Mozart Wolfgang Amaeus PDF
Mozart Wolfgang Amaeus PDF
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A Mozart è universalmente riconosciuta la creazione di opere
musicali di straordinario valore artistico ed è annoverato tra i più grandi
geni della storia della musica, dotato di raro e precoce talento.
Morì all'età di trentacinque anni, lasciando pagine indimenticabili di
musica classica di ogni genere, tanto da essere definito dal Grove
Dictionary come "il compositore più universale nella storia della musica
occidentale": la sua produzione comprende musica sinfonica, sacra, da
camera e opere di vario genere.
La musica di Mozart è considerata la "musica classica" per eccellenza,
egli è infatti il principale esponente del "Classicismo" settecentesco, i cui
canoni principali erano l'armonia, l'eleganza, la calma imperturbabile e
l'olimpica serenità.
Mozart raggiunge nella sua musica divina vertici di perfezione
adamantina, celestiale e ineguagliabile, tanto che il filosofo Nietzsche lo
considererà il simbolo dello "Spirito Apollineo della Musica", in
contrapposizione a Wagner, che Nietzsche definirà l'emblema dello
"Spirito Dionisiaco della Musica".
Il nome
I quattro nomi assegnati ad Amadeus ebbero queste origini:
Joannes Chrysostomus, in onore di san Giovanni Crisostomo in
quanto la sua festa cadeva proprio il 27 gennaio.
Wolfgangus, (ovvero "camminare come un lupo") scelto per via
della sua discendenza materna (il nonno si chiamava Wolfgang
Nikolaus Pertl 1667 - 1724)
Theophilus in onore del padrino, Johann Theophilus Pergmayr,
commerciante e consigliere civico.
Anche se da bambino il padre lo soprannominava Wolfer in seguito
venne prima chiamato Amadeus (che è la traduzione latina del greco
Theophilus, cioè letteralmente "Colui che ama Dio" o anche "Colui che è
amato da Dio"), e successivamente (dal 1771) Amadè; da notare che il
padre Leopold nei primi anni usò anche - in alcune lettere - la versione
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tedesca del nome, cioè Gottlieb. Mozart aveva una certa insofferenza per
le desinenze "us" finali dei suoi nomi, tanto che scherzosamente firmava
alcune sue lettere come Wolfgangus Amadeus Mozartus.
Wolfgang Amadeus Mozart nacque al numero 9 di Getreidegasse a
Salisburgo, capitale dell'arcidiocesi di Salisburgo, all'epoca territorio
sovrano appartenente al Sacro Romano Impero nel Circolo Bavarese
(attualmente austriaco). Wolfgang fu battezzato il giorno dopo la sua
nascita presso la cattedrale di San Ruperto.
LA CASA NATALE
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La notizia della nascita di Wolfgang venne data dal padre Leopold in una
lettera del 9 febbraio 1756 ad un amico di Augusta, Johann Jakob Lotter:
« Ti informo che il 27 gennaio, alle otto della sera, la mia cara moglie
ha dato felicemente alla luce un bambino. Si era dovuta rimuovere la
placenta e perciò ella era estremamente debole. Ora invece, grazie a
Dio, sia il bimbo che la madre stanno bene. Il bambino si chiama
Joannes Chrysostomus, Wolfgang, Gottlieb. »
I genitori di Wolfgang avevano quasi la stessa età (la madre differiva dal
marito di un solo anno) ed erano personaggi attivi dell'epoca: il padre
Leopold, compositore ed insegnante di musica, ricopriva l'incarico di
vice Kapellmeister presso la corte dell'arcivescovo Anton Firmiane; la
madre Anna Maria Pertl (1720- 1778) era figlia di un prefetto.
Dei numerosi figli di Leopold e Anna Maria, Wolfgang a parte, l'unica
non morta nell'infanzia era la sorella maggiore Maria Anna (1751–1829),
detta Nannerl o Nannette.
Il bambino dimostrò un talento per la musica tanto precoce quanto
straordinario, un vero e proprio bambino prodigio: a tre anni batteva i
tasti del clavicembalo, a quattro suonava brevi pezzi, a cinque
componeva. Esistono vari aneddoti riguardanti la sua memoria
prodigiosa, la composizione di un Concerto all'età di cinque anni, la sua
gentilezza e sensibilità, la sua paura per il suono della tromba. Inoltre
sviluppò fin da bambino l'orecchio assoluto.
