Latina Lingua
Latina Lingua
La confusione è una diretta conseguenza dell’evoluzione del sistema vocalico del latino
tardo. Siamo dinanzi al trattamento delle vocali in iato dove si nota che anche la /o/
prevocalica tende a chiudersi in /u/: ad esempio cloaca non cluaca
L’errore è una delle 227 parole riportate nell’Appendix Probi, un manuale compilato da un
maestro che censura gli errori della lingua e riporta le forme corrette a scopo didattico. Altra
ipotesi è che si tratti di una raccolta di esempi già presenti in altri testi e riorganizzati a fini
pedagogici. E’ una miniera di esempi che porta a toccare con mano la tensione tra norma
ed uso.
Il consonantismo del latino tardo (fin dal I sec.) si registra una confusione tra b e w:
plebes non plevis, illum non illeum, devere-debere, iuvente-iubente, baculus non vaclus,
tabes non tavi, plebes non plevis
Auris - oricla
Nel trattamento dei dittonghi la pronuncia /Ɔ/ per au era sentita al tempo stesso a Roma
come provinciale (diatopica extraurbana), ma anche come diafasicamente marcata in senso
affettivo, familiare come l‘utilizzo che ne fa Cicerone.
– oricula infima molliorem (Cic., Ad. Q. fr., 2, 13, 4)
Confusione tra /o/ e /u/
Tale confusione è una diretta conseguenza dell’evoluzione del sistema vocalico:
Il latino medievale è l’ultimo segmento della storia del latino, che è sopravvissuto al crollo
dell’Impero Romano d’Occidente, e ha continuato ad essere scritto, e per un certo tempo
parlato, in Europa. É la storia millenaria del latino: da lingua di pastori del Lazio a lingua
unificatrice del mondo antico e del mondo cristiano.
Non esiste un solo latino medievale: «Il latino medievale non presenta unità, ma assume
aspetti molto vari secondo le epoche, i paesi, il livello culturale degli autori che se ne
servono» (D. Norberg).
Cronologia convenzionale del Medioevo (e suoi limiti)
• 476: deposizione di Romolo Augustolo ad opera di Odoacre - • 1492: scoperta delle
Americhe OPPURE: Umanesimo, Rinascimento, Riforma protestante, Concilio di Trento,
presa di Costantinopoli da parte dei Turchi (1453).
Tuttavia, nel 476 il latino è ancora parlato, nel XV sec. non più. È solo una lingua scritta, e
tale resterà sino alle soglie dell’epoca moderna.
Quando si è smesso di parlare in latino? Prime attestazioni di lingue romanze: IX/ X sec.
813:il Concilio diTours stabilisce che i preti debbano tradurre («transferre») le prediche in
modo comprensibile, nella lingua romana rustica o nella tedesca
Quando si è smesso di scrivere in latino? Praticamente mai: lingua della scienza fino al
XIX secolo, lingua della Chiesa, lingua dei poemetti di Pascoli.
Il medioevo europeo è diglottico, poiché assegna al latino, dapprima anche parlato e poi
solo scritto, la funzione di lingua «alta» di cultura, e alle varietà romanze la funzione di lingua
dell’espressione quotidiana (lingua «veicolare»). Fino VIII codici alternativi.
Anno 1000: inizio del basso Medioevo
L’impressione di unità era assicurata dalla presenza e dal potere di un norma linguistica,
valida per il latino scritto, ed esemplata sul modello degli scrittori augustei (I sec. a. C.)
Ovviamente, il latino parlato è stato ben diverso dal latino scritto. Fattori extra-linguistici:
crollo dell’impero, crollo del sistema dell’istruzione fine della norma, accelerazione del
mutamento.
Una lingua naturale non è mai un sistema monolitico: la sua dimensione naturale è quella
della variazione interna. Mutamento che non si ferma mai (principio uniformità). Il
mutamento linguistico non implica una decadenza da un presunto stadio di purezza antica.
Una lingua cambia perché ogni attività umana, ogni pratica sociale subisce nel tempo delle
variazioni, senza che nessuno possano fare nulla per impedirlo.
• Variazione diatopica in latino: sermo provincialis. Certamente esistevano sfumature
linguistiche attribuibili a varietà diatopiche provinciali. oggi, tuttavia, è impossibile
ricostruirle.
Variazione diacronica: una lingua cambia nel tempo. «Il tempo altera ogni cosa e non v’è
ragione per cui la lingua sfugga a questa legge universale» (F. De Saussure). «Per le donne
è più facile conservare la purezza dell'antico accento; poiché non devono intrattenersi con
molte persone, conservano le prime abitudini. Mi pare di sentire Plauto o Nevio» (Cic., De
Orat., III, 45)
Varietà diastratica: una lingua cambia in rapporto al variare delle condizioni sociali dei
parlanti: sermo rusticus. In realtà, però, non abbiamo indizi certi per ricostruire in che cosa
precisamente consistesse la rusticitas di un latino diastraticamente basso.
Varietà diafasica: una lingua cambia in rapporto ai registri espressivi, e dunque produce
varietà solenni, formali, familiari, etc. Varietà diafasica in latino: sermo cotidianus.
Variazione diamesica: una lingua cambia se usata nello scritto o nella comunicazione
parlata: sermo vulgaris ≠ sermo litterarius
Sostràto: l’insieme delle condizioni etno-linguistiche cui una lingua vincitrice si sovrappone.
Adstràto: lingua di contatto, genericamente presa a modello culturale, con cui un’altra
lingua convive senza che nessuna predomini sull’altra.
Sanzionata da un uso centenario per designare i diversi fenomeni del latino che non si
accordano con le regole classiche, l’etichetta i latino volgare ha i vantaggi e gli svantaggi
di un’espressione consacrata. Di fatto, essa è stata osteggiata perchè l’epiteto di “volgare”
si presta all’equivoco di evocare troppo esclusivamente il parlare incolto o come
un’astrazione grossolana non corrispondente alla realtà linguistica. Si dovrebbe sostituire
con termini più precisi: con latino popolare o latino familiare o latino di tutti i giorni, che
meglio corrisponderebbero da un punto di vista sociale o sincronico; o con romanzo comune
o protoromanzo, che sistemerebbero i fenomeni non classici, in quanto base delle lingue
romanze, in una prospettiva storica» (V. Väänänen)
Le lingue romanze derivano dal latino non-scritto, non formale, non letterario.
La norma linguistica è l’insieme delle abitudini codificate di una lingua. Il purismo:
atteggiamento linguistico conservatore secondo il quale la variazione è limitatissima, i
modelli linguistici devono essere pochi e scelti, e tutto ciò che devia rispetto alla norma è
intrinsecamente scorretto.
