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WOLFGANG AMADEUS MOZART

nome di battesimo Joannes Chrysostomus Wolfgangus Theophilus


Mozart
Compositore, pianista, organista e violinista austriaco
(Salisburgo, 27 gennaio 1756 – Vienna, 5 dicembre 1791)

1
A Mozart è universalmente riconosciuta la creazione di opere
musicali di straordinario valore artistico ed è annoverato tra i più grandi
geni della storia della musica, dotato di raro e precoce talento.
Morì all'età di trentacinque anni, lasciando pagine indimenticabili di
musica classica di ogni genere, tanto da essere definito dal Grove
Dictionary come "il compositore più universale nella storia della musica
occidentale": la sua produzione comprende musica sinfonica, sacra, da
camera e opere di vario genere.
La musica di Mozart è considerata la "musica classica" per eccellenza,
egli è infatti il principale esponente del "Classicismo" settecentesco, i cui
canoni principali erano l'armonia, l'eleganza, la calma imperturbabile e
l'olimpica serenità.
Mozart raggiunge nella sua musica divina vertici di perfezione
adamantina, celestiale e ineguagliabile, tanto che il filosofo Nietzsche lo
considererà il simbolo dello "Spirito Apollineo della Musica", in
contrapposizione a Wagner, che Nietzsche definirà l'emblema dello
"Spirito Dionisiaco della Musica".

Il nome
I quattro nomi assegnati ad Amadeus ebbero queste origini:
 Joannes Chrysostomus, in onore di san Giovanni Crisostomo in
quanto la sua festa cadeva proprio il 27 gennaio.
 Wolfgangus, (ovvero "camminare come un lupo") scelto per via
della sua discendenza materna (il nonno si chiamava Wolfgang
Nikolaus Pertl 1667 - 1724)
 Theophilus in onore del padrino, Johann Theophilus Pergmayr,
commerciante e consigliere civico.
Anche se da bambino il padre lo soprannominava Wolfer in seguito
venne prima chiamato Amadeus (che è la traduzione latina del greco
Theophilus, cioè letteralmente "Colui che ama Dio" o anche "Colui che è
amato da Dio"), e successivamente (dal 1771) Amadè; da notare che il
padre Leopold nei primi anni usò anche - in alcune lettere - la versione

2
tedesca del nome, cioè Gottlieb. Mozart aveva una certa insofferenza per
le desinenze "us" finali dei suoi nomi, tanto che scherzosamente firmava
alcune sue lettere come Wolfgangus Amadeus Mozartus.
Wolfgang Amadeus Mozart nacque al numero 9 di Getreidegasse a
Salisburgo, capitale dell'arcidiocesi di Salisburgo, all'epoca territorio
sovrano appartenente al Sacro Romano Impero nel Circolo Bavarese
(attualmente austriaco). Wolfgang fu battezzato il giorno dopo la sua
nascita presso la cattedrale di San Ruperto.

LA CASA NATALE

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La notizia della nascita di Wolfgang venne data dal padre Leopold in una
lettera del 9 febbraio 1756 ad un amico di Augusta, Johann Jakob Lotter:
« Ti informo che il 27 gennaio, alle otto della sera, la mia cara moglie
ha dato felicemente alla luce un bambino. Si era dovuta rimuovere la
placenta e perciò ella era estremamente debole. Ora invece, grazie a
Dio, sia il bimbo che la madre stanno bene. Il bambino si chiama
Joannes Chrysostomus, Wolfgang, Gottlieb. »
I genitori di Wolfgang avevano quasi la stessa età (la madre differiva dal
marito di un solo anno) ed erano personaggi attivi dell'epoca: il padre
Leopold, compositore ed insegnante di musica, ricopriva l'incarico di
vice Kapellmeister presso la corte dell'arcivescovo Anton Firmiane; la
madre Anna Maria Pertl (1720- 1778) era figlia di un prefetto.
Dei numerosi figli di Leopold e Anna Maria, Wolfgang a parte, l'unica
non morta nell'infanzia era la sorella maggiore Maria Anna (1751–1829),
detta Nannerl o Nannette.
Il bambino dimostrò un talento per la musica tanto precoce quanto
straordinario, un vero e proprio bambino prodigio: a tre anni batteva i
tasti del clavicembalo, a quattro suonava brevi pezzi, a cinque
componeva. Esistono vari aneddoti riguardanti la sua memoria
prodigiosa, la composizione di un Concerto all'età di cinque anni, la sua
gentilezza e sensibilità, la sua paura per il suono della tromba. Inoltre
sviluppò fin da bambino l'orecchio assoluto.
Quando non aveva neppure sei anni, il padre portò lui e la sorella, pure
assai brava, a Monaco, affinché suonassero per la corte dell'Elettore
bavarese; alcuni mesi dopo essi andarono a Vienna, dove furono
presentati alla corte imperiale e in varie case nobiliari.
"Il miracolo che Dio ha fatto nascere a Salisburgo" era la definizione che
Leopold dava di suo figlio e pertanto egli si sentiva in dovere di far
conoscere il miracolo a tutto il mondo (e magari di trarne qualche
profitto).
Verso la metà del 1763 egli ottenne il permesso di assentarsi dal suo
posto di vice Kapellmeister presso la corte del principe vescovo di
Salisburgo. Tutta la famiglia intraprese così un lungo viaggio, che durò
più di tre anni. Essi toccarono quelli che erano i principali centri musicali
dell'Europa occidentale: Monaco, Augusta, Stoccarda, Mannheim,
4
Magonza, Francoforte, Bruxelles e Parigi (dove soggiornarono il primo
inverno), poi Londra (dove rimasero per ben quindici mesi), quindi di
ritorno attraverso L'Aja, Amsterdam, Parigi, Lione, la Svizzera e infine
arrivando a Salisburgo nel novembre 1766.

IL PADRE LEOPOLD MOZART

5
Mozart suonò nella maggior parte di queste città, da solo o con la sorella,
ora presso una corte, ora in pubblico, ora in una chiesa. Le lettere che
Leopold scrisse ad amici di Salisburgo raccontano l'universale
ammirazione riscossa dai prodigi di suo figlio.
A Parigi essi incontrarono molti compositori tedeschi e in questa città
furono pubblicate le prime composizioni di Mozart (Sonate per
clavicembalo e violino, dedicate a una principessa reale; cfr. K.V 6-9).
A Londra essi conobbero, tra gli altri, Johann Christian Bach, il figlio più
giovane di Johann Sebastian e una delle figure di primo piano della vita
musicale londinese: sotto la sua influenza, Mozart compose le sue prime
Sinfonie (K.V 16, K.V 19 e K.V 19a). Un'altra Sinfonia seguì durante il
soggiorno a L'Aja, nel viaggio di ritorno (K.V 22).
Dopo poco più di nove mesi trascorsi a Salisburgo, i Mozart partirono
per Vienna nel settembre 1767, dove restarono per quindici mesi, escluso
un intervallo di dieci settimane trascorse a Brno (Brünn) e Olomuc
(Olmütz) durante un'epidemia di vaiolo.
Mozart compose un Singspiel tedesco in un atto, Bastien und Bastienne
(K.V 50), che fu rappresentato privatamente. Maggiori speranze furono
riposte nella prospettiva di vedere rappresentata nel teatro di corte
un'opera buffa italiana, La finta semplice (K.V 51): tali speranze
andarono però deluse, con grande indignazione di Leopold.
Una grande Messa solenne (probabilmente K.V 139) fu invece eseguita
alla presenza della corte imperiale in occasione della consacrazione della
chiesa dell'Orfanotrofio. La finta semplice venne rappresentata l'anno
seguente, 1769, nel palazzo dell'arcivescovo a Salisburgo. In ottobre
Mozart fu nominato Konzertmeister onorario presso la corte
salisburghese.
Appena tredicenne, Mozart aveva acquisito una notevole familiarità con
il linguaggio musicale del suo tempo. Le prime Sonate di Parigi e
Londra, i cui autografi includono l'ausilio della mano di Leopold,
mostrano un piacere ancora infantile nel modellare le note e la tessitura
musicale.
Ma le Sinfonie di Londra e de L'Aja attestano la rapida e originale
acquisizione da parte di Mozart della musica che aveva incontrato.
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Analoghe dimostrazioni provengono dalle Sinfonie composte a Vienna
(come K.V 43 e, specialmente, K.V 48), caratterizzate da una tessitura
più ricca e da uno sviluppo più approfondito. La sua prima opera italiana,
poi, mostra un veloce apprendimento delle tecniche dello stile buffo.

LA MADRE ANNA MARIA PERTL

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Mozart in Italia
« La nostra musica da chiesa è assai differente di quella d'Italia, e
sempre più, che una Messa con tutto il Kyrie, Gloria, Credo, la Sonata
all'Epistola, l'offertorio ò sia Mottetto, Sanctus ed Agnus Dei ed anche
la più Solenne, quando dice la Messa il Principe stesso non ha da
durare che al più longo tre quarti d'ora. Ci vuole uno studio particolare
per questa sorta di composizione, e che deve però essere una Messa
con tutti strumenti - Trombe di guerra, Tympani etc. »
(Wolfgang Amadeus Mozart, 1776)
Dal 1769 al 1773 Wolfgang effettuò con il padre tre viaggi in Italia,
durante i quali suonò ed ascoltò musica nelle varie città, con alcuni,
pochi momenti di semplice svago.
Primo viaggio (1769-1770):
 dicembre 1769: Bolzano, Trento e Verona;
 gennaio 1770: Mantova, Cremona e Milano;
 marzo 1770: Lodi, Parma, Bologna e Firenze;
 aprile 1770: Roma;
 maggio 1770: Napoli, da cui va in gita a Pozzuoli, Baia, Pompei,
Ercolano e Caserta;
 giugno 1770: Roma;
 luglio 1770: Spoleto, Loreto, Ancona, Senigallia, Pesaro, Rimini,
Bologna;
 ottobre 1770: Milano;
 gennaio 1771: Torino e Milano;
 febbraio 1771: Verona, Vicenza, Padova, Venezia;
 marzo 1771: Padova, Verona, Salisburgo.

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Secondo viaggio:
 agosto 1771: Rovereto, Ala, Verona, Brescia, Milano;
 dicembre 1771: Brescia, Verona, Ala, Bressanone, Salisburgo.
Terzo viaggio:
 ottobre 1772: Bressanone, Trento, Rovereto, Ala
 novembre 1772: Verona, Milano
 marzo 1773: Verona, Trento, Bressanone, Salisburgo.

Primo viaggio
I soggiorni milanesi diventeranno un'importante esperienza
formativa: Mozart (talvolta chiamato "Volgango Amadeo") rimarrà a
Milano complessivamente per quasi un anno della sua breve vita.
Incontrò musicisti (Johann Adolph Hasse, Niccolò Piccinni, Giovanni
Battista Sammartini, Johann Christian Bach e forse anche Giovanni
Paisiello), cantanti (Caterina Gabrielli) e scrittori (Giuseppe Parini, che
scrisse per lui alcuni libretti).
Hasse rimase molto colpito dalle capacità del ragazzo, tanto che disse:
« Questo ragazzo ci farà dimenticare tutti. »
Lasciò Milano il 15 marzo 1770, per tornarci più volte. Arrivato a Lodi,
sulla strada per Parma, scrisse le prime tre parti, Adagio, Allegretto e
Minuetto, del Quartetto K.V80, completato con il Rondò che scriverà più
tardi, forse a Vienna (1773) o a Salisburgo (1774). Tornerà a Milano per
rappresentare le sue opere liriche. L'ultima a debuttare in un teatro
italiano fu il Lucio Silla, nel 1772.
Un altro importante soggiorno fu quello di Bologna (in due riprese, da
marzo ad ottobre 1770). Ospite del conte Gian Luca Pallavicini, ebbe
l'opportunità di incontrare musicisti e studiosi (dal celebre castrato
Farinelli ai compositori Vincenzo Manfredini e Josef Mysliveček., fino
allo storico della musica inglese Charles Burney e padre Giovanni
Battista Martini). A Parma ebbe l'occasione di assistere ad un Concerto
privato della celebre soprano Lucrezia Agujari, detta La Bastardella.
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Amadeus prese lezioni di contrappunto da padre Martini e sostenne
l'esame per l'aggregazione all'Accademia Filarmonica di Bologna (allora
titolo ambitissimo dai musicisti europei). Il difficile e rigido esame
dell'ancora giovane Mozart non fu particolarmente brillante, ed esistono
prove del fatto che lo stesso Martini lo abbia aiutato in sede d'esame per
favorirne la promozione.

IL CASTRATO FARINELLI

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A riprova del travagliato esito, infatti, del cosiddetto compito di Mozart
esistono oggi ben tre copie, le prime due esposte al Museo internazionale
e biblioteca della musica e quella "definitiva" all'Accademia Filarmonica
di Bologna.
A Roma Mozart dà una straordinaria prova del suo genio: ascolta nella
Cappella Sistina il Miserere di Gregorio Allegri e riesce nell'impresa di
trascriverlo interamente a memoria dopo solo due ascolti. Si tratta di una
composizione a nove voci, apprezzata a tal punto da essere proprietà
esclusiva della Cappella pontificia, tanto da essere intimata la scomunica
a chi se ne fosse impossessato al di fuori delle mura vaticane. L'impresa
ha un carattere sbalorditivo, se si pensa all'età del giovanissimo
compositore e alla incredibile capacità mnemonica nel ricordare un brano
che riassume nel proprio finale ben nove parti vocali.
Dopo tale impresa i salisburghesi si recarono a Napoli, dove
soggiornarono per sei settimane e dove la proverbiale scaramanzia
partenopea additava all'anello che portava il compositore al dito la genesi
delle sue incredibili capacità musicali, tanto da costringerlo a toglierselo.
Ma a parte la scaramanzia, Napoli nel 1770 era la Capitale della Musica
oltre che quella di un Regno, e i Mozart ebbero modo di sondare il
terreno della produzione musicale napoletana. Amadeus era attratto dagli
innovatori della musica a Napoli: Traetta, Cafaro, Francesco De Majo e
principalmente Paisiello.
Da Paisiello - secondo Abert - il giovane Mozart doveva apprendere
diversi aspetti "[...] sia per i nuovi mezzi espressivi sia per l'uso
drammatico-psicologico degli strumenti. Mozart a Napoli viene ad
imparare, tuttavia la città lo ignora, nonostante i positivi riscontri ottenuti
dai Mozart durante il soggiorno a Bologna e a Roma.
Ferdinando IV di Borbone, all'epoca diciottenne, non lo riceve a corte se
non in una visita di cortesia presso la Reggia di Portici. Per Mozart non
arriva nessuna scrittura nei Teatri napoletani, nessun concerto alla corte
della Capitale della Musica.
La qualità e la quantità della musica prodotta a Napoli induce il padre
Leopold in una lettera al figlio del 23 febbraio del 1778 ad affermare:
"Adesso la questione è solo: dove posso avere più speranza di emergere?
forse in Italia, dove solo a Napoli ci sono sicuramente 300 Maestri [...] o

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a Parigi, dove circa due o tre persone scrivono per il teatro e gli altri
compositori si possono contare sulle punte delle dita?"

JOHAN ADOLPH HASSE

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Il viaggio di ritorno verso la casa natia iniziò con una nuova sosta a
Roma, dove papa Clemente XIV gli conferì lo Speron d'oro. Indi
lasciarono Roma per recarsi sulla costa adriatica, fermandosi ad Ancona
e Loreto; questo soggiorno colpì il giovane Mozart, tanto che, subito
dopo il ritorno, scrisse una composizione sacra dedicata alla Madonna di
Loreto dal titolo Litaniae Lauretanae Beatae Mariae Virginis, e seguita
tre anni più tardi, nel 1774, da una seconda.
Tornò quindi a Bologna, dove come detto sopra, Mozart sostenne l'esame
all'Accademia, e giunsero poi a Milano dove Wolfgang sperò di rimanere
come compositore di corte, ma le sue aspettative furono frustrate da
Maria Teresa d'Austria. A marzo del 1771 i Mozart tornarono a
Salisburgo, dove vi rimarranno fino ad agosto, quando ripartiranno per
un secondo viaggio in Italia, di quattro mesi.

Secondo e terzo viaggio in Italia


A Milano in ottobre viene rappresentata l'opera Ascanio in Alba su
libretto di Giuseppe Parini per celebrare le nozze dell'Arciduca
Ferdinando d'Asburgo-Este d'Austria con la Principessa Maria Beatrice
Ricciarda d'Este di Modena.
Nel dicembre dello stesso anno Wolfgang con suo padre torna nella città
natale.
Il terzo e ultimo viaggio in Italia durò dall'ottobre del 1772 fino al marzo
del 1773, periodo in cui di rilievo è la composizione e la
rappresentazione dell'opera Lucio Silla a Milano.
Dopo un iniziale insuccesso, questa opera seria divenne ancora più
rappresentata e apprezzata della precedente e applaudita Mitridate, re di
Ponto, su libretto di Cigna-Santi basato sull'omonima opera francese di
Racine tradotta dal Parini, e diretta dallo stesso Mozart per la stessa città
nel 1770.

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Mannheim e Parigi
Doveva essere chiaro, non solo a Wolfgang ma anche a suo padre,
che una piccola corte provinciale come quella salisburghese non era un
posto adatto a un genio del suo calibro.
Nel 1777 egli chiese all'arcivescovo il permesso di assentarsi da
Salisburgo e, accompagnato dalla madre, partì alla ricerca di nuove
opportunità. La corrispondenza tenuta con suo padre nel corso dei sedici
mesi di viaggio non solo fornisce informazioni su cosa Mozart facesse,
ma getta una vivida luce sul cambiamento nelle loro relazioni. Wolfgang,
ora ventunenne, sentiva sempre più il bisogno di affrancarsi dalla
dominazione paterna, mentre le ansietà di Leopold circa il loro futuro
assumevano dimensioni patologiche.
Mozart e la madre si recarono in primo luogo a Monaco, dove l'Elettore
rifiutò cortesemente di offrire a Mozart un posto presso la sua corte.
Quindi essi andarono ad Augusta, facendo visita ai parenti paterni; qui
Wolfgang iniziò una vivace amicizia con la cugina Maria Anna Thekla
(con la quale in seguito tenne una corrispondenza piena di umorismo
allegro e osceno).
Alla fine di ottobre Mozart e la madre giunsero a Mannheim, la cui corte
dell'Elettore Palatino era una delle più famose ed evolute in Europa sul
piano musicale. Mozart vi soggiornò per più di quattro mesi, sebbene
comprendesse presto che neppure lì c'era posto per lui. Egli divenne
amico di vari musicisti di Mannheim, insegnò musica e suonò, si
innamorò di Aloysia Weber, un soprano, seconda delle quattro figlie di
un copista di musica.
Compose varie Sonate per pianoforte, alcune con accompagnamento di
violino. Prospettò al padre un progetto di viaggio in Italia con i Weber;
tale proposta, del tutto irresponsabile, fu respinta da Leopold con una
replica adirata, che citava il motto di Cesare Borgia: "Via, a Parigi! e
che tu possa presto trovare il tuo posto tra i grandi uomini: aut Caesar
aut nihil".
Il piano prevedeva che Wolfgang dovesse andare da solo nella capitale
francese, ma poiché il padre non aveva grande fiducia nelle capacità
amministrative del figlio, decise che dovesse essere ancora
accompagnato dalla madre. Essi raggiunsero Parigi verso la fine di marzo
14
del 1778 e Mozart trovò ben presto da lavorare. Il suo risultato più
importante è la Sinfonia (KV 297) composta per i Concerts spirituels,
una brillante composizione in Re maggiore con la quale egli soddisfece il
gusto del pubblico parigino con grandi sfoggi orchestrali, senza però
sacrificare l'unità della composizione.

LA SORELLA NANNERL

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Il giorno della prima della Sinfonia, il 18 giugno, sua madre era
seriamente malata. Anna Maria Pertl coniugata Mozart, morì il 3 luglio
1778 e fu sepolta nel cimitero di Saint Eustache; al suo funerale erano
presenti solo il figlio Wolfgang e l'amico Heina.
Mozart scrisse dapprima a Leopold parlando di una grave malattia, e nel
contempo scrisse un'altra lettera a un amico di Salisburgo, l'abate Franz
Joseph Bullinger, chiedendogli di preparare il padre alla triste notizia.
Wolfgang andò quindi ad abitare con Friedrich Melchior, barone von
Grimm, un amico tedesco.
Poco tempo dopo Grimm scrisse a Leopold parlando pessimisticamente
delle prospettive di Wolfgang a Parigi. Leopold negoziò pertanto con
l'arcivescovo la riassunzione del figlio alla corte di Salisburgo, con il
ruolo di organista. Richiamato a casa, Wolfgang, sia pure riluttante,
obbedì e si diresse verso la città natale, passando per Mannheim, dove fu
accolto freddamente da Aloysia Weber. Alla metà di gennaio del 1780
egli era di nuovo a Salisburgo.

Rottura con l'Arcivescovo e partenza per Vienna


Wolfgang tornò quindi assai contrariato nella sua città natale: con
la morte della madre e la presa di coscienza delle proprie capacità
musicali, egli aveva sempre più voglia di poter viaggiare e confrontarsi
con le nuove realtà culturali, cose che sicuramente la piccola e
provinciale Salisburgo non poteva offrirgli. A Salisburgo egli era alle
dipendenze, come del resto il padre Leopold, della Corte Arcivescovile,
Leopold come vice-direttore di cappella, Wolfgang come organista.
A Wolfgang, tuttavia, questa occupazione andava stretta: mentre per il
padre era importante che il figlio potesse consolidare sempre più la
propria posizione di dipendente con uno stipendio fisso, Wolfgang
aspirava a qualcosa di più, forse ad essere un artista completamente
libero. In questo senso Mozart era veramente figlio del suo tempo,
dell'epoca che avrebbe cioè portato alla Rivoluzione Americana e alla
Rivoluzione Francese.
A causa di tale sete di libertà, Wolfgang cominciò ad avere dissidi
sempre più frequenti col padre (che vedeva in lui un degno successore

16
per un incarico ben stipendiato alla corte locale), ma soprattutto con
l'Arcivescovo di Salisburgo Hieronymus von Colloredo, al quale spesso
le biografie su Mozart dedicano giudizi ingrati. Di sicuro egli, che può
essere definito a ben vedere un degno rappresentante del Dispotismo
illuminato (aveva un busto di Voltaire nella sua residenza), non capì di
aver un genio al proprio servizio ma è anche vero, però, che Mozart
domandasse sempre più di frequente licenze straordinarie e sempre più
lunghe, cosa che Colloredo, ovviamente, mal sopportava.
Ciò, in modo inevitabile, non poteva che portare a una rottura tra i due.
L'occasione arrivò presto. Grazie ai contatti con i Weber, a Wolfgang
venne commissionata un'opera, Idomeneo, ossia Ilia ed Idamante, da
rappresentarsi a Monaco. Convinto di poter accattivarsi con questa il
favore della Corte, Mozart si gettò nella composizione con entusiasmo, e
alla fine del 1780 era nella capitale bavarese. Il 29 gennaio 1781
Idomeneo andò in scena con successo trionfale, tanto che ne vennero
disposte numerose repliche; nello stesso periodo, l'Imperatrice Maria
Teresa moriva, e l'Arcivescovo Colloredo si recò a Vienna per i funerali.
Questi fatti "costrinsero" Wolfgang a rimanere più del dovuto fuori sede
e a raggiungere il suo padrone nella capitale austriaca: ufficialmente per
ricongiungersi a lui e scusarsi, in realtà con lo scopo di farsi assumere dal
nuovo Imperatore Giuseppe II, cosa che però non accadde. Solo nel 1787
Mozart sarà nominato compositore di corte, incarico modesto seppur
retribuito con 800 fiorini l'anno (Gluk ne aveva presi quattromila).
Le cose non andarono bene per Mozart, nel senso che l'Arcivescovo,
stizzito per il suo comportamento, lo fece letteralmente buttare fuori dal
palazzo dal suo Camerlengo con una "storica" pedata nel fondoschiena.
A nulla valsero le suppliche di papà Leopold al risoluto porporato: il
figlio, licenziato, rimase a Vienna con l'intenzione di vivere come libero
artista, cioè senza impieghi fissi pur componendo musica per la Corte.
Mozart rimarrà nella capitale austriaca, salvo brevi periodi, per il resto
della sua vita, componendovi le sue musiche migliori e morendovi
giovane, senza conoscere mai il vero successo.

17
Mozart massone
Mozart entrò nella Massoneria proprio dopo la partenza per
Vienna, mentre la sua carriera di musicista era al culmine del successo.
Venne iniziato come apprendista il 14 dicembre 1784, nella Loggia “La
Beneficenza” di Vienna.

IL LIBRETTISTA GIUSEPPE PARINI

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Il compositore, in poco tempo, percorse tutto il cammino iniziatico della
massoneria “bruciando le tappe”: nel marzo del 1785 fu elevato al grado
di Compagno e il mese successivo, il 22 aprile, divenne Maestro. Nel
frattempo, anche suo padre Leopold venne iniziato ai misteri della Libera
Muratoria.
L'appartenenza massonica di Mozart non fu per adesione formale, ma
trasse fondamento in profondi convincimenti esoterici e spirituali, che
egli tradusse in musica, nelle Opere che più si riallacciano ai simboli e
agli ideali massonici: fra questi, resta impareggiabile la simbologia del
“Flauto Magico”. Simbolico anche il carattere di progressione delle terze
parallele, che contraddistingue la parte finale dell'opera K.623. Il
carattere massonico, poi, è impresso pure nella tonalità (con predilezione
di Mi bemolle) e nei timbri, dove è predominante la presenza di
strumenti a fiato e voci maschili.
All'universo della musica massonica apparterrebbero, fra le altre opere,
la “Cantata K.471” del 1785, “L'Adagio” per 2 clarinetti e 3 corni di
bassetto K.411 dello stesso anno e la “Musica Funebre Massonica”
K.477 (pure questa del 1785), oltre alla “Piccola Cantata Massonica”
K.623 del 1791.

Malattia e morte
Mozart morì cinquanta minuti dopo la mezzanotte del 5 dicembre
1791. Le esequie furono celebrate il 6 dicembre, alle tre del pomeriggio.
Il feretro fu portato al Duomo di Santo Stefano, davanti alla Cappella del
Crocifisso, nei pressi del cosiddetto "pulpito di Capistran", dove per i
funerali più modesti la benedizione avveniva all'aperto. Il corpo venne
poi sepolto in una fossa comune del cimitero di San Marco.
L'immagine che vuole Mozart morto povero e dimenticato da tutti non
corrisponde pienamente al vero. La sepoltura in una fossa comune era
consona allo status sociale di Mozart e non fu dettata da motivi
economici. Mozart, d'altronde, pur non godendo di un successo strepitoso
negli ultimi suoi anni di vita, era pur sempre imperial-regio compositore
di corte con un modesto stipendio di 800 fiorini l'anno. Peraltro, va
notato come - pur essendo di fatto andato disperso l'esatto luogo di
sepoltura di Mozart - vi siano a Vienna ben due monumenti funerari del
19
compositore in due diversi cimiteri, uno presso il Cimitero di St. Marx e
un altro presso il Cimitero centrale (Zentralfriedhof).

LA MOGLIE COSTANZE

20
La malattia e la morte di Mozart sono stati e sono tuttora un difficile
argomento di studio, oscurato da leggende romantiche e farcito di teorie
contrastanti. Gli studiosi sono in disaccordo sul corso del declino della
salute di Mozart, in particolare sul momento in cui Mozart divenne
conscio della sua morte imminente e se questa consapevolezza influenzò
le sue ultime opere.
L'idea romantica sostiene che il declino di Mozart fu graduale e che la
sua prospettiva e le sue composizioni declinarono anch'esse in ugual
misura. Al contrario, qualche erudito suo contemporaneo sottolineò come
Mozart nell'ultimo anno fosse di buon umore e che la morte giunse
inattesa anche per gli amici e la famiglia stessa.
Anche l'effettiva causa del decesso di Mozart è materia di congettura. Il
suo certificato di morte riporta hitziges Frieselfieber (“febbre miliare
acuta”, che allora era considerata contagiosa, o “esantema febbrile”), una
definizione insufficiente a identificare la corrispettiva diagnosi nella
medicina odierna. Sono state avanzate diverse ipotesi, dalla trichinosi
all'avvelenamento da mercurio, alla febbre reumatica o, più
recentemente, la sifilide. La pratica terapeutica del salasso, all'epoca
diffusa, è menzionata come concausa della morte.
Una serie di ricerche epidemiologiche eseguite nel 2009 da un gruppo di
patologi austriaci e olandesi, che si sono soffermati a studiare tutte le
principali cause di decesso negli ultimi anni di vita di Mozart, porta a
ritenere che - con grande probabilità - il compositore sia morto per una
nefrite acuta conseguente a una glomerulonefrite a eziologia
streptococcica.
Mozart morì lasciando incompiuto il Requiem, il cui completamento fu
affidato dalla moglie del compositore in un primo tempo al musicista
Joseph von Eybler, il quale, tuttavia, ben presto si fece indietro. Fu allora
chiamato il giovane compositore Franz Xaver Süssmayr, allievo e amico
di Mozart che terminò il lavoro, completando le parti non finite e
scrivendo ex novo quelle inesistenti.
Nel 1809 Constanze Weber, la vedova, si risposò col diplomatico danese
Georg Nikolaus von Nissen (1761–1826), grande ammiratore di Mozart e
autore di una delle prime biografie dedicate al musicista. Per questo
lavoro di sicuro Nissen attinse a testimonianze di Constanze, la quale,

21
però, non può essere considerata una fonte del tutto attendibile. Ad
esempio dalle lettere scritte da Mozart ad amici e familiari (alla stessa
Constanze, ad esempio) Nissen e Constanze cancellarono spesso le parti
più scurrili e ciò nel chiaro intento di idealizzare la figura del
compositore.

GEORG NIKOLAUS VON NISSEN

22
Lo stile mozartiano
Le composizioni di Mozart e di Haydn appartengono a un periodo
storico - la seconda metà del XVIII secolo - durante il quale avvenne
nella musica occidentale l'evoluzione dal cosiddetto stile galante ad un
nuovo stile, detto in seguito classico, che avrebbe accolto in sé anche gli
elementi contrappuntistici, che caratterizzavano la tarda musica barocca e
proprio in reazione alla cui "complessità" si era sviluppato lo stile galant
Lo stile della musica di Mozart non solo segue da vicino lo sviluppo
dello stile classico, ma senza dubbio contribuisce in modo fondamentale
a definirne le caratteristiche, in modo tale da poter essere considerato
esso stesso l'archetipo. Mozart fu uno straordinario compositore che si
dedicò con apparente semplicità a tutti i principali generi dell'epoca:
scrisse un gran numero di Sinfonie, Opere, Messa, Concerti per
strumento solista, musica da camera (fra cui Quartetti d'archi e Quintetti
d'archi) e Sonate per pianoforte.
Benché per nessuno di questi generi si possa affermare che egli fu il
"primo autore", per quanto riguarda il Concerto per pianoforte si deve
riconoscere che esso deve a Mozart, autore ed interprete delle proprie
composizioni, il grandioso sviluppo formale e di contenuti che avrebbe
caratterizzato questo genere nel secolo successivo. Lo stesso Beethoven
nutriva grande ammirazione per i Concerti per pianoforte mozartiani, che
furono il modello dei suoi Concerti, in modo particolare i primi tre.
Mozart rinnova il genere musicale del Concerto: il discorso musicale si
svolge come dialogo paritario fra due soggetti di uguale importanza, il
solista e l'orchestra. Mozart scrisse Concerti per pianoforte, violino,
flauto, oboe, corno, clarinetto, fagotto. Mozart scrisse anche un gran
numero di composizioni sacre, fra cui Messa, e composizioni più
"leggere", risalenti per lo più al periodo salisburghese, come le Marce, le
Danze, i Divertimenti, le Serenate e le Cassazioni.
I tratti caratteristici dello stile classico possono essere ritrovati senza
difficoltà nella musica di Mozart: chiarezza, equilibrio e trasparenza sono
elementi distintivi di ogni sua composizione. Tuttavia l'insistenza che a
volte viene data agli elementi di delicatezza e di grazia della sua musica
non riesce a nascondere la potenza eccezionale di alcuni dei suoi

23
capolavori, quali il Concerto per pianoforte n. 24 in Do minore K.. 491,
la Sinfonia n. 40 in Sol minore K.. 550, e l'opera Don Giovanni.
Charles Rosen ha scritto:
« Solamente riconoscendo che la violenza e la sensualità è al centro
dell'opera di Mozart è possibile fare il primo passo verso la
comprensione delle sue strutture e della sua magnificenza. In un modo
paradossale, la caratterizzazione superficiale di Schumann della
Sinfonia K.. 550 in Sol minore può aiutarci a comprendere il demone
di Mozart in modo più completo. Nell'opera di Mozart ogni suprema
espressione di sofferenza e terrore ha qualcosa di sorprendentemente
voluttuoso. »
Soprattutto nell'ultimo decennio di vita Mozart esplorò l'armonia
cromatica con una intensità raramente ritrovata in altri compositori del
suo tempo.
Scrive Hermann Aber:
« Neppure l'uomo normale si dà pena di imitare alcuna cosa di cui non
rechi già in sé l'embrione. Nel genio questa scelta reca già l'impronta
dell'atto creativo. Essa è infatti il primo tentativo di una presa di
posizione, d'un affermarsi nei confronti della tradizione: tentativo che
dovrà agguerrirlo a rifiutare ciò che gli sia estraneo o d'intoppo e non
soltanto ad imitare ma a "ricreare" ed assimilare ogni elemento
congeniale. Non dovremo quindi mai dimenticare che la grandezza di
Mozart sta nel suo "Io", nella sua forza creativa; non nel materiale col
quale si è cimentato. »

Fin da fanciullo Mozart aveva mostrato che era capace di ricordare ed


imitare senza alcuna difficoltà la musica che aveva l'occasione di
ascoltare. I suoi numerosi viaggi consentirono al giovane compositore di
far sua una rara collezione di esperienze attraverso le quali Mozart creò il
suo unico linguaggio compositivo La ricerca critica e musicologica
sull'opera di Mozart è al centro del monumentale lavoro in cinque volumi
Mozart - Sa vie musicale et son oeuvre (1912-1946) di Teodor de
Wyzewa e Georges de Saint-Foix.

24
JOHAN CHISIAN BACH

25
Attraverso un metodo di analisi scrupolosa delle influenze dovute
all'ambiente musicale col quale Mozart si confrontò nel corso della sua
breve vita, i due musicologi arrivarono a suddividere l'opera di Mozart in
34 fasi stilistiche diverse, ciascuna di esse sotto l'influenza di un dato
modello. Questo "approccio riduttivo" tuttavia è stato in seguito criticato
e messo in discussione, fra gli altri da Paumgartne:
« Nella compiaciuta infatuazione di quei confronti critico-stilistici, si
tralasciò anzitutto di cercar di scoprire in virtù di quali leggi più
profonde la musica di Mozart, nonostante le innegabili reminiscenze
dei modelli contemporanei, risulti così sostanzialmente diversa da
questi e, appunto perciò abbia potuto svilupparsi assumendo forme
proprie, originali e durature »
Mozart era ancora bambino durante il soggiorno a Londra quando
incontrò Johann Christian Bach ed ascoltò la sua musica. A Parigi,
Mannheim e Vienna egli ascoltò i lavori dei compositori attivi in quei
luoghi così come la famosa orchestra di Mannheim. In Italia ebbe modo
di conoscere ed approfondire la Ouverture italiana e l'opera buffa dei
grandi maestri italiani del settecento, e questa esperienza sarebbe stata di
fondamentale importanza nello sviluppo successivo della sua musica.
Sia a Londra sia in Italia, lo stile galante dominava la scena: uno stile
semplice, quasi da musica leggera, caratterizzato da una predilezione per
le cadenze, da una enfasi sulle frasi nella tonalità fondamentale-
dominante-sottodominante (escludendo così altri accordi), e dall'uso di
frasi simmetriche e di strutture articolate in modo chiaro.
Lo stile galante, che fu l'origine dello stile classico, era nato come
reazione alla "eccessiva complessità" della tarda musica barocca. Alcune
delle Sinfonie giovanili di Mozart hanno la forma di Ouvertures in tre
movimenti nello stile italiano; molte di queste sono "omotonali", ossia
tutti i tre movimenti sono nella stessa tonalità, essendo il movimento
lento centrale nella relativa tonalità minore. Altri lavori "imitano" lo stile
di Johann Christian Bach, mentre altri ancora mostrano la semplice
forma bipartita in uso fra i compositori viennesi.
Passando dalla giovinezza alla prima maturità Mozart iniziò ad inserire
alcune delle caratteristiche fondamentali dello stile barocco all'interno
delle proprie composizioni. Per esempio, la Sinfonia n. 29 in la

26
maggiore K. 201 impiega nel primo movimento un tema principale in
forma contrappuntistica e sono presenti anche sperimentazioni con frasi
di lunghezza irregolare.
A partire dal 1773 appaiono nei Quartetti dei movimenti conclusivi in
forma di fuga, probabilmente influenzati da Haydn, che aveva incluso
finali in questa forma nei Quartetti dell'opera 20. L'influenza dello stile
Sturm und Drang, che preannuncia col suo carattere la futura era
Romantica è evidente in alcune delle composizioni di quel periodo di
entrambi gli autori, fra cui spicca la Sinfonia n. 25 in sol minore K. 183,
la prima delle due uniche Sinfonie in tonalità minore scritte da Mozart.
« Mozart infuse negli strumenti il nostalgico afflato della voce umana
per la quale nutriva uno specialissimo amore. Orientò verso il cuore
della melodia l'inesauribile fiumana d'una ricca armonia, dando
sempre alla voce degli strumenti quella fervida intensità di sentimento
propria della voce umana: inesauribile fonte dell'espressione racchiusa
nel fondo del cuore. »
(Richard Wagner)
Mozart fu anche uno dei grandi autori di opere, egli passava con grande
facilità e naturalezza dalla scrittura strumentale a quella vocale. Le sue
opere appartengono ai tre generi principali in voga alla fine del
Settecento: l'opera buffa (Le nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan
tutte), l'opera seria (Idomeneo e La clemenza di Tito) e Singspiel (Il
ratto dal serraglio e Il flauto magico).
In tutte le sue grandi opere Mozart piega la scrittura strumentale per
sottolineare lo stato psicologico dei personaggi ed i cambiamenti di
situazione drammatica.
La scrittura operistica e quella strumentale si influenzano a vicenda:
l'orchestrazione via via più sofisticata che Mozart adotta per le
composizioni strumentali (Sinfonie e Concerti in primo luogo) viene
adottata anche per le Opere, mentre l'uso particolare che egli fa del
colore strumentale per evidenziare gli stati d'animo ritorna anche nelle
ultime composizioni non operistiche

27
Mozart ed i compositori contemporanei
Una grande amicizia e reciproca stima contraddistingue il legame
che unisce Mozart ad Haydn nonostante quest'ultimo fosse di ben
ventiquattro anni più anziano.

IL COMPOSITORE NICOLÒ PICCINNI

28
Non è possibile stabilire con certezza quando Mozart entrò in rapporti di
amicizia con Haydn ma di certo si sa che nel 1785 i due musicisti erano
intimi amici, tanto da darsi del tu, ed ebbero diversi incontri in casa dei
fratelli Storace, avendo occasione e di parlare di musica e di eseguire
insieme musica cameristica.
Mozart ebbe come intimo amico il fratello Michael Haydn e questo fatto
sembra essere di non secondaria importanza per la conoscenza di Joseph.
Altro fatto certo è che Haydn, dalla residenza degli Esterházy, dove
prestava servizio, si recava spesso a Vienna dove Mozart si era
definitivamente trasferito nel 1781.
Ad Haydn non poteva sfuggire la grandezza di Mozart ma non concepì
questo fatto oggettivo con ostilità ed invidia, bensì ne raccolse i
suggerimenti compositivi. E ciò avvenne anche per Mozart che
pubblicamente rese nota la sua riconoscenza ad Haydn dedicandogli ben
sei Quartetti ed apprezzò per tutta la vita il compositore più di ogni altro
musicista del passato o a lui contemporaneo.
Mozart compose i citati Quartetti tra il 1782 e il 1785 e ciò rappresenta
un'eccezione per un compositore che più volte si era trovato a scrivere
Concerti in poche ore e che a volte mandava a memoria la propria parte
in quanto presente nella sua sola testa ma non ancora riportata su uno
spartito.
La ragione è semplice: i Quartetti vennero scritti nel modo rivoluzionario
che Haydn aveva inventato, pubblicando proprio nel 1771 i sei Quartetti
russi op. 33, la cui modalità di composizione venne da Haydn stesso
definita "nuova e speciale maniera". La "nuova e speciale maniera" era
costituita dall'abbandono dei principi compositivi del Settecento (nel
Quartetto ed in seguito nella musica da camera in generale) della melodia
con accompagnamento per dare invece un ugual risalto alle quattro voci
dell'organico che si trovavano ora a colloquiare in modo paritetico.
Mozart aveva quindi due problemi da risolvere, imparare a comporre nel
nuovo modo e trovare quindi un proprio modo espressivo. Quale
conseguenza della reciproca amicizia e stima alla posterità vennero
tramandate due opere parallele e immortali. La stima che Haydn aveva di
Mozart è ben descritta nelle parole che Haydn dice al padre Leopold: «Vi
dico innanzi a Dio, da galantuomo, che vostro figlio è il più grande

29
compositore che io mi conosca, di nome e di persona. Ha gusto e
possiede al sommo grado l'arte del comporre».

JOHANN MICHAEL HAYDN

30
Quando Mozart muore a soli 35 anni, Haydn si trova a Londra. Saprà
della morte dell'amico e collega solo al suo rientro a Vienna (1792),
rimanendone rattristato.

La leggenda su Mozart e Salieri


Nel corso degli anni nacque e si diffuse la leggenda secondo cui
Mozart sarebbe stato avvelenato, per gelosia, dal compositore italiano
Antonio Salieri. Questa diceria, priva di fondamento, ha ispirato diversi
artisti nel corso dei secoli. Il poeta e scrittore russo Aleksandr Sergeevič
Puškin diede credito a queste voci, e nel 1830 scrisse Mozart e Salieri
(precedentemente intitolato Invidia), un brevissimo dramma in versi, in
cui un Salieri roso dalla gelosia fa commissionare da Mozart un'opera, il
Requiem, per poi uccidere l'autore, spacciare il brano per suo, suonarlo al
funerale di Mozart e poter sentire: «Anche Salieri è stato toccato da
Dio».
Per la trovata, l'autore russo si ispirò probabilmente al fatto che il
Requiem di Mozart fu commissionato dal conte Franz von Walsegg, che
infatti voleva spacciarlo per proprio in occasione dell'anniversario della
morte della propria consorte. In merito all'opera di Pukin si è detto:
« Se Salieri non ha ucciso Mozart, di sicuro Puškin ha ucciso Salieri »
Il 25 novembre 1898, al Teatro Solodovnikov di Mosca, va in scena la
prima dell'opera Mozart e Salieri del compositore russo Rimkij-
Korsakov.
La musica è ispirata e dedicata al compositore Dargomyžškij, mentre il
libretto è scritto da Rimskij-Korsakov stesso, basandosi sulla tragedia di
Puškin, e come questa, l'opera si divide in due sole scene.
La sera della prima, le variazioni sulla musica di Mozart sono eseguite
dal pianista e compositore Sergej Rachmaninov.
È del 1978 un successivo adattamento della leggenda sulla fine di
Mozart: con Amadeus, infatti, il drammaturgo Peter Shaffer conquista i
teatri di Londra.
La vicenda prende le basi del lavoro di Puškin e ne amplia la portata.
Rimane l'invidia di Salieri e il Requiem commissionato da un uomo

31
vestito di nero (Salieri mascherato), ma il tutto viene approfondito e,
soprattutto, la narrazione avviene ad opera di Salieri stesso. Il testo
subisce diverse modifiche, fino alla versione definitiva del 1981.

ANTONIO SALIERI

32
Nel 1984 il dramma di Shaffer viene portato al cinema da Miloš Forman
con Amadeus, dove però vengono ammorbiditi i lati negativi del
personaggio di Salieri rispetto al dramma di Puskin: anche se nella
versione rimasterizzata del film del 2002 verranno ripristinate alcune
scene più dure, il Salieri cinematografico (interpretato da F. Murray
Abraham che vinse l'Oscar per il miglior attore) è decisamente meno
negativo di quello del dramma di Shaffer, e per sua decisione dato che il
drammaturgo aveva curato anche la sceneggiatura del film.

Altre curiosità
Pochi altri autori musicali hanno suggestionato la fantasia del
pubblico come Mozart. Già bambino prodigio noto nelle maggiori corti
d'Europa, in seguito compositore di genio e infine protagonista di una
precoce e misteriosa morte: la sua vita è stata interpretata, sin
dall'Ottocento, come simbolo stesso della genialità e della perfezione
apollinea, idealizzando la sua figura come nessun altro autore prima o
dopo di lui.
Creando quindi un mito di Mozart, genio assoluto, che tuttora
nell'immaginario collettivo è probabilmente più popolare delle sue stesse
opere. In questo contesto non deve quindi stupire che siano fioriti
aneddoti di ogni tipo sulla sua figura, miranti a sottolineare (rare volte a
sproposito, ma spesso in modo esagerato) la sua genialità e la sua
"unicità". Qui di seguito sono elencati alcuni fra gli aneddoti più
interessanti e curiosi riguardo alla sua vita e alle sue opere.
Nel vasto repertorio di aneddoti che circondano la vita del giovane
Mozart, particolarmente curioso è quello che riguarda la sua visita a
Roma della Pasqua del 1770. In quest'occasione l'allora quattordicenne
Mozart ebbe modo di ascoltare l'esecuzione del celebre Miserere di
Gregorio Allegri. Questa composizione era proprietà esclusiva della
Schola Cantorum della Cappella Sistina, dalla quale era custodito
gelosamente.
L'esecuzione avveniva esclusivamente nel periodo pasquale a luci spente
e lo spartito non poteva essere copiato né letto, pena la scomunica. La
leggenda dice che il giovane Mozart, dopo averlo ascoltato una sola volta
sia stato in grado di trascriverlo, a memoria, nota per nota. A questa
33
leggenda si riconduce un secondo aneddoto: Felix Mendelssohn
Bartholdy, in visita a Roma, per scomMessa volle ripetere l'impresa di
Mozart e, dopo un solo ascolto, fu anch'egli in grado di trascrivere
fedelmente questa composizione.

IL LIBRETTISTA LORENZO DA PONTE

34
È bizzarro segnalare come la recente ricerca storiografica abbia scoperto
che Mozart ascoltò quest'opera 2 volte prima di cimentarsi nella
trascrizione, mentre al molto meno celebrato Mendelssohn fu sufficiente
un solo ascolto. C'è comunque da considerare che Mozart l'ascoltò
quando aveva solamente 14 anni, mentre Mendelssohn era quasi
trentenne.
Mozart fece diversi viaggi in Italia, fin quando, da giovanissimo, iniziò la
carriera di concertista esibendosi nelle corti d'Europa. Non deve quindi
sorprendere che parlasse correttamente l'italiano (usanza allora molto
diffusa nel mondo musicale), mentre più curioso è il fatto che nelle
lettere egli amasse firmarsi come Amadé, francesizzando il proprio nome.
Pur nell'inconfutabilità del genio mozartiano, un capitolo a parte
meritano, nella sua vasta produzione artistica, i "prestiti" e le citazioni di
opere altrui che si possono riscontrare nei suoi lavori. Nel noto Requiem,
sono rintracciabili intere frasi musicali tratte da composizioni di Georg
Friedrich Händel. La vastità di queste "citazioni" o rielaborazioni di
musiche altrui è talmente ampia che il celebre compositore e critico
musicale Luciano Chailly riferisce che Clementi, ristampando una sua
Sonata, dovette segnalarvi in calce con comprensibile stato d'animo il
celebre "plagio di Mozart".
Il musicologo Giovanni Carli Ballola arrivò ad affermare che "se Mozart
fosse vissuto ai nostri tempi, avrebbe dovuto passare molto tempo, per i
suoi plagi, in un'aula di Pretura".
D'altra parte alla sua epoca non esisteva il concetto moderno di
"copyright", sviluppatosi dalla seconda metà dell'Ottocento: tutti i
musicisti riprendevano abbondantemente dai predecessori o
contemporanei.
Basti pensare alla grande importanza che nella musica sei-sette-
ottocentesca aveva la variazione su un tema altrui (fra le tante le
Variazioni su Là ci darem la mano di Chopin, tratte dal mozartiano Don
Giovanni); ma nel mondo moderno, dove il plagio è un reato oltre che un
peccato artistico, essa è pressoché sparita dal panorama musicale
occidentale.

35
GEORG FRIEDRICH HÄNDEL

36
Comunque è stata enorme l'influenza di Mozart sugli operisti napoletani
ed italiani in generale, compreso il grande Rossini, soprannominato "il
tedeschino" in gioventù per lo studio di Mozart ed altri grandi sinfonisti.
Anche in ambito tedesco (dunque fondamentalmente sinfonico) Mozart
fu "plagiato" da musicisti come Beethoven, che utilizzò due temi
musicali mozartiani (Sonate K. 332 e K. 135; Fuga della Fantasia K.
394) nella sua Sinfonia pastorale e Felix Mendelssohn che sfruttò in
diverse composizioni temi ispirati a Mozart.
Si racconta che un giovane Mozart durante uno dei suoi concerti alla
corte dell'imperatrice Maria Teresa rese omaggio a una graziosa piccola
dama che si trovava tra il reale seguito, chiedendola addirittura in moglie.
Quella damina sarebbe diventata la regina di Francia Maria Antonietta.

37
LE SINFONIE
Introduzione

La prima Sinfonia di Mozart è stata scritta nel 1764, l’ultima nel


1788; durante la composizione della prima, Rameau morì e nell’ultima
Beethoven compì 18 anni. Durante questo quarto di secolo si sono
verificati significativi mutamenti nello stile musicale, che può essere
avvertito in oltre 60 Sinfonie di Mozart così come nelle Sinfonie dei
suoi contemporanei.

JEAN-PHILIPPE RAMEAU

38
Molti autori hanno confuso il mutamento nello stile sinfonico durante la
vita di Mozart con il suo percorso professionale. Tali differenti
valutazioni si riferiscono alla funzione attribuita alle Sinfonie intese
precedentemente come composizioni finalizzate all’intrattenimento e
come introduzione di Opere, Balletti, Concerti, Serenate ed una varietà di
altri eventi sociali, religiosi o civici, fino a considerarle una
composizione autonoma che costituisce la principale attrazione dei
concerti.

L’esame delle Sinfonie mozartiane della fine degli anni 1770 e inizi anni
1780 mostra l’emergere di elementi essenziali di un nuovo stile. La
chiave del cambiamento tecnico e stilistico fu l’eclissamento della linea
compositiva della bass-line delle prime Sinfonie in partiture distinte per
violoncello, contrabbasso e fagotto. L’ultima Sinfonia in cui i fagotti non
sono “obbligato” è la K. 102 del 1775 e la prima in cui i violoncelli e
contrabbassi sono sistematicamente scritti separatamente è la K. 319 del
1779.

Un altro sviluppo fu la separazione definitiva dell’Ouverture-Sinfonia e


della Sinfonia-Concerto. Questi due generi si erano intrecciati per gran
parte del XVIII sec., non nella loro forma e funzione bensì
nell’indicazione di copertina come “Ouverture” e “Sinfonia”. L’ultima
Ouverture che Mozart presentò anche come Sinfonia è l’Ouverture del
“Re Pastore” K. 102 del 1775. L’ultima Sinfonia-Concerto usata come
Ouverture col consenso dell’autore è la K.318 del 1779. La prima
Ouverture che Mozart non riutilizzò come Concerto-Sinfonia fu quella
dell’Idomeneo (1780).

In seguito, ci fu un nuovo stile di orchestrazione. La prerogativa barocca


degli strumenti “winds” (legni) quali strumenti raddoppianti gli archi,
opposti ad essi nel Concerto Grosso, o presenti come solisti e nella loro
funzione centrale di sostegno del suono nei movimenti lenti e nelle
armonie nei “Tutti”, venne aggiunta una nuova prerogativa: maggior
partecipazione nella presentazione, frammentazione e sviluppo di
importanti materiali tematici.

Questo nuovo uso degli strumenti “legno”, non totalmente assente nelle
composizioni anteriori al 1770 fu esplicitamente manifesto nella Sinfonia

39
“Linz” del 1783, ma fu pienamente sviluppato nella Sinfonia “Praga”,
essendo passati nei Concerti per pianoforte e nelle Opere dei primi anni
1780.

Il crescente virtuosismo richiesto ai suonatori di legni indicò il declino


della pratica del raddoppio: l’ultima delle Sinfonie di Mozart che
richiede agli oboisti di suonare il flauto è la Sinfonia K. 250 (1776).

La crescente difficoltà non fu riservata alle sole parti per legni. Si andò
diffusamente ad accrescere la complessità della tessitura nei
contrappunti, nei cromatismi che contribuirono insieme alla maggiore
solennità e complessità della Sinfonia come genere.

Le Sinfonie scritte da Mozart tra il suo debutto sinfonico ad otto anni e


mezzo e l’ultima Sinfonia del 1782 mostra la crescita di un genere, lo
sviluppo dello stile musicale del periodo, la maturazione dello stile
mozartiano e il suo crescente appropriarsi delle chiavi della professione.

Esse non esprimono solo lo sviluppo tecnico e concettuale, bensì


l’accelerazione di Mozart rispetto alle influenze tradizionali di
Salisburgo, del padre e dell’Arcivescovo, il suo approccio liberale più
vicino all’atmosfera viennese di Giuseppe II.

Guardando indietro a questi repentini cambiamenti sia nella forma che


nell’uso delle Sinfonie nei primi anni del 1900 E. Hoffmann sintetizzò
così l’argomento: “Inizialmente le Sinfonie furono considerate come
delle composizioni introduttive di più ampi/elaborati lavori qualunque
essi fossero; delle Ouvertures d’Opera suddivise in differenti movimenti
e furono denominate “Sinfonia”. Da quando i nostri grandi maestri di
musica strumentale – Haydn, Mozart, Beethoven - attribuirono alla
Sinfonia una rilevanza tale, essa ha acquisito una propria autonomia,
tanto da essere la più elevata espressione di musica strumentale”.

40
MOZART BAMBINO

41
Sinfonia n 1 in Mi bemolle K. 16

A fine aprile 1764 i Mozart, nel gran giro dell’Europa Ovest,


lasciarono Parigi diretti a Londra. Come Mozart arrivò a scrivere la sua
prima Sinfonia è stato svelato dopo la sua morte dalla sorella Nannerl:
“ Il 15 agosto affittammo una casa di campagna a Chelsea, fuori la città
di Londra, dove mio padre contrasse un’intossicazione che lo condusse
quasi alla morte… a noi era proibito di toccare la tastiera. Così, per
tenersi occupato, Mozart ha composto la sua Sinfonia con tutti gli
strumenti d’orchestra, specialmente ottoni e timpani. Io ho dovuto
trascriverla poiché ero a suo fianco. Mentre lui componeva e io scrivevo,
mi disse: “Ricordami di assegnare al corno qualcosa di valido da fare!”.
Quando mio padre si rimise, tornammo a Londra”.

La prima Sinfonia catalogata da Kochel è la numero 1 e nelle raccolte


stampate delle Sinfonie di Mozart è la Sinfonia in Mi minore K.16. La
firma con data nel manoscritto è “Sinfonia di Sig. Wolfang Mozart a
Londra 1764”. Ma è questa la Sinfonia descritta dalla sorella Nannerl ?
La sua trascrizione doveva riportare una data successiva alla guarigione
del padre Leopoldo tra ottobre e dicembre.

Il primo movimento rispetta il vocabolario sinfonico, con il suo alternarsi


di forte e piano, di sincopi, unisoni, tremolii, scale rapide e note ripetute.
Solo la melodia nelle battute 37-43 e 99-106 sembra mantenersi piatta.
Qui Wolfgang originariamente scrisse partiture separate per i primi e i
secondi violini, ma Leopoldo li modificò facendoli suonare all’unisono:
in tal modo, la melodia rimane debole in questi passaggi.

La brevità dello sviluppo dell’Andante – un movimento binario in Do


minore – dà ad esso un carattere aforistico. Legni sostenuti, triplicati
dagli archi sottostanti, raddoppiati dagli strumenti bassi combina
effettivamente e dipinge una scena che potrebbe essere inserita
nell’Opera del periodo, forse, un accompagnamento ad un appuntamento
notturno.

Questo movimento, per quanto rapido sia, è efficace.

42
All’inizio del Presto, un squillo d’ottoni introduce una giga come il
Finale di un rondò con un richiamo diatonico e contiene tocchi di
cromatismo convenzionale.

Sinfonia n 4 in RE K. 19

Questa Sinfonia non ha data certa: essa può essere stata eseguita in
uno o due Concerti dati da Leopoldo e Wolfang a “The Hague” il 30
Settembre 1765 e il 17 Gennaio 1766.

Il primo movimento ha il timbro vivace impartito dagli archi. Un tocco


speciale è dato dall’inatteso La diesis con cui inizia la seconda metà –
simile al tocco cromatico maggiormente in evidenza nelle Sonate scritte
in quel periodo.

L’andante in sol maggiore, sempre piano possiede una serenità pastorale


tradizionale.

Questo movimento ha i suoi riferimenti in certi tipi di melodia


originariamente Napoletani e popolari in quelle parti d’Europa in cui
l’Opera italiana si era già diffusa. Un occasione “Yodelling” nella
melodia conclusiva, un movimento binario in stile giga in cui entrambe
le sezioni ripetono, richiamano il movimento precedente.

Sinfonia in Fa K. 223 (19a)

Questa composizione a lungo ignota, riapparve all’inizio del


Febbraio 1981, quando un’agenzia di stampa di Monaco riporta la
scoperta di un manoscritto scritto da Leopoldo, trovato tra incartamenti
privati.

Leopoldo aveva intitolato la composizione “ Sinfonia in Fa: 2 violini, 2


corni, viola, 2 tube e basso di Wolfango Mozart, compositore di nove
anni.
Poiché Mozart compì 9 anni il 27 Gennaio 1765, la Sinfonia potrebbe
essere stata composta a Londra nel periodo tra Febbraio e Aprile dello
stesso anno (nel periodo del Concerto di entrambi del 21 Febbraio o forse

43
uno dei Concerti Bach-Abel), o nel periodo tra l’arrivo di Mozart in
Olanda nel settembre 1765 e il decimo compleanno del gennaio 1766.

NEVILLE MARRINER

44
Il primo movimento si apre con una melodia dei primi violini,
accompagnata da una corposa armonia dei legni, interrotti dagli accordi
nelle note ripetute dei strumenti bassi.

Un rapido passaggio di scrittura imitativa conduce alla cadenza nella


dominante e l’introduzione di un secondo tema contrastante. Il tremolo
dei violini accompagna uno stridente basso che conduce al tema
conclusivo. La seconda parte del movimento presenta la medesima
successione di temi del primo ed entrambe le sezioni sono ripetute.

Come il movimento armonico va dalla tonica alla dominante nella prima


metà e dalla tonica alla dominante nel secondo, con accorgimenti che
potrebbero essere descritti come sviluppo nell’uso dei temi e delle
armonie e il raddoppio e il ripetuto è assente, il movimento si avvicina al
binario anzicchè alla forma – Sonata.

A questo proposito, il primo movimento della K.16 e della K.19 sono


dissimili: la K.19 sembra superiore: il genere di intervallo nel trattamento
del materiale tematico individuato nella K.16 non è ancora evidente.

Gli oboi tacciono nell’andante in Si bemolle, il quale, come nel primo


movimento, consiste in due sezioni uguali, entrambe ripetute. Gli
strumenti ritmici e i corni hanno assegnato un ruolo di sostegno e il
dialogo tra primi violini e viole è mediato dai secondi violini a cui si
uniscono ora gli uni ora le altre.

Finali in 3/8 6/8 9/8 o 12/8 erano diffusi nel periodo in cui fu scritta la
K.19 e di solito caratterizzavano le “giga Italiana”.

Qui, tuttavia, il ritornello del rondò ha un esito differente rispetto


all’impronta rustica. Richiama la danza hornpipe (accompagnata dallo
strumento canna di corno ndr) o danze delle Highland: questi tocchi
esotici forse hanno influito sulla fantasia di un fanciullo-compositore di
nove anni, che può aver cercato di cogliere il loro spirito per questo
Finale.

45
Sinfonia n 5 in Si bemolle K. 22

In alto alla partitura della K.22, che fu scritta su carta tedesca è


scritto: “Sinfonia di Wolf Mozart a metà del mese di dicembre 1765”,
Essa fu composta quasi certamente per il concerto pubblico dei Mozart
All’Aja il 22 gennaio 1766.

Il movimento d’apertura, binario e senza ripetizioni, inizia con il pedale


tonico del basso per 14 battute solitamente associato ai Mannheim
sinfonisti ma che era originario d’Italia e che nel 1765 era diffuso in
molte parti dell’Europa ovest. Un contrastante secondo tema, un dialogo
tra i primi e secondi violini, è seguito da un tema apparentemente rigido
degli strumenti ritmici accompagnati dal tremolo dei violini.

Una veloce sezione di passaggio inserisce il tema iniziale nella tonalità di


Fa minore e di Do minore, tornando alla tonalità iniziale rapidamente
dopo la ripetizione del secondo tema.

L’andante in Sol minore, un semplice A – B – A – coda, mostra


cromatismi, tessiture imitative e unisoni mantenuti. L’intensità di
sentimento dell’Andante era sconsigliata per una società raffinata, il
Finale, una specie di Minuetto sottoforma di Rondò, originariamente
indicato come Allegro moderato, mostra propensione verso altre
direzioni.

Sinfonia n 6 in SI K. 43

L’autografo indica nell’intestazione “Sinfonia di Wolfango Mozart


a Vienna 1767”. Fu scritto apparentemente nel 1767 dalla mano di
Leopold ad Olmutz nel 1767 ma esso fu successivamente cancellato.

I Mozart visitarono la città di Olmutz nella Moravia del Nord in


un’unica, sfortunata occasione, approssimativamente tra il 26 Ottobre e il
23 Dicembre 1767. Essi avevano sostato a Vienna e tal circostanza
suggerisce che la Sinfonia fu composta a Vienna tra il 15 Settembre e il
23 Ottobre 1767 – e forse anche a Salisburgo prima del 13 Settembre. Fu
completata, corretta e ricopiata a Olmutz dopo la malattia di Wolfgang e
può essere stata eseguita per la prima volta a Brnodove.

46
Tutte le Sinfonie autentiche di Mozart datate prima della fine del 1767
sono in tre movimenti. La K.43 può provvisoriamente essere indicata
come la prima Sinfonia in quattro movimenti.

Il primo movimento inizia con una fanfara virtualmente identica ad una


usata da J. C. Bach, J. Stamitz, Toeschi, Dittersdorf e diversi altri come
apertura dei movimenti sinfonici. Ad essa segue un passaggio costruito
oltre a pedale e probabilmente richiede un crescendo, per ritornare alla
dominante, la fanfara di apertura del basso con un tremolo sopra, un tema
(violini, solo, piano) e l’energica chiusura. Una breve sezione, basata
sulla fanfara in basso conduce alla cadenza ritmata, adesso nella tonica,
seguita dall’esposizione e ricapitolazione. Perciò il movimento racchiude
il “doppio ritorno” del tema d’apertura e la tonalità delle ultime Sinfonie
mozartiane.

ACADEMY OF ST. MARTIN IN THE FIELDS

47
L’andante è basato sugli otto numeri della sua “commedia latina” –
dovremmo chiamarla Cantata o Serenata – “Apollo e Giacinto” K. 38, un
sublime duetto di preghiera in cui il papà e la sorella di Giacinto tentano
di placare Apollo che essi avevano accusato erroneamente di aver ucciso
Giacinta.

Il movimento mostra il colore orchestrale caratteristico degli Andante di


Mozart di questo periodo, qui creati attraverso un cambio di tonalità (Do
maggiore), i flauti sostituiscono gli oboi, i primi violini mutano, i secondi
violini e gli strumenti bassi fanno pizzicato e le viole mormorano in
semicrome.

Il minuetto, piuttosto legato appare tra loro nel movimento, esplodendo


in terzine discendenti nella prima parte, ascendenti nella seconda. Il trio,
nella sottodominante, fa anche uso delle terzine, con i legni fermi ed i
suoni staccati. Nella seconda parte del trio il tema si sposta sui bassi e
poi torna ai violini, è interrotto e poi si conclude in un cromatismo
inatteso.

Il Finale, un movimento binario con entrambe le parti ripetute, è tanto


notevole per la scrittura per violini, inclusi i dialoghi musicali tra primi e
secondi violini, quanto il tradizionale ruolo assegnato ai fiati che
sostengono i violini.

Sinfonia n 7 in Re K. 45

La scritta nell’intestazione della K.45 indica “Sinfonia di Sig.re


Wolfgang Mozart/1768, 16 Jener” – perciò essa fu completata pochi
giorni dopo il rientro a Vienna dal soggiorno ad Olmuz e Brno indicato
in precedenza.

La prima esecuzione fu intorno alla fine di marzo di cui Leopold riferisce


ai suoi amici di Salisburgo. “fu dato per noi nella residenza del Principe
di Galizia, l’ambasciatore russo”

Nel periodo del concerto per l’ambasciatore russo, Leopoldo aveva


superato i congedi concessi dai suoi impegni alla corte di Salisburgo e
l’arcivescovo aveva ordinato di sospenderne lo stipendio fino al suo

48
rientro. La ragione dell’assenza prolungata di Leopold da Salisburgo è
che – seguendo il consiglio dell’imperatore - Wolfgang aveva composto
un’Opera comica “La finta semplice” K.51, la cui Messa in scena fu
ripetutamente rimandata a causa degli intrighi di una parte dei musicisti
viennesi. Le dicerie riguardavano il fatto che Wolfgang fosse un
bugiardo e che suo padre avesse composto al suo posto. Leopold sentiva
che non poteva lasciare Vienna prima di aver ristabilito la verità. L’opera
rimase non rappresentata a Vienna.

L’Ouverture di “La finta semplice” fu un adattamento della K.45. Questa


nuova versione fu utilizzata come una Sinfonia indipendente. Per rendere
un Concerto o una Sinfonia da camera in un Ouverture-sinfonica Mozart
ometteva il minuetto e il trio. Modificava l’orchestrazione dei restanti
movimenti, aggiungendo coppie di flauti e fagotti alle originali coppie di
corni e oboi, mentre dimezzava trombe e timpani. Mozart aggiunse un
notevole numero di frasi e indicazioni dinamiche nella Sinfonia così
modificata, come modificò sia il ritmo che la tonalità.

Nell’Andante modificò il metro del tempo in “alla breve” e le crome


della melodia in crome puntate e semicrome. Infine, egli aggiunse due
battute nel primo movimento e nel quarto verso il finale. Nel finale, la
ripetizione di entrambe le sezioni precedenti fu eliminata ed i
cambiamenti furono apportati in conclusione.

Il Finale è basato sul tipo di tema che, se ritrovato in una composizione


di danze, potrebbe essere chiamato contro danza che è una danza
popolare piuttosto che una danza di corte.

Alcuni brani strettamente connessi circolavano a Londra sotto il nome di


“Del Caro’s Hornpipe” mentre altre comparivano nell’ Introduzione di
“Musical Sleighride” di Leopold Mozart.

Le origini di questi brani vernacolari si perdono negli errori della


tradizione tramandata oralmente.

49
Symphony in G

G16 “Neue lambacher”


G K.45a “Alte Lambacher”

Il monastero benedettino di Lambach, in Nord-Austria vicino


Wels, fu un accogliente stazione di sosta per la famiglia Mozart nei suoi
viaggi tra Salisburgo e Vienna. Come molti altri monasteri bavaresi e
austriaci del tempo, Lambach offriva camere e pasti per i viaggiatori e
manteneva un complesso musicale per servire le proprie funzioni
liturgiche e per offrire intrattenimento.

NEVILLE MARRINER

50
Amand Schickmayr, un amico di Leopold Mozart, fu a Lambach dal
1738 e divenne abate del monastero nel 1746. All’inizio di gennaio del
1769 la famiglia Mozart, ritornando a Salisburgo dal suo soggiorno di
oltre un anno a Vienna, si fermò a Lambach. La visita, non citata nei
diari e nelle lettere tra familiari, è nota solo per l’indicazione in due
partiture musicali.

I manoscritti in questione appartengono a parti di due Sinfonie in Sol,


una indicata come “Sinfonia a 2 violini, 2 oboe, 2 corni, viola e basso,
del sig. Wolfango Mozart Don Authoris /4 Gennaio 1769 (quì indicata
come 45a) e l’altra riporta un’indicazione simile ma con “Leopoldo
Mozart , Maestro di cappella di sua altezza reverendissima a Salisburgo”
al posto di “Wolfgango Mozart” (g16).
I due manoscritti, nessuno dei due autografato, furono scoperti negli
archivi del monastero da Guglielmo Fischer, che nel 1923 pubblicò la
K.45a. Prima di ciò, tuttavia, un’indicazione per la K.45a potrebbe
ritrovarsi nella prima e seconda edizione del Catalogo Kochel come App.
221, una delle 10 Sinfonie indicate unicamente per l’inizio dei loro primi
movimenti nel catalogo manoscritto di Breikopf & Hartel.

Nella K.3 Einstein pose le Sinfonie riscoperte in G, K..App. 221, nella


cronologia della composizioni autentiche in base alla data del
manoscritto di Lambach. Ipotizzando che la Sinfonia sia stata scritta
durante la fine del soggiorno a Vienna di oltre un anno, egli assegnò il
numero 45° indicando così l’inizio del 1768. Gli editori della K.6
accettarono le opinioni di Fischer e Einstein sull’autenticità dell’App.
221(45a), come fecero Saint-Foix ed altri che scrissero a proposito delle
Sinfonie giovanili di Mozart. La catalogazione di Einstein come K.45
agli inizi del 1768 fu generalmente accolta.

Nel febbraio del 1982, una nuova testimonianza fu pubblicata


confermando la correttezza d’argomenti in favore dell’attribuzione a
Wolfgang e la data anteriore, quindi la K.45a. Essi comprendono le parti
per primo e secondo violino scritte apparentemente da copisti
professionisti, una parte del basso scritta da Nannerl e altre parti scritte
da Leopold.

51
La K.45a tuttavia, forma un connubio con la Sinfonia in Si diesis K.22
anch’essa composta all’Aja, in cui l’accoglienza rivolta ai Mozart sembra
esser stata entusiastica.

Il primo movimento della K.45a è uno dei soli due movimenti orchestrali
di Mozart (l’altro è nella K.185/167°) che inizia con la melodia nei
bassi, una tessitura per altri aspetti che egli riserva presso i Finali delle
esposizioni e delle ricapitolazioni. In diverse delle sue Sinfonie giovanili,
gli incipits dei primi e ultimi movimenti sono circoscritte in contorno
melodico.

ACADEMY OF ST. MARTIN IN THE FIELDS

Nella K. 45 qualcos’altro si evidenzia: il secondo dei temi lirici del


primo e del terzo movimento sono tra loro collegati (un procedimento
simile si trova nel Piano Concert K. 414/385p, in cui il tema iniziale
dell’apertura Allegro riappare modificato come tema secondario
nell’Andante). Il Finale della K. 45a e parte della K.16,19,22 potrebbero
essere visti in una medesima concezione generale e, tonalità a parte,
potrebbero essere virtualmente intercambiabili.

52
Come per l’Andante, la versione modificata è il primo degli Andante
sinfonici di Mozart ad usare una tessitura orchestrale che potrebbe essere
la sue preferita per molti anni: in questi movimenti (negli Andante delle
K. 43,100, 75, 113,183, 201, 203,200) i fiati sono entrambi silenziosi o
ridotti, i violini sono modificati e i clavicembali e bassi suonano
pizzicato.

Sinfonia n 10 in Sol K. 74

Il manoscritto K.74 non riporta alcuna data ma Alan Tyson ha


recentemente scoperto che è scritto nello stesso tipo di carta che
Wolfgang usò per l’aria “Se ardire è speranza” K. 82 composta a Roma
nel 1770. Ciò colloca la composizione attendibilmente nel medesimo
anno.

La K.74 fu scritta in stile Ouverture italiana; il primo movimento in


forna-sonata senza ripetizioni e, dopo una completa ripresa, una cadenza
conduce nel secondo movimento senza alcuna indicazione ritmica.
Questa aggiunta, i trilli degli oboi, continua costante, mentre si passa al
tempo 3/8 e la tonalità da Sol a Do. Il Finale è definito semplicemente
“Rondeau” quale contro danza francese.

E’ considerevole questo movimento un “esotico” episodio di Sol minore,


forse la prima manifestazione dell’interesse di Mozart per la musica
“turca”, riscontrato anche nella musica da ballo per l’Opera “Lucio Silla”
(K. app 109, 135a), nel Concerto per violino K.219, nella piano-Sonata
K.331, nell’Opera “Ratto dal serraglio” K.384, l’Aria “Ich mochte wohl
der Kaiser sein” K.539 e la contro danza “la bataille” K.535.

L’apparente origine dello stile “turkish” è da collocarsi nelle regioni


cristiane confinanti con l’impero ottomano, dove i contadini ungheresi
imitavano o parodiavano la musica dei loro vicini islamici.

Elementi “Exotic” includono una melodia, un basso fisso con tamburi


che ripetono le note, tocchi cromatici nella melodia, una tonalità minore,
un tempo di marcia 2/4, abbellimenti vorticosi sotto forma di note, trilli e
varianti.

53
Sinfonia in FA K. 75

Non c’è manoscritto originale per questa Sinfonia. Si crede che


essa sia databile nel periodo tra il 28 Marzo e il 13 agosto 1771, trascorso
da Mozart a Salisburgo tra il primo e il secondo viaggio in Italia.

L’incipit dell’Allegro è un tema composito formato da variazioni dei


primi violini uniti agli arpeggi degli oboi – ricorda il primo movimento
della Sinfonia op3 n.6 di J. C. Bach . Ciò è da estendersi ai “motor
rhythms” di origine vivaldiana, basato su modelli poetici. L’intero
movimento ternario è perciò considerato per le venti battute centrali, che
inizia con un fugato verso un nuovo tema, che poi sfocia velocemente in
un unisono – dominante.

Il Minuetto è atipicamente in due parti: esso occupa la seconda piuttosto


che la terza parte del quarto movimento. I Minuetti sinfonici,
mantenendo la loro origine dalle danze francesi, rispettano solitamente lo
stile ritmico ballabile, piuttosto che il legato, stile cantabile associato alla
musica vocale italiana ed alla musica strumentale modellata su essa.
Questo minuetto percorre la direzione cantabile. Il trio, per soli archi, che
ripercorre l’inizio del primo movimento, sembra più musica cameristica
che sinfonica.

Come molti altri Andanti-Sinfonia di questo periodo, l’Andantino è in


2/4 in chiave sottodominante per i violini e i corni silenziosi. Nonostante
la tessitura-pizzicato sia frequentemente presente in questo stile, questa
volta è assente. Esso somiglia ad un’aria cantabile italiana, interrelata nel
movimento circolare binario di entrambe le sezioni ripetute. Il modo
tenue in cui i temi e il Finale della seconda sezione sono abbelliti
aggiunge un tocco raffinato alla conclusione del movimento.

Il catalogo Köchel nomina piuttosto arbitrariamente il Finale come


“Rondeau”. Al contrario, il movimento è in forma binaria, risente
l’influenza della forna-sonata con la doppia ripetizione delle sezioni.
Wyzewa e Saint-Foix credevano che il tema d’apertura conservasse i
tratti di una danza francese, mentre Abert sosteneva che esso fosse
ispirato ad una danza popolare tedesca, ma in entrambi i casi non
vengono offerti degli esempi comparativi convincenti.

54
Ciò tuttavia conforta l’idea che un tema consueto diventa memorabile per
un attributo speciale: una pausa inattesa che modifica ciò che l’orecchio
si aspetta – la natura della pausa diventerà familiare per chi ha presente la
danza ungherese n 6 di Brahms .

AMADEUS CHAMBER ORCHESTRA

Sinfonia in Fa K.76 – 42 a

Sebbene la paternità a Mozart di questa Sinfonia sia problematica,


la sua autenticità non è pesantemente Messa in discussione. Mancando
alcun scritto originale, la K.76 ha avuto solo una parte trascritta da
Nannerl, inviata intorno al 1800 a Breitkopf e Hartel ed inserita nel loro
Catalogo ed in seguito smarrita.

La composizione è generalmente indicata come datata intorno al 1766-


67.

Una caratteristica fondamentale del primo movimento è la preminenza


dei legni, che in aggiunta alle abituali coppie di corni e oboi, comprende
anche una coppia di fagotti. Wyzewa e Saint-Foix indicano come
particolarità “ gli assolo di oboe e fagotto ed il costante passaggio dei
temi melodici tra violini e legni”. In relazione a ciò, essi dovevano avere
in mente l’innovativo modo di scrittura dei legni nelle ultime Opere,

55
Sinfonie e Piano Concerti di Mozart. Forse essi considerarono la K.42a
un passaggio in quella direzione. Ma essi sbagliarono indicando
quest’innovazione nella scrittura mozartiana del 1967.

Nelle Sinfonie giovanili mozartiane le esposizioni del primo movimento


tipicamente iniziano e terminano con Tutti, Forte, e spesso con tremolii
di semicrome nei violini aggiunti.

Al centro dell’esposizione tuttavia, appaiono molte parti liriche,


generalmente corrispondenti con il sopraggiungere della dominante, in
cui alcuni o tutti i legni cadono in silenzio.

Questo andamento dinamico che rinforza i legni con Tutti dà un ampio


respiro ai suonatori dei fiati. E’ un modo di procedere usuale
dell’orchestrazione mozartiana.

Nel primo movimento della K.76 tuttavia, i fiati donano al movimento


un timbro uniformemente inconfondibile.

La Sinfonia inizia bene, con un tema d’apertura inconsueto che in seguito


riappare nel Finale della stessa Sinfonia K.76. Il primo movimento
prosegue uniformemente, ma alla battuta 23 qualcosa interrompe il fluire
gradevole e sembra che l’autore abbia difficoltà a proseguire. Nella
ripresa, il problema si esaspera e viene esposto in sei battute
dell’esposizione. Nonostante questi punti deboli, l’apertura del
movimento della K.76 è affascinante e ci incuriosisce come il
compositore l’ha costruito.

L’Andante, con i suoi fagotti sostenuti e i passaggi-pizzicato come


mandolino, potrebbero essere espressione di una serenata d’amore in una
Opera comica di quel periodo, come suggerì Della Croce.

Entrambe le sezioni del Finale del Minuetto hanno un tema centrale, che
poi pone le basi per il trio in Re minore, in cui è richiamato
ossessivamente più volte. Il sottofondo del tema principale del trio è
simile al “Night-Watchman’s song” inserita da J. Haydn in una mezza
dozzina di composizioni degli anni 1760.

56
Il Finale, come una variazione della tessitura del primo movimento,
sviluppa tale tessitura con i motivi che si rincorrono tra loro ed il tema
principale è affidato in un penetrante assolo del corno.

Sinfonia in FA K. 81 – (73L)

Le parti del manoscritto della Sinfonia K.81 sono “del signore


Cavaliere Wolfgango Amadeo Mozart” e “in Roma 25 Aprile 1770”, ma
in un fascicolo del Catalogo tematico Breitkopf pubblicato nel 1775 la
composizione è catalogata come “di Leopold”, insieme alla Sinfonia in
Sol K.app c11.09, una composizione diffusamente attribuita a Leopoldo.

Nonostante quest’incertezza d’attribuzione la K.81 è generalmente


attribuita a Wolfgang, forse per la sua elevata qualità e per la
sottovalutazione di Leopold come compositore.

G. Allroggen, l’editore delle prime Sinfonie di Mozart per la NMA,


inizialmente sosteneva che la K.81 fosse una delle Sinfonie richiamate
nella lettera del 25 aprile 1770, ma poi mutò opinione attribuendola a
Leopold. In seguito, in una lettera autografa di Leopold agli editori
Breitkopf confermò come propria quella composizione e quindi la
correttezza del Catalogo Breitkopf.

Il primo movimento si apre con un accordo arpeggiato in Re maggiore,


un tema che è poi invertito per l’inizio del movimento Finale. Esso
continua come forma – Sonata, senza ripetizioni e con una ripresa. La
stringata sezione di “sviluppo” di 12 battute difficilmente potrebbe essere
valutata come una transizione.
L’Andante in Sol maggiore, un placido movimento binario con entrambe
le sezioni ripetute, caratterizzate dal dialogo tra primi e secondi violini,
ben presto includerà anche gli oboi.

Il Finale è una “caccia” una giga con richiami di corno simili a quelli
usati a caccia.

57
Sinfonia n 11 in Re K. 84 (73q)

Questa Sinfonia sopravvive ai manoscritti iniziali perchè è stata


attribuita a Leopold, a Wolfgang ed a Dittersdorf. Confrontando le
analisi stilistiche del primo movimento con quelle di primi movimenti, di
quell’epoca, inconfutabilmente attribuiti ai singoli tre compositori, lo
stile più prossimo è quello di Wolfgang, ma questa non può essere
considerata una prova inconfutabile per l’attribuzione definitiva.

LONDON PHILHARMONIC ORCHESTRA

A Vienna, i manoscritti di Mozart riportavano due iscrizioni “In Milano,


Carnovale 1770” e “Del signor Cavaliere Wolfgango Amadeo Mozart a
Bologna, nel mese di Luglio 1770”. Quest’apparente discrepanza può
essere dissolta nella seguente maniera: nel 1770 Carnevale riguarda un
lasso di tempo dal 6 gennaio al 27 febbraio e i Mozart erano a Milano tra
il 23 Gennaio e il 15 Marzo, e a Bologna tra il 20 Luglio e il 13 Ottobre.
Se entrambe le indicazioni scritte sono autentiche, questa Sinfonia
potrebbe essere stata composta a Milano e completata a Bologna.

58
L’iniziale Allegro mostra una forna-sonata piena – sottolineata dalla
dicitura “Ouverture” nella fonte viennese – senza sezioni ripetute.

Ci sono molte differenze tra loro, un insieme di temi iniziali, un secondo


gruppo, un gruppo finale, una sezione di sviluppo-transisione in 11
battute ed una completa ripresa.

L’andante richiama le ambientazioni di Gluck. e come il primo


movimento è in forna-sonata, ma senza una sezione-sviluppo, il Finale
esordisce con una fanfara che richiama il primo movimento; il tema
permane e guida il resto dell’esposizione, sviluppo e ripresa, per
introdurre alla coda-finale. La fanfara specificatamente, è un susseguirsi
di terzine che finiscono in una sorta di giga.

Ricordano l’aria di Figaro nel “Barbiere di Siviglia” di Rossini, un tratto


che rivela preminentemente l’ispirazione dall’Opera buffa di questo
movimento.

Sinfonia in Fa K. 95 (73n)

Questa composizione era un manoscritto non autografo negli


archivi Breitkopf e Hartel in seguito andato perso. L’assenza di
indicazioni non ha fornito alcuna possibilità di stabilire con certezza la
provenienza del manoscritto perduto.

La K.95 è una delle nove Sinfonie che, nonostante manchino di fonti


certe, furono accettate come autentiche da Köchel e non sono mai state
Messa in dubbio seriamente.

La forna-sonata è senza ripetizioni, il primo movimento è un susseguirsi


di sottofondi armoniosi, senza memorabili melodie cantabili. Una sosta
improvvisa in Re maggiore conduce direttamente all’Andante in Sol
maggiore, il cui tema iniziale richiama una Sonata per piano che Mozart
eseguì a Parigi nel 1764.
Le trombe ed i timpani sono esclusi e gli oboisti suonano i flauti,
donando all’Andante un’atmosfera pastorale. Oboi e trombe rientrano nel
Minuetto, mentre il trio in Re minore nuovamente tralascia trombe e

59
tamburi, e la sua quiete interiore dolcemente conduce al ritorno del
Minuetto.
Il Finale Allegro rientra nella forna-sonata e ripercorre il sottofondo
chiaro dell’apertura del movimento iniziale.

Sinfonia in DO K. 96 (111b)

Anche di questa Sinfonia non abbiamo fonti sicure. L’assegnazione


in K.3 e K.6 a Milano tra la fine di Ottobre e l’inizio di Novembre 1771 è
arbitraria. Altri indizi possono avvalorare che essa sia stata composta a
Salisburgo quattro o cinque anni dopo.

Il primo movimento inizia con scale e tremolo, attraverso una forma


ternaria veloce ed una prevedibile conclusione. L’Andante è
parallelamente in minore, mentre le altre principali Sinfonie mozartiane
dello stesso periodo sono in sotto-dominante. Il movimento è una
siciliana in stile antico. Ciò è un movimento lento ed eccezionalmente
intenso-profondo per una Sinfonia degli anni 10: la disparità stilistica tra
la consueta gradazione lieve barocca e l’anticonvenzionale modernità del
sottofondo del movimento è stridente.

Il caso della non genuinità della K.96 può emergere anche dal
collegamento tra il suo Andante e l’aria “Intendo, amico mio” dalla
Serenata “Il re pastore” K. 208 dell’aprile 1775. – Una versione
strumentale di quest’aria fu usata nel movimento centrale della Sinfonia
in DO K. 213c.

L’Andante della K.96 è basato su una tonalità minore del ritornello


dell’aria citata e ciò conforta l’idea che sia stato scritto in concomitanza
con “Il re pastore” (Aprile 1775).

Inoltre, il carattere straordinario del movimento in Do minore suggerisce


che esso possa esser stato composto per un Concerto, Messa o Vespro
per il Natale 1774 o 1775, poiché i movimenti pastorali o “siciliana”
erano comunemente usati per musica natalizia, quale evocazione dei
pastori in visita alla mangiatoia di Betlemme.

60
Seguendo questo particolare Andante, il Minuetto e il Finale tornano
all’estroversione e alla convenzionalità del primo movimento iniziale,
nonostante il trio (in tonalità subdominante) mantenga l’ambiguità.

Il Finale, espresso in una marcia veloce che è basata sul materiale usato
nel primo movimento, è in forna-sonata con entrambe le parti ripetute,
piuttosto che con il Rondò finale delle prime Sinfonie mozartiane.

ANDRÉ PREVIN

61
Sinfonia in Re K. 97 – 73m

Anch’essa non ha fonti certe ed alla K.3 ed alla K.6 hanno


assegnato come data orientativa l’aprile 1770.

Il primo movimento, un Ouverture italiana come spirito e stile, è in


forma Sonata senza sezioni ripetute.

Un breve sviluppo riguarda una sezione in Sol maggiore, Mi minore e Si


minore, prima di ritornare alla tonalità iniziale.

L’andante, un movimento binario in Sol maggiore con entrambe le


sezioni ripetute mostra un gradevole tratto di ingenuità-purezza. Le 24
battute del Minuetto, con le sue 16 battute del trio in Sol maggiore
esclude i legni, di certo soddisfa le preferenze di Mozart verso i Minuetti
concisi.

Il Finale è una giga in forna-sonata, con un breve ma ben compiuto


sviluppo.

Nelle battute 40-55 e 138-153 il Finale comprende un’incrinatura


riproposta in un passaggio del primo movimento della settima Sinfonia di
Beethoven, non nei suoni ma nel modo in cui immediatamente si muta da
tono maggiore a tono minore.

Poiché Beethoven non ha sfortunatamente conosciuto la K.97 poiché non


sembra che copie del manoscritto siano circolate ed essa fu pubblicata
solo nel 1881, si può solo ipotizzare sulle coincidenze o su un comune
approccio.

62
Sinfonia n 12 in SOL – K. 110 (75g)

Mozart intitola il manoscritto autografo di questa composizione


“Sinfonia del signor Cavaliere Amadeo Wolfgang Mozart in Salisburgo
nel Luglio 1771”.
Come già riportato, il titolo di Cavaliere si riferisce alla croce dello
Sperone d’oro che gli fu conferita dal Papa, quale quattordicenne
prodigio, nel Luglio 1770.

L’anno seguente, i progetti erano talmente avanzati che questa Sinfonia


fu indubbiamente concepita per concerti a Salisburgo e concerti
documentati durante il suo secondo soggiorno italiano.

Sinfonia n 13 K. 112

La sua prima esecuzione probabilmente è un concerto orchestrale


che Leopold e Wolfgang tennero a Milano il 22 o 23 Novembre nella
residenza di von Mayr sotto l’appannaggio dell’arciduca Ferdinando,
governatore della Lombardia e figlio dell’imperatrice Maria Teresa.

Il fatto che la K.112 fu composta come una composizione-Concerto e


non come un’Ouverture emerge nel primo, secondo e quarto movimento
in cui tutte le sezioni sono ripetute. Per la forna-sonata perfettamente
proporzionata del primo movimento, attraverso l’efficace scrittura
dell’Andante in Si bemolle – per soli archi – alla giga come rondò
conclusivo, uno spirito di fiducia e solidità sembra emanarsi da questa
Sinfonia, frutto forse ottenuto dal successo dell’ “Ascanio in Alba”
K.111 del mese precedente.

Nel Minuetto, le viole, invece che avere una partitura autonoma – come
abituale per i Minuetti sinfonici mozartiani – raddoppiano la bass-line.
Poiché le sue danze di sala sono senza partitura per viola, questo
cambiamento nel Minuetto della K. 112 può significare che esso
assolveva un’altra funzione prima di esser inserito in questa Sinfonia che
attraverso questa sonorità, Mozart desiderasse evocare il ricordo di sale
da ballo nei suoi ascoltatori.
Nel trio, per soli archi, tuttavia, le viole hanno una partitura autonoma.

63
L’ipotesi che il Minuetto sia antecedente al resto della Sinfonia, è
suggerita dal fatto che è stata copiata nella partitura di Wolfang per mano
di Leopold.
LEOPOLD MOZART

64
Sinfonia n 14 in LA K. 114

Questa è la prima di una serie di otto Sinfonie scritta per


Salisburgo in circa un anno tra il secondo e il terzo viaggio in Italia di
Mozart.

I viaggi in Italia non erano fonte di guadagni e una parte dello stipendio
di Leopold fu trattenuta durante la sua assenza.

Il tempo era venuto perché essi rientrassero a casa, per questioni


economiche e per ripagare i debiti contratti. Entrambi rientrarono
dall’Italia il 15 dicembre 1771 e il giorno successivo l’arcivescovo
Sigismondo Cristoforo von Schrattenbach morì.

Il manoscritto autografo della K.114 è datata quattro notti dopo.

Le Sinfonie devono esser state necessarie per il periodo di lutto, per le


festività di carnevale sottotono, per l’insediamento del nuovo
arcivescovo nel marzo seguente.

In aggiunta, Wolfgang ottenne una promozione per il suo titolo di


maestro concertatore. Avendo dimostrato il suo valore, il sedicenne fu
regolarmente assunto dall’arcivescovo e pagato come membro
dell’orchestra di corte il 9 agosto 1772 .

E’ stato considerato che in questa Sinfonia Wolfgang dichiarò la sua


preferenza verso lo stile “viennese” o “austriaco”, mentre continuava a
mantenere elementi Italiani.

In questo contesto austriaco, concerne la maggior lunghezza, il più ampio


uso dei fiati, il maggior contrappunto nella tessitura, e l’ampio uso di
materiali non cantabili.

Ma il primo argomento, con le sue sincopi, è chiuso nello stile di J.C.


Bach piuttosto che in quello di Vienna. Jean Peter Larsen considera la
K.114 “ una delle più ispirate Sinfonie del periodo”. Emergono vari pregi
in questa composizione, come nel primo movimento, lo sviluppo della

65
transizione verso il secondo tema con il sottostante stile-Quartetto, e lo
sviluppo breve entro il delicato ed elegante dialogo tra fiati e archi.
Perfino le battute d’esordio, con i loro decisi accordi o le fanfare che
iniziano piano, suggeriscono qualcosa di innovativo. L’assegnazione
degli acuti in LA dei corni è ciò che ha spinto Mozart ad usare i flauti
al posto degli oboi, e una volta che la scelta è stata fatta come
costruzione tecnica, l’intera Sinfonia sembra contraddistinta da quella
preferenza.

Ciò che mantiene la linea convenzionale di questo movimento è solo la


guida dei fiati nella sezione-sviluppo, consueta più nello stile del
Concerto Grosso che non in quello sinfonico.

In diverse Sinfonie, Mozart richiese che i flauti suonassero al posto degli


oboi negli Andante; qui avviene l’inverso: gli oboi sostituiscono i flauti e
i corni sono esclusi.

Il movimento è in forma – Sonata con entrambe le sezioni ripetute. Le


viole che hanno già una parte separata nel primo movimento, qui
seguono un importante sequenza di duetti, spesso raddoppiando gli oboi
all’ottava inferiore o iniziando un dialogo con essi. La sezione-sviluppo,
scritta in crome consecutive, dà un’impressione inedita del
“Fortspinnung” barocco entro lo stile tipico dell’esposizione e ripresa.

Il Minuetto K. 61g n 1, come in altri casi, risultò non aver alcun


collegamento con questa Sinfonia.

Il manoscritto autografo della K.14 contiene un altro Minuetto – senza un


trio – che Mozart cancellò.

Il tema iniziale di questo movimento escluso è un riadattamento del tema


dell’Andante. Il Minuetto che Mozart inserì contiene una serie di accordi
sulla dominante vicino alla conclusione di ogni sezione. Il suo trio, in La
minore, appare eccessivamente toccante. Il pathos è indotto dalla melodia
di una quinta discendente della scala, aumentando di un semitono la sesta
(con bemolle); questo modello melodico dovrebbe essere familiare a
Mozart dal canto gregoriano della settimana santa “miserere mei Deus”.
Il tratto proviene dai secondi violini, che con le loro terzine e trilli,
66
ruotano intorno come accade nelle variazioni in un’Opera comica.
L’intento sottostante della sovrapposizione di stili sacri e profani era
probabilmente ironico-parodiato.

Il Finale inizia con una Toccata breve e una risposta, ripetuti una volta.
Dopo accade qualcosa di inatteso: invece di sviluppare la Toccata o
introdurre il tema iniziale, Mozart fa suonare l’orchestra due volte una
progressione d’accordo I_IV_V_I

COLIN DAVIS

Questa sembra apparentemente essere un richiamo alla bergamasca, un


tipo di danza o canzone nella quale una melodia è composta da questi
quattro accordi.

J.S. Bach citava il testo tedesco di una canzone usata con una danza alla
bergamasca “Kraut und Ruben” a conclusione delle sue variazioni
“Goldberg”.

67
Mozart non cita la melodia, ma la presenza di quella progressione
d’accordo nel Finale supporta l’impressione che questo lavoro sia stato
composto avendo in mente il Carnevale. Il resto del movimento, in forma
Sonata con le due sezioni ripetute, è anch’esso in spirito sacro, anche se
usa la convenzione sinfonica.

Sinfonia n 15 in SOL K. 124

Carnevale termina il martedì grasso e il giorno seguente, mercoledì


delle Ceneri, iniziano i 40 giorni del periodo della Quaresima; nel 1772
questi giorni furono il 3 e 4 Febbraio e Mozart scrisse in cima al
manoscritto autografo della K.124 “Sinfonia del sig.re Cavaliere
Wolfgango Amedeo Mozart, Salisburgo 21 Febbraio 1772”. Quindi la
composizione può essere collegata sia al concerto religioso quaresimale
che all’insediamento del nuovo arcivescovo il 29 aprile. L’arcivescovo fu
un violinista amatoriale che gradiva suonare con la sua orchestra stando
accanto al direttore, forse per la necessità di una guida professionale o
forse per essere simbolicamente al centro dell’orchestra.

Il primo movimento della K.124 ha un carattere piuttosto differente dalle


precedenti Sinfonie. Il tema iniziale usa la medesima scala decrescente
della K.114: Do – sol – Mi – Re – Sol – Fa - Mi.

Per il resto, il primo movimento della K.124 è più compatto e meno


carico di temi diversi rispetto alla K.114. Un tocco attraente è il ritmo
ambiguo del secondo tema, che lascia l’ascoltatore incerto se ciò che
ascolta è un 3/4 o un 6/8 . Un rallentato in un accordo diminuito consente
agli ascoltatori e suonatori di mantenere sospeso il respiro prima di
essere avvolti da un gran momento della cadenza conclusiva
dell’esposizione.
La sezione-sviluppo inizia adagio, ma un momentaneo passaggio in Mi
minore introduce presto una serie di effetti mossi e spesso collegati allo
sviluppo sinfonico.

La ripresa è lineare con l’aggiunta di una piccola coda di quattro battute.


Entrambe le sezioni vengono ripetute.

68
L’andante in Do maggiore è un movimento binario con entrambe le parti
ripetute, rilevante per la sua scrittura concertata per corni e oboi. Il
Minuetto e trio (solo per archi) descritti da Kirnberger come “intrisi di
gradevolezza e di tranquillità”contiene una danza altrettanto elegante,
nobile e altamente piacevole.

Il Finale-Rondò inizia con una Toccata simile a quella della Sinfonia


K.114, ma qui non è immediatamente ripetuto e il movimento prosegue
in maniera apparentemente convenzionale.L’effetto è piuttosto piacevole,
simile a quello di una bella signora che arriva nelle sale da ballo, solo
che anzicchè esser posto all’inizio esso è esposto come conclusione.

Ognuno dei manoscritti autografi delle Sinfonie 128, 129 e 130 porta la
scritta “nel mese di maggio 1772, Salisburgo”, una straordinaria
prolificità per un unico mese, anche per il fuoriclasse compositore
sedicenne. Ciò era dovuto all’intento di assicurarsi i favori del nuovo
Arcivescovo? Forse è legato anche al fatto che Mozart stava
preparandosi al terzo viaggio in Italia da Ottobre 1772 a marzo 1773 e
che avrebbe richiesto nuove Sinfonie.

Sinfonia n 16 in DO K. 128

Il fatto di aver indicato il primo movimento della prima di queste


composizioni non semplicemente come “Allegro” ma addirittura come
“Maestoso”, suggerisce qualcosa di particolare sulla produzione delle
Sinfonie di questo periodo.

Essa ha il tempo 3/4 ma poiché il ritmo della prima metà dell’esposizione


è interamente in terzine di crome, l’ascoltatore inizialmente lo percepisce
come un 9/8. Il secondo tema, una memorabile esaltante melodia, rivela
la reale scansione tempo. Dopo un tocco del secondo tema in minore, una
energica presenza di “bass-line” conduce al termine della sezione. La
sezione-sviluppo annunciata da un improvviso apparire di un accordo in
Mi bemolle, preannuncia la tonalità Do minore. A ciò segue un rapido
evolversi in successione di Mi minore, La minore, Sol maggiore, Fa
maggiore e ancora Sol maggiore, in cui la dominante sancisce la sua
supremazia nel fissare la ripresa.

69
Lo sviluppo occupa solo 31 battute, durante le quali il materiale sonoro
s’esprime in scale, ancora costruite in modo razionale tanto da creare
l’effetto di aver traversato grandi distanze di tonalità. La ripresa contiene
un numero rilevante di tocchi della sezione-sviluppo.

LONDON SYMPHONY ORCHESTRA

Tanto l’Allegro è Maestoso così l’Andante è grazioso, e quest’equilibrio


produce il risultato di dilatare il tempo del movimento e amplificare i
suoi effetti. Il movimento, per soli archi, è in forna-sonata con entrambe
le sezioni ripetute. Una tessitura cameristica induce i suonatori al
dialogo, più spesso tra primi e secondi violini e tra corde (? suoni) acute
e gravi.

Il Finale è una giga entro la forma-rondò: A A B A B A C A coda, in cui


la sezione B ha una durata approssimativamente quintuplicata rispetto
alla sezione A.

70
Quando ci si avvicina al Finale e gli ascoltatori immaginano che Mozart
abbia già esaurito il suo tocco, egli li spiazza con una serie di richiami
dei corni da caccia. Questo è ciò che sorprende, entro una scrittura per
fiati tradizionale entro questa Sinfonia.

Sinfonia n 17 K. 129

Il manoscritto autografo della K.129 indica “Sinfonia del signor


Cavaliere Amedeo Wolfgango Mozart nel mese di Maggio 1772
Salisburgo”.

Gli studi sulla evoluzione della scrittura mozartiana e sul tipo di carta
usato per i suoi manoscritti musicali hanno indicato che la K. 129 iniziò e
si sviluppò e si concluse in periodi successivi.

Ciò potrebbe suggerire che essa iniziò nel maggio 1772, ma fu


completata in seguito, o che fu iniziata precedentemente e completata nel
maggio 1772. La seconda ipotesi appare più probabile della prima.

Il primo movimento della K. 129 inizia con un grande accordo rafforzato


da una quadrupla pausa per i violini. A ciò segue una piccola variazione,
basata sul cosidetto ritmo Longobardo o Scozzese SNAP, in cui il ritmo
è udito anche come parte del secondo tema e come il motivo principale
della sezione-sviluppo.

Un passaggio ripetuto probabilmente richiamato per il Crescendo


conduce nella sezione conclusiva dell’esposizione, in cui i primi e
secondi violini sono impegnati a rispondersi tra loro rapidamente.
Entrambe le sezioni di questa forna-sonata sono ripetute.

Una sezione-sviluppo temperamentosa alterna brevi momenti di lirismo


con i Forte previsti dal ritmo Longobardo; la ripresa segue regole
convenzionali.
L’Andante in Do maggiore inizia come una canzone con i soli archi
suonanti. Gli oboi e i corni si uniscono e la canzone viene ripetuta. Per il
resto dell’esposizione non vengono introdotti temi sorprendenti, ma
Mozart dissemina frammenti di magica melodia. La sezione-sviluppo è

71
un conciso fugato in otto battute, che porta alla ripresa convenzionale.
Entrambe le parti vengono ripetute.

Il Finale inizia con un enfatico corno da caccia virtualmente identico a


quello che Mozart userà per i corni del trio del secondo Minuetto del
Divertimento in Re K. 204 (167a) del 1773, e di nuovo anni dopo
all’inizio della sua Sonata per piano K. 576. Ciò può esser legato a ciò
che Burney disapprovava riferendosi ai Finali basati su “Minuetto
degenerato in Giga”. Sebbene il movimento consista in due sezioni
ripetute con uno schema di modulazione della forna-sonata, al momento
dei ritorni in tonica, il tema di apertura è nascosto e non trattasi di una
esplicita ripresa.

Il movimento in ciò forse può avvicinarsi ad una forma di rondò-binario


rispetto alla forna-sonata. La funzione del finale-giga in questa
composizione è simile a quanto Mozart annoterà nell’atto finale del
“Ratto dal serraglio” con “ bisogna andare molto rapidi – lo stringato è
migliore – così che il pubblico non resti freddo appena prima di
applaudire”.

Sinfonia n 18 in Fa K. 130

Mozart intitola il manoscritto autografo di questa composizione


semplicemente “Sinfonia”, a cui suo padre aggiunse “del signor cavaliere
Amedeo Wolfg Mozart / a Salisburgo nel Maggio 1772

Molti commentatori, seguendo Saint-Foix hanno visto la K.130 come la


prima delle grandi Sinfonie mozartiane e bisogna ammettere che la
Sinfonia contiene temi ispirati e di particolare splendore.

Oltre ciò, questa Sinfonia ha un tratto distintivo, derivante dalla tonalità,


che è inusuale nelle Sinfonie di Mozart; dai flauti al posto e posti in una
tessitura più acuta rispetto agli oboi; dalla coppia di corni in Do alto e
FA(o Fa e Si bemolle basso nell’Andantino grazioso).

Mozart ha iniziato il primo movimento con un usuale coppia di corni in


assolo e continua su questa linea anche nell’Andantino. Egli arricchisce

72
il Minuetto aggiungendovi un’altra coppia di corni, sia in questo
movimento che per il Finale.
Quest’idea di mutamento in Mozart può esser stata influenzata dal
ritorno a Salisburgo da un tour europeo di un virtuoso cornista Ignaz
Leutgeb, per il quale in seguito egli ha scritto il suo Quintetto per Corno
ed i Concerti per corno.

CLAUDIO ABBADO

Il primo movimento è in forma Sonata con la prima sezione ripetuta ed


inizia tranquillamente senza fanfare.

Il motivo d’apertura, anche inserito alla fine di due esposizioni, nella


sezione-sviluppo, e all’inizio ed alla fine della riepilogazione, con tratti
del ritmo lento-rapido è collegato al primo movimento della Sinfonia
precedente – un ritmo associato non solo con la musica scozzese ma
anche con il folk ungherese che Mozart può aver conosciuto nei suoi
viaggi o ascoltato da Michael Haydn che lavorò in Ungheria prima di
trasferirsi a Salisburgo..

73
L’andantino grazioso è un movimento largo in forma binaria, il cui tema
iniziale contiene tre frasi piuttosto che le abituali frasi senza numero
preciso.

Ancora una volta i violini mutano, i violoncelli e il basso pizzicato; come


in altri Andanti, le viole sono invariate, forse confermano l’andamento
frammentario di molte orchestre del tempo: esiguo numero di viole.

Il tempo è 3/8 al posto dell’abituale 2/4. J.Haydn per primo scrisse un


Andate in 3/8 per quattro Sinfonie nel biennio 1770-72. Mozart può aver
conosciuto questo particolare ed averlo ripreso nella K.130 o questa è
solo una mera coincidenza?

Il Minuetto è argutamente strutturato intorno ad un canone tra la bass-


line e i violini in ottava, con le viole che aggiungono un monotono
oscillare tra Do e Si naturale, in evidente contraddizione rispetto alle
armonie della tonalità di Fa maggiore.

Il trio offre un pezzo di divertimento musicale: stratosferici corni acuti e


armonie modali. Wyzewa e Saint-Foix definirono questo trio “audace e
bizzarro”. Leutgeb lo definì uno spettacolo di burattini in un mercatino.

Il Finale, indicato a matita con”Molto allegro” probabilmente dalla mano


di Leopold, è anch’esso è in forna-sonata; perciò inizia con una breve
danza come i Finali dei sinfonisti italiani e come molte delle Sinfonie
precedenti di Mozart.

Il movimento è pieno di rapide scale, improvvisi cambi di dinamica,


tremolii e altri suoni gioiosi molto in linea con le Sinfonie
contemporanee.

Sebbene Leopold una volta definì le Sinfonie di Stamitz come “null’altro


che rumorose”, Wolfgang apprese come proporre un uso brillante di
questo stile.

74
Sinfonia n 19 in Mi bemolle K. 132
(con un movimento lento alternativo)

La mano di Leopold è evidente nel manoscritto autografo di questa


Sinfonia. La figura triadica con il trillo che apre il primo movimento
della K. 132 si ritrova come inizio di altre due composizioni nella stessa
tonalità: il probabilmente apocrifo Sinfonia concertante per fiati,K. app9/
X 14.01 e l’autentico Piano Concerto K. 482. Sebbene l’orchestrazione
del movimento sia convenzionale (essendo i fiati solo usati coralmente
piuttosto che come solisti), pochi movimenti delle Sinfonie degli anni
1770 mostrano meglio lo straordinario orecchio mozartiano per le
sonorità orchestrali. Il movimento appare ricco di sonorità quanto di temi
e modulazioni.

Due movimenti lenti interi sopravvivono riguardo questa Sinfonia: un


Andante in 3/8 posto tra il primo movimento e il Minuetto ed un
movimento sostitutivo, un Andantino grazioso in 2/4, aggiunto al
manoscritto dopo il Finale.

La melodia iniziale riproduce l’inizio del Credo Gregoriano. In seguito,


appare una variante di un canto natalizio tedesco “Joseph liebert Joseph
mein” anche noto con il testo latino “Resonet in laudibus”. Gli abitanti di
Salisburgo conoscevano questa versione tanto che essa era riprodotta dal
carillon meccanico nella torre del castello durante il periodo natalizio.
Questo strumento è sopravvissuto e può essere sentito tra il baccano della
città moderna, sebbene non suoni solo la melodia in questione.

Mozart inserì la citazione nella parte del secondo violino alle battute 37-
56 e nel passaggio parallelo alle battute 128-147.

Nonostante la presenza di questa citazione musicale, Einstein considerò


il primo Andante di Mozart pieno di fervore e tratto distintivo personale
di Mozart, perfino espressionistico. E Della Croce lo indicò “così
personale da richiedere d’essere sostituito”. Oltre a tali eccentricità, il
movimento è troppo lungo se confrontato con gli altri Andante delle sette
Sinfonie scritte nello stesso periodo, che mediamente hanno una durata
complessiva di circa 30 minuti, laddove il solo andante K.132 dura circa
nove minuti e mezzo.

75
Questo movimento fuori-misura deve aver qualche significato peculiare,
un riferimento a qualche avvenimento salisburghese o una finalità privata
che non ci è però pervenuta.

LONDON SYMPHONY ORCHESTRA

Forse la sua destinazione specifica spinse a sostituirlo con un movimento


senza citazione musicale esterna. Il differente movimento sostitutivo ha
una struttura convenzionale, condivisa tra violini e oboi con un
permanente dialogo con il resto dell’orchestra.

76
Il Minuetto inizia con uno scambio canonico tra primi e secondi violini.
Questa melodia è ripresa dagli strumenti gravi ed in seguito ripresa in
assolo incluso dopo un’accattivante pausa proprio prima del tema iniziale
a metà della seconda sezione. Il trio, per soli archi, è definito “ardito e
bizzarro” da Wyzewa e Saint-Foix, mentre Abert rilevò anche una
“tendenza verso l’eccentricità”. Sembra basato su una melodia legata ad
un Salmo, come se fosse una parodia di un Mottetto post-rinascimentale.
Un breve divertimento-danza all’inizio della seconda sezione è la sola
intrusione profana in un contesto ispirato al sacro come fu commentato
questo mescolare sacro e profano di Mozart da parte della corte del
principe-arcivescovo salisburghese.

IL Finale è un movimento prettamente fedele alla forma di una gavotta o


contro danza in rondò, come fosse presagio di una prossima Sinfonia
francese. Mozart in quel periodo considerava la musica francese del suo
tempo “ridicola”, non riconoscendole alcuna qualità. Ancora nel 1778
egli scrisse a proposito di un gruppo di sue Sinfonie che “molte di loro
non seguono il gusto parigino”.

Sinfonia n 20 in Re K. 133

Il manoscritto autografo riporta la consueta intestazione “Sinfonia


del signor Cavaliere Amadeo Wolfgango Mozart nel Luglio 1772
Salisburgo”.

Il primo movimento si apre con tre accordi per Tutti, dopo un tema di
trilli affidato agli archi. (questo tema richiama il modello di apertura per
la Sonata di J. C. Bach, che Mozart usò come riferimento per il primo
movimento del suo Piano Concerto n 3).

Squilli delle trombe come degli altri fiati definiscono questa come una
composizione festosa, rilevabile anche dall’assiduo dialogo tra archi e
fiati durante l’intero movimento.

Un’esposizione lirica in contrasto con ciò richiama il ritmo “longobardo”


presente in diverse Sinfonie mozartiane contemporanee. Entrambe le
parti sono ripetute. Una valida sezione-sviluppo riporta la composizione

77
alla tonalità iniziale senza riproporre il tema iniziale. Tal tema Mozart lo
riservò per il Finale laddove s’ascoltano dagli archi e delle trombe.

Questa impostazione di forna-sonata riproduce una forma-specchio, in


cui il tema conclusivo dell’esposizione è derivato dal tema principale,
infondendo al movimento una compattezza ampia a dispetto di una
concomitanza di temi varianti.

Soprattutto l’Andante binario è in tonalità dominante anzicchè


sottodominante. E’ scritto per archi – una volta ancora i violini cambiano
e gli strumenti gravi hanno il pizzicato con l’aggiunta di un flauto
traverso obbligato. Mozart già conosceva una scrittura simile per assolo
di Flauto trovata nell’Andante della Sinfonia in Do, Hob I:30 del 1765.

Il Minuetto è breve, semplice e rapido, qualcosa che Mozart prediligeva a


quel tempo a giudicare dal suo giudizio sui Minuetti italiani che “di
solito hanno grappoli di note, sono suonati lentamente e hanno molte
battute”.

Il trio, per archi accompagnati dagli oboi, una volta ancora gli offrono
l’opportunità di estrarre un asso dalla manica, utilizzando sincopi, giochi
di contrappunto e negando la tessitura monotona di solito applicata per
questo stile di danza musicale.

Il Finale è una giga maestosa in forma Sonata, che inizia e virtualmente


prosegue senza imprevisti verso la conclusione. Questo movimento non
riporta indicazioni sul tempo, e non sembra sentirne la necessità, poiché i
finali-giga erano consueti.

In aggiunta, i Finali di Sinfonia erano di solito rapidi tanto quanto i primi


movimenti. Perciò i primi e ultimi movimenti di questa Sinfonia
dovrebbero intendersi rispettosi delle consuete indicazioni ritmiche:
“Allegro e “Allegro molto” rispettivamente.

78
Sinfonia n 21 in La K.134

Con la consueta suddivisione del lavoro, Wolfgango intitolò il


manoscritto autografo della K. 134 “Sinfonia” e suo padre aggiunse ”del
sgr Cavaliere Amadeo Wolfg Mozart / in Salisburgo nell’Agosto 1772”

Visto che le Sinfonie K. 128, 129, 130, 132, 133 e 134 sono datate
Maggio (tre Sinfonie), Luglio (due Sinfonie), ed agosto 1772, occorreva
la necessità di comporre altre Sinfonie.

WILHELM FURTWANGLER

79
Ciò può esser dovuto all’intenzione dei Mozart di costituire un “opus” di
sei, sebbene fossero composizioni manoscritte, suddiviso in due cicli: le
prime due K. 128, 129 nel primo e le restanti nel successivo ciclo.

Il primo movimento si rifà al consueto tempo di marcia che sostituisce


l’abituale ritmo in 3/4.

Per Mozart, questo è un movimento eccezionalmente mono-tematico. Il


tema di apertura è ascoltato ripetutamente da Tutti nell’esposizione e
nella ripresa, così come nella sezione-sviluppo.

Forse la ragione di quest’approccio monotematico è che Mozart


avvertiva la necessità, piuttosto rara per lui in questo periodo, di
aggiungere una coda di 18 battute in cui, dove un breve richiamo al tema
principale, tre suoni energici richiamano anche il più distratto ascoltatore.

L’Andante, come molti altri di questo periodo, e un 2/4 ed in


sottodominante. Comincia con una melodia che può esser stata ispirata a
Mozart da un’aria di Gluck. “Che farò senza Euridice” dall’ “Orfeo”.

Il Minuetto ha una qualità riscontrabile in diversi Minuetti sinfonici di


Haydn e Mozart.

La “tendenza Punch and Judy” - richiamata a proposito della Sinfonia


K.130 - si ripresenta ancora nel trio, con la sua prima sezione
apparentemente non melodica e, nella seconda sezione, gli accordi
arrivano ad un passaggio particolarmente cromatico che prepara al
ritorno dell’iniziale “non-melodia”.

Nel Finale ci si potrebbe aspettare che una danza che volga verso il
Finale sinfonico debba essere una lieve forma-rondò piuttosto che in
forna-sonata; questo non sembra esser percepito come un problema
estetico di discrepanza tra forma e contenuto ed il Finale della penultima
Sinfonia K.550, segue la stessa linea.

80
Sinfonia n 22 in DO K. 162

La data autografa è stata macchiata, ma forse si legge 19 o 29


Aprile 1773; questa data è contrastata sia dalla forma di scrittura di
Mozart sia dal tipo di carta utilizzata, che Mozart usò a Salisburgo circa
tra il marzo 1773 ed il maggio 1775.

Le prime battute del primo movimento definisce il carattere festoso


dell’intera composizione (richiamata da un paio di “long trumpets”), con
l’alternarsi di Tutti “tremolando” e un rassicurante motivo staccato.

Laddove la breve sezione-sviluppo ritorna in Do maggiore, le prime 12


battute sono utilizzate per la chiusura della sezione. Quest’è perciò un
movimento forma-specchio come esplicitato per il primo movimento
della K. 133.

L’Andantino grazioso in Fa maggiore temporaneamente tralascia le


trombe per il clima pastorale di questo tipo di movimento

Il concertante scritto per gli oboi e corni caratterizza la chiusura di questo


movimento nello stile degli andanti-Serenata orchestrali di Mozart.

Il Finale tipo giga – in cui rientrano le trombe e che esordisce come una
fanfara che era affidata agli strumenti gravi nel primo movimento – è
composto in una concisa forna-sonata.

81
Sinfonia n 23 in Re K. 181 (162b)

Questa Sinfonia è datata 19 Maggio 1773. Il primo movimento con


un indicazione tempo inusuale “allegro spiritoso” è un “essay” nell’uso
di “rumori” orchestrali che compongono un “whole” soddisfacente e
coerente.

Non vi sono melodie memorabili, ma piuttosto una successione di


annunci timbrici che includono note ripetitive, squilli, arpeggi,
improvvisi piano e forti, scale, sincopi, ritmi ed così via.

L’Andantino grazioso in Sol maggiore, segue il primo movimento, senza


interruzioni. Le trombe continuano a tacere e il movimento in qualche
modo compensa con l’assenza di una melodia trainante, offrendo un
assolo di oboe nello stile di siciliana. Ciò conduce, nuovamente senza
interruzione, direttamente al Rondò, nello stile di contro danza o marcia,
che Saint-Foix correttamente appella con il nome novecentesco di
“QuicK. step”.
EUGENE ORMANDY

82
Sinfonia n 24 in Si bemolle K. 182 (173dA)

Il manoscritto autografo riporta l’iscrizione “Sinfonia del sigr


Cavaliere Wolfgango Amadeo Mozart il 3 d’ottobre a Salisburgo 1773”,
con la data decisamente cancellata. Questa Sinfonia è stata sottovalutata
dai commentatori e direttori moderni, in quanto Mozart deve averla
talmente apprezzata tanto da scrivere al padre a Salisburgo, nel decennio
successivo, chiedendogli di spedirgli il manoscritto – sempre con altre
composizioni - da usarsi nei suoi concerti nella capitale austriaca.

Sebbene il movimento d’apertura sia vicino come contesto al primo


movimento della K.181, pochi tratti di note si distinguono, con il ritmo
“longobardo” come preminente.

L’Andantino grazioso, con i suoi violini silenziosi, cambia la tonalità in


Si bemolle, mantenendo i corni una quinta sotto, sostituendo i flauti con
gli oboi, costruendo un particolare contrasto di timbri e sonorità ed è una
semplice cantilena in forma A A B A.

Questa è una caratteristica mozartiana, l’associare i flauti con le note più


acute e gli oboi con le note più gravi dei corni.

La giga finale che conclude questa composizione dionisiaca è in pieno


stile Opera buffa dall’inizio al termine.

Sinfonia n 25 in Sol minore K. 183 (173dB)

Una volta Debussy scrisse a proposito della Nona Sinfonia di


Beethoven che “essa contiene in sé una molteplicità di aggettivi. Come
per il sorriso di Monna Lisa – che è sempre stato definito enigmatico – è
un capolavoro su cui sono stati fatti i commenti più disparati.
Similarmente, si può dire a proposito del nugolo di commenti che
circondano le due Sinfonie in Sol minore, la più famosa K.55 o la
cosiddetta “Piccola” K. 183, datata 5 Ottobre 1773.
La gran parte delle Sinfonie del 1800 sono in tonalità maggiore di
carattere positivo, festoso e nobile come indicato dallo scrittore

83
contemporaneo JAP Schultz, piuttosto che di carattere appassionato,
malinconico, ombroso delle poche composizioni in tonalità minore.
Gli eccessi di aggettivi riguardano quei commentatori della storia della
musica che considerano le Sinfonie in tonalità minore di Mozart come
delle meditazioni preannuncianti i capolavori monumentali sinfonici del
romanticismo.
I seguaci di quest’idea ci assicurano che la K.183 è pre o proto-
romantica, che essa è l’esito della crisi romantica della musica austriaca
intorno al 1770, e che sia una manifestazione della tendenza culturale
identificata con lo “Sturm und Drang” così definito in seguito da Klinger.
Il nugolo di aggettivi può essere almeno parzialmente dissipato se si
tenta di considerare la K. 183 (ed altre composizioni in tonalità minore di
questo periodo) dal punto di vista della musica dei primi due terzi del
1700, anzicchè come preMessa allo sviluppo musicale successivo, del
1800.

I suoni delle Sinfonie in tonalità minore dei primi anni 1770 non sono
inediti. Questi effetti repentini sono stati inventati dai teatri d’opera come
ritratti di tempeste naturali tanto bene quanto le tempeste emotive umane.
Un’attenta analisi delle opere serie degli anni 1760 può rivelare
l’originale musicale delle cosidette Sinfonie “sturm und drang” degli
anni 1770. L’iniziale “Allegro con brio” che il conclusivo “Allegro della
K. 183 mostra la forma – Sonata su larga scala con le due sezioni ripetute
e l’aggiunta di una coda.
Il primo movimento che recentemente ha acquisito notorietà come
colonna sonora del film “Amadeus”, mostra, seguendo le parole di
Stanley Sadie “il tono incombente dato dalle note sincopate e ripetute …
l’utilizzo drammatico dell’inserimento della settima diminuita ed alle
ripetute frasi che seguono”.
La forza crescente dell’idea musicale è testimoniata dal forte senso
armonico che sostiene la struttura melodica da parte degli strumenti
gravi, e l’eco delle sezioni che non sono meramente decorative, ma
hanno la funzione di rafforzare l’intensità.

L’andante in Mi bemolle maggiore e anch’esso in forna-sonata con


entrambe le metà ripetute, ma senza la coda. Qui l’inquietudine
tempestosa dà il via ad altre passioni, espresse dalle appoggiature di
suoni prolungati e nostalgici. Esse riemergono e tornano in quarta tra i

84
violini taciti e i fagotti obbligato, ed anche uniti dalle viole, violoncelli e
bassi. Gli unisono e i cromatismi contraddistinguono il Minuetto. Le frasi
di quattro battute e i ritorni in forma binaria sono tradizionali.

Questa discrepanza tra ciò che ci si aspetta da un Minuetto e ciò che


compose Mozart è enfatizzato nel Trio in Sol maggiore, scritto per
Harmonie (composizione per fiati) del genere abitualmente utilizzato
intorno a Vienna in occasione di banchetti, ricevimenti all’aperto,
serenate serali e simili.

PHILADELPHIA ORCHESTRA

Poiché il primo movimento della K.183 è denominato Allegro con brio e


il Finale solo Allegro può sembrare contraddire il principio che i tempi
dei movimenti conclusivi siano più veloci rispetto ai movimenti d’inizio.
Qui, comunque, i primi movimenti includono semicrome e importanti
eventi ritmici, armonici, melodici per tutte le quattro misure di
semiminime, mentre le note più brevi nel Finale sono crome.

HC. Robbins Landon ha suggerito che questa composizione straordinaria


può esser stata ispirata dall’egualmente straordinaria Sinfonia n 39 di
Haydn della fine degli anni 1760, anch’essa in Sol minore.

85
Sinfonia n 26 in Mi bemolle K. 184 (161A)

Un esame recente della data del manoscritto, molto deteriorata,


conferma che si legge probabilmente “30 marzo 1773! Segue l’usuale
intestazione “del sigr Cavaliere Amadeo Mozart”. Ciò vuol dire un mese
dopo il rientro dal terzo soggiorno italiano del padre e del diciasettenne
compositore.

