Spiragli Di Gesu Biffi Giona PDF
Spiragli Di Gesu Biffi Giona PDF
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Giacomo Biffi
S P I R AG L I SU GESÙ
PREFAZIONE 9
SGUARDI SU GESÙ
2. GESÙ: IL SALVATORE 28
PREMESSA 28
A) LA GENTE CHE COSA DICE DELLA SALVEZZA? 30
a) Illuminismo “conservatoristico” 31
b) Illuminismo radicalistico 32
2) Illuminismo marxistico 33
Osservazioni 35
B) VOI, APOSTOLI DI CRISTO,
CHE COSA DITE DELLA SALVEZZA? 35
Gli atti salvifici 37
La ragione salvifica 38
La nostra originaria connessione con Cristo 41
CONCLUSIONE 43
5
3. GESÙ CRISTO: IL CAPO 45
PREMESSA 45
A) CRISTO CAPO DELLA CHIESA E DELL’UNIVERSO 48
Cristo capo della Chiesa 48
Cristo capo dell’universo creato 50
B) CONSEGUENZE 54
Ogni uomo è “icona di Cristo” 54
Ogni valore terrestre è riverbero
della ricchezza di Cristo 55
L’esemplarità totale di Cristo 56
Due aspetti, un solo ordine di cose 57
Da Cristo la vera conoscenza dell’uomo 59
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE 60
1. QUESTIONI PRELIMINARI 65
2. ANALISI DEL CONTENUTO DOTTRINALE 71
A) I “CORI” 71
1- I Marinai 71
2- I Niniviti 72
B) I “PROTAGONISTI” 74
1- Giona 74
2- Dio 76
CONCLUSIONE 79
6
L’ULTIMA SETTIMANA DI GESÙ
ANNOTAZIONI CRONOLOGICHE E TEOLOGICHE
1. ANNOTAZIONI CRONOLOGICHE 83
1. PREMESSE 83
2. LA CENA DI BETANIA 85
3. L’INGRESSO IN GERUSALEMME 86
4. LUNEDÌ E MARTEDÌ 88
5. LA CENA PASQUALE 89
I dati del problema 89
La soluzione di Annie Jaubert 92
Difficoltà e conferme 96
Conclusione 98
6. IL PROCESSO DI GESÙ 99
Il processo giudaico 100
Il processo romano 100
Conclusione 103
7. IL PERSONAGGIO DI PILATO 103
7
PREFAZIONE
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avuto la fortuna di essere stato invitato dalla direttri-
ce dell’Istituto, la prof.ssa Nicolina Iorio. Rimasi in-
cantato dall’eloquio del Cardinale e affascinato dal
modo di presentare il tema e dall’ironia pungente e
quasi scanzonata. Il testo di questa conferenza, stam-
pato con grande decoro, circolava come piccolo opu-
scolo tra gli iscritti all’Istituto Carlo Tincani.
Il terzo, L’ultima settimana di Gesù, proviene da un
dattiloscritto redatto dallo stesso Cardinale: Dina
Patano, sua fedele collaboratrice, mi ha riferito che
Biffi stesso ha battuto a macchina il testo e per molti
anni se n’è servito per tenere delle conferenze alme-
no fino al 23 aprile 2012. La prof.ssa Marina Orlandi
ha avuto la fortuna di ascoltarle e ha conservato con
cura il dattiloscritto; nella quaresima del 2017 me ne
ha fatto dono; di questo – proprio perché inatteso e
prezioso – le sono particolarmente grato.
Esprimo un ultimo e caloroso ringraziamento a
mons. Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna
e, quindi, successore del card. Biffi, per l’amabile
simpatia con la quale mi ha autorizzato a pubblicare
questi testi. Così il magistero del card. Biffi conti-
nuerà a divertirci e illuminarci.
Giorgio Maria Carbone O. P.