La norma del latino classico: scrittori dell’età augustea affidata all’insegnamento retorico e
grammaticale nella scuola. La situazione del latino tardo-antico (II, III sec. d. C) è quella di
un progressivo scollamento di uso e norma. Tratti linguistici che dovevano essere sempre
esistiti (uso) ma che erano stato lungamente emarginati dalla norma. Lo scollamento si
approfondisce con il crollo dell’Impero e con la fine della scuola. La norma agisce in modo
molto più efficace sullo scritto, senza riuscire tuttavia ad evitare che elementi anti- classici
lessico nel tardo Latino
Nel latino volgare e nel latino tardo ha luogo una sostituzione di parole antiche con lessemi
più espressivi e, spesso, di maggior corpo fonico. Parole corte sostituite da parole lunghe in
quella che viene definita terapia linguistica.
I motivi funzionali che spingono alla sostituzione sono (1) la ricerca di significati più concreti,
e (2) la regolarità morfologica della flessione.
In generale, prevalgono varianti diafasicamente e diastraticamente marcate in senso basso,
colloquiale.
Sostituzione di parole
• Ire >>> vadere. ire : corpo fonico troppo ridotto
Nella Vulgata appare un paradigma misto: al singolare e all’imperativo, troviamo le forme di
vadere (vade, vadit), al plurale, sopravvivono le forme polisillabiche di eo (es.: ite).
Edere >>> comedere , manducare
• edere : verbo irregolare; sostituito presto da comedere e da manducare. Si assiste ad una
rideterminazione che amplifica il corpo fonico dell’espressione.
• Nel latino tardo, probabilmente su influsso della lingua popolare d’uso, l’opposizione tra
verbo di base e derivato intensivo perde il suo valore semantico. Questi ultimi vengono
semplicemente preferiti in virtù del loro maggiore corpo fonico:
– canere > cantare
Cambiamenti di significato
Restringimento di significato o specializzazione di impiego:
– necare ‘mettere a morte’; aqua necare > adnecare > annegare
– levare ‘alleggerire, alleviare’ > ‘portare via’
– cognatus ‘parente’ > ‘cognato’
– pullus ‘piccolo di qualsiasi animale’ > ‘pollo’
• Dall’astratto al concreto:
– piscatus ‘pesca’ > ‘pesce’ (sp. pescado)
– venatio ‘caccia’ > ‘selvaggina’
– testimonium ‘testimonianza’> ‘testimone’
– matrimonium ‘matrimonio’> ‘moglie’
Coordinazione
• La congiunzione et è l’unica a sopravvivere nelle lingue romanze. Que sparisce
Subordinazione
Il latino classico aveva una grande varietà di subordinate. Nel latino tardo e volgare si perde
ma diventa una caratteristica di chi nel medioevo voglia scrivere un buon latino. Presso gli
autori cristiani e altri dell’epoca tarda, la costruzione con quod e quia (a discapito di ut), ma
anche con quoniam e quomodo, diviene d’uso corrente. Influenza greco
Indicativo e congiuntivo
Nel latino tardo l’indicativo si sostituisce frequentemente al congiuntivo nella
subordinazione, senza tuttavia eliminarlo mai del tutto. Tendenza viva nel latino classico.
Costruzioni assolute
Dal II sec. d.C, l’ablativo assoluto perde molte delle specificità che aveva nella lingua
classica. Segno di declino costruzioni assolute.
Il latino protostorico avrebbe avuto secondo moltissimi studiosi un accento intensivo sulla
sillaba iniziale di ciascuna parola. Com’è possibile mutamento?
Tra il IV e il III secolo a. C., le élites più colte di Roma apprendono il greco e cominciano
probabilmente a pronunciare il latino “alla greca”, cioè con un accento musicale con
posizione condizionata dalla legge del trisillabismo. L’accento intensivo, tuttavia,
probabilmente non è mai andato perduto presso gli strati meno colti della popolazione
romana.
Quantità vocalica
Il latino possiede 10 vocali: Ī Ĭ Ē Ĕ Ā Ă Ŏ Ō Ū Ŭ
La quantità è la durata di un fonema, cioè il tempo relativo impiegato per articolarla. Tale
tempo non è un dato oggettivo: non esistono vocali brevi o lunghe “in assoluto”. E' un
concetto relativo, che ha validità solo nell’ambito delle relazioni e delle differenze tra i suoni
di una stessa parola.
La quantità vocalica nel latino classico è pertinente, cioè crea opposizioni distintive: ănus
donna anziana ≠ ānus anello. Cicerone afferma capacità che apparteneva a tutti i latini
L‟italiano, come le altre lingue romanze, non possiede più una distinzione quantitativa delle
vocali, ma sfrutta a fini distintivi un’opposizione di timbro vocalico (vocali aperte vs vocali
chiuse):
Un’altra eccezione è costituita dal caso in cui la penultima sillaba si compone di una vocale
breve seguita da una muta cum liquida. Per esempio l’accentazione classica era del tipo
ìntegrum, mentre nella lingua parlata la penultima si chiuse e ricevette l’accento, così si
pronunciò intègrum, da cui l’italiano intero. Nel Medioevo, i maestri di scuola e i poeti hanno
mal compreso questa evoluzione e le regole degli antichi grammatici. Allo scopo di
ripristinare la prosodia classica, hanno mutato talora arātrum, theātrum , candelābrum in
àratrum , théatrum , candélabrum .
• Accade infine alle vocali /i/ ed /e/ in iato che esse cessino di essere accentate e che
l’accento si sposti sulla vocale successiva.
– lat. classico filiŏlus , muliĕrem , pariĕtem > lat. volgare filiòlus, mulièrem, pariètem > it.
figliolo , it. dial. mogliera , it. Parete
Generalizzazione dell’accusativo:
Latino tardo e volgare: rafforzamento mediante preposizioni: de, ad, cum. Da strategia
sintetica a strategia analitica.
L’accusativo viene impiegato gradatamente anche nella funzione di soggetto (accusativo
esteso). Dalla strategia sintetica si passa a quella analitica e si usa con la preposizione + la
forma accusativa che viene generalizzata. Accadeva già nel latino di Pompei. Le lingue
romanze hanno conservato gli accusativi del singolare e del plurale in funzioni anche che
non erano proprie. In funzione di soggetto ad esempio. Sincretismo (fusione) di due o più
casi in uno, quindi perdita di altri.
Anche la tendenza a precisare il valore dei casi con l’uso di preposizioni è una tendenza
antica. Nell’VIII secolo le terminazioni casuali hanno perduto il loro significato e non sono
più funzionali all’organizzazione grammaticale della frase.
