo e il Cristianesimo, la cui presenza non ignorata da Rubin, ma il cui ruolo sembra essere
invocato soltanto in modo occasionale e marginale. Ci che per conta che il Cristianesimo era presente nelle
sue accezioni eterodosse. Senza dunque negare il ruolo del rapporto col Giudaismo, sembrerebbe piuttosto di
essere in presenza di un rapporto tra la nascita dellIslam e una facies religiosa composita, caratterizzata tutta
dallattesa messianica. Infatti lIslam, bench giunto allautorappresentazione soltanto con un percorso secolare,
sembra avere sin dallinizio un volto originale, ci che esclude il rapporto di filiazione con una particolare
religione e parla a favore di una nuova e originale sintesi delle varie attese millenariste (tutto il Corano sembra
attendere unimminente Fine dei Tempi). Detto ex-post e con un po di (forse) illecito giustificazionismo:
soltanto lIslam ha dato una risposta vincente alla cultura della marginalit, mentre le sette rimasero allo stato di
sette, cio furono risposte perdenti.
Rubin esamina in EB molte tradizioni, ad esempio quelle sulla isma, la purificazione dellanima del
Profeta che lo rese immune dal peccato (pp. 59-75) nelle quali vede il ricordo di un modello universale di
iniziazione, cui contrappone un possibile politeismo iniziale di Maometto (cfr. Kister, A Bag of Meat, etc. cit.)
notizia che egli ritiene pervenuta da un possibile strato antico dei narratori di storie, successivamente manipolato
dai costruttori della Vulgata (pp. 76-99) Anche il tema della Rivelazione esaminato da lui nei suoi due livelli:
quello dellimprovvisa percezione di luci e suoni (cfr. supra) che rappresenta un fenomeno ben noto e non desta
meraviglia, e quella dellincontro con Gabriele (pp. 103-112). Anche per quanto riguarda la vicenda dei versetti
satanici (pp. 156-166) -che per sembra contrastare , nella sua stessa essenza, con la tradizione della isma, onde
ha ricevuto in seguito complicati tentativi di esegesi- Rubin vede la memoria di un primitivo livello non coranico
sullisolamento che avrebbe subto Maometto, successivamente arricchito di toni drammatici grazie ai passaggi
coranici (53, 21-22 e 22, 52-54) che alludono a quei versetti. Si assisterebbe dunque alla trasformazione
coranica di una tradizione non coranica. Burton, Those are the high-flying Cranes, S.I. 6, 1956, vi vede
viceversa un esempio dogmatico ai fini della dottrina dellabrogazione, con il ricordo di possibili testi differenti
1049
del Corano. Noto per inciso che il ragionamento di Rubin porta ad avvalorare lantichit di una tradizione
trasmessa con una delle (presunte) lettere di Urwa ibn Zubayr ad Abd al-Malik: sullattendibilit di queste
lettere torner al momento di esporre larticolo di Shoemaker, ricordando per che anche Noth (pp. 79-81)
considera non soltanto il genere lettere una costruzione artificiosa, ma anche un evento improponibile
allepoca per la mancanza di un sistema postale.
Rubin esamina poi le tradizioni sullincontro di Aqaba e sullomaggio ricevuto dagli Ansr di
Yathrib (Medina). Gli Ansr o ausiliari, erano gli Arabi Aws e Khazra, a quanto sembra, idolatri, ma forse
non tutti, e su questo punto mi sembra opportuno aprire una parentesi.
M.Lecker, Was Arabian Idol Worship declining on the Eve of Islam?, in People, etc. cit., sostiene la
tesi di una vasta diffusione dellidolatria a Medina; lo stesso Lecker, in Idol Worship in pre-islamic Medina
(Yathrib), Le Muson, 106, 1993 espone le tradizioni sulla distruzione degli idoli, che tuttavia sembrano
stereotipi. tuttavia interessante notare che alcuni di questi culti sembrano chiaramente connessi con la
leadership tribale, la cui distruzione assume allora un significato politico, ipotesi che avanza lo stesso Lecker
(Was Arabian, etc., p. 2) che successivamente (p. 29 sgg.) dedica infatti un paragrafo a s alla conversione dei
nobili tra gli Ansr. Egli stesso nota inoltre (ivi, p. 4) che molte delle tradizioni sulla distruzione degli idoli sono
senza dubbio inventate, e, infine (ivi, p. 24) non pu evitare di presentare le ipotesi di altri autori che
sottolineano quanto importante dovette essere linfluenza dei Giudei e dei Cristiani (Giudeocristiani?) presenti a
Medina sul paganesimo, preparando cos la rapida conversione allIslam. Molti degli Ansr, nella loro posizione
oscillante verso il Profeta, meritarono in seguito il nome di munfiqn, ipocriti; e uno dei loro leader fu, tra gli
Aws, Ab mir, hanfita o forse manicheo. Tanto gli Aws che i Khazra erano legati ai Ghassnidi, monofisiti,
i tradizionali alleati dei Bizantini. Viene quindi da pensare alla presenza di forme eterodosse, giudeocristiane; gli
Ansr infatti sembrano riprendere molte usanze dai vicini Giudei, ai quali avevano tolto il ruolo di esattori delle
tasse, che i Giudei avevano detenuto per conto dei Persiani (su questo cfr. Lecker e Kister, infra). Medina era in
tal senso in rapporto con Hra (cfr. infra) dove, al tempo, non mancavano i Cristiani tra i Lakhmidi (gli alleati dei
Persiani). Insomma, non mi sembra certa questa generale situazione idolatrica tra gli abitanti della Medina non
giudea; del resto, se si guarda alla panoramica dello stesso Lecker sulle varie trib arabe, a proposito della Ridda
(Tribes in pre- and Early Islamic Arabia , in People, etc. cit.) si nota che pu esistere una certa differenziazione
religiosa allinterno di una stessa trib. Un particolare sapido ma da non sottovalutare circa leffettivo peso
culturale di questa idolatria lo si trova in Was Arabian, etc. cit., p. 37: tra i fabbricanti di idoli alla Mecca cera di
sicuro un cristiano! Se la storia vera c da domandarsi di che natura fosse la fede tra gli Arabi; se falsa si
tratta di una malignit creata da un Islam che considera i Cristiani come mushrikn, associazionisti. Sul carattere
alquanto mitico dellidolatria pre-islamica torneremo comunque infra, esaminando la ricerca di Hawting.
Gli Ansr dunque abitavano Yathrib (Medina) come i loro vicini Giudei con i quali i rapporti non
erano, come abbiamo visto, idilliaci; tuttavia, entrambi i gruppi riconobbero in Maometto il Messia che tutti
attendevano (p. 176; su questo torner a proposito di Wasserstrom; ma su chi fossero, o potessero essere, i
Giudeocristiani arabi, dunque anche quelli eventuali di Medina, cfr. supra le pp. 51-58, in particolare 51-52 e 57-
58, nonch i riferimenti a Roncaglia, Dorra Haddad, Cirillo, Petersen e Magnin ivi citati nelle note e nel testo).
Nellesaminare le tradizioni che ruotano attorno alla baya o giuramento di alleanza (prestato al Profeta) e che
fanno riferimento tanto allincontro di Aqaba quanto allepisodio di Hudaybiyya, Rubin nota una serie di
discordanze delle tradizioni stesse gravitanti attorno a questa consuetudine araba pre-islamica, che diviene Legge
islamica perch episodi diversi confluiscono nel Corano unificati nella predicazione del Profeta. La Sra, ne
conclude Rubin avvalorando la propria tesi, dunque lorigine di questa trasformazione di unantica usanza in
una prescrizione legale (EB, p. 181-183).
Unultima analisi concerne le datazioni -da considerare simboliche- relative alla vita del Profeta, che
Rubin vede in rapporto con quelle, parimenti simboliche, relative alla vita di Mos (EB, pp. 189-214). In
conclusione, Rubin considera la figura del Profeta, cos come tramandata, il risultato di una composizione di
temi biblici (come quello di Gen.,17, 20 o di Isaia,42, 2) con temi arabi presenti nelle tradizioni, a partire da
quelli relativi alla premonizione della missione profetica di Maometto sin dallinfanzia (Cap. 2). Questa sua
immagine quale supremo successore dei Profeti che lo avevano preceduto, riflette, secondo Rubin, la comune
immagine che aveva di s lIslam medievale (EB, p. 217).
Per quanto riguarda BQ, si pu dire che il testo prosegua la ricerca di EB, l limitata alla vita del
Profeta, che si era conclusa negando la tesi di Schacht (EB, p. 260) e si era aperta con la tesi di Sellheim di un
Profeta inizialmente visto come umano, poi trasformato in figura superumana (EB, pp. 2-3). In BQ si esamina
ora levoluzione del ruolo dei Giudei nel corso del processo di formazione dellIslam. Le conclusioni si
muovono dunque nel perimetro delle premesse contenute in EB, e il metodo di analisi il medesimo.
Secondo Rubin, lorigine nellambiente giudaico-cristiano (dove per, come ho gi notato, laccento
cade essenzialmente sul Giudaismo) fa s che il modello esemplare degli ahdth sia quello giudaico; vi poi una
successiva evoluzione negli ahdth stessi che trasforma lesperienza giudaica e quella cristiana in modelli da
non seguire. Ci perch nel periodo che va dalle origini allepoca omeyyade lIslam prende coscienza di una
propria distintiva peculiarit come popolo conquistatore, popolo eletto. Questo processo, che vede lemergere di
una tradizione fondata esclusivamente sul Corano, definito come una islamizzazione dei Musulmani, e il suo
fondamento in racconti sulla migrazione dei Giudei verso lHijz e in un messianesimo che farebbe della Siria
1050
la Terra Promessa per i Giudeo-musulmani. Per inciso, noto che Dorra-Haddad (cit.) ritiene che i
Giudeocristiani siano stati espulsi dallImpero Bizantino al tempo della sua completa cristianizzazione, e,
cacciati verso la Persia sassanide, finirono col rifugiarsi nellHijz, divenendone lorigine della rinascita
commerciale, culturale e religiosa. La cosa non poi tanto strana se si pensa al caso di Waraqa, del quale si dice
avesse tradotto in arabo il Vangelo (di Matteo? Degli Ebrei? Sulla parentela del secondo -siriano- col primo e col
Diatessaron cfr. i riferimenti alle pp, 51-58 supra; per maggiori dettagli cfr. Apocrifi del Nuovo Testamento, cit.
in Bibl. a p. 722, vol. I, 1; il Vangelo degli Ebrei era usato da Ebioniti ed Elchasaiti; ritorno sullargomento infra,
esaminando il testo di Wasserstrom).
Naturalmente, dice Rubin (BQ, p. 52) le tradizioni non indicano come lIslam inizi realmente, ma
come il suo inizio fu visto dagli storici musulmani; peraltro si pu ritenere autentica la Costituzione di Medina
(su questo il parere pu dirsi unanime, e torner sul documento infra). Su questo punto per, tutta la ricerca di
Rubin si fonda sullaccertamento della presenza giudaica ( cio di un Giudaismo non meglio specificato, che
potrebbe far intendere il Giudaismo tout court, senza riferimenti a sette eterodosse o giudeocristiane) in Arabia,
terra promessa dai Profeti, e sul nesso di continuit, accertato, ipotizzato o proclamato, tra i luoghi di culto
ebraici e quelli islamici. Tra i legami appare singolare la presenza del mito delle trib disperse, con dettagli che
appaiono provenire dal racconto fantastico dellavventuriero Eldad ha Dani (X sec.: su di lui cfr. supra, p. 251
sgg.). Rubin torna poi anche sulla testimonianza del monaco cristiano Sebos, gi utilizzata da Crone-Cook.
Linvasione della Siria diviene cos legittimata dallapologetica come unimpresa giudaico-musulmana.
Col tempo per, secondo lanalisi di Rubin, i Giudei iniziano ad assumere, nelle tradizioni, il ruolo di
traditori del lascito; di qui lanalisi della Sra al-Mida, sulla quale non torno perch ne ho gi accennato in
rapporto allarticolo della Comerro. Essi sono i traditori dei propri profeti, tant che gli Shiti paragoneranno i
Sunniti ai Giudei, e se stessi ai profeti (BQ, p. 76 sgg.). Gli esempi addotti da Rubin riguardo una progressiva
identificazione dellIslam in contrapposizione al Giudaismo sono numerosi; particolarmente interessanti quelli
relativi alla rottura delle Tavole da parte di Mos, e alladorazione del vitello doro (pp. 101-113). In questo
ambito emerge il contrasto tra Legge scritta e Legge orale, tramandata nei petti (cfr. p. 105 e p. 15; la vicenda
riguarda anche i leggendari rapporti tra Kab al-Ahbr e Umar) a vantaggio della seconda. Il contrasto ha un
particolare rilievo in rapporto al successivo capitolo dedicato al problema delle sette, in particolare dei Khridjiti
(BQ, pp. 117-167); qui per voglio ricordare che il primato della Legge orale, scritta in cielo diversa e
superiore al letteralismo di quella scritta, un tipico tratto eterodosso che abbiamo rilevato nella Qabbalah (cfr.
supra, p. 352 sgg.): si tratta delleterna tensione millenaristica al superamento della Legge che riguarda i tre
monoteismi, con lo Gnosticismo, il Gioachimismo e le eresie medievali, la Qabbalah, e i Sabbatiani e i Frankisti,
lIsmailismo e lestremismo shita in generale sino al Bbismo). I Khridjiti son infatti accusati di tradire la
Legge precisamente perch, come i Giudei (evidentemente quelli ortodossi) si attengono rigidamente agli
scritti, ignorando la tradizione orale (BQ, pp. 150-154): e precisamente per questa ragione mi parrebbe
importante poter precisare di quale Giudaismo si parli quando si parla di una vicinanza islamico-giudaica
degli inizi, e di quale Giudaismo si parli quando si parla di una successiva contrapposizione. La mia
personale opinione lho gi esposta pi volte: lIslam appare il coronamento vincente delle eterodossie tanto
giudaiche che cristiane, poste al margine -culturale, ideologico, sociale, geografico- degli Imperi nei primi
quattro secoli dellera volgare. In Arabia, margine geografico prima dellIslam, sono presenti anche le eresie del
mondo sassanide: non soltanto il Manicheismo, ma anche il Mazdakismo (cfr. supra, p. 118).
Che poi una religione nata da un crogiolo di eterodossie abbia, nel corso dei suoi primi secoli,
condannato ogni forma di pensiero critico, a cominciare da Ibn Muqaffa, Ibn al-Rwand e al-Warrq,
sviluppando una ortodossia tradizionalista (il Sunnismo) che imbalsam per sempre la Legge ad uso della
propria Sunnah e culmin con lintolleranza di Ibn Taymiyya, questa unaltra storia, la storia di tutte le
rivoluzioni che riescono a sedersi sul trono e sullaltare (la cui divisione fu la fortuna delloccidente); una
storia che vale anche per le nostre rivoluzioni secolarizzate, dal XVIII al XX secolo. la storia del razionalismo
subalterno, che da quello egemone prende lassolutezza ideologica ma non il senso dellironia -nel significato
letterale del termine. C tanta logica, manca luomo e il mondo. Questa anche, per, unaltra storia: e quindi
linciso termina qui.

Tornando alla polemica con i Khridjiti, linterpretazione autentica del Corano diviene la Sunnah (p.
153) con una precisa motivazione: essere costretti a disputare sui passi oscuri del Corano, come conseguenza
delluso delle sole Scritture, conduce inevitabilmente alla bida (cfr. Hawting, supra) il peggiore dei delitti per
lIslam perch si usa la ragione umana per stabilire quella divina, conducendo i Musulmani a comportarsi come
gli Ebrei e i Cristiani che tradirono la Legge ricevuta. Non per nulla i due termini opposti (ahl -al-bida e ahl al-
sunnah) costituiscono lo spartiacque della grande Fitna per gli storici musulmani.
La polemica antigiudaica si snoda ancora per altri episodi: gli adoratori di Al erano i seguaci del
(forse) Ebreo convertito Abdallh Ibn Sab (cfr. supra, p. 198; questo particolare per non certo e non
espressamente menzionato in Rubin); i Qadariti erano assimilati ai Cristiani, i Murjiiti agli Ebrei (p. 178). Rubin
per ricorda che i Musulmani vedevano gli Ebrei attraverso gli Pseudepigrafi (p. 202); non sottolinea una
situazione analoga per quanto riguarda la concezione dei Cristiani da parte dei Musulmani.

1051
Riporto infine le sue Conclusioni (pp. 233-239) che consentono di puntualizzare le sue opinioni. Le
tradizioni presentano due aspetti contrastanti nei confronti dei Giudei. Sono positive quelle che ne ripetono il
Messianismo che diventa perci giudeo-arabo e trasforma lArabia in Terra Santa, meta del pellegrinaggio
israelita, ponendo laccento sulle Trib disperse, e la Siria in Terra Promessa. Sono negative, e sono prevalenti,
quelle che riguardano lidolatria (il Vitello doro) e le divisioni interne. Gli Arabi e gli Ebrei fanno perci parte
inizialmente di una comunit universale scelta da Dio; questa percezione tuttavia non dur e la tradizione sulla
vita di Maometto mut la rappresentazione in quella di una superiorit della comunit araba; dalla primitiva
germinazione di una nuova fede si pass ad una coscienza distintiva. In questa luce, parti della comunit islamica
furono accusate di assimilazione con altre che avevano peccato: il caso di Khridjiti, Qadariti e Shiti, le cui
fila includevano Giudei e Cristiani convertiti allIslam. Di qui lurgenza di aderire alla sunnah del Profeta.
Furono assimilate le profezie bibliche relative alla distruzione dei nemici di Gerusalemme e alla ricostruzione del
Tempio; le Trib disperse entrarono nellimmaginario dello Hijz come seguaci del Profeta e pellegrine alla
Mecca. Rubin sottolinea ancora il ruolo della Bibbia nelle tradizioni messianiche.
Rubin afferma infine limpossibilit di stabilire una cronologia assoluta in queste tradizioni perch le
reciproche critiche tra i vari seguaci della scuola di Schacht e i loro oppositori mostrano linesistenza di
strumenti affidabili per le datazioni, strumenti che verosimilmente non si individueranno mai. C tuttavia
qualcosa di generale che, a suo avviso, si pu affermare. Dapprima lIslam si svilupp sotto linfluenza -secondo
alcuni come derivazione- del Giudaismo e del Cristianesimo; in un secondo momento le tradizioni coraniche
presero il sopravvento su quelle bibliche e i Giudei divennero traditori della Legge e inferiori agli Arabi
musulmani: questo secondo momento frutto dellorgoglio e delleuforia per la rapida e dilagante espansione.
Segu un terzo momento, quello dellinizio delle divisioni come crisi interna, nel quale emerse il timore che si
vanificasse il carattere distintivo della comunit islamica (ho gi notato in pi luoghi il carattere di autentica
ossessione che assume progressivamente nellIslam lobbligo della unit della Ummah).

Le conclusioni sono brillanti, convincenti ed esaustive. A me resta tuttavia sempre lo stesso dubbio: di
quale Giudaismo e di quale Cristianesimo si parla nella tradizioni positive e in quelle negative? Si parla
sempre della stessa cosa? O non, forse, i modelli assunti sono diversi di volta in volta, rispettivamente quelli
eterodossi e quelli ortodossi?
Per quanto riguarda il Giudaismo, una risposta indiretta mi viene da un altro articolo di Rubin,
Prophets and Caliphs: the Biblical Foundations of Umayyad Authority, in Method and Theory in the Study of
Islamic Origins, ed. by H. Berg, Leiden-Boston, E.J. Brill, 2003, nel quale il giudaismo posto allorigine della
profezia islamica quello degli Pseudepigrafi. Il testo merita di essere seguito perch getta una sua luce su
aspetti che sono al cuore del pensiero islamico. Il tema : il passato come origine dellautorit. Secondo Rubin, la
nota concezione islamica di un homo naturaliter islamicus cio dellIslam come religione atemporale e
sovranazionale implicita nelluomo sin dalle origini, deriva da testi pseudepigrafi come Il libro dei Giubilei, I
segreti di Enoch e 1 Enoch, che egli cita espressamente. In questi Pseudepigrafi si stabilisce una continuit tra
Adamo, No ed Abramo come figure esemplari di unautorit ereditaria profetica e religiosa come anche
amministrativa e politica (p. 78 e p. 81). Ho usato un corsivo, perch il punto dirimente la natura di questa
ereditariet, che va attentamente valutata.
Evidentemente, infatti, si tratta di una eredit spirituale acquisita in quanto portavoce della Volont
divina, figure nelle quali parla la Voce di Dio, perci autorevoli in tutti i sensi. Una successione nel nome dello
Spirito del quale il Profeta un contenitore, un vas electionis, destinata, come abbiamo visto pi volte, a
contrapporsi alla ortodossia/ortoprassia delle classi sacerdotali. In questo senso, nota Rubin, Maometto succede a
Ges, ne rappresentante pi autentico dei Cristiani stessi: osservazione ben fondata nello stesso Corano, che fa
capire quanti poco eccentrica sia stata la concezione di un Islam centesima eresia del Cristianesimo. Inoltre, il
legame tra Islam e religione universale giustifica il dominio dellIslam su Giudei e Cristiani (p. 87).
Allo stesso modo, nota dunque Rubin, lideologia esplicita della dinastia Omeyyade mostra che i
Califfi debbono il proprio ruolo di rappresentanti di Dio (Caliphs of God, che ricorda il titolo del testo di
Crone-Hinds) in qualit di successori di Maometto. Ci apre una considerazione interessante, non soltanto di
carattere generale, perch vale anche per capire sia la posizione della prima Sha, sia, dopo laffermarsi della
linea quietista e poi duodecimana, la posizione delle tantissime deviazioni estremiste (ghuluww) che ne
emergeranno. Il punto nel concetto, noto agli appassionati del mito, di festa come interruzione del tempo
storico, ordinario, che segna lirruzione del Sacro nella storia. Nelle Rivelazioni, questa irruzione appare sotto
forma di Profezia, e la chiusura definitiva e dichiarata della festa segna linizio dellautorit sacerdotale; al
contrario, considerare sempre aperto lo squarcio nel tempo, la possibilit del ripetersi della festa come
irruzione del Sacro sotto forma di Profezia, il fondamento delle eterodossie.
Qui vorrei permettermi una notazione. La singolarit dellinterpretazione omeyyade, che questa
ereditariet, spirituale tra Maometto e linizio della dinastia, ma di sangue poi, presenta una singolare analogia
con la Sha alde duodecimana (sinch gli Imm furono sulla terra: poi, anche l la festa fu chiusa, e
sopravvenne il tempo ordinario e con esso il clero). Ci che dunque resta evidente nellIslam, un marchio
dellorigine come contesa tra manifestazione del Sacro e gestione del tempo ordinario, destinata a ripetersi
periodicamente, come abbiamo visto in una rapida scorsa degli eventi nel capitolo intitolato Ordine celeste e
1052
disordini terreni; ma la cosa singolare che, nel caso degli Omeyyadi, la rivoluzione quella dei Califfi, i
quali, per lappunto, vorrebbero succedere a Maometto come portatori della Volont divina. Questa non una
boutade: basti pensare che cosa ha significato, in termini di fossilizzazione dellIslam, la vittoria degli ulam,
dei tradizionisti, e dei costruttori della Sunnah.
Rubin ricorda infine che non un caso se gli eventi della storia di Ibn Ishq partono da Adamo; a
questo riguardo interessante segnalare altri due suoi articoli che sviluppano il medesimo argomento, ma che
esporr in seguito, al momento di parlare della Sha, perch aiutano a comprendere come questa corrente sia ben
radicata nellIslam originario, come pensano alcuni studiosi e contrariamente a quel che amano credere i Sunniti.
Essi sono: Prophets and Progenitors in the Early Sha Tradition, J.S.A.I., 1, 1979; e Pre-existence and Light.
Aspects of the Concept of Nr Muhammadi, I.O.S., 5, 1975.
Sul medesimo argomento, cio sul carattere ancora aperto dellIslam delle origini, segnalo infine
larticolo di A. Hakim, Conflicting Images of Lawgivers: The Caliph and the Prophet, Sunnat Umar and Sunnat
Muhammmad, in Method and Theory, etc. cit., nel quale si segnalano i cambiamenti imposti da Umar rispetto
alle scelte del Profeta, lopposizione che incontr ma anche il ritratto storico che gli confer unautorit non
inferiore a quella di Maometto (non per nulla ebbe lepiteto di Frq, cio di colui che pone la distinzione tra
Bene e Male). Hakim ne conclude che a quel tempo il ritratto di Maometto come definitiva autorit morale e
religiosa era ancora in formazione. Dunque, era in atto quella oscillazione su apertura e chiusura della festa
della quale ho fatto cenno; in altre parole, si viveva ancora un clima rivoluzionario, ancora lontano dal rappl
lordre le cui manifestazioni politico-sociali vedremo infra negli articoli di Hinds.

Mette ora conto citare alcuni altri articoli dello stesso Rubin, che riguardano specifici argomenti della
sua indagine, e lo far unendovi altri articoli di Hawting e Kister che riguardano egualmente il problema delle
origini. Inizio con The Life of Muhammad and the Qurn: the Case of Muhammads Hijra, J.S.A.I., 28, 2003,
nel quale Rubin risponde alle critiche ricevute dal suo EB, in particolare da Hawting, relativamente allipotesi di
fondo che guida il testo, la priorit della Sra rispetto al Corano. Lepisodio che viene discusso quello di Cor.,9,
40 (che narra del Profeta e di un altro rifugiati nella caverna). La discussione si svolge tra varie ipotesi sulle
quali non entro, se non per notare questo: la priorit della Sra rispetto a Cor., 9,40, desunta dal fatto che la
prima ha riferimenti nella Bibbia, il secondo, no. Ci significa aver assunto come fatto accertato ci che fu
inizialmente ipotesi di lavoro: nulla impedisce di pensare che un modello biblico sia stato reperito e invocato poi
da chi cercava di trovare una spiegazione delloscuro Cor., 9,40. Tanto pi che il riferimento biblico non cos
esplicito come avrebbe potuto esserlo in un Islam seriore che, come sostiene la tesi di Rubin, era ancora legato a
un sottofondo giudaico.
Un articolo che tenta di gettare luce sugli inizi della carriera del Profeta, e che pu accostarsi al citato
A Bag of Meat di Kister e al ricordo di una Rivelazione come irruzione di luci e suoni (cfr. supra) Muhammad
the Exorcist: Aspects of Islamic-Jewish Polemics, J.S.A.I., 30, 2005, nel quale Rubin vede nella stratificazione
delle tradizioni islamiche un passaggio dalla percezione del Profeta come esorcista, ad una successiva
attribuzione degli effetti antidemonici alla sua Scrittura rivelata
In Iqra bi-ismi rabbika....! Some Notes on the Interpretation of Srat al-alaq (vs. 1-5), I.O.S., 13,
1993, un precedente di quanto affermato in EB circa la pi antica versione dellirruzione profetica (suoni, luci,
cfr. supra) ma cito qui larticolo perch in esso contenuta uninteressante ipotesi , che parte da quella di un
generico monoteismo attestato dal rabbika (il tuo Signore) che compare in luogo di Allh che cre (alladhi
khalaqa). La primitiva versione della sra, secondo Rubin, sarebbe quindi stata unesortazione a invocare il
nome del Signore perch Iqra bi-ismi rabbika (in nome del Signore) deve essere inteso come Iqra isma
rabbika, il nome del Signore. Ne emergerebbe lattestazione di un antico, generico monoteismo.
In Hanfiyya and Kaba. An Inquiry into the Arabian pre-Islamic Background of dn Ibrahm, J.S.A.I.,
13, 1990 (gi cit. in Bibl. a p. 1017) Rubin sostiene la continuit tra lo hanfismo, la religiosit fondata sulla
discendenza da Ismaele, un generico culto abramico che Rubin definisce non troppo lontano dalla religione
giudaica (p. 88) e i relativi riti della Kaba, cio la religiosit pre-islamica esistente in Arabia, e lIslam.
interessante tuttavia notare che lidea che la Kaba fosse la sacra casa di Abramo abbia origine, secondo
Rubin, nellinterpretazione del cap. XXII del Libro dei Giubilei, cio di uno pseudepigrafo (p. 108) ci che lascia
intuire di quale Giudaismo si tratterebbe. Religione abramica e culto della Kaba sembrano strettamente legati
(p. 97) e alla restaurazione di questa religiosit si sarebbe mosso il Profeta, contro lassociazionismo idolatrico
dei Quraysh (ivi). A questa religiosit abramica sarebbe legato luso della circoncisione in Arabia sin da tempi
pre-islamici (p. 104).
Larticolo pu connettersi con altro, precedente articolo di Rubin, The Kaba. Aspects of its Ritual
Functions and Position in pre-Islamic and Early Islamic Times, J.S.A.I., 8, 1986, nel quale Rubin ripercorre
quanto stato tramandato circa i culti che precedono lIslam, per mostrarne la continuit pur negli adattamenti, il
cui significato sembrerebbe delineare unazione politica di successione ecumenica dellIslam in rapporto alle
varie componenti della preesistente religiosit.
Sempre sullargomento della lunga storia pre-islamica della Kaba, va citato larticolo di Hawting,
The Disappearence and Rediscovery of Zamzam and the Well of the Kaba, B.S.O.A.S., 43, 1980. Esso
costituisce un antecedente dellarticolo dello stesso Hawting cit. in Bibl. a p. 1015: The Sacred Offices of
1053
Mecca from Jhiliyya to Islam, J.S.A.I., 13, 1990, nel quale Hawting aveva esaminato le tracce degli antichi culti
della Mecca conservati in quelli islamici, concludendone che la tradizioni su Zamzam derivano da quelle pagane,
e che il processo di islamizzazione ne fece una tradizione abramica. Nellarticolo che espongo ora lanalisi
centrata sulla leggendaria riscoperta di Zamzam (che, lo ricordo, la leggendaria fonte scaturita presso la
Kaba ad opera divina, per dissetare Hagar e Ismaele scacciati da Abramo nel deserto) ad opera di Abd al-
Muttalib, antenato del Profeta. Qui lanalisi, molto dettagliata, mostra sia il sovrapporsi delle tradizioni su
Zamzam a quelle di una probabile fossa votiva pagana interna alla Kaba (perci la riscoperta) sia lorigine di
queste tradizioni in altre relative al santuario giudaico. Hawting accenna inoltre di passaggio a una tradizione
relativa alla perdita, da parte di Uthmn, dellanello ereditato dal Profeta, del quale portava il sigillo, in un
pozzo a Medina. Questa tradizione, che simbolizza un cambiamento negativo nel califfato di Uthmn con la
conseguente fine dellet delloro, potrebbe costituire anche una lettura mitica dellinizio della Fitna.

Altro gruppo di articoli ora necessario affrontare per chiarirci un possibile quadro della penisola
arabica nel periodo che precede la predicazione dellIslam. M.J. Kister, Al-Hra. Some notes on its relations with
Arabia, Arabica 15, 1968, introduce un tema di grande interesse, il ruolo di al-Hra nella penisola arabica, sul
quale torner diffusamente esponendo la lettura di de Prmare (infra). Kister ricorda le molte fonti che parlano di
una lotta tra Bisanzio e la Persia per il controllo della penisola araba, un argomento che emerge anche nel
Corano dove sembra evidente la preferenza del Profeta per Bisanzio, laddove gli infedeli della Mecca
propendevano per la Persia. Secondo una tradizione, sembra inoltre che quando Qobd abbracci il Mazdakismo
(cfr. supra, pp. 110-118) vi fosse stato un tentativo di introdurre il Mazdakismo stesso alla Mecca, dove questa
eterodossia zoroastriana guadagn dei proseliti. Il Corano stesso (8, 26) ricorda la triste situazione degli Arabi,
cuscinetto tra due imperi che fondavano sui contrasti tribali il perseguimento della propria politica di potenza (i
Bizantini tramite i Ghassnidi, i Persiani tramite i Lakhmidi); sicch la predicazione della nuova religione
universalistica sembra connettersi con un moto di risveglio degli Arabi stessi. Per quanto riguarda Medina,
sembra che vi sia stata continuit di controllo da parte dei Sassanidi, dopo la fine del predominio giudeo
sulloasi, e in ci avrebbero avuto un ruolo i signori di al-Hra, che godevano del sostegno persiano, anche
militare, e che dai Persiani furono anche insigniti di dignit (vice)regale (ridf) e gratificati con feudi. Senza
questo sostegno, i signori di al-Hra avevano tuttavia difficolt a fronteggiare gli attacchi delle trib beduine
sulla quali tentavano di imporre il proprio dominio; i cambiamenti della politica persiana potevano perci
fortemente indebolirli, ci che accadde mentre cresceva il prestigio della Mecca.
Come fa notare M. Lecker, The Levying of Taxes for the Sassanians in Pre-Islamic Medina (Yathrib),
J.S.A.I., 27, 2002, nellultimo quarto del VI secolo ci sarebbe stato infatti un cambiamento in Medina: da un
predominio persiano nel corso del quale la riscossione delle tasse era affidata ai Giudei (Qurayza e Nadr) si
sarebbe passato ad un predominio bizantino, nel quale la riscossione pass in mano agli Aws e ai Khazra, legati
ai Ghassnidi. Questo storico legame dei Persiani con i Giudei ha un ruolo anche nella politica del Profeta; nota
lo stesso Lecker, The Hudaybiyya-Treaty and the Expedition against Khaybar, J.S.A.I., 5, 1984, che la strana
remissivit del Profeta ad Hudaybiyya deve essere spiegata con la scelta di rimuovere lostilit della Mecca per
essere libero di marciare contro i Giudei di Khaybar: e ci nel momento in cui i Persiani subivano la grande
sconfitta di Niniveh ad opera dei Bizantini. Si delinea cos una politica che tende ad incunearsi tra i due Stati
unificando le trib arabe con il proprio messaggio universale.
Per quanto concerne poi levoluzione dellIslam negli anni delle prime conquiste, importante
ricordare il testo di S. Bashear, Arabs and Others in Early Islam, Princeton, The Darwin Press, 1997, del quale
sembra opportuno ripercorrere le Conclusioni (pp. 112-125) che egli ricava dopo unattenta lettura degli asnd,
ritenuti materiali anacronistici che proiettano allindietro controversie di et pi tarda. Secondo Bashear, va
rigettata laccettazione aprioristica di una coincidenza iniziale tra Islam e politica araba, cio che lIslam, nella
sua forma classica che conosciamo sia stato sin dallinizio il progetto di una qualsivoglia entit politica araba.
Non provato infatti che lArabia abbia potuto essere la fonte di un cos forte potere materiale, tale da cambiare
in poco tempo la situazione mondiale. Cresce levidenza che una regione cos vasta non possa essere stata
conquistata dallIslam (arabo) allinizio del VII secolo, anche se questa limmagine che viene data dalle fonti
storiche arabe del IX secolo. Esaminando gli asnd si comprende per il momento e le circostanze nelle quali si
fusero il particolarismo arabo e luniversalismo islamico; idee al riguardo cerano gi state ai tempi di Goldziher
e di Wellhausen: si tratta di giungere ora a una migliore comprensione.
Il Corano infatti non ha pregiudizi etnici, detesta la cultura beduina, la sua Ummah non n nazionale
n etnica (cfr. p. 828 supra e al Faruqi cit. in Bibl. a p. 848; cfr. anche p. 858 e Von Grunebaum, cit. in Bibl. a p.
1017). Allinizio del II sec. H. si inizia per a valorizzare lidentit etnica del Profeta precursore (sbiq) degli
Arabi (p. 115) e lo stesso titolo vale per altri compagni di altra etnia in rapporto alle etnie loro. Che gli Arabi
beneficiassero politicamente del collasso del dominio persiano e bizantino, non c dubbio.....ma non possiamo
accettare che tale ruolo fosse parte di un progetto religioso degli Arabi sin dallinizio (p. 116).
La tesi di Bashear che vi siano stati due distinti processi: lemergere di una politica araba e gli inizi
di un movimento religioso, che, per una serie di circostanze, cristallizz nellIslam. Soltanto allinizio del II sec.
H. i due movimenti si fusero, con la nascita dellIslam arabo che conosciamo: questo il momento della
discriminazione tra Arabi e non Arabi. Si ripete dunque la constatazione che ritiene la Vulgata non una storia,
1054
ma lideologizzazione di un fait accompli. Bashear cita al riguardo vari esempi, tra i quali segnalo quello relativo
alla politica tenuta da Umar nei confronti dei Taghlib nel corso della Ridda. Ridda, cio apostasia, il nome
che gli storici arabi hanno dato alla rivolta delle trib arabe avvenuta dopo la morte del Profeta, una rivolta che
tenne a lungo impegnati i Califfi Ab Bakr e Umar. Largomento trattato da Lecker nel suo Arabian Tribes in
pre- and Early Islamic Arabia, in People etc. cit., nel quale dato un ampio quadro di queste trib, parte pagane,
eventualmente con presenze zoroastriane come nel caso dei Tamn, che gravitavano nella politica di Hra, parte
cristiane, come nel caso dei Taghlib. La politica dei Califfi nei loro confronti fu dettata da ragioni di opportunit,
non di discriminazione religiosa; e, daltronde, tanto i Cristiani di Najrn quanto i Giudei di Khaybar potevano
vivere, allora, nella penisola araba (p. 23; p. 44). Questo per non sempre vero ( il caso della dura repressione
dei Kinda, Giudei, la cui sorte sar simile a quella dei Qurayza a Medina [cfr. infra] sulla quale si soffermato
M. Lecker, Judaism among Kinda and the Ridda of Kinda, J.A.O.S., 115, 1995) non almeno al tempo di Umar,
che ritenne vi fosse stata una decisione del Profeta che disponeva la cacciata di Cristiani e Giudei dalla penisola
araba, una decisione che Ab Bakr avrebbe dimenticato (cfr. M. J. Kister, Social and religious Concepts of
Authority in Islam, J.S.A.I., 18, 1994 pp. 92-95). Il concetto di autorit deriva infatti ormai dalle tradizioni
attribuite al Profeta; e laspetto pi interessante messo in luce da questo articolo di Kister, che in epoca
Omeyyade fioriscono gli ahdth riferiti al Profeta, utilizzati per scopi politico-ideologici: essi servono di volta in
volta a fondare il diritto degli Omeyyadi al Califfato, lobbligo divino di obbedire le autorit anche
indipendentemente dal loro comportamento etico e lassoluta esigenza dellunit della Ummah, un tema che,
come abbiamo visto pi volte, da quel momento in poi diviene una vera ossessione del mondo islamico. Altri
ahdth tuttavia, sempre riferiti al Profeta, vengono messi in circolazione da parte di coloro che si agitano contro
gli Omeyyadi, sicch sui presunti detti e decisioni del Profeta viene sin da quel momento fondato il concetto di
autorit.
Secondo Lecker, le rapide conquiste del nascente Islam che sfociarono nel Califfato omeyyade, furono
lopera politica dei Qurayshiti, capaci di incunearsi nel vuoto politico generato dal collasso dei due Imperi,
persiano e bizantino; e i Qurayshiti furono anche coloro che, per la loro tradizionale attivit mercantile, seppero
come muoversi, nel corso della Ridda, nel mondo delle oasi e delle trib, dove cerano gi nuclei islamici. Al
riguardo vedi anche le notazioni di M.J. Kister, Mecca and the Tribes of Arabia: some Notes on their Relations,
in Society and Religion from Jailiyya to Islam, London, V.R., 1990, p. 37: tra la fine del VI e linizio del VII
secolo vi furono conflitti intertribali sotto la pressione di Persiani e Bizantini che usavano le divisioni tribali per
controllare la penisola, e fu in quel periodo che la Mecca estese i propri rapporti commerciali, divenendo il
centro delle attivit economiche per le trib arabe e rinforzando anche i propri legami con Medina. Azione
politico-militare e fenomeno religioso sembrano dunque fatti distinti, come sostiene Bashear. Sia detto per
inciso, non sembrerebbe dunque inutile, contrariamente a ci che sostiene Rubin, tentar di comprendere la vera
data di nascita degli asnd.

La ricerca di Bashear, unitamente a quanto altro abbiamo gi visto, fa dunque sorgere una riflessione:
che cosera lIslam degli albori? Forse una geniale nuova sintesi del generico monoteismo giudeocristiano
presente nelle oasi, contrapposto al paganesimo sul quale si fondava il particolarismo tribale, beduino? Forse
tutto ci aveva anche un senso politico in funzione al desiderio di sottrarsi alle influenze esterne, persiane e
bizantine, che manovravano a proprio vantaggio la politica della penisola? E quanto influ, nella politica delle
conquiste, la conversione dei Qurayshiti, inizialmente assai restii ad abbracciare lIslam? Di certo, nel periodo
immediatamente seguente la conquista, la citt dei Qurayshiti conobbe uno stupefacente sviluppo economico
diffuso, e i Qurayshiti furono coloro che ne beneficiarono (cfr. M. J. Kister, Some reports concerning Mecca
from Jailiyya to Islam, in Studies on Jailiyya and Early Islam, London, V.R., 1980). Soltanto dopo le conquiste,
sembra nascere lideologia di un nuovo popolo eletto, in nome del destino universalistico della sua religione,
a dominare il mondo. Fusione di due fenomeni distinti, dunque.
Qualcosa sui diversi percorsi del primitivo movimento religioso e del consolidarsi del potere dei
conquistatori, possiamo immaginarla partendo da tre articoli di M. Hinds: Kfan Political Alignments and their
Background in the Mid-seventh Century, I.J.M.E.S., 2, 1971; The Murder of the Caliph Uthmn, I.J.M.E.S., 3,
1972; The Siffn Arbitration Agreement, J.S.S., 17, 1972. Il califfato di Umar fu caratterizzato dal tentativo di
mantenere legemonia a Medina, come aveva fatto Ab Bakr anche per le urgenze poste dalla Ridda. In Iraq per
i musulmani della prima ora -Muhjirn Ansr, Compagni, Qurr- i quali tutti vivevano di ampie rendite statali,
iniziavano a cedere il posto ai leaders delle trib che vi si erano andate rapidamente trasferendo dalla penisola. Il
prestigio rivoluzionario cedeva il posto alle tradizionali gerarchie. Questa situazione fu ereditata da Uthmn che
volle anchegli restare a Medina, ma che dovette dare unorganizzazione politica e amministrativa ai territori
occupati: e tra i tentativi di centralizzazione vi fu anche la standardizzazione del Corano. Si inimic cos i
Muhjirn, gli Ansr e i Qurr che erano stati i primi conquistatori dellEgitto, e che videro non soltanto i propri
poteri passare nelle mani dei nominati dal potere centrale, ma anche la fine di una libera e orale comprensione
del Messaggio sostituita da un testo ne varietur; infatti anche il Messaggio deve essere unificato dal centro per
evitare lo sgretolamento di un impero dove il momento religioso anche politico. Si pone dunque un problema
di centralizzazione e di abolizione dei particolarismi, sostituiti da una ragion politica che usa i vecchi leaders per

1055
la gestione dei territori conquistati. Saranno questi gruppi di ribelli provenienti dai territori conquistati a
convergere su Medina e a dar luogo allassassinio di Uthmn.
Il seguito della vicenda, nellanalisi di Hinds, appare ancora pi illuminante. Come egli nota, si tratt
di uno scontro di interessi e previlegi tra quelli radicati nella leadership tradizionale e quelli emersi negli anni
del Profeta e dei primi tre Califfi (The Murder, etc., p. 467). Uthmn pag lerrore di voler restare a Medina
consentendo a Muwiyya, che non aveva alcuna illusione circa una leadership islamica, di farsi una solida
base politica a Damasco. Al comprese la realt e tent un compromesso tra leadership islamica e tribale, ma
significativo che isha ed altri, che erano stati tra i pi decisi nemici di Uthmn furono pronti ad allearsi con
gli Omeyyadi accusando Al dellassassinio di Umar (ivi, p. 469).
Il tentativo di Al mirava alla formazione di una coalizione iraqena per fronteggiare Muwiyya, ed
dal fallimento della sua politica e dal conseguente suo assassinio che germinano i primi due gruppi scismatici, gli
Shiti e i Khridjiti, che Hinds classifica in termini moderni rispettivamente come rivoluzionari e reazionari
(Kfan Political, etc., p. 347). I primi invocavano lordine sociale islamico nel quale non vera posto per la
tradizionale leadership tribale (constatazione che mi inclina ad associarmi a chi sospetta che la Sha, non il
Sunnismo, costituisca la scelta pi fedele allIslam delle origini). Essi costituivano quella base sociale che, pi
tardi espresse da s anche i seguaci di Husayn e poi di al-Mukhtr (cfr. supra, p. 199 sgg.) nella sua rivolta a
Kfa del 685 (Kfan Political, etc., p. 348); i secondi, che invocavano un ruolo di preminenza che non potevano
avere in base ai criteri tradizionali e sarebbero voluti tornare agli anni di Umar, ancora privi di organizzazione
statuale (ivi). La scissione avvenne in corrispondenza dellarbitrato di Siffn cui segu luccisione di Al.
Al era giunto al Califfato appoggiato principalmente dagli Ansr e dai ribelli provinciali che erano
confluiti a Medina contro Uthmn. A lui si opponeva alla Mecca un gruppo di Qurayshiti, molti dei quali
Compagni e Muhjirn, che, pur opponendosi agli Omeyyadi, erano favorevoli a un dominio qurayshita e
mobilizzarono allo scopo lintervento delle trib insediatesi nel territorio di Bassora; Al poteva contare
viceversa su un forte contingente composto dai primi insediati di Kfa. Dopo la battaglia del Cammello, vinta da
Al, a Siffn i siriani di Muwiyya, temendo una seconda sconfitta, decisero di giocare dastuzia sulle divisioni
che esistevano tra i partigiani di Al con la proposta del noto arbitrato. Infatti, mentre una parte, i futuri shiti,
spingeva Al a combattere, altri, come i capi clan, si erano aggregati tiepidamente, ed erano favorevoli
allarbitrato; lappoggio dei primi sembra forse da attribuirsi alla politica fiscale del nuovo Califfo, favorevole
alleguaglianza. Un gruppo a s era costituito, sulla faccenda dellarbitrato, dai Qurr (Kfan Political, etc., p.
363).
Qui entra in gioco il problema dellinterpretazione di una religione nella cui applicazione stanno
intervenendo dei cambiamenti in conseguenza degli assetti di potere in formazione. I Qurr infatti avevano
riconosciuto Al come guida dei credenti (amr al-muminn) cio vedevano in lui il Califfo che sarebbe
tornato a Medina per far applicare le prescrizioni del Corano, e non erano molto propensi a combattere, anche se
alcuni lo fecero; i Siriani avevano viceversa dato appoggio a Muwiyya come guida (amr) semplicemente in
quanto vedevano in lui il difensore degli interessi siriani contro la minaccia iraqena (The Siffn, etc., p.94).
Dinnanzi al problema dellarbitrato, era ovvio che per i Qurr esso dovesse fondarsi sulla testimonianza del
Corano, ma Muwiyya impose che esso fosse fondato anche su una serie di tradizioni che nulla avevano a che
vedere col Libro sacro. Labbandono del campo da parte dei Qurr davanti alla capitolazione di Al che accett
limposizione (dopo di che essi formarono il primo nucleo dei Khridjiti) si espresse nel noto slogan lanciato
allindirizzo di Al: l hukm ill lillh (cfr. supra larticolo di Hawting) -il giudizio spetta soltanto a Dio- che
non soltanto invitava Al a rifiutare larbitrato condotto su principi estranei al Corano, ma, per conseguenza, ne
rinnegava il ruolo di guida dei credenti, perch quel ruolo consisteva precisamente nel far valere il Libro sacro
contro ogni altra precedente consuetudine. Del resto, ci che essi si attendevano e ci per cui erano scesi in
campo, era il riconoscimento, anche da parte dei siriani, di Al come guida dei credenti che tornasse a Medina
ad occuparsi dellapplicazione della Legge coranica (ivi, p. 98). Sulla vicenda della scissione Khridjita a Siffn
si vedano comunque tre articoli della Veccia Vaglieri: Sulla denominazione awri, R.S.O., 26, 1951; Il
conflitto Al-Muwiya e la secessione khrigita riesaminate alla luce di fonti ibdite, A.I.U.O.N., 4, 1952;
Traduzione di passi riguardanti il conflitto Al-Muwiya e la secessione khrigita, A.I.U.O.N., 5, 1953. Su
Khridjiti e Ibditi torner nel capitolo successivo.
Al fece tuttavia la scelta che fece, e che gli cost la vita, perch il compromesso era desiderato da
una parte consistente del suo seguito, eterogeneo nella composizione e nei fini; daltronde era scontato che, se
egli fosse stato realmente riconosciuto come guida dei credenti, Muwiyya non avrebbe potuto avere ragione
alcuna per opporglisi: perci egli accett di essere nominato, nel documento di accordo sullarbitrato, senza quel
titolo, soltanto come amr. Alla fin fine, ci che desideravano non soltanto i siriani, ma anche gli iraqeni, era
tornarsene ciascuno nelle proprie terre e regolare i propri problemi di potere interno in tutta indipendenza.
Tutto questo mostra una nuova realt: dopo la morte del leader carismatico, del Profeta, gli equilibri
interni della comunit islamica sono cambiati, il potere torna alla propria consustanziale natura dopo lesplosione
di forze nuove generata dalla rivoluzione islamica. Al accetta il compromesso perch sa bene che sono finiti i
tempi di Ab Bakr e di Umar, e che Uthmn ha pagato con la vita il tentativo di mantenere quel vecchio ordine.
LIslam non pi quello delle origini, sta divenendo quello che conosciamo, quello dellideologia araba che si
forma sotto gli Omeyyadi e poi con gli Abbsidi, e che apre alla lotta con gli ulam della quale ho fatto cenno
1056
nel secondo capitolo di Dopo e a lato. Il califfato, finch regge, espressione di una forza politica; poi diventer
unautorit molto astratta nei confronti dei poteri locali.
Una diversa e ugualmente interessante lettura degli eventi che conducono alla codificazione dellIslam
a noi noto nei primi tempi degli Omeyyadi, e che lascia intravedere un cambiamento dal primo Islam, oggetto di
rimpianto, data da R. Hoyland, New Documentary Texts, etc., cit. Hoyland sottolinea che il reperto
archeologico mostra che i contrassegni di uno Stato esplicitamente islamico compaiono soltanto a partire dal 70
H., e ricorda come in precedenza, con esplicito richiamo al primo Islam, vi fossero state ben tre rivolte: quella
dellAnticaliffo Abdallh ibn al-Zubayr, quella, shita di Muhammad ibn al-Hanafiyya (cfr. supra, p. 199) e
quella khridjita di Qatar ibn al-Fuja: siamo dunque verosimilmente ancora in presenza di fermenti
rivoluzionari che vedono nei nuovi assetti il tradimento di un Islam quale era stato inizialmente pensato e
vissuto: si assisteva allo scontro tra liniziale spinta messianica e la realt del nuovo potere.
Hoyland nota ancora il carattere non decisivo delle vittorie di Yarmuk e Qadisya che tali non furano
per laffermazione dei Musulmani ai danni di Bizantini e Persiani; e circa la fragilit iniziale del dominio
musulmano ricorda quanto aveva gi segnalato a p. 559 della sua grande ricerca, Seeing Islam as Others saw it,
Princeton, The Darwin Press, 1997, cio che nel corso della prima guerra civile islamica (quella tra Al e
Muwiyya) il timore di un ritorno dei Bizantini in Egitto, aveva spinto 15.000 dei Musulmani ivi presenti come
forza di occupazione, convinti che lIslam sarebbe stato sconfitto, a convertirsi al Cristianesimo.
Tuttavia, aggiunge, non dovevano essere state queste fragilit a far passare sotto silenzio la realt di
uno stato islamico, il cui capo si proclamava (e cos anche i tre ribelli) guida dei credenti e nel quale non era
venuta meno la continuit religiosa.
A spingere Abd al Malik a proclamarsi (soltanto sulle monete) Vicario di Dio fu, secondo Hoyland,
la necessit, di tenere ben serrati i Musulmani perch si era andato disgregando la coesione fondata sui legami
tribali dei guerrieri; ci perch molti degli invasori insediati si erano dedicati alla attivit civili (commercio, etc.)
mentre nellesercito entravano sempre pi dei non-arabi. Il punto, sostiene Hoyland, era dunque quello di
mantenere in essere quello che lui definisce lo Stato del jihd, sicch lo scenario religioso, mai venuto meno,
doveva ora divenire volto ufficiale dello Stato.
Mi permetto al riguardo di ricordare Juynboll, The Role of non-Arabs, etc., cit., per quanto riguarda il
ruolo fondamentale dei mawl nella raccolta delle tradizioni in quel periodo: in quel periodo nasce lIslam che
conosciamo.

LIslam fu dunque, come ogni religione codificata, uno work in progress, lo abbiamo visto sotto molte
angolature; ma poich il problema che qui si pone -almeno in questa fase della rassegna- capire che cosa
potesse esservi allinizio, lo sfondo sociale e culturale (religioso) dal quale esso prese origine, mi sembra
opportuno tornare ad esaminare la religiosit della penisola e del mondo arabo prima del Profeta. Sotto questo
aspetto, i termini di confronto sempre evocati sono il Giudaismo, il Cristianesimo e il Giudeocristainesimo:
termini non sempre ineccepibili perch, almeno per quanto riguarda i primi due, non sempre chiaro di quale
Giudaismo e di quale Cristianesimo si stia parlando; e anche per quanto riguarda il Giudeocristianesimo
(Cristiani giudaizzanti? Giudei cristianizzanti?) esistono molte incertezze circa le sette da invocare, Ebioniti,
Elchasaiti, Nazorei, sui quali fare riferimento alle diverse versioni di Ireneo, di Epifanio, e cos via. Tutto ruota
attorno al misterioso Vangelo degli Ebrei (per il quale vedi le citazione raccolte da Erbetta (Apocrifi (Gli) del
Nuovo Testamento, cit. in Bibl. a p. 722, vol. I, 1) e alla sua attribuzione a una delle sette citate. La religiosit
preesistente allIslam pu essere infatti intravista anche attraverso le sue possibili sopravvivenze nella normativa
del Profeta; ed evidente che il rinvenimento di pratiche o credenze analoghe tra lIslam e una delle sette citate
ci che fa pendere verso luna o laltra ipotesi. Ad ogni buon conto, il Giudeocristianesimo rappresenta uno dei
problemi pi spinosi e insoluti per quanto concerne la sua definizione, identificazione e differenziazione entro un
pulviscolo di sette mal conosciute, composte di Giudei cristianizzanti e Cristiani giudaizzanti con differenze
sfumate e non sempre chiare: una rassegna degli studi recenti che stanno impegnando una vasta schiera di
specialisti la si pu trovare nellarticolo di Th. Legrand, tude critique: la recherche des Juifs qui croyaient en
Jsus, propos dun ouvrage rcent, Apocrypha, 20, 2009.
Il primo studio che conviene esaminare sul rapporto tra Giudeocristianesimo e Islam, quello di S.M.
Wasserstrom, Between Muslim and Jew. The Problem of Symbiosis under Early Islam, Princeton, Un. Press,
1995. Il titolo stesso parla: Wasserstrom esamina lipotesi dellapporto giudaico alla nascita dellIslam, e lo fa a
partire dalle ipotesi di tutti i grandi studiosi, del passato e recenti, partendo da Harnack per giungere a S. Pines,
che videro nel giudeocristanesimo la culla dellIslam (p. 37) salvo porsi la domanda (p. 38) se questa culla fosse
nei Giudei cristianizzanti o nei Cristiani giudaizzanti. Secondo Wasserstrom la differenza va mantenuta
ogniqualvolta possibile, ma c da dire che egli vede un po ovunque la presenza giudaica, anche nel
Mazdakismo (p. 42) diluita eventualmente entro strutture gnosticizzanti. Al riguardo, ricordo di aver a suo
tempo posto una linea di demarcazione tra lo Gnosticismo e il Giudeocristianesimo (cfr. supra la discussione alle
pp. 56-59 e relative note, in particolare la n. 213 a p. 59).
Egli sembra dunque previlegiare essenzialmente lelemento etnico, cio espressamente giudaico, nel
messianismo che antecede lIslam in Arabia, un messianismo che, unito a quello islamico, riemergerebbe nella
Sha (p. 47). Questo legame tra Giudaismo e Sha un tema discusso a fondo anche da Rubin e ha un suo peso
1057
nel far ritenere, a vari autori, che questultima abbia un solido radicamento nello spirito originario dellIslam.
Afferma inoltre Wasserstrom che per un breve momento, al termine dellantichit, la dialettica tra mito
messianico e movimenti sociali messianici, tra lapocalisse e lapocalitticismo, si svilupparono secondo schemi
paralleli nel Giudaismo e nellIslam (ivi) e che lIslam per certo mise fine allantichit, e, cos facendo, inizi
qualcosa di epocalmente nuovo (ivi).

C del vero in quel che dice Wasserstrom, ma non tutto condivisibile. Innanzitutto la crisi
dellantichit precedente, risale, a mio avviso, allaffermazione del messaggio neotestamentario in occidente,
come ho ritenuto di mostrare pi volte e in molti modi, anche se lopposizione radicale del Messaggio rispetto
alla societ classica va letta nel messaggio testamentario in s, a partire dal Giudaismo. Questa opposizione per,
senza laffermazione del Cristianesimo in occidente, difficilmente avrebbe potuto realizzare lintento. Ci che
entra in crisi, con la verit/testimonianza della quale il Cristianesimo portatore in occidente, infatti il
Razionalismo classico che al fondamento dellantichit; e tutto il testo che ho ritenuto di raccogliere altro non
fa che ripercorrere la frattura che si cre per conseguenza nello stesso Cristianesimo a seguito della
istituzionalizzazione della Chiesa di Roma entro le strutture del Razionalismo classico, sicch la marginalit
trov rifugio nelle eterodossie, portatrici della spinta rivoluzionaria iniziale che fu, in seguito, marginalizzata
anche nella nascitura ortodossia rabbinica. Della marginalit creatasi rispetto alle due ortodossie, rest
testimonianza il Giudeocristianesimo, come si nota chiaramente nel documento di Abd al-Jabbr studiato da
Pines in The Jewish-Christians of the Early Centuries etc., cit. in Bibl. a p. 771 e nel successivo Studies in
Christianity and Judaeochristianity based on Arabic Sources, apparso su J.S.A.I., 6, 1985. La tensione
messianica verso un mondo di giustizia della quale ho parlato pi volte (cfr. in particolare lAppendice alla V
ed.) che resta viva nella marginalit giudeocristiana, a quanto sembra condannata a vita clandestina tra i
Nestoriani, con i quali la sua cristologia aveva una qualche affinit (cfr. Pines, The Jewish-Christians, etc., p.
39) ci che passa in eredit allIslam originario dove trover un proprio percorso istituzionale, mentre rester
come fermento nella Sha dove si manifester ancora a lungo con forme gnostiche estremiste. Le affinit qui
segnalate, e, del resto ben note, tra Giudeocristiani e Nestoriani e tra Giudeocristiani e Islam, vertono su un
punto centrale: lAdozionismo, che, come ricordo infra, pu preludere al concetto rivoluzionario di ciclicit della
profezia, e lorigine del cui nome legata alle eterodossie di Elipando da Toledo e Felice di Urgel (cfr. supra, p.
149) non a caso comparse nella Spagna islamica.
Pines ha ampliato il raggio della propria analisi al riguardo in Notes on Islam and on Arabic
Christianity and Judaeo-Christianity, J.S.A.I., 5, 1984, nel quale segnala la presenza di uno scontro tra seguaci e
avversari di Cristo tutto interno alla comunit giudaica (p. 137) insistendo, come Wasserstrom, sullelemento
etnico giudaico come riferimento per lorigine dellIslam (non, dunque, Cristiani -di etnia non ebraica-
giudaizzanti) e ritiene che le tradizioni orali (lore) giudaiche passate nel Corano abbiano avuto origine tra i
Giudeocristiani di cui sopra. Interessante per la perfetta similitudine che egli segnala tra la formula
affermante lunicit di Dio nelle ps.Clementine (Omilie, XVI, 7, 9) e il coranico l ilh ill huwa: non c Dio
allinfuori di Lui; e tra il concetto coranico di un eccesso di divieti inflitto ai Giudei che ha parallelo nella
Didaschalia apostolorum, documento del III-IV secolo (pp. 141-142): in entrambi i casi si tratterebbe di
elementi di origine non giudaica.
Il mito rivoluzionario dellera messianica che pervade tutta la storia dellIslam, fu viceversa incanalato
in forme utopiche nella Chiesa istituzionalizzata; per questa ragione insisto quindi a domandarmi di quale
Cristianesimo (e di quale Giudaismo) si parli, allorch si esamina la presenza di Giudei e Cristiani alla radice
della predicazione del Profeta: infatti nel VII secolo entrambe le fedi riconoscono se stesse gi entro forme di
ortodossia. Dello schiacciamento subto dal Giudeocristianesimo tra le due ortodossie, alle quali ho fatto
cenno pi volte, testimonianza il documento di Abd al-Jabbr oggetto dellesame di Pines, un documento
pieno di rancore contro Paolo per la sua occidentalizzazione di un messaggio che sarebbe dovuto appartenere
al solo popolo ebraico; mentre di questa occidentalizzazione, che confina il Cristianesimo tra i Gentili, ben lieta
la nuova ortodossia rabbinica, come mostra Pines esaminando un documento ebraico, il Toldot Jeshu (Storia di
Ges, cfr. The Jewish-Christians, etc., p. 41 sgg.). I Giudeocristiani osservano infatti, contrariamente ai Gentili,
la Legge mosaica (particolare linsistenza sui divieti alimentari, ignorati dai Gentili su istigazione di Paolo) con
la differenza di credere -contrariamente ai Giudei- in Ges nella sua qualit di Profeta, salvo considerarlo
soltanto un uomo, esattamente come nella cristologia coranica. Ragionevole sembra anche la conclusione di
Pines (ivi, p. 144) nella quale egli tiene conto anche di altre influenze che, come quelle viste sopra alle pp. 141-
142 hanno unorigine comunque non riconducibile a Giudei cristianizzanti, ma pi evidentemente, a Cristiani
giudaizzanti. I Giudei cristianizzanti restano comunque una realt storicamente attestata in Gerusalemme ancora
al tempo di Muawiyya (p. 145). Essi sono considerati Giudei credenti o fedeli e distinti da quelli non
credenti o infedeli (p. 147). Sembra perci un punto di partenza ragionevole sottolineare la continuit di motivi,
pur nella novit della sintesi religiosa, tra il Giudeocristianesimo e il dettato coranico che si domanda
retoricamente (Cor.,2, 140) se Abramo, Ismaele, Giacobbe e le Trib fossero Giudei o Cristiani, negando
con ci implicitamente le due ortodossie (Notes, etc., cit., p. 143) e che afferma recisamente (Cor.,3, 67) che
Abramo non era n Ebreo n Cristiano; e non guardare le origini dellIslam con lo sguardo che su di esse gett la
Vulgata circa un secolo pi tardi.
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Come nota con ampio sguardo Bausani, Postille a Cor, II,248 - XXXIX,23 - XX,15, in Studi di
orientalistica in onore di Giorgio Levi della Vida, Roma, Istituto per lOriente, 1956, lIslam venne a mettere
fine a un mondo (lattesa del Giudizio vivissima nel Corano) ed questo il carattere rivoluzionario del concetto
di profezia ciclica (fondamentale nellElchasaismo, setta battista giudaico-cristiana che avrebbe potuto
trasmettere allIslam due concetti quali lobbligo delle abluzioni e il sigillo della Profezia [cfr. Colpe, cit. in
Bibl. a p. 817]). Un concetto che alla base di tutti i movimenti millenaristi agitati dai nuovi profeti e dalla Sha
estremista sino al Bbismo, un concetto di natura squisitamente democratica, perch, a partire da esso, lo
Spirito pu sempre incarnarsi in un qualsiasi uomo.
A questo vorrei anche aggiungere una mia personale notazione su quella che potremmo definire
lamara solitudine del Giudeocristiano, cos evidente nel documento di Abd al-Jabbr da essere messa in forte
evidenza dallo stesso Pines. Quando il documento afferma (Pines, cit., p. 28) che i Cristiani divennero Romani,
mentre i Romani non furono convertiti al Cristianesimo il ragionamento ha una certa logica alla luce di quanto
notato sopra, ma non prende atto di una realt: il Cristianesimo (quello delle lettere di Paolo) una visione nuova
che si distacca dal Giudaismo sul tema delluniversalismo, essenziale per una cultura fondata sulla ragione (uso
la minuscola perch non mi riferisco allideologica Ragione) ed comunque universalista. Un Cristianesimo
che fosse rimasto confinato, a Roma, nella comunit ebraica, avrebbe potuto, al massimo, dar luogo a qualche
tumulto impulsore Chresto; mentre ci che offr alla nuova fede la via del successo, fu, come ho ritenuto
altrove nel testo, la capacit di penetrare ambienti dellaristocrazia romana, tradizionalmente stoica. In questo il
Cristianesimo si mostr capace di aprire davvero un percorso in direzione di una nuova storia che mise fine
allantichit, mentre il Giudeocristianesimo fu perdente perch pretese di innovare ripiegando sul passato: ma, se
il passato doveva essere conservato, non aveva molto senso, per un Giudeo, essere Giudeocristiano. Ci che
Paolo comprese che la predicazione di Cristo poteva assumere senso soltanto in direzione di una rottura con gli
schemi del Giudaismo, cosa che compresero benissimo anche i Giudei che di Cristo rifiutarono il messaggio.
Come dice Pines (Studies in Christianity, etc., cit., p. 141) la cristianit paolina e il giudaismo rabbinico
possono essere visti come oggettivi alleati nel loro sforzo di raggiungere, tramite la soppressione dei
Giudeocristiani, la divisione delle due religioni, e cos prevenire la realizzazione di una possibilit storica. Mi
sembra perci un percorso ragionevolmente comprensibile quello del Giudeocristiano che aderisce allIslam,
nella cui nuova sintesi trovano ascolto le sue istanze, e nel cui Millenarismo trova sbocco la sua frustrazione.
La Chiesa romana viceversa, pur non negando, anzi, riaffermando, il carattere rivoluzionario del
messaggio, riassorbe la rivoluzione nel Razionalismo egemone, latopia nellutopia, la parusia portatrice della
Fine dei Tempi in un tempo sospeso; trasferisce al di l delle nuvole -donde verr uno simile a un Figliol
duomo- la sognata Gerusalemme terrena. Nel salvaguardare la fede dalla sua potenziale dispersione in un
pulviscolo di sette, ha una passione tutta politica per laurea via di mezzo, che ne svela il tratto profondamente
classico ereditato da una societ con una lunga tradizione nel gestire la complessit del potere, esperienza del
tutto assente nelle irrisolte turbolenze delle marginalit. Dietro ogni grande religione c una classe dirigente e
una cultura del potere, e ci varr anche per lIslam post-profetico sotto la guida dei Qurayshiti; le sette,
viceversa, sono destinate a rimanere tali, salvo riproporsi nel tempo con nuovi nomi e ragioni simili, per
rappresentare il volto oscuro della luminosa storia dei vincenti.

Riprendo ora per un attimo il testo di Wasserstrom per accennare molto in breve ad altri suoi percorsi
che sembra utile segnalare. Wasserstrom insiste molto sui rapporti tra la Sha e il Giudaismo partendo dalla
alquanto leggendaria figura dellEbreo yemenita convertito allIslam, Abdallh ibn Sab, della quale riferii nel
testo a partire dal racconto di an-Nawbakht: una figura che d alla vicenda un colorito sin dagli inizi gnostico.
Personalmente ritengo viceversa di riconoscere nella Sha come ho notato pi volte e come pensa anche Hinds
citato supra, unorigine politica che soltanto dopo Muhammad ibn al-Hanafiyya e poi nei tempi del 5 e 6
Imm, entrambi quietisti (il 4 Imm persino una figura evanescente) in presenza della definitiva sconfitta
alde, assume aspetti decisamente gnostico-esoterici (cfr. Appendice alla IV ed.). Wasserstrom si sofferma poi a
lungo sulla rivolta di Ab s di Isfahan (met VIII secolo) definita come la rivolta (ebraica) pi influente tra
quella di Bar Kokhba e quella di Sabbatai Zevi, e ci al fine di sottolineare quanto pi possibile la presenza
giudaica nellIslam, che loggetto del suo studio. Di fatto, si potrebbe pensare con eguale ragione a un generico
Giudeocristiano non necessariamente di etnia giudaica, ma la cosa non sembra rilevante per Wasserstrom, per il
quale ci che conta lelemento etnico, onde Giudei e Giudeocristiani sembrano a lui due aspetti di una
medesima realt. Per la stessa ragione, allorch si sofferma sulla Sha (p. 93 sgg.) egli insiste quindi a definire
giudaico un lore che potrebbe essere pi facilmente giudeocristiano per la presenza, in esso, della
concezione ciclica della Profezia, che al fondamento del Giudeocristianesimo. La sua conclusione (pp. 236-
237) appare significativa del fondamento in questa logica: Wasserstrom afferma lesistenza di una simbiosi
giudeo-musulmana fondata nella comune attesa e speranza messianica di un mondo di giustizia come
preparazione allavvento della Fine dei Tempi.
Personalmente vorrei aggiungere soltanto una considerazione di carattere generale: questa attesa, che
esistette nel Giudeocristianesimo, esiste diffusa nellIslam, ed esistita in molte sette cos come esistette, e ne fu
messa al margine, nel Cristianesimo dei primi due secoli (in forme laiche, esistita nelle rivoluzioni del XVIII-
XX secolo); lattesa, cio, di un mondo di giustizia da realizzare in questo mondo ad opera di chi se ne sente il
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portatore, un tipico tratto della marginalit, che nelle grandi religioni stato consegnato ad aspirazione utopica.
Soltanto nelle sette esso si manifestato in forma virulenta, quando i tempi hanno alimentato la speranza: dico
questo per riflettere sulluso dei termini. Nel VII secolo il Giudaismo, come il Cristianesimo, aveva gi assunto
gli aspetti maturi che guardano alla propria realistica propositivit in questo mondo; poi, da entrambe le parti,
cerano le frange, le sette. LIslam delle origini sembra innescarsi pi che altro su queste.

Lattenzione ad un Giudaismo che sembra consistere, almeno in parte e non certo per quella meno
significativa, in un Giudeocristianesimo, pone lesigenza di gettare uno sguardo sulla possibile presenza di
elementi cristiani a monte del Corano, con lo scopo principale di tentar di comprendere di quale Cristianesimo
si parli quando ci si riferisce alla situazione araba. Abbiamo gi visto sopra (pp. 1043-1044) le ipotesi di Gilliot
(Reconsidering, etc.) relative ad un Cristianesimo di matrice siriana (il Diatessaron, del quale bene ricordare la
linea adozionista) e al ruolo non soltanto di Waraqa e Khadja, ma della stessa famiglia del Profeta in generale.
Ad esempio, critico con quanto afferma Pines, supra, circa il rapporto stretto della cristologia
giudeocristiana con quella del Corano, A. Havenith, Les arabes chrtiens nomades au temps de Mohammad,
Louvain, Centre dHistoire des Religions, 1988, che fa notare una divergenza: per il Corano la nascita di Cristo
comunque un evento miracoloso (Cor.,3, 45-47; 4, 156; 19, 16-34) contrariamente alla dottrina ebionita; tuttavia,
in accordo ad essa, il Corano nega la morte in croce (Cor.,4, 157-158) che viceversa sostenuta dai
Giudeocristiani. Il fatto che vi furono in realt molti giudeocristianesimi con dottrine che si collocavano
diversamente nello iato che intercorre tra Giudaismo e Cristianesimo propriamente detti; in Siria poi, vi furono
sin dallinizio gruppi di Cristiani che tuttavia mantenevano le norme mosaiche, in particolare i divieti alimentari.
La conclusione di Havenith quindi che il rapporto tra Giudeocristianesimo e Islam molto verosimile, ma che
occorre anche molta prudenza prima di fare delle affermazioni troppo generalizzate. Se mi posso permettere di
tradurre tutto ci allinterno di quanto osservato sinora, occorre evitare di mettere, oltre il necessario, laccento
sul Giudaismo, e tener conto di forme di religiosit difficilmente definibili in termini cos netti.
A ci si aggiunga la notazione di Trimingham, Christianity among the Arabs in pre-Islamic Times,
London, Longman - Beirut, Librairie du Liban, 1979, p. 299, che i Giudei dArabia erano arabizzati e fuori dalla
disciplina talmudica: in altre parole, erano verosimilmente eterodossi, come si pu anche evincere dalle molte
citazioni da pseudepigrafi presenti nel Corano. Trimingham, che dedica il proprio studio agli Arabi in generale,
quindi non soltanto a quelli della penisola la cui religiosit resta comunque incerta, ma anche (e soprattutto) a
quelli della Siria e della Mesopotamia, dove il Cristianesimo era diffuso e sicuramente attestato nelle sue
versioni Monofisita e Nestoriana, fa tuttavia notare i percorsi lungo i quali il Cristianesimo trovava la via della
penisola, ne sottolinea la presenza sicura alla Mecca e la presenza a Medina di Cristiani di transito. Dal siriano
derivano i termini coranici s e al-Mash; alla Mecca vi erano meccani (schiavi e liberi) con nomi cristiani, e
vera un cimitero cristiano; quanto alle mura dellantica Kaba, di esse tramandato che fossero affrescate con
pitture cristiane (pp. 260-261). Qui egli segnala anche quanto ricordato da Masd circa la presenza del
monoteismo alla Mecca prima ancora del Profeta (cfr. Maoudi, Les prairies dor, cit. in Bibl. a p. 730 , T. 1,
1861, pp. 129-148). Masd attesta la presenza, nei tempi che precedettero il Profeta, di Cristiani e Giudei; la
frequentazione, da parte di uno dei personaggi menzionati, di gente del clero (ahl al-kanis) Giudei e
Cristiani ( p. 136), infine anche la presenza del Mazdeismo.
Naturalmente Trimingham si sofferma (come Masd) anche sulla figura-chiave di Waraqa, che ha
attirato lattenzione particolare di J. Azzi, Il sacerdote e il profeta: alle fonti del Corano, Napoli, Chirico, 2004.
Questi, si sofferma in primo luogo sul gran numero di trib arabe cristiane, delle quali fa un lungo elenco. Su ci
occorre tuttavia tener presente che Trimingham, alle pp. 310-311, fa notare il carattere del tutto superficiale del
Cristianesimo degli arabi nomadi -ricordo il cristiano costruttore di idoli citato sopra- e, alle pp. 259-260,
sottolinea come il termine Cristiani venga usato a volte per indicare semplicemente Arabi alleati dei Bizantini.
Il centro dello studio di Azzi Waraqa, che, come gi detto, tradusse un Vangelo in arabo, e si pu pensare
fosse il famoso e misterioso Vangelo degli Ebrei (variante di Mt. in ebraico). Ora, nota Azzi, il Corano usa
sempre il termine Vangelo al singolare, e vi sono passaggi coranici (42,52; 4,113; 10,94) che attestano la
conoscenza, da parte del Profeta, di un Libro preesistente. Sar stato il Vangelo tradotto da Waraqa? Di certo il
Vangelo, nel Corano, risulta disceso dal cielo, come per gli Elchasaiti.
Quel che comunque sembra importante che la famiglia del Profeta, il cui stemma prodotto a p. 19,
non era politeista, n lo era lambiente nel quale il Profeta visse e crebbe: frequentava rabbini e monaci (p. 86) e
la balia alla quale fu affidato quando rimase orfano, era Nazorea (p. 89). Qui Azzi fa unaffermazione che andr
a suffragare con una importante ricerca di Hawting: il politeismo (jhiliyya) del quale parla il Corano non un
paganesimo, un associazionismo.
Lintroduzione del monoteismo in Arabia dunque, non risalirebbe al Profeta come vuole la Vulgata: lo
afferma esplicitamente R. Bell, The Origin of Islam in its Christian Environment, The Gunning Lectures,
Edinbourgh Un., 1925, p. 62, il quale aggiunge che in fin dei conti Maometto non ne fu nemmeno il predicatore,
perch per lui lunicit di Dio era gi un dato acquisito, non una verit da dimostrare. Quanto al ruolo del
Cristianesimo in questa presenza del monoteismo, Bell, a p. 20, ritiene possibile che le sette eterodosse cristiane
perseguitate a Bisanzio avessero trovato rifugio in Arabia (tesi raccolta da Roncaglia, cit.); ricorda il ruolo di
Hra, dove i Lakhmidi avevano abbracciato il Cristianesimo ed apertamente cristiano fu Amr b. Mundir che vi
1060
govern dal 554 al 569; e infine la forte presenza cristiana nello Yemen, con il suo centro in Najrn e con la
leggendaria spedizione del Re cristiano contro la Mecca che diede origine al mitico anno dellelefante
-lelefante sarebbe stato presente tra le sue schiere- fatto coincidere dalla Vulgata con quello di nascita del
Profeta, cio con il 570. In realt esso va collocato in una data ben anteriore, forse tra la quarta e la settima
decade del sesto secolo. Su tutta lanalisi della vicenda cfr. per A.L. de Prmare, Il voulut detruire le temple.
Lattaque de la Kaba par les rois ymnites avant lIslam. Ahbar et histoire, J.A., 288, 2000 che ricostruisce
lintera vicenda e segnala, tra gli alleati di Abraha, Amr b. Mundir. A questo lungo articolo si pu affiancare,
dello stesso autore, Les lphants de Qdisiyya, Arabica 44, 1998, che sposta lapparizione dellelefante sul
campo di battaglia al 637, nella guerra contro i Persiani, e non nel mitico anno coincidente con la nascita del
Profeta. Nota infine Bell, p. 41, che la penisola araba era letteralmente circondata da aree di influenza cristiana,
dalla Siria-Mesopotamia allo Yemen.
Non c dubbio infatti che uninfluenza cristiana sia presente nel Corano, anche se, come vedremo pi
in dettaglio, si deve far riferimento a sue forme eterodosse. Lo nota S. Khalil Samir, S.J., in The Theological
Christian Influence on the Qurn, in The Qurn in its Historical Context, cit. Khalil Samir esamina dapprima la
Sra di Imrn (versetti 33-34). Imrn dovrebbe corrispondere al biblico Gioacchino, padre di Maria, ma nella
Bibbia Amrn il padre di unaltra Maria, la sorella di Mos e Aronne, e infatti in Cor.,66, 12 Maria detta
figlia di Imrn, e in Cor.,19, 28 detta sorella di Aronne. Potrebbe sembrare che il Profeta facesse confusione,
ma cos non : infatti nella cristianit popolare siriana le due Marie erano associate nella preghiera (p. 143).
C di pi. Lesame dei due versetti mostra lesistenza del tema delle cinque chiamate (profetiche)
di Dio allumanit. Tenuto conto che per i Giudei Imrn Mos (p. 144), le chiamate corrisponderebbero
rispettivamente ad Adamo, No, Abramo, Mos e Ges: ma il tema dei cinque patti di Dio con lumanit
cristiano (p. 143) come testimoniato dai Padri. Per Khalil Samir inoltre (p. 145) la sovrapposizione coranica della
famiglia di Mos con quella di Maria e Ges, deriverebbe da una tradizione cristiana, pi precisamente dei
Cristiani giudaizzanti. Egli passa poi ad esaminare la Sra al-Maida, della quale ho gi fatto cenno, e la
presenza di tradizioni provenienti dai vangeli apocrifi dellinfanzia (sui quali cfr. infra gli artt. di C.B. Horn) per
concludere che purtroppo si sa poco del Cristianesimo nella penisola araba pre-islamica, salvo che la penisola era
considerata luogo di eresie (p. 160). La sua conclusione tuttavia molto riduttiva, perch si limita a ipotizzare
tradizioni orali sopravvissute, quasi a non voler smentire la Vulgata che vede nella nascita dellIslam un evento
caduto dal cielo insieme col suo libro.
Veniamo ora ai due articoli della Horn, apparsi entrambi sulla rivista Apocrypha. Essi sono:
Intersections: The Reception History of the Protoevangelium of James in Sources from the Christian East and in
the Qurn, Apocrypha 17, 2006; e Syrian and Arabic Perspectives on Structural and Motif Parallels regarding
Jesus Childhood in Christian Apocrypha and Early Islamic Literature: The Book of Mary, the Arabic
Apocryphal Gospel of John, and the Qurn, Apocrypha, 19, 2008.
Argomento del primo articolo la Sra 19, 16 sgg. (la Sra di Maria) connessa alla Sra 3, 42, sgg. (la
Sra di Imrn) cio la nascita miracolosa di Ges da Maria. La Horn prende in esame vari Apocrifi dellinfanzia
e le loro possibili connessioni con il Corano, cita vari casi di materiale di origine cristiana contenuti nel Corano,
e prende in considerazione anche le tesi di Luxenberg, in particolare la sua lettura della Sra 19 (cfr. supra, p.
871) che le di sostegno nello sviluppo della propria tesi (p. 135). Il versetto Cor., 19, 24, osserva, stato posto
in relazione con il Vangelo di ps.Matteo, ma questultimo risale allVIII-IX secolo, sicch c anche chi formula
lipotesi inversa, che ps.Matteo sia stato influenzato dal Corano (p. 127). Il passaggio coranico deve invece da
ritenersi derivato dal Protovangelo di Giacomo. Resta aperta lipotesi su come la tradizione sia venuta a
conoscenza del Profeta o dei compilatori del Corano; la Horn prende in considerazione anche lipotesi di una
redazione palestinese del testo, ai tempi della conquista. Quanto allepisodio di Maria e della palma da datteri,
esso fa parte di antiche tradizioni popolari cristiane ed presente in testi etiopici e georgiani. Altro testo che
potrebbe aver influito sulla versione coranica il Vangelo arabo dellinfanzia (Ges parla gi nella culla) e cos
il Vangelo dellinfanzia di ps.Tommaso per lepisodio coranico nel quale Ges, bambino, costruisce uccelli
dargilla e d loro la vita (p. 140). Daltronde, nota la Horn, non necessario pensare a una trasmissione scritta,
si pu pensare benissimo a narrazioni circolanti, perch noto dalle tradizioni che Maometto e i suoi primi
seguaci ebbero contatti con i Cristiani (p. 149).
Nel testo appare unipotesi che viene poi sviluppata nel secondo articolo (Apocrypha, 2008). Lipotesi
questa: che vi sia stato un dialogo (cos lo definisce lautrice) tra Apocrifi cristiani e Islam delle origini.
Molti sono i problemi da chiarire al riguardo, a partire dai meccanismi sociali e istituzionali di trasmissione, e
dal modo stesso della trasmissione, scritta ovvero orale, per giungere al grande nodo della natura dellIslam
originario (abbiamo visto che lIslam a noi noto altra cosa, una costruzione ideologica risalente al primo
secolo) con la relativa domanda su che cosa intendesse veicolare il Corano raccogliendo e rielaborando il
materiale religioso preesistente. Larticolo prende in esame il caso di un Apocrifo, il Libro di Maria, che conosce
successive fasi di sviluppo, dal V al XIII-XIV secolo. Le versioni arabe cristiane di testi apocrifi in relazione con
esso fanno pensare che il Corano ne abbia ripreso le tradizioni circolanti sullinfanzia di Ges che costituivano
uno sviluppo di storie relative a Maria. Le tradizioni siriane e poi arabe connesse con il Libro di Maria
potrebbero essere state fonte dispirazione per pi tardi testi greci collettanei, che incorporavano il Protovangelo

1061
di Giacomo e il Vangelo dellinfanzia di ps.Tommaso; il fatto che il Libro di Maria, in una sua seconda fase di
sviluppo, era arrivato a comprendere questi due Apocrifi e un terzo Apocrifo, il Transitus Mari (p. 278).
Ora, quel che interessante che si possono stabilire paralleli tra quel che si trova in questo testo
composito e quel che presente nella letteratura dellIslam in formazione; i paralleli si trovano precisamente
nella Sra di Imrn, in quella detta al-Maida e nella Sra di Maria. La prima contiene vari episodi miracolosi
che hanno corrispondenza negli Apocrifi (lannuncio fatto da pi angeli, la domanda di Maria su come potrebbe
essere incinta, le portentose doti di Ges nellinfanzia, i suoi miracoli di guarigione e resurrezione). Su questi
miracoli si sofferma anche la Sra al-Maida; quanto alla Sra di Maria, essa presenta di nuovo il tema
dellannuncio, poi quello della fuga in gravidanza, infine quello della nascita di Ges sotto una palma che dar i
propri datteri miracolosamente. Ora, nota la Horn, il fatto che il Corano ripeta in tre luoghi una serie di eventi in
modo analogo, lascia pensare che avesse un riferimento in una precisa tradizione narrativa apocrifa cristiana o in
un testo che avesse raccolto i racconti da altre fonti apocrife in quel medesimo ordine. Tuttavia sembra che
lepisodio di Ges che parla nella culla, abbia origine nella rielaborazione coranica, per essere poi incorporato
nel pi tardo rifacimento di apocrifi cristiani (pp. 284-285). Ebbene, questo miracolo appare nel Vangelo arabo
apocrifo di Giovanni, un testo che risale almeno al V secolo, ma che conosciamo attraverso una copia dellXI
proveniente da un originale in arabo tradotto dal siriaco nel IX, un Vangelo nel quale la vita di Ges inquadrata
in quella di Maria. Si tratta dunque di un vero e proprio sviluppo della Vita di Maria nel quale si trovano
elementi (laccusa a Maria di non essere vergine e il discorso di Ges appena nato in difesa della madre)
provenienti dalla coranica Sra di Maria (p. 290). Esso dunque fa parte di un processo di ampliamento e
riscrittura del Protovangelo di Giacomo allinterno di una emergente letteratura cristiana araba, derivante da un
precedente modello siriano. Questo suggerisce lidea di un dialogo tra apocrifi cristiani e lIslam delle origini.
Larticolo della Horn si fonda su molte ipotesi e deduzioni, ma una cosa mette certamente in luce
chiara per quanto concerne il tema che qui stiamo esaminando: lambiente nel quale ha origine lIslam
permeato di cultura neotestamentaria nelle sue forme popolari ed eterodosse, alle quali il Corano attinge in
direzione di una nuova e originale sintesi religiosa.
Un articolo che merita egualmente di essere segnalato quello di F. de Blois, Elchasai - Manes -
Muhammad. Manichismus und Islam in religionhistorischem Vergleich (cit. in Bibl. a p. 848). De Blois nota la
presenza di un rapporto generale dellIslam con il Manicheismo nel suo carattere di religione universalista e
terminale alla fine di ripetuti cicli profetici, nonch per il loro comune rapporto con unascendenza
Giudeocristiana. Per quanto concerne lIslam, de Blois nota infatti che i Nasr citati nel Corano siano da
identificarsi con i Nazorei perch quel che si comprende delle loro dottrine non li fa certo identificare con dei
Cristiani ortodossi; inoltre la dottrina del Corano oscilla s, tra Cristianesimo e Giudaismo su temi come la
Legge e la natura di Cristo, ma in ogni caso il Giudaismo e il Cristianesimo che vi vengono assunti, non
hanno nulla a che vedere con le due ortodossie, sembrano essere piuttosto derivare da elementi dottrinali
giudeocristiani.
Su questo momento formativo c una interessante indagine di A.L. de Prmare, Comme il est crit.
Lhistoire dun texte, S. I., 70, 1989. Un hadth quds (cio risalente allo stesso Profeta, che parla per ispirazione
divina) racconta che Dio avrebbe detto al Profeta di aver preparato per i fedeli ci che locchio non ha visto,
lorecchio non ha udito, e che mai ha albergato in cuore umano. Questa non che la ripetizione di quanto
afferma Paolo in Cor.I, 2,9, dove la promessa preceduta dalla frase Come sta scritto. In realt, nei testi
canonici ci non appare, quindi siamo in presenza di un momento creativo del tredicesimo Apostolo; qualcosa di
simile per doveva essere esistita nei commenti alla Torah, a giudicare da passaggi di commenti a Numeri e ai
Salmi citati da de Prmare. Di fatto sembra che Paolo abbia citato uno Pseudepigrafo, i Paralipomeni di
Geremia, e che la citazione di Pseudepigrafi non fosse infrequente, come testimonia de Prmare con alcuni
esempi e con citazioni di frasi di analogo significato; dunque doveva trattarsi di uno stereotipo corrente nei
commentari biblici (p. 33). Quel che sembra certo, che i primi Cristiani avevano interesse per la letteratura
pseudepigrafica giudaica.
La notazione di de Prmare interessante su due piani. Da un lato ci richiama a una realt del primo
Cristianesimo che doveva essere ben diversa da ci che oggi intendiamo come tale; dallaltro ci ricorda che,
quando si parla di influenze del Cristianesimo sullIslam nascente, non si deve pensare a ci che oggi si intende
come tale. Il Cristianesimo, come il Giudaismo e tutte le forme di Giudeocristianesimo, da quelle pi giudaiche a
quelle pi cristiane, ha presentato, nei primi secoli, un panorama estremamente variegato; si trattava di forme di
religiosit uscite dal crogiolo del periodo intertestamentario, ancora ben lontane dal loro irrigidimento nelle due
ortodossie attraverso le quali siamo abituati a pensarle. Molti dei primi Cristiani sono cos diventati eretici ex-
post.
Anche gli Gnostici si ritenevano Cristiani a buon diritto, come ho ricordato nei capitoli loro dedicati, e
precisamente agli Gnostici fa riferimento de Prmare allorch cita il Vangelo di Tommaso per segnalare che il
suo logion 17 ripete esattamente la stessa frase di Paolo del nostro hadth. Lipotesi spiazzante di de Prmare
che testi come gli Apocrifi cristiani e gli Pseudepigrafi giudaici, possano aver costituito degli anelli nella catena
di trasmissione del testo: la Mesopotamia faceva riferimento a Tommaso, lEtiopia aveva adottato Pseudepigrafi
nel proprio canone, lEgitto il luogo di rinvenimento dei testi di Nag Hammadi (pp. 36-37).

1062
Non tutto: anche il Manicheismo utilizzava lespressione usata da Paolo, ed nota, dice de Prmare,
la presenza del Manicheismo a Hra e il ruolo di questa citt nella storia della penisola araba; al Manicheismo
avevano aderito anche Qurayshiti della Mecca; nessuna meraviglia dunque se un detto che appartiene ai
Cristiani, ai Giudei e ai Manichei, religioni con le quali gli arabi ebbero uno stretto rapporto, figura anche tra gli
ahdth. Esso si trova in tutte le principali raccolte, in un contesto escatologico.
De Prmare elenca poi altre citazioni, come quella dal Vangelo di Giovanni relativa al Paracleto
identificato con Maometto (anche Mani vi si era identificato); la cosa pi interessante viene per dalla Sra di Ibn
Ishq ed relativa alle storie di quattro Hunaf (pl. di Hanf) della Mecca che partono alla ricerca della religione
di Abramo. Waraqa, cristiano, si rinforza nel proprio cristianesimo. Ubayd Allh si converte con qualche
esitazione allIslam, poi parte per lEtiopia, si converte al Cristianesimo e muore cristiano; Maometto ne sposer
la vedova e la dote fornita dal Negus. Uthmn va dai Bizantini, diventa cristiano ed entra nei favori
dellImperatore di Bisanzio. Zayd muore assassinato prima di aver trovato la propria strada. De Prmare
interpreta il racconto in chiave simbolica, come metafora degli Arabi in cerca di una religione e di unalleanza
politica, e ravvisa una tendenza di Ibn Ishq a stabilire un legame tra la hanfiyya (considerata dai pi il generico
monoteismo abramico del quale si parla, ma la cosa non cos sicura) con il Manicheismo (questa ipotesi stata
avanzata anche da altri).
In Arabia, nel VII e VIII secolo circolavano dunque molti scritti; di molti protagonisti del primo Islam
si dice leggeva libri, aveva molti libri, leggeva la Torah: ai tempi del Profeta dunque, molti testi erano
accessibili: si sa che i Meccani scrivevano (p. 48). Tra i Qurayshiti inoltre, in conseguenza dei viaggi e dei
commerci, molti erano figli di Etiopi, di Cristiani bizantini, di Indiani, di Nabatei e di Giudei (ivi). LEtiopia, in
continuo contatto con lArabia, era un luogo di produzione e di traduzione di testi biblici e di Pseudepigrafi, e tra
i libri elencati da Wahb Ibn Munabbih ( circa 720) come proprie letture, vi sono molti Pseudepigrafi noti.
La conclusione di de Prmare recisa: dal VII al IX secolo la classe dirigente di una societ in grande
espansione crea i propri testi di riferimento religioso integrando e ricomponendo ci che, tra gli scritti anteriori,
ritenevano conforme ai propri scopi. Col tempo si costituir una gerarchia allinterno di questo corpus: alcuni
scritti verranno considerati Rivelazione (i versetti del Corano), altri saranno messi sotto lautorit del Profeta.
Tra i primi e i secondi si inseriranno alcuni logia particolarmente rilevanti, e saranno gli ahdth quds, come
quello preso in esame.
Questa teoria di un corpus unico dal quale sarebbero stati selezionati gli ahdth e i versetti del Corano
sostenuta altrove da de Prmare, come avremo occasione di vedere, ma non generalmente condivisa, come si
pu evincere da quanto ho sinora esposto nel testo e in questa rassegna bibliografica aggiuntiva.

Mi sembra ora opportuno affrontare un argomento sul quale ho gi espresso i miei dubbi, la realt
dello scenario di unArabia politeista, dipinto dalla Vulgata al momento della predicazione del Profeta. Questo
argomento stato affrontato da G.R. Hawting, The Idea of Idolatry and the Emergence of Islam. From Polemic
to History, Cambridge, Un. Press, 1999. Hawting sviluppa una serie di analisi specifiche e di ragionamenti di
carattere generale per mettere in luce la fondatezza della propria tesi: nulla, nel Corano, autorizza a pensare che
lArabia, in particolare la Mecca ai tempi del Profeta, fosse caratterizzata dalla diffusione di culti idolatrici.
Questo quadro esiste esplicitamente, nota Hawting, soltanto grazie ai commenti sviluppatisi in epoca posteriore
che hanno dato una specifica interpretazione dei termini mushrik e jhiliyya, interpretazione peraltro assai
dubbia. Secondo Hawting, che in ci ricalca per altra via la visione diffusa di una costruzione dellIslam a noi
noto, avvenuta in tempi posteriori alla prima predicazione, linterpretazione offerta dalla Vulgata fu generata dal
desiderio di conferire un carattere di assoluta originalit, quindi di Rivelazione divina, a una predicazione che si
configura, per conseguenza, come evento unico e imprevedibile. La nascita dellIslam, secondo Hawting,
sarebbe viceversa avvenuta nellambito di un dibattito tra monoteisti, dibattito nel quale i mushrikn non
sarebbero che dei monoteisti dalle pratiche di culto reprensibili, come ladorazione degli Angeli o di entit
divine emanate dal Dio unico, in grado di intercedere presso di Lui.
Su questo punto iniziale vorrei concedermi una personale considerazione circa il rispecchiamento nel
mondo celeste di un quadro sociale, assolutamente egualitario quello islamico, mentre laltro riflette una societ
nella quale sono necessari dei protettori; non a caso il culto dei Santi cos ben radicato nella Chiesa di Roma e
nellortodossia bizantina.
Gi nellIntroduzione alle pp. 1-2, analizzando il termine jhiliyya, Hawting nota che esso si riferisce
in modo generico a ogni cultura non-islamica (questa cosa nota che avevo segnalato supra) perci esso non sta
necessariamente ad indicare il politeismo; per un Islam inteso come rottura con lidolatria ha il doppio
vantaggio di innalzare la figura del Profeta e di delineare la natura esclusivamente araba dellIslam stesso. Si noti
che questo il fine identificato anche da Donner nello sviluppo della Vulgata sullo scorcio del I sec. H.
Dopo aver notato (p. 6) che per un Protestante anche un Cattolico un politeista, Hawting lascia
intendere che lArabia non era fuori da un mondo nel quale il politeismo era scomparso: qui mi permetto di
ricordare gli intensi e tradizionali scambi della Mecca con lo Yemen, la Palestina e la Siria, paesi ove, oltre al
Cristianesimo nelle sue varie confessioni ed eterodossie, oltre al Giudaismo e al Giudeocristianesimo (radicato in
qualsivoglia etnia) potevano essere presenti Manicheismo, Mazdeismo e Mazdakismo, non certo lidolatria.

1063
lecito quindi affermare con buona sicurezza che la penisola araba, sotto laspetto religioso, non era e non poteva
essere fuori da quel mondo.
Ci nonostante, sottolinea Hawting a p. 7, lIslam presentato come una religione nata in una regione
remota, alla periferia, se non al di fuori, del mondo monoteista; egli ritiene al contrario che lIslam fu il risultato
di una polemica ultramonoteista, secondo un processo analogo a quello che port alla nascita delle principali
divisioni interne al monoteismo. Non si pu ignorare, afferma poi alle pp. 8-9, che la Vulgata islamica prende
corpo soltanto nel IX secolo, e che perci di essa si pu dire soltanto che testimonianza del modo nel quale i
Musulmani di allora videro il proprio passato, mentre non si pu dire che sia fonte dinformazione su un passato
che possiamo soltanto tentar dindovinare.
Anche su questo punto mi permetto di ribadire una riflessione che ho gi fatto sopra: in questo quadro
non mi sembra inutile lanalisi degli asnd, anche se i risultati non sono mai incontrovertibili, se non altro
perch essa mostra la dubbiosa origine degli ahdth e rafforza un giusto scetticismo sulla Vulgata. Daltronde si
deve notare che gli autori che criticano quelle analisi mostrandone la controvertibilit grazie alla propria acribia
accademica, giungono con ci a mettere in dubbio ipotesi ragionevoli per il semplice fatto che, per lappunto, di
ipotesi si tratta: senza condurre comunque in alcun luogo, perch accettare la Vulgata sarebbe soltanto un atto di
mero fideismo. Conseguenza finale: la zona grigia delle origini, fuori da quelle ragionevoli ipotesi, diverrebbe
una zona buia, sulla quale si potrebbe dire tutto e il contrario di tutto con pari pretesa.
Hawting passa poi ad esaminare gli studi che vedono lemergere dellIslam come fenomeno che
coinvolge una vasta area geografica e culturale richiamando in modo significativo (p. 13 in nota) la recisa
affermazione di Becker che avevo gi citato supra a p. 853, invocante la cultura unitaria del Medio Oriente
formatasi in epoca ellenistica come luogo di gestazione e di affermazione dellIslam. Ci importante, afferma,
perch molti dei cambiamenti religiosi che contribuirono allo sviluppo dellIslam erano certamente presenti in
quelle regioni prima dellarrivo degli Arabi.
Anche qui vorrei ricordare, oltre a quanto detto sopra circa le religioni presenti in quelle regioni, il
pullulare settario ivi presente, cos ben descritto da Halm, Die islamische Gnosis, cit. in Bibl. a p. 849, e da K
Rudolph, Die Mander, vol. I, cit. in Bibl. a p. 773. Quelle regioni inoltre erano abitate dalle pi disparate etnie e
vedevano la principale presenza del Cristianesimo nelle sue pi varie espressioni, incluso il Giudeocristianesimo,
ci che mi induce a mantenere le mie riserve sulle ipotesi di quegli autori che pongono alla base dellIslam
essenzialmente la religiosit espressa dalletnia giudaica.
Hawting cita al riguardo il mescolamento di popolazioni, susseguente alla conquista, quale elemento
di circolazione delle idee, nonch la presenza di vari messianismi (pi tardi ricomparsi come estremismi) tra i
movimenti di opposizione agli Omeyyadi; critica la pretesa di far risalire lIslam ai soli precedenti cristiani e
giudaici, presenti accanto a un indeterminato monoteismo; e ritiene che i mushrikn debbano ricercarsi tra di
essi. Quelli che nel Corano sembrano attacchi ai politeisti, sembrano tali soltanto perch cos dice la tradizione,
la quale tuttavia si spinge ben oltre quanto dice il Corano. Tra laltro, il Corano non fa riferimento ad Abramo
quale introduttore del monoteismo in Arabia, n alla successiva degenerazione di questo monoteismo in un
politeismo. A proposito delle interpretazioni indebite, critica poi la natura ideologica delle due teorie che hanno
radice nella cultura del XIX secolo: quella del monoteismo che sarebbe succeduto al politeismo come culmine
positivo di un progresso religioso e umano, e quella del cosiddetto monoteismo originario (molto apprezzato
dai missionari) successivamente degenerato (pp. 32-33).
Ne consegue che molte delle interpretazioni dei luoghi oscuri del Corano non sono state basate su
certezze storiche, ma soltanto sul bisogno di dare un senso a queste oscurit: lidea pi diffusa come capacit di
generare storie fu quella che lIslam fosse identico ad un originario monoteismo abramico, o, comunque, fosse
una sua continuazione (p. 36). Questa infondata lettura aveva inoltre il pregio di costituire un argomento
significativo nei confronti degli altri monoteismi presenti nei territori sottomessi (p. 37) ma non c ragione
perch la vicenda di Abramo, primo monoteista e costruttore della Kaba, fosse in circolazione nellHijz prima
della conquista araba del Medio Oriente (p. 38).
A p. 47, Hawting nota poi che nelle polemiche extra-coraniche, le accuse di shirk, mushrik e kfir,
sono indirizzate contro i Cristiani (e un po anche contro i Giudei) e si chiede (p. 48) se possibile dare una
interpretazione del termine shirk diversa da quella tradizionale: kfir (sing.) e kuffr (pl., come kafirn) sono
infatti termini usati anche nella polemica tra Musulmani (p. 49). Per quanto concerne lipotesi di una adorazione
degli Angeli, si deve poi notare che di ci erano accusati i Giudei da parte dei Cristiani (p. 53) e che Cor.,4, 51
sembra precisamente alludere ad una idolatria dei monoteisti (p. 57). Ricordo, al riguardo, che la figura di
Cristo come Angelo un tema ricorrente di molte delle eterodossie gnostiche che ho trattato nel testo, una
scelta che risponde verosimilmente alla difficolt di collocare razionalmente un Figlio di Dio che si fa uomo.
Si nota infine, secondo Hawting, che in un primo stadio dellIslam frequente lassociazione tra Cristianesimo e
shirk, in rapporto alla divinit di Ges e al dogma trinitario (p. 82).
Hawting si diffonde poi in un critica alla credibilit del Kitb al-Asnm (Libro degli idoli) di Ibn al-
Kalb (p. 89 sgg.) nel corso della quale (p. 96 in nota 116) critica Lecker (Idol Worship, ecc. cit.) perch accetta
la vicenda della distruzione degli idoli a Medina, pur avendo notato il carattere stereotipo della narrazione (cfr.
supra, anche lanaloga mia constatazione). Quel che poi minteressa notare che Hawting riproduce molti passi
delle accuse mosse dagli eresiologi ai costumi dei pagani, e che queste accuse sono del tutto simili a quelle che
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gli eresiologi di tutte le ortodossie avanzano nei confronti di tutti gli eterodossi, riportate in pi luoghi nel mio
testo: campeggiano a tutto tondo la sregolatezza sessuale e linfanticidio.
Per quanto riguarda poi i riferimenti ai nomi degli idoli e ai luoghi nei quali essi sono venerati, le
analogie di temi con altri racconti elaborati dai Cristiani, fa pensare ad adattamenti allIslam di storie preesistenti
(pp. 109-110) ci che non toglie che vi possano essere al fondamento delle realt storiche (p. 111). Secondo
Hawting per, i nomi ricordati per questi idoli, possono aver convinto gli archeologi ad interpretare come
evocazione di quei nomi alcuni graffiti di dubbia interpretazione (pp. 112-113, p. 113 in nota 5; p. 114; pp. 117-
119 nel testo e nelle note). A p. 128 cos conclude dunque la sua trattazione sullargomento: il principio generale
che guida il testo di Ibn Kalb, di legare alla Mecca i vari Dei e idoli ricordati, onde veicolare il messaggio che
essi costituiscono il retroterra alla nascita dellIslam. Di tale scelta si deve tuttavia sottolineare la dubbiosit,
perch essa fondata sulluso di materiali che vengono dallArabia meridionale, dalla Siria e dallIraq, non dalla
Mecca o da Medina (p. 129).
Un ultimo capitolo dedicato alle tre divinit femminili citate nel Corano, Allt, al-Uzz e Mant (p.
130 sgg.) in occasione della nota vicenda dei versetti satanici. Ora, se si pu dimostrare che questa vicenda
(citata nella classica versione di Tabar) non storica, ci non conduce ad affermare che lidolatria non esisteva,
ma consente di accantonare uno dei suoi sostegni (p. 133). Qui si torna alla vicenda di al-ghranq al-ul (le
gru o le cicogne che volano nellalto, queste erano le tre Dee) diversamente interpretata da Burton (Those are the
high-flying Cranes, cit.) e da Rubin (EB, pp. 156-166) come ho gi riportato supra. Il Corano per (53, 19 sgg.)
non dice se erano Dee o idoli, tantomeno le associa ai Qurayshiti o alla Mecca (p. 137). Allt associata dalle
fonti islamiche a Tif; al-Uzz connessa a una specifica trib, i Ghatafn, e a un preciso toponimo, Nakla. Su
Mant ci sono poi varie informazioni e sembra che il suo simulacro sia stato distrutto da Al; era venerata sotto
forma di roccia, e sotto forma di roccia cubica era oggetto di culto Allt, della quale si dice che fosse venerata
anche dai Qurayshiti. C tuttavia da notare che il figlio di Zenobia chiamato, nelle fonti greche, Ouaballatos,
cio, verosimilmente, il suo nome era Wahb Allt, dono di Allt. Nella vicenda tradizionale dei versetti satanici,
le tre Dee sembrano comunque essere le pi importanti divinit della Mecca (pp. 139-143).
Nota tuttavia Hawting che al-ul, usualmente tradotto come in alto, pu stare ad indicare anche
un attributo che fa delle tre gru delle figure eccelse, degli esseri superiori e quindi riferire ad un corteo
angelico che circonda il Dio unico (p. 147). Al riguardo ricordo che Rubin (EB, p. 71) cita un hadth (con isnd
mursal, cio incompleto, non riferibile a un Compagno) relativo al tema leggendario della isma, nel quale latto
di aprire il petto del Profeta per purificarne il cuore compiuto da due Angeli dallaspetto di gru (o di cicogne:
ghranq indica in genere uccelli dal lungo collo, anche i cigni -p. 148- il termine pu quindi facilmente riferire
allimmaginario sugli angeli). Si pu perci pensare non tanto a tre Dee, quanto a tre Angeli visti nellambito di
un sincretismo pagano arabo: infatti per gli Ebrei e i Cristiani gli Angeli sono di sesso maschile (p. 146).
Hawting conclude infine affermando che forse la vicenda della nascita del Corano in ambiente idolatra
fu il risultato di un processo di creazione di un mito: fu linvenzione di una tradizione (p. 151).
Un articolo che conforta le tesi di Hawting pu essere considerato quello di Kh. Athamina, Abraham
in Islamic Perspective. Reflections on the Development of Monotheism in Pre-Islamic Arabia, Der Islam, 81,1,
2004. Qui lautore, che si rif anche al citato articolo di Kister, Labbayka, etc., considera monoteisti gli Arabi del
tempo del Profeta, indipendentemente dal fatto che essi si trovassero a venerare anche degli idoli, perch Allh
costituiva comunque la divinit suprema, e la loro religiosit tradizionale era comunque una religiosit abramita.
Lo stesso si pu dire in riferimento ad un articolo di F.E. Peters, The Quest for Historical Muhammad,
I.J.M.E.S., 23, 1991; anche qui si pu riscontrare un passaggio importante a p. 296. In esso Peters afferma, con
molta ragionevolezza, che tutto il messaggio che il Profeta proclamava agli abitanti della Mecca, sarebbe stato
incomprensibile qualora essi non fossero stati a conoscenza delle storie bibliche che circolavano (cosa, del resto,
attestata dal Corano stesso, quando il Profeta viene accusato di ripetere storie note). In altre parole, il messaggio
del Profeta cadeva con tutta evidenza in un ambiente di monoteisti, al corrente di notizie testamentarie, ancorch
eventualmente apocrife. Pi specificamente per Peters ha rilevato i meriti della ricerca di Hawting,
sottolineando che essa ha il vantaggio di formulare ipotesi sui fenomeni religiosi in quanto tali, senza
consegnarsi alle tradizioni che ne parlano. Questo passaggio citato anche da A. Rippin nella sua recensione al
testo di Hawting su J.S.S., 46, 2001, pp. 348-351, una recensione assolutamente favorevole, a dimostrazione di
quanto poco credibile sia la leggenda di unArabia pre-islamica immersa nel paganesimo.
Sia consentito infine al riguardo un banale confronto con il nostro Medioevo occidentale: le
popolazioni rurali, che erano cristiane, non continuavano forse a conservare il ricordo di vecchie figure mitiche
(p.e., la cavalcata di Diana); non credevano ancora nelle Ninfe, sia pur trasformate in Fate, non erano pervase da
miti e leggende relative a figure ctonie, non vivevano immerse nel magico per quanto riguarda gli eventi naturali
(p.e., i tempestari), non conservavano il ricordo di antiche feste pagane (il carnevale), non avevano santi che
ricalcavano divinit del mondo pagano (S. Mercurio), non avevano culti segreti rivolti persino a Satana (per
prudenza, non si sa mai...), non conservavano i culti delle acque e delle rocce dellantico paganesimo, e cosi via,
facendo irritare il clero? (vedi anche Il mito e luomo, cit. in Bibl. a p. 747). Eppure erano cristiani, non pagani e
politeisti!

1065
Delle tesi di Hawting torner a far cenno pi sotto, perch esse hanno un qualche rilievo per la
comprensione di un episodio importante dellIslam nascente. Alludo ai rapporti che si stabilirono tra i muhjirn,
gli Ansr e i Giudei, allorch il Profeta diede lavvio allEgira stabilendosi a Medina, a quel tempo Yathrib.
Lepisodio importante perch di quegli eventi rimasto un documento, la cosiddetta Costituzione di Medina
(che non precisamente una Costituzione, ma un Patto) che il solo documento sulla cui autenticit sembra non
esservi dubbio: almeno, gli studiosi sono unanimi a tale riguardo. Il documento pervenuto con numerose
varianti e in due versioni, quella di Ibn Ishq ( 767) e quella di Ab Ubayd ( 838; questultima deriva da
quella dl al-Zuhr) che presentano qualche differenza; di solito preferita la prima, ma c chi, come Rubin,
previlegia la seconda.
Questo documento importante perch, a seconda di come vengano interpretate le notizie che fornisce
in rapporto a ci che tramanda la Sra e che scritto nel Corano, se ne cavano interessanti visuali -naturalmente
diverse secondo le diverse interpretazioni- sulle vie scelte dal Profeta per giungere allaffermazione della nuova
religione e, soprattutto, sulla natura di questultima e sullambiente nel quale essa matur e si afferm. Poich la
vicenda va esaminata nelle sue differenti interpretazioni, dar un sunto di alcuni studi che mi sono sembrati pi
significativi, per poi tentare di trarne delle conclusioni limitatamente ai temi stiamo inseguendo. Inizio dalle
posizioni di Rose, un cui recente studio consente di inquadrare il tema in modo generale e di far comprendere i
problemi che ne nascono.
Rose esordisce notando che nel dibattito tra gli storici tradizionalisti (quelli che si fondano sulla
Vulgata) e i revisionisti, non venga dato giusto rilievo allo scontro tra il Profeta e i Giudei, che centrale nella
storia dellIslam; attualmente, a suo avviso, si creata una impasse tra gli storici disposti a tener per buone le
notizie fornite dalla Sra e gli scettici; tra i primi c Serjeant, sulle cui dispute al vetriolo con la Crone, Rose si
sofferma nelle note: su queste e altre dispute segnalate da Rose ritengo perci utile aprire un inciso prima di
proseguire con il suo articolo. Loggetto del contendere quella trasmissione orale affidata ai narratori di storie
che, riguardo ai Giudei, potrebbero aver inventato tutto, secondo la Crone. Tuttavia gli scettici non sono
convincenti per gli storici tradizionali: Ibn Ishq disponeva infatti di tradizioni orali e forse scritte ben
consolidate sulle vicende del Profeta, sulle quali gli esegeti prima di lui concordavano e che erano di pubblico
dominio; dar credito a queste tradizioni significa per poggiare su un terreno puramente ipotetico, secondo gli
scettici, perch ci costituirebbe un atto di fiducia incondizionata, non giustificata da alcuna prova.

La Crone, in What do we actually know about Muhammad?, apparso il 10 Giugno 2008 su


www.opendemocracy.net, ha pubblicato un articolo nel quale afferma alcune cose di interesse per ci che stiamo
cercando di capire. Secondo la Crone, di Maometto si sa che esistette, che mor nel 632, e che lEgira avvenne
pi o meno nellanno 622. La sua esistenza attestata da fonti contemporanee e il suo nome appare su monete e
iscrizioni attorno al 680. Tutto il resto incerto, il Corano in molti punti oscuro e la sua lettura ipotetica,
perch allinizio era privo di vocalizzazioni e di segni diacritici; inoltre esso non fornisce notizie sulla vita del
Profeta. In esso i nemici del Profeta sono ideologizzati in condanne generiche (miscredenti, politeisti, ipocriti,
malvagi). Per quanto riguarda i politeisti, da segnalare che la Crone propende per le tesi di Hawting (vedi
sopra). Dal Corano si comprende che Maometto in attesa della Fine dei Tempi (una attesa che si pu constatare
in pi luoghi del Libro sacro, e che doveva essere ancor viva nei primi tempi di Medina, come sostiene M.
Kister, A Booth like the Booth of Moses.... A Study on a Early Hadith, B.S.O.A.S., 25, 1962 che per,
contrariamente alla Crone, ritiene che il Profeta fosse inizialmente ben disposto nei confronti dei Giudei). Il fatto
che egli sia detto illetterato e la Mecca idolatra da ritenersi frutto della successiva ideologia arabo/islamica
in vista di considerare la sua predicazione il risultato di una rivelazione divina rivolta al popolo arabo. La
Vulgata da guardarsi con sospetto, perch allorigine dellIslam da vedersi un dibattito che avvenne
allinterno dei monoteismi; infatti lArabia era a quel tempo una regione tuttaltro che isolata sul piano culturale
e religioso, non diversa dal restante Medio Oriente.
Questa la sua nota posizione. Vediamo ora come ella risponde alle critiche che le furono rivolte da
Serjeant nella sua recensione a Meccan Trade, etc., cit. in Bibl. a p. 1014: Meccan Trade and the Rise of Islam.
Misconceptions and Flawed Polemics; e da Hallaq nella sua recensione a Roman, Provincial, etc., cit. in Bibl. a
p. 1014: The Use and Abuse of Evidence: The Question of Roman and Provincial Influence on Early Islamic
Law, entrambe apparse su J.A.O.S., 110, 1990. Essa contenuta in Crone, P., Mthodes et dbats. Serjeant and
the Meccan Trade, Arabica, 39, 1992.
Partiamo dalla polemica con Serjeant, condotta da entrambe le parti con toni forti. Il motivo del
contendere laffermazione della Crone che i narratori di storie possono aver inventato molto. Alle pp. 217-219
di Meccan Trade and the Rise of Islam, la Crone aveva messo in luce le contraddizioni della tradizione relativa
allo stato di Medina al momento dellarrivo del Profeta, che vi sarebbe stato chiamato per assumervi i poteri del
pacificatore. A p. 91 aveva inoltre affermato: La tradizione islamica sulla nascita dellIslam formata, di fatto,
da poco pi che racconti, e la massiccia informazione che pu derivare da questi racconti non rappresenta mai
fatti precisi (straightforward). Lattacco di Serjeant su questi punti fu durissimo, al punto di negare la
professionalit della studiosa con toni, a dir poco, pesanti, perch sarebbe stato quantomeno da ignoranti
considerare alla leggera inattendibile linformazione data dalla tradizione; e la risposta della Crone, che prese
atto di questo nodo centrale del contendere, fu condotta con la consueta abilit dialettica. Al riguardo mi
1066
permetto di ricordare quanto ho gi affermato su alcune posizioni della Crone: efficaci nella pars destruens,
opinabili perch troppo ipotetiche nella pars construens.
La Crone (Mthodes, etc.) controbatte dunque su vari punti dellesposizione di Serjeant, e un punto
significativo che interessa quanto andiamo seguendo alle pp. 227-230: Maometto viene chiamato a Medina,
secondo Serjeant, come giudice pacificatore, ma ci contrasta con due notizie, la prima, gi addotta in Meccan
Trade e ripetuta in Mthodes, p. 234 che le tradizioni segnalano lunanime riconoscimento ricevuto a Medina
in tal ruolo da Ibn Ubayy; la seconda che Serjeant fonda le proprie affermazioni su modelli della societ
contemporanea dellHadramaut, che non possono essere applicati alla societ dellHijz dei tempi di Maometto.
In effetti Ubayy,come capo dei Khazra, era il leader della trib pi potente a Medina, e avrebbe dovuto esserne
incoronato Re al tempo dellarrivo del Profeta: cfr. M. Lecker, King Ibn Ubayy and the Qusss, in Method and
Theory , etc. cit.).
Tuttavia la sua vera conclusione, il punto sul quale la Crone attacca gli islamisti tradizionali in
generale nel paragrafo conclusivo intitolato Arabists versus Historians (pp. 237-240). Gli arabisti, esperti di
lingua, padroneggiano i testi ma non li confutano, li dominano soltanto negli emendamenti. Lo storico parte
invece dalle informazioni, delle quali valuta, in base alle proprie conoscenze, la verosimiglianza. Larabista
conosce benissimo ci che dicono le fonti della storia, allo storico spetta per valutarne laffidabilit; se per
propone alternative al testo, viene considerato un cattivo editor. I Musulmani stentano a credere che gli storici
occidentali studino lIslam per ragioni puramente storiche (p. 239) n vi si adattano, perch per loro gli eventi
veicolano un messaggio religioso; ma questo fanno anche gli arabisti, perch sono riverenti verso la grande mole
di notizie ripetitive, si fanno lavare il cervello e accettano come fatti i racconti. Gli arabisti occidentali
accettano con riverenza le storiografie sunnite; quelli di vecchio stampo sono tedeschi e si trovano facilmente
daccordo con gli islamisti politicizzati quando si tratta di opporsi alla critica degli storici.
Questa conclusione meriterebbe il corsivo, perch non soltanto mette in luce la posizione della Crone,
ma anche tutto un retroterra non soltanto accademico che la distingue da una tradizione di islamistica che, al di
l dei toni forti da lei usati, non forse priva di una sotterranea ideologizzazione che pu far perdere di vista
alcuni innegabili e non inattuali tratti dellIslam storicamente noto.
Il problema prospettico torna a proporsi se ci si rivolge allaltro scontro, quello con Hallaq. La Crone,
come noto (cfr. p. 859, supra) ritiene che lIslam che conosciamo sia una cultura formatasi non gi nellHijz,
ma nelle terre conquistate e sulla cultura dei popoli sottomessi, una posizione alla quale Hallaq si ribella
sottolineando lidentit semita della legge sui rapporti di clientela, attribuita dalla Crone a un lascito greco in uso
nelle provincie conquistate. In particolare, Hallaq si ribella allequazione posta dalla Crone tra gli invasori
germanici dellImpero Romano e gli invasori arabi delle terre bizantine e persiane, in qualit di portatori di una
cultura pi rozza destinata ad assumere col tempo le tradizioni, pi colte dei popoli invasi; di fatto per
lobbiettivo della Crone sempre il medesimo, e lo ribadisce nella controreplica: considerare la vicenda
dellIslam, cos come lo conosciamo, come un evento miracoloso avvenuto in terra araba, non realt storica,
soltanto il frutto di una ideologia arabo-islamica maturata sullo scorcio del I sec. H. Perci a me sembra che
quando Hallaq, a p. 91, invoca una origine babilonese della legge, nel II millennio a.C., passata poi al Medio
Oriente ellenistico, non smentisce il punto di fondo. comunque significativo che egli citi ripetutamente
Trimingham per quanto riguarda i rapporti tra la religiosit della Mesopotamia, della Siria e dellArabia, e la
grande opera di Irfan Shahd su Bisanzio e gli Arabi, della quale ricordo soltanto i 2 volumi dedicati a Byzantium
and the Arabs in the Sixth Century, Washington, Dunbarton Oaks, 1995, che mostra in modo documentato la
continua circolazione di uomini e di idee nelle tre regioni citate. Si tratta, a mio avviso, di un importante
contributo per revocare in dubbio la vicenda degli Arabi idolatri e del Profeta illetterato.
Tornando al problema delle vicende del Profeta a Medina, un ultimo articolo della Crone citato da
Rose (come gli altri sopra discussi) la sua recensione allopera i Donner, Muhammad and the Believers: At the
Origins of Islam, Harvard, Un. Press, 2008 (trad. it. a cura di R. Tottoli, Maometto e le origini dellIslam,
Torino, Einaudi, 2011) pubblicata su www.tabletmag.com il 10 agosto 2010. In questo suo studio Donner
costruisce le proprie tesi sulla traduzione, nella Costituzione di Medina, di muminn con credenti, termine
generico con il quale altri monoteisti non precisati vengono distinti dai muslimn, i Musulmani, ma ad essi uniti
in una sola comunit: per mantenere linsostenibile ipotesi che i credenti sono locali monoteisti che
includerebbero i Giudei commenta Rose a p. 18, in n. 54 (su questa controversa traduzione cfr. infra). Donner
sostiene una tesi che ha una sua ragion dessere storicamente documentabile: lintolleranza islamica inizia con i
tempi di Abd al-Malik; ma lipotesi ecumenica che Donner avanza circa la situazione di Medina, nella quale
sarebbe esistita una comunit dei tre monoteismi ai quali tutti si indirizzava la predicazione del Profeta, negata
dalla Crone. I monoteisti, infatti potevano essere soltanto Giudei o Cristiani, ma i Cristiani -e qui torna lipotesi
di Hawting- erano quei politeisti che non potevano di certo seguitare a rimanere Cristiani nel rigido
monoteismo islamico; e anche i Giudei, come potevano rimanere Giudei e seguire al tempo stesso le norme
coraniche? E i Cristiani, che cosa avevano a che vedere con una qibla rivolta verso Gerusalemme che
compiaceva i Giudei? LIslam, dice la Crone, contrariamente a quanto vuol far credere Donner per piacere ai
liberals americani, non fu per nulla ecumenico, se non altro perch il suo rigido monoteismo non poteva
consentire la divinit di Cristo, credenza fondamentale per un Cristiano. Molte altre sono le contraddizioni notate

1067
dalla Crone, che rendono improponibili altre ipotesi di Donner (come quella di una possibile iniziale qibla ad est
che avrebbe unificato Cristiani e Musulmani, ma, in questo caso, non certo gli Ebrei!) e che rendono
inverosimile una comunit con tre diverse vie di salvezza.
Tuttavia la critica conclusiva, e, per la Crone, di certo quella che ella tiene in serbo per ribadire il
proprio punto dosservazione generale sullIslam, riguarda il divisorio che Donner costruisce tra la religione
islamica e la storia di conquiste dellIslam, come se queste fossero avvenute prendendo a pretesto la religione, e
come se lattuale aggressione islamista la prendesse egualmente a pretesto: per la Crone infatti questa
aggressivit implicita nellIslam stesso, nella sua religione; un tratto che differenzia lIslam dalle altre
religioni, e non un caso che esso sia nato in Arabia, nonostante Donner pensi questa sua localizzazione come
un accidente storico.
Di fatto, Donner uno studioso troppo attento per lasciarsi andare ad affermazioni che potrebbero
apparire fuori dal campo degli addetti ai lavori; vediamo dunque che cosa esattamente egli dice, facendo
riferimento alla citata traduzione italiana del suo testo. A p. 46 egli parla di un primo patto tra i Musulmani e
gli Ansr con i quali si forma una comunit: primo patto significa fare riferimento, come Serjeant, ad una
pluralit di patti (cfr. infra). Egli torna poi sullargomento a p. 75 citando lart. 28 (sul quale mi dovr soffermare
pi sotto) che cos traduce: Gli Ebrei della trib di Awf sono un popolo con i credenti etc. e subito sotto sente
di dover precisare: Il documento della ummah solleva molte questioni spinose in rapporto al reale rapporto di
Maometto con i Giudei, precisazione che egli fa per dopo aver commentato il passo come un accordo con il
quale Maometto riconosceva gli Ebrei come parte della comunit dei credenti. Vedremo in dettaglio che siamo
in presenza di una traduzione controversa; egli per tende ad avvalorarla con un argomento a latere, ricordando
la presenza di convertiti allIslam tra i Giudei (p. 76) dopo aver affermato (ivi) il carattere ecumenico del
movimento dei credenti (corsivo mio, per sottolineare come la sua traduzione di muminn influisca sulla sua
interpretazione degli eventi) inizialmente aperto ai monoteisti devoti e timorati di Dio (ivi). Donner si era anche
premurato poco sopra di sfumare il discorso affermando che, per quanto riguarda i reali rapporti per nulla
pacifici del Profeta con gli Ebrei la risposta a questa e a molte altre domande spetta agli studiosi che verranno.
Sul tema del significato di muminn, Donner tornato recentemente con larticolo Qurnicization of
Religio-Political Discourse in the Umayyad Period, RE.M.M.M., 129, 2011, dove, con una serie di ingegnose
osservazioni fondate anche sui ritrovamenti numismatici, avvalora il carattere religiosamente misto dei primi
seguaci del Profeta, e di una islamizzazione del movimento avvenuta soltanto ai tempi di Abd al-Malik.
Comunque si giudichi su questa faccenda, resta il fatto che, quando egli parla della presenza di Giudei e Cristiani
nel movimento iniziale, sarebbe deviante, in quel luogo e in quel tempo, pensare a questi Giudei e Cristiani
nel senso della parola codificato dalle ortodossie; se per si pensa ad una religiosit dai contorni cangianti quale
quella espressa dalle varie forme di Giudeocristianesimo, a quella cio che dovette verosimilmente costituire
lorigine del movimento, allora intendere per muminn i fedeli in generale, perde il suo valore alternativo
per quanto riguarda il rapporto iniziale del Profeta con i Giudei di Medina.
Come si nota, Donner tenta di sorvolare (tra laltro giustificando sempre come reattiva o necessitata
lazione aggressiva del Profeta) su questioni molto serie che andrebbero mostrate nelle loro possibili contrastanti
letture; e tuttavia bene esser cauti su tutte le affermazioni tranchantes, come quelle della Crone, che si
incuneano processando le intenzioni. Donner infatti un rispettabilissimo studioso dellIslam, le cui tesi di
fondo, ripetute in questo libro, sono quelle note e non sono soltanto sue: lIslam cos come lo conosciamo si
formato nellultimo quarto del I sec. H., lIslam delle origini resta ancora immerso in una zona grigia. Ci non
significa per, mi permetto di aggiungere, che esso possa essere definito, come fa lui con una certa nonchalance,
come un movimento ecumenico nei confronti dei tre monoteismi, anzi, ci sono indizi del contrario: per quel che
valgono gli indizi, naturalmente. Di certo, il Profeta si mostra sempre in possesso di una verit incontrovertibile
che deve essere affermata erga omnes, magari, come si dir poi, comandando il Bene e vietando il Male secondo
i dettami di una Verit armata e senza dubbi; e la violenza contro gli oppositori e i recalcitranti ispira molti
versetti del testo sacro. In questo senso si comprende la critica della Crone allimpossibilit di separare religione
e politica: come poteva giustificarsi la politica di conquista violenta dei Qurayshiti senza il supporto ideologico
di una religione intollerante? Per questa ragione importante tentar di comprendere il senso degli eventi di
Medina e quello della sua Costituzione. Chiudo qui linciso sulla Crone e riprendo il filo dellesposizione di
Rose.

Dalle fonti, egli osserva, si pu dedurre che Maometto era sicuramente anti-giudeo; tuttavia, come
abbiamo gi osservato nelle opinioni di altri, di Rubin innanzitutto, possibile che questo atteggiamento sia
proprio dellIslam posteriore che matur nel corso del primo secolo e che d unimmagine non veritiera dalla
predicazione del Profeta. Perci, per capire se egli attu sin dallinizio una politica di sottomissione dei Giudei,
occorre esaminare con cautela latteggiamento di questi ultimi, cos come viene riportato nella Sra e nel Corano.
Eppure, prosegue, vi sono aspetti del racconto che sembrano plausibili, perch gli attacchi dei Giudei al Profeta
sono coerenti con labituale pensiero e atteggiamento dei Giudei allorch venga messo in atto un tentativo di
proselitismo nei loro confronti. Ho sottolineato questa affermazione di Rose, perch essa collima con i dubbi che
ho espresso verso le ipotesi di coloro che, nel rilevare il contributo del Giudeocristianesimo alla formazione
1068
dellIslam, insistono in modo particolare sulla etnia giudaica al fondamento di esso. Il Giudeocristianesimo,
come ho gi accennato e come vedremo oltre, un fenomeno talmente generico nella definizione -e indefinibile
nei particolari- che le affermazioni sulle etnie sono quantomeno avventate.
Certamente, nelle polemiche sulla narrativa islamica sembra che il famoso nocciolo genuino tanto
sospirato si riveli assai difficile a raggiungere, tant che storici tradizionalisti come Schoeler e Motzki, dice
Rose, stanno tentando di ricostruire un archivio di dati minimalista sulle origini dellIslam. Comunque -e da
qui parte la sua analisi- la Costituzione di Medina non riscuote obbiezioni alla propria autenticit: persino
Crone e Cook in Hagarism lo ammettono, senza peraltro esaminarla, nota Rose. Mentre Corano e Sra possono
far sorgere dei dubbi, la Costituzione di Medina, aggiunge, ha un forte grado di certezza e il suo raffronto con i
primi due consente di mettere in luce aspetti meno conosciuti della vicenda, anche se la documentazione di
provenienza giudaica ci manca.
A Medina, nel 622, risiedevano tra i 36.000 e i 42.000 Giudei (sulla loro origine vedi M. Gil, On the
Origin of the Jews of Yathrib, J.S.A.I., 4 1984: molte le ipotesi, tutte incerte e non tutte molto credibili; sembra
verosimile fossero transfughi dalla distruzione del secondo Tempio, ovvero discendenti convertiti dei Judhn,
forse affini ai Lakhmidi e anchessi riscossori di gabelle per i Persiani); contrariamente alla Mecca, a Medina vi
era un potere tribale giudaico organizzato, e a Medina i Giudei (cfr. p. 11 e p. 13) derisero il Profeta. Al riguardo
devo notare che la derisione, cos come riportata, aveva un fondamento etnico: Maometto non era un Ebreo e
neppure conosceva lebraico, dunque, secondo i Giudei, non poteva ergersi a profeta. Noto anche, per parte mia
e rifacendomi a quanto sopra affermato da Rose, che la testimonianza non sembra inverosimile. Considerati i
dubbi sulla reale datazione del Corano, Rose non ritiene per di poter considerare lepisodio come origine
dellantigiudaismo espresso nel testo sacro, che potrebbe aver avuto una maturazione pi tarda; sembra tuttavia
verosimile che di qui nacque linvettiva di Maometto contro chi non volle credergli, forse anche a causa di una
iniziale illusione terminata in disappunto. Rose, come si vede, lascia aperta la possibilit di analisi del tipo di
quella di Rubin in EB, ma mette comunque in luce che lipotizzato filogiudaismo dellIslam nascente sarebbe
stato tuttal pi un equivoco di breve durata.
comunque evidente che il Profeta non prese bene latteggiamento dei Giudei; ne sono testimonianza
passi come Cor.,25, 4-8; 16,24 sgg.; 5, 61-64; c infatti, a Medina, uno scambio di battute tra Maometto, che si
definisce portatore della religione di Abramo e i Giudei che rispondono che Abramo era un Ebreo; e c un
versetto coranico (3, 67) che stabilisce il punto di vista dellIslam: Abramo non era un Ebreo, un argomento che
abbiamo gi visto e che ha una precisa logica islamica. La rottura dovette avvenire nel 624, allorch il Profeta
mut la qibla, da Gerusalemme alla Mecca; lo scontro pi duro avvenne per in relazione al pagamento della
nafaqah, una contribuzione alle spese della guerra di sopravvivenza sostenuta dal nascente Islam, al cui
pagamento i Giudei erano tenuti in base agli accordi stipulati con la Costituzione di Medina. I Giudei rifiutarono
sottolineando la contraddizione tra lasserita lonnipotenza di Allh e la richiesta di danaro, ci che provoc un
vero e proprio incidente con Ab Bakr. La controversia assunse aspetti politici quando, secondo Ibn Ishq, i
Giudei incitarono anche gli Ansr a non pagare (p.15; ricordo di nuovo che Rose dipana la propria ricostruzione
confrontando la Costituzione con il Corano e la Sra). Coloro che non pagarono la nafaqah furono detti
munfiqn, un attributo che pass poi a significare, pi genericamente, gli ipocriti in materia di religione.
Su quanto esposto, c concordanza tra i versetti del Corano e gli eventi narrati dalla Sra: Rose si
propone ora di verificare se la concordanza sia leffetto non di un rispecchiamento reciproco, ma di una loro
ragionevole attendibilit, ci che intende fare iniziando il confronto con la Costituzione di Medina, dopo aver
ricordato quanto gi sappiamo, cio che allinizio del VII secolo era ormai tramontato lantico predominio
giudaico. Nel 617, dopo la battaglia di Buath combattuta tra gli arabi Aws e Khazra con lappoggio dei relativi
alleati giudei, la citt era in preda al disordine, e perci era stato chiamato Maometto come pacificatore (p. 17;
questo punto negato dalla Crone, come abbiamo gi visto). In vista del proprio proselitismo, Maometto pens
di stringere un patto unificante con gli Arabi, non con gli Ebrei che, tranne pochi, si erano mostrati ostili alla
nuova religione. Stretto dunque il patto nel 622, la nuova situazione fu estesa a coinvolgere i Giudei loro alleati.
Si noti che, nellesordire in tal modo, Rose sostiene linterpretazione del Patto data da Serjeant, che lo considera
una somma di differenti documenti stilati in diverse date (cfr. infra) rigettando quella di Lecker (infra) e di altri
che vedono nei suoi numerosi paragrafi un documento unico.
Il patto iniziale, che viene stretto tra muslimn qurayshiti, (cio i muhjirn) e i muminn, deve
intendersi come un patto tra Maometto e i suoi seguaci da un lato, e coloro che al patto vogliono restare fedeli,
coloro che da esso sono perci garantiti. Muminn viene infatti tradotto da Rose, secondo la lezione di Serjeant,
non col significato di credente che assumer col tempo, ma con quello originale coniato sulla quarta forma del
verbo amana, garantire, assicurare (cfr. lo Arabic-English Lexicon del Lane, vol. I, p. 100-103, ove peraltro
mumin, participio attivo, ha piuttosto il significato di garante). Rose nota al riguardo che chi fuori dal Patto
definito kfir non nel senso di infedele, ma, secondo la traduzione di Serjeant, nel senso di colui che non
vincolato dal patto (o forse meglio, che si astiene dal, o che disconosce il patto) e che, per conseguenza, non ne
garantito.
Si apre a questo punto il problema dei Giudei che, secondo Rose, sarebbero stati implicitamente
inclusi in quanto clienti dei loro alleati arabi (pp. 18-19) ma la cui inclusione non poteva essere lasciata cos nel
vago, perci essi dovettero essere inclusi formalmente nella Ummah di Medina, dove Ummah dovrebbe
1069
designare i membri del Patto di sicurezza (amn). Larticolo 2 del Patto dice che i contraenti, che in tal caso
comprenderebbero anche i Giudei, formano una Ummah whida, una comunit unica, e ci ha fatto interpretare
la Costituzione come un atto di tolleranza, rafforzato dalla dichiarazione che ciascuno resta nellambito della
propria religione (o Legge, dn: vedi al riguardo lart. 28 del Patto nel testo di Ibn Ishq, riportato in Lecker,
M, The Constitution of Medina, Princeton, The Darwin Press, 2004, a p. 8 nelloriginale e a p. 35 in
traduzione). Di fatto, nota Rose (p. 20) della clausola si pu dare uninterpretazione opposta seguendo Cor.,109,
6, nel quale la distinzione tra le due religioni ripetuta, ma con chiaro senso dispregiativo. Inoltre il Patto
stabilisce lobbligo, anche per i Giudei, di pagare la nafaqah, ci che costituir verosimilmente il punto dattrito
fondamentale (cfr. supra). Anche questa stata considerata una aprioristica presa di posizione antigiudaica;
tuttavia, nota Rose (p. 21) difficile pensare che gi nel 622 il Profeta avesse le idee cos chiare riguardo alla
propria strategia con i Giudei. Di questo si dovr tener conto alla fine della digressione, quando tenteremo di
capire uno svolgersi degli eventi che ha un proprio peso nella valutazione dellIslam delle origini; per ora riporto
le considerazioni di Rose.
Secondo lui, nel 622 Maometto non poteva avere le idee molto chiare, tuttavia difficile negare che il
documento mostra una certa sfiducia verso i Giudei e, nonostante i motivi di convenienza, chiaro che una
situazione non teocratica poteva essere soltanto temporanea, sinch la situazione politica non si fosse risolta a
favore del Profeta, consentendogli di liquidare la questione. Secondo Rose, che condivide la distinzione di
Serjeant, per il quale la Costituzione in realt composta di otto documenti successivi, la successione
temporale di questi documenti scandisce le tappe della progressiva eliminazione delle tre grandi trib tra il 624 e
il 628 (i Qaynuq furono espulsi dopo Badr, i Nadr dopo Uhud, e i Qurayza furono massacrati dopo Khandaq;
su questultimo episodio vedi M.J. Kister, The Massacre of the Ban Qurayza. A re-Examination of a Tradition,
J.S.A.I.,8, 1986).
Sul problema di questi difficili rapporti ritengo sia utile perci porsi una domanda: in qual senso il
Giudaismo era familiare al Profeta prima di Medina? Certamente gli erano familiari le dottrine e le tradizioni,
ma, se si deve avvalorare quanto riferisce Ibn Ishq circa la derisione della quale sarebbe stato oggetto allorch si
present loro come Profeta, allora, se davvero era inizialmente ben disposto verso i Giudei (opinione espressa
anche da M. Kister in A Booth like the Booth of Moses.... A Study of an Early Hadth, cit.) egli non doveva
avere idee chiare sul carattere etnico del Giudaismo; e il fatto che questultimo si mostrasse impermeabile alla
sua predicazione mi rafforza nel dubbio gi espresso su tesi come quella di Wasserstrom, che connettono
essenzialmente al ruolo delletnia giudaica la presenza di uneredit giudeocristiana nellIslam. Il dubbio si
riverbera anche su quelle di Rubin gi esposte, per non dire di quelle di Donner, sempre con riferimento a questo
presunto iniziale atteggiamento favorevole nei confronti del Giudaismo come tale. Non dimentichiamo infatti
che la religiosit veterotestamentaria e il suo bagaglio di tradizione profetica potevano giungere a Maometto
anche per altri canali, che non erano quelli delletnia giudaica.
Lattrito con i Qaynuq, nelle sue fasi successive a Badr, descritto da Rose alle pp. 22 sgg. ma, al di
l dei tanti episodi riferiti dalla Vulgata, due elementi concreti sembrano emergere. Il primo concerne problemi
di contenzioso territoriale tra il mercato libero dalle tasse (sadaqah) stabilito dal Profeta a Medina in unarea
confinante con linsediamento dei Qaynuq e da questi rivendicata: su questo si vedano anche gli articoli di M.
Lecker, Muhammad at Medina, a Geographical Approach, J.S.A.I., 6, 1985 e On the Markets at Medina
(Yathrib) in Pre-Islamic and Early Islamic Times, J.S.A.I., 8, 1986; e quello di M.J. Kister, The Market of the
Prophet, in Studies in Jhiliyya and Early Islam, London, V.R., 1980. Il secondo riguarda lappoggio che i
Giudei avrebbero dato agli Arabi non favorevoli al Profeta, tra i quali Abdallh b. Ubayy che fu poi il leader dei
munfiqn, cio di coloro che rifiutavano di pagare la nafaqah, la tassa per il sostegno alle operazioni belliche
dei muhjirn.
Da Ibn Ishq emerge comunque un fatto interessante, che si dovrebbe considerare realmente accaduto
perch non mette in buona luce il Profeta: Maometto non si trovava in una situazione semplice in Medina, facile
era attaccarlo e anche umiliarlo in pubblico; e fu lintervento di un leader dei Khazra a sbloccare la situazione
ponendo improvvisamente i Qaynuqdi fronte al proprio fato, segnato dallo schierarsi degli Ansr sul fronte
islamico (cfr. p. 25 il dettagliato racconto). Il saccheggio dei loro beni fu una vera fortuna, perch i Giudei di
Medina erano produttori di armi e armature, cose di prima necessit per i muhjirn (p. 26). I Qaynuq furono
espulsi, soltanto alcuni di essi rimasero a Medina e si convertirono. Ubayy si oppose poi a Maometto come capo
dei munfiqn che rifiutarono di finanziare la spedizione di Tabq nel 630 (su questo si veda anche M. Gil, The
Medinan Opposition to the Prophet, J.S.A.I., 10, 1987, i quale segnala il ruolo dei Qaynuq nella vicenda,
anche se questi nel 630 erano stati espulsi da tempo).
Secondo Rose, il nocciolo di verit storica che si pu finalmente recuperare seguendo gli eventi di
Medina con la triangolazione di testi da lui proposta, il seguente (pp. 27-29). Maometto riusc a spezzare
lalleanza tra i Qaynuq, la cui sorte abbiamo visto, e quella parte degli Arabi che non erano disposti a seguire
la politica dei muhjirn, i cosiddetti munfiqn; poi, in successione, fece uccidere i suoi oppositori politici
come Kab b. al-Ashraf (cfr. infra), espulse i Nadr e infine massacr i Qurayza: questa successione di atti
costituisce una politica coerente. Di questo nocciolo di verit storica fa parte anche la vicenda del rifiuto di
pagare la nafaqah Tuttavia difficile pensare che Maometto avesse in mente sin dallinizio di fare quel che fece,
il cui ultimo atto fu la spedizione contro Khaybar per la definitiva liquidazione dei Giudei. Per il terrore seguto
1070
alluccisione di Kab, Giudei e mushriqn (che Rose traduce con: politeisti) scelsero di rinnovare il patto di
fedelt che egli concesse con il documento E (vedi infra la suddivisione del Patto in otto documenti secondo
Serjeant, che Rose condivide) che rinnova lobbligazione al pagamento della nafaqah e a non tradire gli accordi:
qui, ormai, gli Arabi non sono pi muslimn e muminn, ma soltanto muslimn. Sulla realt di questa vicenda
che ci viene tramandata dalla Vulgata, relativa al rapporto tra il Profeta e Giudei a Medina, non sembra si debba
mostrarsi scettici.
Prima di concludere sullargomento politico e proseguire, mi sembra necessario spendere qualche riga
per parlare, sia pur sinteticamente, dellassassinio di Kab b. Ashraf. Linimicizia sua con il Profeta doveva
datare sin dai primissimi tempi, da quando Maometto tent di stabilire un proprio mercato a Medina piantando
una tenda su un terreno rivendicato dai Qaynuq: Kab tagli le corde della tenda e Maometto dovette subire
laffronto (cfr. M. Kister, The Market of the Prophet, cit.). Tuttavia la storia dellassassinio raccontata da U.
Rubin, The Assassination of Kab b. al-Ashraf, Oriens, 32, 1990. Kab era un membro della trib dei Nadr che,
tra laltro, compose versi ingiuriosi contro le donne musulmane, e la sua uccisione dopo la battaglia di Uhud da
connettersi con la rottura dei patti da parte dei Giudei Nadr in quelloccasione, e fu motivato dal suo
coinvolgimento nellaccordo segreto che i Nadr avevano stretto con il qurayshita Ab Sufyn subito dopo il suo
attacco a Medina (p. 66). Subito dopo luccisione di Kab il Profeta scaten lattacco contro i Nadr; secondo
Rubin levento segna lo stadio finale nel declino dei Nadr a Medina (p. 68). Nota Rubin che, secondo Zuhr, gi
prima di Badr i Qurayshiti avevano avvertito i munfiqn che Medina sarebbe stata attaccata se il Profeta non ne
fosse stato espulso; dopo Badr lo stesso messaggio era stato inviato ai Giudei; sembra perci plausibile che
esistesse realmente un piano dei Nadr per uccidere Maometto, perci la sequenza tra lassassinio di Kab e la
cacciata dei Nadr sembra rispondere a una precisa logica politica.
Veniamo ora ad esaminare larticolo di Serjeant, The Sunnah jmiah, Pacts with the Yathrib Jews,
and the tahrm of Yathrib: Analysis and Translation of the Documents comprised in the so-called Constitutiion
of Medina, B.S.O.A.S., 41, 1978, il quale riporta il testo originale di Ibn Ishq e la propria traduzione. Come
gi detto, Serjeant ritiene che la Costituzione (che non una Costituzione, ma un Patto) sia in realt il
composto di otto documenti siglati in circostanze diverse e per diversi motivi, ipotesi che ha una propria
ragionevolezza e coerenza interna in rapporto alla scansione degli eventi; tuttavia a me sembra che il documento
abbia una propria logica anche pensando a diverse sezioni di uno stesso trattato, tant che altri studiosi, come,
ad esempio, M. Lecker, tale lo considerano. Seguiamo comunque lanalisi di Serjeant. Gli otto documenti,
contraddistinti dalle lettere da A ad H, sarebbero i seguenti:

A - la prima parte del documento costituisce un trattato che riguarda esclusivamente i muhjirn e gli Ansr, che
formano una Ummah whida, una singola confederazione, come traduce Serjeant. I Giudei non ne fanno parte se non
in quanto clienti degli Arabi, la loro eventuale partecipazione individuale, e riguarda qualunque Giudeo ci segua;
il testo assolutamente chiaro al riguardo;
B - rappresenta un supplemento ad A, ed esclude da esso i mushrikn . Giudice sulle dispute e le eventuali infrazioni
Allh, e per lui ovviamente il Profeta;
C - per Serjeant questa parte del documento unaggiunta che definisce lo stato giuridico dei Giudei in quanto clienti
degli Ansr: essi formano una comunit con i muminn . Qui si apre un problema capitale per quanto riguarda il
testo (Serjeant legge: Ummah maa, e traduce una confederazione con; ma con chi? Per Serjeant con i garantiti
dal Patto. Si apre quindi anche il problema di come tradurre muminn, del quale ho fatto cenno supra e vedremo
meglio infra perch);
D - costituisce unaggiunta a C: si associano nel Patto i clienti dei Giudei cui si d la medesima figura giuridica;
E - il documento del quale parla anche Rose supra, che ribadisce lobbligo della nafaqah per i Giudei analogamente
ai muminn e ai muslimn, ciascuno per la propria parte;
F - il documento che dichiara harm la pianura di Medina, la sua datazione controversa, ma Serjeant la ritiene
comunque posteriore a Hudaybiah (628) il trattato che precedette la spedizione di Khaybar (629, di fatto un mese pi
tardi). Questa parte del Patto non sarebbe inserita nel giusto ordine cronologico a causa di quanto si osserva al punto
successivo;
G - questa parte sarebbe infatti precedente F, perch sarebbe stata stipulata prima della battaglia della trincea
(Khandaq, 627). un trattato che impegna le parti a non dare aiuto ai Qurayshiti, nel quale sotto la dicitura quei
Giudei degli Aws si designerebbero i Qurayza in quanto clienti degli Aws (la successiva strage sarebbe stata
giustificata dal tradimento, da parte dei Qurayza, dellimpegno sottoscritto);
H - un codicillo a G che rende Allh -e per lui il Profeta- giudice del rispetto degli impegni.

Serjeant fa molte importanti considerazioni, delle quali mi limito a ricordare il minimo essenziale.
Munfiqn non ha il significato di ipocriti che assunse soltanto in seguito, ma sta ad indicare coloro che
rifiutarono di pagare la nafaqah. I muminn non sono i credenti ma sono coloro che sono garantiti (dal
Patto) che viene stipulato con loro dai muslimn: sia da quelli che appartengono ai muhjirn (i muhjirn dei
Quraysh, cio i fuggitivi dalla Mecca) sia quelli che fanno parte degli Ansr, gli Arabi di Medina che perci,
evidentemente, non erano tutti muslimn. Si tratta di precisazioni essenziali per non travisare il Patto, e, con esso
la reale situazione di Medina al momento dellEgira e gli eventi che ne seguirono. Come vedremo subito infatti,
vi sono anche altre letture della vicenda, e il problema riguarda anche la natura della Ummah (o forse delle
umam, plurale, nel caso la parola fosse usata con riferimenti diversi) che si costituisce (o costituiscono) con il

1071
Patto. Abbiamo infatti visto che ci sono due punti cruciali: l dove si parla dapprima di Ummah whida e poi di
Ummah maa (rispettivamente ai documenti A e C di Serjeant, o, se prendiamo il testo originale di Ibn Ishq in
M. Lecker, The Constitution of Medina, cit., dove esso presentato come documento unico, agli artt. 2 e 28:
in originale alle pp. 7-8, in traduzione alle pp. 32 e 35). Le due comunit o confederazioni potrebbero anche non
coincidere. Serjeant traduce la Ummah whida formata dai muminn e dai muslimn con una singola
confederazione (a parte rispetto agli altri abitanti) e la Ummah maa formata dai Giudei quelli che sono del
Ban Awf e dai muminn come una confederazione con (cio dei primi con i secondi). Ummah ha tuttavia
un campo semantico che, secondo le varie interpretazioni, pu implicare accezioni molto pi solidaristiche
rispetto a quelle implicite in una semplice confederazione, lo abbiamo gi visto esaminando larticolo di al-
Faruqi cit. in Bibl. a p. 848: la Ummah piuttosto una comunit.
Per questa ragione Lecker (cit.) ha qualche difficolt a pensare che i Giudei abbiano potuto formare
una comunit con i muminn, e propone di sostituire le parole umma maa con amana min : (i Giudei etc.)
are secure from i muminn. Donner, cit., p. 242, giunge allestremo col suo spirito ecumenico, e quindi
traduce che i Giudei in questione sono una comunit con i credenti, ci che sembra meno verosimile.
F.M. Denny, Ummah in the Constitution of Medina, J.N.E.S., 36, 1977 sceglie di indagare i vari
significati che pu assumere la parola Ummah prima di assumere quello che ha nel Corano, cio di comunit a
fondamento religioso, ma il punto sul quale ruota tutto il suo ragionamento quel muminn tradotto con
credenti, perci le sue conclusioni reggono o cadono a seconda che davvero di credenti si tratti. Ora, lui
dice, nellart. 28 (o 25: Denny riporta il testo d Ibn Ishq in traduzione, ma lart. 28 di Lecker per lui lart. 25;
per semplicit mantengo la numerazione di Lecker) laltro uso del termine Ummah (diverso dunque da quello
dellart. 2 dove sta a significare muminn insieme a muslimn) riferito ai Giudei che mantengono la loro
diversa religione (p. 42). Dopo di ci, alla pagina 43, afferma: La Ummah della Costituzione fatta di
Credenti e Musulmani, e del tutto probabilmente anche da Giudei (sebbene questi possano costituire una Ummah
separata a fianco. Qui c per qualcosa da capire: chi sono questi credenti n Musulmani n Giudei?
Cristiani e Manichei? E Cristiani e Manichei potrebbero formare una Ummah con i Musulmani, diversamente
dai Giudei che formano una Ummah a latere? I credenti sono gli Ansr non musulmani, membri di un patto di
alleanza rispetto al quale i Giudei sono a latere tra coloro che sono garantiti dal Patto, come traduce Serjeant,
una traduzione che Denny respinge dicendo: lart. 25 (28 Lecker) distingue i Giudei dai Credenti, e identifica,
per mezzo di un parallelismo, i Credenti con i Musulmani. Tutto bene se non fosse stato necessario, per Denny,
fare unacrobatica giravolta sulluso variabile delle definizioni dei contraenti, che, in un patto, tende per
necessit ad essere rigorosa: sembra difficile credere che i muminn, controparte nel Patto, allart.2, con i
muslimn, siano divenuti il nickname di questi ultimi nellart. 25 (28 di Lecker).
Chi sceglie unaltra strada, a mio modesto avviso pi interessante, Rubin, The Constituion of
Medina. Some Notes, S.I., 62, 1985. Rubin non parte dalla versione di Ibn Ishq, ma da quella di Ab Ubayd,
che Serjeant ritiene difettiva. Lecker riporta entrambe le versioni (quella di Ab Ubayd senza traduzione) e le
riporta anche in raffronto; alle pp. 191-192 ne parla notando che la versione di Ab Ubayd pi breve, difettiva
in alcuni punti, superiore in altri; essa deriva da Zuhr ed ritenuta dalla Crone la pi antica nonch prodotto di
una trasmissione scritta. Ora larticolo corrispondente al 28 della versione di Ibn Ishq (cfr. Lecker, p. 20 e p. 8
rispettivamente) recita che i Giudei del Ban Awf formano ummat min, una comunit dove min ha
significato di chiarimento, una comunit tra (quelle) dei muminn, di coloro che, con la traduzione di Serjeant,
sono i garantiti dal Patto, con quella di Rubin i credenti che possono mantenere la propria religione. Per
questa ragione si parla, nel Patto, di una Ummah whida che unisce tutti i monoteisti di Medina distinguendoli
dagli altri abitanti, evidentemente politeisti nel senso di pagani, secondo Rubin (p. 16). Come notavo sopra,
si tratta della tesi di EB: lIslam delle origini era filogiudaico.
Infatti Rubin prende poi una posizione tutta sua che funzionale alle tesi espresse in EB. Dopo aver
sostenuto che qui si parla soltanto dei piccoli gruppi di Giudei specificati, e aver sostenuto che le tre grandi trib
non sono nominate perch non ve nera motivo nellambito di un Patto che costituiva soltanto un primo tentativo
di unit territoriale, come fa capire infatti lintroduzione di Ab Ubayd (pp. 9-10, cfr. il testo in Lecker, p. 19
righe 4-5) il patto tra i Musulmani qurayshiti e la gente di Yathrib e coloro che li seguono, sono uniti a loro,
risiedono con loro (corsivo di Rubin) e combattono con loro. Questo non significa che Maometto non intendesse
raggiungere un accordo anche con le tre grandi trib; Lecker (cit., p. 48) su questo argomento, sostiene a sua
volta che un accordo a parte doveva essere gi stato raggiunto al momento del Patto.
Lecker ha dedicato anche un articolo alla questione: Did Muhammad conclude Treaties with the
Jewish Tribes Nadr, Qurayza and Qaynuq?, I.O.S., 17, 1997, nel quale riporta alcune tradizioni (una delle
quali risale al figlio di un Quraz che, da bambino, fu testimone della strage) che renderebbero attendibile
lipotesi di un accordo separato precedente il Patto, nel quale le tre trib non sono nominate. Difficile spiegare
altrimenti il silenzio del Patto, a meno di non tornare alla vecchia tesi di Wellhausen, secondo il quale le tre trib
non sono nominate perch considerate clienti degli Arabi alla data delEgira (Rose lo ammette per i Qaynuq).
In un altro suo articolo, Waqidis Account on the Status of the Jews in Medina: A Study of a Combined Report,
J,N,E.S., 54, 1995, Lecker nega che le tre trib fossero clienti degli Arabi; sostiene che esse, al contrario, erano
molto potenti, e che perci Maometto volle farci subito un patto.

1072
Diversamente da Rubin e Lecker, Gil, The Constitution of Medina: A Reconsideration, I.O.S., 4, 1974,
pp. 64-65, sostiene che Maometto stipul unalleanza con gli Arabi di Medina per rafforzarsi nella propria
originaria intenzione a condurre una politica di eliminazione dei Giudei. Questa , a mio avviso, una lettura
estrema e non argomentata dei fatti, che verosimilmente possono esser compresi meglio nellinterpretazione di
Serjeant: lantigiudaismo del Profeta fu il risultato della rapida presa datto dellimpossibilit di rendere i Giudei
propri seguaci.
Tornando a Rubin, un altro punto circa il quale egli fornisce una diversa interpretazione riguarda
loccasione nella quale Medina fu dichiarata harm. Secondo lui ci avvenne nel corso di una sosta sulla via di
Badr, nel corso della quale il Profeta avrebbe invocato la benedizione di Allh su Medina, che avrebbe dichiarato
harm cosi come Abramo aveva fatto per la Mecca (p. 11). Tutto ci non soltanto contrasta con la datazione di
Serjeant, ma anche con la sua divisione del Patto in otto trattati successivi, perch della cosa si parla nel suo
Documento F, ritenuto posteriore a Khandaq.
Per tentar di comprendere gli eventi di Medina, altri elementi sono tuttavia utili in aggiunta allanalisi
del Patto; Lecker ne ha scritto nel suo Muslims, Jews and Pagans. Studies in Early Islamic Medina, Leiden-N.
York-Kln, E.J. Brill, 1995. Va naturalmente segnalato gi sin dora il dubbio che solleva il riferimento ai
pagani grazie al quale i mushrikn, cio gli associazionisti divenuti politeisti divengono ancora, per
analogia non certificabile, pagani. Questo punto non irrilevante, perci mi sembra interessante ritornare alle
opinioni di Hawting gi citate, attraverso un suo articolo che anticipava di due anni quanto scritto nel volume
esaminato supra. Mi riferisco a irk and Idolatry in Monotheist Polemic, I.O.S., 17, 1997, dal quale si pu
trarre qualche spunto di utilit per la vicenda che sto trattando.
Nota Hawting (p. 121) che il termine comunemente usato contro i Cristiani, raramente contro i
Giudei; e si domanda: ma quanto veramente credevano, i polemisti, a ci che dicevano? (p. 115) Coloro che
venivano messi allindice, lo erano veramente per idolatria, o lo erano per altre ragioni e lidolatria era un
argomento di puro insulto, rigetto, etc., quindi una semplificazione o luso di un termine per un altro? Al
riguardo egli cita una serie di esempi dai quali si nota come le accuse di shirk e di kufr siano una costante delle
polemiche tra avversi gruppi islamici; su questo penso di notare che siamo perci in presenza di un uso alquanto
banale della retorica politica. Infatti, se c una lotta tra due gruppi ben coscienti di una comune matrice nel cui
ambito stesso si svolge la lotta, nulla pi adatto, come insulto per squalificare il gruppo avverso di quello che
lo qualifica come traditore di una causa comune. Tra monoteisti in contrasto quindi, nulla di pi efficace, nella
retorica politica, del rinfacciare allaltro di essere politeista.
Questa osservazione ha significato se pensiamo alla nascita dellIslam e alla sua affermazione come
risultato di una lotta allinterno di un mondo genericamente monoteista, in cerca di una propria identit. Identit
che per non pot assimilare linassimilabile, letnicit del Giudaismo, ci che apre uno spiraglio sulle vicende
di Medina. Al proprio interno la nuova identit doveva eliminare il dissenso, ecco quindi la lotta ai munfiqn, i
muminn che si distaccano dai confederati in qualit di pacifisti (i Manichei, secondo Gil, infra). I munfiqn
e i mushrikn si rivelano dunque come due luoghi ideologici che identificano un nemico monoteista interno
rispetto al costituirsi di una nuova visone monoteista, universalista, in quanto lIslam non una religione etnica;
mentre il Giudaismo -etnicamente fondato- destinato a rivelarsi esterno dopo un primo abbaglio del Profeta.
C dunque una ragione per interessarsi alla segnalata traduzione di Serjeant per quanto riguarda i
kfirn (i non garantiti) dellart. 15 del Patto, che potrebbero identificarsi in qualche modo con i mushrikn
dellart. 23 (Lecker) del Patto stesso. Tutto ci rende indubbiamente difficile la comprensione della situazione.
Lecker, The Constitution of Medina, cit., p 126, offre per una spiegazione interessante notando che i
mushrikn di Medina che fanno parte dei muminn come contraenti il patto con i Musulmani dei Qurayshiti e di
Yathrib nellart. 1, non possono intervenire a favore dei Qurayshiti della Mecca, cio dei Qurayshiti non
Musulmani, non muhjirn in questioni che riguardino un contenzioso tra questi e i muminn. chiara quindi,
la formazione di un Patto di garanzia tra Musulmani di qualunque provenienza (Qurayshiti o di Yathrib) e quei
non Musulmani di Yathrib, mushrikn, che per si impegnano a non interferire in alcun caso che riguardi i
Qurayshiti della Mecca, nemici del Profeta, tantomeno a loro difesa, un divieto che ribadito allart. 54. Dunque
i kfirn del Patto non sono i mushrikn che fanno parte dei muminn, dei garantiti con determinati obblighi, e
la soluzione offerta dalla lettera stessa del Patto, che parla allart. 1 di Musulmani dei Qurayshiti (e altri
Musulmani di Yathrib ad essi assimilati) mentre allart. 23 (come allart. 54) parla di Qurayshiti tout court,
con evidente riferimento ai nemici della Mecca.
Questi mushrikn non Musulmani e certamente non Giudei, che entrano in un Patto con i Musulmani,
difficilmente per potrebbero essere pagani, per la difficolt di pensarli in qualche modo confederati in una
Ummah whida con un Profeta rispetto alla cui religione non avrebbero alcun elemento di dialogo, alcun tratto
comune, alcuna affinit. Potrebbero perci essere Cristiani (magari Giudeocristiani, comunque distinti dalletnia
giudaica) e Manichei, il cui monoteismo appare associazionismo agli occhi del monoteismo rigido del Profeta;
e potrebbero anche essere non tutti gli aderenti a queste fedi, i rimanenti formando cos il numero dei kfirn =
non garantiti semplicemente perch non entrati nel Patto. Potrebbero, infine, essere dei Giudeocristiani, i
mushrikn entrati a far parte dei muminn pi vicini ideologicamente allIslam, lasciando Cristiani e Manichei
a formare le schiere dei kfirn. La cosa resta avvolta nella nebbia, ma davvero improbabile che si tratti di
pagani: ammesso che ve ne fossero, come sostiene con evidenti stereotipi la Vulgata (cfr. supra). Il quadro pi
1073
verosimile dunque quello di un crogiolo di monoteismi dai quali emerge la nuova religione, sulle spade per
quanto riguarda la lotta con i Giudei.
Vediamo ora quali ulteriori notizie in grado di gettare altra fioca luce sugli eventi di Medina, e quindi
sullIslam delle origini, ci possono venire da Muslims, Jews and Pagans, etc., che ho citato ma che non ho
ancora esposto. Nelle pagine di apertura, Lecker esamina con attenzione i dati disponibili per comprendere la
geografia dellantica Yathrib e la dislocazione dei vari insediamenti, giustamente convinto che un tale approccio
possa aiutare a comprendere i fatti dei quali si ha notizia. Come gi detto, linsediamento dei muhjirn si
trovava in una zona sulla quale gravava un contenzioso con i vicini Qaynuq; ci noto anche che i Giudei in
generale erano proprietari di una notevole quantit di armi e armature metalliche (verosimilmente perch ne
commerciavano) come risulta anche dagli ingenti bottini che ne fecero i Musulmani al termine delle contese. I
Giudei erano anche possessori di numerose fortezze nelloasi di Medina (p. 10) e, a quanto sembra, furono
invitati dai Qurayshiti (della Mecca) a combattere unitamente il Profeta (ivi, n. 33). Anche gli Ansr avevano
delle fortezze, tanto che essi serbarono poi rancore al 3 Califfo, Uthmn, quando questi ne fece distruggere un
certo numero per motivi urbanistici. Come abbiamo gi visto negli articoli di Hinds, gli Ansr furono
successivamente sostenitori di Al.
Lattenzione di Lecker si sposta poi sul clan arabo, ma forse cliente dei Giudei, degli Aws Allh, che
si convertirono tardi allIslam, non prima del 5 H, un periodo di anni nel corso dei quali il Profeta ebbe quindi
problemi ad espandere la propria influenza territoriale su tutta una parte delloasi (p. 20). Degli Aws Allh, Ibn
Hishm dice che erano mushrikn (p. 23 nel testo e in nota 11; Lecker traduce pagani) mentre, secondo
Wqid, i Khazra a gli altri Aws si convertirono molto presto (p. 24). Vi sono notizie di collaborazione bellica
tra i vari gruppi di Aws Allh (Khatma, Wqif, Wil e Umayya) e i Giudei, in epoca pre-islamica (p. 25).
La loro conversione fu un evento strategicamente importante perch rese accessibile al Profeta una
significativa parte delloasi, ed verosimile che la loro resistenza alla conversione fosse dovuta allappoggio che
ricevevano dai Nadr e dai Qurayza, tant che si convertirono soltanto dopo Khandaq, e dopo Khandaq furono
infatti sterminati i Qurayza (p. 35). Essi non furono tuttavia tra i principali protagonisti di quel fenomeno di
opposizione al Profeta segnato dal rifiuto della nafaqah, che fu opera di convertiti, poich per diventare un
munfiq necessario aver prima aderito allIslam (p. 37 e n. 53, dove citata lopinione di M.J. Kister, The
Massacre, etc., cit.).
Tra gli episodi di questa perdurante opposizione al Profeta, Lecker cita poi lassassinio della poetessa
ebrea (forse unaraba convertita) Asm bint Marwn, avvenuto dopo Badr. Gli eventi che vanno dai suoi
attacchi al Profeta alla sua morte mostrano che le tradizionali divisioni interne di Medina non sono pi tra gruppi
tribali, ma hanno luogo sul versante della frattura introdotta nella societ medinese tra seguaci e nemici del
Profeta (p. 41). Lecker conclude affermando che i dati trasmessi dalla tradizione sembrano in questo caso
affidabili, in quanto hanno una loro logica e verosimiglianza.
Tra i fatti tramandati c lepisodio della Moschea del dissenso, che occupa tutta la restante parte
del testo e che importante ricordare, perch testimonia dellopposizione incontrata dal Profeta a Medina; vi si
diffonde Lecker, che, a p. 50, inizia con la descrizione degli insediamenti nella zona di Qub, a Medina, situata
alla confluenza di due awdiyat (pl. di wd) uno dei quali era il Buthn (come gi segnalato, Lecker ritiene
giustamente importante la ricostruzione geografica per la comprensione degli eventi). Vicino Qub, presso la
localit detta al-Quff, villaggio dei Qaynuq, pascolavano le cammelle del Profeta (p. 9 e cfr. quanto accennato
supra circa il contenzioso territoriale). Nella zona di Qub erano insediati gli Amr b. Awf, che facevano parte
degli Aws e dei quali prodotto lo stemma a p. 51; questo clan, che ebbe un ruolo importante nella vicenda della
Moschea del dissenso, confinava con linsediamento dei Ban Nadr e aveva molti convertiti al Giudaismo (p.
52); si ha anche notizia di matrimoni tra Qurayshiti e donne appartenenti a questi Giudei degli Ansr (ivi).
Molto presenti a Qub erano i Bal, clienti degli Amr b.Awf, ai quali forse apparteneva (o forse no) Uwaym
b. Sida, i cui stretti rapporti con i Giudei sono testimoniati dal fatto che da essi aveva appreso, non soltanto lui
per, le norme di purit (p. 63 nel testo e in n. 47; ancora a p. 67; sembra inoltre che tra i Bal vi fossero molti
convertiti al Giudaismo, cfr. p. 135) prima ancora di venire a conoscenza di tali norme ad opera del Profeta nella
Moschea di Qub. Egli ritenuto riferimento per Cor.,9, 107-108, dove alla Moschea del dissenso viene
raffrontata quella di Qub dove ci sono uomini che amano purificarsi e Dio ama quelli che si purificano.
Secondo Lecker, ci sono ottime ragioni per ritenere che Uwaym fosse affiliato ai Bal (p. 65) che fosse stato
Giudeo prima di convertirsi allIslam (p. 67). A ovest di Qub, ad al-Asaba nello wd Aqq a pochissima
distanza da Qub, erano insediati i Jahjab, che facevano parte anchessi degli Amr b. Awf, e precisamente da
quella parte il Profeta entr in Medina (p. 58): l cera uno dei quattro mercati delloasi. Ai Bal appartenevano
anche gli Unayf, che erano probabilmente il pi grande dei loro clan (p. 68); essi erano stati clienti dei Giudei e,
al momento dellarrivo del Profeta, lo erano dei Jahjab. Il motivo che fa ritenere che essi fossero il clan pi
importante, che su di loro e sui loro insediamenti c una mole di informazioni; essi dovevano costituire quindi
una sorta di maggioranza silenziosa, visto il ruolo insignificante che assegna loro la Sra. Per conseguenza, c
da pensare che questultima non costituisca una testimonianza fedele della societ di Medina ai tempi del Profeta
(p. 71). Sin qui il panorama tracciato da Lecker prima di passare ad esaminare la vicenda della Moschea del
dissenso (pp. 74-149).

1074
Il caso della Moschea del dissenso riguarda i rapporti con gli Ansr, specificamente con gli Amr b.
Awf. A quanto sembra quella Moschea fu costruita in reazione alla costruzione della Moschea di Qub, e
secondo la tradizione rimase in piedi per pochi giorni; conosciamo per nome coloro che la costruirono,
inizialmente con lapprovazione del Profeta che per ordin poi di distruggerla. Si pone tuttavia un problema di
cronologia da sormontare: se la Moschea del dissenso fu costruita in reazione a quella di Qub, costruita a sua
volta da Sad b. Khaythama, che fu ucciso a Badr, essa avrebbe dovuto essere costruita prima di Badr; ma poich
lepisodio che riguarda i munfiqn che vi facevano capo, avviene in corrispondenza della spedizione di Tabk,
ci significa che essa avrebbe dovuto sopravvivere alcuni anni (dal 2 al 9 H.). Secondo il Corano (9, 107) essa
avrebbe dovuto essere un luogo dimboscata preparato a favore di colui che aveva combattuto Dio e il Suo
Inviato, cio Ab mir, che aveva combattuto il Profeta a Uhud, e che il personaggio che abbiamo gi citato
come Cristiano o forse Manicheo, (cfr. supra, p. 1049); a quel momento sembra che egli fosse in Siria e se ne
attendesse il ritorno (p. 83). Forse per cera stato anche un tentativo precedente di costruire una Moschea
alternativa (p. 82) sempre da parte della dissidenza. Secondo alcune tradizioni, la Moschea del dissenso
avrebbe dovuto diventare una fortezza in caso di attacco bizantino (p. 86). Ricordo (cfr. supra) che Medina
aveva visto la fine dellinfluenza persiana facente capo ai Giudei, sostituiti dalle trib arabe (i futuri Ansr)
legate ai Ghassnidi, a loro volta alleati dei Bizantini; e noto che le prime guerre di espansione dellIslam furono
precisamente rivolte contro il sistema di potere territoriale dei Ghassnidi in Siria.
Di Ab mir sappiamo anche che fugg in Siria e divenne Cristiano (p. 81) ma viene anche
definito il Giudeo (p. 88) e lasceta (ivi). M. Gil, The Creed of Ab mir, I.O.S., 12, 1992 lo ritiene un
Manicheo (ci che, a mio avviso, fa comprendere lappellativo di asceta). Larticolo di Gil , per la verit,
molto congetturale; tra laltro egli ipotizza che il Manicheismo fosse la vecchia Hanfiyya in dissenso con la
nuova, rappresentata dal nascente Islam, e che quindi la vicenda della Moschea del dissenso nasconda una faida
interna tra nuovi e vecchi hunaf, termine con il quale si sarebbero indicati dapprima i Manichei, poi i
Musulmani. LIslam, sempre secondo Gil, fu una religione fortemente influenzata dal Manicheismo, una
religione a suo dire ampiamente diffusa nella penisola araba, al suo sorgere.
Sia come sia, ci che appare evidente non soltanto lesistenza di una opposizione medinese al
Profeta, ma anche il fatto che questa opposizione sembra avere un carattere interno, ci che lascia pensare ad una
situazione in quel momento ancora fluida tra differenti visioni di un monoteismo che sembra contraddistinguere
comunque i vari contendenti; se questa fosse la situazione si comprenderebbe allora meglio, come elemento
retorico di disputa ideologica, laccusa di shirk ripetutamente lanciata verso avversari la cui reale collocazione
religiosa non oggi pi identificabile, ma che ben difficilmente avrebbero potuto essere pagani a quella data.
Si comprende anche meglio la lotta di eliminazione contro i Giudei, seguaci di un monoteismo a fondamento
etnico che si era dimostrato inassimilabile. Afferma Lecker (p. 87) facendo riferimento alla situazione di
Medina: I primi resoconti dei tempi del Profeta sono segnati dal dissenso e dalla disunione, non dallunanimit
e dal consenso. Fuori dalle agiografie, questo sembra il normale sviluppo di qualsiasi gruppo rivoluzionario,
che, prima di affermarsi verso lesterno, deve regolare i conti al proprio interno in vista di una impostazione
unitaria della lotta. Da notare infine, che alla vicenda della Moschea del dissenso non furono estranei i Giudei:
probabile che essa sia stata costruita sul loro terreno (p. 131); del resto noto che essi appoggiarono i
munfiqn.
Quanto a questi ultimi, si tratta, a quel che sappiamo, di dodici Ansr della trib degli Amr b. Awf,
conosciuti per nome. Essi avrebbero chiesto al Profeta il permesso di costruire la Moschea, permesso che in un
primo tempo fu accordato; successivamente, quando egli si rese conto del tranello che gli si tendeva, mand un
mawl a bruciarla: questa vicenda comunque chiaramente connessa con il ritorno da Tabk. Lelemento del
dissenso sembra dunque connesso con la decisione del Profeta di iniziare spedizioni belliche verso la Siria
(Tabk era unoasi al confine tra lArabia e i territori bizantini). Lo scopo di queste spedizioni poteva essere
verosimilmente la sottomissione del territorio allIslam: di certo, comunque, il bottino o la riscossione di tributi.
Ci pu far pensare che la ragione dellopposizione fosse un diverso modo di intendere il nuovo monoteismo, il
cui carattere aggressivo sembra emergere ai tempi dellEgira: di fatto si tratt di una vera e propria opposizione
politica sul percorso futuro da intraprendere.
La linea del Profeta si afferm dunque a Medina, e fu perseguita anche con il divieto di matrimonio
delle donne islamiche con i non musulmani, di modo che, in caso di divorzio, il controllo della prole restasse ad
un padre musulmano (p. 107); il fenomeno della conseguente islamizzazione ebbe un rilevante impatto
sullordine sociale, creando rapide possibilit di ascesa in funzione della nuova religione vincente (p. 123;
abbiamo visto supra, a proposito delle vicende di Uthmn e di Al e delle prime scissioni, i riflessi che se ne
ebbero allorch le vecchie gerarchie tribali tornarono a prendere il sopravvento nelle terre conquistate).

Che cosa si pu comprendere da questa breve e sintetica ricostruzione degli eventi di Medina? Di
pagani non sembra si possa ragionevolmente arguire la presenza; gli Ansr si dividevano in gi musulmani e in
non musulmani ma comunque monoteisti di una religiosit non ben precisabile ma in divenire, interna a un
processo di definizione di un nuovo monoteismo dal quale risult vincente lIslam del Profeta al termine di un
percorso che dur verosimilmente oltre il tempo di Medina; i Giudei sembrano estranei a questa evoluzione
verificatasi in Medina, nella quale sembrano essere stati rapidamente delle vittime.
1075
Non si deve pensare per che, con Medina, la vicenda dellaffermazione dellIslam si sia conclusa. La
reale religione degli Arabi che invasero il Medio Oriente al seguito dei Qurayshiti resta infatti un problema
aperto con risvolti ambigui che gi si vedono affiorare se si fa riferimento a M. Lecker, Tribes in Pre-and Early
Islamica Arabia, cit. e a Trimingham, cit., relativamente alla religione delle trib che seguirono londa della
conquista. Questi risvolti sono meno ambigui se si fa riferimento a R.G. Hoyland, Seeing Islam as others saw it,
cit., che trae le proprie conclusioni dalla dettagliata analisi delle cronache non musulmane dellepoca. Si veda, al
riguardo, il Cap. 13 (p.545 sgg.) circa il permanere, sia di un serio dissenso religioso interno allIslam delle
origini al momento delle conquiste, sia la partecipazione alle conquiste di vasti contingenti di Arabi cristiani
(cfr. p. 555 nel testo e nelle note, e p. 559 nel testo e in n. 63). Altri due particolari ci riconducono inoltre a
problemi che vediamo aprirsi a Medina: il sentimento anti-Ghassnide delle fonti islamiche (p. 558) e il carattere
di raids di saccheggio delle prime invasioni.
Hoyland accenna anche (p. 556) alla politica filogiudaica di Umar e allassenza totale di dichiarazioni
di fede islamica da parte dei Sufynidi (p. 553) In effetti, lIslam propriamente detto, quello cio che
conosciamo, inizia con Abd al-Malik.
Si veda inoltre A. Saadi, Nascent Islam in the Seventh Century Syriac Sources, in The Qurn in its
Historical Context, cit. Anche Saadi, ovviamente, ricorda che nelle truppe arabe erano presenti molti Cristiani
alcuni dei quali eretici (p. 218); che Maometto prima, i Califfi poi, erano considerati capi tribali (pp. 218-219);
che molti degli invasori avevano accettato la Torah (Giudeocristiani di etnia araba?); e che non era in
circolazione il Corano (p. 220).
Considerata la difficolt ad accertare quanto realmente accadde, questo modesto e grossolano schema
mi sembra gi sufficientemente ipotetico per non spingersi oltre; di certo la storia usualmente tratta dalla
Vulgata, con una religione nata nel nulla che si impone su un popolo pagano, non pu essere presa in
considerazione. Tuttavia, prima di chiudere questa parte dellindagine, mi sembra necessario affrontare ancora
una volta il problema del Giudeocristianesimo e della sua natura andando al di l delle tesi di Wasserstrom,
perch questa mi sembra lunica chiave per un ulteriore contributo alla definizione del quadro: non che ne venga
alcuna certezza, quantomeno per si amplia langolo di visuale sullambiente nel quale avvenne la nascita della
nuova religione.
Come abbiamo visto, le posizioni di Donner e Rubin sono funzionali alle loro tesi: lIslam delle
origini era filogiudaico; la successiva creazione dellIslam che conosciamo, avvenuta nellultimo terzo del I sec.
H., port allantigiudaismo. Ci mi sembra di un qualche sostegno alle posizioni di Wasserstrom, che vede nei
Giudeocristiani di etnia giudaica lelemento che contribu alla nascita dellIslam. Al riguardo vale la pena di
ricordare che le numerose citazioni testamentarie presenti nel Corano, mostrano unorigine negli Apocrifi e negli
Pseudepigrafi per quanto riguarda Cristianesimo e Giudaismo. Esse mostrano dunque un mondo religioso
variegato ed estraneo alle due ortodossie che, allinizio del VII secolo erano ormai state consolidate da tempo;
per di pi, lesame della Costituzione di Medina ci ha mostrato che letnia giudaica era del tutto refrattaria alla
predicazione del Profeta. Chi furono allora i Giudeocristiani dai quali i contributi testamentari si sarebbero
trasmessi al Profeta?
Diamo dunque un nuovo sguardo alle testimonianze storiche sul Giudeocristianesimo, in particolare
agli Ebioniti, i principali indiziati per aver costituito un antefatto dellIslam. Lo si pu fare a partire dal
ponderoso testo edito a cura di O. Skarsaune e K.R. Hvalvik, Jewish Believers in Jesus. The Early Centuries,
Peabody, Hendrickson Publ., 2007. Limito inizialmente lesame a due punti di maggior interesse, le sette note
attraverso gli eresiologi (pp. 419-502) e le conclusioni di pp. 745-781, non senza aver prima ricordato che
limpostazione della ricerca si fonda sulla convinzione delliniziale prevalenza delletnia giudaica tra coloro che
optarono per una qualche forma di Giudeocristianesimo, e sulla constatazione del permanere della tensione
escatologico/assiologica e dellattesa millenaristica giudaica nel primo Cristianesimo, il quale si distacca dal
Giudaismo su questi temi soltanto a partire dal II sec. d.C., con un processo destinato a protrarsi successivamente
a lungo. Questo fenomeno lho gi segnalato nella prima parte del testo, a partire da Papia e Ireneo, nei quali
tuttavia il Millenarismo indipendente dal rapporto col Giudaismo, anche se ne rappresenta uneredit della
quale il Cristianesimo sceglier di liberarsi, salvo ritrovarla come un filone carsico sino al Medioevo e oltre.
A proposito di questa ripetitivit/continuit, vale la pena ricordare che, agli occhi degli eresiologi,
innumerevoli sette portatrici di attese escatologico-assiologiche apparvero per tale ragione giudaizzanti (far
qualche riferimento infra) e che quindi lattributo non sembra avere riferimento a qualchessia presenza giudaica
etnicamente intesa. Laccusa la si comprende meglio pensando che il patrimonio testamentario uno, le
interpretazioni infinite, e che la Chiesa Romana fece della propria interpretazione il confine di separazione con il
Giudaismo (su questo vedremo Boyarin, infra): deviarne poteva quindi costituire facilmente una forma di
Giudaismo, ovvero di Ellenismo, perch su questi due confini fu delimitato il territorio a partire da Giustino
e Ireneo. Non era perci necessario essere di etnia giudaica o sotto la sua influenza, per essere un millenarista,
perch lattesa messianica e della Fine dei Tempi hanno sempre costituito un punto di lancinante interesse per
lesperienza esistenziale della marginalit. Questi temi emergono anche spontaneamente, al di l dei contatti e
delle influenze immaginati per fondare quegli alberi genealogici, costruiti su pure ipotesi di studio, che
caratterizzano lapproccio accademico alle vicende religiose: la cosa lho gi trattata a proposito dei Pauliciani.

1076
Per quanto riguarda le sette giudeocristiane nella testimonianza degli eresiologi, lintesse maggiore va,
come detto, agli Ebioniti, trattati dallo stesso Skarsaune alle pp. 419-462. Di essi va infatti ricordato che furono
indicati da vari autori come lantecedente dottrinale dellIslam; dal riesame dei testi operato da Skarsaune
emergono perci elementi sui quali utile qualche notazione. Prendiamo il caso dellautodefinizione dei
Giudeocristiani: i poveri (p. 424). Sembra scontato, a mio modesto avviso, che il mondo della marginalit
guardasse al Messaggio in una prospettiva adozionista, perch ci avrebbe significato due cose: che qualsiasi
uomo, purch perfettamente giusto, potesse assurgere al ruolo di Figlio di Dio, magari per discesa dello
Spirito Santo, e che perci il fenomeno messianico potesse tornare a ripetersi con ripercussioni terrene, cio con
la Fine dei Tempi e linstaurazione di un mondo di giustizia. Il carattere terreno del Millennio avrebbe trovato
cos il proprio compimento facendo di questo mondo un altro mondo.
Si tratta di unattesa che caratterizza tutta leterodossia, occidentale e non soltanto, come abbiamo
visto abbondantemente nel testo. Attendere il premio dei giusti in cielo e la fine di questo mondo in un tempo
indeterminato al di fuori di ogni calcolo, non una prospettiva allettante per chi ha qualche recriminazione
verso questo mondo. Se si ragiona in questi termini, si pu comprendere la concreta motivazione che spinse gli
eresiologi (pessimi docenti di storia delle religioni, secondo gli Accademici) ad associare le dottrine
apparentemente inconciliabili degli Gnostici ellenizzanti e dei Giudeocristiani giudaizzanti: entrambi
rifiutavano questo mondo, e ci non era la premessa giusta per istituzionalizzarsi nel mondo ellenistico-romano o
in altri mondi realisticamente pensabili; n lo era ai fini dellistituzionalizzazione in s, operazione che
presuppone un mondano uso del potere e delle sue aborrite ricadute, che per anche lunica che consenta il
salvataggio e la sopravvivenza di una fede in questo mondo.
Ha dunque ragione Boyarin, Border Lines. The Partition of Judaeo-Christianity, Philadelphia, Un. of
Pennsylvania Press, 2004, p. 17, quando vede nella ortodossia romana la fondazione di un nuovo ethnos dalle
caratteristiche inusuali, una nuova societ con un proprio mito di fondazione, il rispecchiamento in terra, nei
limiti della condizione postlapsaria, di un ordine u-topico. Boyarin ha tanta ragione da essere persino banale,
perch lattesa di nuove incarnazioni avrebbe concretamente significato lo sbriciolamento di unattesa ricondotta
agli individuali sussulti dellinvasamento spirituale. Ammettere che a farsi uomo fosse stato Dio in Persona
avrebbe rappresentato viceversa la certezza che il fenomeno non potesse ripetersi -certe cose avvengono una sola
volta- se non in future e imprevedibili circostanze e poi pi, che avrebbero potuto avere come ragione soltanto la
fine del mondo stesso, non semplicemente di questo mondo, il nostro, irrimediabilmente imperfetto perch figlio
di unumanit postlapsaria. Lordine terreno perci non avrebbe corso rischi, e lindividuo vi veniva richiamato
alla responsabilit del quotidiano. Nota inoltre Skarsaune (p. 427) che anche la turbolenta comunit di Qumrn si
identificava con i poveri; e che i poveri (Ps.,37, 11) avrebbero dovuto ereditare la terra, secondo unantica
prospettiva mai obliata.
LAdozionismo era il tratto comune del Giudeocristianesimo, ma, come abbiamo visto pi volte nel
testo, lo era anche del Cristianesimo orientale a partire da Taziano; coerentemente gli Ebioniti, fossero o non
fossero di etnia giudaica, rifiutavano la cristologia del Dio/uomo (pp. 430-431) motivando la possibilit
delladozione con la perfetta osservanza della Legge (pp. 433-434) cio con largomento di tutte le eterodossie
messianico/apocalittiche di tutti i tempi, applicato alla Legge giudaica.
Ora, se per Giustino gli Ebioniti erano, per conseguenza, pi Giudei che Cristiani (p. 440) va
rimarcato che lattributo giudaizzante fu una parola passepartout per gli eresiologi di tutti i tempi, al momento
di definire lattesa escatologico-assiologica, il Messianismo, il Millenarismo e lApocalitticismo della
marginalit di tutti i tempi, sicch di questo fenomeno si pu parlare tuttal pi come di uneredit giudaica
presente anche in altri contesti. Se si segue questo ragionamento, si deve quindi convenire che, quando si parla di
un rapporto tra la nascita dellIslam e il Giudeocristianesimo, e in mancanza di prove certe, non ha senso
invocare letnia giudaica. Se i Cristiani Gentili doccidente finiranno in grande maggioranza seguaci del
Dio/uomo mettendo al riparo la religione (cristiana) dai possibili sviluppi eversivi, ci lo si deve allintroiezione
della cultura classica che non riguardava un mondo mediorientale reso turbolento dalle scorribande dello Spirito.
Lo vediamo nel caso dei due Ebionismi (pp. 444-445) nei quali lAdozionismo permane indipendentemente
dal fatto che si rifiuti o si accetti lImmacolata Concezione.
Proseguendo nellesame dellEbionismo, ci troviamo poi dinnanzi a due notizie interessanti. La prima
riguarda il rifiuto di cibarsi della carne (p. 454 e p. 459) in quanto sede dellanima: una normativa che troviamo
ancora nel Catarismo, conseguenza della metensomatosi e perfettamente funzionale al concetto di reincarnazione
ciclica dello Spirito, cardine dellAdozionismo. La seconda riguarda laccusa rivolta ai Giudei ortodossi di
aver falsificato il Pentateuco. Ora, laccusa di falsificazione delle Scritture precisamente quella imputata dal
nascente Islam a Giudei e Cristiani: si noti bene, falsificazione, non errata o superficiale interpretazione, che
viceversa il cavallo di battaglia di tutti i btinisti di tutte le sette.
Termino qui questa ricognizione sugli Ebioniti, limitata ai soli punti che interessano questa indagine,
(poco importa infatti sapere se Epifanio ha delle conoscenze dirette o combina le notizie dei suoi illustri
predecessori, da Ireneo a Origene): si trattato di punti che hanno permesso di individuarne il fondamento
sociologico nella marginalit, destinato a ripetersi nei tempi con approdi analoghi, nelle eterodossie definite
giudaizzanti. Proseguo quindi con un breve sguardo sugli altri Giudeocristianesimi segnalati a suo tempo
dagli eresiologi e presenti nel testo edito da Skarsaune-Hvalvik (Nazorei, Cerintiani, Elchasaiti e Sampsei).
1077
W. Kinzig si occupa dei Nazorei (pp. 463-487) caratterizzati anchessi dalle solite judaizing
eschatological views (p. 465 in n. 13) e dal rifiuto della carne (p. 468). Anche loro avevano un Vangelo degli
Ebrei cio un Ur-Matthus (vale a dire una versione in originale ebraico del Vangelo di Matteo, testo tradotto
da Gerolamo per il quale cfr. Erbetta, cit.). Gerolamo (p. 477) che aveva uno sguardo occidentale combatt
questo Millenarismo giudaico.
Questo articolo contiene tuttavia unosservazione che interessa molto di pi. Kinzig osserva (p. 482)
sulla scorta anche di altra letteratura, che impossibile dare un volto unitario al Giudeocristianesimo, perch
questo si presenta come uninfinita gamma di possibilit dottrinali; poi, riferendosi pi in particolare ai Nazorei,
ne sottolinea la polemica con il Farisaismo, e quindi una maggior distanza dalla ortodossia rabbinica che da
quella cristiana (ivi). Ci mi consente di ricordare ancora una volta che il Giudeocristianesimo sembrerebbe
comporsi di un pulviscolo di sette indefinibili con qualche generica identificazione/partizione operata -non
sappiamo quanto a ragione- dagli eresiologi, e ci precisamente a causa del suo costituirsi entro una gamma di
indefinite possibili scelte intermedie tra i due poli che andranno a caratterizzare, cristallizzandole, le due
ortodossie.
Partendo da questa constatazione il nostro ragionamento pu andare anche oltre, con le riflessioni che
nascono a proposito dei seguaci di Cerinto (cfr. G. Hallstrm-O. Skarsaune alle pp. 488-502) del quale, a partire
dagli eresiologi nulla di certo pu essere dedotto per quanto riguarda la dottrina (p. 489) se cio Cerinto fosse
giudaizzante o gnostico, o, semplicemente, antidocetista; sicuramente sembra essere stato adozionista. Il
dilemma analizzato dagli autori nelle pagine successive (cfr. p. 491 nel testo e nelle note e poi le pp. 492-495,
che ricordano il suo Millenarismo fatto di attese terrene: dunque fu giudaizzante) ed un dilemma che vale
anche per altre sette meno conosciute, Elchasaiti e Sampsei (pp. 496-502). Da quanto sopra pu dunque
emergere un quadro puramente generale ma non senza riflessi sul problema che ci sta a cuore, quello di un
generico Giudeocristianesimo da porre in eventuale rapporto con il retroterra dellIslam.
Naturalmente, la vaghezza e le contraddizioni degli eresiologi nel definire il numero delle sette
giudeocristiane e le loro ipotetiche affinit e differenze, ha spinto molti studiosi a tentare di mettere meglio a
fuoco queste ultime, nellimplicita assunzione che esse esistessero realmente come tali. Insomma: a correggere i
compiti a quei confusionari degli eresiologi. A mio avviso ci si deve viceversa domandare se quella vaghezza
non sia il risultato del frustrante tentativo di tracciare confini nellindistinto e indistinguibile di un mondo
fluttuante, di racchiudere in un catalogo di credo una religiosit indefinita e cangiante, con una sola ma
fondamentale caratteristica comune: non identificarsi con alcuna delle nascenti ortodossie, ovvero costituire il
plasma informe dal quale questultime vollero sottrarsi e distinguere, dando confini alla giusta opinione. A
questo proposito dovremo riflettere sulla lezione di Boyarin, anche prescindendo dalle sue motivazioni e dai suoi
obbiettivi.
Limpressione che forse furono in campo giustificabili ragioni politiche nellaffrontare con
opportune direttrici tattico-strategiche, il grande, disperso e disordinato mondo di coloro che non erano
daccordo con i mainstreams, e preferivano pensare per conto proprio. Infatti, prima delle due ortodossie, romana
e rabbinica, altre ortodossie non verano state, lautoproclamazionne delle ortodossie un fatto nuovo, ignoto al
mondo antico. Questa non unosservazione peregrina (tra laltro, la fa sua sin dallinizio anche Boyarin) una
banale constatazione che pu sfuggire soltanto a coloro che pensano il prima con lovviet del dopo: le
ortodossie che sembrano realt ovvia, prima di quel travaglio che giunge sino al V secolo non esistevano, erano
in costruzione da parte di una nuova specie, gli eresiologi, geniali o coscienziose figure politiche, della politica
religiosa. E allora, invece di andare oltre, completando lopera loro grazie al know how della schiera
accademica, perch non tornare a monte di quei tentativi di classificazione prendendo atto che le vaghezze e le
incongruenze sono s, frutto del metodo, ma anche una preziosa testimonianza della irriducibilit del reale agli
schemi ideologici? La semplicit invoca non un approfondimento di indagine, ma un cambiamento di approccio,
in assenza del quale abbiamo visto gli eresiologi successivi, sino a quelli bizantini alle prese con i Pauliciani,
trasformarsi in cani da tartufi comandati dal motto: cherchez le juif!
Laltro capitolo cui intendo ora riferirmi il Cap. 23, redatto dallo stesso Skarsaune (pp. 745-781) nel
quale si tracciano le conclusioni e le prospettive della ricerca collettiva. Skarsaune apre esponendo le tesi di
Boyarin (sulle quali non mi soffermo perch le tratter infra e ne ho gi in parte accennato) con le quali
concorda in parte ma alle quali muove un appunto: sono troppo astratte (p. 748) perch gli attuali confini tra
Giudaismo e Cristianesimo si erano gi in antico percepiti come una realt, e questi confini, anche per chi
credeva in Ges e indipendentemente da dissidi dottrinali, erano etnici: anche tra coloro che credevano in Ges,
restava comunque il confine tra i Giudei e i Gentili. Perci, dice Skarsaune, la ricerca da lui coordinata si
occupata, come dal titolo, dei Giudei che credevano in Ges (p. 749) un particolare che non insignificante
come sembrerebbe pensare Boyarin (ivi) perch la distinzione etnica tra Giudei e Gentili un fattore che non
pu essere trascurato (p. 750) e il fatto che laici e basso clero delle due sponde fraternizzassero in Spagna fu un
serio problema per i Canoni di Elvira (ivi). Il che vero, ma siamo gi nel 306. Ad ogni buon conto, la visione
ecumenica di Boyarin forse eccessiva, se teniamo presente che la scelta di annunciare il Messaggio ai Gentili
costitu un elemento di controversia sin dal tempo degli Apostoli; tuttavia Skarsaune fornisce molti esempi che
attestano sia i rapporti sociali tra i Cristiani di etnia Gentile e Giudei, sia la ripetuta condanna ecclesiastica di ci.

1078
Dunque la tesi di Boyarin ne esce confermata ma limitata alla prassi, nonostante la condanna dottrinale: questa
la situazione che viene confermata e riepilogata da Skarsaune ad apertura di p. 754.
Nella sua ricerca delle sette che avrebbero potuto ospitare Giudei che credevano in Ges, egli si
focalizza per sui soli Ebioniti e Nazorei (ivi) in funzione della critica da lui condotta sulle fonti eresiologiche.
Quanto ai luoghi nei quali si sarebbe potuta formare una ipotetica comunit di Gentili e Giudei, egli indica le
grandi citt ellenistiche della pianura costiera, come Cesarea (p. 759).
Ci premesso Skarsaune esamina il Cristianesimo siriano, notoriamente considerato giudaizzante
per i suoi temi adozionisti, ci che tuttavia non testimonia, a mio avviso, quello che non pu testimoniare,
limportante presenza di Giudei credenti in Ges. Come gi esposto altrove (cfr. supra, Parte I, Sez. II, Cap. 1) la
Chiesa siriana debitrice al Diatessaron e a Taziano, cio ad un Adozionismo che matura nelleterodossia della
Chiesa di Roma, cio di una Chiesa di Gentili. Elementi culturali, non etnici, fanno di Taziano lautore della
Epistula ad Grcos, discussa supra alle pp. 51-53; quanto al suo orientamento, esso radicalmente spiritualista
(gnostico secondo una possibile generalizzazione) non millenarista/giudaico. Quanto poi ad altri documenti
giudaizzanti come la Didach, vero che vi si mostra un esplicito attaccamento alle norme alimentari
giudaiche, ma se questo (come altri documenti) lascia pensare alla presenza di Giudei nel Giudeocristianesimo,
non perci indica il carattere etnicamente giudaico del Giudeocristianesimo in quanto tale, o la prevalenza in
esso delletnia giudaica, o una diversit di questa nei confronti dei Giudeocristiani di etnia gentile. Mi interessa
precisare ci, perch non trovo giustificate posizioni come quella di Wasserstrom, o di chiunque confini il
problema del primo Islam in un rapporto iniziale con letnia giudaica.
Al proposito vorrei ricordare due cose. La prima che leresiologia cristiana avvert inizialmente
lIslam come eresia del Cristianesimo; la seconda, la sua affinit con lArianesimo (nel testo di Pocock: cfr.
Migne, P.G., 94, c. 763, Not: Maometto ebbe per maestro un Giudeo e un monaco ariano o nestoriano). Del
resto lArianesimo era ben presente in Medio Oriente a partire dal suo rifugio palestinese del IV secolo, dopo la
condanna di Nicea. La seconda losservazione di Boyarin, secondo il quale il Cristianesimo fond un nuovo
concetto di societ, nella quale il fondamento religioso sostituiva quello etnico. Poich questo esattamente ci
che far luniversalismo islamico, non pu sfuggire che il Cristianesimo -in ci che lo distingue dal Giudaismo-
rappresenta un passaggio da non sottovalutare per giungere allIslam. In questo senso difficile contestare la
convinzione del Profeta di rappresentare una ulteriore (lultima, anche se cos non la penser leterodossia
islamica) manifestazione del ciclo profetico, dopo Giudaismo e Cristianesimo (o meglio, dopo Mos e Ges, le
due conseguenti religioni rappresentando, secondo il Corano, un travisamento del messaggio ricevuto).
Chiarisco perci che questo non significa negare lesistenza di Jewish Believers in Jesus ma
sottolineare che il rapporto del Giudeocristianesimo con lIslam, per quanto concerne la trasmissione del motivo
escatologico/assiologico e apocalitticista, non pensabile senza un ripudio del fondamento etnico giudaico; esso
dunque passa -quantomeno nella sua essenzialit- attraverso il Giudeocristianesimo tout-court senza distinzione
etnica, e non attraverso una sua eventuale componente di etnia giudaica, ammesso che questa ne fosse, o ne fosse
ancora, una parte distinta nel VI secolo: tantomeno la parte prevalente. Di questo consapevole anche Skarsaune
nei suoi tentativi statistici (cfr. le pp. 767-771 e 776-777).
Anche lepisodio riportato alle pp. 764-765, preso da Atti, 13, 14-43, che riferisce della predicazione
di Paolo e Barnaba nella sinagoga di Pisidia, dal quale Skarsaune vuole evincere una presenza in sinagoga di
Gentili, appare pi che altro una parabola dellinsormontabile difficolt di convincere i Giudei, intesi come etnia,
e della necessit che la diffusione del Messaggio sia riservata ai Gentili (Atti, 13, 44-51). Anche nella successiva
tappa ad Iconio (Atti, 14, 1-7) i Giudei si mostrano ostili. A parte ci, la domanda che mi preme unaltra: ci
che comunque concepibile in un Giudeo, cio la credenza in Ges/Ebreo/Messia, che cosa avrebbe avuto che
vedere con un sostegno -infatti negato- ad un Profeta non Ebreo? quanto alla leggenda del Profeta umm = goy
che ho citato, essa una costruzione di scuola, non ha fondamento nellattesa giudaica (cfr. supra, p. 1048).
Mi sembra quindi ora giunto il momento di esaminare il pensiero di Boyarin, al quale ho gi dedicato
qualche cenno. Bench il suo testo si ponga dichiaratamente sul solo piano teoretico (ci che causa di alcuni
inevitabili limiti che non mancher di notare) esso appare di notevole interesse, sia per la comprensione della
natura e della progressiva marginalizzazione del Giudeocristianesimo, sia per alcune considerazioni generali che
esso stimola nei confronti dei tre monoteismi. C da aggiungere che egli usa strumenti interdisciplinari
moderni per comprendere i modi di formazione dei gruppi religiosi, con ci distanziandosi da quegli specialisti i
cui obbiettivi sembrano concentrarsi sullo scovare verit storiche nel discorso eresiologico, e che perci
approfondiscono i testi senza discostarsi dalla loro logica, rinunciando a comprenderne sia lideologicit, sia il
ruolo avuto nella costruzione dellideologia stessa, che resta la sola spia per una possibile comprensione storica.
Secondo Boyarin, la definitiva divisione tra Cristianesimo e Giudaismo avviene al termine di un lungo
processo, soltanto nel IV secolo e ad opera del potere imperiale. Questo processo fu innescato dalla Chiesa di
Roma ad opera di Giustino, ebbe come strumento quella che Boyarin definisce linvenzione della religione, e
come obbiettivo la definizione e la formazione di una nuova societ fondata su di essa, cio su qualcosa che non
aveva pi radici in una tradizione etnica -come quella giudaica- o culturale, come quella ellenistico-romana. La
progressiva etnicizzazione del Giudaismo sarebbe avvenuta come necessaria definizione del polo opposto, e
trasform la tradizione giudaica in unaltra religione (concetto, questo, che sarebbe stato precedentemente
estraneo al mondo giudaico) che trover il proprio fondamento nelletnia.
1079
Nel corso di questo processo emerse lalterit, tanto per i Cristiani quanto per i Giudei, di coloro che,
Giudei o Gentili, si collocavano in un indefinibile continuum tra i nuovi poli, aderendo alla figura messianica di
Ges ma collocandola in continuit, non in rottura, con la tradizione della Legge.
Al centro della vagante dissidenza si pone verosimilmente il problema, non facilmente superabile,
dellunicit di Dio, affrontato nel Concilio di Nicea con la condanna di Ario. LArianesimo rimase comunque
vivo in Medio Oriente (oltrech in occidente) ma limportanza generale del tema la si evince dalle tante
deviazioni dal Trinitarismo condannate nel tempo: Monarchismo, Modalismo dinamico e non, Sabellianesimo,
Subordinazionismo. Secondo Boyarin, tra laltro, Ario non faceva altro se non seguire la tradizione (p. 59).
Sulla sponda opposta viene citata laffermazione del Farisaismo al Concilio di Yavneh (Jamnia) forse
avvenuto tra il 70 e il 135 d.C., con la formazione del Canone rabbinico e lespunzione dei testi ritenuti non
conformi alla tradizione giudaica. Giudeocristiani da un lato e Minim (poveri) dellaltro (termine che sembra
includere Giudeocristiani, Nazorei e forse Cristiani) vengono cos a costituire un territorio di esclusione per le
due ortodossie, con ci escludendo tutto il lievito di un dibattito per il quale Boyarin invoca il ruolo di
Qumrn, trend sotterraneo che sovente riemerger nella storia del Cristianesimo e del Giudaismo rabbinico (p.
49). Significativa, ad avviso di Boyarin che, va ricordato, fa ricorso a concetti di W. Bauer e di Le Boullouec
(citt. in Bibl. alle pp. 746 e 764) levoluzione del valore semantico di hairesis in eresia (p. 53).
Unentit retorica (leresia) viene cos reificata in un fenomeno preciso, sostiene Boyarin, che, per
inciso, fa il paragone con loperazione che reific unaltra entit retorica, lo Gnosticismo, mai esistita nel
Giudaismo prima del Cristianesimo, e finalizzata al solo scopo di dare confini normativi alla cristianit (p. 56;
cfr. anche supra, p. 17 in n. 123: si tratta della stessa tesi sostenuta in questo testo sulla base di una letteratura
moderna che, tra laltro, rileva come il termine Gnosticismo sia soprattutto una novit accademica introdotta
nel XVIII secolo). Comunque sia, nota Boyarin, alla met del III secolo i Rabbini avevano elaborato un concetto
di eresia del tutto analogo a quello cristiano (p. 58).
Questa lanalisi generale che viene poi seguita nei dettagli, sicch ci che ora interessa maggiormente
lultimo capitolo della ricerca (pp. 202-225) nel quale gli stessi concetti sono ribaditi per altra via, e
consentono qualche osservazione che riguarda il contesto di queste note.
Il Cristianesimo, osserva Boyarin, fu una religione liberata da pratiche culturali e marcatori di identit
(p. 202) che fece di Ebioniti e Nazorei dei trasgressori della frontiera e cre una distinzione tra Giudei e
giudaizzanti, riconoscendo i primi come portatori di una propria religione (ancorch, ovviamente, falsa) e
facendo dei secondi degli eretici (pp. 207-208). Lucidissimo, al riguardo, il giudizio di Girolamo: i Minim
(cio i Nazorei) credono in Cristo ma vogliono essere Giudei, cosicch non sono n Cristiani n Giudei (p. 208).
Loggetto del contendere era quale delle due comunit (lebraica o la cristiana) rappresentasse il vero Israele
(laggettivo vero usualmente la spia di un atto di violenza culturale). Nota allora Boyarin quanto la
posizione di Girolamo sia diversa da quella di Agostino: questo giustificava lessere Ebrei dei primi Cristiani,
mentre quello, secondo Boyarin, rispondeva al concetto imperiale di ortodossia.
Giudaismo e Paganesimo, sempre secondo Boyarin, sono il prodotto di una volont egemonica
cristiana che voleva delimitare se stessa. Boyarin insiste molto sullaspetto politico, non soltanto in senso lato,
per la Chiesa di Roma, ma anche, e soprattutto, in senso stretto, con riferimento alla politica imperiale, per
quanto riguarda la nascita dellortodossia, un evento che consent ci che ho definito come un incontro di due
razionalismi lungo i sentieri del realismo politico (cfr. supra, p. 89).
Qui, nella corretta individuazione dellaspetto politico della vicenda che certamente non vede
entusiasta Boyarin, si nota il limite di un approccio dichiaratamente soltanto teorico che, non confrontandosi con
la realt sociale e politica, perde di vista il significato storico degli eventi. Perde di vista la scelta di salvare un
messaggio dalla sua polverizzazione nel continuum delle infinite possibili letture, perde di vista la necessit della
istituzionalizzazione che poteva avvenire ed essere proponibile soltanto adattando il messaggio alla cultura
ellenistico-romana, cio traducendolo, per quanto possibile, negli schemi del Razionalismo classico. Ho gi
notato che precisamente questa difficolt di adattamento, di circoscrivere una Rivelazione in quegli schemi,
lasci residui che consentirono il ripetersi del fenomeno ereticale con connotati sempre simili; ci che non sta a
rappresentare una segreta continuit dottrinaria, come annusavano gli eresiologi, ma, pi semplicemente, il
ripetuto riproporsi degli stessi nodi irrisolti.
Le stesse motivazioni spinsero lImpero a favorire un incontro troppo a lungo rinviato, allorch, con il
IV secolo, si avvert la necessit di rifondare su nuove basi una societ che si era disgregata nel corso del secolo
precedente. Il Giudaismo, fondato su tradizioni etniche e in esso rinserratosi per difesa, non era in condizioni di
competere con una Chiesa che, adattando la Rivelazione alla Ragione classica, offriva uno strumento nuovo e
accettabile di coesione, una religione senza pratiche identitarie ed esclusivamente razionale: almeno in
ipotesi. Per inciso: dopo quindici secoli sar lIlluminismo a tagliare il nodo riducendo la religione alla sola
Ragione, e inizier la crisi della Chiesa.
Trovo quindi molto interessante quanto osserva Boyarin a p. 210, allorch ricorda che per Giuliano
(lImperatore apostata) era la Chiesa Romana a trovarsi nella terra di nessuno che questa aveva assegnato ai
Giudeocristiani, in quanto essa costituiva un ibrido tra i due soli poli comprensibili al nostalgico restauratore du
temps jadis: il Giudaismo e lEllenismo. Esattamente questo era infatti la Chiesa di Roma, perci non v da
stupirsi se fu precisamente lImpero a non volere interlocutori alternativi, come Ario, o reduci della resistenza,
1080
come i Donatisti, entrambi immediatamente liquidati al momento dellincontro con il Cristianesimo
rappresentato dalla Chiesa di Roma, la quale rinviava al Regno celeste quella realizzazione del mondo di
giustizia che Messianismo e Apocalitticismo pretendevano e pretenderanno ancora di realizzare in terra,
trasformando cos latopia in u-topia, nuova stella polare per una societ che aveva perduto la propria antica
bussola ideale e ideologica.
Tutto questo manca allanalisi di Boyarin quando non fornisce --al di l del suo corretto schema
teorico- le ragioni di ci che lui definisce, non a torto, invenzione della religione come identit non pi etnica e
disegno egemonizzante consono al potere politico, sinanche voluto da esso. A prescindere dal fatto che si
dovrebbe meglio parlare di reciproche convergenze, perch la strada della Chiesa fu una, quella dellImpero
unaltra (anche se poi sincontrarono) manca nel suo testo lanalisi delle urgenze e delle opportunit che
concorsero a tracciare la via.
Riportando al nostro tema questa digressione soltanto apparentemente estranea, vorrei notare quanto
diversa, ma, a ben vedere, coerentemente alternativa a quella della Chiesa di Roma, fu la via dellIslam, che nei
secoli intercorsi tra il tempo del Profeta e quello di al-Ghazl, comprese (e scelse) lestraneit di una
Rivelazione al pensiero classico (la filosofia) e opt per la prima rifiutando il compromesso e riducendo lo
schema razionalista alla strumentalit della logica posta al servizio dei contenuti della Rivelazione nei suoi
aspetti giuridici, senza tuttavia ignorarne i limiti. Cosicch svilupp in luogo della teologia una poderosa mistica
teosofica, e, per quanto riguardava la Legge, mostr con Ibn Taymiyya che le strutture del ragionamento
deduttivo sono ampiamente fungibili dal metodo analogico del giurista (su questo torner infra).
La domanda pi intrigante che sorge per dopo aver esaminato quanto scrive Boyarin circa la
invenzione della ortodossia e la speculare invenzione delleresia, con la conseguenza di collocare i Minim in
una terra di nessuno questa: tornando alla nostra nascita dellIslam, chi erano, nel significato originario del
termine, i mushrikn? e i kfirn? e che cosa si nascondeva dietro il serbatoio sigillato dei muminn, che erano
in parte, ma soltanto in parte (lo dice la Costituzione di Medina) Musulmani e furono anche munfiqn? Il
sospetto che i primi non fossero pagani e i secondi miscredenti forte, come rivelano le differenti traduzioni
che sono state ipotizzate. Quanto ai muminn non Musulmani (anchessi oggetto di traduzione alternativa)
qualera la loro collocazione tra i monoteismi circolanti? e gli hunaf/abramiti (che per Gil erano Manichei)?
Viene da pensare che la collocazione tradizionale di tutti questi diversi (diversamente religiosi) sia il risultato
dellIslam gi delineato nelle sue forme dellVIII secolo, ma che, al tempo delle origini, dietro quei nomi si
nascondesse una realt diversa, forse la presenza di una gamma di monoteismi diversi da quello del Profeta ma
con quello in rapporto dialettico verso uno sbocco ancora confuso, prima della sua vittoria politica.
Verosimilmente cera, a Medina, unaltra opposizione, oltre a quella etnica delle tre grandi trib
giudaiche, cos come cera un Giudaismo di convertiti arabi, senza base etnica e perci un po pi borderline, e
questo ci riconduce al problema: chi erano i Giudeocristiani le cui attese messianiche contribuirono alla nascita
dellIslam? quali le vie attraverso le quali era giunto al corpus coranico tanta conoscenza del Cristianesimo nelle
forme degli Apocrifi e tanto materiale veterotestamentario in forme decisamente non canoniche? Il problema
non stato risolto e non vedo come potremmo risolverlo qui, se non in veste di ipotesi, tenendo conto che le
ipotesi sono le pezze che vorrebbero coprire i buchi dellinformazione, col risultato sovente peggiorativo di
metterli in evidenza.

Per ricapitolare, vediamo i punti di riferimento grazie ai quali si vorrebbe chiudere un cerchio che,
viceversa, non si chiude. I punti da esaminare, dei quali si vorrebbe comprendere il reciproco rapporto, sono tre:
il Giudeocristianesimo di etnia giudaica, invocato da Wasserstrom; quello dei Gentili; lIslam nei suoi tratti
sicuramente presenti gi nelle origini. Per quanto riguarda il Giudaismo si tenga presente infine quanto afferma
con molta chiarezza Boyarin (pp. 219-221): il Giudaismo evolve nello spazio lasciatogli dallImpero cristiano,
cio come religione etnica, in risposta allautoidentificazione cristiana; cos, mentre per la ortodossia cristiana
il campo religioso si tripartisce in Cristiani, Giudei ed eretici, per la ortodossia rabbinica esso si bipartisce in
Giudei e Gentili, dove i Gentili includono i Minim di qualunque etnia, anche giudaica, cio i non ortodossi. Si
tenga presente, accanto a ci, che alla fine del VI secolo le due ortodossie sono da tempo definite e separate, e
che, nellinforme e ormai omogeneizzata (dalle scomuniche incrociate) diversit non sappiamo quali e quanti
Giudeocristiani fossero di etnia giudaica e quanti Gentili, anche perch non aveva pi senso dar loro unorigine,
n da parte dei Cristiani n da parte dei Giudei. Erano eretici, Minim, scomunicati, espulsi: e tanto bastava.
Su questo tema pu essere interessante larticolo di J.C. Paget, The Definition of the Term Jewish
Christian and Jewish Christianity in the History of Research, in Skarsaune, O. - Hvalvik, K.R, cit., pp. 22-52,
che consente di intravedere quanto diverse siano state le conclusioni circa la possibile distinzione dei Giudei
cristianizzanti dai Cristiani giudaizzanti, con la prima categoria negata da alcuni (pp. 36-37). Il loro tratto
centrale comune era lApocalitticismo (p. 37) un atteggiamento che dovremo affrontare infra perch costituisce
un tratto evidentissimo nella predicazione coranica.
Paget, dopo aver ricordato che la categoria dei Giudeocristiani non esiste nellantichit, una
creazione accademica (p. 48) per la quale si deve fare il parallelo con la categoria degli Gnostici, ritiene che si
debba superare lo scoglio delle etnicit, usando il termine generale e omnicomprensivo di giudaizzanti (pp. 51-
52). Personalmente osservo che le pratiche giudaizzanti potrebbero essersi affermate, sino a dar luogo al
1081
Giudeocristianesimo, pi in rapporto quantitativo con il Cristianesimo, che non aveva basi etniche, che non al
Giudaismo che, credente o meno in Ges, rimase sempre limitato alla propri etnia.
Si noti inoltre, che il Millenarismo di Papia e di Ireneo, o il Montanismo, sono s, tratti giudaizzanti
scomparsi soltanto con la nascente ortodossia della Chiesa di Roma, ma sono di diritto innanzitutto tratti cristiani
(p. 36) perch il Cristianesimo iniziale, con le sue variabili accezioni, era cosa diversa da quella che fu poi la
ortodossia lAccademia che crea generi e specie l dove c uno spettro di scelte aperte, al fine di
classificare ci che classificabile non , allontanandosi in tal modo da una possibile comprensione storica.
Ancora unultima notazione pu essere infine riservata allarticolo di G. Rouwhorst, Jewish Liturgical
Traditions in Early Syriac Christianity, V. Ch., 51, 1, 1997, dove si analizza lorigine delle forti tradizioni
giudaiche che caratterizzano la Chiesa siriana, e se ne conclude che siamo in presenza di una Chiesa comunque
cristiana, nella quale gli elementi giudaizzanti potrebbero provenire da uneventuale presenza significativa di
Giudei convertiti allinizio della sua formazione; questi elementi sarebbero poi rimasti anche in presenza di una
comunit successivamente composta da un sempre pi ampio e prevalente numero di Gentili convertiti, formanti
cos una diversa comunit caratterizzata da una diversa apertura culturale verso concezioni filosofiche greche
(pp. 87-88). In questo ipotizzato processo c qualcosa che interessa quanto stiamo cercando di comprendere: la
presenza di Giudei pu giustificare il permanere di determinate tradizioni (la circoncisione comunque assente e
siamo in presenza di tradizioni targumiche e midrashiche, cio aramaiche ed esegetiche) ma essi non
rappresentano pi unetnia, facendo parte di una comunit cristiana, universalista, e quindi svincolata da ogni
base etnica.

Ci premesso, torniamo al cerchio che sembra non chiudersi. Come substrato del primo Islam sono
stati invocati il Giudaismo e/o i Giudeocristiani di etnia giudaica. Certamente la presenza giudaica notevole sia
nel Corano che nelle tradizioni esaminate da Rubin, ma c da chiedersi quale ne fosse lorigine. Abbiamo visto
che gi a Medina letnia giudaica si mostra inassimilabile nei confronti di una predicazione totalizzante con
pretese universalistiche; daltronde i riferimenti veterotestamentari del Corano provengono essenzialmente da
Pseudepigrafi e dal Midrash, e le storie relative ai Patriarchi vi appaiono in versioni che non hanno riscontro
nella Bibbia. Accanto a ci, altrettanto forte anche la presenza cristiana, con elementi tratti per dagli Apocrifi.
Sicura poi la convinzione del Profeta che i testi canonici, tanto giudaici che cristiani, siano dei falsi. Resta
lipotesi di un Giudeocristianesimo centrato sulletnia giudaica, ma abbiamo visto che alla fine del VI secolo
lesistenza di una realt ancora cos individualizzata sembra poco verosimile: i Giudeocristiani, laddove ci
fossero, dovevano essere una realt multietnica, perch lidentit etnica giudaica era ormai monopolio della
ortodossia rabbinica. Riguardo ad essi ricordo infine le osservazioni di De Blois citate a p. 1062.
quindi pi ragionevole rivolgersi a un Giudeocristianesimo non etnico, riferibile alle popolazioni
arabe diffuse sino alla Siria e alla Mesopotamia, con le quali gli Arabi della penisola erano in abituale contatto e
la cui religiosit, come abbiamo visto, condividevano. Tra queste trib abbiamo visto che ve nerano di
cristiane, anche se non sappiamo di quale Cristianesimo, certamente non di quello ortodosso; sappiamo
per anche che caratteristica delle deviazioni dalla ortodossia cristiana lessere giudaizzanti (a meno di non
essere ellenizzanti cio gnostici, ci che non riguarda per questarea culturale). Caratteristica
giudaizzante sempre stata lattesa messianica e lApocalitticismo, cio lattesa di un Messia e di eventi che
mettessero fine a questo mondo, attesa che ben si concilia con lAdozionismo e la ripetitivit della Profezia.
Questa tensione escatologico-assiologica tutta mondana costituiva uneredit giudaica tuttavia fatta ampiamente
propria anche dal Cristianesimo sino a tutto il II secolo, rimasta poi in eredit alle sue eterodossie.
Ci tanto vero, che abbiamo visto come tali attese seguitino ad alimentare le tensioni e i moti dello
altro occidente sino al XVI secolo, sicch gli eresiologi seguiteranno a parlare per secoli di giudaizzanti; e
Newman riusc a pensare la presenza di elementi ebraici persino nei Catari, che non erano di certo filosemiti; non
soltanto, consider anche la tradizione ereticale dellOccidente come il frutto della persistente eredit ebraica che
sfocer nella societ liberale. Nel XII secolo i misteriosi Passagini erano sicuramente giudaizzanti, e, tra
laltro, come i Catari, erano Subordinazionisti (su tutto questo, cfr. supra, pp. 183-185 nel testo e nelle note). Il
problema era infatti il medesimo, sin dalla proclamazione del Dio/uomo: lunicit di Dio (cfr. supra, pp. 22-23 in
n. 56 e p. 50 in n. 92).
Non era dunque necessario essere di etnia giudaica per essere portatori di una religiosit
giudaizzante, residuo di un primo Cristianesimo o risorgenza di antichi dubbi o di antiche speranze: e un
Giudeocristianesimo non etnico non contrasta con luniversalismo islamico. LIslam dunque, pu essere
ragionevolmente in rapporto con forme non ortodosse di religiosit testamentaria e, considerato il suo
universalismo, non si pu dire infondata (almeno sul piano evolutivo/temporale) la pretesa islamica di
considerare Maometto sigillo della Profezia dopo Mos e Cristo, nel senso che, per elaborare il messaggio
islamico, furono necessari due antecedenti, quello giudaico e quello cristiano. Se mai, si potrebbe osservare che
nel suo riprendere una cristologia non ortodossa che non contempla la possibilit di un Dio/uomo, lIslam
compie un passo indietro perch, negando la sconvolgente irruzione del divino nella storia in veste duomo, nega
un evento che cambi il ruolo stesso delluomo e la sua dimensione nei confronti di qualunque potere e che
costitu la premessa per quei diritti universali delluomo che, forse non per caso, non sono recepiti dallIslam

1082
(cfr. supra, p. 830; sulla novit unica del messaggio cristiano cfr. p. 293, ultimo capoverso e la p. 294 sino alla n.
47).
Poste queste premesse si vede dunque perch, a conclusione, il cerchio non si chiude: i fattori
concorrenti sono troppi e troppo vaghi, e non si possono tracciare alberi genealogici utilizzando categorie
pensate per fenomeni frutto di tassonomie accademiche, invenzioni di scuola come lo Gnosticismo e il
Giudeocristianesimo. LIslam, pur con tutti i suoi referenti testamentari, resta comunque un fenomeno
originale, mentre Gnosticismo e Giudeocristianesimo restano nomi generici utili per indicare ci che non
ortodossia, cristiana o rabbinica che sia, e non Ellenismo.
Se, dunque, si pensa ad un quadro monoteistico pi fluido, non irrigidito in quei precisi confini
dottrinari che laccademia tende a tracciare per costruire le sue ipotesi di sette con tanto di nome e statuto; se si
pensa ad una discussione ancora tutta aperta entro un pulviscolo indeterminato di possibili monoteismi senza
precisi confini, ad una dialettica sulla quale non si hanno elementi dinformazione dettagliati (si pu soltanto
capire che disputa ci fu, se non altro in Medina, ma inizialmente - da crederlo a partire dallo stesso contesto del
Corano- anche alla Mecca) si pu forse delineare il quadro dal quale, come soluzione originale, nacque lIslam.
Altrimenti c rischio di non capire come possa esser sorto questo nuovo monoteismo, in un quadro gi occupato
da altre precise scelte. A quel momento e in quei luoghi, lunica scelta che verosimilmente doveva avere una
qualche stabile solidit (non tale, tuttavia, da impedire le tantissime conversioni) era il Giudaismo etnicamente
fondato, che, infatti, dovette esser liquidato con la forza.
Come il Cristianesimo delle origini fu diverso e molto pi variegato rispetto a quello che si consolid
nella Chiesa di Roma, cos si pu tuttavia pensare dellIslam delle origini, rispetto a quello ormai definito della
fine del I secolo H.; e tanto pi lo si pu pensare diverso quanto pi si faccia riferimento a un simile scenario
indeterminato delle origini, nel quale ogni soluzione poteva pensarsi ancora aperta. E infatti allinizio ci furono,
e sono evidenti, oscillazioni, lotte, percorsi tattici: poi il Profeta si afferm, e dopo la sua morte vennero i
Qurayshiti a impadronirsi della sconvolgente Rivelazione, per farne lo strumento della conquista araba grazie ai
presupposti dottrinali che lIslam delle origini gi conteneva in s; tra questi, fondamentale, la tensione
messianica e lApocalitticismo (vedi infra) che sono, a mio avviso, la spia del rapporto originario dellIslam con
le aspettative delle eterodossie, comunque si voglia chiamarle. Poi, ma da ultimo, venne la costruzione
delledificio ideologico, che fu lunga, laboriosa, e animata di contrasti per le infinite letture che un Messaggio
pu ricevere e che mai vengono meno, come gi vedemmo nelle vicende relative alloccidente cristiano. Per
tentare di comprendere, formulando ipotesi che tali restano per la mancanza di documentazione storica,
necessario dunque andare oltre la Vulgata il cui significato va compreso in altra prospettiva, che non , forse,
quella puramente letteraria dei narratori di storie, accantonata dagli scettici, quanto piuttosto quella di un mito
di fondazione, che cosa molto pi seria, della quale si deve tener conto nel comprendere un fenomeno religioso
e quindi culturale.

Per riprendere e completare dunque il filone espositivo proposto da questa rassegna, sembra giunto il
momento di esaminare le ricerche di coloro che, vengono definiti neotradizionalisti, una delle tante definizioni
da prendere con le molle, come scettici, revisionisti, ultrascettici e quantaltre ne siano in uso per pura
comodit, perch le posizioni non sono affatto catalogabili in pochi schieramenti contrapposti, ma sono tante e
differenziate lungo linee di confine anche strettamente personali.
I pi significativi rappresentanti della nuova ricerca sulle tradizioni che tenta di individuare in esse
linvocato nucleo storico e comunque di accertare la possibile correttezza degli asnd anche l dove Schacht e
Juynboll hanno parlato di pure invenzioni (il caso delle linee singole di trasmissione, gli spiders che, a partire
dal common link, affondano in direzione di Successori e Compagni, sinanche del Profeta) sono Motzki, del
quale gi ci siamo occupati in queste note e in Dopo e a lato, Schoeler e Grke. Iniziamo da Motzki.
Di Motzki ho gi segnalato il metodo di ricerca e le prudenti conclusioni, ma anche i falsi sillogismi
che gli consentono di passare dalla contestazione del carattere puramente ipotetico -in un certo senso, persino
arbitrario- delle conclusioni di coloro che intendono smantellare ledificio della Vulgata, alla pretesa di azzerarne
la critica. In base al suo ragionamento, una tradizione della cui invenzione non si ha la prova irrefutabile
(anche se il buon senso, la logica, e la verosimiglianza parlano in questo senso) pu (sottinteso: deve) esser
tenuta per corretta. Il che, si noti bene, non significa vera: significa semplicemente corretta nella sua antica
origine e trasmissione. Ora, la tecnica critica ed espositiva di Motzki, resta sempre la medesima, ragion per cui
mi sembra pi produttivo, nella logica di queste note, un esame complessivo dei suoi tanti e ponderosi studi,
comunque rilevanti per lenorme lavoro di analisi e conseguente contributo di conoscenza.
Motzki ha approfondito la trasmissione di alcune tradizioni legali (come si ricorder, lanalisi di
Juynboll, sulla scorta di Schacht, portava a datarne lorigine nei fuqah dellinizio VIII secolo, e la loro
presunta antichit a falsi di al-Zuhr) per mostrarne la maggiore antichit. il caso di studi quali Der Fiqh des
-Zuhr: die Quellenproblematik, Der Islam, 68,1, 1991; The Prophet and the Cat: on Dating Mliks Muwatta
and Legal Traditions, J.S.A.I., 22, 1998; Der Prophet und die Schuldner: Eine Hadth Untersuchung auf dem
Prfstand, Der Islam, 77, 2, 2000, alcuni dei quali ripresi, unitamente a contributi di altri autori, in H. Motzki,
with N. Boekoff-Van der Voort and S.W. Anthony, Analysing Muslim Traditions. Studies in Legal, Exegetical

1083
and Maghz Hadth, Leiden-Boston, E.J. Brill, 2010. Il punto sul quale si insiste -e lo vedremo anche con le
ricerche di Grke e Schoeler che esaminer pi in dettaglio- sempre il nodo che da al-Zuhr conduce a Urwa e
di l ad isha: un passaggio che Juynboll considera falso, o comunque non fondato, mentre Motzki, come
Grke e Schoeler, tende a considerare accettabile. La ricerca, molto complessa, si fonda sul metodo detto isnd-
cum-matn un metodo cio che non si ferma ad analizzare le possibili linee di trasmissione, ma anche i testi che
vengono trasmessi, con le loro varianti; un metodo che consente di accertare la reale presenza antica di una
determinata tradizione, attraverso le varianti che essa mostra in diverse catene di trasmissione e la compatibilit
di tali varianti con una fonte unica di maggiore antichit. In realt, gli autori che seguono questo percorso, lungi
dal mostrare la certezza della conclamata origine antica di determinate tradizioni, possono mostrare soltanto la
possibilit, in ipotesi, di tale antichit, sulla base della sua non certificabile negazione. Ad ogni buon conto,
nessuno pu andare al di l dellinizio della seconda met del I sec. H., ci che significa comunque restare ai
tempi degli Omeyyadi, ai tempi cio nel quali lIslam sent la necessit impellente di autodefinirsi in rapporto ai
monoteismi dei popoli sottomessi.
Per esemplificare in concreto quanto detto sopra, mi soffermo pi in dettaglio su un noto articolo di
Motzki, Quo vadis Hadth Forschung? Eine kritische Untersuchung von G.H.A. Juynboll: Nfi and the mawl
of Ibn Umar and his Position in Muslim Hadth Literature, Der Islam, 73, 1-2, 1996, che risponde al gi citato
articolo di Juynboll (cfr. supra, p. 1046).
Larticolo fa parte dei massicci saggi di Motzki, scritti per rivalutare la veridicit delle tradizioni
islamiche. Di fatto, tanto nelle affermazioni generali, quanto nella puntigliosa ricostruzione degli asnd che
trasmettono lo hadth relativo alla zakt al-fitr (la beneficenza alla chiusura del Ramadn) ci che Motzki
dimostra la non cogenza delle conclusioni di Juynboll, a causa della mancata analisi dei mutn (altro plurale di
matn) cio dei testi degli ahdth. Motzki sottolinea anche, giustamente, che le prove e silentio non dimostrano
la non storicit dellesistenza di Nfi. Tuttavia comunque sempre in agguato il falso sillogismo che porterebbe
ad invertire il giudizio: infatti, dimostrare che le cose potrebbero non essere cos come pensa Juynboll (su questo
le prove addotte sono molte) non significa dimostrare che stanno nel modo opposto, dimostrare cio la sicura
antichit di una tradizione islamica che, oltretutto, pretende una discendenza veritiera dal Profeta. Su un punto
cos cruciale, tutto possibile, come pensa Motzki, ma tutto anche inverificabile, e si torna al pregiudizio
implicito per entrambi: per Juynboll le tradizioni che non hanno certezza sullorigine sono un falso, per Motzki
nellincertezza del falso le tradizioni vanno prese per buone. Questo egli non lo dice espressamente, ma dal
contesto sembra che questo quanto dovrebbe concludersi. Inoltre Motzki, nellesaminare gli strands che
uniscono i trasmettitori successivi, non entra nel merito del fatto che il metodo di Juynboll ha senso soltanto per
ci che concerne la messa in dubbio dellorigine delle tradizioni nel Profeta o nei Compagni: sulla prima met
del I sec. H. infatti, n Motzki, n gli agguerriti ma cauti Grke e Schoeler per quanto riguarda altre tradizioni,
possono affermare alcunch di positivo.
Comunque stiano le cose nellanalisi di questi tre studiosi, il luogo del contendere si ferma sempre al
rapporto di Mlik b. Anas con Nfi il quale riferirebbe dal figlio di Umar; o, in altri casi, con al-Zuhr (e poi
ancora di questi con Urwa) mentre sul ruolo giocato da Urwa e sul suo retroterra -l dove si dovrebbe
convalidare lautenticit della tradizione- resta soltanto lipotesi di colloqui familiari di Urwa con isha, una
bella ipotesi, senza peraltro alcun riscontro e senza che ci possa comunque garantire lautenticit delle eventuali
narrazioni di costei (lo stesso si dica per Ibn Umar). Tutto quel che si pu affermare che le tradizioni in esame
verosimilmente circolavano gi cinquantanni dopo la morte del Profeta. Questo, se certamente un dato che
pu giovare alle ricostruzioni, non toglie alla Vulgata il suo carattere mitico e/o ideologico: ed questo il punto,
forse dimenticato in tanta mole di analisi, che giustifica latteggiamento di coloro (scettici, revisionisti, o
comunque si voglia definirli) che si pongono in una diversa prospettiva, anchessa per non sempre cristallina.
Per far comprendere ci che intendo, torno un attimo su un altro articolo di Motzki, gi citato, Der Fiqh des
-Zuhr, etc.
A p. 23, dopo la sua accurata analisi, Motzki afferma, su questo delicato argomento: In queste
concordanze tra le antiche tradizioni biografiche relative a Mlik e il risultato che emerge, sul fondamento del
testo del suo Muwatta, riguardo al suo Maestro, vedo confermato il mio giudizio di partire dalla sua genuinit e
di dover fornire la prova di una eventuale falsificazione, e non, come riteneva Schacht, il contrario. Ora, a me
sembra, questa dialettica, non tentativo di individuare una storia, ancorch ipotetica. Di fatto egli non dimostra
il contrario della tesi di Schacht, ma soltanto che essa non correttamente fondata, e che il contrario di ci che
Schacht afferma possibile. Eppure questo un esempio degli insoddisfacenti approdi costanti in Motzki, e c
da domandarsi quale possa esserne la premessa, per verit nientaffatto nascosta, anzi, esplicitamente dichiarata,
come lo anche da parte di Grke e di Schoeler.
La premessa parte da lontano, dalla convinzione che lapprofondimento dellanalisi isnd-cum-matn
possa condurre ad enucleare da un materiale chiaramente agiografico (la Sra e tutto ci che riguarda il Profeta) o
ideologico (la fondazione di un sistema giuridico da far risalire al Profeta) ci che essi chiamano un nocciolo di
verit tale da consentire di ricondurre allIslam delle origini (al Profeta e ai Compagni) il fondamento dellIslam
che conosciamo. Tentativo che per non soltanto si arresta, nella pi rosea delle ipotesi e accedendo a questo

1084
neo-tradizionalismo, alla seconda met del I sec. H.: ma che soprattutto mi sembra mal fondato se il fine vuol
essere quello di abbozzare una possibile storia. Il problema infatti questo: occorre ragionare a partire da una
logica di storici, come sostiene la Crone esprimendo dubbi su una storia fatta da arabisti. Ora, ci che non
credibile nella logica dei fenomeni storici quando ci si consegni alla Vulgata, precisamente il carattere
apertamente mitico e/o ideologico delle tradizioni che vorrebbero costruire una storia. Qui opportuno aprire
una riflessione.

La Vulgata sviluppa un mito che racconta di un paese di pagani idolatri nel quale un Profeta annuncia
una Rivelazione discesa dal cielo tutta nuova e lustra, subisce delle persecuzioni ma poi trionfa convertendo in
breve tempo i pagani ad un messaggio inaudito e gi tutto ben definito nei dettagli; la vecchia societ scompare,
sia pure non senza conflitti, e la nuova si afferma rapidamente e conforma di s e delle proprie, nuove leggi, una
vasta porzione di mondo. Questa , in sintesi, leccezionalit dellIslam.
Appare evidente che questo soltanto un mito, per la precisione il mito di fondazione di una nuova
societ. La storia non sempre razionale ma ha comunque proprie leggi, ed in effetti tutto ci che possiamo
scorgere con la fioca luce che penetra la zona grigia il formarsi di una religione e di una concezione della
societ e delluomo che non pensabile senza i lontani antecedenti del messaggio veterotestamentario, dei
fermenti apocalittico/messianici del periodo intertestamentario, della risposta cristiana e del permanere di
unattesa che in tanto resta senza sfogo in quanto rapidamente messa al margine dalla istituzionalizzazione
romana; e che tanto pi sopravvive, necessariamente frammentata e senza forte voce, quanto pi ci si allontana,
geograficamente e culturalmente, da quella istituzionalizzazione. Nessuna religione, nessuna Legge mai nata,
per quel che sappiamo, come Minerva dalla testa di Giove: ci che cos appare a cose fatte, non che il risultato
di una lunga costruzione dottrinale (ideologica, legale), di continue modifiche e messe a punto, a partire da un
messaggio tanto fulminante quanto vago e soggetto a mille letture. Se si ragiona laicamente, non v motivo per
fare dellIslam uneccezione, anche se il fedele musulmano vede precisamente in questa eccezionalit la prova
di una Volont pi alta.
Ora, un mito per sua natura autoreferenziale, non ha un nocciolo storico, cercare di storicizzarlo
come mascheramento di eventi reali conduce soltanto a quella pessima soluzione (razionalista e culturalmente
molto cheap) che fu levemerismo. Il mito della Vulgata va compreso per ci che volle fondare e per ci che ha
fondato. Un mito di fondazione, precisamente per la sua non credibilit come evento, pu per fondare una fede,
quindi una societ, e come tale va compreso, inutile cercarvi leco di eventi storici che in esso risuonano
soltanto come esigenza di conferire senso alla nuova situazione generata e stabilizzarla in questo mondo.
Ci che ho tentato di comprendere nel secondo capitolo di Dopo e a lato, ma anche prima, nel testo e
nelle Appendici (e sul quale torner brevemente pi in l) precisamente la conseguenzialit degli sviluppi
dellIslam rispetto a questo mito, attraverso le ortodossie e le eterodossie, anche quelle cosiddette estremiste;
gli sviluppi di forme di pensiero diverse ma tutte radicate nelle implicazioni del Messaggio; le elaborazioni
neoplatoniche e il rifiuto della filosofia; il rigido tradizionalismo, sino al Salafismo, e la teosofia e il
misticismo. A me sembra dunque che in quel mito ci sia tanto da capire, e ben poco da rendere sotto forma di
storia.
Perci mi domando: davvero indispensabile lesasperata ricerca sugli asnd -tanto nel pregiudizio
di Schacht e Juynboll quanto in quello di Motzki, Grke e Schoeler- oppure ci che per gli uni indimostrabile
che sia avvenuto, perci non avvenuto; per gli altri, viceversa, che non lo sia, perci si deve accettare che
possa essere avvenuto -pessimi sillogismi entrambi- serve soltanto da sussidio ad uno scetticismo, ovvero ad un
accademismo, le cui motivazioni vanno ricercate, accettate o respinte, altrove? Quellaltrove, sul piano culturale
e prescindendo dalla opposte scelte personali, , a mio avviso, nella confusione (e nella sottovalutazione di uno
di essi) tra due regni che hanno ciascuno un propria ragion dessere e una propria dignit come fenomeni di
studio, ciascuno con le proprie leggi: quello del mito e quello della storia. Non lecito costringere un mito ad
aderire alla storia, ma neppure lecito ignorarne il carattere fondante semplicemente perch narra eventi mai
avvenuti.
Il problema si ripropone eguale a se stesso nellarticolo di A.Grke-H. Motzki-G. Schoeler, First
Century Sources for the Life of Muhammad? A Debate, Der Islam, 89,2, 2012, nel quale i tre autori rispondono
alla critica di Shoemaker con un lungo articolo, ragionato e garbatamente polemico, contestandone la correttezza
metodologica e fattuale su vari passaggi. Tanta acribia accademica sembra per non voler affrontare il
significato possibile dei loro risultati, soffermandosi esclusivamente sulla loro plausibilit. Conoscendo la tesi
fondamentale di Motzki, la scelta di assumere per possibilmente vero ci che non documentabilmente falso
in rapporto a tradizioni che non sono documentabilmente vere (perch non confermate da altre fonti) e perci
potrebbero essere false, onde egli opera una scelta soggettiva che equivale a quella opposta, da lui criticata
come pregiudizio in Juynboll e Shoemaker, oppone cio pregiudizio a pregiudizio (si veda la p. 48 di questo
articolo) la posizione di questi tre autori non d un contribuito reale alla ricerca, nonostante il grosso sforzo
prodotto. Accertare, con tutti i dubbi del caso, lesistenza di una tradizione in una certa data -comunque
posteriore di qualche decennio allevento- non significa accertarne la corrispondenza ai fatti, in mancanza di
attendibili conferme da altre fonti. Se questo poi riguarda, ad esempio linizio della Rivelazione (The Iqra

1085
Narration, p. 22) resta desolantemente attuale la beffarda osservazione di Hobbes: dire che Dio ha parlato nel
sonno a qualcuno equivale a dire che qualcuno ha sognato che Dio gli parlasse. Anche la Resurrezione di Ges
data per certa poco dopo levento, e da pi di un narratore: evidentemente il racconto circolava. Tanta insistenza
su problemi squisitamente accademici ma storicamente non significanti, fa sorgere il sospetto che si voglia
insinuare una possibile catena logica: se alcune tradizioni possono avere un valore storico fattuale, allora
anche altre potrebbero averlo, perci non certo che la Sra sia del tutto inattendibile, e perci essa potrebbe
essere attendibile in buona parte. Si tende cos a generare credibilit storica in un mito di fondazione, che, come
ho detto poco sopra, vero esattamente e soltanto in quanto tale, in quanto mito, complesso simbolico che
fonda una religione e una societ. Storicamente mi sembra viceversa ben pi importante accertare la funzionalit
di un racconto, maturato nel tempo, alle esigenze ideologiche del tempo in cui matur.

Chiusa questa pausa di riflessione, che tuttavia mi sembrata utile per proseguire la rassegna in modo
ragionato, avendo in mente un percorso, ora necessario esplorare ulteriormente il campo degli studi
neotradizionalisti con riferimento a Grke e Schoeler, per i quali, al di l delle stesse ricerche condotte in
comune, si deve notare un comune metodo di ricerca.
Iniziamo con quattro articoli che Schoeler ha pubblicato in successione su Der Islam: Die Frage der
schriftlichen oder mndlichen berlieferung der Wissenschaften im frhen Islam, Der Islam 62,2, 1985 (dove le
scienze sono ovviamente quelle religiose e giuridiche); Weiteres zur Frage der schriftlichen oder mndlichen
berlieferung der Wissenschaften im Islam, ivi, 66,1, 1989; Mndliche Thora und Hadth: berlieferung,
Schreibverbot, Redaktion, ivi, 66,2, 1989; Schreiben und Verffentlichen. Zu Verwendung und Funktion der
Schrift in den ersten islamischen Jahrhundert, ivi, 69,1, 1992.
Nel primo articolo Schoeler affronta il problema della oralit e della scrittura nella trasmissione delle
tradizioni, e giustifica in modo sensato la diffidenza esistita a lungo contro la tradizione scritta che, considerato il
problema dei segni diacritici e delle vocalizzazioni, pu offrire incertezze superabili soltanto grazie alla
memorizzazione della tradizione stessa. Cos, anche facendo riferimento a un paragone con la scuola
alessandrina, sviluppato nel secondo articolo, Schoeler ritiene che gli scritti esistessero anche inizialmente, ma
non come libri (syngrammata) bens come appunti necessari alla memorizzazione (hypomnemata) presi nel
corso di sedute collettive dei sapienti e trasmessi a ulteriori sedute. Il risultato di questi che potremmo definire
Sitzungberichte der Akademie der Wissenschaften viene ad essere un hadth certificato sulla cui catena di
trasmissione, e sullaccordo dei dotti quanto alla veridicit del contenuto, si pu andar sicuri. Ci non toglie la
possibilit di falsi riscontrabili dallo stesso Schoeler: ma su questo argomento preferisco rimandare al caustico
commento di Berg nel recensire un libro di Schoeler (infra).
Colgo loccasione per segnalare che Schoeler ha esposto in dettaglio questa sua teoria in forma
completa ed esauriente, in una serie di quattro conferenze tenute nel 2000 presso lcole pratique des hautes
tudes, poi raccolte e pubblicate con il titolo crire et transmettre dans les dbuts de lIslam, Paris, P.U.F., 2002.
Lo scopo della ricerca di Schoeler evidente: delineare un quadro generale che giustifichi una rinnovata fiducia,
almeno in linea di principio, nei confronti delle tradizioni islamiche, sulle quali grava lo scetticismo di molti
studiosi passati e presenti.
Venendo ora al secondo articolo, ci che mi sembra interessante, che in esso Schoeler invoca la
presenza dei mawl, provenienti da culture dalla lunga tradizione scritturale, come presupposto dellabbandono
progressivo della trasmissione orale. Ora, si ricorder che questo ruolo del mawl stato segnalato anche da
Juynboll in un articolo apparso anni dopo (cfr. supra, p. 1046) ma con altro obbiettivo, che quello di segnalarne
il carattere, in un certo senso intrusivo nel campo della sistematizzazione di ci che giunto ai nostri giorni. In
crire et transmettre Schoeler ha anche invocato eventuali convertiti Giudei per giustificare la nascita degli
asnd nellultimo terzo dellVIII secolo, perch essi ne avevano fatto esperienza nel sistema di autenticazione
del Talmud.
Anche il terzo articolo riprende gli stessi problemi, approfondendoli, e chiarendo ulteriormente quali
avrebbero potuto essere le ragioni per le quali i dotti avrebbero previlegiato a lungo la tradizione orale, e, tra
queste, introduce la possibilit, aperta alla trasmissione orale, preclusa viceversa a quella scritta, di adattare con
dovuta flessibilit la Legge ai tempi (p. 225). Ora, se ci fermiamo a riflettere sul fatto che la scrittura delle
tradizioni avviene in modo massiccio ad opera di al-Zuhr, notoriamente legato ai regnanti Omeyyadi in un
momento che appare caratterizzato dalla prima formazione dellIslam che conosciamo, la cosa appare, dal punto
di vista storico, ben pi interessante di come viene presentata. Infatti sembra trasparire sia lesigenza politica di
fondare lideologia islamica alla quale conformare un Impero che, al momento, era ben poco islamico, popolato
da maggioranze cristiane e zoroastriane e da Giudei; sia un possibile conflitto tra il potere del Califfo (o Guida
dei Credenti, insomma, il capo politico: Abd al-Malik usa entrambi i titoli) esercitato in nome della Legge; e
quello del clero, custode di una oralit che, come ogni oralit, pu subire evoluzioni della quale sarebbero
rimasti padroni gli esperti di tradizioni. Un po il conflitto che ci fu tra ulam e Abbsidi al tempo della mihna
e che si risolse con la vittoria dei primi lungo i percorsi di Shfi, Bukhar e Ibn Hanbal, un conflitto che ricalca
quello onnipresente tra le intellighentzie e il potere reale.

