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Lesercito Normanno Nel Meridione Ditalia

Normanni nel sud italia

Caricato da

Andrea De Iuliis
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CRISTIAN GUZZO

L’ESERCITO NORMANNO NEL MERIDIONE


D’ITALIA:
BATTAGLIE, ASSEDI ED ARMAMENTI DEI
CAVALIERI DEL NORD
(1016-1194)

Introduzione di Giovanni Amatuccio

Sotto il patrocinio scientifico della Società di Storia Patria per la Puglia


Sezione di Brindisi

ROTARY INTERNATIONAL CLUB


BRINDISI APPIA ANTICA EDIZIONI
2013
Società di Storia Patria per la Puglia
Sezione di Brindisi
Monografie, I

_____________________________________________________________

2013- Rotary International Club Brindisi Appia Antica Edizioni.


Copyright Cristian Guzzo©
È vietata la riproduzione anche parziale, con qualsiasi mezzo,
senza la preventiva autorizzazione dell’Autore.

In copertina: il guerriero Sigurðr. Cattedrale di Aversa. Deambulatorio.


Schizzo originale di Igino Perrucci, 2012©.
Rielaborazione grafica a cura di Cristiano Brandolini, 2012©.
Copertina realizzata da Roberta Petrucci©.

ISBN 978-88-908944-0-4
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

INTRODUZIONE

E' trascorso ormai quasi un quarto di secolo da quando, nel 1989, Errico
Cuozzo pubblicava il suo Quei maledetti Normanni, nel quale affrontava le
tematiche dell'organizzazione militare dei Normanni d'Italia. Quell'opera
rappresentò un fenomeno del tutto nuovo nel panorama storiografico italiano e,
in particolare, in quello degli studi meridionali. Per la prima volta, fatta forse
solo eccezione per qualche scritto di Piero Pieri sui Saraceni italiani, venivano
infranti quelli che erano stati fino ad allora quasi dei tabù storiografici:
cavalleria, armi, guerre e battaglie. Tali elementi erano stati sempre guardati
con diffidenza dagli storici nostrani, che forse li consideravano argomenti poco
consoni agli indirizzi dominanti nel campo degli studi storici tutti presi e
compresi tra le scuole cattolica, liberale e marxista, attente, da una parte alle
problematiche istituzionali e dall'altra alla “storia materiale”. Tali atteggiamenti
erano stati, invece, da tempo superati dalle storiografie d'oltralpe - soprattutto
da quella anglosassone, ma anche dalla tedesca, dalla francese ecc. -le quali
avevano promosso ricerche a vasto raggio, che dimostravano come la storia
militare non fosse da considerarsi solo come histoire bataille o événementielle,
ma, coniugando gli studi di carattere istituzionale con i più recenti indirizzi di
storia materiale e della mentalità, come vera e propria histoire à part entiere.
Cuozzo partiva dalla profonda conoscenza dei documenti maturata nel corso del
suo imponente lavoro sul Catalogus Baronum, che gli forniva gli strumenti per
delineare soprattutto il quadro degli obblighi militari in relazione allo status dei
milites, ma estendeva la ricerca anche alle fonti letterarie e iconografiche per
trovarvi indizi sull'armamento e la tattica.
A distanza di qualche anno, affascinato dalla lettura del libro, anch'io mi
cimentavo nella continuazione di tali studi pubblicando un breve saggio (“Fino
alle mura di Babilonia”...), nel quale riprendevo e approfondivo le suggestioni
di Cuozzo, limitandomi però al primo periodo della storia normanna
meridionale, quello della conquista e concentrandomi soprattutto sugli aspetti
della strategia, della tattica e degli armamenti. Era da allora, quindi, che si
sentiva l'esigenza della ripresa e dell'approfondimento di tali studi, ed ecco che
Cristian Guzzo, finalmente, ha provveduto alla bisogna fornendoci, con questo
suo prezioso lavoro, una nuova sintesi storiografica su questo importante
periodo storico - non solo del Mezzogiorno, ma d'Italia e d'Europa – e delle sue
vicende militari.
Infatti, studiare la storia militare dei Normanni italiani significa cercare di
dare risposta a tutte le domande relative al warfare della Cristianità dei secoli
centrali del Medioevo, caratterizzato dal sistema militare basato sul connubio

~ 5~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

cavaliere-castello: il primo inteso come elemento estremo di mobilità e il


secondo come punto stabile per il controllo del territorio. Tale “sistema” non fu
certo un'invenzione dei Normanni, ma di fatto essi, dopo averlo assimilato e
perfezionato a contatto con il mondo franco, provvidero alla sua diffusione in
tutta la Cristianità e oltre. Dall'Inghilterra, alla Spagna, all'Oriente bizantino e a
quello siro-palestinese, possiamo dire che tale sistema si espanse grazie
all'opera di diffusione dei conquistatori normanni. E, nell'ambito della koiné
normanna, sicuramente i guerrieri del Sud ebbero un ruolo centrale e di primo
piano: personaggi quali Roberto il Guiscardo, Boemondo e Tancredi d'Altavilla
incarnarono nell'immaginario medievale il mito dei cavalieri delle chansons de
gestes. Ma, al di là del mito, la posizione geograficamente e politicamente
centrale del Mezzogiorno d'Italia fece si che i Normanni ivi insediatisi,
potessero agire ad ampio raggio su tutto lo scacchiere mediterraneo,
misurandosi a più riprese con le “grandi potenze” dell'area: quella islamica e
quella bizantina. E fu sopratutto nel confronto con quest'ultima che si palesò
l'importanza del modello militare franco-normanno, che, da una parte si impose
a più riprese sui campi di battaglia sui meticolosi schemi tattici imperiali così
ben studiati e articolati nei numerosi trattati tattico-strategici mutuati dalla
tradizione militare romana, e dall'altra modificò la stessa struttura degli eserciti
nemici grazie al massiccio reclutamento di propri uomini al suo interno. Come
questo processo di “insediamento” e “diffusione” si svolse nell'ambito
dell'Italia Meridionale, Guzzo ce lo illustra con dovizia di particolari.
La disamina puntuale delle fonti scritte, narrative e documentali,
l'indagine iconografica, e l'esame della saggistica più recente, conducono a
un'analisi profonda e attenta dei vari aspetti della storia militare dei Normanni
del Sud. Battaglie e assedi sono attentamente esaminati per trarre elementi
generali di orientamento, che contribuiscono a tracciare un quadro pressoché
esaustivo del modo di combattere dei guerrieri del Nord. Anche la loro
panoplia, soggetta a mescolanze e contaminazioni con quella dei nemici
incontrati sul loro cammino di conquista, viene attentamente vagliata per
ricercare elementi originali. Ma la sua meticolosa ricerca arriva a toccare anche
elementi poco frequentati dagli studiosi della materia, quali gli aspetti
dell'immaginario mitico - ed è il caso dei primi guerrieri calati al Sud - e
dell'epica cavalleresca, nel caso, invece, delle generazioni successive, che se
pur stabilmente trapiantate nel Mezzogiorno, conservavano forti legami anche
culturali con il nord franco-normanno. In conclusione, un'opera affascinante da
leggere con passione e, al tempo stesso, un utile strumento di consultazione per
conoscere e comprendere meglio una storia e un passato nei quali si è forgiato il
nostro Mezzogiorno e la nostra Europa.

Giovanni Amatuccio

~ 6~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

PREMESSA DELL’AUTORE

Il compito dello storico dovrebbe essere quello di esporre e interpretare


gli accadimenti del passato attraverso la lente critica dello scienziato il quale è
capace, per mezzo del proprio microscopio, di analizzare gli aspetti più minuti
di una traccia ematica, dettagliandone in maniera impersonale tutti le più
recondite caratteristiche. I ‘protagonisti’ di un’indagine storica non sono
tuttavia esclusivamente gli eventi in sé, ma le vicende di esseri umani che, pur
defunti da secoli, un tempo furono involucri di carne e sangue, dotati di un
personalissimo e multiforme caleidoscopio di emozioni, sogni, aspirazioni,
paure e disillusioni. Nel lavorare a questo libro che raccoglie i risultati di alcuni
anni di ricerche e riflessioni, ho tentato di portare alla luce le personalità di
quegli uomini che conquistarono il Sud Italia, studiandone l’approccio
emozionale alla multietnica cultura dell’Italia meridionale del secolo XI.
Dopo l’inevitabile, sanguinoso scontro con quel mondo che dovette
apparire assai lontano dalla sobrietà dei loro costumi, i Normanni si lasciarono
progressivamente conquistare dall’esotismo del policromo cosmo longobardo-
bizantino-arabo, alle cui suggestioni si abbandonarono, dando così il via a
quella civiltà nella quale le attitudini e le qualità personali divennero,
indipendentemente dall’appartenenza etnica, lo strumento preferenziale di
riscatto, di avanzamento sociale e di glorificazione.
Lo studio degli assedi, delle battaglie e degli armamenti alla luce delle
fonti scritte e delle evidenze artistiche, rappresenta l’argomento saliente della
presente trattazione, frutto non solo delle mie personali indagini ma anche
dell’imprescindibile apporto dei tanti amici che hanno, a vario titolo,
disinteressatamente speso le loro competenze ed il loro tempo a favore del
sottoscritto. Ringraziamenti doverosi vadano dunque: a Giuseppe Marella per il
costante aiuto e per i preziosi suggerimenti tecnici, specie in ambito di esegesi
scultorea; a Giovanni Amatuccio, per la generosità e la competenza dei suoi
consigli, oltre che per avere da subito accettato di introdurre il presente volume;
a Vito Maglie, ottimo studioso di oplologia, per avermi regalato alcuni
splendidi scatti del duomo di Monreale; a Mauro Piergigli, Maurizio Calì ed
all’Associazione Culturale Italia Medievale, per avermi fornito preziose
fotografie che sarebbe stato altrimenti difficile reperire; ad Enzo Valentini per
la consueta generosità e competenza tecnica; a Katja Zaccheo per le splendide
illustrazioni al tratto, che ne confermano la grande attitudine artistica; ad Igino
Perrucci e Cristiano Brandolini per la realizzazione e l’elaborazione grafica
dell’immagine del guerriero Sigurðr presente in copertina; a Roberta Petrucci

~ 7~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

per il progetto di copertina; al mio maestro Giuseppe Maddalena Capiferro; a


Stella Lotesoriere, per il suo amore e per avermi costantemente incoraggiato a
scrivere questo volume; a mia figlia Francesca Fiammetta; a mia madre che mi
ha insegnato l’onestà delle idee e la dignità nelle azioni; al caro amico Dario
Stomati, grande appassionato di Medioevo, che ringrazio per avere accettato di
inserire il presente volume fra le pubblicazioni del Rotary International Club
Brindisi Appia Antica, organismo all’interno del quale ricopre la carica di
presidente; ad Ennio Suma per la più che ventennale amicizia e per i materiali
del suo archivio, che ha gentilmente messo a mia disposizione. Agli amici della
Società di Storia Patria per la Puglia, sezione di Brindisi ed al suo presidente
Prof. Giacomo Carito, per avermi suggerito il suggestivo passo di Anna
Comnena, che compare nella quarta di copertina del presente volume. A tutti va
il mio affetto e la mia più sincera gratitudine.

Brindisi 27 marzo 2013, Festività di Sant’Augusta.

Cristian Guzzo

~ 8~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

CAPITOLO PRIMO

PRESUPPOSTI SPIRITUALI ED ‘EMOZIONALI’ PER LA CONQUISTA


NORMANNA
DEL MEZZOGIORNO D’ITALIA

Caput inter nubila condit.


(Virgilio Eneide, Libro IV, 177)

I Normanni che nei primi anni del secolo XI intrapresero la graduale


‘migrazione militare’ verso il Mezzogiorno d’Italia, erano un popolo oramai
ampiamente cristianizzato. Le comunità vichinghe stanziatesi già dalla fine del
secolo X nel Nord della Francia, si erano del resto organizzate come società
aperte, capaci di accogliere nuove risorse umane provenienti dalla Scandinavia
e di dimostrare, al tempo stesso, una straordinaria apertura nei confronti dei
vicini Franchi. Poiché le vichinghe erano poco numerose, gli ‘uomini del Nord’
cominciarono a realizzare unioni con donne franche1 e tale commistione
contribuì alla nascita di una ‘novella etnia’ che, seppur profondamente legata
alle consuetudini scandinave, cominciò progressivamente ad esplorare ed
assimilare nuovi modelli culturali e religiosi. La lingua danese continuò ancora
ad essere parlata almeno fino alla fine del X secolo dai Normanni di Bayeux,
venendo progressivamente abbandonata e dimenticata a Rouen, per essere
integralmente sostituita con quella romanza2. Nonostante il loro metamorfismo
culturale, i Normanni restarono comunque emotivamente legati alle loro vetuste
radici spirituali ed una sorta di ‘paganesimo archetipico’ seguitò ad animare (o
forse dovremmo scrivere, agitare) a lungo il loro immaginario collettivo. Ciò
non deve stupire se consideriamo che il processo di evangelizzazione della

1
Cfr. R. Allen Brown, I Normanni. Origine e storia dei guerrieri del Nord, tr. it.,
Casale Monferrato 1998, p. 27.
2
Quondam quidam Rotomagensis civitas Romana potius quam Dacisca utitur
eloquentia, et Bajocensia deferatur quantocius moenia et ibi volo ut sit, Botho, sub tua
custodia et enutriatur et educetur cum magna diligentia, fruens loquacitate Dacisca. Cfr.
Dudone Sancti Quintini decano, De Moribus et actis primorum Normannorum ducum, ed.
J. Lair, Caen 1865, pp. 221-22.
~ 9~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

Norvegia, terra dalla quale proveniva Rollone (capo dei Vichinghi danesi cha
andarono a comporre il più importante nucleo invasore-colonizzatore della
Normandia), ebbe luogo solo a partire dal secolo XI con enormi difficoltà, in
larga parte generate dalla diffidenza che le popolazioni autoctone nutrivano
verso il culto cristiano, il medesimo che tentava di scalzare il predominio
religioso del dio Thor, per sostituirlo con quello del Nazzareno redentore3. Pur
antagoniste, tali divinità finirono gradatamente per essere accomunate e i loro
simboli distintivi, rispettivamente il martello (detto Mjolnir) e la croce, si
sovrapposero al punto da generare una sorta di ‘sincretismo coatto’ nel quale la
novella religione tentò di cassare l’impianto mitico-religioso ed atemporale del
paganesimo nordico, per sostituirlo con una teologia in grado di ricondurre il
destino dell’uomo ad una escatologia programmata, inquadrata in confini
prestabiliti di tempo e spazio.
Significativo è il fatto che presso il Nationalmuseet di Copenaghen, in
Danimarca, sia esposto uno stampo fusorio appartenuto ad un mercante dello
Jutland, contemporaneamente utilizzato per fabbricare croci e martelli di Thor4.
E la persistenza ancora nell’XI secolo, fra i discendenti dei pirati scandinavi, di
vetuste tradizioni che rimontavano alle ancestrali credenze, sarebbe attestata da
quanto verificatosi in occasione della battaglia di Vals-des Dunes, vicino Caen,
combattuta il 10 agosto del 1047 fra il duca Guglielmo ed alcuni baroni ribelli
della Normandia dell’ovest. In tale occasione il sedizioso Raoul Tesson decise
di impetrare il favore in battaglia di Thor, facendo risuonare l’antico grido di
guerra vichingo Tur Aie5 (ovvero Thor Aide o Toräïe = Thor assistimi), al
quale il nobile Guglielmo rispose prontamente con il Deus Aie, il medesimo
motto pronunziato nel 1066 dai Normanni vittoriosi sui Sassoni ad Hastings6.
E fu proprio in tale occasione che i Normanni manifestarono ancora una
volta quel legame ‘emozionale’ con la religione delle origini, recando sul
campo di battaglia non solo il vessillo che il duca Guglielmo aveva ricevuto in

3
Cfr. a tal proposito l’ottimo saggio di S. W. Nordeide, Thor's hammer in Norway.
A symbol of reaction against the Christian cross?, in: Old Norse Religion in long-term
perspectives. Origins, changes, and interactions, vol. 8, Vägar till Midgård. Ed. by A.
Andrén, K. Jennbert, C. Raudvere 2006, pp. 218-223.
4
Cfr. F. Cardini, Alle radici della cavalleria medievale, Firenze 19872, pp. 143-44.
5
Cfr. Master Wace, His chronicle of the Norman conquest from the Roman de
Rou, ed. E. Taylor, London 1837, p. 20, nota 11 e pp. 21-22.
6
Così come attestato anche dal poeta Bertrand de Born, nel suo Ieu chan, que.l
reys m’en a preguat: Qu’entre Frans’e Normandia vers Giortze ves Nuoumercant vuelh
qu’en auion cridar Arrat! e Mon Joy e Deus aïa. Cfr. The Poems of the Troubadour
Bertran De Born, ed. W. Paden, Jr., T. Sankovitch and P. H. Stämblein, Berkeley-Los
Angeles-London 1986, p. 209.
~ 10 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

dono dal pontefice7, ma anche lo stendardo semicircolare del corvo, animale


totemico notoriamente sacro ad Odino, padre degli dei8.
Ed in effetti la mitologia norrena ricordava Huginn e Muninn, due corvi
che avevano il compito di viaggiare attorno al mondo, per recare notizie ed
informazioni al loro celeste padrone9.
I Vichinghi credevano che il corvo rappresentato su uno stendardo
avesse il potere di condurre alla vittoria gli eserciti 10 e tale convinzione dovette
verosimilmente sopravivere nel secolo XI se i Normanni, oramai evangelizzati,
lo potarono con loro ad Hastings, associandone il valore apotropaico a quello
del Vexillum Sancti Petri che, invece, recava una croce dorata in campo
bianco11. Ecco che in pieno XI secolo assistiamo al manifestarsi di quella
duplicità culturale e spirituale che i Normanni avrebbero conservato per lungo
tempo, riverberandone gli effetti anche sulle arti figurative, le medesime che,
più di altre, avrebbero svolto il compito di tramandare la memoria di un mondo
mitico che tentava di sopravvivere in un continente oramai ampiamente
cristianizzato.
Non è un caso se scene mitologiche pagane venissero diffusamente
utilizzate nel Nord Europa con funzioni esornative e non solo, dei monumenti
eretti in onore del culto galileo.
Fra i vari esempi ci sembra utile ricordare il portale della chiesa di
Hylestad nel Setesdal in Norvegia, risalente grosso modo agli inizi del secolo
XII, che ritrae il drago Fafnier ucciso dall’eroe Sigurðr, laddove quest’ultimo,
come osservato da Franco Cardini, aveva già verosimilmente assunto […] il
significato soteriologico del grande sauroctono cristiano: Michele12. Le
suggestioni del mito di Sigurðr cariche o svuotate che fossero delle originarie
valenze eroiche, giunsero anche nell’Italia normanna, manifestandosi a livello
artistico, in particolare nella città di Aversa.
Un prezioso stipite marmoreo proveniente dalla locale cattedrale e di
poco precedente al 1090 circa, raffigura un enorme mostro trafitto dalla spada
di un cavaliere dalla nuca rasata, caratteristica tipica degli uomini d’arme ritratti

7
Cfr. D. Bachrach, Religion and the conduct of war c. 333- c. 1215, Woodbridge
2003, p. 66.
8
Cfr. Musée de la Tapisserie de Bayeux, Centre Guillaume Le Conquérant,
Bayeux; scena 48.
9
Huginn ok Muninn fliúga hverian dag iörmungrund yfir; óumk ek of Hugin at
hann aptr ne komit, þó siámk meirr um Munin. Cfr. Edda Sæmundar hinns fróda. Collectio
carminum veterum Scaldorum Sæmundiana dicta, ex recensione Erasmi Christiani Rask
curavit Arv. Aug. Afzelius, Holmiae 1818, p. 42.
10
Cfr. H. R. Ellis Davidson, Scandinavian Mythology, Middlesex 1969, p. 40.
11
A proposito dell’importanza degli stendardi consacrati in battaglia, cfr. D. S.
Bachrach, Religion and the Conduct of War, cit., pp. 93-94.
12
Cfr. F. Cardini, cit. p. 144 e p. 231.
~ 11 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

nel celebre arazzo di Bayeux. Ipotesi per altro recenti e autorevoli, hanno
evidenziato che il reperto aversino potrebbe verosimilmente ritrarre lo stesso
Sigurðr, nell’atto di trafiggere il drago Fafnir13.

fig. 1- Cavaliere con drago, seconda metà del secolo XI, Aversa, Cattedrale,
Deambulatorio. (Disegno di Katja Zaccheo)©. Per gentile concessione.

Nella lastra in esame, che presenta evidenti influssi dell’arte celtica14


ma forse anche di quella longobarda, la leggenda di Sigurðr viene riformulata
in chiave cristiana ed il suo protagonista finisce per assumere sempre più i
connotati del cavaliere santo, o meglio del santo militare per antonomasia:
Giorgio. Il celeste guerriero veneratissimo dalla chiesa greca 15, compare nel
1063 ai Normanni che si apprestavano ad affrontare i Saraceni di Sicilia nella

13
Cfr. F. Abbate, Storia dell'arte nell'Italia meridionale. Dai longobardi agli
svevi, Roma 1997, vol. I, pp. 145-47; V. Pace, M. D' Onofrio, Italia Romanica: La
Campania, Milano 1980, pp. 214-217.
14
Cfr. F. Abbate, cit., p. 146.
15
Sull’importanza della figura di San Giorgio nel mondo greco, C. Walter, The
Warrior Saints in Byzantine Art and Tradition, Aldershot 2003, pp. 51-56, 120-22, 130-34,
141, 281.
~ 12 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

celebre battaglia di Cerami e li conduce alla vittoria, recando un candido


stendardo ed una croce fissata ad una lancia16. Sigurðr, Giorgio, l’arcangelo
Michele divengono tutti e indistintamente i campioni del bene, i difensori della
luce contro le tenebre ed il male incarnati dal dragone, animale che tuttavia i
Normanni di Guglielmo il Conquistatore non rinunceranno a dipingere sui loro
scudi17, prima di affrontare i Sassoni nella battaglia di Hastings, quasi a volerne
richiamare o destare l’ancestrale potere distruttore.
Il Drasco normannicus18 diviene allora la cifra espressiva di quel
dualismo mistico nelle cui spire sembravano inconsciamente dibattersi gli eredi
di Rollone: da un lato l’ombra di un paganesimo arcaico nel quale la violenza è
espressione di una vis primordiale e ctonia, gradita agli Dei; dall’altro la luce
del Cristianesimo che tenta di eradicare gli ultimi simulacri di un universo
leggendario, alle prese con il proprio ‘inesorabile Ragnarök’.
Ma ecco che una volta destato e scatenato contro i nemici, il drago deve
essere nuovamente aggiogato ed esorcizzato, per impedire di nuocere, a cagione
del proprio incontrollabile furore, persino a coloro che lo hanno richiamato
dall’abisso. Tale compito è affidato ai santi militari, gli unici in grado di
dominare il terribile mostro sanguinario, con la forza della spada e della fede.
Ecco che allora i Normanni adorneranno con l’effige di San Giorgio che uccide
il drago numerosi timpani di chiese anglosassoni e riconsacreranno a suo nome
edifici sacri che i Sassoni avevano dedicato a santi misconosciuti 19. Ma sarà
soprattutto Michele a rivestire un ruolo sostanziale nell’elaborazione della
‘mistica religioso-militare normanna’, avendo il compito ‘diplomatico’ di
edulcorare la brutalità della conquista del Sud Italia e non solo (il drago),

16
Dum talia versus certamen properando perorantur, apparuit quidam eques,
splendidus in armis, equo albo insidens, album vexillum in summitate hastilis alligatum
ferens et desuper splendidam crucem, quasi a nostra acie progrediens, ut nostros ad
certamen promptiores redderet, fortissimo impetu hostes, ubi densiores erant, irrumpens.
Quo viso, nostri, hilariores effecti, Deum sanctumque Georgium ingeminantes et prae
gaudio tantae visionis compuncti, lacrimas fundendo, ipsum praecedentem promptissime
subsecuti sunt. Visum etiam fuit a pluribus in summitate hastilis comitis vexillum
dependens, crucem continens, a nullo, nisi divinitus, appositum. Cfr. MALATERRA, II
XXXIII. Cfr. anche A. Metcalfe, The Muslims of medieval Italy, Edimburgh 2009, p. 100.
17
Cfr. Musée de la Tapisserie de Bayeux, Centre Guillaume Le Conquérant,
Bayeux, Scena 56.
18
Draco Normannicus è il titolo di un poema arturiano, composto, tra il 1167 ed il
1169, da Etienne de Rouen, monaco di Bec. Cfr. M. Leake Day (ed), Latin Arthurian
Literature, Cambridge 2005, pp. 48-49; S. Echard, Arthurian narrative in the Latin
tradition, Cambridge 1998, pp. 85-86.
19
Cfr. J. Tomilly Allen, Norman Sculture and the Medieval Bestiaries, Whitefish
2004, pp. 269-71; D. Park, The ‘Lewes group’ of wall Paintings in Sussex, in: Anglo-
Norman Studies, IV, Procedings of the Battle Conference, ed. R. Allen Brown, Woodbridge
1984, p. 219.
~ 13 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

tingendola con le pennellate dell’impresa provvidenziale e semisacra.


Guglielmo il conquistatore giunge in Inghilterra nel giorno consacrato a San
Michele e nel corso della battaglia di Hastings il di lui fratello, Robert di
Mortain, combatte sotto la protezione dello stendardo dell’Arcangelo20.
I Normanni discesi nel meridione d’Italia legano inesorabilmente le loro
gesta alla benevolenza del divino messaggero. Presso il loro paese di origine
Michele era venerato già dal IX secolo ed essi manifestarono grande
considerazione per il suo santuario del Gargano, vero e proprio scrigno ascetico
e talismanico, capace di rinnovare il vincolo con la patria lontana. Esisteva del
resto una sorta di fil rouge che univa il tempio pugliese ed il santuario di Mont-
Saint-Michel in Normandia. Presso tale luogo, nell’VIII secolo, fu infatti
edificata una chiesa michelita a forma di cripta rotonda (architettonicamente
speculare al sacrario italico), che, per volere del vescovo di Avranches Oberto,
ospitò nientemeno che un frammento della roccia sulla quale si era seduto
l’Arcangelo ed un lembo del mantello rosso che il medesimo aveva
abbandonato sull’altare dopo la propria apparizione. Fatto di un certo rilievo è
che tali oggetti fossero stati prelevati direttamente dal santuario garganico,
luogo che, come meglio dettaglieremo, avrebbe assunto un’importanza cruciale
nello sviluppo della penetrazione normanna nel Mezzogiorno d’Italia 21. La
comparsa in tali terre dei primi franco-scandinavi fu registrata dal monaco
benedettino Amato di Montecassino22 il quale, nella sua cronaca latina ormai
perduta e pervenutaci attraverso una tarda trascrizione francese,23 narrò che
prima dell’anno 1000 (intorno al 999 d.C.)24 durante una sosta presso Salerno,
quaranta pellegrini normanni di ritorno da Gerusalemme, vennero aggrediti dai
Saraceni. Esterrefatti per la mancanza di qualunque resistenza da parte della
popolazione autoctona, i viaggiatori ‘transalpini’ domandarono e ottennero
armi e cavalli dal principe longobardo Gaimar.
Essi si posero così all’inseguimento dei loro aggressori che sorpresero e
trucidarono in gran numero. L’ardimento dimostrato, suscitò l’ammirazione

20
Cfr. R. F. Johnson, Saint Michael the Archangel in Medieval English legend,
Woodbridge 2005, p. 63.
21
Su tutto, l’ottimo saggio di F. Monteleone, La voce dei santi: san Michele e la
vergine guerriera, in: XXV convegno nazionale sulla Preistoria- Protostoria- Storia della
Daunia, a cura di A. Gravina, San Severo 2005, pp. 327-330.
22
A. Lentini, Ricerche biografiche su Amato di Montecassino, in: Benedictina,
Anno IX (1955), fasc. 3-4, pp. 184-196.
23
Cfr. W. Smidt, Die "Historia Normannorum" von Amatus, in: Studi Gregoriani,
III (1948), pp. 173-231. Cfr. altresì F. Torraca, Amato di Montecassino e il suo traduttore,
in: Casinensia (1929), pp. 161-170.
24
Per la datazione dell’episodio mi sono affidato alle conclusioni di H. Hoffman,
Die Anfänge der Normannorum in Süditalien, in: Quellen und Forschungen aus
Italienischen Archiven und Bibliotheken, 49 (1969) pp. 95-114.
~ 14 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

degli abitanti di Salerno e del principe stesso che domandò loro di restare al
proprio servizio. I pellegrini transalpini declinarono però l’offerta, replicando
che avevano compiuto l’impresa solo per l’amore che nutrivano nei confronti di
Dio.
Costoro fecero ritorno in patria, accogliendo nel proprio seguito
ambasciatori longobardi, carichi di quei doni necessari ad allettare e reclutare
volenterosi guerrieri disposti ad emigrare nel Sud Italia, per servire sotto le
insegne di Gaimar25. Un’altra differente versione dell’arrivo dei discendenti di
Rollone nella nostra Penisola è quella fornitaci da Guglielmo di Puglia.

Fig. 2 – Grotta-santuario di San Michele sul Gargano, Monte Sant’Angelo (FG).


(Foto dell’Autore)©.

25
Avan mille [XVI. ans](b)puis que Christ, lo nostre Seignor, prist char en la
Virgine Marie, apparurent en lo monde XL. vaillant pelerin. Venoient del saint Sepulcre de
Jerusalem, pour aorer Ihesu Crist. Et vindrent a Salerne, laquelle estoit assegé de
Sarrasin, et tant mené mal qu'il(I) se vouloient rendre. Et, avant, Salerne estoit faite
tributaire de li Sarrazin. Més, se tarderent qu'il non paierent chascun an li tribut à lor
terme, encontinent (a) venoient li Sarrazin o tout molt de nefs, et tailloient et occioient et
gastoient la terre. Et li pelegrin de Normendie vindrent là. Non porent soustenir tant injure
de la seignorie de li Sarrazin, né que li Christiens en fussent subject a li Sarrazin. Cestui
pelegrin alerent à Guaimarie, serenissime principe, liquel governoit Salerne o droite
justice, et proierent qu'il lor fust donné arme et chevauz, et qu'il vouloient combatre contre
li Sarrazin; et non pour pris de monoie, més qu'il non pooient soustenir tant superbe de li
Sarrazin. Et demandoient chevaux. Et quant il orent pris armes et chevaux, ils assallirent li
Sarrazin et molt en occistrent; et molt s'encorurent vers la marine, et li autre fouirent par li
camp. Cfr. AMATO, I, XVII, pp. 21-24.
~ 15 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

Tale storico riferì che, in un periodo compreso fra gli anni 1012 e 1017,
alcuni viaggiatori franco-settentrionali giunsero in visita devozionale al
santuario di San Michele sul Gargano e qui incontrarono un esule longobardo
di nome Melo, che decise di assoldarli per combattere contro i Bizantini.
Allettati dalle promesse di quell’uomo il quale decantò le ricchezze
della Puglia, i Normanni tornarono in forze e lo raggiunsero in Campania.
Melo allora fornì loro cavalli ed armi e li condusse in Puglia per guerreggiare
contro i Greci26. Pur divergendo tra loro, le narrazioni riportate da Amato di
Montecassino e di Guglielmo di Puglia presentano alcuni elementi comuni di
un certo interesse27.
I due cronisti sono concordi nell’affermare che il sopraggiungere dei
Normanni in Italia fu determinato dall’azione dei Longobardi che, per primi,
ebbero la ventura di imbattersi nei suddetti, riuscendone da subito a valutarne il
valore guerriero.
Entrambe le fonti evidenziano poi che i primi nuclei provenienti dal
Nord della Francia erano giunti pellegrini, secondo Amato, di ritorno da
Gerusalemme ed in visita al santuario michelita del Gargano, se dobbiamo
prestare fede alla testimonianza di Guglielmo di Puglia.
Ambedue gli storici conferiscono dunque risalto alle motivazioni spirituali che
avevano animato il lungo viaggio dalla Normandia di tali individui ma è forse
Guglielmo ad insinuare, con una chiosa semantica quasi impercettibile, il valore
provvidenziale dell’incontro con Melo, che sembrò verificarsi sotto l’ideale,
vigile sguardo dell’Arcangelo28. I Normanni che si trovano presso il santuario

26
Postquam gens Romam Normannica transit inermis, Fessa labore viae
Campanis substitit oris: Fama volat Latio Normannos applicuisse. Melus ut Italiam Gallos
cognovit adisse, Ocius accessit; dedit arma carentibus armis; Armatos secum comites
properare coegit. GUP, Lib. I, p. 101. Cfr. altresì G. S. Brown, The norman conquest of
Southern Italy and Sicily, London 2003, pp. 21-22; K. B. Wolf, Making History the
Normans and their Historians in the Eleventh Century, Philadelphia 1995, p. 9.
27
Una terza versione riguardante il primo arrivo dei Normanni in Italia, viene
fornita da Leone da Ostia. Tale cronista narra che mentre Melo si trovava in esilio a Capua,
presso tale località giunse un contingente di quaranta uomini provenienti dal nord della
Francia, che fuggivano dall’ira del loro signore, il conte di Normandia, cercando servizio
militare. Leone si sofferma sul fatto che tali individui fossero alti, di gradevole aspetto ed
espertissimi nell’uso delle armi. I loro capi erano Rodolfo di Tosny, Gosmanno, Rufino e
Stingardo: Melus interea Capuę cum principe morabatur. His primum diebus venerunt
Capuam Normanni aliquot, quadraginta fere numero, qui domini sui comitis Normannie
iram fugientes, tam ipsi quam plures eorum socii quaquaversum dispersi, sicubi reperirent
qui eos ad se recíperet requirebant, viri équidem et statura procéri, et habitu pulchri, et
armis experientissimi, quorum pręcipui erant vocabulo, Gislebertus Boterícus, Rodulfus
Todinensis, Gosmannus, Rufinus, atque Stigandus. Cfr. LEOST, Lib. II, p. 652, nota a.
28
Horum nonnulli Gargani culmina montis conscendere, tibi, Michael archangele,
voti debita solventes. Ibi quondam conspicientes more virum Greco vestitum, nomine
~ 16 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

pugliese cercano di rinnovare il patto stretto fra il loro popolo ed il santo


guerriero, sotto la cui egida avrebbero realizzato la conquista del Sud Italia ed
il cui impalpabile ausilio avrebbero ricompensato, con la costruzione di
monasteri e chiese, elargendo cospicue donazioni ai luoghi del di lui culto,
giungendo finanche a battere moneta con la sua effige 29. E l’alato nume non
potè allora che accennare un sorriso, tra il divertito e l’incuriosito, all’indirizzo
di quei ‘guasconi’ che si avventuravano in terre sconosciute alla ricerca di
fortuna e di gloria.

Melum, exulis ignotam vestem capitique ligato insolitos mitrae mirantur adesse rotatus.
Hunc dum conspiciunt, qui set unde sit ipse requirunt. Se Langobardum natu civemque
fuisse ingenuum Bari, patriis respondit at esse finibus extorrem Graeca feritate coactum.
GUP, Lib. I, p. 98.
29
A. Campione, Culti e santuari micaelici nellItalia meridionale e insulare, in:
Culto e santuari di San Michele nell’Europa medievale. Atti del congresso internazionale di
studi, Bari-Monte Sant'Angelo, 5-8 aprile 2006, a cura di P. Bouet, G. Otranto, A. Vauchez,
Bari 2007, pp. 300-301.
~ 17 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

CAPITOLO SECONDO

I PRIMI NORMANNI IN ITALIA TRA STRENUITAS E FERITAS

Adhuc tua messis in herba est.


(Ovidio, Heroides XVII, v. 271).

1 - Gli esordi: i primi successi, le amare disillusioni.

Il sopraggiungere dei primi Normanni nel sud Italia non rappresentò,


almeno inizialmente, una invasione, dovendo essere piuttosto interpretata come
una sorta di progressiva ‘transumanza militare’ di giovani uomini, fra i quali
solo alcuni avevano patito i duri effetti dello jus majoratus seu primogeniturae,
che riconosceva il diritto esclusivo del primogenito ad ereditare i beni parentali.
Altri erano infatti esuli politici di una terra che stava cominciando a divenire
progressivamente un ducato intollerante nei confronti dei disordini e di ogni
forma di arbitrio; altri ancora, avendo sofferto il sovrappolamento della regione
franco-settentrionale, si erano impoveriti e ricercavano perciò nuovi orizzonti
territoriali entro i quali realizzare le loro multiformi aspirazioni 30. L’irruenza
del sangue scandinavo era stata solo in parte edulcorata dalla commistione con
l’etnia gallica, se è vero che la strenuitas31 e la feritas32 trasudavano ancora con
forza non solo dalle res gestae ma dalla stessa onomastica normanna,
rappresentando il sigillo di quel retaggio culturale transeunte che raggiunse
anche la nostra Penisola; i nomi propri di Thorsteinn (latinizzato in Tostanus,
Torstenus, Tristainus, Trostainus, Trustainus) e Thorgisl (Torgisius, Trogisius,
Turgisius) recavano il ricordo di Thor, Freymundr(Framoudios, Fraymundus)33

30
Cfr. G. S. Brown, The norman conquest of Southern Italy and Sicily, cit., pp. 20
e ss.
31
Cfr. E. Johnson, Normandy and norman identity in southern italian chronicles,
in: Anglo-normans studies, XXVII, Proceedings of the Battle Conference, 2004, ed. J.
Gillingham, Woodbridge 2005, p. 98.
32
G. Breccia, Per contrastare a Ruberto Guiscardo....Note di storia militare sulla
conquista normanna del Mezzogiorno (1041-71), in: Annali della Facoltà di Lettere e
Filosofia. Università degli Studi di Basilicata, 9 (1999), p. 72.
33
Cfr. L. R. Ménanger, Pesanteur et étiologie de la colonisation normande de
l’Italie, in: Roberto il Guscardo e il suo tempo. Atti delle prime giornate normanno-sveve,
Bari 28-29 maggio 1973, Bari 19912, pp. 210-12 e nota 27, alla p. 212.
~ 18 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

quello di Freyr, la divinità norrena dell’abbondanza e della fecondità, ricordata


da Adamo di Brema34. La spiccata connotazione etnica dei nuovi venuti venne,
con il trascorrere del tempo, del resto stigmatizzata dai Bizantini, o Ρομαιοι
(Romaioi), che reputavano se stessi discendenti diretti della Roma imperiale e
che presero a chiamare Albani35, coloro i quali giungevano dai territori
d’oltralpe, fra i quali vi erano non solo i Normanni propriamente detti, ma
anche Angioini, Fiamminghi, Bretoni, abitanti della Champagne, etc.36.
Tali individui ebbero ben presto a confrontasi con una realtà politica
proteiforme, animata da tre popoli dal vetusto ‘blasone’ che si contendevano il
dominio di una vasta ed opulenta terra di frontiera.
Agli inizi del secolo XI la Calabria e la Lucania, sottratte con la forza
delle armi a Saraceni e Longobardi, soggiacevano al dominio dei Bizantini37.
Tali regioni erano state ripartite in Themi, subordinati al Catepanato d’Italia,
istituito verosimilmente intorno al 970 d. C. ed il cui preposto, detto catepano,
aveva stabilito i propri acquartieramenti presso Bari, in un’area fortificata e
dotata di tutte le installazioni necessarie ad accogliere il suo seguito e
l’esercito38. Esistevano altresì territori che componevano la cosiddetta
Langobardia minor39, denominazione utilizzata dai Bizantini per indicare
quella parte dell’Italia meridionale controllata dai Longobardi, in antitesi alla
definizione di Langhibardia megale (concepita dagli ultimi re longobardi
Liutprando, Ratchis, Astolfo e Desiderio) con la quale gli autori greci del XII

34
In hoc templo, quod totum ex auro paratum est, statuas trium deorum veneratur
populus, ita ut potentissimus eorum Thor in medio solium habeat triclinio; hinc et inde
locum possident Wodan et Fricco[…]. Fricco, pacem voluptatemque largiens mortalibus.
Cuius etiam simulacrum fingunt cum ingenti priapo. Cfr. Adami Gesta Hammaburgensis
ecclesiae Pontificum, Scriptores rerum germanicarum in usum scholarum ex monumentis
Germaniae historicis recusi, Hannoverae 1876, Capitulum 26, pp. 174-175.
35
A tale proposito, cfr. L. Melazzo, The Normans through their languages, in:
Anglo-Norman Studies, XV. Procedings of the battle conference 1992, ed. M. Chibnall,
Woodbridge 1993, p. 247.
36
Cfr. L. R. Ménanger, cit., pp. 202-203 e pp. 368-86.
37
Cfr. E. Zanini, Le Italie bizantine: territorio, insediamenti ed economia nella
provincia bizantina d'Italia, VI-VIII secolo, Bari 1998, p. 90.
38
Cfr. P. Corsi, Bari tra Oriente ed Occidente, in: Il Concilio di Bari del 1098,
Atti del Convegno Storico Nazionale e celebrazione del IX Centenario del Concilio, a cura
di S. Palese e G. Locatelli, Bari 1999, p. 62.
39
Cfr. J. M. Martin, La Longobardia Meridionale, in: Il Regno dei Longoabardi in
Italia. Archeologia, Società, Istituzioni, a cura di S. Gasparri, Spoleto 2004, pp. 327-365.
Più in generale, a proposito della presenza longobarda nel sud Italia, V. Von Falkenhausen,
I Longobardi meridionali, in: Il Mezzogiorno dai Bizantini a Federico II, in: Storia d’Italia,
diretta da Giuseppe Galasso, vol. III, Torino 1983, pp. 251-364.
~ 19 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

secolo individuavano il più vasto regno longobardo con capitale Pavia40. Non è
infine possibile non menzionare l’esistenza di alcune aree dell’Italia centro-
meridionale continentale popolate, nel secolo IX, da enclavi saracene.
Fra queste ricordiamo la più rilevante, ubicata nei pressi della foce del
Garigliano, la quale forniva mercenari ai potentes cristiani, nonché ai Ρομαιοι
che li reclutarono in occasione della guerra di riconquista della Calabria e della
Puglia 41. Ci sembra, a tal proposito, interessante ricordare il caso di Siconolfo,
signore di Salerno, il quale nell’840 chiamò in proprio aiuto i Saraceni
insediati in una colonia che sorgeva sotto la collina di Traetto (non lontano
dalla città di Latina) detta Agliarini42, per guerreggiare contro Radalgiso (o
Radelchi) e Landolfo, rispettivamente signori di Benevento e Capua43. I territori
dell’Italia Meridionale sottoposti al dominio longobardo, erano suddivisi in tre
distinti principati che comprendevano la Campania ed alcuni territori limitrofi
di consistente entità.
Il principato di Salerno, sorto nell’839 dalla frammentazione del
Principato di Benevento, era indubbiamente il più esteso e copriva buona parte
della Campania meridionale e della Lucania44. Più a nord esisteva il Principato
di Capua, sorto nel IX secolo, che occupava grossomodo i confini della
provincia napoletana di Terra di Lavoro ed il Ducato (in seguito Principato) di
Benevento che venne fondato nel 571 dal condottiero longobardo Zottone45.
Vi era infine la Sicilia che, già dal secolo IX, era stata strappata dai
Saraceni a Bisanzio. Nell’827 d. C. l’Emiro aglabita di Ifriqiya, Ziyadat-Allah
aveva infatti approfittato della rivalità fra Costantino, stratego di Sicilia ed

40
Cfr. H. Houben, Potere politico e istituzioni monastiche nella ‘Langobardia
Minor’ (secolo VI-X), in: Longobardia e longobardi nell'Italia meridionale. Le istituzioni
ecclesiastiche. Atti del II Convegno internazionale Benevento, 29-31 maggio 1992, a cura
di G. Andenna e G. Picasso, Milano 1996, pp. 177-198; M. Caravale, Ordinamenti giuridici
dell’Europa Medievale, Bologna 1994, pp. 206-15; S. Gasparri, L'Italia meridionale
contesa tra Bizantini, Longobardi, Franchi e Saraceni, in: L’Italia dell’alto Medioevo,
Milano 1984 (Storia della società italiana, V), pp. 169-197.
41
A proposito dell’insediamento musulmano sito presso la foce del Garigliano, cfr.
G. Ciuffi, Memorie Storiche ed Archeologiche della città di Traetto, Napoli 1854, pp. 17-
18.
42
Ibid., p. 18.
43
Cfr. V. Salierno, I musulmani in Puglia e in Basilicata, Manduria 2000, p. 41.
44
M. Schipa, Storia del principato longobardo di Salerno, in: La Longobardia
meridionale 570-1077. Il ducato di Benevento. Il principato di Salerno, Ristampa con
introduzione e bibliografia, a cura di N. Acocella (Politica e Storia 19), Roma 1968, pp. 87-
278.
45
Fuit autem primus Langobardorum dux in Benevento nomine Zotto, qui in ea
principatus est per curricula viginti annorum. Cfr. P. Diacono, Historia Langobardorum,
in: Scriptores rerum Langobardicarum et Italicarum saec. VI–IX, Monumenta Germaniae
Historica, ed. G. Waitz, Hannover 1878, p. 112.
~ 20 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

Eufemio, comandante della flotta greca, per inviare dalla odierna Tunisia 70-
100 vascelli e 10.000 uomini in soccorso di quest’ultimo. Da questo momento
in poi sarebbe stato intrapreso un lungo confronto militare che avrebbe
condotto nel 902 alla definitiva occupazione da parte degli Aglabidi dell’isola
mediterranea46. Quando i Normanni misero per la prima volta piede in Italia, i
Bizantini stavano riconquistando terreno ai danni di Salerno e Benevento. I
nuovi arrivati furono pertanto assoldati come mercenari, per difendere le
popolazioni longobarde dai Greci ed occasionalmente dai Saraceni47.
I guerrieri d’oltralpe si distinsero da subito non solo per l’ampia
esperienza militare e per una non comune strenuitas, ma soprattutto per la
ferocia e le crudeltà, che li avrebbero progressivamente attirato l’odio ma anche
il rispetto delle popolazioni indigene48.
I Normanni giunsero in bande che contavano dai venticinque agli
ottanta uomini, agli ordini di un capo riconosciuto che assoldava guerrieri ed
amministrava il patrimonio comune, frutto dell’attività militari e dei bottini
ricavati attraverso la pratica dei saccheggi49. L’organizzazione di tali
compagnie non era dissimile da quella dal comitatus o gefolgshaft di origine
germanica, i cui membri erano accomunati dalla libera scelta di seguire un
condottiero eletto non già ex nobilitate ma ex virtute50.
Quest’ultimo doveva essere, più di chiunque altro, l’incarnazione della
strenuitas, del corage, della hardiesce (l’audacia) e del vaillantize (il valore)51,
in una parola della Normannitas, stante ad indicare il profilo identitario di un
gruppo eterogeneo di individui che tentavano di rimarcare la loro appartenenza
ad una gens, emotivamente e culturalmente legata alla propria madrepatria.
Solo dopo la morte di Roberto il Guiscardo ed in particolare dopo la fondazione
della monarchia siciliana nel 1130, l’imprinting franco-settentrionale sarebbe
stato risemantizzato dai sovrani di Sicilia, scarsamente interessati, in uno stato
multietnico quale fu del resto il Regnum Sicilie, a rimarcare le proprie origini
transalpine e non solo52.