Quando non aveva neppure sei anni, il padre portò lui e la sorella, pure
assai brava, a Monaco, affinché suonassero per la corte dell'Elettore
bavarese; alcuni mesi dopo essi andarono a Vienna, dove furono
presentati alla corte imperiale e in varie case nobiliari.
"Il miracolo che Dio ha fatto nascere a Salisburgo" era la definizione che
Leopold dava di suo figlio e pertanto egli si sentiva in dovere di far
conoscere il miracolo a tutto il mondo (e magari di trarne qualche
profitto).
Verso la metà del 1763 egli ottenne il permesso di assentarsi dal suo
posto di vice Kapellmeister presso la corte del principe vescovo di
Salisburgo. Tutta la famiglia intraprese così un lungo viaggio, che durò
più di tre anni. Essi toccarono quelli che erano i principali centri musicali
dell'Europa occidentale: Monaco, Augusta, Stoccarda, Mannheim,
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Magonza, Francoforte, Bruxelles e Parigi (dove soggiornarono il primo
inverno), poi Londra (dove rimasero per ben quindici mesi), quindi di
ritorno attraverso L'Aja, Amsterdam, Parigi, Lione, la Svizzera e infine
arrivando a Salisburgo nel novembre 1766.
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Mozart suonò nella maggior parte di queste città, da solo o con la sorella,
ora presso una corte, ora in pubblico, ora in una chiesa. Le lettere che
Leopold scrisse ad amici di Salisburgo raccontano l'universale
ammirazione riscossa dai prodigi di suo figlio.
A Parigi essi incontrarono molti compositori tedeschi e in questa città
furono pubblicate le prime composizioni di Mozart (Sonate per
clavicembalo e violino, dedicate a una principessa reale; cfr. K.V 6-9).
A Londra essi conobbero, tra gli altri, Johann Christian Bach, il figlio più
giovane di Johann Sebastian e una delle figure di primo piano della vita
musicale londinese: sotto la sua influenza, Mozart compose le sue prime
Sinfonie (K.V 16, K.V 19 e K.V 19a). Un'altra Sinfonia seguì durante il
soggiorno a L'Aja, nel viaggio di ritorno (K.V 22).
Dopo poco più di nove mesi trascorsi a Salisburgo, i Mozart partirono
per Vienna nel settembre 1767, dove restarono per quindici mesi, escluso
un intervallo di dieci settimane trascorse a Brno (Brünn) e Olomuc
(Olmütz) durante un'epidemia di vaiolo.
Mozart compose un Singspiel tedesco in un atto, Bastien und Bastienne
(K.V 50), che fu rappresentato privatamente. Maggiori speranze furono
riposte nella prospettiva di vedere rappresentata nel teatro di corte
un'opera buffa italiana, La finta semplice (K.V 51): tali speranze
andarono però deluse, con grande indignazione di Leopold.
Una grande Messa solenne (probabilmente K.V 139) fu invece eseguita
alla presenza della corte imperiale in occasione della consacrazione della
chiesa dell'Orfanotrofio. La finta semplice venne rappresentata l'anno
seguente, 1769, nel palazzo dell'arcivescovo a Salisburgo. In ottobre
Mozart fu nominato Konzertmeister onorario presso la corte
salisburghese.
Appena tredicenne, Mozart aveva acquisito una notevole familiarità con
il linguaggio musicale del suo tempo. Le prime Sonate di Parigi e
Londra, i cui autografi includono l'ausilio della mano di Leopold,
mostrano un piacere ancora infantile nel modellare le note e la tessitura
musicale.
Ma le Sinfonie di Londra e de L'Aja attestano la rapida e originale
acquisizione da parte di Mozart della musica che aveva incontrato.
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Analoghe dimostrazioni provengono dalle Sinfonie composte a Vienna
(come K.V 43 e, specialmente, K.V 48), caratterizzate da una tessitura
più ricca e da uno sviluppo più approfondito. La sua prima opera italiana,
poi, mostra un veloce apprendimento delle tecniche dello stile buffo.