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LETTURA CRISTIANA
DEL LIBRO DI GIONA
– Tuttavia bisogna riconoscere che, con tutti i suoi
limiti e tutti i suoi difetti, egli partecipa, sia pure
involontariamente, all’azione divina di salvezza ed è
obiettivamente strumento della illuminazione e del
ravvedimento dei lontani. Perciò la sua ribellione è
narrata senza accenti di sdegno e non determina nes-
suna alterazione nella serenità del racconto.
2 - Dio
Questa operetta si propone soprattutto di farci cono-
scere la natura e, per così dire, il “carattere” del Dio
che si è rivelato.
– In primo luogo se ne sottolinea l’universale dominio.
Non è possibile sfuggire a lui e alla sua azione po-
tente, né in occidente (Tarsis) né in oriente (Ninive).
Questa caratteristica del Dio d’Israele era già stata
messa in luce da tutti i grandi profeti; anzi, già le
stesse antichissime tradizioni patriarcali manifesta-
vano questa persuasione.
Piuttosto la novità sta nel modo con cui, secondo il
Libro di Giona, è esercitata questa totale signoria. Non
più tra le folgori, come nella rivelazione sinaitica, ma
con mano più lieve. A ben guardare, però, non con
mano meno inflessibile Dio qui appare l’Assoluto e
l’Incondizionato, che, nonostante l’opposizione
umana, non si scosta mai dai suoi iniziali progetti,
anche se li attua con una certa sorridente bonarietà.
– Anche la sua religione è universale. Egli si lascia
pregare da tutti, marinai e niniviti, e pregare effica-
cemente. È una verità che in Israele ha sempre fati-
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cato a farsi accogliere: ancora nella prima comunità
cristiana il problema della religione dei non ebrei ha
dato luogo a controversie di grande asprezza.
– È un Dio che minaccia, come ha sempre fatto; ma
ci tiene a chiarire che queste minacce sono sempre
condizionate, e rientrano immediatamente di fronte
al pentimento. Questo insegnamento sembra anzi
essere una delle finalità principali del libro.
– È un Dio “salvatore”, che ha come fondamentale
caratteristica del suo “temperamento” la misericordia.
Tutti sanno che il Signore è un Dio tenero, che si lascia
impietosire, dice Giona con malumore (cf. Gn 4,2).
E difatti è interessante notare che in questo racconto
nessuno riceve danno: anche la violenta tempesta in
definitiva non fa del male a nessuno. Qui ci si preoc-
cupa di salvare tutti: non solo i marinai e i niniviti, ma
anche l’antipatico profeta. Giona prima è salvato dal-
l’annegamento (primo episodio) e poi si tenta di sal-
varlo dalla sua interiore grettezza (secondo episodio).
Possiamo dire che davvero il Dio di Giona è già il
Dio della speranza cristiana, che non si accontenta
di un’altissima percentuale di salvati ma vuole sal-
vare tutti (cf. Lc 15,4-7; 1 Tm 2,4). Con questa rivela-
zione della sua volontà, egli impedisce la dispera-
zione anche al peggiore dei peccatori. Il che è per
tutti noi una notizia consolante.
– È un Dio che si serve volentieri degli animali, coi
quali appare in grande amicizia: comanda al pesce,
dispone del verme, accetta la penitenza delle bestie
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di Ninive, sembrerebbe anzi che ciò che lo muove
definitivamente a compassione è la presenza nella
città delle creature ignare e innocenti: Io non dovrei
aver pietà di Ninive, quella grande città, nella quale sono
più di centoventimila persone che non sanno distinguere
fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di
animali? (Gn 4,11). Come si vede, la preoccupazione
per i bambini e gli animali costituisce addirittura il
pensiero su cui si chiude il libro.
– Infine, è un Dio umorista: e questo mi pare l’appor-
to più originale e più alto di questo testo alla storia
della rivelazione.