46
Cfr. M. Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, vol. I, Firenze 1854, pp. 258 e
ss; R. Panetta, I Saraceni in Italia, Milano 1973, p. 27.
47
Cfr. M. Chibnall, I Normanni, tr. it, Genova 2005, p. 88.
48
Cfr. R. A. Brown, Normanni, cit., p. 107, p. 114, p. 124.
49
Cfr. M. Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, cit., vol. III, Firenze 1868, p. 29;
A. Settia, Gli strumenti e la tattica della conquista, in: I caratteri originari della conquista
normanna. Diversità e identità nel Mezzogiorno (1030-1130), Atti delle XVI giornate
normanno-sveve, Bari 5-8 ottobre 2004, a cura di R. Licinio e F. Violante, Bari 2006, p.
113; M. Chibnall, cit., p. 87.
50
Cfr. F. Cardini, Alle radici, cit., pp. 86-110.
51
Cfr. N. Webber, The Evolution of Norman Identity, Woodbridge 2005, pp. 60-71.
52
Cfr. R. H. C. Davis, The Normans and their Myth, London 1997, pp. 84-92; N.
Webber, cit., pp. 71-84.
~ 21 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

Con i necessari, doverosi distinguo, lo spirito dei primi Normanni giunti


nel Mezzogiorno, non fu molto dissimile da quello che animò le leggendarie
compagnie mercenarie dei Vichinghi di Jomsborg. Queste operarono tra i secoli
X-XI e furono caratterizzate da un forte senso di appartenenza simile alle
Normannitas, per altro rafforzato da un rigido codice comportamentale e dalla
condivisione egualitaria di prede e bottini di guerra53.
I Normanni giunti in Italia adottarono tattiche belliche non dissimili da
quelle impiegate dai loro antenati scandinavi nel nord della Francia, ma anziché
guerreggiare per mare si specializzarono nel combattimento a cavallo, serbando
intatto il senso germanico dell’onore e della fedeltà ai loro comandanti,
manifestando un fortissimo spirito di aggregazione, frutto del retaggio teutonico
dei clan54.
A tal proposito sembra utile ricordare che quando tali gruppi furono
costretti a combattere l’uno contro l’altro poiché assoldati da fazioni rivali,
sovente la parte vincitrice tentò di ottenere condizioni favorevoli per i
conterranei sconfitti55. I Normanni reclutati da Melo per liberare la Puglia dal
giogo costantinopolitano furono in grado di ottenere, in breve tempo, cinque
vittorie consecutive56 riuscendo, entro il settembre del 1018, a cacciare gli
stupefatti e atterriti Greci da tutta quella regione delimitata a nord dal Fortore
ed a sud da Trani57.
Le fortune di codesta coalizione sarebbero state tuttavia ben presto
rovesciate dalla disastrosa sconfitta patita a Canne. Determinato a schiacciare
definitivamente i propri avversari, l’imperatore Basilo II schierò un potente
esercito al comando del catepano Basilio Boioannes, rinforzandolo con un
distaccamento di guerrieri russi, noti come Variaghi58, che costituivano la

53
Cfr. N. Hooper, The housecarls in England in the eleventh century, in: Anglo-
Norman Warfare: Studies in Late Anglo-Saxon and Anglo-Norman Military, ed. M. J.
Strickland, Woodbridge 1992, pp. 2-9.
54
Cfr. G. Amatuccio, Fino alle mura di Babilonia. Aspetti militari della conquista
normanna del Sud, in: Rassegna storica salernitana, XV (1998), p. 11; M. Chibnall, cit., p.
87.
55
Cfr. R. A. Brown, cit., p. 117.
56
Et quant il oi dire que par hardiesce de chevalier estoit sa terre assalie, manda
contre li Normant li plus fort home qu'il put trover. Et puiz la venue de ces autres, ordenant
la seconde bataille. Més li Grex perdirent et li Normant estoient touzjors ferme. Et de ce ot
grant dolor l'Empereor. Et manda grant multitude de gent, et ordena la tierce de bataille,
et la quarte, et la quinte. Et tout veincirent li Normant. Et ensi Melo, par la force de li
Normant, fu en lo trone de son honor. Cfr. AMATO, I, XXI, p. 28.
57
Cfr. J. J. Norwich, I normanni nel Sud 1016-1130, tr. it., Milano 19716, pp. 31-
32.
58
Multa Graecorum cum gente Basilius ire iussus, in hunc audax anno movet
arma sequenti, cui catapan facto cognomen erat Bagianus. Cfr. GUP, I, 103. Cfr. altresì G.
De Blasiis, La insurrezione pugliese e la conquista normanna, Napoli 1864, vol. I, p. 91.
~ 22 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

propria guardia personale. Per descrivere la moltitudine dei Greci, che contava
per altro un certo numero di Bucellari59, lo storico Amato di Montecassino
ricorda le loro lance che si ergevano fitte come un canneto60. Tale riferimento è
assai interessante, volendo presumibilmente alludere alla presenza sul campo di
numerose unità di fanteria che, nell’esercito bizantino dei secoli X-XI,
rivestivano un ruolo di primaria importanza.
Squadre di 7-10 soldati appiedati erano raccolte in unità di cinquanta
uomini o di cento, che costituivano una tassiarchia (qualcosa di simile alla
contemporanea brigata), soggiacente agli ordini di un tassiarca. Si suppone che
una tassiarchia potesse arrivare ad avere fino a 400 fanti pensanti provvisti di
scudi, coperti con armature di cuoio o trapuntate ed aventi, quale arma favorita,
la lancia.
Della tassiarchia facevano parte inoltre trecento arcieri, duecento fanti
leggeri armati di giavellotti e fionde e una nuova tipologia di soldati appiedati
detti menavlatoi, scelti per il loro coraggio, che venivano disposti alla testa
della fanteria, armati di lunghe e robuste lance, impiegate per contenere
l’impatto della cavalleria opponente. La cavalleria bizantina disponeva invece
di tre linee d’attacco; due composte da armati leggeri (lancieri ed arcieri) ed
una terza composta dai celebri kataphraktoi, schierati nella caratteristica
formazione a triangolo (o cuneus)61.
Ogni cavaliere catafratto indossava un klibanion, ovvero una lorica
lamellare corta, mentre braccia ed avambracci erano protetti da spesse
protezioni dette μανικέλια. Sotto il klibanion costoro recavano poi zabai
(ζάβαι), consistenti in sezioni di cotta ad anelli, o di piastre o di cuoio,

59
Cfr. G. Brown, cit., p. 22. I Bucellarii erano soldati a cavallo assai esperti, divisi
in ‘scudieri’ (hipaspisti) e lancieri (dorifori). Maurizio Imperatore, Strategikon. Manuale di
arte militare dell’Impero Romano d’Oriente, a cura di G. Cascarino, Rimini 2006, p. 41,
nota 4.
60
Et tant vindrent de gent sanz nombre, et lo champ fu tot plein de la multitude de
lo exercit de l'Empereor. Et sont veues les lances estroites come les canes sont en lo lieu où
il croissent, et venant, encontre, petit de Normant en l'aide de Melo. Cfr. AMATO, I, XXII,
p. 29.
61
Come scrive Amatuccio a proposito della battaglia di Oliveto, più che la forma
di un triangolo, lo schieramento dei kataphraktoi aveva quello di un trapezio che
dispiegava una prima linea di venti uomini ed aumentava, nelle linee successive, di quattro
in quattro fino ad arrivare all'ultima linea, la dodicesima, a sessantaquattro uomini. Scopo
di tale formazione era quello d'indirizzare la carica contro un determinato punto dello
schieramento nemico, quello dove di solito si trovava il comandante, per scardinarlo. I
Normanni contrapposero a questo tipo di tattica alquanto farraginosa uno schieramento
più snello e leggero, costituito da tre settori (due ali ed il centro) dispiegati su di una sola
linea, ma con compiti tattici ben delineati: al centro il nerbo di cavalleria, destinato alla
carica frontale, alle ali i fanti rinforzati da cavalieri appiedati. Cfr. G. Amatuccio, Fino
alle mura di Babilonia, cit., p. 12.
~ 23 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

implementati da kremasmata (κρεμάσματα), una sorta di sottoveste corazzata


che proteggeva il cavaliere dalla cintola alle ginocchia. La testa era protetta da
un elmo, con l’aggiunta di due o tre strati di ζάβαι. L’arma favorita da tali
guerrieri era rappresentata da una mazza di ferro, alla quale veniva aggiunta il
παραμήριον (paramerion), spada ricurva di influenza avara ed una seconda
spada a doppio filo, detta σπαθίον (spathion).
Tali corpi di elite erano generalmente poco numerosi, attesi gli elevati
costi dei loro equipaggiamenti e pare che questi fossero completamente
scomparsi dall’esercito greco all’epoca dell’offensiva normanna contro
l’impero costantinopolitano del 108062.
Le fonti non ci hanno purtroppo tramandato le dinamiche dello scontro
di Canne ma sembrerebbe lecito credere che un ruolo importante venisse
giocato dai Variaghi (fra le cui fila sarebbero confluiti, dopo la battaglia di
Hastings, numerosi guerrieri anglosassoni)63 la cui arma caratteristica era una
lunga ascia che poteva avere una doppia lama,64 capace di ridurre in schegge gli
scudi e di falciare senza alcuna pietà cavalli e cavalieri. Decisiva dovette essere
inoltre l’azione della fanteria armata di lance. La cavalleria pesante avrebbe
invece verosimilmente caricato gli avversari, non prima di avere lasciato che i
soldati appiedati sviluppassero le fasi salienti dello scontro. Nonostante il
numero soverchiante dei Greci, i Normanni si batterono con coraggio lasciando
sul campo di battaglia, secondo le stime di Amato, duecentocinquanta dei loro
conterranei.
Altri ancora furono tratti prigionieri e condotti a Costantinopoli65
mentre i sopravvissuti, oramai abbandonati da Melo, vagarono alla ricerca di un

62
Su tutto, rimando all’ottima tesi di dottorato, realizzata sotto la supervisione del
prof. Strickland e della dottoressa M. Dunn, di G. Theotokis, The campaigns of the Norman
dukes of southern Italy against Byzantium in the years between 1071 and 1108 AD.,
University of Glasow. Department of History, Glasgow 2010, pp. 99-100; A. M. Maffry
Talbot, D. F. Sullivan (eds), The history of Leo the Deacon: Bizantine Military Expansion
in the Thenth century, Washington D.C. 2005, pp. 5-6.
63
La presenza di guerrieri provenienti dall’Inghilterra fra le fila dei Variaghi al
servizio di Bisanzio, sarebbe attestato da Goffredo Malaterra: Angli vero, quos Waringos
appelant. MALATERRA, III, 17.
64
Caudatis bidentibus. Ibidem. Cfr. altresì P. Grotowski, Arms and Armour of the
Warrior Saints: Tradition and Innovation in Bizantine Iconography (843-1261), Leiden
2009, p. 375, nota 281; J. Godfrey, The Defeated Anglo-Saxons Take service with the
eastern emperor, in: Anglo-Norman Studies, I, Proceedings of the Battle Conference 1978,
ed. R. Allen Brown, Totava 1978, pp. 63-74.
65
Més pour un de li Normant furent mort molt de anemis; et en tant fu forte la
bataille que de .II.C.L. Normant non remestrent se non .x. AMATO, I, XXII, pp. 29-30; G.
De Blasiis, cit., p. 91. A proposito della battaglia di Canne, vedi altresì G. Di Perna, La
conquista normanna della Capitanata. Dalla ribellione di Melo alla battaglia di Civitate
(1009-1053), Poggio Imperiale 2000, pp. 49-52.
~ 24 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

ingaggio mercenario presso i potentes locali. Una parte di costoro rientrarono al


servizio di Gaimar di Salerno, altri posero le loro spade al servizio di Pandolfo
di Benevento e dei conti di Ariano, altri ancora furono ingaggiati da Atenolfo,
abate di Montecassino che li impiegò per tenere a bada le scorrerie dei suoi
vicini66. La sconfitta di Canne dovette rappresentare non solo un duro colpo
militare, ma soprattutto psicologico per i Normanni. Come ribadito da Amato,
essi avevano battuto per ben cinque volte i Bizantini ma è ragionevole pensare
che fu Canne il primo vero e proprio scontro campale, nel corso del quale i
discendenti di Rollone sperimentarono a loro spese la forza e la coesione
dell’esercito imperiale, la cui disciplina ed il cui senso del dovere erano
costantemente temprati dalle sistematiche esercitazioni codificate dai trattati
militari (lo Strategicon dello pseudo-Maurizio, i Tactica di Leone VI, i
Praecepta Militaria di Nicephoros Phocas, i Taktika di Nicephoros Ouranos e
lo Στρατηγικόν di Cecaumenos)67. D’altra parte non è da sottovalutare il fatto
che i Normanni giunti di fresco in Italia, fossero stati immediatamente gettati
nella mischia dai Longobardi, senza avere avuto il tempo di conoscere né i loro
pur valorosi alleati, né tanto meno i loro nemici. I cavalieri del Nord dovevano
del resto essere maggiormente avvezzi alla werra (termine franco-germanico
che identifica la mischia, o la zuffa) così come del resto gli stessi Longobardi, i
quali pur avendo combattuto più volte contro gli eserciti costantinopolitani, non
erano ancora riusciti a trovare una chiave di contrasto al bellum o proelium dei
Ρομαιοι, da intendersi come opposizione ordinata ed organizzata ad un nemico.
Per tale ragione sarebbe verosimile credere che le repentine vittorie sui
Bizantini che precedettero Canne, furono conseguite confidando in massima
parte sull’elemento sorpresa, piuttosto che sulla reali capacità militari della
forza normanno-longobarda.
I Greci non si aspettavano un’offensiva da parte di tale coalizione e
quando furono in grado di organizzare un esercito ben equipaggiato e
disciplinato agli ordini di un comandante esperto, per i normanno-longobardi fu
la fine. I Normanni lasciarono sul suolo di Canne buona parte dei loro. La
disfatta servì però da monito a tali guerrieri, i quali avrebbero, da quel
momento in poi, imparato a non sottovalutare la macchina da guerra
dell’impero d’oltreadriatico.
Dopo avere soffocato la ribellione longobarda, Basilio Boioannes aveva
intanto ricostruito la città fortificata di Troia, decidendo di affidarne il controllo
ai Normanni, le cui doti belliche aveva avuto occasione di apprezzare sul

66
Cfr. F. Chalandon, Histoire de la domination normande en Italie et en Sicilie,
vol. I, Paris 1907, p. 58.
67
Cfr. Theotokis, The campaigns, cit., p. 84.
~ 25 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

campo di battaglia cannense68. Bisanzio disponeva in Italia dei cosiddetti


contarati (κονταράτοι), milizie reclutate tra le popolazioni longobarde, la cui
arma favorita pare fosse una lancia corta.
Costoro erano equipaggiati sommariamente, indisciplinati, scarsamente
addestrati e combattevano prevalentemente a piedi. Nonostante la loro limitata
affidabilità, tali contingenti costituirono parte integrante delle armate bizantine
che ebbero a scontrarsi in Italia contro i Normanni. Il Boioannes evitò tuttavia
di affidare ai contarati il presidio della città di Troia69. I cavalieri che avevano
combattuto al fianco di Melo costituirono dopo il 1016 e prima del 1024, la
contea di Ariano che può essere, secondo Errico Cuozzo, considerata a buon
diritto il primo organismo politico normanno dell’Italia meridionale70.
Nel 1030, il condottiero nonché capo della seconda immigrazione
franco-settentrionale Rainulfo Drengot ottenne dal duca Sergio IV di Napoli
l'ex roccaforte bizantina di Aversa, a nord dell’odierno capoluogo campano,
insieme alla mano di una sua sorella. Quando restò vedovo della sorella di
Sergio, Rainulfo sposò allora una figlia del Patrizio di Amalfi e nipote di
Pandolfo IV di Capua, acerrimo nemico di Sergio71. Tali unioni furono assai
importanti poiché realizzarono una prima connessione tra l’aristocrazia di
sangue longobarda e la nobilitas della cavalleria normanna, obliterando almeno
in parte la componente brutale che aveva contraddistinto i primissimi guerrieri
nordici72. Sotto il governo di Rainulfo, che si era intitolato conte, Aversa fu
dotata di una poderosa cinta muraria ed organizzata come una sorta di piazza-
caserma di mercenari, pronti a vendere le loro professionalità al migliore
offerente73. Rainulfo aveva però bisogno di nuovi guerrieri ed è per tale ragione
che inviò i propri messi oltralpe, con l’incarico di reclutare uomini di
qualunque condizione sociale, desiderosi di guadagnarsi da vivere, praticando il

68
Ivi, p. 32; W. Holtzmann, Der Katepan Boioannes und die kirchliche
Organisation der Capitanata, in: Nachrichten der Akademie der Wissenschaften in
Göttingen, Philologisch-Historische Klasse, I (1960), pp. 21-39.
69
Cfr. G. Theotokis, The campaigns, cit., pp. 151-152; F. Chalandon, cit., p. 50 .
70
E. Cuozzo, Intorno alla prima contea normanna nell’Italia meridionale, in:
Cavalieri alla conquista del Sud. Studi in memoria di Léon-Robert Ménager, a cura di E.
Cuozzo e J. Martin, Roma-Bari 1998, pp. 171-193.
71
A. Gallo, Aversa normanna, Napoli 1938, pp. 3-23; G. De Blasiis, cit., p. 107 e
pp. 119-122, 144-147, 189-193; B. Vetere, Salerno “cattedrale”. Aversa e Troia. Città
nuove ? Galatina 1997, p. 9; S. Tramontana, I normanni in Italia: Linee di ricerca sui primi
insediamenti: Aspetti politici e militari, Messina 1970, vol. I, p. 127.
72
Cfr. V. D’Alessandro, Nobiltà e parentela nell’Italia normanna, in: Anglo
Norman Studies, XV, cit., pp. 91-92.
73
Cfr. F. Porsia, I segni sul territorio. Città e fortificazioni, in: I caratteri originari
della conquista normanna, in: I caratteri originari della conquista normanna, cit., p. 229.
Cfr. altresì G. De Blasiis, cit., p. 120.
~ 26 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

mestiere delle armi. Giunsero allora ad Aversa non solo Normanni ma anche
Bretoni e un certo numero di esuli in fuga da terre vicine alla suddetta città
campana, tutti accolti con benevolenza da Rainulfo74.
Nel frattempo, intorno al 1035, i primi esponenti della famiglia
Altavilla raggiunsero l’Italia. Costoro non erano malviventi forzati all’esilio
ma erano i figli di Tancredi, un vassallo di rango moderato del Contentin, per
altro valente uomo d’arme, il quale aveva prestato servizio presso il duca
Riccardo II di Normandia in qualità di comandante di una unità di dieci
cavalieri75. Dalla sua prima moglie Muriella costui ebbe cinque figli:
Guglielmo, detto Braccio di Ferro, Drogone, Unfredo, Goffredo e Serlo. Dopo
la morte di costei, la seconda moglie Fredesenda gli e ne donò altri sette:
Roberto, detto il Guscardo, Maugerio, Guglielmo, Alfredo, Uberto, Tancredi e
Ruggero76. Tutti ricevettero un addestramento militare. Poiché il patrimonio del
padre era insufficiente per essere equamente spartito tra la numerosa prole, la
maggioranza di questa abbandonò la terra d’origine, per andare alla ricerca di
un ingaggio mercenario in quell’Italia meridionale che dovette loro apparire
come una terra di grandi opportunità, una sorta di continente americano ante-
litteram, per coloro i quali coltivavano un’ambizione e nutrivano trascurabili
scrupoli di coscienza77.
Guglielmo Braccio di Ferro e Drogone cominciarono la loro carriera,
servendo come comandanti mercenari negli eserciti di vari duchi longobardi e
talora sotto le insegne di Bisanzio. Nel 1038 il novello imperatore Michele IV
organizzò una grande spedizione contro la Sicilia musulmana al comando del
generale Giorgio Maniace e si rivolse al principe longobardo di Capua e
Salerno in cerca di sostegno armato. Costui rispose all’appello del dinasta

74
Ibid., pp. 121-122.
75
Cfr. M. Chibnall, cit., p. 89.
76
Tancredus nomine, duxit uxorem, moribus et genere splendidam mulierem,
nomine [Moriellam], ex qua legali successione annorum quinque filios, postea futuros
comites, suscepit: Willelmum videlicet cognomine Ferrea-brachia, Drogonem, Humfredum,
Gaufredum et Serlonem.[…] Ducta vero Frensendis vocabatur, generositate et moribus
priore non inferior, quae legitimis terminis marito septem peperit filios, non minoris pretii
vel dignitatis a praedictis fratribus, quorum nomina subtitulamus hic: primus Robertus,
dictus a nativitate Guiscardus, postea totius Apuliae princeps et Calabriae dux, vir magni
consilii, ingenii, largitatis et audaciae; secundus Malgerius, tertius Willelmus, quartus
Alveredus, quintus Hubertus, sextus Tancredus, septimus Rogerius minor, postea Siciliae
debellator et comes. Cfr. MALATERRA, I, IV.
77
Primo patria digressi, per diversa loca militariter lucrum quaerentes, tandem
apud Apuliam, Italiae provinciam, Deo se ducente, pervenerunt. Ivi, I, V.
~ 27 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

orientale, inviando un corpo di 300 ausiliari normanni, fra i quali vi erano


anche Guglielmo, Drogone ed Unfredo Altavilla78.
In tale occasione, costoro ebbero la possibilità di studiare e saggiare
molto da vicino l’eterogeneità ed il valore tecnico-strategico dell’esercito greco,
composto, in quella circostanza, da pugliesi e calabri (agli ordini di Michele
Docheianos) fra i quali dovevano essere annoverati verosimilmente anche i
κονταράτοι longobardi agli ordini di Arduino e gli ausiliari russi e scandinavi
che si trovavano sotto il diretto comando di Maniace 79. La campagna di Sicilia
prese avvio con lo sbarco dei Greci a Messina80 ed alla fine non riscosse il
successo auspicato dall’imperatore.
Ciò nonostante, gli Altavilla si distinsero per la loro audacia e per il
valore militare, in particolare Guglielmo, che affrontò ed uccise in duello
l’emiro di Siracusa, suscitando l’ammirazione di Siciliani e Greci 81. La
partecipazione dei Normanni a tale spedizione fu ad ogni modo un’eccellente
‘vetrina pubblicitaria’ che avrebbe ben presto garantito, a molti di costoro, un
remunerativo ingaggio fra le fila dell’esercito costantinopolitano.
Normanni, ma anche Franchi e Italici, furono allora raggruppati in corpi
d’armata, divenendo noti con l’appellativo di Maniakatoi (dopo Maniace), in
ricordo di quel generale che li aveva condotti nelle terre ultradriatiche. Insieme
agli arcieri turchi costoro costituirono il nerbo del rinnovato esercito bizantino82
e la loro presenza fu registrata a Costantinopoli già nel 1047, in occasione della
ribellione dell’ex catempano d’Italia Leone Tornicio. Con il trascorrere del
tempo, tali guerrieri sarebbero stati identificati con il termine mistophoroi, ad
indicare coloro che percepivano una paga in cambio di prestazioni militari83.
Nel 1078 il loro numero sarebbe stato per altro considerevole fra le
truppe del generale Nicephoro Briennio, sconfitto dal futuro imperatore Alessio

78
Qui eius precantibus annuens, Guilelmum, Drogonem, et Hunfridum Tancredi
filios, qui noviter a Normannia venerat, cum trecentis aliis Normannis illi in auxilium misit.
Cfr. LEOST, Lib. II, 66, p. 675. Cfr anche, G. De Blasiis, cit., pp. 133-135.
79
Cfr. M. Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, cit., vol. II, Firenze 1858, pp.
380-82.
80
Maniacus non minimum gavisus, plurimum eorum auxilio fidens, navigio aptato,
Siciliam numeroso exercitu invadit, primoque Messanam, quia ripae, qua applicuit,
contigua erat, oppugnans, deditione foedus secum inire coëgit. Cfr. MALATERRA, I, VII.
81
Willelmus, Tancredi filius, qui Ferrea-brachia nuncupabatur, plurimum
indignatus, impetu facto, super eum irruit fortiterque congrediens, hostili robore deiectum
interfecit: unde et maxima laudis admiratione deinceps apud Graecos et apud Siculos fuit.
Ibid. Cfr. altresì F. Chalandon, cit., p. 93.
82
Cfr. G. Amatuccio, cit., p. 10; J. F. Haldon, Byzantine Warfare, Aldershot 2007,
p. 198.
83
Cfr. J. Shepard, The uses of the Franks in Eleventh-century Bysantium, in:
Anglo-norman studies, XV, cit., p. 285.
~ 28 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

I, durante il regno di Niceforo III Botaniate84. Intanto, dopo la campagna di


Sicilia, nuove ed allettanti prospettive si sarebbero presentate ai Normanni
d’Italia. Durante il corso delle operazioni militari nell’isola, Arduino si era
rifiutato di consegnare a Maniace uno splendido destriero sottratto ad un
Saraceno che egli stesso aveva ucciso in battaglia. A cagione di tale rifiuto
costui era stato denudato, frustato e privato dell’animale85. A seguito di tale
episodio, Arduino ed suoi compagni longobardi abbandonarono l’esercito
bizantino, seguiti dai Normanni e dalla brigata scandinava86. Determinato a
vendicarsi dell’affronto patito e approfittando del sentimento antigreco che
regnava nel Sud Italia e che aveva fomentato una nuova insurrezione in Puglia,
il condottiero longobardo ottenne l’ausilio armato di di Guaimaro V di Salerno
e quello di Rainulfo Drengot. Nel marzo del 1041 Arduino incontrò in gran
segreto Rainulfo in Aversa e gli propose di allearsi con i suoi Longobardi e di
cacciare definitivamente i Greci dall’Italia meridionale, per poi spartirsi in parti
eguali le terre conquistate. Il conte franco-settentrionale convocò i suoi a
consiglio e ottenne da questi l’assenso all’impresa. Stando alle testimonianza di
Amato e di Leone da Ostia, Rainulfo designò allora 12 capi militari, secondo le
tradizioni tribali germanico-vichinghe della Gefolgschaft, che avrebbero dovuto
guidare altrettanti contingenti di combattenti, per un totale di 300 uomini87.
Fu in quel momento che il termine comes, stante in origine ad indicare
in modo generico il componente di gruppi armati o comitivae, avrebbe
modificato il proprio significato e sarebbe stato gradatamente impiegato per
indicare invece il comandante di una comitiva. Sembrerebbe che la

84
G. Finlay, History of the Byzantine empire from DCCXVI to MLVII, Edimburg-
London 18562, p. 508, nota 1.
85
Quant la bataille de Sycille, dont nouz avons parlé devant, se faisoit, un qui se
clamoit Arduyn, servicial de saint Ambroise, archevesque de Melan, combatant soi en celle
bataille, abati un Sarrazin. Et lo caval de li Sarrazin estoit molt bel; si lo mena à son
hostel. Et li Duc de la militie troiz foiz manda pour lo cheval, et Arduine non lui vouloit
mander; e dist que o sa main victoriose l'avoit conquesté et o l'aide de Dieu. Et par lo
commandement de lo superbe Duc, injuriosement fu mené Arduino et lo cheval. Et, secont
la pessime costumance de li Grex, fu batut tout nu, et li cheval lui fu levé. Cfr. AMATO, I,
XIII, p. 72; LEOST, p. 675.
86
F. Chalandon, cit., 94; J. Norwich, cit., pp. 68-69.
87
Et prometent li Normant d'aler à ceste cose à laquelle sont envités. Et font une
compaingnie et sacrement ensemble avec Arduyne; et jurent que de ce qu'il aquesteroient
donroient la moitié à Arduyne. Et eslut li Conte .XII. pare, à liquel comanda que
equalement deuisent partir ce qu'il aquestoroient. Et lor donna troiz cens fortissimes
Normans, à liquel donali goffanon por veinchre. Cfr. AMATO, XVIII, p. 76. Mox idem
comes duodecim de sui capitaneos eligit, et ut aequaliter inter se adquirenda omnia,
dividant praecipit. LEOST, p. 675. Vedi inoltre altresì G. De Blasiis, cit., pp. 148-149; J. J.
Norwich, cit., pp. 71-73; cfr. C. G. Mor, Il valore giuridico del titolo «Dux Apuliae», in:
Roberto il Guiscardo e il suo tempo, cit., p. 232.
~ 29 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

trasformazione fosse stata agevolata dal fatto che in Italia il titolo di comes
conservasse già un proprio valore semantico circoscritto ad un territorio nel
quale il vocabolo greco Κόμες, di origine romano-orientale, era sinonimo di
topotereta, identificante il capo militare di una città, oppure l’esercente di
un’ancorché generica giurisdizione88. Il condottiero della comitiva avrebbe
esercitato una vera e propria giurisdizione in ordine al diritto militare; un diritto
questo prettamente consuetudinario, basato non sull’applicazione di una norma
certa ma lasciato, sovente, alla discrezionalità di colui che era chiamato a farlo
rispettare.
Coloro i quali si insediarono ad Aversa non avevano del resto ancora
maturato quell’idea di vassallaggio legata ad un mondo gerarchizzato nel quale
la fedeltà aveva un marcato connotato personale. Essi appartenevano invece ad
un ordine militare socialmente irreggimentato all’interno di quella res publica,
della quale si sentivano membri attivi.
In altre parole ci sembra utile ribadire che i Normanni di Aversa non
erano a conoscenza di un sistema coerente di carattere feudo-vassalatico e
pertanto diedero vita ad una struttura egualitaria basata sulla partecipazione
all’ordo militum, parzialmente mutuato dalla militia Neapolitanorum, composta
da uomini che erano entrati in possesso di terre di proprietà del Fisco Imperiale
e che si sentivano vincolati alla res publica della quale facevano parte89.
Ciò rappresentò un decisivo passo in avanti rispetto ai primi anni di
permanenza in Italia dei mercenari transalpini, durante i quali costoro posero le
loro spade al servizio dei principi longobardi e del duca di Napoli, seguendo il
mos militiae (termine giuridico che per altro trova riscontro anche in Tacito),90
vincolo consuetudinario che non cedette mai completamente il passo al nesso
personale-reale di matrice feudale, che obbligava il Signore a sostenere le spese
del vitto e del sostentamento dei milites, i quali erano a loro volta tenuti a
provvedere ai loro cavalli e alle loro armi91. In origine il termine miles non fu
necessariamente impiegato fra i Normanni per identificare l’appartenenza di un
individuo al ceppo aristocratico, stando invece a designare ed accomunare nel
ruolo di pari, tutti coloro che parteciparono militarmente alla conquista del

88
Cfr. F. Fiori, Tracce della presenza bizantina nella toponomastica dei territori
dell’Esarcato e della pentapoli fra VII e XIII secolo, in: Di un territorio di confine.
Archeologia e storia di un territorio di confine, a cura di C. Ravara Montebelli, Roma
2008, p. 94; C. G. Mor, cit.
89
Cfr. su tutto, E. Cuozzo, La militia Neapolitanorum: un modello per i milites
normanni di Aversa, in: Mélanges de l'école française de Rome, 107 (1995), pp. 31-38.
90
TACITO, Annales, I, VI, 36 : Ut mos militiae, factum esse quod imperasset, etc.
91
Cfr. E. Cuozzo, "Milites" e "testes" nella contea normanna di Principato, in:
Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano, 88 (1979),
p. 148.
~ 30 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

Sud92. La legittimazione del loro status derivò pertanto non già dal possesso di
terre, ma dall’esercizio del mestiere delle armi93.
Quando dunque la dominazione dei discendenti di Rollone venne
progressivamente a stabilizzarsi nel Mezzogiorno, il miles continuò per lungo
tempo a mantenere una posizione subordinata rispetto a coloro che incarnano
superiori poteri politici e territoriali94.
In una cultura marcatamente combattentistica come quella normanna
nella quale era attribuito grande valore all’abilità guerresca, la strenuitas poteva
dunque rappresentare motivo di notevole avanzamento sociale ma, nella
maggioranza dei casi, l’appartenenza alla militia designava l’affiliazione ad un
genus di subordinati.
Del resto il nucleo degli atti più antichi della dominazione normanna in
Italia, quello cioè composto dai documenti risalenti a Roberto il Guiscardo ed a
Ruggero I, non fanno mai menzione di milites quali membri dell’entourage dei
due sunnominati personaggi, dimostrando come non esistesse alcuna
sovrapposizione fra il rango aristocratico e l’appartenenza alla militia 95.

2 - Olivento, Montemaggiore, Montepeloso: ‘scuole di guerra a confronto’.