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Mozart in Italia
« La nostra musica da chiesa è assai differente di quella d'Italia, e
sempre più, che una Messa con tutto il Kyrie, Gloria, Credo, la Sonata
all'Epistola, l'offertorio ò sia Mottetto, Sanctus ed Agnus Dei ed anche
la più Solenne, quando dice la Messa il Principe stesso non ha da
durare che al più longo tre quarti d'ora. Ci vuole uno studio particolare
per questa sorta di composizione, e che deve però essere una Messa
con tutti strumenti - Trombe di guerra, Tympani etc. »
(Wolfgang Amadeus Mozart, 1776)
Dal 1769 al 1773 Wolfgang effettuò con il padre tre viaggi in Italia,
durante i quali suonò ed ascoltò musica nelle varie città, con alcuni,
pochi momenti di semplice svago.
Primo viaggio (1769-1770):
dicembre 1769: Bolzano, Trento e Verona;
gennaio 1770: Mantova, Cremona e Milano;
marzo 1770: Lodi, Parma, Bologna e Firenze;
aprile 1770: Roma;
maggio 1770: Napoli, da cui va in gita a Pozzuoli, Baia, Pompei,
Ercolano e Caserta;
giugno 1770: Roma;
luglio 1770: Spoleto, Loreto, Ancona, Senigallia, Pesaro, Rimini,
Bologna;
ottobre 1770: Milano;
gennaio 1771: Torino e Milano;
febbraio 1771: Verona, Vicenza, Padova, Venezia;
marzo 1771: Padova, Verona, Salisburgo.
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Secondo viaggio:
agosto 1771: Rovereto, Ala, Verona, Brescia, Milano;
dicembre 1771: Brescia, Verona, Ala, Bressanone, Salisburgo.
Terzo viaggio:
ottobre 1772: Bressanone, Trento, Rovereto, Ala
novembre 1772: Verona, Milano
marzo 1773: Verona, Trento, Bressanone, Salisburgo.
Primo viaggio
I soggiorni milanesi diventeranno un'importante esperienza
formativa: Mozart (talvolta chiamato "Volgango Amadeo") rimarrà a
Milano complessivamente per quasi un anno della sua breve vita.
Incontrò musicisti (Johann Adolph Hasse, Niccolò Piccinni, Giovanni
Battista Sammartini, Johann Christian Bach e forse anche Giovanni
Paisiello), cantanti (Caterina Gabrielli) e scrittori (Giuseppe Parini, che
scrisse per lui alcuni libretti).
Hasse rimase molto colpito dalle capacità del ragazzo, tanto che disse:
« Questo ragazzo ci farà dimenticare tutti. »
Lasciò Milano il 15 marzo 1770, per tornarci più volte. Arrivato a Lodi,
sulla strada per Parma, scrisse le prime tre parti, Adagio, Allegretto e
Minuetto, del Quartetto K.V80, completato con il Rondò che scriverà più
tardi, forse a Vienna (1773) o a Salisburgo (1774). Tornerà a Milano per
rappresentare le sue opere liriche. L'ultima a debuttare in un teatro
italiano fu il Lucio Silla, nel 1772.
Un altro importante soggiorno fu quello di Bologna (in due riprese, da
marzo ad ottobre 1770). Ospite del conte Gian Luca Pallavicini, ebbe
l'opportunità di incontrare musicisti e studiosi (dal celebre castrato
Farinelli ai compositori Vincenzo Manfredini e Josef Mysliveček., fino
allo storico della musica inglese Charles Burney e padre Giovanni
Battista Martini). A Parma ebbe l'occasione di assistere ad un Concerto
privato della celebre soprano Lucrezia Agujari, detta La Bastardella.
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Amadeus prese lezioni di contrappunto da padre Martini e sostenne
l'esame per l'aggregazione all'Accademia Filarmonica di Bologna (allora
titolo ambitissimo dai musicisti europei). Il difficile e rigido esame
dell'ancora giovane Mozart non fu particolarmente brillante, ed esistono
prove del fatto che lo stesso Martini lo abbia aiutato in sede d'esame per
favorirne la promozione.
IL CASTRATO FARINELLI
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A riprova del travagliato esito, infatti, del cosiddetto compito di Mozart
esistono oggi ben tre copie, le prime due esposte al Museo internazionale
e biblioteca della musica e quella "definitiva" all'Accademia Filarmonica
di Bologna.