1086
Anche il quarto degli articoli citati si occupa del rapporto tra scrittura e oralit, questa volta in
rapporto alla formazione del testo coranico; secondo Schoeler, un notevole impulso alla scrittura fu dato dallo
scontro con i movimenti eterodossi (p. 17). Mi sia consentito tuttavia osservare che parlare di eterodossia allo
stadio iniziale di formazione, nel quale la dottrina non si era ancora consolidata e il Messaggio muoveva le pi
diverse aspettative, mi sembra un anacronismo: a meno di non prendere per originario, consacrando le tradizioni,
lIslam dellVIII secolo. In effetti, lo scopo ultimo di questi scritti di Schoeler precisamente quello di
consacrare la correttezza delle tradizioni; che la dottrina non fosse precisamente consolidata, lo rivela per
lopposizione di coloro che usavano recitare in pubblico il testo, che avevano molte varianti e non amarono
perci lunificazione dimperio di Uthmn (p. 25).
Noto tuttavia che, nel segnalare le contese che segnarono la stabilizzazione del testo (p. 24), Schoeler
si tiene lontano dal tentar di penetrare quello che poteva costituire un problema politico, il contrasto dinteressi
tra un potere centrale che doveva costruire la propria normativit legale, religiosa e ideologica, e gli eredi del
primo movimento spontaneo che si sentivano continuatori del fenomeno rivoluzionario, destinato ormai a
ricomporsi in un nuovo ordine, e predicavano la propria lettura del Corano. Del conflitto tra rivoluzione e nuovo
ordine, abbiamo del resto intuito qualcosa dagli articoli di Hinds (supra).
Vengo ora ad un importante testo di Schoeler, prodromo di quello che apparir pi tardi, scritto
insieme a Grke. In questo, dal titolo Charakter und Authentie der muslimischen berlieferung ber das Leben
Muhammads, Berlin-N. York, De Gruyter, 1996 si inizia a perseguire il tentativo ambizioso, ampliato poi in
seguito con Grke, di stabilire la veridicit di due tradizioni che riguardano la vita del Profeta, e, in
conclusone, di elaborare un metodo generale che consenta la verifica delle autenticit in genere. La prima
tradizione esaminata quella relativa allinizio della Rivelazione ad opera di Gabriele, della quale ci siamo gi
occupati recensendo i lavori di Rubin e Kister (supra, p. 1052); la seconda riguarda il cosiddetto scandalo di
isha, attardatasi per causa dun braccialetto perduto e riaccompagnata da un uomo, che fu lorigine della
discesa della Sra 24.
Sulle sue assunzioni generali si possono fare, a mio avviso, due considerazioni. La prima che
lautenticit delle due tradizioni si fonda essenzialmente sullaccettazione delle famose lettere di Urwa ad
Abd al-Malik, una pretesa assai dubbia, sia per le notazioni generali di Noth sulluso abituale dellespediente,
anche da parte degli antichi storici occidentali; sia perch, come s gi visto, dubbio che possa essere esistita
una simile corrispondenza, considerata la ribellione del fratello di Urwa al Califfo; essa, se mai, avrebbe potuto
essere stata inventata per ridare lustro alla discendenza di Ab Bakr. Laltra che, per Schoeler, autenticit
significa comunque attribuzione a Urwa, ci che significa non andare pi addietro della seconda met del I sec.
H. (pp. 20-21). Quanto allo scandalo, Schoeler ama immaginare che Urwa abbia realmente ricevuto il
racconto dalla zia (ipotesi che egli allarga ad altre tradizioni) eventualit indimostrabile ma non inverosimile,
almeno limitatamente a questo singolo caso.
Per quanto riguarda gli inizi della Rivelazione ad opera di Gabriele, c viceversa da domandarsi se
isha, ammesso che sia lei lorigine della tradizione, non abbia fornito una partecipazione non disinteressata
alla creazione del mito, posto che, comunque, da un punto di vista razionale questo non sembra un evento da
considerare attendibile, e ha come alternativa altro e pi credibile racconto (la citata visione di luci e audizione di
suoni che suscit i timori del futuro Profeta). C da chiedersi anche se abbia molto senso, per il nucleo di
verit, mettere in campo un oneroso lavoro di ricerca per accertare (con tutti i limiti del caso) la circolazione
di un racconto inverosimile cinquantanni dopo la morte del Profeta: a meno di non voler accertare (questo
potrebbe aver senso) la data di nascita di un mito.
Una critica puntuale del testo venuta da H. Berg, che lo ha recensito su J.A.O.S., 119, 1999. Berg ha
notato (p. 316) la mancanza di dubbi manifestata da Schoeler circa lorigine reale in Urwa delle tradizioni
trasmesse da al-Zuhr, e che Schoeler (p. 317) si interessato alla autenticit di una tradizione (quella
sullinizio della Rivelazione) senza porsi il problema della sua sensatezza; autenticit che, ben che vada si
arresta al livello dei Successori (p. 315). Losservazione pi piccante, che si riferisce ad una analisi condotta da
Schoeler alle pp. 138-142 (ma che, per verit, pu valere anche per analisi condotte in altri suoi lavori) questa:
Schoeler insiste sempre sulla genuinit delle tradizioni, salvo considerare dei falsi le tradizioni che
contraddicono le sue teorie. Berg conclude infine considerando del tutto futile il lavoro di Schoeler, perch si
fonda sul presupposto che lisnd, cio un artifizio (device) puramente letterario possa contenere unaffidabile
informazione storica. Qui, evidentemente, siamo in presenza della sfiducia a priori che caratterizza gli scettici.
Venendo a Grke, un autore che segue un percorso analogo a quello di Schoeler nella ricerca della
possibile autenticit delle tradizioni, mi limito alla sola segnalazione per quanto concerne il suo Das kitb al-
amwl des Ab Ubaid al-Qsim b. Sallm, Princeton, The Darwin Press, 2003, nel quale egli stabilisce
lautenticit di questo testo (dal quale proviene la versione citata supra della Costituzione di Medina) che
comunque risale alla met dellVIII sec.
Qualcosa di pi mi sembra opportuno dire di Prospects and Limits in the Study of the Historical
Muhammad, un articolo che egli ha posto sul proprio sito www.andreas_goerke.de. Qui egli sostiene la che la
ricostruzione della figura del Profeta resa problematica a causa della tarda et delle fonti e dellesistenza di un
crescente scetticismo; osservazione, questultima, che dovrebbe prender atto delle sostanziose ragioni di questo

1087
deprecato scetticismo. Grke ritiene tuttavia di segnalare quattro metodi di ricerca che, a suo avviso, possono
essere di qualche utilit.
Il primo dei metodi che egli segnala, e che evidentemente non ama, quello di fondarsi sulle notizie
che mettono il Profeta in cattiva luce, in quanto verosimilmente residuo di notizie autentiche nel mare
agiografico delle sue tarde e non attendibili biografie. Questo mi offre loccasione per mettere in evidenza due di
queste notizie, relative al tempo di Medina, segnalate da Rose, cit., pp. 24-25, e provenienti luna dal Sahh di
Bukhar, laltra dalla Sra di Ibn Ishq (a p. 363 nella trad. di A. Guillaume, The Life of Muhammad. A
Translation of Ibn Ishaqs Sirat Rasul Allah, Oxford, Un. Press, 1955, 24 ristampa, 2011). Come noto il
Profeta sub in pi circostanze la derisione dei Giudei, ma questi due episodi sono di altra natura, e uno di essi
viene dal suo stesso entourage.
Nel primo Hamza, zio del Profeta, lo insulta in pubblico definendolo come uno che era stato nulla pi
di uno schiavo di suo padre, e commenta Rose: lepisodio mette Maometto in una luce di debolezza cos
sfavorevole che non pu essere stato inventato da tardi tradizionisti. Nel secondo, Abdallh b. Ubayy, capodei
munfiqn cfr. supra, p. 1065 e p. 1069) alza persino le mani sul Profeta, che diviene livido di rabbia e gli
ingiunge di lasciarlo, ma riceve in tutta risposta una minaccia fondata sui reciproci rapporti di forza. In effetti, al
momento della spedizione di Tabk, sembra che le forze a disposizione di Ubayy, che poi fu la guida dei
munfiqn, fossero maggiori di quelle del campo del Profeta; quanto ai reciproci rapporti, Ubayy era furioso
perch larrivo del Profeta aveva vanificato la sua attesa di divenire Re (cfr. M. Lecker, King Ibn Ubayy, etc.,
cit.). Sono episodi che lasciano intuire quanto duramente umana sia stata la lenta ascesa del Profeta a Medina,
e dunque, precisamente per il loro realismo, mi sia consentito dire che il metodo, usato con intelligenza critica,
pu essere ottimo: ci che non agiografico, tantomeno miracolistico, ha pi probabilit di essere vero.
Il secondo metodo citato da Grke (che poi quello che abbiamo visto con Schoeler) la ricerca
fondata sullo isnd-cum-matn, che per, oltre a costituire un lavoro onerosissimo, non sempre praticabile. Il
terzo metodo lesame, congiunto al precedente, di un vasto corpus di testi, Grke considera di primaria
importanza, al riguardo, esaminare le tradizioni presuntivamente trasmesse da Urwa e le sue ipotetiche lettere al
Califfo Abd al-Malik, delle quali si sa tuttavia che sono state rielaborate nella trasmissione e che comunque non
consentono di risalire pi indietro del 670-690. Il quarto metodo si fonda sullanalisi della presenza di termini
desueti nei documenti: il caso della Costituzione di Medina ma anche del Kitb al-amwl e di una lettera,
forse risalente al Profeta, comunque coeva.
Grke conclude con molte speranze per future scoperte di nuovi documenti; tuttavia, per ora, il nostro
raggio visivo si arresta, nella migliore delle ipotesi, al 670-690; una data, mi permetto di ricordare, nella quale
gi in pieno sviluppo lIslam storico degli Omeyyadi, quindi la fondazione ideologica della nuova fede.
Siamo cos giunti al momento di esaminare il lavoro di Grke-Schoeler, Die ltesten Berichte ber
das Leben Muhammads, Princeton, The Darwin Press, 2008, le cui conclusioni furono preannunciate dagli stessi
Grke-Scchoeler in Reconstructing the Earliest Sra Texts: the Hira in the Corpus of Urwa b. al-Zubayr, Der
Islam, 82,2, 2005; cio nelarticolo dalla cui critica ad opera di Shoemaker ho iniziato queste note.
In questa breve comunicazione, ci che pi si apprezza -mi sia concesso dirlo- la lucidit con la
quale fu affrontato il problema dai grandi studiosi a cavallo tra il XIX e il XX secolo, che pure avevano
certamente a disposizione un pi scarso materiale. Gli autori ricordano infatti, ad apertura di testo, la posizione
di Goldziher da essi certamente non condivisa, secondo il quale gli ahdth non potevano essere usati come
documentazione storica sul tempo del Profeta, essendo essi il risultato di tendenze teologiche, sociali e politiche
(corsivo mio) di tempi pi tardi, quelli cio nei quali questa documentazione ebbe origine.
Lo scopo dello studio di Grke e Schoeler dimostrare che ci non sempre valido, e che, secondo la
loro ricerca, vi una serie di tradizioni che possono essere considerate autentiche. Pongo lattributo tra le
virgolette, perch la vantata autenticit , come ben sappiamo da altri testi dei due studiosi, una possibile risalita
a Urwa -il cui corpus viene esaminato- cio al 670-690. Le tradizioni ritenute autentiche sono otto, e
precisamente (p. 213):

linizio della Rivelazione


la reazione dei Meccani; lemigrazione di alcuni Musulmani in Abissinia; gli incontri di Aqaba; la Hijra a Medina
la battaglia di Badr
la battaglia di Uhud
la battaglia della trincea (Khandaq)
il trattato di al-Hudaybiya
lo scandalo di isha
la conquista della Mecca

Lo studio condotto sulle catene di trasmissione e sui testi, mostra che queste tradizioni hanno
conosciuto pi di un percorso attraverso diversi discepoli di Urwa, con versioni diverse che tuttavia mostrano di
risalire ad una fonte unica, ci che consente di ricostruire linsegnamento di Urwa (p. 212). Gli autori, per
giustificare discrepanze con quanto trasmesso da suo figlio Hishm (argomento affrontato nel testo dagli autori

1088
in rapporto alle vicende della Hijra) pensano che Urwa possa aver trasmesso la propria storia a volte in termini
generali, a volte in modo personalizzato (p. 219) e che la forma generale che ricostruisce i principali
lineamenti dei fatti, sia da trovarsi nella lettera ad Abd al-Malik.
La storia tramandata non pu esser presa alla lettera (at face value) tuttavia Urwa era figlio di uno dei
primi Musulmani, isha era sua zia, e perci, anche se egli non fu un testimone oculare dei fatti, le sue
informazioni dovevano essere di prima mano almeno per gli ultimi anni del Profeta, e non c da dubitare che
esse riflettano correttamente landamento generale degli eventi. Ho riportato in corsivo questa affermazione
conclusiva di Grke e Schoeler, per sottolineare che essa, bench ragionevole, rappresenta comunque una
fiduciosa apertura di credito verso racconti e trasmissioni la cui storicit -vera o falsa che sia- per essere
creduta conta precisamente sul credito di chi ne viene posto allorigine: per usare dunque il noto detto se non
vera ben trovata, saremmo cio in presenza di un falso architettato -giustamente- in modo tale da essere
credibile. In conclusione: se la scuola scettica parte dal pregiudizio di falsificazione, anche qui si parte dal
pregiudizio della fiducia. Riscontri non ve ne sono.
Infine, chiudono gli autori, se ci fu qualche manomissione degli asnd, non per questo essi debbono
essere considerati inaffidabili; almeno parte della Vulgata si origin nel primo secolo dellEgira e perci,
studiandola accuratamente, se ne pu ricavare qualche informazione sulla vita del Profeta.
Il testo che vide poi la luce nel 2008 (Die ltesten Berichte, etc., cit.) ha presentato lanalisi di
dettaglio delle otto tradizioni preannunciate, ma la prudenza necessaria dovendosi muovere tra molte ipotesi, ha
poi condotto a conclusioni alquanto riduttive. Il grande e oneroso lavoro viene condotto sulla base dei metodi e
dei presupposti gi illustrati per questi autori e per Motzki, sui quali, per brevit, non torno; in particolare sul
confronto dei testi e sul rapporto oralit/scrittura nella trasmissione (ipotesi che mi son permesso di definire dei
Sitzungberichte): mi limito perci ai punti conclusivi.
Gli autori dividono le tradizioni di Urwa in varie categorie: lettere, tradizioni lunghe trasmesse
tramite il collegio (i Sitzungberichte), brevi tradizioni che ricalcano quelle delle due prime categorie, altre
brevi senza parallelo ma sugli stessi eventi, tradizioni brevi su altri eventi non trasmessi diversamente, liste di
partecipanti agli eventi (alle battaglie, etc.). Le lettere si trovano in al-Tabar e provengono dal figlio di Urwa,
Hishm, tranne due che provengono da Ab l-Zind e sono di dubbia trasmissione, come in genere quelle che
non passano tramite Abn al-Attr. Le tradizioni lunghe sono trasmesse sia da Hishm che da al-Zuhr, altri
discepoli di Urwa ne hanno trasmesse soltanto qualcuna, pi le brevi; ci sono poi le brevi sulle battaglie
trasmesse da Hishm e al-Zuhr. Le tradizioni attribuite a Urwa sono circa 1400 e la loro origine riportata a
vari testimoni, principalmente ad isha.
Quanto alle otto tradizioni che costituiscono loggetto specifico dello studio, Grke e Schoeler
ritengono di poterle cos suddividere: tre sono sicuramente autentiche, e precisamente quella sullHijra, sul
trattato di Hudaybiya e sullo scandalo di isha; meno sicura quella sugli inizi della Rivelazione; ancora
meno sicure quelle sulla battaglia di Badr, la battaglia della trincea e la conquista della Mecca; falsa quella sulla
battaglia di Uhud.
Altre notazioni conclusive di carattere generale sui testi trasmessi sono le seguenti. I testi esaminati,
pur nelle loro differenze mostrano di provenire da una sola fonte e costituiscono il materiale pi antico a
disposizione; sulle battaglie c poco materiale proveniente sicuramente da Urwa, come anche sulla conquista
della Mecca, mentre molto il materiale di Urwa sulla tregua di Hudaybiya; sullHijra c molto materiale
sicuramente biografico, e la biografia del Profeta non contiene elementi agiografici, tranne quelli relativi alla
Rivelazione ad opera di Gabriele. Pochi sono i riferimenti al Corano che per si trovano nelle tradizioni
sullHijra passate da Hishm; le tradizioni che debbono essere passate attraverso il Collegio sono pi vivaci e
colorite. Le vie di trasmissione delle tradizioni si riconoscono al passare delle generazioni: la linea proveniente
da al-Zuhr si riconosce da quella proveniente da Hishm o da altre linee, si pu inoltre constatare che Sra e
Maghz attingono a materiale antico. Urwa fu un eminente tradizionista, che nellultimo terzo del I sec. H.
inizi una raccolta metodica delle tradizioni; il suo materiale risale al IV-VII decennio del I sec. H. Rispetto a
lui, che non sembra essersi interessato molto alle datazioni, linnovazione di al-Zuhr fu di introdurre le date per
gli eventi. Quanto alla Sra di Ibn Ishq, essa non per al di sopra di ogni sospetto, perch raccoglie anche
materiale proveniente dai narratori di storie.
La conclusione finale, raccolta poche righe, tuttavia soltanto questa: possiamo esser certi che il
Profeta sia esistito, che ci sia stata una Hijra, un trattato di tregua ad Hudaybiyya, e che il noto scandalo di
isha sia un evento storico. Dopo tanto e cos oneroso studio si pu restare perplessi, tuttavia non da
dimenticare che Grke e Schoeler, studiosi non oltranzisti, hanno come obbiettivo principale la confutazione di
coloro che potremmo definire con obbiettivit come ultrascettici e che sono giunti a mettere in dubbio tutto.
Antesignano fu il provocatorio testo di Hagarism, ma, dopo di allora, anche a prescindere dagli studi di
Luxenberg, si son viste fiorire altre ipotesi che, pur nella loro ingegnosa e persuasiva costruzione, poggiano su
basi troppo labili e chiuse in ristretti ambiti, per poter giungere, come pretendono, a negare la stessa esistenza
dellIslam prima dellVIII-IX secolo: al momento, simili ipotesi non sembrano sostenibili. Ne accenner,
comunque, pi sotto.

1089
La risposta alla ricerca di Grke e Schoeler venuta da Shoemaker nellarticolo che ho citato ad
apertura di queste pagine, e si riferisce allarticolo del 2005, perch soltanto a risposta redatta Shoemaker ebbe
modo di conoscere il pi vasto testo del 2008. Tuttavia essa resta interessante per render conto dei limiti del
tentativo neo-tradizionalista, limiti che peraltro, come abbiamo visto, sono ammessi dagli stessi autori.
Ci che non convince Shoemaker la rivalutazione delle tradizioni trasmesse da Urwa ad al-Zuhr,
meno che mai la presa in considerazione delle sue lettere, che emergono soltanto con la storia di Tabar.
Premesso che, in presenza dei cosiddetti single strands egli ritiene sia da adottarsi il principio di
cautela espresso da Juynboll, egli d atto ai due studiosi di esser riusciti ad isolare alcune tra le pi antiche
tradizioni islamiche, ma ritiene che la conclusione di dichiararle autentiche vada oltre le effettive possibilit di
accertamento. Bench sia accettabile che personaggi come Urwa si siano interessati delle storie in circolazione
al suo tempo, ci non autorizza a pensare che esse provenissero da una seria tradizione storica, e non da
semplici racconti di cantastorie (p. 269).
Nota inoltra Shoemaker che, secondo quanto affermato da Grke e Schoeler, linsieme delle tradizioni
era costituito inizialmente da un racconto che andava dalle controversie alla Mecca sino alla Hijra; tuttavia, lo
schema delle trasmissioni da Urwa da loro elaborato, lascia pensare che esse fossero trasmesse da tutti i percorsi
rintracciati, mentre nessuna delle singole tradizioni passa di fatto per tutti quei percorsi.
Quanto ai due percorsi, entrambi caratterizzati da single strands, che portano da Urwa ad al-Tabar
(uno dei quali passa per Ab l-Zind, e come s visto, verr poi dichiarato non affidabile dagli stessi Grke e
Schoeler) egli nota che luno dichiara che la lettera in questione fu spedita ad Abd al-Malik, laltro che lo fu al
figlio di lui, al-Wald. Sar questultimo quello poi dichiarato inaffidabile dai due autori. Il punto pi rilevante,
che va oltre questo primo inceppo, lo segnala Shoemaker nelle pp. 275-276, dove contesta che il contenuto della
lettera possa avere la stessa attendibilit storica della Costituzione di Medina. Lattendibilit e lantichit di
questa infatti nella rappresentazione delle difficolt del Profeta e dei suoi umani limiti (un argomento che
abbiamo gi affrontato) ci che non il caso per quanto riguarda la presunta relazione di Urwa, gi agiografica.
Complessivamente (pp. 279-281) valgono dunque i sospetti di falso invocati da M. Cook (Early
Muslim Dogmas, etc., cit., p. 69) nel caso di una lettera con due destinatari diversi in due diverse trasmissioni
(abbiamo visto come rimedieranno Grke e Schoeler) e i sospetti in generale contro lartifizio della lettera,
avanzati con ottime ragioni da Noth, cit., pp. 79-81 e 85. M. Cook (loc. cit., p. 60) ha inoltre sottolineato che
Abd al-Malik il destinatario favorito di tutte le false lettere della tradizione islamica, tanto che la lettera ad
Abd al-Malik costituisce un genere a s.
A prescindere dallipotesi -che ho gi segnalato- secondo la quale in questa presunta lettera potrebbe
celarsi un tentativo di riabilitazione della discendenza di Ab Bakr dopo la ribellione del fratello di Urwa,
Abdallh, c da segnalare che Ibn Ishq ignora lesistenza di questa e delle altre lettere: e appare difficile che
uno storico abbia trascurato lesistenza di documenti di una tale importanza per rischiarare il passato (pp. 283-
284).
Tralascio di entrare in dettaglio su episodi dellHijra, perch il contenzioso si fonda sempre sulla
diversa logica di valutazione dei documenti; in particolare Shoemaker mostra di apprezzare lapproccio che
abbiamo visto con Rubin (da lui frequentemente citato) fondato su unanalisi dei testi come chiave per
comprenderne la possibile data di reale composizione. Quel che interessa segnalare su uno specifico episodio
per la notazione di Shoemaker a p. 295, dopo che egli ha ripreso parzialmente le linee di trasmissione presenti
nello schema di Grke e Schoeler: i due studiosi, per giustificare le differenze tra Tabar, che combina vari
racconti, e gli altri autori della Sra, fanno riferimento a una linea che passa da Urwa a Muhammad Abd ar-
Rahmn e da questi ad Ibn Ishq che per, per lepisodio in oggetto, non vi fa riferimento; questa linea deve
perci essere considerata uninvenzione. Shoemaker commenta (p. 300): se moderni studiosi occidentali possono
produrre un isnd non attestato dalle fonti, quanto pi la stessa cosa pu esser stata fatta dai copisti medievali
islamici? Ma se questa linea non pu essere sostenuta, allora, poich la fonte di Tabar Hishm b. Urwa, la
fonte di Ibn Ishq pu essere soltanto al-Zuhr (ivi). Qui, come si nota, ci che entra in dubbio, precisamente il
fatto che al-Zuhr riceva realmente da Urwa; e questo dubbio viene ripetuto anche con altre motivazioni per
quanto riguarda le tradizioni relative alla prima Rivelazione (pp. 306-307).
A questo punto Shoemaker apre lunghi riferimenti a Rubin (EB) e ai testi di De Prmare che
esaminer verso la fine di questa rassegna, autori che, come lui, impostano una storia dei primo Islam diversa da
quella della Vulgata. Il punto che il Corano non fa alcun riferimento a Gabriele nellepisodio dellinizio della
Rivelazione, nonostante il Corano stesso sia da considerarsi (con riferimento anche a De Prmare) un testo
giunto a redazione definitiva non prima dei tempi di Abd al-Malik, sicch la versione pi antica appare essere
quella, gi citata, della comparsa di fotismi e acufeni (cfr. supra) che per quella che verrebbe da Urwa
tramite il figlio Hishm: non quella che riferisce al-Zuhr e che a lui riferirebbe Urwa e a questultimo isha,
con Gabriele che impone al Profeta di recitare il nome di Dio (le parole di apertura della Sra 96, miticamente
attribuite nella tradizione a Gabriele rivolto al Profeta, ma che potrebbero essere del Profeta rivolto al fedele).
A questo proposito, e sempre in rapporto ai suoi larghi riferimenti allanalisi di Rubin, Shoemaker
ritiene di relativo interesse lanalisi degli asnd rispetto a quella, a suo (e di Rubin) avviso molto pi

1090
importante, dei testi: questi ultimi sono pi utili al fine di tentar di comprendere qualcosa nella storia del primo
Islam (p. 309; per Rubin cfr. BQ, pp. 237-238). Le sue conclusioni sul complesso delle tradizioni che riguardano
linizio della Rivelazione (p. 317 sgg.) sono dunque molto diverse da quelle di Schoeler e Grke: la versione
lunga di al-Zuhr non pu essere attribuita a Urwa (al quale potrebbe risalire pi verosimilmente laltra
versione, quella circolante ai suoi tempi relativa ai fotismi e agli acufeni) n troverebbe la sua origine in isha,
ma forse nei cantastorie; e per quanto riguarda Schoeler non pu fare a meno di tornare sulla maliziosa
considerazione di Berg su J.A.O.S., 1999, che ho gi citato supra.
Shoemaker accetta viceversa il riferimento ad un livello antico per ci che concerne lo scandalo di
isha, e ritiene persino possibile pensare in via ipotetica che Urwa labbia sentita raccontare dalla zia isha
(p. 322) il che non significa che la storia sia vera, significa soltanto che non uninvenzione tarda (pp. 324-
325). Il punto resta infatti sempre il medesimo: la mancanza di riscontri che consentano di accertare la veridicit
delle storie circolanti.
Dubbi di altra natura sono avanzati da Shoemaker per quanto concerne le tradizioni trasmesse dal
figlio di Urwa, Hishm. Shoemaker nota infatti (pp. 328-329) che Urwa mor quando il figlio era ancora molto
giovane, sicch non da escludere che questi abbia ascoltato il racconto delle tradizioni per voce di al-Zuhr,
salvo poi attribuirle ad una trasmissione diretta dal proprio genitore per rivalit con Ibn Ishq, il pi celebre tra i
discepoli di al-Zuhr. Questo pu sembrare un sospetto fondato su nulla, ed in effetti tale resta: ma non ci si deve
nascondere che essere depositario e trasmettitore di tradizioni conferiva un ruolo nella societ e nella politica
islamica, e che quindi si pu ben sospettare, a buon diritto e salvo prove contrarie di genuinit, un interesse
personale dei trasmettitori nella creazione di un proprio patrimonio di racconti, ben spendibile se corredato di
autorevoli catene di trasmissione. I trasmettitori di tradizioni sono gli intellettuali che hanno creato la storia e
lideologia dellIslam che conosciamo, sono quindi stati protagonisti di unoperazione politico-religiosa e di una
costruzione giuridica (difficile distinguere i termini, nellIslam) di tutto rilievo.
Le conclusioni di Shoemaker, alle pp. 339-344, sono quindi le seguenti, rivolte direttamente di
Schoeler, Grke e Motzki: essi hanno come fine il riabilitare, almeno in parte, la storicit delle vicende trasmesse
dalla Sra, contro lopinione di coloro che le considerano pura agiografia. I tre studiosi non negano che la
Vulgata sia una costruzione artificiale, ma ritengono che con luso di metodi critici se ne possano estrarre alcuni
nuclei di verit: per questa ragione hanno voluto tentare la ricostruzione di una sicura trasmissione da Urwa
(eventualmente da isha) sino ad al-Zuhr. Il loro lavoro stato enorme, il risultato, modesto: una chiara
evidenza di una possibile risalita ad Urwa si ha soltanto per ci che concerne il racconto dellHijra (p. 340);
tuttavia, essendovi racconti diversi e altrettanto precoci al riguardo, ci non d garanzia che il racconto di Urwa
sia vero (p. 341). Lattendibilit della vicenda che avrebbe coinvolto isha si fonda semplicemente sul fatto
che essa non avrebbe potuto essere inventata in un periodo pi tardo (ivi).
Per quanto riguarda poi i fatti della vita del Profeta, i risultati sono minuscoli (p. 342). Forse egli
ordin luccisione di un oppositore, forse concluse un trattato sfavorevole per i suoi seguaci (il riferimento a
Hudaybiya, circa la cui ragioni cfr. per supra, p. 1054 quanto sostiene Lecker sulle cause di quel trattato). In
sostanza si pu dire soltanto che il racconto della Profezia e dellHijra prese forma soltanto 50 anni dopo la
morte del Profeta, ma poich il racconto viene dagli ahdth, ci si deve render conto che essi costituiscono
soltanto un mare di bugie (a sea of forgery, p. 343). Shoemaker si richiama inoltre a Donner (Narratives, etc.,
cit., p. 255-271, in particolare vedi p. 256 e p. 263) per ricordare che ci furono problemi di distorsione nella
trasmissione allorch, per le tradizioni storiche, fu mutuato, da quelle religiose, il formato hadth
(testo+isnd). Meglio dunque, ribadisce a chiusura, fondarsi soltanto sullanalisi dei testi.
Un diverso modo di affrontare lesame dei testi e degli asnd quello di H. Berg in The Development
of Exegesis in Early Islam, Richmond, Curzon, 2000; prima di esporre questo suo testo, mi sembra opportuno far
presente che le posizioni di Berg sono state chiarite supra a p. 863, riferendo di un suo importante articolo (The
Implication of, etc., cit. in Bibl. a p. 1013). Berg particolarmente legato alle posizioni di Wansbrough, che, lo
ricordo, considerava la Vulgata un documento letterario, non storico.
Questo testo di Berg apre con una accurata recensione delle ricerche delle diverse e opposte scuole,
attraverso i vari autori che egli definisce sanguigni (i prosecutori della tradizione accademica) e scettici. Un
particolare del giudizio di Berg al riguardo, un giudizio che a me sembra ben condivisibile, che tra le due
fazioni non possibile un compromesso, perch in entrambi i casi -come, del resto, ho gi avuto modo di
sottolineare- si parte da un pre-giudizio: ci che non dimostrabilmente vero va tenuto per verosimilmente
falso; ovvero, ci che non dimostrabilmente falso deve essere ritenuto vero. Questo giudizio di Berg, che
mette in luce la difficolt di trovare una via duscita alla contrapposizione, contestato per da Motzki, il quale
ritiene che la propria ricerca rappresenti esattamente la desiderata via di mezzo; posizione che non mi sento di
condividere per quanto ho gi segnalato del suo modo di procedere.
Berg passa poi ad esporre il proprio metodo di ricerca, fondato sullanalisi dei testi delle tradizioni la
cui origine ascritta ad ununica fonte e sul controllo della loro coerenza. Da questa analisi egli ritiene si possa
risalire alla autenticit degli asnd. Egli applica quindi il proprio metodo agli ahdth che fanno riferimento ad
Ibn Abbs nel Tafsr di Tabar, e ne evince la falsit degli asnd, aggiungendo che, se tra di essi ve ne fossero
di autentici, questi non sarebbero distinguibili da quelli falsi (infatti due testi incompatibili tra di loro come
1091
espressione di un medesimo autore, si elidono reciprocamente: non possono essere entrambi autentici ma, se uno
lo , non si pu decidere quale). Berg pu anche constatare, dalla propria ricerca, che gli ahdth furono proiettati
allindietro (p. 210). Trattandosi di ahdth esegetici, egli limita correttamente il proprio giudizio a questa
categoria di tradizioni, segnalando (p. 216 in n. 10) la diversa opinione di Rubin che si espresse a favore
dellantichit degli ahdth storici (EB, p. 260).
Venendo al tentativo di comprendere lorigine del fenomeno (ad Ibn Abbs vengono fatte risalire
migliaia di tradizioni esegetiche) Berg ritiene che egli assunse questo ruolo di riferimento perch, nel tempo, la
sua figura era entrata nel mito come quella del perfetto musulmano, quindi la falsificazione pu essere
avvenuta in perfetta buona fede, come cosa ovvia nel far riferimento a un garante della fede religiosa. Berg nota
inoltre che la costruzione di questo apparato deve essere avvenuta in epoca posteriore allopera di Shfi. Nelle
sue conclusioni egli sostiene tuttavia che lo studioso delle origini dellIslam non pu sottrarsi alla ricerca sugli
asnd, perch le storie sulla vita del Profeta ci impongono, nonostante la ricerca sia difficile e il dibattito al
riguardo, lungo e noioso (p. 219).
Ci che per mi preme segnalare, tra le conclusioni, altro. Berg afferma infatti testualmente, a p.
226: Tutti i pi antichi testi islamici sono il prodotto di due processi intrecciati di formazione sociale e di
produzione mitica, ci che equivale a dire che la Vulgata rappresenta non gi la storia ma il mito di
fondazione dellIslam. Nel caso di Ibn Abbs egli rappresent il mito originario dellesegesi coranica, la fusione
del mito e del consenso diede origine agli ahdth che portano il suo nome. Su questo aspetto mitico del
progenitore degli Abbsidi, ricordo un importante studio di C. Gilliot, Portrait mythique dIbn Abbs,
Arabica, 32, 2, 1985, al quale Berg fa ampio riferimento.
Questa ricerca di Berg fu criticata da Motzki con un articolo, The Question of the Authenticity of
Muslim Traditions reconsidered: a Review Article, in Method and Theory, etc., cit., sul quale, come in altre
circostanze, non mi soffermo perch penso sia ormai chiaro il suo modo di argomentare e di condurre le ricerche;
qualche cenno viceversa ritengo di fare circa la risposta che venne da Berg, Competing Paradigms in the Study
of Islamic Origins: Qurn 15:89-91 and the Value of Isnds, sempre in Method and Theory, etc., cit. Qui, dopo
aver ribadito la propria opinione circa limpossibilit di mediare lapproccio sanguigno e quello scettico (al
quale indubbiamente Berg appartiene) Berg afferma che il primo approccio appare pi rigoroso sul piano
metodologico, salvo trovare soluzioni come errore del copista o simili quando si constati qualche anomalia.
Tuttavia esso si basa sullaccettazione del quadro epistemologico islamico, ci che per gli scettici
assolutamente ingenuo. Non riconoscere per tale ci che soltanto letteratura, e trattarlo come un dato storico
o archeologico mentre soltanto una storia di salvezza, fa immaginare lIslam come un evento eccezionale, ma
ci semplicemente insostenibile (p. 288, corsivo mio).
Lapproccio scettico pi rigoroso sul piano teorico, e accetterebbe quel quadro se non si trattasse di
un quadro creato dopo e proiettato allindietro con luso degli asnd (ivi). Berg espone poi di nuovo i due
pregiudizi dei quali ho gi detto, e sottolinea che, praticamente, tutto quel che si sa del periodo formativo
dellIslam, sul piano storico, legale, esegetico, e cos via, ci giunge sotto forma di ahdth con i loro asnd, e
perci pu essere esaminato soltanto con una analisi letteraria (p. 289). Come si noter, siamo di nuovo a
Wansbrough. Aggiunge poi (ivi): La presenza di asnd indica semplicemente che i materiali ai quali sono
legati raggiunsero la propria forma finale soltanto dopo lottocento d.C. (o appena prima il 200 H.). Perci gli
asnd debbono essere stati fabbricati.
Berg ribadisce dunque lincompatibilit dei due approcci; resta comunque, per quel che s visto,
limpossibilit, anche per i pi sanguigni, di superare il livello dellultimo terzo del I sec. H -quando, cio, gi
si stava formando lIslam classico, quello che conosciamo- e linutilit di accertare lipotetica circolazione, in
epoca genericamente antica, di tradizioni che non hanno alcuna credibilit, come la rivelazione ad opera di
Gabriele o la purificazione del cuore del Profeta o altre vicende puramente agiografiche. In altre parole:
limpossibilit di far divenire storia quello che semplicemente un mito di fondazione.
Pi problematica V. Comerro, La figure historique dIbn Abbs, RE.M.M.M., 129, 2011, ma a partire
da un diverso concetto della storia che deve considerarsi comunque una narrazione. In questo senso, pur
trovandoci in presenza di una costruzione evidentemente letteraria, non si pu escludere che testi tra loro
incompatibili esprimano una diversit di prospettive, funzione di interessi diversi che tuttavia fanno riferimento a
qualcosa di reale. In fondo, Ibn Abbs fu il campione di una causa che storica, quella del legittimismo
religioso in rapporto ad una prospettiva abbside.

A questo punto mi sembra giunto il momento nel quale utile introdurre un articolo di C.F. Robinson,
Reconstructing Early Islam: Truth and Consequences, in Method and Theory, etc., cit. Si tratta di un articolo
ricco di osservazioni stimolanti, riflessioni puntuali su aspetti della storiografia relativa allIslam che restano
sospesi come interrogativi ai quali sarebbe necessario dare una risposta, o dei quali si deve comunque tener
conto allorch si debba valutare la consistenza delle premesse, non sempre esplicite, che guidano i singoli
studiosi. Per questa loro natura puntuale, mi sembra opportuno riportare le osservazioni di Robinson cos come
esse vengono formulate, senza trarne necessariamente uno schema generale ma tenendole tutte ben in mente nel

1092
recepire le conclusioni dei vari autori su un evento, il primo Islam, la cui realt sembra sfuggire per mancanza di
notizie attendibili ma che non si riesce a delineare, sia pure in via ipotetica, anche per problemi di metodo.
Seguo perci la via di segnalare punto per punto le varie osservazioni di Robinson, che rappresentano
una critica agli assunti, per lo pi impliciti, degli orientalisti (tutti i corsivi sono miei):

- a p. 101 Robinson sostiene che la parola Islam parola che non spiega nulla e che, se mai, dobbiamo agli studiosi
di storia romana, non agli orientalisti, lambizioso tentativo di integrare lIslam nella Tarda Antichit;
- a p. 102 ci si domanda: perch la storia fatta dai Musulmani descritta in termini religiosi (storia islamica o
dellIslam) mentre la nostra storia Romana, Bizantina e cos via?
- a p. 104 sgg., Robinson sostiene che lIslam descritto da Gibb e dagli orientalisti del XIX-XX sec. soltanto lIslam
moderno, che anche lIslam dei modernisti Musulmani; ci conseguenza dellatteggiamento del XVIII secolo, nel
quale si inizi a produrre una Religionswissenschaft come storia di una sfera umana distinta dalle altre;
- a p. 107 si sostiene che in questo modo si reificato negli studiosi lorientalismo dei Francesi e degli Inglesi;
- alle pp. 107-108 si sottolinea che accanto allIslam degli orientalisti del XIX secolo si svilupp la reinvenzione
dellIslam ad opera degli islamisti, che gi con Afghn imposero la distinzione tra Islam e Occidente. Mi
permetto di aggiungere che questa dicotomia lultima propaggine di unantica dicotomia razionalista nata con
listituzionalizzazione delle ortodossie per troncare le infinite possibili letture del messaggio testamentario;
- a p. 110, Robinson sottolinea che i modernisti islamici del XIX secolo hanno cos costruito un nuovo Islam grazie
alla propria partecipazione sociale a nuove configurazioni del potere, a partire dalla stampa. Mi permetto di notare
che si tratterebbe di un fenomeno analogo a quello avvenuto in Occidente, con lemergere di intellighentzie piccolo-
borghesi, depositarie della fabbrica delle ideologie;
- alle pp. 110-111 si ribadisce che orientalisti e islamisti operano con le medesime categorie. Il ritorno predicato da
questi ultimi -individui senza educazione religiosa di tipo premoderno- verso un Islam concettualizzato come
sistema e conoscibile soltanto attraverso i testi. Penso che qui Robinson voglia intendere che la concezione otto-
novecentesca del mondo islamico come monolite di alterit ha contribuito, grazie alle sue stesse categorie, a creare
lislamismo odierno. Ho anche limpressione che Robinson voglia idealizzare (p. 109) un Islam plurale dei tempi di
al-Ghazl, che, di certo, pluralista non era;
- a p. 115 nota che, per gli islamisti, non si pu capire lIslam senza abbracciarne la fede, cos come, per gli
orientalisti, non si pu capire lIslam senza conoscere la filologia araba;
- a p. 116 osserva che orientalisti e islamisti nutrono un rancore reciproco, ma hanno gli stessi metodi: entrambi sono
positivisti, il vero va cercato nei testi, e si alimenta un feticismo dei fatti come evidenze testuali. In effetti, mi
permetto di notare, si perso di vista il carattere puramente speculativo di ogni possibile storia il cui scopo, e
comunque la cui unica possibilit, ripensare il passato attraverso un ordine mentale che anche una scommessa sul
futuro;
- a p. 118 Robinson osserva che il nostro positivismo ha confuso convenzioni letterarie con prassi sociali: non si
registra come realmente praticavano la Legge i Musulmani, ma sulla Legge si fa un discorso altamente teorico, non
pragmatico;
- a p. 119 sponsorizza il contributo che potrebbe derivare da una storia islamica sganciata dagli schemi degli
orientalisti, onde far avanzare un dibattito inter-islamico attraverso la storicizzazione di concetti e istituzioni. Questa
petizione mi sembra tanto giusta, in quanto la storicizzazione precisamente il tentativo frustrato dellIslam
liberale per portare il mondo musulmano fuori dalla stagnazione cui sembra condannato dai tempi della vittoria
degli ulam, di Shfi e dellinvenzione della Sunnah;
- infatti, a p. 123, Robinson viene sullargomento della Sunnah, circa la quale il problema non credervi o non
credervi: per lo storico si tratta di storicizzarla come processo di concentrazione dellautorit religiosa in un gruppo
sociale. Prima di allora si potevano criticare i quattro Califfi Rashidn e i Compagni, mentre i Califfi potevano
dichiararsi Vicari di Allh e disputare con i tradizionalisti (questo un argomento che ho accennato gi in Dopo e a
lato: cera un dinamismo che fu congelato);
- a p. 124 definisce gli Abbsidi come dei parvenus che furono attaccati dai tradizionalisti a causa della loro apertura
al pensiero greco (anche di questo si parlato in Dopo e a lato). Mi permetto di notare che gli Abbsidi giunsero al
potere sullonda di una rivoluzione anti-omeyyade che veniva dal basso, dove aveva sempre covato, precisamente in
nome di valori dellIslam disattesi; sicch, pur avendo prontamente liquidato il pericoloso Ab Muslim, dovettero
fare i conti con il piccolo clero che poterono tenere a bada soltanto sinch il potere fu cos forte da consentirlo: dopo,
dovettero pagare il prezzo alla nuova societ creata con la rivoluzione, e ai portatori dellideologia. Nota ancora
Robinson, a proposito di questo passaggio epocale, che dietro lomogeneit dei tradizionisti del X secolo, c
leterogeneit dellVIII e del IX; e afferma: riformare il pensiero islamico richiede lo smantellamento
dellepistemologia fondata sugli ahdth;
- Robinson prosegue poi sottolineando che al cuore dellIslam del I sec. H. c il jihd (in questo si riallaccia a D.
Cook, delle cui ricerche sullApocalitticismo islamico ho fatto cenno nellAppendice alla V edizione e sul quale
torner infra);
- su questo e altri argomenti, a p. 126, a proposito di ci che contenuto nel Testo sacro, afferma che il Corano ci
che la Comunit pensava che il Profeta avesse in mente, e che la Costituzione di Medina documenta un proto-Stato
in pieno assetto di guerra;
- a p. 127 afferma che anche per lo Stato omeyyade, prendere le armi era un atto di piet, perci il jihd, sia che lo si
intenda come obbligo individuale che come obbligo collettivo, cio di chi governa, una realt sopravvissuta;
- a p. 128 Robinson fa una constatazione che si avvia ad essere conclusiva e che fondamentale: gli orientalisti
condividono la concezione musulmana, che un vecchio pregiudizio, di una eccezionalit dellIslam. Poich larabo
difficile e lIslam unaltra cosa, nasce da qui lasserzione di previlegio professorale degli orientalisti. In effetti,

1093
comunque la si pensi sui suoi lavori, questa obbiezione della Crone resta fondamentale, e, come si vedr tra breve,
conduce alla conclusione finale di Robinson;
- a p. 129, e a proposito della storia della Tarda Antichit, Robinson afferma che i Musulmani, nella loro guerra santa,
erano guidati da considerazioni che erano anche le medesime dei Cristiani e dei Giudei (e bench questa sembri una
giustificazione, siamo viceversa a una rinnovata critica alla pretesa eccezionalit dellIslam);
- a p. 131 afferma quanto anche altri sostengono, cio che impossibile formulare qualunque ipotesi sulle origini
dellIslam sinch non ci sar unarcheologia dellHijz;
- a p. 132 Robinson sottolinea che per capire quelle origini ci sono soltanto due possibili alternative: o lIslam fu
forgiato fuori dallArabia, in Siria, nellVIII-IX scolo, oppure lHijz dei tempi del Profeta non era estraneo alla
cultura religiosa del Medio Oriente;
- a p. 133 effettua una scelta: in effetti ci si sta accorgendo che lHijz faceva parte della koin religiosa della Tarda
Antichit: mi permetto di notare che questa constatazione non era sfuggita agli studiosi dei primi decenni del XX
secolo (tant che sulla loro base e sulla discendenza giudeocristiana mi sono fondato in Dopo e a lato) e che
levidenza fu obliterata soltanto per lopera di quei pi recenti orientalisti che si sono consegnati alla Vulgata, e alla
leggenda del politeismo;
- a p. 134 la conclusione: leccezionalismo dellIslam dice molto sulle idee degli accademici, ma le leggi della storia
non furono sospese nel sud-ovest asiatico.

La storia ci mostra infatti che in ben diverso modo -rispetto alla pretesa vicenda dellIslam- nacquero
e si formarono il Giudaismo, il Cristianesimo e altre religioni: non si vede perch cos non sia stato per lIslam,
perch mai per esso non valgano le leggi che regolano questi fenomeni sociali e culturali: a meno di non essere
un credente, in questo caso la fede si rispetta, ma con essa non si fa storia.
Le osservazioni di Robinson mi sembrano pertinenti, in particolare trovo interessanti non soltanto la
denuncia dellinsufficienza di un approccio puramente orientalista per tentar di comprendere lIslam; ma anche
il ruolo centrale dellinvenzione della Sunnah come punto di svolta (negativo) nella storia dellIslam; e il
ricollocamento dellHijz nellambito di un mondo mediorientale dal quale sembrava stranamente escluderlo la
Vulgata islamica. Sono osservazioni che vengono da chi voglia affrontare il problema con i dubbi dello storico.

Un ulteriore articolo che vorrei segnalare quello di Ch. Melkert, The Early History of Islamic Law,
in Method and Theory, cit. Melkert osserva che la Legge islamica si cristallizz al passaggio dal III al IV sec. H.,
e si pone una domanda che evidentemente rinvia alla necessit che lHijz facesse parte della koyn religiosa
mediorientale evocata da Robinson. Si domanda infatti Melkert se la Legge si svilupp nella mezzaluna fertile a
contatto con le religioni preesistenti, o nellHijz in totale isolamento (p. 294). Se cos fosse, obbietta, ci
troveremmo a dover pensare per lIslam un percorso completamente diverso da quello delle altre religioni, le
quali tutte hanno avuto un percorso di sviluppo (p. 295): per esempio, dice Melkert, concetti fondamentali come
Paradiso, Inferno e Giudizio finale, nascono in Iran ed entrano nel Giudaismo, poi nel Cristianesimo, soltanto a
partire dallesilio babilonese (su questo cfr. supra, p. 819 sgg.). Inoltre, nota ancora, il Corano non dice nulla
sullHijz (p. 296) mentre sembra conoscere bene le precedenti Rivelazioni, anche se gli ahdth minimizzano
linfluenza giudaica e cristiana sullIslam.
Dopo aver passato in rassegna le posizioni di Crone-Cook e di Hallaq (cfr. supra) per quanto concerne
lorigine della legge relativa ai mawl, ricorda lobbiezione di Schacht relativa allet delle leggi che,
nonostante le retroproiezioni degli ahdth, non pu essere pensata come esistente in unepoca nella quale essa
non risulta applicata. Motzki ha criticato molto Schacht, ma, secondo Melkert, il suo lavoro ha mostrato tuttal
pi che gli asnd non sono del tutto insensati (p. 302). Motzki, dice Melkert, ha mostrato con buona certezza ci
che i Successori credevano attorno allinizio del II sec. H., ma per il resto si deve limitare a supporre (corsivo
mio) che le notizie vengano dai Compagni; egli si rivela pertanto cauto e rigoroso, ma di fatto riduce il proprio
lavoro a una nota a pi di pagina (footnote) del lavoro di Schacht (ivi) spostando la proliferazione degli
ahdth dalla fine del II secolo alla fine del I. Motzki minimizza implicitamente linfluenza di tradizioni non
islamiche, comunque non risolve il problema degli ahdth contraddittori (p. 303). Ad esempio, venendo alla
polemica di Motzki con Juynboll (cfr. supra, p. 1083 ) Melkert ricorda che Motzki sostenne che la figura di
Nfi non fu uninvenzione, ma che ci serv a ben poco: infatti, sulla questione della beneficienza alla fine del
Ramadn (la zakt al-fitr) una volta giunti al nucleo comune di tutte le versioni tramandate, se ne cava talmente
poco da chiedersi se la ricerca sia valsa la pena (p. 303). La riluttanza di Motzki a spingersi pi indietro del II
sec. H. coincide con la linea scettica che vede il diritto islamico formarsi con il II secolo; per alcuni anche lo
stesso Corano non si sarebbe formato prima di allora. Sottolineo che tra questi de Prmare, sulla cui ricerca mi
fermer in dettaglio pi sotto. Secondo Schacht gli elementi normativi furono persino introdotti nel Corano in un
secondo momento (p. 304). Vi stato anche chi ha notato differenze tra la lingua del Corano e la terminologia
tecnica della Legge.
Melkert ritiene importanti, al riguardo, le conclusioni di Calder (p. 307) secondo il quale lorigine del
diritto fu nellambiente urbano ed inutile ricercare oltre questo dato, a causa della cultura comune che avevano
tutti i popoli del Medio Oriente e anche perch molte potenziali influenze non sono pi rintracciabili: ad esempio
le molte variet scomparse di Giudaismo, Cristianesimo e altre religioni (corsivo mio). La grande differenza
introdotta dalla Legge islamica fu la fine del ragionamento indipendente sostituita dallinterpretazione dei sacri

1094
testi, essenzialmente ahdth profetici (ivi). Questa era la tesi di Schacht, con la differenza che Schacht attribuiva
la svolta a Shfi, mentre per Calder avvenne un secolo dopo la morte di questultimo (sulla Legge islamica e il
suo fondamento si pu consultare, in lingua italiana, S.A. Aldeeb Abu Sahlieh, Il diritto islamico. Fondamenti,
fonti, istituzioni, ed, italiana a cura di M. Arena, Roma, Carocci, 2008, di facile consultazione e molto ben
documentata).
Quel che per lascia pensare ad una nascita comunque tarda della Legge islamica, lobbiezione
fondamentale di Schacht: come mai gli asnd rinviano ad esperti del I e II secolo la fondazione delle norme su
(presunte) sentenze del Profeta, cio ad unepoca nella quale risultano esistere altri esperti che si basavano
sventatamente (headlessly) su costumi locali o su preferenze personali? (questa realt, lo ricordo per inciso,
allorigine della necessit avvertita da Shfi per intraprendere la propria opera). Le risposte a questa domanda
possono essere soltanto due: o verano dei giuristi che vivevano avulsi dalla realt in atto tra i propri colleghi, ci
che sembra poco verosimile, oppure i nomi che appaiono alla radice degli asnd sono il risultato di
retroproiezioni di una pi tarda ortodossia.
Questa la posizione di Melkert, alla quale mi sembra necessario aggiungere una postilla. Le ricerche
di Motzki, Schoeler e Grke non sono da sottovalutare, anche se i loro risultati non possono condurre oltre i
limiti del ragionevole. Esiste infatti tutta una corrente di studio (che potremmo definire davvero ultrascettica)
secondo la quale lIslam neppure sarebbe esistito prima dellVIII-IX secolo (cfr. supra, p. 1089). Questa corrente
raggruppa vari studiosi che, dopo aver sottolineato tutti i dubbi sollevati dalla lettura delle tradizioni islamiche,
tenta di dar loro una soluzione attraverso una serie di ipotesi tanto ingegnose quanto fragili nel fondamento,
fragili perch, precisamente con mere ipotesi, si vuol scardinare un fenomeno tanto grigio nelle proprie origini
quanto consolidato nella propria realt, cio nella realt di un necessario radicamento anteriore, nellultimo terzo
del I sec. H. Siamo cio in presenza di quanto rilevato supra nei confronti delle tesi del famoso Hagarism a p.
856, che qui non posso esimermi dal ripetere: se la pars destruens certamente aggressiva, ma non infondata, la
pars construens una brillante prova dingegno su fondamenta quasi evanescenti.
Faccio riferimento, ad esempio, agli studi contenuti in due opere collettive, Der frhe Islam, hrsg. von
K.H. Ohlig, Berlin, Verlag Hans Schiler, 2007, 2. Auflage 2010, e The Hidden Origins of Islam, ed. by K.H.
Ohlig and G.R. Puin, Amherst, Prometheus Books, 2010. Facendo eccezione dai contributi di Gilliot e di de
Prmare, sui quali non mi soffermo perch il primo ripete un articolo gi discusso supra a p. 870, relativo agli
informatori giudei e cristiani del Profeta, il secondo rientra nella pi generale visione di de Prmare che
esporr in seguito, non ritengo perci di dilungarmi sulle tesi ivi presenti, che giungono sino a ritenere
Muwiyya un Cristiano e Abd al-Malik sostanzialmente un Ariano. Di fatto coloro che ritengono che lIslam
non sia esistito prima dellVIII secolo, lasciano comunque aperti due dubbi troppo grandi per poter procedere
lungo quel sentiero. La prima : come mai non sia rimasta traccia di divergenze e conflitti per il nascere di una
nuova religione dei dominatori Arabi sino allora non distinguibili, sul piano religioso, dalle popolazioni Cristiane
e Giudee (nelle varie accezioni, ortodosse e non, di queste fedi). La seconda, conseguenziale alla prima, che
si assisterebbe comunque, con la translazione di un secolo, allo stesso miracolo, un vero adnaton della storia,
proposto dalla Vulgata: una religione nuova che nasce come Minerva dalla testa di Giove. In realt, tra le tante
ipotesi possibili, la sola che abbia, pur nelle sue lacune, una configurazione ragionevole, resta quella perseguita
dalla maggioranza degli studiosi e qui ripetutamente sottolineata, quella di un processo formativo iniziato in una
zona grigia del VII secolo nella koyn monoteista grazie alla sintesi del Profeta, ma non secondo gli schemi della
Vulgata, secondo le sue tradizioni, i suoi ahdth, i suoi asnd e la sua Sharah, tutte cose maturate un secolo o
due pi tardi; bens giunta a definizione sotto la forma dellIslam storico che conosciamo soltanto nel corso
dellVIII-IX secolo.
Mi sembra quindi giunto il momento di dedicare lattenzione alle due sintesi offerte da A.L. de
Prmare, Aux origines du Coran. Questions dhier, approches daujourdhui, Paris, Tradre, s.i.d. ma 2004; e
Les fondations de lIslam, Paris, Seuil, 2002.

Iniziamo con la sua ricostruzione delle fondamenta dellIslam, tenendo per presente che i due testi di
de Prmare vanno pensati in modo unitario, in conseguenza del tema che coinvolge globalmente le vicende
relative allorigine storica dellIslam. Tuttavia, trattandosi di due volumi distinti, non mi sembra opportuno farne
la sintesi e preferisco riassumere in successione i contenuti salienti di ciascuno di essi (eventuali corsivi sono
miei).
Afferma ad apertura de Prmare (p. 18) che i racconti sulle origini dellIslam non sono documenti
storici contemporanei allevento, ma sono pi tardi, sono una costruzione artificiale che strutturano una storia
sacralizzata e gi interpretata (come si vede gi, egli uno scettico) Poich, inoltre, la biografia del Profeta
verosimilmente impossibile, stante la natura delle fonti islamiche, egli non si propone di scriverne, ma di scrivere
un saggio, per quanto possibile documentato, su come lIslam apparve nella storia (p. 30). Per questa ragione
inizia il secondo capitolo (pp. 35-56) esponendo le notizie sullIslam del VII secolo provenienti da fonti non
islamiche, che accennano allattivit giovanile del Profeta in veste di mercante, allargando poi la sua visuale al
quadro delle trib arabe nel VI-VII secolo (sul quale importante far riferimento alla grande ricerca di Irfan
Shahd, cit. supra a p. 1067). Ricorda che i Ghassnidi erano cristiani e federati dei Bizantini (p. 47) e analizza
un racconto leggendario relativo ai commerci di Umar e dei Qurayshiti verso la Palestina per evincerne il
1095
controllo esercitato a nord dai Judhm e dai Ghassnidi, verosimilmente per conto dei Bizantini. Quanto alla
natura dei commerci dei Qurayshiti, de Prmare si attiene alle conclusioni raggiunte dalla Crone in Meccan
Trade, etc., cit in Bibl. a p.1014 ed esposto a p. 859, che ritenne trattarsi di merci ordinarie.
Con il terzo capitolo (pp. 57-71) de Prmare d il quadro genealogico e sociale dei Qurayshiti e delle
loro attivit commerciali, soprattutto in relazione alla Siria, ci che gli serve per considerare aspetti della
famiglia del Profeta, ad iniziare dalla figura del padre, morto di ritorno da un viaggio di commercio (p. 71).
Segue, nel quarto capitolo (pp. 72-81) lanalisi delle genealogie e degli interessi mercantili in Siria dei futuri
conquistatori; ricorda, tra laltro, che il Profeta possedeva un terreno ad Hebron (p. 75). Tutto ci lo induce a
inquadrare il processo storico di espansione dellIslam nellambito di una osmosi commerciale da sempre esistita
tra i commercianti della Mecca e gli Arabi di Siria e Palestina, federati a loro volta con Bisanzio o con la Persia,
delineando un quadro storico dei futuri Compagni come ex mercanti.
Il quinto capitolo (pp. 84-115) dedicato a Medina e allEgira, quindi vi ritroviamo argomenti gi
discussi lungamente supra in vari luoghi e sotto molteplici aspetti, in particolare, per quanto riguarda la
cosiddetta Costituzione, alle pp. 1065-1075; per questa ragione vedremo ripetute alcune delle conclusioni gi
elaborate e mi esimer dallentrare nei dettagli dellelaborazione di de Prmare. Questi esordisce definendo
lIslam come sottomissione ad un nuovo potere a fondamento divino, e ricordando che lautoproclamazione a
Profeta non un fatto nuovo nella cultura religiosa del Medio Oriente. Ricordo, a titolo di notazione personale,
lipotesi gi sviluppata supra, di eventi che hanno luogo nel quadro di una cultura settaria (o, se vogliamo,
eterodossa) a fondamento testamentario. Successivamente (p. 92) de Prmare sottolinea che le contemporanee
cronache cristiane videro Maometto come un capo militare.
Trovo inoltre interessante segnalare che lo studioso francese avvalora le proprie considerazioni su ci
che matur a Medina, fondandole su una interpretazione dei termini presenti nel Patto analoga a quanto avevamo
gi visto: muminn, dal verbo mana (IV forma del verbo amana) non significa fedeli ma garanti del patto
comunitario; kfirn non sono gli infedeli o i politeisti, ma coloro che rifiutano il patto in oggetto (pp. 92-
97). Scopo del Patto fu la partecipazione comune alla guerra; a questo proposito, e a proposito di ci che
distingue lIslam gi dagli albori, de Prmare nota che il termine jihd, sul quale tanto si speculato per stabilire
se si trattasse di un obbligo alla guerra nel senso stretto della parola, alternato con quello inequivocabile di
qitl, dal verbo qatala, che non si presta ad essere equivocato come sforzo, ma indica chiaramente la lotta
cruenta per lannientamento del nemico, di chi non fa parte del Patto, nella quale si uccide o si uccisi (p. 95).
Ho gi trattato largomento con riferimento ai lavori di D. Cook a p. 831, e la cosa ricordata anche da Robinson
(supra, p. 1092); ne torner a parlare parlando ancora dellApocalitticismo islamico studiato da D. Cook.
De Prmare nota poi le difficolt che caratterizzano lidentificazione di Medina con lantica Yathrib,
luogo popolato da sedentari Giudei, forse la metropoli della grande area coltivata, loasi nota con il nome di al-
Madna, nome che, se fosse di origine ebraica o aramaica, indicherebbe per lappunto un distretto popolato da
vari insediamenti, una citt con le sue borgate, le fortezze, i luoghi vari dinsediamento (p. 101); inoltre c un
hadth riferito al Profeta che interdice luso del nome Yathrib che, secondo le tradizioni, sarebbe dorigine ebrea
(p. 103). Questa difficolt ad individuare esattamente il luogo di partenza delle conquiste (anche per lassenza di
unarcheologia che possa identificare lantico insediamento ebraico) viene aumentata da ahdth che
tenderebbero a collocare il luogo dellEgira nel Bahrein o a Qinnasrn, in Siria, a una giornata di marcia da
Aleppo (pp. 105-107) localit che hanno un ruolo storico nella prima espansione islamica (ivi). Quanto
allorigine dellEgira cos come tramandata nella Vulgata, anche su di essa vi sono dubbi, perch avrebbe potuto
essere il risultato di un accordo preso alla Mecca (pp. 108-110; cfr. supra larticolo di Lecker, p. 1039).
De Prmare conclude il capitolo con un riferimento tratto dalla Muqaddima di Ibn Khaldn per
sottolineare che il fondamento originale dellIslam fu effettivamente in una chiamata universale al jihd per la
conquista del mondo (pp. 112-115).
I successivi capitoli 6-7-8 (pp. 116-172) affrontano le vicende della Ridda e lespansione del primo
Islam in direzione della Palestina e della Siria. Che cosa sia stata la Ridda lho gi accennato (cfr. supra, p. 1050
e pp. 1054-1056). Qui de Prmare (pp. 117-121) sottolinea che il significato della parola rigetto, ma che gli
storici musulmani le danno il significato di apostasia, perch lIslam era sottomissione a un potere politico che
anche, e innanzitutto, potere religioso (p. 119). Quanto alle spedizioni in Palestina, la cui conquista non certo
iniziasse con il Profeta ancora vivente, de Prmare ricorda che liniziale spinta verso nord di Maometto conobbe
una forte opposizione, con riferimento alla spedizione di Tabk e allepisodio dei munfiqn, entrambi gi
trattati supra a proposito della Costituzione di Medina. Ricorda anche che nel 660 la cronaca armena di Sebos
parlava di Maometto come uomo molto colto nella conoscenza delle Scritture (p. 132) e che non esisteva ancora
alcuna storiografia araba, n sulla profezia, n sulla conquista della Siria e della Palestina, allorch, nel IV
decennio del VII secolo, la Doctrina Jacobi fa riferimento agli Arabi guidati da un falso Profeta, falso perch
armato, mentre i Profeti veri non lo sono (pp. 148-150). In questa conquista araba resta oscuro il ruolo dei
Giudei, ed possibile che essi abbiano considerato gli Arabi come liberatori (pp. 161-165); sul ruolo degli Arabi
a Gerusalemme ho gi fatto cenno supra ad alcune tradizioni, che li vedono come continuatori di una fede
testamentaria tradta dai Cristiani e come restauratori del Tempio. A questo riguardo, de Prmare, che riporta
parte delle tradizioni in oggetto (che abbiamo gi visto negli articoli di Busse) pone come alternativa al
significato arabo dellappellativo frq (colui che divide, sottinteso: il bene dal male) attribuito ad Umar, la
1096
possibile arabizzazione del termine aramaico porq, salvatore, liberatore (p. 165). Egli vede comunque, nella
cacciata dei Bizantini da Gerusalemme, il compimento di una apocalittica giudaica (p. 172).
Il nono capitolo (pp. 173-197) dedicato alla conquista del regno sassanide, che de Prmare segue
attraverso la cronaca di Tommaso il Presbitero e quella di Zuqnn, oltrech dai resoconti degli storici arabi.
Particolare interesse viene rivolto agli eventi della Jezirah, laltopiano fertile posto a nord della regione tra il
Tigri e lEufrate, sempre conteso tra Romani e Bizantini da un lato, Persiani dallaltro. L era Edessa, con il suo
grande passato culturale cristiano (Taziano e il suo Diatessaron, lelaborazione del testo biblico nella Peshitta);
il Cristianesimo e lo Zoroastrismo erano le due religioni dominanti, forte era la presenza ebraica. L era anche
Harrn, con i suoi residui culti pagani, astrali. Forte era infine la presenza manichea; quanto alla Mesopotamia in
generale, ho gi ricordato il pullulare di sette gnostiche (con riferimento alle ricerche di Halm, Die Islamische
Gnosis, e K. Rudolph, Die Mander, citt.). La pace imposta dai Musulmani fu molto dura: proibizione di
costruire nuove chiese, pagamento della jizya, la tassa sui dhimm, che divenne ufficiale sotto Abd al-Malik e
definitiva sotto Yzd II. Agli Arabi Taghlib, che erano cristiani, fu impedito il battesimo dei figli. Quanto alla
cruenta conquista dellArmenia nel 640, essa testimoniata dalla cronaca di Zuqnn e da quella di Sebos. De
Prmare traccia ancora la storia delle conquiste attraverso le cronache del tempo, parlando della Persia e
dellEgitto, dove la popolazione monofisita non amava i Bizantini, considerati eretici; successivamente si dedica
allanalisi degli eventi attraverso le iscrizioni (pp. 227-241).
Ne segue un panorama del Cristianesimo nella Siria antecedente la conquista, e dal siriano delle
iscrizioni sembra derivare la grafia della scrittura araba testimoniata nella Cupola della Roccia (p. 241). La
scrittura araba propriamente detta aveva gi iniziato a diffondersi prima del VII secolo, dopo il quale diviene pi
frequente; essa era diffusa in Giordania e nella Siria ghassnide, regioni cristiane (ivi). De Prmare passa poi ad
analizzare il ruolo di Hra (cfr. supra, p. 1054) a proposito della scrittura araba, che, secondo la tradizione,
avrebbe avuto origine ad Anbr, sulla riva sinistra dellEufrate, di dove si sarebbe trasmessa ad Hra, sulla riva
destra (p. 242). Anbr era un luogo di insediamento cristiano, e la regione della quale faceva parte, tra lEufrate e
il Tigri, era detta terra degli Aramei. Per quanto concerne la religiosit di questa regione, mi sembra
interessante fare un riferimento alle caratteristiche gnostico/millenariste delle sette giudeocristiane che vi
pullulavano (vedi Halm e Rudolph citati) insieme al contributo rilevante dei suoi convertiti nella formazione
dellIslam storicamente noto, tra il VII e il X secolo, pi volte ricordato da autori come, ad esempio, Juynboll.
Forte era, ad Anbr, anche il Giudaismo (p. 244) e de Prmare sostiene che esso ebbe un peso sulla nascente
religione islamica (ivi) come anche lo ebbero il Manicheismo e il Cristianesimo nestoriano. Sulle affinit di
questultimo con lIslam ho fatto cenno pi volte, soprattutto a proposito del tema dellAdozionismo. Dunque,
Hra avrebbe avuto un ruolo non soltanto nella diffusione verso lHijz della scrittura araba, ma anche del
Manicheismo, mentre il Cristianesimo nestoriano si era diffuso da l verso le coste orientali della penisola araba
(ivi e p. 254). Hra sembra aver giocato quindi il ruolo di cerniera tra la Tarda Antichit e lIslam, ci che
impone di guardare ad essa con attenzione (p. 245)
Come sappiamo, Hra fu governata dai Lakhmidi, federati dei Persiani, sino allinizio del VII secolo; i
Lakhmidi per furono eliminati dai Persiani stessi, che assunsero il controllo diretto della citt e successivamente
furono sconfitti dagli Arabi Taghlib, col risultato che la Persia ne usc fortemente indebolita ai tempi della guerra
con Bisanzio; la citt fu poi sottomessa dai Musulmani dopo la vittoria di Qdisiyya nel 637. L, secondo una
cronaca maronita, fu ucciso Al, che le fonti siriache contemporanee alla conquista qualificano come Emiro di
Hra. Per gli Arabi egli fu viceversa ucciso a Kfa, da loro fondata a 6 chilometri da Hra (p. 249). per
interessante constatare che, precisamente a Hra, Ibn Ishq incontr al-Mansr e scrisse la storia del Profeta
raccogliendo le varie tradizioni (p. 250; cfr. supra, p. 1039). A quel tempo Hra e Anbr erano ancora sedi
califfali (ivi). Fu anche l che i Musulmani dovettero confrontarsi con i Cristiani (lultimo Re di Hra si era fatto
Nestoriano) i Giudei e i Manichei dai quali fu mutuato, secondo de Prmare, il concetto di sigillo dei Profeti
(p. 253); sappiamo inoltre che dal VI secolo erano presenti anche i Monofisiti (p. 262). Inoltre le iscrizioni arabe
dei monasteri sembrano riferirsi a contenuti cristiani, mentre la lingua mostra influenze siriache (p. 264) e ancora
alla fine del IX secolo lalta societ cittadina era costituita da Cristiani, come notano con stupore i cronisti
Musulmani (p. 259).
Interrompo un attimo lesposizione, per sottolineare che tutta questa messe di notizie assemblata da de
Prmare, non casuale n eterogenea: essa ha lo scopo di fornire un quadro del mondo nel quale si form
lIslam, e di mostrare come esso si trov immerso in un ambiente religioso e civile al quale non era estraneo sin
dalle origini, e al quale non poteva certamente restare estraneo nel periodo della propria formazione dottrinale,
avvenuta grazie al massiccio contributo dei dotti che si convertirono alla religione dei vincitori. Un quadro che
tutto testimonia tranne la presunta eccezionalit dellIslam e la sua nascita in purezza dallHijz.
A de Prmare interessa mostrare, e in tal senso si sviluppa lulteriore indagine sulle notizie, sui testi e
sulle iscrizioni, la fondamentale presenza, antica e radicata, e il lungo successivo permanere, della religione e
della cultura cristiana, che impronta di s lintera regione nelle sue accezioni Nestoriana e Monofisita, accanto al
Manicheismo. A questo riguardo egli riprende in esame le iscrizioni del Negev studiate da Nevo (cfr. supra, p.
871 sgg.) e da lui attribuite a un monoteismo indeterminato. De Prmare ne enfatizza la tonalit biblica (p. 267).
Inoltre, egli nota, ve ne sono di non datate che si tende a considerare islamiche perch le espressioni usate
appaiono anche nei testi islamici, ma il contrario, si tratta di concetti biblici che furono poi incorporati nel
1097
Corano; e il fatto che esse sembrano avere a modello testi pseudepigrafi come 4 Esdra e lApocalisse di Abramo,
gli consente di ricordare che questi ebbero s, origine giudaica, ma i loro traduttori e diffusori furono i Cristiani
(p. 268). Ovviamente, siamo nel quadro delle eterodossie pullulanti, di entrambe le religioni. Quanto al Corano,
appena il caso di ricordare la presenza massiccia in esso di elementi provenienti da Apocrifi e Pseudepigrafi;
ne ho gi fatto cenno e non posso che rinviare al testo annotato da Aldeeb Abu Sahlieh, Al-Qurn al-karm. Le
Coran. Version bilingue arabe-franaise. Ordre chronologique selon lAzhaar. Renvoy aux variantes,
abrogation, at aux crits juifs et chrtiens, s.i.l. ma Vevey, ditions de lAire, s.i.d. ma 2009. Anche la nota
iscrizione di Muwiyya sulla diga di Tif riporta, secondo de Prmare, formulari che potrebbero avere referenti
giudaici e cristiani (pp. 274-277) ma il paragone sembra alquanto forzato: ricordo quanto gi notato a p. 1094
circa le opinioni degli ultrascettici.
A p. 278 de Prmare inizia il suo esame della formazione del Corano, oggetto dellaltro suo testo sul
quale mi soffermer maggiormente. Qui inizia con la polemica, della quale traccia nel Testo sacro, che fu
rivolta contro il Profeta, accusato di limitarsi a scrivere e a ripetere storie gi note; successivamente afferma che
la storia della composizione e della raccolta del testo tramandata dalla Vulgata non pi sostenibile. In primo
luogo (p. 283) il sostantivo Qurn molto generico e pu sottintendere lesistenza di pi Corani a seconda dei
diversi memorizzatori; quanto al verbo jamaa, inteso come raccogliere, riunire, esso ha anche il senso di
memorizzare, ci che fa pensare che si possa trattare di una rimemorazione: il testo sarebbe stato raccolto
nella memoria dei seguaci del Profeta. Qui prende forma lopinione di de Prmare alla quale ho gi fatto cenno:
Corano e ahdth potrebbero essere due modi di tramandare un medesima predicazione (p. 283). Essa sarebbe
poi stata raccolta in parte nel Testo sacro, nonostante vi siano state delle resistenze sulla liceit di far ci (p.
285).
De Prmare affronta poi la narrazione tradizionale con la vicenda dei fogli trasmessi da Umar alla
figlia Hafsa, dei quali non chiara la sorte e che, forse, erano considerati pericolosi da parte di qualcuno, e
perci da distruggere (p. 286). Lo scontro tra Uthmn e Al e lassassinio prima delluno, poi dellaltro, si
riverbera poi nella vicenda del misterioso Corano di Al e della decisione autoritaria di Uthmn di rendere
vincolante la propria edizione del Corano, accompagnata dalla distruzione di tutti gli altri testi esistenti, difformi
dal suo (p. 288). vero che lassassinio del terzo Califfo fu dovuto ad una serie di rivendicazioni politiche (si
vedano gli articoli di Hinds cit. a p. 1055 sgg.) ma non vi sono taciute le lamentele sul suo Corano; comunque,
afferma de Prmare (p. 289) La costituzione di una Santa Scrittura era dunque anche una questione politica.
Quanto ai fogli di Hafsa, essi furono fatti bruciare, dopo lassassinio di Uthmn, da Marwn ibn al-Hakam, suo
cugino e Governatore dellIraq sotto Muwiyya, dunque la vicenda riguarda interessi califfali degli Omeyyadi.
Ne emerge il ruolo determinante del controllo califfale sulla fondazione scritturale della Ummah islamica (p.
292).
Questa lettura degli eventi riceve conferma dal fatto che, a quanto viene tramandato, Ubayd-Allh ibn
Ziyd, un omeyyade il cui nonno era Ab Sufyn e il cui zio Muwiyya, e che fu Governatore dellIraq,
intervenne nella definizione del Corano al quale aggiunse 2000 lettere (p. 293). Quanto alla vocalizzazione e ai
segni diacritici (indispensabili per la definizione del testo) che sino ad allora mancavano, essi furono inseriti
sotto il regno di Abd al-Malik, in un momento cio nel quale si manifestarono le prime correnti di riflessione
dogmatica nei Musulmani dopo la conquista, riflessioni condizionate da problemi di legittimit politica e
religiosa (p. 294).
Gli anni del regno di Abd al-Malik furono un periodo fondamentale per la costituzione del testo da
noi attualmente conosciuto; furono gli anni nel quale avvenne il famoso episodio del quale fu protagonista il suo
Governatore dellIraq, Hajjj. Questi, che fu lo spietato vincitore dellAnticaliffo Abdallh Ibn al-Zubayr, al
termine di una guerra durata dal 681 al 692 che vide persino il bombardamento della Kaba durante il
pellegrinaggio, stabil un proprio codice che invi in tutte la capitali dellImpero, cosa che disturb alquanto
Abd al-Malik e provoc il risentimento dei vari Governatori. Secondo alcuni si tratt di una riedizione del testo
di Uthmn; di fatto restarono in circolazione versioni diverse e, alla fine, gli Abbsidi eliminarono quella di
Hajjj (pp. 294-296). Gli anni di Abd al-Malik sono inoltre quelli della definizione dogmatica dellunicit di
Dio, con liscrizione del Duomo della Roccia; quegli anni, con la definitiva redazione del Testo Sacro, sono
dunque gli anni nei quali lIslam giunge alla propria definizione. Quanto al ruolo del Duomo della Roccia, esso
deve intendersi come santificazione della citt di Gerusalemme, centro della nuova religione e luogo di
pellegrinaggio alternativo negli anni nei quali la Mecca era tenuta dallAnticaliffo. Nasce una moneta islamica, si
ufficializza lo statuto dei dhimm e il pagamento della jizya (pp. 297-301).
Lelaborazione del Corano occup dunque tutto il I e parte del II secolo dellEgira, e non certo che
sia avvenuta secondo il racconto tradizionale; essa avvenne dapprima a Medina, poi in Siria e in Iraq; e poich
per comprenderne le vicende non abbiamo altre fonti se non quelle tradizionali, lunica possibilit per formarci
unopinione su come andarono le cose resta soltanto quella di rifarci alla Vulgata, ma con occhio critico.
Secondo la tradizione, liniziale collazione del testo vede quattro protagonisti: Zayd ibn Thbit e
Ubayy ibn Kab, entrambi segretari del Profeta; inoltre Abd Allh ibn Masd e Ab Ms al-Ashar. Il primo
sarebbe allorigine del codice di Uthmn, e, secondo alcune tradizioni, lo sarebbe anche il secondo. Il terzo era
famoso per aver memorizzato 70 sre, anche se non si sa di quali si trattasse, si sa soltanto che tra di esse non
figuravano la prima, e le ultime due; la sua recensione detta di Kfa perch, ai tempi della conquista, egli vi
1098
aveva avuto in appannaggio dei terreni; essa era tenuta in conto dagli oppositori di Uthmn, specialmente dai
partigiani di Al (p. 304). Egli aveva raccomandato ai propri seguaci di nasconderla perch il terzo Califfo
intendeva distruggerla; inoltre denunciava come fraudolenta loperazione di Zayd (ivi). Quanto al quarto, al-
Ashar, si parla anche di un suo codice, sul quale si hanno per poche notizie; sembra inoltre che le varianti
fossero minime (ivi). Nonostante la violenta azione uniformatrice del potere califfale, a Baghdad, nel X secolo,
cera ancora chi leggeva il testo di ibn Masd e quello di Ubayy, e forse altri ancora diversi da quello ufficiale
(p. 305). Una cosa, secondo de Prmare certa: il testo attuale il frutto di un assemblaggio di frammenti,
cosicch le sre sono in genere prive di unit tematica e stilistica (p. 306).
I frammenti dei quali costituito il Corano facevano parte di tradizioni esistenti in un ambiente dove
era diffusa la tradizione scritturale: tanto Zayd ibn Thbit che Ubayy ibn Kab sapevano scrivere: il primo
conosceva larabo e lebraico ed era stato allievo di una scuola di scrittura ebraica in Medina; il secondo sembra
essere stato un Rabbino prima della sua conversione allIslam, tanto che molte delle tradizioni che gli sono state
attribuite sono leggende a sfondo ebraico (pp. 306-308). De Prmare ritiene anche che le rivelazioni del Profeta
trascritte da Ubayy siano frutto della condivisione con questultimo, e porta lesempio della Sra 96, i cui
versetti riassumono espressioni e temi biblici e degli Pseudepigrafi (pp. 311-312) ci che fa pensare di trovarci in
presenza della ripetizione di Scritture precedenti il Corano (p. 312). La stessa provenienza hanno i continui
riferimenti allunicit di Dio, e ci indica che nella prima Ummah, a Medina, erano allopera scribi che
adattavano allarabo testi biblici e pseudepigrafici. Del resto, le stesse fonti islamiche annoverano tra i primi
convertiti, non soltanto Rabbini (Abdallh ibn Salm e Ubayy ibn Kab), ma anche monaci cristiani (Bahr e
Waraka) e uno Zoroastriano (Salmn) (p. 313). Tra gli ispiratori del Corano sembra esservi stato anche Umar,
come risulta da numerose tradizioni (pp. 314-316).
De Prmare si inoltra poi nella sua visione del rapporto tra Corano e ahdth, peraltro utilizzando una
sovrapposizione della lingua francese (il primo una rcitation, lo hadth un rcit) per sottolinearne il legame,
strumento che mi sembra poco persuasivo in s (p. 318). Sulla sua posizione ho gi detto: il Corano non sarebbe
che una collazione di ahdth scelti tra i tanti, e quindi il materiale di base, di provenienza, il medesimo per
luno e per gli altri; per il criterio di selezione non chiaro per lo stesso de Prmare (p. 319) ci che configura
tale sua posizione come una mera ipotesi senza un particolare sostegno.
Quanto agli ahdth quds, quelli cio che iniziano con Dio ha detto e che sono ritenuti Parola di Dio
riferita tramite le parole del Profeta (al contrario del Corano, che ritenuto Parola di Dio discesa direttamente)
de Prmare ricorda che la formula introduttiva ha unantica ascendenza: biblica, rabbinica, patristica, gnostica e
manichea, prima di trovarsi negli ahdth, i quali a loro volta mostrano di provenire dalla letteratura religiosa dei
territori conquistati (pp. 320-321).
Infine, per quanto riguarda la proliferazione degli ahdth, de Prmare ricorda il ruolo tutto politico di
al-Zuhr per conto degli Omeyyadi, e ricorda che il figlio e successore di Abd al-Malik, Hishm, fu un
persecutore dei qadariti, sostenitori del libero arbitrio, secondo i quali un Califfo ingiusto deve essere deposto (p.
323).
Lultimo capitolo del testo, conclusivo prima delle lunghe citazioni biografiche e testuali relative alle
fonti utilizzate per la stesura, inizia affermando che Corano e ahdth apparvero allinterno di comunit religiose
solidamente impiantate, e lintento del Corano di costituire unalternativa a Giudaismo e Cristianesimo
attingendo materiale copioso da Apocrifi e Pseudepigrafi: ma anche elementi zoroastriani e manichei (le altre
due religioni diffuse nellarea) sono evidenti nei testi. Nelle scienze religiose islamiche che si svilupparono
subito dopo, i non-arabi (i mawl) ebbero un peso determinante; per la costituzione e lo sviluppo delle Scritture
islamiche furono determinanti i convertiti giudei, cristiani e zoroastriani, i nomi non arabi sono frequenti nella
catene degli asnd. De Prmare cita i tanti nomi di coloro che collaborarono con il Profeta e con Umar nella
costruzione della dottrina islamica provenendo da altri monoteismi. Cita, tra i tantissimi, il nome di Yazd al-
Fris, che fu accanto ad Hajjj e a Ubayd Allh ibn Ziyd, i due Governatori dellIraq che intervennero nella
stesura definitiva del Corano; cita anche la lapidaria constatazione di Ibn Khaldn: la maggioranza di coloro che
contribuirono alla sapienza islamica non erano Arabi (p. 326). Nel Corano dunque, si delinea la confluenza di
varie tradizioni religiose esistenti al tempo del Profeta. La costituzione del corpus scritturale islamico fu perci
opera complessa e progressiva (p. 339) aleatoria e ricca di contraddizioni, che non pu essere pensata senza
riferimento al quadro storico nel cui ambito si svilupp lungo il corso di ben due secoli, cio in un ambiente gi
ricco di tradizioni religiose: lo si nota dai testi stessi e dagli uomini che li raccolsero. Tuttavia non si tratt di un
semplice remake: fu la costruzione di un nuovo monoteismo a partire da materiali preesistenti.
Cos si chiude il testo, e, francamente, non sembra che molto di diverso possa dirsi allo stato attuale:
una conclusione generica, con le sue luci e le sue ombre, ma chiarissima su un punto: la Vulgata che ci racconta
di un Islam nato miracolosamente in ambiente politeista e ancor pi miracolosamente diffusosi a conquistare e
convertire lintero Medio Oriente, appare niente pi che un mito di fondazione: decisivo nel costituire la societ
islamica, ma senza rapporto con la realt storica, che pu essere tuttal pi intravista ma soltanto a patto di
esaminare la massa delle tradizioni con occhio critico, di tentar di capire la possibile realt che vi traspare.

Le vicende del Testo sacro, naturalmente esaminate con maggiore dettaglio, sono loggetto dellaltro
testo citato, Aux origines du Coran. De Prmare inizia ricordando che alla met dellVIII secolo circolavano
1099
molti racconti relativi alla collazione del Corano, racconti che tuttavia conosciamo soltanto attraverso redazioni
pi tarde, del IX secolo (p. 13). Stupisce, afferma poi (p. 19) che alcuni orientalisti abbiano potuto ritenerlo
documento storico di base per quanto concerne gli albori dellIslam, o che esso abbia potuto costituire il primo e
unico riferimento per la biografia del Profeta. In tutto il Corano, Maometto, la Mecca e Medina (o Yathrib) sono
citati meno di cinque volte ciascuno (ivi). Circa le battaglie (ve ne figurano due) il testo parla soltanto della
presenza dellaiuto divino, e non un solo nome appare per quanto riguarda i Compagni che, al seguito di
Maometto, fondarono il movimento (ivi).
La letteratura riguardante la vita del Profeta, nella quale figura anche tutta quella relativa alle
circostanze della Rivelazione (o meglio, della discesa di essa) va cercata nellenorme corpus degli ahdth;
altre notizie sono raccolte come Sra, la vita del Profeta; altre, infine, riguardano la storia della collazione del
testo. In base alla tradizione islamica, il materiale della Rivelazione fu suddiviso tra le sre meccane e quelle
medinesi, ma gi negli anni 30, Bell mostr che la frammentariet e la complessit dei testi era maggiore di quel
che si pensava, e che la configurazione del testo finale era il risultato di spostamenti, soppressioni e
arrangiamenti successivi, alcuni avvenuti al tempo del Profeta e sotto il suo controllo, altri dopo la sua morte (p.
21). I testi islamici non sono quindi affidabili, e il problema : come possiamo ricostruire la storia della
predicazione del Profeta nellHijz, visto che tanto il Corano quanto gli ahdth fanno parte di una costruzione
posteriore? (pp. 22-23). Anche le circostanze della Rivelazione non aiutano, esse sono state in buona parte
prodotte dopo la conquista da convertiti non arabi, sono limmagine che la Ummah aveva del proprio fondatore e
sono sovente la proiezione su un passato mitico nellHijz di dibattiti che ebbero luogo in altre e pi tarde
situazioni (p. 23).
Quanto al processo di canonizzazione del Corano, esso si estende sino al X secolo, e soltanto nel 936
si ha la proclamazione definitiva delle varianti di lettura autorizzate allinterno dellunico testo (p. 27).
Mi permetto di notare che ci appare quanto mai naturale nelle vicende di una nuova religione.
Basti pensare, per quanto riguarda il Cristianesimo, che soltanto alla fine del II secolo si giunse alla definizione
del Canone, e, per quanto riguarda la definizione dei testi Apocrifi, occorrer attendere il V secolo. Quanto al
Giudaismo abbiamo gi visto (p. 1079) che non occorse di meno per elaborare il Canone palestinese e
lortodossia rabbinica, a far tempo da quel turbolento e fecondissimo periodo intertestamentario che un po la
madre di tutta la vicenda che sto cercando di narrare dalla prima pagina di questo testo. La quale storia ha, a
sua volta, lontane radici in Iran, come s visto a partire dalla p. 819; da quando cio sinizi a pensare che il
mondo non poteva essere questo mondo, perch non avrebbe dovuto esserlo e perci non dovr esserlo. Nulla
di strano perci che lIslam abbia impiegato pi di due secoli per definirsi, sarebbe strano il contrario.
A differenza dei testi biblici, nota de Prmare, il Corano non narra, proclama, e chi parla Dio in
persona, per mezzo di Gabriele che fa scendere il testo in conformit ad un archetipo che si trova presso Dio,
conservato su una Tavola celeste. A p. 28, de Prmare ricorda anche la diversa opinione dei mutaziliti, che
rifiutavano di porre qualcosa di eterno e trascendente accanto a Dio; poi per prevalse e divenne ortodossa
lopinione di Ibn Hanbal, secondo il quale il Corano eterno e increato, come la Parola di Dio che esso
racchiude. Dunque, ci che noi potremmo considerare un linguaggio metaforico divenne unespressione
dogmatica.
Esaminando il Corano con occhio critico, ci si rende conto per che esso il frutto di un elaborazione
progressiva nella quale si notano interpolazioni che rompono lunit del discorso (p. 30). Leterogeneit dei
contenuti colpisce a prima vista, e viene confermata dallanalisi linguistica e letteraria. Non chiara la logica che
ha condotto allassemblaggio delle sre, vi si incontrano frammenti di argomenti diversi giustapposti in qualche
modo, mentre un singolo argomento pu essere disperso in sre diverse (p. 31). Sra significava inizialmente
frammento di un discorso; quanto ai loro titoli, essi sono tardivi; alcuni sembrano casuali e nel complesso
sembra difficile pensare ad un autore unico (ivi). Lanalisi dei frammenti di una storia disseminata in varie sre,
come quella di No, mostra differenze di stile, di vocabolario e di funzioni nel contesto nel quale figurano (p.
32). Quanto a quellelemento di coesione dei frammenti in quegli assemblaggi che sono le sre, esso costituito
da formule ripetitive disseminate ovunque, che fungono da elemento retorico (rime, tono, scansione di versetti).
Lunit dinsieme data dal tema dottrinale: modificare i testi precedenti dellAntico e Nuovo Testamento
selezionandoli, adattandoli, e mettendoli al servizio della nuova e definitiva Profezia (p. 33: cita al riguardo la
Sra n. 5, al-Maida, con la quale ci siamo gi imbattuti supra, p. 1042).
Vi sono poi alcuni pezzi unici come la Ftiha o come la sra 112, che definisce dogmaticamente
lunicit di Dio con una formula che eguale ad una delle iscrizioni in mosaico del Duomo della Roccia (p. 36);
e la 111, che una formula di maledizione apparentemente di epoca arcaica, della quale non si comprende la
ragione (le circostanze della Rivelazione ne daranno una spiegazione che sembra strumentale). Quanto alle
ultime due sre, la 113 e la 114, su tratta di incantationes magico-profilattiche, dette le preservatrici, sul cui
inserimento ci furono delle controversie (ivi). Nel Corano vi sono poi anche proclamazioni oracolari e inni
poetici (pp. 37-38) come la Sra 55. Vi sono dei recitativi a carattere distruzione (p. 39) narrazioni evocative
dellantichit araba disperse qua e l (p. 40), testi legislativi e parenetici come la Sra 65 (pp. 41-42), discorsi di
guerra circa i quali de Prmare ricorda la comparsa, accanto a jihd del termine qitl, il cui significato non pu
essere equivocato, facendo riferimento alla lotta cruenta nella quale si uccide o si viene uccisi (p. 43). Vi sono
infine discorsi polemici, e la polemica sembra laspetto dominante del corpus (p. 44). Quanto alla parola
1100
Qurn, essa proviene dal siriaco qeryn che significa recitazione comunitaria. De Prmare si sofferma poi
sulle argomentazioni di Luxenberg circa il rapporto tra parole siriache ed arabe, ma su di ci sorvolo perch se
n gi detto supra alle pp. 870-871, e perch la posizione di Luxenberg, pur avendo dei sostenitori, alcuni dei
quali ho anche citato (e ricordo che suoi articoli sono presenti nelle raccolte curate da Ohlig), resta fortemente
controversa da altri. Infatti de Prmare conclude con molta prudenza sullargomento (p. 46).
La storia della composizione del testo coranico ci nota da resoconti del IX secolo; tuttavia i racconti
sui quali essa fondata rimontano alla prima meta dellVIII, allet quindi dei pi antichi frammenti conosciuti
del Corano; la fonte pi antica il Libro delle Conquiste di Sayf b. Umar ( 797) l dove narra del Califfato di
Uthmn. interessante notare che Tabar ha deliberatamente ignorato il suo racconto, che conosceva (p. 50).
Altre fonti sono le Tabaqt (Generazioni) di Ibn Sad ( 845) importante testo biografico e agiografico, e la
Storia di Medina di Ibn Shabba ( 876). Vi poi il Sahh di Bukhr. La prima data scritta su un manoscritto
completo del Corano risale all877-878 (p. 58); prima di allora si hanno soltanto frammenti non datati, risalenti
alla fine del I o allinizio del II secolo. Circa i controversi frammenti di San, ai quali ho gi fatto cenno supra
a p. 1038, de Prmare sostiene che i testi sono incerti nella scrittura delle consonanti e nellortografia, e che essi
aumentano le varianti di lettura (p. 59).
Le informazioni trasmesse sulla storia del testo, nota de Prmare, sono contraddittorie (p. 60) e
mostrano che il Libro di Dio era stato raccolto da mani umane, con tutti i dubbi che ci deve aver fatto sorgere
(p. 61). Sappiamo che ci dovettero essere varie raccolte (e si fanno i nomi di Zayd e di Ubayy) ma sul loro
contenuto non si sa nulla; il testo di Zayd ibn Thbit, dice Ibn Qutayba ( 889) il pi vicino al nostro (p. 63)
ci che significa che il testo a noi noto non precisamente quello raccolto dal segretario del Profeta. Alcune
tradizioni parlano anche dellutilizzo di alcuni fogli custoditi da isha, la madre dei credenti poi distrutti.
C per da notare che i racconti relativi alloperato di Zayd provengono da sua figlia, e che altri
racconti mettono in rilievo, al posto della sua raccolta, quella di Ubayy, laltro segretario del Profeta (cfr. supra).
Se poi si aggiunge che le tradizioni parlano anche di codici dei Compagni, c da chiedersi, dice de Prmare, se
abbiamo a che fare con tradizioni solide, o con tarde invenzioni create per conferire autorit antica a qualcosa
che era ancora in corso di elaborazione, ovvero per giustificare delle normative legali (p. 65). certamente
verosimile, aggiunge, che coloro che erano vicini al Profeta avessero preso nota di tutto ci che egli diceva, ma,
in tal caso, si trattava di Corano o si trattava di ahdth? Secondo de Prmare, che qui mostra il fondamento
della propria impostazione, non era ancora stata fatta la distinzione tra luno e gli altri (p. 65).
Chi fu dunque il primo a collazionare il testo? Non questo il punto pi importante, sostiene de
Prmare, ma chi fu a garantire che il testo corrispondeva alla Rivelazione di Maometto; e costui fu uno dei tre
primi Califfi, secondo i Sunniti, ma fu Al per gli Shiti. Interrogare le tradizioni esistenti al riguardo pone per
il problema degli asnd; un problema di tale importanza impone il massimo rigore nel controllo della catena; e
fu la ricerca di una catena di trasmissione la pi solida possibile a condurre uno studioso del XV secolo, Suyt,
ad affermare che il primo a collazionare il testo fu un certo Slim, un affrancato non arabo reputato nellarte
della recitazione, del quale si sa che mor uno o due anni dopo il Profeta. Lautore della tradizione dice anche
che fu egli a trovare per il codice cos raccolto il nome etiopico di mushaf, onde evitare luso dellebraico
sefer; la collazione sarebbe avvenuta su ordine di Ab Bakr: evidente che per un incarico simile, il committente
doveva essere persona del pi alto prestigio, collegata al Profeta (p. 67).
A questo punto de Prmare imposta un ragionamento complesso che parte dalla considerazione che
lapparizione delle tradizioni fu contemporanea allo stabilimento delle tecniche necessarie per garantire la
certezza delle trasmissioni; lo riassumo in cinque punti. Prima constatazione: il testo coranico incoerente, per,
seconda constatazione, non si poteva trovare una catena di testimonianze che garantisse lautenticit di ogni
singolo versetto. Per conseguenza -questo il terzo punto- era necessaria una garanzia generale fondata
sullautorit della persona che collazion il testo in tempi non sospetti, costui -quarto punto- doveva perci
essere un Compagno, meglio ancora uno dei quattro Califfi ben guidati. Il quinto e conclusivo punto del
ragionamento che questultima esigenza ancor pi indispensabile perch, oltretutto, colloca levento sotto un
potere legittimo, prima cio del regime politicamente e religiosamente screditato degli Omeyyadi (pp. 68-69).
A questo scopo risponde il Sahh di Bukhr, che fornisce la versione classica della vicenda, quella
cio che ho gi esposto seguendo il precedente testo di de Prmare; e Bukhr lo fa combinando una selezione
arbitraria di cinque tradizioni (pp. 70-73). Il diffusore di queste era stato al-Zuhr, il principale diffusore di
tradizioni (il loro common link per usare i termini di Juynboll) il quale lavorava per gli Omeyyadi, ci che fa
capire il ruolo di Uthmn che era per lappunto lomeyyade in grado di conferire alla dinastia legittimit
politico-religiosa. La storia cos combinata, con una perfetta catena di trasmissione dei racconti, era quanto
serviva a Bukhr, un compilatore preoccupato di stabilire una ortodossia (p. 73).
Ibn Shabba, contemporaneo di Bukhr, racconta per una vicenda del tutto diversa. Nella sua Storia
di Medina non si parla di Ab Bakr, forse perch il suo Califfato fu molto breve e tutto impegnato nella
repressione della Ridda. Quando poi si parla di Umar, non si dice che egli incit Ab Bakr a collazionare il
Corano; si dice che egli inizi a raccogliere i frammenti chiedendo due testimoni per la validit di ciascun
frammento, e che fu assassinato prima di portare lopera a compimento. Questo racconto fa comprendere che,
secondo Ibn Shabba, Ab Bakr non aveva avuto il ruolo che gli d Bukhr, altrimenti la seconda collazione
sarebbe stata inutile. Tuttavia si dice che Umar aveva un codice, e che aveva intimato a Abd Allh ibn Masd
1101
di non recitare il Corano nel dialetto della propria trib, ma di recitarlo nel dialetto qurayshita, quello del Profeta.
Vi sono poi aneddoti che riferiscono di un conflitto tra il codice di Umar e quello di Ubayy b. Kab, diffuso a
Damasco; e della decisione di Umar di imporre il codice di Zayd (p. 75). Qui per, dalle varie storie, emerge un
problema pi serio: cera un codice a Medina, di Zayd; uno in Siria, di Ubayy; e uno in Iraq, a Kfa, di Ibn
Masd. Dunque venne stabilita lautorit della versione medinese sulle altre.
Ibn Shabba dedica un lungo capitolo alla collazione del Corano da parte di Uthmn, nel quale per
c un largo spazio dedicato alla resistenza che fece Ibn Masd, il cui testo diceva cose che in Siria erano ignote
(p. 76). Chi lo dice Hudhayfa, che attraversa lIraq di ritorno dalla spedizione in Armenia; egli dice per anche
unaltra cosa, dice che a Bassora cera il testo di Ab Ms al-Ashar, che di Bassora era il Governatore, e che
quello era il testo di riferimento per gli yemeniti (Ab Ms era yemenita) (p. 77). Per Ibn Shabba si trattava di
variazioni ortografiche e dialettali: resta il fatto che il problema era quello di sopprimere dei testi.
Ibn Sad precede di una generazione Ibn Shabba e Bukhr, e non parla di una raccolta di Ab Bakr,
n fa cenno ad alcuna iniziativa di Uthmn circa la raccolta del Corano, ci che fa comprendere quanto vaga
fosse la definizione della storia del Corano allinizio del IX secolo. Ibn Sad infatti non fa cenno a questa storia,
si limita soltanto a riferire, in una biografia di Ubayy, che Uthmn riun dodici tra Qurayshiti e Ansr di Medina
-tra i quali Ubayy e non Zayd- al fine di avviare la collazione del testo (p. 78); n parla dei fogli di Hafsa, sui
quali riferisce Bukhr: Ubayy prende dunque il posto di Zayd. Inoltre, nella biografia di Umar, Ibn Sad dice
che il secondo Califfo ebbe lidea di raccogliere i fogli sparsi in un codice, ma fu assassinato prima di poterlo
fare; ma tace sul fatto che la collazione sia stata portata a termine da Uthmn (p. 80). In altre parole: nel
racconto di Ibn Sad non c posto per un codice di Uthmn.
Le pi antiche notizie sulla raccolta del Corano sono quelle che tramanda di Sayf b. Umar, nella parte
del suo Libro delle conquiste dedicata al califfato di Uthmn. qui che troviamo linformazione su quanto
constatato da Hudhayfa al suo ritorno dallAzerbaijan: vi era una contesa tra le guarnigioni di Damasco, Kfa e
Bassora che avevano ciascuna un proprio testo, nellordine quello di Miqdd -che non quello di Ubayy , di Ibn
Masd e di Ab Ms. Miqdd un nuovo personaggio che si inserisce nella vicenda. La storia dei codici
concorrenti tra loro e con quello di Medina, nota de Prmare (p. 82) si lega dunque strettamente alla conquista
militare e alle guarnigioni delle tre citt pi importanti, concorrenti della prima capitale, che inizia a trovarsi alla
periferia dellImpero. A questo punto non ci viene detto che il Califfo fece raccogliere il Corano, ma che fece
copiare e distribuire la versione circolante a Medina e fece distruggere tutte le altre (p. 83). Come narra Tabar, a
Uthmn fu infatti rimproverato: il Corano era pi di un libro, tu lo hai ridotto a uno soltanto.
Anche sotto il Califfato di Muwiyya, Marwn, cugino del defunto terzo Califfo e gi suo segretario,
dovette procedere a una distruzione di documenti, e dei pi importanti, i famosi fogli di Hafsa. Alla morte di lei
nel 665, Marwn se li fece consegnare dimperio dal fratello della defunta, e al-Zuhr d di ci una singolare
giustificazione: il timore di trovarvi passi che contraddicessero il codice di Uthmn, ipotesi curiosa visto che
quel codice precisamente di quei fogli avrebbe tenuto conto. La cosa deve per esser vera, visto che ne riferisce
anche Bukhr e che non potrebbe essere avvenuta senza lapprovazione di Muwiyya. Sayf riferisce anche
della vicenda che riguarda Hajjj al tempo di Abd al-Malik, il cui significato tuttavia non chiaro, n sembra
riuscire a chiarirlo de Prmare: quel che appare per accertabile da tutto quanto sin qui esposto, che il testo del
Corano fu oggetto di controversie e revisioni sino a tutto il primo secolo, e che la sua definitiva redazione pu
essere avvenuta soltanto dopo tale data, ben oltre il tempo di Uthmn.
La versione di Ab Ms ( tra il 661 e il 673) continu tuttavia a circolare, e non sicuro che essa
fosse tra le varianti distrutte al tempo di Uthmn; nel IX secolo esistevano ancora copie della versione di
Ubayy; tanto questa quanto quella di Ibn Masd contenevano varianti sulle quali abbiamo qualche informazione
e alle quali fa cenno de Prmare. Soltanto con linizio del X secolo quindi, ad opera di Ibn Mujhid, si giunse
alla definizione ufficiale delle 7 letture ammesse del Corano (sulle quali cfr. C. Gilliot, Les sept lectures:
corps social et criture rvele, S.I. 61, 1985 e 63, 1986); cerano tuttavia a Baghdad ancora due esperti che
leggevano i testi di Ibn Masd e di Ubayy. Imprigionati, dovettero ritrattare (p. 90).
Il contesto politico nel quale avvenne la formazione del Corano fu molto turbolento, e se ne usc
soltanto con il regno di Abd al-Malik che tuttavia dovette affrontare, allinizio del regno, la grave ribellione di
Abdallh ibn al-Zubayr, al potere alla Mecca come Anticaliffo tra il 681 e il 692. Nella spedizione organizzata
da Yazd I nel 683 contro Medina, che aveva seguito la ribellione della Mecca, il massacro che segu vide tra le
vittime il figlio di Ubayy e sette dei nove figli di Zayd; Urwa, il fratello di Abdallh del quale abbiamo tanto
parlato, sopravvisse ma bruci tutti gli scritti di giurisprudenza in suo possesso. Tre anni dopo la caduta della
Mecca e la morte dellAnticaliffo, Abd al-Malik si rec a Medina e tenne un discorso centrato sulla lettura del
Corano relativamente conciliante: riconobbe alla citt il diritto di regolarsi secondo le proprie tradizioni ma, di
fatto, le interdisse il ruolo normativo per quanto riguardava la lettura ufficiale del Corano nellImpero. In altre
parole: Medina era riconosciuta come luogo di nascita del Corano ma non costituiva pi il riferimento religioso.
Il codice di Medina veniva riconosciuto nel proprio valore, ma le prescrizioni legali costituivano un
corpus la cui validit veniva dallapprovazione di Uthmn alla raccolta fattane da Zayd; perci la versione degli
eventi data da Bukhr, se venisse accettata, renderebbe anacronistico questo episodio; e poich Abd al-Malik
dichiar di aver egli stesso provveduto alla collazione del Corano, ci lascia pensare che tale operazione
consistette nella fusione di due testi, uno dei quali relativo alle norme legali, grazie alla quale si sarebbe
1102
costituito un Corano (quasi) definitivo (p. 93). In questa logica de Prmare ritiene si possa spiegare lepisodio del
successivo invio a tutti i Governatori del Corano di Hajjj.
Che le normative legali costituissero un aspetto indipendente del testo coranico, sembra trasparire da
una controversia anonima siriaca dellinizio dellVIII secolo, della quale protagonista il monaco Abramo di
Beth Hle ( 670) e nella quale si adombra lesistenza di una pluralit di testi islamici, con un ruolo indipendente
della Sra detta della Vacca che contiene varie prescrizioni legali. Anche Giovanni Damasceno, che scrive
attorno al 735, nella sua eresia n 100 allude a una pluralit di scritti del Profeta.
De Prmare conclude dunque affermando che il Corano e la sua storia non possono essere visti
attraverso la Vulgata di Bukhr, che ricollega il testo attuale direttamente al Profeta e allArabia del periodo
610-632. Questa storia va vista in un quadro spaziale e temporale pi ampio, nel quale un certo numero di testi,
che sopravvissero a lungo, fu ridotto a un testo unico, e fu frustrata la pretesa del testo di Medina a costituirsi
quale unica autorit. Questa riduzione avvenne ben dopo lepoca di Uthmn, e conobbe un momento decisivo al
tempo di Abd al-Malik per opera di Hajjj (p. 98) e in essa c un codice medinese (quale? cfr. supra, p. 1101,
quanto riferito da Qutayba) che avrebbe goduto di particolare rispetto. Se si guarda alla prosecuzione temporale,
soltanto dopo qualche decennio appaiono le tradizioni che attribuiscono la costituzione definitiva del Corano a
Uthmn (ivi). Per conseguenza, dobbiamo dire che non sappiamo che cosa contenesse il testo originale, che
cosa vi fu aggiunto e che cosa vi fu tolto: gli ahdth parlano di testi soppressi, sostituiti, incrementati o lasciati
intenzionalmente in disparte; soltanto allinizio del X secolo si avr la definitiva ufficializzazione di un testo, la
cui formazione deve tenere in conto i rapporti con lambiente non arabo e non musulmano, gi dai tempi di
Medina (p. 99).
Nellultimo capitolo della sua ricerca, de Prmare passa perci ad esaminare quanto si pu evincere,
circa il Corano, a partire dal testo stesso (p. 101 sgg.). Le polemiche tra il Profeta e gli abitanti della Mecca ci
lasciano conoscere quanto segue: Maometto non un poeta n un indovino; secondo i suoi avversari trasmette
soltanto testi gi scritti dagli antichi, relativi a Resurrezione, Giudizio e Castigo; il Profeta rivendica il proprio
(di Dio) diritto di sostituire un versetto con un altro; viene contestato al Profeta, sempre dai suoi nemici, il
carattere non unitario del testo. La risposta sempre la medesima, fondata sul principio di autorit: Dio che fa
scendere sul Profeta ci che egli annuncia; ne consegue che, di fatto, le obbiezioni non vengono discusse.
Tuttavia lanalisi testuale di queste risposte non fa capire chi sia colui che parla: Dio, il Profeta, o una terza
persona (p. 104).
Nel testo coranico manca infatti qualsiasi contesto narrativo e la sintassi, talvolta la natura stessa del
discorso, contraddicono la pretesa che sia Dio a parlare. Abbiamo gi visto che, per quanto riguarda
lingiunzione: Di!, non chiaro quando essa sia da attribuire a Dio nei confronti del Profeta, ovvero al Profeta
nei confronti dei fedeli; inoltre chi parla pu essere un Noi che Dio, ma quando il discorso prosegue con
Allh o con Egli non pi evidente chi sia quel Noi, se Dio o il Profeta. A volte introdotto un tu o un
voi anonimo cui rivolta la parola, e a questo punto non si sa pi chi parli a chi.
Su questo punto, de Prmare nota che, al contrario, la tradizione scritturale del Medio Oriente
sempre chiara nel definire chi sia colui che parla nel testo, cosicch avanza il dubbio che la confusione sia stata
voluta da chi ha redatto il testo coranico al fine di confondere il discorso del Profeta con quello di Dio, lasciando
aperta lambiguit.
Altra difficolt per la comprensione del testo e del contesto consiste nellimpossibilit di sapere chi
siano coloro che contraddicono il Profeta, e in quali circostanze; non sappiamo neppure quali siano le ragioni e
gli scopi delle contestazioni. Il risultato fu che, a partire dallVIII secolo, i commentatori tentarono di capire
introducendo le circostanze della discesa, con le quali costruirono il quadro narrativo mancante, e nei loro
commenti compaiono i nomi di alcuni contestatori del Profeta
Unosservazione di de Prmare che vorrei citare, quella relativa alla natura dei tanti inserti di
Pseudepigrafi presenti nel testo coranico: si tratta, come noto, di testi risalenti al periodo intertestamentario il cui
tono fondamentale lApocalitticismo, e i cui argomenti sono essenzialmente il Giudizio e la Resurrezione.
Questo lultimo tra i temi che introdurr infra, perch lApocalittica al cuore dellIslam, ed fondamentale
per la sua comprensione.
Nelle circostanze della discesa, a proposito dei contestatori del Profeta, appare pi volte il nome di
Nadr b. al-Hrith. La cosa merita attenzione perch costui era un notabile qurayshita, suonatore di liuto, che
port da Hra testi forse manichei e leggende iraniche. Se uniamo questa testimonianza ai tanti testi sui quali
verteva la disputa tra il Profeta e i suoi avversari, se ne evince che il pubblico che dibatteva la Rivelazione
coranica doveva essere un pubblico colto, conoscitore delle varie espressioni del monoteismo circolanti nella
penisola araba. Perci gli avversari ritenevano che Maometto avesse degli istruttori che gli suggerivano storie e
argomenti, ed interessante notare che, quando il Corano afferma Noi cio Dio, cambiamo un versetto con un
altro (Cor.,101, 16) la risposta dei contestatori Tu sei un falsario; e poich Dio designato subito dopo in
terza persona, evidente che quel noi si riferisce al compilatore del testo, fermo restando che non si sa chi
siano i contestatori.
C poi il problema delle modifiche e delle soppressioni. Anas b. Mlik ( tra il 709 e il 711) racconta
che, in occasione di una battaglia che fece numerosi morti tra i Musulmani, il Profeta recit un Corano nel
quale veniva data la parola ai caduti, e questa usanza, dice Anas, dur a lungo; non dice per quando e perch
1103
essa fu soppressa. Questo non il solo caso nel quale ci si dice di versetti aboliti o dimenticati; la tradizione
attribuisce alla volont divina questopera di cambiamento. isha ricorda che al tempo del Profeta si recitava la
Sra I coalizzati che constava di 200 versetti: attualmente ne conta soltanto 73 e questo fu quanto Uthmn
riusc a recuperarne. Sappiamo anche che ad Ab Ms furono fatte dimenticare intere sre (pp. 122-123).
De Prmare torna poi sullargomento degli informatori e delle contestazioni al Profeta, sul quale
sorvolo perch gi trattato, come anche sul linguaggio del Corano e sulle dispute con Giudei e Cristiani, per
mostrare come la nuova religione si sia sviluppata a contatto e in rapporto con gli altri monoteismi. Di questa
presenza di informatori del Profeta testimonianza anche nelle cronache cristiane dellinizio dellVIII secolo,
che si riferiscono di un monaco eretico, Bahr in siriaco, Sergios in greco; ed significativo che nello stesso
momento inizi a circolare la tradizione musulmana del monaco Bahr che avrebbe riconosciuto doti miracolose
in Maometto fanciullo (p. 127).
A conclusione, de Prmare torna a sottolineare che la storia stessa del Corano con i ripetuti interventi
dei quali traccia nella stesse tradizioni, la ragione della sua frammentariet e delle ripetute incongruenze
quanto alla persona che parla (Dio o il Profeta); torna poi sulla propria tesi di un corpus originario di ahdth,
parte dei quali sarebbe poi divenuta il Corano, fondandola sulla presenza in entrambi i casi della formula Dice il
Profeta (un apax nel Corano, cfr. 25,30). Infine, tornando sul tema dei contestatori del Profeta, fa notare
limpossibilit di definirli pagani o politeisti, visto che questi lo contestano con conoscenza delle precedenti
Scritture; dunque lIslam nacque in ambiente monoteista. Nelle ultime righe delle Conclusioni, de Prmare, dopo
aver ribadito lopacit del testo, si domanda come gli studiosi abbiano potuto parlare per tanto tempo di versetti
cambiati, sostituiti o soppressi, e di sre amputate o soppresse, senza vedere in tutto ci levidenza di una storia
che non quella della Vulgata.
Prima di concludere cito per un numero, il 129 della RE.M.M.M. del 2011 che stato espressamente
dedicato a criture de lhistoire et processus de canonisation dans les premiers sicles de lislam il cui
contenuto stato sintetizzato nellIntroduzione di A. Borrut, Introduction: la fabrique de lhistoire et de la
tradition islamiques, che mi sembra mettere bene il punto sulla realt storica della Vulgata. Come nota Borrut,,
anche ammettere che il Corano sia un testo del VII secolo, non ci esime dal porci seri problemi sulla tradizione
scritturaria, che si tratti della Sra o del corpus degli ahdth. I secoli IX e X sono infatti centrali per
lelaborazione di una storia e di una tradizione islamica, e hanno portato a una riscrittura e ricomposizione del
passato: si trattava infatti di dare un senso a un passato al quale appartenevano gli Abbsidi e del quale essi
erano gli eredi: la Vulgata serv dunque a forgiare unidentit e una memoria comune. Essa non fu il solo
tentativo ma fu quello che ebbe successo.

Ho voluto esporre con una certa larghezza i due testi di de Prmare perch, al di l dei convincimenti
propri dellautore che possono essere messi a confronto con tutta la diversa letteratura esposta, mi sembra che
essi costituiscano unottima sintesi delle difficolt che nascono allorch si tenti di comprendere quali siano state
le origini dellIslam, delle quali possiamo affermare con certezza soltanto due cose generiche e banali: esse ci
sfuggono ma non sono quelle raccontate dalla Vulgata islamica. Al di l di queste due sole certezze, vi sono poi
delle ipotesi che mostrano una qualche consistenza.
Una di esse riguarda lambiente nel quale ebbe origine la predicazione del Profeta: lasciata nel limbo
limmagine di un Hijz terra di pagani idolatri, prende consistenza il quadro di un mondo non separato dal
restante del Medio Oriente, nel quale era ben presente una religiosit monoteista di origine testamentaria,
verosimilmente lontana dalle ortodossie. Un mondo di sette definibili come giudeocristiane (con tutte le
varianti che il nome pu stare ad indicare) caratterizzate da attese messianiche e apocalitticismo. La disputa
dottrinaria -certamente non disgiunta da problemi politici e da aspirazioni ad affrancarsi dalla duplice influenza
bizantino/persiana al momento della crisi dei due imperi- nel cui ambito sorse la nuova e potente sintesi, viene
presentata come compimento del ciclo profetico. La natura apocalittica di questa sintesi deve aver avuto un ruolo
nella sua rapida espansione in tutto il Medio Oriente (tesi di D. Cook che esaminer ora a chiusura).
Unaltra ipotesi che sembra sufficientemente suffragata dallesame critico dei materiali pervenuti,
che la Vulgata islamica abbia iniziato a prender corpo, per necessit ideologico-politiche del nuovo impero,
attorno allultimo terzo del I sec. H., essenzialmente con il regno di Abd al-Malik. Non che la vicenda finisca
qui: le tensioni generate dalle attese insoddisfatte, che gi si erano manifestate ai tempi di Uthmn, restano vive
e troveranno un secondo momento topico con la rivolta Abbside che chiude un ciclo di convulsioni. Cos, la
storia della formazione dellIslam classico prosegue sino al IX-X secolo, e questa la storia accennata
dellaffermazione degli ulam, della definizione della Sunnah e della formazione definitiva di una ortodossia
sunnita, che, come tutte le ortodossie, allinizio non cera, fu soltanto la corrente vincente tra le tante possibili
opzioni.
Poi ci sono le tante ipotesi dei vari studiosi, tutte suffragate da qualche buona ragione ma tutte da
considerarsi con cautela allorch, da questa cornice generale e generica, si tenti di scendere nei dettagli; e
tuttavia anche la cornice generica introdotta ha qualche significato nel far comprendere le successive evoluzioni
e la natura dellIslam, lutopia che esso persegue con risultati sempre inferiori alle attese. Per questa ragione
ritengo importante chiudere questa rassegna esaminando il tema dellApocalitticismo islamico, circa il quale
avevo gi fatto riferimento agli studi di David Cook nellappendice alla V Edizione. In effetti si rischia di non
1104
comprendere la logica e gli sviluppi dellIslam se non si tiene in conto quello che, pi ancora che un caposaldo,
il punto di partenza imprescindibile della fede islamica: lIslam lultima delle Rivelazioni, viene a chiudere un
ciclo al termine del quale la Legge divina totalmente dispiegata, perci alluomo ora non resta altro se non
attendere il Giudizio che sar formulato nei confronti di una umanit pienamente edotta e cosciente, quindi
responsabile della propria obbedienza o della disobbedienza. Con la discesa del Testo sacro sul Profeta si
conclusa unepoca storica che potremmo definire interlocutoria, e nulla pi si frappone al Compimento dei
Tempi. In fondo, era quel che si attendevano le sette usualmente dette giudeocristiane quando sognavano
lultimo Messia; sette che erano cristiane perch avevano recepito il Messaggio rivoluzionario di Cristo, ma
anche giudee, perch lo ritenevano non gi un punto darrivo, ma di inizio: inizio di un percorso che avrebbe
condotto allinstaurazione del vero mondo, grazie alla fine di questo mondo.
LApocalittica un tratto costante dellIslam; ne ho fatto cenno non soltanto a proposito di alcuni
articoli di D. Cook (cfr. supra, pp. 831-832) ma anche delle costanti manifestazioni cui diede luogo nel Califfato
Fatimida (cfr. supra, p. 214). Lo scisma nizrita di Alamt giunse a proclamare la Grande Resurrezione (cfr.
supra, pp. 235 sgg. e passim); lApocalittica domin le rivolte shite e quelle iraniche in generale, che
sfociarono con lavvento degli Abbsidi; i movimenti mahdisti e della Sh estremista sono usuali nelle vicende
dellIslam, dai tempi Safavidi allImpero Ottomano, sino alla rivolta del XIX secolo in Sudan; lApocalittica
domina ancora oggi lo scenario nelle fazioni pi turbolente. Si sempre in attesa della conclusione della storia,
che nellannuncio dellIslam e fa sentire forte la sua voce ovunque nel Corano.
Secondo S. Bashear, Muslim Apocalypsis and the Hour: a Case Study in Traditional Reinterpretation,
I.O.S. 13, 1993, il Millenarismo che domina il Corano fu forse la prima motivazione del Profeta, ci che lo
spinse al suo annuncio; esso fu presente in occasione della rivolta di Abdallh ibn al-Zubayr, in quella di
Muhammad ibn Abdallh ( 762, cfr. supra, p. 200); elemento costante delle rivolte anti-omeyyadi, presente
nelle lotte intestine degli Abbsidi. Anche la Fine dei Tempi fu continuamente rielaborata con nuove date,
fenomeno peraltro non estraneo alloccidente, come abbiamo visto lungo tutto il presente testo.
In un lungo articolo, A. Elad, The Struggle for the Legitimacy of Authority as Reflected in the Hadth
of al-Mahd, O.L.A., 177, 2010, ha mostrato che tanto sotto il califfato omeyyade, quanto sotto quello abbside,
la propaganda e la legittimazione delle candidature avvenuta su basi millenaristiche; lautoproclamazione a
Mahd avveniva sul fondamento di ahdth adattati allo scopo. Gli Abbsidi giunsero al potere sulle ali di un
movimento messianico, e molti califfi omeyyadi portarono lappellativo di Mahd. Per gli shiti il Mahd
lultimo degli Imm aldi o uno di loro: il primo ad assumerne il titolo fu Muhammad ibn al-Hanafiyya, al quale
era stato attribuito da al-Mukhtr (cfr. supra, p. 199). Lo studio di Elad mostra che le diverse tradizioni
apocalittiche relative al Mahd (che per gli shiti essenzialmente al-Qim il Resurrettore: cfr. i riferimenti
negli indici analitici per il suo ruolo nella Sha e nellIsmailismo di Alamt) riflettono le lotte tra gli Aldi e gli
Abbsidi, interne agli Aldi tra i discendenti di Hasan e di Husayn, e di questi ultimi uniti contro Muhammad
ibn al-Hanafiyya e gli Hshimiti, i sostenitori di suo figlio Ab Hshim, che poi virarono politica a favore degli
Abbsidi con la famosa vicenda del testamento (cfr. p. 202, n. 56) grazie al quale gli Abbsidi si posero
come eredi del movimento rivoluzionario di Ab Hshim. In altre parole, lApocalitticismo fu labituale
strumento politico grazie al quale si sollevarono le insurrezioni nel lungo e travagliato periodo di circa due secoli
nel corso dei quali rimase viva la lotta per il diritto al potere: un diritto a fondamento religioso in nome del
Compimento dei Tempi.
Questo fenomeno stato messo in luce da un articolo di W. Madelung, The Sufyni between Tradition
and History, S.I., 63, 1986, che tratta di questa figura di Anticristo (tale il Sufyni, un discendente della prima
branca dei Califfi Omeyyadi) il cui arrivo annuncia la Fine dei Tempi con tutto il suo corredo di tragedie.
Esaminando una mole di tradizioni, Madelung ha mostrato il variegato uso politico dello stesso tema da parte di
opposte fazioni. Il costante uso politico delle profezie apocalittiche messo in evidenza anche da un altro studio
dello stesso autore, Apocalyptic Prophecies in Hims in the Umayyad Age, J.S.S., 31, 2, 1986, nel quale si tratta
delle pretese yemenite in epoca umayyade. Qui, la cosa pi interessante per comprendere quanto il tema sia
legato alla concezione dellIslam come religione ultima che introduce alla Fine dei Tempi, la figura del
Qahtn, il fanciullo di Qahtn, considerata da Madelung con sicurezza la pi antica figura apocalittica della
tradizione islamica (p. 151) che condurr alla conquista di Costantinopoli (p. 155). Ora, la conquista di
Costantinopoli rappresenta precisamente il traguardo della storia islamica, il compimento del suo ruolo nella
storia della salvezza umana per condurre tutti i popoli alla vera religione e giungere poi al Giudizio.
Lo stridore tra attese messianiche e realt del potere, che fa dellIslam qualcosa di molto simile ad un
programma eternamente incompiuto, sempre bisognoso di tornare agli inizi disfacendo la tela tessuta allorch
essa non sembri prefigurare il mondo di giustizia tanto atteso, si manifest sin dagli inizi della dinastia
Omeyyade con la ribellione di Abdallh ibn al-Zubayr, che fu caratterizzata anchessa da temi propagandistici
apocalittici. W. Madelung, Abd Allh b. al-Zubayr and the Mahd, I.J.N.E.S., 40, 1981, ha seguito questa
vicenda attraverso gli episodi della vita di Abd Allh b. al-Hrith, che fu colui che mise in circolazione lo hadth
millenarista, destinato poi a lunghissima vita e a ricomparire in varie circostanze della storia islamica, con
diversi protagonisti, relativa allarmata inviata da Yazd contro la Mecca, e inghiottita dal deserto. Questo
personaggio, discendente da una famiglia dei seguaci della prima ora del Profeta, fu un attivo protagonista di
tutti quei movimenti che vedevano nellavvento del nuovo potere il tradimento degli ideali di partenza, ancor
1105
vivi. Un disagio del quale abbiamo gi trattato a proposito delle lotte che portarono alla morte del terzo e del
quarto Califfo ben guidato, con gli articoli di Hinds.
Per concludere sullApocalitticismo islamico mi sembra ora indispensabile rivolgersi a D. Cook, che
avevo gi citato nellAppendice alla V Edizione e del quale prender ora in esame due ulteriori titoli: uno, un
breve e generale, ma significativo articolo pubblicato in internet; laltro, il suo ponderoso testo del 2002. Inizio
dal primo.
Nel sito http://www.mille.org/publications/winter2001/cook.html compare il suo articolo intitolato
The Beginnings of Islam as an Apocalyptic Movement, che introduce il problema generale, aperto con una
affermazione paradossale: leggendo le teorie degli studiosi occidentali che tentano di giustificare e comprendere
lincredibile conquista in soli 10-15 anni di Siria, Iraq, Egitto e Persia, si giunge alla conclusione che pi
credibile la convinzione islamica, che ci sia stato opera dellintervento divino. Secondo Cook, per comprendere
tale conquista necessario rivolgersi ai fondamenti religiosi del primo Islam che, dalla lettura del Corano, lascia
qualche dubbio sulleffettiva intenzione del Profeta di fondare una nuova religione. Il testo, pi che fondare una
nuova ideologia, sembra piuttosto ricordare agli uditori alcune verit essenziali; si tratta di un messaggio
ecumenico pan-monoteistico rispetto al quale si debbono comprendere i modi del passaggio allaggressivo
spirito di guerra santa che caratterizza la letteratura islamica.
Cook cita poi vari passaggi del Corano che mostrano una mano tesa verso i Cristiani (con lovvia
eccezione dellesecrato dogma trinitario, ma qui mi permetto di tornare sulla domanda: di quali Cristiani
stiamo parlando, nella penisola araba?) e nota che i Cristiani in quanto tali non avevano grande difficolt a
pronunziare la Shahda, anche se questo non pu dirsi per i Giudei. Ricorda inoltre che non ci fu polemica
cristiana anti-islamica per un buon secolo, e, quando ci fu, lIslam fu ritenuto uneresia del Cristianesimo.
Come si nota, Cook tende a legare lIslam pi al Cristianesimo che non al Giudaismo, un dubbio che,
lo ricordo, stato avanzato pi volte in queste note allorch s trattato degli antecedenti dellIslam. Tuttavia il
messaggio ecumenico da lui rilevato (con la solita eccezione antitrinitaria) nel Duomo della Roccia, anche nei
confronti dei Giudei; e la sognata conquista di Costantinopoli appare, nelle tradizioni, come una vendetta per la
conquista bizantina di Gerusalemme (pp. 3-4).
Cook sottolinea inoltre il ruolo eminente che ha Ges, come Profeta e uomo, tanto nel Corano che nel
materiale religioso islamico: e precisamente Ges ha un ruolo di rilievo nellApocalittica islamica. Il passaggio
verso lApocalittica notato da Cook nella parabola dei lavoratori (Mt.,20, 1-16) che viene ripresa con un
significativo slittamento di prospettiva nella tradizione islamica, nella quale i Musulmani vedono se stessi al
lavoro, dopo Giudei e Cristiani, nella chiara visione di una imminente fine del mondo. I primi Musulmani,
aggiunge, stimavano che essa sarebbe avvenuta entro 100 anni, nel 717 e.v. Nel lasso di tempo di quei 100 anni,
lIslam avrebbe conquistato il mondo convertendolo alla vera fede, lasciando il regno messianico a Ges che
avrebbe regnato sino alla Fine dei Tempi. Conquistare il mondo significava per una cosa: la guerra santa, il
jihd, parte fondamentale del credo islamico: Maometto stato inviato da Dio con una spada e una lancia
nellimminenza del Giudizio.
Secondo Cook (p. 5) la letteratura religiosa islamica siriana lascia chiaramente intendere che ci che
sar poi lIslam (cio quello storico a noi noto) nasce nellatmosfera degli accampamenti, sulla via del campo
di battaglia nel quale Giudei, Cristiani e Zoroastriani combatterono a fianco dei primi Musulmani in un clima di
intenso indottrinamento religioso che li trasform in credenti. Vorrei sottolineare che una tale affermazione sta a
significare che lattesa messianica era una realt diffusa in tutto il Medio Oriente, prima ancora della nascita
dellIslam, del quale fu il fondamentale antecedente. Questa constatazione ci riporta dunque alle eterodossie
emerse dal messaggio testamentario; dove uso il termine eterodossie semplicemente per indicare le tante
letture di quel Messaggio che furono espulse dai codici autodefinitosi ortodossi. Se si guarda al fenomeno
senza pregiudizio religioso o accademico, si vedr dunque che la pretesa dellIslam di ritenersi la corretta
continuazione delle Rivelazioni giudaica e cristiana ha un fondamento nella autoreferenzialit delle ortodossie,
che pongono fuori gioco tutte quelle letture che, al contrario, sembrano meglio rispondere alle reali aspettative
delle popolazioni.
LIslam si manifesta cos, nella prassi del suo primo secolo e nella costruenda dottrina, come il
collettore delle attese messianiche della Tarda Antichit. Molti studiosi dellIslam, dice Cook a conclusione, si
vanno convincendo che le tremende energie dispiegate nellopera di conquista, venivano dal convincimento di
trovarsi in presenza di una imminente fine del mondo. Questo convincimento, aggiunge, era comune attraverso
la regione del bacino mediterraneo e dellIraq, dove tanto i Cristiani quanto i Giudei andavano, in quel tempo,
scrivendo apocalissi (corsivo mio).
Con questa premessa che mi sembra quanto mai chiara, e che ci fornisce un fondamentale tassello per
la comprensione delle origini dellIslam, possiamo ora esaminare la ricerca maggiore di D. Cook, Studies in
Muslim Apocalyptic, cit., uno studio illuminante perch non costituisce soltanto una ricostruzione storica del
fenomeno. Cook, nel riportare lapocalittica al cuore stesso della ragion dessere dellIslam, fa comprendere
quegli atteggiamenti dellIslam contemporaneo che sembrano incomprensibili allOccidente, o, quel ch peggio,
vengono interpretati con una logica occidentale, perdendone di vista il fondamento e travisandolo. Cook, come si
ricorder per quanto citato nellAppendice alla V Edizione, infatti uno studioso anche degli aspetti moderni

1106
dellapocalittica, aspetti che egli ha mostrato essere tuttora vivi, e che danno luogo a rielaborazioni di temi
tradizionali con ipotesi ed esiti che potremmo definire fantascientifici.
Si tratta, in ogni caso, di elaborazioni e rielaborazioni di temi mitici, affabulazioni che non vanno
considerate per quel che affermano, ma per quel che lasciano trasparire. Lapocalittica non pu esser giudicata
per i propri scenari fantastici, ma per ci che li muove: una tensione a cambiare il mondo corroborata dalla
certezza che questo non sia, non debba e non possa essere il vero mondo: e un Razionalismo che destituisce di
valore il fondamento delle passioni e il problema del senso, non costituisce il modo migliore per comprendere la
realt e lefficacia di certi fenomeni, una realt che va oltre i suoi risultati fallimentari, perch trae alimento dalla
frustrazione stessa. In essa c un problema di convincimento che nasce dal mito di fondazione di una societ, e,
come diceva Aristotele, largomentazione non pu mutare i convincimenti profondi (Eth. Nic., 1179b) ed
difficile combattere con chi, per essi, disposto a pagare con la vita (Pol., 1315a).
Cook esordisce affermando che lIslam raccoglie una vasta tradizione apocalittica ereditata dal mondo
classico (p. 2) e che lApocalittica islamica una letteratura che tende a dare limpressione che gli eventi del
presente siano parte integrale di un Tempo che conduce alla fine del mondo (p. 1, n. 2). In questo lIslam ha
ricevuto molto materiale dal patrimonio biblico e ha visto il proprio ruolo nella storia come evento che conduce a
questa fine (p. 3) come, prima di esso, i Cristiani. Cook, lo si pu evincere qua e l dal testo, tende a sottolineare
un rapporto, in termini di Apocalittica, tra Cristianesimo e Islam; ci che ha un suo fondamento se si evita di
pensare il Cristianesimo nei parametri entro i quali si svilupp a partire dalla Chiesa di Roma, che precisamente
a queste tendenze si oppose; fermo restando, come abbiamo visto nella nostra storia, che esse tornarono ad
emergere qua e l ai margini sino a tempi moderni, ma fuori dallortodossia. Lo stesso mite Gioacchino non ebbe
infatti vita facile con la sua dottrina.
Maometto si sentiva dunque in prossimit della fine del mondo -lo attesta il Corano- e cos i
Musulmani, ma forse si trattava di una prospettiva diffusa nel Medio Oriente al momento della nascita dellIslam
(p. 4). Cook afferma poi (p. 9) che il Corano un testo escatologico, non apocalittico, e spiega questa sua
affermazione a p. 301: Maometto era talmente convinto dellimminenza della fine del mondo, che il problema
apocalittico di una storia futura era irrilevante per lui, il suo sguardo si volgeva al Giorno del Giudizio e i
fenomeni che lo avrebbero dovuto precedere erano per lui cos chiaramente presenti, che non aveva senso
parlarne.
Quanto allattesa del Mahd che riempir il mondo di onest e giustizia, Cook rileva che levento
atteso e definito negli stessi termini di Isaia: su questo vorrei notare che si tratta della stessa et delloro il cui
mito nasce con lo Zoroastrismo e che troviamo vaticinata, sempre con gli stessi termini, nel XVIII secolo da
Oetinger (cfr. supra, p. 547 sgg.). Si tratta dunque di un mito universalmente diffuso, non essenzialmente
islamico; unattesa che ho definito caratteristica della marginalit e che nellIslam diviene viceversa centrale.
In ci, vorrei aggiungere, lIslam raccoglie attese mai venute meno nelle religioni scaturite dal mondo
mediorientale, poi accantonate negli sviluppi dellOccidente. Una caratteristica singolare di questa et delloro,
che a quel tempo lanima delluomo sar palese dal suo aspetto esteriore (p. 17), motivo questo di notevole
interesse perch ricorda la problematica fisiognomica di Swedenborg e Lavater (cfr. supra, p. 549, n. 72) nonch
di Schelling (cfr. supra, p. 666): lincomprensibilit di questo mondo/falsificazione, che poi il tratto
fondamentale dellatteggiamento gnostico.
Cook passa poi ad esaminare nello specifico le Apocalissi islamiche, e le divide in cinque gruppi:
Apocalissi storiche, Apocalissi metastoriche, Cicli messianici, Apocalissi shite e Apocalissi morali. Le prime
(pp. 34-91) sono quelle che hanno un retroterra politico contingente, sono dunque strumentali a costruzioni
ideologiche e perci, nella logica di quanto stiamo esaminando, hanno uno scarso interesse; ne abbiamo visto
esempi poco sopra nei testi Madelung ed Elad e tutto ci che ci rivelano dellIslam che esse erano
evidentemente strumenti efficaci (almeno potenzialmente) nellambito di quella cultura.
Le Apocalissi metastoriche (pp. 93-136) inquadrano una visione metastorica dei cicli del mondo, e
consentono a Cook di metterne a fuoco gli eterni protagonisti, il Mahd e il suo Doppelgnger, il Sufyn; Ges e
il suo Doppelgnger, il Dajjl, eterni protagonisti della paurosa guerra finale tra il Bene e il Male che, nelle sue
infinite versioni, deve precedere la Fine dei Tempi.
I Cicli messianici (pp. 137-188) sono al centro dellapocalittica islamica; Cook ne vede lantecedente
nello Zoroastrismo, con il ritorno ad un mondo perfetto. Naturalmente anche questi cicli si colorano di rapporti
con lideologia politico-religiosa; il Mahd pu prendere la sua vendetta sugli Abbsidi (p. 148) o pu venire
dallHijz (p. 154). In un caso connesso con lavventura di Muhammad b. Abdallh, detto al-Nafs al-Zakya,
lanima pura, lo hasanide ribelle nel 762 insieme al fratello Ibrhm (cfr. supra, p. 200) nellaltro alla ribellione
di Abdallh ibn al-Zubayr; nei due casi i moventi sono nelle frustrazioni dei credenti per la natura del regno
Omeyyade, che delude le attese dei primi Musulmani, e nella chiusura, ad opera del nuovo potere abbside, di
una lunga stagione di conati rivoluzionari (si ricordi la rapida eliminazione di Ab Muslim, supra, p. 205). Tra i
protagonisti di questi cicli vi sono anche Gog e Magog (cfr. supra, p. 251 sgg., nel testo e nelle note) che hanno
nome Yjj e Mjj (pp. 183-188). Su questa presenza vedi Rubin, BQ, p 46 sgg., che mette in luce la loro
assimilazione alle tradizioni islamiche insieme alla leggenda delle Trib disperse e agli altri particolari del
racconto di Eldad ha-Dani (cfr. supra, p. 252).

1107
Un interesse a parte hanno le Apocalissi shite (pp. 189-229). Ricordo innanzitutto quanto ho
accennato a proposito delle sette shite nel testo (cfr. Ordine celeste e disordini terreni e Il significato delle sette
shite) per sottolineare lintrinseco aspetto apocalittico di una dottrina che, tanto nella sua finale ortodossia
duodecimana, quanto nelle innumerevoli sette estremiste che le sorsero accanto, ha sempre atteso il ritorno di
un Imm occultato. Del resto la Sha fu sin dallinizio un fenomeno rivoluzionario al centro di continue
rivolte in epoca omeyyade; e quando, con il 5 e 6 Imm e con lavvento degli Abbsidi, gli aldi assunsero un
atteggiamento quietista culminato nel X secolo con la linea duodecimana e con la dottrina di unattesa indefinita,
che surrogava lassenza inevitabile dellImm con un clero, i deviazionismi sorsero numerosi a fondare altre e
nuove rivendicazioni, caratterizzate tutte da attese apocalittiche. Tra queste, una storia a parte fu tracciata
dallIsmailismo, in particolare da quello di Alamt.
Una caratteristica delle Apocalissi shite messa in luce da Cook, che abbiamo incontrato precisamente
a proposito dellIsmailismo di Alamt, che il Mahd vi assume anche il ruolo del Qim, cio del Resurrettore,
colui che presiede alla Grande Resurrezione che metter fine a questo mondo per inaugurare la nuova et
caratterizzata dalla fine della Legge. Questo un tema che abbiamo ampiamente trattato nel testo, anche con
riferimento alla Qabbalah e alle eterodossie cristiane, sottolineando come questo sia il punto darrivo di ogni
esoterismo (per lIslam, pensiamo anche ai Qarmati del Bahrain e al loro assalto alla Kaba con il furto della
Pietra nera) ma anche la conseguenza del sognato ritorno ad uno stato edenico delle origini, che non potrebbe
essere caratterizzato da obblighi e divieti. Cook, a sua volta, nota soprattutto, in questa apocalittica, una forte
tendenza egualitarista -pi forte ancora che nellIslam sunnita- che ritiene di scorgere nel fatto che il Qim
distrugger le moschee, in quanto manifestazione di un lusso che non ha pi senso, testimonianza di un mondo
che deve finire (p. 210). Il luogo ideale di preghiera , come ai primissimi tempi del Profeta, una capanna come
quella di Mos (frase che fu notata da Kister e che diede titolo al suo articolo, cfr. supra, p. 1066).
Il capitolo dedicato alle Apocalissi morali (pp. 231-268) il pi significativo per il problema che sto
trattando, e richiede una pi lunga esposizione. In questa apocalittica, nota Cook, dominante legualitarismo
che fu alle origini dellIslam: il Qim non soltanto distrugger le sfarzose moschee, ma anche le dimore
lussuose; cambier la societ, ci sar una nuova Rivelazione (o una nuova era) ci che implica la fine della
precedente. Nellostilit verso le grandi costruzioni, Cook vede lostilit dellapocalitticista verso tutte le
manifestazioni che sembrano ignorare limminente Fine dei Tempi, proponendosi come modelli duraturi di
potenza e ricchezza, sfida dellumano e del terreno allinesorabile volont divina.
Parlando del mito apocalittico del giorno allungato (p. 234) secondo il quale se anche al mondo
restasse un giorno soltanto di esistenza, quel giorno sarebbe allungato sinch il Mahd non avesse riportato nel
mondo giustizia e onest, Cook fa poi unosservazione che traduco qui di seguito: lesigenza pi
profondamente sentita del Musulmano il desiderio di giustizia. Aggiunge poi , sottolineando che siamo in
presenza di affermazioni generali, non specificamente dirette contro qualcuno: qui c unaffermazione
rivoluzionaria che addita la fine del regno dei tiranni musulmani prima della fine del mondo. In altre parole, ci
sar un giorno di vendetta terrena quando la comunit islamica, aiutata da Dio e guidata dal suo agente, il Mahd,
abbatter gli esistenti poteri malvagi, cosicch il mondo finir con una nota di bont, cos come esso inizi.
Occorre anche notare lattacco allIslam ufficiale implicito nella tradizione (corsivo mio): lapocalitticista dice
che lordine attuale insufficiente, e che questo Islam ufficiale ha fallito nel portare lattesa et delloro
messianica (altro corsivo mio). Egli non soddisfatto del presente e deve dare speranze per il futuro. Questa
lessenza propria del mito di restaurazione: alla Fine le cose che sono state degradate e distrutte durante il
periodo interinale saranno ricostruite e restaurate. La chiamata per il governo giusto era, ed oggi, il segno
distintivo di ogni gruppo islamico rivoluzionario, apocalittico e messianico, e deve essere compreso come tale.
(terzo corsivo mio)
Cook ha dedicato molti suoi studi alla persistenza dellApocalitticismo nellIslam contemporaneo;
oltre ai due articoli cit. in Bibl. a p. 848 e a quello in Salzani, cit. in Bibl. a p. 850, discussi nellApp. alla V ed.,
ricordo qui il pi recente Hadth, Authority and the End of the World: Traditions in Modern Muslim Apocalyptic
Literature, O.M., 82,1, 2002, nel quale si analizzano anche le tecniche costruttive dei testi da parte degli
apocalitticisti, ove si mescolano gli ahdth con temi letterari delloccidente, mantenendo vivi scenari di fine del
mondo; unattesa che sembra sempre attuale, come attesta R. Tottoli, Hadts and Traditions in Some Recent
Books upon the Dal (Antichrist), ivi. Anche qui si assiste alle reinterpretazione degli ahdth, e non sembra
neppure necessario sottolineare che tutta questa letteratura (come quella segnalata da Cook) ora pervasa da
violento antisemitismo: evidentemente il genere letterario fa ancora grande presa, perch lApocalitticismo
parte costituente, fondante, originante dellIslam.

Mi sia concessa allora una domanda retorica: che cos tutto ci se non ci che siamo andati
precisamente inseguendo in tutta la Storia di un altro occidente, che abbiamo continuamente sottolineato come
eterna richiesta di una cultura della marginalit occidentale, che s, marginale, per il suo trasformare lUtopia in
atopia, ma anche perch messa al margine sin dai tempi dellistituzionalizzazione del messaggio testamentario?
Una cultura che, dunque, non riguarda soltanto lIslam, e che mostra un processo di formazione allinterno delle
diverse religioni testamentarie, per la natura stessa del Messaggio e per quel suo lavoro di assimilazione del mito
zoroastriano che ha il proprio haut lieu nel periodo intertestamentario. Dire che comprendere lIslam non
1108
possibile sulla base dellorientalismo, perch il problema interno alla nostra stessa storia, non mi sembra
dunque una bizzarria.

Lidea del fallimento dellIslam esistente rispetto al sogno degli inizi, dice Cook a p. 235, unidea
potente nellintero Islam, sebbene si manifesti in modi diversi; lidea trova suffragio nel modo in cui vennero
guardati gi agli inizi il Giudaismo e il Cristianesimo, come Rivelazioni che si erano poi corrotte e necessitavano
di un rinnovo. Tuttavia questo ciclo deve considerarsi esaurito con la Rivelazione islamica, perch Maometto il
sigillo della Profezia: questo spiega il formarsi di deviazioni allinterno dellIslam stesso. Cook cita la Sha, ma
questo non che linizio, se vogliamo pensare alle mille sette estremiste che si staccarono dallImamismo,
allIsmailismo, al Sufismo eversivo che si stacc dalla Sha duodecimana quando questa divent una Chiesa
safavide (e divenne un problema interno allo Stato Ottomano ed tuttora ben presente in Turchia), alle tante
deviazioni come Hurfiti e Alawiti, al Bbismo: una galassia che mostra leterna tensione del mondo islamico
in rapporto al problema della giustizia affrontato in termini religiosi e in rapporto ad un utopico modello
archetipo da restaurare.
Daltronde, sia concesso notare, poich la Giustizia (contrariamente alla concreta realt terrena dello
ius) un postulato metafisico che pu prender forma soltanto in rapporto al non-luogo dellU-topia, naturale
che la sua definizione possa strutturarsi soltanto in ambito mitico-religioso con riferimento a un modello posto
altrove, da realizzarsi in terra perch questo era il progetto: mai realizzato per le colpe e gli errori pi vari,
per quel Male che nel mondo esiste, come compresero gli Gnostici e certamente non pu ammettere la
luminosa Ragione. Il concetto astratto di Giustizia tuttavia la tensione che contribuisce nel tempo a
modificare lo ius, secondo quel rapporto di storia e utopia che vedemmo a suo tempo.
Tornando allIslam, la conseguenza del suo rapporto con questo problema sempre stata la sua
oscillazione tra quietismo e apocalitticismo (p. 237); qui viene da osservare infatti che vi stato il tradizionale
quietismo sunnita, ma che dal mondo sunnita viene anche il Salafismo, che una collocazione del tempo mitico
delle origini nel tempo dei quattro Califfi ben guidati, un tempo che abbiamo visto essere tuttaltro che colmo
di mitiche virt. LIslam delle origini che abbiamo affannosamente tentato di circoscrivere diviene, per il
salafita, un Islam mitico che tuttavia egli colloca in un luogo della storia, nonostante esso, per sua natura, possa
collocarsi soltanto in un luogo altro.
Proseguendo nellanalisi dellApocalitticismo, Cook nota (p. 239) la centralit del concetto di Hijra
nel pensiero islamico . Il suo valore simbolico consiste nellestraniamento da una societ corrotta, attestato dal
volontario esilio; qui, vorrei notare, torna in mente il concetto di solitario messo a punto da Ibn Ba (cfr.
supra, pp. 882-883) e la lettura che ne stata data come archetipo di una avanguardia rivoluzionaria che
propone il ritorno alla societ perfetta. A corroborare questa impressione c quanto osserva Cook alle pp.
244-245: lodio dellapocalitticista si concentra contro modeste figure sociali che tuttavia agiscono come
esecutori del potere, ad esempio lesattore delle imposte: egli sembra quindi esprimere la propria ideologia in
funzione degli umori popolari, come veicolo delle frustrazioni sociali. Ci proietta su di lui, a mio avviso, una
luce meno ideale, ne fa un unespressione di quelle eterne intellighentzie piccolo-borghesi che vedono il basso
clero contro la gerarchia, gli ulam contro il Califfo, il (sedicente) profeta contro il Sovrano: una storia di
contrasto sociale gi vista quando parlammo di basso clero, piccola aristocrazia e artigiani come portatori delle
eterodossie delloccidente.
Questa impressione esce confortata da quanto afferma Cook alle pp. 246-247, cio che lapocalitticista
pu al massimo accettare un Califfato che derivi direttamente dal Profeta; di fatto per, ci che vuole un nuovo
governante in diretto contatto con Dio, perch leredit del Profeta ha termine con lassassinio di Uthmn e
perci necessario un nuovo amr, un nuovo incarico divino. Allapocalittico non piace lavvento degli Abbsidi
dopo la cacciata degli Omeyyadi, ci che sembra in linea con la frustrazione che sempre attanaglia le frange
rivoluzionarie emarginate dal consolidarsi di un nuovo potere. Viceversa lortodossia sunnita non necessita di un
nuovo profeta, perch gli eredi del Profeta sono qui, sono gli ulam. Siamo cos al cuore di un evento storico
gi introdotto, la lunga lotta tra i tradizionisti e i Califfi nellimpero abbside, terminata con la vittoria dei primi
(cfr. supra, p. 881 e p. 891 sgg.). Fu quello il momento nel quale crebbe a dismisura il potere degli ulam che,
dopo la resa di al-Mutawakkil, diventarono punto di riferimento come successori del Profeta, cosa non gradita
agli apocalittici, perch il clero faceva uso del proprio potere per barattare le condizioni dellappoggio al
Sovrano (p. 248). Daltronde, come abbiamo visto ricordando gli eventi del Califfato abbside, che fu il
momento del massimo influsso della filosofia greca nellIslam, definitivamente contestato soltanto con al-
Ghazl, gli apocalitticisti, non diversamente dagli ulam, odiavano gli intellettuali, cio i filosofi: entrambe
le schiere, apocalitticisti e clero, si sentivano infatti portatori di un sapere (ilm) che non un sapere intellettuale,
un sapere della Rivelazione (p. 250). Tuttavia, e questo sembra un tratto distintivo di tutti i gruppuscoli, il loro
odio maggiore non andava agli eretici ma agli ipocriti: lodio si rivolge contro lIslam delle moschee (p.
253).
Lapocalitticista, nota Cook, detesta la cultura cittadina ed un critico semplicista della societ: egli
parla non soltanto in nome degli esclusi dalla storia, ma anche degli esclusi dal dibattito teologico (p. 267,
corsivo mio). Questo tratto di frustrazione intellettuale sembra quanto mai significativo; e tuttavia, conclude

1109
Cook, lApocalitticismo, col suo rimpianto delle origini e dei primi Califfi non un estraniato dalla societ, al
contrario, nel mainstream, perch non v figura religiosa musulmana che non esalti il periodo dei Rashidn.
Terminata questa lunga panoramica, Cook si volge ad esaminare linfluenza del Corano e del Tafsr
sullapocalittica (pp. 269-306). Qui egli ripete alcuni concetti gi esposti sulla profonda differenza che intercorre
tra lattesa dellOra che pervade il Testo Sacro e la successiva apocalittica e sul significato apocalittico della
Hijra, nonch sul fatto che lapocalittica espande temi generali del Corano ma raramente coincide con esso e che
unesegesi apocalitticista del Corano ha luogo soltanto nella Sha. Una osservazione nuova e interessante si
trova a p. 270: un problema tutto contemporaneo che oggi difficile leggere il Corano per ci che esso
rappresent per i primi fedeli, perch tanto i fondamentalisti che vogliono sbarazzarsi di tradizioni ritenute
inutili, quanto i conservatori del tradizionalismo, quanto, infine, gli studiosi non islamici, sono assorbiti dalla
mole del corpus interpretativo dei commentatori.
Poche pagine sono poi dedicate al tema centrale di ogni apocalittica, la finale e decisiva separazione
del Bene dal Male (dei buoni dai malvagi) per giungere infine al significativo saggio conclusivo di Cook
sullapocalittica islamica (pp. 312-332).
Secondo Cook, il materiale apocalittico mostra un profondo pessimismo circa la possibilit dellIslam
di cambiare il mondo. Ci rivela una matrice nella grande delusione che segue sempre le rivoluzioni epocali, che
nel segno dellutopia convogliano e compattano forze immense in direzione di un obbiettivo sognato che,
riportato alla realt terrena di questo mondo, si rivela sempre a-topico. Insisto ancora nel ricordare il titolo dato
alla prima rassegna dedicata allIslam in questo testo: allordine celeste che si vuole instaurare corrisponde
sempre il disordine terreno. Quando si attiva la palingenesi terrena si giunge allinstaurazione di un nuovo
potere, c chi lo cavalca e chi resta escluso dalla festa, non un esito originale. Se per qualcuno, abbagliato
dalla luce della promessa, non vuole arrendersi allo scacco, allora non potr che sognare una reiterazione
dellonda distruttrice, confidando nellimmutabile volont divina di ricondurre il mondo a ci che deve essere,
magari con una seconda e definitiva prova. Per lapocalitticista lIslam stato un fallimento, non ha saputo
cambiare il mondo, anzi, ne stato corrotto, perci deve essere giudicato come ogni altro sistema (p. 313,
corsivo mio). Nel mondo sognato leccellenza viene dalla fede e dalle azioni, non dalla posizione sociale (p.
314); cos si esprime lutopia di un mitizzato Islam delle origini. Sottolineo il carattere mitico di queste origini
per domandarmi se, per tentar di capire lIslam, sufficiente ricostruirne la storia, o se non si debba anche tener
conto del suo mito di fondazione. Forse i due termini si rinviano reciprocamente se li si connettono tramite
lantefatto giudeocristiano, che potrebbe cos rivelarsi pi significativo sul piano dellutopia di quanto possa
essere circoscritto nelle brume di ipotesi storiche evanescenti.
Cos, lapocalittica prevede una lotta incessante, perch il desiderio della Fine deve essere incessante,
altrimenti la Fine non verr (p. 314) e gli uomini debbono combattere per realizzare il Millennio (p. 315). Vorrei
notare: non forse questo il fondamento del jihd? e delle turbolenze che da sempre segnano il mondo islamico?
Lapocalitticista si sente tradito dallestablishment religioso (p. 317) perci attende il Mahd come
luomo inviato da Dio a guidare la comunit; commenta Cook (p. 318): Non si pu che notare quanto
semplicistiche e orientate ai ceti bassi siano le tradizioni apocalittiche.
Nellapocalittica, nota ancora, non c prova di riparazione, let messianica il compimento di tutti i
desideri umani ma essa rivela tutte le tensioni interne alla societ islamica (p. 322). In essa vi sono anche dei
nodi che lasciano riflettere: il Mahd eliminer i cattivi governanti ed eliminer i torti, ma non dato sapere
come egli potr portare la giustizia, visto che nelle tradizioni il popolo gli si ribeller e continuer a peccare, e il
Mahd, in quanto uomo, non onnipotente n onnisciente. Noto che tutto ci significativo delle contraddizioni
nelle quali si avvolge lattesa di una palingenesi della societ delluomo che generi in questo mondo, ad opera
delluomo, un mondo non soggetto ai limiti delluomo; e che ci pu essere messo in rapporto con il mito
islamico, nel quale non esiste, come nel mito del peccato originale, la concezione di una condizione umana
irrimediabilmente postlapsaria (cfr. G. Anawati, La notion de pech original existe-t-elle dans lIslam?, S.I.,
31, 1970). Manca cio lo iato, fecondo perch insuperabile, tra storia e utopia.
Cook fa unulteriore importante osservazione sul rapporto esistente tra apocalittica e potere, alle pp.
326-327. Egli nota che il centro delle tradizioni apocalittiche fu in Siria e che non chiaro come esse venissero
raccolte; che i sei grandi collettori canonici del IX secolo viaggiarono ovunque per le loro raccolte, ma, fatto
singolare, essi furono tutti originari della Persia e del Khursn. Certo che nella raccolta di Bukhr la parola
Mahd non appare; le tradizioni apocalittiche appaiono nel suo competitore Muslim (ad esempio quella relativa
alla conquista di Costantinopoli) ma non vi appaiono i cicli messianici; entrambi non possono ignorare i grandi
conflitti interni della storia dellIslam, ma entrambi mostrano un certo understatement. E aggiunge: Come gi
notato, lapocalittica per sua propria natura un soggetto politicamente pericoloso. Perci non deve sorprendere
il numero relativamente grande di tradizioni respinte dalle raccolte canoniche (p. 327).
Quanto agli altri quattro autori di raccolte canoniche, essi trattano pi ampiamente lapocalittica, ma
nei capitoli ad essa dedicati mettono in guardia dai conflitti inter-islamici. Tutto ci si spiega con quanto
premesso da Cook (p. 326): lIslam del IX secolo aveva raggiunto un equilibrio e uno sviluppo che consente di
parlare di un corpo di tradizioni volte a un comune obbiettivo: e lapocalittica appartiene ad un Islam che
lantitesi di un sistema teologico organizzato.

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Questultima osservazione induce ad ulteriori riflessioni. Infatti, se lapocalittica risponde ad attese
deluse e speranze frustrate, se essa insiste sui cicli messianici, cio su una ripetitivit del ciclo profetico, quindi
sullinadeguatezza dello stato di fatto rispetto allobbiettivo; considerato anche il precocissimo insorgere del
fenomeno, alla met del I secolo ma non senza significativi antecedenti, come luccisione del terzo Califfo; ci
significa che esistette sin dallinizio una discrepanza tra ci che aveva mosso le popolazioni e ci che si era
andato realizzando, e che questa discrepanza doveva avere un fondamento religioso. In altre parole: lIslam delle
origini dovette esser qualcosa di diverso, meno definito e definibile, e pi aperto a divergenti interpretazioni,
rispetto a quello che si codific nellVIII e IX secolo e che, per noi, lIslam tout court.
Lapocalitticismo un momento originario della societ islamica, tant vero che esso era gi un dato
di fatto nel momento in cui nacque lapocalittica shita (p. 331); ci che tuttavia non consente di definire questo
momento iniziale come apocalittica sunnita, come fa Cook (ivi) perch il Sunnismo, come abbiamo gi visto
(p. 1047) non un momento iniziale dellIslam, un momento tardo.
Cook conclude la propria ricerca ribadendo che lapocalittica fu importante per dar forza alla
tremenda espansione iniziale, anche se fu poi vista con ostilit. La forza che guid il primo Islam fu la
convinzione di vivere i giorni della fine del mondo e di essere in attesa del Giudizio; perci lapocalittica
parte integrale della fondazione ideologica del primo Islam, e continua ancora oggi a dare ai Musulmani energia
e ispirazione per compiere azioni incredibili (p. 332).
Il testo di Cook, come si pu notare e come naturale per uno studioso rivolto al passato dellIslam
ma anche al suo presente e per il quale la comprensione del passato chiave per quella del presente, un testo
che consente di approfondire lo sguardo anche sulle origini; come tale ritengo di doverlo assumere e perci ne ho
tratto spunto per alcuni commenti. Vi infatti, a mio avviso, una coerenza intrinseca tra le origini dellIslam e i
suoi successivi sviluppi, anche quando essi appaiano contraddittori tra loro; per questa ragione ho voluto
estendere lindagine in corso, mantenendone il metodo, anche agli eventi successivi che ci introducono a realt
ben altrimenti documentate. Lipotesi di lavoro infatti la seguente: se questi sviluppi si mostrano coerenti con
le origini ipotizzate, allora si pu ragionevolmente pensare che quelle ipotesi non siano troppo lontane, non dir
dal vero, ma quantomeno dallattendibilit. Se una tale ipotesi di lavoro accettabile e mostrasse lattendibilit
delle ipotesi sulle origini, allora -cos ritengo- capiremmo meglio un fenomeno che abbiamo necessit di capire
(lIslam tra noi, non pi mondo coloniale) ma che sfugge alle categorie del pensiero ideologicamente
occidentale.

Diciamo dunque che, con il cenno alle attese apocalittiche che caratterizzano lIslam, spero di aver
completato unanalisi della quale avvertivo lopportunit, tale che, pur con i suoi limiti, fosse sufficientemente
dettagliata e ragionata per mostrare il fondamento dellIslam nelle attese della marginalit: fondamento che non
verr mai meno e che avr un ruolo nelle successive evoluzioni, anche di quelle che fanno parte di una cultura di
lite, come la grande speculazione della teosofia ishrq. Questa fu la conseguenza ultima della critica al
pensiero classico, alla cosiddetta filosofia, compatibile con la fede rigorosa in un Dio Creatore soltanto
nellambito di unontologia emanatista, destinata naturalmente a sboccare nella dottrina della unicit/unit
dellesistenza (wahdat al-wujd).
Ci che ora mi propongo di esaminare, in misura pi compendiosa ma, spero, egualmente accettabile,
la conseguenzialit degli sviluppi con quanto irreversibilmente maturato nel corso del primo secolo, quello
formativo. Il punto di partenza la presa di potere abbside.
Come si ricorder, questa presa di potere avvenne al termine di una serie di insurrezioni shite e
movimenti iranici contro il potere omeyyade, ai quali ho fatto cenno nel capitolo Ordine celeste e disordini
terreni e nellAppendice alla IV ed. Nellepoca abbside maturarono inoltre i conflitti attorno al ruolo del
Califfo (se fosse Vicario di Dio, ovvero, pi limitatamente, del Profeta, nonch Guida dei Credenti) cio attorno
al suo diritto di interpretare e/o adattare alle circostanze una Legge civile e penale voluta da Dio. Questi
conflitti, accompagnati dalla lotta tra mutaziliti e tradizionisti finirono, come noto, con la vittoria degli ulam
e il consolidamento della Sunnah, della quale ho fatto cenno in Dopo e a lato.
Il periodo che va dalla met dellVIII secolo allo scorcio finale del X fondamentale per levoluzione
dellIslam, e registra tre momenti di sua possibile apertura alla cultura delle regioni conquistate, tutti rientrati e
risoltisi con il ridimensionamento del potere califfale. Il primo costituito dallapporto della cultura iranica nella
seconda met dellVIII secolo. Esso ha il proprio maggior rappresentante in Ibn al-Muqaffa e si prosegue con
al-Warrq e Ibn al-Rwand sino alla prima met del IX secolo. Mentre questi ultimi due focalizzano la propria
critica contro la stessa religione islamica, ritenuta irrazionale nei suoi divieti e nelle sue prescrizioni, e fanno
della Ragione il giudice della religione; maggiore spessore riveste Ibn al-Muqaffa perch, pur accettando
formalmente lIslam al quale si era convertito (resta sospeso il giudizio se egli provenisse dal Manicheismo o dal
Mazdeismo, in ogni caso da unesperienza dualista e vedremo limportanza che a ci si deve annettere) egli
dedic la propria opera intellettuale a sostenere il potere religioso del Califfo, facendone un Gods Caliph
contro le pretese montanti di ulam e tradizionisti, lo ahl al-hadth. Tutti furono esecrati, nella memoria
islamica, come zandiqa, eretici dualisti. Quanto ad Ibn al-Muqaffa, fu giustiziato nel 757 dallo stesso Califfo
(al-Mansr), sunnita, lo stesso che aveva messo a morte Ab Muslim (cfr. supra, p. 201); non, per, perch

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eretico, ma a causa di un servizio mal reso o, forse, di una segreta connivenza con gli Aldi (cfr. D. Sourdel,
La biographie dIbn al-Muqaffa daprs les sources anciennes, Arabica, 1, 1954).
Il secondo momento, non pi rivoluzionario perch eterodiretto dalla politica califfale nei confronti di
Bisanzio, fu quello sul quale mi sono brevemente trattenuto alle pp. 890-891 e passim, quello dellapertura al
pensiero greco che si prosegu sino al X secolo byide. In Dopo e a lato ho tuttavia sottolineato il modo del tutto
islamico con il quale i falsifa intesero -o fraintesero- lessenza del pensiero greco, che ebbe una duplice sorte.
Da un lato esso fu assunto come mero strumento logico, argomentativo nel kalm, sino alla critica dei suoi limiti
in al-Ghazl e alla sua stroncatura in Ibn Taymiyya (argomento sul quale torneremo infra, per sottolineare
ancora il fondamento giuridico del pensiero islamico). Dallaltro esso si svilupp, con una forte logica
neoplatonica, non soltanto nella teosofia, come ho accennato, ma in primo luogo e momento nelleterodossia
ismailita, per la cui ontologia rinvio a Ordine celeste e disordini terreni.
Il terzo momento, che fu un momento di (tentata) tolleranza religiosa, fu il X secolo byide (i Byidi
erano shiti) nel quale fu abituale il confronto tra le varie religioni dellImpero, condotto sulla base di
argomentazioni rigorosamente logiche (la logica uno strumento). Anche questa fu unapertura eterodiretta,
perch strumentale ai fini del controllo dei vari gruppi religiosi (islamici, cristiani di varie confessioni, mazdei,
manichei, giudaici) presenti nellImpero. significativo che, mentre al tempo delle traduzioni dal greco gli
incontri dei saggi, eventualmente con il Califfo, si svolgevano in un Bayt al-Hikmah, cio nel punto dincontro di
un sapere razionale; al tempo dei Byidi essi si svolgono in una Dr al-Ilm, dove laccento si sposta su un
sapere religioso. Tutto finisce con lXI secolo selgiukide, quando a seguito del definitivo collasso del Califfato,
ormai diviso in un oriente selgiukida sunnita e in un occidente ftimida (ismailita), lIslam si consegner, per la
sua maggioranza, al tradizionalismo degli ulam.
Introduco le linee generali di questo periodo, che fa da sfondo ai personaggi sopra evocati, ma non
soltanto: c infatti questo il periodo al termine del quale si afferma da un lato il Sunnismo, ma dallaltro si
istituzionalizza lImamismo duodecimano che esprime uneresiografia shita. Contemporaneamente, dalla Sha
prende corpo, distaccandosi, lIsmailismo, con i suoi sistemi neoplatonici emanatisti e con lantinomismo di
Alamt (tradotto nella fine della Legge e nella Grande Resurrezione). Utilizzo a tal fine i due testi della Kraemer
(cit. in Bibl. a p. 817) e di L. Capezzone, La politica ecumenica califfale: pluriconfessionalismo, dispute
interreligiose e trasmissione del patrimonio greco nei secoli VIII-X, O.M., 78, 1998.
Larticolo di Capezzone si rivolge essenzialmente al momento nel quale il califfato abbside fu
impegnato nel recupero del pensiero greco e alla sua gestione come uso di una logica condivisa nel dibattito
interreligioso. Capezzone ritiene che il confronto dei sapienti nellambito dellidea classica e tardo antica dei
filosofi a convegno (p. 5) abbia un esempio nella Turba philosophorum, il noto testo alchemico (sullalchimia
nellIslam cfr. supra, p. 208 in n. 101; pp. 225-232, p. 418 sgg.) sostenendo inoltre che Da un ambito cos
(apparentemente) marginale come lalchimia emergono quindi due temi cardinali che segnano i primi secoli di
storia culturale dellIslam: lintegrazione del sapere degli antichi e lo sviluppo di un esercizio intellettuale tipico
del pensiero islamico, il kalm (p. 7) che si esercita tramite il adal, il dibattito fondato sulluso esclusivo della
logica. Capezzone menziona al riguardo la manualistica che ne deriv, tra la quale cita un Kitb dab al-adal,
attribuito ad Ibn al-Rwand (p. 8).
A titolo personale ricordo quanto ho gi ritenuto di sottolineare in Dopo e a lato, cio il modo del
tutto esteriore col quale fu recepito dallIslam il pensiero greco, essenzialmente come uso strumentale della
logica (aristotelica) a fine di dimostrazione della razionalit del credo islamico, e comunque sempre, anche nel
caso di al-Frb, in subordine alla verit di esso, dei suoi obbiettivi; ne ho parlato anche in rapporto alla
recezione del pensiero politico di Platone e allassenza di riflessione su quello aristotelico.
Il pensiero greco venne soprattutto recepito tramite laccoglimento delle elaborazioni neoplatoniche
tardo antiche, che condusse di fatto fuori della ortodossia (in particolare allIsmailismo) i falsifa, tanto da
divenire oggetto di specifica confutazione da parte di al-Ghazl e di Ibn Taymiyya. appena il caso di ricordare
il caso del neoplatonico ahm ibn Safwn (sul quale cfr. R.M. Frank, The Neoplatonism of ahm ibn Safwn,
Le Muson, 78, 1965) divenuto leponimo di quei generici ahmiti (cfr. supra, p. 891) sotto il cui nome il
tradizionalismo del X secolo catalogava leresia emanazionista dei falsifa. Larticolo di Frank mette in luce con
argomentazioni e citazioni molto stringenti il rapporto di ahm con il Neoplatonismo, e questo ben prima (ahm
muore nella prima met dellVIII secolo) che fosse tradotta la Teologia di Aristotele. Il pericolo della sua
dottrina fu ben compreso da Ibn Hanbal e, pi tardi, da Ibn Taymiyya, grande avversario del Neoplatonismo (cfr.
supra, p. 898) non soltanto per i rischi panteisti inerenti al Neoplatonismo, ma anche perch la sua negazione -da
buon neoplatonico- che Dio potesse essere shay mawjd, qualcosa di esistente (in quanto ontologicamente
distinto dal Creato) e potesse avere attributi, faceva del Corano una cosa creata (e, per giunta, espressa tramite un
uomo) non identificabile con una Parola di Dio increata: ci che significava togliere assolutezza alla
Rivelazione islamica. Mi permetto di notare, a titolo personale, come questa perdita di assoluta certezza metta in
crisi ogni pensiero della marginalit, cui sembra estranea ogni forma di scetticismo e di ironia, crisi che denuncia
ancora una volta il fondamento originario del pensiero islamico.
Tornando allarticolo di Capezzone, egli vede dunque nella tradizione alchemica, non nei polemisti
cristiani, la premessa del kalm, contrariamente a M. Cook (cfr. supra, pp. 869-870) e ad altri (pp. 9-11). Il

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kalm era, a suo avviso, di un metodo condiviso da tutti (p. 11) e applicato tanto dai Cristiani quanto dai
Musulmani.
Lintroduzione di questo argomento da parte di Capezzone ha un significato ben preciso: mostrare
come nei primi due secoli del califfato abbside esistesse, nellImpero, una koin culturale premessa ad un
clima di tolleranza e di scambio. Quanto ci fosse una realt fuori della corte e del Bayt al-Hikmah, lo vedremo
poi; per ora mi limito a ricordare quanto segnala M.G. Balty-Guesdon, Le Bayt al-Hikma de Bagdad, Arabica,
39, 1992 a p. 136: il periodo dellintroduzione dei testi greci e della libera discussione fu in seguito condannato
come minaccia alla saldezza della comunit -eterno incubo, come ho notato pi volte, dellIslam, in particolare
del Sunnismo- subdolo tentativo di Bizantini e Cristiani.
Largomento della koin offre comunque a Capezzone loccasione per una affermazione critica sul
concetto di influenza: secondo lui, quale che fosse la facies culturale dalla quale prese origine lIslam, questo
rappresenta comunque una realt autonoma, una risposta nuova e originale alle esperienze storiche dellarea geo-
culturale tardo-antica nella quale nacque (p. 11). Su ci non si pu che concordare, salvo che, per quanto
modestamente ho ritenuto di comprendere, lo sguardo andrebbe rivolto pi verso il basso che non verso lalto,
non al breve splendore della cultura di una corte, quanto alla cultura della marginalit, che precisamente in questi
secoli prender il sopravvento con gli ulam e con lo ahl al-hadth. Capezzone prosegue poi affermando che la
logica aristotelica fu avvertita dagli intellettuali musulmani come terreno epistemologico comune di una unit
di fondo definita come ahl al-kitb (ivi); ricorda le traduzioni da Aristotele e la presenza del Califfo alle dispute
interreligiose (pp. 20-22). Questo gli permette di sottolineare (p. 12) che precisamente la logica aristotelica fu il
fondamento della critica di al-Qsim b. Ibrhm al manicheismo di Ibn al-Muqaffa.
Poich dobbiamo parlare presto di Ibn al-Muqaffa, bene aprire una parentesi sullargomento, perch
lattribuzione del testo al nostro ktib controversa, come controverso il fatto che egli fosse stato Manicheo. Si
vedano gli elementi congetturali in M. Cassarino, Laspetto morale e religioso dellopera di Ibn al-Muqaffa,
Soverato Mannelli, Rubbettino, 2000, pp. 44-45 e pp. 89-100; e si veda anche S. Shaked, From Iran to Islam.
Notes on some Themes in Transmission, J.S.A.I., 4, 1984, che mostra in modo convincente come la cultura di Ibn
al-Muqaffa fosse fondata sul Mazdeismo, non sul Manicheismo (p. 50 sgg.). Interessante anche il riferimento
a P. Kraus, Zu Ibn al-Muqaffa, R.S.O., 14, 1933, che verifica un parallelo tra il discorso di Burzoe in Khalla e
Dimna e gli argomenti del cristiano Paolo il Persiano, vissuto ai tempi di Khosroe I. Su Paolo il Persiano, un
Nestoriano convertito allo Zoroastrismo, cfr. D. Gutas, Paul the Persian on the Classification of the Parts of
Aristotles Philosophy: a Milestone between Alexandria and Badd, Der Islam, 60, 1983, pp. 247-249, che ne
mette in luce il legame con laristotelismo della Scuola di Alessandria (di fatto un Neoplatonismo per quanto gi
trattato nel Cap. 2 di Dopo e a Lato a proposito del percorso da Alessandria a Baghdad); e per il discorso di
Burzoe cfr. le pp. 42-58 di Il libro di Kalila e Dimna, a cura di A. Borruso e M. Cassarino, s.i.l. ma Roma,
Salerno Editrice, s.i.d. ma 1991. Il citato parallelismo stato ricondotto alla comune cultura neoplatonica diffusa
alla corte sassanide ed evidente anche in tardi testi zoroastriani, come il Bundahishn (cfr. supra., pp. 820-821).
Altra notazione relativa a questo argomento si pu trovare in I.T. Krist-Nagy, On the Authenticity of al-dab al-
Sir, A.O.H., 62,2, 2009, ove si sottolinea laffinit tra il concetto ivi espresso che paragona Satana
allignoranza, e un analogo concetto espresso in un tardo testo zoroastriano, il Dnkard VI, del IX secolo (cit. in
Bibl. a p. 852 con il titolo The Wisdom of the Sasanian Sages). Ne emerge limpressione che nel pensiero di Ibn
Muqaffa il ruolo determinante sia da attribuirsi alla cultura zoroastriana.
Tornando allargomento del manicheismo di Ibn al-Muqaffa, quindi necessario un chiarimento (per
il testo di riferimento cfr. M. Guidi, La lotta tra lIslam e il Manicheismo. Un libro di Ibn al-Muqaffa contro il
Corano confutato da al Qsim b. Ibrhm, Roma, Re.A.N.L., 1927).
Se si analizza il testo edito dal Guidi, si vedr che la tecnica razionalista di al-Qsim identica a
quella usata da Ireneo contro gli Gnostici, tecnica brillantemente analizzata da Le Boulluec (cfr. supra, pp. 18-
19) e che stata definita del centone: frasi completamente avulse dal contesto, prive di ogni riferimento alle
esperienze esistenziali che ne sorreggono il senso, vengono facilmente ridicolizzate nella loro apparente
assurdit. Ogni eresiologo a suo modo un Razionalista, mentre Ibn al-Muqaffa, Manicheo o Mazdeo che fosse,
uomo con esperienza del mondo che denuncia -come gli Gnostici- lesistenza in esso del Male come concreta
realt. Dopo di che, come vedremo infra, egli non uno Gnostico e non rifugge dal mondo, al contrario, lo
padroneggia da buon ktib (segretario, funzionario dellamministrazione) e impartisce regole di vita degne di un
Criticn o di un Manual de prudencia. Non per nulla, D. Urvoy (cfr. infra) lo paragona a Baltasar Gracin.
Capezzone (p. 14) fa comunque della vicenda una questione di lotta al Manicheismo.
Sullargomento anche opportuno ricordare lanalisi di G. Vajda, Les zindqs, etc., cit in Bibl. a p.
778, che ha esaminato le testimonianze degli eresiografi giungendo alla conclusione che tra gli zandiqa v di
tutto, non soltanto dualisti ma anche shiti, estremisti e non. Vajda mette in luce che si tratt di un vasto
movimento di pensiero iniziato al tempo degli Omeyyadi, e la mia personale impressione che la persecuzione
messa in atto dagli Abbsidi, giunti al potere sullonda di moti insurrezionali iranici e poi consegnatisi al
Sunnismo avanzante tra le masse, ha tutta laria di una epurazione di antiche amicizie divenute scomode.
A questa lotta contro i dualisti ho gi accennato, e la cosa deve considerarsi scontata in un rigido
monoteismo quale quello islamico. Tuttavia il problema del cozzo di Ibn al-Muqaffa con lIslam degli ulam,
come vedremo esaminando quel che resta delle sue opere, va oltre laspetto dottrinale, perch investe in primo
1113
luogo le conseguenze politiche di questo aspetto, riguarda il possibile ruolo di interpretazione e aggiornamento
della Legge da parte del Califfo, per non dire la proponibilit stessa di una Legge che pretende di comandare il
Bene e proibire il Male. Il ktib sa bene che i due sono intimamente connessi nella natura stessa di questo
mondo. Da qui viene leresiografia come controllo poliziesco, secondo Capezzone (p. 13, corsivo mio)
motivato anche da presunti rapporti dei zandiqa con gli aldi (p. 20). Capezzone nota anche (p. 14) il vezzo
classificatorio delleresiografia, perch la classificazione la miglior scelta per evitare di comprendere, fornendo
al tempo stesso uno strumento facile da usare.
Con il controllo delle comunit si coniuga anche la decisione califfale di rimettere le vertenze interne
ai vari gruppi religiosi, al giudizio delle rispettive magistrature ecclesiastiche (p. 17) i cui vertici sono integrati
nellapparato dai dibattiti che avvengono a corte (p. 18).
Lintreccio di filosofia e politica che caratterizza la vita di corte offre dunque a Capezzone loccasione
per introdurre la figura di Ibn al-Muqaffa (p. 21 sgg.) del quale ricorda in primo luogo la Rislah f l-Sahbah
(cfr. infra) nella quale il ruolo politico del Califfo assurge anche a quello (e nellIslam non potrebbe essere
diversamente, per la natura stessa della sua Legge/Sharah) di sovrano interprete della Legge religiosa (p. 22).
Siamo allo scontro frontale con ahl al-hadth e ulam, ma non soltanto: come vedremo infra tutto il senso di
una religione, che uno scettico come lui mette in discussione, senza peraltro negarne il ruolo fondamentale, a
differenza di al-Warrq e Ibn al-Rwand. Il problema infatti se il Califfo sia il Vicario di Allh o del Profeta;
su ci Capezzone rinvia alla vicenda studiata da Crone-Hinds (cit. in Bibl. a p. 1014) una vicenda che centrale
nellevoluzione dellIslam che mi sforzo di mettere a fuoco. infatti in gioco quel potere esegetico che, passato
nelle mani dello ahl al-hadth e degli ulam, porter, tra Shfi e lXI secolo, alla fossilizzazione della
Sharah. Questo il problema centrale della dinastia abbside, come nota Capezzone (p. 24).
In questa disputa hanno un ruolo, a corte, gli intellettuali dualisti (manichei? mazdei? vedremo poi
perch) di origine iranica, i quali, anche se convertiti allIslam, sono portatori di una diversa e pi
mondanamente scettica cultura. Dualismo e Scetticismo son infatti pi volte accostati, con ragione, da Urvoy:
in entrambi i casi si esprime infatti il dubbio sulla credibilit di unideologica teodicea.
La presenza dei Mazdei nelle dispute di corte ricordata da Capezzone (p. 25 in n. 52); tuttavia al
riguardo va notato che la loro sfida aveva ben poche probabilit di cambiare il corso di un califfato che, pur
venuto al potere sullonda delle rivolte iraniche, aveva scelto di consegnarsi al Sunnismo fondando il proprio
assolutismo sulla neo-ortodossia (cfr. Cassarino, cit., p. 62): segno che ormai la massa islamica aveva
decisamente scelto il proprio orientamento. Ha senso ricordare questo, perch bene considerare i secoli VIII-X
con un occhio ben diverso da quello che guarda agli splendori di una corte.
Dopo aver proseguito la propria trattazione con argomenti che esulano da questa limitata ricerca,
Capezzone torna sullargomento ricordando la vicenda della mihna (cfr. supra, p. 891) e il tentativo califfale di
imporre il dogma del Corano creato, funzionale alla politica califfale come lo fu, nonostante lapparente
stranezza, la nomina abortita dellottavo Imm duodecimano, Al al-Rid, a proprio successore da parte di al-
Mamn (cfr. supra, p. 859): ci avrebbe infatti contribuito a dare al Califfo quel potere sacrale di Imm a lungo
inseguito perch indispensabile al fine di condurre politicamente la Ummah in modo efficace. Largomento
ampiamente trattato nei suoi vari risvolti, inclusi quelli biografici, da D. Sourdel,, La politique religieuse du
Calife Abbaside al-Mamun, R.E.I., 30, 1, 1962. Sourdel mette in luce che questo era infatti lobbiettivo politico
del Califfo, per realizzare il quale avrebbe dovuto liberarsi dellipoteca posta sulla sua politica dal partito degli
ulam galleggianti sugli umori delle plebi di Baghdad: al-Mamun era infatti fautore di una politica di
conciliazione e di tolleranza (allopposto degli hanbaliti) ed era culturalmente vicino alla Shia, in particolare
Zaydita, razionalista; e al razionalismo mutazilita, sostenitore del Corano creato: una dottrina che conferiva ben
maggiori possibilit di intervento religioso per il Califfo, facendone di fatto il Califfo di Dio del quale s gi
detto nel primo capitolo di Dopo e a lato.
La Kraemer, come dal titolo della sua ricerca, affronta viceversa lultimo momento di possibile
apertura dellIslam ad una cultura non ancorata al tradizionismo, cio lepoca byide, che prende il nome dalla
dinastia shita impadronitasi di Baghdad nel 946, ponendo sotto tutela lormai imbelle califfato abbside. Non a
caso, a p. 36, ella parla di un intermezzo iranico tra il dominio arabo dellImpero, che termina con il X secolo, e
quello turco, che inizia con linvasione selgiukide dellXI. Questo intermezzo da lei definito un Rinascimento
dellIslam, cui mise fine il dominio selgiukide con la definitiva vittoria del Sunnismo (p. VIII).
La posizione della Kraemer dunque molto netta nel valutare levoluzione dellIslam, ma lo sguardo
cos direzionato illumina ancora una volta il ristretto ambiente della corte. Un Rinascimento, perch sia
veramente tale, deve provocare una svolta nella cultura; l si tratt viceversa, come agli inizi del califfato
abbside (e si ricordi che al-Mamn ebbe uneducazione iranica) di una fiammata ristretta alla corte,
condizionata allesterno da un ambiente religioso ostile, destinata perci a breve esistenza. Questo ambiente
religioso ostile era lIslam quale si era andato ormai configurando per lopera delle proprie intellighentzie
minute: i raccoglitori di ahdth, gli ulam, gli esperti del fqh, tutto un mondo che aveva portato alla vittoria il
dogma del Corano increato, aveva inventato la Sunnah, aveva fossilizzato la Legge. Un percorso che diverr
mainstream anche fuori del Sunnismo, relegando le divergenze ad abominevoli eresie. Non per nulla lIslam
stato definito come una religione dalle molteplici ortodossie, divergenti tra loro ma convergenti nellespungere le
frange minoritarie.
1114
Daltronde, quando la Kraemer esalta lopera di al-Frb (p. 3) sembra porre eccessivamente lenfasi
sul ruolo della filosofia: come credo di aver mostrato, infatti, nel mondo islamico anche la filosofia
comunque rivolta a razionalizzare lintangibile Rivelazione, salvo correre il rischio di cadere nelleresia, tant
che al-Frb e Avicenna -come, a maggior ragione, Sijistn e gli Ikhwn as-Saf- sono visti in connessione
con lIsmailismo, cio con il possibile sviluppo dellIslam come religione in progress, unopzione che la
grande maggioranza dei Musulmani di ogni confessione ha rifiutato.
Quanto poi alla natura di questa filosofia, nota la Kraemer giustamente che, nonostante una metafisica
neoplatonico-aristotelica, la filosofia politica rimase platonica (p. 6), argomento lungamente discusso in Dopo e
a lato. La cosa, a mio avviso, di un certo rilievo. Questo scollamento tra la metafisica e la politica costituisce
infatti un indizio preciso di quanto affermo, anche in rapporto al fatto, notato da molti, che lIslam non prese mai
in considerazione la Politica di Aristotele pur disponendo della sua traduzione. La filosofia politica platonica,
che mal si lega ad una metafisica neoplatonico-aristotelica, ha tuttavia il pregio di proporre una comunit assai
vicina a quella del mito islamico, non certo nelle strutture ma sicuramente negli esiti: una comunit nella quale il
dissenso non elemento fecondo di mutamento, ma errore da correggere in rapporto ad un modello intangibile.
La differenza soltanto in chi stabilisce il modello: se llite dei filosofi (magari le avanguardie rivoluzionarie
dei solitari di Ibn Ba) o la diffusa e variopinta comunit di giurisperiti, ulam e tradizionisti; ma il
modello in entrambi i casi eterno, o perch platonicamente vero, o perch scritto in un libro celeste. Il nodo
fu tagliato da al-Ghazl, non senza coerenza teorica e motivazioni pratiche. Infine e concludendo, se posso
permettermi unulteriore notazione, questa indifferenza iniziale ad una evidente incongruenza tra metafisica e
filosofia politica, mostra il modo del tutto strumentale con il quale fu recepita la filosofia, cio come mero
strumento razionale a sostegno della Rivelazione. Quando si videro i pericoli della filosofia per la Rivelazione, la
filosofia fu rifiutata.
Quanto limitatamente rinascimentale fosse poi il quadro collettivo, lo ammette implicitamente
anche la stessa Kraemer quando a p. 14 giustifica gli esiti ambivalenti dei falsifa -sui cui limiti mi sono
espresso- in rapporto alla avventurosa dottrina straussiana della dissimulazione (cfr. supra, p. 839 e pp. 942-943)
secondo la quale si tratterebbe di concessioni al mainstream per evitare persecuzioni.
Sembra infatti evidente che allecumenismo di corte corrispondesse ben altro clima, sia nella
popolazione che nella stessa politica califfale. Basti pensare alla sorte riservata nel 922 al grande mistico al-
Hallj, colpevole sia di una interpretazione puramente spirituale della Legge, sia di aver proclamato quella
parentela di umano e divino che il punto darrivo di tutte le eterodossie, anche occidentali, sulla scorta della
lettura neoplatonica della Creazione.
Anche il quadro della Baghdad byide, quello, per intenderci, della sua popolazione, che ci presenta
M. Canard (cit. in Bibl. a p. 817) assai poco idilliaco, e bench i Byidi molto facessero per restituire un
minimo di tranquillit e benessere dopo il crollo del potere califfale, non per questo cessarono i tumulti. Ora, se
dietro il disagio cera la crisi economica e amministrativa della capitale, nondimeno su tutto ci -e al fondo di
tutto ci- vera un clima di lotta religiosa nella quale un ruolo significativo era giocato dal violento e intollerante
tradizionalismo hanbalita che agitava ci che Canard definisce la populace cio le plebi urbane. Il quadro di
quella Baghdad sembra sconfortantemente simile a quello della Baghdad odierna, come su nulla fosse cambiato
in un millennio: quotidiana era la lotta sanguinosa tra shiti e sunniti, non certo controllata da un governo
imbelle e ondivago. I Byidi conobbero la realt della montante intolleranza anche allinterno del proprio stesso
esercito, formato di fanteria iranica, shita, e di cavalleria turca, sunnita, in lotta tra loro. Il successivo avvento
selgiukide alla met dellXI secolo coincise con laffermazione sunnita e con la fine del confronto religioso che
era stato tenuto vivo allinterno della Dr al-Ilm.
Su questo quadro conviene anche la Kraemer (pp. 50-52); anche in questo stesso periodo si pu
registrare il grande fermento culturale promosso dai nuovi dominatori, ad un livello che per sembra remoto
dalla realt delle masse. significativo notare che le due grandi linee di sviluppo culturale che avrebbero potuto
emergere dal fondamento islamico -la linea della mistica e della teosofia che ebbe seguaci anche a corte (Canard,
p. 275) e quella neoplatonica dellIsmailismo, con gli Ikhwn as-Saf- saranno alla fine emarginate dallo
hanbalismo e dal tradizionalismo delle masse, e che quando il Sunnismo si afferm con i Selgiukidi, il nuovo
potere ebbe come primo problema politico la fondazione delle madrase, per poter tenere sotto controllo questa
ingovernabile religiosit popolare. In questa che al tempo stesso resa alla, e governo della, religiosit popolare
di massa proiettata su un passato mitico, si assiste allo spegnersi delle possibilit evolutive dellIslam che non
finirono, ma rimasero marginali.
A questo allude D. Urvoy, Les penseurs libres dans lIslam classique, Paris, Flammarion, 1996,
quando parla di svolta dellXI secolo (p. 177); ed significativo anche notare che precisamente alla met del X
secolo inizia anche la svolta nellambito della Sha che conduce allelaborazione dellimmismo duodecimano e
alla sua robusta opera eresiologica, condotta nel tentativo di allontanare da s ulteriori sviluppi gnostici dagli
esiti eversivi; esiti che tuttavia torneranno come nuovi polloni da antiche radici quando, con i Safavidi, la Sha
diverr una vera e propria Chiesa.
Il testo di Urvoy merita di essere seguito perch il suo nucleo principale (accanto al quale scorrono
altre narrazioni) costituito da una riflessione sul rapporto che si poteva stabilire, e che tent di stabilirsi, tra il
rigido monoteismo islamico e la riflessione scettica del dualismo iranico, un rapporto che fu chiuso con
1115
laffermarsi di una ortodossia per la quale il dissenziente diviene eretico rispetto a una.....tradizione (cfr.
supra, p. 899); ortodossia retta sul tardo dogma del Corano increato.
Gi ad apertura il testo di Urvoy si mostra assai polemico nei confronti di una tradizione accademica
che ignora il dissenso presente inizialmente nel mondo islamico (pp. 9-10) e la violenza e lintolleranza del
Profeta (pp.23-25) per giungere ad affermarsi; notiamo anche -ed questa la notazione che pi minteressa,
anche perch la condivido- che c una continuit tra laffermazione degli ulam, il pensiero di Ibn Taymiyya e
il Wahhbismo (con il che siamo alle soglie del moderno fondamentalismo neo-salafita) sulla base di una cultura
di massa che Urvoy definisce furori popolari.
Urvoy focalizza lapproccio di Ibn al-Muqaffa allIslam come lo sguardo critico che ogni monismo
destinato a subire allorch venga a contatto con un pensiero nel quale la Ragione stessa, confrontata con
lesperienza del Male, conduce al dualismo e di qui ad un approccio scettico. Del resto, gi Gabrieli nel suo
pionieristico studio su Lopera di Ibn al-Muqaffa, R.S.O., 13, 1932, parlava di grandioso tentativo gnostico di
interpretazione delluniverso e delluomo (p. 242) in polemica con la teodicea islamica (p. 243).
Ibn al-Muqaffa, dice Urvoy, attacca il fideismo religioso e difende la saggezza politica; non rifiuta il
Corano, perch ritiene che la ragione umana debba essere sorretta dalla Rivelazione, ma rifiuta le minuzie rituali
(pp. 44-45). Non rifiuta una religione istituzionale, ma difende il giudizio individuale (p. 51). Urvoy prosegue
esponendo gli argomenti presenti nei vari testi attribuiti al ktib persiano e ne mostra la logica di un convertito
che comunque portatore di una cultura diversa da quella in via di affermazione nellIslam, tanto che lo si pu
considerare un autore-cerniera nellimmissione della cultura iranica (persiano-greca) che rester vivace nel IX-X
secolo. Di questa cultura, lelemento fondamentale, per i temi che stiamo seguendo, quello relativo al ruolo del
giudizio personale (ray) affidato al Sovrano, per il suo diritto divino a controllare lapplicazione della religione:
elemento della cultura sassanide contrastante con quella maturata nellIslam, come ci ricordano le vicende del
Gods Caliph e della mihna.
Il tentativo di Ibn al-Muqaffa era stato reso possibile perch, come nota J.E. Lowry, The First Islamic
Legal Theory: Ibn al-Muqaffa on Interpretation, Authority and the Structure of Law, J.A.O.S., 128, 2008,
questa scelta di attribuire la suprema autorit religiosa al Califfo si motivava con lesigenza di dare unit non
caduca ad un Impero multietnico, multiculturale e multireligioso a causa della diversit dei popoli conquistati,
alla quale una soluzione poteva venire dallesperienza maturata nel plurisecolare impero sassanide. Lowry mette
per anche in luce le ragioni di un prevedibile fallimento, da ricercarsi non soltanto nellevoluzione che nel
frattempo aveva caratterizzato lIslam, ma anche nel suo stesso fondamento messianico, che tale evoluzione
aveva concretato sotto forma di una Legge elaborata dai fuqah al di fuori di ogni impronta governativa.
Fondamentale sarebbe stato viceversa organizzare una nuova sintesi, come nota I.T. Krist-Nagy, La lumire et
les tnbres dans luvre dIbn al-Muqaffa (mort vers 757 aprs J.C.), A.O.H., 61,3 2008, p. 267, in un
momento nel quale si erano dissolti i vecchi quadri e si era messa in movimento una nuova societ. Loccasione
storica, come sappiamo, and perduta per lIslam, che al livello delle masse si andava ormai consegnando al
tradizionismo e al tradizionalismo. Non sembra dunque casuale che Ibn al-Muqaffa attaccasse gli esiti bifronti
generati da questa deriva, il Khridjismo e il quietismo (Urvoy, p. 43) entrambi sintomo di unassenza di
rapporto culturale con il problema del potere e della governabilit, eterno limite della marginalit che partorisce
atopie.
A maggior ragione mi sembra perci significativo seguire lo schema interpretativo proposto da Krist-
Nagy per il pensiero di Ibn al-Muqaffa, il cui ragionamento interessante perch fondato sullinteriore coerenza
di tutti gli scritti tradizionalmente attribuiti al nostro ktib. Secondo Krist-Nagy infatti, sarebbero di Ibn al-
Muqaffa non soltanto i due db (pl. di dab), la Rislah f l-Sahbah e Al-Durra al-Yatma, ma anche la
critica al Corano e i contestati passi manichei riferiti da al-Qsim, sui quali altri studiosi si sono espressi in
senso contrario. Questi ultimi ci interessano in modo particolare, perch il sottile ragionamento di Krist-Nagy
consente di sottolineare e rinforzare quanto sopra osservato circa i metodi di critica universalmente adottati dagli
eresiologi, improntati ad un Razionalismo tanto tranchant quanto, di fatto, semplicistico, deviante e, vorrei dire
come dissi per Tertulliano, militaresco.
Il punto di partenza il quadro politico allavvento degli Abbsidi. A quel momento, nota Krist-
Nagy, lIslam, bench religione dei conquistatori, era ancora minoritario nel vasto impero; perci, nonostante la
situazione spingesse il potere ad una dura repressione del dissenso di ogni genere (la mihna, la lotta contra la
zandaqah) il pensiero non-conformista era ben vivo presso gli intellettuali eredi della tarda antichit. Qui egli
introduce una prima osservazione dal tono sbrigativo che meritava un maggiore sviluppo, perch molto
significativa: il non-conformismo messo a tacere come zandaqah riemerger come filosofia neoplatonica,
lopposto (apparente) del dualismo, che va in parallelo con lelaborazione mistica sempre presente nellIslam, il
Sufismo (p. 271).
Ora, ci che tiene unito questo ragionamento sono una serie di passaggi sottintesi, alcuni dei quali
accennati in seguito da Krist-Nagy, altri emergenti da quanto avevo notato supra alle pp. 897-898 a proposito
dellopera di al-Ghazl, che viene illuminata da un articolo di D. Burrell, Islamic Philosophical Theology and
the West, Islamochristiana, 33, 2007. Burrell nota che la critica di al-Ghazl ai falsifa rivolta essenzialmente
allemanatismo, che priva Dio di una Sua volont di creazione; e che luso della Ragione, sempre secondo al-
Ghazl, pu essere esercitato soltanto alla luce della Rivelazione. Per conseguenza il suo pensiero -che termina
1116
nel Sufismo- non chiude la strada alla filosofia nellIslam, ma la indirizza verso quello che sar poi lo splendore
della teosofia ishrq. Su questo piano la grandezza del pensiero islamico si fonda su una schiera di nomi, dei
quali citai soltanto i pi illustri a p. 898.
C poi un altro passaggio del ragionamento che esplicitato da Krist-Nagy e che richiede un
retroterra sul quale non mi dilungo perch dovrebbe esser chiaro a chi ha seguito questo testo. Esso risiede nella
totale ambivalenza di monismo e dualismo, in quanto approdi alternativi della Ragione applicata alla religione,
tali da rinviarsi eternamente lun laltro a meno di non arrestare volontaristicamente (e arbitrariamente) luso
della Ragione su una delle due mete, intendendo il vocabolo meta nel senso di punto di svolta del circolo
eterno: il grande ruolo di Ibn al-Muqaffa nella storia del pensiero islamico quello di un uso della Ragione non
strumentale, non cio come terreno argomentativo comune fondato sulla logica, (quello del quale si occupa
Capezzone) ma come esigenza della coscienza (Urvoy, in Krist-Nagy, cit., p. 280).
Premesso dunque che, per non appesantire queste righe, rinvio la conoscenza diretta del pensiero di al-
Muqaffa ai testi gi citati, ai quali aggiungo quanto meno Ch. Pellat, Ibn al-Muqaffa conseilleur du Caliphe,
Paris, Maisonneuve et Larose, 1976, che contiene testo e traduzione della Rislah f l-Sahba; e Il libro di
Kalila e Dimna, cit., nonch Il Galateo maggiore, Intr. versione dallarabo e note di P. Spallino,Palermo,
Officina di Studi Medievali, 2004; proseguo con il testo di Krist-Nagy per il quale Ibn al-Muqaffa un
autore di importanza primordiale, perch lultimo anello della tradizione spirituale dellIran pre-islamico e
un rappresentante eminente dello Scetticismo. Le due cose sono connesse perch il dualismo (mazdeo o
manicheo, non importa) emerge dalluso scettico della ragione nei confronti di qualunque teodicea; ma ci che
pi importa che il suo contributo, secondo Krist-Nagy, avrebbe potuto essere fondamentale per definire un
diverso ordine islamico,. Resta il fatto che il tentativo fu liquidato, e questo mi sembra un indizio eloquente
dellevoluzione irreversibile di un Islam che stava costruendo una propria ortodossia sulle pulsioni popolari
veicolate dallo ahl al-Sunnah wa l-jama.
Tornando a Krist-Nagy, lunitariet dei vari testi attribuiti ad al-Muqaffa, da lui ritenuti tutti
effettivamente autentici, nasce non soltanto dal rinvio speculare delle citazioni che egli produce, tutte improntate
al vaglio razionale della credibilit della Rivelazione, ma anche dal fatto che la presunta irrazionalit delle
attestazioni manichee prodotte da al-Qsim, soltanto apparente, perch essa nasce, come vedemmo gi nel
caso degli Gnostici derisi da Ireneo, dal metodo messo in atto dalleresiologo per giungere al risultato voluto. La
Luce e la Tenebra del discorso manicheo di Ibn al-Muqaffa, rappresentano un dualismo destinato a risolversi
in monismo perch, come ho fatto notare sempre nellesposizione di ogni sistema dualista, alla fine sempre
la Luce, la ragione, a mettere ordine nel Male che disordine, e a superarlo, evento del quale responsabile
ciascuno a titolo individuale. Il Male una quotidiana esperienza, perci reale, ma tocca a noi superarlo e a
portare ordine in questo mondo: altissimo impegno etico che tuttavia revoca in dubbio lipotesi di un mondo
buono creato da un Dio Sommo Bene. Lingenuit delle teodicee -non esclusa quella illuminista!- laporia
di tutti i monismi e i Razionalismi, non buon uso della ragione (con la minuscola) e pu condurre soltanto allo
Scetticismo. Unaporia che, ironicamente, tende a fare del Dio delle Rivelazioni una copia del melenso dio dei
filosofi, deriva alla quale sembra essersi sottratto, in occidente, soltanto Bhme. Come nota Krist-Nagy (p. 281
nel testo e in n. 31, dove riportato un passaggio della tesi di dottorato di M.H. Browder) quello di Ibn al-
Muqaffa un Manicheismo (o un Mazdeismo, se, come sembra, Shaked coglie nel segno) totalmente
demitologizzato; egli va al di l del Manicheismo e arriva a una dimensione filosofica che probabilmente
immanente a questa religione.
Nota Krist-Nagy (p. 282) che nella logica manichea (ma, vorrei aggiungere, anche zoroastriana,
perch il Manicheismo nasce su quello sfondo) la Luce (il Bene) deve difendersi dallattacco delle Tenebre (il
Male) penetrandolo: un sacrificio che la ragione deve compiere per difendersi. Non per caso lo zoroastrismo
parla di gumeisn, mescolanza, che il grande problema del reale. Ora, nota sempre Krist-Nagy, questa la
constatazione che guida Ibn al-Muqaffa tanto nella sua critica dellIslam, quanto nella saggezza suggerita a
Califfi e cortigiani, tanto negli db quanto nella Rislah f l-Sahbah; questo il carattere tutto politico del suo
pensiero e della sua opera di ktib. La sua una filosofia politica critica nei confronti del semplicismo di una
religione/politica che, insisto, figlia di una cultura della marginalit. Gli esempi in tal senso sono tantissimi in
tutte le sue opere (che perci sembrano tutte della stessa mano, se non si cade nei tranelli degli eresiologi) e sono
inviti a non cadere mai nel semplicismo di chi divide il Bene dal Male. Tanto per citarne uno, il paragrafo 40
della Rislah f l-Sahbah (citato anche da Krist-Nagy a p. 280 in n. 27) avverte che vi sono circostanze nelle
quali la menzogna pu essere pi giusta della verit. Anche lipocrisia pu essere unarma a disposizione del
bene comune, in una logica che per ben diversa da quella della taqiyya suggerita dallIslam. Non si tratta
infatti di esercitare la riserva mentale per difendere una granitica convinzione, ma della convinzione che non
tutto Bene o tutto Male ci che tale sembra (unesauriente esposizione del concetto islamico di taqiyya si pu
trovare ne Il diritto islamico, cit. alle pp. 418 sgg.). In ci giusto attribuire allopera di Ibn al-Muqaffa,
nonostante la ripetitivit degli stessi temi banalizzati negli specchi dei Prncipi un significato e una dimensione
ben altrimenti rilevanti: egli rappresenta infatti lutopico momento di svolta culturale che non vi fu. Il pensiero di
Ibn al-Muqaffa sviluppa unetica dellautocritica e della comprensione altrui, che mostra leredit di una cultura
e di una civilt raffinate e che impone lo sviluppo della ragione critica: in ci si compendia il significato della

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parola dab, che innanzitutto conoscenza del mondo: cfr. P. Charles-Dominique, Le systme tique dIbn al-
Muqaffa daprs ses deux ptres dites al-Sar et al-Kabr, Arabica, 12, 1965.
Daltronde, per quanto riguarda il suo presunto manicheismo, sembra che Ibn al-Muqaffa respingesse
tanto la Creazione quanto la Profezia: posizione niente affatto manichea e ben suffragata dalle parole che gli si
attribuiscono (cfr. Krist-Nagy, cit., pp. 285-286).
bene tuttavia chiarire che Ibn al-Muqaffa non era affatto un avversario della religione (come sar
nel pi elementare, anche banale, Razionalismo di al-Warrq e di Ibn al-Rwand); egli teneva piuttosto a
distinguere il ruolo della Ragione da quello della religione, assegnando a questultima il ruolo principale,
ancorch non esclusivo. Krist-Nagy, Reason, Religion and Power in Ibn al-Muqaffa, A.O.H., 62, 3, 2009,
riporta infatti a p. 291 un passo dello dab al-Sair nel quale si afferma che la differenza tra religione e opinione
(al-imn wa al-ray) che la prima sorretta dalla fede, mentre laltra si afferma con la disputa. Disputare in
materia di religione significa dunque far di essa unopinione, e chi ne fa unopinione inizia a stabilire delle
regole (shar) e chi fa regole non ha religione. La distinzione tra le due necessaria precisamente perch hanno
qualcosa di simile.
Ribadendo questo concetto in un passaggio (ivi, p. 292) di Al-durra al-yatma, Ibn al-Muqaffa
afferma poi che leretico (al-bid, linnovatore) genera incertezza e dubbio (al-shak wa al-zan) precisamente
perch fa della religione un punto di vista. Chi certo di una cosa non ha bisogno di spiegarla, perci nessuno
prende alla leggera la propria religione quanto chi fa della propria o altrui religione una religione
incontrovertibile (dn mafar). Tutto questo ha un significato preciso: la religione fondamento, in essa si
crede perch la Ragione non in grado di fondarla, essa oltre le opinioni e le dispute e fonda la comunit. In
termini gi usati potremmo dire: una societ ha bisogno di un mito di fondazione. Noto per inciso una singolare
coincidenza con Rm, Mathnaw, III, 1510-1512; soprattutto mi sembra di vedere delle assonanze con al-
Ghazl, e non mi sembra casuale che entrambi, tanto Ibn al-Muqaffa quanto al-Ghazl, abbiano riflettuto sul
pi volte citato Testamento di Ardashr. Mi sembra inoltre cogliere il segno Krist-Nagy quando conclude (p.
299) che per Ibn al-Muqaffa la religione innanzitutto (corsivo suo) una necessit politica a causa dei limiti
intrinseci alla Ragione umana. Lo Scetticismo , in lui, strumento positivo di governo.
Per comprendere questo rapporto tra Ragione e religione, che appare difficile da inquadrare per chi
insista in un approccio rinchiuso nelle strutture dellideologia di Occidente, che, tra laltro, fa apparire quanto
meno esoterico il razionale atteggiamento di al-Ghazl, opportuno tornare al citato testo di Urvoy nel quale,
al pensiero di Ibn al-Muqaffa, viene fatto seguire quello di Ishq b. Hunayn, arabo cristiano e grande traduttore
dal greco, come il figlio Hunayn b. Ishq. La sua opera appartiene al dibattito tra religioni stimolato dalla corte
abbside, e in essa si contesta il concetto stesso di dimostrazione della verit di una religione in base alla
logica (il metodo comune dei partecipanti ai dibattiti). Infatti, nota Ishq b. Hunayn, in campo religioso il
presupposto stesso del ragionamento lassenso ad una dottrina ricevuta per tradizione, e su questa base
vengono costruiti i ragionamenti per distinguere il vero dal falso, su una base cio, che costituisce un a-priori
del ragionamento stesso (Urvoy, cit., p. 81). Vorrei sommessamente ricordare quanto aristotelico sia questo
passaggio: vedi quello di Eth. Eud., 1248a che ho citato a p. 915; e vorrei anche sottolineare come risulti, per
conseguenza, strumentale luso della Ragione nei dibattiti religiosi, perch la ragione, come notava al-Ghazl,
non pu che fondarsi su una Rivelazione che ne costituisce il presupposto.
Su questo punto trovo interessante unosservazione di Urvoy (p. 93), che cos argomenta: poich il
conflitto tra i tre monoteismi si fonda sullaccoglimento di testi differenti ma fondati sul medesimo nucleo, del
quale ciascuno pretende di fornire il significato, impossibile per ciascuno prendere in considerazione le
argomentazioni degli altri, se non come forma di rispetto ecumenico. Andare oltre significherebbe abbandonare
una religione per unaltra o cadere nel sincretismo che la negazione stessa del pensiero.
Mentre per la prima parte del ragionamento non si pu che concordare, sulle parole conclusive che ho
riportato tra le virgolette mi permetto di fare unosservazione: perch, se certamente vero che ogni sincretismo
una costruzione artificiale, anche vero -cos, almeno, ritengo e ho sempre sostenuto- che le eterodossie
teosofiche dei tre monoteismi mostrano interessanti possibilit di convergenza perch tutte si risolvono, spinte
allestremo, nellabolizione della Legge, che il caposaldo di ogni ortodossia: e lortodossia ci che divide e
che, in qualche misura, nato per dividere. Non per nulla, ricordo, leterodossia cristiana formul, con Weigel,
la religione dei cuori (cfr. supra, pp. 500-501) che non fa distinzione tra le fedi di origine.
Perci, nota Urvoy, il dualismo il vero pungiglione critico per ogni forma di monismo; argomento
che ho gi esposto e che Urvoy riprende ricordando la dottrina dello kand Gumnk Viar, un testo mazdeo di
epoca post-islamica, che, come il gi citato Bundahishn, rilegge e teosofizza il mito zoroastriano alla luce
dellemanatismo. Il dualismo, dice Urvoy, costituisce linquietudine costante dei teologi che il monoteismo
costringe a improbabili teodicee (corsivo mio), a loro volta facile oggetto una critica di stampo prettamente
razionalista, nei cui confronti la replica degli eresiologi musulmani sembra erede di quella cristiana, siriaca (p.
99). Urvoy parla di una loro tensione etica ad assolutizzare lideale, che la logica tende a relativizzare; di fatto
vorrei ricordare quanto notato gi supra a p. 158 riportando le opinioni del Morghen a proposito delle eresie
popolari del nostro Medioevo: questa tensione della quale parla Urvoy mostra come i cosiddetti monoteismi
sostituiscano il dualismo ontologico e metafisico con un dualismo antropologico ed etico; soprattutto etico,
direi, che fa riferimento non pi al Bene e al Male, ma ai buoni e ai malvagi rispetto ad un codice. Si tratta
1118
di uno spostamento necessario della duplicit dellesperienza verso una duplicit dei comportamenti, al fine di
restituire non soltanto unicit, ma soprattutto univocit al Principio ontologico e metafisico. I due approdi, quello
monoteista e quello dualista, in radicale contrasto reciproco costituiscono un esempio da manuale della
contraddittoriet degli esiti della Ragione, e delle ragioni degli Scettici. Allorigine di essi ci sono le diverse
convinzioni, che non hanno alcuna dimostrazione cogente, sono radicate nellErlebnis.
Urvoy introduce subito dopo la figura di al-Warrq, forse morto nell861-862 e forse condannato
come zindq. Al-Warrq una figura interessante, perch fu mutazilita e perch non certo che fosse divenuto
realmente un Manicheo; ancor pi interessante il modo con il quale Urvoy tenta di ricostruire il percorso del
suo pensiero, perch mostra i limiti cui va incontro la razionalit mutazilita allorch applicata ad un Islam ormai
consegnato al Sunnismo (pp. 102-117; cfr in particolare p. 111 e la critica del pellegrinaggio alla Mecca). Nota
infatti Urvoy che forse al-Warrq volle applicare allIslam la stessa critica razionale che aveva rivolto, come
Musulmano, alle altre religioni, in particolare al trinitarismo dei Cristiani delle tre appartenenze mediorientali,
Nestoriani, Monofisiti e Melkiti.
In questo tentativo infatti, egli non poteva che scontrarsi con la montante onda sunnita, tradizionista e
tradizionalista, per la quale lortodossia si fondava esclusivamente sulle norme raccolte tramite ahdth dalla
dubbia veridicit, con il risultato di rendere pilastri della religione consuetudini che ben poco potevano motivarsi
al vaglio della razionalit, quandanche non risalivano persino allepoca pre-islamica, come il pellegrinaggio alla
Mecca (cfr. supra, p. 1036). Quanto al suo presunto manicheismo, esso fu forse ipotizzato perch verano istanze
di esso che egli trovava razionali, come lavversione allo spargimento di sangue; le stesse aspirazioni che
muovevano i Manichei, al di l dei loro rutilanti miti, gli apparivano razionali.
In altre parole, e per tradurre il discorso allinterno di un problema che ho sempre posto in evidenza,
contrariamente allo strumentale (e non sempre onesto) Razionalismo degli eresiologi, sembra che egli si
sforzasse davvero di comprendere le ragioni altrui, evitando di fissarsi sulle apparenti assurdit dei miti nei quali
esse venivano veicolate. Sotto questo aspetto interessante quanto nota C. Colpe, Anpassung des Manichismus
an den Islam, Z.D.M.G., 109, 1959. Colpe, secondo il quale il consolidamento della ortodossia islamica (leggi:
del Sunnismo) sarebbe avvenuto nello scontro con la religiosit irano-mesopotamica, nota una qualche ragione
nella tendenza delleresiologia musulmana a sovrapporre ghuluww e zandaqa, dietro entrambi i quali lelemento
comune era individuato nello hull, la reincarnabilit dello Spirito. In particolare nota poi che il Manicheismo di
al-Warrq tende a demitologizzarsi per adattarsi alla polemica con lIslam, e che ci avviene attraverso un
processo di neoplatonizzazione della dottrina (fenomeno che abbiamo notato anche per i testi zoroastriani).
Indubbiamente si tratta qui di un processo che tende a generare sovrapposizione con il ghuluww.
La cosa che per pi colpisce (Urvoy, p. 114) la critica di al-Warrq allattendibilit della Profezia
in generale, quindi anche di quella islamica, con unargomentazione che ricorda la velenosa battuta di Hobbes
(cfr. supra, p. 838). Infatti la Rivelazione per al-Warrq cosa di per s di dubbia credibilit in quanto
testimoniata esclusivamente dalla parola del Profeta che assicura di averla ricevuta. Tutto ci si inquadra in una
critica generale di al-Warrq allutilit stessa degli asnd, perch, per quanto essi possano essere eventualmente
verificati, essi finiscono comunque col far capo a un testimone unico, loriginatore dello hadth. Al-Warrq fu
dunque un teologo razionale, contrario alla corrente maggioritaria che ormai configurava la propria fede come
fede in una tradizione (p. 116). Appare quindi evidente quale fu il suo isolamento, tanto che, verosimilmente
per le sovrapposizioni messe in luce da Colpe, fu anche sospettato di simpatie shite: lisolamento di chi
vorrebbe rapportarsi alla religione su un metro inaccettabile e inconcepibile per il vittorioso Sunnismo.
Amico e, inizialmente, seguace di al-Warrq, fu Ibn al-Rwand, nato tra l820 e l830 e morto non si
sa quando, poich la data da porsi tra i due estremi dell864 e del 912 (!). Egli fu il pi famoso empio della
storia dellIslam (Urvoy, p. 117); tuttavia tra lui e al-Warrq non vi fu identit di pensiero, anche se entrambi si
configurano come sostenitori della Ragione. Fu autore di numerosi testi, ricordati da Urvoy; qui mi soffermerei
essenzialmente sul Kitb az-Zumurrud (Libro dello Smeraldo) e sul Kitb ad-Dmigh (Libro irrefutabile) che
costituisce una critica radicale al Corano.
Sul primo si possono prendere a riferimento, oltre ad Urvoy, gli articoli di P. Kraus, Beitrge zur
islamischen Ketzergeschichte. Das Kitb az-Zumurru des Ibn ar-Rwand, R.S.O., 14, 1933-1934 e di S.
Stroumsa, The Blinding Emerald: Ibn al-Rwands Kitb al-Zumurrud, J.A.O.S., 114, 1994 e The Barhima in
Early Islam, J.S.A.I., 6, 1985. Kraus ha tradotto il testo originale (ismailita, i Majlis Muayyadiyya, Atti di al-
Muayyad) che riporta i frammenti del testo di Ibn al-Rwand, e di questi frammenti ha dato la traduzione, dalla
quale ha ricavato la trama verosimile dellopera originale, non senza avvertire sui rischi di falsificazione che si
presentano nelle tarde recensioni dei cacciatori di eretici (p. 94). da notare che le critiche razionali allIslam,
operate da Ibn al-Rwand, sono attribuite ai Brahmani: personaggi misteriosi che Kraus ritiene invenzione
dellautore, mentre Stroumsa The Barhima, etc., cit., ha potuto stabilire trattarsi con tutta verosimiglianza degli
Indiani intervenuti ai colloqui interreligiosi articolati sul solo piano della logica aristotelica dei quali si
interessato Capezzone (cfr. supra, p. 1111).
Per quanto concerne loggetto delle critiche, esse si rivolgono innanzitutto alle obbligazioni rituali (il
pellegrinaggio e i suoi riti, i riti di purificazione, etc.) ma anche alla pretesa inimitabilit del Corano,
comunque non una prova della sua verit; al preteso aiuto divino nella battaglia di Badr, che, stranamente, non si
sarebbe ripetuto a Uhud; ai miracoli; vi si sostiene inoltre leternit del mondo; la Rivelazione ricondotta alla
1119
guida politica di una comunit; il Corano sarebbe pieno di assurdit. La Rivelazione in s appare inutile, perch
inaccettabile in ci che contrario alla Ragione, mentre cosa ovvia l dove coincide con il convincimento
razionale.
Lanalisi della Stroumsa (The Blinding Emerald, etc., cit.) va oltre ed pi sottile, perch tende ad
enucleare la possibile posizione di Ibn al-Rwand, la cui natura di eretico era stata messa in dubbio da Van Ess;
soprattutto interessante appare per quanto riguarda il rapporto di questi con al-Warrq. Certamente significativa
la sua osservazione (p. 163) circa la nostra scarsa conoscenza dello sviluppo della teologia nel IX secolo e lo
stato del dibattito: forse, ci che fu in seguito condannato come scandalosa eresia era a quel tempo argomento
aperto. Questa osservazione da tenere in considerazione in funzione del fatto che soltanto con lavvio dellXI
secolo si assiste al definitivo trionfo del Sunnismo e che lIslam, cos come lo conosciamo, deve aver avuto,
come le altre religioni, un lungo periodo di definizione nel corso del quale furono posti al bando altri possibili
esiti. In questo, il IX secolo certamente centrale.
La Stroumsa, che in avvio prende in esame le varie testimonianze degli eresiografi islamici e gli studi
precedentemente condotti, pu ricostruire la seguente evoluzione: dapprima, e fin verso i suoi 40 anni, Ibn al-
Rwand fu un mutazilita (il suo modo di argomentare resta tale) e successivamente mut posizione prendendo
in considerazione le posizioni degli Shiti, dei Manichei e forse delle altre religioni del Libro. Poich i
personaggi del dibattito del Libro dello Smeraldo (cos come risulta da altri frammenti) sono al-Warrq e Ibn al-
Rwand, ed il primo ad enunciare le tesi ereticali, mentre il secondo difende lortodossia (i due erano legati
anche da amicizia, tanto che il libro fu alternativamente attribuito ad al-Warrq) ci si potrebbe domandare se il
secondo fosse veramente un eretico. Stroumsa conclude la propria lunga analisi (p. 178) affermando che nel
dialogo Ibn al-Rwand fa esporre ad al-Warrq opinioni che in realt sono sue (anche perch altre testimonianze
su altri suoi testi mostrano la sua radicale critica della fede islamica) e attribuisce a s la confutazione: una
tecnica, quella della confutazione di s stesso, che in lui non deve sorprendere. Questultima tesi attentamente
messa in dubbio da Urvoy (pp. 128-129) unitamente ad altre conclusioni espresse dalla Stroumsa sullautentica
posizione di entrambi i personaggi. Secondo questultima il rapporto tra i due eretici sarebbe stato il seguente:
al-Warrq, manicheo, aveva usato il proprio razionalismo per convincere Ibn al-Rwand al rifiuto dellIslam,
ma questi, autentico libero pensatore, avrebbe poi usato gli stessi argomenti razionali per confutare il suo amico
e maestro (Stroumsa, cit., p. 177).
Su tutto ci Urvoy esprime seri dubbi, che interessa riportare non tanto per la discussione in s -che di
per s esulerebbe dallo scopo di queste note- quanto perch essa apre un ulteriore spiraglio sullevoluzione che a
quel momento doveva essere ancora in atto. In primo luogo, si esprimono dubbi sul manicheismo di al-Warrq
di natura diversa e pi generale rispetto a quelli gi riportati in questo testo. Nota infatti Urvoy (p. 128) che, pur
essendo indubbia la testimonianza di Mturd in tal senso, alla quale fa riferimento la conclusione della
Stroumsa, nulla consente di affermare che al-Warrq fosse realmente tale (questo lo abbiamo gi visto) tanto pi
che -e qui linteressante considerazione che egli avanza- nei fatti questo testo non va pi lontano
dellincomprensione dei contemporanei, i quali hanno creduto che lanalisi imparziale equivalesse ad
unadesione (corsivo mio). E aggiunge: se Ibn al-Rwand allorigine di questa accusa, nulla prova che egli
sia stato uno spirito cos aperto da non ricadere nel comune tracciato (ivi). In conclusione: lunica nostra
certezza che al-Warrq si rivolse alla comprensione del Manicheismo con uno sguardo razionale; come dire:
non accecato dal montante Islam degli ulam.
Laltro dubbio di Urvoy riguarda lipotesi di un Ibn al-Rwand che confuta se stesso, dubbio espresso
dallo stesso Van Ess, Une lecture rebours de lhistoire du mutazilisme, R.E.I., 46, 1978, nella sua lunga
trattazione del nostro libero pensatore (pp. 164-191). Secondo Urvoy si pu anche pensare che i suoi
frammenti riportati da autori di epoca successiva, frammenti che, cos come riportati, appaiono contraddirsi, non
rappresentino altro che frasi estratte da quello che in realt il percorso di un pensiero in divenire. La tesi di Van
Ess (cit., p. 172) ancora pi netta: i frammenti eretici estratti dalle sue opere non rappresentano il suo
pensiero, e appaiono tali per il modo con il quale sono avulsi dal contesto. Si tratta, certamente, soltanto di
unipotesi, ma significativo notare che ci che si ipotizza una tecnica di citazione che, nei casi ove si potuto
andare pi a fondo con lindagine, sembra essere stata prediletta dagli eresiografi di tutte le ortodossie.
La lunga indagine che Van Ess dedica ad Ibn al-Rwand, e, subordinatamente, ad al-Warrq, sviluppa
argomenti significativi per la comprensione di una vicenda che non affatto chiara. Il punto di partenza sono
alcuni dati biografici che riguardano il primo, per la cui data di morte Van Ess mostra le ragioni onde optare per
la data del 910 circa. Non secondario appare il problema del suo nome, reso abitualmente in arabo come al-
Rwand o al-Rwand, mentre dovrebbe trattarsi verosimilmente di al-Rwand, dalla citt persiana di Rwand,
vicino ad Isfahan, della quale doveva essere originario. Egli era uno shita, non zaydita come la maggior parte
dei mutaziliti, ma immita, o meglio, rfidita dato il periodo in cui visse, tanto che difese la dottrina di Hishm
b. al-Hakam, che formul la classica dottrina della necessit di un Imm legittimo in ogni tempo (sui Rfiditi cfr.
supra pp. 205-206 nel testo e in n. 73; su Hishm b. al-Hakam cfr. Van Ess, Theologie und Gesellschaft, etc.,
vol. I, cit in Bibl a p. 779, pp. 349-383, in particolare p. 377 sgg.). Questa, dunque, lipotesi biografica di Van
Ess (p. 172) che si prosegue con le notizie relative ad un suo abbandono di Baghdad dopo la resa di al-
Mutawakkil al partito degli ulam (cfr. supra, p. 891).

1120
Van Ess che, come detto, mira a smentire la fama sulfurea di Ibn al-Rwand arcieretico, affronta
inizialmente il problema del Kitb ad-Dmigh, i cui frammenti furono pubblicati e tradotti da H. Ritter, Ibn al-
awzi Bericht ber den Ibn al Rwand, Der Islam, 19, 1931, e che resta fondamentale per la supposta eresia
tanto per Stroumsa, quanto per Kraus, perch in esso sono contenute le pi dure critiche al Corano. La cosa, nota
Van Ess (p. 173) non era nuova, altri testi erano stati scritti in tal senso nel mondo islamico, e un Giudeo suo
contemporaneo, Hw al-Balkh, aveva condotto la medesima critica nei confronti dellAntico Testamento (p.
174). Forse, annota Van Ess, il confronto tra religioni aveva condotto ad una certa insicurezza e ad un minor
fondamentalismo (ivi); daltronde sappiamo che lo stesso Ibn al-Rwand scrisse anche un Naqd (confutazione)
del Kitb ad-Damigh, rimasto incompiuto.
Di un altro suo libro, il Kitb at-T (in persiano: corona, diadema) nel quale si dice che egli
affermasse (contro il Creazionismo del Corano) leternit del mondo (pp. 175-176) Van Ess fa notare che tale
dottrina difficilmente pu essergli attribuita, e comunque, se cos fosse, essa fu propria anche di al-Frb e di
Avicenna, e tra i Giudei, del gi citato Hw al Balkh, cosa che, ipotizza Van Ess, potrebbe aver fatto nascere la
notizia di una vicinanza ai Giudei di Ibn al-Rwand (p. 176). Da molti indizi, conclude poi, si pu pensare che
egli fosse legato alla tradizione murjiita-hanafita, dominante nelloriente islamico, come si evince anche dalla
sua dottrina della temporaneit dellInferno per i Musulmani (su questa dottrina, le sue origini zoroastriane e la
sua permanenza nel Cristianesimo a causa dei dubbi razionali sollevati dallipotesi della condanna eterna, cfr.
supra, pp. 820-823).
Van Ess passa poi ad esaminare il Kitb az-Zumurrud e, affrontando il personaggio misterioso di al-
Warrq, contrariamente a Colpe non ritiene che il suo razionalismo testimoni del suo Manicheismo, ne
testimonia soltanto la conoscenza della dottrina; nota inoltre che la critica allirrazionalit del pellegrinaggio
argomento che egli ha in comune con il grande mistico Bistm, suo contemporaneo (p. 182); e che anche il
Giudeo Hw al-Balkh espresse una critica allirrazionalit di alcune normative giudaiche (ivi): tuttavia egli
rest un Giudeo a pieno titolo. Questa osservazione lascia pensare che, forse, il giudizio di eresia per i critici del
Corano possa essere il frutto di unevoluzione posteriore della dottrina, che nel IX secolo doveva conservare una
maggiore apertura alla propria problematicit. A differenza di Stroumsa, Van Ess prende tuttavia per autentici i
ruoli dei due protagonisti del dialogo (cfr. supra, p. 1118, ultimo capoverso). Il dialogo avviene comunque tra
due Musulmani, che a quellepoca tali erano ancora (p. 185) perch era ancora possibile discutere argomenti che
avrebbero portato, pi tardi, allaccusa di eresia, di uneresia, dunque, ex-post: necessario prendere in
considerazione scrive Van Ess che un buon numero di problemi discussi, a quel tempo non erano ancora stati
normati.
Quanto al Kitb ad-Dmigh e alla sua denuncia delle contraddizioni insite nel Corano, occorre tener
presente che uno degli argomenti a sostegno delliz (inimitabilit) ere precisamente quello dellassenza di
contraddizioni nel testo, ed era ci che Ibn al-Rwand intendeva confutare sul piano razionale, esattamente
come egli intendeva confutare la dimostrabilit razionale della isma, non la sua realt (p. 186).
Secondo Van Ess (p. 185) nel dialogo del Kitb az-Zumurrud saremmo quindi dinnanzi al confronto
di due forme di critica razionalista: quella scettica di al-Warrq e quella ottimista (cio aperta alla verit
dellIslam, bench critica nei confronti della sua comprensibilit razionale) di Ibn al-Rwand. Ottimista lo
probabilmente Van Ess nel sottovalutare un dissenso che egli giustifica (p. 188) con le frustrazioni degli shiti
dopo la resa di al-Mutawakkil nei confronti degli ulam; tuttavia sembra lecito concludere che su tutta la
vicenda relativa ai due eretici nulla chiaro, anche perch dei loro testi possediamo centoni selezionati in
epoca successiva; che la loro eresia sembra maturata ex-post; e che il IX secolo era unepoca ancora fluida per
la definizione dellIslam.
Urvoy, come Stroumsa, meno ecumenico di Van Ess: fermo restando il giudizio su un IX secolo
ancora aperto al dibattito, non pu esimersi dal rilevare che i testi superstiti, pur con le limitazioni sopra esposte,
parlano un linguaggio che difficilmente sarebbe stato pensabile da un buon Musulmano; dunque il dibattito
non tanto sarebbe stato interno alla definizione dellIslam, quanto piuttosto centrato sulla sostenibilit della
pretesa assolutizzazione dellIslam allinterno di un impero nel quale erano presenti altre culture. I problemi
sollevati dal loro incontro sembrano essere dunque al centro del fermento dellepoca, ci che potrebbe gettare
una luce meno idealista e pi pragmatica sulle motivazioni della politica del Bayt al-Hikmah e sul successivo
inaridimento del dialogo avviato. Non a caso Urvoy fa subito dopo un parallelo tra le correnti islamiche e
giudaiche di quel dialogo, ricordando lopera di Hw al-Balkh e sottolineando anche la contemporaneit della
razionalizzazione emanatista del mito zoroastriano, nello kand Gumnk Viar (pp. 133-140).
La diversit di angolazione non da sottovalutare: in effetti c da chiedersi sino a che punto lepoca
che si chiude con la fine del X secolo rappresenti un momento della definizione dellIslam nellambito di un suo
proprio dibattito interno, ovvero se tale definizione sia avvenuta attraverso unopera di eliminazione dalla
nascente ortodossia degli apporti culturali provenienti dal mondo conquistato. In questa seconda ipotesi pu
essere interessante considerare le successive eresie come ritorno di possibili letture dellIslam, interne allo
stesso Islam, sulla scorta delle culture non assimilate. In tal caso sarebbe lIslam stesso a rivelarsi un sistema
religioso ben pi polimorfo di quanto pretendano le sue ortodossie (che si tratti del Sunnismo o della Sha
cos come si istituzionalizz nellImmismo e sotto i Safavidi) perch aperto in s a soluzioni mistiche,

1121
teosofiche, emanatiste, di ripetitivit della Profezia e persino di fine della Legge: purch lo si guardi alla luce di
una forma mentis non ancorata al tradizionalismo..
Come religione filosofica esso appare ancora nel X secolo con lalchimista Ab Bakr al-Raz e
ancora con vari protagonisti dellIsmailismo, ma ormai le vie dellortodossia e delleresia appaiono definite, e
laffermazione della prima come sistema dominante si realizza con lXI secolo, un secolo importante nella storia
dellIslam, tant che Urvoy intitola un proprio paragrafo a la svolta dellXI secolo (pp. 177-182). Nelle sue
brevi considerazioni egli riparte dal problema che si pose sin dagli inizi agli Abbsidi: imporre unortodossia ad
una societ che resisteva alluniformizzazione, trovando in questa dialettica di voci disparate le ragioni di una
ricchezza culturale che fece del IX secolo il secolo di maggior splendore della cultura e della societ islamica.
Tuttavia, sotto la pressione aggressiva dei ceti popolari, il regime si irrigid progressivamente su un dogmatico
conservatorismo, inaridendo le fonti della cultura. In effetti, se il IX secolo il secolo degli Shfi, degli Ibn
Hanbal, dei Bukhr e dei Muslim, la loro opera dar pieni frutti soltanto nel secoli successivi: e il X secolo
ancora il secolo dei grandi sistemi filosofici ismailiti, pur essendo anche il secolo dei violenti moti sunniti nelle
piazze. LXI secolo poi un momento di grande crisi politico-militare dellIslam sullo scacchiere europeo, un
momento nel quale esso sent lesigenza di compattamento interno; con lavvento dei Selgiukidi a Baghdad si
assister a due grandi fenomeni politici, politicamente convergenti nella direzione del mantenimento dellordine:
la ricerca di consenso tra gli ulam e la costruzione di madrase ad opera di Nizm al-Mulk, al fine di
controllare le pulsioni della masse. Sul piano ideologico si assiste contemporaneamente alla grande sintesi di al-
Ghazl, nella quale sono esplorate e fatte convivere le molte possibilit dellIslam, dal legalismo allesoterismo,
mentre viene messo al bando il pensiero greco. Urvoy non omette di notare (p. 180) che si seguit ad ignorare la
Politica di Aristotele, il cui testo era tuttavia disponibile: questo, a mio avviso, dice molto, sulla cultura che
allorigine e al fondamento dellIslam.
Torniamo per indietro al IX secolo e cerchiamo di comprendere dallinterno della stessa societ
islamica, i termini e gli obbiettivi della lotta che in due secoli decider del futuro destino dellIslam: dovremo
parlare dei mutaziliti e degli hanbaliti, ma non soltanto, perch in questo periodo ha luogo anche il
consolidamento della Sha nella sua versione immita, con la messa al bando degli estremismi destinati
tuttavia a risorgere nel tempo e a sopravvivere, ancorch come frange, attorno alla nuova Sha istituzionalizzata.
Quanto ad altre correnti dottrinali tra le pi antiche dellIslam, come i Khridjiti e i Murjiiti, esse saranno
destinate a restare marginali nella grande dicotomia Sunnismo/Shismo.
Le vicende del Mutazilismo sono raccolte da Van Ess, cit., il quale affronta il problema in generale
dopo aver trattato il caso di Ibn al-Rwand. Allavvento degli Abbsidi esistevano molteplici interpretazioni
dellIslam: oltre ai Khridjiti e agli Shiti, accanto ai quali avanzava il partito dei Sunniti, verano ancora i
Murjiiti; quanto agli Shiti essi si dividevano in due gruppi: i Rfiditi, che includevano posizioni estreme dalle
quali si distaccarono poi, nel X secolo gli Immiti duodecimani (nel IX secolo ancora classificati con i
Rfiditi) e gli Zayditi a tendenza razionalista, molti dei quali furono Mutaziliti.
Secondo Van Ess, lo sviluppo del mutazilismo da connettersi con lesigenza di razionalizzare la
fede islamica al fine di propagarla nelle regioni orientali, nelle quali essa era ancora in contatto con le religioni
preesistenti, e non sempre era maggioritaria. La scuola mutazilita non deve perci essere considerata come il
partito degli Abbsidi: di fatto essa guadagn il loro favore soltanto a partire da al-Mamn (R.E.I., 1979, pp. 19-
20) che era di tendenze murjiite (R.E.I., 1978, p. 219). Murjiiti e Hanafiti tendevano infatti anchessi ad una
teologia razionale, e anchessi erano presenti allinterno dei Mutaziliti.
Il Mutazilismo tendeva generalmente al compromesso su problemi che potrebbero apparire alquanto
metafisici, ma che erano, e sono ancora, politicamente rilevanti, in quanto socialmente rilevanti ai fini della
definizione della Ummah, quali lo stabilire se un peccatore debba considerarsi ancora un Musulmano o gi un
miscredente (su questo verano pareri opposti tra la tolleranza murjiita e la rigidit khridjita: cfr. R.E.I., 1979,
pp. 25-26). Tra questi problemi vera anche quello della durata dellInferno, eterno nel concetto islamico di
punizione/premio nellAldil, ma in nessun passo del Corano previsto per i Musulmani, onde si avanz lipotesi,
non scevra di una certa influenza neoplatonica ahmita, di un Aldil di durata limitata nel tempo. Un dibattito
che poteva sembrare astratto, ma che aveva risvolti molto concreti in direzione di una societ fondata sulla
tolleranza o sul puritanesimo, tant che i sostenitori di tesi che apparivano invise ai tradizionalisti, necessitavano
di qualche protezione per evitare rischi.
Sul piano etico i Mutaziliti erano vicini ai Qadariti (ivi, p. 36) in quanto consideravano luomo libero
di decidere per il Bene o per il Male: anche questo diede origine a dispute con i tradizionalisti, sostenitori
dellonnipotenza imperscrutabile di un Dio che decide quel che vuole, essendo Lui il Creatore del Bene e del
Male, dunque al di l di essi. Ne emerse una dottrina occasionalistica delle due volont (p. 29) ricca di sottili
ragionamenti che non interessano quel che stiamo cercando di capire se non per quello che vi traspare: la scelta
di una societ pi problematica rispetto a quella dei tradizionalisti, ancorata ad una Legge imperscrutabile, verso
la quale la ragione aveva soltanto un ruolo ancillare, applicato sostanzialmente al fiqh.
Teologia razionale e teologia dogmatica preludono a due societ diverse, problematica e dialettica la
prima, autoritativamente conformista la seconda. Significative, al riguardo, due osservazioni di Van Ess: a p. 22
egli afferma infatti che le diverse opzioni dellIslam si erano gi rivelate nel corso delle prime guerre civili; e, a
p. 40, che nel I sec. H. i movimenti religiosi erano politici, non teologici. Il Mutazilismo, nota poi Van Ess a p.
1122
63, non era semplicemente una scuola di teologi, ma unorganizzazione a base sociale e politica; egli nota inoltre
a p. 62, la loro vicinanza agli Aldi, agli Zayditi e al Sufismo, e la loro scelta per la giustizia sociale allorch gli
Abbsidi delusero le aspettative, tanto che appoggiarono la rivolta di Ibrhm b. Abdalllh nel 762.
Per altri particolari sulle dottrine dei Mutaziliti, e, pi significativamente, del loro Shar al-usl al-
khamsa (spiegazione dei cinque fondamenti sui quali si fondava il loro kalm) e sulla posizione intermedia
(manzila bayna al-manzilatayn) del peccatore nei confronti della fede, si veda Defenders of Reason in Islam.
Mutazilism from Medieval School to Modern Symbol, ed. by R.C. Martin - M.R. Woodward with D.S. Atmaja,
Oxford, Oneworld, 1997. Tra laltro, lascesa e il declino del Mutazilismo vi vengono messi in relazione con
lesigenza (e la cessata esigenza) di propagandare lIslam tra le popolazioni delle regioni orientali dellimpero.
Come si pu intuire da questi pochi cenni, il razionalismo mutazilita non comportava soltanto un
atteggiamento teologico, ma anche una scelta etica, un aspetto del quale si occupa G.F. Hourani, Islamic and
non-Islamic Origins of Mutazilite Ethical Rationalism, I.J.M.E.S., 7, 1976. Hourani mette in rapporto la
propensione mutazilita al razionalismo etico, con la cultura delle regioni conquistate, bizantine e sassanidi, e si
propone di mettere in evidenza eventuali debiti. Citando Maimonide I, 71 (cfr. in Bibl. a p. 1016) come, del
resto, fa anche S. Pines, A Note on an Early Meaning of the Term Mutakallimun, I.O.S., 1, 1971; e rinviando a
Davidson (cit. in Bibl. a p. 1014) fa il nome di Philopono allorigine della tecnica del kalm praticata dai
Mutaziliti (il che non implica che tutti i Mutakallimn fossero Mutaziliti). Hourani prosegue poi invocando il
possibile rapporto del kalm con la filosofia greca e la religione cristiana, ed espone letica mutazilita
generalizzando in cinque punti ci che le diverse dottrine hanno in comune. Questi punti sono:

1 - Bene e Male sono descrittivi della realt


2 - C un solo Dio, il quale conosce il Bene e il Male, ordina il Bene ma consente alluomo di scegliere il Male
3 - Luomo pu conoscere razionalmente il Bene e il Male di molte cose
4 - Luomo perci responsabile
5 - Dio premia e punisce nellAldil

Secondo Hourani (p. 62) si potrebbe pensare che lorigine di questa etica razionale non sia islamica,
perch letica tradizionale islamica dominante tra i giuristi e i teologi Sunniti da Mlik ad al-Shfi, Ibn
Hanbal, al-Ashar e tutti i loro discepoli in accordo soltanto sullunicit di Dio; per il resto i cinque punti
vanno riformulati nel modo seguente:

1 - Bene e Male non sono valori oggettivi, entrambi sono creati da Dio
2 - Dio pu volere per ciascuno il Bene o il Male, a Sua discrezione
3 - Luomo pu conoscere il Bene e il Male soltanto grazie alla Rivelazione
4 - Dio predestina gli atti di ciascuno
5 - Tutto ci che Dio decide comunque giusto

Osserva poi Hourani, riguardo alletica tradizionalista, che questa teoria emerse da correnti forti
nellIslam primitivo (p. 63) e tuttavia non si pu dire che letica mutazilita sia di origine non-islamica,
potrebbe infatti rappresentare una corrente minoritaria dellIslam. In mancanza di documentazione su presumibili
rapporti con le culture del mondo iranico, ci si pu dunque affidare soltanto ad ipotesi per quanto riguarda
lorigine delletica mutazilita, e le ipotesi possono soltanto fare riferimenti a contatti con Zoroastriani,
Manichei, Cristiani e filosofia greca.
Di queste ipotesi, la pi interessante sembra essere quella relativa allo zoroastrismo, sia perch esso
sopravvisse per secoli in Iran, dove diede origine a numerose rivolte sotto gli Abbsidi (per le quali vedi il
capitolo Ordine celeste e disordini terreni) sia perch, nella teologia mutazilita, presente un elemento
sicuramente presente anche nello Zoroastrismo, la temporaneit della punizione infernale (cfr. supra, p. 822 e p.
1121). Quanto ai Mutaziliti, essi erano in prevalenza mawl convertiti di prima o seconda generazione.
A conclusione Hourani non pu che tornare sulle ipotesi generali che sono gi state esposte: nel IX
secolo la definizione dellIslam era ancora fluida e lIslam dei tradizionalisti (di una tradizione, ricordo, sulla
quale i dubbi sono leciti e diffusi) non era ancora ortodossia. Hourani si sofferma poi su altre possibili eredit
dottrinarie, e a lungo su un possibile apporto cristiano, ma deve concludere, non esistendo alcuna prova concreta
al riguardo di tali apporti, che il Mutazilismo deve intendersi come risultato di una elaborazione tutta interna
allIslam, avvenuta tuttavia nel confronto con le altre culture presenti e ben diffuse nellimpero: fu il tentativo di
stabilire unetica razionale contro le istanze dei tradizionalisti.

Mi permetto di notare che le posizioni di questi ultimi, che erano radicate nelle masse, sono da
connettersi -a mio avviso- con le stesse radici messianico/apocalittiche dellIslam. Vi una precisa cultura della
marginalit che collega i due momenti: la rigida conseguenzialit puramente logica, fondata sulla certezza in
premesse infondabili, studiata da Lacan (cit. in Bibl. a p. 763) nei marginali del XIX secolo francese. Questo
un tratto che sembra infatti caratterizzare in generale la cultura della marginalit. Nel nostro caso, lintuizione in
grado di illuminare il volto del reale con una nuova luce (la malvagit di questo mondo, la sua impossibilit a
proseguirsi, lesistenza di una legge divina che vuole un mondo diverso, limminenza di un cambiamento, e cos

1123
via) tale dal fare dellintuizione stessa il fondamento per un potente cambiamento sociale, si trasforma in una
premessa fantastica allorch venga assunta nella sua letteralit e sviluppata con rigida conseguenzialit logica;
manca cio quella duttilit, figlia del pensiero critico, che consente di leggere costantemente lintuizione iniziale
alla luce della cangiante realt. La fluidit dellesistente si irrigidisce nellimmobilit di uno schema, limite
esiziale di ogni Razionalismo che gi denunciai nel Razionalismo classico, e che si fa atopia allorch si rifletta in
un Razionalismo subalterno, della marginalit. La massima conseguenzialit logica con le premesse intuitive,
conduce al massimo distacco dallesistente, dalla vita, perch il reale non interamente razionalizzabile e
richiede sempre nuova intuizione; la rigida conseguenzialit logica la premessa del pensiero paranoico, con il
quale ogni fondamentalismo sembra avere una qualche affinit. Nella conduzione di una societ lesperienza
della vita da preferirsi alla perfetta conoscenza dellOrganon.
Questa mia notazione si applica dunque al caso che stiamo seguendo, quello di una Rivelazione che,
sovrapposta perfettamente sulla parola divina e racchiusa in un Libro, diviene letteralit non interpretabile (la
razionalit soltanto deduttiva e si applica al fiqh) e viene per giunta estesa a quel corpus tutto umano e alquanto
dubbio che la Sunnah. Nel Sunnismo tradizionalista e hanbalita vi un rigoroso sviluppo logico (e
precisamente perci non il solo possibile, lIslam ne ebbe anche altri) delle premesse originarie: le attese
apocalittiche della marginalit, sempre tese verso un mondo da rendere -non importa se consenziente o no-
rigorosamente perfetto, attese che erano sopravvissute nel Giudeocristianesimo.