I dodici capi normanni designati da Rainulfo partirono con le loro


truppe alla volta di Melfi e vi giunsero nottetempo al seguito di Arduino, il
quale era stato in precedenza nominato comandante militare (topoteretes) della
città, per conto di Bisanzio, dal catapano Michele Doukeianos96. Il condottiero
non esitò a tradire la fiducia del summenzionato alto ufficiale, conducendo i
suoi nuovi alleati dentro le mura di Melfi, per riunirli alle milizie longobarde97.
Dalla città lucana i Normanni cominciarono a intraprendere continue
incursioni, che culminavano puntualmente in saccheggi, omicidi e brutalità di
ogni genere. Tali azioni avevano il precipuo intento di intimidire le popolazioni
locali, fino a quel momento ignare della pervicace determinazione di questi
guerrieri sconosciuti98. Caddero dunque le città di Venosa, Lavello e Ascoli99. I

92
Cfr. E. I. Mineo, Nobiltà di stato: famiglie e identità aristocratiche nel tardo
Medioevo: la Sicilia, Roma 2001, p. 5.
93
Cfr. G. Amatuccio, Fino alle mura, cit., p. 18.
94
Cfr. E. I. Mineo, cit., p. 6.
95
Ivi, pp. 7-8.
96
Cfr. F. Chalandon, cit., p. 96; G. A. Loud, The age of Robert Guiscard: southern
Italy and the norman conquest, London 2000, pp. 78-80.
97
Cfr. G. De Blasiis, cit., pp. 150-51.
98
Ivi, p. 152; A. Settia, cit., pp. 111-112.
~ 31 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

Normanni non ebbero difficoltà a fare accrescere in breve tempo la loro fama di
uomini crudeli ed invincibili, reputazione del resto necessaria a suscitare un
sempre crescente sgomento nei Bizantini che avevano, per altro, avuto modo di
sperimentare a loro spese, ma anche a loro favore, il vaillantize dei mercenari
transalpini. Ingenuamente Michele Doukeianos inviò un messaggero che
avrebbe dovuto intimare loro l’immediato abbandono delle terre imperiali,
arbitrariamente occupate.
L’eloquente risposta dei Normanni non tardò a farsi attendere. Goffredo
Malaterra ci ha tramandato il nome di Ugo, cognomento Tudebusem il quale,
dopo avere udito l’ultimatum del comandante greco, prese ad accarezzare il
destriero montato dal messo e ad un tratto sferrò sul capo dell’animale un
pugno talmente micidiale che uno ictu quasi mortuum deiecit 100. I guerrieri del
nord non avevano alcuna intenzione di arrendersi e l’uccisione del cavallo
(episodio per altro non privo di valenze agiografiche e leggendarie), dovrebbe
essere interpretata, scrive Settia, come un esempio preclaro non tanto della
forza dell’eroe, quanto della capacità di intimidire psicologicamente il
nemico101. Il 17 marzo 1041 l’esercito imperiale incontrò in battaglia campale
la coalizione normanno-longobarda, presso le sponde del fiume Oliveto (uno
dei principali affluenti della riva destra dell'Ofanto, ai confini tra la Capitanata
ed il territorio di Melfi)102. La coalizione suddetta poteva contare su
cinquecento soldati di fanteria e settecento cavalieri, fra i quali erano da
annoverarsi i trecento uomini inviati da Rainulfo Drengot 103. Pochi di loro
dovevano però possedere un equipaggiamento completo se Guglielmo di Puglia
si sofferma a ricordare che non erano numerosi coloro i quali potevano disporre
di uno scudo e di protezioni per il corpo104.
L'armata bizantina poteva contare su un contingente di Variaghi di
origine russa che il generale Doukeianos aveva condotto con sé da Bari105,
insieme a un tagma proveniente dall’Opsikion106 ed un meros dei Traci107. Il

99
Inde Venusiam, inde Asculum, inde Labellum, viriliter occupant. Cfr. LEOST,
Lib. II, 66, p. 675. Cfr. F. Chalandon, cit., p. 97; G. De Blasiis, cit., p. 152.
100
Cfr. MALATERRA, I, IX; G. De Blasiis, cit., p. 153.
101
Cfr. A. Settia, cit., p. 112.
102
G. Di Perna, cit., pp. 113-118.
103
G. De Blasiis, cit., p. 154.
104
Nam pedites tantum quingentos turba pedestris et septingentos comitatus
habebat equestris; Obtectos clipeis paucos lorica tuetur. Cfr. GUP, I, p. 112.
105
S. Blöndal, The Varangians of Byzantium, translated, revisited & written by B.
S. Benedikz, New York 19812, p. 70.
106
Opsikion fu uno dei themata dell'Impero Bizantino. In origine il suo territorio si
estendeva a partire dagli attuali confini della Turchia, in Europa, fino in Asia,
comprendendo Nicea ed una consistente porzione del territorio dell'Asia minore posseduto
dai Greci.
~ 32 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

Doukeianos sembrò seguire con attenzione i precetti contenuti nello


Strategikon, disponendo le proprie truppe in tre linee: una di attacco, una
seconda di supporto ed una terza di riserva. Lo pseudo-Maurizio sconsigliava
infatti di schierare l’intero esercito in una sola linea, specie se composta da
lancieri, perché ciò avrebbe comportato serie difficoltà di coordinamento fra le
diverse unità, oltre al pericolo di essere sorpresi dagli avversari ai fianchi o
alle spalle108. Due linee supportantesi l’una con l’altra avrebbero invece
costituito la soluzione ottimale, poiché quelle presenti immediatamente di
fronte al nemico avrebbero combattuto con maggiore tranquillità, sapendo di
avere le spalle coperte dai loro compagni rimasti in posizione arretrata 109.
Come ben evidenziato da Giovanni Amatuccio, il medesimo principio
tattico fu ripreso da Leone VI nei suoi Taktika, mentre nel secolo X il trattato
Sylloge tacticorum e i Precepta di Niceforo Foca, prevedevano l'aggiunta di
una terza linea110. Maurizio consigliava poi ai generali di ingaggiare battaglia
campale con eserciti largamente superiori di numero o che combattevano le
guerre in modo organizzato. Il generale Doukeianos ignorò tuttavia tale
prescrizione poiché dovette ritenere di essere al comando di una forza talmente
ben ordinata, numerosa e disciplinata che sarebbe stata in grado di avere
agevolmente ragione di un nemico male armato, seppur valoroso111.
Alla forza greca, l’esercito normanno-longobardo oppose un agile
schieramento composto da un’unica linea ripartita in due ali ed un centro che
prevedeva l'impiego della fanteria in riserva, con alcuni cavalieri incaricati di
proteggerla e sostenerla112. Mentre i soldati appiedati difendevano i fianchi,
incaricandosi di respingere le eventuali manovre di accerchiamento o di attacco
laterale, la cavalleria si dispose al centro, assumendo la classica formazione a
cuneo che fu guidata contro il cuneo bizantino113. Il generale Doukeianos
ordinò ai suoi uomini un attacco con tre ondate successive, finalizzato a
fiaccare la resistenza avversaria, impiegando truppe fresche ad ogni impatto
con gli avversari114. Le manovre dei Greci non diedero però i frutti sperati e ben
presto l’esercito della coalizione riuscì ad avere ragione dei Bizantini, molti dei
quali annegano fra le acque del fiume Olivento, nel disperato quanto vano

107
Cfr. G. Amatuccio, Fino alle mura, cit., p. 8, nota 1.
108
Cfr. Maurizio Imperatore, cit., Libro I, 1, p. 43.
109
Ivi, p. 44.
110
Cfr. G. Amatuccio, Fino alle mura, cit., p. 12.
111
Cfr. Maurizio Imperatore, cit., Libro I, 2, p. 45.
112
Cfr. T. L. Gore, Neglected heroes. Leadership and war in the early medieval
period, Westport 1995, p. 89.
113
Digreditur cuneus longe paulisper equestris, contra quos cuneus Graecorum
mittitur unus. GUP, I, p. 112.
114
Cfr. G. De Blasiis, cit., p. 154, testo e nota 1; F. Chalandon, cit., p. 98.
~ 33 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

tentativo di sottrarsi all’impeto dei loro avversari 115. Michele Doukeianos riuscì
a stento a salvarsi, rifugiandosi insieme ai sopravvissuti sui vicini monti. Il
generale aveva fatto del proprio meglio per vincere la battaglia ma non si era
probabilmente reso conto che i Normanni del 1041 non erano più l’accozzaglia
di rozzi mercenari che Basilio Boioannes aveva, senza troppi sforzi, sconfitto a
Canne ventitre anni prima. Costoro avevano infatti avuto modo, nel corso degli
anni, di studiare molto da vicino l’assetto tattico-roganizzativo degli eserciti
costantinopolitaini, apprendendone e facendone proprie le tecniche militari.
I Normanni dovevano inoltre avere progressivamente sperimentato e
perfezionato nuove metodologie di combattimento, frutto non solo del bagaglio
specialistico acquisito sul campo ed in parte mutuato dalle loro terre di origine,
ma verosimilmente anche di addestramenti che, dopo la fondazione della contea
normanna di Aversa, dovettero essere sistematicamente praticati.
Le esercitazioni belliche dovettero per altro coinvolgere anche i
Longobardi i quali, pur valorosi, erano largamente digiuni di quell’armorum
doctrina che cominciarono ad apprendere dai loro compagni transalpini116. Se è
dunque perfettamente vero che nel corso della ribellione che condusse alla
battaglia di Olivento, i mercenari franco-settentrionali combatterono agli ordini
di tre condottieri longobardi, vale a dire Arduino, Atenolfo (fratello del principe
di Benevento)117 e Mariano Argiro, figlio di Melo, è comunque pensabile che
l’inquadramento delle truppe sul campo di battaglia dovesse essere, in buona
parte, frutto delle scelte tattiche suggerite dai comandanti Normanni.
Ruolo importante nella gestione dello scontro ebbe probabilmente
anche lo stesso Argiro, il quale aveva vissuto per lunghi anni a Costantinopoli,
ricoprendo incarichi di rilievo all’interno dell’esercito imperiale. Approfittando
del malcontento serpeggiante nel Mezzogiorno generato dalla coscrizione
obbligatoria imposta dai Greci per rimpolpare le fila delle truppe da spedire in
Sicilia, Argiro si schierò con i Normanni che lo riconobbero duca di Puglia118.
La sua esperienza nella coalizione longobardo-normanna fu allora
determinante, attesa la grande vittoria ottenuta ad Olivento su di un esercito,
che fatta eccezione per alcuni reparti d’elite come quelli variaghi, era in

115
Isti vero, ut fortissimi milites socios animantes, sed et ipsimet fortiter agentes,
multis ex hostibus prostratis, tandem in fugam reliquos dederunt, quos insequentes et
posteriores quosque caedentes, victoriam obtinuerunt, multis ex hostibus in flumine quod
Olivetum dicitur, dum transnatare cupiunt, submersis. Cfr. MALATERRA, I, IX.
116
Su tutto, cfr. H. Z. Tucci, Armi e armature, in: Strumenti, tempi e luoghi di
comunicazione nel Mezzogiorno normanno-svevo. Atti delle undecime Giornate normanno-
sveve: Bari, 26-29 ottobre 1993, a cura di G. Musca, V. Sivo, Bari 1995, p. 141.
117
Beneventani principis fratrem. LEOST, Lib. II, p. 675.
118
Cfr. J. Gay, L' Italia meridionale e l'Impero bizantino: dall'avvento di Basilio I
alla resa di Bari ai Normanni (867-1071), Bologna 1978, p. 432; G. S. Brown, cit., pp. 47 e
ss.
~ 34 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

maggioranza composto da soldati che guerreggiavano con scarsissimo


entusiasmo, incoraggiati in buona parte dall’oro dell’imperatore119. La notizia
della vittoria della lega antibizantina suscitò incredulità e sgomento nelle
popolazioni del Sud Italia e furono numerosi coloro che non persero tempo a
guadagnare il carro dei vincitori, accorrendo in armi ad ingrossarne le fila. Dal
canto suo Michele Doukeianos, che desiderava riscattare il proprio onore dopo
l’ignominosa sconfitta di Olivento, aveva radunato le truppe dei Themi
dell’Opsikion e della Tracia120, i Russi, i volontari della Calabria e della
Capitanata, ovvero guerrieri provenienti dalle popolazioni autoctone e Greci
che vivevano nel Mezzogiorno, dei quali guidavano alcune schiere i vescovi
Angelo da Troia e Stefano d’Acerenza121.
Ben conscio del pericolo che correvano i propri domini d’oltreadriatico,
l’Imperatore spogliò le chiese per raccogliere denaro e raddoppiò il soldo ai
mercenari122. Nel maggio del 1041 i due eserciti si scontrarono presso
Montemaggiore e Doukeianos fu nuovamente battuto e costretto alla fuga verso
Bari, mentre un gran numero di Russi che componevano la guardia variaga e di
Greci annegarono nell’Ofanto in piena123. Il generale bizantino sapeva che,
dopo avere patito due sconfitte consecutive, la sua carriera era appesa ad un filo
ed è per tale ragione che tentò la frenetica riorganizzazione dell’esercito,
richiamando dalla Sicilia i contingenti dei museri, dei macedoni, dei pauliciani,
avvalendosi inoltre del supporto militare dei calabresi.
Mentre si apprestava a pianificare una nuova offensiva, Michele venne
rimosso dall’imperatore e sostituito dal nuovo catepano Augusto Bugiano,
figlio del grande ammiraglio Basilio II, il quale giunse in Italia con nuovi
contingenti di variaghi e con ingenti fondi da impiegare per la definitiva
risoluzione della campagna militare124. Truppe fresche si ricongiunsero allora a
quelle già in precedenza radunate dal Doukeianos125, fra le cui fila militavano
anche gli eretici monofisisti che insieme ai pauliciani, appartenevano
verosimilmente al tagma dei Manichei, largamente impiegato durante il regno
di Alessio I126. Anche le forze della coalizione ribelle avevano ricevuto
consistenti rinforzi, poiché i Normanni avevano promesso che avrebbero

119
Cfr. G. Amatuccio, cit., p. 11.
120
Cfr. J. Skylitzes, A Synopsis of Byzantine History, 811-1057, ed. J. Wortley,
Cambridge 2010, p. 401.
121
Cfr. G. De Blasiis, cit., p. 156; F. Chalandon, cit., p. 98.
122
Cfr. G. De Blasiis, cit., p. 156, nota 1.
123
Ut plures fuerint aquis absorti quam gladiis interempti. LEOST, LIb. II, 66, p.
676; S. Blöndal, The Varangians of Byzantium, cit., p. 70; G. De Blasiis, cit., p. 157; G. Di
Perna, cit., pp. 119-122.
124
G. De Blasiis, cit., pp. 158-159; S. Blöndal, cit., pp. 70-71.
125
Cfr. F. Chalandon, cit., p. 100.
126
Cfr. G. Amatuccio, cit., p. 8, nota 1.
~ 35 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

condiviso il bottino strappato ai Greci con chiunque si fosse arruolato fra le loro
schiere127. Il loro numero non poteva naturalmente competere con quello degli
effettivi costantinopolitani che, non lontano da Melfi, si apprestavano a mettere
in atto un terzo tentativo di domare l’insurrezione divampata nel Sud Italia.
Le truppe della coalizione si accamparono all’esterno della città, sul
monte Siricolo, presso Montepeloso, proprio di fronte agli acquartieramenti
bizantini, per sfruttare al meglio la posizione sopraelevata del luogo. I
Normanni intercettarono e s’impadronirono di un convoglio di bestiame
destinato ai Greci e riuscirono ben presto a costringere le truppe imperiali a
battaglia campale128. Era il 3 settembre del 1041. Come già in precedenza
specificato, Augusto Bugiano disponeva di un esercito di gran lunga superiore a
quello dei ribelli, ma non aveva ancora ben chiaro con quale sorta di pericolo
avrebbe dovuto cimentare se stesso ed i propri soldati. Ad imitazione di ogni
buon generale ‘romano’, egli dovette verosimilmente aderire ai precetti della
trattatistica militare, nella quale il suo popolo aveva codificato l’arte della
guerra. Come già in precedenza ricordato, lo pseudo-Maurizio suggeriva del
resto di accettare battaglia in campo aperto, solo in caso in cui si disponesse di
truppe di gran lunga superiori a quelle avversarie. Augusto Bugiano seguì alla
lettera tale precetto e fu la fine.
Le fasi preliminari dello scontro si rivelarono incerte, con i soldati di
entrambi gli schieramenti che ripiegavano vicendevolmente, per poi tornare
all’attacco129. Guglielmo di Altavilla giaceva intanto infermo nella propria
tenda a causa della febbre quartana. Dall’accampamento normanno-longobardo
collocato in posizione sopraelevata, egli seguiva le fasi della battaglia e quando
si rese conto che l’impeto dei suoi compagni stava perdendo vigore, si precipitò
al loro fianco, esortandoli con le parole e con l’esempio a riprendere
l’assalto130. Improvvisamente le linee greche cominciarono a cedere sotto
l’impeto dei lancieri avversari che riuscirono a scompaginarne le fila. Colti dal
panico, i Bizantini fuggirono cercando riparo nei boschi circostanti, mentre i
normanno-longobardi li inseguivano facendo strage dei macedoni e degli

127
Et donnoient et faisoient doner chevaux de la ricchesce de li Grex qu'il avoient
veinchut en bataille, et prometoient de doner part de ce qu'il acquesteroient a ceaux qui lor
aideroient contre li Grex. Et ensi orent la gent cuer et volenté de combatre contre li Grex.
AMATO, II, XXV, p. 86.
128
F. Chalandon, cit., p. 100. Come suggerito da Amato, i Normanni provocarono i
Greci allo scontro, agitando il loro gonfalone, gesto al quale costoro replicarono
sventolando, a loro volta, il loro stendardo di guerra: Et quant li Grex virent ce, il haucerent
lor gofanon. Et ensi li Normant et li Grezois [s']assemblerent a bataille. AMATO, II,
XXVI, p. 90.
129
Nunc hi, nunc illi fugiuntque fugantque fugantes. GUP, I, p. 119.
130
Cfr. MALATERRA, I, X.
~ 36 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

appulo-calabri131. La vittoria fu talmente schiacciante che lo stesso generale


Bugiano fu catturato e condotto con le sue insegne prima a Melfi e
successivamente affidato alla custodia di Atenolfo, che lo condusse a sua volta
a Benevento. Le conseguenze medianiche delle tre grandi vittorie su uno degli
eserciti più forti e potenti del Medioevo furono enormi. Il prestigio militare dei
Greci ne uscì irrimediabilmente intaccato e le città di Bari, Monopoli,
Giovinazzo e Matera si schierarono apertamente a favore dei ribelli132.
L’euforia per i recenti trionfi venne però rovinata da dissidi scoppiati
all’interno dei vertici della coalizione. I Longobardi di Puglia erano per nulla
intenzionati a soggiacere al dominio di Arduino, né tanto meno a quello di
Atenolfo di Benevento e in tale presa di posizione furono incoraggiati da
Guaimario, il potentissimo principe di Capua e di Salerno, che si sentiva
profondamente indignato per la scelta di Atenolfo come capo dei ribelli.
Dissidi divamparono inoltre anche fra i Normanni. La piccola enclave
fatta insediare circa vent’anni prima a Troia dal generale Basilio Boioannes, era
divenuta popolosa e potente quasi quanto quella di Aversa e non poteva
tollerare di soggiacere alle scelte politiche dei loro compatrioti dimoranti in
Melfi. I Normanni di Troia si allearono allora con i Longobardi, rivendicando
come loro capo Argiro il quale, oltre ad essere stato uno dei principali
protagonisti e attori della ribellione antibizantina nel Mezzogiorno d’Italia, era
anche il figlio di Melo, ovvero di colui che per primo aveva fatto giungere i
guerrieri franco-settentrionali in quelle terre133. Esisteva pertanto un debito di
gratitudine da onorare e a nulla valsero le proteste di Arduino, il quale tentò
vanamente di dimostrare che era stato lui, insieme ai Normanni di Aversa a
sostenere il peso maggiore della campagna militare. Atenolfo, dal canto suo, era
oramai ampiamente screditato agli occhi dei suoi stessi sostenitori.
Egli aveva, infatti, riconsegnato in gran segreto ai Greci di Bari
Augusto Bugiano, previo pagamento di un riscatto, che si era ben guardato di
dividere con i suoi compagni d’arme. La frattura con i Normanni di Melfi
diviene insanabile e alla fine nel febbraio del 1042, presso la chiesa di
Sant’Apollinare in Bari, Argiro fu riconosciuto ufficialmente quale capo dei
Longobardi e dei Normanni134.
Come evidenziato dal Norwich, a nessuno balenò nella mente l’ipotesi
di potere scegliere fra i Normanni un capo carismatico, poiché la ribellione
antibizantina conservava un forte imprinting longobardo, in virtù del quale i

131
Cfr. G. De Blasiis, cit., p. 161.
132
Cfr. F. Chalandon, cit., p. 100.
133
Nam reliqui Galli, quos Appula terra tenebat, Argiroo Meli genito servire
volebant. Nam pater ipsius prior introducere Gallos, His et in Italia studuit dare munera
primus. GUP, I, p. 121.
134
Cfr. G. De Blasiis, cit., p. 164; J. J. Norwich, cit., pp. 76-77.
~ 37 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

guerrieri d’oltralpe erano considerati ancora mercenari che combattevano per


ottenere terre come compenso per i servigi resi 135, senza apparentemente
coltivare alcuna concreta aspirazione di guadagnare una influenza politica nel
sud Italia. Intanto, tra il febbraio e il settembre del 1042, alcuni importanti
vicende politiche avrebbero dato un nuovo corso ai destini dei Normanni del
Mezzogiorno. La rivincita dei legittimisti macedoni a Bisanzio con il terzo
matrimonio di Zoe con Costantino Monomaco, elevato alla dignità imperiale,
fece rientrare Argiro nell’obbedienza greca e conseguentemente privò i
Normanni del suo fondamentale appoggio.
Ciò persuase finalmente questi ultimi ad acclamare, presso Matera, un
capo del loro stesso sangue che designarono nella persona di Guglielmo
Braccio di Ferro. Egli fu nominato conte e fu legittimato in tale carica dal
principe Guaimaro di Salerno, il quale gli offrì la mano della nipote ex fratre136.
Tuttavia dubitiamo che tale carica potesse avere un’effettiva valenza politica,
dovendosi sostanzialmente trattare, come scrisse il Mor, di una preminenza
onorifica, di un primus inter pares137. I dodici condottieri normanni che
avevano guidato le altrettante comitivae di loro compatrioti sui campi di
battaglia di Olivento, Montemaggiore e Montepeloso, ottennero da Guimaro la
spartizione di tutte le terre che erano state conquistate e che in futuro sarebbero
state strappate al dominio di Costantinopoli138. Come nella migliore tradizione
germanica la designazione di Guglielmo a ‘capo tra i capi’, venne effettuata ex
virtute, avendo costui, più di tutti gli altri, dimostrato di incarnare i valori della
Normannitas, principi fra i quali particolare risalto era conferito alla strenuitas.
Nel descrivere la morte di ‘Braccio di Ferro’ sopravvenuta nell’estate del 1046,
infirmitate superveniente, Malatterra ne rimpianse con accorato fervore le
grandi virtù, ricordando allora che egli fu armis strenuum139.
Per sorte avversa, Guglielmo non visse abbastanza per prendere parte a
quella che sarebbe stata per la sua gente la ‘madre di tutte le battaglie’ in Italia,
ovvero Civitate. Nonostante la rinomanza guadagnata per il loro ardore
guerresco, i Normanni finirono presto per guadagnarsi l’infausta reputazione di

135
Ivi, p. 77.
136
Et à ce qu'il fussent plus honorés de toz, dona à moillier à Guillerme, novel
conte, la fille de son frere, laquelle se clamoit Guide. AMATO, II, XXVIIII, p. 94.
137
C. G. Mor, Il valore giuridico del titolo «Dux Apuliae», cit., pp. 234-235.
138
Et en ceste maniere Guillerme ot Ascle; Drogo ot Venoze; Arnoline ot Eabelle;
Hugo Toutebove ot Monopoli; Rodulfe ot Canne Gautier La Cité; Pierre Trane; Rodolfe,
fill de Bebena, Saint Archangele; Tristan Monte Pelouz; Arbeo Argyneze; Ascletine La
Cerre; Ramfrede ot Malarbine c'est Monnerbin. EArduyne, secont lo sacrement donnerent
sa part, c'est la moitié de toutez choses, si come fu la co venance. Et Melfe, pour ce que
estoit la principal cité, fu commune à touz. AMATO, II, XXXI, p. 96; G. De Blasiis, cit.,
pp. 176-77.
139
MALATERRA, I, XII.
~ 38 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

brutali oppressori e ciò scatenò le ire delle popolazioni locali che si trovavano
ad essere, sovente, impotenti testimoni di angherie senza fine da parte di
costoro.
Gli esacerbati abitanti del Sud Italia cercarono alora di trovare una
seppur effimera ed indiretta vendetta, aggredendo indiscriminatamente i
pellegrini che dalla Normandia giungevano in Italia, sempre più vittime
desinate di aggressioni, rapine, percosse e violenze di ogni genere 140. Il novello
pontefice Leone IX, che paventava la creazione di una forte e aggressiva
enclave normanna ai confini con il Patrimonio di San Pietro, su esortazione del
cardinale Ildebrando di Soana, decise di intervenire militarmente contro
quell’accolita di predoni, per scacciarli definitivamente da quelle terre. Per
attuare il proprio disegno, il Papa ricercò l’alleanza dei Bizantini e di quei
potentati longobardi che, dopo avere iniziamente favorito la penetrazione dei
Normanni nel meridione della Penisola in funzione anti-greca, si trovavano ora
costretti ad arginarne la crescente influenza politica.
Alla coalizione pontificia ebbero allora ad unirsi Adenolfo, duca di
Gaeta, Landone, conte di Aquino, Landolfo, conte di Teano, Oderisio, figlio di
Borrello, Roffredo di Guardia, Pandolfo V di Capua, Pietro, arcivescovo di
Amalfi, Alberico, arcivescovo di Benevento e Federico di Lorena141. L’esercito
clavesignato guadagnò così truppe marchigiane, valvensi, campane, marse e
chietine, alle quali si aggiunsero settecento agguerriti mercenari provenienti
dalla Svevia142.
Leone IX guidò l’esercito verso il fiume Fortore e si accampò sotto le
mura di Civitate143. Egli attendeva l’arrivo delle truppe bizantine al comando di
Argiro, poiché gli accordi prevedevano il congiungimento di tutte le forze della
coalizione a Siponto. Il Pontefice era a capo di una poderosa armata e con
l’aiuto dei Greci intendeva attuare una manovra a tenaglia, che avrebbe dovuto
portare all’accerchiamento delle forze normanne, decisamente inferiori di
numero. Consci di tale pericolo gli Albani radunarono tutti gli uomini dei quali
potevano disporre e mossero rapidamente verso Troia e successivamente verso
nord, per impedire che le forze pietrine si congiungessero a quelle di Argiro144
(che capeggiava oltre alle milizie bizantine anche quelle pugliesi)145.

140
Cfr. R. Allen Brown, cit., p. 124.
141
Cfr. G. De Blasiis, cit., pp. 240-41.
142
Guarnerus Teutonicorum Albertusque duces non adduxere Suevos Plus
septingentos. GUP, II, p. 140. Vedi anche G. De Blasiis, cit., p. 241.
143
Hi cum Teutonicis ad ripam fluminis omnes nomine Fertorii tentoria fixca
locarant. Proxima nomen habens erat urbs a civibus ipsis. GUP, II, pp. 141-142.
144
Cfr. R. Allen Brown, cit., p. 125.
145
Cfr. G. De Blasiis, cit., p. 241.
~ 39 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

L’esercito clavesignato era composto da circa 6000 uomini, contro


quello normanno che schierò invece 3000 combattenti a cavallo ed un numero
esiguo di fanti146. Il conte Unfredo, succeduto al fratello Drogone che era stato
assassinato nel 1051, comandava il centro dello schieramento normanno che si
trovò a dovere affrontare i mercenari svevi. Riccardo che era il nipote del conte
di Aversa Rainulfo Drengot, guadagnò l’ala destra mentre il giovane fratello di
Unfredo, Roberto, detto il Guiscardo, presidiò il lato sinistro al comando di un
contingente di calabresi147. I franco-settentrionali potevano contare sull’ausilio
di alcuni conti minori che condussero i loro cavalieri e vassalli, come Pietro e
Gualtiero d’Amico, Rainaldo, il conte di Aurola, Uberto Mosca, Ugo di Telese
e Gerando e Rodolfo di Boiano148.
Il Pontefice non era inizialmente intenzionato a muovere battaglia in
campo aperto, senza prima avere atteso il sopraggiungere dei reparti bizantini.
Egli era inoltre ben consapevole che, per quanto di gran lunga più numeroso di
quello avversario, il suo esercito era in buona parte composto da un’accozzaglia
di uomini inesperti e poco adusi alla guerra149.
Se dunque un esercito ben organizzato come quello bizantino aveva
subito poco più di dieci anni prima tre sonore sconfitte da parte dei Normanni,
ben poca resistenza avrebbero potuto offrire i soldati del papa a esperti
professionisti della guerra che, in quella circostanza, si battevano non per il
soldo mercenario ma per rivendicare una volta per tutte il loro diritto ad
esistere. Pur consapevole dei limiti del proprio esercito, il Papa si lasciò tuttavia
persuadere dalla baldanza degli svevi ad accettare la battaglia campale, senza
attendere l’arrivo di Argiro. Egli si pose dunque al sicuro dietro le mura della
fortezza di Civitate in compagnia del proprio seguito e dispensò ai suoi soldati
le benedizioni di rito, nonché l’assoluzione dai peccati150.

146
Vix proceres istos equites ter mille sequuntur et pauci pedites. GUP, II, p. 138.
147
Spectatis castris armantur, et agmine dextro Aversauorum comitem statuere
Ricardum, qui Longobardos adeat. Prior hunc comitatur Clara cohors equitum, mediaeque
cohortis agendae Unfredus contra fortes ad bella Suevos Eligitur ductor. Cornu servare
sinistram Robertus frater Calabra cum gente iubetur. Ivi, II, p. 142; Desquelles une en est
regie et governée par la main del conte Unfroy, et l'autre par lo conte Ricchart, et à la
tierce par Robert Viscart. Cfr. AMATO, III, p. 155.
148
Inter eos aderant Petrus et Galterus Amici Insignis soboles, simul Aureolanus,
Ubertus Muscaque Rainaldus, comes Hugo, comesque Girardus; Hic Beneventanis
praelatus, at hi Thelesinis. Hos Bovianensis comitis comitata Radulfi. GUP, II, p. 138.
149
Cfr. G. De Blasiis, cit., p. 244.
150
Et li Pape avec li evesque sallirent sur lo mur de la Cité, et regarda à la
multitude de ses cavaliers pour les absolvere de lor pechiez, et pardonna la penance que
pour lor pechié devoient faire. Et lorfait la croiz et lo[r] commanda de boche qu'il alent
combatre. Cfr. AMATO, III, p. 154.
~ 40 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

Giovanni Amatuccio ha notato alcune affinità fra il tipo di schieramento


adottato dai Normanni a Civitate e talune tattiche descritte dallo storico romano
Publio Flavio Vegezio nel V secolo. Le prescrizioni militari di tale autore
prevedevano sette differenti tipologie di disposizioni in battaglia. Il secondo di
questi, detto obliquo, si sviluppava secondo il seguente schema: mentre l’ala
sinistra veniva tenuta lontana dalla opposta ala nemica in funzione di riserva,
quella destra era incaricata di produrre l’assalto principale contro l’ala sinistra
avversaria, con l’intento di travolgerla e di sorprenderla alle spalle.
I Normanni allinearono a Civitate il nerbo delle loro truppe sul fianco
destro agli ordini di Riccardo di Aversa e in opposizione alle truppe italiche.
Mentre il centro faceva muro contro i soldati germanici, l’ala sinistra agli ordini
del Guiscardo era invece mantenuta in posizione arretrata, come riserva pronta
a dare man forte in caso di necessità.
Riccardo di Aversa sembrò seguire i dettami di Vegezio nel momento in
cui travolse l’ala sinistra degli italici, inseguendone i superstiti e ritrovandosi
successivamente alle spalle dei tedeschi che, presi fra i suoi uomini e quelli di
Roberto il Guiscardo, non ebbero più scampo151.
L’opera di Vegezio ebbe ampia diffusione nel Medioevo e in quanto a
numero di copie circolanti rivaleggiò con la naturalis Historia di Plinio. Del
manuale militare romano furono realizzate copie in volgare nelle quali frequenti
furono per altro le modifiche e le glosse apportate, al fine di adattarne i
contenuti all’età della cavalleria152.
Il manoscritto ebbe ampia diffusione già in epoca carolingia, finendo
nel XII secolo per condizionare anche le caratteristiche letterarie degli eroi
della Chanson de Roland, in particolare di Oliviero ed Orlando. Entrambi
incarnavano infatti i valori fondanti della cavalleria, ovvero la saggezza e la
prodezza guerriera, qualità per altro già ben evidenziate da Vegezio nel V
secolo153. Non è perciò escluso che i Normanni potessero conoscere l’opera di
Vegezio se non nell’originaria versione latina in una delle tante versioni in
volgare corrotte da modifiche ed aggiunte che dovettero circolare anche in
Francia.
Al di là di tutte le congetture, la battaglia di Civitate fu decisiva per il
destino del Mezzogiorno d’Italia, poiché oltre a gettare le fondamenta culturali
e politiche per la creazione nel XII secolo del Regnum Sicilie, segnò

151
Cfr. G. Amatuccio, Fino alle mura di Babilonia, cit., pp. 33-34. Cfr. G. De
Blasiis, cit., p. 247.
152
Cfr. l’introduzione storica a Vegetius, Epitome of Military Science, translated
with notes and introduction by N. P. Milner, Liverpool 1993, p. XIII.
153
C. Allmand (ed.), Vegetius: The Reception, Transmission and Legacy of a
roman text in the Middle ages, Cambridge 2001, p. 259.
~ 41 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

l’inarrestabile ascesa di Roberto il Guiscardo154. L’Altavilla ebbe l’occasione


alcuni anni dopo, a seguito della morte del fratello Umfredo, di riscuotere il
credito accumulato, in termini di prestigio personale, nella battaglia di Civitate.
Nominato infatti reggente e tutore dei figli di Umfredo, egli pretese ed
ottenne per sé il riconoscimento del titolo comitale di Puglia e Calabria,
diseredando di fatto i due nipoti. Con il trattato di Melfi, il Papa lo elevò alla
dignità ducale e ne riconobbe tutte le conquiste, compresa quella ventura della
Sicilia.

154
A proposito della battaglia di Civitate, M. Fuiano, La battaglia di Civitate
(1053), in: Archivio Storico Pugliese, II (1949), pp. 124-33 ed il recente lavoro di C. D.
Stanton, The Battle of Civitate: A Plausible Account, in: Journal of Medieval Military
History, XI (2013), pp. 25-56.

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L’esercito normanno nel meridione d’Italia

CAPITOLO TERZO

ORIGINI E SVILUPPO DELL’ARTE MILITARE NORMANNA

Leges bonae ex malis moribus procreantur.


(Macrobio, Saturnalia, Libro, III, XVII, 10 )

1 – Assedi statici e dinamici; la nascita della forza navale normanna. L’assedio


‘perfetto’ di Palermo.

Roberto il Guiscardo (l’astuto) era il primogenito di Tancredi di Altavilla e


della sua seconda moglie Fredesenda. Egli giunse in Italia tra il 1046 ed il 1047
in coda ai gruppi di immigranti normanni che raggiungevano le Puglie, con una
esigua comitiva guerriera composta da appena cinque cavalieri e trenta fanti e si
dedicò da subito ad alleggerire i viandanti dei loro averi, in particolare di armi e
cavalli155.
Il nostro personaggio desiderava ottenere dal fratellastro Drogone, che dopo
la morte di Guglielmo Braccio di Ferro era stato formalmente investito
dall’imperatore Enrico III del titolo di Dux et magister Italiae comesque
Normannorum totius Apuliae et Calabriae, l’assegnazione di un feudo156. Le di
lui speranze andarono purtroppo repentinamente disattese, poiché a quel tempo
le terre sottoposte alla signoria dei potentes normanni erano relativamente
scarse ed anche perché il nuovo venuto doveva ancora dimostrare di che
‘stoffa’ fosse fatto. I suoi fratelli avevano dovuto, del resto, sostenere una lunga
e faticosa gavetta da mercenari ed erano riusciti ad elevare il loro status, solo
dopo avere affrontato in tre grandi battaglie campali uno degli eserciti più forti
del tempo.
Roberto era invece poco più che un brigante, una sorta di ‘neofita’ il quale
doveva sottoporsi a quella sorta di ‘riti di passaggio’, necessari ad estrinsecarne
le doti ed a temprarne lo spirito.
Fu così che il giovane Altavilla fu inviato da Drogone a devastare la Calabra
bizantina, nella quale la presenza ‘albana’ era scarsamente significativa, fatta
eccezione per il castello di Guglielmo Braccio di Ferro a Squillace. Ab initio,
Roberto ottenne dal fratellastro il comando del castello di Scribla, punto
155
Anna Comnena, The Alexiad:complete text, eng. tras. By E. A. Dawes, London
1928, 1, X, p. 27.
156
Cfr. De Blasiis, cit., p. 201; R. Allen Brown, cit., pp. 120-121.
~ 43 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

cruciale delle comunicazioni attraverso la Calabria Settentrionale, tramite


l’istmo di Sibari e di fronte all’imbocco della Valle dell’Esaro, che schiude la
strada alla Valle del Crati. Tali territori erano ricompresi nei confini dei vetusti
gastaldati longobardi di Cassano e Cosenza, soggetti ai principi di Salerno157.
Il castello di Scribla sorgeva probabilmente su un precedente insediamento
fortificato greco ed era circondato da un fossato e da un doppio muro di pietra.
Il cuore di tale struttura era costituito dal donjon che si sviluppava in quattro
livelli ed era impiegato quale struttura difensivo-residenziale158. Roberto
abbandonò ben presto tale località dal clima malsano, per trasferirsi nel più
accogliente maniero di San Marco Argentano che da Scribla distava circa venti
chilometri159.
Fu all'incirca in tale periodo, intorno al 1050, che Roberto convolò a nozze
con la sua prima moglie Alberada, zia di Gerardo di Buonalbergo, un ambizioso
signorotto normanno stabilitosi in Puglia, che gli offrì la propria alleanza nella
conquista della Calabria. Alberada recò dal canto suo in dote duecento cavalieri
che consentirono all’Altavilla di disporre di una forza militare consistente, da
impiegare per l’assoggettamento di quelle terre, divise solo da un breve tratto di
mare dalla Sicilia musulmana160. La sistematica conquista della regione fu
brutale poiché Roberto ordinò ai suoi uomini di razziare, incendiare e devastare
tutte le terre con il precipuo intento di atterrire le popolazioni autoctone,
costringendole così alla sottomissione. Tale tattica intimidatoria era in epoca
medievale a dir poco abituale ma, scrive il Settia, i normanni seppero
sapientemente dosare gli effetti in ragione dei loro intendimenti 161.
Dopo la vittoria di Civitate, Roberto ed il fratello Guglielmo, conte del
Principato, compirono reiterate razzie sulle frontiere del principato longobardo
di Salerno governato dal giovane Gisulfo162. Riccardo di Aversa, nipote di

157
Per un inquadramento territoriale, cfr. D. Nociti, Il toponimo Scribla e il primo
insediamento normanno in Calabria, in: Archivio Storico per la Calabria e la Lucania
XXXIV, (1965-1966), pp. 217-219.
158
Cfr. G. Teothokis, cit., p. 79.
159
Cfr. G. Noyé, Le château de Scribla et les fortifications normandes du bassin
du Crati de 1044 à 1139, in: Società, potere e popolo nell’età di Ruggero II. Atti delle III
Giornate normanno-sveve 1977, Bari 1979, pp. 207-24; G. Noyé, A. M. Flambard, Le
château de Scribla. Étude archéologique, in: Società, potere e popolo nell’età di Ruggero
II, ut supra, pp. 225-238; V. Von Falkenhausen, Il popolamento: etnie, feudi, insediamenti,
in: Terra e uomini nel Mezzogiorno normanno-svevo. Atti delle settime giornate normanno-
sveve, 1985, a cura di G. Musca Bari 1987, pp. 45 e 66.
160
Et adont prist Robert la moillier, laquelle se clamoit Adverarde. Et fu Girart
sont chevalier, de Robert. Et puiz vint en Calabre et acquesta villes et chasteaux; et devora
la terre. Cfr. AMATO, XI, p. 126; R. Allen Brown, cit., pp. 122-123.
161
Cfr. A. Settia, Gli strumenti, cit., pp. 113.114.
162
Cfr. J. J. Norwich, cit., p. 129.
~ 44 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

Rainulfo Drengot, durante l’assedio di Capua, ordinò la costruzione di torri


fortificate di osservazione e serrò le vie di accesso ai poderi, riducendo alla
fame gli assediati, tanto da costringerli a intavolare trattative di pace163.
In Calabria i saccheggi rispondevano a un disegno militare più ampio, dal
momento che i Normanni si servirono dei castelli non solo come basi per le
loro scorrerie, ma soprattutto come puntelli strategici all’interno dei quali
distaccare guarnigioni a presidio delle conquiste e dai quali pilotare la
sistematica occupazione di nuove terre. Dopo le razzie con le quali esordirono
al loro arrivo in territori non ancora soggiogati, i guerrieri transalpini passarono
alla fase delle trattative con le popolazioni locali, ricevendo giuramenti di
fedeltà dalle città e richiedendo tributi e servizi 164, fra i quali quello militare. Fu
questo il caso di Bisignano, Cosenza e Martirano165. A tal proposito ci sembra
interessante ricordare che le devastazioni dei raccolti in Calabria operate dai
cavalieri del nord, fra i mesi di marzo e maggio del 1058, furono talmente
nefaste che gli abitanti della regione si rifiutarono di corrispondere i tributi e di
prestare il servizio di leva, massacrando la guarnigione normanna di Nicastro,
forte di sessanta uomini166.
Per ultimare la conquista della Calabria, Roberto si avvalse della
collaborazione del fratello Ruggero il quale stabilì il proprio quartier generale a
Mileto, trasferendovisi con poco meno di un centinaio di cavalieri, con il
precipuo incarico di presidiare la vetusta strada romana che conduceva a
Reggio167. Le cordiali relazioni fra i due Altavilla ebbero però ben presto a
guastarsi quando Roberto cominciò a mostrarsi esageratamente parsimonioso
nei riguardi di Ruggero il quale, avendo inviato al fratello larga parte del
bottino raccolto durante le scorrerie calabresi, si trovò improvvisamente
sprovvisto dei danari necessari per corrispondere il soldo alle truppe168.
Ruggero allora ruppe con il Guiscardo, alleandosi con il fratello Guglielmo,
conte del Principato ed insediandosi nel castello di Scalea, dal quale avviò una
serie di incursioni ai danni dei locali possedimenti di Roberto. Quest’ultimo,
informato di ciò che stava accadendo in Calabria, mosse rapidamente l’esercito

163
Ivi, p. 130. Et li Normant qui longuement estoient usé en bataille, combatoient
pour prendre la cité. Et cil de Capue estoient affleboiez de fame. AMATO, IV, 28, p. 202.
164
Cfr. M. Chibnall, cit., pp. 92-93.
165
Cfr. M. Chalandon, cit., p. 147.
166
Unde et simulatione fidelitatis traditione composita, castrum Neocastrense
accipientes, sexaginta Normannos, qui ad tuendum ibi castrum relicti erant, una die
peremerunt. Cfr. MALATERRA, I, XXVIII. Cfr. F. Chalandon, cit., p. 152.
167
Cfr. G. S. Brown, cit., p. 86.
168
Rogerius itaque, cum quod militibus suis largiretur minus abundaret, et ipsi sibi in
exigendo importuniores essent, a fratre expetit. Ille vero, pravorum consilio usus versus
eum, cum caeteris largus esset, illi strictior quam oportebat esse coepit. MALATERRA, I,
XXIII.
~ 45 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

e devastò a sua volta gli oliveti e le vigne che si trovavano nei dintorni del
castello di Scalea169, persistendo a mettere in pratica anche nei confronti di un
proprio consanguineo quella tattica di guerriglia, già profittevolmente adoperata
in Campania e in Puglia.
Ruggero, dal canto suo, era ben consapevole del fatto che il suo prestigio e
la sua autorità dipendessero non solo dal carisma personale ma, in buona parte,
dal consenso dei propri uomini i quali pretendevano il regolare pagamento del
soldo e le cui fila abbisognavano di essere sistematicamente rimpolpate da
nuove leve. Ed ecco che, probabilmente intorno alla fine del 1057, con un
reparto di soli tredici cavalieri, il giovane Altavilla aggredì una carovana di
mercanti che tornavano ad Amalfi, sequestrandoli e conducendoli prigionieri a
Scalea. I malcapitati vennero spogliati di tutti i loro averi e Ruggero raccolse un
bottino ricco abbastanza, da consentirgli, in breve tempo, di reclutare nuovi
combattenti170.
Intanto il sentimento antinormanno che nel 1058 aveva incoraggiato alla
sedizione gli abitanti di Nicastro, era divampato in tutta la regione e la concreta
minaccia di perdere il controllo della Calabria intera convinse i due fratelli alla
riconciliazione. In cambio di aiuto militare, Roberto offrì a Ruggero la metà dei
territori da lui sottomessi, più tutti i territori ancora da conquistare tra Squillace
e Reggio171, ancora nelle mani dei Greci.
Questi ultimi erano stati, dal canto loro, incapaci di opporre una efficace
resistenza al ‘forcing’ normanno, sia per l’assenza di un esercito regolare in
loco, che per la inadeguatezza degli aiuti militari inviati dall’impero d’Oriente,
costretto a dovere affidare i destini della Calabria alle modeste ‘forze armate’
autoctone ancora fedeli a Costantinopoli172.