Due mi sembrano gli atteggiamenti spirituali fonda-
mentali che entrano a comporre, come in una lega,
l’autentico senso dell’umorismo: in primo luogo il
distacco dalle situazioni concrete, dalle quali non ci si
lascia impigliare né tanto meno travolgere; in secon-
do luogo la “simpatia” per la quale si partecipa vera-
mente col cuore alla vicenda umana, che pur si domi-
na e si sovrasta. In virtù del secondo atteggiamento,
l’umorismo - a differenza del senso del comico - si
accompagna alla pietà e al senso tragico della vita. In
virtù del primo, è sempre rasserenante.
Orbene, nel Libro di Giona Dio si dimostra al tempo
stesso assolutamente svincolato dal peso e dalla forza
degli accadimenti, quali che essi siano, che contempla
e dirige da sovrano, e pervaso da una intrinseca cor-
dialità verso tutti, uomini, animali, cose.
A ben riflettere, questa fusione di infinita eccedenza
sul mondo e di perfetta partecipazione alla storia, è
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ciò che rende davvero unico il Dio d’Israele, anzi il
“Santo d’Israele”, come ama dire Isaia con antinomia
felice e significante; il Dio che è insieme il trascenden-
te e l’Emmanuele, lontanissimo e presentissimo, come
si esprime Agostino: in una parola, il Dio cristiano.
E poiché la nostra vocazione su questa terra è quella
di assomigliare al nostro Dio, per quel che ci è con-
sentito, arriviamo alla conclusione che il senso dell’u-
morismo - se è rettamente e compiutamente inteso
come la risultante del distacco dalle cose e della carità
- è il fondamento e il vertice di una seria vita religiosa.
CONCLUSIONE
Secondo la parola di Gesù, il “segno di Giona” nelle
sue diverse componenti tipiche, dall’annuncio della
volontà salvifica universale, alla predicazione della
conversione, al presagio della vittoria sul regno della
morte, compendia tutte le ragioni di speranza che
sono date agli uomini (cf. Mt 12,38-42; Lc 11,29-32).
La liturgia milanese, dai tempi di sant’Ambrogio e
forse anche da prima («lectus est de more liber
Ionae»), proprio dalla lettura integrale di questo
libro comincia, la sera del Giovedì Santo, la grande
rievocazione della liberazione pasquale.
Giona è, dunque, un nome che ormai per noi significa
“salvezza”.
Cercheremo allora di ricordare con un po’ di affetto
questo bizzoso personaggio, che non aveva voglia di
fare il profeta e che suo malgrado è diventato porta-
tore di un messaggio così alto e così consolante.
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L’ULTIMA SETTIMANA DI GESÙ
ANNOTAZIONI
CRONOLOGICHE E TEOLOGICHE
1. ANNOTAZIONI CRONOLOGICHE
1. PREMESSE
1. Ci proponiamo di appurare, per quel che ci sarà
dato, in quale ordine e con quale datazione si siano
svolti i fatti dell’ultima settimana della vita terrestre
di Gesù di Nazaret.
L’interesse eccezionale dell’argomento ci proviene
dalla nostra qualità di credenti; noi sappiamo che
nessuna settimana della storia del mondo è stata
importante e decisiva come questa. In quei giorni si
è trattato della nostra salvezza.
Tuttavia il nostro metodo sarà rigorosamente stori-
co, cioè basato sull’esame critico dei documenti,
condotto nel contesto di tutto ciò che di sicuro cono-
sciamo di quel periodo della storia di Israele.
2. I documenti in nostro possesso sono le quattro
narrazioni evangeliche. Confrontate, inducono a
queste considerazioni:
– si sviluppano in modo molto più conforme tra loro
che nel resto della loro stesura, tanto che - a differenza
delle altre parti - permettono spesso una “sinossi” di
tutte e quattro;
– ogni narrazione possiede però particolari suoi;
questo è chiaro non solo per Giovanni, ma anche per
i “sinottici”: uno di essi - qui più che altrove - ha il
suo modo di narrare e non si preoccupa di armoniz-
zarsi con gli altri.