Il punto di forza, il vero pilastro dottrinale della scuola hanbalita, il dogma del Corano increato che
si afferm dopo la resa di al-Mutawakkil. W. Madelung, The Origin and Controversy concerning the Creation of
the Koran, in Religion, Schools and Sects in Medieval Islam, Ashgate, V.R., 1997, riassume la controversia sorta
attorno alla creazione del testo Sacro, sottolineando che il protagonista della lotta per il dogma del Corano
increato fu Ibn Hanbal. Per i Mutaziliti, come anche per gli Hanafiti, i ahmiti e il Califfo al-Mamn, il
Corano era da considerarsi creato, contro il parere dei tradizionalisti. Madelung riporta le argomentazioni
teologiche di entrambe le parti, tutte razionalisticamente condotte, tutte opponibili, comunque pretestuosi rispetto
al vero fine della lotta, che era, per i tradizionalisti, impedire interpretazioni da parte del Califfo e divenire i soli
custodi della Legge: ci che nellIslam ha un peso politico determinante e tanto pi lo aveva per la classe degli
ulam, veri leaders e condizionatori delle masse popolari.
Un particolare interessante sottolineato da Madelung, che dopo la vittoria con al-Mutawakkil, i
tradizionalisti formularono il dogma in una versione nuova, mai utilizzata prima: se in precedenza ci si era
battuti per un Corano increato, dopo la vittoria fu perentoriamente affermato un Corano increato ed eterno, un
attributo, questultimo, mai usato prima e causa di difficolt teologiche, al punto che lo stesso Ibn Taymiyya
ebbe a criticarlo.
Nella disputa teologica (che ritengo poco appassionante) vale tuttavia la pena di notare che il rozzo
antropomorfismo messo in campo da Ibn Hanbal nella definizione degli attributi divini (lantropomorfismo un
fardello ineludibile per lo Hanbalismo, ne fu accusato anche Ibn Taymiyya) ha tuttavia un significato ben
preciso. Si trattava infatti di tenere viva la figura del Dio/Persona della Rivelazione, un Dio/Volont che
volont autonoma e determinante anche per il campo disponibile per la ragione umana, comunque condizionata
dalla Sua Legge imperscrutabile. Al contrario, il Dio della teologia razionale rischiava di dissolversi
nellevanescente (e impotente) dio dei filosofi, mettendo a rischio anche il fondamentale concetto di
premio/punizione (wad wa-wad). Non per caso Ibn Hanbal definiva, con rozza approssimazione ma con
efficace slogan politico, ahmiti anche gli Hanafiti e i Mutaziliti, che tali non erano, ma la cui teologia
razionale rischiava approdi non dissimili, almeno dal punto di vista politico, della politica religiosa, per la quale
viceversa il concetto di premio/punizione essenziale come elemento di costruzione sociale.
Nel complesso dunque, ci che conta questa lotta politica vittoriosa condotta sullonda del supporto
popolare, che fa degli ulam i custodi della Legge; e i modi con i quali essa fu condotta, con la strategia degli
ahdth e i relativi asnd, a (presunta) testimonianza di una dottrina dei Compagni interpretata attraverso le
tradizioni popolari. Il valore di aver rinviato a una mitica et delloro la purezza (presunta) degli inizi -un mito
che alimenta il Salafismo di tutti i tempi, anche di quelli attuali- ha, a mio avviso, un significato da valutare.
Tramite il mito si torna infatti al fondamento stesso dellIslam come espressione di attese apocalittiche, le quali
tutte e sempre, nella fede della marginalit, in tanto sono formulabili in quanto esprimono la convinzione di
unet delloro esistita in un mitico passato e da ristabilire o da costruire in un atopico futuro, comunque
esistente come modello eterno, atemporale: dunque unet delloro realmente esistente in cielo come modello o
esistita in terra in un tempo mitico. quantomeno comprensibile che la marginalit di tutti i luoghi e di tutti i
tempi, coloro che vivono questo mondo come ingiustizia, formuli tali aspettative, ancorch ingenue.
Ci significa anche, e lo ripeto, che c coerenza (logica) tra gli sviluppi e le premesse, e che i primi
illuminano di luce obliqua le seconde, che abbiamo visto immerse in una grigia nebbia.
Al testo di Madelung si pu collegare larticolo di Ch. Melchert, The Adversaries of Ahmad ibn
Hanbal, Arabica 44, 1997. Melchert ridimensiona molto il ruolo dei Mutaziliti e degli Shiti quali oggetto della
lotta di Ibn Hanbal, i primi perch non ebbero quel peso che si attribuisce loro sovente, i secondi perch
contarono sulla scena politica soltanto nel secolo successivo. Pi importanti, come avversari da combattere,
erano, per Ibn Hanbal, gli Hanafiti. Il problema centrale era quello del Corano creato o increato, ma dietro la
1124
scelta delluna o dellaltra ipotesi vera un altro e pi importante problema, fondamentale per levoluzione
dellIslam: la scelta del ray, cio del giudizio individuale, per i razionalisti; ovvero dellaccettazione
indiscutibile dello hadth per i tradizionalisti (p. 252). Politicamente siamo a quella che ho gi definito la lotta
dei tradizionalisti per fondare una societ autoritativamente conformista, e, come ho gi sottolineato altre volte,
questa opzione per una societ nella quale il dissenso e la diversit sono visti come sciagura, unossessione che
sembra inseguire le vicende della societ islamica, pronta a riemergere prepotente in tutti i momenti di difficolt
storica: nellXI secolo, nel XIII, in tempi recenti. Luniformit e la conformit un mito fondante della Ummah.
Ibn Hanbal infatti non riconosceva come Musulmani gli Zayditi (razionalisti) i Rfiditi (gnostici,
dai quali si separarono poi gli Immiti duodecimani) i Khridjiti, a loro modo razionalisti anchessi come la loro
ala moderata, gli Ibditi. Tutti costoro, in un modo o nellaltro, esprimevano comunque un ray nei confronti
degli articoli di fede, invece di limitarsi a leggerli nella foresta degli ahdth che sorreggevano le credenze
ereditate dei tradizionalisti. Essi inoltre (cfr. Melchert, p. 238) erano prevalentemente sostenitori di un Corano
creato, e anche per questo erano associati nella denominazione ahmiti da parte di Ibn Hanbal (p. 240). La
posizione ideologica di Ibn Hanbal era cos rigida, che poneva nello stesso gruppo come ahmiti anche coloro
che si astenevano dal giudizio sulla creazione del Corano, o coloro che ne sostenevano la creazione come atto
secondario interveniente nella recitazione; ci rivela, a mio avviso, il vero obbiettivo della sua politica, affermare
la perfetta sovrapponibilit del testo scritto con la Volont divina (divinizzare un libro) al fine di sbarrare la
strada ad ogni teologia che non fosse quella dogmatica.
La natura di questa disputa offre per lo spunto ad una considerazione circa il significato facilmente
equivoco che assume il termine razionale applicato alle argomentazioni addotte, perch esso pu riferirsi
essenzialmente alluso dello strumento logico nel loro sviluppo: in questo senso per, diviene razionale anche
la scelta salafita, e infatti, nota Melchert (p. 250) cerano anche dei Mutakallimn salafiti. A mio avviso la
razionalit, cos come concepita nel pensiero greco, viceversa innanzitutto un atteggiamento interiore di
apertura del pensiero al mondo, quanto di pi assente nellatteggiamento fondamentalista, non luso strumentale
della logica (presente persino nel discorso paranoico) che sembra essere stato assunto dallIslam come unico
prestito dal Razionalismo classico. Prestito perch, come ho sostenuto anche altrove in questo testo, il
recepimento di apporti culturali dallesterno non sembra aver avuto molto successo nellIslam delle
ortodossie, un sistema di convinzioni autogenerato e autonomo al di l dei tanti frazionamenti settari, retto
dalla tendenza ad usare strumenti generati altrove soltanto per a mero supporto dei propri fondamenti, senza
che ci concorra a farli evolvere, senza reali aperture a ci che al fondamento di quegli strumenti. E le
certezze costituiscono uno dei segni di riconoscimento della cultura della marginalit, come lo erano le
certezze apocalittiche dei primordi. Il punto sempre il medesimo: la differenza tra lutopia come stella polare e
latopia come ripetitivit senza sbocchi, che pu concepire la propria affermazione soltanto entro un monolite
che elimina le ragioni eliminandone i portatori: Ibn Hanbal incitava alleliminazione di chi non sosteneva
apertamente il dogma del Corano increato. Persino i fatti dovevano essere eliminati, come gli ahdth riportati
da Bukhar quando potevano apparire diversamente orientati, o le antiche varianti del Corano riportate da Tabar
(pp. 245-246). Ibn Hanbal fu avverso anche a Shfi, i cui seguaci furono attaccati dagli Hanbaliti nelle moschee
(pp. 247-249). Soltanto due generazioni dopo, gli Hanbaliti apprezzarono lopera di Shfi, e ne compresero
limportanza fondamentale per lo stesso Hanbalismo.
Vorrei qui aprire un breve inciso sulla natura e sullimportanza della religione come strumento di
fondazione di una societ, e di sua trasmissione nel tempo. Nella lotta condotta allinterno dellIslam per la
fondazione di una ortodossia, nel nostro caso, del Sunnismo, si vede bene il significato sociale della religione
come sistema simbolico che fonda, trasmette e perpetua (nei limiti del possibile: tutto ha una fine in questo
mondo) il processo di formazione sociale e di costruzione identitaria che ne segn lorigine. Per chiarire meglio,
con tale processo essa ha un duplice rapporto: da un lato la religione si forma allinterno del processo, dallaltro
gli d forma, con un sistema simbolico che garantisce la durata della costruzione. quantomeno ovvio che con
ci mi riferisco al sistema simbolico in quanto tale, non al suo concreto inverarsi nella molteplice quotidianit
degli individui; ma ci aiuta a comprendere meglio il significato di quanto ho affermato supra a p. 902: con
lIslam la marginalit sembra aver creato, per la prima volta, una propria societ.
In questo stesso senso altrettanto significativa la scelta operata con listituzionalizzazione della
Chiesa di Roma allinterno del Razionalismo classico, cio della cultura greca e romana dellImpero e della sua
classe dirigente; una scelta che signific la trasmissione di quanto di essa era trasmissibile in un nuovo sistema
simbolico e in una nuova societ, perpetuata come Occidente. Egualmente significativo ricordare che, sin
dallinizio e per secoli, lIstituzione si adoper alleliminazione di tutte le eterodossie delle quali, nellOccidente
cos fondato, erano portatrici le marginalit, che avevano interpretato il messaggio come opposizione al
Razionalismo classico.
Vorrei perci ricordare larticolo di C. Scholten, Die Funktion der Hresienabwehr in der Alten
Kirche, V. Ch. 66,3 2012, nel quale vengono ripensati gli eventi che avevo trattato per lo pi supra alle pp. 61-
85, cio le ragioni che spinsero la Chiesa di Roma ad una durissima sconfessione e allontanamento degli
Gnostici e alla presa di distanza da ogni forma di millenarismo: ragioni essenzialmente sociali, perch si trattava
di dottrine e persone che avrebbero messo in dubbio la possibilit del Cristianesimo di integrarsi nella societ
imperiale e contribuire al suo ordine: essi, come nota a conclusione lo Scholten, non avevano infatti alcun
1125
interesse a questa integrazione. In altre parole: erano estranei al processo sociale che la Chiesa di Roma
intendeva attivare, come credo di aver mostrato anchio a sufficienza nei luoghi citati. Dunque, anche in questo
caso, come nel caso dellIslam, si vede bene come la creazione di una ortodossia sia funzionale al processo di
formazione di una societ. In entrambi i casi il punto di partenza la recezione (ovviamente in modi diversi) del
Messaggio testamentario, ma diverso il contesto nel quale esso viene calato, e la cultura del mondo in cui
nacque lIslam era una cultura che era stata espunta tanto dallortodossia cristiana, cio dal nuovo Occidente
quanto da quella ebraica -lo abbiamo gi visto.
In entrambi i casi si vedono dunque le religioni costituirsi entro fenomeni di trasformazione dai quali
emergono nuove societ la cui coesione e la cui durata vengono garantite da nuovi sistemi simbolici, quelli
costruiti dalle religioni; e ho voluto aprire questo inciso e ampliarne le considerazioni con riferimento alle
vicende narrate nella Storia di un altro occidente, per sottolineare che la formazione del Sunnismo fu un
fenomeno sociale (non per nulla avvenne sotto la spinta e con il consenso delle masse) coerente con la societ
che si form tra linizio del VII e la fine del X secolo, e che si form progressivamente (la Vulgata islamica
dellVIII-IX secolo, il Sunnismo inizialmente un fenomeno minoritario) cos come progressivamente si
formano le ortodossie. A proposito di questa progressivit, anche significativo notare che, con la met del X
secolo, prender corpo anche laltra grande ortodossia, quella della Sha immita duodecimana, che ha
anchessa una sua storia e le sue eterodossie, quelle create ex-post dagli eresiologi e quelle che si formeranno a
partire dalla contestazione della neonata ortodossia (cfr. infra).
Prima di chiudere questo inciso vorrei per spendere alcune righe sul significato dei simboli e sul
rapporto con essi delle ortodossie, altrimenti, posta la comprensione degli eventi cos come lho posta sopra,
resta difficile comprendere la differenza tra una religione e unideologia, con la premessa che quanto stiamo
seguendo e tentando di comprendere ha senso soltanto in riferimento a ci di cui abbiamo sempre parlato, le tre
religioni del Libro e lo Zoroastrismo, la pi antica di queste quattro religioni profetiche che cos potentemente
si insinuata nella altre tre.
I simboli colgono situazioni radicali della realt non completamente razionalizzabili: il Profeta sa
molto di pi di quanto sappia il filosofo, perch la sua intuizione del reale, la sua adesione ad esso, va oltre la
comprensione razionale. Nel suo linguaggio egli esprime perci una comprensione del reale che passa
necessariamente attraverso metafore nelle quali egli condensa un mondo simbolico: questo linguaggio perci
aperto a molte letture. Il processo di formazione delle ortodossie, processo graduale del quale esse rappresentano
il compimento, rappresenta lo sforzo di non disperdere il patrimonio profetico nella molteplicit delle letture, e di
ricondurlo ad una lettura unica e autorevole, necessaria alla costruzione e coesione sociale. Si realizza cos la
tendenza a restringere lampiezza interpretativa in direzione della letteralit del messaggio, ci che consente tra
laltro alle ortodossie di richiamarsi con diritto alle origini, identificando la retta opinione con il messaggio
originario e le opinioni diverse come successive deviazioni.
Le ortodossie scavano dunque un solco invalicabile, simile a quello di Romolo; sono nate per fondare
ma anche per dividere, e nel loro tentativo di ridurre a uno (con laiuto della lettera) ci che polimorfo e
destinato a riflettersi nel molteplice, hanno certamente qualche affinit con le ideologie, che rappresentano a loro
volta la razionalizzazione di istanze della vita, anchesse non interamente traducibili negli schemi della Ragione.
In ci che la razionalizzazione diverge dalla simbolizzazione si rispecchia comunque il carattere decisamente
transitorio delle ideologie. Sia come sia, il successo delle ortodossie resta determinato dalla loro capacit di
esprimere in simboli la societ in via di formazione, e al tempo stesso di indirizzarla: quel processo biunivoco
di formarsi e dar forma del quale parlavo sopra.
Ci premesso, si comprender quindi perch ho preferito sempre dedicarmi alle eterodossie, che
nascono da tutto quanto, nella societ, tende ad uscire dai vincoli normativi per tornare a dar voce alla fluidit
del reale, rivitalizzando modelli irrigiditi grazie al polimorfismo dei simboli; anche perch, quando le eterodossie
si esprimono nelle teosofie adottando, almeno nel nostro caso, inevitabili strutture ontologiche neoplatoniche, si
possono scoprire percorsi imprevisti che tendono alla convergenza, almeno allinterno del nostro quadro nel
quale la diversit nasce dalle diverse letture di una medesima origine (cfr. Urvoy, p. 93, cit. supra a p. 1117).
Questo, forse, lo aveva intuito quella cloaca di tutte le eresie che fu Postel, viaggiatore e conoscitore del
caleidoscopico Mediterraneo: di certo straordinario osservare come lelaborazione neoplatonica del
Creazionismo, della quale abbiamo seguito sia le origini che gli sviluppi in varie sezioni di questo testo, quando
rinacque in occidente sulla scorta della traduzione di testi islamici, riusc rapidamente a strutturare le nostre
eresie medievali.

Chiuso questo lungo inciso torniamo allo Hanbalismo, al Sunnismo, e alle loro vicende, per
comprendere il senso delle quali per necessario aprire una digressione onde mettere a fuoco le realt cui fanno
riferimento termini come Sunnismo, Mutazilismo ed altri che hanno una valenza teologica; e termini come
Hanbalismo, Shfismo, Mlikismo e Hanafismo, che hanno valenza giuridica; nonch i complessi rapporti che
hanno giurisprudenza e teologia nellIslam; infine, il significato che pu assumervi il termine ortodossia. Ho
gi ricordato che lIslam stato definito come una religione dalle ortodossie plurime; in effetti lelaborazione
della dottrina stata sin dagli inizi istituzionalmente aperta (salva restando lintangibilit del Testo sacro) e che
sin dallinizio si formarono tre obbedienze il cui significato era legato a scelte politiche: i Khridjiti (oggi una
1126
piccola minoranza) gli Shiti (Immiti, poi successivamente frazionatisi, e Zayditi) una minoranza divenuta col
tempo consistente, e il corpo maggioritario, che nel tempo prender forma come Sunnismo. Tutte le ulteriori
deviazioni che sorgeranno, essenzialmente fondate su unesegesi gnostica, a partire dagli Ismailiti (Qarmati,
Ftimidi, e di Alamt, dai quali ultimi discendono quelli odierni) per giungere alle tante piccole chiese e
gruppuscoli in grado di sopravvivere (Hurfiti, Aleviti, Drusi, Nusayriti/Alawiti e quantaltro) non rientrano
nelle possibili ortodossie.
Tuttavia, non esistendo nellIslam la possibilit di definire in termini rigorosi che cosa sia la
ortodossia ma esistendo sin dallinizio un chiarissimo ruolo della giusta opinione, identificata nellopinione
della maggioranza della Ummah (il cosiddetto consenso o ijm, che ha poi un ruolo importante nella
giurisprudenza) si deve comunemente intendere per ortodossia la via seguita dalla maggioranza, oggi formata
dal Sunnismo al cui interno confluisce circa il 90% dei Musulmani. Questa ortodossia ha tuttavia avuto un
lungo periodo di incubazione e una svolta vittoriosa determinante nel IX-X secolo, seguita da una definitiva
affermazione nellXI.
Parallelamente a questo sviluppo si formarono le quattro scuole giuridiche nelle quali si riconoscono i
Sunniti (inizialmente ve ne furono altre, poi scomparse, e varr la pena di comprenderne la ragione). Le quattro
scuole sono, come gi segnalato, Hanafismo e Mlikismo, le pi antiche, che precedono laffermazione del
Sunnismo e hanno radici nellVIII secolo, cui si aggiunsero nel IX-X secolo, in contemporanea con il momento
di svolta, Hanbalismo e Shfismo (la Sha duodecimana ha una storia a parte, e la sua scuola giuridica detta
Djafarita, dal 6 Imm Djafar al-Sdiq; Zayditi, Ismailiti e Drusi hanno anche loro la propria scuola giuridica).
Per comprendere le vicende delle quali ci occupiamo, cio la svolta del IX secolo caratterizzata da
sviluppi contemporanei e intrecciati di teologia e giurisprudenza -ciascuna con propri ma non indipendenti
percorsi, perch quei processi sono espressione di un medesimo fenomeno sociale- bene fissare in mente
ancora una volta questo concetto pi volte ripetuto: il Sunnismo come ortodossia, cio come maggioranza, un
fenomeno tardo.
A tal proposito ricordo e riassumo brevemente un testo di Juynboll gi introdotto, e cit. in Bibl. a p.
1016, Some new Ideas on the Development of Sunna as a Technical Term in Early Islam. Sunnah, che significa
tradizione, venne usato in senso di Sunnah del Profeta essenzialmente con lo sviluppo degli ahdth, e
assunse la valenza odierna a partire dallopera di Shfi; al tempo di Umar e di Al il termine non era ancora
usato in senso giuridico. A chiamarla in causa in primo piano nella sua valenza giuridica e normativa fu Shfi,
e fu in questa circostanza che il termine venne associato agli ahdth e ai loro asnd: prima di allora (cfr. pp.
110-111) poteva darsi il caso di un Ibn Sad che, parlando di Ab Ishq al-Fazr ( 801-804) lo definisse shib
sunna ma pieno di errori nei suoi racconti (kathr al-khat fi hadthihi). Il significato di Sunnah assume
quindi una diversa coloritura al passaggio dallVIII al IX secolo, allorch diviene sinonimo di Islam a seguito
dellaffermarsi progressivo del Sunnismo come dottrina largamente maggioritaria.
Come abbiamo visto sopra, il Sunnismo si caratterizza nel rifiuto della teologia razionale e nella
riduzione della teologia a sola teologia dogmatica fondata sulla letteralit del Corano, la cui normativa poteva o
non poteva essere razionalmente compresa, in ogni caso andava per accettata come Volont divina e messa in
opera, in accordo con la tradizione del Profeta e dei Compagni tramandata nel corpus degli ahdth. Sunnismo e
tradizionalismo, dunque, si sovrappongono.
Vediamo ora quale fu il ruolo di Shfi, brevemente citato supra a p. 829. A tal fine, oltre a valermi
dei testi di Makdisi citati a p. 849, torno anche sulla Risla, cit. in Bibl. a p. 851, alla quale ho accennato a p.
891. Dellopera di Shfi mi sembra opportuno ricordare tre aspetti, importanti per comprendere gli eventi:
laspetto teologico, quello giuridico, e i rapporti con le scuole giuridiche gi affermate.
Sul piano teologico Shfi un tradizionalista per il quale la Sunnah del Profeta, cio gli ahdth a
Lui riconducibili tramite asnd affidabili, una spiegazione del messaggio coranico (Risla, ed. cit., 101); e
poich il Corano ordina di obbedire al Profeta, obbligatorio per conseguenza obbedire alla sua Sunnah ( 257-
294) che non abroga il Corano, lo spiega ( 314) essendo con esso in pieno accordo ( 332). Sul piano
giurisprudenziale dunque, rispetto allanalogia (qiys) che metodo razionale per ricondurre la fattispecie alla
norma ( 122) la tradizione ha la priorit ( 1000-1006). Entrambi sono fondamenti razionali per lapplicazione
della Legge e vengono, nellordine, dopo il Testo sacro: dunque lanalogia deve fondarsi su indicazioni del
Corano e della Sunnah ( 597). Se queste tre vie non consentono di definire convenientemente la fattispecie, il
quarto elemento razionale che entra in campo il consenso (ijm) di tutti i Musulmani ( 1470; ovviamente si
deve intendere: di quelli competenti ad esprimere un parere). Ho messo in corsivo la precisazione, vedremo
perch.
Attraverso quattro vie, nellordine: Corano, Sunnah, analogia e consenso, si deve operare il massimo
sforzo razionale (ijtihd) per giudicare della fattispecie. Anche questo aspetto da sottolineare, perch in Shfi
una teologia dogmatica si associa ad un atto giurisprudenziale che deve mettere in opera la massima razionalit,
senza escludere lesame dellattendibilit delle tradizioni in esame ( 1265 sgg.), dei loro asnd e del
trasmettitore cui fanno riferimento ( 782) verificando inoltre la presenza, importante, di tradizioni convergenti
( 1190). Con questo sforzo razionale il giurisperito pu raggiungere una verit che comunque nulla pi che
una verit giuridica, perch questa la sola verit accessibile alluomo, come altre volte ho ricordato.

1127
La posizione di Shfi nei confronti delle scuole giuridiche preesistenti, Hanafismo e Mlikismo,
significativa, ed fondata sul rifiuto del ray dei razionalisti Hanafiti, ma anche del taqld dei Mlikiti, cio del
conformismo giuridico che porta ad esprimere una sentenza sulla base di un precedente stabilito da un reputato
faqh. Lo Shfismo dunque si differenzi sia dallo Hanafismo, largamente penetrato dalla teologia razionale dei
Mutaziliti, sia dal Mlikismo (bench Mlik sia stato maestro di Shfi) il quale si fondava s, sulle tradizioni,
ma su quelle medinesi e su un consenso che a quelle si riferiva; inoltre, prendendo a metro i propri primi
fuqah, tendeva al taqld (su questo argomento cfr. el-Shamsi, Rethinking Taqld in the Early Shfi School,
J.A.O.S., 128,1, 2008). Tra le due scuole vi fu anche unaltra controversia relativa al punto fondamentale della
giurisprudenza shfita, la sostanziale identificazione della Sunnah con il corpus degli ahdth, un fatto nuovo,
estraneo, come abbiamo visto, alle concezioni dellVIII secolo e quindi al Mlikismo. Shfi cavalca in ci
londa tradizionalista del IX secolo, tanto che il Mlikismo del IX-X secolo non riusc ad elaborare una replica
su questo punto, perch ormai i due concetti, hadth e Sunnah, si erano praticamente fusi (cfr. S.A. Jackson,
Setting the Record Straight: Ibn Labbds Refutation of al-Shfi, J.I.S., 11,2, 2000).
Shfi resta dunque il fondatore dello usl al-fiqh (radici, princpi del diritto) destinato a far testo in
tutte le scuole di giurisprudenza sunnite, vale a dire ortodosse; non soltanto, come ovvio, in quella da lui
ispirata, lo Shfiismo.
Per comprendere per gli intrecci di teologia e giurisprudenza nellIslam, comprensione propedeutica
a quella del significato politico e sociale della svolta del IX-X secolo, torno ai due articoli di Makdisi
menzionati, del cui contenuto avevo dato un brevissimo cenno a p. 829. In The Juridical Theology of Shfi,
etc., dopo aver introdotto genericamente il problema di questi princpi e averli distinti dalla scienza del
diritto, Makdisi ricorda lestinta scuola Zhirita, che discese da Shfi estremizzandone il tradizionalismo
attraverso il rigetto, nella pratica giuridica, di ogni possibile giudizio personale e analogia; di fatto quindi,
svilendo lo sforzo razionale, fondamentale in Shfi. La ragione di questa notazione che, come vedremo
nellaltro e precedente articolo di Makdisi, lautore ritiene utile introdurre questi riferimenti al fine di rendere
evidenti i complessi rapporti che esistono, nellIslam, tra teologia e giurisprudenza.
Tornando a Shfi, la sua Risla aveva lo scopo di limitare luso razionale dellanalogia e lo sforzo
interpretativo razionale, non gi eliminandoli, ma ponendoli a valle, insieme al consenso, del dettato coranico e
della Sunnah, identificata con il corpus degli ahdth. Quanto la consenso, come abbiamo visto, esso doveva
intendersi come consenso generale di tutti i Musulmani, per evitare il radicarsi di tradizioni giurisprudenziali
locali che avrebbero minato lunit non soltanto della Ummah, ma della stessa natura della Legge, cio
dellIslam, perch lIslam si identifica con la sua Legge.
La scienza giuridica di Shfi, nota Makdisi (p. 12) pensata come antidoto al kalm; una scienza
fondata sulla tradizione, che nega la possibilit di una teologia razionale, quella dei Mutaziliti, cui non rimase
altro che tentare di infiltrarsi nello usl al-fiqh, al fine di tentare di dimostrare che Rivelazione e Ragione non si
contraddicono (p. 13; per verit nellIslam la Rivelazione non intesa in contraddizione con la ragione umana,
ne mostra linsufficienza e quindi negata la pretesa di capire la Rivelazione, che va soltanto accettata). Questa
infiltrazione avvenne nel X-XI secolo, perch il kalm divenne un metodo legittimo per sviluppare, in rapporto
alla fattispecie, lo usl al-fiqh: esempio indiretto ma significativo di quel ruolo strumentale assegnato dallIslam
alla razionalit, che ho tentato di mettere in evidenza ogniqualvolta ho trattato del rapporto dellIslam con la
filosofia greca.
La scienza di Shfi una scienza della Rivelazione che riduce la scienza della Ragione al ruolo
strumentale, ancillare, di modellare la definizione della fattispecie sul fondamento di una Rivelazione che
include in s, come spiegazione esemplare, i detti e i fatti del Profeta tramandati dagli ahdth. Fondamentale per
la possibilit di tale sviluppo era stata la resa di al-Mutawakkil, con la conseguente proclamazione del Corano
increato (ed eterno).
Quello di Shfi rimase dunque lunico usl al-fiqh possibile, quello tradizionalista, adottato perci in
seguito da tutte le scuole giuridiche sunnite: Hanafiti, Mlikiti, Hanbaliti, e, ovviamente, Shfiti. Tuttavia, nota
Makdisi (p. 41 sgg.) il contributo fondamentale di Shfi fu teologico: egli fu il primo campione del
tradizionalismo. Ibn Hanbal fu il secondo: entrambi furono animati da spirito di sottomissione al Corano e agli
ahdth, registro dei detti e dei fatti del Profeta, per entrambi la teologia razionale avversaria dellIslam (pp. 42-
43).
Lo usl al-fiqh fu dunque semplicemente lo strumento messo a disposizione del tradizionalismo
contro la teologia razionale, nel quale per, col tempo, si infiltrarono necessariamente la logica e la dialettica. Mi
permetto di sottolineare ancora una volta che logica e dialettica non sono che strumenti per lo sviluppo di un
discorso la cui razionalit risiede altrove, nella problematicit delle premesse e nella loro apertura al mondo,
precisamente perch la ragione (non la Ragione dei razionalisti) di per s necessariamente ambigua e non pu
essere esercitata ignorando i caveat dello Scetticismo. Nel caso in oggetto assistiamo invece allo sviluppo
razionalista di una premessa fideista, ci che nella cultura di tutte le marginalit, da quelle apocalitticiste a
quelle rivoluzionarie di tutti i tempi.
Come nota Makdisi (p. 43) il sistema legale islamico quello del volontarismo divino: vi sono
obblighi e divieti e non v spazio per una legge di natura (tema che abbiamo visto sviluppato nel pensiero di
Brague, per il quale cfr. supra, pp. 986-1006). Questo mi sembra un esito ben riverberato dalla lotta accanita
1128
dellortodossia islamica contro ogni forma di filosofia, i cui esiti, nel Creazionismo, sono necessariamente
neoplatonici e condannano alleresia: massimo esempio, lIsmailismo. Infatti, in tanto si pu pensare ad una
legge di natura, in quanto si collochi la natura e luomo nel riverbero della razionalit divina che diverrebbe cos,
in una qualche misura, avvicinabile: ci che lortodossia islamica ha recisamente negato divinizzando la
letteralit di un testo. Il rapporto tra Volont divina, razionalit del mondo e ragione umana, viene cos reciso:
tornano alla mente le ipotesi di Sfar (cfr. supra, p. 854) che vedeva nel Dio dellIslam riverberarsi la figura
dellinaccessibile Sovrano dellantico oriente. La teologia, nota Makdisi, diviene cos usl ad-dn, studio delle
radici della religione, di ci che si deve credere al di l di ogni speculazione. In altre parole: dogmatica soltanto.
Veniamo ora allaltro dei testi di Makdisi sopra ricordati, Ashar and the Asharites in Islamic
Religious History. Qui il problema dellAsharismo utile per mettere a fuoco lobbiettivo che stiamo
inseguendo, i rapporti tra teologia e scuole giuridiche. Essi sono ben illustrati con le vicende dello Asharismo,
scuola fiorita tra il X e lXI secolo, e dello Zhirismo. Gli Ashariti avevano una teologia moderatamente
razionale sul problema degli attributi divini, che poi sostanzialmente quella espressa da al-Ghazl (cfr. supra,
p. 892; sullasharismo di al-Ghazl esiste tuttavia una controversia, cfr. Makdisi cit. in Bibl. a p. 850, e
Murmura, cit. in Bibl. a p. 1016).
Mentre i Mutaziliti negavano questi attributi (cio che Dio avesse volto, mani, trono, voce, etc., come
scritto nel Corano) ritenendoli mere metafore introdotte dal Profeta, gli Hanbaliti accettavano il testo alla lettera
e perci venivano usualmente accusati di antropomorfismo. Gli Ashariti si ponevano nel mezzo, seguendo
lesempio dei Compagni che avevano evitato di cadere sia nellinterpretazione metaforica (tawl) che
nellantropomorfismo (tasbh) (S.I., 1962, pp. 51-52). Ora, poich nellIslam si ortodossi (Sunniti) seguendo
una delle quattro scuole giuridiche menzionate sopra, gli Ashariti, che erano semirazionalisti, si trovarono
nellimpossibilit di penetrare sia tra gli Hanbaliti e i Mlikiti, entrambi tradizionalisti, sia tra gli Hanafiti gi
penetrati dal Mutazilismo, in quanto rappresentavano la pi razionale tra le scuole giuridiche. Lo sforzo degli
Ashariti fu dunque di guadagnarsi lattestato di ortodossia penetrando la scuola Shfita. Come ritiene Makdisi
nel suo studio, essi intendevano cos mostrare il ruolo determinante del Kalm, usato in giurisprudenza (pp. 66-
67); e tuttavia per i tradizionalisti i mutakallimn non potevano essere considerati ulam (p. 72). Lo sforzo fall
anche perch, a dare maggior peso ai tradizionalisti nelle scuole giuridiche era stato il sempre maggior peso degli
esperti in tradizioni (muhaddthn) organizzati in scuole finanziate di tradizionisti, aperte a tutte le scuole
giuridiche. Sulle tradizioni infatti si fondava lortodossia, quindi tutte le quattro scuole giuridiche nelle quali essa
si esprimeva, cosicch lo Hanbalismo pot rafforzare lo Shfismo in direzione antirazionalista (p. 79). Nel
secolo gli Hanbaliti avevano compreso ci che sembr sfuggire ad Ibn Hanbal nel suo giudizio riduttivo su
Shfi: limportanza dellopera di questultimo per il trionfo del tradizionalismo.
Makdisi conclude la vicenda che riguarda lintreccio tra scuole giuridiche e teologia (S.I., 1963, pp.
34-39) con un raffronto che coinvolge, e, in un certo senso, unifica, i fallimenti speculari di Asharismo e
Zhirismo. LAsharismo fall come teologia perch avrebbe potuto restare ortodosso soltanto penetrando una
delle quattro scuole giuridiche, ma non vi riusc perch gli Shfiti preferirono porsi sul piano degli Hanbaliti,
con la cui teologia dogmatica erano in pieno accordo. Gli Zhiriti, pienamente tradizionalisti e quindi
sicuramente ortodossi, fallirono invece nel sopravvivere come scuola giuridica perch rigettavano luso dello
sforzo razionale nellapplicazione della Legge, sul quale convergeva il consenso generale dei Sunniti. Il
Sunnismo questo: rifiuto dellelemento razionale in teologia e sua piena accettazione e sostegno
nellapplicazione della Legge, alla quale indispensabile se si vuole coprire il ventaglio delle fattispecie.
Altre considerazioni su questa svolta del IX-X secolo ci vengono dalla ricerca di Ch. Melchert, The
Formation of the Sunni Schools of Law. 9th.10th Centuries c.e., Leiden-N. York-Kln, E.J. Brill, 1997. Nota
Melchert che non facile stabilire quando si formarono queste scuole, perch una scuola, per essere considerata
tale, deve godere del consenso della comunit; essa viceversa muore quando non vi sia pi chi la sostenga. Per
questa ragione, non si pu definire con esattezza la data nella quale una scuola viene alla luce. Quanto agli
eponimi, Melchert ricorda che ancora per Ibn Khaldn si deve parlare di un ahl al-hadth identificato con un ahl
al-Hijz, con Mlik a suo esponente; e che nel IX secolo avvenne lidentificazione degli Hanafiti con lIraq e dei
Mlikiti con lHijz (p. 32). Nel frattempo si era per passati dai 300 ahdth raccolti da Mlik ai 30.000 del
Musnad di Ibn Hanbal, il quale sosteneva peraltro di averne raccolti ben 750.000! Quanto ad Ab Hanfa, non
lui che deve considerarsi il fondatore della scuola Hanafita.
Nel ripercorrere le vicende storiche, Melchert nota che nellVIII secolo effettivamente esistevano
soltanto lo ahl al-ray e lo ahl al-hadth, che questo si contrappose al primo a partire dalla fine dellVIII secolo,
e che finalmente trionf alla met del IX con la fine della mihna. Sembra che la giurisprudenza fondata sugli
ahdth sia nata tra il 750 e il 770; questo movimento tradizionalista da considerarsi per innovativo rispetto
allantico significato della tradizione, cosa che abbiamo ricordato sopra esponendo i risultati della ricerca di
Juynboll. La rottura che avvenne alla fine dellVIII secolo da considerarsi conseguente alla dottrina del Corano
creato, sostenuta da alcuni Hanafiti (p. 8); quanto agli ashb al-hadth (tradizionisti) essi inizialmente non
costituivano una scuola organizzata e neppure studiavano la giurisprudenza perch da ci si sentivano esonerati
nella convinzione che la Legge dovesse essere amministrata soltanto sulla base degli ahdth: tradizionalismo
estremo che tuttavia non pot reggere il confronto con la realt nel lungo termine.

1129
Ho citato gi pi volte limportanza della fine della mihna nell852-853, per il cambiamento dei
rapporti di forza nel Califfato abbside: subito dopo iniziarono a formarsi le scuole, secondo Melchert che in
questo segue Schacht. Il periodo di formazione lungo e si conclude con linizio del X secolo: al 912-913 risale
la pubblicazione della Risla di Shfi ( 820) che si fondava sulla teologia dogmatica ma anche sullo sforzo
razionale di applicazione della Legge. A quel momento levoluzione si compiuta con un lungo fenomeno di
trasformazione interna che vedr le quattro scuole far parte tutte dellortodossia, tutte disposte a riconoscersi
reciprocamente: ma nel frattempo il tradizionalismo aveva trionfato.
Come ci avvenisse interessante per quanto riguarda le sorti della teologia razionale degli Hanafiti,
nella quale convergevano Mutaziliti e Murjiiti. Nella scuola hanafita vi fu una trasformazione in senso
tradizionalista che avvenne lungo tre percorsi (pp. 48-54): la memoria delle posizioni assunte da Ab Hanfa fu
ripulita da tutte le testimonianze che gli attribuivano una posizione razionalista; la scuola fu identificata con
lui, che ne divenne leponimo; furono reperiti gli ahdth necessari per appoggiare le sentenze passate che erano
state emesse su altro fondamento. Questa tradizionalizzazione della scuola implic il rifiuto della dottrina del
Corano creato, e lallontanamento sia dalle simpatie verso gli Aldi, sia dallappoggio agli Abbsidi sul piano
concreto dellamministrazione della Legge, alle cui esigenze pratiche era stata funzionale la razionalit della
scuola (p. 59).
Quanto ai Mutaziliti, perseguitati, essi cercarono rifugio nello Shfismo (pp. 138-140) . Il testo di
Melchert soprattutto interessante perch descrive il fenomeno avvenuto nel IX-X secolo: laffermazione di un
Islam di ispirazione fortemente popolare e intollerante, al quale si va allineando cultura e giurisprudenza.
Melchert nota (pp. 151-155) che la violenza e lintolleranza popolare viene dagli Hanbaliti (cfr. Canard, supra, p.
1114) e che questo estremismo poteva anche essere alimentato dal ruolo dominante dei Byidi, shiti e, come
abbiamo visto, portatori di una politica religiosamente ecumenica. Se cos realmente fu, si potrebbe dire che la
contrapposizione delle masse alle lites avvenne attraverso lelaborazione dellintolleranza verso ogni
problematicit del pensiero, un tratto che rinvierebbe ancora una volta a una cultura della marginalit delle
origini.

La lunga premessa che ho introdotto risulta necessaria per comprendere che cosa accadde nel corso
del IX-X secolo sul piano sociale e politico: il punto darrivo sopra segnalato non casuale, e, al di l delle
technicalities teologico-giuridiche sulle quali mi sono soffermato per il minimo indispensabile, sottolinea il
cambiamento intervenuto nel mondo islamico in funzione delle due forze che agiscono in esso: la fine
dellImpero, con la nascita di Stati indipendenti che condannano il Califfato ad un ruolo sempre pi formale, e
il permanere del primitivo carattere totalizzante della fede che a quellImpero diede origine. Non casuale che il
potere politico si sposti a favore della classe dei religiosi, che degli umori delle masse sono portavoce e custodi.
Mentre la negazione della teologia razionale e laffermazione di un Corano increato escludono
possibili interventi innovativi nellinterpretazione religiosa da parte del Califfo, non pi in grado di pretendersi
Vicario di Dio, interventi che sarebbero stati determinanti per evitare la fossilizzazione della Sharah, la
svalutazione del consenso locale e del taqld mettono fuori gioco anche la possibilit che localmente si affermi la
dottrina di qualche Imm prestigioso, o comunque di una scuola giuridica locale, di una diversa Legge. Lunicit
della Legge, e con essa lunit della Ummah, resta affidata al corpo collettivo dei religiosi, i quali tanto pi
acquisiscono prestigio in quanto protagonisti di uno sforzo razionale del quale soltanto essi sono ritenuti capaci,
al fine di applicare correttamente le quattro radici del diritto. Soltanto loro, e soltanto come organo collettivo
che realizza al proprio interno un consenso, posseggono il sapere necessario a ci: eventuali e puntuali
divergenze tra i religiosi restano, e i fedeli potranno scegliere a titolo individuale la propria figura di riferimento,
epper nellambito di una cornice invalicabile: adattamento razionale di una Legge sancita per via dogmatica
attraverso meccanismi rigorosamente delineati dallo usl al-fiqh. Per inciso, la recente rivendicazione
rivoluzionaria iranica di un velyat-e faqh, di un potere del clero legiferante, ha radici antiche, coniugate per
con le caratteristiche gerarchiche che, a differenza del Sunnismo, furono assunte dalla Chiesa (termine non
improprio) shita al tempo dei Safavidi.
Per meglio comprendere quanto sia cresciuto il potere politico degli ulam in quanto portatori di un
potere sociale esercitato nel rapporto diretto con le masse, nellunificare la Ummah, basti ricordare che gi Abd
al-Malik era stato molto chiaro con i Medinesi dopo la conclusione della rivolta dellAnticaliffo, sulle pretese
delle tradizioni locali in materia di Legge (cfr. supra, p. 1022); soltanto, allora la presa di posizione aveva
lobbiettivo di rivendicare al Califfo i poteri determinanti ai fini dellunit dellImpero. Ora, con il potere del
Califfato ridotto a mera facciata (a Baghdad dominano prima i Byidi, poi i Selgiukidi; nelle regioni orientali si
sono formati poteri dinastici di fatto autonomi con i loro Sultani, in Egitto c un Califfato Ismailita, in Spagna
dapprima un Califfato Omeyyade, poi una serie di poteri periferici) lunit della Ummah -tema che incombe pi
che in altre religioni su tutta la storia dellIslam, religione socialmente totalizzante per la propria identificazione
con una Legge- viene consegnata alla classe dei religiosi. Sono loro le vere guide del popolo e gli interpreti dei
suoi umori, e il potere statale deve tenerne conto chiedendone la collaborazione e venendo a patti con loro. Nel
declino del Califfato si realizzata una grande rivoluzione sociale e, al tempo stesso, si definito il volto
religioso dellIslam.

1130
del tutto comprensibile che nel XIII-XIV secolo il grande hanbalita Ibn Taymiyya non trovi
scandalo nella pluralit degli Stati islamici: nel nuovo assetto della Ummah, allunit califfale succeduta lunit
garantita dallintangibilit della Legge. altrettanto comprensibile che il X secolo veda la realizzazione dei
collegi annessi alle moschee con relativi alloggi (khnt) per gli studenti di giurisprudenza mantenuti da lasciti
religiosi (awqf, pl. di waqf) nei cui corsi il kalm era escluso; e che, pur rappresentando tutto ci un
finanziamento privato, anche il Governo, non soltanto quello selgiukide con Nizm al-Mulk, cercasse il favore
degli ulam finanziando la costruzione di madrase: si trattava di tenere sotto controllo le masse.
Makdisi, Muslim Institutions of Learning in Eleventh-Century Baghdad, B.S.O.A.S., 24,1, 1961 ha
chiarito il meccanismo di questo controllo precisando i vari tipi di istituzione di insegnamento religioso e gli
aspetti caratterizzanti linsegnamento. Le madrase erano scuole di Legge finanziate da istituzioni private o
individui facoltosi, che si distinguevano per due caratteristiche: linsegnamento si riferiva a una soltanto delle
quattro scuole, si insegnava esclusivamente la Legge (non altre materie religiose); i docenti erano scelti dai
finanziatori e da loro stipendiati; gli studenti venivano ospitati e mantenuti agli studi. In questo esse erano
diverse dalla moschee, dove anche si insegnava la Legge (oltre ad altre materie religiose) ma gli studenti non
erano mantenuti agli studi n i docenti stipendiati; inoltre le moschee, essendo istituzioni pubbliche, facevano
capo al potere del Califfo, non a quello del finanziatore, politico (governo selgiukide) o privato. La rete di
madrase istituite da Nizm al-Mulk aveva dunque questo scopo: controllare i docenti tramite la garanzia o la
revoca del posto e dello stipendio, e, per mezzo di essi, gli studenti, che ricevevano un sostentamento per gli
studi e che perci preferivano le madrase alle altre istituzioni dinsegnamento. Loperazione col tempo fall per
lopposizione del clero hanbalita che rifiutava di esserne condizionato, e aveva perci gran seguito nella
popolazione di Baghdad per questa sua incorruttibilit; la vittoria hanbalita fu piena col XII secolo.
Il ruolo dello Hanbalismo nellindirizzare e guidare la svolta dellIslam stato molto sottolineato da
Makdisi, LIslam hanbalisant, R.E.I., 42-43, 1974-1975; un ruolo che non era stato compreso dagli studiosi
occidentali a cavallo tra il XIX e il XX secolo, a causa del modesto seguito di questa scuola in confronto alle
altre scuole sunnite. Il suo ascendente era fondato sul rapporto intimo con le masse, sulle quali aveva una grande
presa (R.E.I., 1974, p. 224) e hanbalita era quellIbn Taymiyya la cui opera rimasta fondamentale per la
teologia musulmana (ivi, p. 221). Vi fu un fenomeno progressivo, culminato con lXI secolo, che vide la
scomparsa dei grandi centri culturali del passato (biblioteche, dr al-hikma, dr al ilm, luoghi dincontro
intellettuali) sostituiti da conventi (ribt), dr al-hadth, dr al-Qurn, nelle quali si insegnava la scienza della
tradizione o si imparava il Corano; la teologia razionale e il kalm non si insegnavano pi (ivi, pp. 238-241).
nelle madrase si insegnava il fiqh, e ci era ormai cos scontato che il verbo insegnare, con i sostantivi
insegnante e insegnamento se usati senza riferimento ad un oggetto sottintendevano esclusivamente
linsegnamento del fiqh (pp. 230-231; questo aspetto delluso della lingua ricordato anche nellarticolo
precedentemente esaminato).
Gli hanbaliti dunque, pur essendo pochi, determinarono il corso degli eventi (ivi, p. 241) ma ci
avvenne con il concorso di altre scuole sunnite. Ricorda infatti Makdisi (e se ne gi accennato sopra) che la
disputa teologica tra tradizionalisti e teologi razionali avveniva allinterno delle scuole, e che il Mutazilismo e
lo Asharismo avevano penetrato rispettivamente lo Hanafismo e lo Shfismo, sicch gli Hanbaliti erano i soli a
poter lottare come scuola contro la teologia razionale, perch soltanto da loro lo ahl al-hadth poteva agire come
scuola (i due corsivi sono suoi). Quanto alla lotta teologica, essa avveniva, come abbiamo gi visto sopra,
allinterno dello Shfismo (ivi., p. 243). Si noti che Makdisi (cfr. p 226) si adopera molto per scagionare lo
Hanbalismo dallaccusa di Goldziher, che non riguarda soltanto lantropomorfismo (accusa che gli fu rivolta
abitualmente anche allinterno del mondo islamico) ma anche il fanatismo e lintolleranza. Cercheremo di capire
se questa difesa possa reggere: di certo n Ibn Hanbal n Ibn Taymiyya si sono lesinati nel giudicare passibili di
morte i non allineati. Inoltre, come abbiamo gi visto (cfr. supra, pp. 828--829) da Ibn Taymiyya discende Ibn
Abd al-Wahhb ed entrambi sono il riferimento del moderno neo-Salafismo, che non brilla di spirito ecumenico
e non manca di dimostrarlo rumorosamente.
In R.E.I., 1975, Makdisi si occupa viceversa dei rapporti tra Hanbalismo e Sufismo, tema sul quale
egli ritiene di dover confutare lopinione corrente che vede gli Hanbaliti ostili al Sufismo. Egli ricorda che lo
Hanbalismo nacque in una atmosfera di profonda impregnazione coranica (p. 53: parole riprese da H. Laoust,
Le Hanbalisme sous le Califat de Baghdad (241/855 - 656/1258), R.E.I., 27,1, 1959, p. 71) e che la confraternita
dei Qdiriyya ebbe unorigine hanbalita (p. 55). Lavversione era rivolta soltanto a quelle forme di misticismo
sf che conducevano al panteismo, a questo si opponeva Ibn Taymiyya (p. 57); quanto ad Ibn Qudma (altro
hanbalita di rilievo sul quale dar qualche cenno infra) egli condannava la teologia razionalista, ma non la
mistica sf (p. 59). Venendo ad al-Ghazl (dei cui approdi sostanzialmente mistici ho fatto cenno supra a p.
892) e ad Ibn Taymiyya (che non mi sembra a lui assimilabile, anche perch al-Ghazl non era hanbalita) ci
che entrambi condannano nei Sf semplicemente il tawaqqil, cio la scelta di un abbandono apatico agli
eventi, di un fatalismo che condannato espressamente dalla Legge (p. 60). Nel giudizio di Makdisi, Ibn
Taymiyya, del quale ho pi volte parlato e torner a parlare infra anche con riferimento diretto ai suoi testi,
appare quindi personaggio relativamente moderato -nonostante sia il padre nobile del moderno
fondamentalismo e nonostante le sue fatw (pl. di fatw) siano eloquenti circa la sua moderazione- il quale si

1131
limita a condannare esplicitamente soltanto i ahmiti, termine generico con il quale vengono condannati tutti
coloro che tentano una teologia razionale, destinata ad intricarsi necessariamente con unontologia neoplatonica.
Sul rapporto dello Hanbalismo e di Ibn Taymiyya con il Sufismo sar bene ritornare; segnalo tuttavia
linteressante articolo di I. Weissmann, Modernity from within: Islamic Fundamentalism and Sufism, Der Islam,
86,1, 2009, che torna su ci che ha accomunato il Sufismo e lo Hanbalismo, precisamente quella profonda
religiosit coranica della quale parla Laoust, e sottolinea come la loro divisione e conseguente reciproca ostilit
sia un portato dei tempi moderni, dopo che il Sufismo era stato protagonista di una rinascita del sentimento di
appartenenza islamico. Secondo Weismann, la dura ostilit riservata al Sufismo dal moderno fondamentalismo,
dovuta al fatto che questultimo discende da Ibn Taymiyya attraverso il pi rudimentale tramite di Ibn Abd al-
Wahhb, lui s, grande nemico dei Sf; e dal fatto che il moderno fondamentalismo ha assunto a proprio
modello il Razionalismo occidentale contro ogni forma di pensiero non razionale. Al contrario, il Sufismo ha
accordato il misticismo che gli discende da Ibn al-Arab e da Mull Sadr alla realt del mondo moderno.
Comunque sia, sembra bene evitare di assimilare il misticismo islamico entro categorie di pensiero troppo
facilmente occidentali che conducono agli opposti dellecumenismo e del fondamentalismo; e non dimenticare
che il Sufismo fu e resta un fenomeno squisitamente islamico.
Tornando allo Hanbalismo, e prima di giungere al suo massimo esponente, Ibn Taymiyya, sembra
venuto il momento di esporre larticolo di Laoust sopra citato, perch mi sembra opportuno giungere ad Ibn
Taymiyya passando per i suoi naturali antecedenti, gli Hanbaliti dal IX al XIII secolo: questa mi sembra infatti
una ragionevole prospettiva per traguardare uno sviluppo dellIslam ortodosso che pesa in modo determinante
sullattualit. Laoust parte dal fondatore della scuola, Ibn Hanbal, del quale sottolinea la diffidenza nei
confronti dello istihsn praticato da Ab Hanfa. Lo istihsn rappresenta la scelta del giudice, nellincertezza, per
la sentenza che, nei confronti di una possibile sentenza alternativa, abbia il vantaggio di previlegiare la comune
utilit. Su questo argomento torneremo a proposito di Ibn Taymiyya, ma la ragione della diffidenza semplice:
nella logica hanbalita, si tratta di evitare ogni forma di giudizio personale che potrebbe sovrapporre la ragione
umana alla Volont divina. Quel che pi interessa per, che Laoust non parla dello Hanbalismo nellastratto
contesto delle formule e delle dispute dottrinali, ma ne lega il primo sviluppo agli eventi politici che riguardano
lIslam, e precisamente alle gravi difficolt che incontr il Califfato negli anni delle continue insurrezioni
iraniche, principalmente quella di Bbak e dei Kurramiti nei primi decenni del IX secolo, dall807-808 all837-
838 (cfr. supra, pp. 207-209). Quanto al suo progressivo affermarsi, Laoust ritiene significativo citare le ulteriori
grandi difficolt del Califfato nei confronti delle scorrerie dei Qarmati (cfr. supra, pp. 210-211) nella seconda
met del IX secolo e nei primi decenni del X; nonch il progressivo smembramento del Califfato che abbiamo
gi ricordato, con la formazione di regni indipendenti, del Califfato Ismailita del Cairo, di quello Omeyyade
dellAndalusia, e con la dominazione shita su Baghdad con i Byidi a partire dalla met del X secolo (Laoust,
cit., pp. 73-79).
Nello sviluppo dello Hanbalismo prende dunque corpo lombra di un rigurgito identitario degli strati
pi profondi delle masse nei confronti di ci che appare una minaccia esterna alla propria sicurezza ideologica.
Ho gi pi volte notato che la tensione allunit monolitica rappresenta una costante dellIslam; al riguardo
ricordo ancora lanalisi portata da D. Cook sullapocalitticismo islamico (cfr. supra, pp. 831-832 e 1104-1109)
nel corso della quale egli nota la persistenza del motivo sino ai nostri giorni (verosimilmente legato, almeno cos
ritengo, alle origini stesse dellIslam) ci che denota, per Cook, un costante senso di insicurezza, dal quale
emerge, per lappunto, questo aggressivo rigurgito identitario.
Lo sviluppo dello Hanbalismo prese le forme del Salafismo (Laoust, p. 82) e il ricorso alla Legge cos
interpretata apparve come una garanzia di ordine e di giustizia in una societ profondamente turbata (p. 83).
Allinizio del X secolo vi furono agitazioni molto gravi (cfr. supra, p. 1114) che assunsero anche il volto di uno
scontro sociale delle masse contro i ceti benestanti, e che portarono anche alla condanna ufficiale dello
Hanbalismo (ivi). Gli scontri peggiorarono con lavvento dei Byidi, shiti, allorch lo Hanbalismo si configur
come un partito di opposizione politico-religiosa (p. 87) che aveva come avversari la Sha e il Mutazilismo
(ivi) e assunse la guida delle masse sulle quali i suoi predicatori avevano uninfluenza determinante, tanto che i
predicatori popolari furono ritenuti, dai Byidi, i responsabili dei continui disordini (p. 91).
Le sommosse assunsero aspetti di eccezionale gravit con linizio dellXI secolo, al punto che lo
stesso debole Califfo dovette schierarsi dottrinalmente e politicamente a fianco degli Hanbaliti, adottando misure
di polizia contro Shiti e Mutaziliti (pp. 94-95). La vittoria hanbalita divenne poi definitiva intorno agli anni
1055-1060, con la fine del dominio byide e lavvento dei Selgiukidi. A partire da questo momento Laoust mette
di nuovo in relazione gli eventi religiosi con le fortune dei Selgiukidi, dalla vittoria su Bisanzio a Manzikert
(1071) alle vittorie della prima crociata che portarono alla presenza di un dominio cristiano in terra dIslam (p.
99); e limportanza ormai assunta dallo Hanbalismo testimoniata, secondo Laoust, dal fatto che gli Ashariti
-che conoscono allora la propria grande epoca anche per ladesione di Nizm al-Mulk (ipotesi di Goldziher,
analiticamente smontata da Makdisi in Muslim Institutions, etc., cit)- nel definire la propria dottrina sentono di
doverlo fare in rapporto a quella hanbalita, con riferimento ad essa (p. 100). Sono quelli infatti gli anni delle
affermazioni politiche dello Hanbalismo, che riesce ad imporre alla societ la propria visione rigidamente
moralistica (p. 101). Anche Nizm al-Mulk ebbe ad accusare per i continui disordini gli Hanbaliti, che nel
frattempo espandevano la propria influenza da Baghdad alle provincie (pp. 102-105).
1132
Laoust colloca dal 1120 al 1200 la grande epoca dello Hanbalismo a Baghdad (p. 107) il cui termine
coincide con la data della morte del suo famoso predicatore Ibn al-Jawz, investito di grande autorit e divenuto
un vero Inquisitore nel perseguitare chiunque fosse sospettato di dubitare del pi rigido Salafismo (p. 113). Egli
dirigeva cinque madrase (per questa evoluzione nel dominio dei luoghi dinsegnamento nel corso del periodo
selgiukide, cfr. Muslim Institutions, cit.) e poteva denunciare chiunque, anche ad alto livello, possedesse libri
proibiti (come le Epistole degli Ikhwn as-Saf, per i quali cfr. supra, pp. 223-228) suscitando per
conseguenza forti ostilit che infine lo fecero cadere in disgrazia (pp. 114-115). Un aspetto costante dello
Hanbalismo appare dunque questo suo aderire alle pulsioni giustizialiste della marginalit, che nelle loro
intransigenti e irrealistiche pretese persecutorie rendono di fatto ingovernabile qualunque societ, conducendo
abitualmente a compromessi mascherati tra gruppi di potere. Comunque, la presa di Baghdad da parte dei
Mongoli nel 1258, che fece della capitale abbside una modesta capitale di provincia, port allo Hanbalismo,
che dalle sue masse urbane traeva la propria forza, un colpo durissimo (p. 118).
Per recuperare la propria forza, lo Hanbalismo inizi unopera di penetrazione delle provincie, in
particolare della citt di Damasco, dove un ruolo importante fu ricoperto dal Ban Qudma (p. 121) un cui
esponente di spicco fu per lappunto Ibn Qudma (1146-1223) oggetto di un saggio di Makdisi, Ibn Qudmas
Censure of Speculative Theology, London, Luzac & Co. Ltd., 1962, sul quale vale la pena di soffermarsi. In esso
si espone un testo nel quale Ibn Qudma critica duramente la teologia razionale di Ibn Aql (1040-1119) il
quale, prima di divenire un fervente hanbalita, era stato attratto dal Mutazilismo, dallo Hanafismo e dallo
Shfismo.
La logica di Ibn Qudma perfettamente tradizionalista, ci che ne fa un vero antecedente di Ibn
Taymiyya: per lui la speculazione teologica assolutamente eretica perch essa non fu mai praticata dai
Compagni, unico vero esempio di ortodossia. Essa conduce inoltre allinterpretazione allegorica degli attributi
divini, privando Dio di ci che Egli attribuisce a S stesso nel Corano: gli attributi divini vanno viceversa
accettati cos come comunicati dal Profeta senza tentare vanamente di interpretarli, perch Dio sa meglio di noi
ci che ha inteso comunicare. Ci sono quindi territori nei quali pi proficuo esercitare la ragione umana, ad
esempio, lapplicazione della Legge: qui si deve applicare lo sforzo razionale per mantenersi in quellortodossia
che nullaltro che la tradizione lasciataci dai Compagni e riportata dagli ahdth. Ibn Qudma, commenta
Makdisi nella sua Introduzione, ha una struttura di ragionamento simile a quella di Tertulliano (p. XIX). Si
noter il canone tipico dello Hanbalismo che avevamo gi commentato in Ibn Taymiyya: la fede fede in
una....tradizione. Del resto, il legame di Ibn Qudma con Ibn Taymiyya forte, al punto che questultimo, nella
sua opera fondamentale di fissazione dellortodossia sunnita/hanbalita, pu essere considerato un successore di
Ibn Qudma.
I Compagni, nota Ibn Qudma, non soltanto evitarono linterpretazione allegorica -che nessun
passaggio del testo sacro autorizza- ma anche di cadere nellopposto dellantropomorfismo: sul problema degli
attributi divini non necessario (n sarebbe possibile) capire; sufficiente credere, credere ci che autorevoli
tradizionisti ci hanno tramandato sullautorit del Profeta e dei Compagni. In altre parole, siamo a quella
soluzione ortodossa del problema degli attributi che ho riportato nellenunciazione di al-Ghazl a p. 892: la
ritroviamo nel testo di Ibn Qudma tradotto da Makdisi alle pp. 28-33. strano, dice inoltre Ibn Qudma, che vi
sia chi non soddisfatto di ci in assenza di prove decisive, non reputando tali le tradizioni trasmesse, delle
quali si ritiene lecito dubitare soltanto perch allorigine di esse vi un trasmettitore unico (p. 33). La fede
dunque va fondata soltanto sul Libro e sulla Sunnah (p. 35) mentre la Ragione deve essere applicata soltanto al
fiqh (p. 43).
Siamo dunque, come sempre, dinnanzi a quella comprensione esclusivamente strumentale della
Ragione da parte dellIslam, una deformazione pi volte segnalata che si pone allopposto di quellapertura al
mondo che della ragione lessenza, almeno nel pensiero greco, che infatti fu rigettato dallIslam come il pi
pericoloso grimaldello della miscredenza: e non a torto, dal punto di vista di un ortodosso. Ci vale soprattutto se
si tiene conto che le ortodossie sono nate per dividere, mentre i confini si fanno sempre meno marcati allorch ci
si allontani da questo hortus conclusus sulla via delle speculazioni teosofiche necessariamente neoplatoniche: i
ahmiti costituiscono infatti, nella loro generica indeterminatezza, il campo indistinto ma chiarissimo di tutte
le eresie.
Il 1258, con la conquista mongola di Baghdad e la fine del califfato abbside (gi insignificante, un
suo ectoplasma sar poi esibito dai Mamelucchi) segna anche la fine dellarticolo di Laoust, che per prosegue la
propria indagine sullo Hanbalismo nel successivo Le Hanbalisme sous les Mamelouks Bahrides (658-784 / 1260-
1382), R.E.I., 28,1, 1960. Qui il campo occupato, ovviamente da Ahmad Ibn Taymiyya, il pi celebre
rappresentante del Ban Taymiyya che ad Harrn esercit un ruolo analogo a quello del Ban Qudma a
Damasco in difesa e per la diffusione dello Hanbalismo; ma poich di Ibn Taymiyya ci occuperemo in modo
diffuso tra breve, sorvolo sui particolari per mettere in evidenza limpostazione generale del testo di Laoust.
Laoust tratta infatti dellopera di Ibn Taymiyya inquadrandola negli eventi storici che coinvolsero la
Siria nella contesa tra Mamelucchi e Mongoli, e in quelli che riguardano la lotta delle forze islamiche contro i
residui insediamenti franchi. In entrambi i casi il rafforzamento del tradizionalismo fu arma ideologica di
combattimento: lo vedremo pi in dettaglio per quanto riguarda la lotta contro i Mongoli, accusati da Ibn
Taymiyya di dubbia fede islamica a causa della loro tolleranza religiosa verso le minoranze; mentre, per quanto
1133
riguarda la lotta contro i residui insediamenti franchi, il violento sentimento anticristiano degli Hanbaliti e del
loro maggior esponente appare anchesso chiaro gi da questo studio. Le fatw di Ibn Taymiyya sono ispirate
alla massima intolleranza verso le minoranze religiose, e persino la semplice frequentazione di Giudei e Cristiani
viene da lui condannata (p. 19). Non minore fu la sua campagna anti-shita (p. 17). In tutta la sua opera viene in
primo piano lelemento che abbiamo visto pi volte caratterizzare lIslam, in particolare il tradizionalismo delle
masse popolari che trova espressione nello Hanbalismo, lincubo di una Ummah totalitariamente monolitica
sterilizzata da ogni possibile contagio culturale, ideologico e religioso, estraneo alla costruzione del mito salafita.
Una politica, tutto sommato, poco politica, perch, secondo la tradizione delle masse hanbalite, era continua
fonte di disordini civili, tanto che Ibn Taymiyya, nonostante il favore popolare del quale godeva, non ebbe vita
facile con il potere al quale rendeva difficile la gestione dellordine sociale di una societ che, nonostante le
pretese hanbalite, aveva pur sempre delle differenze interne. Come dice Laoust (p. 20) egli fu a sua volta
vittima dello spirito dinquisizione con il quale perseguitava leresia e lo fu ad opera dello Shfismo che tent
pi volte di incriminarne la professione di fede, la Wsitiyya, sulla quale torner in seguito.
Ibn Taymiyya ebbe contrasti anche con i Sf (pp. 23-24) che lo portarono in prigione. Anche su
questo torner in seguito cercando di mettere in luce la sua dottrina, di certo per non ne emerge una figura
molto tollerante, nonostante il suo obbiettivo puntasse, come notavo supra a p. 899, ad un superamento delle
contrapposizioni dottrinali attraverso la mediazione: non tutto per, poteva esserne oggetto. Ibn Taymiyya usava
infatti lo strumento logico con assoluto rigore contro tutto ci che si allontanava dalla ferrea obbedienza alla
letteralit di una Rivelazione chiusa in un Libro dalle lunghe vicissitudini, ed esemplificata nei detti e nei fatti
del Profeta e dei Compagni, sacralizzati anchessi, nonostante la loro origine umana-troppo-umana.
La sua opera tuttavia, come ho gi notato nella pagina precedente sulla scorta di Laoust, non pu
essere valutata senza linquadramento storico che la colloca in un periodo di declino, frammentazione e pericolo
della societ islamica, che ne fa comprendere, se non la necessit, quanto meno il fondamento e lobbiettivo
razionale, il ricompattamento della comunit sotto una buona conduzione sicuramente ortodossa, una Siysa
sharya, come dal titolo di una sua opera famosa (cit. in Bibl. a p. 849 sotto il titolo Il buon governo dellIslam).
Per dirla con le parole di Laoust (p. 29) fu un teologo preoccupato di ricondurre lo Stato mamelucco al rispetto
delle prescrizioni della Legge, e di far scomparire per quanto possibile il divorzio che troppo sovente divideva,
nella realt, le disposizioni della Legge rivelata dalla pratica regale.
Uno sguardo sintetico sulla coincidenza della crisi del mondo islamico nellXI-XIII secolo, con
laffermarsi dellintolleranza hanbalita e della sua pi lucide espressione, Ibn Taymiyya (che tuttavia non
possono essere messe in semplicistico rapporto di causa ed effetto) viene offerto dallarticolo di A. Morabia, Ibn
Taymiyya dernier grand thoricien du ihd mdival, B.E.O., 39, 1978. Morabia considera il declino culturale
del mondo arabo-musulmano (p. 85) che parte dallXI secolo, per parlare del tradizionalismo sunnita
nellambito di un movimento di recupero morale (p. 87). Ora, lepoca di Ibn Taymiyya quella delle invasioni
mongole, della presenza franca a Cipro, e della convergenza di queste forze con quelle della Georgia e
dellArmenia cristiane nellattacco alla Siria. Lotta agli infedeli e lotta alle eresie sono tuttuno per gli
Hanbaliti, e in questi termini Ibn Taymiyya spender la propria opera contro i Mongoli ma anche contro il
Sufismo, contro i costumi non arabi, la filosofia, il kalm, il monachesimo, i beduini, la celebrazione delle
festivit cristiane e persiane, la frequentazione degli infedeli, la celebrazione dellanniversario della nascita del
Profeta e della shr, il pellegrinaggio a Gerusalemme, e cos via, insistendo sempre pi sulla necessit che i
Musulmani non abbiano nulla a che vedere con gli infedeli (p. 92). Su alcuni di questi temi (i Mongoli, il
monachesimo) torner poi in dettaglio perch mi sembrano importanti per cogliere aspetti che non debbono
essere ignorati, cos come non possono esserlo i testi di alcune sue opere. Implacabile fu anche la sua ostilit
verso gli Shiti, accusati di concezioni corrotte da prestiti giudaici e cristiani (p. 93); fu anche nemico degli
Zoroastriani. Reclam instancabilmente lespulsione di tutti i non Musulmani da qualunque incarico pubblico
(ivi). Lott contro la concezione del jihd come lotta interiore, concezione spiritualista fatta propria dai Sf,
intendendolo, non a torto, nel suo significato originario di lotta cruenta (cfr. supra, p. 1095); su questo
argomento, significativo il suo rimprovero ai Cristiani per il loro rifiuto di combattere (p. 96).
Mi permetto quindi di sottolineare sin dora, e prima ancora di entrare nel vivo, ci che rende difficile,
anche a distanza di tempo, parlare con il dovuto distacco dellopera di Ibn Taymiyya. Se essa infatti ben
comprensibile, quindi giustificabile, nel contesto storico nel quale si colloca, tuttavia da sottolineare che una
qualunque posizione ideologica, in questo caso la sua, allorch venga calata nelle categorie della religione
perdendo la propria collocazione nellhic et nunc per autopromuoversi ad eterna assertivit, tende a permanere e
a tornare in vita come le piante del deserto non appena si creino le condizioni favorevoli per la resurrezione.
Nata in un momento di crisi e sulla scorta di un tradizionalismo figlio anchesso di precedenti crisi, la dottrina di
Ibn Taymiyya si perpetu attraverso il Wahhbismo e lattuale fondamentalismo, testimoniando non soltanto la
nuova crisi dellIslam che viene dal periodo coloniale e forse ancor pi da quello post-coloniale che obbliga al
confronto, ma anche leterna difficolt del pensiero di massa (ma non soltanto di quello di massa) a fare i conti
con il proprio fondamento. Che di questo si tratti, e non di una paranoia di Ibn Taymiyya, lo dimostra il seguito
tuttora vivo avuto dalle sue dottrine, anche se altri illustri suoi correligionari a lui contemporanei, dinnanzi alle
apparenti eccentricit delle sue prese di posizione, ebbero dubbi sul suo equilibrio mentale (cfr. D.P. Little, Did
Ibn Taymiyya have a Screw loose?, S.I., 41, 1975). Le fonti biografiche sono comunque esplicite nel rilevare il
1134
suo pessimo carattere, quantomeno leccentricit del suo comportamento e della sua esistenza, priva di
concessioni ai comuni piaceri della vita ma fortemente orientata allautoaffermazione, con il supporto di un
temperamento litigioso, collerico e arrogante, forse anche vanaglorioso (cfr. al riguardo larticolo di C. Bori, A
New Source for the Biography of Ibn Taymiyya, B.S.O.A.S., 67,3, 2004).
Tutto ci non senza rilievo perch gi allora, come testimonia in pi luoghi lo studio di Laoust, la
dottrina di Ibn Taymiyya non soltanto era consustanziale a un clima di violenta intolleranza religiosa contro
Cristiani e Giudei, ma agitava la stessa comunit islamica creando difficolt al governo; oggi poi, leredit neo-
salafita si ripropone su scala ancor pi vasta e questo rende difficile, come dicevo sopra, il giudizio distaccato
che sarebbe da attendersi su eventi vecchi di sette secoli, e che va riservato alla coerenza di una dottrina religiosa
da valutare attentamente nella sua diversit dal pensiero unico dellideologia di Occidente.
Tornando alloggetto della ricerca di Laoust, che lo Hanbalismo in generale, non soltanto lopera di
Ibn Taymiyya, c da notare che il rapporto stretto dello Hanbalismo con lintolleranza religiosa, culminata in
ripetute esecuzioni di eretici, viene messo in luce in pi luoghi; ma ci che mi sembra pi interessante
quanto viene messo in evidenza a p. 61, la funzionalit dello Hanbalismo al potere della classe degli ulam,
dalla quale esso ebbe il massimo appoggio: del resto, su questo fondamento era nato nellVIII secolo il
tradizionalismo (anche Morabia, cit., p. 91, ricorda che la visione politica di Ibn Taymiyya configurava una
stretta alleanza di emiri e ulam).
Mi sembra dunque giunto il momento opportuno per riaprire il discorso su Ibn Taymiyya, al quale
avevo dedicato brevi cenni alle pp. 898-900 e passim. Il suo pensiero rappresenta infatti un punto fermo ancora
valido per lodierno Islam sunnita, in particolare per il neo-Salafismo, in quanto approdo di un percorso
evolutivo che ha le proprie radici nellimpulso originario che gener lIslam. Come trait-dunion in direzione del
Wahhbismo e del moderno fondamentalismo, esso consente di osservare come nellIslam ortodosso si siano
mantenute, con interiore coerenza, le spinte apocalittico/messianiche della marginalit dalle quali lIslam vide la
luce. Non che questa fosse lunica coerenza possibile: dalle medesime radici altri percorsi erano pensabili e
furono pensati, come abbiamo visto nel capitolo intitolato Ordine celeste e disordini terreni e nel fugace cenno
ai mistici e alla teosofia illuminativa (ishrq). Su questi percorsi torneremo pi tardi.
Mi sembra perci utile iniziare con una brevissima panoramica sul fondamentale testo di Laoust gi
citato nellAppendice alla V ed. (cfr. in Bibl. a p. 849) perch esso, a distanza di oltre settantanni, resta sempre
lo studio dal quale partire. Certamente molto cambiato da allora, perch lo studio storico su un personaggio e/o
una dottrina non pu prescindere dal momento nel quale prende corpo: nel 1939, se Laoust fu fondamentale per
comprendere limportanza del personaggio, allora imprudentemente relegato tra le figure di un passato
superato (e perci trascurabile) come notava Makdisi nelle illuminanti pagine iniziali del suo LIslam
hanbalisant; non per questo egli poteva valutarne limpatto alla luce della violenza fondamentalista che oggi
scuote non soltanto il Medio Oriente, ma il mondo occidentale stesso. Ne consegu un giudizio forse troppo
buono che sottolineava giustamente le doti intellettuali e morali del grande hanbalita, ma che, nel suo distacco
accademico dal materiale trattato, non metteva debitamente a fuoco i pericoli della sua concezione dellIslam
come sistema di valori incompatibile con la convivenza in un mondo plurale.

A titolo personale mi sia consentito perci ribadire limportanza di Ibn Taymiyya come pensatore
conseguenziale con le origini dellIslam nellapocalitticismo della marginalit: in lui si assiste allo sviluppo
logicamente coerente di quelle premesse atopiche: e poich la ragione non si manifesta nel rigido sviluppo
logico-deduttivo di una premessa assunta come Verbo, ma nellapertura al mondo, giusta il suo etimo dal latino
ratio, rapporto, apertura che sempre rimette in discussione ogni premessa; ne consegue la strana vicinanza del
pensiero di Ibn Taymiyya al pensiero paranoico. Affermo ci senza alcuna intenzione offensiva, semplicemente
sbalordito dalla tranquillit con la quale la sua ferrea conseguenzialit lo conduce ad approdi che sembrarono
pericolosamente irrealistici anche ai suoi contemporanei, non meno Musulmani di lui, ma, contrariamente a lui,
preoccupati di gestire il reale. La sua premessa era lesigenza di accettare alla lettera una Rivelazione che non
poteva in alcun modo essere compresa alla luce di una ragione (quella umana) insufficiente a comprendere la
Ragione divina: una Rivelazione intesa come Legge imperscrutabile da parte di un uomo incapace di governarsi
altrimenti, perci indispensabile nella sua letteralit. Egli non accettava che il rispetto di una Rivelazione fosse
impossibile in assenza di una sua interpretazione, tantomeno accettava che la premessa di questo rispetto fosse
una interpretazione umana, quella espressa dagli altri Musulmani che in vario modo avevano interpretato sia la
Rivelazione che il rapporto con essa della propria ragione. Perci egli riteneva, in buona fede, fuori discussione
la propria premessa, la riteneva una verit indiscutibile, quasi associando la propria ragione a quella divina per
il solo fatto di accettare limperscrutabile letteralit di un testo. Identificandosi con un Libro e con dei racconti
umani-troppo-umani (indispensabili per! per non cadere nellimpotenza interpretativa e giuridica, perci
esonerati dal dubbio) egli sottraeva la propria premessa ad ogni analisi critica sul fondamento, delocalizzato
dalla sua origine, anchessa umana.
Personalmente ritengo che questa struttura di ragionamento sia resa possibile da un retroterra che
distingue lIslam tanto dal pensiero classico quanto da quello occidentale maturato nel Cristianesimo. Il pensiero
classico non aveva Rivelazione, perci culminava nel dubbio; il pensiero occidentale ha anche mutuato dal
Cristianesimo la coscienza di uno stato postlapsario delluomo che, pur in presenza di una Rivelazione, non pu
1135
far sperare di essere senza pecca: laicamente, ci si tradotto di nuovo nella coscienza della limitatezza della
ragione. Il pensiero islamico, viceversa, non contempla il limite postlapsario, e ritiene che lobbedienza totale a
una Legge che comanda il Bene e proibisce il Male sia la strada in grado di porre losservante, di per s
assolutamente inadeguato a perseguire il Bene, in armonia con lAssoluto e con la Sua Legge nonostante labisso
ontologico. La perfezione esteriore della Legge sarebbe in grado di rimediare cos alla miseria antropologica.
Insisto ancora una volta nel definire tutto ci Razionalismo subalterno espressione di quelle certezze logiche
che caratterizzano il pensiero della marginalit, tra le quali latopia di un mondo di Giustizia che deve
avvenire: certezze razionaliste anchesse, fondate sullillusoria fede che la cogenza di una legge perfetta possa
vicariare dallesterno -con il suo obbligatorio rispetto- un natura imperfetta. accaduto anche nelle grandi
rivoluzioni delloccidente, accade sempre quando la realt, invece di confrontarsi con lutopia, viene negata
dallatopia.

Vengo ora al grande studio di Laoust del 1939, del quale do una breve sintesi omettendo le prime 150
pagine dedicate allambiente familiare, culturale e politico della formazione, che appesantirebbero troppo questo
testo. Esso mi sembra la migliore introduzione per esporre poi direttamente aspetti particolari e alcuni testi dello
stesso Ibn Taymiyya.
Linquadramento di Ibn Taymiyya centrato principalmente, sin dallinizio, sulle sue preoccupazioni
sociali; per Ibn Taymiyya infatti la religione il cardine della coesione sociale, bene primario in funzione del
quale si deve operare nelle scelte dottrinali e giuridiche. A proposito delle dottrine, il primo argomento preso in
esame da Laoust il Neoplatonismo dei filosofi (Avicenna) e dei mistici come Ibn al-Arab, e su questo punto
debbo ricordare il suo Kitb Iqtid (cit. in Bibl. a p. 1016 sub voce Memon, e brevemente citato a p. 898)
dedicato essenzialmente alla condanna dei culti popolari, centrati sui santi e le loro tombe, ritenuti un prestito
cristiano e un abbandono del monoteismo; ma anche rivolto alla critica del concetto di unicit dellesistenza
(wahdat al-wujd) che il punto darrivo di ogni ontologia neoplatonica emanatista, ma anche della mistica sf.
Ora, poich unontologia neoplatonica in tanto possibile in quanto, a partire dalla Isagog e scendendo via via
lungo i percorsi dellincontro tra filosofia greca e Creazionismo -cui ho dedicato il cap. 2 di Dopo e a lato- gli
universali di Aristotele vengono ipotizzati ante rem, in re e post rem, Ibn Taymiyya combatte questa concezione
teosofica tornando ad un aristotelismo rigido (Aristotele pi problematico, il processo di neoplatonizzazione
del suo pensiero, del quale ho fatto cenno in loc. cit. prende corpo a partire dalle sue aporie) cio sostenendo
linesistenza degli universali se non come formazione che avviene esclusivamente nel processo di conoscenza
(post rem) dove la molteplicit dellesistente viene ridotta a un sistema di identit e di astrazioni (Laoust, p. 161).
Il problema di Ibn Taymiyya infatti salvaguardare lassoluta trascendenza di Dio non soltanto
rispetto alla possibilit dindagine della ragione umana, ma anche rispetto al Creato stesso, quindi alluomo,
perch questo un punto essenziale sul quale fondare lobbedienza alla letteralit di una Legge imperscrutabile
ed eterna, espressa in un testo increato ed eterno. Il neoplatonico e il mistico, viceversa, delle cui vie abbiamo
lungamente parlato in questo testo (il ruolo dellIntelletto Agente e il percorso dellittihd) postulano una
possibilit di ascesa dellumano al divino che vanifica il senso stesso di una Legge che comando e divieto. Di
tutto ci Ibn Taymiyya avverte le possibili conseguenze antinomiche, qui si appunta la sua preoccupazione
sociale: lamore di Dio del mistico, come la pretesa di un sapere tutto umano del filosofo, non pu prendere il
posto dellobbedienza alla Legge, perch la Legge ci che Dio impone ad un uomo incapace di autogovernarsi.
Sotto il velo di un discorso religioso che di fatto un discorso giuridico (le due cose si identificano per Ibn
Taymiyya) evidente il rifiuto delle divergenze come possibile fonte di discordia sociale, e con esso leterno
incubo di una societ monolitica, nella quale la libert si realizza soltanto nellobbedienza alla Legge (Laoust, p.
167). La Legge divina totalitaria, riguarda tutti gli aspetti della vita individuale e sociale, spirituale e materiale,
ed razionale, precisamente perch viene dalla Sapienza divina: del resto Dio ha creato il mondo per essere
servito (cfr. pp. 176-177).
Perci la Profezia, con la Rivelazione, indica la via della salvezza: il Profeta ha un ruolo politico e
giuridico e presiede alla vita sociale della comunit (pp. 179-182). Nota giustamente al riguardo Laoust (pp. 188-
189) che in questa dottrina Ibn Taymiyya realizza una convergenza con due fazioni dellIslam da lui peraltro
rigettate come tali: la Sha per quanto concerne la necessit di un infallibile alla guida della comunit, e il
Khridjismo per quanto riguarda linfallibilit di Maometto dal momento in cui rese pubblica la propria
missione. E il Profeta non parl per allegorie, come pretendono i falsifa (p. 193); perci lui il migliore degli
uomini, dopo di lui vengono i Compagni, poi i Successori (p. 194); nella societ ne sono eredi gli ulam a titolo
individuale e collettivo, al di fuori di ogni corpo organizzato e gerarchico (questa una critica al clericalismo
dei Cristiani e degli Shiti, p. 201) e il loro ruolo viene anche prima di quello degli emiri (p. 202). Al Profeta si
deve dunque non la venerazione -che fa parte degli esecrati culti popolari- ma lobbedienza, tramite lobbedienza
alla Legge della quale furono custodi i Compagni, i Successori, e infine lo ahl al-Sunnah wa l-jama: essi
rappresentano il giusto mezzo in tutte le scelte (pp. 204-221).
Il Cap. IV del testo di Laoust (pp. 226-250) dedicato ai problemi metodologici e dottrinali, che
interessante seguire con il confronto dei testi da lui stesso tradotti in Contribution une tude de la
mthodologie canonique de tak-d-dn Ahmad b. Taymya, Le Caire, I.F.A.O., 1939, al fine di dare maggiori
dettagli su un tema che stato sufficientemente esposto parlando di Shfi e di Ibn Hanbal, oltrech di Ibn
1136
Taymiyya; e con lo studio di A. Syukry Shaleh, Ibn Taymiyyas Concept of Istihsn. An Understanding of Legal
Reasoning in Islamic Jurisprudence, Montreal, Inst. of Islamic Studies, Mc Gill Un., 1955, che aiuta a
focalizzare un tema giuridico di particolare interesse.
Laoust traduce liberamente con Principi generali di metodologia canonica una Risla di Ibn
Taymiyya il cui titolo reale dice gi molto, se non tutto: esso afferma infatti che nel dettato del Profeta sono
esplicitati (bayyanah ar-rasl) i principi fondamentali della religione e i suoi aspetti particolari (usl ad-dn wa
furuahu). Il testo conferma il contenuto del titolo stesso (e su ci non conviene quindi soffermarsi) ma anche
altre cose da mettere in evidenza, come, ad esempio, che nel dettato del Profeta la religione esposta tanto nel
suo significato evidente quanto in quello profondo (zhir wa btin) perci sono da evitare le interpretazioni
filosofiche e le fantasie mistiche. A proposito dei filosofi egli sottolinea la priorit della Rivelazione sulla
ragione, argomento che avevamo gi visto in al-Ghazl, il cui nome viene infatti citato esplicitamente da Laoust
a p. 66 in n. 1. Il Corano pu fornire i fondamenti per giudicare di ogni fattispecie; quanto alla religione essa
consiste non tanto nel credere, quanto nel servire lordine divino. Nel Corano dunque, e nella Sunnah, risiede la
fonte di ogni giurisprudenza; in essi la totalit della religione, fatta di distinzione tra il comandato e il proibito,
tra la verit e lerrore (p. 80). Al Corano e alla Sunnah deve aggiungersi il consenso della comunit, perch la
comunit islamica la migliore mai creata -lo affermano il Corano e la Sunnah- e il suo consenso unanime non
pu mai errare.
Mi permetto di notare qui una caratteristica saliente dellIslam declinato nella sua versione sunnita-
hanbalita: linaccessibilit al confronto e alla convivenza, conseguente alla mancanza di riflessione critica sulla
ininterrotta catena deduttiva sviluppata su un fondamento non storicizzabile (eterna letteralit del Corano) e sulla
indubitabile credibilit degli ahdth. La colpa di Giudei e Cristiani, conferma Ibn Taymiyya proseguendo nella
propria logica, stata infatti quella di aver cessato di conformarsi alla profezia (al Pentateuco) alterando e
abrogando la fede (pp. 86-89). Di questultimo specifico argomento far cenno tra breve; qui peraltro torna in
mente la vicenda della lapidazione degli adulteri (cfr. supra, p. 1043) e si apre una riflessione politica
pragmatica (la politica non pu prescindere dalla concretezza) gi introdotta quando parlammo del Gods
Caliph (pp. 857-859) sulla quale ho ora occasione di tornare. Lo faccio con riferimento ad un significativo
articolo di C. Bori, Thologie politique et Islam propos dIbn Taymiyya (m. 728/1328 et du sultanat mamelouk,
R.H.R., 228,1, 2007, che, al di l di quanto mi appresto ad esaminare ora, torna utile per esaminare anche altri
testi politici di Ibn Taymiyya maturati al tempo delle invasioni mongole, che esamineremo in seguito.
La Bori parte da un modello teologico-politico (il primo dei tre modelli proposti dagli studiosi, che
ella esamina) della teocrazia intesa come subordinazione, sino alleliminazione, della conduzione politica a
favore di una pura dominazione divina. Si tratta, dice la Bori (p. 13) di una della implicazioni utopiche
dellideologia islamica: lillegittimit della conduzione politica umana, perch soltanto Dio ha il diritto di
governare. In effetti per Ibn Taymiyya la dimensione della fede precede la costruzione politica (p. 15) che
intende il dogma della unicit divina in senso positivo come negazione della possibilit di dominio delluomo
sulluomo, perch il potere appartiene a Dio, al suo Inviato, e alla comunit alla quale Dio ha comunicato la
propria volont per bocca del Profeta (p. 16). Cita al riguardo le parole stesse di Ibn Taymiyya su un argomento
che abbiamo gi visto: I Musulmani, poich Dio li ha resi suoi testimoni, non potrebbero dare falsa
testimonianza. Se essi testimoniano che una cosa stata ordinata da Dio, perch lo stata; se testimoniano che
una cosa stata proibita da Dio perch lo stata. La comunit nella sua totalit stata dunque eletta a
testimoniare in nome di Dio. Citando Taubes (sul cui pensiero mi sono permesso qualche perplessit supra, alle
pp. 680-684) parla quindi di un potenziale sovversivo della teologia politica (per Taubes, di Israele) espresso
dal fatto che il popolo rimpiazza il Sovrano come incarnazione del potere divino. Losservazione corretta, ma
mi permetto di notare -non per polemica ma perch la cosa interessa ci che mi sembrato di scorgere nelle
origini dellIslam- che questa precisamente latopia della marginalit.
Dunque, nel dogma della unicit divina c una netta tensione verso legualitarismo (p. 18): almeno
nellinterpretazione di Ibn Taymiyya, il quale, come noto, era amato dal popolo e caratterialmente poco propenso
ad accettare dissensi dalla propria dottrina, realizzando cos un esempio icastico delle tendenze totalitariste delle
pulsioni egualitarie, caso particolare nel quale la poco significativa critica ad hominem diviene sovrapponibile al
dubbio sulla bont della ricetta.
La Bori passa poi a discutere un secondo modello teologico-politico quello del dualismo del potere
che si apre con la successione al Profeta, argomento introdotto dalla dottrina politica di Ibn Taymiyya gi sopra
citata, secondo la quale i detentori del potere sono gli emiri e gli ulam(p. 20 in n. 42). Per dualismo si
intende il regime nel quale si assiste alla separazione tra religione e politica, processo che peraltro non si avvera
completamente nellIslam, perch la costruzione politica e il potere temporale sono concepiti esclusivamente in
funzione della religione (p. 23). Come afferma lo stesso Ibn Taymiyya citato alle pp. 23-24, il Sultano il
servitore di Dio il cui potere e il cui compito si compendiano nel rappresentare lombra di Dio sulla terra al
cui riparo si rifugia luomo: ma se egli si discosta da Dio non ne pi lombra, quindi non costituisce pi un
rifugio. Il discorso teologico dunque il fondamento dellordine politico commenta giustamente la Bori (p.
24); con il che siamo tornati, come sempre, al Testamento di Ardashr.
La Bori passa poi ad esaminare un terzo modello teologico-politico, detto della rappresentazione,
nel quale vi correlazione tra potere divino e potere politico sotto forma di analogia, e la conseguente
1137
unificazione della conduzione politica e religiosa nelle mani di rappresentanti terreni, come, ad esempio, nel
cesaropapismo bizantino (p. 25). Questa forma pericolosa per il concetto di unicit divina (tra laltro fu
occasione, per Ibn Taymiyya, allincitamento contro i Mongoli, argomento che vedremo in seguito). Essa
implica infatti una corrispondenza tra terra e cielo intollerabile per lIslam, che afferma lassoluta trascendenza
di Dio (p. 26): e qui si apre il problema, gi visto con Crone-Hinds, del Califfato a partire dal tempo degli
Omeyyadi. Ibn Taymiyya chiaro al riguardo: rifiuta il ruolo di khalfat Allh (p. 28).
Segue una lunga citazione di Ibn Taymiyya e la discussione del suo significato in rapporto al Califfato
mamelucco, al tempo stesso Sultanato e Califfato, perch al Cairo si erano rifugiati gli Abbsidi, fuggiti dopo la
conquista mongola di Baghdad. Cera quindi un potere esecutivo (reale) in mano al Sultano, e uno puramente
cerimoniale riservato al Califfo: un fatto del tutto nuovo dove un potere militare necessita di un prestigio che
chiede alla sacralit dellIslam, peraltro impossibile a negoziare (p. 37). Dovr ottenerlo combattendo contro i
Crociati e i Mongoli in nome dellIslam (ivi) e questo determina un intreccio di poteri tra militari e religiosi: il
Sultano non ha poteri religiosi, ma, dichiarandosi protettore della fede, tenta di controllare ci che proprio di
questa sfera (p. 38).
Interessanti sono le conclusioni dellarticolo (pp. 38-39) che vogliono verificare lincidenza, sui
percorsi dellIslam e sul pensiero di Ibn Taymiyya, delle tre forme di teocrazia esaminate. Il modello della
teocrazia che vede la Profezia come esperienza primordiale, unica, di perfezione, la cui eredit spetta soltanto
alla comunit nel suo complesso, modello sostenuto da Ibn Taymiyya, stato, secondo la Bori, sinora
penalizzato dalleffettiva esperienza storica delle societ islamiche. Osservazione sintetica ineccepibile, cui
peraltro dovrebbero seguire almeno alcune domande sul perch un simile modello sia stato penalizzato, e sulle
possibili conseguenze di un suo tentativo di realizzazione. Il secondo modello, detto del dualismo dei poteri
(religioso e politico) resta, come abbiamo visto, incompleto, perch la politica deve comunque trovare il proprio
fondamento teorico nella religione.
Il terzo modello quello detto della rappresentazione. Qui la Bori sottolinea il netto rifiuto da parte
di Ibn Taymiyya, che lo identifica con le esperienze pi odiose di ogni governo pagano e idolatra: nella
fattispecie quello mongolo, contro il quale Ibn Taymiyya dispiega tutte le proprie energie. Tuttavia questo
modello ebbe una sua fugace affermazione nellIslam al tempo della lotta sulla definizione del Califfato come
vicarianza di Dio in terra. Abbiamo gi visto altrove come quel modello fu rifiutato e combattuto dai religiosi,
dal tempo in cui fu apertamente dichiarato dagli Omeyyadi sino al tentativo di sua restaurazione con il tramite
surrettizio della mihna da parte di al-Mamn. Il risultato dice la Bori uno scarto considerevole tra la teoria
teologico-politica e la sua formulazione pratica, che finisce per penalizzare lIslam perch ne riduce le risorse di
base. Quello che si constata esaminando le istituzioni contemporanee ad Ibn Taymiyya, un dualismo fittizio
che, visto da vicino, si risolve nella subordinazione dellautorit spirituale del Califfo allautorit politica i cui
veri interlocutori restano gli ulam (corsivo mio). Sugli ulam come legittimi successori del Profeta, cfr.
anche Ibn Taymiyya, Pages spirituelles I-XXI, Trad. franaises, etc. par Y.M. Michot, Oxford, Le Chebec,
1424/2003, sub I: la tesi fondata su un hadth riportato da Bukhar, al quale Ibn Taymiyya attribuiva la
massima autorit (seguito da Muslim e dagli autori delle altre quattro raccolte canoniche, infine dal Muwatta di
Mlik: cfr. H. Laoust, La profession de foi dIbn Taymiyya, La Wsitiyya, Paris, Geuthner, 1986, p. 56 in n. 129).
Personalmente ritengo di dover osservare due cose. La prima che questo approdo sembra essere
stato, sin dal tempo degli Omeyyadi, lobbiettivo politico della classe dei religiosi, in ci supportati dalle classi
popolari che li portarono ad affermare il loro modello; del resto, se si vuol esercitare un minimo di spirito critico,
si deve convenire che un potere appartenente alla comunit nel suo insieme, non pu essere esercitato
direttamente dalla comunit stessa, e che il suo simulacro sempre stato, sul piano religioso come su quello
laico, un potere ricercato e (in parte) assunto dai leaders della comunit, cio dagli intellettuali di estrazione
piccolo-borghese, nel caso dellIslam dalla classe degli ulam: un potere ideologico destinato a patteggiare con
il potere di fatto il proprio appoggio ad esso. Del resto, Laoust assolutamente esplicito al riguardo a p. 202: La
sovranit, nella dottrina di Ibn Taymiyya, una sovranit diffusa. Ne consegue che gli ulam costituiscono la
classe dirigente della comunit e dello Stato, prima ancora di quella degli emiri; perch noi vedremo che le
dottrine di Ibn Taymiyya, per quanto democratiche siano, hanno nondimeno concepito ogni organizzazione
politica come immagine di una oligarchia religiosa e militare.
I corsivi sono miei, e il terzo di essi mi sembra riferire a qualche attualit di questo XX secolo. Penso
alle rivoluzioni islamiche che abbattono le dittature militari col risultato di aprire la via al fondamentalismo
salafita: sembra infatti che la societ islamica, nel momento delle crisi, non riesca a trovare alternativa alla
oscillazione tra questi due poteri, col risultato di frustrare le goffe illusioni ed esortazioni di un Occidente che
non capisce, incartandosi nellequivoco semantico sulla parola democrazia. Perch lIslam sunnita
istituzionalmente democratico, ma dietro quella parola c una diversa concezione della societ e dei limiti
della libert, incomprensibili per un Occidente che sa pensare la democrazia soltanto nellaccezione assunta
dalla parola nella storia occidentale (che non neppure laccezione greca). LOccidente vive, per essere precisi,
una democrazia liberale (oggi pi che altro libertaria, come abbiamo visto nel Cap. 3 di Dopo e a lato a
proposito di Strauss, del liberalismo, dei suoi sviluppi attuali e della crisi dellOccidente) mentre lIslam, che non
ha mai pensato se stesso in senso liberale, si trova sempre pi a dover risolvere lalternativa tra la governabilit e
le pulsioni religiose, originate in un messianismo apocalittico la cui continuit non pu essere ignorata, influendo
1138
essa negativamente sulla governabilit. Lelemento religioso e quello militare, dei quali Ibn Taymiyya auspicava
larmonia, possono perci vivere periodi di compromesso, ma si sono rivelati istituzionalmente conflittuali.
La seconda osservazione lho gi fatta a suo tempo e la ripeto: la vittoria del partito popolare dei
sostenitori di una Legge letterale espressa in un Libro increato, rigorosamente valida per sempre nella sua
letteralit sottratta alla storicit, non interpretabile, nella contingenza, da un Califfo Vicario di Dio, la
vicenda che porta alla fossilizzazione della Sharah e conduce alle ripetute crisi storiche (che sono crisi di
adattamento) di un Islam che, nelle intenzioni dottrinali almeno, tende a farsi fabbrica di replicanti.
A questo punto dovrei aprire una lunga parentesi sul pensiero politico di Ibn Taymiyya, che tuttavia
preferisco posporre per dedicarmi brevemente alla sua giurisprudenza; questa infatti inestricabile da quello,
perch il pensiero di Ibn Taymiyya costantemente rivolto a ci che egli giudica essere il bene della comunit
anche in connessione con gli eventi del tempo, onde sar poi necessario considerare a parte la sua presa di
posizione politica nei confronti del Mongoli, dei Cristiani, e delle diversit religiose in generale. Teologia e
politica sono infatti strettamente connesse, con la prima a far da supporto alla seconda ed entrambe volte a
conformare e difendere una particolare concezione della comunit.
Il secondo dei testi di metodologia canonica tradotto da Laoust sintitola al-qiys fi--ar al-islm
e viene tradotto da Laoust con Le raisonnement analogique en droit musulman, un tema oggetto di lungo
dibattito tra i giurisperiti, essenziale per la riconduzione della fattispecie alla Legge. La ragione del dibattito, che
aveva di mira inizialmente la giurisprudenza hanafita, era fondata sul rischio di cadere nel giudizio personale,
che non trovava fondamento nel Corano e nella Sunnah. Qui laffermazione che regge tutto il discorso si trova
perci gi ad apertura (p. 114) ed ci che maggiormente interessa (il restante del testo si occupa di singoli
problemi specifici): il sillogismo giusto quello nel quale la causa (ill) che fonda lo stato giuridico della
premessa si ritrova nella conclusione. Essenziale quindi lidentificazione della causa (takhss al-ill) per
poter fondare unanalogia che non venga a cadere nellambito del giudizio personale, ma resti saldamente
ancorata a premesse rintracciabili nel Corano e nella Sunnah. Un esempio classico quello della proibizione
coranica del vino, prodotto dalluva, perch bevanda inebriante; per questa ragione il divieto si estende anche a
ci che non espressamente vietato, come il vino prodotto dai datteri, perch la causa del divieto lebbrezza
prodotta, e dunque anche il vino ottenuto per fermentazione dai datteri, che produce lo stesso effetto inebriante,
da considerarsi vietato (cfr. Il diritto islamico, cit., p. 269; cfr. anche le sei fatw riunite da Michot in: Ibn
Taymiyya, Pages spirituelles I-XXI, cit., sub XIX; sub XVIII si trova anche un ragionamento analogo per la
condanna dello hashish). Come dice Aldeeb Ab Sahlieh: Occorre unaffinit tra la questione-madre e la
questione da risolvere per quanto riguarda le loro conseguenze pratiche.
Il testo prosegue poi discutendo una serie di casi legali particolari che non aggiungono nulla a ci che
stiamo trattando, mentre interessa una nota di Laoust a p. 115, nella quale si sottolinea che questo ragionamento
per il quale la verit (giuridica) va raggiunta ancorando il pensiero al reale, cio alla causa della norma, non
tuttavia perseguito in modo rigido da Ibn Taymiyya, il quale fa rientrare nel sillogismo la considerazione
soggettiva dellutilit. Questa considerazione va esplicitata, perch apre al forte legame tra giurisprudenza e
politica che caratterizza il pensiero del dotto hanbalita.
Lo possiamo fare seguendo la ricerca di A. Syukri Shaleh, Ibn Taymiyyas Concept of Istihsn: an
Understanding of Legal Reasoning in Islamic Jurusprudence, Montreal, Mc Gill Un., 1995. Il concetto di
Istihsn , per lappunto, quello di una scelta preferenziale nel possibile giudizio, e una sua particolare accezione
la Istislh, fondata sul concetto di maslaha (utilit, ovviamente non personale, ma della comunit) che deve
guidare il giudizio. Esso esiste da sempre nella giurisprudenza islamica, in particolare hanafita, pur tra molte
critiche per i possibili sconfinamenti nel giudizio personale (suo accanito avversario fu Shfi). Su questo si
veda Aldeeb Ab Sahlieh, cit., p. 279 sgg.; cfr. anche larticolo di D. Pingree in E.I. vol. IV, voce Istihsn (e
Istislh).
Ibn Taymiyya sostiene infatti luso del concetto di utilit come guida al giudizio, a condizione che
esso trovi il fondamento nel Corano e nella Sunnah, nel consenso (abbiamo gi visto il suo concetto di consenso)
e nella necessit, e non contraddica unanalogia certa. Esso infatti va inteso in coincidenza con il takhss al-ill
e per questa ragione non pu contraddire lanalogia certa che si stabilita grazie alla conoscenza del significato
che sottost alla norma legale di riferimento. Tutto questo per rappresenterebbe soltanto una disputa giuridica
se non rivelasse le preoccupazioni che sono al fondo del pensiero di Ibn Taymiyya, preoccupazioni
eminentemente politiche. un fatto, che precisamente alle divisioni della comunit egli imputa la debolezza del
mondo islamico nei confronti della minaccia mongola.
Questo problema della compattezza della societ, da lui concepita come monolitica, fa affermare a
Laoust (p. 265) che la reazione ultra-sunnita e la xenofobia confessionale caratteristica del momento storico,
hanno condotto Ibn Taymiyya a insegnare, nonostante le sue precauzioni oratorie (corsivo mio) una concezione
totalitaria della comunit, e a immaginare, nel lungo termine, una progressiva diminuzione delle minoranze,
attraverso la restaurazione intransigente delle leggi emanate da Umar. Queste cose le vedremo ancora
esaminando i suoi scritti; per ora mi limito a qualche sporadica citazione dai testi di Laoust. Ai Cristiani debbono
infatti essere interdetti tutti i segni della propria fede fuori dalle loro chiese, perch la cosa offenderebbe i
Musulmani (p. 271); deve essere loro vietato di mangiare in pubblico durante il Ramadn (p. 272); i Musulmani
non devono consentire ai propri figli di giocare con i bambini cristiani (ivi); i Cristiani non possono entrare nelle
1139
moschee mentre i Musulmani sono padroni di entrare nelle chiese e, quando lo facessero, i Cristiani in preghiera
debbono abbassare la voce (ivi); nei territori conquistati i Cristiani non hanno il diritto di conservare le proprie
chiese (p. 273); la distruzione delle chiese obbligatoria qualora nella stessa zona sorga gi una moschea (ivi).
Ibn Taymiyya sembra ossessionato dallidea di una comunit totalitariamente compatta e omogenea,
anche perch lesercizio scrupoloso dei doveri religiosi presuppone una comunit totalmente pacificata, secondo
lantica tensione millenarista alla societ perfetta. Il suo ideale quello, salafita, del Califfato dei quattro ben
guidati allorch la comunit musulmana non costituiva che una sola citt (p. 282). Si noti leterna concezione
del tempo come ritorno che caratterizza tutti i millenarismi: la societ perfetta del futuro atopico ha un modello
nella societ perfetta di una sognata et delloro delle origini. Ogni evoluzione, nota Laoust a p. 282 una
vittoria della molteplicit sullunit; ogni riforma una restaurazione, nei limiti del possibile, dellunit. Il
corsivo mio perch vorrei sottolineare che siamo in presenza di quelleterno modello che Eliade defin
nostalgia del Paradiso, un modello che vede nella storia un tragitto dallEden allEden: dunque un rifiuto della
storia intesa come lotta e trasformazione, esplorazione dellignoto, confronto, assenza di garanzia del vero e
caducit; modello rassicurante con conforta le marginalit di tutti i tempi e luoghi davanti alla loro concreta
esperienza della durezza dellesistere, dando loro un obbiettivo facile da comprendere.
Molto significativa la dottrina politica di Ibn Taymiyya, che fonda la designazione del Sovrano nel
consenso del popolo, non dei soli ulam, contrariamente alla dottrina prevalente nel Sunnismo, e ci per un
motivo ben preciso: evitare il formarsi di una gerarchia clericale come nella Sha e nel Cristianesimo, che in ci
sono costante oggetto della sua critica (p. 285 sgg.). Soltanto la comunit nel suo complesso infallibile, non
lImm; daltronde, se ogni comunit ha bisogno di un capo, il capo non nulla senza i suoi sudditi (p. 291). Si
nota qui il carattere pragmatico della sua dottrina, volta alla creazione di una societ armoniosa, unesigenza del
momento che momento di grave crisi militare per la minaccia mongola; e anche di minaccia ideologica, per il
permanere in terra dIslam della presenza cristiana, non ancora debellata. Nota inoltre Laoust (p. 282) che nella
sua scelta popolare Ibn Taymiyya tende anche a ricomprendere nel Sunnismo la petizione khridjita, secondo
quella sua tendenza mediatrice, presente anche in al-Ghazl, essenziale per la ricomposizione della Ummah.
Siamo, a mio avviso, in presenza di un procedimento ideologico che ha tuttora un seguito nella
politica fondamentalista: offrire una soluzione atopica ad una crisi reale, traendone un vantaggio concreto: il
Sovrano che garantisce la societ omogenea e tranquilla dove esercitare le virt religiose nellossequio alla
Legge, di fatto un Sovrano che gestisce una quotidianit garantita dagli ulam che lo rendono rispettato e
obbedito: si realizza il mutuo scambio tra religione e potere politico invocato dal Testamento di Ardashr. Il
disinteresse di Ibn Taymiyya testimoniato dalla sua stessa vita (per la quale si pu far riferimento a C. Bori, Ibn
Taymiyya: una vita esemplare. Analisi delle fonti classiche della sua biografia, R.S.O., 76, Suppl. n 1, 2003)
ma la realt obbedisce a regole che non si possono ignorare, al di l delle buone intenzioni; daltronde lui lottava
s, con coraggio e disinteresse, per le proprie convinzioni religiose, ma anche, contemporaneamente, in modi
sovente impolitici, per non dire inurbani, per la propria supremazia ideologica.
Tra i doveri fondamentali dellIslam, Ibn Taymiyya collocava al primo posto il jihd (p. 360 sgg.):
tutta la sua dottrina dice Laoust una lunga e costante apologia del Jihd (p. 361). Al riguardo egli riporta
vari passaggi letterali della Siysa al-sharah che incitano alleliminazione (quantomeno per conversione
forzata) dei non Musulmani o dei Musulmani non ortodossi (Mongoli, Cristiani, Giudei, ma anche Shiti e
Nusayriti, contro i quali si espresse con una fatw). Su questi argomenti ritengo tuttavia preferibile lesame
diretto dei testi, perch se ne ricava meglio la misura della sua radicale intolleranza, certamente stimolata dalla
grave situazione di conflittualit del momento, ma non per questo meno significativa sul piano ideologico,
perch le situazioni passano, le idee restano.
Inizio con una delle sue confessioni di fede, precisamente la Wsitiyya, che deve il proprio nome alla
citt in cui fu redatta (cfr. H. Laoust, La profession de foi dIbn Taymiyya. La Wsitiyya, cit.) e che, secondo
alcuni, gli avrebbe causato il processo per antropomorfismo cui fu sottoposto a Damasco nel 1306, ipotesi sulla
quale avanza tuttavia dubbi S.A. Jackson, Ibn Taymiyya on Trial in Damascus, J.S.S., 39, 1994.
La lettura della Wsitiyya non riserva alcuna particolare novit rispetto a ci che ho sinora riferito su
Ibn Taymiyya, si tratta di una dichiarazione di fede hanbalita. Il punto di partenza che Dio si conosce cos
come Lui si fa conoscere nel Corano; perci si debbono respingere le interpretazioni razionalizzate o esoteriche
avanzate dai mutakallimn, dai btiniti, dai falsifa e dai ahmiti e dai Sf; segue la descrizione di Dio cos
come appare dai versetti del Corano. Quanto alla Sunnah, essa spiega e commenta il Corano e ne esprime il
senso. Ibn Taymiyya, pur sostenendo aspetti letterali del Corano che potrebbero condurre allantropomorfismo,
come, tra i molti, il Suo star seduto sul trono o quel Suo discendere in terra nellultimo terzo della notte (si
ricordi lepisodio mimico sul minbar che colp Ibn Battta a Damasco nel 1326: Ibn Taymiyya sostenne che Dio
scendesse di notte cos come lui scendeva dal minbar, e scese tre gradini [cfr. Ibn Battuta, I viaggi, a cura di
C.M. Tresso, Torino, Einaudi, 2006, p. 108]) dal quale parte larticolo di Little, cit. supra a p. 1133. Egli si
guarda tuttavia dal cadere nellantropomorfismo, come si vedr meglio dallarticolo di Jackson; di fatto ribadisce
al riguardo leccellenza dello ahl al-Sunnah wa l-jama, perch esso si colloca nel giusto mezzo tra i ahmiti e i
partigiani del tamthl, cio coloro che paragonano gli attributi divini a quelli umani, cadendo cos davvero
nellantropomorfismo. Egualmente a met essi si collocano tra i predestinazionisti e coloro che attribuiscono
alluomo il libero arbitrio, tant che egli afferma esplicitamente la dottrina delle due volont (cfr. supra, p.
1140
1121) una dottrina secondo la quale Dio il Creatore degli atti degli uomini, che per hanno potere e volont sui
propri atti. Quanto al Corano, esso increato ed parola parlata di Dio, lo nelle lettere e nelle idee (kalm
Allh al-hurf dn al-man wa-l al-man dn al-hurf) disceso da Dio e a Dio torner.
Tra le altre molte asserzioni dottrinali di Ibn Taymiyya, le pi interessanti, che peraltro abbiamo gi
conosciuto, riguardano il Califfato, i Compagni e il consenso. Egli afferma dunque che. dopo il Profeta, si
devono considerare Califfi soltanto i quattro ben guidati, e, subito dopo, che i Compagni furono la miglior
generazione. In altre parole, esprime una dottrina salafita. Infine la sua concezione del consenso (ijm): il solo
consenso quello dei salaf al slih, virtuosi, perch dopo di loro esplosero le divergenze e la Umma si divise
(wa intasharat al-ummah). Il tema sempre il medesimo, quello che egli insegue in tutta la sua opera:
labolizione delle divergenze.
Veniamo ora al citato articolo di Jackson sul processo di Damasco, nel quale si esordisce ricordando
che i resoconti tramandati risalgono a due storici shfiti, che peraltro non risultano essere stati presenti al
processo; perci necessario esaminare unaltra testimonianza, quella dello stesso Ibn Taymiyya della quale d
conto una lettera del suo fratello minore, Sharaf al-Dn Ibn Taymiyya. Su questa base, Jackson mette in dubbio
che la vera origine del processo fosse nelle affermazioni della Wsitiyya, che Ibn Taymiyya us piuttosto come
difesa dalle accuse che gli venivano mosse; Jackson pensa a possibili sospetti che allorigine delle trattative da
lui intraprese con i Mongoli vi fossero state sue ambizioni politiche personali (pp. 49-50). Ibn Taymiyya si difese
dimostrando che la sua dichiarazione di fede non era stata scritta allo scopo di convertire i Mongoli alla propria
dottrina, ma era stata scritta ben sette anni prima e su richiesta di un privato, che non era mongolo.
Sul piano dottrinale poi, le obbiezioni rivoltegli riguardavano sia la sostenibilit dellinterpretazione
allegorica in base al pensiero di uno dei Compagni e in base alla dottrina di al-Ashar, sia linautenticit degli
ahdth in base ai quali egli aveva suffragato il proprio antropomorfismo. Contro queste accuse la difesa di Ibn
Taymiyya fu facile, si appoggi in gran parte sulla stessa Wsitiyya. Innanzitutto al-Ashar non aveva scelto la
via del tawl (cfr. supra, p. 1128) la cosa aveva riguardato soltanto alcuni degli Ashariti; in secondo luogo il
problema degli attributi divini, come spieg, non doveva essere inteso sulla scorta degli astratti universali che
caratterizzano la conoscenza nella mente umana (ho gi ricordato a p. 1135 il rigoroso nominalismo di Ibn
Taymiyya nella sua polemica anti-neoplatonica). La sua posizione, che egli conferma essere identica a quella dei
Compagni che non praticarono n il tawl n lantropomorfismo, labbiamo gi vista ed anche quella di al-
Ghazl: dietro le parole del Corano non si devono intravedere realt eguali a quelle associate ai nomi attraverso
lo schema degli universali (la mano, il volto, il trono, etc. di Dio, non hanno nulla a che vedere con la nostra
esperienza terrena, sono inconcepibili per la nostra mente, ma vanno intesi realmente per quello che vengono
nominati: mano, volto, trono, etc.).
Jackson d la traduzione della lettera di Sharaf al-Dn contenente la testimonianza difensiva del
fratello (p. 56 sgg.) in lineare accordo con la Wsitiyya, nella quale c tuttavia qualcosa di pi, ed qualcosa di
interessante, peraltro ampiamente e ripetutamente rilevata nei saggi di Laoust. Ibn Taymiyya infatti (p. 65) si
pone su un piano ecumenico sostenendo che la propria dottrina si conforma a quanto fu affermato da tutte le
scuole nei primi tre secoli: Hanafiti, Mlikiti, Shfiti, Hanbaliti, Ashariti, Sf, ahl al-hadth e quantaltri. Ci
che gli sta a cuore che sia evitata ogni interpretazione del Corano, perch cos si divide la comunit, e, come
abbiamo gi visto pi volte, la monolitica unit della Ummah ci che politicamente gli preme. Il problema
delle divisioni dovute alle dispute tra le scuole occupa numerose pagine: si veda alle pp. 75-76, dove arriva
anche a difendere i primi Mutaziliti che non avevano messo in discussione la parola di Dio cos come essa
suona nel Corano. Il consenso allautorit dei Salaf, afferma a p. 81, pu essere ricavato da citazioni di tutte le
quattro scuole (sunnite) dei mutakallimn, dei tradizionisti e dei Sf. Il testo si conclude attaccando ancora il
tawl -che non fu praticato da al-Ashar- e il realismo in materia di universali astratti sostenuto dai falsifa,
neoplatonici; e con la difesa delle raccolte di ahdth.
Il richiamo ai predecessori una costante della dottrina hanbalita e quindi di Ibn Taymiyya; esso vale
per giudicare di ogni manifestazione della religiosit islamica. Ad esempio, per quanto riguarda il rapporto con i
Sf e i mistici in generale, esso ne rappresenta il fondamento: Ibn Taymiyya contrario alle manifestazioni
eccessive che non trovano riscontro nel Corano, nella Sunnah e nella pratica dei Compagni (per non dire della
sua contrariet a forme di ciarlataneria suggestive a livello popolare) e, pur non essendo contrario alla pratica
sf in generale, ricorda che il merito di un Musulmano si fonda altrove, si fonda sul rispetto della Legge intesa
come obblighi e divieti. Largomento ben illustrato da Homerin, Ibn Taymiyyas al-sfiyyah wa al-fuqar,
Arabica, 32, 1985: povert e ricchezza, misticismo e sua assenza, hanno importanza secondaria nel definire la
religiosit dellindividuo, gli amici di Dio sono i devoti credenti (p. 244) ed essere credente significa rispettare
scrupolosamente la Legge. Argomenti analoghi si possono trovare sviluppati in Pages spirituelles I-XXI, cit., sub
XX; o in Ibn Taymiyya, Textes spirituels I-XVI, Trad. publies etc. per Y. Michot, Oxford, Le Chebec,
1423/2002, sub I, ma anche III, VI e XIV, dove si afferma chiaramente che religione il rispetto della Legge;
lo stesso in Pages spirituelles, sub X e XI. Questo punto va sviluppato, perch fondamentale nella sua dottrina,
in quanto sorregge sia la sua visione politica relativa al governo della comunit (ruolo degli ulam) e ai suoi
rapporti con ci che ad essa esterno (Mongoli, Cristiani, Giudei); sia il suo sforzo per realizzare una comunit
priva di differenziazioni interne.

1141
Si prenda per esempio il suo Trait sur la Hisbah (al-Hisba fi al-Islm) cit in Bibl. a p. 849. La
Hisbah un obbligo (potremmo tradurlo come obbligo di sorveglianza) che incombe ad ogni Musulmano, di
intervento al fine di impedire che un suo confratello commetta azioni vietate dalla Legge, ovvero si sottragga
agli obblighi prescritti. Si tratta dunque del famoso obbligo di comandare il Bene e proibire il Male che
incombe sullautorit in un paese islamico, attraverso il controllo esercitato dallautorit magistratuale del
Muhtasib, una sorta di ispettore ai costumi. La premessa che luomo pu esistere soltanto nellambito della
societ, di qui lesigenza di una normativa legale che comporta lobbedienza a un capo che ordina e proibisce: e
non ci pu essere un capo migliore di Dio e del Suo Profeta. Ho usato il corsivo per questa premessa perch in
essa si condensa la struttura del ragionamento di Ibn Taymiyya: egli procede con una ferrea logica deduttiva da
premesse considerate ovvie. Il procedere negli sviluppi logici lo conduce quindi a considerare cristalline e
scontate conseguenze che possono apparire opinabili, non dir alla ragionevolezza, ma al pi banale buonsenso;
tuttavia non c dubbio, e lo vedremo a conclusione di quanto ci riguarda, che Ibn Taymiyya fu un grande logico
e che alcune delle sue prese di posizione meritino di essere seriamente considerate, come lassunzione che
lunica verit accessibile alluomo sia la verit giuridica, perseguita tramite il metodo, parimenti giuridico,
dellanalogia, perch il sillogismo una mera tautologia.
Lessenziale della religione e della funzione sociale, prosegue Ibn Taymiyya, consiste dunque negli
ordini e nei divieti; le funzioni sociali derivano dalle circostanze e dalle usanze, ma sono comunque fondate sulla
Legge fissata nel Corano e nella Sunnah. Di qui gli obblighi di controllo religioso che incombono al Muhtasib,
che pu chiedere lintervento armato per assicurarne il rispetto. Segue tutta una serie di esempi tratti dalle norme
concernenti il commercio sui quali possiamo sorvolare, dopo i quali Ibn Taymiyya torna a insistere sul dovere
delluomo di credere, al di l di ogni dubbio, in Dio e nel Suo Profeta, e di riservare alla loro normativa
unobbedienza totale.
Il testo ritorna quindi sui temi del commercio, ma Ibn Taymiyya non perde loccasione per inserirvi la
tradizione secondo la quale un ordine preciso del Profeta era stato quello di cacciare i Giudei e i Cristiani dalla
penisola araba; e poich nel commercio il divieto delle frodi costituisce certamente un punto centrale, ne
approfitta per sottolineare che cosa costituisca frode in materia di religione. In primo luogo vietato introdurvi
novit, e poi proibito insultare (atto che pu dar luogo ad ampia interpretazione) i Compagni, ma anche i
Musulmani, i loro Imm e i loro Shaykh; n si possono negare gli ahdth ammessi da coloro che hanno la
scienza per farlo, o introdurne di nuovi da loro non ammessi; non si deve esagerare nella religione (questo un
tema molto vivo nel legalismo, contro le pratiche dei mistici) o divinizzare luomo al punto di autorizzare
linfrazione alla Legge: e questo un tema che si rivolge alle tante sette esoteriche pullulate nellIslam, a partire
dalla Sha estremista e dallIsmailismo; Ibn Taymiyya ha sempre avuto nel mirino questultimo e i Nusayriti
(e i Drusi) confusi con esso. Si possono citare al riguardo le sue specifiche fatw: cfr. Y. Friedman, Ibn
Taymiyyas Fatw against the Nusayr-Alaw Sect, Der Islam, 82,2, 2005. Questo articolo riveste particolare
interesse, non soltanto perch vi viene sottolineato il carattere (anche) politico (di supporto alle campagne
repressive dei Mamelucchi) dei giudizi di Ibn Taymiyya, nei quali si invoca, come duso la morte del
dissenziente; ma anche le loro implicazioni attuali, in specie nel momento in cui scrivo queste righe,
nellautunno del 2012. Friedman sottolinea infatti (p. 362) la posizione attualmente preminente, nel mondo
sunnita, grazie al Wahhbismo e dopo secoli di marginalit, dello Hanbalismo e di Ibn Taymiyya, quale
elemento determinante nello scontro in atto tra Sunniti e Alawiti in Siria.
Ritornando ora sui temi specifici affrontati riguardo alla Hisbah, Ibn Taymiyya insiste nel ricordare il
ruolo del Profeta come definito in Cor., VII,157: ordinare il Bene e proibire il Male, definire il lecito e lillecito:
per questa ragione la comunit islamica la migliore mai esistita nella storia delluomo, mentre le altre comunit
non hanno ordinato tutto il Bene o proibito tutto il Male. Questo rientra nel tema delleterna polemica
antigiudaica e anticristiana sulla quale avremo modo di trattenerci ancora. Il passaggio naturale successivo
dunque che lobbligo incombente ai Musulmani rende meritoria la loro guerra legale, perch Dio non ama il
disordine; a tal fine la Ummah deve restare sempre compatta dietro le proprie guide. Infatti per Ibn Taymiyya la
comprensione e la pratica della religione si realizza soltanto nellobbedienza agli ordini di Dio comunicati dal
Profeta; una posizione che abbiamo gi visto, e che egli ripropone ad ogni occasione. La conseguenza ovvia
che la responsabilit delle guerre intestine connessa con lintroduzione di innovazioni in materia di religione,
che sono causa di errore e follia.
Una delle considerazioni successive di Ibn Taymiyya, sulla quale mi permetto di attirare lattenzione
per il retroterra che illumina e che significativo della collocazione dellIslam in rapporto alle sue origini, la
seguente. La giustizia, egli afferma, al fondamento di ogni organizzazione; perci, quando le cose del mondo
sono fondate sulla giustizia, tutto in ordine, mentre, quando la giustizia assente, nessun ordine possibile.
Avevamo gi notato a suo tempo, nel corso dellAppendice alla V ed., come per il mondo islamico la Giustizia
sia ben pi importante della libert; cos come abbiamo sempre constatato che il mito di un mondo di Giustizia
sia il motivo eterno della cultura della marginalit, che perde di vista il carattere pattizio e transeunte di ogni
possibile giustizia (in questo caso in minuscolo) riflessa nello ius come obbiettivo u-topico. La Giustizia
invocata da Ibn Taymiyya e da lui descritta in alcune sue accezioni, viceversa, tradotta giustamente e
necessariamente in termini che possono essere soltanto di Legge religiosa, una giustizia che, anche nei dettagli,
compreso il manuale delle punizioni, un Assoluto divino del quale ci si rifiuta di scorgere il fondamento storico
1142
e sociale. Di qui la situazione di illegalit che si determina ogniqualvolta la comunit si divida sul piano
dottrinale, e la necessit di tornare alla dottrina e alla prassi dei Predecessori, cardine del Salafismo.
Di qui anche la conclusione: per ogni uomo sulla terra indispensabile ricevere ordini e divieti, cos
come indispensabile ordinare e vietare; perci (qui interessante il salto logico, che per non appare tale alla
logica di Ibn Taymiyya, precisamente a causa dei suoi presupposti, lapplicazione dello strumento deduttivo,
razionale, a un fondamento fideistico) chi non ordina e non proibisce secondo le disposizioni di Dio e del
Profeta, mescola verit ed errore.
Il problema al quale intende dare risposta Ibn Taymiyya non un problema contingentemente
politico -se non altro perch politico-religioso o anche teologico-politico- quanto un problema di ben pi
vasta prospettiva, potremmo dire di filosofia politica, se non fosse per lavversione del Nostro alla filosofia. Il
problema infatti quello della retta guida della Ummah tramite il braccio di una politica che risponda ai supremi
princpi dettati dalla Rivelazione come Legge necessaria allumanit tutta. Lo dice il titolo stesso della sua opera
a ci dedicata, al-Siysa al-ariyya fi islh al-r wa al-raiyya, cit. in Bibl. a p. 849 come Il buon governo
dellIslam. Cos infatti lo intitola il traduttore, G.M. Piccinelli, che per rende nellIntroduzione il titolo
completo come La politica secondo la legge divina per il bene dellautorit e dei sudditi; salvo dare nel corso
del testo (p. 1) la traduzione questa volta letterale degli ultimi due sostantivi, cio del pastore e del gregge. Ho
voluto giungere a questa precisazione perch mi sembra utile far riferimento a quanto discusso supra a p. 964, a
proposito di un fraintendimento di Strauss sottolineato da Tamer: dietro il termine siysa (dal verbo ssa) vi il
concetto di governo nel senso di cura, custodia, allevamento (e sera fatto lesempio dei cavalli) un governo
quindi, che non mero esercizio di autorit politica, di potere, ma vincolato ad una finalit che va oltre, a leggi
immutabili inerenti la stessa fisiologia della comunit e che riguardano la sua stessa felicit e prosperit. Siamo
quindi in presenza di una conduzione nel senso di costruzione (allevamento) di una comunit quale essa deve
essere in accordo con la Legge divina.
Ci premesso mi sembra interessante esaminare lintroduzione di Piccinelli in rapporto alla sua
valutazione dellopera di Ibn Taymiyya, che egli considera (giustamente, data la circostanza storica nella quale si
trovava la Ummah) un progetto di riforma fondato sullinscindibilit di religione, politica e diritto che
caratterizza lIslam. Per la precisione, si tratta di un progetto critico verso quelle forme di pluralismo che
possono minacciare le basi (di fatto solo teoricamente) unitarie della umma (p. XIII). Gi qui, come si vede, si
mette in evidenza lo scarto tra realt e dover essere che caratterizza lutopia, pronta a diventare, come accade
nellIslam delle masse (e di tutta la cultura della marginalit) atopia, allorch vengano chiamati allazione il
comando e il divieto erogati e sorretti dal braccio del potere con i suoi vari organi. La prima spia di ci
precisamente il rifiuto del pluralismo inteso come minaccia ad una Ummah soltanto teoricamente unitaria;
questo, come abbiamo visto pi volte, non semplicemente Ibn Taymiyya, lo Hanbalismo del quale egli
grande rappresentante. Del resto, come nota Piccinelli (p. XVI) Ibn Taymiyya lerede di una linea evolutiva del
pensiero sunnita-hanbalita che include anche il sunnita non hanbalita al-Ghazl, vissuto in un altro momento di
crisi e restaurazione.
Ibn Taymiyya teorizza inoltre anche se con una chiarezza non sempre costante (p. XVII) il diritto di
combattere il principe ingiusto. In effetti, egli non si spinge mai alle posizioni estremiste che, pure, la sua logica
autorizzerebbe (e di fatto ha autorizzato in seguaci moderni e pre-moderni, meno attrezzati di lui come pensatori)
perch, interessato com a proporre una costruzione realistica (nonostante in fondamento atopico) risente
anche delle tendenze quietiste presenti come alternativa nel pensiero sunnita. Non c dubbio comunque che per
lui la conformit degli atti politici con la Rivelazione divina (p. XLI) sia al fondamento della legittimit
islamica di qualunque potere politico: affermazione che a me sembra rientrare in quel tentativo ecumenico
sempre segnalato da Laoust, che in questo caso si apre a posizioni khridjite.
Un aspetto importante dellanalisi di Piccinelli consiste nella sua costante e dichiarata attenzione a
contestualizzare lopera di Ibn Taymiyya (p. XIX) nellambito del preciso momento storico, ci che consente
di dare il giusto valore alla sua accanita avversione verso i Mongoli e i Cristiani, e al suo insistito richiamo al
jihd come latto pi meritorio per il Musulmano, posizioni non ignorate da Piccinelli (pp. XX-XXI); cos come
non sottovalutata la condanna di qualsiasi visione sociale non fondata sulla Legge islamica e di qualsiasi
forma di pluralismo (p. XX). Sono, del resto, posizioni che abbiamo gi visto ad abbondanza e che torneremo a
vedere quando parleremo della fatw contro i Mongoli e i Cristiani.
Il limite di questa contestualizzazione nellesaminare il pensiero di Ibn Taymiyya sorge per in altre
circostanze, allorch Piccinelli, dopo aver esposto il pensiero di Ibn Taymiyya sul tema dellijtihd, affronta il
tema delleredit del suo pensiero, che, come noto e come egli ricorda (p. XXX sgg.) al cuore dellattuale
fondamentalismo neo-salafita, a partire dalla fine del XVIII secolo con Ibn Abd al-Wahhb, al cui credo
legata, ora come allora, la politica Saudita; ma anche il pensiero di Sayyd Qutb (cenni su entrambi, ma
essenzialmente sul secondo alle pp. 828-833, passim). Per quanto riguarda il primo, si veda Ibn Abd al-Wahhb,
Lunicit divina, Trad., Intr. e Note di V. Colombo, Pref. di S. Noja Noseda, Bologna, Centro interdisciplinare di
scienze dellIslam Re Abdulaziz dellUn. di Bologna, 2000. Nella parte a lui dedicata, Laoust, nel suo saggio
su Ibn Taymiyya (p. 506 sgg.) usa parole relativamente neutre, forse per la data nella quale furono scritte (il
1939); e tuttavia molto precise per sottolineare laridit, per non dire la pochezza dottrinale, di Ibn Abd al-
Wahhb, unita alla pi dura intransigenza nei confronti di ogni diversa concezione dellIslam e ad un autentico
1143
razzismo e imperialismo (parole di Laoust) panarabo. Laoust dedica inoltre le pp. 615-624 alla traduzione
della professione di fede wahhbita: nulla a che vedere con lo spessore culturale di Ibn Taymiyya, come si pu
facilmente evincere anche dalla lettura de Lunicit divina. In compenso sono ben delineati da Laoust, con il
segnalato distacco, comprensibile nel lontano 1939, tutti i caratteri con i quali il wahhbismo ha manifestato la
propria virulenza nel mondo islamico.
Dopo aver sottolineato il fascino che le dottrine di Ibn Taymiyya esercitano sullIslam contemporaneo
(esse risultano, per il Musulmano, leggibili e credibili in ogni epoca storica, p. XXXIV) Piccinelli segnala
tuttavia i rischi cui esse conducono nelle teorie moderne (quelle cio di Sayyid Qutb e del Wahhbismo)
sottolineando in particolare la preoccupante tendenza antipluralista (p. XXXV) che peraltro, a mio avviso,
inevitabile se la conduzione politica della societ deve conformarsi a un dettato religioso espresso sotto forma di
Legge. Guardando al problema gi semplicemente con ottica musulmana, Piccinelli nota infatti che la
tradizione invocata in realt una tradizione di fantasia (p. XXXV) in cui vengono parimenti, rifiutate
variegate ricchezze del passato quali la religiosit popolare e la spiritualit mistica del Sufismo (ivi). Il
problema si fa pi serio se si pensa alle minoranze religiose presenti da sempre nel corpo degli Stati islamici,
minoranze che, oltretutto, costituiscono il residuo millenario della cultura preesistente allinvasione araba.
Qui viene da pensare -e basterebbe lesempio citato a p. 1142 relativo alla lotta contro gli Alawiti- a
quanto notavo a p. 1133: difficile ritenere erronea la decontestualizzazione di un pensiero come quello di Ibn
Taymiyya, perch, quando una ideologia viene calata in un dettato religioso, essa destinata a perdere il
rapporto con il contesto storico dorigine, tende ad eternizzarsi: in questa sua atemporalit, la dottrina pu essere
esaminata, e quindi, in un nuovo contesto, attuale e non pi storico, valutata, anche alla luce dei risultati che
produce a secoli di distanza, fuori dal contesto nel quale sorse.
Laspetto pi propriamente politico della dottrina di Ibn Taymiyya comunque caratterizzato dal
realismo, sulla linea dei modelli analizzati dalla Bori; un realismo che ho gi segnalato e che Piccinelli mette in
luce (p. XXXVI sgg.). La Siysa ariyya, come la Hisba, osserva, una raccolta di strumenti di governo per il
sovrano musulmano, e non considera quello che, secondo i pi, costituisce la questione fondamentale di ogni
problema di sovranit secondo il diritto musulmano: il Califfato (p. XXXVII). Qui Piccinelli traccia i
lineamenti che costituiscono la nuova realt progressivamente realizzatasi tra il X e il XIII secolo, le divisioni
religiose e il frazionamento politico uniti al decadere del Califfato al ruolo di mera e anacronistica facciata sino
allavvento del Mongoli infedeli (vedremo perch); realt alla luce della quale ho ritenuto di collegare il ruolo
montante degli ulam al termine della lunga contesa con il Gods Caliph: montante perch soltanto loro
possono essere in grado di assicurare lintangibile unit di principio della Ummah, al di l della sua dispersione.
Qui si rivela la modernit rivoluzionaria dellintuizione di Ibn Taymiyya, che traduce quellunit perduta
nelluniformit dei criteri imposti, da una sottomissione rigidamente ortodossa alla Legge rivelata, a qualunque
possibile governo che voglia intendersi islamico: esatta quindi la notazione di Piccinelli, di una precisa
continuit e contiguit tra le due opere citate.
A mio avviso, ci aiuta a comprendere quel fascino esercitato dallopera del dotto hanbalita sullIslam
moderno in cerca di una propria identit, che non deriva soltanto da una sua dubbia adattabilit alla realt
dellIslam disperso nelle varie entit statali, ma anche dal fatto che la rigida conseguenzialit logica di Ibn
Taymiyya ha consentito di conservare, nella nuova formulazione, i presupposti dellIslam originario. Piaccia o
non piaccia, essa mantiene la tensione messianico/apocalittica verso la realizzazione di una finale et delloro,
verso la societ perfetta; tensione che fu allorigine -secondo D. Cook- dellesplosione iniziale: la mantiene al
di l della fine di un Califfato consegnato alla sua transeunte storicit, una volta privato dei suoi connotati
divini. Per riprendere un concetto espresso da D. Cook (cfr. supra, p. 1107) a proposito dellintuizione che guida
lApocalitticismo islamico gi dai primi secoli dellIslam, se un Islam storico ha fallito, allora lIslam quello
vero, quello sognato e per il quale si lottato prima del tradimento della storia, ancora da realizzare in
nuove e imprevedibili forme: sono queste forme ci che Ibn Taymiyya tenta di tracciare.
Il principio che guida Ibn Taymiyya, secondo Piccinelli (p. XLI) quello (khridjita, cfr. supra, p.
1142; e cfr. p 1056) che afferma: l hukm ill li llh, un principio che egli vede realizzato nella Hisbah
applicata tramite il fiqh. Rispetto al pi quietista Ibn Hanbal (cfr. pp. XLVI-XLVII) egli chiama il faqh, il
giurisperito, a svolgere un ruolo ben altrimenti fondamentale, in questo senso, in una situazione politica diversa
nella quale non era pi questione di far salva una sia pur traballante unit politica dellIslam quale era quella
del Califfato nel IX secolo, ma di ricostruire lunit ormai storicamente compromessa attraverso luniversale
applicazione della Sharah (p. XLIX).
Merita di essere osservato un aspetto dellIntroduzione che sottolinea il ruolo fondamentale assunto
dal jihd nel testo di Ibn Taymiyya. Piccinelli rileva che esso vi stato assunto come nei movimenti radicali
islamici moderni e contemporanei che al suo pensiero attingono (p. LX, corsivo mio) nel significato
squisitamente militare, cio di guerra in direzione dellaffermazione universale dellIslam, non nella valenza di
sforzo, lotta interiore (valenza mistica sf che quella, nota Piccinelli a p. LX trasmessa alla comune
percezione, almeno in Occidente) e fa notare che, comunque, la radice h d comune tanto al jihd quanto
allijtihd, caro ad Ibn Taymiyya. La notazione giusta ma mi sembra che possa far deviare la riflessione sulle
idee di Ibn Taymiyya, dal fatto che egli fa riferimento, nel testo, precisamente allaccezione militare; tant
che anche il Corano, la stella polare del suo pensiero politico, quando parla di lotta per lIslam usa sovente il
1144
verbo qatala (cfr. supra, p. 1095) e il sostantivo qitl dellinequivocabile significato cruento (cfr. Cor., 2,216 e
246; 3,140; 4,74 e 77).
Vengo infine alle ultime battute dellIntroduzione (pp. LXI-LXIII) che minteressa segnalare perch
esse ci riportano a quanto ho sempre fatto notare circa il significato della progressiva marcia degli ulam verso
lautopromozione ad organo di effettivo potere sociale. La prossimit semantica di jihd e ijtihd offre a
Piccinelli loccasione per ricordare che il secondo si effettua sulle fonti giuridico-religiose da chi pu vantare a
proprio credito il possesso dello ilm, la scienza religiosa che connota lo alm (sing. di ulam); essa, nelle mani
dei giurisperiti ha consentito lo sviluppo del diritto musulmano in conformit alle mutevoli esigenze....ma in
piena coerenza rispetto ai princpi fondamentali della ara (p. LX). Qui c il punto chiave: in base allobbligo
coranico di consultazione, lim e faqh, sacerdoti della arah (p. LXI) divengono punto di riferimento
essenziale tanto per il potere politico quanto per i fedeli: la religione (e per essa i suoi rappresentanti) messa al
centro, non soltanto ideale, anche reale, della legittimazione nella societ islamica. Il faqh che media tra Legge
rivelata e legge umana lunico possibile interprete dellindissolubile connubio tra religione, politica e diritto
che caratterizza dalle origini la dottrina islamica dello Stato (p. LXII).

Qui si stabilisce un punto di svolta nella dottrina che vede culminare la lunga lotta degli ulam per il
potere, e che conosce ulteriori sviluppi nelle direzione intrapresa, anche dopo la morte di Ibn Taymiyya. il
caso del suo discepolo e trasmettitore della sua opera, Ibn Qayyim al-awziyya ( 1350) al quale stato
dedicato recentemente il fasc. 90,1 di O.M. Per una sintesi degli studi si veda articolo introduttivo di C. Bori e L.
Holtzman, A Scholar in the Shadow, nel quale appaiono anche dati biografici che mettono in luce la sua natura di
agitatore hanbalita strettamente legato al maestro anche in occasione dei tumulti di Damasco del 1326 che
portarono Ibn Taymiyya in carcere, dove mor nel 1328. Per quel che sto qui trattando, segnalo comunque
larticolo di Y. Frenkel, Islamic Utopia under the Mamluks: the Social and Legal Ideals of Ibn Qayyim al-
awziyya , che importante perch mostra che lallievo si spinse anche oltre le posizioni di Ibn Taymiyya
nellesaltare la posizione degli ulam, la cui conoscenza deve fondare la guida della societ. Tra potere
religioso e potere politico, il primo diventa perci prevalente: lapplicazione della Sharah un obbligo per lo
Stato, perci il potere religioso, che ne giudica, prevale su quello del sultano. Naturalmente, tra i religiosi, questo
ruolo riservato agli hanbaliti, perch nessuno meglio di loro pu guidare la societ. per il resto la sua dottrina
non molto diversa da quella che sinora abbiamo esplorato, salvo farsi pi perentoria, sia nellinimicizia con gli
ordini mendicanti, con le tradizioni popolari, e contro i Cristiani. Lapocalitticismo vi compare in forma
esplicita: il mondo dominato da forze malvagie che impediscono la vittoria dellIslam.

Piccinelli conclude con un riferimento alla modernit, che invita ad una comprensione approfondita
delle ragioni a monte dellattuale risveglio islamista, premessa senza la quale ogni approccio al problema
destinato a restare una vuota petizione di principio: il connubio di cui sopra resta una inevitabile attrazione
dinnanzi alla crisi dei sistemi post-coloniali a allincapacit di dialogo di un Occidente che non riesce a
concepire la possibilit di altri schemi ideologici oltre il proprio: siamo cos tornati a quella ideologia di
Occidente la cui crisi oggetto di analisi sin dal Prologo di questa ricerca: crisi determinata dal fallimento di
unegemonia che, secondo quellideologia, avrebbe dovuto essere il naturale manifestarsi del tlos nella storia.

Con questa analisi dellIntroduzione, mi sembra ridondante ripercorre un testo che, tra laltro, usa
(come sempre nel caso del Nostro) introdurre i concetti come conseguenza, a volte anche soltanto implicita, da
esempi tratti dal diritto civile o penale o da citazioni dal Corano o dagli ahdth, che occupano perci la maggior
parte dello spazio e che potrebbero essere riferiti soltanto in modo pedissequo. Al riguardo faccio soltanto due
notazioni.
La prima che il testo, pur appoggiandosi evidentemente sul Corano, si appoggia in modo massiccio,
forse prevalente, sulle raccolte di ahdth, sul fondamento della certa veridicit che Ibn Taymiyya attribuiva loro.
Questo fenomeno ha una sua evidenza anche nel capitolo dedicato al jihd (pp. 123-149) al quale faccio
riferimento per la seconda notazione, che mi consente di introdurre lanalisi dei testi dedicati ai rapporti con
Mongoli, Giudei e Cristiani. Ibn Taymiyya categorico nel riprendere il concetto di jihd nella sua valenza
originaria di lotta mirata allaffermazione totalitaria dellIslam. La cosa non deve sorprendere se si ricordano le
origini apocalittiche dellIslam, inteso come culmine della storia umana nellapprossimarsi della sua fine. Anche
lIslam ha un proprio tlos, che consiste, per lappunto, nellaffermazione planetaria di una societ resa perfetta
dalla perfetta osservanza della Legge islamica. Ora, poich la sua inosservanza scandalo, scandalo minore
rispetto a questo uccidere gli infedeli (pp. 129-130). Trattamento migliore pu essere riservato soltanto a chi
possiede un Libro; quindi gli Ebrei, i Cristiani e gli Zoroastriani, che debbono essere comunque combattuti
anchessi, hanno lalternativa di abbracciare lIslam o di pagare senza proteste la jizya, la tassa di capitazione
prevista per le minoranze religiose superstiti nei territori conquistati dallIslam (p. 130). Si noti, al riguardo, che
anche la legge penale relativa ai reati sulla persona come lomicidio, non prevede parit tra Musulmani e non
Musulmani: cfr. ad esempio p. 153. Qui, tra laltro, ritroviamo anche quella lapidazione degli adulteri la cui
origine non coranica abbiamo visto a p. 1043.

1145
Uno sguardo sulla societ immaginata da Ibn Taymiyya lo si pu iniziare a focalizzare partendo dalle
tre fatw contro i Mongoli, per le quali si veda Textes spirituels I-XVI, cit., sub XI, XII e XIII; sullargomento si
veda anche larticolo di D. Aigle, The Mongol Invasion of Bild al-Shm by Ghzn Khn and Ibn Taymiyyas
Anti-Mongol Fatwas, Mamluk Studies Review, 11,2, 2007, che si pu trovare anche in rete sul sito
www.hal.archives-ouvertes.fr/docs/00/38/37/88/PDF/IbnTaymiyya.pdf.
Le tre fatw coprono il periodo delle tentate (e parzialmente riuscite) invasioni mongole della Siria,
avvenute tra il 1300 e il 1303 (ve ne fu poi unaltra nel 1312) nel corso delle quali i sovrani mongoli, che gi in
precedenza avevano cercato accordi con i Cristiani e con lo stesso Papato, e che nel frattempo si erano convertiti
allIslam con Ghzn Khn nel 1295, cercarono lappoggio dei Cristiani di Cipro.
Il punto centrale della requisitoria di Ibn Taymiyya emerge subito alle pp. 95-96 dellarticolo della
Aigle, ed laccusa rivolta ai Mongoli di non essere Musulmani veri ma associazionisti, perch, in luogo della
Sharah applicano la propria legge tradizionale, la Ys; un passaggio la cui traduzione stata chiarita grazie a
Michot in un articolo che interessante consultare anche per altre ragioni, perch sottolinea a p. 337, i legami
stretti tra lislamismo radicale odierno e la dottrina di Ibn Taymiyya (a prescindere dal giudizio positivo su tutto
questo che egli ritiene di formulare a p. 337, a proposito di libert). Larticolo, che rinvia a Textes spirituels
XI-XIII, cit., : Un important tmoin de lhistoire et de la socit mamlkes lpoque des Ilns et de la fin des
croisades : Ibn Taymiyya (ob. 728/1328), in Egypt and Syria in the Fatimid, Ayyubid and Mamluks Eras, ed. by
U. Vermuelen and D. De Smet, Leuven, Peeters, 1995 (anche su www.fr.scribd.com>Research>History).
Come sottolinea la Aigle a p. 97, il contesto di guerra tra i due eserciti, entrambi musulmani, poneva
ad Ibn Taymiyya il problema di stabilire lo status giuridico dei combattenti mamelucchi, cio le ragioni
ideologiche (dottrinali) in base al quali i Mongoli potevano essere considerati infedeli. Per la rigida ortodossia
sunnita-hanbalita, le ragioni per considerare infedele un Musulmano sono certamente molte, ma su questo
piano il compito di Ibn Taymiyya era sicuramente facilitato dal fatto che nellarmata mongola combattevano, in
qualit di infedeli e associazionisti, molti Cristiani, Armeni e Georgiani; per non dire degli odiati Rfiditi,
cio gli Shiti duodecimani, e con loro gli Ismailiti e i Nusayriti (abbiamo gi visto che Ibn Taymiyya li
confondeva nella sua fatw) con il corredo di tutte le altre eresie di matrice genericamente neoplatonica, dalla
Sha estremista e gnostica ai mistici sostenitori dellattingimento del divino (Ittihdyah) ai ahmiti. Nel corso
di unambasceria nel campo mongolo, lo stesso Ibn Taymiyya pot inoltre constatarvi la presenza di molti
rinnegati mamelucchi (pp. 100-101).
interessante notare che, ,a prescindere dai contingenti di Cristiani e rinnegati, siamo in presenza
della spaccatura geografica tra lIslam occidentale e quello che si era andato sviluppato a oriente nella matrice
iranica, al quale avevo dedicato il capitolo su Ordine celeste e disordini terreni e vari passaggi delle due
Appendici; e sul quale torner a chiusura di questa rassegna. Per Ibn Taymiyya siamo dunque in presenza di una
fitna scatenata da Musulmani che pensano di poter colludere con gli infedeli (i Cristiani: questo il nodo che
collega la sua campagna anti-mongola a quella anti-cristiana, che esamineremo tra breve); e tuttavia, se si pensa
allappoggio ideologico che la cultura iranica diede ai Mongoli (al-Juwayn e Rashd ad-Dn, cfr. Textes
spirituels, sub XI; di questi due, il secondo fu ingiustamente attaccato da Ibn Taymiyya, come ammette Michot,
Un important, etc., cit. pp. 324-344) non si pu prescindere da quella spaccatura, del resto tornata attualissima
nei nostri anni.
Di fatto comunque, Ghzn Khn imponeva la jizya a Cristiani e Giudei, e si proclamava successore
del Califfato abbside: il problema reale, nella contrapposizione dei rispettivi proclami, sembra configurarsi
come una lotta di Sovrani allinterno di un Islam ormai frazionato, dallo Yemen allAndalusia. Per Ibn Taymiyya
per il problema non si poneva in termini cos semplici: innanzitutto gli lkhnidi conducevano una lotta politica
puramente espansionista, diretta allassoggettamento dei popoli, non alla loro islamizzazione (p. 112); la dinastia
poi non aveva cessato di considerarsi di origine divina. Infine, il mantenimento della legge tradizionale, la Ys
(una legge non fondata sulla religione, il cui contenuto sfuggiva in realt ai contemporanei per le ragioni esposte
da D.O. Morgan, The Great Ys of Chingiz Khn and the Mongol Law in the lkhnate, B.S.O.A.S., 49,
1986) conferiva alla loro politica interna caratteri di totale pragmatismo nei confronti delle diverse comunit
religiose: per loro i leaders delle varie religioni erano comunque considerati detentori di un sapere, un faqh
equivaleva ad un asceta, a un prete, a un monaco, un rabbino, un astrologo, un mago, un medico, etc. (p. 115).
Tutto ci era inaccettabile perch, mentre sul piano razionale e confessionale i monoteismi hanno ciascuno un
proprio Libro, il piano legale esclusivo appannaggio della Legge coranica (p. 116, corsivo mio): e questo
rende invalido il sistema politico lkhnide (largomentazione sui diversi piani della religione -razionale,
confessionale e legale- si trova in Textes spirituels, sub XIV: per Ibn Taymiyya, commenta Michot, la legge
islamica, cio la Sharah, il coronamento della ragione).
Come si vede, il vero problema centrale quello della Ys contrapposta alla Sharah: questultima
la vera essenza, sia della religione intesa soltanto come rispetto rigoroso di obblighi e divieti, sia la garante di
quellunit monolitica della comunit che evita lo scandalo. Lo Stato mongolo, secondo Ibn Taymiyya, espone
lIslam a un grave rischio, perch antepone laspetto razionale della religione a quello legale (p. 116); ma alla
critica della Aigle, centrata sul rifiuto di un Islam moderno inserito allinterno della parit confessionale,
vorrei sostituire una mia osservazione personale sullessenza stessa dellIslam propugnato da Ibn Taymiyya,
facendo riferimento anche al fatto che, come molti hanno rilevato ed facile rilevare, lIslam moderno (in
1146
senso di contemporaneo) nella sua componente ideologica pi appariscente tornata a rivolgersi toto corde
precisamente ad Ibn Taymiyya.
Losservazione che un tale pensiero un pensiero della crisi, il rifiuto/timore del confronto, che
da sempre, in ogni circostanza e in ogni manifestazione ideologica, caratterizza le facili, assolute certezze del
razionalismo subalterno, della cultura della marginalit: certezze che devono essere assolute, perch il
confronto e il dubbio porrebbero fine al fondamento apocalittico che le sorregge. E al fondamento dellIslam si
trova, per lappunto, lattesa messianico/apocalittica del Giudeocristianesimo, di quella componente implicita nel
Messaggio la cui eliminazione ha costruito lideologia di Occidente. Quanto agli lkhnidi, essi abbracciarono
poco dopo la Shah, la bestia nera di Ibn Taymiyya.
Diamo ora uno sguardo rapido alle sue fatw sulla scorta di Textes spirituels, cit., sub XI-XIII,
segnalando, senza entrare tuttavia nel merito, che Michot le introduce insistendo molto sulla loro attualit per un
Musulmano (Michot lo ). Ibn Taymiyya si dispone in primo luogo ad enucleare le ragioni per le quali dovere
di un buon Musulmano combattere i Mongoli, e la prima ragione risiede nellobbligo di combattere chi si sottrae
a una delle leggi dellIslam, indipendentemente dalla sua dichiarazione di fede: ad esempio chi non si adoperi a
vietare ci che proibito e a pretendere losservanza dei doveri. Come si vede, non vi sono novit rispetto alla
sua identificazione della religione con la Legge: ovvio, se essa Parola di Dio scritta in un Libro increato.
Ugualmente da combattere chi pretende di introdurre innovazioni che contrastino anche soltanto con le
tradizioni relative ai detti e ai fatti del Profeta e dei Compagni, che per un hanbalita sono parte della Legge
divina come sua esegesi ed ermeneutica; del resto Ibn Taymiyya, come suo solito, appoggia gran parte del suo
ragionamento sugli ahdth.
La lotta contro i Mongoli diversa da quelle che vi furono in passato per controversie sullImmato,
perch nel loro caso non si pu parlare di una controversia religiosa, ma di una guerra territoriale, perch essi
combattono per il loro Regno e non guardano alla religione per scegliere alleati e avversari: possono combattere
contro dei Musulmani avendo per alleati dei Cristiani. Perci del tutto inutile che si proclamino, a parole,
Musulmani, tanto pi che essi obbediscono a una dinastia che si ritenne, con Gengis Khn, di origine divina (al-
Juwain riferiva dellindifferenza di Gengis Khn nei confronti delle religioni, che rispettava ciascuna in egual
misura nei loro maggiori rappresentanti; i suoi figli e nipoti fecero delle scelte religiose individuali). Ibn
Taymiyya prosegue accusando i vizir mongoli di assimilare lIslam al Giudaismo e al Cristianesimo e di essere
ahmiti a causa della diffusione della filosofia tra di loro (il riferimento sembra essere alla diffusione del
neoplatonismo, cio dellIsmailismo e del Nusayrismo, nel mondo iranico): ed ben noto che chiunque segua
una dottrina che non sia la religione islamica un miscredente. Accusati di libero pensiero, i Mongoli dividono
lumanit in amici e nemici, sapienti e gente comune; perci pu esser nemico un Musulmano, amico un
miscredente, e anche un prete, un monaco, un rabbino o un asceta possono essere dei sapienti. Segue lattacco
a Rashd ad-Dn del quale Michot (cfr. supra) ha mostrato linfondatezza, perch frutto dellaver prestato
orecchie a maldicenze interessate, senza approfondire la conoscenza dei fatti.
Ibn Taymiyya coglie comunque il nesso per proseguire attaccando gli Shiti, accusati non soltanto a
causa della loro dottrina, ma anche per essere favorevoli al dominio mongolo e con esso alla Ys, il vero suo
bersaglio dottrinale; quindi fa tuttuno dei Rfiditi (i Duodecimani) degli Ismailiti e dei Nusayriti, accusati di
essere ahmiti. Qui il problema costituito evidentemente, come segnalato sopra, dallontologia neoplatonica, la
stessa che sottende la dottrina mistica dellunicit dellesistenza, strutturalmente incompatibile con la
ortodossia sunnita. Tuttavia la sua requisitoria torna ancora una volta sul tema della Ys, il rispetto della
quale implica apostasia nei confronti della Legge islamica. Mi permetto di notare che, considerata limportanza
della dottrina di Ibn Taymiyya per il fondamentalismo islamico contemporaneo, una simile posizione rende
problematica lattuale forte presenza islamica in occidente, dove la legge quella dello Stato: sar interessante
seguirne levoluzione nei prossimi decenni e non sottovalutare -ma neppure sopravvalutare- i segnali. Lo
Hanbalismo non tutto lIslam (al contrario, allinizio del XX secolo era cosa modesta), nonostante il suo
revival che a me sembra frutto di una crisi.
Contro i Mongoli dunque invocata la missione dei Mamelucchi, anche qui fondata sugli ahdth che
parlano della gente dellovest da lui incitata al jihd contro i Turchi associazionisti (i Mongoli) i Cristiani e i
liberi pensatori ipocriti, come i Rfiditi, gli Ismailiti e i Qarmati (come sempre associati tra loro nonostante le
differenze dottrinali, ma forse non a torto: gli eresiologi hanno sempre espressioni ruvide ma intuizioni chiare).
Qui la requisitoria si chiude ricordando lo stato pietoso della fede in un Islam frammentato e
parzialmente sottomesso ai Franchi (cio ai Cristiani) e perci lesigenza di sconfiggere i Mongoli per evitare
unalleanza generale contro quel Maghreb, che della fede rimasto lultimo baluardo.
Sembra quindi giunto il momento di dedicarci allaltro grande problema di Ibn Taymiyya, i Cristiani,
che tuttavia non vanno considerati nellovvio rapporto di nemici installati in prossimit dellIslam, a Cipro o in
Armenia o impegnati da tempo nella lunga impresa della Reconquista in Andalusia; n soltanto come possibili
alleati dei Mongoli. Qui il problema anche interno, perch allinterno del mondo islamico vi sono comunit
giudaiche e cristiane (e per verit ne rappresentano i pi antichi abitanti, prima della sottomissione); inoltre i
Cristiani, come i Giudei, appartengono alle religioni del Libro, alle due Rivelazioni che precedono quella di
Maometto, da loro rifiutata. La polemica con loro richiede dunque un approccio dottrinale di pi ampio respiro.

1147
Possiamo iniziare con un breve esame di al-awb al-sahh li-man baddala dn al-masah (Risposta
autentica a coloro che cambiarono la religione del Messia) un testo prevalentemente in polemica contro i
Cristiani, ma anche contro i Giudei; con riferimento principale a questo secondo aspetto stato esaminato e
citato in modo esaustivo da A. Morabia, Ibn Taymiyya, les Juifs et la Torah, S.I., 49-50, 1979. Il testo di Ibn
Taymiyya tradotto in inglese lo si pu trovare su www.darultawid.com con il titolo Answering to those who
altered the Religion of Jesus Christ (altra traduzione, parziale, in A Muslim Theologian Response to Christianity,
ed. and transl. by Th. F. Michel S.J., Delmar, N. York, Caravan Books, 1984).
Il testo piuttosto lungo e fa riferimento a una polemica interconfessionale i cui termini sono noti:
partendo dal Corano e fondandosi sugli ahdth, Ibn Taymiyya afferma cose ovvie per un Musulmano e in pi si
addentra sul piano teologico, contestando il dogma trinitario sul fondamento di una stretta logia aristotelica,
che avrebbe pi senso se non fosse applicata a problemi di fede circa i quali, lIslam insegna, la ragione umana
non ha potest. Evito perci di entrare nei dettagli del testo, non breve, limitandomi a segnalarne i capisaldi che
lo fondano.
I fondamenti sono quelli noti, partono dalla dottrina coranica secondo la quale i Giudei non
rispettarono la Legge di Mos alterando i testi sacri, e i Cristiani fecero altrettanto con la predicazione di Ges;
furono inoltre ignorati, nei testi, tutti i riferimenti al successivo avvento di Maometto. Ibn Taymiyya entra
comunque nei dettagli per dare una dimostrazione logica dei propri assunti, cio delle evidenti alterazioni
dei testi da parte di Cristiani e Giudei. Una di esse riguarda il peccato originale di Adamo, negato dallIslam
sulla base di indicazioni coraniche, ma della cui infondatezza Ibn Taymiyya vuol dare, per lappunto, una
dimostrazione logica. Largomentazione principale contro i Giudei per costituta non tanto dalle alterazioni
della Legge mosaica, che egli ritiene minori, quanto alla pretesa del suo carattere definitivo, ignorando la libert
divina dellabrogazione notoriamente fondamentale per linterpretazione della Legge coranica; per conseguenza i
Giudei rifiutarono di riconoscere la missione di Ges prima, di Maometto poi, e furono doppiamente empi.
La Legge mosaica venne modificata da Maometto nel suo rigore, ma resta fondamentale; a questo
riguardo i Cristiani sono da condannare per averla abolita falsificando la lezione di Cristo, che della Legge ebbe
il massimo rispetto: non era venuto ad abolirla, ma, anche lui, a modificarla. I Cristiani tuttavia, come i Giudei,
non hanno neppure chiara coscienza dei falsi introdotti perch, contrariamente ai Musulmani che tramandano
oralmente i Corano, e soltanto in arabo, si sono fidati delle versioni scritte, naturale veicolo di errore nelle
trascrizioni, e, peggio ancora, delle loro traduzioni. Comunque Ges fu un Profeta minore rispetto a Mos, cosa
della quale Ibn Taymiyya d una dimostrazione davvero straordinaria, a causa della seriosa navet con la
quale stabilisce limportanza relativa dei miracoli di Ges, di Mos e di altri profeti: un esempio che merita di
essere citato la sua affermazione che cambiare lacqua in vino pi facile che cambiarla in olio (riferimento a
II Re, 4; 1-7: Eliseo moltiplica lolio della vedova). Su questo tema vedansi le pp. 274-290 del testo inglese.
Daltronde, Cristo non era portatore di un messaggio nuovo, ma soltanto di qualche piccola modifica a
quello di Mos che era stato falsificato; quel che pi conta nella critica di Ibn Taymiyya, che Allh vuole il
trionfo dei suoi inviati, e perci non pu esservi profeta che non sia vittorioso, e Cristo non lo fu; comunque i
Giudei mentirono affermando di aver ucciso Ges (si ricordi che il Corano ha una posizione docetista al
riguardo: cfr. Cor.,4, 157-158). I Giudei sono comunque crudeli, ed in ci la critica di Ibn Taymiyya non
diversa da quella cristiana; tuttavia i Cristiani sono pi biasimevoli di loro perch hanno abolito la Legge e
hanno associato Ges a Dio.
Un aspetto interessante e centrale della polemica di Ibn Taymiyya infatti costituito dalla critica al
dogma trinitario e alla natura divina di Cristo (pp. 187-270 del testo inglese) nella quale egli fa sfoggio delle sue
notevoli capacit di logico, mettendo in evidenza anche le discordanze reciproche dei Cristiani (Nestoriani,
Giacobiti e Melkiti) e la reciproca incompatibilit delle loro dottrine (la logica di questa critica si pu seguire
bene anche in G, Troupeau, Ibn Taymiyya et sa rfutation dEutychs, B.E.O., 30, 1978). Peccato che, come ho
notato, secondo la stessa ortodossia islamica i dogmi di una fede non possano essere giudicati in base alla
Ragione; Ibn Taymiyya potrebbe per ribattere che la divinit di Cristo non in nessuna Rivelazione,
uninvenzione dei Cristiani e come tale pu essere smantellata in base alla logica.
Il dotto hanbalita si mostra dunque molto attento alluso della logica: i suoi scivoloni avvengono
soltanto quando essa viene applicata al fermo sostegno di premesse vacillanti, come nel caso della graduatoria
dei miracoli: ma questo anche un limite di certi pretesi dialoghi interreligiosi, come dovrebbe ricordarci
lanalisi di Hunayn b. Ishq (cfr. supra, p. 1117). Capire una logica diversa ben altro che inanellare sillogismi.
Comunque, non si pu che concordare con la logica di Ibn Taymiyya -viceversa ironizzata da Morabia, S.I.,50,
pp. 103-104- quando egli afferma che, poich i Cristiani preferiscono i Musulmani ai Giudei e i Giudei i
Musulmani ai Cristiani, evidente che lIslam la miglior religione delle tre. La conclusione, su un piano
rigidamente logico, ha una sua sensatezza.
Certamente la logica di Ibn Taymiyya una logica troppo connessa al finalismo, cio alla
dimostrazione di ci che sin dallinizio si intende dimostrare; infatti il suo testo si conclude con un capitolo nel
quale si mette in evidenza come lIslam rappresenti in ogni caso un giusto mezzo tra i difetti del Giudaismo e
quelli del Cristianesimo. Lo stesso concetto si pu trovare in Pages spirituelles, II, e lo troveremo ripetuto tra
poco: del resto un argomento diffuso tra i polemisti musulmani, ed colto nella sua importanza anche da
Morabia, S.I., 50, p. 102.
1148
Nella polemica conto il Cristianesimo spicca notoriamente la lettera che Ibn Taymiyya invi a Cipro
(a Johan de Giblet) chiedendo la liberazione dei prigionieri musulmani catturati durante le scorrerie dei Franchi
di Cipro nel corso delle invasioni mongole, con laiuto degli Shiti. La lettera stata pubblicata da Y. Michot
con il titolo: Ibn Taymiyya, Lettre un Roi crois, Trad., Intr., Lexique et Notes par J.R. Michot, Louvain la
Neuve, Bruylany-Academia - Lyon, Tawhid, 1995, con una lunga introduzione di Michot.
Nella sua Introduzione Michot mette a fuoco vari problemi, in particolare si diffonde sugli eventi
storici (le invasioni mongole della Siria) nel cui ambito va compresa lopera di Ibn Taymiyya. Il timore che gli
veniva dalla possibile affermazione dei Mongoli ben riassunto cos a p. 66: Per il nostro Dottore, lIslam
imperiale di Ghzn inaccettabile, perch comporta come rischio la deislamizzazione della religione
musulmana, nel senso che perpetua, se non (anche) incoraggia e previlegia una forma di razionalit
gengiskhnide alle spese della Legge (shara), una religiosit pre-scritturaria e a o inter-confessionale, una
sottomissione al Divino assoluto, indeterminato, alle spese di unobbedienza stretta al Corano e alla Sunna di
Maometto. A rischio di commettere un anacronismo si potrebbe quasi parlare, a proposito dellIslam lkhnide,
di laicizzazione. Ibn Taymiyya vuole invece un Islam allantica. E ancora, a p. 67, Michot parla di uno
scontro tra un nuovo oriente musulmano e un vecchio occidente musulmano. Michot sottolinea anche la
ripetizione di argomenti tra questa Lettera e la Risposta autentica; i due testi vanno letti insieme e il primo aiuta
a chiarire il secondo. In effetti gli argomenti si ripetono, ma nella Lettera essi appaiono con pi ordine e
maggiore connessione.
Nel precisare la propria posizione dottrinale, Ibn Taymiyya parte dai ruoli di Adamo, No e Abramo
(rispettivamente fondatore, raddrizzatore e restauratore della vera religione primitiva) per poi definire i ruoli di
Mos e degli altri profeti giudei e di Ges: cio da posizioni coraniche per quanto concerne il quadro storico ed
evolutivo nel quale si colloca lIslam. Questo gli consente di mettere a fuoco gli errori di Giudei e Cristiani (pp.
140-141) i primi per aver disconosciuto Ges, i secondi per averlo divinizzato: lIslam si pone nel giusto mezzo
(p. 143). Affronta poi il problema della Trinit (p. 144) e le frodi dei monaci, con i loro falsi miracoli (p. 147);
accusa i Cristiani per aver abolito la Legge (p. 151) e per aver introdotto innovazioni nel rito (p. 154); torna
sullargomento con lIncarnazione, sottolineando lincompatibilit e lirrazionalit delle tre dottrine, nestoriana,
giacobita e melkita (p. 157) per tornare infine sul carattere razionale e mediano della dottrina islamica (p. 163)
presentata ai Cristiani di Najrn e al Negus (pp. 180-182). A p. 183 perora la giusta causa del jihd
rimproverando ai Cristiani di esservisi sottratti, infine, in base alla dottrina islamica per la quale Allh conduce
alla vittoria i suoi profeti, sottolinea che la battaglia di Yarmk testimoni la superiorit dellIslam rispetto al
Cristianesimo (p. 201) perch lIslam la miglior comunit (p. 203) e Ges, quando torner dal cielo (si ricordi
il docetismo del Corano) apparir a Damasco al minareto bianco (quello a sud-est della moschea omeyyade, p.
206). naturalmente la lettera contiene anche la richiesta di liberazione dei prigionieri, ma non questo che qui
cinteressa: cinteressa la dottrina che, come si vede, la medesima della Risposta autentica. Lo stesso afferma,
a conclusione della sua esposizione della Lettera, D. Sarri Cucarella, Corresponding across Religious Borders.
The Letter of Ibn Taymiyya to a Crusader, Islamochristiana 36, 2010, che parla di apologetica islamica, pi che
di polemica anticristiana.
Un ultimo cenno alle opinioni di Ibn Taymiyya in materia di religione, va necessariamente dedicato
alla sua Fatw sui monaci, divenuta celebre in occidente a seguito della barbara uccisione, nel 1996, di sette
monaci in Algeria, giustificata sul piano religioso dal G.I.A., cui segu la traduzione e pubblicazione della fatw,
con ampio commento, da parte di Y. Michot. Ne nacque uno scandalo che port al ritiro del testo, oggi reperibile
in forma abbreviata e modificata in versione elettronica (E-version ds-actualiseetc., con richiamo agli eventi)
su www.rapidlibrary.com/..../65079626-Ibn-Taymiyya.fr, o su www.scribd.com/search?query=65079626.
La lunga e documentata Introduzione di Michot parte dai passi coranici (5,82; 9,31; 9,34; 57,27,
questultimo meno assolutista) che testimoniano lavversione del Profeta, e per conseguenza dellIslam, per la
vita monastica (Michot avanza lipotesi che il Cristianesimo conosciuto dal Profeta sia stato un Cristianesimo
conventuale, del quale avrebbe conosciuto anche il benessere) e pi in generale per il clero (rabbini inclusi)
anche perch il clero gode di rendite di posizione a spese della comunit. In poche parole: il clero ammassa
ricchezze, e lo fa con linfluenza che gli procurano le sue operazioni vane (Ibn Taymiyya nella fatw). A p. 3,
nel testo e in n. 4, Michot sottolinea unavversione di fondo dellIslam per il clero, un anticlericalismo e
antiecclesialismo che egli attribuisce allo aspetto rivoluzionario dellIslam, religione egualitaria sulla base del
monoteismo, che chiama alla liberazione dai dottori e dai monaci. A mio avviso, questa opinione di Michot
conforma quanto si sostiene in queste note circa lorigine dellIslam nella cultura della marginalit, con in pi,
forse, un qualche accento personale dello stesso Michot.
Michot produce poi una vasta letteratura sul complesso di ahdth che giustificano un atteggiamento
ostile dellIslam verso i monaci, a partire da un hadth riferito ad Ab Bakr, secondo il quale essi vanno lasciati
alla loro vita se restano chiusi nei loro monasteri, ma vanno uccisi se si recano in pubblico. La dottrina
complessiva sembra orientata in questo senso, e pi in particolare a perseguire ogni contatto dei monaci con gli
stessi Cristiani, anche nel caso che siano questi a recarsi nei conventi: essi non debbono influire sul
comportamento dei fedeli, non debbono fare pubblicit alla miscredenza. Questa, in sintesi, la preoccupazione
che si avverte e che anche di Ibn Taymiyya. A questo c da aggiungere che la vita monastica ha sempre
esercitato un fascino su parte dellIslam: Michot fa molte citazioni, che riguardano per i grandi mistici, da Ibn
1149
al-Arab a Fard ad-dn al-Attr, a Rm (tutti peraltro portatori di una religiosit non certo apprezzata da Ibn
Taymiyya) allo stesso al-Ghazl. V infine chi ritiene che i monaci e i preti debbano essere uccisi tout court,
semplicemente in qualit di infedeli.
Dunque Ibn Taymiyya non il solo ad aver emesso pareri restrittivi nei confronti dei monaci, e la sua
posizione viene inquadrata da Michot nella situazione del momento, che non soltanto vede i Cristiani alleati dei
Mongoli, ma anche beneficiari di una certa prosperit della quale andavano godendo i monasteri copti in Egitto,
grazie alla loro fiorente agricoltura che suscitava evidenti invidie. Molte erano infatti le polemiche sulla liceit
della loro esenzione dalle tasse in una terra conquistata dai Musulmani con le armi, che quindi non poteva in
alcun modo essere data in usufrutto agli infedeli.
Queste le premesse e i commenti di Michot alla traduzione della fatw, che non mi sembra dica molto
di nuovo rispetto a quanto abbiamo potuto capire di Ibn Taymiyya, avverso alla pratica dellastinenza alimentare
e sessuale (e qui pensiamo alla dottrina di un Islam che avverso alle esagerazioni); avverso al monachesimo,
considerato uninnovazione illecita dei Cristiani, mai predicata da Ges (qui siamo a un tipo di rimprovero che
ormai conosciamo bene); avverso allabito monastico in quanto ostentazione della propria miscredenza. Egli
torna inoltre sul problema delle terre dei Musulmani illegittimamente affidate ai conventi, argomento che sembra
avere un peso notevole nella fatw. Nel complesso, mentre ribadisce il diritto allimmunit per i monaci reclusi
nei conventi, purch privi di contatti, Ibn Taymiyya ritiene legittima la loro uccisione qualora incitino i Cristiani
a combattere; si deve notare inoltre che egli fa sin dallinizio un esplicito riferimento alla tradizione attribuita ad
Ab Bakr (cfr. supra) ci che darebbe una licenza ancor pi ampia, perch potrebbe togliere ogni salvaguardia ai
monaci fuori dal recinto conventuale.
Come abbiamo visto sinora, lortodossia hanbalita si traduce in un Islam essenzialmente compendiato
nella rigida osservanza della Legge cos come formulata dal Corano e negli ahdth; un a-priori a valle del quale
(ma soltanto a valle) viene introdotto un uso espresso e rigoroso degli strumenti razionali ai fini di una corretta
applicazione delle Legge stessa. A ben vedere, tutto il resto della dottrina, dalla concezione del ruolo e delle
funzioni dello Stato islamico, a quello della monoliticit della Ummah, al rapporto repressivo nei confronti delle
interpretazioni non ortodosse dellIslam, nonch delle altre religioni, allorch presenti allinterno del territorio
islamico, non che conseguenza di quellassunto fondamentale. Quel che non abbiamo sinora esaminato il
fondamento logico di quellassunto, che potrebbe sembrare cieco fideismo ma non lo del tutto, perch si
connette a una lucida critica e rifiuto del Razionalismo classico, condotta, come quella degli Scettici, su basi
logiche, razionali, ci che fa di lui un pensatore di grande statura sul quale dovrebbe riflettere attentamente il
nostro filosofico Occidente.
Affronter questultimo punto sulla scorta del compendio del grande trattato di Ibn Taymiyya, al-radd
al al-Mantiqiyyn, Confutazione dei logici (anche: Nashat Ahl al-Imn fi al-Radd al Mantiq al-Yunn,
cio Monito del popolo della fede circa la confutazione della logica dei Greci) riassunto da Suyt come Jahd
al-Qarha fi Tajrd al-Nasha, cio Esercizio dello sforzo nel ridurre allessenziale il Monito (cit. in Bibl. a p.
1015 sotto il nome del traduttore e autore dellIntroduzione e del titolo inglese, W.B. Hallaq). Saranno di
supporto i testi pubblicati su Internet da J.F. Sowa (e A.K. Majumdar) i cui titoli riporto in Bibliografia; una
rapida silloge del testo di Ibn Taymiyya si pu trovare in S. Rayan, Ibn Taymiyyas Criticism of the Syllogism,
Der Islam, 86,1, 2009.
Nella sua Introduzione, Hallaq mette subito a fuoco il vero problema di Ibn Taymiyya, che non
certamente il piacere intellettuale di confutare il Razionalismo classico, ma il desiderio di mostrare la mancanza
di fondamento della logica aristotelica nel suo argomento centrale, il sillogismo e il conseguente metodo
deduttivo quale via alla conoscenza: e ci per una motivazione assai concreta. Come abbiamo gi visto nel
capitolo intitolato Un Dio a misura duomo e un uomo a misura di Dio, lo aristotelismo che giunge allIslam
per una lunga via che parte da Alessandria, un aristotelismo neoplatonizzato, che comporta, a partire dalla
Isagog di Porfirio, lesistenza di universali ante rem, in re e post rem, come soluzione al problema della
conoscenza lasciato aperto dal De anima. Ora, precisamente sulla necessit dellesistenza di universali ante rem
(essenzialmente analoghi alle Idee platoniche) si fonda la speculazione filosofico/mistica, teosofica, che pu
portare al concetto di unicit dellesistenza (wahdat al-wujd) che contraddice labisso ontologico tra umano e
divino, cardine rigido della fede islamica, nonch il conseguente limite della ragione umana nella possibilit di
penetrare il Progetto divino (vedi il problema dellIntelletto Agente trattato nel capitolo citato). Abbiamo visto,
nello stesso capitolo, anche come al-Ghazl, altro cardine dellortodossia, abbia lucidamente sostenuto
linadeguatezza della ragione umana. Abbiamo infine visto, lungo tutto il testo dedicato al nostro Occidente
come il Neoplatonismo (spregiativamente definito popolare) sia per lappunto inesauribile fonte di eresie
panteiste. Considerato quindi gi acquisito tutto ci con i rinvii qui introdotti, proseguo tornando ad Ibn
Taymiyya, il cui scopo nel corso del trattato per lappunto confutare la logica classica al fine di confutare le
deviazioni dallortodossia sunnita.
Hallaq nota quindi sin dalle prime pagine il problema sopra esposto: il realismo, cio laffermazione
degli universali ante rem, strettamente connesso con la logica, e deve essere rifiutato perch conduce al Dio dei
filosofi, dei mistici, della teosofia illuminativa, a un mondo inteso come Sua manifestazione: e ci metterebbe
in dubbio la Sharah (pp. XXII-XXVI) conducendo -lo abbiamo visto in casi tra loro diversi, come il Libero
Spirito, lIsmailismo nizrita di Alamt: ma non soltanto- allantinomismo come conseguenza della fine della
1150
Legge per i Perfetti. In tale prospettiva Ibn Taymiyya considerava il Sufismo antinomista non meno pericoloso,
per lIslam, della Ys (p. XXVII).
Non sembra, nota Hallaq, che Ibn Taymiyya conoscesse la micidiale critica di Sesto alla circolarit
degli universali, perch il pensiero degli Scettici non sembra esser giunto alla considerazione dei Musulmani; la
sua critica agli universali centrata diversamente, sul valore epistemico delle premesse (p. XXX). Ibn Taymiyya
un empirista, tanto che, come nota Hallaq, una profonda analogia col suo pensiero si trover soltanto con
lempirismo inglese, che precede Kant. La sua precisa presa di posizione sul problema della conoscenza infatti
che luomo ha conoscenza soltanto dei singoli esistenti, perch ogni esistente un unicum, soltanto la mente
umana ad astrarre, per analogia, gli universali che, come tali, esistono quindi soltanto post rem: la sua dunque
una posizione nominalista. A questo limite si sottrae soltanto la conoscenza fornita dalla Rivelazione: essa
infatti una conoscenza certa, mentre la conoscenza empirica dei singoli esistenti, sotto forma di universali
elaborati dalla mente umana , per la sua stessa natura induttiva, una conoscenza indiziaria (pp. XXXIII-XXXV).
Qui c gi una debolezza fondamentale del sillogismo come strumento di conoscenza. Infatti, poich
le sue premesse riconducono a verit autoevidenti, non oggetto di dimostrazione (sono astratte dalle singole
apprensioni immediate di singoli esistenti) anche i particolari sussunti entro queste premesse sono autoevidenti,
quindi il sillogismo si rivela non necessario. Il sillogismo non diverso dallanalogia (Ibn Taymiyya sosterr
anche la sua inferiorit come metodo) entrambi conducono a verit soltanto probabili.
Qui vorrei soffermarmi un attimo ad esemplificare il problema, perch mi sembra indispensabile per
chiarire il senso di tutta la polemica. Prendiamo come esempio il sillogismo nella logica di Sesto: tutti gli uomini
sono mortali; Socrate un uomo; dunque Socrate mortale. Qui, partendo da una conoscenza empirica, i casi
sono due: se siamo stati in grado di prendere in considerazione tutti gli uomini, allora abbiamo preso in
considerazione anche Socrate, quindi il sillogismo non soltanto non ci dice nulla di non conosciuto, ma
costituisce anche una perdita di tempo e un inutile giro di parole. Se, viceversa, abbiamo generalizzato per
analogia sui casi constatati, non incluso quello di Socrate e dei tanti altri cui non si fa riferimento (p.e., altri
uomini dei quali non si a conoscenza) allora la nostra conclusione falsa. Ibn Taymiyya porta, come vedremo,
una diversa critica, mirata al problema che gli sta a cuore, lortodossia e la Legge; comunque, da buon empirista,
considera una tale conclusione come puramente probabile, indiziaria: certa, mai (si veda anche nel testo, p. 126
216).
In questo senso, lanalogia del giurista superiore, perch procede dalla Legge, cio da un vero
della Rivelazione; qui la premessa certa, nel sillogismo soltanto probabile (p. XXXVI). Quel che vuol dire
Ibn Taymiyya che la nostra Ragione non pu dare certezze, le sole certezze vengono dalla Rivelazione (p.
XXXIX). Nota al riguardo Hallaq (p. XL) che gli stessi Greci avevano forti dubbi sulla bont della logica come
strumento di conoscenza, preferendo un adeguato atteggiamento mentale alle argomentazioni; qui mi permetto
di ricordare quanto ho pi volte segnalato sulla rigida conseguenzialit logica del pensiero paranoico, che
conduce a conclusioni irreali per aver assunto come assolutamente certe, premesse di fatto problematiche; e
avere sviluppato su tali certezze le proprie deduzioni. Al di l del fondamento teologico-dogmatico, la critica di
Ibn Taymiyya ci riconduce a ci che tutti dovremmo sapere: il porto della Ragione dubbioso per la dubbiosit
delle premesse, e la Ragione non pu fondarsi su se stessa.
Unultima notazione fa Hallaq (p. LII): il testo di Ibn Taymiyya pu apparire singolare, perch non si
fonda su una dimostrazione dei propri assunti o della mancanza di fondamento delle verit sillogistiche, ma
conduce il proprio attacco al sillogismo da angolazioni diverse, in altre parole, ripete le medesime cose pi e pi
volte, a partire da varie considerazioni. La singolarit (e la prolissit) di questo metodo fondata nella stessa
logica di partenza del Nostro: se una verit umana soltanto una verit indiziaria, giuridica, allora laccumulo
di indizi ha senso come supporto decisivo alla convinzione di chi emette un giudizio comunque indiziario.
Veniamo ora al testo di Ibn Taymiyya attraverso la sintesi di Suyt, nel quale i singoli punti della
polemica sono condensati in 323 paragrafi. Gi dallinizio ( 6-8, pp. 6-7) si stabilisce il carattere empirico, non
definitorio, della conoscenza, perch, se la definizione posta da colui che la formula, costui deve conoscere la
cosa definita, o da altre definizioni, innestando cos un regresso allinfinito, o in altro modo, come nella
conoscenza di chi esercita un mestiere, che non necessita di definizioni.
Lattacco di Ibn Taymiyya al sillogismo mostra immediatamente il suo diverso obbiettivo rispetto agli
obbiettivi di Aristotele, lo iato che separa il giurista islamico dal filosofo greco. Lobbiettivo di Aristotele nella
sua ricerca formale, che Ibn Taymiyya ignora per manifesto disinteresse, non era una scienza delle cose, ma del
discorso; ci che gli premeva era mostrare lidentica struttura della logica, della sintassi e del reale, come
presupposto della conoscenza, al fine di avvalorare il concetto platonico di epistme. Ci che conta per Ibn
Taymiyya che un simile presupposto, che nel caso di Aristotele, se sviluppato, condurrebbe allIlozoismo;
allinterno di una convinzione creazionista conduce allontologia (e alla cosmogonia) neoplatonica della quale
abbiamo discusso, quindi alle posizioni ittihdiste, panteiste, contro le quali si batte la ortodossia sunnita. In
queste infatti, la Ragione diviene credibile perch consustanziale alla razionalit divina del Creato, perch se cos
non fosse, il mondo diverrebbe incomprensibile. Questo esattamente ci che Ibn Taymiyya combatte,
considerando lempirica conoscenza umana come necessaria e utile ma puramente indiziaria a causa di quello
iato tra Ragione (umana) e Reale (creazione divina) che abbiamo gi visto in al-Ghazl nella sua critica al
concetto di causa. Si noti che qui siamo in presenza di una conoscenza mediata dai sensi, che potrebbe condurre
1151
al dubbio cartesiano su unapparenza forse ingannevole del mondo: ma Ibn Taymiyya pensa ad altro
precisamente perch parte da un diverso rapporto delluomo con il Reale, mediato soltanto dalla Rivelazione.
Questo diverso punto di partenza tra i Razionalismo classico e il pensiero islamico non va mai
dimenticato, pena esaurirsi in una sterile polemica: se per Aristotele il problema lepistme, per Ibn Taymiyya
il Reale, il vero oggetto della speculazione islamica che si pone al livello della Sapienza divina, onde alluomo
spetta soltanto una conoscenza probabile, indiziaria, giuridica. Lunica certezza la Rivelazione, senza di essa
lapprodo sarebbe lo Scetticismo e il Relativismo.
Qui per occorre fare una notazione che mette in relazione Occidente e Islam attraverso il messaggio
testamentario: il rifiuto di Ibn Taymiyya di consegnare la Rivelazione alla filosofia greca -un evento che in
occidente accadde in modo naturale per le radici stesse della cultura nella quale si trov ad operare il
Cristianesimo- lo fa restare fedele alla sua natura civile/sociale (di Legge) una natura antirazionalista ed anche
sovrarazionale cos come si esplica nei profeti, la cui opera fonda una cultura e una societ non sulla metafisica o
sullontologia, ma comunicando norme di vita attraverso lelaborazione universalista della propria
esperienza/Erlebnis del mondo degli uomini. Un Messaggio ha poco o nulla a che spartire con la filosofia e la
teosofia, come ricorda Giacomo (2, 18): ....e io, con le mie opere, ti mostrer la mia fede.
Ibn Taymiyya prosegue appuntando la propria critica sul carattere puramente declamatorio di ogni
definizione ( 21 sgg.) che non pu portare nuova conoscenza perch, o lascoltatore sa gi; ovvero, se non sa,
pu acquisire conoscenza soltanto ritenendo infallibile il dichiarante, e questo non pu dedurlo dalla definizione.
La validit della definizione pu essere concepita soltanto sulla base di precedente comune conoscenza empirica
del definito. In altre parole: un comune patrimonio di concetti (= esperienze) il presupposto di ogni possibile
comunicazione.
Ibn Taymiyya, che lungo la strada non ha perso loccasione per attaccare il concetto di quiddit
separato dallesistente (porta ai contestati universali ante rem) ripete le medesime critiche al 31 (come ho
anticipato, la ripetitivit ha il proprio fondamento nella natura indiziaria delle verit umane) e non si pu fare a
meno di notare ancora una volta la sua abissale distanza dalle preoccupazioni di Aristotele, per il quale una
definizione che ricalchi loggetto, quindi la sovrapponibilit di sintassi, logica e reale, essenziale nella
polemica antisofistica iniziata da Platone.
Uno dei punti essenziali della polemica di Ibn Taymiyya che giustifica il paragone di Hallaq con
lEmpirismo inglese, per nel 33 (pp. 24-25) laddove egli insiste sulla formazione puramente mentale degli
universali, per affermare che la quiddit non esiste fuori della mente, non esiste la cavallinit di Platone.
Dunque il processo che d luogo ad essa implicito nella mente che lo forma: dopo la critica di al-Ghazl al
concetto di causa, siamo dunque alla critica del concetto di sostanza, siamo a posizioni che, ammesso che il
diverso retroterra renda lecito il confronto, potremmo definire pre-kantiane. Egualmente non esiste la prima
materia dei sistemi emanatisti, esiste soltanto la materia formata nelle sue individuali manifestazioni: nulla
esiste senza gli attributi ( 34). Perci il successivo 45 dedicato alla critica dellIntelletto Agente (il cavallo
di Troia delluomo a misura di Dio) e dei dieci Intelletti delle cosmogonie neoplatoniche ismailite: Giudei e
Cristiani, e persino i politeisti, sono migliori dei filosofi. Il perch di tanta veemenza evidente: qui in gioco
labisso ontologico tra Dio e luomo, che comporta la rigorosa obbedienza alla lettera della Legge.
Tralascio, per evitare prolissit, i successivi paragrafi che ripetono sotto diverse angolazioni, posizioni
gi chiaramente espresse, per affrontare ora il rapporto tra sillogismo e analogia. Sul fondamento della nostra
conoscenza empirica, alla proposizione universale si giunge per analogia ( 58, p. 43): affermazione dimostrata
in modo grafico anche da J.F. Sowa e A.K. Majumdar, con esplicito riferimento ad Ibn Taymiyya, in Analogical
Reasoning, www.jfsowa.com/pubs/analog, un articolo nel quale si mette in evidenza anche il carattere
pleonastico del sillogismo, rispetto al quale luso dellanalogia pi diretto e consente economia di esposizione.
Sowa un matematico, Ph. D. in Computer Science, con una trentennale attivit nel campo della ricerca e
sviluppo di nuovi progetti alla IBM (vedi curriculum e pubblicazioni su www.jfsowa.com/pubs) che ha
rivalutato in pi modi la logica di Ibn Taymiyya. Si tratta di una rivalutazione molto profonda, ad esempio per
quanto riguarda il carattere non certo, soltanto probabile, della nostra conoscenza, da lui ribadito in A Dynamic
Theory of Ontology (www.jfsowa.com/pubs/dynonto) nel quale viene anche posto in luce il ruolo fondamentale
di analogia e metafora, per un nuovo uso del linguaggio e lambiguit semantica della parole (temi gi trattati in
questo testo in rapporto allarte e alla Sofistica) come fattore di incertezza nella conoscenza. Di Sowa anche
opportuno ricordare limportante Signs, Processes and Language Games. Foundations of Ontology
(www.jfsowa.com/pubs/signproc) nel quale centrale laffermazione che tra reale e linguaggio esiste uno iato,
esattamente ci che Aristotele si proponeva di superare per convalidare la nozione platonica di epistme, cardine
del Razionalismo classico; inoltre i concetti, in quanto entit ben delimitate, non possono ricoprire il continuum
del mondo fisico. Il linguaggio inoltre, ambiguo non per un suo cattivo uso, ma per sua natura, cosa che Sowa
dimostra con il raffronto tra il diverso campo semantico di una parola inglese e quella del suo equivalente cinese.
Sowa, che affronta il problema degli universali con una corretta lettura della forma di Aristotele (lAristotele
degli Arabi lo abbiamo visto, unaltra cosa, quello neoplatonizzato che discende da Porfirio) si pone perci
egualmente, stanti le premesse, in atteggiamento critico nei confronti della logica, strumento puramente formale;
e conclude che lo sviluppo dellargomentazione con il metodo deduttivo conduce prima o poi alla
contraddizione. In questo suo saggio c anche una presa di posizione nei confronti della scienza che, come
1152
vedremo tra breve, ripete, in altra chiave e in altro contesto, alcune affermazioni fondamentali di Ibn Taymiyya
che sono ovvia conseguenza della formulata posizione mentale, a posteriori, degli universali: ogni scienza astrae
dalla natura, perci nei suoi modelli non si pu trascurare linfluenza (relativizzante) dei fattori omessi e di quelli
assunti.
Tornando al confronto tra analogia e sillogismo condotto da Ibn Taymiyya, particolarmente
interesante largomentazione relativa alla superiorit della prima sul secondo, connessa al concetto islamico,
giuridico, di qiys, differente da quello di analogia nel pensiero classico, aristotelico, che conosce il sillogismo
per analogia come entimema (il concetto predicabile del Barocco, del quale ho gi parlato nel testo in rapporto
alla retorica e alla creativit dellarte). A questo riguardo sono significativi i 59-60, pp. 44-45; il 128, p. 84,
e il 157, p. 99. Ibn Taymiyya nota che linferenza, nel sillogismo, avviene tra particolare e particolare, mentre
essa pu avvenire anche tra universale e universale, come fa il pensiero giuridico islamico allorch fonda
lanalogia soltanto in base allaccertamento della causa. Torna lesempio del vino di datteri, gi citato a p. 1138,
del quale viene posta in evidenza la struttura: c un caso originale (il vino duva vietato) e un caso che viene
assimilato (il vino di datteri) attraverso laccertamento della causa (la ragione della legge che riguarda il primo:
vietato perch inebriante) che determina il giudizio (poich anche il secondo inebriante, anche il secondo
vietato).
Lanalogia, spiega Ibn Taymiyya ( 67, p. 50) rappresenta il passaggio della mente da un particolare
giudizio a un altro, sul fondamento che essi condividono un significato universale comune, perch il giudizio
coincide con quel significato. E prosegue La mente forma un concetto dei due particolari, precisamente del
caso originale e di quello assimilato, poi procede verso il concomitante -cio lelemento comune- quindi da
concomitante a concomitante, ci che costituisce il giudizio. Lanalogia consente quindi di giungere alle stesse
conclusioni del sillogismo, ma con maggior chiarezza, perci le persone di buonsenso usano lanalogia ( 68, p.
51).
Il sillogismo inoltre, nota Ibn Taymiyya nel 65 alle pp. 48-49, oltre ad essere circolare ha un vizio
dorigine: luniversale si forma da un attributo scelto da un caso particolare che costituisce il fondamento della
generalizzazione: qui mi sembra significativo il riferimento a quanto affermato sopra da Sowa a proposito del
razionalismo scientifico, cio che il modello che si forma nella mente il risultato dei fattori omessi e di quelli
assunti. Ibn Taymiyya non sembra entrare nelle conseguenze di questo problema, ma certamente esso ha un peso
nella scelta giuridicamente orientata del qiys, la cui vantata superiorit si fonda nel fatto che lanalogia
ricercata nella causa. Qui appare evidente come le preoccupazioni che guidano e finalizzano la speculazione nel
pensiero classico sono diverse da quelle che guidano il ragionamento di Ibn Taymiyya. Per lui infatti ( 216, p.
125) esistono, come abbiamo visto, due tipi di conoscenza: la conoscenza umana, che quella che interessa
anche Sowa, per la quale luniversale soltanto probabile; e quella nella quale luniversale certo perch viene
dalla Rivelazione. Nella prima eventualit il caso assimilato soltanto probabile, ms nella seconda, quella cui si
applica la scelta giuridica, anchesso certo, grazie alla ricerca della causa. Non a caso, nel precedente 212, p.
123, egli fa esplicito riferimento ai 61-62, pp. 45-47, dove aveva sottolineato lerrore di usare in materia
giuridica il sillogismo cos come usato nelle scienze razionali, distinguendo i due tipi di conoscenza. La
conseguenza quindi evidente: i termini e i procedimenti tecnici della filosofia sono del tutto inutili per
impostare il ragionamento giuridico ( 158, p. 99).
Tutto questo sforzo di ragionamento, come sera anticipato, ha uno scopo concreto e militante:
combattere tutte le manifestazioni dellIslam (Neoplatonici, Ismailiti, Sf, Qarmati, filosofi come Avicenna e
quantaltri) che cercano la perfezione non nella prassi, nellosservanza della Legge, ma nella conoscenza, che li
conduce a porsi al di sopra della stessa prassi ( 86, p. 61 sgg.). Significativo anche lattacco ad Averro e alla
sua premessa allargomento del Fasl al-maql (cfr. supra, p. 896: si tratta dellobbligo per i filosofi, fondato su
una lettura eterodossa di Cor., 3,5, di penetrare il significato filosofico che si nasconde sotto la lettera della
Rivelazione): Ibn Taymiyya obbietta ad Averro che i Compagni non avevano bisogno della filosofia per sapere
ci che dovevano fare ( 160, p. 100). Ora, se comprensibile che tutto ci possa apparire straniante per la
struttura, il fondamento e lorientamento del pensiero occidentale, si deve riflettere che siamo in presenza di una
fedelt ad un Messaggio che in Occidente stato almeno in parte travisato a causa della sua filosofizzazione.
Si tratta della fedelt al carattere rivoluzionario della Rivelazione, che revoca in dubbio il fondamento
della cultura classica, et pour cause: una cultura intellettualistica poteva germogliare soltanto allinterno di una
societ istituzionalmente fondata sulla diseguaglianza, che ne costituiva il presupposto persino sottaciuto, tanto
era ovvio: laddove il messaggio testamentario, col suo monoteismo e leguaglianza -non ipoteticamente futura in
cielo, ma effettiva, qui e ora- dinnanzi a Dio (e alla Sua Volont, che del Messaggio era il contenuto) costituiva il
postulato fondamentale per una societ di eguali. Non un caso che questo messaggio, tradotto nelle forme del
Cristianesimo, abbia penetrato una societ in crisi; n si pu sottovalutare quanto radicale sia stata la svolta che
esso impresse alla cultura attraverso il Medioevo, unesperienza che, come ci ricorda Fossier, rimasta ancora
incompiuta.

Con Ibn Taymiyya siamo giunti al culmine di un percorso coerente che sviluppa le istanze originarie
dellIslam nella scelta sunnita, ortodossa perch largamente maggioritaria, ancorch non lunica pensabile,
come abbiamo gi visto allorch esaminammo le ragioni delle sette ultra-shite, che raccolgono anchesse in
1153
diverso modo, leredit delle origini. Ibn Taymiyya fu, in particolare, hanbalita, appartenente cio a una scuola
che sempre stata minoritaria nellambito del Sunnismo, e tuttavia importante, almeno per noi, perch da essa
prendono corpo il Salafismo e i fondamentalismo che danno allIslam il suo tono pi appariscente nei momenti
di crisi, innalzando a bandiera il mito di un ritorno allet delloro.
Il mito di unet delloro che fu e che dovr tornare (ovvero: che avrebbe dovuto essere, non fu e si
dovr far essere) cos presente nellIslam, del quale costituisce il nucleo duro, presente sempre e ovunque,
anche al margine della cultura occidentale (era anche dei primi Cristiani) tanto da potersi considerare un mito
universale, unaccezione della famosa nostalgia del Paradiso, detta cos da Eliade. Nel caso del Salafismo esso
per qualcosa di pi, anche un mito nel senso corrente, negativo, della parola, perch la sua et delloro
non , come per Papia e Ireneo, in un nebuloso luogo e tempo, terreno ma di fatto edenico; ma viene collocata
in un preciso tempo e luogo storico da far tornare, con il suo assetto sociale, la sua etica, le sue leggi, ma
costruito a partire dallinvenzione degli ahdth, invenzione tarda rispetto agli eventi in essi affabulati; detti e
fatti che riverberano su un passato reinventato le pulsioni dei secoli successivi e le relative contese sociali. Let
delloro salafita dunque un passato mai esistito che cosa diversa da un passato immaginato o sognato, perch
limmaginario ha un suo non-luogo, una U-topia; laddove un passato mai esistito non in alcun luogo, una
a-topia. Anche se il ripensamento del passato non va sottovalutato (di per s un potente motore ideologico
perch, come s detto pi volte, pensare un passato diverso significa orientarsi verso un diverso futuro) il mito
salafita, configurandosi come atopia, perde forza. Pretendendo di porsi sul piano del reale e del razionale (sul
piano storico) facilmente confutabile, al contrario dellimmaginato e del sognato, che fa dellutopia un motore
della storia.
Mi sono soffermato su queste considerazioni per portare ad evidenza che Ibn Taymiyya ha esercitato
la propria lucidissima conseguenzialit di pensiero su un fondamento fattuale quantomeno dubbioso, su una
conoscenza non certa, come avrebbe detto lui, per non dire improbabile: il materiale degli ahdth, che eternizza
il Sacro delle origini nel riflesso di transeunti contese storiche. Di qui il senso di straniamento che generano, in
uno spettatore non coinvolto nella sua costruzione mentale, i suoi giudizi legali (e quelli del fondamentalismo
attuale) che dopo serrate induzioni, analogie e deduzioni, terminano sovente come quelli della Regina di cuori
nel racconto di Alice.
Questo per non sminuisce la sua statura, perch le conseguenze penali vanno messe in conto al
fenomeno di fossilizzazione della Sharah conseguente alla mancata storicizzazione delleredit giuridica, vera o
presunta, fenomeno che ho dovuto di dover mettere in conto gi a proposito di al-Ghazl (cfr. supra, p. 891) e
che ha incipit nella sistemazione dottrinale della Risla di Shfi. La statura di Ibn Taymiyya va pi
correttamente valutata sulla lucidit di un pensiero che revoca in dubbio la Ragione occidentale, mentre
ripropone con forza argomentativa le ragioni del messaggio testamentario; e poich di ci s fatto cenno in
pi luoghi di questo testo, mi limiter a segnalare due punti significativi per lindagine in esso condotta.
Il primo costituito dal ridimensionamento della Ragione che, non trovando appiglio ontologico nella
partecipazione alla razionalit divina del Reale alla quale inadeguata, diviene luogo solitario di elaborazione di
universali puramente probabili e anche soggettivi, fabbrica di modelli astratti che forniscono un inquadramento
possibile ma non cogente, non certo, del Reale, maschere sovrimposte che approssimano un mondo esterno
ontologicamente sfuggente.
Se il mondo esterno tende cos ad assumere un volto fantasmatico -lo stesso che introduce il dubbio
cartesiano- c tuttavia un fondamento al quale la ragione pu ancorarsi, ed , come per al-Ghazl, la
Rivelazione: soltanto che in Ibn Taymiyya Rivelazione significa essenzialmente, e vorrei dire esclusivamente,
Legge. La ragione pu esercitarsi con sicurezza sui fondamentali del Diritto, perch essi, cos come trasmessi dal
Testo e dalla Tradizione, sono Parola divina increata ed eterna, ovvero sua interpretazione autentica, dunque
sono certi nella loro letteralit.
Il problema che pone Ibn Taymiyya dunque il problema del fondamento della Ragione, problema
che avevamo gi affrontato esaminando il pensiero di Leo Strauss e che si compendia in una semplice
considerazione: la Ragione non pu fondarsi su se stessa. Al-Ghazl aveva formulato il problema negli stessi
termini: la Ragione in cerca di certezze pu fondarsi soltanto sulla Rivelazione. Ibn Taymiyya ci mette di suo
una dimostrazione dei limiti della Ragione fondata sulla critica alla struttura stessa della logica greca, della
quale rivela la costruzione tautologica. Il rapporto con il mondo esterno passa attraverso una
conoscenza/Erfahrung mediata dai sensi, e la Ragione soltanto un elaboratore con propri meccanismi, che
costruisce al proprio interno modelli probabili del Reale e con ci contraddice la possibilit di un epistme che
pretesa di loro sovrapponibilit al reale stesso. Lo schema aristotelico, che comporta identit strutturale di
pensiero, sintassi e Reale, mostra la propria dipendenza da un postulato metafisico posto a monte della ragione
stessa, una arch che non pu essere oggetto di dimostrazione, non cogente.
Il secondo punto riguarda la riconduzione della Profezia al ruolo che essa assume nel messaggio
testamentario, che non quello intellettualistico pensato da al-Frb o da Avicenna, altro grande bersaglio della
critica di Ibn Taymiyya. Il Profeta non luomo perfetto che intuisce verit soprarazionali elevandosi al contatto
con lIntelletto Agente (il dator formarum) non colui che va oltre il filosofo nella sua conoscenza intellettuale:
il Profeta colui che fonda una societ e la guida, dettandone, per ordine divino, la Legge che ne deve regolare i
comportamenti individuali e sociali, una Legge necessaria perch regola un ordine delle cose non attingibile
1154
razionalmente da chi ne loggetto. Il distacco ontologico tra Creatore e creatura si rispecchia nel distacco che
corre tra il Reale e il modello razionale della mente, sicch luomo ha un solo luogo nel quale adeguarsi al Reale,
nella Legge.
La Legge diviene cos la sola via che consente alluomo di uscire dalla propria finitezza, da una
gettatezza (Geworfenhheit) che anche impossibilit di salvezza; la Legge la sola via di salvezza perch essa
la sola via per aderire ad un ordine altrimenti inaccessibile, tale per labisso ontologico che condanna la
Ragione alla costruzione di un mondo fantasmatico, costruzione tautologica, mero rinvio a se stessa.
Si pu anche rifiutare questa collocazione delluomo nellUniverso, ma non si pu negare la potenza
di una costruzione intellettuale che racchiude e consacra una plurisecolare ricerca didentit in un momento nel
quale la societ islamica in pericolo aveva necessit di ritrovare la propria coesione: cos come appare difficile
ignorare che dietro di essa si nasconda, sul piano intellettuale, il timore di prendere atto di una gettatezza
insormontabile, e di assumere sulle proprie spalle il peso di un percorso di erramenti tra verit soltanto
probabili: e di fare di questo percorso il proprio mondo.
Per Ibn Taymiyya per il problema si poneva diversamente, perch altre erano le sue alternative di
militante: accettare una costruzione filosofica (teosofica, esoterica) sul fondamento di un messaggio profetico
significava incamminarsi sulla via di Shiti e ultra-Shiti (Nusayriti, Drusi, Ismailiti, Qarmati e quantaltro) una
via al termine della quale poteva esservi lerosione del monoteismo e sinanche la minaccia dellantinomismo,
quindi la decomposizione della societ stessa privata della Legge; senza contare la messa in dubbio della societ
di eguali, quale quella pensata dallIslam. Eppure, anche in quelle esecrate scelte verano motivi di continuit
con le origini dellIslam, lo abbiamo visto trattandone: la ripetitivit della Profezia e una diversa ipotesi di
eguaglianza: quella che fa di ogni uomo un possibile veicolo dello Spirito.

1155
2 - Le opinioni diverse e la nascita di unaltra retta opinione

La vicenda che mi prover a narrare ora, stata in parte anticipata nel capitolo Ordine celeste e
disordini terreni, nelle Appendici alla IV e V ed., e, passim, in altri luoghi del testo, ai quali rinvier
ogniqualvolta sia inutile ripetere il gi detto; qualcosa per sar ripetuta quando sia utile mostrarla entro un
nuovo quadro di riferimento. In precedenza infatti il testo -conformemente al suo obbiettivo, mostrare un quadro
delle diversit ponendone in evidenza le convergenze in funzione delle aporie del pensiero dominante e delle
ragioni da questo ignorate- si era occupato essenzialmente di una storia interna a diversit rimaste sempre
tali. Ora per lobbiettivo altro perch, se la diversit, che nel caso dellideologia di Occidente era
rappresentata da una religiosit testamentaria rimasta alternativa alle due ortodossie nate tra il II e il V secolo
(la cristiana/romana, e la giudaica/rabbinica) ora questa stessa religiosit alternativa, consolidatasi come
Islam, che deve essere esaminata allinterno di una sua vicenda dinamica, che la vede a sua volta partorire altre
ortodossie in rapporto con altre opinioni diverse.
Uso il plurale perch, come gi detto, lIslam stato correttamente definito come una religione dalle
ortodossie plurime e cos : infatti al Sunnismo si devono aggiungere la Sha Immita, duodecimana, e il
Khridjismo, che, dopo essersi frammentato in molte sette, sopravvive oggi codificato nella versione moderata
dellIbdismo. Tra i grandi sistemi di pensiero maturati nellIslam sarebbe da aggiungere lIsmailismo attuale
disceso da quello di Alamt, ma esso non pu considerarsi ortodossia e giustamente, perch esso rappresenta
s, unevoluzione coerente delle istanze islamiche originarie, ma unevoluzione tale da esorbitare ogni possibilit
di ortodossia. Ancorch connesso a istanze presenti nelle origini dellIslam, esso infatti un superamento
dellIslam, una Aufhebung nel senso che, nato da quelle istanze, lIsmailismo va oltre: ma lo fa a partire da
uno sviluppo di quelle stesse istanze.
Tutto attorno il pulviscolo delle sette delle quali ho gi parlato, sulle quali dovr tornare brevemente
per inquadrare il loro rapporto con la formazione della Sha duodecimana che non quello presentato dagli
eresiologi i quali hanno il comune vezzo di porre la propria ortodossia ab antiquo: laddove la Sha
duodecimana un fenomeno che emerge e si conforma dopo una storia di sette estremiste: e da questa storia
non si libera perch altre, a sua volta, istituzionalizzandosi, ne partorisce.
Prima di narrare questa vicenda tuttavia doveroso un brevissimo cenno allIbdismo perch, come
versione moderata del Khridjismo esso, bench scarsamente rappresentato (meno di un milione di fedeli
nelloceano dei Musulmani) resta comunque la pi antica delle ortodossie -forse lortodossia par exellence-
manifestatasi nel 4 decennio dellEgira.
Degli eventi e della natura dei Khridjiti ho dato qualche cenno in Ordine celeste e disordini terreni e
per essi si veda lindice analitico a p. 797 e, nelle note alle pagine ivi citate, le relative indicazioni bibliografiche,
in particolare Wellhausen, nella versione aggiornata con note del 1975, cit. in Bibl. a p. 780; e Spuler, cit in Bibl.
a p. 776. I Khridjiti, lo ricordo, fondavano la propria ortodossia sul rigido rispetto del Corano, Parola di Dio; ma
avevano una teologia razionale, vicina al Mutazilismo ( il Corano creato, non si pu avere la visione di Dio,
negazione degli attributi divini e di ogni possibile antropomorfismo etc.) e un atteggiamento radicalmente
democratico, rigorista e spiritualista (sono stati paragonati ai nostri Puritani) ci che li portava allintolleranza
verso gli altri correligionari e verso i propri peccatori.
Gli Ibditi ne rappresentano levoluzione moderata precisamente su questo punto, evoluzione
maturata rapidamente gi con la fine del VII secolo dopo la distruzione, ad opera degli Omeyyadi, delle fazioni
pi oltranziste protagoniste di innumerevoli insurrezioni per le quali si rinvia a Wellhausen. La logica e la
successione degli eventi, sui quali non mi diffondo, esaurientemente illustrata in modo molto chiaro da W.M.
Watt, Khrijite Thought in the Umayyad Period, Der Islam, 36, 1961.
Trovo perci interessante segnalare larticolo di R. Rubinacci, Il califfo Abd al-Malik b. Marwn e gli
Ibditi, A.I.U.O.N., 5, 1953, nel quale pubblicato il testo di una lettera di Ibn Ibd al Califfo, ritenuta di
attendibile autenticit. Rubinacci riepiloga inizialmente le lotte degli Omeyyadi con i Khridjiti, che Abd al-
Malik riusc a domare soltanto nel 78 H. I suoi primi anni di regno furono infatti assai agitati (si ricordi la
contesa per il califfato con Abdallh ibn Zubayr) perch segnarono il momento nel quale lIslam prese forma
nelle sue strutture religioso-politiche dopo una lunga serie di dispute iniziate con luccisione di Uthmn (p.
100). Nella breve ricapitolazione degli eventi che portarono al distacco degli Ibditi dallala estremista degli
Azraqiti (anche questo come sempre un nome derivato dalleponimo, Nfi b. al-Azraq, il loro leader)
Rubinacci sostiene sia la presenza di ragioni politiche per tale scissione, sia lindole particolarmente mite e
religiosa di Ibn Ibd (pp. 101-102); le ragioni politiche per non scagliare il takfr su tutti i non khridjiti appaiono
evidenti sulla base di un elementare realismo. La parte pi interessante dellarticolo comunque costituita dalla
pubblicazione del testo della lettera di Ibn Ibd ad Abd al-Malik (p. 106 sgg.).
Il testo parte dalla giustificazione della ribellione ad Uthmn e ci consente di prendere visione diretta
del fondamento sociale gi messo in luce supra con gli articoli di Hinds (p. 1055). Dopo aver sottolineato il buon
califfato di Ab Bakr e di Umar (gli Ibditi riconoscono infatti i due primi Califfi, non il terzo e il quarto) egli

1156
sottolinea la virata che ebbe il califfato di Uthmn alla met del suo percorso, per accusarlo di aver abbandonato
i princpi della legge coranica: e lo accusa in primo luogo di aver allontanato i qusss -i commentatori popolari
del Corano- dalle moschee (p. 106). Egli formula poi altre accuse che fanno riferimento ad indebite forme di
appropriazione da parte del Califfo, avvenute in violazione delle norme coraniche: dunque laccusa di
malgoverno si riflette in unaccusa religiosa.
Nelle pagine successive Ibn Ibd si diffonde sui temi gi esposti, ma, nota Rubinacci (p. 109 in n. 6) il
fatto dellallontanamento dei qusss strettamente legato alla repressione delle proteste che si levavano dal
mondo islamico dei primi fedeli, nei confronti del primo stabilirsi di un potere politico statale accentrato (si
ricordi il monito di Abd al-Malik ai medinesi in materia di leggi). Non si pu che leggere qui la conferma del
fatto che lIslam delle origini fu un movimento rivoluzionario messianico/apocalittico che non prevedeva il
ritorno alle consuete forme del potere, anzi, ne chiedeva la sovversione.
Sugli eventi successivi, di epoca abbside, si veda L. Veccia Vaglieri, Le vicende del arigismo in
epoca abbaside, R.S.O., 24, 1949, che mette a sua volta in luce la persistenza del ribellismo khridjita, un
fenomeno che fu combattuto, pi che dal centro, dalle autorit locali; il legame di questo ribellismo, dopo le
sconfitte subite nei primi due secoli, con contemporanee sommosse popolari; infine il fatto che una costante
rivendicazione dei ribelli fosse il rifiuto di applicare il khardj, cio la tassazione fondiaria, ai Musulmani: ci
che pu rappresentare un tratto di continuit con le rivendicazioni dei conquistatori della primora nei confronti
del successivo costituirsi di poteri centralizzati, che abbiamo visto costituire la fonte delle rivolta contro
Uthman.
Ancor pi nel vivo si entra con le pp. 110-111 dellarticolo, nelle quali il testo della lettera parla
chiaramente degli interessi dei combattenti che lottarono da subito per lIslam: qui si parla dellaccaparramento,
da parte di Uthmn, dei pascoli migliori, sottratti ai combattenti in violazione delle norme coraniche sulla
spartizione del bottino di guerra: anche qui la contesa sociale si risolve in accusa religiosa, ci che potr anche
essere considerato un mascheramento ideologico, ma, indipendentemente da tale considerazione, mostra
comunque per lennesima volta la natura dellIslam originario, il suo ben diverso spirito di liberazione che
veniva vanificato dal ritorno al potere statale. A ci si aggiunge la denuncia di un uso illecito della raccolta delle
elemosine e quella, molto seria, della diminuzione delle pensioni statali ai reduci di Badr (pp. 110-111). Qui lo
scontro sociale si tocca con mano, e Rubinacci sottolinea, a p. 111 in n. 6, la crisi finanziaria che si era abbattuta
sullo stato di Uthmn, costringendo il Califfo a misure altamente impopolari.
Il testo prosegue ancora con rivendicazioni e accuse che si soffermano anche sui torti e sui danni
economici subiti dalla gente del Bahrain, nonch sulle figure assai poco islamiche dei successori di
Muwiyya, ma ci che mi sembra pi interessante mettere in luce il discorso che si sviluppa alle pp. 114-116.
Qui infatti si sviluppa uninteressante argomentazione sul rapporto tra potere e giustezza delle ragioni dei
vincitori; secondo Ibn Ibd le due cose non sono affatto connesse (contrariamente a quanto sosteneva Ibn
Taymiyya, e con lui altri polemisti, nei confronti del Cristianesimo: la ragione dellIslam nelle sue vittorie, che
mostrano lappoggio divino; Dio non permette che i suoi campioni siano sconfitti) perch vincere non significa
avere dalla propria parte la ragione, e largomento sviluppato anche con riferimento al passato islamico. Del
resto, lo stesso Muwiyya compr il proprio potere pagando Hasan: e questa non certo una giustificazione
religiosa.

La rigida adesione al dettato coranico non ha dunque soltanto un significato religioso ; entrambi gli
autori citati ne sottolineano, come s visto, la natura politica (come ho gi detto pi volte anche della Sha) che,
del resto, emerge chiaramente gi dalle motivazioni dei combattenti al seguito di Al a Siffn (cfr. supra, pp.
1055-1056 e qui larticolo di Rubinacci, in particolare, ivi, il ruolo dei Qurr, fedelissimi al dettato coranico,
che diedero origine al movimento Khridjita; su questo si veda M. Guidi, Sui arigiti, R.S.O., 21,1, 1946
[indicato da taluni come 1944 a causa della data di stampa posta in calce] e si veda anche Wellhausen, cit., pp.
11-14).
Questa rigida adesione al dettato coranico non deve perci far ignorare il fondamento sociale di un
movimento che si inserisce nella contrapposizione tra i muhgirn e i Sufynidi, nuovi arrivati sulla scia delle
conquista, contrapposizione iniziata con lassassinio di Uthmn, proseguita a Siffn, e infine con lappoggio (poi
ritirato) allAnticaliffo Abdallh ibn Zubayr. Lattaccamento allo spirito iniziale della predicazione profetica,
certamente tradotto in termini religiosi, testimonia in ogni caso un ben preciso sfondo sociale, la lotta tra i
rivoluzionari della primora, e laccaparramento della rivoluzione da parte di un vecchio ordine sopraggiunto.
Come nota Watt, cit., p. 218, i capi delle fazioni pi bellicose e intolleranti (Najditi, Azraqiti) non erano teologi
da poltrona.
Questa natura sociale religiosamente motivata del distacco dei Khridjiti si trova ben illustrata sul
fondamentale e recente testo di J.C. Wilkinson, Ibadism. Origins and Early Development in Oman, Oxford, Un.
Press, 2010 alle pp. 139 sgg. allorch nota che i circa 12.000 ribelli alla decisione di Al di patteggiare con
Muwiyya, riunitisi nel villaggio di Harr (donde il nome di Harriti) erano formati da Qurr, Ansr e
Muhjirn, cio dai seguaci iniziali che avevano sostenuto il Profeta nei difficili momenti dellesordio e poi
dellespansione, gli stessi che poi avevano contestato il comportamento di Uthmn. I Khridjiti infatti, e dopo di
loro gli Ibditi, che se ne distaccarono molto presto, nel settimo decennio H., riconoscono soltanto i due primi
1157
Califfi: non Uthmn e neppure Al, colpevole per aver abbandonato la fedelt al solo dettato coranico. Il
movimento originale era denominato Muhakkima per il suo riferirsi al solo hukm divino (cfr. supra, p. 1044) e in
tutta la loro azione e motivazione, appare evidente il senso del tradimento subito, ad opera dei nuovi/vecchi
leaders, del messaggio divino ricevuto dal Profeta e della spinta messianica e liberatrice del primo Islam, con il
ritorno a vecchie gerarchie dellArabia pre-islamica. Wilkinson segue anche gli eventi politico-amministrativi
che portarono al malcontento in Iraq, ma mi sembra eccessivo entrare nei dettagli; mi limito perci a ricordare
che egli concorda con le ricostruzioni di Hinds (cfr. supra, p. 1056).
Levoluzione fondamentale che port allIbdismo, lunica sopravvissuta tra tante fazioni, la pi
moderata che prende il nome da un suo misterioso eponimo, Ibn Ibd (cfr. Wilkinson, Ibdism, pp. 152-153,
dove si ricorda anche che essi rifiutarono tanto il nome di Khridjiti, quanto quello di Harriti) consistette non
soltanto in quanto gi accennato (i peccatori non sono pi infedeli ma ipocriti -almeno se non insistono nei
propri errori- e non debbono essere uccisi) ma nel considerare possibile la convivenza con i Musulmani di
diversa opinione, ponendo fine alla conflittualit in nome di una razionale tendenza al compromesso. noto
infatti -e la storia iniziale delle sette khridjite ne un esempio da manuale- che lesasperato rigorismo etico pu
generare lotte intestine, oltre a porre il rigorista in una improduttiva lotta col mondo. Watt pone comunque
laccento sullo spirito comunitario degli Ibditi (p. 226) che pensano la salvezza non come un problema
individuale, ma come problema della comunit.
Anche E. Francesca, From the Individualism to the Communitys Power: the Economic Implications
of the wlaya/bara Dynamic among the Ibds, A.I.U.O.N., 59, 1999, ha sottolineato come lo spirito di
comunit sia rilevante nel fare degli Ibditi dei protagonisti del successo economico. Conducendo lanalisi in una
logica weberiana ella ha rilevato anche il ruolo del rigorismo etico e dello spiritualismo in questo successo, con
particolare riferimento ai due momenti della wlaya e della bara (su questi due termini che sanciscono il
comportamento allinterno del gruppo, cfr. A.K. Ennami, Studies in Ibdhism, http://open.books.blogspot.com/,
p. 168 sgg.: si tratta degli obblighi religiosi di associazione o dissociazione rispetto a persone o comportamenti
lodevoli o riprovevoli; in caso di incertezza incorre lobbligo del wuqf, sospensione del giudizio). La stessa
Francesca tornata ad insistere sul rapporto tra austerit religiosa e successo imprenditoriale degli Ibditi in un
successivo articolo, Religious observance and market law in medieval Islam. The controversial application of
the prohibition of usury according to some Ibd sources, RE.M.M.M., 99-100, 2002, nel quale, oltre a mettere
in luce il ruolo della comunit maghrebina nellelaborazione della dottrina relativa alla poibizione coranica del
prestito a interesse, fa tuttavia notare come, a costo di qualche contraddizione, la dottrina non fu sviluppata sino
alle estreme conseguenze, a causa di unetica che resta legata ai valori del capitalismo mercantile; questo
compromesso pu essere considerato una sopravvivenza di originarie tradizioni medinesi.
Gli Ibditi per non furono soltanto mercanti che si sparsero nel mondo; essi, teologi non da
poltrona, conquistarono pi volte vasti regni, in Oman come nel Maghreb (alcuni effimeri, come nellHijz)
dove ora risiedono le loro comunit superstiti: nellOman, dove costituiscono la maggioranza della popolazione;
nel Mzb algerino (la pentapoli di Ghardaya, luogo sacro); nellisola di Djerba (Tunisia); in Tripolitania; una
piccola comunit presente a Zanzibar. Watt nota che la tendenza ad un atteggiamento comunitario
(communalistic, p. 226) ha fondamento nella tradizione del Profeta che allude alla salvazione di una sola setta
in quanto tale (la comunit islamica si divider in 73 sette, ma una sola si salver).
Levoluzione moderata port alla cessazione di ogni inimicizia verso gli altri Musulmani, con i
quali si doveva pur convivere, e, col tempo, il moderatismo port ad una certa forma di individualismo: gli
Ibditi potevano esercitare la walya verso individui (non ibditi) ritenuti comunque buoni musulmani. Il loro
spiritualismo esprime una teologia razionale che li ha fatti ritenere influenzati dal mutazilismo, ipotesi che
Ennami confuta (pp. 123-125) sostenendo con ragione che la teologia ibdita si svilupp prima del mutazilismo.
Watt, p. 230, sostiene che la concezione ibdita (khridjita) del Califfato (cfr. supra, p. 197 nel testo e in n. 19:
tale concezione giustificata perch leredit del Profeta non pu andare ad alcuno, singolarmente; pu
trasmettersi soltanto alla collettivit nel suo insieme) attir attorno a loro molti seguaci, nel Golfo Persico e tra i
Berberi -i due luoghi principali di loro insediamento- perch costituiva un ottimo fondamento dottrinale per
ribellarsi al Califfo. Essi esercitarono a loro volta anche influenze dottrinali sulle correnti poi emarginate dal
Sunnismo: la loro insistenza per la giustizia fu recepita dal Mutazilismo e i loro waqifiti (che sospendevano il
giudizio: cfr. supra il wuqf) dovrebbero aver confluito nei Murjiiti.
Messianismo rivoluzionario (furono protagonisti di innumerevoli sommosse sotto gli Omeyyadi e gli
Abbsidi); mondo di Giustizia: come si pu constatare essi furono, e sono, portatori delle pulsioni originarie
dellIslam. La Veccia Vaglieri (Le vicende, etc., cit.) ha segnalato la persistenza del ribellismo khridjita sotto gli
Abbsidi sino agli inizi del X secolo, terminato soltanto dopo ripetute sconfitte; anche il loro insediarsi
nellOman e nel Maghreb berbero era avvenuto a seguito di precedenti sconfitte subite ad opera degli Omeyyadi.
La presenza degli Ibditi nel Golfo Persico viene spiegata da Wilkinson con una lunga descrizione dei
precedenti politici della zona, a partire dai tempi della Ridda (cfr. supra, p. 1056) ricordando anche (p. 159)
come il Bahrain sia stato sin dagli inizi la culla di movimenti radicali, tra i quali quello famoso dei Zanj (negri).
Linsediamento nellOman avvenne alla met dellVIII secolo, perch vi fu confluirono i fuggiaschi della caccia
data in Persia ai Sufriti (uno dei gruppi che confluirono poi negli Ibditi, e che in Persia si erano rifugiati dopo la
sconfitta di una loro insurrezione) da parte del 1 Califfo abbside, al-Saffh.
1158
Sulla storia dellImmato ibdita nellOman, con le sue alterne vicende sino allinizio del XX secolo,
si veda anche L. Veccia Vaglieri, LImmato Ibdita dellOmn, A.I.U.O.N., 1949.
Un breve ma esauriente cenno alla loro situazione attuale, alla loro storia e alla loro giurisprudenza, si
trova infine in R. Rubinacci, The Ibds, in Religion in the Middle East, ed. by A.J. Arberry, Cambridge, Un.
Press, 1969, vol. II, pp. 318-329. Rubinacci parte dalla diaspora verso lOman (da dove partirono a lungo gli
attacchi contro gli Abbsidi) e nel Maghreb, per poi elencare i capisaldi della dottrina ibdita, molto razionali e
sostanzialmente vicini al mutazilismo; per conseguenza sembra ben comprensibile la loro attenzione alla mistica
di al-Ghazl se si tiene presente quanto pi volte segnalato in questo studio, cio che la mistica resta lo sbocco
inevitabile -vorrei dire: razionale- di ogni tentativo di teologia razionale. Per quanto concerne la loro scuola
giuridica, Rubinacci ritiene di notare elementi in comune con il Mlikismo (frutto della lunga convivenza nel
Maghreb) e, in alcuni punti, con lo Hanafismo e lo Shfismo.
Come si sia sviluppata la loro giurisprudenza, argomento trattato da E. Francesca, The Formation
and Development of the Ibd madhhab, J.S.A.I., 28, 2003, che sottolinea il carattere originale della scuola
giuridica ibdita e i suoi rapporti con le scuole sunnite (p. 261 nel testo e in n. 7) con riferimento anche ad
Ennami; i contatti con le scuole sunnite sono giustificati con la presenza degli Ibditi a Bassora, a Kfa e nello
Hijz al tempo nel quale si andava formando il fiqh (p. 267); tuttavia il diritto ibdita, pur avendo condiviso il
dibattito in corso nei primi secoli, prese un proprio sviluppo indipendente su temi importanti come la creazione
del Corano e la libera volont dellindividuo (Dio conosce gli atti delluomo ma non li determina: pag. 271 nel
testo e in n. 63).
Furono certamente questi punti che portarono al fallimento, consumato con la fine dellVIII secolo,
del tentativo di riavvicinamento coi Sunniti avviato allinizio del secolo stesso (ivi) e allo sviluppo degli obblighi
di walya e di bara (p. 272). Tuttavia, come nota lautrice (pp. 272-274) inizi poi una raccolta di ahdth
mirata a dare un volto preciso al madhhab ibdita; questa raccolta, avvenuta tanto nellOman quanto nel
Maghreb (dove il regno ibdita collass nel 7 decennio del IX secolo sotto lespansione ftimida) fin per col
rassomigliare a quelle sunnite, non pi riflettendo, quindi, loriginale dottrina maturata a Bassora tra il VII e
lVIII secolo. Sullargomento si veda anche J.C. Wilkinson, Ibd hadth: An Essay of Normalisation, Der Islam,
63, 1985, che usa per lappunto il termine normalizzazione per definire il processo, tardo, tramite il quale gli
Ibditi si adoperarono per adeguarsi a quanto maturato nelle quattro scuole ortodosse introducendo un
materiale costituito da ahdth che non appartenevano al loro materiale iniziale.
Nel suo breve riferimento ai Khridjiti, W.M. Watt, Islamic Philosophy and Theology, Edinburgh, Un.
Press, 1985, pp. 12-13, sottolinea le buone ragioni della presa di posizione khridjita a Siffn, notando che era in
gioco lintegrit del nuovo dettato contro il rischio -reale per quanto abbiamo visto sinora circa gli eventi dei
primi decenni dellEgira- di tornare a consuetudini dellArabia preislamica; tant che le loro istanze per una vita
comunitaria fondata sulle norme coraniche vennero poi recepite dagli altri Musulmani. Quanto alle modifiche
che portarono rapidamente il Khridjismo verso la svolta ibdita, esse furono dettate dalla realistica esigenza di
permettere la fondazione di una comunit stabile, abbandonando un estremismo che poteva valere soltanto per
una banda di ribelli. Egli d infatti una valutazione delle forze messe in campo dai khridjiti nelle loro
insurrezioni: si trattava di piccoli gruppi -bande- la cui consistenza variava da 30 a 500 uomini. Su questo
particolare tuttavia da tener presente quanto ricorda Wilkinson, Ibdism, cit., p. 143, cio che vi furono molte
bande vaganti di saccheggiatori beduini che innalzarono bandiera khridjita
Guidi (cit.) ha per analizzato con molta finezza le loro posizioni iniziali a Siffn, mostrando che nei
loro apparenti ondeggiamenti si manifestava la loro sincera preoccupazione per la costruzione di una societ
autenticamente islamica: in questa prospettiva, credo, si debbono valutare le motivazioni che spinsero alla
precoce separazione, dal nascente Islam, di questi protagonisti dei suoi albori, che compresero e disapprovarono
la piega molto umana e troppo politica che andavano assumendo gli eventi. In termini correnti lecito
parlare del consueto fenomeno di normalizzazione che segnala il ritorno del consuetudinario dopo le tempeste
rivoluzionarie.
Chiudo qui questo breve inserto che era s, doveroso, ma che certamente non pone problemi allo
sguardo con il quale mi sto rivolgendo allIslam, volendo indagare la conseguenzialit dei suoi sviluppi con
istanze originarie maturate, secondo quanto ho ritenuto di concludere nel precedente capitolo, in una tradizione
messianico/apocalittica di origine testamentaria. Sembra infatti che questa terza ortodossia non offra il minimo
dubbio circa la sicura conseguenzialit con il movimento originario; essa nasce infatti immediatamente a ridosso
della rivoluzione islamica e nellambito dei suoi stessi protagonisti preoccupati di salvarne i contenuti minacciati
dal nascente nuovo ordine autoritario. Essi erano i pi convinti e i pi sinceramente legati allistanza originaria
del movimento messianico/apocalittico: eguaglianza, giustizia e creazione di una societ perfetta: naturalmente
applicando in modo rigoroso le norme penali sharaitiche. C da aggiungere, al riguardo, che le donne hanno
almeno qualche diritto in pi rispetto a quanto accade altrove (cfr. Rubinacci, The Ibds, cit. pp. 314-317).
Segnalo infine che una breve sintesi sulla storia dellIbdismo apparsa recentemente ad opera di C. Aillet,
Libdisme, une minorit au cur de lislam, RE.M.M.M., 132, 2012 e che, per ampliare la conoscenza sul
fenomeno, si pu consultare il sito www.maghribadite,hypothses.org.

1159
La via per giungere a questa societ perfetta era tuttavia oggetto di opinioni contrastanti: qui sinnesta
la storia della Sha, storia di attese deluse e discordanti tra loro, dalle quali nacque la seconda ortodossia
dellIslam la quale, come ogni ortodossia che si rispetti, sinvent una propria storia. La dottrina duodecimana
immita non costituisce infatti il momento originario della Sha, il frutto di unaccorta elaborazione avvenuta
nel IX-X secolo, che mise il movimento alde al riparo dal pulviscolo settario, eternamente fallimentare. Prima
di allora, la vicenda dei discendenti di Ftima, con lesclusione dellavventurato e sfortunato viaggio di Husayn,
una vicenda quietista che culmina con il rifiuto del 6 Imm a mettersi di traverso agli Abbsidi: si pu dire
che Watt, cit., riassuma lessenziale in sole sei pagine (pp. 14-19). La storia di quei movimenti shiti bollati poi
come estremisti dai costruttori dellImmismo viceversa ben altrimenti significativa per il periodo che va dal
VII al IX secolo: su di essa per non torno in dettaglio perch ne ho gi parlato altrove, come ho ricordato dalla
prima riga.
La storia del ghuluww raccontata dagli eresiografi come an-Nawbakht infatti una storia di comodo,
per far pensare che quelle fossero deviazioni attorno a una linea immita esistita dal tempo di Al, e,
naturalmente, sin da allora quella giusta. Non cos, la linea immita sorge tardi; la Sha iniziale, come ho
accennato varie volte, era altra cosa. Gi la leggenda di Abdallh b. Sab (cfr. supra, p. 198) una bella
invenzione che ricorda quella di Simon Mago, capostipite degli Gnostici per Ireneo. Sullargomento si pu
vedere M. Cook, Early Muslim Dogma, cit. in Bibl. a p. 1014; J. Van Ess, Das Kitb al-Ir des Hasan b.
Muhammad b. al-Hanafiyya, Arabica, 21,1, 1974 e i relativi paralleli con i discorsi del khridjita Ab Hamza
(che si trova anche in Wellhausen, ed. cit., p. 154; cfr. in questo testo supra, p. 198 in n. 24 e p. 199 in n. 26)
contro gli shiti, discorso che del 747.
Van Ess spiega la sovrapposizione poco chiara dei Sabiti con i Kaysniti da parte degli eresiografi
(cfr. supra, p. 199) affermando che la definizione Sabiti significa nientaltro che shiti estremisti (p. 33);
unipotesi che Cook riprende a p. 87. Ora, i Kaysniti erano i seguaci di Muhammad ibn al-Hanafiyya (cfr.
supra, p. 199-200) emersi dalla rivolta di al-Mukhtr (cfr. supra, pp. 199-200): ci che gi di per s sposta
linizio del ghuluww al 7 decennio dellEgira, perch i Kaysniti sono indicati come coloro che ne delinearono i
fondamenti dottrinali (ivi; e cfr. Van Ess, p. 34; Cook, p. 87).
Che il fenomeno sia tardo, quindi antedatato dalla costruzione eresiografica con linvenzione di Ibn
Sab a far da eponimo ai Sabiti sin dal tempo di Al (un giochino abituale, come notava Friedlaender per Ibn
Hazm (cfr. supra, p. 813) lo ricorda anche Buckley nei due articoli cit. in Bibl. a p. 847; siamo in ogni caso
verso la met dellVIII secolo, e, come noto, i soli che si tennero a prudente distanza dalle azioni di queste sette
(dalle dottrine, non chiaro) furono gli Husaynidi (tranne Zayd, il fratello del 5 Imm: cfr. supra, p. 200). Il 6
Imm rifiut persino lofferta di proclamarsi Califfo sullonda della presa di potere abbside, avvenuta al
termine di una ribellione che era nata shita sbandierando il testamento di Ab Hshim, il figlio di Zayd (cfr.
supra, pp. 200-201) ma poi fin, come abbiamo visto, ben diversamente.
Gi questo punto lascia riflettere: gli estremisti, che potrebbero essere tali per le loro dottrine che
stravolgerebbero il dettato coranico, sono di fatto estremisti perch passano alla ribellione aperta contro il
potere omeyyade, e poi, dopo la delusione, abbside. La linea immita, legittima, viceversa quietista: gi qui
sorge il sospetto che la storia confezionata sia stata scritta con un fine preciso: tener fuori una linea quietista che
si andava legittimando, da una galassia socialmente turbolenta, facendone quella in tutti i sensi (dinastico,
religioso, ma anche sociale) legittima nei confronti di tante deviazioni.
Ci che sembra dubbio infatti, che il movimento immita che conosciamo dal IX secolo sia
effettivamente iniziato con Al. Basti pensare come il primogenito Hasan decise di accordarsi con Muwiyya
sul diritto al califfato dopo la morte del padre (cfr. Madelung, The Succession to Muhammad, cit. in Bibl. a p.
817, p. 311 sgg, in particolare 327 sgg., un cenno supra a p. 811) in cambio di una rendita, per comprendere che
in quel momento cerano s, dei princpi, ma negoziabili e senza fondamento nella metafisica. Come nota Watt
(p. 14) Hasan non aveva ambizioni o abilit politica: il corsivo mio perch il partito (questo il significato
di Sha) alde, inizialmente, fu una vicenda politica.
Per quanto riguarda poi il sorgere di una dissidenza ribelle in quellambito, Watt sottolinea
sinteticamente che, dopo la rivolta di al-Mukhtr nel 7 decennio (cfr. supra, p. 199) per cinquanta anni dopo la
morte di al-Mukhtr non ci fu nessuna aperta attivit politica tra gli Shiti, nonostante le idee religiose shite si
stessero espandendo silenziosamente sotto la superficie (p. 15). Infatti il successivo sommovimento fu quello di
Zayd nel 740 (cfr. supra, p. 200 in n. 38). Il 4, 5 e 6 Imm (rispettivamente morti nel 714, 733 e 765) furono
politicamente inattivi (p. 16).
Il fenomeno del ghuluww appare essenzialmente fiorire attorno alla Sha genericamente hshimita,
non husaynide; ovvero attorno alle figure del 5 e 6 Imm, ma -a quel che sembra- in dissenso con la loro linea
quietista (tanto che questi sconfessarono i tentativi che miravano a coinvolgerli, cfr. supra, p. 200, p. 202 e p.
811); successivamente esso prese una propria via autonoma ai tempi della successione al 6 Imm (cfr. supra,
pp. 811-812). Il problema dottrinale era principalmente centrato, come ho ricordato in vari luoghi, attorno alla
trasmigrazione dello Spirito, che gli Imm rifiutarono di prendere su di s e alcuni dei leaders delle sette
iniziarono a rivendicare per se stessi.
Questo problema non era di poco conto; abbiamo visto come la figura di un uomo a misura di Dio
sia centrale nellIsmailismo e nellalchimia spirituale, che inizi il proprio percorso ai tempi del 6 Imm e che
1160
elabor il tema dellhomunculus; nonch il ruolo politico che essa ebbe nel pensiero degli Ikhwn as-Saf. Si
cercava di definire la figura dellImm e ci non era di poco conto, perch investiva la necessit di una guida
divina per la comunit e forniva supporto ideologico ai movimenti insurrezionali; e non lo era perch essa non
poteva essere assente, bench in altre forme non eversive, nella stessa linea quietista. Su questo fondamento si
reggevano infatti le pretese degli Aldi: peraltro esclusivamente religiose, avendo essi abbandonato, dopo i
tempi di Al e di Husayn, il ruolo di capi di una fazione politica.
Su questo contrasto di vedute si innesta la storia della Sha, storia di attese deluse e scelte politiche
discordanti, al termine delle quali nacque la seconda ortodossia, che sinvent la propria storia. La dottrina
duodecimana, immita, non infatti il momento originario, i suoi riferimenti ad Al avvengono ex-post
facendone una figura mitica diversa da quella storica; essa il frutto di unaccorta elaborazione avvenuta
nellVIII-IX secolo, elaborata per distanziare il movimento alde dagli sbocchi del pulviscolo settario,
eternamente fallimentare. La storia dei ghult bollati poi come estremisti dai costruttori dellImmismo
viceversa ben altrimenti significativa per il periodo che va dalla fine del VII al IX secolo: ma su di essa non
torno perch ne ho gi parlato altrove nei luoghi citati.
Che la linea immita sia tarda e quindi antedatata dalla costruzione eresiologica, lo si evince anche
da due articoli di Buckley citt. in Bibl. a p. 847. In The Early Shiite Ghulah, p. 30, egli nota che gli eresiologi
immiti non scrivevano per disinteressate ragioni accademiche ma per dissociarsi dai movimenti estremisti o
gnostici che dir si voglia: perch i due fenomeni (estremismo e gnosi) sono correlati, e correlati resteranno
anche nelle manifestazioni di dissidenza che sorgeranno dopo il consolidamento istituzionale dellImmismo. In
The Imm Jafar al-Sdiq, etc., p. 119, Buckley ricostruisce inoltre un firmamento di sette ruotanti attorno ai vari
pretendenti Aldi, Husaynidi e Hasanidi (Muhammad e Ibrhm b. Abdallh, ribelli nel 762: cfr. supra, p. 200)
anche non ftimidi (nel senso di non discendenti da Ftima, il caso di un altro figlio di Al, Muhammad ibn al-
Hanafiyya); o djafaridi (discesi da Djafar, fratello di Al, come Abdallh b. Muwiyya, ribelle nel 744,
morto nel 747 per mano di Ab Muslim, cfr. supra, p. 200).
Gli Aldi infatti, come mette bene in luce W. Madelung, The Hshimiyyt of al-Kumayt and Hshim
shism, S.I., 70, 1989, non erano inizialmente gli unici pretendenti a una successione in nome del legame di
parentela con il Profeta; lo erano anche tutti gli hshimiti in generale, non soltanto i ricordati Muhammad ibn al-
Hanafiyya e Zayd b. Al con i rispettivi figli, o i Djafaridi come Abdallh b. Muwiyya; ma anche gli
Abbsidi, che poi raggiunsero il traguardo del Califfato: e sempre in nome di quel principio di parentela, come
si pu evincere dalla narrazione letteraria postuma del dialogo tra Ibn Abbs e Muwiyya riportato dalla
Comerro, La figure historique, etc., cit., nel quale, al principio del consenso invocato da Muwiyya per il
proprio diritto al Califfato, Ibn Abbs risponde ricordando lo speciale rapporto degli Hshimiti con la scelta
divina di affidare ad uno di essi la Rivelazione; come dire che la famiglia era depositaria di una particolare
sacralit.
Limportanza del problema religioso nello sviluppo della Sha quale storicamente la conosciamo
attraverso laffermazione dei Duodecimani, analizzata da Arjomand, The Shadow of God and the Hidden
Imam, Chicago and London, Chicago un. Press, 1984, alle pp. 32 sgg. Arjomand, per prima cosa, definisce
erronea lidentificazione dellIslam con una teocrazia, ricordando che il Corano non confonde la sovranit di
Allh e della Sua Legge sul Creato e sulluomo, con il potere politico; subito dopo (p. 33) sottolinea la scissione
che si cre sotto gli Omeyyadi, politici e secolaristi, tra il loro potere califfale e la nascente classe degli ulam
che si propose come lite religiosa indipendente dal Califfo; una scissione che ebbe seguito nella lotta di Ibn
Hanbal al tempo degli Abbsidi.
Per chiarire come il distacco del potere religioso da quello politico abbia caratterizzato la linea shita
immita, Arjomand ricorda quindi la posizione del 6 Imm nei confronti della rivoluzione abbside: quando
questo movimento politico-religioso insorse e il suo capo Ibrhm b. Muhammad mor (748 o 749) , Ab Salama
offr il Califfato a Djafar as-Sdiq, ma questi rifiut. Il potere pass allora al fratello di Ibrhm, as-Saffh, e che
inizi la dinastia abbside; subito dopo ci fu la rapida eliminazione dei capi rivoluzionari estremisti, mentre,
contemporaneamente, lo stesso Djafar si adoperava a contenere lestremismo che ruotava attorno a lui (p. 34).
Lestremismo infatti rivendicava la rivoluzione sociale (politica) in nome di un mandato divino,
mentre Djafar rivendicava a s soltanto il ruolo di guida religiosa divinamente ispirata, quel ruolo cio che
inizialmente era stato rivendicato per motivi genericamente familiari da tutti gli Hshimiti, e che gli
Aldi/Ftimidi riuscirono a restringere ai soli discendenti di Ftima via Husayn (Madelung, cit., p. 24). Questo
passaggio delicato va tenuto presente quando si pensano gli sviluppi dellimmismo duodecimano, perch i suoi
sviluppi ne sono stati definitivamente determinati, tanto nella definizione della ortodossia quanto come causa
delle insofferenze che ne derivarono e che furono allorigine delle successive deviazioni. Il 6 Imm figura
centrale nella definizione dottrinale della Sha duodecimana. Questi sono i prodromi dellImmismo in quello
stesso VIII secolo che anche, in special modo nella sua seconda met, il luogo reale degli sviluppi del
ghuluww.
LImmismo dunque inizia a prender forma nella seconda met dellVIII secolo, tanto che il suo
primo teorico sembra sia stato Hishm b. al-Hakam ( circa 814) personaggio vicino al 7 Imm, Ms al-
Kzim, e forse allVIII, Al al-Rid, in un tempo nel quale la gnosi islamica prese definitivamente il largo dal
legittimismo immita (cfr. supra, pp. 811-812). LVIII secolo il momento vero di fondazione; non il VII,
1161
quando la Sha di Al e di Husayn unavventura politica nel corso quale Hasan non vide nulla di divinamente
non negoziabile nei diritti del padre, sanati con un buon risarcimento; non il passaggio tra il VII e lVIII secolo
quando il 4 Imm, Al Zayn al-bidn non sembra aver avuto -agiografia a parte- alcun ruolo se non quello di
essere figlio di Husayn e padre di Muhammad al-Bqir. Determinante la politica religiosa quietista del 5 e 6
Imm, attorno ai quali, con un rapporto forse equivoco, ruota il ghuluww prima di staccarsi e prendere un
proprio percorso: e tuttavia nei suoi testi il 5 e 6 Imm resteranno centrali in forma mitica; mentre il 7 -che si
chiami Isml o che si chiami Ms- sar lantenato invocato per altre deviazioni. La vicenda che seguiamo,
cio la formazione dellImmismo, inizia dunque un po pi tardi di come vorrebbero gli eresiologi.
Madelung (Der Imm al-Qsim, etc., cit. in Bibl. a p. 765) insiste molto sul ruolo di Muhammad al-
Bqir accanto a quello di Djafar as-Sdiq, notando innanzitutto come i Djrditi, i cosiddetti Zayditi forti (cfr.
supra, p. 811) siano stati inizialmente seguaci del 5 Imm, ed abbiano rotto con la (futura) linea immita
precisamente sul problema della successione, che essi attribuivano al fratello di Zayd (e di al-Bqir) Djafar: la
successione patrilineare forse a quel momento non era un dogma, contrariamente a quanto avvenne quando, alla
morte dell11 Imm, il partito immita inizi il processo finale di consolidamento attraverso la negazione della
successione -in assenza presunta di figli- al fratello di Hasan al-Askar, Djafar. Ma l, dietro la -presunta-
presenza di un figlio scomparso, cera anche la scelta politica di metter fine a una vicenda che si andava
spegnendo, spedendo il -presunto- 12 Imm nella ghayba, e metter finalmente le cose in mano a gente di
mondo.
Madelung (pp. 45-46) ritiene che dal confronto tra i Djrditi e i sostenitori di Djafar as-Sdiq siano
nati i fondamenti del diritto immita e, riprendendo Hodgson (How did the Early Sha become sectarian, cit. in
Bibl a p. 761) ricorda per lappunto quanto notavo sopra, cio che il solo ruolo del 4 Imm fu di essere figlio del
3 e padre del 5, consentendo la fondazione del dogma della successione patrilineare. In sostanza dunque, viene
confermato che il fenomeno dellImmismo inizia a delinearsi soltanto verso la met dellVIII secolo, in
contemporanea con il diffondersi del ghuluww che aveva avuto un precedente nei kaysniti emersi qualche
decennio prima. Dopo la morte del 5 Imm infatti (734), parte dei suoi seguaci rifiutarono Djafar, e furono i
Muiriti (cfr. supra, p. 200, nel testo e in n. 37) sicuramente estremisti sul piano dottrinario e anchessi disposti a
sollevarsi, in questo caso a favore degli Hasanidi.
Halm (Das Buch der Schatten, etc., cit. in Bibl. a p. 817; Die islamische Gnosis, cit. in Bibl. a p. 849)
ha tracciato una chiara linea gnostica che conduce ai Nusayriti a partire dai dissensi generatisi attorno al 5 e
6 Imm e dal wqifismo succeduto alla morte del 7 (799); una linea che vede le figure di al-Bqir e as-Sdiq
mitizzate al centro della speculazione. Ci testimonia un distacco teologico/politico di due diverse linee, eversiva
luna, quietista laltra, precisamente attorno a quelle due figure. Sembra perci ragionevole scandire i tempi della
vicenda in un primo tempo, segnato dal partito politico che va sino ad Husayn; un secondo momento segnato
dalla rivolta di al-Mukhtr e dalla nascita dei kysaniti (che Halm, Die Islamische Gnosis, p. 44, definisce
vierer perch si fermano a 4 Imm, Al e i suoi tre figli; in realt pronti ad associarsi a chiunque si ribellasse,
dagli Hasanidi agli Abbsidi, e poi contro questi ultimi). Entrambi questi eventi sono contemporanei
allevanescente presenza del 4 Imm (ammesso che tale sia stato); segue un terzo momento segnato dalle
continue rivolte della prima met dellVIII secolo che accompagnano la crisi degli Omeyyadi in contrasto con il
quietismo del 5 e 6 Imm. Poi, nella seconda met del secolo, durante la prima elaborazione dellImmismo, si
verificher il contrasto ci sar il distacco di gruppi gnostici maturati forse inizialmente in equivoco rapporto
con i due Imm ma poi di fatto sul problema delle successioni: le alternative saranno il fratello di al-Bqir (ma
anche del ribelle Zayd) invece del figlio di lui, Djafar; Isml invece di suo fratello Ms; ovvero la fine della
successione (wqifismo) dopo la morte di questultimo in alternativa al riconoscimento dell8 Imm, al-Rid.
Ho sottolineato il carattere equivoco dei rapporti del 5 e 6 Imm con gli aspetti gnostici
dellestremismo, perch vi sono dubbi sul loro reale distacco da alcuni personaggi che fecero effettivamente
parte del loro circolo: nel caso di Muhammad al Bkir da Djbir b. Yazd al-Djuf, il presunto autore dello Umm
al-Kitb e con i Muiriti e i Mansriyya, sul cui estremismo gnostico e sul cui ribellismo esasperato cfr. i due
articoli di Tucker, cit. in Bibl. a p. 852 e quello cit. a p. 778. Tanto loro quanto i Bayniyya, contemporanei e
dottrinalmente vicini, fondavano la propria dottrina su quella della ripetitivit della profezia (supra, pp. 200-202)
tema che originario nellIslam e torner sempre, nonostante la dottrina -poco chiara, cfr.p. 814- del suo
sigillo.
Nel caso di Djafar as-Sdiq, non soltanto dal famoso quanto misterioso padre dellalchimia, Djbir
ibn Hyyam (e abbiamo visto, in Ordine celeste e disordini terreni, lo stretto legame dellalchimia con la Sha
estrema e lIsmailismo) ma anche da Khattb, i Khattbiti (cfr. Capezzone, LIslam sciita, p. 88 sgg.) e dal loro
sottogruppo dei Mufaddaliyya, cio da quel Mufaddal ibn Umar al-Djuf che il presunto autore del Kitb al-
Haft wa l-azilla e che fu in buoni rapporti anche con il 7 Imm, Ms al-Kzim. Ora, questi sono i testi che
conducono al Nusayrismo e che furono trovati tra gli Ismailiti; c quindi da pensare che la linea del 5 e 6
Imm possa essere stata quietista, s, ma con una buona dose di ipocrisia, come di chi alimenta qualcosa dalla
quale prende poi le distanze (su tutto questo cfr. supra le pp. 811-812 e la bibliografia ivi citata, nonch le voci
di Kohlberg e Hodgson sul 5 e 6 Imm in E.I, citt. in Bibl. a p. 763 e 761 rispettivamente). Su questo
argomento torner comunque infra.