169
Aliquandiu cum ipso commoratus, tandem castrum, quod Scalea dicitur, ab
ipso accepit; propter quod multas incursiones versus Guiscardum faciens, circumquaque
lacessivit. Quod cum Guiscardo relatum fuisset, exercitu commoto, idem castrum obsessum
vadit, et oliveta et vineas, quae urbi contigua erant, vastat. Ibidem. Cfr. anche F.
Chalandon, cit., p. 152.
170
At dum illos, quos praedaturi miserat, apud Scaleam praestolatur, Bervenis
quidam, a Melfa veniens, nuntiat melfetanos mercatores, onustos pretiosis opibus, a Melfa
versus Melfam haud procul a castro transire. Quo audito, non minimum gavisus, equum
insiliens, inter Gisualdum et Carbonariam, cum tredecim tantum militibus, mercatoribus
occurrit; captosque Scaleam deduxit; omniaque, quae secum habebant, diripiens, ipsos
etiam redimere fecit. Hac pecunia roboratus, largus distributor-centum sibi milites
allegavit, quibus, totam Apuliam crebris et diversis incursionibus dilacerans, Guiscardum
in tantum sollicitum reddebat, ut, adcquirendae Calabriae oblitus, iam quod acquisierat
pene amitteret. MALATERRA, I, XXVI.
171
Cfr. F. Chalandon, cit., pp. 152-153.
172
Cfr. M. Gallina, Gli stanziamenti della conquista. Resistenze e opposizioni, in: I
caratteri della conquista normanna, cit., pp. 166-67.
~ 46 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

Roberto aveva invece radunato un forte esercito con il quale raggiunse


la Calabria nel 1059173.
Ruggero circondava intanto Squillace dove, constatata l’impossibilità di
procedere in tempi brevi alla presa della città, ordinò la costruzione di una torre
in legno da collocare a presidio della porta, per impedire agli assediati di
entrare od uscire. Tale azione si rivelò efficace poiché i cittadini decisero di
intavolare trattative con l’Altavilla, mentre alcuni fuggirono a bordo di navi
dirette a Costantinopoli, sottraendosi in tal modo al disonore della resa174.
L’impiego di ‘torri di blocco’ fu per altro adottata anche da Riccardo di
Aversa il quale, in occasione dell’assedio di Capua, si premurò di fare elevare
tali strutture al fine di impedire alle popolazioni della città di accedere ai campi,
per procurarsi quanto necessario al sostentamento.
Sia nel caso della conquista di Capua che in quello della presa di
Squillace, i Normanni impiegarono tecniche ossidionali, cosiddette statiche, che
piuttosto frequentemente e con successo avrebbero messo in atto nell’Italia
meridionale. Essi dimostrarono notevole esperienza nella costruzione delle
‘torri’, nei pressi delle quali stazionavano truppe investite del compito di
monitorare gli ingressi delle città sottoposte ad attacco, logorandone
fisicamente e psicologicamente gli abitanti a tal punto da costringerli alla
capitolazione.
Applicando tale tattica, Riccardo di Aversa, già principe di Capua ed il
Guiscardo tennero in scacco Salerno e la sua cittadella per otto mesi tra il 1077-
78. Le loro forze di terra, con l’ausilio della flotta amalfitana, diressero le
operazioni belliche da quattro castelli, costruiti attorno alla città175. Roberto si
servì della staticità ossidionale anche per altre città più piccole, fra le quali è da
annoverarsi nel 1062 Mileto. Anche Taormina fu bloccata nel 1079 da viginti
duobus castellis[...] ita ab uno in alterum sepibus et stropibus claudens176.
Ancora nel 1091 Ruggero alla testa di un esercito composto da uomini
provenienti da tutta la Puglia, dai Saraceni di Sicilia ed accompagnato dal
nipote Boemondo (figlio di primo letto dell’allora defunto Guiscardo), chiuse
Cosenza che si era ribellata, con ‘castelli’, valli e siepi. Gli abitanti della città
calabra tentarono di difendersi, opponendo al nemico arcieri e frombolieri ma

173
Cfr. MALATERRA, I, XXXIV.
174
Porro illi, qui a Regio Sckillacium ingressi fuerant, cum viderent se ab illis
nimium infestari, quos Rogerius in novo castello ad hoc posuerat, nec diu ferre posse, de
nocte navem ingressi, Costantinopolim aufugiunt. Ivi, I. XXXVII.
175
Cfr. R. Rogers, Latin siege warfare in the Twelfth century, Oxford 19972, p.
95.
176
Cfr. MALATERRA, III, XV.
~ 47 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

alla fine, furono costretti a patteggiare con i Normanni che avevano loro inibito
ogni possibilità di entrare od uscire dalla città177.
La medesima tecnica fu impiegata durante l’assedio di Castrovillari nel
corso del quale i guerrieri del nord chiusero la città, attorniandola di strutture in
legno affinché ut nulla ex parte aditus ingrediendi, vel aliquid introducendi178.
In tale frangente Ruggero fece giungere uomini da Otranto e Taranto ed un gran
numero di Saraceni e di cavalieri e fanti cristiani ingrossarono le sue fila179.
Difficile è stabilire in quale modo fossero realizzati i castelli d’assedio,
anche se non si può escludere che si innalzassero su terrapieni, non dissimili
dalle motte, sulle quali i Normanni avevano l’abitudine di elevare i loro
manieri180. È opinione dello scrivente che tali strutture non fossero dissimili da
grosse torri, verosimilmente protette da palizzate, all’interno delle quali
trovavano ospitalità non soltanto gli uomini, ma anche i loro destrieri. I soldati
a presidio dovevano, del resto, non solo essere in grado di muoversi con
rapidità per bloccare ogni tentativo di entrata od uscita dalla città assediata, ma
dovevano altresì opporre una seppur minima forma resistenza ad eventuali,
improvvise sortite da parte degli assediati, nell’attesa di ricevere rinforzi dagli
acquartieramenti principali. Durante gli assedi i Normanni fecero anche uso del
vallo, ovvero di una linea difensiva fortificata composta da una staccionata con
terrapieno, nonché di siepi che altro non erano se non ispidi cespugli di rovi181.
Note sin dal tempo degli antichi Greci, le siepi avevano il compito di
rallentare l’avanzata dei cavalli, in caso di sortita. La realizzazione di castelli di
assedio e delle staccionate, parte integrante dei valli, necessitava naturalmente
di ingenti quantità di legname ed è perciò quasi scontato ritenere che i soldati
venissero impiegati non solo per le operazioni militari in senso stretto, ma
anche nel reperimento dei materiali necessari per costruire le fortificazioni
all’interno delle quali imbrigliare le città assediate.
Anche se le fonti nulla menzionano a riguardo, numerosi dovettero
essere i fanti reclutati fra le popolazioni autoctone che diedero decisivo impulso
alle conquiste normanne, prendendo parte attiva agli assedi delle città del
Mezzogiorno182 e probabilmente alle opere di disboscamento, necessarie alla
costruzione di macchine da guerra. La costante penuria di uomini abili alle armi
potrebbe poi altresì chiarire la ragione per la quale i ‘signori della guerra’
d’oltralpe mostrarono, almeno inizialmente una spiccata predilezione per gli
assedi statici. Tali forme ossidionali erano in grado di incidere profondamente

177
Ivi, III, XVII.
178
Ivi, IV, XXII.
179
Ibidem.
180
Cfr. A. Settia, cit., pp. 137-138.
181
Cfr. A. Jones, The Art of War in Western World, New York-Oxford 1989, p. 10.
182
Cfr. D. Douglas, The Norman Achievement, London 1969, pp. 79-80.
~ 48 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

sul morale di coloro che le pativano, ma avevano non trascurabili ripercussioni


anche su coloro che le mettevano in atto. Nonostante tutto, esse avevano
l’indiscutibile vantaggio di ridimensionare i rischi per l’incolumità dei soldati, i
quali restavano a presidiare le torri di blocco, evitando così di esporsi al tiro
degli arcieri e dei frombolieri nemici che dagli spalti lavoravano come
implacabili cecchini.
Il blocco delle vie di accesso e di comunicazione delle città necessitava
del resto di un numero non elevato di uomini d’arme a presidio. Tale
escamotage consentiva alla maggioranza delle truppe di risparmiare le forze, in
attesa di altre circostanze nelle quali il loro apporto sarebbe invece stato
determinante. Ad ogni modo, dal momento in cui l’esercito normanno in Italia
cominciò a contare un numero di effettivi superiore grazie anche al sostanziale
contributo delle popolazioni locali, fu possibile sperimentare forme ossidionali
maggiormente aggressive, nelle quali il ruolo dell’esercito fu attivo e dinamico.
Ruggero II, primo sovrano normanno di Sicilia, dimostrò ad esempio scarsa
attitudine verso le battaglie campali ma si dimostrò un grande esperto della
guerra d’assedio ed un profondo conoscitore della poliorcetica bizantina, per
altro ampiamente approfondita anche da Roberto il Guiscardo183.
Nel 1135 le forze ruggeriane accerchiarono Sant’Agata dei Goti mentre
i genieri intrapresero la costruzione di macchine d’assedio. La sola vista di tali
manovre sgomentò a tal punto gli abitanti, da causarne la resa in tre giorni184.
Ecco che allora la sola minaccia di assedio poteva determinare un coefficiente
di stress talmente elevato negli assediati, da forzarli ad una repentina resa,
evitando così inutili spargimenti di sangue tra le parti in lotta. Stesso risultato
ottennero Roberto il Guiscardo ed il fratello Ruggero quando nel 1059 posero
l’assedio a Reggio e la sola vista delle macchine costruite per dare l’assalto alle
mura, fu sufficiente agli abitanti della città per scendere a patti con gli
aggressori185. Ruggero II fu dal canto suo meno incline dei suoi predecessori
alla costruzione di torri di assedio che richiedevano grande preparazione e
lunghi tempi di realizzazione (intorno alle 4/6 settimane)186.
Egli prediligeva invece un assedio ‘dinamico’, condotto con una
costante e devastante percussione delle mura, da realizzarsi mediante l’impiego
di arieti ed attraverso il bombardamento dell’artiglieria, attività queste aventi il
compito di spianare la strada ad assalti delle proprie truppe o ad eventuali
negoziazioni per la resa. Buona parte del successo della guerra ossidionale

183
Cfr. E. Cuozzo, Trasporti terrestri e militari, in: Strumenti, tempi e luoghi di
comunicazione nel Mezzogiorno normanno-svevo. Atti delle undecime Giornate normanno-
sveve: Bari, 26-29 ottobre 1993, a cura di G. Musca e V. Sivo, Bari 1995, p. 39 e p. 53.
184
Cfr. R. Rogers, cit., p. 107.
185
Cfr. A. Settia, cit., p. 139.
186
Cfr. R. Rogers, p. 109.
~ 49 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

ruggeriana è, ad ogni modo, da ricercare nelle notevoli capacità tecniche dei


costruttori dei macchinari bellici che annoveravano fra le loro fila esperti di
origine saracena187 i quali svolgevano, per altro, il compito di bonificare il
terreno, rendendolo praticabile per l’avanzata delle macchine da accostare alle
mura. Fu questo il caso dell’assedio di Montepeloso condotto nel 1133 contro
Tancredi di Conversano, nel corso del quale Ruggero II comandò la costruzione
di una macchina alta quanto le mura che, consentiva ai suoi uomini di
combattere alla medesima altezza degli assediati, trincerati dietro gli spalti. E
mentre tale struttura lignea veniva fatta avanzare sopra due ruote, i Saraceni
tentavano di colmare il fossato che circondava la città, gettandovi dentro pezzi
di legno; altri, armati invece di rastrelli, provavano invece a eliminare il
dislivello, ricoprendo i legnami con terra asportata dall’argine188.
Dopo avere osservato tali manovre, Tancredi tentò allora di bloccare
l’avanzata dei Realisti, appiccando il fuoco alla legna accumulata nel fossato.
Ma i Saraceni avevano costruito un ingegnoso canale all’interno del quale
fecero scorre dell’acqua che domò rapidamente le fiamme, consentendo ai
soldati che si trovavano all’interno della macchina d’assalto di avvicinarsi
all’antemurale (o barbacane). Servendosi di una lunga pertica uncinata, costoro
cominciarono a svellere tale apparato difensivo, ma gli assediati tagliarono il
lungo palo che fu sostituito per ben tre volte189. Alla fine le truppe regie
riuscirono a distruggere il barbacane e irruppero nella città, massacrandone gli
abitanti. La torre fatta realizzare da Ruggero II è descritta da Apollodoro di
Damasco (vissuto nel II secolo d. C) nei suoi Poliorcetica, così come
l’espediente di realizzare un condotto d’acqua artificiale per estinguere
l’incendio. Ciò evidenzia come i Normanni fossero fortemente legati ai precetti

187
Ivi, p. 115.
188
Caetereum Rex perpendens urbem munitissimam, manumque in ea bellatricem
consistere, ad ingenium vertitur, videlicet, oppidum, quod praeliando adiri non poterat,
artis peritia aggrederentur. Itaque molimine constructo, Rex illud paulatim ducendo, quo
minus civitas muniri conspiciebatur, approximari jubet, quo ita pacto exteri cum civibus
cominus per eam bellabant, macula alterutrum intorquentes. Interim autem dum ita
utrimque pugnaretur, Saraceni per illud instrumentum ligna, quibus fossatus repleretur,
instanter jactabant, alii autem ferreis rastris ab aggere summo nisu terrma trahentes, ligna
ipsa jactatione superplanare conabantur. Cfr. ATEL, Lib. II, caput XLII, p. 118.
189
Tancredus ergo dum fossatum impleri conspiceret, mox ignem atque fomentum,
quo facilius accenderetur, intus immittendum ad comburendum ligna accelerat. E contra
autem dum per canalem ligneum aqua derivata intus deflueret, ignis immissus extinguitur,
quo extincto, iterum qui erant in machina cum longissima pertica, in cujus summo uncinus
ingens ferreus erat, ipsum antemurale, quod et vuglo Barbacanus dicitur, divellere
incipiunt. At illi qui Barbacanum defendebant, videntes perticam Barbacanum diruentem,
eam violenter tenentes succidunt. Cumque sic terbio aluae perticae ad divellendum
extensae, terbio etiam ab eis succisae fuissent, postremo acriter iterum extendentes partem
ex eo non modicam diruerunt. Ibid., caput XLIII.
~ 50 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

dettati dall’antica trattatistica bizantina sull’arte della guerra ancora nel XII
secolo, quando le nuove scoperte della meccanicistica ossidionale si andavano
imponendo nel resto dell’Europa190. In una cultura militare come quella
normanna ancora profondamente permeata dalla tradizionale strenuitas che pur
risemantizzata dalla letteratura epica, conservava la sua massima espressione
nell’eroismo in battaglia, Ruggero seppe reinventare il modo di condurre la
guerra nel proprio regno. Il ‘vigore espressivo’ delle battaglie in campo aperto
fu infatti in buona parte surrogato da un’ apparente ‘staticità strategica’,
transitante per un ‘dinamismo ossidionale’, che alla fine si rivelò vincente. Nel
1132 Ruggero patì una grave sconfitta in campo aperto nei pressi del fiume
Sarno191 per opera del principe Roberto II di Capua e del conte Rainulfo di
Alife seguita, nel 1137, da un’ulteriore disfatta a Rignano. Rainulfo che del
sovrano siciliano era cognato per averne sposato la sorella Matilde192, incarnava
l’archetipo del cavaliere normanno ‘old style’ sempre pronto, come i primissimi
Altavilla ed i Drengot, ad affidare alle battaglie campali l’esito di un conflitto.
Dal canto suo Ruggero, pur restando fedele alle consuetudini militari
del suo popolo, fece della ‘sintassi’ ossidionale il predicato vitalizzante della
propria ars bellica.
Come già in precedenza evidenziato, i Normanni seppero servirsi con
intelligenza delle risorse umane presenti nel Mezzogiorno, sfruttando a loro
vantaggio le competenze ed i bagagli tecnici in campo guerresco e non solo di
quelle popolazioni. Talora però, pur di rimpolpare i ranghi delle truppe per le
loro campagne militari, costoro non si fecero scrupolo di assoldare uomini che
non avevano alcuna dimestichezza con le armi ma che tuttavia furono impiegati
in battaglia, dopo avere ricevuto un rigido addestramento. Fu questo il caso
della spedizione che il Guiscardo guidò nel 1081 contro Bisanzio quando,
secondo la testimonianza di Anna Comnena, fra le fila della propria fanteria
egli annoverava plebaglia sommariamente armata193, alla quale si aggiunsero
coscritti greci e longobardi che non avevano mai visto un’arma e che erano o
troppo giovani o troppo anziani per la guerra194. Al di là della lunga lotta che

190
Cfr. E. Cuozzo, Trasporti terrestri e militari, cit., pp. 38- 41.
191
Su tale battaglia, rinviamo a G. Amatuccio, La battaglia di Sarno (24 luglio
1132), in: Scritti offerti dal Centro Europeo di Studi Normanni a Mario Troso, a cura di G.
Mastrominico, Ariano Irpino 2012, «Medievalia», 2, pp. 13-32.
192
Cfr. A. Gambella, Medioevo alifano: potere e popolo nello stato normanno di
Alife, Roma 2007, pp. 90 e ss.
193
L’Imbecille vulgus al quale accenna MALATERRA, III, XXIV.
194
A tale proposito Anna Comnena scrive: Ma non dobbiamo omettere ciò che (il
Guiscardo, n. d. A) fece in Longobardia, prima del suo arrivo a Valona con il proprio
esercito. Egli fu sempre un uomo di temperamento tirannico ed assai forte ed ora ha preso
ad emulare la follia di Erode. Non essendo soddisfatto dei soldati che avevano seguito la
sua fortuna fin dall'inizio e che erano esperti di guerra, egli ha reclutato ed equipaggiato
~ 51 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

dovettero sostenere contro l’impero bizantino in Italia e nelle terre al di là


dell’Adriatico, i guerrieri d’oltralpe reclutarono anche soldati di origine greca,
che furono regolarmente impiegati nelle spedizioni militari. Amato di
Montecassino ricorda a tal proposito che in occasione dell’assedio di Salerno, il
Guiscardo ebbe al proprio servizio truppe latine, greche e saracene 195 e non si
deve dimenticare che fu un greco-melchita dalle non comuni doti marinaresche
di nome Giorgio ad essere nel 1132 nominato da Ruggero II amiratus
amiratorum, o Emiro degli Emiri, una sorta di comandante in capo delle ‘forze
armate’ di terra e di mare196. Costui successe a Christodulo, descritto nelle fonti
latine come Cristoforo, il quale ebbe i natali a Rossano e crebbe abbeverandosi
alla cultura bizantina, ancora profondamente radicata in Calabria. Fra il 1105 ed
il 1107 egli fu amiratus e conservò una posizione di assoluto prestigio durante
la reggenza di Adelasia, terza moglie di Ruggero I di Sicilia 197. Tra gli
ammiragli di origine greca che servirono sotto i monarchi normanni, un posto
di rilievo è però da riservare a Margarito da Brindisi, il quale ricoprì l’ufficio
sotto Guglielmo II e Tancredi, del quale seguì per altro l’ascesa, le fortune ed il
drammatico crepuscolo.
Nell’estate 1186 Margarito sorprese una flotta bizantina di 70 vascelli
comandata da Giovanni Condostefanos che, per volere dell’Imperatore Isacco
Angelo, si trovava a Cipro con l’ordine di riconquistare l’isola separatasi da

un nuovo esercito, senza alcuna distinzione di età. Costui ha raccolto tutti, di età inferiore
e superiore, da tutta la Longobardia e la Puglia, e li ha costretti al proprio servizio. Era
possibile scorgere fanciulli e ragazzi e poveri vecchi, che non avevano mai, nemmeno nei
loro sogni, visto un'arma, e che adesso erano vestiti di corazze e trasportavano scudi e
governavano i loro archi senza abilità e goffamente e che cadevano con la faccia per terra
quando veniva loro ordinato di marciare. Tali coscrizioni erano naturalmente la causa di
problemi senza fine in tutto la Longobardia; dovunque si ascoltavano i lamenti degli
uomini e il pianto delle donne che avevano condiviso le sventure della loro parenti. Una
era in lutto per il proprio marito, poiché aveva un’età troppo avanzata per il servizio;
un’altra per il figlio inesperto, una terza per suo fratello, che era un agricoltore o
impegnato in affari […]. Eppure, nonostante le sue reclute fossero assolutamente inesperte,
Roberto le sottopose ad addestramento quotidiano, portandole a buona disciplina. (T.d.A.).
Cfr. Anna Comnena, cit., I, XIV, pp. 36-37. Cfr. altresì G. Teothokis, cit., p. 67 e p. 198.
195
Il asemblatroiz rurmez de troiz manieres de gent: c'est de Iatin, de Grex et de
Sarrazin, et comanda que venissent molt de gent et de navie à garder lo port. Cfr.
AMATO, VIII, 15, p. 354.
196
Cfr. A. De Simone, Il Mezzogiorno normanno-svevo visto dall’Islam africano,
in: Il Mezzogiorno Normanno-Svevo visto Dall' Europa e dal Mondo Mediterraneo. Atti
delle Tredicesime giornate normanno-sveve, Bari 21-24 ottobre 1997, a cura di G. Musca,
Bari 1999, pp. 277 e ss; M. Bellomo, Società e Istituzioni dal medioevo agli inizi dell’età
moderna, Roma 19936, p. 292.
197
Cfr. H. Takayama, The administration of the Norman kingdom of Sicily, Leiden
1993, pp. 44-45.
~ 52 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

Costantinopoli l’anno precedente, sotto l’usurpatore Isacco Comneno. Il nostro


personaggio s’impadronì allora delle navi prive degli equipaggi che nel
frattempo erano sbarcati e le distrusse, senza incontrare resistenza. Gli stessi
marinai caddero prigionieri a seguito di un’azione congiunta condotta dai
Normanni e dalle truppe del ribelle Isacco Comneno.
Margarito inviò a Guglielmo II i più alti dignitari della flotta bizantina e
una parte ingente del bottino recuperato. La sua nomina ad ammiraglio da parte
di re Guglielmo II risale al 1187 mentre nel 1190, dopo l’ascesa al trono di
Tancredi, Margarito fu nominato conte di Malta, ricevendo l’investitura feudale
dell’arcipelago maltese. Nella primavera del 1188, re Guglielmo lo inviò in
Palestina dopo che Saladino aveva riconquistato Gerusalemme.
Con una flotta ottimamente equipaggiata di 50-60 navi ed una forza di
200-500 cavalieri, l’ammiraglio costrinse il Sultano a levare l’assedio al Krak
des Chevaliers, dissuadendolo altresì dall’attaccare Tripoli198. E furono proprio
i Bizantini, unitamente ai marinai dei porti dell’Italia meridionale che
insegnarono ai Normanni l’arte di trasportare i cavalli per mare, tecnica che si
rivelò fondamentale durante l’invasione della Sicilia musulmana, per la cui
attuazione furono preparate nel 1061 tredici navi con a bordo duecentosettanta
cavalieri199. A partire dal secolo X, le navi bizantine adibite al trasporto dei
cavalli erano dotate di una κλίμακα (klimaka), ovvero di una rampa dalla quale
gli animali venivano sistemati a bordo dalla poppa o dalla prua. Le
imbarcazioni adibite a tale uso, potevano essere altresì provviste di appositi
portelli che consentivano di trasferire i cavalli direttamente nelle stive. Il tipo di
vascello usato per il trasporto dei destrieri era detto chelandion.
Questo possedeva un raggio più ampio di un normale dromone, poiché
doveva essere in grado di ospitare dai 12 ai 20 animali, oltre ai rematori 200.
Durante la campagna condotta nel 1081 contro l’impero bizantino, il Guiscardo
dovette verosimilmente disporre di alcune chelandia, dalle quali i cavalieri
scendevano a terra già in assetto di combattimento e presumibilmente a cavallo,
servendosi delle klimakes201. Di ciò non sembra però completamente convinto il
Bennett il quale, in un recente scritto, non ha escluso che i Normanni possano

198
Cfr. A. Kiesewetter, Megareites di Brindisi, Maio di Monopoli e la signoria
sulle isole ionie, in: Archivio Storico Pugliese, anno 59, fasc. 1- 4 (gennaio dicembre 2006),
pp. 46-90; Id., Margarito (Megareites) di Brindisi, in: Dizionario Biografico degli Italiani,
Roma 2007, vol. 70, Roma 2008, pp. 109-113. Cfr. S. Runciman, Storia delle Crociate, tr.
it., Torino 19932, vol. II, p. 702.
199
Cfr. G. Teothokis, The Norman invasion of Sicily (1061-1072): Numbers and
Military Tactics, in: War in History 17 (2010), pp. 381-402. A proposito del trasporto per
mare dei cavalli per mare, cfr. Il fondamentale lavoro di C. D. Stanton, Norman naval
operations in the Mediterranean, Woodbridge 2011, pp. 242-246.
200
Cfr. G. Teothokis, The campains, cit., pp. 137-139.
201
Ivi, p. 198-199.
~ 53 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

essersi invece serviti di teride arabe, provviste di una poppa quadrata e di rampe
che potevano essere abbassate alla bisogna per scaricare gli animali202.
Qualunque fosse l’origine delle imbarcazioni adibite al trasporto dei
destrieri usate nelle campagne militari normanne, è ad ogni modo importante
evidenziare come nel meridione d’Italia esistesse una conoscenza dell’arte
militare per mare alquanto avanzata e, per quei tempi, assai moderna.
Quanto appreso nel Mezzogiorno da parte dei discendenti di Rollone
attraverso il processo di osmosi culturale, si sarebbe rivelato del resto
fondamentale per l’organizzazione della spedizione marittima che avrebbe
condotto l’esercito di Guglielmo il Conquistatore sulle coste dell’Inghilterra nel
1066. Dall’esame della Tapisserie di Bayeux203 si può agevolmente notare
come i Normanni d’oltralpe avessero fatto ormai propria la tecnica bizantina
del trasporto delle cavalcature via mare. Le navi impiegate da costoro avevano
la poppa e la prua decorate con sculture lignee di natura zoomorfa, molto simili
a quelli utilizzate sui drakkar, le celebri navi drago già in uso presso i
Vichinghi. La presenza di moduli navali di tal genere anche nel meridione
d’Italia sembrerebbe attestata dalla presenza, sul portale nord della chiesa di
San Giovanni al Sepolcro in Brindisi, di un graffito, riproducente un vascello
medievale con vele, remi e una prua zoomorfa204.
Gli scudi a goccia venivano appesi a prua ed a poppa, sporgenti all’esterno
dell’imbarcazione, per evitare che potessero occupare quello spazio necessario

202
Cfr. M. Bennett, Amphibious Operations from the Norman Conquest to the
Crusades of St. Louis, c. 1050-c. 1250, in: Amphibious Warfare 1000-1700, ed. D. J. B.
Trim, M.C. Fissel, Leiden 2006, pp. 54-55.
203
Cfr. Musée de la Tapisserie de Bayeux, Centre Guillaume Le Conquérant,
Bayeux, scena 38.
204
G. Marella, La chiesa di San Giovanni al Sepolcro di Brindisi. Le architetture
europee a pianta centrale degli Ordini di Terrasanta, in: Deus Vult. Miscellanea di studi
sugli Ordini militari, a cura di C. Guzzo, N. Bagnarini, 2 (2012), p. 50. Il Dr. Marella, nel
corso di un colloquio privato per il quale lo ringrazio, mi ha comunicato di avere
parzialmente rettificato le proprie tesi a proposito del graffito navale brindisino, presente
sulle pareti esterne della chiesa di San Giovanni al Sepolcro di Brindisi. Alla luce di nuove
acquisizioni derivanti dall’esegesi di alcune iconografie coeve, egli ha ritenuto opportuno
spostare la datazione della suddetta iconografia dal XII al XIII secolo, pur attribuendo alla
forma navale incisa sul sacro edificio della città adriatica un’origine nord europea.
Concordo sostanzialmente con quanto affermato dal Dr. Marella e, a tal proposito, ritengo
opportuno rimarcare la notevole somiglianza dell’immagine brindisina, con una nave
vichinga incisa su un pezzo di legno (di circa 17-18 cm di lunghezza), risalente al secolo
XIII. Codesto reperto è stato ritrovato a Bergen, durante gli scavi condotti da Asbjørn E.
Herteig ed è oggi conservato presso l’Historisk Museum, Universitet i Bergen. Ciò
potrebbe dunque avvalorare l’ipotesi dell’origine nordica della nave e, verosimilmente,
anche di colui il quale la incise sulla parete di San Giovanni al Sepolcro. Cfr. G. Jones, I
Vichinghi, tr. it., Roma 19952, p. 335, fig. 56.
~ 54 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

ad ospitare gli uomini e le loro cavalcature. Quando però i vascelli erano adibiti
al solo trasporto dei combattenti, gli scudi erano posti all’interno dello scafo, al
fianco dei rematori o dei passeggeri205.
La consuetudine di annodare gli scudi alla poppa ed alla prua è per altro
attestato in area sud italiana alla fine del secolo XII, così come l’abitudine di
assicurarli al fianco della nave, legandoli però non all’interno ma all’esterno, al
fine di recuperare il maggiore spazio possibile per i viaggiatori 206. L’evoluzione
della marineria, spinse i Normanni a predisporre navi specifiche per il trasporto
non solo dei cavalli ma anche delle macchine di assedio.

Fig. 3- Chiesa di San giovanni al Sepolcro in Brindisi. Graffito di nave medievale.


(Foto di Giuseppe Marella)©. Per gentile concessione.

La flotta siciliana che giunse ad Alessandria d’Egitto il 28 luglio del


1174 al comando del conte di Lecce Tancredi per compierne la conquista,
contava dalla 150 alle 200 galee, alle quali si aggiungevano trentasei navi per il
trasporto delle cavalcature ed altre sei contenenti materiali ossidionali. Una
volta compiuto lo sbarco sulla costa egiziana, un team di genieri altamente
specializzato predispose in brevissimo tempo il montaggio di due grandi pezzi
di artiglieria e di altri più piccoli, di tre larghi tetti armati e di tre arieti a
percussione. Deduciamo perciò che tali strutture fossero, in buona parte,
prefabbricate e ciò spiegherebbe la celerità con la quale i Normanni
procedettero al loro assembramento207. Non è difficile dedurre che la

205
Cfr. Musée de la Tapisserie de Bayeux, Centre Guillaume Le Conquérant,
Bayeux; scene 5 e 38.
206
Cfr. Petrus De Ebulo, Liber ad honorem Augusti sive de rebus Siculis. Eine
Bilderchronik der Stauferzeit aus der Burgerbibliothek Bern, ed. T. Kölzer e M. Stahli, rev.
e trad ed. G. Becht-Jördens, J Thörbecke Verlag, Sigmaringen 1994, f. 119r, 120r.
207
Cfr. R. Rogers, cit., pp. 120-121.
~ 55 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

consuetudine di costruire macchine belliche prefabbricate cominciò ad essere


praticata a seguito della prima crociata, quando i cristiani giunti sotto le mura di
Gerusalemme poco prima degli inizi dell’estate del 1099, si trovarono in serie
difficoltà, a causa della mancanza di un numero sufficiente di pezzi di
artiglieria, necessario ad espugnarne le solide mura.
Il 17 giugno una squadra composta da due galee genovesi e da quattro
navi probabilmente inglesi entrò nel porto di Giaffa, recando le funi, i bulloni
ed i chiodi necessari per la costruzione delle macchine. I crociati avevano però
urgente necessità di procurarsi il legname, per altro scarseggiante nei dintorni
della Città Santa, il cui clima era divenuto soffocante a causa dell’avvicinarsi
della stagione estiva. Ciò costrinse il normanno Tancredi di Altavilla ed il conte
Roberto di Fiandra a spingersi con i loro uomini fino alle lontane foreste della
Samaria, dalle quali fecero ritorno a Gerusalemme con un consistente carico di
tronchi e di assi, caricati sui cammelli o fatti trasportare da prigionieri saraceni.
Il legname così recuperato fu impiegato per la costruzione di scale d’assalto e
di un castello di legno montato su due ruote e provvisto di catapulte208.
Ad ogni modo i Greci insegnarono ai Normanni non solo il trasporto
per mare dei cavalli, ma fornirono altresì loro, unitamente ai Longobardi, le
tecniche necessarie per la costruzione di quelle potenti macchine di assedio che
avrebbero impiegato per impadronirsi delle città del Mezzogiorno209. L’assedio
che il Guiscardo pose a Bari a partire dal 5 agosto del 1068 fu il momento
culminante della lunga campagna che egli aveva condotto contro i Bizantini,
per assicurarsi il dominio indiscusso della Puglia. Roberto impiegò truppe di
terra, mentre una flotta compiva raids sulla costa balcanica ed un’altra forza
navale bloccava la città per mare. Gli equipaggi erano stati reclutati soprattutto
fra calabresi che, come è noto, avevano in buona parte discendenza greca 210. Le
mura furono percosse da un ariete (costruito seguendo le indicazioni di Egetore
di Bisanzio)211 e dall’artiglieria, mentre l’arma principale d’assedio impiegata
fu una torre con due petriere, per bombardare le mura212, non dissimile da
quella impiegata dai crociati a Gerusalemme.
Fatto di un certo rilievo è che Roberto avesse serrato l’ingresso al porto
della città con una serie d’imbarcazioni legate le une alle altre ed assicurate alla

208
Cfr. S. Runciman, cit., vol. I, pp. 243-44.
209
Cfr. G. Amatuccio, Fino alle mura, cit., p. 45.
210
Cfr. F. Chalandon, cit., p. 187; G. De Blasiis, La insurrezione pugliese e la
conquista normanna nel secolo XI, Napoli 1864, vol. II, p. 128.
211
Cfr. E. Cuozzo, Trasporti terrestri e militari, cit., p. 53.
212
Ad portarum aditus crates prudenter adorsus, Sub quibus armatos obstantibus
insidiantes Ordinat, et turrim fabricat, quae lignea muris Prominet; ac iuxta de quaque
petraria parte Ponitur, adiuncto muros quo evertere possit Diversi generis tormento. GUP,
II, p. 158. Cfr. R. Rogers, cit., p. 96.
~ 56 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

terra con ponti di legno (tecnica ampiamente nota già al tempo dei Persiani)213
attraverso i quali la fanteria poteva, in caso di necessità, recare soccorso ai
marinai214. Costantinopoli rispose all’assedio inviando una flotta con viveri e
rinforzi che riuscì, nonostante gli attacchi della forza navale avversaria, a
raggiungere Bari.
Le operazioni militari si protrassero per tutto il 1069 ma senza risultati
apprezzabili per il Guiscardo ed a poco servirono le imponenti macchine
d’assedio che furono neutralizzate dagli abitanti della città. Ruggero intanto era
giunto dalla Sicilia, portando tutti gli uomini e le navi di cui poteva disporre.
L’imperatore era riuscito intanto ad allestire una flotta a Durazzo agli ordini del
normanno Jocelin, signore di Molfetta, che era stato il principale fomentatore
delle recenti rivolte contro l’autorità di Roberto in Puglia 215. La forza navale
giunta a Bari si scontrò con la flotta normanna ed ebbe la peggio. Nemmeno
una grave sciagura subita dagli ‘Albani’, quando centocinquanta di loro,
pesantemente equipaggiati, si spostarono contemporaneamente su di un lato di
un vascello facendolo capovolgere e restando tutti annegati, fu sufficiente per
risollevare le sorti della battaglia a favore delle armi greche216.
Jocelin fu catturato ed i Normanni ottennero così la loro prima vittoria
navale217. Il 16 aprile del 1071 il Guiscardo ed il fratello Ruggero fecero il loro
ingresso trionfale a Bari che dopo la disfatta della flotta bizantina, si era arresa
al duca di Puglia. Poco tempo dopo avere conquistato Bari, Roberto e Ruggero
rivolsero le loro attenzioni a Palermo, ancora in mano musulmana. Nell’agosto
del 1071 i Normanni bloccarono la città per mare e per terra, mentre gli
accampamenti furono posti a nord ed a est delle mura. Contrariamente a quanto

213
A tal proposito ci sembra utile ricordare che nel corso della seconda guerra
persiana, Serse decise di invadere la Grecia ed affidò al generale Mardonio il compito di
costruire un ponte di barche sull’Ellesponto, per traghettare l’esercito prima in Tracia e poi
in Tessaglia (anno 480 a. C.). Cfr. Erodoto, Storie, Libro VII, 8-10, 25, 34-36, 49, 54-56.
214
F. Chalandon, cit., p. 187; R. Rogers, cit., p. 97; G. De Blasiis, cit., vol. II, p.
130. L’impiego di un ponte di barche è attestato in occasione dell’assedio condotto contro
la città di Antiochia (21 ottobre 1097-2 giugno 1098), nel corso della prima crociata. Il
ponte suddetto venne, infatti, costruito sul fiume Oronte per collegare l’accampamento di
Goffredo di Buglione al villaggio di Talenki, ove sorgeva il cimitero musulmano. Tale
struttura lignea diede la possibilità alle truppe cristiane di raggiungere le strade per
Alessandretta e San Simeone. Cfr. S. Runciman, cit., vol. I, p. 188.
215
Urbis, cuius erat capiendae magna libido. Venturum auxilio Gocelinum fama
ferebat Multis imperii cum navibus. Cfr. GUP, II, p. 162.
216
Dumque fortiter congrediuntur, tanta vi quaedam ex nostris super navem illorum
grassata est, ut, ex uno latere cum pondere armorum incaute decurrente, centum
quinquaginta loricati ex nostris submergerentur. MALATERRA, II, XLIII.
217
Comes vero Gocelinum oppugnans superat: quem in suam navem exarmatam
recipiens, cum triumpho gloriosus ad fratrem remeat. Ibidem. Cfr. F. Chalandon, cit., 189.
~ 57 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

era avvenuto per Bari, Roberto decise di abbandonare la vecchia tattica dello
sbarramento permanente di navi che chiudeva l’entrata del porto.
Tale procedimento non aveva riscosso molto successo ed a Palermo
sarebbe stato impossibile attuarlo per ragioni topografiche. Egli ormeggiò
invece la sua forza navale costituita da Baresi, Calabresi e Greci prigionieri,
alle foci dell’Orento, tenendola pronta ad entrare rapidamente in azione218. Nel
tardo autunno del 1071 una flotta siculo-africana giunse al largo di Palermo e
Roberto emanò istruzioni ai suoi affinché tutti coloro che erano sotto il suo
comando, Normannis, Calabris, Barensibus, Argis Dux a se captis, ricevessero
la comunione219. La battaglia navale cominciò con un netto vantaggio per i
Saraceni i quali pare avessero eretto sui loro vascelli delle grosse tende di feltro
rosso, per proteggersi dai proiettili lanciati dai Normanni. Questi ultimi presero
progressivamente il sopravvento sugli avversari che furono costretti ben presto
alla ritirata. I palermitani tesero la grande catena che chiudeva l’ingresso del
porto ma inutilmente poiché le navi del Guiscardo infransero l’ostacolo e
completarono la distruzione della flotta siculo-africana, impadronendosi di
alcune imbarcazioni e dandone alle fiamme delle altre220.
La vittoria galvanizzò Roberto che il 5 gennaio 1072, alla testa di un
esercito composto da cavalleria pesante e fanteria, della quale facevano parte in
prevalenza arcieri e frombolieri, si diresse verso le mura di Palermo. La fanteria
ebbe il compito di bersagliare i bastioni con pietre e frecce. I Saraceni tentarono
a questo punto una sortita disperata contro la fanteria assediante che fu
ricacciata indietro221. Quando il Guiscardo si accorse di ciò che stava
accadendo ai suoi pedites, diede ordine alla cavalleria222 di caricare il nemico. Il
comando del condotiero Altavilla fu talmente tempestivo che i Saraceni furono
repentinamente messi in rotta. Guglielmo di Puglia ci informa che gli uomini di
Roberto inflissero ogni sorta di ferita ai musulmani, alcune con le spade, altre
con le lance, altre ancora con colpi di fionda e con le frecce223.