Il lessico romanzo prosegue nella maggior parte dei casi la forma dell’accusativo= caso
universale.
– PANEM > pane, – CASAM > casa, – VULPEM> vulpe
Comparativo e superlativo
• Confusione del grado positivo, del comparativo e del superlativo.
Magis e plus vengono impiegati per il comparativo analitico. Le aree centrali della Romània
(francese, italiano) optano per plus , quelle laterali (romeno, catalano, spagnolo,
portoghese) per i continuatori di magis .
Dimostrativi
• Is e hic sono rimpiazzati da iste, ille o ipse a seconda delle aree geografiche, per via del
loro scarso corpo fonico.
Articoli
• Tutte le forme romanze di articolo indefinito risalgono al numerale unus. L’apparizione
deve essere stata precoce perché appartiene a tutte le lingue romanze. Il latino non aveva
articoli. Al contrario, le lingue romanze ne possiedono uno che risale al dimostrativo ille, con
l’eccezione di sardo e di alcune varietà di catalano che ricorrono a ipse. Attestazioni già
classiche dell’uso di unus e di ille in funzione di semi-articoli.
• La codifica canonica di soggetto e oggetto in latino prevede il caso nominativo per il primo
e il caso accusativo per il secondo.
Le codifiche non canoniche sono modi di segnalare le relazioni grammaticali all’interno della
frase che non si confanno alla norma classica, in vario modo irregolari o anomali. Fanno la
loro comparsa nel latino tardo e medievale.
• L’accusativo esteso del latino tardo è una codifica non canonica della relazione
grammaticale di soggetto invadendo un dominio che non gli appartenevano nel latino
classico, quello del nominativo.
• Nelle lingue a codifica accusativa, il soggetto è sempre marcato con lo stesso caso (in
latino: il nominativo), sia che figuri in costrutti transitivi, sia che figuri in costrutti intransitivi.
• Nelle lingue a codifica ergativa, il soggetto di una frase intransitiva viene marcato con un
certo caso (detto assolutivo), mentre il soggetto di una frase transitiva viene indicato da un
altro caso (detto ergativo):
• Nelle lingue a codifica attiva, i soggetti sono marcati diversamente in base alla loro
agentività, cioè al grado di volontà, animatezza e intenzionalità con cui compiono l'azione.
Il fenomeno ha inizio nel IV secolo da nomi inanimati, nomi comuni di cosa. Il confine con
gli animati viene varcato tra VII e VIII secolo, quando si trovano, seppur raramente, soggetti
accusativi anche con nomi umani e con pronomi. Questo è anche il momento in cui soggetti
in accusativo possono comparire con verbi transitivi e agentivi:
• Mentre si generalizzera l’accusativo per tutti i nomi, alcuni sostantivi semanticamente
animati non vengono mai raggiunti dall’accusativo esteso, e si continuano nelle lingue
romanze dalla forma del nominativo. Homo > uomo
La marcatura dell’oggetto
Anche il complemento oggetto che si riferisce ad un’entità indefinita può essere marcato nel
latino tardo con il caso genitivo, con de +abl e con ex +abl:
• Il parametro della definitezza acquista nel latino tardo una nuova importanza: gli oggetti
definiti vengono marcati in accusativo; quelli indefiniti con marcature non canoniche:
• Persino complementi oggetti indicanti persone, se indefiniti, possono ricevere una
marcatura non canonica: non habeo de parentibus qui mihi posit adiuvare (Greg. Tours,
Hist. Franc.)
Queste oscillazioni riflettono la perdita del passivo sintetico (espresso in latino dalle forme
in -r) e il suo rimpiazzamento con altre strategie. Esse rendono impossibile definire relazioni
grammaticali all’interno della frase:
La lingua confonde le diatesi e non distingue i casi nel latino tardo. E’ solo il contesto che permette
di disambiguare il contenuto della frase.
• Il sistema nel suo complesso è al collasso e nuove strategie emergono per identificare
compiutamente la voce verbale e le relazioni grammaticali. Tali strategie sono il passivo
analitico, che sostituisce definitivamente le forme in -r sintetiche del latino classico, il
riflessivo passivo e la ristrutturazione dei tempi verbali con la nascita del passato prossimo.
Il passivo analitico
• IV sec. d.C.: prime attestazioni del passivo analitico: il tipo amatus sum non indica più solo
il tempo passato ( fui amato / sono stato amato ), ma anche un passivo presente ( io sono
amato ). Può quindi prendere il posto di amor .
Riflessivo passivo
• La costruzione riflessiva ( se + verbo all’attivo) comincia alla fine del IV secolo ad essere
usata con funzione di passivo, dapprima solo con soggetti inanimati, e poi con soggetti
anche animati:
In italiano, oltre ai verbi transitivi che selezionano l’ausiliare avere e non richiedono l’accordo
del participio, esistono due tipi di verbi intransitivi, gli uni con accordo del participio, gli altri
senza (Maria ha telefonato vs . Maria è andata ).
• Inoltre il passivo richiede sempre e soltanto l’ausiliare essere ( Maria è amata ).
• Con la selezione dell’ausiliare, la confusione tra diatesi attiva e passiva non è più possibile:
– ausiliare avere : attivi, alcuni intransitivi
– ausiliare essere : alcuni intransitivi, passivi
Futuro perifrastico
• Il futuro latino mancava di unità: amabo , delebo , ma dicam e audiam . La 1a persona di
quest’ultimo tipo si confondeva con il congiuntivo. Accidenti fonetici contribuiscono al declino
di queste forme: amabit si confonde con amavit ; dices con dicis , dicet con dicit , etc.
• I costrutti perifrastici concorrenziali sono molteplici. Es.: Infinito + habeo , debeo , volo.
Il latino cristiano
Il cristianesimo è una novità assoluta sia dal punto di vista ideologico che linguistico. Il latino
dei cristiani unifica l’Europa del medioevo. Ad aprire la strada al cristianesimo era stato
l’Editto di Milano del 313 con cui Costantino decreta la libertà di culto per i Cristiani. Con
Teodosio: il Cristianesimo diventa religione di stato (380 Editto di Tessalonica) e nel 392
interdice i culti pagani nell’Impero.
I cristiani all’inizio avevano formato una classe chiusa e il loro particolarismo aveva creato
un linguaggio peculiare che non veniva compreso dai pagani tanto quanto la loro ideologia.
Il latino dei cristiani era una “lingua speciale”: rinnega decisamente l’esclusivismo e il
normativismo del latino colto e letterario e tende in modo massiccio alla semplificazione del
dettato. La lingua come strumento che doveva essere pronto a dare espressione
all’ideologia cristiana.
