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Articolo Di Bilancio Di Teologia Delle Religioni Dalla Proposta Di Jacques Dupuis PDF

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1

A vent’anni dalla proposta di Jacques Dupuis: tra intuizioni teologiche e aporie teoretiche
Marcello Di Tora

Il saggio del gesuita belga J. Dupus dal titolo Verso una teologia del pluralismo religioso1,
pubblicato in italiano esattamente venti anni fa (1997), fu accolto con vivo interesse nell’ambito
della comunità accademica, ma suscitò anche un vespaio di polemiche ancora non totalmente
sopite. Intervenne, come vedremo, anche la Congregazione per la dottrina della fede (abbr. Cdf)
con una Notificazione2 al teologo, nella quale venivano segnalate talune ambiguità presenti nel
libro. A distanza di tanto tempo, e dopo innumerevoli interventi pro o contro, cos’ha da dire ancora
a noi oggi quel volume? Quali le ripercussioni sullo stato attuale della ricerca nel campo della
teologia delle religioni (= tdr)? Quali i punti di forza su cui ancora oggi fare leva e quali i punti
deboli che meritano di essere rivisti e superati al fine di individuare nuove piste di studio?
Si rende quanto mai opportuno una sorta di bilancio – in questa sede non possiamo che limitarci a
tracciare alcune piste di orientamento – che faccia il punto della situazione, e che rilanci l’interesse
per la disciplina, che negli ultimi anni pare patisca una certa flessione3. Lo dimostra il fatto che da
allora gli studi di carattere epistemologico si siano notevolmente ridotti. Si possono certamente
leggere apprezzabili e arricchenti ricerche sui singoli temi di cui essa si occupa4, cui ha contribuito
anche il Dipartimento di teologia delle religioni della Facoltà teologica di Sicilia5, ma raramente si
producono saggi di teologia generale delle religioni. Qualche eccezione è data dai volumi di M.
Dhavamony6, di E. Castellucci7, di J. M. Vigil8 e del sottoscritto, con una pubblicazione di quattro

1
J. Dupuis, Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso (Biblioteca di teologia contemporanea 95),
Queriniana, Brescia 1997 (nel corpo del testo sarà abbreviato con Verso, in nota con DuV).
2
La Notificazione è un documento della Cdf con il quale sia avverte un teologo che nelle sue opere sono stati ravvistati
errori o lacune (cf. W. R. Burrows [a cura di], J. Dupuis. Perché non sono eretico. Teologia del pluralismo religioso: le
accuse, la mia difesa [Le nuove caravelle], EMI, Bologna 2014 (abbr. BP), p. 65, n. 4). Si tratta, sostanzialmente, di una
sorta di avviso di garanzia del diritto penale italiano, a tutela dell’indagato.
3
Ne è testimonianza lo stesso titolo (coraggioso) del nostro Convengo, che discute sul fatto che la teologia delle
religioni (o del pluralismo religioso o teologia cristiana delle religioni: le etichette sono secondarie) sembra patire una
sorta di rallentamento nella ricerca e nell’impegno, se non proprio una battuta d’arresto proprio a partire dagli sviluppi
della vicenda seguiti alla pubblicazione del saggio di Dupuis. L’impressione è che i teologi, dopo quell’esperienza,
evitino di imbarcarsi nello studio di questioni, certamente complesse e scottanti, per l’approfondimento delle quali
Dupuis ha pagato il suo prezzo.
4
Ci offre l’ampio ventaglio di studi M. Crociata, La teologia delle religioni tra specializzazioni metodologiche,
teologia fondamentale e dogmatica, in Id. (ed.), Teologia delle religioni. La questione del metodo, Città Nuova, Roma
2006 (vol. abbr. CM), pp. 279-299; si veda anche M. Naro, Il metodo teologico e la teologia delle religioni, in ibid., pp.
13-34, qui pp. 13-14, n. 1. Di recente, segnalo: C. Dotolo, Religioni, in G. Calabrese – P. Goyret – O. F. Piazza (edd.),
Dizionario di Ecclesiologia, Città Nuova, Roma 2010, coll. 1179-1192; G. O’Collins, Salvezza per tutti. Gli altri
popoli di Dio (Giornale di teologia 352), Queriniana, Brescia 2011.
5
Attivato nel 1997, il Dipartimento (abbr. DiFS) ha condotto la sua indagine attenzionando soprattutto tre ambiti di
ricerca: «ricognitivo, epistemologico e metodologico, e infine tematico o contenutistico. Il primo ambito ha voluto
ricostruire lo stato dell’arte nelle varie aree culturali sullo sfondo dello sviluppo storico recente; il secondo ha inteso
esplorare la specificità della riflessione teologica applicata al pluralismo religioso; il terzo si è concentrato su alcuni
temi teologici specifici. Un ulteriore tracciato cominciava ad intravedersi nel passaggio dalla più generale teologia delle
religioni alla ermeneutica teologica delle singoli religioni», col discernimento cristiano sull’islam. (M. Crociata,
Introduzione, in G. Bellia – M. Crociata [edd.], La sapienza sulla bocca, la legge nel cuore. Antropologia, etica e
religioni “rivelate”, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2009, p. 6-7; cf. Id., Introduzione, in CM, p. 6 n. 2 ). I volumi che
sono stati prodotti sono menzionati nelle note 1-4 di ibid., pp. 6-7. Gli Atti dei convegni successivi venivano pubblicati
a cura di M. Naro: La teologia delle religioni oltre l’istanza apologetica, Città Nuova, Roma 2013; Ero forestiero e mi
avete ospitato. Umanesimo e migrazioni nel Mediterraneo, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2016; Il filosofare per le
religioni. Un contributo “laico” al dialogo interreligioso, Rubettino, Soveria Mannelli (CZ) 2016; La virtù del Nome.
Invocare Dio per riconoscere l’umano, Soveria Mannelli (CZ) 2016.
6
M. Dhavamony, Teologia delle religioni. Riflessione sistematica per una comprensione cristiana delle religioni, San
Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1997
7
E. Castellucci, Annunciare Cristo alle genti. La missione dei cristiani nell’orizzonte del dialogo tra le religioni
(Biblioteca di teologia dell’evangelizzazione 5), EDB, Bologna 2008.
2

anni fa9. La ragione dello slittamento, a mio avviso, sta nella delicatezza delle problematiche
sollevate da Dupuis, la cui non facile soluzione scoraggia la coscienza critica del credente, che
preferisce interessarsi ad aspetti molto più appaganti e arricchenti, di certo meno problematici,
come quelli del dialogo interreligioso. E difatti, contestualmente al recedere della produzione
propriamente teologica, l’interesse è omai dirottato sull’importanza del dialogo – meglio: sulla sua
pratica quotidiana di incontro e di collaborazione con i seguaci delle religioni –, sospinto dalle ali
del magistero di papa Francesco10.
Da questa nuova situazione scaturiscono due pressanti esigenze per la tdr. Da un lato, ricollocare al
centro dell’interesse teologico la questione teoretica; solo questa può aiutare a comprendere il
senso, la natura, le vie e (perché no) anche i limiti del dialogo interreligioso11.
La seconda esigenza è quella di rivisitare i principali capitoli della teologia delle religioni al fine di
riformulare un quadro organico e completo proprio a partire dalla principale lezione di J. Dupuis,
consegnataci vent’anni fa. Infatti, non partiamo dall’anno zero. Abbiamo il conforto della CTI,
della Dichiarazione Dominus Iesus (del 6 agosto 2000, abbr. DI) e della Notificazione al testo di
Dupuis (del 24 gennaio 2001 e resa nota il 26 febbraio 2001). Non possiamo più accontentarci, a
distanza di vent’anni, di continuare a discutere sui punti controversi. Si avverte ormai forte la
necessità di avere risposte, chiare ed esaurienti, sui principali nodi epistemologici – che sono quelli
cruciali – della tdr. Si tratta di sapere quali siano i punti da valorizzare e quali quelli da scartare
come vicoli ciechi. Insomma: un bilancio che rilanci la disciplina. Ma perché Verso resta ancora un
interlocutore privilegiato per la tdr? Ciò dovuto a diversi fattori, riconducibili, sostanzialmente, sia

8
J. M. Vigil, Teologia del pluralismo religioso. Verso una rilettura pluralista del cristianesimo, Borla, Roma 2008.
9
M Di Tora, Teologia delle religioni. Linee storiche e sistematiche, Flaccovio, Palermo 2014 (abbr. DT). Va osservato
che nel citato saggio di G. O’Collins – pubblicato con l’obiettivo di mettere in luce, sotto il profilo biblico, il disegno di
amore e di salvezza che Dio offre a tutta l’umanità, fermo restando il ruolo di Gesù come salvatore di tutti gli uomini –,
già nel primo rigo si registra l’eco del travaglio che la tdr patisce: «questo libro mi introduce in un campo gravato da un
secolo o più di dibattito» (op. cit., p. 5). L’autore prosegue chiamando a raccolta una serie di scrittori che hanno dato
vita alla «nota discussione moderna sui membri delle altre tradizioni religiose». Lo spettro «partirebbe da Karl Barth
(1889-1968) e giungerebbe, attraverso Karl Rahner (1904-1984) e Jacques Dupuis (1923-2004), fino a John Hick (n.
122)» (ivi). Quello che colpisce, inoltre, è che in tutto il volume Dupuis sia citato solo tre volte: qui nella Prefazione, e
poi altre due in quanto curatore di un’antologia di documenti magisteriali. Ciò sorprende molto se consideriamo che
O’Collins è stato un caro amico di Dupuis, ne prese le difese in occasione del procedimento canonico a carico del
confratello belga e ne curò il resoconto più completo sulla sua vita (sono notizie che ricaviamo da BP, pp. 23 n. 6, 27 n.
1, 31). Probabilmente l’autore, che vissuto da vicino l’esperienza del confratello belga, ha in tutti i modi evitato di
ritornare su quella dolorosa vicenda compromettendosi ulteriormente.
10
La bibliografia sul dialogo interreligioso è ricchissima. Mi limito a segnalare, tra gli altri: M. Crociata, Dialogo
interreligioso e convivenza tra i popoli, in «Ho Theológos» (abbr. HTh), 26 (2008), pp. 289-304; P. Coda, Le religioni
in dialogo. Kairòs e vocazione, in «Giornale di Metafisica», 39 (2017), pp. 39-52; G. Favaro, Il dialogo interreligioso,
Queriniana, Brescia 2002; M. Fuss, Globalizzazione delle religioni e dialogo. L’attualità della Nostra aetate, in
«Lateranum», 81 (2015), pp. 421-439; M. Naro, Portarsi dentro l’altro, portarsi l’altro dentro. Teologia del dialogo
interreligioso, in Id., Ero forestiero…, cit.,, pp. 91-136; V. Mancuso, Il dialogo interreligioso e i suoi problemi, in
«Giornale di Metafisica», 39 (2017), pp. 111-127; E. Scognamiglio, Chiamare in causa Dio: il dialogo interreligioso
tra preghiera e confronto dottrinale, in M. Naro (a cura di), La virtù del Nome.., cit., pp. 135-167; M. Naro, Oltre i
confini della Chiesa: il dialogo interreligioso in nome della misericordia, in ibid., pp. 169-192.
11
È il documento della Commissione Teologica Internazionale, Il cristianesimo e le religioni (abbr. CTI), del 1997 –
anche di questo celebriamo il ventennale dalla pubblicazione – a ribadire questa corretta calibratura epistemologica
teologia-dialogo: «perché tale dialogo (interreligioso) sia fruttuoso, occorre che il cristianesimo, e in concreto la Chiesa
cattolica, si impegni a precisare come valuta, dal punto di vista teologico, le religioni. Da questa valutazione dipenderà
in grande misura il rapporto dei cristiani con le varie religioni e con i loro seguaci, e il conseguente dialogo che, in
diverse forme, si stabilirà con esse» (n. 3). Sia la CTI, come gli altri documenti magisteriali che citeremo in seguito,
possono essere agevolmente trovati nel sito www.vatican.va. Osserviamo, infine, che Dupuis non intende tenerne conto
in quanto si tratta di un’opera non magisteriale, cioè non prodotta da un Dicastero romano (cf. DuV, pp. 239 n. 74, 339
n. 43). In realtà, se è vero che strettamente parlando non è un documento ufficiale della Chiesa, tuttavia è firmata dal
Prefetto della Cdf. Dunque, quanto meno è in sintonia con la fede della Chiesa.
3

all’autorevolezza del suo autore12, sia all’importanza che questo suo studio ha ricoperto per la
comprensione del pluralismo religioso13.

Piano operativo (obiettivi) e strumenti di ricerca

Alla luce di queste considerazioni generali, si delinea il taglio della mia ricerca.
Non è mia intenzione produrre un’ulteriore recensione al saggio, che si aggiunga a quelle già
elaborate a ridosso della sua pubblicazione, oltre agli innumerevoli e immancabili riferimenti al
pensiero di Dupuis14, critici o di sostegno, ogni volta che si tratti di argomenti di tdr. Sarà anzitutto
doveroso ricostruire esattamente quanto il teologo gesuita ha inteso proporre nel suo saggio, dal
momento che talune formulazioni, così innovative, e spesso in (apparente) contraddizione con altre,
possono indurre ad interpretazioni diverse, tradendo il suo pensiero. Se è vero che non vi è miglior
interprete di Dupuis che Dupuis stesso, non resta che ripercorrere con minuziosa attenzione le tappe
logiche che soggiacciono alla struttura argomentativa del testo15.
In secondo luogo, per la valutazione più oggettiva della teologia del nostro, sarà quanto mai utile e
prezioso registrare il giudizio che formulerà un osservatore esterno, P. F. Knitter, esponente di
spicco di quel versante teologico denominato teologia pluralista o teocentrica o mutualista, che nel

12
Gesuita di origine belga, per più di trent’anni missionario in India, poi richiamato a Roma come docente di cristologia
alla Pontificia Università Gregoriana e come consultore del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, Dupuis è
riconosciuto anche da P. F. Knitter come «uno dei più citati e rispettati teologi cattolici contemporanei che esplorarono
il mondo delle altre religioni» (P. F. Knitter, Introduzione alle teologie delle religioni [Giornale di teologia 315],
Queriniana, Brescia 2005 [abbr. Kn], p. 185).
13
La dizione preferita di Dupuis, più che tdr, è teologia del pluralismo religioso (cf. DuV, 6, 15-23). Il volume si
colloca a conclusione di una lunga riflessione teologia sulle religioni, avviata con Gesù Cristo incontro alle religioni,
Cittadella, Assisi 19912 (abbr. nel testo con Religioni, qui con DuR). La ricerca rappresenta non soltanto l’apice degli
studi di Dupuis sull’argomento, ma è confezionata in modo da rappresentare una sorta di “summa” del pensiero
teologico (così si espresse l’evangelico P. Ricca, cit. in L. Sartori, Il dibattito sul pluralismo religioso. Considerazioni
sul “caso” Dupuis, in «Rassegna di Teologia» [abbr. RdT], 40 [1999], pp. 289-292, qui p. 289), dal momento che «si
presenta come un lavoro ponderoso che abbraccia l’arco dei problemi interenti la teologia cristiana delle religioni» (M.
Crociata, Per uno statuto della teologia delle religioni, in Id. (ed.,), Teologia delle religioni. Bilanci e prospettive,
Paoline, Milano 2001 (vol. abb. con CB), pp. 325-370, qui p. 348). Un volume che, con le sue effettive 519 pagine
(dalla 5a alla 523a), «costituisce la più ampia e sistematica rassegna esistente sull’argomento (quasi 490 sono gli autori
citati, tra antichi e moderni, e circa il doppio di titoli, tra opere, articoli e libri)» (E. Castellucci, op. cit., p. 96). Infine,
Verso ebbe il merito di portare al centro dell’attenzione teologica italiana ed europea un tema, come quello della
comprensione teologica delle religioni del mondo, che fino a quel momento era sentito perlopiù negli ambienti del
Nord America ed in Asia.
14
È sufficiente rimandare alla bibliografia riportata nella miscellanea di studi in suo onore, curata da D. Kendall e G.
O’Collins, In many and diverse ways, Orbis, Maryknoll 2003, «comprendente 50 pagine: si contano 271 scritti (libri e
articoli) e oltre 560 recensioni» (G. Zambon, In ricordo di p. Jacques Dupuis. Vita e opere, in RdT, 46 [2005], pp. 123-
131, qui p. 124).
15
Lo stesso teologo, dopo il vespaio di polemiche innescate con la pubblicazione di Verso, due anni dopo raccolse le
obiezioni mosse al suo studio in un ampio articolo pubblicato su Rassegna di Teologia (J. Dupuis, La teologia del
pluralismo religioso rivisitata, in RdT, 40/5 [1999], pp. 667-693 [nel testo abbreviato con Rivisitata, qui con DuT]). In
quelle pagine ringraziò i colleghi per l’interesse mostrato nei suoi confronti e provò ad argomentare le proprie posizioni
rispondendo alle domande e alle osservazioni che gli venivano mosse. Le risposte non furono soddisfacenti e così
intervenne anche la Cdf con la Notificazione del 2001. In seguito Dupuis pubblicò un nuovo saggio dal titolo Il
cristianesimo e le religioni. Dallo scontro all’incontro (Giornale di teologia 283), Queriniana, Brescia 20022 (nel corpo
del testo sarà abbreviato con Incontro, in nota con DuS), in cui aveva modo di chiarire le sue posizioni, di correggere le
ambiguità sorte dalla lettura del suo saggio e di rilanciarle le sue tesi in forma più divulgativa per il grande pubblico.
Un saggio più agile rispetto a Verso (471 pagine effettive, dalla 15ma alla 486ma, e con un formato tipografico molto più
ridotto rispetto al precedente); molte questioni vengono sintetizzate e altre tralasciate. Sebbene il mio articolo non si
occupi propriamente dell’evoluzione del pensiero di Dupuis, tuttavia volentieri si affiancheranno spesso le
dichiarazioni di DuV, che rappresenta il pensiero maturo di Dupuis, con quelle di DuS, che le ribadiranno. Va
segnalato, infine, che nel 2010 veniva pubblicato un ultimo contributo, Il dialogo interreligioso: prospettive e nodi
teologici, nel volume a cura S. Piano, Le grandi religioni dell’Asia. Orizzonti per il dialogo, Paoline, Milano 2010, pp.
363-392.
4

già citato volume Introduzione alle teologie delle religioni, pubblicato nel 200516, dedicherà ampio
spazio al pensiero del nostro autore, non lesinando apprezzamenti e riconoscimenti, ma anche
dubbi e critiche, in spirito di confronto e di collaborazione, formulate con rispetto e deferenza, che
non devono mai mancare, nemmeno nel dibattito più vivace e tra posizioni distanti tra loro, tra
“avversari”.
In terzo luogo, non risulta opportuno adottare un metodo diacronico-analitico-descrittivo che
analizzi l’evoluzione del percorso teoretico dell’illustre teologo belga, sviluppato nel corso delle
sue numerose pubblicazioni, a partire da quello che lui stesso definisce come il primo saggio ad
occuparsi della questione, dal titolo Gesù Cristo incontro alle religioni17, passando per il manuale
di Introduzione alla cristologia, fino all’approdo finale del volume che stiamo esaminando18, nel
quale formulerà in modo compiuto la sua posizione in tdr, che manterrà in Incontro, malgrado la
Notificazione e bypassando l’ammonizione della Cdf, che gli chiedeva che per le successive
edizioni di Verso si dovesse pubblicare anche il testo della Notificazione. È importante piuttosto
tenere sotto stretta osservazione Incontro – che lo stesso Dupuis considererà parte della trilogia
costituita da Cristianesimo e Verso –, perché in esso troviamo la formulazione ultima del suo
pensiero19. Più che il metodo diacronico, sarà dunque utile quello sincronico-interpretativo-
teologico, che valuti in modo sintetico e sistematico la proposta di Verso alla luce degli ultimi
documenti magisteriali. Per evitare facili e sintetiche semplificazioni, dovremo citare le sue stesse
parole e, per così dire, “marcare” strettamente il suo argomentare. Ciò inevitabilmente produrrà
l’effetto di una lettura non certo agevole e scorrevole.

16
In Kn, p. 7, l’autore che dichiara la propria posizione. Prosegue annotando onestamente che, nel trattare con rispetto e
verità le varie prospettive teologiche, è divenuto consapevole dei limiti del proprio modello, al pari dei limiti degli altri,
come riconosce i rispettivi punti di forza. Egli ha maturato la convinzione che oggi ci sia bisogno di un dialogo continuo
tra i vari indirizzi teologici (cf. Kn, pp. 7-8; 472, 478).
17
Per la recensione a DuR, e sui collegamenti con DuV, rimando, tra gli altri, a: E. Castellucci, op. cit., pp. 92-94; M.
Borrmans, Per un discernimento cristiano della religione musulmana, in M. Crociata (ed.), Per un discernimento
cristiano sull’islam. Storia e teologia, Città Nuova, Roma 2006, pp. 145-167, qui pp. 150-153.
18
La bibliografia di J. Dupuis, fino al 1997, ci viene segnalata dallo stesso autore in DuV pp. 537-538. Qui ricordiamo
in particolare i contributi in italiano: Dialogo interreligioso nella missione evangelizzatrice della Chiesa, in R.
Latourelle (a cura di), Vaticano II: Bilancio e prospettive venticinque anni dopo (1962-1987), vol. 2, Cittadella Editrice,
Assisi 1987, pp. 1234-1256; Gesù Cristo incontro alle religioni, Cittadella, Assisi 19912 (abbr. nel testo con Religioni,
qui con DuR); Dialogo e annuncio in due recenti documenti, in «La Civiltà Cattolica» (abbr. CC), 143/2 (1992), pp.
221-237; Vie divine di salvezza o espressioni dell’uomo religioso? L’interpretazione teologica delle religioni mondiali
dal Concilio Vaticano II ad oggi, in AA.VV, Cristianesimo e religione, Editrice Glossa, Milano 1992, pp. 100-131;
Introduzione alla cristologia (Introduzione alle discipline teologiche 6), Piemme, Casale Monferrato (AL) 1993;
Alleanza e salvezza, in RdT, 35/2 (1994), pp. 148-171; La fede cristiana in Gesù Cristo in dialogo con le grandi
religioni asiatiche, in «Gregorianum», 75 (1994), pp. 217-240; L’universalità del cristianesimo di fronte alle religioni,
in «Synaxis», 12 (1994), pp. 133-165; La teologia nel contesto del pluralismo religioso. Metodo, problemi e
prospettive, in A. Amato (a cura di), Trinità in contesto (Biblioteca di Scienze Religiose 110), LAS, Roma 1994, pp.
127-150; Il cristianesimo di fronte alla sfida del pluralismo religioso. La proposta di R. Panikkar e H. Le Saux, in
«Studia Patavina», 42 (1995), pp. 487-497; Universalità del Cristianesimo: Gesù Cristo, il Regno di Dio e la Chiesa, in
M. Farrugia (ed.), Universalità del Cristianesimo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1996, p. 15-57; Cristo universale
e vie di salvezza, in «Angelicum» 2 (1997), 193-217; questo testo è particolarmente interessante perché, come si legge
nell’asterisco di p. 193, anticipa i contenuti che saranno esposti in DuV
19
Nel Post scriptum, per giustificare la propria posizione, da un lato Dupuis scrive che le bozze del testo errano già
state mandate in stampa prima della DI e della Notificazione (DuS, pp. 480-481), dall’altro però annota che il libro tiene
conto dei due documenti della CDF (cf DuS, p. 483) sia perché concorda con la fede divina e apostolica professata con
certezza nei documenti magisteriali (cf. DuS, p. 483), sia perché egli si riserva di interpretare i dati della fede in una
prospettiva differente rispetto a quella della Cdf, la quale procede in termini dogmatici, mentre Dupuis si rifà alla
teologia ermeneutica (cf. Dus, pp. 483-484). In un articolo di G. Bernardelli – Dio cerca l’uomo con le religioni. In un
libro intervista postumo la richiesta di riforma della curia romana, in «Il Regno attualità», 62/12 (2017), pp. 325-326 –
l’autore, nel dare conto di un volume-intervista del p. Dupuis con G. O’Connell, Non soffocare lo Spirito, Orbis Book,
Maruknoll, nel quale sono raccolti i colloqui intercorsi tra il 2002ed il 2004 tra Dupuis ed il giornalista irlandese (cf.
BP, pp. 21-22), conferma il fatto che il testo di Dupuis in BP , da pubblicare in Incontro, non ottenne l’autorizzazione
ecclesiastica (qui p. 325; cf. BP, p. 14, 63).
5

Infine, e questo ritengo sia il punto più importante, come anticipato, non vorrei limitarmi ad una
ricognizione delle problematiche spinose sollevate dal saggio, quanto piuttosto alle soluzioni che
dobbiamo ritenere come ormai recepite a quelle che si presentano piuttosto come vicoli ciechi, su
cui risulta sterile insistere. Da qui il richiamo al bilancio cui facevo riferimento inizialmente.

1. Il contesto nel quale viene collocata la proposta di Dupuis: il dibattito teologico,


all’indomani del Vaticano II, monopolizzato dalla tendenza teocentrico-pluralista
Per cogliere in profondità «la teologia delle religioni “aperta”»20 di Dupuis, è necessario collocarla
nel dibattito teologico nel quale egli intende inserirsi con la sua proposta, che egli denomina ora
come «cristologia trinitaria e peneumatica»21, ora come modello del «“pluralismo inclusivo”, ora
come «“inclusivismo pluralistico”»22, compiendo così un passo ulteriore rispetto al
«cristocentrismo teocentrico» di Religioni23.
All’indomani della celebrazione del Vaticano II24, che da un lato esprimeva un giudizio
globalmente positivo sulle religioni non cristiane25 – costituendo, come hanno scritto in molti,
Dupuis compreso, una «nuova era in teologia»26 – e dall’altro impegnava i suoi figli in un dialogo
fraterno e costruttivo con seguaci di altre fedi, così da stabilire rapporti di pace di collaborazione in

20
Cf. DuV, pp. 338, 374, 380, 382, 402; DuS, p. 410.
Cf. DuV, pp. 338, 374, 380, 402; DuS, pp. 255, 264, 304.
21
Cf. DuV, pp. 277, 279, 286, 521; DuS 16, 182, 188, 470
22
Cf. DuS, pp. 180, 188, 469; BP, pp. 156-157.
23
Cf. DuS, p. 15. Al di là delle acrobazie linguistiche, dovrebbe essere assodato che il teologo belga, come più volte
ribadirà, non adotta il modello teocentrismo, benché, accogliendone le istanze e collocandosi in quella prospettiva, a
volte può dare questa impressione al lettore (cf. E. Castellucci, op. cit., p. 96). A Dupuis va anzi riconosciuto l’indubbio
merito di essersi adoperato non soltanto in difesa dell’«“unicità e universalità ‘costitutiva’ di Gesù Cristo come
salvatore dell’umanità», ma anche di aver rifiutato chiaramente i nuovi paradigmi del Logocentrismo,
Pneumatocentrismo e del Regnocentrismo (cf. DuT, pp. 669, 672, 675, 688; DuS, pp. 465-466). Ma è anche vero che
l’ha fatto in un modo diverso dal modello inclusivista classico, e ciò ha sollevato non pochi dubbi sulle sue reali
intenzioni e sulla validità del suo modello teologico.
24
Sull’importanza degli insegnamenti del Concilio al riguardo del rapporto tra il cristianesimo e le religioni, valgano
per tutti: DuV, pp. 213-229; DuS, pp. 122-136; G. Canobbio, L’emergere dell’interesse per le religioni nella teologia
cattolica del novecento, in CB, pp. 15-55, qui pp. 48-54; E. Castellucci, op. cit., pp. 60-78; F. Iannone, Una Chiesa per
gli altri. Il Concilio Vaticano II e le religioni non cristiane, Cittadella Editrice, Assisi 2014. Il Vaticano II ha
rappresentato una pietra miliare di non ritorno «nella storia di ciò che la chiesa ha detto sulle altre fedi e su se stessa in
rapporto ad esse» (Kn, p. 158), e costituisce l’evento epocale che ha aperto un nuovo capitolo nella storia delle
relazioni tra il cristianesimo e le religioni (cf. DT, p. 23). Nei secoli precedenti aveva dominato l’atteggiamento
formulato dall’assioma patristico extra Ecclesiam nulla salus che, se certamente riprendere l’insegnamento biblico
della necessità della fede e del battesimo per il conseguimento della salvezza, per motivi storico-culturali (ben
sintetizzati in DuS, p. 378; cf. DT, pp. 127-131) è stato interpretato in termini sempre più rigidi, fino alla sua
formulazione radicale del concilio di Firenze (cf. P. Hünermann [a cura di], Heinrich Denzinger. Enchiridion
Symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, ed. Bilingue, EDB, Bologna 1995 [abb. DZ], n.
1351). Ma con la scoperta del Nuovo Mondo nel 1492, possiamo registrare un vero e proprio “giro di boa” nella storia
della Chiesa perché si mise a tema un principio fino a quel momento pressoché sconosciuto alla Scrittura e alla
teologia, ossia la prospettiva soggettiva delle condizioni personali per accogliere la salvezza; dunque la possibilità di
non aver mai sentito parlare del messaggio evangelico e, quindi, l’impossibilità di aderirvi (cf. DT, pp. 114, 133-136,
162,167,193,205, 272-273). E difatti, da concilio di Trento in poi, l’impostazione cambia per giungere fino al Vaticano
II, con il magistero che sarà sempre più attento alle condizioni personali del soggetto, riconoscendo la possibilità della
salvezza a coloro che ignorano il Vangelo senza loro colpa. Questa lunga fase storica, dalla patristica al Vaticano II,
viene etichettata con la categoria di esclusivismo ecclesiocentrico. Esso resta ancora fortemente presente nelle variegate
comunità “evangelicali” americane (cf. Kn, pp. 49-55), le quali si appellano al principio paolino secondo cui la
salvezza passa solo dalla fede, non dalle opere; senza la fede esplicita in Gesù non si può conseguire la salvezza. Il
Vaticano II, con LG 16 e GS 22, chiuse definitivamente la questione, riconoscendo la possibilità della salvezza perfino
agli atei, purché ci si impegni a compiere le opere del bene, conosciuto attraverso il dettame della coscienza, che poi
altro non è che l’adesione alla legge morale universale (o naturale) dell’alleanza nohachica (cf. DT, pp. 99-101, 108,
154, n. 78; CTI, nn. 86, 90,96; CCC 346)
25
Cf. DuV, p. 221; DuS, pp. 131, 134, G. Gäde, Interiorismo: un’alternativa per la teologia delle religioni
all’esclusivismo, all’inclusivismo e al pluralismo, in HTh, 20 (2002), pp. 347-366, qui p. 347.
26
DuS, p. 134.
6

vista della promozione della giustizia sociale e della fraternità (NAE 2)27, intorno agli anni ’70 28 si
costituiva una nuova disciplina teologica, la tdr
Nell’ampio dibattito postconciliare29, si faceva strada una corrente di pensiero – cui la storiografia
attribuirà il nome di teologia pluralista o mutualista30 o teocentrica delle religioni – la quale,
facendo capo al presbiteriano J. Hick, cui si affiancheranno anche i l c a t t o l i c o P. F . Knitter ed
i l “ p o l i v a l e n t e ” 31 R. Panikkar –, stabilendo come «imperativo etico»32 l’impegno di favorire il
dialogo interreligioso, mette in discussione il carattere unico della mediazione di Cristo relativizzando
la rivelazione cristiana come completa e definitiva33. Questo nuovo orientamento si vanta di costituire
una vera svolta copernicana in ambito teologico34, avanzando la pretesa di varcare il Rubicone
teologico35 mediante la “deassolutizzazione della cristologia” e/o il “disarmo cristologico”36. Per i pluralisti
non sarebbe Gesù Cristo a costituire il centro della storia religiosa dell’umanità, ma una Realtà
trascendente, inconoscibile in se stessa – sono evidenti le influenze della filosofia kantiana – ma
comune e condivisa da tutte le tradizioni religiose soprattutto al livello mistico. I pluralisti
rinunciano alla interpretazione tradizionale della fede cristiana di Gesù come “il solo-e-unico-
Figlio di Dio Salvatore” e collocano accanto a lui altri grandi personaggi religiosi della storia come