218
Cfr. F. Chalandon, cit., pp. 205-206.
219
GUP, II, p. 176.
220
Dum portum subeunt, mox opposuere cathenas, Cum quibus aequoreos aditus
prohibere solebant. His etiam fractis, quasdam de navibus horum Christicolae capiunt,
flammis plerasque perurunt. Ivi, II, p. 178. Cfr. anche J. J. Norwich, cit., p. 204. Cfr. altresì
M. Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, Firenze 1868, vol. III, parte I, p. 125.
221
Muniri pedites fundis facit atque sagittis; Armatos equites secum procedere
iussit. Accedunt muro pedites, et moenia saxis Ac telis quatiunt. GUP, II, p. 178.
222
Che le sorti di quella piccola battaglia sotto le mura di Palermo fossero state
decise dall’impeto della cavalleria, sembrerebbe evincersi dal fatto che, dopo tale scontro, il
Guiscardo dovette intervenire con un discorso di incitamento ai propri equites: Robertus
quamquam longo certamine vidit Diffisos equites, coeptis insistere poscit. Ivi, II, p. 179.
223
Gens comitata ducem diversis sauciat hostem Vulneribus, quosdam gladiis, et
cuspide quosdam, Multos fundali iactut plerosque sagittis. Ibid, II, p. 178.
~ 58 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

L’impeto delle truppe ducali fu talmente devastante che, per impedirne


l’ingresso in città, i palermitani chiusero fuori i loro stessi compagni i quali
perirono battendosi ai piedi delle grandi mura, sotto gli sguardi sgomenti ed
impotenti dei loro correligionari. Gli sventurati si trovarono intrappolati tra
l’esercito del Guiscardo e gli stessi bastioni della città sicula e non ebbero altra
scelta se non quella di combattere e morire. I Normanni ripresero allora con
impeto rinnovato l’assalto alle mura, appoggiandovi alcune scale d’assalto224.
Un tal Arcifredi, fattosi il segno della croce, si lanciò avventurosamente su per i
gradini, seguito da due compagni. Il tentativo di scalare le mura fallì però
miseramente, poichè la scala si infranse e gli scudi del suddetto Arcifredi e dei
suoi commilitoni vennero fatti a pezzi dai Saraceni225. Anche coloro che erano
saliti da altre scale furono respinti dai palermitani.
Roberto allora decise di correggere la tattica di assedio, incaricando il
fratello Ruggero di guidare tutte le sue truppe all’assalto della parte nord-
orientale delle mura, dove si trovava un fossato che era stato riempito. E mentre
la sua artiglieria teneva impegnati i Musulmani creando un diversivo 226, il
Guiscardo, con trecento uomini, scivolò verso il quartiere di Al-Khalesa, centro
amministrativo della città che si trovava quasi completamente sguarnito.
Furono erette dunque le scale ed un manipolo di guerrieri riuscì a penetrare
nella città, aprendo le porte al duca227.
I Saraceni vennero, loro malgrado, troppo tardi a conoscenza di quanto
stava verificandosi ed immediatamente si riversarono nella Al-Khalesa,
ingaggiando furiosi combattimenti che durarono fino alla notte. Alla fine i
Normanni restarono padroni del campo e mentre i palermitani riparavano nella
città vecchia, i soldati di Roberto si abbandonarono al saccheggio, uccidendo

224
Tali scale potevano essere semplici oppure reticolate, consistenti cioè in una
sorta di rete che era agganciata alle mura con una serie di rampini. Le scale d’assalto
avevano il nome di κλίμαξ σκυτίνη e pare fossero usate nel 1100 dal duca di Puglia
Ruggero Borsa, durante l’assedio di Canosa. Cfr. E. Cuozzo, Trasporti terrestri e militari,
cit., p. 50.
225
Subitement un qui se clamoit Archifrede se fist la croiz et sailli sur li mur.
Aprés loquel saillirent.IJ. autres; et, rote l'escalle, nul non lo pooit secorre. Et un monton
de li anemi lui vindrent encontre; ou la multitude enpaouri li Chrestien; et o l'arme li tailla
l'escut en main. Dont non porent soustenir cil troiz Normant. Et tant multitude se jetterent
de li mur, liquel, par la grace de Dieu, saint et sauf se retornerent à terre. AMATO, VI,
XVIIII, p. 280. Cfr. altresì M. Amari, cit., vol. III, parte I, p. 127.
226
Cfr. R. Rogers, cit., p. 98.
227
a Guiscardensibus scalis appositis, murus trascenditur. Urbs exterior capitur;
portae ferro sociis ad ingrediendum aperiuntur. Dux et comes cum omni exercitu infra
muros hospitantur. MALATERRA, II, XLV; Dont ceuz qui saillirent, sanz nulle
demorance, descendirent et operirent la porte. Et entrerent li chevalier, secutant cil qui
portoient arme. AMATO, VI, XVIIII, p. 280.
~ 59 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

gli adulti e procurandosi di rastrellare i fanciulli che sarebbero stati venduti


come schiavi.
Prudentemente Ruggero inviò nottetempo al fratello rinforzi, per
impedire che un’eventuale sortita degli assedianti potesse vanificare gli sforzi,
fino a quel momento compiuti, per aprire una breccia nelle difese avversarie.
Roberto dal canto suo fece presidiare le torri dell’Al-Khalesa228, anche se la
maggioranza dei Musulmani panoramitani non desiderava protrarre
ulteriormente la battaglia. Prevalse allora il buon senso e alla fine i notabili
della città si arresero al duca, il quale si dimostrò magnanimo e promise che a
nessuno sarebbe stato fatto del male e che egli si sarebbe impegnato a non
ostacolare le pratiche religiose islamiche229. La conquista di Palermo è assai
importante poiché ci consente di ricostruire in modo minuzioso le dinamiche di
un assedio ‘attivo’ ovvero, per parafrasare Wolfgang Petersen, di un ‘assedio
perfetto’, condotto alla fine del secolo XI dai Normanni in Italia. Sostanziale fu
l’apporto dell’artiglieria e della copertura degli arcieri e dei frombolieri che
consentirono alla fanteria di accostare le scale alle mura della città, per tentarne
la scalata.
Al fine di attenuare la pressione degli assedianti, i Saraceni misero in
atto una sortita che colse i Normanni talmente di sorpresa, da costringerli a
cedere terreno. Decisivo a questo punto fu l’intervento della cavalleria che
riuscì a risollevare le sorti dello scontro, grazie ad una carica che ricacciò i
Musulmani fin sotto le mura di Palermo, costringendoli a morire combattendo.
Il fatto che Roberto fosse riuscito ad impiegare i suoi equites, ci porta a
ritenere che gli spazi lasciati liberi dagli assedianti attorno alla città, dovessero
essere tali da consentire alle truppe montate di manovrare agevolmente, senza
correre il rischio di incappare in ostacoli di sorta. Il duca di Puglia doveva
perciò avere presumibilmente posto i propri attendamenti abbastanza lontano
dalle mura, seguendo, più o meno consapevolmente, gli insegnamenti dello
Pseudo Maurizio che nel suo Strategikon consigliava di disporre gli
accampamenti ad una distanza tale, da fare credere agli assediati che tutti quelli
che si trovavano al suo interno fossero soldati.
Il suddetto manuale bellico bizantino stabiliva, infatti, che gli
acquartieramenti dovessero essere posti a un miglio o due dalle fortificazioni
nemiche e sconsigliava di condurre assalti incauti e sconsiderati, per non subire
delle perdite che potessero demoralizzare gli uomini230. Per il fine stratega
greco era fondamentale che il morale dei suoi combattenti restasse alto. In caso

228
Cfr. M. Amari, cit., vol. III, parte I, p. 129.
229
Ivi, pp. 131-32.
230
Cfr. Maurizio Imperatore, Strategikon, cit., X, 1, pp. 115-116.
~ 60 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

di sconfitta, il generale avrebbe dovuto risollevare gli animi dei soldati,


evitando che cadessero nella disperazione231.
In ciò Maurizio sembrò seguire gli insegnamenti di Vegezio che al
morale degli uomini attribuiva un’importanza fondamentale per il successo di
una guerra232.
L’assedio di Palermo fu di certo assai difficoltoso e per quanto i
Normanni non avessero patito sconfitte, il prolungarsi delle operazioni di
espugnazione ebbe a demoralizzarli a tal punto che Roberto dovette intervenire,
come del resto aveva già fatto durante l’assedio di Enna del 1061, con un
discorso accorato, carico di suggestioni religioso-militari, che galvanizzò il loro
spirito di corpo, inducendoli a combattere con rinnovato vigore ed impeto233.
Mentre le mura nord-orientali venivano sottoposte ad un fitto fuoco di
artiglieria che costringeva i Saraceni a non abbandonare le loro posizioni, il
Guiscardo condusse un commando di trecento uomini (una sorta di incursori
ante litteram), in una zona scarsamente sorvegliata della città, riuscendo infine
a penetrare in Palermo. Lo Strategikon prescriveva di non correre rischi senza
necessità o prospettive utili234. Il Guiscardo doveva essere ben consapevole
dell’estrema rischiosità sua azione, ma seppe cogliere anche le opportunità che
dal successo della stessa sarebbero derivate.
Fu verosimilmente dopo avere valutato i vantaggi dell’impresa che il
duca decise di guidare i suoi uomini all’interno dell’Al-Khalesa, riuscendo
infine ad ottenere la capitolazione della città ed una delle vittorie più brillanti
della sua carriera.

2- L’arruolamento dei Saraceni di Sicilia

Quando il Guscardo prese la decisione di invadere la Sicilia


musulmana, l’isola era contesa fra tre emiri che si erano ribellati all’autorità del
califfo zirita di Kairouan El Moezz.
Il primo di tali principi era Ibn ath-Thumnah che governava Siracusa,
Catania e forse Palermo. Vi era poi Abdullah Ibn Hawkal signore di Trapani e
Mazzara, mentre Ibn al-Hawwas possedeva Girgenti e Castrogiovanni235.
L’aspra lotta per il potere che divampò in particolare fra Ibn al-Hawwas ed Ibn
ath-Thumnah, incoraggiò quest’ultimo a ricercare l’alleanza con i Normanni, in

231
Ivi, VIII, I, p. 93.
232
Cfr. C. Allmand, Vegetius: The Reception, Transmission and Legacy, cit., p.
258.
233
Cfr. D. S. Bachrach, Religion and the Conduct of War, cit., pp. 87-88.
234
Ibid., p. 95.
235
Cfr. F. Chalandon, cit., p. 191.
~ 61 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

particolare con Ruggero al quale l’emiro fece visita personalmente in Mileto,


nel febbraio 1061. Costui offrì all’Altavilla il controllo su tutta l’isola,
assicurandogli supporto logistico-militare236.
Ruggero radunò allora un contingente di centosessanta cavalieri e di
quattrocentocinquanta fra valletti e scudieri e partì alla volta di Messina 237.
Ebbe così avvio la lunga campagna di sistematica conquista dell’isola che
sarebbe durata poco più di trent’anni, le cui vicende non è però possibile
approfondire in tale sede238. Come già dettagliato nel corso del precedente
paragrafo, Palermo cadde nel 1072 dopo lungo assedio; Trapani fu conquistata
nel 1077, Taormina nel 1079, Siracusa nel 1088.
La grande fortezza di Enna capitolò verso la fine del 1087 mentre, la
caduta di Noto nel 1091, segnò il completamento della conquista dell’intera
Sicilia239. Nonostante l’impresa sicula avesse assunto i colori di una sorta di
crociata ante-litteram, i Normanni finirono ben presto per reclutare fra i loro
ranghi uomini d’arme di origine arabo-berbera240, il cui servizio militare
doveva essere originariamente organizzato in giund 241, vocabolo arabo che ha
il significato di truppa, esercito, o corpo militare. Il suo plurale agnād, servì a
designare durante il califfato omayyade e abbaside, le circoscrizioni militari in
cui era divisa la Siria, sul modello dei themi bizantini. A tale struttura potevano
accedere solo i figli dei guerrieri, purchè reputati idonei sulla base di una
valutazione discrezionale del principe. Il soldo dovuto a codesti uomini era
variabile e affidato alla discrezionalità del principe suddetto o dell’emiro, ma
pur condizionato dalla potenza ed influenza politica delle famiglie che al giund
aderivano. Tale compagine racchiudeva l’elite militare araba la quale aveva il
precipuo compito di conquistare nuove terre, schiavi e di spartirsi il bottino.

236
Cfr. M. Amari, vol. III, cit., parte II , pp. 60-61.
237
De cuius adventu comes non minimum gavisus, eum honorifice suscepit,
eiusque consilio, necdum hieme transacta, hebdomada videlicet proxima ante
quadragesimam, cum centum sexaginta militibus, ipsum Betumen secum, eo quod patriam
sciebat, ducens, Farumque ad Clibanum tegularum transiens, Siciliam invadit. Cfr.
MALATERRA, III, IV. Cfr. F. Chalandon, cit., pp. 193-94, riporta la testimonianza di Ibn
Khaldoun il quale riferì che l’esercito normanno contava seicento uomini. Tale dato non
sarebbe invero contrastante con il numero di centosessanta uomini riportato dal Malaterra,
il quale voleva probabilmente riferirsi alle truppe montate. A queste dovevano però essere
aggiunti tutti coloro i quali che facevano da contorno logistico ed organizzativo alla
spedizione. Cfr. altresì M. Amari, vol. III, parte II, cit., p. 61, nota 3.
238
A proposito della campagna normanna in Sicilia e dei suoi aspetti prettamente
militari, cfr. G. Theotokis, The Norman invasion of Sicily, cit., pp. 381-402
239
Cfr. R. Allen Brown, cit., pp. 132-133.
240
Cfr. M. Amari, vol. III, parte II, cit., p. 35 e p. 37.
241
Ivi, p. 25.
~ 62 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

Il diritto classico musulmano, era ben chiaro sulla ripartizione dei


territori conquistati; dei quattro quinti beneficiavano, a titolo di bottino, i
combattenti (fei) e un quinto, il cosiddetto khums era riservato allo Stato o al
principe locale242. Il fei consisteva in prestazioni permanenti degli infedeli e/o
in tributi individuali delle popolazioni assoggettate chiamate gezîa, khârag, o
decima delle merci, dei quali sono una parte per altro trascurabile spettava al
califfo243. I Normanni dovettero conservare in Sicilia la tradizionale ripartizione
in distretti militari arabi, detta ikim e verosimilmente su di essi si basava il
reclutamento dei soldati di fede islamica, servendosi dei registri di terre
(defatar) e delle platee (jarida)244. Fu Roberto il Guiscardo ad inaugurare
l’impiego di truppe siculo-saracene in occasione dell’assedio di Salerno del
1076245 mentre il fratello Ruggero utilizzò nel 1079, in occasione della presa di
Taormina, contingenti militari di religione islamica, agli ordini di Elia Cartomi,
che stando alle indicazioni di Goffredo Malaterra, era un musulmano
convertito246.
I Saraceni di Sicilia possedevano numerosi arcieri a cavallo ed
appiedati, oltre ad un buon numero di truppe ausiliarie. Nel 1091, soldati di
fede islamica si trovavano agli ordini di Ruggero I in occasione dell’assedio di
Cosenza, così come nel 1094 a Castrovillari e nel 1096 ad Amalfi247.
Ancora nel 1098 Ruggero prese parte alle operazioni militari necessarie
per la riconquista di Capua che si era ribellata all’autorità di Riccardo II. In tale
occasione egli si presentò sotto le mura della città, recando con sé alcune
migliaia di armati musulmani.
Le truppe guidate dall’Altavilla ebbero un ruolo fondamentale nel corso delle
operazioni, poiché furono incaricate di costruire un ponte sul fiume Volturno,
per agevolare le comunicazioni con l’accampamento di Ruggero Borsa,
procedendo inoltre alla realizzazione di macchine di assedio248. L’impiego di

242
Cfr. J. Johns, Arabic Administration in Norman Sicily: The Royal Diwan,
Cambridge 2002, p. 27.
243
Cfr. M. Amari, cit., vol. III, parte II, p. 27.
244
Cfr. G. Amatuccio, La battaglia di Sarno, cit., p. 23.
245
Il asembla troiz rurmez de troiz manieres de gent: c'est de Iatin, de Grex et de
Sarrazin, et comanda que venissent molt de gent et de navie à garder lo port. AMATO,
VIII, XIV, p. 354.
246
Elias Cartomensis qui ex Saracenis ad fidem Christi conversus. MALATERRA,
III, XXX. Cfr. anche F. Chalandon, cit., p. 334.
247
Cfr. G. Amatuccio, Saracen archers in southern Italy, in: Journal of the Society
of Archer-Antiquaries, vol. 41 (1998), p. 76.
248
Comes autem cum duce et principe in oppugnatione urbis attentissime
persistentes, machinamenta ad urbem capiendam artificiosissime aptant. Capuani primo
ludibrio habere, contemnendo ad defensionem sese ad invicem cohortari, duci tamen, vel
comiti se, si retinendo recipere velint, urbem reddere attentant. Sed nobilissimi principes,
~ 63 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

tali contingenti divenne per altro abituale per i Normanni e lo stesso Ruggero II
nel 1130 arruolò numerosi fanti saraceni nella guardia reale, i quali sostennero
le lotte intestine contro quei nobili ribelli che ostacolavano il progetto di
unificazione sotto un unico scettro di tutto il meridione d’Italia249.
La conversione al cristianesimo dei soldati islamici era ampiamente
scoraggiata dagli Altavilla, i quali desideravano avere al proprio comando
truppe che fossero non solo svincolate dal servizio militare feudale 250, ma che
non manifestassero quegli scrupoli religiosi in grado avvilire gli uomini d’arme
latini nel caso in cui questi ultimi fossero stati colpiti, con i loro condottieri, da
sanzioni spirituali.
In particolare, Ruggero I voleva essere sicuro, nel caso in cui le sue
relazioni con il Papato si fossero per qualunque motivo guastate, di potere in
ogni momento contare su un esercito musulmano di provata fedeltà251.
Non abbiamo purtroppo notizie riguardanti gli equipaggiamenti utilizzati da tali
uomini ma sappiamo che costoro erano comunque inquadrati in reparti
autonomi, guidati da propri comandanti e che conservavano i loro tradizionali
metodi di combattere. Quwaad ar-rumat, erano detti coloro i quali
comandavano le unità di arcieri e come abbiamo ampiamente dettagliato nel
corso della nostra trattazione, i Saraceni erano largamente impiegati dai
Normanni nella costruzione delle macchine di assedio e delle fortificazioni252.
Come era prevedibile, i contatti prolungati con i Normanni determinarono una
certa familiarità da parte dei Musulmani del sud d’Italia con il Cristianesimo.
Significativa è, a tale proposito, la testimonianza del monaco benedettino
anglosassone Eadmer che nella sua opera dedicata alla vita di Sant’Anselmo,
ricordò la visita di quest’ultimo, nel 1098, alle truppe di Ruggero Borsa
impegnate nell’assedio di Capua.
Negli accampamenti normanni vi erano anche un gran numero di
Saraceni agli ordini del Gran Conte Ruggero, fratello del Guiscardo. Essi
furono talmente colpiti e commossi dalla bontà di Anselmo, che molti di loro
presero a venerarlo, meditando di abbandonare la fede maomettana per
convertirsi al Cristianesimo. Tuttavia essi dovettero desistere da tale proposito,
temendo le ritorsioni dei loro condottieri normanni i quali non consentivano

hanc fraudem sibi nullatenus assumere volentes nisi ut principi reddantur, acquiescere
passi non sunt. At, ubi Capuani machinamenta apparata versus urbem appropiare vident,
quae prius ludibrio habebant, exhorrescentes, deditione urbis sese, consilio comitis,
committunt. Sicque ipso mediatore usi, vix suae fraudis impunitas impetratur. Principi pro
libitu suo urbs Capuana restituitur. MALATERRA, IV, XXVIII. Cfr. anche R. Rogers, cit.,
p. 101.
249
Cfr. G. Amatuccio, Saracen archers in southern Italy, cit., p. 27.
250
Id., La battaglia di Sarno, cit., p. 24.
251
Cfr. J. J. Norwich, cit., vol. I, p. 306.
252
G. Amatuccio, La battaglia di Sarno, cit., p. 25.
~ 64 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

loro di abbandonare la religione islamica, per le ragioni che abbiamo già in


precedenza esposto253.
La testimonianza sopra riportata deve essere naturalmente valutata con
prudenza, poiché è difficile credere che le schiere saracene fossero, come
Eadmer vorrebbe fare credere, così adulatrici nei riguardi di Anselmo.
Tale resoconto è tuttavia interessante poiché testimonia le resistenze dei
potentes normanni ai tentativi di evangelizzazione dei ‘pagani’, giustificando
così il pressoché scarso consenso che la predicazione della prima crociata da
parte del pontefice Urbano II riscosse presso Ruggero I, il quale non aveva la
benché minima intenzione di guastare le buone relazioni con i propri sudditi di
fede islamica, aderendo alla guerra santa254. L’appello papale fu tuttavia accolto
con entusiasmo dal di lui nipote Boemondo il quale strumentalizzò l’impresa
crucesignata per guadagnarsi quel posto al sole che gli era stato negato nel Sud
Italia divenuto, come la Nornandia dei primi decenni del secolo XI, oramai
troppo angusto per contenere le ambizioni di guerrieri in cerca di fama e
fortuna255.

3- Gli Homines boreales nell’epica romanza: etica cavalleresca e cavalleria etica


nel Sud Italia.

Tra la fine del secolo XI e gli inizi del XII, la società laica normanna
subì il fascino irresistibile della letteratura epica e del romanzo volgare. I
cavalieri del Nord amavano la loro storia e apprezzavano la poesia che
celebrava, in versi raffinati, l’esistenza eroica di guerrieri con i quali costoro

253
Paganos etiam, ut de christianis taceam. Siquidem nonnulli valium; nam eorum
multa millia in ipsam expeditionem secum adduxerat homo Ducis Rogerius Comes de
Sicilia; nonnulli inquam talium fama bonitatis ejus inter suos exciti mansionem nostram
frequentabant, et sumptis ab Anselmo corporalibus cibis gratiosi revertebantur,
admirandam viri benignitatem suis praedicantes, quam experiebantur. Unde in tanta
deinceps veneratione etiam apud eos habitus est, ut cum per castra illorum, quae in unum
locata transiremus, ingens multitudo eorum elevatis ad caelum manibus, et prospera
imprecarentur, et osculatis pro ritu suo manibus propriis, necne coram eo genibus flexis ,
pro sua eum benigna largitate, grates agendo venerarentur. Quorum etiam plurimi, velut
comperimus, se libenter ejus doctrinat instruendos submisissent, ac Christianae fidei jugo
sua per eum colla injecissent, si crudelitatem comitis sui pro hoc in se sevituram non
formidassent. Cfr. Eadmer, The Life of St. Anselm Archbishop of Canterbury, ed. R. W.
Southern, Toronto 1962, pp. 111-112.
254
Cfr. S. Tramontana, Ruggero I e la Sicilia musulmana, in: Il Mezzogiorno
normanno-svevo e le Crociate. Atti delle quattordicesime giornate normanno-sveve, Bari
17-20 ottobre 2000, a cura di G. Musca, Bari 2002, pp. 49-64.
255
Cfr. R. Hiestand, Boemondo e la I Crociata, in: Il Mezzogiorno normanno-
svevo e le Crociate, ut supra, pp. 65-94.
~ 65 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

cercavano di identificarsi256. Non è perciò un caso se le gesta compilate dai


cronisti ad essi favorevoli, magnificassero le loro imprese, tingendole sovente
dei mistici colori della leggenda. A titolo esemplificativo ricordiamo quanto
scritto da Goffredo Malaterra a proposito della prematura e violenta morte di
Serlo (o Serlone) di Altavilla, nipote prediletto di Ruggero I. Durante l’estate
del 1072, mentre era impegnato nella campagna di invasione della Sicilia, egli
cadde in un agguato insieme ad un manipolo dei propri uomini, nei pressi di
Nicosia, a breve distanza dalla confluenza del Cerami e del Salso. Il giovane fu
sopraffatto da un numero soverchiante di Saraceni ma, nonostante tutto, balzò
sulla cima di un’enorme roccia ed al fianco dei suoi compagni si batté
valorosamente, fino a cadere morto. I suoi nemici ne estrassero allora il cuore
dal petto e lo divorarono al fine di assorbirne il grande coraggio, mentre la testa
dello sventurato fu inviata in Africa al principe Temim257.
La pietra sulla quale Serlo terminò la propria esistenza terrena venne
chiamata dagli arabi Hagiar-Serlu258 e divenne il primo ‘monumento eroico’
normanno del Sud Italia. Al di là della realtà storica, il suggestivo racconto di
Malaterra sembrerebbe richiamare indirettamente quei tòpoi letterari peculiari
delle chansons de geste, all’interno delle quali venivano narrate le gloriose
imprese attribuite a Carlo Magno, dando però l’opportunità agli autori di
riscrivere avvenimenti contemporanei, al fine di compiacere i loro mecenati.
Interessante è a tale proposito ricordare come gli episodi della conquista
normanna della Sicilia e della Calabria fossero stati incorporati all’interno della
celeberrima chanson de Roland, rifluendo in Francia per poi essere trascritti nel
cosiddetto manoscritto di Oxford, non posteriore al secondo quarto del secolo
XII259. Ulteriori elementi provenienti poi da episodi relativi alla guerra condotta
da Roberto il Guiscardo in Epiro tra il 1081 ed il 1085 contro Bisanzio,

256
Cfr. M. Chibnall, cit., p. 160.
257
Et fugae praesidio diffidens - cum paucis, qui secum erant, petram, quae ab
ipsa die Serlonis dicta est, cursu expetit. Qua ascensa, a dorso pro muro eius usus, diu
fortiter, sed nullo aliunde auxilio adventante, incassum dimicatur. Nam tandem confossus,
occubuit; nullusque ex omnibus, qui cum ipso erant - exceptis duobus, qui inter cadavera
mortuorum latitaverant - evasit. Serlone eviscerato, Saraceni cor extraxerunt; utque
audaciam eius, quae multa fuerat, conciperent, comedisse dicuntur. Capita vero occisorum
abscissa in Africam regi ad honorem, mittunt; sed caput Serlonis, stipiti impositum, per
plateas urbis delatum, a clamante est praeconizatum eius esse, a quo, prae caeteris, Sicilia
impugnabatur; hostes devictos; nullo simili superstite, Siciliam amodo suae sorti facile
cessuram. Cfr. MALATERRA, II, XLVI: M. Amari, cit., vol. III, parte I, pp. 135-36.
258
Ibid., p. 135, nota 1.
259
Cfr. M. C. Samaran, The Oxford manuscript of the Chanson de Roland: A
Paleographical note, in: Romania, 94 (1973), pp. 221-31; F. Ribezzo, Lecce, Brindisi,
Otranto nel ciclo creativo dell’epopea normanna e nella chanson de Roland, in: Archivio
Storico Pugliese, Anno V, fasc. I-IV (1952), p. 193.
~ 66 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

trovarono una loro specifica collocazione all’interno della Chanson suddetta,


‘normannizzandone’ ulteriormente i contenuti letterari260.
E quanto la chanson de Roland fosse stata influenzata dalle campagne
militari dei Normanni del Sud Italia, lo ha convincentemente provato il
Grégoire il quale ne ha preso in esame un episodio specifico, ovvero quello in
cui Carlo Magno giunge a Roncisvalle in soccorso di Orlando, trovandosi a
dovere affrontare una immensa armata saracena, composta da dieci contingenti
armati al comando di Baligant. Il primo di tali reparti proveniva da Butentrot,
toponimo che il suddetto autore ha ritenuto di potere identificare con Butrinto,
città epirota storicamente coinvolta negli scontri fra Bizantini e Normanni. In
relazione a tali osservazioni, Baligant potrebbe forse essere identificato con il
greco Giorgio Paleologo che, oppose alle truppe del Guiscardo l’esercito
imperiale mentre la terre de Bire altro non sarebbe che l’Epiro261. La can’lena
Rolandi era poi ben conosciuta negli ambienti normanni se è vero che, in
occasione della battaglia di Hastings, i cavalieri di Guglielmo il Conquistatore
la intonarono262, mentre si lanciavano nella mischia. Non sarebbe pertanto
azzardato ritenere che anche gli Homines boreales263 agli ordini del duca
Roberto abbiano potuto fare lo stesso dal momento che, come sottolineato da
Joanna Drell, i Normanni del sud Italia erano fratelli, zii e cugini di coloro i
quali avevano partecipato all’invasione dell’Inghilterra264. Essi avevano del
resto preso a considerare le gesta di Carlo Magno e dei suoi paladini come una
sorta di patrimonio appartenente alla loro gens, alla Normannitas, la quale era
stata forgiata amalgamando la vetusta cultura scandinava e quella franca che ai
nuovi venuti aveva donato l’idioma gallo-romanzo265, oltre ad un inedito
costume guerriero. Questo fu naturalmente esportato dai discendenti di Rollone
nel Mezzogiorno, sviscerato nei mille rivoli delle battaglie che essi
combatterono per imporsi quali nuovi dominatori di quelle terre, rielaborato in

260
Cfr. K N, Ciggaar, Western Travellers to Constantinople: The West and
Byzantium, 962-1204, Leiden 1996, p. 182.
261
Cfr. M. Grégoire, La chanson de Roland et Bysance, in: Byzantion, XIV
(1939), p. 326 e ss; M. de Boüard, La Chanson de Roland et la Normandie, in: Annales de
Normandie, 2e année, 1 (1952). pp. 34-35.
262
Cfr. D. C. Douglas, The Song of Roland and the norman conquest of England,
in: French Studies, XIV (1960), pp. 99-116.
263
Così vengono chiamati i Normanni da Guglielmo di Puglia. Cfr. GUP, I, p. 98.
264
Cfr. J. H. Drell, Cultural syncretism and ethnic identity: The Norman
‘conquest’ of Southern Italy and Sicily, in: Journal of Medieval History, vol. 25, 3 (1999),
p. 189.
265
A tal proposito cfr. V. Sivo, Lingue e interpreti, in: Strumenti, tempi e luoghi di
comunicazione nel Mezzogiorno normanno-svevo, cit., pp. 89-111; Id., La cultura latina
nella Calabria dell’età normanno-sveva. Un bilancio storiografico, in: Studi Bitontini, 85-
86 (2008) pp. 5-32.
~ 67 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

chiave poetica dai cantori che facevano la spola fra l’Italia e la Francia e fatto
dai suddetti confluire nella chanson de Roland266.
Non può comunque essere sottovalutato l’apporto di quei Normanni che
avevano partecipato alle spedizioni militari nel Sud Italia e che erano poi
ritornati in patria, recando un patrimonio di racconti ed aneddoti che fu in parte
recepito nelle canzoni de Geste.
I giullari che si trovavano al seguito di Roberto il Guiscardo e di suo
fratello Ruggero dovettero percepire le grandi vittorie da questi conseguite
come una sorta di ideale continuazione delle imprese di Carlo Magno e di
Orlando. Naturalmente i cantori di tali imprese varcarono i confini della storia
per entrare in quelli della fantasia o meglio della meta-storia, attribuendo la
conquista dell’Italia meridionale e perfino dell’Inghilterra proprio al defunto
sovrano dei Franchi. Nei versi cantati della Chanson, Carlo aveva infatti
conquistato l’Apulia e la Calabria, imponendo il proprio dominio sui Romani,
sui Pugliesi e sui Siciliani di Palermo, ovvero su quelle popolazioni che, in un
modo o nell’altro, si erano battute contro Roberto il Guiscardo e da costui erano
state sconfitte267. Il profondo legame fra Carlo Magno ed il meridione d’Italia
venne poi ulteriormente ribadito, intorno al 1187, da Goffredo di Viterbo il
quale narrò che, di ritorno da un viaggio in Terra Santa, Carlo Magno approdò
in Sicilia in compagnia di Orlando ed Oliviero, che donarono i loro nomi a due
montagne dell’isola. Il fatto che esistessero due monti che prendessero il nome
dai più celebri paladini di Francia, doveva dunque avvalorare la leggenda
secondo la quale Carlo sarebbe effettivamente transitato dalla Sicilia con il
proprio seguito di cavalieri268.
L’attività dei giullari d’oltralpe si protrasse in Italia almeno fino alla
morte di re Guglielmo II, influenzando in maniera determinante anche le arti
figurative. Fu perciò ispirandosi a codesto milieu, che Pantaleone ideò lo
splendido mosaico di Otranto, completato negli ultimi anni del regno di
Guglielmo I (tra il 1163 ed il 1165), nel quale evidenti sono gli influssi del
ciclo di Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda269, ideale alter ego della
tradizione epica carolingia. Nel pavimento musivo otrantino esiste, infatti, una
raffigurazione del leggendario sovrano anglosassone che cavalca un ariete,
brandendo una sorta di clava ed è interessante ricordare che, agli inizi del

266
F. Ribezzo, cit., pp. 193-194.
267
Cfr. B. Sholod, Charlemagne in Spain: The Cultural Legacy of Roncesvalles,
Genéve 1966, pp. 184-185.
268
Cfr. L. Michel, Les origines et les transformations de la Chanson de Roland.
Examen critique d'une théorie nouvelle, in: Revue belge de philologie et d'histoire. Tome
25 fasc. 1-2 (1946), p. 278.
269
Cfr. F. Ribezzo, cit., p. 196. Cfr. anche R. Alaggio, Brindisi medievale: natura,
santi e sovrani in una città di frontiera, Napoli 2009, p. 329.
~ 68 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

secolo XIII, circolasse una leggenda divulgata da Gervasio di Tilbury secondo


la quale Artù, ancora vivo, avrebbe preso dimora nelle viscere del monte Etna.
Il nostro Gervasio fu un instancabile viaggiatore che percorse tutta
l’Italia fino a giungere, intorno agli anni ’90 del 1100, alla corte di re
Guglielmo II di Altavilla, ove ebbe modo di apprendere molte informazioni
sulla Sicilia. Egli raccontò che un giorno un cavallo appartenente al vescovo di
Catania fuggì dalle mani del palafreniere che lo stava strigliando. Preoccupato
per la sorte dell’animale, questi prese a vagare per dirupi e burroni, fino a
quando imboccò un sentiero che lo condusse in un’amena campagna, colma di
ogni delizia dove sorgeva un magnifico palazzo.
All’interno di tale edificio lo stalliere fu introdotto niente meno che alla
presenza di Artù, il quale giaceva adagiato sul proprio giaciglio regale. Il
sovrano narrò al garzone come fosse stato, lungo tempo addietro, ferito in una
battaglia contro il nipote Mordred e Childerico e che ora si trovasse nell’Etna a
cagione delle gravi e mai cicatrizzate ferite subite nel corso dello scontro. Dopo
avere narrato la sua storia, il re consentì al giovane di fare ritorno a casa con
magnifici doni da consegnare al vescovo di Catania270.
La leggenda di Artù si diffuse fin dal secolo XII in Italia, soprattutto nel
Sud della penisola e in particolare in Sicilia, soggetta all’influenza della
cavalleria normanna271. Non è purtroppo possibile stabilire, alla luce delle fonti
a nostra disposizione, se la storia narrata da Gervasio fosse stata realmente
appresa nel corso del suo soggiorno in Sicilia o se invece (ed è questa l’ipotesi
che riteniamo maggiormente probabile) il suddetto non l’avesse inventata,
rielaborando racconti sul grande vulcano o le leggende arturiane diffusesi
nell’isola. Comunque siano andate le cose, sembra però certo che la cosiddetta
materia di Bretagna avesse fatto breccia nell’immaginario collettivo del Sud
Italia normanno, se il maestro Pantaleone decise di rappresentare Artù nel
mosaico di Otranto, mentre Gervasio di Tilbury trasformò l’esotica e
culturalmente proteiforme Sicilia in una sorta di nuova Avalon.
L’attività del suddetto Pantaleone sembrerebbe tuttavia non essersi
limitata alla realizzazione del capolavoro otrantino, essendo invece continuata
nella città di Brindisi nella cui cattedrale medievale, distrutta dal terremoto del
1743,272 egli creò con tutta probabilità un altro magnifico pavimento musivo273,
270
A. Graf, Artù nell’Etna, in: Id., Miti, leggende e superstizioni del Medioevo,
Milano 1984, pp. 322-323.
271
J. C. Schmitt, Spiriti e fantasmi nella società medievale, tr. it., Milano 1997, p.
159.
272
Cfr. N. Vacca, Brindisi ignorata. Saggio di topografia storica, Trani 1954, p.
281.
273
Questa è l’opinione espressa da A. Garufi, Il pavimento a mosaico della
cattedrale di Otranto, in: Studi Medievali, II (1907), p. 505, nota 5. Importante è poi
ricordare come gli elementi salienti della storia narrata nel mosaico brindisino,
~ 69 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

ispirato alla rotta di Roncisvalle. Tale opera è, oggi, purtroppo perduta, ma


esistono tuttavia alcuni schizzi realizzati nel 1812 dal francese A. L. Millin 274 e
successivamente da H. Schulz275 .
Nel mosaico che doveva occupare una superficie lunga undici metri e
larga due metri e mezzo276, è raffigurato il vescovo Turpino a cavallo con la
mitra sul capo che si volge indietro verso Orlando, il quale suona l’olifante per
richiamare i suoi uomini alla ritirata. La battaglia infuria ed Orlando appiedato
reca sulle proprie spalle il cadavere di un suo compagno, mentre un angelo vola
su di loro. Più lontano è ancora Orlando a vegliare sul paladino Oliviero disteso
al suolo, mentre l’anima di quest’ultimo ne abbandona il corpo, per ascendere
al cielo277.

Fig. 4 – Mosaico pavimentale della Cattedrale di Brindisi.


Ricostruzione a cura dell’Autore, realizzata sulla base degli schizzi dello Schulz (1834).
Particolari.

Conclude il ciclo decorativo pavimentale un’ultima scena che ritrae due


cavalieri (fig. 4). Il primo da sinistra (forse un Saraceno) sembra impugnare un
arco ed è privo di scudo, mentre quello di destra afferra la lancia con la mano
destra, stringendo nella sinistra uno scudo circolare che, parrebbe frantumarsi a
seguito dell’impatto con la lancia di un altro combattente cristiano proveniente
da destra, del quale non s’intravede la sagoma. Tutto ciò avviene mentre al
suolo giacciono i corpi esanimi o martoriati di altri uomini d’arme, in una forse
inconsapevole citazione dell’Arazzo di Bayeux, nel quale spuntano i cadaveri
dei caduti, a margine della vittoriosa cavalcata normanna contro le schiere di

sembrerebbero ritrovare consistenti addentellati con il Manoscritto di Oxford. Cfr. F.


Ribezzo, cit., p. 210.
274
Cfr. F. Ribezzo, cit., p. 196-97. Per la ricostruzione iconografica integrale del
mosaico, R. Alaggio, p. 328, fig. 46.
275
Cfr. H. Schulz, Denkmaeler der Kunst des Mittelalters in unter-Italien, Dresda
1860, vol. I, p. 262 e p. 302.
276
R. Alaggio, cit., p. 326, nota 4.
277
Cfr. N. Vacca, cit., pp. 282-283.
~ 70 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

Aroldo278. È ad ogni modo importante ribadire come nelle chansons de geste


più antiche i temi crociati furono decisamente marginalizzati, in favore di un’
attenta definizione o ridefinizione del ruolo del cavaliere, in qualità di membro
della feudalità e dunque suddito devoto al proprio re o signore. Incitando alla
battaglia, il vescovo Turpino gridava che era necessario morire per il re, il quale
era difensore della Cristianità per volontà di Dio279.
Ecco che allora si scorgono, all’interno della letteratura romanza, gli
echi di quel mondo militare normanno in profondo divenire, all’interno del
quale la gefolgshaft lasciò progressivamente il posto alla militia, ovvero
all’appartenenza alla cavalleria, alla quale accedere attraverso il suggestivo
rituale dell’Adoubement.
I pueri figli di cavalieri entravano nell’età dell’adolescentia a sedici
anni, dopo essere stati introdotti nell’ordine dei milites, attraverso la vestizione
delle armi. Le benedizioni sacre della spada, della lancia, dello scudo e degli
speroni contenute nel pontificale di Sora risalente alla fine del secolo XII-inizi
XIII, testimoniano inequivocabilmente la trasformazione dei predoni normanni
in individui appartenenti a un novello ordine votato alla difesa della chiesa e dei
deboli, all’interno del quale il miles doveva raggiungere la salvezza eterna,
attraverso il valore delle proprie azioni280.
I contenuti dell’epica carolingia avevano influenzato con la propria concezione
delle relazioni sociali e marziali, la cultura del XII secolo281. A quel tempo
Orlando l’audace, Oliviero il saggio, ma anche Oggiero l’eroico divennero il
simbolo di questo nuovo ordine, le rocce ricordate da Goffredo da Viterbo,
ovvero i pilastri che sostenevano l’edificio del potere monarchico, ma non solo.
L’etica cavalleresca del secolo XII, filtrata dall’esperienza crucesignata e dalle
riflessioni sulla guerra malicida e non ‘omicida’ distillate dalla penna di San
Bernardo di Chiaravalle282, finì per dare origine a quella che potemmo definire
come una sorta di ‘cavalleria etica’. Questa si ispirava agli alti principi religiosi,
capaci di rendere giuste le azioni compiute dall’uomo d’arme, seguendo in
questo il concetto agostiniano del bellum iustum. La guerra, pur restando de
facto un’orgia di sangue e di inenarrabile dolore, poteva divenire giusta quando
era combattuta per replicare all’ingiustizia arrecata dall’iniquità del nemico283.

278
Cfr. Musée de la Tapisserie de Bayeux, Centre Guillaume Le Conquérant,
Bayeux, scene da 54 a 58.
279
Cfr. R. Alaggio, cit., p. 341.
280
Cfr. E. Cuozzo, La cavalleria nel regno normanno di Sicilia, Atripalda 2008,
pp. 101-104.
281
Cfr. M. Keen, La cavalleria, tr. it., Napoli 1986, p. 175.
282
Cfr. Bernard de Clairvaux, Éloge de la nouvelle chevalerie, ed. P. Y. Emery
(Sourcer Chrétiennes, 367), Paris 1960, p. 59; C. Guzzo, I Templari e la guerra: strategie
militari ed ascesi monastica, in: Studia Monastica, vol. 51, fasc. 1 (2009), pp. 61-77.
283
Ibid., p. 63.
~ 71 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

Anche la letteratura diede il proprio significativo apporto alla celebrazione della


classe emergente dei cavalieri, della loro etica, della metamorfosi del loro
carattere e della loro personalità. L’opera cortese di Chrétien de Troyes
Perceval ou le Compte du Graal composta attorno la fine del secolo XII, oltre
ad introdurre l’inedita tematica del Graal che riscuoterà uno straordinario
successo fra le elites politico-culturali del tempo, evidenzia il percorso di
maturazione di Percifal che diviene cavaliere e compie grandi imprese, fino ad
arrivare alla perfezione, una volta appreso il ruolo che la religione deve
rivestire nella sua esistenza284.
Nel pontificale di Sora, all’interno del quale compare la formula
liturgica di vestizione del cavaliere, le armi consegnate al candidato sono
benedette invocando l’intervento di Dio, dello Spirito Santo, del Cristo e della
di lui madre Sancta dei Genetrix285.
La componente religiosa, per altro già ampiamente presente nelle
chansons de gestes (che a differenza dello scritto di Chrétien de Troyes hanno
un contenuto fortemente politico, poiché celebrano la gloria e le imprese dei
grandi baroni), assume dunque un ruolo preponderante nella vita del ‘paladino’
normanno, il quale finisce inconsapevolmente per identificarsi con Percifal del
quale dovrà, almeno negli intenti, condividere il destino archetipico di guerriero
animato ed arricchito dal misticismo della fede. La spada di Orlando contiene
un dente di San Pietro, il sangue di San Basilio, i capelli di San Dionigi, un
frammento della veste della Vergine Maria286.
Non si tratta solo di un’arma ma di uno scrigno di tesori celesti,
all’interno del quale l’eroe rinviene l’essenza stessa del proprio cammino
terreno, consistente non in una corsa sfrenata verso la vanagloria ma in
un’esperienza esistenziale nella quale l’ausilio divino rappresenta il predicato
irrinunciabile di quel agghiacciante, inebriante caleidoscopio di emozioni
chiamato guerra.
Il progressivo consolidamento del connubio fra mondo cavalleresco e
religioso nel meridione d’Italia, al cui processo non saranno per altro estranee
le suggestioni rivenienti dal movimento crociato, è ben dimostrato dalla
militarizzazione di taluni personaggi biblici. Nel ciclo pittorico della cripta di
Santa Maria degli Angeli a Poggiardo (in provincia di Lecce) risalente alla fine
del secolo XII, in una nicchia della zona absidale era visibile, fino agli inizi del
secolo XX, la rappresentazione di Mosè ritratto nell’atto di percuotere la roccia
con la sua verga, per farne scaturire l’acqua.
In una foto d’epoca che ci ha fortunatamente trasmesso i rilievi salienti di tale
iconografia, si percepisce come il personaggio veterotestametario indossi la

284
Cfr. R. Barber, Graal, tr. it., Milano 2004, pp. 23-24 e 41.
285
E. Cuozzo, La cavalleria nel regno normanno di Sicilia, cit., pp. 102-103.
286
Cfr. F. Cardini, Alle radici della cavalleria medievale, cit., p. 70.
~ 72 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

cotta di ferro, indumento protettivo confacente più ad un miles che al legislatore


di Israele287.
I profeti si armano come cavalieri; i cavalieri finiscono per divenire i
profeti di un nuovo ethos, per il quale la partecipazione alla crociata diviene lo
strumento per una catarsi e per una rinascita spirituale, che tuttavia non sarà
mai, nei fatti, in grado di soffocare mai abbastanza la feritas degli inquieti
guerrieri normanni.
Altro interessante e lungo poema in lingua francese appartenente al
ciclo carolingio ispirato alla dominazione normanna nel meridione d’Italia è la
canzone di Aspromonte, ambientata nell’omonimo massiccio montuoso
calabro. Tale opera, per altro anonima, è a noi pervenuta attraverso alcune
trascrizioni del XIII secolo realizzate in area inglese ed italica e tramite un
manoscritto compilato in antico norreno288. La datazione della chanson oscilla
approssimativamente fra il 1180 ed il 1190, prima della partenza della terza
crociata da Messina289.
Il poema narra la storia d’amore tra Ogier e Gallicella, la caduta della
città di Risa (Reggio Calabria) in un Mezzogiorno in balia dei Saraceni, nonché
le gesta del giovane Rollant che proprio in Aspromonte riceve la propria
iniziazione a cavaliere290. Il testo esalta naturalmente tutti i valori principali
della società cavalleresca della fine del XII secolo, ispirandosi alle vicende
della conquista normanna del Sud Italia, in particolare all’assedio di Reggio
Calabria del 1059 al quale prese parte Ruggero I, verosimilmente identificabile
con il prode Oger, protagonista del poema. I principi cardine esaltati da tale
scritto sono la lealtà verso il monarca, la fede nei confronti della Chiesa,

287
Cfr. G. Marella, Movimento crociato, ordini monastico-militari e immaginario
collettivo negli affreschi salentini medievali, in: Pavalon. Laboratorio di Studi Templari
per le Province Meridionali. Atti III Convegno Nazionale, a cura di G. Giordano, C.
Guzzo, Manduria 2002, pp. 45-47.
288
Cfr. D. Matthew, The Norman Kingdom of Sicily, Cambridge 1992, p. 122; D.
Hüe, Les manuscrits sagiens d’Aspremont, in: Cultura Neolatina, 65, fasc. 3-4 (2005), pp.
187-208; M. Infurna, Un nuovo frammento franco-italiano della Chanson d’Aspremont, in:
Medioevo Romanzo, 26 (2002), pp. 69-81; M. Boni, Nuove ricerche intorno ai manoscritti
marciani della Chanson d’Aspremont, Memorie dell’Accademia delle Scienze dell’Istituto
di Bologna. Classe di Scienze morali, serie 5, vol. 7 (1957-1959), Bologna 1960, pp. 22-43;
Id., I rifacimenti franco-italiani della Chanson d’Aspremont conservati nella Biblioteca
Marciana, in: Cultura Neolatina, 21 (1961), pp. 123-134; G. Brunetti, La Chanson
d’Aspremont e l’Italia: note sulla genesi e ricezione del testo, in: Critica del testo, t. 8, fasc.
2 (2006), pp. 643-668.
289
Cfr. C. Smith, Crusading in the Age of Joinville, Aldershot 2006, p. 33.
290
Et d’Aspremont u li camp furent grant, Si con li rois adoba Rollant il li çainst
al costé l’orie brant, Cho dist la gieste, Durendal le trencant. Cfr. L. Brandin, La chanson
d’Aspremont. Chanson de geste du XII siècle. Texte du manuscrit de Wollaton Hall, Paris
19212, vol. I, p. 1, versi 12-15.
~ 73 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

l’onore e l'eroismo in battaglia, dimostrando come i valori cavallereschi


espressi nel pontificale di Sora fossero stati oramai ampiamente recepiti dalle
classi dominanti del tempo.
Gli influssi del ciclo carolingio sulla cultura militare normanna non si
limitarono tuttavia esclusivamente alla letteratura, venendo altresì accolti dai
maestri delle arti figurative. Ne rappresenta un eloquente esempio, la chiesa di
Santa Maria della Strada a Matrice (in provincia di Campobasso), realizzata
intorno al 1148, sul cui timpano ad arco fu, da anonimo artista, scolpito un
episodio del Flovant. Si tratta di una chanson de geste, di probabile origine
merovingia, composta nel XII secolo, che ebbe considerevole diffusione
nell’Italia medievale291. L’anonimo scultore del timpano di Santa Maria
raffigura Fioravante, protagonista della suddetta canzone. Questi è ritratto
nell’atto di ingaggiare, armato di lancia, battaglia contro tre Saraceni i quali
tenevano prigioniera Ulia, figlia del re di Dardenna. Il bassorilievo della chiesa
molisana è assai importante poiché rappresenta un suggestivo esempio di
ricezione del patrimonio culturale importato dai Normanni nel meridione della
nostra Penisola, per altro non transitante da fonti letterarie ma riveniente da
quel coacervo di tradizioni orali vastamente circolanti in quelle terre 292.
Gli influssi del mondo carolingio sul Mezzogiorno non si limitarono
tuttavia alla mera ricezione del patrimonio epico letterario e non, riverberandosi
in maniera consistente anche sul nuovo assetto politico-militare inaugurato
all’indomani della fondazione del regnum Sicilie da parte di Ruggero II293.