Il Cristianesimo è, fino al III secolo, una religione di lingua greca. La latinizzazione completa
della liturgia è compiuta nel IV sec.. Nel III secolo, S. Girolamo traduce la Bibbia in latino
(Vulgata). Il Nuovo Testamento era stato scritto in greco. Per l’Antico Testamento, egli
disponeva della Bibbia dei Settanta, traduzione greca della Bibbia ad opera di dotti della
corte ellenistica del Tolomei (III sec. a.C.)
Metà del II sec.: si cominciano a tradurre i testi sacri dal greco in modo disorganizzato. Il
fiorire di traduzioni parziali, scorrette, sgrammaticate, improntate a due principi: fedeltà
linguistica (de verbo ad verbum), semplificazione del dettato (humillimus sermo) costituisce
il corpus della vetus Itala.
Di qui deriva il fatto che la maggior parte dei nomi riguardanti soprattutto le istituzioni
ecclesiastiche siano stati latinizzati dal greco, come dimostra ecclesia, che è un prestito
molto antico. Così come sono giunti alcuni ebraismi, quali sabbatum, pascha, satana. I latini
hanno adattato talmente bene queste parole, da costituire delle forme ibride, con suffissi
latini, come episcopatus, episcopalis, baptizator, pascalis.
Tuttavia mentre le realtà più concrete sono state espresse tramite termini presi in prestito,
sono state usate parole latine per esprimere le realtà meno corpose e più astratte della
chiesa. Così sono state impiegate antiche parole latine, che hanno avuto modificato il loro
significato, come il caso di credere, fides, gratia, salus, revelatio, ma sono state anche
coniate anche parole nuove, come il caso di salvare, salvator, santificatio, trinitas, incarnatio.
I pagani imputavano ai cristiani di aver alterato la purezza originaria della lingua, come
dimostra una lettera di Sant’Agostino che i grammatici non devono domandarsi se è latina
la parola salvator, ma i cristiani se è vera. Salus dice era una parola latina, salvare e salvator
non lo erano prima del redentore che così ha voluto.
Inoltre i latini potevano scegliere tra molte parole latine che avevano lo stesso significato.
Per esempio il latino aveva molte parole per esprimere l’azione di pregare ovvero orare,
obsecrare, petere, precari, rogare. Di questi fu scelto poi orare, perché nella lingua
corrente da tempo non veniva più utilizzato se non in un tono arcaico e solenne, per questo
si scelse di dargli una nuova vita.
Allo stesso modo la scelta di gentes per designare i pagani, all’inizio ci fu incertezza tra la
parola greca etnici e le parole latine nationes e gentes. E’ stato adottato poi gentes perché
nella lingua classica era stato circondato da un’aura dispregiativa, contrapponendo
popolus romanus e gentes, per designare i barbari, forestieri, perciò riprendendo lo stesso
disprezzo si scelse di trasformare la parola in non iniziati, pagani.
Refrigerare nel latino classico significa ‘’rinfrescare’. Refrigerium nel latino cristiano vale
invece ‘sollievo dalle pene nell’aldilà’.
Nel latino classico,confiteri vale ‘confessare,ammettere’(es.: confiteri delicta). Presso i
Cristiani, il medesimo verbo, usato senza oggetto diretto, assume il significato di
‘professare il cristianesimo’ e quindi ‘subire il martirio’.
Nel latino classico, pax è la pace politica (cfr. pax romana, pax augustea). Nel latino
cristiano, invece, pax indica la pace con Dio e all’interno della comunità (cfr. osculum
pacis). Un possibile passaggio: la pax constantiniana.
Nel latino classico parabola vale ‘paragone’. Nel latino medievale, invece, parabolare,
derivato da parabola, vale ‘parlare’, e con questo significato si è trasmesso alle lingue
romanze (cfr. it. parlare, fr, parler). Il mutamento semantico si è prodotto nel latino
cristiano. Da parabola si deriva parabolare, che soppianta totalmente il classico loquor.
Etimologia del termine "paganus"
Nel latino classico, paganus è un aggettivo denominale ricavato da pagus ‘villaggio’, che
vale ‘abitante del pagus’, ‘abitante del villaggio’, ‘campagnolo’. Paganus nel latino cristiano
indica invece il non cristiano, il non convertito.
– Due le ipotesi alternative avanzate per spiegare questa complessa rideterminazione
semantica:
1) Il paganesimo avrebbe resistito più a lungo nelle campagne e nei villaggi che non nelle
città. Possibile, ma in realtà non si hanno prove.
2) Nel sermo castrensis, varietà diastratica del latino classico appartenente al mondo
militare, paganus è opposto a miles. Significa ‘non soldato’ (cfr. ‘borghese’ nell’espressione
‘in borghese’). Giacché i cristiani sono i milites Christi , i non cristiani vengono assimilati ai
pagani , cioè coloro che non appartengono all’esercito di Cristo.
Importante è anche l’influenza della Bibbia per la lingua. Ci sono due esempi importanti:
1) nel latino volgare si vede una certa tendenza ad allargare l’impiego della preposizione
in, (deriva greco a sua volta ebraico). Ma questa tendenza era tanto debole che
Agostino si vide costretto a spiegarla sottolineando che in al posto di de apparteneva
alla lingua biblica.
2) inoltre nella traduzione dei Settanta spesso si scelse una sola parola greca per
rendere una certa parola ebraica che era contrassegnata dalla polisemia. Per
esempio si scelse di tradurre in un’unica parola greca il termine ebraico masal, che
vuole dire paragone, Proverbio, discorso, parola, anche se la parola greca significava
solo paragone. Nelle versioni latine della Bibbia si è mutuata la parola greca
parabola in tutti i significati ebraici, anche di parola e vocabolo.
Da questo periodo il latino servirà solo e verrà insegnato per comprendere le Sacre Scritture.
Solo nell’Umanesimo il latino verrà studiato di nuovo “di per sè”.
Descrivere brevemente il latino in Gallia fino a Carlo Magno. La Gallia merovingica
I Merovingi sono la prima dinastica dei Franchi in Gallia, al potere dal V al VII secolo. Con il
nome di latino merovingico, si suole indicare la lingua in cui ci è pervenuta la produzione
letteraria (e non) della Gallia nel 600 e 700.
Sinonimo per eccellenza di latino sgrammaticato, infestato di volgarismi, praticamente
incomprensibile. La dicitura ha un’accezione negativa, ed è passata ad intendere il latino
della massima degenerazione. Si parla di scorrettezza solo legata alla norma visto che il
latino merovingico era ampiamente funzionale nella quotidianità, ma non è più utilizzabile
per comunicazioni di alto livello.