27
Il Concilio segnò un nuovo passo nella storia della Chiesa perché incoraggiò e sostenne i suoi figli affinché, con
prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo
testimonianza alla fede e alla vita cristiana, si impegnassero a riconoscere, conservare e fare progredire i valori
spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in esse (cf. NAE 2), avendo come finalità la difesa comune della
giustizia sociale, dei valori morali della pace e della libertà (cf. NAE 3).
28
A ridosso del Vaticano II alcuni teologi, in particolare J. Danielou, E. De Lubac e K. Rahner si interrogarono sul
significato delle religioni nella storia della salvezza, considerate nel loro insieme come sistemi religiosi totalizzanti.
Con la loro riflessione, la questione slittò dalla possibilità della salvezza dei non cristiani alla considerazione delle
religioni in quanto tali (cf. DuS, pp. 20-21) e sul loro significato nella storia della salvezza. Si tratta dell’interesse
principale che in teologia tenne banco fino agli anni ’90 del XX (cf. CTI, 8, 81). È sostanzialmente con Dupuis che in
teologia ci si chiede, «più in profondità, quale significato positivo abbiano le tradizioni religiose stesse nell’unico piano
globale di Dio per la salvezza» (DuS, p. 21; cf. DuV, pp. 18-21). I tre teologi sopra menzionati vengono ricordati in
CTI, n. 4, come i precursori di due linee di pensiero. I primi due sono conosciuti come esponenti della “teoria del
compimento”, cui si aggiunge anche H. Urs von Balthasar. Sia pure con sfumature diverse, essi ritengono che da un
lato le religioni non sono quel tentativo idolatrico di raggiungere la salvezza con le proprie forze, come vorrebbe il
teologo luterano K. Barth (valga, per tutti, la presentazione di Kn, pp. 47-75, 273); dall’altro, però, in se stesse non
giocano alcun ruolo nella salvezza dei loro credenti, i quali vengono salvati dalla grazia di Cristo. Per K. Rahner,
invece, teorico della “teoria della presenza” e “del cristianesimo anonimo”, le religioni sono già plasmate dalla grazia
divina, per cui esse rappresentano delle autentiche vie di salvezza per i loro seguaci, benché questa si ottenga solo in
Cristo. In definitiva, come osserva giustamente il nostro teologo, per i primi due, la salvezza dei non cristiani si
raggiunge nonostante la loro appartenenza religiosa, mentre per Rahner proprio in forza di essa (cf. DuV, pp. 174, 191-
192, 212; DuS, p. 110). Il Concilio non entrò nel dibattito teologico. Si limitò ad esprimersi positivamente nei confronti
delle religioni non cristiane – sia pure con cautela, visto che individuò in esse anche «lacune, insufficienze ed errori»
(RM 55; cf. OT, n. 16; NAE, n. 2) –, e riconoscendo in Cristo la pienezza della verità e della grazia salvifica di Dio per
l’umanità intera.
29
Ne dà magistralmente conto DuV, pp. 241-271.
30
Questo termine, meno noto, è presente in Kn, pp. 302, 315, 330, 428.
31
Come si potrebbe definire diversamente un personaggio che ha scritto di se stesso: «sono partito cristiano, mi sono
scoperto induista e sono ritornato buddhista, senza mai smettere di essere cristiano» (cit. in Kn, p. 254)?
32
Kn, p. 224.
33
Cf. GM, p. 220.
34
Cf. Kn, pp. 226, 228-229; DuV, pp. 251-253.
35
Cf. G. Gäde , Interiorismo…, cit., p. 352; DuV, p. 253.
36
Queste espressioni non sono sfuggite a G. Gäde in Interiorismo...,cit., p. 354; Cf. G. Gäde, Da Ernst Troeltsch.., cit.,
p. 118; Dupuis parla di «“cristologia riveduta” o “reinterpretata” nel contesto del pluralismo religioso» (DuV, p. 255; cf.
384). I pluralisti non si oppongono soltanto all’esclusivismo preconciliare, ma anche ma anche la posizione inclusivista
del Vaticano II la quale – da qui la configurazione di quel modello detto teologia inclusivista delle religioni, o
cristocentrica, che considera «Gesù Cristo al centro del piano divino di salvezza» (RM 6; cf. GS 10) –, ammette «nelle
religioni una verità parziale», «frammentaria» e «incompleta» (G. Gäde, Interiorismo.., cit., p. 351; Id., «Adorano con
noi il Dio unico» (Lumen gentium 16). Per una comprensione cristiana della fede islamica, Borla, Roma 2008 (abbr.
GAd), pp. 13, 64, 74, 94) rispetto alla pienezza e alla definitività della rivelazione cristiana (cf. LG 16; DV 2-4; NAE 2).
7

Krisna, Buddha, e Muhammad, i quali costituirebbero altrettanti Verbi e perciò altrettanti “soli-e-
unici”37. Di conseguenza, «Cristo sarebbe una via normativa per i cristiani, ma non la via
costitutiva di salvezza per tutti gli uomini»38, ossia la fonte da cui scaturisce la salvezza per tutta
l’umanità. Scrive R. Haight: «altre mediazioni della salvezza di Dio stanno o possono stare alla
“pari” di Gesù Cristo»39. «“Veramente” ma non “soltanto”: questa formula può fungere da
descrizione ultima» […] della concezione di Gesù propria del Modello della Reciprocità [o
teocentrico-pluralista]. In Gesù Dio ha parlato veramente con una pienezza, una definitività e una
capacità di sfida universale; ma può non averlo fatto soltanto in lui. Da qui il bisogno di rendere, e
di ricevere, testimonianza. È questa la materia del dialogo»40.
È proprio nel dibattito suscitato dalla teologia pluralista che si inseriscono non solo le prese di
posizione del magistero41, ma anche le voci pensatori di rilievo come il domenicano G.
Geffré 42 e, soprattutto, il gesuita J. Dupuis, punte di diamante della corrente inclusivista43.

37
Cf. Kn, pp. 305-306, 309-310, 313-314, 316, 330, 397-398.
38
GM, p. 230.
39
Cit. in Kn, p. 312.
40
Kn, p. 314; cf. pp. 330-331.
41
La teologia dei mutualisti ha suscitato la parallela reazione ferma del magistero postconciliare, che ha provato a
frenarne la deriva relativista in particolare con l’enciclica Redemptoris missio (RM) di Giovanni Paolo II,
con la CTI e, soprattutto, con la DI della Cdf, con cui le dottrine pluraliste sono state contrastate in nome
dell’autentico deposito della fede affidato da Dio alla comunità credente, custodito nella Parola di Dio e
trasmesso nella Chiesa dalla Tradizione divino-apostolica.
42
Di C. Geffré si veda soprattutto: Le Coran, une parole de Dieu différente?, in «Lumière et Vie», 32 (1983), pp. 2-32;
La singolarità del cristianesimo nell’età del pluralismo religioso, in «Filosofia e Teologia», 6 (1992), pp. 38-58; La
vérité du christianisme à l’âge du pluralisme religieux, in «Angelicum» 74 (1997), pp. 171-192; Credere ed
interpretare. La svolta ermeneutica in teologia, Queriniana, Brescia 2002; From the theology of Religious Pluralism to
an Interreligious Theology, in In Many and diverse ways. In Honour of Jacques Dupuis, Orbis Book, Maryknoll NT
2003, pp. 43-59; Verso una nuova teologia delle religioni, in R. Gibellini (ed.), Prospettive teologiche per il XXI
secolo, Queriniana, Brescia 2003, pp. 353-372; Le mystère du pluralisme religieux dans l’unique dessein de Dieu.
Fondement biblique et théologique, in HTh, 22 (2004), pp. 279-296; Il mistero del pluralismo religioso nell’unico
progetto di Dio. Fondamento biblico e teologico, in CM, pp. 215-237 (abbr. GM); De Babel à Pentecôte. Essai de
théologia interreliogieuse (Cogitatio fidei 247), Les Éditions du Cerf, Paris 2006; La parola di Dio delle altre
tradizioni religiose e la storia dei popoli come racconto di Dio, in «Concilium», 46/2 (2010), pp. 44-55. Per una
valutazione sintetica della «teologia interreligiosa o dialogica» (GM, p. 237) del teologo francese, cf. J.-M Aveline, Il
contributo francese alla teologia delle religioni, in CB, pp. 59-79, qui pp. 69-72; G. Gäde, Il primo passo
metodologico. Una breve replica al contributo di Claude Geffré, in CM, pp. 239-245; G. Colzani, Per una teologia
delle religioni. Note su questioni di metodo, in CM, pp. 247-257, qui pp. 254-255; M. Borrmans, op. cit., pp. 145-167,
qui 148-150; M. Menin, Il dono del pluralismo. Missione e unicità di Gesù Cristo, in «Ad Gentes», 18 (2014), pp. 51-
68, qui pp. 60-62; C. Caltagirone, Teologia delle religioni e “vera religione”, in M. Naro (ed.), Teologia delle religioni
oltre l’istanza apologetica, Città Nuova, Roma 2013, pp. 31-58, qui pp. 50-52. Dal momento che GM costituisce la
sintesi del pensiero di Geffré sull’argomento, con una ripresa di quanto aveva già scritto in Verso una nuova teologia
delle religioni, in questa sede citeremo soltanto quest’ultimo contributo.
43
La stretta correlazione tra le due posizioni teologiche, già riconosciuta dagli studiosi (cf. G. Gäde, Il “nuovo
inclusivismo” e l’interiorismo. Riflessioni epistemologiche e metodologiche in teologia delle religioni, in HTh, 24
(2006), pp. 241-256 [qui pp. 241-242]; J.-M Aveline, op. cit., p. 70 n. 31; M. Gronchi, Trattato su Gesù Cristo Figlio
di Dio Salvatore [Nuovo corso di teologia sistematica 3], Queriniana, Brescia 2008, pp. 954-1002, qui p. 963), è
testimoniata dagli stessi autori (cf. GM, p. 228 n. 9; DuV, pp. 19, 519, sul pluralismo de iure, cf. ibid., p. 25; sulla
teologia ermeneutica, cf. ibid. p. 332; sulla possibilità di riconoscere Maometto come un profeta genuino, cf. ibid., p.
340; sulla rivelazione differenziata, cf. ibid., pp. 396, 404; sulla de-assolutizzazione di tutte le religioni, compreso il
cristianesimo, a motivo dei suoi limiti storici, col conseguente riconoscimento del valore salvifico di altre tradizioni
all’interno dell’unico disegno salvifico divino, cf. ibid., pp. 410, 521; sull’«unicità relazionale», categoria applicata a
Gesù Cristo, da cui scaturisce la «cristologia costitutiva», la quale lascia spazio ad altre mediazioni e rivelazioni divine,
cf ibid., p. 509). Infine, valga per tutti la confidenza che lo stesso Dupuis fece all’amico W. R. Burrows (cf. BP, p. 58).
In occasione di una conferenza del domenicano a Roma nel 2000, Dupuis e Geffré si incontrarono e discussero a lungo;
non si trovò nessuna differenza tra le loro posizioni al riguardo di Gesù e delle religioni; e tuttavia, Dupuis confidò
l’amarezza nel constatare la differenza di trattamento da parte della Cdf nei loro confronti: Geffré teneva una
conferenza all’Urbaniana, mentre lui veniva accusato di eresia (!) In realtà, negli ultimi anni, anche nei confronti di
Geffré si registrò un atteggiamento sospettoso da parte delle autorità ecclesiastiche.
8

Ultimamente anche G. Gäde ha proposto un suo modello interpretativo del pluralismo religioso,
l’interiorismo 44. «Pur cogliendo le intenzioni della teologia pluralistica di potere valorizzare le
diverse religioni non cristiane, [Geffré e Dupuis] non sono disposti però a sacrificare la singolarità
dell’evento cristologico», optando per una de-assolutizzazione parziale della dottrina
cristologia 45 così da realizzare l’istanza di fondo dei pluralisti rappresentata dall’esigenza di
stabilire un vero e reale dialogo alla pari con i seguaci di altre fedi46. Questi autori hanno dovuto
superare «l’inclusivismo tradizionale che concede alle altre religioni una verità soltanto parziale o
addirittura difettosa»47. Da qui la loro soluzione, con alcune sfumature differenti, di riconoscere il
pluralismo di fatto come un pluralismo di diritto. Ora con la posizione di Geffré, secondo cui «la
corrente più promettente all’interno della teologia cattolica cerca di superare una teologia del
compimento nel senso di una teologia del pluralismo religioso, che tuttavia rigetta l’opzione
pluralista dei teologi che sono pronti a intaccare il cristocentrismo a vantaggio di un teocentrismo
indeterminato. In effetti, senza porre in questione l’unicità del mistero di Cristo, cioè accettando un
cristocentrismo costitutivo, questa teologia non esita a parlare di un pluralismo inclusivo nel senso di
un riconoscimento dei valori propri delle altre religioni»48. Ora con la “teologia aperta” di J. Dupuis
formulata inizialmente in Verso. Volendo individuare il progetto di Dupuis, dobbiamo districarsi in
un saggio che i recensori hanno riconosciuto essere certamente complesso ed articolato49, nel quale
molte affermazioni stanno in permanente tensione reciproca, continuamente controbilanciate da
altre e poste con un ritmo incalzante50. È lo stesso Dupuis che ci viene incontro introducendoci alla
comprensione del suo progetto teologico. «Il nostro intento – scrive in Verso – […] è quello di
mostrare che una rivendicazione ben ponderata dell’unicità e universalità di Gesù Cristo lascia lo
spazio per una teologia “aperta” delle religioni e del pluralismo religioso. Una prospettiva
cristologica trinitaria consente, in particolare, di riconoscere la presenza e l’attività continuative del
Verbo di Dio e dello Spirito di Dio. Una tale prospettiva [...] rende possibile affermare una pluralità
di “vie” o “percorsi” per la liberazione/salvezza umana, conformemente al disegno di Dio per
l’umanità in Gesù Cristo; essa apre inoltre la strada al riconoscimento di altre “figure salvifiche”
nella storia umana»51. Questo tentativo di conciliazione del paradigma pluralista con quello
inclusivista è stato riletto come “nuovo inclusivismo”52 o, più semplicemente, come semi-

44
Lo studioso non presenta questa nuova categoria come se fosse una nuova chiave di lettura del rapporto
cristianesimo-religioni, un quarto modello di classificazione oltre i classici ecclesiocentrismo, inclusivismo e teocentrismo,
dal momento che l’interiorismo intende valorizzare pienamente la verità insuperabile delle religioni. Più che un nuovo
paradigma, considerato che i tre sono completi in se stessi, si tratta di una (nuova) «ermeneutica cristiana delle religioni»
che considera la verità delle religioni come «insuperabilmente vera» al pari del cristianesimo, senza per questo sminuire
la fede cristiana. (cf. Gäde, Interiorismo: un’alternativa.., cit.; Id., Il “nuovo inclusivismo”… cit., e soprattutto GAd, pp.
15, 25, 31-32, 36-37, 66, 66-128).
45
Cf. DuV, pp. 379-380. Il principio della «di-assolutizzazione del cristianesimo», parallelo a quello del «principio di
limitazione del cristianesimo» e del pluralismo de iure, sono esposti in GM alle pp. 216, 219, 220-236.
46
L’espressione è tipica della teologia pluralista (Kn, pp. 212, 222, 224). Dupuis l’ha fatta propria (cf. BP, pp. 46-48).
47
G. Gäde si pone esattamente su questa linea quando afferma che la posizione inclusivista del Concilio, «malgrado
l’apertura verso le altre religioni, non potrà a lunga scadenza figurare come un’opzione veramente soddisfacente. Con la
sua persistente posizione di superiorità sulle altre religioni religiose, l’inclusivismo pare poco adatto a svolgere un
dialogo interreligioso par cum pari e a rendere veramente giustizia alle grandi religioni mondiali e alla loro capacità
umanizzatrice» (GAd, p. 13). Da qui la sua proposta non di un nuovo paradigma, dal momento che i tre conosciuti sono
già completi, bensì di nuova ermeneutica delle religioni che è l’interiorismo (GAd, 15, 25, 31-32, 36-37, 66, 66-128).
48
GM, pp. 218-219.
49
Si veda, a titolo esemplificativo, G. Canobbio, Forum ATI. Note a margine dell’opera di J. Dupuis, in RdT, 38
(1997), 834-838, qui p. 837.
50
Cf. G. De Rosa, Una teologia problematica del pluralismo religioso, in CC, 149/3 (1998), pp. 129-143, qui p. 140;
M. Crociata, «Mediator simul et plenitudo totius revelationis» (DV 2). Religioni e rivelazione, in Id. (ed.), Gesù Cristo e
l’unicità della mediazione, Paoline, Milano 2000, pp. 243-284, qui p. 279. Come registreremo (e com’è noto), la
tensione attraversa tutto il volume e si scaricherà continuamente nella cristologia.
51
DuV, p. 380; cf. pp. 403, 406, 520-521; cf. DuS, pp. 188, 267, 302, 309, 329-332, 476-477, 484-485.
52
Cf. G. Gäde, Il “nuovo inclusivismo” e l’interiorismo. Riflessioni epistemologiche e metodologiche in teologia delle
religioni, in HTh, 24 (2006), pp. 241-256.
9

pluralismo, giacché si presenta come una via di mezzo tra i due indirizzi principali. In ogni caso,
gli esiti di queste rivisitazioni del messaggio cristiano in dialogo con le religioni sono stati la
critica serrata rivolta anche alla linea C. Geffré ora, soprattutto, il dibattito sorto attorno alla
pubblicazione di Verso53, fatte salve, certo, sia a Dupuis sia a Geffré, le migliori intenzioni nel
salvaguardare il cuore della fede cristiana in Cristo salvatore e rivelatore del Padre54. J. Dupuis
moriva qualche anno dopo, il 28 dicembre 2004; C. Geffré è scomparso il 9 febbraio del 2017.

2. Sguardo d’insieme sulla proposta di Dupuis: una “teologia aperta delle religioni”, di
matrice cristologico-trinitaria, scandita in cinque punti essenziali

In questo paragrafo dobbiamo sviluppare le tesi principali esposte in Verso, e contenute


virtualmente nel passaggio sopra citato, così da offrire un quadro d’insieme coerente e
sostanzialmente completo. Dovremo procedere con cautela perché le dichiarazioni di Dupuis si
prestatano a fraintendimenti55, cioè possono essere interpretate come testi pluraliste. Sia in
Rivisitata, sia in Incontro, Dupuis potrà chiarire che il suo disegno teologico «non ha nulla in
comune con il paradigma pluralistico dei teologici “pluralisti”»56.
Tralasciamo di approfondire in questa sede le istanze religioso-culturali57 che animano lo
studio del teologo, nonché i (principali) presupposti metodologici58 e filosofico-teologici59 del suo

53
Cf. G. Gäde, Il “nuovo inclusivismo”…, cit., pp. 241-246; Id., Il primo passo metodologico. Una breve replica al
contributo di Claude Geffré, in CM, pp. 239-245; G. Colzani, op. cit., p. 254.
54
Contestualmente, molti altri autori si sono cimentati nella riflessione teologica sulle religioni. Spesso i risultati sono
stati giudicati dalla Cdf come deviazioni dalla retta fede della Chiesa in quanto nei loro studi si sono riscontrati errori o
dottrine contrarie alla fede cattolica. Si vedano, ad es., le Notificazioni a J. Sobrino, a R. Haight, e quella della Cdf della
Conferenza Episcopale Spagnola ad A. Torres Queiruga; quest’ultima è reperibile in «Il Regno documenti», 57/9 (2012),
pp. 290-296. Nel caso dell’esame del saggio di Dupuis, il giudizio fu senz’altro meno severo. Nondimeno il p. Dupuis
visse con sofferenza il procedimento disciplinare aperto dalla Cdf; stato d’animo che è stato descritto dall’amico W. R.
Burrows in BP. In questo volume sono presenti due contributi dello stesso Dupuis: La Dichiarazione Dominus Iesus e i
miei punti di vista su di essa, del 26 novembre 2000 (cap. II), pp. 63-121; Il processo e la notificazione della CDF e i
miei punti di vista su di essi, del 7 marzo 2001 (cap III), pp. 123-158. In questo cap. III si raccontano le incomprensioni
con le personalità di spicco della Cdf con cui Dupuis si è dovuto confrontare. Il teologo tornerà sulla sua vicenda, come
ci racconta il citato articolo di B. Bernardelli.
55
Cf. BP, pp. 57, 68, 156
56
DuS, pp. 482; cf. pp. 483, 484, 485; cf. DuT, pp. 672, 675, 676, 683
57
Ce ne dischiude l’accesso lo stesso Dupuis nella conclusione in Rivisitata. «Le intenzioni profonde che hanno
ispirato e animato» il suo lavoro, e che «costituiscono tre criteri che dovrebbero presupporsi in chi lo vuole leggere e
giudicare con adeguatezza e secondo verità» (DuT, p. 691) sono le seguenti: il problema (nuovo) del pluralismo
religioso che provoca la teologia cristiana, il senso del mistero di Dio e della sua azione, che supera la nostra capacità
di comprensione, l’importanza della prassi dell’incontro e del dialogo, per cui il teologo delle religioni non può trattare
di realtà che non ha incontrato, ascoltato e senza essere entrato in contatto con la loro vita religiosa (cf. ibid., pp. 692).
58
Sulla scorta dell’insegnamento di C. Geffré, Dupuis si muove nel quadro del «circolo ermeneutico», con la circolarità
tra il dato della fede, il contesto storico e l’interprete odierno, cioè il teologo della comunità credente. Da qui la proposta
di una «teologia dialogica interreligiosa». La tdr non costituisce solo un nuovo argomento su cui riflettere, ma essa
stessa «va vista come un nuovo modo di fare teologia in un contesto interreligioso: un nuovo metodo per fare teologia
in una situazione di pluralismo religioso» (cf. DuV, p. 30; cf. DuS, p. 34. Sull’argomento, rimando in particolare a N.
Capizzi, Pluralismo inclusivo e verità per una “teologia dialogica” delle religioni”, in CM, pp. 267-278, qui pp. 272-
274). Ne consegue, da un lato, che «il punto di partenza della teologia del pluralismo religioso è una prassi del dialogo
interreligioso, sulla base della quale essa va in cerca di un’interpretazione cristiana della realtà religiosa plurale che la
circonda. Essa si presenta come un nuovo modo di fare teologia» (DuV, p. 30). Questa «teologia ermeneutica
interreligiosa» (cf. DuV, p. 30) o «teologia dialogica interreligiosa» (DuS, p. 34) – espressione in corsivo che, come
osserva N. Capizzi (op. cit., p. 273, n. 17) non è riportata in DuV – è, forse, meglio spiegata da C. Geffré. La tdr – in
cui il genitivo non implica solo un nuovo oggetto su cui riflettere (il pluralismo religioso), ma soprattutto un
«atteggiamento dialogico in ogni stadio della sua riflessione: è riflessione teologica sul dialogo e nel dialogo» (DuV, p.
30) –, va considerata «come una dimensione di tutta la teologia. Così essa dovrebbe informare i principali capitoli della
dogmatica, in particolare il nostro approccio al mistero di Dio, la nostra concezione della salvezza, la nostra visione del
mistero della chiesa nel suo rapporto col Regno di Dio, il senso della missione, ecc.» (GM, p. 237). Solo col confronto
10

argomentare, possiamo individuare sia gli obiettivi prossimi e remoti del suo lavoro sia, soprattutto
i punti nodali del suo argomentare, formulati in cinque punti.
È necessario rilevare anzitutto l’obiettivo remoto dello sforzo teologico di Dupuis. Riprendendo
“l’imperativo etico” della teologia pluralista, egli è mosso dall’urgenza del dialogo con i seguaci
delle altre religioni. Ma perché questo dialogo non si riduca ad un monologo, i cristiani devono
accantonare la pretesa del monopolio della verità su Dio, sull’uomo e sul mondo60; tale
atteggiamento viene percepito dai loro interlocutori come forma di arroganza o “imperialismo
religioso”61. Il dialogo, invece, non può essere inteso che come una strada a doppio senso di marcia,
in cui si dà e si riceve, si può apprendere dall’altro e ci si può arricchire vicendevolmente62. Perché
questo scambio sia possibile, è necessario superare il modello del compimento proposto da

con le altre religioni, in ultima analisi, si può apprezzare la novità cristiana e nello stesso purificare ed approfondire la
fede cristiana col confronto interreligioso. Geffré aggiunge subito che si tratta di superare «sia la tentazione di
un’apologetica cristiana sia la pura neutralità di una storia comparata delle religioni. Deve essere possibile essere fedeli
alla singolarità cristiana, sforzandosi di rispettare l’originalità di ogni religione. Il confronto con le altre tradizioni
religiose deve condurci ad una migliore intelligenza della rivelazione affidata alla Chiesa da Cristo» (ivi).
59
«Le premesse da cui muove l’autore – osserva con attenzione M. Crociata – sono delineate a partire da un triplice
contesto. Quello filosofico, innanzi tutto, in forza del quale la coscienza storica ha acquisito che “nessuna tradizione
religiosa può rivendicare a priori una conoscenza privilegiata del Mistero” [DuV, p. 379]. “Ogni conoscenza umana
dell’Assoluto è relativa”» (M. Crociata, Per uno statuto..., cit., p. 351; cf. DuV, p. 380). «E qui sembra – commenta il
recensore – di trovarsi in presenza di un principio apoditticamente enunciato» (M. Crociata, Per uno statuto.., cit., p.
350). «Il contesto esegetico viene poi dichiarato in grado di definire il cristocentrismo neotestamentario opera della
chiesa primitiva [cf. DuV, p. 380]. Quanto al contesto teologico, “viene istituita una dicotomia tra la particolarità
dell’evento-Gesù, localizzato nello spazio e nel tempo e, in quanto tale, irrimediabilmente limitato, e la rivendicazione
cristiana di un significato universale per tale evento. La tesi è che nessun avvenimento storico possa rivendicare
l’unicità e l’universalità che il cristianesimo attribuisce all’evento Gesù Cristo”» (M. Crociata, Per uno statuto… , cit.,
p. 350; cf. DuV, p. 380). Dal punto di vista teologico, le premesse di Dupuis comportano, come vedremo, un certo
ridimensionamento della figura di Gesù, benché non radicale come quello dei pluralisti – e che Dupuis definisce come
“revisionista” (Cf. DuV, pp. 225, 384; CTI 93-94, 104) –, a tutto vantaggio del primato di Dio e/o del Padre. Una
conseguenza di questa prospettiva, come vedremo, è la negazione esplicita e convinta della prerogativa di “assolutezza”
attribuita alla persona del Cristo (cf. DuV, pp. 378-383). Dal punto di vista dell’approccio teologico alla problematica
del pluralismo, «le premesse del saggio sono indicate nel rimando biblico soprattutto a Eb 1,1-2 e Gv 1,3.9 e nella
visione della storia umana come storia della salvezza, essendo unico il disegno di Dio sull’umanità. Da queste premesse
discende l’universalità della rivelazione che è possibile riscontrare anche nelle tradizioni non bibliche, da vagliare
secondo una prospettiva cristiana, cioè trinitaria e cristologica» (M. Crociata, «Mediator simul… cit., p. 276). M.
Crociata annota infine: «così sembra essere il contesto, nelle sue varie configurazioni, a dettare ultimamente i criteri di
intelligibilità della memoria cristiana o tradizione oggettiva. Ma in questa maniera risulta già sconvolto quell’equilibrio
che tiene in movimento la circolarità ermeneutica» (M. Crociata, Per uno statuto..., cit., p. 350-351). L’autore
menziona l’ulteriore conseguenza che deriva dall’accentuazione della contestualità del metodo ermeneutico, con la tdr
intesa come nuovo metodo per fare teologia, del quale, però ravvisa che «bisognerebbe intendersi su che cosa comporti
questo “nuovo modo di fare teologia”» (ibid., p. 351). Le considerazioni di C. Geffré al riguardo risultano illuminanti.
60
Cf. DuV pp. 439, 513; DuS, p. 472. Questo assunto è giustificato filosoficamente dal principio che il mistero di Dio
supera tutte le manifestazioni storiche, cristianesimo compreso, che hanno provato a descriverlo. Dupuis, sulla scia di
Geffré, abbandona così la categoria dell’assolutezza della rivelazione cristiana, sia pure non in termini categorici, come
il pluralismo. «Nessuna tradizione religiosa – scrive – può rivendicare a priori una conoscenza privilegiata del Mistero,
e tanto meno un monopolio di tale conoscenza. Ogni conoscenza umana dell’Assoluto è relativa». Dio è al di là perfino
di Gesù, che a motivo della sua particolarità storica non può esaurire il mistero divino. Dunque, come scrivono anche i
pluralisti (cf. Kn, pp. 217-249. P. F. Knitter conclude il paragrafo dedicato a J. Hick, il capostipite del teocentrismo,
con l’affermazione secondo cui «i cristiani possono e devono continuare ad annunciare che Gesù è un totus Deus –
totalmente Dio. Ma non possono, e non devono, affermare che è totum Dei – la totalità di Dio» (Kn, p. 246). Dupuis
non adotta questa formulazione né in DuV né in DuS; in DuT mantiene la riserva (pp. 679-680). Tuttavia è chiaro che
l’esito cui si giunge con l’affermazione secondo cui l’umanità di Gesù non esaurisce l’azione salvifica del Verbo si
pone esattamente in questa direzione.), l’assoluto è solo Dio, non Gesù: «soltanto l’Assoluto è assolutamente; egli solo
è infinito e necessario» (DuV, 381).
61
GM, pp. 216, 230.
62
Cf. DuV, pp. 13-14, 29-30, 464; DuS, pp. 135, 473. Il dialogo suppone che gli interlocutori stiano su un piano di
parità e che si arricchiscano vicendevolmente. Come ha scritto P. F. Knitter: il dialogo suppone la reciprocità, ossia una
conversazione, una relazione che «ha luogo realmente in entrambi i sensi, in cui entrambe le parti si parlano e ascoltano
e realmente sono disposte a imparare e cambiare» (Kn, p. 221; cf. pp. 222, 313).
11