1162
Senza voler propendere per alcuna ipotesi, resta quindi il giustificato dubbio, alimentato anche dalle
inevitabili oscillazioni della politica in generale, che possono aver guidato gli Imm prima di scegliere una
precisa posizione; ci contribuisce per ad avvalorare lipotesi che la netta scelta immita, con la relativa
letteratura eresiologica che taglia i ponti con lestremismo, sia stata in realt una scelta ben tarda e maturata
anche grazie ad una nuova classe dirigente.
Il vero punto di svolta costituito dal IX-X secolo, allorch si staccano percorsi della Sha che
avevano convissuto tra molti equivoci, e si delineano tre scelte: lImmismo, lIsmailismo, e la via che porta al
Nusayrismo. DellIsmailismo abbiamo visto, in Ordine celeste e disordini terreni, i fondamenti dottrinali, i
sistemi filosofici neoplatonici e il Nizrismo di Alamt, dal quale discende lIsmailismo attuale che fa capo
allAga Khan. Del Nusayrismo vedremo infra, ora vorrei dare qualche cenno sulla nascita dellImmismo.
Significativo larticolo di Capezzone, La questione delleterodossia di Mufaddal ibn Umar al-uf
nel Tanqh al-maql di al-Mmaqn, O.M., 82, 2002. Come gi detto, Mufaddal una figura controversa, e
Capezzone ne vuole enucleare la posizione allinterno della comunit che si riconosceva nel 6 e 7 Imm.
Secondo Capezzone, laccusa di eresia che viene formulata contro di lui da Naas, un autore dellXI secolo,
connessa ad un fenomeno evolutivo (che mi permetto di definire di sunnizzazione) del sapere shita espresso
dagli Imm, suoi depositari, verso una preponderanza dellimpostazione epistemologica di tipo etico-teologico-
giuridico, rispetto ad altre dominanti che differenziano le forme del sapere trasmesso dagli imm e il loro ruolo
nella classificazione del sapere (p. 148 con rinvio in nota 4 al proprio testo su Djbir, cit. in Bibl. supra a p.
782). Cio: la scienza degli Imm era stata altra, un sapere di cose divine, segreto, esoterico, gnostico-alchemico;
ora, viceversa, si valorizzano gli aspetti etico-giuridici (e, naturalmente, teologici). Non per nulla Djafar il
fondamento della giurisprudenza shita.
Il testo di Capezzone ha per altri aspetti di interesse, perch, dopo aver rilevato la stretta vicinanza di
Mufaddal al 6 Imm e il suo ruolo di garante di Ms come 7 Imm, fa notare come in epoche successive sia
stata messa in atto una revisione che porta alla coscienza due realt difficilmente sormontabili. La prima consiste
in una presa datto di un percorso intrecciato tra le vicende della Sha oggi ascritte ad una tradizione ortodossa
e le vicende del ghuluww, che si direbbe divenuto tale ex-post: Mufaddal fu il portavoce di as-Sdiq e fu vicino
ad al-Kzim.
La seconda che nel IV/X secolo la definizione di ortodossia non fosse univoca; del resto, la n. 38 a
p. 156 fa vedere come lortodossia nasca (come sempre) espungendo da s ci che diventa eresia. C per
unaltra osservazione che merita una riflessione. In L. Capezzone - M. Salati, LIslam sciita. Storia di una
minoranza, Roma, Edizioni del lavoro, 2006, lo stesso Capezzone (p. 23) parla di riconduzione entro il termine
eterodossia (di) un fascio di espressioni caratterizzate da forme di dissenso sociale enunciate entro categorie
religiose, tipiche dellintero medioevo mediterraneo. Ricordo che chi scrive ha trattato in questo testo, con la
medesima angolazione (il dissenso religioso ha uno sfondo sociale) le vicende occidentali.
Sollevo questa riflessione perch essa riconduce al testo di Arjomand (cit.) che fa riferimento alla
vicenda del safr e del bb emersa in conseguenza delloccultamento del 12 Imm (cfr. supra, p. 811).
Delloperato dei suffar (pl. di safr) ci occuperemo pi in dettaglio infra, in rapporto alla loro fondamentale
opera nella costruzione dellImmismo; su di essi c da ricordare per sin dora un aspetto essenziale. Ricorda
Arjomand, pp. 40-41 sgg., che mentre il primo di essi fu un modesto venditore di grasso alimentare, Uthmn Ibn
Sad al-Amr (che mor contemporaneamente all11 Imm) il secondo, suo figlio Ab Djafar Muhammad ibn
Uthmn al-Amr, che tenne molto a lungo lincarico (916-917) fu assistito da un membro della ricca e
influente famiglia dei Nawbakht, Ab Sahl Isml an-Nawbakht, che gli sopravvisse di alcuni anni ( 922). La
sua famiglia era la stessa del noto eresiologo che fa da riferimento per la storia delle sette shite, ed era una tra
le pi eminenti tra la nobilt di Baghdad (ivi) al servizio del Califfo; perci la visione aristocratica delle
preminenti famiglie shite prevalse nello shismo dei tre secoli successivi.
Il terzo, sino al 937, fu Ibn Rh an-Nawbakht; egli ebbe la meglio su una opposizione
presumibilmente plebea (ivi). Ibn Rh era molto rispettato dalla lite di Baghdad e aveva ben presente che per
consolidare la propria posizione, il gruppo di leadership nascente necessitava sia di una promulgazione
dogmatica del credo immita, sia di eliminare la dissidenza eretica ed estremista (ivi). Arjomand pone tra le
virgolette estremista, ma non eretica, ci che a mio avviso sarebbe stato opportuno, poich le eresie altro
non erano che le tante diverse opinioni preesistenti alla retta opinione.
Egli nota poi (p. 42) la pericolosa contemporaneit dellantinomismo mistico ai al-Hallj ( 922) che
si autoproclamava incarnazione divina secondo una consuetudine che lo poneva sullo stesso piano degli agitatori
gnostici, ci che provoc la denuncia di Ab Sahl -grazie alla quale si mise in moto il processo ad al-Hallj- e
laffermazione dogmatica della dottrina delloccultamento. Ci non imped tuttavia in seguito allassistente di
Ibn Rh, Salmaghn, di proclamarsi bb e di tornare sullargomento dellincarnazione dello Spirito divino.
Salmaghn e i suoi seguaci furono scomunicati per decreto dellImm occultato: un bellesempio di come la
religione debba adattarsi alle esigenze del mondo al fine di sopravvivere.
Le controversie ebbero fine (provvisoria) nel 941, quando dal quarto safr, Ab al-Hasan Al b.
Muhammad al-Sammar, ormai sul letto di morte, fu proclamato il grande occultamento, grazie al documento
pervenutogli con il quale il 12 Imm comunicava la propria irrevocabile decisone di rimanere occultato sino a
nuova opinione: ci segn linizio della nuova Sha, gestita (pro tempore) dagli umani (sulla successione degli
1163
eventi cfr. J.M. Hussain, The Occultation of the Twelfth Imam (A Historical Background), The Muhammadi
Trust,, San Antonio, 1982; anche su http://www.al-islam.org/occultation_12imam/title.htm. Riprenderemo la
vicenda da qui, ma prima voglio occuparmi di altri tasselli, non senza aver prima colto loccasione per ribadire
quanto detto supra alle pp. 824-825 e passim: il mio dubbio -senza il quale la ricerca sin qui condotta non
avrebbe senso- su unimpostazione come quella di Halm in Die islamische Gnosis (che, pure, esaminer, perch
un testo prezioso) e che guida anche il suo Shiism (cit.: si veda a p. 19) secondo il quale la gnosi sarebbe un
elemento estraneo allIslam, introdottovi da non Muslim views -Jewish, Gnostic or Iranian, ancorch la cosa,
sarebbe, anche a suo avviso, discutibile.
Certamente i contatti vi furono da subito con le conquiste, ma larea religiosa stessa e le stesse
motivazioni originarie nella quale e dalle quali si sviluppa lIslam (vedi il capitolo precedente) a rendere la
soluzione gnostica una possibilit inerente allIslam stesso (da non confondersi con il Sunnismo!). Perci la
Sha nelle sue pi diverse manifestazioni, ne un suo coerente sviluppo, diverso ma non diversamente dallo
Hanbalismo. Una religione un contenitore di simboli e i simboli tendono a infinite letture: e anche a letture
convergenti (che possono creare false parentele) quando ci si muove allinterno di creazioni ciascuna di per s
originale, s, ma tutte con identici miti alla spalle: il mondo perfetto che fu o che sar, un rapporto genetico tra un
Dio creatore e luomo Sua creatura, una implicita -quando non anche esplicita- attesa di nuovi eventi profetici. E
la stessa religiosit iranica non estranea a questi miti.

Passo ora agli altri tasselli di questa storia di una dottrina che diverr quella ortodossa
immita/duodecimana. Uso la doppia definizione perch ci fu un progressivo passaggio da un generico
immismo a quello che sidentific con la dottrina duodecimana tout-court. Ne discute E. Kohlberg, From
Immiyya to Ithn-ashariyya, cit. in Bibl. a p. 849, sottolineando (p. 525 in n. 2) che il temine ithn-ashariyya
(duodecimano) fu probabilmente usato soltanto intorno al 1000, ci che mostra come sia stata lunga la
formazione dellortodossia shita, il cui primo mattone fu posto probabilmente al passaggio dallVIII al IX
secolo da Hishm b. al-Hakam al momento della delicata successione tra il 7 e l8 Imm, rifiutato dai Wqifiti
(cfr. supra, p. 811).
Al 7 Imm si erano fermati anche gli Ismailiti, dopo la contestata successione di Ms a Djafar as-
Sdiq (il loro 7 e ultimo era Muhammad, il figlio di Isml: gli Ismailiti tenevano fuori dal conto Al; cfr.
supra, p. 210 in n. 110) ed in effetti, a prescindere dai motivi reali delle divisioni, vi era stato un lungo dibattito
per giustificare ideologicamente le scelte. Ne parla Kohlberg per quanto riguarda le vicende dei sostenitori del 12
e dei suoi referenti sacri, mentre i Wqifiti erano evidentemente sostenitori della sacralit del 7 (Watt, Sidelights,
etc., cit. in Bibl. a p. 818) i cui referenti altrettanto sacri sono ricordati da M.M. Bar Asher, Deux traditions
htrodoxes, etc., cit in Bibl. a p. 817, p. 293 e p. 301 sgg.).
Va detto subito che la dottrina duodecimana raccoglie e ricompone temi che le preesistono e che non
sono soltanto suoi. La fondamentale teoria delloccultamento non era affatto nuova, al contrario, era stata la
dottrina di tante sette estremiste e gnostiche che lavevano invocata per Muhammad ibn al-Hanafiyya, per
Muhammad al-Bqir, per Djafar as-Sdiq e per Muhammad b. Isml; infine i Wqifiti che attendevano il
ritorno di Ms al-Kzim, e che molto valorizzarono la dottrina. Quindi anche la dottrina del ritorno (radja)
dellImm occultato era tuttaltro che nuova. LImm occultato infatti colui che dovr tornare come Mahd a
colmare il mondo di giustizia, e il mito del Mahd cos centrale nellIslam tutto, come si conviene a una fede
messianico/apocalittica, ch la storia delIslam costellata di sedicenti Mahd. Vero che soltanto nella Sha
egli una figura inviata dal cielo ed un articolo di fede, ma questa per lappunto una fede connessa a quella
delloccultamento, andata e ritorno da un luogo ultraterreno, epper da ci consegue che essa non soltanto
duodecimana, infatti riguarda tutti gli occultati di tutte le sette. In tutti i casi egli si identifica con il Qim (il
risorto) precisamente perch risorge dalloccultamento. Come abbiamo visto supra (p. 209; p. 213) egli
sidentifica inoltre, per gli Ismailiti, con il Resurrettore, colui che d luogo alla Grande Resurrezione (Qiyamt;
cfr. supra, p. 213 e passim)
evidente per che attorno a questa ipotesi gnostica si agitavano altri problemi: ribellione o
quietismo; ed singolare che gli eredi -e vincitori- della scelta, i Duodecimani, abbiano sfruttato, per avvalorare
la propria scelta, una dottrina degli eretici. Non necessario per pensare ad una calcolo opportunistico, che
difficilmente si sarebbe potuto affermare senza contestazione; da pensarsi piuttosto una comune storia e
dibattito interno degli shiti, ancorch con molti di contrasti, che soltanto in un preciso momento port alla
creazione di una ortodossia, e, per conseguenza, anche alla nascita storica delle eterodossie.
Anche la necessit della presenza, in ogni epoca, di un Imm che guidi la comunit con la retta
interpretazione della Legge, istanza antica: anche i Khridjiti, che rappresentano lopposto degli Shiti, hanno
un Imm, ancorch non scelto per via divina/dinastica, ma democraticamente e razionalmente per chiara
rettitudine, e non soltanto; infatti per loro non esisteva differenza tra arabi e mawl, fossanche negri: il loro
Islam era la religione del Corano, universalista e assolutamente egualitaria. Per gli Shiti viceversa lImm una
figura particolare in diretta comunicazione con lispirazione divina a causa della parentela con il Profeta, dunque
una figura che sa in materia di cose divine (ilm): almeno inizialmente (abbiamo per visto levoluzione
successiva della natura di questo sapere). La scelta dinastica degli Immiti, con la trasmissione della sapienza
nelle cose divine per il tramite di Al (e di Ftima: il figlio della Hanafita ne escluso) e la costruzione di una
1164
metafisica dellimmato una scelta gnostica che testimonia della comune storia con i campioni del ghuluww,
i quali mi sembrano esser divenuti tali, come ho gi ipotizzato, soltanto per aver pensato il rapporto con lo
Spirito fuori della linea dinastica alde/ftimide: in ogni caso il fenomeno invocato resta infatti il medesimo, la
possibilit di un punto di contatto tra lumano e il divino, ipotesi che porter necessariamente ad un incontro (e
anche scontro) con il sufismo, che avr un peso determinante per la storia mondana della Sha.
Dunque il cambiamento di rotta che avvenne al tempo dei quattro suffar, pi che ontologico, fu
molto politico: eliminando da un lato possibili consuetudini col divino e nuove sue irruzioni fuori della linea
alde/ftimide e relegando questultima a tempo indeterminato in luoghi imperscrutabili, i nuovi ortodossi
potevano porre la fede al riparo da eccessi chiliastici e antinomisti, e, per conseguenza e al tempo stesso, da
ogni possibile frammentazione che avesse fondamento nella dottrina. Al momento nel quale gli Immiti
iniziarono a consolidarsi come Duodecimani, tra la fine del IX secolo e i primi decenni del X, i Wqifiti, cos
minacciosi da aver tentato di insidiare la preminenza della continuit immita, iniziarono un rapido declino che li
port allirrilevanza (Buyukkara, cit. in Bibl. a p. 817).
Il risultato fu, come fa notare Arjomand, p. 57 sgg., che a partire dal X secolo vi fu non soltanto una
diffusione della Sha, ma anche un grande cambiamento della situazione sociale del movimento, anche prima
dellavvento dei Byidi alla met del secolo. I Byidi, che erano shiti zayditi, appoggiarono la comunit; il
teologo immita al-Mufd, sul quale avr occasione di tornare, ebbe il loro favore, e cos laltro grande teologo
immita, al-Murtad ( 1044) uno dei pi ricchi e importanti notabili di Baghdad, amico dei Byidi e dello
stesso Califfo. I notabili shiti erano in buoni rapporti anche con i Sunniti (p. 58); la cultura religiosa shita era
nelle loro mani e fu rimodellata in accordo con le loro idee di uomini aperti alla realt del mondo (p. 59) ci che
coincise con la progressiva valorizzazione di un sapere giuridico, come s gi detto.

Quando alla fine del IX secolo (899) an-Nawbakht scrisse il proprio resoconto sulle sette shite, e
subito dopo (905) fu seguito da Sad b. Abdallh al-Qumm, certo che furono utilizzati materiali preesistenti,
risalenti allinizio del secolo stesso. Secondo Kohlberg, Bemerkungen zur imamitische Firq-Literatur, cit. in
Bibl. a p. 817, il materiale doveva provenire loro da Hishm b. al-Hakam, da al-Warrq e da un altro autore
vissuto ai tempi di Al al-Rid, lottavo Imm, morto nell823. Hishm sembra aver formulato la dottrina
dellimpeccabilit dellImm (Van Ess, Theologie, etc., cit., I, 377) e la fondamentale dottrina della necessit
razionale dellesistenza di un Imm in ogni tempo, per indirizzare la comunit sulla retta via (ivi e p. 378). Egli
fu lautore di quel Kitb al-ikhtilf an-nas f l-imma (Libro sui dissensi delle persone riguardo allimmato)
citato anche da Madelung (Bemerkungen, p. 40). Sembra inoltre che si sia anche interessato allimportante
dottrina del nass (designazione) secondo la quale ogni Imm (divinamente guidato) designa la persona del futuro
Imm che gli succeder (Van Ess, p. 378). Questo un cardine della dottrina immita per delineare la retta linea
di discendenza a patto di usare le discendenza patrilineare; infatti, nota Van Ess, allinizio il legame elettivo con
il Profeta apparteneva agli Hshimiti in genere, poi si restrinse ai soli Aldi, infine ai soli Aldi/Ftimidi. Oltre a
ci, Hishm potrebbe anche essersi occupato della dottrina della radja, che per, abbiamo visto, era comune alle
varie sette shite.
Un parametro interessante sullevoluzione della Sha in generale viene dallo studio di H.J.
Kornrumpf, Untersuchungen zum Bild Als und des frhen Islams bei den Schiiten (Nach dem Na al-Balaa
des Sharf ar-Rad, Der Islam 45,1-2 e 3, 1969; lautore del Na al-Balagha era il fratello del citato Sharf al-
Murtad. Sin dallIntroduzione Kornrumpf sottolinea linizio tutto politico della Sha ai tempi di Al, e il fatto
che la Sha religiosa sembri emergere soltanto con il consolidamento degli Omeyyadi (circa 70 H.) per
delinearsi poi in modo netto soltanto con la morte del 4 Imm e la diffusione di innumerevoli sette. Kohlberg,
Some Imm sh views on the sahba, J.S.A.I., 5, 1984, p. 146, nota a sua volta che la tradizione di un
testamento del Profeta a favore di Al risale ai tempi di al-Mukhtr, cio al 7 decennio H. comunque
difficile rispondere alla domanda circa lo stabilirsi della Sha come comportamento religioso con propri tratti
caratteristici (Kornrumpf, Der Islam 1969, 1-2, p. 2) ma in questo periodo che si assiste alla divinizzazione
della figura dellImm, come abbiamo gi visto in Ordine celeste e disordini terreni descrivendo le dottrine delle
varie sette ribelli al tempo degli Omeyyadi e nei primi tempi del califfato abbside.
In questo periodo soltanto, dunque, si assiste alla costruzione agiografica della figura di Al (ivi, p. 7)
che Kornrumpf segue per molte pagine nei molteplici aspetti che ne fanno, poco a poco. una figura non soltanto
leggendaria ma, come diremmo in linguaggio corrente, ne disegnano il santino adorno di divine virt,
stabilendo anche i fondamenti del suo diritto. In nome di questo diritto da sottolineare la pratica invalsa
nella Sha dellVIII secolo, della maledizione dei primi tre Califfi (Kohlberg, Some Imm views, etc., cit., p.
147) e praticata dallo stesso quietista Muhammad al-Bqir in contrasto con il fratello Zayd; una pratica che
non soltanto accolta tra i capisaldi dellImmismo da Hishm b. al-Hakam, ma, come vedremo, sar in voga
nella Sha safavide: una pratica estremista poi abbandonata, ma che getta una qualche equivoca luce sul 5
Imm, assente dalla politica ma evidentemente non dallestremismo dottrinale.
Come ho detto in vari luoghi altrove, questi sviluppi gnostici mi sembrano la conseguenza della
sconfitta maturata al tempo dei Sufynidi, nella lotta tra il primitivo slancio rivoluzionario e il rappl lordre
operato dal vecchio establishment; in questo senso, pur essendo condivisibile quanto afferma Kornrumpf (ivi, p.
30) cio che quelle dottrine appaiono estranee allIslam del I secolo, ritengo che al loro fondo ve ne sia la
1165
conservazione dellimpulso originario, opinione che mi sembra non discostarsi sia da quella espressa tanto da
Capezzone (LIslam sciita) nelle pagine iniziali, sia da quella di Watt nella Premessa a Shiism, ciascuno a modo
suo: ritengo infatti che la gnosi sia il risultato dellistanza rivoluzionaria -ivi segnalata- frustrata e perci
ricondotta a maturare lideologia in una situazione quasi conventicolare. Il risultato dottrinale che ne emerse
consolidato e che fonda anche lImmismo duodecimano, che per gli Shiti limmato diviene non una
faccenda che riguarda linteresse generale, ma un principio fondamentale dellIslam, un pilastro della religione
(ivi, p. 58). Ricordo infatti che limmato importante anche per i Khridjiti, ma altra cosa e Kornrumpf lo
nota, e lo nota anche per gli Zayditi (p. 59).
Ho tuttavia le mie riserve su quanto egli afferma molto concisamente e recisamente in Der Islam
1969,3, p. 276, cio che il porsi della figura di Al come intermedia tra lumano e il divino sia il frutto di
influenze non islamiche. Senza tornare su quanto ho sottolineato in pi luoghi circa la difficolt di enucleare i
diversi apporti in una sintesi originale quale lIslam, delineatosi prima, e poi maturato dottrinalmente, in una
regione dalla variegata religiosit includente culture gnostiche e manichee, ricordo due articoli di Rubin, Pre-
existence and Light. Aspects of the Concept of Nr Muhammadi, I.O.S., 5, 1975; e Prophets and Progenitors in
the Early Sha Tradition, J.S.A.I., 1, 1979, che riconducono le concezioni sulla trasmissione dello Spirito
allinfluenza giudaica, che egli ritiene di riconoscere nel primo Islam (cfr. supra, p. 1048 sgg.).
Si veda anche, in questo testo alla nota 1 di p. 194 e a proposito della cultura dalla quale nasce lIslam,
quanto afferma Lory, per il quale la gnosi shita le connaturata; del resto ho sempre ricordato la complessit
delle presenze religiose nellArabia pre-islamica e che una sintesi originale non va confusa, a causa di questa sua
originalit, con una Minerva nata gi tutta armata dalla testa di Giove; perci lIslam originario, di per s
difficilmente definibile, non va confuso con la sua immagine retroproiettata in epoca successiva. Anticipando
un tema rilevante per la storia della Sha duodecimana, quello dei rapporti con il Sufismo, segnalo anche
lincipit dellarticolo di S.H. Nasr, Le shisme et le soufisme. Leurs relations principielles et historiques, cit. in
Bibl. a p. 769, contro coloro che negano che gli aspetti gnostici ed esoterici dellIslam siano da ricercarsi nella
religiosit del messaggio originario.
Per quanto riguarda poi la figura dellImm nellimmismo duodecimano, va certamente ricordato che
la costruzione filosofica (cosmologica, ontologica, teologica) della figura dellImm tipicamente ismailita, e
che in questo senso la Sha ortodossa ancorch su una sua diversa posizione, come notava R. Scarcia,
Leresia musulmana, etc., cit. in Bibl. a p. 851: la sua storicizzazione della fede, cio il suo essere impersonata
in alcune figure storiche, non diversa da quella sunnita; non c quindi, in questo, una differenza tra Shiti e
Sunniti: il saper divino dellImm shita, alla fine, si rifletter nel clero, che ne diviene depositario nella propria
collegialit cos come quello sunnita lo del sapere del Profeta.
Leresia tipicamente iranica poi tanto islamica che non vuol credere al dogma secondo il quale
la manifestazione di Dio dovrebbe chiudersi con Maometto. Scarcia elenca tante osservazioni di buonsenso,
almeno per coloro che non credono che lIslam originario e le sue pulsioni, le sue matrici culturali, siano da
identificarsi semplicemente nella sola (e tarda) Vulgata sunnita. Ad esempio, il volto sociale della eresia (p.
79); la reciproca permeabilit di shismo e sunnismo (p. 67); il fatto che in ogni caso il processo di
demitologizzazione e storicizzazione della religiosit ha portato alla sua politicizzazione (ivi) col risultato che
molte forme di eterodossia siano in realt niente pi che scuole divergenti in materia giuridica-costituzionale
(ivi) e che non si distinguano nemmeno nel metodo tecnico usato per ragionare. Aggiunge poi con ironia (p.
70) che difficile non trovare istanze contenutisticamente shite in qualunque musulmano si agiti, pensi e
faccia qualcosa di diverso dal pregare cinque volte al giorno.
A p. 72, Scarcia mette poi in guardia da concezioni (che troveremo in Lambton, infra) secondo le
quali la divinizzazione del dinasta e del principio dinastico siano un apporto persiano nella Sha (n.b.: safavide).
Significativo infine quanto afferma a p. 84: non c una vera Sha, che sia limmismo o il ghuluww; il
ghuluww (che come espressione di estremismo trasversale alle religioni, quindi raccoglie anche istanze extra-
islamiche) che si islamizza in Sha. Non posso che sentirmi daccordo su questa reciproca osmosi, e anche su
quanto egli afferma, che il ghuluww una forma universale di religiosit; qualche dubbio sullespressione usata,
cio che a causa di questa universalit esso possa considerarsi extra-islamico. Altrimenti non saprei come
definire lApocalitticismo che guida la prima espansione dellIslam e lattualissima sopravvivenza di esso,
testimoniata da D. Cook.
Una qualche forma di sunnizzazione sembrerebbe dunque segnare lapprodo finale della Sha
duodecimana al termine di un percorso che dobbiamo ancora esaminare; qui per ci stiamo ancora occupando
dei suoi primi passi, ed quindi di sostegno a quanto cerco di delineare larticolo di Moezzi, Notes sur deux
traditions htrodoxes immites, cit. in Bibl. a p. 818, che conclude sottolineando (p. 133) il carattere
originariamente esoterico, dunque omogeneo alla cosiddetta eterodossia, della dottrina immita duodecimana,
e lartificiosit della distinzione ortodossia/eterodossia per quanto concerne il periodo originario di formazione
della dottrina, perch soltanto nella seconda met del X secolo (notare: nellepoca byide) inizier ad affermarsi
la corrente teologico-giuridica razionale, cio quella che, ritornando a Scarcia, riconduce la Sha -dodici Imm
a parte, con gli ahdth a loro ricondotti a far da giurisprudenza- a una sunnizzazione della logica di fondo.
Questa lunghezza del processo di trasformazione, circa il quale non si deve ignorare il ruolo della
presenza byide che apr ben diverse prospettive allImmismo duodecimano e alla sua leadership in particolare,
1166
attestato dal fatto che non soltanto durante loccultamento minore, ma anche dopo il decisivo passo del
morente al Sammar, la comunit attravers un lungo periodo di incertezza dottrinale. Ne parla Arjomand, The
Crisis of the Imamate, etc., cit. in Bibl. a p.847. Arjomand ricorda il quietismo del 5 e 6 Imm, poi la struttura
clericale impostasi con il 7 e il suo ruolo nel Wqifismo, cui rispose decisamente lambito familiare, e
lenergica azione di controllo dell8 Imm, Al al-Rid, che riusc a chiudere lera del chiliasmo rivoluzionario
iniziata alla met dellVIII secolo (p. 496). Per inciso, ritengo si possa collegare tale esplosione in rapporto con
la delusione dei rivoluzionari anti-omeyyadi per la piega presa dal califfato abbside.
Arjomand sottolinea il grande apporto che venne alla Sha dallondata di conversioni tra i popoli
sottomessi, iniziata con gli Abbsidi, e ritiene che lesplosione del chiliasmo sia da collegarsi agli apporti
mazdakiti; un apporto che pu considerarsi presente, lo abbiamo visto, nelle rivolte iraniche, ma che, lo
abbiamo ricordato, pu anche essere il frutto della troppo generica equazione eresia/rivolta = Mazdakismo, che
imperversa nella storiografia islamica, quasi a negare che la radice delle istanze rivoluzionarie potesse trovarsi
nellIslam stesso.
Su questo punto utile ricordare Capezzone, LIslam sciita, p. 77 sgg., che imposta il problema delle
rivolte iraniche astenendosi dal clich delliranismo (cfr. supra, a p. 194, B. Scarcia Amoretti, testo cit. in Bibl.
a p. 745) e spiega la percezione degli eresiografi che parlano di permanenza del Mazdakismo a causa della
radice rurale delle rivolte, un argomento forte, se si considera quale fosse la base rivoluzionaria di Ab Muslim,
non sedata, come vedemmo a suo tempo, dalla uccisione del leader. Sulla natura di questa base, rurale, cfr. S.S.
Agha, Ab Muslims Conquest of Khurasan: Preliminaries and Strategy in a Confusing Passage of the Akhbr
al-Dawla al-Abbsiyyah, J.A.O.S., 120,3, 2000.
Importante al riguardo anche larticolo di M. Rekaya, Le urram-dn et les mouvements urramites
sous les Abbsides, S.I., 60, 1984, che una ricostruzione accurata dei moti rivoluzionari -dei quali sottolinea, a
p. 6, la matrice sociale- al tempo dei califfati omeyyade e abbside. La ricostruzione resa ancor pi chiara dal
grande stemma delle pp. 8-9, mentre a p. 10 viene sottolineato il ruolo del pregiudizio arabo nella riduzione
della pretesa genericamente hshimita allimmato (cfr. Madelung, The Hshimiyyt, etc., cit.) alla sola linea
alde/ftimide al tempo della rivolta di Ab Hshim, il figlio di Muhammad ibn al-Hanafiyya.
Larticolo di Rekaya importante per laccusa di mazdakismo rivolta alle ribellioni iraniche e
rivelatasi infondata: del resto certo che in esse erano presenti anche i discendenti dei conquistatori arabi (cfr.
anche Scarcia Amoretti in loc. cit.). Le tendenze rivoluzionarie erano ben presenti, in nome delleguaglianza,
anche nellIslam (e nel Cristianesimo, naturalmente, che nel nostro caso non va confuso con la Chiesa di Roma)
ed a partire dal contesto sociale, che si sviluppa, nei suoi pieni contorni, la figura del Mahd (p. 12). Il
ghuluww quindi, in quel periodo, sinonimo di Sha (p. 14) tant che esso esplode precisamente in contrasto
con il quietismo del 5 Imm e conduce allaffermazione (Mansriti, Muiriti, Bayniyya) che la Profezia non
finita con Maometto, e pu ripresentarsi in qualunque nuovo ispirato (p. 16): nella lotta contro la pretesa
legittimista degli Omeyyadi ciascuno si adopera per giustificare la propria legittimit.
Quanto ai Khurramiyyah (quelli dalla allegra religione: cfr. supra p. 110 in n. 7 e pp. 201-209; per
la definizione cfr. p. 207) che si ritengono dispensati dalla Sharah in conseguenza della propria gnosi
dellImm (p. 13) e che gli eresiologi vedono discendere dai Kaysniti (p. 15) sono essi coloro che danno corpo
alle continue rivolte contro gli Abbsidi dopo leliminazione di Ab Muslim e sino a Bbak (cfr. supra, pp. 201-
209; Rekaya p. 21). Rekaya d una lunga descrizione delle loro vicende, per non d una risposta alla domanda:
perch furono considerati mazdakiti dagli eresiologi? Certamente una risposta non scontata e forse non pu
essere univoca; per la descrizione della natura rurale delle rivolte, del loro emergere in zone montagnose e/o
periferiche e isolate, e lanaloga sociologia dei seguaci di Ab Muslim e di Mazdak, rinvia a un aspetto che gi
dovemmo considerare per i Pauliciani: il conflitto tra il centralismo e gli interessi (e le tradizioni) locali,
ideologizzato nella dissidenza religiosa. Ricordo per inciso, che il tanto ruolo delle istanze sociali, quanto quello
dei localismi, sono ampiamente ricordati dalla Scarcia Amoretti nella sua dettagliata rassegna (Die historische
Entwicklung der Sekten im Islam, cit. in Bibl. a p. 774).
A lato di questa evoluzione generale che porta da una Sha essenzialmente politica (quella di Al) a
quella dellVIII secolo, gnostica e rivoluzionaria attorno al 5 e 6 Imm e allapprodo duodecimano, corre la
storia del rapporto della Sha con il Corano di Uthmn. Modarressi, Early Debates, etc., cit. in Bibl. a p. 1016,
fa notare che Al non contestava affatto la redazione di Uthmn; le polemiche sono pi tarde, dellinizio
dellVIII secolo, non certo attorno allevanescente 4 Imm, e giungono al diapason attorno al 5 e 6 Imm.
Esse nascono perch il declino degli Omeyyadi non consente pi di ignorare il ruolo di Al (p. 17); si inizi
perci a parlare di un suo Corano.
La nozione di un testamento del Profeta a favore di Al inizi a circolare al tempo di al-Mukhtr
(7 decennio H.): cfr E. Kohlberg, Some Imm Sh Views on the Sahba, J.S.A.I., 5, 1984, p. 146. la vicenda
conobbe una vasta letteratura da entrambi i lati dello schieramento (sunnita e shita, Modarressi, pp. 22-23) ma,
mentre gli Imm mantenevano la loro critica entro limiti filologici (p. 30) diversa la posizione del ghuluww:
Van Ess, Das kitb al-ir, etc., cit., p. 35, ricorda che i Sabaiyya, cio con tutta verosimiglianza i Kaysniti,
accusavano i Sunniti di aver omesso ben nove decimi del Corano, cio che fossero esistite molte altre
recitazioni del Profeta a loro conoscenza. La polemica tra le parti continu a lungo, ma da notare che an-
Nawbakht non fa cenno ad una ipotetica falsificazione del Corano.
1167
Moezzi-Kohlberg, Remarques sur lhistoire, etc., cit. in Bibl. a p. 1016, con riferimento a questo
articolo di Modarressi, fanno notare che le polemiche shite sulla falsificazione del Corano, della cui interezza
sarebbe stato detentore Al che lo avrebbe trasmesso agli Imm, sono essenzialmente di epoca pre-byide (pp.
271-272) e che la vicenda rimase poi soltanto un tpos anti-shita negli eresiologi sunniti. Let byide infatti
(p. 272) segn la marginalizzazione della tradizione originale esoterica e su ci deve aver influito (p. 273)
larrivo degli shiti a posizioni di potere entro il califfato sunnita. I maggiori studiosi immiti presero dunque
posizione contro i loro predecessori (ivi) confermando la fedelt del Corano di Uthmn alla Rivelazione; questa
posizione rimase in seguito quella della Sha duodecimana (p. 274, sgg.). Gli stessi Moezzi e Kohlberg,
Rvelation et falsification. Introduction ldition du kitb al-Qirt dal-Sayyr, J.A., 293,2, 2005, avevano
gi espresso la medesima conclusione sopra riferita in virgolettato, sottolineando che i sapienti immiti,
soprattutto a Baghdad, avevano rotto con la tradizione originale, al fine di elaborare la nuova tendenza razionale
teologico-giuridica (p. 697).
Sulla difficolt, incertezze e oscillazioni, di questa elaborazione che si risolve soltanto con il grande
occultamento del 941, interessante seguire lo studio di Y. Marquet, Le isme au IXe sicle travers
lhistoire de Yaqb, Arabica, 19,1-2, 1972. Yaqb ( 897) scrive tra l891 e l892 una sua storia della Sha
che giunge sino all872, al tempo cio delloccultamento minore, quando la dottrina immita non era ancora
giunta a piena definizione; perci dal suo testo possiamo prendere direttamente coscienza di un momento ancora
fluido di questo processo.
La dottrina esoterica delleredit di Al gi presente, naturalmente sulla base di ahdth maturati ex-
post; sulle stesse fondamenta santificata la sua figura; Umar un falsificatore del Corano (p. 11) e Uthmn
accusato anche di abusi di potere (p. 12) ma nel complesso la dottrina della falsificazione del Corano resta
soltanto allusa (p. 16). Al dunque emerge anche eticamente come figura contrapposta a quelle dei primi tre
Califfi, e la dottrina shita emerge come logica conseguenza di questa contrapposizione. Cos argomenta
Marquet a p. 26, il quale tende anche a scorgere nel testo argomenti esoterici pre-ismailiti (p. 26 sgg.): del resto,
per quanto ci noto, siamo nei tempi della formazione dellIsmailismo (cfr. supra, p. 210).
Marquet torna sullargomento a p. 129 (Arabica, 19,2) ma le osservazioni pi incisive sono a p. 29.
Qui egli ipotizza un patrimonio dottrinale comune dal quale si sarebbero distaccati i filoni duodecimano e
ismailita, entrambi fondati sulla dottrina, formulata per primo da Hishm b. al-Hakam, della necessaria presenza
di un Imm in ogni momento della storia: con la differenza per che per gli Ismailiti doveva trattarsi di un Imm
vivente, mentre i Duodecimani iniziarono la via della ortodossia (cio della normalizzazione mondana)
spedendo il proprio Imm nel luogo inubicabile delloccultamento, in attesa di una imperscrutabile seconda
parusia. Lipotesi (che altro non ) di Marquet appare tuttavia interessante se si considera che lIsmailismo
compare improvvisamente alla luce della storia alla fine del IX secolo, pi di un secolo dopo la disputa sulla
successione al 6 Imm e la scelta di Isml e di suo figlio Muhammad come legittimi eredi da parte di alcuni,
scelta che fu poi quella degli Ismailiti.
Quanto lontana sia per ancora la definitiva soluzione duodecimana, lo si vede dal fatto che Yaqb
ha simpatie zaydite (p. 42; Arabica 19,2, p. 101 sgg.). Al contrario, egli non mostra simpatia per gli Imm
quietisti (pp. 132-135; sino al 9, perch la storia si ferma all872). Nota tuttavia Marquet (p. 105) che lassenza
dalla sua storia di Ab Hshim e la considerazione che egli ha per Ibn Abbs (p. 113) lasciano pensare che
Yaqb ritenga gli Abbsidi legittimi eredi di Muhammmad ibn al-Hanafiyya (si ricordi la vicenda del
testamento di Ab Hshim). Tuttavia egli non manca di metterne in rilievo la crudelt, e perci ritiene che il loro
shismo sia unimpostura (p. 123 sgg.): il che ci riporta a quanto si notato pi volte, la frustrazione di chi
sperava nel cambiamento dopo la cacciata degli Omeyyadi, e fu poi duramente deluso dallimmediato tradimento
della rivoluzione da parte degli Abbsidi: essi sono i traditori della Sha (p. 130).

Su questa legittima eredit vantata dagli Abbsidi pu essere interessante aprire una breve parentesi.
M. Sharon, Black Banners from the East, Jerusalem, The Magnes Press - Leiden, E.J. Brill, 1983, ha messo in
luce lorigine alde, nei seguaci di al-Mukhtr che si ribellarono in nome di Muhammad ibn al-Hanafiyya e del
figlio di lui Ab Hshim, del movimento rivoluzionario che, proseguito dai kaysniti (cfr. supra, pp. 199-204)
port infine al potere gli Abbsidi. In particolare egli ha dato rilievo al rapporto di collaborazione tra
Muhammad ibn al-Hanafiyya -considerato anche come Imm- e Abdallh ibn al-Abbs, proseguito attraverso i
rispettivi successori, Ab Hshim, figlio del primo, e Muhammad b. Al b. Abdallh, figlio del figlio del
secondo. Questo legame, che delinea una Sha rivoluzionaria genericamente hshimita, cio riferita al Ban
Hshim, e che vede la leadership dello alde prima, dello abbside poi, evidenzia anche una natura tutta politica
della Sha iniziale. Sharon previlegia molto questa linea, nella quale inserisce poi Zayd b. Al, il fratello del 5
Imm, e il di lui figlio Yahy (cfr. supra, p. 200 e p. 205) rispetto a quella, pi evanescente nella sua
ricostruzione, che sar poi quella duodecimana.
In questo ambito nacquero miti come quello delloccultamento di Muhammad ibn al-Hanafiyya, come
esigenza ideologica in assenza di un leader legittimo: ci che mostra ancora una volta la scarsa rilevanza politica
del 4 Imm duodecimano. Nel complesso dunque, il movimento abbside raccolse, nelle persone e nelle idee
che ne furono protagonisti, leredit di una tensione rivoluzionaria per il ritorno allIslam originario. La
ribellione di al-Mukhtr, cui forse Muhammmad ibn al-Hanafiyya non fu cos estraneo come si volle far credere,
1168
aveva al proprio interno i leaders dei qurr e un radicamento in problemi di eguaglianza sociale (cfr. Sharon, pp.
105-113). La presa di potere abbside, dopo il rifiuto opposto dal 6 Imm allofferta del Califfato da parte di
Ab Salama, fu precisamente il tradimento di tutto ci; da cui la delusione e le convulsioni che seguirono nella
regione iranica, che era stata la matrice della rivoluzione condotta da Ab Muslim (cfr. supra, pp. 205-208).

Tornando a Marquet, egli conclude infine (p. 137) che il testo di Yaqb mostra che al tempo in cui
fu scritto limmismo era ancora aperto a tre diverse soluzioni: necessit di un Imm vivente (Ismailiti);
occultamento dellImm (Duodecimani); abbandono del legittimismo stretto, come avevano gi fatto gli Zayditi.
Siamo certamente di fronte ad una interpretazione; ci non toglie per che essa sia significativa degli incerti esiti
di un percorso ancora verso la fine del IX secolo: oltre a mostrare quanto vera di comune alla radice di scelte
che percorreranno ciascuna la propria strada.
Dubbi e incertezze, come abbiamo visto, non erano mancati lungo quel percorso: e su questo bene
insistere per almeno due ordini di ragioni. Il primo riguarda il tema generale della formazione delle ortodossie, a
partire da galassie di interpretazioni del messaggio, tutte con valido fondamento ma non tutte destinate a
sopravvivere, e ci per motivi di ordine politico: salvo ripresentarsi in nuova forma come distacco dalle
ortodossie per motivi di ordine sociale. Il secondo riguarda il ruolo del sapere esoterico che non estraneo
allIslam, ancorch messo al margine del Sunnismo e sottaciuto nella Sha duodecimana, dove per sussiste,
originario, non riguarda soltanto il ghuluww, e seguita a provocare sussulti ereticali. In questordine di ragioni
rientra anche il rapporto tormentato ma patente tra Sufismo e Shismo, tanto che le confraternite sf saranno
fondamentali per giungere alla formazione dello Stato safavide, che far dellIran un paese shita duodecimano.
Iniziamo con tre contributi di Moezzi che vanno sotto il titolo generale di Aspects de lImamologie
duodcimane (I, II e V, cit. in Bibl. rispettivamente a p. 817, 818 e 850). In Aspects, etc., I e V, Moezzi sottolinea
quanto stiamo esaminando da alcune pagine, il percorso comune di ghuluww e immismo che trova riscontro
nella dottrina adottata alla fine dai Duodecimani, conseguenziale ad una impostazione esoterica dellImmato,
ad iniziare dalla figura dellImm che linsn al-kmil: non il Dio umanizzato ma luomo divinizzato, secondo
una cultura che ho trattato non soltanto a proposito dellIsmailismo, in Ordine celeste e disordini terreni, ma
anche specificamente, e con riferimento alla sua genesi dottrinale, nel 2 capitolo di Dopo e a lato (Aspects, I, p.
193 sgg.). Moezzi sottolinea (ivi, p. 198) il recupero, nella dottrina duodecimana, di tradizioni esoteriche e non
razionali, originarie di correnti come quella kaysnita, ismailita e wqifita, sicch artificiale la distinzione tra
Sha moderata ed estremista operata dagli eresiologi (ivi, p. 206). Moezzi conclude (p. 215) con le
esternazioni apocrife attribuite ad Al, che risalgono alla fine del IX secolo, che i moderati attribuiscono agli
estremisti, e che sono di fatto preannunciate nel corpus duodecimano antico di tradizioni.
Questo aspetto ribadito in Aspects V, pp. 252-253 con riferimento al IX-X secolo (quindi anche a
fondatori della dottrina duodecimana come Kulayn, 940/941, e Ibn Bbya, 991. Dopo aver citato le
conoscenze gnostiche e i poteri magici attribuiti agli Imm (ivi, p. 257) ne elenca gli specifici aspetti
miracolosi desunti da questa letteratura (pp. 259-262) e sottolinea gli innegabili rapporti di molti leaders
estremisti con gli Imm (pp. 266-267) ai quali il comportamento quietista non sembra aver vietato la creazione di
una corte di discepoli poco raccomandabili per una ortodossia che si rispetti; e poich lantinomismo non fa parte
del corpus immita, Moezzi si domanda (pp. 268-269) se esso non sia frutto di uninvenzione degli eresiografi:
evidentemente per prendere le distanze -aggiungo io come tentata spiegazione- dai rivoluzionari. In tal modo
infatti, un contrasto politico si trasforma in condanna religiosa: lo abbiamo visto con leresiografia cristiana.
Molto significativo poi, quanto afferma alle pp. 270-271, nel testo e in n. 96 (dove si richiama al suo
Le guide divin, etc., cit. in Bibl. a p. 768): la distinzione tra moderati ed estremisti artificiale, e il corpus
ortodosso/moderato contiene quasi tutte le dottrine estremiste, con ci confermando quanto abbiamo visto supra,
cio che, come abbiamo pi volte notato che il 5 e il 6 Imm furono costretti a mantenersi in posizione
equivoca tra quietismo politico e frequentazione di estremismo gnostico (p. 272).
Moezzi sottolinea infine (p. 273) che la stretta sorveglianza abbside sugli Imm a partire dall8
provoc un progressivo distacco tra essi e i dottori dello Shismo, veri leaders locali, sinch, con loccultazione,
la Sha sar diretta dai quattro suffar e alla met del X secolo la corrente teologico-giuridica razionale che
domina sino ai nostri giorni, metter nellangolo le correnti esoteriche. Tuttavia (p. 277) il perpetuarsi delle
tradizioni primitive risorger in Iran: ma di ci vedremo pi ampiamente in seguito.
Aspects II tratta a sua volta le incertezze e le difficolt degli immiti durante loccultamento minore
per quanto concerne lo status del 12 Imm e leventualit che potesse aver avuto a sua volta una discendenza: in
effetti non era affatto scontato il passaggio, che ci fu, tra Immismo e Sha duodecimana (p. 119). Non per nulla
larticolo dedicato alla tipologia dei possibili incontri con lImm occultato, che contemplava anche lipotesi
di una possibile discendenza occulta (p. 117) presa in considerazione dallo stesso an-Nawbakht. Quanto alla
razionalit del doppio occultamento, si dovr attendere al-Mufd ( 1022) e al-Sharf al-Murtad ( 1044) per
formularne la dimostrazione (p. 117 in n. 31). Del resto la medesima dottrina era stata formulata dai Wqifiti
dell11 Imm (p. 118 in n. 32). Le scissioni che vi furono alla morte di questo Imm generarono inoltre una
quantit di sette il cui numero pu essere valutato tra 11 e 15 (descritte da Hussein, cit.); di qui anche la necessit
di attribuire un figlio ad Hasan al-Askar (p. 121) come faranno i fondatori della dottrina duodecimana
insistendo sul valore del numero 12, facendo di quel figlio il futuro Mahd al-Qim.
1169
La storia dellevoluzione dellImmato Alde dopo il 6 Imm raccontata da Arjomand, Crisis of
the Imamate, etc., cit. in Bibl. a p. 847. Arjomand sottolinea gli equivoci rapporti del 6 Imm con lestremismo
religioso, e il fatto che Ms al-Kzim dovette adoperarsi per controllare loperato dei propri agenti (p. 494).
Con la morte dell8 Imm, lultimo che ebbe un prestigio, inizi una crisi dellImmato (p. 496) nel quale, tra
laltro, la trasmissione patrilineare non fu mai sicuramente vincente sul piano dottrinale (p. 497). La forza dei
movimenti chiliastici si era inoltre accresciuta per la grande diffusione dello Shismo nella masse neo-
mazdakite iraniche in epoca abbside; sulle ragioni di questa espansione Arjomand non si diffonde, ma sembra
possibile che lesoterismo della dottrina abbia consentito una maggior attrattiva della Sha verso popoli di
diversa tradizione religiosa: ci potrebbe essere a mio avviso anche possibile, perch lesoterismo tende alla
trasversalit religiosa.
La crisi fu comunque definitiva con la morte dell11 Imm, figura pi mondana che religiosa, di
dubbia moralit (p. 501) e, per giunta, verosimilmente senza figli, tanto che in un primo momento leredit and
al fratello Djafar (p. 502). Segu una situazione di frammentazione della Sha e di neo-Wqifismo, e nel
generale chiliasmo emerse il famoso al-Hallj che si dichiar Bb sfidando cos Ab Sahl an-Nawbakht, del
quale abbiamo visto lenergica risposta.
Il resto della vicenda lo abbiamo gi visto, ma si pu seguire in dettagli in un altro articolo di
Arjomand, Imm absconditus, etc., cit. in Bibl. a p. 847, che prende avvio dal neo-Wqifismo generatosi attorno
alla morte dell11 Imm mentre cera anche si schierava attorno al fratello del defunto, Djafar. Il tentativo di
successione fu impedito dal 1 Safr, Uthmn b. Sad al-Amr (il venditore di grasso alimentare) e questo fu
davvero il primo passo per poter unire in seguito il 12 -con tutta la sua valenza simbolica- al nome di un Imm
occultato: il quale, oltretutto, difficilmente avrebbe potuto essere Hasan, sicuramente morto: perci inizi a
circolare la voce che egli avesse lasciato un figlio di quattro anni.
Inizi anche la politica di scomunica verso chi si proclamava suo Bb, e il figlio di Uthmn,
Muhammad, il 2 Safr che ricopr lincarico per circa quattro decenni, ebbe perci a scomunicare un
personaggio sul quale dovremo tornare, Nusayr al-Numayr, dal quale prese il nome il Nusayrismo.
Naturalmente i decreti giungevano al Safr per vie misteriose dallImm occultato: Arjomand ne riporta uno alle
pp. 3-4, che include anche la condanna dei sostenitori di Djafar, che aveva un buon seguito. La nascita di questa
teologia delloccultamento avvenne tra molte incertezze, e periodi di comunicazione con lImm occultato si
alternarono a periodi di suo imperscrutabile silenzio: in particolare i primi 20 anni dopo l874 non videro alcuna
comunicazione da parte sua.
Importante per il successo della nascente linea fu comunque la conversione di un personaggio di
spicco, il dissidente Muhammad b. Al b. Mahzyr al-Ahwar, collettore di fondi per la comunit shita, che
nell893 riconobbe lautorit del 2 Safr. Questo suo cambiamento di posizione fu importante perch egli era
stato, sino a quel momento, sostenitore di gruppi chiliastici; ora, viceversa, egli accettava che lassenza
dellImm fosse supplita da una nascente gerarchia clericale.
Nello stesso periodo, lultimo decennio del IX secolo, ebbe luogo la razionalizzazione della dottrina
delloccultamento come evento necessario, ad opera di un ex-mutazilita convertito allImmismo (p. 7) anche se
si tratt di una razionalit davvero sui generis: certo che un Imm sempre necessario, perch Dio non pu
abbandonare allerrore la Sua comunit; lImm pu per essere assente da questo mondo come lo stata la
Profezia tra un Profeta e laltro; ci dimostra che loccultamento fa parte del piano divino. Fu allora che si
inizi a parlare del presunto figlio di Hasan, Muhammad, e di una schiava che lo avrebbe partorito, e fu lui il 12
Imm e lImm occultato. I Duodecimani fecero cos uso, in nuova veste, della dottrina dei propri avversari, i
Wqifiti. Peraltro questa razionale dimostrazione era tale che lo stesso Ab Sahl an-Nawbakht (lui s, davvero
razionale sul piano politico) ebbe un momento di dubbio e dichiar morto il presunto figlio di Hasan (p. 10).
Largomento, cos si conclude larticolo di Arjomand (p. 13) pass col tempo in secondo piano, e la dottrina
delloccultamento riusc a rendersi indipendente dalle certezze sul figlio di Hasan (cfr. infra).
Il problema non poteva dunque essere risolto facilmente, rest aperto molto a lungo e si pu seguire
nel testo di Moezzi, Le guide divin, etc., cit. in Bibl. a p. 768, alle pp. 243 sgg.; ma la necessit dellesistenza
dellImm, come anche la limitazione a 12 del numero degli Imm, restano comunque fondate su argomenti
esoterici di varia natura (per quanto riguarda il 12 su speculazioni numerologiche, cfr. p. 261) e su una serie di
ahdth creati ex-post. Laspetto per noi pi significativo che comunque tutte le argomentazioni dei
Duodecimani gemmano dalla tradizionale gnosi del ghuluww e dellIsmailismo, confermando lipotesi di
Marquet di un lungo percorso comune prima delle reciproche prese di distanza che si concretizzarono con la fine
del IX secolo: nascita dellIsmailismo e distacco dellImmismo dal ghuluww con la progressiva formazione
della Sha duodecimana il cui problema (politico) fu, come ha notato Arjomand (The Crisis, etc., p. 509)
separare il tema delloccultamento dallattesa chiliastica.
Molto interessanti sono quindi gli schemi che produce Moezzi alle pp. 45 e 46 riferiti agli argomenti
introdotti a p. 39 sgg., nei quali si nota il processo di progressiva razionalizzazione attraverso il progressivo
abbandono di molte delle argomentazioni esoteriche del passato che, in particolare per quanto riguarda quelle
relative alla preesistenza dellImm in un mondo archetipo luminoso, non soltanto erano le stesse sostenute in
seguito dai Nusayriti, nati dal wqifismo attorno all11 Imm, ma delineano unontologia e una cosmogonia

1170
neoplatoniche (preesistenza di un mondo archetipo immateriale) analoghe a quelle che fondano la dottrina
ismailita.
Lo sforzo razionalista, nota Moezzi (p. 40), inizia con la met del X secolo e prende il sopravvento
soltanto con al-Mufd ( 1022). Vi , in questo processo, un percorso che indica, dopo lopera di al-Kulayn (
940/941) quella di Ibn Bbya ( 991) quella di al-Mufd ( 1022) quella di al-Sharf al-Murtad ( 1044) e
quella di Ab Djafar Shaykh at-Ts ( 1067) che sono, per lappunto, i razionalizzatori inseriti negli schemi
sopra citati di p. 45 e p. 46.
Prima di giungere ad una teoria coerente fu comunque necessario far chiarezza allinterno degli stessi
Duodecimani. J.M. Hussain, cit. (utile per seguire lintera vicenda tra l874 e il 941 pur considerandone lottica,
che quella di uno shita) nel terzo capitolo della sua ricerca, dopo aver elencato le scelte alternative (Wqifiti
dell11 Imm, Djafariti, sostenitori settimiani del Mahd Muhammad b. Isml) elenca anche le divergenze tra
gli stessi Duodecimani sul tema del presunto figlio dell11 Imm (persino sul suo possibile nome,
dottrinalmente non indifferente, Muhammad o Al) che originarono, soltanto loro, ben sei diverse fazioni.
Tornando al processo di razionalizzazione, faccio ora riferimento allarticolo di A. Sachedina, A
Treatise on the Occultation of the Twelfth Immite Imm, S.I., 48, 1978, nel quale si afferma (p. 110) che per
comprendere levoluzione dottrinale che ebbe luogo con loccultamento, necessario riferirsi ai trattati dei
devoti religiosi, alquanto trascurati dagli accademici. Si potrebbe cos notare come ci che allinizio costituiva
una fede ingenua, divenne col tempo una speculazione dogmatica (p. 111).
Sachedina fa poi riferimento alla dottrina delloccultamento formulata da Ibn Bbya in un momento
nel quale i Duodecimani erano attaccati sia dagli Zayditi che dagli Ismailiti (pp. 112-113). Ibn Bbya era un
tradizionista, perci, partendo dal Corano e dalla pretesa successione di Al nella conoscenza delle cose divine,
deduce sia la necessit di un Imm, sia la necessit che egli provenga dalla famiglia del Profeta nelle persone dei
discendenti di Al e di Ftima.
Al-Mufd svilupp poi la dottrina della necessit dellImm (cfr. D. Sourdel, LImamisme vu par le
Cheikh al-Mufd, R.E.I., 40,2, 1972) non senza aver precisato prima le ragioni della dottrina duodecimana nei
confronti di quelle delle altre sette shite, mostrandone la logica a partire da una tradizione relativa alla
designazione iniziale dei primi 4 Imm da parte del Profeta. Un altro tratto distintivo della sua dottrina la
presenza permanente dellImm (le altre sette ritengono che tale presenza possa interrompersi) e il motivo,
fondamentale, che il Corano stesso prevede la necessit di ricorrere alla conoscenza profetica per risolvere i
dubbi interpretativi. Il Corano, infatti, non pu (non deve) essere interpretato, e poich la comunit non pu
essere abbandonata da Dio nellerrore, ci deve essere un Imm che, grazie alla sua scienza direttamente ispirata
da Dio, possa guidarla lungo la via della Volont divina: questo Imm si configura infatti come successore del
Profeta (pp. 226-227). LImm tale sia per scelta divina che per qualit (p. 229); in tal modo vengono
conciliate la tesi gnostica di una trasmigrazione e reincarnazione dello Spirito (nel caso alde per via
genetica), sia quella filosofica, della quale ci siamo occupati parlando delle vicissitudini dellIntelletto Agente
(Dopo e a lato, cap. 2).
Se questa mia insistenza su temi che implicano una gnosi dovesse sembrare eccessiva a chi pensa
lIslam in chiave sunnita, debbo precisare che essa non casuale, perch motivata da almeno due ragioni. La
prima mostrare quanto connessa sia la scelta duodecimana ad una comune origine con il cosiddetto estremismo
(ghuluww) dal quale si distacc per scelta politica, accentuando poi questo suo carattere nel corso del tempo
attraverso un processo di razionalizzazione, assai precario, del necessario fondamento esoterico ubicato nel
mondo delle essenze, sul quale si tende a sorvolare. La seconda individuare in questa natura del processo la
ragione del riproporsi della gnosi sotto forma di distacchi neo-ereticali dal corpo duodecimano.
Tutto ci conduce a quanto gi constatato, il carattere intrinsecamente rivoluzionario della Sha, che
si invera paradossalmente nella secolarizzazione della politica operata dai Duodecimani, grazie al rinvio della
realizzazione del mondo di giustizia ad una decisione di discesa in campo del Mahd assolutamente
imperscrutabile. In tale modo apparentemente paradossale, la Sha -duodecimana o non- mantiene vivo il
messianismo che consustanziale alle origini e alle ragioni dellIslam. Con il distacco dottrinale (la storia,
poi, si sa, sempre e per tutti gli uomini una storia di compromessi) della religione dalla politica, si evita di fatto
una compromissione della religione con la politica, lasciando s, a questultima, via libera in questo mondo, ma
erigendosi al tempo stesso a suo giudice da un luogo altro. Ci consentir poi, storicamente, alla Chiesa
shita di porsi, alternativamente nelle diverse situazioni o contemporaneamente nelle sue diverse fazioni, come
custodia o come contestazione dei contingenti, storici poteri politici che si succederanno.
Tornando a monte di questa digressione ritengo perci poco interessante, ai fini dellindagine in corso
chiaramente espressi nel suo titolo, soffermarmi sugli aspetti teorici delle razionalizzazioni messe in atto, ai quali
dedico soltanto alcuni altri cenni, mentre ritorner tra poco sulla loro successione, che mostra un processo
decisamente orientato. I cenni riguardano il problema della ghayba, antico tema gnostico,
messianico/apocalittico degli estremisti, che nella dottrina duodecimana viene razionalizzato ricorrendo alla
necessit di dissimulare identit e localizzazione dellImm in un mondo nel quale trionfa lingiustizia ed egli
sarebbe quindi in percolo. Il tema pienamente dispiegato nella Rislat al-ghaybah di al-Murtad tradotta da
Sachedina (A Treatise, etc., cit.) nella quale, dopo aver dimostrato la necessit razionale di un Imm in ogni

1171
tempo e della sua infallibilit, al-Murtad afferma la razionale necessit delloccultamento in conseguenza della
malvagit del mondo; quindi non c differenza razionale neppure tra occultamento minore e maggiore.
Queste motivazioni sono peraltro quelle sempre invocate dai Duodecimani prima e dopo al-Murtad
(cfr. Moezzi, p. 277 nel testo e in n. 611; Moezzi sottolinea anche, a p. 277 e in n. 613, il significato del distacco
e lindipendenza che si gener cos tra religione e politica). A ci si aggiunge un ulteriore motivo razionale la
messa alla prova dei fedeli (Moezzi, p. 278) ed una motivazione occulta (ivi, pp. 278-279) che sar rivelata
soltanto al manifestarsi del Mahd. Si noti, al riguardo, lidentica scansione del tempo apocalittico che abbiamo
gi visto nelle eresie cristiane ed ebraiche (Sabbatianismo e Qabbalah di Isaac Luria, cfr. il capitolo Un lungo
viaggio dalla Provenza a Parigi): la venuta del Mahd sar preannunciata dal dilagare del Male sulla terra
(Moezzi, p. 283).
Unordinata e completa esposizione del maturare della dottrina duodecimana sullarco dei 120 anni
che corrono tra al-Kulayn e Ab Djafar at-Ts si trova infine in S.A. Arjomand, The Consolation of Theology,
etc., cit. in Bibl. a p. 847, che utile seguire con un certo dettaglio per mettere a fuoco largomento.
Arjomand prende lavvio dalla situazione della Sha nel IX secolo, e dalle considerazioni
sullestremismo, avendo per riferimenti bibliografici una serie di autori e di articoli in gran parte utilizzati nei
precedenti capitoli e Appendici di questo testo dedicati allevoluzione della Sha (Tucker, Hodgson, Moezzi,
Wasserstrom). Secondo Arjomand (p. 550) la diffusione del chiliasmo nella Sha -che il 6 Imm tent di
disciplinare e il 7 mise sotto controllo- fu dovuta allafflusso in essa dei gruppi neo-mazdakiti che avevano
costituito il seguito insurrezionale di Ab Muslim, ipotesi che segna, a mio avviso, un ritorno allideologia degli
eresiologi che circoscrivono leresia come forma di infiltrazione dallesterno nella retta opinione. Per quanto
concerne il presente studio, e senza sottovalutare linvocato aspetto neo-mazdakita, penso tuttavia di aver gi
segnalato quanto di arabo vi sia nella gnosi shita. Ci posto egli tratta il problema che qui cinteressa a
partire da Muhammad b. Yakb al-Kulayn, che visse tutto loccultamento minore e che affront il problema
con ingenuit teologica e innocenza filosofica (p. 551) sulla base di un devoto tradizionalismo (ivi) e tuttavia
con una certa coerenza.
Dopo di lui vennero Al ibn Bbya, un dotto e ricco mercante (Arjomand, lo abbiamo gi visto,
sempre attento alla componente sociale) che raccolse tra laltro in tutte le tradizioni, anche non islamiche, il
ricorrere del simbolico numero 12. Qui Arjomand inserisce un intermezzo che ometto per averne gi trattato, le
connessioni tra lattivit del notabilato shita, il freno allestremismo posto in essere dei suffar, e le decisioni
assunte nel periodo delloccultamento minore. Ibn Bbya visse nellepoca byide e fu il primo vero teologo; tra
laltro egli fu il primo a compiere un passo fondamentale, laccettazione del Corano di Uthmn (p. 554). Egli
riprese tesi di Nawbakht -che peraltro non conosceva- dando la prima spiegazione teologica delloccultamento:
il legame tra il Profeta e la comunit non pu interrompersi, e lassenza del Profeta, cos come linaccessibilit di
Dio, giustificano il legame della comunit con un Imm occultato, che necessario, perch Maometto stato
lultimo dei Profeti e un infallibile deve pur esserci per guidare la comunit sulla retta via (pp. 555-556).
Mi permetto di notare che in tal modo viene reintrodotto per via teologica e in forma razionalizzata ,
nomocentrica e non chiliastica, il concetto di ripetitivit della Profezia, trasformato in continuit della
Rivelazione: se luomo non pu vivere senza una Legge divina, e se la ragione umana non pu comprendere le
motivazioni di quella divina, allora necessario che Dio spieghi ad ogni nuova circostanza il senso della propria
Volont, tramite un proprio prescelto. Viene cos regolamentata la necessit del contatto col divino che il
chiliasmo (rivoluzionario) cerca in un leader carismatico e il sf nella via mistica individuale: e se la mistica, lo
abbiamo gi visto, non che lapprodo obbligato della pretesa razionalista, la regolamentazione del rapporto col
divino rappresenta laffidamento al clero della gestione del mistero. Questa loperazione di una classe
dirigente.
La teologia di Ibn Bbya, prosegue Arjomand, sostenuta su una massiccia compilazione di
tradizioni, notizie e attestati sulloccultazione dei profeti, a partire da Abramo sino a Ges, tutti prove di Dio;
ma anche su monaci, sovrani, e su personaggi biblici particolarmente longevi, necessari per rendere plausibile
lormai ragguardevole et del presunto figlio di Hasan (p. 557). A queste tradizioni aggiunse quelle shite
sulloccultamento del Qim. Sotto la protezione dei Byidi egli si adoper cos ad organizzare la Sha in
competizione con le altre religioni, in particolare con lIsmailismo che si presentava come dottrina rivoluzionaria
(p. 558).
Circa negli anni della sua morte, alla fine del X secolo, i Byidi fondarono una grande biblioteca
shita a Baghdad, nel cui ambito oper al-Mufd, che era stato discepolo di un discepolo di Ab Sahl an-
Nawbakht, e fu maestro di Sharf al-Murtad, a sua volta figlio, come suo fratello al-Rad, di Ab Ahmad
Husayn ibn Ms, discendente di Ms al-Kzim, che nel 965 aveva avuto lincarico di riorganizzare la
comunit alde; Sharf al-Murtad fu a sua volta il maestro di Shaykh at-Ts. Questo per far comprendere le
strette connessioni esistenti nella classe dirigente che traghett la Sha verso lopzione duodecimana: tutti
uomini di mondo che vissero il secolo byide descritto dalla Kraemer (cfr. supra, p. 1114) cui fa riferimento
anche Arjomand (p. 559).
Al-Mufd, figura eminente nellambiente intellettuale di Baghdad, succedette al padre nella carica di
consigliere degli Aldi, inizi la sistematica eliminazione del chiliasmo dalla Sha (p. 560) e, rendendo il
Qim, inteso gi a partire dal 6, 7, 8 e 11 Imm come restauratore della causa shita, sinonimo
1172
dellImm, tolse alla figura i connotati apocalittici, pur mantenendo il significato apocalittico delloccultamento.
In altre parole: lattesa apocalittica rimane, ma non nella disponibilit degli uomini.
La prova razionale della necessaria esistenza dellImm rese non necessarie le prove tradizionali,
di natura esoterica, e tuttavia un vistoso limite a questa razionalit rimase nella concezione dellImm come
persona fisica (p. 561); e alle obbiezioni su come si potesse crederlo, faceva notare la necessit razionale di un
infallibile e linesistenza di un infallibile sulla terra: ergo, lImm doveva essere in occultamento. Il suo
razionalismo giungeva infine al punto di fargli ritenere, come i Mutaziliti, che Dio fosse obbligato a prendersi
cura degli uomini: come tutti i razionalisti in materia di fede giungeva cos a coartare la Volont di Dio e la Sua
Libert: esattamente ci che accadeva ai filosofi e che aveva suscitato la critica di al-Ghazl. Lultimo trattato di
al-Mufd fu comunque molto importante: negando che lImm dovesse essere visibile, egli ne delegava lazione
in terra a un corpo clericale demandato in sua vece alla guida della comunit, distanziando definitivamente
loccultamento dallapocalissi.
La prima met del secolo XI vide lo sviluppo della giurisprudenza shita del quale, oltre ad al-Mufd,
furono protagonisti, al-Murtad e at-Ts (p. 563). Anche al-Murtad sostenne la necessit di un infallibile per
preservare la comunit dallerrore (p. 564) e il suo occultamento sta oltretutto a testimoniare lobbligo della
responsabilit etica per i credenti. Due anni prima dellarrivo dei Selgiukidi, sunniti, e dellincendio della
biblioteca shita, at-Ts scrisse il proprio trattato sulloccultamento nel quale sosteneva che sapendo che
occultato colui la cui infallibilit certa, non abbiamo necessit di cercare prove circa la sua nascita e le ragioni
del suo occultamento. In altre parole, loccultamento va accettato come conseguenza di una scelta di chi
necessariamente infallibile, e la necessit di un infallibile esime da testimonianze sulla nascita e let del figlio di
Hasan. Una logica sorprendentemente circolare.
La teologia delloccultamento di at-Ts si fonda dunque su tre princpi: la necessit di una guida, la
certezza della sua infallibilit, e il principio che la verit non pu abbandonare la Ummah: Dio ha lobbligo di
dare un Imm, perch non deve impedire il giusto comportamento: ma se lImm si occulta non per colpa di
Dio, colpa degli uomini che ve lo hanno costretto con la loro malvagit (p. 566). Cos lImm, da figura
chiliastica, diviene figura teologica, e la teoria dellImmato inserita in una teologia nomocratica, cio che
pone al vertice la Legge (p. 567): si compie cos la grande trasformazione della Sha.
H. Laoust, La critique du sunnisme dans la doctrine dal-Hill, R.E.I., 34, 1966, pp. 59-60, nota che
lImmismo, ancorch non riducibile a mera dottrina politica, anche un sistema politico (corsivo mio). Lo
perch pone le distanze tra dettato divino e razionalit umana su un piano che comporta anche lindipendenza -e
inconciliabilit di fondo, a parte i provvisori periodi di tregua- di religione e politica. Al-Hill sostiene infatti la
dottrina shita dellImmato negando la possibile legittimit di una designazione umana (p. 37) e, per
conseguenza sul piano giuridico, della ijm intesa nel modo sunnita, e, per le stesse ragioni, del ray e del qiys
(ivi). Soltanto lImm, per il suo rapporto col divino, pu essere interprete della volont di Dio.
Per inciso questo significher, in termini concreti di giurisprudenza, lo sviluppo di un vasto
tradizionismo riferito a detti e fatti degli Imm; e, sempre per inciso, c da sottolineare un particolare sempre
connesso a questa giurisprudenza: se il Corano fosse inteso, come per i Sunniti, increato, non potrebbe di per s
formulare ordini e divieti validi in ogni tempo, perch costituirebbe un discorso rivolto ad una umanit ancora
inesistente; in ogni tempo esso deve perci essere integrato con la retta interpretazione dellImm. LImm
shita, lo abbiamo gi notato, altro non che lo Insn al-Kmil, luomo perfetto divinizzato di tutte le eresie
gnostiche o filosofiche (fondate sul ruolo di frontiera dellIntelletto Agente) islamiche o cristiane; come dice
lo stesso Laoust, Les fondements de lImamat dans le minh dal-Hill, R.E.I., 46,1, 1978, p. 55, la
personificazione della perfezione umana. Abbiamo visto pi volte come questa possibile perfezione sia stata
il fondamento degli atteggiamenti eversivi e rivoluzionari dal retroterra antinomico (luomo perfetto al di sopra
della Legge, egli stesso la Legge).
Al-Hill ( 1326) era stato allievo di Nasroddn Ts ( 1274) il grande ismailita poi divenuto shita
al tempo dellinvasione mongola, la cui elasticit (souplesse) politica, dice Laoust (Les fondements, etc., p. 5)
contribu a difendere lo shismo in quei frangenti calamitosi (fu anche sospettato di avere aiutato i Mongoli nella
conquista di Alamt, dunque di essere un traditore; e di Baghdad). Della sua dottrina dellImmato si occupa B.
Scarcia Amoretti, La Rislat al-Imm di Nasr al-dn Ts, R.S.O., 47, 1972, che espone gli aspetti teorici di
una evoluzione pragmatica, quale quella della Sha.
Per verit, la Scarcia Amoretti si pone sin dallinizio sul piano di considerazioni generali relative al
rapporto politica/religione nellIslam, che superano i limiti di questa pi modesta esposizione, anche perch
pongono molte serie riflessioni su molti luoghi comuni al riguardo, evidenziando il ruolo che assunse la Sha
duodecimana nel preservare gli aspetti utopici del messaggio islamico, lasciando ai suoi eretici quelli atopico-
rivoluzionari (e perci totalitaristi). Aspetti, questi ultimi, che sembrano peraltro sottovalutati non gi sul piano
teorico, ma nella loro possibile riemergenza concreta, alla luce di quanto accadde pochi anni dopo questo
articolo in Iran, con una rivoluzione clericale guidata, non a caso, non dai massimi livelli della gerarchia shita,
ma da seconde linee, della quale infatti G.R. Scarcia (O.M., 1982, cit. in Bibl. a p. 774) rilevava gli aspetti neo-
bbisti.
Lepistola in s non dice nulla di particolarmente nuovo rispetto a quanto si gi esposto, salvo
mostrare una reticenza sul tema delloccultamento sottolineata attentamente dalla Scarcia Amoretti (p. 265): la
1173
giustificazione delloccultamento nellaccettazione stessa del fatto che, comunque, esso religiosamente
assurdo. Nota la Scarcia Amoretti che il rinvio a tempi imperscrutabili della manifestazione del Mahd, cio
dellelemento che fonda ogni rivolta shita, mostra il passaggio della fede shita ad unattesa puramente
utopica.
In questo schema, nota la studiosa, lImm diviene il punto intermedio tra luomo e Dio, una
posizione diversa da quella in s e per s trascendente dellImm ismailita (pp. 268-269). La conseguenza che
ella ne trae politicamente rilevante: siamo alla premessa alla deteocratizzazione dello Stato islamico e al
cercar rifugio della perfezione religiosa nellutopia (p. 269). La conseguenza che la frattura creatasi tra teoria
e prassi fa s che la ricostruzione dellunit ideologica diventi sempre pi di competenza delle minoranze cio
dellIslam eretico (ivi in n. 5). Nella prassi della maggioranza ci si pu aspettare un Sovrano che si approssimi
al modello ideale (p. 271). Per la Scarcia Amoretti tutto ci significa, al tempo stesso, laicizzazione dello Stato e
congelamento delle spinte rivoluzionarie; ella sostiene quindi (p. 275) la mancanza di una spinta rivoluzionaria
in senso proprio in seno alla a duodecimana e lessere lopposizione immita un fatto interno al regime e non
alternativo ad esso. Cos posto, il processo cui va incontro la Sha duodecimana conduce ad un rapporto con il
potere politico che non sembra lontano da quello sunnita, teorizzato da Ibn Taymiyya (cfr. supra, p. 1138): un
regime duale nel quale il potere religioso patteggia il proprio appoggio al potere politico.
La rivoluzione khomeynista, maturata nelle gerarchie clericali di secondo livello, sembra comunque
mostrare che la tensione chiliastica resta sempre presente nellIslam, quale che sia la dottrina prevalente al
momento nel clero ( accaduto anche nel mondo sunnita con il neo-salafismo): sufficiente infatti che il potere
politico perda credibilit perch sinnesti di nuovo la spirale delle speranze apocalittiche (rivoluzionarie) che si
alimentano dalla base: ma questa soltanto una mia personale riflessione.

La separazione tra una Chiesa (non mi sembra del tutto improprio definire cos la Sha duodecimana)
in attesa di una seconda parusia e un potere comunque non legittimato, poneva seri problemi esistenziali al
fedele shita, primo tra tutti la liceit di operare nellambito della struttura politico-amministrativa. Ne
testimonianza lo Sharf al-Murtad, del quale W. Madelung ha pubblicato un trattato sullargomento (W.
Madelung, A Treatise of the Sharf al-Murtad on the Legality of working for the Government (Masala f l-
amal maa l-sultn), B.S.O.A.S., 62,1, 1980). Il problema andava risolto in principio sul piano dottrinale
perch, come si pi volte ricordato, eminenti personaggi della Sha duodecimana operavano attivamente in
collaborazione con i Byidi che, a loro volta, avevano legittimato e accolto con favore il percorso di
cambiamento in atto con loccultamento maggiore; la cosa, inoltre, riguardava lo stesso al-Murtad. Il trattato, le
cui posizioni vennero poi ripetute da at-Ts, interessante perch mostra il formarsi di una dottrina
duodecimana del governo, secondo la quale, in assenza dellImm, un governo pu sforzarsi di seguire la retta
via, quindi di non essere intrinsecamente malvagio, rendendo cos lecita la cooperazione (comunque inevitabile,
perci lecita, anche con un governo ingiusto, se messa in atto sotto minaccia). La dottrina argomentata
tramite risposte a domande immaginate, e ha una sua logica e non , nella sostanza e nelle conclusioni, molto
diversa da quella di Ibn Taymiyya, perch pone sulla bilancia, con tutto il suo peso, la collaborazione del clero al
sostegno ideologico da prestare al governo: infatti il clero a stabilire se il governo stia seguendo o meno la via
indicata dagli Imm.
Largomento affrontato in forma complessiva da J. Eliash, The Ithn Ashar-Sh Theory of
Political and Legal Authority, S.I., 29, 1969 che tratta della separazione tra politica e religione operata di fatto
dalla Sha duodecimana. Eliash mette in rilievo la differenza tra Ismailismo e Sha, sottolineando come per gli
Ismailiti, il cui Imm presente, egli sia per conseguenza anche il Califfo (di Dio), mentre per i Duodecimani, il
cui Imm assente, ogni governo comunque condannato allimperfezione umana; perci il Sultano non pu
essere lombra di Dio. Nella concezione duodecimana la perfezione diventa perci unutopia per un futuro
indeterminato, utopia della quale custode il clero shita che si pone quindi in dialettica con il potere politico.
Le considerazioni pi interessanti sono per tuttora, a mio avviso, contenute in un vecchio articolo di
G.R. Scarcia, A proposito del problema politico della sovranit presso gli immiti, A.I.U.O.N., 7, 1957. A p. 99
egli nega infatti, per quanto concerne lo specifico problema in oggetto, lesistenza di una differenza tra
Sunnismo e Sha duodecimana, a proposito della quale, e con grande giustezza, a p. 102 in n. 16 nega
recisamente labusato clich: ortodossia=arabismo/eresia gnostica=iranismo. (Evito di proposito la parola
gnosticheggiante, usata da lui come da altri, parola che dice tutto e nulla, e uso il termine gnostico
virgolettato perch, sfortunatamente, questo aggettivo genera confusione, essendo riferibile tanto a una generica
gnosi quanto allo Gnosticismo, e per lIslam si pu parlare della prima, non del secondo, un fenomeno puntuale
con esiti dualisti impensabili per lIslam, come ho notato altrove a proposito di presunte influenze nellarea
mesopotamica).
Nel negare dunque le differenze tra Sunnismo e Immismo, Scarcia fa molte osservazioni
significative; per esempio, che non fa molta differenza se per il primo il problema della Ummah viene dopo la
morte del Profeta e per il secondo dopo loccultamento del 12 Imm: come dire, se linfallibile (masum) uno
o sono quattordici (il Profeta, Ftima e i 12 Imm, cfr. p. 110). Il passaggio dallImm/persona/Califfo
allImm/idea/dogma di fede (p. 107) fa dellImm un simbolo (p. 108 in n. 28) che garantisce perci la vita del

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sistema (ivi, e cfr. supra, p. 1125) e che ora presente nellim dei fuqah (p. 109). Ne consegue una
identit della metodologia giuridica nellinterpretazione della Legge in entrambe le ortodossie (p. 111).
Scarcia divaga molto sul tema, e cos gli accade di fare altre osservazioni di notevole interesse, come
questa di p. 116: noi abbiamo unidea sunnita del Sunnismo, ma la religione dei Compagni doveva essere altra
cosa; del resto il ghuluww si differenzia dal Sunnismo perch trascina in avanti, mantiene aperta lapertura, tra
luomo e Dio, che il Sunnismo chiude. Sotto questo profilo, aggiungo io, loccultamento dellImm opera
unanaloga chiusura: e aggiungo anche la cosiddetta eresia, con il suo mantenere aperta lapertura tra luomo e
Dio, mantiene viva anchessa unistanza originaria dellIslam, la ripetitivit della Profezia e lattesa messianica,
che in questo mondo storico resta una tensione mai soddisfacibile, perch il tempo messianico si realizza soltanto
come suo inseguimento.
Scarcia fa poi significative affermazioni sullo Shaykhismo e sul Bbismo, ma su questo torner al
momento opportuno; concludo rinviando alla sua affermazione che il problema della sovranit nellImmismo
dogmaticamente inconsistente, per lassenza inevitabile del Sovrano de jure, lImm. Sotto questo profilo si pu
dunque affermare che per lImmismo ogni governo sempre legittimo e sempre illegittimo, ci che apre al
clero la via per una pragmatica contrattazione col Sovrano: ma non forse questa la posizione degli ulam nel
dualismo oscillante di Ibn Taymiyya?
Un esempio da manuale della dialettica della quale ho parlato, costituito dal problema che fu posto,
per lassenza dellImm, dalla necessit di sviluppare una dottrina immita del jihd, problema risolto soltanto
allinizio del XIX secolo per le particolari circostanze che si dettero in occasione della guerra con la Russia. Ne
trattano A.K.S. Lambton, A Nineteenth Century View of Jihd, S.I., 32, 1970 e E. Kohlberg, The Development of
the Imm Sh Doctrine of Jihd, cit. in Bibl. a p. 849. Il problema era questo: in assenza dellImm, chi ha il
diritto di proclamare il jihd? e si pose in concreto quando i Byidi dovettero difendersi dai Selgiukidi, sunniti.
Nel caso degli Immiti infatti, il primo nemico da ricondurre alla giusta fede sono precisamente i Sunniti, definiti
come dr al-Islm contrapposto alla dr al-Imm; soltanto dopo si dovr attaccare la dr al-kufr, il dominio
degli infedeli. Per Shaykh at-Ts, che si trov a vivere lattacco dei Selgiukidi la guerra difensiva era comunque
lecita; restava da capire chi avrebbe potuto dichiarare una guerra offensiva.
Con Muhaqqiq al-Hill (1205/6-1277/78) che visse nel periodo lkhnide fu formulata la dottrina che
il jihd pu essere dichiarato soltanto dal giusto Imm, tranne il caso di doversi difendere dagli infedeli: ma se
lImm non c, chi pu prendere il suo posto? Quando si costitu lo Stato safavide il problema rimase
accantonato, perch i Safavidi poterono arrogarsene il diritto in qualit di (sedicenti) discendenti del 7 Imm,
Ms al-Kzim, quindi Imm a loro volta; inoltre essi rappresentavano un potere statale forte, in grado di
controllare il clero con una gerarchia di propria nomina. Esso si apr per con i Qjr che non potevano vantare
alcuna forma di legittimit e rappresentavano uno Stato debole, non in grado di subordinare il clero come
avevano fatto i loro predecessori. Fu allora, in occasione della guerra con la Russia, sostenuta dal clero allinizio
del XIX secolo, che si giunse alla definizione giuridica del caso: in assenza dellImm la decisione
responsabilit e competenza del clero, che dellImm assente il rappresentante pro-tempore; e i fedeli ne
risultano obbligati.

Abbiamo visto sin qui il processo attraverso il quale si form la Sha duodecimana, sulla quale
dovremo tornare a lungo in seguito perch le sue vicende successive, che ne videro laffermazione in Persia
come dottrina dominante, sono altrettanto significative della dialettica ortodossia/eresia. Per ora minterrompo
per raccontare altre vicende, sempre relative a questi complessi intrecci: la nascita contemporanea del
Nusayrismo e dellIsmailismo, che si generarono attorno alla neonata ortodossia duodecimana. Le cose pi
significative sullIsmailismo sono state gi dette in Ordine celeste e disordini terreni, e su quelle non mi ripeter.
Inizio piuttosto partendo dal Nusayrismo.
Questa setta cos avversata da Ibn Taymiyya ha unorigine interessante, perch ha i propri antecedenti
in alcune forme di estremismo fiorite attorno al 5 e 6 Imm; condannate s, da questi ultimi, ma cos vicine
alla loro corte da sollevare i dubbi pi volte espressi sul comportamento equivoco di quegli Imm.
La letteratura che precede la nascita del Nusayrismo stata analizzata da H. Halm, Das Buch der
Schatten, etc., cit. in Bibl a p. 817, e, in modo pi diffuso, in Die islamische Gnosis, cit. in Bibl. a p. 849. Se ne
occupato anche Capezzone, Il kitb al-sirt, etc., cit. in Bibl. a p. 817 (testo pubblicato in Una nuova fonte per lo
studio delleterodossia islamica: il kitb al-sirt attribuito a Mufaddal ibn Umar al-uf, R.S.O., 67, 1993). I
testi di riferimento sono costituiti, oltre che dal kitb al-sirt, dal kitb al-haft wa l-azilla, egualmente attribuito
a Mufaddal, e dallo umm al-kitb, la cui matrice religiosa stata oggetto di opinioni difformi, ma si pu ritenere
riferita, come per gli altri, allestremismo di natura genericamente khattbita circolante attorno al 6 Imm. Gli
ultimi due testi furono rinvenuti presso comunit ismailite dellAsia centrale, ma non sono testi ismailiti; il primo
conosciuto in una copia rinvenuta in Siria, la sua datazione controversa ma i suoi contenuti rinviano al kitb
al-haft wa l-azilla.
Prima di dire qualcosa sulla religione nusayrita, che prende il nome dal sedicente bb dell11 Imm,
e che col tempo sembrata assumere anche aspetti sincretisti, perci interessante esaminare alcuni caratteri
comuni ai tre testi citati perch se ne pu cos comprendere la vicinanza allIsmailismo nei temi cosmogonici

1175
neoplatonici: e il radicarsi di questi temi nella Sha eversiva che deflagr attorno alla met dellVIII secolo,
principalmente con la rivolta di Abdallh b. Muwiyya nel 744.
Il complesso delle sette preso in esame da Halm nei due studi sopra citati caratterizzato da una
gnosi che ha punti di contatto con lIsmailismo: cfr. supra a p. 202, lopinione di an-Nawbakht, per il quale i
Khattbiti sarebbero allorigine dellIsmailismo; essi prevedevano tanto la trasmigrazione delle anime quanto
lincarnazione di Dio. Da essi derivarono molti gruppuscoli che, raggruppati sotto il nome di Mukhammisa,
quintuplicanti o pentadisti, avevano come dottrina lincarnazione di Dio in Maometto, Ftima, Al, Hasan e
Husayn (donde il nome). A sua volta Maometto sarebbe stato preceduto, nel proprio ruolo di incarnazione e
Profeta, da Adamo, No, Abramo, Mos e Ges (Die islamische Gnosis, p. 218 sgg.). La vicinanza di questa
dottrina con quelle ismailite evidente, ed una dottrina che si ritrova -a prescindere dalle varianti- nella
dottrina nusayrita insieme ad unaltra, di origine khattbita, la distinzione di ntiq e smit (cfr. supra, p. 202, p.
210 e p. 234 in n. 300) cosa che viene sottolineata da Bar-Asher e Kofsky, The Nusayri Doctrine, etc., cit. in
Bibl. a p. 817, alla p. 280.
Si deve quindi pensare ad un comune terreno dincubazione dal quale germogliarono le due dottrine
del Nusayrismo e dellIsmailismo (si ricordi che Ibn Taymiyya le accomunava nella sua fatw: cfr. supra, p.
1145). Questo comune terreno certamente quello della Sha estremista, secondo una linea che potrebbe
tracciarsi dai Khattbiti ai Mukhammisa e da questi diramatasi nel Nusayrismo e nellIsmailismo, che tuttavia
debbono pensarsi come percorsi indipendenti e separati, nonostante la comune concezione gnostica (pi
genericamente: neoplatonica) di una successione di emanazioni preesistenti in un mondo di pure forme che si
materializza in figura storiche. Un ulteriore argomento in tal senso lo si pu evincere dal fatto che lo Umm al-
Kitb, che rinvia ai Khattbiti e ai Mukhammisa, ed considerato letteratura pre-Nusayrita, afferma
esplicitamente che i Khattbiti furono allorigine dellIsmailismo (Halm, p. 136; Ivanow, cit. in Bibl. a p. 849, p.
440).
Noto per inciso che ci richiama alla mente la giustezza del polemico articolo di Scarcia (cfr. supra, p.
1165) che identifica la islamicit degli eretici nella tendenza, condivisa con la ortodossia, a storicizzare i
fondamenti della fede in personaggi storici. Su questa storicizzazione si veda anche Bar-Asher e Kofsky, A
Tenth Century, etc., cit. in Bibl. a p. 817, p. 244 in n. 6). Il trattato nusayrita da loro presentato mostra la
possibilit per liniziato di risalire la catena emanativa sino al livello inferiore del divino, contemplando di l
quello ulteriore. La differenza pi evidente il richiamarsi dellIsmailismo a 7 Imm (lultimo Muhammad b.
Isml, con Al fuori dal conto) e il Nusayrismo a 11 Imm, lultimo Hasan al-Askar, del quale Ibn Nusayr si
dichiar bb. A questa differenza si debbono naturalmente aggiungere le rispettive specificit dottrinali e di
percorso iniziatico, che tuttavia non inficiano la sostanziale identit di struttura che le riconduce a quanto matur
nel ghuluww. bene tuttavia precisare subito che la religione nusayrita fa riferimento a 12 Imm nel mondo
archetipo (cfr. infra) ; nel mondo storico viceversa, essendo il figlio di Hasan scomparso in modo misterioso e
non avendo egli a sua volta un bb, alla morte dell11 Imm resta soltanto a far da guida il bb di questultimo.
Una significativa differenza tuttavia costituita da quanto notano Bar-Asher e Kofsky, Dogma and
Ritual in kitb al-marif by the Nusayr Theologian Ab Sad b. al-Qsim al Tabarn (D. 426/1034-1035),
Arabica, 52,1, 2005, alle pp. 48-49, gi notata da Strothmann, Esoterische Sonderthemen, etc., cit. in Bibl. a p.
818: la possibile divinizzazione di figure storiche che sarebbero incarnazione di Dio, non avviene soltanto per
successione genealogica, ma per successione spirituale; un aspetto rivoluzionario che, come nota Strothmann,
risale ai Khattbiti. Su questa discendenza khattbita Bar-Asher e Kofsky sono concordi (p. 52), ed anche
confermano il rapporto delle dottrine di Djbir b. Yazd al-Djuf e di Mufaddal, figure eminenti dellestremismo
fiorito attorno al 5 e 6 Imm, con il futuro Nusayrismo. Essi notano inoltre convergenze dottrinali tra questi
ultimi e i Drusi, altro gruppo eretico e antinomico generatosi per nellambito dellIsmailismo (cfr. infra).
Nel testo viene infine esaltata la figura di Ibn Nusayr come bb dellXI Imm; tuttavia, come nota Y.
Friedman, Al-Husayn ibn Hamdn al-Khasib. A Historical Biography of the Founder of the Nusayr- Alaw
Sect, S.I., 93, 2001, lorigine della setta non chiara ed da ritenersi che essa sia stata fondata, alla morte di Ibn
Nusayr, da al-Khasib (p. 91). Friedman ha unipotesi ecumenica per quanto riguarda le dottrine nusayrite: in
accordo con quanto sostengono Halm ed altri, la setta avrebbe avuto origine nella Sha estremista, ma,
considerando la presenza di contaminazioni con altre religioni, ritiene che queste siano entrate a costituirne la
dottrina pi tardi, nellXI secolo (p. 92). La setta sarebbe stata nota agli eresiografi shiti gi al tempo di an-
Nawbakht con il nome di Namiriti (da Ibn Nusayr al-Namr, p. 93).
Al-Khasib nacque da famiglia shita forse nell873 (p. 97) e avrebbe ricevuto i segreti della dottrina
da un persiano, al-Jannn, che li aveva ricevuti da Ibn Nusayr e da al-Turb (pp. 98-99) nel turbolento periodo
delloccultamento minore, durante il quale molti shiti rifiutarono il ruolo assunto dai suffar. Furono anche gli
anni del pericolo qarmata (cfr. supra, p. 202 in n. 55; 204 in n. 60; e pp. 211-212, nel testo e in nn. 116 e 118);
nonch della condanna, come sospetto tale, di al-Hallj, e che costarono la prigione anche ad al-Khasb che
predicava la dottrina dellincarnazione di Dio nelluomo, un cardine della Sha estremista che era costato la
condanna ad al-Hallj. Secondo Friedman, al-Khasb era attratto dalla figura di Ges, dal Docetismo, e da una
concezione trinitaria della divinit, quale si affermer poi nella dottrina nusayrita (pp. 100-101). Qui la terza
persona sarebbe stato Ibn Nusayr, nella sua qualit di bb (p. 102).

1176
Al-Khasb dedic lintera vita alla diffusione del Nusayrismo e ne costitu la teologia; in questo senso
fu egli il vero fondatore della setta, a partire dal 3 decennio del X secolo (tabella a p. 107) tanto che fu
immediatamente incarcerato allarrivo dei Byidi. Egli fu figura carismatica di notevole statura intellettuale, e,
quel che sembra interessante, nella sua origine shita egli si proclamava continuatore della vera Sha: segno
che negli ambienti shiti il cambiamento duodecimano dovette apparire un tradimento della Sha.
Certo, se si legge la descrizione dellaffarismo del Ban Nawbakht fatta da Massignon, La passion de
Husayn ibn Mansr Hallj, cit. in Bibl. a p. 767, Tome 1, p. 436 sgg. in occasione del processo del mistico sf
nel quale Ab Sahl an-Nawbakht ebbe un ruolo (cfr. supra, p. 1163); affarismo nel quale sembra fosse immerso
tutto lalto mondo shita ruotante attorno al Califfo (sunnita); si deve pensare ad una forte spaccatura sociale
interna alla comunit, caratterizzata alla base dal messianismo rivoluzionario cos congeniale allIslam delle
origini: ponendosi dal punto di vista delle intellighentzie pi impegnate unaccusa di tradimento appariva
naturale. Del resto, non ci si deve dimenticare che prima di far parte del circolo di Hasan al-Askar e di
proclamarsene il bb, Ibn Nusayr era stato un adepto del 10 Imm, Al al-Hd; dunque certi atteggiamenti
estremisti seguitavano a maturare attorno agli Imm quietisti, lasciando comprendere quanta dialettica fosse
sempre esistita nel mondo shita.
La presenza di un sincretismo cristiano nel Nusayrismo comunemente ritenuta attendibile, e la
esamina Bar-Asher, Sur les lments chrtiens, etc., cit. in Bibl. a p. 1013, accennando a molteplici contributi
dottrinari sui quali sorvolo (quantomeno ovvii quelli musulmani segnalati allinizio, come se il Nusayrismo non
fosse -ma lo - uneresia islamica). Comprendo bene che questa definizione possa sembrare singolare (il
Nusayrismo non ha moschee, i suoi fedeli non rispettano la pratica dei vari pilastri dellIslam, dei quali danno
uninterpretazione esoterica) ma si tratta pur sempre di una religiosit discesa da quella islamica, nella cui
eterodossia, come ho notato pi volte, comunque presente, pi ancora che nelle eterodossie cristiane e
giudaiche, dove pure non manca, la tensione al superamento della Legge. La Grande Resurrezione di Alamt
non ne che un esempio, anche se il pi famoso e dottrinalmente significativo; del resto, anche il nome
modernamente assunto dalla setta, quello di Alawiti, ricorda che essi restano dei divinizzatori di Al.
Tra i prestiti dal Cristianesimo vi sono sia degli elementi celebrativi (ma non raro -pace Ibn
Taymiyya- che lIslam popolare onori qualche figura e qualche festivit cristiana) sia degli elementi dottrinali,
questi ultimi sembrano pi significativi, perci ne parler dopo aver citato i primi.
Per quanto riguarda le festivit occorre subito precisare che esse sono tuttavia prive del loro
significato originario. La celebrazione del Natale non meraviglia: nella catena delle incarnazioni divine Ges
lantecedente di Maometto e di Al, e Maria notoriamente comparata a Ftima; daltronde nella dottrina
iniziatica nusayrita che svela il mistero divino non c differenza essenziale tra le religioni perch esse
costituiscono una verit unica in forme diverse (p. 212): questa la si potrebbe anche considerare una evoluzione
liberale del dettato coranico. Pi trasgressivo (per un Musulmano) viceversa il culto del pane e del vino,
ritenuto in rapporto con quello cristiano, nel quale per il vino definito come la personificazione della realt
divina, cio di Al, e gli iniziati possono berne (p. 213). Il vino comunque, sia detto per inciso, ha un valore
simbolico potente e universale: basti pensare alla sua centralit in tutta la poesia mistica islamica, persiana in
particolare; tralascio poi i dubbi sulla sua reale proibizione -ancorch quasi universalmente accettata- allinterno
dello stesso Islam, anche sunnita. I Nusayriti festeggiano inoltre lEpifania come festa di Giovanni Battista,
come festa del Battesimo; la festa di san Giovanni Crisostomo, quella di Maria Maddalena, etc. (p. 209).
Veniamo ora agli aspetti dottrinali, che sono importanti anche perch, lo abbiamo visto parlando di al-
Khasb, essi rappresentano un momento originario del Nusayrismo. Su questo aspetto si veda anche Bar-Asher -
Kofsky, The Theology of kitb al-uss, etc., cit. in Bibl. a p. 817. La dottrina della Trinit, nota Bar-Asher, Sur
les lments, etc., cit., p 191, si trova infatti gi negli scritti del X secolo. La divinit (man, qui tradotto con
essenza ma anche significato, senso, come traducono Moosa e Guyard, citt. infra) equivalente al lgos
giovanneo, emana le altre due figure trinitarie, il Nome (ism) detto anche il Velo (hijb) perch dissimula il
mistero ai non iniziati; il terzo elemento il bb, la Porta attraverso deve passare chi merita laccesso ai segreti
divini. Questa teofania trinitaria per ciclica, come la Profezia, e si rivela sette volte nella storia (p. 192). Un
tratto ismailita di questa trinit che laspetto esteriore del man eguale a quello interiore dello ism, il cui
aspetto esteriore uguale a quello interiore del bb, ci che crea una catena iniziatica di salita ai gradi superiori
della conoscenza.
In A Tenth Century Nusayr Treatise, etc., cit. in Bibl. a p. 817, Bar-Asher e Kofsky, a p. 244 in n. 6,
ricordano che la Trinit lelemento motore della Creazione (per emanazione) che inizia con la creazione di 5
aytm (pl. di yatm, incomparabile, unico, ma anche orfano, come traduce infatti Guyard e anche Halm,
Kosmologie und Heilslehre, etc., cit. in Bibl. a p. 760: cfr. p. 165: orfano lImm, perch diventa tale quando
scompare lImm precedente che lo ha nominato suo successore). I loro nomi sono quelli di 5 Compagni che
sostennero Al; essi sono i governatori dei cieli e degli astri. La dottrina fa riferimento al trattato del XIII secolo
presentato da Bar-Asher e Kofsky, The Nusayr Doctrine, etc. cit., che per lappunto il Kitb al-uss. Questa
Trinit sembra per avere poco in comune con quella cristiana, a parte essere rigidamente monarchiana. A
questo mondo evocato, luminoso, di pure forme, appartenevano anche le anime dei Nusayriti, secondo una gnosi
che gi presente nel Kitb al-haft wa l-azilla (Libro dei 7 e delle ombre: i 7 sono i 7 Adamo, creati come
forme e incarnati in corpi di luce, poi in corpi materiali per la loro ribellione: cfr. Die islamische Gnosis, pp.
1177
256-264). Analogamente, un peccato di ribellione fece precipitare i prototipi dei Nusayriti in questo mondo (cfr.
Bar-Asher - Kofsky, Lascension cleste, etc., cit in Bibl. a p. 817).
La catena iniziatica bbismman, con il duplice volto interiore/esteriore (duplicit caratteristica
nellemanatismo neoplatonico) del bb e dellism, rappresenta dunque la via della conoscenza che riconduce il
fedele alla contemplazione del mn: e conoscere il senso, il btin, significa essere liberati dalla Legge, ci
che rappresenta, come in tutte le gnosi, il compimento della reintegrazione nel mondo delle origini. Questo un
viaggio iniziatico di ritorno alle proprie origini celesti; in questa prospettiva il viaggio notturno del Profeta dalla
moschea sacra (al-masjid al-harm) della Mecca alla moschea lontana (al-masjid al-aqs) di Gerusalemme
interpretato esotericamente come il viaggio iniziatico del primo yatm che risale sino al mn (Lascension, etc.,
cit., p. 146).
Quanto allorigine shita della dottrina, essa si legge chiaramente nella personificazione e nella
storicizzazione della Trinit (si ricordino le osservazioni di Scarcia): il mn Al, lo ism Maometto e il
bb Salmn al-fars o Salmn Pk (il persiano, ovvero il perfetto, il puro. sulla sua figura cfr. supra, p.
225 in n. 228 e p. 234 in n. 300; sulle similitudini che qui appaiono con la dottrina ismailita cfr. p. 236; sulla sua
consistenza come figura dottrinale cfr. p. 814. Egli rappresenta comunque il primo gradino delle vie iniziatiche:
cfr. Massignon, Salmn Pk, cit. in Bibl. a p. 767).
La Trinit citata non tuttavia che la 7 e ultima di una serie di Trinit apparse sulla terra dai
tempi del primo Profeta, Adamo, che ebbe come mn Abele e come bb Gabriele; quanto al 6 Profeta, Ges,
egli ebbe come mna Simone detto Pietro. I ruoli corrispondono infatti a quelli del ntiq, del parlante e del
smit, il silenzioso, che colui che addita il senso nascosto della Profezia (lo schema della serie completa in
Moosa, cit. infra, p. 312). Si noti che la concezione essenziale delle dottrine esposte, a prescindere dalla ciclicit
simbolica introdotta e da uno schema ontologico/cosmogonico che si va configurando come neoplatonico, non
si discosta dai capisaldi dottrinali dellestremismo segnalati da an-Nawbakht e concisamente riportati in Ordine
celeste e disordini terreni: ulteriore indizio di una progressiva strutturazione dellatteggiamento shita lungo
percorsi abbandonati con la nascita dei Duodecimani.
Due trattazioni organiche ed esaurienti sul Nusayrismo si trovano in M. Moosa, Extremist Shiites. The
Ghulat Sects, Syracuse, Un. Press, 1988 e nel recente Y. Friedman, The Nusayrs-Alaws. An Introduction to the
Religion, History and Identity of the Leading Minority in Syria, Leiden-Boston, E.J. Brill, 2010. Il testo di
Moosa un testo pi comprensivo che affronta anche aspetti generali dellestremismo shita, tutto fondato sulla
divinizzazione di Al; su di esso torner quindi in seguito, limitandomi qui ad esaminare ci che concerne
specificamente il Nusayrismo. Lo affronto ora per primo nella stessa ottica con la quale riferisco dellaltro:
fornire uno schema generale e limitato allessenziale della religione nusayrita, senza entrare nei suoi complessi
dettagli dottrinali ma tentando piuttosto di ricavarne il significato spirituale e sociale di ci che essa ri-vela,
mostra e nasconde al tempo stesso: perch i miti, che al superficiale sguardo razionalista sembrano trascurabili
insensatezze, possono dirci molto, se ci si sofferma a riflettere sulle eterne aspirazioni delluomo.
La religione nusayrita (Moosa, p. 311 sgg.) fondata, come ho gi detto, sulla settuplice
manifestazione di Dio nelluomo, lultima con Al, ogni volta in forma trinitaria, lultima con Maometto come
ism e Salmn come bb. Il 7 notoriamente un simbolo universale, come il 12, e ricorre in molti modi nel mito
nusayrita, analogamente a quanto accade per i Drusi (usciti, come eresia dellIsmailismo ftimide). Moosa
nota le molte similitudini tra le due religioni, qui vorrei per sottolinearne quello che mi sembra lessenziale:
entrambe hanno a cardine la ripetitivit della Profezia come ripetuta manifestazione di Dio nelluomo; e quel che
sembra pi importante (p. 318) che Dio il prototipo delluomo, , insomma, luomo perfetto. Questo aspetto
comune alle eresie neoplatoniche lho gi segnalato tante volte: nasconde la grande tensione della marginalit
verso un proprio ruolo utopico, negato dalla realt di una storia fatta da chi ne ha il potere, tensione
ideologicamente/religiosamente fondata sulleguaglianza del rapporto delluomo con Dio presente nel messaggio
testamentario e che, dinnanzi alle dure gerarchie del mondo, si trasforma in autoelezione dei marginali al ruolo di
perfetti. C una radice sociale in ogni gnosi, e questa ancora pi forte nellIslam, che gi alle origini nacque
dagli emarginati delle due ortodossie.
Moosa entra poi in una serie di dettagli sui quali sorvolo, che mettono tra laltro in luce ulteriori
analogie con i Drusi. Molte sono le similitudini da lui notate tra le due religioni, come, ad esempio, luso del
termine mn per la pi alta manifestazione della Trinit (ricordo ancora che questa ha poco o nulla a che
vedere con quella cristiana). Moosa insite molto sul carattere persiano del Nusayrismo, argomento che
abbiamo gi visto essere controvertibile e controverso nel suo fondamento, se si pensa che Al, quando ancora
non era divinizzato, era stato il rappresentante dellIslam originario dei muhjirn e dei qusss contro il ritorno
di forme di potere tribale pre-islamiche. Sotto questo aspetto egli pu quindi essere considerato il simbolico
rappresentante dellIslam archetipo, certamente importante per un popolo convertito, quale quello persiano, i cui
interessi sono egualmente antitetici rispetto al particolarismo tribale arabo e al ritorno dei poteri pre-islamici dei
conquistatori arabi. naturale perci che i convertiti siano parte rilevante di una dialettica ideologica peraltro
tutta interna allIslam, indipendentemente da contributi occasionali e strumentali estratti da tradizioni non arabe
e non islamiche.
A mio avviso occorre far attenzione a non cadere nella logica degli eresiologi, come nel caso di Ibn
Hazm citato da Moosa a p. 411, secondo il quale leresia shita persiana cio viene dallesterno. Si perde
1178
cos di vista sia il fatto che una religione un sistema simbolico, sia il fatto che questo sistema fonda una societ;
che un sistema simbolico aperto, per sua natura, a molteplici letture; e che una societ un luogo di
contrastanti interessi. Perci non v ragione di considerare non islamico (o non cristiano, come nel caso
degli eresiologi della Chiesa) un esito religioso, che nasce allinterno di una cultura e di una societ ben precise
-nel presente caso, musulmane- soltanto perch, ricorrendo a tradizioni che vi hanno comunque diritto dasilo in
quanto ne definiscono la realt vernacolare (cfr. supra, p. 814) generano una religiosit non coincidente con il
corpus dottrinale del clero ortodosso, della ufficialit religiosa testuale.
La O Connor, cit. in Bibl. a p. 818, per la sua approfondita ricerca sulla genesi del pensiero djbiriano
e alchemico in generale allinterno dellIslam, ha parlato della religiosit vernacolare in termini di espressione
creativa individuale di credenza religiosa (p. 187 in n. 3); ha inoltre affermato che lo stesso Corano poteva
essere oggetto di questa creativit vernacolare (p. 288; p. 312; p. 314). Alle pp. 321-322 in n. 5 ha poi
sottolineato lerrore di contrapporre, nello studio dellIslam, lIslam normativo alla realt della pratica effettiva
dei credenti e alla loro creativit vernacolare, in particolare ai suoi esiti magici; aggiungo io: ed esoterici. La
O Connor ha anche dedicato particolare attenzione alla diffusa pratica della mistica delle lettere: ce ne dovremo
ricordare infra quando si parler dellHurfismo.
Una religione dunque molto di pi della ristretta accezione rappresentata dai suoi aspetti normativi;
nel nostro caso quindi anche il Nusayrismo (senza moschee) Islam, per il semplice motivo che lIslam, nella
sua variegata molteplicit, ne la culla: e non sarebbe pensabile immaginarlo altrove, anche perch gli elementi
maturati allesterno vi appaiono inseriti entro un contesto che comunque islamico. Le eresie dellIslam non
possono quindi essere liquidate come non islamiche semplicemente invocando le influenze venute
dallesterno. Tutto ci rilevante nellambito dellindagine che qui si conduce, perch le tensioni che generano
queste eresie -lo abbiamo visto nel caso della Sha estremista dalla quale, dai Khattbiti ai Mukhammisa,
discende il Nusayrismo- hanno connessioni con problemi sociali: in questi dunque si riflettono le stesse tensioni
che generarono lIslam e che nellIslam sono rimaste vive in ambito religioso, senza cio subire il processo di
secolarizzazione che ha riguardato lOccidente a partire dal XVI-XVII secolo.
Tornando a Moosa, trovo quindi significative le opinioni di vari osservatori musulmani da lui citate
alle pp. 415-416, che vedono nel Nusayrismo unespressione comunque islamica, ancorch ereticale: certamente,
la loro sensibilit al proprio mondo religioso mi sembra un termometro ben pi attendibile delle categorizzazioni
accademiche in cerca, per analogie pi che per fatti documentati, di ipotetiche influenze.
Moosa descrive molti altri aspetti della religione nusayrita; qui mi limito a ricordarne soltanto alcuni,
come, ad esempio, la concezione che a ciascuno degli Imm dovesse unirsi un bb come suo erede in grado di
fornire linterpretazione allegorica della dottrina: figura leggendaria il primo (Salmn bb di Al) storicamente
interessanti altre, come Djbir ibn Yazid al Djf, bb del 6 Imm; Mufaddal ibn Umar al-Djf, bb dell8 e
Muhammad ibn Mufaddal ibn Umar al-Djf, bb del 9, che mostrano le tappe della formazione dottrinale del
Nusayrismo dal ghuluww (cfr. Moosa, p. 407). A questi personaggi seguono poi, coerentemente, i protagonisti
specifici del Nusayrismo.
Caratteristica fondamentale (gnostica) del Nusayrismo la contrapposizione del piccolo mondo
terreno (al-alam al-sar al-turb) al grande mondo luminoso (al-alam al-kabr al-nran) che ne il modello
archetipo e nel quale preesistono, come figure luminose, i 12 Imm (una credenza che comune ai
Duodecimani, nota Moosa a p. 353); in questo mondo preesistevano, come luci, anche i Nusayriti, in qualit di
aytm. Essi sono dunque degli eletti che giungeranno alla conoscenza in questo mondo attraverso la sequenza
delle iniziazioni che caratterizzano la religione nusayrita; quanto al ruolo della luce, generico simbolo di
conoscenza, esso posto da Moosa in relazione con la teosofia illuminativa di Sohraward e con il
Neoplatonismo (p. 375).
Un importante tratto caratteristico del Nusayrismo, gi presente nel ghuluww perch ha un
antecedente negli Harithiti e nel ribellismo coagulatosi attorno ad Abdallh b. Muwiyya nel 744 (cfr. supra p.
200; si veda poi p. 201 per i molti antecedenti dottrinali del Nusayrismo presenti attorno alla met dellVIII
secolo attorno alla ribellione di Abdallh) la dottrina della trasmigrazione delle anime, peraltro caposaldo di
tutto il ghuluww della seconda met dellVIII secolo e della prima met del IX, momento che precede il grande
distacco dei Duodecimani. In questo estremismo maturato nel corso della crisi omeyyade e come prodromo alla
rivoluzione abbside guidata da Ab Muslim, maturarono infatti, in un pulviscolo di sette (Mansriti, Muiriti,
Harithiti, etc., detti in generale anche Janhiti dal soprannome del nonno di Abdallh b, Muwiyya) le dottrine
che si troveranno poi nei Nusayriti: reincarnazione dello Spirito, metensomatosi (anche dalluomo verso un
animale) conoscenza dellImm come liberazione dalla Legge: cfr. W.F. Tucker, Abdallh ibn Muwiyya and
the Janhiyya, S.I., 51, 1980.
A proposito di questultimo riferimento, non posso che tornare alle generiche osservazioni fatte ivi in
n. 43, trasferendo ai Nusayriti quanto rilevato in tanti altri luoghi con riferimento ad un aspetto gnostico di
queste dottrine. I Nusayriti infatti, non soltanto ignorano la letteralit dei pilastri dellIslam, quali le cinque
preghiere (non hanno neppure moschee) o il pellegrinaggio alla Mecca: essi interpretano quei pilastri
allegoricamente ritenendo che il percorso iniziatico conduca ad un Paradiso che altro non che la conoscenza
dellImm. La conoscenza interiore, quindi, non la pratica della Legge, costituisce la via della salvezza. A ben
riflettere, il compimento di questa via iniziatica lequivalente della Grande Resurrezione di Alamt, il sogno
1179
di tutti coloro che credono che il mondo sia e possa essere altro da ci che appare nella storia: storia di
sofferenza, per loro. Ma non cera questo sogno a monte dellIslam? siamo certi che lIslam non sia qualcosa di
pi complesso di una semplice ortodossia sunnita? Cos come il Cristianesimo doccidente ormai qualcosa
che riguarda anche i non credenti, purch si analizzi senza pregiudizi il percorso che port alla secolarizzazione.
Vengo ora al testo di Friedman che, avvalendosi delle pi recenti conoscenze sui Nusayriti, pu offrire
una lettura organica della loro religione (tralascio le pagine relative alla loro storia). In effetti la sua esposizione,
oltre ad essere molto dettagliata ha il pregio dellagevole lettura. In particolare viene ricostruito nella sua
progressivit il processo emanativo che struttura lontologia e la cosmogonia nusayrite, anche se la ricostruzione
delle strutture cui d luogo fornisce limpressione di un sistema compiutamente elaborato entro una logica
filosofica analoga a quella dei sistemi ismailiti pi evoluti. Non per nulla Friedman insiste molto sul
neoplatonismo della religione nusayrita, il che giusto: ma vorrei ricordare che nella sommaria esposizione
dellIsmailismo fatta in Ordine celeste e disordini terreni, si dava conto di come lIsmailismo progred sul piano
filosofico (o teosofico) rispetto alle primitive formulazioni, grazie al successivo contributo teorico e
sistematico di pensatori attrezzati allo scopo; ci che, al livello delle conoscenze, non sembra il caso del
Nusayrismo, ancorato allimmaginario gnostico.
Friedman introduce dunque considerazioni che, sul fondamento dei testi nusayriti, prospettano
unontologia articolata sui due livelli del mondo delle forme e del mondo materiale. Alle pp. 81-83 (e ancora
passim) Friedman sottolinea lerroneit di considerare le figure degli Imm e degli altri protagonisti terreni
dellepifania divina come incarnazione di Dio nelluomo. La loro dottrina non ha nulla a che vedere con quella
relativa alla figura di Cristo, perch i Nusayriti professano un sicuro Docetismo. Ci significa che il divino non
si incarna, ma appare in una forma umana illusoria, perch questo lunico modo che gli consente di rivelarsi
alluomo. Circa lorigine di questo Docetismo, Friedman avanza lipotesi di un prestito del Manicheismo
persiano, ma forse il caso di ricordare che il Docetismo appartiene esplicitamente gi al Corano, in rapporto
alla crocifissione di Ges (Cor., 4, 157).
Friedman tiene anche molto a sottolineare linesistenza di certi presunti prestiti dal Cristianesimo
(ingannevoli, p. 225) mentre ritiene sia stata trascurata lipotesi di un apporto giudaico (ivi) e insiste pi volte
su un possibile sottofondo persiano (manicheo/zoroastriano) nella dottrina nusayrita; soprattutto vi vede
levidenza di un apporto greco sotto forma di filosofia neoplatonica, col risultato di accostare fortemente
Nusayrismo e Ismailismo. Su ci, come ho detto, ho qualche riserva, perch non mi sembra di scorgere, come
per lIsmailismo, nulla di paragonabile a quel massiccio e documentato apporto filosofico che sorregge
lIsmailismo nelle sue forme mature.
Certamente, v per da rilevare che le due dottrine sembrano nascere nelle medesime circostanze e
nel medesimo ambiente, e che lIsmailismo impieg qualche tempo per strutturarsi su un fondamento pi
filosoficamente e meno genericamente neoplatonico; per questa ragione una differenza importante tra i due
percorsi potrebbe ipotizzarsi nella situazione sempre marginale (in termini economici, politici, geografici e di
componente sociale) che afflisse il Nusayrismo. Entrambe le dottrine rappresentano comunque una risposta alla
scomparsa dellImm, utilizzata in modo cos funzionale al rappl lordre da parte dei notabili che diedero vita
alla svolta duodecimana.
La parte del testo pi interessante ai fini di questa indagine, sulla quale perci intendo soffermarmi,
costituita dagli ultimi due capitoli, dedicati alla collocazione del Nusayrismo in rapporto alla Sha (e al
Sunnismo) e dalle Conclusioni. Inizio dal primo argomento.
Friedman, esaminando la letteratura eresiologica shita, non pu fare a meno di notare che,
nonostante le condanne, i Nusayriti non sono mai ritenuti estranei alla comunit islamica (p. 183); e che,
daltronde, lambiguit immita non limitata al rapporto con loro, ma riguarda i rapporti con tutto il ghuluww
(ivi). Secondo Friedman (p. 185) La spiegazione di questa strana ambivalenza sembra essere la coscienza degli
studiosi immiti che i ghult, da loro respinti come eretici dopo loccultamento, erano stati i principali
elaboratori delle idee teologiche della Sha, come lobbligo di maledire i primi tre Califfi e i Compagni che
respinsero Al, la credenza in una luce divina trasmessa dallImm al suo successore, e quella del ritorno
dellImm alla Fine dei Tempi (radja). Tutte queste credenze furono originariamente considerate ghuluww, ma
furono poi adottate dalla Sha ortodossa. Alcune credenze dei ghult furono respinte, ma preservate in alcuni
circoli che poi divennero sette mistiche, come lo Shaykhismo e i Bah nella Persia del XIX secolo.
Friedman abbraccia pienamente lopinione di Moezzi, secondo il quale (Le guide divin, etc., cit.) la
Sha era costituita da un circolo interno e da un circolo esterno; il secondo non troppo lontano dal
Sunnismo, ma il primo vicino allImm, del quale condivideva la conoscenza mistica (p. 185). Se qualcuno
rivelava questi segreti, veniva condannato dallImm: non per ci che aveva detto, ma perch aveva violato un
segreto coperto dalla taqiyya (dissimulazione). La cosa detta apertamente cos nello Umm al kitb (cfr. Die
islamische Gnosis, p. 135) per quanto riguarda la condanna comminata da Al ad Abdallh ibn Sab.
Friedman ne conclude (p. 186) che i ghult costituivano un gruppo marginale, ma anche il gruppo dei
fedeli pi vicini allImm. Dopo la ghayba, il circolo interno rimase per privo di una propria legittimazione, e
il suo ruolo nella creazione della teologia divenne inutile e controproducente nei confronti di un Sunnismo
pronto alla persecuzione della Sha. Per questa ragione tuttavia una parte della Sha fu relativamente indulgente
nei confronti dei Nusayriti, e considerarli comunque dei Musulmani shiti fu una scelta che torn anche utile,
1180
cos come utile ora (Friedman allude evidentemente al rapporto tra lIran khomeynista e il regime alawita
siriano).
Personalmente ritengo non soltanto interessanti, ma anche fondate e convincenti le ipotesi di Moezzi e
Friedman, anche pensando alle differenti ottiche con le quali Arjomand e Massignon hanno guardato al ruolo e
alla politica dei maggiorenti shti nei decenni dei suffar: certamente il silenzio sigillato di un Imm in
occultamento e tuttavia esistente, perci ostativo di altre catene di trasmissione non patrilineare (come
avrebbero voluto i sostenitori di Djafar : non tutti infatti concordavano sullobbligo della patrilinearit)
consentiva ai maggiorenti di mettere in atto una svolta dottrinale che li ponesse, con i propri seguaci, nellambito
della rispettabilit come uomini dordine. Una soluzione geniale, come la definisce a p. 16 Cahen, cit. in
Bibl. a p. 750, sottolineando il contrasto di interessi tra i notabili e i ceti umili della Sha immita.
La lettura esoterica della religione sempre esistita, nellIslam come altrove; ma, come altrove, anche
nellIslam si presentava foriera di percorsi istituzionalmente imprevedibili e incerti, contrari per natura allordine
consolidato; perci per la Sha duodecimana si present il problema di mettere alla porta compagni di viaggio
scomodi. La posizione sunnita fu, viceversa, sempre di condanna; Friedman tratta largomento esponendo e
discutendo a lungo la fatw di Ibn Taymiyya (cfr. supra, p. 1141) sottolineando s, la scorretta sovrapposizione
di Nusayriti e Ismailiti, ma anche i ragionevoli fondamenti dellerrore nella vicinanza geografica dei due gruppi
e nei reciproci buoni rapporti (p. 191). Nonostante le pesanti accuse di miscredenza rivolte loro, nota Friedman
che latteggiamento di Ibn Taymiyya non trov eco in quello di altri esponenti sunniti (p. 197). Secondo
Friedman (p. 198) il punto che lattacco di Ibn Taymiyya ai Nusayriti concepito nellambito di un attacco
generale contro tutta la Sha, accusata di essere la porta dingresso di tutte le eresie nellIslam.
Va da s che questa una posizione sunnita/hanbalita articolata nella logica di che accomuna tutte le
ortodossie: non soltanto erigersi a uniche interpreti e garanti di un Messaggio che tuttavia contiene in s
molteplici possibili letture, ma anche, conseguentemente, negare il carattere tutto interno al Messaggio di questa
molteplicit, associando leterodossia alla infiltrazione; come sempre, come in ogni logica razionalista, il Male
alterit, viene dallesterno, un disordine etico e della Ragione, tanto evidente quanto misterioso nella sua
natura. Lo abbiamo gi notato, il Razionalismo porta al dualismo che, non potendo essere istituzionalizzato
nellontologia dei monoteismi, si specchia sul dissenziente come dualismo etico e antropologico, contrassegnato
dalla sragione.
Friedman fa tuttavia alcune interessanti osservazioni che vanno pi al concreto rispetto ad una
interpretazione puramente ideologica della fatw o allannotazione delle sue evidenti confusioni in materia di
dottrine. A p. 190, rifacendosi alla versione originale della fatw pubblicata da M.S. Guyard, Le fatwa dIbn
Taimiyyah sur les Nosayris publi pour la premire fois avec une traduction nouvelle, J.A., 18, 1871, (che egli
ritraduce alle pp. 299-309 perch la ritiene versione originale di un testo alterato nelle edizioni successive) nota
che le accuse teologiche che accomunano varie dottrine (Mulhida, cio eretici, Ismailiti, Qarmati, Btiniti,
Nusayriti, Khurramiti, Muhammarah) e il fatto che nel testo vengano inoltre nominati, subito dopo (p. 190 del
testo di Guyard) gli Ikhwn as-Saf lasciano intendere che la fatw di Ibn Taymiyya sia focalizzata alla
denuncia dellIsmailismo.
Nel testo sono inoltre insistite le accuse contro gli effetti nefasti generati nellIslam dalle infiltrazioni
della filosofia greca e della religiosit persiana; aggiungo che trovo significativi anche i riferimenti a Khurramiti
e Muhammarah (i vestiti di rosso) per i quali cfr. supra la p. 206 con le relative note: siamo a fenomeni che
risalgono ai tempi di al-Muqanna, postumi delle rivolte di Ab Muslim e dei Janhiyya ricordati da Tucker, cio
al momento topico dellesplosione, anche dottrinale, dei ghult. Ibn Taymiyya, confusioni a parte, sembra
avere le idee politicamente chiare.
Se mi consentito infatti tornare su unosservazione generale che formulai gi parlando
delleresiografia cristiana antignostica, pu accadere talvolta agli Accademici di cadere nella trappola della
dissimulazione degli eresiologi, e di scambiare questi ultimi per accademici imprecisi e male informati:
laddove essi sono, al contrario, abili e ben informati politici. Politico infatti il significato di quellapparente
confusione dottrinale, perch ha di mira, negli eretici di ogni ordine e grado, la comune linea di opposizione
alla normativa e i suoi temuti effetti. La dissimulazione degli eresiologi consiste dunque nel presentarsi come
dottori mentre agiscono da politici: daltronde i due momenti non sono separabili in un pensare che non
indipendente dal luogo nel quale si pensa.
Gli aspetti politici (e anche strategico-militari) non sono infatti assenti nella fatw, attenta alla
collocazione geografica e alle scelte di campo dei Nusayriti, nonch al loro ribellismo (ci fu una rivolta nel
1317); ma soprattutto alla loro inaffidabilit, derivante dalluso della dissimulazione da parte dei gruppi shiti
minoritari, indispensabile forma di sopravvivenza nellambiente sunnita, ostile. Questi aspetti politici della fatw
di Ibn Taymiyya, come anche la funzionalit della fatw stessa alla politica dei Mamelucchi sono ben notati da
Friedman, che nota anche (p. 191) una comunque indubbia comune radice di Nusayrismo e Ismailismo.
Nelle sue Conclusioni, Friedman tenta comunque unindividuazione degli apporti che, a suo avviso,
influiscono dallesterno sulla religiosit nusayrita. Egli sostiene (p. 234) che le componenti neoplatoniche,
iraniche, cristiane e giudaiche non sono il risultato di una influenza, ma di un lungo processo di infiltrazioni
nellIslam, in particolare nel misticismo shita, e cita espressamente il mitico Djbir ibn Hayyn, cio il padre
dei moderni sviluppi dellalchimia: argomento che questo testo ha affrontato a lungo e al quale rinvio, anche
1181
per quanto concerne la collocazione storico-sociale del corpus djbiriano (VIII-X secolo) e di quel che ne segu,
cio gli Ikhwn as-Saf.
Ricordo, per inciso, che lalchimia da considerarsi come una religione alternativa, non gi una
pseudoscienza, come si sostenne a lungo; e che lalchimia, nel mondo islamico, fu la ricerca dellImm fuori da
una linea dinastica (specialmente quando scomparve) e dentro un percorso iniziatico. Friedman ritiene che la
vera struttura del Nusayrismo sia gnostico/neoplatonica, mentre gli elementi giudaici, cristiani e zoroastriani
sono puramente decorativi e marginali (p. 234): prestiti fuori contesto, quindi, come accade alla riflessione
islamica che anche in questo, aggiungo io, rivela di essere islamica. Il prestito, da Apocrifi e Pseudepigrafi,
una pratica diffusa nello stesso Corano.
Quanto islamico sia il Nusayrismo, lo mostra poi la sua storia nel XX secolo, dopo la prima Guerra
mondiale, la fine dellImpero Ottomano e il mandato francese. Si assistito infatti a un progressivo
riavvicinamento dei Nusayriti, che hanno cambiato il proprio nome in quello di Alawiti, alla Sha
duodecimana; e il riavvicinamento stato reciproco. Tuttavia la loro condizione di minoranza in ambiente
sunnita apertamente ostile, ha fatto propendere le loro intellighentzie verso unadesione al Baath, il partito del
nazionalismo laico che li port al potere (cfr. K.M. Firro, cit. in Bibl. a p. 848).

Per quanto si sin qui detto, il Nusayrismo e lIsmailismo avrebbero dunque una comune radice,
almeno cos si pu pensare dalle sostanziali analogie ontologiche e cosmogoniche, e dalla comune
divinizzazione della figura dellImm: aspetto, questultimo, tuttavia universale nelle eterodossie che discendono
dalla Sha, il partito di Al. Comune radice tuttavia affermazione la cui attendibilit va indagata per
accertarne il campo di validit e gli eventuali limiti: lo far qui di seguito riprendendo il filo da quanto esposto
supra alle pp. 210-238, con una avvertenza: non torner sulle cosmogonie neoplatoniche gi indagate attraverso
il grande lavoro di Halm (Kosmologie und Heilslehre, etc., cit. in Bibl. a p. 760) e la succinta esposizione di
alcuni testi filosofici che sistematizzarono la dottrina. Minteressa piuttosto indagare alcuni aspetti storici, l
accennati del tutto fugacemente, che danno un senso a ci che in questa rassegna si intende accertare, la
continuit e la coerenza di un certo sviluppo, vista attraverso il comune ceppo dal quale si dipartono i vari
orientamenti, apparentemente anche opposti (e sovente bellicosamente contrapposti) ma di fatto ciascuno teso a
realizzare a modo suo lobbiettivo da sempre inscritto nelle origini. Una crescita organica, nel corso della quale
nascono anche le cosiddette ortodossie, maggioritarie e vincenti per effetto di storiche contingenze.
Il punto primario dellinteresse dunque nellorigine dellIsmailismo con le sue versioni iniziali, i
Qarmati e i Ftimidi, i primi destinati ad estinguersi nellarco di due secoli, i secondi a durare poco di pi, ma
destinati a dar vita alla setta dei Drusi, tuttora esistente; allo scisma Nizrita di Alamt dal quale deriva
lIsmailismo tuttora esistente e diffuso, quello dei Koja che fa capo allAgha Khn; e allo scisma Tayyibita dello
Yemen, anchesso con qualche sopravvivenza nei Bohra. Naturalmente, come appare chiaro gi dalla citata
esposizione delle pp. 210-238, lIsmailismo nizrita di Alamt rappresent il pi interessante e audace (e
intimamente coerente) sviluppo dottrinale, sicch ad esso deve essere principalmente rivolto lo sguardo.
In loc. cit., avevo anche ricordato che le origini del fenomeno sono quanto mai oscure: ai Qarmati che
attendevano limminente comparsa del Mahd nella persona di Muhammad b. Isml, fa riferimento an-
Nawbakht (cfr. supra, p. 210) ma significativo che di essi non si sappia nulla prima dell875 e della loro prima
rivolta nell890; quanto allorigine dei Ftimidi, si sempre parlato di una scissione di Ubayd (Abdallh al-
Mahd) sedicente discendente dagli Aldi, nell899: naturalmente questultimo aveva idee diverse su chi fosse il
Mahd, e i suoi discendenti dovettero poi elaborare cicli cosmici assai complessi per assicurare una Fine dei
Tempi meno immediata, tale da non interferire con la loro terrena gestione, pur garantendone la certezza (sulla
quale si fondava il loro regno) entro un processo cosmico del quale essi avrebbero rappresentato lultima
manifestazione. Credo di aver affermato gi altrove che il loro regno fu dunque un ossimoro: garantire lordine
del mondo nella storia -necessariamente tramite lesercizio del potere- annunciandone tuttavia la fine (del mondo
storico, conseguentemente anche del loro potere).
Poich tuttavia nulla si sa, di Qarmati e Ftimidi, prima della loro apparizione alla fine del IX secolo,
nulla anche si sa sulla natura della loro scissione: qui le testimonianze sono diverse e val la pena di affrontarle,
non perch se ne possa trarre qualche decisivo chiarimento, ma perch si illumina un po meglio il clima di quei
decenni. In quel momento sembra infatti generarsi realmente il movimento, non nel secolo precedente e nella
crisi della successione a Djafar, quando alcuni ritennero Imm il pre-morto Isml, e, per successione
patrilineare, il di lui figlio Muhammad, il Mahd dei Qarmati. appena il caso di ricordare che stiamo parlando
dei decenni nei quali nasce il Nusayrismo, da un ghuluww che non ha motivo di incanalarsi nella
istituzionalizzazione duodecimana perseguita dai notabili shiti.
Seguo perci la ricostruzione di M. Brett, The Rise of the Fatimids, Leiden-Boston-Kln, E.J. Brill,
2001, indipendentemente dalla sua opinione sulla presunta scissione dei Ftimidi dai Qarmati (Y. Marquet, La
reponse ismalienne au schisme qarmate, Arabica 45, 1998, sostiene lopinione opposta: furono i Qarmati a
scindersi) da lui negata perch egli considera i due movimenti indipendenti sin dallorigine. Verosimilmente si
tratta di unopinione con un buon fondamento, ma entrare nei dettagli non ha importanza per largomento che
qui si persegue. Alla sua esposizione affianco quella di F. Daftary, The Ismls, their History and Doctrines,
Second Edition, Cambridge, Un. Press, 2007, pp. 87-136, e ricordo ancora una volta quanto precisato da
1182
Madelung (in E.I., vol. IV e altrove) e riportato supra a p. 229 in n. 261: prima dell875, del movimento non si sa
nulla.
Ci rende quindi gi in partenza poco verosimile attribuirne lesordio nella dottrina di coloro che, alla
morte di Djafar, scelsero come Imm Muhammad b. Isml. Di costoro dice comunque an-Nawbakht il quale
scrive al passaggio dal IX al X secolo e conosce gi il movimento qarmata, che appartenevano alla setta dei
Khattbiti (il cui protagonismo, anche dottrinale, nel ghuluww, abbiamo gi visto) una parte dei quali presero il
nome di Mubrakiti e da questi emersero poi i Qarmati, che consideravano Muhammad b. Isml non soltanto
lImm al-Mahd, ma anche un Profeta, lultimo, che avrebbe portato una nuova Legge abrogando quella di
Maometto. An-Nawbakht paragona poi i Qarmati ai Khridjiti/Azraqiti, per la loro convinzione che si dovessero
uccidere tutti coloro che non aderivano alla loro dottrina. Dunque il movimento qarmata, uno dei due volti,
peraltro storicamente conflittuali, dellinsorgenza ismailita, nascerebbe nellambito del pi tradizionale
estremismo shita.
Brett (p. 49 sgg.) prende la vicenda da lontano, partendo da eventi qui gi segnalati nel precedente
capitolo, precisamente dalla perdita di ruolo del Califfo che, sotto la pressione degli ulam sostenuti dalle
masse popolari, non pi Califfo di Dio, perch le decisioni in materia di Legge, della sua interpretazione,
passano progressivamente nei poteri del clero. Brett ripercorre anche la vicenda del Corano, creato o increato
ed eterno, come ultimo baluardo, crollato, del potere decisionale del Califfo. La sua perdita di autorit in
materia di interpretazione della Sharah comport linnalzamento dellImm a suprema autorit; una dottrina
che fu poi sviluppata e portata a compimento in modi diversi dai Duodecimani e dagli Ismailiti (p. 54). Questo
passaggio in verit un po ardito, perch la sapienza divina dellImm shita immita sembra qualcosa di
diverso dal sapere clericale per il quale si battevano i Sunniti/Hanbaliti..
Il regime degli Abbsidi, continua Brett (p. 55) al di l delle contese con gli Aldi, si considerava
sostenitore dei diritti di tutti gli Hshimiti, affermazione che trova conforto in quanto abbiamo gi visto
scorrendo lo studio di Sharon (cfr. supra, p. 1168) circa la radice shita e il carattere hshimita della rivoluzione
che li port al potere; per questa ragione, nella corte che ruotava attorno al Califfo abbside traendone fonte per
lucrative attivit, potevano navigare numerosi notabili shiti -torna in mente il nome del Ban Nawbakht- che
furono coloro che organizzarono la nascita della ortodossia duodecimana. Gli Abbsidi, del resto,
perseguitavano soltanto gli Shiti ribelli, non i quietisti Husaynidi (ivi); questo buon rapporto fin tuttavia verso
la met del IX secolo per la virata di al-Mutawakkil (cfr. supra, p. 881 e p. 891).
Secondo Brett questa pu essere stata una ragione per indirizzare la scelta verso loccultamento
nell874 (cfr. anche E. Kohlberg, From Immiyya to Ithn-Ashariyya, cit. in Bibl. a p. 849, p. 533). Di certo,
questa scelta fu il sottofondo per le rivolte shite di quegli anni (p. 56). Limpero abbside era percorso, nella
seconda met del IX secolo, da un profondo disagio sociale: una rivolta di ispirazione alde fu quella dei Zanj
(negri, ma ribelli non furono soltanto i soltanto negri; 869-893) il cui leader si proclamava discendente da
Zayd, e fu una rivolta che mise in pericolo lo stesso Impero (pp. 57-58). Il Mahdismo e il sogno di un mondo di
giustizia guidarono queste rivolte, nel cui ambito emerge notizia dei Qarmati (p. 58).
Brett puntualizza poi le caratteristiche di questo messianismo, sottolineando ne limpronta islamica,
profondamente diversa da quella cristiana, nella quale la divinizzazione di Cristo risorto rinvia il trionfo della
giustizia al Regno dei Cieli. Riprendendo il concetto di Wansbrough, per il quale lIslam maturato in un
sectarian milieu, Brett ricorda che lIslam predicato dal Profeta viceversa un programma per la realizzazione
del mondo di giustizia in terra.
Lattesa mahdista non ha perci nulla a che spartire con la tradizione legale degli ulam nella sua
opposizione al Califfo abbside: in essa si attende la fine di un mondo iniquo e lavvento di unera di pace e
prosperit, inaugurata da una riforma della fede (p. 60). dalla met dellVIII secolo che vari Imm incarnano,
agli occhi di varie sette, la figura del Wqif, di colui che mette fine. Tanto Ms, quanto i suoi due fratelli
Abdallh e Isml, ispirarono movimenti wqifiti; fu il permanere di questo clima teso che indusse Ab Sahl
an-Nawbakht a perseguire la condanna di al-Hallj (p. 60) che, come ho gi ricordato, si proponeva come leader
dellestremismo shita e fu condannato come Qarmata.
Lunga dunque la lista dei vari Settimiani compilata da an-Nawbakht (ivi): qui si viene dunque ai
Mubrakiti citati supra. Nota Brett (pp. 62-63) che nonostante an-Nawbakht scriva negli anni del supposto
scisma tra Ubayd (Abdallh al-Mahd) e Hamdn Qarmat, il suo interesse va alla dottrina di questultimo, che
appare gi consolidata. In particolare Brett nota il paragone di an-Nawbakht tra Qarmati e Khridjiti, perch il
Khridjismo era divenuto, sotto gli Omeyyadi, sinonimo di dottrina rivoluzionaria secondo la quale il Califfato
spettava al migliore, fosse anche uno schiavo negro.
Tutta la vicenda, conclude Brett a p. 64 echeggia il tema millenarista della liberazione dalle miserie
terrene. Anche il comunismo, nelle sue varie accezioni inclusa quella sessuale, una calunnia abituale degli
eresiologi (in questa ricerca ne abbiamo collezionati esempi da tutti i tempi e in tutte le religioni). Tuttavia
nessuno degli storici musulmani che ha affrontato il tema (an-Nawbakht, at-Tabar, Akh Muhsin) ha fornito
un sufficiente resoconto sulla preistoria del movimento prima che il marchio di Qarmati fosse applicato alle
varie rivolte messianiche del Medio Oriente della fine del terzo e dellinizio del quarto secolo (scil.: dellEgira).
Brett descrive brevemente il confuso quadro di queste rivolte (inclusa quella dei Zanj) che sono rivolte di
Beduini o di popolazioni rurali, e chiude il capitolo con un breve sguardo sullo Stato creato dai Qarmati nel
1183
Bahrain, una societ egualitarista dove il potere appariva diluito nella comunit. Egli osserva infine che i
Qarmati erano di fatto riusciti a realizzare ci che non era riuscito agli Zanj: ma qui siamo al margine del nostro
problema.
Seguiamo ora la lettura di Daftary, il quale non pu che esordire affermando che il periodo
antecedente la comparsa dei Ftimidi quanto mai oscuro, ci che causa di disaccordo tra i vari studiosi (p.
87). Anche lui prende lavvio dagli eventi che seguirono la morte di Djafar e dalle testimonianze eresiografiche
shite gi ricordate, citando per Ivanow secondo il quale al-Mubrak (il benedetto) fu il soprannome di
Isml (p. 90) ci che fa comprendere il nome della setta dei Mubrakiti come quella dei partigiani del suo
diritto allimmato. Per quanto concerne il ruolo dei Khattbiti nella nascita della setta, egli ricorda che questi
erano anche definiti come al-Ismliyya al-khlisa, i puri ismailiti. Resta naturalmente oscuro il ruolo di essi
e dei Mubrakiti con lIsmailismo, che tuttavia era popolare tra i ghult e vicino ad al-Mufaddal b. Umar al-
Djuf (p. 91). Si ricordi perci che questultimo ritenuto allorigine del Nusayrismo, le cui dottrine sono
particolarmente vicine a quelle degli Ismailiti.
Dico questo per sottolineare il loro comune crogiolo nel dissenso politico dal quietismo immita al
momento della morte del 6 Imm, un dissenso dal quale i due movimenti prendono origine in continuit con il
ghuluww, dal quale limmismo duodecimano a distaccarsi erigendosi a ortodossia. Come ricorda Kohlberg,
cit., a p. 523 in n. 1, il termine Immiti di origine zaydita e fu forse impiegato prima dell850, mentre quello
Duodecimani non lo fu, forse, prima del 1000.
Daftary ne conclude non soltanto la stretta relazione tra lIsmailismo e i circoli radicali ruotanti
attorno al 6 Imm, ma anche lappartenenza del giovane Isml tra coloro che si mostravano insoddisfatti del
passivo quietismo dellImm (p. 92); nonch una certa evidenza del rapporto Khattbiti/Mubrakiti/Ismailiti
testimoniato dallo Umm al-kitb (p. 93; cfr. anche Ivanow, cit. in Bibl. a p.849, p. 440; e Halm, Die Islamische
Gnosis, pp. 134-135, p. 136 e p. 273). Il testo, da ritenersi nusayrita, fu ritrovato tra laltro, come gi detto,
presso una comunit ismailita. La sua nascita, come ricorda Daftary, connessa da Halm ai Mukhammisa,
Khattbiti (Halm, cit., p. 218 sgg.) e in esso Ab l-Khattb menzionato in una formula sacra (cfr. Ivanow, cit.,
p. 429, ultime due righe).
Daftary estende le analogie tra Nusayrismo e Ismailismo al Kitb al-haft wa l-azilla senza poter
fornire spiegazioni al suo ritrovamento tra gli Ismailiti (p. 95) e tuttavia rafforzando in tal modo la tesi, che qui
stiamo seguendo, dello stretto legame evolutivo dellIsmailismo con il ghuluww della met dellVIII secolo.
Dopo queste lontane radici tuttavia, nullaltro si pu dire sullIsmailismo sino alla sua apparizione nellultimo
quarto del IX secolo; Daftary si limita a citare (p. 97) i Qarmati e i loro predecessori, per definire coloro che
attendevano Muhammad b. Isml come settimo e ultimo Profeta. Si noti dunque questo passaggio da 7 Imm
a 7 Profeta, che testimonia lattesa di una nuova e ultimativa Legge: siamo oltre lIslam e tuttavia al
compimento di quel Messianismo e di quella ripetitivit profetica che sono nelle sue origini: una vera e propria
Aufhebung (sensu Hegel) come ho gi notato. Ad ogni buon conto, testimonianza di un grande disagio sociale e
della disillusione che circolava dallavvento degli Abbsidi.
Muhammad b. Isml, per i Qarmati, sarebbe rimasto vivo e sarebbe tornato come il Qim; non cos
nella dottrina finale (sar chiara tra breve la ragione del corsivo) dei Ftimidi, secondo la quale egli avrebbe
avuto come successore il figlio Abdallh (p. 99) e da questi una serie di discendenti. La ragione di questa
differenza, che non la sola, strumentale; infatti Abdallh considerato il primo di una seconda eptade di
Imm ismailiti (ftimidi) che, allungando il tempo dellattesa, mantengono il chiliasmo nellattesa di un nuovo
mondo, ma anche la cogenza di gestire il mondo ordinario tramite la solita Legge. Nonostante la sua vita
relativamente lunga (limpero ftimida, dopo i primi passi nel Maghreb nel 909, dura due secoli dalla conquista
del Cairo nel 969 alla fine nel 1177) la storia ftimide, con i suoi splendori artistici e culturali, interessa la nostra
indagine essenzialmente per i sistemi teologico/filosofico/cosmogonici che vi si svilupparono, e che sono stati
gi esposti in estrema sintesi supra alle pp. 212 sgg., alle quali perci rinvio. Essa per interessa anche per gli
eventi che, a partire dal califfato di al-Hkim (996-1021) portano allo scisma druso (1019) e nizrita (1094) e ai
loro sviluppi dottrinali. C poi da ricordare anche lo scisma tayyibita del 1130, che sul piano dottrinale sviluppa
le strutture cosmologiche introdotte dal ftimida al-Kirmn in quelle di al-Hmid: ma su ci lessenziale gi
stato accennato supra alle pp. 215-217, nel testo e nelle note.
Gli esordi della dinastia ftimida risalgono dunque ad Ubayd Allh detto anche Abdallh, il Mahd
che rivendic a s limmato in qualit di discendente di Ftima (donde il nome della dinastia) nell899 (cfr.
supra, p. 211). La sua presunta genealogia -e i dubbi degli avversari- lho gi ricordata genericamente ivi in n.
109: la vantata discendenza da Abdallh sarebbe in realt la discendenza da un eretico, Bardesanita o Manicheo.
Questa tesi, di origine abbside e perci evidentemente interessata, non accettata dagli studiosi (Daftary, pp.
103-105) ma non per questo chiara la discendenza di Abdallh al-Mahd. C infatti un problema che riguarda
la vera figura di quel Abdallh dal quale sarebbe disceso lautoproclamato Mahd. Abbiamo gi visto che,
nella versione ufficializzata poi dalla dinastia, si tratterebbe del figlio di Muhammad b. Isml (il Mahd atteso
dai Qarmati): tuttavia, in una lettera scritta allinizio della dinastia dal diretto interessato, il fondatore Ubayd, lo
Abdallh invocato come antenato risulta essere Abdallh al-Aftah, il figlio del 6 Imm, fratello di Ms e di
Isml (Daftary, p. 101; Halm, Kosmologie, etc., p. 4 in n. 16; cfr anche supra, p. 812, circa un presunto figlio di
al-Aftah).
1184
Una distrazione? Di certo appare strano che, in una lettera, il Mahd mostri di non esporre idee chiare
circa gli antenati dai quali deriva la pretesa al titolo: una lettera un documento con una propria ufficialit, e la
cosa sorprende, in quanto, come rampollo della famiglia, egli avrebbe dovuto sapere ci che altri sapevano, cio
che Abdallh al-Aftah non ebbe figli. eccessivo sospettare che il presunto Mahd fosse soltanto un
avventuriero, poco addentro alle complicazioni genealogiche ma abile nel cavalcare una costellazione di rivolte
che lacerava limpero abbside dallOriente allo Yemen al Maghreb, impero del quale i Ftimidi riuscirono ad
incamerare una buona met?
Il sospetto non importante in s -sul suo essere realmente il Mahd decide il semplice buon senso e
ha comunque deciso la storia- ma perch, a mio avviso, d il quadro di un abile, spregiudicato e riuscito tentativo
di approfittare di un diffuso clima messianico, quello espresso anche dai Qarmati; unipotesi che nulla pi di
unipotesi ma che ha un senso nellottica di considerare i due movimenti, quello qarmata e quello ftimida, come
due realt diverse, una con epicentro allEst, laltra concretizzatasi con spregiudicata Realpolitik nel Maghreb,
dove gi esisteva lagitazione messianica ad opera di Ab Abdallh al-Shi, il vero vincitore dei locali
Aghlabidi, poi fatto assassinare dal Mahd nel 911. Su tutta la vicenda si rinvia a Brett, che ne tratta
diffusamente.
La discendenza del Mahd dalluno o dallaltro dei vari Abdallh (quattro in tutto, vedi la citata n.
109 di p. 211 supra) non dunque ci che conta, ma il fatto che una discendenza dagli Imm aldi possa essere
invocata a titolo rivoluzionario. Daftary (p. 104) utilizza un ragionamento accademicamente sostenibile e ben
articolato per avvalorare la discendenza di Abdallh al-Mahd da Muhammad b. Isml e riagganciarsi alla
genealogia ufficiale apparsa con al-Muizz, il conquistatore del Cairo, da lui previlegiata rispetto ad altra
ipotesi che fu avanzata per superare la discrepanza tra la genealogia ufficiale e la lettera, citata, del Mahd: la
possibilit di una diversa discendenza tra Abdallh al-Mahd e il di lui figlio (da ritenersi non tale) al-Qim,
il nonno di al-Muizz (p. 105 sgg.).
A me sembra infatti che la vicenda metta in mostra realt pi significative che vanno al di l
dellaccertamento delle genealogie, anche perch, restando tutte le ricerche nel campo delle ipotesi, certo che
la genealogia del Mahd non garantita. Quanto alla continuit di sette segrete appartenenti a secoli diversi,
ipotizzata sul fondamento di analogie dottrinali, diedi gi una mia opinione trattando dei Pauliciani, e non ho
motivo di cambiare idea. Quel che per certo che la sedizione qarmata e le turbolenze rurali e beduine nelle
quali si inserisce, rivelano lesistenza di un grave disagio sociale ma anche ideologico che coincide con la
scomparsa dellXI Imm e laffermarsi della scelta duodecimana che emargina progressivamente il ribellismo
ideologico e sociale; e che tutto ci avviene con il richiamo a fratture ideologiche maturate nella Sha un buon
secolo prima in occasione dellavvento degli Abbsidi. Le rivolte qarmate che metteranno in dubbio la stessa
sopravvivenza dellImpero, sono infatti rivolte anti-abbsidi.
Questa dinastia, della quale si soliti esaltare il rapporto con un Rinascimento islamico -reale e
culturalmente glorioso, ma assolutamente elitario ed estraneo alle masse- pu essere piuttosto considerata
esemplare delle contraddizioni che si generano, nel mondo islamico, tra il realismo (anche cinico e sovente
eterodiretto) imposto dalla gestione del potere, e le attese messianiche di un mondo di giustizia sempre
operanti nellIslam, del quale costituiscono lessenza e il carattere identitario. Socialmente parlando afferma
Daftary a p. 115 il primo ismailismo fu un movimento di protesta contro il dominio oppressivo degli Abbsidi,
le classi urbane previlegiate e lamministrazione centralizzata. Nota poi (ivi) che infatti la predicazione qarmata
ebbe successo tra i beduini e le popolazioni rurali, mentre non riusc a penetrare le masse urbane (corsivo mio)
che, lo ricordo, erano prevalentemente sunnite, quando non anche hanbalite. La composizione sociale della
rivolta ricorda quella di Ab Muslim e delle susseguenti, residue ondate rivoluzionarie iraniche; e questa
composizione sociale del movimento smonta, per inciso, la tesi esotericista di Massignon, che vede
nellIsmailismo lorigine delle ghilde islamiche (cfr. supra, p. 225 in n. 228).
Le attese messianiche trovarono realizzazione nel mondo qarmata, nel Bahrain descritto da Nsir-i
Khosrow alla met dellXI secolo come unoasi relativamente felice, dove vigeva un ampio decentramento del
potere; cfr. anche Brett, pp. 65-72, che delinea gli eventi di questo singolare Stato vissuto per due secoli in attesa
del regno divino, tentando di approssimarlo nel frattempo con le proprie umane forze. Su questo cfr. anche
Daftary, pp. 147-154.
Diversa fu la vicenda del Califfato Ftimida, la cui storia fu certamente gloriosa; tra laltro fu
allorigine di tanta filosofia neoplatonica, per esigenze di razionalizzazione ideologica, attraendo nella propria
orbita al-Sijistn, al-Kirmn e Ab Htim al-Rz (cfr. supra pp. 212-218) ma tutto lIsmailismo in genere fu il
motore del Neoplatonismo, maturato anche altrove, come razionalizzazione filosofica di gerarchie divinizzate.
Si deve tuttavia riflettere sul fatto che la conquista del Cairo avvenne nel 969, e che gi al volgere del secolo
iniziano le stranezze di al-Hkim e al 1019 (ma anche a due anni prima) risale lo scisma druso generato
dalluniversale chiliasmo dellEgitto ftimida. Ci equivale a constatare che lossimoro di un potere messianico
(nel cui ambito vanno collocate le stranezze di al-Hkim) rimase sopito per poco pi di trentanni, e in mezzo
secolo soltanto aveva partorito la crisi.
Il regime ftimida era infatti portatore di un inestricabile nodo istituzionale: affermarsi sullonda di
unattesa messianica per praticare il normale esercizio del potere in questo mondo, vicenda che si rispecchia
nei complicatissimi schemi cosmogonici neoplatonici da esso patrocinati, oggetto della ponderosa ricerca di
1185
Halm e genericamente delineati anche supra in locc. citt., il cui vero senso risiede nellallontanamento indefinito
di un evento dato per certo, il compimento del ciclo terreno dello zhir della Legge. Questa dunque la sua
essenza ossimorica: assicurare il transeunte ordine del mondo nel Tempo della sua fine, un ordine ingiusto
nella certa attesa di chi colmer il mondo di Giustizia. Fu qui la difficolt che si manifest ben presto, sotto al-
Hkim, come nota esplicitamente Van Ess, Chiliastische Erwartungen, etc., cit. in Bibl. a p. 779, alle pp. 55-56.
Di qui la scelta pragmatica di assicurare lo zhir della Legge per un popolo sunnita (tali erano egiziani
e maghrebini) in attesa di rivelazione di un btin che ne avrebbe decretato la fine, argomento per sul quale si
guardarono bene dal seguire il modello qarmata di Nasaf (cfr. supra a p. 212 in n. 116 e p. 218) secondo il quale
lo stadio finale, come quello iniziale di Adamo, essendo caratterizzato da uno stato di perfezione umana
(iniziale e ritrovata) sarebbe stato caratterizzato dallassenza della Legge. Questo era il sogno qarmata, sogno
adamita di tante eresie testamentarie, non soltanto islamiche. Per Nusayriti e Drusi sembra comunque che un tale
stato fosse raggiungibile anche in questo mondo, ovviamente soltanto per gli iniziati. Per i Ftimidi si trattava,
pi oculatamente, di attendere una nuova Legge, proclamata dal Mahd Muhammad b. Isml dopo interminabili
cicli settenari che posponevano quel momento (Daftary, pp. 131-132); tuttavia c da sottolineare con forza un
punto che vale per entrambe le manifestazioni dellIsmailismo.
luogo comune di molti autori, nel trattare le eterodossie islamiche, ma in particolare lIsmailimo,
parlare di Gnosticismo e andar cercando influenze (iraniche, cristiane, giudeocristiane, mesopotamiche,
neoplatoniche -cio greche- e chi pi ne ha pi ne metta) avvenute nel crogiolo di popolazioni, convertite e non,
entro limpero abbside. I contatti sembrano ovvii nellordine stesso delle cose, prestiti formali sono sovente
anche evidenti, ma con ci si corre il rischio di mettersi sul piano degli eresiologi dimenticando il carattere
assolutamente islamico delle motivazioni e dei risultati. Nel caso della filosofia ne abbiamo discusso gi, in
particolare a proposito di al-Frb. A mio avviso per le strutture rappresentano soltanto laspetto esterno
(non voglio dire esteriore) di queste eterodossie: anche linnegabile neoplatonismo ismailita, lismailismo al
quale sono stati ricondotti filosofi come al-Frb e Avicenna (di famiglia ismailita) e con loro gli Ikhwn as-
Saf e gli autori del corpus alchemico djbiriano (cfr. supra, oltre alle citate pp. 210-238, anche le pp. 811-815,
e, per la filosofia, il 2 capitolo di Dopo e a lato, e, passim, il 3, per linterpretazione che ne d Leo Strauss) di
fatto la rielaborazione dotta di una concezione cosmologico/ontologica -in breve: di una teosofia, di unattesa
religiosa- che ben presente, come ha mostrato Halm (Kosmologie, etc.) anche nel primo Ismailismo, quello
lontano dalla filosofia.
Per quanto riguarda poi in particolare le ipotizzate influenze esterne gnostiche, si deve sottolineare
la radicale diversit dellaspettativa gnostica, che non vede salvezza in un mondo ontologicamente irredimibile e
la cerca, a titolo individuale, in un fantasticato altrove; e quella islamica, che spera, e pretende di fare di questo
mondo un altro mondo, per tutti, per una umanit e con una Legge ormai perfette. Non c contraddizione tra lo
zhir di una Legge che comanda il Bene e proibisce il Male, e il suo btin, che la fine della Legge alla Fine dei
Tempi per una umanit redenta. Ci che stiamo vedendo allopera, dunque, Islam, non Gnosticismo, perch
lEra finale attesa quella stessa che lIslam delle origini attendeva e non fu realizzata gi sin da quando il
potere si riorganizz nelle vecchie strutture sociali pre-islamiche; resta quindi la speranza di un nuovo Profeta (la
ripetitivit della Profezia il pilastro stesso sul quale poggia lIslam) che realizzi ci che dopo Maometto non si
realizz, il vero Islam che doveva essere e che non fu, perch il mondo non cambi: abbiamo gi visto, con D.
Cook, la continua attesa islamica di quel vero Islam che fu tradito dalla storia.
Di qui la singolare collocazione dellIsmailismo, che da un lato non pi Islam -lo abbiamo visto
negli sviluppi nizriti con la Grande Resurrezione- dallaltro ne il paradossale compimento, una vera e propria
Aufhebung in senso hegeliano. Perci pienamente sottoscrivibile quanto afferma Daftary a p. 135 con
riferimento ai presunti influssi di sistemi gnostici: nessuno di questi precedenti sistemi sembra aver servito da
prototipo diretto alla iniziale cosmologia ismailita, un modello originale sviluppatosi nel suo proprio ambiente
islamico, fondandosi su una terminologia coranica e su dottrine shite, nonostante sia apparentemente modellato
sullo schema generale di un precedente Gnosticismo.
Le dottrine, prosegue Daftary, erano di provenienza islamica, anche quando prese in prestito da
sistemi precedenti (corsivo mio); poi, citando lesempio di Kun e Qadar (cfr. supra, p. 216 in n.154 e p. 218)
conclude il capitolo sul primo Ismailismo (p. 136) affermando: gli Ismailiti hanno fondato una propria
tradizione gnostica islamica nella quale la cosmologia era strettamente connessa alla soteriologia e una visione
specifica della storia dellumanit (corsivo mio).

Resta ora da percorrere un tratto di cammino che conduce allo scisma druso, cosa che far seguendo
prevalentemente il racconto di Daftary il quale gi a p. 139 sottolinea che alla met dellXI secolo il Califfato
ftimida era gi avviato sulla strada di un rapido declino. Sono passati soltanto otto decenni dalla conquista del
Cairo, ma, evidentemente, le contraddizioni intrinseche allideologia, molto forti, erano gi troppo evidenti.
Tralascio il periodo maghrebino della dinastia per iniziare dal tempo della conquista del Cairo: al-
Muizz, lo si ricorder, fu colui che corresse la errata genealogia di Abdallh al-Mahd e stabil che la
propria stirpe discendeva da Abdallh b. Muhammad b. Isml, dunque dal 7 Imm e non da Abdallh b.
Djafar (Daftary, p. 166). Successore di al-Muizz fu al-Azz, la cui moglie era cristiana e che diede spazio a
Cristiani e Giudei nellamministrazione (p. 177) col risultato di scatenare reazioni nelle masse sunnite, con
1186
saccheggi di chiese e uccisione di Cristiani (ivi). Nel 996 gli successe il figlio al-Hkim sotto il cui regno prese
corpo lo scisma druso dopo che vari eventi, collegati alla personalit del Califfo e al ruolo da lui assunto, ne
avevano creato le premesse. Sul suo califfato, caratterizzato da un comportamento di non facile comprensione, si
pu fare una qualche luce attraverso due studi, il primo di Halm, Der Treuhnder Gottes. Die Edikte des Kalifes
al-Hkim, der Islam, 63,1, 1986; il secondo di Van Ess, Chiliastisches Erwartungen, etc., cit.
La vicenda di al-Hkim tuttavia assai complessa e non pu essere delineata con il semplice clich
caratteriale, abusato ogniqualvolta la crisi di un regime si manifesta contemporaneamente a comportamenti
quantomeno eccentrici di chi lo guida. Non compito di queste poche righe chiarire ci che non sembra chiarito
neppure da illustri studiosi; tuttavia qualcosa occorre pur dire, perch il califfato di al-Hkim si conclude con lo
scisma druso, il cui nucleo dottrinale sincunea nellideologia stessa del regime ftimida e non estraneo alle sue
evoluzioni in quegli anni, che ne esaltano la contraddittoriet, forse giunta a un punto di non ritorno con quel
Califfo. Ci che a mio avviso viene chiamato in causa infatti la proponibilit stessa di reggere una struttura
statale -non le oasi del Bahrain- sul fondamento di unideologia che fa balenare, se non anche la Fine dei Tempi
e della Legge, quantomeno la fine di questo mondo e delle leggi che lo governano -che governano questi uomini-
e lavvento di una nuova e definitiva Legge che render diverso il mondo, e tuttavia con questi stessi uomini.
Non affatto casuale che i Ftimidi abbiano tenuto per s e per il proprio partito la dottrina ismailita,
con i suoi risvolti esoterici soprattutto in materia di Legge ma anche di rapporto contiguo tra umano e divino,
salvo lasciare i propri sudditi sunniti alla loro tradizionale Sharah: questa non tolleranza, ovvio buonsenso
politico, Realpolitik. La tolleranza ismailita altra cosa, che viene messa in luce dalliniziale apertura verso
Cristiani e Giudei impiegati in ruoli ufficiali di governo, e nasce dalla convinzione -tutta ismailita ma radicata
nelle pieghe di un Islam tutto da valorizzare- di una progressivit del ciclo profetico che accomuna con le altre
religioni e porter al superamento dello stesso Islam.
Le contraddizioni di un tale regime, se anche possono passare in secondo piano nelleuforia degli inizi
e nei tempi prosperi, sono destinate a pesare sulle scelte politiche allorch sia necessario affrontare le difficolt;
in tal senso possono portare a decisioni che, viste al di fuori del contesto, possono sembrare folli e magari lo
sono anche, ma in quel contesto vanno comprese. appena il caso di ricordare quanto gi segnalato sopra, cio
che alla met dellXI secolo, cio a soli trentanni dalla morte di al-Hkim, lo Stato ftimide era gi in pieno
declino.
Quanto sopra per far cenno, accanto ai due studi citati, anche allimpostazione di Daftary circa gli anni
del regno di al-Hkim, perch egli parte dai problemi politici interni ed esterni cui and incontro il Califfato (p.
178 sgg.). Dapprima ci fu lesigenza di fronteggiare lostilit dei guerrieri berberi contro le armate turche,
arruolate per esigenze militari del fronte siriano -il punto di frizione e di contesa con il Califfato abbside- dal
padre al-Azz; poi di liberarsi del wisir cristiano Ibn Nastrus, che era stato nominato dal padre. Al-Azz era
stato assai liberale con Giudei e Cristiani, mentre le masse sunnite saccheggiavano le chiese e uccidevano i
Cristiani, testimoniando in ci una dura opposizione alla politica della corte ismailita. Entrambe le contese erano
strutturali, di entrambe non si venne a capo.
Anche il nuovo wisir tent di esercitare la propria autorit sul Califfo ancora giovanissimo (era salito
al trono a 11 anni) e perci dovette essere eliminato. Van Ess pone laccento sulle cupe esperienze giovanili di
al-Hkim in un ambiente di corte infido e sempre pronto a tradire, per giustificarne il successivo comportamento,
assai diffidente e crudele con lamministrazione e la corte che lo circondavano.
Al-Hkim dovette poi affrontare una pericolosa rivolta berbera in Cirenaica e in Palestina, ma tutto il
suo regno era in continuo subbuglio. Il suo continuo oscillare tra la tradizione liberale ftimida, con la
fondazione di una Dr al-ilm (o Dr al-hikma) dove far confrontare le diverse religioni, e le successive
concessioni ai Sunniti; tra il favore a Giudei e Cristiani e la loro persecuzione; un oscillare che,
indipendentemente da possibili aspetti caratteriali, mostra, a mio avviso, lo scollamento tra la politica e lideale
della linea ftimida, e il condizionamento posto da un paese sunnita, religiosamente intollerante. Daftary (p. 180)
mettendo in evidenza questi contrasti, smentisce la presunta follia e incoerenza di al-Hkim, sottolineando al
contrario il suo desiderio di rappacificare i contrasti religiosi, e la sua dedizione alla causa ismailita che si
manifesta con il ruolo avuto, durante il suo regno, dal grande d ismailita al-Kirmn (pp. 183-184). Al-
Kirmn combatt la tendenza, che si and formando nellIsmailismo ftimida, a divinizzare la figura di al-
Hkim, una tendenza dalla quale prese corpo lo scisma druso e la sua cosmogonia (cfr. supra, pp. 215-216) che
fu poi adottata, con le varianti di al-Hmid, dai Tayyibiti dello Yemen, e che sembra avere un chiaro obbiettivo:
trasferire in un lontano futuro, e dopo ripetuti cicli, la comparsa del Mahd (Daftary, p. 207).
Tuttavia, e qui si nota unaltra contraddizione, al-Hkim sostenne la formazione e la circolazione di
idee estremiste, originatesi in ambiente iranico e centro-asiatico, su un suo ruolo escatologico; idee non lontane
da quelle khattbite (p. 186) tanto che nel 1017 (il primo anno dellera drusa) ci fu un movimento che si
proponeva di proclamare la sua divinit. Il suo comportamento aveva certamente contribuito a tutto ci; gi nel
1012/1013 aveva vietato ai suoi sudditi di prostrarsi dinnanzi a lui; aveva cominciato a vestire in modo rozzo (e,
a quanto sembra, anche trascurato nei dettagli) e a circolare cavalcando un asino bianco (ivi; cfr. anche Van Ess,
pp. 57-58). Del resto, egli era sempre stato rigorista e puritano in materia di etica pubblica, con ripetuti editti gi
dallanno 1000, che tendevano a regolamentare duramente la vita nella citt del Cairo. Al-Hkim era considerato

1187
un puritano persino dai Sunniti (Van Ess, p. 22) e alla sua corte erano banditi i poeti (ivi, p. 29); canto e poesia
rientravano tra le manifestazioni da lui vietate (ivi, p. 9).
Halm (Der Treuhnder, etc., cit.) ha ritenuto necessario perseguire una paziente ricerca sullordine
cronologico degli interventi di al-Hkim nella vita pubblica dei sudditi, al fine di creare le basi per una miglior
comprensione della loro logica fuori dal consueto clich della follia e della crudelt. In effetti si tratta di
interventi volti alla moralizzazione dei costumi, che iniziano con il 1000 ma sono poi vieppi reiterati in forme
sempre pi severe a partire dal 1010. Gli interventi, pur nella loro varia natura, sono sostanzialmente di due tipi:
durissime norme discriminatorie contro Cristiani e Giudei, in sorprendente contrasto con il tradizionale
atteggiamento ftimida; e una interpretazione parossistica della Sharah, tale da far apparire bon vivants persino
gli attuali talebani afghani. comunque interessante notare che tali editti dovevano essere continuamente ripetuti
e inaspriti, e se ne evince che i suoi sudditi non fossero tanto disposti a rendersi la vita cos amara (Van Ess, p.
24).
Al-Hkim aveva sempre avuto labitudine di girare di notte per le strade del Cairo, al fine di
controllare il comportamento dei suoi sudditi -a quel che si legge non troppo sdegnosi dei piaceri della vita- e ne
aveva tratto spunto per le proprie terribili reprimende. Agli inizi girava scortato (Van Ess, p. 30); le strade dove
passava venivano spazzate e illuminate (ivi, p. 27); partecipava in incognito anche alle feste dei Cristiani (ivi).
Tuttavia negli ultimi tempi inclinava verso una solitudine sempre pi cupa, sino alla stravaganza; di notte si
recava col suo asino fuori del Cairo, ai piedi di unaltura. Un giorno non torn: fu cercato anche in un chiostro
ove soleva rifugiarsi per mistici conversari (Halm, p. 65), sinch, accanto ad una roccia, fu trovato il suo asino
imbrigliato e con i tendini tagliati, e accanto alle impronte dei suoi zoccoli quelle di due uomini. Seguendo le
impronte, nei pressi di uno stagno fu trovato il suo mantello, ancora abbottonato e con tracce di colpi di pugnale
Ivi, p. 66). Si sospett lassassinio ad istigazione di una sorellastra, Sitt al-Mulk, la cui vita era minacciata dal
Califfo (Daftary, p. 191). Il suo corpo non fu pi ritrovato. Ancora 13 anni dopo la sua scomparsa, vera chi si
spacciava per il Califfo ritornato (Van Ess, p. 85); cera anche chi sosteneva di vederlo aggirarsi di notte per le
strade (ivi, p. 84 in n. 458).
La spiegazione di un comportamento attribuito soltanto alla follia e alla crudelt (mand a morte
tantissime persone, in particolare quelle a lui pi vicine: ma le corti sono sempre covi di serpenti) e della
misteriosa fine, non mai stata esaurientemente fornita. Di certo, quattro anni prima della sua morte, nel 1017,
era iniziato il movimento druso che ne proclamava la divinit (al-Hkim ne prese le distanze: ma fu convinzione
o taqiyya?); il suo cavalcare un asino bianco dimostra comunque che egli si riteneva il Messia (Van Ess, p. 60).
Neppure oggi possibile avanzare un convincente spiegazione; qualche barlume pu venire da
considerazioni generali. Certamente il suo rigorismo aveva penalizzato i consumi e fortemente impoverito i
commerci nella citt del Cairo (Van Ess, p. 9); difficolt interne avevano caratterizzato il suo regno, non soltanto
per le molte ribellioni ma anche per le tensioni tra le masse sunnite e i gruppi religiosi minoritari (inclusi gli
Shiti) da lui alternativamente favoriti o crudelmente perseguitati con distruzione di chiese e sinagoghe e
imposizione di umilianti e vistosi segni di riconoscimento per Cristiani e Giudei: per queste poco comprensibili
alternanze si anche pensato ad esigenze delle esauste casse statali (la protezione dopo la persecuzione e la
conseguente protesta implica un patteggiamento).
Altrettanto certo che circolava sempre pi, con il trascorrere degli anni, un clima di esasperata
tensione messianica che trov infine coronamento nella scissione drusa: una tensione sulla quale molti dati sono
stati raccolti da Van Ess, come fa intendere gi dal titolo il suo studio. Queste tensioni alimentavano la comparsa
di vari oracoli, calcoli astrologici ed esercizi di ghematria (non ne fu risparmiato neppure al-Kirmn); si
diffusero diverse datazioni sullimminente apocalisse, anche fondate su tradizioni non islamiche, tutte per
convergenti su un futuro pi o meno immediato attorno al 400 H. (cio al 1010 d.C.); ad agitare gli animi, nel
1006 ci fu anche la comparsa di una supernova che brill per quattro mesi (Van Ess, pp. 40-42).
A questa tensione non pu considerarsi estranea la stessa ideologia dei Ftimidi che, fondata sulla
presunta discendenza da Isml, era portatrice, al di l delle complicazioni cicliche settenarie sempre disputabili,
della fine dellera muhammadiana; il Sole per si ostinava, contrariamente alle profezie, a non sorgere da ovest.
Ci si pu domandare se fu a causa di ci che il Califfo/Messia decise -fatto inconcepibile sul fondamento di
quellideologia- di nominare proprio erede nel 1013 non gi il figlio, cio il continuatore della discendenza di
Isml, ma un lontano parente, che fu naturalmente messo da parte dalla corte, ristabilendo la legittima linea
familiare alla morte di al-Hkim. Fu un tentativo di cambiare di campo in vista della possibile crisi ideologica,
lasciando al suo destino la corte legittimista?
Di al-Hkim difficile dire se si fosse davvero convinto di essere il Messia o se, con le sue repentine
decisioni e lalternarsi di generosit e crudelt, si avviasse a salvare la situazione con un colpo di Stato
autoritario che accentrasse tutto il potere sulla sua persona. Se si pensa che la conquista del Cairo del 969,
evidente che il Califfato ftimida pot godere unepoca doro ed evitare lesplodere delle contraddizioni per
meno di mezzo secolo, e ci soltanto grazie alle complicazioni di cicli settenari che rinviavano lapparizione del
Mahd che sarebbe dovuto nascere dalla dinastia stessa: da chi, per ruolo e per definizione, avrebbe dovuto
gestire il tempo ordinario, sarebbe dovuto emergere chi ne avrebbe segnato la fine. Un ossimoro.
Non per nulla ne emerse quello scisma druso che, contrariamente al Nusayrismo che divinizzava Al,
con strutture cosmogoniche neoplatoniche decisamente simili al di l dei nomi, divinizz al-Hkim, e attese, e
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ancora attende, la Fine della Legge, tanto che fu avvicinato al movimento qarmata che la medesima Fine
attendeva da Muhammad b. Isml e aveva sancito con al-Nasaf: al tempo di Adamo, il primo dei Profeti, non
vera alcuna Legge.
Dietro il turbinio delle sette e delle cosmogonie; delle gerarchie divine doceticamente apparse o
materialmente incarnate in figure duomo, c sempre quellanelito apocalittico e quellattesa di nuova Profezia
che metta fine ad un mondo ingiusto instaurando un mondo di Giustizia: lattesa che fu alla radice dellIslam.

Su questa attesa ai tempi di al-Hkim, sul suo fondamento e sul reale ruolo del Califfo, c per
ancora qualcosa da dire al fine di comprendere meglio gli antecedenti sociali dello scisma druso. Unindagine
accurata quella condotta da D. De Smet nella lunga Introduzione alledizione da lui curata di Les ptres des
Druzes. Rasail al-Hikma, voll. 1 et 2, Louvain, Peeters, 2007 (O.L.A., 168). Una premessa alla sua
interpretazione della vicenda (p. 29 sgg.) si trova a p. 18 e va segnalata, perch costituisce un inquadramento
storico quantomeno normale della dottrina drusa: essa non troppo diversa da quella ismailita (ci torneremo
infra) e nusayrita. Tansukh (trasmigrazione delle anime) e hull (infusione dello spirito divino in un uomo)
rappresentano elementi costanti delle varie espressioni del ghuluww.
Ci detto, nellesaminare gli eventi, egli mette in luce aspetti delle affermazioni e delle decisioni di al-
Kirmn che lasciano intravedere un comportamento equivoco di al-Hkim, non estraneo allapocalitticismo che
andava prendendo corpo, salvo ritrarsene ogniqualvolta necessario per mostrarsene estraneo, anzi, avversario
(pp. 19-21). Daltronde la stessa divinizzazione di al-Hkim dottrinalmente fondabile per pura conseguenzialit
logica, sul sistema neoplatonico dello stesso al-Kirmn (ufficialmente chiamato a combattere le dottrine
estremiste) che poneva una distinzione ontologica (indispensabile per non trasformare il Neoplatonismo in
Panteismo) tra un Dio ineffabile, Creatore dellIntelletto universale (al-aql al-kull) dal quale, per emanazione,
discende il creatoonde lIntelletto universale assume sostanzialmente il ruolo di Allh. Esso assume anche, lo
abbiamo gi visto in abbondanza, la figura-cardine dellIntelletto Agente, il Dator formarum, che costituisce il
cavallo di Troia di tutte le eresie, consentendo una continuit/contiguit tra umano e divino.
Ora, il sistema druso che porta alla divinizzazione di al-Hkim, stabilisce esattamente la stessa
differenza tra lIntelletto universale causa delle cause e il Dio ineffabile che muill illat al-ilal (De Smet,
pp. 42-43) cio causatore (per ibd, dice al-Kirmn, cio per instaurazione) della Causa delle cause, cio
dellIntelletto universale o Agente. Al riguardo De Smet ricorda (p. 43 in n. 180) il preciso parallelismo con lo
schema e la terminologia di Avicenna (di famiglia ismailita) per il quale il Dio ineffabile musabbib al-asbb
(causatore delle cause: Metafisica, cit. in Bibl. a p. 1013, I,1, 16) distinto dal sabab al-asbb (causa delle cause).
Sullanalisi dettagliata di questo importante nodo semantico si veda S.M. Makarem, Ismli and Druze
Cosmogony in Relation to Plotinus and Aristotle, in Islamic Theology and Philosophy. Studies in Honour of
George F. Hourani, ed. by M.E. Murmura, Albany, State Un. Press, 1984, p. 81 sgg.
Stando alle notizie tramandate, al-Hkim tenne un comportamento ambiguo nei confronti di chi lo
divinizzava (De Smet, pp. 23-24) cio al-Daraz e Hamza, anche proteggendoli (pp. 24-25); limpressione che
abbia abbandonato il primo, ordinandone luccisione su istigazione del secondo, soltanto sotto la pressione
popolare e per la colpa di aver divulgato troppo presto una dottrina che avrebbe dovuto essere meglio custodita
nel segreto (pp. 26-27). Le notizie sono tuttavia discordanti, perch gli Ismailiti negano la compromissione del
Califfo.
Sullargomento interessante la ricostruzione fatta da M.G.S. Hodgson, Al-Daraz and Hamza in the
Origin of the Druze Religion, J.A.O.S., 82, 1962, che vede in Hamza un protagonista politicamente ben pi
accorto e realista di al-Daraz, in una vicenda che vede coinvolto lo stesso Califfo (p. 10) come promotore di una
rivoluzione dallalto (p. 14) dalle precise motivazioni sociali, che lo spinsero anche ad una diminuzione delle
tasse (ivi). Non si dimentichi, al riguardo, che i tramandati leggendari atti di generosit del Califfo, furono
sempre a favore dei diseredati o di qualche poveruomo: cfr. N.M. Abu Izzidin, The Druzes. A New Study on
their History, Faith and Society, Leiden-N. York-Kln, E.J. Brill, 1993, pp. 78-79. Abu Izzidin sottolinea anche
le difficili situazioni interne, per le rivolte e le carestie, che segnarono quegli anni; nonch il carattere di misura
popolare della distruzione delle chiese, coincidente con la guerra contro Bisanzio (p. 80).
Hodgson (p. 17) vede dunque nella predicazione di al-Daraz e Hamza un movimento revivalistico
interno allIsmailismo e ritiene che esso fosse motivato da quello che ho definito lossimoro ismailita: la
promessa, non realizzata in circa quattro decenni, di un Mahd che avrebbe colmato il mondo di giustizia (ivi).
Una promessa venuta da un movimento militante che aveva espresso le speranze in forme estreme (ivi) sicch
ora lagitazione drusa fortemente avversata dagli ambienti di corte, cio dalla realt del potere che scaten le
persecuzioni subito dopo la scomparsa di al-Hkim, era condivisa nel mondo della borghesia mercantile e
persino, in parte, allinterno delle truppe berbere. Daltronde i suoi predicatori venivano dai seguaci orientali
dellIsmailismo stesso, non appartenenti allo Stato ftimida (ivi): una constatazione che a me sembra pi
interessante delleterna invocazione, di molti studiosi, dellaltrettanto eterna matrice iranica del Neoplatonismo
religiosamente eversivo. Ricordo, al riguardo, i dubbi espressi da Y Marquet, Quelques remarques, etc., cit. in
Bibl. a p. 850, p. 134, sullimpostazione di Halm, Kosmologie, etc., cit. che insiste ad attribuire alla scuola
persiana levoluzione neoplatonica dellIsmailismo.

1189
Mi sembra egualmente significativo che il formarsi di una prima comunit drusa eccitata dalla
predicazione di Hamza, sia avvenuta in Siria in coincidenza con una rivoluzione rurale che invocava una nuova
Legge contro i proprietari terrieri appoggiati alla Sharah (p. 19): in quelloccasione furono distrutte le moschee
(ivi). Esisteva dunque unattesa di rovesciamento del mondo (p. 18) dal preciso fondamento sociale, che
coinvolgeva la stessa fede islamica: nel 1023 un pellegrino egiziano armato di una mazza, mand in frantumi la
Pietra nera venerata alla Mecca (De Smet, p. 34). Non per nulla, i Drusi maledicevano tutti i Profeti portatori di
una qualche propria Legge (ivi, p. 23).
Per quanto concerne la dottrina drusa comunque, oltre ai testi citati, si pu far riferimento anche a M.
Moosa, The Druze and Other Shiite Ghulat Sects, lettura tenuta alla Second International Conference of the
Druze Heritage Foundation, Oxford, Saint Anthony College, 1-3 Ottobre 2004, pubblicata su Internet
nellOttobre 2011, e alla breve esposizione in K.M. Firrro, A History of the Druzes, Leiden-N. York-Kln, E.J.
Brill, 1992, pp. 3-17; la sua piena esposizione per nelle citate Rasail al-Hikma, che sono fondamentali anche
per le vicende iniziali delle quali si fatto cenno. Unanalisi critica del corpus (111 lettere, delle quali le prime
40 ora nel testo di De Smet) vi si trova alle pp. 75 sgg.; lattribuzione, sulla quale esistono alcuni dubbi a causa
della tarda compilazione del corpus pervenuto, va ad Hamza e ai suoi successori, al-Tamn e al-Muqtan.
Altro studio dettagliato sugli esordi del movimento druso quello di D. Bryer, The Origins of the
Druze Religion, Der Islam 52,1 - 52,2, 1975; 53,1, 1976. Anche Bryer sottolinea le contraddittoriet intrinseche
al regime ftimida, e considera tentativi di normalizzazione sia la riformulazione genealogica di al-Muizz, che
riport in primo piano la mitica figura di Muhammad b. Isml, con lo scopo di sviare lattenzione dal ruolo
escatologico della dinastia; sia lopera dei teologi che tesero a smussare gli aspetti antinomici e rivoluzionari
dellideologia ftimide (Der Islam, 52,1, pp. 59-60). Importante in questo senso fu anche lopera del Qad an-
Numn (ivi, p. 60 e p. 65; Daftary, pp. 167-172) fondatore della giurisprudenza ismailita sui consueti pilastri del
Corano e della Sunnah, questultima costituita da un corpus di ahdth che non supera normalmente il tempo del
6 Imm, escludendo in linea di massima le tradizioni attribuite ai successivi Imm ismailiti (Daftary, p. 169).
Sullargomento cfr. anche W. Madelung, The Sources of Ismli Law, I.J.N.E.S., 35, 1976, pp. 30-33; Madelung
ritiene inoltre probabile una precedente appartenenza sunnita di an-Numn (p. 30).
Nota infatti Bryer (pp. 64-66) che le attese dellestremismo non erano mai venute meno, sin dal tempo
di al-Muizz, e avevano raggiunto lacme al tempo di al-Hkim. Su questo periodo decisivo che vide emergere lo
scisma druso, Bryer sottolinea poi il tentativo di normalizzazione operato dal al-Kirmn che si oppose allipotesi
(attribuita ai Drusi, cfr. infra per quanto riguarda la dottrina di Hamza: la cosa appare per poco chiara alla luce
della dottrina che si attribuisce ad al-Daraz, infra) di una incarnazione di Dio nella figura di al-Hkim (p. 67); il
quale ultimo, protettore opportunista di al-Daraz e Hamza, protesse anche il portatore (forse il primo) di questa
tesi, al-Akhram, un d dissidente (De Smet, p. 19) proveniente dal Ferghana.
Sul ruolo equivoco di al-Hkim concordano dunque anche le testimonianze storiche riprese da Bryer
(peraltro le stesse riprese dagli altri studiosi e da questi analogamente intese); si riporta tra laltro (p. 73) che il
Califfo aveva cessato di osservare la Legge. Per conseguenza Bryer (ivi) ritiene di interpretare gli eventi come
iniziativa dello stesso Califfo operata attraverso la predicazione estremista che avrebbe fatto riferimento alla
dottrina segreta dei Ftimidi non lontana, nella sostanza, da quella dei Nizriti (p. 77) -per la quale cfr. supra a
p. 233 sgg. - sia in rapporto alla dottrina iniziale di Hasan-i Sabbh, sia con riferimento allo sviluppo di essa da
parte di Nasroddn Ts, circa la quale cfr. supra p. 234 in n. 300. Questa notazione mi sembra opportuna e
rilevante, perch sempre dal mondo ftimida uscir lo scisma nizrita, destinato a trasmettere lIsmailismo sino
ai nostri giorni.
Nota inoltre Bryer, che chiunque sia stato liniziatore della nuova predicazione (al-Akhram, al-Daraz,
Hamza o altri) si trattava in ogni caso di personaggi giunti al Cairo dai territori orientali dellIslam, quindi a
conoscenza della dottrina iniziale ismailita e ora considerati eretici tra i leaders religiosi del Cairo (p. 79).
Trovo interessante questa connessione, non soltanto perch mette in evidenza la possibilit di un doppio livello
della dottrina, segreto e dichiarato, ma perch mette laccento sugli esordi, che abbiamo visto radicati nel
ghuluww, e non, come accade sovente, sullabusato tpos dellorigine iranica dei nostri protagonisti.
Sulla vicinanza di al-Daraz alla dottrina iniziale, tesi che fu sostenuta da Hodgson, Bryer torna a p. 83
per una polemica che qui interessa soltanto per quanto riguarda un chiarimento sul fondamento cosmogonico
neoplatonico della dottrina drusa. Laffermazione di al-Daraz che al-Hkim sarebbe stato Allh che fece il
mondo non scorretta, sulla base di quel fondamento. In effetti il ruolo di Allh nella cosmogonia non
quello del Dio ineffabile, ma quello della causa delle cause (dator formarum, aql al-kull: cfr. supra) dunque
quello del Demiurgo; e affermare che al-Hkim la manifestazione di Allh -del Demiuirgo, come sostiene
Hodgson- non affermare che egli sia la manifestazione di Dio. In un sistema neoplatonico, Allh, in quanto
Creatore, non pu essere Dio: perch Dio deve essere assolutamente trascendente, altrimenti si potrebbe cadere
nel Panteismo. peraltro vero che nella complicatissima ierostoria del mito druso -le cui vertiginose ciclicit
risparmio a me e al lettore, non essendo cosa essenziale per comprenderne il senso e la struttura- cos come ci
giunge nellelaborazione di Hamza e Tamn (cfr. De Smet, p. 64) al-Hkim appare, come i Califfi ftimidi che
lo precedono, manifestazione di Dio, con il ruolo di Intelletto universale assunto da Hamza, e quello di Anima
universale (Nafs al-kull) assegnato a Tamn.

1190
Questa gerarchia di Hamza, contrastante con quella attribuita ad al-Daraz, un punto non trascurabile
anche per quanto concerne i rapporti con altri aspetti dellIsmailismo. Come gi segnalato, Marquet -ma non
soltanto lui- noto studioso degli Ikhwn as-Saf, considera la loro dottrina nellambito dellIsmailismo; tesi che
egli ha ribadito in Quelles furent les relations entre Jbir ibn Hayyan et les Iwn as-Saf?, S.I., 64, 1986, p.
47, facendo un parallelo tra il primo e i secondi, e fondandolo sullidentificazione di Al, che entrambi
compiono, con lIntelletto universale: su questa base egli ritiene -ma non soltanto lui- che il corpus djbiriano sia
espressione di un pensiero ismailita. Al contrario, I.R. Netton, Brotherhood versus Immate: Ikhwn al-Saf
and the Ismls, J.S.A.I., 2, 1980, aveva sostenuto che gli Ikhwn non potevano essere considerati nellambito
dellIsmailismo, perch essi identificano lImm con la manifestazione dellIntelletto universale, e gli Ismailiti
con quella di Dio. La confusione regna sovrana: forse a causa dellidentificazione -impropria nel Neoplatonismo-
di Allh-Demiurgo con Dio, o forse per voler considerare un fenomeno vasto e sfrangiato come lIsmailismo,
che si riflette nel grande pesiero filosofico islamico, con la sola dottrina (segreta) ftimida? A mio avviso, pur
restando tanto gli Ikhwn quanto gli autori del corpus djbiriano nellambito dellIsmailismo, c un buon
motivo per non considerarli, n gli uni n gli altri, come ftimidi: ladepto dellalchimia non una figura che
giunge al ruolo di Imm per motivi dinastici; onde il corpus alchemico djbiriano, con la creazione
dellHomunculus (cfr. supra, pp. 813-814) come anche il ciclo ascendente degli Ikhwn ma anche il solitario
di Ibn Ba o la speculazione di Ibn Frb o Avicenna, puntano allipotesi dellinsn al-kmil che sidentifica
con lIntelletto Agente, cio con lIntelletto universale. Come ho gi fatto notare siamo in presenza di una
generale tensione politica, e a diverse soluzioni, attorno al problema della conduzione della societ islamica nel
tempo della scomparsa dellImm.

Il fenomeno della manifestazione, docetista come per i Nusayriti e da non confondersi con una
incarnazione, pu essere considerato una spia dei problemi sociali che sottostanno a questo e ad altri scismi.
Infatti, come nota De Smet a p. 52, la sola ma sostanziale differenza che esiste tra la dottrina drusa di Hamza e il
sistema emanatista ismailita, che le corrispondenze simboliche stabilite da questultimo tra lIntelletto e
lImm, diventano per i Drusi corrispondenze letterali. Le ipostasi del mondo intelligibile non sono pi astratte
entit spirituali, ma in ogni momento della storia sono presenti in terra dove si manifestano in forma umana.
Questa differenza mi sembra altamente significativa: significa fondare ideologicamente la lotta per
stabilire in terra quella giustizia che regner in cielo al termine di quel processo redentivo che abbiamo gi visto
a proposito della vicenda dei dieci intelletti (cfr. supra, a p. 216-217). Lesigenza di conferire una concreta,
storica presenza, e apparente corporeit, alle gerarchie divine, un tratto significativo che non rivela soltanto il
semplicismo di una dottrina di non acculturati alla filosofia, ma soprattutto il radicamento della dottrina drusa
in una marginalit, forse refrattaria culturalmente alle astrazioni, ma di certo necessitante di concreti riferimenti
in terra per invocare il capovolgimento di questo mondo, e del suo ordine fondato su una Legge palesemente
inadeguata. La concretezza, anche organizzativa, di questa presenza in terra delle gerarchie cosmogoniche
(tante, in ordine decrescente dopo lAnima universale alla quale mi arresto) la si comprende ancora meglio se si
considera che le gerarchie cosmogoniche fondano, col loro manifestarsi in terra, la gerarchia ecclesiastica
drusa destinata a guidare la comunit.
Senza alcuna pretesa di descrivere il mito druso, ne segnalo perci altri tratti che ne confermano il
radicamento nella sofferenza sociale. Il primo costituito dal dualismo, ancorch mitigato (De Smet, p. 40; ho
trattato il problema del dualismo assoluto e di quello mitigato o relativo particolarmente in rapporto alle divisioni
dei Catari; cfr. perci p. 167, nel testo e in n. 21) introdotto allinterno del sistema delle emanazioni. Il Dio
ineffabile, una volta creato (o instaurato) lIntelletto, ne lod la perfezione, ci che fece inorgoglire
questultimo dando origine a un suo lato oscuro, lo Avversario (didd); la necessit di combatterlo fece allora s
che Dio creasse lAnima universale: che appare quindi non pi intermediaria tra lIntelletto e la Natura, come nel
Neoplatonismo, ma tra il Bene e il Male. La farraginosa cosmogonia prosegue ancora con sciami di emanazioni,
tutte destinate a manifestarsi nella storia nelle gerarchie della predicazione drusa: ma non questo che trovo
interessante.
Quel che interessa che siamo in presenza di una realt, sia cosmica che terrena, del Male (anche
lAvversario sempre manifesto nella storia) che denuncia chiaramente lesperienza storica a monte del
movimento druso. Ancora pi chiaro si fa il contesto se si osserva quali siano, nella storia, le manifestazioni
dellAvversario: al tempo del Profeta, quando lIntelletto era Salmn, gli Avversari (una pentade) erano il
Profeta e i quattro Califfi ben guidati; al tempo di al-Hkim lo sono i massimi rappresentanti ufficiali del
sapere religioso e giuridico (De Smet, p. 64).
Lantinomismo totale (nella dottrina i pilastri dellIslam sono abrogati e sostituiti con norme di
comportamento etico) e credo non siano necessari ulteriori commenti per comprenderne il sottofondo: ci
imbattiamo come sempre in esperienze negative del mondo, sin dal tempo degli Gnostici. De Smet (p. 50) nega
tuttavia che si tratti di una risorgenza gnostica (constatazione ovvia ma sempre utile a ripetersi) come sostiene
Corbin; egli rinvia lorigine della dottrina drusa a temi tutti interni al sistema ismailita, con riferimento al sistema
di al-Kirmn (cfr. supra, p. 216-217) dove si introduce il peccato di orgoglio dellAdamo spirituale (rhn).
C da dire infatti, che la vicenda qui molto simile a quella di Lgos e di Sophia nei sistemi gnostici (una
pretesa gerarchica pi elevata) e tuttavia essa si colloca in un contesto diverso e in vista di una finalit
1191
ermeneutica diversa: perci verosimilmente nel giusto De Smet, e non Corbin, la cui tendenza a creare
analogie decontestualizzandone i termini, ben nota.
A me sembra comunque importante sottolineare altro: ancora una volta gli esisti storici dellIslam si
risolvono in una ricerca di giustizia che si ritorce contro lIslam stesso: il Profeta aveva promesso una terra
che la sua Legge non ha realizzato, perci, in nome delle sue promesse, ci si ribella anche contro la sua Legge.
Lapparente contraddizione logica si risolve invocando un btin che contraddice linteressato zhir di ulam e
qudt. Fare dunque di Allh il semplice Demiurgo di questo mondo affidato alla Legge del suo Profeta e porre
sopra di lui un Dio ineffabile che si apre a ripetute manifestazioni nella storia, equivale a dire che lIslam non ha
risolto i problemi e non lultima religione in questo mondo; paradossalmente, a dirlo in nome dello spirito
originario dellIslam.

Prima di proseguire altrove questa vicenda che sembra non poter mai giungere ad una fine - la
vicenda di un miraggio mai venuto meno, traguardare la terra e immaginare di vedervi il cielo- buona norma di
ogni racconto fornire qualche rapido accenno alla sorte dei protagonisti nel momento in cui abbandonano la
scena. La storia infatti, per seriosa che voglia apparire, altro non che un racconto, una affabulazione: magari
un po noiosa con la sua pretesa di affastellare fatti e documenti per accreditarsi un rapporto col reale che la
affranchi dal regno delle fiabe; e tuttavia anchessa frutto della regia di un cantastorie con le sue regole
tradizionali ed obbligate, anche se non necessariamente aristoteliche.
Prendo dunque qualche notizia da Daftary (pp. 191-237) che ricorda lintervento immediato di Sitt al-
Mulk nella successione al trono di al-Hkim conclusasi nel modo pi ovvio per una dinastia divina, con il
califfato del figlio di al-Hkim, al-Zhir. Daftary non mette tuttavia laccento su ci che gli altri autori citati
ricordano: con al-Zhir inizia immediatamente la persecuzione dei Drusi, dei quali inizia ora la travagliata storia
in Palestina e Siria. Nel 1025 comunque, il nuovo Califfo alle prese con rivolte e carestie, dovette espellere i
fuqah mlikiti, ci che testimonia il perdurante contrasto tra il regime ftimida e la popolazione sunnita. Nel
frattempo tuttavia, la dawa continua a propagarsi verso lIran e lAsia centrale, e si registra un episodio gravido
di futuro: la conversione allIsmailismo di Hasan-i Sabbh, il fondatore del Nizrismo di Alamt (cfr. supra, p.
233 sgg.).
AllIsmailismo giunge anche, dalla precedente appartenenza duodecimana, unaltra grande figura del
pensiero islamico, Nsir-i Khosrow, che fu anche grande viaggiatore e fu al Cairo tra il 1047 e il 1050. Del
Neoplatonismo ismailita si gi parlato esponendo i vari sistemi maturati nel suo ambito, da quelli iniziali a
quelli pi filosoficamente strutturati di Nasaf, Sijistn, Rz, Kirmn, Hamid, del corpus djbiriano e degli
Ikhwn as-Saf (cfr. supra, pp. 212-233). Si anche gi parlato della filosofia di al-Frb e Avicenna
-attribuibile allambito ismailita- e dei suoi antecedenti, nel 2 capitolo di Dopo e a lato e anche nel 3 capitolo,
passim. Su tutto questo perci non torno e rinvio ai luoghi citati, salvo ricordare che tutto questo pensiero, al di
l delle differenze, peraltro non strutturali ( tutto Neoplatonismo) assume una profonda coerenza, e una
coerenza che lo connette allambito ismailita, se lo si vede come un grandissimo sforzo per costruire le basi
teoriche atte ad individuare la figura dellImm, il cui occultamento mette in crisi gran parte del pensiero di
orientamento shita: perlomeno quello non disposto a seguire la svolta duodecimana.
Lidea di un Imm assente, non fisicamente individuato in terra, non fu facile da far accettare, anche
perch, sul piano sociale, rinviava ad un nebuloso futuro le attese di cambiamento verso un mondo pi giusto che
pervadevano lIslam, aprendo la via a quella riflessione sul presente che fu lIsmailismo nelle sue disparate
manifestazioni. Quanto lunga e faticosa (e politicamente opportunista da parte dei maggiorenti) sia stata la
definizione della dottrina duodecimana, lo si pu infatti ben seguire nello studio di A.A. Sachedina, Islamic
Messianism. The Idea of Mahdi in Twelver Shiism, Albany, State of N. York Un. Press, 1980, specialmente per
quanto concerne il periodo dei quattro (o forse pi) suffar.
Anche Nsir-i Khosrow rientra nel numero dei neoplatonisti ismailiti dei quali occorre sempre
ricordare che il loro neoplatonismo resta una struttura di pensiero essenzialmente teosofica al servizio di una
cosmogonia che consenta di tracciare il sentiero della salvezza come percorso del ritorno. Nel 2 capitolo di
Dopo e a lato avevamo infatti gi visto come il Neoplatonismo fosse nato con Filone specificamente per dare
struttura razionale alla fede in un Dio unico e Creatore; ci valse allinizio per Giudei e Cristiani, e non c da
stupirsi se varr poi anche per i Musulmani.
Knowledge and Liberation, ed. and transl. by M. Hunzai, Intr. by P. Morewedge, London-N. York,
Tauris, 1998, un suo noto e importante testo (titolo originale persiano: Gushish wa rahyish) opera
dimpianto filosofico ma essenzialmente religiosa, esplorazione della cosmologia e dellontologia volta ad
indagare le vie duna salvezza che liberazione. Il suo cosmo quello classico neoplatonico/alchemico che
abbiamo gi visto tante volte nel capitolo Lalto e il basso, dove per lappunto si inizia ricordando lorigine
islamica dellalchimia moderna (spirituale). Sarebbe tuttavia errato considerare Nsir-i Khosrow
semplicemente come un neoplatonista islamico: lo nota Morewedge nella sua Introduzione (pp. 19-20).
Lelemento di originalit costituito infatti dalla spiritualit ismailita, quella unicit dellesistenza che poi il
nucleo dellesperienza sf (si veda infra) per la quale le realt ultime sono portatrici della Volont divina.
La Volont, o la Parola, di Dio, lesistente assoluto instaurato, cio creato dal Nulla, dal quale
discende lIntelletto Universale (lesistente necessario) e da questo lAnima Universale (lesistente contingente);
1192
da questa promana il Creato, nel quale resta dunque la traccia del divino, come in ogni cosmogonia neoplatonica.
Il motore dellemanazione dunque lIntelletto Universale, tramite lAnima Universale, le Sfere, le Nature
(caldo, freddo, secco e umido) che si combinano nei quattro Elementi; questi ultimi, unendosi alla Prima
Materia, assumono laspetto degli elementi materiali e danno luogo alla Materia Formata o Seconda,
gerarchicamente ordinata nei suoi regni, a partire da quello minerale. Come si vede lo schema quello alchemico
che troviamo anche negli Ikhwn as-Saf: tutto il mondo si presenta dunque ordinato su due livelli: un mondo
delle forme -quello disceso dallIntelletto e dallAnima Universali- e quello della materia, presente come Materia
Formata. Si noter che, come sovente accade in questi sistemi, resta poco chiara lorigine della Prima Materia
(hayl) che un intelligibile non percettibile: e qui mi sembra utile ricordare la critica di Ibn Taymiyya agli
Universali ante rem.

Non che Nsir-i Khosrow non dia una spiegazione al 164 (p. 101 della traduzione): lAnima
Universale gener la Prima Materia la cui forma sottile era in lei e lAnima Universale la condens al fine di
renderla percettibile ai sensi, solo veicolo di apprensione per le deboli anime individuali, al fine di iniziare in
loro la via al riconoscimento del mondo sottile che si nasconde -e si mostra- nella Materia Formata. Il lavoro
dellAnima Universale fu dunque di rendere denso il sottile che era in lei, condensandolo nelle forme nelle
quali si manifesta il mondo. Come essa fece, Nsir-i Khosrow lo aveva gi spiegato al 29, p. 36: utilizz la
Sfera celeste, i quattro Elementi, i sette Pianeti generatori di forme e colori, lo Spazio, il Movimento e il Tempo,
il cui inizio legato allinizio del moto, perch misura del cambiamento e il cambiamento consustanziale a
tutto ci che creato. Dunque la Prima Materia un intelligibile, che divenne sensibile come Materia Formata
ad opera del lavoro di condensazione dellAnima Universale che si avvale dei sei strumenti da lei stessa
generati: e il mondo sensibile si sorregge sul continuo movimento generato dallAnima Universale, una sua
manifestazione: se essa si arrestasse nella sua opera continua (dunque c uneterna creazione) il mondo
collasserebbe. Perci, concludendo e riassumendo, la Prima Materia un intelligibile che diviene sensibile per
opera di unAnima Universale che utilizza allo scopo altri intelligibili: in tale contesto debbono infatti intendersi
anche i Pianeti (sul resto non c possibilit di dubbio) se sono, come appare, a monte della Materia Formata. La
spiegazione dunque c, ma, come sempre in queste visioni, lecito definirla poco chiara.

Ci che conta nella cosmogonia neoplatonico/ismailita tuttavia altro: limportanza della


comprensione della natura fantasmatica del mondo materiale, trasparenza dAltro, che conduce lanima
individuale alla salvezza, al ritorno nellAnima Universale una volta riconosciuto il reale che si nasconde dietro
il mondo sensibile. Il Paradiso, il premio, la felicit di questo ritorno, che, come in Avicenna, riguarda soltanto
lanima: una dottrina certamente ereticale per un messaggio che proclama la resurrezione dei corpi.
Tuttavia, come materia e forma esistono soltanto nella loro unit, cos questo btin ha un percorso
obbligato: soltanto la pratica dello zhir, della Legge, consente la purificazione che conduce alla comprensione
del btin. Qui si nota come la disciplina ismailita, proponendosi quale religione per gli uomini, tenda a farsi
inequivocabilmente estranea ad ogni deriva antinomista. Questa precisazione importante, perch mette in luce
convergenze e distanze rispetto al tema nizrita, a suo tempo esaminato, della Grande Resurrezione. Le
convergenze sono evidenti se ci si pone in rapporto con quellevento cos come ho tentato di comprenderlo a p.
236 supra. Anche nel caso di Nsir-i Khosrow ci troviamo in presenza del fenomeno della Resurrezione come
evento tutto interiore, atto di iniziazione che riconosce lappartenenza essenziale dellIo, dellanima, ad una
realt che la trascende e la include, che si manifesta nel mondo, che fa di questo mondo la trasparenza dAltro,
che fa cadere le distinzioni tra il soggetto -lIo- e loggetto -il mondo-; che conduce, in conclusione, alla wahdat
al-wujd, allunicit dellesistenza dei Sf.
C tuttavia una differenza radicale rispetto allevento di Alamt, almeno cos come ci stato
tramandato dai campioni delle ortodossie, atto daccusa senza riscontro testimoniale. La differenza che il
reale apparente, il mondo della materia e il dominio della Legge, precisamente in quanto velo/manifestazione del
Reale non apparente (o meglio, attingibile soltanto tramite, ma anche grazie a quel velo) non perde la propria
necessit di esser-ci come testimonianza di ci che e vi Si ri-vela: e ci vale anche per lo zhir della Legge, che
va rispettato ma anche compreso come velo del btin. Notoriamente, secondo le cronache di parte ostile, la
Grande Resurrezione di Alamt si sarebbe viceversa manifestata come abolizione della Legge, il che pu anche
essere possibile, si tratterebbe in tal caso di una comprensione superficiale, rozza, o, come si suol dire,
popolare, del modello neoplatonico. Anche questa avrebbe avuto tuttavia le proprie ragioni: si pu chiedere a
chi soffre in questo mondo e non sa trovare speranza se non nel suo cambiamento, di dedicarsi allautocritica e
allautoanalisi come chi ha la fortuna di poter trascorrere la propria vita in una lunga riflessione metafisica? Sar
stato contagiato, in giovent, dai maestri del sospetto, ma limpressione che dietro le condanne vi sia una
matrice sociologica, oltre al reciso distacco dalle ingenuit atopiche della marginalit.
Certamente, Nsir-i Khosrow si pone in ci ad un livello alto: la salvezza dellindividuo nella
conoscenza, che ri-conoscersi come parte dellAnima Universale, parte di un Tutto con le sue proprie leggi,
che si manifestano anche con una Legge che regola lumanit. Altrettanto certamente ci si manifesta con un
disprezzo del mondo materiale ( 171) che per non si giustifica razionalmente se si tiene conto che questo

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mondo il solo luogo materiale nel quale ci possibile pensare un mondo ideale: almeno sul fondamento della
sua stessa ontologia.
Molti dei temi che abbiamo visto sopra sono comunque chiariti in modo pi discorsivo da Nsir-i
Khosrow in una sua importante opera, il Kitb-i Jm al-hikmatayn, il libro che riunisce i due saperi (filosofico
e rivelato) tradotto come Between Reason and Revelation. Two Wisdoms reconciled, trans. from Persian by E.
Ormsby, London-N. York, Tauris, 2012. Qui c tuttavia unimportante precisazione nella cosmogonia: a p. 88 il
primo instaurato (fatto: kardeh) creato cio dal nulla per ibd, lIntelletto Agente (aql-i faa) che equivale,
come s notato pi volte, allo aql al-kull, dal quale, come duso, discende lAnima Universale.
A prescindere da questo dettaglio che non cambia nulla nella concezione del sistema, vi sono tuttavia
alcune novit che occorre considerare, perch ampliano la nostra comprensione della dottrina. Ci reso
possibile dallorigine stessa dellopera di Nsir-i Khosrow, che nasce come esegesi di una Qsida (genere di
poesia) di Ahmad b. Hasan al-Jurjn, nella quale si pongono una serie di quesiti controversi sul mondo e
sulluomo. Accade per che alle pp. 104-105, tornando sulla catena delle emanazioni, Nsir scomponga
lIntelletto in tre luci, per poi proseguire con lAnima Universale dalla quale discendono delle ipostasi (Buona
fortuna, Conquista, Immaginazione, cio Jadd, Fath e Khayl) che, guarda caso, sono anche tre livelli terreni
della gerarchia ecclesiastica ftimida e drusa. Infatti Nsir-i Khosrow aveva affermato subito prima (p. 104)
lanalogia del mondo sensibile con il mondo celeste, come accade nei possibili esiti del Neoplatonismo. Qui si
propone dunque una struttura gerarchica come guida alla salvezza tramite la conoscenza.
La struttura della tripartizione dellIntelletto, anticipata da Ormsby nella n. 253 alla p. 104 e ripetuta
da Nasr alle pp. 171-172 si fonda sulla struttura della stessa lingua araba, che dalla medesima radice trilittera
ricava il nome verbale come intermedio tra il nomen agentis e il nomen patientis (il participio attivo e passivo):
un bellesempio di aristotelismo nellipotizzare un Reale strutturato come la lingua; che tuttavia sembra poco
coerente con un passaggio molto importante del testo sul quale mi soffermo per ci che vi si sottintende, ma
anche perch troveremo lo stesso concetto, qui soltanto accennato, esposto in altro modo, su diverso fondamento
e molto pi chiaramente, da Nasroddn Ts.
Alle pp. 75-77 ( 76-77), fondandosi su Aristotele e sulle sue distinzioni tra i modi del discorso, egli
sottolinea che il discorso dichiarativo (tale il Corano) pu essere portatore di verit e di errore (il tema
centrale in Aristotele, in particolar modo nellOrganon -Topici, Analitici primi, Dellinterpretazione- e nelle
Confutazioni, perch in rapporto con la fondabilit del concetto di epistme e con la sovrapposizione della
struttura della sintassi, della logica e del Reale). Perci, dice Nsir-i Khosrow, poich il Profeta agisce da
intermediario tra il mondo spirituale e quello materiale (cio esprime nei limiti del linguaggio una realt che lo
supera) le sue parole non possono avere un significato univoco. Questa affermazione ha uno scopo ben preciso:
introdurre la necessit del tawl, che egli afferma in modo esplicito a p. 111 ( 111). Nei versi del Corano pu
esservi unambiguit che pu essere risolta soltanto con il tawl. A riprova, egli avanza la stessa lettura forzata
di Cor., 3,7 che sar usata anche da Averro nel suo Fasl al-maql (cfr. supra, p. 955); grazie a questa forzatura
egli stabilisce un diritto/dovere dei sapienti ad interpretare il Testo sacro.
Identica posizione viene assunta, come ricordato, da Nasroddn Ts, il nizrita del quale ho ricordato
lambiguo schieramento al momento dellinvasione mongola, e che divenne poi duodecimano. Nel suo ghz wa
anjn (Origine e destino) pubblicato insieme ad altri due suoi testi in Shii Interpretation of Islam. Three
Treatises on Theology and Eschatology, ed. and transl. by S.J. Badakhchani, London-N. York, Tauris, 2010, egli
afferma al 2 (p. 47 testo inglese, pp. 33-34 del testo originale) che n si pu sapere tutto ci che si vede, n si
pu esprimere tutto ci che si sa, n si pu scrivere tutto ci che si dice introducendo cos tre livelli decrescenti
nel rapporto con la totalit del Reale. Infatti prosegue: se il vedere una conoscenza diretta, il sapere soltanto
una (sua) traccia, e se il sapere un suo riflesso, il comunicare per informazione, e se il parlare esplicito, lo
scrivere per implicazione e allusione. In altre parole, ci che si pu comunicare testimonia soltanto in modo
allusivo ci che si visto. In questa dottrina, che esprime i limiti del sapere razionalizzabile nel discorso, il
fondamento del tawl.
I tre brevi testi editi e tradotti da Badakhchani includono, oltre a Origine e destino, anche Ci che
desiderano i fedeli e Solidariet e dissociazione. Complessivamente, essi non dicono cose diverse da quanto
contenuto nel pi vasto Rawdt al-taslm (Giardino della sottomissione) tradotto come La convocation
dAlamt, circa il quale cfr. supra, p. 234 in n. 300. Le similitudini con il pensiero di Nsir-i Khosrow son molte.
Cos, la cosmogonia segue dalla Volont divina che instaura lIntelletto Universale (La convocation, etc., p.
282). Cos in questo mondo, che soltanto liniziato percepisce come trasparenza dAltro, la Resurrezione avviene
in vita allorch il Risorto comprende linesistenza dellesistente e raggiunge il S nella perdita dellIo: cio
quando vedr che n lessoterico, n lesoterico, sono quali li aveva pensati (Origine e destino, p. 75, 59).
Questultimo punto ha una particolare trattazione in Solidariet e dissociazione: chi considera
realmente esistente questo mondo, considera per conseguenza inesistente lAldil; chi crede nellesistenza
dellAldil ritiene questo mondo come non realmente esistente, mera apparenza ( 17, p. 31). Entrambe le
posizioni sono errate, dice Nasroddn Ts, non si debbono desiderare n luno n laltro dei mondi: liniziato, il
Risorto, sa che questo mondo reale, ma non ci che appare; il Paradiso e lInferno sono qui, nella conoscenza
che d la pace e viene dallabbandono, ovvero nellignoranza. Si ricorder che questa dottrina era stata formulata
sin dai Khattbiti (cfr. supra, p. 202)
1194
Emerge, in Nasroddn, anche un tema zoroastriano (Origine e destino, p.76, 62): il livellamento
della terra nella seconda creazione, quando lumanit vedr la fine di questo Purgatorio che lesistenza e i
segreti saranno svelati. Con Purgatorio, Badakhchani traduce il temine barzakh (importante nella filosofia
illuminativa -o orientale- di Sohraward) che per significa essenzialmente ostacolo (in Sohraward il corpo
materiale, tutto ci che sussiste allo stato tenebroso allorch la luce divina si ritira: cfr. Le livre de la sagesse
orientale, Kitb hikmat al-ishrq, cit. in Bibl. a p. 736, p. 98 sgg.). Barzakh significa anche intervallo (per il
Corano quello tra la morte e la resurrezione) e anche interruzione o proiezione fantastica, irreale. In questo senso
si pu dire sia che la vita rappresenti qualcosa di non veramente reale, e che lapparente realt di questo
mondo sia un inganno, una fantasticheria; sia che essa rappresenta un intervallo tra uno stato di morte iniziale
e la Resurrezione che giunge al termine di un percorso iniziatico.
Questa resurrezione assume in Nasroddn caratteri gnostici nella sua concezione della verit
contrapposta alla falsit di questo mondo: infatti (Origine e destino, 24, p. 60) il mondo della verit anche
quello della distinzione del vero dal falso, che in questo mondo sono mescolati tra loro e perci indistinguibili.
Al riguardo si ricorder la concezione zoroastriana di questo mondo come luogo del gumeisn, della mescolanza,
che costituisce un antecedente plausibile nel nostro caso, anche se il concetto del male come indistinguibilit,
mescolanza dei due opposti comune anche nello Gnosticismo; in generale esso costituisce, a mio avviso, un
tratto comune della cultura della marginalit.
Nel pensiero di Nsiroddn tornano comunque altri aspetti che avevo gi segnalato nella n. 300 alla p.
234, supra; si tratta di quel concetto di sottomissione che sembra costituirne il tratto saliente; e forse rappresenta
la dottrina nizrita nel suo momento finale, dopo gli arretramenti di Hasan III e Muhammad III (infra).
Posta lobbligatoriet, per ogni uomo, di giungere alla conoscenza della propria origine e del proprio
destino (Ci che desiderano i fedeli, 4, p. 37) egli afferma (ivi, 7) che questa conoscenza (marifa, gnosi) non
attingibile con il solo intelletto, necessita di un percorso iniziatico che parte dal riconoscimento dellImm del
tempo al quale sottomettersi (ivi, 8-12) seguendone le direttive. Questa dottrina sembra in apparenza
richiamarsi a quella di Hasan-i Sabbh (cfr. supra, p. 234) ma c una differenza di accento notevole: colui che
cerca la verit non individua lImm del tempo come stella polare della propria ricerca, qui lImm del tempo c
gi, quello nizrita, ed a lui che ci si deve affidare per farsi guidare nella ricerca. Pi esplicitamente: non c
qualcuno che dice: tu sei lImm, ma qualcuno che dice: io sono il tuo Imm.
Questi aspetti particolari del pensiero di Nasroddn unitamente al fatto che egli, come i Drusi, nel
pensare il manifestarsi del mondo nella catena emanativa celeste, postuli parallelamente una gerarchia clericale
in terra, fa s che il percorso iniziatico da lui descritto costituisca il fondamento di una configurazione gerarchica
della comunit, e, vorrei dire, dellumanit stessa. A mio modesto parere, ci quanto di pi lontano dalla
concezione islamica originaria della comunit.
Questo giudizio per soltanto parziale se si considera leredit dellIslam originario sotto un diverso
aspetto. La ricerca di un Imm ha molto a che vedere con la nostalgia delle origini: la morte del Profeta, capo
indiscusso sul piano religioso e politico -che nellIslam si fondono- lasci un vuoto che non si riusc mai a
colmare, in rapporto al quale la soluzione sunnita fu soltanto una delle possibili soluzioni. Laltra era stata quella
dellImm alde, venuta meno anchessa con loccultamento. Chi, in terra, avrebbe guidato la comunit sulla
retta via, quella stessa invocata dalla Aprente? Perch allora non pensare che, scomparso il Profeta, Dio non
avrebbe comunque lasciato la Sua comunit senza una guida certa? una nella quale maniferstarSi? La risposta
non facile, e lascia comprendere quante differenti vie possa percorrere il medesimo Messaggio.

Con questa breve digressione su Nasroddn Ts abbiamo tuttavia interrotto una narrazione
sullespandersi della dawa ismailita verso oriente ai tempi di al-Mustansir, quando lismailismo ftimida stava
crollando in occidente. Come ho gi ricordato, dal 1074 il vero padrone del Califfato era il siriano Badr al-
Jaml; e tuttavia il Califfato seguitava ad essere percorso da attese e calcoli messianici, che potevano anche
immaginare il Qim nel debole al-Mustansir (Daftary, pp. 207-208). Nel 1094 tuttavia morirono sia il Califfo
che Badr, e si apr il problema della successione tra i figli di al-Mustansir, Nizr e Mustal (ivi, p. 211).
Nizr era stato designato alla successione dal padre al-Mustansir, ma il figlio di Bader, Ab l-Qsim
Shhinshh detto al-Afdal, intenzionato a mantenere il potere assoluto ereditato, fece nominare il fratellastro di
Nizr, e proprio cognato, con il titolo di al-Mustal, come Califfo-fantoccio da poter agevolmente controllare.
Ne segu una rivolta armata terminata con la sconfitta di Nizr, che fu incarcerato. Gli Ismailiti di Persia e quelli
sotto il dominio selgiukide rimasero fedeli a Nizr, gli yemeniti furono dalla parte di Mustal. Nel 1101 questi
mor, e al-Afdal fece nominare Califfo il figlio di lui, bambino di 5 anni, col titolo di al-mir; nel frattempo
cerano state le sconfitte contro i Crociati giunti in Terra Santa e la perdita di Gerusalemme e di altre aree in
Siria e Palestina. I Nizriti fondarono il proprio regno in Alamt, poi, nel 1121, al-Afdal fu assassinato, forse ad
iniziativa di al-mir, a sua volta assassinato al Cairo nel 1130 ad opera di agenti nizriti. Gli successe il figlio al-
Tayyib ma ulteriori convulsioni, terminate nel 1131, portarono allascesa di un ramo collaterale discendente da
un altro figlio di al-Mustansir, mentre il Califfato, ridotto a ben poco, si avviava a una rapida fine e il partito
tayyibita dava luogo allaltro scisma, quello tayyibita, in nome di al-Tayyib del quale per signora la fine. Il
nuovo ramo dellIsmailismo si perpetu nello Yemen (Daftary, pp. 241-248).

1195
Questi, in breve, gli eventi dellIsmailismo ftimida; ora per linteresse va agli eventi dellIsmailismo
di Alamt. Per quanto riguarda i Tayyibiti mi limito a ricordare che essi fissarono con al-Hamd i definitivi
sviluppi dottrinali (cfr. supra, pp. 214-215, nel testo e nelle note). Aggiungo che il Califfato morente del Cairo
conobbe rivolte anticristiane delle masse sunnite, che i suoi tesori furono saccheggiati dal Saladino, che in
seguito gli Ismailiti rimasti furono perseguitati dai Sunniti, dei quali lEgitto torn incontrastato dominio. Quanto
al Tayyibismo, esso conobbe una lunga storia, si spost in India, ebbe degli scismi, e sopravvive ancora nella
setta dei Borha (Daftary, pp. 255-300).
Resta per qualcosa da dire sul Nizrismo di Alamt, del quale, per quanto concerne gli aspetti
dottrinali, s gi detto lessenziale supra alle pp. 233-238. Daftary vi si dedica a lungo (pp. 301-504) giungendo
sino ai giorni nostri.
La continuit dellimmato Ftimide attraverso la discendenza di Nizr, che peraltro non aveva
designato un proprio successore, aveva dato luogo a rivolte lealiste dei suoi discendenti che si esaurirono con
la sconfitta, nel 1161, di un ultimo tentativo di un nipote di Nizr. Sino a quel momento i Signori di Alamt si
erano proclamati Hua dellImm, con Hasan-i Sabbh e con il suo successore, Buzurg Ummd ( 1162). Le
cose evidentemente cambiarono dopo quella data, non essendovi pi in vita un Imm ftimide. A quel momento i
Nizriti erano potenti, avendo acquisito molte roccheforti e trovato valido apporto di conversioni nel mondo
rurale; la loro dawa aveva avuto grande successo tra una popolazione tradizionalmente orientata verso un Islam
shita e ostile ai Selgiukidi, il cui dominio si era nel frattempo disgregato. Gi nel terzo e quarto decennio del
XII secolo i Nizriti costituivano ormai di fatto uno Stato a s, ancorch territorialmente discontinuo. I
Selgiukidi inoltre, scontavano il peso della sconfitta inflitta loro dalla 1 Crociata, ci che apr le porte alla
presenza nizrita in Siria. Dovette esserci inoltre una produzione di testi ismailiti: Alamt aveva una grande
biblioteca, ma nessun documento ci pervenuto a causa della distruzione cui furono destinati i testi dopo la
caduta ad opera dei Mongoli.
Daftary (p. 357) ritiene probabile un intensificarsi dellattesa messianica negli ultimi anni di Buzurg
Ummd, e certamente non deve essere stata casuale la proclamazione della Grande Resurrezione a due anni dalla
sua morte, ad opera di Hasan II, che fu uno studioso e fu molto attratto dalla cultura e dai testi dei Sf (ivi).
Questo rapporto dellIsmailismo nizrita con il Sufismo va tenuto presente, perch offre le chiavi per la
comprensione degli eventi che seguono nei secoli successivi, sino alla comparsa dellepopea safavide. tuttavia
interessante ricordare, come fa Daftary a p. 362, che di quellevento nulla seppero i contemporanei, ai quali la
vicenda divenne nota circa un secolo pi tardi grazie ai testi trovati ad Alamt dopo la sua caduta.
Hasan II fu assassinato nel 1166 e gli succedette il figlio Muhammad II, grande studioso, che dichiar
essere Hasan II discendente di Nizr. Ci rappresent un significativo cambiamento, necessario perch, come
nota Daftary a p. 361, con la proclamazione della Grande Resurrezione Hasan II si era di fatto posto nel ruolo di
Imm e non pi di Hua, come i suoi due predecessori. Lepoca di Muhammad II -per conseguenza Imm a sua
volta- vide tra laltro la nascita di un singolare documento, lo Haft bbi bb Sayyid-na, tradotto e commentato
da Hodgson, The Order of Assassins, cit. in Bibl. a p. 791, alle pp. 279-324; un testo che Hodgson ritiene opera
di un modesto autore, destinata a un pubblico di limitata cultura. Il testo tuttavia interessante perch configura
la dottrina dello insn al-kmil, luomo perfetto, il culmine del moto neoplatonico del ritorno delluomo ad una
propria originaria divinit. LImm veniva cos ad essere definito come manifestazione della Parola (Kalima)
di Dio, lautorit spirituale che troviamo anche nelle gerarchie druse, la causa dalla quale discende il mondo
spirituale.
Daftary (p. 366) sottolineando questa identificazione dellImm nizrita con lo insn al-kmil, vertice
dellascesa sf, ritiene che la dottrina nizrita della Resurrezione sia stato il fondamento che ha consentito la
coalescenza dellIsmailismo e del Sufismo in Persia nei secoli successivi, un evento fondamentale per la storia
che conduce allavvento dei Safavidi agli albori del XVI secolo: di questo si parler infra. Ormai per gli eventi
volgevano al peggio sul piano politico e militare, ed verosimilmente da connettersi a questo deterioramento
della situazione la restaurazione della Sharah e i tentativi di riavvicinamento al Sunnismo del successore
Muhammad III, ucciso nel 1255, un anno prima della caduta di Alamt.
Il figlio Khurshh ( 1257) fu lultimo Signore di Alamt; dopo la perdita delle roccheforti e del
territorio, ancora qualche resistenza fu tentata con il figlio di lui Shams al-Dn ( 1310); poi, sino al 1463, la
dinastia scompare, per tornare alla luce in Persia ad Anjudn: qui inizia la storia che conduce ai nostri giorni, che
per non interessa leconomia di questa ricerca. Interessa, viceversa, la sorte dellIsmailismo in quei 150 anni,
perch necessaria a comprendere quanto radicate rimasero certe istanze, destinate a trasferirsi nel variegato
mondo delle confraternite.
Quel secolo e mezzo di apparente assenza dalla scena interessa perch, a partire dallinvasione
mongola e dal crollo del califfato abbside, avvengono fenomeni destinati ad indirizzare i percorsi della Sha,
fenomeni rispetto ai quali si pu ragionevolmente sospettare un concorso ismailita.
Se lo Stato di Alamt era scomparso, non per questo si deve pensare infatti che fossero scomparsi i
tanti nizriti; tantomeno le attese messianiche che percorrevano una regione in piena disintegrazione territoriale.
Il khnato lkhnide scomparve infatti nel 1335, e da allora, e sino allavvento dei Safavidi allalba del XVI
secolo, la Persia conobbe soltanto un breve periodo di relativa stabilit con Tmr e suo figlio Shrukh nella

1196
prima met del XV secolo. Il resto un teatro di continue lotte tra despoti locali di discendenza lkhnide o
timride, e turcomanni Aq Quynl e Qar Quynl, insediatisi al seguito delle invasioni.
In questo periodo di insicurezza e frammentazione avvenne dunque un fenomeno che ha attirato
lattenzione degli studiosi: il proliferare degli ordini sf come collettori di una religiosit volta alla salvezza
individuale, e il loro progressivo virare dal sunnismo originario allo shismo, con la divinizzazione della figura
di Al. A questo fenomeno non fu estraneo lavvenuto insediamento delle trib turcomanne di origine
centroasiatica, portatrici di tradizioni sciamaniche e buddhiste (e anche nestoriane) cio di una religiosit
sincretista ruotante attorno ad un possibile rapporto diretto tra lumano e il divino. Tuttavia, come ipotizza
Daftary (p. 412) v da tener presente che un fattore non secondario, anzi, preminente, secondo la sua
esposizione, dovette essere rappresentato dallafflusso, nel Sufismo, dalla massa dei Nizriti entrati in regime di
taqiyya (Daftary, p. 419) di dissimulazione della propria autentica fede.
La shitizzazione del Sufismo, come la defin C. Cahen, Le problme du shisme dans lAsie
mineure turque ottomane, Le Shisme immite, Colloque de Strasbourg, Paris, P.U.F., 1970, p. 118,
sottolineata come fatto sociologicamente plebeo anche da Arjomand, The Shadow, etc., cit., pp. 66-67: ci che,
al di fuori di ogni giudizio di valore necessariamente frutto di personali valutazioni (Arjomand un po
sbrigativo) sta ad indicare il fondamento sociale del fenomeno e propone il confronto, del tutto improprio ma
suggestivo per la memoria occidentale, con loccultamento dei Fraticelli. Il fenomeno riguard non soltanto la
Persia, ma anche lAnatolia selgiukide e ottomana. In questo clima nacque anche, attorno al 1380, lo Hurfismo,
la cui dottrina mostra vicinanza con quella del Nizrismo (Arjomand, p. 72; Daftary, p. 421).
Limpatto comunque fu ben altro, perch da quel Sufismo discesero dottrine dissidenti che hanno
operato nel corso della storia e che tuttora sussistono: i Bektsh/Aleviti, nei quali si trasmise anche lo
Hurfismo, gli Ahl-i Haqq e altri gruppi minori. Certamente per la conseguenza pi rilevante si trov, allora,
nel movimento Qizilbsh che port i Safavidi al potere in Persia e alla successiva adozione della Sha
duodecimana come religione ufficiale dello Stato. Secondo Daftary (p. 419) questo mascheramento
dellIsmailismo nelle sette sf fu possibile per la grande vicinanza delle due dottrine.
In effetti, al di l delle infinite eterodossie e dei tanto invocati influssi di qualsivoglia dottrina
allotria, noi vediamo -e vedremo- allopera, nellIslam, una frattura che corre lungo tutta la sua storia: dapprima
tra la nascente ortodossia sunnita e la protesta della Sha nelle sue varie declinazioni; poi tra una Sha che,
facendosi duodecimana, vuole assurgere al ruolo di seconda (o terza, dopo il Khridjismo) ortodossia e una Sha
che, mantenendosi fedele alla propria lunga storia estremista (leggi: di protesta sociale) d vita a nuove
scissioni e ribellioni. A mio avviso siamo sempre in presenza di una lettura alternativa del Messaggio originario,
resa possibile da un diverso Erlebnis; alternativit sopravvissuta nonostante le feroci lotte verosimilmente
perch, diversamente da quanto accadde a Roma, non fu la religione a doversi accordare con la terrene esigenze
dello Stato preesistente, e non vi fu, quindi, una centralizzazione istituzionale. Dovremo dunque pensare a tutti
gli sviluppi dellIslam come a scelte comunque fondate sulle speranze accese da quel Messaggio. Ci vale anche
per gli sviluppi teosofici della filosofia illuminativa, sui quali lIsmailismo nizrita rivendica un proprio ruolo
genitoriale.
Daftary (p. 419) porta ad esempio Shabestar ( 1320) con il suo Gulshan-e Rz (Il roseto del mistero)
cit in Bibl. a p. 720 nelledizione di Hammer-Purgstall, e pi facilmente accessibile come: Shabestar, Le roserai
du mystre suivi du commentaire de Lhj, Paris, Sindbad, 1991. Lhj ( 1506), come ricorda Daftary, era un
Sf appartenente allordine dei Nrbakhsh, un movimento messianico che ebbe origine in Persia nel XIV
secolo (cfr. infra). I Nizriti considerano anche Rm ( 1273) San e Fardoddn Attr ( 1230) come propri
correligionari (Daftary, p. 420). Su questo passaggio dellIsmailismo allinterno delle confraternite sf,
ricordo quindi quanto segnalato supra alle pp. 238-241, nel testo e nelle note: si tratta perci di un fenomeno
comunemente ammesso e riconosciuto, destinato a tracciare un solco profondo, tanto che il precedente ismailita
invocato anche per il pi tardo evento rivoluzionario del Bbismo (cfr. supra, pp. 242-246).
Su San e sul suo rapporto con lIsmailismo, perci utile ricordare anche lattento saggio di C.
Saccone che introduce San, Viaggio nel regno del ritorno, Parma, Pratiche Editrice, 1993. Saccone (p. 20
sgg.) rivendica in modo pertinente la presenza della speculazione ismailita in San, con riferimento a Nsir-i
Khosrow, agli Ikhwn as-Saf, ai testi esoterici di Avicenna, e al trattato alchemico Ghyat al-Hkim, noto in
occidente come Picatrix, del quale ho gi fatto cenno supra alle pp. 380 sgg., nel testo e nelle note, a proposito
degli sviluppi della magia in occidente a seguito della traduzione di testi dallarabo.
Il viaggio del ritorno (sayr al-ibd ila l-mad, viaggio dei devoti verso il ritorno) configura infatti
un cosmo neoplatonico, nel quale il visibile soltanto apparenza tramite la quale si manifesta il mondo
spirituale, invisibile, al quale il devoto fa ritorno, un viaggio di resurrezione possibile in ogni momento per
lanima che sa cercare (Saccone, p. 26): vera e propria opera teosofica (perci eterodossa) nella quale il percorso
della salvezza presuppone, come sempre una Naturphilosophie; esso in tanto possibile in quanto vi si postula
un cosmo tutto continuo e contiguo sui due livelli, materiale e spirituale, nel quale il primo ri-vela il secondo.
Diario di una iniziazione spirituale viene perci definito il viaggio da Sacconi (p. 27).
Siamo dunque dinnanzi ad una cosmologia neoplatonica del tutto paragonabile alle tante gi descritte
in questo testo, in particolare a quelle ismailite; e il viaggio un momento tra sogno e veglia nel quale -ricordo
lanalogia del tramonto in Filone- lIntelletto acquisisce una conoscenza intuitiva che va oltre i limiti della
1197
Ragione. Potremmo ricordare al riguardo anche Avicenna e la conoscenza profetica -tema trattato in Dopo e a
lato- ma forse laspetto significativo di questo viaggio sognato che il ritorno alla quotidianit ci restituisce
un uomo diverso: la sua comprensione del Reale che si manifesta nellapparente una Resurrezione, forse non
diversa da quella pensata ad Alamt, il cui ricordo ci stato trasmesso soltanto attraverso la lettura degli
eresiologi che hanno ritenuto di intenderla attraverso il loro solito clich della sregolatezza.
Quanto a Shabestar, il suo Roseto anchesso un percorso iniziatico verso la comprensione
dellunicit dellesistenza, percorso che conduce al ritorno dellanima individuale nellAnima Universale; a una
comprensione del non-essere del mondo che appare come manifestazione (specchio) dellessere assoluto (p. 32
del testo francese) nella sua unicit. Il commento di Lhj si dipana poi lungo un percorso non soltanto
chiaramente neoplatonico, a partire dalla conoscenza mistica dellanima come via daccesso al Reale che si cela
nellapparente (cfr. anche, per Shabestar, Saccone, p. 22) ma anche altrettanto chiaramente islamico attraverso il
modello perseguito tanto dai Sf quanto dellIsmailismo: Adamo come lo insn al-kmil che vede il Reale
sotto lapparente. Il Reale, a sua volta, lunicit dellesistenza, perch lesistenza delle cose non che la
manifestazione di una Realt nascosta nellapparente. Si noti che in questa logica va compresa la visione
ismailita della indissolubilit di zhir e btin, che porta non allantinomismo, come nelle accuse stereotipe degli
eresiologi, ma a una diversa comprensione della Legge.
Lhj, nel suo commentario, cita esplicitamente il Mathnaw di Rm (cit. in Bibl. a p. 733 nella
classica edizione del Nicholson) il pi famoso tra i Sf il cui testo ora accessibile anche in traduzione italiana
come: Jall al-Dn Rm, Mathnaw, ed. italiana a cura di Gabriele Mandel Khn, Milano, Bompiani, 2006, 6
voll. Strettamente connesse al Mathnaw sono le poesie mistiche, delle quali una piccola selezione stata
pubblicata in italiano con il titolo: Rm, Poesie mistiche, a cura di A. Bausani, Milano, Rizzoli, 1980, con una
Introduzione dello stesso Bausani largamente dedicata al Mathnaw.
Per una comprensione della dottrina mi sembra assai utile citare anche lintervento di A. Soroush,
Boundlesness and Enclosures, del 2001, accessibile ora in inglese in internet su www.drsoroush.com, se non
altro perch la comprensione che ne pu avere un noto intellettuale shita pu evitare il rischio di tradurre il
pensiero del grande mistico nelle categorie del pensiero occidentale: anche se questo non un rischio che possa
toccare Bausani.
Lopera del grande mistico e poeta una denuncia dei limiti del pensiero razionale quale via alla
conoscenza del Reale, alla cui intuizione si pu giungere soltanto attraverso la conoscenza del cuore o
dellanima, una forma quindi di adesione non mediata al reale. Causa ed effetto, come in al-Ghazl, non sono
reali, sono schemi tutti interni alla nostra ragione attraverso i quali ad essa si manifesta il mondo fenomenico.
Dio, per Rm, il senza-forma che Si manifesta nel mondo delle forme, lincircoscrivibile che Si manifesta nel
limitato. Afferma Rm (Mathnaw, I, 2139-2140 delledizione italiana, 2128-2129 Nicholson) La gamba di
coloro che fanno sillogismi di legno; una gamba di legno molto instabile, a differenza del Qutb dellepoca, il
possessore della visione. Come si vede, il ruolo del Qutb (Polo) sf lo stesso dellImm ismailita. Che cosa
sia lopinione (lapprodo della razionalit) rispetto alla conoscenza (quella cui si giunge con il cuore) Rm lo
dice nel Mathnaw III, 1511 e 1513 (Nicholson 1510 e 1512): La conoscenza ha due ali, lopinione una;
lopinione difettosa, il suo volo breve; luccello opinione cadendo e rialzandosi procede con unala
sperando di raggiungere il nido.
Soroush sostiene con forza lislamicit di una tale via alla conoscenza, contro coloro che vi cercano
gli influssi di altre tradizioni orientali; lo fa, a mio avviso, con piena ragione e cercher di mostrare infra
perch. Soroush si sofferma inoltre sui due famosi versi iniziali del Mathnaw: Ascolta il ney (scil.: il flauto di
canna) che narra il lamento della separazione, che da quando mi tagliarono dal canneto, del mio suono si
rattristano uomini e donne. La metafora significativa di tutto il pensiero di Rm: il soffio che passa per la
canna non ha forma, prende forma dalla canna entrandovi ed un suono, il suono di quella canna: noi siamo il
flauto e la tua musica viene da Te (Mathnaw I, 603; Nicholson I, 599). Dio, incircoscrivibile, Si manifesta nelle
forme di tutto il Creato che ne il velo, come lo siamo noi; perci non possiamo pretendere che quel velo cada,
altrimenti noi stessi cesseremmo di esistere.
Lo abbiamo visto anche in altre occasioni, Dio trama e ordito di tutto il Creato; e abbiamo gi visto
(supra, p. 926) come Egli prenda il posto della phsis di Parmenide nellontologia dei monoteismi creazionisti.
Separato da Dio, il mondo cade nel Nulla (un Nulla che per oltre lEssere e il Nulla). In Dio, per Rm,
coesistono gli opposti, come nota Soroush che sottolinea il parallelo con Shabestar; cfr. anche Bausani, p. 13). Il
mondo un velo, unattenuazione del Reale, esso non , come Creato, qualcosa che si aggiunge alla realt di
Dio; come prima cera soltanto Dio, anche ora c soltanto Dio nella Sua manifestazione, Parola parlante e
Parola parlata.
Soroush usa al riguardo unespressione che ricalca la Tabula smaragdina (cfr. supra, p. 418, nel testo
e in n. 1): ci che sopra e ci che sotto sono la medesima cosa, secondo la trasposizione spiritualista di quella
che fu, verosimilmente, una constatazione di laboratorio. Numerosi sono anche i richiami di Rm a San, che
egli considerava il proprio maestro e al quale dedic anche un necrologio (Poesie mistiche, p. 59).
I tre che ho citato esprimono dunque una coerente visione comune, che quella della mistica islamica
ed fatta di riferimenti al tema costante dellamante e dellamata, e dellusignolo e della rosa (entrambi presenti

1198
nel Proemio del Mathnaw, che alludono alla struggente passione dellanima per un Dio irraggiungibile; lamante
un folle (Majnn) di Dio, il Sf.
Con queste citazioni, il folle, lusignolo, la rosa, che sono temi ricorrenti, ci troviamo introdotti alla
straordinaria stagione mistico/poetico/neoplatonica del XII-XIII secolo citata supra a p. 898, ai cui
protagonisti, l soltanto citati, sembra opportuno dedicare almeno un cenno. Faccio eccezione di Ibn Arab e di
Sohraward, per i quali mi fermo alle poche righe di p. 239-241; del resto, ciascuno di questi mistici/teosofi
stato lorigine di uninfinit di studi, e non ha senso tentare di approcciarli in queste brevi note, dove si vogliono
soltanto sottolineare le tappe di un percorso. Prima per vorrei chiarire, con le parole che traggo dal Fhi-m-fhi
di Rm (cfr. Jall al-Dn Rm, Lessenza del reale Fhi-m-Fhi (C quel che c), Trad., Intr. e Note di S.
Foti, Torino, Psiche, 1995, p. 22 e p. 20) due concetti sui quali non si torna mai a sufficienza, perch fondano il
rapporto del Sf e dellIsmailita con la conoscenza iniziatica e lindirizzo che questa pu dare allesistenza. Dice
Rm: Tu poni una lampada davanti al sole, e poi ti aspetti di vedere il sole con la sua luce. Che necessit vi di
quella lampada? senza di essa, il sole non si mostra da s? (p. 22). La metafora sta ad indicare due punti
fondamentali della conoscenza: la Ragione umana misera cosa per affrontare il Reale, il quale peraltro non
necessita di essere illuminato, perch si manifesta apertamente a chi lo guardi.
Dice ancora Rm, p. 20: Allorch i pensieri lasciano la scena e la verit appare senza lo schermo
della riflessione, il giorno della Resurrezione. Come ho sempre segnalato dunque, Resurrezione il risveglio
di chi apre lo sguardo al mondo per scoprire che esso altro da ci che appare dietro lo schermo delle
costruzioni mentali tramandate. La conoscenza apprensione diretta che giunge al termine di un percorso
iniziatico che insegna a vedere ci che si d; una semplicit frutto di un lungo travaglio di spoliazione delle
sovrastrutture. Il fiorire di una tale stagione di speculazione sta ad indicare uninquietudine del pensiero pi
avvertito nei confronti di una vera e propria crisi il cui superamento sar tentato per altre vie, per la Sha come
per il Sunnismo: attraverso le ortodossie autoritarie. Lo abbiamo visto per il Sunnismo, lo vedremo per la
Sha; ora riprendo il filo del discorso tornando ai cenni sui mistici, al loro linguaggio simbolico.
Cos Fardoddn Attr dedica alla rosa e allusignolo due brevi composizioni che troviamo raccolte
sotto il titolo: Fard al-Dn Attr, La rosa e lusignolo, a cura di C. Saccone, Roma, Carocci, 2003. Essi
sviluppano, nel simbolismo dellamante e dellamata, il tema del folle amore mistico del Sf per il Dio
inaccessibile. Il lungo saggio di Saccone e lapparato di note che li accompagnano (pp. 125-201) mettono a
fuoco i molti problemi che si connettono ad una interpretazione che si configura su vari possibili livelli, per la
nota ambiguit di ogni simbolo. Alcuni aspetti sembrano tuttavia pi chiari (p. 160 sgg.) come il carattere
essenzialmente islamico dello sfondo, dove lassoggettamento dellusignolo, amante ostinato di una rosa che gli
si sottrae, simboleggia il rapporto tra luomo e Dio che caratterizza lIslam (p. 161). Altri sono meno chiari,
perch il rapporto dei due con gli altri personaggi/simbolo dei due racconti (e con il tema del Mantiq at-Tayr,
accennato supra a p. 240) lascia in dubbio circa il Sufismo del quale si parla, legalitario o antinomico.
Attr fu un Sf e un Sunnita, e una sua opera famosa il Tadhkirat al-awliya (Memorie dei Santi,
ovvero dei vicini, sottinteso: a Dio) tradotto come Parole di Sf, a cura di L. Pirinoli, Intr. di P. Nutrizio,
Milano, Mondadori, 2001. Si tratta di un testo che non fa certamente distinzione tra i due tipi di Sufismo, ed
comunque un elenco di miracoli operati dai Sf e di frequenti interpretazioni esoteriche della Legge. Anche un
altro suo testo famoso, lo Ihlh-nma, tradotto come Il poema celeste, a cura di M.T. Granata, Milano, Rizzoli,
1990, abbonda di racconti che parlano di folli che, nella loro ansia di assoluto, debordano le regole. Si
ricorder in proposito la posizione assunta da Ibn Taymiyya riguardo al Sufismo, allorch egli distingue tra una
pratica che si svolge nella piena ortodossia dei comportamenti e delle dottrine, e una che, nellansia di
attingimento del divino (il cosiddetto ittihdismo) conduce al disprezzo delle norme sharaitiche. Ora, i due
racconti di Attr, nota Sacconi, possono essere interpretati sia come esaltazione che come condanna di tale
forma di Sufismo, i cui seguaci erano definiti come malmatiyya, i biasimevoli.
Non inverosimile dunque che Attr, vissuto in un periodo nel quale il dominio selgiukide era gi in
disfacimento e le regioni orientali vedevano linizio dellinvasione mongola (una tradizione vuole che il mistico
poeta fosse stato ucciso precisamente da un Mongolo) fosse comunque intellettualmente vicino a queste forme di
ricerca di salvezza individuale che sottolineano i periodi di disfacimento di una societ.
In pieno periodo di disfacimento e di trasformazione del Sufismo si colloca a sua volta Hfez, nato
attorno al passaggio dal 2 al 3 decennio del XIV secolo. e morto nel 1390, del quale C. Saccone, nella sua
Introduzione a Hfez, Il libro del coppiere, Roma, Carocci, 2003, sottolinea la contiguit alle espressioni dei
malmatiyya (p. 48) per i quali, secondo lo Arberry, manifesterebbe simpatia (p. 37). Tale atteggiamento viene
connesso da Saccone (ivi) alla grande crisi della societ prodotta dalle invasioni mongole, le quali, bene
ricordarlo ancora, fecero del mondo iranico il teatro di frammentazioni e di continue lotte tra piccoli potentati
locali, destinato a chiudersi soltanto con lavvento dei Safavidi allinizio del XVI secolo.
Mi sono soffermato brevissimamente su questo tema per far balenare la problematicit degli sviluppi
dellIslam dai quali prender forma quella seconda ortodossia che abbiamo momentaneamente lasciato ai suoi
consolidamenti dottrinali, ma che impiegher ancora tempo per istituzionalizzarsi a coronamento di un
lunghissimo travaglio politico e sociale, senza tuttavia riuscire ad eliminare quei fermenti che, da magma
iniziale, si trasformeranno in nuove eresie shite. In questo quadro non pu essere ignorata la presenza di
istanze ismailite che, tramite le verosimili infiltrazioni, costituiscono comunque una possibilit immanente alla
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riflessione islamica, e infatti, come nota Arberry (H.O., 1. Abt., cit. in Bibl. a p. 746) a p. 464, sono state
considerate attive nel Sufismo estremista.
Il Sufismo un fenomeno che ha una sua precisa ragion dessere nel rapporto tra Dio e luomo e tra il
Reale e le possibilit della ragione umana cos come sono connaturati nellIslam, parola che significa
sottomissione. La via mistica, come abbiamo notato pi volte in precedenza anche in termini generali,
rappresenta dunque lunica possibilit di apprensione intuitiva, animica, del Reale, in una situazione di scacco
della Ragione; la non contraddizione dellIslam con la mistica (anzi, la loro conseguenzialit) labbiamo gi
notata in al-Ghazl, della cui ortodossia non si pu dubitare. Abbiamo egualmente notato che lo stesso Ibn
Taymiyya non fu contrario al Sufismo, del quale condannava soltanto gli eccessi.
Il problema, a me sembra, la sottigliezza della linea che separa il lecito dalleccessivo. Ad esempio.
quando Bausani, nellintrodurre le Poesie mistiche di Rm, tiene a precisare che egli non fu un panteista (p. 19)
fa unaffermazione condivisibile, perch il Panteismo una conseguenza non dellapproccio mistico, ma di
quello filosofico/teosofico alla conoscenza del Reale, come avevo messo in luce citando la perentoria
affermazione di Radtke a p. 885 supra: con la riflessione neoplatonica che si giunge allittihdismo condannato
da Ibn Taymiyya. Il rifiuto della via razionale e la pratica estatica, mirano alla realizzazione dello insn al-kmil
per una via che non ha nulla a che vedere con lidentificazione con lIntelletto Agente ipotizzata dai falsifa;
tuttavia non si pu sottovalutare che la sola ipotesi di un archetipo spirituale del transeunte individuo materiale,
apre necessariamente la via ad una speculazione neoplatonica: anzi, ne parte costituente. Per giunta si deve
ritenere che la via mistica sia sempre potenzialmente eversiva, sia perch, come rapporto diretto con Dio, fa
impallidire il ruolo del corpo clericale; sia perch, gettando il cuore oltre la Ragione, fa impallidire il ruolo
della Legge, che, non si dimentichi, nella sua fattuale esplicazione, frutto di uno sforzo razionale di ossequio al
dettato.
Inoltre, andare oltre la Ragione porta a scoprire una realt che va oltre ogni possibile normativa: la
coincidenza degli opposti, una scoperta che risale quanto meno alla rivalutazione della disobbedienza di Ibls
fatta da al-Hallj (cfr. supra a p. 239, nel testo e in n. 331). Si assiste, nella mistica, a un capovolgimento dei
valori, come nota Bausani nella sua Prefazione a al-Hallj, Dwn, a cura di A. Ventura, Genova-Milano,
Marietti, 1987, 2 ed. 2005 (per la ricostruzione del Dwn e la sua edizione in arabo e in francese, cfr. L.
Massignon, Le dwn dal-Hallj, J.A., 218,1, 1931).
Quali che siano le considerazioni che si vogliono addurre riguardo la fondatezza delle accuse
dottrinali che portarono alla condanna di al-Hallj, non si pu ignorare che le giustificazioni teoriche possono
essere il tentativo di razionalizzare percezioni relative alla sfera della pratica: la predicazione di al-Hallj
destrutturava lideologia normativa connessa alla gestione della societ; non per nulla egli fu avvertito come
possibile leader della Sha estremista (cfr. supra, p. 1163).
Ora, laspetto sicuramente eversivo (nella logica di ogni pensiero normativo) del Sufismo
precisamente nella unicit dellesistenza (wahdat al-wujd) che destituisce il ruolo di ogni possibile classe
clericale nellindicare la via della salvezza. Tale destituzione -mi sia concesso un ossimoro soltanto apparente-
infatti esplicita per il solo fatto di essere necessariamente implicita nel rapporto diretto che il mistico stabilisce
con il mondo spirituale, tant che il solo modo per istituzionalizzare un tale percorso stato trovato nelle
gerarchie iniziatiche facenti capo ad un Imm (Ismailismo) o in un Qutb (Sufismo).
Unesposizione degli aspetti puramente concettuali della wahdat al-wujd si pu trovare nella raccolta
di articoli di T. Izutsu, Unicit dellesistenza e creazione perpetua nella mistica islamica, Pref. di F. Lucchetta,
Intr. di A. Ventura, Genova, Marietti, 1991. Ventura ritiene di dover subito chiarire (p. XI) che la dottrina
mistica dellunicit dellesistenza non conduce ad alcuna forma di Panteismo, come del resto ho gi notato
riferendo dellIntroduzione di Bausani a Rm e delle osservazioni di Radtke. Nel sintetizzare poi lontologia
della wahdat al-wujd (p. XII sgg.) Ventura fa precise osservazioni che ci riconducono a concezioni maturate
anche altrove -cio fuori del mondo islamico- naturalmente con accenti e obbiettivi diversi ma pur sempre in
conseguenza di unidentica ontologia neoplatonica. Uso il virgolettato nellinsistere su questa assegnazione ad
un preciso referente, perch colgo loccasione per ribadire quanto pi volte affermato: lorigine dellontologia
neoplatonica sta nella riflessione razionale della religiosit mediorientale -da Filone, al Cristianesimo, allIslam-
sul rapporto tra il mondo e un Dio unico, ineffabile e creatore. Rispetto a questa origine il neoplatonismo dei
filosofi (Plotino, Proclo, Damascio) deve considerarsi ladattamento alla cultura classica di una religiosit non
pi eludibile.
Quel che interessante poi, che questa ontologia pu essere avvicinata a quella di Parmenide con la
sola ma fondamentale differenza che in luogo dello essere videlicet della phsis, il divino ci che sottost al
variopinto apparire del molteplice. Dio cio, diviene la trama e lordito sul quale levita lapparire del mondo, che
non per questo irreale, al contrario, reale ma lo soltanto e precisamente in quanto manifestazione apparente
del divino; mentre pura apparenza, mera irrealt, se considerato indipendentemente da esso. Detto per inciso:
siamo alla medesima distinzione che fu posta a Nicea II (del 787) tra icona e idolo (cfr. Vedere linvisibile. Nicea
e lo statuto dellimmagine, a cura di L. Russo, Palermo, sthetica edizioni, 1997; AA.VV., Nicea e la civilt
dellimmagine, Aesthetica Preprint 52, Palermo, Centro Internazionale di Studi di Estetica, 1998).
Il mondo, dice dunque Ventura a p. XV inesistente in s e per s, reale in quanto riflesso dei nomi
divini. Poich per la realt divina eterna e immutevole (cos come lo essere parmenideo era immobile e
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rotondo) ne consegue che lo scorrere del mondo, lo sciorinarsi del molteplice, illusorio, perch illusorio il
tempo tripartito nel quale esso si d (p. XVI).
Venendo ora ai testi introdotti, il primo dei saggi di Izutsu dedicato alla struttura della metafisica
islamica (pp. 3-32) argomento comparso pi volte in questo testo, onde mi sembra possibile sintetizzare al
massimo evitando di ripetere quanto gi detto. Izutsu esordisce tracciando il percorso di questa metafisica su un
arco che va da Ibn Arab a Moll Sadr (1571-1640); poi affronta il problema a partire dalla definizione di
Avicenna dellesistenza come attributo (la tal cosa esistente) per stabilire il cardine della wahdat al-wujd:
la cosa a essere un attributo dellesistenza. Aggiunge poi (p. 11) che per poter comprendere come tutto il
molteplice non sia che la manifestazione di una unica realt sottostante, lesistenza, necessario cancellare
dallatto della conoscenza il soggetto, ci che costituisce la pratica preliminare dellesperienza sf.
Ora, ci quantomeno scontato anche sul piano razionale se si ricorda quanto gi accennato di
sfuggita supra a p. 927 (e ugualmente nei miei Leterna giovinezza della verit, Relazione al Congresso di
Verona, Scuola H. Bernheim 16-18 Ottobre 2009, www.giancarlobenelli.com, pp. 6-7 e Il dire e il fare, pp. 4-5
ivi): essere il sub-iactum il soggiacente-durevole frutto immaginario della metafisica occidentale di un Essere
immobile: con esso anche la sub-stantia/ousa, lo accidens/synbebeks, e lo ob-iactum/ypokeimnon/Gegenwurf
non sono che conseguenze logico/lessicali di quella costruzione razionalista e, tutto sommato, non del tutto
parmenidea, se si considera che lunica identificazione del suo Essere (t n) la phsis sempre germogliante
(pho) non contraddittoria con il divenire eracliteo (su questo si veda il notevole saggio di M. Untersteiner che
introduce i testi di Parmenide, cit. in Bibl. a p. 734).
Ho voluto cogliere loccasione per sottolineare questo confronto tra lontologia di Parmenide, quella
di Nicea II e quella della mistica islamica, al fine di ribadire lerrore di prospettiva che si commette quando si
confonde loccidente reale con lideologia di Occidente, dominante soprattutto a partire dal XIX secolo; errore
che mi sono sforzato di demistificare con la lunga storia che parte dagli Gnostici.
Tornando allargomento, la cosa dunque reale solamente in quanto manifestazione formata
dellAssoluto, percepibile nel mondo fenomenico che, a sua volta, la sola via per percepire lAssoluto; essa la
differenziazione concreta dellesistenza incondizionata, che si manifesta cos alla limitatezza umana. Questa
esperienza della Realt richiede di essere comunicata nella razionalit del discorso attraverso luso di un
particolare strumento, la metafora (p. 21) abituale nei filosofi islamici (ivi).
Izutsu insiste molto sullinscindibile rapporto dellAssoluto con il mondo fenomenico, per sottolineare
come questultimo non debba essere pensato come illusorio: esiste lAssoluto che si manifesta nelle cose; non si
pu dire che la cosa sia esistente, lesistenza che si d come cosa, e lAssoluto non pu essere privato
della cosa, perch la cosa il solo modo grazie al quale pu farsi conoscere. In altre parole, lesperienza del
mistico lo sguardo rinnovato con il quale egli si volge alla realt (concetto non diverso da quello di
Resurrezione) grazie al quale egli scorge la coincidenza degli opposti: lAssoluto e il transeunte fenomeno.
Ora, si noter (e Izutsu lo nota a p. 55) che questa mistica si dispiega sul piano razionale in una
ontologia necessariamente neoplatonica che a sua volta implica -postulata che sia, o no, in modo espresso-
lesistenza degli Universali ante rem, oggetto della dura critica di Ibn Taymiyya (cfr. supra, p. 1134) e non
semplicemente per polemica filosofica, ma perch egli vi vedeva messa in pericolo quella trascendenza assoluta
sulla quale si fonda la cogenza della letteralit della Legge, pilastro del tradizionalismo sunnita/hanbalita.
Abbiamo per visto (cfr. supra, p. 885) che questo aspetto non necessariamente riguarda i mistici; teniamo ci
ben presente, altrimenti si rischia di confondere la concretezza della dialettica manifesta allinterno dellIslam in
una astratta, ma incomprensibilmente cruenta, disputa teologica. Qui sono in gioco due diverse possibili letture
del medesimo messaggio: da un lato latopica pretesa, supportata dalle semplicistiche pulsioni delle masse, di
una societ monoliticamente perfetta che realizzi in terra lo stadio ultimo della vicenda umana (anche se non
pi per lintero pianeta, ai tempi di Ibn Taymiyya si ragionava ormai sugli spazi circoscritti alla dr al-Islm);
dallaltro una comprensione tutta interiore della Rivelazione che per, una volta discesa dalla contemplazione
delle Sfere, avrebbe potuto dar luogo -e lo vedremo- a imprevedibili svolte in una normativa non pi ingabbiata
nella tradizione.
Quanto al concetto di creazione continua, esso connaturato allontologia neoplatonica dei mistici, e
Izutsu affronta il problema sulla scorta di Ibn Arab, di Lhj e di Ayn al-Qudt al-Hamadn, del quale stato
tradotta in inglese la Zubdat al-haqaiq (crema, cio essenza o, come traduce Jah, estratto delle verit) ad
opera di O. Jah, Kuala Lumpur, International Institute of Islamic Thought and Civilisation, 2000. Sulla
complessa figura di questo mistico (al-Quzt in persiano, per la diversa pronuncia del ) messo a morte per
eresia dai Selgiukidi per sospetto Ismailismo e per la sua concezione di Dio, assimilabile a quella dei filosofi
neoplatonici, cfr. la voce Ayn al-Qudat al-Hamadani su www.is.ac.uk/view_article.asp?ContentID=113527 di
H. Landolt per lo Institute of Ismaili Studies. Al di l degli intrighi che lo portarono alla prigione e alla morte su
denuncia degli ulam, le dottrine da lui espresse, non soltanto quelle relative al rapporto tra Dio e il mondo
(indubbiamente neoplatoniche, quindi sicuramente eretiche per un Sunnita) occorre tener presente la sua
pericolosa vicinanza al sufismo di al-Hallj nel suo testo in persiano: Ayn al-Quzt Hamadn, Les tentations
mtaphysiques, Traduit par Ch. Tortel, Paris, Les deux Ocans, 1992. La sua autodifesa, scritta mentre stava in
carcere, stata pubblicata da M. Ben Abdel-Jalil, con il titolo akw-l-arb ani l-awtn il ulam-l-buldn,
J.A., 216, 1-2, 1930 (pp. 1-76 il testo persiano, il cui titolo potrebbe essere tradotto come: Doglianza di un
1201
forestiero contro gli ulam del luogo; alle pp. 193-297 la traduzione francese). Pu essere utile aprire un
inserto di riflessione su questi testi.