Ogni commentatore ha sottolineato il carattere drammatico di questa


composizione, per esempio Saint-Foix nel suo linguaggio stravagante:
“la violenza del primo movimento seguito dall’infinita disperazione
dell’Andante (in minore) ed i ritmi gioiosi e caldi del Finale
contraddistingue questa Sinfonia come un episodio a sé: l’esaltazione
romantica qui arricchisce il suo tratto”. In aggiunta, la composizione
sembra affine a temi familiari. L’intensa apertura del Molto presto
servirà come modello ad altre aperture di altri due pezzi in Mi bemolle:
Sinfonia concertante K.3 e la Serenata per fiati K.375.

L’Andante in Do minore, colmo di appoggiature e di altri effetti tratti


dalle arie tragiche italiane, è il primo di una serie di possenti Andanti in
Do minore. Il tema della giga finale della K.184 riunisce quello del
rondo-finale del Concerto per corno K.495, anch’esso in Mi bemolle.
Perciò Mozart aveva in mente un gruppo di temi associati tra loro in Mi
bemolle maggiore e in Do minore, che riappaiono in diverse forme per
un periodo prolungato.

L’intera scrittura del concertante per i fiati per tutti i tre movimenti della
K.184 è caratteristico di questo periodo.

La giga-finale non tenta di mantenere l’alto tenore drammatico dei due


movimenti precedenti. Ciò che Mozart pensava nel suo intento di
rasserenare la tensione generata inizialmente appare nelle indicazioni del
primo e terzo movimento di questa inusuale costruzione.
In questa Sinfonia eccezionale i suoi tre movimenti sono suonati senza
alcuna interruzione, in un modo simile a molte Sinfonie-Ouvertures
all’italiana, e l’orchestrazione richiede la presenza contemporanea di una
coppia di flauti e oboi che suonano simultaneamente.

86
La consuetudine mozartiana nelle sue Serenate orchestrali e nelle sue
Sinfonie giovanili era quella di usare o flauti o oboi e non entrambi e
nelle sue ultime Sinfonie egli utilizza un paio di oboi e un singolo flauto.

Con l’eccezione della K.297, scritta per Parigi, poche Sinfonie


richiedevano un paio di oboi e un paio di flauti simultaneamente ed erano
state composte originariamente come Ouvertures per opere teatrali:
“Die Schuldigkeitdes ersten Gebots” K.35; “La finta semplice” K. 51;
“Mitridate re di Ponto” K. 87; “Ascanio in Alba” K. 120; “Il sogno di
Scipione” K. 161.

A questo proposito, l’Ouverture de “La finta semplice” nasce come


Concerto sinfonico K. 45 per oboi ed in seguito furono aggiunti un paio
di flauti per il teatro.

Pertanto, la K. 184 può essere intesa sin dall’inizio come un Ouverture,


una funzione che non avrebbe precluso il suo utilizzo in concerti.

La K. 184 fu utilizzata in tal modo apparentemente con il consenso dello


stesso Mozart, dal gruppo teatrale di J. H. Bohm quale Ouverture di
“Lanassa” su libretto di K.M Plumicke, che racconta le vicende di una
vedova indù che è incapace di accettare il proprio eventuale destino del
morire bruciata dopo la morte del marito.

Tal produzione non solo utilizzò l’Ouverture, ma fu proposta con altra


musica che Mozart compose per “Thamos Konig in Agipten” K. 345, per
il quale furono scritti nuovi testi.
Pertanto è spiegabile il perché qualcuno abbia considerato la K.184 come
l’Ouverture destinata al “Thamos”.

87
Sinfonia n 27 in Sol K. 199 (161b)

La data del manoscritto autografo è, una volta ancora, danneggiata


ed è difficilmente leggibile con precisione; il tipo di carta è del tipo usato
tra il marzo 1773 e maggio 1775. IL primo movimento della K. 199 è
una piccola – scala, elegantemente proporzionata in forna-sonata.

KARL BOHM

88
Nell’Andantino grazioso in Re maggiore, gli upper strings (viole e
violoncelli) tacciono mentre i violini suonano prevalentemente in
pizzicato, e i flauti, presumibilmente limitati per rinforzare i Tutti, come
al solito offrono un tipo di aria-canzone adatta a serenate d’amore nelle
opere italiane.

Con le sue terzine parallele di seste e terze, il movimento offre solo un


colore cromatico, espresso dagli accordi di sesta aumentata verso la fine
di ognuna delle due sezioni ripetute.

Il Finale inizia con qualche figura contrappuntistica, che coesiste con i


temi eleganti del resto del movimento. Saint-Foix descrive l’effetto come
“una sorta di fugato che presto assume il ritmo-valzer”. Il tema del fugato
Sol – Do – Fa diesis – Sol è derivato dal tema d’apertura del primo
movimento.

Mozart commenterebbe più tardi questo tipo di scrittura quasi-


contrappuntata nel Finale del “EinMusicalischer Spass” K.522. In essa il
medesimo materiale usato per la ripresa è utilizzato sia come tema
principale che come transizione.

Contrappunto a parte, il movimento si presenta come accattivante, come


era richiesto ad una brillante conclusione di una Sinfonia nel 1773.

Sinfonia n 28 in Do K. 200 (189K.)

Il manoscritto autografo della K.200 apparentemente è datato 17


Novembre 1777, sebbene il giorno può esser letto anche 12 e l’anno
anche 1773. Il tipo di carta usata da Mozart è quella consueta del periodo
tra marzo 1773 e maggio 1775.

Se la data del 17 o 12 Novembre 1774 è corretta, la K.200 è la Sinfonia


conclusiva di quelle composte a Salisburgo nella prima metà degli anni
1770. Dopo essa, egli non scrisse Sinfonie finchè non arrivò a Parigi nel
1778.

89
Diversi commentatori hanno udito echi di altre musiche in questa
composizione. Abert individua la similarità tra il primo movimento e
quello della Sinfonia in Si bemolle K.182. Wyzewa e Saint-Foix
individuano l’influenza di Haydn nel medesimo primo movimento. Essi
considerarono che il tema d’apertura dell’Andante fosse entro lo stile di
una canzone popolare tedesca e considerarono il Minuetto come la prima
parte del Minuetto della Sinfonia Jupiter (la quale richiamava il Minuetto
di Haydin per la Sinfonia n 45). Hocquard ci rimanda al “Flauto magico”
nel finale, per ciò che egli definì “Il motivo Monostato”.

Questo gioco del “trova la somiglianza” o “indica l’influenza” è un gioco


a cui è difficile resistere e molti studi vi si sono dedicati. Per i
compositori di quel periodo non era essenziale l’originalità, come essa
diventerà per i periodi successivi. Molta più attenzione era incentrata sul
valutare la maggior o minor ispirazione e grandi composizioni potevano
condividere materiali comuni.

Ciò può confrontarsi con l’abilità degli artigiani a cui veniva


commissionata la costruzione di un tavolo: la scelta dei materiali e la
funzionalità erano essenziali perché il lavoro fosse ben valutato, nulla
importava se il modello fosse un’imitazione d’altro o una novità.

Sinfonia n 29 in La K. 201 (186a)

Molto di quanto indicato per la Sinfonia n 25 K.183 può essere


ripetuto a proposito di questa composizione, datata 6 aprile 1774,
compreso la sua tonalità maggiore, per l’inquieto e drammatico tratto del
primo e del quarto movimento, l’uso della forna-sonata per tre dei
quattro movimenti, il carattere fortemente discordante dell’Andante – in
questo caso la serenità elegante più che la durata - la qualità più sinfonica
che ballabile del Minuetto e il tratto d’apertura del movimento Finale che
richiama il tema d’apertura del primo movimento.
Il più elevato grado di eccellenza di questa Sinfonia è stato diffusamente
riconosciuto tanto che essa e la già citata Sinfonia 25 K. 183 sono le
Sinfonie giovanili mozartiane eseguite dalle orchestre più prestigiose.

90
Il primo movimento inizia “piano”, senza la tradizionale fanfara o gli
accordi stentorei. Il tema iniziale consiste in un intervallo di ottava – che
ricompare all’inizio del movimento Finale – e un gruppo di crome che
conducono ad un ulteriore intervallo di ottava, e così via in una sequenza
continua, ripetuta quindi da Tutti all’ottava superiore ed in canone tra i
violini e gli altri archi.

BERLINER PHILHARMONIKER

Molti temi di colore diverso appaiono sulla dominante, conducendo


verso la conclusione della sezione con note ripetute ed arpeggi. La
sezione – sviluppo concisa è caratterizzata da passaggi di scala, note
ripetute, modulazioni e sincopi e conduce verso la sezione-ripresa.

Entrambe le sezioni sono ripetute ed il movimento si dirige verso la sua


conclusione ariosa con una coda basata sul tema iniziale ascoltata in
canone.

91
L’Andante e il Minuetto hanno in comune l’uso predominante di ritmi
puntati e doppio puntati, caratteristici delle marce e delle sezioni lente
delle Ouvertures francesi.

L’Andante è forse il più eloquente dei molti che Mozart scrisse con
questa struttura. L’energia di questo movimento emerge dal Minuetto che
sembra dominato più da uno spirito guerriero (Marte) piuttosto che da
quello danzante (Tersicore).

Nonostante le eccezioni rispetto alla forna-sonata, compresa la sezione-


sviluppo che Einstein descrisse come “la più ricca e drammatica che
Mozart abbia scritto fino a quel momento”, il Finale ha il carattere della
danza-Chasse, con le sue note marcatamente ribattute e i richiami dei
corni da caccia.

Alla fine dell’esposizione, sviluppo, ripresa e coda, Mozart diede ai


violini una rapida scala ascendente.

In questa Sinfonia, Mozart sembra avere acquisito un equilibrio


composto tra gli elementi lirici e gli elementi strumentali-musicali.

Sinfonia n 30 in Re, K. 202 (186b)

Il primo e ultimo movimento di questa Sinfonia, che è datata 5


Maggio 1774, inizia con una melodia costruita intorno ad una triade
discendente dalla tonica Do – La – Fa diesis – Re.

Il primo movimento è una leggera forna-sonata, un adattamento di una


figura trillo sulla tonica Do in quarta misura e con molti accenti in Mi
intorno a 19 battute dopo, e poi dopo 11 battute dopo un prolungato La,
quale interruzione del tema lirico che infine pervade la tessitura verso la
conclusione dell’esposizione, come la reminiscenza musicale di
riproporre il canto polifonico.

L’Andantino con moto, in La maggiore, è una forna-sonata ridotta e


scritta per soli archi. L’apparente semplicità della sua melodia cantabile

92
cela l’attenzione che Mozart deve aver avuto per comporre le quattro
voci, sia attive che accattivanti.

Il Minuetto e il trio mantengono lo spirito della sala da ballo, ma


confrontandoli con i 16 Minuetti, K. 176 che Mozart scrisse per il
carnevale 1774, rivelano alcune peculiarità: i Minuetti per sala da ballo
sono più brevi, più all’unisono ed omettono l’uso delle viole.

Le tessiture più semplici e le strutture delle frasi della K.176


apparentemente costruite per essere più facilmente percettibili in una
riunione sociale rumorosa, laddove il Minuetto sinfonico più elaborato
indica una maggiore cura-attenzione al suono sia per i suonatori che per
gli ascoltatori.

Il Finale, come il primo movimento in forna-sonata con entrambe le


sezioni ripetute e l’aggiunta di una coda mostra una complessa miscela di
temi seri e semi-seri.

La fanfara iniziale in ritmi puntati è nello spirito del “quick step”.


Quest’apertura in stile-marcia contrasta con i contenuti di lirismo; e se la
sezione-sviluppo, con i suoi accordi diminuiti e le sue pause, si presenta
a noi come apparentemente riflessivo-serio, in seguito la maniera in cui
la coda, semplicemente sfuma piuttosto che offrire un vero e proprio
finale, richiama a noi l’idea che il compositore fu, nonostante tutto, un
diciottenne con uno spiccato senso dell’umorismo.

Saint-Fois, Einstein ed altri critici hanno ribadito una visione comune su


questa Sinfonia: un ritorno verso il puro intrattenimento e “galanterie”
delle prime composizioni, dopo la parentesi drammatico-inquieta delle
composizioni K.183 e K.201.

Non possiamo stabilire se questa sia o meno una scelta stilistica definita
perché è possibile che non venisse richiesta alcuna drammaticità per
composizioni destinate all’intrattenimento-danza e al contempo fosse
richiesta serietà musicale per le occasioni di gala a Salisburgo.

93
Sinfonia n 31 in Re K. 297 (300a)

La sua prima esecuzione fu a Parigi, in un concerto religioso per il


Corpus Domini (18 Giugno) ed il giorno seguente Mozart scrisse:
“Proprio a metà del primo Allegro c’è stato un passaggio apprezzato,
l’intera platea fu scossa e scoppiò un fragoroso applauso; ma, come
prevedevo, ho ripetuto il medesimo passaggio nel finale, quando essi
scandirono “da capo”. L’andante fu anch’esso accolto con favore,
soprattutto l’ultimo Allegro perché esso prevede come il primo che tutti
gli strumenti siano impegnati in un unisono, io lo iniziai con la sezione
violini, in un piano per le prime otto battute – seguito immediatamente
da un forte perentorio: la platea, come avevo previsto disse “shh”
durante il soffuso inizio e dopo, quando intesero il contrapposto Forte,
scoppiò l’applauso.”

COLIN DAVIS

94
N. Harnoncourt ci riferisce che il passaggio in cui il primo movimento
della K.297 piacque tanto alla platea dovrebbe essere tra le battute 65.-
73, ripetuto alle 220-27, laddove una spiccata melodia ai violini è
supportata dai fiati e violoncelli e contrabbassi in pizzicato creando un
effetto brillante.

D’altra parte, Sadie – seguendo Wyzewa e Saint-Foix – ha suggerito


un’identificazione diversa del passaggio indicato da Mozart. Esso
dovrebbe essere tra le battute 84-92 e poi nella ripresa alle battute 238-
50, ed infine nella coda alle 257-69. Quest’impressione suggerisce una
diversa traduzione delle parole di Mozart da parte di Emily Anderson
“come prevedevo, l’ho poi ripetuto ed ancora nel Finale”.

Sebbene l’ambiguità permanga, ciò lascia aperta la possibilità che


Mozart intendesse che i temi dei primi movimenti sinfonici potessero
essere ripresi sia nell’esposizione che nella ripresa e altresì nel Finale
Sinfonia.

Dopo l’esecuzione della sua Sinfonia, Mozart ebbe un diverbio con il


direttore del concerto Joseph Legors e a tal proposito Mozart riportò
che:“..Egli non apprezzò l’Andante, sostenendo in esso ci fossero
eccessive modulazioni e fosse altresì troppo lungo. Egli sosteneva tal
impressione per il fatto che la platea non prolungò l’applauso al termine
dell’Andante tanto quanto fece a conclusione del primo e del Finale
movimento. Al contrario, io considero che l’Andante abbia avuto largo
consenso da parte di appassionati di musica ed alla maggioranza di chi
l’aveva ascoltato. Esattamente l’opposto di quanto sostenuto da Legros.
Per soddisfarlo, ho composto un diverso Andante che avesse un
differente carattere. Ed il nuovo mi piacque ancora di più del
precedente, tanto che il 15 agosto, per la festa dell’Assunzione, la mia
Sinfonia fu eseguita per una seconda volta, ma con il nuovo Andante..“.

L’impressione di Mozart a proposito del nuovo Andante per la K. 297 è


confermato da altre fonti: I manoscritti di Salisburgo e Berlino
contengono un Andante del tutto diverso per quanto riguarda l’Andante
eseguito alla prima parigina. Permane la confusione su quale delle due
sia la prima e la seconda versione e gli esperti continuano a dibatterne.

95
Sinfonia n 32 in Sol K. 318

Essa fu la prima Sinfonia composta dopo lo sfortunato soggiorno


parigino. La sua struttura richiama quella delle Ouvertures dell’opera
comique parigina secondo Gretry, mentre Deiters considerò che la K.318
è da collegarsi al “Thamos” K.345, mentre Einstein sostenne che essa
fosse parte di un Singspiel incompleto “Zaide” K. 344.

LONDON SYMPHONY ORCHESTRA

96
Ma questa Sinfonia, datata 26 aprile 1779 fu composta troppo tardi per la
prima versione di “Thamos” (1773) e troppo presto per “Zaide” (1779-
80) e “Thamos” (inverno 1779-80). Inoltre, la musica di “Thamos” nel
corso degli anni 1780 fu più volte riutilizzata con nuovo testo per una
composizione viennese, per la quale si usò la Sinfonia in Mi bemolle
K.181 e non la K.318.

Infine, il primo movimento contiene la forma “da capo” che non fu


un’innovazione di Gretry o di altri compositori di opere comiche, ma fu
ripresa dai modelli italiani: Mozart probabilmente aveva composto
un’Ouverture in Re minore per il suo Oratorio “La betulla liberata” K.
118.

Diverse ristampe della K.318 riportano il sottotitolo “Ouverture” e anche


“Ouverture in stile italiano” Tali sottotitoli potevano riferirsi alla
necessità di distinguere composizioni sinfoniche da Ouvertures teatrali –
una distinzione largamente diffusa all’epoca di Mozart sia nella pratica
che nelle forma scritta.

Egli non indicò alcuna definizione propria nel manoscritto autografo


indicandovi solo “di Wolfgango Amadeo Mozart manu propria il 26
aprile 79”. Certamente egli acconsentì all’uso teatrale della composizione
– come probabilmente avrebbe fatto per molte delle sue Sinfonie: nel
1785 egli approvò ciò, anche per altre due composizioni vocali , K. 479
e 480, inserendo il tutto nell’Ouverture di una produzione Bianchi di
Vienna per l’opera buffa “La villanella rapita”. Attraverso ciò, tale
Sinfonia è stata riconosciuta nel corso del 1800.

La composizione inizia con Allegro Spiritoso, movimento in forna-


sonata in cui, per la prima volta nelle Sinfonie mozartiane, il basso di
tradizione barocca è affidato per diversi passaggi al fagotto ed al
violoncello, creando inediti effetti timbrici. Nel momento in cui ci si
attenderebbe la ripresa, l’Allegro si interrompe con un’ampia pausa con
un Andante in Do maggiore nella forma-rondò.

Ciò conduce senza interruzioni ad un “tempo primo” che, dopo alcune


battute di transizione, propone una vera e propria ripresa non dall’inizio,

97
ma da sei misure prima del ritorno al cosiddetto “secondo tema”. La
parte tralasciata nella ripresa andrà ad inserirsi nella coda finale.

Tal struttura riproduce una forma-specchio asimmetrica, in cui il gruppo


dei temi iniziali è A, il secondo gruppo di temi è B e l’Andante C segue
un modello A B C B A.

Sinfonia n 33 in Si bemolle K. 319

Il manoscritto autografo è intestato con “Wolfgango Amadeo


Mozart manu propria Salisburgo li 9 di giugno 1779”

La K. 319 fu probabilmente concepita per la troupe teatrale Bohm (come


la K.184). La troupe sostò a Salisburgo ai primi di giugno 1779, quando
Mozart fu contattato da Bohm e dai suoi musicisti principali.

La compagnia era composta da circa 50 attori, danzatori, cantanti e tornò


a Salisbrugo ai primi di settembre e si fermò là fino agli inizi del 1780.
La K.319 può esser stata composta in previsione del loro ritorno a
Salisburgo.

Questa Sinfonia originariamente ebbe solo tre movimenti, ma qualche


tempo dopo egli rientrò a Vienna ed aggiunse un Minuetto ed un trio. Il
movimento aggiunto fu inserito nel manoscritto iniziale con della carta
usata principalmente dal giugno alla fine del 1785, ma anche in uno o
due partiture dell’anno precedente.

Parti di questo manoscritto di questa composizione sono stati rinvenuti


in diversi luoghi: Salisburgo, Praga, Bolzano, Modena, Francoforte e
Graz.

Tutti i tre movimenti iniziali della K. 319 sono in forna-sonata,


condividono temi riassemblati e iniziano le rispettive sezioni-sviluppo
con nuovi temi piuttosto che con l’adattamento di temi precedentemente
presentati.

98
Nella sezione sviluppo del primo movimento il Mottetto delle prime
quattro note Do-Re-Fa-Mi, sono presenti alle battute 143-46 e 151-54 ed
ancora, modificati nell’Andante alle misure 44-47 e nel Minuetto 9-12 e
trio 1-4.

DIMITRI MITROPOULOS

99
L’Andante è nella forma A B A’ B A coda, con la sezione A’ scritta in
tessitura similare, prima negli archi in dominante e poi nei fiati sulla
tonica.

Il Finale inizia come una semplice giga; ma le terzine della giga


alternano con doppiette, la partitura dei fiati è molto ravvicinata rispetto
al passato, e la sezione-sviluppo offre un esempio di pseudo-
contrappunto in cui, pur mantenendosi sole due voci, crea l’illusione di
una forma polifonica.

Sinfonia n 34 in Do K. 338

Questa fu l’ultima Sinfonia che Mozart scrisse a Salisburgo e


riporta ”Sinfonia di Wolfgango Amadeo Mozart manu propria li 29
Agosto, Salisburgo 1780”.

Il diario di Nannerl riporta che il fratello suonò a corte il 2, 3 4


settembre; una di queste tre date probabilmente fu la prima esecuzione
della K.338. Dopo essa, Mozart seppe di dover andare a Monaco per
alcune settimane per sovrintendere alla preparazione di “Idomeneo”, così
questa Sinfonia potrebbe esser servita sia come esecuzione a Salisburgo
che come introduzione per Monaco.

Non è stata riscontrata alcune esecuzione a Monaco, ma la K. 338 fu


eseguita a Vienna agli inizi degli anni 1780 e nel 1786 egli inviò una
parte della partitura manoscritta con delle sue correzioni al principe von
Fustenberg, in seguito ritrovata negli archivi a Donaueschingen. Altre
parti della partitura furono ritrovate a Salisburgo, Berlino, Vienna e
Praga, ma la composizione non fu pubblicata prima del 1797.

Il primo movimento della K.338 – originariamente indicato come


“Allegro” a cui Mozart stesso aggiunse “vivace” – è in forma-sonata
senza ripetizioni. La fanfara iniziale è il prototipo usato anche all’inizio
dell’Ouverture “Così fan tutte” e “La clemenza di Tito”: ma qui, a causa
dell’esteso materiale che segue, Mozart ha concepito un differente tratto
e carattere.

100
Il primo movimento fu originariamente seguito da un Minuetto o almeno
da un inizio di Minuetto, ma esso è stato stralciato dal manoscritto,
lasciandovi solo le prime 14 battute, che sono a fine dell’ultima pagina
del primo movimento.

Un numero di Sinfonie in quattro movimenti di altri compositori


contemporanei inseriscono il Minuetto come secondo anzicchè come
terzo, ma contrariamente alla prassi di Mozart, questo Minuetto
frammentato è un enigma.

Nella copia autografa, Mozart indicò il movimento centrale della K. 338


come Andante molto, ma egli doveva aver notato che esso veniva
eseguito più lentamente di quanto lui avesse desiderato e perciò
nell’intestazione della parte inviata al Donaueschiengen aggiunse
“Allegretto”.

Il Finale, un’altra giga larga in forma-sonata con entrambe le sezioni


ripetute, da un ruolo concertante speciale agli oboi, ed ancora prevede
una scrittura elaborata per i fiati che può essere un’anticipazione
dell’orchestrazione viennese mozartiana degli anni 80’.

Dopo la K.338, Mozart abbandonerà l’uso della giga nei Finali per
sempre.

Mozart era impegnato a scrivere un’altra Sinfonia per i musicisti di


Salisburgo con cui egli intrattenne ambivalenti rapporti: la Sinfonia
“Haffner” K.385.

Nel periodo in cui la compose però Mozart risiedeva a Vienna, lontano


da suo padre, dall’arcivescovo, dai concittadini, che riteneva ne
limitassero la libertà compositiva.

101
Sinfonia n 35 in Re K. 385 “Haffner”

A metà luglio del 1782 Leopold scrisse a Wolfgang richiedendogli


una nuova Sinfonia per la cerimonia di investitura per un amico di
infanzia Sigmund Haffner junior. La data esatta della cerimonia è
sconosciuta, ma dalla corrispondenza di Mozart si può ritenere che essa
fu eseguita nell’agosto del 1782.

CZECH PHILHARMONIC ORCHESTRA

102
In seguito, Mozart modificò la partitura della K.385 per un concerto a
Vienna, eliminandovi la marcia, togliendo le ripetizioni entro il primo
movimento ed aggiungendovi parti per flauti e clarinetti nel primo ed
ultimo movimento, rafforzando le partiture nei Tutti.

Tal concerto ebbe luogo domenica 23 Marzo 1783 nel Hofburgtheater.

Mozart scrisse in proposito al padre:

“Il teatro non poteva essere più affollato, ma la cosa che mi fece più
piacere fu la presenza di Sua Maestà l’Imperatore e quando egli mi
applaudì buon Dio. Come sua abitudine, ha lasciato denaro al
botteghino prima di andar via. Doveva esserne rimasto deliziato. Il suo
obolo fu di 25 ducati”.

La recensione pubblicata sul “Magazin der musik.” conferma:

“Vienna 22 Marzo 1783..


Stasera il famoso cavalier Mozart ha tenuto un concerto al Teatro
Nazionale, in cui precedenti concerti suscitarono alta ammirazione. Il
pubblico al concerto è stato straordinariamente numeroso e i due nuovi
concerti e le altre fantasie che Mozart ha eseguito al pianoforte hanno
ricevuto fragorosi applausi. Il nostro imperatore, che, contro le sue
abitudini, è rimasto fino al termine del concerto, come il resto degli
spettatori, ha espresso esplicitamente il suo favore, come mai in passato.
L’incasso del concerto può essere stimato intorno ai 1600 ducati in
tutto”.

103
Sinfonia n 36 in Do K. 425 “Linz”

Le lettere dei mesi successivi al matrimonio con Costanza Weber


del 4 agosto 1782 sono piene di propositi per un soggiorno a Salisburgo
per permettere a padre, sorella ed amici di incontrare la coppia.

Nel Luglio 1783 finalmente ciò accadde e la coppia restò a Salisburgo


fino alla fine di ottobre. Nel viaggio di ritorno a Vienna essi dovettero
passare dalla città di Linz. Ciò è indicato nella lettera di Mozart al padre
del 31 Ottobre:

“Quando fummo arrivati a Linz il giorno dopo trovammo un cameriere


ad aspettarci per condurci al palazzo dei Conti Thun, là dove ora ci
troviamo. Non posso dirti quanto questa famiglia sia stata gentile con
noi. Giovedì 4 Novembre terrò un concerto nel teatro cittadino e poiché
non avevo una Sinfonia singola con me, ne sto scrivendo una nuova con
la massima rapidità perché sia pronta entro questa data”

Se Mozart affermò il vero, bisogna credere che egli scrisse una nuova
Sinfonia tra il 30 ottobre e il 4 novembre, copiò le singole partiture (o
furono da altri ricopiate) e forse perfino ebbe il tempo di provare il
lavoro prima dell’esibizione in pubblico.

Il concerto ebbe luogo nella sala principale del Ballhaus di Linz. Nulla ci
è noto sull’orchestra che presumibilmente era con i Conti Thun, senior e
junior, che Mozart rincontrerà a Praga nel 1787 e con Franz
Niemetschek, il biografo di Mozart, chiamato “First-rate”. La nuova
Sinfonia fu in seguito eseguita a Vienna nel suo “Academy” il 1 aprile
1784.

Sin dal momento d’apertura, con i ritmi eleganti delle duine puntate che
aprono l’Adagio, l’ascoltatore è immerso nel mondo musicale
mozartiano dei suoi capolavori. I frutti della libertà artistica di Vienna,
del lavorare con i musicisti orchestrali della capitale, l’esperienza di
orchestrazione accumulata nei concerti per piano e “Dei Entfuhrung”,
l’approccio maggiormente professionale verso la Sinfonia in generale
sono elementi convergenti nella Sinfonia “Linz”.

104
L’ampio respiro del primo movimento, la sua forma perfettamente
equilibrata, l’abilità di orchestrazione non si accordano alle circostanze
sbrigative e di casualità in cui essa fu composta.

BRUNO WALTER

La presenza nell’Andante di trombe e tamburi – strumenti abitualmente


silenti nei movimenti lenti e in tutti i movimenti in Fa maggiore - muta
ciò che poteva esser inteso come una cantilena deliziosa in un
movimento di rimarchevole intensità.

Beethoven apparentemente tenne nota di questa variante quando decise


di utilizzare trombe e tamburi in simil maniera e nella stessa tonalità
nell’Andante della prima Sinfonia del 1799-1800. Joseph Haydn aveva
inserito per primo trombe e tamburi nei movimenti lenti in Sinfonie

105
probabilmente non conosciute da Beethoven, ma in generale questa
rimane una variante rara entro la Sinfonia classica.

Il Minuetto della “Linz” rimane il più convenzionale dei suoi quattro


movimenti, la solennità è ridimensionata dalla maggior semplicità del
duetto per oboe e fagotto, quest’ultimo solitamente evitato da Mozart
entro le sue composizioni-trio scritte nel periodo salisburghese.

Il Finale è simile a quello della Haffner dell’anno precedente, e come


quello è il segnale che ciò fu dovuto alla necessità di rapidità del
comporre “il prima possibile” ciò che è descritto in precedenza dallo
stesso Mozart. All’interno della brillante tessitura unisono che domina
l’intero movimento, Mozart ha inserito dei passaggi di richiamo pseudo
polifonia come già notato nel Finale della K. 319.

Sinfonia n 37 in Sol K. 444


(425° + App A 53 [Perger n 16])

Tra i beni personali di Mozart, dopo la sua morte, fu ritrovata la


partitura di una Sinfonia, contenente un’introduzione lenta, il seguente
Allegro e metà dell’Andante nelle sue mani, ma il resto dell’Andante, il
Minuetto e trio e il Finale in altra fonte.

La composizione, indicata nel K.1 come 444 e pubblicata come Sinfonia


n. 37, è stata spesso eseguita come mozartiana, nonostante il fatto che nel
1907 fu nota – senza la sua introduzione lenta – come una Sinfonia di
Michael Haydn, scritta per l’insediamento del nuovo Priore al monastero
Michaelbeuern nel maggio 1783

106
Sinfonia n 38 in Re K. 504 “Praga”

La relazione tra Mozart e i cittadini di Praga è una felice parentesi


nei suoi ultimi anni.

Quando Vienna sembra evolversi indifferente a lui ed alla sua musica,


Praga apparentemente incentrò la sua su Mozart. Il successo della sua
visita per sovraintendere alla produzione delle “Nozze di Figaro” fu tale
che gli fu commissionata la composizione di un’Opera specifica per
Praga, che finirà con l’essere “Don Giovanni”, la sua ultima Opera.
Inoltre, “La clemenza di Tito” fu anch’essa composta per la capitale
boema.

Franz Niemetschek ha lasciato un dettagliato racconto sulla prima


esecuzione della Sinfonia “Praga” e sul rapporto tra Mozart e l’orchestra
praghese. Scritto una decina di giorni dopo gli eventi descritti e di certo
enfatizzando, il racconto di Niemetschek è un diario accurato e attento
anche se non sempre rilevante nei dettagli:

“..Mozart arrivò a Vienna nel 1787 (per la prima di “Don Giovanni”);


nel giorno del suo arrivo, fu eseguita “Nozze di Figaro” e Mozart fu
presente. Quando la sua presenza fu evidente, dopo l’Ouverture, il
pubblico esplose in scroscianti applausi.
In risposta alla richiesta collettiva, egli diede un recital al piano nella
sala dei Gran Concerti entro il Teatro d’Opera (il 19 Gennaio)”

Le Sinfonie che egli compose per l’occasione erano veri e propri


capolavori della composizione orchestrale, e sono suonati con gran enfasi
e passione, così che la vera anima raggiunge livelli sublimi. Ciò riguarda
particolarmente la grande Sinfonia in Re maggiore, tuttora la favorita a
Praga, malgrado sia stata eseguita centinaia di volte.

Mozart era consapevole di quanto la sua musica fosse apprezzata dai


Boemi e quanto essi la eseguissero pregevolmente. Ciò era spesso
espresso nella sua riconoscenza verso Praga, per il suo pubblico
accogliente e sinceramente amico. Egli calorosamente ringraziava
l’orchestra d’opera in una lettera diretta a Mr Strobard, che ne era il

107
direttore, attribuendo ad essa gran parte del merito dell’ovazione che la
sua musica aveva ricevuto a Praga, grazie alla sua esecuzione.

RITRATTO DEL DIRETTORE


D’ORCHESTRA COLIN DAVIS

108
Già prima del dicembre 1780, quando Wolfgang stava componendo
“Idomeneo” con la famosa orchestra Mannheim, Leopold due volte
avvertì sui pericoli delle richieste dei musicisti d’orchestra: “..quando la
tua musica è eseguita da un’orchestra mediocre, sarà sempre un
fallimento perché è composta affinché si distinguano i vari strumenti ed è
lontana dall’essere convenzionale così come lo è la musica italiana”.

Tre settimane dopo:

“Fai del tuo meglio per mantenere l’intera orchestra di buonumore: per
quanto io conosca il tuo stile di composizione – esso richiede
un’attenzione inconsueta da parte di tutti gli strumentisti e mantenerne
elevato l’umore almeno per alcune ore, lo ritengo produttivo”

Negli anni successivi all’Idomeneo ed alle Sinfonie “Haffner” e “Linz”


Mozart è stato influenzato dal modo di suonare i fiati a Vienna e nelle
sue Opere e Piano-Concerto di quegli anni, è andato a ripercorrere le
tecniche sperimentate nelle composizioni degli anni 1780-83, forgiandole
interamente con i nuovi metodi d’orchestrazione.

Il mutamento d’orchestrazione non rappresenta un caso isolato, ma


riguarda profondamente le composizioni della metà degli anni 1780,
diventando più contrappuntati, cromatici e maggiormente espressivi.

La Sinfonia “Praga” beneficia non solo dell’orchestrazione nuovamente


rielaborata e della profondità dello stile, ma anche della maggior
importanza che egli assegnò alle Sinfonie negli anni di maturità, nelle
quali adesso egli riponeva maggior valenza artistica che non si esauriva
nella finalità precedentemente assegnata loro, come fossero delle
elaborate fanfare per iniziare o chiudere i concerti.

109
Sinfonia n 39 in Mi bemolle K. 543

La Sinfonia in Mi bemolle K.543, datata 30 Giugno 1788 nel


catalogo Mozart, è l’ultima analizzata nella trilogia finale.
L’introduzione è un amalgama di ritmi elegantemente elaborati,
derivante dalle Ouvertures delle opere francesi, con un cromatismo che
pervade tutti i movimenti della Sinfonia.

L’introduzione si espande magistralmente dalla tonica e passo dopo


passo verso la dominante in otto battute ed in ornamenti che seguono per
17 battute, creando un’atmosfera di attesa. L’apertura dell’Allegro è un
interessante caso di temi forti presentati in sottofondo. Iniziando da una
delicata tessitura “Piano” l’esposizione si presenta in atmosfera
movimentata e prosegue tale nello sviluppare il suo carattere e quando la
dominante è elaborata, il più pacato ”secondo gruppo” di temi sonori
esprime più una transizione verso la conclusione della sezione che una
vera e propria esposizione di materiale sonoro in contrasto coi precedenti
temi sonori dell’introduzione stessa.

La sezione-sviluppo si propone come un rafforzamento dei temi del


secondo gruppo precedente, dando ad essi la chance di riaffermarsi, ma
ben presto viene guidato verso motivi rapidi che, dopo un’improvvisa
pausa, sembrano dissolvere il tutto misteriosamente, lasciando spazio
verso il pacato inizio della ripresa.

L’Andante con moto presenta i suoi temi principali in forma binaria con
entrambe le sezioni ripetute, guidando verso una sezione che, insieme al
tema iniziale, ricorre frequentemente lungo lo sviluppo e per l’intero
movimento.

Il Minuetto si presenta separato da un trio che s’esprime attraverso una


coppia di clarinetti, modo diffuso nelle zone alpine. Perciò il tratto
rustico di Mozart dei primi “trio” si ripresenta in questo trio adulto,
anche se in forma più elaborata.

La prevalenza del Finale monotematico Mozartiano espone l’ottimismo


per il quale i finali di Joseph Haydn sono conosciuti ed amati. In questo

110
caso richiama lo spirito elevato della Sinfonia n 88 di Haydn composta
intorno al 1787.

C’è qualcosa di profondamente allegro nella sovrapposizione dei tratti


della contro danza scanzonata su cui questi movimenti erano
originariamente basati e l’intensa modificazione tematica ed armonica
che emerge da questa diversa elaborazione. L’aura di ironia raffinata così
creata è qualcosa di perduto se essa viene smorzata o ridimensionata da
parte di chi ne fa una lettura troppo misurata-contenuta.

CHICAGO SYMPHONY ORCHESTRA

111
Sinfonia n 40 in Sol minore K.550

La Sinfonia in Sol minore K. 550, datata 25 Luglio 1788 crebbe di


fama a partire dal 1793 quando il critico musicale viennese Johann Traeg
la descrisse in questo modo:

“Una delle ultime e più belle del genere:l’intensità della composizione,


in convenzionalità, il cromatismo, l’abbondanza di temi e l’ambiguità
poi definita “romantica” non fu inizialmente percepita nel suo pieno
significato, ma in essa agivano un miscuglio di passioni, di desideri e di
rimpianti di un amore sfortunato”

Altri invece attribuirono ad essa “ leggerezza e grazia greca”.

A partire dall’Allegro di una Sinfonia, con un’espressione pacata e


cantabile, nella K. 543 e K. 550, Mozart ha ignorato le regole di
composizione sinfonica contemporanea. L’apertura della K.550 in
particolare, piano con nessun colpo d’archetto ma semplicemente un
sottofondo d’attesa, richiamato in seguito agli inizi del 1800, può essere
ascoltato in principio della nona Sinfonia di Beethoven, nel Quartetto
d’archi in La minore di Schubert, nel Concerto per violino di
Mendelssohn ed in diverse Sinfonie di Bruckner.

Perfino prima, Haydn riprese dalla K.550 il movimento lento in Mi


bemolle in un suo Oratorio “Die Jahreszeiten” nell’aria in Mi bemolle,
laddove l’inverno è paragonato alla vecchiaia. La citazione riguarda le
parole “exhausted is the summer’s strength” attraverso cui Haydn
simultaneamente propone brillantemente la musica di Mozart e insieme
la commemorazione per la scomparsa del suo collega più giovane e tanto
ammirato.

Schubert prese in considerazione il Minuetto della K.550, utilizzandolo


come modello di riferimento per il Minuetto in Sol minore della sua
quinta Sinfonia.

Oltre ad essere un pilastro del repertorio classico, la Sinfonia in Sol


minore è un modello chiave per la comprensione del legame tra il

112
classicismo e il romanticismo e perfino della sofferenza interiore e celata
di Mozart che ne accompagnò l’intera esistenza.

Sinfonia n 41 in Do, K.551 “Jupiter”

Nella prima metà del 1800 nei paesi di lingua tedesca, la K. 551
datata 10 agosto 1783 è conosciuta come la “Sinfonia con la fuga nel
Finale”. Il soprannome “Jupiter” ha origini inglesi. Il figlio di Mozart,
Franz disse che il termine fu coniato e diffuso da Haydn a Londra e
ripreso da J. P. Salomon violinista e direttore d’orchestra.

Sicuramente i primi riferimenti a questo nomignolo furono inglesi: la


prima apparizione di Jupiter come sottotitolo in una locandina di
concerto avvenne ad Edimburgo il 20 ottobre 1819, seguito da un
concerto della Società filarmonica londinese del 26 marzo 1821; la
prima stampa con quel sottotitolo, un arrangiamento per pianoforte della
Sinfonia di Muzio Clementi fu pubblicata a Londra nel 1823.

Non c’è motivo di nascondere quanto sia straordinaria la composizione


della Sinfonia “Jupiter” nei suoi temi e sul loro sviluppo. A quali
Sinfonie del passato essa può essere paragonata? Quali motivazioni
politiche e sociali possano esser responsabili per l’abbandono dello stile
consueto di molte Sinfonie precedenti da parte di Mozart per qualcosa di
più ampio ed elaborato?

La sua insoddisfazione o il suo idealismo deve esser stato un notevole


impulso per condurlo distante dal suo consueto contesto compositivo,
permettendo a questa Sinfonia di trascendere dai contenuti meramente
musicali e tecnici per accogliere in sé intenti e aspetti diversi da quelli
che la buona società affidava alle Sinfonie.

Ad esempio, cosa può aver avuto in mente Mozart quando si concedette


la libera impetuosità armonica, quando elaborò il suo finale
contrappuntistico e quando decise preminentemente di sovrapporre
questi intenti ai ritmi eleganti delle Ouvertures francesi dell’ancien
regime – ritmi utilizzati in centinaia di Opere del diciassettesimo secolo,

113
Cantate, Oratori, e composizioni liturgiche per indicare nobiltà e
sentimento religioso?

Quel che Mozart aveva in mente non lo si può conoscere, perché egli
“dimenticò” di scrivere le parole delle sue melodie.
Per il primo movimento egli riprese l’aria “Un bacio in mano” K 541.

RICCARDO MUTI

114
Composta per l’Opera di Anfossi “Le gelosie fortunate” Messa in scena a
Vienna il 2 Giugno 1788, l’aria appartiene al personaggio Monsieur
Girò, inesperto nelle faccende amorose, il quale dice a don Pompeo a
proposito dei pericoli femminili “voi siete un po’ tondo, mio car Pompeo
– L’usanze del mondo andate a studiar”. Cosa abbia a che fare questo
con il termine “Jupiter”?

Una risposta parziale è suggerita da Stanley Sadie che ribadisce che il


primo movimento della K. 551 è pervaso dallo spirito mozartiano delle
Opere comiche di quel periodo. Quelle Opere appartengono al genere
“semiserio o dramma giocoso” come indicato nel libretto di “Don
Giovanni”, un nuovo genere ibrido che formalmente vuol distinguersi sia
dall’Opera buffa i cui protagonisti appartengono alle classi popolari sia
dall’Opera seria con i suoi monarchi, nobili e divinità, e la sentimentale
Opera comique con i suoi personaggi della classe media.

Contravvenendo a questa distinzione formale tra serio-semiserio-buffo e


mescolando tra loro le diverse classi sociali di riferimento, nel primo
movimento della K. 551 personaggi di ogni classe possono trovar spazio,
così come le diverse componenti sociali diedero impulso, maggiore o
minore che fosse, alla fine dell’ancien regime.

L’andante cantabile della Sinfonia Jupiter: il suo tema d’apertura sembra


esprimere impetuosamente molteplici negazioni similarmente al
recitativo strumentale del Finale della nona Sinfonia di Beethoven. Dopo
tal esordio di molteplici negazioni, nei bassi, segue una fase di
cromatismi mossi, di sincopi, di accenti e somMessa semicrome (misura
19 e seguenti) presentando elementi di tensione e instabilità che non
possono dissolversi completamente nelle sestine della sezione conclusiva
(misure 28ff).

La ripetizione di questa esposizione accresce il senso di inquietudine, che


si diffonde anche nella sezione – sviluppo, tanto che quando il tema
d’apertura ritorna alla tonica non riesce a prevalere, come se avesse
bisogno di ulteriore sviluppo.

115
Questa necessità di sviluppo estende il tema verso la chiusura con il
rientro della tonica alla battuta 76, e questa terza ripresa è ancor meno
capace di contenere l’inquietudine di sottofondo rispetto alle due volte
precedenti.

Infine, segue una falsa ripresa che si presenta come una coda, ma essa
non propone una risoluzione conclusiva, nonostante che la cadenza della
tonica si ripresenti per tre volte.

Perfino nel Minuetto e trio – il simbolo archetipico musicale dell’ancien


regime – contiene un sottofondo contrappuntistico complesso che è
mascherato dietro un’esteriorità galante, sempre in bilico con l’essere
smascherata. Il trio – così spesso usato da Mozart con lo spirito giocoso –
ha anche un carattere particolare, come mettendo il carro davanti ai buoi
o piuttosto la cadenza prima della melodia a cui esso normalmente
sfocia.
La forma binaria consueta dei Minuetti di Mozart è quì espansa a tal
punto che copre l’intero movimento in forna-sonata con la propria
specifica tessitura ritmica.

Quindi, lo schema iniziale sinfonico di quattro movimenti in forme


contrastanti (sonata – binaria – danza - rondò) è stato qui sostituito da
quattro parti in forma-sonata, con quattro strutture tra loro similari.
Inoltre, Mozart scrive partiture separate per i violoncelli e per i
contrabbassi – battute 9-13 e 52-55.

Infine, cosa avrebbe potuto avere in mente Mozart utilizzando un


modello liturgico-contrapuntistico (il noto Do-Re-Fa-Mi ) come apertura
del movimento finale? Certo una coincidenza che esso sia il medesimo di
quello utilizzato nella prima Sinfonia, la K.16 scritta un quarto di secolo
prima.

Questo motivo, derivato dal canto gregoriano e conosciuto nel 1700


come l’inizio dell’Inno “Lucis Creator”, era stato un motivo su cui
esercitare le proprie capacità di allievo, così come egli fece con i suoi
figli. Esso appare in decine di esempi da Palestrina a Brahms. Può esser
tornato in mente a Mozart nella scrittura del Finale della Sinfonia
“Jupiter” il Credo della sua Missa Brevis in Fa maggiore K.192, basato

116
sul medesimo modello, dove la prosecuzione delle parole “in unum
Deum, Patrem omnipotentem”.

Sicuramente i contemporanei di Mozart capirono che la “Jupiter” non era


una Sinfonia consueta-tradizionale. Come già accennato, Haydn ne era
consapevole prima di partire per l’Inghilterra nel 1790. La scelta di
applicare il titolo Jupiter suggerisce anche la percezione di una
composizione fuori dal comune. Un critico del 1798 indicò che Mozart
aveva spinto le cose un po’ oltre rispetto al Finale-fuga, tanto che
all’inizio del 1800 questo Finale fu utilizzato per funzioni religiose in
chiesa.

WIENER PHILHARMONIKER

117
Leonard Ratner ha dimostrato che il fugato della coda del Finale della
Sinfonia “Jupiter” è un esempio di “musica combinatoria” - quella parte
della teoria musicale in cui si imparano i modi di combinare i suoni tra
loro, ossia i modi in cui i suoni possono essere posizionati e combinati
tra loro in numerose maniere.

I musicisti della seconda metà del Settecento furono così affascinati


dall’ampiezza di queste combinazioni e lo stile suo contemporaneo fu
così influenzato da questo modo di procedere nella composizione
musicale che tra il 1757 e il 1813 furono pubblicati, oltre una dozzina di
giochi musicali i quali rendevano possibile comporre semplici movimenti
musicali da ballo. Questa si può considerare la manifestazione
commerciale di un metodo di manipolazione compositiva che aiutava i
compositori a creare nuovi temi e che facilmente potevano essere
modificati in forma binaria, ternaria, rondò, sonata ed altre.

Il contrappunto reversibile, usato sistematicamente, fornisce un altro


percorso più elaborato per esplorare la combinazione e permuta dei temi
musicali.

Nel Finale della “Jupiter”, sei temi musicali si intrecciano durante


l’esposizione-sviluppo-ripresa e solo nella coda viene svelato l’intreccio:
cinque di essi possono essere combinati per creare un fugato in
contrappunto reversibile in cinque parti.

Cosa ha ispirato Mozart a comporre un Finale di Sinfonia in modo tanto


lontano dall’ortodossia, seguendo un ispirazione quasi trascendente?
Una risposta può essere suggerita da una recente scoperta di Alan Tyson
inerente al fatto che Mozart stesse lavorando contemporaneamente alla
composizione di una Messa. Diversi frammenti, variamente databili, ma
scritti su tipo di carta collocabile temporalmente, possono comprovare
ciò.

Su questi frammenti sacri ci si può riferire raccontando un aneddoto


proveniente da un membro del Teatro Reale di Copenhagen che visitò
Mozart il 24 Agosto 1788 e gli scrisse “ Attualmente egli sta scrivendo
musica sacra a Vienna e non appena l’Operetta sarà conclusa, non avrà
altro da fare per il teatro”.

118
A causa della chiusura del teatro d’opera imperiale per motivi di penuria
economica, Mozart apparentemente ritornò alla musica sacra dopo una
parentesi di qualche anno.

Nel maggio 1791, egli divenne assistente con diritti di successione di


Leopold Hofmann, il maestro di Cappella della cattedrale di Santo
Stefano, sebbene Mozart morì appena prima del vecchio Hofmann.
Si suppone che Mozart stesse pensando alla musica sacra mentre
componeva il Finale della K.551. Ciò vuol dire che ripensava agli
insegnamenti di contrappunto ricevuti sia dal padre, sia da Padre Martini,
sia dal marchese de Ligneville; stava riconsiderando le tradizioni di
musica sacra viennese nella forma dei Salmi composti dal maestro di
Cappella della cattedrale di S. Stefano, Georg Reutter; e forse egli stesso
sperimentava le maniere in cui quel materiale potesse essere
proficuamente modernizzato.

Quando Mozart compose il Finale della Sinfonia “Jupiter”, non poteva


non aver conoscenza del fatto che essa poteva accogliere istanze
innovative, tali da poter poi aprire alla musica del secolo nuovo.
Egli poteva anche sperimentare in essa un punto fermo del percorso che
egli aveva compiuto nelle sue Sinfonie, dalla leggerezza
dell’intrattenimento alle composizioni più impegnative e profonde che
erano al centro del suo universo musicale.
Il Fugato nella coda dello “Jupiter” rappresenta l’apoteosi della fede, e
quattro dei temi dei movimenti precedenti si presentano simultaneamente
in multiformi combinazioni e sovrapposizioni, presentati in modo che
essi non possano esser dissolti entro la sintesi Finale.

Mozart aveva urgenza di liberarsi dalle forze oppressive del passato,


riversando il massimo di energie volte alle aspirazioni ed al futuro. La
scrittura Fuga può esser intesa come un appiglio all’antico, associata
com’è con la tradizione religiosa ufficiale.

L’abate Vogler così scriveva nel 1790: “la fuga è una conversazione tra
una moltitudine di cantanti….perciò tal forma d’arte musicale non
contempla accompagnamento né ruoli secondari, ognuno ha il ruolo
principale”.

119
Altre annotazioni sull’analisi dei movimenti

Il titolo, “Jupiter” (Giove), con cui è nota l’ultima pagina sinfonica


mozartiana non si deve all’autore, bensì al violinista e impresario
londinese Salomon il quale, abbagliato da quella poderosa architettura
sonora, volle sottolinearne gli attributi di autorevolezza e grandiosità.

Il primo movimento, Allegro Vivace, si apre con tre possenti rintocchi,


cui rispondono i violini con un inciso esitante e dolente, in un ritmo
puntato: dalla fusione dei due elementi contrastanti nasce lo scultoreo
primo tema, ripreso trionfalmente ‘a piena orchestra’. Dopo una sezione
di transizione fa la sua apparizione il secondo tema proposto dai violini,
un motivo scorrevole e leggero. Lo sviluppo inizia proprio con
rielaborazioni del secondo tema cui si oppone il motivo iniziale in un
gioco delle parti di perfetto equilibrio, finchè, con la ripresa, il primo
tempo si conclude con un’energica e gioiosa fanfara.

CLAUDIO ABBADO

120
L’Andante Cantabile è una pagina di intenso pathos che si colloca ai
vertici dell’arte mozartiana. Nell’esposizione compaiono tre nuclei
tematici: un primo serenamente cantabile, un secondo più agitato e
fremente, un terzo aperto e caldo. Lo sviluppo è totalmente dominato
dalla seconda idea tematica fino a quando ricompare, ampia e
rassicurante, la terza idea che introduce la ripresa, ricca di variazioni e
ampliata da una coda di notevoli dimensioni.

Il Minuetto: Allegretto è assai misurato e rappresenta un’oasi di


tranquillità prima del Finale.

Finale: Molto allegro.

Questo è strutturato secondo la forma-sonata con una lunga coda in cui


spicca il fugato. Cinque sono i motivi tematici che si snodano all’interno
del movimento, prima distesi e ariosi, poi sempre più fitti e intrecciati in
un gioco contrappuntistico ardito e intenso. Ora emergono echi di fanfara
nel ritmo puntato dei corni, ora frammenti cantabili e suadenti.

Il breve sviluppo è caratterizzato dalla presenza della seconda idea


tematica che domina con decisione.

Dalla ripresa scaturisce la coda. Il primo tema, sommesso, è eseguito ora


dall’uno ora dall’altro strumento, e la conclusione giunge esultante e
gioiosa.

Libera traduzione: Clelia Francalanza

www.tuttiallopera.altervistra.org

121
SINFONIA CONCERTANTE IN MI BEMOLLE MAGGIORE PER
FIATI E ORCHESTRA, K1 A9 (K6 297B)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro
2. Adagio
3. Andantino con variazioni
Organico: flauto, oboe, fagotto, corno, orchestra
Composizione: Parigi, 27 Aprile 1778

Una storia piuttosto curiosa e tormentata è legata alla Sinfonia


concertante in mi bemolle maggiore, la quale è stata pubblicata con
questo titolo soltanto nel 1928 dal musicologo tedesco Friedrich Brume.
Nel 1778 Mozart si trovava a Parigi e quattro strumentisti dell'orchestra
di Mannheim, che allora soggiornavano nella capitale francese, e
precisamente il flautista Wendling, l'oboista Ramm, il fagottista Ritter e
il cornista Stich chiesero al compositore di scrivere un Concerto che
permettesse loro di esibirsi brillantemente in una delle manifestazioni
organizzate dalla celebre istituzione musicale parigina dei "Concerts
spirituels".
Mozart stese in brevissimo tempo, tra il 5 e il 20 aprile, il lavoro richiesto
e lo vendette al direttore dell'istituzione concertistica, Jean Le Gros,
senza preoccuparsi di conservarne una copia per sé. Il Concerto non fu
eseguito, a quanto sembra per rivalità e gelosie tra gli esecutori e Le
Gros; Mozart non riebbe il manoscritto e non si sa se riuscì a riscriverlo a
memoria, così come aveva dichiarato in una lettera inviata al padre in
data 3 ottobre 1778. Del Concerto non si ebbe notizia per moltissimi anni
e infatti esso non figura né nel primo catalogo Köchel (1862), né nelle
prime edizioni della imponente biografia mozartiana di Otto Jahn.
Questi, soltanto nella quarta edizione del suo libro su Mozart parla del
ritrovamento di una copia della partitura, depositata successivamente
presso la Biblioteca di Stato di Berlino. Questa copia però si diversifica
dalla versione originaria del lavoro, perché al posto del flauto è indicata
la parte del clarinetto; non si sa bene se Mozart stesso, riscrivendola a
memoria, abbia introdotto questa modifica. Fatto sta che nessuno ha
messo in discussione la paternità mozartiana di questa Sinfonìa
122
concertante e il Blume si è limitato a "ripulire" la composizione da
qualche adulterazione di fraseggio e di dinamica, rispettandone la
sostanza musicale. Del resto l'invenzione tematica e il suo sviluppo
appartengono verosimilmente allo stile dell'artista salisburghese.
L'Allegro iniziale è una pagina di ampie proporzioni (ben 420 misure)
dell'orchestra, in cui sono esposti i principali motivi del primo e del
secondo gruppo tematico in un organico e pastoso gioco timbrico. Il
quartetto solista espone e varia con freschezza melodica i diversi temi dei
due gruppi; il movimento si conclude con un elegante sviluppo, una
ripresa e una cadenza giocosa dell'oboe, del clarinetto, del fagotto e del
corno.
Segue l'Adagio dal tono solenne e grave; nei cantabili interventi del
clarinetto e del fagotto si preannuncia il tono "massonico" del Flauto
magico.
Nell'Andantino con variazioni scompare ogni ombra di meditazione e di
rimpianto: un'atmosfera divertente e spensierata caratterizza gli interventi
dei quattro solisti nelle dieci variazioni sul tema fondamentale,
incastonate come pregevoli miniature in una tavolozza di colori caldi e
suadenti. Qui Mozart rivela l'autenticità del suo animo di "divino
fanciullo", apportatore di serenità per il pubblico di ogni età.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 5 gennaio 1991

123
SINFONIA CONCERTANTE [N. 52] IN MI BEMOLLE
MAGGIORE PER VIOLINO E VIOLA, K1 364 (K6 320D)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro maestoso (mi bemolle maggiore)
2. Andante (do minore)
3. Presto (mi bemolle maggiore)
Organico: violino, viola, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, Agosto - Settembre 1779
Edizione: Andrè, Offenbach 1802

Il 1779 fu uno degli anni più difficili e penosi della vita di Mozart.
L'ex-fanciullo prodigio aveva ormai ventitre anni e era dovuto tornare a
testa bassa a Salisburgo, dopo un viaggio di sedici mesi che aveva avuto
come tappe intermedie Mannheim e Monaco e come meta finale Parigi.
Profondamente provato dalla morte della madre, che era avvenuta mentre
si trovava solo con lei a Parigi e che aveva segnato il suo definitivo
passaggio all'età adulta, rifiutato da Aloysa Weber, di cui s'era invaghito
a Mannheim, amaramente deluso nella speranza di trovare una
collocazione professionale più rispondente alle sue aspirazioni, si era
dovuto rassegnare al soffocante ambiente salisburghese, riassumendo il
suo ruolo di servitore del principe-arcivescovo. L'insoddisfazione e la
rabbia non spensero ma anzi stimolarono la sua voglia di comporre.
Tra le musiche scritte in quei mesi spiccano la Messa dell'Incoronazione
K.317 (23 marzo), la Sinfonia n. 33 in si bemolle maggiore K. 319 (9
luglio), la Serenata "Posthorn" K. 320 (3 agosto) e, subito dopo, la
Sinfonia concertante in mi bemolle maggiore per violino, viola e
orchestra K. 364 (K. 320 d), la più ambiziosa e perfetta di tutte le sue
creazioni di quel periodo, destinata alla straordinaria orchestra di
Mannheim, da poco trasferitasi a Monaco al seguito del duca Karl
Theodor: se non lo rivelassero i documenti, ne sarebbero un chiaro
indizio lo stile serio ed elevato, l'ampia architettura e la profondità
d'espressione, che la distinguono dalla musica scritta per Salisburgo,
dove aveva l'impressione di scrivere "solo per le sedie", come egli stesso
ebbe a dire.

124
YUTAKA SADO

125
Per gli eccellenti musicisti di quell'orchestra, molti dei quali erano suoi
amici personali, si sentiva invece stimolato a dare il meglio di sé, libero
di scrivere senza costrizioni, sicuro di essere capito e apprezzato.
Nell'epoca dello stile galante, quando la musica doveva essere soprattutto
piacevole, leggera ed elegante, la Sinfonia concertante consentiva di
incrociare Sinfonia e Concerto, alleggerendo il serioso stile sinfonico con
le divagazioni brillanti e virtuosistiche dello stile concertante.
Generalmente il tono di questo genere di composizioni era piuttosto
vivace e leggero, ma Mozart preferì dare a questa sua seconda Sinfonia
concertante (ne aveva già composta una a Parigi, nell'aprile 1778) un
carattere serio e severo: il timbro scuro della viola attenua il brillio del
violino, il primo movimento si tiene lontano dai vivaci temi da Opera
buffa presenti nei tempi veloci di molte Sinfonie mozartiane di quegli
anni, il meditativo tempo lento centrale ha una dimensione e un ruolo
ben superiori al consueto.
In Mozart la tonalità di mi bemolle maggiore corrisponde spesso a
un'aspirazione alla felicità e alla pienezza interiore: ne è una conferma il
primo movimento Allegro maestoso.
È pieno di vita e di speranza e presenta una grande ricchezza tematica: il
tema esposto nell'introduzione orchestrale da oboi, corni e archi
s'affermerà come il tema principale, ma ha un bel rilievo anche il tema
immediatamente successivo, disseminato di trilli, che con un crescendo
prepara l'entrata dei due solisti.
Modulazioni a tonalità minori velano quest'atmosfera luminosa nello
sviluppo, che culmina in un nuovo tema ricco di pathos introdotto dal
violino, in sol minore.
La ripresa della parte iniziale porta alla cadenza, che solitamente era
lasciata all'improvvisazione dei solisti ma in questo caso scritta da
Mozart di suo pugno, sfruttando principalmente il gioco d'eco tra violino
e viola.
L'ampio Andante, nella cupa tonalità di do minore, è un canto
emozionante e patetico, mormorato inzialmente dai violini e ripreso dai
due solisti, che ingaggiano un dialogo intenso e serrato.

126
Il mi bemolle maggiore viene nuovamente raggiunto nella parte centrale,
ma ben presto violino e viola riprendono il loro canto sempre più privo di
speranza, punteggiato da pause inquietanti.
Si apre in tempo di contraddanza il Presto conclusivo, la cui allegria
traboccante spazza via d'un colpo solo il tono raccolto e intenso
dell'Andante: è un Rondò pieno di vita, di gioia, di slancio, che ha
qualcosa della verve indiavolata dell'opera buffa.
Mauro Mariani
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 16 marzo 2001, direttore
Yutaka Sado

127
KARAJAN INTERPRETA MOZART

Mozart, superficie e profondità

Discusso, il Mozart di Karajan lo è sempre stato.


Soprattutto negli anni Settanta ed Ottanta, quelli del "Nuovo testamento"
affidato al disco, che coincisero con i grandi cicli monografici realizzati
con le nuove tecniche di registrazione stereofonica e digitale.
Questo Mozart che viene qui presentato in CD apparve per la prima volta
su LP e cassette nel 1978 (fanno eccezione la Sinfonia n. 29 in La
maggiore K. 201 e la Sinfonia n. 33 in Si bemolle maggiore K. 319, che
risalgono invece al 1966) e recava come marchio il triplice pentagono
racchiuso in un quadrato delle registrazioni effettuate nella nuova sala
della Philharmonie a Berlino; sede che consentì a Karajan ed ai tecnici
della Deutsche Grammphon di sperimentare nuove soluzioni di ripresa
del suono in stereofonia, prima dell'avvento del digitale.
Erano gli anni in cui il mito di Karajan si diffondeva in tutto il mondo ed
ora ancor più attraverso il disco, grazie a queste moderne tecnologie: il
famoso, unico "suono di Karajan" fu eternato in ogni casa come se
provenisse direttamente "dal vivo".
Il cofanetto con le Sinfonie di Mozart dirette da Herbert von Karajan fu
indubbiamente un evento ed un successo commerciale, ma non nella
misura di altre sue incisioni dei massimi autori classici e romantici, e
fece arricciare il naso a molti; stupì, per esempio, ritrovarle assai presto,
non solo in Italia ma anche all’estero tra le "offerte speciali", quasi in
svendita.
E fu lì, per così dire in seconda battuta, che molti le acquistarono, magari
solo per curiosità, e con scetticismo.
D'altronde, non va dimenticato che fino ad allora il Mozart ufficiale della
Deutsche Grammphon era stato rappresentato, ed in modo integrale, da
Karl Boom; a cui il titolo di "mozartiano autentico" sembrava calzare a
pennello, anche nella tana del lupo, cioè a Salisburgo.
Mentre Karajan era considerato un direttore "romantico" e decadente per
eccellenza, straussiano più che mozartiano.
Che cosa non andava, e non piaceva a tutti, del modo di eseguire Mozart
da parte di Karajan?
Come spesso accade in questi casi, le riserve erano di natura diversa,
spesso opposta.

128
Ad alcuni il Mozart di Karajan, con i suoi tempi rapidi e i suoi eleganti
virtuosismi, sembrava troppo superficiale ed edonistico, sbrigativo e
poco profondo; ad altri invece troppo ricercato e sofisticato, non di rado
svenevole e caramelloso: dunque stilisticamente inattendibile.

Perfino la conclamata bellezza del suono dei Berliner - in formazione


grande, con il raddoppio dei fiati imposto dal direttore - non pareva
rispondere a quelle proporzioni ed a quei rapporti che si richiedevano,
per antica tradizione, ad un'orchestra mozartiana.
Bohm s'identificava con un modo di intendere Mozart consolidato e
sicuro, cordiale e gradevole, elegante e moderato: il Mozart viennese
consolatorio e "giusto", che si fa capire da tutti.
Karajan guardava invece a Mozart con molti dubbi e molte inquietudini,
per così dire a squarci e con escursioni violente, mettendo in luce, nelle
ultime Sinfonie, aspetti problematici del linguaggio e della forma che già
avevano indagato prima di lui, e sia pure in maniere assai diverse,
Toscanini, Furtwangler e Klemperer.
129
Si può dire che Karajan vedesse in Mozart non un autore risolto una
volta per tutte, da affrontare con tranquille certezze e con il sorriso sulle
labbra, ma un enigma, una cima da scalare, insomma una questione
sempre aperta.
E non è un caso che aspettasse tanto prima di fissarlo sul disco.
Questa miscela esplosiva di apollineo e di dionisiaco, di fanciullesco e di
diabolico, di tragico e di sublime ironico, Karajan l'aveva già portata in
singole esecuzioni alla soglia estrema di sicurezza. Nessuno potrà mai
dimenticare il modo in cui egli rendeva questi caratteri nelle Nozze di
Figaro e nel Don Giovanni o nel Flauto magico.
Ma lì era aiutato dal testo.
Nelle Sinfonie, invece, si scontrava con una materia per sua natura più
resistente. E il compito di un esecutore intenzionato comunque ad
interpretare, si faceva più arduo.
Interpretare o iperinterpretare? Questa, forse, è la domanda che ci
dobbiamo porre ascoltando il Mozart di Karajan. Perché se da un lato
Karajan non amava il volo dell'aquila più dei pascoli d'altipiano, non si
limitava a seguire uno stile consolidato, foss'anche di altissimo livello,
d'altro lato non poteva accontentarsi semplicemente di registrare dei
dubbi, di lasciare insoluti i problemi, di giocare con l'immagine
enigmatica di Mozart.
Non erano, queste, cose da Karajan. Doveva invece imporre il suo
marchio personale anche sul ritratto di Mozart.
Iperinterpretarlo per interpretarlo.
Ciò può spiegare certe scelte di fondo che lasciano interdetti e fanno
discutere, certo, ma che comunque indicano una via a Mozart ricca di
molteplici attrattive.
E forse l'obiettivo finale a cui Karajan tende è proprio quello di rendere
percettibile la saldatura fra ciò che avviene in superficie e ciò che
sussiste in profondità: anche a rischio di apparirci ora troppo
"superficiale", ora troppo "profondo".
Si prenda, per fermarsi ad esempi di pagine universalmente famose, il
celeberrimo inizio della Sinfonia in Sol minore K 550.
Fin dall'attacco, lo slancio che Karajan imprime al movimento è
rapinoso, travolgente, le figure sciolte di accompagnamento hanno un
rilievo inusitato e contrastano con la melodia dei violini in modo
sensibile, come se lo sfondo, anziché integrarsi, volesse assorbire il
primo piano, quello che di solito spicca nettamente; secchi taglienti, sono

130
gli accordi a piena orchestra che concludono l'esposizione tematica.
Ma già nel ritornello Karajan assottiglia quasi impercettibilmente il
tessuto sonoro, distendendolo nel "piano": sicché lo stesso materiale si
ricompone in un'altra visione, più trasognata, quasi elegiaca.
Nello sviluppo, allorché si presenta bruscamente la tonalità di Fa diesis
minore, il contrasto tra la figura tematica ed il penetrante staccato dei
bassi assume un tono drammatico di spessore inaudito, quasi si
annunciasse una catastrofe.
Ciò che prima appariva scorrere in superficie, si espande ora nel senso
della profondità, per precipitare in abissi smisurati.
Qui Karajan esagera, certamente; ma infonde alla partitura una verità
bruciante, che no non è al di là bensì nella musica stessa. E tutto ciò si
verifica in un incalzare sempre più incisivo del tempo: il massimo degli
eventi si produce nel minor tempo possibile.

BERLINER PHILHARMONIKER

131
Senza che per questo venga pregiudicata, quasi valore a sé stante, la
pastosità e la morbidezza del suono orchestrale, la sua risplendente
purezza.
L'Adagio introduttivo della Sinfonia in Mi bemolle maggiore K 543, ed
ancor più quello della "Praga" (in Re maggiore, K 504), sono documenti
eloquenti di una poetica interpretativa che rasenta l'enfasi, la forzatura
espressiva.
Con ampio gusto, Karajan deliba ogni particolare e lo carica di
un'intenzione solenne, austera ed insieme fastosa. Qui il tempo è dilatato
ad arte, teatrale l'indugio; e difatti il guizzo con cui viene introdotto
l'Allegro (nella "Praga" con l'incalzante sincopato dei violini, mentre
trombe e corni esplodono la loro luminosa fanfara) è un vero colpo di
scena, dove il protagonista è il direttore, non altri.
Queste intenzionali estremizzazioni, in cui Karajan era maestro
insuperabile, possono cogliere di sorpresa e perfino indisporre chi si
attenda da una Sinfonia di Mozart un pacato piacere, magari da gustarsi
ad occhi chiusi e senza sussulti; ma suscitano nell'ascoltatore attento, e
non solo per la tecnica con cui sono realizzate, un'emozione intensa.
Per avere un'idea adeguata del Mozart di Karajan bisogna però partire
dalla fine, ossia dalla "Jupiter". Per Karajan non è solo il monumento
classicamente proteso a coronamento della produzione sinfonica di
Mozart in una ferma dichiarazione di ideali razionali. Il motto iniziale è
inciso nella pietra, netto e poderoso, e determina subito l'atmosfera
incombente su tutto il primo tempo; le cause che seguono sono cariche di
presagi e di destino: in questi elementi e già contenuto il nucleo da cui si
svilupperà il tema della Marcia funebre dell' "Eroica" di Beethoven.
In questo clima, con Karajan tutta la Sinfonia s'erge come un'erme
solitario paesaggio di rovine classiche. Ed è un'immagine di folgorante
bellezza contemplata al crepuscolo di un mondo.
Superficie e profondità assumono un significato tangibile nella
lontananza che ormai ci separa da quel mondo; ed è alla soglia di quel
limite che Karajan ci conduce, prima di liberare l'estasi della fuga finale
in un fervido canto d'addio.
Un atteggiamento decadente? Forse. Certo è che Karajan si sentiva uno
degli ultimi sommi sacerdoti eletti ad offrire quel rito, ed a rievocarne
tutti gli incanti.

132
OUVERTURES
Una serata all'opera non è sempre stata l'impegno serio che è oggi.
In passato il pubblico che andava all'opera, soprattutto per divertirsi ed
incontrare gli amici, faceva un tale rumore che a malapena si riusciva a
sentire l'inizio della musica.
Per ovviare a questo, i compositori svilupparono l'Ouverture
(letteralmente l' "apertura") nella quale gli strumentisti attaccavano con
alcuni fragorosi accordi per mettere le conversazioni a tacere ed attirare
l'attenzione, come fa un giudice con il martelletto.
Questi accordi diventavano gradualmente un movimento completo ed
indipendente, seguito da una parte più pacata e poi da un brano finale
forte con un tempo rapido per fare crescere l'eccitazione del pubblico
all'avvicinarsi dell'alzata del sipario.
Eccezion fatta per la Francia dove venne adottato un stratagemma
diverso, questa Ouverture in tre parti (chiamata allora in Italia, come oggi
d'altronde, Sinfonia) divenne quasi universale all'inizio del Settecento.
Il Lucio Silla di Mozart ne è un esempio perfetto, mentre l'Ouverture del
Die Entfuhrung aus dem Serail ne modifica la struttura inserendo un
movimento lento in mezzo a quello brioso.
Nel 1767, Gluck introdusse un nuovo tipo di Ouverture per la sua opera
Alceste.
Egli era dell'opinione che l'Ouverture doveva, non solo mettere a tacere il
pubblico, ma anche calarlo nell'atmosfera del dramma che si sarebbe
svolto poco dopo.
Che Mozart fosse dello stesso parere lo si può vedere paragonando
l'Ouverture gioiosa e dirompente nelle Nozze di Figaro, una delle sue
opere buffe predilette, con il linguaggio musicale nobile ed intriso di
dignità con l'Ouverture del Don Giovanni, con il suo titolo mozartiano e
tragico Il dissoluto punito.
Com'è noto, questa precisazione del compositore sul tema è preziosa
perché, nonostante una trama macabra in cui l'eroe viene trascinato a
forza all'inferno da una statua divenuta viva per l'occasione, il Don
Giovanni viene classificato (per ragioni tecniche) come opera buffa,
un'opera comica!
Tutte le Ouvertures sono orchestrate allo stesso modo, ossia con un paio
di flauti, oboi, clarinetti, fagotti, corni, trombe e timpani e con archi. Le
tre eccezioni sono Die Zauberflote con tre tromboni aggiunti, Lucio Silla
133
con un numero minore di flauti, clarinetti e fagotti e, infine, Die
Entfuhrung dem dem Serail in cui, nei brani esterni, i flauti sono sostituiti
da un unico ottavino ed i timpani sono corredati da cimbali, triangolo e
grancassa per rendere meglio l'atmosfera turca dell'azione.
Questa formazione orchestrale comprendente otto strumenti a fiato,
quattro ottoni, strumenti a percussione ed archi, era superiore all'epoca a
quella considerata normale per la Sinfonia da concerto, la quale si
limitava a due oboi, due corni e ad archi, con un fagotto come parte del
gruppo dei bassi.

GEORGE PRETRE

134
I teatri lirici erano allora in grado di ospitare orchestre più consistenti e
quindi i compositori ne approfittarono per aggiungere colore strumentale
alle proprie opere.
Molto spesso, perfino nelle Ouvertures ben sviluppate mozartiane,
l'orchestra al completo sembra sprecata, essendo la musica altrettanto
incisiva con un numero minore di strumenti; era quindi abbastanza
corrente il fatto di avere delle Ouvertures a più movimenti - tra cui le
prime scritte da Mozart - staccate dalle relative Opere ed eseguite come
Sinfonie da concerto con un'orchestra ridotta.

Le nozze di Figaro K 492

Il libretto è un adattamento della commedia di Beaumarchais Le


mariage de Figaro, ad opera di Lorenzo da Ponte.
Mozart iniziò la composizione alla fine dell'ottobre 1785 e completò i
quattro atti il 29 aprile dell'anno successivo. Due giorni dopo ebbe luogo
la prima esecuzione al Burgtheater di Vienna. L'Ouverture in Re
maggiore comprende un unico movimento, Presto, in forma sonata senza
sviluppo. Particolarmente degno di nota è il passaggio eseguito dal basso
che porta al terzo tema, tema in cui questo stesso strumento si aggrega
poi con slancio.

Die Zauberflote K 620

Questo Singspiel in due atti venne composto nel luglio 1791 a


Vienna; tuttavia l'Ouverture in Mi bemolle fu scritta appena due giorni
prima della "première" al Theater auf der Wieden il 30 settembre.
Mozart ritorna allo stile francese per l'Adagio iniziale dell'Ouverture che,
con il suo ritmo fortemente marcato, porta infine all'Allegro che inizia a
mo' di fuga.
Nella parte centrale, un cambiamento in Adagio ricorda la lenta
introduzione in tre gruppi di accordi di sviluppo.

135
La clemenza di Tito K 621

Per questa sua ultima opera, scritta appena tre mesi prima della sua
morte, Mozart scelse un libretto di Caterino Mazzola secondo Metastasio
e lo portò a termine il 5 settembre 1791.
La prima esecuzione ebbe luogo l'indomani al Teatro nazionale di Praga,
in occasione delle celebrazioni per l'incoronazione del re di Baviera,
Leopoldo II.
La fredda brillantezza di questo unico movimento, Allegro in Do
maggiore, è in netto contrasto con la dolcezza umana e piena di grazia
del Concerto per clarinetto composto immediatamente dopo.

ORCHESTRA NATIONAL DE FRANCE

136
Lucio Silla K 135

Mozart si mise a lavorare sull'Opera "Lucio Silla" a Salisburgo


all'inizio di novembre 1772 per preparare il suo viaggio in Italia e la
portò a termine a Milano dove essa fu eseguita al Teatro Regio Ducale il
26 dicembre dello stesso anno, durante le festività per il matrimonio
dell'arciduca Leopoldo di Toscana.
Il successo fu immediato. L'Ouverture infatti è una Sinfonia in Re, con
due movimenti Molto allegro che inquadrano un Andante, in La
maggiore per due oboi ed archi.
Il primo movimento introduce un tema che venne poi ripreso con una
forma modificata ma pure riconoscibile sette anni più tardi nella Sinfonia
n. 32 intitolata, forse in modo significativo, "Ouverture nello stile
italiano".
Eppure, in entrambi i lavori, il ricorso ad un potente crescendo indica
l'influenza di Mannheim piuttosto di quella della scuola italiana.
Il Finale dell'Ouverture del Lucio Silla è tuttavia un vortice molto
italianizzante di un movimento in 3/8.

Die Enfuhrung aus dem Serail K 384

Quest’Opera comica in tre atti fu scritta tra il 29 luglio 1781 ed il


29 maggio 1782 ed eseguita per la prima volta al Burgtheater di Vienna
il 16 luglio 1782.
Nel bel mezzo del Presto in Do maggiore, pieno di gioia e dagli accenti
mediorientali, si inserisce un Andante dolce nel quale l'ottavino cede il
passo ai flauti.
Questo preannuncia l'aria di Belmonte sul quale si apre l'Opera,
trasponendola però nella chiave minore.
Successivamente ritorna il Presto per riassumere tutto quanto è stato
annunciato all'inizio.

137
Don Giovanni K 527

Come nell'Ouverture dell'Opera Die Zauberflote, Mozart sceglie


una lenta introduzione (Andante in Re maggiore).
Le sue linee cromatiche, i ritmi sincopati nonché l'uso aggressivo degli
ottoni e tamburi sono ricchi di presentimenti, atmosfera che viene
annullata poi dal brillante Molto Allegro in Re maggiore in forma sonata
con un lungo sviluppo costruttivo soprattutto sul secondo tema, ma con
una falsa ed inaspettata riesposizione.
L'Opera fu completata a Praga il 28 ottobre 1787 ed eseguita l'indomani
al Teatro Nazionale.

Idomeneo re di Creta, ossia: Ilia ed Idamante K 366

Nel 1712, il poeta francese A. Danchet scrisse in collaborazione


con il compositore A. Campra un'Opera intitolata Idoménée, la quale
servì di base al libretto che Giambattista Varesco dette a Mozart
nell'autunno del 1780.
L'opera fu completata nel gennaio successivo ed eseguita all'Holtfeater di
Monaco il 29 dello stesso mese. L'Ouverture è un movimento in Re
maggiore, in forma sonata, tematicamente ben sviluppato.

Così fan tutte, ossia, la scuola degli amanti K 588

Si tratta di una farsa leggera portata a termine poco tempo prima


della sua prima esecuzione al Burgtheater di Vienna il 26 gennaio 1790.
Per introdurla, Mozart creò una leggiadra Ouverture in Do, caratterizzata
dal cicaleccio degli archi e dei fiati con interventi sincopati del Tutti.

138
Der Schauspieldirektor K 486

Quest’Opera corta in un atto venne composta nel 1786 in occasione


di una festa data il 7 febbraio dall'imperatore Giuseppe II per il duca
Alberto von Sachsen-Teschen al palazzo di Schonbrunn.
Che una così semplice trama - un direttore di teatro che concede
un'audizione a due cantanti femminili - l'Ouverture in Do maggiore è
inaspettatamente sofisticata, ma si intuisce il divertimento del
compositore mentre lo sviluppo affronta difficoltà di proporzioni quasi
"Sturm und drang".

LORIN MAAZEL

139
140
CONCERTI PER PIANOFOTRE E ORCHESTRA

Introduzione

Sin dai primi Concerti per pianoforte e orchestra si definisce già


quell’impianto strutturale che praticamente rimarrà invariato lungo l’intera
serie, quale andrà sviluppandosi nel corso di diciotto anni: se talora lo stile
galante aveva inciso sulla struttura dei Concerti dei predecessori portando
all’eliminazione del movimento lento, in Mozart l’equilibrio della
tripartizione costituisce un punto fermo.

Il primo movimento adotta, ovviamente, la forna-sonata, secondo la


particolare conformazione del Concerto che prevede la “doppia
esposizione” vale a dire quell’articolazione discorsiva che prefigura la
prospettiva drammaturgica implicita nel rapporto Solo-Tutti: e già questo
è uno dei luoghi più significativi per rilevare la straordinaria vocazione
del compositore ad una animazione del quadro strutturale in senso
teatrale, riproponendo ogni volta, pur nel rispetto generale dello schema,
situazioni quanto mai varie.

L’esposizione orchestrale propone il primo soggetto nella tonalità


fondamentale, solitamente seguito dal secondo soggetto anch’esso nella
stessa tonalità, anzicchè alla dominante come prevede lo schema
sonatistico. Ma già qui Mozart si muove sovente con quella qualità
inventiva che sembra riplasmare la forma in funzione di un passo
emozionale o di un gioco sostenuto dal piacere della sorpresa.
Così in alcuni Concerti il secondo soggetto viene proposto subito alla
dominante, in altri addirittura non figura in questa prima fase, per essere
magari affidato al solista; sovente, invece di un vero e proprio secondo
soggetto, si tratta di idee, più o meno determinate, destinate a giocare poi
un diverso ruolo nel corso del movimento stesso; in qualche caso
addirittura sul finire della conclusione dell’esposizione orchestrale
affiora un terzo soggetto, che inserisce nel dibattito dell’intero
movimento una variabile significativa, allo stesso modo in cui invece,
Mozart riprende in fase conclusiva il primo soggetto.

141
Il passaggio alla “seconda esposizione” è senza dubbio uno dei più
cruciali dell’intero Concerto, il momento in cui l’ascoltatore fa la sua
conoscenza con il solista, il personaggio che si pone come interlocutore
primario.

Un’entrata attesa, non c’è dubbio - salvo il caos davvero esilarante


offerto dal Concerto in Mi bemolle K 271 dove il protagonista balza in
scena con una spinta sbarazzina già alla seconda battuta della prima
esposizione - e pur tuttavia carica di suspence, perché non sappiamo chi
sia il protagonista, come si presenti, che volto abbia. Ed in effetti ogni
entrata è una sorpresa, anche perché da essa dipende poi gran parte di
quanto avverrà poi.

Normalmente il solista riprende il primo soggetto ora con tono


condiscendente, quasi a voler rassicurare che il discorso si svolgerà su un
piano di sostanziale convergenza, altre volte con l’aria di appropriarsene
per farne un’affermazione sua. In alcuni casi, invece, il solo entra con
un’idea nuova, con un soggetto tutto suo: oppure, questa sua nuova idea
la propone dopo aver ricalcato il primo soggetto del Tutti.

In ogni modo, l’insieme di proposte connesse all’apparizione del solista,


il suo comportamento individuabile molto spesso da una più o meno
dichiarata attitudine virtuosistica, è tale da recare un mutamento della
prospettiva, in quanto l’orchestra da unica protagonista si trova a dover
giocare ora un ruolo antagonistico.
Ruolo che nella evoluzione del Concerto mozartiano risulterà sempre più
marcato, man mano che l’esperienza sinfonica andrà nutrendo anche la
visione concertante. Mozart sembra infatti superare con progressiva
determinazione la convenzione “galante”, legata soprattutto a J. C. Bach
che vedeva l’orchestra, dopo che il Solo aveva suggellato la propria
presenza protagonistica con il proprio soggetto, appartarsi ad una
funzione subalterna di sostegno.

La conclusione della seconda esposizione è un altro momento


sintomatico del Concerto, ed anche qui Mozart sembra sottrarsi al potere
vincolante dello schema: se spesso l’orchestra ripropone il tema
conclusivo della prima esposizione, altre volte è lo stesso primo soggetto

142
a ribadire, secondo una convenzione arcaica, del tutto ritonificata
peraltro, un proposito unitario.

E’ la particolare logica con cui Mozart regola il rapporto tra prima e


seconda esposizione, improntata a ragioni di drammaturgia sonora, a dare
una portata altrettanto significativa allo sviluppo.

Va rimarcata infatti come questa sezione della struttura sonatistica appaia


solitamente come il momento catalizzatore della tensione drammatica;
nonostante il profilo scorciato che sovente esso assume, in termini di
brevità, il che sembra avvalorare la tesi che più in generale lo sviluppo
mozartiano vada considerato come una transizione, quasi una scorciatoia
per ritornare al tono principale piuttosto che una vera e propria sezione,
riallacciandosi in tal modo alla struttura dell’intero movimento piuttosto
che all’aria con da capo.

143
Ma proprio tale apparente riluttività, in termini temporali, finisce per
rendere ancora più pregnante il momento ed anche questo appartiene in
fondo alla sorprendente qualità mozartiana, portata a qualificare, a
rendere importanti le cose solitamente meno evidenziate, se non
addirittura appartati.

Ecco allora lo sviluppo concentrare, nell’economia del primo movimento


del Concerto, un potenziale emozionale sempre intensissimo, nel modo
quasi sempre più anomalo, in quanto soltanto un numero ristretto tra i
Concerti mozartiani presenta uno sviluppo che costituisce una vera e
propria trasformazione di materiali tematici resi espliciti
nell’esposizione.

Più sovente infatti lo sviluppo prende avvio da un elemento marginale,


afferrando magari distrattamente l’ultima parola dell’esposizione per dar
vita ad una divagazione che tuttavia introduce nello svolgimento un
clima nuovo, come un accadimento che pur fugace, determina un
cambiamento d’atmosfera.

Ed è proprio l’incidenza di tale oscurarsi d’orizzonte – che solitamente è


un momento doloroso, comunque reso particolarmente trepido quello
svelato dallo sviluppo – che riqualifica come altro elemento
drammaturgico, per nulla scontato, l’arrivo della ripresa. Lungi dal
riproporsi come simmetrica ricomposizione di un ordine costituisce una
continuazione di quel confronto tra due antagonisti, il pianoforte e
l’orchestra, dopo che la stretta dello sviluppo aveva come tentato una
prova della verità che ha lasciato infatti le sue inevitabili tracce, e come
spesso avviene l’atmosfera risulta meno contrastata, soprattutto per una
maggior disponibilità del Solo.

Più che un contrasto sembra ora un dialogo, assai meno serrato se,
anzicchè la pura botta e risposta è un fare più articolato che si scioglie
lungo percorsi quasi divaganti a volte; ed anche qui le sorprese non
mancano, se vediamo ad esempio riapparire temi che si erano dati per
persi, come talora avviene per certi secondi temi dell’esposizione
orchestrale non più riascoltati in quanto soppiantati dalle nuove proposte
del solista.

144
Un’animazione che proprio per l’intrecciarsi così ingegnoso di tanti
spunti e di tante combinazioni riesce a far sprigionare ogni volta un senso
di autentica aspettativa dalla tensione cadenzale che apre al solista il
consueto spazio per la sua esibizione virtuosistica.

145
Era questo delle cadenze uno dei luoghi deputati del Concerto
settecentesco, strettamente legato al gusto di un’epoca che privilegiava,
quasi a contraltare l’ordine e la razionalità del linguaggio corrente,
l’improvvisazione.

Il virtuoso dunque trovava l’occasione per mostrare sia la sua abilità


manuale che la sua estrosità di improvvisatore in quella sospensione di
discorso, sull’accordo di quarta e sesta, prima che il movimento del
Concerto giungesse a conclusione; occasione meno estesa, per
estemporanee decorazioni sonore e brevi sospensioni del discorso sulla
dominante, che offrivano al solista l’opportunità di tracciare qualche
arabesco, solitamente senza precise implicazioni tematiche.

L’improvvisazione costituiva inoltre un vero e proprio atteggiamento del


virtuoso nel corso dell’intera esecuzione del Concerto settecentesco, un
suo modo di personalizzare la vicenda attraverso fioriture ed abbellimenti
suggeriti dall’estro del momento, secondo una delega implicita che nel
costume musicale del tempo, il compositore affidava all’esecutore,
soprattutto nei movimenti lenti.

I Concerti mozartiani sembrano riflettere pur nell’astrazione del


linguaggio musicale, quella stessa realtà che il teatro di quegli anni era
andato scoprendo: uno spaccato di società più variegata, in cui diversi
personaggi, di varia estrazione, intessono i loro intrighi e propongono in
un contesto più mobile le proprie individualità.

Questa mobilità del teatro mozartiano, la ritroviamo nei Concerti, come


termine evolutivo rispetto ad una visione che aveva sancito il predominio
solistico ed ecco infatti il solista personaggio del Concerto mozartiano
non apparire più come il brillante dominatore del salotto galante, ma
come un interlocutore più disponibile, che stabilisce con l’orchestra, resa
via via più consistente - consolidata senza dubbio attraverso la
proverbiale qualità assimilatrice di Mozart – l’importante esperienza del
sinfonismo di Mannheim e rapporti conversativi sempre più armonici.

Ed è in questo nuovo spirito conversativo, col quale non è per niente in


contrasto l’affiorare di toni drammatici, che va colta l’essenza del
Concerto mozartiano, la portata della sua drammaturgia, anche

146
abbracciante l’intero arco della sua struttura tripartita: così da imprimere
ai Finali quella tensione verso un’illusione di felicità che si decanta,
sovente nella stessa sublime ambivalenza delle grandi chiuse teatrali,
dalla conclusione della Folle journée allo stupefatto lieto fine della
“Clemenza di Tito”.

Il rapporto con l’Opera si definisce anche al di là di quelli che sono i


momenti deputati del gioco drammaturgico, come l’entrata del solista o
la sua uscita di scena, perché l’intera trama concertante si impregna di
teatralità nella parte ora protagonista, ora di comprimario, che vi assume
la mobilità tematica nell’incatenamento e nella successione dei soggetti,
come pure la sempre più affiorante individuazione timbrica: e non sono
casuali infine, a confermare tale circolarità, quei rimbalzi che talune
partiture dei Concerti sembrano accogliere, ora fugacemente ora in
maniera più determinata, da quelle teatrali con ciò che accade assai meno
frequente nelle Sinfonie o nelle pagine cameristiche.

147
Concerto n1 in Fa maggiore K 37

Risale all’aprile 1767 ed è così ricavato dal primo movimento


dell’Allegro della Sonata n 5 di Raupach, l’Andante centrale, secondo
l’ipotesi non documentata di Wyzewa - De Saint Foix da un Andante di
Schobert ed il Finale dal primo Tempo della Sonata Op 1 n 3 di Honauer.
Il Tutti introduttivo è ricavato dai due soggetti del tempo di sonata ma
non in maniera puramente meccanica, perché il gioco strumentale lascia
già intendere un tessuto animato da spunti imitativi, che in rapporto alle
successive entrate del solista stabiliscono una prospettiva dotata di un
nuovo respiro, destinato via via ad allargarsi con il Tutti interposto tra
l’esposizione e lo sviluppo ed infine con il Tutti conclusivo del
movimento.

MOZART AL PIANOFORTE

148
Indicativo della nuova visione che sorregge il compositore nell’affrontare
le prove del Concerto, un cammino lungo il quale procederà con sempre
più sorprendente dimestichezza, è il ruolo della cadenza: se nel primo
movimento lo stacco cadenzale non è ancora molto netto, già
nell’Andante si può avvertire una intenzionalità che diverrà esplicita nel
terzo movimento dove la preparazione della cadenza, chiaramente
indicata come tale, è realizzata da una figurazione nuova introdotta dal
solista accompagnato dall’orchestra.

Concerto n 2 in Si bemolle maggiore K 39

Risale al giugno 1767 e si basa per i due movimenti sui rispettivi


movimenti della Sonata n 1 di Raupach mentre l’Andante è modellato sul
primo movimento della Sonata op.17 n 2 di Schobert: l’orchestra ha lo
stesso organico del K 37.

Benchè il principio operativo sia il medesimo, si può osservare in questa


elaborazione un’intenzionalità drammaturgica più scoperta: nel modo
con cui ad esempio Mozart intreccia il gioco del Tutti con quello del
solista alla fine dello sviluppo del primo movimento, per quanto ancora
lontano dalla naturalezza che contrassegnerà i futuri Concerti è
comunque un segno non occasionale del modo di intendere il rapporto tra
solista e orchestra.

La qualità poetica dell’Andante di Schobert funge evidentemente da


stimolo per Mozart il quale arricchisce le belle pagine clavicembalistiche
di una cornice orchestrale molto coerente, ritoccando talora con piccoli
interventi già molto personalizzati la stessa scrittura del solista.

Più convenzionale il trattamento del Tutti nell’ultimo movimento, anche


se qualche motivo di attenzione viene dal gioco imitativo tra i due
violini.
Al luglio seguente appartengono gli ultimi due Concerti per pianoforte, il
K 40 e K 41.

149
Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 in Re maggiore K 40
E’ così strutturato:
 il primo movimento è tratto dal primo tempo della Sonata op. 2 n.
1 di Honauer
 l'Andante centrale è modellato sull'omonimo movimento della
Sonata op. 1 n. 4 di Eckardt
 il terzo movimento forse si basa su un pezzo di Carl Philip
Emmanuel Bach
 Il Presto del terzo movimento, si basa sulla scansione binaria della
Sonata italiana, e presenta, nell'ambito dei primi quattro Concerti
di Mozart, un carattere più vario che si identifica nell'alternanza di
figurazioni ritmiche.
L'orchestra ha lo stesso organico dei primi due Concerti, con
l'aggiunta di due trombe che contribuiscono ad arricchire le sonorità e ad
attribuire a quest'opera una maggiore identificazione col genere musicale
del Concerto, nel tentativo di uscire dalle convenzioni della musica
Rococò.

Concerto per pianoforte e orchestra n. 4 in Sol maggiore K 41


E’ così strutturato:
 l'Allegro iniziale e il Molto Allegro finale sono tratti dalla Sonata
op. 1 n. 1 di Honauer
 l'Andante centrale dall'Andantino dalla Sonata n. 1 di Raupach
Con questo Concerto, è evidente come Mozart, nonostante non si
sia discostato di molto dai modelli presi come riferimento, abbia
compiuto, nell'arco di composizione di 4 opere, un notevole
miglioramento nel genere Concertistico, attribuendo all'orchestra una
capacità di dialogo con lo strumento solista che mai si era raggiunta
prima.

150
I Tutti si presentano molto completi sia dal punto di vista dell'estensione
che per quanto riguarda la notevole elaborazione, che finisce col
rinnovare le caratteristiche delle composizioni cui Mozart si ispirava.

ALFRED BRENDEL

Concerto per pianoforte e orchestra in Re maggiore n 5 K 175


Il manoscritto del Concerto in Re maggiore K 175 reca in testa
l’iscrizione dello stesso compilato: “Concerto per clavicembalo del sigr
Cavaliere Wolfgango Mozart, nel dicembre 1773”. Si tratta di un’opera
cui per lungo tempo il compositore riserverà le sue preferenze,
eseguendola più volte in occasione dei suoi viaggi a Mannheim ed a
Parigi ed ancora nel 1782, dopo il suo trasferimento a Vienna: per quella
circostanza comporrà un nuovo Finale.

151
Il manoscritto autografo di questo Concerto è stato acquistato da
Constanza Mozart da Johann Andrè, ma è andato perduto. Era intestato
“Concerto per il clavicembalo del signor Cavaliere Amadeo Wolfgango
Mozart nel dicembre 1773”. Probabilmente Mozart portò questo
Concerto a Monaco nel 1774 e sappiamo che fu eseguito a Mannheim
nel febbraio 1778.
Nel febbraio 1782 Mozart ha composto un Rondò finale sostitutivo (K
382) per il piano Concerto K 175. Senza dubbio egli compose questo
nuovo Finale per l’esecuzione nei concerti Lenten a Vienna. John Irving
credeva che Mozart avesse composto tale variazione per catturare
l’attenzione della platea viennese più facilmente che non con
l’antecedente “forma – sonata concepita (contrappuntisticamente).
In questa forma, il Concerto fu eseguito più volte tra il 1782 e il 1783,
Mozart lo descrisse come “più apprezzato in questa versione”. Il nuovo
Rondò include un flauto, che non era presente nella partitura degli altri
due movimenti. Una parte della partitura salisburghese mostra alcune
variazioni nel primo corno e negli oboi, che potrebbe ricondursi
all’aggiunta di un flauto. Tuttavia, non abbiamo alcuna parte per flauto
nei primi due movimenti. Klaus Hortschanisky ha teorizzato che il
nuovo Finale fu eseguito a Mannheim nel 1778.
Perciò, sembra esistano tre versioni – o esecuzioni – del Concerto per
pianoforte K 175:
- l’originale in tre movimenti del 1773.
- Variazione con un corno, due oboi, un flauto del 1778
- Sostituzione del rondò K 382 al Finale, con l’orchestrazione del
1778
Quando Mozart inviò una copia del Rondò a Salisburgo nel marzo del
1782, scrisse a suo padre:

“Mi raccomando di guardare a questo come ad un gioiello. L’ho


composto specificamente per me e nessun altro oltre mia sorella può
suonarlo”.

152
Apparentemente la popolarità del brano cambiò l’opinione di Mozart sul
Rondò e fu resa nota per la vendita di Lorenz Lausch il 2 Aprile 1785.
L’intero Concerto è stato pubblicato sul Journal des pieces de clavcin di
Boyer a Parigi nel 1785, con la sostituzione del Rondò finale.

Andrè pubblicò il Concerto nel 1801, con il movimento Finale originario.

Quale formazione orchestrale intendesse Mozart per questo Concerto fu


occasione di lunghi dibattiti, a causa del fatto che esso non fu scritto per i
medesimi strumenti di altri Concerti.

Marius Flothius suggerisce perfino che non è da escludere che Mozart


pensasse ad un esecuzione per organo.

ACADEMY OF ST. MARTIN IN THE FIELDS

153
Mozart scrisse due diverse cadenze per i tre movimenti a Vienna. Esse
furono scritte molto dopo, come evidenziato da Robert Levin, che ha
mostrato come la cadenza del primo movimento arriva al Fa acuto,
mostrando così come essa sia indiscutibilmente stata scritta per un uso
successivo, per uno strumento a cinque ottave.

Si tratta in realtà di un’opera che si affaccia sull’orizzonte concertistico


contemporaneo con una originalità indubitabile, ma più ancora che per lo
schema in sé, per la qualità ormai inconfondibile dello stile: in
particolare per la naturalezza con cui è regolato il gioco tra orchestra e
ruolo solistico, vuoi per l’ampiezza e la varietà di strumentazione che
contrassegnano gli interventi sinfonici – non si trascuri la circostanza che
Mozart ha già composto, nell’ottobre di quello stesso 1773, un
capolavoro intensamente toccante come la Sinfonia in sol minore K 183
– che per la qualità dialogante innerva la stessa funzione di
accompagnamento.
Lo spirito franco che traspare dall’intera opera trova subito la sua
esplicita affermazione nel primo tema pronunciato dagli archi e dagli
oboi. Ma anche il secondo soggetto pur esso nel tono di Re maggiore,
vive della stessa animazione ritmica.
Una proposta dunque di straordinaria vividezza questa del primo Tutti
che l’entrata del solo non smentisce, ma in certo qual modo ribadisce
riproponendo i due soggetti, ponendo peraltro subito il segno della
propria personalità in quanto alla ripetizione del primo soggetto del Tutti
il solo fa seguire una propria idea, di largo respiro melodico; così come
dopo la riproposizione del secondo soggetto del Tutti il solista prosegue,
senza staccare le dita dalla tastiera, con un altro suo soggetto, anche
questo impregnato di un particolarissimo profumo e, come non bastasse,
sempre dal fremito vitale del basso, un’immagine inattesa, toccata da una
quasi sfacciata leggerezza, fugace anticipazione del “Ratto dal
serraglio”.
E proprio in questo mordere il freno del solo, pur nell’apparente
conformità della ripetizione tematica sembra stimolare nuovamente
l’orchestra in un gioco altero di pieni e vuoti che può persino richiamare
ormai lontane fattezze barocche. In realtà, tale movenza chiaramente
lascia trapelare una schermaglia più sottile come quella che si svolge tra
solo e Tutti sul finire dell’esposizione, un rimpiattino quasi stizzoso che
154
imprime una singolare tensione alla conclusione della prima sezione. Il
solista sembra ritrovare uno spazio più ampio per il proprio discorso che
invece assume inflessioni di particolare intimità, nello sviluppo, ma è un
momento di sosta sentimentale di breve durata, subito riassunto nella
animazione della ripresa. Dopo la cadenza, il discorso d’assieme viene
portato verso la conclusione, ed anche questo è un tratto squisitamente
mozartiano.

NEVILLE MARRINER

155
L’Andante sembra riprodurre uno schema analogo a quello del primo
movimento con un’esposizione orchestrale dei due soggetti, il secondo
dei quali con ritornello; l’entrata del solo ripropone il primo soggetto, in
dialogo con l’orchestra da cui si diramano nuove idee frammiste al
ritornello del secondo soggetto.
Il clima di sognante tenerezza evocato con quel passo sostenuto, con quel
respiro lungo in cui pare già di presentire la compiutezza dei grandi
Adagi della maturità, trova un’ulteriore intensificazione nello sviluppo
centrale, nutrito da una melodia nuova che introdotta dal solista, viene
poi ripresa dagli strumenti dell’orchestra i quali si muovono con una
peculiarità timbrica estremamente controllata, come del resto tutto il
quadro dinamico – da notare il decrescendo annotato alla fine
dell’esposizione orchestrale e nella terz’ultima battuta.
Il Finale rappresenta senza dubbio il momento più straordinario del
Concerto per l’originalità che percorre senza sosta la sua ampia struttura:
organizzato in forma di sonata questo Allegro si caratterizza altresì per la
tensione contrappuntistica che lo anima - da far pensare già al supremo
approdo della “jupiter” – e che si alimenta di un’eccezionale esuberanza
tematica: ben quattro temi infatti si susseguono nel Tutti che apre il
movimento, un canone all’unisono, un secondo motivo, affidato ai soli
archi, dal profilo sincopato, un terzo già apertamente melodico, un quarto
infine enunciato dalle viole e dai bassi all’unisono, dal carattere
nuovamente ritmico.
L’ingresso del solista innesca di nuovo il gioco contrappuntistico sul
primo soggetto del Tutti: una vera e propria botta e risposta tra pianoforte
e orchestra che via via coinvolge altri soggetti ma che ne stimola altri
nuovi del discorso del solista.

156
Concerto per pianoforte e orchestra n. 6 K 238
Questo Concerto non risulta essere stato commissionato, ma
probabilmente lo stesso Mozart lo compose per se stesso o lo destinò a
qualche allieva o alla sorella. Composto nel 1776, assieme al K 242, al K
246 e al K 271 (legati però ad una committenza), risente dell'influenza
del gusto francese e salisburghese, e forse anche dei Sei Concerti Op. 13
di J. C. Bach. Sin dalle prime battute, il Concerto K. 238 dimostra un
carattere tranquillo, in cui prevale l'andamento cantabile sulla ricerca del
virtuosismo.

ARTURO BENEDETTI MICHELANGELI

157
L' Andante un poco adagio si rifà alla struttura della sonata bipartita,
attraverso la presenza di due parti bilanciati tra loro ma allo stesso tempo
contrapposti. Il terzo tempo, invece è nello stile francese del rondeau, e
vede il succedersi del tema, di tre episodi intermedi e delle riprese, con
l'orchestra che finalmente assume un ruolo più importante nei confronti
del solista. La mancata ricerca di virtuosismo si ripercuote anche nella
conclusione del Concerto, che termina con un piano, dopo l'ultima
esposizione del tema eseguita dall'orchestra, privata dell'apporto del
solista.

Concerto per pianoforti n 7 in Mi bemolle maggiore


per due (K.242) o per tre (K.365)

Il Concerto per due pianoforti in Fa K 242 fu composto per la


sorella dell’arcivescovo Colloredo, per cui lavorava Mozart a Salisburgo,
e per le sue due figliolette. Mozart trovava monotono insegnare loro, ma
poiché suo padre Leopold non si stancava di ripetergli che ciò era parte
del suo impiego quotidiano, per questo egli commutò l’attività
d’insegnamento in attività produttiva.

Le due figliole erano Aloisa e Josepha e la loro madre Contessa Antonia


commissionò diverse composizioni a Mozart incluso questa (del febbraio
1776) che fu prevedibilmente adeguata alle loro capacità.

Infatti si può notare che la parte assegnata a Josepha, la meno dotata


della tre, inizialmente era la più scarna. In seguito, Mozart riscrisse il
Concerto per due pianoforti, presumibilmente per sua sorella Nannerl e
se stesso e quest’arrangiamento fu aggiunto al suo repertorio dopo il suo
arrivo a Vienna nel 1781.

Il Concerto non richiede particolari virtuosismi ai pianisti né particolari


istanze da parte degli ascoltatori. La più rilevante sezione è il movimento
centrale con il suo lieve accompagnamento nel dialogo tra i due solisti
pianisti.

158
Concerto per pianoforte n 8 in Do maggiore K. 246

Conosciuto anche come Concerto Lutzow, la composizione K 246


in Do maggiore è datata 1776 e perciò fu composta in modo ravvicinato
rispetto alla serie di Concerti per violino.

ACADEMY OF ST. MARTIN IN THE FIELDS

159
Scritto per la contessa Antonia von Lutzow, moglie del comandante
locale, Mozart non aveva necessità di scrivere una composizione
semplice per un dilettante – la contessa era un’apprezzata pianista ed
un’allieva di Leopold.

Mozart inizialmente auspicava di pubblicare il Concerto a Parigi in un


gruppo di tre, ma il progetto andò in fumo per carenze finanziarie,
mostrando una volta ancora l’inadeguatezza di Mozart quale uomo
d’affari. Non sorprende molto che questo Concerto segua le orme del
Concerto in Si bemolle, K 238 . I tre movimenti seguono la sequenza
consueta dello schema veloce-lento-veloce con atmosfera pastorale
nell’Andante centrale, nello stile abituale del Rondò finale con minuetto,
come mostrato dalla cadenza conclusiva. Rilevante il fatto che egli non
scrisse le cadenze dei movimenti primo e terzo, mentre la partitura della
cadenza centrale è presente nel manoscritto.

Concerto per pianoforte n 9 in Mi bemolle maggiore K. 271

1. Allegro (mi bemolle maggiore)


2. Andantino (do minore)
3. Rondò. Presto (mi bemolle maggiore)
Organico: pianoforte, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, Gennaio 1777
Prima esecuzione: Monaco, residenza di Franz Albert, 4 Ottobre 1777
Edizione: Andrè, Offenbach 1800
Dedica: Mademoiselle Jeunehomme

Il Concerto in Mi bemolle maggiore K 271, composto nel gennaio


1777 da un Mozart ventunenne, è un lavoro di notevole valore per la
freschezza e la varietà dell'invenzione melodica e per l'armonica fusione
espressiva tra solista e orchestra, come attestano nei loro libri su Mozart
sia Bernhard Paumgartner che Alfred Einstein. Scritto per la pianista
francese mademoiselle Jeunehomme, conosciuta dal musicista a
Salisburgo e poi incontrata di nuovo a Parigi, questa composizione
presenta una straordinaria ricchezza tematica sin dal primo movimento,

160
un Allegro caratterizzato da un senso ampio e possente della costruzione
tematica nel rapporto dialogante tra il pianoforte e l'orchestra, formata da
due violini, viola, due oboi, due corni, violoncello e contrabbasso.

161
A questo primo movimento ricco di proposte tematiche e di robusta
tessitura sinfonica succede un tempo lento eccezionalmente esteso, che
alterna un patetismo intenso e quasi tragico (è la prima volta che Mozart
scrive un tempo di Concerto in minore) a zone cantabili e affettuose, ed
apre al Concerto per pianoforte le strade di un pronunciato protagonismo
espressivo.

Esso è considerato come un grande arioso teatrale, sullo stesso piano


estetico di analoghe pagine composte da Rameau e da Gluck.. La
melodia è carica di nobile eloquenza nel suo stile cantabile e la
malinconia mozartiana sembra proiettare intorno a sé un'ombra piena di
triste presagio. Nel Rondò finale, dove il tema principale sembra
anticipare l'aria di Monostato del Flauto magico, è improntato ad una
misurata gaiezza spirituale, si inserisce quanto mai elegante ed
espressivo un Minuetto in La bemolle con quattro variazioni che serve a
spegnere gli umori virtuosistici del pianoforte, la cui parte presenta un
impegno tecnico di indubbia difficoltà in tutti e tre i movimenti, dove
non mancano uscite solistiche ornamentali.

Concerto per due pianoforti n. 10


in Mi bemolle maggiore, K.1 365 (K.6 316a)

Allegro (Mi bemolle maggiore)


Andante (Si bemolle maggiore)
Rondò. Allegro (Mi bemolle maggiore)

Organico: 2 pianoforti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi


Composizione: Salisburgo, 15 Gennaio - 23 Marzo 1779
Prima esecuzione privata: Vienna, casa Auernhammer, 23 Novembre
1781
Prima esecuzione pubblica: Vienna, nell'Augarten Theater, 26 Maggio
1782
Edizione: Andrè, Offenbach 1800

Mozart scrisse il doppio Concerto in Mi bemolle per sé e la sorella


Nannerl nel marzo 1779, poco dopo il suo ritorno da Parigi. Il lavoro,
unico del genere, è accostabile alle Sonate per due pianoforti o per

162
pianoforte a quattro mani, per lo spiccato carattere di virtuosismo
competitivo che lo anima, per la sensualità e brillantezza sonora della
scrittura, per l'intensa vitalità concertante che circola nei rapporti tra i
due strumenti solisti e tra questi e l'orchestra.
L'imponenza del primo movimento, che nello sviluppo si colora di tinte
cupe, dovette risuonare esaltata agli orecchi degli ascoltatori viennesi
grazie a una successiva, e purtroppo perduta, rielaborazione della
partitura, arricchita di clarinetti, trombe e timpani.

CLAUDIO ARRAU

163
Anche nella sua più diMessa veste orchestrale originaria, il
Concerto appare come un prodigio di sensibilità timbrica, soprattutto
nelle introduzioni al primo e al secondo tempo, dove il modesto
schieramento dei fiati, tipico del normale organico settecentesco (oboi,
fagotti e corni in coppie) non potrebbe venire utilizzato con varietà e
fantasia maggiori.
Come spesso, anche qui Mozart sembra giocare le sue carte migliori nel
Rondò finale, strutturato su un tema ricorrente dall'incipit in "levare"
(insolita e in verità poco mozartiana civetteria ritmica: Wolfgang
evidentemente respirava ancora l'aria di Parigi) e dalle mosse d'una
disinvolta eleganza mondana che tuttavia non riesce a dissimulare un
tenero empito lirico, il quale traboccherà nella conciliazione degli episodi
secondari e in tutta la parte conclusiva, dove il motivo, prima di sfociare
nella cadenza e nell'ultima, squillante ripresa, si discioglie in
progressioni cariche di intenso pathos.
Opera di notevole freschezza, ma anche profondamente matura, è di
grande interesse per il rapporto che stabilisce fra i due solisti e fra questi
e l'orchestra. È un problema che Mozart affrontò una seconda volta
subito dopo, con la Sinfonia concertante K 364 per violino e viola, scritta
in estate.
Forse nel Concerto per due pianoforti non si giunge ancora alla
approfondita distinzione di ruoli della Sinfonia concertante, ma il dialogo
fra i due pianoforti è vivacissimo e ricco di fantasia, portando su un
piano assai elevato lo stile piacevolmente mondano proprio delle
composizioni del periodo salisburghese.
L'Andante è simile a un duetto operistico delicatamente ornato col da
capo.
Il Rondò include un drammatico passaggio nei modi minori, uno
sviluppo sinfonicamente impegnato del tema principale e una elaborata
cadenza.

164
Concerti per pianoforte e orchestra
n 11, n 12, n 13 ossia K 413, K 414, K 415

I tre Concerti per pianoforte e orchestra K 413, 414, 415 furono


composti da Mozart a Vienna probabilmente alla fine del 1782 e
inaugurano la serie dei Concerti per pianoforte della maturità.

Com’era sua consuetudine, Mozart li presentò in una sottoscrizione ai


viennesi all’inizio del 1783 ma riuscì a farli pubblicare soltanto nel 1785
dall’editore Artaria.

EUGEN JOCHUM

165
Proprio in merito alla novità di queste pagine, Wolfgang scrisse una
famosa lettera al padre che reca la data del 28 dicembre 1782:

“Questi Concerti sono proprio a metà strada tra il troppo difficile e il


troppo facile, molto brillanti, gradevoli all’orecchio pur senza cadere
nella vuotaggine: qua e là anche gli intenditori avranno di che essere
soddisfatti, ma in modo che anche coloro che non lo sono proveranno
piacere, senza sapere perché”.

L’orchestrazione prevede la presenza dei fiati – oboi e corni nei Concerti


K 413 e 414, trombe nel Concerto K 415 - che ricoprono però un ruolo
marginale, più coloristico che sostanziale, come ebbe a dire lo stesso
Mozart

“Ho composto tre Concerti per pianoforte da eseguirsi con piena


orchestra e cioè con oboi e corni, o semplicemente con archi”.

(Lettera all’editore parigino Sieber del 26 aprile 1783).

Concerto per pianoforte n 11 in Fa maggiore K 413

L’Allegro del Concerto in Fa maggiore K 413 si apre con


l’esposizione orchestrale nella quale Mozart profonde idee musicali
semplici e dirette: un primo tema esuberante e gioioso, seguito da un
secondo motivo sereno e delicato.

L’ingresso del solista non ha nulla di clamoroso, anzi il pianoforte entra


quasi in punta di piedi, riprendendo con poca convinzione il motivo poco
sopra esposto dell’orchestra. Balza subito evidente la scrittura quasi
cameristica di questa pagina, nella quale la mano sinistra del pianista ha
un ruolo prevalentemente di accompagnamento armonico, quasi si
trattasse di una Sonata e non di un Concerto.
Nello sviluppo il pianoforte preferisce presentarci una nuova idea
tematica piuttosto che elaborare, come di regola avviene, i temi
dell’esposizione: la modulazione verso le aree tonali di Do minore e Sol
minore rendono questa sezione la più interessante del movimento. La

166
ripresa corre regolare e culmina nella cadenza del solista scritta dallo
stesso Mozart.

Il Larghetto è una di quelle oasi di pace e serenità cui Mozart ci abituerà


nella sua produzione successiva: qui ce ne offre un’intensa anticipazione,
col motivo principale affidato ai violini primi, col sostegno del basso
albertino ai violini secondi e del suggestivo pizzicato di viole e bassi. Il
tema tratto dall’Alessandro nelle indie di J. C. Bach, rappresenta un
omaggio alla memoria dell’amico da poco scomparso.

SYMPHONIE ORCHESTER DES


BAYERISCHEN RUNDFUNKS

Il solista è protagonista assoluto: riprende il tema principale, lo varia e lo


abbellisce con delicatezza dominando la scena musicale. La sezione
contrastante del Larghetto si apre poi con un nuovo esitante motivo
cromatico dei violini sopra il lungo pedale di corni e viole: sembra
davvero qui di avvertire i dubbi e i sospetti del Conte nelle future Nozze
di Figaro! La ripresa del tema principale variato dal solista, avviene in Si

167
bemolle maggiore e precede una specie di coda orchestrale, nella quale
Mozart ripropone il motivo cromatico precedente. La consueta cadenza
del solista porta alla chiusa del movimento.

Il Concerto si chiude con un delizioso Tempo di Minuetto, una specie di


caleidoscopio di idee musicali che si alternano felicemente senza
oscurare la forma rondeau del movimento. Il tema principale, serioso ma
ammiccante al tempo stesso, presentato dai violini secondi e subito
ripetuto all’ottava alta dai violini primi, separa con le sue ripetizioni i
quattro episodi solistici: il primo, in Fa maggiore esalta la cantabilità del
pianoforte, il secondo ha invece carattere più virtuosistico; il terzo
episodio, in Si bemolle maggiore, prende le mosse dalla chiusa
orchestrale che lo precede e conduce alla ripresa del motivo principale.

Il quarto episodio, caratterizzato da intense progressioni modulanti,


conduce a una nuova ripresa del tema principale, affidato prima al solista
poi all’orchestra sopra i vivaci arpeggi del pianoforte. L’ultimo episodio
solistico prende le mosse dall’incipit del motivo secondario e riconduce
al tema principale, udito per l’ultima volta in garbato dialogo fra solista e
oboi.

Concerto per pianoforte n 12 in La maggiore K 414

Secondo la tesi di A. Einstein, che ha trovato riscontro in illustri


studiosi mozartiani, il Concerto in La maggiore K.414 venne scritto in
realtà prima degli altri due: lo testimoniano tanto l’edizione di Artaria nel
1785, che pubblicò il Concerto come (Primo dell’op. IV”, quanto la data
di composizione del Rondò K. 386 – 19 Ottobre 1782), scritto da Mozart
proprio per il Concerto K 414 e poi sostituito dall’Allegretto. Si tratta in
ogni caso di una della pagine per le quali lo stesso Mozart nutriva
particolare predilezione.

L’Allegro iniziale ha una ricca esposizione orchestrale della quale


ricordiamo almeno tre motivi: il tema principale, un delicato sorriso
musicale esposto dai violini, il tema secondario, reso marziale dal ritmo
puntato in oboi e corni, e il secondo tema vero e proprio, timido ed
esitante nei violini, sostenuti dal pizzicato di violoncelli e bassi. Il solista

168
conduce la sua esposizione con regolarità, senza strafare e senza
particolari virtuosismi: la difficoltà tecnica di questa pagina infatti non va
oltre quella richiesta a un ottimo dilettante. Interessante invece è la
sezione di sviluppo che si apre con un nuovo motivo, in note ribattute,
elaborato dal pianoforte, culminante con un intenso episodio in Fa diesis
minore. La ripresa è regolare e culmina nella cadenza del solista.

MAURIZIO POLLINI

Il tema principale dell’Andante è un ulteriore omaggio a J. C. Bach,


del quale Mozart cita l’incipit dell’Ouverture La calamità dei cuori: il
motivo, raccolto e solenne, viene esposto sottovoce dagli archi, in un
clima musicale di ispirazione quasi religiosa. La seconda idea
melodica viene presentata dai violini primi e sostenuta dalle note
ribattute dei violini secondi e delle viole e dalle lunghe note dei fiati.
Preceduto da una pausa generale, il pianoforte si appropria del tema e
lo varia con sapienza e gusto, prima di esporre un nuovo tema,
dolcissimo e sognante, che ci sembra un’anticipazione di atmosfere
musicali incantate proprie della maturità mozartiana. Dopo la ripresa
169
della seconda idea melodica, un breve episodio di sviluppo motivico
precede la ripresa del tema principale affidata al pianoforte e la
consueta cadenza del solista.
Il carattere spensierato dell’Allegretto conclusivo è dovuto alla sua
ricchezza tematica: il refrain è formato da tre idee melodiche distinte:
uno spunto sbarazzino dei violini, una sinuosa linea degli archi
all’ottava e una melodia cadenzante dei violini sopra il ribattuto dei
bassi.

Gli episodi solistici si alternano alle ripetizioni parziali del refrain con
naturale scorrevolezza: il primo è brillante e ritmico, il secondo è
interamente basato sull’elaborazione della seconda idea del tema
principale, il terzo è costruito su un nuovo motivo presentato dal
pianoforte e subito ripreso con gioia dai violini in Re maggiore, il
quarto analogamente al secondo prende spunto dalla seconda idea del
tema principale.

Concerto per pianoforte n 13 in Do maggiore K 415

Nel Concerto K 415 in Do maggiore, che chiude la miniserie del


1782, Mozart introduce due novità rilevanti: un organico più solenne
–con trombe e timpani – e quella scrittura contrappuntistica, frutto di
uno studio attento delle partiture di Bach e di Handel, che innestata
sullo stile galante settecentesco e che ha determinato la nascita dello
stile classico viennese. Già nell’esposizione orchestrale dell’Allegro
iniziale è avvertibile il nuovo stile: nel primo tema, dall’andamento
quasi marziale, presentato in imitazione tra violini primi, secondi e
viole con bassi – Do maggiore – e nel secondo, tessuto in
contrappunto da violini e viole sopra un lungo pedale tenuto da
fagotti, corni e bassi.

La coda dell’esposizione riserva ancora una sorpresa: un motivo


tambureggiante esposto da archi oboi e fagotti, sorta di irriverente
battere di piedi in stile opera buffa al quale Mozart riserverà grande
spazio all’interno del movimento. Il solista, come spesso avviene nei
Concerti mozartiani, fa il suo ingresso con un nuovo motivo cui subito
si uniscono gli archi che riprendono il primo tema. Da qui in poi il

170
solista sembra quasi estraniarsi dal materiale musicale presentato
precedentemente dall’orchestra, in cerca di vie musicali originali,
come nel secondo tema, che presenta una malinconia propria della
malinconia mozartiana. Un lungo episodio solistico di impronta
virtuosistica (ottave spezzate, arpeggi, veloci scale) che culmina con
la riproposizione del motivo tambureggiante, porta alla coda
dell’esposizione basata sul primo tema. Lo sviluppo è articolato in due
episodi, il primo dei quali vede il solista presentare un perentorio
motivo discendente a note lunghe seguito da un veloce gioco di
scalette in imitazione; il secondo è invece basato sul primo tema
orchestrale, ora in La minore, arricchito dai suggestivi arabeschi del
pianoforte. La ripresa, regolare, porta alla consueta cadenza del solista
e alla chiusa orchestrale.

KARL BOHM

L’Andante scorre fluido in un sereno e limpido Fa maggiore, condotto


per mano dal pianoforte che domina incontrastato tanto l’esposizione
del tema principale quanto le sue variazioni. L’Allegro conclusivo,
171
ricco nell’invenzione melodica e capriccioso nella forma, si apre con
un tema articolato in tre momenti: un primo motivo esposto dal solista
e ripreso subito dagli archi, un secondo motivo, giocoso e danzante e
una terza idea dal carattere pastorale. Il primo episodio solistico è
costituito da un improvviso Adagio in Do minore, dominato da tinte
dolenti e quasi misteriose. Il secondo episodio, ancora in tonalità
minore, è basato sull’incipit del primo motivo; il terzo, vivace e
virtuosistico, contrasta con il quarto e ultimo, un Adagio che è di
fatto una ripresa variata dell’Adagio precedente. Una gioiosa
ripetizione del primo motivo seguita da una coda orchestrale conclude
la pagina

Concerto n 14 per pianoforte in Mi bemolle maggiore K 449

Il 26 maggio Mozart scrisse al padre: “..questo è un Concerto


particolare, è scritto sia per piccola che per grande orchestra”. In altra
occasione, Mozart indicò che questo Concerto, come il K 413 ed il K.
415 che poteva esser eseguito anche da una compagine da camera con i
soli archi. Inoltre, esso è il primo indicato nel catalogo privato di Mozart,
relativo a quelle composizioni a cui Mozart lavorò fino alla morte.

Albeit scrisse a Barbara Ployer che fu lo stesso Mozart ad eseguirlo per


la prima volta il 17 marzo. La dedica a Miss Ployer potrebbe essere la
ragione per cui Mozart sostituì un passaggio particolarmente difficile al
centro del movimento d’apertura con un altro più accessibile. La versione
originale contiene una sovrapposizione drammatica tra piano ed
orchestra, simile a quello espresso nel futuro Concerto in Do minore del
1786. – E’ altresì interessante rilevare che l’apertura di questo Concerto è
pressoché l’esatta inversione del tema principale del K 449.

Nessun altro Concerto sembra avere tanti tratti di unicità. La K.49 è la


sola in cui il Tutti d’apertura è modulato alla dominante della tonalità, in
Si bemolle maggiore. Queste esigenze di modulazione torneranno alla
tonica attraverso un tipo di fantasia per gli archi che non sarà più
utilizzata oltre. Ed ancora, c’è un passaggio corrispondente successivo,
un dialogo spontaneo tra piano e orchestra al termine della sezione-
sviluppo, senza una lineare linea tematica. Ciò mi fa tornare alla mente la

172
canzone popolare bavarese “Heut K.ommt der Hans zu Mir, freut sich die
Lies”.