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Queste due osservazioni consentono di supporre:
– l’esistenza di un canovaccio antichissimo nella
comunità cristiana circa il modo di raccontare la
passione di Gesù, tanto da preesistere alle varie
“catechesi” differenziate;
– l’esistenza di un patrimonio sparso di notizie, cia-
scuna delle quali è stata gelosamente custodita e tra-
mandata nell’uno o nell’altro ambiente della primi-
tiva cristianità.
3. Per un corretto uso di queste quattro fonti occorre
ricordare:
– La loro evidente preoccupazione di raccontare nel
modo più obbiettivo possibile e senza abbellimenti emo-
tivi un insieme di fatti realmente accaduti e giudicati di
grande rilevanza, tanto da occupare una parte note-
vole dei singoli libri.
Prendendo come punto di partenza l’ingresso in Ge-
rusalemme, a questa sola settimana sono assegnati i
seguenti capitoli: Mt 8-28; Mc 7-16; Lc 5-24; Gv 9-20.
– La finalità catechetica della narrazione, per la quale
non è tanto il rigore cronologico che conta, quanto il
fissare i detti e i fatti che si ritengono memorabili; tutta-
via è notevole la preoccupazione di Giovanni per qual-
che aspetto della datazione, ritenuto di rilievo ai fini
teologici; il senso dell’ordine nella narrazione di Luca;
qualche preziosa indicazione cronologica di Marco.
– L’esistenza di un processo redazionale, per il quale tal-
volta un evangelista riunisce in un solo episodio
avvenimenti affini che si sono svolti distintamente.
84
(Mc 13,3; Mt 25,3). Questa parte è quella che porta il
nome di “discorso escatologico”, sulla distruzione
di Gerusalemme e sulla fine del mondo.
5. LA CENA PASQUALE
A questo punto non si può proseguire nella cronologia
della settimana, se non si risolve prima il problema:
quando Gesù ha consumato l’ultima cena coi suoi
apostoli?
Qualcuno potrà meravigliarsi di questo interrogati-
vo, tanto è comune e certa la convinzione che l’ulti-
ma cena sia avvenuta il giovedì sera, il giorno prima
della morte del Signore.
In realtà, un problema c’è - e c’è sempre stato - e noi
cercheremo di esporlo il più chiaramente possibile.
89
azimi, in cui si immolava l’agnello pasquale (Mc 14,12;
Mt 26,17; Lc 22,7). E con grande insistenza si sottoli-
nea che non è una cena comune, ma è il banchetto
celebrativo della Pasqua: Dov’è l’alloggio per me dove io
possa mangiare la Pasqua coi miei discepoli? (Mc 14,14;
Lc 22,11). Voglio fare Pasqua in casa tua con i miei discepoli
(Mt 26,18). E i discepoli allestirono la cena pasquale
(Mc 14,16; Mt 26,19; Lc 22,13). Luca ci conserva
anche questo commovente loghion di Gesù: Ardente-
mente ho desiderato mangiare questa Pasqua con voi
prima di patire (Lc 22,15).
Confrontando queste annotazioni con le notizie gene-
rali sulla Pasqua ebraica sopra ricordate, sembrereb-
be logico dedurre che l’ultima cena sia iniziata la sera
del 14 Nisan (6 aprile 30) e Gesù sia morto il 15 Nisan
(7 aprile) giorno di Pasqua, che quell’anno cadeva in
venerdì.
c) Ma questa cronologia presenta già negli stessi sinot-
tici delle difficoltà. Il giorno di Pasqua (15 Nisan) era
giornata festiva, come e più del sabato, e l’assoluta
astensione dal lavoro era di rigore. Invece la stessa
narrazione sinottica suppone che il giorno della mor-
te di Gesù sia stato un giorno comune, in cui fosse
possibile l’attività giudiziaria, si potesse accendere il
fuoco (Lc 22,55), si lavorasse nei campi, come Simone
di Cirene padre di Alessandro e di Rufo (Mc 15,21), fos-
sero aperti i negozi, tanto che Giuseppe di Arimatea
può andare a comprare un lenzuolo (Mc 15,46).