La sua Doglianza ci fa capire soltanto qualcosa, ma non molto, sul perch del feroce supplizio che gli
fu inferto. Lintroduzione di Mohammed b. Abd el-Jall ricorda che per il nostro fu determinante lincontro con
la mistica di al-Ghazl e il suo Risveglio delle scienze religiose e la sua devozione ad al-Hallj, che egli cita
sovente nella Zubdat, certamente pericolosa, in particolare per lesaltazione di Ibls come testimone, insieme a
Maometto, dellunicit di Dio (cfr. Doglianza, p. 12 in n. 3 e Massignon, La passion, etc., cit., T. I, p. 70; p. 695
per quanto riguarda i rapporti tra Ibls e il Profeta stabiliti sulla scienza delle lettere e la numerologia, pratiche
usuali in Ayn al-Qudt che, del resto, conosceva anche il passo relativo di al-Hallj: M. b. Abd el-Jall,
J.A.O.S., 216, 1, p. 12). Sui rapporti stretti di Ayn al-Qudt con al-Hallj via al-Ghazl (Ahmad, il Sf, fratello
del pi celebre Ab Hmid, lautore del Risveglio) cfr. Massignon, cit., T. II, pp. 173-179 e soprattutto T. III, p.
300 sgg. (traduzione del Tawasin, che a p. 326, cap. VI, 1,1 riporta laffermazione in oggetto, lesaltazione di
Ibls, alle pp. 326-333). Ibls ha un grande ruolo nel Sufismo e nella sua devozione allunicit divina, perch in
tale chiave di devozione viene interpretato il suo rifiuto di inchinarsi dinnanzi ad Adamo: il tema costante nella
storia delle dottrine sf; in Ayn al-Qudt compare pi volte anche in Tamhdt.
La dottrina esposta nella Doglianza, come nota anche M. b. Abd al-Jall, per molto pi moderata
di quella dei testi, e la professione di fede ivi espressa (J.A.O.S., 216,2, p. 264 sgg.) pu dirsi ortodossa; si
tratterebbe tuttavia di una moderazione soltanto apparente (J.A.O.S., 216,1, p. 17). Vi inoltre molta dialettica
fondata su uninfinit di citazioni che lo giustificherebbero nella sua proclamata innocenza dalla colpa di eresia.
Due punti almeno sono da segnalare, a testimonianza della sua impossibilit di recedere dalle proprie
convinzioni. Il primo riguarda la natura necessariamente soprarazionale della conoscenza che si manifesta nel
profetismo (pp. 204-205). Riguardo questa forma di conoscenza, egli si difende dallaccusa che gli viene mossa:
la sua dottrina implicherebbe che essa possa essere aperta a tutti, accusa dalla quale egli si difende riferendosi ad
al-Ghazl (pp. 208-209) e negando di aver mai avuto pretese profetiche (p. 216). Tuttavia a p. 241 tale
possibilit implicitamente ammessa. Ora, c da notare che essa effettivamente implicita tanto nel Sufismo
quanto nellalchimia e nella concezione neoplatonica dellIntelletto Agente: c infatti sempre la possibilit che
lo Shaykh o lAdepto possa configurarsi come uomo perfetto in grado di entrare in contatto con il divino.
Tutto questo lho esposto pi volte perci non vi ritorno; mi limito a far presente che, nonostante le reticenze di
Ayn al-Qudt, gli eresiologi sanno bene come annusare certe implicazioni, riguardo alle quali hanno sempre
buon fiuto.
Ben diverso il contesto di Tamhdt, titolo che pu essere tradotto in molti modi riferiti allo stesso
concetto (sistematizzazioni, introduzioni, premesse, semplificazioni, facilitazioni, preliminari, etc.) e che Tortel
ha preferito tradurre con Tentazioni metafisiche in omaggio al contenuto del testo: e certamente con ragione.
Nota Tortel (p. 11) che nella sua Doglianza, Ayn al-Qudt parla della sua Zubdat (come di un testo scritto in
arabo nei suoi 24 anni) come del solo testo scritto (in arabo, ovviamente) evitando cos di dover citare Tamhdt,
scritto in persiano. Qui i richiami agli eretici al-Hallj e Bistm sono abitali; in particolare a Bistm come
errante: il problema dei dervisci erranti e dei Qalandar, e dei loro costumi ritenuti libertini agita i secoli
dellIslam, in special modo nel mondo persiano-anatolico.
Qui Ayn al-Qudt formula la dottrina del superamento dellantitesi Bene/Male grazie allattingimento
dellUno; e quella della Legge come relativa ai meri aspetti esteriori (pp. 60-62): una posizione non diversa da
quanto abbiamo visto nellIsmailismo. Il santo, poi, in grado di operare miracoli non diversamente dal Profeta
(p. 75). Qui vorrei ricordare che non soltanto molti Sf, incluso il nostro, si autoattribuiscono miracoli, ma che
le Memorie dei Santi di al-Attr, indubbiamente sunnita, costituiscono un lungo elenco di tale miracolistica.
Il quarto Principio (cos, nel corso del testo, Tortel traduce il tormentato Tamhd) introduce gi
affermazioni (conoscere se stesso conoscere Dio) fondate su un btin che apre a citazioni significative: io
sono Dio (Hallj) e lode a me (Bistm) (p. 89); il quinto introduce una dottrina che abbiamo gi visto in
opera nellIsmailismo, linterpretazione allegorica dei pilastri dellIslam (pellegrinaggio, digiuno, elemosina,
preghiera) inclusa la stessa professione di fede (l ilha ill-llh) oggetto di un btin nelle sue due valenze (la
negativa, l ilha: nessun Dio, e lesclusivante, ill-llh: tranne Allh, cio il Dio) interpretate come due passi
successivi sulla via della fede, dei quali il primo soltanto preliminare, mentre il secondo concentra la tensione
del fedele sulla esclusivit di Dio come unico oggetto di ricerca. Lui soltanto loggetto dellamore, che, a sua
volta costituisce il sesto Principio.
Qui la posizione di Ayn al-Qudt tende a farsi decisamente pericolosa, perch evidente la sua
ricerca di una collocazione che va oltre i limiti delluomo nei confronti della Realt divina, cos come sono
canonizzati nellortodossia: lo stesso Paradiso promesso agli uomini rifiutato come prigione per gli iniziati
(p. 144) in conseguenza di un tentativo di attingimento del divino che vuol spingersi oltre quanto sancito nella
Legge. Nelluomo infatti, come spiega nel settimo Principio (p. 151) c una realt che va oltre luomo: Dio nel
cuore delluomo (p. 153) la Verit che nel cuore e che giustifica quanto affermato nel quarto Principio:
conoscere se stessi conoscere Dio, cio scoprire la divinit delluomo, che il nucleo della grande blasfemia di
al-Hallj e Bistm. La realt essenziale delluomo dunque il suo spirito divino (p. 156) che gli pre-esiste (p.
155) e che ci che gli d vita. Chi guarda nel proprio cuore vede lo Spirito divino e perci vede Dio (p. 157); lo
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Spirito lessenza delluomo (p. 159); il corpo un estraneo (p. 160). Lantropologia di Ayn al-Qudt
decisamente gnostico/dualista.
Lottavo Principio (pp. 165-190) afferma la lettura esoterica del Corano, alla cui letteralit si nega
significato (p. 168) in coerenza con lo stesso dualismo Spirito/corpo divenuto ormai principio portante della
ontologia di Ayn al-Qudt, il cui pensiero possiamo iniziare a inquadrare in modo pi profondo a partire dal
nono Principio. Ayn al-Qudt, per chiarire la posizione del Sf, si esprime attraverso i noti temi di Lala e
Majnn e della rosa e dellusignolo: egli un folle di Dio, e per raggiungere il Creatore occorre abbandonare le
creature (p. 193). Qui il suo discorso si fa duro: se lempiet esteriore quella dellanimo egoico, vi anche una
empiet della verit, che si realizza nel rapporto con Dio (p. 194). La totale miseria (umana) Dio, e poco
importa che questa miseria sia empiet, perch quando Dio infonde il tuo io nel Suo S allora tu divieni
interamente Lui (p. 198). Si noti che questa una posizione malmat: ci che in questo mondo empiet, nella
via dellerrante la fede (p. 207). A p. 208 egli cita questi versi: Nella strada delle taverne, chi mendicante,
chi Re! Nella via dellUnicit che cos il rispetto della Legge, che cos il delitto! In cima al Trono che cos
il sole, che cos la luna! Che cosa importa se lonore del Qalandar salvo o insozzato!. Cio, in prima istanza:
il Bene e il Male sono nella Legge, che di questo mondo; ma Dio al di l del Bene e del Male. In realt, dietro
questa affermazione c molto di pi, ma lo capiremo a conclusione: certamente diviene chiara laccusa di
antinomismo che gli ulam rivolgono a questi Sf.
E poi ancora (p. 208): il peccato di Ibls non altro che il suo amore di Dio. Seguono (p. 212 e p. 213)
dichiarazioni sulla certezza di essere giustiziato come lo fu al-Hallj e come sar per Fazlullh Astarbd (infra)
e in ci egli dimostra una chiara certezza, meglio, un desiderio di sacrificio, come si pu testimoniare in pi casi
(Massignon, cit., T. II, p. 261). Questo ci che potremmo definire la vocazione cristica di molti Sf, come
via per lattingimento dellAssoluto; a tale riguardo da segnalare che comune, nei Sf, credere nella realt
della Passione di Cristo (che il loro modello) con ci contraddicendo la posizione docetista del Corano (Cor.,4,
157-158).
Meno esplicito, ma non meno importante, il contenuto del Zubdat al-Haqaiq, opera giovanile scritta
a 24 anni nella quale Ayn al-Qudat non trae ancora esplicitamente le conseguenze ultime della sua esperienza
mistica; tuttavia essa opera non soltanto significativa per la lucidit logica dellesposizione, ma anche perch vi
si pu rilevare in chiaro il legame, sottolineato da Izutsu, tra la wahdat al-wujd e il concetto di creazione
continua.
Esamino brevemente i punti salienti di questo testo, che pone Ayn al-Qudat in deciso contrasto con la
cultura religiosa degli ulam, ancorch elencando i propri maestri nei due fratelli al-Ghazl, Ab Hmid
(quello del Tahfut, del quale ci siamo occupati) e Ahmad, il Sf. A me sembra significativo che essi vengano
richiamati in successione, forse volutamente, quasi a voler sottolineare ci che mi sono adoperato ad accennare
in alcuni luoghi di questo testo: il fondamento razionale dellapprodo mistico.
Ayn al-Qudat esprime poi didatticamente il proprio pensiero attraverso una sorta di classificazione
antropologica che sottolinea i differenti modi di affrontare lesperienza religiosa. Al livello iniziale vi sono i
semplici credenti, quelli che credono per pura fede senza porsi domande che non sono in grado di porsi; segue la
religiosit del clero, fondata sulla conoscenza essoterica della Legge, del suo zhir; vi sono poi i filosofi, cio
coloro che sorreggono la propria fede sullo sforzo di comprensione intellettuale e sul metodo deduttivo; ci sono
infine coloro che vogliono andare anche oltre questo sforzo di comprensione intellettuale ritenuto
insoddisfacente. A questultima categoria appartiene Ayn al-Qudat, guidato dalla mistica sf, il quale sostiene
che si possa giungere intuitivamente allacquisizione di verit come leterna preesistenza di Dio al mondo, senza
necessit di ricorrere ad inutili premesse come, per lappunto, il filosofo nella persona di Ab Hmid. Nel
corso del testo si vedr che questa antecedenza di Dio al mondo da considerarsi come una preesistenza
ontologica, non temporale; la necessaria preesistenza dello Esistente necessario, che, in quanto tale, non pu
avere un inizio.
Il punto fondamentale dello sviluppo successivo molto chiaro: Dio ineffabile e inaccessibile sul
piano della Ragione, perci pu essere soltanto intuito andando oltre la Ragione stessa; segue una parte del testo
tutta dedicata al problema degli attributi divini e della conoscenza divina dei particolari (campi di battaglia dei
teologi islamici). La trattazione di questultimo punto molto interessante, perch viene risolta sul fondamento
di una concezione neoplatonica che si svilupper pienamente nel seguito del testo. Dio ha conoscenza dei
particolari perch, egli spiega, Egli molteplicit e totalit, mentre ci che appare, il mondo nelle sue diverse
manifestazioni, soltanto parte e particolare che riceve la propria individualit soltanto come riflesso della
molteplicit e totalit divina.
In altre parole, siamo dinnanzi alla concezione del divino come trama e ordito che sorregge lapparire
del mondo che levita sul divino come Sua manifestazione e apparenza; se Dio Si ritirasse in S, il mondo
collasserebbe nel Nulla ontologico. Questo il fondamento metafisico e religioso che sostiene il concetto di
creazione continua: istante dopo istante ogni creato continuamente ri-creato, sempre diverso e in divenire.
Ritroveremo pi tardi questo pensiero in Moll Sadr; qui vorrei sottolineare come esso destituisca la metafisica
occidentale del sub-iactum.
Del resto, prosegue poi Ayn al-Qudat riguardo al problema dei modi della conoscenza divina, capire
come Egli conosca non cosa alla portata della nostra Ragione; la critica al tentativo di conoscere questi modi
1203
sulla scorta della conoscenza umana, batte perci in breccia la proponibilit stessa di uno dei punti tormentosi
della speculazione teologica islamica.
Ayn al-Qudat cita molte volte il versetto coranico (2, 115) e ovunque vi volgiate, l il Volto di
Dio invitando a una conoscenza intuitiva che vada oltre i limiti della Ragione. Egli usa il termine al-basrah
(intuizione) una parola che, nella sua radice b--r strettamente legata alla vista e allocchio, e perci parla di
una vista interiore dello rif (gnostico) che, per illuminazione, va oltre la conoscenza puramente
intellettuale (cfr. Lane, vol. I, pp. 210-212, che a p. 211 definisce al-basrah come la facolt percettiva della
mente, percezione mentale di una cosa [al-istabasr f al-sha, p. 210]). C dunque uno stato di santit
che va oltre lo stadio dellintelletto, e oltre il quale c lo stadio della Profezia: credere nella Profezia credere a
un mondo che al di l dei sensi. Massimo attingimento dellintelletto il riconoscimento dei propri limiti.
Un passaggio interessante, che affronta una concezione che ritroveremo in Moll Sadr e che sottrae
la speculazione sf alla critica dei filosofi di Ibn Taymiyya rivolta al tema degli universali ante rem, lo si trova
nel Cap. 32: il rapporto diretto tra i singoli esistenti e lEsistente necessario avviene per un atto emanativo che
pu intendersi come potere e volont (di Creazione); queste due astrazioni tuttavia non esistono fuori di un
Potente e di un Volente, in questo caso, Dio. Fin qui pu giungere anche il solo intelletto; per suo mezzo si
pu affermare anche che la conoscenza, in Dio, non esistendo fuori del fatto che c un Conoscente, ed
Lui, identica, in Lui, al suo essere quel Potente e quel Volente: una constatazione che destituisce
ulteriormente di senso la polemica sugli attributi divini.
Delineato quindi definitivamente il rapporto tra Dio (lEsistente necessario) e i singoli esistenti, lo
sviluppo del testo preparato ad affrontare il tema della creazione continua, che ne discende. Ci egli fa nei
Capp. 39 e 56. La sola esistenza reale quella dellEsistente necessario, dunque Lui che d esistenza ai singoli
esistenti, che debbono essere continuamente sostenuti e alimentati dalla Sua esistenza. La realt degli esistenti
manifestazione dellEsistente necessario, frutto delle singole e specifiche loro relazioni con Esso: si tratta di
un rapporto individuale e continuo, e questo rapporto , per lappunto, la Creazione che, per conseguenza, un
atto continuato e incessante che ad ogni istante ri-crea la cosa, il singolo esistente.
Ayn al-Qudat fa un paragone suggestivo: la fiamma della lampada arde continuamente perch
continuamente altro olio affluisce ad alimentarla: la sua esistenza non soltanto dipende dallesistenza dellolio,
ma la fiamma, nella sua apparente permanenza, di fatto continuamente altra cosa da ci che era nellistante
precedente, perch altro lolio che fluisce a mantenerla in vita, istante dopo istante. In ogni momento gli
esistenti sono ri-creati dallEsistente necessario, eterno; perci in ogni momento si materializza un nuovo
esistente simile -ma non eguale- al precedente. Vorrei, a conclusione, far notare la grandiosit dello scenario
delineato da Ayn al-Qudat: il cosmo tutto un immenso e incessante fluire di vita sempre nuova, alimentata da
una Fonte eterna che Dio attraverso i mille rivoli dei singoli esistenti. Se ne potrebbe trarre il fondamento per
il rispetto religioso di ogni singolo esistente, manifestazione del Volto dellAltro irriducibile, nella sua istantanea
irripetibilit, agli schemi del Razionalismo, ideologia del potere articolata sulla riduzione dellaltro al medesimo.
Si possono trovare analoghi accenti in Lvinas.
A questo punto penso sia chiaro al lettore il nesso tra wahdat al-wujd e creazione continua, che fa da
titolo alla raccolta di articoli di Izutsu. Ritroveremo simili temi infra; qui chiudo il breve cenno ad Ayn al-Qudat
per aprire un altro, necessario inciso sul Sufismo.

Sul tema della vocazione al martirio del Sufismo, si deve aprire dunque una breve digressione nella
digressione (ma che cos questo esame delle dottrine se non una continua vicenda di reciproci incastri?)
partendo da un vecchio articolo di M. Mol, Autour du Dar Mansour: lapprentissage mystique de Bah al-Dn
Naqshband, cit. in Bibl. a p. 850.
Il Dr-e Mansur (Dr, in persiano, il patibolo) il patibolo sul quale fu martirizzato Mansur al-
Hallj, e fa parte dellarredo del meydan (in arabo, mydn uno spiazzo) che lambiente pi importante nella
tekke bektsh, nel quale i Bektsh vengono iniziati; ambiente studiato e fotografato da J.K. Birge, The Bektash
Order of Dervishes, Hartford, Seminary Press - London, Luzac, 1937 alle pp. 175-204. Del legame dei Bektsh
con al-Hallj e il Dr-e Mansur (nonch con il desiderio di martirio degli Hurfiti) parla anche Massignon, cit.,
T. II, pp. 261-288. Lo studio di Mol verte su un problema non lontano da quello affrontato nellarticolo sui
Kubrwiyya (infra) perch affronta la trasformazione di una tradizione sf di stretta osservanza sunnita in nuove
confraternite ad atteggiamento antinomista halljano.
Attraverso la ricostruzione delle catene iniziatiche, Mol ritiene di poter stabilire che la confraternita
Naqshband (cos nominata dal fondatore Bah al-Dn Naqshband) esempio di confraternita sunnita osservante
della Legge, abbia una radice in comune con gli antinomisti halljani Yaseviti dai quali discenderebbero i
Bektsh (stemma a p. 65) in Yaqb Yusf Hamadn (dal quale discenderebbe anche il citato ordine dei
Kubrwiyya, la cui storia esemplare sar accennata infra).
Ora, il punto di distinzione che provoca la separazione delle due catene, la osservante e la antinomica,
da un unico ceppo, per lappunto la tradizione halljana cui fa riferimento il titolo, testimoniata anche nei
Bektsh dalla presenza centrale del Dr-e Mansur. Secondo Mol, una delle ragioni del diverso percorso (pp.
42-43) pu essere ricercata nella cultura persiana/cittadina di Naqshband, e in quella turca di Yasev; di certo vi
un elemento forte di dissenso tra i due percorsi, che si appunta sullesperienza halljana fonte dellantinomismo:
1204
il misticismo ortodosso ritiene infatti che essa sia soltanto uno stadio iniziale della ricerca, che deve essere
superato (pp. 61-63). Al contrario, quello antinomista vi scorge lo stadio finale nellattingimento della Realt
divina, la realizzazione di quella wahdat al-wujd che il misticismo ortodosso relativizza.
La differenza sostanziale tra i due approcci al divino da ricercarsi in questo aneddoto che viene
riferito ad Ab Yazd (Bistm) e che Mol riporta a p. 57: richiesto quale fosse il segno pi grande dello
gnostico, Ab Yazd rispose: Vederlo mangiare, bere, scherzare con te mentre il suo cuore nel Regno del
Santo. quello il segno pi grande. Taqiyya? Ayn al Qudt cercava per la Verit, e quando la Verit
soltanto in Dio e lumano non pu attingerla con la Ragione, lattingimento (reale o presunto, dobbiamo metterci
nella logica del mistico) non pu che manifestarsi come scandalo e follia.

Torniamo ora al Tahmdt, per notare che il decimo e ultimo Principio dedicato al tema della luce
muhammadiana, alla visione di Dio, alla tensione verso la fardiyya, cio allo stato dellesser Uno, liberandosi
dalla zawiyya, il mondo del duale (letteralmente: stato di coniugio). Il mondo del duale, appena il caso di
ricordarlo, quello dove esistono il Bene e il Male come distinzione; nel mondo dellUno se ne al di l.
A questo punto necessario chiarire un aspetto fondamentale della vicenda, quello che rende i Sf
facilmente oggetto dellaccusa di empiet. difficile stabilire se e quando laccusa di antinomismo e di
immoralit sia fondata: si sa che questa laccusa abituale di tutte le ortodossie contro i dissenzienti, lo
abbiamo visto sin dallinizio a proposito degli Gnostici, successivamente degli eretici medievali; abbiamo visto
che a volte le accuse sono palesi invenzioni e comunque abbiamo notato che non c mai, o quasi, una certezza,
perch dal passato giunge a noi soltanto la voce degli accusatori e dei giudici (che coincidono con quelli): non
quelle degli accusati o di qualcuno che li difenda.
Perci, mentre certe accuse si possono soltanto riferire (ci che non significa avvalorare, per
limpossibilit di giudicare) interessa qui soltanto, con lesempio di Ayn al-Qudt, chiarire la logica sf, e come
essa possa prestarsi a favorire tali accuse e perch, indipendentemente da fatti acclarati. I quali fatti andrebbero
comunque meglio compresi di quanto le storie consentano: le manifestazioni esteriori di disprezzo della Legge
vogliono costituire esplicita offesa, ovvero testimoniare irrilevanza? Di certo per il Dio ineffabile dei Sf corre
una grosso rischio: sottratto allo spontaneo rapporto mistico io/Tu, e filosofizzato nella riflessione, diviene il
Dio neoplatonico dei filosofi, che non ha nulla pi a che vedere con il Dio/Volont, il Dio legislatore del Corano.
Per quanto tuttavia riguarda la logica sf, si deve assumere come punto di partenza la tensione dei
Sf verso lAssoluto: soltanto il rapporto con lAssoluto pu dar senso alla condizione umana, che a ci
chiamata seguendo il destino dellusignolo che annulla se stesso nella passione per la rosa o del folle in cerca
delle tracce di Lala. Il Sf, che risponde allAltro, allAssoluto, resta perci insensibile a ci che, dinnanzi
allAltro, perde valore, il mondo.
Ora, letica, ci che preteso dagli obblighi e dai divieti della Legge, precisamente questo: obbligo
verso il generale, verso la comunit, ancorch obbligo divino in quanto imposto da una Legge divina; anche gli
obblighi pi direttamente rivolti al culto sono comunque funzionali allarmonia e coesione sociale, allunit di
una comunit che si realizza per lappunto con lossequio a un certo comportamento nel mondo e del mondo.
sono attestazioni esteriori di una fede, importanti in rapporto alla reciproca esortazione che ne deriva. Nella
scelta tra rispondere a questo richiamo e a quello dellAssoluto, lincomparabile preminenza del secondo rende
trascurabile il primo, cio letica; il Sf sostiene questa propria scelta con linterpretazione esoterica del Corano
e la pretesa di interpretare il senso interiore (btin) di quella Legge, cio quello che indica la via dellAssoluto,
non quello, trascurabile, esteriore, che indica la via del mondo. una pretesa gnostica che egli si arroga, e che
lortodossia vieta, perch non ritiene che il Testo sacro possa essere interpretato, esso va soltanto obbedito.
Per la Legge islamica questo comportamento doppiamente inaccettabile, non soltanto per questa
ragione normativa, ma anche per i motivi ontologici che le sono a monte. La ragion dessere della Legge
infatti chiaramente fondata sullimpossibilit per luomo di attingere il Reale, per linsufficienza della sua
ragione nei confronti di quella divina. Perci Dio ha dato alluomo una Legge, per il bene della societ umana, e
spetta alluomo soltanto obbedirla, senza pretesa di penetrarne la Ragione. Si ricorder che al-Ghazl, teorico di
questa ortodossia, intraprese la via della mistica con grande prudenza, per giungere ad intuire la Verit oltre i
limiti del ragionamento, con il cuore. La mistica, lo abbiamo notato pi volte, lestremo approdo di una
Ragione conscia della propria impotenza.
Vista dunque in questa prospettiva, la via del Sf folle di Dio, paradossale. Da un lato essa , se non
antinomica, quantomeno anomica, per lirrilevanza delletica, quindi della Legge che regola i comportamenti
esteriori (ci che giustifica i furori degli ulam, il cui ruolo sacerdotale il controllo del rispetto di questa
ritualit) dallaltro essa squisitamente islamica, perch trae le conseguenze, opposte a quelle dellortodossia
normativa, dellinsufficienza della Ragione ad attingere il Reale. Perci, per quanto riguarda lantinomismo o
lanomismo, questo sufismo non va frainteso, n si deve necessariamente credere alle accuse preconcette: il
dichiarato disinteresse e rifiuto nel rispondere alla Legge non che il risultato della scelta di rispondere
allAssoluto, che non si pu attingere se non ponendosi su un piano che non sia di questo mondo, cio del luogo
della Legge. Questa antitesi tra i due luoghi certamente favorita dallassenza, nellIslam, di quella legge di
natura che abbiamo discusso nel 3 Capitolo di Dopo e a lato; nellIslam la Legge un ordine non
necessariamente penetrabile.
1205
La tendenza sf non soltanto connessa alla specificit islamica, ma vi cos radicata e connaturata
che non mai venuta meno; tant che, come abbiamo visto accettata anche dal sospettoso Ibn Taymiyya, con
un punto di discrimine tuttavia mai venuto meno, e che contraddistingue gli ordini osservanti, il rispetto della
Legge: preoccupazione che abbiamo gi visto anche nellIsmailismo, in coloro che hanno negato lopposizione
ontologica di zhir e btin, anzi, hanno visto nel primo la via del perfezionamento necessario per intraprendere il
secondo.
Il persistere delle tendenze eretiche analoghe a quelle imputate ad Ayn al-Qudt da imputarsi a
esigenze profonde della religiosit islamica, come quella della wahdat al-wujd. La persistenza di questo tema,
delle idee di Ibn Arab, della possibilit del superamento della Legge per luomo perfetto son temi che si
presentano nel Sufismo anche in ambiente sunnita e che vi persistono, e sono oggetto di un recente articolo da
parte di Kh. El-Rouayheb, Heresy and Sufism in the Arabic-Islamic World, 1550-1750: some Preliminary
Observations, B.S.O.A.S., 73,3, 2010: sotto accusa sono sempre i Sf itineranti e quelli di estrazione popolare:
due eterne provenienze, due forme di delocalizzazione nei confronti della territorialit e del potere, della
stabilit, che luogo di elezione della normativa.
Tornando ad Ayn al-Qudt e concludendo, si deve dunque ritenere il suo pensiero, al tempo stesso
sicuramente eretico e sicuramente islamico, per la contraddizione che insita nellincomparabilit tra
lUniversale, Dio, e il generale, la societ umana; incomparabilit che non ha mediazione nella legge di natura.
Chi sceglie di rispondere al primo non d valore alla risposta al secondo, anzi, v chi, i malmat, per dar prova
della propria totale dedizione al primo, viola deliberatamente il secondo. Al di l del tentativo di conciliazione
filosofica che abbiamo visto in certo Ismailismo e del comportamento formalmente rispettoso (cio rispettoso
delle forme) del Sf osservante, resta il fatto che rispetto allUniversale il generale davvero irrilevante quando
manca una mediazione, come mostra il fatto che luomo non deve (perch non pu) interpretare la Legge, deve
soltanto obbedirla.

bene subito chiarire che il concetto di creazione continua nel pensiero sf non ha nulla a che vedere
con quello di Ibn Taymiyya, ricordato supra a p. 896, perch completamente diverso il rapporto ontologico tra
il Creatore e la cosa. Il punto fondamentale che sorregge il concetto di creazione continua del quale stiamo
parlando, quello che abbiamo gi visto: nella dimensione metafisica dellAssoluto non v sequenza temporale,
autentico Velo di Maya che inganna la Ragione nel mondo della manifestazione: in Dio, tutto coesiste. Ci che
determina la percezione della successione temporale, cio la trasformazione, la proiezione dellAssoluto nel
manifesto, in ci che si d ai sensi e alla ragione. Qui, ci che cambia ad ogni istante, il rapporto ontologico tra
le cose e lAssoluto che in esse si manifesta. Questa la posizione di al-Hamadn che, tradotta nei termini
ontologici gi introdotti, significa: Dio la trama e lordito del mondo sensibile, se Egli venisse meno il cosmo
collasserebbe nel Nulla. Se concessa una metafora forse irriverente, Egli la luce della lanterna magica che
proietta in successione eterna le infinite immagini di s sullo schermo del nostro mondo materiale.
Dunque, tutto ci che si d nel mondo fenomenico una creazione che muta ad ogni istante:
creazione, perch, senza il continuo rapporto con la luce divina che lo sorregge, lo crea, il mondo
fenomenico sarebbe Nulla. Questa visione chiaramente espressa anche nel commento di Lhj a Shabestar
(op. cit., alle pp. 94-97 e ancora a p. 126, 60; ancora pi puntualmente a p. 122, 50): ci che mantiene in vita
le cose il soffio divino che ad ogni istante le rinnova, perch ad ogni istante esse tornano nel Nulla. Soltanto
locchio del mistico scorge lAbgrund sul quale volteggia la mutevole immagine che si d nel manifesto, il suo
continuo passare dallEssere al Nulla, il suo continuo essere rinnovata dal soffio divino: Izutsu riassume questo
passaggio alle pp. 75-76.
Izutsu prosegue esponendo il pensiero di Ibn Arab, anche per il quale (p. 81) lesistenza del mondo,
apparentemente continua, in realt una successione di esistenze separate da un abisso ontologico di non-
esistenza. Il concetto di creazione perpetua che, lo ripeto, conseguenza necessaria della dottrina dellunicit
dellesistenza, conduce cos ad ipotesi che, per paradossali che possano apparire, hanno in realt una fondatezza
logica: noi collochiamo le trasformazioni nel tempo tripartito, ma se questo una conseguenza di quelle, dietro
le quali c sempre il Medesimo -eterno nellistante nel quale mostra i suoi infiniti volti come molteplicit- allora
non soltanto il tempo tripartito si fa illusione, ma il mondo stesso diviene privo di sostanza, quindi di durata, per
rivelarsi come infinita serie di lampi proiettati dal divino nel Nulla. Ovunque vi volgiate, l il Volto di Dio
(Cor. 2, 115); Tutte le cose periscono, tranne il Suo volto (Cor., 28, 88); Resta soltanto il Volto del Signore
(Cor., 55, 27). Lettura affascinante ma alquanto esoterica del Corano, fondata sullontologia neoplatonica
destinata ad entrare comunque in contrasto con la lettera di ciascuna delle tre Rivelazioni: lo abbiamo visto,
accaduto a tutti.
Anche Th. Zarcone, Mystiques, philosophes et francs-maons en Islam, Inst. Franais dtudes
anatoliennes dIstanbul, Paris, Maisonneuve, 1993, in un suo lungo e dettagliato capitolo dapertura (pp. 1-84)
sul Sufismo, ha sottolineato sia che la gnosi sf contenuta in potenza nellIsmailismo (p. 21); sia il suo
inserimento allinterno di una cultura genericamente neoplatonica alla quale da attribuire anche la concezione
della wahdat al-wujd; sia il frequente sbocco di questa cultura nel rifiuto della Shara. In effetti vi sono delle
convergenze, pur nelle diversit, tra gli aspetti popolari del Sufismo e quelli di una gnosi o meglio, teosofia

1206
della cultura alta dimpronta neoplatonica, che si manifestano nel rifiuto della normativa clericale: lo vedremo
in seguito occupandoci degli sviluppi della Sha nella Persia safavide.
Il Neoplatonismo il tentativo di dare una ragione filosofica ad una religiosit libera dalla
normativa, ed perci la patria comune di tutte, o quasi, le eresie. Come dice C. Gobillot, Les mystiques
musulmans entre Coran et tradition prophtique. propos de quelques thmes chrtiens, R.H.R., 222,1, 2005, p.
86, le dottrine mistiche islamiche sono letture iperuniversalistiche o iperinglobanti dellIslam, che potrebbero
dissolverlo in una generica religiosit mondializzata. Analoga osservazione lavevo fatta nel caso del Bbismo,
che di queste letture un tardo esempio; ma di quale specioso universalismo si tratti allorch ci si muova
nellambito delle religioni rivelate, lo avevo sottolineato nella nota 361 a p. 242.

Mi sono intrattenuto per il minimo possibile su alcuni esiti del Sufismo (su queste dottrine ben altro si
dovrebbe dire, a partire dai grandi maestri come Ibn Arab) per una ragione contingente: introdurre gli eventi
che riguardano la Sha in Iran nei secoli che vanno dal dominio lkhnide allavvento dei Safavidi. Sono questi i
secoli nei quali lo shismo si manifesta soprattutto nei movimenti sf, e le condizioni di disordine tendono a
favorire un generale chiliasmo; sar da questa Sha, con lavvento dei Safavidi, che si creer lo spazio politico
per laffermazione duodecimana, a seguito della quale le componenti emarginate si configureranno in nuove
eterodossie, destinate a giungere ai giorni nostri.
Per focalizzare meglio la logica interna degli sviluppi, si pu tornare a considerare larticolo di Nasr,
Le shisme et le Soufisme, etc., cit. che, dopo aver definito gli sviluppi delle due dottrine aspetti essenziali della
rivelazione islamica (p. 215) e dellortodossia islamica (p. 216) ne sottolinea la vicinanza; del resto gli ordini
sf, anche quando sono sunniti, hanno alla propria origine la figura di Al (ivi).
Ora, noi abbiamo visto come nellambito del Sufismo si siano formate dottrine, quelle appena
esaminate, che possono ben mostrare convergenze con lIsmailismo, che resta pur sempre, comunque lo si
consideri, una particolare accezione della Sha: purch si eviti labbaglio di identificare la Sha duodecimana
con la Sha nel suo complesso, panorama composito del quale essa non che un particolare sviluppo, anche se
oggi maggioritario. Nel Sufismo che prenda uno sviluppo estremista infatti sufficiente lesaltazione del ruolo
del Qutb per entrare in uno schema sostanzialmente ismailita; un Qutb infallibile, connesso cio in qualche
modo al divino, viene infatti ad assumere lo stesso ruolo dello Imm infallibile (al-Askar, al-Hkim, Nizr o
Hasan II) che al fondamento della dottrina Nusayrita, Drusa o Nizrita, e, come s gi detto, il Sufismo fu
penetrato dai Nizriti rimasti senza patria.
Nasr (p. 223) ha notato il fenomeno nel XIV secolo: Haydar Aml afferma lidentit dellImm e del
Qutb, ma anche di questultimo con il Mahd, poich realizza in s la figura delluomo perfetto, larchetipo, lo
Insn al-kmil. Egli segnala poi la dottrina sf, ben nota in Ibn Arab, della luce muhammadiana che
presuppone un piano spirituale dellEssere ontologicamente antecedente quello materiale, manifesto; ma tutto il
quadro in generale indica la presenza di unontologia neoplatonica articolata sui due piani del reale, nonch di
una tensione millenarista (il Mahd) cio dei due elementi che caratterizzano le varie espressioni dellIsmailismo:
e infatti a p. 227 invoca apertamente lingresso negli ordini sf degli Ismailiti dispersi dopo la caduta di Alamt.
Da questo amalgama, osserva Nasr, nasceranno gli Hurfiti e i Mushasha.
Osservazioni complementari si possono trarre da Arjomand (The Shadow, etc., cit., p. 66 sgg.). Dopo
linvasione mongola, tra le masse si diffuse il Sufismo, manifestazione plebea (definizione sua) che egli
contrappone allImmismo degli strati patrizi urbani. Il quadro del Sufismo che egli dipinge, non dei pi
lusinghieri: parla di imbroglioni, di superstizione, di incantatori di serpenti e di credulit delle masse. Il Sufismo,
dice Arjomand a p. 67, ammettendo la possibilit di un rapporto immediato con Dio, forniva un terreno fertile
alla crescita di una religiosit indisciplinata, fatta di apocalitticismo e incarnazionismo; si trattava di un quadro
dottrinale del tutto simile al vecchio ghuluww. In questo fenomeno ebbe un ruolo la presenza degli invasori
turcomanni, portatori di una cultura sciamanica. Si diffuse la venerazione di Al.
Nota Arjomand che nel Sufismo la salvezza non si consegue pi con una condotta etica nel rispetto
della Legge, ma seguendo la via di un maestro spirituale (pr, persiano: vecchio, capo religioso) come ovvio per
chi segue una via iniziatica; il risultato fu che emerse un gran numero di shuykh (pl. di shaykh, vecchio, capo,
maestro) dotati di unenorme influenza ieratica come salvatori, non come portatori di una religiosit normativa, i
quali davano anche la propria legittimazione ai potenti in cambio di prebende. I fenomeni di Sufismo militante
sono ricordati anche da Capezzone (LIslam sciita, etc., cit. p. 191 sgg.; in particolare 197 sgg.); alcuni campioni
riuscirono anche a fondare dei piccoli Stati indipendenti nel marasma dellIran del XIV-XV secolo, come
vedremo infra. Per un quadro complessivo e discorsivo sul clima sociale e culturale del periodo nella regione
iranico-anatolica si pu consultare il vol. II di The Venture of Islam, di M.G.S. Hodgson, Chicago and London,
The Un. of Chicago Press, 1974, alle pp. 371-500.
In quei decenni si verificava per un evento importante le cui tracce sono ancora presenti: la nascita
dello Hurfismo ad opera di Fazlullh Astarbd (1340-1396) la cui dottrina and a confluire nel Bektshismo,
altro fenomeno nato in quellepoca, come quello degli Ahl-i Haqq: di entrambi ci occuperemo infra perch si
tratta di sette ancora esistenti, particolarmente importante quella dei Bektsh/Alev dalla quale sgorgarono
numerose rivolte nellAnatolia ottomana.

1207
La sua dottrina dice Arjomand di Fazlullh mostrando chiaramente linfluenza della tradizione
esoterica ismailita, in breve la seguente, etc. (p. 72). Poich il suo compendio corretto ma un po sintetico,
faccio riferimento a studi pi specifici, non senza per sottolineare sin dora questo incipit, la cui importanza va
oltre il riferimento puntuale. Innanzitutto ricordo che, effettivamente, una dottrina delle lettere (hurf) presente
nellIsmailismo e ha radici nel mito del calamo, prima creazione di Dio, che scrisse tutti gli eventi futuri su una
tavola, in ci paragonabile allIntelletto Universale: cfr. il dotto studio di C. Gilliot, Calame et intellect,
prdestination et libre arbitre, Arabica, 45,3, 1998, che non soltanto fa il paragone tra Calamo/Intelletto e
Tavola/Anima nei sistemi neoplatonici, ma anche con la perla cosmogonica, della quale ci occuperemo infra
parlando di Ahl-i Haqq e Yezdi. A p. 182 Gilliot ricorda anche lattacco di Ibn Taymiyya agli Ismailiti, accusati
di aver accolto questo mito da dottrine estranee allIslam.
Al riguardo faccio notare che la sopravvivenza della dottrina hurfita nei Bektsh/Aleviti, esponenti
largamente presenti nel mondo contemporaneo delle antiche dissidenze shite, induce a considerare la presenza
vitale di una lettura eterodossa dellIslam come il lascito di una religiosit ben pi problematica di quanto
pretendano le due maggiori ortodossie, un lascito -e non il solo- dellantico ghuluww trasmesso attraverso
lIsmailismo.
Tornando agli Hurfiti, un testo importante resta quello di H. Ritter, Die Anfnge der Hurfsekte,
Oriens, 7, 1954. Fazlullh al-Astarbd fu giustiziato nel 1394 da Mrnshh, figlio di Tmr Lang (Tamerlano):
egli pretendeva non soltanto di conoscere il significato segreto delle parole e delle lettere del Corano, ma di
essere lultima manifestazione del divino nelluomo; i suoi seguaci lo consideravano infatti Dio, e divini i suoi
scritti. La sua dottrina era questa: Dio Si manifestato per la prima volta in Adamo, poi Si manifestato nella
Sua parola creatrice, nel Corano e nei nomi delle cose, dapprima come suono, poi come lettere; il suono venne
prima a causa della sua immaterialit. La parola, per Fazlullh, pi del mezzo con il quale Dio ha creato il
mondo e ha rivelato la propria Volont tramite i profeti, essa ha un valore ontologico: nome e cosa (ism, nome e
musammad, cosa nominata) sono la stessa cosa (p. 2).
Mi interrompo un attimo per ricordare che il mito del linguaggio di Adamo, che abbiamo visto anche
nella Qabbalah, arrivato in occidente sino a Postel e oltre, sino a Leibniz e sino alle soglie del Romanticismo.
La Parola di Dio dunque il fondamento ontologico del mondo, lorigine di tutto. Si ricorder che la
Parola (kalima) rappresenta linizio del processo cosmogonico, nonch un livello gerarchico in terra per
lIsmailismo ftimida e per i Drusi; ma la dottrina hurfita sviluppa questa presenza di tutte le cose nella Parola,
in una sostanzialit delle lettere che informano di s il Reale; ci grazie ad una complicata serie di calcoli fondati
sul numero 28 (le lettere dellalfabeto arabo, delle quali 14 compaiono enigmaticamente allinizio di alcune sure
coraniche) e sul numero 32 (le lettere dellalfabeto persiano). I rapporti tra le cose sono dunque fondati sui
rapporti tra le lettere che compongono i loro nomi.
Importante , nello Hurfismo, la tendenza ecumenica a presentarsi come religione in grado di
inglobare le Rivelazioni precedenti; una sua lettura esoterica del Vangelo di Giovanni (In principio era il
Lgos, cio la Parola) lo porta alla divinizzazione di Adamo come perfetta manifestazione del Lgos, e di Cristo
come sua incarnazione. Sul viso di Adamo e di ogni uomo c la traccia delle 28 o 32 lettere. Ritroveremo questa
dottrina nei Bektsh ancora oggi; qui per vorrei sottolineare la singolarit della dottrina, che unisce lantica
fisiognomica al ruolo cabbalistico delle lettere nella costruzione di un mondo trasparenza dAltro. Sulla dottrina
entro pi in dettaglio infra, ora proseguo con lesposizione di Ritter che segnala (p. 5) che essa rappresenta lo
sviluppo di dottrine gi presenti nella mistica ismailita e presenti nel Sufismo (pp. 5-6). La setta si svilupp
principalmente in Anatolia, conflu nel Bektshismo e vi sopravvive ancora oggi.
Fazlullh fu definito come antinomista (p. 7) e ittihdista (p. 8); tra i suoi seguaci -che sembra
usassero il copricapo in feltro bianco oggi ancora in uso nei Bektsh- ci fu anche il famoso poeta Nasm che
fin scorticato vivo. Ritter ricorda anche che Fazlullh si considerava discendente del 7 Imm e che era noto
come interprete di sogni; quanto al suo antinomismo, egli d credito alla notizia inserendo il movimento hurfita
allinterno dei tanti che predicavano la fine della Legge; tuttavia Fazlullh e i suoi seguaci erano noti per
austerit e onest, e per vivere del proprio lavoro manuale. (Fazlullh stesso era un fabbricante di berretti).
Significativa la notizia che fosse buon conoscitore della Torah, del Salterio, del Vangelo e dei detti di Al (p.
14) ci che testimonia la tendenza sincretista della sua predicazione.
Lo Hurfismo si configura come un moto millenarista, frequentemente ribelle e perseguitato nel
quadro dei Dervisci nomadi che caratterizza il caos della regione verso la fine del XIV secolo; almeno questo il
quadro che emerge dai resoconti storici esaminati da Ritter. Dottrina essenzialmente gnostica, essa mostra
contatti con lIsmailismo anche nella definizione di Paradiso e Inferno come stati terreni di conoscenza e
ignoranza; e nel fatto che si parla di una seguace di Fazlullh detta Kalimatullhi hiya l-ulya, Parola di Dio
perfettissima. Una figlia di lui, verosimilmente da identificare con questa Kalimatullhi, tent due volte
linsurrezione hurfita in Tabriz (p. 32).
Il testo fondativo del movimento lo Jvdn nma, oggetto di dettagliata analisi -anche in rapporto al
Mahram nma del seguace di Fazlullh Sayyid Ishq- da parte di Mir-Kasimov, Notes sur deux textes Hurf,
etc., cit. in Bibl. a p. 1016. Il rapporto tra i due testi preso in considerazione in funzione di una evoluzione che
avvenne nello Hurfismo; indipendentemente da ci le dottrine analizzate sembrano comunque molto

1208
significative del fondamento sociale dello Hurfismo, e penso che sia interessante dedicarvi una qualche
attenzione.
Mir-Kasimov vede in Fazlullh il tentativo di inaugurare una nuova Rivelazione che successivamente
si popolarizz e si politicizz nellambiente delle confraternite mistiche turche e nellambito delle generali
tendenze mahdiste. Le sue opere e quelle dei suoi diretti discepoli sono difficili da comprendere per il loro
carattere frammentario e per il linguaggio tecnico che pu risultare impenetrabile per ragioni forse volute. Nello
Jvdn nma compare una dottrina del tempo non nuova -il tempo assoluto in Dio, tripartito nel manifesto- ma
collegata alle lettere: Dio cre il mondo in 6 giorni perch il Suo kun (cfr. supra, a p. 216 in n. 154) composto
di Kf e nn (i nomi delle due consonanti che formano la parola, K e N, sono ciascuno di tre lettere). I 6 giorni
constano di 144 ore perch 28 (le lettere arabe) moltiplicato per 4 con laggiunta di 32 (le lettere persiane) fa
144; i 7 giorni che includono il Venerd ne hanno 168 che uguale a 28x6, dove il 6 associato alle sei direzioni
dello spazio (i quattro punti cardinali, lalto e il basso: il ruolo delle sei direzioni si trova anche nel Sepher
Yetzirah, trattato cabbalistico forse del III secolo, che sviluppa un esoterismo delle lettere, cfr. supra, p. 347). Per
conseguenza le 168 ore della settimana, come risultato di 28x6 stanno a significare che i 7 giorno, il Venerd
(umah) le racchiude tutte, perch la parola si forma sulla radice -m- del verbo ama, riunire; e la Parola di
Dio, che abbiamo visto equivalere a quel 6 che si moltiplica per le 28 lettere arabe, il recipiente del tempo
(kalma khud ke zarf-e zamn ast). Quanto ai 60 minuti contenuti in unora, essi sono dati dalla somma di
28+32, che rappresentano, come il 6 e il 7, dei numeri-chiave per la comprensione esoterica. Due volte 7 sono i
14 giorni e notti della settimana, recipiente di tutte le cose nel quale avverr la Resurrezione: tutti i giorni e le
notti di questo basso mondo sono contenuti in questi sette giorni e notti che contengono sei volte 28 ore.Sono i
giorni di Dio e la totalit del tempo, i mesi, gli anni e i secoli sono composti di essi (p. 211). Non c un errore
di calcolo o un quid-pro-quo in quanto sopra: 6 volte 28 ore equivale a 7 volte 24 ore (168).
Questo un semplice esempio di una complessa struttura che si estende ai cicli celesti, a quelli
profetici, e a tutta una ierostoria del cosmo. Daltronde, sempre il numero delle lettere a caratterizzare il
progresso dei cicli profetici: gli Ebrei ne avevano 22, i Cristiani 24 (quelle dellalfabeto greco), gli Arabi 28 e i
Persiani, ai quali appartiene la Rivelazione finale, 32. 28 sono le stazioni della luna, 360 (60x6) sono i gradi di
unintera rivoluzione annuale del sole, e cos via, sino a sempre pi vasti e complessi cicli cosmici che vedono il
ritorno del sempre-eguale nella quiddit: le stagioni ritornano sempre identicamente quattro, anche se non
identiche nelle loro caratteristiche climatiche. Non certamente necessario sottolineare lingenuit di questa
costruzione, perch non questo che interessa, il suo obbiettivo, mostrare come tutto ci che del mondo
possa esser letto come architettura segreta del divino, articolata nei numeri delle lettere.
Cos Dio, secondo un hadth, avrebbe creato Adamo tenendo largilla nelle Sue mani per 40 giorni:
ebbene, 2 (mani) moltiplicate per 40 (giorni) e per 24 (ore) eguale a 32x(28+32) e questo sta a significare
qualcosa che ci riconduce alla divinit delluomo: Adamo rappresenta la totalit del tempo e della Parola divina.
Nota Mir-Kasimov (p. 216 in n. 37) lantichit di questa intuizione, che corrisponde alla nota equivalenza di
macrocosmo e microcosmo e che, nellIslam, un tratto comune del ghuluww shita. Riflessioni analoghe, che
associano la forma umana alle lettere dellalfabeto, si trovano in Ibn Arab (ivi) cos come si trovano nel Jvdn
nma: il Calamo scrive i nomi che Dio insegna ad Adamo, e questi nomi sono le cose; il corpo e il volto di
Adamo ed Eva sono il luogo di manifestazione della Parola, della scrittura del Calamo, delle lettere (Mir-
Kasimov, p. 226).
LImm, identificandosi con lo Insn al-kmil, un Corano parlante, omnisciente e conosce la
lingua degli animali (Salomone, Cor. 25, 15-44, conosceva il linguaggio delle formiche, e non soltanto,
conosceva anche quello degli uccelli). Ges, a sua volta, era la Parola fatta uomo. Adamo dunque luomo
cosmico indipendentemente dai calcoli numerici che lo giustificano; questa non unidea nuova nelle
eterodossie islamiche, che tendono a scorgere nelluomo un modello destinato a ben altra sorte che non quella
terrena. Cos come fu allinizio, cos sar alla fine: Adamo -aristotelicamente parlando- la causa finale
delluomo. Se non ce ne siamo ancora accorti, questo un messaggio socialmente rivoluzionario.
Arjomand (pp. 73-74) parla di speranze messianiche, di mahdismo, e di chiari indizi di attivit politica
clandestina nel XV secolo (si veda anche Mir-Kasimov, p. 205 in n. 5, dove si parla di popolarizzazione e
politicizzazione dello Hurfismo nella Turchia ottomana); parla anche di massacri di Hurfiti, inclusa quella
Kalimatullh che era detta anche Qurratu l-ayn, delizia degli occhi: un nome che ritroviamo nella
straordinaria figura di donna e di eroina che fu protagonista dellinsurrezione bbista (cfr. supra a p. 243 in n.
363).
Lambiente nel quale si svilupp la dottrina hurfita fu quello urbano, artigiano (Arjomand, p. 72)
altra analogia con il Bbismo del XIX secolo; infatti Mir-Kasimov (p. 206 in n. 9) richiamandosi anche alla
bibliografia, inserisce lo Hurfismo tra movimenti come quelli Nusayrita, Druso, Ahl-i Haqq e Bbista; anzi, per
quanto concerne questultimo, sottolinea le affinit dottrinali che intercorrono tra Bbismo e Hurfismo. Che
tutto ci porti limpronta shita lo nota poi a p. 221: siamo sempre in presenza di una dottrina nella quale, alla
funzione legislatrice del Profeta, fa seguito quella dellImm che ne rivela il senso nascosto, esoterico.
NellImm si manifesta la realt divina (haqqat-e khudyya), come dice il Jvdn nma (Mir-Kasimov, p. 224).
In un articolo di carattere pi generale, tude des textes hurf anciens: luvre fondatrice de Fadl
Allh Astarbd, R.H.R., 226,2, 2009, lo stesso Mir Kasimov riprende lesame dello Hurfismo nellambito pi
1209
generale delleterodossia, per notare che la sua caratteristica, lassimilazione di Cristianesimo e Giudaismo,
nonch delle tradizioni sciamaniche giunte con i Mongoli, genera la transizione dellIslam verso una religione
sopraconfessionale che ingloba tutte le altre. Questa tendenza lavevamo gi notata supra (p. 242 in n. 361, gi
ricordata) ma non va comunque fraintesa: essa si inscrive, a mio avviso, nella radice dellIslam che si fonda sulla
ripetitivit della Profezia: sicch ancora islamico andare oltre lIslam di Maometto, ma sulla via da lui
tracciata. E poich da questo non si esce, non si va verso unecumenica equivalenza delle diverse religioni.
Comunque sia, Mir-Kasimov inquadra lo Hurfismo in una fenomenologia religiosa che in parte ci
gi nota, in parte sar esaminata tra breve: Sarbedr, Mushasha, Nuqtaw, Ahl-i Haqq, magma di sette
originato nellarea irano-anatolica nel XIV-XV secolo che avr il suo punto pi alto nei Qizilbsh e ricadute
nella storia della Sha sino al Bbismo nel XIX secolo. Mir-Kasimov non manca di ricordare Il libro nero di
Orhan Pamuk, un thriller tutto giocato sullinquietante presenza sotterranea dello Hurfismo nella Istanbul di
oggi.
Siamo comunque in presenza di un fenomeno che rientra nellambito della Sha e delle sue attese,
caratterizzato da elementi costanti come la ripetitivit della manifestazione del divino nelluomo e lattesa
messianica di un Mahd, fenomeno che Mir-Kasimov ripartisce in tre momenti (con lesclusione del pi antico, il
ghuluww dalle origini allIsmailismo): quello del XIV secolo, contemporaneo allo Hurfismo, che si manifesta
negli Stati dei Sarbedr e dei Mushasha oltre che nel fenomeno Nrbakhsh (infra); quello dei movimenti
influenzati dallo Hurfismo, cio dei Nuqtaw e degli Ahl-i Haqq; e quello dei movimenti che partono dai
Qizilbsh dopo lavvento al potere dei Safavidi. A questi tre momenti si deve poi aggiungere quello moderno
della rivolta bbista nel XIX secolo.
Pi in particolare per, con riferimento allo Hurfismo, Mir-Kasimov sottolinea loscurit che tuttora
permane sulla sua storia, dopo la dissoluzione della comunit primitiva a seguito delle persecuzioni messe in atto
per la feroce ostilit degli ulam; sui rapporti con gli altri movimenti e con le comunit non islamiche; sulle sue
strategie politiche. Non questa, tuttavia, la sola oscurit che riguarda la sua storia e le sue dottrine, fondate,
queste, su un testo come lo Jvdn nma (Libro delleternit) la cui esposizione, forse, volutamente
frammentaria.
In un altro suo articolo dedicato a Techniques de garde du secret en Islam, R.H.R., 228,2, 2011, Mir-
Kasimov ha ricordato le ragioni politiche che hanno costretto le sette perseguitate, dalla Sha in poi, alla pratica
della taqiyya; e in questo articolo ha dedicato un paragrafo finale al segreto messo in atto dagli Hurfiti. Mir-
Kasimov sottolinea che verosimilmente lo Jvdn nma aveva a modello la frammentariet del Corano -ipotesi
non inverosimile, perch il libro si poneva come nuova e finale Rivelazione- ma avanza al riguardo anche ipotesi
pi interessanti. La dottrina di Fazlullh, che non per nulla and incontro alle feroci persecuzioni messe in atto
dal clero, partendo dalle lettere come elementi costitutivi elementari di ogni forma corporea, consentiva
lesegesi di tutto ci che esiste a chi fosse in grado di riconoscere le lettere nei corpi, perch questo avrebbe
ricondotto al significato originale di ogni cosa nella Parola divina. A maggior ragione ci avrebbe consentito
lesegesi dei testi sacri, cio del Corano, nei quali il legame con il Verbo divino esplicito. appena il caso di
notare lesplosivo contenuto antisacerdotale di una simile dottrina, tanto pi che Fazlullh godeva di una certa
reputazione presso i governanti locali. Lobbiettivo avrebbe potuto essere labolizione della Sharah (p. 282) un
obbiettivo abitualmente perseguito dagli estremisti.
Lipotesi di Mir-Kasimov dunque questa: forse lo Jvdn nma fu volutamente frammentario onde
consentire laccesso alla dottrina segreta soltanto a una minoranza selezionata in grado di ricostruire il mosaico.
C poi una terza ipotesi fondata sulla lettura esoterica della rottura delle tavole da parte di Mos: rompere un
testo libera le lettere, perci la sua rottura consente di accedere al suo vero significato.
Mir-Kasimov ha anche pubblicato testo e traduzione dellunico testo autobiografico di Fazlullh, nel
quale egli ha annotato alcuni suoi sogni, con il titolo Le Journal des rves de Fazlullh Astarbd: dition et
traduction annote, S. Ir., 38,2, 2009, preceduto da un breve ma esauriente saggio sullo Hurfismo nel quadro
dei movimenti eterodossi dellepoca lkhnide e tmride. Dopo aver premesso che lo Hurfismo ha esercitato la
propria influenza non soltanto sui Bektsh, sui Nuqtaw e sugli Ahl-i Haqq, ma anche sul pi tardo fenomeno
del Bbismo, Mir-Kasimov sottolinea la profonda differenza che separa i movimenti eterodossi del XIV-XV
secolo dal pi antico ghuluww: i nuovi leaders non potendosi sicuramente collegare ad una genealogia alde,
tendono a legittimarsi con argomenti ancora pi potenti, quelli che fanno di essi dei nuovi profeti, dei Mahd o
anche delle manifestazioni di Dio; in ogni caso come portatori di una nuova Rivelazione. In questa
rivendicazione, il ruolo del sogno ha una fondamentale importanza, perch il sogno, nella tradizione islamica,
pu avere un significato profetico: lo attestano il Corano e gli ahdth (su questo si pu consultare il Dizionario
del Corano, a cura di M. A. Amir Moezzi, Milano, Mondadori, 2007, pp. 821-824; il sogno la
quarantaseiesima parte della profezia, secondo un hadth citato, p.e., da Bukhr; Moezzi cita al riguardo Mlik
b. Anas).
Nota Mir-Kasimov limportanza che assunse in quel travagliato periodo, per la comunit islamica, il
problema del giusto potere, per conseguenza quello di un Mahd, inteso anche come manifestazione di Dio in
forma umana; un problema che avevamo gi affrontato a proposito delle varie manifestazione dellIsmailismo.
Quella di Fazlullh una nuova interpretazione dellIslam, una sua trasformazione in una religione universale
(come avverr nel XIX secolo con il Bb) e nel suo giornale dei sogni lo testimoniano i frequenti riferimenti a
1210
Ges, ai Cristiani, alla stessa Bisanzio, oltrech a Husayn al quale, come a Ges, egli si paragona. Ma i
riferimenti ivi presenti alle antiche figure regali della storia persiana, e soprattutto a quelle dei potenti a lui
contemporanei con i quali ebbe anche dei rapporti, testimoniano lo sfondo sociale e politico nel quale egli ritiene
di collocare la propria visione profetica. Certi sogni, dice Mir-Kasimov, suggeriscono che Fazlullh consideri se
stesso come il 12 Imm, il Salvatore escatologico, in grado di presentire la propria morte attraverso le tante
immagini di sangue e di violenza che costellano i suoi sogni (pp. 263-264). Significativi di un riferimento
allIsmailismo (nizrita) sono poi alcuni suoi criptici accenni che potrebbero indicare il Rdbr (la regione di
Alamt) e la fortezza nizrita di Ghird Kh (p. 262).
La lettura del diario fatto da Fazlullh conferma le notazioni di Mir-Kasimov; in particolare si nota la
frequente visione di acque, di spade fiammeggianti, e di una simbologia generale che pu far pensare ad una
forte inflazione spiritualista. Nei sogni appaiono i temi del significato esoterico delle lettere oggetto della sua
predicazione (sogni n 1, 26 e 124); il raffronto con Ges e Husayn ai quali apparterr il mondo (n 40). In
particolare nel sogno n 85, Fazlullh si paragona a Ges nellessere ucciso e nel risorgere come portatore del
Compimento dei Tempi; una visione rafforzata da quella del sogno n 36, nel quale egli vede il sole sorgere ad
occidente, segno della Fine dei Tempi nella tradizione islamica. Vi sono possibili allusioni alla conoscenza di
una lingua universale (il linguaggio di Adamo? sogno n 88); nel sogno n 120 Al dice a Fazlullh: tu sei
Adamo; nel sogno n 100 Fazlullh sembra conoscere il segreto del patto pre-eterno (Cor., 7, 172); nel n 109 si
identifica con il Mahd; nel n 104 predica ai Cristiani e nel n 8 Husayn gli predice che egli sar lunificatore
delle religioni; egli si identifica anche con Ciro (sogno n 117). Ciro compare anche nel sogno n 115, cos come
lassunzione in s della religione cristiana da parte di Fazlullh appare anche nel sogno n 94; qui c un
riferimento anche ad un colloquio a Bisanzio. Altri riferimenti a personaggi della storia persiana sono quelli ad
Alessandro Magno (sogno n 95) e a Jamshd (sogno 121); notevole questa presenza della sua Persia in un
momento nel quale la tradizione alde va sempre pi identificandosi con l8 Imm e con Mashad (cfr. Scarcia
Amoretti, infra): Fazlullh accolto trionfalmente a Mashad (sogno n 101). Tra i personaggi del suo tempo
appare Tokhtamysh (il capo dellOrda doro, prima alleato di Tmr, poi da lui sconfitto: sogno n 18) e appare
soprattutto lo stesso Tmr (sogni n 30, 33 e 126: in questultimo Tmr lo fa uccidere, come avverr di fatto
per mano del figlio di lui, Mrn Shh), il sangue compare nei suoi sogni (sogno n 108). Finalmente, e questo
non senza un rilievo nelle sue possibili fonti dispirazione, Rdbr e Ghird Kh compaiono nei sogni n 28, 91
e 16 rispettivamente.
Anche Daftary fa riferimento agli Hurfiti nelle pagine dedicate alla persistente presenza ismailita in
Persia nel XIV secolo, in particolare dal centro di Anjudn, da dove lIsmailismo nizrita risorse alla met del
XV secolo (pp. 415-426). Egli accenna non soltanto allinfluenza delle loro dottrine, come, ad esempio,
sullopera di Shabestar, ma anche al loro concreto contributo al sufismo rivoluzionario del periodo lkhnide,
tmride e post-tmride. La loro azione fu significativa nelle regioni periferiche del mondo islamico, luoghi
tradizionali di insediamento shita, (Daylam, Tabaristn, Khursn) a Marash e a Sabzawr, dove dal 1337 al
1381 visse lo Stato dei sf Sarbedr, questultimo definito da Arjomand (p. 69) come una repubblica teocratica
egualitarista. Ci denota il carattere chiaramente popolare di questi movimenti. Arjomand sottolinea il successo
del richiamo sf alla salvezza, ma anche la pressione dei loro elementi laici per un cambiamento di questo
mondo. Nel XV secolo fu poi significativo il caso dei Mushasha, il fondatore della cui dinastia, destinata ad
una lunga durata, si proclamava discendente dal 7 Imm; e poich nella dottrina presente il tema della
reincarnazione, il figlio del fondatore si proclam reincarnazione di Al (Arjomand, p. 77).
I fenomeni chiliastici furono duramente repressi nel corso della normalizzazione safavide,
completata soltanto da Abbs I nel XVII secolo. Si tratt, dice Arjomand (pp. 80-83) di un fenomeno
millenaristico che portava alla sospensione della Legge del Dio trascendente, sostituita dalla sottomissione totale
ad una Guida che si proclamava divina o in rapporto diretto con il divino, e che godeva della dedizione delle
masse alla ricerca della salvezza in questo mondo (vorrei dire: da questo mondo) tramite lazione politica
culminante nel decentramento di piccole formazioni statali, rette da unautorit fondata sul mahdismo e su
unazione sociale ritenuta soteriologica; in tal modo i movimenti spirituali si politicizzavano e avveniva la
completa fusione di religione e politica.
A questo punto sembra opportuna una breve digressione per accennare alle condizioni sociali ed
economiche dellIran, dal periodo mongolo allavvento dei Safavidi, perch in tale quadro si debbono
comprendere la nascita e laffermazione di movimenti sf rivoluzionari, nel cui ambito maturano le eresie
shite destinate a perdurare sino ai nostri giorni, tutte incentrate sulla divinizzazione delluomo (in questo ci
ricordano, con le dovute differenze, le analoghe tensioni del nostro Medioevo). Su questi nuovi movimenti si
impose la normalizzazione safavide; di una dinastia che, pure, ne era stato il prodotto, ma che, giunta al potere,
non poteva non seguire la logica della politica, proiettandola cos sulla religione.
Bektsh/Aleviti, Ahl-i Haqq, Qizilbsh e tutte le altre eresie ancora esistenti, costituiscono soltanto
una parte di questo fenomeno, del quale fanno parte anche quei movimenti che si estinsero dopo brevi o meno
brevi vicende, perch tutti partecipi del medesimo fenomeno evolutivo che sanc la divisione della Sha in due
filoni: quello istituzionale che si and lentamente affermando, e quello caratterizzato dalliperdulia di un Al
divinizzato, archetipo della divinit delluomo. Si tratt di varie sette tuttavia convergenti non soltanto su questo
tratto distintivo, ma anche su un carattere popolare attivamente o potenzialmente rivoluzionario, ereditato dagli
1211
impulsi originari dellIslam cos come erano stati recepiti e trasmessi dallIsmailismo qarmata e ftimida nella
duplice valenza, soltanto apparentemente contraddittoria, dellegualitarismo e dellobbedienza ad un Imm/uomo
perfetto.
Nel suo articolo The socio-economic Condition of Iran under the l-khns, The Seljuq and Mongol
Periods, C.H.I., 5, ed. by A. Boyle, Cambridge, at the Un. Press, 1968, I.P. Petrushensky parla di colossale
declino economico tra il 3 e lultimo decennio del XIII secolo (p. 483) e, per quanto riguarda la successiva e
certamente pi modesta ripresa dellagricoltura tra il 1300 e il 1335, nota che essa avvenne nellambito di grandi
propriet private formatesi a spese dello Stato e dei cittadini. Il successivo periodo che va dalla met del 4 alla
met del 9 decennio del XIV secolo, vede lo smantellamento totale di quello che fu lo Stato mongolo, la sua
disgregazione politica e una ininterrotta serie di lotte per il potere. Questa nuova forma di sfruttamento vide
perci lo scoppio di violente rivolte contadine sostenute anche dalla piccola aristocrazia, che conosceva
anchessa limpoverimento e la perdita di ruolo dovuti allaffermarsi della grande propriet. In questo quadro
egli colloca perci la formazione della repubblica dei Sarbedr che si affermano nel 1337 nel Khursn
annientando le ultime resistenze lkhnidi; e gli analoghi fenomeni avvenuti nel Mzandarn e nel ln. I
Sarbedr coniarono monete con i nomi dei 12 Imm (un particolare da ricordare per notazioni che giungeranno
infra) e anche con la scritta la vittoria vicina (Arjomand, cit., p. 69); essi attendevano quotidianamente
larrivo del Mahd (Capezzone, cit., p. 198). Capezzone parla anche di unatmosfera da Fine dei Tempi (ivi) e
sottolinea il contrasto che caratterizza tutto il XIV e il XV secolo: da un lato il Sufismo che incanala
lopposizione al potere da parte dei contadini e delle plebi cittadine, in unansia messianica che cerca il
cambiamento del mondo ad opera di un Mahd guerriero; dallaltra i gruppi di potere turchi (Aq Quynl e Qar
Quynl) che si contendono la spartizione dellex impero mongolo e stroncano con la violenza i movimenti
chialiastici.
Petrushensky riporta le cifre delle distruzioni operate dai Mongoli nella loro invasione, accompagnata
da stragi di massa con paesi e citt rasi al suolo mentre la popolazione veniva trucidata: si parla di 1.750.000
morti. Canali e dighe vennero distrutti provocando la fine dellirrigazione e la desertificazione del territorio; il
bestiame veniva rapinato; un oppressivo sistema fiscale ridusse in povert anche le aree non devastate;
lagricoltura sostituita dal pascolo dei nomadi, un pascolo esteso a tutto lanno che contribuiva a impoverire i
terreni. Questo nomadismo fu il risultato dellinstallarsi dei Mongoli e dei Turchi, che non avevano tradizioni
collegate alla sedentariet dellagricoltura (pp. 484-490).
Come accennato sopra, il ripristino dello Stato nel XIV secolo non miglior la situazione, perch i
contadini (e la piccola aristocrazia) si trovarono ad essere vessati da una grande propriet costituitasi nelle mani
della grande aristocrazia e della grande burocrazia persiane, che avevano collaborato con lo Stato mongolo e che
possedevano anche interi quartieri nelle citt. La conseguenza fu che, nonostante i tentativi di ripresa e la forte
tassazione, il gettito fiscale si ridusse a meno del 20% di ci che era stato prima dellinvasione. In questo clima
va capito il sufismo rivoluzionario, come quello dei Mushasha nel Khzistn che resistette sino al 1508 e
abbandon la propria dottrina soltanto nel 1616 con la normalizzazione di Abbs I; e altre manifestazioni meno
di successo, come lo Hurfismo e il fenomeno dei Nrbakhsh (Capezzone, cit. pp. 199-203). Sui Mushasha
cfr. la relativa voce di P. Luft in E.I. vol. VII: ebbero grandi successi dopo la morte del figlio di Tmr, Shrukh,
con vaste conquiste territoriali; il figlio del fondatore, che si considerava incarnazione divina, giunse a
saccheggiare la tomba di Al a Najaf nel 1454. Anche dopo il loro rientro allobbedienza religiosa e statale,
rimasero intoccabili vassalli e governatori ereditari di Huwayza, con un ruolo attivo sino alla fine del XIX
secolo.
A proposito della repubblica dei Sarbedr, Arjomand (cit., pp. 70-71) nota che essa rappresent un
prodromo di quella che sar lavventura safavide, anche per la normalizzazione che vi fu tentata allorch il
chiliasmo dei Dervisci, da forza trainante per la vittoria divenne un problema per lo Stato consolidato.
Il panorama complessivo del XIV-XV secolo in Iran pu essere comunque tracciato sulla scorta dei 4
articoli di H.R. Roemer che aprono il vol. 6 della C.H.I., The Timurid and Safavid Periods. Il primo di essi, The
Jalayrids, Muzafarrids and Sarbedars, (pp. 1-41) mette in luce il clima di lotte di tipo feudale che si scaten tra i
vari eredi dellimpero lkhnide, smembrato in una pluralit di Stati. Come abbiamo gi visto, vi fu anche
unaltra ragione di conflitto, che non riguardava le contese dinastiche ma quelle religiose agganciate a un preciso
fondamento sociale. Un particolare interesse rivolge Roemer alla repubblica dei Sarbedr, a fondamento della
quale egli vede lesasperazione di contadini e artigiani vessati dal sistema fiscale (p. 22). Ne emerse una rivolta il
cui cemento ideologico fu fornito dalla religione, perch nessuno ritenne necessario invocare pretesti legittimisti:
questo, secondo Roemer, fa del movimento dei Sarbedr un tipico prodotto del collasso del potere mongolo (p.
35). Tuttavia, nella repubblica cos fondata, nota ancora a p. 39, non si pu scorgere un segno di evoluzione in
senso socialmente progressista e i suoi capi non provenivano certamente dalla massa degli oppressi o dei
produttori in rivolta contro lo sfruttamento (p. 38). Lesistenza di una frattura ideologica a sfondo sociale la si
pu comunque dedurre da quanto egli nota a p. 36: nonostante le differenze religiose, gli Shiti moderati
(duodecimani o altro) avevano un modus vivendi con il loro vicini Sunniti che non ebbero mai con gli Shiti
estremisti; corsivo mio che ha un senso se si considera che, come abbiamo gi visto con le monete dei
Sarbedr e come constateremo a conclusione, gli estremisti hanno molto in comune, questa volta, con i
moderati: essi infatti sono comunque seguaci della dottrina dei 12 Imm. La sola differenza (che per implica
1212
la reincarnazione) che pretendono di assistere al ritorno dellultimo (o meglio, del primo: metafisicamente
lImm sempre il medesimo) manifestato in qualche leader, e allo stabilirsi dellatteso mondo di giustizia
senza rimettersi ad imperscrutabili decisioni celesti. Questa urgenza testimonia una differenza sociale e politica
che si ideologizza in quella religiosa e che rende pienamente comprensibile la notazione di Roemer sui modus
vivendi.
Nel successivo Tmr in Iran (pp. 42-97) Roemer entra nei dettagli della spaventosa devastazione che
sub una Persia impoverita. Tmr, nota a p. 48, era ben al corrente delle convulsioni intestine della regione
irano-anatolica e la sua invasione ebbe, tra gli altri scopi, la distruzione delle maggiori entit statali che si
andavano formando. La sua fu una guerra mirata esclusivamente alla devastazione e al saccheggio in tre
campagne (1386-88; 1392-96; 1399-1405, anno della sua morte). Tmr era interessato a far confluire nella sua
capitale, Samarkanda, non soltanto i tesori dellIran, ma anche le sue attrezzature agricole, il bestiame, i suoi
artisti e letterati, la forza lavoro sotto forma di schiavi: e si tratt di un saccheggio sistematico e regolato
dallalto, soltanto dopo il quale la truppa era lasciata libera di saccheggiare il rimanente (pp. 53-54).
Tmr distrusse le opere di irrigazione, devast intere regioni, rase al suolo citt e comp stragi
mostruose di inaudita ferocia: e tuttavia, come sunnita, risparmi qudt e sdt (pl. di sayyid); in generale, si pu
dire, coloro che in qualche modo costituivano un notabilato locale. Particolarmente feroce fu la sua politica
fiscale: in possesso dei ruoli esattoriali, i suoi collettori dimposte usavano la tortura per estorcere danaro (p. 54).
Intere popolazioni vennero sterminate, i sopravvissuti morirono di fame; famose le sue piramidi di teschi (p. 55).
A Sabzawr (la capitale dei Sarbedr) 2000 persone vennero murate vive (p. 56); a Baghdad, nel 1401, non
vennero risparmiate le donne e neppure i bambini (p. 66). Gli stessi metodi furono applicati in Anatolia, la cui
economia fu distrutta (p. 79).
Il terzo articolo di Roemer (pp. 98-146) intitolato The Successors of Tmr, parte dallimmediata
disintegrazione dellimpero alla morte di Tmr, concentrandosi sulle lotte tra i pretendenti alla successione. Qui
per c da sottolineare che le lotte non si limitarono a quelle tra i discendenti -tra i quali Shhrukh ( 1447) fu
lunico che riusc a creare un regno relativamente consistente e duraturo- ma videro in campo la competizione
delle trib turcomanne insediatesi nella regione irano-anatolica, i Qar Quynl e gli Aq Quynl, in lotta con i
tmridi e tra loro. In quel periodo, pur tra le continue lotte con le trib turcomanne e gli spostamenti delle
frontiere, Shrukh e Mirn Shh, figli di Tmr, e il figlio del secondo, Ab Sad, si adoperarono per risollevare
lagricoltura distrutta dalle invasioni.
Roemer fa poi dei cenni sugli orientamenti religiosi, sui quali sorvolo perch sar necessario
diffondersi maggiormente infra, stante lo scopo precipuo di queste note; e segnala in termini molto generali (ma,
forse per questo, da notare) i cambiamenti che intervennero nella regione dopo la scomparsa del califfato
abbside. Nota Roemer (pp. 135-136) che con quella scomparsa il mondo islamico delle regioni orientali
conobbe un profondo cambiamento: si svilupp una devozione popolare, insieme alla tendenza al monachesimo,
al culto dei santi, ai pellegrinaggi, alla fede nei miracoli, alla venerazione di Al. Si tratt, nella sua definizione,
dellaffermarsi di un Folk Islam, certamente di tendenza shita ma non relativo al solo mondo shita.
Il Folk Islam poteva oscillare tra Shismo e Sunnismo: non si pu affermare, ad esempio, che i
Qar Quynl fossero Shiti e gli Aq Quynl fossero Sunniti; pi che altro, il Folk Islam favor la tendenza alla
eresia. Una tendenza che peraltro fu il fondamento dei moti rivoluzionari; degli Hurfiti, che nel 1427
tentarono di uccidere Shhrukh; del fenomeno dei Sarbedr a Sabzawr; dellemirato di Marash Sayyid nel
Mzandrn; dellinsurrezione di Muhammad b. Falh nel Khzistn nel 1442 con i Mushasha. Se mi
concessa una notazione personale, vorrei osservare che questo Folk Islam rivela unevidenza sulla quale
dovrebbe appuntarsi una riflessione: lIslam non necessariamente quello delle ortodossie degli ulam e
della Sharah: liberata dallocchiuta sorveglianza dellapparato, la religiosit vernacolare sembra orientarsi
verso manifestazioni di culto spontanee che mostrano tendenze radicate e genuine, e non per questo meno
islamiche, che mettono in mostra anche uninsofferenza per la Sharah, frequentemente espressa nelle
dottrine eretiche.
Nel quarto e ultimo articolo, The Trkmen Dynasties (pp. 147-188) Roemer si rivolge infine alle
vicende delle trib turche insediatesi nellarea nel corso dei secoli. Il fenomeno dellimmigrazione turca una
lunga vicenda di grande impatto nella storia della regione; gi nel IX secolo i Turchi erano presenti in Anatolia
come mercenari di Bisanzio (pp. 147-148). Nel mondo islamico erano egualmente presenti come mercenari (si
ricordi la loro presenza nellesercito ftimida) e rappresentarono lelemento di destabilizzazione del califfato
abbside, da loro messo sotto tutela con i Selgiukidi tra lXI e il XIII secolo, il cui impero in Asia minore, dopo
linvasione mongola del 1258, croll nel 1308. Per la storia della Persia, dalla cui cultura furono segnati e delle
cui convulsioni furono protagonisti, furono importanti, dopo i Selgiukidi, gli Ottomani, gli Aq Quynl e i Qar
Quynl (pp. 149-150); questi ultimi furono due federazioni che si formarono dopo il crollo dei Selgiukidi (p.
152). Stanziate nella zona del lago di Urmiya, esse furono sospinte verso la zona del lago di Van dallinvasione
mongola.
Nel corso delle contese del periodo tmride e post-tmride, i Qar Quynl furono regolarmente
sconfitti da Tmr e ancora da Mirn Shh, a fianco dei quali, per ovvie ragioni, erano gli Aq Quynl (pp. 157-
161); essi raggiunsero poi nel corso del XV secolo lapogeo sotto la guida di Jahn Shh (p. 163) che tuttavia fu

1213
poi sconfitto e ucciso nel 1467, allorch, sotto Uzun Hasan, gli Aq Quynl si trovarono a dominare lintera
parte occidentale dellIran e la Mesopotamia.
Il periodo di contese post-tmride analizzato da R.M. Savory, The Struggle for Supremacy in Persia
after the Death of Tmr, der Islam, 40,1, 1964. Anche su questo articolo far un breve cenno, perch mi sembra
importante mostrare il pi possibile il quadro politico -e successivamente quello religioso- nel quale si svilupp
il movimento safavide, perch da l che nasce, con il nuovo Stato, laffermazione della ortodossia
duodecimana; ma quello Stato nasce dal medesimo crogiolo nel quale si formano le nuove versioni eterodosse
della Sha destinate a giungere ai nostri giorni; abbiamo dato uno sguardo agli Hurfiti ma dobbiamo ancora
parlare dei Bektsh/Aleviti, degli Ahl-i Haqq, degli Yezdi, dei Qizilbsh e di altre varianti. Ci per sottolineare
come dai tempi del vecchio ghuluww e del Nusayrismo, attraverso lIsmailismo e le sue diramazioni, le
possibilit di alternativa restino vive anche accanto e a partire dalla stessa ortodossia duodecimana, che pot
finalmente affermarsi in termini istituzionali in seguito ad eventi storici, ci che significa anche, politici.
Savory, dopo aver ricordato la distruzione dei regni minori da parte di Tmr, sottolinnea che per mai
i tmridi riuscirono a controllare lAzerbaijn, che rimase zona contesa tra gli Aq Quynl e i Qar Quynl.
Questi conobbero grande successo con Qar Ysuf che riusc a dominare lIraq, ma furono sconfitti da Shhrukh
in modo definitivo nel 1421; rendendosi vassalli dei tmridi riuscirono per a mantenere il governatorato di
Tabrz. Disintegratosi il regno tmride i Qar Quynl estesero, come abbiamo gi visto, il proprio dominio
sulla Persia con Jahn Shh sino al 1467, quando il potere pass agli Aq Quynl con Uzun Hasan. Inizi allora
una nuova guerra che vide un rovesciamento di alleanze, perch i tmridi di Ab Sad furono spalleggiati dai
Qar Quynl contro gli Aq Quynl, ma furono sconfitti da Uzun Hasan.
Alla morte di questultimo nel 1478 iniziarono tuttavia le lotte interne tra i pretendenti al trono, e
iniziava anche lascesa dei Safavidi, guidati da scelte politiche, non religiose, visto che, essendo shiti, rimasero
alleati degli Aq Quynl, sunniti, contro i Qar Quynl, shiti. Questi aspetti vanno rimarcati, per mettere a
fuoco il vero nodo di tante guerre, le lotte di potere, non le divisioni religiose; e il caos generale nel quale
versava la Persia prima dellavvento dei Safavidi. Se mai, nota Savory (pp. 54-55) il fatto che i Safavidi fossero
shiti, costituiva un motivo di attrito e di sfida per il Qar Quynl, shiti anchessi e interessati ad unificare le
popolazioni nello Shismo sotto di s. Savory prosegue raccontando lascesa safavide, ma di questo parleremo
pi tardi, ora mi sembra giunto invece il momento di parlare dellaffermazione dello Shismo eversivo
allinterno degli ordini Sf. Lo facciamo a partire da un importante studio di M. Mol, Les Kubrawiyya entre
Sunnisme et Shiisme aux huitime et neuvime sicles de lHgire, R.E.I., 59,1, 1961 ; importante perch il
periodo che va dallinvasione mongola allascesa safavide , come dice Mol, unepoca cruciale nella storia
dellIran.
Mol, che esordisce parlando del carattere non soltanto islamico, ma sunnita, del Sufismo, nota la
comparsa di una tendenza shita a partire dal XIV-XV secolo, con la formazione di confraternite i cui
discendenti finiranno con laderire al movimento safavide. Questi movimenti sembrano inserirsi in un vuoto
ideologico (interpretazione sua) lasciato dallImmismo duodecimano per il quale, in attesa del Mahd occultato
a tempo indeterminato, ogni potere illegittimo; di qui la formazione di sette shite non ortodosse, i cui capi
proclamano di essere il Mahd (p. 63). Mi permetto di notare che, al di l del vuoto ideologico v un vuoto di
azione per coloro che non sono in condizione cos serena da poter attendere, ai quali, certamente, in condizioni
difficili, la stessa concezione duodecimana dellImmato pu offrire spunti ideologici alternativi
alloccultamento indefinito.
evidente per che il clero e i maggiorenti duodecimani non possano riconoscere alcuno di questi
movimenti, per motivi dottrinali, certo, ma ben motivati dal contrasto di interessi; come nota Mol si tratta
comunque di unattesa il cui compimento segnerebbe la fine dellattesa stessa, gestita dal clero, e ci va tenuto
presente per comprendere la dialettica tra clero duodecimano e Stato safavide che inizier dopo la costituzione
del Regno.
Procediamo per con ordine. Al momento della conquista mongola, nota Mol, la Persia un paese a
prevalenza sunnita (p. 65) per testimonianza degli stessi shiti. Il grande rimescolamento prodotto dallinvasione
mongola offr tuttavia un doppio vantaggio alla Sha immita, perch lIsmailismo scomparve come forza
politica (per abbiamo visto che il suo lievito rimase vivo ovunque) e il Sunnismo perse la protezione politica
del Califfo; inoltre una parte dei Turchi abbracci lIslam shita. In questo quadro Mol si propone di esaminare
levoluzione dellordine dei Kubrwiyya, nel quale le generiche simpatie aldi del fondatore, andarono
crescendo nelle generazioni dei fedeli.
Najm ad-Dn Kubr, il fondatore, era probabilmente sunnita e shfita; Mol adduce varie prove del
suo presumibile Sunnismo, e il Sunnismo sembra comunque dominare nella prima generazione dei suoi discepoli
(p. 74). Tuttavia aument progressivamente lattesa del Mahd (p. 75) fenomeno che a me sembra facilmente
comprensibile sul fondamento molto concreto della situazione della Persia sotto i Mongoli.
Figura emergente dei Kubrwiyya nel periodo della dominazione mongola fu Al ad-Dawla Simnn
che, da giovane funzionario dellamministrazione, ebbe a 24 anni, nel 1284/85 la chiamata interiore ad una vita
mistica e fu in rapporto di dialogo con i mistici buddhisti; il Buddhismo era infatti inizialmente la religione
dominante tra gli invasori. Simnn tuttavia non ne rimase convinto, perch per un Musulmano ortodosso non
potevano essere accettate le dottrine dellunione con Dio e della trasmigrazione delle anime, che furono
1214
viceversa elementi costanti del Sufismo eversivo. Simnn respinse infatti la dottrina della wahdat al-wujd di
Ibn Arab (p. 82). Il suo ruolo centrale nello studio di Mol, del quale occupa molte pagine, perch egli
rappresenta indubbiamente un punto dequilibrio nel progressivo scivolamento dei Kubrwiyya verso posizioni
ultrashite, con Nrbakhsh. Tra le dottrine che Simnn respinge vi anche quella, fondamentale per consentire
posizioni eterodosse, della walya (la posizione di Al, tanto per ricordare un esempio, cio di colui che spiega
il senso interiore della Legge) come btin della nubuwwa: in altre parole, la possibilit di una interpretazione
esoterica del Corano (pp. 99-103); oltre a respingere, naturalmente, altre pratiche pi vistose del Sufismo
eversivo.
Mol cita larghe sezioni degli scritti di Simnn, e non v dubbio sulle sue posizioni lontane
dallestremismo; tra laltro egli si proponeva di percorrere una via di mezzo tra la rigidit khridjita e la Sha.
Tuttavia, nota Mol a p. 105, non v dubbio che il suo Sunnismo tenda a scivolare verso posizioni shite;
questo lo si pu chiaramente notare anche in un testo di Simnn edito e tradotto da Mol, Un trait de Al al-
dn al-dawla Simnn sur Al b. Ab Tlib, B.E.O., 16, 1960, nel quale vi lespresso sostegno alla tradizionale
pretesa shita fondata sulla nomina divina di Al come successore di Maometto nellepisodio (tramandato) di
Ghadr Khumm; ferma restando tuttavia lopposizione alla pratica shita di maledire i primi tre Califfi.
Come nota Mol (pp. 107-109) Simnn respingeva le idee correnti tra gli Shiti, per trasferirle
tuttavia allinterno di una dottrina sf eletta ad autentica Sha. La sua distanza dallestremismo pu esser letta
nella sua dottrina del Qutb, figura eminentemente spirituale invisibile agli uomini: nessuno pu infatti conoscere
il Qutb della propria epoca; e tuttavia anchegli attende un Mahd che colmer il mondo di giustizia riunendo in
s il potere religioso e quello politico. Mol (p. 107 in n. 127) vi vede uninfluenza della figura zoroastriana del
Sshn, a mio avviso possibile ma non necessaria, perch la riunione dei due poteri sembra indispensabile al
ruolo del Mahd; soprattutto alla perfezione che, con lui, cambier il mondo: la divisione dei due poteri sembra
infatti la conseguenza necessaria della imperfezione del mondo.
Mol (p. 109) cos riassume la dottrina di Simnn: fede shita trasposta sul piano sf e integrata in
un sistema teosofico originale; resistenza alle tendenze shite del momento e alle idee di Ibn Arab;
mantenimento della tradizione kubrwiyya codificata, e, nonostante linfluenza shita, un sistema ancora
profondamente sunnita e non settario. Qualche generazione pi tardi questa dottrina fu abbandonata e ci si volse
decisamente allo shismo; mezzo secolo pi tardi gi si fa notevole linfluenza di Ibn Arab (p. 111) ma Al b.
Shihb al-Dn al-Hamadn, vissuto in epoca tmride, ancora un sunnita (p. 113) dapprima hanafita, poi
shfita.
Il suo allievo Djafar Badakhsh prese tuttavia una posizione nettamente contraria a chi rifiutava il
culto di Al (pp. 118-119); quel che tuttavia defin un autentico cambiamento fu non soltanto, come nota Mol a
p. 120, la comparsa della dottrina che fa dellImm laspetto interiore del Profeta, ma innanzitutto, a mio avviso,
il fondamento di questa dottrina su una concezione indiscutibilmente neoplatonica dellepifania divina (cfr. a
p. 120, il passo di Badakhsh ivi tradotto).
Mol descrive gli ulteriori passi di questa evoluzione dellordine, che culmina con Ishq Khuttaln e
col suo allievo Nrbakhsh (n. 1393/1394) nel quale il primo scorse la figura dellatteso Mahd e la
reincarnazione di Al al-Hamadn, forse per incitarlo ad opporsi a Shrukh (p. 125) che fece uccidere
Khuttaln e imprigionare Nrbakhsh, il quale recuper la propria libert abiurando la pretesa al proprio ruolo
nel 1437, nonostante ne fosse intimamente convinto.
Ora, quello che mi sembra interessante in questa lunga evoluzione, che, giunti a Nrbakhsh, il
problema che viene in primo piano e che fa sorgere la pretesa di qualcuno al ruolo di Mahd, lurgenza di
ristabilire la giustizia sociale, che infatti Nrbakhsh proclam (Mol, p. 134). Mol conclude (p. 136) che
limmismo di Nrbakhsh non affatto ortodosso perch, con la rinuncia alla limitazione del numero degli Imm
a 12 il suo immismo non si radica nel passato, un fatto nuovo e rivoluzionario che vuol rinnovare e unificare
lIslam. Vedremo che questo non varr per tutti i sedicenti Mahd shiti, che si presentano in genere come
reincarnazione di Al; ma qui vorrei sottolineare qualcosa che abbiamo gi visto con Fazlullh e, prima ancora,
con lIsmailismo: vi una vasta corrente della Sha che avverte la scelta duodecimana come un richiamo
allordine (sociale) lasciando disattese le istanze profonde che sin dallinizio mossero la stessa Sha, unesigenza
di giustizia sociale che si era fatta ora spasmodica nel lungo periodo lkhnide e tmride, nel quale la Persia
smembrata era stata il dolorante terreno di scontro per gli appetiti di signori e signorotti. Tutto questo non va
dimenticato per comprendere due fenomeni che giungeranno a maturazione con il XVI secolo: la straordinaria
marcia vittoriosa dei Safavidi unificatori del paese, e la trasformazione della Sha in una identit persiana.
giunto ora il momento di esaminare larticolo di B. Scarcia Amoretti, Religion in the Timurid and
Safavid Periods, C.H.I., 6, cit., per quanto riguarda il periodo tmride. Nota lautrice (p. 613) che gi dal tempo
dei Selgiukidi il Sufismo era divenuto pi aperto agli strati sociali meno abbienti, pronti ad accettare unautorit
religiosa in opposizione a una realt politica deludente. Con i Sarbedr, prosegue, la Sha era divenuta
unespressione della protesta, forse, aggiunge, reminescente delle rivolte zaydite sotto i primi Abbsidi (ivi)
in nome della legittimit del governo. Questa possibile influenza dello Zaydismo, del quale si ricorder la
fondamentale dottrina dellImm ( tale chi pronto a proclamarsi prendendo le armi; cfr. supra, p. 200 e p. 811)
era stata segnalata anche da Mol; ed in effetti le regioni nella quali le confraternite -la cui evoluzione portava

1215
allidentificazione dello Shaykh con il Mahd- furono pi turbolente, si rivelarono quelle degli autonomismi
zayditi.
Per quanto concerne il convergere del Sufismo verso posizioni shite, la Scarcia Amoretti ritiene che
il fenomeno fosse funzione di un tentativo di recuperare lunit iniziale dellIslam, e che di questo fosse convinto
Nrbakhsh (p. 616) in ossequio alleredit di Simnn (del quale ricorda per, come Mol, il ruvido dissenso con
il fondatore dei Sarbedr, Shaykh Khalfa). Riguardo Nrbakhsh, ella ne ricorda, come Mol, un particolare della
Aqda (professione di fede) secondo la quale lerede della missione profetica il Sf che ha per antenato
spirituale Al e, al termine della catena iniziatica, sar il Mahd. Tutto questo, mi permetto di notare ricordando
quanto gi detto sopra, non sembra ortodosso dal punto di vista duodecimano, ma la Sha, nonostante la sua
presenza nel notabilato cittadino, si identificava pi facilmente con le popolazioni rurali e con latteggiamento
rivoluzionario. Per quanto la scuola giuridica non sia di per s un indicatore (Fazlullh era eretico ma anche
shfita) sappiamo ad esempio che Ardabl, la citt dei Safavidi, era shfita, e che il richiamo alla Sha e alla
discendenza husaynide avvenne soltanto con i discendenti di Saf ad-Dn (infra); che questa fosse la reale
situazione lo mostra il fatto che, ancora nel 1720, un terzo della popolazione persiana era sunnita (pp. 618-620).
La Scarcia Amoretti dedica poi alcune pagine allo Hurfismo, del quale s gi detto; qualcosa si pu
viceversa ancora accennare per quanto riguarda i Mushasha (pp. 625-629) e i Nuqtawiti (dei Safavidi si dir in
seguito). Per quanto riguarda i Mushasha, lautrice segnala limportanza della dottrina perch essa rappresenta,
a suo giudizio, uno sviluppo dellIsmailismo in direzione del futuro Bbismo, che ella considera una propaggine
(offshoot, p. 625) della Sha duodecimana. La dottrina dei Mushasha considerava il Mahd, cio lImm
nella sua immanenza, come entit trascendente che media tra il Creatore e le Sue creature (p. 626) ci che
costituisce per lappunto una via di mezzo tra lIsmailismo, che vedeva lImm partecipe dellessenza divina, e il
Bbismo, che proclam la manifestazione del divino nellImm (ivi). Nota tuttavia la Scarcia Amoretti che
Muhammad b. Falah, il fondatore della setta, rimase sostanzialmente prudente, o meglio, equivocamente
reticente, sulle implicazioni della propria dottrina (si era proclamato dapprima il wl, poi lo hijb del Mahd); al
contrario il figlio Al (quello che profan la tomba di Najaf) usando con una certa disinvoltura lequazione tra
Dio e Al e quella tra Al e il Mahd, essendo egli stesso il Mahd si proclam reincarnazione di Al, e, per
conseguenza, Dio (p. 628). Si notino due cose: la prima, che questa sar poi la posizione dei Safavidi a partire da
Junayd (infra); la seconda che qui, contrariamente alla dottrina di Nrbakhsh, non si allunga la catena dei 12
Imm, quindi si resta allinterno di una possibile interpretazione duodecimana, con la differenza che non si resta
in attesa di un evento imperscrutabile, lo si proclama avvenuto.

Il fenomeno dei Mushasha non fu che uno dei tanti, sostanzialmente simili nel contenuto messianico
e rivoluzionario, che caratterizzarono, con il loro concorso di popolo, unepoca di tragedie per la Persia. Uno di
essi fu il motore che port alla nascita del nuovo Stato, il movimento Qizilbsh dei Safavidi, che esamineremo
tra breve; un altro, che fu perseguitato nella normalizzazione dello Stato safavide culminata con Abbs I, fu
quello dei Nuqtaw, davvero radicale e popolare nel proprio neoplatonismo che vedeva ogni individuo -senza
intermediari- come capace di elevarsi al divino (pp. 644-645). Altri ancora sono i movimenti che emergono in
quel periodo e in quellambiente, come i Bektsh/Aleviti e gli Ahl-i Haqq; altri ne verranno pi tardi, come il
Bbismo. La domanda che mi pongo, e che essenziale per la logica con la quale sto conducendo questa ricerca,
una: davvero tutti questi movimenti -tutti, incluso il pi tardo Bbismo- furono propaggini della Sha
duodecimana? Le dottrine, viste nel loro insieme, non sono piuttosto lo sviluppo, con tante varianti, di un
messianismo e di un potenziale antinomismo che esistevano dal tempo dei Kaysniti quando la Sha
duodecimana non esisteva; o dal tempo dei Nusayriti e degli Ismailiti, quando essa era appena in formazione? Il
Sufismo, bench sunnita, non aveva mostrato ben presto i tratti antinomici delluomo a misura di Dio, sin dai
tempi di Bistm o di al-Hallj, che sembra desse qualche fastidio alla ancora erigenda Sha duodecimana? E
nella eresia shita dei tempi pi tardi, culminante con il Bbismo -che non privo di una storia alle spalle- non
c sempre il problema di reinterpretare la Sharah, quella Sharah che abbiamo visto costituire una
demarcazione tra coloro che attendevano il cambiamento e coloro che lo temevano? Una Sharah da
reinterpretare significa: un nuovo Profeta o comunque qualcuno che possa contare sulla fideiussione divina, un
uomo a misura di Dio.
Una logica costante percorre la Shah, rispetto alla quale fu la Sha duodecimana ad essere una
propaggine, un ramo, un offshoot, anche se poi, essendosi affermata con listituzionalizzazione da parte di
uno Stato, pot erigersi in tronco: ma non sono le eresie a germinare dal tronco dellortodossia. Questa non mi
sembra una mia opinione, mi sembra unevidenza fattuale; e se a volte le eresie sembrano davvero germinare
dal tronco dellortodossia, perch anche nel tronco circola la linfa che viene dalle radici; e le radici islamiche
sono messianiche e apocalittiche, sono ci che le precedenti due ortodossie avevano espunto dal Messaggio.
Quanto alla primissima Sha radunata attorno ad Al, essa era sostenuta dalla protesta dei fedeli della primora
contro il nuovo/vecchio ordine dei vecchi potenti, avvertito come non propriamente islamico. E se questa
una parabola immanente a tutte le rivoluzioni che vorrebbero cambiare il mondo, ma poi si adattano per
necessit al mondo che c, ci non autorizza ad identificare le normalizzazioni successive con gli impulsi
originari.

1216
La breve digressione introdotta non casuale, perch giunto il momento di affrontare la lunga
vicenda che port i Safavidi al potere: una vicenda di sicuri eretici allinterno di secoli turbolenti dal punto di
vista religioso e sociale. Secoli che iniziano -lo abbiamo visto- anche prima dellinvasione mongola:Ayn al-
Qudt al-Hamadn e il Sufismo della wahdat al-wujd risalgono la tempo dei Selgiukidi, come anche al tempo
dei Selgiukidi risale il fenomeno dei Qalandar, dervisci nomadi, turcomanni, giunti in conseguenza dellavanzata
mongola, che diedero origine alla rivolta anti-selgiukide dei Bbysti in Siria nel 1241, probabile matrice del
futuro Bektshismo. Allinterno degli ordini turbolenti del XIII-XV secolo dai quali emergono i Safavidi,
maturano infatti anche tutte quelle dottrine shite eterodosse che ancor oggi sussistono sotto vari nomi:
Bektsh/Aleviti, Ahl-i Haqq, Qizilbsh, Yezdi, Shabak, Yresn e quantaltro. Bb Elyas (o Ishq, le notizie
sono discordi) il leader della rivolta del 1241, avvenuta in una zona a presenza ismailita, era un Sf shita,
estremista come tutti i Qalandar. Sembra si dichiarasse vero Profeta al posto di Maometto, che considerava un
bugiardo; i suoi seguaci erano turcomanni, in rivolta contro il dominio selgiukide (Moosa, cit., pp. 17-18).
Di poco posteriore la vicenda di Saf ad-Dn (1252-1334) perfettamente contemporaneo al dominio
lkhnide, il capostipite dei Safavidi le cui vicende sono state analizzate da H. Sohrweide, Der Sieg der
Safaviden in Persien un seine Rckwirkungen auf die Schiiten Anatoliens im 16. Jahrhundert, Der Islam, 41,1,
1965. Si tratta di un importante articolo di circa 130 pagine, che segue lascesa della confraternita sino al suo
dominio sulla Persia, e le prime successive lotte con lImpero Ottomano in Anatolia, al temine delle quali si
stabilizzeranno i confini tra una Persia shita e una Turchia sunnita.
Questo fenomeno dellespansione militare che trasforma una confraternita sf in uno strumento
rivoluzionario, va pensato come il culmine vittorioso di almeno 150 anni di agitazione sociale guidata dai Sf
sullo sfondo dello stato disastroso di una regione dove si erano susseguite le crisi dei Selgiukidi, degli lkhnidi e
dei Tmridi, gli ultimi due portatori, per giunta, di immani distruzioni. Tutto ci aveva creato in quella regione
un autentico vuoto: soltanto in un tale scenario pu essere infatti pensata lincredibile espansione dei Safavidi
che in pochi anni conquistarono, oltre alla Persia, anche parte dellIraq e dellAfghanistan: un dominio immenso.
Ci che singolare in questa vicenda, che la lunga lotta religiosa delle sette eretiche eversive in
nome del messianismo shita e per conto degli strati socialmente disagiati, contro i gruppi di potere interessati
alla propria Realpolitik, e perci comunque interessati alla Sharah come strumento di governo, si trasformer in
una contesa territoriale tra due Stati -il safavide e lottomano entrambi con una propria ortodossia- contesa
nella quale convergono a favore dei primi le confraternite largamente presenti nel territorio del secondo: sicch
nel mondo ottomano la persecuzione religiosa coincider con la gestione della sicurezza territoriale. Si direbbe
che la storia tenda a rassomigliarsi ovunque, indipendentemente dalluso del turbante.
I Safavidi si dichiaravano, forse senza fondamento, ma questo non uno scandalo, discendenti del 7
Imm. Il fondatore Saf ad-Dn giunse a 25 anni nel ln, dove divenne discepolo dellanziano Shaykh Ibrhm
Zhid ln che, alla morte, gli affid la guida dellordine (1301). Saf ad-Dn era sunnita, predicava il rispetto
della Sharah, ed era avversario del libertinismo che caratterizzava i Dervisci erranti, Qalandar e Yesav turchi e
mongoli giunti al seguito delle invasioni e che erano popolari e diffusi: bevevano vino, fumavano hashish, non
rispettavano il digiuno e, a quanto sembra, avevano costumi sessuali riprovevoli e corrompevano i fanciulli.
Insomma, erano portatori di costumi non musulmani. Particolarmente colpiva lusanza, che era (ed ) dei
Bektsh/Aleviti, di far partecipare le donne ai rituali e di danzare con loro -non velate- nella festa del Sam.
Ancora nel XV secolo le donne turcomanne partecipavano alla guerra, e nel XVI-XVII secolo le donne
seguivano in battaglia i guerrieri safavidi, in gran parte Qizilbsh di origine turcomanna. Ancora nel XVI secolo
vi sono testimonianze che non portassero il velo.
Con questo mondo i Safavidi erano in stretto contatto nella regione di Ardabl, dove Saf ad-Dn aveva
grande seguito ed era missionario per la conversione dei Mongoli allIslam, cio al proprio ordine (p. 111). Non
dato sapere se la loro osservanza della Shara fosse perfetta; di certo il divieto del vino non faceva parte delle
loro tradizioni, e su questo ci furono aperte polemiche tra i Turchi e la confraternita (p. 113 nel testo e nella n.
127).
Saf ad-Dn ebbe particolare seguito nel Rm (Anatolia centrale, Erzurum, Erzincan, Sivas, Konya)
zona di ricchi mercati popolati da Armeni dove i Musulmani parlavano turco, incrocio di grandi percorsi che
conducevano a Tabrz e alla Siria (p. 115). Sivas era il grande centro commerciale e il grande mercato
dellAnatolia orientale; l convergevano non soltanto i mercanti, ma anche i nomadi, i cui costumi erano il
contrario di quelli dei Musulmani (p. 116). Ad ogni buon conto, lordine rimase strettamente ortodosso sino ai
primi decenni del XV secolo.
Chi port al cambiamento fu Junayd, che divenne Shaykh ancora giovane, e sotto la tutela dello zio
Djafar, alla morte del padre Ibrhm nel 1447, e fu il nonno di Isml I. Probabilmente Junayd aveva gi a quel
tempo idee diverse sulle scelte della confraternita, perch ebbe presto delle controversie con lo zio (p. 118);
girovag a lungo finch nel 1456, a Dyarbakir, spos la sorella di Uzun Hasan il sovrano Aq Quynl (il figlio
Haydar ne spos poi la figlia) del quale s detto sopra. Buoni rapporti non gli riusc di stringere con il Sultano
ottomano, Murd II.
Junayd peregrin molto guadagnando seguaci tra le trib nomadi turcomanne, in particolare tra i
Varsaq dei monti della Cilicia, che pi tardi faranno parte dei Qizilbsh. Altri seguaci guadagn tra i Dervisci
eretici, che con lo Shaykh Bedreddn avevano dato vita ad una pericolosa ribellione nellAnatolia occidentale,
1217
nel 1416 (p. 119). Di lui fu detto che si era allontanato dai costumi dei suoi predecessori, era considerato infatti
non un mistico, ma un ribelle: limpressione, del resto, era rafforzata dai seguaci che andava raccogliendo.

La figura di Bedreddn, per certi aspetti ancora enigmatica, merita una breve riflessione per la sua
perdurante influenza nel mondo balcanico e per il suo ruolo allinizio del XV secolo. Si pu farlo seguendo lo
studio a lui dedicato da M. Balivet, Islam mystique et rvlution arme dans les Balkans Ottomans. Vie du Cheik
Bedreddn. Le Hallaj des Turcs (1358/58 1416), Istanbul, Isis, 1995. Lo studio molto pi ampio rispetto a
quel che si pu segnalare in questa poche righe, tuttavia necessarie ad un generale inquadramento dei moti che
investirono lImpero Ottomano e della cultura che vi rimase ben diffusa, la cui ragion dessere si condensa in
quanto segnalato da Balivet a p. 36: nella storia dellIslam ottomano non si pu trascurare la mistica
insurrezionale, della quale Bedreddn non n il primo, n lultimo protagonista.
Bedreddn era un selgiukide, poco amico dunque dellespansione ottomana e pi vicino ai signorotti
anatolici che la vedevano come una minaccia; Balivet ritiene inoltre possibile che, nel periodo dei propri studi
nel Rm, Bedreddn abbia avuto contatti con gli Hurfiti (p. 42). I suoi studi proseguirono poi in Egitto, ove
ebbe grande notoriet sin da giovane e dove ebbe la vocazione mistica che ne fece un Sf. Nuovi possibili
contatti con gli Hurfiti, e pi certi con i Safavidi, sono ipotizzati da Balivet nel periodo trascorso poi da
Bedreddn in Azerbaijn, nel 1402 (p. 51).
Bedreddn percorse poi le regioni orientali e sud-orientali della penisola anatolica, che costituivano un
baluardo allespansione ottomana momentaneamente frenata dalla grande vittoria di Tmr ad Ankara nel 1402,
dopo la quale era stata restaurata la presenza, in quelle regioni, di dinastie turcomanne a lui fedeli. Fu l che
Bedreddn trov, tra i propri seguaci, gli uomini che saranno protagonisti delle rivolte a lui ascritte. Notizie che
forse sanno un po di agiografia ci parlano dei suoi successi nel mondo cristiano greco insulare prospiciente la
costa anatolica, pi in particolare a Chios: in effetti Tmr intese stabilire sin dal 1402 una politica di buoni
rapporti con quel mondo, con i mercanti italiani e i Signori francesi (p. 61). A questo riguardo Balivet trova
significativa la presenza a Chios (attestata tra il 1436 e il 1458) di dervisci Hurfiti che intendevano stabilire
rapporti amichevoli con i Cristiani: la stessa politica dei seguaci di Bedreddn.
Questi si spost poi verso la Tracia, la sua terra natale, dove reclut al proprio seguito i Torlak,
dervisci erranti affini ai Qalandar, e predic tra le popolazioni turcomanne, nel cui ambito si affermarono quei
mistici rivoluzionari che furono protagonisti del movimento bbista, ci fa comprendere quale pericolo egli
ormai rappresentasse per gli Ottomani (pp. 63-65). Ad Edirne ebbe nuovi stretti contatti con i Cristiani (p. 65).
Nelle lotte dinastiche interne degli Ottomani, Bedreddn entr poi nellorbita di Ms -in lotta con
Solimano- che andava mobilitando le masse popolari; fu in queste circostanze che egli guadagn quei seguaci,
Brklce e Cneyd, che guidarono poi le rivolte; Ms per fu sconfitto dal fratello Mehmed (Mehmed I) che
diede inizio alla restaurazione dellortodossia sunnita tradizionale degli Ottomani (p. 69); Bedreddn in quella
circostanza lasci precipitosamente Iznik (Nicea) dove si trovava; gli Ottomani si diedero a reprimere con
ferocia le rivolte, prendendo di mira Cristiani e Dervisci (pp. 70-73).
Interessante il quadro delle rivolte nella Jonia, guidate da Brklce e Cneyd, non si sa se dietro
iniziativa di Bedreddn o indipendentemente da lui; la rivolta, che invest il Qaraburun (il promontorio montuoso
che chiude a sud il Golfo di Smirne) la zona del Meandro e lAnatolia sud-orientale in generale nonch le isole
greche prospicienti, reclutava ceti rurali e artigiani e aveva un carattere espressamente anti-ottomano, cementato
da una religiosit che tendeva ad un sincretismo con i Cristiani e anche con i Giudei (pp. 74-76): si trattava cio
di una rivolta sociale a carattere interreligioso.
Brklce compiva miracoli crisitci e mor sulla croce (p. 79), secondo Balivet ci potrebbe
configurare un anticonformismo tipico dei malmatiyya, che respingevano gli aspetti esteriori della Legge
islamica (p. 80) cio un comportamento affine con le dottrine mistiche dei Sf estremisti. Ms si era nel
frattempo rifugiato a Sinope, sul Mar Nero, e successivamente in Valacchia (la regione tra il Danubio e le Alpi
transilvane, nellattuale Romania a nord della Bulgaria): i suoi partigiani erano i Turchi della zona del Danubio
(p. 81). Bedreddn, su consiglio interessato di chi voleva liberarsene per paura di Mehmed, intraprese una
navigazione avventurosa verso la Valacchia, dove fu ben accolto dai Cristiani locali (pp. 81-82; il racconto
ricco di particolari agiografici).
Mehmed, deciso a stroncare le due rivolte, quella della Jonia e quella valacca, che mettevano a rischio
lImpero Ottomano dei Balcani, stabilito con la vittoria di Kosovo del 1389, lasci Edirne, assedi Tessalonica in
mano ai ribelli, poi si rivolse contro la Bulgaria in rivolta, dovera Bedreddn (pp. 84-85) la cui morte sul
patibolo (1416) ha, nei racconti, una colorazione fortemente cristica e halljana. La sconfitta e la morte di
Cneyd, che guidava la rivolta nel Qaraburun, segu nel 1425 (p. 91) e costitu lepilogo militare dei movimenti
di Bedreddn; Mehmed I era morto nel 1421.
significativo, a conclusione, sottolineare il carattere che unifica le varie rivolte di quegli anni, al
tempo stesso popolari, rurali e animate da resistenze localistiche anti-ottomane opposte alla centralizzazione in
atto nel nascente Impero.
La religiosit propugnata da Bedreddn lasci uneredit, restando naturalmente oggetto delle solite
accuse degli eresiologi di tutti i tempi e luoghi, le solite storie di orge a luci spente che si possono
tranquillamente accantonare come tutti gli stereotipi senza riscontro. Per il resto, i termini sono quelli che
1218
riguardano ancora oggi i Bektsh e che si riassumono nelle celebrazioni accompagnate da musiche e danze cui
partecipano anche le donne (che non sono velate) e luso del vino. La distinzione tra i due ordini comunque
difficile, sia per la sovrapposizione geografica del movimento di Bedreddn con quello dei Bektsh, sia per i
rapporti intricati di entrambi con gli Hurfiti: siamo comunque in presenza di discendenze halljane
caratterizzate dalla divinit delluomo. Ci sono inoltre altre analogie con altri movimenti sf, cio il rigetto del
Docetismo coranico relativamente alla morte di Ges e linterpretazione esoterica della Legge. Tuttavia, in
controtendenza ad altri movimenti, Bedreddn non si proclam Mahd (p. 105); del resto, se si deve dar credito
alla sua negazione della resurrezione dei corpi, si deve pensare che la sua dottrina contenesse elementi razionali,
ci che metterebbe in maggior luce la sua scelta di enfatizzare i tratti comuni delle religioni monoteiste, in
particolare con il Cristianesimo.
Mal distinguibili ma probabilmente considerevoli considera dunque Balivet i rapporti tra Bedreddn
e i Bektsh (p. 108); la sovrapposizione geografica dei due movimenti interessa inoltre anche quella con gli
Hurfiti (pp. 108-109) circa i quali Balivet cita anche le analogie tra il martirio di Nesm e quello di Bedreddn
che si richiamano a quello di al-Hallj; inoltre marcato in tutti i casi il rapporto con il Cristianesimo e la
conoscenza della sua dottrina: appena il caso di ricordare la grande diffusione dei sincretismi che caratterizza il
mondo balcanico (infra). Infine, se le relazioni di Bedreddn con gli Hurfiti son probabili, quelle con i Safavidi
sono certe. Quanto ai rapporti con i Bektsh, oltre alle coincidenze sopra segnalate (danze rituali insieme alle
donne, uso del vino) vi analogia nel miracolismo di tipo cristico e comuni sono i mistici tenuti nella pi alta
considerazione: Ibn Arab, Sohraward, Rm. Allo stato delle ricerche mancano le certezze di un effettivo
rapporto, ma esso appare assai verosimile.

Tornando a Junayd e ai sui seguaci, si deve ricordare che egli ne raccolse anche nel Ponto, regione
che, a parte la striscia costiera, caratterizzata da alte catene montagnose abitate a quel temo da Turcomanni, da
Greci apparentemente convertiti, da Armeni infedeli e da Greci rimasti cristiani; qua e l anche da gruppi di
Shiti: tutte popolazioni ribelli (p. 120). Junayd scelse anche di rifugiarsi nelle montagne di Canik, zona quasi
impraticabile popolata da popolazioni turcomanne ribelli e guerriere, dove in tre anni guadagn svariate migliaia
di seguaci, tradizionali combattenti per la fede (ghz) anticristiani di lingua turca e persiana appartenenti agli Aq
Quynl, che pi tardi faranno parte dei Qizilbsh nel regno safavide (p. 121). Alcuni di essi erano eretici
appartenenti alla Sha estremista, e tra essi incontr grande consenso per le proprie idee che facevano
riferimento anchesse alla Sha estremista, tanto che egli fu abitualmente chiamato Dio e cos suo figlio
Haydar (1460-1488) figlio di Dio (pp. 121-122). Junayd fece dunque di un ordine sunnita un ordine shita
estremista che violava la Sharah, quello dei Qizilbsh safavidi.
La Sohrweide nota che non dato sapere se questa scelta fosse maturata da Junayd gi in Ardabl
prima che ne venisse cacciato, ovvero a seguito del suo soggiorno tra le trib turcomanne; secondo Minorsky fu
in questa seconda circostanza che egli comprese lutilit politica di quelle idee per i suoi scopi (p. 122 in n. 173);
in Ardabl, comunque, lo zio Djafar aveva mantenuto lantica disciplina durante lesilio di Junayd.
Con lavvento del figlio Haydar che fu posto dallo zio, e successivamente suocero, Uzun Hasan a capo
della confraternita, intervenne tuttavia il cambiamento anche nella sede di Ardabl; inutile fu il tentativo di
Djafar di sottrarre il giovane Haydar, che aveva dieci anni, dallinfluenza dei seguaci del padre (p. 123);
lordine abbandon i precetti religiosi e consider Dio Haydar, i cui sf erano ormai dei pericolosi
rivoluzionari. Il cambiamento tuttavia non fu pacifico, vi sono notizie di una forte avversione, anche se lordine
non and incontro a una scissione; tuttavia i suoi seguaci non accettarono facilmente il cambiamento e ci furono
defezioni.
Il cambiamento port, per contro, allarrivo di guerrieri turcomanni, che presero il nome di Qizilbsh
dal copricapo rosso introdotto da Haydar. Una parte dei seguaci suoi e del padre Junayd venivano dallAnatolia,
precisamente dal Rm, anche se difficile stabilire con esattezza in quali regioni fossero diffusi i Qizilbsh,
perch, se le fonti riferiscono al Rm, non facile definire geograficamente questo concetto. In alcuni casi la
provenienza pu essere dallo Stato ottomano, in altri da Konya e Erzincan; si pu dire in generale che i Qizilbsh
provenissero dallAnatolia centrale e meridionale. Rm era anche il nome della zona di Sivas e di Amasya e di
parte della Cappadocia, dove vivevano i Turcomanni Dnishmend. Allinizio del XV secolo i loro capi dovevano
essere alleati con gli ambiziosi Aq Quynl: il governatore ottomano del Rm che li combatt ebbe occasione di
farne soffocare col fumo circa 400, e un abito donore era il premio per chi ne consegnasse uno.
Per chi osservasse le cose da Trebisonda, Rm era la provincia di confine ottomana, perch
lAnatolia orientale fu annessa allImpero ottomano soltanto dopo la battaglia di Chldirn del 1514 e la vittoria
sullo Shh Isml I; come provincia di confine orientale era stata sino a quel momento porta dingresso dei
Safavidi nellImpero ottomano (p. 135) nonch limportante via commerciale da Oriente verso Istanbul. L i
Safavidi erano conosciuti, perch vi si rifugi Junayd al tempo del suo esilio; perci naturale che, al tempo di
Isml I (giunto al potere in Persia nel 1501, ma di ci infra, per non interrompere un racconto che mostra
lorigine lontana e le radici dellattuale presenza di Bektsh/Alev e Qizilbsh in Turchia e nei Balcani) nel
Rm vi fosse un notevole seguito per i Safavidi, tanto tra i nomadi quanto tra i sedentari che avevano conservato
le tradizioni precedenti linsediamento. Le fonti danno a questi gruppi il nome di Etrk, e questi, al tempo di
Bayazid II (1481-1512) erano in gran parte Qizilbsh (p. 136). Ancora al tempo di Tahmsp I (1524-1576) il
1219
governatore del Khursn era un Qizilbsh di Sivas (p. 137). I Qizilbsh erano presenti anche nel Qaraman e nel
Teke (Alanya-Antalya).
La persecuzione dei Qizilbsh inizia soltanto con Bayazid II, nemico anche dei Qalandar, cio delle
confraternite sf rivoluzionarie, nelle quali vedeva un minaccia politica in coincidenza con la conquista della
Persia da parte dei Safavidi; del resto, occorre pensare che nel 1500 Erzincan era Persia, e fu l che Isml
mand ad arruolare i propri seguaci, cio dove gi avevano trovato seguaci suo padre e suo nonno (p. 141). Fu
precisamente la conquista della Persia e la conseguente proclamazione della Sha come sua religione di Stato
ci che rese insopportabile la presenza di Qizilbsh in Anatolia, ed ebbe come conseguenza la loro deportazione
nelle terre europee dellImpero Ottomano (pp. 141-142). Nel 1507 infatti Isml I penetr in terra ottomana,
probabilmente per mostrare la propria forza ai propri seguaci locali (p. 142).
Nel 1511, a seguito delle agitazioni di uno dei pretendenti alla successione di Bayazid -ci che fece
sospettare della morte di questultimo- scoppi nel Teke e in Anatolia una rivolta a sfondo sociale e su base
religiosa da parte dellestremismo shita, guidata da un certo Shhqul (p. 146) e certamente si tratt dei
Qizilbsh stanchi delle persecuzioni e del divieto di andarsene in Persia. I ribelli furono sconfitti nel Luglio del
1511 e fuggirono a Erzincan, che, come detto, a quel tempo faceva parte della Persia. Prima di ci tuttavia, lo
Stato stesso era stato messo in pericolo da un attacco di Shhqul a Bursa, lantica capitale, e non da escludere
che Shhqul, venerato alla pari di Isml come Profeta, Dio o Mahd, aspirasse al trono ottomano (pp. 147-155)
e che per tale motivo si fosse reso autonomo dallordine che faceva capo ad Isml (p. 156). Dopo la fuga degli
uomini di Shhqul scoppi la ribellione dei Qizilbsh nel Rm, che era al confine con la Persia dove perci i
legami con Isml erano stretti, i ribelli potevano sempre rifugiarsi, e di l organizzare incursioni di guerriglia (p.
156).
Nel frattempo questa situazione insurrezionale si era andata intrecciando con le lotte di successione al
vecchio Bayazid, lotte che videro il figlio da lui prescelto, Ahmad, contrastato e messo in difficolt da un altro
figlio, Selm, poi vittorioso come Selm I; e che videro anche il figlio di Ahmad, Murd, nella mala parata,
tentare di assicurarsi almeno il controllo del Rm con lappoggio dei Qizilbsh. Dietro la minacciosa pressione
dei Giannizzeri, Bayazid abdic a favore di Selm I nellAprile del 1512; contemporaneamente Isml I
intervenne sugli eventi in Anatolia in sostegno di Murd e dei ribelli (pp. 157-159). Nonostante i consigli di
Murd, Ahmad non volle unirsi a loro e fu sconfitto, catturato e strangolato; stessa sorte tocc in seguito a
Qorqud, laltro fratello di Selm. Questi rimase dunque incontrastato sul trono: ed era un vecchio nemico di
Isml.
Inizi la persecuzione dei Qizilbsh, che appartenevano ai ceti bassi della popolazione rurale, gli
Etrk; non degli Shiti in generale, a meno che non praticassero la maledizione dei primi tre Califfi, in uso nella
Persia safavide. Cerano per nellImpero Ottomano anche i Bektsh, tenuti docchio come Shiti eretici
estremisti appartenenti ad un ordine come i Qizilbsh; perci, non appena dessero occasione di scandalo,
venivano anchessi perseguitati. Le rivolte in Anatolia proseguirono tuttavia per tutta la prima met del XVI
secolo, a dimostrazione di come avesse influito la presa di potere safavide in Persia sul malcontento delle
popolazioni socialmente sfavorite allinterno della Turchia ottomana. Tutti attendevano il Mahd, e il centro delle
rivolte restava lAnatolia centrale, anche se, dopo la battaglia di Chldirn e la disastrosa sconfitta di Isml I,
essa non costituiva pi il confine con la Persia.
Il testo della Sohrweide prosegue a lungo elencando tutte le rivolte che si susseguirono nei decenni
successivi, ma credo che il quadro della conflittualit sia ormai chiara nella sua valenza religiosa e sociale, che
prosegue lungo la frattura gi esistente al tempo delle invasioni mongole e risalente allepoca selgiukide: da un
lato una borghesia cittadina e uno Sato arroccato ideologicamente su una ortodossia (lo sar presto anche
quello Safavide) dallaltro i ceti umili, soprattutto rurali, portatori di una Sha estremista che attende il Mahd
che dovr colmare il mondo di giustizia. Che questi ceti umili fossero prevalentemente turcomanni e che essi
fossero portatori di tradizioni non islamiche mi sembra un fattore sempre meno determinante con il passare dei
secoli: il ribellismo sociale allinsegna religiosa del Messianismo e dellApocalitticismo trova il suo posto in
ogni religione testamentaria; nellIslam ne ha sempre avuto uno eminente per ragioni che gli sono congenite.
Sorvolando perci sui dettagli, mi limito a ricordare, tra le tante rivolte che si succedono, quella del
Qaraman del 1527 quella di un qalandar che si proclamava discendente di Hj Bektsh, il fondatore dellordine
dei Bektsh; anche questa nacque tra gli abitanti dei villaggi, tuttavia non sembra trattarsi di una rivolta
Bektsh, quanto, piuttosto, Qizilbsh e di antinomisti ultra-alid in generale. Le rivolte continuarono numerose,
anche, limitatamente, come eventi locali.
Ancora nella seconda met del XVI secolo continuarono le rivolte; naturalmente lortodossia accusava
i ribelli per le loro pratiche non islamiche, per la presenza di donne nelle cerimonie serali dei Bektsh che
originavano leterna accusa (lo abbiamo visto anche per le eresie cristiane ed ebraiche) di orge a luci spente,
cerimonie che erano comuni anche ai Qizilbsh (pp. 189-190). Le rivolte erano appoggiate dai Qizilbsh persiani
e qualche legame doveva esserci, come anche vie segrete verso la Persia e possibili attivit di spionaggio;
daltronde i Qizilbsh ricevevano dalla Persia i segni delliniziazione, abito e berretto. Nel dominio ottomano
questi eretici incontravano facilmente la pena di morte, perci molti Qizilbsh presero labitudine di
nascondersi in altri ordini, come, ad esempio, i Khalvatya, nei momenti di maggior pericolo.

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Concludendo la ricerca, Hanna Sohrweide riassume i termini della questione ripercorrendo le tappe
dellevoluzione dei Safavidi che, da ortodossi Sunniti, evolvono verso lantinomismo con Junayd e Haydar e col
figlio di questultimo, Isml, che simpadron della Persia. La presenza storica dei Qizilbsh nellAnatolia ex-
persiana, poi ottomana, fece s che essi, con le loro istanze rivoluzionarie e i legami con i Safavidi, fossero
avvertiti come pericolosi avversari dello Stato ottomano e che fossero per conseguenza perseguitati come tali.
Non si tratt, ribadisce, di una persecuzione anti-shita da parte di uno Stato tradizionalmente campione del
Sunnismo. Persino al tempo di Selm I, tra i Bektsh, che erano shiti, si sussurrava che il Sultano fosse
membro dellordine (p. 200): e, se era comunque ovvio che nello Stato ottomano ci fosse diffidenza verso gli
Shiti, stante laffermazione della Sha come religione di Stato in Persia, non scontato che gli Shiti
approvassero la figura di Isml. Tuttavia la rivalit territoriale unita alla differenza religiosa cre la lunga
ostilit tra Safavidi e Ottomani.

A conclusione di questa lunga e dettagliata ricerca possiamo dunque sottolineare un aspetto che non
va sottovalutato quando si esaminano questi fenomeni: non sono principalmente le differenze religiose a
determinare le rivalit politiche; sono piuttosto queste ultime e i problemi geopolitici, a strumentalizzare le
differenze religiose, che possono costituire un ottimo cemento ideologico. Ancor pi interessante per, ai fini di
questa ricerca, la messa a fuoco del problema sociale nelle differenze religiose. Abbiamo visto infatti che,
come nella Persia selgiukide, lkhnide e post-lkhnide, tmride e post-tmride, anche nel mondo ottomano le
tendenze mahdste e il Messianismo sono messi in moto dalle condizioni dei ceti rurali e del sottoproletariato in
generale, o anche dellartigianato urbano, contro la normativa sharaitica dei ceti urbani in generale e dei ceti
dominanti: una vicenda che vedremo ancora una volta nel lungo processo di normalizzazione duodecimana della
Persia.
Tutto ci conduce ad alcune riflessioni. La pi ovvia che lIslam non quel monolito che tanto
pressappochismo disinformato dellOccidente ha sovente rappresentato. Una seconda constatazione che la linea
di frattura tende ad articolarsi attorno alle speranze disattese di una religione e di una cultura nate sul
Messianismo e sullattesa di un mondo di giustizia che questo mondo non pu che deludere. La terza
considerazione che questo fenomeno stato pi evidente nellIslam per la cultura stessa nella quale ebbe
origine, ma ha le sue analogie con la normalizzazione del Messaggio in occidente, dove limpresa fu pi facile
per la presenza di un Impero, quello romano, e di una incontrastata (a livello colto) cultura del Razionalismo
classico. Fu essa che forn il primo e definitivo quadro di riferimento al Cristianesimo: e tuttavia abbiamo visto
quanto a lungo e per quante e quali vie lo Erlebnis suscit ipotesi alternative, sinch con la secolarizzazione,
frutto tardivo delliniziale matrimonio di convenienza -un po forzato- del Messaggio con il Razionalismo
classico, tutto emigr nel pi facilmente leggibile contrasto ideologico-politico, lasciando allarte, e anche per
poco tempo, la mera rappresentazione di mondi alternativi ubicati in qualche non-luogo.
Se noi perdiamo di vista questi processi e restiamo preda del nostro retroterra culturale -cio
dellovvio quotidiano- dimenticando di decostruirne la genesi (lovvio , per definizione, il non-discusso)
seguiteremo a non capire la logica di percorsi altri. Soprattutto, seguiteremo a non scorgere percorsi della
storia, dei quali la nostra storia non che un segmento. Seguiteremo a guardare lalbero e a non vedere il bosco.

Superata questa digressione ottomana che servir pi tardi per inquadrare altri e pi recenti fenomeni,
giunto il momento di interessarci dellavventura safavide in Persia, perch da l nasce la storia che conduce la
Sha duodecimana a divenire realmente una seconda retta opinione; realmente perch, se anche essa si era
gi dottrinalmente gi definita, restava comunque unopinione non di molti; e per divenire la seconda retta
opinione (che significa opinione dominante) mancava ancora di un supporto istituzionale che la rendesse
vincente. Vedremo anche cos come essa dovette subire nuove fratture dottrinali, questa volta eresie a pieno
titolo visto che essa era divenuta a pieno titolo ortodossia; e come queste fratture ricalcassero vecchie fratture,
dal ghuluww allIsmailismo alle tante emergenze post-ismailite che abbiamo visto, e che abbiamo visto anche
nel veicolo delle confraternite, nelle quali costituiscono ancor oggi opinioni diverse che mantengono viva
lalternativa a quella normalizzazione che in occidente ha il volto della razionalizzazione, mentre nellIslam ha
il volto della sunnizzazione: in entrambi i casi si tratta di un irrigidimento normativo che ha radici nella
modernit trionfante col post-illuminismo.
Iniziamo con i due articoli di R.M. Savory, The Consolidation of Safavid Power in Persia, Der Islam,
41,1, 1965; e Some Reflections on Totalitarian Tendencies in the Safavid State, Der Islam, 53,2, 1976. Questo
secondo articolo, a prescindere dai contenuti posti in evidenza nel titolo, offre anche alcune riflessioni sul
processo evolutivo dellordine safavide a partire dal fondatore Saf ad-Dn, del quale s gi detto e del quale
Savory ricorda limportanza per lo sviluppo dellordine stesso sino a farne unentit religiosa capace di
estendersi alla Siria e allAnatolia, grazie a una vasta opera di conversione allinterno delle trib turcomanne. Gli
succedette, dal 1334 sino al 1392, Sadr ad-Dn Ms, che dovette affrontare i torbidi del periodo post-lkhnide
e poi Khwja Al sino al 1427 (o 1429) anno di ascesa del figlio Ibrhm, definito crudele governatore di
Ardabl (cfr. H.R. Roemer, The Safavid Period, C.H.I., 6, cit., p. 200; al quale far riferimento insieme a R.
Matthee, voce Safavid Dynasty in www.iranicaonnline,org/articles/safavids, last updated July 28, 2008, che
importante per la vasta bibliografia sullargomento, per altre notizie afferenti alle righe che seguono). Non
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chiaro se a Khwja Al, o persino a Sadr ad-Dn risalgano le prime tendenze shite dellordine; sembra sia stato
Sadr ad-Dn ad invocare la discendenza alde (Roemer, cit., p.199 in n. 4; Savory, Some Reflections, etc. cit., p.
229; Khwja Al, come anche Haydar, sostennero di aver visto Al nel sogno: Roemer, p 197). Khwja Al
operava miracoli che impressionarono anche Tmr inducendolo, a quel che si dice, a liberare ben 30.000
prigionieri catturati in Anatolia (ivi, p. 205).
Tuttavia lattivit rivoluzionaria dei Safavidi inizia con Junayd che per primo aspir al ruolo di
sovrano della Persia, oltrech al controllo di tutta la confraternita, dallAnatolia allArmenia, alla Siria,
attraverso una gerarchia accentrata nella figura del Khalfat al-Khulaf, posta alle sue immediate dipendenze
(Some Reflections, etc., cit., p. 227).
Bench la vicenda della penetrazione progressiva della Sha nellordine sia ancora una pagina non
chiarita, resta il fatto che i Safavidi si dichiararono rappresentanti dellImm nascosto sotto il titolo di wl Allh,
veri e propri rappresentanti di Dio, e gi Junayd era chiamato Dio dai suoi seguaci; si deve anche notare che la
rappresentanza dellImm nascosto indica un riferimento originario alla Sha duodecimana, che fu quella poi
proclamata da Isml (ivi, pp. 230-231). Questultimo punto mi sembra rilevante non soltanto per i successivi
sviluppi, ma anche per sottolineare ancora una volta la permanenza, allinterno della stessa Sha duodecimana,
della possibilit di sviluppi passibili di essere da un lato proclamati come ideologia rivoluzionaria, dallaltro
condannati come ereticali, in funzione di scelte che vedono la religione usata dalla politica. Su entrambi i fronti
il problema dellImm/Mahd, connaturato alla Sha, resta quindi un fuoco che cova sempre sotto la brace,
pronto a ravvivare lincendio messianico che nellorigine stessa dellIslam.
Tornando alla divinit dei Safavidi, certo che essa fosse un punto fermo, perch non soltanto,
dopo Junayd, essa fu apertamente proclamata per Haydar dai suoi fedeli, ma se la attribu apertamente e
inequivocabilmente Isml nelle proprie poesie (ivi, pp. 231-232); e questa eresia, nota Savory, rimase quella
dei ghult Ahl-i Haqq (p. 232).
Nella lettura di Savory -i cui riferimenti alla rivoluzione bolscevica possono essere tranquillamente
ignorati, perch relativi ad una polemica al tempo contingente, e perci ormai datata- Isml assunse il ruolo
necessario di guida carismatica, in grado di mobilitare fedeli pronti a seguirlo ciecamente. Questo da tener
presente quando si considera che, alla morte in battaglia del fratello maggiore Al, nel 1494, egli aveva soltanto
7 anni; 12 ne aveva quando si assunse il compito di trarre le conclusioni della lunga lotta di potere in Persia il cui
fondamento dinastico (sulla discendenza da Uzun Hasan, cfr. supra) non va dimenticato; 14 quando fu
incoronato Shh a Tabrz, nel 1501. Ci significa che attorno a lui, a proteggerlo e a guidare la lotta dei devoti,
cera un gruppo di uomini ciecamente votati alla causa: in altre parole, quella safavide fu una vera ideologia
rivoluzionaria che condusse poi allinevitabile conseguenza affrontata da Isml: inquadrare questa rivoluzione
in un nuovo ordine di potere. Questa operazione fu di lunghissima durata ed ebbe alterni esiti, concludendosi
soltanto allinizio del XVII secolo con Abbs I.
Lincursione di Isml I in Anatolia ebbe come obbiettivo precisamente il riassorbimento della
violenza rivoluzionaria dei Sf, che era divenuta persino imbarazzante, e ancor pi lo divenne quando, dopo la
decisiva sconfitta di Chldirn, lAnatolia non fu pi accessibile (Some Reflections, etc., cit., p. 236).
Per comprendere le difficolt e le contorsioni di questa politica, basti pensare che quando nel 1501 la
Sha duodecimana fu dichiarata religione di Stato a Tabrz, due terzi degli abitanti erano sunniti e le armi dei
Qizilbsh -cio, per un Musulmano, degli eretici- furono necessarie per fronteggiare la folla (p. 237): ci che, mi
sia consentito notare, sottolinea come sempre lambiguit cui resta soggetta una fede che attende un Imm
occultato il cui ritorno ha una data imperscrutabile : ci pu sempre esser qualcuno che si dichiara lImm atteso.
Con la disastrosa sconfitta di Chldirn, che fece venir meno la fede nella figura divina di Isml, inizi poi
unaltra fase, quella apertamente politica della costruzione di una burocrazia in grado di gestire uno Stato
ordinato nella lealt a una dinastia.
In questa costruzione, il contenimento e il depotenziamento dei Qizilbsh era dobbligo. H.R. Roemer,
Die turkmenischen Qzlb Grnder und Opfer der safavidischen Theokratie, Z.D.M.G., 135,2, 1985, nel
tracciarne lorigine prevalentemente ma non esclusivamente turcomanna (ve ne erano di Persiani e di Curdi) ne
sottolinea due fondamentali elementi dottrinali, la metensomatosi (tanasukh) e la manifestazione di Dio in forma
umana (taall); inoltre ne rileva una serie di credenze non islamiche (che peraltro sembrano presenti
nellIslam popolare, nel mondo arabo pre-islamico e nelle sue credenze magiche -si vedano i testi di Fahad e
Wellhausen citt. in Bibl. a p. 756 e 780; nonch il classico di J. von Hammer-Purgstall, Die Geisterlehere der
Muslimen, Wien, Kaiserlich-Kniglichen Hof- und Staatsdruckerei, 1852, infine tutta la tradizione del ghuluww-
ci che rende non necessarie le sempre invocate antecedenze turche) come la divinazione (tanto criticata dal
Profeta, dunque tanto presente da sempre) linterpretazione dei sogni e la capacit di operare miracoli. Ma questo
dipende dallabitudine di considerare una religione in base alla sua dottrina ufficiale, dimenticando la
religione vernacolare, quella cio realmente praticata dai popoli: se n parlato pi volte in questo testo.
Questo dei Qizilbsh fu certamente un problema quando si tratt di fondare uno Stato sul quale, in
tema di diritto, Isml si guard bene dal dimenticare la propria discendenza da Uzun Hasan (p. 237) cio il
fondamento dinastico rispetto al quale il suo ruolo divino di Maestro di un ordine sf rappresentava un
imbarazzante dualismo destinato a coinvolgere anche i suoi successori, anche perch il discredito per la sconfitta
di Chldirn port al distacco di parte della confraternita e a una serie di conflitti tra i Qizilbsh e la dinastia
1222
Safavide al tempo dei successori di Isml, sino alla finale repressione di Abbs I e alla loro emarginazione,
operata anche grazie alla progressiva ascesa del clero shita duodecimano ortodosso. Alla fine i Qizilbsh si
trovarono impiegati in umili servizi dello Stato, come scopini e portieri di Palazzo e carcerieri (cfr. R.M. Savory,
The Office of Khalift al Khulaf under the Safavids, J.A.O.S., 85, 1965, p. 501). Tra i motivi segnalati da
Savory, che contribuirono al loro declino, vi era non soltanto il fatto che, cessata la guerra di conquista, essi
erano sempre meno utili e peraltro ormai pericolosi, ma anche il loro rifiuto ad integrarsi con lordine della rinata
burocrazia persiana e le loro continue agitazioni.

Ritengo infine utile analizzare, sui Qizilbsh, un articolo di Irne Mlikoff (alla quale ha attinto
ampiamente Roemer) perch con esso si apre uno spiraglio sulle eresie shite destinate a giungere ai nostri
giorni, ma che hanno radici nei secoli turbolenti che ho sommariamente descritto. Si tratta di Le problme
Kizilba, pubblicato su Turcica, 6, 1975 e raccolto in: I. Mlikoff, Sur les traces du Soufisme turc. Recherches
sur lIslam populaire en Anatolie, Analecta Isisiana III, Istanbul, Isis, 1992. La vicenda infatti, non investe
soltanto i Qizilbsh o le loro connessioni e differenze con i Bektsh, ma anche il problema degli Alev, degli
Ahl-i Haqq (e, con loro, degli Yezdi) degli Al Ilah, dei Grn, e, bench non nominati nellarticolo, di altri
gruppi le cui dottrine e parentele ruotano attorno al medesimo modello, e la cui differenziazione onomastica
essenzialmente legata a un qualche particolarismo geografico (Shabak, Yresn, etc.).
Il fenomeno generale, dice la Mlikoff, quello degli Alev, setta eterodossa cos distinta in Turchia
perch la sua denominazione originaria, Qizilbsh, che designava gli eretici ribelli, era divenuta un termine
dispregiativo; un dispregiativo che per ora investe il termine Alev, identificato con Curdo (p. 29). Le loro
credenze fondamentali sono quelle citate pi volte (tanasukh e taall) e la Mlikoff, con le sue indagini sul
campo in Azerbaijn, convinta trattarsi di religiosit turcomanna sufizzata e shitizzata; di un islamismo
elementare segnato dalla devozione a Al e ai martire di Karbal (p. 31). I Bektsh, al contrario, bench
portatori di una devozione popolare e non ortodossamente sunnita, non avevano inizialmente questi caratteri, che
assunsero soltanto successivamente (p. 30). Lo stesso Hj Bektsh (che peraltro fu discepolo di Bb Ishq) era
in ottimi rapporti con Rm (p. 32). Quanto allordine, esso era legato ai primi sultani ottomani, tanto che da esso
erano tratti i Giannizzeri (ivi). Secondo la Mlikoff, le ricerche sul campo mostrerebbero qualche attrito tra
Alev e Bektsh, non attribuibile, come altri ritengono, allestrazione sociale (ivi; gli Aleviti sono
notoriamente presenti nellambiente rurale, dal quale provengono). La successiva evoluzione dottrinale dei
Bektsh (che, ricordo, li fa considerare oggi simili agli Aleviti) fu dovuta, sempre secondo la Mlikoff, alle
infiltrazioni dei Qizilbsh (p. 33). Bench gli Aleviti si richiamino anchessi ad Hj Bektsh, essi, a differenza
dei Bektsh, non lo considerano reincarnazione di Al, tanto che in antico il Dede degli Alev doveva
discendere da una catena risalente ad Al, mentre il elebi dei Bektsh discende da una catena che risale ad
Hj Bektsh. In sostanza si tratta, secondo la Mlikoff (p. 33) di un Islam non-conformista con elementi shiti;
nella regione di Tabrz questi settari sono conosciuti col nome di Gurn.
Tutte queste sette, secondo la Mlikoff, andrebbero raggruppate sotto il nome generico di Al Ilah (a
prescindere dai diversi ruoli che pu avervi Al) o anche Ahl-i Haqq (nome che, peraltro, altri autori danno ad
una setta curda). Come si vede, lincertezza grande, la sintesi della Mlikoff non detto che migliori la
chiarezza delle idee, largomento dovremo riprenderlo pi ampiamente a suo tempo, e forse pi semplice
pensare in modo generico a diffuse varianti di un medesimo tema, tanto pi che, per la specificit degli Ahl-i
Haqq, occorre tener presente il loro rapporto con unaltra setta, quella degli Yezdi, della cui islamicit si anche
dubitato, ma che forse, per la Mlikoff, potrebbe esser posta anchessa in rapporto con i Qizilbsh (p. 36).
Presso gli Ahl-i Haqq sopravvive tuttavia la tradizione safavide di Isml che si autoproclam Al
(ivi) ed essi sembrano apparentati con i Cehelten (i Quaranta) setta dellAzerbaijn iraniano che ha un fondo
religioso comune con gli Alev di Turchia (p. 37). Sotto il titolo: Au Banquet des Quarante, Analecta Isisiana L,
Istanbul, Isis, 2000, sono stati raccolti molti altri saggi della Mlikoff su Bektshismo e Alevismo che
esamineremo a tempo debito. In uno di essi, Le problme Bektai-Alevi: quelques dernires considrations,
riprodotto da Turcica, 31, 1999, la Mlikoff si ricreduta su questo legame tra i Cehelten e gli Ahl-i Haqq, e non
c da stupirsi : siamo in presenza non soltanto delle tante varianti che assume di solito la religiosit popolare
attorno ad un medesimo tema, siamo anche in presenza di indagini sul campo condotte in base alle testimonianze
di oggi, legate a situazioni evolutive attuali sovente prive di una memoria storica delle origini. Gli incesti
allinterno del vasto gruppo parentale delle eresie shite, tutte con un DNA simile, rendono difficile e ipotetica
la ricostruzione genealogica. Su questa fenomenologia sar comunque opportuno tornare verso la fine della
nostra indagine.
Un ultimo particolare che mi sembra tuttavia interessante segnalare, dallarticolo citato, riguarda il
presunto culto di Shaytn (Ibls, Satana) da parte degli Ahl-i Haqq: perch Ibls che rifiut di inchinarsi dinnanzi
ad Adamo, ritenuto un campione dellamore di Dio, al quale soltanto dovuta la devozione (Le problme
Kizilba, cit., p. 39): un tema antico, che risale ad al-Hallj! e poich Shaytn, presso gli Yezdi, Malek Tws
(il Re Pavone) e gli Yezdi onorano Malek Tws, ci rafforza la parentela tra le due sette, ma anche lorigine
islamica degli Yezdi nellambito delle eresie che stiamo esaminando, unipotesi che in passato stata sovente
revocata in dubbio attraverso altre ipotesi, molto pi complicate e di dubbia verificabilit.

1223
Di tutto ci, come appena detto, sar detto di pi in seguito; questo anticipo aveva soltanto uno scopo,
mostrare lantichit e la tenacia della pluralit di letture della Sha, a testimonianza di un polimorfismo che,
come accade anche per altre religioni, viene relegato nella eresia dalla ortodossia vittoriosa; a testimonianza
anche, che la religiosit realmente professata non , sempre e ovunque, quella della normativa clericale.

Dopo questa digressione sui Bektsh/Alev -che con i Safavidi hanno molto a che vedere- tuttavia
necessario tornare alla vicenda principale, quale si configurava al passaggio tra il XV e il XVI secolo, con
larticolo sinora soltanto citato di Savory (The Consolidation, etc.). Shh Isml, lo si ricorder, era non soltanto
un discendente di Uzun Hasan tramite sua madre che era la figlia di lui andata in sposa al padre Haydar (cfr. I.
Mlikoff, The Worship of Shah Ismail in Turkey in Past and Present Time, Au Banquet, etc. cit., p. 52) ma
anche il pi giovane dei tre figli di Haydar, e i suoi fratelli erano stati uccisi ai tempi del regno di Yaqb Bey,
figlio di Uzun Hasan; Yaqb aveva anche cacciato i Safavidi da Ardabl: era perci quantomeno ovvio che
Isml recedesse dalla tradizionale amicizia con gli Aq Quynl. La guerra fu feroce (conobbe episodi di
cannibalismo da parte dei Qizilbsh) e, a prescindere dalla data ufficiale del 1501 (incoronazione a Tabrz) si
concluse nel 1506 con la conquista di tutta la Persia centrale (Savory, p. 75). Segu lespansione verso il
Khursn, lAfghanistn e lIraq, che giunse ai suoi massimi alla fine del 1510; sul fronte orientale tuttavia, lo
scontro con gli Uzbeki non termin, e conobbe fasi alterne non senza sonore sconfitte dei Safavidi.
Il vero punto di svolta che sanc il definitivo assetto territoriale, con il ridimensionamento del
territorio Safavide, avvenne con la campagna contro gli Ottomani. Come gi detto, Isml aveva appoggiato
Ahmad nella lotta per la successione a Bayazid II; ovvio quindi che non riconoscesse Selm I come nuovo
sultano, e che desse rifugio a Murd nel 1512.
I motivi del conflitto tra Safavidi e Ottomani erano per pi profondi: A.K.S. Lambton, Quis custodiet
custodes. Some Reflections on the Persian Theory of Government, S.I., 5-6, 1956, S.I., 6, p. 126, aveva avanzato
lipotesi, che Savory, cit., p. 84, non esclude, che la proclamazione della Sha da parte di Isml fosse dovuta,
almeno in parte, allesigenza di differenziare il proprio nuovo Stato, la Persia, da quello ottomano. Per il resto
infatti, Ottomani e Safavidi erano entrambi giunti al potere con il supporto dei guerrieri rivoluzionari sf;
Isml non era persiano, ma turcomanno, ed era venerato in Anatolia dove aveva numerosi seguaci. Si potrebbe
sottolineare ancora il parallelismo, notando che, come gli Ottomani raggiunsero la normalizzazione necessaria
alla governabilit tornando gradualmente allortodossia sunnita, altrettanto avrebbero fatto col tempo i Safavidi,
fondando la governabilit sullaltra ortodossia non ancora insediata in un apparato statale, la Sha
duodecimana. Insisto su questo inquadramento storico, della seconda ortodossia come della prima, per
sottolineare ancora una volta la storicit (quindi la non indipendenza dalla politica) dei processi che conducono
allaffermarsi di una scelta religiosa -una delle tante presenti- sulle altre, sotto letichetta di ortodossia.
Tornando agli eventi del conflitto turco-persiano, evidente dunque che la Persia safavide costituiva
un pericolo per gli Ottomani, con lAnatolia come possibile luogo di ulteriore espansione per lo Stato persiano, a
causa della comune origine dei due Stati e della presenza naturale di supporters della Persia in Turchia: se si
riflette, siamo in presenza dellultimo atto di quel plurisecolare periodo di lotte tra trib di origine turcomanna
che segue linvasione mongola e la fine del califfato abbside tutelato dai Selgiukidi; ora per gli oscillanti
confini dei territori tribali hanno ceduto il campo ai confini tra due Stati che attendono ora di essere definiti.
Come nota H.R. Roemer, The Safavid Period, C.H.I., 6, cit., p. 228, nonostante la conquista del Khursn, prima
di Chldirn non era chiaro se lo Stato di Isml si sarebbe sviluppato in uno Stato iraniano con un presidio
turco ad ovest, o in uno Stato turco con un perimetro iraniano ad est. La sconfitta, almeno in un primo momento,
non dette una risposta definitiva, perch Isml continu a considerare Tabrz la propria capitale; ma la sua
irreversibilit spost lobbiettivo della politica persiana verso est. Al riguardo interessante notare come,
precisamente ad est, restasse viva la contesa di Isml con Selm, precisamente su quel loro confine che
interessava la Georgia, regione della quale si contesero il predominio direttamente e indirettamente, tramite i
signorotti locali: cfr. J.L. Bacqu-Grammont, tudes turco-safavides V; id. VI; id: VIII, in J.L. Bacqut-
Grammont et C. Adle, Les Ottomans, les Safavides et la Gorgie, Analecta Isisiana I, Istanbul, Isis, 1991.
Selm I si trovava a dover mettere fine ad una tradizionale attivit sovversiva delle confraternite
portatrici delleterodossia shita, perennemente in rivolta e ora autentico pericolo per il supporto che fornivano
al vicino Stato rivoluzionario dei Safavidi, i quali, per converso, vedevano nella situazione lopportunit per una
ulteriore espansione. I due eserciti si incontrarono a Chldirn nel 1514; la tattica di Isml fu la peggiore
possibile, nonostante i consigli ricevuti; la modernit dellesercito di Selm, equipaggiato con archibugi e fucili,
altrettanto decisiva. La disfatta persiana fu catastrofica, lAnatolia fu perduta, i confini arretrati; per qualche
anno fu persa anche Tabrz. La certezza della divinit di Isml (come Dio era infatti venerato dai suoi
seguaci) fu scossa; il suo stesso carattere cambi, si rinchiuse in se stesso e non guid pi lesercito, le cui
sconfitte contro Bbur portarono alla perdita di parte dellAfghanistn; sugli ultimi anni di Isml cfr. anche
Roemer, cit., pp. 225-227. Il suo successore Tahmsp I, salito al trono nel 1524 a soli 10 anni, si trov a dover
riorganizzare uno Stato in completa anarchia, dove gruppi avversi di Qizilbsh si combattevano tra loro (Savory,
p. 91 sgg).
giunto quindi il momento di affrontare gli eventi interni allo Stato safavide, perch la definitiva
affermazione della seconda ortodossia frutto di una storia al tempo stesso religiosa e politica. La storia della
1224
Sha sotto i Safavidi la storia di un incontro/scontro nella quale i due poteri, politico e religioso, si
condizionano reciprocamente. Al termine, il potere religioso riusc a guadagnarsi una propria condizionante
autonomia; e tuttavia fu il potere politico a creargli lo spazio sufficiente per costituirsi quale ortodossia
alternativa entro un paese inizialmente a maggioranza sunnita: prima della creazione di questo spazio politico
infatti, la Sha duodecimana non costituiva che una rispettabile scelta minoritaria, soggetta a innumerevoli
alternative estremiste. Dopo, viceversa, essa pot costituirsi in vera e propria Chiesa nellambito dello spazio
iranico, divenendo lespressione religiosa e culturale di una parte non trascurabile del mondo islamico.
Affrontiamo per sommi capi la vicenda prendendo a guida il testo di Arjomand, The Shadow of God, etc., cit.
La proclamazione della Sha quale religione di Stato avvenuta a Tabrz nel 1501, dice Arjomand a p.
109; e lesigenza di metter fine alla fase rivoluzionaria e di procedere ad organizzare una struttura statale;
comport per Isml I lavvio di quattro diversi percorsi della propria politica: leliminazione dellestremismo
che lo aveva condotto al potere e del Sufismo popolare che percorreva la Persia, due compiti che furono condotti
a termine soltanto da Abbs I nel XVII secolo; la lotta al Sunnismo, dominante in Persia e che, ancora nel XVIII
secolo, costituir un terzo della popolazione, infine -e questo il tema che cinteressa seguire- la propagazione
della Sha.
difficile dire quale Sha avesse in mente Isml a quella data, anche se veniva proclamata la Sha
duodecimana. difficile dirlo perch, se sul piano dottrinale la Sha duodecimana era gi consolidata, la sua
realt istituzionale era tutta da costruire nella sua nuova veste politica, fatta di imprescindibili rapporti con il
potere politico statale che la aveva eletta a religione della Persia; rapporti destinati ad esplicarsi attraverso un
governo dei fedeli e la costituzione di un metodo giuridico (vedremo a suo tempo la disputa tra akhbr e usl).
Basti pensare che sino a quel momento, la Sha duodecimana era stata la religione di una minoranza per la quale
qualsiasi potere politico era comunque illegittimo in assenza dellImm, salvo la possibilit di collaborare con
i poteri esistenti da parte dei singoli notabili shiti.
Arjomand ha dedicato lunghe pagine al profondo contrasto che esisteva tra questo tradizionale
notabilato, elitariamente orientato in senso teosofico/gnostico, e la Chiesa (Arjomand usa il termine ierocrazia)
duodecimana che si andava costituendo come premessa necessaria ad affrontare il nuovo compito storico, creare
una struttura normativa in grado di operare come tale, ci che, nel caso della Sha duodecimana, significa
amministrare lattesa nella banalit del quotidiano. Prima di allora, la stessa interpretazione della Legge era un
rebus in assenza dellunica figura legittimato ad interpretarla, cio lImm, e la stessa preghiera del Venerd
perdeva legittimit in sua senza.
Infine, cosa non da poco, lo stesso occultamento di un Imm destinato a tornare come Mahd, poteva
essere fonte di derive estremiste, perch il Mahd era figura incombente nellattesa degli Shiti meno fortunati
a questo mondo; il Mahdismo costituiva perci una realt immanente alla Sha duodecimana e lo dimostr pi
volte nella storia della Persia: come nota Arjomand a p. 162 il dogma shita del ritorno dal Mahd resta
incurabilmente millenarista. Ci che chiamiamo oggi Sha duodecimana qualcosa di ben diverso di ci che
allora andava sotto questo nome, una realt che si costruita nei lunghi secoli di convivenza entro lo Stato
safavide, allinterno del quale costru il proprio spazio e il proprio ruolo; dunque una realt non paragonabile al
fluido stato che la contraddistingueva quando un discendente del 7 Imm venerato come Dio la elesse,
verosimilmente anche in funzione di confine con gli Ottomani, a futura religione di uno Stato a larga
maggioranza sunnita.
Sin dallinizio, il problema principale per Isml I fu dunque come tenere sotto controllo le forze
stesse che lo avevano portato al potere, forze eversive estranee ad ogni logica di gestione statale, per giunta
anche estranee, in quanto turcomanne, al paese e alla sua tradizionale classe dirigente di notabili. Laccesso della
burocrazia persiana a importanti cariche statali di controllo, non fu mai accettato dai Qizilbsh che se ne
sentivano estranei e rifiutarono di integrarsi (Savory, The Office, etc., cit., p. 498) tanto pi che il notabilato
persiano, religiosamente orientato in senso molto quietista e sovente cripto-sunnita, si arricch enormemente con
grande scandalo dei Turcomanni (Roemer, The Safavid Period, cit., pp. 230-231). Lostilit tra le due strutture di
potere, quella pre-statuale e quella dello Stato costituito, si riverber nellostilit tra le alte cariche -religiose,
politiche, militari- dellamministrazione, e nel bilanciamento, ovvero gerarchizzazione, che i Safavidi dovettero
continuamente operare tra di esse.
Il momento religioso, lho gi accennato, fu regolato attraverso la figura del Khilfat al-Khulaf, che
rispondeva direttamente allo Shh e al quale rispondevano i leaders locali dellOrdine; lobbiettivo di tale
controllo era di smorzare, e, in ogni caso, governare, il fenomeno del chiliasmo. Il processo fu di lungo periodo:
ancora alla met del XVI secolo il successore di Isml I, Tamhsp I, dovette stroncare leresia di Sf che
insistevano a proclamarlo Mahd, un ruolo dal quale ormai i Safavidi ormai rifuggivano, tendendo ad identificare
sempre pi il proprio potere con quello del Sovrano, secondo la tradizione iranica cesaropapista. La storia della
Sha duodecimana la storia di una Chiesa che, costituendosi tale, lotter per evitare tale esito.
Tamhsp I (1524-1576) aveva comunque le sue brave ragioni considerando che, salito al trono a soli
dieci anni, dovette sopportare nei successivi dieci anni (definiti come interregno Qizilbsh) devastanti lotte per
il potere tra le trib dei Qizilbsh, che giunsero a mettere in pericolo la sicurezza e lintegrit del Regno. Il suo
successore Isml II (1576-1577) famoso per la propria ferocia, frutto di unesistenza difficile, giunse a far
accecare il Khalfat al-Khulaf che, in conseguenza della politica degli Shh, ambiva al ruolo di unico referente
1225
dellOrdine. Il successo delloperazione dimostr che nel frattempo il potere dei Sf nello Stato si era
fortemente ridimensionato: non tanto per da prevenire un nuovo interregno Qizilbsh sotto il mite
Khudabandeh (1577-1587) poi spodestato da Abbs I che mise fine al potere dei Qizilbsh relegati a umili
impieghi di Palazzo.
Altre cariche direttamente rispondenti allo Shh, sia pure con diversa e altalenante importanza (che
poteva comportare la reciproca subordinazione) furono quella del Sadr, titolo che indica un generico ruolo di
comando; del Wzir, figura di capo dellamministrazione statale; e di amr al-umar, capo dellesercito (su
questi argomenti cfr. anche R.M. Savory, The Principal Offices of the Safavid State during the Reign of Isml I,
B.S.O.A.S., 42,1, 1960; e, dello stesso, The Principal Offices of the Safavid State during the Reign of Tamhsp I,
ivi, 43,1, 1961).
Il Sadr aveva incarichi amministrativi in campo religioso: controllava le fondazioni (awqf, pl. di
wqf) e la nomina dei qudt (pl. di qdi) locali, ma non i grandi luoghi di culto come Mashad o Ardabl, ognuno
dei quali aveva un amministratore nominato direttamente dallo Shh; n fu mai autorit religiosa. Le autorit
religiose locali erano gli Shuykh (pl. di Shaykh) al-Islm. La gerarchia militare faceva capo allamr al-umar,
ma cera unaltra figura di capo militare, minore ma indipendente, quella del Qrchbsh, il cui ruolo non
chiaro, forse capo della cavalleria turcomanna. Infine, vero e proprio alter ego dello Shh, cera il Wakl che
per, con il tempo, fin con lidentificarsi con il Wzir (entrambe le figure erano estratte dal notabilato persiano)
a testimoniare, gi nel tempo di Isml I, il progressivo dileguarsi dello Stato teocratico degli albori.
Ci che era andato crescendo di importanza era infatti il ruolo del Wzir nel suo ruolo di capo
dellamministrazione, della burocrazia; in questo senso egli era divenuto di fatto il Wakl, linterfaccia dello
Shh (Savory, 1960, p. 105). Il ruolo del Wzir crebbe ancora sotto Tamhsp I, salvo che nellinterregno
Qizilbsh, durante il quale vi furono due wukal (pl. di wakl) quello burocratico e quello militare, con il
secondo predominante sul primo, di fatto essendo lui soltanto linterfaccia dello Shh, sia pure con una perdita di
ruolo, come sta ad indicare lo sdoppiamento della waqlat, del ruolo di rappresentanza (Savory, 1961, p. 83).
Nel corso del regno di Khudabandeh, la progressiva introduzione e crescita dimportanza dei soldati georgiani
nellesercito, port ad una progressiva erosione del ruolo dei Qizilbsh che si erano resi responsabili di troppi
disordini; si preparava cos la loro definitiva sottomissione che avvenne con Abbs I (1587-1629).
Il regno di Tamhsp I vide anche una dura lotta religiosa contro il Sufismo, non soltanto estremista,
ma anche ortodosso e sunnita, come nel caso dei Naqshbandiyya; molti ordini scomparvero, ma il fenomeno
rimase comunque diffuso e radicato. Poich tra le vittime vi furono i Nrbakhsh, fa piacere apprendere che
Lhj, il discepolo di Nrbakhsh e grande teosofo, citato sopra per il suo illuminante commento al Golshn-e
Raz, riusc a salvarsi con una certa abilit (Arjomand, p. 115).
Quanto al Sunnismo, dominante al momento dellavvento dei Safavidi, esso fu eliminato con molta
gradualit, se non altro perch era largamente presente tra i notabili persiani. Si ricordi al riguardo quanto gi
segnalato pi volte sin dal tempo degli Abbsidi, cio che vera sempre stato, al livello del notabilato, un modus
vivendi tra Sunniti e Shiti, e si tenga presente il ruolo rapidamente assunto dai notabili in generale, nel dare
stabilit al Regno. Tra gli stessi notabili Shiti che assunsero altissime cariche, si segnalano cripto-sunniti
ancora al tempo di Tamhsp I (Arjomand, p. 120); e un brevissimo tentativo di restaurazione del Sunnismo ad
opera degli stessi Safavidi avvenne nel breve regno di Isml II (1576-1577). La persecuzione e il
ridimensionamento del Sunnismo fu essenzialmente opera di Abbs I; e al riguardo non si deve sottovalutare il
ruolo di confine identitario della Sha sul fronte Uzbeko: il Sunnismo era infatti diffuso nellIran orientale e l
esisteva, sin dai tempi di Isml I, una guerra di confine con gli Uzbeki, non diversamente da quanto accadeva
con gli Ottomani ad occidente. Il periodo di Abbs I fu comunque decisivo per laffermazione della Sha come
religione dominante, a un secolo dalla sua proclamazione a religione di Stato.
I notabili clericali che entrarono subito al servizio dellamministrazione safavide, appartenevano a due
distinti gruppi sociali: quelli appartenenti allestablishment sunnita, che entrarono in servizio come qudt e
amministratori dopo aver fatto professione formale di Shismo; e i dottori shiti. I due gruppi erano inizialmente
separati per origine geografica e per legami sociali, ma allinizio del XVII secolo si erano gi fusi tra loro. Nella
mani di questo notabilato era normalmente la carica di Sadr, che perse presto ogni valenza religiosa per divenire
ambita (e, se possibile, ereditaria) carica amministrativa dei lasciti (awqf) oltrech preposta alla nomina dei
qudt; laffermazione di questi notabili nei corpi amministrativi e giudiziari condusse alleliminazione o
allemigrazione e dei dissidenti dal regime, in particolare dei Sunniti (Arjomand, p. 127).
Completamente diversa dalla cultura del notabilato era quella degli ulam immiti; privi di legami
sociali e politici, senza esperienza amministrativa, avevano per secoli esercitato lattivit di consiglieri religiosi e
giuridici in forma del tutto privata tra le minoranze shite dellArabia, del Bahrain, della Siria e del Libano. I
loro interessi erano essenzialmente religiosi e fecero di loro lelemento culturalmente preponderante a causa di
questa loro specifica formazione (Arjomand, pp. 130-131). Sino allinizio del XVIII secolo, la stessa Isfhan
dovette la propria eccellenza, come centro di studi iraniano, alla vicinanza del Bahrain; non di deve dimenticare
infatti che la Sha era stata unemergenza araba, e che la Sha iraniana dei secolo XIII-XV era stata
contraddistinta essenzialmente da forme di Sufismo estremista e popolare; o dalla elevata speculazione teosofica,
anche ismailita, che abbiamo gi avuto modo di incontrare. Una Chiesa e una ierocrazia erano ancora da

1226
venire, e per farle maturare era necessario un sapere giuridico e teologico che doveva in qualche modo essere
importato. Su questo punto necessario aprire una riflessione.
A. Newman, The Myth of the Clerical Migration to Safawid Iran: Arab Shiite Opposition to Al al-
Karak and Safawid Shiism, Die Welt des Islams, 33, 1993, affronta limportante problema dei primi tentativi di
stabilimento dellortodossia duodecimana in Iran, sotto Isml I e Tamhsp I. Newman esordisce mettendo in
luce un tpos accettato pi o meno apertamente dai tradizionali studiosi della Sha iraniana: il fatto che la
proclamazione della Sha duodecimana come religione di Stato in Persia avesse attratto col i dottori shiti
arabi, ansiosi di contribuire allespansione della propria fede. Lo stesso Arjomand, il quale cita per dati statistici
(cfr. le tabelle 5,1-5,5 alle pp 126-132) sembra in qualche modo suffragare questa diffusa opinione.
In realt, nello Hijz, nel Bahrain, in Iraq, in Siria e in Libano, i dottori shiti furono molto scettici
sullimprovvisa conversione di Isml, ed ebbero molti dubbi su ci che egli realmente pensava in materia
religiosa, sulla sua stessa conoscenza della dottrina e sulla possibilit, per loro, di operare in una tale situazione e
con tali incognite; al riguardo verano dissensi sul modo in cui uno di loro, il libanese al-Karak ( 1534) si era
associato ai Safavidi. Tra i tanti dubbi derivanti dal fondamento eversivo/popolare eterodosso del qizilbashismo
safavide, e dalla ragione tutta politica dei conflitti con gli Ottomani e gli Uzbeki, cera anche (Newman, p. 75) il
fatto che il precettore religioso di Isml nellesilio dellinfanzia (al tempo delle sconfitte dei Safavidi contro gli
Aq Quynl) era stato Shamsoddn Lhj (quello del commento al Golshn-e Raz) cio un esponente di quel
pensiero teosofico respinto come eretico dagli ulam. Inoltre, nota Newman, il potere a Tabrz non era di certo
in mano ai duodecimani, perch tali non erano lamr al-umar, il qrchbash e il wzir.
Chi viceversa collaborava con i Safavidi, almeno dal 1503, era il citato al-Karak, che ne supportava
teologicamente lacceso anti-sunnismo e ne era ampiamente remunerato in danaro e propriet terriere. La critica
al suo operato era tuttavia aperta e diffusa tra gli Shiti fuori dallIran, anche perch egli si poneva come
esplicito rappresentante del modo dintendere la Sha da parte della Corte (p. 81). Un fattore importante di
dissenso era poi latteggiamento usl di al-Karak, e la sua tendenza a sostenere lautorit del faqh in assenza
dellImm.
Chi fossero gli Usl (sostenitori dellijtihd e dellapproccio razionale nel diritto) e chi gli Akhbr
(sostenitori di un diritto fondato sulle sole tradizioni, tradizionisti e tradizionalisti) lo vedremo poi, perch questo
un punto centrale del diritto shita che fu fondamentale per lo sviluppo di una Chiesa (o ierocrazia, come usa
dire Arjomand) col suo clero gerarchizzato. Per ora basti ricordare che, allepoca, lindirizzo prevalente nella
Sha duodecimana era lAkhbrismo, cio il tradizionalismo (cfr. H. Modarressi, Rationalism and
Traditionalism in Sh Jurisprudence: a Preliminary Survey, S.I., 59, 1984) e comprendere che la scelta usl
(cio razionalista) di al-Karak trovava un riscontro preciso nellesigenza di amministrare religiosamente uno
Stato (e infatti la ierocrazia vinse poi la partita per il potere in Persia nel XVIII secolo con la vittoria degli Usl)
esigenza per la cui realizzazione era indispensabile un esercizio razionale del diritto islamico (shita).
Altro elemento di attrito era la pratica safavide, convalidata e sostenuta da al-Karak, di introdurre
come atto rituale obbligatorio la maledizione dei primi tre Califfi, ci che comportava la persecuzione degli
Shiti da parte dei Sunniti nellHijz. Quanto allaccettazione dei lauti compensi dello Shh, al-Karak era sotto
accusa sul fondamento della nota querela circa la legittimit di qualsiasi governo in assenza dellImm; qui per
la cosa doveva essere pi controvertibile, trattandosi di stabilire se lo Shh fosse o meno un Sovrano giusto
ovvero un tiranno; e c da aggiungere che, nella polemica contro al-Karak e nella sua autodifesa, gli
argomenti usati erano riconducibili a posizioni rispettivamente tradizionaliste e razionaliste (pp. 82-87). Infine,
nella polemica non fu trascurabile lostilit degli Shiti iraqeni contro i Safavidi.
A p. 87 sgg., Newman mette in luce un altro aspetto della polemica tra al-Karak e il suo maggior
oppositore, Sulaymn al-Qatf nativo del Bahrain ma residente a Najaf che abbandon dopo la conquista
safavide della citt nel 1508, che la caratterizza come polemica tra Usl e Akhbr. Si tratt della polemica sulla
legittimit della preghiera del Venerd in assenza dellImm, che lUsl al-Karak riteneva valida purch fosse
presente un faqh come rappresentante (nib) dellImm occultato. Questo un tratto di grande interesse, perch
mette in luce il contrasto politico tra la Sha tradizionale minoritaria e appartata, e una Sha politicamente
nuova che si proponeva di organizzare e gestire la normalit in unarea statuale ormai a lei affidata.
Altre ancora e con molti altri oppositori furono le polemiche dalle quali si evince che la Sha
duodecimana non iranica, non amava confondersi con la politica safavide, quantomeno con Isml, il cui
comportamento personale era del tutto non-ortodosso, e al quale non sembrava interessare molto il versante
religioso degli eventi, considerati essenzialmente sotto il loro profilo politico. La proclamazione della divinit
di Tamhsp I non miglior certamente lo stato delle cose, perch i Safavidi, in funzione della discendenza alde
dal 7 Imm, tendevano a porsi come elemento centrale di una coesione shita in Persia: la fede era funzionale al
loro regno, che in quel momento era in pericolo per le turbolenze dei Qizilbsh nei primi anni del regno di
Tamhsp. La lotta del clero shita contro al-Karak continu, in special modo sulla liceit della preghiera del
Venerd. Al-Karak ne usc vittorioso; fu proclamato sigillo (khtam) dei mujtahidn e Imm dellepoca
(Imm al-zamm) e prese in mano la conduzione degli affari religiosi; ma ci che Newman vuol mettere in
evidenza che durante il regno di Isml I e i primi anni di Tamhsp I, nessuno dei funzionari della Corte era
religioso, e che lignoranza e il disinteresse in materia di fede erano generali. sicch tutto era demandato ad al-
Karak, perch la Corte non intendeva immischiarsi in questioni dottrinali (pp. 101-102).
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In sostanza, dice Newman, gli eventi mostrano sia il disinteresse della Corte per la Sha
duodecimana, sia la debolezza di al-Karak nei confronti del clero duodecimano, sia la sua dipendenza dal favore
della Corte (pp. 102-103) pur non essendo egli certamente il solo Shita arabo entrato al servizio dei Safavidi (p.
109). Per, conclude, per tutto il XVI secolo le critiche rimasero e furono forti da parte degli Shiti arabi,
religiosi e semplici credenti, contro lo stato delle cose in Persia. Quando poi, nel XVII secolo, la Corte e il nuovo
establishment divennero pi pienamente coinvolti con la politica religiosa, promuovendo centri di studio e la
creazione di una classe di esperti religiosi, attirando studiosi in Persia e promuovendo il persiano come lingua
delle opere dottrinali, allora il centro della Sha duodecimana si trasfer nella Persia safavide, ma con esso si
trasfer al suo interno la disputa religiosa e quella tra Chiesa e Stato: che ci che mi propongo di seguire.
Gli eventi sotto il regno di Tamhsp I sono ricordati anche da Arjomand alle pp. 132 sgg., il quale
tende a sottolineare una linea di frattura -politica, ben pi che religiosa- tutta interna alla Persia, quella tra il
notabilato clericale e i dottori religiosi provenienti dal mondo shita arabo, gli ulam; ostilit generalizzata che
coinvolse lo stesso al-Karak. La ierocrazia shita ebbe tuttavia lappoggio di Tamhsp, che non soltanto ne
assicur la sopravvivenza, ma le spian la strada verso il trionfo finale (p. 133). Al-Karak, ebbe il compito di
trasformare la Persia in un paese shita seguendo lesempio di al-Murtad che, nella favorevole situazione
creata dal protettorato Byide aveva incoraggiato una presenza politica ed etica, unapertura al mondo della
comunit duodecimana, sottraendola da quel ritiro dal mondo cui la condannavano i tradizionalisti (p. 134).
Fu Tamhsp a favorire la fusione di politica e religione con la nomina, che Arjomand ritiene
cruciale, di al-Karak a Mujtahid dellepoca, con ci assicurando una possibilit evolutiva alla
giurisprudenza, perch il mujtahid colui che pratica lijtihd, cio lo sforzo interpretativo razionale della
Legge; e considerare lesistenza di un mujtahid dellepoca significa ancorare lo sforzo alla contingenza, senza
riferimento ad autorit del passato: e questo rimasto un principio della scuola djafarita. In questo modo, nota
Arjomand a p. 140, ci si avvia alla costituzione di una ierocrazia con lemergere della figura del mujtahid
mutlaq, illimitato, esperto cio in tutti i rami della giurisprudenza, che si pone come riferimento e indirizzo.
Linteresse dei giuristi alla lotta contro le insorgenze mahdiste li port ad affrontare il problema della
vicarianza dellImm nel corso delloccultamento: il mujtahid divenne il nib, reggente dellImm, tanto che
alcuni degli attributi di questultimo furono trasferiti sul mujtahid nella figura del mujtahid masum, impeccabile;
e limpeccabilit era stata, per lappunto, una dote fondamentale dellImm (pp. 142-143). Si trattava, dice
Arjomand (p. 143) di risolvere la contraddizione generata, tra religione e governo, dalla dottrina
delloccultamento; e lordine normativo che governa tanto il dominio politico quanto quello ierocratico, giunse
soltanto quando entrambe le parti dovettero abbandonare i princpi anomali che avevano ereditato dai tempi
dellestremismo. Nulla meglio di questo passaggio pu illustrare per -questa la prospettiva che a me preme
mettere in evidenza- come una prassi religiosa (la si chiami ortodossia o ortopraxia, poco importa) sia una realt
che si forma progressivamente in rapporto alle contingenze politiche e sociali. Il rapporto di una religione con
una societ biunivoco: la religione forma la societ, ma ne anche formata.
Laspetto sociologico come linea guida della ricerca di Arjomand, si presenta ora nel trattare la
disputa tra Akhbr e Usl, che egli affronta come lotta tra il notabilato dei sdt (pl. di sayyid) e i giuristi (p.
144 sgg.). Vediamo innanzitutto quali fossero i fondamentali dei due orientamenti. Si pu iniziare dallarticolo di
Modarressi, cit., il quale ricorda che gli Imm, da viventi, avevano sempre spronato i propri seguaci a far uso
della ragione: e tuttavia molti di essi si erano limitati a trasmettere tradizioni evitando ogni dibattito teologico,
sicch i teologi preferiti dagli Imm si trovavano paradossalmente accusati da parte di questi tradizionisti, alcuni
dei quali fabbricarono tradizioni ad hoc, attribuendo agli Imm il proprio tradizionalismo. Essi arrivarono a
condannare ogni forma di ragionamento indipendente, il ray, astenendosi, sino al XII secolo, dallijtihd.
Di fatto lAkhbrismo, che coesisteva con lapproccio razionalista al tempo degli Imm, divenne
dominante dopo loccultamento e lo rimase in modo massiccio sino allopera di al-Mufd e al-Murtad, che
tentarono di rivitalizzare la scuola giuridica shita. Vien fatto di notare, al riguardo, che lorientamento akhbrita
sembra coincidere con i momenti di ripiegamento della Sha (ma anche con quelli dellaffermazione dottrinale
dei notabili, della quale s detto a proposito dellaffermarsi della dottrina delloccultamento e dellopera dei
suffar) mentre la ripresa di una giurisprudenza razionale coincide con laprirsi di nuove prospettive per la
comunit, che pongono lesigenza di una giurisprudenza adeguata al governo di una comunit in movimento.
Subito dopo per fu laffermarsi del Sufismo come tendenza dominante, a provocare un nuovo dominio del
tradizionalismo sino al XVI secolo, ci che fa constatare la curiosa, ma in s non contraddittoria convergenza,
delle tendenze del notabilato e dei ceti popolari e rurali.
In effetti, la tendenza razionalista come quella che consente lemergere di una gerarchia clericale
fondata sulla capacit di amministrare razionalmente il diritto, un tratto caratteristico, sul piano sociale, di una
societ dinamica e in espansione con sempre nuove esigenze; e, sul piano individuale, di coloro che intendono e
possono cogliere loccasione per mettersi al servizio di questa dinamica, ed emergere per capacit individuali:
ci che non riguarda i notabili, ma neppure i ceti emarginati della societ.
Se poi vogliamo interessarci delle specifiche differenze tra Akhbr e Usl sui singoli punti dottrinali,
possiamo rifarci allo studio di A. Newman, The Nature of the Akhbr/Usl Dispute in Late Safawid Iran,
B.S.O.A.S., 55, 1-2, 1992, nel quale viene edito, tradotto e commentato un testo di al-Samhij ( 1723)
intitolato Munyat al-mumrisn: si tratta di un confronto tra le tesi dei rispettivi dottori. Il testo assai utile
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perch elenca in 39 punti le differenze che corrono tra i tradizionalisti e i razionalisti, ad iniziare dal rifiuto
tradizionalista dellijtihd, dellevidenza razionale e della congettura. Poich per credo che il lettore abbia
ormai chiara la natura del dissenso, evito di insistere su tutti i 39 punti, per limitarmi a segnalare quelli nei quali
la differenza di atteggiamento verso i tempi della societ e la necessit di gestirli appaiono pi evidenti; nonch
quelli nei quali si segnala una vera e propria distanza culturale.
Ad esempio (punto 7) gli Usl non ignorano il cambiamento radicale intervenuto con loccultamento:
in assenza dellImm qualcuno dovr per pur interpretare la Legge. Per gli Akhbr sembra al contrario che
nulla sia accaduto, perch ci che vero per gli infallibili vero sempre, dunque le loro interpretazioni
tramandate varranno per tutti i tempi e le circostanze. Ci non significa che latteggiamento usl sia pi
liberale (termine assolutamente improprio, ma non ne trovo di migliori): esso soltanto funzionale
allesercizio della logica (ricordo al lettore quanto ho sempre sostenuto circa la razionalit giurisprudenziale
islamica) che costituisce, s, il fondamento per ladeguamento alla situazione, ma anche la palestra per far
eccellere una nuova ierocrazia. Lo mostra chiaramente il punto 10: tra le cose indispensabili al mujtahid usl c
la conoscenza della grammatica, dei verbi e del lessico arabo (larabo la lingua del Testo sacro, dunque quella
usata da Dio) ai fini di una comprensione rigorosamente autentica del Testo stesso, importanza ammessa anche
dagli Akhbr, ma non in forma cos ossessivamente rigorosa, minuziosa e tassativa come per gli Usl.
Ora, vorrei ricordare quanto scrivevo in generale a p. 707 nel capoverso che inizia con La cultura
tende dunque a parlare la lingua del potere: una pretesa simile (riguardante lebraico, il greco e il latino)
esistita anche in occidente, prima di Wyclif: e fu precisamente per laccusa di scarsa conoscenza dellarabo che il
Bb fu deriso e liquidato nel corso del processo intentatogli dallortodossia (Algar, cit. in Bibl. a p. 847, p. 138;
vedi un primo resoconto in Kazem Beg, Bab et les Babis, etc., cit. in Bibl. a p. 743, p. 34; le accuse di ignoranza
dellarabo sono riportate anche in Browne, Materials, etc., cit in Bibl. a p. 750, p. 245 sgg; in The Dawnbreakers
and Nabils Narrative on the Early Days of the Bahai Revelation, transl. and ed. by Shoghi Effendi, bahai-
library.com/books/dawnbreakers, p. 315 sgg; in Gobineau, cit in Bibl. a p. 758, p. 260 sgg.; in questi resoconti
mancano tuttavia riferimenti ai sarcasmi; per il resoconto dellinterrogatorio del Bb, cfr. D, MacEoin, The Trial
of the Bab: Shiite Ortodoxy Confronts its Mirror Image, www.h-net.org/~bahai/bhpapers/babtrial.htm).
Intendere un messaggio in modo diverso, essere portatori di altre ragioni, cozza sempre contro una filologia
sourcilleuse che intende soltanto spaccando in quattro il capello della letteralit, ma ignorando gli echi
generati dal senso nella contingenza esistenziale: pietrificazione della verit nelle fauci del Moloch.
Anche gli Akhbr amavano per le verit scolpite nella pietra, tant che (punto 12) contrariamente
agli Usl non accettavano tradizioni che si prestassero a possibile pluralit dinterpretazioni. Anche le evidenze
coraniche, se non filtrate dallesegesi incontrovertibile degli Imm, erano da loro rifiutate (punto 16) e, nel caso
fossero presenti tradizioni in contraddizione tra loro, non ammettevano la possibilit di preferirne una tra tutte
(punto 33).
Come nota Newman (p. 261) analizzando con attenzione il punto 31, la disputa reale avveniva tra i
tradizionalisti puri e un moderato razionalismo che, senza giungere agli estremi dei razionalisti puri,
ammetteva il giudizio sulla base di unanalisi razionale degli ahdth sani nel testo e nella trasmissione: come
si vede, una sorta dello usl al-fiqh sunnita.
Laffermarsi della ierocrazia, e perci degli usl, fu un fenomeno favorito dai Safavidi; con il loro
supporto poterono condurre la propria azione per una razionale amministrazione religiosa del Regno tanto al-
Karak quanto Shaykh Bah; una normalizzazione nella quale un ruolo importante ebbe la scelta razionale,
osteggiata dai tradizionalisti, di ristabilire lobbligo della preghiera del Venerd (Newman, cit., p. 259; ancora A.
Newman, Towards a Reconsideration of the Isfahn School of Philosophy. Shaykh Bah and the Role of the
Safawid ulam, S.Ir., 15, 1986, che espone la biografia e lopera di questo Shaykh al-Islm al servizio di
Tamhsp I e Abbs I) e laffermazione di un ruolo clericale come legittimo controllore e legislatore di tutti gli
obblighi religiosi.
Evidente appare qui ancora una volta lantitesi tra una antica Sha e una nuova Sha: la prima
articolata su una rinuncia alla compromissione mondana in assenza dellImm (ci che spiega come essa
articolasse le proprie possibili alternative tra il mahdismo dei ceti emarginati e lelitismo teosofico/gnostico del
notabilato); la seconda tesa alla creazione della normativa che consentisse la conduzione di una quotidianit
shita in uno Stato shita, dove qualcuno -e questo qualcuno fu la Chiesa shita nella sua espressione
collettiva- doveva pur prendere il posto dellImm, tenuto conto che lImm un dogma imprescindibile
dellImmismo.
Come nota lucidamente G. Scarcia, Intorno alla controversia tra Abr e Usl presso gli Immiti di
Persia, cit. in Bibl. a p. 851, p. 222 in nota, il problema del Sultano non si poneva per le piccole e defilate Chiese
immite prima dei Safavidi: il problema si pone con la nascita di una societ immita. Ci porr per conseguenza
quello del ruolo del clero e del fiqh, che conduce allaffermazione delluslismo. Per inciso, emerge ancora una
volta un punto imprescindibile della ricerca: la ortodossia duodecimana un prodotto di eventi storici, che
perci vanno delineati per capirne la sua genesi. Come dice ancora Scarcia (A proposito, etc., cit., p. 112) il
sistema immita non pu essere spiegato (soltanto, nota mia) con le sue premesse metafisiche, ma necessario
esaminarne la storia, che ne determina gli approdi. Che questo processo conduca ad una sunnizzazione della

1229
Sha non una mia opinione personale: Algar, Religion and State in Iran 1785-1906, cit. in Bibl. a p. 847, a p.
35 ricorda che i mujahidin verranno accusati di aderire a posizioni sunnite.
Lopera dello Stato safavide e del clero usl fu dunque la costruzione della vicarianza; la storia
successiva fu laffermazione del clero che si liber della protezione dello Stato; tuttavia, sinch lo Stato fu forte,
lindirizzo safavide fu il cesaropapismo.
Abbiamo detto della lotta al Mahdismo come imprescindibile premessa alla vita di uno Stato
consolidato, lotta nella quale i Safavidi si trovarono certamente in una posizione ambigua. Sappiamo infatti che
ancora nel XVII secolo, con qualche analogia alla vicenda di Sabzawr, essi mantenevano non soltanto a Isfahn
(divenuta capitale nel 1588, succedendo a Qazvin che era stata dal 1548 la capitale di Tamhsp, prudentemente
pi lontana di Tabrz dalla frontiera ottomana) ma anche a Bandar Abbs, i cavalli pronti per la parusia del
Mahd, e li facevano sfilare nelle cerimonie (Arjomand, p. 161). Unaltra lotta per era necessaria, anchessa
interna allo Shismo, per laffermazione di una ierocrazia: quella contro il notabilato, non soltanto
tradizionalista ma orientato verso gli esiti teosofico/gnostici della filosofia illuminativa o ishrq che ebbe
lustro come Scuola di Isfahn Questo notabilato descritto da Arjomand (p. 144) come simile ai mandarini
cinesi, e tuttavia, al contrario di quelli, costretto a competere con la ierocrazia; e per giunta lImperatore cinese
non doveva competere con la Profezia: descrizione sommaria ma che mette ben il luce la problematica (a mio
avviso, feconda) che ha sempre riguardato i popoli raggiunti dal messaggio testamentario.
La disputa tra Akhbr e Usl si connette dunque anche ad un contrasto sociale, perch tanto i notabili
avevano da temere la crescita di una ierocrazia, quanto avrebbe dovuto temerla la dinastia safavide; infatti
Abbs II (1642-1666) contrariamente ai suoi predecessori prefer valorizzare i tradizionalisti, certamente meno
pericolosi in prospettiva, meno problematici per la sua vita da gaudente, e pi interessanti per la sua predilezione
verso la cultura gnostica e alta. Certamente, da quel versante non venivano gli insopportabili moralismi di
Mull Qsim che, pur non osando mettere in dubbio la sua legittimit a governare, lo attacc per le sue
violazioni della Sharah: forse un anticipo della futura pretesa del bigottismo popolare degli ulam a giudicare
della legittimit del potere (Arjomand, pp. 200-201).
I fuqah rigettavano il misticismo e la filosofia neoplatonica, respinta come non islamica, che erano il
sostegno della gnosi (cos la definisce sempre Arjomand, ma io ritengo pi appropriato il termine teosofia)
della Scuola di Isfahn; ed erano anche dei dogmatici violenti e reazionari (Arjomand, p. 152) che ebbero
lappoggio del clero shita non iraniano (p. 153); la risposta Akhbr fu il tentativo di fare del tradizionalismo un
movimento in grado di prendere le distanze sia dal Sufismo popolare, sia dalla grande cultura teosofica;
entrambe queste tendenze, in nome del Mahdismo popolare ovvero della cultura elitaria, ponevano infatti in
secondo ordine la Sharah, e il problema dei tradizionalisti era divenuto quello di prendere posizione in un
dibattito che ormai verteva esclusivamente sui modi del suo esercizio, perch la Sharah era ormai ridivenuta il
cardine della societ, una volta represso lantinomismo sf. Ormai il Sufismo era sinonimo di eresia (p. 154) ed
era sbeffeggiato a causa della cattiva conoscenza dellarabo da parte dei ceti popolari (nota mia: esattamente
come accadeva con le eresie popolari del nostro medioevo sul punto della conoscenza del latino) che perci
rendeva questi ceti portatori di una religiosit improponibile.
Lunica forza in grado di opporsi alla montante ierocrazia era rimasta la grande tradizione teosofica di
Isfahn, tradizione elitaria indifferente alla religiosit pedestre delle masse sulla quale si fondava la ierocrazia
dogmatica. Essa tuttavia viveva soltanto grazie allappoggio della Corte, e una volta venuto meno questo
appoggio con la morte di Abbs II (il successore Sulayman [1666-1694] fu molto pi tiepido, e fin con
lappoggiare la ierocrazia) ai teosofi non rimase che prender atto dellaffermarsi della religiosit di massa.
Tra i teosofi di Isfahn la figura di maggior rilievo fu Moll Sadr Shrz (1572-1640) che avevo
appena citato supra a p. 242, nelle nn. 358 e 359, e al quale opportuno dedicare qualche riga, perch fu una
delle massime espressioni del pensiero teosofico shita. Lo far ricordando in sintesi alcuni aspetti rilevanti del
suo Kitb al-Mashir (cio dei cinque sensi) che H. Corbin ha tradotto e commentato come Le livre des
pntrations mtaphysiques, Lagrasse, Verdier, 1988, con un titolo la cui ragione apparir chiara da questi cenni.
Moll Sadr un grande metafisico, soltanto che la sua dottrina ha una particolarit che gli valsa la
definizione di metafisica dellesistenza. Secondo una tradizione che differenzia radicalmente il pensiero
islamico dal Razionalismo classico, lesistenza infatti loggetto della sua indagine, che vede al centro
lesistente individuale come punto di partenza di una conoscenza nella quale gli universali sono soltanto il frutto
di una elaborazione mentale. Il primo veicolo della conoscenza, che funge da punto di partenza per lo sviluppo
della metafisica, dunque la percezione; ci che fa sia comprendere il titolo del suo libro, sia la sua traduzione
da parte di Corbin, il quale peraltro arricchisce di valenze esoteriche il significato della parola (cfr. pp. 43-44)
Infatti mashar (sing. di mashir) in generale il luogo attraverso il quale penetra la conoscenza (un suo
penetracolo) che, secondo Corbin, sta a significare anche il tempio o ricettacolo interiore della conoscenza
filosofica, il santuario nel quale il mistico contempla la bellezza divina. Di qui la sua traduzione.
Secondo Moll Sadr, lesistenza latto dessere della cosa stessa, la quiddit stessa in concreto, la
realt di ogni cosa: dire Zayd esiste come dire Zayd Zayd. In altre parole, le ipseit concrete non sono
sussumibili in un universale, perch non esiste la negritudine il nero esiste soltanto come cosa nera;
lesistere la realt di ci che reale. Si noti lo scarto decisivo dalla metafisica occidentale, che Nietzsche
definiva ironicamente un immaginare lesistenza di un mondo dietro il mondo. Luniversale dunque una
1230
costruzione mentale, costruzione mentale giustificare la quiddit con la esistenza perch non c esistenza
senza la quiddit.
La riflessione metafisica di Moll Sadr parte dunque dallidentificazione di realt e esistenza. Vi
unesistenza limitata, che quella delle cose, le cui esistenze non sono necessarie e dipendono perci da
unesistenza necessaria, non limitata, che ne la causa prima, o meglio, linstauratore: termine che abbiamo gi
trovato nella cosmogonia ismailita. Qui la cosmogonia di Moll Sadr ripete infatti quegli stessi passaggi
partendo dalla deduzione che le esistenze non necessarie abbiano necessit di unesistenza necessaria che le
renda vere come conseguenza della Sua Verit, altrimenti esse sarebbero illusorie: Dio che instaura, tramite
la Volont, il Primo emanato e tramite esso penetra le cose. Siamo dunque in presenza di un divino che
trama e ordito del cosmo, a un cosmo che senza questa penetrazione divina collasserebbe nel Nulla; ci che
esiste, esiste come manifestazione dAltro.
La discesa cosmogonica dunque quella del Neoplatonismo ismailita, e cos la risalita a Dio
presenta analogie con quella degli Ikhwn as-Saf (cfr. supra, p. 226). Premesso che lesistenza necessaria
esclude il non-essere, la cui negativit leffetto del digradare emanativo; per Moll Sadr dallImperativo
creatore, che lo Spirito Santo, discende la gerarchia della anime, delle forme, degli elementi, sino alla materia
ultima recettrice delle forme che costituisce il limite emanativo inferiore; di qui, partendo dal mondo minerale,d
al vegetale, dallanimale, sino alluomo avviene la risalita, che raggiunge la pienezza della conoscenza e della
perfezione grazie alluomo perfetto che si ricollega allIntelletto Agente/Spirito Santo. Luomo, nella sua
perfezione, dunque il compimento del processo di autoconoscenza del Creato; quanto al mondo, esso esiste
soltanto dellesistenza divina: il molteplice non che il Volto dellUno
Si noter la fondamentale differenza di questo cosmo neoplatonico da quello del Neoplatonismo
classico: qui non esistono gli universali ante rem, n un mondo di astratte forme; qui c una metafisica
dellesistenza per la quale gli esistenti esistono dellesistenza di Dio, con il quale ogni singolo esistente in
rapporto diretto. La ragione di questa differenza evidente: siamo dinnanzi a una razionalit che non quella
del Razionalismo classico, non c lo specchio nel quale, come ho notato pi volte, il Razionalismo classico
riflette il Reale per contemplarne (theoro) limmagine immobile sottratta al suo cangiante divenire, alla sua vita;
qui esistenze contingenti e mutevoli sono lapparire di un Esistente necessario e Assoluto, partecipano di quella
Esistenza che Si dispiega nel cangiante divenire.
Mi permetto sommessamente di far notare quanto pi pienamente sia qui recepito il messaggio
testamentario di un Dio/Volont, Dio creatore che pervade il creato e vive nel cuore delluomo essendone la vita
stessa, ancorch limitata come ogni manifestazione del molteplice, realizzando cos quella differenza ontologica
(tra necessario e contingente) che evita gli scogli del Panteismo; e come si allontani, viceversa, dal significato
vitalista di quel Messaggio, rivolto allesistenza delluomo, il suo ingabbiamento occidentale in una metafisica
platonico-aristotelica (nata a sua volta, a mio modesto avviso, dal voluto e politicamente strumentale
travisamento e tradimento platonico di Parmenide).
Un ultimo accenno ora necessario per quanto riguarda il problema della conoscenza in Moll Sadr,
senza affrontare il quale non potremmo leggere la conseguenzialit di quanto esposto dove abbiamo parlato, da
un lato, di forme (che potrebbero essere intese come universali ante rem) e, dallaltro, di universali come
costruzione mentale. La conoscenza, nella quale la mente elabora i propri universali (sue creazioni necessarie
alla conoscenza) non unione con le cose percepite, ma con le loro forme sensibili ( un atto intellettuale, non
estetico): e tuttavia un intelligibile (la forma) tale nel momento in cui viene intelletto, non esiste fuori
dellatto dellintellezione; sono gli oggetti dellintellezione a far s che in quellatto, intelligente e intelletto
(inteso come nomen patientis; purtroppo la lingua italiana pu generare confusione con lidentico sostantivo)
siano tuttuno. Questa straordinaria soluzione un modo diverso per riaffermare un tradizionale tpos
neoplatonico: nella conoscenza lanima si ri-conosce. Qui per c qualcosa di pi: non soltanto luomo
perfetto diviene autoconoscenza del cosmo come culmine del processo di ritorno (epistroph) ma questa
conoscenza conoscenza del Dio che nel cuore: si pu capire meglio al-Hallj.
Manca poco ad affermare che la Resurrezione un atto puramente spirituale che avviene nella
conoscenza, e a porsi cos fuori della ortodossia. Certamente Moll Sadr molto ismailita, quasi ad
indicare la necessit di un percorso intellettuale che soltanto la clericalizzazione e la sunnizzazione in una
seconda ortodossia pu interdire. Si comprender perci come questo intransigente intellettualismo e
indifferenza alle pedestri preoccupazioni ed esigenze delle masse (Arjomand, p. 155) facesse di questa
espressione dello Shismo (che Arjomand insiste a definire gnostico e io a definire teosofico) un obbiettivo
da annientare per il vociferante partito dogmatico dal quale proveniva la ierocrazia (ivi) e quindi fosse
condannato al fallimento una volta persa la protezione dello Shh. Ci accadde progressivamente dopo Abbs
II, sinch il trionfo della ierocrazia si manifest definitivo con lincoronazione di Shh Sultn Husayn (1694) cui
partecip Muhammad Bqir Majlis (1699/1700) il grande giurista usl (Arjomand, p. 158). Di come
volgessero gli eventi, significativa la strada di questo giurista il cui padre, Muhammad Taq Majlis ( 1660)
era stato un campione dellAkhbrismo; entrambi, dunque, membri della ierocrazia, ma il secondo ancor pi
chiaramente espressione di essa se si tiene conto del ruolo che ha, nelluslismo, il mujtahid, vero pilastro di una
pretesa e di una concezione ierocratica (sui due Majlis si vedano i due articoli di R. Brunner su E.Ir.; in
particolare su Muhammad Bqir, la cui influenza fu enorme e duratura: egli considerato liniziatore dello
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sviluppo iraniano della Sha duodecimana e il precursore della presa di potere khomeynista, tanto che ancor
oggi la sua opera gode di grande stima).
Nota Arjomand a p. 159: Larma di Karak fu lappoggio del monarca allapice del potere politico.
Majlis, al contrario, us la Sha in quanto religione e indipendentemente dallo specifico contenuto della sua
(scil.: della Sha) etica politica, come arma per laccrescimento del dominio ierocratico gerarchizzato sulle
masse, senza intermediario dello Stato come apparato di dominio politico. Il corsivo mio. Laffermazione
della ierocrazia non per questo mise fine al chiliasmo, il Mahd era ancora ritenuto vivo in qualche luogo, cos
riteneva anche lo stesso Majlis (pp. 161-162) e tuttavia la dottrina ortodossa spost lattesa in tempi remoti e
imperscrutabili, al fine di consentire una prassi di governo della quotidianit, funzione indispensabile alla stessa
sopravvivenza dellistituzione, operazione paragonabile a quella compiuta tra i II e il V secolo dalla Chiesa di
Roma.
La Chiesa shita, mentre conteneva il chiliasmo, implicava tuttavia anche una svalutazione della
politica senza peraltro porsi sul piano della disobbedienza, tantomeno implicarne lirrilevanza, come avveniva
nella concezione teosofica. Quel che cambia la fonte della legittimazione: se nel XVI secolo il Mujtahid al-
zamm e lo Shaykh al-Islm, nel loro controllo della religione, erano dignitari regi, ora la ierocrazia, il
carisma religioso a legittimare, come presenza sacralizzante, le attivit secolari (p. 177)
Il Regno safavide, primo Stato shita della storia, era stato inizialmente pensato dai teologi e dai
giuristi shiti come la premessa al Regno del Mahd, ma una volta razionalizzata questa attesa per opera in
gran parte di Tamhsp I e accantonate le truppe tribali da parte di Abbs I, lautorit cesaropapista dei Safavidi
diventa sempre pi contraddittoria, a causa del suo fondamento mahdista, con la dottrina immita, ufficiale, dello
Stato. Lultimo sussulto mahdista si era avuto nel secondo interregno qizilbsh al tempo di Isml II e di
Khudabandeh (1576-1587) con lemergenza di altri, autoproclamati Mahd; un fenomeno che si ripet sotto il
regno di Abbs I e poi di Saf I, tanto che lo stesso Abbs I, che pure era interessato alla dottrina Nuqtaw, ne
aveva organizzato la persecuzione a seguito di una loro rivolta, virando a favore della ierocrazia shita. La
contraddizione dello Stato safavide che port infine alla vittoria della ierocrazia, era infatti insanabile: il potere
cesaropapista dei Safavidi si fondava su una palingenesi mahdista disattesa, portava perci allesplosione di altri
movimenti mahdisti eversivi; normalizzata nellortodossia duodecimana conduceva viceversa, e condusse, alla
preminenza della ierocrazia come sola legittima rappresentanza dellImm occultato. Linsorgere del rigorismo
di Mull Qsim contro i costumi di Abbs II che offendevano la Shara considerato da Arjomand (p. 201) il
presagio del ruolo che avr, col tempo, il bigottismo del basso clero.
La dinastia safavide ebbe fine con linvasione afghana del 1722, che cre nella storia che stiamo
seguendo uninterruzione di oltre 60 anni. Gli afghani infatti erano Sunniti e promossero il Sunnismo; la Sha
dovette eliminare dal proprio rituale la maledizione dei primi tre Califfi, peraltro introdotta dai Safavidi;
lesclusione degli ulam dal ruolo politico riport in auge gli Akhbr (Algar, p. 35) e anche il Sufismo
popolare. Laccesso al potere della nuova dinastia, i Qjr, nel 1785, che aderiva alla Sha, risollev luslismo
che ebbe come suoi massimi rappresentanti gli esponenti di due rami laterali dei Majlis, i Bibihn e i Tabtab
(Arjomand, p. 217) anche perch i Qjr non potevano vantare la discendenza alde come i Safavidi. Su
istigazione degli usl si adoperarono dunque a soffocare la rinascita del Sufismo popolare, che si riteneva il vero
erede della Sha e respingeva le accuse del clero richiamandosi alla tradizione di Al; daltronde il potere degli
ulam si esercitava essenzialmente nelle citt, non nelle campagne (Algar, p. 37 e p. 53). Il Sufismo,
perseguitato nella sua espressione popolare, rimase perci essenzialmente come elemento di cultura aristocratica
presso la Corte (Arjomand, p. 218; Algar, p. 36 sgg. e p. 64).
Tutto ci avvenne nei primi tre decenni del XIX secolo, durante i quali fu anche eliminata ogni
influenza dei notabili e il clero uslita conobbe unespansione enorme, anche perch i Qjr rinunciarono ad
esercitare un potere sulla ierocrazia, con la quale avevano blandi legami (Arjomand, pp. 219-220). Un esempio
del rapporto degli ulam con lo Stato -e viceversa- viene dalle due guerre con la Russia (1810-1813 e 1826)
che sono anche importanti sotto il profilo della dottrina shita del jihd (Lambton, A Nineteenth Century, etc.,
cit.). Il problema, da sempre in sospeso per una Sha che riteneva illegittimo dichiarare il jihd in assenza
dellImm, emerse in seguito al conflitto con la Russia, in occasione del quale il clero fu elemento di supporto
grazie ad una mobilitazione massiccia nel corso della quale riusc ad ottenere lassenso anche dal clero fuori dai
confini dello Stato persiano. Rivendicando come corpo collettivo la niybat al-mma, la vicereggenza generale
in assenza dellImm, i mujtahidn ottennero la proclamazione della guerra santa contro i Russi in quanto
oppressori dei Musulmani nel Caucaso, dando di ci essi lautorizzazione al Sovrano; fu un successo enorme del
loro potere anche se la guerra fu perduta, perch il concetto di vicereggenza generale fu ufficializzato. La cosa fu
ripetuta nel 1826, questa volta spingendo alla guerra un Sovrano riluttante: il risultato fu disastroso, e, a parte
qualche altro tentativo risultato un fiasco, non fu pi ripetuta (Arjomand, pp. 224-225 e p. 242; Algar, pp. 82-93
e pp. 154-155; dopo questo disastro ci fu un certo distacco tra il potere politico e gli ulam: Algar, p. 80).
Arjomand sintetizza cos a p. 258 la situazione dei rapporti Stato/clero che prende forma sotto i Qjr:
il Sunnismo, il millenarismo estremista, il Sufismo e il dissenso colto dei teosofi, sono eliminati dalla scena, e
la rimozione di queste eresie divenuta interesse comune sia dello Stato che della ierocrazia shita; della
seconda per ovvi motivi, del primo perch si tratta di eliminare i luoghi culturali nei quali, sia pure con diverse
motivazioni, matura lopposizione al governo sotto forma di rivolta, o anche, soltanto di distacco. Il maggior
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vantaggio lo tasse per la ierocrazia, perch riusc a conseguire il dominio clericale di gran parte del paese;
laddomesticamento delle masse -perch di questo si tratta- fu pi utile a lei che allo Stato.
Sul tema del rapporto tra i due poteri, si afferm tacitamente la dottrina del Mull Al Kan (pp. 228-
229 e p. 259) che prevedeva la separazione, nelloccultamento, dei due poteri del Profeta e dellImm: gli
ulam sono i vicereggenti del potere religioso e i Sultani sono i vicereggenti del potere politico. evidente
tuttavia che, considerata lunitariet iniziale del potere nelle mani del Profeta, gli ulam sono depositari del
sapere giuridico che consente loro di giudicare il potere dei Sultani.
Fenomeni correlati a questa evoluzione furono il vertiginoso aumento del numero dei mujtahidn (p.
246) che esercitavano il potere clericale a fini di ambizioni personali, magari scomunicandosi lun laltro (p.
243) e sostituendosi ai qudt di nomina statale, che furono eclissati (p. 233) Con la fine del Mahdismo e lo
spostamento in cielo del Regno di Dio la ierocrazia usl aveva trionfato, grazie essenzialmente alla scomparsa
dei Safavidi e delle loro pretese fondate sulla discendenza alde (p. 262).
Interrompo questo discorso per segnalare che per poco prima della met del XIX secolo ci fu un
fenomeno di dissidenza radicale destinato a lasciare una traccia duratura con la nascita di una nuova eresia
tuttora ben vivente: il Bbismo seguito dalla nascita dei Bah (cfr. supra, p. 241 sgg.); ma di questo fenomeno
dai tratti ismailiti, emerso dal movimento shaykhita erede di Moll Sadr, voglio parlare diffusamente, perci lo
far separatamente infra. Per ora proseguo la sintesi di Arjomand, perch ci che interessa, a mio avviso, il suo
approdo, il luogo tutto attuale cui essa conduce.
Il ruolo pi evidente del debordante clero uslita, la cui fondamentale differenza rispetto al clero
cattolico era la non indipendenza dallo Stato dai cui benefici dipendeva, era la doppia (e divergente) azione di
difesa dei poveri e di legittimazione dello Stato. (p. 263). Arjomand nota poi che, a parte questa sostanziale
differenza, la Sha del XIX secolo assunse una connotazione poco islamica, affine a quella della Chiesa
cristiana (p. 265); una analogia che si fonda sullo spostamento allindefinito della parusia, su quello del Regno di
Dio in cielo, sul ruolo di vicarianza collettiva, e sulla presenza di una gerarchia.
Tuttavia il gran numero di mujtahidn e la loro dipendenza dallo Stato, indirizz il percorso verso il
monismo ierocratico (p. 265) a causa del tremendo potere politico del clero come custode indipendente (per
la separazione dei poteri) della Legge: fu la stessa separazione dei poteri in assenza di una concezione secolare
della societ a portare il clero alla guida di fatto della nazione. Arjomand fa notare (p. 266) che il movimento
contro la concessione agli europei del monopolio del tabacco verso la fine del XIX secolo, fu un movimento
nazionalista, tuttavia su base religiosa contro gli infedeli: il che vero, ma, detto cos, cio in modo molto
sintetico, non chiarisce totalmente il significato della vicenda, che pi politico-economico che non religioso;
soltanto che furono i religiosi a determinarne il corso, mostrandosi con ci la vera guida, anche politico-
economica, del Paese. Furono infatti i religiosi a incanalare e dirigere unopinione pubblica che per la prima
volta insorgeva spontanea nel gioco degli interessi economici di chi, con la concessione del monopolio, avrebbe
tratto lucrosi guadagni a spese del Paese e dei singoli. Lo fecero nel modo pi semplice sulla scorta del proprio
potere, dichiarando religiosamente illecito il fumo perch avrebbe costituito un lucro per gli infedeli a spese dei
Musulmani, e controllando severamente il rispetto del divieto (cfr. A.K.S. Lambton, The Tobacco Regie: Prelude
to Revolution, S.I., 22-23, 1965: la Lambton considera questo evento come la prima manifestazione di opinione
pubblica, e il preludio alla rivoluzione costituzionale del 1905).
Giunto a questi eventi del 1891-1892, Arjomand opera un salto sino ai giorni nostri per chiudere in
cinque sole pagine la sua ricerca, pagine che tuttavia sono significative per il lettore e perci meritano di essere
citate. Arjomand contrappone gli anni 1950-1953, nei quali lanti-imperialismo iraniano seppe esprimere un
leader laico come Mossadeq, alla rivoluzione del 1978, con la presa di potere da parte del clero nel 1979. La
Chiesa shita, nota Arjomand, si era ritirata dal proscenio nel 1911 delusa dalla rivolta costituzionale, ed era
rimasta praticamente esclusa dalla politica per lavvento del parlamentarismo, e, dal 1925, della dinastia dei
Pahlav. Nel 1960 Khomeyni ed altri mullh iniziarono a riportare in vita la tradizione shita contro la crescente
sfera dazione dello Stato laico che minava il potere clericale, e molti mujtahidn iniziarono a rivendicare il
monismo ierocratico proponendolo come alternativa ai ceti medio-bassi tradizionalisti in lotta con il regime dello
Shh, una proposta frutto di una lunga esclusione dalla presenza politica che esimeva da ogni realistico confronto
tra i due poteri (p. 268).
La panacea ai mali degli strati pi umili della popolazione fu trovata nel rifiuto alloccidentalizzazione
e condusse alla rinascita del modello mahdista in nuove forme (p. 269). Khomeyni assunse il titolo di Imm che
gli veniva attribuito ed elabor la nuova dottrina dellimmato come guida permanente nel tempo (mustamarr).
Ci si chiese se egli fosse lImm occultato e gli fu chiesto di svelare se egli lo fosse o fosse soltanto il suo
annunciatore. Correttamente Arjomand parla di neo-ghuluww perch certamente in questa logica rientrava una
tale dottrina. Il brutale trattamento fatto subire a Shariat Madar, il pi eminente dei grandi Ayatollh e dei
Marja-i Taqld, che gli aveva salvato la vita sotto lo Shh elevandolo di grado gerarchico per evitargli la pena di
morte, e la messa a tacere degli Ayatollh dissenzienti, fu un grave attentato allo stesso principio giuridico
dellautorit shita duodecimana, e un chiaro ritorno al Mahdismo (p. 269; per la figura gerarchica del Marja-i
Taqld, si consulti R. Brunner su E. Ir., www.iranicaonline.org , voce Shiite Doctrine ii. Hierarchy in the
Imamiyya, Last Updated October 1, 2010). Torn un clima apocalittico, in Parlamento fu profetizzata la marcia
su Gerusalemme e la ricomparsa del Mahd e di Cristo, che sarebbe sto convertito allIslam (p. 270).
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Arjomand conclude con parole a mio avviso significative di quanto ho cercato di elaborare, perch,
nel sottolineare la complessa contraddittoriet di una situazione nella quale alla consueta ambiguit di un
fondamento dellautorit conteso tra principio giuridico e Mahdismo, si aggiunge la presenza di un terzo
elemento, quello parlamentare che fu istituito dallo stesso Khomeyni per motivi politici contingenti; ci significa
che la logica della dottrina shita dovr andare incontro a modifiche nel tempo. Dunque essa non soltanto una
ortodossia storicamente formata ma anche, verosimilmente, soggetta a un ulteriore divenire. Un particolare
semplicemente macroscopico di questo divenire lo coglie G. Scarcia alle pp. 99-100 del suo I tratti neo-babi del
Khomeynismo, cit. in Bibl a p. 774: la Costituzione della Repubblica Islamica di Khomeyni parla di fede
nellispirazione divina e nella sua impronta fondamentale nella formulazione delle leggi. Nota Scarcia (dopo
aver giustamente sottolineato che aql, in diritto musulmano, non ragione tout court, ma ragionamento
tecnicizzato e finalizzato, con la squisita e cavillosa casistica) che le autorit religiose di un secolo
fa....avrebbero scomunicato chi avesse osato proporre come islamica una formulazione simile: ed
unaffermazione corretta che tuttavia, al di l della sua particolare contestualizzazione nellarticolo, ci fa toccare
con mano un divenire forse ancora non concluso.
Per la verit, gli eventi dellincontro/scontro Stato/Chiesa tra la seconda guerra russa del 1826-1828 e
la rivolta costituzionale del 1905-1906, sono pi complessi di come potrebbe sembrare dal sintetico accenno di
Arjomand; si possono comunque seguire su Algar, pp. 122-260. Qui, quegli eventi si omettono perch meno
significativi per le vicende oggetto di queste note; basti soltanto accennare alcuni spetti salienti che li
caratterizzano. Il punto che lo Stato e il clero rimasero sempre in forte competizione; lunico interesse comune
era stroncare le eresie, come, per lappunto, il Bbismo, che erano pericolose per entrambi. Anche le cospicue
elargizioni che lo Stato fece in molte circostanze agli avidi ulam, non meno corrotti dello Stato contro il quale
eccitavano un popolo in sofferenza (si d il caso di ricchezze accumulate da personaggi del clero speculando
sulle carestie a spese della popolazione) vanno viste come un tentativo di blandire un concorrente. Si noti bene:
un concorrente al potere ma non un vero avversario, perch lintreccio di Stato e Chiesa nella dottrina delle due
vicarianze , memore forse del testamento di Ardashr si pu racchiudere nel detto simul stabunt, simul cadent.
I loro rapporti reciproci e quelli con il Paese si vedono bene nella crisi di Herat con lInghilterra nel
1856-1857: i mull, memori del flop del 1826, si guardarono bene dal proclamare il jihd (tranne qualcuno
pagato allo scopo) e limpropria proclamazione di esso da parte dello Stato cadde nellindifferenza. Dove il clero
mostr il proprio potere fu -lo abbiamo gi ricordato nel caso famoso del tabacco- nella difesa degli interessi
nazionali contro le modernizzazioni introdotte per esclusivo interesse degli europei; e tuttavia con uno sguardo
che rivela un assurdo rifiuto del cambiamento che sembra il vero retroterra culturale di tanto tradizionalismo, sia
sunnita che shita. Basti ricordare la resistenza popolare allintroduzione delle ferrovie, che il clero appoggi
dichiarandole harm, vietate dalla Legge islamica. Tuttavia, quando dopo gli eventi del monopolio del tabacco,
la Persia era ormai in uno stato di anarchia e il popolo si sollevava contro gli inetti e corrotti Qjr, il clero si
guard bene dal farsi elemento rivoluzionario, interessato comera, indissolubilmente, a quel potere diarchico.
Le proteste contro le ingerenze straniere si risolvevano in crociate degli ulam contro la presenza
dellalcool o in persecuzioni dei Bah, i continuatori del Bbismo religiosamente tolleranti e aperti al progresso
(una logica non lontana da quella massonica, ambiente che apr loro la via di una forte penetrazione in occidente:
gli Stati Uniti rappresentano oggi il loro pi vivace centro culturale). La Massoneria, dove peraltro non
mancavano ulam e pan-islamisti, fu comunque importante per la formazione di quel sottile strato colto che
favor la svolta costituzionale del 1905. Questo evento fu lepilogo di una situazione di rivolta contro
lincancrenimento della gestione di potere Qjr, rivolta nella quale la ierocrazia ebbe un ruolo determinante
(Algar, p. 241 sgg.) e la cui necessit fu compresa dagli stessi spiriti illuminati delle societ segrete (ivi, p. 252)
tanto che figure religiose operarono allinterno di esse (p. 254) pur con divergenti obbiettivi (p. 255). Obbiettivo
degli ulam era respingere lormai ieneludibile impatto dellOccidente sullIran, un fenomeno di laicizzazione
che poneva su nuove basi la divisione tra Stato e Chiesa, non pi quelle della duplice vicarianza che davano alla
Chiesa il ruolo di Kingmaker, ma altre, che depotenziavano radicalmente il ruolo degli ulam (ivi). Cos fu, col
risultato che la rivolta costituzionale si risolse in una sconfitta per gli ulam (p. 256).
Di notevole interesse per la comprensione delle diverse posizioni religiose del momento, il
dettagliato articolo di G. Scarcia, Kermn 1905, etc., etc., cit. in Bibl. a p. 854, se lo si depura da una sua verve e
vis polemica che conducono lautore a giudizi che appaiono influenzati da un clima ideologico (per giunta
occidentale) degli anni 50-60. Scarcia infatti accompagna le sue notevoli osservazioni, frutto di precise
conoscenze, con una serie di giudizi poco benevoli per Shaykhiti, teosofi e Bah, che si risolvono in una
apertura di credito per il clero uslita gerarchizzato, in virt della sua capacit di organizzare le masse su temi
popolar-populisti francamente retrivi. Questo suo atteggiamento si avverte anche in un altro suo articolo, peraltro
interessante e illuminante per alcune profonde osservazioni fuori dagli schemi comuni, Stato e dottrine attuali
della setta sciita imamita degli Shaykh di Persia, S.M.S.R., 29, 1958; e poich abbiamo toccato gi una volta il
tema del Bbismo (e, di sfuggita dello Shaykhismo) come uno dei possibili esiti della Sha, mi sembra giunto il
momento di dedicarci a questo fenomeno del XIX secolo, che potrebbe aver trovato eco negli eventi del XX-
XXI testimoniando una tensione che percorre tutta la storia dellIslam, in particolare della Sha.

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Il grande fenomeno del Bbismo ha attirato una vastissima letteratura alimentata dallaffermazione
della religione Bah (cfr. supra a p. 243, nel testo e in n. 367) che ne rappresenta la prosecuzione, e in queste
limitate note non possiamo che sfiorarla; tuttavia alcuni studi fondamentali, in buona parte gi tenuti presenti
nelle precedenti bibliografie, saranno riesaminati insieme ad altri presi in considerazione ora per la prima volta.
Scelgo di avere come filo conduttore lindispensabile monografia di A. Amanat, Resurrection and Renewal, etc.,
cit. in Bibl. a p. 847, non soltanto perch essa costituisce a tuttora lo studio pi esauriente, vasto e documentato
(chi desiderasse un approccio meno impegnativo ma egualmente esauriente e corretto, pu utililizzre il lavoro di
A.N. Fuad, cit. in Bibl. infra, che ha anche la comodit di essere reperibile in rete al sito ivi citato); ma anche in
ragione del suo approccio al tema che appare illuminante per comprendere, e soprattutto per inquadrare il
Bbismo nellambito di un divenire della Sha, fenomeno che sembrerebbe non ancora esaurito.
Dico questo per sottolineare sin dora che il Bbismo non soltanto non rappresenta un corpo estraneo
nelle vicende di quella dottrina, un incidente di percorso o una banale (per alcuni: deplorevole) deviazione. Al
contrario, esso manifestazione esemplare di quei germi eversivi sopravvissuti al voluto quietismo
duodecimano, del quale rivelano lambigua genealogia di atto politico contingente, volto a stabilizzare un
fenomeno geneticamente instabile perch costituzionalmente proteso a creare (o ri-creare) latopico mondo di
giustizia che ne costituisce linamovibile fondamento statutario.
Non a caso, alcuni autori hanno visto una continuit tra questo motivo conduttore, che include nel
proprio percorso il Bbismo, e i recenti eventi della Rivoluzione iraniana ormai entrata nel suo quarto decennio
di vita, dunque evidentemente connessa con correnti profonde della societ iraniana shita: il che non significa
che non sar transeunte anchessa come tutte le cose di questo mondo, significa soltanto che non si possono
emettere giudizi affrettati sulla sua legittimit storica.
Distogliendo lo sguardo da questa prospettiva generale (quindi anche un po generica) da questa
visuale dallalto sul percorso storico della Sha, e rivolgendolo pi da vicino agli specifici eventi che si
dovranno affrontare, quanto detto sopra si condensa in una considerazione che dovr emergere nel corso del
racconto: essere il Bbismo non un fraintendimento o un tradimento della speculazione shaykhita alla quale si
richiam in origine, ma il suo logico sviluppo e compimento, anche se lo Shaykhismo non vi fu interamente
coinvolto, anzi, in parte se ne distacc affermando una linea quietista con la quale and perpetuandosi, cos come
lo stesso Bbismo, decimato e liquidato sui campi di battaglia e sui patiboli continu nel quietismo teosofico dei
Bah (ci nonostante, tuttora perseguitati in Iran).
La storia di unutopia somiglia molto a certi percorsi delle acque (non a caso, forse, si parla di
correnti) alimentate da misteriose polle sotterranee che emergono da lontane cime per poi riversarsi a valle e
disperdersi in mille rami, alcuni destinati a inaridire, altri a impaludarsi, altri a ribollire ed esondare, per poi
tornare insieme quieti, pi gi, in un letto tranquillo, magari segnato dagli argini; sinch un sovrappieno della
fonte o di qualche tributario, o il riemergere di acque nel frattempo scomparse in cavit sotterranee, non tornino
a provocare esondazioni disegnando nuove geografie e stabilendo nuovi percorsi, anchessi apparentemente
segnati da nuovi argini: ma per quanto?
Mi scuso per limmaginifica metafora, ma il lettore che mi ha seguito ne avr certamente compreso il
senso, quello che ha guidato questa ricerca e che trova qui un altro riscontro: non esistono ortodossie ed eresie,
esistono i vincenti e gli emarginati e tra loro una continua dialettica, perch la fonte che li alimenta la
medesima. E veniamo ad Amanat.
Gi dalla prima pagina della sua Prefazione, Amanat afferma che il messianismo shita ha informato
di s lintera storia dellIslam, in particolare, sicuramente, dellIslam shita. Dunque il Messianismo ne
costituisce lessenza, e il Bbismo, dice subito dopo, ne unespressione, teorica e sociale, del lontano passato e
degli eventi immediati. Il Bbismo, aggiunge poi, fu espressione del basso clero, dei ceti mercantili e artigiani, e
si appell a tutte le forze dello scontento e della protesta. Segue una lunga Introduzione, della quale utile
mettere in luce il significato.
Amanat intende chiarire subito che il Bb non un fenomeno isolato, ma fa parte di una tradizione
shita sempre esistita e non superata -n sul piano sociale, n, soprattutto, ed quello che pi ci deve interessare,
sul piano dottrinale- della scelta duodecimana operata a suo tempo dai notabili. Di questa tradizione, la scelta
duodecimana opera piuttosto una perpetuazione nellequivoco, non soltanto perch essa non fu la retta
opinione ma soltanto una scelta, quella quietista, ma anche perch avvenne allinterno di una corrente
messianica (in principio era il ghuluww) e non pot perci rinnegare il messianismo, si limit a traslocarlo in un
futuro imperscrutabile: e appunto per questo sempre pronto a manifestarsi. Quanto allimportanza che la scelta
duodecimana guadagn grazie allinvestitura proclamata dai Safavidi, il suo farsi, in questo nuovo e imprevisto
ruolo di religione di Stato, strumento di conservazione e di ordine allinterno di una diarchia consacrata
definitivamente sotto i Qjr, costitu una svolta politica contingente (si ricordi che la Sha duodecimana aveva
a suo tempo negato la legittimit di qualunque potere politico in assenza dellImm) centrata sul comune
interesse dello Stato e della Chiesa a combattere le insorgenze messianiche.
Un po meno univoco era stato il loro atteggiamento nei confronti di mistici e teosofi, e tuttavia, al di
l delle predilezioni verso di essi che potevano venire dai singoli sovrani e dalla Corte, aveva prevalso la difesa
dellortodossia clericale, perch il controllo dellapplicazione della Sharah, fondamentale strumento del potere
giuridico-sacerdotale del clero, rappresentava anche un occhiuto deterrente verso gli imprevedibili sbocchi di un
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possibile declassamento della Legge anche soltanto in linea di principio: perch in linea di fatto ci avrebbe
potuto generare tentazioni eversive.
Nel Bbismo assistiamo precisamente a questo fenomeno, perch il moto rivoluzionario si innest in
continuit e coerenza su una speculazione mistica e teosofica quale fu lo Shaykhismo, i cui antefatti sono da
ricercarsi in Moll Sadr e nella teosofia ishrq; volendo partire da lontano, anche in Sohraward. Prima per di
delineare in breve la teosofia shaykhita, mi sembra importante accendere qua e l alcune luci su elementi di
riflessione che appaiono nellIntroduzione di Amanat, innanzitutto su che cosa significa parlare di Mahdismo
allorch lo si fa in ambito shita, non in quello sunnita. Nota infatti Amanat (p. 3, sgg.) che, a differenza del
Mahd sunnita che verr a stabilire sulla terra il regno della Sharah pensato sul modello idealizzato di un mitico
puro Islam delle origini, il Mahd shita non soltanto verr innanzitutto a colmare il mondo di giustizia ma a
dare il senso profondo, non letterale, della Legge, a ristabilire cio la vera religione nella sua purezza; figura
divina o semidivina, questo Mahd verr dunque a dare una nuova Legge, ad inaugurare un nuovo ciclo
profetico, quello definitivo, nel quale tutti gli uomini si riconosceranno.
Il Mahd shita, contrariamente a quello sunnita, apparir quindi costantemente come un eretico
agli occhi degli ulam. Seguendo la dottrina teosofica della Resurrezione, prende dunque il volto di un
Rivelatore del significato della Legge per una umanit rinnovata, risorta: questo viene infatti a proclamare il
Bb nel suo Bayn, questo sottolinea Browne nella sua Introduzione al Nuqtat al-Kf. La connessione con
lIsmailismo appare evidente, ma, coma ho gi avuto modo di notare, ci sembra inevitabile, perch inevitabile
appare, a mio modesto giudizio, lo sbocco ismailita per ogni pensare shita coerentemente pensato sino in fondo.
Come nota Amanat a p. 9, tutto il btinismo di sempre (e lui parte dai Kaysniti) ha dato voce a un
aspetto radicale della Rivelazione islamica, la tensione ad una perfezione finale insita nella Rivelazione stessa,
che essi estraggono dal Testo sacro grazie allesegesi esoterica: anche perch il Corano impostato sul concetto
stesso dei cicli ripetitivi della Rivelazione. Perci lImm che torna dalloccultamento inizia una nuova era,
diversa dalla precedente, attuando una concezione dinamica della storia (p. 10). La Sha duodecimana, nota
Amanat alle pp. 10-11, vide la luce per linteresse dei notabili ad una convivenza pacifica con gli Abbsidi, e
loccultamento serv a conciliare una presenza teorica con una concreta assenza dellImm. Amanat parla anche
(p. 13) di un cripto-ismailismo persistente, ed in effetti si ricorder che questo argomento stato gi affrontato
con riferimento alla diaspora nizrita del XIII secolo e alla rinascita del movimento nel XV; a me per sembra
sensato chiedersi se, e sino a qual punto, si tratti di una permanente influenza sotterranea, o non, piuttosto, di
un punto darrivo obbligato della speculazione teosofica sulla Rivelazione islamica.
Nota ancora Amanat (p. 14) che, in fondo, la presa di potere safavide avvenuta sullonda delle
confraternite sf portatrici di uno shismo rivoluzionario, recava con s aspirazioni un po pi vaste che non
linstaurazione della Sha duodecimana come religione di Stato. Questo, dice Amanat, fu an ironic turning
point in the history of the Shite dissent: una rivoluzione religiosa che per legittimarsi deve ricorrere alla
ortodossia perch i movimenti di protesta hanno di per s una natura troppo volatile. In effetti la dinastia
safavide, come quella ftimida, fu un ossimoro della storia.
Il permanere della contraddizione dopo lestinzione dei rivoluzionari si manifest nella
contrapposizione tra il pensiero dei teosofi e quello degli ulam: i primi, al contrario dei secondi, avevano una
concezione dinamica della storia; qui Amanat cita, per lappunto, Moll Sadr, il cui concetto del perfetto shita
in grado di entrare in comunicazione con lIntelletto Agente descrive precisamente il ruolo che il Bb attribuisce
a s nel Bayn. C tuttavia una differenza che Amanat mette in luce (p. 17) e che, a mio avviso, ha radice
sociologica nel diverso ambiente nel quale si sviluppava la cultura teosofica, rispetto a quella nella quale era
destinata a cadere il proclama del Bb. Nonostante limplicita progressivit di sviluppi attraverso rigenerazione
e rinnovamento che informava di s il pensiero teosofico, i teosofi rimasero fondamentalmente legati
allattingimento di una perfezione finale tutta interiorizzata nellIslam, non formulavano lipotesi di un suo
possibile superamento. Il seguito sociale del Bb, nelle sue pulsioni, mostra viceversa che lannuncio destinato
a cadere in un milieu profondamente insoddisfatto dello status quo.
Che precisamente di questo si tratti, lo mostra tutto il restante dellIntroduzione di Amanat,
interamente dedicato al disfacimento dello Stato Qjr, al malessere sociale, alle paure e alle crisi suscitate
dallimpatto con un Occidente ormai colonialista, dotato di unindustria, una tecnologia e una potenza militare
non paragonabili a quelle degli arretrati stati islamici. In questa situazione gli ulam erano del tutto incapaci di
comprendere, men che mai di guidare, il corso degli eventi con lo sguardo rivolto alle sofferenze e agli interessi
della popolazione persiana; sia per ignoranza che per disinteresse, come mette in luce con un articolo assai duro
W. Floor, The Economic Role of the Ulama in Qajar Persia, in The most learned of the Sha. The institution of
the Marja Taqlid, ed. by L.S. Walbridge, Oxford, Un. Press, 2001.
Per giunta gli ulam erano mantenuti dallo Stato, del quale assorbivano, a causa del proprio
esorbitante numero, buona parte delle risorse; la loro influenza politica ed economica era rivolta alla
preservazione dello status quo, e, soprattutto, del proprio personale status, a causa della forte competizione, che
era stata generata dal crescente numero di religiosi, nella spartizione di un budget stazionario, quando non eroso
dallinflazione (art. cit., p. 71).
Se questa era la situazione sociale che rendeva fertile il terreno per la predicazione del Bb, lo stato
delle dottrine che ne rese possibile lelaborazione va ricercato nella diffusione della speculazione shaykhita, che
1236
ebbe due figure di Maestri: Ahmad Ahs (1756-1825) e il suo successore Sayyid Kzim, che guid la scuola
sino alla propria morte nel 1844 (la data della sua nascita incerta, varia dal 1784 al 1799: cfr. D. MacEoin,
From Shaykhism to Babism: a Study in Charismatic Renewal in Sh Islam, Ph. Diss., Cambridge Un., 1979;
PDF su www. reformbahai.org/...MacEoin, p. 96). Amanat, p. 48, pone ad antecedente del pensiero di Ahs
quello di Moll Sadr, e, a monte di Moll Sadr, Nsir-i Khosrow, lIsmailismo, e ancora la filosofia
illuminativa di Sohraward, costituendo cos una linea discendente che, tramite Ahs, giunge sino al Bbismo,
che Amanat (p. 69) considera il prodotto naturale di mezzo secolo di Shaykhismo.
Certamente il passaggio fu graduale ma, nonostante il taqfr promosso contro di lui, difficile
affermare che Ahs fosse un eretico, forse anche in conseguenza di un prudente uso della taqiyya. Certamente
fece un uso della razionalit filosofica pi ampio di quello degli ulam (sui limiti del razionalismo islamico
s detto pi volte) e fu aperto alla speculazione mistica per la coscienza dei limiti della Ragione nella
comprensione della realt ultima: ebbe molte visioni di contatti con lImm nel sogno, ed su questo punto che
si pu innestare un esame degli aspetti della sua dottrina destinati a trovare sbocco nel Bbismo. Lo faccio
seguendo non soltanto i due testi sopra citati, ma anche il terzo saggio sullo Shaykhismo di Nicolas apparso sulla
Revue du Monde Musulman del 1911 con il titolo Le chkhisme, nonch il breve compendio di M. Reza
Isfahani, The Forerunnner to the Bab. The Shaykhi Sect, www.bahaiawareness.com/bab01.html, e la voce
Cosmogony and Cosmology VII. In Shaykhism, di D. MacEoin, su E.Ir., www.iranicaonline.org, last updated
October 31, 2011.
Il nucleo fondamentale della dottrina, che, del resto, riposa su una tradizione che risale ai primi tempi
delloccultamento minore, la possibilit di incontri con lImm che avvengono tramite la visione estatica o nel
sogno (cfr. Moezzi, Aspects, etc.:2, cit. in Bibl. a p. 818). Questi incontri sono resi possibili sul piano veritativo
razionale dalla dottrina del mondo immaginale intermedio tra il mondo materiale e quello spirituale di
Hrkaly, luogo di incontri visionari ampiamente descritto da Corbin (Corpo spirituale, etc., cit. in Bibl. a p.
752, alle pp. 106-116) a sua volta funzionale alla complessa antropologia di Ahs (Corbin, cit., p. 108) della
quale ho dato un cenno supra alla p. 459 in rapporto a quella di Paracelso. Su di essa pertanto non torno se non
per ricordare che luomo vi pensato come composto di un corpo materiale, un corpo astrale, un corpo spirituale
nel quale luomo risorge, e un corpo sovraceleste, tutti raggruppati in due ajsd (pl. di jasad, il 1 e il 3) e due
ajsm (pl. di jism, il 2 e il 4). Sullargomento vedi anche Browne, A Travelers, etc., cit in Bibl. a p. 745, alla
nota O).
Semplificando le cose, la dottrina di Ahs prevede un Resurrezione limitata al solo corpo spirituale
(di una tale concezione si parlato ad usura sin dal tempo degli Gnostici) e prevede anche la possibilit, per lo
shita perfetto (quello che in Moll Sadr entra in contatto con lIntelletto Agente) di raggiungere in estasi
quel mondo, e l incontrarvi lImm che vi soggiorna, ricevendone il dettato. Questa dottrina, che fu ritenuta da
Rasht, non fu ritenuta nella sua complessit dal Bb, che ne ritenne per il concetto fondamentale, quello dello
shita perfetto in grado di costituire la porta (bb) di accesso allImm: ruolo che fu attribuito in vita sia ad
Ahs che a Rasht.
Questo tema dello shita perfetto che vediamo tornare con diversi nomi (generalmente abbiamo
trovato quello di uomo perfetto) pu sembrare unastratta speculazione religiosa di ambito gnostico/esoterico;
e certamente si presenta come tale, ma nel mondo shita ha unimportanza molto pi radicale, che necessario
tener presente per non perdere il senso di urgenza che esso sollecita, in special modo quando i tempi si fanno
difficili per la comunit. opportuno considerare al riguardo tutta la speculazione considerata pi o meno vicina
allIsmailismo (senza contare quella esplicitamente ismailita) da al-Frb allalchimia djbiriana agli Ikhwn as-
Saf, per scendere alla teosofia di Moll Sadr, ma anche ai Sf, come antecedenti significativi dello
Shaykhismo e del Bb. Si nasconde, ma non tanto, in questa speculazione, unansia che non soltanto
religiosa, anche politica, in un pensiero che, come abbiamo gi notato in Dopo e a lato, strettamente
dipendente dal mito, tutto islamico, di una societ perfetta che richiede necessariamente un uomo perfetto, di
fatto, divino, al proprio vertice: il mito di una societ perduta dal momento della morte del Profeta, che il
Sunnismo risolse con empirica approssimazione trasferendo un surrogato della perfezione del Profeta nella
collettivit degli ulam, soluzione che fu poi praticata anche dalla Sha con la vittoria degli usl, dopo di che
corretto parlare di una sunnizzazione della Sha. Tuttavia nel pensiero religioso profondo, nel modello
ideale da realizzare, nel sogno del futuro utopico, lattesa delluomo divino, del Mahd che porta dal Cielo un
nuovo messaggio e che riempie il mondo di giustizia, sempre rimasto. Daltronde, come dice Lvinas
(Totalit et infini, cit. in Bibl. a p. 743, p. 82) la perfezione non unidea, un desiderio: e luomo un animale
desiderante.
Lorigine stessa della Sha nel culto di un Imm che in nessun modo pu essere sostituito da un
collettivo umano-troppo-umano (se mai lodierna evoluzione shita, con il Khomeynismo, a rappresentare una
radicale innovazione, come vedremo dai pochi accenni a fine capitolo) e il Bbismo, che sinserisce in unattesa
che percorre tutta la Sha, pu definirsi eresia soltanto pech ortodossia era divenuta quella degli ulam.
Dunque, con Al Muhammad Shrz, poi detto il Bb, che fu allievo di Rasht, la dottrina che si
afferma e che pu vantare una lunghissima tradizione risalente alla pi alta speculazione teosofica, la seguente:
lo shita perfetto pu attingere nel mondo delle visioni il regno immaginale di Hrkaly, dove vive lImm
occultato e divenire la sua porta, grazie alla quale la comunit shita pu ricevere la corretta interpretazione
1237
della Legge, comprenderne il senso nascosto che fa di essa una nuova Legge. La Legge iniziale era rivolta ad una
umanit in grado di comprenderla soltanto nella sua materialit di obblighi e di divieti, di concepire Paradiso e
Inferno soltanto in termini di piaceri o tormenti materiali, una umanit che si spiritualmente elevata pu ora
comprendere il significato spirituale di ci che la Legge comunica sotto le sue metafore materiali.
Amanat (p. 70 sgg.) apre poi una parentesi per sottolineare come le condizioni economiche e sociali
della Persia dei Qjr avessero creato un clima di attesa messianica, alimentato anche dalla revivescenza del
Sufismo. Gi nellultimo quarto del XVIII secolo, nota, si assiste a una rinascita del Sufismo e delle attese
messianiche, accompagnate da speculazioni esoteriche e d alchemiche (p. 72; p. 87). Il Qutb dei Nimatullh,
che conoscono una forte diffusione, ritenuto poter comunicare con lImm (p. 74) e gli stessi Nimatullh si
agitano politicamente, in accordo con gli ismailiti (Nizriti) guidati dal loro 44 Imm, Abul Hasan Khn (p. 75)
a Kirmn (cfr. Daftary, The Ismlis, cit., pp. 459-462) a favore dei Qjr, che non glie ne saranno grati,
preferendo cooperare con gli ulam (p. 76) che erano fortemente ostili ai Sf. Amanat segnala (p. 76, p. 81, p.
82 e p. 89) le contemporanee agitazioni messianiche degli Ahl-i Haqq, dei Nusayriti, dei Bekhtsh, degli
Aleviti e degli Yresn (di questi gruppi, che rappresentano la discendenza della Sha estremista, si parler
nel prossimo capitolo). Anche altri ordini tornarono a vitalizzarsi, tra i quali i Nrbakhshya, del cui messianismo
sera gi detto sopra; e vi fu una rinascita dellIsmailismo: il tema dellImm occultato si manifestava anche
nelle loro attese (p. 83).
Fatto molto interessante, che gli osservatori europei parlano di una forte ostilit della popolazione
alla religione ufficiale (p. 81) e di attese egualitariste (p. 83). I mistici ismailiti proclamavano la prossima caduta
dei Qjr e lavvento dellgh Khn. NellAzerbaijn, annesso alla Russia, gli Ahl-i Haqq attendevano un
Salvatore (p. 86). Il tempo del Bb era dunque un tempo di malessere e di diffuse agitazioni sociali nellattesa di
un Mahd (pp. 89-90) e il fenomeno fu particolarmente acuto nel 4 e 5 decennio del XIX secolo; molti tra
coloro che si agitavano si convertirono poi al Bbismo (p. 94). Nellagitazione non mancava lostilit verso le
gerarchie clericali stipendiate dallo Stato, una vecchia pratica nella situazione di sostanziale diarchia che si crea
facilmente negli Stati islamici (p. 101).
Luslismo e la classe dei mujtahidn, che si consideravano i soli depositari del sapere religioso, si
trovavano naturalmente sul fronte opposto rispetto allo Shaykhismo e alleredit teosofica di Moll Sadr, e
questa ostilit caus un atteggiamento pi deciso del movimento, che inizi ad avvicinarsi teologicamente
alleterodossia, coagulando in s il fronte anti-uslita (p. 103). Cos si crearono le circostanze per la comparsa di
un Qim, non soltanto ricollegandosi alla tradizione shita, ma anche, grazie alla dottrina dello shita perfetto,
dipingendo una figura di guida tutta umana, le cui qualit saranno da ricercarsi nelle doti spirituali e morali
piuttosto che in caratteristiche sovrumane (p. 104); nella visione shaykhita la rivelazione dellImm sar la
conseguenza inevitabile del maturare di una evoluzione intellettuale umana nel corso della storia (ivi). Leredit
ismailita mi sembra lampante (sia pure in un linguaggio, e quindi in un retroterra culturale che vede in campo
lidea di progresso) e la via aperta allavvento del Bb.
Sembra dunque giunto il momento di iniziare a parlare di lui, non prima per di aver fatto una breve
premessa sui modi. Innanzitutto, come per altre circostanze, anche per quanto riguarda il Bb non ripeter
quanto ho gi detto nel testo (e soprattutto nelle note) alle pp. 241-243. In secondo luogo non si tratter di
seguire in dettaglio gli eventi storici della sua vita: chi lo desidera ha a disposizione la grande ricerca di Amanat
che, tra laltro, resta la trama sulla quale inserisco altre considerazioni tratte da altri contributi, utili per chiarire
gli aspetti della vicenda che sto tentando di seguire e che pienamente esplicitata nel titolo della presente
ricerca: la coerenza degli sviluppi dellIslam con le ragioni che sono alla sua stessa origine; di tutti i suoi sviluppi
(o, almeno, i pi rilevanti) nel corso dei quali, da un panorama variegato, nascono le sue ortodossie.
Per quanto riguarda poi certi aspetti storici, va detto che su di essi non vi assoluta certezza: i rapporti
dei testimoni occidentali sono tardi e non di prima mano (ovvero, in alcuni casi, penso a Lady Sheil, superficiali
e non esenti da pregiudizio); le storie della vicenda scritte in Persia e successivamente pubblicate, anche in
traduzione, danno luogo a fondati dubbi di rielaborazioni susseguenti lavvio della vicenda bah (si veda
quanto scrive al riguardo J.R.I. Cole, Nuqtat al-Kaf and the Babi Chronicle Traditions, www.h-
net.org/~bahai/notes/vol2/babihist.htm, anche su http://bahai-library.com/cde_nuqtat_al-kaf_chronicle, che si
occupa del Nuqtat al-Kaf e del Trq-i Jadd; si veda anche la Note on the Sources alle pp. 422 sgg. nel testo
di Amanat).
Infine, per quanto riguarda i testi di riferimento, queste note si basano sullesame dei vari testi gi
citati in Bibliografia (Amanat e Afshari a p. 847; Browne a p. 743, 744, 745 e 750; Gobineau a p. 758; Kazem
Beg a p. 743; il Bayn persiano a p. 851; Nicolas a p. 743; Roemer a p. 773) pi altri che sono gi stati citati o
che lo saranno in seguito una volta per tutte, al fine di evitare la frammentazione di un racconto che vuol esser
breve e limitato ai soli argomenti che possono riguardare questo testo. Essi sono: Trkh-i Jadd, the New History
of the Bb, transl. by E.G. Browne, Cambridge, at the Un. Press, 1893; Le livre des sept preuves de la mission du
Bab, trad. par A.L.M. Nicholas (= Nicolas), Paris, Maisonneuve, 1902 ; A.L.M. Nicolas, Massacres des Babis en
Perse, ivi, 1936 ; J. Walbridge, The Babi Upraising in Zanjan, Ir. St., 29, 3-4, 1996 ; M. Momen, Usuli, akhbari,
Shaykhi, Babi: The Tribulations of a Qazvin Family, ivi, 36,3, 2003; T. Lawson, The Authority of the Feminine
and Fatimas Place in an Early Work of the Bab, O.J.B.S., 1, 2007, www.OJ.bahaistudies.net/OJBS_1_Lawson-

1238
Fatima.pdf; N. Mottadeh, Ruptured Spaces and Effective Stories: The Unveiling of the Babi Poetess Qurrat al-
Ayn Tahirih in the Gardens of Badasht, http://h-net.org/~bahai/bhpapers/vol2/ruptured.htm.
Una bibliografia per chi volesse una prima guida allapprofondimento si pu trovare anche sul web,
grazie ai tanti ricchissimi siti dei Bah; ad esempio una bibliografia (selezionata) sul movimento bbista si pu
trovare in www.bahai-library.org/books/rg/rg.biblio01.htm (A Resource Guide for Bahai Studies--
bibliography). Tuttavia ogni informazione va sempre assunta con cautela, perch risale gi al XIX secolo, al
tempo della divisione tra Bah e Azal di cui ho fatto menzione a p. 243 in n. 367, la tendenza ad interpretare la
vicenda del Bb in modo pi confacente alla scelta Bah. Di ci scriveva gi allora il Browne (cfr. Trkh-i
Jadd, cit., p. 327 sgg.) e su ci ritorna Cole nellarticolo appena citato, dove si fa riferimento alla revisione delle
fonti fatta da D. MacEoin, The Sources of the Bb Doctrine and History, Leiden, Brill, 1992. A sua volta
MacEoin, The Crisis in Bb and Bah Studies: Part of a Wider Crisis ib Academic Studies, British Society for
Middle East Studies, 17,1, 1990; oppure www.interfaith.org/forum/250790-post70.html, aveva affermato, in
polemica con Cole, che gli studi sul Bbismo sono monopolizzati dai Bah (lo Cole, lo , secondo MacEoin
ma non secondo Cole, anche Amanat) che impediscono una ricerca critica contraria alla loro fede. perci
consigliabile cautela nel considerare la natura del movimento bbista, perch, mentre i Bah scelsero la linea
che ho ricordato in loc. cit. e a p. 342 in n. 357, il Bbismo, nella sua militanza fu di fatto un movimento con
unala maggioritaria rivoluzionaria che simpose allala minoritaria quietista; e nei confronti di questala
maggioritaria il moderatissimo, ascetico e visionario Bb, non sembra abbia espresso una condanna aperta. Si
ricordi, tra laltro, laltissima considerazione che egli ebbe per Qurratu l-Ayn, che dellala rivoluzionaria fu
leader. Non si dimentichi dunque che i Bah, depositari della memoria del Bbismo, sono i fedeli di una
religione, e, come tali e come molti che studiano e scrivono degli argomenti esposti in questo testo, sia nellIslam
che nel Cristianesimo, la loro critica non pu andare oltre la loro fede.