In contrasto, uno scoppio improvviso in Do minore segue, con un


oscillante motivo dei primi violini che potrebbe interpretarsi come
l’esplosione di un incendio. Altrettanto inaspettatamente questo motivo
“esplosivo” riapparirà come trillo finale dell’assolo piano, che condurrà
ad un’altrettanto sorprendente cadenza in Do minore, in cui l’orchestra
farà il suo ingesso in Mi bemolle maggiore!

WIENER PHILHARMONIKER

Il secondo movimento in Si bemolle maggiore rappresenta un’atmosfera


più interiore. Nella terminologia mozartiana “Andantino” è più lento
rispetto all’Andante; perciò questo è uno tra i più tranquilli movimenti
che troveremo entro i suoi Concerti per pianoforte. – ci sono due
movimenti Adagio nei suoi Concerti per violino simili. Ancora, dietro
questa calma apparente, è possibile contrapporre una passionale modalità
173
da parte dell’orchestra. Il solo piano inizia con il tema iniziale ed eleganti
passaggi guidano verso un pieno dialogo con l’orchestra. Inusuale è il
primo ritorno al ritornello nella tonalità di La bemolle maggiore. Ciò
conduce alla sequenza di modulazioni romantiche, poi riprese da
Schubert, tanto che quest’Andantino si chiude recuperando la tonalità
d’inizio.
Il terzo movimento, un sereno Rondò con gli elementi in forna-sonata,
offre una deliziosa combinazione tra il tema-danzante ed elementi di
contrappunto impegnato. Il piano riprende il tema d’apertura di Tutti,
sviluppandolo in un eloquente e brillante passaggio. Con leggerezza qui
appare una figura melodica che si ripresenterà 5 anni dopo nel primo
movimento del Quintetto per clarinetto laddove essa gioca un importante
ruolo. La sezione – sviluppo recupera una tonalità minore in un gioco
dualistico tra solista e gli archi. La ri-esposizione del tema danzante
conduce ad una pausa a cui segue il risoluto Allegro conclusivo in tempo
sei ottavi, che accoglie questa composizione deliziosa verso la sua
conclusione.

Un’ulteriore peculiarità di questo Concerto sono le plurime modulazioni


“da precursore” tra tonalità distanziate tra loro. Già nella ripresa del
primo movimento la musica torna da Si bemolle minore a Mi bemolle
maggiore, attraverso il Sol minore – Richard Strauss non avrebbe potuto
far meglio – l’Andantino tocca la stravagante tonalità di Si minore e,
quasi come apice, l’Allegretto finale gioca toccando la chiave di Re
bemolle minore – Straordinario davvero!

Concerto per pianoforte n. 15 in Si bemolle maggiore K 450

1. Allegro (Si bemolle maggiore)


2. Andante (Mi bemolle maggiore)
3. Allegro (Si bemolle maggiore)
Organico: pianoforte, flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Composizione: Vienna, 15 Marzo 1784
Prima esecuzione privata: Vienna, residenza del conte Johann
Nepomuk Eszterházy, 15 Marzo 1784

174
Prima esecuzione pubblica: Vienna, Trattnerschen Saal, 17 Marzo 1784
Edizione: Artaria, Vienna 1798

Mozart condusse a termine a Vienna nel marzo 1784 due Concerti


per pianoforte e orchestra: quello in Si bemolle K 450 e quello in Re
maggiore K 451, undicesimo e dodicesimo dei ventitré compresi nel
catalogo delle sue opere. «Fra questi due Concerti - egli scriveva al padre
- non saprei quale scegliere. Li ritengo entrambi tali da far sudare; e in
fatto di difficoltà quello in Si bemolle supera ancora quello in Re»

GEZA ANDA

175
Il Concerto K 450 è invero una composizione eminentemente brillante,
nella quale il virtuosismo del solista ha ampio modo di emergere, mentre
l'orchestra, formata da archi, oboi, fagotti e corni, con l'aggiunta di un
flauto nell'ultimo tempo, ha un elaborato trattamento sinfonico. Creato in
un periodo in cui Mozart godeva il massimo favore della società
viennese, il Concerto è uno di quelli che, a quanto osserva l'Abert, il
musicista scrisse parte per sé e parte per il pubblico: «E' come se Mozart
volesse testimoniare a che punto lo spirito della musica di società poteva
essere unito con il sentimento personale dell'artista».
L’Allegro iniziale si apre con un tema assai cromatico presentato dai
fiati, ai quali rispondono lievemente i primi violini; dopo un Tutti
orchestrale, appare, presentato dagli archi, il secondo tema, caratterizzato
da sincopi di un effetto tenero e cattivante; si ha quindi un altro Tutti. Il
pianoforte entra con un ampio passaggio libero, che porta a un punto
coronato, e riprende poi da solo il materiale tematico precedentemente
esposto, introducendo anche nuovi temi e approdando ad una chiusa
orchestrale rifacentesi al primo Tutti. Nello svolgimento si hanno
passaggi modulanti del solista, imitazioni fra gli strumenti dell'orchestra,
la riapparizione del tema iniziale in orchestra sotto il trillo del pianoforte.
La ripresa ha numerose varianti rispetto all'esposizione e perviene alla
conclusione attraverso una grande cadenza.
L’ Andante, in Mi bemolle, è concepito nello spirito della variazione. Un
tema semplice e cantabile, con ripetizioni distribuite fra il solista e
l'orchestra, è seguito da due variazioni e da una libera coda. Accenti da
cantico religioso sono stati rimarcati da alcuni studiosi nello svolgimento
del discorso musicale.
L’Allegro finale è un Rondò con una intonazione di caccia (e il Saint-
Foix vi sottolinea anzi una certa atmosfera francese che lo avvicina al
Quartetto soprannominato appunto La caccia).
Il ritornello, spigliato e grazioso, è introdotto dal pianoforte ed è
immesso in uno svolgimento originale per varietà di episodi e
modulazioni inaspettate. Anche qui una cadenza precede la conclusione:
va segnalato al riguardo che di questo, come di parecchi Concerti
mozartiani, ci sono pervenute le cadenze composte dall'autore per uso
proprio o di altri esecutori.

176
Piano Concerto n 16 in Re maggiore K 451

Il 1784 segna una periodo di pausa di Mozart quale compositore ed


esecutore di Concerti per pianoforte. Già tre anni prima egli aveva scritto
a proposito di Vienna: “ Questa è definitivamente la terra del
pianoforte!” In marzo, egli organizzò tre “accademie” in cui egli eseguì i
suoi Concerti nuovi, il K 449 il 17, il K 450 il 24 e il K 451 il 31.

ORCHESTRA MOZART

A proposito del primo Concerto, egli scrisse il 20 “la platea era


stracolma”. Nell’arco di un mese Mozart si esibì 21 volte mentre
contestualmente componeva altro! Naturalmente, nel 1784 il pianoforte
occupò un ruolo centrale nella sua attività: scrisse almeno 6 Concerti per
piano, oltre che altrettante Sinfonie. Nella tarda primavera, egli spedì le
partiture dei Concerti K 449, K 450, K 451, K 453 al padre,
accompagnandole con questa lettera:

“Non riesco a scegliere tra due Concerti, il K 451 e il K 457: entrambi


sono intensi, ma quello in Si bemolle è più difficile. Comunque, sono

177
curioso di sapere quale tra i tre Concerti in Si bemolle, Re e Sol è il
preferito da voi e da mia sorella, e se il vostro giudizio sia concorde col
mio e con quello delle platee”

Lettera del 26 Maggio 1784.

Non conosciamo la risposta, ma è verosimile che il Concerto in Re


maggiore fosse il preferito: è il più effervescente dei tre.

Per la prima parte, a partire dal K 175 Mozart utilizzò trombe e timpani
come strumenti obbligati in ogni Concerto. Il primo movimento ha il
carattere di una Ouverture brillante, il piano comincia aggiungendo
passaggi virtuosi e aggraziati. Il secondo movimento ha i tratti di una
Romanza, che prelude al movimento centrale del Concerto in Re minore.
E l’imprevedibile Finale ha il ritmo di una danza campagnola che
termina dopo una cadenza, come un valzer veloce, concludendosi con
una fanfara non dissimile dal Bel Danubio blu di un secolo dopo!

Non è tuttavia sorprendente che questa composizione apprezzata sfuggì


all’attenzione degli editori durante la vita di Mozart. Una possibile
pubblicazione parigina tra il 1785-1787 non può esser accertata, ma nel
marzo 1792, appena dopo la morte di Mozart, fu pubblicata da Bossier,
che aveva altresì pubblicato la K.453.

Il commentatore mostra una notevole comprensione per lo stile


mozartiano quando egli scrive di “impressionate modulazione”. Passaggi
inconsueti tra le sezioni principali pongono Mozart al di fuori dei suoi
contemporanei. Ciò s’evidenzia già alla battuta 43 del primo movimento:
improvvisamente la consueta atmosfera del Re maggiore è abbandonata
sotto la sincope offerta dai violini acuti – premonizione del Concerto in
Re minore – e gli staccato dei bassi discende verso aree distanti dalla
tonica fino alla dominante di Si maggiore, proposta dopo cinque misure.

Ciò è seguito da un graduale ritorno al Re maggiore. Un modulazione


simile prosegue, questa volta fondata in una sequenza cromatica
discendente.

178
ALFRED BRENDEL

Naturalmente, questi passaggi eccentrici hanno un profondo significato,


in ciò che Mozart vuol dirci: il suo splendente Re maggiore non lo è del
tutto: contiene tremori, inadeguatezze, che sono in sottofondo al migliore
dei “mondi possibili”.

Tali incertezze non sono prolungate, ma presto si risolvono verso la


familiare felicità del Re maggiore, sia quale tonica sia quale dominante.
Non sarebbe altrimenti Mozart, e il suo tremore non ha strascichi e non
va oltre il primo movimento, ma riemerge temporaneamente con le
modulazione della fase centrale del terzo movimento conclusivo.

179
Concerto per pianoforte n 17 in Sol maggiore K. 453

Composto per Barbara Ployer, fu completato il 10 aprile 1784 –


come risulta dal manoscritto autografo – ed inserito nel catalogo
personale delle composizioni il 12 aprile 1784.

La prima esecuzione fu di Barbara Ployer il 13 Giugno 1784, sotto la


direzione dello stesso autore Mozart – ed insieme eseguirono il K 449 e
la Sonata per due pianoforti K 448.

Il Concerto in sol maggiore è il quarto del fruttuoso biennio 1784-1786,


quando furono composti almeno 12 Concerti – un’esplosione di
creatività unica perfino per Mozart.

Sebbene i progetti di scrivere una nuova opera non si concretizzarono,


era all’apice della sua fama come miglior compositore ed esecutore al
pianoforte a Vienna. Durante la primavera del 1784 egli si esibì non
meno di 23 volte in 46 giorni in concerti pubblici e privati. E’ qualcosa
di sorprendente il miracolo che egli nel medesimo tempo trovasse tempo
e modo di comporre tutto ciò, considerando che ognuno di essi ha un
tratto distintivo.

Raramente uno stesso Concerto veniva replicato oltre una volta. La


platea mozartiana esigeva ascoltare una nuova composizione ogni volta.

Si può altresì affermare che questo Concerto sia ancora più unico rispetto
agli altri. Nessun altro Concerto infatti ha inizio con i soli violini, a cui si
uniscono in seguito i Tutti. Come una sorta di ricambio, gli stessi violini
taceranno durante la cadenza dove – altrettanto inusualmente – solo i
bassi saranno presenti.

Quando il resto degli archi arriveranno, una misura dopo, essi non
suoneranno un prevedibile armonico in Sol maggiore, bensì un accordo
pressoché romantico alla nona minore, che in realtà è un accordo di
settima con l’ottava aumentata!

180
La partitura del pianoforte, altrettanto, ha i suoi tratti sorprendenti e
inconsueti, come una serie di triadi interrotti come lo scintillante primo
studio in Do maggiore di Chopin.

Nella sezione-sviluppo Mozart inserisce i temi precedenti ma


accompagnandoli con inattese armonizzazioni, un abbellimento che
modula verso tonalità distanziate fino a confluire nella dominante di
minore. Una modulazione magica da un breve Tutti – solo archi –
conduce da Mi minore a Do minore e poi al Sol minore, preparando così
la ripresa in tonalità originaria.

EUGEN JOCHUM

181
E’ consueto per le composizioni adulte di Mozart che un’atmosfera
placida si tramuti in atmosfera oscura ed incerta.

Ciò è ancor più evidente nel secondo movimento, dove un inatteso fuoco
passionale segue l’introduzione pacata.

Qui il piano assume il ruolo di un soprano drammatico in una scena di


Opera seria. Nella parte centrale dell’Andante, Mozart modula
nuovamente verso le tonalità più distanti, anticipando in ciò Schubert.

E’ un colpo di genio il modo in cui Mozart trova le linee per ritornare dal
Do diesis minore verso Do maggiore in appena quattro battute. Il sole
così riappare!

Un ambiente emotivo si espande dalla cadenza straordinariamente


poetica con l’epilogo in cui il piano giunge interagendo in un dialogo
sereno con l’orchestra, come a testimoniare una ritrovata sintonia dopo
gli smarrimenti precedenti.

Tal evoluzione fa tornare alla mente la conclusione della danza Davids


Bundler di Schumann.

Il giro di danza dell’ultimo movimento – una sequenza brillante di


variazioni – è una di quelle in cui l’ascoltatore viene catturato e
invogliato ad unirsi al canto.

Perfino in questo brano brioso, appare la variazione in tonalità minore,


con piene e diffuse armonie. Dopo tal improvvisa interruzione, la
modalità prevalente ritorna a prendere il sopravvento ancora.

Dopo una breve cadenza, giunge il Presto finale nello stile dell’Opera
buffa – unico anch’esso – e ciò conduce verso la conclusione effettiva di
questa multiforme composizione.

182
Concerto per pianoforte n 18 in Si bemolle maggiore
K 456 – “Paradise - Concerto”

Completato il 30 settembre 1784

Il Concerto K 456 è il quinto della serie che Mozart compose per il


pianoforte. Nello stesso frangente temporale, egli scrisse anche il
Quintetto per pianoforte K 452, la Sonata per violino e pianoforte K 454
e la Sonata per pianoforte in Do minore K 457. Solo il Quartetto d’archi
in Si bemolle maggiore K 458 ha interrotto tal fiorire di composizioni per
pianoforte, che riprese con il Concerto per pianoforte K 459.

SYMPHONIE ORCHESTER DES


BAYERISCHEN RUNDFUNKS

183
Se per circa un secolo, il Concerto K 271 fu indicato con”Jeunehomme”,
si poteva indicare questo Concerto con il sottotitolo “Concerto paradiso”
visto che era stato composto per la pianista cieca Maria Teresa Paradis
(1759-1824). Ella eseguiva questo concerto nelle sue esibizioni e Mozart
stesso lo esegui a Vienna il 13 Febbraio 1785 in un recital della cantante
Luisa Laschi.

Con l’eccezione del tormentato episodio in Si minore del movimento


Finale, una tenerezza tenue e femminile prevale, come se essa fosse il
ritratto a cui esso era diretto.

Specialmente la dolcezza del primo movimento con le sue armonie


romantiche, ha pochi confronti con altre composizioni.

Il primo movimento inizia con il ritmo di marcia prediletto da Mozart


che è presente anche nei Concerti per pianoforte K 451, K 453 e K459,
nel Concerto per violino K 218 e in numerose Marce per orchestra.

Mentre la battuta d’apertura in tutti i casi è identica, è la seconda misura


che è unica. Qui la conclusione femminile “Do-La-Si bemolle” appare e
contraddistingue l’atmosfera prevalente all’intero movimento.

L’introduzione orchestrale conduce due temi di sottofondo e si conclude


con un altro motivo-marcia, convenzionalmente un tratto militare, ma
suonato qui tenuemente da violini e strumenti a fiato.

Nell’esposizione seguente il Piano riprende tutti i temi fin qui ascoltati


nell’apertura, abbellendoli, variandoli ed arricchendoli con passaggi
virtuosistici, nel corso dei quali si trova un nuovo passaggio all’unisono
che conduce verso il secondo tema – come accade per la Sonata in Sol
maggiore K 283 e nel Concerto in Sol maggiore K 453.

Dopo un energico ritornello orchestrale al centro del movimento, il


pianoforte rientra con una sorta di improvvisazione che porta alla
sezione-sviluppo. Questo sviluppo, modulato in diverse tonalità,
introduce un nuovo solo pianistico di carattere trasognante. Un crescente
sulla dominante, conduce poi verso la ripetizione del tema iniziale,
assente per oltre 10 minuti d’esecuzione. La sensazione di benessere di

184
quel sottofondo familiare all’inizio della ripresa può essere ben
confrontato con i sentimenti del rientro in casa dopo una giornata
trascorsa lontani. Dopo tal rientro, “casa dolce casa”, la tonalità di Si
bemolle maggiore non sarà più lasciata fino alla conclusione
dell’Allegro.

MAURIZIO POLLINI

Una novità nei Concerti per pianoforte di Mozart è la forma mutata del
secondo movimento. E’ nella tonalità elegiaca di Sol minore, una tonalità
che in ogni composizione mozartiana con la medesima tonalità spesso
esprime smarrimento, paura, tragicità, perfino disperazione, come
nell’aria di Pamina “Ach, ich fuhl’s”.

Qui, tuttavia, l’impressione di sofferenza è meno acuta, probabilmente


perché Mozart sembra voler esprimere l’ansia di una giovane donna
legata ad un dispiacere d’amore, piuttosto che i suoi personali sentimenti.

185
Nonostante ciò che si intravvede in questo tipo di variazione, orchestra e
pianoforte sono presenti qui con una tale profonda fusione che le parole
non servono. Il lamento dolce del tema alla prima variazione per
pianoforte solo è gradualmente intensificata fino ad arrivare ad uno
stormo d’ali nella terza variazione. La variazione nella rassicurante
tonalità di Sol maggiore sembra provenire da altezze celestiali. Ma qui il
panico riemerge ancora nell’ultima variazione, una variante più concisa
rispetto alla seconda variazione e che conduce verso la coda drammatica
che non cela più nulla, ma è palesemente espressa.

Il terzo movimento è un “Finale nascosto” in 6/8, un tipo di soluzione


che Mozart ha utilizzato con successo nei movimento Finali dei Concerti
per corno e orchestra K 412, 417 e 447 così bene come nel Concerto per
pianoforte in Si bemolle K 450.

La somiglianza con i movimenti finali citati non può essere celata: come
in essi, si inizia con uno sfrontato assolo del pianoforte così come è
simile il secondo tema e i passaggi virtuosistici, ma il K 456 richiede
meno abilità tecniche dei precedenti.

Tuttavia, non si vogliono negare anche qui le sorprese: Proprio al centro


di questo primo movimento, laddove tutto sembra scorrere regolarmente,
tal sensazione è spazzata via improvvisamente da una modulazione
eccitante verso la tonalità distante di Si minore. Ma non solo questo! I
due ritmi di 6/8 e 2/4 sono sovrapposti qui in un frenetico 2/4 suonato dal
fagotto ed in sequenza affidato al pianoforte che è accompagnato però
dai violini in ritmo 6/8. La suggestione di questa sovrapposizione tra
ritmi è espressa dallo scambio tra violini e pianoforte che rammenta la
luminosità dei cori della Passione di S. Matteo di Bach.

Quest’improvviso fuoco può essere interpretato come la protesta contro


il generale sottofondo idilliaco del resto del Concerto. Quest’è l’essenza
di Mozart! Così improvvisamente quando essa appare, questo scompiglio
lascia il campo e viene riassorbito nella tonalità originaria, quella di Si
bemolle maggiore, che viene mantenuta fino alla fine del movimento.
Da qui, è tutto “zucchero e biscotti”. Solo nella cadenza originale di
Mozart viene rievocato quello scompiglio con simili passaggi fulminei:
un elegante brano di psicologia musicale anteriore a Wagner. Nelle

186
partiture di Mozart, dopo l’improvvisazione-cadenza, il pianoforte ritrova
l’orchestra in due accordi conclusivi, una convenzione che sarà
mantenuta per tutto il diciannovesimo secolo, laddove questi due accordi
non verranno nemmeno stampati nella partitura per il pianoforte-solo.

LEONARD BERNSTEIN

187
Concerto per pianoforte n 19 in Fa Maggiore K 459

Completato a Vienna l’11 dicembre 1784

La prima pubblicazione di questo Concerto – da Johann André –


ricorda nella copertina che lo stesso fu eseguito da Mozart in occasione
dell’incoronazione dell’imperatore Leopold II a Francoforte il 15 ottobre
1790. Come per l’altro Concerto d’incoronazione – K. 537 – eseguito per
l’occasione, entrambi hanno una pluralità di temi scritti con atmosfera
gioiosa, solo raramente intermezzati da quei momenti di riflessione
malinconica che sono tipici in Mozart.

Inoltre, si nota un evidente contrasto tra queste due composizioni. Mentre


nel Grande Concerto d’incoronazione, il pianoforte è protagonista
centrale, qui si evidenzia un costante dialogo tra piano e orchestra, specie
con la sezione fiati.

Ciò si nota anche dal ruolo di accompagnamento del pianoforte in gran


parte del primo movimento. Diversamente da altri Concerti, qui c’è una
rilevante presenza di polifonia con canone e fuga. Inoltre, ciò che Mozart
affermava sui primi Concerti K 413, K 414, K 415 si possono applicare
anche a questa composizione:

“Questi Concerti sono la giusta via di mezzo tra il troppo semplice ed il


troppo elaborato. Essi sono molto brillanti, piacevoli all’ascolto ma
senza essere superficiali. Ci sono inoltre passaggi da cui i semplici
ascoltatori possono trarre soddisfazione, nonché altri passaggi
apprezzabili da ascoltatori più esperti, senza che essi ne sappiano la
reale ragione” –

Lettera al padre del 28 dicembre 1782

Il Concerto in Fa maggiore sarà il più breve dei Concerti mozartiani:


inoltre, l’indicazione Allegretto in merito al secondo movimento, più
rapido dell’Andante o Larghetto indicati nei movimenti centrali degli
altri Concerti ed il vitalissimo Allegro assai del movimento finale fa
ritornare in mente quanto indicato da Mozart a proposito
dell’ Abduction:

188
“… credo che nessuno potrebbe addormentarsi qui, a meno che non
abbia dormito per l’intera notte precedente”.

lettera al padre del 26 Settembre 1781.

WIENER PHILHARMONIKER

E’ da notare che il Concerto inizia con il ritmo preferito da Mozart:


quattro note da un quarto con un ritmo puntato nel secondo quarto, al
posto del ritmo – marcia che egli utilizzò per innumerevoli primi
movimenti. La cosa sempre apprezzabile è che Mozart non ripete mai sé
stesso, cercando ogni volta una novità rispetto a quanto già fatto. Qui il
passaggio tra il Fa e la sua quinta Do tra la prima e la seconda misura è
un tratto caratteristico: questo tema simile alla marcia domina l’intero
primo movimento, apparendo diverse volte in nuove variazioni
armoniche, delicate, trionfali, elegiache e perfino romantiche nella
cadenza originale.

189
Nonostante che il suo ritmo sia fluido, il secondo movimento è di
bellezza incantevole. Ottiene ciò con la profondità del sentire attraverso
l’inserimento ripetuto di episodi in tonalità minore che produce l’effetto
di una scintilla in una scena di tramonto, un effetto “schubertiano”
prossimo alla malinconica nostalgia. Uno dei suoi tratti distintivi è la
canonica ripetizione del motivo iniziale tra i fiati ed il piano.

Il terzo movimento inizia con un tema sfrontato nel ritmo di danza


popolare eseguita alternativamente dal piano e dai fiati. Piuttosto
inaspettatamente gli archi entrano nella misura 32 con una vigorosa fuga
breve.

Una fuga entro un Concerto per pianoforte! Qualcosa che non era mai
accaduto prima. Quest’eccezione è una fuga gioiosa che inizia con una
breve ripresa del tema, un procedere di solito riservato esclusivamente al
Finale delle fughe.

Questo Tutti d’apertura non è una riproposizione della danza iniziale ed


un epilogo che qui anticipa di sette anni il duetto Papageno/Papagena dal
Flauto Magico. Il tema della fuga ricompare diverse volte durante gli
episodi solistici.

Ma non solo: nella ripresa un vero conflitto si impone tra i due soggetti
laddove essi si fronteggiano in una drammatica fuga doppia – un simbolo
di lotta in cui apparentemente il tema danzante ha la meglio.

Ma il tema della fuga si ripresenta più tardi e ha l’ultima parola nella


cadenza, dopo la quale la nostra danza elegante riemerge con
raffinatezza, guidando verso il tema simile al Papageno/Papagena
presentato qui come duetto tra pianoforte e fiati.

In questo Concerto la forma “elegante” e la forma “contrastata” danno


origine, tra loro, ad una simbiosi unica – un colpo di genio!

190
Concerto per pianoforte n 20 in Re minore K 466

A dispetto della complessità della sua opera, il particolare


approccio del Concerto in Re minore K 466 è immediato – è tra i soli due
scritti in tonalità minore, ed è il più drammatico ed impressionante.
Storicamente, vi si ritrovano ingredienti precisi che si ripercuoteranno
nel periodo romantico del secolo successivo, quale sbocco dell’ormai
usurato stile rococò.

KRYSTIAN ZIMERMAN

Come osservato da C. Rosen, solo in poche altre composizioni


(principalmente nel Don Giovanni e nella Sinfonia 40 in Sol minore
K.550) si rafforza la percezione di un Mozart pioniere-riferimento per la
prossima età dei compositori romantici, in un tempo in cui la sua
inarrivabile grazia oscurata dalla sua forza rende complicati i confronti
con altre sue composizioni, così prossime ad Haydn, come se in esso ci
fosse un’ampiezza e un retroterra che lo rendono non paragonabile ad
altri Concerti. Perché?

191
In opposizione alla percezione delle sue composizioni tanto raffinate ed
al limite stucchevoli, la sua tonalità minore, la sua discontinuità ritmica,
la ricchezza d’orchestrazione – compresi ottoni e percussioni – il
tempestoso ardore e i contrasti pungenti della tessiture esprimono con
vigore l’imminente età di rivoluzione, libertà, individualismo.
F. Blume circoscrive l’unicità del frangente storico di tali stravolgimenti
come determinante nella composizione medesima del Concerto; per
Blume, il K 466 fu il primo Concerto in cui il convenzionalismo cede
all’espressione libera dell’individualità artistica e del “linguaggio del
cuore”.

L’impulso immediato per Mozart nella creazione del Concerto n. 20 è


curiosamente nascosta dall’esser nota. Mentre è in corso il passaggio
all’età matura ed al contempo avvengono eventi negativi nella sua vita, la
cautela dei biografi nella loro comprensione – Mozart scrive alcuni dei
maggiori capolavori proprio in un periodo di depressione e di
insicurezze.

Al contrario, egli scrisse spesso i suoi Concerti per piano in coppia e la


vicinanza del Concerto n. 21 in Do maggiore K 467 è di appena qualche
settimana più tardi, ed esso è impregnato di delicatezza ed ottimismo
insieme.

I Concerti per piano del Mozart maturo condividono una struttura


comune. I primi movimenti sono distinti in quattro segmenti, interrotti da
due segmenti d’assolo e dalla cadenza, attraverso cui si dipana un
complesso interloquire giocato tra competizione e collaborazione tra
strumenti singoli e fra le sezioni orchestrali, che appunto si scambiano e
intrecciano i diversi temi musicali e le armonie fra loro.
I secondi movimenti sono Andanti, Lenti, intervalli di riposo spesso
condotti dal pianoforte a cui è richiesta costantemente grazia e fluidità.

I finali sono Rondò in cui l’orchestra ed il solista si alternano tra le


sezioni in un dialogo che rinvigorito condurrà all’epilogo conclusivo.

Lo splendore del K 466 è dato dal rispetto di questo schema generale ed


altresì alla meraviglia inattesa che ogni nuova tessitura musicale
introdotta riesce a suscitare. Come analizzato da A. Einstein, la

192
distinzione mozartiana tra il Solo ed il Tutti nel primo movimento resta
profondamente netta, senza alcun compromesso o commistione tra loro:
in contrasto, dopo una particolare ampia introduzione il pianoforte fa il
suo ingresso con una sequenza di intervalli disomogenei che potrebbero
esser eseguiti da qualunque altro strumento. Un preciso punto di
distinzione è che il movimento non si conclude in una forma tradizionale,
come se i contendenti fossero già esausti delle proprie inusuali
espressioni.

LEONARD BERNSTEIN

193
Il secondo movimento è una romanza con strofa che si veste di
tranquillità ed inizialmente sembra rafforzarsi dalla sua tonalità in Si
bemolle maggiore e dal supporto che il piano ed orchestra provvedono
reciprocamente a donarsi passandosi e perfino completando
reciprocamente le frasi altrui, ma a ciò segue una sezione centrale molto
mossa, in Sol minore.
Il Rondò acuisce la direzione appassionata e cromatica che porta alla
cadenza, dopo la quale la composizione consegna la sua sorpresa finale
espressa in Re minore con un notevole smarrimento rispetto a ciò che ci
si potrebbe attendere, nonostante Mozart avesse assegnato un semplice
finale in levare. L’altro Concerto in tonalità minore di Mozart, il n. 24 in
Do minore K 491, non lascia mai la modalità minore.

Nota del traduttore : Esempi di upbeat – offbeat o back beat

Es. 1 con evidenziatore di frasi musicali

Esempio di UPBEAT (in rosso) : Inizio della BWV 736 di J. S. Bach: la


frase musicale inizia sull’ultimo movimento antecedente e si “propaga
all’inizio del primo movimento seguente con la semiminima puntata

Esempio di OFFBEAT or BACKBEAT

La misura “Offbeat” è uno stratagemma innovativo assegnato ai


violoncelli e ai contrabbassi, i quali ripetono questa frase inquietante
mentre gli altri archi persistono in una caduta sincopata che mantiene la
tonalità minore e solo lentamente cresce verso un’atmosfera che emerge
dalla tonalità minore e dal ritmo quaternario; come segnalato da
Hutchings, tutto ciò ripercuote una tal energia che permane come un
faro-guida che tutti seguono. Attraverso il resto del primo ritornello,

194
l’orchestra s’esprime con delicate frasi, solo interrotte da improvvise
fiammate di tonanti fanfare. Perciò l’andamento è definito da una
relazione di interscambio prima che il pianoforte torni a farsi sentire.

WIENER PHILHARMONIKER

Unico tra i Concerti mozartiani il n. 20 contiene ed impone un’indubbia


influenza. Veinus indica che esso funge da riferimento all’inquietudine
che animerà Beethoven nella sua visione che ha stravolto l’intera musica
classica per come la conosciamo e che ha segnato l’intero Ottocento.

Inoltre, non occorre sorprendersi se Beethoven eseguiva questo Concerto


aggiungendovi delle cadenze che si allontanavano notevolmente,
mostrando la sua potente personalità, infervorando le implicazioni
drammatiche contenute nell’ equilibrio d’eleganza stilistica mozartiana.

195
Mozart non scrisse le cadenze per questo Concerto, come fece per i suoi
nove Concerti precedenti per la semplice ragione che i preparativi per la
prima esecuzione dell’11 Febbraio 1785 furono così immediati che il
copista stava ancora lavorando sulle partiture orchestrali e così Mozart
improvvisò le cadenze del Concerto.

A ciò va aggiunta l’indubbia difficoltà esecutiva per l’orchestra, tenendo


conto del tempo necessario per affrontare ed eseguire passaggi tanto
inusuali, previsti specie nel Rondò del terzo movimento.

Uno speciale spettatore assistette a quella prima esecuzione, ed il giorno


dopo ebbe a dichiarare che Mozart era di certo il più grande compositore
che avesse mai sentito: Joseph Haydn.

I compositori successivi useranno la forma del Concerto per pianoforte


ed orchestra quale mezzo con un ampio territorio inesplorato,
enfatizzandone aspetti singolari quali la tragicità (Beethoven), gli
elementi sinfonici (Brahms), il lirismo (Chopin) l’ironia (Shostakovich),
la profondità emotiva (Bartok), la bellezza (Rachmaninoff) e perfino il
jazz (Gershwin).

Per chi vuol tralasciare queste aperture d’opportunità espressiva futura, si


può valutarne l’unicità quale esempio massimo in cui ogni componente
trova collocazione tra gli altri, senza ambire a divenire unico
protagonista.

A. Eistein forse nel miglior modo esprime tal punto di vista considerando
i Concerti mozartiani come l’apice convergente – una perfetta fusione di
elementi che creano la più alta omogeneità e che trasportano l’ascoltatore
verso il massimo dei livelli, con la sensazione diffusa che “oltre ciò non
c’è progresso possibile, perché la perfezione non consente ulteriore
passo, è “imperfettibile”.

196
Importanza dell'opera e contesto storico
Opera ponte. Opera preromantica. In questi e in molti altri modi
simili viene solitamente definito questo Concerto. In realtà queste
definizioni partono da un punto di vista falsato che è quello “a posteriori”
tipico di una visione storiografica che tende a classificare opere ed eventi
in riferimento a periodi o movimenti spesso più definiti nella visione di
chi scrive da critico o da storico che agli occhi dell'artista in oggetto o dei
suoi contemporanei.

CLAUDIO ARRAU

197
Così facendo si inverte inavvertitamente il rapporto di causa-effetto e
Mozart diventa un pre-romantico; mentre, per l’influenza esercitata sui
compositori del secolo successivo, sarebbe più corretto definire i
musicisti romantici: "post-mozartiani". Mozart non fu compositore
Romantico, eppure fu il modello cui il romanticismo musicale più spesso
guardò.
La forza del Romanticismo fu l’universalità, la durata, la
multidisciplinarità. Movimenti di poco precedenti ma che non ebbero
simili dimensioni vengono definiti comunemente “preromantici”. Così fu
per lo Sturm und Drang tedesco di cui Mozart non è ricordato come il
principale esponente in ambito musicale solo perché sopravvisse altri 18
anni alle sue opere ascrivibili a questo genere (la Sinfonia K 183 in Sol
minore, i Concerti per fagotto, per flauto, per violino ecc. ecc), e in quei
18 anni rivoluzionò completamente il panorama musicale.
Lo Sturm und Drang però non nacque in “previsione” del Romanticismo,
ma in relazione alle istanze sociali politiche e culturali di quello
straordinario periodo storico che fu la seconda metà del Settecento.
L’importanza nella storia della musica del Concerto per pianoforte (o
fortepiano) e orchestra in Re minore K 466 è enorme. La sua influenza,
evidente in alcune opere (come nel primo Concerto per pianoforte e
orchestra di Brahms), attraversa tutto l' Ottocento e si estende sino al XX
secolo.
Il K 466 è a tutt'oggi il Concerto più eseguito, assieme al K 488 tra i 25
Concerti per pianoforte di Mozart. E fu il Concerto preferito da
Beethoven, che ne scrisse una cadenza che viene a tutt’oggi eseguita da
gran parte degli interpreti non avendo Mozart lasciato una sua cadenza
per il K 466.
Proprio in Beethoven dobbiamo cercare le influenze più profonde ed
immediate, ma non nei Concerti per pianoforte del compositore di Bonn,
che sono strutturalmente e concettualmente molto diversi da quelli di
Mozart, ma nelle Sinfonie.
Mozart compose 41 Sinfonie, ma solo poche di esse sono assimilabili per
dimensioni, organico, intenzioni e contenuti a quelle che nei 150 anni
successivi furono il genere "principe" della ricerca musicale.

198
La Sinfonia era per Mozart ancora una composizione "galante" assimilata
alla Serenata o al Divertimento, mentre i generi in cui espresse
maggiormente la sua ricerca furono: l'Opera lirica, il Quartetto d'archi e,
appunto, il Concerto per pianoforte.
In quest'ultimo soprattutto egli si esibiva abitualmente come solista e
direttore e sarebbe ovvio, anche senza necessità di ascolto, presumere
che vi espriMessa al meglio le sue capacità compositive ed esecutive.
L'assenza di una cadenza autografa di Mozart nel K 466, va letta proprio
come indice dell'importanza che attribuiva a questa composizione.

GEORG SOLTI

199
La cadenza costituisce nel Concerto classico quella parte affidata allo
strumento solista che interviene poco prima della coda e che non veniva
scritta ma era affidata alle capacità improvvisative e virtuosistiche del
solista. Mozart scrisse di sua mano le cadenze solo per i Concerti più
semplici e destinati ad altri esecutori, mentre non scrisse quelle per i
Concerti scritti per le proprie accademie.
Nei Concerti di Mozart assistiamo ad una sconvolgente evoluzione non
solo delle dimensioni dell'orchestra, ma anche nei timbri, nel rapporto tra
le varie parti dell'orchestra e nel carattere dell'opera, che da
intrattenimento virtuosistico si teatralizza divenendo discorso,
narrazione, azione drammatica, musica assoluta. Il K 466 è esemplare nel
presentare tutti questi aspetti, a partire dall'organico che è il più vasto
nella sua produzione e che ormai incarna completamente quello che sarà
l'orchestra romantica di natura pubblica e borghese ormai emancipata
dalle corti principesche o dalle cappelle vescovili.

Concerto per pianoforte n 21 in Do maggiore K 467

Come per il Concerto per pianoforte in Re minore K 455, questo


Concerto rivela un miracolo, l’incontrovertibile supremazia di un genio
sul semplice talento. Entrambi furono composti in meno di un mese. Il
Concerto in Do maggiore fu iniziato in Febbraio, immediatamente dopo
la prima esecuzione del K 466 e fu terminato in base a quanto scritto
dallo stesso Mozart nel proprio catalogo privato il 9 marzo 1785. Ciò fu
reso noto pubblicamente anche tramite la locandina di un Concerto
tenutosi il 10 marzo che indicava per quel Concerto “recentemente
completato”.

Il solo fatto che Mozart abbia composto un tal Concerto in meno di un


mese è un fatto rimarchevole. Un buon copista oggi avrebbe bisogno del
doppio del tempo solo per riuscire a copiarlo! Ancora, non c’è traccia di
correzioni nella partitura autografa – a parte alcuni abbellimenti musicali
nel secondo movimento che ovviamente erano lasciati
all’improvvisazione, ma che possono esser completati rifacendosi a
passaggi simili in altre composizioni. Tuttavia, il concreto miracolo è
soprattutto nel fatto che Mozart sia stato capace di comporre una tal
composizione straordinaria.

200
Questo Concerto è perfetto come un cristallo.

Nel primo movimento, il tema principale e quello secondario – il


principio maschile e femminile – sono in armonia, come una coppia
ideale. E’ diffusamente palpabile: il tema secondario permetterebbe
facilmente di essere contrappuntato con il tema principale!

Tanto che Mozart fa trascorrere ben quattro minuti prima di introdurre il


secondo tema, cosa che aveva già fatto nei suoi Concerti giovanili.

CHICAGO SYMPHONY ORCHESTRA

201
Ma qui, perfino prima dell’arrivo del secondo tema, Mozart dovrebbe
presentarci due ispirazioni melodiche indipendenti legate al tema
principale che in seguito riprenderebbe per il secondo tema. Il secondo di
questi motivi sottostanti è ben distinguibile e ciò è dovuto alla sua
tonalità minore. Tal inizio anticipa il Beethoven del terzo Concerto per
pianoforte e il suo proseguire è identico all’inizio della Sinfonia in sol
minore che egli compose tre anni dopo! Ma perché tale deviazione in un
nostalgico mondo della modulazione minore?

Senza alcun dubbio, senza questi elementi apparentemente incoerenti, il


suo andamento sarebbe troppo calmo e scontato. Perciò, il secondo tema,
che è introdotto appena dopo si evidenzia ancor di più proprio in
contrasto con questo sottofondo intimista, il quale nel medesimo
frangente ci porta verso un nuovo motivo, una melodia in Mi minore, che
ci offre un angolo caro poi a Chopin. Il Finale recupera la struttura
formale: il motivo iniziale si ripresenta e conduce alla conclusione del
movimento.

Il movimento centrale di questo Concerto inizia con un grande “hit”,


utilizzato da un film in cui fu usato come motivo conduttore per una
storia d’amore, tanto che le persone andavano in negozio a chiedere “il
Concerto Elvira Madigan”! Quando si suona questo movimento con il
corretto ritmo, ci si può distogliere cadendo in questo sentire. Ancora,
l’indicazione autografa di Mozart “Alla breve”- come nell’epistolario suo
sui movimenti centrali dei Concerti espressamente indicava – ci toglie i
dubbi: questo movimento esprime un sogno fugace, è come una breve
parentesi di danza entro l’eternità.

Questo movimento racchiude questo sentire perfino entro la prima nota e


continua costante fino all’ultima nota (l’interpretazione – mimo di
Marcel Marceau su questo movimento è memorabile). Le corpose
dissonanze del motivo secondario richiamano alla mente quelle del
Quartetto K 465 che Mozart aveva composto un paio di mesi prima.

Il terzo movimento, un omogeneo e virtuoso “Rondò – Sonata”,


comprende una modalità essenzialmente serena del primo movimento ed
ancora una volta ci trasporta in una esplicita felicità, in cui perfino le

202
armonie minori sotto-traccia – sembra che Mozart non possa fare a meno
di esse – non ne distolgono il tratto.

Occorre menzionare che l’orchestra ha un ruolo ben oltre il semplice


accompagnamento. Si mantiene qui un dialogo permanente tra solista e
gli archi o i fiati e, nelle loro partiture, essi hanno tra loro frequenti
dialoghi. Com’è consuetudine in Mozart, si intreccia una vera e propria
rete di dialoghi-interazioni più o meno palesi o nascosti che riguarda tutti
i tre movimenti.

CLAUDIO ARRAU

203
Tutto ciò in sole quattro settimane! Potremmo immaginare un Mozart
esclusivamente assorbito dalla sua composizione, ma non è così. Nello
stesso lasso di tempo, Mozart dovette seguire diversi traslochi del suo
prezioso pianoforte (un Walter) che egli usò per numerosi concerti: il 13
febbraio eseguì un concerto probabilmente alla presenza dell’imperatore
Giuseppe II, il 15 febbraio eseguì la seconda esecuzione del Concerto in
Re minore, il 18 suonò ad uno dei suoi concerti di beneficienza e il 21 fu
dato un concerto dall’oboista francese Le Brun; il 25 febbraio e il 4
marzo diede altri due concerti di beneficienza.

In vetta a ciò, c’era un Quartetto serale con J. Haydn il 12 febbraio


durante il quale, insieme a suo padre ed altri due amici, eseguì tre dei
quattro Quartetti dedicati ad Haydn, per non dir nulla a proposito delle
serate musicali a cui partecipò e alla sottoscrizione di concerti di altri
musicisti. Quando trovò il tempo per comporre il Concerto – compreso di
cadenze che si son oltretutto smarrite?

Tutto ciò ci porta a ritenere che egli avesse un’assoluta padronanza e


maestria come Bach prima di lui o Paganini dopo di lui, tale che egli non
avesse bisogno d’altro.

Uno degli ammiratori di Paganini raccontò come egli lo seguisse nelle


grandi città sperando di coglierlo nelle esercitazioni. Il pover’uomo non
riuscì a cogliere mai Paganini in un momento di prova pratica prima dei
suoi Concerti!

Forse Mozart negli anni della maturità era lo stesso: in numerosi


documenti e lettere sue o a lui diretti non c’è alcuna traccia di prove
pratiche o esercitazioni.

Forse il maggior miracolo o unicità di talento è che Mozart fu capace di


comporne altri sei, ognuno dei quali contiene e mantiene la perfezione.

204
Concerto per pianoforte n 22 in Mi bemolle maggiore K 482

Inserito nel catalogo composizioni come completato il 16 dicembre 1785

Lo stesso giorno della sua composizione, Mozart eseguì questo


Concerto tra gli atti di un Concerto che presentava l’Oratorio pasquale di
Dittersdorf. Leopold Mozart scriveva alla figlia a Salisburgo che
l’acclamazione della platea provocò il bis dell’Andante di questo
Concerto, prima del suo terzo movimento, come evidente segno di
approvazione incontrollabile.

LORIN MAAZEL

205
Il tempo ristretto tra composizione ed esecuzione in pubblico è la ragione
più plausibile delle scarne annotazioni presenti nel manoscritto per
pianoforte e le parti lasciate in bianco probabilmente erano lasciate
all’improvvisazione dello stesso autore-esecutore.
Laddove le composizioni di Mozart hanno la medesima tonalità, esse
spesso condividono i medesimi tratti. Così ci sono similitudini tra il K
482 e il precedente Concerto K 271.

L’ampio uso dei corni nel primo e terzo movimento, il drammatico


movimento centrale e un’ampia sezione pacata nel Rondò finale – non
ritrovata tale in altri Concerti per pianoforte – sono i tratti comunemente
segnalati dai commentatori di questo Concerto. Alcuni di loro
suggeriscono perfino che il K 482 sia meno ispirato rispetto al K 271,
che rappresenta un evidente modello di riferimento per il compositore.

Mozart si è messo alla prova scrivendo un Concerto completo che


contenesse le sue sperimentazioni dei nove anni precedenti intercorsi
dalla composizione del K 271.

In questo periodo egli ampliò la tavolozza di riferimento ed aggiunse agli


strumenti a fiato due clarinetti, due fagotti ed un flauto. Tale gruppo di
fiati gioca un ruolo talmente importante, soprattutto nel secondo e terzo
movimento, tanto che l’aura del Concerto grosso sembra aleggiarvi
sopra. Inoltre, come si può notare ed ascoltare, l’unità della forma, il
fluire mozartiano non viene mai messo in discussione, un vero effetto
miracoloso!

L’ampliamento della forma e l’inclusione del Concertino per fiati


comporta una sostanziale differenza nella partitura del pianoforte.
Nel K 271 il piano solo è inserito in modo sinfonico nella struttura
orchestrale complessiva, mantenendo un’elaborazione prossima rispetto a
quella dell’orchestra. Nel K 482 il solo-piano suona in modo piuttosto
indipendente rispetto all’orchestra.

Un’ulteriore differenza rispetto al K 271 può riscontrarsi nella sezione-


sviluppo. Nel 271, ci si muove strettamente all’interno del tema
principale; nel K 482, il tutto fluttua libero, un continuo passaggio di
modulazioni che sfiora le tonalità drammatiche del Do minore –

206
anticipandone così l’Andante – cui segue il Fa minore che richiama il
passaggio introspettivo della tonalità del solo-piano dell’esposizione.

Nonostante ci sia molto altro che si possa indicare su questo primo


movimento – secondo per durata solo al corrispettivo del K 467 – non si
può tacere su una della più illuminanti ispirazioni mozartiane: un tema
per corno che si presenta solo due volte, una alla fine dell’introduzione
orchestrale e nella ripresa che porta alla fine del movimento. Il tema
inizia con le note Mi bemolle- Sol – Fa – Mi bemolle ed è, secondo
Oliver Messiaen “uno dei temi-gioiello di Mozart”: ci riconduce alla
preveggenza del pubblico che per primo ascoltò e riconobbe
immediatamente la magnificenza dell’Andante drammatico del secondo
movimento.

CLEVELAN ORCHESTRA

207
Analizzandone la struttura, è un movimento fondato su un tema soffuso
di 32 battute, inusuale durata per un tema – variazione. Il tema inizia con
l’orchestra degli archi in pizzicato ed in seguito è preso dal pianoforte. Il
fiorire delle variazioni è interrotto due volte da un paio di parentesi in
tonalità maggiore affidate agli strumenti a fiato. Queste parentesi
sembrano non aver relazione con l’Andante e creano l’impressione di
esser davanti ad un gruppo d’amici che consolano un amico colpito da un
dolore, il solista, ma senza regalargli sollievo, almeno così appare.

In conclusione di questo movimento, il motivo Finale del primo dei tre


frammenti è trasportato da Mi bemolle maggiore alla tonalità di Do
minore – come se quegli amici si avvicinassero verso quell’amico
infelice. Ma la vita continua, ci riserva speranza e può ritrovarsi la gioia!

Il movimento Finale – il coronamento del Concerto – inizia con un’altra


ispirazione baciata dalla felicità, un giro sereno che nessun altro avrebbe
potuto inventarsi.

Sebbene sia scritto per solo pianoforte, infatti ha il carattere di un assolo


per corno, richiamando perfino i Finali dei suoi Concerti per corno e
orchestra K. 417, K.447 o K.495. Questo accattivante tema diffonde la
serenità del primo movimento. E’ suonato prima dal solo pianoforte,
seguito immediatamente dall’insieme dell’orchestra che felicemente a lui
si unisce. Ma Mozart cattura questo tema nuovamente e lo affida al corno
come la vera conclusione del movimento, laddove il solo corno lo suona,
prima ad unisono con il flauto e poi lo regala al piano solo.

Il resto dell’esposizione è una successione di giri amorosi e brillanti


passaggi d’assolo che esprime virtuosismi solistici difficilmente
riscontrabili altrove. Dopo ciò, torna il tema d’assolo e viene ripetuto
dall’intera orchestra, che ne sviluppa la conclusione – nelle misure sei e
sette – in una fascinazione sinfonica – improvvisamente – si ferma in un
accordo prolungato – come accade anche nel Concerto K 271.

Ciò che segue è riappacificante, intermezzo sognante in La bemolle con


il gruppo dei fiati che si alterna con il piano solo e con i sottofondi
d’archi. Quest’Andantino, perfino più bello del Minuetto cantabile del K
271, emana la più sublime ispirazione mozartiana: la musica è

208
assolutamente più eloquente di ogni discorso. Ma il “sogno” non è
permanente: esso si disperde in una modulazione misteriosa, riprendendo
la tonalità originaria del Concerto, una modulazione espressa dai violini
pizzicati con le sincopi al pianoforte contrastanti rispetto al sottofondo
delle armonie dei fiati nei Pianissimo.

Dopo una pausa piena di sostanza nell’accordo della dominante,


un’improvvisazione rapida conduce verso la vitalità e l’esuberanza del
Rondò, sfociando rapida nella cadenza. Fischer s’esprime così
sull’Andantino: un fugace momento di felicità, sempre disponibile ad
essere richiamato in mente. Dopo quest’oasi, il Rondò originale riprende
la guida di nuovo e conduce alla conclusione piena e trionfante.

PAUL BADURA SKODA

209
Concerto per pianoforte e orchestra n. 23 in La maggiore K. 488

Il Concerto in La maggiore K 488, terminato il 2 marzo 1786, fu


composto a Vienna, la città dove Mozart risiedette dal 1781 alla morte.
«Le assicuro che questo è un luogo magnifico, per il mio mestiere il
migliore del mondo», scrive al padre il 4 aprile 1781. Se Mozart
considerava Vienna il posto migliore al mondo, sappiamo anche quale
reputasse il peggiore.

Il trasferimento a Vienna è motivato da un lato dalla volontà di


distaccarsi definitivamente dal natio borgo selvaggio salisburghese e dai
tiranni ivi residenti (il padre e l’arcivescovo Colloredo, cioè
l’insoddisfatto datore di lavoro che, all’ennesima disobbedienza, gli fece
assestare da un sottoposto la ben nota e sacrilega pedata sulle terga),
dall’altro da una scelta lavorativa precisa quanto coraggiosa per quei
tempi, che non conoscevano ancora la tutela del diritto d’autore:
rinunciare ad uno stipendio fisso e assumersi i rischi d’impresa della
vendita e dell’esecuzione delle proprie opere.

«Questo è proprio il paese del pianoforte!», scrive Mozart il 2 giugno


1781. Tra l’inverno 1782-83 e la primavera del 1786 i Concerti per
pianoforte e orchestra sono al centro della sua attività come impresario di
sé stesso, anzi la principale fonte dei suoi successi e dei suoi guadagni:
non è un caso che la gran parte di essi siano stati scritti nel decennio
viennese, e in particolare nei tre anni e mezzo suddetti, a un ritmo di 3-4
all’anno. Mozart diede molte più ‘accademie’ (cioè esibizioni pubbliche:
‘Concerti’, diciamo oggi, identificando con uno stesso termine il genere
musicale e l’evento spettacolare) con Concerti per pianoforte e orchestra
di quanto avesse mai fatto un qualsiasi pianista prima di lui, anche in
luoghi non abitualmente deputati alla musica.

Le accademie strumentali si tenevano per lo più durante l’avvento e la


quaresima, quando i teatri erano chiusi. Se la “Sinfonia” era intesa nel
’700 come musica funzionale e di consumo, ciò vale pure per il
“Concerto”: anch’esso era destinato ad essere eseguito in una circostanza
specifica e normalmente a non essere più ripreso, ma tutt’al più sostituito
da un nuovo Concerto. (E come per le Sinfonie, anche per i Concerti per
pianoforte non disponiamo di recensioni significative.)

210
Ce lo conferma lo stesso Mozart

(lettera al padre del 4 marzo 1784):

“Deve perdonarmi se non le scrivo molto, ma mi è impossibile trovare il


tempo di farlo, visto che gli ultimi tre mercoledì di Quaresima ...terrò tre
Concerti in sottoscrizione [in abbonamento, diremmo oggi] nella sala di
Trattner. Ho già cento paganti e ne troverò facilmente altri trenta ...
Come può immaginare, devo suonare opere nuove e quindi devo
comporle. L’intera mattinata se ne va con gli allievi e suono quasi tutte
le sere”.

In un’altra lettera (10 aprile 1784):

“A dire la verità, alla fine, dopo aver suonato così tanto, ero veramente
sfinito, e torna a mio grande merito che gli ascoltatori non si siano mai
stancati”.

La frase riferita alle opere nuove, “ancora da comporre”, ci fa capire


quanto fosse lontana la mentalità del pubblico settecentesco da quello
odierno, che si aspetta di ascoltare il medesimo repertorio storicamente
delimitato, con tutt’al più qualche novità estemporanea non sempre ben
accetta.

Il “canone” nel ’700 era ancora di là da venire, e anzi si voleva ascoltare


musica sempre nuova. Il periodo dal 1782 al 1785 fu il più felice dei
dieci anni viennesi. Mozart era molto richiesto a Vienna come
compositore, esecutore ed insegnante. Egli riuscì ad avere tra il suo
pubblico il bel mondo aristocratico, e addirittura l’Imperatore, che si
lasciò andare ad un «Bravo Mozart!». Nei primi anni ’80 a Vienna ci fu
un boom nella vita concertistica, pubblica e privata: il grande spirito
d’iniziativa di Mozart cui s’accennava s’inscrive in questa contingenza
storica favorevole.

Come capitale dell’impero asburgico, Vienna era la capitale politica,


economica e il centro culturale delle attuali Austria e Ungheria, e di
porzioni sostanziali di Cecoslovacchia, Jugoslavia (usando le vecchie
denominazioni), Germania, Italia, Polonia, Romania e Russia. Molte

211
famiglie nobili di questi paesi avevano casa anche a Vienna e vi si
recavano abitualmente per godere dei suoi spettacoli. Tutto ciò spiega
perché Mozart, ma anche Gluck., Haydn, e poi Beethoven – nessuno
nativo di Vienna – si trasferirono nella capitale dell’impero.

Tuttavia, alla fine degli anni ’80, la guerra contro i Turchi e le ribellioni
nei Paesi Bassi causarono una recessione, e anche gli avvenimenti
francesi portarono a interrompere le riforme liberali e a istituire misure
repressive. La combinazione di tutti questi fattori provocò un declino
della vita culturale, dei concerti pubblici e del mecenatismo artistico.

LORIN MAAZEL

Molti nobili si privarono delle proprie compagini strumentali, e le


occasioni di suonare in pubblico calarono vistosamente. Non è un caso se
dopo il 1786 Mozart compose solo due Concerti per pianoforte, K 537 e
K 595, e anche la produzione sinfonica s’interruppe (del tutto dopo il
1788).

212
Ci possono essere anche altre ragioni, più o meno legate ai mutamenti
dei gusti del mercato musicale: l’amore viscerale per il melodramma,
manifestato dal Salisburghese in mille occasioni – nel biennio 1786-87
Le nozze di Figaro e Don Giovanni assorbirono gran parte delle energie
creative –, ma anche la volontà di affermarsi come compositore a tutto
tondo, e non solo come pianista virtuoso.

L’amore di Mozart per il teatro si evince anche nei generi strumentali,


nella Sinfonia e ancora di più nel Concerto per uno o più solisti e
orchestra, proprio perché in quest’ultimo vige un principio cardine della
teatralità: l’interazione (confronto/scontro) tra diversi soggetti o
personaggi con ruoli ben distinti, il solista e l’orchestra.

L’etimologia del termine ‘Concerto’ del resto presuppone la molteplicità,


una serie di elementi eterogenei che in qualche modo stanno insieme:
‘concertare’ può significare sia ‘mettere insieme’, ‘accordare’ cose
diverse, sia ‘combattere con’, ‘lottare con’. Nel caso dei Concerti di
Mozart, è tuttavia opportuno non considerare l’orchestra come un’entità
monolitica, in quanto essa è in realtà assai variegata al suo interno.

Sul palcoscenico che lo spettatore può immaginarsi ascoltando un


Concerto, gli interlocutori principali sono almeno tre: il solo, i fiati e gli
archi, con fiati e archi concepiti come “fazioni” distinte all’interno di un
gruppo orchestrale che può militare sia compatto sia diviso. Dunque, la
dinamica relazionale non è soltanto tra solo e tutti, ma anche tra il solo e
i vari gruppi strumentali, nonché tra i gruppi strumentali stessi, e tra
questi e il Tutti orchestrale.

Nel Concerto del primo Settecento gli effetti teatrali non erano molto
sensibili, se si eccettua l’entrata dell’orchestra al completo; ma nel
Concerto classico la sortita del solista è un avvenimento, equivalente alla
sortita d’un nuovo personaggio nel melodramma: Mozart non manca di
sottolinearlo con una quantità di mezzi musicali. Nei suoi Concerti le
scelte sono sempre diverse e ingegnose: la modalità d’ingresso, sempre
mutevole, del protagonista è una delle tante sorprese che egli riserva al
suo pubblico, e il fatto che questo pubblico nelle varie accademie
viennesi fosse omogeneo, se non proprio lo stesso, ci fa capire quanto

213
fosse obbligatorio per Mozart cercare effetti nuovi, seppure nell’ambito
d’un genere consolidato.

Nel primo tempo del Concerto K 488, il solista riprende e riespone il


tema iniziale del Tutti, e l’orchestra fa ben capire, con una cadenza
conclusiva, che è arrivato il momento del pianoforte. Tale scelta è in
funzione anche del materiale tematico impiegato: il cantabilissimo primo
tema si presta ad essere suonato tanto dall’orchestra quanto dal
pianoforte.

SYMPHONIE ORCHESTER DES


BAYERISCHEN RUNDFUNKS

214
Difficile stabilire una gerarchia tra i Concerti per pianoforte e orchestra
di Mozart; il Concerto in La maggiore, che eccezionalmente prevede due
clarinetti in luogo dei consueti due oboi, si caratterizza per l’alternanza
tra la trasognata malinconia del tempo lento in Fa diesis minore (tonalità
molto rara al tempo di Mozart), di straordinaria carica espressiva, e il
tono giocoso dei due tempi estremi, del terzo in particolar modo.

Concerto per pianoforte n 24 in Do minore K 491

Completato il 24 marzo 1786

Cosa influenzò Mozart quando compose questo lavoro drammatico


a distanza ravvicinata dalla conclusione della composizione così
esuberante come le Nozze di Figaro? Non lo sapremo mai, ma qualcosa
appare certo: in ogni battuta, l’intero patire era diretto verso questa
composizione mentre la gioia di vivere impregnava Figaro.

Ogni cosa in questo Concerto è fuori dal consueto. Ad iniziare dalla


partitura autografa: essa mette insieme singole sezioni, brutta copia e
versione finale. Come mai altrove, è possibile qui cogliere il modo
compositivo di procedere e la sua vicinanza alla perfezione. L’idea
originale è presente sin dall’inizio della scrittura. Tuttavia, i temi
sottostanti e i passaggi del solista spesso richiedono assestamenti o
scambi di posizione. Perciò, la partitura per pianoforte in particolare,
come non ci attende, è soggetta spesso ad esser assestata in un secondo
momento.

A volte, esulando dall’inserire la linea del pianoforte, Mozart scrive


passaggi per pianoforte affidandoli alle trombe e ai timpani – in un caso
– primo movimento misura 332 - la nota Sol fu scritta prima che trombe
e timpani tacciano subito prima che il pianoforte prenda la conduzione.
Indicazione elusa dagli editori! In pochi casi le abbreviazioni originali
non vengono in seguito sviluppate e restano là in forma incompiuta. In
diversi esempi, tali abbreviazioni riguardano la continuazione di passaggi
assimilabili a simili antecedenti che lasciano pochi dubbi in merito –
anche se qualche interprete li considera letteralmente, eseguendo note

215
prolungate anzicchè riprendere passaggi assimilabili anteriormente
espliciti.

La prima parte del secondo movimento – 491a - fu scritto in un foglio


diverso e non allegato alla partitura completa. Dopo solo tre misure,
Mozart lo lascia perdere, apparentemente perché non è abbastanza
lineare: la semplicità non è un fattore scontato nel compositore!

WLADIMIR ASHKENAZY

216
Mozart utilizzò nel suo Concerto ogni sorta di espressione che richiami
alla drammaticità:
 tonalità minore, cromatismo, settime diminuite sia in melodia che
in armonia, accordi del seicento napoletano, temi o motivi
discendenti.

A ciò Mozart assegnò la propria impronta nell’esprimere smarrimento e


angoscia, esplicitata nel circuito sonoro intorno alla quinta (il Sol)
attraverso i due semitoni attigui (il Fa diesis ed il La bemolle).
Queste tre note – Fa, La, Sol – creano un effetto di smarrimento
riscontrato anche nella musica del Masonic Funeral K 477, nella Fantasia
per pianoforte in Do minore K 475 e nel movimento centrale del
Concerto in Mi bemolle maggiore K 482, tutti composti nel 1785-86.
L’unico simbolo di tragedia estraneo qui sono le piene dissonanze. Ciò
potrebbe essere ricondotto ad una delle massime espresse dallo stesso
autore: “la musica deve rimanere soave anche nell’esprimere l’estrema
angoscia”

In una sua lettera del 26 settembre 1781 sull’argomento scrive:

“ Le passioni, siano o meno violente, non devono essere espresse in


modo da suscitare disgusto, perché la musica – perfino nell’evocare la
condizione più orrenda – non deve mai offendere l’orecchio … e deve
mantenersi musica. Rispettando ciò, non ho scelto un tono estraneo a
quel canto, ma uno che sia ad esso contiguo..”.

L’assenza relativa di dissonanze ed il mantenimento di una linea


sognante presso i fiati può indurre più di un ascoltatore a trovare tal
composizione gradevole, perfino serena. In nessun altro Concerto Mozart
utilizzerà una tal formazione estesa di fiati, includendovi una coppia di
oboi e di clarinetti. Questi intermezzi di fiati, specie nel secondo e terzo
movimento, hanno un effetto “scioccante”:e si avvicinano perfino alla
forma “Concertino” all’interno di un Concerto per pianoforte,
mantenendo al suo interno così un raggio di speranza, nonostante
l’atmosfera di tragica decadenza.

I temi di Mozart con trasformazioni in divenire: un soggetto sottostante


consolatorio in tonalità maggiore può esser ripreso in seguito e divenire

217
triste e malinconico. Solo il tempo principale del primo movimento resta
immune da tal trasformazione: la sua tonalità è minore e fissa così la
cornice tragica per l’intera composizione. Quando la relativa tonalità
maggiore di Mi bemolle è arricchita durante l’esposizione al piano, il
tempo principale è ripreso dal flauto.

Tuttavia, anzicchè affidarsi alla tonalità maggiore prevedibile, esso entra


nella tonalità attigua di Mi bemolle minore, esprimendo in tal modo il
colore di una modulazione “romantica” non riscontrabile altrove in
Mozart.

GEOGE PRETRE

218
Primo movimento: Allegro

Perfino un ascoltatore disabituato a soffermarsi, troverà che c’è


qualcosa di fuori dall’ordinario in questo Concerto. Il principio, un
unisono senza alcuna linea armonica. Ha il senso di annuncio-presagio,
come il silenzio che precede una tempesta. A ciò segue un intervento
appassionato da parte dell’intera orchestra. Il tema principale,
asimmetrico, è caratterizzato da una placida frase di quattro misure a cui
segue un ritmo di Chaconne(*), che sarà dominante per l’intero
movimento. Sarà onnipresente: nel registro più acuto o in quello più
grave, o come contrappunto ritmico dei passaggi solistici. L’epilogo
dell’esposizione prolungata dell’orchestra, riprendendo nuovamente tale
ritmica, è come una promozione del futuro “Rex tremendae maiestatis”
del Requiem mozartiano.
Opposto a questa “forza del destino” l’assolo del piano sembra
disperatamente inadatto. Ovviamente, il piano solo comincia con il tema
dominante che è fuori luogo qui, in antitesi con il “destino” rappresentato
dal possente orchestrale “Tutti” in contrapposizione al solo uomo,
l’indifeso individuo.

Tuttavia, il piano entra con un’ espressiva e sofferente melodia che


sembra provenire da un mondo lontano, un mondo di sofferenza del
singolo. Come logica conseguenza di questa sovrapposizione, il piano
solo non riprende mai il tema del Tutti. Ancora come una metafora, tutto
è molto schematico. Il Destino come fosse rappresentato dal Tutti,
contiene anche i tratti umani e l’uomo – il pianoforte – non è solo un
soggetto senz’aiuto ma entra in interazione con esso – con l’orchestra,
col destino.

Soprattutto nei temi secondari sottostanti – in tonalità maggiore – è un


dialogo interiore condotto sia da singoli strumenti che da sezioni intere,
un’interazione che non si riscontra in altri Concerti mozartiani. Solo
verso la fine della sezione-sviluppo si accende un evidente conflittualità,
quando gli arpeggi insistenti del piano si alternano con i Tutti,
producendo un intensità astonica. A ciò, segue la rassegnata accettazione:
nella ripresa, tutti i temi sono eseguiti in tonalità minore. Dopo le
cadenza, il pianoforte ricompare – ancora in modo inusuale – suonando
armonie interrotte, come fossero accompagnamento ai frammenti del

219
motivo Chaconne(*) dei fiati. Il primo movimento si conclude con un
pianissimo, in assenza di speranza, con rassegnata accettazione.

*(ndt – la Chaconne è una convenzione-forma musicale che consiste


in una progressione armonica che viene ripresa e ripetuta dalla
sezione “bassi”)

SLOVAK PHILHARMINIC ORCHESTRA

Secondo movimento: Larghetto

Dopo tal disperante Finale, il secondo movimento appare come un


rifugio amichevole, una parentesi sognante. E’ un principio nella musica
classica che nelle composizioni drammatiche, il movimento centrale
offra un respiro di serenità. Anche in teatro, solitamente le tragedie
contengono usualmente delle scene di speranza. In questo Concerto
Mozart pone in sequenza scegliendo un Rondò in cinque parti nella
forma ABACA + Coda.

220
La tonalità principale del larghetto è Mi bemolle maggiore, con la
relativa tonalità di Do minore, mentre gli episodi sono rispettivamente in
Do minore e in La bemolle maggiore.
Nell’episodio riflessivo in Do minore, il tratto dominante è espresso dal
suono austero degli oboi mentre nel secondo episodio i lievi clarinetti
prevalgono. Perciò s’ottiene un perfetto contrasto rispetto al primo e
terzo movimento.

Il tratto distintivo del genio, tuttavia, è nell’incantevole primo “canto”


eseguito prima dal pianoforte e poi ripreso come fosse un coro
dall’orchestra. Solo Mozart – e forse in seguito Schubert – potevano
inventare una melodia con poche note che abbia al contempo un
significato tanto profondo. Ciò riguarda anche altri motivi del
movimento che con poche note affidate al solista riescono a diffondere
tal atmosfera, in cui l’anima è svelata, senza maschere protettive.
Naturalmente la domanda emerge laddove queste note rappresentano un
semplice scheletro che richiede abbellimenti-rivestimenti, ma tali
abbellimenti vengono utilizzati solo laddove ci sono due passaggi che
prevedono una pausa del solista, e naturalmente ciò richiede un breve
riempitivo altrui.

Terzo movimento – Allegretto

Dopo il celestiale finale del Larghetto, il ritorno verso la tonalità


minore ha un repentino effetto depressivo. Questo movimento è una
sequenza di variazioni in forma-marcia – una forma piuttosto rara per un
movimento Finale.

In questo caso non c’è nulla che richiami un’atmosfera placida di solito
abbinata con le medesime variazioni.
Piuttosto è il contrario: la successione inesorabile di queste variazioni ha
un effetto quasi ipnotico. Una particolarità di questo tema è una sorta di
ritornello con una nuova armonia, un accordo di 4/6 napoletano, una
variante di quest’accordo che – enfatizza l’atmosfera pacata di questo
movimento.
Tal successione di variazioni è mitigata due volte da parentesi in tonalità
maggiore in cui si dissolve il tema. La seconda parentesi-episodio

221
imprime un’impressione specifica: è il solo momento dell’intero
Concerto in cui la tonalità variante, il Do maggiore, appare.
Dopo una pausa, il tema riprende in una versione accelerata che conduce
verso una danza macabra come guidata da spirito rabbioso.

SVJATOSLAV RICHTER

222
Concerto per pianoforte n 25 in Do maggiore K 503

1. Allegro maestoso (Do maggiore)


2. Andante (Fa maggiore)
3. Allegretto (Do maggiore)
Organico: pianoforte, flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe,
timpani, archi
Composizione: Vienna, 4 Dicembre 1786
Prima esecuzione: Vienna, Grober Redoutensaal del Burgtheater, 7
Marzo 1787
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1798

Il Concerto in Do maggiore K 503 per pianoforte è il terz'ultimo


dei Concerti pianistici di Mozart terminato, secondo l'autografo, il 4
dicembre 1786, nel periodo di intervallo fra la prima esecuzione delle
Nozze di Figaro (1 maggio 1786) e la commissione del Don Giovanni
(gennaio 1787). Proprio Le nozze di Figaro segnano una sorta di
spartiacque nella produzione pianistica mozartiana.
Dopo l'abbandono del servizio presso la corte arcivescovile di Salisburgo
e il trasferimento a Vienna del 1781, Mozart aveva scritto quattordici
Concerti per pianoforte fra la fine del 1782 e la primavera del 1786;
appena tre Concerti (K. 503, 537, 595) vedono invece la luce fra la fine
del 1786 e l'inizio del 1791.
Questa netta diminuzione di Concerti pianistici negli ultimi anni di vita
del compositore non può essere spiegata semplicemente con una
intrinseca diminuzione di interesse verso questo genere compositivo: né
con le opportunità di dedicarsi finalmente al prediletto genere operistico
(a Don Giovanni seguiranno, com'è noto, Così fan tutte, La clemenza di
Tito e Die Zauberflöte). Si tratta piuttosto del segno più tangibile della
crisi del rapporto fra Mozart e il pubblico viennese, crisi che si manifesta
appunto nel periodo successivo alle Nozze di Figaro.
Nei primi anni viennesi, infatti, Mozart si era valso del Concerto
pianistico come "grimaldello" per affermarsi presso la società cittadina.
Nelle interminabili serate Concertistiche per sottoscrizione
("Accademie"), frequentate da un ristretto circolo di aristocratici e

223
facoltosi borghesi, accanto alle Sinfonie, alle Arie per voce e orchestra,
alle brevi improvvisazioni e composizioni pianistiche, il Concerto per
pianoforte era atteso come l'appuntamento immancabile e prediletto.
Tutta la musica per pianoforte era peraltro considerata come genere di
intrattenimento e di svago, ed era destinata agli esecutori dilettanti, che si
dedicavano al pianoforte in quanto strumento di rapide soddisfazioni. Le
Accademie viennesi, non a caso, avevano non solo una funzione
ricreativa ma anche commerciale: l'ascoltatore infatti, se aveva ritenuto
di suo gradimento le composizioni udite nel corso del Concerto, poteva
acquistare, per le proprie private esibizioni, una copia degli spartiti, fatta
appositamente incidere dall'autore a proprie spese.

HERBERT VON KARAJAN

224
Appunto come pianista Mozart si conquistò rapidamente la
considerazione di virtuoso "alla moda". Il pianoforte, strumento di
recente diffusione, aveva potenzialità in gran parte ancora da scoprire e
la scrittura pianistica mozartiana, con le sue inedite escursioni dinamiche,
i controllati effetti percussivi del tocco, la scorrevolezza brillante,
presentava degli aspetti di eclatante novità. I primi Concerti viennesi (K
413/415) sono scritti appositamente per mettere in luce queste qualità,
come testimonia una celebre lettera al padre del 28 dicembre 1782: "che
anche i non intenditori restino contenti, pur senza sapere il perché".
Dunque un contenuto musicale disinvolto e disimpegnato, improntato a
un concetto semplicemente decorativo della scrittura pianistica, un ruolo
accessorio della compagine strumentale (nei primi Concerti viennesi gli
strumenti a fiato sono considerati ad libitum), una estrema nitidezza
nell'impianto strutturale.
Negli interessi del compositore non tardò tuttavia ad imporsi una nuova
tendenza; la scrittura solistica esorbita dai margini decorativi, l'orchestra
riveste un ruolo "integrato" e non subalterno rispetto al solista, la
concezione formale acquista una più vasta articolazione interna.
Insomma il Concerto per pianoforte diviene progressivamente nelle mani
di Mozart un vero e proprio laboratorio di sperimentazioni formali e
linguistiche. E questa complessità è senz'altro uno dei motivi che
portarono al declino della fortuna di Mozart presso il pubblico viennese.
Non a caso il Concerto K 503 nacque come opera isolata in circostanze
poco chiare; potrebbe essere stato destinato a un ciclo di Accademie nel
periodo dell'Avvento; o eseguito nel viaggio a Praga nel gennaio 1787.
La partitura ha una orchestrazione estremamente ricca (flauto e coppie di
oboi, fagotti, corni, trombe, più timpani; anche se mancano i clarinetti).
Già la tonalità di Do maggiore viene impiegata spesso da Mozart per
lavori di contenuto aulico; il lavoro si richiama sotto questo aspetto ai
Concerti K.. 415 (in Do) e K 459 (in Re), ma secondo una complessità
ben maggiore di quella mostrata dai modelli.
Il primo tempo, Allegro maestoso, si apre con una imponente
introduzione orchestrale; il materiale tematico mostra però una certa
"neutralità" espressiva: troviamo degli accordi spezzati, delle note
ribattute (alle quali è stato talvolta attribuito un significato massonico) e
delle scale, nonché qualche elemento contrappuntistico; come dire che il
225
materiale trae interesse, più che dalla sua fisionomia, dal trattamento
rigoroso e consequenziale che riceve.
Il secondo tema si presenta, inconsuetamente, nel modo minore e
presenta un inciso ritmico che percorrerà internamente tutto il tempo. Il
pianoforte fa il suo ingresso con un tema del tutto diverso, dal carattere
decorativo, e appare solo in un secondo momento il primo tema
dell'esposizione orchestrale.

GOLDENER SAAL DI VIENNA

226
Poi viene introdotta un'altra idea tematica diversiva per il pianoforte, di
carattere ingenuo, in Mi bemolle; e quando il pianoforte arriva al
secondo tema, questo è del tutto nuovo rispetto a quello in minore
dell'esposizione orchestrale (che invece viene ampiamente sfruttato nella
sezione dello sviluppo).
Queste indicazioni offrono da sole un'idea della eccezionale complessità
del movimento, che è segnato anche dalla perfetta integrazione fra la
scrittura orchestrale e quella pianistica.
Rispetto al tempo iniziale, quasi dimesso appare l'Andante aperto da una
introduzione orchestrale che presenta due temi, il primo di carattere
"affettuoso", il secondo più galante; e questa esposizione viene ripresa ed
ampliata dal pianoforte.
La sezione centrale non si pone in contrasto ma in perfetta continuità
espressiva, e lascia ampio spazio all'elegante virtuosismo del solista,
prima della ripresa.
Il Finale segue la forma del Rondò e viene aperto dall'orchestra piuttosto
che dal pianoforte (come avviene più di consueto); il refrain è di
carattere popolaresco, formato da due elementi distinti, infantile (archi) e
contadino (fiati); si alterna poi con episodi ben distinti che non
conservano un carattere così ingenuo ma sono estremamente sofisticati,
sia nell'invenzione melodica che nell'elaborazione; così avviene, ad
esempio, nello sviluppo, in minore, che accoglie un complesso intreccio
dei fiati sull'accompagnamento del pianoforte.
Il solista trova modo soprattutto in questo tempo di impegnarsi in un
brillante cimento tecnico, ma questo impegno non è così accattivante e
appariscente come in altri Concerti.
Il gusto "popolare", dunque, cede al "sofisticato" e viene assorbito in un
movimento che contraddice fortemente ogni concessione al pubblico.
Una distanza incolmabile rispetto a quella "via di mezzo fra il troppo
difficile e il troppo facile" che aveva segnato i primi Concerti viennesi.

227
Concerto per pianoforte n 26 in Re maggiore K 537

Inserito in catalogo il 24 Febbraio 1788

Si presentano un paio di domande sottostanti questa composizione


che non trovano risposta soddisfacente.

La più ovvia è: perché Mozart compose un Concerto per pianoforte agli


inizi del 1788 avendo a disposizione non meno di altre 12 composizioni
di questo tipo, composte a Vienna – dal K 449 al K.503 - che diventano
15 se consideriamo i Concerti giovanili K 413-415 composti tra 1782-
83?

EMIL GILES

228
La risposta plausibile potrebbe essere che la composizione era su
commissione, anche se nel periodo 1786-90 i lavori su commissione
scarseggiavano. Perciò è più plausibile supporre che Mozart l’avesse
composto per sé, avendo in mente un’occasione particolare per eseguirlo,
deduzione derivante dal fatto che egli lo eseguì solo due volte nell’anno:
a Dresda in aprile e il 15 ottobre 1790 a Francoforte, in occasione
dell’incoronazione dell’imperatore Leopoldo II. Da ciò derivò la
denominazione “Concerto dell’incoronazione”.

In previsione di ciò, la natura dell’accompagnamento orchestrale diventa


chiaramente leggibile: da un lato essa si presenta con una partitura
sinfonica gioiosa come per il maestoso Concerto in Do maggiore K 503,
dall’altro il dialogo tipico tra piano ed altri strumenti è qui omesso
durante le prolungate parentesi del solista. Mai in questo Concerto
accade che il piano fornisca supporto armonico con gli altri strumenti
unendosi nell’accompagnamento ad essi. No, in questo Concerto il
pianoforte si mantiene come solitario, unico protagonista, come una star.

L’assenza di dialogo tra gli altri strumenti, da alcuni considerata come


l’anticipazione di un approccio futuristico (ad es. dall’eminente studioso
Marius Flothuis), si ripensa al ruolo sempre centrale del pianoforte nella
concezione musicale di Chopin e perfino Rachmaninov è più tradizionale
di Mozart nel suo secondo Concerto per pianoforte, in cui tale strumento
mantiene anche il compito di accompagnamento armonico entro
l’orchestra. E’ un ennesimo tratto esplicativo del genio mozartiano, nel
quale ogni dinamica assegnata al singolo strumento d’orchestra propone
una qualità intrinseca.

L’indicazione scritta da Mozart nel suo catalogo personale delle


composizioni in merito a questo Concerto può fornirci un indizio in
merito: “un Concerto per pianoforte in Re maggiore per due violini, viola
e contrabbasso, un flauto, due oboi, due fagotti, due corni due trombe e
timpani “a discrezione”

Può darsi che Mozart intendesse che solo trombe e timpani potessero
essere estromessi, infatti il Concerto è scritto consentendo l’esecuzione
anche per soli archi, sebbene in tal modo perdesse parte del proprio
carattere.

229
Da questo punto di vista, il modello ci riporta indietro ai primi Concerti
K 413-415 e K 449, che secondo quanto espresso dallo stesso Mozart
potevano esser eseguiti anche senza i fiati.

Anche qui lo spettro di espressioni è ampio: ci sono momenti di tristezza


e malinconia sconosciuti nei primi Concerti. Inoltre, l’ampiezza è ben più
ampia, vicina alla forma sinfonica più che a quella cameristica. Inoltre, il
primo movimento è tra i più duraturi di tutti i Concerti – se il Tutti
conclusivo che segue la cadenza non fosse così conciso, esso superebbe
in durata anche quello del Concerto K 467. Come ci si puo attendere, la
parte solistica è molto brillante e richiede meno capacità virtuosistica dei
Concerti K 450, 467, 491 e 503.

EUGEN JOCHUM

230
Però il Concerto K 537 contiene un vero enigma: mentre il manoscritto
per orchestra è compiuto e definito nettamente, la parte per piano lascia
diversi spazi indefiniti per l’accompagnamento.

Perciò, l’intero secondo movimento riporta solo la partitura per la mano


destra. La spiegazione più plausibile di queste omissioni potrebbe essere
la carenza di tempo. Ma passarono circa 14 mesi dal momento della
composizione a quello della sua prima esecuzione in pubblico. Come mai
quindi?

Possono darsi due ipotesi: sia che Mozart ipotizzasse una prima
esecuzione più prossima di quanto avvenne poi e sia che egli fosse
troppo preso dalle altre composizioni in corso di stesura.

A dispetto del fatto che solo poche composizioni furono indicate nel suo
catalogo privato, sappiamo che in quel periodo egli compose in rapida
successione tre nuove arie del Don Giovanni per l’edizione viennese del
maggio 1788, tutte richiedenti particolari attenzione e rilievo.

Inoltre, solo dopo una settimana da questo Concerto, egli completò l’aria
K 538 per Aloysia Lange, il suo primo amore, nonostante il fatto che la
prima parte di essa risalisse a 10 anni prima, la scrittura di 212 misure
deve aver richiesto notevole stress emotivo.

Naturalmente, egli avrebbe potuto completare anche composizioni che


avrebbe poi eseguito nel corso del 1790 e aver tralasciato questa,
apparentemente composta per il proprio piacere personale.

Inoltre, la partitura per pianoforte della Sonata per piano e violino K 454
che egli eseguì con la Strinasacchi è vicina alle parti mancanti di questo
Concerto, con la sola parte per violino scritta a parte rispetto al
manoscritto per pianoforte.

Solo dopo la morte di Mozart le parti smarrite del Concerto K.537 furono
completate, probabilmente da Johann Andrè nel 1794, il primo editore di
questo Concerto che fu eseguito per l’incoronazione e che aveva visto il
manoscritto autografo quindi prima che venisse smarrito in seguito.

231
Andrè era un apprezzato musicista e sebbene alcune parti della sua
ricostruzione sembrano pertinenti, ce ne sono altre in cui egli errò con
armonie approssimative e imprecise.

Poiché egli non indicò che parte del manoscritto era di propria creazione,
per oltre 150 anni si ritenne che quello fosse interamente attribuibile a
Mozart. Solo nel 1935 quando la prima versione parziale fu pubblicata, i
fatti furono resi noti: la scrittura differente fu evidente.

Fu quindi quest’infelice completamento che influenzò l’opinione


negativa in merito a questa composizione come attribuibile nel suo
complesso a Mozart.

SYMPHONIE ORCHESTER DES


BAYERISCHEN RUNDFUNKS

232
Concerto per pianoforte n 27 in Si bemolle maggiore K 595

Completato il 5 gennaio 1791

Mozart ebbe mai la sensazione prima di questa composizione che


quello sarebbe stato il suo ultimo anno di vita? Non sembra sia così.
Infatti, dopo un disastroso 1790, questo iniziava decisamente bene:
Mozart aveva buona salute ed attraversava un ulteriore picco di creatività
e nuovi incarichi erano prossimi. Il Concerto K 595 fu stampato
nell’agosto 1791.

ALFRED BRENDEL

233
Tra gennaio e febbraio Mozart scrisse una serie di Danze per la stagione
di danza viennese; dopo ciò egli compose un vero lavoro geniale, la sua
Fantasia in Fa minore K.608 per l’organo meccanico del conte Deym,
seguito dalle sublimi Variazioni per pianoforte K.613 ed il suo ultimo
Quintetto per archi K.614 (su commissione di Johann Tost).

In soli sei mesi compose inoltre il Flauto magico che ottenne un tale
successo che se Mozart fosse vissuto appena poco di più – avrebbe
colmato i suoi guai finanziari. La percentuale delle composizioni create
in quell’anno è strepitoso, perfino per lo standard di Mozart: compose la
Clemenza di Tito – scritta in appena 19 giorni – ed insieme il Concerto
per clarinetto K 622, L’Ave Verum K.618 e naturalmente la sua Messa
Requiem. Un gioiello come L’Adagio per armonica 617a che non fece in
tempo ad aggiungere nel catalogo personale.

ZUBIN METHA

234
Il solo parallelo di questa esuberanza compositiva possiamo trovarlo solo
con l’ultimo anno di vita di Schubert, quando presagendo la sua
imminente fine, creò un capolavoro dietro l’altro.

Sembra che anche Mozart, a dispetto del benessere fisico apparente,


possa aver avuto similari premonizioni: quando nel dicembre 1790 salutò
il suo amico Haydn che stava per partire per Londra, egli gli disse tra le
lacrime: temo che non ci vedremo ancora e Haydn lo intese come riferito
a sé stesso tanto da rispondergli che a 58 anni, ancora non era tempo per
quello.

Torniamo al Concerto! Mozart stesso lo eseguì il 4 marzo 1791 per un


Concerto in onore del clarinettista Joseph Baehr. Questa fu l’ultima
esibizione viennese del compositore.

Il carattere generale di questo Concerto è la serenità. Ancora sotto questa


apparenza di tranquillità può riscontrarsi una malinconia espressa in
sottofondo, attraverso i frequenti inserimenti in tonalità minore. Essa può
essere espressa anche da un frammento di lettera scritta alla moglie nel
luglio precedente:

“.. Non so spiegarti le mie emozioni: c’è un’ansia ed un’esigenza che


non trova compensazione, bensì aumenta di giorno in giorno, perfino il
mio lavoro non mi riempie..e quando vado al piano e canto qualcosa
dall’opera (.il Flauto magico..) devo fermarmi immediatamente perché
vengo sopraffatto dall’emozione eccessiva..”

Questo speciale carattere emotivo è riflesso anche nella struttura: nessun


altro Concerto inizia con una melodia placida e graziosa preceduta da
un’intera misura di piena armonia che fissa l’atmosfera.

Questa melodia è suddivisa in tre gruppi da ½ interrotti due volte da


fanfare della sezione fiati, tali da esclamare “che maestosità”. Questo
segnale di Fanfara gioca anche un importante ruolo più avanti in questo
movimento, cambiandone il carattere da sostegno a protesta e dubbio.

Una simmetria perfetta si riscontra nel tema iniziale del secondo


movimento iniziante con il Mi bemolle, seguito dalla sua quarta

235
superiore, La bemolle, seguito dal discendere alla quarta inferiore, Si
bemolle.

I temi contengono solo poche note che tendono ad avere un tratto


spirituale – preghiera. Un legame breve di tipo cromatico tra le misure 4
e 5 richiama il solo passaggio cromatico nel ritornello del primo
movimento.

Un ulteriore elemento unificante di questo Concerto è la decadente triade


del Si bemolle maggiore che si trova in entrambe le aperture del primo e
terzo movimento. Il tema che si ritrova splendente nel Lied scritto subito
dopo questo Concerto, il K 596.

CHICAGO SYMPHONY ORCHESTRA

236
Un cenno sulle cadenze: esse traggono i propri temi e motivi dai
rispettivi movimenti e come in un caleidoscopio, mette loro in differenti
combinazioni introducendovi nuovi passaggi virtuosi quali richiami.

La cadenza di Mozart entro il terzo movimento è un perfetto organismo


apparentemente frutto di improvvisazione, organismo perfettamente
integrato al resto del movimento.

Libera traduzione: Clelia Francalanza

www.tuttiallopera.altervista.org

237
RONDÒ PER PIANOFORTE
ED ORCHESTRA IN RE MAGGIORE, K 382
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
 Allegretto (re maggiore)
Organico: pianoforte, flauto, 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Vienna, marzo 1782

Finale sostitutivo per il Concerto K 175

Il vertice della produzione pianistica mozartiana degli anni di


Vienna, dopo la rottura dei rapporti con l'arcivescovo di Salisburgo
Hieronymus Colloredo che cacciò via in malo modo il musicista dalla
sua corte, è rappresentato dai 27 Concerti, e dai due Rondò di Concerto
per pianoforte e orchestra in re maggiore e in la minore, rispettivamente
K. 382 e K. 386.
Lo stesso Mozart in una lettera del 28 dicembre 1782 scriveva a
proposito delle sue prime creazioni viennesi di questo genere musicale «I
Concerti sono una via di mezzo fra il troppo difficile e il troppo facile,
sono molto brillanti e piacevoli all'udito, naturalmente senza cadere nella
vuotaggine. Qua e là anche i conoscitori possono ricevere una
soddisfazione, ma in modo che i non conoscitori devono essere
soddisfatti, senza sapere perché».
Appunto per questo loro carattere brillante e piacevole, in cui tra l'altro lo
strumento solista poteva dispiegare tutte le sue possibilità tecniche, tali
composizioni erano particolarmente gradite nei salotti dell'aristocrazia
viennese e nelle riunioni private del prefetto della biblioteca di corte
Gottfried van Swieten, ammiratore di Bach e di Händel; in queste serate
musicali, chiamate anche accademie, Mozart si esibiva al pianoforte e
riscuoteva eccellenti successi e qualche guadagno dovuto alle
sottoscrizioni fatte da nomi importanti della più alta società.
Oltre a lavori per questa specifica destinazione, Mozart soleva riproporre
musiche scritte in precedenza, come ad esempio il Concerto in re
maggiore K. 175, composto nel dicembre del 1773 a Salisburgo; non
ritenendo però sufficientemente vivace il finale di questo Concerto,
concepito in forma di sonata, egli volle scriverne nel marzo del 1782 uno
238
nuovo in forma di Rondò con variazioni e nacque così il Konzert-Rondo.
Il tema del Rondò, un Allegretto grazioso quanto mai gustoso e
carezzevole, viene esposto inizialmente più volte da tutta l'orchestra;
quindi interviene il pianista da solo e nella seconda variazione si unisce
all'intera orchestra.
La terza variazione è articolata sugli arpeggi del pianoforte, prima con la
mano destra e poi con la sinistra, mentre il tema viene accennato
dolcemente dal flauto.
Nella quarta variazione il pianoforte semplifica il tema, prima della
ripresa in orchestra.
Molto espressiva la quinta variazione in tonalità minore affidata al
solista.
La sesta variazione è piuttosto animata nel gioco timbrico fra il solista e
il suono del flauto, dell'oboe e dei corni.
La settima variazione è un a solo del pianoforte in tempo adagio, che
precede e prepara psicologicamente l'allegro finale in 3/8, scoppiettante
di brio e di trilli.
Non manca la cadenza del solista concepita abbastanza liberamente, ma
il discorso si avvia rapidamente alla stretta conclusiva fra una cascata di
note e di suoni arpeggiati del pianista.
Ennio Melchiorre

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma Auditorio di Via della Conciliazione,27 novembre 1976

239
MESSA E REQUIEM
Se si scorre la cronologia della musica liturgica di Mozart,
immediatamente è agevole percepire come essa si situi quasi
esclusivamente negli anni salisburghesi, e perdipiù sia riferibile al suo
servizio presso la Cappella di corte del locale principe-arcivescovo
(Sigismund conte di Schrattenbach fino al 1771, Hieronymus conte di
Colloredo dal 1772 al 1781).
Su una settantina scarsa di numeri di catalogo vocali e strumentali (tra
Messa complete e non, brevi composizioni destinate al proprium missae
o all'ufficio vespasiano solenne, ed una ventina di Sonate da chiesa), solo
una quindicina non furono scritte per Salisburgo: dei rimanenti, una
cinquantina vennero riferiti proprio al periodo dell'episcopato del conte
di Colloredo, assai meno tollerante del suo predecessore nei confronti del
giovane Konzertmeister, ed in generale più attivo e dunque più attento
alle esigenze di decoro - anche musicale: il che però significava capacità
di apprezzare il valore di quel suo dipendente d'eccezione.
Limitandosi al caso delle sole Messe (quelle pervenuteci, tra singoli
brani e serie complete, Messe normali e da Morto, sono in tutto una
ventina di titoli), la considerazione può essere verificata con piena
agevolezza.
Tranne un Kyrie risalente al soggiorno parigino del 1776, e due Messe
complete per Vienna (1768), il grosso si colloca a Salisburgo e
particolarmente tra il 1773 ed il 1780: perdipiù - significativamente,
anche se nel secondo caso soprattutto per le ben note luttuose circostanze
biografiche - le uniche due opere posteriori al brusco licenziamento dalla
corte di Colloredo (la Messa K 427 ed il Requiem) sono entrambe
incompiute.
In via preliminare, sarà bene ricordare che per Messa completa in musica
s'intende la serie dei cinque testi che costituiscono il cosiddetto
ordinarium missae, cioè quelle parti invariabili della celebrazione
eucaristica che restano costanti e che si ritrovano in ogni festa lungo
l'anno liturgico: nell'ordine, il Kyrie, il Gloria, il Credo, il Sanctus-
Benedictus, l'Agnus Dei (la Messa pro defunctis, o da requiem, in genere
musica anche l'Introito "Requiem aeternam", sostituisce a Gloria e Credo
la sequenza Dies irae, e muta l'invocazione finale dell'Agnus Dei - "dona
eis requiem sempiternam" anziché "miserere nobis e "dona nobis
pacem"). Ancora, non si dimentichi che nella sua interezza una Messa
240
cantata poteva contemplare anche altri interventi musicali
(esclusivamente vocali, vocali con strumenti o solo strumentali; in canto
gregoriano o in polifonia o solistici) che si legavano ai vari momenti del
proprium (Introito, Graduale, Tratto, Offertorio, Communio), quelli cioè
che presentavano un formulario liturgico specifico di una data festività o
di una determinata categoria estiva.

IOHN ELIOT GARDINER

Tra le composizioni liturgiche mozartiane di minori dimensioni non


mancano ad esempio testi di Offertori per voce sola, coro ed orchestra, o
brani generici da utilizzare in sostituzione del testo prescritto: Mottetti,
ma anche Sonate strumentali di solito per l'Epistola, come quella in Do
maggiore K 263 (per due trombe, due violini, basso continuo ed organo
obbligato) da associare alla Messa K 259.
La Cappella arcivescovile di Salisburgo, destinataria dunque della
maggior parte delle Messe mozartiane, aveva un organico di una
settantina di voci (maschili, ovviamente: alle donne era proibito cantare
nelle Cappelle ecclesiastiche, ed i castrati non venivano quasi più
impiegati) tra solisti e cantanti di ripieno, più una quindicina di fanciulli
cantori per coprire le parti di soprani e contralti. Affiancavano il coro
241
altrettanti strumentisti (poco più di trenta, per l'esattezza), cui si potevano
aggiungere fiati - tromboni e trombe - e timpani delle bande cittadine
municipali e reggimentali, ed ovviamente membri aggiunti per le
circostanze più importanti.
Al tempo delle Messe mozartiane, maestri di tale Cappella furono Joseph
Franz Lolli (1762-1778) e Jakob Rust (1777-1778); anche se
ufficialmente la carica ricoperta da Domenico Fischietti dal 1772 al
1783, vicemaestro dal 1763 (nei vent'anni precedenti vi aveva prestato
servizio come violinista) fu Leopold Mozart, il padre di Wolfgang,
mentre come primo violino, direttore d'orchestra della stessa fu assunto
Michael Haydn, fratello di Joseph.
Una descrizione molto interessante della disposizione degli organici
musicali del Duomo di Salisburgo si può leggere proprio in una lettera di
Leopold Mozart, che menziona anche quella pluralità di organi e cantori
così tipica del tempo in cui quell'edificio sacro era stato costruito (fu
consacrato nel 1628) e che non può non far pensare a certe esecuzioni di
stile colossale in esso appositamente allestite (il Te Deum di Stefano
Bernardi a 48 voci divise in 12 cori, composto nel 1627 per la traslazione
dei resti dei santi Ruperto e Virgilio; la Messa per quella consacrazione
nel 1628, opera di Orazio Benevoli, di identiche dimensioni e con la
stessa articolazione; la Missa salisburgensis a 54 voci in 8 cori, già
attribuita al medesimo Benevoli ma in realtà forse di Biber nel 1682:

"Nella parte posteriore del Duomo arcivescovile, vicino


all'entrata, c'è l'organo grande; nella parte anteriore, presso il coro, vi
sono quattro organi laterali, e sotto, nel coro, si trova un altro piccolo
organo, vicino al quale stanno i coristi. L'organo maggiore viene usato
solo per i preludi alle grandi musiche; queste vengono sempre
accompagnate da uno dei quattro organi laterali, e precisamente da
quello più vicino all'altare di destra, dove sono i solisti ed i bassi. Di
fronte, vicino all'organo di sinistra, stanno i violinisti e via dicendo,
mentre accanto agli altri due organi laterali stanno i due cori (cioè
gruppi) di trombe e timpani. L'organo inferiore del coro ed il violone si
uniscono anch'essi nel caso che debbano suonare tutti. Raramente si
ascoltano l'oboe ed il flauto traverso: mai il corno da caccia. Tutte
queste persone suonano quindi tra i violini".

242
Un esordio fuori del comune

Il più antico gruppo di Messe composte da Mozart - quattro:


K 139, K 49, K 65 e K 66 - risale al periodo compreso tra il secondo
soggiorno a Parigi del 1766 (durante il quale, come si era detto), ebbe
modo di scrivere il suo primo pezzo sacro, il Kyrie K33) ed i tre viaggi in
Italia del 1769-1772.

MOZART ORCHESTRA

Di esse, due Messe - K 319 e K 349 - sono state scritte per chiese
viennesi quando nel 1768 Leopold Mozart aveva deciso di trasferire la
famiglia nella capitale asburgica per profittare di migliori occasioni
professionali da tentare con Wolfgang.
Per la verità, la datazione della prima è controversa, come del resto
tradisce di numero di catalogazione originario. La perplessità degli
studiosi è di indole stilistica, non sembando opera di un esordiente in
quel campo: perdipiù, se la si confronta con l'altra - pressoché
contemporanea - il divario sembrerebbe notevole.
C'è però da tener conto che queste due opere rientrano in sottogeneri

243
distinti, dato che l'una è una Missa e l'altra una Missa brevis, e perciò una
certa divaricazione stilistica è da mettere in conto. In ogni caso,
sappiamo con certezza che Mozart scrisse una Messa per la
consacrazione della chiesa annessa ad un orfanotrofio di Vienna,
celebrata solennemente il 7 dicembre 1768 alla presenza della famiglia
imperiale, come racconta una cronaca apparsa di un giornale locale:

"Mercoledì 7, alle imperiali, reali ed apostoliche maestà, nonché


ai due arciduchi Ferdinando e Massimiliano ed alle altezze reali
arciduchesse Maria Elisabetta e Maria Amalia, piacque recarsi
nell'orfanotrofio al Rennweg per onorare con la loro presenza la
consacrazione ed il primo servizio divino nella chiesa di nuova
costruzione.
D'ambo i lati fuori della chiesa erano schierate tutte le compagnie di
corte con la loro banda, più tre cori di trombe e tamburi. Le reali ed
imperiali maestà e le quattro altezze reali sono state ricevute sul portale
principale della suddetta chiesa da Sua Eminenza il principe cardinale
della Chiesa di Roma ed arcivescovo del luogo, alla presenza di tutto il
clero, tra il gioioso suono delle trombe e tamburi ed in seguito tra le
salve di cannoni e dei mortaretti. Dopodiché, la suddetta Eminenza ha
consacrato la Chiesa secondo il consueto cerimoniale, mentre la Messa
solenne è stata celebrata dal vescovo ordinario Marxer, tra rinnovate
salve d'artiglieria.
Tutta la musica eseguita durante la Messa dal coro degli orfanelli è
stata composta appositamente per questa festività dal figlioletto del
maestro di Cappella della corte principesca di Salisburgo Leopold
Mozart, il diciannovenne Wolfgang Mozart, noto per il suo eccezionale
talento. Le musiche sono state eseguite e dirette con la massima
precisione dal medesimo, suscitando generali consensi ed ammirazione;
da lui stesso sono stati cantati anche i Mottetti".

L'identificazione di questa Messa con la K 139 è abbastanza recente, e


per questo essa è ora nota anche come WaisenhausMessa (cioè
letteralmente Messa dell'orfanotrofio).
La solidità del suo impianto traspare anzitutto dalla presenza di trombe e
timpani in un organico orchestrale consuetamente costituito da archi ed
organo per il basso continuo, più una coppia di oboi "d'harmonia" o di
raddoppio dei violini, e tre tromboni di ripieno che rinforzano il coro nei

244
Tutti". Ma essa traspare anche dall'estensione dei singoli brani, e dalla
loro ampia articolazione interna.
Il Kyrie consta ad esempio di un maestoso Adagio introduttivo in breve e
fitto dialogo tra coro a blocchi "recitativi" ed orchestra, cui segue un
Allegro come "Sinfonia", vale a dire iniziato da un consistente
preambolo strumentale: esso viene poi immediatamente ripetuto, ma
stavolta sovrapponendogli le voci.

HANS SCHMIDT ISSERSTEDT

245
L'ingresso del coro chiarisce anche la struttura compositiva: il pezzo è
costruito accordalmente con un basso d'accompagnamento, ed i violini si
limitano a fiorire gli altrimenti nudi tralicci armonici.
Il passaggio al "Chrite eleison" è segnato da una repentina riduzione di
spessore sonoro (da "Tutti" a "Soli", il che significa che anche i tromboni
ed i oboi tacciono): poi però vi è riservato un apposito Andante più
raccolto e melodico, in cui i solisti si avvicendano e si accoppiano
sostenuti esclusivamente dagli archi.
Dopodiché viene riesposto l'Allegro precedente. Il Gloria ad episodi
corali nello stesso stile (salvo un transitorio spunto imitativo al "propter
magnam gloriam tuam"), intercala duetti ed arie solistiche ("Laudamus"
e "Domine"; "Quoniam"), per concludere con una severa fuga a quattro
voci ("Cum sancto spiritu").
Un'analoga alternanza ricompare nel Credo, che però mostra una
maggiore propensione all'imitazione tra le voci corali, ed oltre al duetto
dell' "Et incarnatus" ed all'aria dell' "Et in Spiritum Sanctum" presenta
una cerimoniale marcia funebre al "Crucifixus" e subitanei raccoglimenti
su parole egualmente significative ("mortuos", "mortuorum") incrementa
ulteriormente esibizione di dottrina contrappuntistica, stesa com'è in
doppia fuga.
Dopo iniziali clangori, il Sanctus utilizza la solita scrittura corale, mentre
il Benedictus è steso responsorialmente tra soprano solo e "Tutti".
Infine l'Agnus Dei inizia come aria tenorile coinvolgendo prima il coro al
completo, e poi concludendo con un ternario e cullante Allegro generale
("dona nobis pacem").
Nel complesso, si tratta dunque di una tipica Messa in quello stile
moderno che da tempo i maestri italiani e specie napoletani praticavano e
diffondevano nei paesi cattolici, fatto di episodi corali massicci impostati
su di una scrittura omoritmica accordale, e di pagine solistiche
arieggianti alla lontana vocalità teatrale, oratoriale, cantatistica: né
mancavano alcuni opportuni esempi di gravitas stilistica, da sempre
connotante la musica da chiesa.
L'altra Messa K. 49, appartiene invece alla categoria della Missa brevis,
che comporta dimensioni ridotte, intonazioni del testo senza indugi,
articolazione minima di ciascun brano. Il Kyrie è steso in un'agile e
sciolta polifonia di stile moderno (con l'orchestra, di soli archi ed organo,
che raddoppia le voci), mentre il Gloria è un sol blocco nello stile corale
che si è sopra descritto, punteggiato da qualche assolo: i pezzi seguenti

246
ripropongono - si direbbe in miniatura e semplificato - il percorso già
delineato in precedenza per la Messa K 139.
Entrambe scritte per Salisburgo rispettivamente agli inizi e nell'autunno
del 1769, le Messa K 65 e K 66 replicano la dicotomia precedente.
La prima è infatti una Missa brevis nella quale Mozart però sperimenta
anche una maggior autonomia strumentale, non facendo agire
incessantemente i violini ma assegnando loro - specie nel Kyrie e nel
Gloria - funzioni di struttura tra gli interventi corali, durante i quali
spesso tacciono. Da segnalare il canone cromatico del Benedictus, un
tratto di stile sublime solitamente non attribuito a questo momento
liturgico.

MOZART ORCHESTRA

247
L'altra (K.. 66) è invece del tipo solenne, scritta per accompagnare la
prima Messa dell'amico Dominkus Hagenauer entrato nel convento
salisburghese di San Pietro col nome di padre Domenico
(la composizione è difatti nota anche come Dominicus Messa).
Accanto ai tratti consueti a questo genere di opere (e si noti l'ampiezza
dell'aria per soprano al "Quoniam" del Gloria, subito seguita dalla
conclusiva grande fuga a quattro voci), è visibile spesso un'intenzione
unificante che ad esempio spinge Mozart a concepire il Kyrie come una
struttura bipartita in due sezioni analoghe, e ad utilizzare le medesime
figurazioni strumentali ripetute sistematicamente nel corso di un brano (il
"Qui tollis" del Gloria, o il Credo negli episodi collettivi).
Di non poco interesse è anche il tessuto orchestrale all'interno del quale
nel "Laudamus" sono incastonate le due voci, ed un tratto singolare
l'estroversa platealità di certe soluzioni ad effetto: la drammaticità delle
irruzioni orchestrali dopo gli unisoni solistici del "Crucifixus", e
nell'Agnus Dei del salto dalle inquietudini tonali del "miserere nobis"
alle grazie del "dona nobis pacem"; oppure la sorpresa della falsa
partenza a del Benedictus, con un soggetto esposto dal basso continuo
che però le voci non raccolgono e sostituiscono con uno proprio.

L'evasione dalle convenzioni stilistiche

Il corpus più consistente entro il catalogo delle Messe mozartiane è


quello, come si è detto, che copre il periodo 1773-1780, quello cioè delle
Messe scritte per Salisburgo al tempo dell'episcopato di Colloredo.
Oltre alla citata lettera di Leopold Mozart, ulteriori informazioni in
merito alla liturgia musicale praticata a Salisburgo le fornisce lo stesso
Wolfgang in una lettera inviata il 4 settembre 1776 a padre Giovan
Battista Martini - una vera e propria autorità internazionale nel campo
della polifonia e delle competenze storico-musicali, che aveva conosciuto
durante uno dei suoi viaggi in Italia: da lui il giovane Mozart aveva
ricevuto lezioni di contrappunto, ed era stato grazie alla sua protezione
che aveva potuto superare l'esame per essere aggregato alla celebre
Accademia Filarmonica di Bologna.

"Io mi diverto intanto a scrivere per la camera e per la chiesa: qui


ci sono anche due bravissimi contrappuntisti, Michael Haydn e

248
l'organista Adlgasser. Mio padre è maestro di Cappella (in realtà
vicemaestro) alla chiesa metropolitana, il che mi dà l'occasione di
scrivere per la chiesa quanto voglio. La nostra musica da chiesa è assai
differente da quella italiana, e lo diviene sempre più. Una Messa, anche
solenne, con tutto il Kyrie, Gloria, Credo, la Sonata all'Epistola,
l'Offertorio o Mottetto, Sanctus ed Agnus Dei, anche quando celebra il
principe stesso, deve durare al massimo tre quarti d'ora. Ci vuole uno
studio particolare per questo tipo di composizione. Ed oltre a ciò, una
Messa deve avere tutti gli strumenti (trombe, timpani ecc.).

CHARLES MACKERRAS

249
In base a queste limitazioni che Colloredo riteneva opportuno imporre al
ruolo dell'apparato musicale nella liturgia, abbonda in tale sezione
salisburghese del catalogo mozartiano il tipo della Missa brevis, ben
esemplificato della K 140 (databile forse al 1773), e parallelamente è
esente quello della Missa solemnis.
Esplicitamente o no, nella varietà brevis rientrano la K 167 "in honorem
sanctissimae Trinitatis" (giugno 1773), la K 220 (1775 o 1776) per un
certo fare cinguettante dei violini nel Sanctus-Benedictus nota anche
come Spatzen Messa, cioè Messa dei passeri) e la K 275 (1777).
Attorno a questa data appare anche quel tipo di Messa che Mozart in
seguito preferibilmente praticherà, e che sulla base dell'indicazione che
accompagna la K 262 (del 1776) potremmo definire Missa longa.
Come il nome fa agevolmente intuire, si tratta di una più ampia versione
della Missa brevis: in termini meno ovvi, fatta di singoli movimenti quasi
esclusivamente in blocco (qualche articolazione interna si ha solo nel
Credo e nell'Agnus Dei), senza vistose suddivisioni in ampie ed
autonome pagine solistiche e dunque priva di connotati che per comodità
potremmo dire italiani.
Concepiti solisticamente potevano dunque al massimo essere alcuni
movimenti come il Benedictus o l'Agnus Dei.
Oltre a quella citata che offre il nome alla categoria, ne possono far parte
le tre Messe in Do maggiore del 1776, cioè la K 257 (Credo- Messa, per
la frequente replica dell'affermazione iniziale nel corso appunto del
Credo, secondo un'abitudine non ignota ad altri compositori austriaci
prima di Mozart), la K 258 (Spaur- Messa, perché si pensa composta per
la consacrazione sacerdotale del conte di Spaur) e la K 259 (Organ-
Messa, dato che il relativo Benedictus presenta eccezionalmente una
parte per organo solo scritta per esteso), nonché la K 317 (K.ronungs
Messa, del 1779): Messa dell'incoronazione perché commemora un
solenne atto di omaggio di questo tipo compiuto durante la guerra del
1774 nei confronti di un'immagine della Madonna venerata a Salisburgo)
e la K 337 (1780).
Globalmente, in tutta questa serie di Messe salisburghesi si assiste
anzitutto per i violini al definitivo abbandono di quella modalità di
scrittura che, dal nome del compositore Johann Georg Reutter (1708-
1772) l'aveva resa proverbiale, si diceva "à la Reutter".
Essa prevedeva per queste parti strumentali un'iperattività incessante
dall'inizio alla fine di ogni movimento, con figurazioni di semicrome a

250
mitraglia ma prive del minimo interesse melodico.
Dopo la K 167, che ancora palesa un'anima sensibile, questo filo
conduttore sopravvive solo saltuariamente, ed è sostituito piuttosto da
una concezione strumentale differente, analoga a quella del
contemporaneo sinfonismo: i violini conservano ancora un ruolo di guida
lungo la composizione, ma con figurazioni ritmicamente assai più varie,
individuando alcuni momenti di deciso spicco melodico (per un caso
esemplare, si ascolti l'attacco dell'Agnus Dei della K 259) da sottoporre a
sviluppo, ed imparando anche a tacere.

MOZART ORCHESTRA

251
La maggior scioltezza e varietà nella condotta degli archi produce anche
una più duttile collaborazione con le voci, soprattutto corali ma anche
solistiche, per cui il loro rapporto si fa più compenetrato e multiforme.
E la stessa trama del coro, laddove si mantiene accordale, grazie alla
ritmica più variata appare meno rigidamente scandita. Per non dire di
quelle inusitate forme di reciproco eccitamento che mostra il "dona nobis
pacem" negli Agnus Dei della K 257 e 258, con veri e propri Crescendo
davvero insoliti in testi come questi fin li inclini all'idillio più che
all'esaltato entusiasmo.
Contemporaneamente, a ciò si associano tendenze costruttivamente
mirate a disporre un singolo movimento secondo un progetto melodico-
armonico.
Già nella K 167 il ripresentarsi di una stessa figurazione conferisce
maggiore unitarietà al Credo (si noti l'intensità espressiva che un ostinato
ritmo unito ad armonie - ed enarmonie - pungenti genera nel "Qui tollis"
del Gloria nella K 262), mentre Kyrie e Gloria sono architettati come una
struttura tripartita ABA con B modulante: nel Benedictus essa si fonda su
due temi, localizzati rispettivamente alla tonica ed alla dominante,
riproducendo quello schema noto come forna-sonata che andava
affermandosi nei vari generi di musica strumentale solistica e d'assieme.
Così come in essi strutturava di preferenza il primo movimento di una
composizione in più tempi, nella Messa è soprattutto il Kyrie ad essere
interessato da questa articolazione.
Lo mostrano appunto quelli della K 192, K 220, K 262 (assai ampia, con
"Sinfonia" ed esordio solo corale, come si addice ad una Missa longa),
K 257 (la medesima costruzione appare anche nel Benedictus) e K 259.
Il Gloria della K 262 ed i Credo delle K 257-259 e K 317 presentano
invece elementi ricorrenti tali da poter imparentare il loro procedere con
quello di un'altra forma strumentale quale il Rondò.
Infine, non va trascurata la trama unicamente polifonico-imitativa che
Mozart compose per le sue prime Messe salisburghesi, brevi o meno che
siano.
Col passar del tempo, questa densità di scrittura si attenua (viene ad
esempio limitata esclusivamente ai passi solistici).
Di tale progressivo abbandono è eloquente anche la scomparsa delle
fughe che tradizionalmente concludevano Gloria e Credo, molto ridotte
nella K 194 o circoscritte al solo Gloria nella K. 258, o assenti del tutto
nelle K 220, K 257, K 259, K 275 (il cui solo Sanctus esibisce

252
un'esposizione di fuga), K 317 e K 337 (unica fuga, nel Benedictus).
Così come, complementariamente, non passa inosservata l'intenzione di
puntare con decisione piuttosto sulle risorse di un diverso linguaggio
tecnico- espressivo come quello incarnato ad esempio dalle liriche arcate
di vere e proprie arie quali i Benedictus della K. 275 e K. 317 ("aria" per
Quartetto vocale), come pure gli Agnus Dei della medesima K 317 e
K 337, dei quali è agevole rilevare le valenze melodiche anticipatrici di
celeberrime pagine operistiche a venire (rispettivamente, "Dove sono i
bei momenti" e "Porgi, amor, qualche ristoro").

CARLOS KLEIBER

253
A maggior ragione, dunque, suonerà inattesa nella K 258 l'apparizione
nel Sanctus di un "Pleni sunt coeli" in vero e proprio stile antico (un
tangibile segno dell'influenza esercitata da padre Martini, con cui in
quell'epoca i Mozart continuavano ad intrattenere rapporti epistolari).
L'abbandono di Salisburgo significava anche l'accantonamento del
genere "Messa" (seppure non immediato ed autentico, secondo quanto
mostra - come si vedrà tra poco - la vicenda della K 427). Ora Mozart
non doveva più provvedere per servizio alle necessità liturgiche, e
d'altronde le restrizioni imposte alla musica da chiesa dal nuovo sovrano
Giuseppe II (1780-1831) ed i suoi interventi di nazionalizzazione che
limitavano le risorse di molti ordini religiosi, non costituivano certo
preMessa incoraggianti per possibili richieste di opere sacre.

Il "caso" della Messa K 427

La Messa in Do minore K 427 presenta la singolarità di essere - a


quanto pare - l'unica di Mozart scritta indipendentemente da una
specifica commessa.
A fine 1782 il compositore aveva progettato un viaggio a Salisburgo per
presentare finalmente sua moglie al padre e riappacificarsi con lui dopo
la tempestosa vicenda del suo matrimonio, ma a più riprese varie
circostanze l’avevano impedito, talché Leopold cominciava a dubitare
della sincerità delle intenzioni del figlio.
In una lettera dei primi di gennaio 1783 però Mozart citava come pegno
della sua buona fede - singolarmente - proprio quella composizione
liturgica:

"A riprova della sincerità della mia promessa, valga lo spartito di


metà di una Messa , che ancora attende di essere conclusa".

Finalmente quel viaggio fu compiuto nell'estate 1783, ed al termine di


agosto Mozart poté far eseguire nella chiesa salisburghese di San Pietro
quanto aveva scritto, con sua moglie come soprano solista.
L'opera non era compiuta neppure in quella circostanza, e non lo sarà più
in seguito, per cui i primi due terzi del Credo (finito all' "Et incarnatus"
compreso) e l' "Hosanna" del Sanctus rimasero lacunosi per ciò che
riguarda alcune parti orchestrali di contorno: mancano interamente

254
l'ultima sezione del Credo e l'Agnus Dei, che non figura nemmeno
iniziato.
Nel 1785 Mozart riutilizzò gran parte di ciò che aveva a disposizione
riservandolo nell'Oratorio Davide penitente (e nel 1801 la casa editrice
Breitkopf und Hartle pubblicava una versione della Messa K 427 fatta
completare da Alois Schmitt.

STAATSKAPELLE DRESDEN

Rispetto a quelle precedenti, in questa Messa emergono tratti di sensibile


novità, avvertibili fin dal primo ascolto. Colpisce anzitutto l'intensità
espressiva del Kyrie: in un cupo Do minore - ed è l'unico movimento di
questa tonalità - , con le patetiche appoggiature nel continuo dipanarsi
delle belle e severe figurazioni violinistiche integrate dagli scossoni dei
bassi, sulle quali le voci inseriscono una propria fuga soggetto cromatico,
fatta ancor più risaltare dal contrasto nettissimo con la cantabilità radiosa

255
del sereno "Christe eleison" intermedio per soprano solo e coro. Nelle
altre Messe non è che mancassero momenti di forte espressività, ma
erano riservati a luoghi obbligati, in un certo senso prevedibili (il
"Crucifixus", ad esempio): meno ovvio era scegliere tinte così
drammatiche e contrastate per le invocazioni del Kyrie.

Altrettanto avvertibile è un modo di fare decisamente anticheggiante, che


si lega certo alla frequentazione - iniziata nel 1782 - del barone Gottfried
van Swieten, che in campo musicale coltivava gusti spiccatamente
"antiquati", prediligendo autori come (Bach ed i suoi figli, e soprattutto
Handel) morti solo un paio di decenni prima, ma campioni di uno stile
nettamente superato.

Queste inclinazioni mozartiane la Messa K 427 le dimostra naturalmente


nella diffusa scrittura polifonica imitativa e fugata, che però non era una
novità dato che - seppure non in dimensioni così pervasive - era presente
già in precedenza.

Colpiscono piuttosto altri tratti ugualmente riferibili ad un tale


orientamento stilistico: i ritmi puntati del "Gratias" (quasi una Ouverture
in stile francese), il doppio coro del "Qui tollis" ed ancor più la sua
impostazione su basso ostinato cromatico di ciaccona, e perfino
l'arcaismo di certe pagine solistiche (il "Domine) ed il "Quoniam" del
Gloria, l' "Et incarnatus" del Credo, ed il "Benedictus"), meno
appariscente ma forse ancor più motivico di stupore per le finissime
capacità di mimesi dimostrate da Mozart.

256
KRÖNUNG-MESSA (MESSA DELL’INCORONAZIONE)
in do maggiore per soli, coro e orchestra, K 317

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


1. Kyrie - soli e coro - Andante maestoso (do maggiore). Andante.
Maestoso
2. Gloria - soli e coro - Allegro con spirito (do maggiore)
3. Credo - coro - Allegro molto (do maggiore)
a. Et incarnatus est - soli e coro - Adagio (do minore)
b. Et resurrexit - soli e coro - Allegro molto (do maggiore)
4. Sanctus - coro - Andante maestoso (do maggiore)
a. Osanna - coro - Allegro assai (sol maggiore; do maggiore)
5. Benedictus - soli - Allegretto (do maggiore)
a. Osanna - coro - Allegro assai (do maggiore)
b. Benedictus - soli e coro - Allegretto (do maggiore)
c. Osanna - coro - Allegro assai (do maggiore)
6. Agnus Dei - soprano - Andante sostenuto (fa maggiore)
7. Dona nobis - soli e coro - Andante con moto (do maggiore).
Allegro con spirito
Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 oboi, 2 corni,
3 trombe, 3 tromboni, timpani, organo, archi
Composizione: Salisburgo, 23 marzo 1779
Prima esecuzione: Salisburgo, Santuario di Maria am Plain, 20 giugno
1779
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1802

E' il quattro settembre del 1776 ed egli scrive al suo maestro


italiano Padre Martini: «Vivo in un paese dove la musica ha pochissima
fortuna». Si riferiva, come si sa, alla natia Salisburgo dove risiedeva in
quegli anni dopo i viaggi giovanili e la prima rappresentazione a Monaco

257
della Finta giardiniera. Quell'anno 1776 ed il successivo 1777 furono
tutti presi dai ripetuti tentativi di abbandonare Salisburgo e di andare a
far musica in una città meno provinciale e più al passo coi tempi. Infine
riuscì a partire il 23 settembre 1777 per un lungo viaggio che lo avrebbe
portato successivamente a Monaco, Augusta, Mannheim e Parigi. Un
viaggio che fu tutt'altro che fortunato; non portò infatti al musicista gli
sperati successi e la sperata sistemazione e segnò duramente la sua vita
privata, che a Parigi gli morì l'adorata madre dopo che a Mannheim
aveva conosciuto la prima grave disillusione amorosa che aveva il nome
di Aloysia Weber.
Un viaggio, insomma, che segna all'attivo di Mozart - a parte qualche
nuova amicizia - solo la diretta conoscenza - così importante, peraltro,
per la sua formazione - della musica innovatrice di Gluck - era in corso a
Parigi durante il suo soggiorno la lunga diatriba tra «gluckisti» e
«piccinisti» - e della straordinaria (per quei tempi) orchestra di
Mannheim. Sicché dopo qualche ingenuo tentativo per convincere il
padre di consentirgli un prolungamento del viaggio non restò altra scelta
a Wolfgang che rientrare - era la metà del gennaio del 1779 e il musicista
aveva 23 anni - a Salisburgo; specie dopo che il padre gli comunicò
come, grazie alle pressioni sue e di altri amici salisburghesi,
l'arcivescovo Gerolamo Colloredo, feudatario della città, aveva deciso di
riassumerlo al suo servizio con il salario di 500 fiorini l'anno, in qualità
di organista e «Konzertmeister» di corte.
Una soluzione che Wolfgang accettò con riluttanza come il solo mezzo
possibile, in quel momento, per guadagnare l'«eterno pane», non
mancando di notare in una lettera all'amico Bullinger: « ... voi sapete
quanto mi sia odiosa Salisburgo! E non soltanto per le ingiustizie che
mio padre ed io vi abbiamo subite, motivo più che sufficiente a cancellar
dalla mente il pensiero di ritornare in simile luogo. Ma ora sia come Dio
vuole: purché le cose vadano in modo da consentirci di vivere
tranquilli... ».
Tornò quindi a Salisburgo come un estraneo; deluso ma più maturo,
andando sempre col pensiero ben oltre gli angusti confini della corte
salisburghese, e ritrovando sia pur a fatica nella musica una alternativa
alla ancora impossibile fuga. «Credetemi - scriveva al padre da Vienna
qualche anno dopo - non amo poltrire ma lavorare. A Salisburgo è vero

258
ciò mi è costato molta fatica e a stento sono riuscito a decidermi.
Perché? Perché il mio spirito non era soddisfatto».
Ma i frutti di questa «molta fatica» furono assai numerosi in quei due
anni di soggiorno salisburghese che dovevano concludersi con la
rappresentazione a Monaco dell'Idomeneo. E compose in quegli anni la
Serenata K. 320, il Divertimento K. 334, il Concerto per due pianoforti e
orchestra K. 365, la Sinfonia concertante per violino e viola K. 364, le
tre Sinfonie K. 318, 319 e 338; per non ricordare che le composizioni più
importanti. E poi - per far fronte ai suoi impegni professionali verso la
corte arcivescovile - numerose pagine di carattere religioso: la Messa in
do maggiore (dell'Incoronazione), la Messa K. 337, i due Vespri K. 321
e 339, il Regina Coeli K. 276, due «Lieder» religiosi K. 343 ed una serie
di Sonate da chiesa per organo e orchestra.
Ma il quadro della vita e dell'attività salisburghese di Mozart in quegli
anni non sarebbe completo se non ricordassimo la presenza nella città di
una compagnia di commedianti diretta prima dall'impresario austriaco
Bohm e poi da Emanuele Schikaneder, il futuro librettista del Flauto-
magico. Una presenza che portò insieme all'acuirsi del vecchio amore di
Mozart per il teatro ed al primo accostarsi del musicista a quella
ideologia massonica che avrebbe poi definitivamente abbracciato durante
il soggiorno viennese. Frutto di questo contatto con Schikaneder furono
appunto le musiche di scena per il Thamos re d'Egitto, che permisero al
musicista di riaccostarsi al teatro, appunto, e di affrontare un soggetto nel
quale - come accadrà più tardi col Flauto magico - non mancano i
simboli della ideologia massonica.
Al centro di questo contrastato periodo - fu eseguita il 23 marzo 1779 - si
pone la composizione della Messa dell'Incoronazione K. 317 in do
maggiore. Non molto chiara è l'occasione che determinò la creazione di
questa partitura anche se la maggior parte dei biografi mozartiani
concordano nel ritenere che il titolo «dell'Incoronazione» ricordi le
tradizionali feste per l'anniversario dell'Incoronazione avvenuta per
disposizione del Pontefice nel 1751, di una immagine della Vergine,
ritenuta miracolosa, che si venerava a Maria Plain nei pressi di
Salisburgo e che secondo la tradizione aveva salvato nel 1744 la città
dagli orrori della guerra.