4 – Organizzazione dell’esercito ed assetto difensivo nel regnum Siciliae: la


battaglia di Brindisi.

Secondo una tradizione, odiernamente soggetta ad ampia cauzione, nel


luglio del 1140 Ruggero II convocò presso Ariano Irpino i propri feudatari,
rendendosi innanzi ad essi promotore delle celebri Assise che dal suddetto
comune campano prendono il nome.
Si trattava nei fatti della proto-costituzione del nuovo stato monarchico,
attraverso la cui promulgazione Ruggero intese assicurare la pacifica
convivenza fra le diverse etnie, il rispetto di tutte le confessioni religiose e

291
Cfr. E. Cuozzo, L’iconografia dei cavalieri nel regno normanno di Sicilia, in:
La civiltà cavalleresca e l’Europa. Ripensare alla storia della cavalleria. Atti de primo
convegno internazionale di studi. San Gimignano, Sala Tamagni 3-4 giugno 2006, a cura di
F. Cardini e I. Gagliardi, Pisa 2007, p. 54.
292
Ivi, pp. 51-52.
293
Cfr. C. D. Fonseca, Ruggero II e la storiografia del potere, in: Strumenti, tempi
e luoghi di comunicazione nel Mezzogiorno normanno-svevo, cit., p. 24. Vedi inoltre. R.
Elze, The Ordo for the coronation of King Roger II of Sicily: an example of dating from
internal evidence, in: Coronationis, ed. J. M. Bak, Berkeley 1990, pp. 165-178.
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L’esercito normanno nel meridione d’Italia

l’imposizione, come evidenziato da Herman Dilcher, di una legislazione


unitaria per tutto il regno incentrata sul diritto romano294.
Ruggero realizzò una progressiva riforma della feudalità, finalizzata a
consolidare il suo controllo sulla turbolenta aristocrazia normanna parte della
quale gli si era ribellata, costringendolo ad una lunga e dispendiosa guerra
civile che aveva dilaniato il Sud Italia.
Il re prese a limitare la proliferazione delle bande armate composte da
nuclei di guerrieri professionali295 e gettò le basi per la formazione della magna
expeditio, ovvero di quel grande esercito operativo fra il 1150 ed il 1168,
sottoposto al controllo diretto della Corona296. Magnus exercitus, magna
expeditio, leva nomine proelii ed adjuvamen regni, altro non sono che varianti
terminologiche che individuano la leva generale in difesa del regno, al cui
espletamento i monarchi Altavilla obbligavano tutti i sudditi, compresi i
religiosi senza alcuna distinzione297. Il Catalogus Baronum, compilato tra il
1150 ed il 1152298 e sottoposto alle cure della Duana Baronum,299 rappresentò
invece il documento attraverso il quale furono censite le consistenze
patrimoniali di tutti i feudi del regno, in modo da misurare l’effettiva forza

294
H. Dilcher, Die historische Bedeutung der Assisen von Ariano fur Suditalien
und Europa, in: Le Assise di Ariano:1140-1990. Atti del convegno internazionale di studi
ad 850 anni dalla promulgazione, Ariano Irpino, 26-28 ottobre 1990, a cura di O. Zecchino,
Ariano Irpino 1994, p. 38. Cfr. altresì H. Houben, Sperimentazioni istituzionali nel regno
normanno di Sicilia (1130-1194), in: Pensiero e sperimentazioni istituzionali nella Societas
Christiana (1046-1250). Atti della sedicesima Settimana internazionale di studio, Mendola,
26-31 agosto 2004, a cura di G. Antenna, Milano 2007, p. 659.
295
Cfr. E. I. Mineo, Nobiltà di Stato. Famiglie e identità aristocratiche nel tardo
Medioevo: la Sicilia, Roma 2001, p. 12. Cfr. Le Assise di Ariano: testo critico, traduzione e
note a cura di O. Zecchino, Cava dei Tirreni 1984, pp. 39-40: Quisquis cum milite uno vel
cum pluribus, seu privato scelestem inierit factionem aut factionis dederit, vel susceperit
sacramentum, de nece etiam virorum illustrium, qui consiliis et consistorio nostro
intersunt, cogitaverint et tractaverint, eadem severitate voluntatem sceleris quaeffectum
puniri iura voluerunt, ipse quidem ut pote reus majestatis gladioeriatur, bonis eius omnibus
fisco addictis.
296
A proposito della magna expeditio, cfr. E. M. Jamison, Studies on the history of
medieval Sicily and South Italy, ed. D. Clementi and T. Kölzer, Aalen 1992, pp. 525-26.
297
Id., Additional Work on the Catalogus baronum, in: Bullettino dell'Istituto
Storico Italiano, LXXXIII, (1971), pp. 3 e ss. Cfr. anche E. Cuozzo, Chiesa e società
feudale nel regno di Sicilia, in: Chiesa e mondo feudale nei secoli X-XII. Atti della
dodicesima Settimana internazionale di studio, Mendola, 24-28 agosto 1992, Milano 1995,
p. 347.
298
Per quanto attiene alla datazione della compilazione del Catalogus, rinviamo a
I. Poma, Sulla data della composizione originaria del Catalogus Baronum, in: Archivio
Storico Siciliano, 47-48, (1927), pp. 233-39.
299
H. Takayama, The administration, cit., p. 156; J. Johns, Arabic administration
in Norman Sicily, cit., p. 185.
~ 75 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

militare che i baroni avrebbero potuto garantire al sovrano in tempo di guerra.


Erano i Camerari Provinciali ad acquisire, per ordine della Regia Curia, le
informazioni necessarie a stabilire l’entità del servizio militare che ogni
possessore di feudo era obbligato a prestare al monarca300. I feudi potevano poi
essere interi e non, integra301 et non integra;302 feudum et pars feudi. Feudo
intero era naturalmente quello che produceva una rendita sufficiente a garantire
il servizio di un miles.
Il Capasso ipotizza che la consistenza minima di un feudo intero, in
grado quindi di armare un cavaliere, ammontasse a 20 once d’oro303. Quando il
valore di un feudo era invece calcolato sulla base del possesso di un certo
numero di villani304 detti anche rustici o anche di affidati305 o di raccomandati
(uomini liberi che trasferendo il loro domicilio da un paese ad un altro,
affidavano se stessi alla protezione del feudatario del luogo ove essi si
stabilivano), l’ammontare della prestazione militare dovuta era fissata sulla
base dei servitia alla cui prestazione tali uomini erano vincolati, oppure
attraverso il calcolo di quei redditi espressi in derrate o in danari o in presenti
(salutes) che costoro erano obbligati a fornire. E poiché secondo il diritto
pubblico del tempo gli uomini di condizione servile concedevano non solo se
stessi ma anche le loro famiglie ed i loro averi, il computo del valore di un
feudo doveva tenere conto anche di ciò306. Era tuttavia possibile che un feudo
non fosse in grado di assicurare una rendita sufficiente a garantire la
prestazione del servizio di almeno un cavaliere.
Ed ecco che nel Catalogus spuntano riferimenti a feudi (che avevano
presumibilmente perduto il loro originario valore) poveri o poverissimi, in
grado di coprire solo le spese di mezzo milite, o di un quarto, di due terzi
oppure di una quinta o settima parte di esso. Fu dunque per tale ragione che i

300
Cfr. E. Cuozzo, La Cavalleria, cit., p. 175.
301
A proposito dei feudi presenti in Mutula, il Catalogus menziona integra feuda
III minus quarta. Et cum augmenento mittent in exercitu milites IV et medium. Cfr.
Catalogus Baronum Neapolitano in Regno versatium qui sub auspiciis Gulielmi
cognomento Boni ad Terram Sanctam sibi vindictam susceperunt (da questo momento
abbreviato in CBA) in: Cronisti e scrittori sincroni napoletani editi e inediti ordinati per
serie e pubblicati da Giuseppe Del Re, Napoli 1845, vol. I, p. 576.
302
A proposito dei milites offerti dalla Città di Venosa, Palaginus dixit, quod tenet
feudum militis, non tamen integre, et cum augmento obtulit milites II. Ibid., p. 578.
303
B. Capasso, Sul Catalogo dei Feudi e dei Feudatarii delle Provincie Napoletane
sotto la dominazione normanna, Napoli 1870, estratto dagli Atti dell’Accademia di
Archeologia, Letteratura e Belle Arti, Napoli 1868, p. 59.
304
A proposito della località Ripa Candida, viene ricordato che Joczolinus, sicut
inventum est, tenet villanos II et cum augmento obtulit militem I. Cfr. CBA, p. 578.
305
Goffridus Columbellus tenet in Barolo villanos II et affidatos IV. Ivi, p. 572.
306
B. Capasso, cit., pp. 51-52.
~ 76 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

feudi che si trovano in tali condizioni si univano fra loro per garantire
economicamente l’erogazione integrale della prestazione militare alla Curia del
re307. L’impegno economico per armare un miles era del resto assai consistente
e gravoso. A quest’ultimo bisognava infatti garantire la disponibilità di armi,
cavalli e di tutto il necessario all’esercizio dell’attività militare. Il cavaliere non
era poi mai solo poiché aveva al proprio seguito due scudieri o due armigeri,
anch’essi equipaggiati in modo consono.
I feudatari dovevano altresì fornire un certo numero servientes, termine
generico con il quale erano indicate quelle truppe ausiliarie composte da fanti,
balestrieri, sergenti a cavallo, o da uomini del popolo detti servientes defensati,
i quali potevano prestare il servizio armato a loro spese, oppure ricevendo le
armi dai loro signori ed il vitto dalla regia Curia308. Costoro potevano essere di
condizione libera o servile ed erano tenuti a fornire ai loro signori prestazioni e
servizi pro eorum defensa. Dalla natura dei loro servigi, essi furono dunque
detti defensati. Fatto di un certo rilievo è che, nel 1155, re Guglielmo I stabilì
che tutti coloro i quali nei territori del regno si trovavano nella condizione di
serventi defensati, appartenevano esclusivamente a lui309. Il Catalogus
quantificava le forze militari feudali in 11000 servientes e in 8620 cavalieri per
lo più infeudati. I Milites o Καβαλλαρίοι, secondo la nomenclatura di origine
greca dalla quale discende il termine proprio di cavaliere, erano tutti coloro che,
appartenendo alla nobiltà de genere militum, avevano ricevuto il cingulum
militiae. Sotto tale punto di vista anche i conti erano tecnicamente dei cavalieri,
poiché sottoposti alla cerimonia dell’addobbamento.
Il Catalogo distingueva i milites in titolari di feudi, in possessori titolari
di soli beni allodiali, non habentes feuda, od anche in militi semplici che non
possedevano nulla. Così i primi vennero chiamati milites feudati o infeudati ed i
secondi non feudati. Talora i milites feudati erano detti Terrerii o Terrarii, dalle
terre che possedevano in feudo310. Non è nelle intenzioni dello scrivente
addentrarsi ulteriormente nelle complesse vicende della riforma del sistema
feudale inaugurata dai sovrani Altavilla, per altro ampiamente e con profitto
esaminate da un punto di vista militare dal Cuozzo311. Ciò che invece risulta
interessante evidenziare è che gli sforzi profusi dagli Altavilla per costituire nel
meridione d’Italia un efficace sistema difensivo interno, basato sull’apporto de
sudditi tenuti alla leva obbligatoria e dei baroni feudali avrebbe ben presto
rivelato tutta la propria fragilità, soprattutto a cagione degli intrighi di questi
ultimi. Nella seconda metà del XII secolo, Bisanzio accarezzava ancora il

307
Ivi, p. 53 e idem, nota 4.
308
Ibid., pp. 62-63.
309
Ivi, pp. 63-64 e nota 2.
310
Cfr. B. Capasso, cit., pp. 56-57.
311
Cfr. E. Cuozzo, La Cavalleria, cit.
~ 77 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

sogno di riconquistare il Mezzogiorno e Manuele I Comneno il quale era stato


incoronato imperatore nel 1143 aveva intrapreso grandi preparativi per
l’invasione di quelle terre che, dopo la morte di Ruggero II (1154), erano
passate all’indolente suo quartogenito Guglielmo I312.
Manuele fece lega con un gruppo di baroni normanni scontenti del
monarca siciliano guidati da Roberto de Bassavilla, conte di Loritello e dal
principe Roberto di Capua313, spedendo in Italia un esercito agli ordini di
Michele Paleologo e di Giovanni Doukas, entrambi sebasti. Le truppe imperiali
che marciarono alla volta del regnum erano assai variegate. Oltre ai mercenari
reclutati nella Marca Anconetana, i condottieri greci potevano contare su
cavalieri normanni messi a disposizione dai baroni frondisti e su un esercito
orientale nel quale militavano antiocheni314, persiani, iberi e massageti315.
La sicurezza dei confini dello Stato degli Altavilla pare fosse garantita
da una serie di sbarramenti territoriali-militari, affidati alla responsabilità dei
relativi feudatari. Il conte Roberto de Aprutio, appartenente alla vecchia nobiltà
franco-longobarda, tra i pochi rimasti fedeli alla Corona, morì con ogni
probabilità nel disperato quanto vano tentativo di impedire che Teramo cadesse
nelle mani degli invasori greci316.
A sud della contea d’Abruzzo una seconda linea di difesa affidata a
Boemondo di Tarsia, conte di Manoppello, non offrì verosimilmente alcuna
resistenza alla penetrazione bizantina317. La contea di Molise rappresentò
l’estremo fronte di sbarramento, prima che l’esercito imperiale dilagasse in
Capitanata. Il conte del Molise aveva l’incarico di sorvegliare le valli del

312
Cfr. F. Chalandon, cit., vol. II, p. 174.
313
Ivi, p. 200.
314
Θωμας δέ τις γένος μέν Αντιοχεύς. Cfr. Ioannis Cinnami, Epitome rerum ab
Ioanne et Alexio Comnenis gestarum (Corpus scriptorum historiae byzantinae), ed. A.
Meineke, Bonn 1836, p. 159.
315
Іωαννάκιόν τέ τινα Κριτόπλην καί Παιράμην Πέρσην γένος, άμα Ιβηρσι καί
Μασαγέταις. Ibid., p. 167.
316
Cfr. E. Cuozzo, Il sistema difensivo del regno normanno di Sicilia e la frontiera
abruzzese nord-occidentale, in: Une région frontalière au Moyen Âge. Les vallées du
Turano et du Salto entre Sabine et Abruzzes, ed. E. Hubert, Roma 2000, pp. 277-278.
317
A cagione della propria infedeltà, Boemondo sarebbe stato catturato da re
Guglielmo ed imprigionato: Hac tempestate praefatus Comes Boamundus Tarsitanus a
Domno Rege Wilielmo captus, et in vinculis positus fuit. Cumque Rex ipse sibi pepercisset,
et a captione liberasset, non multo post Tarsiam reversus, subito lateris dolore correptus,
moriens ibidem vitae finem accepit, nullosque de suis heredibus in Comitatu Manuplellensi,
per quem Sanctum Clementem, et suam Piscariensem Ecclesiam offenderat, potuit ei
succedere. Cfr. Chronicon Casauriense, auctore Johanne Berardi ejusdem Coenobii
Monacho, ab ejus origine usque ab Annum MCLXXXII, quo scriptor florebat, deductum,
Libri I e II, Du-Chesnio e Ughellio; Libri III-V, Dacherio, in: L. A. Muratori, Rerum
Italicarum Scriptores, Milano 1726, tomo II, parte II, col. 897.
~ 78 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

Trigno, del Biferno e del Fortore. Al sopraggiungere delle truppe avversarie,


egli si guardò tuttavia bene dall’ordinare una controffensiva318. Il confine nord-
occidentale del regno era formalmente affidato alla sorveglianza di Riccardo de
Aquila, Conte di Fondi il quale aderì alla fronda anti-monarchica e con Mario
Borrello, figlio di Oddone del Ramo dei Borrello, signori di Agnone, giunse
con il proprio esercito nella ricca valle di Sora, presentandosi alla metà di
agosto del 1155 sotto le mura di Arce (nell’attuale provincia di Frosinone), che
fu espugnata e data alle fiamme319.
A seguito del tradimento della grande feudalità, ben poche speranze
restavano a re Guglielmo di salvare il suo regno, se non ricorrere alla
mobilitazione generale dei sudditi, per scacciare i Ρομαιοι. Tuttavia, durante le
prime fasi dell’offensiva greca, furono gli aristocratici fedeli alla Corona ad
impugnare le armi in difesa del loro sovrano.
Quando nel 1156 l'esercito aggressore, guadato il fiume Fortore dilagò
in Puglia, il conte di Andria Riccardo de Lingèvres, cavaliere originario della
Normandia320, fu chiamato a svolgere un ruolo chiave nella difesa dell'Apulia.
Il Paleologo aveva lasciato Vieste e si apprestava a raggiungere Trani321,
decidendo all’ultimo momento di espugnare Bari. La città cadde 322 e
capitolarono anche Trani e Giovinazzo.
Riccardo che era rimasto fedele a Guglielmo, si congiunse alle truppe
del vicecancelliere Ascletino, forte di duemila cavalieri e di un gran numero di
fanti323 ma l’esercito greco era talmente numeroso che, nei pressi di Barletta,
accerchiò letteralmente le unità realiste. Mentre la battaglia infuriava, Riccardo
riuscì ad aprirsi un varco fra le linee greche e cavalcò verso la propria contea di
Andria in cerca di rinforzi, inseguito da Roberto di Loritello e da Giovanni
Ducas. Per evitare cha Andria venisse assediata, Riccardo interruppe la corsa
disperata verso la città e dispose i suoi 1800 cavalieri in ordine di battaglia,
mentre Giovanni Doukas ordinava alle truppe di disporsi su tre file, la prima
delle quali era composta da corpi scelti di fanti sciti e di arcieri.
Il centro dello schieramento fu affidato a Roberto di Loritello, mentre il
generale greco riservò l’ultima fila a sé, con la metà della cavalleria ed altri

318
Cfr. E. Cuozzo, Il sistema difensivo del regno normanno di Sicilia, cit., p. 278.
319
Ibidem. Cfr. altresì A. Ferrari, Feudi prenormanni dei Borrello tra Abruzzo e
Molise, Trento 2007, p. 125.
320
Cfr. E. Cuozzo, La contea normanna di Mottola e Castellaneta, in: Archivio
storico per le province napoletane, CX, (1992), p. 41; Id., Il sistema difensivo del regno
normanno di Sicilia, cit., p. 279.
321
Cfr. Ioannis Cinnami, cit., p. 138.
322
Ivi, p. 141; G. B. Siragusa, Il regno di Guglielmo I in Sicilia: illustrato con
nuovi documenti, parte I, Palermo 1885, p. 50.
323
Cfr. F. Chalandon, cit., vol. II, p. 208.
~ 79 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

corpi sciti324. I cavalieri di Riccardo caricarono lancia in resta in modo talmente


devastante da fare cedere i pedites greci. Questi fuggirono precipitosamente e
furono salvati dalla presenza di alcuni muretti a secco, tipici di quella regione,
dietro ai quali trovarono riparo. In breve la fanteria riuscì a riorganizzare le fila
e cominciò a bersagliare i cavalieri normanni con una fittissima sassaiola325. La
cavalleria del conte pesantemente armata ed impacciata, non riuscì ad opporre
un’efficace resistenza e lo stesso Riccardo, colpito da una pietra, venne
disarcionato e finito da un prete tranita che gli strappò il fegato326.
Il re aveva intanto allertato tutte le forze di popolo disponibili, a
cominciare da quelle della penisola salentina, non ancora soggiogata dai Greci.
Atteso il momento di estremo pericolo per il regno, fu allora bandita la Leva
nomine proelii, la leva generale di tutti gli uomini liberi chiamati a difendere lo
Stato. I coscritti furono posti agli ordini di Ruggero di Fleming, Giustiziere di
terra d'Otranto il quale, nel suo ruolo di Connestabile, aveva il comando
militare sugli uomini che aveva arruolato, esercitando altresì poteri di controllo
sulle prestazioni militari dovute per la leva generale da tutti i milites non
comitali e da tutti gli uomini liberi, laici o ecclesiastici che fossero327.
Il 14 aprile 1156, dopo avere sconfitto per ben tre volte in territorio
tarantino, Ruggero Fleming ed il suo esercito328 i Bizantini si trovarono a
Brindisi, città chiave per la conquista di tutta la Puglia e ne intrapresero
l’assedio. Costoro giunsero sotto le mura in pieno periodo pasquale ed

324
Cfr. Ioannis Cinnami, cit., p. 143. Riportiamo la traduzione latina del passo
greco del Cinnamo (ed allo stesso modo faremo anche in seguito), per rendere
maggiormente agevole al lettore l’esame e la lettura della fonte, altrimenti consultabile in
greco: Scythae et quotquot erant sagittarii pedites turmarum in fronte stabant: Ducas cum
dimidia equitum parte et aliquot Scythis postremum, Bassavilla vero cum comitum
nonnullis aliis et cetero equitatu medium obtinuere locum. Cfr. altresì G. B. Siragusa, cit.,
p. 51.
325
Licet itaque ad eam redacti fuissent fortunam Romani, nihilo minus tandem
evasere victores. Quippe Ducas intra quondam ex lapidibud compactes muros e pericolo se
exemerat, cuiusmodi absque calce aut materia simili prata, quae urbium portis
obversantur, circumvallari solent. Nacti interea etiam pedites Romani locum idoneum,
lapides coniiciebant in Richardi militem, adeo ut plurimi qui fugae se dederant, inde se
rursum conglomerarent hostemque impeterent. Cfr. Ioannis Cinnami, cit., p. 144. Vedi
anche F. Chalandon, cit., vol. II, p. 209.
326
Sed Tranita quidam sacerdos maioris molis lapidem e loco superiore deiiciens,
tibiam illius alteram assecutus, ad terram hominem prostravit, qui prae dolore sese su
binde dilacerabat ac vellicabat. At interato ictu collum illius cum attigisset sacerdos,
victum tandem et nequicquam supplicem supinat, adactoque in ventrem pigione, intestina
eximit omnia. Cfr. Ioannis Cinnami, cit., p. 144.
327
Su tutto cfr. E. Cuozzo, Il sistema difensivo del regno normanno di Sicilia, cit.,
p. 280.
328
Cfr. F. Chalandon, cit., vol. II, p. 217.
~ 80 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

evitarono inizialmente qualunque iniziativa bellica, limitandosi a fortificare i


loro acquartieramenti mediante la costruzione di un vallo. Scambiando
l’atteggiamento apparentemente non ostile dei nuovi venuti per ignavia, i
brindisini tentarono una sortita contro il vallo.
Le truppe costantinopolitane che invero desideravano celebrare la
festività religiosa senza spargimenti di sangue, furono pertanto costrette di
malavoglia a prendere le armi per respingere l’attacco dei suddetti. Ciò fatto,
essi si ritirarono nei loro accampamenti329. I Ρομαιοι trascorsero la Pasqua
praticando il dovuto culto, mentre un cavaliere di origine antiochena di nome
Tommaso, passato da tempo al soldo dell’imperatore, decise di percorrere la
circostante campagna a cavallo e di sfidare a duello il più forte dei
Normanni330. La sua provocazione fu allora prontamente raccolta da un tal
Enchelus (ήκων όνομα Εγχέλυς). I due indossarono l’armatura (πανόπλους) e
scesero in campo per combattere con le lance. Tommaso penetrò allora lo scudo
e la corazza di Enchelus sino alla pelle. Quest’ultimo, trovandosi con la lancia
dell’avversario infissa nello scudo, riuscì comunque a perforarne l’elmo,
giungendo a violarne le carni del capo331.
Lo scontro si concluse con una sorta di ‘pareggio’ ed i due cavalieri,
entrambi feriti, finirono per ritirarsi nei loro acquartieramenti332. Quanto di
effettivamente storico abbia l’episodio descritto da Giovanni Cinnamo 333 non è
dato sapere, considerato che tale narrazione parrebbe a prima vista essere
notevolmente influenzata dalla tradizione epica dei poemi omerici, primo fra
tutti l’Iliade. Lo scontro fra i due campioni, ricorderebbe molto da vicino quello
leggendario tra Ettore ed Achille sotto le mura di Troia e non è escluso che lo
storico greco abbia potuto introdurlo per conferire maggiore drammaticità ad un
racconto, già di per sé avvincente. Già in epoca merovingia si era del resto
diffusa la leggenda secondo la quale i Franchi discendessero dai Troiani. Anche
i Normanni dovevano allora discendere dalla stirpe di Enea per il tramite delle

329
Pascha enim Christianorum postridie futurum erat. Eiusmodi otium ignaviae et
timiditati adscribendes oppidani, plurima facta eruptione ad ipsum usque valium excurrunt,
doner Romani aliquot inviti paene erumpunt, qui iis tandem propulsatis in castra
revertuntur. Cfr. Ioannis Cinnami, cit., p. 159. Sull’assedio di Brindisi, cfr. il benemerito
scritto di E. Travaglini, Sulla presunta Zecca di Brindisi in età normanna e sui fatti occorsi
nella città dal 1042 al 1194, in: Brundisii Res, V (MCMLXXIII), pp. 157-250.
330
Thomas autem gente Antiochenus, qui iam dudum ad imperatorem transfugerat,
sumptis armis, vallo excedit, campumque perequitat. Ubi accessit ad urbem, fortissimum
quemque adi singularem provocat certamen. Cfr. Ioannis Cinnami, cit., pp. 159-160.
331
Ivi, p. 160.
332
Ivi, p. 160.
333
Su tale personaggio, J. Ljubarskij, John Kinnamos as a writer, in: Polypleuros
Nous. Miscellanea für Peter Schreiner zu seinem 60 Geburtstag (Byzantinisches Archiv,
19), ed. C. Scholz and G. Makris, Monaco 2000, pp. 164–173.
~ 81 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

loro origini vichinghe, se Snorri ebbe ad identificare Ásgarðr, la mitica dimora


degli dei nordici, con Ilio334.
Il rinato interesse per il passato classico greco-romano del XII secolo,
ispirò il chierico Benoît de Sainte Maure alla composizione del celebre Roman
de Troie (1160-1170), poema che rielaborava liberamente le vicende omeriche
riconducendole in un ambito cavalleresco, con tanto di descrizioni dei blasoni
degli eroi greci e troiani335.
Terminata la Pasqua, il generale Dukas ordinò che le mura di Brindisi
venissero sottoposte ad un intenso fuoco di bombardamento da parte delle
macchine di assedio. Grosse pietre cominciarono a cadere oltre il muro di cinta,
atterrando violentemente nelle vie della città. Il primo masso scagliato cadde
sfortunatamente ove transitava una donna che ebbe il capo fracassato ed il
corpo orribilmente martoriato. La vista di tale macabro spettacolo ed il terrore
provocato dall’incessante fuoco di artiglieria, persuasero i cittadini ad aprire le
porte agli assedianti336. Non appena la guarnigione normanna conobbe il
tradimento dei brindisini, si rifugiò immediatamente nella rocca 337. Dopo tre
settimane di accerchiamento i Greci erano dunque penetrati entro le mura
perimetrali ma non riuscirono tuttavia a stanare i partigiani di Guglielmo che
resistevano caparbiamente nella cittadella338.
Nel frattempo il monarca Altavilla aveva siglato un trattato con i
Veneziani, a seguito del quale la Repubblica marinara avrebbe negato sostegno
navale a Costantinopoli nell’invasione della Sicilia. Scongiurata la minaccia di
un attacco via mare dell’isola, Guglielmo ebbe finalmente la possibilità di
concentrarsi sulla campagna militare per la riconquista della Puglia 339. Il re si
pose alla testa di una formidabile armata composta in buona parte da reggimenti
calabri e siciliani340 e cominciò la sua marcia via terra alla volta di Brindisi,
mentre la flotta regia navigava velocemente verso la città adriatica. Dukas che
nel frattempo era venuto a conoscenza dell’avvicinarsi del re, disponeva di un

334
Cfr. Snorri Sturluson, Edda di Snorri, a cura di G. Chiesa Isnardi, Milano 1975,
pp. 78.
335
M. M. Castellani, Troie dans le Roman de Troie de Benoît de Sainte-Maure et
ses continuations (XIIe-XIIIe siècles), in: Reconstruire Troie: Permanence et renaissances
d'une cité emblématique, ed. M. Fartzoff, M. Faudot, E. Geny, M. R. Guelfucci, Franche-
Comptè 2009, pp. 145-163; M. Keen, La cavalleria, cit., pp. 178-180.
336
Cfr. Ioannis Cinnami, cit., pp. 160-161.
337
ακροπόλεως, nel testo greco. Ivi, p. 161.
338
Cfr. F. Chalandon, cit., vol. II, pp. 219.
339
Cfr. P. Stephenson, Byzantium's Balkan frontier: a political study of the
Northern Balkans, 900-1204, Cambridge 2000, p. 238.
340
Cfr. F. Chalandon, cit., vol. II, p. 226.
~ 82 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

esiguo numero di vascelli341, poiché il resto della sua forza navale era stata
rispedita in patria per imbarcare i rinforzi radunati dall’imperatore. Nonostante
le forze avversarie fossero soverchianti, il generale bizantino si incaricò della
difesa marittima, mentre l’armata di terra composta dai mercenari agli ordini di
Giovanni Angelo e del conte di Loritello sostenne il peso delle operazioni
militari terrestri342.
I vascelli siculi entrarono nel porto dieci alla volta in ordine sparso,
passando per l’attuale canale Pigonati. Nel corso della battaglia navale che
seguì i Bizantini ebbero temporaneamente la meglio, riuscendo a catturare
quattro navi normanne che si erano trovate in secca, con i rispettivi equipaggi.
Giovanni Cinnamo riferisce che nel corso degli scontri persero la vita 2000
nemici ma la cifra ci sembra francamente esagerata343. Approfittando della
momentanea vittoria, i Greci tentavano intanto un ennesimo assalto alla rocca
brindisina, impiegando una macchina di assedio chiamata testuggine. Il
generale Dukas era, infatti, consapevole della forza dell’esercito guidato da
Guglielmo e sperava di potere ancora prendere la città e di asserragliarvisi, in
modo da potere resistere alla controffensiva dell’Altavilla per il tempo
necessario all’arrivo dei rinforzi da Costantinopoli. I Normanni che ben
conoscevano la solidità della loro rocca, cominciarono allora a deridere i Greci.
La loro baldanza subì tuttavia ben presto un colpo micidiale, quando i
Bizantini che avevano nottetempo accostato la testuggine alle mura, riuscirono
a scavarne le fondamenta, estraendone alcune pietre dalla base. Nelle
intercapedini così create, essi accatastarono della legna che, una volta data alle
fiamme, provocò il repentino crollo della parete difensiva e la morte dei
difensori. I superstiti non si persero tuttavia d’animo e si asserragliarono nella
parte più interna del muro, evitando di opporre resistenza al nemico344.
Nel frattempo, una parte dei rinforzi richiesti erano giunti da Bisanzio al
comando di Alessio Briennio, figlio di Niceforo e di Anna Comnena345 e
dunque imperatoris Alexii ex filia nepote346.
Il Briennio aveva ricevuto dall’imperatore l’ordine di radunare un forte
esercito con il quale partire alla volta dell’Italia ma egli ignorò i voleri del suo
signore, imbarcandosi con le truppe delle quali disponeva in quel momento, per
recare soccorso nel più breve tempo possibile al generale Dukas.
341
Cfr. Ioannis Cinnami, cit., pp. 162-163. A proposito delle operazioni navali
messe in atto da entrambi gli schieramenti, rimando a C. D. Stanton, Norman naval
operations, cit., pp. 128-135.
342
Ivi, p. 162; F. Chalandon, cit., vol. II, pp. 226-227.
343
Cfr. Ioannis Cinnami, cit., p. 163.
344
Su tutto, cfr. Ioannis Cinnami, cit., p. 164; E. Travaglini, Sulla presunta Zecca
di Brindisi, cit., p. 193, nota 98.
345
Cfr. F. Chalandon, cit., vol. II, p. 227.
346
Cfr. Ioannis Cinnami, cit., p. 165.
~ 83 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

Pur rimpolpato dal sopraggiungere di truppe fresche, l’esercito


bizantino non era in grado di fronteggiare l’armata reale che avanzava verso
Brindisi. Prevedendo dunque l’esito dello scontro e temendo la vendetta di
Guglielmo, Roberto di Basavilla decise che era oramai tempo di abbandonare i
suoi alleati. La situazione divenne ancora più disperata per i Greci, quando i
mercenari347 provenienti dalla Marca di Ancona chiesero che venisse loro
raddoppiato il soldo dell’ingaggio, pur sapendo che tale richiesta non sarebbe
stata accolta. In tal modo essi ebbero il pretesto per disertare in massa,
abbandonando l’assedio348. Nonostante le gravi defezioni, i Bizantini decisero
di continuare l’assalto alle mura con i loro macchinari bellici mentre la
guarnigione normanna, rinfrancata dalla notizia dell’imminente arrivo del re,
tentava di alleggerire la pressione dell’assedio con impetuose sortite349.
Al suo arrivo Gugliemo impartì alla flotta l’ordine di sbarcare su una
piccola isola che si trovava a poca distanza dalla città, per bloccare la ritirata
via mare degli assedianti e per impedire contestualmente l’ingresso nel porto di
eventuali rinforzi provenienti da Bisanzio350.
L’esercito greco aveva ormai le ore contate. Un corpo di mercenari
normanni che combattevano per il generale Dukas disertarono, passando
segretamente dalla parte delle forze regie351.
Nonostante la grave inferiorità numerica i Greci decisero di affrontare
l’esercito normanno in battaglia campale e fu la catastrofe352. Inizialmente i due
eserciti evitarono di ingaggiare battaglia mantenendosi a opportuna distanza
l’uno dall’altro. La tensione doveva naturalmente essere altissima e ad un tratto

347
Nel menzionare i mercenari anconetani, Giovanni Cinnamo utilizza il termine
ιππεις anziché quello di καβαλλαρίοι, volendo in tal modo evidenziare lo status sociale di
questi guerrieri a cavallo che esercitavano la professione delle armi. Ivi, p. 165.
348
Robertus enim, qui hactenus arma cum illis coniunxerat, ut Gulielmum cum
validis copiis adventare percepit, viditque necdum Brundusii arce potios Romanos, a
commilitio recessit; eam obtendes causam, quasi excederet inde, ut copia quae in laboris
partem veinrent, contraheret. Equites praeterea ex Marca civitate duplicari sibi stipendium
postulantes, re non ostenta recessere. Idem. Cfr. altresì F. Chalandon, cit., vol. II, pp. 227-
228.
349
Ioannis Cinnami, cit., pp. 165-166.
350
Cfr. F. Chalandon, cit., vol. II, p. 228.
351
Nam aliorum sociorum quam plures ab iis sunt dilapsi, et Celtarum non
ignobilis turma, quae sub Romanis stipendia merebat, ad Gulielmum occultissime transivit.
Cfr. Ioannis Cinnami, cit., p. 167; E. Travaglini, cit., p. 195, nota 98.
352
Multiplicato dehinc exercitu, Brundusium venit; ubi cum Graecis conflicturus
ad pugnam jubet milites expediri. Graeci vero ubi Comitis Roberti, cujus praestolabantur
adventum, vident se defraudatos auxilio, quod unicum restabat consilium, fortunam eligunt
experiri. Anceps in principio pugna fuit, inde Graeci, non valentes amplius hostiles impetus
sustinere, fusi caesique sunt; magna pars eorum cum Ducibus suis Panormum transvecti.
Cfr. Hugonis Falcandi Historia, in: Cronisti e scrittori, cit., vol. I, p. 297.
~ 84 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

un cavaliere mercenario, uscendo con impeto dalla falange bizantina, lanciò la


sua sfida a chiunque dei Normanni avesse voluto misurarsi con lui in duello 353.
A questo punto gli schieramenti ruppero gli indugi e cominciarono la battaglia.
Lo scontro si protrasse per alcune ore ed alla fine l’esercito di Guglielmo riuscì
a circondare le truppe greche che si diedero ad una fuga disperata. Come era
avvenuto a Montepeloso poco più di 100 anni prima, i Normanni presero ad
inseguire e ad uccidere i fuggiaschi, mentre alcuni contingenti greci riuscirono
a rifugiarsi in città con il loro comandante Alessio Briennio354.
Il generale Dukas, lasciato invece fuori dalle mura, fu costretto a
combattere fino a quando fu ferito e catturato. La resistenza delle truppe greche
superstiti durò fino al 28 maggio 1156, giorno nel quale l’esercito regio fece il
suo ingresso in Brindisi355.
Il Dukas ed Alessio Briennio furono trasferiti nelle carceri di Palermo356
ed il re confiscò ingenti quantità di argento inviate dall’imperatore a sostegno
della campagna militare in Italia. Grande fu il trionfo ottenuto sul mare da parte
di Guglielmo, il quale s’impossessò di trenta vascelli e dei rispettivi
equipaggi357.
Come era prevedibile la città fu saccheggiata, depopolata e ridotta in
condizioni miserevoli, quale punizione per il tradimento dei cittadini che non
avevano esitato, durante l’assedio, ad aprire le porte agli invasori con la
connivenza del clero locale358. Di ciò vi è menzione in un documento a firma di
Guglielmo dell’agosto 1156, nel quale il sovrano con linguaggio apologetico
ispirato ai salmi davidici, ricordò che con la spada affidata dal cielo ed invocato
il nome di colui che addestrò al combattimento la mano dei giusti e le loro dita
alla guerra, egli aveva espugnato, stritolato e rovesciato affinché venissero
calpestate dai suoi cavalli, le molte forze dei Greci e di diverse nazioni e le
innumerevoli schiere di traditori preparate alla guerra davanti a Brindisi359.