Daniélou e De Lubac – secondo il quale le religioni rappresenterebbero (soltanto) il tentativo degli


uomini di incamminarsi nella ricerca di Dio, ora con esiti positivi, a motivo dei semi e dei raggi di
verità presenti in esse, ora con esiti negativi, a motivo dei limiti dell’intelligenza e del peccato
dell’uomo – e adottare quello rahneriano della presenza misteriosa di Cristo nelle religioni.
Nel compimento, infatti, i valori disseminati fuori dal cristianesimo, frammentari ed incompleti,
siano unilateralmente «destinati ad essere semplicemente “integrati”, assunti e assorbiti nel
cristianesimo, perdendo così la loro auto-consistenza»63. Il modello rahneriano, invece, permette di
valorizzare il bene presente nelle religioni non più come parte o frammento di ciò che il
cristianesimo già possiede in pienezza64. Per questo motivo Dupuis ribadisce con forza che le
ricchezze disseminate nelle religioni sono dotate di valore proprio, aggiuntivo ed autonomo, e
perfino irriducibile al cristianesimo. Recuperando la dottrina conciliare dei germi di «germi di
“verità e grazia”» presenti nelle religioni, Dupuis li interpreta «come doni largiti da Dio alle
nazioni, dotati d’un loro valore intrinseco»65. Pertanto, il “salto qualitativo” che egli intende far
compiere alla teologia e all’insegnamento ufficiale del magistero della chiesa66 è che si abbia una
valutazione teologica più positiva delle religioni ed un atteggiamento concreto più aperto nei
riguardi dei loro seguaci, riconoscendo dunque un significato positivo delle altre religioni
nell’ordine della salvezza67. Questo “salto di qualità”, che è l’obiettivo prossimo di Dupuis, lungi
dall’essere l’approdo al paradigma pluralistico, è il «pluralismo inclusivo» di cui egli si fa
promotore68. Distanziandosi dal paradigma pluralistico, esso «cerca di mostrare come la fede e la
dottrina cristiana possono combinare l’affermazione di fede dell’unicità di Gesù Cristo quale
salvatore universale con la concezione teologica di un ruolo e di un significato positivo
riconosciuto alle altre tradizioni religiose nel piano divino per l’umanità»69. Perché la fede cristiana
in Gesù Cristo, salvatore universale dell’umanità, possa risultare compatibile con l’affermazione di
un ruolo positivo di altre tradizioni religiose nel mistero della salvezza dei loro seguaci, è
necessario riconoscere il pluralismo di principio, non solo come dato di fatto. È questo è l’assunto
di partenza del piano operativo di Dupuis, l’obiettivo prossimo che intende presentare e difendere.
Il pluralismo de iure rappresenta il cavallo di battaglia dei pluralisti e, prima della pubblicazione di
Verso, è stato anticipato in ambito inclusivista da diversi autori, come E. Schillebeeckx, C. Duquoc
e C. Geffré70. Ma, a differenza dei pluralisti, per Dupuis significa che la pluralità religiosa, la quale
63
DuS, p. 472; cf. pp. 261, 471-473; DuV, pp. 439-433, 373-374, 521; DuT, 684, 687, 691.
64
Come scrive C. Geffré, le ragioni che spingono a superare i limiti di questo modello stanno nel fatto che esso non
favorisce «un dialogo interreligioso su un piano di uguaglianza. Ciò che non è preso sul serio, infatti, è l’alterità delle
altre tradizioni religiose nella loro differenza irriducibile» (GM, p. 218). Per questa ragione la corrente più promettente,
oggi, è quella che superi l’opzione pluralista, col suo tentativo di «intaccare il cristocentrismo a vantaggio di un
teocentrismo indeterminato», adottando così una teologia del pluralismo religioso che accetti un cristocentrismo
costitutivo, che sia disposto a «parlare di un pluralismo inclusivo nel senso di un riconoscimento di valori propri alle
religioni» (GM 219). G. Gäde, con la sua proposta interiorista, non fa altro che sviluppare il pensiero rahneriano
sostenendo che «la verità di Cristo […] è già presente in modo nascosto in tutte le religioni» (GAd, p. 9; cf.p. 115,
124). Sui modelli del compimento e quello, opposto, della presenza, si veda, in particolare: CTI, n. 4; DuV, 173-212;
DuS, 101-122; G. Canobbio, L’emergere dell’interesse per le religioni nella teologia cattolica del Novecento, in CB,
15-55, qui pp. 27-47.
65
DuS, p. 474; cf. pp. 261-263.
66
Cf. ibid., pp. 476, 484.
67
Cf. ibid., p. 304-306, 475-477.
68
Cf. ibid., p. 474-477
69
Ibid., p. 485; cf. pp. 266-267, 305, 484.
70
DuV, p. 19 n. 38. Secondo C. Geffré, che interpreta DI 4 come un monito contro il relativismo dei pluralisti, «è lecito
interpretarlo teologicamente come un pluralismo che corrisponde ad un misterioso progetto divino. Piuttosto che
denunciare un pluralismo di principio o de jure, è preferibile riconoscere il mistero del pluralismo religioso» (GM, p.
220; cf. pp. 230-232), ossia come una realtà che rinvia ad un misterioso volere di Dio (cf. GM, pp. 219-220). Sposando
questo principio, Dupuis supera perfino la posizione di K. Rahner, «la quale parlava delle altre religioni come
“legittime” fino a un certo punto e ad un certo tempo – un’espressione debole che continua ad ipotizzare un carattere
provvisorio e transitorio» (DuV, p. 423). Il pluralismo di principio, invece, stabilisce chiaramente la perenne validità
delle religioni. Poiché questa linea teologica è oggettivamente sbilanciata verso il pluralismo, Dupuis è costretto
continuamente ad aggiustarne il tiro sottolineando che le religioni non sono vie parallele di salvezza, ma «diversi
12

«ha un significato positivo nel piano divino per l’umanità»71, può e deve essere armonizzata con la
fede in Gesù come salvatore costitutivo dell’umanità e «causa di salvezza di tutti gli uomini»;
«questo non impedisce che le altre tradizioni religiose possano, nel quadro del disegno divino per
l’umanità, servire da “mediazione” del mistero di salvezza in Gesù Cristo a favore dei loro
seguaci»72. Attorno al pluralismo de iure si costruisce un impianto solido che possiamo scansionare
nei cinque punti che verranno di seguito illustrati.

1. Dio, che resta un mistero, si manifesta nelle religioni secondo un processo progressivo,
differenziato e complementare (ma non parallelo) rispetto all’evento Cristo

Sposando la causa rahneriana, per Dupuis le religioni non vanno intese «soltanto come diversi modi
con cui, nelle varie culture del mondo, gli uomini hanno cercato di approssimarsi al mistero divino,
senza poter mai raggiungerlo». Questa concezione, legata alla teoria del compimento, è «oggi
largamente abbandonata. Occorre, invece, dire che sono le religioni a rappresentare per prime “i
diversi modi” (cf. Eb 1,1) con cui Dio ha cercato gli uomini attraverso la storia – una ricerca divina
alla quale hanno potuto rispondere a seconda delle loro possibilità limitate»73. È secondo questa
linea che vanno compresi quei passi biblici come Eb 1,1-2 e Gv 1,3.974 – come anche
l’insegnamento di Giovanni Paolo II sulla presenza e l’azione universale dello Spirito,
particolarmente sottolineate nella RM nn. 28-29 –, secondo i quali, «prima di rappresentare la
ricerca di Dio da parte umana, le religioni sono “vie” attraverso cui Dio ha cercato gli uomini lungo
la storia dell’umanità. Esse fanno dunque parte dell’intero processo del coinvolgimento personale

aspetti complementari di un’unica economia di salvezza voluta da Dio per l’umanità» (DuS, p. 340; cf. pp. 446, 468;
DuV, pp. 264-266, 279-281, 337, 341, 410, 522) così da rimontare una prospettiva più inclusivista, in modo che Gesù
resti comunque al centro del piano divino di salvezza quale meta finale di ogni rapporto di Dio con l’umanità. Valga
per tutti DuV, p. 377: «Le tradizioni religiose del mondo trasmettono differenti intuizioni del mistero della Realtà
Ultima. Per quanto incomplete, queste intuizioni attestano una multiforme auto manifestazione di Dio agli esseri umani
in differenti comunità di fede. Esse sono “volti” incompleti del Mistero Divino variamente sperimentato, che devono
trovare compimento in colui che è “il volto umano di Dio”».
71
DuT, p. 690. Dunque, riconoscere il significato positivo nelle religioni nel disegno salvifico di Dio equivale a
postulare il pluralismo di principio (cf. DuV, pp. 19-20, 271, 518-520; DuS, pp. 43, 445-446, 466-470, 485-486). «La
pluralità deve essere presa sul serio ed accolta positivamente non soltanto come un fatto, ma in linea di principio. È
necessario sottolineare che essa ha un suo posto nel disegno di Dio per la salvezza dell’umanità» (DuV, p. 271). La
questione del pluralismo di principio può essere formulata con un’altra, metafisicamente più puntuale e cristallina. È lo
stesso Dupuis che, onestamente, si spinge ad enunciarla: la questione del pluralismo de jure o de facto riguarda se,
«dalla prospettiva di Dio […,] egli si limiti a permettere, o invece voglia positivamente il pluralismo religioso» (DuV
518). La risposta del teologo gesuita, come quella precedente di C. Geffré e recentemente di G. Gäde, è positiva.
Stabilito il principio unificante ed irradiante del pluralismo de iure, con tutte le conseguenze appena intraviste, non
resta che concludere con i suoi epigoni finali. Se la pluralità religiosa è «risultante dalla volontà di Dio e dunque
espressione del modo in cui devono stare le cose (DuV, p. 470), se ne deduce il principio della complementarietà tra le
Scritture bibliche e quelle extrabibliche, tra la rivelazione cristiana e le altre religioni, inquadrandole tutte in un’unica
storia della salvezza differenziata. La nozione della storia della salvezza differenziata è stata attinta da quella
rivelazione differenziata, proposta da C. Geffré (cf. GM, p. 228 n. 9). Se, infine, si stabilisce il puralismo de iure e
l’inconoscibilità del mistero divino, sia C. Geffré che J. Dupuis sono costretti a condividere il principio di E.
Schillebeeckx: «vi è più ricchezza di verità e di grazia nella somma delle religioni e nell’intera storia dei popoli che non
nel cristianesimo» (DuV, p. 521). L’assunto è così centrale da essere riproposto in DuS, p. 471. Era già stato sposato da
GM, p. 228, ed è accarezzato anche da Kn, p. 29.
72
DuS, p. 466; cf. pp. 296-297, 474-477. In DuT riconoscerà che la terminologia può essere travisata: «io riconosco
volentieri che forse la formula “de iure – de facto”, che ho usato più volte nel mio libro [cf. DuV, pp. 518-519], può
essere interpretata dai lettori in maniera equivoca, con sfumature giuridiche. Preferisco parlare di pluralismo di
principio, non soltanto di fatto» (pp. 690-691).
73
DuT, p. 691; cf. p. 684; DuS, p. 261.
74
Cf. DuV, pp. 298-302, 318-319, 383, 520; DuS, pp. 239, 271-297; DuT, p. 691. Nel descrivere la cristologia
costitutiva di J. Dupuis, gli studiosi si soffermano sull’interpretazione di queste premesse bibliche ad opera del teologo
belga (si veda, ad es., M. Crociata, «Mediator simul…, cit., pp. 276-279; E. Castellucci, op. cit., pp. 96-101; M. Menin,
op. cit., pp. 56-60).
13

di Dio con l’umanità che attraversa la storia, il quale culmina […] nell’infinita condiscendenza con
cui, facendosi uomo nel Figlio, Dio è venuto incontro agli uomini al loro livello»75. Le religioni,
pertanto, hanno la loro «fonte originaria in un’automanifestazione divina agli esseri umani»; esse
nascono come «comunicazione traboccante del Dio uno e trino all’umanità»76, che raggiunge gli
uomini in un processo progressivo, differenziato e complementare77. Tale processo, che comporta
anche un concetto analogico di ispirazione scritturale78, sollecita la teologia a riconoscere che «le
altre tradizioni religiose rappresentano interventi reali e manifestazioni autentiche di Dio nella
storia dei popoli; esse sono parte integrante dell’unica storia della salvezza che raggiunge il suo
culmine nell’evento Gesù Cristo»79. Dupuis si adopera così per mostrare come «l’affermazione
dell’identità cristiana sia compatibile con un genuino riconoscimento dell’identità delle altre
comunità di fede in quanto costituenti aspetti differenti dell’autorivelazione del Mistero Assoluto,
pur relativi all’evento Cristo, in una singola ed unitaria, e tuttavia complessa ed articolata,
economia divina»80. Se dunque con le religioni è Dio stesso che si mette alla ricerca degli uomini,
esse rappresentano delle vere “vie” o “cammini” di salvezza per i loro seguaci. Vanno mantenute
insieme e combinate, «pur in tensione dialettica, da una parte l’affermazione centrale della fede
cristiana riguardo al significato unico della persona di Gesù Cristo come salvatore costitutivo
universale dell’intera umanità, e, dall’altra, un valore salvifico, nel quadro del piano unico inteso da
Dio per l’umanità, delle “vie” di salvezza proposte dalle altre tradizioni religiose. Tale è il
significato del “pluralismo di principio”, qui rappresentato, che non ha nulla a che fare con il
cambiamento di paradigma verso un pluralismo neutrale ed indifferente dei pluralisti»81.

2. Il fondamento dogmatico: l’attività e la presenza del Logos ásarkos (non-incarnato) e dello


Spirito vanno al di là dell’evento-Cristo

«Ogni religione ha la sua fonte originaria in una automanifestazione di Dio agli esseri umani», per
cui ««il principio della pluralità trova il suo fondamento primario nella sovrabbondante ricchezza e
varietà delle auto manifestazioni di Dio all’umanità»82. Le attività del Verbo e dello Spirito
esercitano una forza illuminatrice ed una potenza salvifica più universali ed estese rispetto
all’«“umanizzazione” del Verbo» in Gesù83. Infatti, scrive a più riprese Dupuis, l’azione del Verbo
e dello Spirito «oltrepassano i limiti che segnano l’essere umano di Gesù Cristo, nonostante
l’“unione ipostatica”, ossia nella persona»84. L’azione del Verbo e dello Spirito non possono essere
circoscritte alla particolarità dell’evento storico e dall’azione dell’essere umano assunto dal Verbo
in Cristo, il quale non esaurisce il potere del Verbo e dello Spirito85. «Nessuna coscienza, neppure

75
DuT, p. 691; cf. DuV, 520.
76
DuV, p. 520; cf. pp. 326, 331, 338-343, 347, 410; DuS, pp. 305-306, 313.
77
Cf. DuV, pp. 279; 334, 338-343, 520; DuS, pp. 242, 254, 259-264, 303, 305, 313.
78
Cf. DuV, pp. 334-336; DuS, pp. 244-248, 257-259.
79
DuV, p. 410; cf. pp. 305, 377; DuS, pp. 261, 300-306, 353-354, 467.
80
DuV, p. 284; cf. DuS, p. 188.
81
DuS, p. 466; cf. DuV, pp. 281; 43.
82
DuS, p. 305; cf. DuV, p. 520.
83
DuS, p. 304; cf. DuV, p. 432.
84
DuS, p. 302; cf. pp. 296, 298, 300-304; DuV, p. 403, 426, 520-521. «Sembra così – scrive M. Menin – che il cardine
del pensiero di Dupuis sia proprio la dialettica tra il Lógos ásarkos e il Lógos énsarkos, tra il Verbo eterno ancora nel
seno del Padre e il Verbo fatto carne per noi» (op. cit., p. 57), e il teocentrismo di ques’ultimo (cf. L. Monteiro, Christ
of interreligious context and the crux-iusses of christian faith, in «Gregorianum», 98 (2017), pp. 705-724, qui pp. 711-
717).
85
Cf. DuS, pp. 264, 294, 300, 302-303, 309, 331-334, 347, 340, 353, 419; DuV, pp. 403-406, 426, 430-433.
14

la coscienza umana del Figlio di Dio, può esaurire il mistero divino»86. L’azione del Verbo e dello
Spirito, dunque, non sono vincolate alla presenza salvifica del Verbo fatto uomo87 – sia prima
dell’evento-Cristo88 sia dopo89 –, ma ne scavalcano la particolarità storica90, benché non possano
essere pensate come indipendenti o separate o distaccate dalla persona di Cristo e dalla redenzione,
o come economie parallele, ma sempre in relazione con la sua persona91. L’evento storico Gesù
Cristo, costitutivo di salvezza, e l’attività universale del Verbo divino «rappresentano piuttosto
invece aspetti complementari e inseparabili in un piano unico ma diversificato per l’umanità
intera»92. Parimenti, «mentre è vero che non si può costruire un’economia “autonoma” dello
Spirito, slegata da quella del Verbo incarnato, è altrettanto vero che lo Spirito non può essere
ridotto ad una “funzione” del Cristo risorto, che consisterebbe soltanto nel rendere attuale l’opera di
Cristo, essendone per così dire “il vicario”. Perderebbe così lo Spirito la pienezza della sua
operosità salvifica personale»93.

3. Le religioni come vere autorivelazioni e autocomunicazioni di Dio all’umanità

Se le religioni costituiscono l’automanifestazione di Dio all’umanità, che tuttavia culmina con


l’evento Cristo, dobbiamo dedurre una loro efficacia rivelativa e salvifica dal momento che,
mediante «altre figure e tradizioni salvifiche», Dio comunica agli uomini «verità e grazia»94.
A. «Le tradizioni religiose del mondo trasmettono differenti intuizioni del mistero della Realtà
Ultima. Per quanto incomplete, queste intuizioni attestano una multiforme automanifestazione di
Dio agli esseri umani in differenti comunità di fede. Esse sono “volti” incompleti del Mistero
Divino variamente sperimentato, che devono trovare compimento in colui che è “il volto umano di
Dio”»95. Mediante l’attività del Verbo e dello Spirito96, le religioni «posseggono nei loro libri sacri
86
DuV, p. 337; cf. p. 521; DuS, pp. 251-253, 330. Dio resta sempre al di là delle nostre rappresentazioni; ecco il motivo
per cui nemmeno il cristianesimo detiene il monopolio della verità; ed ecco anche la giustificazione teologica grazie alla
quale si può stabilire un rapporto paritario e complementare con le religioni.
87
DuS, p. 302; cf. pp. 242-243, 264-267, 279-281, 294, 298-303, 305, 309, 331, 334s; 347, 353; DuV, pp. 278-284,
298-302, 336-343, 380, 398, 401-406, 410-411, 426-433, 442-443, 520.
88
Cf. DuV 338; cf. 262-266, 331-343. Il fondamento di questo postulato riposerebbe nella teologia trinitaria. Le
persone divine non sono subordinate le une alle altre, ma ognuna opera secondo la propria operosità salvifica personale
(cf. DuV, pp. 279-281; 405-406; DuS, pp. 182-185, 331, 334-335; DuT, pp. 676-677; Kn, p. 189), benché, certo, per
bilanciare una certa inevitabile sconnessione autonomista tra l’attività delle persone, non esiti a scrivere, ad esempio,
che «la funzione specifica dello Spirito consiste nel permettere alle persone di divenire partecipi, prima o dopo
l’evento, del mistero pasquale della morte e risurrezione di Gesù Cristo (cf. GS, n. 22); in questo modo, attraverso la
potenza dello Spirito, l’evento Gesù Cristo trova attuazione in tutti i tempi; è presente ed attivo in ogni generazione»
(DuV, pp. 265-266).
89
La rivelazione accordataci in Gesù «non costituisce […] un ostacolo per la prosecuzione di un’autorivelazione divina
per mezzo dei profeti e dei sapienti di altre tradizioni religiose, per mezzo – ad esempio – del profeta Maometto. Nella
storia ha avuto e continua ad aver luogo tale autorivelazione. Nessuna rivelazione può tuttavia superare o eguagliare,
prima o dopo Gesù Cristo, quella accordataci in lui, il Figlio divino incarnato» (DuV, p. 338; cf. p. 354; DuS, pp. 254,
303, 347). Poiché «le varie tradizioni religione rappresentano distinte manifestazioni divine nel corso della storia – non
prive, tuttavia, di ordine ed unità, poiché il disegno divino per l’umanità che si dispiega nella storia è uno solo» (DuV,
p. 34), ciò vale anche dopo l’evento Cristo (cf. DuV, pp. 333, 337-343; DuS, pp. 242, 254, 303) ed in particolare con
l’islam (cf. DuV, pp. 338; DuS, pp. 244-248). E tuttavia tale Parola divina è indirizzata verso la pienezza della
rivelazione in Gesù Cristo (cf. DuV, pp. 331-338; DuS, pp. 248-263). Inoltre, ad essa non dobbiamo riconoscere «il
carattere ufficiale che dobbiamo attribuire all’AT, per non dire al valore decisivo del NT» (DuV, p. 339).
90
Cf. DuV, pp. 279, 403-404; DuS, p. 302-303.
91
Cf. DuT, pp. 670, 675, 678, 680; DuV, p. 426; DuS, pp. 266, 302-303, 331, 340.
92
DuS, pp. 302-304; 266; cf. DuV, pp. 410-411, 426, 439-433.
93
DuT, p. 676; cf. DuV, pp. 278-284, 298-302, 426, 4330-433, 521; DuS, pp. 334-340. «L’economia salvifica di Dio è
una sola, di cui l’evento-Cristo è nello stesso tempo il punto culminante e il sacramento universale; ma il Dio che salva
è “tre”, ove ciascuno dei tre è personalmente distinto e rimane attivo in maniera distinta. Dio salva con “due mani”»
(DuV, p. 406; cf. p. 433; DuS, pp. 334-337, 354)
94
DuS, p. 471; cf. DuV, pp. 403, 433, 439, 521.
95
DuV, p. 377; cf. pp. 297-317, 383, 521; DuS, pp. 255-263, 303-304, 312-313, 317, 471.
15

una memoria scritta di autentiche esperienze religiose del Dio vivente fatte dai loro veggenti»97.
Pertanto si può rintracciare in esse una vera e propria rivelazione divina, con parole iniziali,
autentiche e nascoste di Dio rivolte ai popoli98; da qui un nuovo concetto di “ispirazione” delle
Scritture, analogico, che possa essere esteso a tutti i testi delle religioni99. Particolarmente
importante è la p. 335 di Verso, nella quale Dupuis sintetizza il suo pensiero: «la personale
esperienza dello Spirito dei veggenti, in quanto costituisce, per provvidenza divina, un’apertura
personale di Dio alle nazioni, e in quanto è stata documentata in maniera autentica nelle loro sacre
scritture, è una parola personale che Dio rivolge ad esse tramite intermediari di sua scelta. Questa
parola può essere chiamata, in senso reale, “una parola ispirata da Dio”, a patto che non si dia
un’interpretazione troppo rigorosa del concetto e che si tenga sufficientemente conto dell’influsso
comico dello Spirito Santo». Del resto, «il carattere insuperabile della rivelazione cristiana non
impedisce che possano esserci nelle altre tradizioni religiose del mondo, anche attraverso qualche
manifestazione divina autentica, delle intuizioni vere del mistero di Dio, le quali puntano verso la
“pienezza” della rivelazione in Gesù Cristo, cioè, dei “volti del mistero divino” in un rapporto di
mutua complementarietà con l’autorivelazione fattasi in colui che è l’unico “volto umano di
Dio”»100. Qual è, dunque, il rapporto tra questa rivelazione progressiva e continuata e quella di
Cristo? Dopo aver sottolineato che «l’unità del disegno divino per la salvezza […] abbraccia tutta
la storia umana», e che «il divenire-umano del Verbo di Dio in Gesù Cristo, la sua vita, morte e
risurrezione umane sono il punto culminante del processo dell’autocomunicazione divina, il cardine
che sostiene tutto il processo, la sua chiave interpretativa», aggiunge: «non si deve però consentire
che la centralità della dimensione incarnazionale dell’economia salvifica di Dio metta in ombra la
presenza e l’azione permanente del Verbo divino. L’illuminazione e la potenza salvifica del Logos
non sono circoscritte alla particolarità dell’evento storico. Esse trascendono ogni barriera spaziale e
temporale. La cristologia trinitaria è in grado di spiegare, attraverso la potenza trascendente del
Logos, la funzione mediatrice svolta dalle tradizioni religiose nell’ordine della salvezza, gettando
così le basi per il riconoscimento di un pluralismo nel modo in cui Dio si impegna con
l’umanità»101. Sotto il profilo rivelativo, dunque, le religioni ci offrono aspetti della verità divina
che non sono tematizzati nel cristianesimo, a motivo delle limitazioni di quest’ultimo, segnato dal
tempo e dalla storia.

B. Le religioni, sulla scorta dell’insegnamento di Rahner, rappresentano delle vie o cammini di


salvezza per i loro seguaci102, a motivo della presenza dello Spirito103. Uno dei principi socio-

96
Cf. DuV, pp. 318-343, 377; 410, 442-443, 520-521; DuS, pp. 242, 254, 264, 303, 305, 313, 334ss., 347.
97
DuT, p. 683.
98
DuS, p. 255; cf. p. 262; DuT, p. 683. L’espressione “parole iniziali” è quella che preferisce (cf. DuT, p. 683; DuV, pp.
331-338; Dus, p. 262) perché indica la realtà della rivelazione e l’incompiutezza rispetto a quella cristiana. Da qui
l’estensione della storia della salvezza a tutti i popoli, una storia della salvezza differenziata, sia pure non parallela a
quella che culmina in Gesù Cristo (cf. DuV, pp. 61-66, 285-317, 319; DuT, pp. 678-679). Per depotenziare la
problematica suscitata dalla rivelazione extrabiblica, in Rivisitata scriverà: «Là dove ho parlato di “rivelazione
differenziata” ho affermato chiaramente ceh le “parole iniziali”, “secrete”, proferite da Dio alle nazioni attraverso i loro
veggenti, pur avendo un aspetto sociale, non hanno “il carattere ufficiale – cioè “pubblico” – che è da attribuire alla
parola di Dio contenuta nel Primo Testamento e, a fortiori nel Nuovo [cf. DuV, pp. 338-340]» (DuT, p. 682).
99
DuV, pp. 335-336; cf. pp. 338-343; DuS, pp. 245-248, 258-259. Se Dio si rivela nelle religioni ne segue una
conseguenza rilevante: «teologicamente, dobbiamo ritenere che dovunque e ogniqualvolta gli esseri umani si volgono
ad un Assoluto che indirizza e concede loro se stesso, entra per ciò stesso in gioco, in risposta ad una rivelazione divina
personale, un atteggiamento di fede soprannaturale. Colui verso cui è diretto, oltre che colui che originariamente suscita
questo atteggiamento, è il Dio di Gesù Cristo che comunica loro se stesso» (DuV, p. 327; cf. DuS, pp. 237, 399).
100
DuT, p. 687; cf. DuS, pp. 334-377. In Rivisitata puntualizzerà che «si può riscontrare nei libri sacri delle altre
tradizioni religiose una parola di Dio a modo di memoria scritta di autentiche esperienze religiose del Dio vivente fatte
dai loro veggenti, insistendo che si tratta di una prima parola di Dio, indirizzata verso la pienezza della rivelazione di
Gesù Cristo» (DuT 383; cf. DuV 331-338).
101
DuV, p. 432; cf. p. 402; DuS, pp. 303-304.
102
Cf. DuV, pp. 35, 411-414, 426-430, 491, 521; DuS, pp. 16, 22-32, 41, 92, 109, 264, 302, 350, 352, 444, 465, 468.
16

antropologici che Dupuis assume da Rahner è che, a dispetto del modello del compimento, nel
quale le religioni non giocano alcun ruolo nella salvezza dei loro seguaci, qui i seguaci delle altre
religioni non si salvano a dispetto del loro sistema religioso, bensì mediante quell’adesione e quella
pratica104. «Le religioni contengono, nelle loro istituzioni e pratiche sociali, tracce dell’incontro
degli esseri umani e la grazia, “componenti dovute all’influsso soprannaturale della grazia”»105. È
essenziale, in questo ragionamento, che si abbatta la distinzione tra ambito naturale ed ambito
soprannaturale, che invece era la premessa necessaria del modello del compimento106. Se il
complesso delle esperienze religiose è attraversato dalla grazia, è chiaro che le religioni, in quanto
soprannaturali, giocano un ruolo importante nel processo di salvezza dei loro seguaci. Dunque sono
(possono essere) in se stesse “vie” o “cammini di salvezza”. Tuttavia non sono vie parallele o
indipendenti dal Verbo fatto uomo, come vorrebbero i pluralisti, bensì modalità di mediazione
partecipata della salvezza realizzata dal Cristo, sempre in relazione ed ordinate al mistero di
salvezza realizzato da Cristo107. Alle religioni occorre attribuire pertanto una certa mediazione della
grazia108, in quanto in esse è possibile riscontrare elementi di grazia e valori salvifici, nascosti nel
loro codice morale, nei riti sacri e nelle pratiche sacramentali109. Gli «elementi di rivelazione e [i]
momenti di grazia divina», presenti nelle religioni, «rimangono incompleti ed aperti ad un più
pieno dono di sé e ad una più perfetta rivelazione da parte di Dio»110.