Ma veniamo alla vicenda del Bb. Sayyid Al Muhammad mostr sin dalla prima giovent quei tratti
del carattere che avrebbero costituito limpulso allelaborazione della sua dottrina. Avevo accennato sopra alla
dura requisitoria che gli fu riservata nellinterrogatorio di Tabrz in relazione alla sua scarsa conoscenza
dellarabo, alla quale egli reag affermando che le regole della grammatica derivano dal Corano, quindi dalla
parola di Dio: il contrario non potrebbe darsi. Egli dunque, che parlava parole ispirate dallAlto, parlava una
lingua non soggetta alle regole nate dalle elucubrazioni degli uomini. Ebbene: egli aveva rifiutato gi dalla prima
giovinezza la religiosit pedante degli ulam che elabora i propri giudizi disquisendo sulla grammatica araba.
In realt egli sosteneva, e la cosa gli fu anche rinfacciata (cfr. Browne, Materials, etc., cit., pp. 327-328) che il
Corano poteva essere inteso da tutti i non arabofoni, senza bisogno delle disquisizioni dei grammatici.
Il Bb proveniva da una famiglia di mercanti, come Rasht, e i mercanti erano portatori di una
religiosit pi libera, per giunta poco favorevole alla causidica sharaitica degli ulam nelle questioni relative al
commercio. Tutto ci non va sottovalutato, come anche non va trascurato di osservare la sociologia del suo
movimento, ci che faremo a suo tempo, per comprendere le oscillazioni tra le due diverse anime che pur vi
convissero sinch fu in vita il Bb.
Sin da giovane il Bb ebbe visioni in sogno di incontri con gli Imm, e certamente egli conosceva la
dottrina shaykhita al riguardo, anche se Amanat (p. 141) ritiene non sicuro il suo discepolato presso Rasht.
Aveva pratica di letture e interpretazioni esoteriche, ad iniziare dalla mistica delle lettere (ai suoi tempi
circolavano ancora testi hurfiti, Mushasha, Nukhtaw e Ahl-i Haqq); aveva una natura mistica e ascetica,
anche se esercit ancora per anni il mestiere familiare di mercante, che non sembrava essergli congeniale. Alla
morte di Rasht la scuola shaykhita si scisse: da un lato ci furono coloro che la intesero come speculazione
puramente teosofica senza particolari sviluppi ereticali rivoluzionari; si tratt di una scelta quietista che ebbe la
propria guida in Karm Khn Kirmn, che divenne col tempo un acerrimo nemico del Bb. Una linea opposta
era seguita da coloro che poi si unirono al Bb, perch da tempo guardavano ad Ahs e a Rasht come abwb
(pl. di bb) dellImm; la nascita del movimento bbista spinse i quietisti ad una aperta adesione allortodossia.
Come si vede, la divisione in due anime del movimento, costituiva una possibilit iniziale insita alla natura stessa
della dottrina, passibile di diversa lettura dalle diverse angolature sociali.
Il Bb, che gi nel 1843-1844 si era convinto del proprio ruolo a seguito delle continue visioni che gli
facevano percepire la propria esperienza come quella dello shita perfetto, scelse un percorso dottrinale
originale, innovativo, considerato dai suoi avversari come conseguenza della sua ignoranza (non era un alm):
ma la sua dottrina di superamento della Legge coranica, per quanto eretica la si possa considerare, ha un suo
fondamento nella tradizione della Sha. Del resto lo stesso Rasht, prima di morire, sembra avesse annunciato
limminenza dello Zuhr, cio del periodo nel quale, secondo il tema ismailita della ciclicit di occultamento e
manifestazione, lImm sarebbe tornato a manifestarsi. NellAprile del 1844 il Bb dichiar dunque la propria
missione; era lanno dellEgira 1260, lanno 1000 dalloccultamento del 12 Imm (874 d.C. = 260 H.; questa
cifra per determinata anche da una speculazione numerologica, cfr. The Dawnbreakers, pp. 49-50) ed inizi
ad avere seguaci disposti a propagandare la sua nuova Rivelazione, nonostante una certa emorragia di fedeli
nellanno successivo, a causa del fallimento di una sua profezia: avrebbe dovuto rivelarsi a Karbal, ma non
pot farlo perch eventi imprevisti (dunque era poco credibile come Profeta) lo bloccarono sulla via del ritorno
dalla Mecca.
1239
Gli aspetti che a mio avviso pi meritano di essere ricordati nella sua avventura, sono essenzialmente
due: la sua dottrina e la sociologia dei suoi seguaci, ad iniziare dai primissimi. Il circolo che costituiva il nucleo
dei fedelissimi fu creato sulla scorta dellesoterismo delle lettere: 19 era il valore numerologico della parola
wahid (unit) e 19 era il totale costituito dalla somma dei 12 Imm, Maometto, Ftima, i 4 Suffar e il Bb
stesso, cio di coloro che hanno avuto un ruolo nella Rivelazione come Profeta, trasmissione del ruolo divino,
Imm e portavoce dellImm. I 18 fedelissimi furono nominati hayy al-hurf, figli delle lettere, e il valore
numerologico di hayy infatti 18; 17 erano presenti allinvestitura da parte del Bb, e il 18 fu da lui nominato
in assenza, e fu Qurratu l-Ayn, che divenne la reincarnazione di Ftima (cfr. Trkh-i Jadd, p. 356).
Interessante la composizione di questo gruppo (ivi, pp. 80-81) perch, come nota Amanat (pp. 179-
181) ad eccezione di due dei membri, tutti erano di modesta estrazione sociale, uno proveniva dagli Ahl-i Haqq e
sul primo Bbismo dominavano le attese chiliastiche; nel movimento bbista and cos coagulando lantico e
mai sopito millenarismo della Sha. In effetti la dottrina del Bb si prestava a tutto ci (e allaccusa di essere
allorigine dellantinomismo) anche se essa era in realt molto vaga, salvo potersi prestare ad interpretazioni
estremiste a causa della sua pretesa di costituire una nuova Rivelazione, tale da abolire quella coranica e
perci, implicitamente, anche la Sharah.
Lopera principale del Bb, il Bayn, da un lato molto chiara e rigorosa nelle sue pretese, molto vaga
per sul piano concreto; n molto di pi si pu dire al riguardo del Libro delle sette prove; vero che la
produzione del Bb, anche epistolare, vastissima, ma, se si osserva lorigine delle innovazioni significative, si
osserva che esse risalgono a Qurratu l-Ayn, che infatti si procur dure opposizioni allinterno della comunit
bbista: e tuttavia il Bb approv sempre lopera di lei, nonostante fosse diventata di fatto la leader dellala
rivoluzionaria.
I punti sui quali la dottrina del Bb era tuttavia chiarissima, punti che egli si rifiut di abiurare nel
processo di Tabrz, erano tuttavia tali da sovvertire lordine clericale. Egli si proclamava non soltanto Mahd e
Qim, ma, in tal veste, portavoce di una nuova Rivelazione che soppiantava quella coranica; inoltre egli
rifiutava la religiosit formalistica degli ulam e rifiutava la loro comprensione della Legge fondata sulla
filologia e sulla scienza della grammatica araba.
La Rivelazione della quale egli era portatore, vista nel suo significato pi profondo, ha tratti analoghi
allIsmailismo, ci che non significa andare alla ricerca di lunghe, ipotetiche, segrete trasmissioni dottrinali, ma
constatare che essa si imposta su un analogo disagio e instabilit inerenti alla Sha stessa dopo la sua virata
duodecimana. Il Bb, per la consuetudine dei suoi rapporti onirici con lImm, si era convinto, sulla scorta di uno
Shaykhismo comunque influente nella sua dottrina, di essere il portavoce, il Bb, la via attraverso la quale Dio
intendeva comunicare una nuova Legge. Tutto ci non era senza fondamento in una logica islamica, perch la
stessa Rivelazione portata da Maometto era stata stabilita come un superamento (aggiornamento, miglioramento,
adeguamento) delle precedenti Rivelazioni, mosaica e cristiana; e poich tale fenomeno era stato interpretato
come conseguenza di una graduale evoluzione della capacit umana di adeguarsi alla Legge divina, sottolineata
da un graduale dispiegamento di questa per il tramite di successive Rivelazioni, nulla ostava, al di l delle
costituite ortodossie, a che unulteriore Rivelazione venisse ad abrogare quella di Maometto.
Nel caso della Sha, tale possibilit teorica si impostava su unesigenza che costitutiva della Sha
stessa. La Sha infatti si sempre fondata su un cardine che non pu essere eluso, altrimenti non si sarebbe pi
nella Sha: in ogni momento necessaria la presenza di un Imm, di un uomo o shita perfetto in grado di
comprendere il senso della Legge, di essere manifestazione (zuhr) terrena della Volont divina, al fine di
realizzarne la corretta interpretazione ed esercizio. Questo problema, per inciso, lIslam lo ebbe sin dalla morte
del suo Profeta, per la natura stessa di una religione che essenzialmente una Legge (il termine religione,
per essere corretti, andrebbe applicato soltanto alloccidente; quando se ne al di fuori, questo termine conduce
soltanto ad inquadrare culture diverse entro unimpropria loro occidentalizzazione).
Abbiamo perci visto quanti e quali problemi abbiano afflitto la Sha con loccultamento dellImm;
Nusayrismo e Ismailismo nascono da l, ma anche la speculazione filosofica e alchemica fu rivolta alla soluzione
del problema, allesigenza di fabbricare luomo perfetto, di ipotizzare un uomo in contatto con lIntelletto
Agente. Per un po di tempo il problema fu tamponato con lespediente dei Suffar, poi per il Grande
occultamento, scelta politica dei notabili, lasci il popolo dei fedeli ad attendere il mondo di giustizia
rincorrendo gli innumerevoli Mahd apparsi nel tempo.
Lesigenza di portare in terra la voce di Dio grazie ad una porta di comunicazione con lImm, unita
al concetto originario islamico di Rivelazione come work in progress (per gli shiti, si ricordi, il Qim
portatore della Legge ultima, in qualit di interprete autorevole) costituiscono il fondamento della pretesa del
Bb che, come tale, non si pu negare che si muova allinterno di una tradizionale logica shita. Vero che, sul
piano giuridico, il problema della vicarianza dellImm era gi stato risolto, sin dal tempo dei Safavidi,
attribuendo tale ruolo alla collettivit del clero; tuttavia, a prescindere dal fatto che questa scelta pu essere
definita ortodossa -e ci vale per tutte le ortodossie- soltanto perch politicamente vincente (il Bb
eretico soltanto perch gli ulam sono ortodossi) resta da tener presente che nel periodo che stiamo
esaminando, precisamente il corpo degli ulam era in forte discredito e sovente in contraddizione interna, tant
che tra i seguaci del Bb erano largamente presenti figure provenienti dal basso clero. Vedremo infatti che, dopo
la fine del Bbismo, la ierocrazia sent lesigenza di riorganizzarsi in un quadro gerarchico pi solido.
1240
Ci che il Bb proclamava nei suoi scritti, era in fondo, una dottrina che, a parte le contorsioni
numerologiche e hurfite, era molto chiara e lineare: come al tempo del Cristianesimo venne la Rivelazione di
Maometto a rendere superato e falso il Cristianesimo, cos ora la sua Rivelazione (il Bb era misticamente
certo del proprio ruolo) veniva a rendere superato il messaggio di Maometto; e come allora i Cristiani e tutti
coloro che non vollero capire diventarono degli infedeli, cos ora sono infedeli tutti coloro che persistono
nelladerire alla Legge coranica e non accettano il Bayn. Daltronde, come allora molti non vollero credere, cos
molti non vogliono credere ora; quel che certo che la religione formalistica incentrata sula causidica giuridica
degli ulam, (ormai) falsa (cfr. Bayn, Unit VI, Porta 10). In questo senso, il messaggio che il Bayn si
sforza di convogliare assolutamente parenetico, oltrech, ovviamente, antisacerdotale.
Entrando in qualche dettaglio sulla sua dottrina, nel Libro delle sette prove egli sostiene che il proprio
mandato reso evidente dalla sua non umana capacit di scrivere migliaia di versetti in poco tempo, in ci ben
superiore a Maometto, affermazione che ripeter anche altrove; attacca inoltre ripetute volte la scienza religiosa
degli ulam e d una sottile interpretazione dellantica profezia, secondo la quale lavvento del Mahd vedr il
sole sorgere ad Occidente. Il sole dellIslam, egli dice, nacque in Arabia ed estese il proprio corso sino allIran;
dunque lIran lOccidente del sole islamico, e da l sorge ora il sole della verit.
Nel Bayn egli sviluppa dunque la dottrina di un superamento progressivo della Rivelazione (Unit I,
Porta 2); torna pi volte sugli argomenti gi accennati e dedica uno specifico attacco (Unit II, Porta 1)
allaccanimento clericale che fa della religione una scienza della grammatica; riafferma la possibilit per
chiunque di essere lo shita perfetto e la necessit di interpretare la Legge in accordo con i tempi, laddove gli
ulam fanno della religione un mero strumento di potere (Unit II, Porta 3). NellUnit II, Porta 4, sottolinea la
catena che deve condurre il fedele a rifugiarsi nel Bb, perch la porta dellImm mette in contatto con lImm,
questi con il Profeta, questultimo con Dio che ineffabile, e non pu quindi essere conosciuto, n Lui n la Sua
Volont, se non per mezzo di questa gerarchia discendente il cui scopo mantenere sempre una porta aperta, un
collegamento aperto con Dio, qui, tra gli uomini. Nelle successive Porte dellUnit II egli ribadisce inoltre che la
Resurrezione un evento tutto terreno, consistente nella conoscenza (un argomento che seguiamo sin
dallIsmailismo) e definisce il Purgatorio come un intervallo di tempo terreno tra due successive manifestazioni
nelle quali una verit divina che sempre eguale a se stessa, si manifesta in forme diverse nel tempo.
In questa affermata progressivit della Rivelazione, c un punto dinteresse intellettuale nellUnit II,
Porta 16, che pu essere meglio compreso seguendo la dottrina generale esposta nel Trkh-i Jadd alle pp. 331-
336. I cicli teofanici di zuhr e ghayba (manifestazione e occultamento) si susseguono come il ciclo del sole che
sorge, splende, tramonta e scompare; per poi tornare a sorgere, e cos via: ma il sole sempre il medesimo.
Lintervallo (barzakh) tra le due manifestazioni successive il Purgatorio. Ora, ci che mi sembra altamente
significativo del duplice volto del Bbismo, quanto accadde nel gi citato incontro di Badasht (Amanat, p. 326;
The Dawnbreakers, p. 228 sgg.; Mottadeh, cit.; Trkh-i Jadd, pp. 355-360) allorch Qurratu l-Ayn dichiar
che, trovandosi gli uomini in questo intervallo, la Legge coranica doveva intendersi abolita: e si tolse il velo in
pubblico (oltretutto era vestita da uomo).
Al riguardo non si pu ignorare che in questo, come in altri momenti di estremismo, come nei
tragici eventi di Qazvin che coinvolsero Tahir e la sua famiglia, sui quali cfr. M. Momen, Usuli, Akhbari, etc.,
cit., il Bb fu sempre dalla parte della sua Tahir (il cui nome era Ftima Baraghani) ci che, se non nasconde
una inaccertabile doppiezza, fa pensare ad una certa oscillazione tra un palese atteggiamento mistico e
visionario, e un incitamento rivoluzionario, non escludibile dalla dottrina del Bb.
NellUnit IV, Porta 10, il Bb dichiara apertamente, dispensando la propria nuova Legge, linutilit,
per i Persiani, dello studio dellarabo; evidente qui il suo rapporto originario con la religione intesa come
comprensione del cuore, e linutilit di discettare sulla lettera dei testi; egli aggiunge poco dopo che coloro che
pensano di possedere al riguardo una grande scienza, sono, nei fatti, i pi violenti degli uomini: una condanna
aperta alle pretese egemoniche degli ulam. Una religiosit come la sua, tutto sommato radicata nella pi antica
tradizione shita, era infatti pi vicina allAkhbrismo, ed era certamente allopposto delle diatribe formaliste
degli Usl. La VI Unit, vede infine delle normative specifiche, che mostrano una mitigazione e una certa
liberalizzazione di normative concernenti le pene sharaitiche.
A parte la dottrina del Bb, anche il ruolo di Qurratu l-Ayn deve essere tenuto presente, perch esso
non fu meno importante nel movimento bbista, e ci aiuta a comprenderne le due anime. A proposito di ci, si
deve sottolineare la sociologia del movimento cos come la delinea Amanat alle pp. 261, 274-275, e 333. Nella
prima circostanza, a proposito dellespansione del movimento parla in termini generali di Sf, Dervisci erranti,
membri dellintellighentzia urbana e dipendenti statali di livello medio-basso, nonch ulam e chierici di fresca
nomina che furono attratti dalla predicazione del Bb; nel secondo caso di ulam e di studenti religiosi di basso
livello; a p. 156 aveva parlato di nuclei di comunit ismailite sopravvissuti nelle aree rurali; a p. 358 parla ancora
di presenza delle ghilde, di mull di basso rango, di artigiani e di contadini; a p. 333, pi specificamente, sembra
riecheggiare la nota sociologia degli Gnostici di Weber (cit. in Bibl. a p. 745 [cfr. vol. 1, p. 506]: intellettuali
proletaroidi...piccoli funzionari titolari di benefici ai confini del minimo vitale...maestri elementari...libere
professioni proletaroidi...intellettuali autodidatti) e quella delle ghilde di mercanti e artigiani delle eresie
medievali. Amanat elenca infatti mercanti dei ranghi inferiori (qualcuno pi grande), membri delle ghilde,
negozianti e rivenditori, piccoli funzionari provinciali, ex-ufficiali dello Stato di ruolo marginale, Sf e Dervisci
1241
erranti delle citt, piccoli proprietari terrieri, capi seminomadi, contadini dei villaggi e delle cittadine rurali. Il
quadro quello di una societ oppressa in cerca di giustizia, fornita di una cultura autodidatta e comunque
alternativa a quella ufficialmente riconosciuta, nella quale facile immaginare un certo esoterismo fai-da-te
corredato da attese millenaristiche, e diffuso, anche se sopito, ribellismo. Unumanit dolente che doveva avere
comunque ben chiaro il quadro dei previlegi e della corruzione sacerdotale, che si muoveva a propri fini nelle
pieghe del traballante Stato Qjr.
Su questa umanit -o su parte di essa- doveva verosimilmente far presa la figura di Qurratu l-Ayn,
che aveva anchella un suo proprio ribellismo connesso ad una intelligenza, cultura (fu anche notevole poetessa)
e personalit, avvilite dalle condizioni della donna nellIslam; e che fu, infatti, una protofemminista in grado di
mobilitare al proprio fianco numerose donne, alle quali si rivolgeva in modo particolare la sua predicazione.
Qurratu l-Ayn aveva seguito profondi studi religiosi che le avrebbero dato diritto alla licenza per perseguire
lattivit dellinsegnamento: se ci non le fosse stato negato semplicemente a causa del suo esser donna.
Il suo entusiasmo rivoluzionario era stato in grado di suscitare ladesione degli Ahl-i Haqq di
Hamadan, nonch dei Curdi e degli Ahl-i Haqq di Kermanshh, un segnale dellesistenza di un clima generale di
ribellione che andava al di l delle esternazioni mistiche del Bb, ma che in quelle trovava il fondamento
ideologico per proclamare la liberazione e il cambiamento. Qurratu l-Ayn proclamava infatti, come punti
fondamentali della nuova dottrina, leterna presenza della guida divina, la progressivit del ciclo delle
Rivelazioni, lesigenza di un nuovo credo per affrontare le sfide del cambiamento, e il Bb come unico
depositario dellispirazione divina. Fondamentale sviluppo del concetto della ripetitivit delle Rivelazioni appare
lidea, che presente nel Bb sia pure in termini etici, non nella nostra concezione occidentale, di un progresso
dellumanit e di un mutare dei tempi, che rendono necessario un adeguamento della Legge. Importante anche
questa necessaria presenza in ogni tempo delluomo perfetto, che unesigenza radicale della Sha e un
tradizionale tema Sf.
Una lunga parte del racconto di Amanat poi dedicata alle tragedie di Qazvin, dove si verificarono i
primi massacri di Bbisti, una costante che si ripeter per tutto il secolo e proseguir sino ai nostri giorni, nella
Repubblica islamica, con le persecuzioni dei Bah (cfr. The Martyrs of Manshd, transl. by Sayyid Muhammad
Tab Manshd, www.bahai-library.com/rabbani_martyrs_manshad; A Faith denied. The Persecutions of the
Bahs of Iran, Iran Human Rights Documentation Center, 2006, www.bahai-library.com/ihrdc_faith_denied; H
Momen, The Babi and Bahai Community of Iran A Case of Suspended Genocide, Journal of Genocide Research,
2,2, 2005) e al convegno di Badasht. In questo convegno (per i riferimenti vedi sopra; adde Amanat p. 324 sgg.)
che avvenne en plein air nel piccolo villaggio rurale di Badasht e che fin con un assalto a colpi di pietre da parte
dei paesani scandalizzati, Qurratu l-Ayn fece passare tra i presenti, nonostante la dura opposizione, una linea
insurrezionale del Bbismo, proclamando la decadenza della Legge coranica (cfr. Trkh-i Jadd, p. 357). Sul
ruolo esoterico di Ftima (della quale ella era la reincarnazione) nel Bbismo, cfr. T. Lawson, The Authority of
the Feminine and Fatimas Place in an Early Work by the Bab, O.J.B.S., 1, 2007, versione riveduta di un
articolo originariamente apparso su The most learned, etc., cit.
Dopo limprigionamento e linterrogatorio del Bb a Tabrz, le rivolte ebbero inizio nel Mzandarn, a
Nayrz, nel Zanjan, con massacri di Bbisti. Il Bb fu giustiziato nel 1850; Qurratu l-Ayn, imprigionata a
Tehran, fu strangolata e gettata in un pozzo del Bgh lkhn nel 1852, dopo lattentato allo Shh. singolare
che questo finale fosse stato fortemente voluto dal ministro Amr Kabr, vincendo i timori degli ulam e del
governo per le reazioni che avrebbe potuto provocare. Amr Kabr aveva ragione: il movimento ne usc
demoralizzato e si dissolse senza il proprio Mahd. Amr Kabr era un modernista che vedeva nei movimenti
millenaristi lirrazionalismo di un paese arretrato che voleva modernizzare; i Qjr lo liquidarono presto per
proseguire il proprio governo sempre pi impotente e corrotto; gli ulam trionfarono e la Persia tent di tornare
ad essere quella di prima sino alla Rivoluzione del 1905. In fondo, il Bb aveva avuto i propri limiti: non seppe
tradurre il proprio messaggio religioso in un coerente messaggio rivoluzionario, lasciando linsurrezione allo
spontaneismo dei propri seguaci che avevano interpretato in modo pi concreto la fine della Legge amministrata
dal clero.
Qui si chiude il racconto sulle travagliate vicende di una ortodossia pronta a partorire sempre nuove
eresie, nuove soltanto sotto il profilo temporale, perch sia in quelle che abbiamo gi visto, dal Nusayrismo in
poi, sia in quelle che vedremo nel prossimo capitolo, si ha limpressione di scoprire, sotto le tante maschere,
sempre lo stesso volto: quello della vecchia Sha e dei ghult.
Pochi movimenti come il Bbismo sono stati in grado di andare oltre la maschera rivelando il punto
dolente: senza un interprete infallibile della Legge in ogni tempo, la Sha perde il proprio stesso fondamento. Se
lImm si occultato, qualcuno deve esserne il portavoce in questo mondo, la comunit dei credenti deve avere
una qualche via di comunicazione con la Volont divina. Nel periodo delloccultamento minore ci fu
lespediente dei suffar, ma poi? Problema gravissimo, tanto pi per una religione come lIslam, che
innanzitutto una Legge fatta di obblighi e divieti che regolano lintera societ, non esclusi il codice penale e
quello civile.
Il primo orientamento, quello pre-safavide fu infatti minimalista: gli ulam potevano prendere
decisioni in base alle tradizioni (dunque erano akhbriti) ma sino a un certo punto: il jihd, ad esempio, non

1242
aveva fondamento legale per essere dichiarato, e la stessa preghiera del Venerd non poteva essere convocata,
per mancanza di colui che era intitolato a guidarla.
Poi ci fu levoluzione che abbiamo esaminato, quella sotto i Safavidi, che fu possibile mettere in moto
soltanto perch lortodossia era stata proclamata da un eretico che, in quanto tale, poteva dichiararsi Imm.
Dovendo dunque guidare una comunit identificata con uno Stato, lortodossia fu costretta a cambiare pur
seguitando a chiamarsi ortodossia: le tradizioni non furono pi sufficienti e nacque il partito dellUslismo,
che fu possibile pensare soltanto assegnando al clero, nella sua collettivit, la vicarianza pro-tempore
dellinaccessibile Imm. Sottolineo collettivit perch senza un Imm o un suo portavoce diretto dotato di prove
inoppugnabili di questo suo rapporto, ogni singolo alm non , in quanto uomo comune, un uomo perfetto,
non masum, limitato e soggetto ad errore.
Perci si pu pensare che, analogamente a quanto decisero i Sunniti, soltanto la collettivit nel suo
complesso possa costituire il luogo sul quale discende lo Spirito Santo. A differenza dei Sunniti, qui non si
parla per del collettivo dei fedeli, ma di quello del clero, e, come vedremo, questo dovr col tempo strutturarsi
gerarchicamente, sinch lesigenza di suffragare un Imm inaccessibile con degli uomini condurr, col velayat-e
faqih di Khomeyni, allincredibile giravolta di unortodossia....eretica, che porr un uomo al posto dellImm.
Daltronde la vicenda della Sha, nella sua consustanzialit iranica, fortemente condizionata dal fatto che la
sua dottrina si sia strutturata, a partire dal XVI secolo, allinterno di uno Stato, identificandosi con esso e perci
caricandosi di compiti e di obbiettivi che non le sono originari e che, come abbiamo visto, non sempre hanno
ricevuto il consenso delle comunit shite sparse altrove.
Tuttavia, sinch lo Stato fu forte, il clero shita con il suo abbozzo di gerarchia si dichiar successore
dellImm soltanto in materia religiosa (ci che comport comunque, col tempo, il diritto di sancire la legalit
delle guerre intraprese dal Sovrano) istituendo quel gioco dialettico di incontro/scontro grazie al quale il suo
potere negoziale si accrebbe col tempo per il progressivo indebolimento dello Stato: ci che si riverber in
tangibili benefici per lalto clero.
Con lo sfascio dello Stato Qjr che aveva sostituito il dominio afghano, altra epoca infelice, non deve
quindi sorprendere il risveglio di una religiosit pi popolare (anche nel senso di: maggiormente sentita dalla
base) accompagnata dal malcontento del proliferante basso clero; non deve sorprendere il risveglio dei Sf n la
ricerca, da parte dei dotti e pii Shaykhiti, del fondamento teorico di un possibile shita perfetto in grado di
ricostituire lanello mancante nella trasmissione della Volont divina attraverso la catena costituita dal Profeta e
dallImm, in grado cio di far scendere quella Volont sino alla comunit shita.
Certamente, nel raccogliere quelleredit, il Bb and un po oltre, dichiarandosi portatore di una
nuova Legge: ma non si pu dire che egli fosse cos fuori dalla tradizione shita post-occultamento, n dallo
spirito rivoluzionario in nome della giustizia sociale che caratterizzava loriginario ghuluww. Certamente, non
pi di quanto ne fosse fuori la ortodossia del suo tempo: entrambe le linee erano frutto di unevoluzione che
aveva necessariamente condotto lontano dalle origini: soltanto che il Bbismo ne rispettava, quantomeno, lo
spirito. Spirito che si manifestava nellattesa di un trionfo della Giustizia non necessariamente identificato,
come nel Sunnismo, con quello della Sharah.
Il fatto che sino al XVI secolo, la Sha era stata un partito minoritario, perdente emarginato e ribelle
in nome di un Islam delle origini tradito sin dal primo califfato: il Sunnismo si era viceversa strutturato entro una
pratica del governo. Non meraviglia scoprire che, quando questa incombenza tocc anche alla Sha, questa si
andasse progressivamente sunnizzando: con una fondamentale differenza. Lorigine ierocratica del suo
sapere, disceso tramite lImm da sfere ultraterrene, portava alla formazione di un clero autoreferenziale e
progressivamente gerarchizzato: qualcosa che nellIslam originario non cera.
Il Bbismo fu una brutta gatta da pelare per questo clero: il Millenarismo, nota Arjomand, The Turban
for the Crown, N. York-Oxford, Oxford Un. Press, 1988, p. 101, narrando le premesse e gli esiti della
Rivoluzione iraniana del 1979, un importante costituente della Sha, fa parte dellinterpretazione ortodossa
(corsivo mio) della fede nellultimo Imm; inestirpabile e Khomeyni lo sfrutt. Ma dopo? Come si governa
una rivoluzione? Non compito n competenza di queste poche righe proseguire il racconto sino ai nostri giorni,
tuttavia qualche cenno necessario per mettere in luce come la ortodossia abbia fatto unulteriore capriola per
rimanere tale.
Il nodo centrale si focalizza nella configurazione legale di un personaggio fondamentale per
mantenere le redini di un clero da costituire in corpo compatto e gerarchizzato, il Marja-i Taqld, lautorit da
imitare. In questo pu essere daiuto la raccolta di saggi edita da L.S. Walbridge gi citato; e in essa gli articoli
di Talib Aziz, Motahari, Mavani, Stewart, J. Walbridge e della stessa L.S. Walbridge, che cito in Bibliografia;
nonch gli articoli di P. Abdolmohammadi e F. Moroni, su O.M., 29,1, 2009 e 28,1, 2008 rispettivamente,
anchessi riportati in Bibliografia.
La figura del Marja-i Taqld, bench non nuova, fu ripensata nel XX secolo come vertice di una
potente e moderna struttura burocratica centralizzata, e con caratteristiche sostanzialmente paragonabili a quelle
dello shita perfetto, nel senso di persona in grado di comprendere, per grande dottrina e specchiata rettitudine,
linterpretazione della Legge come sarebbe data dallImm, quindi di godere di una autorit obbiettiva. Si
tengano presenti i tre corsivi, e si noter che si riferiscono ai termini pensati dallo Shaykhismo, con la differenza
che qui lattribuzione della certezza interpretativa parte dal mondo degli uomini, non dal Cielo.
1243
La linea che condusse allaffermazione di Khomeyni pass dunque per la rivalutazione di unantica
figura, adattata per alle esigenze di una comunit islamica moderna; per far ci era necessario dare agli ulam
il potere che si definisce wilayat al-mutlaqa, autorit assoluta, senza restrizioni, in materia di interpretazione
della Legge. Fu questo lo sforzo ideologico di Khomeyni che peraltro, come nota Mavani, appoggi le prove
di tale autorit sullinterpretazione personale di tradizioni incerte, prove deboli che non hanno il consenso della
Sha non iraniana.
La sua dottrina conferiva infatti al faqih potere anche politico, ci che rappresenta uninnovazione a
dir poco ardita, se si pensa che in passato il clero era stato considerato -ed era gi uninnovazione- erede del
potere del Profeta soltanto in campo religioso. Khomeyni pot imporre la propria dottrina soltanto eliminando gli
altri Marja (lui che era stato nominato tale per essere salvato dalla pena di morte comminatagli dallo Shh) e
potenziando il ruolo della scuola di Qom come supporto alla propria dottrina, contro quella irakena storicamente
dominante, di Najaf, che certamente non approvava le innovazioni.
Innovazioni che andarono ancora oltre, non soltanto nominando Marja-i Taqld Khamenei, un
semplice mujtahid, ma giungendo a sostenere (Moroni, p. 116) che il faqih pu anche, qualora pressanti esigenze
della comunit lo impongano, abolire i pilastri della religione. Come si evince da una citazione di Khomeyni
riportata da Arjomand a p. 183, dovere divino al disopra di ogni altro la salvaguardia della Repubblica
islamica. Qui assolutamente evidente la preminenza della politica -e della politica iraniana- sulla religione, che
le viene asservita, contrariamente a ci che pensa loccidentale comune, che vi vede una politica asservita alla
religione. Al confronto, le scandalose innovazioni del Bb impallidiscono; gli ulam, secondo la dottrina di
Khomeyni, sono gli unici autorizzati a controllare e convalidare le decisioni del Parlamento dopo averne
verificato la conformit alla Sharah: chi si oppone destituito dal Parlamento (Abdolmohammadi, p. 97).
In sostanza: con la Rivoluzione iraniana il faqih assume il ruolo di portavoce dellImm e del Profeta,
e ci il risultato della fusione, voluta da Khomeyni, della Marjaiya e del velayat-e faqih (L.S. Walbridge, p.
234). Questo qualcosa che va oltre qualsiasi innovazione, un fatto nuovo: la ortodossia che cambia volto
e si autoproclama tale partendo dalla negazione della ortodossia precedente, cio da uneresia: come fu fatto al
tempo dei Safavidi.
Arjomand, cit., alle pp. 91-188 segue tutto il fenomeno della Rivoluzione, notando a p. 105 come il
pensiero di Khomeyni abbia risentito di quello di Sayyid Qutb (cfr. supra, pp. 830-833) erede, a sua volta di
quello di Mawdudi. Le pagine che maggiormente interessano queste note sono le pp. 147-188, dove si affrontano
i princpi legittimanti del governo della Repubblica islamica, dei quali Arjomand nota, a p. 155, le due
contraddizioni fondamentali con il consolidato immismo duodecimano: lautorit degli ulam non pu essere
estesa al governo; essa comunque collettiva e non pu essere ricondotta a un vertice quale che esso sia, di uno,
tre o cinque giuristi, com nella Costituzione della Repubblica islamica. Questa, vorrei notare uscendo per un
attimo dalla specificit del problema religioso, la logica conseguenza politica di ogni rivoluzione nata per
cambiare il mondo, che, per perseguire i propri irrealistici scopi, deve necessariamente risolversi in dittatura. In
questo caso particolare, lesigenza a monte per giungere a ci era quella di gerarchizzare il clero, argomento sul
quale Arjomand torna a p. 180.
Interessanti sono alcune citazioni: per Khamenei (sottolineo qui la ferrea coerenza di una logica
disposta a sconfinare nellimprobabile) gli ordini dei giuristi sono perci gli ordini di Dio (p. 182). Come nota
Arjomand a p. 185, siamo in presenza della necessit di adattare la Sha alla islamizzazione di uno Stato
moderno (quello ereditato dallo Shh) e ci comporta necessariamente una trasformazione drastica della dottrina:
e tuttavia si pu soltanto osservare che lo stesso avvenne quando si tratt di strutturare la dottrina sui problemi
dello Stato safavide. Lortodossia trascina con s lirrisolta e ambigua contaminazione con la politica; e quando
ci non le assurdit sono anche peggiori, come il ripristino delle cruente pene coraniche (lapidazioni,
amputazioni e quantaltro: cfr. p. 186). per non parlare dei garbugli che si generano nelle procedure processuali
(pp. 186-188) per la sovrapposizione di riti consuetudinari e delle esigenze di una maggiore formalizzazione.
Ormai siamo per del tutto fuori dallargomento che sintendeva trattare, e ho inserito questi cenni
soltanto per chiudere con due considerazioni. Lortodossia shita sembra ancora in divenire, e non si pu
prevedere quale ortodossia ci sar quando questa fase sar terminata. Un solo punto sembra restare saldo sotto
tutti i cambiamenti: la pretesa di una societ perfetta in un mondo in divenire e con una Legge, non soltanto etica
ma anche civile e penale nata nella penisola arabica quattordici secoli or sono. La Sha ha voluto sciogliere il
nodo con la figura, se non semidivina quantomeno sovrumana, dellImm, che per non c pi, in Hrkaly.
Gli eretici, che se ne dichiararono portavoce o reincarnazione, intendevano risolvere un problema fuori delle
capacit umane, ma la loro sostituzione con una burocrazia verticistica non aiuta ora comunque a risolvere
limpossibile. Chi, come il Bb, pens di dare una nuova Legge ricorrendo alla ciclicit delle Rivelazioni che,
pure, al cuore della nascita dellIslam, dovette pensare a un superamento dellIslam, come dire: non essere pi
islamici per restare islamici.
Certo che nella Sha, e nellambiguit di ogni sua ipotetica ortodossia, resta latente e vitale un
germe che la fa somigliare ai vulcani in quiescenza: listanza della protesta sociale contro lingiustizia. Questa
istanza c ovunque, almeno dai tempi del Messaggio testamentario e dalla scoperta gnostica della realt del
male; fuori dallIslam sono stati elaborati altri modelli per contenere e incanalare la protesta, rinunciando alla
pretesa dellinnocenza che ogni tanto torna comunque a far capolino, lultima volta con la pretesa scientificit
1244
(siamo laici!) del comunismo rivoluzionario sovietico. Come nota Arjomand nelle sue Conclusioni (p. 206) i
rivoluzionari sovente agiscono in difesa dei valori tradizionali; questo vale per la Rivoluzione islamica che
per, in questo, segue la regola generale delle rivoluzioni di tutti i tempi: restaurare unet delloro sognata. In
fondo, questo anche il mito sunnita dei Salafiti e di tutte le rivoluzioni: promettere di restaurare quello che non
c mai stato.
Anche la Sha, come il Sunnismo, uno sviluppo conseguenziale delle lontane origini, delle tensioni
messianiche della marginalit, bandita nel corso del consolidamento delle due grandi ortodossie testamentarie
tra il II e il V secolo. Ci non le toglie dignit: la perfezione un desiderio e luomo un animale desiderante. E
ha una storia perch ha dei miti.

1245
3 - Il volto di Al
Un ultimo breve cenno deve ora essere dedicato alle numerose e sovente intrecciate eterodossie
islamiche germogliate attorno alla figura di Al divenuta icona delluomo divinizzato (o anche di Dio, manifesto
in forma umana). Eterodossie che sono discendenza di quelle che abbiamo gi incrociato e delle quali hanno
conservato nome e dottrine (Qizilbsh, Aleviti, Bektsh, Ahl-i Haqq e quantaltro) e che contano un numero
assai vasto di seguaci, tanto che, se per aspirare al titolo di ortodossia fosse sufficiente il criterio numerico che
viene anche invocato per lIslam, esse avrebbero persino qualche diritto in pi rispetto agli ortodossi
Khridjiti.
Naturalmente dico ci per assurdo, perch il problema posto dalla Sha estremista per una logica
ortodossa, insormontabile, in quanto va a toccare quellassoluta, e soprattutto invalicabile distanza tra Dio e
luomo, che dellIslam un cardine. Una dottrina ha tuttavia uninterpretazione e uno sviluppo, e il punto che
intendo esplorare precisamente questo: la logica degli sviluppi dei quali parleremo e la sua compatibilit con le
premesse. E ancora: abbiamo gi visto il concetto di religiosit vernacolare, secondo il quale una religione nella
sua realt vissuta un po diversa dai suoi dettati dottrinali; in essa trovano modo infatti di essere ospitati e
rimodellati miti e tradizioni antichissime, che fanno parte del quotidiano, del vissuto popolare, adattandosi a
convivere con gli assunti della religione ufficiale ma in qualche modo deformandola, a causa della propria
origine altra.
Le caste sacerdotali hanno sempre combattuto, alla lunga con successo -ma non sempre- questa
religiosit vernacolare: basti pensare alla Chiesa Romana nellAlto Medioevo. Mai per la necessit normativa
stata sentita cos forte come nellIslam che fu fondato, dopo la morte del Profeta, sul rigido rispetto della
letteralit del dettato coranico: abbiamo visto il travaglio che conduce alla formazione del Sunnismo. Desidero
sottolineare questo aspetto, perch largomento di riflessione introdotto pu essere utile per pensare la religiosit
dei gruppi in esame al di fuori degli schematismi sacerdotali (e anche accademici, che non sono poi molto diversi
da quelli) che giungono a vedervi una alterit incompatibile con lIslam.
La divinizzazione di Al, come di altre figure storiche ritenute manifestazione di Dio; la dottrina della
wahdat al-wujd; le varie architetture emanatistiche che abbiamo visto sinora nelle cosmogonie presentate;
possono essere comprese, nella loro ragion dessere, soltanto a partire dai limiti della ortodossia stessa, che
non tanto razionale come vorrebbe sembrare, essendo, pi che altro, razionalista. infatti molto
problematico, per chi voglia partecipare di una religiosit che guidi gli infiniti e non codificabili atti quotidiani
delluomo, spingere alle estreme conseguenze la distanza ontologica tra il divino e il terreno: ne pu derivare
non soltanto lincomprensibilit del dettato, ma anche un senso di distacco tra il dovere e il sentire. Come notava
Strothmann, Gnosis-Texte der Ismailiten (cit. in Bibl. a p. 736) p. 4, a proposito degli Ismailiti Maometto, col
suo Deismo razionale (n.d.s.: che mi permetto ad equiparare ad un Razionalismo deista) aveva ulteriormente
approfondito labisso tra Dio e lumanit con la totale esclusione dellidea di un Dio-uomo mediatore e salvatore.
Tuttavia i Duodecimani (scil.: gli Shiti) in particolare i divinizzatori di Al -in minor misura anche gli Zayditi-
avevano nuovamente ripristinato i legami.
Quanto alla mistica, segnala Strothmann di seguito, essa scavalca labisso fondandosi su se stessa; gli
Ismailiti, aggiunge, lo fanno con le loro emanazioni gnostiche. In ogni caso, viene da osservare, il problema
sembra sempre il medesimo, abbandonare il Razionalismo, uso astratto, apodittico, della Ragione, in nome della
pi razionale ragionevolezza, che fa della religiosit una partecipazione attiva delluomo ad un progetto che gli
appartiene, non latto di sottomissione ad una Legge stabilita per lui altrove. Pensare un trait dunion che porti il
divino a manifestarsi tra gli uomini potr anche costituire uninfrazione al Dettato -cio uneresia- ma di certo
una conseguenza che insorge spontanea dagli aspetti questionabili del Dettato stesso: come tale un suo
sviluppo, uno dei tanti possibili.
Manifestazione del divino nellumano e adattamento di antichi miti, culture e tradizioni alla nuova
realt islamica, costituiscono il tratto essenziale degli sviluppi che ora saranno brevemente esaminati. Insisto
preliminarmente su questo punto per sottolineare che esistono, viceversa, interpretazioni opposte, quelle dei vari
studiosi che vedono in tutto ci nullaltro che il residuo di antiche culture e religioni perpetuate da ceti
prevalentemente marginali (soprattutto sul piano geografico, come fu il caso dei Pauliciani) che, giunti a contatto
con lIslam, hanno assunto da esso soltanto una vernice esteriore. Il caso pi eclatante, tra questi gruppi religiosi
dinterpretazione controversa, quello degli Yezdi, che esaminer perci separatamente. Parto, per ora, da un
testo generale, quello di Moosa, citato.
Per evitare un pesante eccesso di citazioni premetto per sin dora i testi dai quali traggo le
considerazioni che seguiranno, molti dei quali gi citati nelle precedenti Bibliografie di questo testo,
precisamente i testi di Balivet e Beikbaghban (p. 847); Edmonds, Faroqhi e Frahia (p. 848); Ibrahim Fredrikson
e Kirchmair (P. 849); Mlikoff, Minorsky, Mir Hossaini, Mokri, Nau-Tfinkdji e Ocak (p. 850); Stoyanov (p.
851); Van Bruinessen (p. 852 e p. 1017); During (p. 1014); ed altri eventuali. Altri sono qui citati per la prima
volta, e tra questi ricordo i testi, introdotti ora, di Aikyildiz, Balivet, Birge, amorlolu, Clayer, During,

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Faroqhi, Hamzehee, Kiel, Leezenberg, Mlikoff, Mokri, Ocak, Popovic, ami, Stoyanov, Van Bruinessen e
Zaidan ed eventuali altri, che si trovano citati nella Ulteriore Bibliografia al termine di questa Rassegna
bibliografica ragionata.
La lontana radice di questi gruppi appartenenti a forme estreme della Sha da ricercarsi nel
movimento Qizilbsh del quale ci siamo lungamente occupati; alla sua eredit vengono fatti risalire tanto gli
Ahl-i Haqq quanto gli Alev; quanto agli Shabak, ai Kk, i Sarliya, i Grn, si tratta di gruppi affini agli uni
o agli altri, dei quali condividono la dottrina e si differenziano quasi soltanto per il nome attribuito loro
localmente. Cos Van Bruinessen (cit. in Bibl. a p. 1017) definisce gli Shabak come comunit Qizilbsh del
Kurdistan iracheno, la cui religione affine, nonostante la distanza geografica, a quella degli Aleviti di
Anatolia, il cui nome risale peraltro al XIX secolo, quando cos furono rinominati i Qizilbsh per evitare loro un
nome che era divenuto genericamente dispregiativo.
Gli Shabak divinizzano Al, manifestazione dominante del divino entro una Trinit che comprende
lui, Allh e Maometto; non pregano, non pagano la zakat, non digiunano nel Ramadn; hanno viceversa obblighi
relativi tutti interni al loro culto. Anche il pellegrinaggio non diretto alla Mecca, ma ad altri loro luoghi sacri di
culto; non hanno il divieto di bere vino. Moosa, che apre con gli Shabak il proprio testo, ritiene possibile (p. 6)
che essi siano stati in origine dei Bektsh divenuti seguaci dei Safavidi e fuggiti in Iraq dopo il disastro di
Chaldirn. Gli Shabak si distinguono dai vicini Kk e dai Sarliya perch questi ultimi sono pi assimilabili
agli Ahl-i Haqq.
Moosa ha dedicato unampia trattazione agli Shabak, elencando le varie ipotesi sulla loro origine, tra
le quali quella di una possibile origine persiana, ma propende per unorigine turcomanna (la lingua del loro testo
sacro, il Buyruk) e per una affiliazione ai Qizilbsh risalente ai tempi di Haydar (p. 7). Nei loro rituali vede una
forte connessione con quelli dei Bektsh (p. 19) e gi da questi primi cenni si pu notare quanto variegate siano,
tanto le connessioni reali di questi gruppi, quanto le opinioni degli studiosi.
Nota Moosa (p. 50) che Bektsh, Qizilbsh (cio Aleviti) e Shabak (ma non soltanto loro)
divinizzano Al, che, con Maometto e Allh, forma la Trinit da lui detta dei Ghulat. Al tuttuno con
Maometto e la verit muhammadiana lo Spirito divino infuso in Adamo, ed la fonte di vita che unisce
luomo a Dio (p. 54). Essi credono per che il vero Profeta dovesse essere Al, ma Dio fu ingannato da Gabriele
che port la Rivelazione a Maometto: questa, come altre leggende, mostra il sottofondo folklorico della
religiosit Shabak; ma mostra anche la chiara tendenza di tutti gli ultra-shiti a previlegiare il senso segreto della
Legge (quello che rivelato da Al) rispetto alla letteralit sharaitica. Ci evidente se si considera che gli
Shabak hanno sette gradi iniziatici (il 7 sacro, per loro come per i Bektsh e i Qizilbsh, p. 88) e dal quinto in
poi, cio dal grado di Qalandar a quello apicale di Qutb, decade la necessit del rispetto delle norme sharaitiche
(p. 89). Degli Shabak si occupa anche Leezenberg, cit. in Bibl. infra, ma dellarticolo citato mi occuper in un
secondo momento.
Molto vicini agli Shabak sono i Sarliya e i Kk (Moosa, p. 168); i secondi sono pi urbanizzati dei
primi, di norma agricoltori e pescatori nel bacino del Tigri; probabilmente discendono da antichi sostenitori dei
Safavidi (p. 172). Questi due gruppi, che sembrano per lappunto distinguersi sul piano sociologico, non su
quello religioso, come tutti gli appartenenti alla Sha estremista non rispettano i pilastri della preghiera,
dellelemosina, del pellegrinaggio, del Ramadn; interessante notare - vedremo poi che non sono gli unici- che
essi praticano invocazioni al sorgere e al tramontare del sole. Similmente ad altri estremisti, come gli Ismailiti,
considerano Dio inaccessibile in s, ma manifestato in forma umana pi di una volta, nel corso di cicli
successivi; come molti Sf credono nellunicit dellesistenza sino agli estremi di un vero e proprio Panteismo:
tutto ci che appare Dio.
Di loro, come degli Yezdi e degli Ahl-i Haqq (ai quali ultimi possono essere assimilati) i Musulmani
ortodossi dicono che sono adoratori di Satana, ci che non vero e vedremo poi di dove nasce la leggenda. A
proposito di queste leggende, preciso sin dora che per tutti i gruppi che stiamo esaminando, inclusi Bektsh e
Alev, esiste la stantia accusa eresiologica, che abbiamo visto in uso anche contro le dissidenze cristiane ed
ebraiche, delle orge notturne a luci spente, un tpos universale: evidente che sar inutile parlarne oltre. Ci che
scandalizza gli ortodossi comunque labitudine di far partecipare le donne alle riunioni rituali, e di danzare
con loro, che non sono velate.
Al vertice della loro gerarchia rituale sono i sda (pl. di sayyid) uno dei quali eletto Pr (persiano:
saggio, vecchio) ed esercita unautorit indiscussa sui fedeli. Essi non recitano e non citano il Corano, ma hanno
propri testi sacri, come gli altri gruppi estremisti, inclusi i Bektsh, e sono testi di autori estremisti: tra questi
compare il Jawidn, il testo sacro degli Hurfiti, uno dei tanti segnali dellintricata storia di questi gruppi; altri
loro testi sono quelli stessi degli Ahl-i Haqq, il Furqn (il libro che separa il vero dal falso) e il Saranjn
(persiano: compimento). Tra i loro luoghi sacri ci sono i santuari di Sultn Sahq (= Ishq) ritenuto dagli Ahl-i
Haqq manifestazione di Dio; quello del suo successore Dwud (= David) anchegli venerato dagli Ahl-i Haqq, e
quello di un Santo Bektsh, Hj Ahmad Vrn Sultn.
La figura di Sultn Sahq, noto per inciso, interessante perch costituisce un trait dunion tra Ahl-i
Haqq e Bektsh. Ne parla Van Bruinessen, cit. in Bibl. a p. 852. Il legame si fonda su un punto essenziale della
dottrina Ahl-i Haqq, quello della ciclicit della manifestazione di Dio in forma umana, che presso di loro evolve
in una interessante dottrina della progressivit della conoscenza; e sulla trasmigrazione delle anime, altro
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argomento di fede degli Ahl-i Haqq. Van Bruinessen, Haji Bektash, etc., cit. in Bibl. infra, riguardo i rapporti di
parentela tra i due gruppi, nota inoltre la presenza presso entrambi della medesima leggenda, quella di un Santo
che cavalca una roccia.
La leggenda narrata dagli Ahl-i Haqq con diverse varianti, ma ci che emerge dal suo ripetersi
rafforza questa convinzione degli Ahl-i Haqq: Hj Bektsh fu una reincarnazione di Sultn Sahq, ci che si
riverbera nel fatto che gli Ahl-i Haqq avvertono la propria religione vicina a quella dei Bektsh e degli Alev.
La storia delle reicarnazioni molto interessante e si pu seguire nellarticolo di Edmonds cit. in Bibl. a p. 848
come vicenda di ripetute manifestazioni del divino nel mondo.
I cicli sono, in tutto, cinque: il primo costituisce il ciclo cosmogonico con le sue gerarchie; i restanti
costituiscono quattro cicli di manifestazione delle gerarchie divine in forma umana, non troppo diversamente da
quanto si afferma nella ciclicit ismailita dei Nusayriti. In questi quattro cicli, Dio e gli Angeli creati nel primo
ciclo, quello cosmogonico, si presentano in forma umana: nel primo sotto forma di Al (e con lui Salmn); nel
secondo come Bb Khshn; nel terzo come Sultn Sahq e nel quarto come Hj Bektsh. Questi sono i cicli
riportati da Edmonds e provengono dai Grn, un sottogruppo estremista degli Ahl-i Haqq. Vi sono poi
varianti con altre teofanie che investono numerosi Santi Ahl-i Haqq, come quelle citate da Minorsky (cit. in Bibl.
a p. 850) e da Van Bruinessen, dal quale siamo partiti. Dio (Yh in Edmonds, Khwandegr in Minorsky) si
incarna, per Minorsky, dopo Al, Shh Khshn, e Sultn Sahq, in Qirmiz, Mehmed Beg (dopo il quale,
secondo alcune varianti, sarebbe passato in Hj Bektsh) e Khn Atech, gli ultimi tre considerati cicli minori
da Edmonds e Van Bruinessen. In ogni caso, in ogni ciclo la manifestazione di Dio accompagnata da quella dei
suoi Angeli, incarnati in figure umane storiche o leggendarie. Particolarmente interessante il ciclo di
manifestazione in Shh Fazl ricordato da Van Bruinessen (p. 126 sgg.) nel quale questi riconosce la figura
storica di Fazlullh Astrabd, il padre dello Hurfismo. Fermiamoci qui senza inoltrarci nel labirinto della
varianti, per trarre qualche considerazione.
Una prima considerazione riguarda una certa parentela degli Ahl-i Haqq con i Bektsh, maturata
verosimilmente al tempo dei Safavidi, e la presenza dello Hurfismo in entrambi. Una seconda considerazione ci
conduce dalla ripetitivit ciclica alla progressivit della conoscenza, che il portato dei quattro livelli. Secondo
gli Ahl-i Haqq esistono infatti quattro livelli di verit, lultimo dei quali rivelato da Sultn Sahq (Moosa, p.
186); questa dottrina dei quattro livelli di verit esiste anche presso i Bektsh (cfr. Birge, cit in Bibl. infra, p.
102). Essi sono costituiti, in successione, dalla Sharah; dalla Tariqah, linsegnamento che viene dallordine
religioso; dalla Marifah, la conoscenza mistica di Dio, la Gnosi; e dalla Haqqah, che lesperienza immediata
della realt divina (vedi anche Moosa, p. 185): questa fu rivelata agli Ahl-i Haqq da Sultn Sahq. During (cit. in
Bibl. a p. 1014) sottolinea che la Sharah soltanto il guscio di un frutto che la Haqqah, e nota che, per gli
Ahl-i Haqq, i Musulmani ortodossi sono fermi alla Sharah, i Sf giungono alla Tariqah, o, al massimo, alla
Marifah: per andare oltre si deve essere Ahl-i Haqq.
Nei cicli delle manifestazioni divine degli Ahl-i Haqq vi sono tracce di un antico collegamento con i
Safavidi: in uno dei loro testi Sultn Sahq ricordato come colui che inizi Saf ad-Dn (p. 217); Sayyid Shihab
(altra manifestazione divina che precederebbe quella di Shh Khshn, cfr. p. 207, sarebbe stato nonno di
Jibrl, nonno a sua volta di Saf ad-Dn (p. 219). Daltronde il ruolo di Al, che preesiste ad Adamo (p. 245) e
che preminente su Maometto (p. 247) mostra lorigine degli Ahl-i Haqq dal ghuluww. Nonostante i loro miti e
i loro rituali appaiano forme di sincretismo dedotte da religioni diverse dallIslam -in particolare vi sono tracce
che indicano la presenza di motivi cristiani- essi costituiscono dunque un prodotto della Sha estremista (p.
247).
Sul tema della superiorit di Al, manifestazione divina, centrale, nel mito Ahl-i Haqq, la leggenda
del Banchetto dei Quaranta articolato attorno al Miraj, il viaggio notturno del Profeta: giunto al suo termine,
egli scopre la divinit di Al che gli preesiste (cfr. Moosa p. 246; ma vedi anche Birge, pp. 137-138). Il tema
comune ad Alev e Bektsh. Il ricordo di questo mito celebrato nel Jam o em, meglio, yyin Jam
(assemblea tradizionale, istituzionale), il grande incontro della comunit ci si gi accennato e che riguarda
Ahl-i Haqq, Bektsh e Alev, al quale partecipano anche le donne e si mangia, si fa musica, si danza. Cfr. anche
Mlikoff, La crmonie, etc., cit. in Bibl. infra, id, Les fondements de lAlevisme, cit. in Bibl. infra.
Tornando a quanto sopra, da ritenere assolutamente ragionevole considerare gli Ahl-i Haqq una
eterodossia dellIslam: During, cit., rileva nella tradizione una precisa e determinante presenza di dottrine e di
tradizioni Sf, e ritiene che Sf dovesse essere Sultn Sahq; in opposizione a coloro che vedono nella
religiosit degli Ahl-i Haqq un fenomeno di sincretismo, egli la considera un ramo del Sufismo adattato alle
tradizioni kurde. During approfondisce questa sua tesi adducendo ragioni di per s alquanto evidenti, come la
ciclicit delle manifestazioni, la tendenza degli Ahl-i Haqq a definirsi Al Allh, cio divinizzatori di Al, e
la venerazione, tipicamente Sf, di un Qutb.
In particolare egli rigetta esplicitamente le ipotizzate (da altri) ascendenze buddhiste, ind e
zoroastriane; con una logica molto pi lineare, egli vede piuttosto il permanere e lo svilupparsi di antichi temi
folklorici in ambiente rurale, che in tale ambiente trovano modo di inserirsi nella comune matrice islamica. Gli
Ahl-i Haqq tendono inoltre a sentirsi vicini ai Nusayriti e ai Bektsh; la stessa loro gerarchia dei livelli di
conoscenza (cfr. supra) mostra una matrice sf ed tradizionale dellIsmailismo nizrita, come ho esposto nel
capitolo precedente. Anche nel suo articolo Notes sur langlologie, etc., cit. in Bibl. infra, During ribadisce la
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collocazione degli Ahl-i Haqq nellambito dellultra-Sha (p. 134) sottolineando che essi sono coloro che
cercano la teofania del proprio tempo, ricerca che caratterizza tutta la Sha estremista qui esaminata nel
precedente capitolo.
During (cit. in Bibl. a p. 1014) elenca poi alcune caratteristiche culturali e sociali che non soltanto
avvicinano gli attuali Ahl-i Haqq agli attuali Aleviti (entrambi discendenti dei Qizilbsh, anzi, i secondi loro
continuit con nome mutato) ma mostrano la medesima direzione evolutiva delle eresie nei confronti delle
ortodossie islamiche, la stessa che avevamo gi notato tra lIsmailismo e il Bbismo. Essa riguarda la diversa
posizione della donna e una visione dinamica e progressiva della societ, del mondo e delle leggi che lo
regolano, eco della grande teosofia che avevamo avvicinato con Moll Sadr, espressamente ricordato da
During. Sottolinea inoltre Edmonds (cit.) a proposito dei Kk, cio degli Ahl-i Haqq iracheni, la loro assoluta
tolleranza nei confronti di tutte le religioni e il loro senso di fratellanza universale. Gli Ahl-i Haqq iraniani a loro
volta, particolarmente presenti a Kermanshh, sono detti Yresn o Yrsn, e i nomi Kk e Yrsn, che
significano rispettivamente fratellanza e associazione di amici, si rifanno al medesimo concetto.
Interessante appare infine la cosmogonia degli Ahl-i Haqq, alla quale si deve far cenno: interessante
perch mostra una sostanziale affinit con quella degli Yezdi, ritenuto il pi enigmatico di questi gruppi ma che,
grazie a queste affinit, mostra di appartenere alla stessa famiglia che stiamo esaminando. Largomento stato
sviluppato a suo tempo da Minorsky, ma si pu seguire in modo esauriente anche su Moosa (p. 194 sgg.). Si
veda anche Mokri, Cinquante deux versets, etc., e Le symbole de la Perle, etc., entrambi citt. in Bibl infra.
Allinizio Dio era in una Perla, oppure cre una Perla. Perla (durr) per gli Ahl-i Haqq pu
significare anche conchiglia (Mokri, Le symbole, etc., p. 478). Dio getta la Perla nellOceano, e cos crea il
mondo. Il racconto che il Sayyid di Kelardecht fece a Minorsky, recita: Dio era nella Perla, poi and nellacqua
dove navigava Benymin. Benymin il primo degli Angeli nel ciclo di Sultn Sahq (nel ciclo di
Khwandegr il primo degli Angeli Jibrl, in quello di Al Salmn). Dio domand: Chi sei?; e Benymin
rispose: Io sono io, e tu sei tu. Dio bruci le ali a Benymin. Lepisodio si ripet una seconda volta. Allora Dio si
present in una seconda forma e insegn a Benymin, cio a Jibrl (le due figure si sovrappongono) come
rispondere: Tu sei il Creatore e io il servitore. In seguito Dio, che si trovava in una bolla dacqua, disse a Jibrl
di entrarvi anche lui; questi ricord a Dio la promessa di creare altri tre Angeli, e si trovarono tutti nella bolla
dacqua. Allora Razbr port il pane che divisero in sei pezzi, dei quali Dio ne ebbe due. mangiarono il pane,
dissero: H! e il mondo apparve. Adamo fu il primo uomo e fu anche Dio; poi inizi la storia e vennero i Profeti
(Minorsky, 1920, pp. 25-26).
Razbr langelo femminile (del ciclo di Qirmiz in Minorsky, di Sultn Sahq in During, Notes sur
langlologie, etc., cit. in Bibl. infra) emanato da Pr Ms (terzo Angelo del ciclo di Sultn Sahq in Moosa, p.
197) che qui per appare nel ciclo cosmogonico di Khwandegr. Da questo atto nasce la tradizione Ahl-i Haqq
che ripete il pasto simbolico, ed ritenuta un sincretismo con la Comunione cristiana. Razbr anche detta
Khtn-e Qiymat, Signora della Resurrezione; con questo nome appare nel ciclo di Sultn Sahq in Minorsky.
Moosa (p. 199) avanza ragionevoli ipotesi sulla sovrapposizione degli Angeli del ciclo di Sultn
Sahq l dove dovrebbero esserci quelli del ciclo di Khwandegr, cio Jibrl, Mkl, Isrfil e Izrl. Sul loro
significato vedi anche During, Notes, etc., cit.; altri significati in Moosa, p. 200. Gli stessi Angeli appaiono nel
mito dei Bektsh (ivi) ed interessante vederne gli sviluppi in Birge, cit., p. 117. I quattro Angeli sono
identificati con le quattro vie (Sharah, Tariqah, Marifah e Haqqah: Birge, p. 102) con quattro tipi di uomo e
con i quattro elementi che costituiscono uno stadio della Creazione emanatista e che si trovano sommati
nelluomo perfetto (pp. 115-118) quello che giunge a contatto con lIntelletto Universale o Agente.
Al grido del Creatore apparve lOceano, dai suoi vapori si form il Cielo, dalla sua schiuma la Terra
(Moosa, p. 197). Dalla luce del Creatore furono formati i cinque membri della famiglia del Profeta (ivi): questo
un tema che abbiamo trovato nel ghuluww sin dallVIII secolo. Vi sono altre varianti della Creazione presso
particolari gruppi di Ahl-i Haqq (p. 198) e in queste vi un ruolo per la spada di Al (Dh l-Faqr).
Dopo aver creato la famiglia del Profeta (Adamo non compare nella versione riportata da Moosa) Dio
cre 1001 forme (si noti che i Quaranta del mito condiviso Ahl-i Haqq/Alev/Bektsh si trasformano
improvvisamente in 1001: cfr. Moosa, p. 246); segue la creazione del Sj-i Nr (un tegame nel quale si cuoce un
pane basso) e questo un mito primitivo peculiare degli Ahl-i Haqq; su di esso Dio fece bollire lacqua dai cui
vapori vennero nubi, vento, etc. Segue il mito della creazione di Adamo a immagine di Dio.
Moosa (p. 204) ritiene che il racconto riportato da Minorsky (Adamo era Dio) costituisca unautentica
credenza degli Ahl-i Haqq, perch essa si trova anche presso gli Al Allh. Ci significa che Dio ha (o pu
avere) un corpo. Per quanto riguarda la figura di Razbr, c anche una tradizione che la vede nascere dalla
divisione in due parti di Izrl operata da Dio. Ella rappresenta un intermediario tra luomo e Dio (p. 205) nella
celebrazione, ricordata sopra, della Comunione. Moosa, che cerca di trovare antecedenti manichei, mazdei e
cristiani alla religiosit degli Ahl-i Haqq, sottolinea questa comunione di divino e umano, che a me ricorda
losservazione di Strothmann citata. Per quanto riguarda invece la collocazione di queste sette (Ahl-i Haqq,
Yezdi, Bektsh, Alev) che molti si sforzano di espungere dallIslam invocando Buddhismo, Sciamanesimo e
quantaltro, rinvio la discussione alla fine del capitolo.
Sultn Sahq resta la figura principale del mito Ahl-i Haqq, in quanto fondatore della setta; sulla sua
eventuale figura storica esistono soltanto ipotesi e nulla pi; secondo Moosa potrebbe essere vissuto in Armenia
1249
nel XIV secolo; come ho gi riportato, si narra che avesse iniziato Saf ad-Dn, che gli sarebbe stato inviato a
Perdivar (il luogo sacro di pellegrinaggio degli Ahl-i Haqq, dove si trova il mausoleo di Sultn Sahq) da Shaykh
Ibrhm. A parte ci, vi sono comunque molte prove evidenti del legame degli Ahl-i Haqq con i Safavidi (che a
quel tempo non erano shiti) e con i Bektsh (Moosa, pp. 217-219); essi costituivano probabilmente un ordine
di Dervisci, come i Bektsh con i quali si connettono per la leggenda di Sultn Sahq reincarnato come Hj
Bektsh.
Una delle credenze fondamentali degli Ahl-i Haqq, comune peraltro nella Sha estremista, la
trasmigrazione delle anime; Minorsky (1920, p. 54) riporta un loro affascinante detto: Uomini, non temete i
castighi della morte; gli uomini morti sono come il tuffo di unanatra; la quale, per lappunto, scompare
sottacqua per riemergere un po pi in l.
Resta infine da sottolineare il ruolo divino che riveste Al presso gli Ahl-i Haqq. Ho gi ricordato che
Al esisteva prima di Adamo ed era tuttuno con Dio; ho anche ricordato la sua preminenza su Maometto nella
leggenda del Banchetto dei Quaranta. Vi sono altre leggende che sottolineano tale ruolo; Moosa (pp. 246-247)
ne ricorda una che ha come teatro la moschea di Kfa, con ci mostrando una chiara origine della setta nel
ghuluww. Si narra inoltre che Al collabor con Dio nella Creazione, e che si separ da Dio, divenendo uomo,
per il bene dellumanit. Qui sembra evidente lelaborazione (folklorica) di un tema tradizionale della Sha
tutta: la necessit, avvertita da Dio, che alluomo sia dato un Imm che lo guidi sulla retta via; poich luomo
non pu comprendere pienamente la Legge divina, necessario che Dio stesso si renda accessibile attraverso una
figura umana.
Alcuni identificano Al con il sole, ci che ha fatto ipotizzare la presenza di culti solari risalenti a una
religiosit pre-islamica (cfr. Van Bruinessen, cit. in Bibl. a p. 852, p. 136; e Beikbaghban, cit. in Bibl. a p. 847),
During, La Matrise, etc., cit. in Bibl. a p. 848, p. 152) a proposito delle pratiche con i carboni ardenti riferite
come tradizionali nella mistica Ahl-i Haqq, nega che ci possa rappresentare un legame con antiche religioni
iraniche (cripto-Mazdeismo) non esistendo prova di una tale continuit dottrinale; il fenomeno pu quindi
interpretarsi alla luce di una continuit nel simbolismo degli archetipi.
Laver esposto il mito della Creazione negli Ahl-i Haqq, rende ora significativo esporre lo stesso mito
cos come tramandato dagli Yezdi, perch tra i due miti esiste una stretta somiglianza, un fatto che non si deve
sottovalutare ai fini della collocazione di questo gruppo, che pi facilmente degli altri viene collocato fuori
dallIslam. Prima di trattarne elenco per, come ho gi fatto in precedenza, le fonti bibliografiche usate come
riferimento. Innanzitutto Ph.G. Kreyenbroek, Yezidism. Its Background, Observances and Textual Tradition,
Lewiston-Queenston, The Edwin Mellen Press, 1995; I. Joseph, The Sacred Books of the Yezidiz, Boston,
Badger, 1919 (su www.sacred-texts.com/asia/sby/sby in 46 files numerati progressivamente da 00 a 45); e
F.Nau-J. Tfinkdji, cit. in Bibl. a p. 850; inoltre M. Guidi, Origine dei Yazidi e storia religiosa dellIslm e del
dualismo, R.S.O., 13, 1932; G. Furlani, Sui Yezidi, ivi; A Frahia e H. Kirchmaier, citt. in Bibl. rispettivamente a
p. 848 e a p. 849; R.Y. Ebied-M.J.L. Young, An Account of the History and Rituals of the Yazds of Mosul, Le
Muson, 85, 1972; B. Aikyildiz, The Sanctuary of Shaykh Ad at Lalish: Centre of Pilgrimage of the Yezidis,
B.S.O.A.S., 72,2, 2009.
Inizio dunque, come premesso, con il mito della Creazione; verr soltanto dopo ad esaminare lorigine
degli Yezdi ed altri aspetti che li riguardano. Il mito della Creazione ci noto attraverso due testi: al-Jilwah, la
Rivelazione; e il Mashaf (=Muhaf) Re, o libro nero (Muhaf volume; re indica un generico colore
scuro). La Rivelazione fu mandata da Melek Twus, lAngelo (o il Re) Pavone, che preesisteva alla Creazione
(Kreyenbroek, p. 95). Nel proclamare la propria assoluta sovranit, il Re Pavone annuncia gi dallinizio due
cose che lasciano riflettere: il fatto che ogni et abbia una figura-guida che agisce per conto di Melek Twus e
che il suo intervento avviene tenendo conto dei tempi: ci mi sembra infatti un ricordo del fondamentale tema
shita. Il testo, breve, prosegue affermando il ruolo determinante di Melek Twus, che parla in prima persona,
nella Creazione; e il fatto che le altre religioni sono in errore allorch lo contraddicono.
Ben altrimenti ricco e diffuso il Mashaf Re. Allinizio cos si apre il testo Dio cre la Perla
bianca dalla propria pi preziosa essenza Cre anche luccello Anghar (o Anfar, il e lo f possono confondersi)
pose la Perla sul dorso delluccello e dimor in essa per 40.000 anni. Il primo giorno cre Melek Azzl
(secondo altra versione Izrl) che Melek Twus (i due si identificano) lAngelo del mondo, che il
sovrano del mondo; successivamente cre gli altri Angeli (Melek). Fece poi sette cieli, la terra, il sole, la luna.
La creazione degli altri Angeli si estende alle loro reincarnazioni in figure mitiche o storiche degli Yezdi. Dio
cre poi Fakhr ad-Dn, che uno dei personaggi al tempo stesso storici e mitici (cfr. Kreyenbroek, pp. 33-34 e
103-104) una associazione di umano e divino frequente negli Yezdi. Fakhr ad-Dn cre gli animali e luomo, se
li mise in tasca e usc dalla Perla insieme agli Angeli, scosse la Perla con un urlo e quella si ruppe in quattro parti
e ne usc lacqua che form lOceano.
Qui c unevidente stranezza, il ruolo di Fakhr ad-Dn come creatore; Kreyenbroek (p. 65 in n. 92)
ritiene si tratti di un voluto mascheramento della figura di Melek Twus, cio del Signore del mondo terreno.
Poi Dio cre Jibrl in forma di uccello; fece anche una barca e vi rest per 30.000 anni, poi and ad
abitare sul Monte Llish (il luogo sacro degli Yezdi, dove sono i mausolei delle figure pi venerate). Poi lanci
un grido, allora parte del mare si solidific e apparve la terra, che inizi a tremare; Dio prese un pezzo della Perla

1250
e glie la pose sotto; un altro pezzo lo pose alla porta del cielo (oppure si fece portare i due pezzi da Jibrl, etc.)
dove appese per ornamento il sole e la luna, e coi frammenti della Perla fece le stelle.
Il mito prosegue con racconti sui quali sorvolo rinviando a Nau-Tfinkdji, a Joseph e a Frahia; segnalo
soltanto qualche punto essenziale. Dio and a Gerusalemme per crearvi il primo uomo (si noti: aveva gi creato i
personaggi mito-storici degli Yezdi, evidentemente nella loro essenza angelica, un tratto interessante). Per
creare Adamo, Dio ordin a Jibrl di portargli della terra dai quattro angoli del mondo e ad essa aggiunse
acqua, aria e fuoco, facendone cos un microcosmo. Questa costruzione, unita alla doppia creazione di cui sopra,
fa pensare al ricordo storpiato di qualche cosmogonia emanatista di tipo neoplatonico. Dio pose Adamo in
Paradiso e gli viet di mangiare il grano: questo particolare significativo, perch il divieto del grano come
sostituto del divieto del frutto dellalbero, un mito tradizionale islamico.
Melek Twus appare poi come colui che incita Adamo ad infrangere il divieto, e ci al fine di
consentirgli di moltiplicarsi: qui si vede, dopo il ruolo di co-creatore e quello di Signore del mondo, come la
figura dellAngelo Pavone possa essere stata considerata la trasposizione di quella di Satana, ma si possa
considerare anche trasposizione di quella del trickster dei miti asiatici. Comunque, abbiamo anche visto come
Ibls-Satana sia una figura positiva e venerata nel pensiero di Hallj e di molti Sf, e ci deve suggerire
prudenza nellaccoglimento delle giaculatorie eresiologiche.
Il mito prosegue ancora con tratti fortemente folklorici che servono soprattutto a spiegare i molti e
singolari divieti vincolanti per gli Yezdi, ma a questo punto mi sembra che lessenziale sia stato detto, perci mi
fermo per passare ad altro; non tuttavia senza aver ribadito quanto era in premessa, la sostanziale
sovrapponibilit di questo mito con quello degli Ahl-i Haqq, indizio di una comune assunzione da un sottofondo
folklorico pre-islamico.
Un passaggio tuttavia importante segnalare ancora. Il Mashaf Re torna sulla Creazione una seconda
volta, con questo racconto. Prima che esistessero la terra e il cielo, Dio era sul mare; si fece una barca e si divert
a viaggiare. Poi cre la Perla bianca e vi regn per 40 anni, ma, inquietandosi con lei, la colp: e con sorpresa ne
uscirono le montagne e le colline; e i cieli, dal fumo che ne venne. Dio sal allora in cielo, lo consolid, sput sul
mondo, prese una penna e inizi a scrivere il racconto di tutta la Creazione. Qui seguono gli eventi della storia,
sino al ruolo di Muwiyya, protagonista di un racconto folklorico, e alla nascita miracolosa di Yazd che ne
consegue.
Lorigine degli Yezdi sempre stata controversa a causa della sua oscurit (si veda anche Furlani,
cit.) ma sembra ormai accettata lipotesi avanzata da Guidi (in contrasto con Furlani) nel lontano 1932;
Kreyenbroek la fa propria nel suo testo. La posizione generale assunta da Guidi sul fenomeno delle eterodossie
gi ad apertura di studio, mi sembra assai lucida (mi si consenta di aggiungere: caso non frequente quando si
affronta il problema delle eterodossie e dei sincretismi) e merita perci di essere riportata con attenzione.
Guidi parte da notizie storiche ritenute sino a quel momento fantasiose, quelle che ipotizzavano il
nome Yezdi come definizione di un gruppo che venerava la figura di Yazd b. Muwiyya, lomeyyade
sufynide figlio del vincitore di Al, a sua volta liquidatore di Husayn. Guidi si domanda (p. 268) perch non
cercare, partendo dalle tracce accertate di venerazione estrema per gli Ommiadi e per Yazd, una ragione che
colleghi e che ordini questi fenomeni vari? (vedremo quali) e si risponde: A me sembrato che tale ragione
derivi appunto da quel ritmo fondamentale della storia islamica antica che armonizza politica e religione, s che
atteggiamenti di natura politica sono il primo movente della differenziazione religiosa di sette e dottrine
(corsivo mio) in cui entrano poi fattori diversi. Le origini degli Sciiti estremi e moderati, dei riiti dei Muriti,
dei Mutaziliti o anche dei Btiniti son queste, e queste secondo me le origini dei Yezidi.
I fenomeni vari son quelli di uno Yezdismo che ha credenze e usi che si richiamano chiaramente
alla Sha estrema e allIsmailismo; Guidi vi aggiunge poi il Manicheismo, unipotesi che cede il passo a una pi
generica eredit iranica pre-islamica; e infatti, a p. 269, anche Guidi parla genericamente di dualismo iranico.
Guidi ricorda, a sostegno della propria tesi, che esistette un ghuluww omeyyade legato ai Sufynidi
(presto spodestati dai Marwnidi) dal quale era emersa la figura di un Mahd Sufynide che divent poi quella
specie di Anticristo di cui s fatto cenno nel primo capitolo di questo racconto, e che sarebbe stato discendente
di Khlid b. Yazd: guarda caso il mitico iniziatore dellalchimia nellIslam, istruito dal famoso Morienus o
Mariano (cfr. supra, p. 420). In effetti ci furono dei personaggi che invocarono per s il ruolo del Sufynide, e
Guidi cerca le tracce di un possibile ghuluww omeyyade nelle cronache: con qualche indizio, si potrebbe dire
(sul Mahdismo omeyyade cfr. supra, p. 1105).
Questo contesto estremista dellantico Yezdismo avrebbe favorito, secondo Guidi (p. 285)
lassunzione nel tempo di altri tratti estremisti, questa volta di provenienza shita. Gli elementi dottrinali che
avrebbero presieduto alluno e allaltro estremismo sono da lui rintracciati nella divinit dellImm raggiunta con
la trasmigrazione, dalluno allaltro di essi, dello Spirito divino che in essi si manifesta: il Mashaf Re parla
esplicitamente della divinit di Yazd b. Muwiyya in un racconto leggendario che lo riguarda (Joseph, p. 43).
Di lui parla anche il documento del monaco nestoriano Rmsh del 1452, relativo alla storia degli Yezdi (Nau-
Tfinkdji, p. 196 sgg.). Dai seguaci di Yazd, cacciati dai Marwnidi e dispersi sulle montagne, sarebbe emerso,
come loro capo, il nonno di Shaykh Ad, che da Llish dette vita alla setta (sul santuario di Llish cfr. il
documentato articolo di Aikyildiz, cit. in Bibl. infra).

1251
Questa ricostruzione dellorigine degli Yezdi accolta, anche sulla base dei documenti raccolti da
Frahia, da Kreyenbroek, che a sua volta fa riferimento a ulteriori cronache, in virt delle quali appare certo che il
fondatore della setta, Shaykh Ad b. Musfir, fosse un Musulmano ortodosso, sunnita, discendente di Marwn b.
al-Hakam, nato tra il 1073 e il 1078, giunto a Llish un po prima del 1111 (Kreyenbroek, p. 28) dove fu accolto
con favore per la sua appartenenza agli Omeyyadi.
C poi da tener conto della testimonianza di ash-Sharastn, che vede negli Yezdi i seguaci di Yezd
b. Unaysa (o Anisah) che avrebbe fatto parte di quei Muhakkama (gli esperti in tema di successione califfale)
che abbandonarono Al e furono i Khridjiti; anche al-Ashar (X secolo) vede negli Yezdi un ramo degli
Ibditi (Furlani, pp. 100-103). Anche al-Qdir mantiene questa notizia, con la variante Ibn Ansa; sia lui che
al-Ashar partono da una credenza degli Yezdi, secondo la quale Dio avrebbe inviato un Profeta persiano che
avrebbe abolito la Legge coranica: questa una dottrina che trovammo tra i Qarmati (e abbiamo ritrovato nel
Bb) che tipica del ghuluww shita, e che sembra difficile conciliare con lIbdismo.
Francamente la cosa appare difficile da comprendere e Guidi (p. 284) ne esce ipotizzando la possibile
esistenza di due diverse stte con lo stesso nome: lipotesi non ha nulla su cui sorreggersi, na anche la notizia di
Sharastn lascia perplessi; Guidi perci, restando collegato allorigine omeyyade, vede nella possibile influenza
ismailita il traghetto verso il ghuluww shita (pp. 284-285).
Kreyenbroek (p. 29) raccoglie per la testimonianza di Ibn al-Athr ( 1234) che parla di Ad come
fondatore dellordine Sf degli Adawiyya (con seguaci in Siria e in Egitto); la successiva eccessiva venerazione
del fondatore avrebbe portato un suo ramo ad evolvere verso lo Yezdismo. Successore di Ad b. Musfir, morto
senza figli, fu un suo parente, Ad b. Ab l-Barakt, al quale si riferisce lepisodio riportato da Rmsh, la
conquista violenta, con relativa strage di monaci,, del convento di Mar Yuhannan (San Giovanni) forse il futuro
santuario di Llish, dove Ad b. Ab l-Barakt fu giustiziato nel 1254 a causa dei problemi che i Kurdi
procuravano allAtabeg di Mosul (Kreyenbroek, p. 31). Egli fu forse lautore del Kitb al-Jilwa citato sopra (il
Libro della Creazione yezda) e contro la sua setta c una Rislat al-Adawiyya di Ibn Taymiyya (1328) che
riferisce della sua deviazione dalla retta dottrina a causa di una eccessiva venerazione di Ad e di Yazd (p. 32).
Guidi (p. 287 sgg.) una volta trasferitosi sul cot del ghuluww (shita) mostra quindi tutte le evidenti
connessioni tra questo e la dottrina yezda, tra laltro introducendo un passo di Ibn Hazm (cfr. Friedlaender, cit.
in Bibl. a p. 757: J.A.O.S., 28, p. 34) che a me sembra interessante, perch nel capoverso citato (II, 114; in
Friedlaender pp. 33-35) si fa un chiaro riferimento al Sufismo, anche sunnita, che divinizza luomo; e fa
riferimento ad al-Hallj, la cui figura, lo abbiamo visto, incombe sul Sufismo, non soltanto per quanto concerne
la wahdat al-wujd, ma anche per leterodosso giudizio su Ibls, ripreso poi esplicitamente da Attr. Altre
connessioni rilevate da Guidi le abbiamo gi viste con il Mashaf Re: la presenza delle ombre (al-azilla: ce ne
siamo occupati con il Kitb al-haft wa l-azilla) e la pre-scrittura degli eventi storici da parte di Dio (cfr. supra).
Questo rinvio a temi dellVIII secolo significativo, se si considera laccostamento di Guidi (p. 289) tra la
Creazione degli Yezdi e quella dei Muiriti, per la quale cfr. Halm, Die islamische Gnosis, cit., p. 94.
Questa assunzione di temi del ghuluww shita infatti, anche se non pu essere controllato nelle sue
tappe, il percorso seguito da un ordine sf inizialmente sunnita per trasformarsi assumendo connotati ultra-
shiti, del quale gi visto un esempio nel capitolo precedente relativo al Sufismo iranico del periodo mongolo e
timride. Lambiente geograficamente periferico, rurale, nel quale si svilupp lo Yezdismo pu egualmente
render conto della riemergenza delle pi antiche tradizioni come parte di un culto islamico (Kreyenbroek, p.
33). Di certo questo un aspetto enigmatico della storia dello Yezdismo (ivi) ma da accettarsi perch,
nonostante tutto il materiale folklorico e pre-islamico che caratterizza lo Yezdismo (assolutamente debordante
nei riti, nei divieti e nelle usanze) la struttura della religione resta quella dellultra-Shia, e le origini storiche
accertabili sono islamiche. Depone in questo senso anche la stretta somiglianza del mito della Creazione con
quello degli Ahl-i Haqq, la cui religiosit certamente islamica. Non osta, in questo come in quel caso, il rifiuto
dei cinque pilastri dellIslam: con o senza Profeta persiano (tema antico del ghuluww) laspirazione di tutto lo
estremismo la fine della Sharah, grazie a una nuova e decisiva Rivelazione. Anche la divinit delluomo vi
connessa, e la divinit delluomo lessenza del ghuluww, grazie allo hull e al tansukh, che, a loro volta,
sono i garanti della ripetitivit dei cicli profetici.
Queste due credenze, secondo Kreyenbroek (p. 39) hanno inoltre contribuito alla formazione del
pantheon yezda, grazie alla trasformazione di una serie di figure storiche succedutesi nel tempo, in figure divine,
come tali contemporanee tra loro.
Un ultimo cenno merita linfondata ma diffusa opinione che gli Yezdi -ma anche gli Ahl-i Haqq-
siano adoratori di Satana, identificato con Melek Twus (cfr. Ebied-Young, cit. in Bibl. infra, alla p. 495, dove
anche messa in evidenza limportanza dellAngelo Pavone nel culto della setta, e lorigine del nome di questa da
Yazd). Melek Twus contrasta la volont di Dio causando la disobbedienza di Adamo, ed anche ambiguo
collaboratore nella Creazione come creatore di questo mondo terreno; tuttavia considerare satanico il suo culto
un equivoco per due ragioni: da un lato si ignora la tradizione Sf che sin da al-Hallj ha rivalutato Ibls e il suo
rifiuto di adorare Adamo non gi come atto di disobbedienza, ma come riaffermazione dellunicit di Dio cui
soltanto va ladorazione: cfr. al riguardo non soltanto quanto afferma Mlikoff, Le problme kizilba, cit., p. 39,
cio che Satana non lo Spirito del Male, neppure per Alev e Ahl-i Haqq, ma anche il documento edito e
tradotto da Ebied-Young nel quale (pp. 501-502) si cita un mito della reincarnazione di al-Hallj -figura dunque
1252
nota e rispettata dagli Yezdi- che ricorda fortemente quello zoroastriano del Syant (che si pu trovare
riassunto in Hinnels, The Zoroastrian, etc. cit. in Bibl. a p. 849).
Dallaltro, se si osserva attentamente il mito, difficilmente Melek Twus pu identificarsi con Satana,
quanto, piuttosto, pu identificarsi con il trickster delle cosmogonie asiatiche, quelle del tuffo cosmogonico del
quale avevo parlato a p. 825 riferendo del contributo di Stoyanov.
Precisamente da un altro contributo di Stoyanov cit. in Bibl. infra, riparto ora per un ulteriore sguardo
sulle cosmogonie, che costituir il ponte per poi passare a discutere di Alev e di Bektsh. Per verit larticolo
in oggetto dedicato ai reciproci influssi tra eterodossie cristiane ed islamiche, nella rigogliosa selva dei veri o
presunti sincretismi pullulanti nei Balcani; tuttavia, nel discutere dellargomento, Stoyanov introduce molti
raffronti che ci interessano.
Nella parte iniziale dellarticolo, Stoyanov fa il punto sulle attuali ricerche che smentiscono il tpos
degli eretici balcanici (Pauliciani, Bogomili e Catari) felici di convertirsi allIslam dopo le persecuzioni
cattoliche, un tpos la cui origine ideologica e politica messa in luce da Kiel, A Note, etc., cit. in Bibl. infra.
Sui reciproci rapporti si consultino anche gli altri articoli di Popovic (Linstrumentalisation, etc.) e di Kiel (La
diffusion, etc.) citt. in Bibl. infra. I processi di islamizzazione furono in realt lenti e tardi, come ricorda
Stoyanov il quale sottolinea (pp. 88-89) la radicale alterit tra i dualismi delle eterodossie cristiane, e la wahdat
al-wujd, cardine del Sufismo e del Bektshismo, il quale ultimo fu il principale veicolo di colonizzazione dei
Balcani (cfr. I Mlikoff, Un ordre de Derviches, etc., cit. in Bibl. infra; Balivet, cit. in Bibl. a p. 847).
Stoyanov sottolinea lininfluenza dei dualismi cristiani presenti nei Balcani sulle molteplici forme di
eterodossia che caratterizzano lIslam balcanico, il quale si presentava cos variegato gi sin dalla sua origine
anatolica; lo stesso Qizilbashismo si presentava fluido ed eterogeneo in materia dottrinale e culturale (p. 90) e
lo stesso si pu dire degli Ahl-i Haqq; anche le influenze cristiane che compaiono nel Bektshismo potrebbero
essere ricondotte, secondo Stoyanov, alla cristologia e mariologia coraniche (p. 92), nonch allo Hurfismo, che
aveva avuto un ruolo notevole nella dottrina di Bedreddn (cfr. il capitolo precedente). A proposito di Bedreddn
interessante notare che il Qizilbshismo bulgaro localizzato precisamente nei luoghi della sua ultima
avventura prima del martirio: cfr. I. Mlikoff, La communaut kizilba, etc., cit. in Bibl. infra.
Stoyanov esamina poi sotto i pi diversi aspetti la complessit del problema delle reciproche influenze
nel sincretismo balcanico, e, nel constatare il carattere non decisivo degli studi allo stato attuale, giunge tuttavia
ad una osservazione ben documentabile: le aree di insediamento delleterodossia cristiana sono le medesime
nelle quali si insedia leterodossia islamica (cfr. al riguardo Balivet, Permanences regionales, etc., cit. in Bibl.
infra). Al riguardo mi permetto di ricordare quanto pi volte ho segnalato, a partire dal capitolo sui Pauliciani,
circa il rapporto tra marginalit geografica e differenziazione religiosa, non senza riferimento allaspetto politico
del localismo. Per inciso: ci mi consente di domandarmi se la riduzione odierna della marginalit geografica e
la fine della frammentazione politica localista che caratterizz gli imperi multietnici e multireligiosi, non sia
stato elemento che ha favorito quel tanto di normalizzazione in atto nel pulviscolo delle eterodossie; ovvero, in
direzione opposta, la rinascita dellidentit religiosa come elemento di affermazione nazionalista di comunit
locali.
Larticolo di Stoyanov giunge infine alla parte che qui pi cinteressa, portando in primo piano i
rapporti tra Alevismo/Qizilbshismo, Bektshismo, Ahl-i Haqq e Yezdismo, attraverso il tema delle
cosmogonie (p. 102 sgg.) e del loro referente negli antichi miti asiatici, caratterizzati dal tuffo e dalla
collaborazione di Dio e del trickster nella Creazione. Stoyanov prende spunto da Il mare di Galilea (The Sea of
Tiberias) Apocrifo che fu scoperto in un monastero della Macedonia, nel quale Dio e Satana sincontrano nel
mare primordiale, dove Satana naviga sotto forma di palmipede (anatra o gavia). Satana si definisce Dio ma
poi precisa il proprio ruolo subordinato, e Dio gli ordina di tuffarsi e di riportargli terra e roccia dal fondo. Dio
poi sparge entrambe sullacqua e fa comparire la terraferma; poi rompe la roccia in due e ne d una parte (la
sinistra) a Satana; Dio crea gli Angeli e Satana i demoni, che si ribellano a Dio.
Dunque, il collaboratore resta ornitomorfo ma, nelle leggende cristiane che ricalcano il mito, la figura
del trickster diventa quella di Satana. In alcuni racconti dellUcraina, a portare la terra a Dio dal fondo del mare,
sono tre Pavoni oppure tre colombe. Stoyanov (p. 105) sottolinea questa connessione tra il Cristianesimo e la
trasformazione in Satana delluccello tuffatore, ci che non accade quando il mito assunto in una cultura
islamica come nelle cosmogonie che stiamo esaminando. In particolare, ci avviene nelle tradizioni dei
Qizilbsh bulgari e dei discendenti di Bedreddn, dove sulle acque primordiali agiscono Dio, Maometto e Al (p.
106). Nelle acque primordiali Dio compie latto di creare la terraferma spargendo la terra sullacqua; il signore
del mondo che Lui stesso crea, come Melek Twus nel mito Yezda del Mashaf Re.
In unaltra di queste cosmogonie i creatori sono Dio, Maometto e Al con laiuto dei quattro Angeli
che troviamo anche nel mito yezda, e che conservano gli stessi nomi.
Jibrl inviato in missione e al ritorno ha difficolt ad essere riammesso nello spazio sacro sinch
pretende di presentarsi alla porta dicendo: sono io. Il medesimo problema di risposta impropria si presenta in
unaltra variante cosmogonica Alevita/Bektsh (p. 107) che conserva anche lepisodio della pietra spezzata in
due. Come si nota quindi, esiste una sostanziale identit nelle cosmogonie di Qizilbsh/Aleviti, Ahl-i Haqq e
Yezdi (p. 108) e di queste con quella del Mare di Galilea (p. 109); ad esempio la nascita dei quattro Angeli
dalla Perla ovvero dalla Pietra, lornitomorfismo di Jibrl e quello di Melek Twus.
1253
Si consideri questaltra versione del mito yezda (Nau-Tfinkdji, pp. 243-245) Allinizio cera
lOceano, e in esso un albero creato da Dio; Dio era sullalbero in forma di uccello. Molto lontano cera un
roseto (creato anchesso da Dio) nel quale cera Shaykh Sinn (che Dio aveva creato da S) in una rosa. Dio cre
poi dal proprio splendore Jibrl in forma di uccello e lo pose accanto a S sullalbero, poi gli chiese: Chi sei? e
quello rispose: Io sono io, e tu sei tu. Il dialogo va avanti sinch Jibrl, cacciato da Dio con un colpo di becco,
non vola da Shaykh Sinn e non apprende da lui come rispondere, riconoscendo i diversi ruoli, suo e di Dio.
Dio crea poi altri tre personaggi, una barca, e si pone nella barca con i tre, Shaykh Sinn e Jibrl. I sei
disputano tra loro chi sia il pi potente, e convengono che lo colui che sar in grado di creare la terraferma;
Tutti falliscono tranne Dio, che la crea sputando sul mare; segue la creazione delluomo, etc.
A questo punto Stoyanov fa notare, come aveva fatto in unaltro suo articolo cit. in Bibl. a p. 851 e da
me posto in evidenza a p. 825, due cose: non soltanto la parentela di Aleviti, Bektsh, Ahl-i Haqq e Yezdi:
mas anche la loro appartenenza allIslam, segnata dal fatto che gli stessi temi che conducono alle eresie dualiste
nel Cristianesimo, in questo caso sono ricondotti allinterno di un inequivocabile monismo. A me questo sembra
un punto importante, perch, come ho segnalato, vi sono numerosi studiosi che tendono a riconoscere in queste
sette una iniziale religiosit sciamanica, buddhista e cristiana (nestoriana) giunta in terra dIslam con le invasioni
mongole e turcomanne, e l meramente verniciata di temi islamici. Ho gi notato che tutto ci non mi trova
daccordo, perch ritengo islamiche le strutture di pensiero di queste sette, nelle quali gli elementi estranei
allIslam debbono essere intesi come sopravvivenza di antichi motivi divenuti folklorici rimasti inglobati nel
tessuto islamico della religiosit in oggetto. Lassunzione del substrato folklorico locale un fenomeno comune
anche nel Cristianesimo popolare, lo era ben di pi nel Medioevo: il che non autorizza a definirne non-cristiani i
portatori. Qui mi sembra in gioco, piuttosto, la strana convinzione, forse frutto di troppa reverenza verso
lortodossia sunnita, di vedere come Islam un suo archetipo puro e immacolato: e non quel variopinto mosaico
che esso , come ogni religione.

giunto ora il momento di occuparci del pi importante gruppo estremista shita, quello dei
Bektsh/Alev, per verit due gruppi distinti, i secondi semplicemente Qizilbsh sotto nuovo nome; ma
dottrinalmente cos vicini da essere sovente trattati congiuntamente. Si tratta di un numero di fedeli assai
numeroso (molti milioni di individui, in parte notevole sparsi nel mondo occidentale dove sono emigrati anche
per sfuggire alle persecuzioni -come, del resto, hanno fatto anche gli Yezdi- e dove hanno mantenuto e anche
rafforzato la propria identit). Bektsh e Aleviti, forse anche perch diffusi essenzialmente nella Turchia,
sunnita, non hanno seguito il percorso di altre sette ultra-shite, come Alawiti/Nusayriti e anche, in parte, gli
Ahl-i Haqq, indirizzato a un relativo dialogo con la Sha ortodossa con la quale sono a contatto. Essi
costituiscono unentit cospicua (assai pi del modesto milione di fedeli stimato per lIbdismo) e tuttavia non
riconosciuto, se non come eretico, dalle ortodossie shita e sunnita; tanto che non sono pochi gli studiosi
pronti ad invocare per la loro religione unorigine non islamica (Sciamanesimo, Buddhismo, prestiti cristiani, e
quantaltro) con lIslam a fare soltanto da esteriore vernice.
Va da s, come gi detto, che queste sembrano posizioni condizionate dalla convinzione -inespressa,
magari, ma assunta come ovvia- che esista un Islam archetipale, puro, a tutto tondo. Non c da sorprendersi:
anche per i Padri gli Gnostici non erano Cristiani: il fondamento di ogni ortodossia, considerarsi come
modello esistito ab terno e non, pi limitatamente, la scelta vincente costituitasi in maggioranza.
Inizio con il testo di Birge, cit., secondo il quale il retroterra che prelude alla nascita dellordine e il
loro corpo dottrinale, prendono origine da due fattori principali: sul piano economico e sociale dal crollo della
societ Selgiukide sotto limpatto dellinvasione mongola, con la creazione delle situazioni di miseria,
insicurezza e frammentazione che abbiamo visto nel precedente capitolo; sul piano dottrinale dal rimescolamento
di popolazioni cristiane e musulmane nel lungo periodo che va da Manzikert (1071) -allorch Bisanzio perde
gran parte dellAnatolia- al passaggio dei Crociati, sino al Barbarossa e alla terza Crociata alla fine del XII
secolo. Durante questo periodo il contatto reso ancora pi stretto dalla presenza dei piccoli Regni Franchi.
Il rimescolamento dovette essere particolarmente spinto lungo tutte le numerose linee di frontiera,
favorendo, secondo Birge, la formazione di eresie. In queste zone erano presenti gli ordini Sf dervisci, erranti,
di ceppo turcomanno, seguaci di Ahmad Yesev. Di Yesev come origine di un Sufismo estremista abbiamo
fatto cenno nel precedente capitolo a p. 1205 a proposito dello studio di Mol relativo alla trasformazione
progressiva del Sufismo sunnita ortodosso, in un Sufismo ispirato alla Sha estremista: Hj Bektsh fu leader di
uno di questi movimenti, lo abbiamo gi visto esordire nella rivolta bbista. Secondo la tradizione, discendeva
dal 7 Imm.
A quattro anni Hj Bektash fu assegnato per istruzione a Lokman Perende, un allievo di Yesev (sul
quale cfr. anche I. Mlikoff, Ahmed Yesevi, etc., cit. in Bibl. infra) su ordine del quale si rec nel Rm. Tralascio
i suoi miracoli -del suo rapporto con Bb Ishq/Bb Ilyas si gi detto- per ricordare la possibile data della sua
morte, il 1297; poco dopo si parlava di lui come di un celebre mistico proveniente dal Khursn. Levoluzione
dellordine fu poi quella della quale ho gi parlato nel precedente capitolo, con lassimilazione delle dottrine
hurfite e della wahdat al-wujd di al-Hallj (io sono Dio): abbiamo gi detto della presenza nel mydn del
ricordo del suo patibolo. elemento fondamentale dellevoluzione dei Bektsh; quanto alla loro implicazione

1254
nelle rivolte anatoliche, ci fu verosimilmente dovuto alluso politico dellordine da parte dei Safavidi (cfr. I.
Mlikoff, Le problme, etc., cit in Bibl. infra, p. 79).
Allinizio lordine dei Bektsh fu in ottimi rapporti con gli Ottomani, che ai loro esordi politici nel
quadro dellAsia minore erano soltanto dei capi trib turcomanni (cfr. I. Mlikoff, Lorigine sociale, etc., cit. in
Bibl. infra, p. 135) e i primi Ottomani, almeno sino a Bayazid II, aderivano allordine; i rapporti si guastarono ai
tempi di Selm I a causa del conflitto permanente con gli ordini Sf vicini ai safavidi. Fu comunque da questo
ordine guerriero e colonizzatore, ampiamente diffuso nei Balcani, che si trassero le truppe dei Giannizzeri,
sinch la loro abolizione nel 1826 non comport labolizione dellordine stesso, che entr in clandestinit ma
rimase ben vivo acquisendo nuove esperienze culturali allinterno della Massoneria (cfr. I. Mlikoff, Lordre des
Bektai aprs 1826, cit. in Bibl. infra, e Zarcone, Mystiques, etc., cit.). I Bektsh, come gli Alev, furono poi
kemalisti nel momento della nascita della moderna Turchia
Per quanto riguarda le loro dottrine, abbiamo gi notato che esse non sono peculiari dellordine ma,
come per le altre forme della Sha estremista, si imperniano sulla ripetuta manifestazione di Dio nelluomo
(Birge, p. 87). Come gli altri gruppi dei quali stiamo trattando in questo capitolo, i Bektsh professano il
fondamentale principio dei quattro gradi della conoscenza (Sharah, Tariqah, Marifah e Haqqah) oltre a
praticare una scienza delle lettere hurfita. Sul ruolo importante dello Hurfismo nella dottrina bektsh si
veda il significativo articolo di Algar cit. in Bibl. a p. 847, nel quale anche riprodotto lo schema secondo il
quale il nome di Al impresso sul volto di ogni uomo: le tre lettere - - sono incise specularmente nelle
due direzioni ( - - )a formare larco sopracciliare, il naso e i baffi di un volto stilizzato.
Della wahdat al-wujd s gi detto; di questa dottrina si deve comunque ricordare laspetto in s non
reale che vi assume il mondo, il quale ha una realt soltanto apparente grazie al manifestarsi in esso del divino
che lo sottende. Ora, partendo da ci, Birge (p. 113 sgg.) sottolinea la presenza tra i Bektsh di una cosmogonia
emanatista che del tutto analoga a quella dei sistemi ismailiti dei quali ci siamo lungamente occupati sin dal
capitolo su Ordine celeste e disordini terreni, ma poi anche altrove; e parlando sia dellIsmailismo che della
filosofia islamica a partire da al-Frb. Questa dottrina, messa in rapporto con quella dei quattro stadi della
conoscenza, conduce ad identificare questi ultimi con quattro tipi di uomo e con i quattro elementi, e a fare
delluomo perfetto lunione di essi.
appena il caso di notare il carattere alchemico di una tale dottrina, e di sottolineare cos per
lennesima volta la radice dellalchimia spirituale nella Sha estrema, cosa della quale s discusso non soltanto
nel capitolo dedicato alleterodossia islamica (pp. 196-246) ma anche ad apertura di quello dedicato allalchimia
(pp. 418-473). Luomo perfetto unisce lUno e il molteplice (Birge, p. 118, citando da Nicholson) cosicch
luniverso dipende da lui per la propria esistenza. Luomo perfetto la traduzione alchemica dellImm, perch
il ruolo a lui attribuito un altro modo per enunciare la dottrina shita della necessit che ogni tempo abbia un
proprio Imm, il quale, a sua volta, in una logica emanatista, luomo perfetto in grado di attingere lIntelletto
Agente. Il cerchio si chiude attorno a un punto centrale della riflessione islamica, sicch mi sembra quantomeno
imbarazzante considerare non-islamiche queste sette estremiste: a meno di non entrare nel cerchio di gesso
tracciato dagli eresiologi e dalle loro ortodossie.
Faccio queste considerazioni perch gli studiosi che si collocano sul cot della ricerca di origini extra-
islamiche non sono pochi, e non possono, per altri aspetti della ricerca, essere ignorati. questo il caso, ad
esempio, di Irne Mlikoff, dei cui numerosi studi ho dato un sommario campione in Bibliografia che ora
intendo esaminare in generale anche perch, come ricercatrice sul campo, la Mlikoff tratta congiuntamente
Bektsh e Aleviti, le cui differenze dottrinali sono minime.
La sua posizione molto netta: tanto per fare un esempio, in Lordre des Bektachis, etc., cit. in Bibl. a
p. 850, a p. 5 afferma che il sincretismo bektsh presenta una vernice sf e duodecimana su dottrine
antropomorfiche e cabbalistiche hurfite, cui si aggiunge lestremismo shita dei Qizilbsh, credenze nella
reincarnazione e nella metempsicosi. Epper: di queste credenze, non abbiamo visto la presenza fondante sin dal
primo ghuluww, quello che precede di gran lunga la formazione della Sha duodecimana? vero poi che i
Bektsh e gli Alev tendono, come tutte le religioni intese nella loro pratica, soprattutto popolare, non ristrette
allastratta enunciazione dei dogmi, ad assimilare culti e tradizioni locali; vero anche che il diverso ruolo della
donna e luso dellalcool fanno parte di antiche tradizioni turche (anche se luso dellalcool un tema
controverso nellIslam, da non confondere con il suo sanfedismo) vero anche che presso questi gruppi
esistono tracce di culti solari; ma fare di Al un mero sostituto, un avatar, del Dio solare turcomanno, cozza con
la figura e il ruolo che egli assume nei gruppi che stiamo esaminando. E vedere nelle presenze ornitomorfe,
frequenti nei miti, unorigine sciamanica, facendone un elemento di non-islamicit di questi gruppi, cozza con
tutto quanto di islamico vi abbiamo visto, e non come vernice.
Questo il punto: non che gli elementi citati, e del resto chiaramente riconosciuti da tutti gli studiosi
non siano quel che sono, elementi estranei allIslam raccolti da altre tradizioni. Il punto che essi sono visti
come una realt folklorica (ed vero) sotto la coperta dellIslam (p. 6): il che un modo non tanto velato per
espungere dallIslam -quello puro e archetipale delle ortodossie- ci che dellIslam reale, praticato e
storicamente sviluppato, fa parte: come ne fa parte il ridimensionamento della Sharah a contingenza e il suo
futuro superamento, che risale agli albori del ghuluww insieme ad hull e tansukh.

1255
Venendo poi agli Aleviti, la Mlikoff pone (per il passato: ora la situazione diversa, cfr. il suo Le
Bektachisme et lAlevisme en Turquie, etc., cit. in Bibl. infra) una distinzione generalmente stabilita: gli Aleviti
non si differenziano dai Bektsh se non per il fatto che i secondi rappresentano un elemento pi colto e
urbano, mentre i primi sono legati allambiente rurale. Questa distinzione si approfond nel XIX secolo per la
notevole presenza dei Bektsh nella Massoneria (p. 7) che ha conferito loro accenti liberali, non-conformisti e
anticlericali: una sorta di intellighentzia illuminata (ivi). La Mlikoff respinge poi leterna accusa relativa alle
presunte orge notturne, perch ritiene che la segretezza dei rituali sia soltanto la conseguenza delle persecuzioni
subite.
Anche Ocak (Remarques, etc., cit. in Bibl. a p. 850) vede nei Qalandar il fattore esterno (di origine
asiatica e profondamente antinomista, malmatiyya) connesso con Buddhismo, Zoroastrismo, Manicheismo (p.
56) che fu elemento di trasformazione dei Bektsh nel corso della rivolta bbista. Ancora pi esplicito Ocak
in Syncrtisme et esprit messianique, etc., cit. in Bibl. infra, dove apre gi parlando di radici nelle religioni
antiche del Medio Oriente (p. 249). Dopo aver sottolineato il ruolo dei Nizriti, successivamente alla caduta di
Alamt, nello sviluppo del Sufismo e dello Hurfismo; venendo al movimento di Bb Ilyas (del quale abbiamo
visto i legami con lo sviluppo del Sufismo shita estremista) dice (p. 254): siamo esattamente di fronte a una
concezione tipicamente sincretista e gnostica, che trova il proprio fondamento nello Zoroastrismo, il Mandeismo,
il Manicheismo etc. Ci perch Bb Ilyas si era proclamato Profeta: come se la ripetizione del profetismo non
fosse allorigine stessa dellIslam e un elemento abituale nel ghuluww.
Ancora pi reciso ne LHtrodoxie, etc., cit. in Bibl. a p. 850, dove afferma, gi per il Qizilbashismo,
poi per ci che ne discende, che il fondamento religioso non ha nulla di una eterodossia islamica sincretista,
componendosi di antiche vestigia sciamaniche, buddhiste, zoroastriane, manichee e mazdee, e anche, a un certo
punto, cristiane, create attraverso i secoli, incollate da un certo Islam mistico e trasportate in Anatolia etc. Dove
per ci che incolla resta pur sempre lIslam, anche se un certo Islam (con il che si detto tutto e nulla) e
per giunta mistico: come se lIslam mistico non sia stato sempre espressione, e tra le pi alte, dellIslam senza
aggettivi, dellIslam punto e basta.
Non diverso latteggiamento di Hamzehee, cit. in Bibl. infra allorch, trattando di queste
minoranze religiose, ne cerca gli antecedenti nellangelologia mazdea (p. 110) e attribuisce a origine non-
islamica la diffusa credenza nel tansukh.
Pi problematica ed equilibrata appare S. Faroqhi, cit. in Bibl. a p. 848, che, sulla base anche di
paralleli con gli studi di Ginzburg e Le Roy Ladurie (citt. in Bibl. a p. 758 e 764 rispettivamente) invoca la
religiosit popolare (scil: vernacolare) il ruolo politico dello scontro sociale (caso Bb) ma anche quello
particolaristico ed etnico (eterodossia tribale contro il dominio centralistico ottomano). Faroqhi ricorda anche le
confluenze nella Massoneria nel XIX secolo (cfr. Zarcone) che valgono per tutti i dissidenti (lo vedemmo a suo
tempo anche per i Bah) e che danno il tono liberale alla dissidenza odierna.
La Faroqhi, Conflict, Accomodation, etc., cit. in Bibl. infra, sottolinea inoltre che, nonostante la loro
eterodossia che fu ragione delle persecuzioni (politiche, il tempo delle lotte con i Safavidi) ottomane nel XVI
secolo, i Bektsh affiancarono poi il governo in una politica di islamizzazione del mondo rurale, rivolta ad
assimilare i Qizilbsh nel mondo ottomano: in altre parole, una politica di accomodamento che garant loro
qualche previlegio, e unattenuazione delle persecuzioni anche verso i Qizilbsh. Ora, mi sia concesso segnalare
il caso davvero singolare di una confraternita che alcuni pretendono non-islamica, ma che opera processi di
islamizzazione.
Per tornare comunque alla Mlikoff che tra i principali studiosi del Bektshismo/Alevismo, nel suo
articolo Les fondements, etc., cit. in Bibl. infra, dopo aver rilevato gli sviluppi antropomorfici dello Hurfismo
nel Bektshismo (cfr. Algar, supra) e dopo aver sostenuto che lo estremismo bektsh frutto dei contatti con i
Qizilbsh -ci che fa comprendere la quasi-identit con lo Alevismo- elenca i punti che caratterizzano il
Bektshismo, e, al terzo punto, ne sottolinea linnegabile sincretismo: qui per ella parla, a mio avviso pi
correttamente, di assorbimento di tradizioni e anche credenze degli ambienti circostanti. Ci fa comprendere
la capacit di penetrazione della confraternita nel mondo balcanico cristiano: assorbimento di elementi non-
islamici per altra cosa rispetto ad una origine non-islamica.
Tuttavia, in Recherches sur les composantes, etc., cit. in Bibl. infra, a p. 47 la Mlikoff torna a parlare
di un complesso sincretismo il tutto ricoperto da una vernice islamica. In questo articolo, che importante per
gli accostamenti precisi tra Bektsh, Aleviti, Ahl-i Haqq e Yezdi, dei quali viene riconosciuta la profonda
parentela, largomento dellornitomorfismo torna in campo per ricercare ascendenze sciamaniche e buddhiste.
Ancora, in LIslam htrodoxe, etc., cit in Bibl. Infra, si vanno evocando (come in Stoyanov, che ne parla con
maggior cautela) geografia e mescolanze di popolazioni, per attribuire un ruolo allantica presenza dei
Pauliciani.
Ora, abbiamo gi visto altrove nel testo quanto problematica sia questa sopravvivenza dei Pauliciani
divenuti Tondrakiti: per non dire del caso di Williams (cfr. p. 713 supra) che giunge ad ipotizzare una loro
influenza sugli Anabattisti; e come siano evanescenti le cosiddette influenze immaginate sul solo fondamento
di analogie dottrinali, senza concreta documentazione storica sui possibili contatti (ne parlai gi a proposito
della presunta continuit tra Marcioniti e Pauliciani). Mi sembra perci che simili tentativi di connessioni
siano guidati da scelte a priori: cercare fuori dai problemi irrisolti delle ortodossie -e perci in intrusioni
1256
dallesterno- lorigine delle dissidenze, approfittando magari del fatto che tali dissidenze ripetono sovente
analoghi motivi. La similitudine di questi motivi per a mio avviso da cercarsi, ne parlammo a suo tempo, nella
costante struttura razionalista di ogni ortodossia: almeno per quanto riguarda le tre religioni del Libro.
Certamente la cultura dei popoli fatta di tradizioni, credenze, opinioni, miti, leggende, accumulatisi
da origini le pi diverse e rimasti come serbatoio di soluzioni cui attingere per dare un senso a ci cui non sanno
dar senso religioni e culture dominanti; ma ci che conta la cultura e la religiosit in rapporto alla quale si
sviluppano le opinioni diverse. Ora, io ritengo che questa sia lIslam, non soltanto perch le devianze delle
quali parliamo si sviluppano in terra dIslam, ma anche perch esse si sviluppano in rapporto a ci cui esso non
d risposta. Cos, il marginale che cerca in terra quella Giustizia che ha sede soltanto presso il trono divino,
necessita di un mediatore attivo tra umano e divino, tra terra e cielo, che precisamente ci che lIslam
ortodosso, in particolare sunnita, non offre. qui che Al diviene il volto di Dio tra gli uomini, il garante che il
mondo di giustizia avr un combattente che verr un giorno come Mahd; un volto per presente anche ora,
come in passato, in figure cristiche come al-Hallj.
Non un caso che la documentazione prodotta nel precedente capitolo mostri un contrasto sociale
articolato attorno al contrasto sulla Sharah, anche se, singolarmente, a parti invertite rispetto a quel che avvenne
nel IX secolo sunnita. L, la rigidit della Legge imperscrutabile era invocata come fonte di eguaglianza (lIslam
egualitarista) contro i rischi di arbitrio califfale, ed era larma degli ulam nella loro marcia verso il potere;
qui avversata dagli eretici, soprattutto rurali, contro il potere normalizzatore della societ urbana (lIslam
una cultura soprattutto urbana, come il Cristianesimo: le aree rurali hanno una resilienza e unisteresi proprie).
Nel mondo shita, lo abbiamo visto, la presa di potere degli ulam a partire dal periodo Qjr ha
rappresentato infatti una sunnizzazione della Sha che fu, nella storia, il partito antisacerdotale e perci
rivoluzionario in nome di un divino sempre presente e attivo in terra. Hull e tansukh vengono da l, dove
hanno un ruolo essenziale; da l il ghuluww attorno agli Aldi e poi, quando questi si mostrarono troppo
quietisti, o, peggio ancora, scomparvero, fuori di essi, in figure carismatiche. Forse mai come nel mondo
islamico, si mostrato cos compiutamente il contrasto weberiano tra sacerdoti e Profeti, immutabile status quo e
rivoluzione: problema di tutte le marginalit che partoriscono -anche nellOccidente secolarizzato- rivoluzioni e
dittature in nome di vecchi millenarismi. Di tutto ci, la secolarizzazione ha secolarizzato soltanto la struttura
ideologica: il mondo di giustizia pensabile soltanto nel contesto mitico-religioso, quello in cui si origina.
E lIslam -qui torniamo allorigine di questa ricerca- nasce precisamente nella marginalit messianica
e millenarista veicolata dal Giudeocristianesimo (meglio: dai Giudeocristianesimi, o, senza usare classificazioni
incerte, dai Giudeocristiani) trovatisi estromessi, con le proprie ragioni, dopo il definitivo consolidamento delle
due ortodossie alla fine del V secolo. Il Messaggio testamentario, confessiamolo, ammetteva alla fin fine
anche altre interpretazioni; lIslam ne costru una terza ma non pot raccoglierne, in quanto a sua volta
ortodossia, le infinite altre, le disparate ragioni che non potevano trovar posto in unaltra Ragione unica.
Eresiologi ed accademici (per non dire dei filosofi) sembrano sempre dimenticare che il pensiero nasce
dallesperienza, non sta scritto in cielo.
Anche laffermazione del Cristianesimo, nella sua versione ortodossa non fu facile nelle campagne:
si pensi a Burcardo; e non fu mai completa, stata possibile soltanto per la capacit di tollerare la permanenza
mascherata di miti e consuetudini locali: ma anche Natale, Ognissanti, lEpifania, lAssunzione, che cosa sono se
non sincretismi, almeno nella scelta della data? E quando vedo invocare tra le vicende ornitologiche il nome del
maestro di Hj Bektsh, Perende, che significa volante, come prova di origine sciamanica sotto vernice islamica,
mi domando se si debba porre fuori del Cristianesimo il cristianissimo San Giuseppe da Copertino che aveva la
singolare abitudine di svolazzare un po dovunque, persino appollaiandosi sui rami degli alberi, precisamente
come gli uccelli.
Perci mi domando: corretto definire lo Alevismo sciamanesimo islamizzato (perch non il
reciproco?) e, in tema di tradizioni locali, vedere la religione di Stato dei Turchi Uyghuri probabile
discendenza di credenze pauliciane? (Mlikoff, Un Islam en marge de lIslam, cit. in Bibl. infra, p. 16 e p. 17).
Discendenze che vengono ricondotte per altra via allo sciamanesimo per quanto riguarda la stessa tradizione
leggendaria su Hj Bektsh e la figura di Bb Ilyas in La montagne et larbre sacr, etc., cit. in Bibl. infra, che
poi larticolo nel quale il nome di Lokman-i Perende diventa la pistola fumante della vicenda ornitologica.
Tanto pi che la stessa Mlikoff (La divinisation dAli, etc., cit. in Bibl. infra) traccia un coerente
racconto del fenomeno settario attraverso una storia islamica che include Qizilbsh, Hurfiti, e il fenomeno
generale della divinizzazione di Al.
Per il resto, il fatto che lAnatolia sia stato luogo dincontri, migrazioni e mediazioni (quindi di
eresie) sin dai tempi pi antichi, fuor di dubbio: basta il rapido schizzo che ne fa Balivet, Permanences
rgionales, etc., cit. in Bibl. infra, per ricordarcelo; ne nacque per qualcosa di molto valido come elemento di
acculturazione, sufficiente ricordare il particolare volto dellIslam balcanico, frutto della capacit sincretista
degli ordini Sf che suscitava in loco la furibonda risposta degli ulam. Lo ricorda lo stesso Balivet in Aux
origines, etc., cit. in Bibl. a p. 847, quando espone la realt con una frase tanto semplice quanto esplicita:
lIslam balcanico non lIslam saudita o iraniano; c probabilmente tanta differenza tra loro quanto tra il
Cattolicesimo spagnolo e il Protestantesimo scandinavo. Epper: chi contesterebbe che Spagnoli e Scandinavi
siano comunque entrambi cristiani? e allora: perch restringere la vastit della cultura nata dallIslam e
1257
nellIslam al pi modesto recinto dellortodossia sunnita? Questa impostazione del problema mi sembra assai
ragionevole, e faccio riferimento allarticolo di H.I. Markussen, Alevi Theology from Shamanism to Humanism,
in Alevis and Alevism, Transformed Identities, ed. by H.I. Markussen, Istanbul, Isis, 2005. In esso, con
riferimento anche alle analisi di Shankland, alle pp. 78-79 il problema inquadrato nellambito della recezione
dellIslam da parte di una cultura turca, profondamente diversa da quella araba, che rese gli Aleviti
profondamente estranei allevoluzione sunnita dellIslam, e anche ostili, in ragione di una propria tradizionale
cultura su temi come il rapporto con la donna e altri che abbiamo visto. In altre parole, essi accettarono lIslam,
si sentono islamici ma rifiutano di identificare lIslam con il Sunnismo. Ci esattamente ci che sto tentando di
indagare sin dallinizio di questa ricerca: lIslam una grande area culturale, il Sunnismo soltanto uno dei suoi
aspetti. Anche per quanto riguarda il Cristianesimo feci le stesse osservazioni: i Messaggi sono simbolici e
perci passibili di una ampio spettro di letture: nulla di pi errato del fasciarsi la testa con le argomentazioni
degli eresiologi e con le pretese delle ortodossie.
Tuttavia cos, lIslam ortodosso avverte come non-islamici questi gruppi che, con il rinascere delle
tendenze assolutiste dellintegralismo, dal neo-Salafismo sunnita alla Sha della Rivoluzione iraniana, ha
accentuato la tendenza persecutoria, o comunque diffamatoria, nei loro confronti. Bene cos, o male cos, a
preferenza: ma uno studioso non pu esserne psicologicamente condizionato. LIslam, come il Cristianesimo,
qualcosa di pi dei dettati ortodossi: sono vaste aree di civilt, prima ancora che religiose, che hanno
improntato di s popoli e culture le pi diverse, ciascuna con le sue peculiari tradizioni che hanno trovato di che
rivivere entro il nuovo Messaggio.
Nellatteggiamento persecutorio dei guardiani dellortodossia contro queste culture rifiutate, si sono
particolarmente distinti lIraq sunnita e lIran duodecimano; ma il problema riguarda anche la Turchia, dove i
Bektsh/Alev furono s, kemalisti; ma lideologia del nuovo potere, precisamente in quanto laica, non poteva
vedere di buon occhio rinascite religiose, tantomeno legate a particolarismi etnici contrastanti col nuovo
nazionalismo turco: la repressione della rivolta di Dersin resta tristemente emblematica. Dopo la parentesi
democratica, lavanzare di un rinato islamismo turco, anche se vuol dirsi democratico, crea nuove ombre.
Tutto ci non tuttavia oggetto di questo studio, che si concluso qui: mi limito a segnalare al lettore
che il web pullula di siti, molti dei quali ufficiali e attendibili, nei quali analizzata la situazione
contemporanea, e, ove del caso, denunciate le persecuzioni; molti di questi siti fanno capo alle organizzazioni
emerse in seno alla grande emigrazione, nella quale queste minoranze (?) hanno ritrovato identit nella
coscienza del proprio passato.
Ci riguarda tanto gli Alev e i Bektsh quanto gli Ahl-i Haqq, gli Yezdi e altri ancora; dei Bah
avevo gi fatto cenno. Vi si trovano studi e rapporti sulle attuali pratiche (in primis il Jam o em) le gerarchie
interne, etc. Mi limito, in chiusura, soltanto a segnalare quattro testimonianze e i relativi siti (due sugli Alev,
uno sui Bektsh e uno sugli Yezdi) che mi sono sembrati di maggior interesse. Essi sono:

- E. Ledda, Il caso degli Alevi, ERSU, Cagliari, Tesi allo sviluppo, Anno accademico 2009-2010,
www.ersucagliari.it;
- S. Martens, Being Alevi in Turkey: Discursive Unity and the Contestation of Communal Boundaries, Tesi per
il titolo di Master of the Arts alla Simon Fraser Un, Burnaby (Canada), www.summit.sfu.ca/item/9634
- M. Salman, Haci Bektash, tesi presentata alla Graduate School of Social Science della Middle East
Technical Un., Ankara, 2005, www.etd.lib.metu.edu.tr/upload/12606831/index.pdf
- http://www.yeziditruth.org (organizzazione umanitaria hosted by International Order of Gnostic Templars

Per gli Alev segnalo ancora larticolo di Zaidan cit. in Bibl. infra; segnalo anche, per gli Shabak e i
Kk, i due articoli di Leezenberg, anchessi citt. in Bibl. infra. Ricordo infine che il numero monografico di
R.E.I. (60,1, 1992) ripetutamente citato nel testo e che ricco di articoli sullIslam dei Balcani, stato ristampato
con il titolo: Bektachiyya. tudes sur lordre mystique des Bektachis et les groups relevant de Hadj Bektach,
runies par A. Popovic et G. Veinstein, Istanbul, Isis, 1995.

1258
4 - Il senso di un percorso
Nel licenziare, nel lontano 1575, il proprio Des Histoires orientales et principalement des Turks ou
Tourchike ou Tartare et aultres qui en sont descendus, etc. etc., Par Guillaume Postel cosmopolite, deux fois de
l retourn et bien inform, De lImprimerie de Hierosme de Marnef et Guillaume Cavellat au Mont S. Hilaire,
lenseigne du Plican ; Guillaume Postel, la cloaca di tutte le eresie, cos apriva il proprio testo/resoconto (pp. 1-
2) :

Comme ainsi soit, que Dieu aie mis lhomme en ce monde pour estre (en aidant lun lautre) animal sociable, ou qui
se delecte destre assembl et estant impossible pour la diversit des meurs, langues, opinions & religions, que de
divers hommes se face une communaut & union ensemble, premier que vraiment se cognoissent : il est trescertain
quuvre en ce monde plus belle, utile, & necessaire pour la pairfette reconciliation humaine, ne se peut faire, que de
vraiment donner aus hommes telle cognoissance les uns des autres que moiennant telle cognoissance & cognoissant
le vice & vertu de la personne ou gent au paravant incongnu le monde se puisse, supportant lautruy vice, &
approuvant la vertu, accorder ensemble.

Postel doveva avere qualche esperienza dei sincretismi e delle pullulanti eterodossie, non soltanto
islamiche, del mondo balcanico-anatolico e mediorientale, allora partecipe dellImpero Ottomano: lo fa
sospettare il suo percorso intellettuale del quale ho parlato nel capitolo sulla magia, alle pp. 399-408. Quel che
comunque dovette colpire la sua riflessione a contatto con la diversit del mondo, sembrerebbe esser stata questa
pluralit delle ragioni che sfugge alle pretese della Ragione.
Molto modestamente, questo anche il senso del percorso che abbiamo intrapreso (noi: cio il lettore
e chi scrive) in questo lungo racconto, che lungo soltanto perch limitati sono lo sguardo e le capacit di chi
scrive, altrimenti sarebbe interminabile. La singolarit di questo percorso costituita dalla scoperta che abbiamo
fatto insieme, seguendolo: il legame non troppo nascosto che univa le vicende dellOccidente, visto al revs
dal luogo dello altro occidente, alle vicende dellIslam. E la trama nascosta, come diceva Eraclito (trad. Colli)
pi forte di quella manifesta; di quella che, in negativo o in positivo, conduce a respingere o a mitizzare una
apparente alterit.
Questa scoperta ha un retroterra nella via che abbiamo scelto per capire il significato del fenomeno
religioso nel momento nel quale si manifesta nelle religioni del Libro con la Profezia, prima, cio, che il
Messaggio passi nelle mani della classe sacerdotale. Ne abbiamo parlato alle pp. 1125-1126: la religione fonda
una societ per trasmetterla nel tempo, una costruzione identitaria che sfugge ai limiti delle transeunti ideologie
perch si articola in un sistema di simboli che colgono situazioni e problemi radicali non completamente
razionalizzabili. Il suo legame con la societ duplice: nasce in essa, dalle sue esigenze, e contemporaneamente
la forma nel senso che d loro forma, una forma nata per durare, precisamente grazie al polimorfismo del
simbolo che si presta a infinite letture; al contrario lideologia limitata nelluniversalit e nella durata, a causa
della sua pretesa di costringere lindicibile negli angusti limiti della sua razionalizzazione.
Il Messaggio dunque linimitabile costruzione del Profeta che sa pi del filosofo (per non dire
dellideologo) precisamente per questo suo esprimersi per simboli e metafore, la cui fecondit permane nel
tempo grazie a quel polimorfismo che apre ad uno spettro di letture, se non infinito, certamente assai ampio al
punto di non escludere lambivalenza. Non per nulla i Romantici paragonarono larte alla Profezia, non per nulla
attorno ad ogni Dettato nato un esoterismo.
La nascita di un esoterismo non avviene nel mondo delle astratte idee; l prende domicilio soltanto
dopo essere avvenuta, aver germinato, nello Erlebnis, nellesperienza dellesistere, unesperienza che non
uguale per tutti. Una societ raggiunge un proprio (instabile) assetto a seguito del prevalere di una normativa che
la ordina, nella quale la forza ha generalmente pi peso della Ragione, perch la Ragione -cio la normativa- ,
pi modestamente, la razionalizzazione dei rapporti di forza che rendono realisticamente imprescindibile un
certo assetto, ed un carro sul quale salgono tutti coloro che vogliono e che sanno ricavarsi un ruolo allinsegna
del realismo.
Il carro, per, non ha posto per tutti e lascia sempre qualcuno per strada, magari semplicemente perch
le sue idee non coincidono con quelle del cocchiere: non coincidono perch siamo in presenza di una testa
balzana o perch gli si sta chiedendo di lasciare a terra il proprio bagaglio: di bisogni, di desideri e di idee. Il
concetto di ripetitivit della Profezia la porta che mantiene aperto lorizzonte verso una nuova societ, con
nuove regole, valori e gerarchie.
Poich nessuna societ perfetta -non dir in vista dellastratto modello platonico, ma nel senso di
poter soddisfare tutti- ogni societ ha le proprie marginalit (economiche, sociali, culturali, geografiche e
quantaltro) e il sogno delle marginalit sempre stato apocalittico e messianico: lattesa di un nuovo ciclo
profetico. NellOccidente secolarizzato i Profeti sono stati sostituiti con le ideologie, ma questo non autorizza a
considerare infantilismi le antiche attese di Profeti: dietro le lotte religiose ci sono sempre ferite sociali. Che poi
le bandiere e le insegne vengano ricavate rovistando nel magazzino dei miti, o dai sogni di qualche innocuo
esaltato, non ha importanza: miti e sogni sono le armi dei desideri e dei bisogni, e ciascuno combatte per i propri
desideri e i propri bisogni con le armi che trova, adattandole allo scopo.

1259
Capire che cosa si nasconda, ma non tanto, dietro le convulsioni religiose dalle quali nacque lIslam, e
che dellIslam segnano lintera storia, difficile per chi si identifica con lideologia di Occidente
dimenticando, tutto sommato, la propria stessa storia, scandita sul percorso altrettanto ideologico che vede una
classicit crollata trascorrere nel buio del Medioevo, rinascere alla luce del Rinascimento e volare ad ali
spiegate verso il cielo del Progresso. Protagonista di questo ciclo di morte e rinascita la Ragione: peccato che
tutto il percorso sia assolutamente metafisico in un doppio senso: nel senso letterale -si fonda su una metafisica
della storia- e nel senso ironico: unallucinazione ideologica che non ha posto nel reale.
LOccidente guarda cos allIslam come a un luogo altro, comprensibile soltanto nello skill degli
orientalisti; quanto allOriente, altro parto ideologico, o il luogo favoloso delle origini o quello accantonato
dellarretratezza (la storia come percorso verso un tlos non ammette alternative) oppure incomprensibile al
profano, se ne pu soltanto avere diretta esperienza, ovvero guardarlo con la lente dellesperto entomologo: nel
nostro caso, dellorientalista o dellarabista.
La tesi che qui ho voluto esplorare completamente diversa, e richiede uno sforzo per sbarazzarsi dei
luoghi comuni ereditati dalla nostra cultura, che non sono soltanto quelli volgari del preconcetto: anche
lorientalistica fa parte delle ides reues (discende dalla Sensucht nach Ost dei Romantici) che non consentono
di capire perch mai la storia dellIslam veda una continua volont di misurarsi, vincendo, con lOccidente. La
mia tesi che le due storie sono intrecciate non soltanto per le conseguenze politiche della contiguit geografica,
ma perch la nascita dellIslam conseguente al conformarsi dellarea ideologica detta Occidente a seguito
dellistituzionalizzazione del Messaggio neotestamentario nelle strutture della Ragione classica: perch
lOccidente nacque dalla trasmissione allEuropa di una ortodossia che su quella Ragione si era a suo tempo
conformata.
Per essere in grado di osservare senza lenti colorate la storia altrui, perci necessario innanzitutto
capire la nostra, cio la vicenda ideologica che ha costruito la nostra Ragione -magari a partire dalla lotta di
Platone contro i Sofisti- e di come la Ragione classica seppe conformare di s il Messaggio testamentario, che,
pure, era nato come sua negazione: e infatti conserv, nonostante tutto, la propria virulenza, espressa in ripetute
eterodossie. Di questo parlammo a suo tempo e su ci non ritorno. Lodierno Occidente nasce cos: perci il
successivo fenomeno della secolarizzazione, cui lIslam estraneo, ha riguardato il mondo cristiano, perch la
nostra religione, essendosi istituzionalizzata in una societ retta dalla Ragione classica, poteva, una volta entrata
in crisi la fede, essere di nuovo tradotta innerhalb der Grenzen der bloen Vernunft. In questo, n Kant n i
fautori del laicissimo Illuminismo hanno inventato qualcosa: hanno preso letica di una societ cristiana, le
hanno tolto le fondamenta nella fede, e hanno ritenuto di ricavarne i dettami della Ragione: della nostra ragione,
che tuttavia non li racchiude tutti, non potrebbe perch un Messaggio qualcosa di pi; da allora, comunque, la
nostra Ragione ha iniziato un proprio sviluppo, autoreferenziale come quello del celebre Barone nella palude.
Levoluzione di un Messaggio profetico che si trasforma in una religione (con la sua propria
ortodossia) non pu essere pensata fuori della societ nella quale avviene il fenomeno; il rapporto tra il
Messaggio e la societ nella quale esso irrompe sempre biunivoco nel portare alla nascita di una nuova
societ; non quindi indifferente se il Messaggio prenda forma nella Roma dei primi due secoli imperiali,
ovvero nella sua periferia mediorientale, sempre agitata dalle attese apocalittiche della marginalit gi dai tempi
di Qumrn, e storicamente insofferente di una Ragione che non coincideva con le sue ragioni. L si attendeva un
vero mondo, non quello vigente, ordinato dalla Ragione imperiale.
A me sembra questa la premessa -una Ragione che pensa se stessa affrancata dalla propria storia, dalla
propria genealogia, pretendendo cos di poter esibire una propria evidenza erga omnes, eredit dellepistme- in
conseguenza della quale luomo occidentale si stupisce quando il resto del mondo non viene folgorato dalla luce
di quellevidenza, e il pianeta tutto non la vede come proprio traguardo destinale. Essere Occidentali significa
anche credersi approdo di un percorso ineludibile, luminoso come quello del sole che ne la metafora, perch si
compie, per lappunto, in occidente. Questo anche il veleno sottile inoculato dalle filosofie della storia.
La convinzione occidentale fu certamente favorita dal fatto che la forza tecnologica ed economica (la
tecnologia il luogo di nascita e di sviluppo dellepistme, gli esempi addotti da Platone contro i Sofisti sono
eloquenti) e perci la forza militare, consentirono il dilagare dellOccidente e della sua Ragione per larco di due
secoli, sicch si confuse una presunta forza di questa Ragione con la pi concreta ragione di tanta forza. La forza
per, soggetta a impreviste variabili; lo fu con la scoperta delle rotte oceaniche, potrebbe esserlo domani con la
scoperta di quelle polari, se i ghiacci insisteranno a ridursi. Variabili che spostano la geografia del successo,
come pu esserlo la necessit vitale di risorse in mano altrui.
Laspetto inquietante di questo Occidente ideologico -lo scrivevo ad apertura di testo e lo ripeto
chiudendolo, perch il problema che ho voluto affrontare attraverso e nonostante le molte sonde gettate altrove,
quello della crisi della Ragione occidentale- che il mancato inverarsi della visione escatologica di un pianeta
ricomposto alla luce della sua Ragione possa innescare la crisi delloccidente tout-court, come perdita di
orizzonte dopo che il faro del porto si rivelato un miraggio. Per questo credo sia importante liberare la nostra
storia dalla cappa ideologica di una Grecia che non fu soltanto quella di Platone, ma anche quella dei Sofisti e
degli Scettici; di una Roma che non fu soltanto quella dellordine augusteo, ma anche il disordine dei suoi
mercanti; di un Rinascimento che, alla fin fine, fu soltanto delle Corti, mentre dilagavano le inquietudini
antirinascimentali del Manierismo e si affermava la Retorica col Barocco. Eventi che, a mio avviso, significano
1260
questo: dopo lavvento del Messaggio, per quanto ricondotto allOrdine, il ritorno alla classicit era destinato a
rimanere unillusione ideologica calata dallalto, per fascinosa che fosse. Non un caso che il mito del
Rinascimento esploda con le glorie dellOttocento borghese: lOttocento romantico, che non era quello dei
vincitori, torn piuttosto a guardare al Medioevo scoprendo che non si tratt affatto di secoli bui (secondo
letichetta del demi-monde): per Fossier, anzi, fu una rivoluzione incompiuta che attende di riprendere un
percorso.
La continuit della vicenda islamica rispetto a quella occidentale richiede dunque, per essere
compresa, labbandono delle strutture razionaliste di un pensiero che legge le dottrine (non soltanto religiose)
nella dicotomia Ragione/sragione, per tentar di osservare il formarsi delle plurali ragioni sullhumus
dellesperienza esistenziale; vedere ortodossia ed eresie come risposte che le diverse esperienze maturano
attraverso diverse letture di un medesimo tessuto simbolico, quello della Profezia che tende a dar voce
allinesprimibile del desiderio.
Se si osserva limpatto del Messaggio testamentario sul mondo antico e tardo-antico con i processi che
innesta nelle attese delle societ, come irruzione dellUtopia, di ci che esiste soltanto in un non-luogo e che non
mai completamente ubicabile in un luogo e in un tempo della storia, lo si percepisce come irruzione
dellelemento vitalistico (il Dio vivente, il Dio persona) che mette in moto la storia sotto linesauribile petizione
del desiderio tramite il quale si esprime la vita. La vita, il suo eterno rinnovarsi, deborda qualunque schema
razionale, che risulta eternamente inadeguato nellattimo che segue la sua formulazione: perch nel frattempo la
vita andata oltre, oltre limmagine statica che la Ragione vuol circoscrivere.
A tale proposito, il lettore che ha seguito questo testo ricorder che si parlato del diverso concetto di
infinito, che il Razionalismo classico concepisce come assenza di limite spaziale o temporale, la Qabbalah come
eterno scacco che il Fons vit infligge ai limiti della Ragione. Linfinito diviene linesauribile, il rinnovarsi della
vita che la Ragione non pu circoscrivere: un concetto che torna come eterna creazione nella teosofia ishrq e
nel Sufismo. Dunque: infinito non come concetto-limite spazio-temporale ma come infinibile, incircoscrivibilt
del sempre-nuovo nel quale si scandisce il fluire della vita.
Per comprendere la continuit che lega lIslam allOccidente necessario dunque uscire dagli schemi
del Razionalismo e delle sue dicotomie; occorre cio pensare lortodossia come un processo di formazione che
emerge da un magma di opinioni diverse, che si conservano o si rinnovano attorno ai limiti della costituita
ortodossia, e ci in rapporto alle diverse prospettive che si schiudono dai diversi luoghi di osservazione
(sociali, economici, culturali, geografici e quantaltro) dai quali traguardato il medesimo Messaggio. Alla
diversit delle ragioni, insomma, con le quali la vita risponde alla theora, alla contemplazione immobile dal
luogo dellegemonia.
Il fenomeno che abbiamo osservato nel fare la storia di un altro occidente non un fenomeno che si
chiude con la nascita e la crescita dellOccidente (quello ideologico): partendo dallarea culturale pi vasta che
fu investita dal Messaggio testamentario, esso ha una propria storia che si dipana anche altrove, e che sinnesta
precisamente su quelle letture del Messaggio stesso che furono espunte nel formarsi delle ortodossie. La storia
tutta interna allo Hijz di un Islam che nasce dal nulla facendo seguito allidolatria uninvenzione che fu
partorita come mito di fondazione della eccezionalit dellIslam rispetto al Giudaismo e al Cristianesimo; in
realt, lIslam non neppure pensabile fuori dal processo di sviluppo che lo lega tanto al primo quanto al
secondo -e verosimilmente al primo tramite il secondo- e ci per la presenza di un mondo testamentario che in
quelli non trov asilo, perch le sue ragioni erano altre.
Le ragioni dei dissenzienti convergono generalmente in un comune traguardo, non importa come
immaginato: la perfezione, che ci che caratterizza il loro atteso mondo di giustizia in rapporto a questo
mondo ingiusto (verso di loro) perch retto da una Ragione egemone dalla quale si sentono emarginati. Il
mondo di giustizia il loro obbiettivo ingenuamente a-topico: atopico perch pensato realizzabile in terra, e
tuttavia punto darrivo di ogni desiderare. stato gi detto: la perfezione non unidea, un desiderio: e luomo
un animale desiderante. Linesauribilit del desiderio ci che rende la storia un luogo di erramenti senza
garanzia di percorso e traguardo, il tlos nella storia un residuo della metafisica, la storia infinibile e
imprevedibile, almeno sinch ci sar luomo a farla.
Pensare questo significa anteporre lesistente -ogni singolo esistente, ciascuno individualmente Volto
di Dio in rapporto diretto con Lui- allEssere: ci mette in imbarazzo ogni forma di Razionalismo, perch il
Razionalismo si articola sulla riduzione dellaltro al medesimo e sulla possibilit di astrarre il pensiero dalla sua
matrice, la vita. Lirriducibilit di ogni esistente nega la reductio ad unum che, ipostatizzando luniversale,
consente di sovrapporvi lEssere. Qui c dietro unideologia del dominio perch lEssere, parafrasando Lvinas,
non ha desideri perch non ha bisogni, neppure ha mai fame, perci non ha metabolismo e non manda odori
sgradevoli; ma non avendo desideri non mette neppure un moto la storia, e questa unottima garanzia per lo
status quo. Gli esistenti reclamano, non hanno il bon ton dellEssere, che per questo piace tanto ai filosofi, anche
perch disposto a farsi modellare a loro piacimento, contrariamente agli esistenti ai quali la Ragione importa
poco, avendo prioritarie le ragioni della vita e delle viscere. Insomma: gli esistenti sono scomodi per lordine
obituario della Ragione, ideologia normalizzatrice del dominio.
Proviamo allora a pensare una storia senza la S maiuscola, senza tlos e senza Aufhebung; non un
percorso stabilito dai piani di unastutissima Ragione ma, come detto, luogo di erramenti destinati ciascuno a
1261
mostrare soltanto la duplicit del reale nella successione della propria gnesis e phthor; e, pi limitatamente,
una storia come luogo di scontri, di vittorie e di sconfitte, di attese animate dalla delusione dei perdenti, dei
marginali o dei marginalizzati dalla formazione di un assetto sociale; proviamo a pensare questi assetti come
suffragati da una Legge generata da una Profezia e consolidata nei termini di una sua interpretazione divenuta
ortodossia. In fondo, stiamo parlando di societ non secolarizzate, nelle quali la Legge o anche soltanto letica
religiosa ispirano, quando anche non dettano, il diritto, e fondano lideologia che regge il potere politico. cos
irrazionale che il marginale attenda una nuova Profezia o propugni una diversa e pi profonda
interpretazione di quella vigente? Che sogni un nuovo mondo che metta fine a questo mondo e a questa Legge
ingiusti?
La nuova fondazione ideologica (profetica, religiosa) indispensabile, perch senza di essa la
marginalit non ha fondamento per proporre il suo nuovo e diverso mondo. Orbene, in un mondo retto ormai da
unortodossia consolidata, quella cristiana che aveva relegato la seconda e decisiva parusia (la prima aveva
lasciato dei consigli, ma non ne erano seguite azioni di forza) fuori dei traguardi umani; in un mondo nel quale
unaltra ortodossia sera formata nello steccato duna base etnica, e non voleva sentir certo parlare di altri Profeti
e Messia che venissero a gettarle altro scompiglio; chi si sentiva necessariamente escluso dalluno e dallaltro
ordine, perch aveva creduto in un Messia ma poi lo aveva visto andarsene tra le nuvole, che cosa doveva
sperare se non che levento si ripetesse? e stavolta con esiti terreni conformi allattesa. Non si sottovaluti il
fondamento della radicata opinione islamica, che sorregge lautocoscienza dellIslam nei confronti del
Cristianesimo: un Profeta inviato da Dio non pu essere uno sconfitto (e infatti la cristologia islamica
prudentemente docetista) perch la vittoria terrena la prova che la sua missione voluta da Dio.
Daccordo, la differenza tra lUtopia e latopia tutta in questo accento terreno; ma questa opinione
non sembra provenire dallastratto mondo delle idee che le fa da ornamento teologico, quanto piuttosto da una
concreta petizione per il cambiamento; e se atopia ci non casuale, perch i marginali non si trovano tra
coloro che hanno fiutato gli umori del mondo. Al contrario, li fiutarono certamente presto i Qurayshiti, che in un
primo momento avevano riso, poi tentato di opporsi: e da esperti gestori del potere quali erano, una volta prese le
redini capirono che la folla eterogenea doveva essere riunita sotto ununica bandiera, una nuova ortodossia che
compattasse ci che tendeva a disperdersi, e che del potere doveva essere il sostegno. Ci vollero tre secoli, ma in
qualche modo ci si arriv.
Certo, il percorso fu molto pi difficile di quello della Chiesa di Roma: un conto fondare
unortodossia in un mondo ordinato dalla Ragione classica di unocchiuta classe dirigente, questa e quella
istituzionalmente gerarchiche e intransigenti con chi disprezza lordine di questo mondo, come gli Gnostici che
furono relegati nella sragione. Altro conto fondarla tra chi quellordine non lo aveva amato gi sin dallinizio,
e proclamava la libera interpretazione di ogni Dettato. Lattesa messianica, messa nellangolo a Roma, era qui
tornata sul fondamento della ciclicit profetica e dei ripensamenti divini: un fondamento sul quale era nato
lIslam -o ci che ci fu allinizio- e che era difficile far riporre ad una religione che su quella ciclicit era nata.
Esso infatti ag su tutto il cosiddetto estremismo e la costruzione di ben due ortodossie non riusc ad
eliminare lattesa per una presenza rinnovata del divino nel mondo, per una nuova Legge, un nuovo mondo che
fosse perfetto nella prospettiva di chi non aveva di che esser felice dellordine instaurato.
Abbiamo seguito questa vicenda con un certo dettaglio, sarebbe perci stucchevole ripetersi; tuttavia
interessante cercar di comprendere quale lezione se ne possa ricavare. A me sembra che la principale evidenza
che emerge dalla ripetuta attesa di nuovi cicli profetici, motivo che percorre lintera storia dellIslam, storia di un
dibattito interno mai chiuso, neppure da ben due ortodossie, che il Messianismo, la tensione a realizzare quel
vero Islam che il mondo di Giustizia, sembra essere il fondamento dellIslam stesso. Mi rendo conto che
tutto ci costituisce una tautologia rispetto alla premessa (lIslam nacque dalle attese messianiche di chi non si
riconosceva nelle ortodossie giudaica e cristiana) ma precisamente questa tautologia che, riconfermando le
premesse tramite le conseguenze, rafforza le prime e pone lIslam in diretta connessione con il fenomeno di
formazione dellOccidente, come sua alternativa.
Un vero Islam mai realizzato e sempre atteso, riconduce ad atopia terrena le speranze che la Chiesa
di Roma colloc nellUtopia celeste, ma ruota pur sempre attorno allo stesso tema; perci, come larrivo del
pensiero islamico, nelle sue forme eterodosse, influ sulle eterodossie del Medioevo occidentale, non
sorprendente che lattuale fenomeno dellemigrazione islamica in occidente faccia una qualche presa su coloro
che, in occidente, non amano lattuale stato delle cose. Gi in precedenza notammo la tradizionale convergenza
politica dellIslam con le eversioni occidentali, di destra e di sinistra; fallite entrambe queste ultime due, la
versione laica dellattesa e della protesta potrebbe orientarsi, nelle sue forme pi estreme, alloriginaria versione
religiosa sopravvissuta nellIslam, che offre una vecchia/nuova base ideologica, ancor pi radicale per il fatto
che si pone sul piano della fede.
Si noti per il paradosso: lIslam matrice dellestremismo politico/sociale/religioso quello
ortodosso, laddove le eterodossie nate dallattesa insoddisfatta -dai Bah agli Alev- rappresentano la
petizione per la tolleranza precisamente in nome del superamento della Legge coranica; una posizione
rafforzatasi per lesperienza maturata nel XIX secolo attraverso laffiliazione massonica. Guarda caso, nel XVIII
secolo occidentale, l anche affluirono gli alchimisti, i teosofi e i cabbalisti, anche loro allinsegna di una
religiosit eterodossa. Il fatto che, nel caso dellIslam, le pulsioni della marginalit siano presenti nellortodossia,
1262
comprensibile pensando che lortodossia (sunnita) si form sotto la pressione delle masse (contrariamente a
quella romana, che si form nella cultura alta del Razionalismo classico); per conseguenza si deve notare che,
sul piano sociale, le eterodossie possono mostrarsi ambivalenti: in altre parole possono provenire da prospettive
del tutto diverse, accomunate soltanto da ottime ragioni (proprie) per essere antisacerdotali. Ho segnalato gi
altrove lapparente stranezza delle opposte letture che Newman e E. Bloch diedero delleterodossia occidentale:
il primo vedeva nella sua storia laffermarsi del principio liberale, il secondo la preistoria del comunismo. Un
abbozzo di lettura di questo aspetto bifronte ho tentato di darla a proposito della collocazione di ci che le
ortodossie pongono nellAlto dei cieli, cio fuori della portata umana, e che lalchimia e la teosofia hanno
alternativamente collocato nel basso e nel profondo. Venendo alleterodossia shita, anche essa
chiaramente bifronte, se si confrontano i Malmatiyya con la teosofia ishrq: perch gli uni rappresentano una
marginalit sociale che si rapporta ad una societ retta da unortodossia che, comunque sia nata, comunque uno
strumento di potere; gli altri vi si rapportano dalla prospettiva di una cultura alta, lontana dalle pulsioni che
diedero vita al Sunnismo.
Come ho sottolineato pi volte, le ortodossie sono nate per dividere -ciascuna delimita un campo dal
quale si dentro o fuori, tertium non datur, con la classe sacerdotale a far da guardia di frontiera- laddove le
eterodossie delle tre religioni del Libro tendono a convergere (forse perch almeno due di loro tendono a
liberarsi di una Legge che la terza non ha: senza Legge le teosofie non hanno troppi ostacoli). Forse questo cap
larcieretico e cosmopolita Postel (cfr. p. 406) la cui eresia sembra accogliere elementi delleresia cristiana,
giudaica e musulmana. Ma, se convergono, ci anche perch tutte le dialettiche ortodossia/eterodossia che
abbiamo inseguito in oriente e in occidente ruotano attorno al medesimo nucleo, un Messaggio autorevole (viene
da Dio) che tuttavia non si realizza quaggi. La convinzione di aver trovato la via giusta fu la fede che sorresse
lincredibile espansione del primo Islam (o di ci che esso era allora), poi si dovette tornare allordinario per
gestire il patrimonio, e nacque lortodossia. Anche lortodossia romana nacque per la gestione dellordinario, con
la differenza che il momento straordinario, quello della conquista rivoluzionaria che dette limprinting allIslam,
non cera stato: nellImpero Romano sarebbe stato improponibile, nel mondo mediorientale del VI secolo aveva
davanti loccasione.
Tutte le tre ortodossie nascono come freno alla disgregazione cui va soggetto un Messaggio affidato al
simbolo, e perci a possibili molteplici letture; ma la loro capacit di dividere si esplica anche nella loro capacit
di nascondere allo sguardo la continuit del processo religioso che abbiamo percorso, la continuit del medesimo
pensiero che lo anima; anche perch ciascuna di esse ha costruito una cultura, e con essa strutture di pensiero
reciprocamente estranee. necessario tornare a monte della loro formazione, della loro genealogia, per poterle
capire nella loro razionalit, che non quella delle loro logiche teologiche, necessariamente pregiudiziali, ma
quella che ne emerge come conseguenza di una storia. Anche se ci non elimina lincompatibilit dei modelli
sociali perseguiti dallOccidente e dallIslam, ci serve comunque a far emergere le ragioni delle contaminazioni
presenti su entrambi i fronti. Pensare ci con le categorie degli Accademici che tendono a ricalcare, e persino a
perfezionare, le strutture di ragionamento astrattamente dottrinali e razionaliste degli eresiologi, non aiuta
molto. Le dottrine hanno una storia, quella che si deve interrogare, la genesi; non confrontare, difendere o
criticare il punto darrivo

Contrariamente a quel che si pensa, le cose sono sempre opinabili, tanto opinabili da essere anche
enigmatiche: si pu persino dubitare della loro realt. Ma le passioni, quelle s, sono reali, sono loro che
agiscono e consentono di vedere le cose esattamente come sembrano. Le cose della storia sono i fatti, e un
fatto, come diceva un personaggio in cerca dautore, non che un sacco vuoto, da solo non sta in piedi. I
documenti vogliono testimoniare la realt dei fatti, delle cose della storia, ma pi li leggi, pi li interroghi, pi
le cose si fanno evanescenti e la lettura si fa incerta; per, mentre quei fatti svaporano, appaiono i veri fatti, i
fantasmi dellautore che tornano ad illuminare la lettura, sicch i documenti testimoniano una storia altra, non
quella narrata, ma quella di chi narra. Accade come nella visione neoplatonica del mondo: le cose sono illusorie
e si fanno reali soltanto come apparire di ci che le sottende. Quel che si legge non una storia come
comunemente la si intende, un pensiero che si annida nel racconto, e il pensiero nasce dallesperienza. Un
documento va letto pensando allumano, alle passioni, che esso sottende.
Questa noiosa premessa serve ad affrontare il problema delle tanto invocate influenze e delle
categorie eresiologiche ed accademiche, che tendono ad isolare elementi dottrinali per misurare col bilancino
quanto delluna o dellaltra antica dottrina, enucleata in purezza dal passato remoto, abbia contribuito a costituire
lemergenza sotto esame. Si dimentica (o si finge di dimenticare) che dietro unemergenza c viceversa una
passione contingente, che si riveste, si razionalizza, si ideologizza rovistando nella cassetta degli attrezzi colma
di immagini, simboli, idee, soluzioni rimaste in vita da un lontano passato, e sempre utili per esser riproposte in
nuova veste. Perci le tante eterodossie testamentarie tendono ad assomigliarsi, col Neoplatonismo (popolare?)
che fa abitualmente da collante universale nello stabilire il rapporto col divino. Dietro ogni emergenza c una
concreta contingenza con le sue puntuali ragioni che nascono dallo Erlebnis cos come esso si d nel luogo
(sociale, temporale, geografico, etc.) ove esso accade.
A questo punto, spero si chiarisca meglio di quanto ho potuto nel testo, la ragione a monte di tutto (se
volete, il pre-giudizio a monte di qualunque altra analisi) in base alla quale mi sono rifiutato di considerare frutto
1263
di influenze di vario genere, di ascendenze non-islamiche, tante eterodossie, dal ghuluww agli Yezdi, che
accadono nel mondo islamico, nellarea della sua cultura e della sua civilt che per non viene chiamata in causa
nella vicenda. Anche gli eresiologi cristiani amavano cercare le alterit -di solito un Giudeo, cercarono persino
un Mago. Non ci si domandava se, per caso, le ortodossie fossero state incapaci di dare risposta a qualche
concreto disagio, magari sollevato precisamente da loro, onde, chi lo pativa, adattava come poteva il Dettato alle
proprie esigenze, usando come cassetta degli attrezzi tutte le idee rimaste in circolazione l dove egli era e
poteva attingerne. Ma un conto attingere a mitologie asiatiche rimaste nel folklore o alle tante dottrine rimaste
nella memoria, per modificare il proprio Islam adattandolo alle proprie esigenze, un conto invocare tutto
questo a monte, come fanno coloro che identificano lIslam con il Sunnismo. Il fatto che nessuna ortodossia
disposta ad ammettere la propria origine umana-troppo-umana, con tutti i limiti, le insufficienze, le
contraddizioni e la confutabilit che derivano, ad ogni scelta umana, quando entrano in gioco le passioni, frutto
di ragioni dimenticate o negate.
Daltronde le religioni testamentarie, uscite dal ristretto luogo ove nacquero, hanno improntato di s,
con un fenomeno di (relativa) omogeneizzazione culturale, vaste aree geografiche occupate da popoli e culture
diverse le cui tradizioni non potevano scomparire e hanno perci contribuito a conferire accenti particolari al
medesimo Messaggio. Si Cristiani o Musulmani soltanto se ci si conforma ad una ortodossia stabilita a Roma
o a Baghdad; o lo si anche se, da Cristiano e da Musulmano, si ragiona diversamente per motivi etnici,
geografici, economici, culturali o qualsivoglia? lecito affermare che una religione un campo semantico
definito da ortodossia ed eterodossie, corpus dottrinale e accezioni folkloriche?
Una caratteristica fondamentale dellIslam, che ne denuncia le origini, la conservazione della
tensione apocalittico/messianica della religiosit testamentaria, e il genio del suo Profeta consistito nel
provocare un evento originale, mai verificatosi altrove: la costruzione di una societ sulle ragioni della
marginalit: perci stata difficile, e ha lasciato sempre vistosi residui, la costruzione della ortodossia. In
generale si apocalittici perch si perdenti, e si perdenti perch si apocalittici: ci che accomuna i due tratti
lincapacit o il rifiuto di prender atto della datit del mondo, si preferisce fantasticare su un archetipo
disatteso. Avere educato la marginalit a essere vincente certamente opera darte: il difficile spiegare, dopo la
vittoria, perch mai si debba cambiare programma. Una conseguenza collaterale della difficolt la tendenza
permanente di settori ortodossi dellIslam a ridurre il mondo a propria immagine, o, nellimpossibilit di farlo, a
depurare almeno il proprio territorio dallalterit, scaricando in tal modo, nella lotta allabolizione del diverso,
quellansia di perfezione che resta il suo irrealizzabile programma (il suo desiderio, direbbe Lvinas). Una
conseguenza diretta il riemergere dei temi apocalittico-messianici nella germinazione di eterodossie che
invocano persino il superamento dellIslam come premessa alla realizzazione del vero Islam. Le pulsioni
centrifughe nascono dalle contraddizioni, ma non c ortodossia senza qualche interiore contraddizione, perch
il Messaggio sempre qualcosa di incircoscrivibile.
Attenzione, per: non si deve guardare a tutto ci con la sufficienza di un Occidente di parata,
razionalista e secolarizzato: anche da noi tensioni apocalittiche e residui di culture pre-cristiane continuano ad
agire; soltanto che, in accordo con lo Scientismo dominante, si mascherano di (pseudo) scienza e sfugge la loro
radice. Che cos infatti quel terrorizzante ambientalismo ideologico che sbandiera la fine del mondo per colpa
delluomo? (e che forse sogna il ritorno a un mitico Eden simile allet della pietra). Nel cinema e nella
letteratura, che hanno preso il posto dei Profeti, il tema riscuote sempre successo, segno che coglie inquietudini
reali indirizzate contro un nemico tanto vago quanto terribile, da somigliare allAnticristo. E dietro lesasperante
mito di una Natura Sacra, materna e benigna da venerare intatta, non ci sar forse un neo-paganesimo memore
di antichi culti della roccia, dellalbero e delle acque, epifania del divino? Lirruzione dellalbero nel giorno della
Nativit gi un bel segno di contaminazione. Sarebbe anche interessante indagare il retroterra delle mistiche
alimentari e del neo-ruralismo bobo, anchessi parte del complesso delle emergenze nate dal contingente, dalle
tensioni attuali, ma che pescano nellinconscio collettivo di unEuropa pre-cristiana, pagana. Anche questa per
una manifestazione di disagio, una malattia suscitata dai percorsi della nostra modernit, che deruba alcuni di
un Paradiso terrestre che non c mai stato.
La storia, che non la tronfia Signora dei salotti della Ragione, trova posto per tutti nella sua baracca
in perenne ristrutturazione, perch un luogo di contese e crea sempre dei vincenti e dei marginali ad ogni suo
nuovo assetto: ma tutto vi attuale, anche chi non si adatta in nome di un Paradiso immaginato. In vista di un
futuro sognato o desiderato, nulla passato e ogni scelta ha la sua ragion dessere nei problemi del presente.
Per questa ragione ho voluto rivisitare il passato facendo attenzione alle ragioni di chi sembra non aver costruito
il presente, o, come pi sennatamente si dovrebbe dire, di chi non ha aderito al mainstream e tuttavia ha lasciato
in eredit al tempo successivo una quantit di ipotesi pronte sempre ad essere recuperate e rimesse a nuovo.
Se ho dedicato tanto spazio allIslam, dunque perch ho voluto sincerarmi della mia ipotesi, che esso
rappresenti lo sviluppo di ci che lOccidente ha scartato sin dallinizio per costituirsi quale esso . Se lipotesi
dovesse mostrare una sua ragionevole consistenza, se ne potrebbe dedurre la ragionevolezza della mia
constatazione originaria: gli sviluppi storici dellOccidente non segnano il destino del pianeta, sono il risultato di
una scelta, una delle tante possibili. Anche ci che lOccidente mise al margine ha avuto una propria storia, che
unalternativa interna al sistema culturale al quale noi anche apparteniamo, quello del Messaggio

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testamentario, ancorch diversamente codificato nellattesa terrena di un nuovo mondo che ha i caratteri del
luminoso archetipo celeste.
Le due scelte hanno fatto molta strada, che le ha condotte lontano dalla comune origine:
significativamente, per i percorsi intrapresi hanno messo in evidenza un germe comune che forse ha unorigine
ancor pi lontana nella concezione zoroastriana della storia come progresso spirituale: la tendenza ad inserirsi
in un percorso direzionato di autosuperamento. Schleiermacher sosteneva che il Cristianesimo fosse lultima
religione possibile perch possedeva in s la tendenza allautosuperamento: un processo che fu compiuto
dallIlluminismo perch, in unEuropa completamente cristianizzata, convertita cio a un Messaggio ingabbiato
nella Ragione classica, non ebbe difficolt a secolarizzarne letica nei termini della propria ragione, e, visto che
si apprestava a dominare il mondo, a trasformarla in Ragione tout-court.
LIslam che, al contrario, non si era codificato nella Ragione classica, ha conosciuto il percorso
dellautosuperamento per altre vie che gli sono consustanziali, quelle di un percorso religioso fondato sulla
ripetitivit della Profezia attraverso la ripetuta discesa in terra -perci in qualche uomo- del divino. Due percorsi
del tutto diversi ma simili in questa tensione che, nel caso dellIslam, ha introdotto ripetute linee di frattura
facendone un mondo variegato anche in rapporto alle diverse culture in esso confluite.
Lungo questi percorsi vi sono stati anche approdi che offrono qualche analogia come, ad esempio,
Messaliani e Libero Spirito da una parte, Malmatiyya dallaltra; o la grande teosofia che, da Eckhart, Weigel e
Bhme approda a una religione dei cuori e, sullaltro versante, lIsmailismo, la Teosofia ishrq e alcune
speculazioni dei Sf che lasciano alle proprie spalle la Sharah; per non parlare poi degli approdi
assolutamente confrontabili dellalchimia spirituale che recupera in occidente il senso di eterodossia che ebbe
quella islamica maturata nella Sha: lunica differenza che luomo perfetto non pi lImm ma un uomo
cristificato. Parimenti, anche nel caso dellIslam si pu affermare che si assista ad una razionalizzazione della
religione, ancorch su una via estranea al concetto di secolarizzazione che il prodotto, tutto occidentale, della
nostra Ragione.
Se guardiamo a questi fenomeni con lintenzionalit di dialogo espressa da Postel, si comprender
perch questo testo ha mostrato tanto interesse per le eterodossie che, contrariamente alle ortodossie, non
tendono a dividere e a relegare leventuale dialogo nei limiti dellincontro istituzionale, un dialogo che equivale
alla tradizionale politica degli Stati. Le eterodossie consentono un incontro sul quotidiano, non sulle dottrine ma
sulla prassi di chi tende a trovare una logica nella vita.
Tutte le ortodossie hanno un serio problema che non possono risolvere in modo convincente,
lasciando aperti gli interrogativi che nascono quando ci si rapporta allesperienza: lesigenza di formulare una
teodicea. Se ne accorsero per primi gli Gnostici quando confessarono onestamente di non capire, in tanto
presunto ordine, lorigine del Male, ipostasi dei concreti mali dellesistenza. In questo senso, il Male esiste
anche sotto forma di ingiustizia, di sofferenza dei buoni e di trionfo dei malvagi. La teosofia, da Bhme a
Schelling, ha elaborato una grandiosa metafisica del Male: Kant lha poi riportato allinterno della natura umana,
come primo passo della razionalizzazione della religione, videlicet, del Cristianesimo, che non la sola
religione, ma tant, lOccidente vede se stesso come la ciliegina sulla torta.
Ora, ci che significativo nel discorso di Kant, un passaggio del suo capitolo dedicato allorigine
del Male nella natura umana, dove natura sembra soffrire della solita ambivalenza tra fondamento
ineludibile e ci che alternativo allo Spirito o alla Ragione, che dovranno prevalere. Qui Kant sostiene che
il concetto cristiano (si noti: non per islamico, lho sottolineato altrove) del peccato originale rende luomo
postlapsario irrimediabilmente peccatore in Adamo; laddove, per la Ragione, luomo tale in conseguenza di
una malvagit insita nella sua natura. A parte il fatto che ci equivale a dire: Dio ha sbagliato nel fare luomo,
e con ci dar corda agli Gnostici che di Lui non si fidavano, noto che, nella sostanza siamo a un espediente
dialettico che non ha spessore filosofico.
Piuttosto, in un capitolo precedente, lo stesso Kant aveva individuato in die Anlage fr die Tierheit
im Menschen cio nella disposizione delluomo allanimalit, quelle banali necessit che caratterizzano ogni
vivente (ipostatizzando, la Vita) in funzione dellautoconservazione e della propagazione del proprio gene.
Traduco: linsopprimibile aggressivit del vivente, che fa s che la Vita si affermi a spese di altra Vita. Il che
spiega anche, almeno in parte e in prima approssimazione, il corruccio gnostico per i malvagi che hanno
successo e per i buoni che patiscono, in una societ complessa come quella umana dove laggressivit della
Vita (dei viventi) ha modi ben pi sofisticati dellaggressione fisica per manifestarsi.
Ci che in tutto il bel discorso si dimenticato, per questo: che Bene e Male sono adeguamento a,
o scostamento da, un parametro che Kant ritiene astrattamente fissato dalla Ragione, ma che in realt ha origine
storica nel dettato religioso: sicch la religione si rivela quel che pretende di essere nellIslam, una normativa
-ritenuta divina ma comunque dettata da un uomo, il Profeta- necessaria a regolare la vita delluomo nella
comunit. La religione una Legge, non ci sono dubbi, e il problema che si presenta da tempo allIslam che,
con linvenzione della Sunnah, diventata Legge eterna la poco palatabile normativa buona per il mondo arabo
del VII secolo o gi di l. Che il Cristianesimo abbia sostituito la Legge con lesempio, distinguendo tra Legge
etica, e legislazione civile e penale (una distinzione che lodierno Laicismo ha dimenticato, ignorando la prima e
identificando il lecito e il proibito soltanto con la seconda: islamizzandosi, secondo il concetto di Brague) la
traduzione nella prassi di ci che ho pi volte segnalato, lo spostamento dellatopia verso lUtopia.
1265
Perch una Legge vuol insegnare alluomo ci che egli deve, o dovrebbe essere: mentre luomo quel
che , n buono n malvagio, un vivente con le sue proprie pulsioni che diventa buono o malvagio rispetto a un
parametro fissatogli dalla Legge. Il punto sembra sempre quello segnalato da Strauss nella sua critica: se la
Legge debba essere religiosa e di natura (ne abbiamo visto la convergenza in Tommaso) o convenzionalista,
come pensata da Hobbes e messa in pratica dallOccidente liberale. Se la seconda rischia le derive denunciate da
Strauss, la prima rischia la formazione di ortodossie in grado di mummificarla.
Per questa ragione la storia un luogo di appetiti e di scontri, che ne rendono poco credibile
linterpretazione hegeliana che ancor oggi regge lideologia volgare del Progresso, e, quel ch peggio, laccusa
gaglioffa al dissenziente di essere antistorico o fuori dalla storia. Quella di Hegel altro non che una
teodicea della storia, un modello tratto dallortodossia religiosa e spacciato per laico. Il seminarista spretato si
portato dietro i paramenti per rivenderli al mercato dellusato.

Una frase cos irriverente verso una delle massime divinit del Pantheon filosofico non sar mai
perdonata dai sacerdoti in cattedra, meglio, sar accantonata con unalzata di spalle: ma non ha importanza, fa
parte del gioco. I Custodi (per cooptazione) di qualunque ortodossia sono scelti per conservare, sinch
possibile; poi, come suol dirsi, i topi fuggono. Certo, si potr dire che ho guardato a due vicende, lOccidente e
lIslam, con lo sguardo rivolto essenzialmente al fenomeno religioso, per giunta senza gli strumenti dello storico
delle religioni. Per lAccademia una scelta irricevibile; per la modernit, che ritiene esaurito il tempo delle
religioni, si tratta di tempo perso.
Personalmente non credo che si debba essere assolutamente moderni; affermazione in s vuota
(moderni, cio contemporanei e partecipi di una storia attuale, lo siamo tutti, anche chi va contro la corrente, il
mainstream) che perci pu riempirsi con un solo significato: ci si deve uniformare al trend. Abbandonare la
nave alla corrente significa per andare alla deriva.
Considerare Ragione la secolarizzazione della propria religione che a sua volta si struttur nella
Ragione classica perfettamente coerente con la metafisica metastorica di unepoca moderna che segue un
Rinascimento che usc dallintervallo di black-out, la Et di mezzo che si frappone tra la societ classica
estinta e la sua rinascita. Questa genealogia ideologica non meno azzardata di quella degli aspiranti Mahd,
sorvola su un particolare che lIslam non ha dimenticato: il Messaggio testamentario cozzava con la Ragione
classica, poi ci fu quel matrimonio combinato che ho ricordato a p. 703. Perci ho ritenuto di qualche interesse
puntualizzare le vicende che ho trattato, perch non si pu ignorare del tutto la preoccupazione di Strauss circa la
possibile crisi di una societ senza una Legge che ne costituisca il mito di fondazione. LOccidente quello che
perch ebbe una fondazione, e fu religiosa. Il problema posto da Strauss infatti il dubbio che una convenzione
possa davvero costituire il fondamento di una societ.
La mia personale impressione che ridurre il fondamento a una convenzione sia opzione tanto
apparentemente ragionevole quanto semplicistica (tutto sommato, tale la metafisica materialista di Hobbes) in
quanto riduzione della complessit dellumano a facile schema. La perdita di credito che ha avuto la religione in
Occidente a partire dal XVIII secolo, ha posto tra le vecchie credulit lappello dei Profeti. Ci nonostante, le
folle dellOccidente sembrano sempre pronte a correre dietro quelle imitazioni o surrogati della Profezia che
sono i capi carismatici, che tali sono perch sanno far vibrare le corde delle passioni, voce del bisogno e del
desiderio relegata tra gli abbagli dalla Ragione classica.
La Ragione, cos come fu costruita dai tempi di Socrate e Platone, con il concetto di verit/epistme
ha sempre combattuto il ruolo della parola che fa essere, quale luogo di costruzione della verit umana: ne ho
parlato ne Leterna giovinezza della verit. Il Profeta questo fa: con la sua parola visionaria coglie ci che si
agita nel fondo di una societ, lo porta allEssere -cio lo trasforma in realt storica tramite lazione che suscita-
e costruisce una nuova societ. Pu farlo perch la sua la Parola e parla per simboli, non passeggera come le
parole del capo carismatico, dellideologo. Il Profeta sa e muove ci di cui la Ragione classica si ostina a
disprezzare il ruolo, di cui ignora la verit umana e perci storica, le passioni, che per lei sono soltanto origine
di errore. Limmobile Ragione classica contempla, buon per lei. Chi non afferra il contrasto tra il Messaggio e
la Ragione classica, non ha percepito labisso che separa la verit/epistme dalla verit/testimonianza.
La Ragione, per sua natura calcolante, ha creduto di poter ridurre la complessit dellumano e della
vita alla sola economia, e questo stato un espediente retorico che ha avuto successo sinch c stata una facile
espansione a far da anestetico e da miraggio: non certo che possa avere altrettanto appeal man mano che
aumenta la compressione di altre esigenze delluomo e man mano che la luce del miraggio si fa pi fievole. Se
questo ragionamento pu sembrare troppo fumoso, possiamo tradurlo in forma pi esplicita: leconomicismo ha
costituito un momento (vincente) della nostra storia, ma non certo che lo resti per sempre. Di fronte a questi
temi non credo che i discorsi sulla decrescita felice o sullindice di felicit siano pi razionali e meno mitologici
dellannuncio della Fine dei Tempi o della proclamazione del Regno dei Cieli: in compenso, la modesta
ideologicit della loro pretesa razionalit li rende soltanto meno universali, e meno capaci di muovere gli
animi. Vero, o meglio, reale, soltanto ci che costruisce un futuro, e sinora le costruzioni dei Profeti si
sono mostrate pi longeve perch pi rispondenti alla non razionalizzabile complessit dellumano: e perci pi
vere.

1266
Mi torna il sospetto che ho avuto gi una volta: forse lIslam potrebbe avere qualcosa da insegnare
allOccidente, magari potrebbe ricordargli ci che lOccidente ha dimenticato.

La torva stupidit degli interventi armati condotti negli ultimi decenni con vario successo,o soltanto
minacciati, dallOccidente nel Medio Oriente e in Nord Africa, sovente ideologicamente motivati con princpi
e valori che non hanno molto senso per la cultura e la religiosit dei popoli islamici, mostrano i limiti della
razionalit, se non anche lirrazionalit, cui conduce il nostro concetto di Ragione. Non per caso, n per colpa o
negligenza, che quegli interventi si siano concretizzati in autentici fallimenti, non soltanto in rapporto ai motivi
umanitari proclamati, ma anche, dietro la facciata dellufficialit, a quelli politico-militari; in sostanza: fallimenti
politici. Per il resto, a Baghdad seguita ad accadere -come sempre- quel che accadeva nel X secolo, mentre nel
Nord dellIraq i Sunniti perseguitano e uccidono -come sempre- gli Yezdi anche per semplice intolleranza
sharaitica spicciola (cfr. S. Maisel, Social Change amidst Terror and Discrimination: Yezidis in the New Iraq,
The Midlle East Institute Policy Brief No.18, 2008, www.mideasti.org); in Siria i Sunniti, memori di Ibn
Taymiyya, tentano -come sempre- di regolare i conti con gli Alawiti (e, perch no? con i Cristiani);
lAfghanistan insiste -come sempre- a non entusiasmarsi per il Progresso, le rivoluzioni nordafricane mettono in
spolvero i Salafiti dallEgitto alla Tunisia, gli estremisti somali estendono le proprie mattanze verso il Kenia, e
lIslam nigeriano tenta la pulizia etnica. In tutto questo lOccidente si distingue ovunque per confusione di idee,
perch non pu pi regolare il mondo con la propria ideologia.
Le motivazioni ideologiche (trascuro quelle reali) di quegli interventi, perseguiti o soltanto minacciati,
mostrano la natura colonialista della Ragione occidentale, che fu gi sin dalla nascita unideologia del dominio
in quanto pretesa di imporre una verit fondata sul sapere/epistme, cio su un sapere che era soltanto un
sapere della tchne. Abbiamo seguito le diverse vicende che incontr questo sapere quando si scontr, nellIslam
come in occidente seppur sotto due diverse prospettive, con forme di pensiero un po meno superficiali, che
sottolineavano, con percorsi, motivazioni e obbiettivi distinti, la non sovrapponibilit della parola e della cosa. In
occidente con il pensiero dei Sofisti, riscoperto da Lacan, che rinviava al ruolo demiurgico della parola; e con la
tradizionale critica degli Scettici ai limiti della Ragione. NellIslam con la critica di al-Ghazl e di Ibn
Taymiyya della quale s detto. Altri hanno anche autorevolmente detto che lOccidente fondamentalmente
aristotelico e cartesiano: ma Aristotele era un gigante conscio delle aporie che lasci in eredit, e Cartesio
aveva seri dubbi. A me personalmente sembra che lOccidente sia rimasto pi banalmente ancorato alla pretesa
filosofica di una Ragione unica, nata con il metodo eristico/diairetico di Socrate, buono per gli ingenui; e con
le argomentazioni di Platone contro la parola dei Sofisti, puntellate poi con qualche distinguo da Aristotele.
Ancorato dunque a una Verit/epistme lontana dalla vita, e con ci dalla verit/testimonianza e dalla pluralit
delle ragioni. Anche lodierno Relativismo dellOccidente, criticato da Strauss, non ha nulla a che vedere con
questa pluralit, soltanto il frutto dellirrazionalit della Ragione venuta in evidenza.
Quel che pi conta per, che, una volta smantellato il mito della Ragione; una volta messa in luce
la sua genealogia che si radica in una storia, quella delloccidente cristiano nel quale il Messaggio si incardin
(per quanto possibile e pagandone il prezzo con aporie sempre sapientemente velate) nelle strutture del
Razionalismo classico vigente nel mondo romano. La nostra Ragione figlia della nostra storia ora costretta
per a confrontarsi con il frutto di altre storie cio con altre ragioni; nel nostro caso -ci va sottolineato- con
altri possibili esiti del Messaggio testamentario.
Il pensiero dunque, quando non sia quello della tchne, non esprime un Assoluto, pi modestamente
il figlio di una storia e di unesperienza, e non ha sbocchi necessari e obbligati erga omnes. Per conseguenza,
quando una storia si rivela perdente, anche il pensiero da essa generato si apre alla cultura dei vincenti: questo
accadde al mondo nel corso del XIX secolo quando lOccidente dilag sul pianeta. Si tratt della tante volte
invocata ragione della Forza che non affatto, come pensa chi non riflette, brutale irrazionalit che sopraff
la mitica forza della Ragione: tuttaltro. La forza infatti mostra di avere una propria ragione, che nella
cultura capace di generare quella forza, alla quale cultura si volgono quindi anche coloro che, tra i vinti,
intendono comprendere le ragioni della propria messa in sudditanza. La Ragione non ha quindi altra forza di
convincimento al di fuori dei risultati materiali che sa conseguire, a breve o a lungo termine; perci la Ragione
occidentale in crisi perch in crisi la forza delloccidente; e se questa in crisi altri possono giustamente
ritenere che lOccidente non abbia Ragione. LOccidente per, che a causa del concetto di epistme ha potuto
pensare la propria ragione come la Ragione unica, entra in crisi ideologica se questa non pi tale, se essa
non destinata a divenire il modello per il pianeta.
Se questo il destino e il limite della Ragione, allora essa rivela un aspetto inquietante della propria
storia: maturata dapprima in occidente come ideologia del dominio, essa diviene ideologia colonialista allorch
si trasforma in merce desportazione. significativo notare che i pi accesi sostenitori di un interventismo
giustificato in nome dei princpi si trovino in due piccoli Stati dellEuropa occidentale che ancora si sognano al
centro dei loro imperi coloniali dantan. Le Crociate del tempo che fu, ancorch alimentate dalla fame di una
piccola nobilt squattrinata, avevano perlomeno il supporto ideologico della religione, tant che non andavano
oltre la meta di Gerusalemme; e la religione un evento globalizzante perch si fonda su un evento cosmico e
irripetibile come la Rivelazione. Lo stesso valeva per lespansione islamica sui popoli cristiani e zoroastriani e
sul mondo giudaico: si tratt di guerre -come dire?- comprensibili nella logica di ci che, essendo rivelato
1267
non ammetteva alternative. ovvio che i pretesti ideologici servivano -come sempre- a coprire gli appetiti reali,
ma, almeno, come pretesti quelli avevano una loro razionalit.
Pretendere viceversa che una storia e una cultura -dunque una ragione- diversa, ammetta il valore
universale di una storia e di una cultura che sono soltanto nostre, semplicemente perch noi le intendiamo come
Ragione Universale, impresa destinata al fallimento quando non si possieda pi la ragione della Forza;
ladnaton di un pensiero che ignora di avere la propria genealogia in una particolare religione, secolarizzata e
desacralizzata come Ragione dallo sciocchezzaio post-illuminista, che priv tuttavia del proprio fondamento
questa sedicente Ragione allorch pens che essa potesse fondarsi su se stessa. E poich il fondamento,
larch, come ben sapeva Aristotele, non pu essere oggetto di dimostrazione, ne nacque lossimoro della fede
nella Ragione.
Perci, piuttosto che coprire la ragione politica di un intervento (che pu avere proprie ragioni) con
motivazioni ideologiche prive di fondamento, sarebbe meglio lasciare la gestione dei nostri valori alla
religione istituzionale e ai suoi dialoghi interreligiosi, perch essa, se non altro, ha molto chiaro il significato di
una religione per una societ, e conosce molto meglio le origini e la natura delle beghe familiari che ci separano
dallIslam. Lunica motivazione ideologica consistente per giustificare un intervento, potrebbe essere -e, forse, lo
dovrebbe- la difesa dei diritti delle minoranze cristiane, che sono una propaggine della nostra storia e cultura e
sono perseguitate dallestremismo islamico che teme il proiettarsi degli sguardi del suo stesso mondo oltre la
Sharah: ma un Occidente che ha azzerato il significato della propria religione come fondamento della propria
cultura e della propria societ non pu farlo, forse non neppure in grado di pensarlo. Lirrazionalit della
Ragione ha tolto allOccidente la capacit di ragionare, di trovare una ragione per usare la forza.
Sia ben chiaro che non mi sto occupando di politica internazionale, non ne ho le competenze e non il
mio argomento: mi riferisco semplicemente alle sciocchezze che pu partorire una cultura decotta ma convinta di
rappresentare il destino del pianeta allorch dia voce ai suoi rappresentanti gazzettieri presentati a volte come
autorevoli filosofi, icone di una modernit non molto pi pensierosa e coerente delle chiacchiere da bar, e
tuttavia in grado di ispirare la veste ideologica della politica.

Qualcosa cambiato nello scenario che vede in atto la ragione della Forza, e in questo cambiamento il
ruolo principale ricoperto dal diverso posizionamento della tchne una volta entrata nel patrimonio di altre
culture. La tchne non pi soltanto occidentale, ma le altre culture che lhanno adottata hanno ben chiara la sua
natura di puro mezzo volto al conseguimento di fini che rappresentano il vero fondamento. Qui la differenza
con lOccidente, dove la tchne divenuta il pensiero tout-court e perci non ha pi il fondamento, perch la
secolarizzazione ha trasformato un mito di fondazione in qualcosa, la Ragione, che pretende di fondarsi su se
stessa e non pu. Peggio, in questa sua pretesa la Ragione disgrega quel mito nel Relativismo. Lubriacatura del
successo ha trasformato il prodotto di una storia in un Assoluto, ma lAssoluto, trascinato in terra, non ha dove
poggiarsi. quel che accade al concetto post-hegeliano di Progresso come continua e inevitabile Aufhebung,
visione teleologica di una Storia intesa come secolarizzazione dellAssoluto.
Qualcosa cambiato nel luogo della Forza, tant che nellestremo Occidente -che per la sfericit del
globo confina con lestremo oriente- c chi inizia a distogliere gli occhi da una storia ormai passata, la propria
origine occidentale, per interessarsi a un futuro che sembra in gestazione altrove. Le nostalgie wasp si
dissolvono lentamente in una cultura che non rifiuta in principio il meticciato e che si pone pragmaticamente in
rapporto con i mutamenti della storia e della geografia politica ed economica. Pu farlo precisamente per il suo
affaccio sulloriente, per il proprio stesso mito di fondazione, e per la propria lontananza dalla penisola europea,
che non lombelico del mondo. Il Pacifico una calamita pi forte dellAtlantico.
La culla dellideologia di Occidente potrebbe perci trovarsi a gestire da sola i propri rapporti con
lIslam e con il mondo ortodosso, che ha registrato il fallimento unoccidentalizzazione surrettizia ad opera del
marxismo e che rappresenta il terzo protagonista nelle secolari agitazioni del Mediterraneo: Brague ricorda
infatti il mondo ortodosso come altro confine, insieme allIslam, dellOccidente ideologico. Lipotesi potrebbe
non costituire un cattivo auspicio, potrebbe segnare il ritorno a una geopolitica pi realista. Forse lEuropa
potrebbe trovare un proprio ruolo in dare e in avere guardando meglio al Sud e allEst, invece di cullarsi ancora
nel sogno atlantico di un Occidente geograficamente estremo (e perci confinante con lOriente) che propugni
lideologia di Occidente anche in nome e per conto della sua culla. C di pi: questa esigenza di convergere
verso lAsia lungo una direzione diametralmente opposta a quella nordamericana mostra il carattere periferico
che sta assumendo loccidente rispetto al centro, anche se le beghe nel cortile di casa distraggono dallattenzione
al cambiamento. per precisamente il cambiamento ci che rende obsolete le ideologie. La Ragione che ignora
la propria genealogia non sa pensare laffermarsi di altre ragioni in rapporto ai cambiamenti materiali.
Il mondo sta cambiando perch cambia la distribuzione della forza; lideologia degli interventi e della
forza della Ragione chiacchiera in un mondo che non consente pi il dominio coloniale e resta guidato da
altre ragioni, quelle che il colonialismo immagin di convertire. La politica non lo ignora, ma il supporto
culturale/ideologico al ridimensionamento del ruolo della nostra Ragione latita, perch lintellettuale cooptato -il
gazzettiere/filosofo- pu soltanto ripetere il gi-detto, al cui apprendimento mnemonico deve la propria stessa
promozione a intellettuale. Il mondo sta cambiando, soltanto i nostri ideologi non lo sanno, non sanno che non

1268
siamo pi al centro, non abbiamo lezioni da impartire per semplice mancanza, nel mondo, di allievi disposti o
costretti a pagarle.
Che la nostra cultura non capisca, nella natura della cose. Ho esaminato a suo tempo lorigine
religiosa del concetto di progresso come moto nella e della storia/ierostoria in direzione del Bene, un concetto
che dallo Zoroastrismo giunge al Cristianesimo, e diviene Progresso con la secolarizzazione e con la nuova
Trinit, Ragione-Scienza-Progresso che sostitu in tutto il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo (cfr. p. 539: la
Ragione si incarna nella Scienza e da entrambe promana il Progresso). In Arte, Memoria, Utopia avevo gi
messo in evidenza la natura ideologica che assume in tal caso il Progresso: la storia continuo cambiamento,
considerare questo cambiamento un progresso o un regresso un mero problema di prospettiva, ideologizzazione
del cambiamento in atto. Chi si formato culturalmente nel mito del Progresso non arriva a comprendere come il
pianeta possa sentirsi estraneo al nostro esempio, come mai una storia non sia il modello della Storia. Smentire
questo assunto non politicamente facile: potrebbe comportare limplosione di un Occidente senza pi armi
culturali, e ormai da tempo senza pi fondamento in un mito, in ci su cui soltanto pu articolarsi una ragione.
Per comprendere limprescindibilit di questo fondamento non necessario rivolgersi al musulmano al-Ghazl:
sufficiente il cristiano Ishq b. Hunayn (cfr. p. 1118).
A proposito dei dialoghi interreligiosi citati poco sopra, c quindi da chiedersi se la cultura cattolica
dei paesi mediterranei non possa mostrarsi politicamente pi adatta a dialogare con i luoghi dei nostri interessi
economici, rispetto ad un occidentalismo consegnato alla rigidit protestante o alla spocchia sadducea, entrambe
propense a coinvolgere Dio nella ragione della Forza e perci entrambe perdenti nel sostenere le pretese della
Ragione quando non c pi la forza. Se il Mediterraneo dovesse allontanarsi dallAtlantico, ci non accadrebbe
senza mutazioni culturali a scapito di quellideologia di Occidente la cui lunghissima vicenda include anche la
liquidazione delleresia proveniente da Bisanzio e le contemporanee Crociate, che a loro volta mirarono tanto a
Gerusalemme quanto a Costantinopoli. Su questa vicenda allora s, certamente doveroso ricordare il ruolo che
ebbe al tempo listituzionalizzazione romana del Messaggio; ma anche il fatto che questa scelta istituzionale
comunque interna al Messaggio stesso, si conformata attraverso la coscienza politica della realt, e quindi ha
ben altre possibilit per dialogare con scelte diverse. Sembra comunque che non soltanto a Gerusalemme, ma
anche a Costantinopoli, nel frattempo divenuta Istanbul, ci siano ancora problemi; si dice siano religiosi, ma di
certo sono anche geopolitici, se valido quel che ho sostenuto: la religione, una volta accantonata la fumosa
categoria del Sacro, un sistema di pensiero che fonda le societ, perci le culture e i loro contrasti. Su questo
si veda R.T. McCutcheon, Critics, not Caretakers, N. York, State of N. York Un. Press, 2001. Dunque attorno
alla religione che due societ (o tre) con il medesimo input, possono trovare una lingua franca per le proprie
dispute di famiglia.
La geopolitica ha una sua propria logica e continuit non soltanto a Baghdad, dove Shiti e Sunniti
continuano lallegro massacro da undici secoli. Uno dei segnali del fallimento dellOccidente il riproporsi di
antiche geografie culturali e religiose che tagliano di traverso i confini degli Stati post-coloniali. La Turchia
neo-ottomana e la Persia -cio lIran- sembrano proseguire le politiche regionali di Selm I e di Isml I, mentre
gli Aleviti non sono pi tanto tranquilli dopo il reflusso del vecchio Kemalismo, che storicamente durato
lespace dun matin. I Nusayriti, cio gli Alawiti, e i Drusi rischiano di nuovo il giogo Sunnita memore di Ibn
Taymiyya. Il Wahhbismo saudita contende lo spazio sunnita ai neo-ottomani, secondo una linea di frattura tra
Arabi e Turchi vecchia di secoli. La Sha khomeynista in primo luogo nazionalista, esattamente come quella
safavide; come quella dovrebbe perci essere alquanto eterodossa per un religioso shta, e tuttavia deve
allidentificazione con uno Stato e con la sua forza la possibilit di egemonizzare la galassia shita fatta di
minoranze sparse. Non si pu prevedere quale sar lesito di tutte queste partite che vedono le societ islamiche
in crisi di reazione al contatto con il prodotto dellOccidente, la modernit: se una soluzione ci sar, che non
sia rigurgito del passato, sar comunque una soluzione originale della quale lideologia occidentale dovr tener
conto, tener conto cio che la sua merce non necessariamente esitabile su tutti i mercati.
Persino la Chiesa di Roma ha qualche dubbio sullOccidente che, pure, tenne a battesimo, e riesamina
le mappe dei propri infiniti peripli attorno al Messaggio grazie alla nuova cartografia gesuitico-francescana. In
fondo, non avevamo ricordato il Gesuita Orbe come riscopritore della grande sapienza teologica degli Gnostici,
tanto irrisi da Ireneo? C sempre stata poi, nellOrdine, una marcata attenzione agli aspetti egualitaristi del
Messaggio, ci che ha reso lOrdine pi volte inviso allestablishment: in tempi di derive finanziarie del
Liberalismo, quellattenzione pu tuttavia tornar utile. Cos anche lattenzione ai popoli: prima di Missiones fu il
mancato Gesuita Postel a rivalutare la religiosit degli Indios. Cos come furono i Gesuiti a salvare dal patibolo
la cloaca di tutte le eresie, spacciandolo per pazzo.
per la venatura francescana a ricordarci altri tempi di grande disagio dovuti alle razionalizzazioni
che di tanto in tanto sembrano eccitare lOccidente -oggi quelle della grande finanza con lappoggio delle schiere
di burocrati, funzionari e Professori, tutte consorterie presenti nelle istituzioni nazionali e internazionali: preludio
a nuovi disastri sociali, col risultato di ridar vita a letture borderline del Messaggio. In altri tempi di simili
calamit i Francescani assolsero, ai fini dellordine sociale, il compito che fu negato agli Apostolici, troppo
semplicisti e quindi sospetti, finiti perci nellangolo del disordine: e tuttavia i Francescani stessi non negarono
laccoglienza ai Dolciniani in fuga. Tempo addietro si sarebbe detto da noi: compagni che sbagliano. Lopzione
gesuitico-francescana pu essere dunque un buon atout in tempi di crisi dellideologia occidentale, perch apre
1269
uno spettro ampio di letture, peraltro consentite. La sapienza teologica non un trastullo per perdigiorno, come
vorrebbero alcuni attardati dello Scientismo; al contrario uno strumento molto utile per rispondere alle
domande che la societ si pone, per rispondere alle quali in modo convincente indispensabile un quadro ideale
di riferimento: non da sottovalutare il seguito che pu ricevere il riuso di un sapere antico nel vuoto di proposte
politiche e culturali da parte di intellettuali e burocrati, buoni gli uni a ripetere il gi-detto e gli altri a far carriera.
Non saranno loro a disturbare la routine.
Grande la confusione sotto il cielo, soltanto gnesis e phthor appaiono cosa certa quando altre
certezze vanno perdute: epper una risposta sul senso, necessaria per indirizzare la societ nellintervallo,
sembra esser pervenuta soltanto dalle religioni, con il loro modello di Perfezione chiamato Dio. Un fine teologo
sa quali dei Suoi infiniti attributi mettere in primo piano, a seconda delle circostanze: un discorso sullInfinito ,
per definizione, un discorso senza fine. E poi, chi ha molto pensato non ha molte certezze, ci che lo rende pi
flessibile senza renderlo incoerente.
Cercare risposte al presente guardando alle proposte del passato, non un ripiego. Il passato non
morto, perch ha tracciato dentro di noi i percorsi che hanno portato a noi: contiene tutte le nostre domande e gli
infiniti tentativi di risposta, ipotesi, scelte abbandonate ma che sempre possibile riscoprire sotto una nuova
luce, con un nuovo sguardo: mattoni con i quali costruire il futuro. Abbiamo visto, nel nostro racconto sulle
eterodossie delloccidente, quante volte il riproporsi di analoghi problemi sociali abbia generato spontaneamente
risposte analoghe: spontaneamente, cio senza le catene di trasmissione immaginate; abbiamo visto le risposte
del passato tornare in nuova forma, adattate alla circostanza.
Non si trattava di ritorni al passato, era un tentativo di costruire un futuro diverso che liberasse dalle
angustie del presente. Il passato agisce come magazzino per un bricolage ideologico, riadattamento a nuovi usi di
vecchie idee. Soltanto unideologia pens il taglio col passato, un ragionare astratto su una Ragione ab-soluta,
svincolata da ogni fondamento, ad eccezione di quello autoreferenziale: fu lideologia del Razionalismo post-
illuminista, che inciamp subito inventando una nuova Dea, per la necessit di parodiare quel fondamento.
Non si tratta di nostalgia del passato -il passato non torna, forse non mai davvero esistito nelle
forme in cui lo pensiamo, soltanto una proiezione del presente- ma di certezza che non si possa costruire il
futuro liberandoci di noi stessi, delle ragioni che ci condussero in passato a pensare loggi e che ci conducono
oggi a pensare un diverso domani. Il passato pu essere una critica aperta al presente nella prospettiva di un
futuro diverso, diverso da quello cui ci vorrebbe condannare un percorso precostituito, quello che ha fondato il
Moderno, la concezione storicista della storia.
Perci questa lunga storia di un Occidente che alimenta un altro occidente, lo bandisce, e lo ritrova
sul proprio cammino per lintreccio imprevedibile di percorsi divaricati, pu essere la storia di una ricerca che
procede tra prossimit insospettate; storia di un travaglio infinibile che attende la conclusione in un non-luogo
fuori del tempo, in U-topia.

Gian Carlo Benelli, 6 Giugno 2013


Riveduto Ottobre 2013

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POSTILLE 2013-2014

Queste Postille sono state motivate dal desiderio di arricchire e approfondire gli argomenti trattati nel
testo, in particolare nella Rassegna bibliografica appena conclusa, che debbo tuttavia ritenere sempre aperta ad
ulteriori ampliamenti per lovvia ragione che nulla di ci che si scrive incontrovertibile, men che mai resta
valido nel tempo. Come si vedr gi dal primo articolo esaminato in queste Postille, non mancano per anche i
rinvii agli altri argomenti trattati nella Storia di un altro occidente.

Larticolo di E. Albrile, La dimora di Ahreman. La guerra e le origini del dualismo iranico, Kervan,
2005,1 espone, tra le altre cose, importanti riflessioni che possono riguardare le tesi da me sostenute in questo
mio testo. Albrile mette in luce la profonda differenza che intercorre tra Zoroastrismo originario e Zurvanismo, e
rivendica al primo concetti che saranno destinati a passare in eredit (vedi Appendice alla V edizione) al
Cristianesimo per lintermediario del Giudaismo: ricordo al riguardo quanto affermato da Zaehner circa laffinit
tra Cristianesimo e Zoroastrismo. In primo luogo vi un Dio Creatore unico, Ohrmadz, che Dio buono: Il Male
s, una realt di questo mondo, ma qualcosa di estraneo che vi si insinua, e la dignit delluomo nella sua
responsabilit di scegliere per il Bene, collaborando cos allopera del Creatore al quale egli si rivolge. Vi poi
un ottimismo di fondo nella certezza della vittoria finale del Bene che si configura nellApocatastasi, ritorno
della creatura al Creatore. Per conseguenza vi una concezione lineare del tempo come progresso verso questa
finale vittoria. Lo Zurvanismo, con la sua concezione ciclica del tempo e con il suo pessimismo, va inteso come
influsso della religione astrologica babilonese ed ellenistica. Il Manicheismo, bench sincretista, rappresenta
perci un ritorno a concezioni di fondo zoroastriane, e il suo sincretismo va inteso nella prospettiva di una
religione universale e pacificatrice, permeata da un alto senso etico e da una profonda piet per la sofferenza di
questo mondo, che dovr avere una fine.

Larticolo di B. Scarcia Amoretti, Nostalgia del passato: chiave di lettura dellIslam, oggi?,
R.S.O., 83, 1-4, 2010, non si limita ad esaminare la tesi presente nel titolo; esso opera anche una concisa ma
esauriente lettura delle diverse opzioni della fede islamica delle quali si trattato nei primi due capitoli della
nostra Rassegna bibliografica sulle origini dellIslam, etc. Pi precisamente vengono messe in luce le differenze
tra Sunnismo, Sha, Khridjismo e Ismailismo, e la differenza fondamentale che intercorre tra lutopia cristiana
e quella islamica, che io ho preferito definire atopia per le ragioni che ho esposto. Questultimo punto ritenuto
determinante, tanto che su quella prospettiva atopica sinnesta la nostalgia della quale tratta lAutrice. Come
ho notato pi volte nel testo, mentre il Cristianesimo distingue nettamente tra una condizione irrimediabilmente
postlapsaria che caratterizza questo mondo, e la speranza paradisiaca da realizzarsi nel mondo dei Cieli (ho
trattato anche a suo tempo leliminazione, da parte dellortodossia romana, dellattesa di un millennio di gioie
terrene che contraddistingueva il primo Cristianesimo, e il permanere del Millenarismo soltanto nelleterodossia,
ancora sino al XVIII secolo con Oetinger) lIslam attende il raggiungimento di un mondo perfetto in questo
mondo, attesa che ho attribuito alleredit giudeocristiana e ho ritenuto caratterizzante del pensiero della
marginalit. La Scarcia Amoretti si attiene strettamente alla constatazione della differenza, che si riflette anche
nel carattere tutto terreno del Paradiso islamico, sottolineandone anche il nesso con unaltra differenza,
coerente con quella e anchessa segnalata nel mio testo: linesistenza, per lIslam, del peccato originale.
Personalmente ho molto sottolineato questo punto perch, quando ci si sottrae alla constatazione della realt del
mondo e si immagina di poter plasmare il mondo rendendolo perfetto, si cade in quellatopia -di origine
religiosa/millenarista e che in occidente si secolarizzata nellatopia comunista- destinata a dolorosi insuccessi.
In questo senso ho sempre ritenuto di dover sottolineare limportanza della presenza della classe dirigente
romana nel primo Cristianesimo come fattore non trascurabile nel generarne la versione ortodossa della Chiesa
di Roma: si potrebbe dire che il peccato originale sia lideologizzazione religiosa del marchio indelebile che fa
di questo mondo quel che , mentre la Grazia, rimuovendone il peso, consente di operare comunque allinsegna
della Speranza, e di operare nellambito di una misura imposta dal realismo, che guarda al Bene con il pi
modesto ma concreto obbiettivo di raggiungere il meglio. Questa lunga premessa necessaria per inquadrare il
problema della nostalgia islamica oggetto dellanalisi dellAutrice, una nostalgia che nostalgia di un passato
immaginato, di unet delloro mai esistita e identificata con il tempo del Profeta. Di qui le diverse scelte delle
diverse ortodossie islamiche (Sunnismo, Sha, Khridjismo) e di quella Aufhebung che fu lIsmailismo
(oggi nelleredit Nizrita). LIsmailismo, che rivendica a s lappartenenza allIslam, rappresenta in effetti uno
sviluppo coerente dellopzione shita, alternativo a quello Duodecimano; entrambi sono stati analizzati nel loro
sottofondo sociale nel secondo capitolo della presente Rassegna bibliografica ragionata, etc. La prima scelta
esaminata quella sunnita, fondata sulla costruzione della Sunnah del Profeta e dei Compagni. LAutrice
sottolinea il disagio del Musulmano odierno che vive entro le frontiere dello Stato-nazione post-coloniale
susseguente al disfacimento dellImpero Ottomano (significativo che la Scarcia Amoretti consideri questo Stato-
nazione unesperienza fallimentare) e il disagio ancor maggiore del Musulmano emigrato in occidente, che vede
revocato in dubbio il proprio stile di vita, essenziale per il recupero della propria identit. Lautrice sottolinea
al riguardo lantitesi che si crea, in una logica islamica, tra la dr al-harb e la dr al-Islm, e limportanza del

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fondamentalismo nel fenomeno della re-islamizzazione; molto interessante la riguardo per lappuntarsi
dellanalisi sulle dispute iniziali circa il ruolo del Califfo, che ho ricordato nel mio testo: vicario di Allah in
grado di interpretarne la Legge sottraendola al suo rigido rapporto con un tempo e una societ, o semplice vicario
del Profeta come Guida dei fedeli, lasciando al giurisperito il ruolo sempre pi incisivo di interprete affidabile
della Legge. Tutto ci introduce alle altre, minoritarie accezioni dellIslam, prima delle quali, in ordine
temporale e di trattazione da parte della Scarcia Amoretti, fu il Khridjismo. LAutrice vede in esso, a ragione,
unistanza popolare, se non democratica, nata sulla constatazione, da parte della Ummah, dello scarto tra la
teoria e la prassi. Il ruolo della Ummah invocato anche nellaccenno che si fa alla Madna al-fdila di al-
Frb, che non pot schiudere strade nuove precisamente a causa della nostalgia della Guida nel popolo
Sunnita; il risultato di questo arroccamento nella tradizione (della quale ho sottolineato il carattere di mera
invenzione, secondo il parere di molti studiosi) fu la convinzione che la nazione islamica fosse la migliore
nazione mai suscitata tra gli uomini (corsivo dellAutrice). Allo stato attuale, sostiene la Scarcia Amoretti, una
svolta che coinvolga le masse, non pu che esprimersi attraverso il linguaggio di queste. Il testo, che si attiene a
criteri rigorosamente scientifici, si limita alla constatazione del fatto evidente, non entra quindi nel problema che
si pone a tutte le forme di cultura della marginalit, la permanenza nellarea sterile dellatopia; esso passa quindi
ad esaminare ci che viene definito anti-quietismo, cio lo sviluppo del Sufismo e della Sha, i quali, pur nella
loro diversit, esprimono la consapevolezza della necessit della Guida per essere fedeli allo spirito
dellIslam (corsivo mio) e smentiscono il preteso quietismo delle societ musulmane. In effetti, abbiamo visto
nel corso del nostro testo le tendenze eversive presenti e riemergenti in entrambe le scelte, e su questo punto
lAutrice avanza due osservazioni entrambe assolutamente pertinenti: la messa in campo di unopzione eversiva
fondata sulla concezione di una Legge superiore rispetto a quella che emerge dallinterpretazione legalistica, da
parte del giurisperito, delle fonti, Corano e Sunna, e la rapida entrata in azione di meccanismi efficienti di
inserimento nellordine costituito. Ricordo che nel testo ho infatti parlato sia del processo di sunnizzazione
della Sha, sia del riavvicinamento ai Duodecimani di gruppi shiti eterodossi, come gli Alawiti. Siamo anche
qui, nota la Scarcia Amoretti, nellambito di una nostalgia in quanto il Qutb e lImm rappresentano entrambi
il desiderio di rivisitare lesperienza spirituale delluomo Guida. Nel caso dellopzione Sf lAutrice nota
tuttavia una contraddizione tra i confini della confraternita entro i quali si realizza lislamicit delladepto e il
tratto distintivo della dr al-islm che di non aver confini in senso proprio. Tuttavia le confraternite sono
stati i luoghi in cui la guida ha messo in atto....un processo di revisione modernizzante della Legge e della sua
applicazione concreta; esse inoltre hanno attivato i propri discepoli ad opporsi allingiustizia di un potere
assente o incapace. Passando poi alla Sha e al suo primato nellessersi posta il problema dellassenza del
Profeta e della necessit di un interprete autentico della Legge, lAutrice sorvola sulla sua lunga e travagliata
storia (del resto, come abbiamo visto nel secondo capitolo di questa Rassegna, la sua storia e il suo travaglio
settario si articola precisamente sul punto centrale della necessit di un Imm sempre presente) e ritiene che due
soltanto siano le opzioni shite da esaminare: quella duodecimana e quella nizrita. Laffermazione ha una sua
logica se si pensa che esse rappresentano nel modo pi coerente le due soluzioni possibili del problema: la scelta
di considerare il clero come rappresentante di un Imm occultato, ovvero laffermazione dellimpossibilit di un
occultamento, perch Allh non abbandona i propri fedeli. Nel testo della Rassegna abbiamo percorso le varie
storie, perci rinviamo ad esso per la disamina del problema. Significativa resta comunque la ragione
dellesclusione dello Zaydismo dal saggio, motivata dal fatto che nel tempo, la sua carica eversiva andata
scemando e non presenta elementi direttamente funzionali al discorso. Il che vero, ma ci fa pensare che la
Scarcia Amoretti abbia un interesse specifico ai contenuti rivoluzionari dellIslam conservati nella Sha,
nonostante la sua progressiva sunnizzazione per quanto concerne il clero duodecimano: e qui si dovrebbe
intendere rivoluzionari in senso politico-sociale, perch sul piano religioso ben altrimenti rivoluzionario
lIsmailismo nizrita. A riprova di questa mia interpretazione sta il fatto che lAutrice tende successivamente a
sottolineare (senza dubbio con ragione) il carattere verticistico che fu proprio dellIsmailismo sin dagli esordi,
tanto che in Egitto -lo abbiamo visto- esso volle rimanere comunit separata lasciando al popolo il suo Sunnismo
tradizionale. Secondo la Scarcia Amoretti, la tolleranza ismailita anche verso Ebrei e Cristiani, mostra che
lIsmailismo non si proposto come modello universale o come ritorno allet delloro. Questo mio corsivo vuol
mettere in rilievo ci che, a mio avviso, segna un superamento dellIslam come pensiero atopico della
marginalit nato nel sectarian milieu apocalitticista e millenarista (checch si possa pensare, a distanza di anni,
dellopera di Wansbrough, questo il termine pi adeguato per caratterizzare il Giudeocristianesimo e il
pensiero della marginalit in generale). LIsmailismo Islam precisamente in quanto suo superamento. Qui c
un luogo fondamentale della distinzione che la Scarcia Amoretti mette in luce a partire da Nasroddn Ts: il
mutamento dei tempi e degli uomini impone la necessit di guardare al Vero e al Bene con uno sguardo sempre
diverso, e ci richiede una continua rilettura e reinterpretazione autorevole della Legge, che non cambia, cambia
il volto con il quale essa si d al variare della prospettiva terrena. LImm vivente colui che opera
laggiornamento della Legge (corsivi miei). Se lunica realt del mondo la sua continua trasformazione, una
cosa sembra aver trovato soluzione nellIsmailismo: si superata la pretesa allimmobilismo, quando non anche
la nostalgia di un passato (mai esistito) che ha come approdo obbligato linvoluzione. Non per nulla, dietro
lIsmailismo, oggi nizrita, c la potente elaborazione filosofico/teosofica della quale ho dato qualche cenno. Le
pagine finali dellarticolo della Scarcia Amoretti sono dedicate alla Sha duodecimana, come approdo di quella
1272
immita che, come abbiamo visto, ebbe diverse espressioni; lAutrice la esamina alla luce delle ipotesi
nostalgiche che costituiscono loggetto del suo studio. Lesame prende lavvio dalle inclinazioni quietiste che
ne caratterizzarono gli esordi: la certezza, e quindi lattesa, di una restaurazione del Bene che avverr alla Fine
dei Tempi, quando lImm riterr di uscire dal proprio occultamento. Lattribuzione pro-tempore della vicarianza
al corpo dei giurisperiti che ne consegu, da lei interpretata come delega di un ruolo attivo ai credenti
(contrariamente a quanto avviene nellIsmailismo) perch il ruolo del giurisperito condizionato dalla fiducia
che il credente ripone in lui, consentendo di preparare cos le condizioni per il ritorno dellImm in un tempo
(non importa se finale) nel quale la restaurazione avverr in terra. Il corsivo mio, per segnalare ancora una
volta la permanenza del carattere originario, atopico, dellIslam. Questo ritorno la sola garanzia, concepibile
dagli uomini, a che il percorso si compia e let delloro sia ri-creata. Tuttavia lAutrice constata che, a partire
dal XIX secolo, prese corpo una vera e propria gerarchizzazione in senso piramidale dei giurisperiti, che fa da
contraltare a quel ruolo del credente comune del quale s detto. Da qui, si scivola verso lultima teorizzazione
rivoluzionaria, quella khomeynista, nella quale Khomeyni assunse il ruolo del rahbar, di colui che indica la via:
ovviamente per giungere a quel futuro tempo felice. La Scarcia Amoretti ne constata il fallimento, larroccarsi
del potere e il tradimento del progetto ideale: si verific il ritorno a una pretesa, astorica autenticit centrata,
ovviamente, sullinterpretazione della Legge. Debbo tuttavia osservare a titolo personale che ella non si
domanda se il fallimento non sia forse una tragedia necessariamente iscritta in tutti i progetti rivoluzionari,
atopici, di realizzazione di una Gerusalemme terrena; il suo articolo, precisamente perch rigorosamente
scientifico nel dipanare gli eventi di quattordici secoli, evita giudizi che possono, e, a mio avviso, debbono,
presentarsi davanti al tribunale del pensiero, e, perch no?, della storia, che continua scelta di ci che noi
vogliamo costruire tramite il nostro giudizio. Le linee del progetto son viceversa da lei nuovamente individuate
nel pensiero di Al Sharat (qualche cenno ne ho dato nellAppendice alla V edizione) per il quale il vero
sciismo il partito perfetto in quanto strutturalmente votato alla rivoluzione permanente; supporre daver
riprodotto una volta per tutte il modello della Guida significa arenarsi in un immobilismo che riporter indietro
la comunit imamita e con essa la ummat al-islm che a sua volta pu aspirare ad essere sia la coscienza vigile
del mondo sia la prova che lEden terreno non utopia. Peccato che le rivoluzioni tendano ad essere permanenti
soltanto nellassunzione di un potere che ne rende inamovibili i gruppi dirigenti: la logica di tutte le
rivoluzioni, che tali sono in quanto aboliscono il pensiero diverso precisamente per realizzare quellatopico Eden
terreno: ultimo esempio, la Rivoluzione sovietica che ha segnato gli eventi del XX secolo. Gli Gnostici
pensavano che il Male fosse una realt di questo mondo, di certo lo il Potere e le sue leggi, alle quali neppure
la rivoluzione pu sfuggire: dunque meglio evitare la tentazione della perfezione, eterno sogno delle
marginalit che tali sono perch della realt non sembrano avere esperienza. LAutrice ritiene comunque che il
fallimento non impedisca di poter esprimere in termini islamici unutopia per il futuro, cio in chiave
musulmana idee, concezioni e aspirazioni incontestabilmente moderne. Questa certamente unipotesi aperta; e
anche auspicabile, in tempi di terrorismo sunnita -salafita e qaidista- che teme il desiderio di modernit presente
in parte del mondo islamico le cui rivoluzioni, nate dalla stanchezza di vivere in societ regolate da costumi
dei secoli passati, sembrano naufragare nel ritorno alla stretta applicazione della Sharah. Unipotesi aperta per
chiunque non ritenga di aver gi chiari i percorsi del futuro: ed comunque una domanda che si pone alla crisi
dellOccidente.

Sulla complessit del mondo islamico, sulla linea di demarcazione tra il corso neo-ottomano della
Turchia e lIslam arabo, nonch sul ruolo della religione nella societ e sul carattere totalitario del laicismo
occidentale, interessante larticolo di C. Monge, Petite histoire de la gense de lIslam Turc et de son rapport
au politique, R.H.R., 87,2, 2013. Monge sostiene che loccidente secolarizzato, che non pensa se stesso nella
categoria del religioso, si chiude tuttavia in essa nel confronto con lIslam, i cui sviluppi sono pensati soltanto in
tale prospettiva, ci che non corretto, perch le rivolte arabe (le primavere) vanno viste nel quadro di
unevoluzione politico-sociale. Quanto sopra certamente vero; tuttavia debbo osservare una caratteristica
ripetitiva di queste rivolte, cio che esse si capovolgono regolarmente nellaffermazione di un Islam sharaitico e
ben poco incline al pluralismo. La nostalgia del passato -per usare categorie gi introdotte nel precedente
articolo- sembra una costante, una mitica panacea per i concreti problemi sociali la cui radice potrebbe annidarsi,
come sostengo, nellatopia di una possibile perfezione che non vuol vedere la realt del mondo. La parte pi
interessante dellarticolo tuttavia quella relativa agli sviluppi dellIslam ottomano e turco, ovviamente cursoria
per ci che concerne origini e fondamento, che si sofferma tuttavia sul punto focale, la recente evoluzione neo-
ottomana. Monge sostiene che lImpero Ottomano non mai stato uno Stato islamico nel senso classico del
termine perch riuscito a porre gli ulam sotto il controllo e al servizio del potere politico, secondo leredit
bizantina. Seguendo tale tradizione, la laicit turca espressa dal Kemalismo fu controllo dello Stato su un
Islam nazionale, o meglio, etno-nazionale, sunnita centrato sulla turchicit. A questa scelta si oppose e si
oppone tuttavia in Turchia la tradizione delle Confraternite; in particolare Monge ricorda il caso degli Aleviti
(15-25% della popolazione) che rivendicano la fine di ogni discriminazione etnico-religiosa. Ricorda anche i
rischi di intolleranza verso le minoranze religiose -in discontinuit rispetto alla politica del vecchio Impero
Ottomano- che vengono dalla sovrapposizione di una stretta identit etnica e nazionale con lidentit musulmana.
A proposito delle Confraternite, Monge esamina con prudente criticismo il ruolo dei Fethllahci, una potente
1273
associazione che fa riferimento a Fethllah Gl, peraltro alquanto chiacchierata per i rapporti di Gl con gli
Stati Uniti, dove risiede ben protetto (abbondante letteratura sul web; interamente dedicato al tema The Muslim
World, 95,3, 2005). Il peso di Gl e della sua confraternita insinuata nelle istituzioni e largamente presente
nelleducazione, apparso evidente nel recente scontro con la deriva islamista del governo Erdoan, che, pure,
lo stesso Gl aveva appoggiato nellascesa al potere. La Turchia attuale, secondo Monge, si trova stretta nella
difficolt di superare la democrazia autoritaria del Kemalismo, centrata sulla politicizzazione della religione
dallalto, senza ricadere nella re-islamizzazione della societ denunciata dalle comunit religiose minoritarie, col
risultato di dirigersi verso un ritorno neo-ottomano rivelato in particolare dalla politica estera che tenta di
proporre il modello turco quale sbocco delle primavere arabe. Dietro il modello Erdoan c dunque il pericolo
di una deriva nazionalista e populista. Il modello turco lascia tuttavia intendere i limiti della concezione
occidentale della laicit, sui quali si dovrebbe riflettere, cio la pretesa di rinchiudere le convinzioni religiose
nella sfera del privato: il progetto di una societ spiritualmente asettica che vanta il rispetto di convinzioni
religiose ridotte al silenzio come vorrebbe imporla, nel dibattito europeo, un certo numero di laicisti
intransigenti, totalitario. Come potremmo trattare le colossali questioni politiche, etiche e sociali che abbiamo
davanti, se si deve tacere sul fondo sul quale si articolano le nostre scelte?. Monge convinto, citando le parole
del Protestante Marcel Bertrand, che non si possa, in nome della laicit, accusare dintolleranza lespressione di
convinzioni etiche e spirituali. Se mi concesso aggiungere un commento personale, vorrei dire che le
conclusioni ripropongono il tema che ho pi volte sollevato nel mio testo: la presenza necessaria di un
fondamento sul quale articolare la ragione e ladnaton di una Ragione che pretende di fondarsi su se stessa.

La professione di fede in chiave autobiografica di Nasroddn Ts, Sayr wa sulk, tradotta da


Badakhchani con il titolo Contemplation and Action, London-N. York, Tauris, 1999 (sayr sta ad indicare un
percorso, in questo caso spirituale, che perci conduce ad un comportamento sulk) utile per confrontare
quanto detto nel testo riguardo al suo pensiero (cfr. le pp. 234, 1173, 1190 e 1194-1195). Nasroddn Ts narra
infatti dei propri dubbi religiosi e filosofici e del percorso spirituale attraverso il quale egli giunse ad abbracciare
la fede nizrita, ricalcando le conclusioni di Hasan-i Sabbh (cfr. supra, p. 234). In questo percorso si pu
leggere la continuit di fondo che caratterizza il pensiero ismailita e la sua eredit, al di l delle varie accezioni
dottrinali. Ad esempio, nei 31-32 si possono trovare gli echi della iniziale dottrina ftimida (ma anche
nusayrita e drusa) relativa alla manifestazione terrena delle gerarchie spirituali, nonch degli antecedenti
khattbiti del Kitb al-haft wa l-azillat; al 34 si notano le convergenze con le gerarchie (che sono anche
alchemiche) spirituali/terrene degli elementi (visti nella loro doppia valenza che giunge al pensiero islamico da
Alessandro di Afrodisia: cfr. supra, p. 879) e la dottrina dei regni (minerale, vegetale, animale, umano) che
costituisce un elemento portante nelle Epistole degli Ikhwn as-Saf. Il radicale neoplatonismo del suo pensiero
si articola anche nella distinzione tra prima materia e materia formata ( 40) in analogia con gli Ikhwn e con
Avicenna. Sempre al 32 si nota come la struttura ontologica del suo pensiero possa esser letta quale
antecedente della metafisica dellesistenza di Moll Sdr (p. 1230). Quanto alla fondamentale dottrina shita
relativa alla presenza necessaria di un Imm in ogni tempo, essa, oltre a dispiegarsi nella soluzione che le dette
Hasan-i Sabbh, mostra, al 45, il ruolo fondamentale del Nizrismo come antecedente del pensiero del Bb: lo
stato del mondo in continua trasformazione, perci necessaria una catena di veritieri (muhiqq) che
ripropongano limmutabile legge divina in forme sempre nuove. Si pu dunque leggere, in questa plurisecolare
continuit, la vitalit con la quale lelaborazione shita-ismailita ha saputo conservare loriginale impulso
islamico fondato sulla ripetitivit del ciclo profetico, alla luce di una sua interpretazione teosofico/neoplatonica.

Bench, nonostante il titolo, non sia direttamente centrato sugli argomenti del presente testo (la crisi
dellOccidente vi essenzialmente esemplificata attraverso il tema delletica sessuale) trovo interessante citare
larticolo di J.M. Donegani, Crise de loccident, crise du Christianisme, crise de la diffrence, Recherches de
science religieuse, 101,3, 2013. A introduzione della sua disamina trovo opportuno citare letteralmente il lungo
capoverso di p. 369, intitolato La crisi delluniversale, perch esso ne fa comprendere linteresse anche per il
presente testo. Scrive Donegani: Il fatto che il mondo moderno si sia fondato sulla rottura dellunit della fede e
abbia valorizzato, a partire da questa situazione, il pluralismo dei valori e le scelte individuali, non pertanto ha
cessato di porsi il problema dellunit e delluniversalit. LOccidente ha sviluppato una concezione
delluniversale giustificando con leccellenza dei propri valori e rappresentazioni lestensione di questi sino ai
confini del mondo. E la crisi delluniversale che si manifesta ai nostri giorni, non che laltra faccia della crisi
didentit dellOccidente. in effetti al cuore stesso di questa identit che mirano le visioni del mondo in
concorrenza, rifiutando la pretesa eccellenza della visione occidentale delluomo e della societ, e criticando il
carattere egemonico della sua pretesa universalit. Lunit del mondo stata pensata in Occidente come
legittima espansione di un modello che coniuga i valori cristiani e la loro traduzione secolarizzata
nellimperativo dei diritti umani, e la concezione liberale dellordine economico e giuridico. Ma i diritti
delluomo sono contestati in quanto non sarebbero che il travestimento universalista di una visione particolare,
occidentale, della natura umana. E la mondializzazione appare sempre pi come una unificazione menzognera e
ingiusta sotto la legge del mercato e della democrazia, concezione particolare occidentale dellorganizzazione
sociale. Questa diagnosi, che ritengo assolutamente lucida e condivisibile, possibile perch Donegani, sin
1274
dallapertura dellarticolo, esamina in modo cursorio le principali opere che, a partire da Spengler, hanno parlato
di una crisi dellOccidente; curiosamente per ignorando Leo Strauss, le cui argomentazioni coincidono in buona
sostanza con quelle presentate da Donegani stesso o da alcuni degli autori citati. Il punto centrale costituito
dalla non necessaria universalit, dalla non cogenza, del regime democratico/liberale che vige nelle societ
occidentali, e che soltanto il punto darrivo della loro particolare storia e cultura; ho gi notato, ad esempio, che
lIslam idealmente, e in principio, sicuramente democratico, ma non affatto liberale. I valori che
sostengono le societ occidentali, sono stati esportati nel mondo allorch il colonialismo stabil legemonia,
anche culturale, dellOccidente; la fine dellegemonia economica ha per fatto venir meno anche quella
culturale, con il risultato, pi volte denunciato nel presente testo, che la destituzione dellOccidente, lungi dal
ridursi al disordine della sua economia, si connette al suo suicidio culturale; c crisi di valori e crisi
didentit. Questa la tesi di Huntington citata a p. 352, che sollecita lOccidente a rinunciare al proprio
universalismo imperialista. La peculiarit dellOccidente cristiano, allorch si pretende portatore di valori
universali, si rivela niente pi del risultato di una particolare storia e cultura, e non ha fondamento la pretesa
delle democrazie liberali dellOccidente di costituire un punto darrivo assoluto, non condizionato dalla storia.
Qui Donegani solleva il problema della Legge (rivelata, tanto invocato da Strauss che non viene citato) come
linea di demarcazione tra il Giudaismo (e, aggiungo, lIslam) e levoluzione storica dellOccidente cristiano. Il
problema, sottolinea citando Balmary, la divaricazione tra linvocazione dei diritti e quella della Legge;
problema che stato sottolineato ab antiquo, come nota Donegani citando Platone. Donegani ricorda anche la
critica alla figura dellindividuo nella modernit, la sua mancanza di fondamento e i rischi di fuga gnostica dalla
societ (p. 361), latopica speranza di un regno dei Cieli in terra (pp. 361-362 in n. 40) e, in generale, il carattere
astratto della soddisfazione del desiderio individuale fuori del quadro della Legge, divina, rivelata o del Padre,
che egli esamina nel contesto lacaniano/freudiano. Per quanto riguarda la liberazione dal giogo della Legge, mi
permetto tuttavia di notare che essa non , semplicisticamente, il mito predicato da Ges, come si pu intendere
dalla citata n. 40, sulla scorta di un documento prodotto da un gruppo di psicanalisti: la tensione alla fine della
Legge presente ovunque, dalleterodossia giudaica a quella islamica. Donegani infatti non rileva la differenza
radicale tra latopia delle marginalit e lUtopia; tra la pretesa di un paradiso in terra e la felicit nel Regno dei
Cieli. Egli non fa cenno al ruolo di contenimento dellatopia che ebbe listituzionalizzazione della Chiesa di
Roma a partire dal II secolo, con la trasformazione in eresie delle letture libertarie del Messaggio (oggetto del
presente testo); e al ruolo che ebbe lIlluminismo con la secolarizzazione e con lavvento di una Ragione
autoreferenziale, nel condurre gli esiti della cultura cristiana dellOccidente fuori dai vincoli di una Rivelazione.
Noto qui anche, di sfuggita, che le paradossali possibili derive liberali del desiderio, individuate a p. 356
(legittimazione della pedofilia e infanticidio) hanno uneco precisa in quelle immaginate, sempre per paradosso,
dal mai citato Leo Strauss. Tralascio la parte del testo dedicata alletica sessuale perch, pur costituendo un
esempio pertinente nel contesto dellarticolo, non costituisce argomento dinteresse diretto nel contesto di quanto
ho trattato; certamente letica sessuale costituisce tuttavia una materia scottante per quanto concerne il rifiuto
dellOccidente da parte della religiosit islamica. La sola cosa che mi accade di osservare al riguardo, che il
vincolo matrimoniale in Occidente non sembra valutato per ci che le sue norme hanno significato sul piano
economico e sociale; per le classi elevate da sempre, e per la piccola borghesia dalla fine del XVIII secolo. Torna
viceversa pertinente la critica alla pretesa universalit della cultura occidentale, che Donegani segnala a p. 370
citando Wallerstein, il quale, anche a proposito del cosiddetto diritto di ingerenza (eterna croce del Consiglio
di sicurezza dellO.N.U. ad ogni crisi, ultime le cosiddette primavere arabe) fonda la propria critica dei diritti
umani sullanalisi della dominazione post-coloniale imposta dallOccidente al terzo mondo. tramite
linvocazione dei diritti delluomo che le potenze del Nord legittimano il dominio esercitato sugli altri popoli: il
loro universalismo non in realt che un universalismo europeo. Questa ideologia cos la maschera assunta
dal dominio dinnanzi al principio concorrente della diversit culturale, laffermazione tacita che certi popoli sono
inferiori alla civilt occidentale intesa come traguardo dellevoluzione sulla scala del Progresso (corsivo e
maiuscolo miei). Vi anche chi, come Badiou, considera i diritti umani il supporto ideologico di una
dominazione capitalista e parlamentare, e la maschera di una restaurazione dei previlegi. I diritti delluomo
conducono a sradicare ogni differenza, a non concepire lintegrazione se non secondo il modello dellindividuo
liberale, a installare lingiustizia e il trionfo del capital-parlamentarismo e a giustificare con lipocrisia
umanitaria la superiorit dei paesi occidentali su tutte le altre regioni del mondo. Francamente mi sembra
trattarsi di una critica alquanto sopra le righe; e tuttavia ricordo di aver citato largomento dei diritti umani, visti
dallangolazione dellIslam, a p. 830 del presente testo. La critica esasperatamente relativista (e dunque
culturalmente ultraoccidentale!) di Badiou nulla pu togliere al ruolo determinante dellUtopia nella storia: se
latopia dellAssoluto in terra, il perseguimento del Bene senza aggettivi, pratica quanto mai pericolosa; la
pi modesta ricerca del meglio resta comunque ragionevole, perch luomo pur sempre un animale
desiderante. Ma tra Ragione e ragionevolezza corre labisso dellesperienza del mondo, della quale sono prive
tanto la marginalit, quanto le intellighentzie piccolo-borghesi.

Per avere idea dellimportanza del dettato religioso nelle odierne legislazioni dei paesi arabi, torna
utile la lettura del libro di S.A. Aldeeb Ab-Sahlieh, Religion et droit dans les pays arabes, Passac, Presses
Universitaires de Bordeaux, 2008. Ab Sahlieh espone largomento con molta dovizia dinformazione e con un
1275
approccio storico: per ciascun ramo del diritto egli ricorda sempre le dottrine dei grandi esponenti del passato,
per poi riferire un ventaglio di opinioni dei giurisperiti moderni, dai pi conservatori ai pi liberali ed esporre
infine per sommi capi le legislazioni vigenti o proposte nei singoli paesi arabi. Sottolineo arabi perch lindagine
non si estende agli Stati islamici non arabi (e tuttavia, pur escludendo quindi la Turchia, include il non-arabo
Iran). La considerazione generale che emerge affrontando i temi esposti, la radicale differenza tra la
concezione islamica e quella occidentale della societ, ricordata pi volte nel nostro testo, differenza che fa s
che lIslam, di per s sicuramente democratico, non sia affatto liberale come vorrebbe ostinarsi a pretendere
lideologia occidentale che sorvola sulle differenze tra luna e laltra accezione, essendo di fatto, per la propria
storia, unideologia democratico/liberale. La normativa religiosa che permea la cultura islamica e informa le
legislazioni dei vari Stati arabi, ha infatti come obbiettivo fondamentale la preservazione di una societ
compatta, nella quale ogni devianza percepita come un pericolo. Per conseguenza, in essa non v spazio per il
desiderio individuale n per il convenzionalismo: Dio in Persona detta le leggi che debbono regolare il consorzio
umano, ci che rende luomo naturaliter islamicus. Le detta Dio in Persona perch da esse non si deve n si pu
derogare (a meno di non pregiudicare la convivenza sociale) fermo restando che, nelle fattispecie, la ragione
umana deve sforzarsi di interpretarle correttamente con i mezzi a propria disposizione: di qui il ventaglio di
pareri che informa la giurisprudenza e che rende lIslam qualcosa di diverso dal monolito che appare alla
disinformazione occidentale. Certamente per, nella cultura e nella religiosit islamica, quindi nelle sue
legislazioni, non v posto per i cosiddetti diritti delluomo che discendono alla cultura occidentale
dallIlluminismo; non v posto perch quelli sono diritti di un uomo inteso come individuo con il suo
individuale desiderio, una figura giuridica che nella cultura islamica cede il posto alle esigenze di una societ che
deve rimanere coesa e che non concepisce una propria disaggregazione nelle componenti individuali. Perci la
Rivelazione Legge che regola la societ in nome di un sapere che deborda quello umano, e chi crede nel Dio
dellIslam non pu che obbedirle nei dettagli della vita quotidiana: contraddirla significa essere un infedele,
pretendere una conoscenza superiore a quella divina. Perci ogni norma legislativa pu essere stabilita nei modi
pi diversi e contraddittori, ma sempre previa uninterpretazione razionalmente fondata sul dettato coranico.
Dalla dettagliata trattazione di Ab Sahlieh emerge tuttavia a questo proposito un punto fondamentale che lascia
comprendere unaltra ragione per la quale il diritto islamico appare cos poco comprensibile e accettabile per una
logica occidentale. Il punto che la normativa, la cosiddetta Sharah (che etimologicamente, pi che una legge
positiva, dovrebbe rappresentare una retta via da seguire nella vita, dunque un indirizzo etico) non viene dal
solo Corano, ma anche dalla Sunnah, quindi dai cosiddetti ahdth, in particolare da quelli quds (largomento
stato trattato ampiamente nel nostro testo). Ne consegue, considerando il processo di formazione del corpus
delle tradizioni del quale s ampiamente discusso, che la riflessione dei giurisperiti si trova ad attorcersi ancora
sulle normative (umane!) di una societ dellVIII-X secolo; ha difficolt quindi a trovare quelle vie innovative
che le potrebbero essere consentite da una riflessione ruotante attorno al solo Testo Sacro, che offre al riguardo
uno spettro interpretativo pi ampio. Lo si nota nel vedere, dal testo di Ab Sahlieh, quanto pi aperte siano le
opinioni giuridiche degli esperti che intendono riflettere e argomentare a partire dal solo Corano, ignorando il
dubitoso fondamento della Sunnah. Venendo ora allindividuazione di alcuni passaggi del testo di Ab Sahlieh
(estremamente analitico, al quale non si pu quindi che rinviare) si pu riflettere sulla severit delle normative in
materia di comportamento sessuale. Tali normative possono apparire estranee alla cultura occidentale, ma non
sono senza ragione. Limportanza della sessualit, e quindi della sua regolamentazione, nellordine sociale
tradizionale, pu essere difficilmente sottovalutata, ed significativo che lIslam condanni tanto le pratiche
libertine (o liberali, o libertarie, le si chiami come si vuole) quanto quelle ascetiche; e che ponga a fondamento
di ogni rapporto il vincolo matrimoniale, peraltro molto elastico, come scelta auspicata. Si ricorder per analogia
lo studio della Patlagean citato alle pp. 105-106 del nostro testo, sui problemi posti allo Stato bizantino dal
vagabondaggio dei Messaliani e dalle loro pratiche: la regolamentazione della vita sessuale nella normativa
sociale/statale della famiglia, fondamentale per il controllo della coesione sociale. Sul piano storico si pu poi
notare come la normativa islamica non sia, su questo tema come su quello dei divieti alimentari, una peculiare
invenzione, perch essa si ricollega ad antecedenti veterotestamentari che il Giudaismo aveva iniziato a superare
gi ai tempi del Profeta: anche se non manca ancor oggi, anzi, va rafforzandosi, un fondamentalismo giudaico
non troppo dissimile, concettualmente, da quello islamico. Su questo e analoghi argomenti, il testo di Ab
Sahlieh, pur nella sua esposizione neutra, non manca di far notare le cautele di giudizio dei giurisperiti
desperienza, e le troppo sbrigative interpretazioni legali dei moderni (sottolineo moderni, perch il fenomeno
appartiene alla modernit islamica) fondamentalisti di facile conio, con il loro compulsivo ricorso al takfr. Ab
Sahlieh poi, con qualche citazione aneddotica, non manca di far balenare ci che ognuno sa o dovrebbe sapere: il
comportamento reale dei Musulmani non mai stato omogeneo alle severe normative sharaitiche. I vizi e i
vizietti vi sono comunemente praticati, e la religiosit popolare (come il contestato culto dei Santi e forme
striscianti di sincretismo) ampiamente diffusa. Altro elemento di riflessione che emerge dal testo, e che conferma
quanto notavo in apertura, che i crimini veramente gravi per la normativa sono (e sono sempre stati) soprattutto
tre: ladulterio, il furto e lapostasia, cio le tre devianze che pi di ogni altra hanno laggravante di costituire un
fattore negativo ai fini della compattezza sociale. Lapostata in particolare, avvertito come nemico dei genitori
e della comunit (p. 168). C di pi: lossessione per la compattezza sociale ha portato al recupero della antiche
fatw di Ibn Taymiyya, da parte di un fondamentalismo che prende di mira, e concretamente perseguita,
1276
Nusayriti (Alawiti) Drusi, Ismliti e Bah (sulla situazione di Yezdi e di Aleviti/Bektsh ho fatto cenno
altrove). Lultima parte del testo, dedicata alle normative in materia economico/commerciale, interessante per
altro verso. Qui, dove la giurisprudenza deve confrontarsi sia con la dura realt del potere economico, sia con le
esigenze di funzionamento delleconomia e del commercio in generale, affascinante osservare con quanta
strenua abilit i giurisperiti aggroviglino i propri sforzi razionali per rendere compatibili le norme sharaitiche con
una realt molto pi prosaica.

Unattenzione particolare va riservata a Islam (Le religioni e il mondo moderno, a cura di G.