259
Ma a parte l'occasione religiosa che ne aveva determinato la
composizione, la struttura di questa Messa riporta la nostra attenzione su
tutti gli elementi che caratterizzarono la vita di Mozart in quegli anni
salisburghesi. Giustamente nota il De Saint-Foix che con questa Messa,
Mozart dà inizio ad un nuovo tipo di musica religiosa: per la misura
anche se non per i mezzi usati che sono quelli tradizionali (archi, due
oboi, due corni, due trombe, timpani ed un basso costituito da
violoncelli, contrabassi, fagotti e organo, oltre al coro e ai solisti di
canto). La musica mozartiana - nota ancora il De Saint-Foix - ha forse
perduto qualche po' di quel profumo di simpatia e di cordiale semplicità,
ma ha guadagnato in scatto, in forza, in vigore persuasivo: essa dà
nettamente l'impressione che l'orizzonte del musicista si sia allargato, che

260
egli non si senta più confinato nella sua provincia e che stia gustando
qualcosa di più vasto e di più profondo.
Considerazioni queste che ci riportano a quei due fondamentali incontri
occorsi al musicista prima del ritorno a Salisburgo; ove la osservazione
più volte fatta a proposito di questa Messa sulla sua maggiore
espressività ci ricorda il nome di Gluck, e l'essenza della sua «riforma»,
mentre il carattere strumentale dei temi - anche di quelli affidati alle voci
del coro o a quella dei solisti - ed ancora di più la forma propria della
musica strumentale della gran parte dei brani di questa Messa, non può
non riportare il pensiero ai contatti avuti da Mozart a Mannheim con gli
strumentisti di quell'orchestra di corte.
E' possibile anche ritrovare in questa Messa dell'Incoronazione perfino
l'eco dell'amore di Mozart per il teatro; che se non è difficile rendersi
conto anche ad orecchio della parentela tra l'aria «Dove sono i bei
momenti» delle Nozze di Figaro e l'Agnus Dei di questa partitura, non
sfuggirà neppure il carattere di rappresentazione, di «fatto teatrale» che
circola nell'intero lavoro mozartiano. E, per concludere, non si può non
notare l'osservazione avanzata recentemente che vuol riportare la
struttura fondamentalmente omofona delle parti di canto di questa Messa
- l'aver cioè respinto la tradizionale struttura delle Messa barocche a un
tentativo - al di là delle esigenze espressive del musicista - di fornire
musica «popolare», scritta cioè sul metro di una destinazione ad
esecutori ed ascoltatori assai più larga - assai più «democratica» - di
quanto non avvenisse in passato. E di qui a ricordare i primi legami tra
Mozart e la Massoneria con il suo carattere di rinnovamento illuministico
il passo, come si capisce, è assai breve.
Del resto queste diverse componenti espressive e strutturali si
riconoscono anche da un'analisi superficiale. La Messa si suddivide nelle
tradizionali sei parti Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Benedicttis ed Agnus
Dei.
Il Kyrie è composto di due sezioni: un «Andante maestoso» affidato
direttamente alle voci del coro con il triplo appello cui risponde con
ritmo solenne l'accompagnamento dei violini, ed un «Più andante»
esposto dal soprano solo leggermente accompagnato dagli archi e ripreso
in imitazione dagli oboi. Lo stesso tema viene ripetuto al «Christe
eleison» anche dal tenore solo ma trasportato in modo minore, cosa che
261
conferisce all'intero brano un carattere di alta poesia. Il Kyrie si conclude
con la ripresa del tema del coro «Andante maestoso» e con una «coda»
che ripresenta contemporaneamente il materiale tematico delle due
sezioni.
Il Gloria è una forma tripartita al modo di un tempo di Sonata o di
Sinfonia dove il primo soggetto si conclude con le parole «bonae
voluntatis» ed il secondo sulle parole «gloriam tuam»; si apre qui una
seconda sezione dove i due soggetti sono ripresi a lungo sia dai solisti,
che dal coro e dall'orchestra, il tutto si conclude con una
«ricapitolazione» ed una «coda» in imitazione sulla parola «Amen»,
mentre gli archi riespongono la melodia e il ritmo della prima parte.
Anche il Credo ha una struttura strumentale assai precisa. Qui al
contrario di quello che avviene nei brani precedenti le voci non appaiono
che dopo la quinta battuta quasi che Mozart abbia voluto riaffermare una
sorta di primato della componente orchestrale della partitura. Il brano è
costituito in forma tripartita nella quale è possibile distinguere una prima
sezione «Allegro molto» che contiene a sua volta il tema principale fino
alle parole «et invisibilium», un soggetto sussidiario fino a «deo vero» e
un ritorno del soggetto principale con variazioni che si conclude con il
«descendit de coelis» che si trasforma poi in un breve fugato che
introduce la seconda sezione - un adagio in fa minore - che apre una
parentesi di grande bellezza poetica sulle parole «Et incarnatus».
La terza sezione ripropone l'«Allegro molto» iniziale sulle parole «et
resurrexit» ancora basato sul soggetto principale fino all'«Amen» esposto
in imitazione sullo stesso tema su cui erano state cantate le parole
«descendit de coelis». Tutto si conclude poi omofonicamente
sull'«Amen», che è preceduto però da una breve ripresa delle parole
«Credo in unum Deum» che si ripetono come una affermazione reiterata
nella stessa tonalità di fa maggiore con cui si era aperto il brano.
Lo stesso tono grandioso caratterizza l'«Andante maestoso» con il quale
inizia il successivo Sanctus, che è un coro solenne sostenuto dagli archi
all'unisono e dai bassi fino all'«Allegro assai» dell'«Osanna» che
conclude rapidamente il brano.
Anche il Benedictus è una forma tripartita: «Allegretto» la prima sezione
con un tema leggero esposto dal violino solista che dà all'intero brano il

262
carattere di un rondò strumentale. Lo stesso tema viene infatti ripreso
nella terza sezione, mentre la seconda sezione altro non è che la ripresa
dell'«Osanna» che serve anche da «coda» all'intero brano.

CHRISTOPH WILLIBALD GLUCK

263
Infine l'Agnus Dei dopo un preludio strumentale affida il tema al soprano
solo, ed è il tema che ricorda l'aria delle Nozze; il tema è poi ripreso
anche dal tenore che si alterna con il coro finché sulle parole «Dona
nobis pacem» ritorna con le stesse armonie ed imitazioni strumentali ma
anche con una ripresa in tempo «Allegro con spirito» il tema del Kyrie
iniziale.
E' quest'«Allegro con spirito» che conclude l'opera con una estensione
geniale dell'idea primitiva - nota il De Saint-Foix - il quale aggiunge pure
come la ripresa dell'idea iniziale dimostra il profondo bisogno di unità
formale sentito da Mozart in questa occasione. Una unità formale
realizzata non solo attraverso la scelta di precise forme strumentali
all'interno di ogni brano della Messa ma riaffermata quasi serrando
l'intero edificio sonoro all'interno dello stesso tema che quindi dà l'avvio
al discorso e lo conclude.
Gianfilippo De'Rossi

Testo delle parti vocali

KYRIE

Kyrie eleison
Christe eleison
Kyrie eleison
GLORIA

Gloria in excelsis Deo, et in terra pax hominibus bonae voluntatis.


Laudamus te, benedicimus te, adoramus te, glorificamus te. Gratias
agimus tibi propter magnam gloriam tuam. Domine Deus, Rex coelestis,
Pater Omnipotens, Domine, Fili Unigenite, Jesu Christe, Domine Deus,
Agnus Dei, Filius Patris. Qui tollis peccata mundi, miserere nobis,
suscipe deprecationem nostram. Qui sedes ad dexteram Patris, miserere
nobis. Quoniam Tu solus Sanctus, Tu solus Dominus, Tu solus
Altissimus. Jesu Christe. Cum Sancto Spiritu in gloria Dei Patris. Amen.

264
CREDO

Credo in unum Deum, Patrem Omnipotentem, factorem coeli et terrae,


visibilium omnium et invisibilium. Et in unum Dominum, Jesum
Christum, Filium Dei, Unigenitum, et ex Patre natum ante omnia saecula,
Deum de Deo, lumen de lumine, Deum verum de Deo vero, genitum, non
factum consubstantialem Patri, per quem omnia facta sunt, qui propter
nos homines et propter nostram salutem descendit de coelis. Et
incarnatus est de spiritu sancto ex Maria Virgine, et homo factus es,
crucifixus etiam pro nobis sub Pontio Filato, passus et sepultus est. Et
resurrexit tertia die, secundum scripturas. Et ascendit in coelum, sedet ad
dexteram Patris; et iterum venturus est, cum gloria, judicare vivos et
mortuos, cujus regni non erit finis. Credo in Spiritum Sanctum Dominum
et vivifican-em, qui ex Patre Filioque procedit, qui cum Patre et Filio
simul adoratur et conglorificatur, qui locutus est per Prophetas. Et in
unam sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam. Confiteor unum
baptisma, in remissionem peccatorum. Et expecto resurrectionem
mortuorum, et vitam venturi saeculi. Amen.
SANCTUS

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus, Sabaoth. Pieni sunt coeli et


terra gloria tua, Hsanna in excelsis.
BENEDICTUS

Benedictus qui venit in nomine Domini, Hosanna in excelsis.


AGNUS DEI

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis.


Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, dona nobis pacem.

Testo tratto dal programma di sala del concerto dell'Accademia


Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 22 novembre 1967,
Fernando Previtali direttore

265
MESSA IN DO MINORE
PER SOLI, CORO E ORCHESTRA, K1 427 (K6 417A)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Kyrie - soprano e coro - Andante moderato (do minore)
2. Gloria - coro - Allegro vivace (do maggiore)
a. Laudamus te - soprano - Allegro aperto (fa maggiore)
b. Gratias agimus - coro - Adagio (la minore)
c. Domine Deus, Rex coelestis - soprano e contralto - Allegro
moderato (re minore)
d. Qui tollis peccata mundi - doppio coro - Largo (sol minore)
e. Quoniam tu solus sanctus - soprano, contralto e tenore -
Allegro (mi minore)
f. Jesu Christe - coro - Adagio (do maggiore)
g. Cum sancto Spiritu - coro - Allegro (do maggiore)
3. Credo - coro - Allegro maestoso (do maggiore) schizzo
a. Et incarnatus est - soprano - Andante (fa maggiore)
4. Sanctus - doppio coro - Largo (do maggiore)
a. Osanna - coro - Allegro comodo (do maggiore)
5. Benedictus - soli - Allegro comodo (la minore)
a. Osanna - doppio coro - Allegro comodo (do maggiore)

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, doppio coro misto, flauto, 2


oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi
Composizione: Vienna, 17 agosto 1782 - maggio 1783
Prima esecuzione: Salisburgo, Peterkirche, 25 agosto 1783
Edizione: Andrè, Offenbach 1840

266
I due massimi capolavori di Wolfgang Amadeus Mozart
nell'ambito della musica sacra, la Messa in do minore K. 427 (K. 417 a) e
il Requiem in re minore K. 626, rimasero entrambi incompiuti. Fu la
morte a fermare per sempre la mano di Mozart mentre vergava il
Lacrimosa del Requiem, mentre l'incompiutezza della Messa deve essere
attribuita a cause meno tragiche. Mozart aveva infatti iniziato a comporla
per una sua autonoma decisione, uscendo per una volta dal sistema della
committenza che regolava la produzione musicale dell'epoca; ma i tempi
non erano maturi perché un musicista potesse liberamente dedicare il suo
tempo a una composizione priva d'una precisa destinazione e quindi la
Messa in do minore fu messa da parte a favore di lavori più urgenti.
Invece Mozart non lasciò mai a metà le musiche sacre connesse ai suoi
impegni salisburghesi. Non dipendere per una volta da una precisa
committenza permise però a Mozart di concepire liberamente questa
Messa su una scala più ampia e complessa, mentre fino allora aveva
dovuto ottemperare alle imposizioni del suo "padrone", il principe-
arcivescovo di Salisburgo, che dalla musica sacra pretendeva semplicità
e brevità.
La Messa in do minore non obbediva dunque a una committenza, ma fu
concepita da Mozart come un'offerta votiva per il superamento delle
difficoltà che si frapponevano al suo matrimonio e allo stesso tempo
come un dono all'amata Konstanze. In una lettera inviata al padre da
Vienna il 4 gennaio 1783, il ventisettenne Wolfgang rivela di aver fatto
"una promessa nel [suo] cuore" e che "la migliore prova di questa
promessa è la partitura d'una Messa che ancora aspetta d'essere
completata". Da questa stessa lettera si deduce che fin dall'inizio Mozart
pensava di far eseguire la sua Messa a Salisburgo. Effettivamente la
prima volta che si recò da Vienna a Salisburgo dopo il suo matrimonio
portò con sé la partitura e continuò a lavorarvi, ma il giorno previsto per
l'esecuzione, il 26 ottobre 1783, la Messa era ancora incompiuta e
probabilmente venne integrata con pezzi di altre Messe di Mozart.
Il giorno dopo il compositore ripartì per Vienna e non avrebbe più visto
la sua città natale, né avrebbe più portato a termine questa Messa, di cui
aveva scritto per intero il Kyrie, il Gloria e il Sanctus-Benedictus, mentre
il Credo era interrotto all'lncarnatus est e per di più era lacunoso
nell'orchestrazione e l'Agnus Dei mancava totalmente. Due anni dopo, a

267
Vienna, avrebbe riutilizzato il Kyrie e il Gloria nell'Oratorio Davide
penitente K. 469.

KENT NAGASANO

268
Nonostante l'incompiutezza, la Messa in do minore è la più vasta,
complessa e impegnativa composizione sacra di Mozart. Come Bach
nella Messa in si minore e Beethoven nella Missa solemnis, anche
Mozart riprende qui gli stili della musica sacra delle epoche precedenti,
quasi a voler ancorare saldamente la sua Messa alla tradizione. Attinge a
Bach e Händel, da lui scoperti e studiati proprio in quegli anni, e anche
agli italiani, come Caldara, Porpora e Pergolesi, scrivendo una "personale
summa theologica del sacro in musica, i cui principi vengono desunti da
una sterminata eredità artistica dagli orizzonti europei, sviluppata più in
estensione geografica che in profondità storica, non rimontando oltre i
limiti del XVIII secolo, il solo che il compositore ritenesse attingibile e
spiritualmente frequentabile" (Giovanni Carli Ballola).
Subito il Kyrie rivela la compenetrazione dell'elemento oggettivo dello
stile sacro con quello soggettivo dell'espressione individuale, quando la
severa polifonia corale e la voce grave e maestosa dei tromboni vengono
amalgamate nell'intima e sofferta tonalità di do minore, o quando il
dolente cromatismo del motivo dei soprani e dei contralti viene
sviluppato in rigoroso stile imitato.
Al centro del Kyrie s'inserisce il luminoso solo per soprano del Christe,
affettuoso omaggio alla moglie Konstanze, che cantò questa parte nella
prima esecuzione della Messa.
Il Gloria si apre con una chiara reminiscenza dello stile di Händel,
evidente nella stretta alternanza di possenti e gloriosi accordi e di
dinamici ed esultanti passaggi contrappuntistici, con una citazione quasi
letterale dell'Alleluja del Messiah.
Tutto il Gloria è concepito su scala monumentale ed è diviso in otto
numeri. Un'aria tripartita col "da capo" (Laudamus Te), un duetto per due
soprani (Domine Deus) e un terzetto per due soprani e tenore (Quoniam
tu solus sanctus) si alternano a due possenti episodi corali a cinque voci
(Gratias agimus) e a doppio coro (Qui tollis). È suggellato dalla
grandiosa fuga del Cum Sancto Spiritu, che fornisce una conclusione
adeguatamente solenne, che però Mozart sottrae a ogni manierata
magniloquenza con l'inserzione di elementi del moderno linguaggio
sinfonico, apportatore di un'emozione più viva e drammatica.

269
GIOVANNI BATTISTA PERGOLESI

270
L'incompiuto Credo consta di due sole parti, entrambe lacunose
nell'orchestrazione, che può tuttavia essere completata senza problemi
insormontabili. Il primo pezzo è un maestoso coro a cinque voci, fitto di
riferimenti alla musica tardobarocca, a cominciare dall'ampia
introduzione orchestrale, memore ancora una volta di Händel, in
particolare delle sue Ouvertures.
L'Et incarnatus est è un altro solo offerto alla voce dell'amata Konstanze:
una pagina nel cullante ritmo di siciliana, raccolta, tenera, delicata, che
trasfigura il virtuosismo vocale in estatico lirismo, come nel lunghissimo
vocalizzo della cadenza che unisce al soprano tre strumenti obbligati
(flauto, oboe e fagotto). È stato più volte sottolineato lo stile
italianeggiante di questo brano.
Dopo questa melodiosa aria Mozart ritorna alla grandiosità tiel doppio
coro col Sanctus, questa volta senza reminiscenze barocche ma con
sintetico e audace stile moderno, culminante nel possente "pieni sunt
coeli et terra gloria tua", che sembra raffigurare musicalmente tutta la
magnificenza divina. Qui s'innesta la fuga dell'Osanna, nel cui serrato
contrappunto si scorge chiaramente Bach.
Il Benedictus è riservato alle quattro voci soliste ma non concede nulla a
dolcezze melodiche d'ascendenza operistica e procede con un aspro e
spigoloso contrappunto, mentre modulazioni tipicamente mozartiane a
tonalità minori immergono il brano in un'atmosfera inquieta e ansiosa,
prima della trionfale ripresa della fuga dell'Osanna.

Mauro Mariani

271
Testo delle parti vocali

KYRIE

CORO E SOPRANO
Kyrie eleison
Christe eleison
Kyrie eleison
GLORIA

CORO
Gloria in excelsis Deo, et in terra pax hominibus bonae voluntatis.

SOPRANO
Laudamus te, benedicimus te, adoramus te, glorificamus te.

CORO
Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam.

SOPRANO I e II
Domine Deus, Rex coelestis, Pater Omnipotens,
Domine Fili Unigenite, Jesu Christe, Altissime,
Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris.

CORO
Qui tollis peccata mundi, miserere nobis, suscipe deprecationem
nostram.
Qui sedes ad dexteram Patris, miserere nobis.

SOPRANO I e II, TENORE


Quoniam Tu solus Sanctus, Tu solus Dominus, Tu solus Altissimus.

CORO
Jesu Christe. Cum Sancto Spiritu in gloria Dei Patris. Amen.

272
CREDO (Symbolum Nicenum)

CORO
Credo in unum Deum, Patrem Omnipotentem, factorem coeli et terrae,
visibilium omnium et invisibilium. Et in unum Dominum, Jesum
Christum, Filium Dei, Unigenitum, et ex Patre natum ante omnia saecula,
Deum de Deo, lumen de lumine, Deum verum de Deo vero, genitum, non
factum consubstantialem Patri, per quem omnia facta sunt, qui propter
nos homines et propter nostram salutem descendit de coelis.

SOPRANO
Et incarnatus est de spiritu sancto ex Maria Virgine, et homo factus est.

SANCTUS

CORO
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus, Sabaoth. Pieni sunt coeli et
terra gloria ejus.
Osanna in excelsis.
BENEDICTUS

SOPRANO I e II, TENORE, BASSO


Benedictus qui venit in nomine Domini.

CORO
Osanna in excelsis.

Testo tratto dal programma di sala del concerto dell'Accademia


Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 5 marzo 2011, Kent Nagano
direttore

273
REQUIEM IN RE MINORE
PER SOLI, CORO ED ORCHESTRA, K 626
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Requiem - soprano e coro - Adagio (re minore)
2. Kyrie - coro - Allegro (re minore)
3. Dies irae - coro - Allegro assai (re minore) abbozzo
a. Tuba mirum - soli - Andante (si bemolle maggiore) abbozzo
b. Rex tremendae - coro - Grave (sol minore) abbozzo
c. Recordare - coro - Andante (re minore) abbozzo
d. Confutatis - coro - Andante (la minore) abbozzo
e. Lacrimosa - coro - Larghetto (re minore) abbozzo
4. Domine Jesu - soli e coro - Andante con moto (sol minore)
abbozzo
a. Hostias - coro - Andante (mi bemolle maggiore). Andante
con moto (sol minore) abbozzo
5. Sanctus - coro - Adagio (re maggiore) aggiunta
a. Osanna - coro - Allegro (re maggiore) aggiunta
6. Benedictus - soli - Andante (si bemolle maggiore) aggiunta
a. Osanna - coro - Allegro (si bemolle maggiore) aggiunta
7. Agnus Dei - coro - ... (re minore) aggiunta
8. Lux aeterna - soprano e coro - ... (re minore). Allegro. Adagio

Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, 2 corni di


bassetto, 2 fagotti, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, organo, archi
Composizione: Vienna, agosto – dicembre 1791
Edizione: Imprimerie du Consrvatoire, Parigi 1804

274
Incompiuto, lo sviluppo degli abbozzi e le aggiunte sono opera di Franz
Xaver Süssmayer sulla base degli appunti di Mozart.

II fascino del tutto peculiare che viene da sempre riconosciuto al


Requiem in re minore K. 626, è certamente legato al fatto che questa
partitura è l'ultima del catalogo di Mozart, a causa della prematura
scomparsa del compositore. Dunque un lavoro funebre che è intrecciato
alle vicende della morte dell'autore; non sappiamo se sia vero che, come
affermarono a distanza di anni varie testimonianze riconducibili alla
vedova, Mozart avesse detto di comporre questo Requiem per se stesso;
di fatto è significativo che un frammento del Requiem venisse eseguito a
una cerimonia funebre svoltasi a Vienna a distanza di pochi giorni dalla
scomparsa del compositore.
Il formarsi di una mitologia intorno al Requiem nasce dunque da questa
coincidenza fra lavoro funebre e morte prematura, per lungo tempo
avvertita come misterioso segno del destino. Molti altri misteri hanno
però interessato fin dalle origini il Requiem, e tuttora non appaiono del
tutto chiariti. Singolari sono certamente le circostanze della nascita della
partitura.
Nel luglio 1791 Mozart ricevette la commissione per la stesura di un
Requiem da parte di un intermediario del conte Walsegg, un aristocratico
prematuramente vedovo che intendeva eseguire l'opera nella ricorrenza
della scomparsa della consorte, attribuendosene disinvoltamente la
paternità. Tuttavia, secondo testimonianze sempre riconducibili a
Constanze Mozart, l'intermediario non avrebbe rivelato a Mozart
l'identità del committente, invitando anzi il musicista a non ricercarla;
vero o non vero, questo presunto anonimato del committente contribuì
indubbiamente all'alone di mistero sulla nascita del lavoro. Mozart poi, di
ritorno da Praga dove aveva curato l'esecuzione della Clemenza di Tito,
attese alla partitura nei mesi di ottobre e novembre, rallentando la
composizione solo con il declinare delle sue condizioni di salute.
Il 5 dicembre Mozart muore, lasciando incompiuta la partitura del
Requiem; e questa incompiutezza è all'origine di tutta un'altra serie di
misteri. La vedova Constanze, comprensibilmente desiderosa di
riscuotere il saldo della partitura incompiuta, affidò il completamento
dell'autografo a musicisti legati all'entourage del marito. Ad occuparsi di

275
colmare le lacune fu principalmente Franz Xaver Süssmayer, allievo del
compositore, ma prima di lui erano stati coinvolti altri due allievi, Franz
jakob Freystädtler e Joseph Eybler, sotto il probabile coordinamento di
un altro musicista vicino alla famiglia Mozart, l'abate Maximilian
Stadler.

276
Tutti costoro furono legati da un vincolo di segretezza; nessuno doveva
sospettare che Mozart non fosse l'unico autore del Requiem. È solo nel
1825, quando ormai da molto tempo il Requiem era stato eseguito e
pubblicato, che vennero avanzati i primi reali sospetti sul contributo di
altre mani nel completamento della partitura, dando luogo a una
controversia che sarebbe durata per parecchi anni.
In che misura la composizione, che è ammirata e venerata come una delle
più alte del suo autore, è effettivamente di Mozart? Questa domanda è
riecheggiata nei secoli, dal 1825 ad oggi, e si pone in modo inquietante ai
posteri. Ad essa ha cercato di rispondere in modo il più possibile
esauriente la ricerca musicologica, fino all'edizione critica curata nel
1965 da Leopold Nowak, e poi al più recente studio di Christoph Wolff
(Il Requiem di Mozart. La storia, i documenti, la partitura, Astrolabio,
Roma, 2006), imprescindibile punto di riferimento anche per queste note.
Converrà dunque riassumere la situazione oggettiva del Requiem, nella
versione completata da Sussmayer e altri, e consegnata dalla vedova al
committente. Essa si articola in otto differenti grandi numeri musicali.
nn. 1-2. Introitus e Kyrie
L'Introitus è l'unica sezione della partitura interamente di mano di
Mozart. Il Kyrie invece è autografo per le parti corali, mentre i raddoppi
strumentali sono stati realizzati nei giorni immediatamente seguenti alla
morte dell'autore da Franz Jakob Freystädtler, per una esecuzione di tutto
questo numero musicale alla cerimonia funebre svoltasi nella chiesa di
San Michele il 10 dicembre. In seguito Süssmayer aggiunse le parti di
trombe e timpani.
n. 3. Dies Irae
Si tratta del numero musicale più vasto della partitura, diviso in sei
sezioni differenti (la cosiddetta "sequenza"). Le prime cinque sezioni
sono state composte da Mozart in forma abbreviata, ovvero con le parti
corali e solistiche complete, la linea del basso e alcune indicazioni di
orchestrazione, più o meno precise a seconda dei vari momenti.
L'orchestrazione venne completata in un primo momento da Joseph
Eybler, quindi nuovamente realizzata da Süssmayer sulla base del
completamento di Eybler. Quanto alla sesta sezione, "Lacrymosa",
Mozart ne scrisse solamente le prime otto battute; il rimanente venne
completato da Süssmayer.

277
Un appunto di un tema di fuga su un foglio staccato suggerisce che
Mozart aveva pensato di concludere tutta la sequenza con una settima
sezione, una fuga sull"'Amen"; una soluzione che venne però scartata da
Sussmayer, forse per la sua eccessiva difficoltà.

n. 4 Offertorium
La situazione è la medesima dei primi sei numeri del Dies Irae. Il
completamento è stato iniziato dall'abate Maximilian Stadler e portato a
termine da Süssmayer.
n. 5 Sanctus - n. 6 Benedictus - n. 7 Agnus Dei
Mozart non compose questi numeri musicali, che vennero scritti da
Süssmayer. Un’analisi dei materiali melodici di base di queste sezioni -
nonché dell'"Osanna" che chiude il Sanctus e il Benedictus - mostra delle
corrispondenze che suggeriscono come Süssmayer avesse a disposizione
alcuni appunti che non ci sono pervenuti.
n. 8 Communio
Mozart non compose questo numero musicale. Süssmayer riprese
testualmente la musica dei nn. 1-2. Introitus e Kyrie.
È difficile sfuggire all'impressione che il Requiem così come è arrivato ai
posteri si allontani considerevolmente nel risultato da quelle che erano le
intenzioni del compositore. C'è, in primo luogo, un problema di
architettura complessiva. Non sappiamo se l'idea di riprendere, nella
Communio, la musica di Introitus e Kyrie sia ascrivibile al compositore;
certamente la progettata fuga conclusiva del "Lacrymosa" doveva
assumere nella partitura un ruolo di grande rilievo, anche perché il
soggetto di questa fuga può essere considerato una trasformazione del
motivo iniziale del Requiem. Ma anche i temi di Sanctus e Benedictus
presentano corrispondenze di questo tipo, dando l'impressione di una
ferrea coerenza e unità concettuale nella partitura. Proprio questi fattori -
in secondo luogo - risultano fortemente compromessi dalla realizzazione
di Süssmayer, che semplicemente non aveva gli strumenti tecnici, oltre
che la fantasia inventiva, per elaborare gli appunti che aveva a
disposizione. La gratitudine dovuta dai posteri a questo onesto artigiano
non cancella purtroppo i suoi limiti.

278
E tuttavia è indiscutibile che, anche in questa veste compromessa, il
Requiem appaia come un capolavoro, a cui incompiutezza e ipotesi
attribuiscono un fascino ulteriore.
MOZART MORENTE

Vi troviamo innanzitutto da parte dell'autore la ricerca di una via nuova


per lo stile chiesastico. Nelle numerose composizioni sacre degli anni
salisburghesi Mozart si era applicato soprattutto a rispettare i precetti
dell'arcivescovo Colloredo, che imponevano una grande stringatezza e
cordialità nella musica scritta per il culto.

Nei pochissimi lavori sacri degli anni viennesi, al contrario, egli tenne
certamente presenti i precetti dettati dall'imperatore Giuseppe II - cui nel
frattempo era succeduto Leopoldo II - per una musica sacra disadorna e
di facile comprensione. La nuova via di Mozart nel Requiem si basa però
sull'antico, ossia su un uso della polifonia e del contrappunto ispirato ai
modelli barocchi.

279
Lo studio delle partiture di Bach e di Händel, la cui grandiosità nella
scrittura corale e orchestrale penetra fin nella Zauberflote e nella
Clemenza di Tito, si palesa a maggior ragione nel Requiem.
Non a caso nei primi due numeri della partitura, Introitus e Kyrie,
l'influenza di Händel non è generica, ma riferita a due precisi modelli.
L'attacco dell'Introitus è infatti ricalcato sul Funeral Anthem for Queen
Caroline HWV264; c'è però nella partitura di Mozart, una atmosfera
sonora peculiare, legata in gran parte alle scelte di strumentazione, dove
gli unici legni presenti sono corni di bassetto (della famiglia dei
clarinetti) e fagotti; di qui il timbro opaco e spettrale, che intreccia
polifonie opponendosi ai pizzicati degli archi. Si staglia come contrasto,
poco dopo, il purissimo a solo di soprano "Te decet Hymnus".
Ancora Händel, con il Dettingen Anthem HWV 265, è il modello di uno
dei momenti più impressionanti della partitura di Mozart, la doppia fuga
del Kyrie, dove il carattere arcaico della scrittura è significativamente
sottolineato. Ancor più che nei primi due numeri, si palesa nel terzo,
Dies Irae, una delle caratteristiche più distintive del Requiem: il fatto che
il contrappunto non sia riservato a determinate sezioni della partitura, ma
innervi nella sostanza gran parte di essa; non a caso il ruolo dei solisti di
canto è nettamente subordinato rispetto al coro, e, pur
nell'incompiutezza, la parte corale è sufficiente a restituire la potenza
della concezione. C'è poi, da parte dell'autore, la capacità di avvicendare
i vari momenti della partitura secondo una logica di contrasti che segue
un preciso percorso interno di evoluzione.
Così la sequenza si divide in sei sezioni, fra loro plasticamente
contrapposte in quanto a scelte di organico e contenuto espressivo; il
Dies irae, interamente corale, è di impatto massiccio; sintetico,
drammatico, ricco di effetti figurati ("tremor").
Il Tuba mirum vede alternarsi i quattro solisti (basso, tenore, contralto e
soprano), che si uniscono solo al termine; ma l'effetto folgorante è quello
iniziale del trombone solista, che dialoga con il basso evocando il giorno
del giudizio.
Il Rex tremendae majestatis reca nettissima l'impronta di Händel,
nell'alternanza - poi sovrapposizione - dei ritmi puntati degli archi e della
massa corale.

280
Il Recordare, nuovamente affidato ai solisti, costruito secondo lo schema
ABA'CA", è innervato da imitazioni di carattere arcaico, cui
conferiscono fascino peculiare le scelte timbriche - non a caso
l'introduzione strumentale è tutta di mano di Mozart.
Il Confutatis contrappone coro maschile e femminile nelle immagini dei
dannati e dei redenti. Le otto battute superstiti del Lacrimosa si
interrompono al vertice del "crescendo": la conclusione funzionale di
Süssmayer non compromette l'incanto sofferto della pagina.
L'Offertorium si articola, come di consueto, in due parti, entrambe
concluse dalla fuga "Quam olim Abrahae".
Il Domine Jesu Christe ha una condotta corale incalzante e agitata, di
derivazione mottettistica; l'episodio "Sed signifer sanctus Michael" passa
ai solisti, e scivola direttamente nella fuga; nettamente contrastante lo
squarcio sereno dell'Hostias, dove la scrittura corale omofonica è
accompagnata dal fraseggio in sincopi degli archi.

LOUIS LANGRÉE

281
Rispetto ai primi quattro numeri della partitura, la tensione si stempera
fatalmente nei tre composti da Süssmayer. L'incedere solenne e corale
del Sanctus è nel solco della tradizione, il fugato dell"'Osanna" scolastico
e sommario.
Il Benedictus, affidato ai solisti e perciò intimistico, è singolarmente
esteso e rifinito. L'Agnus Dei si basa sul contrasto fra la duplice
invocazione e la supplica "dona eis requiem".
Quanto alla Communio, Süssmayer si limitò, come si è detto, a
riprendere la musica di Introitus e Kyrie; una soluzione che può apparire
semplicistica, ma che lo stesso Mozart aveva adottato in altri lavori sacri,
come la Messa dell'Incoronazione K. 317, rispettando in tal modo, con il
ritorno della stessa musica iniziale, quella logica circolare, così propria
dell'epoca, intesa a ribadire i principi eterni della religione.
Forse, più che a questioni teologiche, la scelta di Süssmayer deve essere
stata legata alla fretta e alla consapevolezza della propria inadeguatezza.
Tuttavia questo riapparire della musica dei numeri iniziali ha il merito di
far riassaporare all'ascoltatore consapevole di tutte le complesse vicende
del Requiem di Mozart, dell'ambizione e della novità del suo progetto,
dei problemi legati all'incompiutezza, proprio quelle pagine che più
strettamente manifestano il pensiero del compositore e ne prospettano la
forza concettuale ed espressiva.
Quale conclusione migliore, per il capolavoro incompiuto?
Arrigo Quattrocchi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 15 marzo 2008, direttore
Louis Langrée

282
LITANIE E VESPRI

VESPERAE SOLENNES DE CONFESSORE, K 339


Vespri in do maggiore per soli, coro ed orchestra

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


1. Dixit Dominus - soli e coro - Allegro vivace (do maggiore)
2. Confitebor tibi Domine - soli e coro - Allegro (mi bemolle
maggiore)
3. Beatus vir - soli e coro - Allegro vivace (sol maggiore)
4. Laudate pueri Dominum - coro - (re minore)
5. Laudate Dominum - soli e coro - Andante ma un poco sostenuto (fa
maggiore)
6. Magnificat - soli e coro - Adagio (do maggiore). Allegro
Organico: soprano, contralto, tenore, basso, coro misto, fagotto, 2
trombe, 3 tromboni, timpani, organo, archi
Composizione: Salisburgo 1780

Il decennio 1770 è anche quello che vede nascere la quasi totalità


della produzione sacra di Mozart, rivolta al servizio liturgico della corte
salisburghese. Fra il 1769 e il 1780 videro la luce a Salisburgo ben tredici
Messa oltre a quattro Litanie, due Vespri e altri lavori minori. Un gruppo
di Opere che, pur nella diversità delle singole partiture, appare nel
complesso estremamente omogeneo, segnato cioè da caratteristiche
costanti, e non senza motivo.
La musica sacra era infatti, fra tutti i generi musicali, quello più
rigidamente condizionato da una serie di regole e convenzioni non
scritte, ma imposte dai valori "eterni" della religione, e dunque
sostanzialmente "conservatrici". Ecco quindi che la libera fantasia
dell'autore era tenuta a confrontarsi, nel genere sacro più che in altri
generi, da fattori eterogenei e talvolta anche conflittuali fra loro; il gusto
corrente dell'epoca, la tradizione locale, le precise indicazioni
dell'arcivescovo in carica.
283
Nel secolo XVIII Salisburgo era, con Vienna, il principale centro della
musica sacra austriaca, come del resto si conveniva alla sede di una corte
arcivescovile.

GIOVANNI PIERLUIGI DA PAESTRINA

284
Naturalmente anche la cittadina sulla Salzach si era adeguata in campo
"sacro" a quel particolarissimo stile che, nato a Napoli, si era ben presto
diffuso in tutta Europa, arrivando a dettar legge anche in tradizioni
lontanissime: il cosiddetto "stilus mixtus", che ammetteva la
compresenza, all'interno della stessa composizione sacra, di pagine
apertamente profane ed edonistiche e di pagine improntate al severo stile
contrappuntistico di matrice palestriniana. Da una parte l'opera sacra
veniva divisa, come un libretto d'opera, in arie, concertati e brani corali,
in cui era ben presente il gusto del contemporaneo teatro musicale; era
questo il modo per far sentire ben viva e attuale la religione. Dall'altra
parte in particolari punti del testo liturgico era obbligatorio l'impiego del
rigoroso intreccio contrappuntistico fra le parti vocali, ispirato ai modelli
della polifonia controriformistica, di cui Giovanni Pierluigi da Paestrina
fu il massimo esponente; come dire che il sacro si richiamava anche a
valori eterni e immutabili.
Rispetto alla "Messa Cantata" napoletana, a Salisburgo però, la scuola
sacra salisburghese si differenziava per il permanere di una forte
tradizione corale e contrappuntistica e per il ruolo non secondario
dell'elemento sinfonico. Si aggiunga la precisa impronta personale
dell'arcivescovo Hieronymus von Colloredo. Eletto nel 1772, Colloredo
contrastò, con le sue idee illuministiche e la sua predilezione per i
modelli italiani, la prolissità barocca dello stile salisburghese,
pronunciandosi a favore di una estrema stringatezza formale del brano
religioso, suddiviso - senza ulteriori frazionamenti interni - solo nelle
grandi sezioni dell'"ordinarium missae" (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus,
Agnus Dei), evitando ulteriori frazionamenti interni. Come scrisse
Mozart (o meglio il padre Leopold, come è stato riconosciuto
recentemente) al suo maestro bolognese Padre Martini, il 4 settembre
1776 "la nostra Musica di chiesa è assai differente di quella d'italia, e
sempre più, che una Messa con tutto - il Kyrie, Gloria, Credo, la Sonata
all'Epistola, l'Offertorio ò sia Mottetto, Sanctus ed agnus Dei ed anche la
più Solenne, quando dice la Messa il Principe stesso non ha da durare
che al più longo 3 quarti d'ora, ci vuole uno Studio particolare per questa
Sorte di Compositione, e che deve però essere una Messa con tutti
Strumenti - Trombe di guerra, Tym-pani etc".
A tali caratteristiche rispondono tutte le composizioni sacre successive
all'elezione di Colloredo, e dunque anche le Vesperae Solemnes de
285
Confessore, che, scritte nel 1780, chiudono tutto il lungo ciclo
salisburghese.

HIERONYMUS VON COLLOREDO

286
Mozart era tornato nel gennaio 1779 a Salisburgo dal lungo e avvilente
viaggio a Mannheim e Parigi; l'obiettivo di trovare una prestigiosa
collocazione al di fuori della città natale era andato deluso. Subito era
stato riassunto da Colloredo con l'incarico di organista di corte, che gli
imponeva di suonare nella cattedrale, a corte e nella cappella, di
comporre quanto gli veniva richiesto e di istruire i fanciulli cantori.
Nel contesto di tali incarichi nascono dunque due importanti Messa - la
Messa cosiddetta "dell'incoronazione" K. 317 e la Missa solemnis K. 337
- e, come contraltare, due complete intonazioni dei Vespri, le Vesperae
de Dominica K. 321 e le Vesperae Solemnes de Confessore K. 339. Tutti
questi lavori si ispirano ai medesimi precetti di stringatezza e cordialità
espressiva imposti da Colloredo, ma le Messa mostra una intonazione
meno seria e chiesastica, più apertamente operistica e con un uso meno
severo del contrappunto.
Non sono note le occasioni per cui furono scritti i due cicli dei Vespri (il
secondo nasce per celebrare un santo non vescovo, confessore della
fede), che avevano ovviamente destinazione liturgica e si basavano sugli
stessi sei testi: cinque Salmi della Vulgata, dal carattere laudativo e
propiziatorio (più precisamente Dixit Dominus, n. 109; Confitebor, n.
110; Beatus Vir, n. 11; Laudate Pueri, n. 112; Laudate Dominum, n.
116); più il testo del Magnificat (Luca, I: 46-56).
Un confronto sommario fra le due Vesperae è illuminante nel rilevare i
tratti in comune, e dunque quegli aspetti delle partiture che sono da
ascriversi a quelle regole e convenzioni non scritte cui ci si riferiva
all'inizio di queste pagine. Innanzitutto la tonalità di do maggiore,
"ufficiale" per la musica sacra salisburghese. Poi la strumentazione,
selettiva e fastosa; trombe, tromboni, timpani, organo e archi, escluse
però le viole, in omaggio all'antica tradizione salisburghese; in K. 339 si
aggiunge un fagotto ad libitum (il ruolo dei tre tromboni è sempre quello
di raddoppiare le voci corali). Poi il fatto che ciascuno dei sei brani che
compongono il ciclo dei Vespri sia sostanzialmente indipendente dagli
altri; ne dà conferma il fatto che, nonostante tutti i brani terminino con la
stessa frase testuale ("Gloria Patri et Filio, et Spiritui Sancto, sicut erat in
principio et nunc et semper, et in saecula saeculorum. Amen") le
conclusioni musicali di ciascuno di essi non presentano fra loro richiami
tematici, ma si basano su un materiale autonomo e si riallacciano al

287
clima espressivo del singolo brano. Inoltre le tipologie dei singoli salmi,
per le quali il Laudate Pueri doveva avere una impostazione
contrappuntistica, e il Laudate Dominum quella di un'aria profana; le
altre pagine quella del Mottetto concertato.
Tutto ciò potrebbe offrire l'impressione di una certa aridità creativa di
questo Mozart sacro, in cui ben arduo deve essere stato per il
compositore il districarsi in questo letto di Procuste imposto dalla
tradizione. Nulla di più fallace, perché è proprio nella libertà creativa
nata dal rispetto delle regole consacrate che possiamo cogliere l'altezza
dell'ingegno dell'autore ventiquattrenne. Come ha scritto Alfred Einstein
"Chi non conosce queste composizioni non può asserire di conoscere
Mozart".
Non a caso ben differenti sono i due cicli; le Vesperae Solemnes de
Confessore si sviluppano in direzione di un maggiore decorativismo
rispetto alle Vesperae de Dominica (peculiare è anche il percorso tonale:
Do maggiore, Mi bemolle maggiore, Sol Maggiore, Re Minore, Fa
Maggiore, Do Maggiore). In K. 339 i primi tre Salmi, nella loro
atmosfera festosa e solenne, sono improntati a una polifonia di facile
scrittura, nella quale si inseriscono agevolmente gli interventi solistici; la
forma è, per ciascuna pagina, quella di un libero rondò, in cui idee
principali si alternano con idee secondarie, secondo una libera
combinazione, nell'assenza di una vera e propria elaborazione tematica.
Il Dixit ha attacco perentorio e una conduzione quasi esclusivamente
corale; i solisti entrano solo al "Gloria Patri". Il Confitebor (dove
tacciono trombe e timpani, come nei due brani seguenti) vede invece
aerei dialoghi e intrecci fra i solisti. Il Beatus vir accoglie anche un lungo
vocalizzo in terzine del soprano, e un uso misurato dell'elemento
contrappuntistico.
Fortissimo il trapasso imposto dal Laudate Pueri; abbiamo qui in tutto e
per tutto un brano in stile severo, dove le voci corali si inseguono in un
serrato contrappunto, salvo un piccolo passaggio omofonico. La tonalità
minore, l'assenza dei solisti e la scelta di un antico soggetto di fuga (con
il salto di settima diminuita, che Mozart reimpiegherà nel Kyrie del
Requiem) attribuiscono alla pagina il suo fascino arcaicizzante. Nuovo
trapasso è quello del Laudate Dominum; ci troviamo di fronte qui a una
vera e propria aria per soprano, nel ritmo cullante di 6/8 e con una

288
strumentazione peculiare (archi, organo e fagotto ad libitum). La melodia
del soprano, calata in una incantevole ambientazione espressiva, viene
ripresa poi dal coro, e la voce solista ritorna infine nella coda.

LEOPOLD MOZART

289
Il Magnificat si riallaccia all'impostazione dei tre salmi iniziali; a una
breve introduzione in Adagio del coro succede un Allegro in cui il
gruppo dei solisti si contrappone al coro, e il soprano ha spesso la
funzione di corifea. Assistiamo, in qualche modo, a un esito tipico della
religiosità cattolica, per cui il gusto fastoso e decorativo celebra, secondo
"affetti" paradigmatici, il trionfo dell'apparato liturgico.
Arrigo Quattrocchi

Testo

DIXIT DOMINUS

Dixit Dominus Domino meo: sede a dextris meis.


Donec ponam inimicos tuos scabellum pedum tuorum.
Virgam virtutis tuae emittet Dominus ex Sion,
dominare in medio inimicorum tuorum.
Tecum principium in die virtutis tuae in splendoribus
sanctorum ex utero ante luciferum genui te.
Juravit Dominus et non poenitebit eum. Tu es sacerdos
in aeternum secundum ordinem Melchisedech.
Dominus a dextris tuis confregit in die irae suae reges.
Judicabit in nationibus, implebit ruinas, conquassabit
capita in terra multorum.
De torrente in via bibet, proptera exaltabit caput.
Gloria patri, et filio, et spiritui sancto.
Sicut erat in principio, et nunc, et semper, et in saecula
saeculorum. Amen.
CONFITEBOR

Confitebor tibi Domine in toto corde meo


in consilio justorum et congregatione.
Magna opera Domini exquisita in omnes voluntates ejus.
Confessio et magnificentia opus ejus
et justitia ejus manet in saeculum saeculi.
Memoriam fecit mirabilium suorum misericors
et miserator et justus, escam dedit timentibus se.

290
Memor erit in saeculum testamenti sui.
Virtutem operum suorum annuntiabit populo suo.
Ut det illis hereditatem gentium.
Fidelia omnia mandata ejus in ventate et aequitate.
Opera manuum ejus veritas et judicium.
Facta in veritate et aequitate.
Confirmata in saeculum saeculi.
Redemptionem misit Dominus populo suo,
mandavit in aeternum testamentum suum.
Sanctum et terribile nomen ejus.
Initium sapientiae timor Domini,
intellectus bonus omnibus facientibus eum,
laudatio ejus manet in saeculum saeculi.
Gloria patri et filio et spiritui sancto,
sicut erat in principio et nunc et semper
et in saecula saeculorum. Amen.
BEATUS VIR

Beatus vir qui timet Dominum,


in mandatis ejus volet nimis.
Potens in terra erit semen ejus,
generatio rectorum, benedicetur.
Gloria et divitiae in domo ejus,
et justitia ejus manet in saeculum.
Exortum est in tenebris lumen rectis
misericors et miserator et justus.
Jucundus homo, qui miseretur et commodat,
disponet sermones suos in judicio.
Quia in aeternum non commovebitur.
In memoria aeterna erit justus,
ab auditione mala non timebit.
Paratum, cor ejus sperare in Domino.
Non commovebitur donec despiciat inimicos suos.
Dispersit dedit pauperibus,
justitia ejus manet
in saeculum saeculi.
Cornu ejus exaltabitur in gloria.

291
Peccator videbit et irascetur,
dentibus suis fremet et tabescet,
desiderium peccatorum peribit.
Gloria patri et filio et spiritui sancto
sicut erat in principio et nunc et semper
in saecula saeculorum. Amen.
LAUDATE PUERI

Laudate pueri Dominurn;


laudate nomen Domini,
beriedictum ex hoc nunc et usque in saeculum.
A solis ortu usque ad occasum,
laudabile nomen Domini.
Excelsus super omnes gentes Dominus,
et super coelos gloria ejus.
Quis sicut Dominus Deus noster,
qui in altis habitat et humilia respicit in coelo et in terra?
Suscitans a terra inopem,
et de stercore erigens pauperem.
Ut collocet eum cum principibus, populi sui.
Qui habitare facit sterilem in domo,
matrem filiorum laetantem.
Gloria patri et filio et spiritui sancto, sicut erat in principio et nunc et
semper et in saecula saeculorum.
Amen.
LAUDATE DOMINUM

Laudate Dominum omnes gentes


laudate eum omnes populi.
Quoniam confirmata est super nos misericordia ejus
et veritas Domini manet in aeternum.
Gloria patri et filio et spiritui sancto
sicut erat in principio et nunc et semper
et in saecula saeculorum. Amen.

292
MAGNIFICAT

Magnificat anima mea Dominum.


Et exultavit spiritus meus in Deo salutari meo.
Quia respexit humilitatem ancillae suae: ecce enim ex
hoc beatam me dicent omnes generationes.
Quia fecit mihi magna, qui potens est et sanctum nomen ejus,
Et misericordia ejus a progenie in progenies timentibus eum.
Fecit potentiam in brachio suo: dispersit superbos mente cordis sui.
Deposuit potentes de sede, et exaltavit humiles.
Esurientes impievi t bonis; et divites dimisit inanes.
Suscepit Israel puerum suum, recordatus misericordiae suae.
Sicut locutus est ad patres nostros, Abraham, et semini ejus in saecula.
Gloria patri et filio et spiritui sancto, sicut erat in principio et nunc et
semper et in saecula saeculorum. Amen.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 31 ottobre 2001

293
PICCOLE COMPOSIZIONI DA CHIESA

TE DEUM IN DO MAGGIORE
PER CORO ED ORCHESTRA, K1 141 (K6 66B)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Te Deum laudamus - coro - Allegro (do maggiore), Adagio

2. Aeterna fac - coro - Allegro (do maggiore)


In te, Domine, speravi - coro - ... (do maggiore)
3.

Organico: coro misto, organo, archi


Composizione: Salisburgo, 1 Dicembre 1769

Il Manoscritto di questo Te Deum è perduto e non resta alcun


documento sulla data e il luogo di composizione, ma tutto lascia credere
che sia stato scritto a Salisburgo verso la fine del 1769, subito dopo la
nomina del tredicenne compositore a Konzertmeister della corte
arcivescovile di Salisburgo e subito prima della partenza per il primo
viaggio in Italia. Rispetto alle altre composizioni sacre scritte nel 1768 e
1769 il Te Deum rivela infatti un più scorrevole e felice taglio delle
melodie e una maggiore maestria delle modulazioni, mentre
successivamente a quella data, durante il viaggio in Italia, lo stile sacro di
Mozart sarebbe cambiato (per esempio, cominciando sempre con
un'ampia introduzione orchestrale invece di far entrare subito le voci,
come avviene in questo Te Deum).
Riguardo alla destinazione, si dice che sia stato scritto su richiesta
dell'imperatrice Maria Teresa, ma questa è una leggenda senza alcun
fondamento storico. La sua brevità e l'organico ridotto lasciano piuttosto
pensare a un destinatario meno importante, forse la chiesa d'uno dei
numerosi conventi salisburghesi. L'orchestra prevede infatti quattro
trombe, violini primi e secondi, basso (un termine che lascia sempre agli
interpreti un margine di discrezionalità: in genere lo si realizza con i
violoncelli raddoppiati dai contrabbassi, ma possono essere aggiunti
anche strumenti a fiato, come il fagotto) e organo. Inoltre il curatore
dell'edizione moderna ha riscritto la parte dei timpani, che non è giunta
fino a noi ma che doveva senza dubbio esistere nell'originale.

294
Questo Te Deum è il lavoro d'un musicista che deve ancora crescere, ma
quale musicista! L'attacco è un allegro che comunica una letizia serena e
spirituale, senza la magniloquenza formale che spesso era connessa a
questo testo sacro usato per occasioni solenni.
MYUNG-WHUN CHUNG

La semplice e brillante sezione iniziale in do maggiore si oscura un


attimo sulle armonie che corrispondono alle parole "mortis aculeo".
Segue un breve adagio in minore per il supplice "Te ergo quaesumus".
Ma ad "Aeterna fac cum sanctis tuis" riprende l'allegro, che prosegue
anche con l'ultima sezione, "in Te Domine speravi": qui lo stile e il
trattamento del testo cambiano nettamente, perché mentre finora le
parole erano state intonate insieme da tutte le voci, per lo più
sillabicamente e senza ripetizioni, da qui in avanti Mozart mette in
campo un contrappunto relativamente complesso.
I modelli di questo finale erano probabilmente le grandi fughe a due
soggetti che chiudevano i Te Deum sia di Michael che di Joseph Haydn,
però il giovanissimo Mozart scrive non tanto una fuga regolare quanto un
295
più semplice e libero fugato a due soggetti: sicuramente è una rinuncia
suggerita dalla consapevolezza che le sue forze non gli consentivano
ancora tour de force contrappuntistici. Ma Mozart riesce a trasformare
questa rinuncia in una scelta a favore della cantabilità, della serenità e
della semplicità.
Mauro Mariani
Testo

Latino Italiano della Chiesa Cattolica

Te Deum laudamus: Noi ti lodiamo, Dio,


te Dominum confitemur. ti proclamiamo Signore.
Te aeternum patrem, O eterno Padre,
omnis terra veneratur. tutta la terra ti adora.
Tibi omnes angeli,
tibi caeli et universae potestates: A te cantano gli angeli
tibi cherubim et seraphim, e tutte le potenze dei cieli:
incessabili voce proclamant: Santo, Santo, Santo
Sanctus, Sanctus, Sanctus il Signore Dio dell'universo.
Dominus Deus Sabaoth.
Pleni sunt caeli et terra I cieli e la terra
majestatis gloriae tuae. sono pieni della tua gloria.
Ti acclama il coro degli apostoli
Te gloriosus Apostolorum e la candida schiera dei martiri;
chorus,
te prophetarum laudabilis le voci dei profeti si uniscono
numerus, nella lode;
te martyrum candidatus laudat la santa Chiesa proclama la tua
exercitus. gloria,
Te per orbem terrarum adora il tuo unico Figlio
sancta confitetur Ecclesia, e lo Spirito Santo Paraclito.
Patrem immensae maiestatis;
venerandum tuum verum et O Cristo, re della gloria,
unicum Filium; eterno Figlio del Padre,
Sanctum quoque Paraclitum tu nascesti dalla Vergine Madre
Spiritum. per la salvezza dell'uomo.

296
Tu rex gloriae, Christe. Vincitore della morte,
Tu Patris sempiternus es Filius. hai aperto ai credenti il regno dei
Tu, ad liberandum suscepturus cieli.
hominem, Tu siedi alla destra di Dio, nella
non horruisti Virginis uterum. gloria del Padre.
Verrai a giudicare il mondo alla
Tu, devicto mortis aculeo, fine dei tempi.
aperuisti credentibus regna
caelorum. Soccorri i tuoi figli, Signore,
Tu ad dexteram Dei sedes, in che hai redento col tuo Sangue
gloria Patris. prezioso.
Iudex crederis esse venturus. Accoglici nella tua gloria
nell'assemblea dei santi.
Te ergo quaesumus, tuis famulis
subveni, Salva il tuo popolo, Signore,
quos pretioso sanguine guida e proteggi i tuoi figli.
redemisti. Ogni giorno ti benediciamo,
Aeterna fac cum sanctis tuis in lodiamo il tuo nome per sempre.
gloria numerari.
Degnati oggi, Signore,
Salvum fac populum tuum, di custodirci senza peccato.
Domine, Sia sempre con noi la tua
et benedic hereditati tuae. misericordia:
Et rege eos, et extolle illos usque in te abbiamo sperato.
in aeternum.
Per singulos dies benedicimus Pietà di noi, Signore,
te; pietà di noi.
et laudamus nomen tuum in Tu sei la nostra speranza,
saeculum, non saremo confusi in eterno.
et in saeculum saeculi.
Dignare, Domine, die isto
sine peccato nos custodire.
Miserere nostri, Domine,
miserere nostri.
Fiat misericordia tua, Domine,
super nos,
quem ad modum speravimus in
te.
297
In te, Domine, speravi:
non confundar in aeternum.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 15 Aprile 2000, direttore
Myung-Whun Chung

EXULTATE, JUBILATE
Mottetto per soprano ed orchestra, K1 165 (K6 158a)

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


1. Exsultate - Allegro (fa maggiore)
2. Fulget amica dies - recitativo (basso continuo)
3. Tu virginum corona - Andante (la maggiore)
4. Alleluia - Allegro (fa maggiore)
Organico: soprano, 2 oboi, 2 corni, organo, archi
Composizione: Milano, 10 - 16 Gennaio 1773
Prima esecuzione: Milano, Chiesa di Sant'Antonio dei Teatini, 17
Gennaio 1773

Scritto per il castrato Venanzio Rauzzini

Dell'«Exultate, jubilate» KV 165 (158a) si conoscono tanto il


destinatario quanto il luogo e la data della prima esecuzione. Mozart
compone il Mottetto a Milano, nel gennaio 1773, per il castrato Venanzio
Rauzzini (1746-1810), «primo uomo» nel Lucio Siila e cantante fra i più
apprezzati dell'epoca; pur sottolineandone l'atteggiamento altezzoso,
Leopold nella lettera del 28 novembre 1772 riconosce che il sopranista
ha cantato la prima aria di Cecilio nel Lucio Siila «come un angelo». La
prima esecuzione del Mottetto ha luogo nella Chiesa di S. Antonio
Abate, allora sede dei Teatini, il 17 gennaio 1773. Nell'Italia del
Settecento il Mottetto era una composizione vocale di carattere
devozionale, su testo latino in versi, cantata di norma nel corso di una

298
Messa solenne o dei vespri; di infima qualità letteraria, i testi
contenevano spesso allusioni alla festa per cui i Mottetti erano concepiti.

VENANZIO RAUZZINI

299
Se la destinazione era chiesiastica, lo stile musicale era sfacciatamente
profano, melodrammatico. In questa tradizione si inserisce l'«Exultate,
jubilate» che adotta la struttura con due arie inframmezzate da un
recitativo e seguite dall'Alleluja conclusivo.
Il 17 gennaio ricorre la festività di S. Antonio Abate, ma poiché il testo è
un generico invito al canto e alla gioia (l'invocazione mariana della
seconda aria è forse dovuta a un particolare culto per la Vergine nella
chiesa dei Teatini), l'«Exultate, jubilate» si configura come un «Mottetto
per ogni tempo» e pezzo «di baule» per il Rauzzini.
Dell'arte vocale del sopranista, a proprio agio nella coloratura come
nell'intonazione di ampi intervalli e nel cantabile, Mozart trae spunto per
un pezzo di fatata luminosità, in cui lo scintillio virtuosistico è pari al
fascino di un'invenzione ammaliante.
Se si eccettua il recitativo, «Fulget amica dies», nella sequenza e
all'occasione nella struttura stessa dei movimenti oltre che nel
coefficiente virtuosistico della scrittura, la partitura tende a profilarsi
come una sorta di concerto per voce e orchestra. La prima aria,
«Exultate, jubilate», ha struttura bipartita («ABA'B'») e un andamento
spumeggiante.
La seconda, «Tu virginum corona», è un incantevole idillio vocale senza
i fiati. Interessante la struttura, che pare voler raggiungere una
mediazione fra l'aria e il movimento di concerto: Mozart piega le
simmetrie dettate da un'ovvia intonazione del testo a ragioni puramente
musicali.
L'esito è una specie di rondò-sonata («ABCA'B'A"»): dopo
l'introduzione-ritornello o esposizione orchestrale, si delinea
un'esposizione solistica con due idee tematiche, una sezione intermedia
di riconduzione, una ripresa e un ulteriore ritorno della sezione
principale. Il ritornello di chiusura connette direttamente l'aria con
l'«Alleluja» finale. Qui il testo è costituito da una sola parola e il
movimento assume le limpide forme di un rondò con tema e due episodi
(schema: «AbA'cA"+Coda»).
Cesare Fertonani

300
Testo

Exsultate, jubilate, Esultate, giubilate,


o vos animae beatae, o voi, anime beate,
dulcia cantica canendo, cantando soavi cantici;
cantui vestro respondendo, in risposta al vostro canto,
psallant aethera cum me. i cieli cantano e suonano con me.

Fulget amica dies, Risplende benevolo il giorno,


jam fugere et nubila et procellae, ormai sono scomparse nubi e tempeste;
exorta est justis inexpectata quies. è sorta per i giusti una calma inattesa.
Undique obscura regnabat nox, Ovunque regnava oscura la notte,
surgite tandem laeti, sorgete infine,
qui timuistis adhuc, voi che sinora avete vissuto nel timore,
et jucundi aurorae fortunatae e offrite gioiosi alla felice aurora
frondes dextera piena et lilia date. foglie e fiori di giglio a piene mani.

Tu virginum corona, O tu, corona delle vergini,


tu nobis pacem dona, dona a noi la pace.
tu consolare affectus, Consola le afflizioni,
unde suspirat cor. per cui il cuore sospira.

Alleluja. Alleluia.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 16 Novembre 1990

301
SUB TUUM PRAESIDIUM, K 198
Offertorio in fa maggiore per soprano, tenore ed archi

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


 Andante (fa maggiore)
Organico: soprano, tenore, archi
Composizione: 1773

Attribuzione incerta

MICHAEL HAYDN

302
Molto simile, nello stile, alle composizioni sacre di Michael
Haydn, ma certamente più ricercato dal punto di vista armonico, è
l'Offertorio Sub tuum praesidium attribuito a Wolfgang Amadeus Mozart
e situato cronologicamente tra il 1773 e il 1774. Il compositore, allora
diciottenne, risiedeva a Salisburgo e si dedicava per lo più alla musica
sacra; di quel periodo ci rimangono pagine "minori" come la Missa
brevis K. 192 o Litaniae Lauretanae K. 195 che si segnalano però per la
forte unità tematica e l'uso disinvolto dei principi del contrappunto.
Non si hanno notizie certe che l'Offertorio sia stato composto
effettivamente da Mozart, anche se il trattamento delle voci ed alcune
modulazioni inusuali hanno fatto pensare al suo stile. I due solisti, dopo
l'usuale esposizione del tema, danno vita ad un frequente scambio di
domanda e risposta che avvicina il brano più ad un duetto d'Opera che
non ad una pagina sacra.
Fabrizio Scipioni
Testo

Ricorriamo al tuo aiuto,


Santa Madre di Dio.
Subtuum praesidium confugimus,
Non respingere le nostre
sancta Dei Genitrix:
suppliche
nostras deprecationes ne despicias,
nelle nostre difficoltà,
in necessitatibus nostris,
ma liberaci sempre
sed a periculis cunctis
da tutti i pericoli.
liberas nos semper,
Vergine gloriosa e benedetta,
Virgo gloriosa, et benedicta, mediatrix nostra.
nostra signora,
Nos reconcilia tuo filio,
nostra mediatrice, nostra
Tuo filio nos commenda
patrona.
Tuo filio nos repraesenta,
Riconciliaci,
Tuo filio nos reconcilia.
raccomandaci,
rappresentaci a tuo Figlio.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 10 gennaio 2013

303
KYRIE IN RE MINORE
PER CORO ED ORCHESTRA, K1 341 (K6 368A)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
 Andante maestoso (re maggiore)
Organico: coro misto, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2
trombe, timpani, organo, archi
Composizione: Monaco, Novembre 1780 - Marzo 1781
Edizione: Andrè, Offenbach 1825

Non sappiamo in quale occasione Mozart compose il Kyrie in re


minore K. 341, ma la sua ampia struttura e la ricca strumentazione fa
pensare che il compositore avesse in mente una grande Messa rimasta
incompiuta. In mancanza di notizie certe e considerando proprio le
caratteristiche strumentali e l'architettura formale, possiamo ipotizzare
che questo Kyrie sia stato composto tra la fine del 1780 e l'inizio del
1781 durante il soggiorno a Monaco. Mozart si trovava nella città tedesca
per l'allestimento dell'Opera Idomeneo ed è per questo che il brano
prende il nome di "Kyrie di Monaco". In una lettera del 13 novembre
1780 da Monaco, Mozart chiede al padre "Sia tanto gentile da inviarmi le
partiture delle due Messe che portai via con me e anche della Messa in si
bemolle. Fra breve il conte Seeau ne parlerà all'elettore. Vorrei farmi
conoscere anche in questo genere[...]".
Il compositore voleva dunque mostrare al pubblico monacense anche la
sua abilità nel campo della musica sacra e il Kyrie K. 341 riesce
pienamente nel suo intento. La scrittura sinfonica rinuncia a qualsiasi
"rigore" chiesastico, la polifonia degli "antichi" lascia spazio ad una
solenne scrittura accordale e la tonalità di re minore pone un sigillo
metafisico che avvicina la composizione al Requiem. Coro e orchestra
(archi, flauti, oboi, clarinetti, corni, fagotti, trombe, timpani e organo)
sono due entità ben distinte, l'uno con un andamento omofonico che lo
rende rigoroso e robusto, l'altra con una scrittura ricca e piena di
sfumature cromatiche.
Il tema, affidato ai violini, ha un carattere assai malinconico, dovuto
anche alle appoggiature cromatiche ascendenti che, dalle prime battute,
dilagano in ogni angolo della partitura insinuandosi anche nella compatta

304
scrittura corale. Pur essendo rimasta una pagina isolata, il Kyrie K. 341
ha sempre affascinato il pubblico e gli studiosi.

ANTONIO PAPPANO

Val la pena riportare il commento come sempre attento e puntuale di uno


dei massimi studiosi mozartiani, Paumgartner, che affermava: "Il tono
grave e solenne, le sonorità da una 'unica' emozione artistica, danno a
quest'opera un posto eminente nella produzione liturgica del Maestro,
collocandola non lontano dal Requiem".

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 5 Novembre 2005, direttore
Antonio Pappano

305
AVE VERUM CORPUS
Mottetto in re maggiore per coro, archi ed organo, K 618

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


 Adagio (re maggiore)
Organico: coro misto, archi, organo
Composizione: Baden, 18 Giugno 1791
Prima esecuzione: Baden, Chiesa parrocchiale, 19 Giugno 1791
Edizione: Andrè, Offenbach 1808

L'Ave Verum Corpus K. 618 è un breve Mottetto per coro e


strumenti (archi e organo) scritto da Mozart nell'estate del 1791 - per
l'esattezza l'autografo reca la data del 17 giugno - a Baden, dove aveva
raggiunto la moglie Constanze impegnata nelle cure termali.
All'origine della composizione si pone un debito contratto con l'amico
Anton Stoll, che dirigeva il coro locale; per sdebitarsi Mozart dedicò
l'Ave Verum a Stoll, perché fosse eseguito nella chiesa parrocchiale di
Baden nel corso delle cerimonie celebrative dalla festa del Corpus
Domini.
Certamente l'importanza del brano si spinge molto oltre quello che le
esigue dimensioni lascerebbero supporre; infatti l'Ave Verum è una delle
pochissime composizioni di musica sacra che Mozart abbia scritto negli
ultimi anni di vita, insieme alla Messa in do minore K. 427/417a e al
Requiem K. 626 (partiture, queste rimaste entrambe incompiute).
Lo stile sacro dell'ultimo Mozart è ispirato alle riforme imposte
dall'imperatore Giuseppe II, per le quali la musica sacra doveva essere
sobria e di facile comprensione.
Così il Mottetto K. 618 si riallaccia alla grande tradizione italiana del
Mottetto polifonico, ma con una disadorna semplicità espressiva.

306
MYUNG-WHUN CHUNG

Troviamo nelle appena 46 battute di questo piccolo e preziosissimo


gioiello, una scrittura corale omofonica e attentissima al significato della
parola, una ricerca di timbri tersi e delicatamente sommessi.
Non mancano i tratti più complessi dell'arte del maestro, come la
modulazione al tono lontano di fa maggiore, o le entrate a canone nel
finale; ma questi tratti "dotti" sono quasi dissimulati e non contraddicono
l'assunto di immediatezza e semplicità che ha sempre incantato studiosi e
ascoltatori dalla prima pubblicazione dell'Ave Verum nel 1808, fino ai
giorni nostri.
Arrigo Quattrocchi

307
Testo

Ave, o vero corpo,


nato da Maria Vergine,
Ave verum Corpus che veramente patì e fu
natum de Maria Virgine, immolato
vere passum, immolatum sulla croce per l'uomo,
in cruce pro homine.
dal cui fianco squarciato
Cujus latus perforatum sgorgarono acqua e
unda fluxit et sanguine, sangue:
esto nobis praegustatum fa' che noi possiamo
in mortis examine. gustarti
nella prova suprema della
morte.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 15 novembre 1998,
direttore Myung-Whun Chung

308
CANTATE

DIE SCHULDIGKEIT DES ERSTEN GEBOTES


(L’OBBLIGO DEL PRIMO COMANDAMENTO)
Oratorio per tre soprani, due tenori e orchestra, K 35

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Libretto: Ignaz Anton Weiser

Personaggi:
 Gerechtigkeit (Giustizia) - soprano

 Christgeist (Spirito cristiano) - tenore


 Barmherzigkeit (Misericordia divina) - soprano
 Weltgeist (Spirito mondano) - tenore
Organico: 3 soprani, 2 tenori, 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni,
trombone contralto, archi
Composizione: Salisburgo, Dicembre 1766 - Marzo 1767
Prima esecuzione: Salisburgo, Sala dei Cavalieri del Palazzo
dell'Arcivescovado, 12 Maggio 1767

L’Oratorio completo comprendeva tre parti composte da Mozart: la


prima e la seconda da Michael Haydn e da Anton Cajetan Adlgasser la
terza, ma le ultime due sono andate perdute
Struttura musicale

1. Ouverture - Allegro (do maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi


Die loblich' und gerechte Bitte - Recitativo (Gerechtigkeit,
Christgeist, Barmherzigkeit)
2. Mit Jammer muss ich schauen - Aria (Christgeist) - Allegro (do
maggiore). Andante (fa maggiore). Allegro (do maggiore) - 2
corni, archi
So vieler Seelen Fall - Recitativo (Barmherzigkeit, Christgeist)

309
3. Ein ergrimmter Löwe brüllet - Aria (Barmherzigkeit) - Allegro (mi
bemolle maggiore). Andante (do minore). Allegro (mi bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Was glaubst du, wird man wohl - Recitativo (Barmherzigkeit,
Gerechtigkeit, Christgeist)
Wenn aus so vieler Tausend - Recitativo (Christgeist) - 2 oboi, 2
fagotti, 2 corni, archi
Sie können dich - Recitativo (Barmherzigkeit, Christgeist,
Gerechtigkeit)
4. Erwache, fauler Knecht - Aria (Gerechtigkeit) - Andante (la
maggiore). Allegro. Adagio (fa diesi minore). Allegro (re
maggiore). Andante (la maggiore) - archi
Er reget sich - Recitativo (Christgeist, Barmherzigkeit,
Gerechtigkeit)
Wie, wer erwecket mich? - Recitativo (Christgeist) - 2 fagotti, 2
corni, archi
Was Rechenschaft? - Recitativo (Weltgeist, Christgeist)
Erwache, fauler Knecht - Recitativo (Christgeist) - Allegro. Adagio
- trombone contralto, archi
Ich weiss nicht - Recitativo (Weltgeist)
5. Hat der Schöpfer dieses Leben - Aria (Weltgeist) - Allegro
grazioso (fa maggiore - si bemolle maggiore - fa maggiore) 2 oboi,
2 corni, archi
Dass Träume Träume sind - Recitativo (Christgeist) - archi
6. Jener Donnerworte Kraft - Aria (Christgeist) - Andante un poco
Adagio (mi bemolle maggiore - do minore - mi bemolle maggiore)
- trombone contralto, archi
Ist dieses, o so zweifle nimmermehr - Recitativo (Weltgeist,
Christgeist)
7. Schildre einen Philosophen - Aria (Weltgeist) - Allegro (sol
maggiore). Andante. Allegro - 2 flauti, 2 corni, archi
Wen hör' ich nun hier in der Nähe? - Recitativo (Weltgeist,
Christgeist)
8. Manches Übel will zuweilen - Aria (Christgeist) - Allegro (si
bemolle maggiore - sol minore - si bemolle maggiore) - 2 oboi, 2

310
fagotti, 2 corni, archi
Er hält mich einem Kraken gleich - Recitativo (Christgeist,
Weltgeist, Barmherzigkeit, Gerechtigkeit) - archi
9. Lasst mir euren Gnadenschein - Trio (Barmherzigkeit,
Gerechtigkeit, Christgeist) - Un poco Andante (re maggiore).
Andante grazioso (sol maggiore). Un poco Andante (re maggiore) -
2 oboi, 2 corni, archi

IGNAZ ANTON WEISER

311
Commento
La vicenda è ambientata in un ameno giardino vicino ad un bosco,
in un'epoca indefinita.
L'opera consiste di una sinfonia di apertura, sette arie corredate da
cadenza e colorature, diversi recitativi ed un terzetto finale.
Nella (complicata, considerata la profondità dell'argomento) allegoria
riprodotta dal dramma morale, come viene altrimenti definito, anche se il
termine corretto è geistliches Singspiel, si assiste ad un intenso
contraltare tra un aderente al Cristianesimo, la Giustizia, la Misericordia,
lo Spirito mondano e lo Spirito cristiano che discutono attorno alle
possibilità di salvezza dell'anima dei mortali.
Da segnalare in particolare l'aria Ein ergrimmter Löwe brüllet e l'assolo
di trombone nel numero Jener Donnerworte Kraft. Un'altra aria -
Manches Übel will zuweilen - verrà poi ripresa da Mozart per un'altra
sua opera, La finta semplice.

LA BETULIA LIBERATA
Oratorio sacro in due parti per soli,
coro ed orchestra, K1 118 (K6 74c)

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Libretto: Pietro Metastasio

Personaggi:
 Ozia (Ozias), governatore di Betulia (tenore)
 Giuditta (Judith), vedova di Manasse (contralto)
 Amital, nobildonna di Israele (soprano)
 Achior, principe degli ammoniti (basso)
 Cabri (Cabris) e Carmi, capi popolo (soprani)
 Betuliani (coro)

312
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Padova e Salisburgo: Marzo - Aprile 1771

PIETRO METASTASIO

Sinossi
Gli abitanti della città di Betulla sono soffocati dall'assedio da parte
di Oloferne. Giuditta, dopo aver accusato il popolo di pusillanimità,
preannuncia un misterioso evento in nome del quale chiede
raccoglimento e preghiera. Si inserisce l'episodio del nobile Achior,
vendicativamente inviato a Betulia da Oloferne, per «rovinarlo»
313
(citazioni dal libretto) insieme alla città: un brano di storia ebraica dalla
bocca di Achior, poi una singolare, accesa discussione (Cantata!) tra
Ozia e Achior sul contrasto fra politeismo e monoteismo. Quindi
Giuditta, «ornata con tanto studio», lascia la città accompagnata dallo
stupore del popolo-coro.
Nella seconda parte - dopo un'altra dissertazione di Achior sull'esistenza
di un solo Dio - rientra trionfalmente in scena Giuditta, padrona della
testa recisa di Oloferne; in un interminabile recitativo degno del miglior
esprit noir («Su l'empia cervice il colpo abbasso. Balzar mi sento il
teschio semivivo») Giuditta descrive l'uccisione dell'oppressore.
Chiudono l'Oratorio la conversione di Achior, la fuga degli Assiri in
seguito alla morte di Oloferne, e il canto di ringraziamento di Giuditta e
del popolo liberato.
Struttura musicale

1. Ouverture - Allegro (re minore). Andante. Presto - 2 oboi, 2


fagotti, 4 corni, 2 trombe
Parte I:
Popoli di Betulia - Recitativo (Ozia)
1. D'ogni colpa la colpa maggiore - Aria (Ozia) - Allegro aperto (si
bemolle maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
E in che sperar? - Recitativo (Cabri, Amital)
2. Ma qual virtu non cede - Aria (Cabri) - Moderato (sol minore) -
archi
Già le memorie antiche - Recitativo (Ozia, Cabri, Amital)
3. Non hai cor, se in mezzo a questi - Aria (Amital) - Allegro (mi
bemolle maggiore). Andante (do minore). Allegro (mi bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
E qual pace sperate - Recitativo (Ozia, Amital, Coro)
4. Pietà, se irato sei - Coro e preghiera (Ozia, Coro) - Adagio (do
minore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Chi è costei - Recitativo (Cabri, Amital, Ozia)
Che ascolto, Ozia! - Recitativo (Giuditta) - Andante. Allegro.
Andante - archi

314
5. Del pari infeconda - Aria (Giuditta) - Andante (fa maggiore) - 2
flauti, 2 corni, archi
Oh saggia, oh santa, oh eccelsa donna! - Recitativo (Ozia, Cabri,
Giuditta)
6. Pietà, se irato sei - Coro e preghiera (Ozia, Coro) - Adagio (do
minore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Signor, Carmi a te viene - Recitativo (Cabri, Amital, Ozia, Carmi,
Achior)
7. Terribile d'aspetto - Aria (Achior) - Allegro (do maggiore) - 2 oboi,
2 corni, 2 trombe, archi
Ti consola, Achior - Recitativo (Ozia, Cabri, Achior, Giuditta)
8. Parto inerme, e non pavento - Aria (Giuditta) - Allegro (sol
maggiore). Adagio. Allegro - 2 oboi, 2 corni, archi
9. Oh prodigio! oh stupor! - Coro (Coro) - Allegro (mi bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Parte II:
Troppo mal corrisponde - Recitativo (Achior, Ozia)
10. Se Dio veder tu vuoi - Aria (Ozia) - Andante (la maggiore) -
2 oboi, 2 corni, archi
Confuso io son - Recitativo (Achior, Ozia, Amital)
11. Quel nocchier, che in gran procella - Aria (Amital) - Allegro
(si bemolle maggiore). Andante (sol minore). Allegro (si bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 corni
Lungamente non dura - Recitativo (Ozia, Amital, Choeur, Cabri,
Giuditta, Achior)
Appena da Betulia partii - Recitativo (Giuditta, Amital, Ozia) -
archi
Oh prodigo! Oh portento! - Recitativo (Ozia, Cabri, Achior,
Giuditta, Amital)
12. Prigionier che fa ritorno - Aria (Giuditta) - Adagio (re
maggiore). Andante (sol maggiore). Adagio (re maggiore) - 2 oboi,
2 corni, archi
Giuditta, Ozia, popoli, amici - Recitativo (Achior)

315
13. Te solo adoro - Aria (Achior) - Andante (fa maggiore) - archi
Di tua vittoria un glorioso effetto - Recitativo (Ozia, Amital)
14. Con troppa rea viltà - Aria (Amital) - Andante (mi
maggiore). Adagio. Andante - archi
Quanta cura hai di noi - Recitativo (Cabri, Carmi, Ozia, Amital)
15. Quei moti, che senti - Aria (Carmi) - Allegro (fa minore) - 2
oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Segnansi, o Carmi, i fuggitivi - Recitativo (Ozia, Amital, Cabri,
Achior, Giuditta)
16. Lodi al gran Dio - Coro (Giuditta, Coro) - Andante (sol
maggiore). Allegro (re maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi

316
L’occasione per comporre la sua prima Opera seria (e dunque la
prima di notevole impegno) venne a Mozart dal Regio Ducal Teatro di
Milano, in seguito ai contatti che il compositore, accompagnato dal
padre, ebbe nel febbraio 1770 con una serie di influenti personaggi, tra
cui il conte Firmian e Giovanni Battista Sammartini. Il quattordicenne
salisburghese iniziò la partitura a Bologna il 29 settembre 1770, per
concluderla a Milano in tempo perché venisse allestita per
l’inaugurazione della stagione di carnevale, il 26 dicembre dello stesso
anno.
Il libretto, scritto originariamente da Vittorio Amedeo Cigna-Santi per la
musica di Quirino Gasparini (al Regio di Torino, nel 1767: per l’Opera
mozartiana venne nuovamente scritturato proprio il cast di
quell’allestimento), era stato tratto con inappuntabile abilità e
competenza, in base ai canoni del melodramma metastasiano, dalla
tragedia Mithridate (1673) di Racine, disponibile attraverso la traduzione
italiana di Giuseppe Parini. L’opera ottenne, come scrisse lo stesso Parini
su ‘La Gazzetta di Milano’, un caloroso successo, sancito da venti
repliche.
Al centro della vicenda è il conflitto tra Mitridate e i suoi due figli per la
mano di Aspasia, conflitto risolto con l’irrealistica conciliazione dei due
fratelli e la ‘redenzione’ finale del crudele tiranno.
La musica del giovane Mozart conferisce insolita intensità emotiva alla
rappresentazione degli affetti tipici dell’Opera seria (l’ira del re, la
disperazione delle vittime, l’infelicità degli amanti). L’energia e la
violenza che il compositore profonde in questi momenti è esaltata
dall’impiego frequentissimo del recitativo accompagnato (per ben sette
volte), voce dell’inquietudine perenne dei personaggi, che si risolve in
arie di varia struttura: incalzanti e convulse, come quella di Aspasia "Nel
sen mi palpita", o ambigue e tormentate nella loro stesura, come l’aria di
sortita di Mitridate "Se di lauri il crine adorno", passata attraverso
almeno quattro rielaborazioni successive.
Un ben diverso clima di serenità estatica è riscontrabile nelle arie del
secondo atto degli amanti Sifare (l’ampia "Lungi da te mio bene", con
un’evocativa parte di corno obbligato) e Aspasia ("Nel grave tormento");
a quest’ultima spetta anche la topica, drammatica cavatina
"Pallid’ombre" nella scena del veleno, mentre l’orchestra riceve il debito
317
tributo in pagine importanti, come l’elaborata marcia che accompagna lo
sbarco di Mitridate nel primo atto.
"Mozart, Signori il catalogo è questo", a cura di Amedeo Poggi e
Edgar Vallora,
edito da Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino 1991, pag. 113

DIE MAURERFREUDE, K 471


Cantata in mi bemolle maggiore per tenore, coro maschile ed
orchestra

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


1. Sehen, wie dem starren Forscherauge - aria per tenore e coro -
Allegro (mi bemolle maggiore)
2. Sehen, wie die Weisheit - recitativo per tenore
3. Nimm Geliebter diese Kron' - recitativo per tenore - Andante (sol
minore). Presto
4. Drum singet und jauchzet ihr Brüder - aria per tenore e coro -
Molto Allegro (mi bemolle maggiore)
Organico: tenore, coro maschile, 2 oboi, clarinetto, 2 corni, archi
Composizione: Vienna, 20 aprile 1785
Prima esecuzione: Vienna, Loggia "Zur gekrönten Hoffnung", 24 aprile
1785

Nel 1784 Mozart aderì con entusiasmo alla Massoneria, di cui


condivideva gli ideali illuminati e umanitari assai diffusi nella Vienna del
tempo.
Molte sue composizioni di quegli e degli anni successivi, fino al vertice
assoluto del Flauto magico, accolgono simbologie massoniche più o
meno velate; ma non mancano tuttavia brani (Lieder, Cantate, musiche
orchestrali) destinati espressamente a speciali occasioni o cerimonie della
vita dell'associazione.

318
La Cantata Die Maurerfreude ("La gioia massonica") è una di queste.
Essa fu composta a Vienna il 20 aprile 1785, in previsione della
cerimonia di conferimento del titolo di "Cavaliere dell'Impero" a Ignaz
von Born, guida spirituale della Massoneria viennese, per le sue scoperte
in campo scientifico: a ciò alludono i versi del testo di F. Petran, che
iniziano con le parole "Il vedere come la natura scopra il suo volto /
all'occhio del tenace ricercatore / questa è la delizia degli occhi dei
massoni".
La solenne funzione si tenne il 24 aprile presso la Loggia "Zur gekrönte
Hoffnung" ("La speranza coronata"), alla quale erano affiliati sia Mozart
sia suo padre Leopold.
La splendida pagina, che appoggia la voce del tenore su una
strumentazione delicata (archi, oboi, clarinetti, corni) nella tonalità
massonica per eccellenza di mi bemolle maggiore, mostra non solo tutta
la serietà e l'entusiasmo del musicista nei confronti degli omaggi
massonici, ma afferma anche un canto libero e personale all'interno del
rigore cerimoniale.
Sergio Sablich

Testo tratto dal programma di sala del Concerto del Teatro


dell'Opera di Roma, Roma, 7 giugno 2001

319
EINE KLEINE DEUTSCHE KANTATE
(UNA PICCOLA CANTATA TEDESCA)
Cantata massonica in do maggiore per soprano e pianoforte, K 619

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: Franz Heinrich Ziegenhagen
1. Introduzione - Andante maestoso (do maggiore) Die ihr des
unermesslichen - recitativo
2. Liebt mich in meinen Werken! - Andante (do maggiore)
3. Zerbrechet dieses Wahnes Bande! - Allegro (do maggiore)
4. Wähnt nicht, dass wahres Unglück - Andante (re minore)
5. Seid weise nur - Andante (re minore)
6. Dann ist's erreicht - Allegro (do maggiore)
Organico: soprano, pianoforte
Composizione: Vienna, 6 Luglio 1791
Edizione: in Beilage zu F. H. Ziegenhagen'a Lehre, Amburgo 1792

Questa Cantata è la sola scritta da Mozart con l'accompagnamento


del pianoforte, anche se si ha la notizia di una trascrizione per orchestra
andata perduta e in origine compresa in una raccolta di lavori di un
negoziante di cose musicali di Amburgo, di nome Ziegenhagen, che è
l'autore del testo. Il brano risale al luglio 1791 e venne conosciuto dopo
la morte di Mozart; in esso si esaltano le idee di Rousseau sul ritorno alla
natura, intesa come proiezione della divinità e come espressione
dell'ordine, dell'equilibrio e della solidarietà fra tutti gli uomini, contro i
mali che affliggono la società.
La composizione si apre con un Andante maestoso del pianoforte su un
ritmo di marcia; poi il soprano attacca un recitativo d'Opera, che sta ad
indicare la voce di Dio, mentre la musica assume un tono di dignità e di
nobiltà di sentimenti. Si passa ad un Allegro in la minore e di nuovo ad
un altro recitativo, che invita a credere nella ragione, portatrice della
verità nel mondo. Ancora un recitativo sulle parole della divinità: "Siate
saggi, forti e fieri... e i deserti della terra diventeranno un Eden".
320
MARGARET PRICE

321
La musica assume un carattere fermo e deciso e non mancano accenti dolci e persuasivi,
laddove si insiste sui valori morali della vita. L' Allegro sottolinea la stretta finale
in un clima di brillante e ottimistica fede nel futuro. Il clima espressivo
dell'intero pezzo ricorda le ultime scene della Clemenza di Tito e non va
dimenticato che nello stesso periodo Mozart era impegnato nella stesura
del Flauto magico K. 620, in cui è racchiuso, con ben più profondi esiti
musicali, il suo credo artistico e umano, proiettato in una sfera di alta
idealità morale e filosofica.

Testo

Recitative:
Recitativo:
Die ihr des unermeßlichen Weltalls
Voi che adorate il creatore
Schöpfer ehrt,
dell'immensurabile universo,
Jehova nennt ihn, oder Gott,
lo chiamiate Jehova, o Dio,
nennt Fu ihn, oder Brahma,
o Fu, o Brahma,
Hört! hört Worte aus der Posaune
ascoltate! Ascoltate parole dal
des Allherrschers!
trombone
Laut tönt durch Erden, Monde,
celeste dell'Onnipotente!
Sonnen
Forte risuona per terre, lune ed astri
ihr ewger Schall,
il suo suono eterno,
Hört Menschen, hört, Menschen, sie
ascoltatelo, uomini, anche voi!
auch ihr!

Andante
Andante Amatemi nelle mie opere,
Liebt mich in meinen Werken, amate l'ordine, la proporzione, la
Liebt Ordnung, Ebenmaß und consonanza!
Einklang! Amatevi, amate voi stessi e i vostri
Liebt euch selbst und eure Brüder! fratelli!
Körperkraft und Schönheit sei eure Forza fisica e bellezza siano i vostri
Zier, scopi,
Verstandeshelle euer Adel! chiarezza di comprensione la vostra
Reicht euch der ewgen Freundschaft nobiltà!
Bruderhand, Porgetevi la mano fraterna
Die nur ein Wahn, nie Wahrheit dell'eterna amicizia,
euch so lang entzog! che solo una follia, mai verità, potrà
mai allontanare!
322
Allegro
Zerbrechet dieses Wahnes Bande, Allegro
Zerreißet dieses Vorurteiles Spezzate questi vani legami,
Schleier, strappate questo velo del
Enthüllt euch vom Gewand, pregiudizio,
Das Menschheit in Sektiererei spogliatevi dalle vesti
verkleidet! che coprono l'umanità settaria!
Zu Sicheln schmiedet um das Eisen, In falci viene forgiato il ferro,
Das Menschen-, das Bruderblut che fin ora ha versato il sangue
bisher vergoß! degli uomini, dei fratelli!
Zersprenget Felsen mit dem Spezzate le rocce col nero bastone,
schwarzen Staube, che spesso spara piombo nel cuore
Der mordend Blei ins Bruderherz del fratello!
oft schnellte!

Andante
Wähnt nicht, daß wahres Unglück Andante
sei auf meiner Erde! Non abbiate lo stolto pensiero che la
Belehrung ist es nur, die wohltut, vera infelicità esista sulla mia terra!
Wenn sie euch zu bessern Taten E' solo l'insegnamento che fa bene,
spornt, se vi sprona ad azioni migliori,
Die Menschen, ihr in Unglück voi uomini, che errate nell'infelicità,
wandelt, quando dementi e ciechi andando
Wenn töricht blind ihr rückwärts in indietro trovate spine,
den Stachel schlagt, deve spingervi sempre avanti,
Der vorwärts, vorwärts euch avanti.
antreiben sollte.

Andante Andante
Seid weise nur, seid kraftvoll und Siate saggi, siate forti e siate
seid Brüder! fratelli!
Dann ruht auf euch mein ganzes Allora sia su voi tutto il mio favore,
Wohlgefallen, allora lacrime di gioia vi righeranno
Dann netzen Freudenzähren nur die le guance,
Wangen, allora i vostri lamenti diverranno
Dann werden eure Klagen canti di gioia,

323
Jubeltöne, allora i deserti si trasfromeranno per
Dann schaffet ihr zu Edens Tälern voi in valli paradisiache,
Wüsten, allora tutto riderà per voi nella
Dann lachet alles euch in der Natur, natura,

Allegro Allegro
Dann ist's erreicht, des Lebens allora sarà raggiunta la vera felicità
wahres Glück! della vita!

(Traduzione Amelia Maria


Imbarrato)

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 22 Febbraio 1985,
Margaret Price soprano, Geoffrey Parson pianoforte

ARIE, SCENE E CORI CON ORCHESTRA

NON CURO L'AFFETTO D'UN TIMIDO AMANTE


Aria in mi maggiore per soprano ed orchestra, K6 74b

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: Pietro Metastasio dal "Demofonte"
 Allegro (mi maggiore)\
Organico: soprano, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Milano, inizio 1771

Ancora da Demofoonte (I, 7) è tratto il testo dell'aria «Non curo


l'affetto» KV 74b presumibilmente scritta a Milano all'inizio del 1771 e
destinata a un'accademia nel teatro di Pavia. È un'«aria di sdegno» con la
quale Creusa, respinta da Timante, rinfaccia a Cherinto, che la ama,
l'indecisione nel correre a vendicare l'offesa subita. In linea con le
convenzioni e i codici retorici dell'Opera seria settecentesca, che

324
assegnano all'«aria di sdegno» una interpretazione musicale di impronta
virtuosistica, «Non curo l'affetto» comporta una scrittura vocale assai
impegnativa.
Nella parte principale, la disinvolta cantabilità della prima e della terza
intonazione del testo traduce il tono di scherno con cui Creusa si rivolge
a Cherinto; l'espressione dello sdegno in sé trova piuttosto sfogo nei
lunghi vocalizzi della seconda e nella quarta intonazione.
Nella parte secondaria, in minore e accompagnata dai soli archi,
l'incedere franto degli incisi e delle frasi sembra invece mirato a
rappresentare con derisione un terzo aspetto affettivo: l'indecisione e il
timore di Cherinto, «timido amante [...] che trema se deve / far uso del
brando».
Cesare Fertonani

Testo

«Non curo l'affetto


d'un timido amante,
che serba nel petto
sì poco valor;
che trema se deve
far uso del brando;
che audace è sol quando
si parla d'amor».

Testo tratto dallo speciale della rivista Amadeus, Ottobre 1995

325
MISERO ME... MISERO PARGOLETTO
Aria in mi bemolle maggiore per soprano ed orchestra, K1 77 (K6
73e)

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: Pietro Metastasio dal "Demofonte"
1. Misero me - recitativo - Andante. Allegro
2. Misero pargoletto - aria - Adagio (mi bemolle maggiore). Un poco
Allegro (do minore). Allegro (mi bemolle maggiore)
Organico: soprano, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Composizione: Milano, marzo 1770
Prima esecuzione: Milano, Palazzo Melzi, 12 marzo 1770

Come si accennava, la scena, su testo dal Demofoonte (III, 4 e 5) di


Metastasio, viene, composta a Milano nel marzo 1770. E forse la pagina
vocale più ambiziosa tra le arie singole scritte in Italia, anche perché vi
compare il primo grande recitativo accompagnato di Mozart.
Assai curato nella plastica intonazione testuale come nella flessibilità
della condotta musicale (prova ne siano i frequenti cambi di tempo),
dominata dalla scansione di un ritmo sincopato, il recitativo traduce con
un diagramma emotivo di progressiva intensità, articolato in tre parti, il
monologo di disperazione di Timante: questi crede infatti di aver
scoperto che Dircea, con la quale è segretamente sposato, è sua sorella.
La progressione drammatica sfocia nell'aria, dove il personaggio si
rivolge, con diversa disposizione d'animo, al figlioletto, quindi alla
moglie e al padre.
Qui il contrasto affettivo si rispecchia puntualmente nella realizzazione
musicale: alla morbida tenerezza cantabile della parte principale fa
riscontro la franta e convulsa drammaticità della parte secondaria,
accentuata da un radicale cambiamento di tempo (da Adagio a Un poco
allegro).
Cesare Fertonani

326
Testo

Misero me! Qual gelido torrente


mi mina sul cor! Qual nero aspetto
prende la sorte mia! Tante sventure
comprendo al fin. Perseguitava il cielo
un vietato imeneo. Le chiome in fronte
mi sento sollevar. Suocero, e padre
m'è dunque il re? Figlio, e nipote Olinto?
Dircea moglie, e germana? Ah qual funesta
confusion d'opposti nomi è questa!
Fuggi, fuggi Timante: agli occhi altrui
non esporti mai più. Ciascuno a dito
ti mostrerà. Del genitor cadente
tu sarai la vergogna: e quanto, oh Dio,
si parlerà di te! Tracia infelice,
ecco l'Edipo tuo. D'Argo, e di Tebe
le furie in me tu rinnovar vedrai.
Ah non t'avessi mai
conosciuta, Dircea! Moti del sangue
eran quei ch'io credevo
violenze d'amor. Che infausto giorno
fu quel che pria ti vidi! I nostri affetti
che orribili memorie
saran per noi! Che mostruoso oggetto
a me stesso io divengo! Odio la luce;
ogni aura mi spaventa; al piè tremante
parmi che manchi il suol; strider mi sento
cento folgori intorno; e leggo, oh Dio,
scolpito in ogni sasso il fallo mio.
Misero pargoletto,
il tuo destin non sai.
Ah, non gli dite mai,
qual era il genitor.
Come in un punto, oh Dio,
tutto cambiò d'aspetto!
Voi foste il mio diletto,
voi siete il mio terror.

327
Testo tratto dallo speciale della rivista Amadeus, Ottobre 1995

SE TUTTI I MALI MIEI


Aria in mi bemolle maggiore per soprano ed orchestra, K1 83 (K6
73p)

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: Pietro Metastasio dal "Demofonte"
 Adagio (mi bemolle maggiore).Allegretto (do minore).Adagio (mi
bemolle maggiore)
Organico: soprano, 2 oboi, 2 trombe, archi
Composizione: Roma, 25 Aprile 1770

Insieme con l'aria «Se ardire e speranza» KV 82 (73o), «Se tutti i


mali miei» KV83 (73p) risale al soggiorno romano di Mozart, nella
primavera del 1770.
Il testo è ancora tratto da Demofoonte (II, 6): condannata a morte per
essersi sposata in segreto con Timante, Dircea si rivolge a Creusa,
destinata dal re Demofoonte a sposare lo stesso Timante, cercando di
suscitare in lei compassione e proclamando la propria innocenza.
Si tratta, in sostanza, di una aria patetica.
L'interpretazione mozartiana appare ispirata da ammaliante
amorevolezza nella parte principale: una vellutata e malinconica
morbidezza connota le quattro successive intonazioni del testo, nelle
quali il semplice canto sillabico si avvicenda a una condotta poco più
fiorita e ad alcuni espressivi passaggi vocalizzati in prossimità delle
cadenze.
Assai più convenzionale e perfino antiquata risulta invece la parte
secondaria.
Cesare Fertonani

328
Testo

Se tutti i mali miei


io ti potessi dir,
divider ti farei
per tenerezza il cor.
In questo amaro passo
sì giusto è il mio martir,
che, se tu fossi un sasso,
ne piangeresti ancor.

Testo tratto dallo speciale della rivista Amadeus, ottobre 1995

FRA CENTO AFFANNI, K1 88 (K6 73C)


Aria per soprano ed orchestra

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: Pietro Metastasio dall’Artaserse
 Allegro maestoso (do maggiore - la minore - do maggiore)
Organico: soprano, 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, archi
Composizione: Milano, febbraio 1770
Prima esecuzione: Milano, palazzo del conte Firmian, 12 marzo 1770

L'aria «Fra cento affanni» KV 88 (73c) viene composta a Milano


nel 1770. Il testo è tratto da Artaserse (I, 2): Arbace, destinato ad attirare
su di sé il sospetto del regicidio commesso dal padre Artabano, è sul
punto di ruggire, e nel suo animo si agitano disperazione, timore,
angoscia, dolore.
Situazione drammaturgica e testo richiedono un'«aria di smanie», il cui
codice retorico Mozart dimostra di padroneggiare con assoluta precisione
scrivendo una grande aria eroica, di altissimo coefficiente virtuosistico.
L'attacco dell'introduzione-ritornello orchestrale, derivato dalla prima e
della terza intonazione del testo («Fra cento affanni e cento»), costituisce
in certo senso la sigla dell'intera aria: la frase s'interrompe subito, resta
sospesa nell'aria, separata com'è dal prosieguo del periodo da una
329
fermata, a rappresentare la piena emotiva del personaggio, quasi incapace
di dare un seguito all'esclamazione iniziale.
Ed è inoltre significativo che il periodo orchestrale denominato «x»,
dall'incedere affannoso sia sotteso non soltanto a tutte e quattro le
intonazioni del testo della parte principale, ma ricompaia anche nel corso
di quella secondaria, uniformata nell'individuazione affettiva come nella
qualità di scrittura alla parte principale.
L'altro periodo dell'introduzione, qui definito «y», viene invece
impiegato per i soli ritornelli orchestrali.
Lo stile vocale si divide tra un robusto declamato, ricco di ampi salti
melodici e la diffusa coloratura dei passaggi vocalizzati, presenti in ogni
sezione della parte principale.
Cesare Fertonani

Testo

«Fra cento affanni e cento


palpiti, tremo e sento
che freddo dalle vene
fugge il mio sangue al cor.
Prevedo del mio bene
il barbaro martiro,
e la virtù sospiro,
che perde il genitor».

Testo tratto dallo speciale della rivista Amadeus, ottobre 1995

330
VOI AVETE UN COR FEDELE, K 217
Aria in sol maggiore per soprano ed orchestra

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: Carlo Goldoni
 Andantino grazioso (sol maggiore). Allegro (re maggiore).
Andantino grazioso (sol maggiore). Allegro
Organico: soprano, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, 26 ottobre 1775

"Voi avete un cor fedele", non è preceduto dal recitativo e si svolge


secondo una precisa linea melodica, prima delicatamente affettuosa e poi
più rapida e vivace, in perfetta aderenza allo spirito del testo. "Voi avete
un cor fedele" fu scritta nell'ottobre del 1775, servendosi di versi
goldoniani: Dorina riconosce l'ardore appassionato del suo pretendente,
ma non crede molto alla costanza e alla continuità del suo amore.
Il linguaggio dapprima dolce e suadente diventa più vivace e pungente,
caratterizzato da una cascata di vocalizzi, tale da riconoscere in filigrana
il profilo musicale della Despina di Così fan tutte.
Ennio Melchiorre

Testo

Voi avete un cor fedele


come amante appassionato,
ma mio sposo dichiarato,
che farete? Cangerete?
Dite, allora, che sarà?
Mantenete fedeltà?
Ah, non credo! Già prevedo,
mi potreste corbellar,
non ancora, non per ora,
non mi vuò di voi fidar.

331
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 9 maggio 1992

CARLO GOLDONI

332
AH, LO PREVIDI! AH, T'INVOLA AGL'OCCHI MIEI, K 272
Recitativo, aria e cavatina in do minore per soprano ed orchestra

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: Vittorio Amedeo Cigna-Santi
1. Ah, lo previdi! - recitativo - Allego risoluto (la minore)
2. Ah, t'invola agl' occhi miei - aria - Allegro (do minore). Adagio
3. Deh, non varcar - cavatina - Andantino (si bemolle maggiore).
Allegro
Organico: soprano, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, agosto 1777
Prima esecuzione: Salisburgo, Tanzmeistersaal, 15 agosto 1777

Di maggiore consistenza lirica, sotto il profilo della qualità


espressiva, è l'aria da concerto "Ah, lo previdi! Ah. t'invola agl'occhi
miei'', composta nell'agosto 1777 per il giovanissimo soprano Josepha
Duschek.
Vi si sente il Mozart delle grandi Opere future, in cui quello che conta
maggiormente è l'aderenza della frase musicale alla fisionomia del
personaggio da rappresentare.
Non per nulla lo stesso Mozart, in una lettera inviata al soprano Aloysia
Weber, che canterà l'anno successivo lo stesso pezzo in concerto, le
raccomanda «l'espressione, di riflettere bene al senso e alla forza delle
parole, di mettersi con serietà nello stato e nella situazione di Andromeda
e di figurarsi di essere quella stessa persona».
Dopo un recitativo dagli accenti vigorosi e ben marcati nel ritmo,
specialmente nel verso "Va, crudele! Va, spieiato!" subentra all'inizio
timidamente e poi in tutto il suo splendore e profumo melodico una
finissima aria di inconfondibile sapore mozartiano (Deh, non varcar
quell'onda) accompagnata dalle armonie pastosamente morbide
dell'oboe.
Ennio Melchiorre

333
Testo

ANDROMEDA

Ah, lo previdi !
Povero Prence, con quel ferro istesso
che me salvò, ti lacerasti il petto.

(ad Eristeo)
Ma tu si fiero scempio perché non impedir?

Come, o crudele, d'un misero a pietà non


ti movesti?
Qual tigre, qual tigre ti nodrì?
Dove, dove, dove nascesti?
Ah, t'invola agli occhi miei!

Ah, t'invola agl'occhi miei,


alma vile, ingrato cor!
La cagione, oh Dio, tu sei
del mio barbaro, barbaro dolor.
Va, crudele! Va, spietato!
Va, tra le fiere ad abitar.
(Eristeo parte)

Misera! Misera! Invan m'adiro,


e nel suo sangue intanto
nuota già l'idol mio.
Con quell'acciaio, ah Perseo, che facesti?
Mi salvasti poc'anzi, or m'uccidesti.

Col sangue, ahi, la bell'alma,


ecco, già uscì dallo squarciato seno.
Me infelice!
Si oscura il giorno agli occhi miei,
e nel barbaro affanno il cor vien meno.
Ah, non partir, ombra diletta,
io voglio unirmi a te.
334
Sul grado estremo,
intanto che m'uccide il dolor,
intanto fermati, fermati alquanto!

Deh, non varcar quell'onda,


anima del cor mio.
Di Lete all'altra sponda,
ombra, compagna anch'io
voglio venir, venir con te!

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 9 maggio 1992

BASTA, VINCESTI... AH! NON LASCIARMI, NO, K6 295A


Recitativo ed aria in mi bemolle maggiore per soprano ed orchestra

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: Pietro Metastasio dalla "Didone abbandonata"
1. Basta, vincesti; eccoti il foglio - recitativo - Andantino (mi bemolle
maggiore). Allegretto
2. Ah non lasciarmi, no bell' idol mio - aria - Andantino espressivo
(mi bemolle maggiore)
Organico: soprano, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Composizione: Mannheim, 27 febbraio 1778

Scritta per il soprano Dorothea Spurni Wendling

Mozart ha lasciato un cospicuo patrimonio in tutti i generi musicali


e un posto importante occupa la sua produzione di musica vocale,
comprendente arie da concerto, Lieder di gusto popolaresco, duetti,
terzetti, quartetti, cori, pezzi sacri e Opere. Egli non ha mai violentato in
senso strumentale la voce umana, neppure nelle più audaci coloriture,
dimostrando in tal modo il suo rispetto per le regole del canto. E' vero
che in alcune pagine vocali non mancano difficoltà tecniche, ma esse

335
sono strettamente collegate alla bravura del cantante o della cantante per
cui erano scritte.
Delle sue 57 Arie in stile concertante 33 sono per soprano, una per
soprano e tenore, 12 per tenore, una per due tenori, una per contralto e 5
per basso. I brani utilizzano in gran parte testi italiani, eccetto 2 arie per
soprano (K. 383 e K. 580), una per basso (K. 433), una per tenore (K.
435) e l'aria per due tenori (K. 389). Da ciò si deduce che Mozart aveva
una predilezione per la voce di soprano, tanto è vero che molti pezzi di
questo tipo furono scritti per cantanti, quali Aloysia Weber, Josepha
Duschek, Nancy Storace ed Henriette Baranius. Nella stessa musica
vocale sacra affiora questa preferenza; anche quando contralto, tenore e
basso sono aggiunti come voci solistiche, la parte del soprano è più ricca,
se non raddoppiata, come ad esempio nella Messa in do minore K. 427.
Esempio del gusto vocalistico mozartiano è la pagina scritta su testo di
Metastasio, il poeta più rappresentativo del melodramma settecentesco.
Si compone di recitativo e aria: «Basta vincesti, eccoti il foglio»
(recitativo) «...Ah, non lasciarmi, no» (aria) utilizza versi della Didone
abbandonata ed è scritta per soprano, due flauti, due fagotti, due corni e
archi (reca la data del 27 febbraio 1778, Mannheim). La caratteristica
musicale della due composizione è data dalla freschezza e dalla
semplicità dell'invenzione melodica, come espressione di un sentimento
affettuosamente amoroso, in linea con il neo-classicismo della poesia
metastasiana. Il Recitativo e Aria K. 486a è articolato in un Andantino,
un Allegretto e un Andantino espressivo, con ritorno al primo tempo
(Allegretto).
Testo

Basta, vincesti, eccoti il foglio.


Vedi quanto t'adoro ancora ingrato.
Con un tuo sguardo solo mi togli ogni difesa
e mi disarmi, ed hai cor di tradirmi e poi lasciarmi?

Ah non lasciarmi, no, bell'idol mio,


di chi mi fiderò, se tu m'inganni?
Ah non lasciarmi, no, ah no, non lasciarmi,
di chi mi fiderò se tu m'inganni?

336
Di vita mancherei nel dirti addio,
che viver non potrei fra tanti affanni!

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 3 giugno 1983

POPOLI DI TESSAGLIA...
IO NON CHIEDO, ETERNI DEI, K1 316 (K6 300B)
Recitativo ed aria in do maggiore per soprano ed orchestra

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: Ranieri de'Calzabighi
1. Popoli di Tessaglia - recitativo - Andantino sostenuto e languido
(do minore)
2. Io non chiedo, eterni Dei - aria - Andantino sostenuto e cantabile
(do maggiore). Allegro assai
Organico: soprano, oboe, fagotto, 2 corni, archi
Composizione: Parigi - Monaco, marzo - giugno 1778 e 8 gennaio 1779
Scritto per il soprano Aloysia Weber-Lange

Aria sostitutiva per l'Opera Alceste di Christoph Willibald Gluck

Il catalogo di Mozart comprende un numero singolarmente alto di


arie isolate: oltre cinquanta, in un arco temporale che abbraccia tutta la
vita del compositore. Quasi tutte sono su testo italiano e rispondono
fondamentalmente a due tipi: l'aria da concerto e l'aria sostitutiva. Non
che questi due tipi di aria sortissero, nell'insieme, dei risultati
radicalmente differenti sotto il profilo musicale; diversi erano però i
contesti produttivi entro cui si sviluppavano le differenti tipologie.
L'aria da concerto veniva scritta in genere dietro commissione diretta di
qualche cantante, per essere eseguita all'interno di una "accademia",
nome che veniva dato ai lunghissimi concerti che, secondo l'uso
dell'epoca, alternavano diversi esecutori e diversi generi compositivi. La

337
presenza di qualche importante solista di canto era frequente, ed è ovvio
che il virtuoso dovesse figurare al meglio delle sue possibilità, mettendo
in mostra tutte le risorse della propria tecnica.
RANIERI DE'CALZABIGHI

Più complessa la nascita delle arie sostitutive, di origine teatrale, legate a


un sistema produttivo incentrato principalmente sulla figura del cantante.
Il passaggio di un'Opera da una piazza teatrale a un'altra comportava il
suo adattamento alla situazione contingente, alle nuove esigenze di una
differente compagnia di canto. Senza la piena affermazione dei cantanti
disponibili nella compagnia il successo dell'Opera non era assicurato, con
disdoro degli artisti e dell'impresario che lautamente li remunerava.
Da qui nasceva la prassi - considerata all'epoca del tutto legittima, con
buona pace dei sempre vigili cultori dell'unità dell'opera d'arte - di
inserire all'interno di un'Opera vecchia un'aria nuova, confezionata su
misura per il virtuoso disponibile sulla piazza. Lo stesso Mozart si

338
adeguò in più occasioni disciplinatamente a tale prassi, ad esempio per il
Don Giovanni, Opera che, nata a Praga nel 1787, venne arricchita l'anno
seguente a Vienna di nuove pagine: l'aria «Dalla sua pace» e il duetto
«Per quelle tue manine» che compensavano gli interpreti di Don Ottavio
e Leporello della soppressione delle arie «Il mio tesoro» e «Ah pietà
signori miei» (venne aggiunta inoltre l'aria «Mi tradì quell'alma ingrata»
per Elvira).
In mancanza dell'autore della vecchia Opera nella nuova città, a operare
gli indispensabili aggiustamenti provvedeva qualche compositore locale;
il quale era ovviamente tenuto in primo luogo a venire incontro a tutte le
esigenze ed i capricci dei nuovi virtuosi. Mozart non disdegnò in più
occasioni di fornire nuova musica per Opere di compositori di moda,
allora più rinomati di lui, come Cimarosa, Paisiello, Pasquale Anfossi,
Vicente Martin y Soler. Difficile valutare se il compositore si sia sforzato
in queste occasioni di rientrare appieno nel contesto drammatico
dell'Opera; certamente le pagine pensate come "sostitutive" non
differiscono molto nell'impostazione dalle arie da concerto; in entrambi i
casi l'obiettivo era quello di valorizzare al massimo i mezzi vocali, il
gusto, le propensioni del cantante destinatario.
Delle tre arie le prime due - «Popoli di Tessaglia», - «Io non chiedo
eterni Dei» K. 316/300b; e «Mia speranza adorata», «Ah non sai qual
pena» K. 416 - nacquero come arie da concerto, mentre la terza - «Vorrei
spiegarvi, oh Dio» K. 418 - nacque invece come aria sostitutiva. Tutti e
tre i brani furono pensati però "su misura" per i mezzi straordinari di una
virtuosa che giocò un ruolo non episodico nella vita personale e
professionale del compositore, Aloysia Weber, poi maritata Lange.
Mozart conobbe Aloysia sul finire del 1777 a Mannheim, prima
importante \tappa del lungo viaggio che avrebbe portato il compositore
ventiduenne a Parigi. Figlia di un copista di musica, Aloysia aveva sedici
anni ed era già una cantante perfettamente formata. Fra i due sbocciò
una passione, sembra, ricambiata; Mozart decise di portare Aloysia in
Italia per farla diventare una prima donna e scrisse questa sua intenzione
al padre, rimasto a Salisburgo, causandone le ire. L'autorità paterna ebbe
la meglio e il giovane parti per Parigi sotto il controllo della madre.
Di ritorno dalla deludente - per i risultati professionali - e dolorosa - per
la morte della madre - esperienza parigina, Mozart si fermò a Monaco nel
339
dicembre 1778, per ritrovare Aloysia; ma la virtuosa aveva ormai altre
ambizioni, e trattò con sostanziale freddezza quello spasimante che non
era in grado di garantirle una adeguata carriera.

ALOYSIA WEBER-LANGE

340
Aloysia sposò nel 1780 un attore della corte viennese, Joseph Lange, e
divenne una autentica star della capitale dell'impero; Mozart sposò
invece la sorella di Aloysia, Constanze; logico che i rapporti con quella
che era nel frattempo divenuta sua cognata avessero frequenti risvolti
professionali.
Tutte queste vicende sono, d'altronde, notissime; e non varrebbe la pena
di ricordarle se non aiutassero a spiegare la nascita delle tre arie K. 316,
416 e 418.
L'aria «Popoli di Tessaglia», «Io non chiedo», scritta sul testo che
Ranieri de' Calzabigi aveva steso per l'Alceste di Gluck (la situazione è
quella dell'eroina che aggiorna il popolo sulle disperate condizioni dello
sposo Admeto), fu scritta da Mozart a Parigi, nel periodo intercorso fra
l'incontro con Aloysia e la disillusione; sebbene l'autografo rechi la data
dell'8 gennaio 1779, è verosimile che l'aria fosse pressoché definita nelle
sue linee generali quando Mozart giunse a Monaco, un paio di settimane
prima.
Si trattava infatti di un vero e proprio dono di fidanzamento ad Aloysia,
preannunciato in una lettera del 30 luglio 1778 in cui il compositore si
rivolge alla virtuosa in lingua italiana, la lingua che usava per le
occasioni più elette e preziose: «[...] e con quella occasione avrà anche il
Popolo di Tessaglia, ch'è già mezzo Terminato - se lei ne sarà si contenta
- comme lo son io - potrò chiamarmi felice. - intanto, sinché avrò la
soddisfazione di sapere di lei stessa l'incontro che avrà avuta questa
scena appresso di lei s'intende, perché siccome l'ho fatta solamente per
lei - così non desidero altra Lode che la sua; intanto dunque non posso
dir altro, che, tra le mie composizioni di questo genere - devo confessare
che questa scena è la migliore ch'ho fatto in vita mia».
Giudizio impegnativo, questo, ma nell'insieme condivisibile anche
tenendo presenti le successive arie da concerto del compositore. Già
l'introduzione strumentale, un Andantino sostenuto e languido, crea una
ambientazione concentrata e dolorosa con pochissimi dettagli; e tutto il
recitativo procede attraverso sofferte trascolorazioni. Segue un
Andantino sostenuto e cantabile impreziosito dal rilievo di oboe e
fagotto, che presto intrecciano le loro linee con i teneri gorgheggi del
soprano, in uno scambio continuo di ruoli. Si arriva così all'Allegro assai,
dove il virtuosismo diventa espressione della disperazione dell'eroina; la
341
voce del soprano viene impegnata in lunghe tenute di fiato e rapidissime
terzine, e viene spinta fino all'altezza del sol sovracuto.
Ciò che rende davvero magistrale questa scena e aria nel suo insieme è la
perfetta valorizzazione di tutti i diversi aspetti dell'arte della cantante, da
quello elegiaco a quello virtuosistico, ma in assoluta coincidenza con le
diverse situazioni drammatiche proposte dal testo poetico, in modo che
l'intera scena si sviluppi attraverso una lievitazione espressiva.

Testo

ALCESTE

Popoli di Tessaglia! Ah, mai più giusto


fu il vostro pianto, a voi non men che a questi
innocenti fanciulli
Admeto è padre. Io perdo
l'amato sposo, e voi l'amato re; la nostra
sola speranza il nostro amor c'invola
questo fato crudel.

Né so chi prima in si grave sciagura


a compianger m'appigli
del regno, di me stessa, o de' miei figli.
La pietà degli Dei sola ci resta
a implorare, a ottener.
Verrò compagna alle vostre preghiere,
ai vostri sacrifizi; avanti all'ara
una misera madre,
due bambini infelici,
tutto un popolo in pianto
presenterò così. Forse con questo
spettacolo funesto, in cui dolente
gli affetti, i voti suoi dichiara un regno,
placato alfin sarà del ciel lo sdegno.
Io non chiedo, eterni Dei,
tutto il ciel per me sereno,

342
ma il mio duol consoli almeno
qualche raggio di pietà.

Non comprende i mali miei,


né il terror che m'empie il petto,
chi di moglie il vivo affetto,
chi di madre il cor non ha.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 23 febbraio 1997

MIA SPERANZA ADORATA...


AH, NON SAI, QUAL PENA, K 416
Recitativo ed aria in si bemolle maggiore per soprano ed orchestra

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: Abate Gaetano Sertor
1. Mia speranza adorata - recitativo - Andante (sol minore). Adagio.
Allegretto. Andante. Allegro assai. Adagio
2. Ah, non sai, qual pena - rondò - Andante sostenuto (si bemolle
maggiore). Allegro assai
Organico: soprano, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Composizione: Vienna, 8 gennaio 1783
Prima esecuzione: Vienna, Burgtheater, 11 gennaio 1783
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1805

Scritta per il soprano Aloysia Weber-Lange

Aria sostitutiva per l'Opera Zemira di Pasquale Anfossi

La scena e aria «Mia speranza adorata - Ah non sai qual pena sia» -
è su testo di Gaetano Sertor, scritto in origine per la Zemira di Anfiossi;
la situazione è quella dell'eroe Gandarte che si separa dalla sua sposa.

343
ALOYSIA WEBER-LANGE

Mozart terminò quest'aria il 19 gennaio 1783 perché Aloysia la potesse


cantare, tre giorni più tardi, in una grande accademia presso il
Mehlmarkt, il nuovo mercato. Aloysia la cantò ancora il 23 marzo in una
accademia organizzata da Mozart al Burgtheater, e poi l'11 novembre
1795, in un concerto organizzato dalla sorella Constanze, ormai vedova,
per raccogliere fondi.
344
Dopo un variato recitativo, formalmente ci troviamo di fronte a un rondò,
in cui il tenero motivo iniziale - che funge da refrain - viene riproposto
ogni volta con crescenti difficoltà tecniche (fino a toccare il fa
sovracuto), ed alternato a diverse situazioni espressive; l'Allegro assai
che conclude l'aria viene ancora interrotto dal motivo del refrain; è qui
soprattutto che troviamo la voce del soprano impegnata nel cimento
virtuosistico, ma l'aria finisce poi con semplicità e in pianissimo,
rifuggendo da troppo facili concessioni plateali.

Testo

GENDARTE

Mia speranza adorata!


Ah troppo è a noi l'ira del ciel funesta!
L'ultima volta è questa
ch'io ti stringo al mio seno! Anima mia,
io più non ti vedrò. Deh tu l'assisti,
tu per me la consoli. Addio Zemira,
ricordati di me! Senti... che vedo,
tu piangi, o mio tesoro! Oh, quanto accresce
quel pianto il mio martir
Chi provò mai stato peggior del mio!
Addio per sempre, amata sposa, addio!
Ah, non sai qual pena sia
il doverti, oh Dio, lasciar;
ma quel pianto, anima mia,
fa più grave il mio penar.

Deh, mi lascia! Oh fier momento!


Cara sposa! Ah, ch'io mi sento
per l'affanno il cor mancar.

A quai barbare vicende


mi serbaste, avversi Dei
Dite voi, se i casi miei
non son degni di pietà!

345
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 23 febbraio 1997

VORREI SPIEGARVI, OH DIO


Aria in la maggiore per soprano ed orchestra, K 418

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: autore ignoto
1. Vorrei spiegarvi, oh Dio - aria - Adagio (la maggiore)
2. Ah conte, partite - aria - Allegro (la maggiore)
Organico: soprano, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Composizione: Vienna, 20 Giugno 1783
Prima esecuzione: Vienna, Burgtheater, 30 Giugno 1783

Aria sostitutiva per l'Opera "Il curioso indiscreto" di Pasquale Anfossi


Vedi al n. K 178 la seconda versione

Per l'allestimento viennese del dramma giocoso per musica Il


curioso indiscreto di Pasquale Anfossi, Mozart rimusicò alcune Arie per
il tenore Valentin Adamberger e per la cognata Aloysia. È noto quale
particolare, intimo rapporto avesse Mozart con Aloysia, conosciuta a
Mannheim nel 1778, e quanto ne apprezzasse le non comuni doti di
interprete: per lei aveva scritto Arie da concerto quali Non so donde
viene K. 294 e Popoli di Tessaglia K. 316, con il proposito di insegnarle
lo stile di canto della scuola italiana. Riguardo l'esito della première
dell'Opera di Anfossi al Burgtheater (30 giugno 1783) è lo stesso Mozart
a riferire al padre nella lettera del 2 luglio:
"nulla è piaciuto, al di fuori delle mie due Arie, la seconda delle quali,
un'Aria di bravura, dovette essere ripetuta. Deve ora sapere che i miei
nemici sono stati così maligni da diffondere già in anticipo la voce:
Mozart vuol correggere l'opera di Anfossi. Io son venuto a saperlo. Ho
fatto dire allora al conte Rosenberg [sovrintendente del teatro] che non
avrei consegnato le Arie, se sul libretto non si fosse stampato in tedesco
e in italiano il seguente avvertimento: “le due arie a carta 36 e carta

346
102 sono state messa in musica dal Sig.r Maestro Mozart, per
compiacere la Sig.ra Lange, non essendo quelle state scritte dal Sig.
Maestro Anfossi secondo la di lei abilità, ma per altro soggetto. Questo
si vuole far noto perché ne vada l'onore a chi conviene, senza che
rimanga in alcuna parte pregiudicata la riputazione e la fama del già
molto cognito Napoletano".