103
Cf. DuV, p. 433; DuS, p. 302. Nelle due opere più importanti ribadisce la convinzione secondo la quale il Vaticano
II, «nonostante la sua apertura e i valori positivi da esso riconosciuti all’interno di tali tradizioni, non si avventurò a
chiamarle “vie” di salvezza, anche se ci si può domandare se ciò non sia implicito – almeno in parte – nel
riconoscimento conciliare di elementi di “verità e di grazia”, contenuti al loro interno “per una nascosta presenza di
Dio” (Ad gentes 9)» (DuS, p. 444; cf. pp. 126-136; 476; DuV, pp. 218-229). Nell’attribuire implicitamente al Concilio
la possibilità di considerare le tradizioni religione come vie di salvezza, Dupuis si pone chiaramente sulla linea della
presenza di Rahner (cf. DuV, p. 423; DuS, pp. 262-263, 302).
104
Cf. DuV, pp. 176-177, 184, 191-192, 196, 210, 411-412, 429-430, 491; DuS, pp. 99, 104, 110, 113, 313-314.
105
DuV, p. 428; cf. pp. 194, 211; DuS, p. 113.
106
Cf. DuV, 176-177; DuS, pp. 100, 102, 104, 106-107, 110, 122.
107
Cf. DuV, pp. 402-406, 411-443, 520-521; DuS, pp. 16, 21-22, 32, 92, 109, 188, 242, 264, 297, 302, 331, 350-352. Il
teologo belga colloca la sua riflessione lungo la linea delle considerazioni svolte da RM 5 al riguardo delle «mediazioni
partecipate», che in Incontro è maggiormente approfondita rispetto a Verso (cf. DuS, pp. 346-354; DuV, pp. 414, 433).
Cristo è la causa efficiente nella salvezza di tutta l’umanità. Per quanto causa costitutiva della salvezza di tutti, non è
l’unica manifestazione del Verbo di Dio (cf. DuV, p. 443), come non è l’unico strumento che comunica la grazia: «non
è possibile pensare che il cristianesimo – o la religione cristiana – possegga l’intera verità o detenga il monopolio della
grazia» (DuV, p. 439; DuS, p. 472). Vi sono altri canali, certamente relazionate a lui – che perciò non realizzano la
salvezza indipendentemente da lui, come vorrebbero i pluralisti con i modelli del Logocentrismo e dello
Pneumatocenrismo –, rappresentati dalle religioni (cf. DuV, pp. 438-439; DuS, p. 302).
108
Cf. DuV, p. 430; Dus, p. 352. Anche la CTI, in realtà, si esprime in termini non troppo dissimili (cf. n. 84). Tutto sta
nel valutare esattamente, dal punto di vista teologico, la natura di questa mediazione ed il suo rapporto con Cristo (RM
5).
109
Cf. DuV, pp. 433-439; DuT, p. 683. Circa la considerazione delle «altre tradizioni religiose come possibili vie di
salvezza per il loro seguaci», in Rivisitata dovrà difendersi, tra l’altro, dall’accusa di aver tralasciato una lettura critica
di esse, con i loro limiti. Premettendo che «occorre rifiutare chiaramente il “cambiamento di paradigma” proposto dai
pluralisti, dal cristocentrismo tradizionale verso un qualsiasi tipo neutrale di teocentrismo» (DuT, p. 683), Dupuis
auspica, anzi lo ritiene necessario, «un “salto qualitativo” nella comprensione teologica del piano divino di salvezza e,
di conseguenza, nella valutazione del significato delle altre religioni» (DuT, p. 683). Sosterrà che nel corso dei secoli il
giudizio negativo verso le religioni è stato spesso esagerato (cf. DuT, pp. 682-683), ma che «esse non hanno il
monopolio di tali mancanze e fallimenti» (DuT, p. 682), includendo perciò anche il cristianesimo. In ogni caso, non
negherà «la presenza nelle altre religioni di ambiguità e di peccato, sia nelle persone che nelle strutture (…) Come non
tutto ciò che si legge nei libri sacri altrui può venire considerato dai teologi cristiani come parola di Dio – può esserci
della non verità – e che il mistero di Gesù Cristo deve servire da criterio normativo decisivo nella difficile, ma
necessaria fatica di discernimento degli elementi di verità» (ivi; cf. DuV, pp. 338-343), così «un simile discernimento è
altrettanto necessario riguardo ai possibili elementi di grazia e valori salvifici, eventualmente nascosti nel codice
morale, nei riti sacri e nelle pratiche sacramentali delle altre tradizioni religiose. Non tutto nelle religioni è da Dio, né
salvifico» (DuT, p. 683; cf. DuV, pp. 338-343, 433-439).
110
DuV, p. 438. In definitiva: «le altre tradizioni religiose rappresentano “realizzazioni particolari di un processo
universale che è divenuto eminentemente concreto in Gesù Cristo”. La salvezza è all’opera ovunque; ma nella figura
concreta del Cristo crocifisso la sia vede compiuta. Gesù Cristo è dunque l’“unico Salvatore”, non in quanto unica
17

In definitiva: se il principio della pluralità trova il suo «fondamento primario nella sovrabbondante
ricchezza e varietà delle automanifestazioni di Dio all’umanità»111, le religioni giocano un ruolo nel
disegno di Dio sia sotto il sotto il profilo rivelativo che su quello salvifico. Sul primo versante, le
parole di Dio indirizzate ai popoli rappresentano delle differenti intuizioni del mistero della Realtà
Ultima in quanto «benefici aggiuntivi ed autonomi»112 rispetto alla tradizione cristiana, comunicati
per mezzo del suo Verbo e dello Spirito. Si tratta di «parole pronunciate segretamente dallo Spirito
in cuori che sono umani […] destinate dalla provvidenza divina a condurre altri esseri umani
all’esperienza del medesimo Spirito»113. Nelle scritture delle religioni rintracciamo dunque «valori
salvifici di sapienza e amore»114. Sotto il versante salvifico, le religioni «possono essere utilizzate
da Dio come “canali” della sua salvezza; esse possono così diventare “vie” o “mezzi” che
comunicano la potenza del Dio salvifico; “vie” di salvezza per coloro che vi “camminano”»115.
Posto che le religioni, benché siano vie di salvezza, restano comunque mediatrici della presenza del
mistero cristico – dunque non una salvezza “altra” rispetto a quella opera dal Cristo, come
vorrebbero i pluralisti – la questione delicata riguarda la natura teologica del bene consegnato dalle
religioni all’umanità116. Si tratta cioè di stabilire quale relazione esista «tra la “via” che è in Gesù
Cristo e le varie “vie” di salvezza che le tradizioni religiose propongono ai loro membri»117. In
effetti, da un lato egli è convinto, come abbiamo visto, che la comunicazione e la presenza attiva
del Verbo e dello Spirito non si realizzi esclusivamente attraverso l’umanità glorificata di Gesù
Cristo, così da circoscriverla o limitarla118; la loro «azione combinata» è all’origine della presenza
di «elementi di “verità e di grazia” (AG 9)» nelle religioni119. D’altro ripeterà «con forza che

manifestazione del Verbo di Dio, che è Dio stesso: e nemmeno nel senso che in lui la rivelazione di Dio sia completa ed
esaustiva, il che non è e non può essere; ma relativamente al processo universale della rivelazione divina che ha luogo
per mezzo di manifestazioni concrete» (DuV, pp. 442-443; cf. DuS, pp. 361-362). Ciò che Dupuis si è proposto di
sottoporre a discussione è l’opinione secondo cui «le religioni storiche non hanno nulla a che fare con il mistero della
salvezza dei loro membri […] Secondo tali opinioni la salvezza di ogni persona individuale al di fuori della chiesa
rapprsenta infatti ina eccezione singolare – come se si trattasse di una qualche supplenza della fede cristiana – ad un
orine divino di salvezza apparentemente rigido» (DuT, p. 683). Il superamento della teoria del compimento, l’adesione
quella della presenza, il riconoscimento delle religioni come vie o cammini rappresentano dunque quei tentativi
teologici per abbandonare queste concezioni che «sembrano ormai insostenibili nelle circostanze concrete del mondo
moderno» (ivi).
111
DuV, p. 520. Va osservato che se Dio cerca gli uomini con le religioni, come già insegnava K. Rahner (cf. DuV, pp.
294-296), per Dupuis non si può che dedurre che, come «non esiste alcuna vita religiosa concreta puramente naturale,
così non esiste nulla di simile ad una religione storica puramente naturale» (Duv, pp. 428-429; cf. DuS, p. 350).
Dunque, «tutte le religioni sono, per più di un motivo, soprannaturali» (DuV, pp. 177, 428-429; DuS, pp. 98-100, 349-
350, 375-376), dal momento che le diverse realtà religiose costituiscono, «nel loro complesso, l’insieme completo delle
relazioni umane-divine» (DuV, p. 277).
112
DuV, p. 521; cf. p. 471; DuS, pp. 261, 338-343, 472, 474. C. Geffré li denomina col termine «valori propri»,
definendoli, pertanto, non cristiani bensì «cristici», al fine evitare ogni assorbimento nel senso della teoria del
compimento. Non sono facilmente o immediatamente armonizzabili col cristianesimo e non possono essere considerati
come «implicitamente cristiani, secondo la semplice logica della preparazione e del compimento. È preferibile parlare
di valori cristici. Essi infatti testimoniano una certezza irriducibile nell’ordine religioso. E nella loro differenza stessa
essi troveranno il loro compimento ultimo in Cristo, anche se non trovano la loro esplicitazione visibile nel
cristianesimo» (GM 232; cf. pp. 218, 228-232). Per V. Impellizzeri, invece, «cristico è quanto di buono e di vero è
presente nelle altre religioni», ossia valori implicitamente cristiani, in quanto Cristo ne è la fonte (V. Impellizzeri, Gli
“elementi” e la “ricapitolazione”. La ricerca di un paradigma per la teologia delle religioni, in HTh, 30 (2012), pp.
257-291, qui p. 260; cf. p. 288). Non è così per C. Geffré, per il quale sono “cristici” nel senso che sono autonomi
rispetto a Cristo, ma che in lui trovano in lui il loro compimento (cf. GM, p. 232). Dupuis preferisce mantenersi sulla
terminologia del Vaticano II (AG 9), definendoli come «elementi di verità e di grazia» (cf. DuV, p. 521; DuS, p. 471-
474).
113
DuV, p. 335; cf. DuS, p. 247.
114
DuV, p. 442; cf. p. 439.
115
Ibid.,, p. 412; cf. pp. 442-443.
116
È una delle questioni centrali in tdr: cf. G. Colzani, op. cit., pp. 250, 256.
117
DuV, p. 411.
118
Cf. ibid., pp. 403, 520-521; DuS, p. 300.
119
DuV, p. 433; cf. DuS, p. 302.
18

cristocentrismo e penumatocentrismo non possono mai essere staccati l’uno dall’altro, rimanendo
sempre l’evento Cristo al centro del dispiegarsi attraverso la storia umana dell’unico piano di
salvezza»120. La base teologica per il «riconoscimento di una funzione mediatrice delle religioni nel
comunicare ai rispettivi aderenti l’offerta di grazia e salvezza di Dio e nel dare espressione alla loro
risposta positiva al fono grazioso che quest’ultimo fa di sé» è attinta dall’insegnamento di s. Ireneo.
«Il Verbo e lo Spirito – le “due mani” di Dio (sant’Ireneo) – cooperano mediante la loro azione
universale a conferire “grazia e verità” alla vita religiosa delle persone e ad inscrivere “valori
salvifici” nelle tradizioni religiose cui tali persone appartengono»121. Ma quando si tratta di
«determinare in quale senso, esattamente, le religioni storiche fungano da mediazione, per i loro
membri, della presenza del mistero cristico», riconosce che ciò «è difficile»122.

4. La riflessione cristologica

Quanto appena illustrato nella sezione precedente ci testimonia come al cuore di ogni riflessione in
tdr stia la cristologia. Lo stesso teologo dichiara chiaramente: «è chiaro che la questione
cristologica occupa un posto di primo piano in una teologia cristiana delle religioni. Il ruolo
salvifico delle altre tradizioni religiose, nonché il significato da attribuire all’interno del disegno
complessivo di Dio per l’umanità ad altre “vie” e “figure salvifiche”, sono intrinsecamente e
inestricabilmente connessi – da un punto di vista cristiano – col modo di intendere e di interpretare
la persona e l’evento di Gesù Cristo»123.
Da un lato, Dupuis ribadisce più volte ed espressamente la fede nell’unicità dell’evento
cristologico, al fine di escludere il teocentrismo. In Incontro, Dupuis riformula perfino le parole di
DI quando scrive che «l’evento Gesù Cristo […] è senza dubbio il centro, l’apice, il culmine, la
120
DuT, p. 675; cf. DuV, pp. 279-281. A differenza dei pluralisti, che innalzano le figure religiose dell’umanità a
manifestazioni del Verbo, e che attribuiscono alle loro pratiche un’autonoma efficacia salvifica, Dupuis deve ricondurre
tutto a Cristo, salvatore costitutivo (ossia fonte) della salvezza dell’umanità. Per fugare ogni dubbio circa il suo rifiuto
del modello del Logocentrismo, secondo cui «Gesù sarebbe il salvatore dei cristiani, mentre gli “altri” verrebbero
salvati nel Verbo di Dio a se stante» (DuV, p. 672), preciserà: «contro tale paradigma spiego che non si può staccare o
slegare il Verbo-da-incarnarsi dal Verbo-incarnato e che Logocentrismo e Cristocentrismo, lungi dal contrapporsi, si
richiamano reciprocamente in un’unica economia di salvezza; non costituiscono delle vie parallele di salvezza» (DuT,
p. 672; cf. p. 681). Gesù Cristo, ripete più volte, è davvero causa di salvezza per tutti gli uomini (cf. DuV, p. 382; Dus,
p. 471).
121
DuV, p. 433; cf. p. 406; DuS, pp. 354, 361, 407; DuT, p. 675.
122
DuV, p. 430; cf. p. 464. Il teologo scrive opportunamente che «dobbiamo comunque distinguere varie modalità della
presenza sacramentale del mistero. Il mistero di Cristo conosce diverse modalità di mediazione della sua presenza. La
grazia di Dio, pur essendo sicuramente una sola, è mediata visibilmente in modi differenti – che differiscono fra loro
non soltanto per grado, ma per tipo. Ciò significa che le pratiche religiose e i riti sacramentali delle altre religioni non
stanno sullo stesso piano dei sacramenti cristiani istituiti da Gesù Cristo; ma significa anche che dobbiamo attribuire
loro una certa mediazione della grazia. Il mistero della salvezza rimane pertanto uno solo: è il mistero di Cristo. Ma
questo mistero è presente agli uomini e alle donne al di fuori dei confini del cristianesimo. Nella chiesa, comunità
escatologica, esso è presente ad essi apertamente e in maniera esplicita, nella piena visibilità della sua mediazione
completa. Nelle altre tradizioni religiose è presente in maniera implicita, nascosta, in virtù di una modalità di
mediazione incompleta costituita da tali tradizioni» (DuV, p. 430). Ma già in questa pagine premette che «è difficile
però determinare in quale senso, esattamente, le religioni storiche fungano da mediazione, per i loro membri, della
presenza del mistero cristico» (ivi). Più avanti confesserà che «le tradizioni religiose contribuiscono, in maniera
misteriosa, all’edificazione del Regno fra i loro seguaci e nel mondo. Esse esercitano, relativamente ai loro membri, una
certa mediazione del Regno – diversa, non c’è dubbio, da quella operante nella chiesa – anche se di tale mediazione è
difficile dare una definizione teologica precisa» (DuV, p. 464). Anche in Incontro, a distanza di circa tre anni rispetto a
Verso, non riuscirà a sciogliere il nodo e, scartando l’assunzione della categoria metafisica di causa (sia pur menzionata
in DuV, p. 412), con le sue articolazioni, è costretto a mantenere l’incertezza (cf. DuS, pp. 352, 376).
123
DuV, 378-379; 506: cf. C. Geffré, De Babel…, cit., pp. 31-32. G. Gäde, Da Ernst Troeltsch…, cit., p. 118. Anche il
pluralista P. F. Knitter, benché proveniente dalla matrice cattolica, ne è convinto: «l’interrogativo più difficile e
delicato» che costituisce una «vera sfida per la teologia cristiana delle religioni» è «comprendere la particolarità di
Gesù, ovvero il modo in cui egli salva, trasforma le vite e le ricolma della pace e della potenza della presenza di Dio»
(Kn, 215; cf. pp. 124, 220, 302-305).
19

chiave interpretativa dell’intero processo storico-salvifico; come tale, ha un significato salvifico


universale»124. Ma dall’altro, per dare corso ad «alcune piste di riflessione da cui possa risultare un
“salto qualitativo” della teologia cristiana e cattolica delle religioni, verso una valutazione teologica
più positiva di esse ed un atteggiamento concreto più aperto nei riguardi dei loro seguaci»125, deve
contestualmente superare l’inclusivismo classico, quanto meno quello della prospettiva del modello
del compimento, con un’operazione che non è esagerato definire come forma di “picconatura” della
cristologia (e di conseguenza dell’ecclesiologia). E difatti Dupuis, come abbiamo visto, sottolinea a
più riprese come «la particolarità storica di Gesù conferisce inevitabili limitazioni dell’evento-
Cristo»126, sia dal punto di vista rivelativo che salvifico. L’elenco di questi condizionamenti, che
corrispondono ad un certo ridimensionamento della figura di Gesù – che tuttavia non è spinto al
punto da far perdere di vista come l’evento-Cristo sia davvero “costitutivo”, ossia causa della
salvezza dell’intera umanità (dunque, solo “picconature”)127 – è variegato e funzionale all’obiettivo
finale della valorizzazione positiva delle religioni.
- «L’unicità e l’universalità di Gesù Cristo non sono né assolute né relative»128. Le definisce,
piuttosto, «“costitutive” in virtù dell’universalità propria dell’evento Cristo: in tale evento, Dio ha
causato la salvezza universale; l’umanità risorta di Cristo è la garanzia dell’unione indissolubile
con l’umanità»129. Più propriamente, l’unicità dell’evento Cristo è costitutiva e relazionale130, nel
senso, spiegato a più riprese, che il bene e la grazia non sono concentrati in Gesù così da escludere
ogni valore alle religioni, giacché queste, «nel disegno salvifico complessivo di Dio per l’umanità
[…] rappresentano […] interventi reali e manifestazioni autentiche di Dio nella storia dei popoli;
esse sono parte integrante dell’unica storia della salvezza che raggiunge il suo culmine nell’evento
Gesù Cristo»131.

124
DuS, p. 476.
125
Ibid., p. 476.
126
DuV, p.403; cf. DuS, p. 330. Le pagine più emblematiche in DuV (cui corrispondono i passi paralleli in DuS)
sembrano essere, secondo un ordine diacronico, le seguenti: 282-284 (cf. DuS, p. 188), 337 (cf. DuS, p. 330), 380 (cf.
DuS pp. 188, 309), 403 (cf. DuS, pp. 302); 452 (cf. DuS, p. 303), 521 (cf. DuS, p. 472).
127
Cf. DuV, p. 410, 411; DuS, pp. 466, 471. È la fede della chiesa che Dupuis ha difeso in Religioni e ribadisce in
Verso: cf. DuR, p. 125; DuV, pp. 387, 390, 399. L’unicità del Cristo poggiano «sulla sua identità personale di Figlio di
Dio» (DuV, p. 401; cf. p. 257).
128
DuV, p. 382; cf. pp. 302-303, 466, 470, 520-521; DuS, p. 312.
129
DuV, p. 410; cf. DuV, pp. 382-383; DuS, pp. 188, 266, 315, 466. Posta questa chiarificazione, si comprende bene
che, benché continui a rifiutarsi di chiamarla “assoluta”, malgrado le critiche dei colleghi teologi, la sostanza non
cambia granché in quanto egli non nega che Gesù sia davvero il salvatore di tutti gli uomini, e non soltanto di coloro
che credono in lui. «Che egli venga chiamato Salvatore costitutivo, non assoluto, non “relativizza” l’opera salvifica di
Cristo; ciò che è “costitutivo” appartiene all’essenza» (DuS, p. 315). La questione che lo affligge è, piuttosto, un’altra.
Possibile che le religioni non giochino nessun ruolo nella salvezza dei loro seguaci, come intendeva la teoria del
compimento? Va da sé che questa prospettiva non dà conto della pluralità religiosa, né del bene presente in esse. Da qui,
posta la salvaguardia della fede in Cristo quale unico mediatore, o costitutivo (che è la stessa cosa: concetti che
semplifichiamo con i paradigmi di inclusivismo o cristocentrismo), l’esigenza della sua “teologia aperta” è quella di
abbandonare la prospettiva del compimento per valorizzare le religioni, assegnando loro una qualche valenza rivelativa
e salvifica. Ma se, come il suo maestro Rahner, considera la verità e la grazia nelle religioni secondo una prospettiva
soprannaturale, è inevitabile imboccare il tunnel della revisione della cristologia tradizionale. Certo, evitando il salto nel
campo pluralista, ma i contraccolpi in cristologia restano evidenti.
130
Cf. DuV, pp. 381-383, 410-411, 443, 518-521; DuS 183-188, 248-265, 266-267, 297, 313, 316-317, 346-354, 465-
466, 471-472; DuT, p. 691.
131
DuV, p. 410; cf. pp. 382-383; DuS, pp. 266-267, 305. Gesù resta il canale privilegiato dell’azione di Dio (cf. DuV,
pp. 386, 411), «il punto culminante ed il sacramento universale» dell’azione di Dio (DuV, p. 406); la venuta del Figlio
di Dio assume un «carattere decisivo» (DuV, p. 520; cf. p. 259, 367) nella storia dell’umanità. Ma «la potenza salvifica
di Dio non è legata esclusivamente al segno sacramentale che egli ha progettato per la sua azione salvifica», il Cristo
(DuV, p. 403; cf. DuT, p. 679). Dal concetto di unicità relazionale Dupuis passa alla formulazione della
complementarità reciproca e asimmetrica tra la tradizione cristiana e le altre tradizioni religiose. Queste, infatti,
posseggono propri elementi di “verità e di grazia” che si rapportano col cristianesimo in uno «scambio di valori
salvifici, in una interazione dinamica tale da poter risultare un arricchimento vicendevole. Perché la complementarità
fra loro è reciproca, la loro interazione non è assenso unico, un “monologo”, ma un dialogo interreligioso. Ogni dialogo
autentico coinvolge necessariamente, da ambedue le parti, ricevere dare, ascoltare e testimoniare. La tradizione
20

- La sua comprensione del mistero infinito di Dio è finita e perciò limitata132.


- La pienezza della rivelazione di Cristo è di tipo qualitativo, vale a dire è insuperabile e non può
essere corretta, ma non di tipo quantitativo, risulta cioè incapace di cogliere l’infinito di Dio; si può
parlare di una pienezza di “intensità”133.
- La prerogativa di assolutezza, come già affermato dai pluralisti, va riservata soltanto a Dio, che va
al di là di Gesù134, il quale resta una realtà finita, mentre «soltanto l’Assoluto è assolutamente; egli
solo è infinito e necessario»135. Sul piano rivelativo ciò significa che il «mistero Ultimo dell’Essere
si è rivelato e manifestato in maniera decisiva, seppure ancora incompleta, in Gesù Cristo»136. Sul
versante salvifico, Gesù è sì il Salvatore universale, ma non il Salvatore assoluto, che è Dio
stesso137. Ciò è da intendere, come abbiamo visto, nel senso che «Gesù Cristo è dunque l’“unico
Salvatore”, non in quanto unica manifestazione del Verbo di Dio, che è Dio stesso: e nemmeno nel
senso che in lui la rivelazione di Dio sia completa ed esaustiva, il che non è e non può essere; ma
relativamente al processo universale della rivelazione divina che ha luogo per mezzo di
manifestazioni concrete, limitate»138. Dunque, un’unicità relazionale.
- «Gesù non si sostituisce a Dio»139. Dopo aver scritto che l’evento Cristo ha un «significato
salvifico universale» aggiunge subito dopo: «ma non va mai isolato dall’intero processo, come se
rappresentasse ed esaurisse in se stesso l’intero potere salvifico di Dio. L’evento storico, e come

cristiana può essere arricchita dal contatto e dall’interazione con altre tradizioni religiose, se è vero che vi sono aspetti
veri ed autentici del Mistero divino che vanno messi in risalto più profondamente in altre tradizioni rispetto a quanto
non lo siano nella tradizione cristiana» (DuS, pp. 472-473; cf. pp. 261-263, 271). In Incontro il teologo ha modo di
esplicitare come la complementarietà reciproca tra Cristo e le religioni sia di natura asimmetrica, al fine di non
sminuire «la trascendenza insuperabile della rivelazione cristiana e dell’autocomunicazione di Dio nella persona e
nell’opera di Gesù Cristo» (DuS, p. 473). In concetto era stato affermato in precedenza (espressamente in DuV, p. 270),
ma tornerà a puntualizzarlo con Rivisitata e Incontro: «la “complementarità reciproca” di cui stiamo parlando non
contraddice il carattere unico della rivelazione biblica e cristiana; non si tratta di mettere tutte le parole di Dio sullo
stesso piano. Si intende soltanto di riconoscere che taluni aspetti del mistero divino possono essere messi in evidenza
nelle scritture non bibliche più di quanto non lo siano in quelle bibliche, le quali conservano comunque la loro
trascendenza» (DuT, p. 684, con i rimandi a DuV, pp. 339-341; cf. p. 513).
132
Cf. DuV, pp. 337-338; 367, 377, 386; 508-509; DuS, pp. 251, 253, 362, 330.
133
Cf. DuV, pp. 338, 367, 508-509; DuS, pp. 242, 249, 251-254, 267, 330. La distinzione operata da Dupuis comporta,
sostanzialmente, che la conoscenza del mistero divino sperimentata da Gesù non ha eguali perché «la conoscenza che
Gesù ha di suo padre non è comparabile ad alcune altra coscienza ispirata» (GM p. 229); ma questa conoscenza non è di
tipo quantitativo giacché, a motivo dei limiti della coscienza umana del Cristo, non esaurisce il mistero; «non è
esclusiva» delle parole di Dio (GM, p. 229; cf. pp. 231-232). Con questa distinzione, si apre la strada per la
valorizzazione delle religioni come automanifestazioni di Dio all’umanità, cariche di beni aggiuntivi rispetto al
cristianesimo.
134
Cf. DuV, pp. 278-279, 281-282, 297, 337, 381; DuS, pp. 310-318; 333. C’è da chiedesi a che valga l’insistenza di
Dupuis nel dichiarare che la fede cristiana «è teocentrica nel suo essere cristocentrica, e viceversa» (DuV, p. 257), –
come chiaramente affermato nell’enciclica di Giovanni Paolo II Ecclesia in Asia, n. 12: non c’è nessuna tensione tra
teocentrismo e cristocentrismo perché il Figlio è nel Padre –, o che «l’unicità e l’universalità costitutive di Gesù Cristo
devono essere fatte poggiare sulla sua identità personale di Figlio di Dio» (DuV, p. 401; cf. pp. DuS, pp. 249, 297, 307,
329), quando poi in cristologia viene operata un’operazione di tipo revisionistico, peraltro negata espressamente (cf.
DuV, pp. 378-383).
135
DuS, p. 310; DuV, p. 381. Su questo punto dissente da K. Rahner (DuV, p. 381), il quale, a suo avviso, ha usato
imprudentemente l’espressione “assolutezza del cristianesimo” (cf. J. Dupuis, Le pluralisme religieux dans le plan divin
de salut, in «Revue théologique de Lovain, 29 [1998], pp. 484-505, qui p. 494; cf. Id., Cristo universale e vie di
salvezza, in «Angelicum», 74 [1997], pp. 123-217, qui pp. 196-197). Ma dai suoi scritti traspare il fascino esercitato dai
pluralisti. E così scrive che, come non va dimenticata «la parentela unica esistente fra Dio e Gesù in virtù del mistero
dell’incarnazione del Figlio, […così] non va dimenticata nemmeno la distanza innata che rimane fra il Padre e Gesù
nella sua esistenza umana. In questo senso, il paradigma teocentrico difeso dai pluralisti nell’attuale dibattito sulla
teologia delle religioni mette il dito su un aspetto essenziale del mistero» (DuS, p. 183). La sua sintesi è la seguente:
«Dio – e soltanto Dio – è il mistero assoluto e, in quanto tale sta all’origine, al cuore e al centro di tutta la realtà; la
realtà umana di Gesù invece è creata e, come tale, finita e contingente» (DuS, pp. 183-184).
136
DuV, p. 362; cf. p. 367.
137
Ibid., p. 381; cf. pp. 396; DuS, pp. 310-314.
138
DuV, p. 443; cf. DuS, pp. 361-362.
139
DuV, p. 403; cf. DuS, p. 330.
21

tale particolare, di Gesù Cristo lascia invece spazio140 per una azione salvifica di Dio attraverso il
suo Verbo e il suo Spirito, che oltrepassa l’umanità anche risorta del Verbo incarnato. La presenza
inclusiva universale attraverso i secoli dell’evento-Cristo per mezzo dell’umanità risorta, diventata
“metastorica”, del Gesù storico, la presenza operativa universale del Verbo di Dio, come pure
quella dello Spirito di Dio: tutti e tre gli elementi combinano e rappresentano assieme la totalità
dell’azione salvifica di Dio nei riguardi degli uomini e dei popoli»141.
- Rimarcati i limi dell’evento cristologico, si dischiude lo spazio per una comprensione delle
religioni come “mediatrici” «del mistero di salvezza in Gesù Cristo a favore dei loro seguaci»142,
sia dal punto di vista rivelativo, che salvifico. «Come la coscienza umana di Gesù in quanto Figlio
non poteva, per sua natura, esaurire il mistero divino, e perciò lasciò incompleta la rivelazione, in
maniera analoga l’evento-Cristo non esaurisce – né lo potrebbe – la potenza salvifica di Dio. Questi
rimane al di là dell’uomo Gesù, quale fonte ultima sia della rivelazione che della salvezza […] Nei
termini di una cristologia trinitaria […] l’evento-Cristo è il sacramento universale della volontà di
Dio di salvare il genere umano, […ma] non è necessario per questo che ne sia l’unica espressione
possibile […] Ciò significa […] che l’azione salvifica di Dio per mezzo del Logos non incarnato
(Lógos ásarkos), di cui il Prologo secondo Giovanni dichiara che “era la luce vera, quella che
illumina ogni uomo” venendo nel mondo (Gv 1,9), persiste anche dopo l’incarnazione del Logos
(Gv 1,14), così come esiste pure l’azione salvifica di Dio mediante la presenza universale dello
Spirito, sia prima che dopo l’evento storico di Gesù Cristo. Il mistero dell’incarnazione è unico;
soltanto l’esistenza umana individuale di Gesù è assunta dal Figlio di Dio. Ma, se lui solo è
costitutivo in questo modo “immagine di Dio”, anche altre “figure salvifiche” […] possono essere
“illuminate” dal Verbo o “ispirate” dallo Spirito a divenire indicatori di salvezza per i loro seguaci,
conformemente al disegno complessivo di Dio per l’umanità»143.
Siamo partiti dall’esigenza di Dupuis di realizzare un dialogo reale ed autentico. Siamo dunque
giunti alla presentazione degli strumenti teoretici che lo rendono possibile. Il cerchio si chiude. Il
quadro è completo.

5. L’ecclesiologia
Strettamente connessa alla questione cristologica si delinea quella ecclesiologica. È chiaro che dal
modo di concepire la Chiesa dipenderà il valore delle religioni ed il significato dell’ordinamento di
tutti gli uomini verso di essa, come è stato insegnato dal Concilio. Il punto non riguarda tanto la
necessità della Chiesa in ordine alla salvezza. Si tratta di una dottrina che Dupuis non nega. Scrive
infatti: «il Concilio afferma la necessità della chiesa per la salvezza (LG 14) in quanto “sacramento
universale di salvezza” (LG 48)»144. La questione riguarda «l’esatta natura della necessità
universale della chiesa»145 – che a giudizio del teologo belga non è stata chiarita né dal concilio né
dalla RM, che pure vi insiste a più riprese – sia il senso della sua «“mediazione”, inteso in senso
rigorosamente teologico»146. Se per la cristologia Dupuis si destreggia abilmente in un’altalena
continua di posizioni che si collocano tra il teocentrismo ed il cristocentrismo, sforzandosi di tenerli
insieme, o di superarli con la “teologia aperta”, per l’ecclesiologia il compito è molto più semplice.
Non ha la necessità di altalenare perché, dovendo valorizzare le religioni come vie di salvezza per i
loro seguaci, ritiene che la mediazione ecclesiale non sia di ordine causale efficiente, ma solo finale
e morale147, così da lasciare lo spazio a «mediazioni suppletive, fra le quali si trovano le tradizioni

140
Questa espressione – legata alla «teologia “aperta”» – ritorna più volte (cf. DuV, pp. 380, 404, 406, 509, 520).
141
DuS, p. 467.
142
Ibid., p. 466.
143
DuV, p. 403; cf. DuS, pp. 330-331.
144
DuV, p. 471; cf. pp. 17, 465-466; DuS, pp. 379, 383, 393; DuT, p. 685.
145
DuV, p. 466; cf. DuS, p. 384.
146
DuV, p. 469; cf. DuS, p. 390.
147
Cf. DuV, pp. 469-473; DuS, pp. 390-395, 399; BP, pp. 55, 112-113.
22

religiose cui appartengono gli “altri”»148. Infatti egli distingue tra la mediazione in senso rigoroso,
che è quella espressa nell’annuncio del Vangelo e quella dell’economia sacramentale, al centro
della quale sta la celebrazione eucaristica e la preghiera. È solo in quest’ultima che, a suo
giudizio 149, si colloca la chiesa, in quanto la mediazione della grazia da parte della chiesa nei
confronti di coloro che non se sono membri si realizza nell’intercessione, specialmente nella
celebrazione eucaristica, per la salvezza di tutti gli uomini150, riservando alla «mediazione
universale di Cristo, concretamente nella sua umanità risorta, il canale obbligatorio, la causa
strumentale della grazia per tutte le persone»151, come già insegnava K. Rahner nel quadro della
dottrina sul cosiddetto “cristianesimo anonimo”152. Dalla funzione della Chiesa deriva la
concezione del Regno di Dio e del suo rapporto con esso153. Per quanto riguarda la dottrina
conciliare dell’ordinamento degli uomini alla Chiesa, per Dupuis non significa appartenenza alla
Chiesa, sia che questa la si consideri nei termini di desiderio che di voto154.