Con le scuola ormai chiuse, metà 600, l’insegnamento delle lettere fu opportunità di poche
famiglie aristocratiche. Resistevano solo le scuole di monaci e chierici che però
perseguivano scopi diversi e limitati. Di conseguenza il latino antico si trasformò prestissimo
in antico francese e antico provenzale, tanto che verso il 700 la lingua parlata in Gallia aveva
cambiato in maniera tale la sua struttura da potersi denominare romanza e non più latina.
In un canto dell’800 a cui è stato aggiunto un ritornello intonato dal popolo, l’ortografia è in
parte latina ma la costruzione è romanza, al posto del latino corretto. Si pensa che lo scriba
abbia esitato a introdurre su pergamena una frase del volgare e che abbia tentato quindi di
latinizzare l’ortografia, lasciando la costruzione com’era.
I contemporanei non si rendevano conto dell’evoluzione linguistica, e soltanto all’inizio del
800 ci si rese conto nel nord della Gallia che la differenza fra parlato e scritto era diventata
così grande che la lingua scritta non era più compresa da coloro che non l’avevano studiata.
Così nel 813 nel concilio di Tours, si decise che tutti i vescovi dovevano tradurre i loro
sermoni in rustica romana lingua, oppure in tedesco, affinché tutti potessero comprendere
ciò che essi dicevano. E questa è la prima volta che si fa esplicitamente menzione
dell’esistenza di una nuova lingua, mentre più tardi, nell’842 in Giuramenti di Strasburgo
redatti in francese antico, apriranno l’area della nuova lingua.
Verso la fine del secolo con Gregorio di Tours si vede nella storia dei franchi il suo talento
di narratore ma esprime anche la decadenza grammaticale. Tuttavia il latino di Gregorio è
eccellente se paragonato a quello della cronaca di Fredegario o delle raccolte delle Formule
d’Angers, o di altri autori che vivevano nel 700. ci si rende conto che questi autori si
sforzavano di riprodurre un latino che ormai non conoscevano più.
l’influenza della lingua parlata in due modi: o gli autori immettono nelle loro opere usi
della lingua quotidiana, oppure fanno l’errore opposto cioè cercano di sviare i fenomeni della
lingua volgare. Un esempio è la confusione tra ae ed e, dopo parecchi secoli ormai il dittongo
si era semplificato, ed era entrato nell’uso comune delle grafie del tempo. Ma perfino nel
periodo più buio si era mantenuta l’idea anche se vaga dell’esistenza della combinazione
ae, nelle formule di Angers, che risalgono alla fine del 600, si trovano grafie come diae,
aemmitto, quaem, che costituiscono una reazione alla pronuncia di tutti i giorni e un tentativo
non riuscito di scrivere in un latino classico. Sempre nelle formule d’Angers si nota la
semplificazione delle consonanti doppie che è un fenomeno della lingua parlata.
verso il 700 il latino era diventato una lingua talmente caotica che non era più adatta come
mezzo di comunicazione per l’amministrazione o la vita religiosa. Una riforma era
necessaria e teoricamente si poteva scegliere se dare una sistemazione alla lingua parlata
e creare una nuova lingua letteraria oppure tornare al latino della tarda antichità. La prima
alternativa era in pratica impossibile, perché la creazione di una nuova lingua presupponeva
un livello elevato della cultura generale e una capacità di analizzare la situazione linguistica
che non si possedevano. Mentre il prestigio del latino della tarda antichità era ancora intatto
e il solo mezzo per sollevare il livello generale era riprendere lo studio del latino e della
grammatica e riorganizzare le scuole. Degli sforzi per riformare gli studi furono fatti già dalla
metà del 700.
Latino insulare.
In Irlanda e Gran Bretagna il latino era un elemento straniero, senza contatti con la lingua
materna degli abitanti locali, che parlavano celtico in Irlanda, celtico e sassone in Gran
Bretagna.
Né la Gran Bretagna né l’Irlanda avevano fatto parte dell’Impero. Una rapida e incompleta
romanizzazione aveva coinvolto l’Inghilterra sino al confine con la Scozia, ma era stata
troppo superficiale per lasciare una traccia nella lingua, tanto che non si svilupperà alcuna
lingua romanza. Mancavano inoltre il sistema scolastico, amministrativo e giuridico del
mondo latino.
La spinta fondamentale per la penetrazione del latino in Irlanda è data dalla conversione
al Cristianesimo nel V secolo ad opera di San Patrizio. Il latino deve essere appreso per
leggere i testi sacri e le opere dei Padri della Chiesa e non certo per la conoscenza della
cultura classica. Viene imparato come idioma straniero, per via libresca senza alcun contatto
con la lingua locale. Se ciò da un lato complica e rende più lungo l’apprendimento, dall’altro
garantisce una minore interferenza con la propria lingua: in altre parole, preserva più
corretto il latino appreso che non si corrompe.
La cifra del latino irlandese (stile isperico <hispericus ‘occidentale’), è la commistione dosata
di tre fattori:
– Generale correttezza sul piano grafofonetico morfosintattico (no corruzione del parlato)
– Emulazione sul piano stilistico dei modelli colti (padri della Chiesa)
– Innovazione sul piano lessicale.
Il latino utilizzato non era naturale visto il massiccio uso dei glossari che veniva fatto dagli
autori vista la scarsa conoscenza della lingua. La scelta delle parole a volte era bizzarra
difatti un autore europeo che conosceva già la lingua possedeva un vocabolario ricco di
parole e non aveva difficoltà a scegliere quella opportuna, mentre per un irlandese erano
tutte parole straniere, perciò era obbligato di volta in volta a cercare in un glossario la parola
adatta, e per questo a volte il significato sfuggiva. Cosa che succede anche per il greco e
l’ebraico. Il lessico può essere curioso, bizzarro, ed eccentrico ma la forma linguistica, dal
punto di vista dell’aspetto grafo-fonetico e morfosintattico, è di gran lunga più corretta di
quella dei testi coevi continentali.
La pronuncia irlandese del latino, per esempio, è estremamente conservativa perché non
aveva subito I mutamenti fonetici che insistevano sul continente. Inoltre, gli autori irlandesi
riescono a realizzare delle rime perfette (leggevano come scrivevano), laddove gli autori
continentali fanno rimare tra loro parole che rimano solo nei loro esiti romanzi, ma non nelle
loro basi latine.
Riforma carolingia
Nell’ultimo scorcio dell’VIII secolo si vive un periodo in cui la conoscenza grammaticale
insulare comincia a diffondersi nella Francia merovingica. Vista anche l’esigenza di un latino
più corretto per le comunicazioni.