PASQUALE ANFOSSI

347
Adamberger per convincerlo a non eseguire l'Aria per lui composta -
testimoniano le difficoltà incontrate da Mozart nel proporsi a Vienna
come autore d'Opera, obiettivo perseguito con tenacia fino all'incontro
con Da Ponte - quasi tre anni più tardi -, attraverso una serie di tentativi
rappresentati da Opere mai portate a termine quali L'oca del Cairo K.
422, Lo sposo deluso K. 430, o rimaste allo stato di abbozzo, come il
Terzetto Del gran regno delle Amazzoni K. 434, e infine dagli interventi
in Opere di altri compositori quali il Quartetto K. 479 e il Terzetto K.
480 per La villanetta rapita di Francesco Bianchi o le Arie K. 418, K.
419 e K. 420 per Il curioso indiscreto di Anfossi: preziose occasioni per
mettersi in luce in un repertorio considerato appannaggio esclusivo degli
italiani.
Questi interventi mozartiani, generalmente inclusi tra le Arie da concerto
- quindi decontestualizzati -, vanno invece necessariamente rapportati
all'Opera cui erano originariamente destinati.
Il curioso indiscreto era stata rappresentata con successo nell'agosto
1778 all'Académie Royale de Musique di Parigi: è l'unico lavoro di
Anfossi cui Mozart sicuramente assistette nei mesi del suo soggiorno
nella capitale francese, e che l'argomento su cui è imperniata l'Opera
avesse colpito l'immaginazione di Mozart trova conferma nella
corrispondenza di situazioni che accomunano questo dramma giocoso a
Così fan tutte.
Le due Arie sostituite con più frequenza nei numerosi allestimenti in città
italiane che precedono quello viennese sono quelle di Clorinda nella
sesta scena del primo atto e quella del Contino di Ripaverde nella quarta
scena del secondo atto: si tratta di Ah spiegarti o Dio vorrei e Per pietà
non ricercate, cioè proprio le Arie che Mozart rimusicherà a Vienna per
la cognata Aloysia e per Adamberger; questi interventi mozartiani si
collocano dunque nei "punti deboli" dell'Opera di Anfossi, già
evidenziati dalle sostituzioni avvenute nei precedenti allestimenti.
Nel giugno del 1783 Mozart aveva posto in musica in forma di Lied per
canto e pianoforte (Ah, spiegarti o Dio vorrei K. 178) le prime due
quartine del testo originale dell'Aria di Clorinda, quello utilizzato da
Anfossi. Il Lied rappresenta probabilmente un primo tentativo,
abbandonato poi per la nuova versione del tutto differente, la bellissima
Aria Vorrei spiegarvi o Dio! K. 418, cui sono state apportate
348
significative modifiche testuali. L'Aria conclude la scena in cui Clorinda,
soggiogata dalle avances del Contino, è intimamente combattuta tra il
trasporto che prova per lui e il senso del dovere che l'induce a
respingerlo. Mozart ha ritenuto il testo originale non adeguato a rendere
la situazione che si intendeva esprimere: un amore che si vorrebbe
dichiarare ma che si è costretti a tacere.
MYUNG-WHUN CHUNG

Le modifiche apportate al testo sono infatti di ordine linguistico-


lessicale, oltre che metrico, e comportano un cambiamento a livello
drammatico attraverso un'intensificazione dei sentimenti espressi: il
generico "Quel desio che il cor m'affanna" diviene "Qual è l'affanno
mio", una più intima pena d'amore; "Del suo barbaro rigore/ Conte mio
non ti lagnar", dal tono colloquiale, è mutato in "E fa che cruda io
sembri/ Un barbaro dover", in cui l'accento cade sul conflitto interiore
della protagonista.
Non si tratta dunque di una semplice parafrasi: si è qui in presenza di
un'operazione qualitativamente più complessa, in cui si avverte

349
distintamente la presenza dietro le quinte di un Mozart grande uomo di
teatro.
Apre il brano l'Adagio, con un'introduzione orchestrale di undici battute,
in cui sul pizzicato "con sordino" degli archi e i lunghi accordi tenuti dei
fagotti e dei corni, si distendono i nostalgici accenti dell'oboe primo, che
espone la melodia, di limpida bellezza, ripresa dall'entrata del soprano.
È sulla parola "affanno", ripetuta per tre volte, che si ha il primo
crescendo emotivo; l'acme espressivo giunge sulla parola "piangere",
dove si fa più serrato il dialogo imitativo tra la voce umana e quella
dell'oboe, quasi quest'ultimo esprimesse la voce più intima, non legata
alla parola, dell'animo diviso della protagonista.
Conclusasi l'esposizione sulla dominante inizia una sezione modulante
costruita sulla seconda quartina di versi, caratterizzata da salti più arditi
quali la decima discendente sull'aggettivo "cruda".
Segue la ripresa variata della prima parte, dove una diversa
armonizzazione degli archi dà una sfumatura più tenera a questo inciso.
Quando si arriva nuovamente alla parola "piangere", vero nucleo
emotivo di tutto il brano, ci sorprende un lungo do naturale, improvvisa
virata nel modo minore, da cui parte quasi un lamento straziante - ripreso
dall'oboe - che ascende per piccoli incisi fino a tramutarsi in un grido
disumano sul mi sovracuto, dall'effetto quasi strumentale, per poi
precipitare, risalire, discendere ancora fino alla sospensione sulla
dominante: qui, con un repentino cambio di carattere, attacca l'Allegro,
costruito sulla seconda parte del testo, per brevi incisi, sul palpitante
fremito in crome degli archi.
Segue l'indicazione più allegro: comincia la scintillante coda conclusiva,
con le uniche concessioni al virtuosismo vocale, di grande effetto
specialmente negli arditissimi cambi improvvisi di registro dovuti agli
ampi salti melodici.
Federico Pirani

350
Testo

Vorrei spiegarvi, oh Dio!


qual è l'affanno mio;
ma mi condanna il fato
a piangere e tacer.

Arder non può il mio core


per chi vorrebbe amore,
e fa che cruda io sembri
un barbaro dover.

Ah conte, partite,
correte, fuggite,
lontano da me.
La vostra diletta
Emilia v'aspetta;
languir non la fate,
è degna d'amor.
Ah stelle spietate!
Nemiche mi siete.
Mi perdo s'ei resta.
Partite, correte,
D'amor non parlate,
è vostro il suo cor.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 10 febbraio 2002,
direttore Myung-Whun Chung

351
MÄNNER SUCHEN STETS ZU NASCHEN, K1 433 (K6 416C)
Aria in fa maggiore per basso ed orchestra

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: Carlo Goldoni
Organico: basso, 2 oboi, 2 corni, archi

Abbozzo incompiuto

AMMONIMENTO

WARNUNG Gli uomini cercano sempre di


piluccare
Männer suchen stets zu naschen se si lasciano soli;
lässt man sie allein; le fanciulle sono facili da
leicht sind Mädchen zu erhaschen conquistare
weiss mann sie zu überraschen. se si è capaci di sorprenderle.

Soll das zu verwundern sein? E questo vi meraviglia?


Mädchen haben frisches Blut Le fanciulle hanno sangue ardente
und das Naschen schmeckt so gut. e il piluccare è assai gradevole.

Doch das Naschen vor dem Essen Tuttavìa mangiucchiare prima del
nimmt den Appetit. pasto
Manche kam, die das vergessen toglie l'appetito.
um den Schatz, den sie besessen Taluna che se ne era dimenticata
und um ihren Liebsten mit. perdette il tesoro che aveva
posseduto,
Väter, lasst euch's Warnung sein, fra tutti il più caro.
sperrt die Zuckerplätzchen ein,
sperrt die jungen Mädchen, Padri, ascoltate l'ammonimento,
die Zuckerplätzchen ein, rinchiudete i vostri zuccherini,
sperrt sie ein. rinchiudete le giovanette,
i vostri zuccherini,
rinchiudeteli!

352
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 10 novembre 1967

NON PIÙ, TUTTO ASCOLTAI...


NON TEMER, AMATO BENE, K 490
Recitativo ed aria in si bemolle maggiore per tenore ed orchestra

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: G. Varesco
1. Non più, tutto ascoltai - scena - Allegro assai (do maggiore)

2.Non temer, amato bene - rondò - Andante (si bemolle maggiore)


Organico: tenore (o soprano), 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Composizione: Vienna, 10 marzo 1786
Edizione: Simrock, Bonn 1805

L'aria per soprano e orchestra "Non temer, amato bene" K. 490, è


tratta dalla prima scena del secondo atto dell'Idomeneo e composta il 10
marzo 1786 a Vienna.
La dizione esatta di questo pezzo recita così: "Non temer, amato ben,
Rondò per soprano, violino solo e orchestra", destinato originariamente
alla voce del tenore, barone Pulini e poi adattato al soprano Nancy
Storace, famosa interprete del ruolo di Susanna nelle Nozze di Figaro,
prima che lasciasse Vienna per recarsi a Londra.
È il violino ad esporre il tema sul quale la cantante dispiega una serie di
modulazioni particolarmente espressive nell'indicare il sentimento di
amore di Ilia per Idamante, figlio di Idomeneo, re di Creta. Il violino
svolge un ruolo primario anche quando il soprano canta sulle parole
"Alme belle che vedete le mie pene". Per la terza volta, infine, viene
ripetuto il tema principale con una cadenza del soprano di gusto
schiettamente mozartiano nell'eleganza del fraseggio.

353
Testo

Ilia:
Non più. Tutto ascoltai, tutto compresi.
D'Elettra e d'Idamante noti sono gli amori,
al caro imegno omai mancar non dei,
va, scordati di me, donati a lei.

Idamante:
Ch'io mi scordi di te? Che a lei mi doni
Puoi consigliarmi? E puoi voler ch'io viva?

Ilia:
Non congiurar, mia vita,
Contro la mia costanza!
Il colpo atroce mi distrugge abbastanza!

Idamante:
Ah no, sarebbe il viver mio di morte
Assai peggior! Fosti il mio primo amore,
E l'ultimo sarai. Venga la morte!
Intrepido l'attendo, ma ch'io possa
Struggermi ad altra face, ad altr'oggetto
Donar gl'affetti miei,
Come tentarlo? Ah! di dolor morrei!

Non temer, amato bene,


Per te sempre il cor sarà.
Più non reggo a tante pene,
L'alma mia mancando va.
Tu sospiri? o duol funesto!
Pensa almen, che istante è questo!
Non mi posso, oh Dio! spiegar.
Stelle barbare, stelle spietate,
Perché mai tanto rigor?
Alme belle, che vedete
Le mie pene in tal momento,
Dite voi, s'egual tormento
354
Può soffrir un fido cor!

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 15 maggio 1987

CH'IO MI SCORDI DI TE?... NON TEMER, AMATO BENE


Recitativo e aria in mi bemolle maggiore per soprano, pianoforte ed
orchestra, K 505

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: G. Varesco
1. Ch'io mi scordi di te? - recitativo - Andantino (la bemolle
maggiore)
2. Non temer, amato bene - rondò - Andante (mi bemolle maggiore)
Organico: soprano, pianoforte obbligato, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni,
archi
Composizione: Vienna, 26 - 27 Dicembre 1786
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 23
Febbraio 1787
Dedica: Anna Selina Storace

L'aria «Ch'io mi scordi di te» K. 505 Mozart la compose il 26


dicembre 1786 per la cantante Nancy Storace, la creatrice del ruolo di
Susanna nelle Nozze di Figaro.
Il testo è ricavato dall'Idomeneo e la musica si articola in un Recitativo-
Andantino, cui subentra un Allegro assai che sfocia in un Rondò.
E' un'aria di un’Opera seria e ricca di pathos, particolarmente adatta a
mettere in evidenza le doti espressive del soprano, in un dialogo brillante
e serrato con le figurazioni e le modulazioni melodiche di un'orchestra di
respiro cameristico.

355
ROSALIND PLOWRIGHT

356
Testo

Ch'io mi scordi di te?


Che a lui mi doni puoi consigliarmi?
E puoi voler che in vita? Ah no.
Sarebbe il viver mio di morte assai peggior.
Venga la morte, intrepida l'attendo.
Ma, ch'io possa struggermi ad altra face,
ad altr'oggetto donar gli affetti miei,
come tentarlo? Ah, di dolor morrei!

Non temer, amato bene,


In te sempre il cuor sarà.
Più non reggo a tante pene,
l'alma mia mancando va.
Tu sospiri? o duol funesto!
Pensa almen che istante è questo.
Non mi posso, oh Dio! spiegar.
Non temer, amato bene,
Per te sempre il cuor sarà.
Stelle barbare, stelle spietate!
perché mai tanto rigor?
Alme belle che vedete
le mie pene in tal momento,
dite voi, s'egual tormento
può soffrir un fido cuor?

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 7 febbraio 1982,
direttore Wilfried Boettcher, soprano Rosalind Plowright

357
MENTRE TI LASCIO, O FIGLIA, K 513
Aria in mi bemolle maggiore per basso ed orchestra

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: Sant’Angioli-Morbilli da La disfatta di Dario di Giovanni
Paisiello
 Larghetto (mi bemolle maggiore). Allegro. Più Allegro
Organico: basso, flauto, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Composizione: Vienna, 23 marzo 1787
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1805

Quest'aria, che ha il numero di catalogo K. 513 e la cui


pubblicazione risale al 23 marzo 1787, fu scritta da Mozart in omaggio
ad un suo carissimo amico, Gottfried von Jacquin, che aveva una buona
voce di baritono e una solida cultura musicale. Non si sa, però, per quale
ragione Mozart abbia ricavato il testo di quest'aria dall'Opera di Paisiello
«La disfatta di Dario», un procedimento adottato altre volte dal
compositore.
Il brano, che si serve di un'orchestra d'archi ridotta con in più un flauto,
due clarinetti, due fagotti e due corni, si apre con una dolce e cantabile
introduzione strumentale prima che il baritono esprima la sua tristezza e
la sua desolazione per l'addio di un padre alla figlia.
Al Larghetto iniziale caratterizzato dal canto malinconico del solista
sulle parole «Provo nel mio dolore le smanie e il terror» succede un
tempo Allegro che è un dialogo tra gli strumenti a fiato e la voce, la quale
raggiunge un ritmo più ansioso alla frase «Ahi! che partenza amara!
Figlia, ti lascio».
Il punto culminante dell'aria, che è contrassegnata da molte corone della
voce, è quando Dario pronuncia le parole «Parto, addio, tu piangi» di
notevole forza espressiva.
Nel Più Allegro finale sulle parole «Ah! mi si spezza il cor!» il
sentimento diventa robusto e appassionato e conferma come Mozart
sentisse anche il senso drammatico della vita.

358
Testo

Mentre ti lascio, oh figlia!


In sen mi trema il core!
Ahi! che partenza amara!
Provo nel mio dolore
Le smanie ed il terror!
Parto, tu piangi! oh Dio!
Ti chiedo un sol momento!
Figlia, ti lascio! oh Dio!
Che fìer tormento!
Ah! mi spezza il cor!
Parto! addio! tu piangi?

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 23 maggio 1970

BELLA MIA FIAMMA... RESTA O CARA


Recitativo ed aria per soprano ed orchestra, K 528

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: Michele Sarcone
1. Bella mia fiamma, addio - recitativo - Andante (mi minore)
2. Resta, o cara - aria - Andante (do maggiore). Allegro
Organico: soprano, flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Composizione: Praga, 3 novembre 1787
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1805

Il testo è stato attinto dall'Opera "Cerere placata" di Niccolo Jommelli

L'aria «Bella mia fiamma» K. 528 fu composta da Mozart il 3


novembre 1787 a Praga per la cantante Duschek, alla quale l'artista era
riconoscente per averlo ospitato nella sua villa durante la preparazione e
la rappresentazione del Don Giovanni. Non per nulla il brano risente di

359
alcune reminiscenze di quest'Opera, anche se possiede una sua linea
espressiva autonoma. Il recitativo iniziale è un Andante in mi minore
affidato agli archi.
Subentra poi l'aria Bella mia fiamma, addio! accompagnata dal flauto,
dagli oboi, dai contrabbassi e dai corni e improntata ad un sentimento di
serenità, sino alla frase «Acerba morte», in cui si spezza il clima di
assorta contemplazione attraverso una serie di accordi cromatici. Si
ritorna al primo tema con nuove modulazioni e la tensione si fa più viva
nell'Allegro e sulle parole «Vieni, affretta la vendetta», in cui si richiama
l'atmosfera un pò concitata del Don Giovanni, tra stati d'animo
contrastanti e alternati fra di loro. E' una grande aria non soltanto di
bravura, ma puntata sulla schiettezza e la passionalità dei sentimenti
umani.
Testo

Bella mia fiamma, addio!


Non piacque al cielo di renderci felici.
Ecco reciso, prima d'esser compito,
quel purissimo nodo che strinsero fra lor
gli animi nostri con il sol voler.
Vivi! Cedi al destin! Cedi al dovere!
Della giurata fede la mia morte t'assolve;
a più degno consorte... o pene!
unita vivi più lieta e più felice vita.
Ricordati di me, ma non mai turbi
d'un infelice sposo la rimembranza
il tuo riposo!
Regina, io vado ad ubbidirti.
Ah, tutto finisca il mio furor
col morir mio.
Cerere, Alfeo, diletta sposa, addio!
Resta, oh cara! Acerba morte
mi separa, oh Dio, da te.
Prendi cura di sua sorte,
consolarla almen procura.
Vado... ahi lasso!
addio per sempre!

360
Quest'affanno, questo passo
è terribile per me.
Ah, dov'è il tempio? dov'è l'ara?
Vieni affretta la vendetta!
Questa vita così amara
più soffribile non è.
Oh cara, addio per sempre!

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 7 febbraio 1982,
direttore Wilfried Boettcher, soprano Rosalind Plowright

BELLA MIA FIAMMA... RESTA O CARA


Recitativo ed aria per soprano ed orchestra, K 528

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: Michele Sarcone
3. Bella mia fiamma, addio - recitativo - Andante (mi minore)
4. Resta, o cara - aria - Andante (do maggiore). Allegro
Organico: soprano, flauto, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Composizione: Praga, 3 novembre 1787
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1805

Il testo è stato attinto dall'Opera "Cerere placata" di Niccolo Jommelli

L'aria «Bella mia fiamma» K. 528 fu composta da Mozart il 3


novembre 1787 a Praga per la cantante Duschek, alla quale l'artista era
riconoscente per averlo ospitato nella sua villa durante la preparazione e
la rappresentazione del Don Giovanni.
Non per nulla il brano risente di alcune reminiscenze di quest'Opera,
anche se possiede una sua linea spressiva autonoma. Il recitativo iniziale
è un Andante in mi minore affidato agli archi.

361
Subentra poi l'aria Bella mia fiamma, addio! accompagnata dal flauto,
dagli oboi, dai contrabbassi e dai corni e improntata ad un sentimento di
serenità, sino alla frase «Acerba morte», in cui si spezza il clima di
assorta contemplazione attraverso una serie di accordi cromatici.
ROSALIND PLOWRIGHT

362
Si ritorna al primo tema con nuove modulazioni e la tensione si fa più
vìva nell'Allegro e sulle parole «Vieni, affretta la vendetta», in cui si
richiama l'atmosfera un pò concitata del Don Giovanni, tra stati d'animo
contrastanti e alternati fra di loro. E' una grande aria non soltanto di
bravura, ma puntata sulla schiettezza e la passionalità dei sentimenti
umani.
Testo

Bella mia fiamma, addio!


Non piacque al cielo di renderci felici.
Ecco reciso, prima d'esser compito,
quel purissimo nodo che strinsero fra lor
gli animi nostri con il sol voler.
Vivi! Cedi al destin! Cedi al dovere!
Della giurata fede la mia morte t'assolve;
a più degno consorte... o pene!
unita vivi più lieta e più felice vita.
Ricordati di me, ma non mai turbi
d'un infelice sposo la rimembranza
il tuo riposo!
Regina, io vado ad ubbidirti.
Ah, tutto finisca il mio furor
col morir mio.
Cerere, Alfeo, diletta sposa, addio!
Resta, oh cara! Acerba morte
mi separa, oh Dio, da te.
Prendi cura di sua sorte,
consolarla almen procura.
Vado... ahi lasso!
addio per sempre!
Quest'affanno, questo passo
è terribile per me.
Ah, dov'è il tempio? dov'è l'ara?
Vieni affretta la vendetta!
Questa vita così amara
più soffribile non è.
Oh cara, addio per sempre!

363
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 7 febbraio 1982,
direttore Wilfried Boettcher, soprano Rosalind Plowright

ALMA GRANDE E NOBIL CORE


Aria in si bemolle maggiore per soprano ed orchestra, K 578

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: G. A. Palomba
 Allegro (si bemolle maggiore). Allegro assai
Organico: soprano, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Composizione: Vienna, Agosto 1789
Prima esecuzione: Vienna, Burgtheater, 6 settembre 1789

Aria sostitutiva per l’Opera "I due baroni di Rocca Azzurra" di


Domenico Cimarosa

L'aria «Alma grande e nobil core» K. 578, è in si bemolle e risale


all'agosto del 1789: Mozart la scrisse per Louise Villeneuve, la Dorabella
di Così fan tutte, che l'avrebbe Cantata, inserita nel testo, nel corso della
rappresentazione a Vienna dell'opera I due baroni di Rocca Azzurra,
secondo l'usanza teatrale del tempo.
Il tema si snoda dapprima piano e poi più sostenuto e forte, così da
permettere al personaggio di madame Laura (è la protagonista dell'aria)
di sfoggiare le sue qualità belcantistiche. Ritorna quindi la frase iniziale e
si snoda questa volta secondo lo stile imitativo, svolgendo un nuovo
discorso sulle parole: «E so farmi rispettar».
L'orchestra fa da contrappunto con modulazioni molto misurate, mentre
il canto assume il tono di invettiva («Va, favella a quell'ingrato») per poi
addolcirsi.
Sopravviene un Allegro assai e successivamente madame Laura accentua
la propria eccitazione («Ma non merita perdono, sì mi voglio vendicar»).
Su un accompagnamento di crome degli archi la donna apostrofa

364
l'ingrato amante, mentre l'aria assume un tono più incisivamente
espressìvo, per concludersi con la frase dei violini sul tema dell'Allegro
assai.
ROSALIND PLOWRIGHT

365
Testo

Alma grande e nobil core


le tue pari ognor disprezza.
Sono dama al fasto avvezza
e so farmi rispettar.
Va, favella a quell'ingrato,
gli dirai che fida io sono.
Ma non merita perdono,
si, mi voglio vendicar.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 7 febbraio 1982,
direttore Wilfried Boettcher, soprano Rosalind Plowright

UN MOTO DI GIOIA MI SENTO NEL PETTO, K 579


Arietta in sol maggiore per soprano ed orchestra

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: Lorenzo da Ponte
 Allegretto moderato (sol maggiore)
Organico: soprano, flauto, oboe, 2 corni, archi
Composizione: Vienna, agosto 1789
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1789

Aria sostitutiva per l'opera "Le nozze di Figaro" K 492

366
LORENZO DA PONTE

367
Testo

Un moto di gioia mi sento nel petto,


che annunzia diletto in mezzo il timor!
Speriam che in contento finisca l'affanno,
non sempre è tiranno il fato ed amor.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 27 febbraio 1985

CHI SA, CHI SA, QUAL SIA, K 582


Aria in do maggiore per soprano ed orchestra

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: Lorenzo da Ponte
 Andante (do maggiore)

Organico: 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, archi


Composizione: Vienna, ottobre 1789

Aria sostitutiva per l'Opera "Il burbero di buon cuore" di Vincente


Martin y Soler

L'aria di Mozart "Chi sa, chi sa qual sia" K. 582 non fu in realtà
concepita dall'autore come aria "da concerto" - ossia destinata già in
origine ad essere cantata da qualche virtuoso committente all'interno di
una "accademia", nome che veniva dato ai lunghissimi trattenimenti
musicali che, secondo l'uso dell'epoca, alternavano diversi esecutori e
diversi generi compositivi. Ebbe invece la prima esecuzione all'interno di
un'Opera teatrale, che era invece un lavoro di un altro compositore, Il
burbero di buon cuore di Vicente Martin y Soler.
Che Mozart abbia aderito senza sdegnarsi, in questa come in molteplici
altre occasioni, alla prassi di aggiungere propria musica ad Opere di altri
autori - allora più rinomati di lui, come Cimarosa, Paisiello, Pasquale

368
Anfossi, e lo stesso Martin y Soler - è cosa che non deve stupire. La
prassi delle arie "sostitutive" si inserisce infatti compiutamente in un
sistema produttivo, quale quello dell'Opera del Settecento, incentrato
principalmente sulla figura del cantante.
LORENZO DA PONTE

369
Il passaggio di un'Opera da una piazza teatrale a un'altra, o anche la
ripresa a distanza di tempo nella stessa città comportava il suo
adattamento alla situazione contingente, alle nuove esigenze di una
differente compagnia di canto. Da qui nasceva la prassi - considerata
all'epoca del tutto legittima, con buona pace dei sempre vigili cultori
dell'unità dell'Opera d'arte - di inserire all'interno di un'Opera vecchia
un'aria nuova, confezionata su misura per il virtuoso disponibile sulla
piazza.
In mancanza dell'autore della vecchia Opera nella nuova città o in
occasione della ripresa, a operare gli indispensabili aggiustamenti
provvedeva qualche compositore locale; il quale era ovviamente tenuto
in primo luogo a venire incontro a tutte le esigenze ed i capricci dei
nuovi virtuosi.
Quando Il burbero di buon cuore di Martin y Soler, che aveva debuttato
a Vienna nel gennaio 1786, venne ripreso nella stessa città, il 9 novembre
1789, toccò dunque a Mozart fare i cambiamenti del caso, con il
probabile sostegno di Lorenzo da Ponte per i nuovi testi poetici.
Ecco insomma che "Chi sa, chi sa qual sia" K. 582 venne espressamente
pensata (insieme a un'altra pagina destinata sempre al Burbero, "Vado,
ma dove?" K. 583) per i mezzi di Louise Villeneuve, una cantante
appena entrata nella compagnia viennese e passata alla storia per essere
stata, nel gennaio 1790, la prima interprete del ruolo di Dorabella in Così
fan tutte (per lei Mozart aveva già scritto un'altra aria sostitutiva, "Alma
grande e nobil core" K. 578, da inserirsi, nell'agosto 1789, ne I due
baroni di Rocca azzurra di Cimarosa). Ben poche sono le notizie
biografiche accertate intorno a questa interprete. Si è ipotizzato - senza in
realtà grande fondamento - che fosse la sorella di Adriana Ferrarese del
Bene (pseudonimo di Francesca Gabrieli; una grande virtuosa nativa di
Ferrara, che fu la prima Fiordiligi in Così fan tutte).
E noto come, prima di entrare a far parte, nel 1789, della compagnia del
Burgtheater di Vienna, la Villeneuve avesse cantato nel 1787-88 a
Venezia presso il Teatro San Moisè. Si può aggiungere ora - come dato
inedito - che, con altri membri del Burgtheather - i coniugi Bussani,
interpreti di Alfonso e Despina in Così fan tutte - si trasferì in seguito a
Roma, dove fu attiva al Teatro Valle negli anni Novanta del secolo. Non
arrivò comunque mai ad essere una grande virtuosa, e la scrittura vocale
370
della parte di Dorabella mostra come potesse vantare buona tecnica e
sicuro carattere, anche se non una grande estensione vocale.

DOMENICO CIMAROSA

371
Nella sua brevità "Chi sa, chi sa qual sia", sviluppa nel modo migliore
queste caratteristiche vocali.
L'aria viene intonata dal personaggio di Madama Lucilla, moglie
sfortunata di Giocondo, assillato dai debiti ma ben deciso ad imporre alla
moglie di non immischiarsi dei suoi affari familiari; e la sposa si
domanda così quale sia la causa della collera del marito.
Si tratta di un Andante che dipinge mirabilmente l'agitazione del
personaggio, con il suo fraseggio spezzato, le improvvise colorature, le
ombreggiature armoniche, nonché il fitto ordito dei fiati che si
intrecciano con il soprano. In definitiva una patina che, all'interno del
Burbero, non deve aver mancato di fare il suo effetto e di garantire i
meritati applausi alla solista.
Arrigo Quattrocchi

Testo

MADAMA LUCILLA

Chi sa, chi sa qual sia


L'affanno del mio bene?
Se sdegno, gelosia,
Timor, sospetto, amor.

Voi che sapete, oh Dei!


I puri affetti miei,
Voi questo dubbio amaro
Toglietemi dal cor.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 18 gennaio 1998

372
LIEDER CON
ACCOMPAGNAMENTO DI PIANOFORTE

RIDENTE LA CALMA, K1 152 (K6 210A)


Aria in fa maggiore per voce e pianoforte

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: autore italiano sconosciuto
 Larghetto (fa maggiore)
Organico: voce, pianoforte
Composizione: Salisburgo ?, 1775

Attribuzione incerta

Ridente la calma
Ridente la calma nell'alma si desti
Né resti più segno di sdegno e timor.
Tu vieni frattanto a stringer mio bene
Le dolci catene si grate al mio cor.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 27 febbraio 1985

373
OISEAUX, SI TOUS LES ANS, K1 307 (K6 284D)
Aria in do maggiore per soprano e pianoforte

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: Antoine Ferrand
 Allegretto (do maggiore)

Organico: soprano, pianoforte


Composizione: Mannheim, 8 novembre 1777
All'Arietta di genere appartiene la pagina su antiquati versi francesi
che Mozart compose fra il 1777 il 1778 a Mannheim. Oiseaux, si tous les
ans è una dolce meditazione naturalistica sugli uccelli che migrano non
solo in cerca di più miti climi, ma anche dell'amore: l'idea del ritmo
puntato, di per sé strettamente musicale, si trasforma nella coda in
un'onomatopea del canto di volatili.
Giangiorgio Satragni

Testo

O uccelli, se tutti gli anni


Oiseaux, si tous les ans
O uccelli, se tutti gli anni
Oiseaux, si tous les ans
Cambiate clima,
Vous changez de climats,
Non appena il triste inverno
Dès que le triste hiver
Spoglia i nostri boschi;
Dépouille nos bocages;
Non è soltanto
Ce n'est pas seulement
Per cambiar fronde,
Pour changer de feuillages,
O per sfuggire alla brina
Ni pour éviter nos frimats;
dell'inverno;
Mais votre destinée
Ma il vostro destino
Ne vous permet d'aimer,
Non vi permette di amare,
Qu'à la saison des fleurs.
Che nella stagione dei fori.
Et quand elle est passée,
E una volta trascorsa,
Vous la cherchez ailleurs,
la cercate altrove,
Afin d'aimer toute l'année.
per poter amare tutto l'anno.

(traduzione di Sara Lambiase)


374
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 16 maggio 2008

DAS VEILCHEN (LA VIOLETTA), K 476


Lied in sol maggiore per soprano e pianoforte

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: Johann Wolfgang von Goethe
 Allegretto (sol maggiore)
Organico: soprano, pianoforte
Composizione: Vienna, 8 giugno 1785
Edizione: Artaria, Vienna 1789

Il Lied Das Veilchen possiede uno dei requisiti principi della storia
del genere, un testo letterario tedesco e per di più del sommo poeta
tedesco, Goethe, benché Mozart ne fosse all'oscuro. Composto a Vienna
nel giugno del 1785 e divenuto il più famoso brano da camera di Mozart,
è un bozzetto a metà fra l'idillio e la piccola scena, che s'intorbida quando
la ragazza calpesta inavvertitamente nel prato la violetta, la quale pur
avrebbe voluto esser colta per venir amorosamente stretta al petto, ma
non si dispera di morire perché questo almeno accade ai piedi della
fanciulla.
Di ciò che sarà caratteristico nel Lied romantico abbiamo qui, al
pianoforte, il ritmo leggiadro evocante il passo della ragazza, la
trasposizione del suo canto spensierato nonché il ripiegamento
dell'armonia nel fatale attimo in cui la violetta è calpestata: ma sono
requisiti, pur nella concentrata ricchezza dell'invenzione mozartiana, che
troveranno il loro pieno dispiegamento soltanto con Schubert.
Giangiorgio Satragni

375
Testo

Das Veilchen

Ein Veilchen auf der Wiese stand


La violetta
Gebückt in sich und unbekannt;
Es war en herzigs Veilchen!
Una violetta stava sul prato
Da kam ein' junge Schäferin
ignota e con il capo reclinato,
Mit leichtem Schritt und munterm
era una graziosa violetta.
Sinn
Veniva una pastorella
Daher, daher,
il passo lieve, l'anima serena,
Die Wiese her, und sang.
per la sua strada
già per il prato, cantando.
Ach! denkt das Veilchen, war ich
nur
Ah, pensa la violetta, vorrei tanto
Die schönste Blume der Natur,
essere il fiore più bello del creato,
Ach! nur ein kleines Veilchen,
ah, solo per un istante,
Bis mich das Liebchen abgepflückt
fino a che mi ha colto il mio amore
Und an dem Busen matt gedrückt,
e mi ha stretto languida sul cuore!
Ach nur, ach nur
Ein Viertelstündchen lang!
Ah, soltanto, soltanto
per un breve quarto d'ora!
Ach, aber ach! das Mädchen kam
Ahimè, ahimè, venne la giovinetta
Und nicht in acht das Veilchen
e non si diede cura della violetta,
nahm,
anzi calpesta l'infelice.
Ertrat das arme Veilchen.
Era lieta anche se cadeva e moriva:
Es sank und starb und freut sich
se muoio, muoio tuttavia,
noch:
per causa sua, per causa sua,
Und sterb ich denn; so sterb ich
qui ai suoi piedi almeno.
doch
Durch sie, durch sie,
Zu ihren Füssen doch!

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Nazionale di Santa Cecilia,
Roma Auditorium Parco della Musica, 16 maggio 2008

376
JOHANN WOLFGANG VON GOETHE

377
ALS LUISE DIE BRIEFE EINES UNGETREUEN LIEBHABERS
VERBRANNTE, K 520
Lied in do minore per soprano e pianoforte

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: G. von Baumberg
 Andante (do minore)
Organico: soprano, pianoforte
Composizione: Vienna 26 maggio 1787
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1799
Benché rechi la denominazione "Lied" Als Luise die Briefe ihres
ungetreuen Liebhabers verbrannte, scritta a Vienna nel 1787, è una
piccola scena in cui si racconta in terza persona dell'ira di una donna che
brucia le lettere del fidanzato che l'ha tradita: se in luogo del pianoforte
vi fosse l'orchestra, si parlerebbe di recitativo accompagnato tendente
all'Arioso, considerata la varietà dell'espressione e la mossa parte
strumentale, che in veloci figurazioni mima il bagliore e il crepitare della
fiamma. Il bruciare, ahimè, non è soltanto quello della fiamma, ma pure
quello dell'anima di Luisa tradita.
Giangiorgio Satragni

Testo

Als Luise die Briefe ihres Quando Luisa bruciò le lettere del
ungetreuen suo
Liebhabers verbrannte amante infedele

Erzeugt von heisser Phantasie, Nate da una accesa fantasia


In einer schwärmerischen Stunde in un momento inebriante
Zur Welt Gebrachte, geht zugrunde, siete venute alla luce, ora sparite
Ihr Kinder der Melancholie! o figlie della malinconia!

Ihr danket Flammen euer Sein, Alle fiamme dovete la vostra


Ich geb euch nun den Flammen esistenza
wieder, io vi restituisco alle fiamme;
Und all die schwärmerischen Lieder, e tutte quelle canzoni estasiate
378
Denn ach! er sang nicht mir allein!
ahime, egli non le cantò a me sola!
Ihr brennet nun, und bald, ihr
Lieben, Ora bruciate, e presto, o care
Ist keine Spur von euch mehr hier. qui non rimarrà più traccia di voi
Doch ach! der Mann, der euch ma l'uomo che vi ha scritto
geschrieben, a lungo continuerà a bruciare in me!
Brennt lange noch vielleicht in mir.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 16 maggio 2008

ABENDEMPFINDUNG (SENTIMENTO DELLA SERA), K 523


Lied in fa maggiore per soprano e pianoforte

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Testo: Johann Heinrich Campe
 Andante (fa maggiore)

Organico: soprano, pianoforte


Composizione: Vienna, 24 giugno 1787
Edizione: Artaria, Vienna 1789

Testo

ABENDEMPFINDUNG SENTIMENTO DELLA SERA

Abend ist's, die Sonne ist E' sera, il sole è tramontato


verschwunden, e la luna irradia il suo argenteo
und der Mond strahlt Silberglanz; splendore.
so entfliehn des Lebens schönste Così passano le più belle ore della
Stunden, vita,
fliehn vorüber wie in Tanz. svaniscono come nella danza.
Bald entflieht des Lebens bunte Presto trapassa la variopinta scena
Szene. della vita
und der Vorhang rollt herab. e cala il sipario.
379
Aus ist unser Spiel! des Freundes E' finita la nostra rappresentazione!
Träne Le lacrime dell'amico
fliesset schon auf unser Grab. scorrono già sulla nostra tomba.
Bald vielleicht mir weht, wie Come il leggero vento dell'ovest
Westwind leise, mi sfiora il presentimento che forse
eine stille Ahnung zu, presto
schliess ich dieses Lebens io debba chiudere il pellegrinaggio
Pilgerreise di questa vita
fliege in das Land der Ruh. e volare nella, contrada della pace.
Werd't ihr dann an meinem Grabe Voi piangerete presso la mia tomba,
weinen, mirerete afflitti le mie ceneri;
trauernd meine Asche sehn, allora, o amici, io vi apparirò
dann, o Freunde, will ich euch e aliterò su voi aria celeste.
erscheinen Abbi anche tu una lacrimetta per
und will Himmel auf euch wehn. me,
Schenk auch du ein Tränchen mir cogli una viola sulla mia tomba,
und pflücke e abbassa poi il tuo sguardo pieno di
mir ein Veilchen auf mein Grab, sentimento
und mit deinem seelenvollen Blicke dolcemente verso di me.
sieh dann sanft auf mich herab. Dedicami una lacrima,
Weih mir eine Träne, und ach! ah! non ti vergognare di
Schäme dedicarmela.
dich nur nicht sie mir zu weihn, Ah! essa sarà la più bella fra le perle
o sie wird in meinem Diademe nel mio diadema.
dann die schönste Perle sein!

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 10 novembre 1967

380
JOHANN HEINRICH CAMPE

381
OUVERTURES, CASSAZIONI, SERENATE,
DIVERTIMENTI PER ORCHESTRA

ADAGIO IN MI MAGGIORE
PER VIOLINO ED ORCHESTRA, K 261
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
 Adagio (mi maggiore)
Organico: violino solista, 2 flauti, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, autunno - Inverno 1776
Edizione: Andrè, Offenbach 1801

Movimento sostitutivo per il Concerto K 219

Il pianista Edwin Fischer, che fu un fervente mozartiano anche


come interprete, fece una osservazione molto giusta quando disse che
alla comprensione dell'arte di Mozart ci si arriva con la maturità e dopo
aver amato musicisti dallo stile più corposo e drammatico. «Il naturale
sviluppo musicale - ha scritto Fischer - ci porta da principio molto vicini
a Mozart a causa del carattere popolare delle sue melodie, della facile
intelligibilità della sua struttura armonica e agogica. Poi segue quasi
sempre un periodo d'inclinazione verso un grande apparato di forza,
l'amore del pathos; non esiste nessuna espressione esteriormente troppo
forte, niente di abbastanza grandioso, virtuoso, travolgente. Siamo così
lontani dall'insegnamento di Mozart, in quel momento, come lo siamo
nel periodo che segue, dominato dalla ricerca di tutto quello che è
assolutamente nuovo, raffinato, surriscaldato, rivoluzionario o
formalmente problematico. Fino a che un giorno si fa per noi la luce. Qui
c'è tutto: contenuto, forma, espressione, fantasia, effetto strumentale, e
tutto è ottenuto con i mezzi più semplici».
E' evidente che «la luce mozartiana» non è fatta soltanto di quantità di
opere scritte in un arco di vita di appena 34 anni (lo studioso Ludwig von
Koechel ne ha annoverate nel suo catalogo ben seicentoventisei, cui
vanno aggiunte altre cento, incompiute o di incerta attribuzione), ma
piuttosto va considerata per la varietà dei generi musicali praticati e la
perfetta riuscita in ognuno di essi.

382
Nella musica profana e sacra, strumentale e vocale, teatrale e da
concerto, sinfonica e da camera, seria o buffa egli è riuscito a lasciare il
segno della sua genialità. Non a caso Massimo Mila ritiene che l'arte di
Mozart è «un mare dove confluiscono e convivono pacificamente le più
disparate tendenze del suo secolo.
Anche in questo egli rassomiglia a Raffaello, cui viene sempre
paragonato per la levigata perfezione esteriore e per l'assoluta finitezza
formale. Artisti compendiatori e coronatori di un'epoca, artisti la cui
forza è forza di civiltà, non di primitiva barbarie: e civiltà è prima di tutto
conservazione, religiosa pietà di ciò che è stato prima di noi e che ha
contribuito a crescerci quali siamo.
Vi sono artisti ribelli ed essenzialmente rivoluzionari che nelle epoche di
lotta e di trasformazione svolgono un lavoro prezioso di demolizione
delle vecchie sovrastrutture, dei pregiudizi ritardatori, e sbarazzano il
terreno per la manifestazione di un ordine nuovo.
E vi sono artisti, invece, i quali edificano la casa dell'uomo, cioè la
civiltà, sopra quanto rimane dei vecchi edifici, utilizzando tutti i mattoni
salvabili dalle rovine, trovando con naturale spontaneità la conciliazione
e la continuità fra le testimonianze del passato e le esigenze del
presente».
Mozart appartiene certamente a questa seconda categoria di compositori
e la sua immensa produzione si distende idealmente fra i due estremi
della facilità galante e dello stile severo dettato dalla polifonia
strumentale, inglobando le posizioni intermedie comprese tra il
linguaggio brillante ed eclettico delle opere teatrali e delle composizioni
vocali e l'impegno rigoroso della scrittura Quartettistica.
Ma, al di là di queste classificazioni tecniche, ciò che conta è la sigla
espressiva della musica di Mozart, dove l'allegrezza si sposa alla
malinconia, il sorriso spunta tra le lacrime e il senso «di ilarità e di
umorismo fa capolino tra le pieghe della tristezza. Un'arte semplice e
lineare in apparenza, ma dai risvolti complessi e profondi, dove l'animo
umano si specchia e si osserva alla ricerca dela propria misteriosa
identità.

383
SANZIO RAFFAELLO

384
***
L'autografo dell'Adagio in mi maggiore K. 261 reca semplicemente
questa indicazione: «Adagio di A. W. Mozart, 1776», ma si ritiene che
questo brano sia stato composto nell'estate del 1776, in quanto c'è una
lettera scritta da Leopold Mozart in questo periodo al figlio per
ricordargli l'impegno a scrivere un Adagio e un Rondò per Brunetti,
violinista della corte di Salisburgo.
Dal canto suo Brunetti si era lamentato delle difficoltà incontrate nel
suonare certi adagi mozartiani e aveva sollecitato il musicista a comporre
altri pezzi più facili. Naturalmente Mozart volle soddisfare tale desiderio
e compose questo Adagio per violino con accompagnamento di due
flauti, due corni e archi, che è tra le opere più caratteristiche
dell'inventiva del salisburghese. Infatti tutto scorre con una purezza di
canto e una freschezza melodica di penetrante effetto, su un
accompagnamento molto discreto dell'orchestra.
L'Adagio si apre con un preludio di quattro misure, con l'orchestra che
disegna una frase cantabile ripresa poi dal violino. Nel gioco tra il solista
e il Tutti si inserisce un altro tema che ha la funzione di sviluppare
l'intero discorso musicale, arricchito da una serie incessante di
modulazioni strumentali.
Il violino solista si abbandona alla cadenza virtuosistica prima che si
giunga alla coda in cui si riascolta il tema del preludio. Il brano è
esemplare nella sua semplicità e non si può negare alla piccola orchestra
una tessitura timbrica di toccante poesia.
Arrigo Quattrocchi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma Auditorio di Via della Conciliazione, 22 maggio 1983

385
CASSAZIONE N. 2 IN
SI BEMOLLE MAGGIORE, K1 99 (K6 63A)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Marcia (si bemolle maggiore)
2. Allegro molto (si bemolle maggiore)
3. Andante (mi bemolle maggiore)
4. Minuetto e Trio (si bemolle maggiore)
5. Andante (sol minore)
6. Minuetto e Trio (si bemolle maggiore)
7. Allegro - Andante - Allegro (si bemolle maggiore)
Organico: 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, estate 1769

Sotto il nome di Cassazione o di Serenata Wolfgang Amadeus


Mozart scrisse, fra il 1769 e il 1779, nove grandi composizioni per
orchestra, opere che appaiono fra di loro piuttosto diversificate. Non a
caso il nome di Cassazione o di Serenata o anche di Divertimento veniva
riferito, nella civiltà musicale del secondo Settecento, ad un genere
compositivo di difficile definizione; non legato a precise regole
costruttive e al rispetto di un determinato organico strumentale, di
dimensioni impegnative o contenute. In definitiva ciò che accomunava
sotto uno stesso nome composizioni tanto dissimili era la loro particolare
destinazione di intrattenimento. Le Cassazioni e Serenate cui ci si
riferisce erano concepite infatti per essere eseguite a Salisburgo all'aria
aperta e nei mesi estivi, e per celebrare particolari occasioni o ricorrenze,
secondo la committenza di rinomate famiglie cittadine, che esercitavano
una piccola opera di mecenatismo; oppure per scandire la fine dell'anno
universitario.
In particolare, è estremamente probabile che le tre Cassazioni K.
100/62a, 63 e 99/63a, siano state composte dal piccolo Mozart,
tredicenne, nell'estate del 1769, per essere eseguite il 6 o 1'8 agosto,
appunto alla fine dei corsi preliminari degli studenti di logica e scienze
naturali. Secondo una attendibile ricostruzione del cerimoniale dei
386
festeggiamenti gli studenti, riuniti al crepuscolo presso la residenza
arcivescovile, il castello Mirabell, eseguivano una prima volta la
Serenata, sfilavano poi fino alla sede universitaria, dove replicavano
l'esecuzione di fronte a professori e studenti.

IL PICCOLO MOZART

387
Occorre dunque figurarsi un simile contesto per collocare la Cassazione
K. 99/63a e per spiegare l'intonazione lieta e disimpegnata del suo
contenuto, svolto da Mozart non solo con l'ineccepibile artigianato che
contraddistingue comunque le sue opere giovanili, ma con la cura
minuziosa del dettaglio, l'invenzione preziosa del materiale.
L'organico prevede coppie di oboi e corni più due violini, viola e basso
(realizzato all'epoca da contrabbassi e fagotti, senza violoncelli).
La Cassazione comprende sette movimenti e, secondo la prassi, si apre
con una Marcia ("Marche", alla francese) introduttiva, destinata ad
essere replicata al termine dell'ultimo tempo.
Seguono un brillante Allegro molto in forma sonata, poi un Andante di
finissima fattura, affidato agli archi soli con sordina; poi ancora il primo
Menuet (alla francese, con un Trio per archi soli), un secondo Andante
(archi e oboi) dalla scrittura fittissima, il secondo Menuet (più incisivo),
e il Finale, che contrappone una vivace sezione in 2/4 a un idilliaco
Andante in 6/8.
Arrigo Quattrocchi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 29 aprila 1994

388
CONCERTO O SIA DIVERTIMENTO IN MI BEMOLLE
MAGGIORE PER ORCHESTRA, K 113
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (mi bemolle maggiore)
2. Andante (si bemolle maggiore)
3. Minuetto (mi bemolle maggiore)
4. Allegro (mi bemolle maggiore)
Organico: 2 clarinetti, 2 corni, archi; nel 1777 sono stati aggiunti 2 oboi,
2 corni inglesi, 2 fagotti
Composizione: Milano, 22 novembre 1771
Prima esecuzione: Milano, residenza di Albert Michael von Mayr, 23
novembre 1771

Scritto a Milano nel novembre 1771, e dunque contemporaneo alla


Sinfonia KV 112, il Concerto o sia Divertimento KV 113 indica già nel
doppio titolo originale la propria natura: un divertimento con fiati e archi
di carattere concertante, in quattro movimenti, assai più prossimo alla
Sinfonia che non alla Serenata.
Di una grazia squisita, la composizione (che esiste anche in una
posteriore versione con l'aggiunta di corni inglesi e fagotti: 1773) segna
il primo impiego da parte di Mozart dei clarinetti: strumento all'epoca
non ancora entrato nell'uso comune ma evidentemente conosciuto a
Milano, il clarinetto diventerà in futuro uno degli strumenti prediletti da
Mozart.
L'elemento concertante è insito nel rapporto tra le due coppie di fiati e gli
archi: con questi ultimi, clarinetti e corni intessono un amichevole gioco
dialettico fondato ora sulla differenziazione e contrapposizione solistica
ora sull'integrazione.
Nel corso dell'Allegro iniziale, i fiati emergono negli interventi di
risposta all'interno del primo e del secondo gruppo tematico e nel ben
organizzato sviluppo; l'Andante affida al suadente timbro dei clarinetti il
ruolo del protagonista, mentre nel Menuetto i fiati tendono piuttosto a
una fusione con il corpo degli archi.

389
Il dialogo concertante trova infine accenti di cordiale umorismo
nell'Allegro conclusivo, in particolare nell'articolazione Soli-Tutti del
primo tema, poi utilizzato anche nello sviluppo, e nella chiusa cadenzale
dell'esposizione.
Cesare Fertonani
Testo tratto dallo speciale della rivista Amadeus, Ottobre 1995

DIVERTIMENTO N. 7
IN RE MAGGIORE PER ORCHESTRA, K1 205 (K6 167A)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Largo (re maggiore)
2. Allegro (re maggiore)
3. Minuetto (re maggiore)
4. Adagio (la maggiore)
5. Minuetto (re maggiore)
6. Presto (re maggiore)
Organico: 2 fagotti, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, luglio 1773

L'organico del Divertimento è estremamente sobrio, e comprende


appena sei strumenti solisti: due corni, violino, viola, fagotto e
violoncello (nelle esecuzioni moderne le parti degli archi vengono spesso
affidate all'intera sezione strumentale, non senza che si corra il rischio di
compromettere i delicati equilibri fonici della partitura). Senza la Marcia
iniziale - spesso espunta nelle esecuzioni moderne, - i movimenti sono in
numero di cinque, tutti improntati allo spirito cordiale e disimpegnato
che è proprio del genere del Divertimento.
Il movimento iniziale si apre con un Largo introduttivo di otto battute,
senza alcun rapporto tematico con il seguente Allegro; questo è in forma
sonata bitematica, con un breve sviluppo e una riesposizione pressoché
testuale; al violino è affidato prevalentemente il ruolo di brillante guida

390
melodica. Segue un Menuetto dal carattere popolare e dal ritmo scandito,
con un Trio nel quale i corni e il fagotto tacciono; dunque realmente a tre
voci. L'Adagio che si colloca al centro della partitura vede anch'esso il
concorso dei soli archi; violino e viola si impegnano in uno scambio di
ruoli (melodico e di accompagnamento) con un levigato fraseggio. Il
secondo Menuetto è piuttosto dissimile dal primo; di impostazione più
elegante, impiega nel Trio alternativamente i due corni e la coppia
violino/viola. Chiude la composizione un brillante rondò di impronta
italiana, in cui i motivi dei vari episodi sono delle variazioni del tema
principale; procedimento insolito per Mozart, che da solo qualifica
l'invenzione preziosa e non manieristica della partitura.
Arrigo Quattrocchi
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 22 novembre 1991

DIVERTIMENTO PER ORCHESTRA


N. 11 IN RE MAGGIORE, K 251
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro molto (re maggiore)
2. Minuetto I (re maggiore)
3. Andantino (la maggiore)
4. Minuetto II. Tema con Variazioni (re maggiore)
5. Rondò. Allegro assai (re maggiore)
6. Marcia alla francese (re maggiore)
Organico: oboe, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, 26 - 30 Luglio 1776
Prima esecuzione: Salisburgo, Residenz-Theater, 21 Novembre 1778

Le Serenate, i Divertimenti, le Cassazioni e i pezzi che prendono il


nome di musiche notturne sono legati al gusto settecentesco di far musica
insieme e riflettono una identica struttura formale in cui si alternano
391
movimenti di danza e passaggi solistici o virtuosistici, riservati ad
esecutori bravi e di talento, ma non necessariamente eccezionali. Per
questa ragione le Serenate e i Divertimenti per archi e per strumenti a
fiato sono musiche di gradevole ascolto, dalla scrittura semplice e lineare
e dai segni armonici chiari e precisi, che denotano un classicismo
equilibrato e sereno. Si avverte certamente la presenza di uno stile
cameristico di solida fattura e di illuministica intelligenza, ma si è ancora
lontani dal grande Mozart caratterizzato da una inesauribile forza
creativa e da una profonda personalità espressiva. Il dato rilevante delle
Serenate e dei Divertimenti è la limpidezza e la trasparenza Quartettistica
del suono e l'omogeneità e la fusione degli impasti strumentali, in
ubbidienza alle regole di un discorso musicale accessibile a tutti e senza
quei risvolti tragici e quei tormenti spirituali che pur esistono nell'arte
mozartiana.
I Divertimenti mozartiani prevedono una struttura piuttosto varia e sono
scritti o per archi e singoli strumenti a fiato oppure per soli fiati, il cui
numero non è rigidamente fisso. La formazione più frequente contempla
la presenza di due oboi, due corni e due fagotti (K. 213, 240, 252, 253,
270, 289); a volte si aggiungono due clarinetti (K. 196e e 196f, 375, 388),
oppure anche due corni inglesi (K. 166 e 186). Non mancano
accoppiamenti strumentali molto arditi con due flauti, cinque trombe e
timpani (K. 187 e 188). Da ciò si deduce come il timbro strumentale
rivesta un ruolo importante in queste composizioni, dove si rivela l'abilità
del compositore nel contrapporre, ad esempio, il timbro chiaro dell'oboe
alla voce malinconica e leggermente nasale del corno inglese, il suono
stridente e metallico del corno di bassetto a quello dolce e pastoso del
clarinetto.
Una prova abbastanza indicativa dello stile di queste composizioni viene
data dal Divertimento K. 251, scritto da Mozart nel luglio 1776 per il
compleanno della sorella Nannerl. Non per nulla il brano è punteggiato
da ritmi brillanti, arguti e leggeri di intonazione parigina, sicuramente per
assecondare i gusti della sorella, che, da brava claviccmbalista, si era
specializzata nella esecuzione della musica francese. Tutto scorre con
leggerezza ed eleganza galante, specie nel dialogo tra il suono caldo e
leggermente metallico dell'oboe e le fioriture del primo violino.

392
393
Il Divertìmento si apre con un tempo in forma di sonata dal ritmo vivace
ed allegro; segue un Minuetto in cui il musicista introduce ornamenti e
variazioni al tema principale.
L'Andantino è un delicato e delizioso rondò con una serie di intermezzi
che sembrano tanti siparietti di un'unica scena.
Il secondo Minuetto è un tema con sei variazioni, di cui l'ultima si
richiama ciclicamente all'inizio del movimento.
Anche il quinto tempo (Allegro assai) ha l'andamento di un rondò,
sviluppato ampiamente e con ricchezza di invenzione timbrica.
Il Divertimento si chiude con una Marcia alla Francese, detta in tal
modo per il particolare carattere del ritmo, molto marcato e meno
cantabile della maggior parte dei temi di marcia composti in precedenza
da Mozart.
Si ritiene, secondo alcuni studiosi mozartiani, tra cui Alfred Einstein, che
il musicista abbia anticipato in questo Divertimento in re maggiore i temi
per il balletto parigino Les Petits riens composto nell'estate del 1778 e
andato in scena senza il nome dell'autore sul manifesto, insieme all'Opera
buffa di Piccinni Le due gemelle, tanto che il successo andò al coreografo
Noverre e nessuno seppe in quella occasione chi fosse l'autore
dell'ouverture e delle quattordici danze distribuite in tre quadri.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma Auditorio di Via della Conciliazione, 31 Gennaio 1986

394
DIVERTIMENTO N. 15 IN SI BEMOLLE MAGGIORE
"LODRONNISCHE NACHTMUSIK N. 2", K 287
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (si bemolle maggiore)
2. Tema con 6 Variazioni. Andante grazioso (fa maggiore)
3. Minuetto (si bemolle maggiore)
4. Adagio (mi bemolle maggiore)
5. Minuetto (si bemolle maggiore)
6. Andante (si bemolle maggiore). Molto allegro (si bemolle
maggiore)
Organico: 2 corni, 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Salisburgo, 1 febbraio 1777
Prima esecuzione: Salisburgo, Palazzo del conte Czernin, 1 febbraio
1777
Edizione: Gombart, Ausburg 1799
Dedica: contessa Lodron

Il manoscritto del lavoro, conservato a Berlino, reca l'indicazione


Divertimento a 6 Stromenti; si tratta in pratica di un Quartetto d'archi
(violini primi e secondi, viole, bassi) e una coppia di corni, i quali ultimi
non sono in soggezione ma si integrano agli archi con necessità. Wyzewa
e Saint-Foix nella loro fondamentale monografia mozartiana indicano per
quest'opera una fonte precisa: un Divertimento in si bemolle per
Quintetto d'archi di Michael Haydn (fratello del grande Joseph, e il
maggior musicista che Mozart potesse vedere a Salisburgo), composto
intorno al 1776. Il confronto minuzioso che i due studiosi francesi
sviluppano tra i due Divertimenti è illuminante per constatare quella
prodigiosa facoltà di assorbimento di cui si diceva sopra a proposito del
carattere di Mozart; infatti, pur nella rispondenza puntuale di
innumerevoli particolari formali non sussistono dubbi sulla vitalità
autonoma e sullo stile inconfondibile del lavoro mozartiano.
L'ampiezza di gesto propria del Concerto K. 271 trova ancora
applicazione nel primo movimento del Divertimento, sia nel portale
introduttivo di 8 battute, dopo le quali soltanto vengono enunciati i due
395
temi principali, sia nella eccezionale ampiezza dello sviluppo. Segue,
come nel Divertimento di Michael Haydn, il Tema con sei variazioni; la
prima è quasi un a solo del primo violino che nella seconda viene
scortato da secondo violino e viola; la terza ha per protagonisti i corni,
mentre la quarta contempla un gioco imitativo dei due violini con la
viola; nella quinta il tema è sottoposto a una trasformazione melodica
dopo di che, nell'ultima, il primo violino riprende l'iniziativa.
Il primo Minuetto, secondo le parole di Wyzewa e Saint-Foix, «è forse la
parte più perfetta di tutta quest'opera perfetta. L'incanto leggero e sottile
del ritmo di danza tedesca, nel minuetto, l'introduzione, nel trio, di
modulazioni in sol minore, con la misteriosa espressione d'inquietudine
nervosa e appassionata che questo tono ha in Mozart», pongono
quest'opera al livello dei Minuetti dei capolavori sinfonici del 1774.
Nell'Adagio seguente i corni escono dall'organico perchè l'uniformità di
timbro accentui l'interesse sul canto che il primo violino sviluppa
indisturbato.
Il secondo Minuetto fa ampio ricorso alla tecnica dell'eco, gioco che qui
ha la funzione rilassante di diversivo prima dell'intenso impegno del
Finale.
Questo è introdotto da un recitativo strumentale (presente nel Quintetto
dell'Haydn, ma anche nell'Andantino del Concerto K. 271), i cui accenti
tragici si scaricano nell'Allegro molto che segue, formato di due temi
principali, di uno sviluppo che supera per estensione persino quello del
primo tempo, e di una festosa coda.
Giorgio Pestelli

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 27 novembre 1970

396
DIVERTIMENTO N. 17 IN RE MAGGIORE PER SESTETTO, K1
334, K6 320B "MUSIQUE VON ROBING"
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (re maggiore)
2. Tema e 6 variazioni. Andante (re minore)
3. Minuetto (re maggiore)
4. Adagio (la maggiore)
5. Minuetto e 2 trii (re maggiore)
6. Rondò. Allegro (re maggiore)
Organico: 2 corni, 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Salisburgo, primavera – estate 1779
Edizione: Gombart, Ausburg 1799

Il Divertimento in re maggiore K. 334, detto anche Sestetto (due


violini, viola, contrabbasso e due corni), fu composto a Salisburgo tra
l'estate e l'autunno del 1779 e dedicato alle contesse Lodron, così come
gli altri due Divertimenti scritti nel 1776 e nel 1777. Il pezzo contiene
molteplici motivi di interesse, sia sotto il profilo tecnico (la parte del
primo violino è impegnativa e richiede la presenza di uno strumentista di
valore) e sia per quello che riguarda il linguaggio espressivo, ricco di
trovate e di umori di brillante musicalità, a cominciare dall'Allegro
iniziale, articolato in due temi strettamente connessi fra di loro in un
dialogo concertante, dopo l'eposizione annunciata rispettivamente dal
primo e dal secondo violino.
Il discorso si amplia e si sviluppa attraverso una serie di eleganti
modulazioni e non mancano sortite virtuosistiche del primo violino,
finché il movimento termina sulle prime tre misure del tema di attacco.
L'Andante in re minore è un tema con sei variazioni di carattere patetico
e leggermente esotico; le prime due variazioni sono esposte dal primo
violino, che insieme alle armonie del secondo violino e della viola
accenna ad una frase identica a quella dell'Andante in re minore della
Serenata K. 320. La terza variazione si svolge nello stile imitativo tra il
primo violino e il contrabbasso, sorretto dal suono dei corni, protagonisti
della quarta variazione.
397
La quinta variazione viene indicata dal secondo violino ed ha un tono
affettuosamente melodico, mentre la sesta variazione vede il primo
violino impegnato in tutta la sua estensione degli armonici e gli altri
strumenti, tranne i corni. Il Minuetto che segue non è meno famoso di
quello celeberrimo di Boccherini: un unisono all'ottava del primo violino
e della viola è sorretto dai pizzicati del secondo violino e del
contrabbasso. Il trio è un siparietto dai colori delicatamente sfumati. Il
discorso musicale acquista brio e lucentezza nel Rondò finale,
punteggiato da un ritmo vivacemente contrappuntato nel gioco di
domande e risposte e ad incastro tra i vari strumenti, come Mozart era
solito fare con estrema naturalezza e cordiale schiettezza d'animo.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 2 dicembre 1983

MUSICA FUNEBRE MASSONICA "MAURERISCHE


TRAUERMUSIK" IN DO MINORE, K1 477 (K6 479A)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
 Adagio (do minore)
Organico: 2 oboi, clarinetto, corno di bassetto, controfagotto, 2 corni da
caccia, archi
Composizione: Vienna, 10 novembre 1785
Prima esecuzione: Vienna, Loggia "Zur wahren Eintracht", 17
novembre 1785
Edizione: Andrè, Offenbach 1805

Ad aprire negli anni viennesi nuove prospettive a Mozart, come


uomo e come artista, contribuì indubbiamente la massoneria, che allora
attraversava un periodo d'oro nella capitale dell'impero asburgico, anche
per la protezione accordatale da Giuseppe II. Quest'associazione non era
allora tanto segreta, anzi svolgeva la propria azione con una certa
ostentazione: i distintivi massoni venivano esibiti appesi alla catena
dell'orologio, molti articoli di moda venivano chiamati à la fanc-macon e
ovunque erano stampate ed eseguite le musiche massoniche.

398
GIUSEPPE II D’ASBURGO

399
Molti vi aderirono per moda o per avere l'appoggio e la protezione dei
"fratelli" o magari per la speranza di avere la rivelazione di grandi segreti
esoterici, come la pietra filosofale o la comunicazione con gli spiriti dei
defunti.
Ma gli ideali alla base della massoneria erano ben più alti: il forte senso
etico, l'amicizia e la fratellanza tra gli uomini, la liberazione dell'umanità
dall'oscurantismo e dalla superstizione.
Fu tra la fine del 1784 e l'inizio del 1785 che Mozart si iscrisse alla
loggia "Alla speranza incoronata nell'Oriente di Vienna", ritrovandosi in
compagnia di aristocratici, eruditi e artisti.
La loggia richiese a Mozart varie musiche per i propri riti, tra cui la più
importante è la Maurerische Trauermusik (Musica funebre massonica),
probabilmente composta già nel luglio del 1785 ma eseguita il 17
novembre nel corso di una cerimonia in memoria del conte Franz
Esterhàzy von Galantha, Gran Maestro della loggia, e di un altro fratello,
il duca Georg August von Mecklenburg-Strelitz.
È un pezzo assai breve ma estremamente significativo, sia per il suo
intrinseco valore musicale sia per il suo profondo significato spirituale.
Spicca nell'organico orchestrale della Musica funebre massonica la
presenza di tre corni di bassetto e un controfagotto, che le conferiscono
un particolarissimo colore velato e funereo.
Ma ciò che ne fa qualcosa di unico nel catalogo mozartiano è il modo
con cui l'arcaismo di un tema scritto negli antichi modi liturgici
gregoriani viene incastonato in elementi audacemente moderni.
Inizia come una sorta di deplorazione, con lunghi accordi dei fiati simili
a profondi sospiri, intervallati da lunghe pause, su cui s'innesta una
dolente frase dei violini primi, punteggiata dai cupi interventi di corni e
controfagotto.
Presto affiora agli archi un ritmo che allude a una marcia funebre, mentre
oboi e clarinetti accompagnano con una sorta di cantus frmus: è un
dolore acuto e profondo, ma rattenuto e dignitoso, che non cede alla
disperazione.

400
LO STEMMA DELLA FAMIGLIA ESTERHÀZY

401
Tornano, ancora più sofferenti, i singhiozzi degli strumenti a fiato,
accompagnati ora dalle sincopi dei violini, e presto si è già alla coda,
conclusa da un accordo in do maggiore, che lascia intravedere un raggio
di speranza anche in questo momento di profondo abbattimento e
sconforto.
Mauro Mariani
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 8 gennaio 2012

RONDÒ IN SI BEMOLLE MAGGIORE


PER VIOLINO ED ORCHESTRA, K1 269, K6 261A
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
 Allegro (si bemolle maggiore)
Organico: violino solista, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, fine 1776

Come Finale alternativo per il Concerto K. 207 Mozart scrisse, alla


fine del 1776, il Rondò in si bemolle maggiore K. 269 (Allegro). Vi fu
probabilmente indotto da Brunetti, che non dovette trovare di suo gusto il
finale originario (forse perché non concede molto al virtuosismo
strumentale).
Mozart abbozzò dunque un nuovo brano, nella forma più «disimpegnata»
e meno problematica del rondò: un tema sciolto ed elegante, dalla natura
Quartettistica, si alterna a una serie di episodi ora virili, ora ombrosi, ora
drammatici. Con una spiritosa trovata, l'orchestra e il violino ingannano
l'orecchio, da ultimo, con un «falso» attacco del ritornello, prima che la
consueta cadenza solistica sfoci nel vero ritornello conclusivo.
Claudio Toscani
Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 250 della rivista
Amadeus

402
SERENATA N. 1 IN RE MAGGIORE PER ORCHESTRA "FINAL-
MUSIK", K1 100, K6 62A
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (re maggiore)
2. Andante (re maggiore)
3. Minuetto (sol maggiore)
4. Allegro (re maggiore)
5. Minuetto (re maggiore)
6. Andante (la maggiore)
7. Minuetto (re maggiore)
8. Allegro (re maggiore)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, archi
Composizione: Salisburgo, estate 1769

La Serenata in re maggiore K. 100 fu composta nel 1769; forse si


trattò di un lavoro su commissione, ordinato al ragazzo per qualche festa
all'aperto.
E' certo però che si tratta di un'opera singolare per l'accuratezza formale
e per il candore con cui gli otto tempi si differenziano l'uno dall'altro
sulla falsariga di modelli consueti: il tono generale è piacevole e
brillante, il colore degli strumenti a fiato è valorizzato con sapienza
(insieme con gli archi l'organico dell'orchestra prevede due flauti, due
oboi, due trombe e due corni); e se il ricordo della musica francese e di
quella di Michael Haydn guidano le scelte del giovanissimo maestro, una
personale vigoria di segno caratterizza gli sviluppi tematici.
Leonardo Pinzauti

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 15 marzo 1970

403
SERENATA N. 4 IN RE MAGGIORE
PER ORCHESTRA, K1 203, K6 189B
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Andante maestoso (re maggiore). Allegro assai (re maggiore)
2. Andante (si bemolle maggiore)
3. Minuetto (fa maggiore). Trio
4. Allegro (si bemolle maggiore)
5. Minuetto (re maggiore). Trio (la maggiore)
6. Andante (sol maggiore)
7. Minuetto (re maggiore). Trio (re minore)
8. Prestissimo (re maggiore)
Organico: 2 oboi o flauti, fagotto, 2 corni, 2 trombe, archi
Composizione: Salisburgo, Agosto 1774

Va eseguita con la Marcia introduttiva K 237 (K 189c)

Mozart ci ha lasciato in tutto tredici Serenate, di cui ben otto nella


tonalità di re maggiore. Mozart non discriminò con molta esattezza i
termini di Cassazione, Divertimento e Serenata nell'intitolare le sue
composizioni. Del primo termine fece anzi uso soltanto in due
composizioni giovanili del 1769. Ma anche la prima Serenata, che è
dello stesso anno, può essere considerata una Cassazione. In genere i
Divertimenti, comunque, si richiamano più da vicino alla musica da
camera e richiedono complessi di solisti per la loro esecuzione, laddove
le Serenate mostrano una maggiore affinità con la musica orchestrale
(Sinfonia e Concerto per strumento solista).
Ciò non toglie che, ad esempio, le ultime Serenate, le tre per strumenti a
fiato del 1781-82 e quella per archi del 1787 (la celebre «Eine kleine
Nachtmusik») siano chiaramente concepite per complessi solistici. Alla
tipologia propria della Serenata (cinque movimenti di carattere sinfonico
con l'interpolazione di due o tre movimenti di concerto solista) si
richiama in realtà soltanto un gruppo di 5 Serenate, scritte tra il 1773 e il
404
1779, tutte in re maggiore: K. 185 (E. 167a) del 1773, K. 203 (E. 189b)
del 1774, K. 204 (E. 213a) del 1775, K. 250 (E. 248b) del 1776, K. 320
(E. 320) del 1779. Si tratta di composizioni che nascono da occasioni di
celebrazioni festive e risentono di questa loro destinazione nel tono
gioioso e vivace, nella ricchezza ornamentale della scrittura, nella
conversatività lietamente dialogante che ne caratterizza il discorso
strumentale. Le interpolazieni in forma di concerto per strumento solista
e orchestra sono ricche di virtuosismo.
Non si conosce l'occasione per la quale Mozart scrisse la Serenata in re
maggiore K. 203 (E. 189b) nell'agosto 1774. Il Niemtschek suppone che
essa fosse destinata a celebrare l'onomastico dell'arcivescovo di
Salisburgo, che cadeva il 30 settembre. L'Einstein esprime i suoi dubbi
su questa supposizione, peraltro non suffragata da alcun documento.
Nella loro pubblica o privata esecuzione per la festività cui erano
destinate le Serenate erano in genere precedute e seguite da una Marcia.
Le Marcie delle Serenate di Mozart ci sono pervenute staccate dalla
composizione principale cui erano destinate.
Alla Serenata del 1774 era connessa la Marcia in re maggiore K. 237 (E.
189c), scritta per un organico pressocchè uguale: 2 oboi, 2 fagotti, 2
corni, 2 trombe e archi senza viole la Marcia, 2 oboi (sostituibili con 2
flauti), fagotto, 2 corni, 2 trombe e archi la Serenata. Tra la Marcia K.
237 e l'andante maestoso che apre la Serenata K. 203 è tra l'altro
evidentissima la connessione tematica.
L'allegro che segue ha tratti di nobile, maestosa solennità, è riccamente
sviluppato ed ha caratteristiche che lo avvicinano di molto alle
contemporanee Sinfonie.
I movimenti dal secondo al quarto (andante - minuetto e trio - allegro)
costituiscono il Concerto per violino e orchestra interpolato nella
Serenata, «pienamente sviluppato, una vera e propria composizione
inserita in un'altra e non un semplice episodio», come scrive l'Einstein, il
quale sottolinea tra l'altro la parentela che lega «il contrasto tra la
melodia principale e l'intercalare chiacchierino degli oboi e delle viole»
nell'andante e quello «che si riscontra nel quartetto in si bemolle del Don
Giovanni fra Donna Anna e Don Ottavio da una parte e Donna Elvira e
Don Giovanni dall'altra».

405
406
Il Concerto è anch'esso nella tonalità di si bemolle, con il movimento
centrale (minuetto e trio) in fa maggiore.
Il quinto movimento della Serenata è di nuovo un minuetto e trio che
riporta alla tonalità fondamentale di re maggiore (col trio in la
maggiore).
Il successivo andante, in sol maggiore, è di una tenera riflessività ed è
essenzialmente affidato ai violini e agli oboi.
Il terzo minuetto e trio (settimo movimento, col trio in re minore) riporta
nuovamente alla tonalità fondamentale, che trionfa nel finale prestissimo.
La più articolata varietà di colorazioni e di espressioni si congiunge nella
Serenata in re maggiore all'unitarietà della concezione tematica, alla
perfetta simmetria delle strutture, alla omogeneità dei toni affettivi, nella
totale pienezza creativa che contraddistingue tutta l'opera di Mozart.
Carlo Marinelli

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 31 dicembre 1961

407
SERENATA N. 5 IN RE MAGGIORE
PER ORCHESTRA, K1 204 (K6 213A)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro assai (re maggiore)
2. Andante moderato (la maggiore)
3. Allegro (la maggiore)
4. Minuetto I (re maggiore)
5. Trio (la maggiore)
6. Andante (sol maggiore)
7. Minuetto II (re maggiore)
8. Trio (sol maggiore)
9. Andantino grazioso (re maggiore)
10. Allegro (re maggiore)
Organico: 2 oboi (anche flauti), fagotto, 2 corni, 2 trombe, archi
Composizione: Salisburgo, 5 agosto 1773
Prima esecuzione: Salisburgo, Logiker-Universität, 9 agosto 1773

Composta nell'agosto del 1775, la Serenata infila uno dopo l'altro


sette tempi contrassegnati da un vivo piacere per l'esibizione brillante di
un virtuosismo compositivo tuttavia mantenuto in una gradevole
pacatezza di gesto adornativo.
Ciò che colpisce e affascina, è difatti l'equilibrio con cui Mozart sembra
aggirare le formule consuete, cui pure fa riferimento, per dare proprio
attraverso esse l'immagine di una musica legata ai riti di un ambiente, di
un consumo, di una moda perfino, e che però non soggiace a queste sue
obbligate determinazioni, bensì le assume per darci con stilizzato e
disincantato fervore fantastico, il quadro vivacissimo d'un aspetto
particolare del suo mondo musicale.

408
Luigi Pestalozza

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 21 dicembre 1975

SERENATA NOTTURNA N. 6 IN RE MAGGIORE


PER DUE PICCOLE ORCHESTRE, K 239
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Marcia. Maestoso (re maggiore)

2. Minuetto (re maggiore)


Rondò. Allegretto (re maggiore)
3.

Organico: Orchestra A: archi; Orchestra B: archi, timpani


Composizione: gennaio 1776

Caso a sé stante è quello della Serenata notturna in re maggiore K.


239 - l'aggettivo "notturna" può essere correlato con l'orario
dell'esecuzione, ma anche con il contenuto musicale. È possibile che il
clima festoso della partitura sia da mettersi in relazione con il Capodanno
1776; ma la caratteristica che più contraddistingue la Serenata è quella di
essere pensata per due gruppi strumentali contrapposti, che
verosimilmente dovevano essere collocati a una certa distanza per
sfruttare i calibrati effetti d'eco fra l'uno e l'altro gruppo.
Ci troviamo così di fronte a un Quartetto d'archi solista che si
contrappone a una piccola orchestra d'archi con timpani. In questo caso
la Marcia entra a far parte integrante della Serenata, come primo tempo;
la pagina appare solenne e briosa, e sfrutta, con effetti d'eco sorprendenti,
la contrapposizione fra i due gruppi strumentali, soprattutto nella sezione
dello sviluppo. Segue un grazioso Menuetto e Trio; nel Menuetto le due
orchestre si alternano in modo più marcato, mentre il Trio è affidato al
solo Quartetto d'archi. Infine il Rondò è caratterizzato da episodi
diversificati, con un forte gusto del contrasto, che vede anche un episodio
in minore e una nuova marcia viennese.

409
Arrigo Quattrocchi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia;
Roma, Auditorium Parco della Musica, 7 aprile 2006

SERENATA N. 7 IN RE MAGGIORE
PER ORCHESTRA "HAFFNER", K1 250 (K6 248B)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro maestoso (re maggiore)
2. Andante (sol maggiore)
3. Minuetto I (sol minore) - Trio (sol maggiore)
4. Rondò. Allegro (sol maggiore)
5. Minuetto II galante (re maggiore) - Trio (re minore)
6. Andante (la maggiore)
7. Minuetto III (re maggiore) - Trio I (sol maggiore) - Trio II (re
maggiore)
8. Adagio (re maggiore). Allegro assai (re maggiore)
Organico: 2 oboi o flauti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, archi
Composizione: Salisburgo, luglio 1776
Prima esecuzione: Salisburgo, Residenz-Theater, 21 luglio 1776
Edizione: Andrè, Offenbach 1792

Contiene un piccolo concerto in sol maggiore per violino ed orchestra

Un esempio tra i più riusciti e brillanti di Serenate mozartiane è la


cosiddetta «Haffner» in re maggiore composta per le nozze della figlia
del borgomastro di Salisburgo, Sigmund Haffner, ricco e munifico
commerciante, al quale Mozart dedicherà anche la Sinfonia in re
maggiore K. 385 per festeggiare l'ingresso nel circolo della nobiltà di tale
personaggio. Questo delizioso carme nuziale venne eseguito per la prima
volta il 21 luglio 1776 a Salisburgo, in occasione di una festa notturna
410
che precedette il matrimonio. E' probabile, come scrive il Saint-Foix, che
alla esecuzione partecipasse lo stesso Mozart nel ruolo di violinista,
rendendo ancora più indimenticabile la serata.
La Serenata è articolata in otto tempi che si succedono con gustosa
varietà melodica e tematica. Il primo tempo è un Allegro maestoso dal
ritmo sostenuto e ben marcato, cui segue un Allegro molto affidato alla
frase brillante degli archi, sostenuti dal colorito cadenzare dei corni e
delle trombe. Non mancano momenti di più distesa cantabilità disegnata
dai violini, ma si ritorna presto ad una figurazione ritmica vivace.
Il secondo tempo è un Andante di straordinaria delicatezza espressiva
nella tonalità di sol maggiore; protagonista è il violino solista, sorretto
dagli accordi sincopati degli altri archi e a volte impegnato in passi
virtuosistici. Ecco quindi il primo Minuetto in sol minore infiorato di
eleganti modulazioni, in antitesi con il tono del trio, dove ricompare la
voce del violino solista.
Il quarto tempo è un Rondò in sol maggiore, dal moto perpetuo
scorrevole e scintillante e particolarmente vario nelle armonie e nei ritmi.
Nel quinto tempo ritorna un Minuetto dalle garbate galanterie, cui segue
un trio segnato dal tema dei violini.
Nel sesto tempo si ascolta un Andante in la maggiore increspato di dolci
sonorità, senza troppo sentimentalismo.
Il settimo tempo è di nuovo un Minuetto dal tema più frizzante che
galante, integrato da due trii, in cui si mettono in evidenza il flauto, il
fagotto e i violini.
Dopo un Adagio in re maggiore, la Serenata si conclude con un elegante
e fosforescente Allegro assai, che sembra rievocare l'atmosfera danzante
della festa nuziale, magari in giardino o sotto un pergolato illuminato
dalle candele.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 5 febbraio 1978

411
SERENATA N. 9 IN RE MAGGIORE
PER ORCHESTRA "POSTHORN", K 320
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Adagio maestoso (re maggiore)

2. Allegro con spirito (re maggiore)


3. Minuetto e Trio. Allegretto (re maggiore)
4. Concertante. Andante grazioso (sol maggiore)
5. Rondò. Allegro ma non troppo (sol maggiore)
6. Andantino (re minore)
7. Minuetto e 2 trii (re maggiore)
8.Presto (re maggiore)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, corno da postiglione, 2
trombe, timpani, archi
Composizione: Salisburgo, 3 agosto 1779
Edizione: Andrè, Offenbach 1792

La Serenata in re maggiore K. 320 scritta nell'agosto del 1779 a


Salisburgo è articolata in cinque movimenti (l'orchestra comprende due
violini, due viole, contrabbasso, due flauti, due oboi, due fagotti, due
corni, due trombe e timpani).
Non si sa a chi fosse destinata questa Serenata, ma certamente era stata
composta per allietare qualche ricorrenza festiva. Del resto l'Allegro con
spirito, introdotto da poche misure in tempo adagio, si snoda con
spigliatezza di effetti strumentali e rivela un carattere festoso e
ritmicamente vivace nel gioco tra pianissimo e crescendo, in una
successione di imitazioni e di richiami al ritornello del primo tema.
In fondo più che la linea melodica è il ritmo brillante a prevalere in
questo movimento giustamente allegro. Piacevolmente efficace è il
Minuetto. Allegretto con il Trio in la, evidenziato dalle uscite del flauto e
del fagotto.

412
Delicatamente espressiva è la frase caratterizzante l'Andantino in re
minore nella esposizione dei violini, ripresa dal Tutti dell'orchestra.
Ancora ai violini è affidato un nuovo tema in fa maggiore e su di esso si
sviluppa una trama strumentale di particolare piacevolezza melodica.
Segue un altro Menuetto con due Trii, di cui il primo è riservato al
flautino, mentre il secondo è scritto per due oboi, il corno da postiglione
o Posthorn, due violini, viola e contrabbasso.
Il tempo finale ha un tono saldo e vigoroso, marcatamente sinfonico e
vagamente evocativo dell'atmosfera un po' esotica che troverà maggiore
compiutezza e realizzazione musicale nell'Opera Il ratto dal serraglio.
L'intelaiatura strumentale è molto varia e presenta una gamma sonora di
entrate e di uscite, nelle tonalità più diverse, di tutti i protagonisti
dell'orchestra, sino ad una coda di esaltante brillantezza espressiva, che
conclude degnamente il ciclo delle Serenate salisburghesi di Mozart.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Piazza del Campidoglio, 8 luglio 1987

413
MARCE, DANZE, TEMPI DI
SINFONIE PER ORCHESTRA

MARCIA IN RE MAGGIORE PER ORCHESTRA, K 249


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
 Maestoso (re maggiore)
Organico: 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, 2 violini, viola,
contrabbasso
Composizione: Salisburgo, 20 luglio 1776
Prima esecuzione: Salisburgo, Residenz-Theater, 21 luglio 1776

Come accompagnamento della Serenata K 250

E' vero che nelle Sinfonie è indicato il cammino ascensionale di


Mozart verso la conquista di una forma musicale in cui sono racchiuse
compiutamente le immagini più alte e più pure della fantasia poetica, ma
non bisogna dimenticare che il compositore salisburghese fu un
abilissimo artigiano di suoni e come tale si mostrò sempre pronto a ogni
comando e commissione di musiche per intrattenimento di cui la società
viennese, aristocratica e borghese, era addirittura affamata.
Di qui le Danze, le Marce, le Serenate, le Cassazioni, i Divertimenti, i
Notturni che sono prodotti di una freschezza avvincente e di una
invenzione lieta e serena, anche se a volte mondana.
In questo ambito va collocata la Marcia in re maggiore K. 249, che fu
scritta il 20 luglio del 1776 per festeggiare le nozze di un certo signor
Spath con Elisabetta Haffner, figlia del borgomastro di Salisburgo, come
risulta dall'autografo della partitura vergato dallo stesso Mozart.
Anzi questa marcia è stata composta per essere eseguita o prima o in
appendice alla Serenata «Haffner» in re maggiore K. 250.
Non per nulla essa si apre con un ritmo maestoso che si richiama
all'Allegro maestoso del primo movimento della suddetta Serenata, quasi
a sottolineare il legame e l'interdipendenza fra le due musiche.

414
La Marcia è costituita da due temi distinti e opposti, ai quali se ne
aggiunge un terzo con funzione di sviluppo; il discorso ha uno
svolgimento melodico e ritmico molto composto e misurato, sorretto da
un’orchestra vivace e brillante negli effetti strumentali e comprendente
due violini, viola, due oboi, due fagotti, due trombe, due corni e
contrabbasso.

La musica scorre piacevolmente e in un'atmosfera gioiosa di suoni che


rimbalza dagli archi ai fiati.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma Auditorio di Via della Conciliazione, 5 febbraio 1978

415
MARCIA IN RE MAGGIORE
PER ORCHESTRA, K1 335 N. 1 (K6 320A N. 1)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
 ... (re maggiore)
Organico: 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, archi
Composizione: Salisburgo, 1 - 3 agosto 1779
Edizione: Andrè, Offenbach 1801

E' giunta sino a noi una dozzina delle marce che Mozart compose
in epoche diverse (quella K. 544 è andata perduta, mentre le marce K.
206 e K. 362 sono dell'opera «Idomeneo») ed elaborò per le più varie
formazioni strumentali. Ad esempio le Marce K. 246, 290 e 445 sono
scritte per gli archi e due corni; la K. 384 comprende solo i fiati e nella
maggior parte dei casi, tra cui le due Marce in re maggiore K. 335, sono
impiegate le trombe con i flauti, oppure con gli oboi e i corni.
L'elemento caratteristico di queste marce è la corposità e la compostezza
del suono, in cui predomina l'aspetto dolcemente cantabile, in quanto le
trombe non assumono mai un tono eccitante e marziale.
A Mozart interessava soprattutto mettere in evidenza le sfumature
timbriche dei vari strumenti, secondo quel gusto classico
dell'orchestrazione settecentesca, che il musicista aveva ereditato dalle
Sinfonie di Haydn.
La Marcia in re maggiore K. 335 porta la data dell'agosto 1779 e fu
scritta a Salisburgo; è molto semplice e scorrevole nella sua struttura, con
qualche accenno umoristico, che appartiene alla vena più autenticamente
musicale di Mozart, sempre interessante e mai noioso, anche nei pezzi
della sua produzione «minore».

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Basilica di Massenzio, 7 luglio 1977

416
SEI DANZE TEDESCHE PER ORCHESTRA, K 509
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. re maggiore
2. sol maggiore
3. mi bemolle maggiore
4. fa maggiore
5. la maggiore
6. do maggiore
Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2
trombe, timpani, archi
Composizione: Praga, 6 febbraio 1787
Edizione: Artaria, Vienna 1790
Dedica: barone Pachta

Mozart aveva la danza nel sangue: si dice che fosse un ottimo


ballerino ed era - senza "si dice" - uno straordinario compositore di
Danze, capace d'inserire in questa musica leggera e priva di grandi
ambizioni degli squarci che, quasi inavvertitamente e senza calcare la
mano, aprono prospettive su mondi ben più profondi dei futili
intrattenimenti cui le composizioni di questo genere erano destinate.
Proprio la musica di danza diede un contributo importante alle sue
travagliate finanze negli ultimi anni di vita, perché nel 1787 fu nominato
"compositore di corte", un titolo altisonante che in realtà si limitava alla
composizione della musica per i balli nel palazzo imperiale. Con questa
nomina la corte dimostrava di sapere scegliere con acutezza un
compositore che aveva un dono particolarissimo per la danza, ma d'altra
parte rivelava una forte miopia, perché disconosceva che le capacità di
Mozart andavano ben oltre. Certamente non era quel cui aspirava il
trentunenne compositore, che osservò che era pagato anche troppo per
quel che gli facevano fare, ma troppo poco rispetto a quel che avrebbe
potuto fare.
Le Sei danze tedesche K. 509 precedettero di qualche mese l'incarico a
corte e furono scritte nel febbraio del 1787 a Praga, dove Mozart si era
recato per una felicissima ripresa delle Nozze di Figaro, il cui
417
entusiastico successo fece di lui un protagonista degli avvenimenti
mondani di quel carnevale, oltre a procurargli la commissione di una
nuova Opera da rappresentarsi nella capitale boema nell'autunno di
quello stesso anno, il Don Giovanni. Non si conosce la destinazione
precisa di questo gruppo di Danze, ma una leggenda (perché tale la si
deve considerare, sebbene al suo fondo possa esserci qualche elemento di
verità) racconta che siano state scritte nel palazzo del conte Pachta, il cui
proprietario aveva invitato a pranzo Mozart ma al suo arrivo lo rinchiuse
in una stanza, dicendogli che non l'avrebbe fatto uscire finché non avesse
composto le Danze che da lungo tempo gli aveva promesso: dopo un'ora
le danze erano pronte!
La Danza tedesca o Teutscher (modernamente Deutscher) stava in quegli
anni rimpiazzando l'antiquato Minuetto, destinato a sopravvivere ancora
alcuni anni soltanto all'interno delle Sinfonie e dei Quartetti. Ebbe una
rapida esplosione - Haydn ne compose trentacinque, Mozart cinquanta,
Beethoven ventiquattro, Schubert un centinaio - e poi fu a sua volta
sostituita dal Walzer. Come il Minuetto, la Danza tedesca era in ritmo
ternario, ma era meno formale e più spigliata, conservando il ricordo
delle sue origini popolari. Del Minuetto aveva anche lo schema: ad una
prima Danza divisa in due sezioni, ognuna delle quali viene ripetuta,
segue una seconda Danza (il Trio nel Minuetto, l'Alternativo nella Danza
tedesca) anch'essa in due sezioni ripetute; alla fine dell'Alternativo è
indicato il da capo, che alcuni intendono riferito all'intera Danza e altri
alla sola parte iniziale.
Sapendo bene quale fosse la destinazione delle Sei danze tedesche K.
509, Mozart scrisse una musica di divina leggerezza, in modo che la si
potesse godere spensieratamente durante un intrattenimento mondano.
Ma tutto lascia intendere che non fosse affatto convinto che questa è
musica di genere inferiore. L'organico orchestrale è infatti simile a quello
d'una Sinfonia (mancano soltanto le viole, com'è tipico delle Danze
dell'epoca), le dimensioni sono relativamente ampie e ad un ascolto
attento si apprezzano i numerosi raffinati dettagli, l'interrotta serie d'idee
originali e le magistrali modulazioni, che sfumano con qualche
ombreggiatura l'atmosfera fondamentalmente serena e gioiosa (notare la
tonalità minore dell'Alternativo della quinta Danza). Una particolarità di
queste Sei Danze è che sono congiunte da brevi transizioni e quindi si
svolgono senza soluzione di continuità.
418
FRANZ SCHUBERT

419
Un'altra particolarità è l'imprevista e relativamente ampia coda, che si
avvia con la brillante sonorità delle trombe e culmina in un festoso
crescendo e in una serie di rutilanti accordi fortissimo, su cui si libra il
trillo dell'ottavino.
Mauro Mariani
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma Auditorium Parco della Musica, 8 gennaio 2012

CONCERTI PER UNO O PIÙ STRUMENTI SOLISTI

ANDANTE IN DO MAGGIORE
PER FLAUTO ED ORCHESTRA, K1 315 (K6 285E)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
Organico: 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Mannheim, gennaio 1778

Forse alternativa per il secondo movimento del Concerto per flauto K


314

Mozart non ha lasciato alcuna indicazione sull'origine di questa


breve composizione per flauto con accompagnamento di due violini,
viola, violoncello, contrabbasso, due oboi e due corni. Probabilmente si
tratta di un Andante scritto per uno dei Concerti per flauto, composti
forse a Mannheim nella primavera del 1788. Evidentemente lo scopo del
musicista era di valorizzare il ruolo del flauto, su cui è concentrato
l'interesse di questo componimento, riproposto non a caso dai migliori
solisti di questo strumento.
Il flauto si espone all'inizio in un canto teneramente espressivo, sul
pizzicato degli archi, e dopo alcune misure lo stesso flauto presenta un
nuovo tema in sol minore, altrettanto indicativo per sottolineare il
discorso cantabile del solista. L'orchestra non presenta variazioni di tono
di notevole cambiamento ed è in funzione di ciò che vuole il flauto, il

420
quale non manca di riaffermare le proprie caratteristiche tecniche e
stilistiche in una cadenza liberamente concepita. Alla fine il flauto si
congeda con un poetico addio, tanto ammirevole quanto piacevole e
gradevole.

FRANZ JOSEPH HAYDN

421
Ascoltando questa pagina mozartiana, che è un nonnulla di fronte alla
grandiosità e all'importanza della produzione di questo artista si può
capire come il senso creativo fosse spontaneo e naturale nel compositore
salisburghese.
Al contrario di Haydn, Mozart non doveva rivolgere preghiere a Dio per
avere idee musicali: generalmente egli le sviluppava prima mentalmente,
con una concentrazione intensa e gioiosa allo stesso tempo, e poi le
trasferiva sulla carta da musica, avendo già davanti agli occhi la struttura
del brano. Per questa ragione, al di là dell'impegno, della fatica e dello
sforzo creativo che pur esistono nelle opere maggiori del musicista,
Mozart diventa l'eroe musicale della prima generazione romantica, più di
Bach, di Haydn e forse dello stesso Beethoven.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 11 maggio 1986

CONCERTONE IN DO MAGGIORE
PER DUE VIOLINI E ORCHESTRA, K1 190 (K6 186E)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro spiritoso (do maggiore)
2. Andantino grazioso (fa maggiore)
3. Tempo di Minuetto. Vivace (do maggiore)
Organico: 2 violini solisti, 2 oboi, 2 corni, 2 trombe lunghe, archi
Composizione: Salisburgo, 3 maggio 1773 - 31 maggio 1774
Edizione: Cranz, Amburgo 1871

La data di nascita del Concertone per due violini e orchestra in do


maggiore è cancellata sul manoscritto, ma si ha ragione di ritenere che
esso sia stato composto il 3 maggio del 1773 a Salisburgo, al ritorno del
compositore dal suo ultimo viaggio in Italia (marzo 1773). E una certa
influenza italiana è presente in questo Concerto sia nel titolo inconsueto
usato a volte nel nostro paese che nell'impianto formale con la divisione

422
tra gruppo solistico e tutti, rispondente allo schema del concerto grosso
di tipo barocco.
Tale caratteristica strutturale si può cogliere sin nel primo movimento
(Allegro spiritoso), di gusto brillante, ma non virtuosistico, con un
dialogo elegante tra i due violini da soli oppure insieme agli oboi in un
gioco di contrappunto con il resto della piccola orchestra.
Dopo quattro misure introduttive viene esposto il primo tema al quale se
ne aggiunge subito un altro non meno piacevole nell'invenzione
armonica. C'è una risposta dei violini solisti al secondo tema e poi una
ripresa del ritornello al posto dello sviluppo: i due violini espongono una
frase in tono minore su accompagnamento dell'orchestra.
Dopo la ripetizione delle quattro misure introduttive si giunge ad una
cadenza dei violini solisti con l'oboe, in cui si saldano perfettamente
spontaneità di effetti ed equilibrio di scrittura. Anche l'Andantino
grazioso del secondo movimento contiene due temi strettamente legati
fra di loro e indicati dall'orchestra e dai solisti.
Il ritornello del secondo tema è seguito da uno sviluppo in tonalità
minore da parte dei due violinisti. Non manca la cadenza che è la
ripetizione per quattro volte della stessa figura musicale e ad essa segue
una lunga coda dell'orchestra, che ripropone il secondo tema. In questo
movimento i due violini solisti dialogano a risposte alternate e Mozart
annota in partitura i termini "dolce" e "mezzo forte", come a sottolineare
le sfumature espressive.
Il Tempo di menuetto, molto preciso e ben cadenzato nel ritmo, è affidato
a tutta l'orchestra, mentre nel Trio si riascoltano le parti solistiche,
secondo il modello compositivo italiano. Il Concertone si conclude in
modo sostenuto e vivace, nel rispetto di un contrappunto strumentale di
solido impianto sonoro.
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 15 febbraio 1991

423
CONCERTO PER CLARINETTO IN LA MAGGIORE, K 622
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (la maggiore)

2. Adagio (re maggiore)


3. Rondò. Allegro (la maggiore)
Organico: clarinetto solista, 2 flauti, 2 fagotti, 2 corni, archi
Composizione: Vienna, 28 Settembre - 7 Ottobre 1791
Prima esecuzione: Praga, Teatro Nazionale Nostitz, 16 Ottobre 1791
Edizione: Sieber, Parigi 1801
Scritto per: il clarinettista Anton Stadler

Il Concerto era inizialmente concepito per corno di basseto; resta


l’abbozzo del primo tempo oggi catalogato come K6 621b

II 7 ottobre 1791, alle dieci e mezzo di sera, Mozart scriveva alla


moglie, in quei giorni a Baden per le cure termali, narrandole il duplice
successo della prima rappresentazione a Vienna del Flauto magico e
dell'ultima replica della Clemenza di Tito a Praga, entrambe svoltesi
qualche giorno prima, il 30 settembre. A informarlo del buon esito di
questa ultima opera, inizialmente accolta con una certa freddezza, era
stato l'amico clarinettista Anton Stadler, la cui permanenza a Praga si
protrasse sicuramente oltre il 16 ottobre, giorno in cui eseguì, nello
stesso teatro del Tito e per finalità benefiche, il Concerto per clarinetto e
orchestra K. 622. Mozart ne aveva appena terminata la stesura, visto che
proprio il 7 ottobre era ancora intento a dare gli ultimi ritocchi al Rondò
finale.
Sebbene il compositore avesse avuto i primi contatti con alcuni strumenti
a fiato di moderna costruzione, tra cui il clarinetto, già nel 1765 a
Londra, di fatto egli dovette attendere oltre un decennio perché
l'orchestra di Mannheim, all'epoca formazione d'avanguardia nel campo
dello stile esecutivo, gli mostrasse un suo più maturo impiego sinfonico.
Ma solo negli ultimi anni di vita Mozart si dedicò alla scrittura di brani
che affidassero al clarinetto un ruolo solistico. L'occasione gli fu fornita
proprio dalla conoscenza di Anton Stadler, fratello massone del
compositore e suo compagno di affari (pare non sempre limpidissimi),

424
nonché virtuoso di straordinaria abilità che pose Mozart nella condizione
di sperimentare le potenzialità del clarinetto fino ad allora inesplorate.

ANTON STADLER

Per le capacità tecniche e interpretative dell'amico, Mozart confezionò su


misura, oltre al Concerto in questione, anche il cosiddetto Trio dei birilli
K. 498, il Quintetto con clarinetto K. 581, nonché i mirabili interventi
concertanti di due Arie della Clemenza di Tito, ovvero «Parto ma tu ben
mio», cantata da Sesto, e «Non più di fiori», intonata da Vitellia, questa
in verità concepita per corno di bassetto (che del clarinetto è stretto
parente) per il quale Mozart aveva inizialmente abbozzato anche il
Concerto K. 622. Non bisogna dimenticare che Stadler suonava di
preferenza un "clarinetto di bassetto", strumento che si differenzia dal
425
modello moderno per una maggiore estensione nel registro grave. Tale
estensione permette al clarinetto di bassetto, di raggiungere alcuni suoni
nel registro profondo e vellutato effettivamente pensato da Mozart, senza
il bisogno di trasporli un'ottava sopra come avviene nei clarinetti
normalmente utilizzati.
Il recupero di alcuni colori timbrici vicini all'originale esalta ancor più il
fascino crepuscolare di una partitura che possiede rare potenzialità
espressive. Rispetto alle strutture formali audaci e sperimentali dei
Concerti per pianoforte scritti tra il 1784 e il 1786, il Concerto K. 622
sembra aspirare a una dimensione più classica e bilanciata. Tale senso di
equilibrio deriva da una suggestione timbrica: la divisione dei violoncelli
dal corpus dei contrabbassi, l'eliminazione dall'organico di strumenti a
fiato che sarebbero potuti entrare in conflitto con il solista (come gli
oboi, le trombe e i tromboni), la presenza di flauti, fagotti e corni, la
saltuaria riduzione dell'accompagnamento orchestrale ai soli violini (con
o senza viole) nei momenti lirici, sono tutti fattori che rendono la
partitura eccezionalmente leggera e delicata. A questa osservazione va ad
aggiungersi il fatto che Mozart, all'interno del Concerto per clarinetto,
porta alle estreme conseguenze un principio di diluizione della
fraseologia (già sperimentato in composizioni precedenti come il
Concerto per pianoforte e orchestra K. 595) grazie al quale temi e linee
melodiche si incatenano dolcemente come sgorgassero l'una dall'altra.
Fluidità melodica e calibratura dell'organico danno dunque a questa
composizione, fin dal suo esordio, una nitidezza e una pulitura
particolari. L'elegante tema d'apertura dell'Allegro possiede un
andamento flessuoso subito elaborato con fine lavoro contrappuntistico:
tale tema muove dal grave all'acuto dando al Concerto quella natura
ondivaga che lo caratterizza. Quanto questo andamento sinuoso sottolinei
le peculiarità del clarinetto ce lo dicono i tre temi esposti dal solista, tutti
giocati sul fascino timbrico che lo strumento realizza spostandosi dal
grave all'acuto e viceversa, oltre che sulla capacità magnetica di tenere
fissamente un singolo suono. Ci si accorge ben presto che la funzione del
contrappunto non è quella di rendere più complesso il tessuto sonoro ma
di sottolineare la morbida flessibilità del tutto: lo vediamo nel breve
sviluppo centrale dove si combinano primo e secondo tema, e dove
Mozart non perde occasione per elaborare in profondità alcuni frammenti
tematici.
426
Di questo secondo processo possiamo non accorgerci all'ascolto, ma
finiamo per seguire il percorso tracciato dall'autore cogliendone a livello
inconscio i nessi.
Per tale ragione il materiale, anche se mai ascoltato, ci sembra già
conosciuto, come appartenesse all'universo sonoro precedente. La
cerniera modulante che porta alla ripresa della sezione iniziale ha un
forte potere di suggestione: il compositore è maestro nel mettere
d'accordo frammenti tematici e necessità di guidare le parti verso la
ricomparsa del materiale iniziale. In questo artificio della spontaneità
risiede la perfezione formale dell'ultimo Mozart: tutto si muove come se
non potesse fare altrimenti, senza incrinature o forzature nella condotta
del tessuto sonoro.
Il secondo movimento, Adagio, si apre con un tema principale, esposto
dal clarinetto e ripetuto dall'orchestra, così intenso e sognante che sembra
disporsi verso di noi come se comprendesse, volendoli consolare, i
turbamenti e le difficoltà del vivere, librandoci in un universo trasparente
e disteso. L'aspirazione mozartiana alla serenità e alla luce va oltre il
fatto religioso, scopre e comunica una sacralità laica dalla quale è
difficile non farsi avvolgere. Il brano sublima a pura essenza, libera da
ogni contingenza mondana, una tersa plasticità melodica sulla quale
aleggia la fiduciosa speranza del Flauto magico, insieme alla volontà di
distillare il suono in volute di concentrata liricità. Nella parte centrale il
clarinetto spicca il volo dagli interventi orchestrali, dando origine a un
gioco di pieni e vuoti che sembra mimare il respiro, ricordandoci quanto
la musica abbia natura organica e vitale.
Un ammiccante e scherzoso tema apre il Rondò finale, nelle quattro
sezioni del quale Mozart ama sviluppare, più che frammenti, intere
riconoscibili gemme tematiche. Tale materiale, con una maestria che
ispirerà Schubert, viaggia nelle distese smisurate della malinconia,
oscillando tra modo maggiore e minore, mutando fattezze grazie a un
cromatismo che plasma ogni motivo secondario rendendolo carezzevole
e convincente. Fra giochi d'eco, imitazioni troncate a favore di morbide
discese, intervalli insoliti e ampi del solista, ci si avvia verso l'ultimo
episodio che anticipa la ripresa e la chiusura. Più di un momento del
coevo Flauto magico echeggia in questo Rondò: si pensi al
vagheggiamento di Tamino, privo di sensi, da parte delle Dame

427
nell'introduzione del primo atto, oppure alla disperazione di Papageno
alla ricerca di Papagena nel finale del secondo atto dell'opera.

COSTANZE MOZART

428
Mozart torna con questo Concerto alla ricchezza tematica che
caratterizzava le creazioni della sua giovinezza, al piacere di far parlare
ogni momento strumentale come fosse una scena, come avesse a
disposizione personaggi. Ne risulta una composizione di incredibile
freschezza e vitalità, nonostante il momento esistenziale, per Mozart, non
fosse tra i migliori. Ombre di una strana cupezza, quasi fosse
l'interiorizzazione di una minaccia, caratterizzarono i suoi ultimi mesi; un
disagio tra l'altro provato non solo dal compositore, ma anche dalla
moglie, continuamente afflitta da problemi non meglio identificati ai
quali tentava di porre rimedio con lunghi soggiorni termali. Ma di questi
momenti la storia ha cancellato i tristi effetti, lasciandoci tra le tante
meraviglie mozartiane, questo splendido Concerto per clarinetto.
Simone Ciolfi
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 16 Gennaio 2010

CONCERTO N. 1 IN RE MAGGIORE
PER CORNO E ORCHESTRA, K1 412 (K6 386B)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (re maggiore)
2. Rondò. Allegro (re maggiore)
Organico: corno solista, 2 oboi, 2 fagotti, archi
Composizione: Vienna, luglio - agosto 1782

Completato con il Rondò K 514

Mozart compose quattro Concerti per corno e orchestra, il K. 412


in re maggiore, il K. 417, il K. 447 e il K. 495, questi ultimi tre nella
stessa tonalità di mi bemolle maggiore, un Quintetto concertante per
corno e archi in mi bemolle maggiore K. 407 e un Rondò in mi bemolle
maggiore K. 371. Essi furono scritti a Vienna tra il 1781 e il 1783 e
dedicati al cornista dell'orchestra di corte di Salisburgo, Ignaz Leitgeb o,
secondo alcuni biografi, Joseph Leutgeb, il quale nel 1777 si stabilì a

429
Vienna e aprì un negozio di alimentari con formaggi e prosciutti molto
apprezzati da Mozart.
Leitgeb era un bravo strumentista di corno, anche se piuttosto ignorante e
sempliciotto, tanto da essere preso in giro bonariamente da Mozart, come
attesta la dedica un po' maliziosa apposta sul frontespizio del Concerto
K. 417 che dice testualmente: "Wolfgang Amadeus Mozart ha avuto
pietà di quell'asino, bue e pazzo di Leitgeb, Vienna 27 marzo 1783".
Nell'Allegro K. 412 sono scritte sulla partitura queste annotazioni in
italiano riferite al povero cornista: "Adagio a lei signor asino - Animo -
Presto - Coraggio - oh che stonatura - oh che seccatore - respira un poco -
avanti, avanti! - oh porco infame - e vieni a seccarmi per la quarta - oh
maledetto - anche bravura? - bravo - ah trillo di pecore - finisci? - grazie
al ciel! basta, basta!". Leitgeb tollerava gli scherzi del compositore e pur
di avere i Concerti con dedica per poi suonarli consentiva a starsene
inginocchiato dietro la stufa mentre Mozart, ridendo, lavorava ai suoi
pezzi di bravura, secondo quanto dice Paumgartner.
I Concerti mozartiani per corno e orchestra sono semplici e scorrevoli e
si adattano con straordinaria naturalezza al colore timbrico dello
strumento solista, ponendo in evidenza sia gli aspetti cantabili che i tratti
virtuosistici insiti nella parte del corno. Nel primo dei due Concerti, il K.
412/514, che vede il corno accompagnato da due oboi, due fagotti, due
violini, viola, violoncello e contrabbasso, il tema iniziale viene esposto
dai violini e seguito da un ritornello brioso, sul quale si innesta la frase
cordialmente scintillante e fresca del corno, in un gioco spigliato di
domande e risposte, secondo una varietà di modulazioni improntate ad
un senso di piacevole divertimento. Di questo schizzo di concerto esiste
il manoscritto alla Biblioteca di Berlino e si ritiene che esso sia stato
composto tra luglio e dicembre del 1782.
All'Allegro segue il Rondò K. 514 in re maggiore che viene abitualmente
accomunato al primo pezzo. Probabilmente i due movimenti erano
destinati ad un unico Concerto, rimasto incompleto, e non si sa con
precisione perché ambedue hanno una numerazione diversa. Anche nel
Rondò (aprile 1787) il tema principale viene esposto prima dai violini e
dagli altri strumenti dell'orchestra e poi ripreso dal corno solista, il quale
intreccia un dialogo quanto mai scorrevole ed elegante con gli archi e i
due oboi. Non manca una variazione sul tema in un gioco di armonie dal

430
forte al piano, che sfocia in un passaggio del solista nella tonalità minore;
l'orchestra riprende slancio e si avverte una frase in fa maggiore che cade
sulla dominante di re maggiore. Il corno ripropone il tema del rondò,
ripreso poi dal Tutti orchestrale, inserito in una vivace e spigliata coda, in
cui per due volte il solista sembra esprimere un saluto d'addio, secondo
lo stile della musica concertante abilmente trattata da Mozart.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 8 maggio 1987

CONCERTO N. 2 IN MI BEMOLLE MAGGIORE


PER CORNO E ORCHESTRA, K 417
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro maestoso (mi bemolle maggiore)
2. Andante (si bemolle maggiore)
3. Rondò (mi bemolle maggiore)
Organico: corno solista, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Vienna, 27 maggio 1783
Edizione: Andrè, Offenbach 1802
Scritto per il cornista Joseph Ignaz Leutgeb

Nel periodo viennese legato alla sua attività di virtuoso del


pianoforte (tra il 1782 e il 1786 nascono non meno di quindici importanti
«Concerti per pianoforte») Mozart scrisse i quattro «Concerti per corno e
orchestra» e precisamente il K. 412 in re maggiore, il K. 417 in mi
bemolle maggiore, il K. 447 in mi bemolle maggiore e il K. 495 in mi
bemolle maggiore.
Essi, insieme al Quintetto concertante per corno e archi K. 407 in mi
bemolle, furono composti per Ignazio Leutgeb, che era un valente
strumentista salisburghese che il padre di Mozart aveva aiutato
finanziariamente «a comprare a credito una casetta, piccola come un
guscio di chiocciola, con licenza di caseificio» in un sobborgo di Vienna.

431
Leutgeb nutriva una profonda ammirazione per Mozart, ma questi, pur
stimandolo come cornista, lo considerava un ignorante e un superficiale,
come è documentato in alcune frasi scritte dallo stesso compositore sul
frontespizio delle partiture dei Concerti per corno.
Ad esempio, proprio sul frontespizio del secondo Concerto, che apparve
il 27 maggio 1783 a Vienna, è scritto: «Mozart ha avuto pietà di
quell'asino, bue e pazzo di Leutgeb».
Mentre a margine del rondò del Concerto in re maggiore sono così
annotate le pene del povero cornista: «Adagio a lei signor asino, animo,
presto, coraggio, oh che stonatura! oh che seccatura! respira un poco,
avanti, avanti porco infame, oh maledetto! bravo, ah trillo di pecore,
finisci?, grazie al ciel, basta, basta!».
Leutgeb accettava di essere strapazzato in questo modo e tollerava
docilmente gli scherzi di Mozart, contento di poter suonare quella musica
scritta appositamente per lui, soprattutto perché si adattava in maniera
superba al carattere dello strumento.
Certo questi lavori non raggiungono il livello dei Concerti per pianoforte,
ma si lasciano ammirare per l'ampia linea melodica, il brio virtuosistico e
la vivacità dei tempi finali, sul tipo delle cacce in sei ottavi.
Per questa ragione tali Concerti restano tra i pezzi fondamentali e più
diffusi nel repertorio dei suonatori di corno.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Basilica di Massenzio, 22 agosto 1972

432
CONCERTO PER CORNO N. 3
IN MI BEMOLLE MAGGIORE, K 447
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (mi bemolle maggiore)

2. Romanza. Larghetto (la bemolle maggiore)


3.Allegro (mi bemolle maggiore)
Organico: corno solista, 2 clarinetti, 2 fagotti, archi
Composizione: Vienna, 1783
Edizione: Andrè, Offenbach 1802

Come per altri Concerti per strumento solista di Mozart, anche i


Concerti per corno rivelano parentele strette con la produzione operistica
del Salisburghese, soprattutto per lo straordinario equilibrio nel
conciliare l'elemento drammatico con il virtuosismo strumentale, uniti a
loro volta a una prodigiosa invenzione melodica e a un dominio
impeccabile della scrittura orchestrale. Ciascuno dei Concerti per corno
sviluppa una sorta di percorso narrativo che segue e si intreccia al fluido
linguaggio ritmico e all'elegante trama strumentale.
Nel decennio compreso tra il 1781 e il 1791, Mozart compose almeno sei
Concerti per corno, di cui soltanto tre sono giunti integri fino a noi. A
questi ultimi si aggiunge il Concerto K. 412 che in realtà è una sorta di
collage, realizzato con l'unione di due brani isolati. I tre lavori completi,
cui Koechel assegna i numeri di catalogo 417, 447 e 495, dovrebbero
essere stati scritti tutti per il medesimo virtuoso, il cornista Ignaz Joseph
Leutgeb, o Leitgeb (1745-1811). Anch'egli nato a Salisburgo, aveva
condiviso con i due Mozart, padre e figlio, il servizio presso la corte
dell'arcivescovo Colloredo. Dopo una serie di felici tournée europee, che
avevano toccato Parigi e Milano, si era infine stabilito a Vienna, dove
aveva vissuto alternando il lavoro di musicista (discretamente famoso per
giunta) con quello di commerciante in formaggi, attività avviata proprio
grazie a un prestito di Leopold Mozart, presso il quale è proprio il
giovane Amadé a intercedere in una lettera. La profonda amicizia che
univa il cornista a Mozart è testimoniata anche dalle burle che il
compositore si divertiva a tirare al musicista: seguendo l'inclinazione per
le espressioni colorite che contraddistingueva l'intera famiglia Mozart,
433
Wolferl infarcì la parte del corno nel Rondò del Concerto K. 417 di
un'interminabile serie di ingiurie, mentre nel manoscritto del Rondò, che
costituisce il movimento conclusivo del (sedicente) Concerto K. 412 il
compositore annotò: "Wolfgang Amadeus Mozart si prese compassione
di Leitgeb, somaro, bue e pazzo, a Vienna, il 27 di Maggio 1783".
MAREK JANOWSKI

Proprio l'assenza di queste pungenti facezie dal manoscritto del Terzo


Concerto ha contribuito a rafforzare l'opinione (minoritaria) secondo la
quale Mozart avrebbe scritto il Concerto K. 447 per un solista diverso, un
musicista con cui non poteva permettersi siffatta girandola di goliardiche
confidenze. In nessuna lettera di Mozart però si fa mai cenno a un altro
cornista, e del resto il carattere intimo e affettuoso che caratterizza il
Terzo Concerto, specie nel movimento centrale, sembrano adattarsi

434
particolarmente alle qualità del suo concittadino e amico Leutgeb. Del
resto, è lo stesso Mozart a sostenere, in una lettera scritta dopo
l'esibizione di Leutgeb ai Concert Spirituel del 1770, che il suo amico era
in grado di "cantare un adagio con la più dolce, accattivante e
impeccabile delle voci"; ciononostante, vari studiosi hanno sottolineato
come la particolare estroversione virtuosistica del primo e del terzo
movimento del Concerto K. 447 faccia pensare a un autore
maggiormente smaliziato sotto il profilo tecnico e dalla professionalità
più solida.
Quanto alle difficoltà tecniche, corre l'obbligo di ricordare che Mozart,
come i suoi predecessori, scrisse i suoi Concerti per corno naturale, uno
strumento ancora privo delle moderne chiavi, quindi riservato a musicisti
dalle qualità non comuni. Prima che le chiavi fossero brevettate in
Prussia attorno al 1815-16, il corno naturale permetteva solo l'emissione
dei suoni armonici, che il tubo ritorto terminante in un padiglione
emetteva mediante la pressione dell'aria e la tensione delle labbra.
Proprio per questo esistevano corni con diversi canneggi, cioè ad altezza
variabile, mentre ad alcuni strumenti si potevano aggiungere delle
"ritorte", porzioni di tubo che aumentavano la lunghezza del canneggio,
variando così il suono base e tutta la serie di armonici. Attraverso la
mano, inserita nel padiglione dello strumento si potevano produrre altri
suoni, calanti o crescenti, con cui si integravano le note mancanti,
malgrado l'evidente differenza timbrica.
Le caratteristiche tecniche del Terzo Concerto appaiono oggi
sorprendenti, dal momento che si tratta di una partitura difficile anche
per un moderno solista, e che doveva quindi presentarsi come di inusitata
difficoltà per chi - all'epoca di Mozart - disponeva del solo corno
naturale.
In merito alla datazione del Terzo Concerto, nonostante varie incertezze,
un tempo si concordava generalmente sull'anno 1783, dopo il ritorno di
Mozart a Vienna da un breve soggiorno salisburghese; oggi, dopo gli
studi di Alan Tyson sulle carte originali, si è propensi a una datazione più
tarda per i movimenti estremi, attorno al 1787, mentre soltanto la
Romanza centrale risalirebbe all'84.

435
ALESSIO ALLEGRINI

436
Lo schema del Concerto solistico settecentesco viene nel complesso
rispettato, ma a differenza dei Concerti precedenti Mozart sostituisce agli
oboi i clarinetti, che affiancati ai fagotti arricchiscono sensibilmente la
tavolozza dell'orchestra.
Viene anche conferito un maggior sviluppo al dialogo fra strumento
solista e orchestra, la quale nell'Allegro iniziale (4/4, mi bemolle
maggiore), ad esempio, invece di intercalare semplicemente gli interventi
in assolo del solista viene anche investita di piena luce, come nella
modulazione in minore a metà del primo movimento. Alla fine di questo
primo movimento Mozart offre al solista non una ma ben due cadenze,
una scritta, l'altra lasciata all'arbitrio dell'esecutore.
L'afflato intimo che attraversa la Romanza centrale regala al Concerto un
momento di ispirata profondità, dai tratti quasi malinconici. Il tema in
2/2 del Larghetto si dipana infatti su una linea musicale di poetica
affettuosità, ottenuta sfruttando al massimo le non infinite possibilità
coloristiche dello strumento e segnando financo passaggi di assoluta
originalità armonica, del tutto inusuali nei Concerti dell'epoca.
Nel movimento centrale, come già in quello di apertura, il disegno
melodico presagisce il futuro Concerto per clarinetto, ovvero corno di
bassetto.
Una viva memoria dell'antico uso venatorio del corno si riconosce nel
gioioso Allegro conclusivo, presentando una vivace scena di caccia che,
seppure stagliata su orizzonti affatto mutati, sarà possibile ritrovare a un
secolo di distanza nel terzo movimento della Sinfonia Romantica di
Bruckner. Scritto in forma di Rondò, il movimento finale vede
riemergere anche il tema della Romanza, sempre in la bemolle, ma
modificato nel ritmo e ampliato sotto l'aspetto melodico.
Nel complesso la scrittura strumentale, con le parti assai elaborate di
clarinetti e fagotti, conferisce al Terzo Concerto una qualità e
un'ampiezza che lo distacca dalle opere precedenti, innalzandolo una
spanna al di sopra dei suoi confratelli e quasi alla pari delle migliori
pagine per solista e orchestra del catalogo mozartiano.

437
Andrea Penna

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 19 Maggio 2007, direttore
Marek Janowski, corno Alessio Allegrini

CONCERTO N. 4 IN MI BEMOLLE MAGGIORE


PER CORNO E ORCHESTRA, K 495
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro moderato (mi bemolle maggiore)
2. Romanza. Andante (si bemolle maggiore)
3. Rondò. Allegro vivace (mi bemolle maggiore)
Organico: corno solista, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Vienna, 26 giugno - 26 luglio 1786
Edizione: Andrè, Offenbach 1802
Dedica: scritto per il cornista Joseph Leutgeb

Al catalogo mozartiano appartengono alcune composizioni per


corno solista, nate dalla frequentazione col cornista Ignaz Leutgeb, fino
al 1777 prima parte nell'orchestra di corte dell'Arcivescovo di Salisburgo,
poi attivo ad Esterhàza con Haydn. Un personaggio del tutto 'sui generis',
eccellente esecutore e commerciante di latticini, che l'amicizia di Mozart
gratificò di alcune preziose pagine, come il Rondò in mi bemolle
maggiore K. 371 (1781) e soprattutto i quattro Concerti per corno, quello
incompiuto, K. 412 in re maggiore (1783), K. 417 (1783), K. 447 (1786)
e K. 495 (1786) tutti in mi bemolle maggiore, tonalità favorita viste le
limitazioni tecniche dello strumento dell'epoca.
Uno strumentista forse sempliciotto, fatto oggetto di burle salaci da parte
del salisburghese, che stilò parte dell'ultimo Concerto K. 495 con tratti di
inchiostro multicolore per confondere l'amico, mentre nel Rondò del K.
412 figurano le annotazioni: 'Adagio... a lei, Signor Asino, Animo...

438
presto... suvvia... da bravo... Coraggio... bestia... o che stonatura... Ahi!
ohimè... bravo, poveretto...' e ancora 'Grazie al ciel! basta, basta!'
E se non bastasse, nell'autografo del K. 417 leggiamo: "Wolfgang
Amadé Mozart si è mosso a compassione per il somaro, bove e sciocco
Leitgeb".
Eppure Karl von Dittersdorf, nella sua autobiografia, ne parla nei termini
di un 'raro virtuoso', anche se Amadé lo costringeva a strisciare carponi
in salotto per raccogliere i fogli di musica composti di fresco.
Concepito anch'esso per corno naturale, come gli altri, il Concerto K. 495
si articola in un Allegro moderato, il cui primo tema evoca la Cantata
"Die Maurerfreude" K. 471 dell'anno precedente, e non manca di tratti
originali, come l'entrata anticipata del corno solista sulla coda
dell'esposizione orchestrale e l'assenza di un vero e proprio sviluppo.
La Romanza centrale (Andante), che sembra riecheggiare inizialmente la
Sonata K. 497 per pianoforte a quattro mani (Adagio) ultimata pochi
giorni dopo, si affida alle virtù melodiche e timbricamente pastose del
solista, mentre l'epilogo, come di consueto in questi Concerti, avviene
all'insegna di un tradizionale Rondò-caccia (Chasse) in 6/8, consono alle
vocazioni venatorie insite nello strumento.
Lorenzo Tozzi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 8 dicembre 1989

439
CONCERTO N. 1 IN SI BEMOLLE MAGGIORE
PER FAGOTTO, K1 191 (K6 186E)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (si bemolle maggiore)
2. Andante ma Adagio (fa maggiore)
3. Rondò. Tempo di Minuetto (si bemolle maggiore)
Organico: fagotto solista, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, 4 giugno 1774
Edizione: Andrè, Offenbach 1805
Dedica: scritto per Melchior Sandmayr

Sull'autografo di questo concerto oggi andato perduto, un amico di


Mozart affermò di aver letto queste parole di mano stessa del Maestro:
«A Salisburgo il 4 giugno 1774»; e il carattere dell'opera sembra
confermare questa attribuzione cronologica.
Si tratta di un'opera che risale a quel periodo della vita mozartiana che si
colloca tra l'aprile e il settembre 1774 durante il quale il musicista si
soffermò nella sua città riprendendo il posto al servizio dell'arcivescovo
Colloredo.
Un periodo di cui i documenti dicono assai poco e che si concluse con il
viaggio a Monaco dedicato alla prima rappresentazione della Finta
Giardiniera e che Mozart trascorse, come narra il De Saint Foix,
dedicandosi alle normali occupazioni professionali e dividendo il suo
tempo tra la composizione e i doveri del suo ufficio.
Si tratta è vero di un periodo biograficamente povero di avvenimenti, che
però ebbe un peso non indifferente almeno nel senso della conquista di
nuovi moduli linguistici, essendo stato dedicato all'apprendimento della
lezione dei due grandi musicisti «galanti» contemporanei, Franz Joseph
Haydn e Philipp Emmanuel Bach, le cui musiche giunsero a Mozart per
il tramite del fratello di Haydn, Michele, che si trovava a Salisburgo
anche lui al servizio dell'Arcivescovo.