Filoramo, vol. 3 a cura di R. Tottoli, Torino, Einaudi, 2009). Bench largomento generale del volume, che si
avvale di 25 contributi cui si deve aggiungere il saggio introduttivo-riassuntivo di R. Tottoli, sia in generale
estraneo allimpianto del presente testo dedicato essenzialmente allorigine e agli sviluppi storici della dottrina
islamica, la pi gran parte dei contributi offre riferimenti al presente che sono comunque significativi per quanto
sono andato esponendo circa le vicende formative. La comprensione dellattualit e dei suoi antefatti risalenti al
periodo coloniale non pu infatti prescindere dal loro fondamento, oltre ad essere utile per comprendere meglio
il carattere per nulla monolitico della religiosit e della cultura islamica, quanto mai lontano dallo stereotipo che
ne forniscono i media ad un pubblico occidentale per la pi gran parte impreparato. Il carattere indiscutibilmente
nuovo dellesperienza moderna costituito infatti dalla giustapposizione (di mescolamento non si pu ancora
parlare) di due culture che hanno vissuto storicamente un rapporto per lo pi di confine, fatto di estraneit: ma
anche di scambi tra le rispettive sfere di confine. Due fatti, che costituiscono loggetto di indagine di Islam,
vennero a rompere questa situazione consolidata destabilizzando la percezione della propria e dellaltrui sfera:
lavvento del colonialismo occidentale in terra dIslam nel corso del XIX secolo e della prima parte del XX; e la
massiccia immigrazione islamica in occidente nella seconda parte del XX, ancora in pieno corso nel XXI. Va
rilevato tuttavia che, per quanto riguarda questo secondo fenomeno, Islam sembra previlegiare, con la parola
occidente, la prospettiva europea, lasciando desiderare una specifica indagine del fenomeno nel Nord America,
dove presente in forma massiccia e genera specifiche situazioni che andrebbero analizzate: certamente per,
non nellottica improduttiva degli scontri di civilt, e neppure in quella demenziale del politically correct, che
rende un Occidente scristianizzato e relativista sempre pronto a cedere alle pressioni dellala pi aggressiva del
proprio islam interno -ultimo, al momento in cui scrivo, il caso dellannunciatrice norvegese- testimoniando una
drammatica rinuncia a una propria identit culturale. Senza identit culturale una civilt non si scontra,
semplicemente muore e lascia il posto ad altri, sicch non sembra peregrino il reiterato occuparsi di una crisi
dellOccidente. Per puri motivi cronologici (il testo uscito nel 2009) manca invece lanalisi della cosiddette
primavere arabe. Ci premesso, vorrei entrare nel dettaglio dei singoli contributi, molti dei quali significativi
per gli scopi della nostra ricerca, anche perch questa scelta mi sembra una via pi percorribile, ancorch
parcellizzata, rispetto alla difficile impresa di riassumere in unesposizione generale un complesso di argomenti
che tendono necessariamente a sovrapporsi. Uno dei temi pi diffusamente trattati nei vari articoli quello della
modernizzazione, che non pu essere disgiunto dallaltro argomento generale, la globalizzazione. Entrambi sono
trattati con lo sguardo attento di chi non soltanto deve smentire i luoghi comuni (siamo in presenza di un testo
rivolto ai non specialisti) ma anche mostrarne il radicamento nella ideologia di Occidente, dunque anche nel
retaggio della nostra cultura ottocentesca. infatti luogo comune, eredit del post-illuminismo razionalista e
storicista, ritenere che la modernit sia un fenomeno legato esclusivamente alloccidente, laddove lIslam, in
modo particolare nelle sue correnti a vario titolo salafite che si oppongono alloccidentalizzazione e brandiscono
la Sharah, rappresenta un reazionario e antistorico tentativo di ritorno al passato. Nulla di pi errato: quelle
correnti sono il frutto di un ammodernamento della societ islamica, messo in moto dal traumatico contatto con
loccidente iniziato nel XVIII-XIX secolo, e dalla constatazione dellinadeguatezza dellIslam tradizionale nel
reggere il confronto. Se mi concesso un inciso, ci dovrebbe essere ben chiaro a quanti abbiano recepito la
critica alla modernit nella sua accezione ideologica che percorre questo mio testo: moderni e progettisti di
una storia lo siamo tutti in quanto viviamo, esperiamo e pensiamo in questo nostro tempo; laddove lideologia
post-illuminista e post-hegeliana dellOccidente considera moderno soltanto ci che prosegue lungo un
percorso tracciato in una immaginaria teleologia della storia e prelude a ulteriori superamenti nella medesima
direzione. Ogni diversa ipotesi di futuro sarebbe quindi antistorica, attributo che viene inteso come una
condanna senza appello allimproponibilit e al conseguente fallimento; lattributo si configura perci come un
mero e supponente giudizio di valore, che pu avere anche un senso nellambito di una lotta ideologica, ma che
non ha alcun fondamento razionale e scientifico. La critica al concetto occidentale di modernit per lappunto
largomento con il quale I. Weismann apre il suo contributo intitolato Lislam e il concetto di modernit, nel
quale ricorda innanzitutto (p. 68 sgg.) come la modernit appartenga ormai al passato, perch ci che in
dubbio lo stesso fondamento della Ragione illuminista, con le sue verit universali e il mito del Progresso.
Nota Weismann che una caratteristica della modernit fu lo svincolarsi dello Stato, delleconomia e della
scienza, dalla sfera della religione; con il che, vorrei notare, iniziava quel fenomeno di erosione del mito di
fondazione sul quale era stata costruita la civilt occidentale. Fenomeno dunque puramente occidentale questa
modernit, la cui introduzione nel mondo islamico apparve quindi come unimposizione, un fenomeno di
colonialismo culturale; e tuttavia essa vi fu presa a modello dalle lites, che pensarono di poter sostituire la
religione con le ideologie del nazionalismo e del socialismo: secondo una logica occidentale il mondo islamico
1277
tradizionale era visto come il regno dellarretratezza e dellignoranza. B.M. Nafi, nel suo Modernismo e
riformismo islamici, ricorda infatti che il modernismo islamico si esplic in una concentrazione del potere nella
mani dello Stato (p. 118), un evento nuovo per una societ nella quale il potere non era mai stato concentrato (p.
126 sgg.). In questa evoluzione, gli stessi ulam, che avevano costituito fonti indipendenti di autorit,
divennero parte delle istituzioni ufficiali, portando cos la Sharah nel cuore dello Stato (p. 129). Si delinea in tal
modo quel fenomeno del quale ho pi volte fatto cenno, in conseguenza del quale nel mondo islamico moderno
non si verifica affatto quel che si crede volgarmente in occidente, cio lasservimento della politica alla
religione, bens lesatto opposto. NellIslam tradizionale infatti, la Legge aveva sempre anteceduto lo Stato; con
lassunzione del moderno ruolo dello Stato i due poli si sono dunque invertiti, e questa inversione anchessa, in
termini di pura constatazione temporale, non di ideologia occidentale, un portato della modernizzazione del
mondo islamico. Quanto strumentale sia stato perci luso della religione da parte della politica, lo si evince dal
contributo di R. Brunner, Sunniti e sciiti nellislam moderno tra guerra civile e avvicinamento, ove si nota (p.
436) questo fenomeno di crescente politicizzazione del dibattito religioso, la cui conseguenza molto logica e
affatto paradossale stata lislamizzazione della politica. In particolare, riferendosi al mondo shita, Brunner
sottolinea quanto avevo gi messo in evidenza supra (p. 1244) e cio che la dottrina inaugurata da Khomeyni
costituisce uneclatante rottura con la dottrina sciita (p. 441) anche per il suo verticismo (cfr. supra, p. 1243)
che non ha precedenti. Tant, ricorda Brunner a p. 442, che quella dottrina non fu approvata non soltanto fuori
dallIran, perch anche in Iran non tutti riconobbero a Khomeyni il ruolo di marja-i taqld unico (come arriv a
quel grado religioso lho ricordato a p. 1244). Tra gli aspetti con i quali si manifestata la modernit nel mondo
islamico (con effetti che vedremo contraddittori) particolarmente rilevante stata la critica al tradizionalismo dei
dotti religiosi, gli ulam, nellinterpretare il Corano; un fenomeno reso particolarmente vistoso dal fatto che
lIslam non ha una Chiesa n unautorit religiosa centrale, talch lo stesso concetto di ortodossia non ha altro
fondamento se non quello dellesistenza di un seguito significativo (si ricordino le ortodossie plurime citate nel
presente testo). Questo quanto mette in luce E. Moosa nel suo articolo intitolato I modelli della tradizione: gli
ulema e il concetto di normativit nellislam contemporaneo, a p. 522. La modernit fu dunque un tentativo di
mettere da parte gli ulam, per i quali il Corano aveva un valore costitutivo per la Legge, per vedere nel testo
sacro, da parte degli intellettuali modernisti, un puro riferimento indicativo delletica. Questi intellettuali
leggevano infatti il Corano non gi come modello atemporale (si ricordi il dogma vincente hanbalita del Corano
increato ed eterno) ma come testo prodotto in una societ storicamente puntualizzata. Su questo punto
dunque interessante larticolo di A. Saeed, Tendenze fondamentali nella moderna esegesi coranica e idee
emergenti per un approccio contestuale al Corano, il quale sottolinea il ruolo fondamentale di Shfi nel
trasformare il Corano da parola di Dio a manuale di diritto (p. 295). Questo ruolo di Shfi stato illustrato
in pi luoghi nel nostro testo, e non ritengo perci necessario tornarvi sopra. Nota tuttavia Saeed, la discutibilit
di questa piega assunta dallIslam, in quanto nel Corano gli aspetti normativi hanno un ruolo sorprendentemente
esiguo (p. 296). [Ricordo al lettore che il Corano si suddivide in sure meccane e medinesi, e che le seconde, al
di l del messaggio etico del Profeta, hanno anche un risvolto normativo dovuto alla necessit di organizzare la
prima comunit]. Ora, questa trasformazione del Corano in manuale di diritto, un fatto che gioca un ruolo
decisivo nel fenomeno della modernit islamica. Nel suo articolo Conflitti nellislam della periferia asiatica e
africana: dottrine, cultura e politica, D. Reetz sottolinea il formarsi di tre correnti nellIslam entrato in contatto
con la modernit europea: accanto ai tradizionalisti, sostenitori della continuit dellIslam tradizionale, si
formarono due correnti modernizzanti: quella dei modernisti, pronti a modificare linterpretazione religiosa per
adattarsi al progresso (p. 480) e quella dei revivalisti, animati da il desiderio e la pratica di rinnovare e
purificare la fede (p. 482). Larticolo di Reetz, dedicato alla periferia in tutti i sensi, non soltanto geografici,
dellIslam, fa cenno anche ai Bah e agli Alev; ma mi sembra ora significativo interessarsi al revival islamico
e alle sue varie espressioni. Si tratta del ben noto Salafismo, termine generico che per ha specifiche accezioni,
principali tra tutte il Wahhbismo e i Fratelli Musulmani, con tutte le loro diversit regionali. A questi
movimenti dedicato anche, ma non soltanto, il contributo di R. Schulze, Lislam e il pensiero e le ideologie
occidentali. Nota Schulze che questo revivalismo caratterizzato dal rifiuto delle forme di religiosit
tradizionale (culto dei Santi, etc.) considerate empie e causa del declino dellIslam (qui, noto, si vede bene
linfluenza del Razionalismo occidentale del XIX secolo, importato con il colonialismo). Ad esso viene
contrapposta una destoricizzazione del canone religioso (p. 172) che si rivolge alla Sunnah come fonte
primaria di esegesi. LIslam diveniva cos una normativa etica, e la riforma si trasformava, da riforma dellIslam,
in una riforma dei Musulmani (p. 173). Le discussioni tra riformatori salafiti riportate da Schulze (pp. 171-179)
sono tuttavia interessanti perch rivelano -su questo torneremo infra- una dialettica che, mentre non coglie o
evita di affrontare le radici della crisi islamica, offre in compenso unarma puramente ideologica, sulla cui facies
torner infra, utile tuttavia a far presa allinterno del mondo islamico. Nota cos Schulze il formarsi di un Islam
pubblico iscritto nella societ come istituzione normativa ma completamente disgiunto dalle vecchie istituzioni
religiose (p. 181). La Sharah divenne, da fondamento interpretativo, prassi normativa a disposizione di
chiunque (p. 182). Per comprendere questa affermazione, necessario ricordare quanto s detto pi volte:
nellIslam non c una gerarchia che imponga interpretazioni univoche, per conseguenza questi movimenti
hanno portato al formarsi di autorit autoreferenziali, caratterizzate da interpretazioni semplicistiche, e di norma
letteraliste, del Corano e della Sunnah. LIslam, come ordine sociale normativo infuso nella sfera pubblica (p.
1278
191) dunque una delle espressioni della modernit islamica. Unampia rassegna su questa modernit offerta
da C. Bori, Il pensiero radicale islamico da Ibn Abd al-Wahhb a Mawdd e Sayyid Qutb: tradizione o
modernit? La Bori sottolinea ad apertura (p. 69) che tradizionalismo, cio imitazione del passato, e modernit,
accomunati dal rifiuto dellegemonia occidentale, sono soltanto apparentemente contraddittori. In effetti essi
appaiono tali soltanto nellottica dellideologia occidentale, e comunque vorrei sottolineare, come ho fatto pi
volte, che quel passato una pura invenzione, un mito dellet delloro proiettabile in un passato ma anche in
un futuro del tutto atopici, un po come le Isole Felici che potevano essere nellestremo occidente ma anche
nellestremo oriente, di certo fuori dallecumene. Venendo alle singole manifestazioni, la Bori si occupa in
primo luogo di Ibn Abd al-Wahhb, della cui predicazione nota tanto la banalit quanto laggressivit (p. 73)
(ma di questo s gi fatto cenno nel presente testo) nonch la sua origine hanbalita, e il fatto che essa ebbe
leffetto di restituire visibilit a un grande del passato caduto nelloblio, Ibn Taymiyya (p. 81). Nota a questo
riguardo la Bori (p. 84, e la notazione mi sembra significativa): il wahhbismo ha un modo di argomentare che
appartiene ancora allislam medievale (lislam del passato) tuttavia la semplificazione delle categorie religiose
utili ad articolare una politica di inclusione ed esclusione e la loro liberazione dalle anguste strettoie
legalistiche che fino a quel momento le avevano caratterizzate, le ha rese fruibili, quindi utilizzabili anche
allinterno del discorso pubblico. Questa dunque la sua modernit, una religione che pu essere utilizzata
dalla politica, ad un prezzo, tuttavia: la rozza semplificazione di un messaggio profetico, la rinuncia alla sua
polisemia, a ci che ne fa qualcosa di molto diverso da una transeunte ideologia. Lermeneutica fai-da-te sembra
cos caratterizzare molti leaders dellIslam contemporaneo, con le loro fatw. Il testo prosegue con unanalisi
storica e ideologica degli altri movimenti dellIslam moderno, in particolare la Salafiyya e i Fratelli Musulmani,
da Hasan al-Bann a Sayyid Qutb (per il quale cfr. anche supra, pp. 831-832). A margine di questa esposizione -
alla quale si pu rinviare il lettore perch qui occuperebbe un significativo ulteriore spazio- mi sembra tuttavia si
possano avanzare alcune considerazioni di carattere generale sui contenuti ideologici delle dottrine messe in
campo. Vi si nota (pp. 100-101) una proposta di ferrea supervisione centralizzata delleducazione e dei costumi,
ispirata al pi rigido puritanesimo coranico (v una certa affinit tra il modernismo islamico e il puritanesimo
protestante) e con ci una dominante attenzione ai temi sociali. Essa si manifesta scrive la Bori a p. 101
attraverso una ferma volont di controllo della vita sociale e dei modi di espressione culturale e di
intrattenimento popolare perch proprio questi modi danno visibilit allinfiltrazione di modelli occidentalizzanti
nel tessuto sociale, urbano soprattutto. Si vuole la modernit rifiutandone per gli aspetti che contrastano con la
morale e letica della religione islamica (p. 110). La modernit si pu affrontare solo riappropriandosi della
propria specificit linguistica, religiosa ed etica (p. 89). La radio deve essere usata a scopi educativi in senso
patriottico e morale (p. 100). Secondo Qutb, lIslam un sistema socio-economico completo e indipendente da
qualunque altra ideologia (p. 104): ricordo che questo in campo shita lo pensava anche Sharat, un tratto
comune della modernit islamica. singolare osservare la convergenza di tutto ci con le motivazioni
ideologiche che caratterizzarono il Fascismo italiano, pretesa costruita sulle parole, non sullanalisi della realt
ma di notevole efficacia ideologica per le masse, di appropriarsi a titolo proprio, entro una propria pretesa
originalit, di una modernit della quale non si comprendono le radici. una posizione tipica di intellighentzie
piccolo-borghesi di paesi messi in crisi dallirrompere della modernit: anche Hasan al-Bann era un maestro
elementare. una forma di reazione identitaria destinata a far breccia, un fenomeno di reazione che citeremo
infra. Un aspetto che tuttavia va rimarcato in queste ideologie, perch mostra uninteressante comprensione
dellIslam delle origini, che la predicazione del Profeta viene intesa nella sua valenza sovversiva, tema che ho
trattato nel capitolo sulle origini dellIslam, sul Giudeocristianesimo e sul ventaglio delle possibili interpretazioni
del messaggio testamentario che furono tenute al margine dallistituzionalizzazione della Chiesa di Roma.
Interessanti osservazioni sulla natura di queste ideologie vengono anche dallarticolo di C. Mayeur-Jaouen, Le
forme del carisma nellislam contemporaneo: fra tradizione e innovazione, dedicato principalmente al moderno
fenomeno degli shuhad che incarnano, a sua non infondata opinione, una nuova forma di paradigma nihilista
(p. 375). C, ella nota, una inflazione di santi, di eroi e di martiri (p. 377) che denuncia una
strumentalizzazione della religione da parte della politica (ivi); tanto pi che il culto e liconografia di questi
martiri, o, in genere, dei leaders, attingono alliconografia del Santo e del Profeta (pp. 378-379).
Losservazione pi interessante, a proposito di quanto detto sopra circa il paragone con la modernit fascista,
si trova a p. 382 a proposito del leader che si supponeva incarnare le aspirazioni di tutto un popolo la cui figura
fu fortemente ispirata ai modelli fascisti nellintervallo tra le due guerre. Ho gi ricordato a suo tempo e al
riguardo, la propensione dei paesi islamici verso lideologia fascista, seguita, dopo la seconda Guerra Mondiale,
da quella verso lideologia comunista. Siamo nellambito del pi generale atteggiamento anti-occidentale come
reazione alla colonizzazione culturale dellOccidente, da parte di popolazioni e culture che ne erano, a vario
titolo, a margine. I martiri degli attentati suicidi scrive la Mayeur-Jaouen a p. 391 sono il frutto della
modernit, dello sradicamento e della modernizzazione. Essi quindi non sono, aggiunge, il frutto di una
tradizione millenarista propria dellIslam (ivi). Questa tradizione tuttavia ben evidente nel permanere odierno,
nellIslam, della letteratura apocalittica, circa la quale ho ampiamente citato in pi luoghi lanalisi di D. Cook,
che qui torna con il contributo Apocalittica ed escatologia nellislam contemporaneo. Avendo gi trattato
lAutore e largomento, trovo superfluo tornarvi sopra, se non per segnalare che larticolo fa riferimento a una
letteratura che sta conoscendo vasta diffusione; essa riflette la paura della modernit e del liberalismo politico
1279
e la paranoia sullavvenire antireligioso di una societ basata unicamente sulla scienza e sulla tecnologia (p.
322). Cook particolarmente duro nel suo giudizio sullo stato di salute dellIslam; tuttavia due argomenti
meriteranno di essere evocati ancora infra, quello del liberalismo e quello della religione. Quanto alla paranoia,
mi sembra trattarsi di un fenomeno diffuso anche altrove; e tuttavia gli esiti delle recenti primavere arabe non
sembrano tali da generare ottimismo. A mio modesto avviso si tratta in ogni caso della paura, occidentale ma
anche islamica, di pensare limpensabile (tanto per ricordare un fenomeno citato da Arkoun); di certo, per
inquadrare in modo meno ideologico lIslam oggi, necessario tentar di comprendere come e perch si
determinato il fenomeno preoccupante del fondamentalismo, e il suo reale peso allinterno del variegato mondo
musulmano. Abbiamo gi fatto comunque due considerazioni significative: il fondamentalismo un fenomeno
connesso alla modernit e non rappresenta che uno dei possibili esiti dellIslam, tanto che esso viene a
confliggere con il mainstream della tradizione. Su questo percorso dindagine pu offrire ausilio larticolo di B.
De Poli, Islam e secolarizzazione, peraltro non privo di qualche indulgenza, forse originata in una qualche forma
di anti-occidentalismo. Appare infatti singolare attribuire (soltanto) alla pressione imperialista contro lImpero
Ottomano lappoggio allindipendenza della Grecia nel XIX secolo (p. 226). Inoltre sembra un po riduttivo il
ruolo attribuito alla Sharah nei sistemi giuridici islamici, come se il suo decisivo ruolo nel diritto di famiglia (p.
235) non fosse uno degli argomenti principali sui quali si appunta, con una qualche ragione, il giudizio negativo
delloccidente. Nel complesso sembra inoltre prender corpo un certo understatement nel parlare del peso
sharaitico sulla normativa legale, per la quale forse meglio rifarsi ad Aldeeb Ab-Sahlieh. A parte ci,
larticolo utile perch mette in rilievo la discontinuit tra il moderno Islam radicale e lIslam tradizionale;
richiamando lanalisi di O. Roy si sottolinea che i rappresentanti dei nuovi partiti religiosi o di ispirazione
religiosa, non formulano le proprie dottrine partendo dalla cultura religiosa tradizionale, ma dalla cultura politica
contemporanea nella quale iniettano valori islamici (o rivendicati come tali) che permettono di mobilitare le
masse. Essi non propongono il trasferimento di valori religiosi nella politica, ma la politicizzazione e la
reificazione dellIslam, che, da religione, si trasforma in ideologia (pp. 242-243). Qui si innesta dunque il
motivo sociale che vede i ceti medi e medio-bassi frustrati, cercare nei valori religiosi uno strumento di riscatto,
come accadde in Iran (p. 243). Se mi concesso un inciso, nel caso iraniano un peso determinante lo ebbe
comunque la politica occidentale, non soltanto asservita alle famigerate sette sorelle, ma in ci anche
particolarmente miope e stupida: penso al caso Mossadeq. Lislamizzazione ideologica ha costituito dunque un
processo di secolarizzazione (ivi) come avevamo gi notato commentando le paradossali evoluzioni della Shah
con Khomeyni. Il risultato fu che il dominio dellislamismo, lungi dal provocare un ritorno religioso, si risolto
nella coercizione verso pratiche patriarcali retrive imposte attraverso il ritorno rigido ed estensivo alla
Sharah (pp. 243-244). Resta tuttavia da chiedersi se la rigidit della Sharah non debba qualcosa allopera di
Shfi e allinvenzione della Sunnah del Profeta (e dei Compagni) che, pure, con lIslam tradizionale hanno
qualcosa a che vedere. La De Poli cita comunque limposizione del velo e la discriminazione dei generi (pi
esplicitamente: delle donne) tra le pratiche patriarcali trasformate in norme religiose: argomenti che avrebbero
meritato una trattazione a s e comunque nellambito di un discorso relativo al formarsi della Sharah attorno a
due controvertibili concetti-chiave, il Corano increato ed eterno e la reale origine storica degli ahdth che
formano la Sunnah del Profeta (in primis quelli quds) e dei Compagni. Conclude comunque la De Poli (p.
245) che le correnti islamiste trovarono il proprio humus nella destabilizzazione provocata dal processo di
globalizzazione. In questo senso interessante quanto espone M. Boivin nel suo Religione popolare e
islamizzazione nel mondo musulmano contemporaneo, nel quale si ricostruiscono le pratiche dellIslam popolare
tradizionale, vale a dire di una religione osservata non nel suo impianto dottrinale, ma nelle sue concrete
manifestazioni quotidiane, la religione vernacolare della quale s detto pi volte. Una constatazione
interessante riguarda una certa rilassatezza e gioiosit dei costumi che precedette le recenti riforme islamiche, e
la fondata individuazione, nel rigorismo puritano degli occupanti e nel Razionalismo occidentale, delle origini
del movimento di riforma che, denunciando la decadenza e la corruzione dellIslam, impose la (ideologizzata)
purezza salafita (p. 475). Unanalisi attenta della modernit islamica offerta in particolare da A. Ventura, Il
mondo islamico contemporaneo e la costruzione di una nuova identit. Ventura esordisce con una affermazione
che ritengo fondamentale nei confronti di tanta chiacchiera che annebbia il panorama ideologico occidentale: per
capire la realt dellIslam necessario partire dai princip fondamentali dellIslam cos come si concretizzato
nella storia (p. 275). Ventura esamina poi come, in mancanza di unistituzione gerarchica, la ortodossia
islamica sia stata fondata a suo tempo sul consenso; ma il consenso, nota a p. 277 un elemento di forte
conservazione che porta a una sostanziale moderazione sunnita. A conferma di ci v che, come ricorda
Ventura nessun credente pu affermare la miscredenza di un suo confratello (ivi): affermazione aurea ma che
non sembra aver trovato molta attenzione, a mio avviso, nella storia dellIslam. LIslam odierno ha tuttavia radici
che non possono essere se non nel nuovo rapporto che sinstaur con loccidente, dapprima con il colonialismo,
poi con lemigrazione. Molti degli elementi, anche esteriori, della reislamizzazione (o neo-islamizzazione) come
il velo e la barba sono il frutto di una ricerca identitaria del tutto attuale, ma non facevano parte dellIslam
tradizionale (p. 278) se non come atteggiamenti stigmatizzati in quanto esibizione della differenza,
comportamenti non apprezzati da una religione del consenso che non amava la disomogeneit. Quanto alla
distinzione tra un Islam colto e un Islam popolare, essa nata con linflusso dellorientalistica (p. 280; mi
sembra per che gi Ibn Taymiyya avesse idee molto decise nei confronti della religiosit popolare: non per
1280
nulla il polemico dotto hanbalita di nuovo in grande spolvero). Interessanti in generale, e meritevoli di
attenzione, sono poi alcune puntualizzazioni di Ventura che elenco qui di seguito. Innanzitutto la pretesa
(wahhbita allorigine) di vietare il culto del Profeta come attentato al monoteismo, significa abiurare uno dei
tratti pi caratteristici della propria (scil.: dei Musulmani) sensibilit religiosit (p. 281). Poi laccostamento del
rigorismo wahhbita a quello del Protestantesimo (p. 283) anche per il libero esame delle Scritture che vi fu
proclamato, in dispregio di ogni disciplina esegetica tradizionalmente costituita. Ventura ricorda nella stessa
pagina come il rigorismo, dai Khridjiti a Ibn Taymiyya, abbia sempre costituito una corrente marginale nel
mondo islamico. Lanomalia wahhbita (p. 285) ha comunque rappresentato il punto di svolta nella storia
islamica moderna anche se il Wahhbismo, rigorista allinterno, quietista in politica ( il caso dellArabia
Saudita) mentre il ben pi noto (al grande pubblico) jihdismo rivoluzionario e propugna la guerra
alloccidente (p. 287). Nota ancora Ventura (pp. 288-289) che lislamismo radicale si oppone alloccidente con
le stesse armi concettuali che lOccidente gli ha fornito, mentre i modernisti si ispirano ai principi filosofici e
scientifici occidentali, nel loro tentativo di rielaborazione dellIslam, epper restano lontani dai bisogni reali
delle masse islamiche. Lunica alternativa nella quale si perpetua lIslam tradizionale il Sufismo, un tema
assente dalla riflessione occidentale che non ne coglie limportanza, precisamente perch il pensiero occidentale
insiste a guardare il mondo soltanto attraverso le proprie lenti ideologiche. Apro perci una parentesi sul
contributo di S. Pagani, Sufismo, neo-sufismo e confraternite musulmane: il confronto con il mondo moderno. Se
mi consentito ridurre a poche righe e ai punti salienti un articolo denso di informazione e discussione, mi limito
a porre in luce quei temi che trovano riscontro in quanto abbiamo affrontato nel nostro testo. Innanzitutto la
libert nei confronti di unermeneutica letteralista della Legge, che si esplicita nel distacco dalle quattro (o
cinque) scuole giuridiche, e una libera ricerca, quale si addice a una prassi mistica che pone in primo piano il
sapere del cuore. Linterpretazione mistica del Libro apre ad una infinit di significati ed allorigine di
una rivelazione ininterrotta (p. 45). Nota la Pagani, riferendosi al pensiero di Mahmd Muhammad Tah,
giustiziato nel 1985 per le sue idee, che la concezione di un continuo rinnovamento della Rivelazione nel tempo
seguendo levoluzione delluomo e della societ per le sue radici storiche non meno autenticamente islamica
(corsivo mio) di quelle dei movimenti a tendenza fondamentalista. Ora, nulla pi di questa affermazione pu
trovare consenso, e coincide con tutto ci che ho tentato di mettere in luce parlando di Shaykhismo, Bbismo e
Ismailismo nizrita, e un po anche del ruolo che avrebbe potuto avere il Gods Caliph se non fosse stato
ridimensionato a semplice amr al-muminn dal montante partito popolare degli ulam. Questo bene
ricordarlo sempre, perch non si deve ritenere che lunico sviluppo ortodosso e conseguenziale delle premesse
profetiche sia stato il Sunnismo, men che mai il Wahhbismo, il Salafismo e i fondamentalismi di ogni sorta.
Questi ultimi sono sviluppi moderni stimolati dal contatto con loccidente, e, nonostante il triste spazio che
occupano nelle cronache, minoritari; non per questo, per, meno pericolosi. Torno quindi allarticolo di Ventura
per segnalarne le conclusioni; interessante tra tutte la sottolineatura del distacco esistente tra la massa dei fedeli e
lIslam estremista, i cui attivisti si sono allontanati ancora da ogni forma conosciuta di Islam (p. 291) con la
loro guerra totale alloccidente. Quanto per ai pensatori illuminati, anche loro hanno perso il contatto con la
propria civilt, lIslam tradizionale infatti ha rifiutato di imboccare la strada dellumanesimo o dellilluminismo,
non per un accidente di percorso, ma perch questi modelli non si confacevano ai princip ritenuti essenziali
dalla mentalit musulmana (p. 292). Un Islam liberale sarebbe nientaltro che una replica dellOccidente. Se
posso esprimere unopinione, questo mi sembra un punto fermo sul quale torner in chiusura. Segnala inoltre
Ventura (e questo ci noto anche dalle cronache) che gli esiti pi devastanti del neofondamentalismo e del
jihd globale sono anchessi frutto di identit ricomposte in Occidente (corsivo mio) sotto la spinta di tortuosi
percorsi di acculturazione (p. 293); e che la gravit del confronto tra mondo islamico e mondo occidentale
nella societ globalizzata, ha dimostrato di poter innescare processi di portata devastante (ivi). Al contrario,
lIslam tradizionale pi accomodante e pragmatico ma anche non disponibile a farsi assimilare abiurando la
propria identit (ivi). Entriamo qui in un ulteriore argomento di riflessione che apro con larticolo di P. Branca,
Temi e questioni degli intellettuali arabi e musulmani nel XX secolo, dal quale traggo alcune affermazioni che
trovo pertinenti a quanto discusso nel nostro testo. Nota infatti Branca (p. 205) che quando il contatto con
loccidente port la riflessione sulla necessit di svincolarsi dagli aspetti statici del pensiero religioso nel
mondo islamico ci si rese conto che in tal modo sarebbero andati perduti gli elementi di continuit necessari alla
conservazione della propria identit. Mi permetto di notare sommessamente che qui si chiama in causa il ruolo
del cosiddetto mito di fondazione (che pu essere anche una Rivelazione, per ci che essa significa
socialmente) la cui obliterazione porta alla disgregazione della societ e della cultura che su quel mito si sono
conformate; si tratta di una perdita didentit, in presenza della quale nessuna societ pu conservarsi, ed
questo il tema che, da Strauss in poi, stiamo discutendo per quanto riguarda loccidente. Ora, nella cultura
islamica la religione non pu essere tenuta separata dalla politica, non pu essere opinione privata; e mi
permetto di notare che nessuna religione (intesa nellambito testamentario) pu esserlo, e che in ci lIslam
rappresenta una comprensione coerente di quel Messaggio: non lunica possibile, certamente, ma una tra quelle
possibili. Una Rivelazione fonda una societ; ma se mi consentita una riflessione sulla storia successiva di una
specifica societ, cio dellIslam, mi domando che cosa possa accomunare concettualmente una Rivelazione con
una Tradizione. Poich la prima viene dallAltrove e la seconda tutta immanente (si forma nella storia), se la
seconda fosse in accordo con la prima, questa non sarebbe necessaria o diverrebbe, coincidendo con
1281
limmanente, tutta razionale: ci che non pu essere, per definizione. Nella vicenda formativa del diritto
sharaitico c qualcosa di troppo umano, per non pensarlo transeunte. Il problema resta sempre il medesimo: si
sacralizzata la storica e umana realt di antichi costumi, il testo non stato contestualizzato, lo si voluto
increato ed eterno. Mi domando, anche se ci pu apparire fuori contesto: quanto ha pesato, nella storia e
quindi nellevoluzione dottrinale dellIslam, il bisogno di certezze, lincapacit di vivere nella problematicit che
caratterizza il pensiero semplicistico della marginalit di ogni tempo, di ogni luogo e di ogni coloritura sociale?
forse un caso che le masse islamiche e i loro leaders abbiano avuto in passato propensioni fasciste o
comuniste? Anche questa una coerenza con le origini sociali avvenute nella marginalit espulsa dalla
formazione di due ortodossie. Un cenno di qualche interesse al ruolo della religione nei rapporti tra Islam e
Occidente, lo troviamo nelle righe conclusive dellarticolo di S. Taji-Farouki, Islam e altre religioni nel conflitto
globale, peraltro tutto dedicato al conflitto arabo-israeliano e ai rapporti tra lantisemitismo occidentale e
islamico. Nota la Taji-Farouki che il problema della secolarizzazione ha portato a delle convergenze tra Islam e
Cristianesimo, mentre la modernit occidentale, antireligiosa, ostile allIslam in quanto assunto a paradigma di
societ ostinatamente religiosa (cfr. p. 427). Credo di aver sfiorato questo argomento nel testo, e non per nulla ho
ricordato sia la repulsa dei Musulmani nel contatto con un mondo che ha destituito di valore la religione, sia il
fatto che, tutto sommato, lunico dialogo che mostra di avere qualche possibilit di risultato nel confronto con
lIslam, sembra essere quello condotto dalla Chiesa di Roma. Due diverse ma non antitetiche prospettive
sullincontro/scontro tra Occidente e Islam si aprono quindi con i contributi di Moussalli e di Meulemann.
Moussalli, nel suo Lislam fondamentalista: ultimi trentanni di evoluzione del pensiero e prospettive verso il
XXI secolo, ritiene che le azioni dei fondamentalismi avranno effetti di lunga durata sulle fasi socioeconomiche
e politiche mondiali (p. 545) e che lIslam, presentato come visione alternativa alla modernit occidentale (p.
547) costituisca una critica a questultima e rientri in una pi ampia ricerca di autenticit culturale (p. 548) che
ha messo in discussione le teorie della natura laica della modernizzazione e della modernit (p. 549). Di certo,
le categorie da lui individuate nellideologia islamista che invocano lautenticit e condannano il
materialismo mi ricordano motivi che furono della destra fascista europea: slogans di intellettuali piccolo-
borghesi che cavalcano crisi delle quali sfugge il fondamento. Loccidente si trova perci a comprendere
lislamismo come il nemico numero uno che ha sostituito il Comunismo (p. 550); il che certamente vero, ma
ricordo che prima del Comunismo il nemico fu il Nazismo e il Fascismo, manifestazioni di anti-occidentalismo
nate dalle pulsioni di una marginalit ideologizzata. Sotto qualunque latitudine, sono le paranoie nate
dallincapacit di comprendere ci che realmente accade nel mondo, quali sono le sfide e come le societ
possano affrontarle. Non c dubbio infatti che, come afferma Moussalli, le persone riaffermano la propria
identit se questa minacciata (p. 552) e che lattuale globalizzazione conduce alla perdita delle radici (ivi)
con conseguente eliminazione di vecchi stili di vita (ivi). Piaccia o meno, non c dubbio infatti che i processi
di globalizzazione producano reazioni per gli scompensi sociali che ne derivano, e che queste reazioni vadano
comprese nel loro concreto fondamento, cosa impossibile se ci si attesta a guardare il mondo con le sole lenti
dellideologia occidentale che immagina lOccidente come traguardo e modello per la storia del pianeta, e usa la
propria forza economica (sinch le baster!) per convincere il mondo ad adeguarsi. Credo che i primi scricchiolii
inizino a sentirsi anche dentro loccidente: la globalizzazione conduce infatti al dominio del pi forte (p. 555) e
non soltanto nel contesto internazionale, dove lAsia non sta a guardare: ci accade anche allinterno dei singoli
paesi occidentali, dove non si arresta un processo di dicotomizzazione delle singole societ nazionali. Moussalli
vede perci configurarsi una contesa globale su differenti concezioni del mondo e della societ (pp. 558-559) che
fa tuttavia dellIslam e dellOccidente due culture che non possono pi essere considerate entit indipendenti
(p. 558). Tutto ci coincide con molte interpretazioni avanzate nel presente testo; tutta la mia Storia di un altro
occidente non che un tentativo di portare alla luce questi sottili e nascosti legami, che risalgono ben a monte
della situazione attuale. Se lOccidente una realt non certamente noumenica, ma puramente ideologica e
storica (come tale soggetta a gnesis e phthor) lOriente non che uninvenzione dellorientalistica
materializzatasi per il gran pubblico nel bric--brac dellesotismo. Che poi lIslam, come sostiene Moussalli,
possa essere una rivoluzione volta a liberare il mondo dal dominio umano (p. 563) resta opinione sua; anche
perch le Rivoluzioni hanno di norma come esito le dittature; infatti, come afferma lo stesso Moussalli (p. 580) il
futuro della coesistenza non sembra roseo. anche certo per che una lotta politico-religiosa tra due opposte
modernit, mostra che modernizzazione e secolarizzazione non si implicano necessariamente lun laltra (p.
581): questo fu un processo peculiare allOccidente. Dal canto suo, la Meulemann parte precisamente da qui nel
suo Islam e globalizzazione, parte cio dalla convinzione occidentale secondo la quale tutte le societ e tutti gli
Stati sono destinati ad intraprendere un percorso che conduce al modello di vita occidentale (pp. 688-689): ma la
modernizzazione un processo che provoca reazioni, e quali, a loro volta, fanno anchesse parte del medesimo
fenomeno. In altre parole, la modernizzazione del mondo islamico pu anche essere conformata dal rifiuto della
modernizzazione occidentale: occidentale in generale, perch tanto il Liberalismo quanto il Marxismo hanno in
comune il mito illuminista e storicista del Progresso. Non affatto certo, perci che la modernizzazione debba
passare per laccantonamento della religione: quanto sia importante la religione lo si visto infatti nelle recenti
guerre balcaniche (p. 691). In questi paesi laumento della mobilit sociale causato dalla modernizzazione, ha
accresciuto, non ridotto il peso dellappartenenza etnico-religiosa (ivi). La globalizzazione non un processo
che, da un centro fisso estende gradualmente la propria influenza a modello di vita al resto del mondo (ivi).
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Daltronde anche lIslam stato un modello globalizzante, e i processi di unificazione transnazionale non sono
affatto un fenomeno nuovo (p. 692). Per quanto concerne la religione, anche se essa non stata la causa
dellinsorgere dei movimenti di identit nazionale nellultimo dopoguerra, ha fornito loro pur sempre le
motivazioni ideologiche e il supporto organizzativo (p. 695). Cos, a conclusione, la Meulemann sostiene che il
fenomeno islamista figlio della globalizzazione (una tesi sostenuta da tutti gli Autori) ma che la Salafiyya ha
attecchito, in occidente, sulle seconde e terze generazioni degli immigrati, e che la Dichiarazione dei diritti
umani dellIslam, adottata dai Ministri degli Esteri di 45 Stati, membri dellOrganizzazione della Conferenza
Islamica, non che una risposta a quella delle Nazioni Unite del 1948, perci un fenomeno di
controglobalizzazione (pp. 696-697). Alla stessa stregua deve considerarsi la diffusione del velo (cfr. supra, p.
1306) in aumento rispetto al passato (p. 698). Chiudo questa rassegna con il contributo di S. Allievi, dedicato a
Lislam degli immigrati e dei convertiti, un campo di ricerca al quale Allievi ha riservato molti e dettagliati
studi. Entrambi i campi dindagine (immigrati e convertiti) sono certamente interessanti; a me sembra
significativo iniziare dal secondo, perch ci d unidea delle affinit che possono manifestarsi allinterno della
nostra cultura. Tralascio, perch sovente strumentali e comunque troppo connessi con situazioni individuali, i
casi non infrequenti -e, nel caso di donne, riconoscibili a colpo docchio per gli evidenti segnali esteriori- di
conversioni conseguenti a scelte matrimoniali, per concentrarmi su quella che nascono da chiare scelte culturali.
Queste conversioni appaiono sempre significative, quali che siano i percorsi che le hanno originate. Sono
interessanti, ad esempio, quelle nate dallincontro con la mistica sf, sempre molto attraente per una cultura,
quale quella occidentale, che di fatto mette al bando ogni forma di percorso non razionalista, ogni rifiuto di
venerare lastratta Ragione e di considerarne i limiti, privando cos ogni mente, davvero razionale e riflessiva, di
approcci al reale che non passino per lindagine scientifica, rinunciando a porsi, anzi, rifiutando di porsi (in
quanto non definibile scientificamente) il problema del senso, lunico che pu fondare una cultura
dellesistenza (e che genera sorprese negli sviluppi della storia: un mondo senza senso si sgretola dallinterno).
Pi interessanti sono per le conversioni che hanno un retroterra politico, quelle cio che sono attratte dalla
dottrina sociale dellIslam e dalle certezze che le sono conferite dal fondamento religioso. Afferma infatti al
riguardo Allievi (p. 621) che il retroterra politico di queste conversioni usualmente nellestrema sinistra o
nellestrema destra del nostro panorama politico, e che questo retroterra precisamente ci che fa da tramite
allingresso nellIslam (p. 622) via duscita ideale per spiritualizzare un impegno prima sociale e politico.
Come sottolinea Allievi, lelemento di attrazione la caratteristica fondante dellIslam, la sovrapposizione tra
citt degli uomini e citt di Dio (ivi), cio quellelemento atopico della cultura della marginalit che ho
sempre sottolineato a partire dalle origini dellIslam additandole nelle attese del Giudeocristianesimo, dalle quali
si alimenta la pericolosa (perch necessariamente fallimentare) pretesa rivoluzionaria di realizzare in terra la
societ perfetta, un fine che ha sempre giustificato i mezzi, anche in occidente. Da qui le coloriture
millenaristico/apocalittiche che accomunano le possibili interpretazioni sociali del messaggio testamentario e le
opzioni rivoluzionarie delle frange politiche estreme. Precisa poi Allievi (p. 622) che lattrazione islamica nasce,
per la sinistra, dallegualitarismo; per la destra dalla spiritualizzazione che conduce al tradizionalismo (qui cita
il caso dei gunoniani). Non soltanto nel caso della sinistra (sottolineato da Allievi) saremmo per nel campo
dellantioccidentalismo, ma a mio avviso, anche in quello della destra; si tratta di forme diverse di cultura ma, in
ogni caso, di cultura della marginalit, che non soltanto rivoluzionaria: anche le pretese intellettuali di
intellighentzie malcerte e frustrate di estrazione piccolo-borghese, ne fanno parte. Allievi sottolinea inoltre come
i convertiti motivati da impegno sociale si trovino ai vertici, o nei quadri intermedi, nellassociazionismo
islamico, nelle moschee, nelle iniziative politiche e nellattivit di lobbying in favore del riconoscimento
dellIslam. evidente infatti che la loro conoscenza del mondo degli ospitanti conferisce loro una capacit di
manovra politica alla quale utile affidarsi da parte degli immigrati. Essi svolgono un ruolo di interfaccia e di
intermediazione con le societ europee tuttaltro che trascurabile, con un peso e una visibilit che trascende
largamente il loro peso numerico (p. 623). Anche gli shuykh di molte confraternite sf sono dei convertiti
(ivi). In generale Allievi si sofferma perci a lungo nel descrivere limportanza del ruolo che assume, per il
mondo dellimmigrazione, la presenza di un numero di convertiti occidentali: a me interessa notare quanto mette
in luce tutto ci: la presenza di una critica allideologia di Occidente allinterno delloccidente stesso. Un caso a
parte di queste conversioni, sottolineato da Allievi, quello delle conversioni di orientalisti e arabisants (p.
621) che apre a considerazioni di altra natura. Ho gi ricordato (p. 863 e p. 1036 supra) licastica espressione di
Ibn Warrq (nom de plume inviso agli Accademici) che parla di studiosi col turbante nel cervello e, a
prescindere da polemiche altrui che qui non interessano, mi sembra che ci inviti comunque ad una attenta
lettura critica della produzione anche accademica che potrebbe essere condizionata da posizioni culturali a
fondamento religioso. Non poi da sottovalutare che istituzioni di ricerca accademica occidentali -nel mondo
anglosassone, ma non soltanto- vivano di finanziamenti provenienti dal mondo islamico (a proposito di una sua
personale polemica con i Bah, c un interessante articolo di Mac Eoin su British Soc. for M.E. St. 17,1, 1990
che cita le proprie personali disavventure per non aver soddisfatto i finanziatori del Golfo con il risultato delle
proprie ricerche). Resta comunque il fatto che in questo caso ci si trova in presenza di una attrazione esercitata su
quelle intellighentzie occidentali che, dopo la fine della stagione ottocentesca, nel corso del XX secolo hanno
teso sempre pi ad identificarsi con lestrazione piccolo-borghese: lintellettuale insoddisfatto della propria
collocazione sociale facilmente attratto dal configurarsi in avanguardia, e lattrazione islamica ha da tempo
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sostituito quella del Comunismo nel cuore degli intellettuali anti-occidentali delloccidente. Allievi tende
comunque a riporre qualche speranza nel mondo islamico che, grazie allimmigrazione, si sta costituendo in
occidente, pensa ad una riapertura dellijtihd (p. 627) in direzione di una nuova e diversa interpretazione della
Legge, di una nuova cultura giuridica che constati linapplicabilit della teologia maggioritaria tradizionale
(ivi). Certamente, i Musulmani sul suolo europeo si fanno domande sul senso della propria collocazione religiosa
(ivi) in un contesto nel quale sono minoritari. Allievi considera (p. 632) la possibilit di un cambiamento
teologico che segua quello dei costumi; circa i quali peraltro da notare che i costumi reali dei Musulmani
(almeno prima dellodierno puritanesimo) non hanno mai alimentato la soddisfazione degli ulam pi rigoristi.
Egli prospetta una serie di fasi che potrebbero condurre ad un Islam europeo con una propria marcata identit
(p. 633) ipotesi che alimenta di certo una stimolante curiosit intellettuale. In fondo, per chi non creda a una
teleologia della storia, gli sviluppi constatati dellIslam non coprono tutto il campo di ci che lIslam avrebbe
potuto essere; altri sviluppi sono sempre possibili, almeno in principio, anche perch, come sottolinea Allievi a
p. 639, nel futuro il peso della comunit islamica europea destinato a rivestire un ruolo pi importante nel
complesso generale dellIslam. Lascia perplessi tuttavia, il fatto che in occidente il fondamentalismo, che ha
conquistato anche pi di un convertito europeo, sia nato non con limmigrazione, ma con la seconda e terza
generazione, con i Musulmani nati e cresciuti in occidente: segno dellimportanza che hanno, ciascuno per s, il
problema sociale e quello dei costumi nelle fede islamica. Anche loccidente infatti messo in crisi dalla
finanziarizzazione del mondo che conseguita alla globalizzazione e che acuisce ogni giorno di pi la
divaricazione sociale; anche loccidente perplesso sui riflessi sociali delle derive libertarie: lOccidente -quello
ideologico- non sembra pi una stella polare, almeno non per tutti. Concludendo la mia lettura, mi sembra di
poter affermare che Islam, pur sviluppando tematiche che vanno al di l del presente testo, offra tuttavia la
possibilit di confortarne limpianto propedeutico. Ne esce comunque limmagine di un Islam contemporaneo
molto variegato, che lOccidente stenta a comprendere nella sua modernit a causa della propria ideologia del
Progresso e allautorappresentazione di s come traguardo della Storia (con la maiuscola). C comunque un
punto dattrito irrisolto tra lIslam e lOccidente, generato dallo sviluppo moderno di antiche divaricazioni. Lo
sottolinea sinteticamente R. Tottoli a p. XXXIV del suo articolo introduttivo-riassuntivo, Islam e mondo
moderno: questioni, problemi e prospettive di indagine, condensando quello che a me sembra emergere da tutta
lopera in questo dubbio: quanto possa risultare problematica per lIslam la questione della sovranit
dellindividuo che costituisce un valore per lOccidente. Questa per una vexata qustio della filosofia
politica, della quale abbiamo iniziato ad occuparci a partire da Leo Strauss. LIslam potr essere in futuro tutto
ci che si vuole, di certo non si porr mai, sinch sar Islam, sul piano del Liberismo, del Libertarismo, della
societ contrattualista costruita (o destinata a culminare) sulla liberazione del desiderio individuale. Su questi
punti, anzi, che vertono sullesistenza di una Legge per la Ummah -mito di fondazione per lIslam, che
contempla necessariamente la regolazione dei costumi e una comunit compartecipata- si accentra la repulsione
dellIslam per la societ occidentale e la convinzione di un inevitabile suo declino. La mia personalissima e
discutibile opinione che un certo revival della religiosit inizi ad avvertirsi anche in occidente, e possa far
pensare che un certo spirito critico stia coagulando nei confronti di una modernit che potrebbe presentare
prima o poi i propri libri in tribunale. Ricordo che questo tema iniziai a trattarlo quarantanni fa, riflettendo
sullarte contemporanea.

Ai pochi cenni che ho dato sui Drusi, senzaltro utile aggiungere alcuni precisi riferimenti che traggo
dallarticolo di D. De Smet, La loi spirituelle (al ara l-rhniyya) druze selon Hamza b. Al: textes
canoniques at apocryphes, Arabica, 58,1-2, 2011. Prescindendo dalle analisi che rendono alcuni testi in oggetto
sicuramente apocrifi (e recenti) mi soffermo sulle considerazioni offerte dal De Smet relativamente alla religione
drusa originaria, quella attuale apparendo ormai (De Smet, pp. 124-125) una forma recente di esoterismo
magico-neoplatonico sostanzialmente rosicruciano ed ermetico, con influssi del Sirr al-asrr (per il quale cfr.
supra alla p. 384 in n. 77). Questultimo punto non interessa infatti le presenti note, mentre interessano le
osservazioni di De Smet che possono essere completate con altre che si trovano in altro suo precedente articolo,
Adam premier prophte et lgislateur? La doctrine chiite des ul al-azm et la controverse sur la prennit de la
ara, in Le shisme immite quarante ans aprs. Hommage Etan Kohlberg, sous la direction de M.A. Amir-
Moezzi, M.M Bar-Asher, S. Hopkins, Turnhout, Brepols, 2009. Queste osservazioni riguardano i rapporti tra la
dottrina drusa, quella ismailita/ftimida e quella qarmata, dai quali si pu tentar di risalire allIsmailismo
originario. Tecnicamente, lanalisi ruota attorno al numero dei Profeti legislatori (ul al-azm, espressione che si
trova in Cor., 46,35 e che sta a designare coloro che sono portatori di una normativa, letteralmente quelli della
risoluzione; non tutti i Profeti furono infatti legislatori); ci che essa fa intravedere va tuttavia oltre, riguarda il
rapporto che i movimenti dissidenti, estremisti, ebbero con il problema della Legge: non soltanto nellIslam,
ma nelle tre religioni testamentarie. Labrogazione della Sharah da parte di al-Hkim e linstaurazione di una
legge spirituale proclamata da Hamza, trovano un riflesso preciso nel numero dei Profeti legislatori, cinque,
cio No, Abramo, Mos, Ges e Maometto. Adamo non rientra, per i Drusi, in questo numero, perch al suo
tempo non vera alcuna Legge; la Legge fu promulgata per la prima volta da No a causa della malvagit umana,
essa rappresenta un castigo, e sar di nuovo abrogata dal Resurrettore, il Qim. Il mondo della Resurrezione,
come quello delle origini, sar un mondo retto dalla sola legge spirituale, non avr una legge positiva, una
1284
normativa; in questo la dottrina dei Drusi del tutto simile a quella dei Qarmati i quali, anche loro, escludono
Adamo dal numero dei legislatori. Secondo an-Nawbakht e al-Qumm, la dottrina ismailita originaria -che,
dunque, da ravvisarsi per sostanziale analogia in quella dei Qarmati- prevedeva sette legislatori (gli Ismailiti
sono legati al numero 7): No, Abramo, Mos, Ges, Maometto, Al e Muhammad b. Isml. In entrambi i casi
si realizza dunque lattesa antinomista (al tempo di Adamo non vera Legge e lultimo legislatore abolir quella
vigente, cio la Sharah; si ricordi che nella concezione islamica ogni legislatore abolisce al Legge del
legislatore precedente, ne abbiamo discusso a proposito del Bb). Come fin per i Qarmati lho accennato supra,
alle pp. 212-213 nel testo e in n. 116). Si noti che questa dottrina di una legge spirituale propria di unumanit
innocente o redenta, esiste anche nella Qabbalah (cfr. supra alle pp. 352-353) e trova riscontro nelle eterodossie
cristiane, soprattutto nel Gioachimismo (in quelle che fanno genericamente capo al concetto di Libero Spirito
riguarda i Perfetti). Sotto altre forme essa presente anche nellalchimia, tanto islamica che cristiana, che, non
per nulla, emerge dal ghuluww. Il tema ha profonde radici sociali (lo abbiamo anche notato pi volte) perch
muove dal basso come opposizione al ruolo sacerdotale normativo che sorregge ideologicamente lo status quo;
ma esprime anche leterno anelito allautorealizzazione che vede nellesteriorit vincolante di una legge positiva
il freno allo sviluppo delle potenzialit umane. In realt, se si considera ci che va sotto il nome di legge
spirituale, si scorge facilmente la razionalizzazione di una millenaria opera civilizzatrice delle religioni,
interiorizzata come condizione naturale delluomo (non uccidere, essere leali, etc.). La scissione drusa, con le
sue analogie con lIsmailismo qarmata e il sostanziale ritorno alla dottrina originaria, rappresenta una rivolta
contro lIsmailismo ftimida e, come abbiamo visto nel nostro testo, ha verosimilmente qualche copertura
nellapparente follia di al-Hkim, forse un visionario ma non un folle perch dovette aver compreso le
contraddizioni del sistema ftimida. Nella dottrina cos come formulata da an-Nasaf era stata eliminata la figura
di Al -che infatti non era stato un legislatore- e, per mantenere inalterato il numero 7, era stata introdotta quella
di Adamo, tuttavia sostenendo che egli non fu legislatore per il semplice motivo che al suo tempo non esisteva il
vizio e si viveva naturalmente nella Legge. Che Adamo fosse stato un legislatore lo neg Ab Htim al-Rz (del
resto il Corano non lo cita come tale, e cos la pensano anche Sunniti e Shiti) e lo neg anche Sijistn, che per
fu sospettato per aver negato anche che al tempo di Adamo vigesse la Sharah. Dietro questo apparente walzer
metafisico non ci sono per le idiosincrasie o lego debordante di filosofi, teologi ed esoteristi; c, a mio avviso,
il problema del dominio ftimide che ho avuto pi volte loccasione di definire un ossimoro: gestire una societ,
dunque il potere che si per acquisito in nome di una rivolta messianica, antinomista, impresa contraddittoria,
perch non si pu esercitare il potere sostenendo linfondatezza della normativa sociale espressa dalla legge
positiva. La soluzione era stata tentata dallideologo ufficiale del regime, al-Kirmn (per la cui dottrina cfr.
supra alle pp. 216-217) attraverso la scissione della figura di Adamo nelle tre figure dellAdamo universale,
archetipo e perfetto; dellAdamo parziale, il ribelle; e dellAdamo in carne e ossa quale capostipite del genere
umano. Per il primo non vera stata Legge, per il terzo, s. Il tema dellabolizione della Sharah, che troviamo in
Hamza come nei Qarmati, ritorner pi tardi anche nellIsmailismo nizrita con la Grande Resurrezione del 1164
(cfr. supra alle pp. 235-236) e ci mostra quanto fosse radicato nellIsmailismo delle origini. Che a tale attesa si
debba collegare lo scisma druso, lo afferma anche K.M. Firro, The Druze Faith: Origin, Development and
Interpretation, Arabica, 58,1-2, 2011, che vede in esso la ripresa di temi dellestremismo ismailita originario (p.
99) notando per lappunto (p. 82) la convergenza tra la dottrina drusa e quella qarmata. Anche Firro sottolinea
che al tempo di al-Hkim lattesa messianica del Mahd si era fatta vivissima (p. 85). Secondo Firro, la dottrina
drusa si form sul fondamento di quellattesa; sulla filosofia neoplatonica (per il cui ruolo determinante nei
sistemi ismailiti vedi il Cap. Ordine celeste e disordini terreni); e, per quanto concerne letica e labbandono
degli obblighi rituali, sotto linfluenza dei Sf (al riguardo cita, a p. 90, il rispetto dei Drusi per le figure di
Rabia, Bistm e al-Hallj). Comme s fatto cenno supra alle pp. 1190-1191, la gerarchia cosmogonica
emanativa neoplatonica che da Dio, tramite la Sua Luce, si propaga nellIntelletto universale, lAnima
universale, la Parola (kalima) il precedente (al-sbiq) e il successivo (al-tl) -vedi anche il citato schema
cosmogonico di al-Kirmn- si manifesta in terra nelle figure umane di coloro che formano il vertice della
gerarchia drusa. Questo un punto importante ch abbiamo gi toccato, e concerne lo stretto rapporto che si
stabilisce cos tra umano e divino, mondo manifesto e ordine celeste, rapporto che pone luomo potenzialmente
al di sopra della Legge, eterna aspirazione nelle attese apocalittiche della marginalit. Firro accenna anche al
ruolo avuto dalle gerarchie iniziatiche cui riservato un sapere segreto, nel consentire levoluzione della
dottrina dal modello originario alle sue trasformazioni moderne, oggetto delle osservazioni di De Smet a
proposito dei testi apocrifi.

Il cenno fatto ai Drusi richiama, per associazione di idee, il caso dei Nusayriti, gli odierni Alawiti,
che era gi stato oggetto di attenzione quando mi occupai di delineare lalbero genealogico della Sha immita,
della quale i Nusayriti rappresentano una legittima discendenza. Come ho avuto occasione di precisare e
mostrare pi volte, le ortodossie che mettono al bando le eresie, vengono a valle di un processo di
autodefinizione allinterno di un magma interpretativo; e nascono per dividere. Vengo dunque a confermare il
poco che si detto, e prendo a spunto da tre articoli: quello di H. Ansari, Lhritage sotrique du chiisme: un
livre sur lexgse de la Sourate 97, Arabica, 58, 1-2, 2011; quello di B. Paoli, La diffusion de la doctrine
nuayrie au IVe/Xe sicle daprs le kitb al-sana du cheikh usayn Mayhb arf, sullo stesso numero della
1285
medesima rivista; e quello di M.M. Bar-Asher, Le rapport de la religion nuayrite-alawite au shisme immite,
Le shisme immite quarante ans aprs, cit. Sulla genesi del Nusayrismo allinterno della Sha immita
concordano i tre autori, ad iniziare da Ansari che, occupandosi dellinterpretazione esoterica nusayrita della
notte del destino o del decreto, quella della sra 97, nota che Ibn al-Hari, autore di un testo al riguardo, non
per questo al suo tempo (prima met del IX secolo) accusato di ghuluww (p. 13). Fu lepoca byide a vedere lo
smarcamento della linea duodecimana dalle interpretazioni esoteriche definite estremiste, e ci per i motivi
sociali che ho cercato di mettere in evidenza nel testo; ma, come nota Paoli a p. 25, il vero fondatore del
Nusayrismo, al-Khasb, predic apertamente a Baghdad (salvo essere imprigionato) nel 920-940; e
successivamente conobbe il favore dei Byidi giunti al potere nel 945. Che di dottrina islamica si trattasse non
v tuttavia dubbio alcuno; i numerosi Cristiani e Giudei che successivamente aderirono al Nusayrismo (ci che
fece erroneamente pensare che esso fosse una religione sincretista) dovevano infatti, come primo passo,
convertirsi allIslam. I predicatori nusayriti che trascurarono questa procedura furono puniti con la morte dai
propri correligionari (p. 33). I quali Nusayriti erano cos denominati dai loro nemici Duodecimani (p. 24); essi si
consideravano Shiti e si autodefinirono poi, nel XX secolo, Alawiti. Quanto ad Ibn Nusayr, sulla scorta di
Halm Paoli vi scorge lerede di Ab l-Khattb e di al-Mufaddal b. Umar al-Djuf (e forse di altri: cfr. p. 25 in
n. 20) che furono abwb (pl. di bb) del 6 e dell8 Imm, come lui lo fu dell11; dunque apparteneva ad una
tradizione radicata dellImmismo, nei cui confronti ho avuto occasione di notare latteggiamento ambiguo degli
Imm stessi. Secondo Harf, i Nusayriti ebbero anche degli adepti segreti tra i Byidi (pp. 38-39) anche se
questi erano ufficialmente vicini ai Duodecimani. Secondo Paoli (p. 47) tra latteggiamento ufficiale e la
simpatia o ladesione segreta al gruppo esoterico, non v contrasto e comunque, al tempo di Ibn Nusayr, parte
delllite di Baghdad aderiva alla dottrina di questi, che aveva anche il sostegno del ktib al-Furt, tre volte vizir
allinizio del X secolo, il cui padre era stato un adepto di Ibn Nusayr. Paoli conclude segnalando una certa
inclinazione delle classi dirigenti del X secolo nei confronti del ghuluww, Qarmati non esclusi, e la fine dellera
Byide con lavvento dei Selgiukidi come il momento che segna lentrata del movimento nusayrita nella
marginalit delleresia. Quanto a Bar-Asher, anchegli, nel suo articolo, sottolinea che il sincretismo , nel
Nusayrismo, un fenomeno tardo, perch non v dubbio che esso debba essere considerato, nei suoi esordi, una
manifestazione della Sha (p. 73). Al riguardo egli sottolinea (p. 74) che le analogie con la cosmogonia
emanatista ismailita non rappresentano un prestito o una convergenza, ma sono da attribuirsi alla discendenza da
una comune origine, ovviamente nella Sha, lappartenenza alla quale sempre stata rivendicata dai Nusayriti.
Del resto (p. 75) Ibn Nusayr era stato vicino (cos testimonia an-Nawbakht) al 10 Imm, oltre ad essere
ricordato come bb dell11. Secondo an-Nawbakht, che per un eresiografo, Al al-Hd lo avrebbe bandito
per eresia. Secondo Bar-Asher, che segue il Kitb al-marif di un autore dellXI secolo, al-Tabarn (marif
il pl. di marif, che il sapere in senso gnostico) da rimarcare in Ibn Nusayr questo ruolo di bb che trova
precedenti nellImmismo (cfr. supra) perch il testo di al-Tabarn attribuisce agli abwb un ruolo di
manifestazione del divino, analogo anche se ad un livello cosmogonicamente inferiore, a quello degli Imm
(abbiamo visto che questo schema presente anche nei Drusi). Questo punto dottrinale del testo importante,
perch al-Tabarn (cfr. M.M. Bar-Asher - A. Kofsky, Dogma and Ritual, etc., cit. supra a p. 1176) fa una lista
di abwb che avrebbero accompagnato gli 11 Imm (sullargomento cfr. supra, p. 1176 sgg.). Bar-Asher
prosegue poi lesposizione del testo di al-Tabarn sul quale non entro in dettaglio, perch concerne alcuni
aspetti gi accennati supra, loc. cit.; passa poi a parlare dellevoluzione dei Nusayriti in epoca post-ottomana e
coloniale, per sottolineare che la perdita dellautonomia della quale godevano, come gruppo religioso separato,
nellImpero Ottomano, li spinse a rifiutare la denominazione subita (Nusayriti) per dichiararsi Shiti Alawiti.
Inizi cos un processo di riavvicinamento allortodossia che, per ragioni politiche, si manifest anche sul fronte
opposto. La loro vicenda storica perci riassunta da Bar-Asher in tre fasi (p. 92): innegabile appartenenza
iniziale allImmismo; allontanamento da esso e sviluppo autonomo come religione esoterica; ritorno
(quantomeno formale) in seno alla Sha. Di questo ritorno parla anche K.M. Firro, cit. in Bibl. supra a p. 848.
Bar-Asher e Kofsky hanno pubblicato nel 2012 il testo del Kitb al-marif, con una dettagliata Introduzione,
sotto il titolo Kitb al-marif by Ab Sad Maymn b. Qsim al-abarn, Leuven-Paris-Walpole, Peeters,
2012 (O.L.A. 209). Aspetto importante del testo la sottolineatura della manifestazione della divinit in forma
umana, che si ripete nella successive figure del man e del bb. Gli autori mettono in evidenza la possibilit
(che abbiamo gi esaminato) di uninfluenza della dottrina cristiana dellIncarnazione; tuttavia limpressione
dominante che essa abbia unorigine tutta interna alla Sha. Il fondamento della dottrina nusayrita, con i suoi
antecedenti in Ab l-Khattb (che rientra nella catena degli abwb) Djbir b. Yazd al-Djuf e Mufaddal
(anchessi nel numero degli abwb) chiaramente nel ghuluww che circondava gli Imm dellVIII secolo,
rinforzando il sospetto, del quale ho parlato nel racconto della formazione della Sha duodecimana, di una
primogenitura del ghuluww rispetto alla successiva ortodossia, come possibile dottrina segreta racchiusa nel
ristretto circolo dei fedelissimi dellImm, da non rivelarsi pena la scomunica da parte dellImm stesso: la
vera novit sarebbe dunque stata la nascita della ortodossia duodecimana da un ambiente nel quale il
ghuluww non era ancora eresia. Al-Tabarn ritiene infatti che la vera Sha sia il Nusayrismo, con tutto il
suo carico di gnosi evolutosi nel tempo in una concezione allegorica e antinomica dei cinque pilastri
dellIslam. Inoltre, la dottrina della manifestazione del divino in terra sembra avere un fondamento nello stesso
postulato shita della necessit che vi sia, in terra in e ogni tempo, un Imm in grado di interpretare la Legge
1286
grazie ad un rapporto particolare con il divino. Questa dottrina della manifestazione terrena del divino labbiamo
vista emergere non soltanto nel Nizrismo di Hasan-i Sabbh, ma ancor prima nellIsmailismo ftimida e poi con
i Drusi: essa costituisce dunque un filone consolidato nelle eterodossie shite, e di antica data, pi antica di
quella della ortodossia duodecimana. Anche la pratica della taqiyya, obbligatoria per i Nusayriti, ha origine
nella cerchia degli Imm. Sempre Bar-Asher e Kofsky, in Kitb al-dalil fi marifat al-masil of Ab Sad
Maymn b. Qsim al-abarn. Historical and Doctrinal Aspects, R.S.O., 86,1-4, 2013, hanno esposto la
dottrina emanatista, e, ancora una volta, quella della manifestazione del divino in forma umana cos come si
presenta nel Nusayrismo. Essi considerano questo testo in rapporto con gli altri dello stesso al-Tabarn ( 1034-
1035) come parte di un progetto di definizione dottrinale del Nusayrismo condotto da questa prominente figura
originaria di Tiberiade, ma vissuta in Siria. Bar-Asher e Kofsky, oltre ai tanti studi di dettaglio che ho citato nel
presente testo, hanno dedicato anche uno studio generale al Nusayrismo, The Nuayr-Alaw Religion. An
Inquiry into the Theology and Liturgy, Leiden-Boston-Kln, E.J. Brill, 2002. Nonostante la sua importanza e
complessit, mi limito a darne un breve cenno, perch le ricerche dei due autori sono gi state trattate per singoli
punti, e potrei soltanto ripetermi; tuttavia se ne possono trarre ulteriori considerazioni di carattere generale. Gli
autori dedicano largo spazio al tema della Trinit nusayrita che ha fatto discutere su possibili apporti cristiani
(ma che, ripeto, sembra di coerente origine shita). Essi ne notano il carattere monarchiano, pi precisamente
sabelliano-patripassiano (p. 20; cfr. anche Kitb al-dalil, etc., cit., p. 16; su questo carattere cfr. i cenni che
ho dato supra alle. pp. 22-23 in n. 56 e a p. 92 in n. 50); ma non tanto questo che interessa, quanto la
constatazione che ci deriva da un ampio dibattito che ha percorso la storia del Nusayrismo. Bar-Asher e Kofsky
analizzano infatti vari trattati teologici che vanno dal X-XI secolo (al-Tabarn) al XIII secolo (an-Nashshb)
dai quali emerge limportanza di risolvere in modo coerente il problema -che al centro del Nusayrismo ma
anche della religione drusa e di tutte le eterodossie genericamente ismailite- della manifestazione del divino
nellumano. Abbiamo gi visto che le soluzioni date al problema oscillano tra lantropomorfismo divino e un
Docetismo che i due autori definiscono gnostico-manicheo (pp. 18-21); certamente i teologi nusayriti
dovettero avere, secondo loro, una qualche familiarit con i problemi emersi dal dibattito cristologico (p. 22).
Una soluzione intermedia, che risente a mio avviso di un retroterra culturale neoplatonico, fu quella di
conciliare la diversit ontologica e lapparenza antropomorfa affermando la realt di questa apparenza come
apparizione dAltro (p. 23). Ho gi tentato di interpretare significato sociale di tutte queste eterodossie che
postulano una contiguit di umano e divino, per quanto riguarda il Nusayrismo a p. 1178 supra. Altra soluzione
volta a salvaguardare la differenza ontologica secondo schemi ben noti nel Neoplatonismo -classico il caso dello
ps.Dionigi- fu di considerare, a monte della Trinit un divino Nulla (al-ghayb, il nascosto) dal quale essa fu
emanata, che viene ad occupare il ruolo di Allh; non sempre per, perch il nascosto pu anche identificarsi con
il man. Tuttavia, la teologia negativa che pu prendere corpo nel Nusayrismo, non esclude, anzi rafforza, la
tensione allunione mistica (p. 26) e questo rappresenta un tratto che abbiamo gi incontrato pi volte, per
lIslam parlando di Ibn Tufayl, di Sufismo, di ittihd e di ittisl alle pp. 885-886 supra. Quanto poi al ciclico
rivelarsi del man nella catena degli Imm -un problema che riguarda dunque molte eterodossie shite, perch
radicato nella figura stessa dellImm shita) vi fu anche su ci un ampio dibattito, per le evidenti difficolt che
esso poneva sul piano razionale. Si ritenne di risolverlo affermando che il man (Al) si rivelava in essi come
ism, ci che mi sembra assai interessante sul piano sociale. Infatti, se si pensa che nella Trinit nusayrita
islamica (lultima di 7, secondo lo schema ciclico) lo ism il Profeta Maometto, ci non sembra senza
conseguenze circa la possibilit di proclamare una nuova Legge essoterica adeguata alle circostanze (la vera
Legge esoterica nella religione nusayrita, definita perci antinomica nellinterpretazione della normativa
coranica, tant che per il perfetto iniziato -cfr. p. 83- ogni normativa cessa di esistere, segnando il ritorno allo
stato adamico/edenico). Coerentemente il Nusayrismo ha anche assunto una concezione ciclica della profezia (p.
61) che accompagna il progresso dellumanit: tema gi visto nella predicazione del Bb e che, a mio avviso,
resta coerente con un aspetto dellimpulso originario dellIslam nelle attese escatologiche della marginalit.

Tre articoli di S.A. Arjomand aiutano a chiarire alcuni aspetti significativi della rivoluzione
khomeynista e del movimento intellettuale che lha accompagnata. Penso sia di qualche interesse esaminarli, se
non altro perch nellambito della Sha ho ritenuto di dover ravvisare alcuni degli sviluppi pi significativi e
conseguenziali dellIslam. Nellambito della Sha abbiamo infatti visto emergere motivi che, sebbene bollati di
estremismo, hanno dato vita a svolte come lIsmailismo e il Bbismo, per non parlare del grande pensiero
teosofico di figure come Moll Sdr o Lhj. La Sha sembra infatti aver ereditato limpulso originario
islamico al rinnovo del sapere profetico, nonostante essa stessa sembri aver subto un processo di
sunnizzazione in tempi recenti, del quale s fatto cenno. I tre articoli ai quali mi riferisco sono, nellordine:
Irans Islamic Revolution in Comparative Perspective, World Politics, 38,3, 1986 (accessibile in PDF anche sul
sito di JSTOR); The Reform Movement and the Debate on Modernity and Tradition in Contemporary Islam,
I.J.M.E.S., 34, 2002; e A Century of Shi Constitutionalism, Le shisme immite quarante ans aprs, etc. cit.
Inizio dal primo, non soltanto perch aiuta a capire fenomeni il cui fondamento sociale alquanto ignoto al
grande pubblico occidentale, ma soprattutto perch la sua visione comparativista aiuta a comprendere lottica
sociale sotto la quale ho considerato i vari fenomeni religiosi nel corso del mio testo, e la conforta. Arjomand
inizia per lappunto esaminando le condizioni che possono generare disagio sociale e i conseguenti fenomeni di
1287
protesta, e le individua nei periodi di grande cambiamento e di aumento della ricchezza. Venendo in particolare
ad esaminare le vicende dellIran, dopo aver ricordato che la politica centralizzatrice dello Stato sotto i Pahlavi
aveva colpito il potere clientelare dei capi tribali, dei grandi proprietari terrieri e del clero, con conseguente
perdita di status, sottolinea che la rivoluzione iranica non vide in atto sollevamenti nelle campagne, ma ebbe
come protagonisti la borghesia urbana impiegatizia e dei bazaar, nonch le piccole intellighentzie (insegnanti,
essenzialmente). Mentre i favoriti del regime (imprenditori, ufficiali dellesercito e alta burocrazia) non avevano
tra loro alcuna tradizione di solidariet comunitaria, ne avevano, al contrario, i tre elementi della societ che
erano sin allora sfuggiti al fenomeno dellatomizzazione: i grandi mercanti del bazaar e la borghesia tradizionale
che esercitavano la propria autorit nei quartieri; e la propriet ecclesiastica. Ora, nota Arjomand, che rischia di
perdere il proprio ruolo (per esempio, ad opera dellindustria, specialmente straniera -ci che pu risvegliare
anche istinti nazionalisti- o della grande distribuzione) tende a reagire, e nella rivoluzione furono attive, per
lappunto, la solidariet corporativa e i legami clientelari. Quanto alla grande partecipazione della piccola
borghesia, nota Arjomand che essa usualmente sovrarappresentata nelle rivoluzioni (e fa il parallelo con le
rivoluzioni delloccidente) e nota anche la stretta rassomiglianza tra la rivolta fascista e quella islamica (corsivo
mio) perch entrambe condotte da individui che avevano perduto o stavano perdendo il proprio ruolo a seguito
dei mutamenti sociali in atto. Nel caso dellIran tuttavia, a differenza dal Fascismo i leaders della rivolta erano
costituiti da un elemento sociale omogeneo, rappresentato dal clero. Del resto i nuovi ricchi, in quanto
occidentalizzanti, erano portatori non soltanto della dissoluzione della societ tradizionale, ma anche di una crisi
morale nei confronti dei tradizionali costumi. Arjomand parla di una crisi da prosperit che, per certi suoi tratti
di dissoluzione sociale/morale, a me fa pensare alla Germania di Weimar. Per coloro che soffrono per la
dissoluzione sociale, prosegue, religioni e sette sono canali tradizionali dintegrazione (altro corsivo mio)
perch offrono lopportunit di avere comunque un ruolo. La crisi riguard moltissimo il vecchio ceto
impiegatizio, e non si deve dimenticare che lo sconvolgimento di un ordine consuetudinario provoca il desiderio
di ristabilire gli standards. Tra il 1956 e il 1976, inurbamento e rapido aumento dellistruzione, anche superiore,
stimolarono attese di crescita sociale che andarono deluse, sia per gli inurbati che per i loro figli, sia, in generale,
per tutti gli studenti provenienti dai ceti inferiori, che avevano sperato una promozione sociale grazie agli studi.
Il fenomeno ha analogie con il Fascismo per quanto riguarda lirrequietezza di queste componenti; Arjomand si
rif ai ben noti temi sociologici di Weber parlando di figli e nipoti di inurbati, insegnanti e preti, e spiega con ci
la politicizzazione dei movimenti di integrazione. Personalmente ricordo di aver sottolineato pi volte nel mio
testo, a partire dallo Gnosticismo e dalle eresie medievali, analoghe reazioni di disagio in tali ceti (mercanti,
artigiani, aristocrazia minuta, basso clero, piccole intellighentzie di modesta estrazione). Per quanto riguarda il
clero, il suo problema era riguadagnare il ruolo perduto sotto lo Shh, e fu esso che forn lideologia a studenti e
laureati del ceto medio-basso, la cui ascesa era bloccata dal ceto alto occidentalizzato; e alla borghesia dei
commerci, messa in pericolo dallindustria e dalla grande distribuzione. Si noti questa identificazione del blocco
sociale con la cultura e leconomia importate: questo fa capire limportanza di una ideologia sociale islamica
come risposta alla disgregazione in atto e al blocco di ogni possibile ascesa per i nuovi intellettuali: a
somiglianza del Fascismo, nota Arjomand, la rivoluzione islamica pens se stessa in termini culturali, non
economici. Come nel 1789, come col Fascismo e come col Nazismo, nacque lideologia del rigorismo morale e
dellintransigenza rivoluzionaria -una vera e propria nuova religione- contro la dissolutezza rinascimentale
(questo il termine usato da Arjomand) della classe di potere, attribuita al liberismo importato da una classe
dirigente cosmopolita occidentalizzante. La svolta tuttavia non fu di ispirazione marxista, perch lideologia
rivoluzionaria fu elaborata nella compatta leadership del clero. Lideologia islamista vi fu importata dal pensiero
di Mawdd, che ben prima di Sharat aveva concepito lIslam come ideologia rivoluzionaria; ci che, mi sia
concesso dirlo, indubbiamente nellimpulso originario dellIslam. La religione divenne ideologia in Iran con
lapporto originale del clero shita gerarchizzato, grazie allesaltazione degli aspetti giuridici del Corano (che
abbiamo visto essere tuttavia secondari rispetto a quelli profetici) esaltati dalla tradizione del fqh che fece
portare in primo piano, con Khomeyni, lautorit tradizionale del faqh. Le rivoluzioni popolo sono conservatrici
(corsivo mio) nota Arjomand, perch il popolo tradizionalista: la rivoluzione sembra legarsi alla religione pi
che non al Progresso (p. 410). In conclusione, il successo della rivoluzione islamica fu connesso al fatto che essa
non attacc la religione, magari per fondarne una propria come nel 1798; al contrario, essa fortific la religione
tradizionale dotandola di un armamentario ideologico in grado di muovere politicamente le masse. Questa, mi
permetto di notare, non strumentalizzazione della politica ad opera della religione, strumentalizzazione della
religione da parte della politica. Le condizioni storiche che resero possibili questi sviluppi, anzi, che ne fecero lo
sbocco naturale della reazione alla crisi generata dalla politica dello Shh, vengono brevemente delineate da
Arjomand nel terzo dei tre articoli citati in apertura. Nota Arjomand, che la religione shita e i suoi giuristi
ebbero un ruolo fondamentale nei primi movimenti costituzionalisti, che risalgono agli albori del XX secolo; e
che ci, da un lato diede forza a quei movimenti, dallaltro port in primo piano un clero che aveva tutto
linteresse a limitare il potere autocratico dello Stato. la disputa che ne consegu circa la natura di una
Costituzione che doveva comunque risultare compatibile con le norme sharaitiche, gener quindi una
sovrapposizione tra costituzionalismo e legalit islamica, e condusse alla condanna del dispotismo come
usurpazione dei diritti dellImm occultato (sul problema della legittima rappresentanza di questi diritti rinvio a
quanto stato succintamente esposto parlando dellIran safavide e qjr). In merito agli antecedenti di questo
1288
particolare costituzionalismo ideologicamente mirato alla trasformazione sociale, quale fu quello realizzato
nella rivoluzione islamica, Arjomand sottolinea, in una nota a p. 59, le analogie con il Fascismo e il Comunismo
europei del XX secolo; la nota sicuramente pertinente, ma consente di notare il pre-giudizio (da intendersi in
senso letterale, non polemico) che sottende le posizioni dellAutore: il valore assoluto attribuito ad un a
concezione puramente convenzionalista della societ. Ci non mi trova contrario in linea di principio, ma mi
pone lobbligo di ricordare quanto di ragionevole si possa trovare in Strauss nella sua critica agli odierni sviluppi
dellOccidente: senza con ci aderire ad una visione che ho ampiamente criticato nel suo supporto filosofico; e
non senza sottolineare che la presunta o temuta irreversibilit degli sviluppi dellideologia occidentale
pensabile soltanto in unottica storicistica, quella stessa demolita da Strauss. Tuttavia vedremo presto qual il
fondamento del pensiero politico di Arjomand, sul quale non posso che concordare per il semplice motivo che
lho invocato pi volte: la Politica di Aristotele. Riprendendo il discorso interrotto, la sovrapposizione di
costituzionalismo e legalit islamica, e quindi il carattere ideologico della Costituzioni pensate come guida alla
trasformazione della societ, fu il presupposto che consent a Khomeyni di elaborare il suo velyat-e faqh,
lautorit del giurista islamico nellemanare le norme per comandare il Bene e proibire il Male (hisba). Ne deriv
una Costituzione che dichiarava giuridicamente nullo tutto ci che contrastava cin la Legge islamica, istituendo
cos un governo islamico. Larticolo consente di osservare i funambolismi giuridici che furono necessari per
governare fatti banali ma di rilevanza economica, come la produzione del caviale, e limpossibilit di creare
nuovi codici, sicch lapplicazione della Sharah rest sovente confinata nel mero ripristino delle sue norme
arcaiche e disumane, come la lapidazione. La difficolt di conciliare la Sharah con le esigenze pratiche della
societ e dello Stato diede cos origine ad un prolungato dibattito, che mostra quanto intellettualmente vivace sia
di fatto la societ iraniana, una realt che sfugge al nostro distratto e disinformato giudizio corrente. Gli
intellettuali di riferimento di Arjomand sono Soroush e Shabestar; del primo s detto qualcosa nel nostro testo a
proposito della sua interpretazione di Rm; per il secondo si pu trovare una breve biografia intellettuale
nellarticolo di Y. Richard, Un thologien chiite de notre temps, Mojtahed Shabestari, Le shisme immite
quarante ans aprs, cit. Per entrambi il fattore centrale di una possibile nuova concezione della societ islamica e
dello stesso Corano, nutrita anche da una conoscenza della filosofia occidentale, costituito da una rilettura della
grande tradizione mistica e teosofica dellIslam, che ebbe il suo cuore nella cultura persiana. Su questi due
moderni pensatori, Arjomand torner pi diffusamente nel suo articolo su I.J.M.E.S., 34, 2002 dedicato, come
dal titolo, al dibattito su modernit e tradizione nellIran contemporaneo, dibattito che parte da due intellettuali
pre-rivoluzionari, Ahl-i Ahmad (che coni il neologismo gharbzadegh, intossicazione da occidentalizzazione) e
Sharat. Il pensiero dei riformisti che sorresse lesperienza di Khatam affrontato con maggior dettaglio, come
anche lo il ruolo che ha avuto in esso la tradizione mistico-teosofica rivisitata nel contatto con il moderno
pensiero occidentale (e specchiata nel parallelo con la mistica di Meister Eckhart). Quello che trovo interessante,
riportare in dettaglio le considerazioni che Arjomand sviluppa alle pp. 726-727 relativamente al pensiero
politico islamico. Egli ricorda la concezione platonica della filosofia politica in al-Frb (ne abbiamo discusso
nel terzo capitolo di Dopo e a lato parlando di Strauss) a proposito della convinzione di Khatam che il declino
del pensiero politico islamico sia iniziato subito dopo questo suo esordio, e della concezione manageriale della
democrazia che Khatam condivide con Soroush e Shabistar, concezione derivata da quella islamica medievale
di conduzione della politica. A questo punto Arjomand cos prosegue: La Politica la sola opera importante
di Aristotele non tradotta in arabo e io sono incline ad attribuire questa (scil.: dellIslam) concezione non
normativa della democrazia al mancato uso del concetto aristotelico di politica. Arjomand ricorda poi che la
traduzione del testo aristotelico divenne disponibile soltanto a partire dalla generazione di Khatam, e mette in
luce il contrasto che esiste tra essa e il pensiero politico islamico. Di questo s parlato e perci non vi torno
sopra; quel che conta per che anche Arjomand vi scorge un nodo cruciale della discussione. Vorrei perci
sottolineare che il concetto islamico di comandare il Bene e proibire il Male conduce inesorabilmente a
parallelismi con la concezione platonica della filosofia politica, opposta al realismo di Aristotele. Il problema
stabilire se la politica riguardi la gestione delluomo cos com in una societ il pi possibile ordinata, o se
riguardi il condurlo a ci che deve (o dovrebbe) essere per rispondere ad un modello astratto e predeterminato di
Bene, pensato per un altrettanto astratto e predeterminato modello di societ: dal filosofo per Platone, dalle
norme sharaitiche per lIslam. Per i discorsi che gi facemmo a proposito di Strauss, qui in gioco lo stesso
concetto islamico di siyasah (cfr. supra, p. 964). In margine al pensiero di Arjomand, e al suo implicito
considerare come valore di riferimento lattuale societ occidentale, vorrei per notare che nel pensiero
politico di Aristotele tutti i regimi, tutte le costituzioni sono transeunti, perch ciascuno porta in s i germi
della propria corruzione.

Bench largomento che vi trattato sia del tutto estraneo alloggetto del nostro testo, forse utile fare
un cenno al denso articolo di M. Provence, Ottoman Modernism, Colonialism and Insurgency in the Interwar
Arab East, I.J.M.E.S., 43,2, 2011, anche perch esso pu in qualche modo integrare la comprensione di alcuni
dei fenomeni di modernit esaminati supra in Islam, e pu innestarsi nellargomento trattato da Monge, le
tendenze neo-ottomane della politica turca. Larticolo di Provence fa la storia degli eventi che interessarono il
Medio Oriente ottomano dopo la disgregazione dellImpero, fatto oggetto degli appetiti neo-colonialisti anglo-
francesi (mi permetto il prefisso neo-, trattandosi di un colonialismo fallimentare e foriero di sviluppi negativi, in
1289
quanto del tutto fuori tempo) e divenuto luogo di rivolte arabe. La storia si intreccia con loperazione di innesto
dello Stato israeliano in un contesto estraneo ed ostile di popolazioni arabe, e offre la possibilit di comprendere
lunitariet degli eventi che corrono tra lo smembramento dellImpero Ottomano e la guerra arabo-israeliana del
1948. Provence prende le mosse dai fenomeni di modernizzazione messi in atto nellImpero Ottomano tra la fine
del XIX e linizio del XX secolo; modernizzazione che si tradusse -come abbiamo gi visto in alcuni articoli
presenti in Islam- in un ampliato ruolo dello Stato nel campo delleducazione, e in una vigorosa azione tesa in
generale a creare forme di lealt e di partecipazione di massa ai rituali delle Istituzioni. Un ruolo significativo
ebbe la coscrizione di massa e la creazione di scuole militari in tutte le regioni dellImpero. Provence mostra con
doviziosi esempi lomogeneit di una cultura dello Stato diffusa dallo Yemen ai Balcani, e la marcata preferenza
del governo a creare un corpo di ufficiali estratti dai ceti rurali medio-bassi, in analogia con quanto rimarcato da
Weber e Mosse a proposito della Francia repubblicana e della Germania. Citando Hobsbawm, Mosse e Weber,
Provence rimarca il legame tra la formazione dello Stato-nazione e i fenomeni delleducazione, della coscrizione
e della politica di massa, e il legame di ci con le guerre mondiali. Da questa nuova cultura e nuovo senso di
appartenenza che accomunavano il corpo degli ufficiali dellImpero Ottomano, il cui curriculum formativo
terminava a Istanbul indipendentemente dalle loro regioni dorigine, emersero quelle figure di ufficiali che, dopo
aver vigorosamente resistito allinvasione colonialista anglo-francese e aver combattuto ovunque, dai Balcani al
Medio Oriente e anche contro la Russia, si trovarono dispersi nellImpero disintegrato e occupato e vi
capeggiarono le rivolte locali, rendendo assai disagevole la presenza degli invasori. Nota Provence, che i
leggendari eroi delle singole lotte anticolonialiste tra le due guerre mondiali, venerati ora come eroi nazionali nei
vari nuovi Stati costituitisi dopo la fine del colonialismo in conseguenza della geografia da esso ridisegnata, sono
in realt non gi dei ribelli e patrioti locali, ma ufficiali dellesercito ottomano assunti poi in quei vari Pantheon.
Essi occuparono il ruolo di leaders guerriglieri nei nuovi Stati sino al tempo della seconda Guerra mondiale,
furono protagonisti della guerra anglo-irakena del 1941, nella quale lIraq ebbe lappoggio dellAsse Roma-
Berlino, e conclusero la propria carriera ancora partecipando alla guerra arabo-israeliana del 1948. Gli eroi del
patriottismo turco, irakeno, siriano, palestinese e curdo, sono tutti ufficiali del disciolto esercito ottomano (p.
207): certamente anche il non addetto ai lavori ricorder il nome di Izz al-Dn al-Qassam, il leggendario eroe
della lotta di liberazione palestinese ucciso dagli Inglesi nel 1935, che proveniva, per lappunto, dallesercito
ottomano, la cui citazione apre larticolo di Provence (p. 205). Il quale articolo dunque interessante perch
mostra la continuit degli eventi che coinvolgono quelle regioni, dallo smembramento dellImpero Ottomano
alle attuali tensioni che, col tempo, hanno dovuto trovare nuove forme di cemento ideologico -la religione- in
ci che fu e resta una forma di resistenza al colonialismo occidentale, mai venuto meno anche se ora si maschera
sotto la veste di interventi umanitari. Al di l dei fattori culturali e ideologici che abbiamo esaminato nel nostro
testo, vi sono quindi precisi fattori politici nellostilit araba (con leccezione di alcuni governi non
disinteressati) verso le ideologie che motivano alcune decisioni dellONU. Cos come vi sono fattori politici
(oltre a quelli culturali e ideologici) per comprendere la vicinanza del mondo arabo al Fascismo e al Nazismo tra
le due guerre, al Comunismo sovietico dopo la seconda Guerra mondiale: la lotta al colonialismo occidentale,
di stampo anglo-francese nella regione. Ci ha coinciso pi volte in passato con la ribellione popolare contro
classi dirigenti e regimi il cui insediamento e sopravvivenza dovevano e debbono molto al sostegno occidentale.
Anche la continua ostilit tra Arabi e Israeliani ha origine in quei lontani eventi, se si tiene presente quanto
Provence ricorda, il comune obbiettivo delle pur duramente confliggenti manifestazioni del colonialismo
occidentale e del movimento sionista, che portarono, sia pur tra i tentennamenti del primo, cio degli Inglesi, alla
creazione dello Stato israeliano in Palestina, regione a popolazione araba dalla quale gli Arabi furono cacciati.
infatti nota, ed usuale, lidentificazione da parte araba di colonialismo occidentale e Sionismo: ci che pu non
condividersi e non di buon auspicio, ma che ha comunque un fondamento storico che non pu essere ignorato
nonostante tutte le distinzioni che si possono avanzare, e che ben radicato nella coscienza araba se si ricorda
che, nel 1941, la sconfitta dellIraq ad opera degli inglesi fu seguita da violenti movimenti popolari anti-ebraici
in Iraq. N si pu ignorare che, senza lantefatto dellinvasione coloniale, difficilmente avrebbe potuto veder la
luce lo Stato di Israele. Lattuale agitata situazione mediorientale, appare dunque un lineare sviluppo storico di
una crisi provocata dallOccidente allinizio del XX secolo e non ancora ricomposta; quel che per sembra
significativo che questa storia sia usualmente obliterata perch, come conclude Provence a p. 222, le esigenze
ideologiche dello Stato coloniale e post-coloniale agirono in tal senso (corsivo mio). Qui ci si offre comunque il
destro per ripetere alcune considerazioni che abbiamo gi fatto riguardo alla modernit islamica e alla
rivoluzione iraniana e al ruolo che ha in entrambe la religione, ruolo che fa scuotere la testa allOccidente dei
benpensanti laicisti. La difesa del dr al-Islm non era infatti un argomento ideologico assente nel linguaggio del
patriottismo ottomano (p. 217) ed scontato che essa divenisse, in quanto tale, il fondamentale polo
daggregazione man mano che il ricordo degli antichi assetti si allontanava mentre i nuovi assetti -territoriali,
politici e sociali- apparivano segnati dalla presenza del colonialismo e dalla sua eredit. Su ci per non torno
perch abbiamo gi visto, esaminando Islam, come la religione fosse divenuta il coagulo ideologico della
resistenza: politicizzazione della religione dunque, non subordinazione della politica alla religione, come pensa a
torto la mitica opinione pubblica dellOccidente. La simbiosi, lo abbiamo visto, divenne vincente nel caso
iraniano per la convergenza di due fattori peculiari allIran: la gerarchizzazione della Chiesa shita che ne fece

1290
un corpo (relativamente) solidale, e lidentificazione di questa Chiesa con lo Stato persiano, che leredit dello
Stato safavide.

Il testo di M. Yahya, Shfi et les deux sources de la loi islamique, Turnhout, Brepols, 2009 va
esaminato con particolare attenzione, perch la sua approfondita e dettagliata indagine verte su due punti del
nostro racconto: il fondamento della Sunnah del Profeta e il ruolo di Shfi in ci che ho definito la
fossilizzazione della Legge. Yahy affronta entrambi gli argomenti, il primo ad apertura di testo perch
evidentemente lo ritiene necessario supporto alla comprensione dellopera di Shfi. Seguir lo sviluppo della
sua trattazione anche se, a mio modesto avviso, i due argomenti non sono poi cos strettamente correlati. Infatti,
per comprendere il senso dellopera di Shfi non mi sembra necessario stabilire se le tradizioni (gli ahdth)
avessero un reale fondamento storico, se cio i detti e i fatti del Profeta risalissero realmente a lui o costituissero
una tradizione agiografica formatasi attorno e dopo di lui. Importante soltanto che Shfi ritenesse il materiale
realmente risalente al Profeta, perch su questa base egli pot costruire il proprio ragionamento teologico-
giuridico. Il primo capitolo sembra dunque pleonastico, a meno che Yahy non intenda giustificare, con il
proprio testo, gli attuali esiti applicativi delle norme sharaitiche: ma questo non ci vien detto e non sembra perci
il suo intento. Pur seguendo lo svolgimento della ricerca di Yahy, esporr quindi la trattazione dei due problemi
che ci riguardano -il fondamento delle tradizioni e il ruolo di Shfi- come due argomenti separati. Iniziamo
dunque dal primo capitolo, che Yahy intitola Bilancio dei lavori sul fiqh primitivo. Yahy vi conduce una
rassegna panoramica delle conclusioni raggiunte dallorientalistica circa lattendibilit degli ahdth che danno
corpo alla Sunnah, e, poich su questo corpus fondato il diritto islamico, entra anche in merito allautenticit
del fiqh. A premessa di ogni di ogni ulteriore esposizione, vorrei precisare che lautenticit dellantichit della
formazione del fiqh non implica necessariamente la realt storica dei detti e dei fatti sui quali esso si form ab
antiquo. Yahy inizia mettendo a confronto le posizioni degli ultra-scettici, e perci la sequenza degli studi si
Goldziher, Schacht e Juynboll, con quelle dei neo-tradizionalisti, principale tra tutti Motzki, citato ripetutamente
(ma viene citato anche Schoeler). Queste posizioni sono state ampiamente citate e discusse nel nostro racconto, e
perci necessario passarle anche al vaglio delle considerazioni di Yahy, il quale contesta le conclusioni di
Goldziher e di Schacht, mostrandone laspetto aprioristico e lo scarso fondamento; in modo pi sfumato, la
critica si estende anche a Juynboll. In ogni caso, Yahy si pone comunque sul versante dei revisionisti,
condividendone laccettazione della autenticit degli ahdth. A questo riguardo vorrei ricordare, senza tuttavia
tornarvi sopra, quanto detto nella prima parte della Rassegna, cio che la loro antichit, anche quando
dimostrabile, non risale oltre il 6 decennio H., e che, comunque, antichit non sinonimo di autenticit, nel
senso che essi possano esser riferibili a detti e fatti realmente accaduti e verificabili. Attorno a una figura di una
simile rilevanza storica, a un Profeta che ha fondato una civilt, fioriscono sempre e subito autentici miti e
leggende, dei quali pu esser fonte anche la stretta cerchia dei primi seguaci: a chi non crede e bada alla
verificabilit degli eventi, poco importa constatare che il mito della resurrezione di Cristo, insieme ad altri eventi
miracolosi della sua vita, fosse testimoniato gi subito dopo la sua morte. In altre parole: la possibile antichit
storica di parte degli ahdth, non implica la realt storica dei detti e dei fatti; pu tuttavia costituire un appoggio
allantichit storica della formazione del fiqh, un argomento controverso e controvertibile sugli opposti fronti, e
che vede Yahy ragionevolmente schierato sul fronte della tesi dellantichit (siamo comunque sempre oltre la
met del I sec. H.). come fondamento della sua interpretazione dellopera di Shfi. Questa mi sembra la vera
acquisizione del primo capitolo, anche perch Yahy, pur propendendo apertamente per i neo-tradizionalisti,
opera comunque allinterno di una ragionevole critica nei confronti degli ultra-scettici: del resto, gi ad apertura
della Rassegna, avevo messo in evidenza il carattere specularmente pre-giudiziale delle posizioni di Motzki e di
Juynboll, i loro speculari falsi sillogismi. C da pensare, afferma a p. 70, che nel corso della vita del Profeta si
sia operata la transizione cosciente da un ordine sociale a un altro e che a tal fine fosse strumento lo hadth
profetico. Antichit del fiqh, dunque, come indizio dellantichit dello hadth. Dalla seconda non si pu
prescindere se si sostenitori della prima, come lo Yahy, per il quale importante affermare lantichit
dellordine legale sharaitico (p. 58) onde sottolinearne la reale esistenza storica sin dagli albori, in antitesi ai
costumi tradizionali o alle leggi eventualmente ereditate (la sua critica rivolta alla Crone). Qui c un punto
interessante che Yahy esplicita nelle conclusioni al primo capitolo (pp. 174-178) e che cercher di enucleare
seguendo il pi possibile il suo ragionamento. N le ipotesi ipercritiche (Goldziher, Schacht) n la posizione
tradizionalista islamica soddisfano: questa seconda perch tende a proiettare sul periodo profetico il fiqh
dellepoca classica, e seleziona le informazioni e le fonti che confortano questo presupposto. Essa tuttavia offre
la possibilit di fare riferimento agli akhbr (le notizie) senza pregiudizi ed esclusioni, riaprendo la possibilit di
condurre unanalisi critica perch, nonostante la sua artificiosit, contiene testimonianze valide. Yahy propone
perci di separare la storia del fiqh, cio della dottrina, da quella del diritto: di questultimo si sa ben poco ed
campo dindagine degli storici, mentre la prima costituisce una storia delle idee fondata sui testi. Essa non
pretende di illuminare la storia delle origini e la traduzione di queste idee nella realt sociale e istituzionale, ma
consente di studiare una storia dellevoluzione delle dottrine. Qui Yahy viene al nodo di unimpostazione sulla
quale mi permetter di tornare a chiusura di queste note. Secondo la sua opinione, il fiqh possiede la specificit
di costituire una dottrina dei doveri, pi precisamente una morale confessionale (p. 76) prima ancora di essere,
come nel periodo classico, una parte costituente del diritto; farne una giurisprudenza tout court trascurarne le
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origini, tanto pi che anche nel periodo classico si tratta di un diritto non separato dal suo fondamento religioso.
Il suo equivalente occidentale non quindi nella legge positiva, ma nella teologia morale del Cristianesimo che
non separa il diritto dalla religione (ivi). Tutto ci, ovviamente, al netto delle differenze: ma su ci torner,
come ho detto, in chiusura. Per ora sottolineo che su questo punto di coincidenza Yahy insiste con dovizia sino
a p. 78, e che esso propedeutico alla sua trattazione di Shfi. Tralascio, per brevit, il pur significativo lungo
capitolo dedicato alla biografia di questultimo, limitandomi a segnalare i suoi legami familiari con il Profeta,
che originano in linea maschile con Muttalib, fratello e alleato di Hishm, bisnonno del Profeta; e per via
femminile da una figlia dello stesso Hishm. Ometto anche il capitolo dedicato alla sua opera, se non per
ricordare quanto gi accennato supra, cio che essa, quale la conosciamo, frutto di compilazioni dei suoi
allievi. Di questopera Yahy esamina essenzialmente il Kitb al-Umm, che definisce un monumento del fiqh
(p. 147). In esso fondata la dottrina esposta nella Risla, della quale ho dato qualche fugace ragguaglio nel
nostro racconto. Riprendendo quanto segnalato sopra a proposito della teologia morale, ancora propedeutico pu
considerarsi il quarto capitolo, dedicato al ruolo della teologia in Shfi. Nota Yahy che per Shfi, uomo pio e
devoto, la fede non separabile dallamore per il Profeta (p. 195): questo, come vedremo, un punto centrale
nella successiva analisi, che fa di Shfi un tradizionista a tutto tondo. Come sottolinea Yahy nella stessa
pagina, in n. 41, a proposito di un hadth che pone il Profeta molto vicino a Dio, la fede di Shfi ha il proprio
fondamento nella tradizione esegetica e nello hadth. Yahy ne evince che lambiente di Shfi doveva essere
caratterizzato pi dalla devozione che non dalla speculazione (p. 196). Qui egli fa unaltra osservazione che
mette conto ricordare: pur riconoscendo che lo ahl al-hadth costituiva allinizio un gruppo minoritario che, col
tempo, divenne la ortodossia sunnita, afferma che questa era la dottrina nella quale si riconosceva lelemento
arabo dellIslam. Da ci si potrebbe evincere, se lecito uno sviluppo puramente logico, che cera gi allora una
qualche differenza tra lIslam nella sua complessit, e una visione arabocentrica, che difficile non definire
anche ideologica alla luce degli eventi storici della conquista, della complessit culturale dellImpero -si pensi
anche soltanto allIran- e allappartenenza del qurayshita Shfi alla famiglia stessa del Profeta. In questo
Impero, non si pu non sottolineare che, nonostante la loro sacralit, La Mecca e Medina non avevano pi un
ruolo politicamente dominante: anzi. Non soltanto teologicamente, ma anche ideologicamente coerente con
ci, il fatto che la dottrina di Shfi abbia di mira Hanafismo e Shah (p. 188) dottrine diffuse nella parte
orientale dellImpero. Si veda anche a p. 198 nel testo e in n. 57 (esaltazione del ruolo di Ab Bakr nella ridda;
condanna del Khridjismo, la cui fede era fondata sul solo Corano; ritorno alla fede dei Compagni): il quadro
coerente e preciso. Ora, esaminando latteggiamento dellambiente culturale di riferimento di Shfi, Yahy fa
unosservazione molto pertinente: lavversit al Mutazilismo e al kalm, la nostalgia per let delloro dei
Compagni che di speculazioni dottrinali non sinteressavano, la reticenza alla definizione razionale della realt
divina, sono tutti elementi che contribuiscono a concentrare la riflessione sul fiqh, sullo studio della normativa
religiosa (p. 204). Su questo tema Yahy esamina anche le ipotesi di coloro che vedono, nella linea polemica di
Shfi, la possibile evidenza di una sua precedente appartenenza al kalm, seguita da una repentina svolta in
senso opposto, come accadde ad Ashar (pp. 217-219). Egli giunge per ad una diversa e significativa
conclusione (p. 220): Shfi adott le tecniche argomentative del kalm per combatterne non gi la teologia
razionale, ma le errate conclusioni che ne derivavano al (o ai: usl plurale) loro usl al-fiqh. Con ci si pone
in evidenza, a mio avviso, il suo obbiettivo di riportare la giurisprudenza allIslam delle origini testimoniato in
purezza dalle tradizioni, testimonianza di una prassi incardinata sullesemplificazione del Dettato operata dal
Profeta. Possiamo definirlo Salafita? In Shfi mi sembra quanto mai evidente lelaborazione di uno
strumento solido e coerente, funzionale agli sviluppi hanbaliti: Ibn Taymiyya non ragiona in modo molto
diverso, ben prima di lui, del resto, fu Shfi (p. 208) a considerare essenziale, per il giudizio, il takhss al-ill
(cfr. supra, p. 1139) nel Corano e nella Sunnah. La fede diviene strumento di un sapere pratico (p. 221)
attraverso lapplicazione alla scienza dello hadth di metodi razionali; non un ray nel senso proprio della
parola, ma uno sforzo di inquadrare razionalmente un Dettato che in s va oltre la ragione umana, che pu per
essere oggetto di scrutinio razionale nella pratica del fiqh, nei sui risvolti giurisprudenziali. Ho gi notato altrove,
in Shfi (ma non soltanto in lui) questo uso ancillare della ragione come sviluppo razionale di un fondamento
fideistico. Shfi costituisce dunque una tappa decisiva nella scienza legale (p. 255) perch fonda una scienza
del fiqh (ivi) e lo fa appoggiandoli allo ilm, un sapere che Yahy definisce memoria comune di eventi storici,
di condotte individuali esemplari e di norme tribali (corsivo mio, e aggiungerei: arabe) capaci di guidare
efficacemente lindividuo e la comunit (p. 258). Lo ilm un sapere delle tradizioni, la datazione delle quali
per discussa e il cui fondamento su eventi reali non verificabile; ha senso perci la domanda: questi eventi
sono attribuibili, per ipotesi, a una storia o a una ierostoria? Come sappiamo, e come vedremo seguendo il testo,
il fondamento teorico dello usl al-fiqh consiste nellasserzione che i detti e i fatti del Profeta, cos come
costitutivi della Sunnah, appartengono alla ierostoria, storia di una Rivelazione che non si limita allenunciato
coranico, ma si esplicita come interpretazione autorevole, ispirata da Dio, della Legge. Il Profeta diviene cos
figura in un certo senso divina, in quanto strettamente associato a Dio nella sua parola legiferante e nei suoi atti
quotidiani: di ci Yahy fa esplicita testimonianza nella sua ricerca (cfr., ad esempio, pp. 402-403 e pp. 414-
415). importante sottolineare che per Shfi lo ilm si identifica puramente e semplicemente alleredit del
Profeta e della Rivelazione (p. 260). Ci si pu tuttavia chiedere, riguardo al contenuto degli ahdth pensato
indipendentemente dal presupposto teologico, quanto della normativa in essi presente sia in realt leco
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sacralizzato di norme tribali. La posizioni di Shfi sullargomento non si distingue dallopinione comune:
Yahy afferma la comune competenza, e, in un certo modo, sovrapposizione, di ahl al-ilm e fuqah (p. 263) per
quella indistinzione tra etica religiosa (certo, opportunamente individuata in rapporto alla fattispecie) e legge
positiva che caratterizza lIslam. Lobbiettivo di Shfi, afferma Yahy a p. 266, non era per di limitare
lintrusione della ragione nel fiqh, diminuire il ruolo del ray e del qiys o della logica giuridica, per innescare un
ritorno alla nozione coranica di ilm: egli voleva creare un fondamento metodologico che mancava tanto allo
ahl al-ray quanto allo ahl al-hadth. In questo tentativo egli non era il primo, e tuttavia sar lui a stabilire
lesistenza di una scienza accessibile alluomo, anche se non a tutti, quella della corretta interpretazione delle
norme legali implicite (quelle esplicite sono accessibili a tutti ma non esauriscono lermeneutica del testo, cfr. p.
300) nel Corano e nella Sunnah (cfr. la Risla nei luoghi citati da Yahy, ma soprattutto Risla 961, e relativo
commento di Souami -cit. in Bibl. supra a p. 851 sub voce Shfi- a p. 444). Questa procedura pone
naturalmente problemi di acribia nella comprensione del testo coranico, ci che implica una perfetta conoscenza
della lingua araba (p. 305): un argomento che Yahy affronta soprattutto alle pp. 293-308 (si veda anche la n. 83
a p. 293). Il tema stato affrontato pi volte nel nostro racconto, da Leotardo ai Taboriti al Bb: quello di un
Dio che parla la lingua del potere clericale, ebraico, latino o arabo che sia; un tema cos radicato che anche
eretici e arcieretici doccidente aderirono al medesimo fondamento, proclamando che la lingua di Dio fosse
lebraico. Molto interessanti sono, al riguardo, le pp. 305-307 del testo di Yahy, dove la conoscenza perfetta
dellarabo mostra la sua centralit in un metodo che, considerata la sovrapposizione e il reciproco rinvio di
Corano e Sunnah, fanno pensare che il tentativo di Shfi di islamizzare uniformemente nella Legge un Impero
multietnico e multiculturale, si riveli al tempo stesso uno sforzo di arabizzarlo: moto centripeto che si richiama
alla Mecca e a Medina, come anche al tempo aureo e allepopea dei Compagni. Il postulato teologico di Shfi,
nota Yahy,, che Dio, rivolgendosi agli uomini, parli la loro lingua, e che la lingua araba sia particolarmente
adatta ad esprimere le cose in modo generale e manifesto (p. 306); tuttavia questa normativa rivelata necessita di
essere esemplificata con dei precedenti; dunque il testo coranico deve essere completato con altri dati,
egualmente frutto di ispirazione divina. Perci, poich il contenuto di una Rivelazione deve essere univoco (se
una Legge e non un indirizzo etico) l dove il testo presenti possibile pluralit dinterpretazione o aspetti oscuri
nel suo dettato manifesto (nello zhir) necessario ricercare in altri enunciati (o testimonianze di
comportamento: detti e fatti del Profeta) il referente o lesemplificazione del senso manifesto e generale (zuhr e
ummm) della normativa coranica: di qui la stretta affinit di Corano e Sunnah e la necessit di un loro comune
utilizzo nella corretta interpretazione della Legge. Nelloperazione molto sunnita compiuta da Shfi si deve
notare come la diffusa aura semantica del messaggio profetico (non per caso i Romantici assimilarono il poeta al
profeta) venga ricondotta allunivocit, ancorch di difficile individuazione; la verit viene con ci ricondotta
a qualcosa di molto simile alla nostra epistme, ancorch raggiunta per via giuridica, indiziaria, e non logica.
Siamo dunque anche qui in presenza di una ideologia del dominio, ancorch non cos inconfutabile, essendo il
groviglio indiziario districabile in molti e diversi modi, mai conclusivo se non giudiziariamente, con tutta la
fallibilit umana che ne partecipa. Lortodossia di ogni religione questo: affermazione di una verit unica al
termine di un non disarmato conflitto semantico, che si presenta di per s aperto a tutti i possibili esiti. la scelta
di un assetto dottrinale non estraneo al risvolto sociale. Le conclusioni di Yahy (pp. 327-328) e le pagine
immediatamente successive che chiudono il sesto capitolo (pp. 328-333) possono essere cos riassunte. Con
Shfi lesegesi legale assume le proprie autonome caratteristiche, superando le proprie strutture tradizionali;
Shfi una figura decisiva, anche se eccessivo considerarlo il fondatore dello usl al-fiqh, una scienza che
proseguir il proprio cammino dopo di lui (abbiamo visto che la sua dottrina fu apprezzata, in particolare dagli
Hanbaliti, essenzialmente a partire dallXI secolo) ma che lui ad elevare al rango di scienza. La sua
innovazione fondamentale fu laffermazione della complementarit ermeneutica tra Corano e Sunnah. Per
comprendere il significato e lintento della sua opera, tuttavia indispensabile ricordare che per lui la scienza
della normativa giuridico-religiosa supera i limiti stretti del fiqh, che perci ne dipende; quella normativa,
contenuta nel Libro di Allh ed espressa dal Profeta nel proprio linguaggio (lisn nabiyyi-hi) era loggetto del
suo studio, volto a decifrarla. In questo intento la Sunnah aiuta a leggere il Corano consente a Shfi, nella
Risla, di orientare la scelta tra ahdth apparentemente in contraddizione tra loro. Nota Yahy a p. 331, che in
Shfi il Corano diviene il catalizzatore del pensiero, i suoi versetti sono i segnavia di una storia della
salvezza, secondo latteggiamento degli ambienti ultra-devoti; il Corano anche giustifica a posteriori le
decisioni legali. Questo impregnamento coranico, secondo Yahy che con ci ritorna agli argomenti del suo
primo capitolo, depone contro la teoria di Wansbrough che ipotizza una progressiva canonizzazione del testo
perdurata sin dentro il II sec. H. (p.332): questo per esula da ci che stiamo tentando di comprendere, la figura e
il ruolo di Shfi; su quanto esposto vorrei comunque esprimere alcune considerazioni. Shfi, dunque, non
inventa lo usl al-fiqh, i fondamenti del diritto, na d ad essi una coerenza autoreferenziale il cui effetto sar
congelare i risvolti applicativi della Sharah. Ci che ho definito invenzione della Sunnah questa operazione
teologica di conferire legalit divina ai detti e ai fatti del Profeta, la cui eventuale attestazione al tempo dei
Successori non neppure garanzia di realt storica. Con lui diventa Legge divina una tradizione, nasce, come ho
sostenuto, ladnaton della fede in una tradizione, cio la fede in eventi storici o pseudostorici, si teologizza una
storia, vera o presunta, di certo non verificabile. A prescindere dal fatto che il circuito ermeneutico tra Corano e
Sunnah semplicemente un circolo vizioso, si capisce perch nel testo di Yahy, indirizzato a far comprendere e
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inquadrare storicamente lopera di Shfi, sia necessario il lungo primo capitolo del quale s detto, volto a
smantellare i risultati della scuola ipercritica che ha s, premesse nel pre-giudizio: ma ci non toglie che sul pre-
giudizio opposto si fondi il neo-tradizionalismo di Motzki, Grke e Schoeler. Senza quel capitolo non si
inquadra lopera di Shfi: quel capitolo le d un senso. Fondare per un senso su un pre-giudizio (la
coincidenza di una tradizione fiorita forse attorno, di certo dopo il Profeta, con una realt fattuale) e farne una
ierostoria; ingabbiare il tutto in un circuito autoreferenziale, tanto vizioso quanto inattaccabile dallinterno (un
tale circuito o lo si rifiuta per la critica al metodo, o non ha punti interni di discontinuit) significa ingessare nella
norma penale un codice etico. Dunque lopera di Shfi risulta s, comprensibile sul piano storico come sviluppo
di una tendenza, ma non certo sul piano della solidit, costituendo, il suo, lo sviluppo rigorosamente razionalista
di un fondamento puramente fideistico, rispettabile, ma inconsistente sul piano critico: ed precisamente il
rigore dello sviluppo a esasperarne la fragilit. Senza contare quanto nota Yahy a p. 337: lermeneutica fondata
sui reciproci rinvii di Corano e Sunnah si traduce, sul piano teologico, in un atto di fede nei confronti di
Maometto. Anche se ai suoi tempi si iniziava gi ad avvalorare una autorit legiferante della Sunnah (p. 339)
fu lui tuttavia che seppe cristallizzare unevoluzione che, iniziata nel corso del II secolo, andava a divenire
irreversibile (ivi, nel testo e in n. 20): la Sunnah esprime lo stesso significato della Rivelazione (p. 343). Come
nota Yahy (p. 344) scorgere la presenza di un unico messaggio nel Corano e nella tradizione relativa al Profeta,
implica una precisa concezione della Rivelazione. Il metodo implica una precisa teologia (p. 350): fatto che
Yahy sottolinea pi volte nel proprio testo e sul quale entra qui nuovamente in dettaglio. Lermeneutica ideata
da Shfi esprime la convinzione che il fiqh abbia una finalit soteriologica dovuta ai suoi legami con la
teologia, onde la sua dottrina uno strumento intellettuale messo al servizio di una concezione del fiqh come
teologia morale, concezione dominante nellepoca classica (ivi). Laffermazione ben fondata ma non deve
indurre, come mi permetter di notare a suo tempo, a paragoni avventati che non tengano conto di altri fattori. Si
deve considerare infatti che i significati (lintenzione significante, p. 363) ricercati nel Corano e nella Sunnah,
entrambi parola divina, la seconda muta, ma segno (p. 366) la prima espressa nella lingua araba, lingua scelta
da Dio per comunicare nella Rivelazione, coincidono con la Volont divina latente nella Creazione, dove si
manifesta nellordine del Creato (p. 366, nel testo e in n. 191). Tramite la Rivelazione dunque, questo ordine,
applicato al fiqh, diviene ingiunzione legale per luomo, qualcosa di diverso da una normativa etica; e poich la
Volont divina non pu essere contraddittoria, la premessa teologica di Shfi conduce alla conclusione che
Corano e Sunnah non possono essere in contraddizione tra loro. Conclusione che, mi si consenta di notarlo,
stante il modesto ruolo (e sovente generico) che il Corano concede alla sua parte normativa, consente di far uso
degli ahdth per evincere una normativa legale, sul presupposto puramente teologico (ma pre-giudiziale) che
Dio pretenda la trasformazione della propria Volont in legge positiva. Se anche questa fosse la convinzione dei
Musulmani sin dal tempo del Profeta, appare verosimile che sia stato necessario un lungo periodo evolutivo, del
quale Shfi lo snodo decisivo, per giungere a consolidare un corpus di ahdth e ad assegnare parte di essi ad
un diverso ( e nuovo) aspetto della Rivelazione (ahdth profetici e quds) onde formulare un diritto islamico:
cosa che il solo Corano non consentiva. LIslam quale esso dal periodo classico il risultato di un processo
storico che necessita, come premessa, ci che ho definito linvenzione della Sunnah. Invenzione perch
tanto il suo contenuto quanto il suo ruolo sono il risultato di un processo storico, la creazione dellIslam ad opera
dei Musulmani sul fondamento di un messaggio profetico. Questo processo indica la presenza di una ben precisa
finalit in coloro che ne furono i protagonisti; perci, per inciso, colgo loccasione per citare larticolo di S.R.
Burge, Reading between the Lines: The Compilation of ad and the Authorial Voice, Arabica, 58, 3-4, 2011,
dedicato ad analizzare il modo nel quale gli ahdth sono stati compilati e presentati nei testi canonici.
Analizzando a titolo di esempio due casi nel Sahh di Bukhr, Burge mette in evidenza come lordine nel quale
sono presentati gli ahdth risponde alla volont di avvalorare tesi ben precise del compilatore della raccolta
opinioni teologiche e ideologiche (p. 170). Nel caso della prima Rivelazione, che apre anche il Sahh, la
sequenza parte con le manifestazioni soprannaturali preannuncianti la discesa della Profezia, e si chiude con il
racconto dellImperatore Eraclio che riconosce il ruolo di Maometto, e risulta evidente lintento di mostrare il
Profeta come indiscutibile strumento dintervento della Volont divina nella storia dellumanit. Siamo dunque
in presenza di un fenomeno storico, ideologico, di costruzione di una societ, del quale la teologia parte, ed
parte fondante; un processo che crea lungo la strada i propri punti dappoggio trovando compiuta espressione
nella Sunnah, infine giustamente depurata, con la creazione delle raccolte canoniche, del materiale che prestava
il fianco alla critica di inautenticit. In questo processo Shfi ha una funzione centrale, come colui che seppe
individuare il ruolo insostituibile della Sunnah nellelaborazione di un sistema coerente di fiqh (Yahy, p. 391).
Il lungo capitolo (pp. 401-463) dedicato da Yahy al rapporto di Shfi con la figura del Profeta, contiene
interessanti osservazioni e offre spunto a ulteriori osservazioni, tutte peraltro rafforzative di quanto gi esposto.
Nota Yahy (p. 401) che Shfi, per stabilire lautorit legiferante della Sunnah, non fa uso di argomenti
razionali, ma fonda le proprie conclusioni sullaccostamento di versetti coranici; cos egli deduce che sul Profeta
sia disceso non soltanto il Corano, ma anche la Sapienza divina (hikma) che si manifesta nella Sunnah del
Profeta; essa va rintracciata dunque nei suoi detti e nelle sue azioni (la Sra). Di questo e altri risvolti divini
della figura del Profeta, Shfi non linventore, queste sono le convinzioni comuni del suo ambiente (p. 403).
Daltronde, per il Corano, Maometto va obbedito ed il modello da imitare. Nota tuttavia Yahy (ivi) che la
parola hikma ha nel Corano un valore polisemico (saggezza in generale, ragione, parole giuste, etc.) dunque
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non soltanto non sembra debba essere una prerogativa del solo Profeta, ma non ha una valenza legale, n viene
da altri identificata nella Sunnah (p. 405). Ci importante perch Shfi giustifica la propria dottrina sulla base
della propria interpretazione della hikma; nelle parole di Yahy il suo argomento infatti il seguente: la
giustizia consiste nel seguire lo hukm (scil.: giudizio) rivelato; il Profeta occupa un certo posto in rapporto alla
religione e al Corano; obbedire al Profeta un dovere imposto alla comunit; Corano e Sunnah debbono
costituire il riferimento per il mufti (scil.: giureconsulto, colui che emette la fatw) e per il giudice (hakm). Ci
che Maometto dice lespressione della Volont divina (p. 415); per Shfi vi una stretta corrispondenza tra la
Sunnah, la Sra e il Corano (ivi, in n. 87). Shfi intende provare che ogni atto, gesto o parola che proviene da
Maometto, ha la vocazione a servire da norma o a contribuirvi (p. 416). Non importa se egli prese le proprie
decisioni come profeta o come capo politico (scil.: a Medina, come capo di una comunit in lotta): a tale
obbiezione Shfi risponde che comunque, anche quando quelle decisioni non hanno valenza di norma giuridica,
restano sempre una regola da rispettare (pp. 416-417). Yahy non pu fare a meno di sottolineare il ruolo
esorbitante rivestito dalla Sunna nella teoria di Shfi (p. 417) e prosegue a lungo mostrando le obbiezioni alle
quali essa si presta nel pensiero islamico. Nellesaminare pi in dettaglio altri aspetti della dottrina, per esempio
quelli relativi alla determinazione dellabrogante e dellabrogato, fa inoltre notare che il fondamento del pensiero
di Shfi non nella giurisprudenza, ma nella teologia (p. 453): un aspetto sul quale si deve concordare e che
egli mette in luce in tutto il testo. Un ulteriore punto interessante della sua esposizione (pp. 460-461) ci
riconduce sul tema della venerazione di Shfi per il Profeta; qui Yahy ricorda quanto importante sia stata
inizialmente al riguardo la visione arabocentrica di Shfi, anche se questi finir col delineare la gerarchia degli
uomini sul fondamento della loro piet. Lultimo capitolo del libro dedicato al ruolo di Shfi come
tradizionista; qui Yahy fa delle osservazioni molto interessanti su un argomento che ho gi segnalato, cio sulla
concezione che Shfi ha della tradizione, conformemente a quanto in uso nello Hijz. Nota Yahy che Shfi
avvalora le proprie congetture sulla Volont divina facendo uso non soltanto degli ahdth, ma anche degli thr.
Athar (sing. di thr) sinonimo di hadth, ma il termine si usa in riferimento alle tradizioni sahb e tbi, cio
alle tradizioni che non risalgono al Profeta, ma ai Compagni e ai Successori: di ci, ripeto, s gi detto nel
nostro racconto; ci mi sembra tuttavia testimoniare, nella scorrettezza dellindebita estensione, una volont
conservatrice (se non anche reazionaria) che va oltre la premessa teologica. Di certo, una volont di identificare
islamicit e arabicit, un panarabismo che ha sempre costituito una tendenza presente nellIslam.
Linterpretazione che Yahy d del fenomeno ha per un diverso obbiettivo, che ci riporta al primo capitolo e
alla critica a Goldziher, Schacht e Juynboll, giustificata in s, ma non sufficiente a rendere cos accettabile il neo-
tradizionalismo di Motzki, Grke e Schoeler, che ha le simpatie di Yahy. Dice infatti questultimo: luso degli
thr non desta meraviglia o critica, perch la prassi era comune; ci significa che essi erano ritenuti autorevoli e
credibili, perci non si vede quale necessit vi fosse di retrodatare lorigine delle tradizioni al Profeta, come
hanno ipotizzato, senza prove, Schacht e la scuola ipercritica. Questo, francamente, mi sembra un argomento di
contesa ad hominem, che non tocca la sostanza della non dimostrabile coincidenza di racconti e realt storica.
Lantichit della credenza in una ierostoria non fa di questa una storia; esiste un realt della fede che fa la storia,
ma essa non per questo rende storia loggetto della fede. C poi unobbiezione di metodo alluso degli thr
(che potrebbe aver suggerito le ipotetiche retrodatazioni, se vi son state): la premessa teologica di attribuire i
detti e i fatti del Profeta allesplicitazione della Volont divina, non pu essere estesa ai giudizi e ai
comportamenti di Compagni e Successori, viene a mancare il fondamento. Di ci si rende ben conto anche
Yahy (cfr. pp. 491-492) e tuttavia lecito affermare che ritenere i giudizi e i comportamenti dei Compagni e dei
Successori perfettamente rispondenti al dettato divino -in quanto perfettamente esemplati sulla prassi del Profeta-
un atteggiamento ideologico che ha un nome ben preciso: Salafismo: e il Salafismo di tutti i tempi nasce da
obbiettivi ideologici e sociali ben precisi, onde non sembra cos eccessivo attribuire a Shfi un ruolo importante
e non casuale negli arresti evolutivi che hanno gravato il mondo islamico. giunto comunque ora il momento di
esporre le conclusioni di Yahy (pp. 499-503) dopo le quali mi permetter una breve osservazione su uno
specifico giudizio che egli avanza fugacemente qua e l nel suo testo, e che mi trova dissenziente. Nelle
Conclusioni, Yahy sintetizza in brevi parole ci che ha accertato nel proprio studio, collocando Shfi
allinterno di affermazione dei tradizionisti e di conformazione del fiqh, del quale egli non fu lunico
responsabile. Il suo apporto alla teoria legale, dice, deve essere compreso senza perdere di vista la sua
sensibilit religiosa e lambiente confessionale al quale apparteneva (p. 500). Egli fu un rappresentate del
proto-sunnismo tradizionalista imparentato ai a quei primi Hanbaliti studiati recentemente da Laoust (ivi); da
assimilare ai pii anziani del Sunnismo. Si ricordi che tanto lui quanto Ibn Hanbal ebbero in comune un
maestro, Sufyn b. Uyayna, prototipo degli asceti del II secolo (ivi). La sua confessione di fede consente di far
dipendere il suo fiqh dalla sua teologia (p. 501); il suo fiqh non separabile dalla sua spiritualit. Qui Yahy
ripete ancora una volta la propria opinione gi formulata in precedenza: il suo prima di esser diritto si
apparenta, mutatis mutandis a ci che il Cristianesimo designa come teologia morale. Ecco: quel suo mutatis
mutandis non pu restar l senza precisazioni, non pu scivolar via inosservato come labile gesto di mano del
prestigiatore, perch cambiando quel che c da cambiare (di cui non si parla) la parentela svanisce. Perci,
omettendo per ora le ultime ragionevoli considerazioni di Yahy, vengo subito al punto. Il paragone con la
teologia morale del Cristianesimo del tutto improprio, non perch quella di Shfi non sia una teologia
morale, ma perch dietro quel mutatis mutandis c un intero mondo, unintera cultura che separa i due casi.
1295
Dico questo non per stabilire presunte superiorit o presunte graduatorie di merito, ma perch la differenza
essenziale anche per capire il ruolo della dottrina di Shfi nellevoluzione dellIslam della quale certamente
parte -come accerta Yahy- nei vari sensi della parola (nel senso che parte di un percorso e in quello che non
ne il solo responsabile) ma ne parte emblematica. Per capire che cosa c dietro quel mutatis mutandis
sufficiente il rapido sguardo gettato supra alle pp. 994-998 sul rapporto tra Legge divina e legge positiva che si
trova nella Summa Theologi di Tommaso dAquino. Quando si parla di teologia morale, si parla della
normativa etica di una religione: ma nella concezione teologica di Shfi, una violazione della normativa etica
(un peccato, diremmo noi) anche un reato, perch questa la concezione islamica di Legge, una normativa
che il governante islamico, lo Stato islamico tenuto a far rispettare con i mezzi a sua disposizione. Posto
dunque che un determinato comportamento contrario alletica sia anche un reato, il metodo di Shfi non si
limita ad accertare il lecito e lillecito, ma richiamandosi a tal fine a detti e fatti sacralizzati risalenti al VII
secolo ma di fatto atemporali, precisamente perch manifestazioni della Volont divina che, come tale, non pu
che essere eterna e immutabile; e contenendo tali detti e fatti non soltanto la definizione del reato ma lentit
della pena, stabilisce di fatto un codice penale archetipo nel quale non soltanto i delitti, ma anche le pene, hanno
il proprio modello nel VII secolo arabo. Affermare, come io affermo, che Shfi abbia delle responsabilit nella
fossilizzazione della Sharah, non mi sembra quindi eccessivo; certo, egli pu essere soltanto la figura
emblematica di un processo che non riguarda soltanto lui, del quale egli soltanto parte: ma pur sempre
emblema di quel processo resta. Il procedimento logico che va dalla teologia morale alla giurisprudenza, passa
attraverso due stadi di un percorso che Shfi ha certamente contribuito a spianare. Per banalizzare, ladulterio
certamente illecito sul piano morale: perci anche un reato? se s, come deve esser punito? Vedemmo a suo
tempo le discrepanze tra la norma coranica e il racconto di Umar: si veda ora il 227 della Risla. Lo istidll (la
ricerca del locus probans) di Shfi un bellesempio di ijtihd: ma il risultato di far diventare Legge divina
eterna ed immutabile usi e costumi della societ araba del VII secolo. Sacralizzazione del fatto storico e
fossilizzazione della Sharah appaiono come il volto teologico e giuridico di una volont ideologica: ipotizzare
che esista un modello di societ perfetta, come tale valido per tutti i tempi, e, se possibile, tentare di realizzarlo
per vie legali. Al mondo islamico certamente mancata la lettura della Politica di Aristotele.

Sembra giunto ora il momento di concludere queste Postille con lanalisi di due testi che non fanno
riferimento agli argomenti della nostra analisi, ma che sono significativi perch affrontano il filo conduttore che
sottost lintero nostro racconto, focalizzato sulle alternative sorte lungo il percorso che condusse allideologia
di Occidente, un percorso configurato non gi come particolare percorso della storia, ma come il percorso della
Storia a tutto tondo, destino ineludibile del pianeta, tlos di una storia illuminata dalla nostra Storia; racconto
costituito anche dalla convinzione della crisi di questa ideologia. LOrient dans lhistoire religieuse de lEurope.
Linvention des origines, d. par M.A. Amir Moezzi et J Schied, Turnhout, Brepols 2000, non infatti un testo
che possa essere direttamente collegato con gli aspetti specifici di questa Rassegna, ma pu far parte dei temi
conclusivi delle Postille perch alcuni dei contributi in esso presenti consentono di tornare su quanto credo di
aver compreso e tentato di trasmettere al lettore. Elenco i titoli dei contributi ai quali mi riferisco citandoli in
ordine alfabetico dei rispettivi Autori; essi sono: N. Beylache, LOronte et le Tibre: l Orient des cultes
orientaux de lEmpire Romain; J.P. Brach, LOrient messianique chez Guillaume Postel; B. Flusin, Construire
une nouvelle Jrusalem: Constantinople et les reliques; J. Le Brun, Prface; P. Lory, LOrient intrieur.
propos de conversion lIslam doccidentaux au XXe sicle. Inizio la mia riflessione da Beylache, che ci ricorda
cose assai ben note ma che sempre bene non dimenticare: la dimensione fantastica e stereotipata che assume lo
Oriente gi ai tempi dellImpero Romano, una dimensione che diversa da quella nata in Grecia. NellImpero
Romano, lOriente non si identifica con i barbari, con unalterit ostile (e inferiore) che preme sui confini
della luminosa civilt della Ragione (classica): a Roma lOriente qualcosa di molto pi subdolo, unalterit
interna a quella civilt, che di essa addita la crisi. Ora, se si ricorda la vicenda che abbiamo seguto, quanto
meno da Postel al Romanticismo (ma c lantecedente di Taziano) non si potr trascurare levidenza che la
riscoperta dellOriente come luogo dellorigine, ebbe una propria ragione ideologica nellopposizione alla
cultura egemone dellideologico Occidente; e con essa anche come rivendicazione della particolarit contro la
Ragione Universale della cultura classica, bandiera di Impero e Papato. In questa vicenda Postel certamente
uno snodo lungo direzioni opposte, che in lui tuttavia convivono. Brach sottolinea il ruolo particolare che assume
lOriente in Postel come luogo dellorigine, perci autorevole secondo lidentificazione rinascimentale di
antichit e autorevolezza. Ma lOriente come luogo dellorigine (tutte le lingue derivano dallebraico) anche il
luogo del ritorno secondo il moto neoplatonico di prodos e epistroph, segnati rispettivamente dalla cultura
greca classica, dalla grca fabulositas, e dal Cristianesimo. Si tratta di un ritorno ad origini la cui memoria una
religione naturale razionale presente nelle coscienze di tutti gli uomini (cfr. supra, p. 400) che pu costituire
una base per un dialogo universale. Si noter quanti e disparati temi possano svilupparsi da questa premessa. Da
un lato vi si pu vedere il seme dal quale crescer la razionalizzazione (quindi la secolarizzazione) della
religione, cio del Cristianesimo, che si realizzer nellIlluminismo, allorch sidentificher come postulato della
Ragione unetica storicamente introiettata in lunghi secoli di Cristianesimo. Dallaltro viene portato ad evidenza
il carattere orientale del Cristianesimo, che accomuna questultimo a Giudaismo e Islam e che pone la centralit
di Gerusalemme come luogo del ritorno; un ritorno che Postel vede gi realizzato nella propria persona con
1296
levento della Immutazione (sullevento si veda supra alle pp. 399-408). Emerge per anche un ruolo
dellOccidente come portatore, grazie al Cristianesimo, della missione di riportare in Oriente come ritorno
ci che dallOriente viene come origine, tramite la conversione del pianeta al Cristianesimo. La dipendenza
dellOccidente e del Cristianesimo dallOriente si trasforma in ideologia della colonizzazione culturale. Siamo
dunque in presenza di tre possibili percorsi, diversi tra loro, come possibili sviluppi da un nucleo polimorfo; tre
percorsi che sono stati tutti presenti nella storia occidentale. Quanto a Postel, ho gi ricordato nel testo la
singolare convergenza della sua eresia con temi presenti nellIsmailismo (Baylache ricorda anche la
trasmigrazione delle anime che egli attribuisce alla lezione del cabbalistico Gilgul; per la Qabbalah ebraica cfr.
supra alle pp. 344-376). Ora, questo carattere orientale del Cristianesimo, avvertito tale in occidente, quanto
ricorda Le Brun allorch esordisce con lesplicita -sebbene ovvia- affermazione che le grandi religioni dEuropa
(diciamo pure: dellOccidente) sono tutte di origine orientale. Il plurale si giustifica constatando che loccidente
non pi genericamente cristiano, sia pure con una significativa presenza ebraica, ma ora anche, ancorch
minoritariamente, islamico. Anche restando al solo Cristianesimo, tuttavia innegabile che esso rappresenti, per
usare le parole dello stesso Le Brun, un fenomeno di espansione geografica dei grandi monoteismi di origine
mediorientale, che si sono imposti sul paganesimo dellOccidente. Qui uso il termine con la O maiuscola per
indicare che non sto parlando soltanto delloccidente geografico, ma anche, e soprattutto, di quello ideologico.
Non un caso infatti che la scristianizzazione (termine usato da Le Brun) delloccidente sia stata
accompagnata da resurgenze di ci che si definisce -e ho pi volte definito, a proposito di movimenti culturali
otto-novecenteschi- neopaganesimo. Un neopaganesimo che riaffiora anche in recenti movimenti culturali che
il Cattolicesimo si sforza abilmente di adottare, come quei rinnovati culti della natura che occhieggiano sotto
lambientalismo ideologico (quello scientifico cosa seria, ma altra cosa). Non mi sembra un caso, come ho
pi volte sottolineato, che il fenomeno della secolarizzazione sia stato possibile come conseguenza non voluta
dellistituzionalizzazione della Chiesa di Roma entro le strutture della Ragione classica. Soprattutto, men che
mai casuale mi sembra il fatto che questi fenomeni, che danno vita alla modernit occidentale, siano stati
avvertiti come Progresso rispetto a un Oriente che perci veniva ad apparire altro sotto una nuova luce:
quella dellarretratezza. La missione occidentale di Postel, da lui intesa come la conversione del pianeta al
Cristianesimo, divenne al contrario la secolarizzazione di tutte le religioni, e la loro consegna allo zeffiro lieve
dellopinione. Sul medesimo fondamento si pu considerare non casuale anche il fatto che i grandi devoti
dellOriente come luogo dellorigine, i Romantici, fossero legati al sogno dellEuropa cristiana medievale e
nemici dellevoluzione culturale in atto dopo la Rivoluzione Francese, allorch lIlluminismo sidentific con la
Ragione astratta del Razionalismo e con il trionfo incondizionato dello Stato moderno. Laffermazione iniziale di
Le Brun appare quindi ovvia nel senso positivo della parola, nel senso che non si pu introdurre qualche
barlume di comprensione nellintrico dei problemi posti dallattuale fase della modernit, senza tener conto che
il Cristianesimo allorigine pensiero orientale che conquist loccidente, e che esso parte dei complicati
sviluppi e della variegata famiglia dei monoteismi orientali. Della quale famiglia fa parte per non soltanto il
Giudaismo, ma anche lIslam. E se la tesi di molti studiosi, accolta nel mio racconto perch, a mio avviso,
solidamente fondata, viene assunta come guida per la comprensione di molti fenomeni specifici, altre
considerazioni possono essere sviluppate, tutte presenti nel mio racconto che ha tentato di rintracciare lalbero
genealogico della parentele. Tutta la vicenda che ho seguto nasce infatti dal rifiuto di alcuni di accettare
listituzionalizzazione di un monoteismo orientale nella Ragione occidentale, rifiuto rivelatosi impolitico (e,
di fatto, perdente) ma ben motivato per la contraddizion che nol consente tra la verit/testimonianza di un
messaggio profetico e la verit/epistme del Razionalismo. Che poi la Ragione classica possa arrogarsi di essere
il pensiero occidentale tout-court, lha sempre negato la vicenda storica, da Eraclito e dai Sofisti sino a Lacan:
ma questa altra storia, di certo la Ragione classica fonda lideologia di Occidente. Il ricordato rifiuto
dellistituzionalizzazione che allorigine delleterodossia occidentale, anche la ragion dessere delle tante
forme di Giudeocristianesimo e del conseguente pulviscolo settario che fu lhumus nel quale nacque e si
afferm lIslam: anche questo intu Postel (cfr. supra, p. 407 in n. 264). E neppure un caso che i pensieri nati in
quelle teste balzane doriente e doccidente fossero destinati ad incontrarsi, dal nostro Medioevo allorch si
conobbero le traduzioni dallarabo, e nel Rinascimento, dal Libero Spirito a Postel, dallalchimia allErmetismo
alla magia dotta: lo abbiamo visto a suo tempo nei capitoli a ci dedicati. Neppure un caso che a sorreggere
ontologicamente ledificio ereticale (nel quale ha diritto di cittadinanza anche la Qabbalah ebraica) fosse quel
Neoplatonismo che non nasce nel paganesimo con Plotino, Proclo e Damascio, ma, ben prima, nella religiosit
mediorientale di Filone, per proseguire da Alessandria a Baghdad come ho raccontato nel secondo (e terzo)
capitolo di Dopo e a lato. Sorge allora una domanda inquietante: non sar, magari, che tante eterodossie, e,
infine, lIslam, altro non siano che il tentativo di leggere il messaggio testamentario in antitesi ad una
istituzionalizzazione che si avvertiva, per qualche buona o cattiva ragione, come tradimento delle origini? Un
tradimento la cui conseguenza, per eterogenesi dei fini, lodierna pretesa occidentale di relegare la religione
nel salottino dellopinione privata, chiedendole il silenzio nellagone politico e sociale? Pu una religione, mito
fondante di una societ, rinunciare a battersi per la propria concezione della societ, accettare la rinuncia a farla
valere, sia pur democraticamente? Pu una societ fare a meno di ci senza perdere la propria stessa ragion
dessere, come sostiene Strauss? A me sembra che la discussione sullipotizzata crisi della modernit occidentale
possa intrecciarsi molto bene con una storia nella quale anche lIslam gioca un ruolo, come quei parenti
1297
dimenticati che giungono imprevisti da lontano quando c in ballo uneredit. Non un caso -insisto nelle
constatazioni- che tanto nelle lontane e meno lontane eterodossie cristiane, quanto nelle odierne opposizioni
secolarizzate a questo Occidente, quanto nellIslam, sia sempre in primo piano la giustizia sociale, cio la
contestazione della Ragione economica -la pi razionale manifestazione della Ragione- che accompagna le
magnifiche sorti di tutte le modernit di tutti i tempi, dette anche razionalizzazioni in nome, di quella
particolare ragione. C tuttavia unaltra e forse confliggente forma di fascino che esercita lIslam su alcuni
animi occidentali, come forma di ritorno alle origini: ma di questo parleremo infra a proposito dellarticolo di
Lory. Per ora proseguo con una diversa prospettiva, le considerazioni introdotte partendo dallarticolo di Flusin,
il quale ricorda loperazione di trasporto delle reliquie della Passione da Gerusalemme a Costantinopoli, mirata a
fare di questultima la nuova Gerusalemme. Nota Flusin che Gerusalemme, ritenuta centro anche geografico
del mondo (di quello del quale ci si preoccupava allora) non tanto ad Est, quanto piuttosto a Sud di
Costantinopoli: e tuttavia essa avvertita come Oriente in quanto origine. Dunque, questo presentarsi
come origine e centro, che implic una contesa su Gerusalemme e scontri anche cruenti, mai cessati, per il
dominio della Gerusalemme geografica, fa da corredo al problema dellautolegittimazione come riferimento per
lintera civilt, quantomeno per la civilt euro-mediterranea. Si potrebbe scorgere il proseguimento di questa
lotta anche nel conflitto arabo-israeliano, perch il problema centrale sul piano ideologico : a chi spetta
leredit testamentaria che fonda la civilt europea, ma non soltanto quella? La ragione ideologica della lotta
pu essere compresa soltanto se si disposti a scorgere nei tre protagonisti tre eredi di pari diritto, nessuno dei
quali pu essere considerato illegittimo, a nessuno dei quali si possono lasciare in mano soltanto le briciole:
parlo della Gerusalemme come luogo delle origini, della quale la Gerusalemme geografica comunque simbolo.
Abbiamo gi visto per quale via lIslam ritenga di aver diritto a rivendicare la propria eredit: al Giudaismo
mancherebbe infatti luniversalit che, pure, certamente presente nel Messaggio; al Cristianesimo la Legge, in
assenza della quale non si costruisce una societ; obbiettivo anchesso certamente presente in quel Messaggio.
Tutto ci, oltre ad aprire ad altre riflessioni che esprimer in chiusura, fa da introduzione allultimo degli articoli
citati, quello di Lory, il quale vede lo Oriente degli occidentali (o di molti di essi) come un luogo immaginario,
frutto di proiezioni dellinconscio simmetriche rispetto allimmagine dellIslam che fu creata dallorientalismo.
Un luogo sognato, insomma, invece di un luogo dellarretratezza: forse come espressione di un interiore dissenso
dal percorso assunto dallOccidente. Che lOriente sia stato in Occidente un luogo mitico della contestazione alla
cultura egemone, lo abbiamo ben visto nel nostro racconto; sintomatico che lo sia ancora, quasi rappresentasse
il prodotto di una cattiva coscienza. C da chiedersi se tutto ci non abbia qualcosa a che vedere con ci che
lOccidente, al fine di costituirsi come ideologia, ha costantemente rifiutato, creando cos unalterit fittizia ai
margini di un hortus conclusus. Ne verrebbe in qualche modo giustificata la lettura psicanalitica di Lory, il
quale, allorch viene a trattare della fascinazione sf sulloccidente, finisce col ritrovarsi faccia a faccia con
estenuati esoterismi che poco o nulla hanno a che vedere con la realt dellIslam, come egli stesso sottolinea.
Uninfatuazione che coincide essenzialmente con un passivo rifiuto personale della modernit occidentale,
personali elucubrazioni, idiosincrasie e rifugi nirvanici, che non presentano alcun interesse per ci che tento di
indagare, il rapporto tra fenomeni di dissidenza religiosa e dissidenza sociale, non personale: questultima
destinata ad esaurirsi in un percorso singolo o di pochi adepti circoscritti nella comune fuga dal mondo.
Larticolo di Lory, insieme agli altri, solleva tuttavia una serie di riflessioni che vanno oltre il suo o i loro
specifici contenuti, perch vi si aprono orizzonti da esplorare circa lermeneutica con la quale lOccidente ha
affrontato la comprensione dellIslam, colpevole di essere il pi resistente alla secolarizzazione fra i tre
monoteismi testamentari. La focalizzazione di questa comprensione sullacribia filologica, gi usata come arma
o come scudo nei confronti del Giudaismo e del Cristianesimo, un problema tutto interno alla cultura
dellOccidente, condizionata da un concetto di verit fondato sulla sovrapponibilit del discorso alla cosa, una
verit della tchne che trova nella scienza la metodologia per i propri raggiungimenti. Se, viceversa, si
considera il problema della realt come conseguenza della parola che fa essere, si deve pensare ai diversi
discorsi che si sono potuti costruire sul fondamento simbolico, e perci polimorfo, del messaggio testamentario,
quindi ai diversi modi nei quali esso fu letto creando realt diverse ma tutte storicamente legittimate, perch
frutto di diversi discorsi profetici che hanno fatto essere diverse realt storiche. Lacribia filologica pu soltanto
sforzarsi di accertare come, quando, da chi e per qual via furono composti quei discorsi: cosa che certamente
dimportanza per lo storico, ma che non pu intaccare la loro verit, testimoniata dallaver fatto essere culture
e civilt, cio realt storiche. Da questo fondamento deriva per la necessit di ammettere che quel luogo ideale
detto Gerusalemme appartiene con eguale diritto a tre diverse religioni che ad esso si richiamano; come tale
esso sembra destinato a rimanere luogo conteso, e la contesa a rimanere irrisolvibile (per il credente) o
incomprensibile (per il non credente) sinch si pretender di inseguire laccertamento scientifico del certificato
di propriet. Se mi concessa unosservazione che non vuol essere unaffermazione, tantomeno un giudizio ma
soltanto un argomento di riflessione, vorrei dire che quel luogo ideale appartiene non soltanto alle varie
ortodossie che ne sono discese e che si sono contese il luogo geografico, ma anche alle tante eresie che tali
sono perch tali proclamate dalle ortodossie. Appartiene anche a queste perch la contesa sulle interpretazioni
fondata su un messaggio profetico che istituzionalmente aperto a molteplici letture; messaggio che l nato
nel crogiolo intertestamentario. Non per caso ho sempre insistito su un tema che pu sembrare marginale, ma
non lo , rispetto alla centralit eventi raccontati: il tema della parola che fa essere. Tanto il Giudaismo, quanto il
1298
Cristianesimo, lIslam e tutte le loro eterodossie, nascono da ci che fu profetizzato a Gerusalemme; perci
non soltanto la disputa su quale delle tre opzioni sia legittima, anche quella filologica sul fondamento della
loro legittimit, senza senso dinnanzi alla realt di tre culture che vi si sono formate. Le dispute religiose o
filologiche non hanno senso, se non si tengono presenti le diverse opzioni di societ che si nascondono sotto le
differenze dottrinali. Tutte le scelte furono possibili a partire dal crogiolo intertestamentario, anche lo
Gnosticismo, perch i messaggi profetici valgono soltanto per come sono intesi da coloro che li raccolgono, li
conformano, li diffondono, ne fanno fondamento di una storia. Una interpretazione autentica non pu darsi,
neppure se un Dio si infiamma per certificarla, o manda in terra suo figlio per dar lesempio, o spedisce in terra
per corriere un testo autografo a far fede: perch saranno sempre soltanto gli uomini a narrare il fatto o a copiare
il testo riaprendo il gioco delle interpretazioni, che non sono mai gratuite o casuali: c dietro un progetto di
societ. Ci detto, ha quindi molta ragione Lory quando afferma che gli occidentali alla ricerca di vaghezze
mistico-esoteriche nella lezione sf, non comprendono affatto la complessit dellIslam. Lapertura estatica alle
realt ineffabili di un ordine metafisico , oltretutto, in s, mera autosuggestione. Quellordine non esiste se non
nel modello neoplatonico, sulla cui pretesa ontologica (la sua verit storica come sogno razionale, altra
cosa) vale sempre il sarcasmo di Dodds. Gli ordini razionali immaginati in cielo sono sempre smentiti dalla vita,
che disordine, un ordine improbabile provvisorio e transeunte, soggetto a gnesis e phthor: ma quel
disordine precisamente la fonte che alimenta la sua perpetua creativit. Lordine, ammesso che esista, al di l
della vita, obitoriale, non crea nulla (lobbiezione fu gi posta al modello emanatista di Avicenna) un rinculo
verso la Ragione classica che ingabbia la rivoluzione testamentaria, certamente pericolosa perch toglie
fondamento allo status quo. La pretesa di essere o di porsi in quellordine fuga dalla vita, dalla sua bellezza che
nel rischio, perch ogni decisione sporgenza sul Nulla al quale si oppone: perci anche creazione di essere,
di storia; di una storia che tuttavia non quella teleologica degli storicisti. Perci la vita anche errore in quanto
erramento in una landa ignota (se cos non fosse, il destino non avrebbe assunto, nellopinione corrente, i
contorni di forza estranea, incombente e ineludibile che decide dei nostri eventi) nella quale la sola verit
quella che si testimonia facendo. Perci una metafisica dellesistenza, come quella di Moll Sdr pu essere
interessante come vicinanza alla proposta del Messaggio, nel cui concetto di Creazione e di un Dio/Volont
implicito il primato della vita, quindi dellesperienza come culla del pensiero; mentre lastratta epistme della
Ragione classica ideologia del dominio. Perci il nostro racconto ha voluto percorrere eventi della marginalit,
con tutta la loro improponibilit ma anche con il sogno che li sostiene: pensare un diverso mondo ricevendone
uneterna sconfitta, una sconfitta che tuttavia mette in cammino la storia verso nuovi e imprevedibili percorsi
nellignoto additando il cambiamento, sola realt del mondo sublunare che pura ideologia considerare
progresso o regresso. Lordine soltanto un orizzonte che muta ad ogni passo, e padre di tutto plemos.

giunto ora il momento di chiudere queste Postille con laltro testo che impegna il senso di questa
ricerca, un testo che andr esaminato con attenzione e con il massimo di apertura, perch non si presenta di facile
accettazione, almeno per la cultura occidentale, e merita di essere compreso e commentato con un minimo
ventaglio di riferimenti. A tal fine, nel corso di queste note, saranno citati altri titoli che fungono da parametro,
tra i quali alcune recensioni. Stiamo parlando del recente lavoro di W.B. Hallaq, The Impossible State:Islam,
Politics and Modernitys Moral Predicament, edito nel 2013 dalla Columbia Un. Press di N. York. Premesso che
il lavoro pu apparire urticante per certo fondamentalismo occidentale, cui esso pu offrire loccasione per facili
stroncature (ne vedremo i limiti) va detto tuttavia che il lettore attento potrebbe trarne spunto per riflessioni non
scontate. In primo luogo per il ruolo di tutto rispetto dellAutore, uno dei pi noti studiosi della storia e del
fondamento razionale della Sharah; poi, per la non eludibilit delle argomentazioni addotte. La tesi di Hallaq,
una tesi da lui pi volte espressa nella sua vasta produzione scientifica e divulgativa (gran messe di titoli anche
sul web). nelle presenti note far riferimento soltanto ad alcune delle sue tante pubblicazioni, per ovvia esigenza
di concisione. In The Impossible State, la tesi cui accennavo viene ripresa e trattata per esteso ad un livello
accessibile anche ai non specialisti: tento di riassumerla in poche parole. Secondo Hallaq, ma certamente non
soltanto secondo lui, lo Stato, nella sua natura pervadente sulla normativa sociale, un prodotto della storia
dellOccidente che il colonialismo occidentale ha lasciato in eredit al mondo islamico. Ci ha generato un
conflitto con la tradizionale societ islamica la cui organizzazione era regolata dalla Sharah, una legge non
promulgata dai governi, quali che essi fossero, ma nascente dal corpo stesso della societ, con la sua fede e le sue
tradizioni tramite un corpo di giureconsulti (muftn, pl. di muft) espressione della societ stessa, ad essa
organici. Per conseguenza, lo Stato islamico quale esso si configurato in epoca post-coloniale, uno Stato
impossibile, perch lessenza dello Stato confligge con quella dellIslam. Parlare di uno Stato islamico
significa dunque enunciare un ossimoro, postulare lesistenza di un adnaton. Inizio con lesporre sinteticamente
il contenuto del testo, introducendo qualche mia osservazione quando necessario. Sin dallIntroduzione, Hallaq
avverte che le contraddizioni insite nel difficile Stato islamico, il cui stesso concetto contraddittorio, sono
radicate nellassenza di ruolo della morale nella modernit (p. XI). Come avremo occasione di notare, egli insiste
sovente, nei suoi testi, sullimportanza di unetica condivisa, e sul fatto che la Sharah mirava alla formazione di
una comunit morale (cfr., ad esempio, il suo An Introduction to Islamic Law, Cambridge Un. Press, 2009, p.
144 e p. 151: ma il tema un Leitmotiv dei suoi scritti). Tale compito non realizzabile ad opera di leggi
statuali, essendo lo Stato moderno istituzionalmente anetico. Il mio libro perci, dice Hallaq subito dopo (p. XII)
1299
un saggio sul pensiero morale, pi ancora che un commentario sulla politica e sulla legge. Limpossibilit di
uno Stato islamico nel mondo moderno, aggiunge ancora a p. XIII, il risultato diretto della mancanza di un
favorevole (auspicious) ambiente morale. tra le cui conseguenze il collasso di unorganica unit sociale
unito a forme economiche oppressive. Nota poi che tali guasti sono ben visibili allinterno delle societ
occidentali e sono oggetto della critica occidentale post-moderna. Hallaq affronta dunque senza perifrasi
problemi che sono stati pi volte evocati nel corso del nostro racconto, ed inizia la propria disamina
precisamente dalla critica al moderno Occidente, critica che egli conduce sulla scorta della letteratura occidentale
percorsa con un abile collage di autori volto a dare un quadro essenzialmente negativo della modernit. Anche
chi sta scrivendo queste righe considera il fenomeno della modernit un percorso giunto in vista del capolinea e
ha espresso al riguardo giudizi perentori; tuttavia lascia perplessi il carattere collettaneo della critica di Hallaq, in
special modo quando si pensi che tra gli autori cui maggiormente fa riferimento c Carl Schmitt ma c anche la
moderna ideologia ambientalista. Questo uso della letteratura occidentale stato sottolineato da L. Abu-Odeh
nella sua recensione al testo apparsa su I.J.M.E.S., 46,1, 2014, ma non deve sorprendere, n pu ritenersi soltanto
strumentale: nel corso del mio racconto ho infatti avuto modo di sottolineare pi volte come la repulsa islamica
per la modernit occidentale possa coincidere tanto con lideologia della sinistra, quanto con quella della
destra, occidentali. Cos come posto dalla Abu-Odeh il problema per mal posto, come lo fu, in certa
letteratura del XX secolo, considerare lascendente gnostico a monte dei due estremismi occidentali. infatti
scontata la convergenza nella critica allOccidente da parte di quelle forme di pensiero che lideologia
occidentale ha messo la margine, tanto pi nel caso di una prospettiva islamica nella quale tradizionalismo
(destra) ed egualitarismo (sinistra) sono inestricabilmente fusi e radicati in una peculiare lettura del
messaggio testamentario. Se vogliamo dunque chiarirci le idee sul pensiero di Hallaq senza ricorrere allesame
minuzioso della sua cospicua letteratura, possiamo valerci dellintervista da lui rilasciata il 14-11-2013 alla
rubrica online Jadaliyya a proposito di The Impossible State, intervista reperibile su www.jadaliyya.com/pages/
index/14212/new-texts-out-now_wael-hallaq-the-impossible-state, intitolata New Texts out now: Wael Hallaq,
The Impossible State. Islam, Politics and Modernitys Moral Predicament. Qui Hallaq evoca lantropologia
quando afferma che il governo islamico e lo Stato moderno producono due soggettivit molto diverse, se non
due diversi tipi di essere umano, postulando poi lesigenza di un dialogo tra studiosi islamici e occidentali ai
fini di una comune azione contro le dominanti ma distruttive pratiche della modernit. Su questo punto sembra
difficile dar torto alla Abu-Odeh allorch ella definisce Hallaq un Huntington alla rovescia. Il quel Hallaq tiene
comunque a precisare, nella citata intervista, che la dimensione teoretica dei suoi scritti recenti, una svolta che
egli colloca nel 2005, nasce dallesperienza della sua precedente lunga attivit scientifica; e che lo scopo di
questo suo ultimo libro introdurre una prospettiva islamica nel dibattito accademico occidentale, tentare di
aprire una discussione sulla modernit, e farne la critica anche alla luce di una miglior conoscenza delleredit
morale, intellettuale e politica dellIslam. Qui Hallaq avanza unosservazione che non posso non condividere: se
non ha senso pensare di riportare indietro la storia, certamente possibile e desiderabile recuperare dalla storia
alcuni valori costruttivi. Hallaq precisa quindi subito dopo che il suo libro costituisce in primo luogo una
critica della modernit motivata dal pericolo di assuefazione mentale che fa ritenere ovvia la quotidianit,
sottraendola alla critica: laddove, a suo avviso, la condizione moderna insostenibile. Io sono convinto
afferma che il sistema in bancarotta e che le strutture occidentali sono inadeguate per una societ che
desideri un buon governo. Al riguardo, Hallaq dichiara di essere impegnato nella stesura di un testo sul Corano,
nel quale egli vede una delle pi razionali espressioni di una condizione post-moderna. la post-modernit
infatti una collocazione intellettuale alla quale egli si riferisce comunemente per contrasto alla modernit, che
egli giudica non soltanto negativamente, ma anche gi fallita. partiamo dunque dalla critica alla modernit con la
quale si apre The Impossible State; una critica che peraltro parte dalla inadattabilit dello Stato moderno al
mondo islamico, ampiamente esemplificata negli esiti della Rivoluzione iraniana (p. 2) dove le esigenze
dellapparato statale hanno subordinato e sfigurato le norme di conduzione sharaitiche (ivi). Ricordo che il
fenomeno comunemente ammesso e vi ho dedicato poche righe supra alla p. 1244; tuttavia questa osservazione
necessaria ad Hallaq per introdurre la linea conduttrice della sua tesi. Ci che egli introduce a confronto
(vincente) con la concezione e lorigine della legge nello Stato moderno, non la legge, meglio, le varie leggi,
applicate negli Stati islamici con richiamo alla Sharah; bens una concezione paradigmatica della Sharah
quale si era formata nellIslam pre-moderno. Si tratta di un passo criticabile in principio, perch il confronto che
si apre in questo momento un confronto del tutto sghembo condotto con uno sguardo strabico: da un lato c
una costruzione storica lo Stato moderno- con tutti i suoi terreni inconvenienti, dallaltro un modello ideale i cui
effettivi esiti storici non sono mai presi in esame, sostituiti dalla visione idillica di un passato mai esistito. Ci
stato ampiamente notato e criticato dalla Abu-Odeh, che tuttavia si pone in una contrapposizione la
Huntington con Hallaq, della quale non si avverte la necessit. Mi sembra pi utile, al contrario, riflettere sulle
prospettive aperte dal testo allorch, dopo una critica peraltro non originale del moderno Occidente, contrappone
ad esso una diversa concezione della societ e del fondamento della legge. Riflettere sui nostri limiti e su ci che
altre e diverse culture hanno perseguito, sembra operazione opportuna nel momento in cui la sofferenza verso gli
esiti della modernit investe la stessa cultura occidentale. Questo il senso della recensione di Hallaq condotta
da A.F. March sul web, in www.papers.ssrn.com/sd3/papers.cgrn?abstract_id.... il cui titolo gi di per s
significativo: What can the Islamic Past teach Us about Secular Modernity? March non manca infatti di
1300
sottolineare i vistosi limiti della tesi di Hallaq, sostanzialmente riconducibili ad una visione semi-mitica di un
passato mai esistito della societ islamica, conseguenza del confronto strabico da lui introdotto; e tuttavia si
rende conto che il testo di Hallaq, oltre a costituire una critica anche della pretesa islamista di applicare la
Sharah nel contesto di uno Stato (quali sono quelli islamici moderni) ricorda allOccidente che dallIslam pu
venire una critica morale alle ineguaglianze generate dagli ultimo sviluppi della modernit. Pi decisamente in
questa direzione si muove la recensione di M. Mizanur Rahman su Middle East Media and Book Reviews
Online (http://membr.uwm.edu/review.php?id=98) . Mizanur Rahman sottolinea infatti il contrasto tra le tesi di
Hallaq e quelle dei primi intellettuali musulmani moderni come al-Afghan, che pensavano di poter conciliare
Islam e modernit; e tuttavia chiarisce che lincompatibilit non viene vista con la prospettiva di quellOccidente
che colloca lIslam nella categoria della arretratezza, prospettiva che si vorrebbe confermata dai fallimenti dei
moderni Stati islamici che hanno voluto reintrodurre la Sharah. Quanto alla visione mitica che Hallaq fornisce
del passato islamico, essa non andrebbe vista come mera operazione nostalgica. Ci che lIslam contrappone
allOccidente, non come sguardo sul proprio passato ma come denudamento dei limiti della modernit, la
visione di una societ retta da unetica comune che distingua ci che si (is) da ci che si dovrebbe essere
(ought: il tema ricorrente in Hallaq). Questa societ retta da unetica comune si contrappone dunque alla
natura anetica dello Stato, salvando la comunit e gli individui dal senso di narcisismo e di irresponsabilit
morale che la societ e gli individui hanno sviluppato come conseguenza del progetto di modernit. Ho voluto
introdurre sin dallinizio queste tre diverse recensioni per aiutare il lettore a inquadrare il senso della ricerca di
Hallaq, fermo restando che, personalmente, previlegio quella di March e Mizanur Rahman, perch ritengo ne
colgano meglio il valore rispetto a quella della Abu-Odeh che, pur formalmente ineccepibile, mi sembra
improduttiva nel concreto. Al riguardo vorrei sottolineare che Hallaq non auspica un ritorno alla Sharah, per il
semplice motivo che il nucleo della sua tesi impensabile allinterno dellodierna organizzazione in Stati dei
popoli islamici; una posizione che egli ha ampiamente sposto e motivato nel suo articolo Can the Sharia be
restored?in Islamic law and the Challenges of Modernity, ed. by Y. Yazbek-Haddad and B. Freyer-Stowasser,
Walnut Creek, AltaMira Press, 2004. Ci che va sotto il nome di Sharah oggi, come egli ha ampiamente
illustrato, non che un pot-pourri scelte indifferentemente dalle varie scuole ad opera del legislatore statale al
fine di creare qualcosa (di fatto un patchwork) di relativamente adattabile ai tempi tramite un processo di scelta
(takhayyuf) e di conseguente invenzione (talfq). Il senso del suo discorso quindi, come lui stesso ha
affermato nellintervista, quello di una critica alla modernit occidentale, non di sostegno al ritorno della
Sharah, improponibile soprattutto perch se ne perso il significato, sia per quanto dello sopra, sia per la
concezione a dir poco approssimativa che ne hanno gli stessi islamisti che vorrebbero imporne una loro versione
autoritaria. La Sharah infatti non fu una legge dello Stato, era una dottrina dominata dalletica (p. 41) il cui
sostegno era in istituzioni economicamente indipendenti, le fondazioni religiose, e lautorit del giurista era
strettamente connessa alla sua competenza e piet, era strettamente personale (ivi). Tuttavia, notava Hallaq in
questo suo articolo, la modernit occidentale incompatibile con la morale islamica (p. 43) anche per i danni
sociali che essa ha creato. Il ritorno allIslam che ha avuto la sua pi vistosa manifestazione nella Rivoluzione
iraniana, stimolato dal disincanto prodotto dal processo di occidentalizzazione (ivi) e il ritorno alle dottrine
dello usl al-fiqh esercita una potente attrazione sui Musulmani a causa del loro fondamento nei testi sacri (p.
44). Per loro la modernit pu essere gettata nel cestino (p. 45). Tuttavia, notava allora Hallaq, la modernit,
per quanto criticabile, una realt che non pu eludersi e non potr esserlo ancora per lungo tempo. Il
compromesso non pu per essere cercato seguendo il pensiero del Musulmani liberali come Fazlur Rahman che
punta ad una rilettura attualizzata del Corano, non ancorata cio alla letteralit della Sunnah: il loro pensiero
infatti non ha alcun impatto sullopinione popolare dei Musulmani, n ha molto senso il recupero della Sharah
ad opera di leggi di Stato, come in Iran. Sul problema del pensiero delle masse torneremo, come su altri articoli
presenti in Islamic Law, etc., cit.; qui voglio ricordare la differenza tra il giudizio qui espresso da Hallaq sulla
modernit occidentale, negativo ma aperto alla constatazione della sua ineludibilit, da quello maturato nel testo
del 2013 che stiamo esaminando e nella relativa, citata intervista, che considera la modernit occidentale un
fallimento ormai innegabile nella prospettiva dello stesso occidente, anchesso vittima di questo processo.
Tornando dunque a The Impossible State, riassumo rapidamente lanalisi dello Stato occidentale condotta da
Hallaq alle pp. 1-48, una ripetizione di tesi altrui ben note assemblate strumentalmente a sostegno della tesi di
Hallaq: e tuttavia inequivocabilmente pertinenti. Cos, ad esempio, lo sono le osservazioni introdotte a p. 3 circa
il carattere tutto ideologico del Progresso nel quale lOccidente condensa il presunto tlos della Storia
storicista e post-illuminista, tlos che si realizza in un moto infinito in una direzione precostituita, con la pretesa
che ad esso debba adeguarsi il pianeta. Si tratta di un argomento che ho pi volte affrontato nel mio racconto,
anche a proposito delle chimere della filosofia della storia, sul quale non mi sembra necessario tornare se non
per ricordarne il sottofondo (la storia storicista come fondamento ideologico dellavvento della borghesia: cfr.
supra, pp. 708-709 e La Gnosi, etc., cit., pp. 331-334). Contro questi sviluppi Hallaq si limita ad invocare
alquanto banali critiche ambientaliste e anticapitaliste; tuttavia coglie un punto socialmente rilevante allorch
segnala che al nucleo della modernit vi il divorzio tra la scienza in senso lato (inclusa leconomia, la legge e
quantaltro) e letica (p. 5) in nome dellautonomia della Ragione (p. 6). Anche questo un tema che abbiamo
gi visto, ed qui che Hallaq sottolinea il diverso ruolo e fondamento della ragione nel pensiero islamico,
argomento che mettemmo a fuoco a suo tempo parlando di al-Ghazl. Per quanto concerne lOccidente, nota
1301
poi Hallaq a p. 7, la concezione del progresso si risolta nella sua identificazione con il progresso tecnico
sganciato da concezioni di altra natura, un problema di mera produzione che rende superflue le considerazioni
morali e sociali (ivi). Questo progetto, basicamente illuminista, presupponeva la rimozione della pluralit delle
tradizioni e delle etiche, da sostituirsi con una morale razionale universale (p. 8), presupponeva dunque
laffermazione di una Ragione unica, come ho pi volte sottolineato. Il concetto occidentale di Progresso (che,
come notavo supra a p. 539, trinitariamente collegato alla Ragione e alla Scienza) non ha dunque, come la
Ragione razionalista, altro fondamento se non se stesso (p. 16). Ci come dire che non ha fondamento
razionale ( puramente fideistico, nella fattispecie, ideologico); perci, quando si etichetta di nostalgia la
tensione islamica alla restaurazione della Sharah (nostalgia il tema discusso supra esaminando larticolo
della Scarcia Amoretti) occorre tener presente che il concetto di nostalgia presuppone quel Progresso che
abbiamo visto essere puramente ideologico (p. 14). Losservazione pi interessante circa la mera ideologicit del
Progresso storicista viene per a p. 15, dove Hallaq ne nota la contraddittoriet sul piano razionale. Infatti, dice
Hallaq, siamo in presenza di una concezione della storia che usa la storia per giustificare se stessa, ma nega la
storia stessa quando questa utilizzata entro una diversa concezione, ad esempio per sottolineare il radicamento
di determinate tradizioni etiche che sono in contrasto con gli orientamenti del presente. Hallaq nota quindi, con
altre parole, quel che ho avuto modo di sottolineare pi volte, non soltanto nel presente racconto: il carattere
teleologico della storia storicista, secolarizzazione di una ierostoria guidata da una immanente Ragione che
imprime uneterna Aufhebung verso un traguardo prefissato, ideologica giustificazione del presente e certificato
di nobilt della borghesia produttivista, con antecedenti sin dal tempo di Hammurabi, come notava ironicamente
Fossier. Il secondo capitolo del testo dedicato alla critica del moderno concetto di Stato, condotta sulla scorta
della letteratura occidentale: nulla di particolarmente nuovo, dunque, ma qualcosa di sempre utile a ricordarsi.
Premesso che il moderno Stato il prodotto di una specifica storia, quella europea, nonostante esso sia sovente
trattato come un soggetto atemporale, universale e astratto (p.24) Hallaq entra nella parte pi significativa
della sua critica a p. 31, con lanalisi dei concreti poteri in azione nello Stato, a partire dallapparato burocratico.
Si noti che, da questo momento, il suo discorso va seguito con attenzione, perch tutta la sua costruzione
mirata a fare in seguito, della societ islamica paradigmatica, il contrapposto ai guasti dello Stato occidentale.
A p. 31 Hallaq sottolinea dunque il ruolo della burocrazia nella realt operativa dello Stato, facendo notare la
distanza tra Marx (il Marx libertario) e Weber: dove le sue simpatie vanno naturalmente al primo. Per Weber,
che sembra trascurare il legame tra lapparato burocratico e il potere reale, la burocrazia si giustifica come
estensione razionale, attuazione dellordine legale, con il potere di modificare o anche rimuovere, con atti
amministrativi o sentenze, ogni ordine sociale esistente in nome della razionalizzazione. Mi permetto di
sottolineare che la razionalizzazione, volto ideologico e autoritario del potere che crea marginalit, il mito di
fondazione che conferisce allapparato burocratico la sua neutralit apparente e la sua acefalia/autocefalia
fattuale. Sottolineo quindi questa invocazione della razionalit anche per ricordare il carattere socialmente e
ideologicamente non neutrale delle razionalizzazioni che intervengono nella storia: ci che non di per s
scandaloso, per un po meno digeribile la giustificazione del fatto compiuto in nome di una neutra, astratta e
superiore Ragione. Al contrario, Marx (che Hallaq cita peraltro in modo indiretto, a partire dalla letteratura)
notando il legame tra burocrazia e potere reale, avrebbe auspicato un mondo senza burocrazia in quanto senza
potere di classe: e questo coincide con la visione islamica, sicch un giurista musulmano del buon tempo antico
avrebbe abbracciato Marx con entusiasmo (e qui si cita, in nota, anche Khomeyni). Vorrei soltanto notare che il
Marx utopista e libertario de Lideologia tedesca si trov a ripiegare sullintermezzo della dittatura del
proletariato, dal quale nacque poi lo Stato socialista tutto burocrazia e dominio dapparato. Quanto alla
Repubblica islamica di Khomeyni, qualche problema di autoritarismo sembra averlo anchessa. Hallaq esamina
ulteriormente la funzionalit della burocrazia, quindi il suo prosperare e proliferare, ai fini della gestione dello
Stato moderno, sottolineando che essa, divenuta pi importante dei partiti, subordina la gestione del potere ai
fine della propria razionalit: non soltanto per ci che concerne la salute, il lavoro, il welfare, ma anche per
ci che riguarda la scuola, politicizzando ed egemonizzando la cultura, quindi ricreando gli standards della
comunit e la stessa soggettivit. In particolare, tramite legemonia della scuola pubblica, essa crea
lomologazione della societ (pp. 31-34). Questultimo punto mi sembra di particolare rilievo perch istituzioni
nate ispirandosi al concetto di eguaglianza tendono di fatto a creare, come nellastratto cittadino ereditato dalla
Rivoluzione francese uneguaglianza che fa del cittadino un numero, abolendo il ricco tessuto delle differenze
entro lappiattimento culturale. si ratta di una razionalit meccanica e astratta, utile essenzialmente al fine del
controllo, cio al fine proprio della burocrazia, a lei istituzionale. Le pagine successive (pp. 40-48) sono
altrettanto significative, perch rivolte a demolire il persistente mito dello Stato occidentale, quello della
separazione dei tre poteri. Di fatto, nota Hallaq, molta parte della legislazione, in particolare la sua applicazione
e interpretazione, avviene ad opera dei poteri amministrativi e giudiziari, dai poteri normativi e sanzionatori
dellamministrazione a quelli di libera valutazione e interpretazione del potere giudiziario; ci si dovrebbe quindi
domandare quale rapporto esista tra la volont popolare, espressa nel potere legislativo, e la legislazione reale
che si concreta nel vaglio del potere amministrativo e giudiziario, due specie dello stesso genere, la burocrazia.
Qui si pu notare che, partendo da una logica islamica, il modello pensato da Hallaq per quanto riguarda la legge
sia quello di una democrazia diretta, che non quello che ispira il governo delle societ occidentali, tant che
egli invoca il controllo del potere legislativo su quello amministrativo e giudiziario quale solo modo di garantire
1302
una democrazia intesa come governo del popolo. Inizia a questo punto il confronto con il modello ideale
(paradigmatico) che ispira la societ islamica, la Ummah; un confronto certamente interessante che deve far
riflettere sui nostri limiti, salvo domandarsi, come ha fatto la Abu-Odeh, perch mai il confronto avvenga tra una
societ reale, storica e storicamente verificabile, quella occidentale, e una societ islamica ideale,
paradigmatica: non cio con la societ islamica quale si concretizzata nella storia. Questo non deve indurre
tuttavia a giudicare negativamente il testo di Hallaq, perch esso offre comunque ottimi spunti per riflettere, non
tanto sui limiti della nostra societ (sappiamo benissimo farlo da soli, e in effetti Hallaq desume la propria critica
da quelle di vari autori occidentali) quanto su ci che lOccidente ha trascurato nellelaborare i propri moderni
modelli di societ. Si tratta di elementi rimasti viceversa vivi nel modello ideale dellIslam, pur non essendo stati
estranei, in tempi pre-moderni, alla nostra societ, salvo venirvi progressivamente svalutati. Ne ho fatto cenno
pi volte, quindi non sto annunciando particolari novit; tuttavia mi sembra utile ripercorrere le differenze sulla
scorta dal testo di Hallaq, il quale esordisce affermando che il concetto islamico di conduzione della societ
riposa su fondamenti morali, legali, politici, sociali e metafisici, radicalmente diversi da quelli che sostengono
lo Stato moderno (p. 40). La comunit islamica, la Ummah, anche una comunit politica circoscritta entro
concetti morali-legali (ivi). La dr al-Islm, la casa dellislam, il mondo islamico soggetto alla legge islamica,
definito e delimitato dalla Sharah, insieme di principi morali sostenuto da norme legali; lIslam dunque si
regge o cade sulla Sharah (ivi). Dove questa non opera, la dr al-harb, il territorio che deve essere
convertito con mezzi pacifici o cruenti (ivi). La Ummah e i suoi appartenenti sono dunque strumenti di un fine
pi ampio (ivi); essa non ha in ci potere autonomo di scelta, perch il potere su di essa appartiene a Dio (ivi); i
princpi morali generali che reggono la comunit trascendono la comunit stessa (ivi). Si deve dunque affermare
che tanto la Sharah quanto la Ummah cio tanto la Legge che regge la comunit, quanto la comunit che da
essa delimitata- precedono il potere esecutivo e che lindividuo risponde soltanto a Dio; mentre il potere
sultaniale (altra cosa, metafisicamente, rispetto allo Stato) ha la funzione di promuovere lobbedienza a Dio.
Esso non ha dunque un potere politico o legale autonomo, n una propria sovranit come lo Stato moderno,
perch, per lappunto, il Sovrano Dio che anche il fine ultimo, essendo lesistenza terrena una realt effimera
che fa parte di un superiore processo cosmico (p. 50). Dio il padrone di tutto, anche della propriet privata,
peraltro garantita dallIslam; perci, essendo Dio compassionevole e attento in primo luogo ai poveri e agli
orfani, il benestante, la cui propriet soltanto un affidamento da parte di Dio, ha lobbligo di provvedere ai
bisogni dei meno fortunati. Dunque la Sharah un sistema ermeneutico, concettuale, teorico, pratico,
educativo e istituzionale, un colossale progetto di costruire un impero morale-legale il cui fondamentale
impulso si riassume nel continuo tentativo di scoprire la volont morale di Dio (p. 51, corsivo mio perch il
concetto di scoprire la Volont divina la guida di tutto lo sforzo giuridico islamico). Non c Islam senza un
sistema morale-legale ancorato a una metafisica (ivi). A questo punto, centrali sono le successive pp. 52-53,
nelle quali Hallaq delinea la diversa natura della legge islamica rispetto a quella dello Stato moderno, in una
contrapposizione alla quale funzionale la precedente critica dellOccidente (ad esempio, si comprende bene per
quale ragione egli si sia soffermato sullillusoriet della divisione dei poteri). Hallaq un noto e competente
studioso della storia della formazione della Sharah, quindi le eventuali critiche alla sua esposizione debbono
essere eventualmente ricercate nelle pieghe del discorso, allorch la Sharah viene presentata in una veste ideale
che ne sottolinea gli aspetti positivi (nel senso di opposti agli inconvenienti dellOccidente) sorvolando su
altri, pi problematici, con i quali si concretizzata nella storia. La Sharah, osserva dunque Hallaq, non fu
lopera legislativa di uno Stato islamico; essa fu prodotta da un corpo di giureconsulti organici alla societ,
espressione della comunit stessa. Il giurista islamico viveva con e nelle norme e nei valori del comune mondo
sociale e proveniva generalmente dagli strati sociali medi e bassi (p. 52). Come prodotto del proprio stesso
ambiente sociale, i loro interessi erano i medesimi della loro societ, e rappresentavano per le masse un modello
di piet, di rettitudine e di sapienza (p. 53); come modello di corretta vita islamica essi erano inoltre gli eredi
ideali del Profeta (ivi). Nelle loro funzioni di Muftn e di Qudt (giurisperiti e giudici) essi ebbero un ruolo
centrale nelliniziale evoluzione della legge islamica e diedero un importante contributo alla continua fioritura e
adattabilit della Sharah attraverso i secoli e in molte regioni del mondo (ivi). Questultimo punto andrebbe
sottolineato, perch dovremo tornarvi sopra con unottica un po meno idilliaca. Hallaq prosegue poi
descrivendo il ruolo del muft come fonte della fatw e delle raccolte delle fatw ad uso del qd. Esistevano
dunque legami inestricabilmente stretti tra la legge e la societ (p. 55). Vorrei qui soffermarmi un attimo su
questo idilliaco ricordo del temps jadit, che ricorda un po il bel tempo antico quando il buon Re di Francia
amministrava la giustizia sotto la quercia di Vincennes; un idillio punteggiato di innumerevoli eventi come quelli
accaduti ad al-Hallj o ad Ayn al-Qudt. Il fatto di esprimere direttamente la volont popolare non mi sembra
uno dei massimi meriti della Sharah: nel corso del nostro racconto abbiamo infatti seguito per sommi capi i
fenomeni che hanno condotto allaffermazione del Sunnismo con i suoi punti fermi (Corano increato, sacralit
della Sunnah) e dello Hanbalismo, con il conseguente ancoraggio della Sharah agli antichi costumi arabi, il
trionfo del tradizionalismo (e dei tradizionisti) la riduzione della razionalit ermeneutica a rigido sviluppo logico
di premesse fideistiche codificato da Shfi. Abbiamo visto anche come questa lotta fosse stata condotta dagli
ulam contro i possibili poteri innovativi di un Califfo Vicario di Dio e contro luso ragionevole del ray, del
giudizio personale. Abbiamo visto anche che questi ulam erano rappresentanti delle masse delle quali erano
espressione e delle quali avevano il pieno sostegno in un percorso che3 si accentr tra il IX e lXI secolo, il
1303
temps jadit degli studi di Hallaq. Ora, la volont delle masse non necessariamente una bella cosa, come non
lo sono state necessariamente, alla prova della storia, certe forme di egualitarismo un po primitive. La logica
della marginalit guarda sovente a mitiche et delloro delle origini, e si esprime facilmente in un accanito
tradizionalismo, in una opposizione ai cambiamenti dietro i quali c sicuramente la volont dei ceti dirigenti, ma
anche la necessit di adeguarsi a un mondo che, piaccia o non piaccia, cambia. Un senso critico della realt
mostra il volto puramente onirico di unet, quella delloro, che non c mai stata se non come Utopia che la
marginalit trasforma in atopia. Detto questo, vorrei aprire ora una parentesi per esplorare un punto che, a mio
modesto e personale avviso, consente ad Hallaq di descrivere un percorso ideale, privo di scabrosit, nella
formazione della legge islamica, che deduzione del diritto (fiqh) a partire dalla retta via indicata dalla Legge
divina (Sharah) cio da quelletica condivisa della quale Hallaq denuncia giustamente lassenza nella
legislazione statale occidentale. Mi riferisco alla valutazione data da Hallaq allopera di Shfi in un articolo
apparso su I.J.M.E.S., 25,4, 1993: Was al-Shafii the Master Architect of Islamic Jurisprudence?. Larticolo
interessante perch la valutazione di Hallaq si discosta da quella comunemente diffusa; e lo ancor di pi perch
tale valutazione rappresenta un diverso modo di prospettare gli stessi dati storici sui quali si fonda la comune
valutazione, dei quali ho fatto cenno laddove ho parlato di Shfi. Egli riassume infatti la vicenda in questi
termini. NellVIII secolo lorientamento prevalente della giurisprudenza era a favore del ray, ma a met
dellVIII secolo (epoca della rivolte anti-Omeyyade: nota mia) inizi ad affermarsi la tendenza dei tradizionisti
che fondavano il proprio giudizio sugli ahdth (p. 597). Al tempo di Shfi si erano dunque infiltrate sempre
pi nella giurisprudenza le tradizioni cosiddette profetiche e laffermazione dei tradizionalisti avvenne alla
met del IX secolo con la fine della mihna (p. 598). La dottrina classica del fiqh fondato sulla Sunnah, oltrech
sul Corano, si consolid definitivamente nel X secolo unitamente allo Hanbalismo. Il ruolo di Shfi, che si
pone a met tra il razionalismo mutazilita del ray e il tradizionalismo (pp. 593-594; ma abbiamo visto
commentando il testo di Yahy lesito del compromesso -o della sintesi: uno sviluppo rigidamente razionalista
nel dedurre le regole del diritto da un fondamento fideista) fu del tutto insignificante nel IX secolo, e la sua
Risla divenne un testo di riferimento obbligato soltanto nel X, quando lo usl al-fiqh classico si era affermato
per altre vie. Et pour cause! aggiungerei. Ci su cui Hallaq non si sofferma a proposito di Shfi, e di cui
abbiamo parlato a proposito della ricerca di Yahy, il fondamento teologico dato da Shfi alle tradizioni
profetiche come premessa alla formazione di un corpus sul quale esercitare lo sforzo per la comprensione, entro i
limiti umani, della Legge divina. Soltanto tramite una Sunnah elevata a manifestazione di essa infatti possibile
stabilire il corpus sul quale esercitare lo sforzo razionale per lesercizio del fiqh inteso come traduzione di quella
Legge, come razionale -ancorch non mai certa- sua comprensione e applicazione alla complessit delle
fattispecie. La sottovalutazione dellopera di Shfi sembra dunque funzionale alla sottovalutazione del
fondamento teologico dato da Shfi alla tradizione, che sorregge e rende razionalmente sostenibile e
giustificabile un diritto che premette gli ahdth al ray, obbiettivo dello ahl al-sunnah vittorioso tra il IX e lXI
secolo; un fondamento che rende sostenibile e giustificabile quello usl al-fiqh classico che si form, certo,
anche indipendentemente da Shfi. La Risla sar anche stata, come fu, unopera poco rilevante per il diritto al
tempo di Shfi: ma fu certamente unopera coerente e razionalmente argomentata che consent di dare
fondamento e autorevolezza al fideismo tradizionalista grazie a quella premessa teologica alla quale Hallaq non
sembra dedicare particolare attenzione. Un cenno non breve deve per ora riguardare la vicenda delle tradizioni
profetiche nella prospettiva di Hallaq il quale, a proposito della loro autenticit (contestata, come noto, da molti
orientalisti, un tema sul quale ci siamo gi intrattenuti) scrisse un articolo importante su S.I., 99,1, 1999, dal
titolo The Authenticity of Prophetic Hadith: a Pseudo-problem. Ci aiuta a comprendere meglio la prospettiva
islamica sul significato della Sunnah, ma aiuta anche noi a comprendere che cosa essa stia a significare in senso
pi generale. Hallaq esordisce ricordando la ben mota polemica degli orientalisti, da Goldziher a Schacht, circa
lattendibilit degli ahdth, argomento che ha aperto questa Rassegna e che resta fondamentale per comprendere
che cosa stia realmente a rappresentare la Sunnah come elemento portante del diritto islamico, su che cosa
dunque questo si fondi: e soprattutto per capire quale scelta sociale e culturale rappresenti lIslam. La posizione
di Hallaq che gli sforzi dellorientalistica nascano dal fraintendimento dei criteri islamici nel valutare
lautenticit degli ahdth, criteri diversi da quelli della critica moderna sul piano epistemologico (si vedr infra,
a proposito di un articolo di J.A.C. Brown, la ragione di questo corsivo). Per suffragare la propria posizione,
volta a sottolineare linutilit delle ricerche occidentali e lo sviamento da esse prodotto nella comprensione della
realt della Sunnah, Hallaq premette la duplice classificazione degli ahdth, sotto il profilo giuridico e sotto
quello religioso, consolidatosi tra gli studiosi musulmani delle tradizioni. La metodologia legale islamica colloca
gli ahdth in uno spettro che va dal dubbioso al certo, con la categoria centrale del probabile (p. 77); essa quindi
distingue lo hadth in ahad (unico) e mutawtir (molteplice). Lo hadth mutawtir quello che stato recepito
con un testo identico attraverso molteplici linee di trasmissione; hd (pl. di ahad) sono tutti gli ahdth che non
posseggono tale requisito. I primi attestano, con la loro conformit, che chi trasmetteva era ben certo di ci che
aveva udito (detti) o visto (fatti) relativamente ai detti e ai fatti del Profeta. Lo hadth mutawtir richiede,
per logica conseguenza, una conoscenza non mediata, perch chi sa soltanto per aver ascoltato da altri che
narrano ci che hanno visto o udito, ha soltanto una conoscenza probabile (p. 79). Un hadth ahad pu per
acquisire, nella propria trasmissione, altri canali di trasmissione, divenendo cos un hadth mustafd, cio che
vale di pi; e se questi canali sono tanti da raggiungere la molteplicit (tawtur) di un hadth mutawtir, esso
1304
diviene allora un hadth mashhr (accettato, canonico, p. 80). nel IX secolo apparve poi unulteriore categoria di
ahdth, quelli che vengono trasmessi da molteplici canali ma con un testo diverso e tuttavia di ugual significato
pur nella diversit; questi rientrano nella categoria detta al-tawtur al-manw, quella cio della notizia che pu
considerarsi paragonabile alla notizia mutawtir se si bada esclusivamente al significato (man) veicolato
indipendentemente dalla letteralit del testo (ivi). Si trattava di sistematizzare con ci una categoria di ahdth
assai diffusa. Tutta questa classificazione, osserva Hallaq a p. 81, mostra che in nessun caso gli esperti islamici
abbiano invocato quella autenticit che molti orientalisti hanno messo in discussione, mai gli esperti islamici
hanno pensato che quegli ahdth riferissero in termini letteralmente esatti ci che il Profeta aveva detto o fatto;
in tal senso la loro veridicit era valutata semplicemente in termini di probabilit. Come storici accurati dice
Hallaq a p. 81 noi poniamo fiducia soltanto in una narrazione storica che riteniamo con certezza essersi
originata con levento stesso (p. 82). In questo senso non ricevono fiducia, come fonti storiche, n gli ahdth
hd n quelli che rientrano nella categoria al-tawtur al manw, perch questi ultimi non sono altro che un
gruppo di racconti convergenti nel significato, ma ciascuno, di per s, ahad. Tra questi ultimi uno soltanto fa
eccezione, quello sostenuto dalla comune affermazione che il consenso della comunit non potr mai convergere
su un errore. Di questo riparleremo a proposito di un altro articolo di Hallaq al quale egli stesso rinvia, On the
Authoritativeness of Sunni Consensus, I.J.M.E.S., 18,3, 1986, che esamineremo per per altre ragioni; ora
proseguiamo lanalisi iniziata. alle pp. 83 sgg., Hallaq introduce un altro argomento, la classificazione degli
ahdth adottata dai religiosi, diversa rispetto a quella dei giuristi. I muhaddthn, gli esperti in tradizioni che
esaminavano il materiale tramandato non con lottica dei giuristi, ma in quella religiosa, classificavano lo hadth
nelle categorie del sahh (sano, integro, accurato, attendibile) dello hasan (buono) e del daf (debole). Ci che
interessava loro non era la distinzione certo/probabile operata dai giuristi, ma la validit (amal) dello hadth ai
fini di avvalorare una pia pratica religiosa con un minimo di attendibilit (p. 84). Questa apertura alla semplice
attendibilit era necessaria, perch le certezze sul comportamento umano sono rare, e tuttavia questo
comportamento deve essere organizzato e guidato (ivi). Sahh significa dunque soltanto ci che s detto, non
significa certo (p. 85). Dunque, conclude Hallaq a p. 88, lorientalistica ha concentrato lattenzione su unarea
non particolarmente significativa del tradizionismo islamico, che non riguarda la valutazione epistemologica
degli ahdth: qualche traccia di questa analisi si trova soltanto perch la dottrina giuridica chiedeva attenzione a
valutare questo aspetto da parte dei tradizionisti. Infatti la maggioranza degli ahdth, dai quali poi derivava la
legge, era di tipo ahad e per giunta non soltanto sahh, ma anche hasan. La possibilit che lo hadth sahh desse
certezza, fu infatti respinta dalla maggior parte dei giuristi; tuttavia il consenso pot stabilire la certezza del
sahh (sopra ricordato) riguardante la grazia divina metafisicamente conferita alla comunit islamica in quanto
collettivit (p. 89). In conclusione, se constatiamo che giuristi e tradizionalisti hanno denunciato lo scarso
valore epistemologico della letteratura, perch ci che soltanto probabile pu rientrare nel campo dellerrore,
allora tutta la critica dellorientalistica ha poco senso. Cos Hallaq a p. 90: ma questo ci costringe ad esaminare il
problema del consenso, ci che faremo seguendo larticolo appena citato, On the Authoritativeness, etc.
Questo tema va infatti approfondito se vogliamo capire la reale portata di un testo provocatorio quale The
Impossible State, dove reale si deve intendere non soltanto in termini di proponibilit, ma anche di
proponibilit del quadro offertovi per la legge islamica, sia pur paradigmatica, capirne lessenza riposta:
perch anche il paradigma potrebbe essere gi in s non cos luminoso. Come il paradigma di Stato moderno
occidentale ha gi in s risvolti negativi che la stessa letteratura occidentale ha ampiamente posto in evidenza,
cos anche il paradigma della legge islamica ha i suoi problemi e li ha indubbiamente manifestati. On the
Authoritativeness of Sunni Consensus narra la storia attraverso la quale si form, nellIslam sunnita,
lautorevolezza di un consenso che ebbe un peso determinante nella formazione di una legge fondata sul corpus
degli ahdth -la Sunnah- circa la cui capacit di fornire certezze abbiamo gi visto i dubbi della stessa
giurisprudenza islamica. Il consenso del quale si parla infatti quello necessario ai giuristi, i cui punti di
riferimento sono il Corano e la Sunnah; un consenso che assunse carattere religioso, fu distintivo dello ahl al-
sunnah wa l-jama, e divenne strumento sanzionatorio e fonte della legge (p. 428). Si trattava di un consenso
sulla validit epistemologica di un complesso di detti e fatti che poteva sollevare dubbi, ma che diveniva certezza
se sulla sua validit convergeva il consenso della comunit islamica. Il valore probante di questo consenso era a
sua volta fondato sullinterpretazione di passi coranici e ahdth ritenuti testimonianza dellinfallibilit,
divinamente sancita, della comunit: in tal senso vera erede del Profeta nella proclamazione e nellapplicazione
della Legge divina. Come dire che attraverso essa si esprimeva (e si esprime) lo Spirito santo. Hallaq narra
dunque gli sviluppi storici di questa vicenda, quella dellaffermarsi dellautorevolezza del consenso, partendo
dalla constatazione che per i Musulmani la Sunnah era ed un pilastro dellIslam, e che come tale egli intende
considerarlo nel suo proprio studio (p. 430). La Sunnah era tenuta in tale considerazione da essere ritenuta
persino in grado di abrogare punti analoghi del Corano sino ai tempi di Shfi, perch ci che veniva deciso
dalla comunit era ritenuto in sicuro accordo con la Volont divina. Il processo che dava origine a questa
creazione di un tradizione si interruppe soltanto nel 3 e 4 decennio del IX secolo, quando la Sunnah del
Profeta fu codificata nel corpo canonico degli ahdth (Bukhr, Muslim). Questa tappa rappresent il
trasferimento della autorevolezza dalla comunit islamica al Profeta, a ci che divenne il ricordo di quanto
egli aveva (avrebbe) detto e fatto. Il primo a sistematizzare il cambiamento fu Shfi (p. 431) la cui dottrina
rappresent la quasi completa vittoria della Volont di Dio su quella delluomo (ivi: e non mi sembra poco!)
1305
elevando il Corano e la Sunnah in posizione suprema e relegando il consenso a fonte sussidiaria della Legge
(ivi). Abbiamo gi visto come ci avvenne e quindi non mi dilungo; mi sembra comunque palese il ruolo
fondamentale di Shfi nella vicenda. Nel distinguere i vari tipi di consenso egli consider autorevole soltanto
quello trasmesso dalla generalit (dalla comunit) alla generalit successiva ritenendolo, sulla base del Corano e
della Sunnah, immune dallerrore, perch impossibile che la comunit sia consensuale in qualcosa di contrario
al Profeta (p. 431). Nella giurisprudenza di Shfi, dice Hallaq (p. 432) si manifesta il trionfo della
Rivelazione. Si ricorder che cosa abbiamo notato supra esaminando la ricerca di Yahy: la svolta di Shfi
avviene in punta di teologia (non di giurisprudenza) perch con lui si afferma che i detti e i fatti del Profeta
(meglio: attribuiti a lui dalla tradizione, ma il circolo vizioso del consenso cade proprio qui) rappresentano
una continuazione della Rivelazione. Il passo del cavallo operato da Shfi dislocando i pezzi sulla scacchiera
qui: detti e fatti probabili e comunque afferenti alluomo vengono resi reali dal consenso e poi sollevati dalla
sfera umana a quella divina della Rivelazione perch impossibile che la comunit sbagli nellattribuirli al
Profeta e impossibile che il Profeta esprima altro che la Legge divina, anche al di l di ci che Corano; e
questa impossibilit risulta sia dal Corano che dai detti attribuiti dalla comunit al Profeta. La storia narrata da
Hallaq dunque quella dei tentativi della riflessione islamica per uscire dalla circolarit (viziosa) di questa
logica. Il salto del cavallo per resta e produce i propri effetti: trasferendo il fondamento dellautorevolezza dalla
comunit al Profeta e sacralizzandolo, la Sunnah (e con essa la Sharah) resta pietrificata su usi e costumi arabi
del VII secolo divenuti Legge divina, vanificando cos una possibile evoluzione del consenso della comunit
verso nuovi costumi. Su questo dovremo tornare, perch significativo notare, come abbiamo gi notato, che
mentre i giuristi odierni sono bravissimi nellesercizio di un ijtihd che giustifichi, nelle sue conseguenze,
linevitabilit della moderna economia e finanza, ci che resta sharaiticamente ancorato al passato, nel mondo
islamico, essenzialmente la legislazione sulla famiglia, la normativa sessuale e la distinzione di genere: di
questo che si parla di fatto quando si invoca la restaurazione della Sharah da parte delle correnti tradizionaliste.
Su questo vedremo vari articoli dal testo curato da Haddad-Stowasser, ma la letteratura vastissima e il tema
rientra notoriamente nellopinione pubblica dei giornali e delle riviste ed elemento di strumentalizzazione
politica per lo scandalo che suscita in Occidente. Tornando allarticolo di Hallaq dedicato alla riflessione
islamica sul tema del consenso, sulla sua autorit di rendere certe le cose probabili (p. 433) si deve notare che
egli considera tale riflessione un serio tentativo di provare, sul fondamento testuale, che il consenso una fonte
legittima di legge (ivi). Fondamento testuale, di fede, perch, in effetti la ragione non utile ai fini di stabilire
lautorevolezza del consenso, perch non esiste evidenza razionale che un gruppo di persone o una comunit non
possa incorrere in errore (p. 434). Ora, interessante notare che, tra i ragionamenti proposti, ci fu quello della
unanimit dei Compagni sulle leggi consuetudinarie (custom) onde lautenticit delle tradizioni garantita
dalla consuetudine (p. 437, corsivo mio). Hallaq spiega poi quale sia il significato teologico (ivi) della
consuetudine, in quanto ripetuta azione di Dio che ci appare come un corso continuo di eventi (ivi). Al
riguardo porta lesempio del quotidiano sorgere del Sole, che sembra scontato, ma che potrebbe venir meno se
Dio lo decidesse cambiando cos il corso degli eventi del mondo. Si notino le conseguenze logiche di questa
premessa teologica: se la comunit islamica fu la migliore nel seguire la Legge divina sullesempio del Profeta,
per rimanere tale deve restare fedele a questo suo passato, mantenendo i comportamenti sanciti dalle tradizioni
come propri di quellet delloro. inconcepibile cos Hallaq espone largomentazione di al-Ghazl che
molte consecutive generazioni di Musulmani avrebbero accettato un principio se questo non avesse avuto solide
basi (p. 443). Dunque la consuetudine non soltanto fa legge, ma, trattandosi di Legge divina, fa anche giustezza,
fa Verit. Non si dimentichi che il concetto islamico di verit accessibile alluomo fa riferimento ad una verit
meramente giuridica, a una verit che nasce dunque da un concorso di indizi, onde la convergenza di ahdth che
si rinviano reciprocamente d certezza di autorevolezza, anche se ogni singola tradizione potrebbe essere, di per
s, falsa (p. 445). Tradotto in parole povere: si deve fare cos perch nellet delloro, quando predicava il
Profeta, i suoi seguaci facevano cos. Il principio di evidenza cumulativa, ancora nebuloso nellXI-XII secolo, fu
autorevolmente articolato nel XIV (p. 446) e il solo punto fermo sui limiti di questo consenso che esso non
pu abrogare il Corano e la Sunnah (p. 448). Esso garantisce comunque di quegli ahdth di cui parlammo sopra,
i mutawtira bi l-man, cio quelli che costituiscono un gruppo di molti, diversi nel testo ma convergenti nel
significato (ivi). Dunque tre concetti guidarono il giurista islamico, dice Hallaq a p. 449: quello di tawtur bi l-
man, dellinduzione (del ragionamento induttivo) e del concetto teologico di consuetudine, tenendo presente
che laccumulo di evidenze provenienti da tradizioni o da versetti supporta, per induzione, lautorevolezza di una
tesi. Tutto ci, secondo Hallaq, convincente sul piano della logica, della legge e della teologia: affermazione
della quale interessa qui soltanto capire le conseguenze. prima per sembra opportuno prolungare ancora per
poco questa digressione esaminando larticolo di J.A.C. Brown, Did the Prophet say it or not? The Literal,
Historical, and Effective Truth of adths in Early Sunnism, J.A.O.S., 129,2, 2009. Si tratta infatti di una
digressione indispensabile per comprendere la reale natura della Sunnah, e, per conseguenza, di che cosa sta
realmente parlando Hallaq quando espone la sua visione della Sharah come alternativa alla legge dello stato
moderno occidentale: non per criticare, ma per capire il nocciolo della differenza. Brown prende le mosse
precisamente dallarticolo di Hallaq (On the Authenticity, etc., cit.) per sostenere, con una dettagliata analisi, che
lo ahl al-hadth non si preoccupava del valore epistemologico allorch accettava per valido un hadth (p. 259),
ci che interessava era la certezza storica (metto la parola in corsivo, perch vedremo poi lampia accezione di
1306
questa storicit). Gi da ora Brown nota infatti che venivano usati ahdth notoriamente non sahh quando
corroborati da circostanze esterne; e anche di non affidabili soltanto per virt del carisma e dellutilit di parole
pronunciate in un idioma profetico (p. 260). Tralascio la susseguente digressione sul fatto che, anche quando un
hadth attendibile, esso non d, e non dava comunque certezza, perch non possiamo riconoscere in esso le
esatte parole del Profeta e quindi non ci si trovava dinnanzi a una certezza epistemologica, ma soltanto probabile.
Ci serve comunque a Brown per sottolineare (p. 262) che fuorviante insistere, come fa Hallaq, sulle analisi
epistemologiche condotte dai teorici della legge islamica: se cos fosse stato, essi avrebbero dovuto ritenere
quegli ahdth soltanto probabilmente attendibili, mentre essi agirono considerandoli sicuramente certi.
Daltronde, nota Brown (p. 264) il fatto che gli ahdth fossero distinti in accurati, buoni e deboli,
dimostra che essi non si attenevano allo stretto dato epistemologico, perch su questo terreno si sarebbero distinti
in certi e falsi. Qui Brown apre unaltra digressione sulla differenza tra verit storica (il tale disse in quella
circostanza queste cose) e letterale (disse esattamente queste parole) per far meglio comprendere di che cosa egli
voglia parlare; e fa capire che lossessione circa il che cosa realmente accadde sia sostanzialmente legata al
pensiero occidentale del XIX secolo e sia deviante, perch anche le certezze storiche su ci che fu fatto e detto
nella nostra storia non sono ascrivibili alla dicotomia della certezza letterale, s/no. Gi per i primi studiosi
islamici, nota poi, esisteva la distinzione tra la conoscenza certa fornita dal Corano (ilm) e la fallibile
interpretazione umana della Legge divina (fiqh). In questo senso, la dottrina legale classica sunnita dellXI
secolo afferma che gli ahdth hd danno una conoscenza probabile utile per il diritto, ma non la certezza (ilm)
necessaria alla discussione teologica (p. 266). Tuttavia, aggiunge ivi nel testo e in n. 34, i primi tradizionalisti
sostenevano che gli ahdth hd dessero certezza epistemologica e su di essi, il cui contenuto veniva avvalorato
sulla scorta del consenso, furono costruiti significativi elementi della teologia sunnita, tanto che i teologi
sunniti dovettero poi confrontarsi con la dottrina legale successiva allXI secolo. Nel IX secolo per, epoca della
grandi collezioni canoniche, gli hadth hd erano ritenuti autentica testimonianza del messaggio del Profeta (p.
267) e non diversa era la posizione di Shfi (ivi). Il IX secolo costitu infatti il momento cruciale della lotta fra
tradizionalisti e razionalisti, quindi anche della necessit di non limitare troppo la validazione degli ahdth,
sicch la Sunnah fu costruita in modo primario con ahdth hd; anche la dottrina di Shfi, che distingueva
due livelli di conoscenza, quella delle masse e quella dei sapienti, (cfr. Risla, 45 sgg., in particolare 56 sgg.)
non si fondava sul livello di certezza del singolo hadth, ma sul livello di fedeli ai quali si rivolgeva (pp. 268-
269). la dottrina di Shfi, nota Brown a p. 269, teneva infatti conto della natura puramente probabilistica della
conoscenza umana (ricordo la polemica di Ibn Taymiyya contro la logica greca) una posizione non soltanto sua
che resta un caposaldo del pensiero islamico. Ci cui mirava Shfi non era la certezza dellautenticit letterale
degli ahdth concernenti il lecito e il proibito, ma il fatto che essi fossero inequivocabili nel contenuto legale (p.
272; e p. 273 per Ibn Hanbal). Sino allXI secolo gli ahdth convergenti nel significato furono ritenuti evidenza
di un urtext che ci si sforzava di stabilire; il fatto che un hadth anche sahh desse una conoscenza soltanto
probabile, non inficiava la sua affidabilit per la conoscenza storica se in concorso con altri ahdth, poi fu
chiusa la porta di questa ricerca del significato a seguito della constatazione che molte linee di trasmissione
erano lacunose, e quindi inaffidabili (pp. 274-275). La Sunnah cos costruita aveva tuttavia, per la fede e la legge
islamica, una tale certezza, che molti tradizionalisti proto-sunniti -e anche alcuni di epoca pi tarda- ritennero
che essa potesse anche prevalere sul dettato coranico (pp. 270-271). Anche questo va tenuto presente per cercar
di comprendere che cosa sia (e sia stata) -sul piano sociale- la Sunnah. Va infatti tenuto presente che gli ahdth
dai quali fu derivata la legge islamica non rientrano primariamente nella categoria sahh (p. 276). Ibn Hanbal,
Bukhr e Muslim divisero gli ahdth in sahh e daf in base agli asnd; e in ben noti e rifiutati per quanto
riguardava il consenso; tuttavia, in mancanza di tradizioni che rispondessero al requisito di sahh, si
accontentarono anche di altre pi deboli. Si riporta che Ibn Hanbal abbia detto: Un hadth debole mi pi caro
delluso della ragione indipendente (ray) (p. 276). Osservazioni significative sulluso degli ahdth, che
portano a riflettere sulla reale natura della Sunnah, sono introdotte da Brown a p. 277, allorch egli si pone il
problema del percorso attraverso il quale i sostenitori della conservazione di unautentica tradizione profetica
potessero usare un ahdth deboli come accurata rappresentazione di essa. Il conforto veniva dal consenso; di
fatto, lesistenza di una prassi poteva confortare la validit di un hadth dubbio. Un isnd avvalorato se la
consuetudine conforme ad esso (al-amal alahi). difficile, dice Brown, stabilire quale fosse il fondamento
dellevidenza per i tradizionalisti, lo hadth o la prassi invalsa. Abbiamo gi notato sopra questa
sovrapposizione, mi sembra per importante sottolineare ancora una volta il ruolo di Shfi nellattribuire a detti
e fatti del Profeta il ruolo di rivelazione della Legge divina, perch qui se ne vede ancora una volta il significato:
la sacralizzazione delle antiche consuetudini che dovranno restar valide per sempre: la consuetudine diventa
oggetto di fede. Gli ahdth deboli (daf) usati allo scopo, entreranno cos in seguito nella categoria hasan, a
meno di non rivelarsi palese mistificazione (p. 278; si veda anche, ivi, la n. 89) e ci perch erano ritenuti
comunque riflettere le pratiche della primitiva e giusta comunit islamica (p. 279). Dunque: giusto cos perch
si faceva cos in una comunit virtuosa per definizione (cfr. Cor., 3,110). Vi erano poi altri fattori che sancivano
lautorevolezza di un hadth nella tradizione sunnita, indipendentemente dallattendibilit storica e dalla
convalida degli studiosi: in primo luogo il carisma di parole espresse nel frasario del Profeta (p. 280). Il Profeta
disse era un incipit che intimidiva e che consent a Ibn Hanbal la sua sterminata raccolta, anche se in tempi
successivi subentr un maggior spirito critico (p. 281) consigliando la versione stato narrato riguardo al
1307
Profeta (p. 282). Qui per intervenne un altro fattore, lautorit degli ulam presso le masse, che essi
spronavano a una rigida osservanza religiosa, pratica nella quale essi facevano uso anche degli ahdth pi
inattendibili. Si dice che Ibn Hanbal approvasse questo uso di predicare cose false, purch utili a indottrinare le
masse (p. 284) le quali, del resto, accettavano qualunque racconto (ivi). La digressione introdotta sin qui stata
certamente lunghissima ma anche necessaria, perch, ora che abbiamo unidea un po meno vaga di che cosa si
parli quando si parla di legge islamica, possiamo riprendere lesame di The Impossible State che avevamo
interrotto a p. 55, osservando che la legge, nella societ islamica, aveva la propria fonte nel costume tradizionale
della societ, del quale erano interpreti immediati gli ulam. Ora, il punto non che in quella societ non
esistesse un potere, per cos dire, politico espresso da un Sultano e vigente sul suo proprio dominio territoriale.
Il potere sultaniale, succeduto allo smembramento e allesautoramento del potere califfale, cera s, ma
rappresent sempre, nel pensiero islamico, qualcosa di altro rispetto al vero potere che quello di Dio. A chi
pensa che nellIslam non esista distinzione tra religione e politica, si deve rispondere che, viceversa, essa esiste a
tal punto, che il potere politico si sempre adoperato per strumentalizzare la religione. LIslam conosce infatti
molto bene la distinzione tra religione (dn) e la dawla, generalmente intesa come potere statale. Il punto nel
significato di questa seconda parola, che Hallaq illustra alle pp. 62-63 e in n. 144 a p. 190 e che si pu
ampiamente verificare sul Lane (Book I, Part 3, pp. 934-935). Per sintetizzare il ventaglio di accezioni racchiuse
in questa parola, si pu dire che essa esprime, nella ruota della fortuna militare o politica, la transeunte effimerit
del potere mondano. Nulla a che vedere con quellentit metafisicamente fondata che il moderno Stato
occidentale, incompatibile con lIslam per il suo carattere anetico (Hallaq, p. 75). La legge, per lIslam, fondata
sulletica (abbiamo visto: anche nel senso letterale di thos, costume) non pu esserne separato, dunque non pu
essere espressione di un ente, lo Stato moderno, dichiaratamente estraneo alla normativa etica. In realt, nei fatti
le cose non stanno letteralmente cos; in linea di principio per, s, tanto pi che le norme civili tendono ad
essere sempre pi determinate -e qui val la pena di tornare alle osservazioni di Hallaq- dallintervento autocefalo
di una burocrazia internazionale sempre pi in bala del politically correct. Descrivendo (in modo alquanto
idilliaco) lo spazio islamico della Sharah e la storica civilt costruita dallIslam, Hallaq sottolinea quindi
giustamente in corsivo (p. 70) che senza letica (sharaitica) viene meno lidentit musulmana. Hallaq mette la
cosa in termini cos decisi nelle pagine seguenti, che il lettore ha quasi limpressione di trovarsi dinnanzi a un
Huntington rovesciato. Dopo aver rievocato il problema della distinzione di fatto, separazione (p. 75) tra ci
che e ci che dovrebbe essere (is e ought) ritornando cos a quella pretesa atopica che caratterizza il
Millenarismo dellIslam originario, Hallaq critica quindi lipotesi di un fondamento umano e storico nella
morale. Lo fa criticando lipotesi di una Ragione autoreferenziale (quella illuminista) in nome di un suo
fondamento nella Rivelazione e della sua natura di ordine cosmico, non previlegio esclusivo delluomo (Hallaq
critica il moderno Occidente anche in nome della devastazione dellambiente). Ora, questa visione della ragione
come ordine cosmico che fu comune anche alloccidente pre-moderno e si riaffaccia in quello post-moderno,
sembra un interessante punto di riferimento, in quanto mostra di essere non un punto di conflitto tra civilt
incompatibili, ma un luogo di convergenza al quale sembra estraneo soltanto il moderno Occidente, la cosiddetta
modernit ormai piuttosto anziana. Non per nulla Hallaq cita, alle pp. 81-82, il sovvertimento nietzscheano
della moralit europea cristiana di tipo tomista offrendomi cos loccasione di ricordare la visione tomista della
legge riassunta supra alle pp. 994-998. Di certo la posizione islamica, cos come compendiata da Hallaq,
diversa, e val la pena di riportare quanto egli scrive a p. 89: Oggi, per i Musulmani, adottare la legge positiva
dello Stato e la sua sovranit, significa in termini indubbi laccettazione di una legge che emana dalla volont
politica, una legge fatta da uomini che cambiano i propri standards etici e morali secondo le esigenze delle
condizioni moderne. Qui mi permetto sommessamente di ricordare il lungo inciso dedicato or ora al
fondamento storico, fattuale, della legge islamica, attraverso la sacralizzazione delle consuetudini del VII-VIII
secolo, una condanna allimmobilismo costruita essenzialmente sul conservatorismo delle masse, fatto proprio
dagli ulam a bandiera di una lotta che fond lautonomia condizionante del potere religioso: abbiamo visto a
suo tempo la soluzione data da Ibn Taymiyya al problema della fine del Califfato e della frammentazione della
Ummah nella pluralit dei sultanati. Quanto alla condanna del potere politico nello Stato moderno, Hallaq
rivolge la propria critica contro il pensiero di Carl Schmitt (p. 90) che mi sembra un avversario di comodo e poco
rappresentativo della complessit del fenomeno. tuttavia da riportare letteralmente, perch si tratta di una delle
frasi-chiave per capire il senso della critica, quanto Hallaq afferma a p. 96: La Sharia, il paradigma del potere
legislativo islamico, non possiede una volont politica, almeno nulla di simile alla volont dello Stato. La
Sharia riguardava la societ e molto meno la politica: riguardava il carattere morale sociale, non la societ
politica, una delle molte preoccupazioni secondarie I corsivi sono miei, semplicemente per ricordare che la
scelta conservatrice sul piano sociale, ancorch sostenuta con princpi teologici, non si pu definire estranea a un
posizionamento politico ben netto e costante, maggioritario per lappoggio di masse istituzionalmente pi o
meno infallibili. Hallaq sottolinea poi ancora il carattere coercitivo dello Stato moderno, esercitato in primo
luogo tramite lindottrinamento del cittadino sin dallinfanzia con il sistema educativo statale che si sostituisce
alleducazione familiare: osservazione corretta ma puramente teorica, perch Hallaq non si sofferma a
considerare se sia davvero un danno sottrarre i giovani allangustia dellesempio e della prospettiva familiare che
li condannerebbe alla stagnazione culturale e sociale. Conformemente a una sua visione totalizzante, e, vorrei
dire, anche pericolosa, della democrazia, Hallaq non si pone dubbi gerarchici sullequivalenza delle culture,
1308
sullesistenza di livelli; non pensa perci che, per i figli dei ceti pi bassi, possa risultare benefico uno sguardo
sul mondo pi adeguato di quello che pu fornire loro il livello di cultura familiare. Sul tema egli torna a p. 105,
e la sua costruzione lascia trasparire un aspetto che abbiamo sempre visto, e poco sopra anche eviscerato, circa il
significato nascosto dietro lelaborazione della legge islamica. un ostinato attaccamento a che nulla cambi
rispetto a una perfezione del paradigma presumibilmente posta in essere in una mitica et delloro.
laccanimento conservatore (se non reazionario) della masse che si disorientano dinnanzi al cambiamento. Con
ci non intendo dire che Hallaq sia un reazionario, anche perch, lo abbiamo visto, cosciente dellimpossibilit
di restaurare la Sharah, piuttosto sembra un nostalgico di un passato visto nellottica rosea dei suoi paradigmi
e del quale non sembra voler analizzare i limiti, manifestatisi nella crisi dellIslam iniziata circa tre secoli or sono
e ancora in atto. Daltronde, lo Stato moderno occidentale non laraldo di unapocalisse emerso dal Nulla,
anche il prodotto di una cultura, quella occidentale, i cui portatori furono degli uomini in rapporto biunivoco con
la formazione e la natura dello Stato stesso. Dallanalisi tutta astratta di Hallaq non si comprendono gli eventi
storici, colonialismo incluso, risultato di uno sbilanciamento delle forze per linadeguatezza dellIslam, circa la
quale lostinatezza su antiche consuetudini non fu senza responsabilit. Il mito di unet delloro -reale o anche
soltanto possibile nel paradigma sharaitico- ha certamente dato un contributo a tanta ostinatezza. Questo modo
francamente deludente di guardare alla storia si riflette come un a priori nellanalisi di Hallaq. Cos, a p. 139,
nellaffrontare il problema della globalizzazione (i cui guasti e pericoli sembrano evidenti anche alla nascente
schiera dei nuovi marginalizzati doccidente) Hallaq esordisce con un poco stimolante Immaginiamo....che la
legge islamica sia stata pienamente stabilita; Supponiamo che siano soddisfatte le condizioni minime per tale
creazione; e cos via su questo sentiero assai poco interessante per chi vorrebbe comprendere la realt.
Contrapporre un ordine puramente immaginato a un disordine reale di questo mondo, non aiuta neppure a capire
i modi del disordine: la globalizzazione non pu semplicemente ascriversi alla natura dello Stato moderno che,
anzi, ne esce sminuito nel proprio ruolo politico rispetto alla mobilit della finanza. Quanto agli Stati, se
vogliamo, ai popoli economicamente arretrati, ne hanno pi giovato che scapitato; la dinamica che si verificata
ovunque essa , se mai, quella della divaricazione tra favoriti e svantaggiati allinterno dei singoli Stati, per il
crearsi di nuovi modelli economici che hanno dislocato interi ruoli economico-sociali. Significativa la n. 7 a p.
209 del testo di Hallaq, nella quale egli mostra di vedere lessenza della globalizzazione nella natura stessa dello
Stato moderno e in una sua tendenza allespansione coloniale, tant che, secondo lui, essa avrebbe potuto essere
sta opera di Stati socialisti, non necessariamente, come fu, di quelli liberisti: e cita come tutto esempio il caso
della Russia sovietica e dei suoi rapporti con Cuba. Qui per il problema del colonialismo mal centrato, non
un prodotto dello Stato: a prescindere dalle concrete motivazioni economiche e di potenza, le motivazioni
ideologiche che accomunano lOccidente e il Marxismo (nato anchesso in Occidente!) sono nel mito storicista
per il quale entrambi si considerano il traguardo della storia del pianeta. Quanto al legame causa-effetto tra Stato
e globalizzazione, la tesi mi sembra non suffragata; in linea di ipotesi pi sensato pensare alla finanza, che,
come noto, scivola tra i confini, quelli che delimitano gli Stati. C dunque qualcosa che distorce la sua analisi,
tutta volta a mostrare le virt (teoriche, o, se si vuole, paradigmatiche) della legge islamica che di tutto ci
avrebbe potuto costituire lantidoto, perch leconomia fondata sulla Sharah uneconomia etica (pp. 143-146).
Purtroppo essa fu resa obsoleta dallOccidente (p. 147) evento del quale Hallaq non tenta di indagare le ragioni,
non si domanda quindi se. per caso, una normativa sociale che tendeva a perpetuare il passato non avesse avuto
un ruolo nel dar vita a una societ inadeguata ad affrontare il cambiamento dei tempi. Non sembra un caso che la
crisi dellIslam si sia rivelata tale in concomitanza con linizio della modernit occidentale nel XVIII secolo.
Anche lelogio fatto da Hallaq di questa economia etica (p. 148 sgg.) sembra tener conto soltanto dei
paradigmi, tant che non spiega come mai lIslam reale, mentre rimane fortemente conservatore nel diritto
familiare, sa ben adattarsi alla modernit in materia di economia. Tant che, a p. 152, Hallaq deve denunciare
che lattuale finanza islamica non affatto islamica! Le sue conclusioni (Cap. 7) sono ripetitive rispetto al
testo, ma anche significative, perch partono da un attacco al pensiero aristotelico (Hallaq ha curato la versione
inglese del sunto del testo di Ibn Taymiyya intitolato Ibn Taymiyya against the Greek Logicians, discusso supra
alle pp. 1150-1153) dal quale discenderebbe il moderno Stato occidentale (ci che , in parte, vero). Ad esso
contrappone lIslam che pone la politica nellambito del primato e del perseguimento del Bene (un tema pi
volte trattato nel nostro racconto, in particolare quando parlammo di Strauss) un Bene/Verit al quale ci si deve
adeguare: non a caso il capitolo sintitola The Central Domain of Moral. In fondo, labbiamo visto sin dalla
discussione su Strauss e al-Frb, la differenza tra il Platone politico e lIslam (una differenza non da poco)
che per entrambi esiste questo valore assoluto da perseguire in politica, ma per Platone deve essere indagato dai
filosofi, mentre per lIslam additato dalla Rivelazione. Resta quindi aperto il contrasto tra una legge mutevole
fatta dagli uomini (politica aristotelica) e un individuo fatto da una Legge eterna (atopia islamica e platonica). La
seconda pu certamente offrire spunto a modelli meravigliosi, e Hallaq ne ha nostalgia pensandola come passato
islamico. Peccato che le testimonianze sul passato mostrino che i Musulmani reali fossero uomini come tutti noi,
e questo, Platone, lo avrebbe capito: lanima, nata in cielo, mescolatasi con la materia torna a guardar sospirosa
in alto, ma prova unirresistibile attrazione per gli angiporti. E di questo tiene conto la politica, tra Utopia e
realismo. Sembra dunque giunto il momento di esprimere un giudizio sul significato del testo di Hallaq, che
parla di legge islamica ma rivolto agli occidentali. Al di l delle molte inadeguatezze della sua analisi, esso non
deve essere sottovalutato. Certamente ha dei difetti strutturali nellimpianto: non si pu condurre un confronto
1309
tra una storia e un paradigma (questo laveva gi duramente rilevato la Abu-Odeh) ma non si pu neppure
condurlo tra una visione critica dellOccidente nata nelloccidente stesso, e una visione ideale dellIslam nata
nellIslam:la base del ragionamento che guida le due esposizioni diversa, ne emerge un testo strabico, perch
una realt si pu anche mettere a confronto con un ideale, purch entrambe siano traguardate dalla medesima
prospettiva. Tuttavia il testo riesce a cogliere un punto fondamentale della crisi dellOccidente, che avevamo
ampiamente esaminato con Strauss. il piano inclinato sul quale pu scivolare una societ senza pi unetica
condivisa a permeare di s le proprie leggi. Una societ che abbia come meta la soddisfazione del desiderio
individuale una societ inevitabilmente fragile sul piano identitario, un assemblaggio eterogeneo di individui
senza denominatore comune. Nella visione non infondata di Hallaq, che critica il carattere anetico dello Stato
moderno, manca tuttavia unosservazione: lo Stato moderno anetico non per scelta, ma perch se fosse etico
sarebbe una tragedia o una farsa. Questa impossibilit istituzionale il limite pi serio dello Stato, perch mostra
che esso non pu fondare una societ, pu soltanto riceverla gi costituita altrimenti: magari da un messaggio
profetico. Non infondata la critica di Hallaq che ha di mira lindottrinamento affidato alla burocrazia come
mero esercizio di potere; potrebbe aggiungervi il ridicolo e la superficialit di ci che essa riesce ad elaborare,
per esempio il politically correct, il salutismo e quantaltro. Sembra scontato che egli possa esaltare per converso
la Sharah, precisamente per il modo con il quale s formata, legge etica venuta dal popolo tramite suoi
rappresentanti divenuti tali per probit e sapienza; una legge che non sinteressa del potere sultaniale, almeno
sinch non ne venga calpestata. LOccidente, avendo relegato la religione -lantico collante e sentire comune
della societ- a opinione privata, non ha motivo di porsi il problema di questo duopolio. Il ruolo di una classe
dirigente diviene allora non gi investigare filosoficamente o religiosamente il Bene e promuoverlo, ma trovare
la capacit retorica di convincere i cittadini a perseguire il meglio, e in questo dovrebbe consistere il suo sforzo
intellettuale. Questo sforzo si compendia nellelaborazione ideologica del nuovo, che per non ha un percorso
precostituito ineludibile come la modernit, che, essendo prosecuzione di un trend traguardato dal passato,
perci istituzionalmente vecchia. Non dunque necessario essere assolutamente moderni, non necessario
pensare, scrivere, dipingere in accordo con il pensier dominante, per essere cittadini di questo tempo. Lo Stato
moderno, che nasce liberale contro le pretese normative del clero, non sembra capace di promuovere uno sforzo
intellettuale di elaborazione ideologica del nuovo, sembra averlo demandato a una dilagante macchina
burocratica nazionale e internazionale il cui compito, come quello di tutte le burocrazie (amministrative,
giudiziarie, culturali e quantaltro) la gestione dello status quo. Lei s, quindi, devessere assolutamente
moderna, e per far ci il burocrate ha preso il posto del teologo e del sacerdote, del muft e dello alim. Quando
un burocrate, sia pure uno dei massimi rappresentanti della burocrazia internazionale ma pur sempre un
burocrate, pretende di spiegare al Papa cosa dovrebbe (deve) pensare la dottrina cattolica in materia di sesso, si
tocca con mano il disastro mentale (prima ancora che culturale) prodotto dalla superfetazione burocratica degli
Stati, risolto in una cultura compendiata nel politically correct e inculcata tramite un apparato fatto di
insegnamento, Accademia, gazzettieri e mini-intellighentzie prt--porter. E poich questa cultura dettata da
una Ragione post-illuminista che abbiamo visto essere senza fondamento, senza fondamento appare essere non
soltanto il pensiero, ma la stessa societ della modernit. Perci, anche nel nostro liberale Occidente, chi non
si adegua al politically correct pu essere discriminato per le sue idee, e pu esserlo persino chi fuma o chi
troppo grasso per gli standards salutisti, a maggior gloria di un conformismo del quale non ci accorgiamo pi,
tanto lo abbiamo introiettato. Anche qui c una sorta di Sharah che per, essendo dettata dalla misteriosa
Ragione, non scandalizza, anche se macina i propri teoremi sul vuoto dellautoreferenzialit: mentre
scandalizza lOccidente quella islamica. Questultima, lo abbiamo notato, resta rocciosa nella legislazione
familiare: questo un problema generale che sottolineano, ad esempio, N.J. Brown e A. Omar Sharif in
Inscribing the Islamic Sharia in Arab Constitutional Law in Islamic Law, etc. cit., a p. 66. La difficolt di
adattare la Sharah al mondo moderno, soprattutto alla sua economia, fa s che la sua applicazione sia limitata in
tutti i campi, con leccezione della legge di famiglia nella quale continua a prevalere (corsivo mio). Interessante
constatare, in n. 31 a p.89, uno dei tanti funambolismi interpretativi nei quali pu eccellere un giudice, in questo
caso nel risolvere in termini di economia vigente un problema di interessi sul debito, a prima vista -e in buona
sostanza- contrastanti con la normativa islamica. Quanto legato alla legislazione familiare e al ruolo sociale della
donna sia il proclamato attaccamento alla normativa sharaitica, lo mostrano altri saggi contenuti nella medesima
raccolta. A.E. Mayer, Internationalizing the Conversation on Womens Rights: Arab Countries face the CEDAW
Committee (CEDAW lacronimo di una Convenzione per leliminazione di tutte le discriminazioni contro le
donne) ha analizzato le reticenze dei paesi arabi ad accettare una possibile legislazione sulla parit di genere, che
appare culturalmente lontanissima da tradizioni patriarcali profondamente radicate in quei paesi. Queste
tradizioni trovano supporto sharaitico nellinterpretazione del dettato coranico, uninterpretazione che, secondo
alcune voci femministe, andrebbe completamente riveduta. Ora, questo tema di una reinterpretazione attualizzata
del Sacro testo, notoriamente il fondamento di quello che stato definito Islam liberale, e su questo punto
ritengo di dover notare che esiste una difficolt di fondo che rende sinora la cosa poco realistica. Il domani ci
ignoto, ma un fatto che i sostenitori dellIslam liberale hanno scarsissimo seguito. La difficolt , lo si detto
tante volte, nella sacralizzazione di tradizioni tramandate che testimoniano costumi tribali del VII secolo ma
che furono teologicamente elevate a testimonianza divina; e limpossibilit di aggirare la letteralit di un testo, il
Corano, che fu proclamato increato ai tempi di Ibn Hanbal. Le difficolt del movimento femminista non
1310
finiscono per qui, come mostra larticolo di L.Abu-Odeh, Egyptian Feminism: trapped in the Identity Debate,
su Islamic Law, etc., cit. La Abu-Odeh parte gi dalla prima pagina (p. 183) sottolineando che gran parte del
sistema legale egiziano secolarizzato con leccezione delle leggi sulla famiglia ritenute derivare dalla legge
religiosa. La discriminazione di genere nel matrimonio ha le proprie origini nella giurisprudenza islamica
medievale, ed stata trasmessa ai vari codici di famiglia nel mondo sociale islamico sotto varie formulazioni (p.
186). Lautrice esamina quindi le diverse anime del femminismo egiziano, che suddivide schematicamente tra
quelle pi conservatrici e quelle pi rivoluzionarie; dalla sua esposizione si possono trarre alcune puntuali
osservazioni che sono interessanti per la presente disamina. Innanzitutto lautrice non manca di rilevare la
continuit della giurisprudenza islamica nel solco degli usl al-fiqh secondo lindirizzo dato loro da Shfi (p.
190). Naturalmente, nellesaminare i movimenti femministi, la Abu-Odeh d anche un quadro del supporto o
delle ostilit che essi trovano nella popolazione maschile e nel corpo degli ulam, i quali ultimi sono in
generale ostili al cambiamento. Il problema che tuttavia domina il dibattito quello identitario, cio la forte
tendenza del mondo islamico, anche per il suo stato post-coloniale, a considerare la tradizione islamica come
orgoglioso elemento didentit culturale in opposizione allOccidente: un fenomeno identitario che riguarda pi
o meno tutto lo spettro dei movimenti, a partire da quelli che coinvolgono la popolazione maschile, anche
secolarizzata; per non dire dei religiosi. Sono loro i sostenitori del compromesso fondato sulleuropeizzazione
del sistema legale e sul contemporaneo mantenimento delle norme sharaitiche nel diritto di famiglia (p. 193). per
questa ragione esistono correnti femministe che, pur mantenendo la centralit dellidentit musulmana, invocano
il superamento delle antiche normative attraverso la rilettura dei passi coranici che stabiliscono la parit di
genere (p. 188 e pp. 206-207 in n. 11). In altre parole: apologia dellIslam ma modernizzazione dellIslam (p.
199) lipotesi tipica dellIslam liberale che sembra per destinata alla frustrazione per i motivi gi addotti, sui
quali sembra pleonastico tornare. Lo sottolinea anche lautrice a p. 202 come abbiamo appreso dalla moderna
storia del femminismo nel mondo islamico, ci che ritenuto ordinato da Dio resistente al cambiamento
(corsivo mio che rinvia al nodo da risolvere costituito dai fondamenti del diritto sanciti da Shfi). Interessanti
spunti di riflessione sui contenuti di Islamic Law, etc. vengono dalla recensione che ne ha fatto A.M Emon sul
Journal of Law and Religion, 21, 2055-2006. Emon nota un aspetto che unisce i vari articoli che ho citato,
incluso quello di Hallaq citato in precedenza: Hallaq ritiene la legge islamica ormai fuori contesto nellambito di
uno Stato islamico, mentre gli articoli che si occupano essenzialmente della legislazione sulla famiglia e dei
problemi di genere, vedono nellapplicazione della legge islamica in quegli Stati niente pi che un simbolo
politico identitario. Emon fa riferimento anche allarticolo di J. Skovgaard-Petersen, A Tipology of State Muftis,
nel quale si nota la trasformazione del muft in un funzionario dello Stato, ben diversamente dal muft pre-
moderno del quale rappresenta soltanto unombra (p. 103) e fa una notazione generale sullorientamento
complessivo del volume. Questo fa riferimento infatti al solo mondo arabo, e non si sofferma a considerare come
possa esser vissuta oggi la legge islamica nei paesi a maggioranza islamica ma non arabi; o nelle minoranza
islamiche ormai sparse per il mondo. Questa scelta editoriale , a suo avviso, criticabile, perch, ad esempio, gi
unanalisi della sola esperienza iraniana mostrerebbe un diverso tipo di intersecazione tra la legge islamica e lo
Stato moderno. Lo stesso si potrebbe constatare se si esaminasse il caso dellIndonesia. Emon afferma quindi che
focalizzandosi sul mondo arabo, gli editori perpetuano un mito che fa intendere che gli sviluppi significativi
riguardo allIslam e al mondo islamico, vengano soltanto dal mondo arabo (p. 106). Saremmo quindi in
presenza di un atteggiamento subalterno -ancorch critico- nei confronti di quella concezione panarabista
dellIslam della quale abbiamo parlato, ad esempio esaminando la ricerca di Yahy, del tradizionalismo e di
Shfi. Occorrerebbe dunque, afferma Emon guardare alla periferia del mondo islamico per testimoniare il
modo in cui aspetti della legge e dellideologia islamica operano una sintesi con i nuovi fenomeni intellettuali,
culturali e sociali (ivi). Lesperienza del mondo arabo non rappresenterebbe dunque lo sforzo dei Musulmani
per conciliare il proprio passato islamico con il mondo moderno. Qui si entra per in un discorso che va al di l
dei limiti di queste note, e chi volesse pu approfondirlo altrove. Segnalo che molti articoli di Emon, che fu
studioso del diritto islamico, sono presenti anche sul web. Ne cito di sfuggita soltanto tre, dalla cui lettura si
possono comunque evincere conferme a quanto abbiamo visto sulla natura e sul fondamento del diritto islamico.
In The Limits of Constitutionalism in the Muslim World: History and Identity in Islamic Law, contributo apparso
su Constitutional Design for Divided Societies: Integration or Accomodation? ed. by S. Choudry, Oxford, Un.
Press, 2008, Emon ricorda il ruolo della tradizione come elemento identitario, lavversione allindividualismo
atomistico della societ liberale, lostilit alle normative sui diritti umani, in quanto confliggenti con una
Sharah evocata nelle sue forme pre-moderne. Su questultimo punto egli nota che gli ahdth che sorreggono le
norme della Sharah non riflettono necessariamente la lezione coranica e la tradizione profetica, quanto,
piuttosto, gli antichi costumi arabi. In chiusura egli torna anche sul pensiero di Hallaq e sottolinea come la
dissonanza tra lo Stato moderno e la legge islamica potrebbe essere superata soltanto se le normative di
questultima fossero storicizzate, viste cio nella contingente storicit nella quale furono emesse. Mi permetto di
notare che a ci si oppone ancora la diga eretta da Shfi che ufficializz e razionalizz la pressione dello ahl
al-sunnah wa l-jama che conferiva ai costumi il rango di manifestazione della Volont divina nella mitica et
delle origini. La difficolt ancor meglio comprensibile nella lettura di Natural Law and Natural Rights in
Islamic Law, in Journal of Law and Religion, 20, 2004-2005. Larticolo condotto principalmente sul pensiero
di al-Ghazl che riconduce la Legge ad una razionalit divina non accessibile alla razionalit umana: siamo
1311
fuori dunque da quella armonia rappresentata dalla legge naturale che investigammo nel pensiero (neoplatonico)
di Tommaso. la societ potr quindi essere governata rettamente soltanto con lausilio di un diritto che nasce
dallo sforzo umano di interpretare, pi o meno giustamente o fallacemente, la Volont divina espressa nel
Corano e nella Sunnah (senza questultima, il Corano da solo non offrirebbe molti precedenti sui quali applicare
lo ijtihd). In Religious Minorities and Islamic Law: Accomodation and the Limits of Tolerance apparso in
Islamic Law and International Human Rights Law: Searching for a Common Ground, ed. by A.M. Emon, M.S.
Ellis, B. Glahn, Oxford, Un. Press, 2012, Emon nota infine che lo sforzo di ancoraggio al passato
particolarmente insistito, anche sul piano delleducazione, in Arabia Saudita, dove quindi pi forte la
discriminazione fondata sulla tradizione. Con queste ultime note marginali ritengo si possa chiudere lanalisi del
testo di Hallaq dal quale prendemmo le mosse, formulando qualche ultima riflessione. La tesi di Hallaq non
quella di proporre larvatamente allOccidente ladozione della Sharah come rimedio ai propri mali, quanto di
opporre a una legge calata dallalto insieme a una cultura omologante gestita da corpi burocratici operativamente
prevalenti sul potere legislativo, una diversa legge fondata su una comune etica popolare, espressa e difesa da
esperti emersi dalla comunit in base al consenso ricevuto circa la propria sapienza e probit. Questa legge etica
espressione del sentire condiviso della comunit, da intendersi come una legge del tutto separata dal potere
politico/amministrativo territoriale, precisamente perch a questo non si riconosce alcun fondamento metafisico:
la dawla la transeunte effimerit delle vicende del potere viste nella ruota della fortuna e dei mutevoli rapporti
di forza, anche di quelli elettorali, nelle democrazie. Scopo della comunit soltanto la realizzazione della legge
etica, perci interesse della comunit mantenere la propria compattezza attorno a questa legge, in nome della
quale ci si pu (e ci si deve) sacrificare: la guerra santa, il jihd, altra cosa rispetto alle guerre di conquista
degli Stati, che nel potere sultaniale erano combattute da mercenari pagati per farle; il Musulmano in quanto tale
era tenuto a combattere soltanto a maggior gloria della Legge, un obbligo incernierato su fondamento religioso.
Hallaq si anche domandato, nel proprio testo, che cosa mai potrebbe costituire obbligo interiore, per il cittadino
dello Stato, tale da spingerlo a sacrificarsi per unentit anetica: una domanda centrale, dal suo punto di vista,
perch egli ritiene che manchino le condizioni per la sopravvivenza della stessa societ, qualora questa non
converga su unetica condivisa. Traspare qui linnegabile divaricazione concettuale tra Stato e societ, e si
comprende il ruolo della religione, del quale abbiamo sempre parlato come progetto sociale, fondazione di una
societ. Una societ vive sinch vivo il suo mito di fondazione, e perci vive anche dentro una tradizione, che
cresce e si trasforma nel tempo ma dal tempo trae la propria forza: la storia del passato ha una sua vita nel
presente. Lo Stato, della storia un prodotto transeunte, frutto di scelte pragmatiche, non ha un fondamento
ontologico, non coincide neppure con quella dubbia astrazione positivista che letnia o la nazione. Ci non
significa che lo Stato non abbia una propria storica ragion dessere; questa per, in quanto storica ne marca la
genesi e ne preconizza il trapassare. La societ, la comunit, che il riferimento dellIslam, una realt di pi
lunga durata, precisamente per la propria origine che , s, storica nel computo temporale, ma metastorica nella
propria costituzione attorno a un messaggio profetico, a un fondamento ontologico. Lo Stato, a ben vedere, non
che la sublimazione dellapparato burocratico/amministrativo/giudiziario cui la democrazia imprime un
mutevole indirizzo politico, impossibile surrogato di unetica condivisa. Perci lo Stato anetico, se fosse etico
sarebbe un regime, una dittatura ideologica. Il fragile fondamento metafisico dello Stato liberale nella rozza
metafisica materialista del convenzionalismo di Hobbes (Spinoza vola pi in alto, d un fondamento ontologico
al proprio liberalismo). Perci lo Stato pu aprirsi alla deriva individualista tipica dei regimi liberali che si
vogliono anche economicamente liberisti ed eticamente libertari. Il materialismo del quale lIslam accusa
lOccidente pu esser giudicato come si vuole, anche difeso nellottica di un sano realismo: certamente non
fornisce un coagulo sociale se non nel momento dellassalto alla diligenza, che non si preannuncia eterno. Non
un caso che Hallaq inserisca nel proprio armamentario critico lambientalismo. La religione, meglio, la Profezia,
che nei monoteismi il fondamento della religione stessa (in effetti religione parola ambigua che si attaglia
essenzialmente allantichit classica) nasce da una riflessione sulluomo; lOccidente vede luomo soltanto nella
veste di Homo conomicus, le sue libert sono destinate essenzialmente a non essere dintralcio a questa
parzializzazione delluomo. Il vero rischio del tlos traguardato nella corsa economica quello di consumare una
risorsa pi preziosa e insostituibile dello stesso ambiente, senza la quale non pu esservi corsa alcuna: luomo. Il
disagio dellOccidente anche nelle costrizioni imposte da questa corsa, peraltro ancora compensate dai benefici
attesi e richiesti dai meno fortunati. Peccato che, una volta esaudite le esigenze di base, divenga necessario farne
balenare di nuove onde proseguire la corsa: il processo si autoalimenta e luomo diviene un ingranaggio del
Moloch kafkiano che di lui si nutre, anche e soprattutto in quel tempo libero che un parco giochi pensato per
consumare in libert le delizie del Bengodi. Consumando il prodotto del proprio sacrificio al Moloch, luomo
consuma se stesso. Non sembra un caso che il mondo islamico faccia della propria Legge un motivo identitario a
salvaguardia della propria storia, e che questo si rifletta soprattutto nella legislazione familiare. La famiglia il
tradizionale luogo dal quale luomo trae la propria identit, e la scomparsa dei modelli familiari tradizionali
connessa al paneconomicismo. Tanto per usare termini desueti, struttura materiale e sovrastruttura ideologica si
condizionano reciprocamente: nellIslam, lincontrastabile economia moderna mette ora in crisi la famiglia
tradizionale, muftn e ulam camminano sul filo per salvare capra e cavoli. LOccidente si impegnato e ha
impegnato il mondo in una corsa che non pu arrestarsi, allinseguimento di un tempo messianico posto in cima
allalbero di Cuccagna, tempo messianico da realizzarsi correndo dietro a una lepre di pezza spacciata per
1312
Utopia. Per la Profezia, lUtopia nellAltrove o nella societ, il traguardo di una corsa ubicata nelluomo
stesso: si pu anche non essere daccordo, ma comunque qualcosa di meno vacuo della Cuccagna. Non sembra
un caso che le religioni testamentarie -con le eccezioni sadducea e calvinista- abbiano guardato con sospetto la
ricchezza materiale, laccumulo di beni: dislocando la vera felicit l dove lo sterco di Satana svanisce come
vanitas vanitatum. Questa apologia del pauperismo si definitivamente rivelata poco convincente, ma resta pur
sempre un monito nel ricordo, che parte del presente. Anche la polemica di Hallaq non convincente nel
tessere lelogio di unet delloro che fu soltanto immaginata, ma ricorda allOccidente ci che la modernit, di
Aufhebung in Aufhebung, pretende di seppellire in un passato senza pi voce. A meno di essere antistorici,
secondo letichetta fellona del pensier dominante.