Punto focale di questo nuovo inizio é il monastero di Saint-Denis, importante centro di studi
religiosi e letterari. Qui Carlo Martello manderà a studiare suo figlio Pipino. Un centro che
avrà anche un’importanza politica di rilievo visto che quando nel 725 Pipino depone
Chilperico II, l’ultimo re dei merovingi, la mediazione dell’abate di Saint-Denis sarà
fondamentale per convincere papa Stefano II a proclamarlo re dei Franchi. Alleanza che
durerà per secoli. Il Papa riceve la promessa di riorganizzare il clero in Francia ed
evangelizzare la vicina Germania.
La rinascita carolingia non è dunque nata all’improvviso nel vuoto. Quando Carlo Magno,
con l’aiuto di Alcuino e di intellettuali provenienti da tutta Europa decide di dare l’avvio alla
sua riforma scolastica può disporre, presso alcune scuole monastiche ed episcopali, di
personale fidato, di mezzi, di scriptoria. Così come é da partita non finirà alla morte di Carlo
Magno, anzi vedrà gli effetti migliori qualche secolo dopo.
Nella riforma Carlo punta alla Restaurazione ecclesiastica: la presenza di chiese e
monasteri e abbazie viene riorganizzata al fine di gestire direttamente una forza non
secondaria all’interno del proprio stato. L’intento era politico: gli ecclesiastici di corte
venivano elaborando la concezione di un impero coincidente con la comunità cristiana e
retto in piena unità di intenti da imperatore e papa. Avere buoni vescovi e buoni abati
significava avere istituzioni ecclesiastiche efficienti e leali, che assicurassero
l’inquadramento della popolazione e contribuissero a dare stabilità allo stato. Carlo stesso
sceglie vescovi colti per governare l’impero.
Anche se frutto della corretta del latino insulare, I testi della riforma non sono privi di
irregolarità. Fu destinato all’insuccesso anche il tentativo di ripristinare il dittongo ae. Nel
basso medioevo alcuni manoscritti erano detti codices dittongati perché l’impiego del
dittongo era ormai un criterio di vecchiaia.
Hiis e hii (in luogo di his e hi) sono forme che persistono, nonostante le
raccomandazioni di Alcuino per una grafia con una sola vocale.
Geminazione di consonanti semplici: annolus e anolus, litera e littera, cupa e cuppa
Grafie incerte dei grecismi: idioma ma anche ydioma , diabolus ma anche dyabolus .
Le variazioni del latino nell’impero non dipendono solo dal livello culturale dello scrittore
perché è possibile scoprire l’influenza derivante dai paesi di origine. Lo stile degli spagnoli
e dei franchi è diverso da quello degli italiani.
Il latino riformato diventa la lingua della vita culturale, religiosa e amministrativa dell’Europa.
Col tempo cresce consapevolezza che il sermo scholasticus (la lingua appresa nelle scuole)
e il sermo vulgaris (la lingua parlata) sono due lingue diverse.
Poesia Carolongia
La poesia carolingia è, nelle sue più alte manifestazioni, un ricercato lusus letterario, in cui
la variazione su pochi temi ricorrenti è la sostanza stessa dell’invenzione poetica. Esperti e
raffinati, i poeti carolingi sono di solito ecclesiastici, abati, monaci o chierici. Hanno spesso
rapporti con la corte carolingia e sono legati da relazioni personali e si indirizzano l’uno
all’altro i propri componimenti.
I poeti carolingi sono esperti metricisti: la capacità versificatoria viene loro dalla poesia sacra
(tropi e sequenze) che essi praticano al pari di quella laico-profana. La poesia sacra era
cantata, e destinata ad essere accompagnata dalla musica così come la poesia non
liturgica.
Di molte delle composizioni di epoca carolingia non riusciamo a ricostruire il contesto e i
destinatari. È certo però che essa prendesse spunto da temi concreti e da individui esistenti,
in un sottile gioco di allusioni e di rinvii a distanza. Anche questi richiami allusivi saranno
propri della poesia trobadorica provenzale.
Tra gli esponenti Valafrido Strabone e Gotescalco di Orbais
fenomeno sintattico presente in una frase tratta dall'Historia francorum (slide 09)
L’attivo, per esempio, può essere usato con valore passivo:
– locus ille a montibus concluserat (= lat. classico concludebatur) (Greg. di Tours, Hist. Franc. 4.31)
La storiografia mediaevale tra il V e il Vi secolo appare essere una fusione tra i modelli della
cultura classica e quelli dell'eredità ebraico-cristiana. Dai primi si prende lo stile, dai secondi
la storia cristiana.
Gregorio di Tours (538-594) scrive la sua Historia Francorum con chiari segni della
decadenza delle conoscenze grammaticali. L’istruzione di Gregorio è manchevole: non
conosce i classici, legge poco persino gli autori ecclesiastici e riceve scarsa preparazione
grammaticale.
Alle prese con un racconto intricato, Gregorio non riesce a organizzare i collegamenti in
modo sintatticamente coerente, ma solo approssimativo. Ma i limiti grammaticali non gli
impediscono di raggiungere una grande efficacia espressiva. Gregorio è, pur con i limiti della
sua forma ampiamente deficitaria, un narratore vivido e coinvolgente.
Talora è consapevole della decadenza della cultura nella Gallia merovingica: Talaltra invoca
il tradizionale topos del disprezzo della forma, di memoria agostiniana.
l’ Historia Francorum, in dieci libri, la cui composizione impegna Gregorio durante tutta la
sua attività pastorale di vescovo, è una storia universale, molto dettagliata in prossimità degli
anni in cui vive Gregorio. Si parte da Adamo alla morte di San Martino. La cornice universale
cede il posto ad una monumentale storia dei Franchi, che Gregorio conosce da vicino, e che
occupa dal IV al X libro.
Contenuto di questi libri: fatti storici, calamità, aneddoti, excursus dottrinali (antiariani,
antipagani, antigiudaici). Gregorio ha un netto orientamento politico a favore di Clodoveo e
Gontrano. In Clodoveo vede un nuovo Costantino, pronto a restaurare l’unità dei cristiani.
Non ne nasconde tuttavia i tratti efferati: lo giudica un buon capo politico, ma non ne tace la
propensione alla violenza e al sangue.
Versificazione Mediolatina;
I caratteri della versificazione mediolatina e della prosa ritmica sono caratterizzati dalla
tecnica del cursus, da nuovi generi letterari come tropi e sequenze e dalla metrica
accentuativa.
Il ritmo del cursus si percepisce in particolare in positio princeps finale, prima del segno di
interpunzione che segna una pausa. I documenti ufficiali della cancelleria lateranense, che
ricorrevano sistematicamente al cursus, diventano nel Medioevo modelli di stile epistolare.