d) Giovanni poi col suo racconto pare volerci dare
proprio una spiegazione di questo quesito e lo fa in
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modo sorprendente. Quel venerdì - dice in sostanza
il quarto vangelo - si potevano fare tutte quelle cose
perché non era il 15 Nisan, ma il 14, cioè la vigilia
della Pasqua (15 Nisan); quell’anno la Pasqua capi-
tava non in venerdì - come sembrano dire i sinottici
- ma in sabato.
Difatti nota che i Giudei non vogliono entrare nel pre-
torio per non contaminarsi, per poter mangiare la Pasqua
(Gv 18,28), che quindi non hanno ancora mangiato.
Più avanti afferma esplicitamente che quel venerdì
era la Parasceve (preparazione) della Pasqua (Gv 19,14),
cioè il 14 Nisan, il giorno prima di Pasqua. Poi insiste
a dire che i corpi dei crocifissi non potevano restare
appesi dopo il tramonto perché era la Parasceve ed era
grande il giorno di quel sabato (Gv 19,31), cioè non era
semplicemente un sabato, ma un sabato in cui capita-
va la Pasqua. E infine sottolinea che Gesù fu sepolto
subito vicino al luogo dell’esecuzione, per non viola-
re la Pasqua che cominciava dopo il tramonto del
giorno della Parasceve: Là dunque a causa della Parasceve
dei Giudei, poiché il sepolcro era vicino, posero Gesù
(Gv 19,42).
Così si risolve certo la strana contraddizione dei
sinottici (giorno di festa in cui tutti lavorano), ma si
suscita una difficoltà ancora più grande: se la cena
pasquale doveva essere mangiata quel venerdì sera,
come mai Gesù l’ha mangiata al giovedì?
Giovanni riesce a liberare la sua narrazione dalla ne-
cessità di rispondere a questa imbarazzante doman-
da, evitando accuratamente di dare a quel banchetto
91
una connotazione pasquale. Egli si limita a dire che è
avvenuto prima della festa di Pasqua (Gv 13,1). Se aves-
simo solo il quarto vangelo, non avremmo problemi;
ma abbiamo anche i sinottici, e i sinottici sono troppo
espliciti e ricchi di particolari circa il carattere pa-
squale della cena - oltre a quelli ricordati sopra, anche
le diverse “coppe” di Luca e l’hallel, cioè l’inno, di
Marco - perché si possano disattendere.
e) Allora una conclusione si impone con evidenza, e
potremo forse già sospettarla in base ai soli sinottici:
Gesù e gli apostoli hanno celebrato la Pasqua,
seguendo un calendario diverso da quello ufficiale
del Tempio, proprio dei sacerdoti e dei sadducei.
Solitamente si ricerca la spiegazione di questa diver-
sità di calendario in un possibile modo diverso di
computare i giorni del mese. Si ritiene cioè di poter
supporre che quello che per i sacerdoti e i sadducei
era il 14 Nisan, per i farisei e una parte del popolo
era il 15; e quello che ufficialmente era il 13 Nisan,
per i Farisei e una parte del popolo era il 14, e già si
doveva mangiare la Pasqua. Perciò Gesù consuma
l’ultima cena il giovedì sera, che era il 14 Nisan per
gli uni, ma solo il 13 Nisan per gli altri. E così si
spiega come mai per lui la cena del giovedì sera
potesse essere una cena pasquale, mentre per i suoi
accusatori la cena pasquale era la sera successiva.
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La date de la cène. A seconda che si accetti o si rifiuti la
tesi proposta in questo studio, tutta la cronologia del-
la settimana santa subisce un cambiamento radicale.