353
Sed mox quidam eques stipendiarius, e Romanorum phalange procurrens in
medium, hostem, qui singolari certamine secum vellet congedi, evocat. Ioannis Cinnami,
cit., p. 168.
354
καί Αλέξιος ό σρατηγός. Idem.
355
Cfr. E. Travaglini, cit., pp. 196-197.
356
Ivi, p. 199.
357
Cfr. F. Chalandon, cit., vol. II, p. 229; G. B. Siragusa, Il regno di Guglielmo I
in Sicilia, cit., p. 64.
358
Cfr. E. Travaglini, cit., p. 200.
359
Gladio nobis celitus commisso illius nomine invocato qui docuit manus
justorum ad prelium et digitos eorum ad bellum expugnavimus contrivimus et pedibus
equorum nostrorum conculcandas substravimus. Cfr. A. De Leo, Codice Diplomatico
Brindisino (492-1299), a cura di G. M. Monti e collaboratori, Trani 1940, vol. I, pp. 32-33,
doc. 17. Nel testo sopra riportato, non è difficile scorgere significativi addentellati con il
~ 85 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

Siamo oramai lontani dal mondo di Sigurðr e del drago Fafnir, la cui leggenda
trovò la sua plastica collocazione nella cattedrale di Aversa.
Guglielmo si affida al verbo veterotestamentario per glorificare le
proprie imprese militari. Nonostante tutto egli si sente forse vicino ai suoi
predecessori che avevano scacciato i Bizantini dall’Italia, il cui retaggio eroico
diviene la cartina da tornasole di quella virtus guerriera che rappresenterà per i
Normanni un peculiare engramma etnico360.
La battaglia di Brindisi segnò per i Greci la fine delle guerre in suolo
361
italico . Subito dopo Guglielmo rivolse le proprie attenzioni nei confronti dei
cittadini di Bari che non solo gli si erano ribellati, ma avevano osato distruggere
le fortificazioni della cittadella.
Il prezzo dell’infedeltà consistette nella completa distruzione della città,
un tempo sede prestigiosa del Catepanato d’Italia362. Non vi fu ad ogni modo
scampo nemmeno per quei feudatari che si erano alleati con l’imperatore. Il
Conte Roberto di Loritello fuggì in Abruzzo mentre il principe Roberto di
Capua tentò di riparare presso la corte papale ma, cadde prigioniero di Riccardo
di Aquila, il quale lo inviò a Palermo dove fu fatto accecare dal re363. Il principe
Roberto era stato il primo grande vassallo di Guglielmo, il più potente e ricco
feudatario secondo forse solo al monarca. In virtù dei privilegi che aveva
conseguito, egli sarebbe dovuto restare fedele al proprio signore ma preferì
percorrere la strada della fronda.
Le vicende che avevano interessato il regnum Sicilie dall’invasione fino alla
grande vittoria di Brindisi, sarebbero di certo state degne della più avvincente
delle chansons de geste carolingie. Vi si trovavano i tradimenti dei potenti, le
gesta di un paladino che preferì trovare la morte sul campo di battaglia
affrontando soverchianti forze nemiche, piuttosto che disonorare se stesso ed il
proprio giuramento al re; manipoli di eroi senza nome che, asserragliati in una
città sotto attacco, si opposero ai loro assalitori, scambiandosi l’olifante del
coraggio e della resistenza a oltranza.
I protagonisti di questa storia non furono dunque solo i grandi feudatari
ma quelle migliaia di uomini, borghesi, villani, uomini di umili natali, che si
erano battuti per proteggere il regno dall’invasione di un impero lontano. Molto
sangue fu versato e quanto accadde in quel 1156 evidenziò l’estrema fragilità

primo verso del Salmo 144: Benedictus Dominus fortis meus qui docet manus meas ad
proelium et digitos meos ad bellum. Ps. 144: 1.
360
Interessanti riflessioni sul concetto di virtus nel mondo normanno in K. A.
Fenton, The question of Masculinity in William of Malmesbrury’s presentation of Wulfstan
of Worcester, in: Anglo-norman Studies. XXVIII Proceedings of the Battle Conference
2005, ed. C. P. Lewis, Woodbridge 2006, pp. 129-30.
361
Cfr. E. Travaglini, cit., p. 201.
362
Cfr. F. Chalandon, cit., vol. II, p. 230; G. B. Siragusa, cit., pp. 64-65.
363
Cfr. F. Chalandon, cit., vol. II, p. 231.
~ 86 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

del sistema difensivo che i Normanni avevano predisposto. Ciò persuase


Guglielmo a progettare la costituzione di una grande Connestabulia364 che si
estendeva dal Tronto al nord, al Trigno ed al Garigliano al Sud, il cui controllo
sarebbe stato affidato al conte di Manoppello. In caso di guerra o di invasione,
questi avrebbe potuto contare non solo sui cavalieri comitali ma anche su tutti
gli uomini liberi, laici ed ecclesiastici, radunati per la leva generale365.
Essi sarebbero andati così a costituire un’armata potente in grado di
respingere qualunque nemico, ingaggiando battaglia direttamente sulla linea di
confine del regno e impedendo quindi ogni tentativo di penetrazione in
profondità del territorio. La riforma del sistema difensivo auspicata dal
monarca non fu tuttavia mai attuata. Fu pertanto necessario attendere l’ascesa al
trono di re Tancredi, affinché lo Stato normanno potesse usufruire di un nuovo
sistema di difesa, incentrato sulla progressiva riduzione del controllo su tutto il
territorio, per concentrare la salvaguardia dello stesso in taluni punti
strategicamente rilevanti366.

364
Nel corso dell’assemblea di Silva Marca, Ruggero II aveva istituito una nuova
categoria di feudi, chiamata quaternata o in baronia, registrati cioè in quaternionibus
Curiae, o in quelli della dogana baronale. Si trattava di signorie sottoposte ad un rigido
controllo da parte del sovrano, il cui assenso era obbligatorio nel caso in cui le stesse
dovessero essere trasferite a terzi, anche quando la trasmissione riguardava i legittimi eredi
dei precedenti possessori. I feudi in baronia erano tenuti a fornire all’esercito regio un
numero di cavalieri proporzionato alla loro consistenza. A differenza però di quanto
avveniva per quelli comitali, i cavalieri dei feudi in baronia soggiacevano agli ordini di un
funzionario regio detto Connestabile, che esercitava le proprie prerogative all’interno di
distretti militari detti appunto connestabilie. Cfr. E. Cuozzo, La cavalleria, cit., pp. 75-76:
B. Capasso, Sul catalogo, cit., p. 46.
365
Cfr. E. Cuozzo, Il sistema difensivo del regno normanno di Sicilia, cit., p. 281.
366
Ibidem, p. 282.
~ 87 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

CAPITOLO QUARTO

LA PANOPLIA NORMANNA FRA I SECOLI XI E XII

In fuga foeda mors est; in victoria gloriosa


(Cicerone, Filippica XIV, XI, 32).

Le vittorie in battaglia non furono per i Normanni esclusivamente un


mezzo per riscrivere gli equilibri politici del meridione d’Italia, rappresentando
altresì per i suddetti un’eccellente opportunità per approvvigionarsi, a spese
degli avversari sconfitti, di armi, dotazioni belliche varie e cavalli. A proposito
della battaglia di Montepeloso del 1041, Amato di Montecassino annota che i
soldati bizantini trucidati giacevano privi di sepoltura e delle loro armi367.
Depredare le armi ai nemici sconfitti o uccisi significava infatti non solo
arricchire il proprio personale corredo, ma implementare la capacità offensiva
globale di un esercito attraverso l’accantonamento degli equipaggiamenti
necessari ad attrezzare nuovi ‘artigiani o piccoli imprenditori della guerra’ che,
pur provvisti di valore ed abilità tecniche, mancavano sovente degli ‘strumenti
dell’arte’.
È importante del resto ricordare che i Normanni giunti in Campania per
battersi al fianco di Melo, avevano da questo ricevuto armi e cavalli368 e che, in
occasione della battaglia di Olivento, ben pochi erano ancora coloro che
disponevano di uno scudo e di una corazza369. Le vittorie riportate sui Greci nel
1041 avevano poi implementato considerevolmente il flusso di nuovi
immigrati, i quali avevano abbandonato la Francia settentrionale per cercare
fortuna in Italia370. Fra questi certamente ridotto doveva essere il numero di
coloro i quali potevano permettersi un equipaggiamento personale, attesi gli
elevati costi dello stesso. Dal canto loro i leaders normanni stanziatisi nel Sud
dovevano avere costante necessità di rimpiazzare i defunti, i mutilati ed i non

367
Et li Guarani sont occis, et Puilloiz sont mort et Calabrois; et tuit cil qui pour
or et pour argent estoient venut à lo peril de la bataille, sans arme et sans sepulture
gesoient mort. MALATERRA, II , XXVI.
368
GUP, Lib. I, p. 101. Cfr. anche K. B. Wolf, Making History the Normans and
their Historians in the Eleventh Century, Philadelphia 1995, p. 9.
369
Obtectos clipeis paucos lorica tuetur. GUP, Lib. I, p. 112. Cfr. altresì A. Settia,
cit., p. 120.
370
chevalier fortissime multiplioient chascun jor. MALATERRA, I, XXXXIII.
~ 88 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

più idonei alla guerra con nuove leve. Essi erano perciò ben felici di associare
ai loro ranghi compatrioti, nonché malfattori locali e tutti coloro che
chiedevano asilo presso le loro comunità371. A tale proposito ci sembra utile
ricordare come, agli inizi della conquista della Calabria, Roberto il Guiscardo
avesse al proprio fianco una sessantina di uomini appartenenti a popolazioni
slave, probabilmente bulgari disertori dell’esercito greco, reclutati per
combattere sotto le sue insegne, che gli erano fedelissimi come fratelli 372.
Purtroppo il numero degli effettivi a disposizione dei ‘signori della
guerra’ franco-settentrionali non era mai sufficiente a soddisfare le esigenze di
un’imprenditorialità militare in continua espansione. È dunque per tale ragione
che essi ricorsero all’arruolamento di uomini forti ed adatti al combattimento
residenti nel meridione d’Italia, ai quali donarono i cavalli predati ai Bizantini
con lo scopo di persuaderli a combattere fra le loro fila373. Ed ecco che dopo
avere sconfitto i Greci nella battaglia di San Martino del 1058, scorgiamo
Ruggero d’Altavilla distribuire ai propri soldati spoglie, armi e cavalli sottratti
agli sconfitti374.
Non deve dunque stupire che l’ansia dei guerrieri di catturare i destrieri
durante gli scontri fosse un tema ricorrente anche nelle chansons de gestes e
che la vera largesse di un condottiero risiedesse nella sua munificenza a donare
ai propri fidi armi e cavalli375. Durante la campagna militare che culminò nelle
tre vittorie di Olivento, Montemaggiore e Montepeloso, la fanteria rivestì un
ruolo determinante nell’andamento delle operazioni e non vi è dubbio che,
almeno nei primi tempi, anche i cavalieri non disdegnassero di guerreggiare
appiedati, qualora le contingenze della battaglia lo avessero richiesto 376. Molti
di loro non potevano essere del resto considerati ancora veri e propri specialisti

371
Si vicinorum quis perniciosus ad ipsos confugiebat, eum gratanter suscipiebant.
Moribus et lingua, quoscumque venire videbant, Informant propria, gens efficiatur ut una.
Cfr. GUP, I, p. 108.
372
Guiscardus usque ad sexaginta, quos Sclavos appellant, totius Calabriae
gnaros, secum habens, quos quasi fratres fidelissimos sibi benefactis et maioribus
promissis effecerat, sciscitatus est ab eis utrum locum adibilem scirent, quo praedam posset
capi. MALATERRA, I, XVI; G. Amatuccio, Fino alle mura, cit., p. 38.
373
Et li Normant, d'autre part, non cessoient de querre li confin de Principat pour
home fort et soffisant de combatre. Et donnoient et faisoient doner chevaux de la ricchesce
de li Grex qu'il avoient veinchut en bataille, et prometoient de doner part de ce qu'il
acquesteroient a ceaux qui lor aideroient contre li Grex. AMATO, II, XXV, p. 108.
374
Cfr. MALATERRA, I, XXXII; Impetu facto, certamen iniit, omnesque quasi
circumagens, vix unum evadere permisit: de quorum spoliis et equis et armis omnes suos
abundantes fecit.
375
Cfr. M. Keen, cit., p. 63.
376
Cfr. A. Settia, cit., pp. 125-126.
~ 89 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

del combattimento montato, trattandosi per lo più di soggetti, che in virtù delle
loro abilità individuali, erano passati dal rango di fanti a quello di equites377.
Prova ne è il fatto che in occasione della guerra interna condotta contro
la nobiltà ribelle, Roberto il Guiscardo reclutò presso la città di Cosenza gli
abitanti esperti nel combattimento appiedato, fra i quali scelse i migliori da
impiegare nella cavalleria378.
L’aumento degli effettivi montati dipendente in buona parte dalla
disponibilità di cavalcature, fu naturalmente dettato dall’esigenza di rafforzare
l’impatto dell’esercito considerato che, verosimilmente negli anni ’40 del
secolo XI, una nuova sistema di combattimento proveniente dalla Francia
andava affermandosi anche nel meridione d’Italia, frutto di una probabile
importazione da parte degli immigrati normanni379. Facciamo riferimento
all’impiego, in formazioni di più cavalieri, della lancia abbassata (o in resta,
per utilizzare un termine improprio per il periodo storico trattato), che
consisteva nel caricare l’avversario con l’arma in posizione orizzontale, tenuta
saldamente immobilizzata sotto il braccio destro e opportunamente direzionata
verso il bersaglio tramite la mano380. Dall’osservazione dell’Arazzo di Bayeux
(realizzato intorno al 1076)381, si intuisce che i Normanni impiegassero la lancia
in altri tre modi differenti.
Un guerriero a cavallo poteva impugnarla approssimativamente nel
punto mediano, con il braccio destro teso, per assestare un colpo al fianco
dell’avversario382. Le immagini della Tapisserie ci mostrano inoltre cavalieri
che combattono con le hastae tenute all’altezza della spalla destra, impugnate
con il pollice rivolto verso l’alto. Tale rappresentazione sembrerebbe suggerire
che i guerrieri franco-settentrionali potessero lanciare la loro arma, imprimendo
alla stessa una potenza moltiplicata dalla velocità del cavallo, principio del
resto alla base anche della più celebre carica con la lancia abbassata impiegata
con profitto contro i Sassoni a Hastings383.

377
Cfr. H. Zug Tucci, Armi e Armature, in: Strumenti, tempi e luoghi di
comunicazione nel Mezzogiorno normanno-svevo, cit., p. 137.
378
Cfr. G. Amatuccio, Fino alle mura, cit., p. 38.
379
Cfr. A. Settia, cit., pp. 120-121.
380
M. Keen, cit., p. 57. Riflessioni interessanti e sempre valide, a proposito
dell’impiego della lancia, si ritrovano in D. J. Ross, L' originalité de "Turoldus": le
maniement de la lance, in: Cahiers de Civilisation Médiévale, VI (1963), nr. 6-22, pp. 127-
138.
381
Cfr. A. Settia, cit., p. 116.
382
M. Keen, cit., p. 59; Musée de la Tapisserie de Bayeux, Centre Guillaume Le
Conquérant, Bayeux, scena 18.
383
Cfr. H. Zug Tucci, cit., p. 140. Come si evince dalla scena nr. 48 dell’Arazzo di
Bayeux, durante le marce di avvicinamento ai luoghi di operazioni i cavalieri usavano
tenere appoggiata la lancia in posizione verticale sul piede destro. L’arma aveva una punta
~ 90 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

Il fatto che i Normanni disponessero di lance che potevano scagliare da


cavallo, ci fa ritenere che tali armi dovessero essere decisamente più leggere di
quelle utilizzate nelle cariche, necessariamente più solide e robuste384.
Concludeva il repertorio tecnico dei cavalieri Normanni, l’utilizzo della lancia
con la punta rivolta verso terra385 che consentiva loro di direzionare la botta
dall’alto verso il basso.
Difficile è, ad ogni modo, stabilire il momento esatto a partire dal quale
la tecnica delle hastae abbassate, più volte menzionata da Goffredo
Malaterra386, cominciò ad essere sistematicamente usata da unità di cavalleria
organizzate in formazione (o conrois) considerato che, almeno per i cimenti
individuali tale modalità di combattimento doveva essere sufficientemente
conosciuta e praticata anche nel Sud Italia387. Non vi è poi alcuna prova
decisiva che possa dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, che già nel 1053
in occasione della battaglia di Civitate, i Normanni abbiano combattuto usando
la nuova tecnica importata dal loro paese di origine. Certo è però che in tale
scontro campale la carica frontale dei lancieri a cavallo388 si rivelò decisiva
poiché riuscì a travolgere le truppe tedesche, abituate invece a smontare dai
loro destrieri per combattere da pedites, armati della spada e dello scudo
imbracciato389. Se comunque è assai probabile, come sostenuto da Settia, che

provvista di alette che avevano la funzione di consentire al combattente montato di estrarla


agevolmente dal bersaglio colpito. A tale proposito cfr. Musée de la Tapisserie de Bayeux,
Centre Guillaume Le Conquérant, Bayeux, scene 9, 11, 15-16-17-18-19, 22, 24.
384
M. Keen, cit., p. 59.
385
Sulle diverse modalità di utilizzo della lancia da parte delle unità di cavalleria
normanne, cfr. Musée de la Tapisserie de Bayeux, cit., scene 51 e 54.
386
Guillelmus autem, milites eius crebris congressibus et hastili robore militariter
deiciens, numero minuebat. MALATERRA, I, XXIV; Rogerius, ne, alios ad militiam
arrigens, ipse refugere diceretur, in omni congressu sese sociis praeponens, quendam
fortissimum et enormi corpore virum, exercitui Normannorum multis contumeliis
exprobrantem, quem omnes quasi gigantem exhorrebant, impetu factu, hastili robore
deiciens, interfecit. Ivi, XXXIV; Illo nomen revelante, sed a loco recedere nolente, dum
fortiter congreditur, aliorum prostrator forti hastili prosternitur. Ivi, XXXIX; Tamen fratri,
ut hosti venienti, in monte qui Sancti Angeli dicitur, acerrime occurrit, multisque ex
fraterna acie hastili robore militari congressu deiectis, ne in ipso monte vel certe in
adiacenti, qui Mons Viridis dicitur, castra, sicut disposuerant, figant, impetu facto, longius
arcet. Ivi, II, 23. Hastili robore militariter deiciens, impetu factu, hastili robore deiciens,
forti hastili prosternantur, etc., dovrebbero essere tutte espressioni stanti ad individuare,
con una certa precisione, la tecnica della lancia abbassata.
387
Cfr. G. Amatuccio, Fino alle mura, cit., p. 26.
388
Et li Normant, hardi (a) coment lyon, prenent la haste. Cfr. AMATO, III, p.
155.
389
Et li Thodeschi se metent l'escu en bras et crollent l'espée; et li Normant, hardi
(a) coment lyon, prenent la haste. Ibidem. Haec gens animosa feroces Fert animos, sed
equos adeo non ducere cauta. Ictibus illorum, quam lancea, plus valet ensis Nam nec equus
~ 91 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

l’uso della lancia abbassata fu introdotta in Italia dagli emigranti franco-


settentrionali intorno agli anni ’40 del secolo XI, è verosimile ritenere che la
stessa fu comunque perfezionata nel Mezzogiorno, attesa la frequenza degli
scontri che i cavalieri del nord dovettero sostenere, per imporre la loro signoria
su quei territori. Le lance divennero allora progressivamente più spesse e solide
poiché dovevano essere in grado di sostenere impatti sempre più travolgenti e
furono adornate da vessilli390, così come si deduce dall’osservazione
dell’Arazzo di Bayeux e per quello che riguarda il Sud Italia, dal portale nord
detto degli Otto Cavalieri di San Nicola a Bari391 (fig. 5), oltre che da evidenze
numismatiche attribuibili a Ruggero I392. Anche il modo di stare a cavallo subì
poi un decisivo cambiamento, in particolare con l’avvento del secolo XII. Al
tempo della battaglia di Hastings la sella appare provvista di staffe lunghe e
perpendicolari all’arcione anteriore, per dare l’opportunità al cavaliere di
mantenere il busto diritto e le gambe tese, quasi a volere conservare una
posizione verticale rispetto al terreno393. Tale postura consentiva all’eques-
miles di esercitare una robusta pressione sulle staffe, indispensabile a sostenere
l’impatto della lancia sull’avversario, comprimendo la spalla sull’arcione
posteriore. Con l’evoluzione, per altro stimolata dall’osmosi con altre culture
delle tecniche militari, i cavalieri normanni cominciarono ad impiegare staffe
corte che consentirono loro di assumere una posizione maggiormente
confortevole, con la schiena incurvata e le ginocchia flesse, così come del resto
testimoniato dal portale degli Otto Cavalieri barese e del timpano della chiesa
di Santa Maria della Strada, risalente al 1148 (fig. 6).

docte manibus giratur eorum, Nec validos ictus dat lancea, praeminet ensis. Sunt etenim
longi specialiter et per acuti Illorum gladii; percussum a vertice corpus Scindere saepe
solent, et firmo stant pede, postquam deponuntur equis. Cfr. GUP, II, p. 140. Con la
battaglia di Civitate, osserva lo storico britannico John Gillingam, il vetusto universo
militare rappresentato dalla fanteria germanica, fu definitivamente scalzato dalle nuove
tipologie di combattimento, che prevedevano l’intervento della cavalleria pesante. Cfr. J.
Gillingam, An age of expanion c. 1023-1204, in: Medieval Warfare: a history, ed. M. H.
Keen, Oxford-New York 1999, p. 64.
390
Cfr. H. Zug Tucci, cit., pp. 146-147; M. Keen, cit., p. 60.
391
La cui datazione oscilla fra gli inizi e la fine del secolo XII. Cfr. E. Cuozzo,
L’iconografia dei cavalieri nel regno normanno di Sicilia, cit., p. 54.
392
Facciamo riferimento al Trifollaro di Ruggero I, recto, g. 10, 36, sec. XI. Cfr.
Corpus Nummorum Italicorum. Primo tentativo di un Catalogo Generale delle monete
medievali e moderne coniate in Italia o da italiani in altri paesi. Italia meridionale e
continentale (zecche minori), Roma 1939, vol. XVIII, p. 288, Tav. XVIII, nr. 18. Cfr. anche
I Normanni. Popolo d’Europa. MXXX–MCC, a cura di M. Onofrio, Padova 1994, pp. 442-
43, fig. 154.
393
Ivi, p. 143. Cfr. inoltre Musée de la Tapisserie de Bayeux, Centre Guillaume Le
Conquérant, Bayeux, scene 51 e 54.
~ 92 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

In tali rappresentazioni i milites assumono una posizione montata, nella


quale la Zug Tucci ha ritenuto di potere intravedere significativi addentellati
con la postura saracena detta a la jineta394. Tracce dell’impiego della staffa
corta sono presenti inoltre nel bassorilievo incastonato nello stipite di sinistra
del portale della fiancata meridionale della chiesa di San Marcello Maggiore a
Capua. Tale reperto, risalente presumibilmente alla seconda metà del secolo
XII395, ritrae due cavalieri giostranti (fig. 7). Quello di sinistra brandisce una
lancia a due mani con la quale perfora lo scudo del proprio avversario.
L’artista ritrae tale movimento con straordinario realismo espressivo,
rappresentando la lunga lancia che s’infrange sullo scudo in modo talmente
violento, da frantumarsi in due tronconi.

Fig. 5- Portale dei Cavalieri, Chiesa di San Nicola di Bari, sec. XII;
particolare (Foto dell’Autore)®.

Il nostro miles di sinistra presenta la gamba destra leggermente


incurvata mentre il proprio avversario lo contrasta, lancia in resta, conservando
una posizione quasi diritta, non dissimile da quella ritratta sulla Tapisserie di
Bayeux. Anche costui cavalca tenendo i piedi in staffe corte ma è alla fine del
secolo XII che la postura subisce un’ulteriore evoluzione, documentata da
alcune miniature del De rebus Siculis Carmen di Pietro da Eboli396. La sella

394
Cfr. H. Zug Tucci, cit., p. 143.
395
Secondo la datazione convincentemente suggerita da E. Cuozzo, La cavalleria
nel regno normanno di Sicilia, cit., p. 85.
396
Petrus De Ebulo, Liber ad honorem Augusti sive de rebus Siculis, cit., 108r,
109r, 110r, 114r, 121r, 123r, 130r, 133r. Una traduzione italiana del Carmen venne
~ 93 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

assume dimensioni leggermente ridotte e gli staffili ritornano a essere lunghi.


La schiena del cavaliere comprime fortemente l’arcione posteriore, spingendo
le gambe in avanti, per avere maggiore aderenza e per sostenere meglio
l’impatto della carica avversaria397. Ciò che poi rileva dall’esame del
bassorilievo di Capua, atteggiamenti in sella a parte, è l’introduzione nel mondo
militare normanno di una lancia a due mani, verosimilmente mutuata dai
sistematici contatti con il mondo islamico siculo-africano prima e con quello d’
Outremer, dopo l’avvento dell’era crociata.

Fig. 6 – Cavaliere con lancia in resta. Timpano della chiesa di Santa Maria della Strada, metà
del XII sec. Particolare. (Foto di Mauro Piergigli)©. Per gentile concessione.

Fig. 7- Cavalieri giostranti.


Chiesa di San Marcello Maggiore a Capua, sec. XI-XII, portale laterale. Stipite sinistro.
Particolare. Rielaborazione al tratto di Katja Zaccheo©. Per gentile concessione.

approntata da E. Rocco e riportata da G. Del Re, Cronisti e scrittori sincroni napoletani,


Napoli 1845, vol. I, pp. 405-39.
397
Cfr. H. Zug Tucci, cit., p. 143.
~ 94 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

Nel Museum of Art di Seattle è infatti conservato un bassorilievo di


origine persiana databile fra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo,
raffigurate due cavalieri con indosso corazze lamellari dette jawshan, nell’atto
di duellare armati di lance a due mani. Tale tecnica fu ampiamente impiegata
per lungo tempo dai cavalieri arabi, così come documentato da un manoscritto
della metà del secolo XIII (Ms. Or. 1200), conservato presso la British Library
di Londra398.
Tuttavia quello del bassorilievo di San Marcello Maggiore di Capua,
rappresenta l’unico esempio di ‘scultura militare’ nel quale compaiono cavalieri
armati di asta a due mani. Sappiamo infatti che i milites normanni adoperavano
prevalentemente la lunga lancia ad una mano, accompagnata dallo scudo
oblungo, detto a ‘mandorla’ o ad ‘aquilone’. L’esame del pulvino dell’antico
chiostro dell’abbazia di Montevergine ci mostra tuttavia due guerrieri in groppa
ai loro destrieri coperti dalla cotta ad anelli metallici, che si affrontano armati
della sola lancia399. Un esempio scultoreo di combattimento fra cavalieri armati
di lancia in resta e scudo a mandorla risalente agli anni tra il 1142 ed il 1176,400
si ritrova invece in uno dei capitelli a stampella del chiostro del monastero di
Santa Sofia a Benevento401 (fig. 8).
Contrariamente a quanto sostenuto in passato, lo scudo a goccia non fu
introdotto in Italia dai cavalieri d’oltralpe, essendo con molta probabilità
un’invenzione dei Greci402. I Normanni, dal canto loro, si limitarono ad
acquisirlo e farlo proprio, intervenendo con significative modifiche solo sulle
dimensioni che furono accresciute per garantire una maggiore protezione in
battaglia.
Nell’Arazzo di Bayeux i cavalieri sono muniti di scudi a goccia di
ampia superficie, mentre quelli adottati dai Bizantini apparivano più piccoli,
così come risulta dall’osservazione di un bassorilievo in steatite conservato nel
monastero di Vatopedi (secolo XI), sul monte Athos, ritraente San Giorgio e da
quello splendido di San Teodoro Stratelates (secolo XI), attualmente in

398
Per la consultazione delle immagini relative al bassorilievo persiano conservato
nel Museum of Art di Seattle e per l’iconografia tratta dal Ms. 1200. Or. della British
Library di Londra, rimando a H. Nicholson, D. Nicolle, God’s Warriors. Crusaders,
Saracens and the battle for Jerusalem, Oxford 2005, p. 24 e p. 101.
399
Cfr. I Normanni. Popolo d’Europa. MXXX–MCC, cit., pp. 385-386, fig. 31.
400
Per la datazione del chiostro, F. Abbate, Storia dell’arte nell’Italia meridionale,
cit., p. 182.
401
Cfr. R. Naldi, Ritorno al chiostro di Santa Sofia a Benevento, in: Bollettino
D’Arte, 60 (1990), marzo-aprile, p. 37, fig. 22.
402
Cfr. G. Amatuccio, Fino alle mura, cit., p. 20; D. Nicolle, Arms and armour of
the crusading era: 1050-1350. Western Europe and the Crusader States, New York 1988,
p. 34.
~ 95 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

esposizione presso i Musei Vaticani403. Anche all’interno del manoscritto


madrileno dello Skilitzès, databile tra il XII e il XIII secolo404, non mancano
rappresentazioni dello scudo a mandorla in dotazione agli eserciti bizantini
(fanteria e cavalleria), la cui descrizione potrebbe essere forse già rintracciata
fra le pagine della Sylloge Tacticorum (39, 1) e dei Praecepta Militaria (IV, 36-
37), risalenti al secolo X405.

Fig. 8- Chiostro del monastero di Santa Sofia, Benevento, sec. XII.


Capitello. Particolare. (Foto di Mauro Piergigli)© Per gentile concessione.

Se è dunque pur vero che il manoscritto madrileno dello Skilitzès è


posteriore al secolo XI, non bisogna tuttavia sottovalutare il conservatorismo
bizantino riguardo le antiche tradizioni greco-romane, sulle quali si innestarono
significative innovazioni d’influenza euroasiatica ed islamico-iraniana.
Non è perciò da escludere che gli artisti che illustrarono il suddetto
codice pergamenaceo possano essersi avvalsi di modelli più antichi, provenienti
da rappresentazioni scultoree o pittoriche preesistenti. Degli scudi a mandorla
bizantini non è purtroppo pervenuto alcun esemplare poiché gli stessi erano
realizzati in legno e rivestiti di pelle d’asino406, presumibilmente impiegata
anche dai Normanni, attesa la resistenza ai colpi di tale derivato animale.

403
Cfr. M G. Parani, Reconstructing the Reality of Images: Byzantine Material
Culture and religious iconography (11th-15th Centuries), Leiden-Boston 2003, p. 116, 127
e foto 121-122.
404
Cfr. N. G. Wilson, The Madrid Skylitzes, in: Scrittura e Civiltà, 2 (1978), pp.
209-219; A. Grabar, M. Manoucassas, L’illustration du manuscript de Skylitzès de la
Bibliothèque Nationale de Madrid, Venezia 1979.
405
Cfr. R. D’amato, A Prôtospatharios, Magistros, and Strategos Autokrator of
11th cent.: the equipment of Georgios Maniakes and his army according to the Skylitzes
Matritensis miniatures and other artistic sources of the middle Byzantine period, in:
ΠΟΡΦΥΡΑ, 4, Supplemento (2005), p. 20.
406
L’impiego del rivestimento in pelle d’asino è attestata, nell’esercito bizantino, a
partire dal secolo XI. Cfr. T. G. Kolias, Byzantinische Waffen, Wien 1988, pp. 92-93.
~ 96 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

Gli scudi impiegati dai discendenti di Rollone avevano una tracolla


(presente anche negli esemplari greci) che consentiva di trasportarli in spalla e
di due differenti manici: uno era in cuoio e di forma quadrata che consentiva di
impugnarli indifferentemente in maniera verticale e orizzontale (fig. 9). Tale
tipologia era decisamente confortevole poiché i manici di cuoio erano
sufficientemente larghi, tanto da consentire all’armato di liberare agevolmente
la mano, per reggere le redini o addirittura la lancia, così come si evince
dall’osservazione delle scene 7 e 50 dell’arazzo di Bayeux. Lo scudo poteva poi
essere afferrato anche tramite un manico presumibilmente in legno, usato
preminentemente dai combattenti montati.
Codesta ulteriore varietà di impugnatura a forma di ‘esse’ stilizzata,
permetteva infatti al cavaliere di inclinare lo scudo in diagonale, consentendo
un più confortevole utilizzo dello stesso, mentre si procedeva al trotto o al
galoppo407. Come si evince poi dall’osservazione degli scudi presenti
sull’arazzo di Bayeux, il manico e la tracolla erano assicurati al corpo in legno
mediante rivetti di metallo.
Gli scudi normanni erano infine dotati di umbone centrale anch’esso in
metallo, mentre i Greci adottavano il modello con o senza l’umbone suddetto,
così come si evince dall’osservazione delle già citate icone in steatite di San
Giorgio e di San Teodoro Stratelates. Decorazioni pittoriche compaiono poi sul
recto degli scudi normanni, con funzione esornativa e non solo. Croci di forma
ordinaria e motivi ornamentali di forma ondata, che ricordano molto da vicino
quelle dei più antichi scudi di area slavo-germanica408, decorazioni a dente di
sega, draghi ed altri animali fantastici, sono i motivi ricorrenti su non poche
immagini della Tappiserie di Bayeux409. Per il meridione d’Italia non esistono
purtroppo testimonianze di scudi dipinti così antiche, come quelle rinvenute sul
più volte menzionato arazzo che celebrò la vittoria di Hastings.
Disponiamo tuttavia di alcune iconografie estrapolate da evidenze
scultoree, da affreschi o miniature pergamenacee410, che ci consegnano una
proto-araldica e taluni elementari motivi decorativi, che abbracciano un arco
temporale che oscilla tra i primissimi decenni del secolo XII (fig. 10), la
seconda metà del XII (fig. 11-12-16) e gli albori dell’età sveva (fig. 13). Una
preziosa miniatura tratta dallo Skilitzès411 mostra poi come negli accampamenti
407
Cfr. Musée de la Tapisserie de Bayeux, Centre Guillaume Le Conquérant,
Bayeux, scene 15, 18-19, 21-22, 40, 48, 51-52.
408
D. Nicolle, Medieval warfare source book. Warfare in Western Christendom,
London 1995, p. 22.
409
Musée de la Tapisserie de Bayeux, Centre Guillaume Le Conquérant, Bayeux,
scene 7, 11-12-13, 20.
410
Cfr. Petrus De Ebulo, Liber ad honorem Augusti, cit., 109r, 113r, 117r, 123r,
130r, 131r, 132r, 133r, 137r, 145r.
411
Cfr. Madrid Skilitzès, Ms, Biblioteca Nacional de España, vitr. 26-2., f. 210v.
~ 97 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

bizantini le lance venissero raggruppate in un unico luogo ed infisse nel terreno,


appendendovi gli scudi che potevano, per altro, essere assicurati anche ai pali di
sostegno dei padiglioni da campo. Non è escluso che i Normanni potessero fare
altrettanto, anche in considerazione del fatto che tenere lo scudo legato alla
propria picca, consentiva di mantenere l’ordine ed in caso di attacco, di
radunare gli uomini in un punto specifico del campo per armarli con rapidità.
Fatto di un certo rilievo che potrebbe indirettamente confortare la nostra
ipotesi è che, prima di procedere alla conquista dell’Inghilterra, il duca
Guglielmo radunò le proprie forze e si servì dell’esperienza di Normanni che
conoscevano le tecniche militari romano-bizantine, specie in materia di
allestimento degli accampamenti, per organizzare gli acquartieramenti delle sue
truppe412.
La consuetudine di appendere gli scudi ai pennoni che sostenevano
internamente le tende da campo, è poi attestata nel Sud Italia, tra la fine del
secolo XII e i primi anni del XIV, in un affresco presente sul volta della Cripta
del Crocefisso ad Ugento (in provincia di Lecce). In tale edificio sono infatti
ritratti scudi rosso e nero crociati agganciati al soffitto di un padiglione militare,
con quella che sembrerebbe forse essere una tracolla in cuoio od una semplice
corda413. L’uso dello scudo a goccia che fino alla fine del secolo XI dovette
mantenere una forma piatta, per poi evolversi nella forma incurvata
ampiamente utilizzata dal secolo XII in poi, 414 soppiantò progressivamente
quello di forma circolare, tipico della tradizione germanica, che i Normanni
avevano impiegato in patria e del quale continuarono a servirsi almeno
inizialmente anche in Italia. Tale oggetto era, infatti, parte integrante del
corredo militare dei Longobardi415 e non bisogna dimenticare che i primi
guerrieri d’oltralpe giunti nel Mezzogiorno avevano ricevuto armi e cavalli da
Melo il quale apparteneva a quel popolo. Pochi dovevano essere i mercenari
franco-settentrionali provvisti di un equipaggiamento personale. Fu per tale
ragione che la maggior parte di costoro si servì per lungo tempo di armi non

412
Cfr. B. S. Bachrach, Some observations on the military administration of the
norman conquest, in: Anglo-Norman studies, VIII, Procedings of the Battle conference
1985, ed. R. A. Brown, Woodbridge 1986, p. 7.
413
Cfr. H. Houben, Templari o Teutonici? A proposito degli scudi crociati nella
Cripta del Crocefisso a Ugento, in: Pavalon. Laboratorio di studi templari per le province
meridionali. Atti del primo convegno nazionale Brindisi/Mesagne 17-18 ottobre 1998, a
cura di G. Giordano, C. Guzzo, Mesagne 1999, pp. 77-86.
414
Cfr. D. Nicolle, The Monreale Capitals and the military equipment of the later
norman Sicily, in: Gladius, XV (1980), p. 89, fig. 2, 4, 5, 6, 11 e p. 92, fig. 13 e 14.
415
Così come si evince da una miniatura risalente al 1023 che si trova all’interno
del Ms. 132 dell’Encilcopedia di Rabano Mauro, conservato nell’abbazia di Montecassino.
Cfr. D. Nicolle, Arms and armour of the crusading era: 1050-1350, cit., pp. 253-54. Per la
riproduzione al tratto della miniatura, ivi, p. 486, fig. 673.
~ 98 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

proprie. Non è dunque escluso che i primi Normanni giunti in Italia abbiano
potuto utilizzare, al posto del caratteristico usbergo, corazze lamellari o a
scaglie ed elmi di foggia bizantina, ma soprattutto longobarda. Del resto se è
pur vero che i Longobardi avevano adattato nel corso dei secoli il loro
armamento a quello in uso nel resto d’Europa, essi conservavano ancora talune
caratteristiche che non trovavano riscontri o precedenti nella panoplia di altre
popolazioni. Essi indossavano, infatti, il caratteristico elmo a cappuccio
sormontato da una sorta di bottone, munito di paraguance che si annodavano
sotto la gola416. Altra variante di elmo longobardo risalente all’XI secolo
munito di paraguance ma non del caratteristico bottone che compare nel
manoscritto 132 di Montecassino, è visionabile nel cosiddetto Exultet
beneventano del Museo Civico di Pisa417.
Al di là delle primigenie contaminazioni ed ibridazioni ‘italiche’ della
panoplia franco-settentrionale, i Normanni erano comunque noti per il
caratteristico elmo conico provvisto di nasale418, per altro utilizzato anche nella
penisola scandinava, come dimostrato dal ritrovamento in Svezia di una testa di
guerriero scolpita in corno d’alce risalente al secolo XI 419. Un’interessantissima
variante di elmi a nasale utilizzati intorno al 1075 nell’Italia meridionale forse
anche dai Normanni di epoca ducale è presente nel manoscritto Add. 30337
conservato presso la British Library di Londra. Si tratta nello specifico di un
Exultet cassinense in cui sono ritratti guerrieri con indosso corazze lamellari ed
elmi sormontati da piume420.
L’impiego di elmi a nasale da parte dei guerrieri d’oltralpe è
ampiamente documentato dall’arazzo di Bayeux421 e, per il Mezzogiorno, da
alcuni capitelli del Duomo di Monreale (che ne attestano in alcuni casi la
variante frigia)422 nonchè dalle splendide miniature a corredo del Liber ad
416
Ibidem, fig. 673, 673a, 673c. Cfr. altresì G. Amatuccio, Fino alle mura, cit., p.
15, nota 18.
417
Cfr. D. Nicolle, Arms and armour of the crusading era: 1050-1350, cit., p. 486,
fig. 675a. Per la descrizione della miniatura, ivi pp. 254-255.
418
Cfr. K. De Vries, R. D. Smith, Medieval military technology, Toronto 20122, p.
65.
419
Si tratta del cosiddetto Guerriero di Sigtuna, databile ai secoli X-XI e ritrovato
appunto a Sitguna (Uppland). Il reperto fu rivenuto nel 1937 ed è un raffinato intaglio
misurante 29 X 4 cm., oggi conservato presso lo Statens Historica Museum di Stoccolma,
nr. rep. 22044. Cfr. I Normanni. Popolo d’Europa. MXXX – MCC, cit., p. 379, nr. 8; D.
Nicolle, Arms and armour of the crusading era: 1050-1350, cit., p. 72.
420
Ivi, p. 255. Per l’immagine degli elmi piumati, ivi, p. 487, fig. 678a.
421
Musée de la Tapisserie de Bayeux, Centre Guillaume Le Conquérant, Bayeux,
scene 16-17-18-19-20-2122, 37, 47-48-49-5051-52-53-54-55-56-57-58.
422
Tali tipologie di elmi terminavano con una punta leggermente incurvata in
avanti. Cfr. D. Nicolle, Arms and armour of the crusading era: 1050-1350, cit., p. 489, fig.
690q, p. 490, fig. 690af e per i commenti sulla panoplia siculo-normanna, ivi, pp. 259-260.
~ 99 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

honorem Augusti di Pietro da Eboli, risalenti alle fine del secolo XII. In
entrambi i documenti iconografici, sembra ravvisarsi un certo gusto per l’uso di
elmi dipinti e per l’impiego di disegni assai semplici423, rispondenti non solo ad
un mero intento esornativo o all’esplicazione, come nel caso dell’opera di
Pietro da Eboli, di una sorta di protoaraldica, per altro già precedentemente
evidenziata, nel trattare le decorazioni degli scudi. La necessità incombente era,
infatti, quella di rendere facilmente identificabile il miles sul campo di battaglia
e non vi è dubbio che l’uso di elmi dipinti o di motivi ornamentali sugli scudi,
contribuisse in maniera decisiva a tale scopo.
Se ad ogni modo il costume di dipingere gli elmi è documentabile
attraverso l’osservazione dell’Arazzo di Bayeux, l’adozione di disegni
schematici è già presente in area iberica in una miniatura del Codex Calixtinus,
databile fra il 1138 ed il 1173424. In essa vediamo rappresentati Carlo Magno,
Orlando e gli altri paladini impegnati a proteggere dai Mori la strada per
Compostella, in modo da consentire un sicuro pellegrinaggio al sepolcro di San
Giacomo. Ad eccezione del Sacro Romano imperatore che cinge la corona, tutti
gli altri milites calzano elmi con nasale nella variante frigia (o sormontati da
una sorta di bottone), sui quali si intravede distintamente una croce dipinta425.
Ad ogni modo il copricapo militare con nasale, per quanto ampiamente
utilizzato in ambito normanno, fu ben presto integrato da altre tipologie prive
del nasale medesimo (così come documentato dal cavaliere ritratto sul timpano
di Santa Maria della Strada)426 o cosiddette a maschera, documentate nel
chiostro di Monreale e così chiamate poiché aggiungevano un ulteriore
protezione metallica per il volto (seconda meta del secolo XII) 427. Nel sacro
edificio siculo che rappresenta un tesoro d’inestimabile valore per lo studio
della panoplia normanna, è poi presente un altro interessante capitello nel quale

Il cosiddetto elmo frigio si ritrova anche in rappresentazioni iconografiche di area


prevalentemente ispanico-franca, nella seconda metà del XII secolo. Ivi, p. 154 per il
commento di Nicolle, mentre l’iconografia è consultabile a p. 427, fig. 387c e 389a; p. 429,
fig. 398i.
423
Cfr. Petrus De Ebulo, Liber ad honorem Augusti, cit., f. 137r., 143r., f., 131r.,
145r.
424
Cfr. M.C. Diaz y Diaz, El Codex Calixtinus: Volviendo sobre el tema, in: The
''Codex Calixtinus'' and the Shrine of St. James, ed. J. Williams, A. Stones, Tübingen 1992,
pp. 1-9; A. Stones, The Decoration and Illumination of the ''Codex Calixtinus'' at Santiago
de Compostela, ivi, pp.137-182; L.M. Ayres, The Illumination of the Codex Calixtinus: A
Norman Dimension, ivi, pp. 245-254.
425
Cfr. Codex Calixtinus (Liber sancti Iacobi), Archivo de la Catedral de Santiago
de Compostella, f. 162v. Cfr. D. Nicolle, Arms and armour of the crusading era: 1050-
1350, cit., p. 427, fig. 389a-b.
426
Come da fig. 6, riportata nel presente capitolo. Cfr. altresì D. Nicolle, Arms and
armour of the crusading era: 1050-1350, cit., p. 489, fig. 688.
427
Ivi, p. 490, fig. 690x.
~ 100 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

sono ritratte due guardie addormentate al sepolcro di Cristo. Una delle due
stringe fra le mani uno scudo tondo e calza un elmo attorno al quale
sembrerebbe potersi scorgere un turbante arrotolato428. Scudi tondi, si ritrovano
fra le mani di due guerrieri di colore in altri capitelli di Monreale429. Esempi di
scudi circolari impugnati da Saraceni sono documentati anche a Brindisi, presso
il portale settentrionale della chiesa di San Giovanni al Sepolcro (fig. 10), sul
portale maggiore della Cattedrale di Bari430 ed in un frammento musivo della
Cattedrale di Giovinazzo, databile al secolo XII, nel quale si intravede un
guerriero musulmano con scudo tondo, mentre esce dalla porta della città431.
Ma se tali tipologie di scudi vennero sempre meno impiegati dai Normanni che
vi preferirono i moduli a goccia, altrettanto non può dirsi per il regno di Leòn,
area dal quale proviene una miniatura nella Bibbia Seguande di Sant’Isidoro
dove compare un guerriero armato all’occidentale con elmo frigio sul capo che
impugna uno scudo tondo a motivi ornamentali ondati, simili a quelli raffigurati
sull’arazzo di Bayeux432.