440
CARL PHILIPP EMMANUEL BACH

441
«All'antico stile (quello nel quale si era espresso fino ad allora - NdR)
preciso e serrato che aveva come elemento fondamentale la conquista
dell'espressione fino nelle più riposte sfumature - scrive ancora il De
Saint Foix - succede uno stile assai più largo e brillante dove
l'espressione, in luogo di rifugiarsi nei particolari, si estende a tutto
l'insieme dei pezzi dando loro, ad esempio, un senso generale di gaiezza,
d'ardore vigoroso o di malinconia ma senza che questi sentimenti siano
analizzati, approfonditi e interpretati con la penetrante esattezza di
linguaggio delle Sinfonie e delle Sonate che pur li precedono di poco».
Salvo, è necessario aggiungere, mescolare nei successivi altissimi esiti
della maturità le scoperte linguistiche «galanti» di cui si parla con le
reminiscenze ancora barocche della fanciullezza in una unità espressiva
davvero ineguagliabile.
Ma fermiamoci a questo punto per dire come questo Concerto per
fagotto e orchestra sia appunto un tipico concerto «galante» in stile
concertante, nel quale l'elemento virtuosistico ha il sopravvento e nel
quale sarebbe inutile ricercare la presenza di una particolarmente ricca
problematica musicale od espressiva salvo forse «l'impressione - come
nota l'Einstein - che le finestre siano state aperte all'improvviso e che un
soffio d'aria pura inondi il locale».
La composizione si suddivide nei tre tradizionali tempi del Concerto con
strumento solista. Il primo tempo si apre con un grande preludio nel
quale vengono esposti i due soggetti dell'intero movimento seguiti da un
lungo ritornello; due soggetti che in seguito passeranno, come vuole la
tradizione, ad arricchire il dialogo tra il «Solo» e i «Tutti».
Vi è da notare come in questo primo movimento sia presente una grande
influenza di Joseph Haydn nella cura tutta particolare data alla
elaborazione tematica che prende il posto di quella più libera fantasia che
caratterizzava le opere mozartiane precedenti e nei numerosi pezzi in
stile imitativo.
L'Andante ma adagio si ricorda soprattutto per un'evidente intento di
ricerca espressiva: si tratta di una delle tipiche malinconiche pagine
mozartiane pure ancora una volta evidentemente influenzata dai moduli
«galanti» ancora presentì nei numerosi passaggi «imitativi».

442
Ancora «galante» il finale il cui tema più sviluppato è un vero e proprio
minuetto in due parti.
Gian Filippo De' Rossi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 20 aprile 1971

CONCERTO PER FLAUTO N. 2


IN RE MAGGIORE, K1 314 (K6 285D)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro aperto (re maggiore)
2. Andante ma non troppo (sol maggiore)
3. Allegro (re maggiore)
Organico: flauto solista, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Mannheim, 25 Dicembre 1777 - 14 Febbraio 1778
Edizione: Falter, München 1800

Trascrizione per flauto del Concerto per oboe, K6 271k (oggi perduto)

Questo Concerto è in sostanza la trascrizione del Concerto in do


maggiore per oboe e orchestra che Mozart scrisse per Giuseppe
Ferlendi, oboista alla corte di Salisburgo, e che venne eseguito in diverse
occasioni da Friedrich Ramm, oboista dell'orchestra di Mannheim e
amico di Mozart.
Per questa ragione, probabilmente, il De Jean, committente del concerto,
volle riconoscere a Mozart soltanto la metà della cifra pattuita.
L'Allegro aperto è strutturato in una limpida e regolare forna-sonata:
all'Esposizione dell'orchestra, che presenta il primo tema (sopra un lungo
pedale dei bassi) seguito immediatamente dal secondo tema (un morbido
disegno dei violini primi), fa seguito l'Esposizione del solista, il cui
ingresso, con un do tenuto per ben quattro battute, tradisce forse la

443
destinazione originaria all'oboe, strumento capace, molto più del flauto,
di conferire espressione alle note lunghe.
L'episodio che segue è un bell'esempio dell'arte mozartiana di dare
importanza a un elemento musicale apparentemente privo di interesse: la
chiusa orchestrale costituita da un trillo seguito da un arpeggio
discendente, dà infatti vita a un serrato dialogo fra flauto e archi che
sfocia in un passo di bravura del solista per poi venire riutilizzata nella
breve sezione di Sviluppo e ancora nel finale, come formula conclusiva
dell'intero movimento.
Se nel primo movimento spiccavano l'agilità e il virtuosismo del flauto,
l'Adagio non troppo è dominato da un intimo raccoglimento, da una
serenità tipicamente mozartiana; l'ingresso del solista è una specie di
pacata risposta all'introduzione orchestrale, mentre il secondo tema
irrompe come uno squarcio di luce, nel quale il solista si getta «trillando»
con gioia.
Una semplice riconduzione tonale separa la Ripresa dei temi precedenti,
ora tutti nella tonalità d'impianto, cui segue la cadenza del solista e
l'epilogo orchestrale.
Tutt'altra atmosfera nel Rondò finale, il cui refrain verrà in seguito
utilizzato da Mozart nell'aria di Blondchen Welche Wonne, welche Lust
dell'Opera Il ratto dal serraglio.
Gli episodi brillanti (come il «richiamo» dei corni, le cadenze orchestrali
in stile di Opera buffa e i passi di virtuosismo solistico si alternano
brillantemente alle riprese del refrain, sempre frizzante e festoso e spesso
preceduto da vivaci cadenzine ad libitum del flauto.
Alessandro De Bei
Testo tratto dal libretto inserito nel CD AM 098-2 allegato alla
rivista Amadeus

444
CONCERTO PER FLAUTO ED ARPA
IN DO MAGGIORE, K1 299 (K6 297C)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (do maggiore)

2. Andantino (fa maggiore)


3.Rondò. Allegro (do maggiore)
Organico: flauto, arpa, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Parigi, Aprile 1778
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1881

Questo Concerto venne scritto per il duca di Guines, già


ambasciatore francese a Londra e grande appassionato di musica e
suonatore di flauto egli stesso, e per sua figlia, suonatrice di arpa e
allieva in composizione di Mozart («non ha idee, non viene fuori nulla»,
«è sinceramente stupida e pigra» furono i commenti di Wolfgang al
padre Leopold).
Il Concerto è uno straordinario esempio di musica di società: Mozart si
concentrò prevalentemente sulla ricchezza e sulla disposizione delle idee
tematiche, più che sulla sua struttura formale. È certo inoltre che le parti
dei solisti furono composte «su misura» per il duca di Guines e per la
figlia, che erano, lo ricordiamo ancora, musicisti dilettanti.
L'Esposizione orchestrale del primo movimento, Allegro, è molto ricca di
spunti tematici assai diversi fra loro, a partire dal primo tema che sfrutta
un procedimento molto caro al Mozart di quegli anni: un «motto» a piena
orchestra basato sulle note dell'armonia di tonica e una delicata risposta
affidata ad archi e oboi; col secondo tema, introdotto da due lunghe note
dei corni, entriamo invece in pieno clima «galante». L'ingresso dei solisti
conferisce al discorso mozartiano una dimensione più dialogante, quasi
cameristica: flauto e arpa, alternativamente, conducono la melodia, la
accompagnano, si inseguono intrecciando le proprie linee melodiche.
La modulazione canonica alla dominante introduce un nuovo tema,
riservato esclusivamente ai solisti, secondo un procedimento molto
diffuso nei Concerti di Mozart. Lo Sviluppo (definito dall'Abert
sviluppo-fantasia) predilige il momento lirico a quello elaborativo e,
445
sfruttando ancora una volta il dialogo fra i due solisti, si basa quasi
interamente su un nuovo motivo in tonalità minore presentato dal flauto.
La Ripresa non presenta anomalie e ripropone il materiale
dell'Esposizione mutandone però l'ordine di apparizione, come Mozart
spesso amava fare.
Nell'Andantino centrale, in forma bipartita, l'orchestra viene snellita con
l'esclusione di oboi e corni: la divisione centrale delle viole, inoltre,
contribuisce alla creazione di un impasto timbrico caldo e seducente. Il
tema principale, che affascina subito con l'intensa frase discendente dei
violini, viene subito ripetuto dai solisti che lo rendono ancor più
interessante (melodia raddoppiata all'ottava alta dal flauto e arpeggi
dell'arpa).
I successivi episodi sono affidati ai solisti che li conducono sempre in
dialogo secondo il modello che vede alternarsi le «proposte» del flauto
alle «risposte», spesso variate, dell'arpa. La seconda parte è di fatto una
ripresa fedele, tutta nella tonalità d'impianto, della prima; spicca soltanto,
al termine della cadenza dei solisti, la ripresa conclusiva del tema
principale che con le sue quattro apparizioni assume il ruolo di un vero e
proprio «ritornello».
L'Allegro è in forma di rondò-sonata, ovvero una forna-sonata nella
quale il tema principale fa anche da ritornello (refrain), riapparendo
prima dello Sviluppo e in conclusione di movimento. Il suo tema
principale, semplice e spensierato, verrà ripreso da Mozart, con qualche
variazione, nella romanza della famosa Serenata Eine Kleine Nachtmusik
K. 525. All'Esposizione orchestrale fa seguito quella dei solisti che, come
sempre in questi casi, è più ricca e articolata: anche qui domina
comunque quello «spirito dialogante» che avevamo osservato nei due
movimenti precedenti.
Numerosi sono gli spunti tematici nuovi, che si combinano abilmente
con le sezioni cadenzanti già udite nell'Esposizione orchestrale dando
vita a un discorso musicale piacevole, scorrevole e disinvolto (si
potrebbe qui parlare di «musica da salotto» di altissimo livello). Lo
Sviluppo, alla sottodominante, presenta un tema nuovo, l'elaborazione di
un motivo precedente e la ripresa del tema principale in tonalità minore
che ha quasi il sapore di una «falsa ripresa», dal momento che la Ripresa
vera e propria compare subito dopo ma non col primo tema.
446
Dovremo aspettare la cadenza dei solisti per riascoltare il refrain di
flauto e arpa, che assume ora il tono di un simpatico commiato.
Alessandro De Bei

Testo tratto dal libretto inserito nel CD AM 098-2 allegato alla


rivista Amadeus

CONCERTO PER OBOE


"FERLENDIS" IN DO MAGGIORE, K6 271K
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (fa maggiore)

2. Adagio (re minore)


Rondò (fa maggiore)
3.

Organico: oboe solista, 2 flauti, 2 corni, archi


Composizione: 1777

Si sa che Mozart scrisse un Concerto per oboe e orchestra per


l'oboista Giuseppe Ferlendis che fece parte dell'orchestra di Salisburgo
dal 1° aprile 1777 al 31 luglio 1778, dopo di che andò nel 1795 con
Haydn a Londra e morì probabilmente a Lisbona nel 1802. Si ritiene che
Mozart abbia composto il Concerto per oboe e orchestra tra il 1° aprile e
il 27 settembre 1777, secondo quanto si ricava da una lettera inviata dal
musicista al padre in data 15 ottobre 1777. Il 3 dicembre dello stesso
anno Mozart scrisse da Mannheim al padre, dicendo: «Ho presentato
all'oboista Friedrich Ramm il mio Concerto per oboe e orchestra».
Il 14 dicembre successivo, con un'altra lettera al padre, annuncia:
«Ramm ha suonato per la quinta volta il mio Concerto per oboe scritto
per Ferlendis. È stato un grande successo; quest'opera è il cavallo di
battaglia di Ramm». Durante la permanenza a Mannheim Mozart
conobbe in casa di J. B. Wendling un olandese molto ricco, chiamato De
Jean, il quale gli chiese di comporre per lui, dietro pagamento di 200
fiorini, tre Concerti facili e qualche Quartetto con flauto. Mozart si mise
subito al lavoro e terminò il 25 dicembre dello stesso anno i Quartetti
447
con flauto in re maggiore K. 285, K.285a e b e K. 313. Il 14 febbraio
Mozart annuncia di aver composto due Concerti e tre Quartetti, ma De
Jean gli consegna 96 fiorini al posto dei 200 promessi e parte per Parigi.

448
Il motivo di questo taglio sulla cifra pattuita sembra dovuto al fatto che il
secondo dei due Concerti per flauto e orchestra non era altro che una
trascrizione del Concerto per oboe e orchestra composto in precedenza
per Ferlendis. Mozart torna a parlare del Concerto per oboe in una lettera
invata al padre il 15 febbraio 1783: «Ti prego di spedirmi il volume con
il Concerto per oboe scritto per Ramm e Ferlendis. Ne ho bisogno per
l'oboista Anton Mayer».
Mozart ricevette il materiale il 29 marzo, ma da allora non si seppe più
nulla della partitura originale di questo Concerto. Fu Bernhard
Paumgartner, fedele e appassionato studioso e divulgatore dell'opera
mozartiana, a ritrovare nel 1920 al Mozarteum di Salisburgo un pacco di
parti per orchestra, su cui c'era scritto in calce: "Concerto in do per oboe
principale e due violini, due oboi, due corni, viola e basso del signor W.
A. Mozart".
La prima preoccupazione fu di controllare se si trattasse di una
trascrizione o della versione originale: Paumgartner, dopo attenti
confronti di natura tecnica, tenendo conto anche dell'edizione completa
delle opere di Mozart curata con l'aiuto di Brahms nel 1883, decise che il
Concerto in do maggiore per oboe e orchestra, era lo stesso composto dal
musicista a Salisburgo per Ferlendis nell'estate del 1777.
Il Concerto, della durata di 19 minuti, ha una freschezza e una
spigliatezza melodica di gusto mozartiano e l'oboe solista vi svolge un
ruolo di straordinaria eleganza sonora, nel rispetto delle regole della
musica di intrattenimento, non mancando di primeggiare in cadenze
brillanti e piacevoli, secondo quel classicismo inimitabile che appartiene
interamente allo stile del compositore di Salisburgo. L'Allegro iniziale, in
perfetta aderenza alla forma tipica del Concerto per strumento solista e
orchestra, ha un carattere gaio e frizzante. Ad una breve introduzione
orchestrale, nella quale si presentano i due temi sviluppati poi nel corso
del brano, segue l'entrata dell'oboe solista, ponendo in evidenza la linea
melodica tra figurazioni arpeggiate, scale, trilli e staccati. L'oboe propone
eleganti armonie su leggere punteggiature dell'orchestra, che conclude il
tempo con spumeggianti arpeggi in do maggiore, dopo la cadenza del
solista. Ancora l'orchestra apre l'Adagio non troppo del secondo tempo e
presenta il tema su un unisono.

449
GIUSEPPE SINOPOLI

450
L'oboe con frasi estremamente melodiche domina questo movimento ed
espone una nuova cadenza, prima della conclusione affidata alla sola
orchestra. L'Allegretto finale è un rondò di indubbio effetto musicale; la
linea del discorso dell'oboe è assecondata dall'orchestra, che ne sottolinea
il tono scherzoso, riprendendo spesso, con procedimenti a canone, alcune
cellule melodiche. In questo terzo tempo si avverte in modo più spiccato
il gioco contrappuntistico, confluente in una chiusa gaia e spensierata,
nella più serena fiducia nel potere trasfigurante dell'arte dei suoni.
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 10 febbraio 1985,
direttore Giuseppe Sinopoli, oboe Augusto Loppi

CONCERTO N. 1 IN SI BEMOLLE MAGGIORE


PER VIOLINO E ORCHESTRA, K 207
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. llegro moderato (si bemolle maggiore)

2. Adagio (mi bemolle maggiore)


3.Presto (si bemolle maggiore)
Organico: violino solista, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, 14 aprile 1775
Prima esecuzione: Salisburgo, Tanzmeistersaal, 15 agosto 1777
Edizione: Andrè, Offenbach 1870

In seguito Mozart ha sostituito il Presto con il Rondò K 269

Secondo il criterio cronologico del catalogo Koechel il primo dei


Concerti è il K. 207, il cui autografo reca la seguente dicitura: "Concerto
a violino solo di W. A. Mozart a Salisburgo, lì 14 di Aprile 1775".
Il tratto distintivo di questa composizione è la ricchezza delle idee
melodiche, che costituisce del resto un aspetto inconfondibile
dell'inventiva creatrice del musicista.

451
Il Concerto si apre con un preludio orchestrale molto breve
comprendente due temi separati e seguito da uno stesso ritornello
deliziosamente espressivo.
Il solista riprende il primo tema e successivamente sviluppa una serie di
variazioni delicatamente arabescate, nel contesto di un gioco di
modulazioni con il "Tutti" strumentale, in cui non manca la cadenza
violinistica, senza eccessive figurazioni virtuosistiche.
Anche l'Adagio inizia con due temi e un ritornello, mentre il violino
solista propone una nuova frase alla quale si contrappone il primo dei
due temi iniziali.
Ciò che distingue questo secondo movimento è la linea del canto
estremamente semplice e intimistica, tipicamente mozartiana.
Il Presto conclusivo è molto haydniano non solo per il piglio ritmico
iniziale, cordialmente estroso, ma per la freschezza quasi popolaresca dei
due temi, ai quali se ne aggiunge un altro più breve e sviluppato, come
una cadenza.
Anche in questo movimento il ruolo del violino solista è molto curato e
si inserisce abilmente nel discorso finemente variegato con il "Tutti"
orchestrale, così da raggiungere nel passaggio delle diverse tonalità e tra
cadenze brevi e lunghe (c'è anche una grande cadenza facoltativa) effetti
di piacevole intrattenimento musicale.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 20 gennaio 1985

452
CONCERTO N. 2 IN RE MAGGIORE
PER VIOLINO E ORCHESTRA, K 211
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro moderato (re maggiore)
2. Andante (sol maggiore)
3. Rondò. Allegro (re maggiore)
Organico: violino solista, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, 14 giugno 1775
Edizione: Andrè, Offenbach 1870

Mozart scrisse cinque Concerti per violino e orchestra, K. 207, K.


211, K. 216, K. 218 e K. 219, tutti nel periodo compreso fra l'aprile e il
dicembre 1775, quando il musicista diciannovenne si trovava alla corte
dell'arcivescovo di Salisburgo. Ad essi vanno aggiunti altri due Concerti
per violino e orchestra, quello in mi bemolle maggiore K. 268 e quello in
re maggiore K. 271a (c'è anche un Concerto per pianoforte e orchestra
K. 271). Gli esegeti dell'opera mozartiana sono concordi nell'affermare
che i Concerti K. 268 e 271a non appartengono integralmente al
musicista salisburghese e avrebbero subito dei rimaneggiamenti in epoca
successiva, specie nella parte solistica.
L'importante è rilevare come tutti questi Concerti per violino e orchestra
risentano in modo evidente l'influenza della musica italiana e di certi
analoghi modelli che portano la firma di Tartini e di Boccherini, autori
che Mozart certamente aveva ascoltato nel corso del suo viaggio in Italia
avvenuto qualche anno prima e che avrebbe inciso profondamente nella
evoluzione dell'arte del musicista salisburghese. Infatti vi si notano uno
stile virtuosistico particolarmente spiccato e una piena valorizzazione
delle qualità timbriche del violino, che sono caratterisdche molto diffuse
della scuola violinistica italiana del Settecento di derivazione barocca.
Totalmente mozartiani sono però la fantasia, la scioltezza con cui si
dispone la materia musicale, l'equilibrio formale che trova stimolo e
ragione d'essere in un sottile gioco di variazioni sviluppate con
magistrale mano di artista, capace di infondere il tocco della spontaneità
a tutto quello che affronta.

453
Il musicista dispiega sonorità squillanti e luminose, episodi di sottile
umorismo e abbandoni sensuali, il tutto accompagnato da quell'ambiguo
sorriso che distingue la creatività mozartiana sin dall'epoca giovanile.

GIUSEPPE TARTINI

454
Il manoscritto del Concerto per violino e orchestra K. 211 conservato alla
Biblioteca di Berlino reca la seguente indicazione: "Concerto di violino
di W. A. Mozart m. p. à Salsburg lì 14 di Giugno 1775". Si può dire che
il Concerto possiede un'eleganza melodica tutta francese, senza che la
galanteria abbia il sopravvento sui veri valori musicali.
I temi del "Tutti" orchestrale si ritrovano regolarmente utilizzati negli
assoli, in una disposizione ad incastro di straordinario equilibrio formale.
Anche qui l'Allegro moderato del primo tempo attacca con un preludio
dell'orchestra, in cui è facile evidenziare due temi distinti seguiti da un
grande ritornello.
Il violino solista espone il proprio tema con morbide modulazioni, su una
tessitura orchestrale quanto mai semplificata e ridotta all'essenziale.
L'Andante è una pagina di pungente poesia musicale, in cui non mancano
cadenze dello strumento solista (ad un certo punto in partitura è indicato
al solista di improvvisare una "cadence a piacere").
L'accompagnamento dell'orchestra si svolge secondo lo stile delle opere
comiche italiane e francesi, pienamente rispettoso delle ragioni di canto.
Il tema del Rondò finale viene esposto dal violino solista e ripreso
dall'orchestra nel passaggio dal maggiore al minore o viceversa, tra
indicazioni di pp e ff.
L'orchestra ripropone alla fine il tema principale, prima della stretta
conclusiva, preceduta da un brillante assolo del violino solista.
Ennio Melchiorre

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 20 maggio 1992

455
CONCERTO PER VIOLINO N. 3 IN SOL MAGGIORE, K 216
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (sol maggiore)
2. Adagio (re maggiore)
3. Rondò. Allegro (sol maggiore)
Organico: violino solista, 2 oboi (anche flauti), 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, 12 Settembre 1775

Nel Concerto in sol maggiore K. 216, datato 12 settembre 1775,


l'introduzione orchestrale del primo tempo si svolge in una plasticità
melodica e timbrica (quella gaia fanfara di oboi e corni sul mormorare
dei violini) e in una freschezza e aggressività inventiva finora
sconosciute fin quando comparvero i futuri Concerti per pianoforte.
Col suo modesto apparato virtuosistico (un tratto che accomuna tutti i
Concerti per violino, i quali gradatamente acquistano in essenzialità e
profondità espressiva quanto rinunciano in effusiva brillantezza) lo
strumento solista qui segue ancora abbastanza fedelmente le proposte
dell'orchestra, accettando nel corso dello sviluppo di dialogare col primo
oboe e di avventurarsi in un breve, emozionante "recitativo" dal quale,
sull'elegante ponte predisposto dagli oboi, planare nell'"aria" virtuale
della ripresa.
Questa coniugazione in termini drammatici della comunicazione
espressiva tocca il culmine nella meravigliosa "cavatina" dell'Adagio,
dove (come già in parecchi movimenti lenti delle precedenti Sinfonie) la
coppia degli oboi viene sostituita da quella dei flauti e dove, con un
emozionante colpo di scena, l'accompagnamento in terzine interviene
dopo che la prima semifrase della melodia ha spiccato il volo nel silenzio
di tutta l'orchestra.
Il gusto, tutto francese, per la sorpresa, mutuato dalle musiche
d'intrattenimento, si riaffaccia nei finali di tutti e tre gli ultimi Concerti:
nel Rondò conclusivo del Concerto K. 216, troviamo l'inserzione di un
amabile tempo di gavotta in sol minore (con tanto di "alternativo" in
maggiore destinato a sfociare nell'ultimo ritornello in tempo ternario).

456
Definitivo ed eclatante colpo di scena, anch'esso comune ai tre Concerti,
il congedo in sordina, sul filo della sommessa clausola dei fiati.
Giovanni Carli Ballola
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 26 Marzo 2010

CONCERTO N. 4 IN RE MAGGIORE
PER VIOLINO E ORCHESTRA, K 218
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (re maggiore)

2. Andante cantabile (la maggiore)


3.Rondò. Andante grazioso (re maggiore)
Organico: violino solista, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, ottobre 1775
Edizione: Andrè, Offenbach 1807

Affine al precedente nell'impostazione formale e nell'ispirazione è


il Concerto in re maggiore K. 218: anche questo s'impone per la bellezza
delle idee melodiche e per lo sfruttamento sicuro e brillante delle
possibilità tecniche ed espressive del violino.
Le numerose idee tematiche dell'Allegro, presentate già in parte
nell'ampia Esposizione orchestrale, sembrano proliferare l'una dall'altra
ininterrottamente. A un tema marziale ritagliato sui suoni della triade, dal
taglio incisivo ed energico, fanno seguito motivi di diverso carattere:
idee placidamente scorrevoli, oppure spigolose nei bruschi salti di
registro, o ancora lineari ma increspate da inflessioni cromatiche.
Nobiltà d'ispirazione caratterizza il movimento centrale, un Andante
cantabile in forna-sonata priva di Sviluppo: il movimento consiste in una
melodia pressoché ininterrotta del solista, che si abbandona a una
cantabilità pura e ispirata raggiungendo le vette di un altissimo lirismo.

457
Il terzo movimento è un Rondeau che alterna un ritornello in tempo
Andante grazioso, una melodia elegante e garbata, a una serie di episodi
in tempo Allegro ma non troppo dal carattere più brillante. Come nel
Rondeau del Concerto K. 216, l'episodio centrale è imperniato su temi di
sapore popolare: un primo motivo di danza e un secondo, una sorta di
musette con tanto di bordone, che è anch'esso un ballo strasburghese.
Claudio Toscani
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 27 aprile 1990

CONCERTO PER VIOLINO N. 5


"TÜRKISH" IN LA MAGGIORE, K 219
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro aperto (la maggiore)

2. Adagio (mi maggiore)


Rondò. Tempo di Minuetto (la maggiore)
3.

Organico: violino solista, 2 oboi, 2 corni, archi


Composizione: Salisburgo, 20 Dicembre 1775

Può utilizzare come Adagio sostitutivo l’Adagio K261

Nella sua costruzione questo Concerto presenta qualche libertà


formale, nell'invenzione e nei rapporti, di carattere quasi sperimentale,
come accade spesso nei lavori del giovane Mozart.
L'introduzione del primo movimento è eccezionalmente estesa, con due
temi. Uno è ritmato e danzante, e ad esso risponde il secondo con
elegante ironia: nel giro di poche battute l'incrocio dei due temi va verso
una cadenza che prepara la vera Esposizione sinfonica. Ma ci sorprende
l'apparizione inattesa del solista con un breve Adagio lirico, disteso sul
sussurro degli archi. Questa strana parentesi sembra essere un pensiero
improvviso di Mozart o una sua dedica speciale a qualcuno. Poi si avvia
il primo movimento con un tema energico ed affermativo (l'indicazione
458
espressiva di Mozart è un bizzarro Allegro aperto, cioè schietto, ardito),
accompagnato dal disegno danzante dei violini, con il quale si era
iniziata l'Introduzione.
Il secondo disegno di questa poi diventa secondo soggetto principale del
movimento. L'elaborazione dello sviluppo, con qualche modulazione
regolare (mi maggiore, dominante, e do diesis minore) soffre di qualche
squilibrio delle proporzioni.
L'Adagio è un'espansione melodica di eccezionale bellezza, che il solista
canta e decora senza che mai, neppure in una battuta, si indeboliscano
l'intensità e la concentrazione del sentimento.
Solo a tratti la calma contemplativa del canto è turbata da una segreta
agitazione.
Con garbata decisione il solista suggerisce l'avvio del Minuetto, che
l'orchestra accoglie con calore.
Molto originale è l'espediente di introdurre in questo terzo movimento
segmenti tematici dal primo.
Una nuova sorpresa ci attende con il bellissimo Trio, Allegro in la
minore, una specie di mascherata fantastica di tutti gli strumentisti, in
abiti turchi o zigani.
Era un tipo di esotismo allora di moda (spesso presente anche in Haydn),
ma qui l'idea ha una sua spavalderia insolita e irresistibile.
Dopo la ripresa del Minuetto il Concerto con sorridente eleganza si
conclude con i due segmenti con i quali si era iniziato.
Franco Serpa

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 2 Dicembre 2006

459
CONCERTO N. 6 IN RE MAGGIORE
PER VIOLINO E ORCHESTRA, K 271A
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro maestoso (re maggiore)
2. Andante (sol maggiore)
3. Rondò. Allegro (re maggiore)
Organico: violino solista, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, 16 luglio 1777

Per ultimo, va ricordato il Concerto in re minore per violino e


orchestra K. 271a, il cui manoscritto, andato perduto, apparteneva al
direttore d'orchestra parigino Habeneck, il quale in una lettera del 1837
disse che su questa partitura c'era scritto semplicemente: "Concerto per
violino di W. A. Mozart, Salisburgo, lì 16 di luglio 1777".

460
Si ha notizia di altre due copie antiche di tale Concerto: una trascritta dal
violinista francese Baillot e l'altra ritrovata a Berlino dal collezionista
tedesco Aloys Fuchs.
Non è improbabile, come sostengono Paumgartner e Aloys Greither, che
il Concerto sia stato ritoccato dai solisti di scuola francese, inserendovi
dei passaggi più brevì e sintetici rispetto allo stile mozartiano.
Ad esempio il tema principale del solista nell'Allegro maestoso non è
sviluppato con la necessaria ampiezza; l'Andante ha una linea liederistica
troppo semplice e il Rondò finale ha un preludio orchestrale troppo
lungo.
Insomma, a detta di questi studiosi (ma anche De Saint-Foix è dello
stesso avviso) Mozart sarebbe presente in questo Concerto K. 271a solo
parzialmente, ma ciò non toglie che da esso si sprigioni una eleganza e
una brillantezza di piacevole effetto musicale, specie nel rapporto
dialogante tra il violino solista e il resto dell'orchestra, formata dagli
archi, da due oboi e due corni.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 23 gennaio 1985

461
RONDÒ PER VIOLINO ED ORCHESTRA
IN DO MAGGIORE, K 373
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
 Allegro grazioso (do maggiore)
Organico: violino solista, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Vienna, 2 Aprile 1781
Prima esecuzione: Vienna, Deutsches Ritterordenhaus, 8 Aprile 1781
Edizione: Andrè, Offenbach 1800

I Concerti per violino nascono in un periodo di transizione nella


produzione di Mozart, un periodo nel quale lo stile-Serenata stava
mescolando le carte dei generi musicali: i movimenti interni delle
Serenate salisburghesi K. 185, K. 203, K. 204 e K. 250 costituivano ad
esempio già un modello in miniatura dei Concerti per violino, questi
ultimi d'altro canto tendevano alla sperimentazione di forme nuove e più
complesse.
Gli altri lavori per violino e orchestra scritti da Mozart sono singoli
movimenti di Concerto, tutti composti per Antonio Brunetti (1735-1786),
celebre violinista napoletano assunto nel 1776 come Hofmusikdirektor e
primo violino alla corte di Salisburgo.
Un pezzo sicuramente autonomo fu il Rondò in do maggiore K. 373,
composto anch'esso per Brunetti, dopo il trasferimento di Mozart a
Vienna avvenuto il 16 marzo del 1781. In quel periodo l'Arcivescovo
Colloredo era a Vienna, con parte del suo seguito, per visitare il padre
infermo, il principe Rudoph Joseph Colloredo, e col desiderio di esibire
le doti musicali della sua corte agli occhi della nobiltà viennese.
A Mozart, che non lo amava ma che era ancora alle sue dipendenze,
commissionò tre nuove composizioni che vennero eseguite neanche un
mese dopo, l'8 aprile, nella casa viennese del vecchio principe Colloredo.
Nacquero così tre pagine brillanti e virtuosistiche: oltre al Rondò in do
maggiore (che riporta la data del 2 aprile 1781), la Sonata per violino e
pianoforte in sol maggiore K. 379, eseguita da Brunetti e dallo stesso
Mozart (che disse di averla composta in una sola ora, la notte prima del

462
concerto), e il Recitativo e Aria "A questo seno deh vieni" K. 374,
interpretato dal castrato Francesco Ceccarelli.
Il Rondò K. 373 è una breve pagina, concentrata in meno di sei minuti,
ma raffinatissima, dotata di grande freschezza, e caratterizzata da uno
stile più maturo e personale se messa a confronto con i cinque Concerti
per violino del 1775.
Rispettando le convenzioni della forma del Rondò, il brano ruota intorno
a un tema elegante, esposto all'inizio dal solista e subito ripreso
dall'orchestra, che si alterna a episodi caratterizzati da estesi arabeschi
del violino, o sottolineati da brevi slittamenti tonali (una delicata
modulazione prima in la minore, poi in re minore) che coincidono con
delle increspature drammatiche del discorso musicale.
L'episodio in do minore, dominato dal canto del violino accompagnato
dai pizzicati degli archi e da delicati giochi imitativi, apre uno squarcio
espressivo e carico di pathos, prima della cadenza solistica, introdotta da
tre lunghi accordi degli archi, e della coda che conclude il Rondò con un
delizioso effetto di eco giocato tra i violini primi, l'oboe e il violino
solista.
Gianluigi Mattietti

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma Auditorio di Via della Conciliazione, 17 Febbraio 2007

463
SONATE DA CHIESA

SONATA DA CHIESA N. 10 IN FA MAGGIORE, K 244


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
 Allegro (fa maggiore)

Organico: 2 violini, basso, organo


Composizione: Salisburgo, aprile 1776

Anche se questi pezzi si chiamano Sonate e potrebbero far pensare


ad una varietà di movimenti, secondo il concetto che viene attribuito a
questo tipo di componimento (due tempi allegri alternati con due tempi
adagi), va precisato che si tratta di composizioni dalla struttura semplice,
senza troppe elaborazioni contrappuntistiche e a volte con un richiamo al
"genere concertante", come è il caso della Sonata K. 336.
Probabilmente la musica di questi pezzi era destinata ad accompagnare le
cerimonie religiose nelle chiese della cattolica Salisburgo ed aveva una
funzione pratica ben precisa, senza appartenere alla produzione sacra nel
senso pieno della parola.
Nella Sonata K. 244 il ruolo dell'organo non è secondario, tanto è vero
che il tema esposto dal primo violino viene ripreso e ampliato dallo
strumento a tastiera, il quale interviene poi anche nel richiamo al secondo
soggetto indicato dai due violini.
L'interessante di questa Sonata sta nello sviluppo dei due temi, molto
chiaro e lineare, concluso da una piccola cadenza di tre misure
dell'organo, quasi a siglare la sua indiscussa presenza in questo tipo di
componimento.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma Auditorio di Via della Conciliazione, 22 gennaio 1988

464
SONATA DA CHIESA N. 15, K1 328 (K2 317C)
in do maggiore per organo ed archi

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


 Allegro (do maggiore)
Organico: 2 violini, basso, organo
Composizione: Salisburgo, gennaio - luglio 1779

La Sonata K. 328 non ha nulla di complesso e la melodia indicata


dal primo violino, poi ripresa dal secondo violino e sorretta dall'organo,
si snoda con immediatezza espressiva e vede soprattutto la parte
dell'organo realizzarsi pienamente, con un gioco di modulazioni, dalla
ventesima alla ventiquattresima misura, tipico dello stile mozartiano in
questo periodo creativo.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma Auditorio di Via della Conciliazione, 22 gennaio 1988

465
COMPOSIZIONI PER FIATI

DIVERTIMENTO PER FIATI N. 3


IN MI BEMOLLE MAGGIORE, K1 166 (K6 159D)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (mi bemolle maggiore)
2. Minuetto (mi bemolle maggiore)
3. Andante grazioso (si bemolle maggiore)
4. Adagio (mi bemolle maggiore)
5. Allegro (mi bemolle maggiore)
Organico: 2 oboi, 2 corni inglesi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni
Composizione: Salisburgo, 24 marzo 1773

Nel 1773 i clarinetti e i corni inglesi, strumenti «moderni» che


proprio allora stavano facendo il loro timido apprendistato tra i legni
delle compagini orchestrali accanto ai veterani oboi e fagotti, erano
ancora sconosciuti alla piccola orchestra provinciale del principe
arcivescovo di Salisburgo. E' quindi da escludere che il Divertimento K.
166, composto per un complesso di fiati comprendente coppie di oboi,
clarinetti in si bemolle, comi inglesi, corni da caccia e fagotti, sia stato
destinato da Mozart agli svaghi musicali arcivescovili o d'altri
committenti salisburghesi.
Più verosimile sembra l'ipotesi che il Divertimento in questione sia stato
scritto per Milano, da dove il diciassettenne musicista era appena
ritornato, dopo avervi dato il Lucio Silla, la più importante tra le sue
Opere serie della prematurità. L'esiguità dello schema formale prescelto,
se impedì a Mozart di adottare, per il primo Allegro, la forna-sonata
propriamente detta, non lo distolse dall'impiegare due temi ben distinti
nel breve arco del discorso musicale, dove spicca la precoce sensibilità
timbrica nella sagace distribuzione del materiale tematico tra i vari
gruppi strumentali.

466
Nel brevissimo Minuetto che segue, il Trio (secondo una prassi che trae
le proprie origini dal cuore del Barocco) è letteralmente affidato a solo
tre parti strumentali, quelle dei due corni inglesi divisi e dei due fagotti
all'unissono. Italiano fin nella melodia, presa in prestito da una Sinfonia
di Paisiello, è l'Andante grazioso, seguito da un breve Adagio dal
carattere più «serio». Conclude il Divertimento un chiassoso Rondò, nel
più schietto spirito dell'Opera buffa.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 18 maggio 1973

DIVERTIMENTO PER FIATI N. 4


IN SI BEMOLLE MAGGIORE, K1 186 (K6 159B)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro assai (si bemolle maggiore)
2. Minuetto (si bemolle maggiore)
3. Andante (si bemolle maggiore)
4. Adagio (si bemolle maggiore)
5. Allegro (si bemolle maggiore)
6. Trio (fa maggiore)
Organico: 2 oboi, 2 corni inglesi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni
Composizione: Milano, marzo 1773

È probabile che Mozart abbia iniziato la stesura del Divertimento


KV 186 (159b) a Milano nei primi giorni del marzo 1773, poco prima
della definitiva partenza per l'Italia, e l'abbia portata a termine una volta
rientrato a Salisburgo.
Così com'è probabile che il divertimento, caratterizzato da un organico
singolare, sia legato con la partitura gemella KV 166 (159d) a una precisa
commissione. In ogni caso, la composizione per soli fiati appartiene al
filone delle musiche d'intrattenimento all'aria aperta per le quali Mozart
467
dimostrerà in futuro una straordinaria sensibilità; il tono leggiadro e il
disimpegno costruttivo si colgono fin dalla struttura e dalla brevità dei
cinque movimenti, tutti, ad eccezione dell'Allegro finale, nella forma
binaria propria dei tempi di danza.
L'Allegro assai di apertura ha funzione introduttiva; dalla sequenza non
può mancare poi il Menuetto, con Trio privo di corni e clarinetti;
l'Andante e il cullante Adagio di inequivocabile matrice italiana
introducono un'atmosfera di morbido abbandono; chiude, in buonumore,
un sapido rondò.
Cesare Fertonani
Testo tratto dallo speciale della rivista Amadeus, Ottobre 1995

DIVERTIMENTO PER FIATI N. 14


IN SI BEMOLLE MAGGIORE, K 270
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro molto (si bemolle maggiore)

2. Andantino (fa maggiore)


3. Minuetto e trio. Moderato (si bemolle maggiore)
4.Presto (si bemolle maggiore)
Organico: 2 oboi, 2 fagotti, 2 corni
Composizione: Salisburgo, gennaio 1777
Edizione: Andrè, Offenbach 1800

Il Divertimento in si bemolle maggiore K. 270 per due oboi, due


corni e due fagotti non sfugge a questo clima e si distingue per la varietà
degli accenti melodici e ritmici.
L'autografo di questo brano reca la seguente indicazione: "5°
Divertimento a 6 di W. A. Mozart nel Gianajo 1777" e si ritiene che il
pezzo sia stato scritto per allietare i momenti di riposo della corte
arcivescovile di Salisburgo.

468
L'Allegro molto iniziale è costituito da due temi, ambedue esposti dagli
oboi, su accompagnamento del fagotto.
Su questo impianto è costruito lo sviluppo dell'intero movimento,
secondo un procedimento mirante ad allietare l'animo dell'ascoltatore.
L'Andantino ha la forma di una Sonata di brevi proporzioni, poggiata su
due temi e una coda melodica elaborata sul ritmo della prima frase.
È una pagina di pungente fascino sonoro e strumentata con delicatezza di
accenti, soprattutto nel gioco delle imitazioni tra oboi e fagotti.
Non meno gradevole è il Minuetto con il trio in mi bemolle maggiore su
ritmo di valzer, in cui emerge la voce dei corni.
Il Presto conclusivo è un rondò, il cui tema brillante sarà ripreso più tardi
da Mozart nell'aria della lettera delle Nozze di Figaro.
L'impianto del movimento segue una linea classica: tema, intermezzo e
ripresa del tema principale, con l'aggiunta di una coda dal ritmo spigliato
e divertente, inserito in un gioco strumentale dagli effetti piacevolmente
gustosi.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Piazza del Campidoglio, 25 luglio 1984

469
470
QUINTETTO PER PIANOFORTE E FIATI
IN MI BEMOLLE MAGGIORE, K 452
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Largo - Allegro moderato (mi bemolle maggiore)
2. Larghetto (si bemolle maggiore)
3. Rondò. Allegretto (mi bemolle maggiore)
Organico: pianoforte, oboe, clarinetto, fagotto, corno
Composizione: Vienna, 30 marzo 1784
Prima esecuzione: Vienna, Burgtheater, 1 aprile 1784
Edizione: Gombart, Ausburg 1799

Nei suoi primi anni viennesi, e specialmente a partire dal 1784,


Mozart dedicò gran parte dei suoi sforzi ad affermarsi come virtuoso di
pianoforte, sia partecipando a numerose Accademie, ove oltre a
presentare le proprie creazioni era chiamato a improvvisare, sia
componendo appositamente Concerti per pianoforte e orchestra. Si ha
notizia che solo nei primi tre mesi di quell'anno Mozart si esibì in una
ventina di serate pubbliche e private; tra il febbraio e il dicembre di
quello stesso 1784 nacquero ben sei Concerti per pianoforte e orchestra
(K. 449, K. 450, K. 451, K. 453, K. 456, K. 459), tutti eseguiti
ripetutamente con grande successo e divenuti subito popolari. Sia pure
con frequenza meno ossessiva, questa attività si protrasse fino al
dicembre 1786, periodo durante il quale la serie dei grandi Concerti
viennesi si arricchì di altri sei titoli, e tutti di grande spicco: il regale
terzetto del 1785 (K. 466, K. 467, K. 482) e quello non meno elevato (K.
488, K. 491 e K. 503) del 1786.
Incastonato tra questi gioielli, il Quintetto per pianoforte e fiati in mi
bemolle maggiore K 452, composto alla fine del mese di marzo 1784
(nel catalogo di mano di Mozart reca la data del 30 marzo 1784), ne
risente il clima stilistico soprattutto nel trattamento del pianoforte, che
giunge a sfoggiare la magnificenza delle sue risorse espressive senza
prevaricare sugli altri strumenti, instaurando con essi un dialogo disteso e
limpido: sostenuto come ruolo e insieme discreto come potenza sonora.
L'organico offerto dal Quintetto - oboe, clarinetto, corno e fagotto, oltre
al pianoforte - non era in fondo così distante dalla versione "ridotta" dei
471
Concerti per pianoforte, dove lo strumento solista poteva, a piacere, in
caso di esecuzione nei salotti, essere accompagnato da un piccolo
complesso da camera (ne è un esempio il Concerto K. 449, anch'esso in
mi bemolle maggiore, dove la partecipazione dei fiati, oboi e corni, è
indicata ad libitum). Nello stesso tempo, la dimensione cameristica
aggiungeva al carattere del pezzo un che di intimo e di raccolto, con
caratteri morfologici ed espressivi funzionali alla fusione timbrica tra il
pianoforte e gli strumenti a fiato.
Mozart aveva scritto questa pagina in previsione di un concerto "a
proprio beneficio" (secondo l'usanza delle Accademie pubbliche, che si
tenevano per sottoscrizione) ospitato al Teatro di corte (Burgtheater) di
Vienna il 1° aprile 1784.
Nel programma, oltre al "nuovo grande Quintetto" suonato dal "Signor
Mozart", figuravano anche tre Sinfonie (tra queste la K. 425, "Linzer"),
un "nuovo Concerto sul fortepiano" (probabilmente il K. 451, suonato e
diretto dal compositore), tre Arie (una Cantata da "M.lle Cavalieri") e
una improvvisazione.
Il successo fu splendido, soprattutto per il Quintetto: Mozart, riferendone
con entusiasmo l'accoglienza al padre in una lettera del 10 aprile, non
esitò a definirlo "la cosa migliore che abbia mai scritto finora in vita mia
[...] Mi sarebbe piaciuto farlo ascoltare anche a lei; e che splendida
esecuzione! A dire il vero, alla fine ero stanco dal gran suonare - e non è
poco onore per me che i miei ascoltatori non si stancassero mai". Questo
giudizio sul Quintetto, tutt'altro che di circostanza, è confermato dal fatto
che Mozart lo scelse per eseguirlo alla presenza di Giovanni Paisiello in
un concerto privato, organizzato il 10 giugno a Döbling, sobborgo di
Vienna, da Gottfried Ignaz von Ployer, suo concittadino trasferitosi a
Vienna, la cui figlia Barbara era una delle sue allieve preferite.
Il giorno prima del concerto, Mozart informò il padre con la consueta
fretta: «Il Signor Ployer ha organizzato un concerto a Döbling: la
signorina Babette [vezzeggiativo di Barbara] eseguirà il suo nuovo
Concerto in sol [K. 453, "suo" in quanto a lei dedicato] e io il Quintetto
[il K. 452, appunto]; dopo suoneremo insieme la grande Sonata per due
pianoforti [K. 448]. Ho intenzione di andare a prendere Paisiello [sic],
perché voglio che senta la mia allieva e il mio Concerto».

472
GIOVANNI PAISIELLO

473
Anche la critica è unanimemente concorde nel considerare questo
unicum della produzione mozartiana una vetta, vero punto di svolta di
tutta la successiva opera cameristica con pianoforte. Se Abert ne
sottolinea la "straordinaria tensione" e Halbreich lo qualifica come
"esempio perfetto di dialogo concertante", per Bernhard Paumgartner
"esso rimane ancor oggi il più nobile esempio di musica da camera per
strumenti a fiato. Beethoven lo tenne evidentemente a modello,
componendo il suo Quintetto op. 16; ma non lo superò". Il rango speciale
riservato da Mozart a questa composizione si palesa già nell'anomalia di
un vasto Largo introduttivo di particolare solennità, che si estende per
venti battute intrecciando al pianoforte in spazi piccolissimi le entrate dei
quattro fiati, ora da soli, ora a due a due, ora riuniti in un insieme
d'incantata trasparenza timbrica. L'atmosfera muta repentinamente con il
tema dell'Allegro moderato, di piglio cavalleresco, iniziato dal pianoforte
solo in piano ed energicamente scandito dai fiati nel forte.
Il dialogo così avviato si intensifica nella presentazione del secondo
tema, distribuito fra la tastiera e i fiati, e prosegue ininterrotto alternando
evoluzioni brillanti, ricchi virtuosismi, episodi corali di sonorità
pregnante, animate rincorse ritmiche, scambi di parti e di ruoli tra
portatori della sostanza tematica e accompagnatori nelle ripetizioni. A
uno sviluppo conciso segue una ripresa variata, quasi trasfigurata
dall'abile gioco concertante dei motivi. Questa vitalità si stempera
nell'intimità del Larghetto, "romantica rêverie basata su effetti di magica
bellezza sonora" (Abert). Il primo tema annunciato da oboe, corno e
fagotto ha carattere pastorale, quasi "napoletano" (forse a questo pensava
Mozart quando volle che Paisiello ascoltasse il Quintetto) e conduce
spontaneamente a una nuova idea esposta da pianoforte, clarinetto e
oboe, cui segue una straordinaria varietà di episodi secondari.
Si attua qui un percorso armonico di audacia estrema, che culmina nella
modulazione al lontano mi minore (il brano è in si bemolle maggiore),
senza perdere tuttavia, pur nella violenza dei contrasti dinamici e nella
densa polifonia, la tenuta dei rapporti timbrici. Da questa selva agitata e a
tratti oscura il tema principale riemerge come liberato da un
accerchiamento, e insieme potenziato nei suoi aspetti caratteristici dalle
esperienze attraverso le quali è passato. Il passaggio al Rondò finale
(Allegretto) sancisce questa ritrovata armonia nel segno di un'esuberanza
incline alle grandi sonorità, al superamento dei confini cameristici in un
474
tratto Concertistico di ampia gestualità, sia nei passaggi solistici sia nelle
impennate virtuosistiche. Ma anche qui, dopo una Cadenza in tempo che
impegna tutti gli strumenti in una serie di entrate in rigoroso stile imitato,
il senso dell'equilibrio impone una riduzione dei pesi specifici in favore
di un mite, lieve congedo: esso avviene ripresentando il tema principale e
lasciandolo svanire in una dissolvenza incrociata, unita a un canto
dolcemente suadente dei fiati sull'accompagnamento discreto, a dinamica
sempre più smorzata, del pianoforte.
Sergio Sablich
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma Auditorio di Via della Conciliazione, 12 Aprile 2002

SERENATA PER FIATI N. 10 IN SI BEMOLLE MAGGIORE


"GRAN PARTITA", K1 361 (K6 370A)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Largo. Allegro molto (si bemolle maggiore)
2. Minuetto (si bemolle maggiore)
3. Adagio (mi bemolle maggiore)
4. Minuetto e 2 trii. Allegretto (si bemolle maggiore)
5. Romanza. Adagio (mi bemolle maggiore)
6. Tema e variazioni. Andantino (si bemolle maggiore)
7. Rondò. Allegro molto (si bemolle maggiore)
Organico: 2 oboi, 2 clarinetti, 2 corni di bassetto, 2 fagotti, 4 corni,
basso
Composizione: Monaco - Vienna, febbraio - aprile 1781
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 23
marzo 1784
Edizione: Bureau d'Art, Vienna 1803

Nel corso della seconda metà del Settecento nelle piccole corti e
nelle case patrizie dell'Europa centrale si diffuse enormemente l'abitudine
di affidare l'intrattenimento musicale durante feste e cerimonie a un
475
piccolo complesso di fiati che veniva indicato con il termine tedesco di
Harmonie. Il nucleo standard di una Harmonie era un Ottetto formato da
due oboi, due clarinetti, due corni e due fagotti e il suo repertorio era
costituito principalmente da arrangiamenti e trascrizioni delle opere più
in voga o da lavori originali nelle forme disimpegnate della Serenata, del
Divertimento, della Cassazione. A questo complesso musicale, destinato
a scomparire del tutto nel giro di pochi decenni, diedero il loro contributo
praticamente tutti i compositori dell'epoca, sia con arrangiamenti che con
lavori originali.
Le tre Serenate per fiati composte da Mozart al principio degli anni
Ottanta costituiscono senza dubbio il vertice sommo di questa
produzione. Se però la Serenata in mi bemolle maggiore K. 375 pur
elevandosi di molto al di sopra della media delle composizioni coeve a
livello qualitativo, non se ne discosta radicalmente a livello formale, la
Serenata in do minore K. 388 (384a) ne stravolge completamente le
convenzioni: già la scelta di una tonalità minore - cosa all'epoca ancora
rarissima perfino nelle composizioni più "impegnate" come i Quartetti, le
Sonate e le Sinfonie - costituisce una sorta di contraddizione in termini in
un brano che dovrebbe essere di piacevole intrattenimento; poi il numero
dei movimenti, ridotto a quattro, e la loro struttura formale sembrano
guardare più al modello della Sinfonia che a quello della Serenata, così
come la temperatura espressiva del brano e la complessità di esecuzione.
Con la Serenata in si bemolle maggiore K. 361 (370a) Mozart, pur
tornando a una struttura apparentemente più convenzionale in sette
movimenti, osa ancora di più, non solo aggiungendo altri strumenti
all'organico base della Harmonie - due corni di bassetto (un particolare
tipo di clarinetto che suona una quinta sotto, inventato in quegli anni e
particolarmente amato da Mozart per il suo timbro molto più scuro e
velato rispetto al clarinetto), una seconda coppia di corni e un
contrabbasso - ma dilatando le dimensioni e la densità di scrittura di
ciascun movimento, dando vita così a un lavoro assolutamente unico nel
suo genere; e questa ipertrofia quantitativa e qualitativa della Serenata in
si bemolle maggiore doveva essere tanto più evidente all'epoca di
Mozart, visto che una mano anonima ha aggiunto sul manoscritto
autografo la dicitura di "Gran Partita" con cui ancora oggi viene
abitualmente chiamata.

476
MAPPA DEI VIAGGI DI MOZART

477
Per quanto possa sembrare impossibile, le notizie che abbiamo sulla
genesi di questo straordinario capolavoro e sulle sue esecuzioni
pubbliche durante la vita di Mozart sono alquanto vaghe, per non dire
nulle.
Un tempo la sua nascita veniva collocata dagli studiosi in modo
pressoché unanime nel periodo compreso tra la fine del 1780 e l'inizio
del 1781, quando Mozart si trovava a Monaco per curare la prima
esecuzione di Idomeneo.
A confortare questa ipotesi c'era la presenza degli ottimi strumentisti a
fiato dell'orchestra di corte e del principe Karl Theodor del Palatinato che
Mozart aveva già avuto modo di conoscere qualche anno prima a
Mannheim: la Serenata avrebbe potuto essere composta, dunque, sia
come segno di amicizia per gli strumentisti provenienti dalla leggendaria
orchestra di Mannheim (che si era sciolta nel 1778 quando Karl Theodor
era stato chiamato a Monaco come principe elettore di Baviera), sia come
omaggio al principe nella speranza di ottenere un incarico a corte.
In tempi più recenti si è cominciato ad affermare che a Monaco furono
composti solamente quattro dei sette movimenti che formano la
Serenata, mentre i rimanenti tre sarebbero stati scritti da Mozart nella
primavera-estate del 1781, nei primi mesi trascorsi a Vienna dopo la
rottura con l'Arcivescovo di Salisburgo.
Infine gli studi condotti in questi ultimi anni con l'aiuto della tecnologia -
come l'analisi della filigrana della carta del manoscritto originale -
sembrerebbero postdatare la nascita dell'intera Serenata al primo periodo
viennese: lo studioso mozartiano Roger Hellyer ha addirittura avanzato
l'ipotesi che il pezzo potesse rappresentare un dono per Constanze in
occasione delle nozze, celebrate a Vienna il 4 agosto del 1782.
Sia come sia, nulla ci è dato sapere su una qualsiasi esecuzione pubblica
del brano durante la vita di Mozart. Anche in questo caso possiamo solo
supporre che «il grande pezzo per strumenti a fiato di un tipo molto
speciale composto da Herr Mozart» di cui parlava l'annuncio
pubblicitario per il concerto dato al Burgtheater di Vienna dal
clarinettista Anton Stadler il 23 marzo del 1784 fosse proprio la Serenata
in si bemolle maggiore, o almeno una sua parte.

478
KARL THEODOR

479
Fin dall'apertura la Serenata afferma la sua divergenza dalle convenzioni
del genere: anche se le nostre orecchie moderne non possono più
rendersene conto, le quattordici battute di introduzione lenta (Largo), che
sarebbero assolutamente normali in un Quartetto o in una Sinfonia, in
una Serenata fanno più o meno l'effetto di una persona che si presenti a
un pique-nique vestita in abito da sera.
Non c'è da stupirsi se dopo un simile incipit il gioioso ma sapientissimo
Allegro molto che lo segue si apra nello sviluppo a una scrittura più
contrappuntistica e a brevi momenti di malinconia in tonalità minore e se
perfino il solido Menuetto contenga al suo interno un primo Trio che si
configura come un delicato notturno per soli clarinetti e corni di bassetto
e un secondo Trio increspato da un poeticissimo e malinconico dialogo
fra oboe e clarinetto.
Quanto poi all'Adagio che segue, siamo forse di fronte a una delle pagine
di più ineffabile bellezza di tutta la letteratura musicale; e non è andato
troppo lontano dal vero Peter Shaffer, che nella prima scena della sua
commedia Amadeus, poi portata sul grande schermo da Milos Forman, fa
dire a Salieri all'ascolto di questo Adagio: «Mi sembrò di aver sentito la
voce di Dio!». Segue un giocoso Menuetto che, se rimane sereno e
cantabile anche nel secondo Trio, dal tono rassicurantemente
popolareggiante, nasconde nel suo cuore un primo Trio in minore dai
toni misteriosi e inquietanti. Perfino la Romanze, altro momento di
sospensione lirica, contiene al suo interno un agitato Allegretto in
minore, mentre lo spensierato Tema con variazioni che segue offre a
turno a tutti gli strumentisti la possibilità di salire alla ribalta; ma anche
qui la quarta variazione sembra anticipare voci e colori di alcune pagine
della Zauberflöte. Questo capolavoro davvero straordinario, in cui
Mozart usa con inarrivabile maestria la tavolozza offertagli da un
ensemble di strumenti a fiato, si chiude gioiosamente con un brevissimo
e festoso Rondò di sapore turco, forse la pagina più in sintonia con le
esigenze di una normale Serenata per Harmonie.
Carlo Cavalletti
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 9 febbraio 2007

480
SERENATA PER FIATI N. 11
IN MI BEMOLLE MAGGIORE, K 375
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro maestoso (mi bemolle maggiore)
2. Minuetto I e trio (mi bemolle maggiore)
3. Adagio (mi bemolle maggiore)
4. Minuetto II e trio (mi bemolle maggiore)
5. Allegro (mi bemolle maggiore)
Organico: 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni - Nel 1782 aggiunti 2 oboi
Composizione: Vienna, ottobre 1781
Prima esecuzione: Vienna, residenza del pittore von Hickel, 15 ottobre
1781
Edizione: Andrè, Offenbach 1792

Nel Settecento si usavano indifferentemente i termini di


Cassazione, Divertimento o Serenata per designare lavori tra loro molto
simili composti per feste, intrattenimenti, celebrazioni o circostanze
solenni ma dal carattere musicale di solito un po' standardizzato. Con
Mozart il genere della Serenata, pur conservando la forma tradizionale
basata sull'accostamento di pezzi diversi (di solito sette o otto, dei quali
due o tre fanno intervenire uno strumento solista), assume connotati
nuovi, sia per la ricercatezza della scrittura strumentale, che in alcuni casi
acquista un taglio sinfonico, sia per la varietà nella scelta degli organici.
Negli anni viennesi Mozart compose alcune Serenate per strumenti a
fiato, destinate ad esecuzioni all'aperto, come era consuetudine per le
musiche con questo tipo di organico: nel febbraio del 1781 scrisse ad
esempio la Serenata in si bemolle maggiore K. 361 (il titolo Gran
Partita che compare sull'autografo non è di mano di Mozart) per dodici
fiati - due corni, due clarinetti, due corni di bassetto, due fagotti, quattro
corni più un contrabbasso -, che esplora tutti i possibili amalgami e
combinazioni timbriche tra i diversi strumenti, giocando anche su diversi
registri stilistici espressivi. Nell'ottobre dello stesso anno diede alla luce
la Serenata K. 375, originariamente scritta per sei fiati (due clarinetti,
due corni e due fagotti) e poi rielaborata per otto, con l'aggiunta di due
481
oboi che riprendono parte delle linee dei clarinetti (anche se la sonorità
dei clarinetti resta dominante). Mozart fece questa rielaborazione nel
luglio del 1782, proprio mentre componeva la Serenata in do minore K.
388, scritta direttamente per otto fiati, ed è verosimile che il titolo Nacht
Musique, che menziona in una lettera dello stesso mese, non si riferisse a
quest'ultimo lavoro ma piuttosto alla versione per ottetto della Serenata
K. 375.
Se la K. 388 appare già assai lontana dai modelli tradizionali, per la
tonalità minore, per l'articolazione in quattro movimenti (come una
Sinfonia), per lo stile insolitamente grave, anche la Serenata K. 375, in
cinque movimenti, mostra molti aspetti originali, giocando in maniera
ambivalente su elementi convenzionali e soluzioni innovative,
rinunciando per esempio al tono estroverso e chiassoso tipico del genere,
e introducendo squarci quasi romantici.
Questa ambivalenza emerge chiaramente nel primo movimento (Allegro
maestoso) che inizia con un tema vecchio stile ma poi alterna momenti
intimistici, languidi o appassionati, un secondo tema in si bemolle dal
carattere molto espressivo, improvvisi silenzi che creano emozionanti
effetti di sospensione. Dopo il breve sviluppo, tonalmente enigmatico e
capace di condensare una grande varietà di umori, la ripresa presenta, in
maniera abbastanza sorprendente, un motivo del tutto nuovo al posto del
secondo tema, affidato al corno solo e con un andamento di Gavotta. La
coda ripropone il primo tema e il movimento finisce in pianissimo,
spegnendosi su un delicato frammento melodico dell'oboe.
Il secondo e il quarto movimento sono due Minuetti in stile haydniano
(poiché nell'autografo compaiono come copie allegate, anche con una
diversa numerazione delle pagine, si può ipotizzare che non
appartenessero originariamente alla Serenata), il primo con un Trio
esteso e dal tono grave, il secondo con un Trio ingenuo dal sapore di
Musetta.
Questi due Minuetti inquadrano un Adagio, che è anche il cuore
emozionale di tutta la Serenata, dominato dal melodizzare ampio e
cantabile delle prime parti, «una vera scena d'amore - come lo ha definito
Hermann Abert -, tutto un profluvio di sentimenti, un sussurrare grazioso
e discreto, e palese è anche la presenza della natura».

482
La Serenata si conclude con un Allegro, in forma di rondò-sonata, basato
su un tema saltellante dal gusto popolaresco, che riporta al clima festoso
e svagato tipico delle Serenate, e su chiari rimandi tematici tra gli episodi
(il primo è introdotto da un tema ascendente del corno solo, che poi viene
ripreso ed elaborato contrappuntisticamente nel secondo episodio).
Gianluigi Mattietti
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 3 aprile 2009

SERENATA N. 12 IN DO MINORE
"NACHTMUSIK" PER FIATI, K1 388, K6 384A
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (do minore)

2. Andante (mi bemolle maggiore)


3. Menuetto in canone con trio (do minore)
4.Allegro (do minore)
Organico: 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni
Composizione: Vienna, 30 Luglio 1782
Edizione: Kühnel, Lipsia 1811

Nessun musicista ha mai eguagliato la spontanea sensibilità di


Mozart per le caratteristiche timbriche più naturali dei vari strumenti a
fiato: ne sono la dimostrazione non solo i Concerti da lui dedicati al
clarinetto, all'oboe, al flauto, al corno e al fagotto ma anche e soprattutto
le sue musiche per ensemble di soli fiati. Queste composizioni erano
indicate con nomi diversi (Serenate, Divertimenti, Cassazioni, Notturni,
Partite) ma erano sostanzialmente simili e appartenevano tutte a un unico
genere di musica, destinata ad allietare le feste della nobiltà e dell'alta
borghesia. Facevano dunque parte della vita della buona società austriaca
durante quella sorta di felice e gaudente belle époque che precedette la
Rivoluzione del 1789, non a caso Mozart stesso non dimentica, tra i

483
piaceri della vita di cui circonda Don Giovanni, una cena al suono di un
piccolo gruppo di strumenti a fiato.
La forma e il numero dei movimenti delle Serenate e delle composizioni
affini erano variabili, mentre una costante era il tono disimpegnato,
gradevole e semplice: questo carattere informale contribuiva non poco al
fascino di una musica nata con il modesto scopo di fornire un sottofondo
musicale al chiacchiericcio e al rumore di bicchieri e posate. Però nella
produzione mozartiana di musiche di questo tipo troviamo - oltre alle
brevi e disimpegnate composizioni degli anni di Salisburgo, che
comunque hanno qualità artistica molto superiore a quel che la loro
destinazione effimera meritasse - anche tre lavori di dimensioni e
ambizioni maggiori, scritti a Monaco di Baviera e a Vienna nel 1781 e
1782, che hanno qualcosa d'enigmatico, perché il loro carattere serio e la
loro scrittura complessa appaiono incompatibili con le occasioni in cui
venivano solitamente eseguite le Serenate.
Di questo piccolo gruppo di composizioni fa parte la Serenata in do
minore K. 388, che al carattere enigmatico cui si è appena accennato
unisce anche il mistero della sua destinazione. Per chi fu scritta e per
quale occasione? È stato suggerito che il principe Schwarzenberg o il
giovane principe Liechtenstein potrebbero esserne stati i committenti, ma
non sarebbero rimasti sorpresi, disorientati, irritati e perfino spaventati da
questa Serenata così particolare, così appassionatamente personale
nell'espressione? E come conciliare la sua drammaticità col fatto che fu
composta in uno dei momenti più felici della vita di Mozart, nel luglio
1782, pochi giorni dopo il trionfo della sua Opera comica Il ratto dal
serraglio al Burgtheater di Vienna e immediatamente prima del tanto
desiderato e sospirato matrimonio con Konstanze?
Già la sola scelta del tragico do minore per questo genere di
composizioni, che di norma dovevano avere la leggerezza, l'eleganza e la
disinvoltura dello stile "galante", era un fatto eccezionale e annunciava
un particolare impegno espressivo. Come il sol minore, anche il do
minore è una tonalità emblematica del mondo spirituale di Mozart: se il
sol minore è angoscioso, tenebroso e agitato, il do minore è immerso in
un'atmosfera più tragica ma più oggettiva, è più cupo ma più composto,
come se Mozart vedesse in questa tonalità la manifestazione d'un potere
trascendente e fatale.

484
L'Allegro iniziale è basato su un gruppo di temi concisi e marcatamente
contrastanti, che creano un'atmosfera tragica più fortemente rilevata e più
ampiamente articolata che in ogni altra precedente composizione di
Mozart.

CARL E FRANZ MOZART

485
L'atmosfera si rasserena nell'Andante, in mi bemolle maggiore: è un
movimento relativamente breve, in cui i vari strumenti dialogano
pacatamente tra loro, con toni d'intenso lirismo.
Le Serenate avevano normalmente due Minuetti, che contribuivano al
loro carattere leggero e disimpegnato, ma Mozart questa volta ne scrisse
uno solo, dando così a questa composizione la struttura più compatta e
severa d'una Sinfonia: si tratta d'un Menuetto in canone, costruito su
lunghe linee contrappuntistiche che passano tra i vari strumenti,
seguendo una tecnica imitativa non troppo rigida.
Il finale è un Allegro, suddiviso in un tema e sette variazioni: il tema, in
do minore, è una svelta melodia dal profilo semplice e ben definito, le
variazioni sono fortemente caratterizzate e delineano un percorso
emotivo simmetrico, sfociando nella ripresa del tema iniziale, questa
volta in un luminoso e vivace do maggiore.
Mauro Mariani
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 17 febbraio 2006

486
COMPOSIZIONI PER ARCHI E FIATI

ADAGIO E RONDÒ PER GLASHARMONIKA, K 617


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Adagio (do minore)
2. Rondò. Allegretto (do maggiore)
Organico: glassharmonica, flauto, oboe, viola, violoncello
Composizione: Vienna, 23 maggio 1791
Prima esecuzione: Vienna, Kärntnertor Theater, 19 agosto 1791
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1791
Scritto per Marianne Kirchgässner

Questo pezzo è originariamente scritto per armonica, flauto, oboe, viola e


violoncello.
L'armonica, chiamata oggi tautologicamente «armonica di vetro»
(«Glasharmonika») per non confonderla con un più moderno strumento
popolare, fu uno degli strumenti favoriti dal pubblico del Settecento.
L'armonica è costituita da una ventina di coppe di cristallo di vario
diametro e spessore, infilate ad un asse rotante in una cassa di risonanza
di legno.
Malgrado la limitatezza della gamma sonora (che non supera il sol
medio), l'esecutore, premendo con le dita umide sul bordo dei cristalli in
rotazione, riesce a trarre dallo strumento un suono dolce e cupo, di
particolare fascino, che ispirò addirittura una «Cantata» al nostro
Metastasio.
Per Marianna Kirchgassner, celebre virtuosa cieca dello strumento,
Mozart scrisse a Vienna nel 1791 un Adagio solistico in do maggiore
(Köchel 356; Einsteiu 617a) e un Adagio e Rondò in do minore (Köchel
e Einstein 617) per un complesso di strumenti che all'armonica unisce un
flauto, un oboe, una viola e un violoncello.
Einstein definisce questo Adagio e Rondò «una delle opere divine» di
Mozart, la «controparte strumentale dell'Ave verum», «di una bellezza
ultraterrena nell'introduzione (in minore) e nel rondò (in maggiore)».

487
Carlo Marinelli

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 23 marzo 1962

QUARTETTO IN FA MAGGIORE
PER OBOE E ARCHI, K1 370 (K6 368B)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (fa maggiore)
2. Adagio (re minore)
3. Rondò. Allegro (fa maggiore)
Organico: oboe, violino, viola, violoncello
Composizione: Monaco, gennaio - marzo 1781
Edizione: Andrè, Offenbach 1802

Come ogni musicista della sua epoca, Mozart era un grande


estimatore dell'orchestra di Mannheim formata da musicisti di
primissima qualità come Jan Vaclav Antonìn e Karel Filip Stamitz,
Christian Cannabich, i violoncellisti Innozenz e poi Franz Danzi, il
flautista Johann Baptist Wendling, il fagottista Georg Wenzel Ritter, gli
oboisti Ludwig August Lebrun e Friedrich Ramm.
Nel 1778 morì l'elettore Maximilian di Baviera, e Karl Philipp Theodor,
suo erede nonché illuminatissimo signore di Mannheim e promotore
dell'orchestra, si trasferì con tutta la corte palatina a Monaco: fu la fine
della famosa orchestra che venne fusa con quella di Monaco.
Mozart, divenuto amico dei musicisti durante la sua permanenza a
Mannheim nel 1777/1778 (poco prima che l'orchestra si trasferisse)
quando aveva anche composto una Sinfonia concertante per quattro fiati,
li frequentò nuovamente a Monaco nel 1781, in occasione dell'Idomeneo.

488
Fu in quel periodo che vide la luce il Quartetto per oboe e archi K. 370,
scritto per Friedrich Ramm la cui bravura strumentale dissipò i dubbi di
Mozart circa la sonorità troppo nasale del suo strumento al quale il
salisburghese preferì comunque sempre il clarinetto.
Lo stile dell'Allegro del Quartetto con oboe è più cameristico e più
equilibrato tra le parti rispetto al movimento analogo del Quartetto
'concertante' con flauto K. 285; si segnala l'Adagio in re minore di
insolita mestizia al quale segue il tradizionale Allegro in forma di Rondò,
quanto mai adatto col suo 6/8, interrotto solo brevemente da un episodio
alla breve, a mettere in evidenza le doti virtuosistiche dell'oboista.
Johannes Streicher
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 25 settembre 1990

QUARTETTO PER FLAUTO N. 4 IN LA MAGGIORE, K 298


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Andantino (la maggiore)

2. Minuetto e trio (re maggiore)


3.Rondò. Allegretto grazioso (la maggiore)
Organico: flauto, violino, viola, violoncello
Composizione: Parigi, 23 marzo - 31 agosto 1778
Edizione: Traeg, Vienna 1808

È risaputo che Mozart prediligeva il clarinetto e il corno fra gli


strumenti a fiato, ma questo non toglie che sapesse scrivere bene anche
una parte di flauto, come dimostrano i Quartetti già citati e in particolar
modo il Quartetto K. 298, il cui manoscritto è conservato nella
Biblioteca nazionale di Vienna.
La data di composizione di questo lavoro è controversa: qualcuno tra i
musicologi parla del 1778, altri ritengono che sia più logico spostarne la
data di nascita alla fine del 1786 o agli inizi del 1787, in quanto nel
rondò si ascolta un'aria dell'Opera buffa Le gare generose di Giovanni
489
Paisiello, rappresentata a Vienna nel settembre del 1786 e poi a Praga
l'anno successivo (ad una di queste recite assistette Mozart, secondo una
lettera da lui inviata con la data del 15 gennaio 1787 al barone Gottfried
von Jacquin).

NIKCOLAUS GOTTFRIED VON JACQUIN

490
Nell'opera K. 298 sarebbero stati utilizzati anche temi altrui, come un
Lied di Franz Anton Hoffmeister rielaborato nel primo movimento e un
antico e popolare rondò francese nel trio del minuetto. La composizione
si snoda con tono piacevole e brillante, sin dall'Andante cantabile e di
delicato lirismo all'italiana, arricchito da una serie di spigliate variazioni,
affidate volta per volta ai vari strumenti, prima di ritornare al bel tema
del flauto. Da sottolineare l'eleganza melodica e armonica del Rondò e la
fosforescente leggerezza dell'Allegretto conclusivo.
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma Auditorio di Via della Conciliazione, 24 febbraio 1989

QUARTETTO PER FLAUTO


ED ARCHI N. 1 IN RE MAGGIORE, K 285
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (re maggiore)
2. Adagio (si minore)
3. Rondò. Allegretto (re maggiore)
Organico: flauto, violino, viola, violoncello
Composizione: Mannheim, 25 dicembre 177

Il Quartetto in re maggiore K. 285, il primo di una serie composta


un po' contro volontà (e non terminata) per l'olandese De Jean (Mozart
non amò particolarmente il flauto), è del periodo di Mannheim, e
precisamente del dicembre 1777.
Il flauto domina incontrastato in tutti e tre i tempi: viola e violoncello
nell'Allegro si limitano a qualche intervento di natura essenzialmente
ritmica giacché anche nello sviluppo dal punto di vista armonico non ci
sono eventi particolari, solamente il violino per poche battute è trattato al
pari del flauto.
L'Adagio in si minore con i caratteristici 'sospiri' mannheimiani si
annovera tra i più bei tempi di tutta la letteratura flautistica: lo strumento
a fiato con la sua melodia malinconica è come esaltato dai delicatissimi
pizzicati degli archi.
491
Conclude il Quartetto un Rondò tra i più impegnativi per il violinista, la
cui parte di accompagnamento si rivela una sorta di perpetuum mobile
che fa da sfondo al protagonismo del flauto accanto al quale il violino
stenta ad affermarsi.
Johann Streicher
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 25 settembre 1990

QUARTETTO PER FLAUTO


ED ARCHI N. 3 IN DO MAGGIORE, A 171 (K6 285B)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (do maggiore)
2. Andantino (do maggiore)
Organico: flauto, violino, viola, violoncello
Composizione: Mannheim, 25 dicembre 1777 - 14 febbraio 1778

Incompleto; manca il terzo movimento

Il Quartetto in do maggiore per flauto e archi K. 171, così come


viene indicato nell'appendice (Anhang) del catalogo Koechel, è un
Allegro con un Andantino per flauto violino, viola e violoncello scritto da
Mozart a Mannheim tra gennaio e febbraio del 1778 e improntato ad un
gusto classico che mira ad inserire in un giusto dosaggio il timbro del
flauto nel gioco degli archi.
La composizione è avviata dal canto del flauto, ripreso all'ottava
inferiore dal violino e seguito da un ritornello dei quattro strumenti.
Ancora il flauto espone il secondo tema, sviluppato dal violino e
contrappuntato dai vari strumenti come un tema con variazioni su
cambiamento di tonalità, da sol minore a re minore. L'attenzione
dell'ascoltatore è richiamata dalla linearità e dalla espressività delle
modulazioni, indicative anche in questo caso della genialità inventiva
mozartiana.

492
Questo Quartetto, noto anche nella numerazione K. 285b, si collega agli
altri due Quartetti, in re maggiore K. 285 e in sol maggiore K. 285a,
perché composti per lo stesso organico strumentale (flauto e archi). In
fondo i Quartetti K. 285a e K. 285b si richiamano maggiormente allo
stile di Johann Christian Bach, quanto mai elegante e misurato negli
effetti, e secondo Einstein si ritrova nel finale del K. 285b la versione
originale del tema con variazioni della Serenata per strumenti a fiato K.
361.
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 25 novembre 1983

QUINTETTO IN LA MAGGIORE
PER CLARINETTO, K. 581 "STADLER"
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (la maggiore)

2. Larghetto (re maggiore)


3. Minuetto e trio (la maggiore)
4.Allegretto con variazioni (la maggiore)
Organico: clarinetto, 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, 29 settembre 1789
Prima esecuzione: Vienna, Burgtheater, 22 dicembre 1789
Edizione: Andrè, Offenbach 1802
Dedica: Anton Stadler

Rispetto ai vari Quartetti e Quintetti per strumento a fiato, non v'è


dubbio che l'ultimo lavoro lasciato da Mozart in questo campo, il
Quintetto per clarinetto in la maggiore K. 581, non solo costituisca un
autentico vertice, ma anche una pietra miliare del repertorio
clarinettistico, e, più in generale, uno degli autentici capolavori di tutta la
letteratura cameristica del compositore.
I primi contatti con il clarinetto il piccolo Mozart li ebbe all'età di otto
anni, nel corso della sua lunga permanenza londinese; a quel tempo il
493
clarinetto era uno strumento di costruzione recente, che non si era ancora
conquistato un posto stabile in orchestra. Di fatto Mozart dovette
attendere oltre un decennio perché l'orchestra di Mannheim gli mostrasse
il perfetto impiego sinfonico dello strumento rispetto agli altri fiati.
Tuttavia solo negli ultimi due anni di vita il compositore potè scrivere dei
brani che vedessero il clarinetto in un ruolo solistico. L'occasione gli fu
fornita dalla conoscenza dello strumentista Anton Stadler, un virtuoso di
straordinaria abilità che del clarinetto svelò a Mozart le inesplorate
potenzialità espressive; senza dimenticare che lo strumentista suonava su
uno strumento detto "clarinetto di bassetto" che si differenziava dal
modello moderno per una maggiore estensione nel registro grave.
Per le capacità tecniche e interpretative di Stadler (oltretutto suo fratello
massone, nonché compagno di affari, sembra, non sempre limpidissimi)
Mozart confezionò su misura il Quintetto K. 581, il cosiddetto "Trio dei
birilli" e il crepuscolare Concerto K. 622, oltre ai mirabili interventi
concertanti di due arie della Clemenza di Tito ("Parto ma tu ben mio"
cantata da Sesto, e "Non più di fiori", da Vitellia; quest'ultima in verità
concepita per corno di bassetto, che del clarinetto è stretto parente).
Fra queste Opere lo "Stadler-Quintett", come lo stesso Mozart ebbe a
definirlo, è forse quella che meglio mette in luce il timbro dolcemente
sensuale dello strumento, la sua straordinaria estensione, le doti cantabili
e quelle virtuosistiche; e questo grazie anche al felicissimo sposalizio con
la classica formazione del Quartetto d'archi, che accoglie il clarinetto
come un "primus inter pares", esaltandone il ruolo solistico senza per
questo mortificarsi in una funzione di accompagnamento.
Certo, sarebbe inopportuno rimproverare al Quintetto K. 581 la
mancanza di quella scrittura complessa e di quella elaborazione tematica
che contraddistinguono i coetanei Quintetti per archi, e che erano in
partenza precluse dalla presenza dello strumento a fiato.
E tuttavia è difficile pensare a una scrittura più raffinata di quella del
Quintetto per clarinetto, perché la sofisticatezza delle figurazioni di
accompagnamento e il gioco di scambio delle funzioni fra i vari
strumenti mostra veramente una maestria suprema.
In sostanza alla piena accessibilità della funzione di accompagnamento si
coniuga nel Quintetto K. 581 una raffinatezza di impostazione che in
494
qualche modo sembra rinnegare quella accessibilità; e proprio per questa
ambiguità la partitura appartiene al novero dei capolavori.

495
L'Allegro iniziale, in forma sonata, si basa su temi ampi e cantabili, di
immediata piacevolezza, non disgiunta per la seconda idea da una certa
malinconia, evidenziata dalla ripresa in minore del clarinetto; lo sviluppo
poi evita i contrasti dialettici e si fonda piuttosto sulla figurazione
arpeggiata che introduce il clarinetto, elaborata in suadenti giri armonici;
è questo il movimento che offre ai cinque strumenti le maggiori
possibilità di intreccio e di scambio di ruoli - ad esempio se nella
esposizione si susseguono violino e clarinetto, nella ripresa i ruoli
vengono invertiti - sempre condizionate dalla ricerca di soluzioni sonore
dolcemente eufoniche.
Il secondo tempo, un tenero Larghetto in una regolarissima forma di
Lied, vede il clarinetto impegnato nell'esibizione delle proprie capacità
melodiche e del rapido passaggio dai gravi agli acuti; nella sezione
centrale esso instaura un dialogo con il primo violino, sul morbido
sfondo creato dagli altri archi.
La presenza inconsueta di due Trii avvicina lo spirito del Minuetto a
quello dei Divertimenti salisburghesi; alla garbata melodia della danza si
contrappongono prima una sezione in minore per soli archi, e poi un
motivo dal carattere di Ländler popolaresco.
E popolaresco è anche il Tema con variazioni (finale al posto del più
usuale Rondò) il cui carattere disimpegnato è una precisa scelta
dell'autore, che aveva già abbozzato un movimento più complesso; le
variazioni, improntate alla massima godibilità d'ascolto, si susseguono
secondo una studiata logica di contrasti alternati, con una variegata
scrittura strumentale che riassume le caratteristiche più salienti dell'intera
composizione.
Arrigo Quattrocchi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 1 marzo 2001

496
QUINTETTO IN MI BEMOLLE MAGGIORE
PER CORNO ED ARCHI, K1 407 (K6 386C)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (mi bemolle maggiore)
2. Andante (si bemolle maggiore)
3. Allegro (mi bemolle maggiore)
Organico: corno, violino, 2 viole, violoncello
Composizione: Vienna, dicembre 1782
Edizione: Schmid & Rau, Lipsia 1796
Dedica: Ignaz Leutgeb

Nel Quintetto di Mozart per corno e archi K. 407 troviamo due


viole al posto degli usuali due violini, per cui abbiamo a che fare con una
composizione un po' ai margini delle normali stagioni Concertistiche
spesso legate alle formazioni classiche del Trio o del Quartetto.
Tutte le opere per corno di Mozart si devono alla felice circostanza che
Joseph (o Ignaz) Leutgeb, cornista nell'orchestra del Fürsterzbischof
Colloredo di Salisburgo, abbia deciso di trasferirsi a Vienna dove poi
chiese a Mozart di comporgli dei Concerti onde affermarsi nella capitale.
Sembra che Leutgeb non sia stato un lume di scienza offrendo più di una
occasione di bonario scherno a Mozart che si permise di apporre questa
'dedica' al Concerto K. 417: "Wolfgang Amadeus Mozart ha avuto pietà
di quest'asino, di questo pazzo di Leitgeb, a Vienna il 27 maggio 1783",
per tacere delle chiose saporite del Concerto K. 412.
Quale cornista invece doveva aver raggiunto un livello di tutto rispetto se
si considerano le difficoltà tecniche dei Concerti mozartiani. Il Quintetto
K. 407, composto a Vienna alla fine del 1782, edito postumo da Schmid
& Rau a Lipsia, mette in risalto tutte le possibilità dello strumento
(tranne gli accordi) pur non sfruttandone l'estensione completa nel primo
e nel secondo tempo; solo nel Finale, prima del terzo ritornello, il corno
scende nelle regioni più gravi.
Nelle prime battute introduttive la prima viola assume il ruolo
solitamente ricoperto dal secondo violino, cioè di sostegno del primo alla

497
terza bassa, ma a partire dall'esposizione del tema principale sarà il corno
a condurre il discorso.
Solo occasionalmente gli altri strumenti vanno al di là della funzione di
sostegno, come per esempio nel brevissimo sviluppo, o alla fine
dell'esposizione quando il primo violino ripete ironicamente i quattro fa
staccati del corno, episodio ripetuto ed ampliato con l'intervento degli
altri archi alla fine della ripresa.
L'Andante, nella tonalità della dominante, lascia spazio maggiore alla
cantabilità del primo violino che si alterna col corno mentre sulla base
armonica del violoncello le viole procedono per lo più parallelamente.
Come anche nel Rondò finale le due viole danno solo un colore
lievemente più scuro senza creare atmosfere più adombrate come la loro
presenza potrebbe invece suggerire (basti pensare ad alcuni dei Quintetti
per archi mozartiani).
Di impianto formale semplice, il Quintetto K. 407 è vicino al mondo
dell'Entführung coeva, e anche l'accenno di fugato nelle sue ultime
battute è solamente una scherzosa allusione a forme più severe da Mozart
sì magistralmente padroneggiate ma qui non ostentate.
Johannec Streicher

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 25 settembre 1990

498
COMPOSIZIONI PER STRUMENTI SOLI

PICCOLO ADAGIO PER


GLASSHARMONIKA, K1 356 (K2 617A)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
 Adagio (do maggiore)

Organico: glassharmonika
Composizione: Vienna, gennaio - maggio 1791
Dedica: Marianne Kirchgässer

Le composizioni che Mozart scrisse per Marianna Kirchgässner,


celebre virtuosa cieca di armonica, risalgono all'ultimo anno della sua
vita.
Fu a Vienna nel 1791 che Mozart scrisse per questa artista, da lui assai
ammirata, un Adagio solistico in do maggiore (iscritto dal Köchel
erroneamente al n. 356 del suo catalogo cronologicamente restituito al
suo posto dall'Einstein con l'attribuzione del n. 617 a), e un Adagio e
Rondò in do minore (Köchel e Einstein, n. 617) per un complesso di
strumenti che all'armonica unisce un flauto, un oboe, una viola e un
violoncello.
Se l'Adagio in do maggiore per sola armonica vuole soprattutto mettere
in rilievo le possibilità dello strumento, sia pure senza eccessi
virtuosistici, ed anzi con un equilibrio che congiunge alla grazia del
porgere una sorta di melanconica nostalgia, l'Adagio e Rondò va
considerato uno dei capolavori assoluti di Mozart, tanto che l'Einstein lo
definisce «una delle opere divine» di Mozart, la «controparte strumentale
dell'Ave verum, di una bellezza ultraterrena nell'introduzione (in minore)
e nel rondò (in mi maggiore)».
Carlo Marinelli

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma Auditorio di Via della Conciliazione, 1 febbraio 1963

499
TRII, QUARTETTI E QUINTETTI PER ARCHI

ADAGIO E FUGA IN DO MINORE


PER QUARTETTO D'ARCHI, K 546
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Adagio (do minore)
2. Fuga. Allegro (do minore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello oppure orchestra d'archi
Composizione: Vienna, 26 Giugno 1788
Edizione: Hoffmeister, Vienna 1788

Trascrizione per Quartetto d'archi dalla Fuga per due pianoforti, K 426

Tra gli aspetti più affascinanti della riflessione storica sulla musica
vi è senza dubbio l'indagine su come sia mutato nei secoli il concetto di
tradizione che spettatori, dilettanti, compositori ed esecutori hanno fatto
proprio nei secoli. Qualche particola dell'infinito caleidoscopio di
opinioni che animò tale problematica, ancora oggi attuale, ci giunge dalle
testimonianze scritte di chi la musica la visse come lavoro e come
impegno critico e intellettuale.
Sia detto subito che la materia è magmatica, sempre aperta a nuove
interpretazioni e sottoposta a nuove evoluzioni del gusto; essa ha però il
pregio, se analizzata con attenzione, di apportare spesso qualche
elemento rivelatore sulle relazioni tra musica e società, non dimenticando
tuttavia che nella maniera in cui un compositore si rivolge al passato c'è
una percentuale di influenza sociale, dichiarata o tacita, e una parte di
esperienza e di giudizio personali.
Mozart è un punto di osservazione privilegiato per la problematica in
questione: da giovanissimo ebbe il pregio di viaggiare molto, di avere un
apprendistato cosmopolita; ebbe la fortuna di conoscere molti ambienti
culturali europei con i loro gusti e le loro tradizioni. La sua sensibilità fu
termometro di molte delle tensioni culturali dell'epoca. Il suo incontro a
Vienna e la decennale amicizia con il bibliotecario imperiale barone
Gottfried van Swieten, vengono spesso descritti come elementi

500
importanti per l'evoluzione del suo stile. Mozart aveva cominciato a
frequentare il barone nel 1781. Ambasciatore a Berlino presso Federico
II, van Swieten si era affiliato in quella città a un gruppo di difensori
della memoria bachiana e händeliana di cui facevano parte altri
compositori.
Uomo politico con interessi culturali, grande amante della musica al
punto da essere compositore di Sinfonie («rigide come lui stesso» a dire
di Joseph Haydn), van Swieten amava farsi promotore anche a Vienna
della diffusione dell'opera di J. S. Bach e di Händel. Aveva dato in gran
copia anche a Mozart spartiti e partiture di questi due autori, materiale di
cui il salisburghese si serviva eseguendoli e studiandoli in casa. Scrisse
nel 1783: «Quando Constanze udì le fughe, se ne innamorò: ora non
vuoi sentire altro che fughe e soprattutto (in questo campo) Händel e
Bach. Siccome poi mi aveva sentito improvvisarne io stesso, mi domandò
se non ne avessi già scritta qualcuna e quando le risposi che no, mi
rimproverò aspramente di aver trascurato quanto di più bello e
interessante ci sia nella musica, e non smise di pregarmi fino a che non
gliene scrissi una. [...] Col tempo ne farò altre cinque e le regalerò al
barone van Swieten».
Più che per Mozart, il cui ruolo di compositore aveva sempre
contemplato di necessità lo studio di variegate tipologie di musiche
recenti o passate, la citazione ci interessa per la presa di posizione della
moglie: che Constanze trovasse le fughe così attraenti al puro ascolto,
testimonia un fatto di evoluzione del gusto assai interessante.
L'amore per il contrappunto non era dunque più una faccenda per soli
esperti: dalle appendici solenni del genere sacro e dal silenzioso lavoro
del privato esercizio, lo stile contrappuntistico aumentava il suo indice di
gradimento fra gli ascoltatori. E Mozart si mise a lavoro: il 29 dicembre
1783 completò la stesura della Fuga in do minore K. 426, opera
preceduta da diversi frammenti di fughe per tastiera lasciate incomplete.
Si trattava di una severa e maestosa fuga a quattro voci per due
fortepiani, alla quale Mozart voleva far precedere un Preludio: un
progetto iniziato ma portato a compimento più tardi.
Nel giugno del 1788, infatti, egli riprese in mano la vecchia fuga e la
riadattò per Quartetto od orchestra d'archi aggiungendo, come ebbe a
scrivere lui stesso, anche un «Adagio a due violini, viola e basso per una
501
fuga che scrissi tempo fa». Si trattava dell'Adagio e Fuga in do minore
K. 546, un'opera che trasfondeva nel colorismo degli archi il carattere
serio e impegnato della composizione precedente.

NIKCOLAUS GOTTFRIED VON JACQUIN

502
Rispetto alla prima versione, l'Adagio ha qui la funzione di accentuare
l'effetto meccanico e sublime della fuga tramite un'introduzione patetica
ad hoc: la tensione tra l'elemento fiero ed energico che apre il brano e un
secondo segmento dal tono dolente e sommesso costruito su respiri di
semitono, costituisce una sorta di rifugio intimistico dalla natura
interrogativa.
Nella Fuga seguente Mozart allestisce un'imponente struttura: un austero
soggetto caratterizzato da ampi intervalli viene sottoposto al severo
artificio del contrappunto e puntellato da un mobile controsoggetto che
dona al tutto un'affascinante sinuosità cromatica.
Nel trattamento dell'elaborazione motivica Mozart segue strade a volte
personali a volte ortodosse, riuscendo a stupirci anche nelle situazioni
più canonizzate del genere, fino allo "stretto" finale (topos tecnico della
fuga) che conclude il brano in modo grandioso e solenne.
Il Mozart lirico, sensuale e ammiccante si trasforma qui in un poderoso
busto di marmo: l'unica ragione per cui egli si riconosca in costruzioni
del genere è l'affidare loro un valore mistico, trascendente. Artificio,
solennità, chiara percezione dell'architettura donano alla musica
contrappuntistica una dignità "religiosa", un sapore rituale.
Il meccanismo del contrappunto sembra rendere la composizione
indipendente dai turbamenti umani (non a caso era spesso usata per
celebrare la divinità), donargli una vita propria nella quale il brano pare
originarsi da sé.
L'interpretazione dello stile severo nel tardo Settecento anticipa il
crescendo culturale che porterà nel secolo successivo la musica a essere
arte con una propria altissima dignità intellettuale e spirituale.
Mozart intercettava con l'Adagio e Fuga K. 546 l'evoluzione del gusto
europeo tendente a far evolvere il classicismo verso lo spiritualismo
romantico ancora di là da venire.
Ma non è da escludere che la sua natura fortemente trasgressiva, sempre
e comunque attenta a dare il meglio della sua maestria creativa in ogni
campo, donasse al solenne portamento della fuga anche un tocco
segretamente ironico.

503
Simone Ciolfi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 21 Febbraio 2009, direttore
Fabio Luisi

FABIO LUISI

504
CINQUE FUGHE PER QUARTETTO D'ARCHI, K 405

Trascrizione di fughe dal "Clavicembalo ben temperato" di Johann


Sebastian Bach

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


1. do maggiore (BWV 871)
2. mi bemolle maggiore (BWV 876)
3. mi maggiore (BWV 878)
4. re maggiore (BWV 877)
5. re maggiore (BWV 874)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, luglio 1782

All'epoca in cui porta a termine il Quartetto K. 387, nei suoi primi


mesi a Vienna il venticinquenne Mozart ha già fatto un altro incontro
molto significativo: quello con la musica di Bach e Haendel che ha
l'opportunità di conoscere meglio frequentando un appassionato
intenditore, il barone Gottfried van Swieten che ogni domenica alle 12
organizzava in casa propria delle riunioni musicali "dove non si suonava
che Haendel e Bach".
Nasce così un periodo di attento studio che si concentra in particolare
sulle fughe di Bach: perfino la sua Constanze è coinvolta da questa
passione e "non vuole più ascoltare altro che fughe e solo di Haendel e
Bach".
E così Mozart legge, ascolta, suona, copia, trascrive e da questo studio
prende le mosse per alcuni esperimenti personali: di questa fase
sperimentale, a parte alcune trascrizioni da Bach di attribuzione assai
dubbia (K. 404a), diversi frammenti di fuga per pianoforte e altri lavori
incompiuti, ci rimangono la Fuga K. 394 per pianoforte, la Fuga K. 426
per due pianoforti (poi trascritta per Quartetto d'archi e preceduta da
un'introduzione) e, appunto, la trascrizione per Quartetto di cinque fughe
dal Clavicembalo ben temperato: le numero 2, 5, 7, 8 e 9 dal secondo
libro.
505
Carlo Cavalletti
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma Teatro Olimpico, 24 gennaio 2002

JOHANN SEBASTIAN BACH

506
QUARTETTO PER ARCHI N. 1
IN SOL MAGGIORE, K1 80 (K6 73F)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Adagio (sol maggiore)
2. Allegro (sol maggiore)
3. Minuetto (sol maggiore)
4. Rondò (sol maggiore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Lodi, 15 Marzo 1770

Proprio come è avvenuto con la Sinfonia, anche nel campo del


Quartetto per archi Haydn ha svolto un ruolo fondamentale nel
contribuire a fissare il modello formale del genere, scegliendo fra le varie
strutture e caratteristiche stilistiche ereditate dai suoi predecessori.
La quantità e soprattutto la qualità della sua produzione hanno fatto sì
che ben presto le sue scelte si trasformassero tacitamente in un modello
normativo.
Quando poi sulla scena musicale apparve l'astro del giovane Mozart, fra i
due musicisti si innescò un complesso rapporto di reciproche influenze,
particolarmente avvertibile in campo Quartettistico: non bisogna
dimenticare che la grande amicizia sorta all'inizio degli anni Ottanta fra il
cinquantenne Haydn e il venticinquenne Mozart nacque proprio intorno
al Quartetto, poiché fu cementata dalle riunioni musicali in cui i due
suonarono insieme.

507
FRANZ JOSEPH HAYDN

508
Al punto che si può dire che un rapido sguardo alla loro produzione -
sessantotto Quartetti in quasi mezzo secolo, fra il 1757 e il 1803, Haydn;
ventisei Quartetti nell'arco di un ventennio, tra il 1770 e il 1790, Mozart -
consenta di fotografare perfettamente la profonda trasformazione
verificatasi in quegli anni nel genere del Quartetto per archi.
Intorno alla metà del Settecento, i Quartetti, che venivano più
frequentemente chiamati "Divertimenti", erano ancora brani di
intrattenimento estremamente disimpegnati che potevano essere in un
numero variabile di movimenti (tre, quattro, cinque), e non attribuivano
affatto la stessa importanza ai quattro strumenti, "guidati" nettamente dal
primo violino. Anche i primi dieci Quartetti di Haydn, scritti intorno al
1757 per le serate del principe Karl Joseph von Fürnberg nel castello di
Weinzierl, si rifanno a questo modello e sono tutti in cinque movimenti
con due minuetti.
Dopo una pausa durata oltre dieci anni, Haydn tornò al Quartetto nel
1768 e fino al 1772 portò a termine ben diciotto lavori (sei op. 9, sei op.
17 e sei op. 20) che, pur essendo ancora indicati col titolo di
"Divertimenti", delineano chiaramente il modello di un brano più serio e
impegnativo in quattro movimenti, in cui gradualmente gli altri tre
strumenti acquistano importanza a fianco del primo violino. Se in alcuni
movimenti lenti dell'op. 9 l'antico protagonismo del primo violino
riaffiora, l'op. 17 appare ancora più equilibrata, con i quattro strumenti su
un piano di quasi assoluta parità, fino a giungere nell'op. 20 a un ulteriore
inspessimento della scrittura contrappuntistica: ben tre Quartetti hanno il
movimento finale in forma di fuga. A tutto questo si aggiunge, sotto
l'influenza del cosiddetto periodo Sturm und Drang, un più frequente
utilizzo delle tonalità minori. Dopo l'op. 20, però, Haydn abbandona
ancora una volta per quasi dieci anni il genere del Quartetto, proprio
mentre il giovane Mozart vi compie i suoi primi passi.
Il Quartetto in sol maggiore K. 80/73f, scritto nel 1770 dal
quattordicenne Mozart durante il suo primo viaggio in Italia, e i tre
Divertimenti K. 136-138, composti due anni dopo a Salisburgo, sono
pagine leggere e disimpegnate ancora a metà strada fra lo stile del
divertimento e quello più arcaico della Sonata a tre. Fra le principali
esperienze musicali del giovanissimo Mozart durante i due mesi trascorsi
a Milano al principio del 1770 bisogna senz'altro annoverare l'incontro

509
con due prestigiosi maestri italiani: Niccolò Piccinni e Giovanni Battista
Sammartini. E il Quartetto in sol maggiore K. 80/73f, terminato la sera
del 15 marzo del 1770 in una locanda di Lodi nel corso del viaggio da
Milano alla volta di Bologna, segue il modello formale in tre movimenti
(Adagio-Allegro-Menuetto) tipico di molte composizioni strumentali di
Sammartini e della sua scuola.

Nonostante le apparenze, questo esordio Quartettistico del


quattordicenne Mozart si rivela in fin dei conti abbastanza tardivo in un
compositore che, a tacer d'altro, ha già firmato almeno una decina di
Sinfonie, 16 Sonate per violino, 4 Messe e 3 piccoli lavori teatrali.
Anche se, come detto, non siamo ancora in presenza di un'autentica
scrittura Quartettistica a quattro parti autonome e indipendenti, ma in
generale a una scrittura a due o a tre parti con un predominio solistico del
primo violino, in molti passaggi il giovane Mozart mostra già una
naturale disposizione al gioco e al dialogo fra gli strumenti ricorrendo in
alcune battute a una scrittura a canone. Nella versione originaria del 1770
il Quartetto K. 80 è formato da tre movimenti, tutti nella tonalità

510
d'impianto di sol maggiore: un trasognato e sereno Adagio, il cui incipit
sembra prefigurare quello di «Porgi amor» dalle Nozze di Figaro, un
Allegro frenetico e pieno di buon umore e un breve e pomposo Menuetto.
Evidentemente Mozart doveva essere alquanto soddisfatto del suo lavoro
di esordio nel campo del Quartetto, visto che qualche anno dopo, alla
fine del 1773 o al principio del 1774, lo riprese rendendolo più moderno
con l'aggiunta di un quarto movimento in coda, un breve e luminoso
Rondò in sol maggiore.
Carlo Cavalletti
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 28 febbraio 2002

QUARTETTO PER ARCHI N. 2


IN RE MAGGIORE, K1 155 (K6 134A)

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


1. Allegro (re maggiore)
2. Andante (la maggiore)
3. Allegro molto (re maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Bolzano (o Verona), ottobre - novembre 1772

L'Allegro iniziale del Quartetto KV 155 (134a) delinea una ben


organizzata forma di Sonata senza ritornelli.
Nell'esposizione si distinguono il brillante primo gruppo tematico, la
transizione, il secondo gruppo tematico, più cantabile, il gruppo
cadenzale conclusivo con un passaggio virtuosistico per il violino I; lo
sviluppo, di sostanza tematica indipendente rispetto all'esposizione è
avviato da una serie di entrate in canone.
L'Andante è invece in forma di Sonata con ripresa incompleta: elementi
del tema principale sono riutilizzati nello sviluppo, e la ripresa coincide

511
con il tema secondario, costruito con incisi distribuiti tra i violini;
soltanto per la chiusa ricompare la frase iniziale del tema principale.
Il Molto allegro finale è un vivace rondò con due episodi.
Cesare Fertonani
Testo tratto dallo speciale della rivista Amadeus, Ottobre 1995
ù

QUARTETTO PER ARCHI


N. 3 IN SOL MAGGIORE, K1 156 (K6 134B)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Presto (sol maggiore)
2. Adagio (mi minore)
3. Tempo di Minuetto (sol maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Milano, 25 Dicembre 1772

Dell'Adagio centrale esistono due versioni

Il Quartetto in sol maggiore K. 156 appartiene a un gruppo di sei


Quartetti (K. 155-160), detti "milanesi" perché scritti da Mozart - non
ancora diciassettenne - durante il terzo e ultimo viaggio in Italia, che
ebbe quale tappa principale Milano e venne intrapreso essenzialmente
per mettere in scena l'opera Lucio Silla, eseguita al Teatro Regio Ducale
di Milano il 26 dicembre 1772, come inaugurazione della stagione di
carnevale 1773. In precedenza Mozart si era dedicato solo
occasionalmente alla scrittura per soli archi, con il Quartetto K. 80
(scritto durante il primo viaggio in Italia) e i tre Divertimenti K. 136-138
(scritti in previsione del secondo viaggio).
Se, grazie alle partiture di Mozart, di Haydn e poi ai capolavori di
Beethoven, il genere del Quartetto per archi si è imposto presso i posteri
come il genere più complesso, difficile, e anche elitario della letteratura
cameristica, ben lontana era, intorno al 1770, la definizione della scrittura
Quartettistica "classica", per cui i quattro strumenti sono su un piano di

512
ideale parità, scambiandosi vicendevolmente le funzioni di guida
melodica ed accompagnamento. Al contrario, la scrittura per soli archi si
era da pochi anni emancipata dalla schiavitù del basso continuo, ossia dal
vincolo di una linea dello strumento grave su cui venivano costruite le
armonie di riempitivo e la melodia dello strumento superiore.
Fondamentale, in questo periodo di transizione, l'opera del milanese
Giovan Battista Sammartini, che seppe convertire la vecchia Sonata a
quattro nello stile arioso del gusto galante. Sotto il profilo della scrittura,
la maggiore libertà e leggerezza degli strumenti di accompagnamento
non faceva venir meno il principio del predominio del primo violino.
Sotto il profilo dei contenuti, invece, il "Quartetto" era sinonimo di
"Divertimento", dunque la destinazione agli strumenti ad arco non
contemplava la nozione di musica "per intenditori", ma si assimilava
perfettamente a tutti gli altri generi ed organici destinati
all'intrattenimento.
Pensati per essere eseguiti nelle "accademie" date in onore del giovane
compositore dalla nobiltà milanese, i sei Quartetti K. 155-160 recano la
traccia evidente del gusto italiano; eppure non è difficile trovarvi una
impronta autenticamente personale e anche il segno dell'influenza
salisburghese. Le sei partiture si articolano ciascuna in tre movimenti, ma
una sola di esse (il Quartetto K. 159) segue lo schema più antico che era
tipico di Sammartini: lento-veloce-veloce; gli altri cinque lavori, invece,
presentano il più moderno schema allegro-lento-allegro, con un minuetto
finale.
Il Quartetto in sol maggiore K. 156 reca dunque il segno di un gusto
disimpegnato tipicamente italiano, nella maniera di Sammartini. Con il
"Presto" che apre la composizione abbiamo tre agili temi
nell'esposizione, e uno dei tratti "italianisti" consiste nel fatto che la
sezione dello sviluppo non rielabora il materiale tematico già presentato
in precedenza, ma si basa su un quarto tema del tutto nuovo, che presenta
la caratteristica di un accompagnamento insistito del secondo violino.
Dunque una abbondanza di melodie, che ritroviamo anche nel tempo
conclusivo, un Tempo di minuetto pienamente cantabile, con due
minuetti che si avvicendano: il secondo è più lungo del primo, come di
consueto in quel periodo.

513
Il movimento più interessante è però quello centrale, per cui Mozart
scartò un abbozzo scritto in un primo momento, rimpiazzandolo con un
tempo del tutto nuovo; circostanza che indica come il compositore fosse
insoddisfatto del contenuto espressivo della pagina. E in effetti la nuova
stesura rivela una autentica crisi espressiva nel giovane Mozart,
interessato a caricare i suoi tempi lenti di un pathos sentimentale e
irrazionale che è stato spesso ricollegato all'atmosfera Sturm und Drang
di quegli anni, e che segna una netta rottura rispetto al gusto italiano.
Non a caso questo Adagio presenta una tonalità minore (mi minore) e
una cantilena continua del primo violino, accompagnata intensamente
dagli altri strumenti, con la definizione di un'atmosfera che - come
osservarono Wyzewa e Saint-Foix - rimanda a un importante arioso di
Giunia, la protagonista femminile del Lucio Siila.
Arrigo Quattrocchi
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 29 gennaio 1999,
Quartetto Fiesole

QUARTETTO PER ARCHI N. 4 IN DO MAGGIORE, K 157


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (do maggiore)

2. Andante (mi bemolle maggiore)


3.Presto (do maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Milano, fine 1772 - inizio 1773
Edizione: Artaria, Vienna 1792

Quanto a valore musicale e tecnica di scrittura, il Quartetto KV


157 è forse, nel complesso, il più equilibrato e omogeneo del ciclo. Nel
movimento d'apertura, la freschezza dell'invenzione che caratterizza il
gruppo tematico principale e la transizione, condotta con imitazioni tra i
violini e la viola, non abbandona neppure l'impertinente lievità introdotta
dal secondo gruppo tematico e del gruppo cadenzale conclusivo,
514
costruito con raffinatezza, lo sviluppo elabora la testa del gruppo
cadenzale e il secondo tema.
Dolore palpitante e inconsolabile: questo è il conio affettivo
dell'Andante, in forma di sonata monotematica; tono patetico e cullante e
sostanza musicale passano dal tema principale a quello secondario e di
qui al gruppo cadenzale; è dalla chiusa di quest'ultimo che trae avvio lo
sviluppo, consistente in una digressione cui è sottoposto il tema
secondario. Il Presto finale è un rondò con due episodi, il primo dei quali
viene ripreso prima dell'ultimo ritorno del tema seguito da una coda.
Cesare Fertonani
Testo tratto dallo speciale della rivista Amadeus, Ottobre 1995

QUARTETTO PER ARCHI N. 5 IN FA MAGGIORE, K 158


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (fa maggiore)
2. Andante un poco Allegretto (la minore)
3. Tempo di Minuetto (fa maggiore)

Organico: 2 violini, viola, violoncello


Composizione: Milano, fine 1772

Nell’Allegro iniziale del Quartetto KV 158 la struttura formale


dell'esposizione è quanto mai essenziale: il primo tema è spiritoso e
leggero, il secondo ha contorni di piacevole cantabilità, il gruppo
cadenzale riutilizza la testa del primo tema.
Nello sviluppo, dopo un periodo misterioso in cui gli strumenti eseguono
note staccate all'unissono, vengono elaborati l'attacco del primo tema e il
gruppo cadenzale.
L'Andante un poco allegretto dimostra in modo esplicito l'interesse del
giovane Mozart per il contrappunto: tanto il tema principale quanto la

515
chiusa dell'esposizione hanno struttura di canoni all'ottava; il compito di
diradare la spettrale malinconia che si cela, qui come nel breve sviluppo,
dietro l'apparente oggettività del contrappunto, è affidato alla cordialità
del tema secondario. Il finale è un Menuetto.
Cesare Fertonani
Testo tratto dallo speciale della rivista Amadeus, Ottobre 1995

QUARTETTO PER ARCHI N. 6


IN SI BEMOLLE MAGGIORE, K 159
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Andante (si bemolle maggiore)
2. Allegro (sol minore)
3. Rondò. Allegro grazioso (si bemolle maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Milano, febbraio 1773
Edizione: Artaria, Vienna 1792

Nel Quartetto KV 159 è singolare l'ordine dei movimenti. Apre un


tranquillo Andante dove emergono anzitutto la naturale eloquenza del
primo gruppo tematico, il cui periodo iniziale vede l'assenza del violino
primo, e l'accurato ordito dello sviluppo, basato sull'elaborazione del
secondo gruppo tematico. E' quindi la volta di un impetuoso ed elaborato
Allegro in minore, animato da capo a fondo da una pulsione febbrile e a
tratti quasi demoniaca, riscontrabile nell'esteso primo gruppo tematico
come nel secondo e nel gruppo cadenzale; alle generose dimensioni
dell'esposizione fa riscontro uno sviluppo piuttosto compresso, basato su
elementi del gruppo tematico principale. Il finale, Allegro grazioso, è
uno spiritoso rondò con quattro episodi e una particolarità formale da
segnalare: anziché essere ritornellate come le precedenti, la terza e la
quarta apparizione del tema sono seguite da una variazione.
Cesare Fertonani

516
Testo tratto dallo speciale della rivista Amadeus, Ottobre 1995

517
QUARTETTO PER ARCHI N. 7
IN MI BEMOLLE MAGGIORE, K1 160 (K6 159A)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Andante (si bemolle maggiore)
2. Allegro (sol minore)
3. Rondò. Allegro grazioso (si bemolle maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Milano, febbraio 1773
Edizione: Artaria, Vienna 1792

In forma di sonata senza ritornelli, l'Allegro d'apertura del


Quartetto in mi bemolle maggiore KV 160 (159a) ha un primo gruppo
tematico dall'esordio cantabile e un secondo gruppo di maggiore
nervosità strumentale: elementi di entrambi i gruppi sono riutilizzati
nello sviluppo. Curioso è l'attacco del pregevole tempo lento, Un poco
adagio.
Il tema principale inizia in modo vago e instabile sotto il profilo
armonico, e quasi altrettanto indefinita ed ellittica è la prima frase del
tema secondario: sono altre estrose intemperanze del giovane Mozart.
Il Presto è, tra i finali del ciclo, l'unico in forma di sonata: vi si alternano
il ritmo di marcia del primo gruppo tematico e il fluido passo di terzina
che dalla fine del secondo gruppo si trasmette alla chiusa cadenzale e
quindi allo sviluppo.
Cesare Fertonani
Testo tratto dallo speciale della rivista Amadeus, Ottobre 1995

518
QUARTETTO PER ARCHI N. 13 IN RE MINORE, K 173
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro, ma molto moderato (re minore)
2. Andante grazioso (re maggiore)
3. Minuetto (re minore)
4. Allegro (re minore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, settembre 1773
Edizione: Artaria, Vienna 1792

Dei 23 Quartetti d'archi quello n. 13 in re minore corrisponde, nella


grande edizione mozartiana Breitkopf, al K. 173, cioè all'ultimo della
serie dei 6 Quartetti detti viennesi per distinguerli dal gruppo dei
precedenti 6 Quartetti italiani, scritti durante il viaggio di Mozart in Italia
nel 1772-73. I Quartetti viennesi furono composti con prodigiosa
fecondità nel giro di un mese o poco più, esattamente tra l'agosto e il
settembre 1773. Essi costituiscono una importante tappa nella evoluzione
stilistica di Mozart che, soprattutto dietro il grande esempio haydniano,
segna qui, rispetto al gruppo precedente, la conquista di quella salda
architettura d'insieme e di quella interiore congruenza degli sviluppi, che
sarà a sua volta premessa per la futura creazione - ma a distanza di quasi
un decennio - della serie dei sei capolavori dedicati ad Haydn.
Possiamo dire che il primo tempo (Allegro moderato) consiste in un
unico motivo, che però contiene in sé un triplice atteggiamento che va
dalla polifonia delle battute iniziali, alla baldanzosa figura melodica
enunciata subito dopo dal primo violino, al gioco ritmico di note ribattute
che infine accomuna strettamente i quattro strumenti. Tutto il movimento
sfrutta con estrema semplicità l'annodarsi e snodarsi di quei tre elementi.
Altrettanto aderente al motivo d'impianto si mantiene l'Andantino
grazioso, di un finissimo e sorridente contrappunto tramato sopra un
leggero ritmo di gavotta. E' l'unico pezzo che si svolge nel modo
maggiore.
Dopo il Minuetto, con relativo Trio, si entra nel Finale che già dall'inizio
prospetta perentoriamente una forma fugata che verrà mantenuta con
519
rigida coerenza e altrettanta concisione fino alla fine. Il particolare sapore
di questa pagina è dovuto al marcato profilo cromatico discendente del
tema, che con divertente e divertita pedanteria, sembra costringere gli
strumenti a un continuo «da capo».
Giorgio Graziosi
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Eliseo, 23 marzo 1961

QUARTETTO PER ARCHI N. 14 IN SOL MAGGIORE, K 387


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro vivace assai (sol maggiore)
2. Minuetto e trio. Allegro (sol maggiore)
3. Andante cantabile (do maggiore)
4. Molto Allegro (sol maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, 31 Dicembre 1782
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 15
Gennaio 1785
Edizione: Artaria, Vienna 1785
Dedica: Franz Joseph Haydn

Un padre, avendo risolto di mandare i suoi figli nel gran mondo,


stimò doverli affidare alla protezione, e condotta d'un uomo molto malto
celebre, il quale, per buona sorte, era di più il suo miglior amico.
“Eccoti dunque del pari, uom celebre, ed amico carissimo, i sei miei
figli. Essi sono, è vero, il frutto di una lunga e laboriosa fatica, pur la
speranza fattami da più amici di vederla almeno in parte compensata,
m'incoraggisce, mi lusinga, che questi parti siano per essermi un giorno
di qualche consolazione. Tu stesso amico carissimo, nell'ultimo
soggiorno in questa capitale, me ne dimostrasti la tua soddisfazione.
Questo tuo suffragio mi anima sopra tutto, perché io te li raccomandi, e
mi fa sperare, che non ti sembreranno del tutto indegni del tuo favore.
520
Piacciati dunque accoglierli benignamente ed esser loro padre, guida ed
amico! Da questo momento, io ti cedo i miei diritti sopra di essi: ti
supplico però di guardare con indulgenza i difetti, che l'occhio parziale
di padre mi può aver celati, e di continuar loro malgrado, la generosa
tua amicizia a chi tanto l'apprezza, mentre sono di tutto cuore”

Amico carissimo sincerissimo amico W.A. Mozart


Vienna, il primo settembre 1785
Abbiamo riportato nella sua interezza un documento che sarebbe
riduttivo interpretare come semplice attestazione della stima affettuosa di
Mozart nei confronti del grande collega, cui si onora, ma nello stesso
tempo, si perita di dedicare «il frutto di una lunga e laboriosa fatica»: che
è dire, un'opera eccezionale quanto a impegno creativo e ad importanza
per l' "immagine", come oggi si direbbe, del compositore. Già un gesto
siffatto in un uomo, quale fu Mozart, tutt'altro che facile nel manifestare
stima e amicizia per chicchessia, suona del tutto singolare: e invero,
soltanto Joseph Haydn, come incomparabilmente il più grande tra i suoi
contemporanei, e da lui ritenuto tale, poteva suscitarlo.
Ma la dedica a Haydn dei sei Quartetti op. X, composti in un lasso di
tempo incredibilmente lungo che va dal 31 dicembre 1782, quando ha
termine il primo di essi, K. 387, al 14 gennaio 1785, data apposta
all'ultimo della serie, K. 465, racchiude un significato che va oltre i
rapporti personali, la reciproca stima tra autore e dedicatario e persino il
valore di quell'opera stessa, mandata nel "gran mondo" sotto la
protezione di tanto tutore. E' ovvio come Mozart fosse in realtà più che
convinto che i suoi "sei figli" non avessero bisogno alcuno di protezione:
pochi artisti ebbero mai tanta sicurezza di sé, derivante dalla profonda
consapevolezza del proprio valore.
Ma, come la vera grandezza spirituale è pronta ed è prima a riconoscere
qualunque sua simile, così, cedendo ad Haydn i diritti paterni dei propri
Quartetti, egli teneva con espressione forte riconoscere che senza di Lui,
essi non sarebbero potuti esistere: s'intende, nel modo in cui di fatto
esistevano. Implicitamente, il "caro amico Haydn" viene dichiarato
corresponsabile della capitale svolta stilistica degli inizi degli anni
Ottanta: corresponsabile, in unione con Bach e Haendel, di un evento
storico che è insieme rigenerazione del linguaggio di un sommo artista e

521
piena determinazione di una civiltà musicale, quella che verrà
denominata dalla città imperiale e supernazionale che d'ora in avanti le
darà ricetto.

FRANZ JOSEPH HAYDN

522
Una tale realtà si rivela in tutta la sua pienezza fin dalle prime battute del
Quartetto in sol maggiore K.387, primo della serie, dove l'affinità e
insieme l'autonomia di Mozart nei confronti dell'illustre amico e mentore
si coniugano in esiti di assoluta autorità stilistica. In altre parole,
prendendo le mosse da modelli e stimoli haydniani (provenienti dalle
serie più recenti dei Quartetti editi dal maestro di Esterhàza, in
particolare le op. 20 e 33, ossia gli splendidi Sonnen e Russische
Quartette)
Mozart se ne discosta creando una dimensione Quartettistica tutta sua,
vibrante di pathos e di tensioni drammatiche, in un'articolazione
armonica e polifonica senza precedenti e in una concezione sonatistica
profondamente diversa da quella espressa da Haydn. Ecco quindi la
densità e la rotondita della scrittura mozartiana prendere le distanze dal
gusto haydniano per il suono asciutto e puntuto, capricciosamente
chiaroscurato.
Inoltre il lavorio sul dato motivico, lungi dall'essere pervicace e
totalizzante, si concede le evasioni di un plastico bitematismo e di quelle
esuberanti formule cadenzali cui Mozart non rinuncerà neppure nelle
opere della avanzata maturità comprese le grandi Sinfonie, e che
sussisteranno tra i gesti più spiccati del suo stile strumentale.
Sempre nell'Allegro vivace assai, la differente armonizzazione cui viene
sottoposta la replica testuale del secondo tema si qualifica come tratto
squisitamente personale, e altrettanto si dica della spettacolarità (così
antitetica alla discreta sobrietà haydniana) con cui viene introdotta la
ripresa mediante una sorta di arco trionfale, fabbricato con frammenti dei
materiali tematici utilizzati.
Ma in nessun caso la discrepanza da Haydn appare più palese, come nel
Minuetto, che per il suo peso strutturale ed espressivo richiede (qui,
come poi nei Quartetti K. 458 e 464) il secondo posto, subito dopo il
primo tempo.
Invece del tipico Minuetto o Scherzo haydniano, breve, ben squadrato,
percorso da una rustica vitalità non senza trovate ritmiche piccanti o
colorismi zingareschi, abbiamo un brano la cui complessità e profondità
travalicano dalle tradizionali funzioni d'intermezzo, per assumere
un'importanza pari e talora superiore a quella di un movimento lento.

523
L'Andante cantabile potrebbe benissimo essere germogliato da un seme
haydniano (pari a quello, ad esempio, maturato nel cuore dell'op. 33 n.
3).
Senonché, fin dalle prime battute, l'incipit cantabile lievita in una densità
e profondità di suono, per librarsi subito dopo in certe ebbrezze estatiche
del primo violino che richiamano alle atmosfere traslucide di taluni
movimenti lenti degli ultimi Quartetti beethoveniani.
Si aggiunga il trasalimento drammatico provocato da certe inopinate
modulazioni e dal baratro armonico che s'apre immediatamente dopo la
ripresa sonatistica, portando il discorso, nel giro di cinque battute, da do
a re bemolle maggiore, e proseguendo per vie impervie che toccano il mi
bemolle minore, fino al porto della dominante.
Nel celebre finale polifonico, la perfetta assimilazione delle proposte
haydniane raccolte nei saggi contrappuntistici dell'op. 20, si concreta in
una tra le più abbaglianti conquiste del maturo stile strumentale
mozartiano. In sintesi, si può dire che qui Mozart coniuga gli elementi
del contrappunto tradizionale con quelli della dialettica sonatistica,
esattamente come avverrà sei anni più tardi nell'analogo Finale della
Sinfonia Jupiter.
Più in particolare, l'elemento tematico attinente alle strutture sona-
tistiche ed è costituito paradossalmente, da spunti in stile polifonico
rigoroso, come l'esposizione di una fuga tonale, che sostiene il ruolo di
primo episodio e una seconda esposizione fugata su tema sincopato, che
funge da secondo episodio, cui ben presto si accoda il gentile motivo
cantabile, sublimazione di un residuato galante ormai trasfigurato a
ricordo di se stesso.
Giovanni Carli Ballola

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 14 novembre 1990

524
QUARTETTO PER ARCHI N. 15
IN RE MINORE, K1 421, K6 417B
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (re minore)
2. Andante (fa maggiore)
3. Minuetto e trio. Allegretto (re minore)
4. Allegro ma non troppo (re minore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, 14 - 17 Giugno 1783
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 15
Gennaio 1785
Edizione: Artaria, Vienna 1785
Dedica: Franz Joseph Haydn

Il Quartetto K. 421, secondo dei sei dedicati ad Haydn, fu


completato nel giugno del 1783, ed è l'unico in minore dell'intero ciclo.
Composto nella tonalità di re minore, condivide drammatiche atmosfere
con capolavori quali il Concerto per pianoforte e orchestra K. 466,
l'Ouverture del Don Giovanni, la grande Aria della Regina della Notte
nel secondo atto del Flauto Magico, fino alle pagine incompiute del
Requiem, tutti composti in quella tonalità. Tale carattere si rivela fin
dall'esordio dell'Allegro moderato, improntato al fine gioco dialogico fra
gli strumenti, alla perfetta elaborazione tematica, all'impiego espressivo
del cromatismo; il secondo tema, in fa maggiore, di apparente serenità,
assume nuove connotazioni solo più tardi, quando nella ripresa viene
riproposto in minore.
Nel magistrale sviluppo Mozart si avvale di una scrittura
contrappuntistica più serrata; poetica appare la preparazione alla ripresa
su un pedale di La del violoncello. La tristezza assume toni finora
inesplorati, che si stemperano nella rassegnazione di una breve coda.
Anche il secondo movimento, il limpido Andante in fa maggiore - in
apparenza pausa meditativa della partitura - conserva in realtà quel tratto
dolente nei forti accenti dinamici e nel gioco chiaroscurale dei passaggi
di modo maggiore/minore. La struggente sezione centrale (fa minore)

525
racchiude un trasognato episodio in la bemolle maggiore; l'effimero
momento di pura elegia ci sorprende inatteso: dopo una sospensione sul
do minore la linea melodica del violino primo "discende" dall'alto, non
preparata da modulazioni, su di un lungo pedale di la bemolle.