Cerchiamo di esporre succintamente le argomenta-
zioni della Jaubert.
La sua dimostrazione è un caso tipico di “conver-
genza degli indizi”, dove si arriva alla persuasione
non per la forza probante di un solo elemento, ma
per la cospirazione di vari elementi verso la stessa
soluzione.
1. È dimostrabile l’esistenza di un calendario arcaico
che - a differenza di quello ufficiale, che lega le feste
religiose ai giorni del mese - è fondato sulla settimana.
Secondo questo calendario - che ci è noto soprattut-
to attraverso il Libro dei Giubilei (pervenutoci nella
traduzione etiopica, e frammentariamente nella tra-
duzione latina, mentre brani dell’originale ebraico
sono stati ritrovati a Qumran) - i giorni nei quali
ricorrono le commemorazioni liturgiche sono sem-
pre il mercoledì, il venerdì e la domenica. La Pasqua,
per esempio, è sempre celebrata il mercoledì.
2. Questo calendario - che è stato soppiantato da
quello “ufficiale” circa due secoli prima di Cristo - è
rimasto vivo, soltanto in funzione liturgica, in alcuni
ambienti fervorosi del giudaismo post-esilico (come
le comunità di Qumran).
La divergenza più vistosa dei due calendari - come
già si è detto - è data dal fatto che l’uno fa attenzione
ai giorni del mese, l’altro ai giorni della settimana.
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3. Nella comunità cristiana dei primi secoli abbiamo
due fatti certi:
– i giorni liturgicamente significativi sono il merco-
ledì e il venerdì (per la penitenza), la domenica (per
la gioia) (anche nella liturgia odierna c’è traccia di
questa sistemazione);
– esiste una celebre controversia sulla data della
Pasqua: le Chiese di Palestina, di Egitto e dell’Occi-
dente celebravano la Pasqua sempre di domenica,
mentre le Chiese dell’Asia Minore la celebravano il
14 Nisan e perciò erano dette “quartodecimane”
(tradizione giovannea).
Sotto papa Vittore, si rischiò la spaccatura della
Chiesa su questo problema (anno 195). Fu Ireneo a
suggerire al papa la pazienza e la moderazione.
Il costume “romano” finì, poi, per prevalere: i
“quartodecimani” furono definitivamente disappro-
vati dal concilio di Nicea (anno 325).
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– la Didascalia degli Apostoli (un testo che, arrivato a
noi nella traduzione siriaca e a frammenti nella tra-
duzione latina, è dell’inizio del terzo secolo, ma uti-
lizza elementi molto più antichi) ci dà questa stupefa-
cente cronologia della settimana santa: cena pasquale
al martedì sera (“all’undecimo giorno della luna”,
cioè all’11 di Nisan); tradimento di Giuda al merco-
ledì notte; processo giudaico al mercoledì; processo
romano lungo la giornata del giovedì fino al venerdì
mattina; crocifissione venerdì alle ore 9.
– Sant’Epifanio, che è un palestinese del IV secolo,
conosce questa tradizione e la condivide: «Il merco-
ledì e il venerdì si passano nel digiuno fino all’ora di
nona, perché quando il mercoledì cominciava, il
Signore è stato arrestato, e il venerdì è stato crocifis-
so» (De fide, 22).
5. Tutte le tradizioni liturgiche datano l’istituzione
dell’Eucaristia:
Nella notte in cui fu tradito (1 Cor 11,23)
oppure
La vigilia della sua passione (canone romano)
oppure
Prima di offrirsi liberamente alla sua passione (Ippolito
e tradizione orientale).
È notevole che in nessuna liturgia antica ci sia la for-
mula: “la vigilia della sua morte”.