Fig. 9– Musée de la Tapisserie de Bayeux,


Centre Guillaume Le Conquérant, Bayeux; da sx. a dx., scene 17 e 56.
Disegno al tratto di Katja Zaccheo©. Per gentile concessione.

Ma l’elemento di certo più interessante dell’equipaggiamento al quale i


Normanni affidavano largamente la loro incolumità in battaglia, era
rappresentato dalla maglia di ferro, composta da migliaia di anelli intrecciati fra

428
D. Nicolle, The Monreale Capitals, p. 97; Id., Arms and armour of the
crusading era: 1050-1350, cit., p. 490, 690ad, 690ae.
429
Ibidem, p. 489, fig. 690g, p. 490, fig. 690t, 690u; Id., The Monreale Capitals,
p. 92, foto III.
430
P. Belli D’Elia, Segni e immagini delle Crociate nel Mezzogiorno normanno-
svevo, in: Il Mezzogiorno normanno-svevo e le Crociate, cit., p. 328, foto 1.
431
Ivi, p. 327.
432
Per l’esame critico della panoplia, D. Nicolle, Arms and armour of the
crusading era: 1050-1350, cit., pp. 153-154. Per l’iconografia, p. 427, ivi, 387c.
~ 101 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

loro che componevano un indumento protettivo elastico433 e sufficientemente


resistente ai colpi vibrati di taglio, ma poco efficace per quelli di punta. Fu per
tale ragione che nel XII secolo venne introdotta una protezione aggiuntiva detta
gambeson, da indossare sotto la cotta metallica. Si trattava di un indumento di
lino imbottito che aveva il compito di attutire gli effetti dei colpi sia di taglio
che di punta, svolgendo altresì la funzione di attenuare la pressione del pesante
usbergo sulle spalle e sul torace del guerriero. Possiamo affermare con un certo
grado di certezza che un ‘antenato’ del gambeson si possa ritrovare, con tutti i
distinguo del caso, nell’Italia meridionale della fine del secolo XI. Il portale sud
della chiesa di San Benedetto in Brindisi (fig. 14), ritrae un’interessante scena
di caccia eroica. Evidenti sono gli influssi islamico/nord africani sull’immagine
del guerriero, che cinge sul capo un elmo alto munito di nasale corto ed indossa
una sorta di protezione imbottita per il corpo, lunga fino alle caviglie e stretta
alla vita da una cintura.

Fig. 10 – da sx. Chiesa di San Giovanni al Sepolcro di Brindisi, fine sec. XI, inizi XII, portale
settentrionale (foto dell’Autore)©; Fig. 11 – Chiostro del Duomo di Monreale, capitello
raffigurante fanti normanni con spada e scudo recante motivo decorativo ad ‘escarboucle’.
Seconda metà del sec. XII (schizzo eseguito dall’Autore)©.

L’analisi del reperto mostra chiaramente che la veste d’arme in esame è


cucita a linee verticali per tutto il corpo, mentre le maniche sono composte da
fasce orizzontali. Il nostro guerriero dalla lunga barba, è colto nell’atto di
trafiggere una fiera con una lancia corta, la cui asta sembrerebbe ricavata da un

433
A proposito dell’impiego in area normanna dell’usbergo, cfr. K. De Vries, R.
D. Smith, Medieval military technology, cit., p. 64.
~ 102 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

ramo di bamboo434. La presenza di una veste imbottita sul bassorilievo


brindisino deporrebbe dunque per il decisivo influsso sull’artista di una
panoplia saracena ma forse anche in parte bizantina, atteso l’uso che le unità di
fanteria dell’impero facevano di tale indumento. Tornando ora ad occuparci
della cotta di ferro indossata in maniera preponderante dai Normanni, è
interessante notare come l’arazzo di Bayeux la ritragga lunga fino al ginocchio
e dotata di una cuffia ad anelli metallici, stante a formare il cosiddetto usbergo.
Quest’ultimo ha maniche corte e presenta un’ulteriore protezione di maglia di
forma quadrata all’altezza del petto, necessaria probabilmente ad offrire una più
consistente difesa al miles435.

Fig. 12 - Chiostro del Duomo di Monreale. Capitello raffigurante fante leggero armato di spada
a due fili e scudo recante motivo decorativo a ‘escarboucle’ (Foto di Vito Maglie) ©.
Per gentile concessione.

Il cappuccio di maglia poteva essere sostituito anche da un camauro


probabilmente in stoffa pesante o in cuoio436. Entrambe le protezioni lasciavano
tuttavia buona parte del viso scoperto, limitandosi sostanzialmente a proteggere
la parte posteriore del collo. É per tale ragione che nel secolo XII sarebbe stata
aggiunta un’ulteriore difesa anch’essa ad anelli di metallo, in grado di coprire
buona parte del viso, lasciando in evidenza solo gli occhi437.

434
Cfr. D. Nicolle, Arms and armour of the crusading era: 1050-1350, cit., pp.
250-51.
435
Cfr. Musée de la Tapisserie de Bayeux, Centre Guillaume Le Conquérant,
Bayeux, scene 18, 19, 40, 41, 47, 48, 49, 50, 51, 52, 53, 54, 55, 57, 58.
436
Ibidem, scene 19-20.
437
Cfr. D. Nicolle, Arms and armour of the crusading era: 1050-1350, cit., p. 149
e p. 424, 368a, 368c; ivi, 9.151 e p. 426, fig. 378a. 378b.
~ 103 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

Fig. 13 – Cripta di San Biagio, San Vito dei Normanni (Br); Santo militare armato di scudo a
motivi bianchi e rossi, anno 1196 (foto di Giuseppe Marella) ©.
Per gentile concessione.

Fig. 14 – Portale meridionale della Chiesa di San Benedetto in Brindisi.


Scena di Caccia eroica, tardo sec. XI (foto di Giuseppe Marella)©. Per gentile concessione.

Già nel secolo XI dalla parte sinistra dell’usbergo, esattamente


all’altezza della vita, era praticata un’apertura all’interno della quale era
inguainata la spada438. Ciò era necessario ai cavalieri per evitare che l’arma
potesse subire, durante il galoppo, un eccessivo movimento.
Ad ogni modo non tutti adottavano tale metodo, preferendo taluni, fanti
o uomini a cavallo che fossero, cingere il fodero direttamente sulla cotta tramite
cinturone439. Completava l’equipaggiamento normanno la classica spada a
doppio taglio440, nella duplice variante a guarda stretta (fig. 12) e larga, con il

438
Cfr. Musée de la Tapisserie de Bayeux, Centre Guillaume Le Conquérant,
Bayeux, scena 21.
439
Ivi, scene 47, 50, 52.
440
Cfr. H. Zug Tucci, cit., p. 134.
~ 104 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

codolo a semiluna rovesciata. Entrambe le tipologie sono ritratte nella


Tapisserie441 e di quella a guardia larga possediamo un interessante esemplare
originale. Si tratta di un pezzo databile al X-XI secolo, conservato presso il
museo Tessé di Le Mans (rep. 1981.885.9)442. Il reperto presenta il codolo dalla
caratteristica forma a ‘noce brasiliana’, decorato su un lato da un’aquila e
dall’altro da un cane. Lungo una faccia della lama si legge la scritta Ingerii,
presumibilmente il nome di origine scandinava del suo produttore. Non
possediamo purtroppo alcun ritrovamento proveniente dal Mezzogiorno, ma è
indubbio che i Normanni utilizzassero tali tipologie di spade anche nel Sud
Italia, integrando, almeno agli inizi, il loro equipaggiamento con lame
longobarde e bizantine, queste ultime in buona parte recuperate a seguito di
sistematici rastrellamenti sul campi di battaglia. Le fortune militari dei
Normanni nel meridione d’Italia furono scandite dal ruolo decisivo della
fanteria, sulla quale sono state per altro conservate evidenze iconografiche tali,
da consentirci di descriverne gli equipaggiamenti con una certa accuratezza.
Ruolo fondamentale era svolto dagli arcieri per i quali l’iconografia a
noi pervenuta e relativa al sud Italia, risale prevalentemente al secolo XII. In un
capitello del duomo di Monreale possiamo osservare un arciere appartenente
alla fanteria leggera, che indossa una tunica, lunga poco sotto al ginocchio.
Nella mano sinistra costui impugna l’arco, mentre le frecce sono riposte
in una faretra assicurata alla parte destra della vita443.
Tale rappresentazione è per altro speculare a quelle di arcieri presenti
nell’Arazzo di Bayeux, nel quale uno solo di essi compare con indosso l’elmo e
la maglia ferrata che ne copre la figura fino al ginocchio. Anche nella
Tapisserie tali uomini cingono la faretra al fianco, ad eccezione di uno che
invece sembrerebbe indossarla a tracolla444. Una rappresentazione atipica di un
arciere normanno del Sud Italia che indossa la cotta o una protezione lamellare
fino al ginocchio e nessuna protezione per la testa, si ritrova invece sul portale
degli Otto Cavalieri in Bari (fig. 15). La singolarità di tale particolare del
bassorilievo è rappresentata dall’oggettiva difficoltà di individuare con certezza
l’arma impugnata da tale soggetto, che sembrerebbe, a prima vista, un semplice
arco445, mentre Settia riterrebbe di poterla identificare con una balestra446.

441
Cfr. Musée de la Tapisserie de Bayeux, Centre Guillaume Le Conquérant,
Bayeux, scene 9, 10, 12, 22, 37, 46, 50, 51, 53, 54, 55, 56, 57, 58.
442
Cfr. I Normanni. Popolo d’Europa, cit., p. 384, fig. 26-27.
443
Cfr. D. Nicolle, Arms and armour of the crusading era: 1050-1350, cit., p. 490,
fig. 690z.
444
Cfr. Musée de la Tapisserie de Bayeux, Centre Guillaume Le Conquérant,
Bayeux, scena 51.
445
Cfr. D. Nicolle, Arms and armour of the crusading era: 1050-1350, cit., pp.
256-257 e p. 487, fig. 680e.
446
Cfr. A. Settia, cit., p. 133.
~ 105 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

Tuttavia Giovanni Amatuccio, in un saggio relativamente recente, ha suggerito


un’ipotesi suggestiva che ha tenuto conto dei processi di osmosi militare
verificatisi nel meridione d’Italia al tempo dei Normanni. Per il suddetto
studioso l’arma impugnata dalla figura del portale barese sarebbe un arco
provvisto di un congegno noto ai Bizantini con il nome di solenarion, per altro
conosciuto da Arabi e Persiani. Si tratterebbe, nello specifico, di un semplice
tubo di legno cavo, impiegato come riduttore di allungo che, montato sull’arco,
consentiva di scagliare piccoli dardi capaci di sviluppare una gittata superiore
rispetto alle normali frecce e dunque di colpire il nemico a considerevole
distanza447. Purtroppo l’ipotesi avanzata dall’Amatuccio, pur interessante resta
meramente congetturale, attesa l’oggettiva difficoltà di leggere ed interpretare
con chiarezza il frammento scultoreo in esame.

Fig. 15- Portale dei Cavalieri, Chiesa di San Nicola di Bari, sec. XII;
particolare (Foto dell’Autore)®.

Altre testimonianze iconografiche relative ad arcieri nel meridione


d’Italia, ci vengono ad ogni modo da talune miniature presenti nel manoscritto
del De Rebus Siculis di Pietro da Eboli, composto tra la fine del 1194 e il
settembre del 1197448. Le miniature sono complessivamente 53 e furono
realizzate da almeno quattro artisti diversi. In tali rappresentazioni, evidente è

447
Cfr. G. Amatuccio, Studi di storia militare medievale, Milano 2009, pp. 146-48;
Id., Aspetti dell’interscambio di tecnologia militare nel Mezzogiorno normannosvevo, in:
Cultura cittadina e documentazione. Formazione e circolazione di modelli, Bologna 12-13
ottobre 2006, a cura di A. L. Trombetti Budriesi, Bologna 2009, pp. 306-307.
448
Cfr. Petrus De Ebulo, Liber ad honorem Augusti sive de rebus Siculis. Eine
Bilderchronik der Stauferzeit aus der Burgerbibliothek Bern, cit., pp. 12-13.
~ 106 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

l’influsso dell’arte bizantina449 ed è interessante notare come numerose di queste


presentino soggetti di natura militare, atteso il contenuto del manoscritto di
Pietro da Eboli, il quale intense celebrare la campagna di conquista del regno
normanno di Sicilia da parte dell’imperatore Enrico VI di Hohenstaufen.
Poco rileva ai fini esegetici della panoplia tardo-normanna il fatto che
nel De Rebus siano rappresentati gli uomini d’arme di re Tancredi di Altavilla
ed soldati dell’esercito imperiale. Ad eccezione di talune poco significative
differenze, gli equipaggiamenti degli uni appaiono infatti speculari a quelli degli
altri. Anche in tale manoscritto gli arcieri indossano semplici tuniche, cingono
la faretra al fianco e sono armati di archi compositi. Essi sono poi affiancati da
frombolieri, anch’essi appiedati, i quali possiedono due differenti tipologie di
fionde450.
Una è costituita da una fascia presumibilmente di cuoio o di stoffa che
viene utilizzata con la mano destra, mentre la sinistra impugna uno scudo a
goccia. Interessante risulta il sistema di sgancio dell’arma costituito da un
semplice occhiello all’estremità di uno dei lacci, nel quale il tiratore ha inserito
l’indice della mano destra451. Altra tipologia di frombola rappresentata
nell’opera di Pietro da Eboli è costituita dal fustibalo o cazafrustum, ottenuto
assicurando gli occhielli dell’arma ad una lunga verga452.
In tal caso il lancio era eseguito senza roteare l’oggetto ma con un
oscillazione pendolare dell’asta, che imprimeva alla pietra un movimento simile
a quello ottenuto da un mangano. Oltre agli arcieri della fanteria leggera, a
frombolieri semplici e ai fustibali, il De Rebus Siculis mostra anche i balestrieri,
parte integrante della fanteria leggera, poiché privi di qualunque protezione in
maglia per il corpo453.
La balestra fu largamente impiegata per tutto il Medioevo e le prime
testimonianze certe circa il suo utilizzo, risalgono al periodo dell’invasione
normanna d’Inghilterra e quindi agli anni ’60 del secolo XI, per quanto l’arazzo
di Bayeux, ricco di particolari sugli armamenti, non riproduca alcun esemplare
di tale oggetto militare. Anche i Normanni italici ben conoscevano tale arma
ma non abbiamo testimonianze scritte circa il suo effettivo uso anteriori al
1086, a meno di non voler considerare attendibili i riferimenti ad arbaleste ed
ad arbalestiers di Amato di Montecassino, relativi agli anni ’60-70 de secolo

449
Ivi, pp. 275-85.
450
Ivi, f. 110r, 11r, 117r, 131r, 132r, 190r,
451
Ivi, 117r.
452
Ivi, 111r; A. Settia, Comuni in guerra: armi ed eserciti nell'Italia delle città,
Bologna 1993, p. 180.
453
Cfr. Petrus De Ebulo, Liber ad honorem Augusti, cit., ff. 102r, 109r, 116r, 131r.
~ 107 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

XI454. L’anonimo Vaticano che scrive ai tempi di Ruggero II, nel ricordare la
battaglia avvenuta nel 1086 nelle acque di Siracusa fra le truppe di Ruggero I di
Altavilla e l’emiro Bernavert, si sofferma sul fatto che i Normanni furono in
grado di avere la meglio nello scontro, grazie all’uso dell’arco e della balestra,
il cui impiego era completamente ignoto agli Arabi455. L’uso di tale arma non
era del resto solo sconosciuto ai Saraceni di Sicilia ma anche ai Greci che
vivevano sull’altra sponda dell’Adriatico. Anna Comnena ricorda, a tal
proposito, che nel 1096 durante uno scontro navale contro i Normanni di
Salerno agli ordini di Riccardo di Principato, i Bizantini sperimentarono a loro
spese l’efficacia della τζᾶγγρα (tzangra), ovvero della balestra fino a quel
momento ignota agli eserciti costantinopolitani456. La storica bizantina che
appare decisamente stupita da tale congegno, si sofferma ad illustrarne le
caratteristiche tecniche e la estrema pericolosità in combattimento:

[…] Questa balestra è una sorta di arco dei barbari, affatto conosciuto dai
Greci; e non viene teso dalla mano destra tirando la corda, mentre la sinistra tende l'arco
in senso contrario ma colui che carica questa macchina da guerra a lunga gittata […]
spinge entrambi i piedi con forza contro il semicerchio dell’arco mentre, con le due mani,
tira la corda con tutte le sue forze nella direzione contraria.
Nel bel mezzo della corda vi è un incavo, una sorta di bicchiere cilindrico
assicurato alla fune medesima, lungo all’incirca come una freccia di dimensioni
considerevoli che si allunga dalla corda a buona parte del centro dell'arco e, attraverso
di esso, frecce di molti tipi vengono scagliate.
Le frecce utilizzate con questo arco sono leggere e corte, ma molto spesse, dotate
di una punta di ferro assai pesante. E nello scagliarle, la corda le rilascia con violenza ed
enorme forza […] e sono in grado di penetrare attraverso uno scudo, quindi di tagliare
un corsaletto di ferro pesante, uscendo dall’altro lato.
Tale violenza ed ineluttabilità ha lo scagliare frecce di questo tipo. Tale dardo è
noto per la capacita di forare una statua di bronzo, e se colpisce le mura di una città
molto grande la punta della freccia sporge sul lato interno, oppure è sepolta nel bel
mezzo del muro e si perde. Tale è allora questo mostro di una balestra, in verità
un'invenzione diabolica. E l'uomo infelice che è colpito da essa, muore senza sentire
nulla, nemmeno il colpo, per quanto forte esso sia[…]457.

454
Essendo l’opera di Amato pervenutaci solo attraverso una trascrizione francese
del secolo XIV, è più che probabile che il volgarizzatore abbia potuto alterarne il lessico
militare. Cfr. A. Settia, Gli strumenti e la tattica della conquista, cit., p. 131. Sullo stesso
problema, cfr. altresì G. Amatuccio, Aspetti dell’interscambio di tecnologia militare, cit.,
pp. 303-304.
455
Fonte citata da A. Settia, Gli armamenti, Gli strumenti e la tattica della
conquista, cit., p. 132.
456
G. Amatuccio, Aspetti dell’interscambio di tecnologia militare nel Mezzogiorno
normannosvevo, cit., p. 303.
457
Cfr. Anna Comnena, cit., X, 8, pp. 255-56.
~ 108 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

La diffusione della balestra presso le regioni del Sud Italia nel secolo XI
si verificò ad ogni modo rapidamente ed anche gli Arabi che militavano
nell’esercito normanno dovettero utilizzarla, divenendo ben presto esperti nella
fabbricazione stessa dell’arma458. Nella sua dovizia, il De Rebus ci consegna
una serie di raffigurazioni che evidenziano, all’interno dell’esercito normanno,
la differenziazione tra fanteria pesante e leggera. Di un certo interesse sono
infatti due miniature specifiche del manoscritto in questione. La prima racconta
la presa di San Germano da parte di dell’esercito imperiale ed è assai
interessante poiché raffigura alcuni fanti leggeri armati di scudo e di una sorta
di daga che aggrediscono e tentano di disarcionare Dietpold di Sveinshaupt,
infliggendo delle ferite al di lui destriero.
Due delle daghe che potrebbero forse avere qualche addentellato con i
lunghi pugnali presenti in manoscritti greci come ad esempio nel Libro di
Giobbe databile al IX secolo459 quando non addirittura con i sax di derivazione
longobardo-franca, sono provviste di lama diritta mentre il terzo appare come
un pugnale ricurvo, di probabile origine eurasiatica. Interessante è poi
all’interno della medesima miniatura la rappresentazione di due ulteriori fanti,
vestiti di una semplice tunica; uno armato di ascia corta che brandisce con le
due mani, mentre il secondo, che cinge il capo con un turbante di foggia
saracena, viene disarmato da un cavaliere costretto a combattere appiedato,
poiché il suo cavallo era stato abbattuto durante lo scontro460.
L’uso del pugnale suggerisce naturalmente che tali pedites dovevano
essere assai esperti nel combattimento corpo a corpo e soprattutto nel rendere la
vita difficile ai cavalieri che potevano essere attaccati da piccoli gruppi di
costoro, aventi il compito di uccidere i palafreni, per procurare la caduta del
miles.
È infatti noto che i cavalieri, avessero, una volta disarcionati, oggettive
difficoltà a combattere appiedati a causa dell’armamento pesante portato
indosso. Un’autorevole conferma a quanto sopra riportato, ci viene ancora una
volta da Anna Comnena la quale ricorda che durante la prima crociata,
l’imperatore Alessio consigliò ai suoi uomini di attaccare gli irruenti cavalieri
di Boemondo di Altavilla, uccidendone i cavalli con le frecce perché, una volta
privati dei loro animali, i Normanni potevano essere agevolmente catturati461.
Tale escamotage fu per altro adottato nel 1062 a Troina quando i
Saraceni crivellarono di dardi il cavallo di Ruggero I, lasciandolo appiedato ed
in balia dei propri nemici nel bel mezzo della mischia. Ciò costrinse costui a

458
G. Amatuccio, Aspetti dell’interscambio di tecnologia militare nel Mezzogiorno
normannosvevo, cit., p. 303.
459
Cfr. D. Nicolle, The Monreale Capitals, cit., p. 102.
460
Cfr. Petrus De Ebulo, Liber ad honorem Augusti, cit., f. 130r.
461
Cfr. Anna Comnena, cit., XIII, 8, pp. 341-342.
~ 109 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

combattere appiedato ed armato di spada con la quale, scriverà un Malaterra


rapito dall’enfasi del suo stesso racconto, si difese eroicamente uccidendo i
propri avversari, così come la falce miete l’erba462.
Potremmo dunque concludere che alla fine del secolo XII la fanteria
leggera normanna oltre ad arcieri con archi semplici e compositi 463, balestrieri,
frombolieri semplici e fustibali annoverasse anche lancieri armati alla
leggera464, portatori d’ascia corta465 ed uomini armati di lunghi pugnali o di
spada, così come si ricava dall’osservazione del bassorilievo presente sul
portale settentrionale della chiesa di San Giovanni al Sepolcro in Brindisi, già
ampiamente menzionato nella presente trattazione466.
E che la fanteria normanna fosse invero ripartita già dal tardo secolo XI
in pesante e leggera è attestato da Anna Comnena la quale nell’accennare allo
sbarco dei reggimenti normanni in Illiria nel 1081, ricorda che questi erano
composti dalla cavalleria, dalla fanteria e da soldati armati alla leggera 467.
Nel portale brindisino si trova la rappresentazione di un fante normanno
vestito di una sola tunica, con scudo a goccia provvisto di umbone che duella,
spada alla mano, con un saraceno a sua volta armato di spada e protetto da
scudo circolare. Altra rappresentazione di fanti leggeri armati di lancia o spada
e scudo tondo o a goccia, si ritrova ancora all’interno del prezioso scrigno di
Monreale468.
In codesto edificio è altresì possibile ammirare la rappresentazione di
due fanti di origine moresca che impugnano con la destra una spada ricurva,
tipica delle zone delle steppe eurasiatiche, mentre nella sinistra stringono una

462
Quadam itaque die, certamine inito, comes, equo insidens, ut suis succurrat,
sese hostibus medium dedit. Hostes vero, eo cognito, versus eum fortiori impetu transientes,
equum eius spiculis confodiunt; ipsum cum equo, humi deiectum, manibus corripiunt, quasi
taurum ad victimam reluctantem, usque ad sibi tutiorem locum nituntur pertrahere
puniendum. Porro comes, in tanto discrimine positus, pristinarum virium non immemor,
ensem, quo accinctus erat, exercens in modum falcis virens pratum resecantis,
circumquaque impiger vibrando ducens, pluribus interemptis, sola dextra et Dei adiutorio
liberatur: tanta strage de inimicis facta, ut, sicut in condensibus saltibus iacerent a vento
dirupta ligna, sic circumquaque sibi adiacerent hostium ab ipso perempta cadavera.
MALATERRA, II, XXX.
463
Cfr. D. Nicolle, The Monreale Capitals, cit., p. 101.
464
Id., Arms and armour of the crusading era: 1050-1350, cit., p. 259, ivi, fig.
690d.
465
Ivi, p. 490, fig. 690r.
466
Cfr. G. Marella, La chiesa di San Giovanni al Sepolcro di Brindisi, cit., pp. 45-
48.
467
Cfr. Anna Comnena, cit., III, XII, p. 97.
468
Cfr. D. Nicolle, Arms and armour of the crusading era: 1050-1350, cit., p. 491,
fig. 690al, 690am.
~ 110 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

sorta di brocchiere, decorato da leoni469. Altri due guerrieri di colore vestiti di


sola tunica si trovano, sempre nella stessa costruzione siciliana, armati di scudi
tondi e di mazze ferrate470. Monreale ci consegna infine sculture di fanti pesanti
con indosso armature a scaglie di derivazione arabo-bizantina lunghe fino la
vita e spade portate a tracolla471, mentre panoplie del tutto simili possono essere
estrapolate dal mosaico interno alla Cattedrale. In questo vi sono soldati che
indossano corazze lamellari lunghe fin sotto il ginocchio e sono armati di spade
e scudi tondi472. Ad ogni modo le rappresentazioni di guerrieri equipaggiati con
corazze a scaglie non rappresentano una prerogativa esclusiva dell’arte
tipicamente sicula, così come dimostrato dall’osservazione della statua di San
Mercurio di Cesarea473, incastonata nella lunetta del portale romanico della
chiesa di Santa Sofia in Benevento risalente al tardo secolo XII.
In tale edificio il santo che il Longobardi elevarono a protettore di
Benevento474, appare ritratto con la caratteristica corazza di foggia bizantina,
sotto la quale è visibile una cotta di ferro. Completano l’equipaggiamento
braghe di maglia metallica e scudo. Le diverse attestazioni artistiche di guerrieri
con indosso corazze di tal foggia, dovrebbero ulteriormente confermare il
sistematico impiego di tali protezioni da parte di uomini d’arme Greci o
Saraceni che servirono sotto i potentes normanni.
Sul portale nord della chiesa della Martorana di Palermo ritroviamo
infine un’interessante figura di arciere pesante con elmo sprovvisto di nasale e
con indosso una cotta di maglia priva del cappuccio475.
Come osservato da David Nicolle, i capitelli di Monreale rivestono
un’importanza fondamentale nello studio della panoplia normanna della
seconda metà del secolo XII poiché, oltre a dettagliare armamenti tipicamente

469
Id., The Monreale Capitals, cit., p. 92 e p. 101.
470
Cfr. D. Nicolle, Arms and armour of the crusading era: 1050-1350, cit., p. 489,
fig. 690g, p. 490, fig. 690t, 690u.
471
Ivi, p. 491, fig. 690ar, 690as, 690at, 690au; Id., The Monreale Capitals, cit., p.
88.
472
Id., Arms and armour of the crusading era: 1050-1350, cit., p. 493, fig. 695a,
695b, 685c, 695d, 695e, 695f, 695g, 695h, 695i.
473
E non di San Giorgio, come ritenuto da D. Nicolle, The Monreale Capitals, cit.
p. 98 ed in Id., Arms and armour of the crusading era: 1050-1350, cit., p. 257.
Sull’identificazione del santo, cfr. M. Rotili, Museo del Sannio nell'abbazia di Santa Sofia e
nella Rocca dei rettori di Benevento, Roma 1967, p. 16.
474
La locale devozione nei confronti di San Mercurio da parte dei Longobardi, si
può spiegare come interpretazione in chiave cristiana di Wotan, il dio guerriero per
eccellenza delle popolazioni germaniche. Cfr. A. Vuolo, Agiografia beneventana, in:
Longobardia e longobardi nell’Italia meridionale. Le istituzioni ecclesiastiche, a cura di G.
Antenna e G. Ricasso, Milano 1996, pp. 212-213.
475
Cfr. D. Nicolle, Arms and armour of the crusading era: 1050-1350, cit., p. 258,
ivi, p. 489, fig. 689a.
~ 111 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

europei, bizantini ed islamici, ci dicono molto anche sulle truppe al servizio dei
signori che commissionarono la costruzione del monumento siculo476.

Fig. 16 - Chiostro del Duomo di Monreale. Capitello raffigurante fante leggero armato di lancia
ad una mano e di scudo decorato ai bordi con motivi romboidali e provvisto di piccolo umbone.
(Foto di Vito Maglie)©. Per gentile concessione.

Molti furono durante i secoli XI-XII i regni che si servirono di truppe


contestualmente saracene e cristiane, con funzioni di alleati o di milizie
ausiliarie. Pensiamo ad alcuni regni ispanici, al ducato di Napoli, ad alcune
dinastie nel Nord Africa in Egitto ed a Bisanzio. Solo nella Sicilia normanna, i
diversi contingenti costituirono, tuttavia, il nucleo di una forza militare quasi
professionale.
Due furono i gruppi dominanti per eccellenza: il primo costituito dagli
stessi Normanni e il secondo prevalentemente composto da Musulmani che
vivevano nell’ovest della Sicilia. A costoro si unirono poi minoranze composte
dai Greci dimoranti nella parte est dell’isola e gli immigranti longobardi che
annoveravano fra le loro fila membri dell’aristocrazia militare477.
Non può essere poi taciuto, per quanto marginale, l’influsso esercitato
da mercenari di religione islamica reclutati in Africa del nord, fra i quali vi
erano berberi, arabi e uomini dalla pelle scura, così come ampiamente
documentato attraverso l’esegesi delle sculture di Monreale, ma non solo.
L’elite normanna fornì naturalmente il proprio apporto come cavalleria pesante,
mentre i Musulmani furono arruolati come ingegneri militari, come fanti,
cavalieri e come guardie del corpo dei sovrani 478. Chi dunque avesse avuto la
ventura di incontrare in battaglia l’esercito normanno del secolo XII, non

476
Id., The Monreale Capitals, cit., p. 87.
477
Ivi, p. 88.
478
Ivi, pp. 90-91.
~ 112 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

sarebbe di certo rimasto indifferente di fronte al sincretico spettacolo di armi,


stendardi, armature ed etnie, sintesi perfetta di quella magnifica cultura
permeata di Mediterraneo euro-africano e d’Oriente arabo-bizantino, alla quale
i guerrieri di origine franco-scandinava seppero conferire una nuova anima.

~ 113 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

EPILOGO

Le ragioni che spinsero i Normanni della prima metà del secolo XI


all’emigrazione verso il Mezzogiorno d’Italia, furono sostanzialmente
economiche. La terra d’origine era infatti divenuta insufficiente a contenere le
ambizioni di un inquieto milieu militare composto non solo dai cadetti della
media aristocrazia, ma anche da uomini di oscure origini alla ricerca di gloria,
fortuna e di nuove terre da assoggettare.
La conquista nel Sud Italia non fu autorizzata dai duchi di Normandia
ma non venne nemmeno osteggiata, dal momento che questa dovette apparire
agli occhi dell’establishment politico franco-settentrionale, come una magnifica
occasione per affrancarsi delle turbolenze di una consistente fetta della classe
guerriera, la cui ricerca di un posto al sole minacciava costantemente la
sicurezza del paese. I primi Normanni giunsero in Italia in compagnie più o
meno numerose all’interno delle quali essi istituirono una sorta di ‘artigianato
delle armi’, non avendo almeno inizialmente una visione chiara del loro ruolo e
del loro destino nel meridione d’Italia.
Sembra infatti assai probabile che una parte di essi volesse esercitare
una sorta di ‘transumanza militare’, accontentandosi di praticare attività di
mercenariato al soldo di Longobardi e Bizantini, per il tempo necessario al
reperimento di risorse sufficienti a vivere di rendita nella madrepatria.
L’evoluzione del ‘settore’ ebbe a verificarsi a seguito della creazione
della contea di Aversa, evento a seguito del quale i nuovi venuti cominciarono a
maturare una sorta di ‘imprenditorialità della guerra’, pianificando così la
sistematica occupazione delle terre meridionali.
Violenze e brutalità furono perpetrate non solo a danno dei loro
avversari sul campo di battaglia, ma anche a discapito dei civili, nella certezza
che la tattica del terrore avrebbe agevolmente piegato ogni forma di resistenza
all’occupazione. La familiarità con la ferocia, l’assassinio e con la devastazione
di terre e raccolti, divennero così l’imprescindibile cartina da tornasole della
conquista.
La pianificazione di questa vide protagonisti dodici capi carismatici,
designati sulla base delle abilità militari, le medesime esaltate nel Beowulf, nell’
Hildebrandslied e nella poesia eroica di ispirazione carolingia, dalla quale i
Normanni del secolo XII trassero il loro evemeristico Valhöll eroico, popolato
di leggendari paladini, le cui gesta essi tentarono costantemente di emulare. Fra
i dodici condottieri numerosi erano coloro i quali avevano combattuto contro ed
a fianco dei Bizantini, in qualità di mercenari, imparando a conoscere virtù e
carenze dei loro eserciti.

~ 114 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

In ciò furono aiutati dall’esperienza militare dei Longobardi (che


avevano lungamente lottato contro Bisanzio), non disdegnando tuttavia il più
che probabile studio della ricca manualistica militare prodotta in ambito tardo
romano e bizantino, attraverso la quale essi cercarono di assimilare al meglio le
tattiche dei condottieri greci.
Per quanto poi criticassero in apparenza la decadenza della cultura
costantinopolitana, i cavalieri del Nord divennero gli ammirati estimatori della
sua poliedricità, che si espresse in larga misura anche nel campo militare. Dai
Greci dimoranti nel meridione d’Italia i Normanni appresero infatti i rudimenti
della poliorcetica, ovvero di quell’arte ossidionale che in Enea Tattico (IV
secolo a.C.), Demetrio Poliorcete (336 a.C.-283 a.C.), Bitone (III secolo a.C.),
Erone di Alessandria (10 ca.-75 ca.), Apollodoro di Damasco (II secolo) ed
Erone di Bisanzio (X secolo), aveva trovato i suoi massimi esperti e teorici. Pur
discendendo da un ‘popolo acquatico’ come quello vichingo, i guerrieri del
Nord avevano quasi completamente dimenticato l’arte della navigazione, che
riscoprirono solo grazie all’aiuto dei marinai bizantini residenti nel
Mezzogiorno.
Una volta assimilate e metabolizzate tecniche belliche fino a quel
momento sconosciute, i ‘nostri’ Normanni si premurarono di condividerle con i
loro compatrioti francesi, confermando in tal modo il legame ancora saldo che
essi avrebbero, ancora per lungo tempo, conservato con la terra natia. Ed ecco
che nell’organizzare il trasferimento delle sue truppe in Inghilterra per
compierne l’invasione, Guglielmo il Conquistatore predispose un certo numero
di navi per il trasporto dei cavalli, secondo il metodo che era stato appreso
proprio nel Mezzogiorno dai navigatori greci. E mentre combattevano
instancabilmente per assoggettare al loro dominio il meridione d’Italia, gli
homines boreales finirono per edulcorare la ruvidezza della loro Normannitas,
piegandosi inconsciamente a un orizzonte multiculturale di vetusto blasone, del
quale avvertirono inevitabilmente il peso psicologico.
Già nella prima metà del sec. XII, essi avevano del resto subito una
significativa trasformazione negli usi e nei costumi, pur continuando a
cavalcare lungo quel Bifrost intessuto di algide leggende epiche ed eroiche, le
cui suggestioni talora impedivano loro di abbandonarsi senza riserve
all’abbacinante calore ed all’azzurro intenso delle terre del Sud. Per quanto
ammirassero le imprese di Carlo Magno e dei suoi paladini nella lotta contro
l’Islam, i ‘nostri’ Normanni restarono tuttavia in buona parte indifferenti alla
retorica delle crociate, strumentalizzandone le spedizioni militari al solo scopo
di accrescere la loro capacità di espansione territoriale nel Mediterraneo.
D’altro canto essi ben conoscevano ed ammiravano la magnificenza
della cultura islamica, con la quale erano entrati presto in contatto a seguito
delle spedizioni belliche in Sicilia. I Normanni non ebbero perciò remora

~ 115 ~
L’esercito normanno nel meridione d’Italia

alcuna a servirsi del sostegno armato di soldati di fede islamica, che andarono a
costituire il nerbo più fedele delle loro truppe.
Se dunque è pur vero che la propaganda religiosa permeò fortemente la
letteratura eroica secolare contribuendo ad acuire lo iato fra occidente cristiano
ed oriente musulmano, è altrettanto vero che gli ex homines boreales si
guardarono bene da esacerbare i conati propagandistici di una Chiesa ‘militante
e militarista’, limitandosi ad estrapolare dall’epica quei modelli di valore e di
coraggio ai quali ispirare le loro azioni.
E se numerosi edifici sacri di età normanna del sud Italia, dalla Puglia
alla Sicilia, divennero i preziosi contenitori di opere artistiche che ritraevano
combattimenti tra Cristiani e Saraceni, ciò non fu necessariamente l’espressione
di una volontà di elevare il tono dello scontro fra culture che, al contrario,
furono capaci di coesistere pacificamente e prosperare. Evidenze in gran parte
scultoree presenti in area sicula (ma non solo), ci consegnano splendidi esempi
di come, a fianco agli armamenti di origine franco-settentrionale, fossero
largamente impiegate, nella seconda metà del secolo XII, panoplie di origine
greco-saracena e come guerrieri normanni combattessero al fianco di uomini
dalla pelle scura e di Bizantini che non rinunciavano alle loro armature a
scaglie o ai loro klibanion, realizzando, pur con tutti le cautele del caso, quel
processo di integrazione che transitò non solo attraverso il semplice
interscambio culturale, ma attraverso la condivisione di un comune destino di
sangue, di gloria e di morte sui campi di battaglia.

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Crediti delle Illustrazioni

Foto nr. 1; Katja Zaccheo©.


Foto nr. 2; Cristian Guzzo©.
Foto nr. 3: Giuseppe Marella©.
Foto nr. 4; Cristian Guzzo©.
Foto nr. 5; Cristian Guzzo©.
Foto nr. 6; Mauro Piergligli ed Associazione Culturale Italia Medievale©, in:
http://www.medioevo.org/artemedievale/Pages/Molise/Matrice.html
Foto nr. 7; Katja Zaccheo©.
Foto nr. 8; Mauro Piergligli ed Associazione Culturale Italia Medievale©, in:
http://www.medioevo.org/artemedievale/Pages/Campania/ChiostroSantaSofia.html
Foto nr. 9; Katja Zaccheo©.
Foto nr. 10; Cristian Guzzo©.
Foto nr. 11; Cristian Guzzo©.
Foto nr. 12; Vito Maglie©.
Foto nr. 13; Giuseppe Marella©.
Foto nr. 14; Giuseppe Marella©.
Foto nr. 15; Cristian Guzzo©.
Foto nr. 16; Vito Maglie©.

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L’esercito normanno nel meridione d’Italia

INDICE

Introduzione………………………………………………………….………p. 5;

Premessa dell’Autore……………………………………..……………….…p. 7;

Capitolo I; Presupposti spirituali ed ‘emozionali ‘per la conquista normanna del


Mezzogiorno d’Italia……………………………………………..…….….…p. 9;

Capitolo II; I primi Normanni fra strenuitas e feritas;

1- Gli esordi: successi ed amare disillusioni………………..……...……..p. 18;

2- Olivento, Montemaggiore, Montepeloso:‘scuole di guerra’ a confronto


……………………………………………………………………………....p. 31;

Capitolo III; Origini e sviluppo dell’arte militare normanna;

1- Assedi statici e dinamici; la nascita della forza navale normanna.


L’assedio ‘perfetto’ di Palermo…………………………………………p. 43;

2- L’arruolamento dei Saraceni di Sicilia…………….……………………p. 61;

3- Gli Homines boreales nell’epica romanza: etica cavalleresca e cavalleria


etica nel Sud Italia…………………………………………………….....p. 65;

4- Organizzazione dell’esercito ed assetto difensivo nel Regnum Sicilie;


la battaglia di Brindisi………………………………………..………....p. 74;

Capitolo IV; La panoplia normanna fra i secoli XI e XII……….……....…...p. 88;

Epilogo…………………………………………………………………..…...p. 114;
Bibliografia…………………………………………………………….…….p. 117;
Crediti delle illustrazioni…………………………………………...….……..p. 126;
Indice…………………………………………….…………………………...p. 127.

~ 127 ~
_________________________________________________________________________

Finito di stampare nel luglio 2013


Presso Universal Book srl – Rende (CS)

2013- Rotary International Club Brindisi Appia Antica Edizioni

Cristian Guzzo©

Stamapto in UE – Imprimè en UE – Printed in EU


All rights reserved©

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