Articoli apparsi recentemente e testi anchessi contemporanei alla stesura di queste Postille inducono
ad approfondire alcuni punti nodali relativi allorigine e allevoluzione dellIslam, nellottica di una revisione dei
luoghi comuni ereditati dallacquiescenza alla Vulgata. Essi confermano quanto mi sono sforzato di mettere in
evidenza, cio la loro costruzione tarda e ideologica; in particolare, per ci che segue, in epoca abbside. Inizio
lesposizione, che implicher anche il richiamo a studi non recenti, con larticolo di A. Borrut, Vanishing Syria:
Periodization and Power in Early Islam, apparso su Der Islam, 91,1, 2014 e fondato su unamplissima
bibliografia che richiamer soltanto in minima parte, anche per non ripetermi su quanto gi detto nel corso della
ricerca. Personalmente considero importante questo articolo anche a prescindere da quanto vi si afferma riguardo
alla storia dellIslam, perch esso si fonda su alcuni concetti certamente non nuovi per gli storici ma utili sempre
a ricordarsi, che entrano in gioco nellottica con la quale ho affrontato tutta la Storia di un altro occidente. Si
tratta di concetti che mettono a nudo lideologicit della storia storicista che sottende, con la sua teleologia e
teodicea, il mito occidentale di un Progresso inverato nella storia dellOccidente (ideologico) che dovrebbe
indirizzare i destini del pianeta. Borrut denuncia infatti, ad apertura e a sostegno del proprio studio, il fatto che
loccidente ha confiscato la storia del mondo, chiudendola in uno schema cronologico eurocentrico e
imponendo una periodizzazione etnocentrica al resto del mondo (p. 37). Noto per inciso che la periodizzazione
in uso, nata con linvenzione del cosiddetto Medioevo, cio di una sorta di intervallo negativo che interrompe
un decorso iniziato con la civilt classica e ripreso con il Rinascimento (altra espressione della medesima
ideologia) nel fondamento del cosiddetto Occidente -da non confondersi con il variegato e contraddittorio
occidente reale- oggetto della mia critica. Ci oblitera, tra laltro, la complessa e dibattuta natura del messaggio
testamentario ridotto alle sue istituzionalizzate ortodossie, con perdita di senso dellopzione gnostica dichiarata
folle, della sua eredit, e anche delle eresie medievali con il loro fondamento neoplatonico, le une e laltro
liquidati come popolari, come a dire: roba da ignoranti laici, ydioti, illitterati. Queste sono per soltanto
considerazioni generali che io mi son permesso di commentare; venendo al concreto, ci che Borrut denuncia e
smaschera decostruendola, la periodizzazione in s come atto ideologico del potere, per poi procedere allo
specifico oggetto dello studio, la periodizzazione della storia islamica nella sua Vulgata nata, lo si ricordi, al
tempo degli Abbsidi (per loro infatti scrisse gi Ibn Ishq, cfr. supra, p. 1039). Larticolo di Borrut, come
anche quello, lo vedremo tra breve, di Webb, che appare di seguito nel medesimo fascicolo di Der Islam, un
fascicolo interamente dedicato al problema della periodizzazione della storia con specifico riferimento alla storia
dellIslam, si inserisce dunque nellopera di riscrittura della storia islamica, il cui non lontano incipit negli studi
di Patricia Crone. Si ricorder infatti, che a p. 1067 supra, avevo riportato le dure critiche di metodo avanzate
dalla Crone contro gli orientalisti in un suo articolo apparso su Arabica, 39, 1992, nel quale ella rivendicava
lesigenza di esaminare i documenti con una metodologia di storici, non di arabisti. Il tema stato ripreso in
gloria della Crone da Ch. Robinson, nel suo Crone and the End of Orientalism, www.chaserobinson.net/crone.
Robinson riassume le vicende sin dai tempi di Hagarism e degli altri lavori che citai in Dopo e a lato, e rimarca
il punto fondamentale sul quale uno storico ha tutto il diritto di esprimere seri e fondati dubbi circa la Vulgata,
negli stessi termini sottolineati dalla Crone: il rifiuto di considerare la cosiddetta eccezionalit dellIslam, la
pretesa cio che la sua storia sia stata sottratta alle normali regole della storia (p. 9). Da allora, nota Robinson,
le idee sono molto cambiate, e suscitano interesse le opere che aprono a ben diverse ipotesi sullorigine
dellIslam: ci che, del resto, abbiamo visto in questa nostra ricerca. Grazie agli scettici il mondo dormiente
dellislamistica molto cambiato; nata anche una alta volgarizzazione al riguardo. Con questa revisione che
rende giustizia ad un approccio storico, si pu tornare ad affermare con P. Brown (uno dei maggiori storici della
Tarda Antichit) che la nascita dellIslam devesser vista come lultima e la pi rapida crisi nella storia
religiosa della Tarda Antichit (corsivo mio). Torniamo ora allarticolo di Borrut che procede, come ho
anticipato, sulla scorta di considerazioni espresse da altri studiosi circa la natura ideologica delle periodizzazioni
della storia definite come abuso di potere, di un potere che impone concettualizzazioni retroattive sul passato
funzionali alla sanzione della propria autorit, e perci sul presente e sul futuro (corsivi miei; i riferimenti di
Borrut sono al noto testo di Koselleck, Vergangene Zukunft, nella traduzione inglese, Futures Past). Per inciso,
tornano le considerazioni pi volte espresse nel corso della presente ricerca, il fatto che le prospettive sul passato
nascono dai problemi e dalle prospettive del presente come tensione ad ipotecare il futuro (p. 1034, supra: anni
nostri semper simul stant). Con queste premesse, Borrut afferma che la periodizzazione della storia islamica,
cos come viene prospettata nella Vulgata, il risultato di una costruzione ideologica operata nellepoca del
Califfato abbside (cita al riguardo lo studio di Sellheim che ho esposto supra a p. 1039). I termini di questa
1313
periodizzazione corrispondono alle cinque note successive epoche: jhiliyyapredicazione profeticaepoca dei
Rshidnregno (mulk) omeyyadetempo del dominio (dawla) abbside; e tuttavia i dubbi sulla realt di tale
scansione sono molteplici. Abbiamo gi sottolineato nel testo la costruzione ideologica di quel periodo di
presunta barbarie e idolatria che , nella concezione islamica, la jhiliyya dellArabia pre-islamica perch
lIslam nasce non gi dal nulla, ma da un consolidato sostrato giudaico e giudeocristiano (o, se vogliamo,
anche cristiano ma non certo nel significato ortodosso del termine). La penisola arabica non pu essere
pensata disconnessa dal pi generale quadro del Medio Oriente bizantino e sassanide e persino dalle probabili
presenze zoroastriane, manichee e mazdakite. Qui si inserisce dunque anche larticolo di Webb sopra ricordato,
Al-Jhiliyya: Uncertain Times of Uncertain Meanings, Der Islam, 91,1, 2014. Si tratta di una ricerca erudita
fondata sulesame del lessico arabo con le sue variazioni semantiche desunte da testi di diversa et, a partire dal
Corano, e in funzione dei diversi contesti narrativi nei quali appare la parola jhiliyya e altre, come jahl
connesse alla radice j-h-l. Ora, a prescindere dal fatto che il quadro di ignoranza, barbarie o idolatria della
penisola araba, smentito dallarcheologia e dai testi letterari sopravvissuti (e dal ricordo fiero che ne ebbero gli
arabi) nonch dalla nota presenza del culto monoteista in epoca pre-islamica, Webb ha potuto mostrare che tali
accezioni hanno origine in una evoluzione delluso della parola nei primi secoli dellIslam. Originariamente
plausibile (p. 74) che il termine fosse usato dai convertiti per definire il proprio stato prima della conversione, o
anche la situazione della penisola araba prima dellIslam, intesa come una situazione di intervallo tra due
rivelazioni, lultima prima di Maometto essendo stata quella di Ges: per definire dunque il tempo della fatra (p.
76) quello cio nel quale non era in vita alcun profeta. Le varie citazioni esibite da Webb mostrano comunque
uno spettro di significati che convergono verso quello ora comunemente recepito soltanto con il IX secolo, per
poi codificarsi in tal senso nel XII. Ancora nel IX secolo per, jhiliyya poteva significare semplicemente il
tempo delle origini arabe (p. 89), epoca gloriosa (p. 90): un tempo con una sua sapienza (ilm) ci che
contraddice lequazione tra jhiliyya e ignoranza o barbarie, come pure la sua identificazione con il dominio
dellidolatria, trattandosi di unepoca segnata dal diffuso monoteismo/abramismo hanfita (ivi). Sullargomento
si consulti comunque larticolo di P. Crone, The Religion of the Qurnic Pagans: God and the Lesser Deities,
Arabica, 57, 2010, che riconferma quanto avevo riportato supra, sulla scorta di Hawting, circa i mushrikn,
monoteisti dalle pratiche di culto reprensibili (p. 1063), cio che adoravano angeli o divinit inferiori emanate
dal Dio unico, ma comunque di origine giudea e cristiana (p. 1064); si ricordi inoltre la ragionevole ipotesi di
Lecker (pp. 1073-1074 supra) che addita la progressiva trasformazione di significato della parola che fa dei
mushrikn dapprima dei politeisti e poi dei pagani. Che lattuale concetto di jhiliyya fosse una costruzione lo
aveva comunque gi ipotizzato R. Drory, The Abbasid Construction of the Jahiliyya. Cultural Authority in the
Making, S.I., 83,1996, che aveva localizzato questa costruzione nel tardo periodo omeyyade e nel primo periodo
abbside, in corrispondenza con le inquietudini iraniche e quindi in rapporto allesaltazione di unidentit araba
e dei suoi valori, contrapposta a quella persiana. Questo emergere delle identit etnico-culturali allinterno
dellimpero islamico costituisce un fattore importante nella sua futura evoluzione, e la normalizzazione
abbside, una rivoluzione araba che per conduce a nuovi assetti segnati dallingresso dei Persiani alla piena
cittadinanza (cfr. infra) rappresenta una tappa di questo processo, destinato a ulteriori sviluppi. H. Kennedy, The
Decline and Fall of the First Muslim Empire, Der Islam, 81,1, 2004, ritiene infatti che la causa della successiva
frammentazione dellImpero sia da ricercarsi nella totale adesione allIslam delle lites locali, detentrici di un
potere locale tradizionale, che poterono cos divenire perfettamente integrate sotto il profilo religioso, senza
peraltro alcuna tradizione di lealt al Califfo. Tornando ora a Borrut e alle periodizzazioni della vulgata islamica,
larticolo avanza i suoi primi dubbi gi a partire dai quattro Califfi ben guidati, che si direbbe coniato a
posteriori per motivi altri che non la verit storica; infatti tanto Uthmn, della cui uccisione a seguito delle
rivolte da lui scatenate s detto supra, alle pp. 1055-1056; quanto Al, il cui califfato conobbe una vigorosa
opposizione culminata con la sua morte, difficilmente sarebbero stati ritenuti ben guidati dai loro
contemporanei. Di ci dubitava infatti gi M.G. Morony, Bayn al-fitnatayn: Problems in the Peridization of
Early Islamic History, J.N.E.S., 40,3, 1981. Secondo Morony, il mito dei quattro Rshidn nascerebbe da un
approccio dinastico alla storia, basato sulla personalit del capo e sul suo effettivo impatto sul proprio tempo,
nel bene e nel male, come se egli possedesse lautorit assoluta; in realt una storia socio-economica creerebbe
prospettive ben diverse. Ad esempio, il ventennio di Muwiyya (661-680) segna laffermazione delle nuove
lites arabe delle citt di guarnigione, ci che comporta laumento delle disparit sociali; la continua politica
espansionistica perci provocata, sino al 2 decennio dellVIII secolo, dallesigenza di mettere la sordina ai
conflitti interni che ne derivano, salvo essere lorigine di nuovi conflitti. Perci il Califfo deve essere un Vicario
di Allh, i Governatori debbono essere scortati e le rivolte pullulano. C per conseguenza una periodizzazione
che potrebbe vedere unepoca di progressiva centralizzazione dal 644 (elezione di Uthmn) all809; tra l809 e
l813 la quarta fitna segnerebbe poi il passaggio al movimento inverso, lemersione di dinastie locali semi-
autonome. difficile quindi pensare che, nella continuit della storia, sia davvero esistita unepoca dei Rshidn.
In particolare, per quanto riguarda Al, alle pp. 48-49 Borrut riporta, seguendo Hoyland (Seeing Islam, etc., cit.)
uno stralcio della Cronaca di Tommaso il Presbitero relativo al primo secolo dellIslam (ricordo, per inciso, che
luso di cronachisti non islamici per capire qualcosa sul primo Islam, fu il puntello delle fragili tesi revisioniste
espresse dalla Crone in Hagarism). Ora, ci che appare interessante nella lista califfale di Tommaso, che il
periodo del califfato di Al, tra il 656 e il 661, cio dalla morte di Uthmn allavvento di Muwiyya, citato
1314
come un periodo di contese (la prima fitna) senza un effettivo Califfo in carica; di Al non si fa neppure il nome.
La convergenza di informazione proveniente da altre cronache non islamiche induce quindi Borrut a una
conclusione induttiva ma comunque documentalmente suffragata: al tempo degli Omeyyadi non esisteva il
concetto dei quattro Califfi Rshidn, non esisteva un periodo della storia islamica cos definito; questa
concettualizzazione nasce dunque soltanto dopo, in epoca abbside. A quel periodo risale tra laltro, come
abbiamo gi visto, la prima storia islamica direttamente accessibile; e al riguardo mi permetto quindi di
ricordare che non per caso ho sostenuto, a proposito del mito salafita di una et delloro dei quattro ben
guidati, che quellet non mai esistita. esistito soltanto, sul piano valutativo e con un fondamento
ideologico, il concetto di ben guidato applicato ad alcuni Califfi in epoca omeyyade. In tal caso possono per
spuntare i nomi, dopo Uthmn, di Muwiyya, Abd al-Malik e Umar II (p. 50 in n. 75). Di questultimo nota
la grande probit eternata in molti aneddoti, che lo fece definire anche come il quinto Califfo ben guidato, cosa
che difficilmente si potrebbe dire per Muwiyya e per il famoso -o forse meglio, famigerato- al-Hajjj.
Certamente non tale doveva essere considerato Uthmn per coloro che decisero, richiamandosi allIslam
originario, di assassinarlo: e non eran pochi (cfr. supra, pp. 1055-1056). Le vicende di Muwiyya e di Abd al-
Malik, chiamano poi in causa quelle dellAnticaliffo Abdallh ibn al-Zubayr (cfr. supra le varie citazioni, in
particolare p. 1107) passato alla storia come un ribelle che oper nel regno di quei due Califfi, insediandosi alla
Mecca e a Medina. Anticaliffo significa essere antagonista di un legittimo Califfo, significa dare per
storicamente scontato il passaggio da unera dei Rshidn a quella della dinastia Omeyyade nel suo ramo
Sufynide: fine di un periodo e inizio di un altro periodo nella storia dellIslam. A vedere le cose pi da vicino,
non sembra per che sia esattamente cos. Del califfato di Muwiyya si occupato Kh. Keshk, When did
Muwiyya become Caliph?, J.N.E.S., 69,1, 2010. Keshk infatti mette a confronto i disparati resoconti degli
storici arabi e delle cronache non arabe relative ai cinque anni che vanno dal 656 al 661, quelli cio che sono
attribuiti al califfato di Al e che vanno dalla morte di Uthmn a quella dello stesso Al; anni caratterizzati
dalla lotta di questultimo, prima contro Talha, al-Zubayr e isha (Battaglia del Cammello) poi contro
Muwiyya a Siffn. Questi resoconti discordano tra loro quanto allassegnazione della legittimit del potere
califfale, ma conducono, precisamente a causa di ci, ad una sola possibile conclusione (p. 42): Muwiyya fu
riconosciuto Califfo soltanto nel 661 alla morte di Al, ma c evidenza che egli aveva motivo di ritenersi tale
gi dopo la Battaglia del Cammello, nella quale Talha e al-Zubayr perirono (e isha si ritir dalla vita
pubblica). Parimenti si deve ritenere che una parte dei Musulmani lo ritenne Califfo gi dopo quella battaglia
(656) e che Al lo consider un pericoloso, in quanto autorevole, pretendente al Califfato, subito dopo la morte
di Uthmn. Tornando ad Ibn al-Zubayr e al suo ruolo di Anticaliffo, ci sono due domande che ci si deve porre:
era del tutto legittimo Muwiyya e ancor pi suo figlio Yazd contro il quale si ribell Abdallh Ibn al-
Zubayr? la Ummah avvert realmente questultimo come un ribelle, nuovo seminatore di discordia (seconda
fitna) dopo quella tra Al e Muwiyya (la prima fitna)? Circa la prima domanda una risposta affermativa non
pu essere del tutto convincente. Contrariamente allusanza araba e a quanto era avvenuto per i primi due Califfi,
Muwiyya non era stato eletto da una Shra, era soltanto il vincitore del contestato Al. Quanto a Yazd, egli
era stato nominato Califfo per successione dal padre, un fatto senza precedenti per lIslam e contro il quale si
sollev, per lappunto, Ibn Zubayr, ma non soltanto (i Khridjiti la pensavano allo stesso modo, cfr. supra, p.
1157). Senza contare che lAnticaliffo era certamente un depositario dellIslam originario ben pi affidabile
dei Sufynidi, convertitisi soltanto in un secondo momento: era nipote di isha, genero di Ab Bakr, e aveva
per nonna una zia paterna del Profeta. Alla seconda domanda ha voluto dare una risposta S.S. Campbell, citata
da Borrut per la sua tesi di dottorato alla University of California, Los Angeles, 2003 (Telling Memories: The
Zubayrids in Islamic Historical Memory). La Campbell ha anche pubblicato un recente articolo al riguardo,
Famous Last Words: The Maqtil of the Zubayrids in Medieval Islamic Histories, J.A.I.S., 13, 2013. Maqtil,
pl. di maqtal, significa: uccisioni. Nota la Campbell che agli storici musulmani, usi abbellire con immaginose
descrizioni i momenti precedenti la morte di famosi personaggi e le loro ultime parole, si sempre posto il
problema della valutazione delle figure di Compagni e Successori morti nel corso di contese tra Musulmani;
valutazione che, distinguendoli come martiri o come seminatori di discordia nella Ummah, li destinerebbe
alternativamente al Paradiso o allInferno, configurandone in senso positivo o negativo la memoria storica
attraverso la descrizione della loro morte. Esaminando perci i resoconti (di fatto, pure divagazioni letterarie)
degli storici sulla morte di Abdallh ibn Zubayr e del fratello Musab, la Campbell nota che essi vengono fatti
morire nobilmente ed eroicamente combattendo per una causa, ci che mostra che la loro avventura non fu
avvertita come un atto di pura ribellione, generatore di discordia, ma aveva in qualche modo un suo fondamento
nei princpi stessi dellIslam. La damnatio memori pi tarda, inizia nel IX-X secolo dellIslam abbside, ed
ha un sottofondo ideologico che viene messo in luce da T. El-Hibri,, The Redemption of Umayyad Memory by
the Abbsids, J.N.E.S., 61,4, 2002. El-Hibri esamina alcune di quelle invenzioni letterarie degli storici di epoca
abbside, delle quali sera gi detto a proposito di Ibn Abbs (cfr. supra, p. 1161 e pp. 1091-1092) e lo esamina
con riguardo al ruolo che in esse assumono gli Omeyyadi e gli Zubayridi. La ragione principale del suo studio
mostrare che, al di l dellovvia esecrazione che gli Abbsidi riservarono ai detronizzati Omeyyadi, esiste un
certo numero di racconti che ne riabilitano la memoria, et pour cause, come vedremo. In queste testimonianze
emerge viceversa una condanna degli Zubayridi, e non per lovvia ragione, speculare, cio che si ribellarono agli
Omeyyadi. Importante ci che precisa al riguardo el-Hibri (pp. 244-245): gli ahdth che mettono in ottima
1315
luce le figure degli Omeyyadi, in primis quella di Muwiyya, appaiono con i tradizionisti del IX secolo, e ci lo
si comprende bene con laffermazione del Sunnismo e dello Hanbalismo a partire da quel secolo, della quale s
detto nel capitolo Dal problema delle origini alla formazione di una retta opinione (e anche, a proposito di
Shfi, alle pp. 1291-1296 supra). Pi importante per che, nelle creazioni letterarie degli storici, il buon
rapporto tra gli Abbsidi e i Sufynidi viene fatto risalire ai rapporti tra i due patriarchi, al-Abbs e Ab
Sufyn, nonch ai loro successori Ibn Abbs e Muwiyya, il primo dei quali dibatte con il secondo argomenti
che ci si sarebbe atteso essere esposti da un Alde (p. 245). Si noti che nel dialogo (pp. 246-247) gli Abbsidi,
che furono dalla parte di Al nella prima fitna, prendono le distanze da loro e tendono la mano agli Omeyyadi. Il
dialogo mette tuttavia in evidenza la superiorit del diritto degli Abbsidi rispetto a quello degli Omeyyadi, con
lintervento anche di Hasan, il figlio di Al (p. 249) che avrebbe avuto peraltro anche maggiori diritti. Interviene
poi anche Abdallh ibn al-Zubayr (ivi). Qui si viene a un punto di grande interesse. Egli infatti sostiene i propri
diritti politici e religiosi con gli stessi argomenti con i quali Muhammad ibn Abdallh, lo hasanide che, con il
fratello Ibrhm si ribell agli Abbsidi incontrando la morte nel 762 (cfr. supra, p. 200; p. 204; p. 1105; p.
1107; p. 1161), rivendic i propri con una lettera scritta ad al-Mansr prima della ribellione. Nel colloquio
immaginato, Ibn Abbs pone per Ibn al-Zubayr in posizione subordinata cos come fa con Hasan: Ibn al-
Zubayr e Hasan hanno il solo compito di indebolire le posizioni di Muwiyya nei confronti di Ibn Abbs.
Secondo el-Hibri, questa rivalit con i Zubayridi risale al tempo di Al, quando Ibn Zubayr si era schierato
contro gli Hshimiti (Al e Ibn Abbs) 1 e, successivamente, a quello della ribellione di Ibn Zubayr, quando
lAnticaliffo aveva cacciato Ibn Abbs che non gli aveva prestato giuramento (p. 249). Questa inimicizia si
riverbera ancora nella presenza degli Zubayridi a fianco dello alde Abdallh b. Al (il padre di Muhammad e
Ibrhm) nella rivolta del 762. Altri episodi (p. 251) mostrano un continuo gioco di alleanze/inimicizie tra le tre
famiglie (Aldi, Abbsidi e Zubayridi) al tempo del califfato abbside, dettate da contingenti motivi
opportunistici. Altri racconti mostrano unaccresciuta ostilit abbside verso gli intrighi degli Zubayridi, sino al
punto di presentarci retrospettivamente un Muwiyya che combatte il ribelle per salvaguardare i futuri diritti
degli Abbsidi (ivi) sinch, alla fine, la tendenziosa storia imbastita con gli inverosimili colloqui, mostra gli
Omeyyadi che difendono la legittimit abbside nei confronti degli Aldi (p. 252) allinterno degli Hshimiti, e
persino una legittimit abbside nella successione agli Omeyyadi. Il punto chiaro: la successione dinastica di
Yazd al padre Muwiyya legittima la dinastia instaurata dagli Abbsidi. Il problema si rivela politico: un
cattivo Califfo preferibile allinstabilit che si ripresenterebbe in mancanza di una dinastia, cosicch le passate
lotte intestine vengono messe a carico di chi le scaten, indipendentemente dalle eventuali ragioni delluna o
dellaltra parte: a carico di isha, Ibn al-Zubayr e Marwn ibn al-Hakam (con il quale gli Omeyyadi
Marwnidi succedono ai Sufynidi) cio ai tre antagonisti di Al, i cui ultimi due entrarono poi in lotta tra loro
sino alla definitiva affermazione marwnide con Abd al-Malik b. Marwn. El-Hibri esamina quindi le tradizioni
favorevoli e sfavorevoli a Muwiyya sottolineando la sua crescente esaltazione nel IX-X secolo in coincidenza
con la lotta degli ulam al tempo della mihna (p. 254) e della affermazione dello Hanbalismo. interessante
notare al riguardo, che precisamente lautore della mihna, il Califfo al-Mamn, aveva politicamente associato a
s lottavo Imm, Al al-Rid come possibile proprio successore (cfr. supra, p. 1114 e p. 859; ma vedi poi
infra). Come andarono poi le cose con gli ulam hanbaliti sulla capitale questione del Corano creato o increato,
centrale per laggiornamento della Legge e il governo della comunit, vicenda gi narrata a suo tempo.
Muwiyya appare inoltre indicato tra i Rshidn (p. 255) e persino favorevole alla futura successione abbside:
questo, afferma el-Hibri un atteggiamento da riferirsi al tardo IX secolo (ivi) nel quale tanto il Sunnismo
quanto gli Abbsidi concorrono, ciascuno con i propri scopi, allesaltazione del primo Omeyyade. El-Hibri
conclude (p. 256) che una tale revisione storica mostra lassenza di una radicale transizione politica nel
passaggio tra gli Omeyyadi e gli Abbsidi, i quali avevano mantenuto, sia pur da posizione defilata, legami con
gli Omeyyadi e i Qurayshiti nel corso del VII e VIII secolo. 2 Dunque, soltanto con il X secolo, come nota anche

1
Sulluso del termine Hshimiti bene fare chiarezza perch esso duplice, anzi, equivoco; e questa duplicit sintreccia con le vicende
degli Abbsidi. Si ricorder che alle pp. 200-202 supra (e si vedano anche le relative note 33 e 56) avevo parlato degli Hshimiti nelle
vicende della Sha, come del gruppo filo-alde dei seguaci di Ab Hshim, il figlio di Muhammad ibn al-Hanafiyya. La loro fazione,
rivoluzionaria, fu poi cooptata nella rivolta abbside con il preteso testamento di Ab Hshim, che avrebbe trasmesso i propri diritti a
Muhammad b. Al b. Abdallh b. Abbs (p. 203, supra). Quel che certo che gli Hshimiti (aldi) e gli Abbsidi, operarono insieme
nella rivolta (cfr. supra pp. 1168-1169) che vide prevalere infine il realismo abbside, come gi aveva notato Moscati (cfr. la citata n. 56 a p.
202 supra). Il termine Hshimiti fu poi usato in altro senso, a significare gli appartenenti al Ban Hshim, cio i discendenti di Hshim b.
Abd al-Manaf, trisavolo di Maometto ma anche nonno di al-Abbs e bisnonno di Al. Fu cos che nel periodo abbside fu usato sempre
pi, e poi soltanto, in questo significato legittimista, facendone dimenticare il riferimento rivoluzionario: cfr. B. Lewis, voce Hshimiyya,
E.I., vol. III. Per evitare equivoci, definir in futuro i rivoluzionari soltanto come Hshimiyya, e Hshimiti i membri del Ban Hshim.
2
Una continuit ideologica tra gli Omeyyadi e gli Abbsidi si legge bene nel loro stesso dissidio dinastico. Come ha notato M. Sharon, The
Umayyads as ahl al-Bayt, J.S.A.I., 14, 1991, tanto gli Omeyyadi, quanto gli Abbsidi e gli Aldi, fondavano il proprio diritto al califfato
sullappartenenza alla famiglia del Profeta: il dissenso era soltanto sulla valutazione dellampiezza di tale famiglia. Come ho segnalato nella
precedente nota 1, Abbsidi e Aldi discendevano, tramite Abd al-Muttalib, da Hshim, figlio di Abd Manf. Questultimo aveva tuttavia
altri figli, tra i quali Abd Shams che era il progenitore degli Omeyyadi. Ci diede origine a una moltitudine di ahdth (forgiati allo scopo)
che intendevano mostrare, attraverso i divergenti esiti di una controversia donore (munfarah), chi dei due, Abd Shams o Hshim, fosse
stato il (presunto) leader del Ban Abd Manf. Questa contesa appare gi in un frammento papiraceo dellinizio dellVIII secolo, che fa
riferimento a una perduta Sra di Abd al-Munabbih (Sharon, cit., p. 144 sgg.). Lanalisi del frammento fu trattata gi da M.J. Kister in due
articoli, Notes on the Papyrus Account of the Aqaba Meeting, Le Muson, 26, 1963; e On the Papyrus of Wahb b. Munabbih, B.S.O.A.S.,

1316
la Campbell, Ibn Zubayr sar visto come un rivoltoso che apport la discordia nella comunit islamica. La
continuit che sembra configurarsi tra il Califfato Omeyyade e quello Abbside, unita al dubbio sulla reale
figura di ribelle di Abdallh ibn al-Zubayr -la cui avventura ha luogo al termine di un periodo di contese senza
soluzione di continuit che va dalla morte di Uthmn sino alla stabilizzazione dellIslam nascente ad opera degli
Omeyyadi Marwnidi con Abd al-Malik, contese nel corso delle quali anche il ruolo califfale di Al messo in
dubbio (cfr. supra)- consente a Borrut di ipotizzare la natura ideologica della periodizzazione RshidnRegno
omeyyade. Ancor pi sicuramente ideologica peraltro, per tutto ci che abbiamo gi visto e discusso a lungo, la
periodizzazione jhiliyyapredicazione profetica. Borrut fa poi notare (p. 52) che la Cronaca di Tommaso il
Presbitero, che ignora Al, chiaramente desunta da fonte araba, verosimilmente Omeyyade bench datata
all818; una fonte che perci ha in mente una diversa periodizzazione della storia araba, ha in mente una
continuit omeyyade che va da Uthmn (644) a Marwn II (750). Questa continuit stata pensata ancor pi
procrastinata nel tempo, sino agli albori dellXI secolo, se si tien conto che gli Omeyyadi di Cordoba rivendicano
il Califfato (nel X secolo) con Abd al-Rahmn III (cfr. p. 51: Abd al-Rahmn III considerato legittimo
successore di Marwn II in un testo citato da Masd). Ci contrasta con la visione abbside della storia
islamica, afferma Borrut a p. 52 in n. 86. Egli ritiene perci che la storia islamica debba esser pensata come
storia delle diverse provincie sino allaffermazione byide (945) quando ormai anche il califfato abbside sar
una mera facciata e si potr parlare di un Commonwealth islamico (p. 52). Ci mostra soprattutto che, ancora
nel X secolo, era vivo un partito omeyyade con una diversa ideologia della storia islamica, come si evince anche
dal mito escatologico del ritorno del Sufyn (cfr. supra, p. 1106). Non soltanto: si nota anche la natura
ideologica di un presunto periodo dei Rshidn come termine utile agli Abbsidi per delimitare a monte un
periodo degli Omeyyadi; laddove per questi ultimi il proprio califfato si apre con Uthmn, prosegue con
Muwiyya al termine di un quinquennio di lotte intestine (656-661) e non ancora terminato nel X secolo. Nel
notare che esistono anche visioni aldi e zubayridi del passato, Borrut pone quindi nuovamente laccento sulla
costruzione abbside della storia islamica del VII-X secolo, cos come stata tramandata. Egli approfondisce
ulteriormente il punto con alcune notazioni che riguardano gli eventi finali della rivoluzione abbside, una
rivoluzione che, come abbiamo avuto occasione di notare pi volte nelle presente ricerca, ha pi laria di una
normalizzazione che di una rivoluzione: rivoluzionari erano stati gli Hshimiyya, cos come lo furono i
protagonisti dei tanti sussulti iranici citati nel capitolo Ordine celeste e disordini terreni. A proposito del
passaggio della leadership abbside dallImm Ibrhm b. Muhammad al fratello Abdallh, detto poi Ab l-
Abbs al-Saffh, primo Califfo abbside (cfr. supra, p. 1161) Borrut nota che la storiografia abbside pospose
la data di morte di Ibrhm dal 748 al 749 per mascherare le difficolt che si frapposero alla nomina a Califfo di
Abdallh, avvenuta soltanto nel 750 3 . Nota anche Borrut (pp. 53-54) che le cronache non arabe (cfr. Hoyland,
Seeing Islam, etc., cit.) indicano come primo Califfo il fratello di Abdallh, al-Mansr, nel 754. La cosa pu
avere un senso se si considera che a quella data non tutto era normalizzato: al-Mansr non soltanto dovette
liquidare il leader rivoluzionario Ab Muslim, il vero artefice della vittoria abbside, nel 755; dovette anche
domare la rivolta di Muhammad ibn Abdallh detto al-Nafs al-Zakya (anima candida) e del fratello Ibrhm;
infine, nel 754-755, dovette catturare il proprio zio paterno, Abdallh b. Al (ucciso poi nel 764) che era stato
artefice di una proditoria strage degli Omeyyadi, e guidava le forze abbsidi in Siria. Sembra dunque che
soltanto negli anni di al-Mansr abbia avuto luogo la normalizzazione dinastica e quella della rivoluzione. La
ricerca di Borrut si sofferma sulla figura di Abdallh b.Al perch il suo scopo, come dice il titolo stesso
dellarticolo, rintracciare una continuit della storia siriana tra lVIII e il X secolo, cosa che egli fa anche sulla
scorta di dati archeologici. 4 Un esempio di continuit della storia siriana in quel periodo lo offrono per anche le

37,3, 1974. Largomento trattato anche da U. Rubin, The Eye of the Beholder, cit., a p. 173 nel testo e in n. 16. I due articoli di Kister sono
importanti: il primo perch mette in luce in luce, con il controverso ruolo di al-Abbs nellincontro di Aqaba con gli Ansr (trattasi del
secondo incontro, quello della bayat al-harb, il giuramento della guerra del 622; il primo, del 621, fu quello del cosiddetto giuramento
delle donne o bayat al nis) levidente manipolazione della tradizione in favore degli Abbsidi; il secondo, che tratta del controverso
ruolo di Al e Ab Bakr nella fuga del Profeta dalla Mecca, perch potrebbe mettere in luce la presenza di una tradizione shita gi alla fine
del I secolo H. Cfr. supra, p. 1050.
3
Sulla difficile successione allImm Ibrhm, si veda M. Sharon, Black Banners from the East II. Revolt. The Social and Military Aspects of
the Abbsid Revolution, Jerusalem, The Hebrew Un., 1990, pp. 225-259, che accetta la data del 749 per la morte del leader della
rivoluzione. Sharon nega la veridicit dellepisodio dellofferta del Califfato al 6 Imm da parte di Ab Salama (cfr. supra, p. 1161)
riportato da Arjomand in The Shadow of God, cit., p. 34, e anche da Daftary, The Ismls, etc., cit., p. 77. Egli lo ritiene invenzione
abbside per giustificare la rapida eliminazione nel 749, del leader di Kfa Ab Salama che aveva iniziato la rivolta con Ibrhm, da parte
di al-Abbs. Daltronde, dopo il fallimento della rivolta di Zayd, il fratello del 5 Imm, e del figlio (743) che aveva privato gli Aldi di un
leader credibile (il 2 e il 4 Imm furono insignificanti, il 5 e il 6 quietisti) non si vede quale credibilit potesse avere Djafar nel 750. Il
passaggio degli Hshimiyya al partito abbside ben seguito da Sharon, Black banners from the East. The Establishment, etc., cit., in specie
nei capp. V e VI.
4
Sugli aspetti controversi e fortemente intricati della rivoluzione abbside che fanno dubitare della periodizzazione della Vulgata, Borrut,
nella costruzione del proprio articolo, fa riferimento ad una sua ben pi ampia ricerca che ne a monte e che viene ripetutamente citata:
Entre mmoire et pouvoir. Lespace syrien sous les derniers Omeyyades et les premiers Abbasides (v. 72-193/692-809), Leiden-Boston, E.J.
Brill, 2011. Si vedano in particolare le pp. 340-381, nelle quali trattato lo specifico argomento degli esordi del nuovo Califfato. La Cronaca
di Zuqnn, nota a p. 345, riferisce che alla morte dellImm Ibrhm (il leader della rivolta, o meglio, della dawa, la chiamata) scoppi una
guerra tra Persiani e Arabi, cio tra Ab al-Abbs e i suoi zii Abdallh e Ibrhm b. Al. Ora, le cronache non arabe ignorano la data del
750 come data di cambiamento della storia (passaggio dagli Omeyyadi agli Abbsidi secondo la Vulgata); quella data, che segna la sconfitta
e la morte di Marwn II, lultimo degli Omeyyadi di Siria, si inserisce in un periodo di torbidi che va ben oltre, quanto meno sino al successo

1317
cronache non islamiche che egli riprende da Hoyland, cit., le quali vedono in al-Saffh il naturale successore di
Marwn II: dunque ignorano il concetto di rivoluzione. C persino il caso del De administrando imperio di
Costantino VII Porfirogenito, che registra come successione diretta il passaggio del Califfato tra Marwn II e al-
Mansr (p. 53). Tutto questo, sostiene Borrut, induce a ripensare la periodizzazione della storia islamica che
risale al tempo degli Abbsidi. La rivoluzione abbside, nel suo giudizio costituisce un formidabile esempio di
creazione di un mito abbside delle origini (pp. 54-55). Citando i nomi dei primi Califfi: al-Mansr, colui che
assistito (scil.: nella vittoria e da Dio); al-Mahd, il cui nome chiaro; al-Had al-haqq, la guida alla verit; al-
Rashd, il ben guidato (fu poi il liquidatore del Barmakidi) Borrut coglie infine loccasione per sottolineare che
gli Abbsidi vollero darsi una coloritura messianica (si veda la sottostante nota 3). Facendo ripetuti riferimenti
alla grande ricerca di D. Cook, Studies in Muslim Apocalyptic, cit. (cfr. p. 1106 sgg.) egli nota tra laltro che la
dawla viene fatta risalire al 718/719, cio al centenario dellEgira che, come noto, costituiva uno dei termini
della prima apocalittica nata dalla delusione per gli esiti dellIslam dopo lo slancio delle origini (Ab Hshim era
morto poco prima: cfr. supra, p. 200). Per quanto concerne ancora la continuit della storia islamica, egli
aggiunge che i primi quattro abbsidi (quelli appena citati) condussero i propri progetti a partire dalla Siria, e
che soltanto alla fine del califfato di al-Rashd, con al-Mamn -che, si ricordi, era di educazione persiana: cfr.
supra, p. 890- la dinastia abbandon la capitale di Raqqa, sicch non esisterebbe la dicotomia storica tra una
Siria omeyyade e un Iraq abbside. Poich al-Mamn fu colui che inizi la quarta fitna contro il legittimo
successore, suo fratello al-Amn (809-813; cfr. supra, p. 890) Borrut ipotizza poi che questa fitna sia divenuta il
modello, per gli storici abbsidi dal quale essi desunsero le altre tre fitan (pl. di fitna) usate far emergere una
periodizzazione la cui ideologicit emerge da ci che egli ha gi sottolineato: da Uthmn a Muwiyya non vi
furono ribellioni, ma lotte per un potere sulla cui legittimit esistevano pretese contrastanti, e la successione tra
gli Omeyyadi e gli Abbsidi fu pi una ricerca di normalizzazione in una situazione politica logorata, che non
una rivoluzione. Personalmente sottolineo che il carattere normalizzatore della rivoluzione abbside lo si
pu ben percepire anche dalle cose che si son gi dette, sia pure in ordine sparso, nei vari capitoli del presente
testo: linstabilit iniziale del Califfato dalla morte di Uthmn allavvento dei Abd al-Malik, segnata dal
distacco dei Khridjiti e dalla nascita della Sha; le continue rivolte iraniche che segnano lVIII secolo e i
travagliati ultimi anni degli Omeyyadi, sulla cui onda inizia il movimento abbside ma che continuano anche
dopo la sua affermazione che deluse la prospettiva rivoluzionaria, per estinguersi soltanto nel quarto decennio
del IX con la morte di Bbak nell837 (sulla continuit delle rivolte iraniche con la rivolta di Ab Muslim, cfr.
supra, pp. 206-207); la nascita del Sunnismo e la progressiva affermazione degli ulam tra lVIII e il IX secolo,
quando si abbandona lipotesi di un Caliph of God, anche per labolizione della mihna; la lotta degli eresiologi
contro la zandaqa, i dualismi presenti in Iran, in epoca abbside. Una diversa e ulteriore prospettiva su questo
stato delle cose, lo si trova poi in alcune pagine del recente lavoro di Ch. Jambet, Quest-ce que la philosophie
islamique?, Paris, Gallimard, 2011, precisamente alle pp. 237 sgg. allorch Jambet nota come la filosofia
islamica abbia avuto i propri esordi e i propri sviluppi non indipendentemente dalle turbolenze politiche. I suoi
esordi con al-Kind coincidono infatti con il califfato di al-Mamn, e agli Abbsidi risale la fondazione della
bayt al-hikma. Quanto ai suoi sviluppi con al-Frb, essi si situano in un periodo di feroci lotte hanbalite
(Jambet cita il supplizio di al-Hallj) contro la presenza degli shiti in cariche eminenti (si ricordi quanto s
detto circa il comportamento del notabilato shita contro al-Hallj, per la preoccupazione di liberarsi dallipoteca
estremista). Linizio del X secolo vede inoltre la nascita del Califfato Ftimida del Cairo, prima della quale,
come ho ricordato nel testo, gli Abbsidi avevano gi dovuto affrontare anche le rivolte khridjite e qarmate,
senza contare quella detta degli Zanj: insomma, le attese di un mondo diverso in nome delle premesse dellIslam

di al-Mansr su Abdallh b. Al nel 754; meglio ancora, sino alla sconfitta della rivolta hasanide di al-Nafs al-Zakya e del fratello Ibrhm
nel 762 (p. 350). Il periodo dei torbidi, iniziato nel 743 e che port alla fine del regno Omeyyade, termina soltanto in quella data, e soltanto
allora si pu parlare di Califfato abbside. In materia poi di difficolt di successione dopo la morte dellImm Ibrhm (cfr. supra) Borrut
puntualizza che la testimonianza di Qahtaba b. Shahb (eminente protagonista della rivolta) ci consente di sapere che lImm Ibrhm fu
catturato nel 747-748: lo slittamento della data al 749 deve perci ritenersi una mistificazione abbside avvenuta dopo la morte di Qahtaba,
al fine di nascondere le difficolt che si frapposero alla nomina di Ab al-Abbs (p. 352). Ancora nel 750 per, la legittimit di questultimo
non era incontestata; e nel 754, in opposizione ora ad al-Mansr, era ancora presente il progetto siriano di Abdallh b. Al; per di pi al-
Mansr, dopo la cattura dello zio, dovette contendere il Califfato al proprio nipote, s b. Ms (pp. 354-361). Quanto ad Abdallh b. Al,
egli fu militarmente sconfitto dalle truppe di Ab Muslim che dovette essere eliminato subito dopo, nel 755: lasciando per dietro di s lo
strascico di rivolte delle quali s fatto cenno supra alle pp. 205, sgg. Nel corso della sua analisi (pp. 353-369) Borrut si sofferma anche
rapidamente (p. 359) su quel servizio malreso che fu la probabile ragione delluccisione di al-Muqaffa (cfr. supra, pp. 1111-1112) cio la
sua disattenzione nel redigere un amn (salvacondotto) per Abdallh b. Al. Borrut nota inoltre (pp. 369-371) che la testa di Marwn II fu
inviata ad Abdallh b. Al, segno della sua leadership in Siria a quella data; e che fu lui ad avere il laqab (soprannome) di al-Saffh, poi
appropriato da Ab al-Abbs, con un progressivo slittamento semantico da sanguinario a generoso (in effetti, la radice s-f- connessa
al significato di spargere, versare -cfr. Lane, vol. IV- e quindi pu anche estendersi al pi figurato elargire). Il contesto della rivolta, nota
ancora Borrut (pp. 371-373) fu messianico; vi fu grande diffusione di letteratura apocalittica e vi furono segni premonitori, come i terremoti
in Siria nel 747 e 749; il soprannome di al-Mahd testimoniato nelle iscrizioni anche per Ab al-Abbs. Quanto ai Rwanditi (cfr. supra,
pp. 201-202: erano i seguaci di Ab Hshim fusi con quelli di Abdallh b. Muwiyya, che diedero corpo agli Abmuslimiyya dopo
luccisione di Ab Muslim) essi ritennero che al-Mansr fosse Dio, ci che li fece ovviamente cadere in disgrazia presso il Califfo impegnato
nella normalizzazione (cfr. supra, p. 201; Borrut, p. 374). Come si vede, il clima era totalmente messianico, e gli Abbsidi dovettero tener
conto di questo clima appropriandosene -si vedano i soprannomi dei primi quattro Califfi- perch, come nota Borrut a p. 378, non ne avevano
il monopolio ( quello anche il periodo nel quale si forma il mito del Sufyn (cfr. supra, p. 1105 e p. 1107). Si vedano per anche, supra, le
pp. 205-206.

1318
variamente interpretate, erano molte e duravano da sempre, rendendo sempre incerto il fondamento teologico-
politico del potere califfale. Riferendosi anche al testo di Gutas, Pensiero greco e cultura araba (cit. in Bibl. a p.
1015) Jambet ritiene perci di sottolineare che la filosofia fu giudicata politicamente necessaria dallautorit
califfale abbaside (p. 240) perch La fragilit del califfato era quella del suo fondamento teologico (ivi). Alle
pp. 262-263, Jambet esamina quindi la dottrina di al-Kind per mostrare che il nostro filosofo volle trovare una
soluzione terza rispetto al Califfo rappresentante di Dio, o al Califfo mero successore del Profeta, per fare di lui
una sorta copia umana del modello celeste. La fragilit teologico-politica della figura del Califfo era infatti una
fragilit costituzionale -verrebbe da dire- alla quale gli Abbsidi tentarono di porre rimedio, tenuto conto che il
problema, oltretutto, era duplice: la legittimazione dellautorit e quella della sua trasmissione, e dovendo la
legittimazione dellordine politico dipendere da una verit rivelata era necessario lapporto delle discipline
intellettuali per sostenere le proprie tesi e smentire speculazioni avverse che mostrassero il fianco a incongruenze
con la Rivelazione (p. 241). Sempre sulla scorta di Gutas, Jambet sottolinea laffermarsi -per conseguenza- di un
modello di sovranit desunto da quello iranico, sassanide, pre-islamico (ivi). La sapienza aveva lo scopo di
squalificare le sette ribelli, e fu cos che la filosofia islamica ebbe per obbiettivo laffermazione di un ordine del
mondo: Lordine divino svelato dallattivit filosofica contesta il disordine del mondo inferiore (p. 243). Tanto
il ghuluww quanto i Manichei e tutti i dualisti vennero conseguentemente accusati di costumi, princpi e
credenze......contrari alla natura (p. 245). Per inciso, lo si detto pi volte: gli argomenti degli eresiologi si
ripetono monotoni sotto tutti i cieli, perch sono dettati da ragioni politiche in nome dellordine; epper, come ho
fatto notare, allordine celeste rispondono sempre disordini terreni, e la rincorsa dun mondo perfetto la miglior
ricetta per peggiorare lo stato delle cose in questo mondo. Il problema del potere islamico che mise in ambasce
anche gli Abbsidi venuti per risolverlo, era dunque liberare lescatologia dalle tentazioni millenariste (p.
245); e tuttavia le speranze di unescatologia bellicosa (p. 247) serviranno da causa agli Abbasidi dopo aver
alimentato molte rivolte shite, prima di rivoltarsi contro gli Abbasidi e gli shiti moderati (ivi). Con questa
osservazione molto incisiva credo si possa condensare, oltre alle varie cose delle quali abbiamo parlato, anche il
significato normalizzatore della rivoluzione abbside, che fu speranza prima, delusione poi: delusione che
rimise in moto levoluzione dellIslam, come abbiamo visto a suo tempo. La normalizzazione unoperazione
che corre in tutta la lotta accanto agli Hshimiyya, il realismo che prende il sopravvento: ma le convulsioni
restano sino a Bbak; in questo senso possono essere pensate le conclusioni di Sharon, Black Banners II, etc., cit.
Alle pp. 258-259 Sharon fa notare infatti che la rivoluzione abbside fu una rivoluzione araba, una
rivoluzione iranica non avrebbe avuto senso, ma la normalizzazione fu precisamente questo, che essa segn la
fine della condizione previlegiata degli Arabi nel mondo islamico, dove i Persiani entrarono, da quel momento, a
pieno titolo. Si tratt, insomma, di una vera riorganizzazione dellImpero, che aveva scricchiolato nellormai
obsoleta gestione tribale caratteristica del regno omeyyade; una riorganizzazione tuttavia provvisoria e destinata
allevoluzione segnalata sopra nellarticolo di Kennedy, cio alla disgregazione territoriale; nonch alla necessit
di ridefinire la fonte della legalit islamica, unico collante della Ummah, come abbiamo gi visto negli sviluppi
che vanno dal IX secolo a Ibn Taymiyya. Tornando a Borrut e alle periodizzazioni, egli ipotizza che i quattro
Rshidn siano stati storicamente costituiti anche per reintegrare gliAldi nella grande narrativa della storia
islamica che fior a partire dalla fine dellVIII secolo (p. 60); ipotesi non troppo avventata se si ricorda che al-
Mamn giunse ad associare al potere lottavo Imm, Al al-Rid (cfr. supra, p. 859 e p. 1114; ma vedi anche
infra) e avvers il montante potere degli ulam hanbaliti, contro i quali proclam la mihna sul Corano creato
con lappoggio dei mutaziliti: un momento importante di svolta nellevoluzione dellIslam, del quale s detto
supra e sul quale torneremo infra esaminando il testo di J.P. Turner. La normalizzazione abbside ebbe
comunque il risultato di metter fine al lungo periodo millenarista dellVIII secolo, che, come nota D. Cook, perse
vigore con la met del IX. Come ho segnalato a proposito della nascita della Sha duodecimana, che si distacc
da quella originaria condannandola come ghuluww, questo fenomeno rimase vivo per nelluniverso shita sino
a tutta la seconda met del X secolo, quando unanaloga normalizzazione avvenne ad opera del notabilato -in
buoni rapporti con lestablishment del Califfato sotto lala dei Byidi- diede origine alla seconda retta
opinione. Quanto poi a questo millenarismo, come ho segnalato sulla scorta di D. Cook e come nota anche
Borrut esso era determinato dallo scarto tra la realt del potere islamico cos come si era andato stabilizzando
dopo la prima ondata rivoluzionaria e le speranze escatologiche dellIslam originario; siamo dunque in
presenza di un processo continuo segnato da convulsioni nel corso delle quali lIslam cerca di darsi un assetto tra
limpulso millenarista e lesigenza di governo di una societ, tra il sogno di un altro mondo e la realt di questo
mondo. Come abbiamo visto nella nostra Rassegna e come seguitiamo a vedere nelle cronache odierne, questo
scarto sembra ancora destinato a non venir meno e a tornare attuale ad ogni crisi del mondo islamico. Si pu anzi
dire che linvenzione dei quattro Rshidn abbia creato loccasione per richiamarsi al mito di unet delloro
mai esistita, che alimenta le tensioni del Salafismo dogni epoca; e che la storia del mondo islamico, fuori dalla
sua Vulgata, appare una storia pi plausibile e del tutto normale, nientaffatto eccezionale, anche a partire da
quellaltra creazione degli storici islamici che fu la jhiliyya intesa come et di barbarie e idolatria, ci che mi d
loccasione per ricordare anche il recente testo di Rosa Conte, Presenza giudaico-cristiana nellIslam, Napoli,
Orientalia Parthenopa Edizioni, 2013, 2 voll., che nel vol. I, pp. 65-111, che offre un quadro giudeo-cristiano
del mondo nel quale nacque lIslam, sul quale sar utile tornare in seguito; ma soprattutto lopera del noto
studioso dellArabia pre-islamica, Ch.J. Robin, del quale pu essere istruttivo ascoltare in web lintervista
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radiofonica del 18-08-2013 (LArabie chrtienne avec Christian Robin) su www.franceculture.fr/emission-foi-et-
tradition/arabie-chretienne-avec-christian-robin-2013-08-18. Detto ci, proseguo ora queste note mantenendo
lattenzione sul periodo abbside con lesame del recente lavoro di J.P. Turner, Inquisition in Early Islam. The
Competition for Political and Religious Authority in the Abbasid Empire, London-N. York, I.B. Tauris, 2013. La
ricerca di Turner interessante perch si accentra sulle origini e sul fallimento della mihna, un passaggio
cruciale nellevoluzione della societ islamica. La sua interpretazione degli eventi significativa dellevoluzione
del potere religioso nellIslam, un processo in continuo divenire sino a tutto il IX-X (e XI) secolo, in rapporto
alla costituzionale fragilit della figura del Califfo, nella sua figura di vicario: di chi? In particolare, la
specifica fragilit della legittimit degli Abbsidi ha un ruolo in tutto ci, e questo aiuta a comprendere le
ragioni della loro necessit di costruire una ideologia della storia islamica culminante con il loro tormentato
avvento. Turner sostiene che lepisodio della promulgazione della mihna non fu cos anomalo come venne
denunciato dalla successiva storiografia hanbalita. Di fatto, anche gli Omeyyadi si erano attribuiti il potere di
stabilire i confini della retta opinione -basti pensare ad Abd al-Malik!- mettendo in essere processi per eresia
laddove, nel dissenso, essi potevano scorgere una minaccia al proprio potere. Infatti, e lo abbiamo visto, il potere
califfale fu contestato sempre, gi dal tempo di Uthmn, in nome dei princpi dellIslam originario che avevano
liberato spinte messianiche, alimento per londata di conquiste. Non un caso che, in qualit di fondatore del
primo potere stabile e di fondatore dellIslam quale storicamente lo conosciamo, il primo ad imbastire processi
per eresia in base al proprio giudizio, sia stato precisamente Abd al-Malik. Dopo di lui, i Califfi si
comportarono come Vicari di Dio (corsivo mio) nel guidare la comunit sulla retta via (Turner, p. 17). La
mihna dunque non istitu nulla di nuovo, non rappresent il culmine delle tensioni con gli ulam: questo fu
detto soltanto pi tardi, e per motivi polemici (p. 19). Del resto Turner, che segue le ormai acquisite posizioni di
W. Bauer, ha chiaro che ogni ortodossia, nonostante il preteso richiamo ad una presunta verit originaria,
una costruzione storica, frutto vincente di una lunga disputa sullinterpretazione; e nota che il Califfo ne
modificava il recinto secondo esigenze che riteneva di dover perseguire -e lo poteva- come detentore del potere
politico (p. 41). Le motivazioni con le quali al-Mamn intese attribuirsi tale potere con la mihna, non
rappresentarono dunque nulla di nuovo e non modificarono i tradizionali rapporti tra il Califfo e gli ulam,
anche se ne venivano colpiti gli interessi di quei religiosi che dovevano il proprio status allesercizio della
funzione giudiziaria: ma la classe religiosa non aveva -e non ha- mai costituito una corpo omogeneo, sia per
divergenza di vedute, sia per le lusinghe difficilmente resistibili del potere. La mihna serviva ad al-Mamn
semplicemente per consolidare il proprio potere politico e il controllo ideologico, cosa di cui aveva certamente
bisogno per i modi stessi del suo accesso al potere, dopo quattro anni di lotta fratricida contro il legittimo erede,
al-Amn. Perci, dopo aver riassunto le cronache dei processi per eresia sotto gli Omeyyadi e gli Abbsidi, e
dopo aver messo in evidenza le contraddizioni di quelle relative al processo di Ibn Hanbal sotto il successore di
al-Mamn, al-Mutasim, nell835, contraddizione dalla quali emerge il fondato dubbio sulleroico scontro
sostenuto da Ibn Hanbal e sulle manifestazioni popolari contro al-Mutasim, Turner viene al punto conclusivo e
pi interessante della propria indagine con lultimo capitolo intitolato La mihna e il suo contesto. Turner
sostiene che il contrasto tra i Califfi e i propri oppositori sempre esistito (questo credo sia ben chiaro sin dai
tempi di Uthmn); perci, egli dice, essi dovevano legittimare il proprio potere come guide religiose dei fedeli.
La mihna, quindi, non cambi la situazione, e non fu lultima battaglia tra il Califfo e gli ulam per lautorit
religiosa e legale (p. 121) perch da essa discendeva il controllo politico (p. 122). Non va dimenticato, al
riguardo, che al-Mamn si trovava a guidare una societ particolarmente agitata e che il suo potere era dovuto
soltanto alla vittoria su al-Amn; se, perci, egli prese quella decisione, lo fece verosimilmente per togliere ai
muhaddthn il legame legittimante previlegiato con il Corano. Il monopolio dellinterpretazione nellipotesi di
un Corano creato (che egli afferm) gli offriva maggiore spazio per ricondurre il Dettato alle circostanze
temporali e ambientali della Rivelazione (p. 123) adattandolo ai problemi del momento. Turner paragona la
situazione di al-Mamn a quella di Abd al-Malik dopo leliminazione di Ibn al-Zubayr; ed in effetti egli
promulg la mihna soltanto dopo aver consolidato il proprio potere, molti anni dopo la vittoria su al-Amn, una
vittoria che gli aveva fatto constatare anche la defezione di molti partigiani degli Abbsidi, e lo aveva indotto a
sostituirli coi mercenari turchi (p. 124). Sia lui che il suo successore al-Mutasim ottennero il potere non senza
conflitti, e la persecuzione degli eretici, durata sino ad al-Mutawakkil, aveva il senso di asserire la loro identit di
Califfi (p. 125). Tornando ad al-Mamn, Turner ricorda che nell815 fu eletto alla Mecca un Anticaliffo del
ramo alde: la contrapposizione dei due clan hshimiti, risoltasi a favore degli Abbsidi alla met dellVIII
secolo, non era dunque terminata, e fu la debolezza istituzionale del califfato abbside ci che spinse al-
Mamn ad associare al potere Al al-Rid, combinando il matrimonio tra i propri discendenti allo scopo di
avere finalmente una piena legittimit. 5 Ci scaten tuttavia il caos popolare a Baghdad, che fu pi tardi

5
In realt, un fattore che va tenuto presente anche il legame della rivoluzione abbside con quella iniziata nel 744 dallo alde Abdallh b.
Muwiyya; un legame che assume laspetto di una continuit attraverso la figura di Ab Muslim, che si impadron della leadership della
rivolta uccidendone liniziatore dopo la sconfitta da quello subta nel 747/748 (cfr. supra, p. 200 in n. 38). Tale continuit messa in luce, su
base numismatica, da T. Bernheimer, The revolt of Abdallh b. Muwiyya, A.H. 127-130: a reconsideration through the coniage,
B.S.O.A.S., 69, 3, 2006, e si tratta anche di una continuit ideologica, attestata dalle scritte sulle monete. Non si tratta per, si noti bene, di
due rivolte in successione: gli Abbsidi (e anche alcuni Omeyyadi, secondo al-Tabar) avrebbero partecipato al movimenti sin dagli esordi:
cfr. p. 392, nel testo e in n. 58.

1320
attribuito agli Hanbaliti: in realt si tratt di gruppi volatili (p. 127) portatori dei pi diversi interessi, inclusi
gli ex-partigiani di al-Amn (ivi). Seguirono anni nei quali al-Mamn dovette riaffermare pi volte la propria
legittimit sinch, nell827, esplicit la propria dottrina a sostegno del Corano creato, che divenne la chiave della
mihna soltanto nell833. Contemporaneamente, la sua politica non fu di ostilit verso gli Shiti: n, a mio
avviso, avrebbe potuto essere diversamente per chi doveva governare un impero un po pi variegato di come lo
pensavano gli Hanbaliti. Ad al-Mutasim spett poi il compito di far valere la mihna con la purga degli ulam
(p. 130) e il processo a Ibn Hanbal nell835, mentre il controllo dellImpero veniva ristabilito con la campagna di
al-Ashn (cfr. supra, p. 207 in n. 93; p. 208 nel testo e in n. 98) e la cattura di Bbak. Turner narra poi i torbidi e
le congiure di palazzo che vanno sino al califfato di al-Mutawakkil, che riusc a consolidare il proprio potere, e,
in ragione di questo successo, pot abolire la mihna. In ci, Turner vede la conferma della propria tesi: i rapporti
del Califfo con gli ulam in materia di ortodossia non erano sostanzialmente mutati, la mihna nacque soltanto
da unesigenza di legittimazione in un momento difficile per al-Mamn. Resta il fatto che laffermazione di un
Corano creato, come ho ripetutamente sostenuto, avrebbe costituito la base per unevoluzione costante di quella
ortodossia che fu viceversa congelata nellVIII-X secolo con lapporto determinante degli Hanbaliti e poi delle
quattro scuole sunnite sopravvissute. Infatti, dopo luccisione di al-Mutawakkil nell861 nellennesima congiura
di palazzo cui partecip anche il figlio, il potere califfale rimase cos definitivamente indebolito (e di fatto ridotto
a fantoccio dopo lavvento Byide nel 945, e Selgiukide nel 1055) che si avvi un processo di delimitazione
dellortodossia da parte degli ulam, suggellato dal reciproco riconoscimento delle quattro scuole, un processo
nel quale il Califfo non ebbe pi voce. Fu dunque la debolezza di questultimo, pi che la forza degli ulam
galleggianti sul consenso popolare, a determinare il nuovo assetto del mondo islamico. Questa la tesi di Turner,
che non manca di sottolineare al riguardo come la ribellione al Califfo non fu pi, come un tempo, apostasia,
perch egli non era pi il Comandante dei fedeli (amr al-muminm, p. 137). Nelle pagine finali, Turner si
dedica anche a chiarire il ruolo degli Hanbaliti e delle sommosse popolari da loro eccitate in questo punto di
svolta della storia dellIslam; e lo fa anche sulla scorta della ricerca di Melchert, The Formation of the Sunni
Schools of Law, che ho brevemente citato supra alle pp. 1129-1130; e di quella di M. Cook, Commanding Right
and Forbidding Wrong in Islamic Thought, Cambridge, Un. Press, 2000. Ci ha la sua importanza anche perch
consente di ribadire il sostanziale quietismo di Ibn Hanbal, disinteressato alla lotta col potere politico, e quindi il
significato relativamente meno drammatico del suo processo nell835, successivamente trasformato in prova di
eroismo e ribellione da parte degli Hanbaliti, quando ormai si era traslocato in loro favore il centro del potere
religioso. Ci comport, nella memoria, anche la distorsione ideologica il significato della mihna (p. 150) che fu,
in realt semplicemente un incidente in una serie di eventi nel percorso della definizione dellortodossia (ivi,
sue parole conclusive). Per quanto riguarda il problema che si sta tentando di mettere a fuoco in questa Postilla,
si debbono per segnalare le pp. 87-144 della ricerca di M. Cook, che coprono due capitoli dedicati
rispettivamente a Ibn Hanbal e agli Hanbaliti di Baghdad. Il punto fondamentale che Ibn Hanbal intendeva
lobbligo di imporre il Bene e vietare il Male, non soltanto come un obbligo della collettivit, cio del potere
politico/amministrativo (fard kifya) ma anche e innanzitutto come un obbligo gravante su ogni singolo membro
della comunit (fard ayn). Tuttavia egli era essenzialmente un apolitico, quindi non un rivoluzionario, che non
curava il ruolo dello Stato, non si opponeva n parteggiava per il Califfo, e, tra laltro riteneva che ci si dovesse
dispensare dallobbligo qualora ci avesse potuto comportare, per gli zelanti, il rischio di uno scontro, perdente,
con lautorit (o anche con i malfattori). Ci che la sua intransigenza intendeva colpire era la musica profana,
luso di bevande alcoliche, e i rapporti sessuali illeciti; nonch il gioco, ad esempio degli scacchi, e altri minori
reati contro una rigida e puritana definizione della normativa religiosa. Per il resto egli si teneva rigorosamente al
di fuori della politica, della quale rifiutava anche i favori; era un individuo a s che non era del tutto
rappresentativo della societ urbana cui apparteneva (Cook, pp. 107-108). Quanto alla violenza, egli la
concepiva essenzialmente diretta verso le cose (distruzione degli alcolici, degli strumenti musicali, delle
scacchiere, e cos via) non verso le persone; al potere, poi, si doveva obbedire, tranne nel caso ne conseguisse
una disobbedienza verso Dio. Furono i posteri a conferirgli un ruolo che non fu il suo: essere il fondatore di una
ben definita e aggressiva comunit religiosa (p. 113). Diverso e ben altrimenti intollerante e violento fu infatti
lorientamento dei successivi Hanbaliti di Baghdad (quelli che crearono la leggenda del loro eponimo) e questo
slittamento mi sembra significativo del progressivo disgregamento del potere califfale. Infatti, mentre non vi
prova di violenze da parte di plebi hanbalite ai tempi di Ibn Hanbal (pp. 115-116) queste divengono pratica
corrente a cavallo tra il IX e il X secolo, come abbiamo gi visto; e che ci la prova della disgregazione di un
potere statale, lo si comprende riflettendo sul suo significato: proibire il Male, con luso della violenza, come
obbligo individuale, significa sostituirsi alla legge, farsi una legge propria dettata da una personale
interpretazione della Legge religiosa, ci che in un normale Stato impensabile, anche in uno Stato islamico.
Abbiamo gi visto, del resto (supra, p. 1115 e p. 1131) che i Selgiukidi con Nizm al-Mulk intervennero
nellinsegnamento delle madrase e delle moschee, per stabilire il controllo di situazioni che potevano sfuggire di
mano. Questo, mi permetto di notare, un problema che ancora si pone negli Stati islamici. Tanto Turner quanto
Cook citano episodi di violenze hanbalite contro gli Shiti in particolare, ma anche contro i costumi correnti in
materia di musica o di alcolici, anche contri i Cristiani che non avevano certamente gli obblighi imposti dal
Corano; per converso, nota Cook, mentre la ribellione si indirizzava contro le autorit Byidi prima, Selgiukidi
poi, gli Hanbaliti tendevano a stabilire un legame ideologico nuovo con il Califfato (p. 122) ormai una pura
1321
facciata ma depositario di antico prestigio. Colpisce questo delinearsi di un quadro che sembra avere qualche
generica discendenza e reviviscenza al tempo doggi; il Califfato, scrive comunque Cook (ivi) divent come
una tenda, con gli Hanbaliti a costituirne le funi -se le funi vengono meno, la tenda crolla. Col tempo per, gli
Hanbaliti ormai potenti e ben inseriti, furono lieti di accettare ben remunerati incarichi ufficiali dallo Stato (p.
123). Tra il IX e il XII secolo essi uscirono dal ghetto settario per costituire il mainstream della vita musulmana
(p.141); ci non stupisce, lapprodo dei rivoluzionari vincenti. Concludendo su questo argomento, per quanto
s detto nel testo e nel corso di questa Postilla, al di l della Vulgata e delle periodizzazioni che ne fanno parte,
le vicende dellIslam, nella sua ortodossia sunnita, sembrano disporsi in una continuit di fasi di sviluppo che
possono cos riassumersi in modo schematico. esistette unondata messianica, millenarista, nata dalla
predicazione di un Profeta che rielabor in modo originale il messaggio testamentario filtrato attraverso le
tensioni che animavano il settarismo giudeocristiano, termine che uso in senso assai generico per indicare un
variegato mondo che attendeva ci che le neonate ortodossie tendevano a procrastinare: lavvento di un
mondo di giustizia. Ne nacque unespansione territoriale e, da questa, unesigenza di definizione di una societ
e di governo di un territorio divenuto un Impero. Ci gener lotte politiche combattute con lappoggio ideologico
di divergenti letture dun vagheggiato Islam delle origini e in funzione dellesigenza di codificare un Islam
fattuale da parte di una classe dirigente in grado di evitarne la disgregazione settaria. Gli Omeyyadi, con Abd al-
Malik, operarono una prima normalizzazione che non elimin le tensioni messianiche, pronte ad erompere
pericolosamente ad ogni crisi di un potere il cui fondamento religioso non fu sempre indubbio. Prese corpo cos
il ruolo di una classe intellettuale religiosa, ulam e muhaddthn, che discuteva la legittimit del potere
politico sul fondamento religioso, con un ruolo subalterno quando il potere politico era forte, ma pronto ad
approfittare delle sue debolezze. La crisi Omeyyade apr cos un periodo di torbidi non soltanto politici e militari,
ma anche religiosi, che riportarono alla ribalta antiche scissioni, Sha e Khridjismo, mentre nella cultura
dellImpero erano ormai entrate anche culture di altri popoli convertiti, principalmente del mondo irano-
mesopotamico, che entrarono a far parte dellelaborazione dottrinale, e ancor pi influirono su di essa pi tardi,
al tempo degli Abbsidi, anche attraverso i sistemi filosofico-teosofici che sostennero lIsmailismo. Al crollo
degli Omeyyadi, che avevano fondato un potere ormai obsoleto sugli antichi rapporti tribali degli Arabi, fece
seguito una nuova normalizzazione abbside dopo una rivoluzione araba che apr nuovi spazi allelemento
iranico; una normalizzazione nella quale sembra lecito vedere, come fa Borrut, una continuit, pur
nellaggiornamento, con quella Omeyyade: una continuit nel cambiamento dettata dallesigenza di
autoconservazione dello Stato quindi dal realismo cui deve consegnarsi una politica che non voglia rassegnarsi al
fallimento. Naturalmente, anche questo Califfato, traguardato nellottica di una legittimit istituzionale a
fondamento religioso, poggiava su fondamenta fragili, la cui debolezza e le cui successive crepe, generate anche
dai limiti dellumana natura, aprirono la via alla classe degli ulam, una classe frammentata e rissosa
allinterno, sempre arruolabile, almeno in parte, dal potere politico dispensatore di previlegi, ma comunque
sempre pi protagonista nellelaborazione ideologica di un possibile modello di potere politico. Quando anche il
potere territoriale del Califfato si disgreg dinnanzi allinevitabile rinascita, entro la nuova realt religiosa, delle
tradizionali entit territoriali (si veda Kennedy, supra) furono precisamente gli ulam a garantire, su
fondamenta ora soltanto religiose, lunit della Ummah; e la dottrina di Ibn Taymiyya, esposta supra alle pp.
1137-1138, ma anche passim, rappresent il culmine di questo sviluppo i cui princpi hanno un ruolo importante
ancor oggi per definire quellossimoro che lo Stato islamico (si veda Hallaq alla precedente Postilla).
Protagonisti di questo processo furono gli Hanbaliti perch, nonostante la loro consistenza minoritaria e i
continui ostacoli che la loro violenta intolleranza incontr sempre nel potere politico, il cui problema era la
governabilit di un mondo variegato nel quale lintolleranza poteva costituire soltanto la premessa per
lingovernabilit, erano stati coloro che avevano veicolato, in nome della religione, attese delle masse alimentate
dal ricordo del messianismo originario. Non per nulla essi erano tradizionisti e tradizionalisti, quindi anche
consustanziali al noto conservatorismo della masse. nel loro ricordo ideologizzato che il Califfato assume quei
valori nostalgici di mitico garante dellunit religiosa, e acquista peso il mito salafita di unet dei Rshidn.
Certamente, questo percorso non sarebbe stato possibile senza la garanzia di una ortodossia che una classe
intellettuale rissosa (e non incorruttibile dal potere politico) quale quella degli ulam doveva pur fondare in
sostituzione di quella califfale; ma questa, come nota Turner (ma anche altri autori qui citati, come M. Cook o
Makdisi) nacque per convenienza dal reciproco riconoscimento delle quattro grandi scuole sopravvissute, tra le
quali gli Hanbaliti, tutte fondate ora sul ruolo limitato del ray rispetto allo hadth, fonte essenziale della Legge,
che era stato il cavallo di battaglia di Ibn Hanbal. Questa continuit della storia islamica, merita comunque di
essere riguardata ancora una volta per il periodo che va dalla prima ondata messianica allavvento di Abd al-
Malik, cosa che far a chiusura delle Postille.

Con la ricerca di S.J Shoemaker, The Death of a Prophet. The End of Muhammads Life and the
Beginnings of Islam, Philadelphia, Un. of Pennsylvania Press, 2012, ci troviamo dinnanzi a un nuovo tentativo di
ricostruzione dellIslam originario da parte della scuola scettica. Cercher di contenere le mie note entro
dimensioni non debordanti, a rischio di non offrire al lettore una completa analisi del testo: infatti unanalisi dei
limiti dellimpostazione di Shoemaker richiederebbe una costante analisi del linguaggio attraverso il quale
scivola -oserei dire- il suo racconto, al fine di giungere al disiato porto. Limpostazione quella classica la
1322
Crone: La Vulgata tarda, contraddittoria e non credibile; cogliamo gli indizi di una diversa vicenda nelle
cronache non islamiche contemporanee agli esordi e ai primi tempi dellIslam; da questi indizi cerchiamo di
imbastire la (esile: n.d.s.) trama di quella che potrebbe essere la vera storia che diviene cos, ancorch ipotetica,
comunque pi attendibile della Vulgata. Le cose non andarono bene alla Crone che, insieme a M. Cook, ha nel
frattempo abbandonato il suo Hagarism, pur rivendicando giustamente (cfr. supra, pp. 1066-1067) la necessit di
cambiare approccio nello studio della storia islamica; ora Shoemaker simbarca nuovamente alla conquista del
vello doro forte delle molte conoscenze nautiche emerse da allora, grazie anche alle ricerche degli scettici, che
gli consentono una pi sicura navigazione. La presente Rassegna ha gi posto in luce questi raggiungimenti, che
do quindi per scontati; molte altre ipotesi, che tali sono e quindi non sono esenti da critica, concorrono tuttavia a
formare la trama e lordito sui quali Shoemaker ricama il proprio disegno che perci, alla fine, certamente
affascinante ma non per questo meno fragile. Prima di esporre il suo racconto necessario tuttavia premettere
unosservazione generale che mi eviter di doverlo analizzare frase per frase. Mi riferisco al problema della
cosiddetta probabilit composta Prendiamo il caso di dover esaminare le testimonianze a, b, c,......n, al cui
riguardo intendo comprendere la veridicit letterale, gli eventi che vi potrebbero esser sottesi, il modo in cui essi
si concatenano. Poniamo dunque che, partendo da a, io esamini le ipotesi a, a, ......a, tutte con un proprio
(ignoto) grado di probabilit di esser vere, e che io decida per lipotesi a (semprech io non abbia trascurato
di mettere in conto unipotesi altra, ad esempio a). Poniamo allora che, una volta scelto a, io mi rivolga
allesame di b, e ritenga che, se vero a, allora, tra le ipotesi b, b,......b, lipotesi pi probabile sia b: scelta
che a mio arbitrio, perch, trattandosi di una probabilit, non lecito il passaggio ab (che significa: se a,
allora b) che richiede certezza logico/matematica. Poniamo dunque che, al termine della mia indagine, io sia
giunto a concatenare a con b, etc., sino a n. Ebbene: se ciascuna di queste ipotesi ha un 10% di probabilit di
esser vera, gi al terzo passaggio (abc) di questo mio arbitrario procedimento, il mio percorso ha soltanto
una probabilit su mille di esser vero. Se anche le singole probabilit dei singoli eventi fossero maggiori,
basterebbero comunque pochi passaggi eseguiti con questo metodo per rendere le conclusioni quantomeno
imprudenti. Vale infatti il principio della probabilit composta, in base alla quale la mia conclusone finale che le
cose andarono secondo lipotesi n, non condizionata dalla probabilit di n rispetto alluniverso che include
anche n......n, ma, (nel caso pi favorevole, quello di indipendenza stocastica delle ipotesi) dalla probabilit
p (a) p (b) ...... p (n), che si scrive p (ab......n): cio: praticamente zero. Purtroppo nellanalisi storica
non si sfugge alle limitazioni dovute allipotesi, in specie se ci si occupa di una storia ignota come quella del
primo Islam: ma se si scrive una storia subordinata alla possibile concatenazione di molte ipotesi tra loro, c
rischio di scrivere una storia che soddisfa soltanto le propensioni del suo autore, che vuol gettare un proprio
sasso nello stagno. Il quale autore parte da esigenze del tutto ragionevoli e ormai generalmente condivise (tranne
dai credenti nella Vulgata) come lesigenza di comprendere lorigine dellIslam nellambito della storia religiosa
della Tarda Antichit (p. 8) evitando di cadere nella rete degli ahdth (p. 9). Molto ragionevole, condivisibile e
condivisa, anche la convinzione che lIslam debba aver subto trasformazioni tra il VII e lVIII secolo (p. 15)
delle quali Shoemaker si propone di trovare il bandolo. Ragionevole anche la prudenza espressa alle pp. 9-10
sui limiti di una storia dellIslam vista dallesterno nei confronti di una storia, quella scritta nella Ummah, che
con la fede islamica ha un doppio rapporto, in quanto la conforma e ne conformata, quindi ne parte integrale.
Meno ragionevole mi sembra viceversa la pretesa -una tensione che invade tutta la ricerca- di sostituire il non
possumus del vero scettico dinnanzi allincognita dellIslam originario, con una storia che, per i modi con i
quali costruita, non semplicemente ipotetica (come giustamente premette Shoemaker) ma un edificio dalle
fondamenta evanescenti, perch costruito scivolando sul linguaggio. Il testo abbonda di connessioni logiche
(se a allora b, etc.) precedute da parole come seems, it is quite possible, appears, were possibly, could
not possibly have occurred, perhaps, e cos via per tutto il testo: precauzioni, si badi bene, del tutto legittime e
oneste nonch usuali dinnanzi alle difficolt di ogni ricostruzione storica, ma che, usate per concatenare con una
pretesa logica stringente, mere probabilit funzionali al raggiungimento di un fine, conducono, per la probabilit
composta, a conclusioni involontariamente (lo si deve concedere) provocatorie. Un sasso gettato per agitare le
acque, qualcosa di simile a un Hagarism riveduto e corretto che pu trasformare lo scettico in un (quasi) nuovo
credente. Il vero scettico si arrende dinnanzi ai limiti della Ragione nei confronti del Reale, non costruisce un
Reale alternativo con luso della dialettica, questo lo fa il cattivo Sofista. Dopo la lunga premessa, veniamo ora
in concreto alla tesi sviluppata da Shoemaker che ha un punto preciso di partenza: la data di morte del Profeta.
Vi sono indizi, nelle cronache non islamiche, che Maometto non mor nel 632 (anno 10 dellEgira) a Medina, ma
nel 634/635 mentre guidava la spedizione che invase (anche) la Palestina (ci sono anche fonti [p. 71] che datano
linvasione della Palestina al 641, ma questo non sembra credibile). Per corroborare questa data del 634/635,
Shoemaker fa riferimento ad una fonte araba e a dei riferimenti numismatici che datano lEgira al 624/625 (pp.
104-105) non nel 622; a fronte di ci nota anche che gli anni dallEgira alla morte potrebbero essere stati,
secondo le tradizioni, anche 7 o 13. Come si noter, ci offre, in teoria, un ampio spettro cronologico per la data
di morte del Profeta; ma poich it is admittedly possible (p. 106) che i 13 anni siano frutto di un errore di
calcolo, Shoemaker adotta, e questa gi unipotesi, per il seguito della ricerca, la data del 634/635, in guerra
(localit ignota) e non a Medina, che quella che figura nella Doctrina Jacobi. A questo punto lecita e
necessaria una domanda: perch la Sra racconta di una morte nel 632 a Medina? Shoemaker non ha dubbi,
1323
nonostante le ipotesi al riguardo possano essere varie e imponderabili: si tratt di una costruzione ideologica
necessaria a collegare lIslam allHijz, a farne una vicenda araba estranea alla storia del Medio Oriente della
Tarda Antichit; costruzione ideologica necessaria al dominio omeyyade ai tempi di Abd al-Malik. Ora, in
questa ipotetica vicenda si intrecciano dati ormai acquisiti dalla ricerca e ampiamente citati in questa Rassegna,
con unipotesi che risale, in buona sostanza, alla Crone, e che non mai stata dimostrata: lIslam non nacque
come tale e non nacque nello Hijz. Veniamo ai dati acquisiti dalla ricerca, che costituiscono i pilastri sui quali
indubbiamente Shoemaker pu contare per dare un senso al proprio lavoro, dati dei quali credo di aver gi dato
contezza. Innanzitutto appare certo che lIslam originario era guidato da una visione escatologica (per D. Cook
anche apocalittica) che verosimilmente forn la spinta alla sua formidabile espansione iniziale, pur senza
dimenticare la situazione ormai esausta degli imperi bizantino e sassanide. Su questo punto vorrei tuttavia
aggiungere unaltra cosa che Shoemaker non menziona ma che emerge dal Testo Sacro, e che, a mio avviso,
ebbe un ruolo nelle prime due lotte intestine: accanto alla spinta escatologica vera anche quella assiologica che
sembra esser stata rapidamente disattesa, quantomeno a partire da Uthmn (cfr. alle pp. 1055-1057 supra,
lanalisi di Hinds sui motivi della rivolta contro Uthmn) e poi nel Califfato dei Sufynidi e dei Marwnidi.
Inoltre sembra ragionevolmente deducibile che ledizione ne varietur del Corano risalga al tempo di Abd al-
Malik. Il terzo punto che a quel medesimo periodo risalga levidenza storica del costituirsi di un Islam quale
noi lo conosciamo (grazie anche al fiorire degli ahdth). In tale contesto, non va dimenticato che, sino alla fine
del VII secolo, i Musulmani costituivano una minoranza allinterno dei territori conquistati, e perci la loro
politica era stata di appeasement con le altre religioni monoteiste dominanti; da quel momento inizia viceversa
una politica di islamizzazione dellImpero, ci che ha un peso non trascurabile per la formazione dellIslam che
conosciamo. A tal riguardo si noti comunque che alcune tradizioni relative alla Ridda mostrerebbero (il
condizionale dobbligo con le tradizioni) un atteggiamento intollerante gi dai tempi di Umar. Quanto alla
Vulgata infine, ne abbiamo riparlato poco sopra, essa assai tarda, di epoca abbside; strutturata
ideologicamente, ed fondata su tradizioni quantomeno dubbie. Va aggiunta unultima cosa, della quale
Shoemaker non parla perch esula dalla sua ricerca: levoluzione dellIslam si prosegue anche dopo Abd al-
Malik, dura quattro-cinque secoli, e si compie nel tramonto del califfato abbside, al tempo dei Byidi e dei
Selgiukidi. Ampio spazio quindi alle concezioni di W. Bauer, che Shoemaker stesso invoca (lortodossia non
agli inizi, il termine di un lungo processo): ma attenzione a non tentar di alimentare, con il rigagnolo delle
evidenze, loceano delle illazioni. La tesi che Shoemaker elabora rientra per in questo tentativo; infatti uno dei
passaggi iniziali del suo procedere si articola sui cambiamenti che lIslam avrebbe attraversato nel corso del suo
primo secolo (cambiamenti che si possono ben intuire nel passaggio da una rivoluzione a sfondo messianico ad
un Impero da consolidare e amministrare) per dedurne (p. 87) che essi implicarono lo slittamento da una fede
escatologica centrata su Gerusalemme alla religione di un impero globale con una geografia sacra fondata
sullo Hijz. Ora, ci ricalca soltanto in parte le evidenze, frutto di una ragionevole apparenza, che ho citato
sopra. Qui si aggiungono due ipotesi ulteriori: lobbiettivo primario dellespansione sarebbe stato Gerusalemme,
centro dellattesa escatologica -ci che significa un rapporto diretto del costituirsi del primo Islam con il
messianismo giudaico, rimasto per vivissimo essenzialmente nel Giudeocristianesimo- e una comparsa in scena
dello Hijz -dal quale peraltro londata proveniva- soltanto come toppa ideologica ottantanni dopo leruzione.
Sul problema dei Giudei -e dei Cristiani- nellIslam originario, tema tanto discusso in questa Rassegna,
torneremo dopo; ora minteressa fare una notazione. Partendo dalla nota inaffidabilit della Sra e dai dubbi che
gravano persino sulle date del Profeta (nascita, morte) e prendendo ormai per scontata la prima asserzione
(Maometto mor nel 634/635 conducendo una campagna per la conquista della Palestina); ipotizzando che la
spedizione di Tabk (cfr. supra, p. 1075; p. 1088; p. 1096) fosse stato linizio di unoperazione militare di ben
maggiore intento (p. 110) avente per obbiettivo la Palestina (p. 111) -ci che admittedly a somewhat
speculative proposal (ivi)- Shoemaker trova la conferma della propria ipotesi principale: il Profeta voleva
conquistare Gerusalemme che era il centro religioso della sua visione apocalittica e mor nel corso della
campagna; il racconto della Sra un falso ideologicamente motivato dai nuovi obbiettivi di un nuovo Islam. Ma
che cosera lIslam originario? Questo largomento del lungo terzo capitolo del libro, ed bene notare che
Shoemaker, il quale aveva gi citato Donner, Narratives, etc., cit., del quale avevo gi parlato alle pp. 1037-1038
supra, inizia ad appoggiare ripetutamente le proprie tesi su un altro testo del medesimo Autore da me discusso
alle pp. 1067-1068 nella sua traduzione italiana, Maometto e le origini dellIslam, ma duramente criticato dalla
Crone. Sulle tesi di Donner ho espresso anchio qualche modesto dubbio, rilevando che esse si fondano sulla
traduzione di muminm dalla Costituzione di Medina, con il pi usuale credenti, mentre, come si evince
dalla lunga discussione sulle varie interpretazioni possibili (supra, p. 1066 sgg.; pi in particolare pp. 1067-1073,
e ancora p. 1081) la parola potrebbe significare (e cos sembrerebbe da quel contesto) pi semplicemente
garantiti, scil.: dal patto (p. 1069). La tesi ecumenica di Donner che lIslam iniziale fosse un movimento
genericamente monoteista, formato da Giudei, Cristiani, e -come dire?- protomusulmani, i quali pi tardi si
separarono e diedero inizio allIslam che conosciamo dai tempi di Abd al-Malik. In effetti, come ho notato a suo
tempo, c traccia di Giudei e Cristiani nella prima ondata; tuttavia mi ero posto il problema di dover
comprendere di quali Giudei e di quali Cristiani potesse trattarsi, per concludere dovesse trattarsi di gruppi o
individui che, a ortodossie ormai codificate da pi di un secolo, potevano considerarsi dei Giudeocristiani di
estrazione giudaica o di estrazione gentile. Su tutto questo quindi non torno; vorrei soltanto ricordare che
1324
lapprodo dellesame fatto nella Rassegna, fu che il variegato mondo del Giudeocristianesimo costituisse
lhumus stesso dellIslam nascente, direi quasi il punto di partenza dal quale origin la terza e originale sintesi
religiosa del Messaggio testamentario, quella coranica. Del resto, per poter seguire il Profeta, occorreva partire
come minimo da tre condizioni: credere nella profezia di Cristo (cosa che un vero Giudeo non avrebbe potuto
accettare); credere che Cristo fosse soltanto un Profeta, e non il Figlio di Dio (cosa che nessun vero Cristiano
del VII secolo avrebbe potuto accettare); credere, infine, nellarrivo di un nuovo Profeta che avrebbe nesso fine a
questo mondo, e creato un nuovo mondo di giustizia: ci che, per lappunto, costituiva lattesa escatologica-
assiologica del variegato panorama Giudeocristiano e dellIslam. Per avvalorare tuttavia la propria ipotesi, che
anche quella di Donner, di un iniziale movimento moonoteista includente Giudei e Cristiani, Shoemaker si rif
ad una osservazione di D. Cook, The Beginning of Islam as an Apocalyptic Movement, www.mille.org/
publications/winter2001/cook, ci che la prima shahda -accettabile per i Giudei e per i Cristiani, purch non
trinitaristi- consisteva nella sola affermazione non c altro Dio allinfuori di Dio e non anche del suo seguito,
apparso in un secondo momento, che aggiunge Maometto il Profeta di Dio. Si badi bene: Shoemaker non
nega che lorigine dellIslam sia stata nello Hijz (dove cerano Giudei e Cristiani anzi, lo conferma (p. 247;
p. 251); soltanto la sua tesi che il loro faro religioso era Gerusalemme in vista della fine del mondo
(notoriamente, l dovrebbe accadere il Giudizio) e che, quando il mondo non fin, la memoria torn allo Hijz.
Fu allora che nacque lIslam che conosciamo, con linvenzione di una storia ideologica pi utile di quella vera,
dimenticata. Vorrei sommessamente ricordare che una simile ipotesi (ch tale ) non pu sottrarsi alla critica
della Crone a Donner: per mettere in moto londata che usc dallo Hijz era necessario un messaggio profetico
gi strutturato nella sua sconvolgente novit ideologico-religiosa, quale che fosse la vera predicazione di
Maometto. N si pu pensare, aggiungo, che la potente e originale sintesi profetica costituita dal Corano e che
lIslam, potesse essere elaborata da politici e funzionari alla Corte Omeyyade: questo Shoemaker non lo dice in
chiaro, ma non dice neppure chi altro avrebbe potuto elaborarla, anche ammettendo che il Corano fosse nato
selezionando gli ahdth (ipotesi De Prmare) espressione di una memoria popolare (cfr. Shoemaker, p. 156:
la proliferazione dei falsi ahdth spiega il loro differire dal Corano ma non garantisce che anche il Corano non
sia stato manomesso nel tempo. Su questo per Donner la pensa diversamente, cfr. p. 153). Il Messaggio
profetico, quale che fosse la sua vera veste iniziale, non poteva essere diverso, nella sostanza, da quello che
proclamava una nuova e diversa sintesi testamentaria, anche al netto di aggiunte e cancellazioni; e tuttavia,
parlando dellopera di P. Casanova, a p. 123 Shoemaker aveva trovato importante la sua ipotesi che la collazione
del Corano fosse opera (ovviamente ideologica imperiale) di Abd al-Malik e di al-Hajjj. Ad ogni buon conto, a
me sembra che la presenza, a monte del Corano, di una religiosit giudeocristiana, sia denunciata dalle citazioni
testamentarie presenti nel Libro, provenienti da Apocrifi e Pseudepigrafi. Come riassume infine le proprie tesi
Shoemaker, dopo tanti percorsi esplorati (pp. 195-196)? Se lattesa della fine prevedeva come sembra levento
(scil.: della fine del mondo) prima della morte di Maometto, allora, nella trasformazione successiva dellIslam,
quella morte avrebbe dovuto per incorporare i valori della fede imperiale dellIslam classico. Un bel
ragionamento, che sorretto da, e a sua volta sorregge, lipotesi di partenza: se a, allora b; e, se b, allora a.
Una tautologia che si autodimostra dimenticando la connessione probabilistica (non detto che a sia la sola
possibilit e che da essa consegua soltanto b). Io mi permetto di aggiungere una piccola chiosa: lattesa della
fine del mondo, cio di questo mondo (un mondo ci dovr pur essere, magari laltro mondo) nasce dalla
sofferenza della marginalit, di coloro che attendono il vero mondo, che il mondo di giustizia. Dallimpulso
iniziale dellIslam e dalle sue successive, rapide convulsioni; nonch nel suo sempre risorgente apocalitticismo
studiato da D. Cook nel passato e nel presente, si potrebbe indagare la delusione imposta sempre dalla realt
terrena alle attese assiologiche che trasformano lutopia in atopia. Forse le convulsioni del mondo islamico
potrebbero esser viste sotto il profilo del contrasto tra le speranze scatenate da un Messaggio e le delusioni che
riserva sempre la realt; un conflitto che non viene meno perch le speranze, strutturate in un messaggio
totalizzante, non vengono mai a patti con il reale. Una situazione destinata a perdurare sin dentro il califfato
abbside, che fa comprendere lindifferenza politica di Ibn Hanbal, la scelta di mantenere vive le speranze
altrove, nella sfera religiosa, non in quella politica; una scelta che trover soluzione istituzionale nel rapporto
ulam/sultani elaborato da Ibn Taymiyya. Ma torniamo a Shoemaker e al suo modo di condurre il filo del
proprio ragionamento, che si fonda su ipotesi anche di altri studiosi concatenandole tra loro, in buona parte
prendendo spunto dalla critica ai Vangeli. Il fatto che il Corano non contenga previsioni ex-post, may simply
reflect, scrive, il fatto che non ne facesse, non dalla sua antichit: il parallelo lo trova in Ev. Joh. (p. 153).
Quanto alla famosa previsione di Cor., 2,4, essa potrebbe riferirsi, con uninterpretazione del testo diversa da
quella usuale, a fatti diversi, ovvero fare riferimento alla sconfitta dei seguaci del Profeta a Muta (p. 154). Poco
dopo (p. 158) ricorda che i primi Califfi, Vicari di Allh, avrebbero potuto portare delle modifiche al Corano, ma
poi si ferma alla semplice ipotesi. A p. 167, a proposito delle attestazioni coraniche circa limpossibilit, per
luomo, di prevedere lora del Giudizio (che contrasterebbe con lipotesi della marcia su Gerusalemme) ipotizza
che ci non significa che i seguaci del Profeta non lattendessero a breve: e questa ipotesi usata per avvalorare
ipoteticamente la sua ipotesi iniziale, che la morte del Profeta avesse costituito un trauma inatteso che port a
una revisione del Corano, perch era inammissibile il fallimento della previsione che aveva motivato la
conquista di Gerusalemme come luogo atteso del Giudizio. Interessante appare, a p. 173, che per rinforzare la
propria argomentazione egli consideri antico, se non autentico, lo hadth nel quale la vicinanza dellOra
1325
paragonata a quella di due dita. A p. 1087 supra ho riportato una notazione di Berg: Schoeler considera autentici
gli ahdth, a meno che non contraddicano le sue teorie; qui Shoemaker che nega la loro autenticit, fa eccezione
per uno che torna utile alle sue teorie. Alle pp. 178-185, Shoemaker ritiene che Cor., 3,144 (Maometto un
semplice mortale) sia stato inserito ex-eventu, perch trova inconfutabile che Maometto, un capo pragmatico e
razionale, avrebbe dovuto nominare un proprio successore, cosa che non fece perch non si pensava che sarebbe
morto prima dellOra. Ci lo riconduce, con un circolo chiuso, ad avvalorare lipotesi di partenza: i seguaci del
Profeta credevano cos, perci si and a Gerusalemme, perci poi si dovette rielaborare il testo. Non se ne esce:
la concatenazione di ipotesi avvalora unipotesi, e questo circuito ritorna nelle conclusioni alle pp. 196-197.
Veniamo infine allultimo capitolo, che vuol chiarire come un esercito interreligioso divenne musulmano, e il
centro della fede fu spostato da Gerusalemme allo Hijz, ci che Shoemaker fa partendo da quanto appena
concluso, che per lui sembra costituire un fatto assodato, ribadito alle pp. 197-199. Qui si apre il problema
principe, un tema che ho gi trattato e che perci non trovo utile ripetere nel dettaglio seguendo il testo pagina
per pagina. La tesi di Shoemaker precisa: lIslam iniziale era una comunit interreligiosa costituita da Giudei e
Cristiani, di monoteisti in generale; forse anche -ma non lo si dice, una mia illazione- di protomusulmani,
altrimenti restano soltanto Giudei e Cristiani a ricoprire il ruolo di coloro che poi, convertendosi alla nuova fede
imperiale -cos viene definito lIslam, che sarebbe stato elaborato sotto gli Omeyyadi- avrebbero dato vita
allIslam che conosciamo: e francamente, senza una presenza gi musulmana nelle schiere e nella leadership,
non si capisce perch Giudei e Cristiani avrebbero dovuto farlo. una tesi vicina in qualche modo a quella
dellantiscettico Donner che infatti viene continuamente evocato nel testo con ripetute citazioni nonostante la tesi
di Donner sia un po diversa, vi si ipotizzano, alle origini, dei Musulmani o protomusulmani ecumenici e
tolleranti che associano pariteticamente Giudei e Cristiani. Giustamente la Crone si domand come avrebbe
potuto il movimento espandersi in quel modo su altre terre, se la religiosit non fosse stata sin dallinizio
esclusivista; Shoemaker tuttavia non deve rispondere a questa domanda, perch sostiene che non vi sono prove
archeologiche di una conquista violenta. Se cos fu per, c anche unaltra possibile spiegazione che possiamo
adombrare dal poco che sappiamo: non vera un vero esercito bizantino in quelle terre, tale da dar vita a
resistenze tenaci, e i nuovi arrivati potevano prendere il controllo senza molta fatica, anche perch le popolazioni
non erano certamente affezionate ai dominatori cristiani. Sebos, che Hoyland peraltro maneggia con cautela (p.
125), parla di una congiura giudaica che favor linvasione; Shoemaker cita anche Wasserstrom (sulle cui
ricostruzioni ho espresso i miei dubbi nel primo capitolo della Rassegna) e afferma che un largo numero di
Giudei accettarono il Corano (p. 203); ad ogni buon conto Sebos non cos generoso nella valutazione, parla
soltanto di ribelli Giudei. Visto come andarono le cose a Medina con le trib giudaiche c infatti da credere
che i Giudei (quelli veri) non amassero accettare profeti arabi, e cos la pensa anche Hoyland, Seeing Islam, etc.,
cit., p. 529. Il quale Hoyland, assai citato da Shoemaker, alle pp. 545-598 discute il possibile uso di fonti non
musulmane per la storia dellIslam e ne deduce, ad esempio (pp. 549-550) che evidente che i primi
Musulmani avevano culti, credenze e pratiche chiaramente distinte dalle altre fedi correnti; anche se concorda
(p. 555) che liniziale approccio dei Musulmani era tollerante (il cambiamento dellatteggiamento fu infatti
allinizio dellVIII secolo). Et pour cause!, direi: per la ragion politica. Inizialmente, prima delle conversioni
messe in atto dallinizio dellVIII secolo, in quel vasto impero i Musulmani costituivano una minoranza, e il
tempo necessario alle conversioni fu lungo. Il giudizio di Hoyland sulluso delle fonti non islamiche comunque
molto equilibrato: dopo aver riportato il giudizio negativo di Wansbrough (p. 598) egli conclude che, se non
possono dare una coerente e completa informazione sulla storia del primo Islam, ancor meno possono dar
sostegno a una visione alternativa dei suoi sviluppi (ivi, corsivo mio); e tuttavia esse possono offrire nuove
prospettive (ivi), quelle prospettive che, secondo il suo giudizio, sono il punto critico di una ricostruzione cui
non mancano peraltro i materiali (p. 559). In effetti a me sembra che, se seguendo la Vulgata ci si muove in una
prospettiva tutta interna allIslam imperiale (omeyyade e abbside) proporre costruzioni troppo fragili, come
quella di Crone-Hinds o questa di Shoemaker, aumenta soltanto la confusione. Questo inutile dtour in buona
parte dovuto, a mio avviso, allinsistenza nel chiamare in causa Giudei e Cristiani, i quali certamente, se tali,
ebbero comportamenti individuali che non possiamo quantificare; ma come Giudei veri non potevano accettare
un Profeta arabo, e come Cristiani veri potevano tuttal pi considerare lIslam uneresia, come fece Giovanni
Damasceno. Nel Medio Oriente -e anche nella penisola arabica- cera piuttosto un mondo variegatissimo di
Cristiani che andavano in Sinagoga e rispettavano le norme mosaiche ignorando Paolo, e di Giudei
(etnicamente parlando) che avevano creduto Cristo un Profeta, non per il Figlio di Dio: esattamente come i
Musulmani. Quanto allaccoglienza, se non positiva certamente indifferente, che Giudei e Cristiani di Palestina
riservarono agli invasori, i pareri sono vari. I Giudei di Palestina ne approfittarono comunque per vendicarsi
sulle chiese dei loro oppressori cristiani, ma, dalle fonti analizzate da Hoyland, non risulta che essi fossero felici
per il nuovo dominio; quanto ai Cristiani (Hoyland, p. 539) sembra siano riusciti a mantenere un minimo di
convivenza. Hoyland (pp. 549-550 nel testo e in n. 22) ricava poi unaltra interessante conclusione dallanalisi
dei documenti: i Musulmani praticavano un culto che was clearly distinct from the other currently existing
faiths. Hoyland dice tutto questo espressamente contro le ipotesi di Wansbrough, e, quel che pi cinteressa,
contro quelle del Donner di From Believers to Muslims, Al-Abbath 50-51, 2002-2003, gi pubblicate da Donner
in altra sede nel 1994 (The Byzantine-and Early Islamic Near East, vol IV), che sono poi le tesi del pi tardo e
ampio Maometto e le origini dellIslam, cit., sulle quali perci non torno. Torno invece ora a Shoemaker che,
1326
dopo aver citato Wasserstrom, si diffonde nelle pagine seguenti sulle tradizioni che indicherebbero
unaccoglienza favorevole agli invasori da parte dei Giudei, e unanaloga propensione filogiudaica quantomeno
da parte di Umar; tra laltro ritornando (p. 204) su quel titolo di al-Frq del quale ho segnalato la diversa
possibile traduzione (cfr. supra, p. 1053 e p. 1096: colui che divide scil.: il Bene dal Male). Largomento
introdotto gli consente di affermare (p. 205) che la partecipazione giudaica ai primi stadi del movimento
religioso di Maometto appare persino pi fortemente nelle prime fonti islamiche; affermazione che egli
introduce in riferimento alle tradizioni relative a Umar e alla restaurazione del Tempio (si veda per supra il
breve cenno a p. 1041). Da qui passa ad affermare (p. 206) la piena partecipazione dei Giudei al movimento
islamico iniziale, grazie alla lettura che Donner d della Costituzione di Medina (si veda sopra). I Giudei
assumono quindi un ruolo sempre maggiore nella vicenda narrata da Shoemaker (bench egli conceda, in tale
riproposizione degli eventi, di non poter del tutto escludere i Cristiani dalla partecipazione al movimento) tant
che egli appoggia pi volte le proprie argomentazioni sulle tesi di Rubin (discusse supra, in particolare alle pp.
1048-1051). Singolarmente per (p. 208) deve ammettere che non tutti i Giudei e i Cristiani erano benvenuti
nella comunit dei credenti: forse perch, mi permetto di chiosare, oltre agli indubbi veri Giudei, verano anche
dei veri Cristiani di fede trinitaria, contro i quali era indubbia lostilit musulmana (p. 209). Shoemaker apprezza
molto le opinioni di Donner, che cita costantemente nelle pagine successive: forse le tensioni teologiche erano
minori allinizio, perch, prima della sua standardizzazione e diffusione i Musulmani, di fatto, conoscevano
assai poco il Corano (p. 209) che fu allorigine delle prese di posizione anticristiane (p. 211). Quel forse il
pilastro che regge lipotetica costruzione che usa anche gli scritti di Giovanni Damasceno, che forse (di nuovo)
potrebbero interpretarsi in una nuova luce, anche in vista della presenza di Cristiani (i Taghlib, cfr. supra, p.
1055 e p. 1097) nelle file di Yazd (p. 213). Che i primi Musulmani includessero pii Giudei e Cristiani (ivi)
ipotesi di Donner per spiegare uninvasione che non sembr incontrare resistenza. A ci anche attribuita la
presenza di citazioni bibliche nel Corano (p. 214) delle quali non si sottolinea tuttavia la componente originata in
Apocrifi e Pseudepigrafi; questo comunque argomento che abbiamo gi visto a proposito degli informatori di
Maometto e delle contestazioni, che furono rivolte al Profeta, di non dire nulla che non fosse gi stato detto.
Insomma: nulla che non fosse gi noto, ma rivisto nellottica di ipotesi poste a monte, delle quali fornirebbe la
convalida. Shoemaker passa poi ad esaminare il noto problema della qibla, rivolta dapprima verso Gerusalemme,
poi verso la Mecca, ricordando le tradizioni su Umar e Kab al-Akbr in Gerusalemme, e proseguendo con la
vicenda della Qibla musharriqa (molto rivolta ad oriente; cfr. S. Bashear, Qibla musharriqa and Early
Muslim Prayers in Churches, The Muslim World, 81, 1991, che ricorda le tradizioni relative alla possibilit, per
i primi Musulmani, di pregare nelle chiese cristiane, e ipotizza la possibilit di incertezze iniziali
sullorientamento della qibla). Shoemaker sottolinea la differenza tra le due vicende: la prima segnalata nel
Corano; la seconda pi tarda ed successiva allingresso dei Musulmani nei territori a popolazione cristiana;
tuttavia la localizzazione dellorizzonte sacro in Gerusalemme rimase ancora per un certo tempo, ad esempio
nellorientamento delle sepolture. Il caso delle moschee irakene la cui qibla orientata ad est, per interpretato
come un orientamento verso Gerusalemme (p. 228) e ci testimonierebbe quanto radicata fosse la tradizione
islamica di considerare Gerusalemme il proprio orizzonte sacro. Con tale ipotesi viene cos rafforzata lipotesi di
partenza: il movimento islamico fu inizialmente guidato dal Profeta verso Gerusalemme, centro della sua visione
escatologica. Del resto, tra le eccellenze (fadil) di Gerusalemme c la tradizione che l andr in scena il
Giudizio finale, allo squillo della tromba di Isrfl (p. 232): lInferno si spalancher nella Valle di Giosafatte e il
Paradiso si aprir sopra la Moschea di al-Aqs. Sono questi racconti di eccellenze che rivelano un movimento
interconfessionale con una forte presenza Giudea e, forse, Cristiana (corsivo mio) guidato dallurgenza
delleschaton (p. 237). 6 Per conseguenza la Sra 17 (Il viaggio notturno) diventa una primitive tradition: il
contrario di una presunta aggiunta di et omeyyade conseguente al dominio di al-Zubayr alla Mecca e a Medina.
Si noti per, che la ribellione di al-Zubayr (che trov consenso tra i Khridjiti, noti letteralisti in materia di
Legge) sembra avesse precisamente motivi religiosi: cfr. W. Madelung, Abd Allh b. al-Zubayr and the Mahd,
cit. La cosa segnalata da Giovanni bar Penkaye, che scrive in quegli anni; ed riportata con riferimento alla
sua Cronaca e a Madelung, da Hoyland (p. 197 e p. 552) che dello stesso parere. Lo zelo religioso di Ibn al-
Zubayr era notoriamente rivolto alla Mecca, contro gli Omeyyadi che trasgredivano la Legge (Hoyland, p. 197).
Ora, come abbiamo visto, Ibn al-Zubayr aveva, in materia di primO Islam, credenziali ben maggiori che non gli
Omeyyadi. La cosa non sfugge certamente a Shoemaker, che riprende ampiamente largomento alla pp. 253-255:
n poteva farne a meno. Tra laltro egli nota che Ibn al-Zubayr il primo a proclamare la doppia shahda,
aggiungendo a quella in uso Maometto il Profeta di Dio. Ne viene fuori in modo elegante ma non
precisamente coerente con limpostazione del suo testo: di fatto egli ritiene, ricollegandosi in qualche misura
anche a Hoyland (pp. 554-556) che la seria sfida postagli dal rivale sul piano religioso, convinse Abd al-Malik
ad abbandonare la politica di appeasement che era stata sua e di Muwiyya, e a fondare uno Stato jihdista

6
Su queste eccellenze si consulti larticolo di A. Elad, The History and Topography of Jerusalem during the Early Islamic Period: The
Historical Value of Fadil al-Quds Literature: A Reconsideration, J.S.A.I., 14, 1991. Si tratta di una letteratura fondata su ahdth che
lAutore non sottrae alla critica di Schacht e Juynboll, e che fiorisce nel periodo omeyyade, insieme con il ruolo di Gerusalemme. Il
pellegrinaggio a Gerusalemme rest in voga sino alla prima epoca abbside. La raccolta risale ad un autore dellXI secolo, Ibn al-Murajj al-
Muqaddas.

1327
arabizzando lIslam, dandogli cio quella svolta che coincide con lIslam storicamente noto. Bene: ma come si
concilia questa lettura di fatti con lipotesi di un movimento inizialmente ecumenico che vedeva la propria stella
polare in Gerusalemme? Se la sfida religiosa verteva su Maometto, La Mecca, Medina, e una religione
rigorosamente islamica da parte di chi, certamente, era ben pi legato degli Omeyyadi al Profeta, come si pu
ritenere questa svolta politica, e di politica religiosa, attuata dagli Omeyyadi, laffermazione di una nuova fede,
diversa da quella originaria genericamente ecumenica? Daltronde, a p. 245 Shoemaker dovrebbe chiarire anche
un altro enigma, ma non lo fa: se, accettando lipotesi di Wansbrough, si ritiene che lIslam sia stato generato
allinterno del Giudaismo, e, in minor misura, del Cristianesimo, come si spiega la presenza di tanti riferimenti
ad Apocrifi e Pseudepigrafi nel Corano, e il ruolo che vi ha, e ha nellIslam, Ges, con la relativa cristologia? Si
riapre cos il discorso su unipotesi ben diversa, che emerge da tanti fattori non considerati nellanalisi di
Shoemaker, ma che furono messi in luce gi da tempi lontani, che ho ampiamente discusso ed esposto in questa
Rassegna e in Dopo e a lato (ma anche gi allinizio: cfr. pp. 57-58) e che costituiscono, potrei dire, lasse
portante duna conclusione non minore nelleconomia del mio testo: quella di una divaricazione di Occidente e
Islam come sviluppi indipendenti di un conflitto sulle interpretazioni nato con lirruzione del Messaggio
testamentario nel mondo classico ellenistico-romano. Lunica ipotesi pi solida nella vexata qustio delle
origini dellIslam quella che vede le sue radici nel Giudeocristianesimo. Avevo accennato sopra alla ricerca di
Rosa Conte; ora riprendo largomento unitamente allesame del pi puntuale articolo di F. de Blois, Elchasai-
Manes-Muhammad. Manichismus und Islam in religionshistorischem Vergleich, cit. in Bibl. supra a p. 848. La
ricerca della Rosa Conte uno sguardo che spazia su molta della Bibliografia gi esaminata in questo testo; su di
essa non torno e mi limito a sottolineare qualche spunto nuovo. Cos, alle pp. 70-71, trovo utile sottolineare la
tassonomia del Giudeocristianesimo che la studiosa deduce dalle ricerche di R.E. Brown e di C. Vidal
Manzanares, perch essa mostra lintrico di opzioni generate da quattro fattori primari (etnia gentile o giudaica,
credenza in Cristo, credenza nella Legge mosaica) dal quale si genera il panorama frastagliato di sette (o,
forse, di credenze e usi) che caratterizza il Giudeocristianesimo, da sempre luogo di disputa per eresiologi ed
Accademici. In particolare, le ricerche di S.C. Mimouni indicherebbero che Ebioniti ed Elchasaiti sopravvissero
sino alla met dellVIII secolo (p. 73). Le credenze giudeocristiane sarebbero attestate anche, secondo Nevo e
Koren, dalle iscrizioni del Negev, in particolare da quelle che definiscono Allh Dio di Mos e di Ges (p. 75).
A conferma si portano le convinzioni dello stesso Nevo (Towards a Prehistory, etc., cit in Bibl. a p. 850) che la
codificazione coranica sia avvenuta, pi tardi di quel che si pensi, sul fondamento di una religiosit
giudeocristiana. Infine lautrice ricorda (ne abbiamo parlato anche in questo nostro testo) lambiente
monoteistico che circondava il Profeta. Passando quindi in rassegna le ipotesi storiografiche sul rapporto tra
Giudeocristianesimo e Islam, la conte risale sino a quella di Toland (1670-1722) per poi scendere a quelle
recenti, delle quali alcune segnalate in questo testo: Harnack, Ahrens, Simon, Hayek, Roncaglia, Dorra-Haddad,
Sacchi, Cirillo, Tardieu, S. Pines; e varie testimonianze di testi antichi. Largomento trattato in modo
significativo Da F. de Blois, cit., il quale ricapitola brevemente alcuni punti delle dottrine elchasaite e manichee
e ne sottolinea la diffusione nel mondo mediorientale al tempo del Profeta e la loro presenza, nonostante le
persecuzioni, ancora nel X secolo, testimone an-Nadm. Ci gli serve per da mera brevissima introduzione
allesame del messaggio islamico, non senza aver prima concluso che il Manicheismo, nonostante le sue
componenti zoroastriane e buddhiste, va visto essenzialmente con riferimento al primo Cristianesimo, in quanto
fondamentalmente affine allElchasaismo e in rapporto con la dottrina di Bardesane. Passando quindi al
principale argomento dellarticolo, lIslam, il primo aspetto che de Blois intende esaminare riguarda
lidentificazione dei Nasr citati dal Corano, dei quali detto che sono meglio dei Giudei. Come noto,
nellarabo classico del tempo degli Abbsidi, Nasr traduce lappellativo Cristiani, ci che non trova
riscontro nella altre lingue mediorientali (p. 42). Il nome infatti usualmente attribuito ai Nazorei, una delle sette
giudeocristiane segnalate dagli eresiografi (ipotesi gi esposta supra alle pp. 57-58 nelle tesi di Roncaglia e
Dorra-Haddad. Ora, nota de Blois a p. 43, singolare notare che la dottrina coranica in alcuni punti coincide con
quelle giudaica e cristiana, in altri con quella giudaica contro quella cristiana, in altri ancora con quella cristiana
contro quella giudaica: e fa gli esempi, dalle regole alimentari allorientamento della preghiera (dagli abitanti di
Medina verso Gerusalemme) allaffermazione di Cristo come Messia. Si tratt di un sincretismo? De Blois
avanza una diversa ipotesi: quelli che nelle antiche fonti islamiche appaiono talvolta come Giudei, talvolta come
Cristiani, sono in realt dei Giudeocristiani, la cui chiara posizione antipaolina nei confronti della Legge si
ritrova nellIslam. Di pi, c un punto nel quale lIslam si distacca sia dal Giudaismo che dal Cristianesimo, il
divieto del vino: ebbene, questo divieto esiste soltanto nel Giudeocristianesimo (p. 44). C poi un altro elemento
giudeocristiano che ha un ruolo importante nellIslam e che lo differenzia nettamente dal Giudaismo e dal
Cristianesimo, il concetto della ripetitivit della Profezia, che sappiamo presente nellElchasaismo ma che ben
radicato nelle Omelie Ps.Clementine, testo unanimemente riconosciuto come giudeocristiano (pp. 44-45). De
Blois conclude poi larticolo segnalando numerosi paralleli nelle biografie religiose di Mani e di Maometto: a me
sembra per che le cose importanti siano quelle gi segnalate. De Blois aveva gi espresso il convincimento che i
Nasr dovessero identificarsi con i Nazorei in un suo precedente articolo apparso su B.S.O.A.S., 65,1, 2002:
Narn () and anf (): Studies on the religious vocabulary of Christianity and Islam. Qui de
Blois sviluppava pienamente lindagine, sintetizzata poi su Der Islam 2004, circa il rapporto tra i Nazorei e gli
Elchasaiti, e il tema elchasaita della natura femminile dello Spirito Santo (Ippolito, Refutatio), che sembra avere
1328
riscontro nella Trinit imputata dal Corano ai Nasr (p. 15) contrapposta alla fede dello hanf Abramo, che
non era un associazionista, credeva cio nellunicit di Dio. Ne concludeva (p. 26) -anche sul fondamento della
formazione dellaggettivo nella lingua araba (pp. 11-12)- che i Nasr del Corano non potevano essere dei
Cristiani (ortodossi) ma dei Giudeocristiani, cio Cristiani di origine giudea, in base a un possibile tentativo di
rietimologizzare laramanico nasry in nasrn (la radice araba n--r non avrebbe consentito una tale
identificazione). Quel che interessa segnalare qui per la domanda (polemica) che de Blois si pone a p. 25:
stupefacente che questi argomenti e le tesi di Harnack, Schoeps e Roncaglia, cio che lIslam si svilupp da una
comunit gnostico-giudaica, non abbiano avuto risonanza nellislamistica. Anche perch (p. 27) a proposito delle
recenti tendenze a cercare unorigine dellIslam fuori dallArabia centrale del VII secolo, a cercarla pi a nord
e in epoca pi tarda,nota che esse non hanno mai trovato argomentazioni convincenti. La critica di questi
studiosi pu essere senzaltro utile, ma non facile ricostruire la storia nellinseguimento del vuoto (ivi, i
corsivi sono miei). Sembra comunque utile confrontare questo articolo di de Blois con quello di S.C. Mimouni,
Les Nazorens. Recherche tymologique et historique, Revue biblique, 105,2, 1992; e con la discussione che ne
fa, di seguito, . Nodet, che sottolinea il carattere dottrinalmente assi variegato delle comunit che, nel Medio
Oriente, si richiamavano a Ges, soprattutto quelle discese da Giacomo; e sulla posizione di eretici nella quale i
loro seguaci si videro collocati dopo la rivolta di Bar Kokhba nel 135. Si ricordi poi la discussione sviluppata
sopra esaminando la ricerca di Boyarin (p. 1077 sgg.) circa la situazione di emarginazione cui furono condannati
i Giudeocristiani (considerati alternativamente eretici o minim) con la formazione delle due ortodossie,
cristiana prima, giudaica poi, nonch in generale tutto lesame condotto sopra sullargomento del
Giudeocristianesimo. A ci pu collegarsi anche larticolo di C. Gilliot, Le Coran, production littraire de
lAntiquit tardive ou Mahomet intrprete dans le lectionnare arabe de la Mecque?, R.E.M.M.M., 129, 2011.
Secondo Gilliot e le sue interessanti argomentazioni, lopera di Maometto sarebbe consistita nel raccogliere,
reinterpretare e dare un senso, nella lingua araba del Corano, a un materiale liturgico preesistente, logia presi
da scritture anteriori o da tradizioni orali; ma non soltanto da testi come i Salmi o il Pentateuco, anche dal
Diatessaron, che costituisce una versione giudaizzante della vita di Cristo (cfr. anche supra, p. 52); e da
Apocrifi dellAntico e soprattutto del Nuovo Testamento (Gilliot, p. 46). Sembra riproporsi dunque il quadro
pi volte proposto, la nascita -quantomeno del Corano- da una diffusa religiosit giudeocristiana.

Il 26 Marzo 2014, Ch. Robinson ha postato in PDF su chaserobinson.net un interessante articolo (ora
reperibile su scholar.google) che fa il punto sullo stato attuale delle indagini relative al problema dellIslam
originario e dei suoi sviluppi, History and Heilsgeschichte in Early Islam: Some Observations on Prophetic
History and Biography. Linteresse di questo articolo da individuarsi nel suo equilibrio (Robinson uno
scettico, ma non ci che suole definirsi un ultrascettico) e nel suo tono discorsivo e aperto allo spettro delle
recenti ricerche sul tema; articolo di specialista ma anche divulgativo, soprattutto centrato su problemi di
storiografia dellIslam. Come tale, esso si apre sottolineando i limiti del voler colmare i vuoti che si aprono in
conseguenza della nota inattendibilit della Vulgata con costruzioni destinate a rimanere puramente congetturali.
Robinson definisce revisionista se stesso e il suo tentativo di penetrare le nebbie della storia di salvezza
islamica (p. 2) e di tentar di descrivere le diversit che caratterizzano il periodo formativo, prima del costituirsi
di un consenso culturale, opera del IX-X secolo. Consenso culturale che invest, ricorda, le pratiche, le
istituzioni, e lo stesso vocabolario dei concetti islamici. Per venire tuttavia ai fondamentali della vicenda,
Robinson precisa che non vi possa esser dubbio sul fatto che nel VII secolo sia esistito un uomo di nome
Muhammad che si assunse il ruolo di profeta/legislatore nella linea dei profeti del monoteismo; e che costui
fond una comunit intenzionata a dominare il Mediterraneo e il Medio Oriente. Tutto ci messo in dubbio
soltanto dagli ultrascettici, le cui storie si sono rivelate per, a loro volta, assai dubbiose. Levento perci non
pu essere posto in dubbio, si tratta per di capire come questo passato possa essere ricostruito, e come la
memoria di esso si sia trasformata in narrazione letteraria. Robinson mette subito in chiaro, nel testo e nelle note
(p. 4) alcuni punti che sono stati oggetto anche della presente analisi: il fatto che la ricostruzione immaginata da
Donner non sia convincente; che non chiaro come si articolassero i monoteisti del VII secolo tra i quali
germin lIslam; che la storia della collazione del Corano aperta e controversa, ma che esso rappresenta
sicuramente una testimonianza del contesto nel quale, nellArabia del VII secolo, oper Maometto. Infine,
riferendosi a Hoyland, Robinson ritiene che le testimonianze non islamiche possano offrire una modesta ma
cruciale conferma di questi punti fondamentali. Robinson mette anche in luce (p. 5) che la Rivelazione islamica
deve considerarsi nellambito del concetto di ripetitivit della profezia, senza peraltro inferirne riferimenti agli
antecedenti giudeocristiani e senza entrare nella discussione proposta da Colpe circa il senso del sigillo (cfr.
supra, p. 814) di tale ripetitivit. A giudicare dal Corano, prosegue poi, Maometto intendeva restaurare la Legge
divina prima delleschaton, e in ci si poneva in continuit pi con Abramo che con Ges. Due punti emergono
dalla sua predicazione: una distinzione ontologica tra Dio e il Creato e il carattere umano e mortale del Profeta;
un punto, questo, che fu accettato dai suoi seguaci per i quali, da Adamo a Maometto, tutti i Profeti sono soltanto
degli uomini (p. 6). La storia della salvezza islamica che si configur dallVIII secolo in uno sterminato
numero di tradizioni (ahdth) narra cos di una successione profetica iniziata con Adamo, che si epifanizza in
Arabia con Maometto esempio e ispirazione per i futuri Musulmani; di una normale morte del Profeta (che
forse aveva guidato inizialmente lesercito, ma soltanto sino a Tabk) cui succedettero i Califfi Ab Bakr,Umar,
1329
Uthmn e Al, che guidarono il nascente impero da Medina. Questa storia, dice Robinson (p. 8) sembra
lesposizione di una dottrina teologica e politica, ma la data del 622 come inizio della nuova Era sembra esser
stata stabilita piuttosto precocemente (p. 9) come anche sembra che il ruolo fondante del Profeta sia stato assunto
alla fine del 6 decennio come bandiera ideologica dellopposizione (Abdallh ibn al-Zubayr) agli Omeyyadi,
ci che indusse questi ultimi a una serie di riforma (ivi). Qui Robinson inizia ad esporre le storie alternative
elaborate dalla Crone, da M. Cook e da Shoemaker, e cita lipotesi di questultimo relativa alla data e al luogo
della morte del Profeta (p. 10) affermando che certamente i dubbi sul racconto della Sra sono leciti. Tuttavia,
subito dopo (p. 11) cita anche gli studi di Grke e Schoeler che tendono ad avvalorare lattendibilit della
memoria custodita dalla trasmissione orale. Sulle memorie storiche per, Robinson sottolinea che la loro ragion
dessere era sovente legata, in ambito familiare, a rivendicare lautenticit di un proprio passato di Musulmani
della primora, un passato che garantiva previlegi economici (ivi; e cfr. supra, p. 1055, a proposito della rivolta
contro Uthmn). N si pu ignorare il ruolo di storytellers, entertainers, preachers and demagogues (p. 12)
che affollavano le moschee. Molti erano dunque gli interessati a concorrere nella formazione di una storia orale
della nascita dellIslam (ivi). Queste storie erano perci facilmente contraddittorie; Robinson cita al riguardo le
tradizioni relative alla conversione di Muwiyya e quelle relative al ruolo di Al nella scena della morte del
Profeta. La storia che nacque poi, attinse largamente a queste tradizioni quando, nellVIII secolo, inizi a
formarsi una cultura scritta, nellambito della burocrazia omeyyade (p. 13), come premessa ad una supremazia
islamica nel nuovo impero, ancora popolato in maggioranza da non Musulmani dotati di cultura e storia scritte.
Questa cultura scritta dellIslam esplose poi in epoca abbside: di essa fece parte la Sra che costitu la prima
testimonianza storiografica. Qui Robinson fa un preciso riferimento (p. 14) alle controversie tra Shoemaker da
un lato; Motzki, Grke e Schoeler dallaltro, con la quale ho aperto questa Rassegna; e ritiene poco credibile la
corretta trasmissione di Urwa ibn Zubayr via al-Zuhr sino al tempo di Ibn Ishq e oltre, nonostante la catena di
trasmissione sia stata pi continua di quel che credono gli scettici (p. 15). Ci che si deve considerare infatti il
contesto nel quale si forma la visione storiografica del IX secolo che opera la selezione e lassemblaggio di una
serie di notizie frammentarie. Siamo in epoca abbside, e per i nuovi Califfi la vittoria sugli Omeyyadi non
poteva restare una vittoria soltanto militare, doveva essere in primo luogo una vittoria ideologica (ivi) fondata
sui legami familiari con il Profeta. Omeyyadi e Abbsidi si consideravano infatti Vicari di Dio, e soltanto al
termine della vittoriosa lotta degli ulam il riferimento legale divenne, oltrech il Testo Sacro, anche la Sunna
del Profeta. Soltanto al termine di un lungo sviluppo si giunse quindi a vedere negli ulam i custodi della
Legge, e nei Califfi i guardiani di una societ fondata su quella legge (p. 16). In questo quadro va dunque
capita la Sra di Ibn Ishq, di al-Wqid e di Ibn Hishm (p. 17). E, se Ibn Ishq scrisse per al-Mansr, il corpus
della tradizioni di al-Zuhr era stato compilato per i suoi protettori Omeyyadi (ivi). La storia di Ibn Ishq
costruisce una visione coerente che va dalla Creazione alla vita di Maometto, alle vicende dei Califfi che
seguirono: una storia della salvezza che ha il proprio perno nel Profeta dellIslam (corsivo mio) e si compie
nel Califfato; una prima costruzione ideologica abbside che antedata la cristallizzazione della dottrina, visto
che contiene ancora una tradizione che smentisce la isma del Profeta (cfr. Kister, A Bag of Meat, cit. supra a p.
1038). Questa tradizione fu poi omessa da Ibn Hishm; ma, nota Robinson, forse essa aveva lo scopo di sminuire
il ruolo dal Profeta subordinandolo a quello del Califfo (p. 18: si ricordi che il Califfo era allora Vicario di Dio,
ci che significava poter dare una propria interpretazione autentica del Testo). Con Ibn Hishm siamo dunque ad
un passo ulteriore nella formazione della Vulgata (ivi); con al-Wqid, che spost fortemente laccento sulle
campagne militari del Profeta, si pu nuovamente constatare il sottofondo ideologico della storia narrata, visto
che il suo patrono, il patrono cio della sua Vulgata, era il guerriero Hrn al-Rashd (p. 19). Robinson prosegue
con unaffermazione di carattere generale che sottolinea le ragioni di una storiografia comunque basata sugli
ahdth: la caratteristica generale del tradizionalismo islamico la reverenza per le generazioni passate: la
storia viene fondata perci sulla loro selezione e sistemazione, in tale operazione la Sra differisce quindi dalla
Sunnah.. Lo storico che scrive, magari abbellisce la tradizione con discorsi, proclami, e citazioni coraniche, il
tutto reso coerente sullo sfondo dello Hijz del VII secolo: la Sra storicizza la profezia inserendo nella trama
cronologica e geografica particolari eventi umani. Robinson definisce tutto ci una messa in scena della
drammaturgia e dei personaggi della storia della salvezza islamica (p. 19); il tutto abbellito con ricchezza di
dettagli che determinano lautorevolezza e la popolarit dello storico. Pi passa il tempo, pi aumentano i
particolari minuti e i dettagli leggendari sulla vita del Profeta. La Sra si assume il compito di sovvenire
allasciuttezza del Corano in materia di riferimenti storico-biografici; nasce un geografia, una cronologia e una
prosopografia della comunit primitiva (p. 20). Un caso particolare quello dellinserimento delle datazioni,
elemento fondamentale per ogni storia, purtroppo carente nelle tradizioni pi antiche (Urwa) e che inizia ad
apparire soltanto con le generazioni musulmane successive; nelle datazioni sono evidenti stereotipi comuni alle
tradizioni mediorientali e bibliche consolidate. Anche la vita del Profeta, sulla quale si sa ben poco, si arricchisce
di dettagli fantasiosi dietro i quali non v da rintracciare alcun possibile, ipotetico nucleo storico (p. 23). Cos,
tra laltro, al Profeta vengono attribuiti miracoli che lo inseriscono nei modelli pre-islamici di profeta
(giudaici, cristiani, manichei) che vengono codificati nellambito di una successione profetica voluta da Dio e
suggellata da Maometto. Robinson giunge cos alle proprie conclusioni (pp. 25-26) richiamando lattenzione
sulle tecniche con le quali stata costruita questa storia della salvezza, e sottolineando che lassenza di
documentazione sul VII secolo ci obbliga a recepire la Vulgata cos come fu costruita tra la fine dellVIII e il IX
1330
secolo, una storia della salvezza che narra il ristabilimento del monoteismo abramico e lavvento finale di uno
stabile e definitivo ordine divino, inaugurato con il Profeta e istituzionalizzato con il Califfato (corsivo mio). Il
valore della Profezia fissato nei luoghi e nei tempi di una storia e collegato ad una concatenazione di profeti,
costituisce una concettualizzazione del passato, islamico e non islamico che fonda la legittimit del potere, che
al tempo stesso politico e religioso. Queste le conclusioni di Robinson, e, per quanto concerne la sua analisi, mi
sembra non ci sia nulla da aggiungere alla sua distaccata obbiettivit che si basa, oltretutto, su una ben nota
competenza in materia di storiografia islamica. Vorrei permettermi tuttavia qualche ulteriore e del tutto
marginale considerazione, al di l del giudizio negativo, pi volte espresso, sui ripetuti tentativi di sostituire la
mancanza di notizie con fragilissime ipotesi, ma anche sulle ricerche di nuclei di verit che si nasconderebbero
dietro le narrazioni letterarie. La sola verit che si pu rincorrere nella Vulgata e nelle tradizioni che la
sorreggono, la verit dellautore, la prospettiva che sorregge la sua narrazione che, a sua volta, sorregge la
verit dellIslam, una verit che ha evidenza storica in una specifica storia di salvezza che una comunit ha
pensato per se stessa. Dinnanzi a questa evidenza gli inani tentativi di inventare ci che realmente sarebbe
avvenuto mandano un odore stantio di esoterico incenso: come la famosa lettera rubata, la verit dellIslam sta
qui in chiaro dinnanzi a noi, basta saper vederla rinunciando a rovistare in improbabili cassetti segreti.

Se, come abbiamo visto sopra, la periodizzazione della storia islamica nelle quattro epoche della
jhiliyya e della profezia; dei Rshidn; degli Omeyyadi e degli Abbsidi, il frutto di unoperazione
ideologica compiuta al tempo di questi ultimi, non di meno luso delle periodizzazioni resta uno strumento utile
per lo storico, che gli consente di riassumere in uno schema la propria prospettiva sugli eventi. Ci quanto
sostiene F.M. Donner nel suo articolo Periodization as a Tool of the Historians with Special Reference to
Islamic History, apparso su Der Islam, 91,1, 2014. Donner si diffonde su vari esempi e su temi generali, ma,
venendo alla storia islamica, entra nel vivo dellargomento che qui interessa accennando ad alcune delle
periodizzazioni proposte, ai loro punti deboli, e alle ipotesi che le sostengono. In particolare, per quanto riguarda
lo schema abbside ricorda la critica di Morony (cfr. supra). Tuttavia, nota Donner, qualunque periodizzazione
pu essere oggetto di critica, epper la periodizzazione della storia lo strumento grazie al quale lo storico mette
in luce particolari temi delle societ oggetto del suo studio. Per quanto lo concerne, egli d perci un abbozzo di
quelle che a lui sembrano fasi diverse e successive della storia del mondo islamico, fasi a suo avviso
effettivamente riconoscibili pur nella ovvia continuit che caratterizza ogni transizione. Secondo Donner si pu
distinguere un periodo formativo dellIslam che va dalla morte del Profeta al regno di Abd al-Malik e dei primi
quattro successori (tutti suoi figli) cio dal 632 al 725. questo il periodo di arabizzazione e islamizzazione
dellideologia, ed anche il periodo nel quale inizia a svilupparsi lentamente il Sunnismo, anche in opposizione
al ruolo califfale di Vicario di Dio, che rendeva il Califfo prevalente sul dettato profetico. Inizia cio quella lotta
che terminer sotto gli Abbsidi con la vittoria degli ulam (cfr. anche Hawting, voce Umayyades, E.I., vol.
10). Al periodo di formazione segu il periodo che egli definisce alto imperiale che include in continuit
lepoca omeyyade e quella abbside sino al 945, quando il Califfato diviene una mera facciata sotto custodia
byide, per poi iniziare a frammentarsi (terzo periodo) sino al 1400 circa. Dopo di ci egli ritiene di individuare
un quarto periodo, quello dei grandi Stati che si costituiscono sotto i Mamelucchi, gli Ottomani e i Safavidi (per
verit in un arco di tempo che va dal XIV al XVI secolo). Questo per quanto riguarda lopinione di Donner. Noi
per ci siamo interessati non soltanto della continuit, nella trasformazione che prelude alla frammentazione, tra
Omeyyadi e Abbsidi; non soltanto della inesistenza di un periodo di paganesimo, sostituito da un humus
giudeocristiano sul quale germoglia la predicazione del Profeta; ma anche di un periodo di contese per la guida e
lassetto della comunit, che va da Uthmn ad Abd al-Malik e che termina soltanto con la ridefinizione di
entrambi i problemi data da questultimo, con la quale nasce lIslam a noi noto. Per completare il quadro, ci resta
quindi da esaminare la figura e lopera di questo grande Califfo, vero punto di svolta nella definizione dellIslam,
cosa che faremo con la ricerca di Ch. Robinson, Abd al-Malik, Oxford, Oneworld, 2005.

Il libriccino di Robinson inizia l dove termina la meticolosa cronaca di Madelung, The Succession to
Muhammad, etc. (cit. in Bibl. a p. 817); inizia cio con laccesso al califfato di Abd al-Malik dopo che la morte
di Marwn aveva concluso un cinquantennio di lotte spietate per un potere sempre incerto nel fondamento,
costellato di efferati delitti familiari. Sin dalla Prefazione, Robinson mette a fuoco il suo personaggio: soltanto il
Profeta ebbe uninfluenza maggiore di Abd al-Malik nel determinare il corso della storia del primo Islam. In
effetti; infatti, come abbiamo visto in precedenti occasioni, prima di lui ci fu soltanto una convulsa lotta per il
potere materiale tra i Qurayshiti, rimasti pi arabi che musulmani. Rimasti tali non soltanto per i costumi
privati, non precisamente commendevoli alla luce della nuova religione (si veda la citata opera di Madelung e si
ricordi quanto tarda e opportunistica fu la loro conversione) ma soprattutto nella visione politica, ristretta alla
logica provvisoria del conquistatore, senza alcuna idea di creare e amministrare un nuovo impero. Abd al-Malik
fu dunque il fondatore dello Stato islamico, il cui inizio Robinson data convenzionalmente con il 692, anno
delliscrizione celebrativa presente nel Duomo della Roccia, secondo al-Wkid eretto come alternativa di culto e
di pellegrinaggio rispetto alla Kaba, essendo La Mecca a quel tempo nelle mai di Abdallh ibn al-Zubayr.
Robinson sottolinea per un diverso significato simbolico di quel tempio: da quel momento lIslam diviene
religione ufficiale dellImpero (la sua iscrizione contiene unaperta condanna del trinitarismo cristiano) la cui
1331
lingua ufficiale diviene larabo. Ci che gli preme sottolineare infatti la radicale transizione che avviene nel
primitivo mondo arabo-islamico ad opera di Abd al-Malik, e per far ci delinea nei tratti essenziali la situazione
precedente il suo avvento. Nota Robinson, che le gerarchie generate dai meriti islamici (data della
conversione, lesser stati muhjirn o ansr, la vicinanza al Profeta) erano state rapidamente sopravanzate dal
ritorno delle antiche gerarchie arabe pre-islamiche come, per lappunto, essere a capo di qualche potente clan
qurayshita. Il caso del ruolo subalterno di Ibn al-Zubayr, nato nel 624, primo bambino musulmano nato a Medina
durante lEgira e strettamente legato alla famiglia del Profeta, nei confronti degli Omeyyadi Sufynidi che di
islamico avevano ben poco, anzi, erano stati nemici del Profeta, eclatante. A questo proposito bene ricordare
che il ritorno del vecchio sistema di potere a spese dei nuovi diritti generati dalla rivoluzione, era stato tra i
motivi delle ribellione irakena ed egiziana a Uthmn. LIraq, con Musab, e lEgitto, furono poi ancora dalla
parte di Ibn al-Zubayr nella lotta contro gli Omeyyadi: e fu precisamente per motivi religiosi che Ibn al-Zubayr
fu proclamato Califfo alla Mecca e coni monete con la doppia shahda. Da questo punto di vista (anche perch
governava alla Mecca e a Medina) era lui il vero Califfo e Abd al-Malik un ribelle: lui che era gi stato da
fanciullo (nacque nel 645) dalla parte di Uthmn quando fu ucciso. Robinson delinea quindi rapidamente le
ragioni della fine dei Sufynidi e i lineamenti del lungo califfato di Muwiyya: vi fu infatti un problema di
successione (dopo la morte di Muwiyya e Yazd, unico erede rimase un fanciullo malaticcio, Muwiyya II,
morto subito dopo nel 684) ma il crollo fu troppo totale per potersi giustificare soltanto con questo. Il
fondamento era infatti quel che mancava al regno di una famiglia islamicamente empia, e, per giunta,
responsabile dellassassinio di Husayn a Karbal nel 681, ad opera di Yazd; e precisamente il fondamento
islamico era ci che aveva portato alla proclamazione di Ibn al-Zubayr nel 683. Il collasso della politica di
Muwiyya ebbe delle ragioni tutte interne. Lodato dai Cristiani egli, nei suoi ventanni di Califfato non aveva
fondato uno Stato islamico. Insediatisi in terre di ben pi antica cultura e civilt, i Musulmani avevano affidato
tutti i compiti amministrativi alle lites preesistenti, senza distinzione religiosa; anche la monetazione aveva
proseguito la precedente iconografia bizantina, e i documenti erano in greco. I conquistatori vivevano, dentro le
proprie guarnigioni, del grande bottino accumulato nellinvasione, impinguandolo con lestorsione di occasionali
tributi. Del resto, la conquista era stata facile impresa di piccole bande che non avevano arrecato particolari
danni al territorio; tutto scorreva in modo non molto diverso da prima, salvo la presenza di nuovi padroni. Non vi
furono conversioni o assimilazioni forse perch, nota Robinson a p. 65 (non saprei dire se con ironia) la cosa
sembrava inutile in vista della fine del mondo: mi permetto di notare che gli occupanti sembravano, in tal caso,
premurosi di vivere al meglio quegli ultimi anni, e che Muwiyya pensava comunque a prolungare la dinastia.
Certamente attorno alle guarnigioni fiorivano i commerci, e questo era comunque un motivo valido per
convertirsi. Muwiyya insomma, nato nel 597 e convertito tardi, sembrava soltanto il capo dei conquistatori
arabi, il cui regno rimase condizionato ai rapporti di forza, e non fond nulla. Dopo la sua morte vi furono
contese tribali, poi, nel 684, dalle trib fu eletto Marwn, che trionf dei contendenti ribelli consolidando il
potere in Siria e anche nellEgitto che si era schierato con Ibn al-Zubayr, Califfo nello Hijz dal 683 al 692 (e
anche nellIraq affidato al fratello Musab). Qui Robinson apre una parentesi che ci riconduce alle tesi di Borrut.
Egli nota che la nostra considerazione di Ibn al-Zubayr come Anticaliffo frutto di una storia scritta molto
tempo dopo (la storia ideologica del tempo degli Abbsidi della quale s detto). In essa il periodo in questione
(683-692) viene considerato un interregno nel dominio omeyyade, il che non : di fatto, il vero inizio della
dinastia omeyyade marwnide da stabilirsi in quel 692 nel quale viene ucciso Ibn al-Zubayr e datato il Duomo
della Roccia: cos infatti giudicavano le stesse fonti antiche. Inoltre, nota sempre Robinson, la stessa storia
iniziale dellIslam non pu esser vista nellideologia abbside del IX secolo: buona storia, dice, capire gli
eventi nel momento in cui accaddero, non come furono capiti pi tardi (p. 32). Lo stesso periodo dei quattro
Rshidn, come tutta la sequenza califfale, invenzione del IX secolo: una et delloro delle origini fu
costruita dai Musulmani di epoca pi tarda, pi che esperita dai primi Musulmani (p. 33). Abd al-Malik fu
dunque visto dai contemporanei piuttosto come un usurpatore, sembra lui il ribelle; la monetazione, sino al 692,
prevalentemente zubayride, ci che lascia pensare chi fosse il vero Califfo, il cui potere non fu sfidato dei
Marwnidi, quanto piuttosto dagli Shiti (rivolta di al-Mukhtr a Kfa nel 685-687 in nome di Muhammad ibn
al-Hanafiyya) e dai Khridjiti, sempre in Iraq. Eppure Ibn al-Zubayr pu essere considerato, con il suo ricordo
del passato delle origini che intendeva restaurare, un nostalgico fuori dai tempi legato alla memoria dello Hijz.
A lui, pi che non a Maometto, si deve la valorizzazione del pellegrinaggio alla Mecca: una scelta religiosa
ereditata poi dai Marwnidi insieme alla doppia shahda. Non si possono capire i primi decenni dellIslam,
osserva Robinson (p. 39) senza la pretesa profetica avanzata da Maometto e il largo seguito che suscit: in ci
Abd al-Malik apprese la lezione di Ibn al-Zubayr. I primi anni del suo regno, impegnati nella lotta contro
questultimo, furono assai difficili. Per tutto il 9 decennio del VII secolo il suo potere fu precario persino in
Siria; sino al 691 lIraq rimase nelle mani di Musab; la situazione era tale che Abd al-Malik dovette comprare
la neutralit di Bisanzio con un tributo; e tuttavia alla fine egli venne a capo di ogni avversit grazie ad al-Hajjj
che sconfisse e uccise i due fratelli zubayridi. Abdallh ibn al-Zubayr fu tuttavia eliminato con sistemi che la
dicono lunga sulla islamicit della classe dirigente omeyyade: rifugiatosi nella Kaba fu ucciso dal
bombardamento del sacro edificio ordinato da al-Hajjj. Veniamo dunque ora alloperato di Abd al-Malik come
incontrastato Califfo a partire dal 692. Robinson si dedica a descriverlo in dettaglio perch la sua tesi, come gi
accennato, che fu lui a fondare lIslam cos come noi lo conosciamo. Ci certamente vero per quanto
1332
concerne la fondazione di un Impero islamico; tuttavia la mia opinione che nellIslam sia sempre rimasto vivo
latteggiamento rivoluzionario e atopico delle origini che precedeva la fondazione dellImpero e che non si mai
conciliato con il realismo della gestione del potere mondano: di qui le continue convulsioni del mondo islamico
che resero precario ogni assetto, ma di qui anche lesigenza di ripensare sempre lorigine come momento
determinante rispetto al quale i vari e susseguentisi assetti del potere rappresentarono soltanto momentanei
compromessi con lesigenza della gestione. In questo senso, lopera di Abd al-Malik fu trasformare
unespansione araba in uno Stato islamico, dove gli Arabi costituivano pur sempre i detentori del potere (e
abbiamo visto che questa rimase la logica degli Omeyyadi di Spagna). Tuttavia, come avverr rapidamente sotto
gli Abbsidi, questa stessa islamizzazione dellImpero, che richiese circa due secoli, fu il fattore che condusse
alla ribalta altri popoli, Persiani e Turchi. Del resto, gi gli uomini di Abd al-Malik, che lo aiutarono a fondare
amministrativamente e ideologicamente lImpero, erano, in parte, dei convertiti. Robinson elenca e descrive
quindi gli interventi grazie ai quali tutto ci fu possibile, cio la creazione di un esercito professionale, di
unamministrazione centralizzata con una tassazione regolare e un fisco efficiente, nonch la messa in moto di
un processo di arabizzazione e islamizzazione che pass attraverso ladozione dellarabo nei documenti e dei
simboli islamici nellintestazione degli atti e nella monetazione. Non soltanto: laccesso ai ruoli dirigenti fu
condizionato allappartenenza alla religione islamica (al tempo largamente minoritaria) e inizi la campagna
anticristiana, ben evidente nelliscrizione del Duomo della Roccia. Il risultato fu unaccelerazione delle
conversioni, anche perch la tassazione dei non Musulmani divenne pi pesante. Una politica discriminatoria
dunque, il cui fine era di conferire carattere definitivamente islamico al nuovo Impero; in Egitto Abd al-Malik
sintromise persino nelle nomine ecclesiastiche (p. 80). Robinson afferma inoltre, e con ragione, che le fonti
arabe non sono attendibili per quanto concerne la biografia del Califfo, perch esse sono tarde e fondate sulle
tradizioni il cui primo manifestarsi, nonostante i pretesi rinvii degli asnd, da ritenersi posteriore allepoca
di Abd al-Malik (645-705): in questo egli aderisce evidentemente alla linea critica di Schacht e Juynboll. Perci
non sono attendibili le biografie che fanno del Califfo un attento studioso di tradizioni nelladolescenza trascorsa
a Medina; quel che certo tuttavia che egli si addoss, oltre allautorit politica e militare, anche quella
religiosa. Fu lui ad esempio, dopo Ibn al-Zubayr, ad esaltare la pratica del pellegrinaggio alla Mecca; infatti non
c evidenza che, alla fine del VII secolo, esso costituisse una prassi liturgica stabilita (p. 96): ai tempi di Abd
al-Malik, ortodossia e devozione non erano ancora stati codificati (p. 98). Lunicit della Mecca dottrina pi
tarda (p. 99) della fine dellVIII secolo e coincide con lo spostamento del centro dellImpero in Iraq; a suo
tempo, anche il Duomo della Roccia era simbolicamente e strutturalmente configurato per il rito della
circumambulazione (pp. 99-100). Tanto Abd al-Malik era autorit in materia di religione, che nel suo nome si
facevano le preghiere per la pioggia (p. 90); e c una lettera a lui indirizzata che lo definisce pi importante del
Profeta (p. 91); lui stesso si definiva ombra di Dio in terra (ivi). Neppure il Corano era ancora definito nella
sua forma attuale, ci avvenne sotto il suo califfato (si ricordi quanto gi detto circa la circolazione della sua
redazione definitiva per ordine perentorio di al-Hajjj) perch, se il testo fosse gi stato definito, lo stesso Abd
al-Malik vi sarebbe stato sottoposto (p. 101) non avrebbe avuto il ruolo religioso che si autoattribuiva; e, a
conferma, va ricordato che liscrizione del Duomo della Roccia non coincide esattamente con i versetti coranici
(ivi). A sostegno di questa ipotesi, Robinson fa anche notare quanto sia difficile credere che un testo cos
fondamentale potesse essere gi stabilito nel 35 anno dellEgira (Uthmn muore nel 656) quando le altre
religioni testamentarie impiegarono molto di pi per giungere alledizione ne varietur dei propri testi sacri; per
giunta Uthmn era impopolare e non disponeva di unamministrazione centralizzata per imporlo (p. 102).
Sappiamo infine che, dietro il testo finale imposto da al-Hajjj cera una strategia:Abd al-Malik aveva in animo
un programma imperiale centrato sullobbedienza a un dettato islamico preciso (p. 103). Del resto, nei discorsi
pronunciati, nelle lettere inviate in tutti i luoghi dellImpero, nella monetazione, nelle iscrizioni risalenti a lui,
evidente una propaganda diffusa con un assertivo linguaggio religioso e con una precisa piramide autoritativa (in
nome di Allh, del Quale Maometto il Profeta, per ordine del Califfo) fondata sulla retorica religiosa.
Indipendentemente dal mezzo usato (discorso, lettera, moneta, epigrafe) si crea un linguaggio formulare: la
basmala (usata sin dal 640) seguita dalla shahda nella doppia dicitura, infine dallespressione della volont
califfale (p. 118). Lordine divino naturale viene cos reificato nel dominio dinastico marwnide che diviene
perci, anchesso, un ordine naturale, espresso nella lingua araba, lingua di Dio: unideologia che trascorrer
immutata nel dominio abbside (p. 121). Sin qui Robinson, che vede perci giustamente in Abd al-Malik il
fondatore dellIslam imperiale storicamente noto, lautore indiscusso della svolta che conduce da una
frammentata e litigiosa occupazione di trib arabe dilagate nel Medio Oriente, in Asia e in Europa, ad un Impero
coeso e ideologicamente organizzato nel nome dellIslam. Su questo non c obbiezione; epper questa nostra
ricerca vuol traguardare le vicende narrate da una diversa prospettiva: quella della loro necessit ma anche della
loro inevitabile provvisoriet nellirrisolvibile rapporto dialettico con lIslam delle origini. La soluzione
omeyyade non fu transeunte soltanto per le ovvie ragioni del divenire storico; non lo fu soltanto in rapporto con
la dawla abbside, che, anzi, ne rappresenta la continuit nella normalizzazione delle spinte disgregatrici.
Quella soluzione fu transeunte perch rappresent, s, un superamento (parziale) del tribalismo degli invasori, ma
non risolse -n lo avrebbe potuto- la costante tensione dellIslam alla realizzazione in terra del tempo
messianico. Lo abbiamo gi visto analizzando la ricerca di D. Cook: Millenarismo e Apocalitticismo riemergono
costantemente dalla convinzione che i contingenti assetti politici e sociali tradiscano la realizzazione del vero
1333
Islam. Il primo nemico degli apocalittici il Musulmano che mostra accettazione del regime islamico vigente,
manca la capacit di distinguere -e perci di integrare- storia e Utopia: lUtopia si storicizza in atopia, il tratto
eterno della marginalit che lIslam assume dal lhumus giudeocristiano sul quale germin. Perci, e
conseguentemente, il regime omeyyade fu continuamente percorso dalle ribellioni shite che ne contestavano il
fondamento (cfr. supra, p. 194 sgg.); perci gi nel 717 Ab Hshim proclamato Mahd. La dialettica si
prosegue eguale a se stessa anche nel mondo shita dopo la creazione della seconda ortodossia; e si prosegue
ancora, tra una primavera e un rais. Perci questa tensione dellIslam mise fine allipotesi di un Califfo di
Dio proclamando gli ulam unici eredi del Profeta e accettando il potere politico, poi lo Stato, come puro
strumento per la realizzazione in terra della Legge divina, possibilmente del vero Islam. una storia, questa,
che ho voluto seguire -da occidentale- per tentar di portare allestrema evidenza quel dissidio che si pales, gi
nel II secolo, tra listituzionalizzazione del Messaggio e le sue ragioni, cos distanti dalle sgradevoli esigenze di
un mondo irrimediabilmente postlapsario, sulle quali galleggia ogni potere. Ma un potere umano criticabile, si
spera sempre in qualcosa di meglio; una Legge divina che pensa il Bene non lo , oppure non pi divina. Le
rivoluzioni messianiche soffrono della stessa irrazionalit di fondo di cui soffre anche la teodicea della Storia
una traguardata dalla prospettiva della Ragione una perch autoreferenziale: pensano di realizzare nella storia
luscita dalla storia (e in Occidente hanno persino sognato di esservi riusciti); pensano di poter realizzare in terra
uno stato finale di Perfezione che, se c, sta soltanto Lass come la stella polare. Altrimenti soltanto una
rvasserie che pu condurre a qualche imbarazzante risveglio.

Giunge cos al termine questa mia Rassegna, un lavoro per sua natura istituzionalmente frammentario
al quale ho tuttavia cercato di conferire unit logica e discorsiva per limportanza che assume nella concezione di
questa mia lunga ricerca, giunta cos anchessa al proprio termine. Lo scopo della rassegna, e delle Postille che
ho ritenuto di dovervi aggiungere, era fornire maggior fondamento e robustezza a quanto mi era balenato sin
dalla prima parte del lavoro, essenzialmente dedicata alle ricorrenti manifestazioni di un altro occidente e a
quanto ero andato pi recisamente affermando in Dopo e a lato. Anche se le riflessioni che emergono dalla
Rassegna sono gi state delineate nel capitolo intitolato Il senso di un percorso, mi sembra per utile tornare
sullargomento dopo le Postille; e non posso che chiedere venia se vi saranno alcune ripetizioni di quanto gi
detto, perch evidente che i temi son sempre gli stessi A volte per meglio rischiare di essere prolissi, pur di
non trascurare i dettagli.
Per raggiungere lo scopo di irrobustire limpianto della ricerca, stato dunque necessario non soltanto
fare nuovamente il punto sulle origini dellIslam, ma anche mettere in luce come queste origini avessero avuto
un ruolo determinante nellindirizzo degli ulteriori sviluppi; come cio lIslam, nel corso della propria storia,
avesse sviluppato, nelle contingenze, limpronta originaria dalla quale aveva preso inizio; come cio fosse
rimasto fedele, al di l del realismo della politica che ne plasm di volta in volta le concrete forme storiche,
allimpulso che gli diede origine. Questo impulso era nato dalle tensioni messianiche che pervadevano il
frastagliato mondo della marginalit, generato, per espulsione, dal recinto delle due grandi ortodossie
consolidatesi nei primi cinque secoli dellEra Volgare, il Cristianesimo prima, il Giudaismo rabbinico poi.
Lortodossia cristiana si era preoccupata di normalizzare la critica radicale alla datit di questo
mondo, maturata nellagitato crogiolo testamentario sin dai tempi di Qumrn e destinata ad entrare di prepotenza
nel mondo classico con lavventura terrena del Cristo: il Millenarismo e lulteriore profetismo erano stati banditi
dallorizzonte delle attese. Ho seguito questa vicenda, che ha incipit nella messa al bando della critica
gnostica, nella prima parte della ricerca, quella apparsa nelle tre edizioni del 2000, perch il mio scopo iniziale
era stato mostrare la natura ideologica del concetto di Occidente, alimentato con la costante messa al bando
delle alternative alla cultura egemone maturate nel nostro stesso occidente geografico; e mostrare il sottofondo
sociale dello scontro. Poich il pensiero nasce dallesperienza, dietro le alternative vi sempre una diversa
prospettiva, unaltra ragione che non la Ragione, pi semplicemente una ragione radicata in una
collocazione.
Questo importante quando in gioco un messaggio profetico che, per la sua natura oracolare, si
pone oltre la Ragione del Razionalismo, aperto a molte possibili interpretazioni. Oltretutto il Messaggio
testamentario fonda la sua possibile verit sulla testimonianza, in quanto lega luomo a un Dio/Persona, un
Dio/Volont, assolutamente estraneo alle ragioni della Ragione classica, che ideologia del dominio. Perci, per
la sua intrinseca pericolosit per lo status quo, esso andava ricondotto a patti con la datit del mondo al fine di
assicurarne la sopravvivenza come miraggio u-topico, attesa di un Regno celeste di giustizia. Il mondo infatti
uno stagno limaccioso che pu essere facilmente sconvolto dal soffio impetuoso dello Spirito, ma poi tende
sempre a ricomporsi, magari in un nuovo letto, dopo la tempesta: la sua stessa natura lo sottopone alla legge
della gravit. Laccomodamento fu dunque una vittoria della ragione calcolante, che tuttavia non poteva far
combaciare alla perfezione due premesse in s diverse, sicch rimasero sempre delle sconnessure nella saldatura,
destinate ad aprire la via a nuove ventate. La storia lho narrata, e, se essa ha un senso, il senso questo: ci che
lOccidente tenta di vendere come percorso planetario obbligato di una Storia abitata e diretta da una Ragione
(occidentale) che ha preso il posto del Dio testamentario, ma che, al contrario di Lui (o, se volete, delluomo con
le sue ragioni) prevedibile e circoscrivibile, non che il prodotto di una particolare vicenda storica, una come
le altre.
1334
Quanto allaltra ortodossia, che nacque in risposta alla prima, anchessa aveva certamente le proprie
ragioni, che non ho indagato perch non connesse al punto di partenza del Prologo, la possibile implosione
dellideologia occidentale in conseguenza del suo fallimento come futuro obbligato del pianeta, perch ci
svelerebbe il carattere soltanto ideologico della sua Ragione. Diciamo soltanto che lortodossia giudaica ebbe un
fondamento etnico, negando la messianicit universalista annunciata dal Cristo -e da Paolo- col risultato di
rinviare anchessa la speranza messianica a un futuro imprecisabile nel tempo, comunque ubicabile soltanto
allinterno di un popolo.
La conseguenza delle due ortodossie fu la costituzione di un mondo di apolidi esterni ai due recinti; un
mondo frastagliato di Gentili e Giudei, Giudeocristiani o minim, eterno rompicapo per lansia classificatoria di
eresiologi e Accademici. Questo mondo, che si manteneva in tutto o in parte nella Legge ma aveva creduto nel
Messia, poteva essere diviso su tutto ma era accomunato dalla convinzione che contraddistingue la marginalit:
leschaton era stato annunciato e perci era vicino e si sarebbe dovuto realizzare in un luogo e in un tempo della
storia, quando il vero mondo, sotto la guida di un nuovo inviato di Dio, avrebbe preso il posto di questo mondo
decaduto. Nacque cos, dal genio di un Profeta, la terza (e, in un certo senso, logicamente consequenziale) lettura
del Messaggio, con la sua storia di assetti temporanei, normalizzazioni, delusioni e nuove ribellioni: sempre
guidata per da un tlos che era nelle sue premesse, latopica speranza di un mondo di giustizia in terra,
dimenticando lo stato postlapsario che fa dellumanit un legno irrimediabilmente storto, che trasforma la tentata
realizzazione dellordine celeste in un disordine terreno.
C dunque un filo segreto che collega due storie in s diverse e indipendenti, un filo segreto che
viene alla luce a tratti nelle patologie dellOccidente, dalle eresie medievali allalchimia; che si mostra nella
facile influenza del pensiero maturato nelleterodossia islamica sul dissenso religioso delloccidente medievale.

La Storia di un altro Occidente, sostenuta ora dagli apporti della Quinta e della Sesta edizione, si
presenta cos come la narrazione delle vicende di un mito, quello di un mondo finale perfetto, sottratto ai disagi
della storia, e di come esso abbia alimentato per molti secoli le speranze della marginalit nelloccidente
cristianizzato, sotto forma di devianze religiose che costituirono lantecedente delle utopie sociali del mondo
secolarizzato. Narra dellopposizione che conobbe la scelta iniziale, fatta dalla nascente Chiesa di Roma, di
istituzionalizzare la propria dottrina entro gli schemi della cultura egemone -e dei ceti egemoni; dinterpretarla
cio alla luce del Razionalismo classico. Un messaggio profetico collideva necessariamente con la Ragione
classica, ed era quindi destinato ad aprire un dissenso religioso, veicolo del dissenso sociale; quella scelta si
mostr tuttavia vincente e rest al fondamento di ci che, con la secolarizzazione, divenne lideologia di
Occidente: con la O maiuscola nel testo, per distinguerla dalla ben altrimenti complessa e contraddittoria realt
delloccidente geografico.
Quella scelta ebbe due conseguenze. La prima fu, per lappunto, il fenomeno specificamente
occidentale della secolarizzazione, frutto dellidentificazione dei principi etici e sociali maturati in lunghi secoli
di Cristianesimo, con i principi di una Ragione erede di quella classica, valida erga omnes, pilastro
dellideologia di Occidente: una Ragione che non riconosce la propria genesi in una particolare storia, ma
sidentifica con il compimento della Storia tout-court, con il tlos del pianeta, rivelando cos la propria natura di
ierostoria calata in terra.
Laltra fu che quel mito, cacciato alla periferia dellImpero e delle due neocostituite ortodossie
testamentarie, ma in s inesauribile, rimase comunque ben vivo. Un messaggio profetico ha infatti una valenza
simbolica che non si esaurisce negli schemi del Razionalismo; daltronde esso era ormai uscito dal chiuso di un
popolo, e sera fatto universale. Fu cos che esso dette origine a un nuovo e originale esito: lIslam. Come ho gi
detto, un filo segreto sembra dunque legare la formazione dellideologia occidentale e il costituirsi, ai suoi
margini, di un modello sociale alternativo; un legame che appare tuttavia pi in chiaro una volta decostruita
lideologicit di due vulgat, quella occidentale e quella islamica. Non sembra un caso che, nel corso del XX
secolo, vi siano state generiche convergenze tra questa alternativa religiosa allOccidente, e le correnti di
pensiero che, in occidente, si ponevano in dissenso con gli sviluppi dellOccidente ideologico. Ma la
decostruzione della Vulgata occidentale, smentendo la pretesa di un percorso obbligato prescritto dalla Storia
al pianeta, pu aprire al via a una crisi dellOccidente: se la sua ideologia non credibile, allora non sono
credibili le sue pretese. Di pi: un percorso sottoposto ad una legge traguardabile una sottomissione alla datit,
un ritorno ad Ananke, al paganesimo. Questa storia si pu contestare testimoniando.
Questa ideologia, lassolutizzazione della nostra storica ragione in una Ragione universale fondata su
se stessa, ci fu anche di ostacolo nella comprensione di altre ragioni fondate in altre storie, divergenti eppure
intrecciate sin dalle origini con la nostra: lorientalistica ne fu un esempio. Il cosiddetto Oriente -nel nostro
caso lIslam- entra perci da protagonista nel racconto; ma tutto ci sarebbe rimasto confinato nel mondo fan
dellAccademia senza gli imprevisti sviluppi degli ultimi decenni. A partire dalla data simbolica del 1914, un
secolo di lenta erosione della forza colonizzatrice delloccidente si riflesso nel dubbio sulla sua stessa
Ragione, che aveva pensato lOccidente come traguardo del pianeta.
Lindebolimento dellOccidente non deve quindi pensarsi soltanto sul piano ristretto della forza,
esso si riflette anche sul sostegno ideologico del quale nessuna forza pu fare a meno. Le due crisi si rinviano: lo
svanire, per mancanza di forza, di un ipotetico futuro occidentale del pianeta revoca in dubbio il valore
1335
paradigmatico della Ragione occidentale autoreferenziale. Nasce cos il sospetto di una crisi dellOccidente in
grado di coinvolgere gli stessi valori che connotano il fenomeno, tutto occidentale, della Modernit. Si pu
persino sospettare che la Modernit -forse gi vecchia- sia soltanto lapprodo di una Ragione autoreferenziale
e perci senza fondamento, di una Ragione che ha perduto quindi la propria razionalit; e che lIslam, che
fonda esplicitamente la propria razionalit sul contenuto di un Messaggio, possa ricordare alloccidente qualcosa
che lOccidente ha dimenticato.
Su questi dubbi sinterroga la sesta edizione dellopera, esprimendoli nel testo; non per nostalgia di
un passato ripensato in stato onirico, ma per doveroso scetticismo verso un futuro che non sar pi quello che
avevamo pensato per il pianeta o per noi, soltanto qualche decennio addietro, e che qualcuno si finge ancora
possibile, magari dopo unennesima astuzia della Ragione. I dubbi nascono spontanei quando non si riesce a
vedere, settantanni dopo lultimo trionfo e a venticinque dallillusione di aver messo fine ai contrattempi, quale
luminoso avvenire ci riservi lattuale tendenza. Mi sembrato perci utile esporre, sia pur con le dovute riserve,
la critica di Leo Strauss; come anche, pur evitando un consenso fuor di luogo, dare spazio alla prospettiva
esterna, allocchio altro di Hallaq. Entrambe fanno tuttavia balenare unipotesi: lOccidente ormai debole,
non nelle armi, nella tecnologia o nella ricchezza, ma nel fondamento. Forse ha qualche ragione Strauss quando
denuncia la corrosione sociale portata dallimperante relativismo. Forse lOccidente ha dimenticato una cosa: si
forti non per ci che si possiede, ma per ci che si come societ. Le religioni avevano questo scopo: fondare
nuove societ in momenti di crisi, elaborando con pazienza nel tempo linafferrabile messaggio di un profeta
avvolto nel mito: le religioni, prodotto di una societ e di una storia, creavano una societ e una storia in un
saldo rapporto biunivoco. Perch una religione (ortodossa o alternativa, non importa) ipotesi di fondazione di
una societ, dei suoi costumi, del suo possibile ordine: non unopinione privata di chi crede o non crede.
Se una religione si proponeva come universale, di fatto stava formulando unipotesi di conquista
affidata ai suoi fedeli; ma se una Ragione si propone come universale, difficilmente ne trover: le ragioni sono
tante e alla Ragione non possibile credere, sarebbe un ossimoro e comunque lipotesi fu liquidata sin dal tempo
degli Scettici. Poi c la ragionevolezza, ma quella unaltra cosa, memore del significato originario di ratio,
rapporto. Ci si pu tuttavia rapportare soltanto al diverso, soltanto sinch si ha la coscienza della diversit; il
metodo razionalista di ridurre il diverso al medesimo nella dialettica quanto di pi abominevole nellapproccio
e non prelude ad esiti positivi.
Gli esiti disastrosi -politicamente disastrosi- dellOccidente interventista, possono essere giudicati in
principio come si vuole: doverosi, colonialisti, in difesa della democrazia, della pace, dei diritti umani: e chi
pi ne sa pi ne dica. Di fatto rivelano tutti una radicata incapacit di capire; e ci pu, s, dipendere dalla
miopia di inconfessati interessi contingenti, ma non soltanto: il motivo principale dei fallimenti che lideologia
di Occidente non consente di capire perch crede nella propria Ragione come metro delle cose del mondo.
Tuttavia Aristotele, che, pure, era un razionalista, ma non volgare, sapeva bene due cose: che al fondamento
del pi razionale dei procedimenti logici c sempre una arch indimostrabile; e che comunque non si pu far
cambiare atteggiamento a chi ha delle ragioni cos profondamente diverse da essere disposto a morire per
difendere la propria arch. Forse, per, lesportazione della propria Ragione da parte dellOccidente soltanto
un atto di colonialismo con al fondo un non-detto economico, almeno cos pu essere interpretata da chi non la
condivide.
LOccidente razionalista debole nel fondamento; questa non una buona notizia quando le
economie di ci che non , e non sembra disposto a divenire, Occidente (se non sul piano della tecnica)
crescono ad un ritmo pi elevato; o quando la periferia delloccidente geografico si dibatte in crisi dallesito
imprevedibile. Quando non si ha pi la forza (innanzitutto politica e culturale, ma non soltanto) di imporre come
necessari i nostri raggiungimenti a chi non li condivide, proclamare ci che si dovrebbe (ma non si pu imporre)
in nome di una astratta Ragione per nulla evidente a chi proviene da altre storie, diventa una partita a saldo
negativo.
LOccidente non dispone neppure pi dello strumento di occidentalizzazione surrettizia di quel che si
chiamava Terzo mondo, il Marxismo: lo ha divorato come Saturno i propri figli. Eppure la sua scomparsa non
ha portato grandi progressi, se mai ha dato un po alla testa come un pessimo vino; nellubriachezza c stato chi
ha delirato di essere alla fine della storia, nel gran porto dellOccidente. Quando lebetudine del soliloquio e il
delirio di potenza svanirono, rimase il circolo vizioso della produzione e del consumo che si rinviano lun laltro
perch non si pu pi far a meno della droga del PIL. Essi per trasformano lessere umano in una risorsa
umana, una cosa da sfruttare come una qualunque risorsa naturale, sicch la Ragione calcolante non si accorge di
essere divenuta sragione. LOccidente sta divorando anche se stesso. Un Profeta queste cose le capirebbe: forse,
pi che di economisti e di managers, lOccidente avrebbe bisogno di un Profeta che ne rifondasse la societ.
I due confini storici indicati da Brague per lOccidente -lIslam e il mondo ortodosso (gi marxista)-
divengono confini fragili quando altri continenti crescono e il centro del mondo si sposta dallAtlantico al
Pacifico; anche perch, se lEuropa e il Mediterraneo sono il luogo dove lecumene non occidentale ha sempre
premuto, lOccidente pi ad occidente gode di una bella vista sul Pacifico, col tempo potrebbe prediligerla; n si
sa quale sar il futuro degli WASP, che sembrano innervositi e sulla difensiva rispetto allinarrestabile crescita di
altre lingue e culture che si assimilano, modificando il paesaggio ma confermando loriginaria vocazione del

1336
luogo. LOccidente potrebbe trovarsi diviso in due ali con al centro lOriente: unipotesi geometricamente
possibile per chi si trova sulla superficie di una sfera.
Lesportazione di una cultura propedeutica allesportazione delleconomia: la nostra cultura stata
propedeutica allesportazione della finanza, detta anche globalizzazione perch la finanza a ci si presta, essendo
ideologicamente omogenea alla propria intrinseca razionalit senza frontiere. la libert, perbacco! E chi pi
libero del danaro nel suo anonimato, che non lascia neppure traccia di odore? Dietro di lui si trasferiscono le
economie e il lavoro, il danaro fa scomparire una societ dove crede e ne crea unaltra dove vuole, torna indietro
soltanto il profitto. Non il caso di difendere un pauperismo bacchettone, pi semplicemente di accorgersi di ci
che accade alle societ e di come una realt possa essere il prodotto di unideologia; e poich la realt non
eguale per tutti, unideologia pu anche generare anticorpi.
Qualcosa scricchiola, labbiamo visto sopra parlando del PIL ma certamente nessuno felice di
sentirsi loggetto di un processo incontrollabile. LOccidente ha sinora spostato lattenzione da questo stato
delluomo liberalizzando il desiderio individuale, un anestetico che si radica nel convenzionalismo -ne abbiamo
parlato a proposito di Strauss- ma che non abolisce la realt (oggettiva, si aggiungeva un tempo). E che agisce in
disgregazione del fondamento comune. Lo stesso fondamento della ricchezza in pericolo: se fare figli
divenuto un handicap per chi deve vivere per produrre, quale societ assicurer la produzione futura?
Leconomicismo ha sempre lo sguardo miope, unesperienza comune a ogni politica di potenza. Ma questo il
risultato di un pensiero che pensa lindividuo senza la societ: il contrario di ci che facevano le religioni. Perch
lindividuo senza la societ non che un numero, un oggetto del quale dispone lo Stato, che di per s
unastrazione, ma precisamente per ci un meccanismo che si presta ad essere manovrato da qualcuno. Hallaq
si domandava: perch si dovrebbe morire per lo Stato? Tanto pi che lo Stato/nazione, nel mondo globalizzato,
tende a non pi rappresentare adeguatamente il luogo della convergenza, perch non ha pi la forza, non come
prima, almeno, a causa di una finanza cosmopolita. Senza menzionare il fatto che il nazionalismo degli Stati
europei del XIX secolo aveva costituito la bandiera ideologica delle intellighentzie piccolo-borghesi; e la piccola
borghesia, ora in crisi perch impoverita dal dilagare della grande finanza apolide, che continuamente muta i
modi, i luoghi e i modelli della produzione: quindi anche le strutture sociali e la proponibilit di ideologie
passate.
Si formano cos nuovi luoghi di convergenza, nuovi ma anche antichi; quelle stesse intellighentzie
iniziano a trovare nuovi stimoli per unideologia identitaria, per quel senso di identit del quale ogni societ
necessita, per essere tale, ma che un ostacolo per il mondo anonimo indispensabile al libero, cio senza
freni, sfrenato, esercizio della finanza; e li trova nei localismi, se non anche nei tribalismi; o nella religione,
come fondamento di una cultura e di costumi identitari, cio di una societ. Ideologie contrarie allo stato delle
cose possono essere in gestazione; del resto, lo Stato altra cosa dalla patria, nome che evoca i padri nei quali
si identifica il volto di una societ; e anche una terra, cio un luogo preciso, come il tedesco Heimat, o entrambi,
come in Vaterland, dando una collocazione riconoscibile allindividuo che precisamente per questo si individua
come tale. Il carattere liquido del lavoro generato dalla vittoria della finanza necessita viceversa di un
uomo/numero, di un uomo/oggetto; come si suol dire ora senza pudore, di unanonima risorsa: ma la
dislocazione del proprio stato genera disagio. Anche il mondo islamico, che di disagio ne vive molto -e lo
dimostra con le stragi dei fondamentalisti rivolte principalmente contro tutto ci che, della loro stessa societ,
non riescono pi a comprendere- sta riscoprendo fattori di aggregazione antichi, vecchie identit: dallIran shita
(che avrei la tentazione di definire neo-safavide) al mondo turco neo-ottomano, a quello arabo wahhbita. Si
contesero il Medio Oriente, se lo contendono ancora, e c rischio che lOccidente vi si trovi coinvolto. Soltanto
il miraggio della Ragione e la teodicea storicista o del Progresso, possono far ritenere che il passato sia
passato. Il passato, come il futuro, sempre qui tra noi, per questo necessario delineare lesistenza di un
passato diverso, per iniziare a dubitare del futuro ideologico della nostra Vulgata e riprenderlo nelle nostre
mani, costruendo la nostra storia, testimoniando una verit che si crea, non adeguarsi alla cosa.

Pensare una diversa costituzione del concetto di Occidente; considerarlo unideologia, una tra le
altre allinterno di una storia pi problematica; intravvedere lipotesi di un collegamento tra la sua nascita e la
nascita dellIslam individuandone il fondamento nello scontro tra Messaggio testamentario e Ragione classica;
seguire il filo degli sviluppi alla luce di questa inconciliabilit sempre viva, ha avuto esattamente questo scopo.

Gian Carlo Benelli


18 Dicembre 2014

1337
NOTA SULLE TRASLITTERAZIONI DALLALFABETO ARABO

Luso delle traslitterazioni ha seguito tre criteri. Il primo stato quello di semplificare il pi possibile
la lettura, non destinata a specialisti, per questa ragione le enfatiche sono state traslitterate senza il loto
segno diacritico. Cos e sono traslitterate entrambe con t; e entrambe con d; e entrambe
con la s. Parimenti e sono traslitterate entrambe con h; le due lettere sono tutte trascritte con z.
Il secondo criterio, che ha portato a traslitterazioni diverse per la medesima lettera, legato alle
diverse traslitterazioni usate dai diversi Autori esaminati, che sono state conservate nei titoli e
nellesame dei relativi testi, per evitare equivoci nel lettore non specialista. Cos, ad esempio, il
stato traslitterato alternativamente con j, dj, e ; lo con sh (quasi sempre) e con .
Il terzo criterio, che interferisce con i primi due, stato quello di mantenere, ove possibile, anche nella
Rassegna bibliografica ragionata, che esclusivamente dedicata allIslam, le traslitterazioni gi usate
nelle precedenti parti del testo (pp. 1-1012).
Una citazione particolare riguarda le seguenti lettere:
stato traslitterato con kh, salvo quando nei titoli figurava come ;
stato traslitterato con gh, salvo nei titoli e allorch potesse sorgere confusione per la pronuncia
italiana del gh davanti alla e ed alla i; in tal caso stato trascritto con . Gh davanti ad i traslittera
viceversa il persiano in Ghird.
Per altre lettere che si prestano a traslitterazioni diverse, stato traslitterato con th; stato
traslitterato con dh; stato traslitterato con q.
Comunque, nei titoli e nelle citazioni letterali dagli autori, sono sempre state usate le traslitterazioni
originali, che possono essere anche altre rispetto a quelle segnalate sopra: naturalmente, salvo errori ed
omissioni.

1339
ULTERIORE BIBLIOGRAFIA
DISCUSSA O CITATA NEL CORSO DELLA RASSEGNA

ELENCO DELLE ULTERIORI ABBREVIAZIONI INTRODOTTE

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INDICE ANALITICO PER LE PAGINE 1035-1337

(sono ovviamente omessi i riferimenti a Islam e termini derivati [islamico/i, islamismo,


islamista/isti, musulmano/i] perch lintero testo dedicato a questo unico argomento)

Alawiti 1109; 1127; 1177; 1182; 1254; 1269;


1272; 1277; 1286
Abbs/idi/al-Abbs 1038; 1039; 1040; 1043; Alev/iti/ismo 1127; 1197; 1207; 1208; 1211;
1056; 1086; 1092; 1093; 1098; 1104; 1105; 1214; 1216; 1217; 1219; 1223-1224; 1238;
1107; 1108; 1109; 1111; 1112; 1113; 1114; 1246; 1247; 1248; 1249; 1252; 1253; 1254-
1116; 1118; 1122; 1123; 1130; 1133; 1138; 1257; 1258; 1269; 1273; 1277; 1278; 1285
1146; 1157; 1158; 1159; 1160; 1161; 1162; Al b. Ab Tlib, 1 Imm/Alde/i 1039;
1165; 1167; 1168; 1169; 1170; 1179; 1183; 1044; 1045; 1047; 1048; 1051; 1052; 1056;
1184; 1185; 1186; 1187; 1196; 1213; 1215; 1057; 1059; 1065; 1074; 1075; 1097; 1098;
1224; 1226; 1236; 1313; 1314; 1315; 1316; 1099; 1101; 1105; 1108; 1112; 1114; 1127;
1317; 1318; 1319; 1320; 1321; 1322; 1324; 1130; 1157; 1158; 1160; 1161; 1162; 1164;
1325; 1326; 1328; 1330; 1331; 1332; 1333 1165; 1167; 1168; 1169; 1170; 1171; 1172;
Abbs I 1211; 1212; 1216; 1222; 1223; 1225; 1176; 1178; 1179; 1180; 1182; 1183; 1185;
1226; 1229; 1232 1188; 1191; 1195; 1197; 1207; 1208; 1210;
Abbs II 1230; 1231; 1232 1211; 1212; 1213; 1214; 1215; 1216; 1222;
Abd al-Jabbr 1058; 1059 1223; 1227; 1232; 1233; 1246; 1247; 1248;
Abd al-Malik 1037; 1044; 1046; 1050; 1057; 1249; 1250; 1251; 1252; 1253; 1255; 1257;
1067; 1068; 1076; 1086; 1087; 1088; 1089; 1285; 1287; 1314; 1315; 1316; 1319; 1330
1090; 1095; 1097; 1098; 1099; 1102; 1103; Al, fratello maggiore di Isml I 1222
1104; 1130; 1156; 1157; 1315; 1316; 1317; Al al-Hd, 10 Imm 1177
1318; 1320; 1322; 1324; 1325; 1327; 1331- Al al-Rid, 8 Imm 1114; 1161; 1165;
1333 1167; 1316; 1319; 1320
Abd al-Manf 1316 Al Allh 1248; 1249
Abd al-Munabbih 1316 Al Ilh 1123; 1223
Abd al-Muttalib 1316 Al b. Muhammad al-Sammar 1163
Abd Shams (fratello di Abd al-Muttalib e Al b. Shihb al-Dn Hamadn 1215
capostipite degli Omeyyadi) 1316 Al Zayn al-bidn, 4 Imm 1162
Abdallh b. Al (zio di Al-Saffh) 1317; Amr b. Awf 1074; 1075
1318 Amr b. Mundir 1060; 1061
Abdallh b. Al (padre di Ibrhm e Amrn 1061
Muhammad detto al-Nafs al-Zakyia) 1316 Aqaba 1050; 1088
Abdallh ibn Umar 1043; 1084 Asma bint Marwn 1074
Abd Allh b. al-Hrith 1105 Awf 1068; 1072
Abd Allh ibn Masud 1098; 1101 Ayn al-Qudt al-Hamadn 1201-1206; 1217
Abdallh (b. Muhammad b. Isml b. Djafar Imrn 1061; 1062
as-Sdiq) 1184; 1186 s b. Ms (nipote di al-Mansr) 1318
Abdallh al-Aftah (figlio del 6 Imm, fratello isma 1038; 1049; 1065; 1121
di Ms e Isml) 1183; 1184; 1185; 1186 Ubayd = Abdallh al-Mahd 1182; 1183;
Abdallh ibn Masd 1098; 1099; 1101; 1184; 1185; 1186
1102 Ubayd Allh 1063
Abdallh b. Muwiyya 1161; 1176; 1179 Ubayd-Allh ibn Ziyd (governatore
Abdallh ibn Sab, Sabiti 1051; 1059; dellIraq) 1098
1160; 1180 ulam 1053; 1056; 1109; 1111; 1113; 1114;
Abdallh ibn Salm 1046; 1099 1115; 1116; 1120; 1121; 1122; 1124; 1129;
Abdallh ibn Ubayy 1067; 1070 1130; 1131; 1135; 1136; 1137; 1138; 1140;
Abdallh ibn al-Zubayr, Zubayridi 1037; 1141; 1144; 1145; 1161; 1175; 1183; 1192;
1044; 1057; 1090; 1098; 1102; 1105; 1107; 1201; 1202; 1203; 1205; 1210; 1213; 1226;
1156; 1157; 1315; 1316; 1317; 1320; 1327; 1227; 1228; 1229; 1230; 1232; 1233; 1234;
1330; 1331; 1332; 1333 1236; 1237; 1238; 1239; 1240; 1241; 1242;
Ad b.Ab l-Barakt 1252 1244; 1273; 1278; 1281; 1284; 1308; 1311;
Ad b. Musfir 1251; 1252 1316; 1318; 1320; 1321; 1322; 1325; 1330;
isha 1044; 1045; 1056; 1084; 1087; 1088; 1331
1089; 1090; 1091; 1101; 1104 Umar, 2 Califfo 1037; 1038; 1041; 1043;
Ala ad-Dawla Simnn 1214; 1215; 1216 1045; 1046; 1047; 1051; 1053; 1055; 1056;

1355
1076; 1095; 1096; 1098; 1099; 1101; 1102; 1239; 1240; 1242, 1246; 1247-1250; 1251;
1127; 1139; 1156; 1168; 1324; 1327; 1329 1252; 1253, 1254; 1256; 1258
Umar II, 1315 Ahs 1237; 1239
Urwa ibn al-Zubayr 1050; 1084; 1087; 1088; Akhbr/iti/ismo 1227; 1228; 1231; 1241
1089; 1090; 1091; 1102; 1330 al-Abbs vedi Abbsidi
Uthmn, 3 Califfo, uthmnico (testo) 1038; al-Azz 1186; 1187
1044; 1045; 1046; 1054; 1055; 1056; 1063; al-Uzz 1065
1074; 1075; 1087; 1098; 1099; 1101; 1102; al-Akhram 1190
1103; 1104; 1109; 1157; 1158; 1167; 1168; al-Amn 1318; 1320; 1321
1172; 1314; 1315; 1317; 1318; 1320; 1324; al-Ashar, asharismo/iti 1123; 1129; 1131;
1330; 1331; 1332; 1333 1132; 1141; 1252
Uthmn ibn Sad al-Amr, 1 Safr 1163; al-Ashn 1321
1170 al-Azhar 1042
Uwayn b. Sida 1074 al-Frb 1112; 1115; 1154; 1186; 1191; 1192;
1237; 1289; 1309
A al-Frq 1041; 1053; 1096
al-Furt 1286
Abramo/ico/iti/ismo 1042; 1051; 1053; 1054; al-Ghazl, Ab Hamid 1040; 1081; 1093;
1058; 1061; 1063; 1064; 1065; 1069; 1073; 1109; 1112; 1115; 1116; 1118; 1122; 1129;
1081; 1103; 1149; 1172; 1176; 1329; 1330; 1131; 1133; 1137; 1140; 1141; 1143; 1150;
1331 1151; 1152; 1154; 1159; 1173; 1198; 1200;
Ab al-Abbs vedi al-Saffh 1202; 1203; 1205; 1267; 1269; 1301; 1311
Ab Abdallh al-Sh 1185 al-Ghazl, Ahmad 1202; 1203
Ab mir 1050; 1075 al_Had al-haqq 1318
Ab s 1059 al-Hkim 1184; 1185; 1186; 1187-1189; 1190;
Ab Ubayd 1047; 1066; 1072 1191; 1192; 1207; 1284; 1285
Ab Bakr, 1 Califfo 1055; 1056; 1059; 1087; al-Hmid 1184; 1187
1090, 1101; 1102; 1122; 1149; 1150; 1156; al-Hill ( 1326, discepolo di Nasroddn Ts)
1329 1173
Ab Djafar Muhammad ibn Uthmn al- al-Hill (Muhaqqiq, 1277-78, teorizzatore
Amr, 2 Safr 1163; 1170 duodecimano del jihd) 1175
Ab Hamza 1160 al-Jannn 1176
Ab Hanfa 1129; 1130; 1132 al-Karak 1227; 1228; 1229; 1232
Ab l-Hasan Al b. Muhammad al- al-Khasib 1176; 1177; 1286
Sammar, 4 Safr 1163; 1167 al-Khattb, khattbiti/khattbiyya 1162;
Ab l-Hasan Khn, 44 Imm Ismailita 1172; 1175; 1176; 1179; 1178; 1183; 1184;
1238 1187; 1194; 1286
Ab Hshim, Hshimiti, Hshimiyya (suoi al-Kind 1318; 1319
seguaci), 1105; 1160; 1161; 1165; 1167; 1168; al-Kirmn 1184; 1185; 1187; 1188; 1189;
1183; 1316; 1317; 1318; 1319; 1334 1190; 1191; 1192; 1285
Ab Htim al-Rz 1185; 1192 al-Kulayn (Muhammad b. Yakb) 1169;
Ab Ishq al-Fazr 1047; 1127 1171; 1172
Ab Ms al-Ashar 1098; 1099; 1102 al-Mahd 1318
Ab Muslim, Abmuslimiyya 1093; 1107; al-Mamn 1114; 1124; 1138; 1316; 1318;
1111; 1161; 1167; 1169; 1172; 1179; 1181; 1320; 1321
1185; 1317; 1318; 1320 al-Mansr 1097; 1111; 1317; 1318; 1330
Ab Salama 1161 al-Muizz 1186; 1190
Ab Sufyn 1071; 1098 al-Mutasim 1320; 1321
Ab Ubayd 1047; 1066; 1072 al-Mufd 1165; 1169; 1171; 1172; 1173; 1228
Ab l-Zind 1089; 1090 al-Mukhtr 1056; 1105; 1160; 1162; 1165;
Adamo 1148; 1149; 1176; 1177; 1178; 1186; 1167; 1168; 1332
1189; 1191; 1198; 1202; 1208; 1209; 1211; al-Muqtan 1190
1223; 1247; 1248; 1249; 1250; 1251; 1252; al-Murtad 1165; 1169; 1171; 1172; 1173;
1265 1174; 1228
Adozionismo/ista 1058; 1060; 1077; 1078; al-Mustansir 1195
1079; 1082; 1097; al-Mutawakkil 1109; 1120; 1121; 1124; 1128;
Afghanistan, Afghanistn 1217; 1224; 1267 1183
Agha Khn 1182; 1238 al-Nasaf, an-Nasaf 1189; 1192; 1285
Agostino 1080 al-Qsim b. Ibrhm 1113; 1116; 1117
Ahl-i Ahmad 1288 al-Rashd 1318; 1330
Ahl-i Haqq 1197; 1207; 1208; 1209; 1210; al-Saffh (Abdallh b. Muhammad detto
1211; 1214; 1216; 1217; 1222; 1223; 1238; Ab l-Abbs ) 1158; 1161; 1317; 1318
1356
al-Tabarn 1286; 1287 at-Ts (Shaykh Ab Djafar) 1171; 1172;
al Wald (b. Abd al-Malik) 1090 1173; 1174; 1175
al-Wqid 1330; 1331 Averro 1194
al-Warrq 1051; 1111; 1114; 1118; 1119- Avicenna 1115; 1121; 1136; 1153; 1154; 1186;
1121; 1165 1189; 1191; 1192; 1193; 1197; 1198; 1201,
al-Zhir 1192 1299
al-Zuhr 1037; 1043; 1044; 1045; 1046; 1066; Aws Allh, Aws 1050; 1054; 1069; 1071; 1074
1071; 1072; 1083; 1084; 1086; 1087; 1089; Azerbaijan, Azerbaijn 1102; 1214; 1218;
1090; 1091; 1099; 1101; 1102; 1330 1223; 1238
Alamt 1105; 1108; 1112; 1127; 1150; 1156; Azraqiti, al-Azraq 1156; 1157; 1183
1163; 1173; 1177; 1179; 1182; 1192; 1193;
1195; 1196; 1198; 1207; 1211; 1256 B
alchimia/isti, alchemico 1037; 1112; 1122;
1160; 1162; 1163; 1179; 1181; 1182; 1186; Bb (Sayyid Al Muhammad detto il )
1191; 1192; 1193; 1197, 1202; 1237; 1238; Bbismo/ista/isti 1051; 1059; 1109; 1173;
1240; 1251; 1255; 1263; 1265; 1274; 1297 1175; 1197; 1207; 1209; 1210; 1216; 1229;
Alessandria (Scuola di) 1113; 1150; 1297 1233; 1234; 1235-1243; 1244; 1249; 1281;
Alessandro di Afrodisia 1274 1287; 1293
Allt 1065 Bb (Elyas/Ishq) Bbaismo/isti, Bbaysta
Alpi transilvane 1218 1217; 1218; 1223
Amr Kabr 1242 Bb Khshn 1248
an-Nashshb 1287 Bbak 1132; 1167
an-Numn 1190 Badasht 1241; 1242
Anabattisti 1256 Badr 1070; 1071; 1073; 1074; 1075; 1088;
Anas b. Mlik 1103 1089; 1119; 1157; 1195
Anatolia 1197; 1207; 1208; 1213; 1217; 1218; Baghdad 1099; 1102; 1113; 1114; 1115; 1120;
1219; 1220; 1221; 1222; 1224 1122; 1130; 1131; 1132; 1138; 1163; 1165;
Anbr 1097 1168; 1172; 1173; 1213; 1264; 1267; 1269;
Andalusia 1132; 1146; 1147 1286; 1297; 1320; 1321
Anjudn 1196; 1211 Bah 1180; 1229; 1234; 1235; 1238; 1239;
Ankara 1218 1242; 1256; 1258; 1262; 1277; 1278; 1283
Ansr 1045; 1047; 1050; 1055; 1056; 1066; Bahr 1045; 1099; 1104
1068; 1069; 1070; 1071; 1072; 1074; 1075; Bahrain 1108; 1157; 1158; 1184; 1185; 1187;
1102; 1157; 1332 1226; 1227
Apocalittica/ico/icismo 1038; 1040; 1041; Balcani/ico 1218; 1219; 1253; 1256; 1257;
1048; 1049; 1058; 1077; 1079; 1081; 1082; 1258; 1290
1083; 1085; 1093; 1096; 1097; 1103; 1104- Bal 1074
1111; 1123, 1124; 1125; 1128; 1132; 1135; Bandar Abbs 1230
1138; 1144; 1145; 1147; 1157; 1159; 1164; Bar Kokhba 1329
1166; 1171; 1172; 1173; 1174; 1189; 1207; Barmakidi 1318
1216; 1220; 1233; 1285; 1325; 1333 Barnaba 1079
Apocrifi 1041; 1042; 1046; 1061; 1062; 1065; Barocco 1260
1076; 1081; 1082; 1098; 1099; 1100; 1182; Basra, Bassora 1047; 1056; 1102; 1159
1285; 1325; 1327; 1328; 1329 Btin/ismo/isti 1077; 1137; 1140; 1178; 1181;
Apostolici 1269 1192; 1198; 1202; 1205; 1206; 1215; 1236
Aq Quynl 1197; 1212; 1213; 1214; 1217; Bayniyya 1162; 1167
1219; 1224; 1227 Bayazid II 1219; 1220; 1224
Arabia, Saudita 1046; 1051; 1052; 1053; Bedreddn 1217; 1218-1219; 1253
1054; 1057; 1060; 1063; 1064; 1065; 1066; Bektsh (Hj), Bektsh/ismo/iyya 1197;
1067; 1068; 1075; 1094; 1103; 1158; 1159; 1204; 1207; 1208; 1210; 1211; 1214; 1216;
1166; 1226; 1241; 1281; 1312; 1314; 1319; 1217; 1219; 1220; 1221; 1223-1224; 1246;
1329 1247; 1248; 1249; 1250; 1253; 1254-1257;
Ardabl 1216; 1217; 1219; 1221; 1224; 1226 1277
Ardashr 1118; 1137; 1140; 1234 Benymin 1249
Ario, ariano/esimo 1079; 1080; 1095 Berbero/i 1158; 1187; 1189
Aristotele 1041; 1107; 1113; 1115; 1122; Bisanzio, Bizantino/i 1035; 1037; 1041; 1045;
1136; 1151; 1152; 1194; 1267; 1268; 1289; 1050; 1051; 1054; 1055; 1057; 1060; 1063;
1336 1067; 1075; 1078; 1093; 1095; 1096; 1097;
Armenia, armeni 1097; 1102; 1134; 1146; 1104; 1106; 1112; 1113; 1123; 1132; 1138;
1147; 1217; 1219; 1222; 1249 1189; 1211; 1213; 1269; 1276; 1314; 1326;
Aronne 1061 1332
asbb al-nuzl, al-nuzl 1046; 1048 Bistm 1121; 1202; 1205; 1216; 1285
1357
Bogomili 1253 1104; 1105; 1106; 1107; 1108; 1109; 1112;
Bhme 1117; 1265 1113; 1118; 1119; 1121; 1123; 1125; 1126;
Brklce 1218 1132; 1134; 1135; 1136; 1137; 1139; 1140;
Brague 1265; 1268; 1336 1141; 1142; 1143; 1145; 1146; 1147; 1148;
Buddhismo/ista/i 1214, 1248; 1249; 1254; 1149; 1150; 1152; 1153; 1154; 1156; 1157;
1256 1167; 1169; 1172; 1173; 1177; 1178; 1179;
Bukhr 1043; 1101; 1102; 1103; 1110; 1122; 1180; 1181; 1182; 1183; 1186; 1197; 1188;
1210; 1294; 1305; 1307 1192; 1196; 1200; 1203; 1208; 1209; 1210;
Bulgaria, Bulgari 1218; 1253 1211; 1218; 1219; 1220; 1221; 1223; 1239;
Bursa 1220 1240; 1241; 1247; 1248; 1249; 1253; 1254;
Byidi/e 1112; 1114; 1115; 1130; 1132; 1165; 1256; 1257; 1258; 1260; 1261; 1262; 1263;
1166; 1168; 1172; 1174; 1175; 1177; 1228; 1264; 1265; 1267; 1268; 1269; 1271; 1275;
1319; 1321; 1324 1282; 1286; 1287; 1291; 1295; 1296; 1297;
Buzurg Ummd 1196 1298; 1321; 1324; 1325; 1326; 1327; 1328;
1329; 1330; 1331; 1332; 1334; 1335
C Cneyd 1218
Curdi, vedi Kurdi
Cairo (il) 1132; 1138; 1184; 1185; 1186; 1187;
1188; 1190; 1192; 1195; 1196; 1318 D
Cappadocia 1219
Cartesio 1267 Dajjl 1107
Catari/ismo 1038; 1077; 1082; 1191; 1253 Damascio 1200
Cehelten 1223 Dnishmend 1219
Cerinto/iani 1077; 1078 Danubio 1218
Cesarea 1079 Daraz 1189; 1190; 1191
Chldirn 1219; 1220; 1222; 1224; 1247 dawla 1307
Chios 1188; 1218 Dervisci 1202; 1208; 1212; 1217; 1218; 1241;
Cilicia 1217 1250; 1254
Cipro 1134; 1146; 1147; 1149 Djbir ibn Hayym, djbiriano/a (sistema,
Compagni !037; 1038; 1046; 1047; 1048; alchimia) 1162; 1163; 1179; 1181; 1182; 1186;
1049; 1055; 1056; 1083; 1084; 1093; 1094; 1191; 1192; 1237
1096; 1100; 1101; 1124; 1127; 1129; 1133; Djbir b. Yazd al-Djuf 1162; 1176; 1179;
1134; 1136; 1141; 1147; 1153; 1175; 1177; 1286
1180; 1181; 1271; 1280; 1292; 1295; 1315 Djafar (zio di Junayd) 1217; 1219
Corano 1036; 1037; 1038; 1041; 1042; 1043; Djafar (fratello del 1 Imm, djafaridi (suoi
1044; 1045; 1046; 1047; 1048; 1049; 1050; discendenti) 1161
1051; 1052; 1053; 1054; 1055; 1056; 1058; Djafar (fratello dell11 Imm), djafariti
1059; 1060; 1061; 1062; 1063; 1064; 1065; (sostenitori del suo immato) 1161; 1162;
1066; 1068; 1069; 1072; 1075; 1076; 1079; 1170; 1171; 1181
1082; 1083; 1087; 1089; 1090; 1093; 1094; Djafar Badakhsh 1215
1098; 1099; 1100; 1101; 1102; 1103; 1104; Djafar as-Sdiq (6 Imm), djafarita
1105; 1106; 1107; 1110: 1112; 1113; 1114; (scuola) 1127; 1161; 1162; 1163; 1164; 1182;
1116; 1119; 1120; 1121; 1122; 1124; 1125; 1183; 1184; 1219
1127; 1128; 1129; 1130; 1131; 1133; 1137; Djrditi 1162
1139; 1140; 1141; 1142; 1144; 1145; 1148; Docetismo/ista 1078; 1148; 1149; 1176; 1180;
1150; 1156; 1157; 1159; 1161; 1164; 1167; 1191; 1203; 1219; 1287
1168; 1171; 1172; 1173; 1179; 1180; 1182; Dolciniani 1269
1183; 1190; 1194; 1195; 1203; 1205; 1206; Donatisti 1081
1208; 1209; 1210; 1215; 1236; 1239; 1247; Drusi 1127; 1142; 1155; 1176; 1178; 1182;
1272; 1276; 1278; 1280; 1292; 1293; 1294; 1186; 1189-1191; 1195; 1208; 1269; 1274;
1301; 1305; 1306; 1307; 1310; 1314; 1316; 1277; 1284; 1285; 1286; 1287
1319; 1320; 1321; 1324; 1326; 1327; 1328; Duodecimano/i/a/e 1048; 1052; 1108; 1109;
1329; 1330; 1333 1112; 1114; 1115; 1122; 1125; 1126; 1127;
Costantinopoli 1269; 1297 1146; 1147; 1156; 1160; 1161; 1164; 1165;
Cristo/ico/iani/ianesimo 1036; 1038; 1039; 1166; 1167; 1168; 1169; 1170; 1171; 1172;
1040; 1041; 1042; 1043; 1044; 1045; 1046; 1173; 1174; 1175; 1177; 1178; 1179; 1180;
1049; 1050; 1051; 1052; 1055; 1057; 1058; 1181; 1182; 1183; 1184; 1185; 1192; 1194;
1059; 1060; 1061; 1062; 1063; 1064; 1065; 1197; 1207; 1212; 1214; 1215; 1216; 1221;
1067; 1068; 1072; 1073; 1075; 1076; 1077; 1222; 1223; 1224; 1225; 1227; 1228; 1229;
1078; 1079; 1080; 1081; 1082; 1083; 1085; 1232; 1233; 1235; 1236; 1240; 1244; 1246;
1086; 1094; 1095; 1096; 1097; 1098; 1099; 1256; 1258; 1271; 1272; 1286; 1287; 1319
Dyarbakir 1217
1358
E Gerusalemme 1037; 1038; 1041; 1044; 1046;
1052; 1058; 1059; 1067; 1069; 1096; 1097;
Ebioniti 1045; 1051; 1057; 1076; 1077; 1079; 1098; 1106; 1134; 1195; 1233; 1267; 1268;
1080 1273; 1298; 1324; 1325; 1326; 1327; 1328
Ebrei/ebraico/ismo 1042; 1043; 1045; 1046; Ges 1042; 1043; 1052; 1058; 1061; 1062;
1049; 1051; 1052; 1057; 1058; 1059; 1060; 1064; 1078; 1079; 1080; 1082; 1086; 1106;
1065; 1068; 1069; 1074; 1078; 1079; 1080; 1107; 1148; 1149; 1150; 1172; 1176; 1177;
1082; 1091; 1096; 1097; 1099; 1101; 1126; 1178; 1180; 1209; 1211; 1219; 175; 1284; 1285;
1145; 1172; 1209; 1220; 1229; 1297 1314; 1328; 1329
Eckhart 1265; 1289 Gesuita/i 1269
Edessa 1097 Ghassnidi 1050; 1054; 1075; 1095; 1096
Egira 1040; 1047; 1066; 1071; 1072; 1075; Ghatafni 1065
1089; 1098; 1098; 1156; 1159; 1160; 1183; Ghayba 1162; 1171; 1180; 1241
1239; 1318; 1323; 1333 Ghzn Khn 1146
Egitto 1055; 1057; 1062; 1097; 1106; 1130; Ghird Kh 1211
1150; 1185; 1196; 1218; 1267; 1272; 1274; ghuluww, ghult 1052; 1119; 1160; 1161;
1332; 1333 1162; 1163; 1165; 1166; 1167; 1169; 1170;
Elchasaiti/a/ismo 1051; 1057; 1059; 1060; 1171; 1175; 1176; 1178; 1179; 1180; 1181;
1077; 1078; 1328 1182; 1183; 1184; 1189; 1190; 1207; 1208;
Eldad ha Dani 1051 1209; 1210; 1214; 1221; 1222; 1223; 1235;
Elipando da Toledo 1058 1242; 1243; 1247; 1248; 1249; 1250; 1251;
epistme 1040; 1151; 1152; 1154; 1194; 1260; 1252; 1255; 1256; 1257; 1264; 1286; 1319
1266 Giacobbe 1038; 1058
Eraclio 1293 Giacomo (apostolo) 1329
Eraclito 1259 ln 1212; 1217
Erzincan 1217; 1219; 1220 Gioachimismo 1285
Erzurum 1217 Giordania 1097
Etiopia 1062; 1063 Giovanni bar Penkaye 1329
Etrk 1219;1220 Giovanni Damasceno 1044; 1103; 1326; 1327
Girolamo (San) 1080
F Giudeo/i, giudaico, Giudaismo, giudaizzante
1036; 1038; 1039; 1041; 1042; 1043; 1044;
Fakr ad-Dn 1250 1045; 1046; 1048; 1049; 1050; 1051; 1052;
Fardoddn Attr 1197; 1199; 1202; 1252 1053; 1054; 1055; 1057; 1058; 1059; 1060;
Fascismo/ista 1279; 1282; 1288; 1289; 1290 1061; 1062; 1063; 1064; 1066; 1067; 1068;
Ftima 1160; 1161; 1164; 1171; 1174; 1177; 1069; 1070; 1071; 1072; 1073; 1074; 1075;
1184; 1240; 1242 1076; 1077; 1078; 1079; 1080; 1081; 1082;
Ftima Baraghani 1241; vedi Qurratu l- 1083; 1086; 1088; 1094; 1095; 1096; 1097;
Ayn 1098; 1099; 1100; 1104; 1105; 1106; 1109;
Ftimidi/e 1112; 1127; 1159; 1161; 1165; 1112; 1121; 1134; 1135; 1137; 1140; 1141;
1167; 1178; 1182; 1184-1193; 1195; 1196; 1142; 1143; 1146; 1147; 1148; 1149; 1152;
1208; 1212; 1213; 1236; 1274; 1284; 1285; 1156; 1166; 1177; 1180; 1181; 1182; 1186;
1287; 1318 1187; 1188; 1192; 1210; 1218; 1261; 1262;
Fazlullh Astarbd 1203; 1207-1211 (= 1263; 1264; 1271; 1275; 1276; 1286; 1296;
Hurfiti) 1215; 1216; 1248 1297; 1298; 1324; 1325; 1327; 1328; 1329;
Felice di Urgel 1058 1330; 1334; 1335
Filone di Alessandria 1192; 1197; 1200; 1296 giudeo-arabo 1052
fondamentalismo/isti/ista 1110; 1116; 1121; Giudeocristiano/i/esimo, giudaico-cristiano/i
1124; 1125; 1131; 1132; 1134; 1135; 1136; 1035; 1036; 1038; 1040; 1045; 1046; 1049;
1138; 1140; 1143; 1147; 1154; 1276; 1280; 1050; 1051; 1055; 1057; 1058; 1059; 1060;
1284 1062; 1063; 1064; 1068; 1069; 1070; 1073;
Francescani 1269 1076; 1077; 1078; 1079; 1080; 1081; 1082;
Frankisti 1051 1083; 1094; 1097; 1104; 1105; 1110; 1124;
1147; 1186; 1257; 1279; 1296; 1319; 1322;
G 1324; 1325; 1328; 1329; 1331; 1335
Giudeo-musulmano/i, giudaico-musulmano
ahm ibn Safwn, ahmiti 1112; 1122; 1125; 1049; 1051; 1059
1132; 1133; 1140 Giuseppe da Copertino (San) 1257
Gengis Khn, gengiskhnide 1147; 1149 Giuliano (Imperatore) 1080
Georgia, georgiani 1061; 1112; 1134; 1146; Giustino 1076; 1077; 1079
1224; 1226 Gnostico/i/ismo 1035; 1038; 1040; 1042;
1043; 1048; 1051; 1057; 1058; 1059; 1062;
1359
1064; 1077; 1078; 1079; 1080; 1081; 1082; Hijz 1044; 1050; 1052; 1064; 1067; 1094;
1083; 1097; 1099; 1107; 1109; 1113; 1115; 1097; 1100; 1104; 1107; 1129; 1158; 1159;
1116; 1117; 1125; 1127; 1146; 1160; 1161; 1227; 1261; 1324; 1325; 1326; 1330; 1332
1162; 1163; 1164; 1165; 1166; 1167; 1169; Hra 1050; 1054; 1060; 1063; 1097; 1103
1171; 1173; 1174; 1176; 1179; 1180; 1181; Hishm (b. Abd al-Malik) 1099
1182; 1186; 1191; 1195; 1201; 1202; 1203; Hishm b. Urwa 1044; 1074; 1088; 1089;
1204; 1205; 1208; 1225; 1229; 1230; 1231; 1090; 1091; 1120
1237; 1241; 1244; 1146; 1254; 1256; 1258; Hishm b. al-Hakam 1120; 1161; 1164; 1165;
1262; 1265; 1269; 1274; 1275; 1286; 1287; 1166
1288; 1299; 1329 Hw al-Balkh 1121
Grande Resurrezione (anche: Resurrezione Hobbes 1086; 1119; 1266; 1311
[in senso esoterico]) 1105; 1108; 1112; 1164; Hudaibiya, Hudaybiya, Hudaybiyya 1050;
1177; 1179; 1186; 1193; 1194; 1195; 1196; 1054; 1071; 1088; 1089; 1091
1197; 1198; 1199; 1201; 1209; 1231; 1236; Hudhayfa 1102
1237; 1241; 1284; 1285 hull 1119; 1189; 1252; 1256; 1257
Grn 1223; 1247; 1248 Hunayn b. Ishq 1118; 1148
Hurfiti 1109; 1127; 1179; 1197; 1204; 1207-
H 1211; 1212; 1214; 1216; 1218; 1219; 1239;
1241
Hfez 1199 Husayn (3 Imm), husaynidi 1056; 1105;
Hagar 1054 1160; 1161; 1162; 1172; 1176; 1183; 1211;
Hajjj, al 1046; 1047; 1098; 1099; 1102; 1216; 1231; 1332
1103; 1325; 1332; 1333 Husayn ibn Ms 1172
Hallj/halljano 1115; 1163; 1170; 1176; Huwayza 1212
1183; 1200; 1201; 1202; 1203; 1204; 1216;
1218; 1219; 1223; 1231; 1251; 1252; 1254; I
1257; 1285; 1303; 1318
Hamza 1189; 1190; 1191 Ibditi/ismo, Ibn Ibd 1056; 1125; 1156-
Hanafiti/ismo (vedi anche Ab Hanfa) 1121; 1159; 1252
1122; 1124; 1126; 1127; 1128; 1129; 1130; ibd 1189; 1194
1131; 1133; 1139; 1141; 1159; 1164; 1215; Ibls (vedi anche Satana) 1200; 1202; 1203;
1292 1233; 1251; 1252
Hanbalismo/iti, Ibn Hanbal 1043; 1046; Ibn Abbs (Abdallh) 1043; 1045; 1091;
1086; 1100; 1112; 1114; 1115; 1122; 1123; 1092; 1161; 1168; 1315; 1316
1124-1125; 1126; 1127; 1128-1129; 1130; Ibn Abd al-Wahhb, Wahhbismo/ista
1131-1136; 1137; 1139; 1140; 1141; 1142; 1116; 1131; 1132; 1134; 1135; 1142; 1143;
1143; 1144; 1145; 1146; 1147; 1148; 1150; 1144; 1269; 1278; 1279; 1281; 1337
1154; 1161; 1164; 1181; 1183; 1185; 1201; Ibn Arab 1132; 1136; 1150; 1199; 1201;
1293; 1295; 1304; 1307; 1308; 1310; 1316; 1206; 1207; 1209; 1215; 1219
1320; 1321; 1322; 1325 Ibn Bbya 1169; 1171; 1172
Hanf/iti/iyya, Hunaf 1050; 1053; 1063; Ibn Ba 1109; 1115; 1191
1065; 1081 Ibn Battta 1140
Harithiti 1179 Ibn Hanbal: vedi Hanbalismo
Harrn 1097; 1133 Ibn Hishm 1330
Harriti, Harr 1157; 1158 Ibn Ishq (Muhammad) 1039; 1043; 1046;
Hasan (2 Imm), hasanidi 1105; 1107; 1053; 1063; 1066; 1069; 1070; 1071; 1072;
11567; 1160; 1161; 1162; 1176; 1316; 1318 1088; 1089; 1090; 1091; 1097; 1313; 1330
Hasan II (Signore di Alamt) 1196; 1207 Ibn Kalb 1064; 1065
Hasan III (Signore di Alamt) 1195 Ibn Khaldn 1096; 1099; 1129
Hasan al-Askar, 11 Imm 1162; 1169; Ibn Masd (Abdallh) 1098; 1099; 1101;
1170; 1172; 1173; 1176; 1177 1102
Hasan al-Bann 1279 Ibn Mujhid 1102
Hasan-i Sabbh 1190; 1192; 1195; 1196; Ibn (al-) Muqaffa 1051; 1111; 1112; 1113;
1274; 1287 1114; 1116-1118; 1318
Hshim, figlio di Abd al-Manf, capostipite Ibn Qayyim al-awziyya 1145
degli Hshimiti (Abbsidi e Aldi); Ban Ibn Qudma 1131; 1133
Hshim 1316 Ibn Qutayba 1101; 1103
Haydar (Safavide) 1217; 1219; 1221; 1222; Ibn al-Rwand 1051; 1111; 1112; 1114;
1224; 1247 1118; 1119-1121; 1122
Haydar Aml 1207 Ibn Sad 1047; 1101; 1102; 1127
Hebron 1096 Ibn Shabba 1101; 1102
Hegel/hegeliano 1266; 1277
1360
Ibn Taymiyya 1035; 1040; 1041; 1043; 1047; Isml I 1217; 1219; 1220; 1221; 1222; 1223;
1048; 1051; 1081; 1112; 1116; 1124; 1131; 1224; 1226; 1227; 1269
1132-1155, 1157; 1174; 1175; 1176; 1177; Isml II 1225; 1226; 1232
1181; 1193; 1199; 1200; 1201; 1204; 1206; Ismailismo/iti/ita 1035; 1051; 1105; 1108;
1208; 1267; 1269; 1276; 1279; 1280; 1281; 1109; 1112; 1115; 1119; 1122; 1129; 1130;
1292; 1307; 1308; 1309; 1319; 1322; 1325 1132; 1142; 1146; 1147; 1150; 1152; 1153;
Ibn Tufayl 1287 1155; 1156; 1160; 1162; 1163; 1164; 1166;
Ibrhm (safavide, figlio di Khwja Al e 1168; 1169; 1170; 1171; 1172; 1173; 1174;
padre di Junayd) 1217; 1221 1175; 1176; 1177; 1178; 1180; 1181; 1182;
Ibrhm b. Abdallh (ribelle con il fratello 1183; 1184; 1185; 1186; 1187; 1189; 1190;
Muhammad contro gli Abbsidi nel 762) 1191; 1192; 1193; 1195; 1196; 1197; 1198;
1123; 1161 1199; 1200; 1201; 1202; 1206; 1207; 1208;
Ibrhm b. Al (zio di al-Saffh) 1317 1210; 1211; 1212; 1214; 1215; 1216; 1217;
Ibrhm b. Muhammad (Abbside, leader 1221; 1226; 1231; 1233; 1236; 1237; 1238;
della rivoluzione) 1161; 1316; 1317; 1318 1239; 1240; 1241; 1246; 1247; 1248; 1249;
Ibrhm Zid ln (Maestro di Saf ad-Dn) 1251; 1252; 1255; 1271; 1272; 1274; 1277;
1217 1281; 1284; 1285; 1287; 1297; 1322
Iconio 1079 Israele 1080; 1137; 1290
ijm, ima 1075; 1127; 1141 Isrfil, Isrfl 1249; 1327
ijtihd 1127; 1143; 1144; 1145; 1227; 1228; Istanbul 1269
1229 ittihd/ismo/ista/ittihdya 1136; 1146; 1151;
Ikhwn as-Saf 1115; 1133; 1161; 1181; 1199; 1200; 1208; 1287
1182; 1186; 1191; 1192; 1193; 1197; 1231; ittisl 1287
1237 Izrl 1249; 1250
lkhnidi 1146; 1147; 1175; 1196; 1197; 1207;
1210; 1211; 1212; 1215; 1217; 1221 J
Illuminismo/isti/ista 1080; 1117; 1221; 1260;
1265; 1268; 1270; 1276; 1277; 1281; 1296; Jahn Shh 1213; 1214
1297; 1301 jhiliyya 1036; 1060; 1063; 1314; 1317; 1319;
Immiti/ita/ismo 1115; 1120; 1121; 1122; 1331
1126; 1127; 1156; 1160; 1161; 1162; 1163; Jahjab 1074
1164; 1165; 1166; 1168; 1169; 1170; 1171; Janhiti, Janhiyya 1179; 1181
1173; 1175; 1180; 1181; 1183; 1184; 1207; Jamshd 1211
1214; 1215; 1226; 1229; 1232; 1244; 1285; Jibrl (nonno di Saf ad-Dn) 1248
1286 Jibrl (angelo, nelle cosmogonie degli Ahl-i
Insn al-Kmil 1169; 1173; 1191; 1196; 1198; Haqq e degli Yezdi) 1249; 1250; 1251; 1253;
1200; 1207; 1209 1254
Iran, iranico, iraniano, iranismo 1041; 1046; jihd 1042; 1057; 1096; 1100; 1106; 1110;
1094; 1100; 1103; 1105; 1111; 1113; 1114; 1134; 1140; 1143; 1144; 1145; 1147; 1149;
1115; 1116; 1117; 1119; 1123; 1130; 1132; 1175; 1232; 1234; 1242; 1281; 1312
1146; 1147; 1164; 1166; 1167; 1169; 1170; jizya 1097; 1098; 1145; 1146
1173; 1174; 1181; 1185; 1186; 1187; 1189; Judhm 1069
1190; 1192; 1199; 1200; 1207; 1210; 1211; Junayd 1216; 1217; 1219; 1221; 1222
1212; 1213; 1214; 1223; 1224; 1225; 1226;
1227; 1228; 1230; 1232; 1233; 1234; 1235; K
1237; 1241; 1243; 1244; 1249; 1250; 1252;
1257; 1258; 1269; 1280; 1288; 1289; 1300; Kab b. al-Ahbr 1046; 1051
1301; 1318; 1319; 1322; 1337 Kab b. al-Ashraf 1070; 1071
Iraq, iraqeno, irakeno 1046; 1055; 1056; Kaba 1053; 1054; 1060; 1064; 1098; 1108;
1065; 1098; 1099; 1102; 1106; 1129; 1156; 1331; 1332
1214; 1217; 1224; 1227; 1247; 1258; 1290; Kadja 1045; 1060
1318; 1332 Kfir/n, Kuffr 1064; 1069; 1073; 1081;
Ireneo 1057; 1076; 1077; 1082; 1113; 1117; 1096
1154; 1160 Kk 1247; 1249; 1258
Isaac Luria 1172 Kalm 1112; 1113; 1123; 1128; 1129; 1131;
Ishq b. Hunayn 1118; 1269 1134; 1141
Ishq Khuttaln 1215 Kalimatullh (figlia di Fazlullh Astarbd,
ishrq (teosofia) 1035; 1040; 1111; 1117; rivoluzionaria hurfita detta Qurratu l-Ayn
1135; 1230; 1236; 1261; 1263; 1265 come la rivoluzionaria bbista Ftima
Ismaele 1053; 1054; 1058 Baraghani) 1208; 1209
Isml (b. Djafar as-Sdiq) 1162; 1164; Kant/kantiano 1151; 1152; 1260; 1265
1168; 1182; 1183; 1184; 1188 Karbal 1223; 1239; 1332
1361
Karm Khn Kirmn 1239 1238; 1240; 1241; 1242; 1251; 1257; 1266;
Kaysn/iti/ita/iyya 1160; 1162; 1167; 1169; 1334
1216; 1236 Majlis (Muhammad Bqir) 1231; 1232
Kenia 1267 Majlis (Muhammad Taq) 1231; 1232
Kermanshh 1242; 1249 Majlis (famiglia) 1232
Khlid b. Yazd 1251 malmat/iyya 1199; 1203; 1206; 1218; 1263;
Khalvatya 1220 1265
Khamenei 1244 Mlik (b. Anas), Mlikismo/iti 1046; 1047;
Khn Atech 1248 1084; 1123; 1126; 1127; 1128; 1129; 1138;
Khandaq 1070; 1071; 1073; 2074; 1088 1141; 1159; 1192; 1210
Khridjiti/a/ismo 1038; 1044; 1048; 1051; Mamelucchi 1133; 1142; 1146; 1147; 1181;
1052; 1056; 1057; 1116; 1122; 1125; 1126; 1331
1136; 1140; 1143; 1144; 1156-1160; 1164; Mant 1065
1166, 1183; 1197; 1215; 1246; 1252; 1271; Mani/Manicheo/i/ismo/isti 1035; 1050; 1051;
1272; 1281; 1292; 1315; 1318; 1322; 1327; 1062; 1063; 1072; 1073; 1075; 1081; 1097;
1332 1103; 1111; 1114; 1116; 1117; 1118; 1119;
Khatam 1289 1120; 1121; 1123; 1166; 1180; 1184; 1249;
Khwandegr 1248; 1249 1251; 1256; 1271; 1314; 1319; 1328; 1330
Khaybar 1054; 1055; 1070; 1071 Manierismo 1260
Khazra 1050; 1054; 1067; 1069; 1070; 1074 Mansriti/iyya 1162; 1167; 1179
Khomeyni/ista/ismo 1174; 1181; 1232; 1233; Maometto 1038; 1039; 1042; 1043; 1045;
1234; 1237; 1243; 1244; 1269 1046; 1049; 1050; 1052; 1053; 1060; 1061;
Khudabandeh 1226; 1232 1063; 1066; 1067; 1068; 1069; 1070; 1071;
Khursn 1110; 1111; 11123; 1220; 1224; 1072; 1073; 1076; 1079; 1082; 1088; 1096;
1254 1100; 1101; 1103; 1104; 1106; 1107; 1109;
Khurshh (ultimo Signore di Alamt) 1196 1136; 1147; 1148; 1149; 1166; 1167; 1172;
Khzistn 1212; 1213 1177; 1178; 1183; 1186; 1202; 1210; 1215;
Koja 1182 1217; 1240; 1241; 1246; 1247; 1248; 1250;
Konya 1217; 1219 1253; 1284; 1285; 1287; 1294; 1295; 1314;
Kosovo 1218 1324; 1325; 1326; 1327; 1328; 1329; 1330;
Kubrwiyya 1204; 1214; 1215 1332
Kfa 1047; 1055; 1056; 1097; 1098; 1102; Mar Nero 1218
1159; 1250; 1332 Marcionismo 1043
Kufr 1073; 1175 Maria (madre di Ges) 1042; 1061; 1062;
Kurdi, Kurdistan, Curdi 1222; 1223; 1242; 1177
1247; 1248; 1252 Marja-i Taqld, marjaiyya 1233; 1243;
Kurramiti 1132 1244
Kwja Al 1221; 1222 Maria (sorella di Mos) 1061
Marwn ibn al-Hakam (cugino di Uthmn),
L marwnidi 1098; 1102; 1251; 1316; 1317;
1324; 1331; 1332; 1333
Lacan 1267; 1296 Marwn II (ultimo Omeyyade) 1317; 1318
Lhj 1197; 1198; 1201; 1206; 1226; 1227; Marx/ismo 1282; 1287; 1301; 1308; 1336
1287 Masd 1060
Lakhmidi 1050; 1054; 1060; 1069; 1097 Mashad 1211; 1226
Llish 1250; 1251; 1252 Massoneria 1234; 1255; 1256
Leotardo 1293 Mawdud 1244; 1279
Libero Spirito 1150; 1265; 1285; 1297 Mzandarn 1212; 1242
Lokman Perende 1254; 1257 Mazdak/ismo/iti 1051; 1054; 1057; 1063;
1167; 1170; 1172; 1314
M Mazdeo/i/ismo 1060; 1063; 1111; 1112; 1113;
1117; 1118; 1249; 1250; 1256
Marash 1211 Meandro (fiume) 1218
Maghz 1046; 1089 Mecca (la), meccano 1037; 1038; 1039; 1044;
Maghreb, maghrebino 1147; 1158; 1159; 1050; 1052; 1054; 1056; 1060; 1061; 1063;
1184; 1185; 1186 1065; 1067; 1069; 1071; 1073; 1074; 1083;
Mahd, mahdismo 1105; 1107; 1108; 1110; 1088; 1089; 1090; 1096; 1098; 1100; 1102;
1164; 1167; 1169; 1171; 1172; 1174; 1182; 1103; 1105; 1119; 1130; 1178; 1179; 1190;
1183; 1184; 1185; 1186; 1187; 1188; 1189; 1239; 1292; 1293; 1315; 1327; 1328; 1331;
1207; 1209; 1210; 1211; 12121214; 1215; 1332; 1333
1216; 1219; 1220; 1221; 1222; 1225; 1228; Medina, al-Mdina (vedi anche Yathrib)
1229; 1230; 1232; 1233; 1234; 1236; 1237; 1039; 1045; 1047; 1050; 1054; 1055; 1056;
1362
1060; 1064; 1065; 1066; 1076; 1082; 1083; Mufaddal ibn Umar al-Djuf, mufaddaliyya
1088; 1096; 1098; 1099; 1100; 1101; 1102; 1162; 1163; 1175; 1179; 1184; 1286
1103; 1292; 1293; 1295; 1315; 1323; 1326; Muiriti 1162; 1167; 1169; 1252
1328; 1330; 1332; 1333 Muhjirn 1055; 1056; 1066; 1069; 1070;
Medina (c.d. Costituzione di ) 1051; 1066- 1071; 1073; 1074; 1157; 1178; 1332
1075; 1076; 1081; 1087; 1090; 1093; 1324 Muhakkama 1252
Mehmed I 1218 Muhammad, presunto figlio di Hasan al-
Melek Tws 1223; 1250; 1251; 1252; 1253; Askar, 12 Imm 1170
1254 Muhammad II (Signore di Alamt) 1196
Melkiti, Melchita 1042; 1119; 1148 Muhammad III (Signore di Alamt) 1195
Mesopotamia 1042; 1060; 1061; 1062; 1067; Muhammad Abd ar-Rahmn 1090
1082; 1097; 1214 Muhammad ibn Abdallh detto al-Nafs al-
Messaliani 1265; 1276 Zakya, fratello di Ibrhm q.v. 1105; 1107;
Messia, messianismo/esimo/anico/a 1035; 1161; 1316; 1317; 1318
1038; 1041; 1049; 1050; 1052; 1057; 1058; Muhammad b. Al b. Abdallh (abbside)
1059; 1064; 1076; 1077; 1079; 1080; 1081; 1168; 1316
1082; 1083; 1085; 1104; 1105; 1106; 1107; Muhammad b. Al b. Mahzyr al-Ahwar
1108; 1110; 1111; 1116; 1123; 1135; 1138; 1170
1144; 1147; 1148; 1157; 1158; 1159; 1164; Muhammad b. Umar al-Wqid 1046; 1074
1171; 1175; 1177; 1183; 1184; 1185; 1188; Muhammad al-Bkir, 5 Imm 1164; 1165
1195; 1196; 1197; 1209; 1210; 1212; 1216; Muhammad b. Falah (fondatore dei
1217; 1220; 1221; 1222; 1235; 1238; 1245; Mushasha) 1213; 1216
1257; 1285; 1333 Muhammad ibn al-Hanafiyya 1057; 1059;
mihna 1047; 1086; 1114; 1116; 1129; 1130; 1105; 1160; 1161; 1164; 1167; 1168; 1316;
1138; 1304; 1316; 1318; 1319; 1320; 1321 1332
Mikl 1249 Muhammad b. Isml, 7 Imm dei
Millenarismo/isti/ista 1038; 1040; 1041; 1042; Settimiani 1164; 1168; 1171; 1176; 1180;
1043; 1046; 1048; 1049; 1051; 1059; 1076; 1182; 1183; 1184; 1185; 1186; 1189; 1100;
1077; 1078; 1079; 1082; 1097; 1105; 1125; 1285
1140; 1144; 1183; 1207; 1208; 1211; 1225; Muhammad b. Srn 1047
1232; 1240; 1242; 1243; 1333; 1334 Muhammarah 1181
Minim 1080; 1081; 1329; 1335 mujtahid/n; anche masum, mutlaq, al-
Miqdd 1102 zamn 1227; 1228; 1229; 1231; 1232; 1233;
Mrnshh (figlio di Tmr) 1208; 1211 1238; 1244
Moll (Mull) Sadr 1132; 1201; 1203; 1204; Mull Qsim 1230; 1232
1230-1231, 1232; 1233; 1236; 1237; 1238; mumin/n 1056; 1067; 1071; 1072; 1073;
1249; 1274; 1287 1081; 1096; 1324
Monarchiano 1287 munfiq/n 1050; 1069; 1070; 1071; 1073;
Mongolo/i 1133; 1134; 1137; 1138; 1139; 1074; 1075; 1081; 1088; 1096
1140; 1141; 1143; 1144; 1145; 1146; 1147; Murjiiti/ita/ismo 1048; 1051; 1122; 1130;
1149; 1150; 1173; 1194; 1196; 1199; 1207; 1158
1210; 1211; 1212; 1213; 1214; 1217; 1220; Murd (fratello di Selm I) 1220; 1224
1224; 1252; 1254 Murd II 1217
Monofisiti 1050; 1060; 1097; 1119 Musab (fratello di Abdallh ibn al-Zubayr)
Montanismo 1038; 1082 1315; 1332
Morienus (Mariano) 1251 Ms (fratello di Mehmed I) 1218
Mos 1043; 1046; 1050; 1051; 1061; 1079; Ms al-Kzim, 7 Imm 1161; 1162; 1163;
1082; 1108; 1148; 1149; 1176; 1210; 1284; 1164; 1170; 1172; 1175; 1183; 1184
1328 Mushasha 1207; 1210; 1211; 1212; 1213;
Mossadeq 1253; 1280 1216; 1239
Muammarn 1046 mushrik/n 1050; 1063; 1064; 1071; 1073;
Muwiyya 1056; 1057; 1095; 1098; 1102; 1074; 1081; 1314
1156; 1157; 1160; 1161; 1314; 1315; 1316; Muslim (autore del Sahh) 1046; 1110; 1122;
1317; 1318; 1327; 1330; 1332 1138; 1305; 1307
Muwiyya II 1332 Mustal 1195
Muta 1325 Mutakallim/n 1047; 1123; 1125; 1129; 1140;
Mutaziliti/ita/ismo 1048; 1100; 1111: 1114; 1141
1119; 1120; 1122; 1123; 1124; 1126; 1128;
1129; 1130; 1131; 1132; 1133; 1141; 1156; N
1158; 1159; 1170; 1173; 1292
Mubrak/iti 1183; 1184 Nabatei 1063

1363
Nadr (trib giudea di Medina) 1054; 1070; O
1071; 1074
nafaqah 1069; 1070; 1071; 1074 Oetinger 1107; 1271
Nfi 1046; 1047; 1084; 1094 Oman 1158; 1159
naib 1227; 1228 Omeyyadi/e 1037; 1039; 1041; 1044; 1050;
Najditi 1157 1052; 1053; 1055; 1056; 1057; 1064; 1084;
Najm ad-Dn Kubr (vedi anche 1086; 1088; 1093; 1098; 1099; 1101; 1105;
Kubrwiyya) 1214 1107; 1108; 1109; 1111; 1113; 1130; 1132;
Najrn 1055; 1061; 1149 1138; 1149; 1156; 1158; 1160; 1161; 1162;
Nakla 1065 1165; 1168; 1179; 1183; 1251; 1252; 1314;
Namiriti (da Ibn Nusayr al-Namir) 1176; 1315; 1317; 1318; 1320; 1322; 1324; 1325;
vedi anche Nusayriti 1326; 1327; 1328; 1330; 1331; 1332; 1333
Naqshband/iyya 1204; 1226 Ottomano/i 1105; 1109; 1182; 1197; 1207;
Nasr 1062; 1328; 1329 1209; 1213; 1217; 1218; 1219M 1220; 1221;
Nsir-i Khosrow 1185; 1192-1194; 1197; 1223; 1224; 1225; 1226; 1227; 1230; 1255;
1237 1256; 1269; 1271; 1273; 1274; 1280; 1286;
Nasroddn Ts 1173; 1190; 1194-1195; 1274 1289; 1290; 1331; 1337
Nasrn 1329
Nawbakht (Ban) 1163; 1177; 1183 P
Nawbakht (Ab Sahl Isml) 1163; 1172;
1177; 1183 Pahlav 1233; 1287
Nawbakht (an- , autore del trattato sulle Palestina 1042; 1063; 1095; 1096; 1187; 1192;
sette shite) 1160; 1165; 1167; 1169; 1170; 1196; 1181; 1192; 1195; 1289; 1323; 1324;
1172; 1176; 1178; 1182; 1183; 1285; 1286 1326
Nawbakht ( Ibn Rh, 3 Safr) 1163 Paolo (apostolo) 1043; 1058; 1059; 1062;
Nayrz 1242 1063; 1079; 1326; 1335
Nazismo/ista 1282; 1288; 1290 Paolo il Persiano 1113
Nazorei 1057; 1062; 1077; 1078; 1079; 1080; Papia 1076; 1082; 1154
1328 Paracelso 1237
Neoplatonismo, neoplatonico/a/i 1037; 1085; Parmenide, parmenideo 1198; 1200; 1201;
1112; 1113; 1115; 1116; 1119; 1122; 1126; 1231
1129; 1132; 1133; 1136; 1141; 1146; 1147; Passagini 1082
1150; 1151; 1152; 1153; 1163; 1171; 1176; Patripassiani 1287
1178; 1179; 1180; 1181; 1182; 1185; 1186; Pauliciani/o 1076; 1078, 1167; 1185; 1246;
1188; 1189; 1190; 1191; 1192; 1193; 1194; 1253; 1256; 1257
1196; 1197; 1198; 1199; 1200; 1201; 1202; Persia, persiano/a/i/e 1045; 1046; 1050; 1051;
1203; 1205; 1206; 1207; 1208; 1215; 1216; 1054; 1055; 1057; 1061; 1067; 1069; 1075;
1230; 1231; 1251; 1274; 1285; 1287; 1297; 1096; 1097; 1104; 1106; 1110; 1113; 1116;
1299 1120; 1121; 1134; 1158; 1166; 1075; 1076;
Nestoriano/i 1042; 1058; 1060; 1079; 1097; 1077; 1078; 1180; 1181; 1189; 1192; 1194;
1119; 1148; 1149; 1197; 1251; 1254 1195; 1196; 1197; 1201; 1202; 1204; 1207;
Nicea (anche: Nicea II, Concilio) 1079; 1080; 1208; 1209; 1211; 1212; 1213; 1214; 1215;
1200; 1201; 1218 1216; 1217; 1219; 1220; 1221; 1222; 1223;
Nietzsche 1230 1224; 1225; 1226; 1227; 1228; 1229; 1232;
niybat al-mma 1232 1234; 1236; 1238; 1241; 1242; 1247; 1252;
Nizm al-Mulk 1122; 1131; 1132; 1321 1269; 1289; 1314; 1317; 1319; 1333
Nizr/ismo/iti/ita 1105; 1150; 1163; 1182; Pisidia 1079
1184; 1186; 1190; 1192; 1193; 1194; 1195; Platone 1041; 1112; 1152; 1260; 1266; 1267;
1196; 1197; 1207; 1211; 1236; 1238; 1248; 1275; 1288
1256; 1271; 1274; 1281; 1287 Plotino 1200; 1296
No 1042; 1052; 1061; 1100; 1149; 1176; Porfirio 1150; 1152
1284; 1285 Postel 1126; 1259; 1263; 1265; 1269; 1296;
Noldeke 1042 1297
Nuqtaw 1210; 1216; 1232 Proclo 1200; 1296
Nrbaksh/iya 1197; 1210; 1212; 1226; 1238 ps.Dionigi 1287
Nusayr/ita/iti/ismo 1127; 1142; 1146; 1147; Pseudepigrafi 1041; 1046; 1051; 1052; 1060;
1155; 1162; 1163; 1170; 1175; 1176-1182, 1062; 1063; 1076; 1082; 1098; 1099; 1103;
1184; 1186; 1188; 1189; 1191; 1207; 1209; 1325; 1327; 1328
1214; 1216; 1238; 1240; 1242; 1248; 1254;
1269; 1274; 1277; 1285-1287 Q

Qabbalah 1051; 1108; 1172; 1208; 1285; 1296


1364
Qadariti 1043; 1051; 1052; 1099; 1122 Roma (Chiesa di ) 1038; 1042; 1058; 1059;
Qdisiyya 1097 1063; 1076; 1079; 1080; 1081; 1082; 1083;
Qahtaba b. Shaib 1318 1107; 1125; 1126; 1167; 1232; 1275; 1279;
Qhtn 1105 1282; 1297; 1335
Qim 1105; 1108; 1164; 1169; 1172; 1184; romana (ortodossia) 1077; 1078
1185; 1195; 1238; 1240; 1284 Romania 1218
Qjr 1175; 1232; 1234; 1235; 1236; 1238; Romantici/ismo 1293; 1296; 1297
1242; 1243, 1288 Rdbr 1211
Qalandar 1202; 1203; 1217; 1218; 1220; Rm 1217; 1218; 1219; 1220
1247; 1256 Rm 1118; 1150; 1197; 1198-1200; 1219;
Qar Quynl 1197; 1212; 1213; 1214 1223; 1289
Qar Ysuf 1214 Russia 1175; 1232; 1238; 1290
Qaraburun 1218
Qaraman 1220
Qarmati, Hamdn al-Qarmat 1108; 1127; S
1132; 1147; 1153; 1155; 1176; 1181; 1182;
1183; 1184; 1185; 1186; 1189; 1212; 1252, Sad b. Abdallh al-Qumm 1165
1285 Sad b. Khaythama 1075
Qatar ibn al-Fuja 1057 Sabiti/iyya: vedi Abdallh ibn Sab
Qaynuq 1070; 1071; 1072; 1074 Sabbatiani/ismo, Sabbatai Zevi 1051; 1059;
Qazvin 1230; 1241; 1242 1172
Qinnasrn 1096 Sabzawr 1211; 1213; 1230
Qirmiz 1248; 1249 Sabelliani 1287
qiys 1127; 1139; 1153 Sadr ad-Dn Ms figlio di Saf ad-Dn 1221
Qizilbsh, qizilbshismo 1197; 1210; 1211; Safavidi/e 1105; 1115; 1121; 1130; 1175;
1214; 1216; 1217; 1219-1221; 1222; 1223, 1196; 1197; 1199; 1207; 1210; 1211; 1214;
1224; 1225; 1226; 1227; 1232; 1246; 1247; 1215; 1216; 1217-1232; 1233; 1235; 1240;
1249; 1253; 1254; 1255; 1256; 1257 1243; 1244; 1247; 1248; 1250; 1255; 1256;
Qobd 1054 1269; 1288; 1331; 1337
Qub 1074; 1075 Saf ad-Dn 1217; 1221; 1232; 1248; 1250
Qumrn 1042; 1044, 1077; 1080; 1334 Salafismo/iti/ita/iyya 1040; 1085; 1109; 1116;
Quraysh/Qurayshiti 1039; 1053; 1055; 1056; 1124; 1125; 1131; 1132; 1133; 1134; 1135;
1059; 1063; 1065; 1068; 1069; 1071; 1072; 1138; 1140; 1141; 1143; 1154; 1267; 1273;
1073; 1074; 1076; 1083; 1095; 1096; 1102; 1277; 1278; 1279; 1280; 1281; 1283; 1292;
1103; 1262; 1292; 1316; 1331 1295
qurr 1044; 1047; 1055; 1056; 1057; 1169; Slim 1101
1209 Salmaghn (Ibn Rh) 1163
Qurratu l-Ayn (detto di Ftima Baraghani) Salmn 1046; 1099; 1178; 1179; 1191; 1249
1239; 1240; 1241; 1242 Sampsei 1077; 1078
Qurratu l-Ayn (detto di Kalimatullh) 1209 San 1038
qusss 1157; 1178 San 1197; 1198
Sarbedr 1210; 1211; 1212; 1213; 1215; 1216
Sarliya 1247
R Sassanidi/e 1041; 1042; 1046; 1051; 1054;
1097; 1115; 1116; 1123; 1314; 1319
rabbino/i/ico/a (ortodossia) 1043; 1058; 1059; Satana (vedi anche: Ibls) 1065; 1113; 1223;
1060; 1078; 1080; 1081; 1082; 1083; 1099; 1247; 1251; 1252; 1253
1100; 1146; 1147; 1149 Sayf (b. Umar) 1101; 1102
Rabia 1285 Sayyd b. Ishq (hurfita) 1208
rfiditi 1120; 1122; 1125; 1146; 1147 Sayyid Kzim (Maestro shaykhita) 1237
Rashd ad-Dn 1146; 1147 Sayyid Qutb 1144; 1244; 1279
Rwanditi 1318 Sayyid Shihab (mitico nonno di Jibrl, nonno
ray 1047; 1116; 1118; 1125; 1128; 1129; di Saf ad-Dn) 1248
1173; 1228; 1292; 1304; 1322 Scettici/ismo (filosofico) 1114; 1117; 1118;
Razbr 1249 1119; 1128; 1150; 1151; 1152
Ridda 1050; 1055; 1096; 1101; 1158 Sebos, Sbeos 1051; 1096; 1097; 1326
Rinascimento 1260; 1261; 1266; 1297 Selgiukidi/e 1048; 1112; 1114; 1115; 1122;
Rinascimento islamico 1185 1130; 1131; 1132; 1133; 1173; 1175; 1195;
Roma, romano (Impero), romana/i 1037; 1196; 1197; 1199; 1201; 1213; 1215; 1217;
1059; 1067; 1079; 1080; 1085; 1093; 1097; 1218; 1221; 1222; 1224; 1286; 1321; 1324
1156; 1197; 1221 Selm I 1220; 1221; 1224; 1269
Shabak 1217; 1223; 1247; 1258
1365
Shabestar 1197; 1198; 1206; 1211; 1288 Sitt al-Mulk 1188; 1192
Shfi/ita/iti/ismo 1043; 1047; 1086; 1092; Sivas 1217; 1219; 1220
1093; 1095; 1114; 1122; 1123; 1125; 1126; Smirne 1218
1127-1128; 1129; 1130; 1131; 1133; 1134; Socrate 1266; 1267
1136; 1139; 1141; 1154; 1159; 1214; 1215; Sofisti 1260; 1267
1216; 1278; 1280; 1291-1296; 1304; 1305; Sohraward 1179; 1195; 1199; 1219; 1236;
1306; 1307; 1311 1237
Shahrastn 1252 Soroush 1288
Shh Fazl 1248 Spagna 1058; 1078; 1130; 1333
Shams al-Dn (figlio di Khurshh) 1196 Spinoza 1311
Shqul 1220 Strauss (Leo) 1266; 1267; 1275; 1281; 1284;
Sharaf al-Dn (fratello minore di Ibn 1289; 1297; 1309; 1310; 1336; 1337
Taymiyya) 1141 Subordinazionisti 1082
Sharah, sharaitico/a 1043; 1047; 1095; Successori 1046; 1047; 1083; 1087; 1094;
1114; 1130; 1139; 1144; 1145; 1146; 1149; 1136; 1295; 1315
1150; 1154; 1159; 1167; 1183; 1187; 1188; Suffar (e sing. safr) 1163; 1165; 1169;
1190; 1196; 1199; 1206; 1210; 1213; 1216; 1170; 1172; 1176; 1181; 1192; 1228; 1240;
1217; 1219; 1221; 1230; 1232; 1235; 1236; 1242
1239; 1240; 1241; 1243; 1244; 1247; 1248; Sufismo, Sf 1035; 1109; 1116; 1117; 1123;
1249; 1252; 1255; 1256; 1257; 1273; 1276; 1131; 1132; 1134; 1136; 1140; 1141; 1144;
1278; 1280; 1284; 1288; 1289; 1296; 1299- 1151; 1153; 1165; 1166; 1169; 1172; 1177;
1313 1192; 1193; 1196; 11976; 1198; 1199; 1200;
Shariat Madar 1233 1201; 1203; 1204; 1205; 1206; 1207; 1208;
Sharat 1273; 1279; 1288; 1289 1211; 1212; 1214; 1215; 1216; 1217; 1218;
Shrukh (figlio di Tmr) 1196; 1212; 1213; 1219; 1220; 1222; 1224; 1225; 1226; 1228;
1215 1230; 1232; 1236; 1237; 1238; 1241; 1242;
Shaykh Bah 1229 1243; 1247; 1248; 1251; 1252; 1253; 1254;
Shaykh Khalfa (fondatore dei Sarbedr) 1216 1256; 1257; 1261; 1265, 1272; 1281, 1287
Shaykh Sinn 1254 Sufyn b. Uyayna 1295
Shaykhismo/iti/ita 1175; 1180; 1233; 1234; Sufyni, Sufyn 1105; 1107
1235; 1236-1237; 1238; 1239; 1240; 1243; Sufynidi/e 1076; 1157; 1165; 1251; 1315;
1281 1324; 1332
Sha/iti/ita/ismo (include estremista e Sulayman (Shh safavide) 1230
ultra) 1035; 1038; 1047; 1048; 1051; 1052; Sulaymn al-Qatf 1227
1053; 1056; 1057; 1058; 1059; 1101; 1105; Sultn Sahq 1247; 1248; 1249; 1250
1107; 1108; 1109; 1110; 1111; 1112; 1113; Sunniti/ita/ismo, Sunnah 1035; 1037; 1038;
1114; 1115; 1118; 11129; 1120; 1121; 1122; 1044; 1047-1155; 1156; 1158; 1159; 1163;
1124; 1126; 1127; 1128; 1130; 1132; 1134; 1164; 1165; 1166; 1167; 1168; 1169; 1171;
1136; 1140; 1142; 1146; 1147; 1149; 1153; 1173; 1174; 1175; 1180; 1181; 1182; 1183;
1155; 1156; 1157; 1160-1258; 1269, 1271; 1185; 1186; 1187; 1188; 1190; 1192; 1195;
1272; 1274; 1277; 1278; 1285; 1286; 1287; 1196; 1197; 1199; 1201; 1202; 1204; 1206;
1290; 1292; 1318; 1319; 1321; 1322; 1332; 1207; 1212; 1213; 1214; 1215; 1216; 1217;
1337 1218; 1219; 1221; 1222; 1223; 1224; 1225;
Shirk 1064; 1073; 1075 1226; 1227; 1229; 1230; 1231; 1232; 1234;
Shuayb 1044 1236; 1237; 1243; 1245; 1246; 1252; 1254;
Shuba b. al-Hajjj 1046; 1047 1257; 1258; 1263; 1264; 1265; 1267; 1269;
Siffn 1047; 1056; 1157; 1159; 1315 1271; 1272; 1273; 1276; 1278; 1280; 1285;
Sijistn 1185; 1192; 1285 1291; 1293; 1294; 1295; 1301, 1304; 1305;
Simon Mago 1160 1306; 1307; 1316; 1318; 1321; 1322; 1331
Sinope 1218
Sra 1037; 1039; 1043; 1046; 1048; 1050; T
1053; 1063; 1066; 1068; 1069; 1074; 1084;
1086; 1088; 1089; 1090; 1091; 1100; 1104; Tabar 1039; 1065; 1089; 1090; 1091; 1101;
1294; 1295; 1316; 1330 1102; 1125; 1183
Siria, siriano/a 1042; 1044; 1045; 1046; 1050; Tabaristn 1211
1051; 1052; 1056; 1060; 1061; 1062; 1063; Taboriti 1292
1065; 1067; 1075; 1079; 1082; 1094; 1096; Tabrz 1214; 1217; 1222; 1223; 1224; 1225;
1097; 1098; 1101; 1102; 1103; 1104; 1106; 1230; 1239; 1240; 1242
1110; 1118; 1133; 1134; 1142; 1146; 1149; Tabk 1075; 1088; 1096; 1324; 1329
1175; 1181; 1187; 1190; 1192; 1195; 1196; Taghlib 1055; 1097
1217; 1221; 1222; 1226; 1227; 1252; 1287; Tah (Mahmd Muhammad) 1281
1318; 1332 Talha 1315
1366
Tahmsp I 1219; 1224; 1225; 1226; 1227; Weber 1241; 1258; 1287
1228; 1229; 1230; 1232 Weigel 1118; 1265
Tif 1065; 1098 Wyclif 1229
Tamn 1190
Tansukh 1189; 1252; 1256; 1257 X, Y
Tayyibiti/a, al-Tayyib 1182; 1184; 1187;
1195; 1196 Y 1248
Taziano 1077; 1079; 1097; 1296 Yaqb 1168; 1169
Teke 1220 Yahy ibn Ab Khatr 1047
Tmr, tmridi/e 1196; 1208; 1210; 1211; Yahy (b. Muhammad ibn al-Hanafiyya)
1212; 1213-1214; 1215; 1217; 1218; 1221; 1168
1222 Yakb Bey (figlio di Uzun Hasan) 1224
Tokhtamish (capo dellOrda doro) 1211 Yakb Yusf Hamadn (possibile origine dei
Tommaso (dAquino) 1266 Kubrwiyya) 1204
Tommaso il Presbitero 1097; 1314; 1317 Yresn, Yrsn 1217; 1223; 1238; 1249
Tondrakiti 1256 Ys 1146; 1147; 1151
Torah 1043; 1044; 1046; 1062; 1063; 1076 Yathrib (vedi anche Medina) 1050; 1066;
Torlak 1218 1072; 1073; 1074; 1096; 1100
Trebisonda 1219 Yavneh (Jamnia) 1080
Trickster 1251; 1253 Yazd, Yazd I, Yazd b. Muwiyya 1102;
Tunisia 1267 1105; 1251; 1252; 1315; 1327; 1332
Turchi, Turchia, Turco/a 1109; 1147; 1209; Yazd al-Frs 1099
1212; 1213; 1214; 1217; 1218; 1219; 1220; Yazd b. Unaysa 1252
1223; 1224; 1254; 1255; 1257; 1258; 1269; Yemen/ita/iti 1059; 1061; 1063; 1102; 1105;
1274; 1276; 1289; 1320 1146; 1182; 1185; 1187; 1195; 1289
Turcomanni 1197; 1207; 1217; 1220; 1225; Yesev, Yeseviti, Yasaviti 1204; 1254
1255 Yezd 1208; 1214; 1217; 1223; 1246; 1247;
1249; 1250-1254; 1256; 1258; 1267; 1277
U
Z
Ubayy (ibn Kab) 1098; 1099; 1102
Uhud 1070; 1071; 1075; 1088; 1089; 1119 Zhir 1137; 1186; 1192; 1193; 1198; 1203;
Ummah 1043; 1052; 1054; 1055; 1068; 1069; 1206
1070; 1071; 1072; 1073; 1098; 1099; 1100; Zhiriti/ita/ismo 1128; 1129
1114; 1122; 1125; 1127; 1128; 1130; 1131; Zamzam 1054
1134; 1140; 1141; 1142; 1143; 1150; 1173; Zandiqa, Zindq, Zandaqa, Zandaqah
1174; 1272; 1273; 1284; 1303; 1308; 1315; 1111; 1113; 1114; 1116; 1119; 1318
1319; 1322; 1323 Zanj 1158; 1183; 1184; 1318
Unayf 1074 Zanjan 1242
usl/ismo 1225; 1227; 1228; 1229; 1230; Zayd (fratello del 5 Imm), Zayditi/ita/ismo
1231; 1232; 1223; 1234; 1237; 1238; 1241; 1114; 1120; 1122; 1123; 1125; 1127; 1160;
1243 1161; 1162; 1165; 1166; 1168; 1169; 1171;
Uzbeki/o 1224; 1226; 1227 1183; 1184; 1215; 1216; 1246; 1272
Uzun Hasan 1214; 1217; 1219; 1222; 1224 Zayd (Hanf) 1063
Zayd ibn Thbit 1045; 1098; 1099; 1101;
V 1102
Zoroastriano/iani/ismo 1039; 1054; 1055;
Valacchia 1218 1086; 1097; 1099; 1106; 1107; 1108; 1113;
velyat-e faqh, velayat-e faqih 1130; 1243; 1117; 1118; 1119; 1121; 1123; 1126; 1134;
1244 1145; 1180; 1182; 1195; 1215; 1248; 1253;
Vangelo/i 1042; 1045; 1046; 1051; 1057; 1060; 1256; 1265; 1267; 1269; 1271; 1314
1061; 1062; 1063; 1078; 1208 Zubayridi vedi Abdallh ibn al-Zubayr
zuhr 1239; 1240; 1241
W Zuqnn 1097; 1317

wahdat al-wujd, al-wud 1040; 1111;


1136; 1150; 1193; 1200-1204; 1205; 1206;
1215; 1217; 1246; 1252; 1253; 1254; 1255
Wahhbismo vedi Ibn Abd al-Wahhd
wqifiti/ismo 1162; 1164; 1165; 1167; 1169;
1170; 1171; 1183
Waraqa 1045; 1046; 1051; 1060; 1063
1367

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