FRANZ JOSEPH HAYDN

526
Lontano da tensioni antagoniste e gerarchie tonali, Mozart si avvale qui
di uno "scarto" armonico che anticipa la sintassi del linguaggio
schubertiano.
Il Menuetto (Allegretto) ci riconduce alla tonalità minore d'impianto;
secondo H. Abert, domina nel brano un tono "caparbio e combattivo":
Mozart rifugge qui dalla simmetria delle canoniche otto battute dilatando
il periodo iniziale a dieci battute, con una notevole complessità di metro.
L'accentuazione dinamica e armonica sembra contraddire il corso
regolare, mentre la condotta delle parti rende indistinti i contorni delle
singole sezioni. Mozart gli oppone il più netto contrasto possibile nel
Trio (re maggiore) - un soave idillio d'impronta galante che riecheggia le
atmosfere campestri del Divertimento K. 334 - in cui il primo violino
intesse aeree figurazioni in un incalzante ritmo lombardo sul delicato
pizzicato scandito dagli altri strumenti.
Il movimento conclusivo (Allegro ma non troppo, in re minore), un tema
con variazioni, costituisce un esplicito omaggio ad Haydn, richiamando
l'analogo movimento del suo Quartetto Op. 33 n. 5. Significativa è la
scelta della forma della variazione: ripiegato in una sorta di
rassegnazione, Mozart si chiude entro l'approfondimento di un solo stato
d'animo.
Il tema, bipartito, è una semplice pastorale in ritmo di Siciliana (6/8),
seguito da quattro ampie variazioni che ne sottraggono progressivamente
l'iniziale purezza: la prima è caratterizzata dalle agili "improvvisazioni"
in semicrome del primo violino, la seconda da una complessa figurazione
sincopata ottenuta con la giustapposizione di ritmi differenti; nella terza e
quarta (re maggiore) sono la viola e il violoncello ad emergere in un
dialogo più serrato tra le parti. Segue, a conclusione, la ripresa del tema
di Siciliana in Più Allegro: l'intensificazione drammatica viene qui
perseguita con l'introduzione di un'incalzante terzina di semicrome sulla
nota ribattuta.
Giovanni Carli Ballola
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 14 novembre 1990

527
QUARTETTO PER ARCHI N. 16
IN MI BEMOLLE MAGGIORE, K1 428 (K6 421B)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro ma non troppo (mi bemolle maggiore)
2. Andante con moto (la bemolle maggiore)
3. Minuetto e trio. Allegro (mi bemolle maggiore)
4. Allegro vivace (mi bemolle maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, giugno - luglio 1783
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 15
gennaio 1785
Edizione: Artaria, Vienna 1785
Dedica: Franz Joseph Haydn

Il Quartetto K. 428 è il terzo del gruppo di sei Quartetti composti


da Mozart tra il 1782 e il 1785 e dedicati a Franz Joseph Haydn, che nel
1781 aveva scritto i sei "Quartetti russi", cioè quelle composizioni alle
quali l'artista salisburghese si richiamò esplicitamente per elaborare e
perfezionare questa difficile e complessa forma di musica da camera, che
sarebbe stata portata ad un altissimo livello da Beethoven. Del resto lo
stesso Mozart, nella lettera di dedica scritta in italiano e con la quale
inviava umilmente in data 1° settembre 1785 i suoi Quartetti a Haydn,
lascia chiaramente intendere quale fosse il rapporto di grande rispetto e
di amicizia che lo legava al musicista austriaco.
«Un padre, avendo risolto di mandare i suoi figli nel grande mondo -
scrive Mozart - stimò di doverli affidare alla protezione di un uomo
molto celebre in allora, il quale per buona sorte era di più il suo
migliore amico. Eccoti del pari, celebre uomo ed amico mio carissimo, i
miei sei figli. Essi sono, è vero, il frutto di una lunga e laboriosa fatica,
pur la speranza fattami da più amici di vederla almeno in parte
compensata m'incoraggia e mi lusinga che questi lavori siano per
essermi un giorno di qualche consolazione. Tu stesso, amico carissimo,
nell'ultimo tuo soggiorno in questa capitale me ne dimostrasti la tua
soddisfazione. Questo tuo suffragio mi anima soprattutto, perché io te li
raccomandi e mi fa sperare che non ti sembreranno del tutto indegni del
528
tuo favore. Piacciati dunque accoglierli benignamente ed esser loro
padre, guida ed amico. Da questo momento io ti cedo i miei diritti sopra
di essi, ti supplico però di guardarne con indulgenza i difetti, che
l'occhio parziale di padre mi può aver celati, e di continuare, loro
malgrado, la generosa tua amicizia a chi tanto l'apprezza, mentre son di
cuore il tuo sincerissimo amico».

FRANZ JOSEPH HAYDN

529
Haydn, dal canto suo, proprio dopo l'esecuzione di alcuni Quartetti di
Mozart a Vienna (episodio riferito nella lettera sopra citata), aveva
pronunciato parole di elogio per il suo amico, definito come una persona
«che ha gusto e possiede la più profonda scienza di comporre».
Naturalmente Mozart, nonostante la suggestione del modello haydniano,
è riuscito a dare una impronta personale ai suoi Quartetti, sia per la
qualità delle idee che per le innovazioni di linguaggio, nell'ambito di una
esposizione rigorosamente tematica.
Per questo carattere originale, così diversificato dalla pratica
Quartettistica del tempo, non c'è da meravigliarsi di alcuni giudizi poco
favorevoli apparsi nella stampa dell'epoca, come ad esempio quello della
"Gazzetta Viennese" del 1787, dove si dice: «Peccato che Mozart, nel
lodevolissimo intento di diventare un innovatore, si sia spinto troppo
lontano, e non certo a vantaggio del sentimento e del cuore. I suoi nuovi
Quartetti sono troppo drogati e, a lungo andare, nessun palato riesce a
tollerarli».
In realtà questi Quartetti, al di là della densità del discorso sonoro e di
alcune arditezze grammaticali, che fecero arricciare il naso a qualche
maestro contemporaneo (il compositore Giuseppe Sarti arrivò persino a
deplorare che «barbari assolutamente privi di orecchio s'ostinassero a
scrivere la musica»), racchiudono una gioiosità, una spontaneità e una
freschezza di espressione che sono i tratti tipici del genio mozartiano.
In particolare il Quartetto K. 428, composto tra luglio 1783 e febbraio
1784, è considerato uno dei migliori, per invenzione tematica e
schiettezza melodica della raccolta Quartettistica dedicata ad Haydn.
In più, alcuni commentatori dell'Opera mozartiana hanno voluto
ravvisare in certi passaggi armonici del Quartetto dei preannunci
romantici; il De Saint-Foix, ad esempio, ha notato nell'Andante con moto
delle figurazioni cromatiche premonitrici stilisticamente del Tristano e
Isotta wagneriano.
Forse una considerazione del genere può sembrare eccessiva e troppo
forzata, ma è certo che nell'Allegro non troppo, ricco di imitazioni fra i
vari strumenti, come nel citato Andante e nel Trio del Minuetto, che
accenna ad una musica vagamente esotica, Mozart dimostra di essere un
anticipatore delle coloriture romantiche, riservando all'Allegro vivace
530
finale la brillante cantabilità, festosa ed estroversa, perfettamente fedele
agli insegnamenti haydniani.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 9 febbraio 1990

QUARTETTO PER ARCHI N. 17


IN SI BEMOLLE MAGGIORE "LA CACCIA", K 458
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro vivace assai (si bemolle maggiore)
2. Minuetto moderato (si bemolle maggiore)
3. Adagio (mi bemolle maggiore)
4. Allegro assai (si bemolle maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, 9 Novembre 1784
Edizione: Artaria, Vienna 1785
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 15
Gennaio 1785
Dedica: Franz Joseph Haydn

Tra i primi tre (in ordine di tempo) e i successivi Quartetti destinati


a costituire l'op. X, corre un intervallo di una quindicina di mesi, riempiti
dalla composizione, tacendo d'altro, dei primi grandi Concerti viennesi
per pianoforte e di alcuni mirabili saggi di musica da camera con
pianoforte. Il Quartetto in si bemolle maggiore K.458 - quarto nell'ordine
della composizione, terzo in quello editoriale - deve lo spurio nomignolo
"La caccia" al ritmo binario composto, assegnato al primo tempo, ritmo
che il codice retorico della figuralità strumentale settecentesca collega a
immagini venatorie. Ma l'andamento e il carattere di questo brano fanno
piuttosto pensare alla distesa, fiorente amabilità "pastorale" di un suo
futuro omologo spirituale, il primo tempo del Trio in mi bemolle op, 70
n. 2 di Beethoven. La sua unitarietà tematica è più apparente che reale,

531
giacché, a differenza di quanto avviene in Haydn, il tema iniziale e le sue
figure complementari nel corso del movimento si articolano in derivati
provvisti di evidente autonomia motivica.

FRANZ JOSEPH HAYDN

532
La novità, in questo sviluppatissimo primo tempo, è bensì costituita dalla
poderosa "coda", tra le più lunghe ed elaborate mai composte da Mozart,
aperta nei modi di uno "stretto", o piuttosto cadenza in tempo, mediante
un vigoroso canone alla quinta tra i due violini su pedale di dominante e
conclusa con una festosa apoteosi.
Il breve Minuetto, significativamente collocato subito dopo un primo
movimento di tale imponenza, colora di varie iridescenze armoniche la
sua frase principale, caratterizzata da un'insistita polarità della tonica,
ricorrente sul tempo forte per ben cinque misure su otto. L'aspirazione
più contemplativa che dinamica del Quartetto trova conferma nel suo
Adagio che si richiama al movimento lento di quello in sol maggiore per
le sue collusioni con i vasti "cantabili" esemplificati da Haydn, di gran
lunga superati per il fervore delle temperie inventive e la complessità
delle interrelazioni sottese tra la linea melodica e il movimento delle parti
subalterne.
Il momento eccelso di questo sistema di rapporti è dato dall'affiorare
estatico della seconda idea Sonatistica, in una progressione melodico-
armonica di sapore assolutamente schubertiano. Anche nell'Allegro assai
conclusivo, il più grandioso finale Quartettistico sinora mai scritto da
Mozart, l'esempio haydniano non tanto viene qualitativamente superato,
quanto distanziato per l'approccio sostanzialmente diverso alla struttura
Sonatistica.
Approccio che lungi dal mortificare l'esuberanza motivica (i temi, tutti
assai significativi, questa volta sono tre, il secondo dei quali collocato
come luminoso corridoio tra le due sezioni dell'esposizione) la pone a
confronto con le energie irruenti di un'acquisita padronanza delle
tecniche e degli spiriti dell'elaborazione, in un esito di trascendente
equilibrio.
Giovanni Carli Ballola

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 14 novembre 2013

533
QUARTETTO PER ARCHI N. 18 IN LA MAGGIORE, K 464
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (la maggiore)
2. Minuetto e trio (la maggiore)
3. Andante (re maggiore)
4. Allegro (la maggiore)
Organico: 2 violini., viola, violoncello
Composizione: Vienna, 10 gennaio 1785
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 15
gennaio 1785
Edizione: Artaria, Vienna 1785
Dedica: Franz Joseph Haydn

Il 10 gennaio 1785 Mozart poneva termine al Quartetto in la


maggiore K. 464. In quest'opera di frontiera, la lezione haydniana
concernente il lavorio di elaborazione incentrato sull'unità cellulare del
tessuto tematico, viene spinta oltre limiti che l'autore non supererà
neppure negli ultimi due Quintetti, la cui densità costruttivistica si basa,
peraltro, su parametri differenti da quelli applicati al K. 464. L'ossessiva
concentrazione elaborativa che qui percorre in modo particolare i due
Allegri e il Minuetto, è infatti di tipo armonico e polifonico e riguarda
elementi minimi di materiali tematici che è facile collegare tra loro
mediante evidenti relazioni microstrutturali.
Nel .grandioso sviluppo, tra i più lunghi in assoluto composti da Mozart
per un primo movimento, la multiformità dei processi elaborativi e il loro
rigore estremo - anzi, estremistico, nella fedeltà ai dati tematici di base
utilizzati fino alla minima unità strutturale - escono come corroborati da
un senso di profonda unità.
A un siffatto cimento compositivo Mozart accosta un Minuetto di pari
densità (vi compare il contrappunto doppio, nato dallo smembramento
della fase iniziale: procedimento che riaffiorerà nel Finale del Quintetto
K. 614, l'ultima sua grande composizione cameristica); per proseguire
con una serie di variazioni, tra le più grandiose e complesse mai
composte.

534
FRANZ JOSEPH HAYDN

535
L'ideale della variazione mozartiana - non "rovistare nel tema" (Brahms)
in cerca della diversità, come faranno Beethoven e lo stesso autore delle
Variazioni op. 24 sopra un tema di Haendel, ma illuminarne
progressivamente l'identità, fino ad esaltarla - assurge qui a valori di
assoluta bellezza, collocandosi a degno contraltare delle celebrate
variazioni che pervadono l'estrema stagione creativa beethoveniana.
Quando il culmine sembra essere stato raggiunto dalla variazione in re
minore, con la sua febbrile figura dominante in terzine, esso viene
superato nella successiva doppia variazione col suo intreccio imitativo
degno di Bach, mentre nell'ultima e nella coda Mozart giunge a superare
se stesso attingendo a un sublime umorismo che si collega, ma in un
ordine superiore di valori, a quello del Finale del Quintetto K. 452 per
pianoforte e fiati.
Ma la tregua conciliante introdotta dalle variazioni viene spezzata
dall'Allegro non troppo, dove la tensione elaborativa riprende
implacabile, accentuando ogni elemento conflittuale desunto dai primi
due movimenti mediante chiari punti di contatto strutturali ed
esasperandolo con il mordente di un cromatismo programmato fin dalla
cellula motivica iniziale.
Giovanni Carli Ballola

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 14 novembre 1990

536
QUARTETTO PER ARCHI N. 19
IN DO MAGGIORE "DELLE DISSONANZE", K 465
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Adagio. Allegro (do maggiore)
2. Andante cantabile (fa maggiore)
3. Minuetto e trio. Allegro (do maggiore)
4. Allegro molto (do maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, 14 gennaio 1785
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 15
gennaio 1785
Edizione: Artaria, Vienna 1785
Dedica: Franz Joseph Haydn

Il Quartetto K. 465 chiude il ciclo dei sei dedicati a Haydn, e


esemplifica mirabilmente la distanza del mondo espressivo mozartiano
da quello dell'autore più anziano, la personalissima consapevolezza
impiegata nel guardare al modello dei Quartetti "russi".
Mozart evita il gusto popolare così caro ad Haydn, e al razionalismo
haydniano preferisce un materiale melodico di impronta più dotta, un
contenuto armonico più spregiudicato, una elaborazione
contrappuntistica segnata dallo studio recente delle opere di Bach e
Händel.
Non a caso le reazioni dei contemporanei nell'accogliere la nuova
pubblicazione furono di sconcerto e scetticismo; l'accusa di lasciar
prevalere la tecnica sul «cuore», di servire troppo «condimento» può
oggi far sorridere, ma era all'epoca la risposta più diffusa alla complessità
di scrittura e di pensiero delle partiture mozartiane.
Il soprannome di Quartetto "delle dissonanze" è dovuto all'introduzione
lenta della partitura (l'unica dei Quartetti "Haydn"); l'arditissimo piano
tonale delle ventidue battute introduttive ha stimolato, ancora nel secolo
scorso, le correzioni di zelanti censori.

537
FRANZ JOSEPH HAYDN

538
Ciò nonostante dopo la tensione espressiva dell'introduzione il brano
privilegia un'ambientazione più spensierata e una logica di contrasti
quasi teatrale; forte è il contrasto con gli schietti spunti tematici
dell'Allegro che costituisce il primo movimento, espressivamente appena
turbato nello sviluppo.
L'Andante cantabile, di impostazione contemplativa, si affida
prevalentemente a tre schemi di scrittura: la guida melodica del primo
violino, il dialogo serrato fra violino e violoncello, l'accompagnamento
ostinato del violoncello con interventi successivi delle voci superiori.
Al Minuetto, con i gustosi scarti dinamici e il fraseggio cromatico, si
oppone un agitato Trio in minore.
Ma l'intero Quartetto gravita verso il Finale, una pagina di eccezionale
ampiezza in forma sonata, dove è particolarmente evidente la traccia
dell'esempio haydniano; Mozart vi sfoggia tutte le risorse del nuovo stile
di scrittura, piegando duttilmente il fraseggio arguto del primo violino, i
calibrati giochi di imitazione, l'incisività ritmica e gli improvvisi silenzi,
verso un contenuto di brillante umorismo.
Arrigo Quattrocchi
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 16 marzo 1995

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QUARTETTO PER ARCHI N. 20
IN RE MAGGIORE "HOFFMEISTER", K 499
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegretto (re maggiore)
2. Minuetto e trio. Allegretto (re maggiore)
3. Adagio (sol maggiore)
4. Allegro (re maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, 19 agosto 1786
Edizione: Hoffmeister, Vienna 1786

Nel trattato sull'Estetica dell'arte musicale scritto negli anni


Ottanta del Settecento, ma pubblicato solo nel 1806, il teorico e
musicista Christian Friedrich Daniel Schubart ordinava le diverse tonalità
in un sistema di associazioni emotive. Seguendo gli esempi di una
trattatistica preesistente, Schubart procedeva da alcuni principi generali
in base ai quali egli distingueva tonalità "neutre", adeguate alla
raffigurazione dell'innocenza e della semplicità, e tonalità "colorate".
Queste ultime potevano adattarsi all'espressione di sentimenti di forza e
di fierezza, se prevedevano diesis in chiave, oppure alla rappresentazione
di stati d'animo particolarmente malinconici, se invece erano
contrassegnate dai bemolle. Procedendo dal generale verso il particolare,
Schubart trattava poi ogni singola tonalità e suggeriva associazioni di
idee che, se non possono certo guadagnare la dignità di una regola, sono
comunque ispirate dall'osservazione della letteratura musicale della sua
epoca e rispecchiano un modo di pensare allora molto radicato. Le
associazioni indicate da Schubart possono essere di aiuto per la
comprensione e l'interpretazione dei brani dai quali furono motivate,
possono renderne più accessibile il senso.
Nel contesto individuato da Schubart, la tonalità di re maggiore era la più
brillante, ma anche quella con la quale potevano più facilmente trovar
voce l'adulazione, l'inganno o la volontà di mascherare i propri
sentimenti. In ambito orchestrale l'uso del re maggiore dava luogo a una
particolare vivacità e si prestava all'impiego degli strumenti "da fanfara",

540
ovvero dei corni, delle trombe e delle percussioni. Per questo era indicata
per le occasioni di festa, per le cerimonie, come lo stesso Leopold
Mozart scrisse al figlio Wolfgang nel 1782, con la raccomandazione di
scrivere proprio in re maggiore una Serenata per la famiglia Haffner, di
Salisburgo, brano che in seguito sarebbe stato trasformato nella Sinfonia
K. 385.

Congeniale agli strumenti ad arco a causa della posizione delle mani, la


tonalità di re maggiore acquistava in ambito cameristico un tratto più
ambiguo, meno unilateralmente festoso. La superficie brillante del
timbro sonoro poteva lasciarsi increspare da un diverso modo di
elaborazione della melodia, da un fraseggio più sinuoso e meno
affermativo, portando verso la dimensione di un'espressione più intima e
raccolta, più frequentemente percorsa da dubbi e ripensamenti.
Con i suoi due unici Quartetti per archi composti nella tonalità di re
maggiore, Mozart percorre entrambe le strade associate a quella tonalità,
in momenti che corrispondono in parallelo all'evolversi del suo
linguaggio. Il primo dei due Quartetti risale al 1786, ovvero al periodo
delle Nozze di Figaro e del massimo successo raccolto da Mozart a
Vienna. E' il Quartetto K. 499, indicato di solito con il titolo di Quartetto
Hoffmeister, dal nome dell'editore che lo pubblicò a Vienna sempre nel
1786. E' un brano dal tessuto compatto, non privo di passaggi inquieti o
di efficaci sospensioni (individuate dall'uso molto intenso delle
cosiddette cadenze "evitate"), ma sempre ispirato a una atmosfera di
serenità e di concordia "eterea e fiabesca", come ha sostenuto lo storico
541
Hermann Abert. Il Quartetto K. 575 è stato invece realizzato da Mozart
nel 1789 e fa parte di un gruppo di tre lavori commissionati da Federico
Guglielmo II di Prussia (di qui il titolo di Quartetti Prussiani).
Il brano è dominato dal carattere particolarmente curato del materiale
melodico, basato su idee ricche di pathos e ancora riferibili a un contesto
sentimentale influenzato dalla ravvicinata composizione dell'opera Così
fan tutte. Più frequente però è L'emergere di una tinta malinconica, di
un'ombra tanto più insinuante ed efficace, perché ottenuta con i
medesimi effetti sonori con i quali di solito si dipingevano la festa e la
gaiezza. La gravitazione intorno all'impianto del re maggiore ripropone
costantemente il riflesso della propria luce e non consente mai al
Quartetto K. 575 di rabbuiarsi del tutto. L'effetto malinconico deriva
piuttosto dalla promessa di una bellezza che non si rivela, dalla
prefigurazione di una felicità che non si ottiene, dalla tensione verso uno
stato di risoluzione sempre rimesso in questione dal carattere della
melodia.
Partendo dunque da una base associativa analoga, i due Quartetti
ricevono dal loro autore una caratterizzazione profondamente diversa,
ogni volta emblematica di un passaggio attraversato da Mozart nello
svolgimento del proprio cammino artistico.
Il Quartetto K. 499 è il primo lavoro di questo genere portato a termine
da Mozart dopo il "lungo e laborioso sforzo" dei sei Quartetti dedicati ad
Haydn. Rispetto a questi ultimi, il Quartetto K. 499 presenta uno stile più
libero e disteso, attento all'equilibrio delle parti, ma meno rigorosamente
improntato all'omogeneità della scrittura strumentale. Anche l'uso del
contrappunto è meno intenso rispetto a quanto avviene negli Haydn-
Quartette, mentre la varietà della struttura armonica del brano sembra
persino precorrere il linguaggio Quartettistico di Schubert. Per tutto il
brano, inoltre, è la viola lo strumento più in evidenza nel Quartetto,
specie quando è spinta verso la tessitura acuta, come avviene nei primi
due movimenti e nel finale.
Il primo movimento, Allegretto, è aperto da una frase discendente che
viene pronunciata all'unisono dai quattro strumenti, un incipit non
inconsueto nello stile mozartiano di quegli anni. L'intero movimento è
costruito su questo tema di apertura, continuamente riproposto in forme
che nella loro diversità sembrano proporre un movimento attraverso la
542
storia, dalla scrittura a canone sino alle suggestioni preromantiche,
passando per l'eleganza della fraseologia barocca e per il rigore gotico
del contrappunto.

L’ATTUALE SALA DOVE


MOZART SUONÒ PER LA PRIMA VOLTA

543
Un secondo tema compare durante lo sviluppo, nel quale Mozart
arricchisce il tessuto armonico con il cromatismo e con modulazioni
verso tonalità lontane.
Il Minuetto che segue non smentisce l'atmosfera serena che aveva
caratterizzato il movimento precedente e anticipa, nel Trio, il tema del
finale.
La trama contrappuntistica, qui particolarmente fitta, assume la forma di
un gioco, di un'esibizione estroversa che non persegue immediate finalità
costruttive.
E' questa la caratteristica fondamentale dell'intero brano, uno spirito
ludico che ritroviamo anche nell'Adagio, dove un tema molto ampio e
flessuoso conserva i tratti di un'atmosfera spensierata e brillante, e che
giunge all'apice nell'Allegro finale.
Qui Mozart inscena un vero e proprio gioco delle parti fra i due temi che,
esposti l'un contro l'altro dai diversi strumenti, ingenerano effetti di
asimmetria, di volontario umorismo, provocando soluzioni tematiche e
armoniche impreviste.
Stefano Catucci

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 4 febbraio 1993

544
QUARTETTO PER ARCHI N. 21
IN RE MAGGIORE "PRUSSIANO 1", K 575
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegretto (re maggiore)

2. Andante (la maggiore)


3. Minuetto e trio. Allegretto (re maggiore)
4.Rondò. Allegretto (re maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, Giugno 1789
Edizione: Artaria, Vienna 1791

Il Quartetto K. 575 rispecchia un momento nel quale Mozart,


tornato a confrontarsi con il genere della musica da eseguire "in società",
culturalmente ispirata ai soggetti e agli affetti più convenzionali,
abbandona, il gesto nobile e cavalleresco che aveva caratterizzato i
Concerti per pianoforte e orchestra, per abbandonarsi a un tipo di
espressione più intima e riservata.
Secondo i desideri del committente, Mozart assegnò un ruolo di primo
piano al violoncello, talvolta portato a dignità quasi solistica. Tale
preminenza contribuisce a rendere più plausibile l'atmosfera ombrosa del
Quartetto K. 575.
Il tema di apertura è già basato su un motivo cantabile dal tono
ambivalente, dal quale vengono generati in alternanza passaggi tendenti
al patetico o momenti di volitiva energia.
Anche in questo caso, l'intero movimento si basa sulle varianti cui dà
luogo l'elaborazione del primo tema.
La medesima oscillazione espressiva ed un’analoga costruzione
"cellulare", derivata dagli elementi melodici esposti nelle frasi di
apertura, si trova anche nei movimenti successivi, compreso il finale.
In questo, anzi, l'unità espressiva del Quartetto è garantita in modo
particolarmente evidente dalla ricomparsa di frammenti tematici già
esposti nei movimenti precedenti. Qui tuttavia la brillantezza propria
545
della tonalità di re maggiore prende lentamente il sopravvento, a mano a
mano che l'autore sviluppa uno stile contrappuntistico molto libero.
Stefano Catucci

QUARTETTO PER ARCHI N. 22


IN SI BEMOLLE MAGGIORE, K 589 "PRUSSIANO N. 2"
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (si bemolle maggiore)
2. Larghetto (mi bemolle maggiore)
3. Minuetto e trio. Moderato (si bemolle maggiore)
4. Allegro assai (si bemolle maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, maggio 1790
Prima esecuzione: Vienna, abitazione di Mozart, 22 maggio 1790
Edizione: Artaria, Vienna 1791

Gli ultimi anni del grande salisburghese hanno attirato spesso


l'attenzione dei biografi, per una somma di vicende esterne ed interne,
contrassegnate dall'assillante mancanza di denaro e da una intensa
attività creatrice tra Opere teatrali, Oratoriali, musiche di "consumo"
(Minuetti, Controdanze, Ländler ecc.) e cameristica. Appartengono a
questa estrema stagione creativa gli ultimi Quartetti per archi, K. 575,
589 e 590, detti "prussiani" per essere nati su commissione di Federico
Guglielmo II, re di Prussia, che in verità ottenne solo tre dei sei Quartetti
desiderati. Wolfgang a sua volta ne ottenne vantaggi sociali e finanziari
minori di quelli su cui contava: un cofanetto con 100 monete d'oro e un
"regale" biglietto di ringraziamento. A distanza di un anno dalla
composizione del Quartetto K. 575, il primo dei Prussiani, Mozart porta
a compimento il Quartetto in si bemolle maggiore K. 589 entro la fine di
maggio 1789. Nulla traspare delle penose condizioni di vita in cui
Wolfgang si dibatte, e vien giusta l'osservazione che davvero "Mozart
non si occupa di sé, piuttosto è assorto in ciò per cui è nato" (Samuel
Bellow in una conferenza per il centenario della morte): il suo genio
incommensurabile sembra vivere di vita propria, ad latere, quasi contro
546
la natura biologica del suo esistere. È qui che si annida l'immagine del
Mozart-enigma, su cui gran parte dei biografi e critici si soffermano.

FEDERICO GUGLIELMO II

547
Nel caso di questo Quartetto c'è da rilevare l'arricchimento della scrittura
polifonico-contrappuntistica, conseguente alla riscoperta della lezione
bachiana - sulla scorta della missione restauratrice del barone Gottfried
van Swieten - insieme a una più intensa tramatura del gioco tematico.
Tra l'altro è significativo che l'incipit tematico che apre questo Quartetto
assurge a nucleo tematico del Rondò Finale, seppur ritmicamente
variato, e altrettanto si riscontra nei movimenti estremi degli altri due
Quartetti Prussiani.
Un ulteriore elemento distintivo che accomuna questo ciclo di Quartetti è
d'indole per così dire "somatica": il tema è in tutti enunciato dal
violoncello, con una stesura virtuosistica, e la presenza di questo
strumento è quasi paritetica rispetto a quella degli altri archi - un cortese,
per non dire doveroso, atto di riconoscimento a favore del regale
committente e del suo hobby di dilettante violoncellista, secondo il
costume culturale settecentesco.
Tutti e quattro i movimenti di questo Quartetto seguono la costruzione
formale e la tessitura tonale consacrata anche dalla stessa "poetica"
mozartiana, immersa però in un clima di sereno svolgimento d'eloquio,
ossia senza i turbamenti, il pathos e le espansioni stilistico-tonali che
costellano i sei Quartetti dedicati ad Haydn, composti pochi anni prima.
Dal che si dimostra ancora una volta che il demone della musica in
Mozart impone i suoi primari, imprescindibili diritti, qualsiasi sia
l'occasione che lo stimoli, che lo solleciti.
Prodigioso ed enigmatico demone che, secondo un grande teologo
protestante, "esprime ogni cosa per quello che è, semplicemente
tracciando dei limiti. Questo rende la sua musica bella, benefica,
commovente. Non ne conosco altre di cui si possa altrettanto dire". (K.
Barth)
Guido Turchi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 14 febbraio 2002

548
QUARTETTO PER ARCHI N. 23
IN FA MAGGIORE, K 590 "PRUSSIANO N. 3"
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro moderato (fa maggiore)
2. Andante (do maggiore)
3. Minuetto e trio. Allegretto (fa maggiore)
4. Allegro (fa maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, giugno 1790
Edizione: Artaria, Vienna 1791
Dopo i sei Quartetti "Haydn" Mozart ebbe occasione di ritornare al
Quartetto d'archi nel 1786, con K. 499 (Quartetto detto "Hoffmeister" dal
nome del primo editore) e poi nel 1789/90 con i tre Quartetti detti
"Prussiani", K. 575, 589, 590. L'origine di queste tre composizioni è
stata messa in relazione con il viaggio compiuto dall'autore nell'aprile-
maggio 1789 a Praga, Dresda, Lipsia, Potsdam, e Berlino, al seguito del
principe Karl Lichnowsky. Nella capitale prussiana Mozart si presentò a
corte e potrebbe essere stato invitato a comporre qualche Quartetto per il
re Federico Guglielmo II, che era violoncellista dilettante. Infatti il
compositore accenna a Quartetti e Sonate in corso di stesura per la corte
prussiana in una lettera all'amico Puchberg; ma tale accenno potrebbe
essere stato inserito per rassicurare Puchberg sui debiti contratti da
Mozart. Fatto sta che i primi due Quartetti "Prussiani" ebbero i primi
abbozzi già sulla strada del ritorno a Vienna, il Terzo Quartetto, K. 590,
vide la luce solo un anno più tardi, e fu venduto da Mozart «a un prezzo
irrisorio, solo per potere avere in mano qualche soldo». I tre Quartetti
furono pubblicati postumi senza alcuna dedica al sovrano prussiano.
Tuttavia indizio sicuro della destinazione - se non della commissione - a
Federico Guglielmo II è lo stesso contenuto musicale delle partiture, che
mettono in grande risalto il ruolo del violoncello, certo per compiacere
l'impegno di strumentista del sovrano. Questo rilievo conferito al
violoncello, d'altra parte, doveva ripercuotersi su tutto l'equilibrio
strumentale delle partiture, che in massima parte non si affidano allo stile
dei Quartetti "Haydn" ma piuttosto mostrano una scrittura meno
549
elaborata e attribuiscono a ciascuno strumento, per ragioni di simmetria,
del materiale melodico. E tuttavia nell'ultimo tempo del Secondo
Quartetto e in quasi tutto il Terzo Mozart sembra rinunciare a questa
nuova melodiosità e fare ritorno al puro stile "classico"; forse perché
aveva nel frattempo rinunciato a dedicare questi ultimi Quartetti al re
prussiano.
L'Allegro moderato iniziale del Quartetto K. 590, comunque, risponde in
pieno alla logica scorrevole, cantabile, alla melodiosità boccheriniana
tipica del gusto imperante alla corte prussiana; caratteristiche queste
evidenti dal profilo del materiale tematico, come dal procedere del
discorso, che vede contrapposti dialetticamente primo violino e
violoncello, e che attribuisce allo strumento grave l'entrata del secondo
tema.
Lo sviluppo è breve e lineare, ma accoglie anche un complesso gioco
contrappuntistico. Più sottile il gioco strumentale nel tempo lento, un
Andante in cui una melodia liederistica tenera ed esitante viene
impreziosita da un accompagnamento scorrevole, che scivola a turno
dall'uno all'altro strumento.
Il Minuetto è basato sul contrasto fra le sonorità sommesse dei due
violini all'inizio e quelle aggressive e stridenti subito seguenti; l'eleganza
del Trio si lega alle note ribattute e alle acciaccature del violino.
Il Finale è forse la pagina che più si riporta ai Quartetti "Haydn"; da una
parte troviamo un tema brillante e scherzoso, tipico dei finali di Haydn;
dall'altra la logica del discorso assume ben presto una complessità
polifonica e una imprevedibilità tali da smentire completamente l'assunto
del tema, secondo quella capacità di conciliare il facile ed il difficile
proprio dell'ultimo Mozart.
Arrigo Quattrocchi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 16 marzo 1995

550
QUINTETTO PER ARCHI N. 1
IN SI BEMOLLE MAGGIORE, K 174
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro moderato (si bemolle maggiore)
2. Adagio (mi bemolle maggiore)
3. Minuetto ma Allegretto (si bemolle maggiore) - Trio (fa maggiore)
4. Allegro (si bemolle maggiore)
Organico: 2 violini, 2 viole, violoncello
Composizione: Salisburgo, dicembre 1773
Edizione: Traeg, Vienna 1798

Mozart diede mano al suo primo Quintetto, in si bemolle maggiore


(K. 174) a Salisburgo, nella primavera del 1773 in un momento cruciale
della propria esperienza di autore di musica cameristica; non appena,
cioè, dopo avere concluso la prima serie dei suoi Quartetti, concepiti
nell'ambito stilistico e spirituale di una galanteria italiana già più
immaginaria che puntuale, e poco prima di dare inizio alla seconda,
quella sollecitata dalla rivelazione haydniana. Con tutto ciò, la
composizione di un Quintetto dovette rappresentare per il diciassettenne
«Konzertmeister» dell'arcivescovo Colloredo, un impegno meno gravoso
o, come oggi si direbbe, un «problema» facile a risolvere.
Mozart sapeva troppo bene, infatti, che, nel casellario dei «generi» alla
cui devozione era cresciuto non meno che a quella delle Madonne e dei
Santi vestiti come eroi da Opera seria e collocati sui rispettivi altari del
suo bel Duomo barocco, il Quintetto occupava una posizione che
potremmo definire confidenziale, a metà strada tra il divertimento, la
Serenata, la sinfonia; con in più, a solleticare il suo estro già
precocemente votato al sublime gioco del Concerto, una certa quale
smanicatura solistica, tipica del primo violino e della prima viola.
Già Boccherini, amabile imperatore d'occidente nel dominio europeo
della musica da camera per archi, (laddove Haydn occupava l'altro e ben
più duraturo trono) aveva coltivato da par suo, accanto al più «dotto» e
impegnato Quartetto, sorta di tesi di laurea per ogni compositore che
volesse prodursi con le carte in regola, il più lieve e svagato Quintetto,
551
scapricciandosi nei galanti conversari concertanti tra il primo violino e il
primo violoncello (suonato dallo stesso compositore) o la prima viola.
Anziché al perfetto equilibrio cameristico boccheriniano, Mozart preferì
adeguarsi al (se così possiamo chiamarlo) ibridismo stilistico del
concittadino Michael Haydn, il minor fratello di Franz Joseph e il solo
che potesse in quel momento offrire al giovanissimo competitore dei
modelli da imitare. Il primo Quintetto nasce così in un clima di tranquillo
compromesso con la Serenata e il divertimento, «generi» nei quali
Mozart già si era fatta la mano, e la Sinfonia di tipo «milanese»,
anch'essa ampiamente sperimentata.

LA CITTÀ DI SALISBURGO

Ma neppure Boccherini viene trascurato: boccheriniani, nel primo tempo,


sono i sistematici scambi tematici tra primo violino e prima viola, mentre
gli altri strumenti fanno da sfondo. Senonchè l'intimità e la delicatezza
squisitamente cameristiche dei Quartetti «milanesi» ed anche le loro
occasionali ma siritomatiche incidenze «dotte» sono accantonate per una
scrittura più brillante e chiassosa, più che tollerante di un'eventuale
dilatazione «ad libitum» dell'organico strumentale.
Anche lo squisito Adagio con sordini, nonostante una maggior
animazione del dialogo tra i cinque archi, e più il Minuetto, con i suoi
effetti d'eco, tipici della Serenata, risentono di codesta atmosfera en plein
air; mentre alla Sinfonia fanno più pensare la vastità d'impianto, e
l'ambiziosa elaborazione del Finale in forma sonata, alle cui architetture
concorrono tre fondamentali elementi tematici. Si tratta della parte più

552
importante del giovanile Quintetto: consapevole di ciò, Mozart volle in
seguito rielaborarla profondamente e arricchirla di una vigorosa coda, ciò
che avvenne dopo l'esperienza haydniana dei Quartetti K. 168 - 173.
Giovanni Carli Ballola
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 6 novembre 1973

QUINTETTO PER ARCHI N. 2


IN DO MINORE, K1 406 (K6 516B)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (do minore)
2. Andante (mi bemolle maggiore)
3. Minuetto in canone e trio (do minore)
4. Trio in canone al rovescio (do maggiore)
5. Allegro (do minore)
Organico: 2 violini, 2 viole, violoncello
Composizione: Vienna, Primavera 1787
Edizione: Artaria, Vienna 1792

Trascrizione della Serenata per fiati K 388

Dalla fretta e da uno spirito di compromesso generalmente


contrario all'intima natura musicale di Mozart doveva nascere, nella
primavera 1787, il Quintetto in do minore K. 406; ma sarebbe più esatto
dire rinascere sotto nuova veste, giacché tale composizione esisteva già
nel 1782 nella sua originaria dimensione timbrica di Serenata per 2 per
oboi, 2 clarinetti, 2 corni e 2 fagotti (K.388). Si tratta di uno dei rarissimi
esempi, e senza dubbio il più insigne, di autotrascrizione reperibile nel
catalogo mozartiano della musica strumentale, il quale (a differenza di
quello beethoveniano, che abbonda di duplicati del genere) pare quasi
ignorare tale «risorsa del mestiere» tra le più praticate e redditizie
dell'artigianato musicale sette-ottocentesco.

553
Tra i progetti non andati in porto degli anni estremi, vi era forse quello di
approntare una serie di sei Quintetti da dedicare, insieme con un'altra di
sei Quartetti, rimasta essa pure incompleta (i cosiddetti Quartetti
«prussiani» K. 575, 589, 590) al Re di Prussia Friedrich Wilhelm III,
dilettante violoncellista; e la trascrizione della Serenata per fiati K. 388
giunse opportuna a «far numero». Naturalmente Mozart scelse giusto,
conferendo nuova veste timbrica ad un capolavoro che già travalicava i
limiti storici della Serenata per fiati: anche se l'oscuro drammaticismo di
tale opera con i suoi preziosi particolari di scrittura e soprattutto il suo
unico e definitivo colore, così legato all'impressionante, progressiva
tensione patetica delle variazioni conclusive e alle aggressive asperità
polifoniche del Minuetto e Trio in canone, non potè non risultare sfocato
e illanguidito sotto il nuovo e sia pur ovviamente magistrale
travestimento.
Giovanni Carli Ballola
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 9 novembre 1973

QUINTETTO PER ARCHI N. 3 IN DO MAGGIORE, K. 515


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (do maggiore)
2. Minuetto e trio. Allegretto (do maggiore)
3. Andante (fa maggiore)
4. Allegro (do maggiore)
Organico: 2 violini, 2 viole, violoncello
Composizione: Vienna, 19 aprile 1787
Edizione: Artaria, Vienna 1789

Il capitolo dei grandi Quintetti mozartiani s'apre infine tra l'aprile e


il maggio del 1787 con due capolavori profondamente affini, nella loro
diversità di struttura e di temperie affettiva: li accomuna il prodigioso
fiotto d'ispirazione da cui paiono essere sgorgati in uno stato di grazia

554
artistico e di pienezza espressiva eccezionale per lo stesso Mozart - ed è
tutto detto - e non altrimenti paragonabile se non a quello che guidò la
mano del compositore nella creazione del coevo Don Giovanni.

MUSEO MOZART

La totalità dell'humanitas mozartiana si identifica, quindi, nei due volti


dell'unica divinità che ha nome fato. Neppur l'ombra della certezza
volontaristica beethoveniana, nell'ampia, quasi gestuale affermazione
tonale che apre il primo dei due Quintetti gemelli, quello in do maggiore
K. 515; di già ogni sicurezza viene smentita nell'immediata e
imprevedibile riproposta in do minore del tema, che progressivamente
sprofonda in un remoto re bemolle maggiore per riemergere, poco dopo,
in re maggiore, aprendo la strada alla seconda idea, sinuosa e scorrevole,
la cui forza d'espansione melodica risiede più nel respiro e nel
movimento che nella configurazione intervallare.

555
Primo e secondo tema si suddividono la responsabilità dello sviluppo, e
la ripresa ha termine con un'imponente ed elaborata coda in forma e con
caratteri di «stretto»: non c'era motivo alcuno perché tali cose,
tradizionalmente riservate all'aulico Quartetto secondo l'alto esempio
Haydn, fossero escluse al Quintetto, il quale, di tutto suo, conserva in
Mozart la caratteristica degli elementi concertanti.
Se, infatti, primo violino e violoncello erano stati i protagonisti del
dialogo tematico nel primo tempo, primo violino e prima viola - dopo
l'intermezzo costituito da un Minuetto intriso di ambigua mestizia -
intrecciano le loro voci nell'Andante aperto alle più soavi lusinghe
consolatorie.
La letizia liberatrice effusa dai gruppetti e dalle volate belcantistiche dei
due strumenti in amoroso colloquio non passerà inascoltata al Beethoven
degli ultimi Quartetti, il quale donerà afflato trascendentale al tutto
umano di Mozart.
Ambiguità e mistero stringono da ogni lato le gioie illusorie del Finale,
pullulante di mirabili melodie la cui quasi provocatoria innocenza è
vanificata dalla profondità degli orizzonti elaborativi che dischiudono
immediatamente dietro di sé: come avverrà per la «Jupiter», la neutra
superficie del do maggiore mozartiano non promette facili certezze, ma
cela grandiose incognite.
Giovanni Carli Ballola

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 24 novembre 1994

556
QUINTETTO PER ARCHI N. 4 IN SOL MINORE, K. 516
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (sol minore)
2. Minuetto e trio. Allegretto (sol minore)
3. Adagio ma non troppo (mi bemolle maggiore)
4. Adagio (sol minore) - Allegro (sol maggiore)
Organico: 2 violini, 2 viole, violoncello
Composizione: Vienna, 16 maggio 1787
Edizione: Artaria, Vienna 1790

Il Quintetto K. 516 prende l'avvio da una struttura ritmica ad


accordi ribattuti, carica di affermazione tonale e insieme di febbrile
dinamismo; la componente cromatica, fin dalla seconda battuta, vela di
languori mortali la trepida melodia del primo violino, riproposta
regolarmente dalla prima viola; la patetica sesta napoletana di Piccinni,
Sacchini e Paisiello vi diviene motto inesorabile.
Con bachiana ostinatezza, Mozart protrae sino all'esasperazione il clima
tonale e la tensione insiti nel materiale tematico assunto, scavandone
ogni possibile derivazione, compreso il regolamentare secondo tema
Sonatistico: il risultato è un conplesso melodico dal lunghissimo e
ininterrotto respiro invadente tutta la sezione dello sviluppo e quella della
ripresa, sotto lo scandire ininterrotto e implacato dell' imperativo ritmico:
«Lo sento, a quel che provo, che l'ora suona... la vita era pur sì bella... ma
non si può cambiare il proprio destino», scriverà quattro anni più tardi
Wolfgang a Lorenzo Da Ponte.
La tensione cromatica raggiunge il climax nella coda dell'Allegro e
serpeggia più dissimulata ma non meno corrosiva nel successivo
Minuetto, a ragion veduta - e come già nel Quintetto in Do - collocato
subito dopo il primo tempo e non, come di consuetudine, dopo l'Adagio.
La chiusa desolazione di questo raccolto epicedio (non ci regge il cuore,
per dirla col Manzoni, di chiamarlo col suo vero nome di Minuetto) è
resa più impenetrabile dalla rigorosa unitarietà del materiale melodico
impiegatovi: ogni promessa speranza di consolazione è negata nel Trio in

557
sol maggiore, uno struggente e illusorio maggiore schumanniano,
ricavato per di più, nota per nota, dal tema udito nella prima parte.
Il tragico monolito costituito dai primi due tempi del Quintetto, s'incrina,
nell'Adagio ma non troppo, di un'accorata contemplazione accentuata
dall'estrema soggettivazione delle strutture musicali, tese quasi sempre
ad un'eloquenza assai vicina a quella «certa espressione parlante» attorno
cui si accanì l'ultimo Beethoven.
Figlio del proprio tempo, Mozart aveva sin troppo sentito parlare di
imitazione degli effetti e di sentimenti, anche se tali cose preferiva
lasciare in preda al culturalismo dello Sturrn una Drang, pago, da parte
sua, di scrivere della musica non fatta d'altro che di musica.
Ma chi potrebbe escludere che l'insolita eccitazione gestuale che anima il
secondo tema, palpitante immagine di un intimo affanno espresso ai
limiti della sensorialità, non sia l'eco, sublimata e interiorizzata
dal dolore, di quei sospiri dei violini in sordina per mezzo dei quali il
compositore, negli anni felici del suo esordio viennese, aveva voluto
raffigurati in note gli affanni amorosi di Belmonte?
Con un procedimento insolito, Mozart introduce il finale mediante un
Adagio, sorta di arioso intonato dal primo violino con accenti vocalistici
irrigiditi da iterazioni «parlanti» di impressionante incisività.
L'ncipit del Rondò conclusivo, in sol maggiore, giunge di sorpresa,
rompendo, come un soffio d'aria pura, ma non dissipando l'opprimente
angoscia del preambolo.
E non v'è chi non avverta la sottile disperazione che si cela sotto tanta
spensieratezza, troppo eccitata e troppo ossessiva, invero, per le buone
maniere mozartiane.
Giovanni Carli Ballola

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Nazionale di santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 9 novembre 1973

558
QUINTETTO PER ARCHI N. 5 IN RE MAGGIORE, K 593
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Larghetto (re maggiore)
2. Adagio (sol maggiore)
3. Minuetto e trio. Allegretto (re maggiore)
4. Allegro (re maggiore)
Organico: 2 violini, 2 viole, violoncello
Composizione: Vienna, dicembre 1790
Edizione: Artaria, Vienna 1793

Il Quintetto in re maggiore K. 593 è l'unico ad aprirsi con una


introduzione lenta, un interlocutorio Larghetto col violoncello opposto
agli altri strumenti. Ancorché spesso giudicato «battagliero» (Abert) e
«guerresco» (Einstein) il seguente Allegro mostra un semplice motivo di
caccia, che imita le melodie dei corni e, trasformato, si pone anche alla
base della seconda idea tematica; l'intero movimento si basa su una
concezione formale più snella e agile rispetto ai Quintetti del 1787, ma
mostra in compenso una maggiore complessità polifonica; Mozart fa
riapparire inaspettatamente (e inconsuetamente per i suoi usi) il motivo
dell'introduzione subito prima dell'ultima conclusiva apparizione del
motivo di caccia, attribuendo una logica simmetrica al movimento.
Il seguente Adagio si apre con un'impronta essenzialmente omofona, ma
accoglie anche dialoghi a distanza fra violino e violoncello; si tratta
nell'insieme di una pagina di intensa espressività, con l'uso del
cromatismo e una cupa seconda idea in minore.
Il Minuetto presenta un motivo popolare, elaborato a canone già nella sua
seconda apparizione; il Trio ha un carattere dialogante ed è di estrema
difficoltà per gli interpreti.
L'uso del contrappunto che figura in tutti i movimenti e apertamente nel
terzo, ha la sua massima celebrazione nel tempo finale, aperto da un
motivo cromatico discendente (che fu corretto apocrifamente
sull'autografo in una figurazione meno ardita ma fino a pochi anni fa
ritenuta autentica); con il ritmo di giga, la configurazione giocosa del

559
materiale, gli intrecci fra gli strumenti, Mozart dissimula magistralmente
il carattere sofisticato dell'elaborazione.
Arrigo Quattrocchi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 18 gennaio 1996

QUINTETTO PER ARCHI N. 6


IN MI BEMOLLE MAGGIORE, K 614
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro di molto (mi bemolle maggiore)
2. Andante (si bemolle maggiore)
3. Minuetto e trio. Allegretto (mi bemolle maggiore)
4. Allegro (mi bemolle maggiore)
Organico: 2 violini, 2 viole, violoncello
Composizione: Vienna, 12 aprile 1791
Edizione: Artaria, Vienna 1793

Il Quintetto in mi bemolle maggiore K. 614 datato alla primavera


del 1791, ovvero a un periodo in cui Mozart, dopo un silenzio, sembrava
aver ripreso la strada della creatività con il Quintetto K. 593, il Concerto
per pianoforte K. 595 e due Fantasie, senza dire della Zauberflöte quasi
pronta al debutto. Ed al più celebre dei Singspiele mozartiani lo
accomuna non solo la tonalità di impianto di mi bemolle maggiore
(tonalità per eccellenza massonica con i suoi tre bemolle in chiave), ma
anche certa discorsività, certa leggerezza più apparente che reale (visto
che nasce da una consumatissima esperienza compositiva), il piglio
popolaresco.
Dopo le confessioni accorate del K. 516 è come se Mozart avesse
raggiunto più decantati climi spirituali. Tutto è ormai essenzializzato alla
ricerca di una atarassia che schiuda la serenità ed il sorriso. L'Allegro di

560
molto iniziale è tutto intessuto di idee (con un primo tema ritmico ricco
di mordenti ed un secondo aggraziato, come da commedia) che
subiscono un trattamento elaborativo quasi di spessore sinfonico. Il clima
dominante è disteso con qualche lieve ed episodica increspatura
drammatica.

561
L'Andante in si bemolle, perno espressivo della partitura, è esemplare di
uno stile classico dalle idee chiare e distinte ed è costituito da una serie di
saporite variazioni in cui l'assunto iniziale (forse una reminiscenza
dell'aria "Wenn der Freude" del Ratto dal serraglio) viene arricchito di
merlettate trine sonore.
Discorsivo e quasi haydniano il Minuetto che include un Trio quasi
danzante dal sapore di preromantico Ländler popolare.
Geniale lo sviluppo del risolutivo Allegro (Rondò) finale con un tema
quasi da Singspiel, dal piglio snello e vivace e dalla sapiente orditura
contrappuntistica.
Un giudizio esaustivo lo diede in merito Massimo Mila che ebbe così a
definirlo "trionfo del gioco puro: il dolore ne è assente, non già l'umanità.
Ma questa si è liberata dal suo retaggio di miseria; svincolata dalla
servitù della sua condizione, più non conosce le angustie della carne, del
sangue, del cuore, e giubila smaterializzata nella purezza luminosa dello
spirito".
Una rilevante conquista artistica che solo pochi mesi dopo però Mozart
doveva lasciare ai posteri.
Lorenzo Tozzi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 20 febbraio 2003

562
6 FUGHE A TRE VOCI PER TRII D'ARCHI, K6 404A
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. re maggiore - Adagio (Fuga da BWV 853 di Johann Sebastian
Bach)
2. sol maggiore - Adagio - (Fuga da BWV 883 di Johann Sebastian
Bach)
3. fa maggiore - Adagio - (Fuga da BWV 882 di Johann Sebastian
Bach)
4. fa maggiore; re minore - Adagio - (Adagio da BWV 527 e da
BWV 1080 n. 8 di Johann Sebastian Bach)
5. mi bemolle maggiore - Largo - (Largo ed Allegro da BWV 526 di
Johann Sebastian Bach)
6. fa maggiore - Adagio - (Fuga di Wilhelm Friedeman Bach (F
31/8))
Organico: violino, viola, basso
Composizione: luglio 1782
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1938

L'Adagio e fuga in re minore per trio d'archi K. 404a è una delle


poche trascrizioni composte nel 1782 da Mozart a Vienna da brani di
Johann Sebastian Bach. Per essere più precisi, il lavoro è formato da 6
fughe a tre voci, precedute da 6 adagi, 4 di Mozart e 2 di Bach, trascritte
per violino, viola e violoncello.
Le fughe sono ben 5 di Bach, di cui 3 dal Clavicembalo ben temperato
(N. 8, parte I, n. 13 e n. 14, parte II; una dalla Sonata per organo n. 2 e
una dall'Arte della fuga, Contrapunctus 8) ,e una di Wilhelm Friedmann
Bach È una composizione in cui una volta tanto Mozart si diverte ad
elaborare temi altrui in una tessitura armonica e strumentale di elegante
fattura, secondo un classicismo di equilibrata fusione tra le parti.
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Nazionale di Santa Cecilia,Roma, Auditorio di via della
Conciliazione, 25 novembre 1983

563
COMPOSIZIONI PER INSIEME D’ARCHI

DIVERTIMENTO PER ARCHI


N. 1 IN RE MAGGIORE, K1 136 (K6 125A)

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


1. Allegro (re maggiore)

2. Andante (sol maggiore)


3. Presto (re maggiore)

Organico: archi
Composizione: Salisburgo, Febbraio 1772

Il contenuto musicale del Divertimento K. 136 rivela chiaramente


il travaglio formativo attraversato da Mozart nell'età dell'adolescenza; il
tipo di scrittura predominante nel brano è quello sopra descritto, di
derivazione tipicamente italiana (e d'altra parte enorme era stato
l'arricchimento cognitivo del giovane durante i viaggi in Italia) ; il primo
movimento (Allegro) si snoda agile e cordiale sugli schemi riconosciuti
della Sinfonia italiana, con il serrato dialogo delle due parti di violino e il
discreto accompagnamento di viole e violoncelli; il centrale Andante
svolge con partecipata proprietà il contenuto affettuoso e idilliaco,
mentre il Presto suggella il breve brano con fare spigliato e divertito; ma
proprio in quest'ultimo movimento è sorprendente notare l'improvvisa
scrittura contrappuntistica della sezione dello Sviluppo (una chiara
influenza dello stile salisburghese di Michael Haydn), mentre già nel
primo tempo il vasto uso di modulazioni al modo minore (sempre nello
Sviluppo) spostava l'ambientazione espressiva verso traguardi ignoti al
disimpegnato gusto italiano.
Nella sua semplicità, insomma, questo Divertimento si rivela risultato di
molteplici suggestioni culturali, e quindi un esempio in nuce di quella
personale rielaborazione di differenti modelli che porterà l'enfant
prodìge verso la conquista del proprio superiore linguaggio.

564
Arrigo Quattrocchi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 21 ottobre 1987

DIVERTIMENTO PER ARCHI N. 2


IN SI BEMOLLE MAGGIORE, K1 137 (K6 125B)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Andante (si bemolle maggiore)

2. Allegro di molto (si bemolle maggiore)


Allegro assai (si bemolle maggiore)
3.

Organico: archi
Composizione: Salisburgo, febbraio 1772

Il Divertimento K. 137 per soli archi, così come gli altri due
Divertimenti che recano i numeri 136 e 138 del catalogo Koechel, fu
scritto tra gennaio e marzo del 1772 a Salisburgo (cinque mesi prima
della nomina del musicista a Konzertmeister, con 50 fiorini annui di
stipendio, alla corte dell'arcivescovo Geronimo di Colloredo) e
appartiene quindi alla produzione strumentale di un Mozart sedicenne,
che assorbe e assimila esperienze e stili altrui, specialmente della scuola
barocca e della Sinfonia d'opera italiana. Si tratta di composizioni
articolate in tre tempi con Allegri e Andanti alternati, molto vicine al
Quartetto e alle Sinfonie per archi, senza oboi e corni, e destinate ad una
esecuzione da tenersi sia all'aria aperta, in un elegante cortile o in un
giardino di un palazzo principesco, secondo le abitudini della società
feudale e mecenatistica del tempo, e sia in una sala da concerto vera e
propria.
I Divertimenti, come del resto le Cassazioni, le Serenate e le cosiddette
musiche notturne, sono legati al gusto settecentesco di far musica
insieme e riflettono una identica struttura formale, in cui si alternano

565
movimenti di danza e passaggi solistici e virtuosistici, riservati ad
esecutori di talento, ma non necessariamente eccezionali.

MASCHERA MORTUARIA

566
Per questa ragione i Divertimenti per archi, almeno quelli composti nel
1772, (i Divertimenti mozartiani per strumenti a fiato meriterebbero un
discorso a parte per una più libera invenzione e varietà di effetti sonori)
sono musiche di piacevole ascolto, dalla scrittura semplice e lineare e dai
giochi armonici chiari e precisi, improntati ad un classicismo sereno e
molto equilibrato.
Si avverte, è vero, la presenza di uno stile cameristico di solida fattura e
di luminosa civiltà, ma si è ancora lontani dai modelli del grande Mozart
caratterizzato da una inesauribile capacità inventiva e da una incisiva e
personale forza espressiva.
Il dato rilevante di questi Divertimenti è la limpidezza e la trasparenza
Quartettistica del suono e l'omogeneità e la fusione del gruppo
strumentale, in ubbidienza alle regole di un discorso musicale accessibile
a tutti e senza quei tormenti spirituali e quei risvolti drammatici che pur
esistono nell'arte mozartiana.
L'Andante che apre il Divertimento in si bemolle maggiore si mantiene
su un piano di scorrevole cantabilità, privo di sviluppi armonici di
particolare ricercatezza, così come vuole lo stile galante e di
intrattenimento in un incontro musicale di tono familiare.
L'Andante, che è un tempo piuttosto raccolto e si colloca abitualmente al
centro della composizione, è in questo caso una introduzione vagamente
patetica al brillante e brioso Allegro di molto, di spigliata e fresca
musicalità, e allo spumeggiante Allegro assai conclusivo, il cui taglio
ritmico si richiama all'Opera buffa e verrà ripreso dal compositore nelle
sue Nozze di Figaro.
Il Divertimento ha una durata di poco inferiore ai nove minuti e il sapore
della buona musica antica.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma Auditorio di Via della Conciliazione, 22 maggio 1987

567
DIVERTIMENTO PER ARCHI N. 3
IN FA MAGGIORE, K1 138 (K6 125C)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (fa maggiore)
2. Andante (do maggiore)
3. Presto (fa maggiore)
Organico: archi
Composizione: Salisburgo, febbraio 1772

Il Divertimento in fa maggiore K. 138 fu composto tra gennaio e


marzo del 1772 e risente dell'influenza stilistica sia dei maestri italiani
che di Michael Haydn, con una netta preferenza per il discorso melodico
chiaro e scorrevole. Il primo Allegro si apre con un unisono rievocante i
modi dell'Opera buffa per la freschezza e la spigliatezza dell'impianto
armonico; due sono i temi che si snodano e si intersecano fra di loro e
formano l'intelaiatura dello sviluppo secondo un gioco musicale brillante
e piacevole.
L'Andante è avviato dalla frase cantabile del primo violino su cui si
innestano le altre parti con eleganti e nuove figurazioni; ad un certo
punto il violoncello espone il suo tema su un accompagnamento
sincopato degli altri archi e successivamente c'è un ritorno imprevisto di
gusto italiano non alla prima, ma alla seconda frase musicale,
leggermente variata negli accordi e nella disposizione armonica.
Il finale è un delizioso rondò e il tema particolarmente gaio e spensierato
viene esposto attraverso la forma della imitazione tra la viola e il
violoncello e ripetuto per ben cinque volte, secondo i moduli ad incastro
di scuola tedesca. Un sentimento di fresca e gioiosa cantabilità distingue
le amabili ultime battute del Presto di questo Divertimento.
Ennio Melchiorre

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma Auditorio di Via della Conciliazione, 14 marzo 1993

568
DIVERTIMENTO "GRAN TRIO", K 563
in mi bemolle maggiore per archi

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


1. Allegro (mi bemolle maggiore)
2. Adagio (la bemolle maggiore)
3. Minuetto e trio. Allegro (mi bemolle maggiore)
4. Andante (si bemolle maggiore)
5. Minuetto e trio. Allegretto (mi bemolle maggiore)
6. Allegro (mi bemolle maggiore)
Organico: violino, viola, violoncello
Composizione: Vienna, 27 settembre 1788
Edizione: Artaria, Vienna 1792

Nel genere del Trio d'archi Mozart ha lasciato un'unica opera ed è


il Divertimento in mi bemolle maggiore K. 563, scritto nel settembre del
1788 e dedicato al suo creditore, Michael Puchberg. Tutti i musicologi
sono concordi nel ritenere questo Divertimento per trio d'archi un
autentico capolavoro per la ricchezza dell'invenzione armonica e
contrappuntistica e per varietà espressiva del gioco tematico. Tale è
l'opinione del De Saint-Foix, il quale nel suo libro su Mozart parla del
Divertimento K. 563 come «de l'un grands chefs-d'oeuvre de la musique
de chambre»; ma anche Aloys Greither e Charles Rosen sono dello
stesso avviso e nelle loro monografie mozartiane dedicano parole
elogiative alla qualità musicale dei sei tempi del Divertimento.
In particolare l'americano Rosen nel suo recente volume sullo «Stile
classico», concentrato sulla triade Haydn-Mozart-Beethoven, scrive
testualmente: «Questo Trio di Mozart non è paragonabile a nessun'altra
opera scritta per lo stesso organico e costituisce invece un interessante
precursore degli ultimi Quartetti di Beethoven, particolarmente per il
trasferimento della forma del divertimento, con due movimenti di danza
e due movimenti lenti uno dei quali è un tema con variazioni),
nell'ambito della musica da camera, rendendo estremamente intimo ciò
che vi era di più pubblico, e, come farà Beethoven in molti dei brevi
569
movimenti lenti intermedi delle sue ultime composizioni cameristiche,
trasfigurando l'elemento 'popolare' senza perderne di vista le origini. Nel
Divertimento mozartiano la sintesi della scrittura 'dotta' a tre parti e la
freschezza popolare si fondono senza ambiguità e senza sforzo ».
Il primo Allegro inizia sotto voce su un unisono dei tre strumenti; alla
terza misura si apre un gioco di imitazioni, prima tra violino e
violoncello e poi tra viola e violino, con un brillante ritornello
ccncertante, al quale prendono parte tutti e tre gli strumenti. L'intero
movimento, quindi, si snoda con ampiezza di sviluppo e tra modulazioni
armonicamente e ritmicamente ardite, con cambiamento di tonalità e
inserimento anche di un tempo fugato, in attesa che l'Allegro si concluda
con delicatezza di accenti, su disegni melodici del violino. Segue
l'Adagio in la bemolle, contrappuntato da passaggi ornamentali di
sorprendente gusto armonico, in una visione di equilibrata concertazione
tra violino, viola e violoncello e improntato ad un sentimento meditativo,
quasi religioso.
Il primo Minuetto è un allegro motivo di danza di derivazione
popolaresca e contadina; non manca il trio indicato tematicamente dal
violino e ripreso dal violoncello, su una scala discendente della viola. Ed
eccoci all'Andante in si bemolle, considerato il movimento più originale
del Divertimento K. 563 e costruito su un tema con variazioni di
magistrale inventiva e di penetrante forza espressiva, tale da aprire la
strada all'arte della variazione beethoveniana. Tutta la genialità creatrice
di Mozart si rivela pienamente nell'ultima variazione, intesa come un
possente cantus firmus della viola; il senso di fiducia che da essa
promana è come un saldo promontorio nella risacca dei passaggi del
violino e del violoncello.
Il secondo Minuetto è in tempo Allegretto e inizia piano nella tonalità di
mi bemolle, secondo uno stile delicatamente cameristico. Ci sono poi due
Trii in la bemolle, un vero e proprio Laendler di carezzevole fattura, e in
si bemolle, più semplice e lineare, anche se non privo di eleganza
cantabile.
L'Allegro finale somiglia ad un rondò e il tema, indicato dal violino e
ripreso dalla viola e dal violoncello, è seguito da un refrain o ritornello a
mò di soneria di carillon. Non manca il gioco delle imitazioni in una
varietà di tonalità e di passaggi di sonorità di pungente e divertente
570
effetto strumentale, a conferma dell'abilità tecnica e della inesauribile
fantasia creatrice del compositore anche in questa difficile
specializzazione della musica da camera, sia per Trio che per Quartetto,
con gli archi e con i fiati.
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 6 maggio 1983

SERENATA N. 13 "EINE KLEINE NACHTMUSIK" IN SOL


MAGGIORE PER ORCHESTRA D'ARCHI, K 525
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (sol maggiore)
2. Romanza. Andante (do maggiore)
3. Minuetto e trio. Allegretto (sol maggiore)
4. Rondò. Allegro (sol maggiore)
Organico: orchestra d'archi
Composizione: Vienna, 1 - 10 Agosto 1787
Edizione: Andrè, Offenbach 1827 ca.

Etne kleine Nachtmusik (Una piccola musica notturna, o Serenata


notturna) in sol maggiore K 525 fu composta da Wolfgang Amadeus
Mozart nell'estate del 1787, presumibilmente in una breve interruzione
del lavoro principale di quell'anno, la stesura del Don Giovanni. Infatti la
composizione fu inserita dall'autore nel catalogo tematico personale alla
data del 10 agosto 1787; il 1° ottobre Mozart partì alla volta di Praga per
dare gli ultimi ritocchi e mettere in scena la partitura operistica.
Le vicende della genesi del brano sono del tutto ignote. Si tratta
comunque - a parte Ein musikalisches Spass K 522, una Serenata satirica
pressoché contemporanea - dell'unica Serenata per archi o con archi che
Mozart abbia avuto occasione di comporre negli anni viennesi. Il genere
della Serenata comprendeva composizioni affidate ad un organico
variabile di solisti e con un numero pure variabile di movimenti; fine
unificatore di brani anche molto dissimili era quello intrattenitivo, per
571
circostanze festive o ricorrenze o ancora per allietare la vita di tutti i
giorni. Nel corso dei suoi anni salisburghesi Mozart aveva scritto un alto
numero di composizioni per simili circostanze, ma il piccolo
mecenatismo frequente nell'ambiente provinciale di Salisburgo cedeva il
passo a Vienna a rapporti più sofisticati fra committenti e compositori.
Possiamo comunque immaginare che anche Eine kleine Nachtmusik sia
stata pensata per una simile circostanza, di cui ci sfugge il contesto.

SALISBURGO NEL 1750

L'organico della composizione è di cinque strumenti ad arco: due violini,


viola, violoncello e contrabbasso, anche se gli ultimi due strumenti
suonano all'unisono. Sul catalogo personale Mozart segnò una
successione di cinque movimenti, ma ai posteri ne sono giunti solamente
quattro, ed è da ritenersi smarrito il minuetto collocato dall'autore in
seconda posizione; circostanza che sottrae al brano, per l'ascoltatore
moderno, qualcosa del suo carattere di Serenata. Tuttavia è difficile
trovare qualcosa di simile nella contemporanea produzione di Mozart.
572
Sia le grandi Sinfonie viennesi che i Quartetti per archi si avvalgono di
una scrittura del tutto specifica - sinfonica o Quartettistica - che non può
essere confusa con quella della Serenata, improntata a una essenzialità
d'impianto, a una mancanza di sontuose elaborazioni negli sviluppi e di
profondità concettuale nel contenuto espressivo.
La maestria di Eine kleine Nachtmusik consiste proprio nell'aderire
compiutamente alle regole "semplici" della Serenata con un artigianato
inappuntabile, rivelando però a tratti la mano inconfondibile dell'autore,
che guarda con più matura consapevolezza e quasi con distacco a un
genere abbandonato da tempo.
L'Allegro iniziale è un esempio paradigmatico di forma sonata, con la
contrapposizione fra due temi (ritmico il primo, melodico il secondo), la
loro libera elaborazione in uno sviluppo che Mozart rende
espressivamente variato, e la loro compiuta riesposizione.
Troviamo poi (in mancanza del primo minuetto) una Romanza dalla
levigatissima linea melodica (con un romantico dialogo in minore fra
violino e basso), un garbato minuetto con trio e un finale; quest'ultimo,
definito dall'autore come Rondò ma in realtà in una forma molto simile
alla forma sonata, è percorso da un irresistibile impulso ritmico e da una
ambientazione festosa, temperata appena dalle modulazioni screziate
dello sviluppo.
Arrigo Quattrocchi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 16 aprile, 1992

573
COMPOSIZIONI PER PIANOFORTE E ARCHI

QUARTETTO PER PIANOFORTE N. 1


IN SOL MINORE, K 478
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (sol minore)
2. Andante (si bemolle maggiore)
3. Rondò (sol maggiore)
Organico: pianoforte, violino, viola, violoncello
Composizione: Vienna, 16 Ottobre 1785
Edizione: Hoffmeister, Vienna 1785

La letteratura del Quartetto per pianoforte e archi (violino, viola e


violoncello), destinata a svilupparsi in una intensa fioritura nel corso del
XIX secolo, trova la sua prima e compiuta manifestazione "moderna" nel
Quartetto in sol minore K. 478 di Wolfgang Amadeus Mozart.
Il Quartetto K. 478, infatti, propone una sorta di rivoluzione nella
concezione della musica da camera con pianoforte; una rivoluzione che
investe tre differenti aspetti: la destinazione, la complessità di scrittura, il
contenuto.
La musica da camera con pianoforte, nella seconda metà del XVIII
secolo, non era destinata - come invece quella per archi soli, più
impegnativa sia sotto il profilo strumentale che sotto quello del contenuto
- agli esecutori professionisti, ma agli esecutori dilettanti, appartenenti ai
ceti alti della società.
In tutta Europa lo studio di uno o più strumenti era parte integrante
dell'educazione dell'alta società, e la pratica della Hausmusik, della
musica domestica, suonata dai volenterosi componenti del circolo
familiare, era del pari estremamente diffusa. Direttamente in funzione del
fiorentissimo mercato editoriale rivolto ai dilettanti vennero dunque
composti quasi tutti i Trii e i Quartetti con pianoforte di Mozart, brani
che, non a caso, giunsero alla pubblicazione vivente l'autore, e con
maggiore facilità rispetto ad altre composizioni di più alte ambizioni.
574
COSTANZE MOZART

575
Eppure già le vicende della pubblicazione del Quartetto in sol minore
rivelano come, per l'organico di questo brano, Mozart nutrisse ambizioni
più alte. Secondo Nissen - primo biografo del compositore e sposo in
seconde nozze di Constanze Mozart - il Quartetto (la data sull'autografo
è quella del 16 ottobre 1785) sarebbe stato scritto come primo di una
serie di tre, dietro commissione dell'editore Hoffmeister; ma, dopo la
pubblicazione di questo primo brano, nell'inverno 1785-86, il contratto fu
rescisso in piena concordia fra le due parti, poiché il K. 478 appariva
troppo "difficile" al pubblico. Una cronaca dell'epoca, riportata da
Hermann Abert (W A. Mozart. Zweiter Teil, Leipzig 1919-21; ed. it.
Milano 1985, p. 173), definisce il Quartetto «una composizione che,
anche se perfettamente eseguita, può [...] e deve soddisfare in una
"musica da camera" solo il limitato gruppo degli intenditori. Altri pezzi
reggono anche se mediocremente eseguiti; questa composizione
mozartiana però non si può proprio ascoltare suonata da superficiali
dilettanti».
Ecco dunque i punti della "rivoluzione". Le composizioni pensate per il
mercato dei dilettanti dovevano tenere conto ovviamente dei limiti
endemici degli esecutori a cui erano rivolte. I condizionamenti imposti
dalla destinazione erano essenzialmente di due tipi: nel contenuto
musicale, che non doveva superare dimensioni piuttosto ristrette e
doveva essere improntato alla massima cordialità, evitando un impegno
concettuale più ardito; nella scrittura strumentale, che doveva rimanere
alla portata di strumentisti dotati di una consapevolezza tecnica discreta
ma non sviluppata, soprattutto per gli strumenti ad arco; questi si
limitavano ad "accompagnare" il pianoforte (strumento di più rapide
soddisfazioni), raddoppiandone la melodia e il basso, tanto che gli
strumenti ad arco erano spesso considerati "ad libitum", e un Trio o un
Quartetto potevano essere eseguiti anche nella veste di una Sonata
pianistica.
Il Quartetto in sol minore, invece, propone un rapporto assai più
dialettico fra pianoforte ed archi. Il modello non è quello della Sonata
pianistica o per violino e pianoforte, ma quello del Concerto per
pianoforte, il genere compositivo al quale Mozart si dedicò con maggiore
insistenza nei primi anni viennesi. Per comprendere l'affinità fra il
Quartetto e il Concerto occorre tenere presente che lo stesso Mozart
aveva espressamente previsto per i suoi primi tre Concerti viennesi (K.
576
413-415) la possibilità di omettere dall'orchestra le parti dei fiati, onde
rendere possibile l'esecuzione delle partiture anche in un salotto, con
l'accompagnamento di un semplice Quartetto d'archi. Il Quartetto in sol
minore è dunque un concerto in miniatura, con un ruolo "solistico" e
virtuosistico dello strumento a tastiera; il gruppo degli archi (violino,
viola, violoncello) tuttavia non si limita ad accompagnare il solista, ma
entra invece in un rapporto concertante e dialettico.
Da ultimo il contenuto. Alla complessità della scrittura corrisponde un
netto distacco del Quartetto dai canoni d'intrattenimento. Si tratta, non a
caso, dell'unica partitura in tonalità minore fra i brani cameristici con
pianoforte del compositore; e la tonalità di sol minore è fra le predilette
di Mozart, impiegata sempre per il conseguimento di fini di intensa
drammaticità.
Una ambientazione nettamente drammatica ha infatti l'Allegro iniziale.
Già il primo tema presenta immediatamente un brusco contrasto fra un
perentorio unisono e una cupa scala discendente del pianoforte, elementi
che percorrono insistentemente l'intero movimento; il secondo tema,
espressivamente contrastante, è alla base dello Sviluppo; una lunga coda
elabora polifonicamente il motivo iniziale, che sigilla con un nuovo
unisono il movimento.
Anche l'Andante centrale è del tutto distante dagli stilemi intrattenitivi,
essendo improntato piuttosto a un rapporto di solidale meditazione fra gli
strumenti con la densa scrittura polifonica degli archi e i delicati ricami
del pianoforte.
Il Finale - tradizionalmente più "disimpegnato" rispetto al primo
movimento - è un Rondò di impostazione brillante e nettamente
"Concertistica", con una sezione in minore che si richiama tuttavia al più
intenso contenuto espressivo del tempo iniziale.
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma Auditorio di Via della Conciliazione, 23 ottobre 1998

577
QUARTETTO PER PIANOFORTE N. 2
IN MI BEMOLLE MAGGIORE, K 493
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (mi bemolle maggiore)
2. Larghetto (la bemolle maggiore)
3. Allegretto (mi bemolle maggiore)
Organico: pianoforte, violino, viola, violoncello
Composizione: Vienna, 3 giugno 1786
Edizione: Artaria, Vienna 1787

Tra gli organici di musica da camera, quello per pianoforte e archi


(violino, viola e violoncello) non è tra i più frequenti neppure nella piena
espansione dell'Ottocento, dove si contano pochi pezzi isolati, e ancor
meno lo era ai tempi di Mozart, allorché il pianoforte veniva per lo più
abbinato all'orchestra (anche da camera) nel genere del Concerto, e gli
archi si disponevano in formazioni omogenee, come il Quartetto e il
Quintetto, l'una e l'altra variamente ma diffusamente impiegate da
Mozart stesso, o tutt'al più al pianoforte si aggiungevano uno (Sonata) o
due archi (Trio). Tant'è che nel suo catalogo figurano soltanto due lavori
per questa compagine insolita: il primo, in sol minore, reca il numero K.
478 e la data del 16 ottobre 1785; il secondo, il nostro, in mi bemolle
maggiore K. 493, è conseguente di poco meno di un anno (Vienna, 3
giugno 1786) e occupa, nel catalogo mozartiano, la posizione successiva
alle Nozze di Figaro (K. 492).
Alla loro origine vi fu una commissione risalente all'estate del 1785 da
parte dell'editore Franz Anton Hoffmeister per la composizione di una
serie di tre Quartetti con pianoforte da destinare al pubblico viennese dei
più colti amatori e dilettanti: evidentemente, nell'intenzione dell'editore,
vi era quella di tentare nuove strade. Ma dopo l'insuccesso commerciale
del primo, pubblicato alla fine del 1785, Hoffmeister pregò Mozart di
non comporre più gli altri due Quartetti e di considerare annullato il
contratto, dichiarandosi però pronto a lasciargli l'acconto versato. In
realtà il secondo Quartetto (K. 493) era già in fase di lavorazione e per
questo Mozart si rivolse a un altro editore, Artaria, già editore dei Sei
Quartetti op. X dedicati a Haydn, offrendoglielo in alternativa. E Artaria,
578
più audace e disponibile del collega, lo acquistò, per pubblicarlo poi nel
luglio 1787. Ma evidentemente a questo punto di un terzo Quartetto non
si parlò più.

ALEXANDER LONQUICH

Nella loro monografia mozartiana Giovanni Carli Ballola e Roberto


Parenti citano un illuminante articolo apparso nel 1788 sul "Journal des
Luxus und der Moden", che aiuta a comprendere il contesto in cui simili
pezzi (qui il riferimento è in particolare al Quartetto K. 478) vedevano la
luce: "Altri pezzi si reggono anche se mediocremente eseguiti; questa
composizione mozartiana invece non si può proprio ascoltare suonata da
superficiali dilettanti. Ciò è tuttavia accaduto innumerevoli volte durante
lo scorso inverno [...] ma non poteva piacere; tutti sbadigliavano di noia
per l'incomprensibile chiacchiericcio dei quattro strumenti che non si
trovavano insieme nelle solite quattro battute e il cui impossibile
concento non rivelava alcuna unità di espressione [...]
"Quale differenza, quando questa lodatissima composizione viene
eseguita con la massima precisione da quattro musicisti professionisti e

579
ben preparati, in un ambiente piccolo, dove neppure le pause tra nota e
nota sfuggono all'orecchio attento e davanti a non più di due o tre
persone veramente interessate! In questo caso però non c'è davvero da
pensare al successo esteriore, al favore della moda o a lodi
convenzionali". Sono ancora Carli Ballola e Parenti a commentare,
accomunando i due Quartetti con pianoforte al Quintetto per pianoforte e
fiati: "Nei Quartetti (K. 478 e K. 493) e nel Quintetto (K. 452), a una
parte pianistica ancor più impegnativa e concertante di quanto non sarà
nei Trii o nelle Sonate con violino, si contrappongono compagini
strumentali trattate con un'autonomia, un'articolazione e talora una
difficoltà di scrittura che scoraggiarono editori ed esecutori, disorientati
dinanzi a tanta audace novità".
L'impronta innovatrice e la vena sperimentale di Mozart risaltano
anzitutto se messa a confronto con le convenzioni dello stile galante.
Scrive a questo proposito un altro studioso di Mozart, Alfred Einstein:
"Un brano per pianoforte e archi, nelle mani di Johann Christian Bach e
di Philipp Emanuel Bach, diventa automaticamente un Concerto per
pianoforte; Mozart invece riesce a trattarlo come pura musica da camera,
esigendo dal pianista un virtuosismo da Concertista ma intessendo gli
archi nello stesso materiale tematico, in una dimensione che non ha più
nulla a che vedere con il dilettantismo musicale". La fusione fra la
dimensione cameristica del Quartetto d'archi e il virtuosismo del
Concerto per pianoforte si realizza dunque per una terza via,
assolutamente inedita e personale.
Il pianoforte non si oppone più a violino, viola e violoncello intesi come
sostituti di un accompagnamento orchestrale subalterno, ma dialoga con
essi su un piano di parità, ora venendo alla ribalta con la sua pronunciata
individualità, ora passando sullo sfondo per lasciare ai suoi compagni la
possibilità di sviluppare autonomamente, solisticamente, un proprio
articolato corso di pensieri: e la scrittura ne riceve una conseguente
scioltezza e varietà.
Il Quartetto K. 493 rappresenta perfettamente la sintesi di questi due
mondi opposti, quelli del dialogo drammatico e dell'introspezione
interiore.
Quest'esito non sarebbe stato così naturale senza la vicinanza delle Nozze
di Figaro, prima compiuta affermazione del teatro di Mozart, sotto il cui
580
segno, storico e artistico, questo Quartetto si pone. Tutto vi appare però
come decantato.

581
Nei tre movimenti si respira un'aria di matura consapevolezza, di fluente
discorsività, di grazia ornamentale: anche le tensioni drammatiche, gli
spunti appassionati e "romantici", sono calati in un'atmosfera di
raggiunta armonia espressiva e formale, di equilibrio superiore, in una
parola classico.
Il primo movimento (Allegro) è il più ricco di sostanza tematica e di
espansività, con estese sezioni di calda effusione melodica e cantabile, in
un clima di fondo lucido e sereno, senza ombre.
Il pianoforte introduce incisivamente i motivi tematici e li elabora con
spiccate volate solistiche, incalzato dagli archi, sempre pronti
all'imitazione e alla variazione: gli episodi si connettono così in una
piena affermazione dello stile concertante.
Il Larghetto centrale in la bemolle maggiore è, come avviene spesso in
Mozart, il centro di gravità dell'opera, il momento introspettivo nel quale
il lirismo più delicato si dispiega in modo gravemente serio, pensoso e
profondo, senza perdere però il controllo della disciplina formale: di
certo questa non è musica per "signorine della buona società" che si
possa ascoltare con un sorriso distratto, né seguire con superficiale
disattenzione.
Vi domina, fin dal tema esposto per quattro battute dal pianoforte solo e
poi concluso dagli archi, un senso di trepida attesa, di ansia quasi
drammatica, che si manifesta negli scarti dinamici, nelle pause che
spezzano il fraseggio, nei giri tortuosi dell'armonia, sospesa tra ampie
aperture intervallari e ripiegamenti in scontrosi cromatismi: solo nella
seconda parte il discorso si ricompone in un flusso più disteso e
continuo.
Perfino il luminoso Rondò finale (Allegretto), la cui melodia sostenuta da
semplici accordi sembra l'essenza della purezza e dell'ingenuità, riserva
all'ascoltatore, sotto la superficie spensierata, idee contrastanti
singolarmente esposte e riprese, sortite solistiche ostentatamente marcate,
tratti di spirito ammiccanti, perfino risvolti umoristici insistiti e pungenti.
Da questa apparente dispersione di un gioco sorprendentemente esatto
tutto sfocia non in una cadenza, ma in un segnale del pianoforte che, con
un lungo trillo sospeso sulla dominante, richiama all'ordine i tre

582
strumenti ad arco preparando l'ultima ricomparsa del tema principale e
destinandolo alla trionfale conclusione.
Sergio Sablich
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma Auditorio di Via della Conciliazione, 12 Aprile 2002,
Alexander Lonquich pianoforte

TRIO IN MI BEMOLLE MAGGIORE PER CLARINETTO


"KEGELSTATT-TRIO" (TRIO DEI BIRILLI), K. 498
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Andante (mi bemolle maggiore)
2. Minuetto (si bemolle maggiore)
3. Rondò. Allegretto (mi bemolle maggiore)
Organico: clarinetto, pianoforte, viola
Composizione: Vienna, 5 agosto 1786
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 5
agosto 1786
Edizione: Artaria, Vienna 1788

Il Trio in mi bemolle maggiore per pianoforte, clarinetto e viola


KV. 498, fu incluso da Mozart nel suo catalogo personale il 5 agosto
1786. Secondo un aneddoto non verificabile il brano sarebbe stato
composto da Mozart nel corso di una partita a birilli; e da qui nasce
appunto il suo soprannome di "Trio dei birilli" ("Kegelstatt-Trio").
Secondo un'altra fonte il Trio era destinato alla pratica della
"Hausmusik" (cioè della musica "domestica", esercitata all'interno del
circolo familiare da esecutori dilettanti) presso la famiglia Jacquin,
intima del compositore; la giovane Franziska, allieva di Mozart, avrebbe
suonato il pianoforte, il celebre virtuoso Anton Stadler il clarinetto, e lo
stesso autore la viola.
La destinazione a un circolo "familiare" avvicina il Trio K. 498 a un
particolare gruppo di opere degli stessi anni, i Trii per pianoforte, violino

583
e violoncello, caratterizzati da un contenuto brillante e disimpegnato, da
un ruolo protagonistico del pianoforte, e da una partecipazione più di
messa da parte degli altri due strumenti (soprattutto il violoncello, spesso
confinato nel semplice raddoppio della linea del basso pianistico).
Tuttavia la particolare destinazione strumentale dona certamente un
rilievo di interesse peculiare a K. 498.
Per favorire la diffusione editoriale del lavoro la prima edizione a stampa
(Artaria, Vienna, 1788) prevedeva l'impiego di un violino, e recitava
testualmente: «La parte del Violino si può eseguire anche con un
Clarinetto».
Tuttavia proprio il suono del clarinetto - strumento privilegiato nella
tarda produzione mozartiana per la intensa e felicissima collaborazione
con Stadler; basti citare il Quintetto K. 581, il Concerto K. 622, gli
interventi concertanti in due arie della "Clemenza di Tito" - è elemento
imprescindibile dell'economia del brano; la presenza dello strumento a
fiato spinge infatti il compositore a donare al Trio una ricchissima
abbondanza melodica, temperando la tecnica di elaborazione con il
prevalere di una logica paratattica; d'altra parte il ruolo della viola - altro
strumento amatissimo da Mozart, che lo suonava nelle sedute di
Quartetto - è assai più protagonistico di quello assegnato al violoncello
negli altri Trii. La presenza di due strumenti dal timbro "opaco" si
trasforma inoltre in una minore brillantezza del contenuto musicale.
Anche la successione dei tre movimenti è in parte anomala rispetto ai
brani con violino e violoncello. In prima posizione troviamo un Andante
dal carattere di Serenata, formalmente tripartito ma senza Sviluppo
(dunque quasi più simile a un Rondò), che si basa sulle trasformazioni
espressive attribuite al motivo principale. Seguono un Minuetto - che ha
nei giochi di imitazione cromatici del Trio i suoi momenti più seducenti -
e un Rondò conclusivo di espansiva eloquenza melodica, con un episodio
in minore dominato dalle nervose terzine della viola.
Arrigo Quattrocchi
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 25 ottobre 1990

584
TRIO PER PIANOFORTE N. 4
IN SI BEMOLLE MAGGIORE, K. 502
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (si bemolle maggiore)
2. Larghetto (mi bemolle maggiore)
3. Allegretto (si bemolle maggiore)
Organico: pianoforte, violino, violoncello
Composizione: Vienna, 18 novembre 1786
Edizione: Artaria, Vienna 1788

Secondo il catalogo Koechel sei sono i Trii per pianoforte, violino


e violoncello composti da Mozart, che ha lasciato anche tre frammenti di
un solo tempo di altri Trii, che sono conosciuti soltanto dagli specialisti
della immensa produzione del musicista di Salisburgo. Il Trio K. 502 è
considerato uno dei più importanti della serie e fu scritto nel novembre
del 1786, dopo l'esecuzione al Burgtheater di Vienna delle Nozze di
Figaro, che ebbe un esito felicissimo, e la nascita del terzo figlio, Johann
Thomas Leopold, morto il 15 novembre dello stesso anno. La
composizione si articola in tre tempi caratterizzati da una freschezza
inventiva e da una abilità contrappuntistica che si fondono in una
sublime unità, secondo il giudizio espresso da Alfred Einstein nel suo
prezioso libro su Mozart.
Il tema del primo Allegro viene esposto dal pianoforte e poi ripreso dai
due strumenti a corda in una visione concertante di elegante e misurata
musicalità. Il dialogo sonoro diventa quindi più fitto e articolato con la
ripresa variata della prima misura del tema iniziale, affidata prima al
canto del violino, accompagnato dal pianoforte, e poi al violoncello con
modulazioni armoniche di piacevole effetto. Il successivo Larghetto in
mi bemolle è un tempo lento di nobile e profonda espressività, che si
richiama in gran parte, nel materiale tematico, al Concerto per
pianoforte K. 450.
La costruzione ubbidisce allo stesso schema del primo tempo: il
pianoforte espone la frase, il violino e il violoncello la riprendono e
l'arricchiscono con figurazioni e ornamenti contrappuntistici.

585
586
Il Larghetto si conclude in un'atmosfera teneramente poetica e
suggestiva, dettata dalla tonalità di mi bemolle. L'Allegretto finale svolge
un ritmo di gavotta e somiglia al rondò di un concerto da camera, nel
gioco tra il «solo» del pianoforte e il «tutti» degli altri strumenti,
realizzati con brillantezza e vivacità di colori contrastanti. Certo, la
componente virtuosistica ha il suo peso rilevante e specialmente il
pianoforte assolve un ruolo di primaria importanza, ma non si può negare
a questo rondò e all'intero Trio K. 502 una solidità di impianto e di
costruzione e una eccellente trasparenza di suoni, secondo le regole di un
discorso musicale accessibile a tutti e senza quei tormenti spirituali e
quei risvolti tragici che pur esistono nell'arte mozartiana.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 26 febbraio 1982

TRIO PER PIANOFORTE N. 6 IN DO MAGGIORE, K. 548


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (do maggiore)
2. Andante cantabile (fa maggiore)
3. Allegro (do maggiore)
Organico: pianoforte, violino, violoncello
Composizione: Vienna, 14 luglio 1788
Edizione: Artaria, Vienna 1790

Datato 14 luglio 1788, il Trio in do maggiore fu composto giusto a


ridosso delle tre grandi Sinfonie viennesi. Di quelle giungono qui pallidi
echi. La forma del Trio è concertante piuttosto che dialettica, e si
potrebbero definire i tre Trii composti da Mozart in quell'anno come dei
piccoli Concerti per pianoforte e orchestra. La parte del pianoforte è
difatti preminente, e il discorso si articola piuttosto quale contrasto tra
timbri che come dialettica d'idee. Il primo tempo presenta una rilevante
instabilità armonica. Lo sviluppo, ad esempio, predilige il minore, le
modulazioni si susseguono senza posa, come è caratteristico del

587
fantasticare mozartiano, incline alla malinconia nera, ed anche alla
ripresa la risposta del violino appare in do minore. L'Andante cantabile
espone al pianoforte una melodia atona, resa ancor più tale
dall'armonizzazione in accordi tenaci degli archi. Sono le frasi dell'ultimo
Mozart, quelle che andrebbero definite rinuncia alle passioni, eppure il
tarlo dello Sturm una Drang riappare nell'improvvisa modulazione
all'attacco dello sviluppo, e nella chiusa, dove una variazione ritmica
prende vita da una terzina della terza battuta del tema.
Il Rondò, quasi pastorale, presenta secondo la tradizione francese un
episodio centrale, più lento, in minore. E sarà un Andante dalla cantilena
penetrante, lo sbalzo d'umore di una natura fragile e pronta
all'immedesimazione con le pene degli uomini, soprattutto le
inconfessate, inspiegabili, represse.
Gioacchino Lanza Tomasi
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 29 gennaio 1975

TRIO PER PIANOFORTE N. 7 IN SOL MAGGIORE, K564


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (sol maggiore)
2. Tema con 6 variazioni. Andante (do maggiore)
3. Allegretto (sol maggiore)
Organico: pianoforte, violino, violoncello
Composizione: Vienna, 27 ottobre 1788
Edizione: Storace, Londra 1789

Mozart scrisse otto Trii con il pianoforte: in sette di essi vi unì il


violino e il violoncello, e precisamente in quello in si bemolle maggiore
K. 254 del 1776, in quello in re minore K. 442 del 1783, in quelli in sol
maggiore K. 496 e in si bemolle maggiore K. 502 del 1786, in quello in
mi maggiore K. 542 e negli altri, in do maggiore K. 548 e in sol
maggiore K. 564, recante in partitura la data del 27 ottobre 1788. Solo
nel Trio in mi bemolle maggiore K. 498, che è del 1786, il pianoforte è
588
accompagnato dal clarinetto e dalla viola; esso assunse il nome di
"Kegelstatt-Trio" (Trio del gioco dei birilli), perché fu composto per gli
amici Jaquin tra la chiassosa allegria di una partita a birilli.
Il Trio in sol maggiore è articolato in tre tempi caratterizzati da una
freschezza inventiva e da una abilità nell'arte della variazione, specie nel
secondo movimento.
Il primo tema dell'Allegro iniziale viene esposto dal pianoforte e sorretto
da un disegno melodico degli archi. Ecco quindi un tema più leggero e
festoso, affidato al violino con un ritornello del pianoforte e poi ripreso
dal primo strumento. A questo punto si snoda lo sviluppo del discorso
musicale, condotto elegantemente dal violino su un accompagnamento di
biscrome del pianoforte. C'è molta varietà nel gioco armonico, con il
passaggio dalla tonalità di mi maggiore al do maggiore, secondo un
procedimento spesso utilizzato da Mozart; al pianoforte e al violino si
aggiunge con molta evidenza, nelle battute finali del movimento, la voce
del violoncello.
L'Andante è un tema variato, punteggiato da una straordinaria purezza e
nobiltà di espressione, che si richiama allo stesso Andante della Sonata
per pianoforte e violino K. 547. Le variazioni sono sei: la prima è
indicata dal violino su una imitazione del violoncello e con
l'accompagnamento del pianoforte; la seconda è esposta dal violoncello,
su ornamenti del violino e con accordi di accompagnamento del
pianoforte; nella terza variazione il violino espone un tema cantabile,
mentre il violoncello sottolinea le ultime cadenze; la quarta variazione
contiene un magnifico dialogo tra il pianoforte e i due archi; la quinta
variazione appartiene al pianoforte e la sesta è un tema molto arabescato,
realizzato dal violino, su accompagnamento del violoncello e del
pianoforte. La sensazione che si ricava dall'ascolto di questo Andante è di
una delicata e incantevole atmosfera poetica.
L'Allegretto finale in 6/8 comincia con un ritmo di siciliana del
pianoforte, cui risponde il violino, sostenuto dal violoncello. Si crea
quindi una piacevole tessitura di armonie con un ritorno al tema, che
viene ripreso dal violino su accompagnamento del pianoforte e con
l'intervento del violoncello. Il tema del rondò si allarga e si intensifica e
coinvolge tutti e tre gli strumenti in una inarrestabile cascata di
invenzioni armoniche, realizzata con brillantezza e vivacità di colori
589
contrastanti. Il Trio K. 564 sembra rispettare le regole di un discorso
musicale accessibile a tutti e senza particolari tensioni e tormenti che
pure esistono nell'arte mozartiana.
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 11 gennaio 1985

SONATE PER VIOLINO E PIANOFORTE

SONATA PER VIOLINO E PIANOFORTE N. 18


IN SOL MAGGIORE, K1 301 (K6 293A)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro con spirito (sol maggiore)
2. Allegro (sol maggiore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Mannheim, 14 febbraio 1778
Edizione: Sieber, Parigi 1778

Mozart, oltre al pianoforte e all'organo, suonava il violino (lo


strumento di Leopoldo, oggetto del famoso metodo Gründliche
Violinschule, 1756), e per la sua carica di Konzertmeister a Salisburgo gli
competeva, con la direzione d'orchestra, la parte di primo violino:
«Vostra Grazia ha perduto un grande virtuoso. E' il più grande pianista
che abbia mai udito; e anche come violinista ha reso buoni servizi a
Vostra Grazia», disse il maggiordomo di corte all'arcivescovo dopo che
Mozart si era congedato dal servizio salisburghese, nell'autunno 1777.
Nel catalogo delle composizioni mozartiane, dopo i primi Minuetti e un
Allegro per pianoforte, figurano alcune Sonate per pianoforte e violino
(K. 6-9) che risalgono agli anni 1763-64.
Ma in questa la parte pianistica (o cembalistica) è preponderante e il
violino ha un ruolo secondario: si tratta, in sostanza, di "Sonate con
accompagnamento d'un violino", una moda che dominava in Europa in
quanto soddisfaceva le esigenze dei sempre più numerosi dilettanti (le
590
coltivarono, tra gli altri, a Parigi Johann Schobert, tanto ammirato da
Mozart, a Londra Johann Christian Bach e Clementi).

MUZIO CLEMENTI

591
Ma, sempre nell'autunno 1777, a Monaco, Mozart ebbe occasione di
conoscere i Duetti per clavicembalo e violino di J. Schuster: «Non sono
cattivi», scrive al padre, «se mi fermerò, ne scriverò io stesso nel
medesimo stile, dato che essi sono molto popolari quaggiù».
Ed ecco apparire, agli inizi dell'anno seguente, un gruppo di sei Sonate -
dette palatine perché dedicate alla moglie di Karl Theodor, principe
elettore del Palatinato - che saranno pubblicate a Parigi come op. 1 nello
stesso 1778 (K. 301-306): «Così, tanto per cambiare, ho scritto qualcosa
di diverso, duetti per pianoforte e violino» (da Mannheim, 14.2.78).
Infatti, in queste Sonate il violino è trattato in stile concertante.
La Sonata in sol maggiore, come la maggioranza delle consorelle, è in
due movimenti.
Il primo movimento, Allegro con spirito, ha un impianto classico
tripartito. Ai due temi principali (tonica e dominante) si accostano spunti
secondari. Lo sviluppo, di tipo tematico, è animato da inversioni e
cromatismi.
Il secondo movimento, un Allegro in 3/8, ha la forma di rondò variato:
motivi vivaci e popolari incorniciano l'episodio centrale in minore, di
delicata poesia. Il dialogo equilibrato tra i due strumenti che si alternano
il canto, e il sapiente contrappunto che regola le sovrapposizioni delle
loro voci, costituiscono l'essenza della Sonata classica per violino e
pianoforte.
Ala Botti Caselli
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 25 febbraio 1993

592
SONATA PER VIOLINO E PIANOFORTE
N. 21 IN MI MINORE, K1 304 (K6 300C)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (mi minore)
2. Tempo di Minuetto (mi minore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Parigi, giugno - luglio 1778
Edizione: Sieber, Parigi 1778

Nella storia della Sonata per violino e strumento a tastiera si


possono individuare due fasi distinte. La prima risale all'inizio del
Settecento, l'epoca nella quale questo tipo di Sonata si affermò come
genere musicale autonomo, parallelamente al consolidarsi della moderna
tecnica violinistica e all'affermarsi, su scala europea, di uno stile
cantabile di derivazione italiana che aveva proprio nel violino il suo
strumento d'elezione. In questa fase allo strumento a tastiera spettava
appena il compito di realizzare un basso continuo, ovvero la base
armonica che sosteneva lo sviluppo di un materiale musicale affidato,
invece, praticamente per intero al violino. Le Sonate per violino e
clavicembalo op. V di Arcangelo Gorelli, pubblicate nel 1700 e
ristampate più di cinquanta volte nell'arco di soli dieci anni, sono un
esempio perfetto di questo tipo di rapporto fra violino e tastiera, e d'altra
parte l'ulteriore perfezionamento della tecnica violinistica finì per
approfondire in modo ancora più netto questa ripartizione di ruoli: da
Tartini a Geminiani, da Leclair a Locatelli, la Sonata per violino diventa
un genere sempre più ardito e virtuosistico, con poche concessioni
all'idea di un trattamento paritario dei due strumenti in gioco.
Questa proporzione era destinata a cambiare alla metà del secolo, cioè
all'inizio di quella che viene definita l'età classica, quando il ruolo
portante del violino nello sviluppo del linguaggio storico della musica
venne sostituito dal protagonismo dei nuovi strumenti a tastiera,
fortepiano e, subito dopo, pianoforte. Nel campo della Sonata per violino
e strumento a tastiera, questo ribaltamento si rispecchiò dapprima nel
diffondersi di un tipo di "Sonata per pianoforte con accompagnamento",
come si chiamava allora, nella quale il violino si limitava a raddoppiare

593
la melodia pronunciata dallo strumento a tastiera e limitava
drasticamente tutto il corredo tecnico e virtuosistico dell'esecuzione.
Subito dopo venne affermandosi un tipo più equilibrato di composizione
Sonatistica, nella quale entrambi gli strumenti venivano trattati con pari
dignità, ovvero ripartendo equamente il materiale melodico, integrando
maggiormente la scrittura e dando vita a veri e propri dialoghi
strumentali, non più a monologhi con l'assistenza di un partner.

594
Le Sonate per violino e pianoforte di Mozart appartengono senz'altro a
quest'ultima categoria e sono, anzi, l'esempio canonico di un linguaggio
ormai approdato a un livello di equilibrio e di integrazione fra le parti
tale da superare ogni residuo problema stilistico e formale per approdare
a una ricerca espressiva più densa di riflessione e di esperienza.
Il caso della Sonata in mi minore K. 304 è, da questo punto di vista,
emblematico. Mozart la scrisse nel 1778, a Parigi, in un periodo nel
quale, giunto all'età di ventidue anni, egli aveva per la prima volta
percorso fino in fondo le più acute tonalità emotive del dolore, quelle
legate all'amore per la giovane cantante Aloysia Weber, naufragato poco
prima che egli giungesse in Francia, e all'improvvisa morte della madre,
che lo aveva accompagnato in quella città.
Non è mai agevole stabilire quale rapporto intercorra tra le esperienze
vissute da un autore e il carattere della sua opera, tanto che insistendo su
questo aspetto si corre spesso il rischio di una inutile caccia al
pettegolezzo.
E tuttavia, pur non volendo tracciare nessuna linea di dipendenza diretta
fra quegli eventi e la Sonata K. 304, è altrettanto difficile non osservare
con sorpresa la distanza di questa composizione dai modelli di puro
intrattimento ai quali con tutta evidenza, si ispira.
L'impressione è che Mozart abbia mantenuto l'involucro per cambiare
radicalmente il contenuto.
L'idea di tagliare il secondo movimento della Sonata in "tempo di
minuetto" corrisponde, per esempio, alla moda parigina di quegli anni,
ma il tono introverso con il quale procede, anzi gli accenti persino
acutamente drammatici con cui si chiude, dopo la pausa beffardamente
luminosa del Trio che modula in mi maggiore, sono lontanissimi dalle
galanterie di quella forma di danza e rinviano a esperienze più incisive e
taglienti, quali mai prima avevano trovato posto in una forma "leggera"
come quella del minuetto, appunto.
I tempi della Sonata K. 304 sono due, conformemente a un modulo
piuttosto diffuso allora e al quale Mozart si attiene in tutte le sue prime
Sonate per violino e pianoforte.

595
ARCANGELO CORELLI

596
Ma, se il secondo movimento possiede una sensibile piega drammatica,
quello di apertura è, da questo punto di vista, addirittura esasperato: «è
una continua lotta», ha scritto Hermann Abert, «tra stanca rassegnazione
e incontenibile ribellione», un conflitto che si traduce in sonorità
estremamente tese e in una concentrazione del materiale che non concede
nulla al proverbiale accumulo della scrittura mozartiana, ma segue
rigorosamente il principio della forna-sonata con un solo tema di
riferimento.
Stefano Catucci
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 9 dicembre 2004

SONATA N. 22 IN LA MAGGIORE
PER VIOLINO E PIANOFORTE, K1 305 , K6 293D
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro molto (la maggiore)
2. Tema con Variazioni. Andante grazioso (la maggiore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Mannheim, febbraio 1778
Edizione: Sieber, Parigi 1778

La Sonata K. 305 per violino e pianoforte è inclusa nel gruppo


delle sei Sonate composte nel 1778 "pour clavecin ou forte-piano avec
accompagnement d'un violon" in cui si rivela la particolare freschezza
inventiva del compositore, ormai perfettamente padrone di questa forma
musicale dedicata all'incontro e alla fusione fra due strumenti così ricchi
ed espressivi nel loro linguaggio armonico.
Durante il soggiorno a Mannheim Mozart prese conoscenza dei Duetti
per violino e pianoforte del maestro alla corte di Dresda, Johann Schuster
(1748-1812) e li trovò interessanti, tanto da scrivere alla sorella Nannerl
di avere intenzione di comporre un tipo di musica adatta a valorizzare le
qualità del violino e del pianoforte, nel rispetto delle caratteristiche

597
tecniche dell'uno e dell'altro strumento. Nacque così tra l'altro la Sonata
K. 305 costituita di soli due tempi e improntata ad una festosa allegrezza
giovanile, che, a detta di alcuni esegeti mozartiani, rispecchierebbe il
nascente idillio amoroso tra il giovane Mozart e Aloysia Weber.
L'Allegro di molto si apre con un tema brillante e gioioso, ripetuto due
volte; subentra poi un secondo tema esposto dal pianoforte e poi ripreso
alternativamente dai due strumenti in una combinazione ritmica in tempo
di 6/8. Sia il violino che il pianoforte hanno la stessa importanza e non
manca qualche breve sortita solistica sia del primo che del secondo
strumento.

NANNERL MOZART

598
Nell''Andante grazioso, comprendente sei variazioni di purissima
eleganza inventiva, Mozart riesce a toccare effetti di piacevole gusto
musicale, nell'ambito di quello stile concertante che gli era congeniale.
La prima variazione è indicata dal pianoforte, mentre la seconda tocca al
violino; quindi il disegno tematico viene affidato ai due esecutori che si
alternano nella esposizione della quarta e della quinta variazione. Un
rapido movimento allegro conclude felicemente e con leggerezza la
Sonata K. 305, dove il violino e il pianoforte hanno un ruolo uguale e
distinto, secondo quell'unità di concezione artistica che appartiene alla
versatilità creatrice di Mozart.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 30 novembre 1990

SONATA PER VIOLINO E PIANOFORTE


N. 23 IN RE MAGGIORE, K1 306 (K6 300L)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro con spirito (re maggiore)

2. Andante cantabile (sol maggiore)


3.Allegretto (re maggiore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Parigi, luglio 1778
Edizione: Sieber, Parigi, 1778
Dedica: Maria Elisabeth, consorte dell’Elettore del Palatinato

Nel 1777 Mozart rinunciò al mal retribuito ufficio di


Konzertmeister del principe di Salisburgo e decise di «andare a cercare
fortuna altrove».
Partì insieme alla madre per Monaco e, dopo una permanenza di quattro
mesi a Mannheim, centro di uno stile strumentale e sinfonico ch'ebbe
grande influenza sugli sviluppi della scuola viennese, giunse nella
capitale francese dove si trattenne gran parte del 1778.
599
La morte della madre dopo una breve malattia e l'annuncio da parte del
padre che a Salisburgo l'attendeva un buon contratto, lo indussero,
seppure a malincuore, a riprendere la via del ritorno.
Sette sono le Sonate per violino che Mozart compose in parte a
Mannheim, in parte a Parigi; tra queste ultime figura la Sonata in re
maggiore K. 306.
Non entrando nei dettagli strutturali e formali che dimostrerebbero ora il
prevalere dello stile tedesco ora di quello parigino, qua la geniale fusione
dell'uno e dell'altro, altrove le soluzioni del tutto originali, basti
accennare che l'Andante cantabile, assai vicino a quello della Sinfonia
detta «la parigina», presenta una condotta più libera e uno sviluppo più
ampio delle Sonate di Mannheim, non senza accenti drammatici che ci
richiamano alla caratterizzazione espressiva, quasi teatrale, di gusto
francese.
Come pure, nel Finale, si fanno risalire all'influsso del soggiorno
parigino l'elegante rifinitura delle idee e il brioso scintillio ch'esse
producono nel vivace congiungersi e disgiungersi dei due strumenti,

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Geci, 24 marzo 1961

600
SONATA PER VIOLINO E PIANOFORTE
N. 24 IN FA MAGGIORE, K1 376 (K6 374D)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (fa maggiore)
2. Andante (si bemolle maggiore)
3. Rondò. Allegro grazioso (fa maggiore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Vienna, aprile - luglio 1781
Edizione: Artaria, Vienna 1781
Dedica: Josepha Auernhammer

Nel novembre 1781 l'editore Artaria pubblicò per sottoscrizione sei


Sonate per violino e pianoforte di Mozart, due delle quali erano state
composte a Mannheim (K. 298 e K. 378) e le altre a Vienna (K. 376, K.
377, K. 379 e K. 380). Esse apparvero sotto l'unico titolo «Six Sonates
pour le Clavecin ou Pianoforte, avec l'aceompagnement d'un Violon» e il
loro valore non sfuggì all'ambiente musicale, tanto è vero che
sull'autorevole periodico «Magazin der Musik» di quel periodo apparve
il seguente commento: «Queste Sonate sono uniche nel loro genere. Sono
ricche di nuove idee e mettono in evidenza il grande genio musicale del
suo autore. Sono assai brillanti e adatte al pianoforte e nello stesso tempo
l'accompagnamento del violino è così abilmente combinato con la parte
pianistica, che entrambi gli strumenti mantengono viva la nostra
attenzione. Queste Sonate richiedono un violinista esperto quanto il
pianista. Non è possibile in questa occasione compiere una descrizione
dettagliata di queste composizioni originali. Gli amatori e i conoscitori di
musica potranno eseguirle per il proprio piacere e si renderanno conto
che il nostro giudizio non è esagerato».
Sin dall'Allegro iniziale si avverte come la Sonata K. 376 rifletta lo stile
brillante e ingegnoso del musicista salisburghese, che mirava a dare una
buona reputazione di sé presso nei circoli artistici viennesi. Il pianoforte
espone per due volte il tema, cui risponde il violino, accompagnato dalle
biscrome dello strumento a tastiera. Subentra un secondo tema in chiave
di sol maggiore del pianoforte, seguito da un ritornello coinvolgente i
due strumenti e sfociante in un terzo tema, ripreso dal violino.
601
602
Lo sviluppo segue una linea melodica del tutto nuova, annunciata dal
pianoforte nella tonalità di do maggiore e ampliata da una serie di
imitazioni cui partecipano sia il pianoforte che il violino.
Il discorso musicale scorre con molta naturalezza e morbidezza di
fraseggio.
L'Andante in si bemolle maggiore ha un andamento cantabile nel dialogo
fra i due strumenti, fino a quando il tema sul tono della dominante viene
rilanciato dal violino su un trillo persistente del pianoforte. Non manca la
cadenza violinistica, ma tutto procede sino alla fine senza novità
particolari e con la consueta abilità espositiva, tipica dell'invenzione
mozartiana.
Il tema del Rondò si richiama ad una di quelle marce tanto care al
Settecento e utilizzate in più di un'occasione da Mozart.
Il tema è annunciato prima dal pianoforte e passa poi al violino con un
ritornello ricco di trilli e su armonie di segno contrastante.
C'è una interruzione brusca in re minore, cui segue una frase più distesa
in do maggiore, che, secondo il De Foix, riproduce testualmente il
frammento di una Sonata per pianoforte in fa maggiore scritta da Mozart
a Milano nel 1773.
Il violino, quindi, sviluppa una cadenza sul tema del Rondò e si apre il
sipario su un intermezzo in si bemolle maggiore, che si snoda con accenti
variamente espressivi.
La Sonata si conclude inaspettatamente, dopo tanta brillantezza di effetti,
in un'atmosfera di delicata tenerezza poetica, nella linea della catarsi di
derivazione aristotelica.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 19 aprile, 1989

603
SONATA N. 26 IN SI BEMOLLE MAGGIORE
PER VIOLINO E PIANOFORTE, K1 378 (K6 317D)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro moderato (si bemolle maggiore)
2. Andantino sostenuto e cantabile (mi bemolle maggiore)
3. Rondò. Allegro (si bemolle maggiore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Salisburgo, 15 gennaio - 23 marzo 1779
Edizione: Artaria, Vienna 1781
Dedica: Josepha Auernhammer

La Sonata K. 378 fu composta da Mozart a Salisburgo tra il 15


gennaio e il 23 marzo 1779 e, insieme a quella in do elaborata a
Mannheim, fu pubblicata nel novembre 1781, unitamente ad un gruppo
di quattro Sonate scritte a Vienna in quello stesso anno, dall'editore
Artaria con il titolo Six Sonates pour le Clavecin ou Pianoforte, avec
Vaccompagnement d'un Violon e dedicata alla pianista Josepha von
Aurnhammer. Il valore di queste pagine non sfuggì ai contemporanei,
tanto è vero che sull'autorevole «Magazin der Musik» di quel periodo
apparve il seguente commento: «Queste Sonate sono uniche nel loro
genere. Sono ricche di nuove idee e mettono in evidenza il grande genio
musicale del suo autore. Sono assai brillanti e adatte al pianoforte e nello
stesso tempo l'accompagnamento del violino è così abilmente combinato
con la parte pianistica, che entrambi gli strumenti mantengono viva la
nostra attenzione. Queste Sonate richiedono un violinista esperto quanto
il pianista. Non è possibile in questa occasione compiere una descrizione
dettagliata di queste composizioni originali. Gli amatori e i conoscitori di
musica potranno eseguirle per il proprio piacere e si renderanno conto
che il nostro giudizio non è esagerato».
Sin dall'Allegro moderato iniziale è possibile un'idea dell'ampiezza e
della varietà di sviluppo di questo componimento, costruito su quattro
temi nella doppia proposta affidata sia al pianoforte che al violino. La
musica scorre con naturalezza e punteggiata da una morbidezza di
fraseggio, appena leggermente velata da una delicata malinconia.

604
L'Andantino sostenuto e cantabile si avvicina formalmente alla romanza
per la tenerezza sentimentale che lo pervade. Lo scambio delle idee fra i
due strumenti avviene secondo un gioco alternativo, identico ed
equidistante, finché il dialogo si scioglie in una lunga coda in cui Mozart
dispiega la sua abilità inventiva, dimostrando di non essersi dimenticato
delle eleganti movenze della musica francese da lui conosciuta durante la
permanenza a Parigi nel 1778. Il Rondò fa pensare allo stile di Haydn per
la inesauribile vivacità e freschezza ritmica. Violino e pianoforte si
rincorrono fra di loro con brillantezza di accenti, finché si distendono e si
riposano all'ombra del tema principale, salutato con i pizzicati e i bicordi
dello strumento ad arco.
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 23 febbraio 1985

SONATA N. 27 IN SOL MAGGIORE


PER VIOLINO E PIANOFORTE, K1 379 , K6 373A
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Adagio (sol maggiore) e Allegro (mi bemolle maggiore)

2.Tema con 6 variazioni. Andantino cantabile (sol maggiore)


Organico: violino, pianoforte
Composizione: Salisburgo, 7 Aprile 1781
Prima esecuzione: Vienna, Kärntnertor Theater, 29 Aprile 1784
Edizione: Artaria, Vienna 1781
Dedica: Josepha Auernhammer

La Sonata in sol maggiore K. 379 si apre con un Adagio in 2/4


dall'espressione nobile e grandiosa, indicata prima dal pianoforte e poi
ripresa dal violino. Ha il tono di un preludio introduttivo quanto mai
vario nel gioco delle modulazioni fra i due strumenti, che passano dal do
maggiore al sol minore. Ed ecco il tema dell'Allegro in 3/4 esposto dal
pianoforte e rilanciato dal violino. Lo strumento a tastiera disegna una
linea energica e volitiva e intreccia un dialogo sostenuto e robusto con il
violino, tra imitazioni e figurazioni brillanti e di piacevole effetto.

605
L'Andantino cantabile è formato da cinque variazioni, più la ripetizione
del tema in tempo Allegretto e la chiusura con una coda dalle sonorità
dolcemente sfumate.

BRUNO CANINO

La prima variazione è affidata al pianoforte; la seconda al violino, che


dispiega particolare energia nella terza; la quarta variazione in sol minore
è molto appassionata, mentre l'Adagio della quinta, sorretta dai pizzicati
del violino, si richiama allo stile iniziale della Sonata, secondo quel
virtuosismo espressivo che è tipico della fantasia creatrice di Mozart.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 21 aprile 1989, Viktorija
Mullova violino, Bruno Canino pianoforte

606
SONATA N. 28 IN MI BEMOLLE MAGGIORE
PER VIOLINO E PIANOFORTE, K1 380 , K6 374F
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (mi bemolle maggiore)
2. Andante con moto (sol minore)
3. Rondò. Allegro (mi bemolle maggiore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Salisburgo, Aprile - Luglio 1781
Edizione: Artaria, Vienna 1781
Dedica: Josepha Auernhammer

La Sonata in mi bemolle maggiore K. 380 fu composta da Mozart


nel periodo compreso tra aprile e luglio 1781 e l'editore Artaria di Vienna
la pubblicò nel novembre dello stesso anno, insieme alle altre indicate
nel catalogo Koechel con i numeri 376, 377, 379, alle quali si aggiunsero
le Sonate K. 296 e 375, scritte in precedenza a Mannheim e a Salisburgo.
La rivista "Magazin der Musik" diede l'annuncio della pubblicazione,
sottolineando come queste composizioni racchiudessero sia gli aspetti
strettamente musicali che quelli virtuosistici. «Le Sonate - diceva la
rivista - sono uniche nel loro genere e recano il segno dell'inventiva
creatrice dell'autore. Le voci del violino e del pianoforte si intrecciano
artisticamente fra di loro, così da suscitare continuamente l'attenzione del
pubblico. Esse richiedono pari grado di abilità da parte dei due
esecutori».
Gli accordi iniziali dell'Allegro sono caratterizzati da un sentimento di
spigliata serenità, con modulazioni e imitazioni nel dialogo fra i due
strumenti. Mentre il secondo tema viene esposto dal pianoforte su
accompagnamento del violino, il terzo tema è affidato prima al violino e
poi al pianoforte.
Su questo impianto si snoda uno sviluppo armonico molto espressivo,
sino a giungere ad un accordo di dominante in do minore, da cui si
ritorna al primo ritornello dell'Allegro, contrassegnato ancora da
modulazioni di piacevole effetto.

607
SALVATORE ACCARDO

608
Una nuova cadenza fa seguito al terzo tema e il ritornello conclusivo si
presenta leggermente modificato e variato.
Un tema cantabile in sol minore viene indicato dal pianoforte
nell'Andante con moto; interviene il violino, questa volta nella tonalità di
si bemolle e con accenti delicatamente elegiaci.
Sia il pianoforte che il violino intessono un discorso punteggiato da
modulazioni e passaggi cromatici, che rendono più incisiva e penetrante
la linea del fraseggio musicale, secondo la tonalità di base di sol minore.
È il pianoforte ad avviare il tema brillante del Rondò, ripreso subito dal
violino e intrecciato con variazioni e domande e risposte fra i due
strumenti.
Dopo un intermèzzo in do minore del violino tocca al pianoforte
assumere il ruolo di guida, fino a quando riappare il tema già annunciato
nell'intermezzo.
Una coda frizzante e un ritornello non meno vivace concludono la
Sonata in mi bemolle maggiore, considerata tra le più esemplari nel suo
classicismo musicale.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 13 Gennaio 1989,
Salvatore Accardo violino, Bruno Canino pianoforte

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SONATA N. 33 IN MI BEMOLLE MAGGIORE
PER VIOLINO E PIANOFORTE, K 481
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Molto allegro (mi bemolle maggiore)
2. Adagio (la bemolle maggiore)
3. Allegretto con 6 variazioni (mi bemolle maggiore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Vienna, 12 dicembre 1785
Edizione: Hoffmeister, Vienna 1787

Mozart scrisse negli ultimi anni della sua vita tre importanti e
significative Sonate per violino e pianoforte: la Sonata in mi bemolle K.
454 composta nell'aprile del 1784, la Sonata in mi bemolle maggiore
apparsa nel dicembre del 1785 e la Sonata in la maggiore K. 526 che
reca la data del 24 agosto 1787 ed è la più brillante e geniale opera del
gruppo.
Egli stesso parlò della prima di queste Sonate in una lettera al padre del
24 aprile 1784, in cui diceva: «Abbiamo ora con noi la famosa
Strinasacchi di Mantova, ottima violinista. Suona con molto gusto e
sentimento. Al momento sto componendo una Sonata che eseguiremo
insieme giovedì al concerto che la violinista darà a teatro (29 aprile)».
Ma il giorno prima del concerto Mozart aveva scritto soltanto la parte del
violino, tanto che al momento della esecuzione in pubblico egli suonò a
memoria, con un foglio di carta bianca davanti agli occhi: una curiosità
che non sfuggì allo stesso imperatore Giuseppe II, conquistato dalle
eleganti fioriture del rondò finale in questa serata musicale viennese.
La Sonata in mi bemolle maggiore apparve un anno e mezzo dopo
(dicembre 1785) e il pubblico rimase conquistato dal fervore lirico
dell'Adagio e dal tempo finale articolato in sei variazioni, in cui il
compositore rivelò tra l'altro, la sua straordinaria abilità nel fondere e
amalgamare il suono del violino con quello del pianoforte.
Nell'ultima delle tre Sonate, quella in la maggiore K. 526, gli studiosi
dell'opera mozartiana hanno voluto cogliere un preannuncio e

610
un'anticipazione della Sonata «a Kreutzer» di Beethoven, più per la
vivacità dello stile dialettico che non per il sentimento drammatico che la
pervade.
Probabilmente la ragione di questa osservazione va spiegata nel senso
che tale Sonata fu elaborata durante la composizione del Don Giovanni e
risente quindi di una spigliata scrittura contrappuntistica.
La Sonata in mi bemolle maggiore rispecchia un perfetto equilibrio
formale nei tre movimenti e per questo motivo si iscrive tra i
componimenti della piena maturità mozartiana.
L'esposizione del Molto allegro iniziale contiene tre temi, presentati con
chiarezza armonica e poi riproposti nel riepilogo conclusivo.
Lavoro tematico e gioco di fantasia sono bene integrati fra di loro; uno
dei soggetti tematici riaffiora nella coda ed è costruito su uno dei motivi
della Sinfonia «Jupiter».
L'Adagio in la bemolle maggiore è un tema variato con varie
modulazioni e due ritornelli ed è contraddistinto da un sentimento di
assorta contemplazione, secondo un procedimento tipico della creatività
di Mozart.
Il violino svolge con straordinaria purezza espressiva la sua linea di
canto, proiettata verso un mondo di intensa spiritualità.
L'Allegretto si basa su sei eleganti variazioni di un tema di venti misure
di piacevole musicalità; la variazione finale passa dall'allegretto
all'allegro e cambia brillantemente di tempo, dal 2/4 al 6/8, in un clima di
serena distensione.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 8 maggio 1981

611
SONATA PER VIOLINO E PIANOFORTE
N. 34 IN LA MAGGIORE, K 526
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Molto Allegro (la maggiore)
2. Andante (re maggiore)
3. Presto (la maggiore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Vienna, 24 agosto 1787
Edizione: Hoffmeister, Vienna 1787

La Sonata inizia con un Allegro in 6/8 di tono deciso e perentorio,


seguito da una frase ad imitazione fra i due strumenti. Dopo il ritornello
appare il secondo tema, indicato con dolcezza dal violino, su
accompagnamento del pianoforte, il quale poi riespone il motivo
principale. Ancora un ritornello e quindi si riascolta un frammento del
tempo iniziale, arricchito da vivaci modulazioni nel gioco delle
imitazioni, secondo un discorso musicale estremamente vario e
mutevole, non privo di accenti un pò inquieti e nervosi.
L'Andante è contrassegnato da una espressione meditativa, avviata
all'unisono dai due strumenti e poi ripresa dal violino e successivamente
dal pianoforte, il cui canto sfocia in un accordo in fa diesis minore. Il
tema del violino nella tonalità di la minore esprime un sentimento di
tristezza, leggermente spezzato da accordi all'unisono e in sincope di
straordinario effetto emotivo. Lo sviluppo non aggiunge niente di nuovo
all'intonazione meditativa dell'intero movimento, all'infuori del fatto che
l'impostazione musicale lascia pensare ad un richiamo allo spirito
misuratamente razionalistico dello stile bachiano.
Il tema del Presto finale è una specie di moto perpetuo in forma di rondò,
alla maniera degli antichi maestri del sonatismo, fra cui Pietro Domenico
Paradisi, che Mozart deve aver certamente conosciuto in uno dei suoi
viaggi europei. La struttura dell'ultimo tempo è molto chiara e si svolge
con varietà di interventi da parte del pianoforte e del violino, in un
impasto di modulazioni e di giochi contrappuntistici di estrema eleganza,

612
con passaggi più diversi da una tonalità all'altra, dal fa diesis minore al re
maggiore e al do maggiore.
Alla fine ritorna anche il la maggiore con un richiamo al tema iniziale
della Sonata e prima che si giunga alla stretta conclusiva, tra accenti ora
piani e ora forti, nello spirito brillante del rondò, riecheggiante in un
certo senso il finale del Concerto per pianoforte e orchestra in la
maggiore K.488, scritto un anno prima di questa Sonata, di cui non si sa
a quale virtuoso di violino Mozart l'avesse destinato, secondo l'opinione
del celebre biografo e musicologo De Saint Foix.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia;
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 9 marzo 1984

SONATA N. 40 IN SI BEMOLLE MAGGIORE


PER VIOLINO E PIANOFORTE, K 454
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Largo (si bemolle maggiore)

2. Andante (mi bemolle maggiore)


3. Rondò. Allegretto (si bemolle maggiore)
Organico: pianoforte, violino
Composizione: Vienna, 21 Aprile 1784
Prima esecuzione: Vienna, Kärntnertor Theater, 29 Aprile 1784
Edizione: Torricella, Vienna 1784
Dedica: contessa Kobenzl, ma scritta per la violinista Regina
Strinasacchi

L'introduzione lenta, abbastanza rara nelle Sonate mozartiane, è


una sorta di maestosa preparazione allo scatto ritmico dell'Allegro col
suo tema di note staccate all'unisono fra i due strumenti e il brillantissimo
rincorrersi delle frasi sincopate.
Il tono festoso non si dissolve nemmeno nel breve sviluppo, che pure
comporta l'attraversamento di tonalità minori.
613
Nell'Andante invece Mozart scava in profondità e, come in tanti altri
capolavori del periodo maturo, crea un sublime "angolo di meditazione",
dove le inflessioni raffinatissime di melodia e armonia sono profuse
senza risparmio.