6. In conclusione, questa è la sconcertante ipotesi
proposta dalla Jaubert nel suo libro: Gesù, seguendo
l’antico calendario settimanale, ha mangiato la cena
95
pasquale il martedì sera (11 Nisan, 4 aprile), fu arre-
stato il mercoledì all’alba, fu crocefisso il venerdì (14
Nisan, 7 aprile, vigilia di Pasqua per il giudaismo
ufficiale).
Difficoltà e conferme
Ma questa ipotesi della cena al martedì sera non con-
trasta con tutte e quattro le narrazioni evangeliche?
Senza dubbio, così come noi ora le leggiamo, le
quattro narrazioni danno l’impressione che tutti i
fatti dall’arresto di Gesù alla sua morte si siano svol-
ti nell’ambito della sola giornata del venerdì.
Questo però non basta a darci la certezza di questa
cronologia. Dobbiamo ricordare che alla catechesi
che soggiace ai vangeli interessavano più gli avveni-
menti che la loro collocazione, e anche Giovanni
interviene a precisare i tempi solo in funzione di un
suo messaggio teologico da presentare.
Possiamo anzi citare qualche esempio di “redazio-
ne” che dà l’impressione di abbreviare i tempi che
in realtà sono stati molto più distesi:
– la vita pubblica di Gesù come è esposta dai sinotti-
ci parrebbe essere durata un solo anno e aver com-
preso una sola celebrazione pasquale; da Giovanni
sappiamo, invece, che le Pasque celebrate durante il
ministero di Cristo furono tre;
– stando al vangelo di Luca, si ha l’impressione che
l’ascensione di Gesù al cielo sia avvenuta il giorno stes-
so della risurrezione; ma lo stesso Luca ci informa poi
negli Atti che c’è stato un intervallo di quaranta giorni.
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Favorevoli all’ipotesi della Jaubert possiamo ritene-
re, invece, le indicazioni cronologiche di Marco, che
segnalano con tanta precisione l’andirivieni di Gesù
tra Gerusalemme e Betania fino al martedì mattina e
poi tacciono: potrebbero essere un residuo di un’an-
tica narrazione consapevole che l’arresto è avvenuto
nella notte tra il martedì e il mercoledì.
Anche il cenno già ricordato di Matteo e Marco, che
daterebbero la cena di Betania “due giorni prima di
Pasqua”, potrebbe essere una spia di un’antica tra-
dizione circa il banchetto celebrato il martedì sera.
In ogni caso, i vangeli non avevano alcun interesse a di-
stinguere i diversi momenti, tanto più che fino al IV se-
colo l’annuale commemorazione liturgica della reden-
zione avveniva simultaneamente in un unico giorno.
Piuttosto la stessa narrazione evangelica, nei suoi
quattro testimoni, rende difficile pensare che così nu-
merosi e impegnativi avvenimenti (tra cui la convoca-
zione regolare di un’assemblea, come quella del Sine-
drio, e un processo secondo le formule procedurali ro-
mane) ci stiano nel breve arco di poche ore, soprattut-
to se si ritiene buona l’indicazione di Marco: Erano le
nove quando lo crocifissero (Mc 15,25).
Anche l’incubo notturno della moglie di Pilato (ricor-
dato da Mt 27,19) si spiega meglio se si tratta di un
prigioniero che già da qualche giorno è oggetto di
attenzione e forse anche di discorsi familiari in casa
del procuratore.
Secondo l’ipotesi della Jaubert i fatti si sarebbero
dunque svolti così:
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- martedì sera: banchetto pasquale
- prime ore del mercoledì: arresto e primo giudizio
in casa di Anna
- mercoledì in giornata: riunione del Sinedrio, escus-
sione dei testimoni, condanna, oltraggi
- giovedì: accusa presso il tribunale di Pilato, istruzio-
ne del processo romano, invio di Gesù a Erode,
ritorno al pretorio
- venerdì: raduno della folla davanti al pretorio, libe-
razione di Barabba, sentenza di morte, flagellazio-
ne, crocifissione (tra le 9 e le 12), morte (alle 15).