Carlo Magno fa raccogliere gli esempi di cursus medievale lateranense nel Codex carolinus
nel 791.
• Cursus planus: accento sulla penultima e sulla quintultima – es.: frónte portámus
• Cursus velox: accento su penultima e settultima – es.: ecclésiam conveníte
• Cursus tardus: accento su terzultima e sestultima – es.: terréna exérceant
• Cursus trispondaicus (elaborato dai maestri francesi, più tardo) accento su penultima e
sestultima – es.: dóna sentiámus
Il senso del cursus è che più i due accenti finali della clausola sono lontani, più il ritmo è
rapido. C’è quindi una alternanza controllata e regolata di sillabe toniche e di sillabe atone.
Il cursus è comunissimo nel Medioevo, ma non obbligatorio. Beda, per esempio, non lo
adopera. È un fattore retorico di grande impatto e suggestione e, come tale viene presto
teorizzato nelle artes dictandi, tra XI e XII secolo. Sparirà con Bembo.
La metrica accentuativa.
Il latino medievale ignora la metrica quantitativa, perché ha perso cognizione della durata
delle vocali e delle sillabe. Si afferma quindi una nuova metrica, cioè un nuovo modo di
misurare i versi: la metrica ritmica (o accentuativa), che si basa sul numero e sulla posizione
degli accenti – intensivi- che cadono sulle parole.
Secondo Norberg suggerisce che il modo in cui oggi leggiamo la poesia metrica quantitativa
sia nato nelle scuole del basso impero e i maestri ponevano un accento intensivo laddove
in epoca classica si sarebbe pronunciata una vocale lunga.
La posizione dell’accento permette di imitare l’andamento del verso classico, ma secondo
un parametro del tutto differente. In Irlanda non esiste la quantità vocalica e si sono
semplicemente contate le sillabe accentate di un verso. Questa abitudine si è diffusa anche
sul continente.
• Rime bisillabiche e trisillabiche: artificio sempre più comune. Poesia carolingi e medievali
• Rima: identità di suono (omofonia) di due parole: es.: pusiole : filiole
• Assonanza: identità di tutte o alcune delle vocali di due parole, con esclusione delle
consonanti: es.: Oceani : madefacti
• Versi leonini: la parola prima della cesura rima con la parola finale del verso.
• Omoteleuto: identità di alcuni suoni, vocalici o consonantici, nella parte finale di due o più
parole: Es.: dignitas : voluntas
Le università
Con la nascita delle università, la cultura cessa di essere riservata quasi esclusivamente
agli ecclesiastici e comincia a diffondersi anche presso i laici.
Formate inizialmente da professori e studenti riuniti insieme in una associazione o
corporazione, le università medievali funzionano sulla base di quattro ordini di studio diversi
o facoltà: le Arti (lettere e scienze), la Teologia, il Diritto e la Medicina.
Le lezioni vengono tenute in lingua latina, anche se non ci sono notizie certe sulla lingua
utilizzata.
Nelle università, il latino subisce una rivoluzione cruciale nella sua storia: diventa la lingua
della logica e della dialettica, e si arricchisce dei tecnicismi della Scolastica. Il latino è la
lingua delle dispute accese, dei dibattiti intellettuali, delle disamine accademiche e
scientifiche.
La pedagogia umanistica
La civiltà comunale aveva visto sorgere accanto alle scuole vescovili la scuola laica.
L’istruzione cominciava a sei-sette anni. Ancora nella seconda metà del Trecento andare a
scuola significa imparare a leggere e a scrivere il latino. Gli studenti erano divisi in latinantes
e non latinantes. I primi imparavano a comporre in latino e cominciavano le letture dei testi.
I primi autori erano quelli tardo-antichi e medievali. La Bibbia era una lettura sempre
presente. Gli ultimi a cui si giungeva erano Virgilio, l’Ovidio delle Metamorfosi, Terenzio,
Lucano, Stazio epico, Seneca tragico.
Il movimento dell’umanesimo si sviluppa all’inizio al di fuori della scuola, e la critica. I fanciulli
non venivano posti immediatamente a contatto con gli auctores maiores, ma vi giungevano
dopo un lungo apprendistato sugli scrittori minori e sui medievali.
L’uso del volgare non è bandito dall’insegnamento del latino, soprattutto per glossare parole
che gli studenti ancora non conoscono. Uso persino all'università.
«L’aspirazione umanistica a un rinnovamento del latino in senso classicistico dovette a
lungo operare in una realtà in cui l’insegnamento scolastico restava per lo più ancora quello
tradizionale e continuava a servirsi di grammatiche e libri di lettura medievali, o, nella
migliore delle ipotesi, tardoantichi. È questo indubbiamente una delle cause principali
<degli> elementi di continuità col latino medievale» (S. Rizzo, ibidem , p. 401).
Il latino nella riflessione degli umanisti
Nel Medioevo, si era diffusa la dottrina del latino come lingua artificiale, nata per
convenzione e appresa ad arte da pochi. Una lingua inventata a tavolino che non era stata
mai la lingua materna di qualcuno. L’idea è fatta propria anche di Dante. Addirittura per
Dante la somiglianza tra latino e volgare, che è innegabile, sarebbe dovuta al fatto che gli
inventori del latino si sarebbero basati su alcuni elementi del volgare per costruire questa
loro lingua artificiale, perfetta e imperitura.
Contrapposta al latino c’è la locutio vulgaris, una lingua naturale che i bambini apprendono
spontaneamente dalle loro madri. Il volgare cioè sarebbe sempre esistito accanto al latino,
anche presso gli antichi. Anche il greco e l’ebraico lingue artificiali.
La dottrina medievale sul latino è condivisa anche da alcuni umanisti: Leonardo Bruni. Il
latino sarebbe stata la lingua dei soli dotti già nella Roma antica; il popolo avrebbe parlato
volgare. È impossibile infatti che i bambini parlassero latino: una lingua con sei casi, tempi,
modi, coniugazioni, consecutio temporum ...
Gli intellettuali umanisti cercano nei testi antichi testimonianze, seppure indirette, di questa
diglossia. Smentire l’idea medievale avrebbe significato calare il latino, come le altre lingue
storico-naturali, in una realtà mutevole: riconoscere cioè che il mutamento linguistico aveva
toccato anche il latino.
Secondo l’umanista Biondo Flavio (1392-1463) il volgare deriva dal latino; a Roma tutti
avrebbero parlato latino, pur con delle differenze diafasiche e diastratiche; sarebbero state
le invasioni barbariche a provocare la corruzione del latino, trasformatosi in idiomi volgari.