LA VIOLINISTA REGINA STRINASACCHI

614
Si ascolti, ad esempio, il senso di smarrimento del percorso armonico
nella parte centrale, non lontano da quello eccelso della vicina Fantasia
in do minore K. 475.
L'Allegretto finale, nella consueta forma del Rondò, proietta di nuovo
all'esterno l'anima mozartiana non tralasciando di concederci ancora un
tema principale particolarmente affascinante ed altri secondari scherzosi
e da Opera buffa, un gentile omaggio al virtuosismo della Strinasacchi.
Giulio D'Amore
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 16 maggio 1973

DODICI VARIAZIONI IN SOL MAGGIORE, K1 359 (K6 374A)


sul tema del Lied "La bergère Célimène" per pianoforte e violino

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


 Allegretto (sol maggiore)

Organico: violino, pianoforte


Composizione: Vienna, giugno - 4 luglio 1781
Edizione: Artaria, Vienna 1786

Al duo pianoforte-violino, caratteristico del salotto settecentesco,


adatto agli «amateurs» e quindi considerato minore nell'estetica dei
generi musicali, Mozart ha dedicato due serie di variazioni, diciotto
complessivamente, indicate nel catalogo di Ludwig Alois Friedrich von
Köchel con i numeri 359 e 360, diventati 374a e 374b nella sesta
edizione del catalogo, edita nel 1964 a cura di Franz Giegling, Alexander
Weinmann e Gerd Sievers. Le variazioni furono composte nel giugno
1781, dopo il distacco definitivo del maestro da Salisburgo e il
trasferimento a Vienna, come pigionante in casa Weber. Nacquero in un
periodo della vita di Mozart compreso fra Idomeneo e Il ratto dal
serraglio, prima delle nozze con Costanza.
Il tema, per questo genere di composizioni, spesso era tratto dai
«morceaux favoris» dell'epoca; nel caso particolare, alle Dodici
615
variazioni K. 359 lo spunto è stato offerto dal Lied «La bergère
Celimene» (indicata anche come «Silimène»), formato da sedici battute
in sol maggiore, una melodia per gradi congiunti, con due fuggevoli
inflessioni modulanti a do maggiore e al passaggio obbligato del re
maggiore (la dominante); le ultime quattro battute riproducono le quattro
iniziali, con qualche abbellimento pianistico: uno schema consueto, che
annuncia la preminenza del pianoforte, abituale nella letteratura
cameristica del tardo Settecento.
La melodia è piana, ovvia, a differenza di quella delle gemelle Sei
variazioni K. 360, più suggestiva se non altro grazie alla tonalità di sol
minore.

616
Quasi tutte le variazioni sono ligie alla tonalità (salvo la settima, in sol
minore), alla melodia e alla concatenazione armonica esposte nel tema; le
mutazioni hanno carattere ritmico, benché il passaggio dal ritmo binario
al ternario avvenga soltanto nelle variazioni quarta e dodicesima.
Per il resto, il trattamento è improntato allo stile «galante», imperniato
soprattutto sugli abbellimenti, ed illustrato dalle composizioni di un
maestro riconosciuto come Johann Christian Bach.
Qualche trovata rivela la mano del maestro, ad esempio il piccolo
monologo pianistico con la variazione del basso affidata alla mano
sinistra (var. III); una pastorale contrassegnata dall'entrata canonica degli
strumenti nella seconda parte della variazione (var. IV); la degradazione
del tema ad accompagnamento pianistico delle «broderies» del violino
(var. VII); il contrappunto a quattro parti (var. X) fra l'acuto e il grave
della tastiera, con un basso albertino intermedio e il tema originale
affidato al violino; un breve notturno, adagio, sul ritmo cullante del
pizzicato violinistico sincopato; infine, allegro, con l'arco, il violino
abbozza un finale da protagonista brillante.
La pubblicità sul «Magazin der Musik» delle Sonate per pianoforte e
violino di Mozart edite nel novembre 1781, avvertiva:
«l'accompagnamento del violino è così artisticamente intrecciato con la
parte pianistica che entrambi gli strumenti attrarranno continuamente
l'attenzione dell'uditorio».
L'annunzio è opportuna epigrafe anche per queste variazioni.
Claudio Casini

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 7 maggio 1971

617
COMPOSIZIONI PER
PIANOFORTE A QUATTRO MANI

ANDANTE E 5 VARIAZIONI, K 501


in sol maggiore per pianoforte a quattro mani

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 4 novembre 1786
Edizione: Hoffmeister, Vienna 1787

L'arte della variazione fu per circa due secoli il cavallo di battaglia


del virtuoso improvvisatore.
E fra i grandi successi pubblici di Mozart si contano alcune
improvvisazioni su temi propri e altrui davanti ai pubblici di Praga e di
Vienna.
Le Variazioni in sol maggiore su un tema originale sono datate 4
novembre 1786.
Esse fissano l'estro di Mozart improvvisatore di variazioni ornamentali,
dove il tema torna avvolto in figurazioni sempre più fitte, e del pari sono
un capolavoro di grazia concertante nel succedersi e rincorrersi dei canti
fra i due pianoforti.
Gioacchino Lanza Tomasi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 15 maggio 1974

618
FUGA IN DO MINORE PER DUE PIANOFORTI, K 426
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
 Allegro moderato (do minore)

Organico: 2 pianoforti
Composizione: Vienna, 29 dicembre 1783
Edizione: Hoffmeister, Vienna 1788

Nel 1788 Mozart ne ha fatto una trascrizione per Quartetto d’archi K 546

La Fuga in do minore fu completata il 29 dicembre 1783.


Essa viene alla conclusione di un periodo di infatuazione
contrappuntistica dovuto all'incontro del musicista con le opere di J. S.
Bach.
La Fuga è a quattro voci, ricca di artifici contrappuntistici, stretti ed
inversioni del tema.
Il do minore, secondo la tradizione viennese, è una tonalità drammatica.
Il tema ha difatti carattere di affermazione contrastata, carattere
sottolineato dall'esordio volitivo e dalla conclusione cromatica.
Questi due principi, ed il controsoggetto aperto da tre crome ribattute e
concluso da un trillo, dominano l'intero pezzo, sottolineano la
supremazia dell'emotività sulla scrittura rigorosa, e inducono Mozart ad
un contrappunto selvaggio.
L'immagine è quella di un turbine che travolga, in nome della passione, i
generi e la loro codificazione storica.
Gioacchino Lanza Tomasi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 15 maggio 1974

619
SONATA IN RE MAGGIORE
PER DUE PIANOFORTI, K1 448 (K6 375A)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro con spirito (re maggiore)
2. Andante (sol maggiore)
3. Allegro molto (re maggiore)
Organico: 2 pianoforti
Composizione: Vienna, Novembre 1781
Prima esecuzione privata: Vienna, casa Auernhammer, 23 Novembre
1781
Edizione: Artaria, Vienna 1795

«Presso gli Aurnhammer abbiamo suonato il Concerto a due [K.


365] e anche una Sonata a due [pianoforti] [K. 448] che avevo composto
espressamente per la circostanza e che riportò un vivo successo».
È questo il testo di una lettera di Wolfgang Amadeus Mozart
sull'accademia del 24 novembre 1781 a casa Aurnhammer: in repertorio
il concerto che aveva appena scritto per Fraulein Josephine
Aurnhammer, una delle sue prime allieve viennesi e, secondo il
compositore stesso, ottima pianista.
La scelta dei due pianoforti usciva dalla normale amministrazione e
permetteva a Mozart di giocare al meglio le sue carte per ricavare
maggiore pienezza sonora, ma soprattutto per sviluppare un dialogo
concertante; colpisce, infatti, l'arte con cui ha saputo equilibrare le due
parti pianistiche, nell'alternanza o nella simultaneità dei due esecutori che
intrecciano le sezioni, nella capacità di sfruttare appieno le sonorità e le
varie regioni della tastiera, garantendo equilibrio anche nelle sezioni
virtuosistiche.
E questo, naturalmente, salvaguardando la «buona forma» dal punto di
vista architettonico. È l'ambiente di festa a fare da sfondo dominante alla
Sonata, ispirata inizialmente a un concerto di Johann Christian Bach: sin
dal primo movimento, un diffuso sentimento di gaia leggerezza accoglie
l'ascoltatore.

620
Levità, brillantezza, sono i caratteri precipui dell'Allegro con spirito
iniziale, già dal primo gruppo tematico, tutto concentrato su energiche
asserzioni, volate, mulinanti arpeggi su figure di semicrome.

621
Per un attimo il secondo tema allenta la presa ritmica, con il suo arco
confidenziale di tipico gusto galante, ma già sopraggiunge il travolgente
Epilogo e un agile Sviluppo che, con l'inaspettato apparire di un nuovo
tema, mette in mostra la sublime maestria mozartiana nell'ordire la trama
complessa delle parti, ma senza sforzo apparente.
L'Andante è un tipico tempo di mezzo mozartiano, raffinato e discreto,
con un primo tema di Serenata e un secondo tema in continuità di
carattere con il primo.
Articolato in tre parti, spicca per quel suo stile cantabile e commuove per
i delicati colori armonici ed espressivi.
Un senso generale di pace si impadronisce della scena, inducendo a un
momento di calma e di meditazione dopo tanto spensierato correre. Ma
per poco: con il Molto Allegro, infatti, riprendono i giochi spensierati.
Formalmente si tratta di un assai esteso rondò, che richiama, almeno nel
carattere, alcuni passi del Ratto dal serraglio (risalente alla stessa epoca)
o persino, nel profilo tematico del refrain principale, il rivolto del tema
della Marcia alla turca K. 331.
Lo domina, anche nella sequenza degli episodi, degli interludi, delle frasi
di collegamento che Mozart, con la tipica perizia, accosta e giustappone
come segmenti a incastro, una sorta di mobilità ritmica continua senza
requie, fatta di corse impetuose, e di volate brillanti di carattere
virtuoslstico.
Tempus fugit, così in un baleno, la Ripresa del refrain principale per la
terza volta giunge a spazzare ogni indugio, concludendo in modo
smagliante l'intero movimento.
Marino Mora

Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 172 della rivista
Amadeus

622
SONATA IN RE MAGGIORE
PER PIANOFORTE A QUATTRO MANI, K1 381 (K6 123A)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (re maggiore)
2. Rondò alla polacca. Andante (la maggiore)
3. Tema e 12 Variazioni (re maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Monaco, 28 febbraio - marzo 1775
Prima esecuzione: Augsburg, Konzertsaal, 22 ottobre 1777
Edizione: Torricella, Vienna 1784

Gli studi più recenti dicono che Mozart compose questa Sonata a
Salisburgo, nel gennaio 1772, dopo il ritorno dal secondo viaggio in
Italia, che si era svolto tra l'agosto e il dicembre dell'anno precedente.
Aveva dunque in testa gli esempi di Niccolò Jommelli, oltre a quelli, già
ascoltati, di Johann Christian Bach, nel mettersi a scrivere una Sonata per
pianoforte a quattro mani, un genere, che, per l'epoca, era
sostanzialmente inedito, moderno.
E infatti un musicologo attento come Abert ha subito notato che si tratta
dell'avvicinamento a un campo nuovo e che "la distribuzione delle idee
musicali tra i due esecutori è ancora piuttosto semplicistica, limitandosi
per lo più a effetti d'eco o alla pura e semplice divisione tra melodia e
accompagnamento".
In effetti ci si trova davanti a un piccolo brano, che un Wolfgang
sedicenne aveva composto per sé e per la sorella Nannerl - che pare
conservasse gelosamente il manoscritto.
L'aspetto forse più curioso è una sorta di magniloquenza della scrittura,
l'avvicendarsi di temi grandiosi per una forma, in fondo, raccolta e intima
come era all'epoca quella del pianoforte a quattro mani: lo si lega
generalmente al fatto che Mozart in quel periodo stava entrando nel
cuore della composizione sinfonica - questa Sonata è nata tra la Sinfonìa
K. 114 e la K. 124 - e che dunque gli fosse rimasto nella penna qualcosa
del procedere "per masse" che è tipico della musica orchestrale.

623
Nicola Campogrande
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 22 febbraio 2008

NICOLÒ JOMMELLI

624
SONATA IN DO MAGGIORE
PER PIANOFORTE A QUATTRO MANI, K 521
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (do maggiore)
2. Andante (fa maggiore)
3. Allegretto (do maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 29 maggio 1787
Dedica: Babette e Nanette Natrop
«A Londra Wolfgang ha fatto il suo primo pezzo per 4 mani. Fino
ad oggi non era ancora stata fatta in nessun luogo una Sonata a quattro
mani» Leopold Mozart in una frase di discussa autenticità riportata dal
Nissen in un contesto sicuramente diverso da quello originario di cui non
c’è più fonte diretta.
Siamo nel 1765 presso “Hickford’s Great Room in Brewer Street” di
Londra, concerto in cui Wolfgang e la sorella Nannerl suonarono
separatamente ma anche insieme grazie alla Sonata in do maggiore
K19d che sembra sia stata composta appositamente per quel concerto.
Se la testimonianza fosse autentica si potrebbe pensare che Leopold
rivendicasse questo “primato” al figlio in buona fede in quanto all’epoca
non era molto diffuso l’interesse per questo genere (molto meno,
certamente, che nel secolo XIX, quando il pianoforte a quattro mani
divenne, fra l’altro, il mezzo più usato per la trascrizione di Sinfonie e
molta altra musica) e, nonostante i primi che scrissero per pianoforte a
quattro mani furono Sammartini, Johann Christian Bach e Jommelli (non
si hanno notizie precise sulla datazione dei loro più antichi lavori del
genere), non si sa se Mozart poteva conoscerli e verosimilmente le loro
opere non dovevano essere molto anteriori a quel 1765 in cui certamente
Wolfgang affrontò il nuovo genere e mostrò, anche in questo campo, una
notevole precocità.
Le edizioni a stampa di composizioni pianistiche a quattro mani non
sono molto numerose, ne molto antiche; le Sonate di J. Chr. Bach
rimasero manoscritte, Clementi cominciò abbastanza tardi a occuparsi
del genere e Mozart fece stampare i propri pezzi a partire dal 1783.
625
LEOPOLD MOZART

626
Wolfgang scrisse Sonate a quattro mani nel decennio 1765-1774 e nel
biennio 1786-1787 raggiungendo anche in questo ambito risultati
assolutamente senza precedenti, capolavori che ammettono ben pochi
confronti in tutta la letteratura pianistica e che definiscono con perfetta
compitezza una scrittura capace di valorizzare pienamente le peculiarità
del duo.
Il forte dislivello qualitativo tra le prime Sonate e il gruppo delle
composizioni successive non dipende solo dalla distanza cronologica; tra
il 1772 e il 1774 Mozart aveva scritto pagine ricche di un pensiero
musicale assai più profondo di quello rivelato dalla pur scorrevole
eleganza delle sue Sonate di quegli anni.
Il dislivello rivela proprio un atteggiamento diverso nei confronti del
genere (forse grazie anche a qualche suggestione di Clementi), una
volontà di affrontarlo con un impegno nuovo, prima evidentemente
ritenuto non necessario: come se il gusto della “novità”, il piacere delle
alternanze, dei giochi d’eco tra i due esecutori fosse di per se sufficiente
nel clima di piacevole “divertimento” mondano cui prevalentemente le
prime Sonate si attengono, come se esse risentissero proprio della loro
posizione di genere ancora “minore” e poco definito.
Queste considerazioni però non devono affatto indurre ad una frettolosa
liquidazione delle Sonate giovanili, che rivelano pur sempre la mano di
Mozart (soprattutto la notevole Sonata del 1774); ma sono
inevitabilmente suggerite dal confronto con un capolavoro come la
Sonata in fa maggiore k 497, che si colloca davvero molto più in alto.
Alla fine di maggio 1787 Mozart scrisse a Gottfried von Jacquin:
«Carissimo amico! – La prego di dire al signor Exner di venire domani
alle 9 per fare un salasso a mia moglie. Le accludo qui il suo Amynt e il
Kirchenlied. – Abbia la bontà di consegnare alla signorina sua sorella
la Sonata insieme ai miei omaggi; - le dica di applicarvisi subito perché
è un po’ difficile. – adieu.
Il suo amico sincero

Le comunico che oggi appena giunto a casa ho appreso la triste notizia


della morte del mio ottimo padre. – Si può immaginare il mio stato! -»

627
Difficile immaginarsi lo stato d’animo di Mozart ma che la morte del
padre appaia solo come un post scriptum, dopo una serie di notizie
spicciole, è forse dovuto al fatto che Mozart non si era ancora reso
veramente conto del significato di ciò che aveva appreso; ad ogni modo
la banale routine non viene trascurata. La Sonata per la «signorina sua
sorella» era la Sonata in do maggiore per pianoforte a quattro mani (K
521) scritta il 29 maggio e cioè un giorno dopo la morte del padre.
Questa Sonata è l’ultima composizione di Mozart per pianoforte a
quattro mani che fu pubblicata pochi mesi dopo con dedica alle sorelle
Nanette e Babette Natorp, figlie di un ricco mercante che faceva parte di
una cerchia di amici di Mozart comprendente anche il fratello della sua
allieva Franziska von Jacquin, Gottfried, alla quale la Sonata fu inviata
appena composta.
La dedica e la lettera citata fanno pensare che tra gli scopi della Sonata
fosse preminente quello di fornire ad una cerchia di amici “dilettanti” di
notevoli capacità un pezzo brillante, che ne mettesse bene in luce le
capacità e in effetti Mozart nella sua lettera a Gottfried von Jacquin
raccomanda “di applicarvisi subito perché è un po’ difficile”.
Rispetto alla Sonata K 497, o al mirabile Quintetto in sol minore K 516
(finito un paio di settimane prima), o al Don Giovanni (che andò in scena
il 29 ottobre 1787) la Sonata in do maggiore si colloca in una sfera più
serena e “leggera”, sembra segnare un ritorno al gusto
dell’intrattenimento, del “divertimento” delle Sonate giovanili, ma con
ben altra consapevolezza ed eleganza: basta osservare in quale nuovo
contesto si inseriscano i giochi d’eco e di alternanza tra i due esecutori.
In effetti le composizioni dell’ultimo decennio di vita di Mozart,
trascorso a Vienna come libero professionista, erano tipicamente scritte
per essere destinate al fiorente mercato dei dilettanti, i facoltosi esponenti
dell’alta società che avevano nel loro programma educativo lo studio
della musica e del pianoforte, strumento di rapide soddisfazioni e nato
dalla felice intuizione di un artigiano italiano, Bartolomeo Cristofori, che
nel 1726 creò una meccanica di produzione del suono non più basata sul
pizzico delle corde come avveniva nel clavicembalo, ma sulla
percussione con martelletti. In questo modo si superarono i limiti del
cembalo, che erano rappresentati soprattutto dalla mancanza di suoni
dinamici e prolungati nel tempo. Come tutte le grandi invenzioni, però, il
628
nuovo strumento non fu da tutti considerato subito come un’ovvia
evoluzione, ma trovò i suoi accaniti oppositori, nell’aristocrazia in
particolare: l’antitesi clavicembalo - pianoforte sembrò infatti
rispecchiare la contrapposizione aristocrazia – borghesia che negli ultimi
decenni del secolo sfociò in un drammatico conflitto.

MUZIO CLEMENTI

629
La vittoria della borghesia sembrò sottolineare anche la vittoria e
affermazione del pianoforte, strumento scelto per l’educazione musicale
dalle famiglie borghesi d’Austria, Germania, Inghilterra e Francia. Avere
un pianoforte in casa soddisfaceva molteplici aspetti della cultura
borghese: l’amore per l’innovazione tecnica, il raggiungimento di uno
status sociale, il poter eseguire senza limitazioni strumentali le arie ed i
ballabili in voga (grazie anche ad un incremento notevole della musica a
stampa) e quindi (ma non meno importante) l’amore per l’Hausmusik.
La Hausmusik è la pratica strumentale ad uso casalingo e quindi
dilettantistico, nel significato originario del termine (cioè colui che si
diletta) e non nell’accezione negativa cui oggi siamo destinati a pensare.
In questo vastissimo repertorio troviamo innanzi tutto opere didattiche,
poi trascrizioni per pianoforte di brani famosi, ballabili, canzoni e brani
in cui il pianoforte era utilizzato come strumento accompagnatore di voci
od altri strumenti.
Ad affiancare questa realtà musicale, per poi fondersi con essa, troviamo
quella che è la letteratura per gruppi strumentali che invece non
privilegia la linea melodica di un solo strumento, ma che si sviluppa
nelle cosiddette parti reali, quindi parti con una precisa identità musicale
e non solo di accompagnamento.
Stiamo parlando della Kammermusik o musica da camera, che nel
Settecento segue due tendenze diverse. Da una parte quella
d’intrattenimento, mirata ad una scrittura prettamente “dialogata”: i
diversi strumenti sostengono a turno la parte melodica o d’abilità;
dall’altra compie una ricerca più ardita e profonda rivolta ad un pubblico
maggiormente colto. I risultati musicali sono caratterizzati da una
maggiore libertà nelle forme musicali utilizzate e nell’uso meno
convenzionale dell’armonia.
Piacevolezza e arduo intellettualismo convivono quindi negli stessi autori
e negli stessi generi, coprendo tutto l’arco delle esigenze di un pubblico
di dilettanti che andava da aristocratici musicofili fino al più umile
dilettantismo del salotto borghese e dell’intrattenimento domestico della
Hausmusik.
Da questo panorama trae origine il pianoforte suonato da due esecutori,
vale dire a quattro mani. Infatti la formazione pianistica a quattro mani

630
era all’inizio pensata prettamente per esecuzioni casalinghe con
trascrizioni facilitate di brani più complessi oppure semplici duettini e
ballabili. Come abbiamo detto prima, però, in ogni situazione convivono
aspetti anche opposti, quindi con compositori come Haydn e soprattutto
Mozart arriviamo ad avere una letteratura per pianoforte a quattro mani
in cui convivono piacevolezza amatoriale ed applicazione della ricerca,
in particolare nell’uso delle nuove forme musicali del momento.
La Sonata K521 in Do maggiore rientra a pieno titolo nella mescolanza
d’intenti culturali e musicali di cui sopra: abbiamo sia la presenza della
scrittura dialogata, quindi l’alternarsi di frasi melodiche o virtuosistiche
tra i due esecutori, sia la ricerca applicata a quella che è la forma più
importante della seconda metà del XVIII secolo: la Forna-sonata.
La Forna-sonata è bitematica e tripartita, ossia si compone di due temi
principali che sono articolati in tre sezioni; nella letteratura del
Classicismo e poi del Romanticismo in questa forma sono composti i
primi movimenti delle Sonate e delle sinfonie.

L’Allegro
Nell’incantevole freschezza del primo movimento va notata la
tendenza a ricondurre tutto il materiale tematico al tema iniziale.
Anche nella felicità luminosa di questa pagina con mancano tocchi
chiaroscurali, presenti soprattutto nello sviluppo.
Il primo movimento scritto in forma di sonata si articola in tre momenti
fondamentali: esposizione, sviluppo e ripresa.
Nell’esposizione vengono esposti appunto quelli che sono i temi
principali, denominati primo e secondo tema, ed hanno tonalità e
caratteri completamente differenti (incisivo e forte il primo, cantabile il
secondo).
Lo sviluppo è la parte in cui il materiale tematico viene elaborato con
scambi melodici e virtuosistici tra i due esecutori.
Infine nella ripresa si ritorna ai temi dell’inizio della composizione, ora
riesposti entrambi nella tonalità principale.

631
L’Andante
Il secondo movimento è un Andante, costruito in una forma A-B-
A. La prima sezione A é molto cantabile in una tonalità maggiore
orientata verso le sonorità e il carattere di una Serenata per fiati o di un
duetto fra innamorati.

GOTTFRIED VON JACQUIN

632
La seconda sezione B é in tonalità minore e di carattere drammatico, in
cui gli esecutori sono alle prese con una serie di arpeggi di
accompagnamento che enfatizzano il carattere agitato. La voce di Zerlina
si insinua nelle pieghe del discorso melodico; c’è quasi una citazione
dell’aria “Vedrai carino” sulle parole “E’ naturale”. La sezione centrale
del brano, in contrasto a quelle esterne, racchiude un episodio turbolento
e appassionato (in re minore) e una scrittura molto più tesa e frantumata
(sfogo tipico di Mozart, sortita sempre improvvisa, se pur prevedibile,
usata come mezzo stilistico) che se da un lato si avverte la vicinanza
dell’opera coeva, all’epoca ancora in corso di composizione, dall’altro
ricorda lontanamente il Concerto K466 (composto un paio d’anni prima).
La terza sezione conclude il movimento con il ritorno alla parte A, alla
quale segue una piccola coda conclusiva e chiaramente affermativa.

L’Allegretto
L’Allegretto conclusivo combina secondo uno schema consueto il
rondò con la forma sonata, alternando il semplice, affascinante refrain a
due episodi (il primo dei quali viene ripreso come un secondo tema).
Il Rondò si rifà ad antiche forme poetico-musicali di struttura circolare,
in cui una strofa o un tema musicale ritorna costante, spesso intercalato
da elementi secondari mai ripetuti ma ogni volta nuovi. Nell’età della
Sonata il Rondò divenne molto comune come finale, sfruttando la
vivacità dei temi popolareschi a cui spesso si ispirava, l’estrosità delle
diversioni e il forte senso di gioco che è insito nelle periodiche
riapparizioni del tema di base.
Stupisce la calma assoluta (ma anche in questo caso apparente) del Finale
(Allegretto), il cui tema innocuo non lascia presagire la metamorfosi
seguente, non improntata a una svolta demoniaca, o almeno non subito,
ma che di certo é molto più vivace. Così abbiamo una serie di episodi
caleidoscopici come nell’ultimo movimento della K 448, illustre
precedente di questo lavoro.
Le ombre del secondo movimento, o meglio di quella zona centrale,
tornano man mano che il tempo si sviluppa, con foschi arpeggi in minore
che intervengono di colpo, o vengono di colpo interrotti dal ritorno del
tema iniziale molto tranquillo.

633
Si può notare che l’inizio di questo movimento è comparabile con
l’inizio dell’allegretto che chiude la k330 in quanto condividono la stessa
figura ritmico-melodica di apertura: un Mi da un ottavo puntato seguito
da due trentaduesimi e un salto di quinta alla tonica Do.
Questa Sonata raccoglie “valutazioni” molto variegate, di seguito riporto
una scala graduata delle stesse: Albert la trova “meno significativa”,
Einstein “splendida”, Paumgartner “un gioiello”: il francese Saint-Foix
trova il movimento con l’accenno a Zerlina “liederistico”, cioè tedesco, e
il tedesco Albert lo trova “in forma di rondò alla francese”; Dennerlein lo
definisce “un tranquillo canto”. Nessuno pensa a Zerlina, eppure questa è
l’unica ipotesi che si riesca a provare – senza che a ciò però si possa
collegare alcun significato. Mozart non ha amministrato consciamente il
suo patrimonio di idee, non gli era necessario memorizzare.
Francesco Trocchia
Il maesto Francesco Trocchia ha scritto due cadenze per il terzo tempo
(Allegretto) della Sonata K 521 dedicandole al duo Simone Renzi e
Paolo Ferrarelli, che sono state commentate da Claudio Grasso

Il problema non è cadenzare ma sapersi rialzare


Abbiamo un po' stravolto il detto per entrare immediatamente al
centro della questione: cos'è una cadenza e a cosa serve? La cadenza è
una breve "fermata" in cui un solista fa sfoggio delle proprie capacità
virtuosistiche. Ha una storia secolare la cadenza e ha visto in campo veri
scontri tra solisti e compositori. Pur essendo tradizionalmente un
momento di improvvisazione, infatti, la prima cadenza importante nella
storia è stata scritta da un compositore, Bach padre, che nel quinto
concerto Brandeburghese ha in un certo senso messo la firma sul genere
meno tedesco della storia musicale (il Concerto, per l'appunto). La voglia
di essere il primo interprete di se stesso è tipica dei compositori-virtuosi,
e anche Mozart ha fatto la sua parte. Nel catalogo Koechel, al numero
624, abbiamo 36 cadenze originali, che non sono neppure le uniche
esistenti.
Ma cosa fare quando non c'è una cadenza originale? Lo spettro della
filologia musicale ci direbbe di non fare nulla, di stare zitti e calmi in

634
corrispondenza di quelle sospensioni che sullo spartito ci gridano di
cadenzare.
Per fortuna a volte c'è anche chi rischia di fare cose belle.

635
Le due belle cadenze scritte dal M° Trocchia e dedicate al duo Renzi-
Ferrarelli colgono, in poche battute, il senso della Sonata K521 e del
terzo movimento in cui si trovano.
Di norma i pezzi a 4 mani instaurano, volenti o nolenti, gerarchie tra i
due pianisti.
Mozart era abituato a piegare queste gerarchie, a orchestrarle senza
stravolgerle: avete presente quei momenti stupendi in cui dal nulla
appare un corno inglese con la melodia mentre i violini fanno
l'accompagnamento?
Ecco, il canto accompagnato è presente anche in questa Sonata, ma non
c'è uno solo che canta e uno solo che accompagna.
In questa passeggiata a due, le cadenze sono momenti di riflessione, non
di rivalsa.
Per riflettere, i due pianisti rielaborano i temi unendoli a un movimento
cromatico.
E quello che ne esce fuori sono attimi di inganno, armonico e
anacronistico, che sono un po' la metafora dell'ascolto musicale: a cosa
penso quando ascolto Mozart?
E perché non esprimere i miei pensieri durante la cadenza?
Il bello di questo Rondò è che il pensiero non dura molto, non quanto la
musica.
E' anche un po' il bello di Mozart, che ci insinua dubbi senza chiarirli,
che mentre siamo ancora fermi a pensare ci chiede di ballare e cantare.
L'importante non è cadenzare, lo abbiamo già detto, ma rialzarsi e
riprendere da dove ci eravamo fermati.

636
SONATA IN SI BEMOLLE MAGGIORE
PER DUE PIANOFORTI, K1 ANH 42, K6 375B
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Grave (si bemolle maggiore)
2. Presto (si bemolle maggiore)
Organico: 2 pianoforti
Composizione: Vienna, inizio 1782
Il Grave in si bemolle maggiore è il frammento di una Sonata per
due pianoforti rimasta incompiuta.
Esso segue la composizione della Sonata in re maggiore K. 448.
E' probabile che Mozart avesse intenzione di ampliare il suo repertorio
per due tastiere, lieto del successo ottenuto nel novembre 1781 con la
presentazione pubblica a Vienna della Sonata in re maggiore, interpretata
da lui stesso e dalla signorina Josephine von Aurnhammer.
In una lettera dell'agosto 1781 Mozart lascia intendere che Josephine è
innamorata di lui, ma egli infierisce contro la sua bruttezza e le sue pene.
Ed è forse ad una rottura definitiva che va imputata l'interruzione della
Sonata in si bemolle, rimasta al Grave e a poche battute di un Presto.

Gioacchino Lanza Tomasi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 15 maggio 1974

637
SONATE, FANTASIE E RONDÒ PER PIANOFORTE

FANTASIA IN DO MINORE
PER PIANOFORTE, K1 396, K6 385F
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
 Adagio (do minore)
Organico: pianoforte, violino
Composizione: Vienna, agosto - settembre 1782
Edizione: Cappi, Vienna 1802 (Come Fantasia per pianoforte)

Incompiuta, è stata completata dall’abate Maximilian Stadler come


"Fantasia per pianoforte solo" e come tale oggi conosciuta

La Fantasia in do minore KV396 è del 1782, come quella in re


minore, ed è anch'essa incompiuta e fu completata probabilmente da
Maximilian Stadler.
Il manoscritto ha anche un pentagramma per una parte di violino, che
però compare solo per alcune battute.
Ma questa incompiutezza non ne sminuisce assolutamente la potenza,
simile alle sculture lasciate da Michelangelo appena sbozzate in alcune
loro parti. Inizia con una sezione preludiante percorsa da arpeggi e da
scale, che man mano si dilatano e si gonfiano in grandi ondate, che poi
s'infrangono tra ardite dissonanze.
Dopo una pausa, scoppia un folgorante accordo di mi bemolle maggiore,
seguito da veloci scale e da una cadenza, in cui Mozart mette a frutto una
tecnica pianistica derivata da Muzio Clementi, sebbene proprio in quel
tempo mettesse in guardia la sorella dal praticarla, perché avrebbe
rischiato "di guastare la sua mano calma e ben impostata e di farle
perdere la leggerezza naturale e l'agilità".
Tutta la seconda parte è di mano di Stadler, il cui completamento ha il
merito di non naufragare miseramente al confronto con la parte autentica,
ma resta estraneo alle tensioni espressive e alle novità formali della
prima parte e trasforma l'intensa e interiore tragicità mozartiana in una
drammaticità un po' esteriore.
638
Mauro Mariani
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma Auditorium Parco della Musica, 23 gennaio 2004

FANTASIA PER PIANOFORTE IN DO MINORE, K 475


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
 Adagio. Allegro (do minore). Andantino. Più Allegro. Tempo
primo
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 20 Maggio 1785
Edizione: Artaria, Vienna 1785
Dedica: Therese von Trattner

In continuità con il filone della Toccata bachiana per


l'immediatezza di scrittura, la spontaneità improvvisativa e la limpidezza
del processo stilistico, la Fantasia in do minore K. 475 di Mozart rivela
anche caratteristiche diverse se la si osserva dal punto di vista
temperamentale. Molti osservatori l'hanno considerata quasi
«beethoveniana» per il clima cupo e turbinoso, per la forte personalità e
frontalità dei temi, per l'estrema variabilità e l'intenso contrasto delle
idee.
La Fantasia K. 475 rivela una trasparente organizzazione formale: un
Adagio ai due poli estremi che funziona da Preludio introduttivo e
Postludio finale, quasi a perimetrarne il territorio dei contenuti
espressivi; al suo interno un Allegro a due temi richiama un'esposizione
di Sonata ed è seguito da un Andantino tripartito (ABA').
La Fantasia - scritta in un sol giorno il 20 maggio 1785 - fu pubblicata
da Mozart insieme alla Sonata K. 457. Il compositore aveva
intenzionalmente avvicinato i due brani giudicandoli in forte affinità,
avendo probabilmente sentito l'esigenza di creare una solida base alle
qualità prorompenti della Sonata.
La Fantasia ne sarebbe stata infatti il suo splendido ed enigmatico
preludio. Aveva però contemporaneamente voluto salvaguardare il valore
639
di autonomia della Fantasia stessa (quindi di sua eseguibilità «a parte»)
costruendola come un congegno del tutto completo sotto l'aspetto
architettonico e compiuto sotto quello puramente espressivo.
THERESE VON TRATTNER

Sin dall'inizio quel tema misterioso e interrogante, unito all'inquieta


risposta all'acuto, sembra un minaccioso addensarsi di nubi. Si tratta di
una sorprendente concezione sinfonica della scrittura pianistica: il tema,
presentato in forte e unissono, pare ricalcare un partecipato inciso degli
archi, mentre la risposta, in pianissimo, simula la voce dei fiati con
un'opposizione marcata di timbri sottolineata dai contrastanti f-pp

640
ripetuti, elemento che fra l'altro conferisce a queste prime battute un
andamento solenne e teatrale.
Il tema si trasforma presto in una melodia lunga sull'ondulato sostegno
del grave e ancora passa alla mano sinistra, come fosse intonato dalla
tenera voce di celli e contrabbassi. Il secondo elemento è invece di spirito
totalmente opposto: stabile tonalmente, tenero e affettuoso,
inconfondibilmente mozartiano. È un momento di calma e tranquilla
cantabilità che pare voler far superare il dramma iniziale.
Tutto però si prepara a cambiare: d'improvviso irrompe l'Allegro con il
suo tema agitato, fratto, disperso in piccoli incisi su registri diversi. Si
scatena una sorta di violenta tempesta: nei flessuosi appoggi semitonali
della mano sinistra, nelle veementi quartine di semicrome della destra,
nei ritmi incalzanti e nelle cadenze evitate. Come era avvenuto
nell'Adagio, va ora profilandosi un secondo tema di stampo più
moderato; richiama un ambiente galante, costruito com'è su deliziosi
arpeggi, morbidi appoggi discendenti, piccole e deliziose
ornamentazioni. Poi il basso prende a scivolare progressivamente per
semitoni, e così facendo unisce il suo movimento alle mobili e avvolgenti
terzine della mano destra. Si apre un grande recitativo declamato che
enfaticamente prepara il mutamento di tempo.
È infatti il momento dell'Andantino, aperto da un'idea semplice e
graziosa. Proprio da questo movimento in poi Mozart innesca un fitto
reticolo di rimandi - espliciti o meno - alle sezioni precedenti,
intensificando il ricorso all'artificio della variazione: l'idea graziosa sopra
citata, ad esempio, è tratta da un piccolo inciso cadenzale della sezione di
collegamento e più volte è sottoposta a vari livelli di mutazione. I ritorni
tematici sono ogni volta collegati da un breve interludio, il cui tranquillo
procedere per doppie terze - sul regolare e docile accompagnamento del
basso - ricorda una dolce frase intonata dai legni. Nel finale l'idea
graziosa compare in una forma molto particolare: via via sfaldata e
sfrangiata su cadenze irrisolte; ripetuta a oltranza si autodis\solve nelle
sue stesse ripetizioni.
Brucianti e improvvise, irrompono le velocissime quartine in biscrome
del Più Allegro. Richiamano toni e movenze del precedente Allegro e
presto si esauriscono in un arpeggio dai toni preludianti, con alcune
figurazioni tratte da un'altra sezione dell'Allegro (il moto per terze
641
discendenti). Come si vede il materiale ritorna ancora, ogni volta
trasformato, in un fitto e imprevedibile intreccio di richiami. Mozart ci ha
così preparati all'avvento dell'epilogo, ovvero il ritorno a specchio
dell'Adagio iniziale. Ma si guarda bene dal riproporlo con lo stesso
percorso e con le stesse dimensioni. Pochi istanti e una digressione
armonica interviene a modificarlo radicalmente: le comparse tematiche e
i motivi si presentano ravvicinati, ridotti, come espunti dalla pagina
iniziale per essere ora riproposti in termini diversi: un procedimento di
sintesi teso a concentrare e addensare le idee, per poterle cogliere in
profondità.
Marino Mora
Roma, Teatro Olimpico, 12 gennaio 1967 Testo tratto dal n. 66 della
rivista Amadeus

FANTASIA PER PIANOFORTE


IN RE MAGGIORE, K1 397, K6 385G
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
 Andante (re maggiore). Adagio (la minore). Presto. Tempo primo.
Allegretto (re maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, Agosto - Settembre 1782
Edizione: Bureau d'Art et d'Industrie, Vienna 1804

Incompiuta, è stata completata da A. E. Müller

La composizione della Fantasia in re minore per pianoforte va


collocata tra gennaio e dicembre del 1782, anche se il manoscritto
originale del pezzo è andato perduto e di esso non c'è alcun riferimento
negli scritti e nella corrispondenza dell'autore.
Secondo gli studiosi mozartiani la Fantasia risente, almeno dal punto di
vista formale, dell'influenza di Philipp Emanuel Bach e di Haendel, che
avevano trattato più volte questo tipo di composizione un po' rapsodica e
senza gli schemi prestabiliti.

642
Infatti il brano rientra nel genere delle improvvisazioni, realizzate dal
musicista salisburghese nel corso dei suoi innumerevoli Concerti
pianistici, dove si dispiegavano congiuntamente l'estro inventivo e il
talento virtuosistico dell'artista.
L'Andante iniziale è immerso in un clima sospeso e sembra svolgersi
senza un tema preciso, quasi a preparare meglio il clima espressivo
dell'Adagio, così intimamente cantabile nel suo recitativo patetico,
seguito da un ritornello vivace e brillante, fatto di modulazioni morbide e
delicate.
Ritorna quindi la frase dell'Adagio in la minore, nucleo centrale del
pezzo, dove si respira un sentimento di malinconica poesia da Lied.
Con il tema dell'Allegretto (un Rondò in re maggiore) muta l'atmosfera
psicologica e tutto diventa più lieto e gioioso, in una varietà di brevi
punteggiature ritmiche e timbriche che appartengono alla fantasia
creatrice mozartiana.
Certamente il brano è estremamente conciso (poco più di sei minuti di
musica) e non offre spazio ad un'analisi molto ampia e dettagliata, ma è
rivelatore del temperamento di inesauribile freschezza pianistica di un
autore che anche nelle improvvisazioni ha lasciato il segno della sua
genialità.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma Auditorio di Via della Conciliazione, 6 Dicembre 1985

643
RONDÒ PER PIANOFORTE IN RE MAGGIORE, K 485

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


 Rondò. Allegro (re maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 10 Gennaio 1786
Edizione: Hoffmeister, Vienna 1786

Scritto per Charlotte Würben

Poche notizie si hanno in genere sulla genesi dei molti brevi brani
pianistici del catalogo di Mozart, la cui nascita è legata a circostanze che
rimangono nell'ombra. È questo anche il caso del Rondò in re maggiore
K. 485 e dell'Adagio in si minore K. 540.

ANDRAS SCHIFF

644
Il Rondò K. 485, ad esempio, non venne inserito da Mozart nel proprio
catalogo personale e la datazione del 10 gennaio 1786 risulta
dall'autografo; forse fu pensato in vista di una pubblicazione.
Si tratta di un Rondò piuttosto articolato e brillante basato, con poche
deviazioni, sulle varie fortune del capriccioso tema di base. Tuttavia il
fine ricreativo è raggiunto con il ricorso a una tecnica non
particolarmente impegnativa, il che lascia pensare che la pagina fosse
destinata a qualche allieva o a qualche nobile "dilettante".
Arrigo Quattrocchi
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma Auditorium Parco della Musica, 20 Febbraio 2009, Andras
Schiff pianoforte

RONDÒ IN FA MAGGIORE PER PIANOFORTE, K 494


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
 Andante (fa maggiore)

Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 10 giugno 1786

In seguito confluito nella Sonata per pianoforte K 533

Il Rondò in fa maggiore K. 494, datato 10 giugno 1786, fu scritto


per qualche allievo o allieva, come quello precedente in re maggiore, e
segue la forma standard del Rondò, con un refrain dal terna melodico e
cantabile inframezzato da episodi contrastanti.
Nel 1788 Mozart si servì di questo Rondò come ultimo movimento della
Sonata in fa maggiore K. 533 e in tale occasione, per attenuare lo scarto
tra questo pezzo così scorrevole e vivace e i due precedenti movimenti,
più intensi e complessi, lo irrobustì con l'aggiunta di un'elaborata
cadenza contrappuntistica e di una coda che scende nelle profondità del
registro grave e svanisce in un pianissimo.

645
Mauro Mariani

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma Auditorium Parco della Musica, 23 gennaio 2004

RONDÒ PER PIANOFORTE IN LA MINORE, K 511


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
 Andante (la minore)

Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 11 Marzo 1787
Edizione: Hoffmeister, Vienna 1787

ANDRAS SCHIFF

646
Fra i singoli movimenti di Sonata spicca decisamente il Rondò in
la minore K. 511, terminato l'11 marzo 1787.
Nato dunque all'ombra del Don Giovanni, si mostra lontanissimo da quel
virtuosismo brillante e alla moda che, appena pochi mesi prima,
affascinava l'aristocrazia viennese.
Si tratta di una pagina sorprendente, un Andante di dimensioni
inconsuete e di contenuto quasi improprio rispetto alla giocosa forma del
Rondò; sobria nella scrittura, si apre con un tema dal sapore vagamente
esotico e dal carattere malinconico, che puntualmente si ripresenta nel
corso del pezzo, alternandosi con delle sezioni di ambientazione analoga
e coerente.
Soprattutto, l'elemento più innovativo è quello del cromatismo, che
pervade tutta l'invenzione tematica del pezzo; così l'intero brano è
pervaso da un pathos che si qualifica come un risultato espressivo inedito
e conferisce alla pagina la statura del piccolo capolavoro.
Arrigo Quattrocchi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 6 Marzo 2009, Andras Schiff
pianoforte

647
SONATA PER PIANOFORTE N. 2
IN FA MAGGIORE, K1 280 (K6 189E)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro assai (fa maggiore)
2. Adagio (fa minore)
3. Presto (fa maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Salisburgo, autunno,1774
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1799

La celebre precocità creativa di Mozart non riguarda le Sonate per


pianoforte la cui prima serie (K. 279-284) venne composta a Salisburgo
'solo' intorno al 1774.
Quello della Sonata per tastiera era un genere delicato da trattare, in parte
perché aveva già recenti modelli con cui confrontarsi, prima di tutto
Haydn e C. Ph. Emanuel Bach, in parte per il motivo contrario: gli
strumenti a tastiera stavano subendo all'epoca una veloce evoluzione e la
tradizione esecutiva del vecchio clavicembalo, in virtù delle sue
caratteristiche di strumento a pizzico, non poteva offrire un repertorio
all'interno del quale scegliere soluzioni molto adatte alle caratteristiche
del fortepiano. Ciò non significa che il linguaggio del clavicembalo
venisse dimenticato di colpo; anzi, molte sue eredità vengono interpretate
alla luce della caratteristica più evidente del nuovo strumento, quella di
poter evidenziare alcune linee e lasciarne altre in ombra.
Mediare fra tradizione e nuovi modelli è così per la Sonata in fa
maggiore K. 280 inevitabile e opportuno. Vi si registra l'influenza della
scrittura per tastiera di Haydn, in particolare quella della Sonata in fa
maggiore n. 23, nonché la presenza della tradizione esecutiva precedente,
da quella 'galante' in stile italiano (in primis nell'elaborazione di J.
Christian Bach) a quella ancor più antica legata alla Suite con le sue
danze idealizzate. Il sincretismo degli stili è infatti una delle componenti
più affascinanti della creatività di Mozart.
Così il motto iniziale della Sonata K. 280 funziona da incipit solenne che
può ricordare l'esordio di un compito Minuetto. Ma la situazione evolve
648
subito in una melodia cromatica discendente la cui frammentazione porta
poi a una serie di quartine. Questo processo dura pochi secondi e ci
appare del tutto 'naturale': ma è il sapiente aumento dell'agogica ritmica
(motto solenne, linea melodica, veloci quartine con gioco cadenzale) a
costruire un percorso musicale che mira a tenere desta la nostra
attenzione. Mozart non trascura mai l'ascoltatore, nel senso che la sua
musica possiede ritmi vitali che risultano dal perfetto dominio del
'movimento' della tessitura sonora. In una dialettica di sezioni
differenziate ma unificate da logiche di espansione e contrazione,
l'omogeneo flusso di terzine seguente funziona così da zona ritmica
costante che compensa l'agogica crescente dell'inizio.

MOZART A 4 ANNI

649
Questa nuova sezione acquista rifrangenze tipiche del futuro diteggiare
pianistico e porta a una zona successiva, quella del secondo tema,
annunciato da un motto di tre note ascendenti al basso. Essa si apre
alternando il motto di tre note in questione a flussi di quartine, giocando
quindi su un contrasto di figure (lenta ascesa di note dal basso in
alternanza a grappoli di suoni discendenti all'acuto) che sarà tipico anche
dello 'sviluppo' (la parte 'centrale' di un tempo in forna-sonata, termine
che designa la struttura ricorrente di questi brani classici) in cui si
combinano o si approfondiscono elementi precedenti.
Questi pochi cenni sono sufficienti a chiarire come sia sottile la strategia
musicale che guida le scelte del nostro compositore. Scelte che guardano
anche al futuro: la chiarezza strutturale che caratterizza il primo
movimento, l'equilibrio sapiente delle sezioni contrastanti che sublima un
linguaggio formale generalmente accettato, si arricchisce già di
sfumature cromatiche, anche se ancora temperate dal solare stile
dell'epoca.
Più ombrosi appaiono invece alcuni momenti del brano centrale, Adagio,
l'unico in modo minore di tutte le Sonate mozartiane, costruito sopra un
ritmo trasfigurato di Siciliana, danza dall'andamento cantabile e cullante
di cui Mozart accentua la natura malinconica collocandone la tipologia
ritmica nell'indicazione dinamica, appunto, di 'Adagio'. Magnifici i
chiaroscuri tra modo maggiore e modo minore che egli riesce a creare nel
brano, quasi comparissero a tratti dei raggi di luce sul tessuto sonoro.
Si torna alla solarità nel Presto finale che porta in campo una miscela di
partenze, fermate, sezioni brillanti, soluzioni estrose, tra le quali spicca
una formula ritmica dal carattere 'ornitologico' (sembra il verso di un
volatile, lo si sente alla sola mano destra pochi secondi dopo l'inizio del
brano), il cui lieve tratto ironico dà al pezzo un carattere molto
particolare.
Simone Ciolfi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 12 giugno 2008

650
SONATA PER PIANOFORTE N. 3
IN SI BEMOLLE MAGGIORE, K1 281 (K6 189F)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (si bemolle maggiore)
2. Andante amoroso (mi bemolle maggiore)
3. Rondò. Allegro (si bemolle maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Salisburgo, autunno,1774
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1799

Il primo Allegro comprende due temi, nettamente distinti fra di


loro, e seguiti da una piccola cadenza, secondo un procedimento già
utilizzato da Haydn, che amava spezzare l'effetto provocato dalla
successione di due frasi musicali diverse. Non mancano ripetizioni e
ritorni ai due temi, senza alcuna novità ornamentale, anche se il brano
resta sostanzialmente brillante sino al ritornello finale.
L'Andante, indicato sull'autografo mozartiano come Andante amoroso,
presenta un carattere galante e dolcemente cantabile, nella tonalità di mi
bemolle. Il gioco e lo sviluppo fra i due temi si svolgono con
piacevolezza di modulazioni ed estrema varietà di accenti, puntati su
cambiamenti di tonalità.
Il movimento finale è un Rondò, concepito secondo la consuetudine delle
Sonate pianistiche italiane. Certo, il discorso se e fino a che punto
Mozart costruisca un rondò nella forma italiana o in quella francese è
difficile poterlo stabilire, ma è evidente che il rondò all'italiana contiene
una maggiore estensione nello svolgimento tematico e si distingue per la
sua accentuata spigliatezza nel rapporto tra la frase principale e il
ritornello.
Del resto questo Rondò della Sonata K. 281 è particolarmente
fosforescente e leggero, di una linea espressiva presumibilmente italiana,
e contiene anche una piccola cadenza ad libitum, prima della ripresa del
tema con l'accompagnamento di un trillo che passa egualmente da una
mano all'altra.

651
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 13 marzo 1987

SONATA N. 5 IN SOL MAGGIORE


PER PIANOFORTE, K1 283 (K6 189H)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (sol maggiore)

2. Andante (do maggiore)


3.Presto (sol maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Salisburgo, fine 1774
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1799

La Sonata in sol maggiore K. 283 è, tra le sei, la più "normale" e la


più vicina allo stile di un autore di grande fama come Johann Christian
Bach.
Un primo movimento cantabile, dolcissimo di tono, con uno sviluppo
semplice e di proporzioni minime, un secondo movimento che è tutto un
incastro di temi brevi e graziosi, un po' infantili, un terzo movimento
vivacissimo e danzante, con una burlesca conclusione.
Una Sonata piana, discorsiva, disimpegnata; tuttavia non solo il primo
movimento, ma anche gli altri due sono inconsuetamente tagliati nella
forma bitematica e tripartita, la più complessa delle forme musicali.
Il desiderio di piacere, di rendersi bene accetto ai dilettanti viene dunque
perseguito, e raggiunto, senza impoverire le strutture; ed è tipico di
Mozart il riuscire a "nascondere" il sapere dietro l'apparente ovvietà.
Piero Rattalino
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 1 dicembre 1995

652
SONATA PER PIANOFORTE N. 6
IN RE MAGGIORE "DÜRNITZ", K1 284 (K6 205B)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (re maggiore)
2. Rondò alla polacca. Andante (la maggiore)
3. Tema e 12 Variazioni (re maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Monaco, 28 febbraio - marzo 1775
Prima esecuzione: Augsburg, Konzertsaal, 22 ottobre 1777
Edizione: Torricella, Vienna 1784

Un equivoco clamoroso, seppur condiviso da pochi, è riuscito


spesso a circolare riguardo l'opera pianistica di Wolfgang Amadeus
Mozart: che si tratti cioè di musica facile, scritta così chiaramente e
simmetricamente da poter essere suonata anche dai bambini o che riesca
bene eseguita da un computer. Ovviamente la giusta osservazione di una
chiarezza semantica del pentagramma mozartiano non può tradursi in
uno speculare esito esecutivo.
Se è vero che agli occhi del lettore la scrittura sia rigorosa e
inequivocabile, altrettanto esatto deve essere il frutto sonoro alle orecchie
dell'ascoltatore. E il fatto che molti bambini suonino la musica di Mozart
non garantisce tale risultato. La Sonata K. 284, composta nel 1775
(all'età di diciannove anni) per il barone Thaddäus von Dürnitz, è un
esempio - in tutte le sue pagine, in ogni singolo momento - di questa
grafia limpida che cela però insidie interpretative.
A partire dal brillante e rapido Allegro di apertura, notiamo che
l'approccio compositivo pare scaturire dall'esecuzione, dal movimento
scherzoso e felice delle mani sui tasti. Anche nel particolare movimento
centrale, Polonaise en rondeau, sembra di essere al cospetto di una
musica che si compone mentre la si esegue, come se il pensiero e la
scrittura venissero ben dopo il gesto.
Le dodici Variazioni, che costituiscono la parte più corposa della Sonata,
sono state oggetto di apprezzamento da parte di uno dei musicisti più
critici nei confronti di Mozart, Glenn Gould: «È una gioia per me
653
suonare la Sonata K. 284. Il suo ultimo movimento, una specie di Rondò
rivisto e corretto, è una serie di Variazioni piene di fantasia, le migliori
che [Mozart] abbia mai scritto del genere. Credo che nessuna serie di
Variazioni di Beethoven (comprese le Diabelli) presenti mutamenti di
umore così frequenti e così sottili come queste, dove si realizza una
straordinaria sintesi».

GLEN GOULD

In effetti Mozart nel terzo movimento riesce a creare una diversificazione


assoluta e insieme una coerenza totale attraverso pochissimi espedienti
tecnici, giocando con terzine e quartine, ottave parallele e spezzate,
distribuendole poi tra mano destra e sinistra, con soventi incroci.
Ancora, nel meraviglioso cantabile della Variazione XI, alterna forte e
piano a ogni singola nota della scala cromatica.
Questo pezzo è nato suonandolo; tutto in queste Variazioni sa di
divertimento.
654
Federico Capitoni

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 26 novembre 2009

SONATA N. 8 IN LA MINORE
PER PIANOFORTE "PARIGINA 1", K1 310 (K6 300D)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro maestoso (la minore)
2. Andante cantabile con espressione (fa maggiore)
3. Presto (la minore)
Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, 6 Luglio 1778
Edizione: Heina, Parigi 1782

L'unica pagina che non appartiene agli anni viennesi del


compositore, e che ciò nondimeno assume un rilievo d'eccezione nel suo
catalogo pianistico è la Sonata in la minore K. 310. Si tratta - insieme a
K. 309 e 311 - di una delle tre Sonate scritte nel corso del lungo e
sventurato viaggio compiuto a Mannheim e Parigi nel 1777-1778, alla
ricerca di fortuna e, possibilmente, di un impiego nella capitale francese.
In particolare, sulla nascita della Sonata in la minore non abbiamo alcuna
indicazione, al di fuori della datazione sull'autografo "Paris 1778"; il
brano venne però pubblicato già a Parigi, ad opera dell'editore Heina,
primo caso di una Sonata pianistica di Mozart a trovare la strada della
pubblicazione a immediata distanza dalla nascita.
Nella prima tappa del viaggio verso Parigi - Augusta, città da cui
proveniva la famiglia del padre - Mozart aveva potuto suonare i
pianoforti di Johann Andreas Stein, apprezzandone, tutte le qualità che
rendevano questi prototipi fra i più avanzati in Europa. Le tre Sonate
scritte nei mesi seguenti vedono dunque l'autore ormai consapevole delle
potenzialità dello strumento a martelli, e proiettato a definire una
scrittura tastieristica effettivamente studiata per sfruttare queste

655
potenzialità La Sonata in la minore è forse l'esempio più evidente di
questo nuovo atteggiamento. Non a caso si tratta della prima e - con la
Sonata in do minore K. 457 - di una delle due uniche Sonate per
pianoforte scritte da Mozart in una tonalità minore, scelta che si riflette in
un contenuto musicale di impronta altamente drammatica.
È verosimile che dietro questa scelta ci sia il desiderio di conquistare il
pubblico dei salotti parigini richiamandosi allo stile concitato e
tempestoso di Johann Schobert, compositore tedesco nato intorno al 1735
e morto prematuramente nel 1767, che aveva abbandonato la Germania
per Parigi, dove si era imposto proprio per il suo precoce interesse verso
le risorse del nuovo strumento a tastiera.

Mozart conosceva e ammirava Schobert fin dall'infanzia, e proprio su


una Sonata di Schobert, op. 17 n. 2, si era basato, nel 1767, dietro
indicazione del padre, per costruire il movimento centrale di uno dei suoi
primi Concerti per pianoforte, K. 39. Non a caso, come risulta dalle
lettere, Mozart caldeggiava ai suoi allievi lo studio dei lavori di Schobert,
ed è probabile che nei lavori di questo maestro trovasse interessante
principalmente la sensibilità Sturm und Drang, che donava nuova
animazione ai contenuti decorativi della produzione tastieristica.

656
La Sonata K. 310 è dunque il frutto dell'incontro di due esigenze, la
scelta di un nuovo pathos espressivo, legato alla tonalità minore, e la
ricerca sulle risorse dello strumento a martelli. La pienezza armonica
delle figurazioni insistite di accompagnamento, l'inversione delle
funzioni melodiche e di accompagnamento fra le due mani, gli ampi
arpeggi della destra sugli accordi tenuti della sinistra, che mettono in
vibrazione tutti i suoni armonici del telaio, sono esempi di un dominio
ormai completo degli effetti timbrici del nuovo strumento, che trovano
nella Sonata in la minore una folgorante affermazione.
Il tempo iniziale, segnato dalle dissonanze armoniche e dal ritmo di
marcia dell'incipit, è in una ampia forna-sonata, con una pronunciata
contrapposizione tematica (marcia contro nervosa scorrevolezza di
semicrome), uno sviluppo animato dalle figurazioni insistite della mano
sinistra e dalle suggestive progressioni polifoniche della destra, una
ripresa che converte nel modo minore il secondo tema, riconducendolo
alla prevalente ambientazione espressiva del movimento.
L'Andante cantabile con espressione si richiama invece allo schema
galante della melodia ornata su basso albertino, ma mostra nella sezione
centrale prospettive più complesse, con l'apparizione di un nuovo
motivo, presentato nei diversi registri della tastiera con figurazioni di
accompagnamento cangianti e dissonanti.
Il Presto conclusivo torna all'ambientazione iniziale; si tratta di una
pagina in forma di Rondò, in cui i diversi episodi hanno origine dalla
stessa figura ritmica del refrain; questa caratteristica, insieme alla
ricchezza del contenuto armonico, garantisce all'intero movimento una
varietà espressiva continuamente rinnovata e insieme una ineluttabile
coerenza.
Arrigo Quattrocchi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 20 Febbraio 2009

657
SONATA PER PIANOFORTE N. 9
IN RE MAGGIORE, K1 311 (K6 284C)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro con spirito (re maggiore)
2. Andante con espressione (sol maggiore)
3. Rondò. Allegro (re maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Mannheim, inizio novembre 1777
Prima esecuzione: Parigi, Salle des Machines du Palais des Tuileries, 8
settembre 1778

Il corpus delle Sonate per pianoforte di Mozart, una ventina in


tutto, si presenta diviso in alcuni gruppi, evidentemente per un'esigenza
Concertistica pratica del compositore, ad eccezione degli ultimi lavori,
che appaiono più meditati.
Dopo il primo gruppo giovanile di quattro Sonate nel 1766, più
consistente risulta il secondo, che si compone di cinque Sonate scritte a
Salisburgo nella seconda metà del 1774; ad esse si può collegare la
Dürnitz-Sonate, stesa a Monaco nei primi mesi dell'anno successivo.
Un capitolo a parte, anche per le caratteristiche compositive, è quello
delle due Sonate scritte a Mannheim nel 1777, la seconda delle quali (in
re magg. K. 311) apre il programma di questo concerto. Seguono quindi
le cinque Sonate di Parigi (1778), il caso isolato della K. 437 (Vienna,
1784) e le ultime quattro (fra il 1788 e il 1789).
L'importanza di questo settore mozartiano è più forte di quanto possa
sembrare, sia per la parabola creativa del Salisburghese, sia per la
definizione architettonica della Sonata per pianoforte, che per la prima
volta risulta strutturata con grande equilibrio formale ma anche con
eccezionale libertà interna; rapporti empatici e dialettici vivono in
perfette simmetrie che disdegnano ogni soluzione scolastica troppo
scontata e che ancora non conoscono l'urgenza del contrasto romantico e
degli schematismi ad esso collegati.

658
La transizione da un tema all'altro, come quella da un tempo all'altro,
avviene spesso nella maniera più spontanea, senza timori di rimanere in
un sostanziale monotematismo, con un gioco di richiami che potrebbe
anche far pensare in qualche caso ad una impostazione ciclica.
Nella Sonata (K. 309) si ritrova un po' tutta l'esperienza di Mannheim: la
dinamica è molto ricca, i contrasti espressivi sono sempre molto evidenti,
la forma è ampia e complessa.
Dedicata all'allieva Rose Cannabich, è stata considerata quasi un ritratto
della ragazza, ma la finalità didattica potrebbe anche non essere avvertita
dall'ascoltatore e in ogni caso essa non è certo un elemento pregiudiziale
per uno dei lavori più freschi e ispirati del catalogo mozartiano.
L'Allegro con spirito, con il quale inizia la Sonata in re maggiore, è una
pagina di intensa evidenza melodica: i due temi sono bene evidenziati ma
quello che più attrae è il tessuto nel quale si inseriscono, una fluida
materia di suture e di codette, già nella zona espositiva.
La parte elaborativa si divide in due sezioni: la prima, derivata
tematicamente dal capo del tema iniziale, è quasi una parentesi sinfonica
giocata tutta sull'appoggiatura, mentre l'altra si rifà al secondo tema.
La ripresa è anomala, imprevedibile: compare dapprima il secondo tema
(questa volta nella tonalità d'imposto) e la conclusione, breve e priva di
una vera coda, consiste semplicemente nella ripresa del primo tema.
Accattivante, forse un po' lezioso, è l'Andantino con espressione, la cui
forma sta fra il tema variato e il rondò.
Un Rondò dichiarato è il tempo conclusivo, brillante e vistoso, con certe
pretese virtuosistiche in primo piano.
La ripresa, del tutto regolare, è preceduta da una breve cadenza e da una
misura esitante che è quasi un riflesso di memoria del tempo centrale.
Renato Chiesa
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 6 febbraio 1992

659
SONATA N. 10 IN DO MAGGIORE PER PIANOFORTE
"PARIGINA", K1 330 (K6 300H)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro moderato (do maggiore)

2. Andante cantabile (fa maggiore)


3.Allegretto (do maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, 4 - 20 luglio 1778
Edizione: Artaria, Vienna 1784

Decima tra le Sonate pianistiche di Mozart, la Sonata in do


maggiore K. 330 è anche la prima ad essere scritta dal compositore dopo
l'abbandono del servizio alla corte salisburghese e il trasferimento a
Vienna. A partire dal 1781, infatti, Mozart tenta la fortuna come libero
professionista nella capitale dell'impero, e proprio grazie al pianoforte,
costruisce gran parte del proprio successo nella metropoli.
Le nove Sonate scritte nel decennio viennese - K. 330, 331, 332, 333,
475, 533-494, 545, 570, 576 - vengono create dal compositore con
molteplici finalità; talvolta per fini didattici, talaltra per il proprio uso
Concertistico, più frequentemente in vista di una pubblicazione, dunque
tenendo presenti le esigenze degli acquirenti, appartenenti a quel ceto di
strumentisti "dilettanti", aristocratici o alto-borghesi, che erano il tessuto
connettivo dell'alta società viennese. Non è un caso che ben sei di queste
Sonate, eccettuate le ultime tre, siano state pubblicate vivente l'autore, né
che esse mostrino, per la maggior parte, una grande piacevolezza
melodica unita a un impegno tecnico non eccessivo, come si conveniva
agli esecutori non professionisti. Il che non impedisce a Mozart di
sperimentare tutte le potenzialità offerte dagli strumenti del tempo; in
particolare la rapida scorrevolezza, la diseguaglianza dei vari registri
della tastiera, i vari effetti di risonanza offerti dalla pedalizzazione.
Le prime tre Sonate viennesi - in do maggiore K. 330, in la maggiore K.
331 e in fa maggiore K. 332 - vennero pubblicate dall'editore Artaria nel
1784, con il numero d'opera 6. Ciò nonostante, per lungo tempo queste
pagine vennero retrodatate al periodo del soggiorno parigino del 1778;
oggi, anche grazie all'analisi della carta degli autografi, è possibile
660
indicare con certezza la datazione ai primi anni viennesi, e forse al
periodo trascorso da Mozart a Salisburgo nell'estate 1783, come lascia
pensare una lettera al padre del 12 giugno 1784, nella quale Mozart
annuncia appunto la pubblicazione dei tre lavori, definendoli quelli "che
ho regalato a mia sorella", forse appunto nel corso del soggiorno
salisburghese. Mozart scrisse queste tre Sonate verosimilmente per il
proprio uso Concertistico e didattico, e si può essere certi che il loro
contenuto non mancò di destare la giusta attenzione della sorella
Nannerl, eccellente pianista anch'essa; forse - si può supporre - il dono
delle tre Sonate aveva anche un significato di riconciliazione verso la
famiglia d'origine, dopo lo strappo rappresentato dal matrimonio con una
donna, Constanze Weber, che, a torto o a ragione, non risultò mai gradita
al padre e alla sorella del compositore.
Al di là di queste circostanze, è probabile che la Sonata in do maggiore
K. 330 sia stata scritta per qualche allieva; non presenta infatti un
contenuto tecnicamente di alto impegno. Ciò nonostante, è scritta con
sapienza in modo da offrire una immagine di brillantezza. L'Allegro
moderato iniziale presenta tre temi ben distinti ma correlati fra loro,
basati principalmente su scale e arpeggi; lo sviluppo si basa però su un
materiale tematico interamente nuovo, circostanza che si riallaccia a una
prassi stilisticamente più antica, svolta però in questo caso in modo da
non compromettere la coerenza della pagina. Segue un Andante
cantabile, basato su una melodia estremamente levigata, che si avvale di
una sezione centrale in minore, in doppie seste e doppie terze; dopo la
ripresa Mozart aggiunse, per l'edizione a stampa, una coda basata sul
tema in seste e terze, ma virato al maggiore. In conclusione troviamo
ancora un Allegretto in forna-sonata, animato però da un tema di Rondò -
l'attacco è doppio, come nei Rondò da concerto, col contrasto piano/forte
che indica prima "solo" e poi "tutti" - e innervato da una giocosa tecnica
di scale ed arpeggi.
Arrigo Quattrocchi
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 10 marzo 2006

661
SONATA N. 11 IN LA MAGGIORE PER PIANOFORTE
"MARCIA TURCA", K1 331 (K6 300I)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Tema. Andante grazioso (la maggiore)
2. Minuetto (la maggiore)
3. Alla Turca. Allegretto (la minore)
Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, Maggio - Luglio 1778
Edizione: Artaria, Vienna 1784
La Sonata in la maggiore K. 331, pubblicata nel 1784 dall'editore
Artaria con il numero d'opera 6 è in un gruppo di tre Sonate che
comprendeva anche gli spartiti K. 330 e 332. Si tratta delle prime tre
Sonate scritte da Mozart negli anni viennesi, anzi probabilmente i tre
lavori vennero concepiti nel corso del periodo trascorso da Mozart a
Salisburgo nell'estate 1783 - il compositore era tornato nella città natale
per presentare alla famiglia d'origine la moglie Constanze Weber - come
lascia pensare una lettera del 12 giugno 1784 al padre, in cui Mozart
annuncia appunto la pubblicazione delle tre Sonate, definendole quelle
"che ho regalato a mia sorella". Mozart scrisse questi tre spartiti
verosimilmente per il proprio uso Concertistico e didattico, e si può
essere certi che il loro contenuto non mancò di destare la giusta
attenzione.
In particolare, la Sonata in la maggiore K. 331 era destinata ad imporsi
come la più celebre fra tutte le Sonate di Mozart, a causa dell'ultimo
movimento, il cosiddetto Rondò "Alla turca", ben noto anche al di fuori
degli ambienti della musica colta. Sulla scia della moda della turquerie,
che aveva avuto vastissima diffusione in tutta l'Europa nel corso del
Settecento, Mozart aveva scritto, nel 1782, l'Opera Die Entführung aus
dem Serail (Il ratto dal serraglio) che aveva colto una piena
affermazione presso il pubblico viennese.
Nella Sonata K. 331 troviamo dunque il desiderio di riallacciarsi a quel
successo, di inserirsi sulla scia della turquerie teatrale per riproporre, nei
salotti dell'aristocrazia, quegli stessi stilemi che dovevano attribuire alla
musica un sapore "turchesco". Altro esempio di turquerie è il Rondò

662
finale della Serenata per fiatti K. 361, eseguita nel marzo 1784, pagina
per molti aspetti gemella del Rondò pianistico.

663
Ciò che rende singolare questa Sonata, tuttavia, non è solamente la
presenza del movimento "Alla turca", ma il fatto che, inserendo nello
spartito un movimento così fortemente caratterizzato, Mozart decise di
costruire una Sonata complessivamente anomala. È infatti questa l'unica
Sonata di Mozart - a parte la giovanile Sonata in mi bemolle maggiore K.
282 - il cui primo movimento non si articola in forna-sonata. Il modello
della Sonata K. 331 è invece piuttosto quello della Suite, formato da
movimenti contrastanti e di danza.
Ecco dunque che l'iniziale Andante grazioso è un tema ingenuo con sei
variazioni, che raggiungono progressivamente una eclatante brillantezza
tecnica. Purissima è l'idea iniziale, che si arricchisce di fioriture
(Variazione I), di intensificazioni nell'accompagnamento (II), trova la
strada misteriosa del modo minore (III), sfrutta le contrapposizioni fra
diversi registri della tastiera, con la mano sinistra che suona sopra la
destra nel registro acuto (IV), si arresta nella pausa contemplativa
dell'Adagio fortemente fiorito (V) e cambia infine metro, da 6/8 a tempo
quaternario, per chiudere brillantemente il movimento (VI).
In posizione centrale troviamo un Minuetto di intonazione nobile e di
mirabili risorse timbriche, che fa ancora ricorso, nel Trio, all'inversione
delle mani.
Ma la Sonata gravita, ovviamente, verso il movimento conclusivo,
l'Allegretto "Alla turca", in forma di Rondò francese. Questo carattere
francese deriva dalla presenza di un tema principale in minore - ricco di
acciaccature o appoggiature e gruppetti, nella dinamica "piano" - e di un
refrain in maggiore e in forte; si inserisce anche una nuova sezione in
minore, basata sulla misteriosa scorrevolezza di quartine e di scale.
Ad attirare l'attenzione è soprattutto la particolare scrittura del refrain,
che viene ripresa e potenziata nella coda: vi troviamo infatti una sonora
melodia in ottava, accompagnata in modo insistito; gli arpeggi della
mano sinistra ottengono l'effetto di far entrare in vibrazione tutti i suoni
armonici dello strumento e Mozart aggiunge, alla destra, degli accordi
preceduti da acciaccature; ecco dunque che questa particolare scrittura si
propone di ricreare sulla tastiera il suono esotico, misterioso e
"selvaggio" delle bande militari turche che si avvalevano di tamburo,
triangoli e campanelli. Tanto efficace è questa invenzione - che appariva

664
ancor più efficace con i pianoforti dell'epoca, dal suono più aspro di
quelli moderni - che il brano ha acquisito fama imperitura.
Arrigo Quattrocchi
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 20 Febbraio 2009

SONATA N. 12 IN FA MAGGIORE
PER PIANOFORTE "PARIGINA 4", K1 332 , K6 300K
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (fa maggiore)
2. Adagio (si bemolle maggiore)
3. Allegro assai (fa maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, Agosto - Settembre 1778
Edizione: Torricella, Vienna 1784

L'opera pianistica di Mozart è alla base di quella nuova corrente


musicale che, superando le frivolezze del Rococò, attraverso la grande
stagione del classicismo viennese, porta alla fioritura romantica e a
quella che è stata giustamente definita "l'età del pianoforte".
Le possibilità del nuovo strumento, che solo intorno al 1770 si stava
faticosamente affrancando dal clavicembalo, sono prontamente intuite da
Mozart; in una lettera al padre del 17 ottobre 1777 egli riferisce di aver
suonato sui pianoforti costruiti ad Augsburg da Johann Andreas Stein e
di averne apprezzato l'alta qualità meccanica, la duttilità dinamica,
nonché la preziosa risorsa del pedale di risonanza, che in quegli
strumenti si suonava allora col ginocchio.
Mozart abbandona il clavicembalo e sceglie il pianoforte per gli stessi
motivi per cui rimane folgorato dall'orchestra di Mannheim: qualità
espressive, disponibilità al suono cantabile, capacità di variare le
dinamiche - il piano e il forte appunto - con le relative gradazioni
intermedie.

665
Per Mozart lo strumento va suonato con naturalezza e morbidezza di
tocco, sottolineando le sfumature dinamiche ed espressive e senza
indulgere ai virtuosismi tecnici di un Muzio Clementi definito - a dire il
vero con eccessiva severità - «un ciarlatano come tutti gli italiani, abile
nei passaggi di terze, ma privo di espressione, gusto e sentimento».

SALZBURG MOZART EUM SAAL

L'incontro-scontro con Clementi risale al dicembre 1781 in una celebre


sfida viennese alla presenza dell'imperatore Giuseppe II.
Qualche anno prima, nel 1777-78, Mozart affronta il grande "viaggio"
della sua vita, quello che ha come tappe principali Mannheim e Parigi,
ma che è anche un viaggio dentro di sé alla scoperta della sua
personalità.
Il bambino prodigio soggiogato dalla figura paterna lascia il posto a un
uomo maturo, consapevole delle difficoltà della vita e dell'ambiente
artistico, che, attraverso il dolore e le delusioni - il mancato fidanzamento

666
con Aloysia Weber e la morte della madre - giunge a una sofferta
maturità.
Parigi, dominata dalla querelle fra i seguaci di Gluck e gli aderenti al
partito italiano di Piccinni, è quasi un incubo per il ventiduenne Mozart.
«Se qui la gente avesse orecchie e cuore per sentire, se capisse soltanto
un pochino di musica e avesse un minimo di gusto, di tutto il resto riderei
di cuore. Ma per quanto riguarda la musica mi trovo fra bruti, fra bestie».
L'umor nero mozartiano è splendidamente rappresentato proprio da una
Sonata per pianoforte - la grande e tragica Sonata in la minore K. 310 -
che, insieme con altre quattro Sonate parigine fra cui la K. 332 in fa
maggiore, costituisce una tappa importantissima nel percorso di
liberazione definitiva dall'estetica galante affrontato da Mozart.
Nel primo movimento Allegro lo stile è asciutto, essenziale. Il gioco fra
elementi propositivi statici e quasi neutri - i due temi principali - e le
innervature espressive e drammatiche dei passaggi modulanti -
memorabile quello della sezione di sviluppo - è condotto con singolare
maestria.
L'Adagio sviluppa un'idea di cantabile di ascendenza cembalistico-
galante fin nell'accompagnamento in caratteristico basso albertino, senza
rinunciare però ad un impianto schiettamente sonatistico.
Anche il finale Allegro assai è in forma sonata.
Lo scorrevole ritmo di 6/8, non meno delle guizzanti figurazioni di
semicrome, gli conferisce una particolare leggerezza velata talvolta da
momenti di intensa malinconia o di più energica drammaticità, fino alla
conclusione sottovoce, teneramente sfumata.
Giulio D'Amore

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 11 Novembre 1994

667
SONATA N. 13 IN SI BEMOLLE MAGGIORE PER
PIANOFORTE "PARIGINA 5", K1 333, K6 315C
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (si bemolle maggiore)

2. Andante cantabile (mi bemolle maggiore)


3.Allegretto grazioso (si bemolle maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, Agosto – Settembre 1778
Edizione: Torricella, Vienna 1784
Dedica: contessa Therese Koblenzl

La Sonata in si bemolle maggiore fa parte di un gruppo di Sonate


per pianoforte composto da Mozart durante il terzo soggiorno parigino
nel 1778, o forse in un momento leggermente posteriore. Nel gruppo di
cui si diceva, comprendente le Sonate K. 330, 331, 332, infatti la Sonata
in si bemolle maggiore è quella più diversamente caratterizzata. In essa
emerge più che nelle altre un tono pacato, meno festoso, quasi scorresse
al suo interno una sottile linea di malinconia.
Altro sintomo di un qualche travaglio interiore di Mozart può essere
suggerito dalle forme interne dei singoli movimenti, in cui, specie
nell'Allegro iniziale e nel seguente Andante cantabile, lo sviluppo
assume procedimenti inconsueti di singolare forza espressiva.
In effetti è tutta la Sonata ad essere caratterizzata da una rigogliosa
abbondanza di idee seppure queste siano inserite con la più assoluta
perfezione in un impianto formale rigidamente classico. Inoltre per le
difficoltà tecniche e per il contrastante clima delle idee melodiche si è
voluto accostare lo stile di questa Sonata a quello del Concerto. Emerge
sull'Allegro dalla moderata espressività, l'Andante cantabile intriso di
intensa riflessione, mentre l'Allegretto grazioso sembra, nonostante
l'indicazione, abbandonare per una volta le leziosità galanti così tipiche
dei tempi finali.
Pur appartenendo ad un periodo in cui l'arte di Mozart era in fase di
maturazione, una maturazione beninteso geniale, la Sonata K. 333 già
rivela i germi della futura musica per pianoforte del compositore di

668
Salisburgo e anzi per quel suo particolare clima espressivo già indica i
tratti fondamentali in cui si configurerà la sua più alta produzione.
Umberto Nicoletti Altimari
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 24 ottobre 1984

SONATA N. 14 IN DO MINORE PER PIANOFORTE, K 457


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (do minore)
2. Adagio (mi bemolle maggiore)
3. Molto allegro (do minore)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 14 Ottobre 1784
Edizione: Artaria, Vienna 1785
Dedica: Therese von Trattner

La drammatica Sonata in do minore K457 è un episodio


emotivamente isolato scritto il 14 Ottobre 1784 mentre Mozart è preso
dalla febbrile produzione dei grandi Concerti viennesi per pianoforte, e
rappresenta la testimonianza di un’ansia creativa, dolorosa e profonda, al
di fuori degli esibizionismi legati alla struttura dei Concerti.
La famiglia Mozart abita da qualche tempo al terzo piano del palazzo di
Johann Thomas Edler von Trattner, ricco libraio-editore la cui giovane
moglie Thérèse era diventata una delle allieve predilette di Wolfgang
Amadeus. Il 21 Settembre Constanze Mozart dà alla luce il figlio Carl
Thomas che viene battezzato lo stesso giorno avendo per padrino il von
Trattner. Il 29 i Mozart traslocano precipitosamente. Non è normale che
una puerpera traslochi otto giorni dopo il parto. I Mozart traslocano o
sono cacciati da Johann Thomas von Trattner? E per quale ragione? Il 14
Ottobre Mozart compone la Sonata in do minore con la dedica in
italiano, “per la Sig.ra Teresa de Trattner dal suo umilissimo servo
Volfango Amadeo Mozart”. Le informazioni su questa composizione
pare fossero contenute in una lettera (la cui esistenza è confermata da
669
Constanze in una nota del 1799 all’editore Artaria) mai ritrovata in
quanto, affermano alcuni biografi, ritenuta compromettente.

670
La Sonata in do minore viene pubblicata nel 1785 dall’editore Artaria
mentre l’autografo prende una strada misteriosa mai completamente
chiarita. I primi esegeti di Mozart lo danno per perduto mentre in realtà
era finito, non si sa bene quando, negli Stati Uniti rilegato in un fascio di
musiche di altri compositori. Il suo ultimo proprietario, un dilettante che
amava far musica in chiesa, lo lasciò in eredità alla sua congregazione
che lo rinchiuse in una cassetta di sicuezza in banca. Nel 1990 il fascio di
manoscritti settecenteschi viene ispezionato e di punto in bianco salta
fuori il tesoro che esitato in un’asta viene poi acquistato dal Mozarteum
di Salisburgo per una cifra di circa un miliardo e seicento milioni di lire
dell’epoca.
Il primo movimento (Molto allegro) si apre con un primo tema
contrassegnato dal forte contrasto tra le forti ottave ascendenti nel
registro medio-grave che si contrappongono ad una risposta in piano nel
registro medio-acuto. Una transizione conduce ad un tema intemedio e
quindi al secondo tema presentato in maggiore, dal carattere cantabile
che viene sviluppato attraverso un dialogo di “domande” nel registro
acuto e di “risposte” nel registro grave. Una sezione di sviluppo rielabora
elementi della transizione, del tema intermedio e soprattutto del primo
tema attraverso varie peregrinazioni tonali. Nella riesposizione Mozart
presenta nuovamente tutto il materiale dando unità e coerenza ai conflitti
che animano tutto questo movimento. Il secondo tema si ripresenta in
minore e la coda porta il movimento a spegnersi in pianissimo.
Il movimento lento centrale (Adagio) è una parentesi meditativa,
necessaria per allentare la tensione dei due vitali tempi estremi.
Caratterizzato dalla varietà e dal virtuosismo dell’ornamentazione, il
movimento espone subito il primo tema “sotto voce” e lo sviluppa in
forte ripresentandolo una seconda e terza volta sempre più arricchito di
fioriture. Il secondo tema è il cuore contemplativo e malinconico
dell’Adagio. Proposto in la bemolle maggiore e ripetuto in sol bemolle
maggiore si intreccia poi con il primo tema sviluppando una ripresa
caratterizzata dal frastagliarsi del canto, da ornamentazioni, escursioni di
registro, cadenze che rendono sottilmente inquieto il percorso del
movimento.
Nel finale (Allegro assai) ritorna lo stato d’animo agitato fin dal tema
iniziale tutto basato su sincopi, ovvero accenti spostati, che stabiliscono

671
una forte tensione armonica. Il secondo tema dal ritmo martellato è
seguito da una serie di cadenze inframmezzate da sospensioni che
contribuiscono a creare la forte tensione di questo movimento. La
ripresa, esposti nuovamente i due temi, si tramuta in un’ampia sezione di
sviluppo fino alla ricomparsa della tonalità d’impianto in do minore che
chiude solennemente il brano.
Terenzio Sacchi Lodispoto
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 6 Marzo 2009

SONATA N. 15 IN DO MAGGIORE PER PIANOFORTE, K


545
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (do maggiore)
2. Andante (sol maggiore)
3. Rondò. Allegretto (do maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 26 Giugno 1788
Edizione: Bureau d'Art et d'Industrie, Vienna 1805

Al 26 giugno 1788 risale la Sonata in do maggiore K. 545, definita


da Mozart nel suo catalogo personale come "Piccola Sonata per
dilettanti". Si tratta infatti di uno dei pochissimi brani espressamente
concepiti da Mozart per una finalità didattica, anche se non ne è noto il
destinatario, ed è improbabile che l'obiettivo fosse editoriale, poiché lo
spartito giunse alla pubblicazione solo dopo la morte dell'autore.
Il fine didattico si riflette sia nella spensieratezza concettuale, sia nella
scelta della tonalità - do maggiore è infatti la tonalità che usa solamente i
tasti bianchi della tastiera ed è quindi più facile per i dilettanti - sia
nell'attenzione mostrata a specifici aspetti della tecnica pianistica; il
primo tempo si sofferma in modo particolare su scale e arpeggi, il
secondo sulla tecnica del "legato", il terzo sulle doppie note.

672
ANDRAS SCHIFF

673
Al di là della sua funzione primaria, la Sonata si segnala per la
freschezza delle idee: dal minimo sforzo emerge il massimo risultato,
quello di una piacevolezza immediata di ascolto, come nel garbato
Allegro iniziale; qui troviamo delineata una nitidissima forna-sonata, con
due temi fra loro connessi (il secondo è il rivolto del primo) eppure ben
distinti, uno sviluppo che prende le mosse dalla coda dell'esposizione, e
una riesposizione che parte - secondo un modello più semplice - dalla
tonalità della sottodominante.
Giustamente celebre è poi il tempo centrale, un Andante in cui la sinistra
si limita ad accompagnare, con un basso albertino, la levigatissima
melodia, che si ripresenta più volte, intercalata ad idee secondarie;
circostanza che dona alla pagina un carattere incantatorio ma non
monotono.
Quanto al finale, un Rondò in Allegretto, il suo refrain propone un
gustoso "inseguimento" fra le due mani, che si ripresenta ogni volta con
piccole modifiche nella scrittura strumentale e il movimento si mantiene
sempre brillante e scorrevole.
In definitiva pochi brani pianistici possono dirsi tanto idonei per i
principianti quanto densi di contenuto musicale.
Arrigo Quattrocchi

Testo prelevato dal programma di sala del Concerto dell'Accademia


di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 20 febbraio 2009, Andras
Schiff pianoforte

674
SONATA N. 16 IN SI BEMOLLE MAGGIORE
PER PIANOFORTE, K 570
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (si bemolle maggiore)
2. Adagio (mi bemolle maggiore)
3. Allegretto (si bemolle maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, Febbraio 1789
Edizione: Bureau d'Art et d'Industie, Vienna 1805

ANDRAS SCHIFF

675
Del febbraio 1789 - dunque precedente di pochi mesi - è la Sonata in si
bemolle maggiore K. 570. Anche in questo, come in molti altri casi, è
ignota la destinazione dello spartito che comunque ha quali
caratteristiche di base una estrema piacevolezza e un contenuto tecnico
non particolarmente complesso; non si tratta insomma di una Sonata "da
concerto", ma piuttosto di un brano pensato per qualche illustre
committente o per un'allieva non principiante.
C'è comunque, rispetto alle Sonate degli anni precedenti, un uso quasi
parsimonioso del materiale che va in direzione di una semplicità
espressiva tipica degli ultimi anni di Mozart.
L'Allegro iniziale si basa su un unico tema principale che viene
presentato in due vesti differenti ma non contrastanti fra di loro; infatti,
quando torna come seconda idea, viene ad esso sovrapposta una melodia
diversiva.
La scorrevolezza brillante della pagina è incrinata, nella sezione dello
sviluppo, da quelle implicazioni malinconiche che sono ricorrenti
nell'ultimo Mozart.
L'Adagio centrale è invece un movimento di grande nobiltà espressiva; si
apre con un tema ad accordi e si anima poi con un tema elegiaco
dall'accompagnamento ribattuto; ma tutto questo lungo tempo centrale
presenta una alternanza di situazioni che non contraddicono mai la sua
profondità concettuale.
Quanto all'Allegretto finale, si tratta di un movimento breve e brillante, il
cui tema principale ha quasi il carattere di Gavotta, mentre gli episodi
secondari costituiscono dei diversivi gustosi e quasi giocosi, in perfetta
coerenza con l'assunto di base della pagina.
Arrigo Quattrocchi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 27 Febbraio 2009, Andras
Schiff pianoforte

676
SONATA N. 17 IN RE MAGGIORE PER PIANOFORTE, K 576
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (re maggiore)
2. Adagio (la maggiore)
3. Allegretto (re maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, Luglio 1789
Edizione: Bureau d'Art et d'Industie, Vienna 1805

Scritta per Fiederike Charlotte Ulrike di Prussia

Ultima Sonata pianistica scritta da Mozart è la Sonata in re


maggiore K. 576; e si è creduto di identificare questo spartito come il
primo di un gruppo di sei composizioni alle quali Mozart fa riferimento
in una lettera all'amico Puchberg del 12 luglio 1789, accennando a "sei
Sonate facili per pianoforte per la principessa Friederika".
Reduce dal viaggio a Berlino della primavera 1789, Mozart ricevette
forse questa commissione da parte della principessa prussiana,
parallelamente a quella di alcuni Quartetti per il sovrano.
E tuttavia, l'una come l'altra commissione, se vi furono effettivamente -
Mozart potrebbe solamente aver pensato di dedicare questi lavori ai
membri della famiglia reale - non furono portate a termine, e il gruppo di
sei Sonate si arrestò dopo questa prima prova.
Ad ogni modo, il contenuto della Sonata K. 576 non è propriamente
"facile"; la tecnica risulta brillante senza essere di impegno
trascendentale, e si rivolge forse a una dilettante di talento. Sotto altri
aspetti lo spartito reca nettissimo il segno dell'ultimo Mozart, soprattutto
per l'impiego del contrappunto, così tipico degli ultimi anni del maestro.
Ecco dunque che l'Allegro iniziale parte da un tema di "caccia"
all'unisono, che rimane alla base di quasi tutto il movimento con
pochissimi diversivi; e anche il secondo tema altro non è se non una
variazione contrappuntistica del primo; solo nella coda dell'esposizione
appare un terzo tema più disteso.

677
Lo sviluppo consiste quasi interamente in una vera e propria invenzione
a due voci sul tema di base, e la riesposizione non è affatto testuale; per
evitare monotonia Mozart sopprime il secondo tema, passando
direttamente al terzo, e aggiunge poi una lunga coda.

MOZART CON LA SORELLA NANNERL

678
L'Adagio è un movimento tripartito, con due sezioni gemelle - basate su
una melodia nobile e pensosa, riesposta poi con varianti armoniche - che
incorniciano una centrale sezione in fa diesis minore, ricca di un pathos
che deriva dalle continue modulazioni e dai passaggi cromatici.
Gli stessi principi del tempo iniziale - con una minore attenzione verso il
contrappunto - si riscontrano anche nell'Allegretto conclusivo, che è un
Rondò estremamente complesso; sue caratteristiche sono l'unità tematica,
posto che anche il primo episodio si basa sul tema del refrain, e il
dinamismo ritmico delle terzine che pervadono quasi interamente la
pagina, ultima straordinaria invenzione del sonatismo di Mozart.
Arrigo Quattrocchi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 6 Marzo 2009, Andras Schiff
pianoforte

679
SONATA N. 18 IN FA MAGGIORE PER PIANOFORTE, K 533
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (fa maggiore)
2. Andante (si bemolle maggiore)
3. Rondò. Andante (fa maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 3 Gennaio 1788

Il terzo tempo utilizza il Rondò K. 494

Il 10 giugno 1786 Mozart inseriva nel suo catalogo personale "Un


piccolo Rondò per pianoforte solo", in fa maggiore. Questo Rondò K.
494 era nato forse per far parte di un ciclo di tre Rondò destinati, in
origine, a una pubblicazione congiunta - gli altri due erano il Rondò in re
maggiore K. 485, e il Rondò in la minore K. 511.
Questo progetto doveva però essere modificato. Il 3 gennaio 1788 il
catalogo del compositore si arricchiva di Un Allegro e Andante per
pianoforte solo K. 533, movimenti concepiti per essere aggiunti al
preesistente Rondò K. 494, e definire così una intera nuova Sonata,
pubblicata poi nel corso dell'anno dall'editore Hoffmeister.
Il risultato è quello di uno spartito perfettamente organico, che aderisce
in pieno al gusto intrattenitivo, facendo ricorso però a una scrittura
sofisticata, che rivela insistentemente l'interesse del compositore verso le
tecniche contrappuntistiche, assimilate con lo studio dei lavori di Bach e
Händel compiuto negli anni viennesi.
Non a caso nel primo movimento, Allegro, il materiale tematico è
estremamente sobrio; ciascuno dei due temi principali viene presentato
dalla sola mano destra, e viene poi ripetuto in combinazioni polifoniche
di vario tipo; un terzo tema che appare nella coda si impone nello
sviluppo, dando luogo a ingegnose combinazioni con la prima idea.
Il centrale Andante, in forna-sonata, è un movimento di estrema
concentrazione espressiva, ispirato a Carl Philipp Emanuel Bach nel suo
stile sentimentale ma ricco di elementi inconfondibili dell'autore, come il
cromatismo e la vastità del piano tonale; notevole è soprattutto il
680
procedimento meticoloso con cui Mozart riesce a conferire al discorso
un’animazione progressiva, basata su una intensificazione della
lunghezza delle frasi, della pienezza della scrittura e della ritmica.

ANDRAS SCHIFF

Il finale non è solo "Un piccolo Rondò", come lo definì l'autore, ma un


movimento di vasto impianto e di perfetto equilibrio; nell'aggiungerlo
agli altri due movimenti Mozart vi inserì una vasta cadenza prima della
fine, avviata da progressive imitazioni che salgono dal basso agli acuti
della tastiera, richiamando, con coerenza, l'assunto polifonico del
movimento iniziale.
Arrigo Quattrocchi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 6 Marzo 2009, Andras Schiff
pianoforte

681
VARIAZIONI PER PIANOFORTE

SEI VARIAZIONI IN FA MAGGIORE


PER PIANOFORTE, K1 398 (K6 416E)
sull'aria "Salve tu, Domine" dall'Opera "I filosofi immaginari" di
Giovanni Paisiello

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, marzo 1783
Prima esecuzione: Vienna, Burgtheater, 23 marzo 1783
Edizione: Artaria, Vienna 1786

In un concerto tutto di sue musiche (un'«Accademia»),


comprendente ben dieci «pezzi» (vi figuravano, tra l'altro, la Haffner-
Symphonie, il Concerto K. 425 e quello K. 175), Mozart suonò (Vienna,
23 marzo 1783) queste Variazioni sul tema di Paisiello e, poi,
aumentando le richieste di bis, anche quelle sull'aria di Gluck.
Le Variazioni K. 398 nascono da un frammento dell'Opera di Paisiello I
filosofi immaginari - su libretto del Bertati - rappresentata nel 1777 a
Pietroburgo dove Paisiello, l'anno prima, era stato chiamato da Caterina
II, con l'incarico di direttore di corte e di supervisore dell'Opera italiana,
e dove il nostro compositore soggiornò fino al 1784.
Tornando in Europa, Paisiello incontrò a Vienna Mozart il quale gli fece
ascoltare le Variazioni. L'episodio è ricordato da Mozart stesso in una
delle lettere che completano questo programma.
Il tema e le variazioni si susseguono senza soluzione di continuità e con
la caratteristica di non presentare mai alcun segno di ripetizione, di
«daccapo». L'impegno tenuto nelle prime tre è anche quello di far
germogliare la variazione nello stesso spazio ocupato dal tema (ventidue
battute).
Le prime tre variazioni, cioè, non variano il numero iniziale delle battute,
ma costituiscono, pur nel rigore formale, un diverso riverbero fonico dato
al tema. La prima variazione punta sulla mano destra e in un veloce

682
«legato»; la seconda, prevalentemente su un rapido «staccato» di
biscrome, dissolvente in una assorta rievocazione della seconda parte del
tema. La terza mette in risalto la presenza della mano sinistra.

GIOVANNI PAISIELLO

683
Dalla quarta variazione, il discorso si fa più movimentato e più elaborato.
Al carattere quasi d'improvvisazione che emerge dalle prime tre, si
sostituisce un lavorìo più minuzioso, e più ricco anche di soluzioni
armoniche.
Lo spazio si allarga e la musica spesso indugia in «cadenze» o è affidata
(come nella quinta variazione) ai «trilli» i quali ripropongono soluzioni
già sperimentate nel Rondò della Sonata K. 281.
Un impeto di più deciso virtuosismo sostiene l'ultima variazione, che è la
più ampia, e che porta, attraverso il clima fantastico di una imprevedibile
«cadenza», alla ripresa del tema.
Nelle ultime battute, è di straordinaria ricchezza espressiva il
ribaltamento della struttura ritmica, la diversa accentuazione data da
Mozart al tema di Paisiello.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 17 aprile 1970

684
10 VARIAZIONI IN SOL MAGGIORE
PER PIANOFORTE, K 455
sull'Arietta "Unser dummer Pöbel mein"

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart


 Allegretto (sol maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 25 Agosto 1784
Edizione: Torricella, Vienna 1785

Le dieci Variazioni in sol maggiore sull'Arietta "Unser dummer


Pöbel meint" dal Singspiel Die Pilger von Mekka di Gluck K. 455
costituiscono uno degli esempi più perfetti e assiomatici di Variazioni
pianistiche scritte da Mozart. Una lettera al padre del 29 marzo 1783
testimonia che questo ciclo (come anche un altro ciclo, su un tema da I
filosofi immaginarii di Paisiello K. 398) nacque come improvvisazione,
nel corso di un concerto tenuto di fronte all'imperatore Giuseppe II.
È possibile che in sala fosse presente il compositore di corte Christoph
Willibald Cluck e che Mozart, come omaggio al grande autore di Orfeo
ed Euridice e Alceste, scegliesse, per le sue Variazioni, un tema da una
sua Opera di grande successo: La rencontre ìmprévue o Les Pèlerins de
la Mecque, opéra-comique del 1764, tornata in scena a Vienna in
versione tedesca nel luglio 1780 con accoglienza trionfale. Mozart si
accinse in seguito a stendere su carta le Variazioni sul tema di Gluck,
come testimonia un abbozzo incompiuto di una primitiva versione.
Tuttavia è solo alla data del 25 agosto 1784, oltre un anno più tardi, che
inserì la composizione nel suo catalogo personale.
Le Variazioni sul tema di Gluck, nel loro lungo percorso
dall'improvvisazione in concerto alla carta da musica, vedono Mozart
mettere a fuoco in modo estremamente rifinito tutti i dettagli della
scrittura pianistica, sempre sulla base di quegli schemi priori di cui il
compositore si serviva nello svolgere le sue improvvisazioni. Il tema di
Gluck ha un carattere di marcia, che, nel corso delle dieci Variazioni,
mantiene quasi sempre immutato lo schema armonico.

685
ANDRAS SCHIFF

Gemelle sono le prime due Variazioni, con le semicrome della mano


destra che si contrappongono agli accordi della sinistra, e viceversa.
Seguono poi la terza Variazione in terzine, la quarta con le "domande"
della mano sinistra e le "risposte" della destra, la quinta che propone il
tema variato nel modo minore, con una transizione espressiva.
La sesta Variazione offre i trilli alternati fra le due mani, con un
suggestivo effetto coloristico, la settima delle imitazioni, l'ottava
l'incrocio fra le due mani.
Una lunga cadenza conduce alla nona Variazione, un movimento lento,
con un arioso fraseggiare della destra, che ha un carattere di Fantasia.

686
Si giunge così alla decima e ultima Variazione, più lunga e complessa,
avviata col cambio del metro di base, da binario a ternario (3/8), e
dunque più capriccioso e brillante. Questa Variazione virtuosistica è
anche interrotta da una lunga cadenza, gioca poi col passaggio della
mano destra sulla sinistra, infine approda a una coda che riespone il tema
originario di Gluck, e conclude con estro e grazia tutto il percorso delle
Variazioni, che per il loro arco elaborato e impegnativo sono un vero
pezzo da concerto.
Arrigo Quattrocchi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 27 febbraio 2009, Andras
Schiff pianoforte

12 VARIAZIONI PER PIANOFORTE IN SI BEMOLLE


MAGGIORE SU UN ALLEGRETTO, K 500
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
 Allegretto (si bemolle maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 12 Settembre 1786
Edizione: Hoffmeister, Vienna 1786

Le dodici Variazioni in si bemolle su un Allegretto K. 500 sono il


terzultimo ciclo di Variazioni di Mozart, risalente al 12 settembre 1786.
La raccolta venne scritta, secondo la testimonianza della vedova
Constanze, dietro sollecitazione dell'editore Franz Anton Hoffmeister,
per una destinazione editoriale che poi non ebbe luogo, ma che
certamente condizionò il carattere estremamente semplice della raccolta;
è questo peraltro l'unico ciclo di cui non si conosca l'autore del tema;
forse lo stesso Mozart, anche se in genere questi cicli pianistici
prendevano spunto da una melodia celebre.
La brevità del tema viene rispettata in tutte le Variazioni, che seguono
schemi consolidati.
687
Il tema, in stile di Gavotta, o di Contraddanza, viene modificato nelle
prime due Variazioni in modo parallelo, con le terzine alla mano destra, e
poi alla sinistra.

ANDRAS SCHIFF

Parallele sono anche la terza e la quarta Variazione, con le scorrevoli


quartine alla destra e poi alla sinistra.
La quinta Variazione offre cromatismi e screziature armoniche, la sesta si
fonda su arpeggi spezzati.
La settima Variazione passa dal maggiore al minore, con una netta
transizione espressiva.
L'ottava Variazione si basa su note ribattute, la nona su scale e
spostamento d'accenti, la decima sull'inversione della mano destra sopra
la sinistra.

688
Una cadenza conduce all'undicesima variazione, un Adagio dalla melodia
fiorita, che è una vera pausa contemplativa prima dell'ultima Variazione.

ANDRAS SCHIFF

La dodicesima offre infatti una repentina conversione verso lo Scherzo,


con un cambio di metro da binario a ternario.
Infine, una breve cadenza porta alla riesposizione del tema, nella sua
veste originale, approdo circolare delle dodici Variazioni.
Arrigo Quattrocchi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma Auditorium Parco della Musica, 20 Febbraio 2009, Andras
Schiff pianoforte

689
VARIAZIONI IN RE MAGGIORE PER PIANOFORTE, K 573
sul tema di un minuetto di Jean-Pierre Duport

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart

Organico: pianoforte
Composizione: Potsdam, 29 Aprile 1789
Edizione: Artaria, Vienna 1792

JEAN-PIERRE DUPORT

690
Al 1789 appartengono le nove Variazioni in re maggiore su un
Minuetto di Jean-Pierre Duport K. 573. Si tratta di una pagina composta
durante il viaggio compiuto a Berlino nella primavera 1789 al seguito del
principe Karl Lichnowsky.
Mozart arrivò a Potsdam, dove il Re Federico Guglielmo II di Prussia
manteneva la propria residenza principale, il 25 aprile.
Chiese di essere ricevuto dal Sovrano ma si trovò di fronte, come
intermediario, Jean-Pierre Duport (1741-1818), importante figura di
violoncellista che ricopriva il ruolo di direttore della musica da camera
del Re.
Come tentativo di ingraziarsi l'arcigno e diffidente Duport - un tentativo
che non sembra essere stato molto proficuo - Mozart scrisse dunque,
appena tre giorni più tardi, il 29 aprile, un ciclo di Variazioni pianistiche,
basato sul Minuetto tratto dalla Sonata op. 4 n. 6 per violoncello e basso
continuo di Duport.
A differenza di numerosi cicli di Variazioni pianistiche di Mozart, le
Variazioni K. 573 non nacquero dunque come perfezionamento su carta
di una precedente improvvisazione.
Il semplice ed elegante Minuetto di Duport viene sottoposto tuttavia a
una serie di trasformazioni che si succedono secondo schemi prestabiliti,
gli stessi che Mozart teneva presenti quando si trovava ad improvvisare.
Le prime due variazioni offrono così le fitte semicrome della mano destra
accompagnate da accordi della sinistra, e poi viceversa.
La terza sfrutta gli arpeggi spezzati fra le due mani.
La quarta sviluppa, a mani alternate, delle terzine per terze e seste.
La quinta parte dal tema in note ribattute.
La sesta converte il tema nel modo minore.
La settima sfrutta le ottave spezzate, a mani alternate.
L'ottava è una pausa contemplativa, un Adagio fiorito e dal fraseggio
libero che prepara sapientemente la sorpresa dell'ultima Variazione, con
il mutamento del metro da ternario a binario.

691
Il ciclo delle Variazioni si conclude poi con il ritorno del tema,
sottilmente fiorito.
Arrigo Quattrocchi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma Auditorium Parco della Musica, 20 febbraio 2009

COMPOSIZIONI ISOLATE PER PIANOFORTE

ADAGIO IN SI MINORE PER PIANOFORTE, K 540


Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Adagio (si minore)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 19 Marzo 1788
Edizione: Hoffmeister, Vienna 1788

Questo breve movimento lento rimasto isolato per ragioni ignote,


pubblicato da Hoffmeister senza alcuna ulteriore indicazione, reca la data
del 19 marzo 1788 e appartiene dunque al periodo dell'ultimo Mozart
(cronologicamente si situa a cavallo delle due versioni, praghese e
viennese, del Don Giovanni).
E del Mozart maturo ha tutta l'ineffabile, poetica inafferrabilità, la
valenza espressiva tragica e la tendenza a risolvere la musica, quasi nella
sua essenza, in termini metafisici.
Il carattere libero e rapsodico del suo andamento riposa su un equilibrio
instabile ma perfettamente disegnato, nel quale l'accesa passionalità, con
tratti quasi disperati, si placa in una progressiva decantazione che trova il
suo punto di destinazione finale nella trasfigurante coda in maggiore.
Sergio Sablich
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma Auditorio di Via della Conciliazione, 12 Aprile 2002,
Alexander Lonquich pianoforte
692
ALEXANDER LONQUICH

693
MARCIA IN DO MINORE PER PIANOFORTE, K 453A
"PICCOLA MARCIA FUNEBRE DEL SIGNOR MAESTRO
CONTRAPPUNTO"
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
 Lento (do minore)

Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, marzo - maggio 1784

Un unicum nella produzione di Mozart è la Kleiner Trauermarsch


in do minore K. 453a, rimasta a lungo esclusa dal catalogo mozartiano
ma indubitabilmente autentica.
Fu scritta nel 1784 per una allieva, Fräulein Ployer, che la conservò nel
suo album.
Nonostante abbia il sottotitolo scherzoso di "Marcia funebre del Sigr
Maestro Contrappunto", è una musica raccolta e grave, in cui alberga un
dolore intenso ma senza disperazione, simile in questo alla Musica
funebre massonica K. 477, nella stessa tonalità di do minore.

Mauro Mariani

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 23 gennaio 2004

694
PICCOLA GIGA IN SOL MAGGIORE
PER PIANOFORTE, K 574
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
 Allegro (sol maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Lipsia, 16 Maggio 1789
Edizione: Artaria, Vienna 1792

Di gran lunga più importante, nella sua brevità, la Piccola Giga in


sol maggiore K. 574, pagina che si riallaccia al grande interesse di
Mozart, nei suoi ultimi anni, verso lo stile "antico" di Sebastian Bach e di
Händel.
Mozart aveva imparato a conoscere e ad ammirare la musica di questi
autori grazie alla frequentazione del salotto del barone Gottfried van
Swieten che, come diplomatico, aveva risieduto lungamente a Berlino,
dove la musica di Bach era conosciuta e diffusa nei circoli legati al figlio
Carl Philipp Emanuel.
Al suo ritorno a Vienna, nel 1777, van Swieten doveva diventare un
autentico mecenate, volto al culto di quella che era considerata la
"musica antica", attraverso un circolo intellettuale che promuoveva molte
esecuzioni.
È per i Concerti promossi da van Swieten che a Mozart venne richiesto
di trascrivere quattro Oratori di Händel. All'ombra degli studi di questo
stile "antico" nascono anche parecchi lavori pianistici segnati dal gusto
arcaicizzante per il contrappunto.
La Piccola Giga K. 574 venne scritta a Lipsia, tappa del già citato
viaggio compiuto a Berlino nella primavera 1789 insieme al principe
Karl Lichnowsky.
La composizione rappresenta un piccolo dono vergato da Mozart, con la
data del 16 maggio 1789, insieme a una sincera dedica, sul quaderno
personale dell'organista della corte lipsiense, Karl Immanuel Engel.
Insomma un omaggio musicale a uno stimato collega.

695
ANDRAS SCHIFF

Nonostante Lipsia fosse la città nella quale aveva svolto il proprio


magistero Sebastian Bach, la Piccola Giga ha un modello diverso, quello
di Händel, e precisamente della Suite n. 8 in fa minore, tratta dalla
raccolta del 1722.
Il contrappunto impeccabile delle tre voci della Giga ricalca da vicino
quello händeliano, seguendo però un percorso armonico non prevedibile,
che rivela molto nitidamente la mano di Mozart.

Arrigo Quattrocchi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 20 Febbraio 2009, Andras
Schiff pianoforte

696
COMPOSIZIONI PER ORGANO
ANDANTE IN FA MAGGIORE
PER ORGANO MECCANICO, K 616
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
Composizione: Vienna, 4 maggio 1791
Edizione: Artaria, Vienna 1791

Nella vasta e multiforme attività musicale mozartiana non


potevano mancare i pezzi per organo, o strumenti consimili, anche se
queste composizioni, che sono soltanto tre non considerando il
frammento dell'Adagio K. 617, non presentano elementi di grande
importanza sotto il profilo dell'originalità creatrice.
Infatti la Fantasia in fa minore K. 594, l'Andante in fa maggiore K. 616 e
la Fantasia in fa minore K. 608, sono dettate da motivi contingenti e
considerate dallo stesso Paumgartner, studioso e ammiratore di Mozart,
come testimonianze drammatiche dello stato di miseria in cui versava tra
la fine del 1790 e i primi mesi del 1791 il grande musicista, sempre più
solo ed emarginato dalla società detentrice del potere.
Oberato di debiti e in mezzo a difficoltà economiche di ogni genere
(nell'ottobre del 1790 Mozart vendette tutta l'argenteria che gli era
rimasta in casa per recarsi a Francoforte sul Meno in occasione della
festa di incoronazione di Leopoldo II, il quale aveva invitato
ufficialmente solo i musicisti Salieri e Umlauf) l'artista fu incaricato da
un certo conte Deym, collezionista di oggetti preziosi e rari, di scrivere
una serie di pezzi per organo meccanico, detto anche ad orologeria, che
richiamava in quel tempo la curiosità della ricca borghesia viennese.
Il musicista, che proprio in quel periodo era stato invitato dal direttore
dell'Opera italiana di Londra, O' Reilly a recarsi per sei mesi in
Inghilterra e a scrivere due Opere con un compenso di 300 sterline (il
viaggio e il progetto andarono in fumo), non ebbe difficoltà a soddisfare
la bizzarra ordinazione di Deym.
Sono pezzi scritti per necessità, ma vale la pena di ricordare che essi
appaiono in un momento inventivo tutt' altro che in via di esaurimento,
se si considera che il 1791 è l'anno di due Opere teatrali, Il flauto magico
697
e La clemenza di Tito, dei due Quintetti per archi K. 613 e K. 614, del
Concerto per clarinetto K. 622, del Mottetto Ave verum corpus per voci
soliste, archi e organo e dell'ultima pagina della partitura del Requiem
con le otto misteriose battute del "Lacrymosa", che troncano il respiro
affannoso del musicista morente.

698
L'Andante K. 616, noto anche come Rondò, presenta un virtuosismo
adatto ad uno strumento meccanico e si basa su un tema unico modulato
nelle tonalità di si bemolle, la minore, fa minore, la bemolle, secondo una
serie di variazioni che conferiscono una impronta patetica alla linea
espressiva.
Il pezzo si conclude con una stretta brillante, in cui il tema viene
riesposto depurato di ogni suo ornamento e abbellimento, in un clima di
dolcezza accordale.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma Auditorio di Via della Conciliazione, 22 gennaio 1988

699
FANTASIA PER ORGANO MECCANICO, K 594
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Adagio (fa maggiore)

2.Allegro (fa maggiore)


Organico: orologio meccanico del conte Deym
Composizione: Vienna, ottobre - dicembre 1790
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1800

Definita da Mozart come "Adagio pour l'horloger" la Fantasia K.


594 inizia con un tempo in tre quarti di tono meditativo e di stile severo
in un gioco di armonie e di modulazioni man mano sempre più audaci.
Il successivo Allegro in fa maggiore ha l'andamento di un fugato dal
ritmo nervoso e spigliato, di impianto sonatistico, che apre poi la strada
al clima espressivo già ascoltato nel discorso sonoro introduttivo.
Esiste anche una trascrizione per orchestra di questa Fantasia ma non c'è
dubbio che l'edizione per organo sia particolarmente efficace e riesca a
comunicare meglio il carattere di improvvisazione impresso dalla
fantasia di Mozart.

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma Auditorio di Via della Conciliazione, 22 gennaio 1988

700
MONUMENTO FUNEBRE

701
FANTASIA IN FA MINORE
PER ORGANO MECCANICO, K 608
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (fa minore)
2. Andante (la bemolle maggiore)
3. Allegro
Organico: Organo meccanico
Composizione: Vienna, 3 marzo 1791
Edizione: Traeg, Vienna 1799

La Fantasia in fa minore è la seconda di tre composizioni scritte da


Wolfgang Amadeus Mozart per un organo meccanico, su commissione
del conte Deym.
La prima è l'Adagio e Allegro in fa minore (K. 594), scritto tra l'ottobre e
il dicembre del 1790; la terza è l'Andante in fa maggiore (K. 616), che
porta la data 4 maggio 1791. Il 3 marzo dello stesso anno era stata
terminata la Fantasia in fa minore. Il lavoro, che interessò a fondo
Beethoven, che se ne fece una copia, è assai superiore alla sua
destinazione.
Carl De Nys ne rileva il carattere funebre, che l'apparenta strettamente
all'analogo lavoro del 1790, scritto per la morte del maresciallo Laudon.
La struttura è tripartita: Allegro, Andante, Allegro. I due movimenti
laterali, anch'essi tripartiti, hanno il loro punto focale nella fuga (che
diviene doppia nel secondo Allegro). L'Andante centrale è una pagina
d'intensa commozione, «una delle più avvincenti che Mozart abbia
immaginato, fusione sorprendente delle forme del Lied, della Variazione,
del Rondò» (De Nys).
Carlo Marinelli

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 9 febbraio 1968

702
DANZE PER PIANOFORTE
MINUETTO PER PIANOFORTE
IN RE MAGGIORE, K1 355 (K6 376B)

Musica: Wolfgang Amadeus Mozart

Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 1789
Edizione: Mollo, Vienna 1801

ANDRAS SCHIFF

703
Anche il Minuetto K. 355/576b è un pezzo piuttosto misterioso.
Come nel caso della Fantasia K. 397 non ne esiste un autografo e l'unica
fonte è una edizione a stampa pubblicata da Mollo & Co. a Vienna nel
1801 con il titolo Menuetto avec Trio pour le Piano-Forte par W.A.
Mozart, et M. Stadler.
L'abate Maximilian Stadler, amico di famiglia dei Mozart e musicista
egli stesso, aiutò la vedova Constanze nella sistemazione e vendita del
patrimonio musicale del marito, talvolta portando a conclusione alcune
pagine incompiute.
Nel caso specifico aggiunse un Trio di propria invenzione al Minuetto di
Mozart, a proposito del quale non si può avanzare una datazione più
precisa degli ultimi tre anni di vita del compositore, e che forse non era
neanche destinato in origine alla tastiera.
Presenta infatti una nitida scrittura a tre voci (forse un trio d'archi?), che
anima le movenze stilizzate ed eleganti della danza.
Il Trio di Stadler viene spesso omesso nelle esecuzioni moderne.

Arrigo Quattrocchi

Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di


Santa Cecilia,
Roma Auditorium Parco della Musica, 20 febbraio 2009, Andras
Schiff pianoforte

704

Common questions

Basati sull'IA

La Sinfonia n. 18 in Fa K. 130 è significativa per diversi motivi, tra cui la sua tonalità inusuale per Mozart e l'uso innovativo degli strumenti. In questa sinfonia, i flauti sono posti in tessiture più acute rispetto agli oboi, e vi è una coppia di corni in Do alto e Fa al posto dei tradizionali corni. Inoltre, il movimento Minuetto è arricchito con un'altra coppia di corni. L'influenza di Ignaz Leutgeb, un virtuoso cornista, è evidente, suggerendo un'innovazione influenzata dai contatti e dai viaggi di Mozart .

Nel primo movimento della Sinfonia n. 20 in Re K. 133, Mozart adopera la forma sonata in modo innovativo. Inizia con tre accordi per Tutti, seguiti da un tema di trilli affidato agli archi, consolidando un'apertura festosa. Questa stessa impostazione continua nel resto della Sinfonia, si nota una forma a specchio dove il tema conclusivo dell’esposizione è derivato dal tema principale. La sezione-sviluppo riporta la composizione alla tonalità iniziale senza riproporre il tema di apertura, riservando il tema principale per il Finale .

Mozart seguì la pratica di inserire arie sostitutive conformemente alle esigenze teatrali del tempo, un'usanza legittima che permetteva agli interpreti di esibirsi al meglio delle loro possibilità. Questo adattamento è evidente in opere come 'Don Giovanni', che fu arricchito con nuove pagine, come l'aria «Dalla sua pace» su richiesta degli interpreti. Questa prassi mostra la flessibilità di Mozart e la sua capacità di personalizzare il materiale musicale per massimizzare l'impatto sul pubblico e garantire il successo delle esibizioni, senza compromettere l'integrità artistica complessiva delle opere .

Nella Sinfonia n. 29 in La K. 201, l'idea di "equilibrio" si manifesta attraverso un preciso bilanciamento tra elementi lirici e strumentali-musicali. Mozart inizia il primo movimento in modo pacato, senza enfasi fanfaristica, seguendo con un tema di intervalli che ritorna nel Finale. L'Andante, nonostante i ritmi puntati e doppio puntati, esibisce un'eleganza serena. La sezione sviluppo, descritta da Einstein come ricca e drammatica, enfatizza la sofisticazione armonica e strutturale, perenne nelle sue transizioni sinuose. Nella forma-sonata, unisce incisioni liriche e una scrittura musicale dinamica, costruendo una narrativa sinfonica coesa e bilanciata .

Il Minuetto della Sinfonia n. 30 in Re, K. 202 si caratterizza per la sua struttura arguta basata su canoni tra la linea di basso e i violini. Le viole oscillano tra Do e Si naturale, creando una contraddizione evidente rispetto alla sintassi melodica degli altri strumenti. Questo movimento manifesta un equilibrio unico tra i contrasti canone e monotonia, infondendo vitalità musicale. Il Minuetto utilizza ritmi puntati e doppio puntati, una caratteristica stilistica solitamente associata alle Ouvertures francesi, inserendo un elemento di drammaticità in linea con la poetica sinfonica di Mozart .

Nella Sinfonia n. 30 in Re, K. 202, Mozart dimostra la sua capacità di combinare lo stile tradizionale con innovazioni personali attraverso il Minuetto, strutturato attorno a un canone che coinvolge bassi e violini, con viole che oscillano tra Do e Si naturale. Questo contrasto crea un effetto di tensione che si discosta dai tipici Minuetti dell'epoca. Mozart amalgama elementi classici con una composizione innovativa, garantendo contemporaneamente un'attenzione particolare alla struttura e alla coerenza tematica .

La Sinfonia n. 20 in Re K. 133, composta nel luglio 1772, è rappresentativa delle sinfonie giovanili di Mozart per la sua struttura e l'uso della forma sonata. Caratterizzata da un'apertura con tre accordi per Tutti e un tema di trilli affidato agli archi, la sinfonia si distingue per uno spirito festoso, enfatizzato dai fiati. La sezione di esposizione, il suo sviluppo e la ripresa rimandano a un tema principale compatto che conferisce coesione al movimento. Sebbene contenga ritmi "longobardi," essa non ripropone completamente il tema iniziale, riservandolo per il Finale, richiamando una tecnica compositiva avanzata per un compositore della sua giovane età .

La diversità stilistica di Mozart nella composizione delle arie ha contribuito significativamente allo sviluppo dell'opera lirica, in modo analogo alla sua influenza sulle sinfonie. Le sue arie sono spesso composte nei contesti di 'aria da concerto' o 'aria sostitutiva', ognuna innovativa nelle sue esigenze espressive. Questa flessibilità si osserva nel modo in cui Mozart ha adattato le sue composizioni per massimizzare l'espressione del cantante, riflettendo un'ampiezza straordinaria di stili musicali e tematiche emotive. Questa caratteristica non solo ha ampliato l'espressività dei singoli ruoli all'interno delle opere, ma ha anche contribuito a stabilire nuovi elementi stilistici che hanno avuto un impatto duraturo sull'opera lirica come forma artistica .

La poliedricità musicale di Mozart si riflette nelle sue composizioni per strumenti a fiato, come evidenziato nella Sinfonia n. 18, dove si distacca dalle convenzioni attraverso l'uso innovativo dei fiati. La scelta di impiegare flauti al posto degli oboi e diverse coppie di corni dimostra un interesse approfondito per il timbro e la tessitura e un'influenza marcata da figure come Ignaz Leutgeb. Questo interesse trova un'ulteriore espressione nei Concerti per Corno, una testimonianza del suo contatto con Leutgeb, che arricchì le sue composizioni con un'attenzione particolare alla varietà timbrica e alle capacità virtuosistiche degli strumenti a fiato .

Nonostante Mozart ritenesse la musica francese del suo tempo 'ridicola', nei suoi lavori emergono elementi delle forme francesi, soprattutto nell'uso di stili come la gavotta o la controdanza. Questo si osserva nel finale della Sinfonia n. 20 in Re K. 133, caratterizzato dalla forma di una gavotta o controdanza in rondò, che anticipa una Sinfonia francese. Questo uso mostra che Mozart era capace di assimilare stili internazionali adattandoli alla sua estetica, pur mantenendo una certa distanza critica dalle caratteristiche della musica francese contemporanea .

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