3. Le reazioni dei teologi, la replica di J. Dupuis e la Notificazione


Le reazioni in Italia155 alla pubblicazione del saggio di Dupuis, sia in ambito cattolico sia in quello
protestante156, non si sono fatte attendere. Sin dalle prime osservazioni157 di G. Canobbio, del
confratello gesuita G. De Rosa, e così via di tutti gli altri teologi che sono intervenuti nel dibattito,
gli elementi di discussione sono stati svariati. Dal punto di vista sistematico, li possiamo
classificare secondo quattro scansioni:
a. questioni di natura cristologica: l’evento storico di Gesù ed il Verbo, anche dopo
l’Incarnazione; la relazione tra Gesù e le altre rivelazioni e percorsi di salvezza, col
rischio dell’«oggettiva relativizzazione della figura di Gesù Cristo come unico
rivelatore e salvatore»158; il tema della complementarietà reciproca della rivelazione
cristiana; la dimenticanza del carattere specifico dell’islam, il quale viene dopo
l’avvento di Cristo e ne contesta il valore salvifico; la natura teologica (naturale o
soprannaturale) della rivelazione cosmica e delle scritture dei popoli159;

148
DuV, p. 472; DuS, pp. 393, 399, 402.
149
Si tratta di un’idea che aveva già formulato chiaramente in studi precedenti, come nell’Introduzione alla cristologia,
op. cit., p. 235.
150
Cf. DuV, pp. 469-470; DuS, pp. 390-395.
151
DuV, p. 470.
152
Cf. DuV, pp. 468, 470, 472-474, 477, 479; DuS, pp. 391, 394-395. Al riguardo della teoria secondo cui «la causalità
della chiesa in relazione agli “altri” non appartenga all’ordine dell’efficienza, ma della finalità» (DuV, p. 472; cf. p.
470; DuS, pp. 392, 394) si tratterebbe di una deduzione «che si può inferire» dall’insegnamento di Y. Congar (DuV, pp.
469-472). È da notare che in DuV, p. 472, scrive che in proposito «il pensiero di Rahmer sembra più esplicito», mentre
in DuS, p. 394, probabilmente per accreditarlo maggiormente, lo fa coincidere col pensiero del teologo domenicano,
benché Congar non abbia formulato la dottrina del “cristianesimo anonimo”.
153
Cf. DuV, pp. 473-480; 396-402.
154
Cf. Ibid., pp. 467-480.
155
Per limitarci alla rilevanza nel campo della teologia polacca, cf. M. Denisiuk, Cristologia e pluralismo religioso. Un
contributo al dibattito a cinque anni dalla morte di J. Dupuis, in «Rivista di Teologia dell’Evangelizzazione»,
13(2009), pp. 39-62, qui p. 49 n. 26.
156
In DuT, p. 693, che reca il titolo di «bibliografia», oltre ad alcuni testi di supporti adottati da Dupuis a sostegno delle
sue tesi, sono menzionati i recensori del volume. Nell’ordine: G. Canobbio, G. De Rosa, M. De Giorgi, N. Madonia, C.
Toniolo, M. Gronchi, L. Sartori (che scriverà la Prefazione di DuS, pp. 7-13), P. Stefani, Fr. Ard, F. Gaiffi. In ambito
protestante si registra l’intervento di F. Ferrario. A completare il quadro, in realtà, va segnalata anche un’altra ampia
recensione, che non compare in bibliografia di Rivisitata. Si tratta di M. Crociata, Verso quale teologia cristiana del
pluralismo religioso, in HTh 16 (1998), pp. 87-116. L’autore avrà modo di tornare sull’argomento in «Mediator simul
et plenitudo…cit., pp. 276-279 ed in Per uno statuto della teologia delle religioni, in CB, pp. 348-351.
157
Ne dà un breve resoconto E. Castellucci, op. cit., pp. 129-130.
158
Cf. M. Crociata, «Mediator…, cit., p. 279.
159
M. Borrmans, come abbiamo visto, indirizza alcuni interrogativi in tal senso ma in riferimento a Religioni. Dal
momento che Verso recupera sostanzialmente quanto esposto nei contributi precedenti, si può dire che le obiezioni di
M. Borrmans risultano pertinenti. Anche G. Colzani, in seguito, sosterrà che la questione centrale in tdr riguarda «la
23

b. questioni di natura pneumatologia e, in ultima analisi, trinitaria: l’azione dello


Spirito e l’umanità glorificata del Cristo; la relazione tra Gesù ed il Padre;
l’assolutezza di Gesù e della sua rivelazione; l’evento Cristo come costitutivo
piuttosto che come assoluto, categoria che lascerebbe intendere che Gesù ha la
capacità di salvare tutti gli uomini, «anche se questa capacità non viene di fatto e
non ha bisogno di essere attivata per tutti gli uomini e rimane una capacità di
principio»160.
c. La natura della mediazione della Chiesa ed il mandato missionario a lei affidato;
d. Il tema della verità, praticamente scomparso dall’orizzonte teologico di Dupuis161.

Lo studioso belga, nella replica su Rivisitata, a tutti ha risponderà chiarendo il suo pensiero
anzitutto in merito a talune incomprensioni che la lettura del testo avevano suscitato162. Accoglierà
con favore alcune osservazioni. Ma difenderà la sostanza delle sue tesi teologiche, che riproporrà
successivamente in Incontro, con la limatura di qualche passaggio. Rivisitata gli offrirà l’occasione
per ritornare sulle intenzioni del suo progetto teologico, provando a rassicurare al riguardo della sua
ferma confessione cristologica, come farà anche in Incontro163. La sua teologia “aperta” – detta
anche «pluralismo inclusivista» – ha inteso mantenere la fede in Gesù come salvatore universale,
coniugandola con l’esigenza di valorizzazione le religioni, rimarcando il loro significato positivo
sia dal punto di vista rivelativo che salvifico in quanto automanifestazioni divine, secondo il
principio del pluralismo de iure, e (o ma) relazionate col Cristo. Il cristianesimo, infatti, come
religione storica, non può pretendere i possedere il monopolio esclusivo della verità religiosa. La
presenza nelle religioni di valori propri e irriducibili alla tradizione cristiana consente il dialogo nel
quale i cristiani non si limitano a riconoscere che i valori delle religioni sono già inglobati nella
tradizione cristiana, bensì sono invitati ad accoglierli come beni aggiuntivi che illuminano la
rivelazione piena data in Cristo164.

qualità propriamente teologica delle religioni […], il loro valore soprannaturale» (G. Colzani, op. cit., pp. 250, 256 n.
26). Al riguardo dell’islam e di Muhammad, Dupuis, esperto di religioni orientali, piuttosto che di islamistica, un po’
ingenuamente attribuisce al profeta dell’islam la categoria di profeta (cf. DuV, pp. 332-333; DuS, pp. 244-248). Gli
islamologi sono invece piuttosto refrattari perché osservano che, in buona sostanza, vista la natura dell’islam che si
presenta come la religione ultima e definitiva per l’umanità, se i cristiani dovessero riconoscerlo come profeta, in senso
vero e tecnico, per coerenza dovrebbero cessare di essere cristiani e diventare musulmani (cf. J. Jomier, Per consocere
l’Islam, , Borla, Roma 1996, pp. 141-149; M. Borrmans, Per un discernimento..., cit., pp. 156-157, 162, 164, 166; C.
W. Troll, Distinguere per chiarire. Come orientarsi nel dialogo cristiano-islamico [Giornale di teologia 337],
Queriniana, Brescia 2009, pp. 223-244; Id., Domande islamiche risposte cristiane [Giornale di teologia 343],
Queriniana, Brescia 2010, pp. 47-60; K. Samir Khalil, Per un’introduzione al Corano, in Centro Studi
sull’Ecumenismo, a cura di A. Gamba, Cultura, civiltà e teologia nell’islam, Marietti, Genova-Milano 2003, pp. 57-58;
Centro di Studi sull’Ecumenismo, a cura di G. Paolucci – C. Eid, Cento domande sull’islam. Intervista a Samir Khalil
Samir, Marietti, Genova-Milano 2002, pp. 175-176).
160
M. Crociata, «Mediator…, cit., p. 279.
161
Le risposte offerte in Rivisitata (cf. DuT, pp. 683, 686-687) non sciolgono i dubbi.
162
In DuS ci rivela che le risposte alle domande dei colleghi in realtà erano indirizzate anche alla Cdf (cf. DuS, p. 482).
163
Cf. BP, p. 155-156.
164
Questa è la sintesi del suo pensiero. È continuamente ribadita in tutti e due volumi. La recuperiamo in forma
diacronica: DuV, pp. 19-20, 34-36, 281, 282-284, 377, 410-411, 462, 517-523; DuS, pp. 16, 21-22, 41, 92, 109, 266-
267, 350, 373, 465-477, 474, 477, 476-477, 484-486. Si veda GM, pp. 218, 228-230, 232. È molto importante chiarire
cosa intenda esattamente Dupuis quando parla dei «beni aggiuntivi ed autonomi» che si trovano nelle altre religioni. In
DuT ci torna ben quattro volte (cf. pp. 673, 684, 687). Si tratta di aspetti che: a) il cristianesimo non mette con
altrettanta evidenza (DuV, p. 341; Dus, p. 260; DuT, p. 673, 684, 687); b) non sono esplicitati con lo stesso vigore e la
stessa chiarezza nella rivelazione cristiana (DuV, p. 521; DuS, p. 471); c) permettono di scoprire in profondità taluni
aspetti del mistero divino che i cristiani contemplano svelati in Cristo (DuV, p. 343; DuS, p. 273, 473); d) sono
intuizioni del mistero (cf. DuV, pp. 369, 371, 372, 377; DuT, p. 687), nel senso di prefigurazioni e approssimazioni al
mistero Ultimo rivelato da Gesù Cristo (DuV p. 362); e) aiutano i cristiani a purificare, ad approfondire e ad
interiorizzare la loro fede nel mistero divino (DuV, p. 374-375): dunque sono un arricchimento per i cristiani (cf. DuV,
pp. 428, 434; DuS, pp. 472-474, 477). Tuttavia questi aspetti non possono contraddire la rivelazione cristiana (cf. DuV,
24

Le tesi di Verso, e le risposte in Rivisitata, non convinsero il magistero della Chiesa. La Cdf
intervenne con la Notificazione al p. Dupuis, resa nota il 26 febbraio 2001, circa dopo un mese
dopo la sua firma. Nel Preambolo, dopo aver riconosciuto la «buona disposizione» e la volontà
dell’autore «di rimanere fedele alla dottrina della Chiesa», si avverte che nell’opera «sono
contenute notevoli ambiguità e difficoltà su punti dottrinali di rilevante portata, che possono
condurre il lettore a opinioni errate o pericolose. Tali aspetti concernono l’interpretazione della
mediazione unica e universale di Cristo, l’unicità e pienezza della rivelazione di Cristo, l’azione
salvifica universale dello Spirito Santo, l’ordinazione di tutti gli uomini alla Chiesa, il valore e il
significato della funzione salvifica delle religioni»165. Ispirandosi «ai principi indicati nella
Dichiarazione Dominus Iesus per la valutazione dell’opera di J. Dupuis», la Notificazione intese
enunciare in cinque punti «la dottrina della Chiesa a riguardo di alcuni aspetti delle suddette verità
dottrinali, e nello stesso confutare opinioni erronee o pericolose, a cui, indipendentemente dalle
intenzioni dell’Autore, il lettore può pervenire a motivo di formulazioni ambigue o spiegazioni
insufficienti contenute in diversi passi del libro».
I. A proposito della mediazione salvifica unica e universale di Gesù Cristo. Essa viene
esplicitata in tre punti: Gesù Cristo è «l’unico e universale mediatore della salvezza di tutta
l’umanità» (n. 1); Egli è «il Figlio e il Verbo del Padre», per cui, per «l’unità del piano
divino di salvezza incentrato in Gesù Cristo, va ritenuto che l’azione salvifica del Verbo si
attua in e per Gesù Cristo […] mediatore di salvezza di tutta l’umanità». Pertanto è contraria
alla fede cattolica qualunque separazione tra il Verbo e Gesù o «l’azione salvifica del Verbo
come tale nella sua divinità, indipendentemente dall’umanità del Verbo incarnato» (n. 2).
II. A proposito dell’unicità e pienezza della rivelazione di Gesù Cristo. Va «fermamente
creduto che Gesù Cristo è il mediatore, il compimento e la pienezza della rivelazione. È
quindi contrario alla fede della Chiesa sostenere che la rivelazione di/in Gesù Cristo sia
limitata, incompleta e imperfetta»; essa «non ha bisogno di essere completata da altre
religioni» (n. 3); gli elementi di bene presenti nelle religioni «sono una certa partecipazione
alla verità contenute nella rivelazione di/in Gesù Cristo» ed è erroneo ritenere che «non
derivino ultimamente dalla mediazione fontale di Gesù Cristo» (n. 4);
III. A proposito dell’azione salvifica universale dello Spirito. Lo Spirito operante dopo la
risurrezione «è sempre lo Spirito di Cristo inviato dal Padre, che opera in modo salvifico sia
nei cristiani sia nei non cristiani. È quindi contrario alla fede cattolica ritenere che l’azione
salvifica dello Spirito Santo si possa estendere oltre l’unica economia salvifica universale
del Verbo incarnato» (n. 5)
IV. A proposito dell’ordinazione di tutti gli uomini alla chiesa. «Deve essere fermamente
creduto che la Chiesa è segno e strumento di salvezza per tutti gli uomini. È contrario alla
fede cattolica considerare le varie religioni del mondo come vie complementari alla Chiesa
in ordine alla salvezza» (n. 6). Si precisa che «i seguaci delle altre religioni sono ordinati
alla Chiesa e sono tutti chiamati a far parte di essa» (n. 7);
V. V. A proposito del valore e della funzione salvifica delle tradizioni religiose. Quanto lo
Spirito ha seminato nelle religioni «assume un ruolo di preparazione evangelica (cf. LG 16).
È legittimo sostenere che lo Spirito Santo opera la salvezza dei non cristiani anche mediante
quegli elementi di verità e di bontà presenti nelle varie religioni; ma non ha alcun
fondamento nella teologia cattolica ritenere queste religioni, considerate come tali, vie di
salvezza, anche perché in esse sono presenti lacune, insufficienze ed errori, che riguardano
le verità fondamentali su Dio, l’uomo e il mondo» (n. 8). I testi sacri delle altre religioni

p. 341; DuS, p.260); per il pluralismo, invece, è proprio questa l’opzione necessaria che permette il dialogo
interreligioso alla pari.
165
In realtà, Dupuis ci informa che nella prima redazione della Notificazione, del 4 settembre 2000, gli errori venivano
attribuiti direttamente al libro, mentre nella versione del 6 dicembre 2000 ci si limitava ad ambiguità, che avrebbero
potuto indurre in errore i lettori (cf. BP, pp. 124-125).
25

«non possono considerasi complementari all’Antico Testamento, che è la preparazione


immediata allo stesso evento di Cristo» (n. 8).

La vicenda riguardante il procedimento disciplinare che portò alla Notificazione è narrata sia,
sommariamente, nel Preambolo della Notificazione, sia nell’interpretazione che ne dà lo stesso
Dupuis nel Post scriptum a Incontro166. In seguito ne riparleranno sia l’amico W. R. Burrows, sia lo
stesso Dupuis in alcuni suoi scritti postumi, come quello del 7 marzo 2001167 – carico di
avvilimento, che in realtà era un aspetto di quella forma depressiva in cui era caduto per essere
stato accusato di eresia dalla Cdf168 – ed il già citato volume-intervista col giornalista irlandese G.
O’Connell, Non soffocare lo Spirito.

4. L’effettiva efficacia della “cristologia trinitaria e pneumatologia” di Dupuis: il punto di


vista di P. F. Knitter
Abbiamo registrato le reazioni dei teologi e del Magistero all’opera di Dupus. Ritengo che per
cogliere l’effettiva portata del suo contributo sia necessario collocarsi dall’altra parte della
“barricata”, vale a dire valutarla dal punto di vista della teologia pluralista. Sono così, superando il
particolarismo di campo, si potrà ottenere un bilancio obiettivo e reale169.
In effetti P. F. Knitter, nel suo volume di Introduzione alle teologie delle religioni, dedica a Verso
numerose pagine e un’attenta considerazione170. Sin dalla Prefazione si legge come tra i due
teologi, benché su versanti teologici opposti, i rapporti siano all’insegna del rispetto e stima. In
Verso, in effetti, possiamo leggere moltissimi riferimenti al pensiero di P. F. Knitter171.
Il teologo statunitense inquadra metodologicamente la sua interpretazione dei vari modelli di tdr
con la suggestiva immagine dell’ago di una simbolica bilancia172 che si sposa alzandosi e
abbassandosi alternativamente pendendo ora a favore dell’universalità dell’amore di Dio, ora verso
la particolarità di Cristo. Tutta la storia di questa disciplina, osserva acutamente, nasce
dall’esigenza di genere insieme le due verità della fede cristiana della 1Tm 2,4-6, apparentemente
inconciliabili. L’ago pende ora a favore dell’universalità dell’amore di Dio che si estende a tutti gli
uomini – con la fase storica dell’esclusivismo ecclesiologico, che si stende dagli inizi della chiesa
fino alla prima metà degli anni Trenta del XX secolo –, ora a favore della particolarità di questo
amore che si realizza attraverso la particolarità e la singolarità di Gesù Cristo e della sua comunità,
a partire dalla prospettiva inclusivista del Vaticano II. Ebbene, tra i due poli, in particolare tra
l’attività universale dello Spirito e l’azione di Gesù, si ravvisano chiaramente delle tensioni. Lo
stesso Dupuis ne è consapevole in Verso, p. 281. Knitter gli riconosce il merito di trattarle in modo
più coerente rispetto a G. D’Costa173. Dopo aver descritto brevemente la biografia del teologo
gesuita, Knitter ripercorre il tracciato logico del ragionamento di Dupuis.
Tenendo conto che nel saggio nomina il modello inclusivista col termine “compimento” – che
ordinariamente è il modello teologico di Danielou e di De Lubac, alternativo a quello di Rahner, ma

166
Cf. DuS, pp. 479-486.
167
Cf. BP, pp. 27-61; 123-158.
168
Cf. BP, pp. 15, 24, 60-61. In realtà, l’amarezza per il procedimento a suo carico non gli impedì di redigere, il 26
novembre 2000, uno scritto critico nei confronti della DI, inteso come Postfazione a DuS, (cf. BP, pp. 14, 63-121).
169
Se ne comprendiamo fino in fondo il significato, in realtà questo paragrafetto vale quanto l’intero contribuito di
questo articolo.
170
Cf. Kn, 185-193, 211-213 ed altre citazioni sparse lungo il testo. È importante segnalare che il volume,
originariamente in inglese-americano, prende in esame l’edizione in inglese di DuV; la traduzione in italiano segnala in
parentesi quadra le corrispondenze con l’edizione della Queriniana: per la citazione del volume seguiremo queste.
171
Se diamo uno sguardo all’indice degli autori, tra i più citati troveremo: in ambito cattolico, ovviamente K. Rahner (p.
576); sul versante pluralista i più citati sono R. Panikkar (p. 576), ma soprattutto J. Hick (p. 574) e, appunto, P. F.
Knitter (p. 575). Va peraltro osservato che questi quattro autori sono tra i più citati di tutti.
172
L’immagine dell’ago torna continuamente: cf. Kn, pp. 47, 135, 164, 176 ecc. Una metafora simile la troviamo in
GAd, p. 110-111. V. Mancuso (op. cit.), richiamandosi a 1Pt 3,20-22, preferisce l’immagine dell’arca di salvezza.
173
Cf. Kn, p. 185. Il riferimento al teologo kenyano è in Kn, pp. 180-185.
26

entrambi in sintonia col magistero – lo studioso di Chicago segnala che il problema principale di
Dupuis è costituito dal “compimento”, secondo cui, «per quanta “verità e bontà” si possa rinvenire
lungo gli altri percorsi, questi ultimi devono condurre tutti all’unica meta del cristianesimo: essi
debbono fungere, cioè, da preparazione per qualcos’altro». Ciò ha prodotto alcuni risultati infelici,
come la limitazione della libertà di Dio, l’ecclesiocentrismo e soprattutto «l’ostacolo a un dialogo
reale, poiché non rende possibile quel campo di gioco neutrale che è richiesto dal dialogo»174. Ecco
che in Verso, osserva Knitter, Dupuis «ha tentato di andare al di là della prospettiva del
compimento in direzione di una teologia che, lasciando libere le redini al Divino, renda davvero
possibile il dialogo»175.
Rilevato l’obiettivo di fondo, Knitter ripercorre Verso secondo sette tappe, con le loro
articolazioni176. «Alla base dello sforzo di superare le costrizioni del Modello del Compimento e di
plasmare una teologia delle religioni veramente dialogica sta lo Spirito Santo»177, come anche
«l’azione continuata del Verbo di Dio, seconda persona della Trinità, nel corso di tutta la storia, al
di là della presenza incarnazionale nell’umanità di Gesù»178. Lo Santo Spirito «è vivo ed attivo
lungo la storia, soprattutto nelle comunità religiose, prima e dopo Cristo»179. Da qui la prima
considerazione del teologo americano: «ma Dupuis aggiunge una melodia che non si percepisce
con uguale chiarezza nella voce di altri teologi: ciò che lo Spirito è impegnato a fare nelle altre
religioni può essere genuinamente diverso – mai contraddittorio, ma realmente diverso – da quel
che si trova nel Verbo di Dio in Gesù»180. Questa affermazione «implica pertanto che Dio ha da
dire all’umanità più di quanto non abbia detto in Gesù. È per questo che Dupuis può trovarsi tanto
facilmente d’accordo con Edward Schillebeecks sull’affermazione […] che “nell’intera storia dei
rapporti di Dio con l’umanità si trovano più verità e grazia di quante non siano disponibili
semplicemente nella tradizione cristiana»181. La seconda considerazione del teologo: «per alcuni
cattolici, simili conclusioni a base pneumatologica sembrano andare troppo in là»182. Dupuis – che
«le fonda nella teologia trinitaria classica, laddove i cristiani insistono che vi sono delle distinzioni
reali fra le tre persone della Trinità (chiamate “distinzioni ipostatiche”), il che significa che una
persona non può essere ridotta o subordinata all’altra»183 – sostiene pertanto che, «se c’è “reale
differenziazione” ed “effettiva pluralità” fra il Verbo di Dio in Gesù e lo Spirito di Dio nelle altre
religioni, possiamo aspettarci che le religioni abbiano cose “diverse” e “nuove” da dire ai cristiani:
cose che questi non hanno ancora udito (e, naturalmente, viceversa)»184. In effetti, «i cristiani non
detengono il monopolio della verità»185. A questo punto «Dupuis compie un ulteriore passo che lo

174
Ibid., p. 186. Si mette in evidenza come, effettivamente, Dupuis intenda davvero superare il confine dell’inclusivismo
spostandosi nel campo del pluralismo, accogliendone i valori positivi che esso esprime, a partire dalla valorizzazione
delle religioni.
175
Ivi. Sul tema del dialogo Knitter insiste, citando quei passaggi nei quali Dupuis scrive che la credibilità della
teologia si misura realmente se «rispetti realmente le altre religioni e ne riconosca la validità» (p. 187). Per fare questo i
cristiani devono superare l’inclusivismo per fondare una teologia «che fondi la possibilità di una complementarità reale
fra i credenti religiosi impegnati nel dialogo» (ivi; cf. DuV, pp. 277, 439, 521). Questa complementarietà si realizza se
è “reciproca”, vale a dire un «arricchimento e una trasformazione reciproci» (Kn, p. 188; cf. DuV, p. 439) ; «una
teologia che si proponga come risultato finale non che la tua parte si converta alla mia, ma “una più profonda
conversione di ciascuno a Dio» (Kn, p. 188; cf. DuV, p. 513).
176
La sintesi che ho proposto nelle pagine precedenti non è dissimile da quella di Knitter; cambiano solo le
articolazioni. Ad esempio: posto l’obiettivo da conseguire che è il dialogo alla pari, il pluralismo di diritto è alla base di
tutto il ragionamento. Non a caso Dupuis lo determina all’inizio del suo percorso.
177
Kn, p. 188.
178
Ivi; cf. DuV, pp. 298-302. Da qui tutte le etichette adottate da Dupuis, come la “teologia delle religioni
pneumatologica”, ossia fondata sullo Spirito (cf. Kn, p. 188).
179
Kn, p. 188.
180
Ivi.
181
Ivi; cf. DuV, p. 521.
182
Kn, pp. 188-189.
183
Ibid., p. 189.
184
Ivi; cf. DuV, pp. 279, 264.
185
Kn, p. 189; cf. DuV, p. 513.
27

porta in un territorio nuovo. Sulla base della presenza costante dello Spirito all’interno delle
religioni, egli dice che i cristiani debbono riconoscere che questi altri percorsi hanno un “ruolo
permanente ed un significato specifico” in quel che Dio spera di conseguire con l’umanità»186.
Interpretando il pluralismo de iure secondo Dupuis, così Knitter esplicita il pensiero del teologo
belga: «l’intenzione di Dio non è che tutte le persone trovino la loro realizzazione nella chiesa
cristiana. Le molte religioni esistono non soltanto “come un fatto, ma in linea di principio”. La
pluralità riflette il modo in cui stanno le cose, il modo in cui Dio vuole che stiano»187. Lo studioso
constata: «proclamata questa audace affermazione, Dupuis compie un altro passo»: «se i cristiani
vogliono prendere le altre religioni in maniera seria e dialogica, devono superare il persistente
“ecclesiocentrismo” (concentrazione sulla chiesa) che offusca le loro teologie delle altre religioni.
Egli mette in guardia contro una “inflazione ecclesiologica” che esagera a tal punto la necessità
della chiesa cristiana da sminuire o annullare il valore delle altre religioni»188. A Knitter non è
sfuggito il fatto che Dupuis si spinga a rimbrottare «in maniera franca e coraggiosa punti di vista
che solitamente i cattolici esitano a criticare, come “la prospettiva angustamente ecclesiocentrica”
della Redemptoris missio»189. Giungiamo al tema cruciale che è la cristologia. Scrive: «se ritiene
che la teologia debba stare attenta a non essere troppo “ecclesiocentrica”, [egli] ammette ed afferma
che qualunque visione cristiana delle altre religioni deve rimanere cristocentrica. Se Dio e il suo
Regno sono al centro della vita cristiana, è Gesù Cristo che conduce a tale centro»190. Knitter
commenta: «questo è il punto della nuova teologia di Dupuis in cui ha inizio quel delicato atto di
bilanciamento che abbiamo osservato lungo tutto questo capitolo. Egli si rende conto che il
cristocentrismo ha portato a quello stesso “gonfiamento” del cristianesimo e “sgonfiamento” di
tutte le altre religioni cui ha portato l’ecclesiocentrismo. E propone una concezione più
spiccatamente dialogica di Gesù Cristo»191. Come? Con due filoni di affermazioni «in tensione»,
espressione che intende segnalare in realtà una certa contraddizione. «Da un lato, Dupuis mette in
tavola le sue carte con chiarezza» dichiarando che «la fede cristiana non può mantenersi senza
rivendicare a Gesù Cristo un’unicità costitutiva», in quanto Verbo stesso di Dio, seconda persona
della Trinità e perciò colui in cui Dio ha elargito la pienezza della rivelazione192. «Dall’altro lato,
Dupuis vuole prendere questi elementi essenziali della fede cristiana e intenderli in un modo che
non sminuisca le altre religioni e che consenta un dialogo reale con esse»193. Ecco il passaggio
cruciale riguardante la coscienza messianica. «A questo scopo, egli traccia alcune distinzioni
affilate come la lama di un rasoio, che richiedono un’attenzione altrettanta affilata da parte dei sui
lettori. La “pienezza” della verità di Dio in Gesù è “qualitativa”, non “quantitativa”»194. A questo
punto Knitter riformula il pensiero di teologo gesuita, secondo il quale si tratta di una pienezza
d’intensità, non estensiva e onnicomprensiva. «Un altro modo per porre ciò che ha in mente Dupuis
è probabilmente quello di intendere la “pienezza della verità” in Gesù non come una pienezza che
ci dà il quadro completo (quantitativa), ma come una pienezza che mette talmente a fuoco
l’immagine che abbiamo (qualitativa), da consentirci di conoscere di che cosa tratta e di
comprendere ogni ulteriore aggiunta ad essa. È una pienezza di fuoco, di intensità, anziché una
pienezza di dettaglio e totalità»195. Questo cuneo teologico offre la soluzione alla complementarità
reciproca e perciò al vero dialogo. «Dupuis ammette pertanto esplicitamente che la pienezza della
verità di Dio in Gesù è “relativa” (cioè limitata – una parola che pochi teologi cristiani oserebbero

186
Kn, p. 189; cf. DuV, p. 286.
187
Kn, p. 189; cf. DuV, p. 271.
188
Kn, p. 189.
189
Kn, p. 189-190; cf. DuV, p. 497. Anche qui Knitter ha visto bene: l’ecclesiologia di Dupuis è quasi interamente
svuotata di significato, se non nell’affermazione di principio che la chiesa è necessaria per la salvezza.
190
Kn, p. 190; cf. DuV, p. 257.
191
Kn, p. 190.
192
Ivi. A supporto, Knitter cita in particolare DuV, pp. 410, 520, 386, 399, 469, 209, 401.
193
Kn, p. 190.
194
Ibid., p. 191; cf. DuV, pp. 508-509.
195
Kn, p. 191.
28

adoperare); ma preferisce un aggettivo più positivo: “relazionale” […] Di fatto, i cristiani non
conoscono realmente la pienezza del messaggio di Dio in Cristo se non parlano con gli altri. Dupuis
sostiene che, con una simile concezione relazionale dell’unicità di Cristo, i cristiani possono aprirsi
a un dialogo autentico con gli altri – senza sminuire o mettere in pericolo l’identità di Cristo per
loro e per il mondo»196, ritornando poi al «familiare linguaggio cristiano» secondo il quale
«nessuna rivelazione può […] superare o eguagliare, prima o dopo Gesù Cristo, quella accordataci
in lui, il Figlio divino incarnato»197. Gli ultimi due passaggi. «Quanto alla relazione fra quel che
Dio dice in Gesù e quello che dice nello Spirito […] Dupuis chiarisce che “Cristo, e non lo Spirito,
occupa la posizione centrale in quanto via a Dio”»198, giacché «tutto ciò che Dio ha da dire nello
Spirito attraverso le altre religioni deve essere inteso “in vista” di Cristo, e di Cristo non prende il
posto»199. Pertanto, «nell’arricchimento e nella trasformazione reciproci che Dupuis considera la
meta del dialogo, i cristiani possono dunque scoprire che le altre religioni hanno visto “certe
dimensioni del mistero divino” in maniera più chiara di loro. Nel dialogo con gli altri, possono
percepire “in maggior profondità” ciò che già possiedono nella pienezza della rivelazione
cristiana»200. Knitter non si esime dal commentare: «sebbene voglia delineare un percorso che
allontani i cristiani da tutti quegli atteggiamenti che considerano le altre religioni come “gradini”
che portano la cristianesimo, Dupuis tenta dunque anche di aggiustare il tiro in maniera tale che
Gesù, in quanto Cristo, conservi il suo posto centrale quale meta finale di ogni rapporto di Dio con
l’umanità», riprendendo, di tanto in tanto, «un linguaggio intriso dei toni del compimento»201.
Dunque, il risultato finale: «alla fine del suo libro anticipatore, egli suggerisce che questo
“compimento” o “culmine” delle altre religioni in Gesù Cristo avrà luogo soltanto (o
completamente) al termine ultimo della storia», secondo Efesini 1,10, nella sottomissione della
creazione a Gesù, suo capo e cuore; «nel frattempo, le religioni conservano la loro validità e
identità assieme al cristianesimo202.
Giunto al termine della sua analisi del testo, delinea un prima valutazione sintetica: «abbiamo
cercato di dare uno sguardo il più attento completo possibile all’argomentazione elaborata da
Dupuis in favore di una nuova teologia cristiana delle religioni perché per molti essa rappresenta il
limite estremo cui è possibile spingersi rimanendo nei confini dell’ortodossia. In particolare, egli
tenta di spingere la fede cristiana nella centralità di Gesù al di là dei limiti del Modello del
Compimento che caratterizza l’insegnamento cattolico ufficiale»203, consapevole che, «se un
cristiano smette di porre Gesù al cuore di ciò che Dio è impegnato a fare in tutta la storia, non è più
realmente un cristiano»204. In tal senso, il teologo americano cita M. Hellwig: «la fede cristiana
crolla se l’affermazione del carattere definitivo di Gesù Cristo viene negata»205.
Knitter ritorna su Dupuis alla fine del capitolo, dopo aver trattato di altri teologi e di alcuni
pronunciamenti della Federazione dei Vescovi Asiatici. Egli conclude con un bilancio sul “modello
del compimento”, cioè l’inclusivismo. Se nelle pagine che abbiamo illustrato Knitter non ha
mancato di rilevare la novità della proposta di Dupuis, ora che si tratta di tirare le somme, il
giudizio cambia. È proprio questo il punto più importante della recensione del teologo americano.
Dopo aver premesso che in ambito cattolico si è soliti dichiarare in modo solenne che i cristiani nel
dialogo «possono essere “arricchiti”, “stimolati”, “trasformati”, forse perfino “convertiti”, [e che]
D’Costa, e soprattutto Dupuis, insistono con forza ancor maggiore sul fatto che nel dialogo deve