Varvaro
Omogeneità del latino e frammentazione della Romania:
La diversità delle lingue romanze è il risultato di un processo di frammentazione. Secondo
alcuni, la differenziazione regionale del latino è assai precoce e netta e già di epoca
imperiale. Tesi latino - lingue romanze a ritroso. Altri constatano però che il latino è a lungo
una lingua unitaria, le cui differenze dialettali locali non impedivano una coscienza di
comunità linguistica. Tesi latino – lingue romanze.
Varietà diastratiche, diafasiche e diatopiche non minavano l’unità complessiva. Inoltre, tali
differenze del latino tardo non sembrano avere alcun rapporto di causa-effetto con la futura
frammentazione romanza.
Nello specifico Varvano indaga la tensione fra unità e frammentazione regionale prendendo
in esame uno dei fenomeni più significativi della linguistica romanza che è quello della
sonorizzazione (o lenizione) delle consonanti sorde intervocaliche. Gli esempi sono
relativamente poco numerosi ma emergono un po’ in tutta la futura Romania, ma senza che
sia possibile stabilirne le cause, né la distribuzione diatopica. Le varianti sonorizzate
appaiono represse almeno fin tanto che esiste una norma: sono cioè diafasicamente e
diastraticamente basse.
Il fenomeno mostra uno sviluppo non lineare: non c’è una direttrice unica e netta che
conduce dal latino alle varietà romanze, interessate in modo difforme dal fenomeno della
sonorizzazione. La norma del latino ha tenuto a bada una effervescenza sopita che forse
già esisteva, ma che non metteva rischio l’unità del sistema. Rimanevano ampi margini di
variazione, tollerati dalla norma, anche se colpiti da interdizione sociale, cioè ritenuti
diastraticamente bassi, popolari, colloquiali, rozzi. La crisi della fine della norma ha portato
al proliferare libero di tali varietà. Tali spinte eccentriche non sono durate però per sempre.
Presto si sono ricreate nuove norme locali, nuovi centri aggregatori, nuove tendenze
all’unificazione, cioè nuove comunità linguistiche.
Il latino adstrato culturale nei confronti delle lingue romanze. Prelievi vengono chiamati
cultismi, latinismi o parole dotte.
Produzione agiografica
Gregorio Magno (540-604) nasce in una nobile famiglia romana caratterizzata da larghezza di mezzi
economici e solide radici culturali. Si ritira in giovane età sul Celio in vita monastica. Nel 590, alla
morte di Pelagio II, viene eletto papa, e sceglie per la prima volta il nome Gregorio. Il suo pontificato
è segnato da intensità e dedizione nella pastorale: oltre allo studio e al commento delle Sacre
Scritture, pianifica l’evangelizzazione della Britannia, dove invia il monaco Agostino di Canterbury.
Nel 579, mentre è alla corte dell’imperatore di Costantinopoli, scrive i Moralia in Iob. Un commento
al libro di giobbe in 35 libri, rappresentano una sorta di enciclopedia della vita cristiana. E' autore di
una Regula pastoralis: trattato sul comportamento di vescovi e sacerdoti.
La sua opera più nota sono i Dialogi, letta durante tutto il Medioevo. Capostipite del genere
agiografico, è un esempio di letteratura visionaria. L’opera è divisa in 4 libri: il primo (dodici santi) e
il terzo trattano (14) di santi italiani contemporanei dell’autore; il secondo è consacrato a Benedetto
da Norcia; il quarto esamina il destino ultimo delle anime nell'al di là.
Nel sistema di valori che innerva i Dialogi si ammette in più punti un contatto diretto tra mondo
terreno e mondo ultraterreno attraverso la presenza di santi e creature malefiche, che vivono sulla
terra ma comunicano con l’aldilà .
Si designa con questo termine l'insieme dei testi composti in onore dei santi e per celebrarne
la memoria.
Parallelamente allo sviluppo dei martirologi, durante l'Alto Medioevo si registrò il progressivo
dilatarsi dello spazio riservato alla commemorazione dei santi nell'ambito della celebrazione
liturgica. Ben presto si diffuse presso i chierici l'uso di leggere durante l'ufficio un sunto della
vita del servo di Dio di cui si celebrava l'anniversario. La priorità dell'intento edificatorio fece
sì che queste 'passioni' si trasformassero in una sorta di epopea cristiana in cui tutti i
personaggi evocati finirono per somigliarsi e in cui il contesto storico concreto della loro vita
e della loro morte si dissolse in una specie di durata atemporale, anticipazione in terra
dell'eternità promessa ai servi di Dio. Così il comportamento dei santi si ridusse a una serie
di gesti stereotipati e di atteggiamenti convenzionali, miranti a giustificare un dato culto agli
occhi della Chiesa universale e conformando di conseguenza chi ne era oggetto ai modelli
di maggior prestigio. In questo quadro fiorì la maggior parte dei luoghi comuni che dovevano
caratterizzare la letteratura agiografica per tutto il Medioevo e anche oltre, facendo di essa
una sorta di linguaggio codificato.
Produzione religiosa.
Conservato in copia unica, in un manoscritto realizzato a Montecassino nell’XI secolo ma contenente
un testo di secoli prima, purtroppo mutilo (manca dell’inizio e della fine), la Peregrinatio Egeriae è il
resoconto del pellegrinaggio in terra santa della monaca Egeria (o Eteria), dell’inizio del V secolo.
Scritto in prima persona da una donna di una certa cultura, proveniente dal sud della Francia, o,
forse, dal nord-ovest della Spagna, il diario di viaggio mostra una lingua improntata ad una certa
ricerca stilistica, pur essendo disseminata qua e là di elementi popolari e volgarismi.
Il pellegrinaggio di Egeria si svolse molto probabilmente tra il 381 – 384. La parte del testo
conservata descrive la fine della sua permanenza a Gerusalemme, dove si era trattenuta per tre
anni. Il testo venne redatto probabilmente alla fine del pellegrinaggio. Il testo rappresenta una
testimonianza dell'evoluzione del latino. E' uno dei pochissimi scritti di una donna e, anche se
ambisce a pretese letterarie, sono palesi influenze del parlato. Sia nel lessico che nella sintassi.
Lontana dal latino classico. Sia la Peregrinatio che i Sermones di Cesario di Arles sono esempi della
lingua scritta nell’Alto Medioevo, in un’epoca in cui il latino poteva ancora essere usato,
probabilmente, come idioma parlato. Entrambi rivelano una complessiva padronanza delle strutture
linguistiche principali del latino (aspetto grafo-fonetico, morfologico, sintattico), ma anche numerosi
volgarismi e tratti non classici.