Conclusione
È difficile pronunciarsi in modo veramente risolutorio.
Contro la tesi della Jaubert sta la stranezza che un
elemento così vistoso della cronologia della passio-
ne di Gesù sia andato smarrito nella consapevolezza
della cristianità primitiva.
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A favore stanno soprattutto questi fatti accertati:
- l’esistenza di un duplice calendario;
- il fatto che certamente Gesù ha dovuto seguire un
computo della Pasqua diverso da quello ufficiale;
- il grande numero di avvenimenti che nell’ipotesi
contraria dovrebbero essere sistemati tra la mez-
zanotte e le nove del mattino.
6. IL PROCESSO DI GESÙ
Chi furono i veri responsabili della morte di Cristo?
La narrazione dei vangeli attribuisce alle autorità
giudaiche la principale responsabilità e sottolinea
che il procuratore romano vi si sarebbe prestato con-
tro voglia.
In questi ultimi decenni, soprattutto da parte ebrea,
si è cercato di rovesciare questa impostazione, frutto
- si è detto - del desiderio della cristianità primitiva
di non compromettersi col governo di Roma. I veri
responsabili sarebbero stati i Romani che hanno giu-
stiziato Gesù come agitatore politico, con la compli-
cità di qualche sadduceo compiacente. Ma il giudai-
smo autentico non poteva che essere con Gesù, an-
che se doveva biasimare qualche sua intemperanza.
La questione ha anche un riflesso teologico di capi-
tale importanza e di grande attualità: a seconda che
la vera decisione di uccidere Gesù debba essere
attribuita ai Giudei o ai Romani, la figura di Cristo
viene letta in chiave religiosa o in chiave politica.
Non abbiamo altra strada che esaminare come si
sono svolti i fatti, alla luce delle quattro narrazioni
99
DELLO STESSO AUTORE PRESSO ESD
117
ITINERARI DELLA FEDE
118
PEDERZINI N., Gli angeli camminano con noi
BIFFI G., L’ABC della fede. Proposta sintetica per l’Anno della fede, 3a ed.
PEDERZINI N., Mettere ordine, 19a ed.
SCHÖNBORN C., Sulla felicità. Meditazioni per i giovani
BIFFI G., La fortuna di appartenergli. Lettera confidenziale ai credenti, 2a ed.
PEDERZINI N., Làsciati amare, 9a ed.
PEDERZINI N., La solitudine
PEDERZINI N., Stai con me, 4a ed.
SCHÖNBORN C., Abbiamo ottenuto misericordia. Il mistero della Divina
Misericordia
MASTROSERIO N., Il giubileo
CAVALCOLI G., La buona battaglia
PEDERZINI N., Ave Maria, 3a ed.
CARPIN A., La catechesi sulla penitenza e la comunione eucaristica
COSTA R., COSTA G., Lascerà suo padre e sua madre
PEDERZINI N., La vita oltre la morte, 6a ed.
PEDERZINI N., Lo Spirito Santo, 5a ed.
PEDERZINI N., Il sacramento del perdono, 6a ed.
PEDERZINI N., Riscopriamo l'eucaristia, 5a ed.
PEDERZINI N., Il sacramento del battesimo, 4a ed.
BIFFI G., L’eredità di santa Clelia
BIFFI G., Lo Spirito della verità. Riflessioni sull’evento pentecostale
BIFFI G., Incontro a colui che viene. Discorso ai giovani
BIFFI G., La rivincita del Crocifisso. Riflessioni sull’avvenimento pasquale
BIFFI G., Il quinto evangelo, 11a ed.
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Finito di stampare: settembre 2017, SAB Snc, Budrio (BO)
Grafica di copertina: Francesco Lorenzon
In copertina: Raffaello Sanzio, Compianto sul Cristo morto,
1505 circa, Museo del Louvre, Parigi.