196
Ivi.
197
Ibid., p. 192; cf. DuV, pp. 338, 428, 276.
198
Kn, p. 192.
199
Ivi; cf. DuV, p. 265,
200
Kn, p. 192; DuV, pp. 343, 513, 520, 521.
201
Kn, p. 192; cf. DuV, pp. 377, 410.
202
Kn, pp. 192-193; cf. DuV, p. 522.
203
Kn, p. 193.
204
Ivi.
205
Cit. in Kn, p. 193.
29

esserci un “compimento reciproco”»206, cominciano le sferzate: «ma ciò che essi passano poi ad
affermare su Gesù sembra smussare queste intenzioni altisonanti»»207. Partono gli affondi. «Quanto
possono essere profondi, esattamente, l’arricchimento, lo stimolo o la conversione, quando i
cristiani sono convinti di avere in Gesù la Parola piena, definitiva e che dà compimento?»208. Ecco
la stilettata più profonda contro Dupuis: «persino la precisazione contenuta nella distinzione di
Dupuis secondo cui la pienezza di Gesù è soltanto “relativa”, una pienezza “non quantitativa, ma
qualitativa”, finisce per suonare come una questione di parole più che di realtà allorché egli
prosegue dichiarando che Gesù è il solo-e-unico Salvatore in cui l’unica salvezza destinata a tutte le
persone è costituita e resa nota. In ultima analisi, l’approccio “penumatologico” propugnato da
Dupuis ed altri non sembra permettere allo Spirito di dire nulla di realmente diverso da quel che ha
detto in Gesù»209. Ecco la conclusione: «abbiamo visto come sia D’Costa che Dupuis continuino ad
insistere che “Cristo, e non lo Spirito, occupa la posizione centrale in quanto via a Dio”210. Ciò
significa, come abbiamo sentito, che tutto ciò che i cristiani possono imparare dallo Spirito che si
trova negli altri sarà sempre, essenzialmente, soltanto una chiarificazione, un approfondimento, di
ciò che già sanno in Gesù. In definitiva, Dupuis non sta dunque subordinando, contrariamente alle
sue intenzioni, lo Spirito al Verbo in Gesù?»211. Il giudizio finale è, pertanto, il seguente:
«l’impressione di molti è che gli sforzi che i teologi cattolici vanno facendo per compiere un passo
ulteriore al di là della prospettiva del compimento del Vaticano II non funzionino perché non
rendono possibile quel campo di gioco neutrale che è richiesto dal dialogo in due direzioni. Nei
termini usati da un critico del Modello del Compimento [H. Maurier], in un dialogo in cui i cristiani
sostengono di avere la “verità definitiva” di Dio, “quel che abbiamo è in effetti un dialogo tra un
elefante e un topolino”».212
Qual è il bilancio da trarre dalla recensione di P. F. Knitter? Anzitutto appare del tutto evidente che
il tentativo di conciliare l’inclusivismo con alcune tesi portanti del pluralismo, con l’altalena
continua di affermazioni in tensioni tra loro – con la valorizzazione delle religioni nel piano
salvifico di Dio, pena lo sgonfiamento della cristologia e dell’ecclesiologia (per gli inclusivisti), e
viceversa: con la ricalibratura della prospettiva teologica verso Cristo (considerata come un
tradimento degli intenti iniziali (per i pluralisti) –, risulta davvero come un fallimento. Detto più
esplicitamente: Dupuis ha scontentato gli uni e gli altri. Si potrebbe ben sintetizzare: troppo
“ortodosso” per gli “eretici” e troppo “eretico” per gli “ortodossi”. Questa è la conclusione più
realistica.
Ma il “caso Dupuis” non lascia solo il rammarico per il dibattito e le reazioni critiche sviluppatesi
nella famiglia inclusivista, acutizzate dall’indagine della Cdf, che però dall’altra parte, pluralista,
risultano del tutto prive di valore e di consistenza a motivo della difesa del teologo gesuita
dell’unicità e universalità costitutiva di Gesù Cristo. Ciò che amareggia maggiormente è che negli
ultimi anni di vita di Dupuis, come leggiamo nei due menzionati capitoli centrali curati da W. R.
Burrows, scritti di suo pugno, come anche nel libro-intervista col giornalista O’Connell, egli si sia
incaponito a criticare non soltanto i membri della Cdf, il processo e le modalità con cui è stato
portato avanti213 – non abbiamo però la versione dell’altra “campana” – ma anche e soprattutto la
stessa Dominus Iesus, con cui, scrive, «non riesco ad essere d’accordo» (!)214 È proprio questo che

206
Ibid., pp. 211-212.
207
Kn, p. 212.
208
Ivi.
209
Ivi.
210
Cf. DuV, p. 265.
211
Kn, p. 212.
212
Ibid., pp. 212-213; H. Maurier cit. in Kn, p. 213.
213
Cf. BP, pp. 13, 15, 24, 25, 29; 51-52, 57-60, 65, 67 n. 5, 119-121, 123-128.
214
Difatti ne La Dichiarazione Dominus Iesus…., cit., Dupuis la commenta criticandola (p. 121), prendendo di mira la
sua (presunta) formulazione «problematica» che la «espone a malintesi» (cf. 70; cf. pp. 95, 101, 105, 106, 118, 119), ne
deplora le «mezze verità» (ibid., p. 119) ed il «metodo dogmatico e a priori» (ibid., p. 120), «il tono tranciante […] e il
30

lascia sconcertati: da un lato si riteneva vittima di un processo ingiusto, dall’altro, piuttosto che fare
autocritica e porsi la questione se davvero la sua teologia si trovasse al limite estremo
dell’ortodossia – era convinto che il suo pensiero fosse conforme col dato della fede215 e coniò
perfino la bizzarra espressione di «fedeltà creativa»216 –, anziché approfondire ulteriormente e
dialetticamente la cristologia revisionista dei pluralisti – che in Verso viene senz’altro contestata –,
concentrò la sua attenzione nella critica dei documenti magisteriali. È inevitabile la domanda: se
resta collocato nel quadro della fede, perché criticare il contenuto di DI e della Notificazione?
Cosa resta, in definitiva, del “caso Dupuis”, della discussione con i colleghi teologi, dell’inchiesta
canonica, della Notificazione e perfino della contestazione della Dominus Iesus? Solo una tempesta
in un bicchier d’acqua, considerato che per Knitter i risultati ottenuti sono così insoddisfacenti da
liquidare la teologia di Dupuis bollandola di incoerenza – dal momento che non riesce a sganciarsi
dalla fede in Gesù come unico salvatore –, pur avendone apprezzato l’impegno?

5. Bilancio: per un ripensamento della teologia delle religioni


Se è vero che, in termini generali, il nuovo modello proposto da Dupuis non ha trovato il consenso
sperato, sia da parte inclusivista, sia da parte dei pluralisti, non si può dire che non abbia comunque
lasciato il segno nella storia della teologia o che non abbia lasciato nessuna eredità teologica.
Certamente al teologo belga va ascritto il merito di essersi spinto, con coraggio, fino al limite della
dottrina cattolica, nel tentativo di trovare la via migliore per rendere possibile un dialogo autentico;
sforzo che non gli ha risparmiato sofferenza e tribolazione. In realtà, sarebbe affatto ingeneroso ed
errato affermare che sia stata una fatica vana. Direttamente o indirettamente, in positivo – in ciò che
di prezioso ci ha lasciato – o in negativo – incappando in vicoli ciechi nei quali ci invita a non
inoltrarci –, la sua teologia ci lascia insegnamenti importanti, che dobbiamo necessariamente
cogliere e valorizzare, facendo tesoro dei suoi successi e dei suoi insuccessi, e mantenendo
comunque un sentimento di riconoscenza perché ha pagato in prima persona il prezzo del suo
impegno nel campo della tdr.
Quali insegnamenti? Raccogliendo gli sviluppi del dibattito teologico e considerato che
personalmente ho avuto modo di svilupparli in altre occasioni, li propongo in modo sintetico,
schematico e secondo un taglio sistematico, ponendo l’accento soprattutto sull’argomentazione.

1. Ambito metodologico: teologia, teologie, dialogo e religioni


Sullo sfondo resta l’importante insegnamento per cui teologia e dialogo restano due momenti
epistemologici distinti217. La prima consiste in un’«ermeneutica della religione e delle religioni
[…fondata] sulla rivelazione cristiana contenuta nella Parola di Dio e interpretata dalla tradizione
vivente della chiesa»218. La teologia «studia le varie tradizioni nel contesto ella storia della salvezza
e nella loro relazione col mistero di Gesù Cristo e con la chiesa cristiana»219. In questo senso è
confessionale220. Inoltre, profeticamente, Dupuis stabiliva una tripartizione (cf. CTI, n. 7) che poi

carattere spesso abusivamente esclusivo delle sue autoaffermazioni» (ivi). In definitiva: «un passo indietro nel campo
ecumenico e in quello del dialogo interreligioso» (ivi).
215
Cf. BP, p. 156. BP è una difesa appassionata del teologo Dupuis. Scorrendolo si ha l’impressione che il
procedimento canonico con la Notificazione finale siano stati sostanzialmente una montatura – una «tragicommedia»
(BP, p. 21) – costruita su accuse false e incomprensioni, dovute, nella migliore delle ipotesi, a superficialità e
pregiudizi. Ma non traspare nessuna autocritica, nessun dubbio sul fatto che la teologia aperta abbia delle falle reali. Del
resto, la reazione dei recensori, prima dell’indagine canonica, sta lì a dimostrarlo.
216
Cf. BP, p. 121.
217
Cf. DuV, p. 15.
218
Ibid., p. 11.
219
Ibid., p. 15.
220
Cf. ibid., pp. 10-13.
31

sarà ripresa e sviluppata dal DiFS, soprattutto con i contributi di M. Crociata221. Dovremmo
pertanto distinguere una «teologia generale delle religioni, che le abbracci tutte insieme, e che
domandi in che modo le altre tradizioni religiose – e le loro parti costitutive – entrano in relazione
con il mistero cristiano: con l’evento di Gesù Cristo, che è al cuore della fede cristiana, e
subordinatamente con la chiesa cristiana costituita da Gesù Cristo come “sacramento universale di
salvezza” (LG 48) nel mondo»222. Una parte speciale riguarda la «teologia della conversazione
cristiana con» le singole religioni223, che consideri «le varie teologie confessionali delle religioni
come probabili piattaforme ed utili punti di partenza per la conversazione ed il dialogo
interreligioso»224. Dunque si tratta del confronto dei contenuti e delle esperienze religiose così che
la teologia individui «un’interpretazione cristiana religiosa plurale che la circonda»225; è, questo,
ciò che il DiFS chiamerà discernimento delle singole religioni mediante le «teologie cristiane delle
varie religioni»226. La sezione della teologia della conversazione cristiana è possibile perché,
malgrado le irriducibili differenze – considerato che esse differiscono anzitutto «quanto alla loro
esperienza di fede fondativa»227, (o) come «la concezione coranica ed islamica di Gesù Cristo e le
varie interpretazioni della sua persona presso autori appartenenti al Rinascimento indù»228 – le
diverse teologie confessionali possono essere delle «probabili piattaforme ed utili di partenza per la
conversazione e il dialogo interreligioso»229 dal momento che esse «possono nondimeno avere delle
verità in comune»230. Ne consegue, da un lato, che «il punto di partenza della teologia del
pluralismo religioso è una prassi del dialogo interreligioso, sulla base della quale essa va in cerca di
un’interpretazione cristiana della realtà religiosa plurale che la circonda. Essa si presenta come un
nuovo modo di fare teologia»231.

221
Cf. M. Crociata, Per uno statuto.., cit.; Id., Sullo statuto della teologia delle religioni, in HTh, 21 (2003), pp. 115-
120; Id., La teologia delle religioni…, cit., e l’intero CM.
222
DuV, p. 17; cf. pp. 13, 15, 33; M. Crociata, Per uno statuto…, cit. p. 369; Id., M. Crociata, La teologia delle
religioni…, cit., p. 296; DT, p. 60-61.
223
DuV, p. 17.
224
Ibid., p. 14; cf. p. 13; M. Crociata, Per uno statuto…, cit. pp. 369-370; Id., La teologia delle religioni…, cit., p. 297-
298; DT, p. 61.
225
DuV, p. 30; cf. p. 17.
226
Ibid., p. 17. Il termine compare esplicitamente in DuS, pp. 354-362. Si veda: M. Crociata, Per uno statuto…, cit. p.
369-370; Id., M. Crociata, La teologia delle religioni…, cit., p. 297-299; DT, pp. 34 n. 6, 61. Più avanti Dupuis
preciserà che la teologia cristiana del pluralismo religioso, che dovrà essere una teologia “interreligiosa”, non potrà
essere una “teologia mondiale” o una “teologia universale”, «nel senso di una “superteologia” della storia dell’umanità
in quanto avventura comune intrapresa dalle varie tradizioni religiose e vincolante per ciascuna di esse. L’idea di una
“teologia comparativa” correttamente intesa sarebbe tuttavia più accettabile» (DuV, p. 276).
227
DuV, p. 13.
228
Ibid., p. 14.
229
Ibid., p. 14.
230
Ibid., p. 13.
231
Ibid., p. 30. Come abbiamo visto in precedenza, questa «teologia ermeneutica interreligiosa» o «teologia dialogica
interreligiosa» (ibid., p. 30; DuS, p. 34) nella quale il genitivo non implica solo un nuovo oggetto su cui riflettere (il
pluralismo religioso), ma anche un (nuovo) «atteggiamento dialogico in ogni stadio della sua riflessione: è riflessione
teologica sul dialogo e nel dialogo» (DuV, p. 30) –, è meglio spiegata da C. Geffré (cf. GM, p. 237). Essa va
considerata, al pari della teologia fondamentale, di cui la tdr è una branca, come una dimensione permanente di tutta la
teologia. In questo senso, ogni capitolo della scienza teologica andrebbe rivisitato (anche) secondo il taglio comparativo
che mostri le affinità col mondo delle religioni, ma anche la specificità del messaggio cristiano. «Il confronto con le
altre tradizioni religiose deve condurci ad una migliore intelligenza della rivelazione affidata alla Chiesa da Cristo»
(GM, p. 237).
32

Dall’altro lato, il dialogo interreligioso è definito più volte come «prassi»232, o «conversazione»233:
«è proprio del dialogo interreligioso nelle sue varie forme scoprire tutto ciò che i cristiani e i non
cristiani possono dire e fare in comune nonostante le loro irriducibili differenze»234. Il dialogo è
visto, perciò, come «reciproco arricchimento mediante la conversazione»235. Le considerazioni di
Dupuis sono importanti perché ci permettono di precisare che la teologia generale delle religioni
pone a se stessa delle domande che scaturiscono inevitabili dalla presenza di altre tradizioni
religiose nelle società occidentali. È un esercizio ad intra la comunità credente e i suoi risultati non
sono sottoposti all’approvazione dell’altro, né suppone la rinuncia alla propria identità, come del
resto chiaramente afferma più volte Dupuis236. Il dialogo è invece il momento personale ad extra
del confronto con l’altro al fine di stabilire anzitutto rapporti di fiducia e di stima. Questi possono
favorire la reciproca comprensione delle rispettive identità, così da superare i pregiudizi e le
chiusure aprioristiche (cf. NAE 3)237.

232
DuV, p. 30.
233
Ibid., p. 514. Molto opportunamente G. Gäde scrive che «per il dialogo interreligioso anzitutto vale ciò che deve
valere per ogni dialogo: porre domande all’interlocutore. Ogni dialogo vive di domande e di ricerca di risposte. Uma
teologia delle religioni che voglia dare un contributo ad un dialogo fecondo non dovrebbe perciò avere timore di
rivolgere all’interlocutore i suoi interrogativi circa la sua religione. In un dialogo sincero nessuna domanda dovrà essere
esclusa o soppressa, nemmeno per motivi di correttezza politica» (GAd, p. 59). Ma l’esperienza insegna che questa
prospettiva si potrà realizzare solo quando gli interlocutori si conoscono e si fidano l’uno dell’altro (cf. DT, p. 39). La
suprema regola chiastica del dialogo è: non rinunciare, non imporre (cf. DT, p. 237).
234
DuV, p. 13; cf. pp. 512-514. Sulle differenze irriducibili tra le religioni cf. DuV, pp. 395, 403, 507-508. Anche Kn,
in ultima analisi, è consapevole che le differenze tra le religioni sono irriducibili (cf. Kn, p. 210, 319-320, 329, 458-
459). Senza una competenza specifica nel campo dello studio delle religioni, che offra una visione d’insieme teologico-
dottrinale di ogni esperienza religiosa oggetto della tdr, la quale consenta di stabilire chiaramente gli elementi di
convergenza e di divergenza col cristianesimo (cf. CTI 96-97, 100-101), non si può riflettere teologicamente su di esse.
Se al teologo manca questa preparazione, egli corre il rischio di costruire modelli teologici elaborati a tavolino e avulsi
dalla realtà. Anche K. Rahner è incorso in questo rischio. Ce lo testimonia un suo discepolo e ammiratore, P. F. Knitrer,
il quale annota che «il teologo cattolico più famoso ed influente del ventesimo secolo, pioniere nell’esplorazione di
territori religiosi sconosciuti, trascorse la maggior parte della sua vita in Germania e non studiò mai le altre religioni né
parlò un granché con gli altri credenti» (Kn, p. 143).
235
DuV, p. 14; cf. pp. 512-514; DuT, p. 688. Il capitolo sul dialogo interreligioso, molto ben documentato, ci lascia utili
insegnamenti: la distinzione tra dialogo e annuncio esplicito; in questo senso, il dialogo non è finalizzato alla
conversione (cf. DuV, p. 488). Il dialogo è parte della missione evangelizzatrice perché può essere l’unica occasione per
far conoscere Cristo a coloro che lo ignorano, senza che ciò equivalga in sé ad un invito alla conversione (cf. DT, pp.
59, 214-216, 294). L’aspetto della complementarietà del dialogo, che certamente non può essere un monologo, ma è
l’esperienza dell’ascolto reciproco testo arricchimento vicendevole (cf. DuV, p. 513). Molto valida è la sintesi
conclusiva sui benefici del dialogo (cf. DuV, pp. 512-516). I documenti magisteriali offrono molte informazioni al
riguardo e si rende necessaria una visione sistematica. Da parte mia, l’ho rielaborata in DT, pp. 214-224. Tuttavia non è
sfuggito ai recensori una certa vaghezza sulla finalità del dialogo. Il fatto che le religioni mantengano un ruolo
permanente e positivo nel disegno di Dio – principio che scaturisce dal pluralismo de iure – parrebbe condurre al fatto
che i seguaci delle altre religioni non sono chiamati, in ultima analisi, mediante l’annuncio, a credere in Cristo e
ricevere il battesimo, bensì, come hanno inteso i recensori (cf. DuT, pp. 688-689), a convertirsi a Dio (cf. DuV, pp. 499,
513) perché «l’intenzione di Dio non è che tutte le persone trovino la loro realizzazione nella chiesa cristiana» (Kn, p.
189). Le risposte di Dupuis, anziché fugare i dubbi, li confermano, a partire dalla critica alla RM (cf. DuV, p. 497).
Dalle sue considerazioni la conclusione che si dovrebbe trarre è che, in ultima analisi, Dio non vuole che i seguaci delle
altre religioni partecipino in pienezza – senza l’adesione esplicita a Cristo la salvezza è ugualmente messa a loro
disposizione, sia pure non con la perfezione assicurata dai sacramenti dell’iniziazione cristiana – alla salvezza in Cristo
con la fede ed il battesimo (cf. AG 7; RM 46-47, 55; DI 20), ma che siano semplicemente buoni e migliori musulmani,
o buddhisti, ecc. (opinione già biasimata in RM 46). Anche G. Gäde, che accetta il pluralismo de iure, è costretto ad
ammettere una conclusione del genere: «La pluralità delle religioni non deve perciò necessariamente essere uno stato da
superare nella storia. Il cristiano non può legittimamente desiderare l’abolizione delle altre religioni e la loro
sostituzione con quella cristiana. Egli potrà e dovrà soltanto desiderare che gli aderenti di altre religioni scoprano e
riconoscano il Cristo come intima verità delle loro religioni» (GAd, p. 128). Nel commento di Kn a Verso, questo tipo
di conclusione è esattamente ciò che si ricava dalla tesi del pluralismo di principio.
236
Cf. DuV, pp. 12-14, 507-509, 522.
237
Buona parte dei musulmani, ad esempio, ritiene che i cristiani siano politeisti a motivo della Trinità. Certo, dei
politeisti sui generis, vista la loro insistenza sull’unicità di Dio; ma sempre politeisti, dal momento che le credenze dei
cristiani «non differiscono tanto da quelle dei politeisti (mushrikûn)» (M. Borrmans, Gesù Cristo e i Musulmani del XX
33

La migliore conoscenza reciproca metterà in chiaro anche le inevitabili differenze. Queste non
devono essere livellate, per compiacere l’altro, ma tenute come momenti strutturanti delle identità
individuali e comunitarie. Piuttosto che proporsi di livellare le alterità i credenti dovranno
impegnarsi nel vero fine del dialogo, che è di natura pratico-etica: la collaborazione per la
promozione della giustizia sociale, dei valori morali e di libertà (NAE 3)238. Sotto questo punto di
vista, risultano illuminanti le parole sul dialogo di Benedetto XVI nella Verbum Domini (nn. 117-
120), in cui vengono posti sul tavolo le principali questioni che il dialogo dovrà affrontare; lungo
questa linea, anche l’Evangelii gaudium di papa Francesco, che esclude il sincretismo totalitario (n.
251), configura il dialogo come il dovere di servire la giustizia e la pace (n. 250). Certamente la
teologia speciale delle religioni è quella che Dupuis chiama «teologia della conversazione cristiana
con..»239. Essa si occupa dello studio comparato dei contenuti dottrinali ed esperienziali delle
religioni al fine di formulare un discernimento cristiano, inteso nel senso di 1Ts 5,21240. Questa
sezione dovrà tenere conto non solo di un sapere libresco sulle religioni (quello che le viene offerto
dalle Scienze delle religioni241), ma apprendere la loro vitalità anche dalla testimonianza
coinvolgente dei loro seguaci. Va tuttavia osservato che il dialogo, in questo senso, non potrà essere
l’unica fonte di conoscenza. Infatti, la testimonianza di coloro che seguono altri percorsi religiosi
sarà sempre parziale perché costoro saranno bene disposti a mettere in evidenza solo il lato
attraente della loro tradizione religiosa; difficilmente esporranno i punti critici della loro esperienza
di fede. Pertanto, l’affermazione di Dupuis, secondo il quale il punto di partenza di questa teologia
è il dialogo242, va ristretta alla teologia speciale, non certo alla generale, pena l’offuscamento del
suo statuto epistemologico di disciplina teo-logica (CTI 96-97.104)243, come del resto Dupuis non
nega che sia. Ma anche nella teologia speciale ci sarà il momento specifico e formale nel quale ci si
dovrà muovere dall’ambito della fede per precisare i contenuti del messaggio cristiano e la sua
specifica valenza rivelativa e salvifica. Dunque, ancora una volta, non si può appiattire la teologia

secolo. Testi coranici, catechismi, commentari, scrittori e poeti musulmani di fronte a Gesù, San Paolo, Cinisello
Balsamo (MI) 2000, p. 71; cf. pp. 70, 85 n. 30, 112, 113, 120, 129). In questo prezioso studio dell’illustre islamologo,
registriamo che, oltre a molti commenti positivi e costruttivi verso i cristiani, tra i più significativi testi islamici del XX
secolo ve ne sono altri di ben altro tenore. Dal momento che nel Corano i cristiani vengono descritti perfino come
miscredenti (Cor 5,17.44.72-73), sui quali (insieme agli ebrei) incombe la maledizione divina (Cor 9,31) – benché poi
il diritto li inquadrerà nella categoria di «Genti del Libro» –, praticamente non c’è autore che non definisca le credenze
cristiane nei termini di kufr, empietà (p. 126). Per questa ragione essi «non seguono la vera religione né la via divina
che Dio ha rivelato ai suoi profeti» e le loro credenze sono «deviate e vane» (p. 70). Per questo in molti scrivono, senza
mezzi termini, che la dottrina cristiana è «puro associazionismo» (pp. 71, 83 n. 26, 85 n. 30, 92, 112, 113, 120, 126,
127, 129, 136, 137 n. 69, 143, 178, 180 n. 63, 181, 182 n. 73, 265). Né risulta utile il loro sforzo di tenere insieme unità
e trinità: «fatica inutile poiché si tratta di un abbandono del monoteismo» (p. 83 n. 26). I più colti sanno che il mistero
trinitario non è quello che viene condannato nel Corano, che si scaglia contro una triade composta da Dio, Maria e
Gesù (cf. Cor 5,116; 9,31; 19,35.88.92; 72,3). Ma «nella prospettiva coranica non vi è alcuna differenza nel dire che la
Trinità è Padre, Figlio e Spirito Santo” o “Padre, Maria e Figlio”. Ogni idea di Trinità in Dio è inaccettabile per il
Corano, qualunque sia l’interpretazione» (268 n. 24; cf. p. 265). Per quanto riguarda Gesù, «poco importa che sia il
figlio di Dio o Dio, che sia co-eterno, che abbia una sola natura e due persone, o una persona e due nature. Tutte queste
formulazioni non fanno parte della fede in Gesù. Esse sono tutte congetturali e ipotetiche» (180 n. 63).
238
Ho illustrato questi passaggi prima in La teologia delle religioni e i suoi principali nodi teologici. Considerazioni
metodologiche e teoretiche, in HTh, 27 (2009), pp. 3-40, qui pp. 19-22; successivamente in DT, pp. 33-41, 214-221.
239
DuV, p. 17
240 Cf. M. Crociata, La teologia delle religioni…, cit., pp. 297-298. Il DiFS, guidato da M. Crociata, ha più volte
spiegato il senso del discernimento cristiano sulle religioni. Si tratta: a) della messa a fuoco della consapevolezza della
propria e dell’altrui identità; b) della comprensione delle singole esperienze religiose e di cosa rappresentano nella
storia della salvezza e nell’economia cristiana, da formulare secondo categorie cristiane; c) di individuare ciò che è
compatibile con la fede cristiana (cf.: M. Crociata, Introduzione, in Id. (ed.), Per un discernimento…, cit., pp. 5-10; M.
Crociata – M. Di Tora, Teologia delle religioni e islam, in ibid., pp. 183-195, qui pp. 190-194; M. Borrmans, Per un
discernimento…, cit., pp. 162-166).
241
Cf. M. Crociata, Per uno statuto.., cit., pp. 357-359; Id., La teologia delle religioni…, cit., pp. 286-290.
242
DuV, p. 30.
243
È sulla base di questa incertezza epistemologica (cf. M. Crociata, Per uno statuto…,cit., p. 353), appesantita dal
“caso Dupuis”, che il magistero ha visto con sospetto questa disciplina, favorendo (in parte) il suo declino col suo
naturale slittamento all’operatività del dialogo (cf. DT, p. 40 n. 25).
34

al dialogo. Un’attenzione particolare va indirizza al riguardo dei condizionamenti psicologici


esercitati nella fase del dialogo. Tutta la teologia dei pluralisti, ma anche di Dupuis e di altri, è
condizionata dall’esigenza della complementarietà. Portata alle estreme conseguenze, avremo il
pluralismo che si adopera per una nuova “cristologia revisionista”244. Al fine di favorire
“l’imperativo etico” del cosiddetto “dialogo alla pari”, sollecitato dai pluralisti, lo stesso Dupuis ne
risulterà completamente condizionato. È lui stesso che confesserà esplicitamente che questa
disciplina è sottoposta alle pressioni del dialogo245. In realtà, come ricorderà la DI 22, la parità nel
dialogo si realizza con la parità della dignità degli interlocutori, non della parità di contenuti
dottrinali, cui non si può rinunciare. Lo schiacciamento delle istanze teologiche a quelle della prassi
dialogica ha fatto sì che alcune questioni siano oramai completamente trascurate o puntualmente
accantonate perché (erroneamente) si ritiene che possano comprometterlo; tra le questioni più
spinose figura quella della verità, che in realtà è tra le prime domande che l’uomo contemporaneo
si pone di fronte al “supermercato delle religioni”, come del resto testimoniano lo stesso Dupuis e
perfino il pluralista P. F. Knitter246. Da qui la necessità non solo di una teologia generale delle
religioni ed una speciale; è necessaria anche una teologia apologetica delle religioni, termine da
intendere nel senso ormai accettato dalla teologia fondamentale, non certo della classica
apologetica scolastica: una teologia che col confronto interreligioso mostri la specificità e la novità
del messaggio cristiano247.
Infine, una considerazione sull’oggetto della tdr: religione e religioni.
Anzitutto, va osservato che, ancora oggi, difficilmente gli studiosi definiscano chiaramente
a quali religioni ci si riferisce, dando per scontato una distinzione che per la fenomenologia
delle religioni non lo è affatto 248. I teologi, infatti, operano secondo un implicito (più o
meno consapevolmente) giudizio di valore perché considerano nel loro oggetto solo le
grandi religioni dell’umanità, scartando – tra l’indifferenza ed il disprezzo – tutta quella
galassia contemporanea che oggi è invece in continuo fermento e che viene nominata come
Nuovi Movimenti Religiosi, o Nuovi Culti, all’interno dei quali troviamo, in termini
descrittivi dal punto di vista sociologico e fenomenologico, le sètte. Ma perché escludere a
priori questa dimensione contemporanea della religiosità? E, di conseguenza, cosa si
intende per religioni? Su questi punti, nemmeno Dupuis ci ha lasciato un insegnamento
chiaro 249, tanto che M. Crociata ha osservato che «nell’accostamento al tema J. Dupuis
privilegia il reale all’astratto, le religioni concrete alla categoria di religione» 250. Cosa
intendiamo, dunque, quando in tdr parliamo di “religioni”? Indistintamente del Buddhismo

244
Cf. DuV, pp. 225, 253, 255, 345, 378, 384; CTI 93-94, 104.
245
Cf. DuV, pp. 152; DuV, p. 9.
246
Si vedano, rispettivamente, DuS, pp. 17-18, 33; Kn, pp. 16, 23, 39. Sulla problematica riguardante la verità, rimando,
in particolare, a: M. Naro (ed.), La teologia delle religioni… cit.; R. Fisichella, IV. La credibilità della rivelazione
cristiana, in G. Lorizio (ed.), Teologia Fondamentale, vol. 2: Fondamenti, Città Nuova, Roma 2005, pp. 397-462, qui
pp. 442-453; G. Tanzella-Nitti – G. Maspero (edd.), La verità della religione. La specificità cristiana in contesto,
Cantagalli, Siena 2007; DT, p. 261 n. 22.
247
Cf. DT, pp. 20, 49-52. Ho approfondito questa pista di riflessione nel mio Il cristianesimo a confronto con le grandi
religioni (induismo, buddismo e islâm) e le sètte. Le ragioni della fede cristiana (cf. 1Pt 3,15), EDI, Napoli 2008.
248
L’oggetto di studio dei fenomenologi delle religioni abbraccia l’amplissimo arco dell’esperienza religiosa che va
dall’uomo primitivo fino al New Age. Il fenomeno religioso contemporaneo dei Nuovi Movimenti o Nuovi Culti vi
rientra certamente. Si vedano, al riguardo: O. Aime - M. Operti, Religione e religioni…, cit., pp. 299-315; G. Filoramo -
M. Massenzio - M. Raveri - P. Scarpi, Manuale di storia delle religioni, Editori Laterza, Roma-Bari, 20037, pp. 553-
567; F. Lenoir – Y. Tardan-Masquellier (edd.), La Religione, ed. it. a cura di P. Sacchi, vol. 6: I temi. Linguaggi ed
esperienze religiose. Le nuove religioni, UTET, Torino 2001; P. Meinhold, Manuale delle religioni, ed. italiana a cura
di A. N. Terrin, Queriniana, Brescia 1986, pp. 331-333; A. N. Terrin, Introduzione allo studio comparato delle
religioni, Morcelliana, Brescia 1998, pp. 217-229, 243-275.
249
Tranne un vago passaggio in DuV, p. 515.
250
M. Crociata, Per uno statuto…cit., p. 349. Lo studioso colmerà questo vuoto insistendo su questo aspetto, troppo
presto tralasciato dal gesuita belga: cf. ibid., pp. 362-365, 367; Id., La teologia delle religioni…, cit., pp. 286-290, 296;
Id., Le implicazioni epistemologiche della categoria di “religione” nella teologia delle religioni, in M. Naro (ed.), La
teologia…, cit., pp. 199-210.
35

come del New Age, dell’Islam come dei Testimoni di Geova o delle religioni africane? È
necessario un chiarimento risolutivo al riguardo. Si dovrebbe chiarire che per “religioni”,
nella nostra disciplina, si indicano le grandi religioni storiche, universali e dialoganti.
Grandi, per il grande numero di seguaci; storiche, per l’antichità; dialoganti, per
l’atteggiamento rispettoso e positivo mostrato verso il cristianesimo. Quest’ultima categoria
è, a mio modo di vedere, imprescindibile. Infatti, il Jainismo è una religione che dovrebbe
rientrare nell’oggetto della teologia delle religioni. Ma i jainisti sono attualmente non più di
cinque milioni. Sono molto più numerosi sia i mormoni che i testimoni di Geova. Il solo
numero non è perciò sufficiente per stabilire se un culto cade sotto l’interesse della teologia
o no. Quello che conta è la disponibilità al dialogo con la Chiesa da parte dei suoi seguaci.
Ora, dal momento che i jainisti, pur esigui come numero, sono più dialoganti dei testimoni
di Geova, notoriamente ostili al cattolicesimo, ecco che possono essere compresi
nell’onnicomprensiva categoria “religione” di cui si occupa la tdr. Lo stesso vale per gli
“evangelisti” – assimilabili per certi versi agli evangelicali di cui ci parla Knitter – con cui
ciascuno di noi ha avuto a che fare una volta nella vita. Non si tratta, si badi bene, degli
“evangelici”, con cui intratteniamo da decenni rapporti di dialogo ecumenico fraterni e
fruttuosi, bensì di coloro che, pur gravitando intorno all’ambito dell’evangelismo,
nondimeno considerano la Chiesa cattolica come la casa dell’idolatria da cui bisogna
allontanarsi quanto prima per sfuggire all’ira di Dio.

2. Questione epistemologica: i paradigmi teologici


Le problematiche inerenti al rapporto cristianesimo-religioni hanno visto storicamente la loro
soluzione nei principali indirizzi di orientamento rappresentati dall’esclusivismo, dall’inclusivismo
e, infine, dal pluralismo. Altri approcci sono stati pensati nel tempo, e Dupuis ne dà conto. Il
documento della CTI, ai nn. 9-11.98, ce ne offre un resoconto dettagliato e sintetico251. Si discute
ancora sulla loro validità. Molti, infatti, auspicano un loro superamento, senza tuttavia proporre
alternative davvero credibili. In realtà, si tratta di onnicomprensive «griglie di lettura»252 che
rappresentano quei principi di intelligibilità e quelle chiavi di interpretazione complessiva della
realtà del fenomeno delle religioni e del loro rapporto col cristianesimo (o viceversa), temi che
risultano essere l’oggetto della teologia generale delle religioni253. In termini pratici, si presentano
con l’indubbio vantaggio di rappresentare un utile strumento, in chiave sistematica, che permette di
classificare la multiforme e variegata posizione dei teologici, provando a mettere ordine nel
«ginepraio di orientamenti che via via si sono formati nel corso del tempo»254. Dall’altra parte, ci
sono buoni motivi per ritenerli insuperabili, fermo restando che all’interno di questi indirizzi
globali si possano sviluppare diversi modelli, di carattere prevalentemente descrittivo, che possono
escludersi a vicenda255. Alla luce di queste considerazioni, comprendiamo i limiti strutturali della
proposta di Dupuis. Da un lato egli spiega chiaramente il valore epistemologico dei paradigmi e la
loro inconciliabilità256; dall’altro, però, il suo tentativo di «trascendere la dicotomia tra inclusivismo

251
Si veda anche A. Amato, Gesù il Signore. Saggio di cristologia (Corso di teologia sistematica 4), EDB, Bologna
20087, pp. 587-591; G. Gäde, Interiorismo: un’alternativa…cit., pp. 349-354.
252
E. Castellucci, op. cit., p. 10. Le tre principali diramazioni, così formulate per la prima volta dall’anglicano A. Race
nel 1983 (cf. J. Farrugia, La sfida del pluralismo religioso contemporaneo alla teologia cristiana nel contesto
anglosassone, in CB, pp. 80-104, qui p. 87), intendono organizzare sistematicamente le questioni secondo un criterio
unitario, coerente ed organico (cf. J. Farrugia, op. cit., p. 87).
253
Cf. DuS, pp. 16, 18ss., 26ss.; Kn, pp. 6, 17, 20, 23-24.
254
M. Crociata, Introduzione, in CB, p. 5.
255
Cf. DT, pp. 23 n. 32, 27 n. 49, 223, n. 88; M. Crociata, La teologia delle religioni.., cit., p. 283; cf. J. Farrugia, op.
cit., p. 87). Che siano insuperabili lo dimostra il fatto che, come osserva implicitamente anche Gäde, (cf. GAd, p. 64,
74-75, 100; DT pp. 27 n. 49, 223 n. 88.), in riferimento al rapporto con la verità, rispetto al cristianesimo le religioni
possono essere totalmente false (come per l’esclusivismo), o paritariamente vere (come per il pluralismo), o
parzialmente vere (come per l’inclusivismo).
256
Cf. DuV, pp. 242-243, 277; DuS,, pp. 150-152, 181.
36

e pluralismo»257, altalenando continuamente tra le due posizioni nel tentativo di conciliarle e/o
superarle, risulta chiaramente incongruente. E, nei fatti, anche inefficace, considerato che non è
riuscito ad accontentare nessuno. Dunque, bisogna prendere atto che la conciliazione dei paradigmi
risulta fallimentare. Si tratta, piuttosto, di insistere sul binario dell’inclusivismo indagando ancora
sulle ricchezze dell’unicità del mistero rivelativo e salvifico di Cristo (Col 2,3) e sulla Chiesa, a lui
subordinata nell’opera della salvezza per tutta l’umanità. Solo il paradigma inclusivista è quello
che, tenendo fede all’insegnamento conciliare, riesce a tenere armonicamente insieme due dati in
tensione tra loro: da un lato l’apprezzamento per quanto di bene è presente nelle religioni – opera
dello Spirito del Cristo –, che però non è spinto al punto da considerarle ugualmente vie di verità e
di salvezza al pari del cristianesimo; e viceversa: la fede in Gesù unico mediatore nell’ordine della
rivelazione e della salvezza non è spinta al punto da negare ogni bene e verità nelle religioni. È su
questa continua tensione chiastica che si tengono in equilibrio i documenti del Vaticano II, come ha
recentemente osservato F. Iannone nella sua tesi di dottorato sui testi più significati del rapporto
cristianesimo-religioni secondo il Vaticano II258. Del resto, è tutta la storia della tdr che lo dimostra:
“gonfiare” le religioni significa “sgonfiare” il mistero di Cristo; ma non viceversa: “gonfiare” il
mistero di Cristo – purché non si annulli il valore delle religioni, come nell’esclusivismo – significa
semplicemente restare fedeli alla rivelazione. Usciamo dalla metafora. Cristo e le religioni sono le
due “grandezze” con cui ha a che fare la tdr. Ma i teologi dimenticano volentieri un dato
fenomenologico decisivo, che però la presenza dell’islam, con la sua chiara pretesa di verità, ultima
e definitiva, dimostra chiaramente259: «nella loro realtà oggettiva e fenomenica le religioni si
pongono come mondi onnicomprensivi, con pretese totalizzanti e irriducibilmente alternative a
Cristo. Le religioni, come sistemi autoreferenziali, non orientano a Cristo né direttamente né
indirettamente, ma tendono soltanto ad incrementare il numero dei loro membri in forza del fascino
esercitato dai loro fondatori e dal loro patrimonio spirituale e dottrinale»260. Cristo e le religioni
restano oggettivamente due grandezze in competizione. Solo la fede, secondo una prospettiva ex
parte Dei, riesce a superare la dicotomia perché le tiene insieme con la dottrina conciliare e del
magistero la quale assegna a loro il ruolo (provvisorio in senso oggettivo) di praeparatio
evangelica (LG 16; AG 3; RM 29; DI 12,21). Da queste presse discende la conclusione: non si può
spingere la loro valorizzazione (“gonfiamento”) oltre un certo limite, pena l’inevitabile riduzione
(“sgonfiamento”) dell’unicità del mistero di Cristo, sotto il profilo rivelativo che salvifico.

3. Questioni dogmatiche: le religioni nel disegno di Dio, come vie o cammini di salvezza, che
mediano rivelazione e salvezza
La tesi centrale di Dupuis è che alle religioni va rivolta una considerazione positiva e perciò vanno
accolte come autorivelazioni di Dio e cammini di salvezza, con tutti i contraccolpi per la

257
DuV, p. 320; cf. p. 277.
258
F. Iannone, op. cit. Nel testo si evidenzia spesso la tensione vissuta al Concilio nel dover tenere insieme l’unicità di
Cristo e la pluralità di esperienze religiose. I Padri conciliari compresero che l’apprezzamento verso le religioni poteva
collocarsi un pericoloso piano inclinato – che in realtà si registra ancora oggi con i diversi modelli di teologia delle
religioni pluraliste e semipluraliste – e perciò, avvertendo l’esigenza che «la simpatia per le altre religioni non
offuscasse l’unicità della fede cattolica» (op. cit., p. 180), frenarono ogni spinta centrifuga che erodesse la fede in
Cristo unico salvatore. Il Concilio sembra propendere «per il mantenimento di una oscillazione, di una tensione tra due
poli. Quando sembra indebolirsi la consapevolezza dell’universalità della mediazione di Cristo e della Chiesa, allora si
sottolinea con forza, con un AG 7, l’assoluta trascendenza dell’Incarnazione e l’unicità del ruolo e della funzione del
Redentore; quando invece a essere trascurata è la possibilità dell’uomo, creato a immagine di Dio e posto fin da
principio sotto l’illuminazione del Verbo eterno, a conseguire la salvezza fuori dei confini visibili della Chiesa, allora si
affermano con chiarezza, come in GS 22 (tenere debemus), l’opera di Dio nel cuore dei non cristiani, l’azione dello
Spirito che non cessa di seminare germi di verità e di grazia anche nelle altre religioni» (op. cit., pp. 228-229; cf. pp.
139, 180, 193, 195, 236).
259
Cf. M. Di Tora, «In verità la religione, presso Dio, è l’islam» (Cor 3,19). La Recitazione coranica, sfida alla pretesa
universalistica cristiana, in M. Naro (ed.), La teologia.., cit., pp. 159-185; Id., Il cristianesimo a confronto…, cit., pp.
62-63, 226-265.
260
DT, pp. 43-44; cf. pp. 41, 198-207, 224, 292; cf. CTI, 19; M. Crociata, La teologia delle religioni.., cit., p. 281.
37

cristologia. Dal punto di vista rivelativo, significa che, mediante il dialogo, i cristiani possono
“arricchirsi” e “apprendere” da quanto di bene il Verbo e lo Spirito hanno disseminato. Si tratta di
espressioni metaforiche che finalmente vanno chiarite. Come già dichiarava la DI n. 6, la
rivelazione di Cristo è piena e definitiva; è il “deposito della fede”, che è esaustivo (1Tm 4,6; 6,20;
ecc.). Certamente nel tempo cresce la sua comprensione nella chiesa (DI 6; DV 4.8); ma non è
complementare a quanto di vero è riscontrabile nelle altre religioni. Sotto questo aspetto, non c’è
nulla che si possa aggiungere alla rivelazione consegnataci in Gesù, la quale non necessita
nemmeno di essere arricchita dalle rivelazioni private, che da sempre hanno accompagnato la storia
della Chiesa (CCC 67, 73). Ciò non toglie, tuttavia, che aspetti che appartengono al deposito della
rivelazione possano essere compresi con categorie, espressioni e valori spirituali di altre religioni,
come ad es. il senso della maestà e della trascendenza di Dio, molto più sviluppata in islam che non
nel cristianesimo, il quale (giustamente) insiste sulla figliolanza; o, nell’induismo, il senso della
presenza immanente di Dio nel mondo e nei recessi del cuore umano261; o come il fatto che
l’esperienza cristiana possa essere formulata con la categoria dei “pilastri” dell’islam, come
leggiamo nel CCC, n. 13. Questo processo di ripensamento e di riformulazione è l’inculturazione,
cui si riferiscono RM 52 e FR 72. Non è affatto necessario costruire tutto quell’impianto messo su
da Dupuis, con attività del Verbo e dello Spirito che vanno al di là dell’evento Cristo e della
Chiesa, o inserire artificiali distinzioni cristologiche sulla pienezza qualitativa e non quantitativa, e
simili262, per riconoscere che senz’altro vi sono aspetti che, pur facendo parte del deposito della
fede, tuttavia sono meno sviluppati dalla tradizione cristiana. E si può anche convenire sul fatto
che, aspetti secondari della pratica religiosa, i quali cioè non intaccano il “deposito”, possono sì
essere appresi meglio col dialogo interreligioso. Tra questi menzioniamo l’autocontrollo, tipico
della pratica buddhista e praticamente sconosciuto in Occidente; o l’atteggiamento di fiducia e
abbandono in Dio, più sviluppato nella tradizione islamica che non in quella cristiana, laddove
spesso i credenti, nelle prove della vita, percepiscono Dio assente o lontano, condizionati dalla
mentalità culturale occidentale positivista e secolarista263. Inoltre, nella teologia di Dupuis è

261
Questi due esempi sono opportunamente menzionati in DuV, p. 341.
262
La DI, benché non intenda riferirsi principalmente alle tesi di Dupuis, bensì a quella dei pluralisti, in quattro passaggi
certamente ha in mente il saggio del nostro teologo: A. in riferimento al carattere limitato di Cristo che sarebbe
complementare a quello del messaggio presente nelle altre religioni (DI 6). Il fondamento teologico risiederebbe nel
fatto che Cristo ci comunicherebbe quanto la sua coscienza umana riesce a cogliere del mistero divino, situazione che
vanificherebbe il fatto stesso dell’Incarnazione. La DI obietta che, dal momento che le attività umane di Cristo «hanno
come soggetto la Persona divina del Verbo, [per questo] la verità su Dio non viene abolita o ridotta perché è detta in
linguaggio umano, [… dal momento che] chi parla e agisce è il Figlio di Dio incarnato». Insomma: la rivelazione in
Gesù non va intesa come la comunicazione di ciò che la limitata intelligenza umana di Gesù riesce a capire della realtà
divina, bensì, al contrario, come lo strumento di cui si è servito il Verbo per manifestare in linguaggio umano la
profondità del mistero divino – tema su cui continuamente insiste il Vangelo di Giovanni –, che nessuno, al di fuori del
Verbo fatto carne, ha mai prima potuto vedere, ascoltare e conoscere. Sullo sfondo di questo insegnamento, è possibile
scorgere la dottrina tomista dell’umanità di Cristo come strumento della divinità, non molto considerata dalla corrente
rahneriana, ma valorizzata perfino dalla Sacrosanctum Concilium 5. B. La legittimità dell’applicazione della categoria
di assolutezza, riferita a Cristo (DI 15). C. Il rifiuto delle tesi secondo la quale nelle religioni vi è fede soprannaturale
(DI 7). Il rifiuto di considerare la chiesa una delle tante vie di salvezza, assunto che scaturisce dalla considerazione che
la sua necessità si limita sono ad una causalità esemplare o finale (DI 20-22). D. Al fine di evitare ogni ambiguità al
riguardo della relazione tra dialogo e annuncio, la DI ribadisce che esiste una sola vocazione della chiesa che è
l’annuncio di Gesù Cristo, inteso come invito alla conversione e all’adesione a Cristo e alla chiesa col battesimo; il
dialogo è parte di quest’unico compito (DI 22).
263
Una sintesi del patrimonio religioso espresso dalle grandi religioni che il cristianesimo considera con sincero
rispetto, perché proveniente dallo Spirito (CTI 94), è reperibile in M. Di Tora, Il cristianesimo a confronto.., cit., pp.
170-175. Ma le differenze permangono. Anche di queste bisogna essere consapevoli (cf. ibid., pp. 175-196).
L’approccio irenico di Dupuis, invece, con gli interessanti e continui parallelismi tra la tradizione induista e buddhista,
da un lato, e l’evangelica fede trinitaria, dall’altro, (sia in DuV, pp. 324-328, 344-377, 433-439 che in DuS, pp. 226-
242, 354-262), danno piuttosto l’impressione che tra la Trimurti e la Trinità, tra la compassione buddhista e la carità
cristiana, non vi siano poi sostanziali differenze, “ideologicamente” scartate giacché la tesi che egli intende portare
avanti è che lo Spirito ha rivelato nelle religioni aspetti davvero nuovi rispetto al cristianesimo, che poi costiuiscono la
38

apprezzabile il tentativo di superare la dottrina del “compimento”, nel suo stato originario
formulato da Daniélou e De Lubac. Ma l’alternativa, ossia il modello della “presenza” di K. Rahner
(da cui tutte le teologie attuali prendono le mosse, non ultimo quella di Dupuis), non è una
soluzione soddisfacente perché annulla l’elemento soprannaturale, scompaginando così
l’armonioso dato della fede sin dalle sue fondamenta. E ciò per diverse ragioni. A. Anzitutto non dà
conto della specificità del cristianesimo di essere la ricerca di Dio che in Cristo va incontro agli
uomini in Cristo Gesù per renderli figli nel Figlio, come è stato scritto a chiare lettere nella Tertio
millennio adveniente n. 6 di Giovanni Paolo II, principio ribadito in tutti i documenti
magisteriali264. La presenza del Figlio di Dio nel mondo è volutamente definita da AG 3 come
«nuova e definitiva»265. Nel termine “nuova” c’è tutta la soprannaturalità del cristianesimo, che lo
differenzia dalle religioni; nella parola “definitiva” sta il suo carattere insuperabile. B. Stabilisce
l’uguaglianza di diritto di tutte le religioni come forme di automanifestazione di Dio,
compromettendo a priori il cristianesimo 266. C. Conduce, di conseguenza, alla concezione
pluralismo di diritto, sconfessato da DI 4. D. Comporta inevitabilmente l’ammissione dei loro testi
sacri come ispirati dallo Spirito Santo, ipotesi su cui CTI 88-92 e soprattutto DI 8 si sono dimostrati
contrari. Peraltro, va osservato che, coerentemente, Dupuis scrive che se Dio si rivela nei testi sacri
delle religioni, la risposta dei loro seguaci a tale rivelazione divina non può essere pensata che
come forma autentica di fede (“soprannaturale”, categoria che in questo caso ritorna e viene difesa
con convinzione). Questa conclusione è fermamente sconfessata DI 7. E. Implica, soprattutto,
l’accettazione delle religioni come vie di salvezza. Questo riconoscimento è stato negato dalla
presentazione alla Stampa della Santa Sede che ne fece l’allora Prefetto della Cdf, il card. J.
Ratzinger267; ed è stato formalmente ribadito chiaramente nella Notificazione al p. Dupuis (n. 8)268.
Considerarle come vie di salvezza, in se stesse, mina il rapporto col cristianesimo e non tiene
debitamente conto che nelle religioni, oltre alla verità e alla grazia, sono presenti anche lacune,
insufficienze ed errori, come già affermava esplicitamente l’Optatam totius n. 16 e poi la
Redemptoris missio 55 e DI 8, come anche, implicitamente, anche la stessa magna carta del
dialogo, la NAE 2 quando afferma che in non molti punti quanto creduto nelle religioni «differisce»
da quanto la chiesa «crede e propone». Come hanno insegnato l’intervento di presentazione della
DI, prima, e la Notificazione dopo, via alla salvezza non sono le religioni in se stesse, ma il bene
presente in esse, tramite il quale, secondo GS 22, lo Spirito Santo dà a tutti la possibilità di essere

base dell’arricchente scambio alla pari nel dialogo. Né si può dire che Dupuis accenni minimamente alle profonde
differenze sostanziali tra le due prospettive religiose.
264
Cf. DT, pp. 150-155.
265
Al Concilio si volle evitare che l’apprezzamento per le religioni significasse che il cristianesimo fosse solo un
semplice perfezionamento quantitativo rispetto alle religioni. Occorreva mostrarne la novità soprannaturale, prendendo
le distanze dalla posizione rahneriana; il cristianesimo è «assai di più di un semplice perfezionamento o completamento
“quantitativo” rispetto alle religioni» (F. Iannone, op. cit., p. 140; cf. pp. 152, 180). È per questa ragione che in AG 3
leggiamo che Dio «decise di entrare in maniera nuova e definitiva nella storia umana inviando il suo Figlio a noi con un
corpo simile al nostro».
266
Risulta inconcepibile ragionevolmente pensare che Dio voglia che gli uomini siano indistintamente musulmani,
buddisti o indù, ma anche contemporaneamente cristiani. Ma allora perché ha voluto le religioni? Torneremo sulla
questione, che è senz’altro cruciale.
267
Il testo dell’intervento reca il titolo: Contesto e significato della Dichiarazione Dominus Iesus.
268
La questione della soprannaturalità del cristianesimo è legata specularmente alla considerazione delle religioni come
vie di salvezza – ulteriore conferma che cristianesimo e religioni rappresentano le due grandezze in continua tensione
tra loro, con rischio di “gonfiamenti” e “sgonfiamenti” –, tema centrale nella dottrina di Rahner e ripreso anche da
Dupuis. Va richiamato il fatto che i padri conciliari «non vollero riconoscere il valore salvifico delle religioni non
cristiane» (F. Iannone, op. cit, p. 28); su questo diniego, che non è un semplice silenzio, come vorrebbe insinuare
Dupuis (cf. DuV, pp. 227, 423, 433; DuS, pp. 146-148, 342), insiste la ricerca di F. Iannone (op. cit., pp. 154, 192, 195,
217, 221, 228, 231-232, 235, 244), già anticipata dalle considerazioni di G. Canobbio, L’emergere..., cit., p. 120. Anche
nel documento particolarmente caro a Dupuis (cf. DuV, pp. 239-340; DuS, pp. 145-148), Dialogo a annuncio,
pubblicato nel 1991 da due Dicasteri romani, nel n. 29 – nel quale si legge che i membri di altre religioni ricevono la
salvezza di Cristo «attraverso la pratica di ciò che è buono nelle proprie tradizioni religiose» –, particolarmente
attenzionato da Dupuis –, non si dichiarano le religioni come vie di salvezza.
39

associato al mistero pasquale. La questione dovrebbe essere considerata, finalmente, risolta269. A


questo punto, però, dobbiamo attentamente osservare che diversi documenti magisteriali non
mancano di evidenziare che nelle religioni registriamo un intervento divino a favore dell’umanità
(AG 9,11; OT 16; RM 6,55;DI 8.21; pp. 212-213), come quando leggiamo che «Dio dispensa le
ricchezze ai popoli» (AG 11; Rm 6), o che si rende presente nelle religioni (RM 55; DI 8), e simili.
Tali formulazioni sembrano escludere il modello del compimento, benché non si affermi mai che
gli effetti, il bene presente in esse, come alcune preghiere, taluni riti e verità, sia di origine divina.
Anzi, la DI 21 lo esclude espressamente. In ogni caso, queste formulazioni magisteriali
sembrerebbero andare dunque nella direzione della “presenza” di K. Rahner. In realtà, se
manteniamo ferma la distinzione tra ambito naturale e ambito soprannaturale, che risulta essere
centrale e cruciale per una sapiente tdr270, nelle religioni dobbiamo riconoscere che gli uomini
cercano Dio (modello del compimento), il Quale tuttavia sostiene sicuramente questa loro ricerca
(modello della presenza, “moderata”); certamente non li abbandona nel loro sforzo, né lo ostacola
né fa sì che sia vano. Anzi, come ricorda il Concilio, li avvia alla conoscenza di Sé (AG 3)271. Che
questo sostegno non sia di ordine soprannaturale272 non vuol affatto dire che sia fittizio, o meno
vero, o meno efficace, o meno prezioso, o meno reale273. Sta ad indicare semplicemente che la
qualità teologica di queste ricchezze non appartiene al dono gratuito e trascendente della
soprannaturalità; questa precisazione teologica non ne annulla la bontà. E difatti non è un bene
totale, ma frammentato e parziale. Lo dimostra il fatto che la capacità dell’uomo può fallire. Questo
spiega perché nelle religioni vi siano anche errori e lacune – e perfino l’influsso del maligno! (LG
16) –, che di certo non possono essere attribuiti allo Spirito Santo, se davvero dovessimo intendere
la presenza dello Spirito – ampiamente illustrata soprattutto in RM 28-29 – in senso strettamente
soprannaturale. Dunque né compimento (nella forma rigida)274 né presenza (nella formulazione

269
Cf. DT, pp. 198-199, 267-276. Sul tema è ritornato GAd, pp. 116-128; cf. M. Naro, Portarsi dentro l’altro…, cit., p.
100-102.
270
Cf. DT, pp. 152-155. Lo stesso Dupuis non ha difficoltà a riconoscere che molti testi conciliari risentono del
modello del compimento – piuttosto si chiede se vi sia per quello della presenza, cui risponde positivamente, come
abbiamo visto, appoggiandosi ad AG 9 col richiamo della verità e della grazia nelle religioni (cf DuV, pp. 211, 226-
227, 232; DuV, pp. 126-127, 131-132, 134, 139 – e quindi implicitamente della distinzione tra ambito naturale e
gratuita e libera sfera del dono di Dio in Cristo.
271
Buona parte dei documenti magisteriali è improntato sul modello del compimento (cf. DT, pp. 150-151, 208-211),
come del resto ha osservato anche Dupuis (cf. DuV, pp. 182-183, 227, 232, 240.
272
Del resto, è la CTI 90 (DV 3; LS 12) a scrivere che «Dio si è fatto conoscere e continua a farsi conoscere agli uomini
in vari modi: attraverso le opere della creazione (Sap 13,5; Rm 1,19-20); attraverso i giudizi della coscienza (cf. Rm
2,14-15)». E la DI insegna che: a) la tradizione della chiesa riserva la qualifica di testi ispirati ai libri canonici dell’AT
e del NT «in quanto ispirati dallo Spirito Santo» (DI 8); b) che i riti e le preghiere nelle religioni, se possono assumere
un ruolo di preparazione evangelica, ad essi non può essere attribuita l’origine divina e l’efficacia salvifica ex opere
operato, che è propria dei sacramenti cristiani» (DI 21).
273
Dupuis adotta un ragionamento simile quando intende provare che nelle religioni è contenuta una parola personale
che Dio rivolge» agli uomini per mezzo di «profeti e sapienti» (DuV, pp. 335, 342), come nel caso specifico dell’islam.
Ebbene, al riguardo del Corano scrive: «visto nel suo contesto storico, il messaggio monoteistico di Maometto appare
davvero come una rivelazione divina mediata dal profeta. Questa rivelazione non è né perfetta né completa; ma non per
questo è meno reale» (DuV, p. 333; cf. DuS, 244).
274
È condivisibile l’intento di Dupuis che intende abbandonare il compimento della forma classica, sia perché in questo
modello le religioni non giocano alcun ruolo nella salvezza, sia perché è solo il bene presente in esse che deve trovare la
sua realizzazione unilaterale nel cristianesimo. La presenza dello Spirito nelle religioni, da un lato, ci dice che qualche
ruolo lo giocano. Le riflessioni precedenti sull’inculturazione e sull’apprendimento di aspetti secondari il deposito –
questi sì che possono risultare beni aggiuntivi ed autonomi, riconducibili alla sapienza e alla saggezza dell’uomo –
dall’altro, ci indicano come lo scambio con le religioni non sia unilaterale. Ma, anche in questo caso: qual è l’utilità di
rifondare la cristologia e la trinitaria? Già S. Tommaso, citato in DuS, p. 259 – sarà stato un ripensamento successivo
giacché in DuV questa citazione è assente –, insegnava che «qualunque verità viene dallo Spirito» (S. Th., I-II, 109, a. 1
ad 1): dunque anche quelle verità della sapienza filosofica, del vasto campo delle scienze naturali e umanistiche, della
ricerca storica, ecc. Questo principio di Tommaso, citato solennemente in FF 44, è in realtà uno degli argomenti più
forti per dimostrare come non sia affatto necessario attribuire la soprannaturalità all’azione dello Spirito presente nelle
culture, nei popoli e nelle religioni. Tanto più che, non essendo tutto vero e santo, non sarebbe ragionevole ammettere
l’azione dello Spirito a correnti alternate.
40

rahneriana che appiattisce la dimensione soprannaturale al dato naturale). Qualunque sia la formula
che si potrebbe coniare – l’esperienza della vicenda Dupuis insegna che bisogna essere alquanto
diffidenti dalle formule nominalistiche –, ciò che conta è che si tenga conto del dato della fede. Le
religioni sono sia il tentativo di elevarsi degli uomini a Dio, sia l’intervento di Dio a loro favore.
Ma questo intervento divino non è soprannaturale. Lo sarà solo col cristianesimo275. La questione
teologica strettamente legata al valore salvifico delle religioni riguarda il significato dell’azione
dello Spirito in esse. Qui tocchiamo un altro punto delicato della tdr. Se ammettiamo che si tratti di
un’azione gratuita soprannaturale, che supera le umane capacità intellettive e volitive, ritorniamo
alle considerazioni già svolte poco sopra in occasione delle critiche alla dottrina della presenza di
Rahner, nei punti A-E. Infatti saremmo costretti ad ammettere, per coerenza logica e a cascata, tutta
una serie di conseguenze: a) anzitutto, che le religioni sono in se stesse vie di salvezza; b) in
secondo luogo, che i loro libri religioni sono ispirati e perciò quanto meno sullo stesso livello
dell’AT; c) infine, che l’adesione alla rivelazione divina nei loro testi, non può che configurarsi
come fede soprannaturale. Questi tre punti sono stati puntualmente sconfessati dalla DI e dalla
Notificazione, rispettivamente in: a) Notificazione, nn. 6 e 8; b) DI, n. 8; Notificazione, n. 8; c) DI 7.
Risulta ragionevole perciò, e più coerente con il dato della fede e del magistero, ritenere che questa
presenza non sia di ordine soprannaturale. Ben sette sono gli argomenti che corroborano questa
convinzione276. Le considerazioni sulle religioni come vie di salvezza e perciò sul valore teologico
della presenza in esse dello Spirito – e viceversa: a seconda di come intendiamo la presenza dello
Spirito, saremo portati a considerarle come vie salvifiche o no – ci conducono al vero problema per
la tdr attuale, rappresentato dalla loro considerazione globale nel disegno salvifico di Dio per
l’umanità; o viceversa (in ragione del rapporto speculare Cristo-religioni): a partire dalla soluzione
di questo mistero – Dupuis ci ha opportunamente messo in guardia dal dare risposte ultime e
definitive su una realtà che ci sovrasta, quale l’agire di Dio – si getterà ulteriore luce sulla loro
valenza salvifica. Il tentativo coraggioso del nostro teologo è stato quello di pensare le religioni nel
disegno salvifico di Dio per l’umanità. È davvero possibile, si è chiesto, che non abbiamo alcun
valore, come sostengono l’esclusivismo di K. Barth e l’evangelismo protestante americano? Come
è possibile sostenere una tesi così rigida se il Concilio ed il magistero parlano del fatto che la chiesa
è stimolata a «scoprire e riconoscere [nelle religioni] i segni della presenza del Cristo e dell’azione
dello Spirito» (RM 56) e l’«azione universale dello Spirito» (RM 29) «che sparge i “semi del
Verbo”» (RM 28; cf. 56)? Egli formula con coraggio la domanda metafisica –perché di metafisica
applicata al dato della fede si tratta: questa è la teologia (cf. FR 14, 22, 43, 49, 55, 61, 66-67, 73,
76-79, 83-84, 97, 105-106) –, se sono volute da Dio o no. Da allora questo resta uno degli enigmi
più complessi della teologia delle religioni. La difficoltà principale sta, ancora una volta, nel dover
tenere insieme due realtà contrapposte: Cristo, con la sua proposta di verità e di grazia, e dall’altro
le religioni, che fenomenologicamente si propongono oggettivamente come vie alternative al
cristianesimo, sia dal punto di vista veritativo che salvifico. Tanto più che nella storia delle
religioni figura l’islam, che, presentandosi cronologicamente dopo il cristianesimo, si presenta
come la vera religione, pretendendo di correggere gli errori dell’ebraismo e del cristianesimo e
offrendo all’umanità l’ultimo Libro divino – il Corano, che a differenza di quelli precedenti che
sono stati falsificati (tahrîf) da ebrei e cristiani, è immune da ogni errore – e le leggi rivelata a
Muhammad, le quali «costituiscono il quadro di riferimento immutabile per tutti i tempi, per tutti
gli uomini»277. Se vogliamo restare fedeli al dato biblico e magisteriale, da un lato occorre

275
Cf. DT, pp. 199-213, 271-274.
276
Cf. ibid., pp. 179-180, 274-276, 280-286.
277
H. Roberto Piccardo, Il Corano. Revisione e controllo dottrinale delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in
Italia, Grandi Tascabili Newton, Roma 20045, commento a Cor 33,40, p. 367, n. 26; cf. M. Di Tora, Per una visione
cristiana dell’Islam, in HTh, 18 (2000), 57-108. Sul mistero dell’islam apparso storicamente dopo il cristianesimo,
appare quanto mai valida l’interpretazione di K. Samir Khalil. Distinguendo tra dato storico e valore religioso, egli – a
motivo dei contenuti dottrinali islamici – colloca l’islam all’VIII sec. a.C., prima cioè del grande movimento profetico
d’Israele (cf. Per un’introduzione…cit., pp. 57-58; cf. M. Borrmans, Per un discernimento.., cit.; M. Crociata – M. Di
Tora, op. cit., p. 194). In forza di questa precisazione, il cristiano non dovrebbe essere turbato dalla presenza dell’islam.
41

riconoscere una certa funzione positiva alle religioni – come del resto fa il Concilio ed il magistero
successivo che le considera con la categoria della “preparazione evangelica” (LG 16; AG 3; RM
29; DI 12,21) –, e dall’altro bisogna ammettere che le religioni, pur con tutto il bene che può essere
riconosciuto in esse, nella loro realtà oggettiva e sociologica restano realtà totalizzanti in forte
competizione col cristianesimo e strutturalmente si allontanano da Cristo. Dunque, o si valorizzano
la punto da sfociare nel pluralismo relativistico; ovvero si esalta l’unicità del mistero di Cristo fino
ad annullarne ogni valore, come nell’esclusivismo ecclesiocentrico. Dal Concilio in poi si è tentato,
a fatica, di tenere insieme gli estremi con l’inclusivismo cristocentrico, riconoscendo che il bene in
esse è reale, non fittizio, o un inganno del demonio (contro l’esclusivismo); ma è un bene che non si
pone sullo stesso livello di quello realizzato da Cristo e consegnato alla Chiesa per il bene
dell’umanità (contro il pluralismo). Dupuis, con altri e più di altri, ha puntato su una maggiore
valorizzazione delle religioni riconoscendone un significato positivo, lungo il piano inclinato del
pluralismo, salvo poi continuamente ricalibrando da quelle sbavature chiaramente contrarie alla
fede. Da allora non si registrano più eclatanti discussioni in merito e il dibattito si è come esaurito
senza che se ne individuasse una soluzione convincente. Dal canto mio, ho provato a individuare
una via realistica che tenga insieme le istanze legittime dei paradigmi in questione, a patto di
distinguere due livelli di approccio. Se torniamo alla domanda: “Dio le vuole o no?”, sappiamo che
Dupuis ha assunto una risposta positiva, pur con tutta una serie di contrappesi i quali non hanno
impedito al suo modello teologico di spingersi (pioneristicamente) al limite dal dato rivelato. Del
resto, se dicessimo un sì netto (assoluto), cadremmo completamente nel campo pluralista, che è
fuori dalla fede. Formulare una risposta semplicemente negativa, significherebbe catapultarsi nel
terreno esclusivista. Non ci son alternative? Ritengo che si possa intravedere una risposta che
consideri le religioni su piani diversi, ora ex parte Dei, secondo l’asse-Cristo, ora invece ex parte
hominis, secondo la reale ed effettiva esperienza religiosa dell’umanità. Se rapportiamo le religioni
a Cristo, Dio non può volere due realtà che configgono, ossia Cristo e le religioni. Rispetto all’asse
Cristo, è solo il mistero di salvezza in Gesù che Dio vuole. Del resto le religioni, in quanto opere
umane, mostrano tutta la loro deficienza: non riescono a stabilire quel rapporto pieno e completo
con Dio che si ha solo nel cristianesimo; non sono in grado di conferire la salvezza, visto che
l’unica causa costitutiva per tutti gli uomini è la Pasqua di Cristo; né di mediarla con quell’efficacia
che è propria dei sacramenti della Chiesa; né riescono a cogliere la pienezza del Mistero divino278.
Da qui la convinzione del magistero conciliare e postconciliare secondo il quale Dio vuole per tutti
i popoli l’appello alla fede e al battesimo nella Chiesa, la quale possiede la pienezza dei mezzi
salvifici (AG 7; RM 46-47,55; Giovanni Paolo II, Ecclesia in Asia, 31; DI 12.21). Dall’altra parte,
se guardiamo le religioni ex parte hominis, vale a dire in riferimento all’effettiva situazione degli
uomini del nostro tempo, Dio sa da tutta l’eternità che non tutti potranno conoscere il Vangelo e la
Chiesa di Cristo, amministratrice della grazia pasquale. Pertanto egli ha provvidenzialmente
disposto che nelle religioni gli uomini fossero avviati ad una conoscenza parziale di Sé (LG 16 e
AG 3) tramite il vero disseminato dal suo Spirito. L’obiettivo (in termini oggettivi) è prepararli al
Vangelo, secondo la dottrina magisteriale della “preparazione evangelica”, ma questa non sempre,
di fatto, si potrà realizzare. Per coloro che non conoscono e plausibilmente mai potranno conoscere
il Vangelo, così da aderire ad esso con la fede ed il battesimo, le religioni mantengono un
significato positivo nel disegno di Dio. Il senso di questa espressione, così come appena è stato
illustrato, potrebbe esser diversamente descritto: o nel senso della teologia classica, più sicuro,
secondo cui Dio (benevolmente: Dio non si limita a tollerarle, ma le permette), con volontà
improbativa: le accetta ma non le approva in sé, in rapporto a ciò che ha pensato e realizzato nel
Figlio umanizzato, morto e risorto. Oppure si può accettare l’affermazione “Dio le vuole” benché,
per non essere fraintesa (cioè in contrapposizione con l’asse Cristo), dovrebbe immediatamente
essere corretta o limitata o sfumata, secondo quanto appena illustrato; o riformulata aggiungendo

278
Cf. M. Di Tora, La teologia delle religioni, 25-34; DT, 199-213. Sull’aspetto riguardante l’ignoranza del mistero
divino da parte delle religioni, ha insistito la Cdf con la Nota Dottrinale su alcuni aspetti dell’Evangelizzazione (2007).
42

subordinatamente a Cristo279. In fin dei conti, considerato che l’espressione può ingenerare
confusione, meglio evitarla. In definitiva: mediante gli aspetti di bene disseminati nelle loro
tradizioni, come la verità conosciuta mediante il dettame dell’intelligenza e della coscienza, gli
uomini possono ricevere la grazia di Dio (così come insegnano LG 16 e GS 22, RM 10 e DI 21) e
così conseguire la salvezza di Cristo, come insegna GS 22. Questo passaggio del Concilio contiene
tre insegnamenti: a) il fatto che la grazia sia comunicata dallo Spirito di Cristo testimonia che tutti
gli uomini hanno bisogno di Cristo per salvarsi: Cristo è il salvatore costitutivo dell’umanità; b) che
le loro religioni non sono salvifiche in se stesse, autonomamente, giacché veicolano una grazia che
non è la propria; non è una grazia autonoma; c) che lo strumento esterno di cui si serve lo Spirito
per comunicare la grazia pasquale è il bene che lo stesso Spirito ha elargito nel tempo280. Tenuto
conto di queste precisazioni, è possibile anche accettare in parte l’affermazione secondo cui le
religioni mantengono un «ruolo permanente ed un significato specifico nel mistero complessivo
delle relazioni divino-umane»281. Non nel senso del pluralismo de iure di Dupuis, bensì nel senso
che le religioni svolgono un ruolo pedagogico (AG 3) e provvidenziale nella storia della salvezza
(Dialogo e annuncio, nn. 17, 29). Ma questo ruolo, oggettivamente, cessa una volta che viene
conosciuta la rivelazione di Dio in Cristo. «Le religioni come istituzioni continueranno ad esistere

279
Sulla distinzione tra la volontà permissiva e di beneplacito, cf. G. Canobbio, L’emergere dell’interesse per le
religioni nella teologia cattolica del Novecento, 22-23. A sostegno di questo ragionamento possono essere utili due
esempi. A. Il modo ordinario per conoscere la realtà è fare esperienza di essa, come la condizione migliore per
sperimentare il mondo che ci circonda è quella di essere illuminati dalla radiosa luce del sole. Il fatto che in un ambiente
buio io possa avere luce e perciò vedere anche con una lampada, una candela, una torcia, non toglie il valore della
superiorità della luce solare; gli altri strumenti di cui dispongo sono da considerare come provvisori, supplementari,
contingenti, straordinari e provvidenziali rispetto al valore della luce. Si tratta di strumenti di cui momentaneamente
possiamo disporre e che si sostituiscono alla luce solare in mancanza di essa. Infatti, questi possono offrire soltanto una
illuminazione fioca, imperfetta, limitata in potenza e circoscritta all’oggetto che viene illuminato. Non possiamo dire di
poter fare a meno del sole solo perché riesco a rischiarare l’ambiente con la torcia. Se stabiliamo una relazione, è chiaro
che la luce è superiore; se ci riferiamo alla situazione contingente, anche una candela può essere utile. B. Il modo
ordinario per raggiungere due città è percorrere l’autostrada che le collega (es. Roma-Firenze). È la strada più sicura,
confortevole, rapida per arrivare presto a destinazione. Il fatto che lo Stato abbia costruito anche le strade provinciali –
per restare ancora più aderenti alla metafora, ha prima costruito le strade secondarie e poi in ultimo le autostrade, che
restano il top dello strumento di viabilità –, quelle statali ed anche le “trazzere” o le mulattiere, non toglie il valore della
superiorità dell’autostrada. Per coloro che non possono accedere all’autostrada o non la conoscono (in autostrada non si
accede con le biciclette o con i muli, dunque non tutti possono accedervi in riferimento ai mezzi di cui dispongono), vi è
la possibilità di arrivare a destinazione con le strade secondarie e straordinarie: sono strade impervie, faticose da
percorrere, pericolose, che mi faranno anche completare il viaggio, ma solo dopo molta fatica e, soprattutto, dopo
tantissimo tempo. Non posso dire di non aver bisogno dell’autostrada solo perché riesco comunque ad arrivare a
destinazione con queste altre. Dunque, fuori metafora: l’autostrada è Cristo (e la Chiesa a lui subordinata); essa è per
tutti. Ma non tutti potranno accedervi perché la ignorano o non hanno gli strumenti per accedervi (rappresentati
anzitutto dall’ascolto del messaggio di salvezza, secondo Rm 10,14-17). Pertanto Dio ha predisposto anche le strade
provinciali (le religioni) per offrire a tutti un qualche modo di avvicinarsi alla meta. Ma per quanto siano preziose ed
utili (in se stesse), non sono certo paragonabili all’autostrada (rispetto all’asse Cristo). Infine: una volta conosciuta
l’autostrada, tutte le altre risultano obsolete (chi mai prenderebbe una statale per percorrere il tragitto indicato?!) e
caduche. Una volta conosciuta la grazia di Cristo, lo sbocco naturale è la fede in lui ed il battesimo, col conseguente
abbandono della strada precedente (è il delicato capitolo della conversione religiosa). Ma le strade secondarie
continueranno ad esistere (valore permanente delle religioni) per consentire ad altri, nelle stesse condizioni, di essere
avviati al Mistero del Dio vivente (AG 3).
280
In Verso leggiamo che «le pratiche religiose e i riti sacramentali delle altre religioni non stanno sullo stesso piano
dei sacramenti cristiani istituiti da Gesù Cristo» (p. 430): sembra un’anticipazione di DI 21 (!), la quale insegna che «ad
essi non può essere attribuita l’origine divina e l’efficacia salvifica ex opere operato, che è propria dei sacramenti
cristiani». L’affermazione di Verso è subito seguita da quest’altra: «ma significa anche che dobbiamo attribuire loro una
certa mediazione della grazia» (DuV, p. 430). Qualcosa di simile è possibile riscontrare in CTI: «a motivo del
riconoscimento della presenza dello Spirito di Cristo nelle religioni, non si può escludere la possibilità che queste, come
tali, esercitino una certa funziona salvifica, aiutino cioè gli uomini a raggiungere il fine ultimo, nonostante le loro
ambiguità» (n. 84). Pertanto, «le religioni possono essere […] un mezzo che aiuta alla salvezza dei propri seguaci, ma
non si possono equiparare alla funzione che la Chiesa realizza per la salvezza dei cristiani e di quelli che non lo sono»
(ibid., n. 85)
281
DuV, p. 286; cf. pp. 211, 213.
43

(di fatto). Ma (soggettivamente), per chi ha creduto in Cristo, la propria religione apparirà come
ormai definitivamente superata e obsoleta, e destinata a realizzarsi nel cristianesimo»282.
Il capitolo ecclesiologico è tra gli anelli più deboli in teologia delle religioni. Tutta l’attenzione,
tutto lo sforzo, è posto sul ruolo di Cristo, in secondo piano quello della Chiesa. La riflessione di
Dupuis sulla mediazione universale della Chiesa, relegata sostanzialmente alla sola intercessione a
favore di tutta l’umanità che si realizza nella celebrazione della Messa, dice quanto sia urgente una
riflessione di merito su significato della Chiesa come «sacramento universale di salvezza»,
proposto dal Concilio e ribadito dai documenti magisteriali successivi. Il tema è così delicato ed
importante che la DI si è voluta concentrare, non a caso dopo i primi tre capitoli di indole
cristologica, sul rapporto tra la Chiesa e le religioni (gli ultimi tre). Va ricordato e preso sul serio un
passaggio molto chiaro di RM 9, ripreso da DI 20, al fine di evitare in ogni modo di equiparare la
Chiesa alle religioni. «La Chiesa professa che Dio ha costituito Cristo come unico mediatore e che
essa stessa è posta come sacramento universale di salvezza […] È necessario tenere congiunte
queste due verità, cioè la reale possibilità della salvezza in Cristo per tutti gli uomini e la necessità
della chiesa in ordine a tale salvezza. Ambedue favoriscono la comprensione dell’unico mistero
salvifico». Nella DI 20 leggiamo: «la chiesa è sacramento universale di salvezza, sempre unita in
modo misterioso e subordinata a Gesù Cristo Salvatore, suo Capo, nel disegno di Dio ha
un’imprescindibile relazione con la salvezza di ogni uomo», in quanto dotata della pienezza dei
mezzi salvifici, la Parola e i sacramenti della fede (cf. UR 3-4, AG 5,7; RM 5,18). Anziché spiegare
come la Chiesa possa giocare un ruolo per tutti, anche per i non cristiani, in tdr si preferisce
piuttosto mettere in discussione una tale verità di fede. È vero che di recente diversi studi hanno
riproposto il tema, benché l’attenzione si sia formalmente cristallizzata sull’evoluzione
dell’assioma patristico Extra ecclesiam nulla salus, che il Concilio assume reinterpretandolo in
termini più positivi (LG 14)283. Si rende opportuna una visione sistematica dell’argomento, che
possiamo descrivere nei termini seguenti284. La Chiesa è necessaria alla salvezza di tutti gli uomini
sostanzialmente per tre ragioni:
A. Sul piano oggettivo. Per coloro che ignorano Cristo – categoria teologica
introdotta nei fatti con la scoperta dell’America, con la successiva distinzione tra
«l’essere nella verità ed essere nella salvezza» (cf. CTI, n. 13)285 –, ma sono ben
disposti ad aderire pienamente in lui, senza l’annunzio del Vangelo della Chiesa
non potrebbero conoscerlo (cf. LG 14; RM 46). Paolo afferma chiaramente che
la fede dipende dalla predicazione (Rm 1,1-6; 10,14-21; 1Cor 9,16)286. Da qui

282
DT, p. 29.
283
Rimando, in particolare, agli ultimi studi: A. Carioti, La missione salvifica della Chiesa. I fondamenti teologici della
Dichiarazione «Dominus Iesus» nel magistero del Concilio Vaticano II (Verbum 4), Rubettino, Soveria Mannelli (CZ)
2008; G. Canobbio, Nessuna salvezza fuori della Chiesa? Storia e senso di un controverso principio teologico
(Giornale di teologa 338), Queriniana, Brescia 2009; S. Mazzolini, Chiesa e salvezza. L’extra Ecclesiam nulla salus in
epoca patristica (Collana Missiologia 8), Urbaniana University Press, Roma 2008; B. Sesboüé, «Fuori dalla Chiesa
nessuna salvezza»: Storia di una formula e problemi di interpretazione, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2009
284
Cf. DT, pp. 161-163, 185-197, 287-290.
285
Cf. DT, pp. pp. 26,112,114 e n. 2,162,167,193,205,272-273, 287-288.
286
Non sempre si potrà esplicitamente invitare ad aderire a Gesù. In questo caso il dialogo è utile perché è (spesso)
l’unica occasione che permette di farlo conoscere (cf. DT, pp. 59, 216, 294). Il dialogo, in sé, non è diretto formalmente
alla conversione (cf. ibid., pp. 214-221), con l’invito esplicito ai non cristiani ad credere in Gesù. Tutt’al più i cristiani
possono presentare il messaggio così da renderlo attraente e affascinante (cf. EG 14,36,42,238,250-254). In una
prospettiva ecclesiologica, possiamo sintetizzare in forma chastica: se si tratta di riconoscere che coloro che non fanno
parte visibilmente della chiesa – perché non hanno potuto ascoltare il Vangelo e/o perché non sono liberi di aderirvi a
motivo dei loro regimi dittatoriali o fondamentalisti – non sono esclusi dalla salvezza (cf. M. Naro, Portarsi dentro
l’altro…, cit., p. 101; cf. Id., Oltre i confini della Chiesa…, cit., pp. 172-173), allora l’assioma patristico extra
Ecclesiam nulla salus è da intendere in senso “inclusivo”, non incapsulando cioè la grazia nella compagine ecclesiale;
se invece si tratta di evitare la mentalità relativistica secondo la quale una religione vale l’altra (cf. RM 36),
rinunciando perciò all’annuncio del Vangelo o rifiutando l’adesione alla Chiesa, o rinunciando a perseverare in essa
allora bisognerà insistere – (cf. DT, pp. 161, 193 n. 33; 205 n. 56) – sul fatto che non ci si salva al di fuori dalla Chiesa
44

l’importanza della comunità ecclesiale che con la Parola e la testimonianza può


aprire la strada per l’adesione a Gesù.
B. Sul piano oggettivo. Per essere incorporati a Cristo pienamente è necessario il
battesimo, che Dio vuole per tutti gli uomini (AG 7; RM 46.55; DI 20,22); esso
è la porta di accesso alla vita di grazia stabilendo vincoli reali con la Trinità e la
chiesa (RM 47; AG 6). È perciò necessaria la Chiesa, che lo amministra, visto
che si celebra nella Chiesa per a favore dell’appartenenza visibile ad essa.
C. Sul piano soggettivo. Per coloro che invece ignorano il Vangelo e lo ignoreranno
sempre, se vivono secondo i dettami della coscienza e della legge morale (LG
16), essi ricevono la grazia pasquale per lo Spirito Santo, che la comunica
tramite il bene presente nelle loro religioni (GS 22; RM 28-29; DA 29; EAs 16).
Ma la grazia pasquale li collega misteriosamente alla Chiesa, secondo RM 10.
Dunque, anche inconsapevolmente, sono legati ad essa. Come questo legame si
realizzi, ancora nessuno l’ha indagato.

4. Questioni aperte
Finora abbiamo richiamato soprattutto le questioni più problematiche della teologia di Dupuis. Ma
non sarebbe giusto concludere che Verso, che rappresenta la “summa” del pensiero di teologia
generale delle religioni, ed il vertice del pensiero del teologo sul pluralismo religioso, non abbia
nient’altro da dire. Al contrario. Molte piste possono e debbono ancora essere battute.
I. Sotto il taglio di teologia generale delle religioni, in termini generali, la teologia è chiamata ad
interrogarsi ancora sul significato delle religioni nel disegno di Dio per l’umanità. Scartando la
posizione pluralista, ma anche quella semipluralista di Dupus – ma tenendo ugualmente
quell’atteggiamento di dialogo con gli altri paradigmi auspicato da Knitter – dovrà «ammettere che
l’azione dello Spirito Santo sia sempre connessa, secondo il piano divini, e in relazione all’evento
Gesù Cristo; ma occorre discrezione, anzi qualche silenzio apofatico, rispettoso della trascendenza
del mistero, nel tentativo di scoprire e spiegare il “come” di tale legame e relazione»287.
II. Un altro aspetto che meriterebbe di essere ancora approfondito è quello delle “mediazioni
partecipate” di RM 5, che il teologo ha provato a sondare con la valorizzazione delle religioni come
vie complementari e convergenti (non parallele) dell’unica storia di salvezza. Si tratta di studiare
ancora quali siano e in che termini lo Spirito si serva di essere per comunicare la grazia di Cristo.
Lungo questa linea, è la stessa DI a incoraggiare gli studiosi: «la teologia oggi, meditando sulla
presenza di altre esperienze religiose e sul loro significato nel piano salvifico, è invitata ad
esplorare se e come anche figure ed elementi positivi di altre religioni rientrino nel piano divino di
salvezza. In questo impegno di riflessione la ricerca teologica ha un vasto campo di lavoro sotto la
guida del Magistero della Chiesa […] È da approfondire il contenuto di questa mediazione
partecipata, che deve restare pur sempre normata dal principio dell’unica mediazione di Cristo» (n.
14)288.

(cf. LG 14) giacché solo essa «è la via ordinaria di salvezza e che solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza»
(RM 55).
287
DuT, p. 678; cf. p. 692. L’aveva già scritto in Incontro: il suo tentativo «rimane, comunque, provvisorio ed aperto a
ulteriore perfezionamento. La teologia deve in ogni caso mantenere forte il senso del mistero, della trascendenza non
solo di Dio, ma anche del suo piano di salvezza. In questo caso, non deve pretendere di descrivere e precisare il “come”
e in che “modo” (quomodo sit) della relazione essenziale fra l’azione universale del Verbo – e dello Spirito – e l’evento
storico Gesù Cristo. L’apofatismo teologico raccomanda il silenzio laddove, pur essendo in grado di sottolineare il fatto
(an sit), non possiamo e neanche dobbiamo spiegare il “come”. Conviene alla teologia essere riservata ed umile» (DuS,
pp. 305-306).
288
Un suggerimento, in tal senso, viene da A. Strumìa, con la categoria di analogia di attribuzione: Che cos’è una
religione? La concezione di Tommaso d’Aquino di fronte alle domande odierne, Prefazione di Carlo Caffarra, Edizioni
Cantagalli, Siena 2006, pp. 98. Per quanto riguarda il bene da valorizzare nelle religioni (cf. DT, pp. 176-179), oltre alle
figure religiose, vanno menzionati anche i testi religiosi (Paolo VI, Evangelii nuntiandi, n. 53), gli elementi di religiosità
come alcune preghiere e riti (DI 21), ed il codice etico (NAE, 2; Benedetto XVI, Verbum Domini, n. 117).
45

III. Sotto la prospettiva della teologia speciale, resta ancora un vuoto in riferimento al
discernimento delle varie tradizioni religiose. Al momento, anche per il contributo del DiFT, il
tentativo è fermo al solo islam289. In merito al metodo dialogico in tdr, chiarito dagli interventi di C.
Geffré, è ancora lontana una riflessione sistematica teologica che esamini i principali capitolo della
teologia dogmatica, ma anche della morale, della liturgia, ecc., secondo l’approccio comparato, per
cui la tdr possa diventare la dimensione permanente della riflessione sapienziale della fede290. I
cristiani potrebbero porre a confronto le ricchezze del messaggio cristiano col patrimonio religioso
dell’umanità, così da accogliere quanto di vero e santo Dio ha seminato nelle culture dei popoli, ma
anche comprendere la straordinaria novità e bellezza dell’annuncio cristiano.

Conclusione

A distanza di vent’anni dalla pubblicazione del saggio di Dupuis, la ricerca teologica è senz’altro
cresciuta nell’individuazione dei problemi di cui è chiamata a farsi carico, come anche dei vicoli
ciechi che è inviata a non intraprendere. Il DiFT ha offerto il suo contribuito, con la ricerca
sviluppatasi nei Convegni e consegnata agli studiosi con gli Atti che sono stati pubblicati. Dalla
vicenda di Dupuis possiamo trarre edificazione dal suo desiderio di rimanere fedele alla dottrina
della Chiesa. Va anche apprezzata la sua intraprendenza, il suo coraggio e la sua determinazione
nell’imboccare nuove strade di interpretazione del messaggio cristiano in dialogo con le altre
tradizioni religiose. L’esito, però, non è stato quello sperato. Tanto più, pare – e di questo si occupa
il nostro Convengo –, la tdr, scottata dall’esperienza del teologo belga, si sta volgendo ora verso
una nuova frontiera che è la teologia del dialogo interreligioso. Dal mio punto di vista, se questo
slittamento vuol significare che sui contenuti di fede non ci può essere negoziato, per cui risulta più
proficuo l’incontro diretto con l’altro su questioni pratiche e sociali, evitando di discutere su
spinose questioni dottrinali, questo slittamento può essere considerato un valore. Se invece significa
la rinuncia a pensare, la rimozione di domande che inevitabilmente il credente, prima che il
teologo, si pone (come si salvano i non cristiani, come valutare i loro libri religiosi, come si
rapportano con la comunità credente, ecc.), allora mi sembra un fatto non certo positivo.
In questo cammino di ricerca, il Magistero ha offerto molte indicazioni che hanno consentito di
approfondire quegli insegnamenti di carattere generale che il Concilio nei suoi documenti ci aveva
lasciato in eredità, ma che senza la sua bussola rischiavano di essere fraintesi o depauperati. D’altro
canto, il Magistero non si sostituisce alla teologia, come già detto espressamente in DI 3,14, ma le
indica, per così dire, solo l’alveo nel quale muoversi; quando si superano gli argini nei quali scorre
il fiume della ricerca teologica, il rischio dell’errore è incombente. È lo stesso Dupuis a scrivere:
«ero convinto che la dottrina ufficiale della Chiesa non pretende di fissare confini oltre i quali alla
ricerca è proibito avventurarsi, ma di tracciare linee guida e fornire indicazioni affinché la teologia
possa pensare e riflettere in modo nuovo, nel contesto attuale, sull’ineffabile mistero divino che è
stato progressivamente rivelato al genere umano nel corso della storia e, “in questi ultimi giorni”,
“pienamente rivelato” in Gesù Cristo»291. Il Magistero indica perciò «i contenuti dottrinali
imprescindibili che possono aiutare la riflessione teologica a maturare soluzioni conformi al dato
della fede e rispondenti alle urgenze culturali contemporanee» (DI 3). La pista di riflessione nella
quale muoversi è data dai 4 principi offerti nel cap. III dalla CTI, nn. 27-79: la volontà salvifica
universale di Dio, l’unicità della mediazione di Cristo, l’universalità dell’azione dello Spirito Santo

289
Cf. M. Crociata (ed.), Per un discernimento… cit.; Conferenza Episcopale Siciliana – Facoltà Teologica di Sicilia,
Per un discernimento cristiano sull’islam. Sussidio pastorale, Paoline, Milano 2004. Sul rapporto con i musulmani,
altre Conferenze hanno prodotto utili sussidi: cf. Conferenza Episcopale dell’Emilia Romagna, Islam e Cristianesimo,
EDB, Bologna 2000; Conferenza Episcopale del Triveneto – Commissione regionale per l’ecumenismo e il dialogo
interreligioso, Le vie dell’incontro. Quale dialogo con i musulmani? Sussidio pastorale, EDB, Bologona 2006.
290
Cf. GM, p. 237.
291
BP, pp. 156-157.
46

e la mediazione della Chiesa come sacramento universale della salvezza. Questi principi si
concentrano sulla figura di Gesù Cristo e sulla funzione salvifica della Chiesa, temi ripresi nei
primi tre capitoli cristologici della DI e nei successivi tre capitoli ecclesiologici. In realtà, se è vero
che il magistero ecclesiale offre gli strumenti utili perché la teologia possa continuare a pensare, è
anche vero che nel quadro della fede vi sono limiti che non è possibile varcare, pena la perdita di
identità. È una voce neutrale, come Knitter, a evidenziarlo, quando afferma che la teologia di
Dupuis «rappresenta il limite estremo cui è possibile spingersi rimanendo nei confini
dell’ortodossia»292. In effetti, sia la DI sia la Notificazione hanno davvero segnato l’ampio spazio
entro il quale muoversi, lasciando alcuni indicatori luminosi che ne tracciano i confini,
rappresentati dalle nove tesi che si è tenuti a professare, dalle dodici (speculari) da rigettare293 –
contenuti nella DI – e dagli otto punti codificati nella Notificazione. Queste coordinate
rappresentano i «sicuri criteri di valutazione» della tdr. Se dunque, da un lato, non è saggio
superare questi limiti, è anche vero che la ricerca non si è conclusa. È da auspicare che la vicenda
di Dupuis non rappresenti una battuta d’arresto.

292
Kn, p. 193.
293
Cf. DT, pp. 243-245.

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