A Roma Mozart dà una straordinaria prova del suo genio: ascolta nella
Cappella Sistina il Miserere di Gregorio Allegri e riesce nell'impresa di
trascriverlo interamente a memoria dopo solo due ascolti. Si tratta di una
composizione a nove voci, apprezzata a tal punto da essere proprietà
esclusiva della Cappella pontificia, tanto da essere intimata la scomunica
a chi se ne fosse impossessato al di fuori delle mura vaticane. L'impresa
ha un carattere sbalorditivo, se si pensa all'età del giovanissimo
compositore e alla incredibile capacità mnemonica nel ricordare un brano
che riassume nel proprio finale ben nove parti vocali.
Dopo tale impresa i salisburghesi si recarono a Napoli, dove
soggiornarono per sei settimane e dove la proverbiale scaramanzia
partenopea additava all'anello che portava il compositore al dito la genesi
delle sue incredibili capacità musicali, tanto da costringerlo a toglierselo.
Ma a parte la scaramanzia, Napoli nel 1770 era la Capitale della Musica
oltre che quella di un Regno, e i Mozart ebbero modo di sondare il
terreno della produzione musicale napoletana. Amadeus era attratto dagli
innovatori della musica a Napoli: Traetta, Cafaro, Francesco De Majo e
principalmente Paisiello.
Da Paisiello - secondo Abert - il giovane Mozart doveva apprendere
diversi aspetti "[...] sia per i nuovi mezzi espressivi sia per l'uso
drammatico-psicologico degli strumenti. Mozart a Napoli viene ad
imparare, tuttavia la città lo ignora, nonostante i positivi riscontri ottenuti
dai Mozart durante il soggiorno a Bologna e a Roma.
Ferdinando IV di Borbone, all'epoca diciottenne, non lo riceve a corte se
non in una visita di cortesia presso la Reggia di Portici. Per Mozart non
arriva nessuna scrittura nei Teatri napoletani, nessun concerto alla corte
della Capitale della Musica.
La qualità e la quantità della musica prodotta a Napoli induce il padre
Leopold in una lettera al figlio del 23 febbraio del 1778 ad affermare:
"Adesso la questione è solo: dove posso avere più speranza di emergere?
forse in Italia, dove solo a Napoli ci sono sicuramente 300 Maestri [...] o
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a Parigi, dove circa due o tre persone scrivono per il teatro e gli altri
compositori si possono contare sulle punte delle dita?"
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Il viaggio di ritorno verso la casa natia iniziò con una nuova sosta a
Roma, dove papa Clemente XIV gli conferì lo Speron d'oro. Indi
lasciarono Roma per recarsi sulla costa adriatica, fermandosi ad Ancona
e Loreto; questo soggiorno colpì il giovane Mozart, tanto che, subito
dopo il ritorno, scrisse una composizione sacra dedicata alla Madonna di
Loreto dal titolo Litaniae Lauretanae Beatae Mariae Virginis, e seguita
tre anni più tardi, nel 1774, da una seconda.
Tornò quindi a Bologna, dove come detto sopra, Mozart sostenne l'esame
all'Accademia, e giunsero poi a Milano dove Wolfgang sperò di rimanere
come compositore di corte, ma le sue aspettative furono frustrate da
Maria Teresa d'Austria. A marzo del 1771 i Mozart tornarono a
Salisburgo, dove vi rimarranno fino ad agosto, quando ripartiranno per
un secondo viaggio in Italia, di quattro mesi.
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Mannheim e Parigi
Doveva essere chiaro, non solo a Wolfgang ma anche a suo padre,
che una piccola corte provinciale come quella salisburghese non era un
posto adatto a un genio del suo calibro.
Nel 1777 egli chiese all'arcivescovo il permesso di assentarsi da
Salisburgo e, accompagnato dalla madre, partì alla ricerca di nuove
opportunità. La corrispondenza tenuta con suo padre nel corso dei sedici
mesi di viaggio non solo fornisce informazioni su cosa Mozart facesse,
ma getta una vivida luce sul cambiamento nelle loro relazioni. Wolfgang,
ora ventunenne, sentiva sempre più il bisogno di affrancarsi dalla
dominazione paterna, mentre le ansietà di Leopold circa il loro futuro
assumevano dimensioni patologiche.
Mozart e la madre si recarono in primo luogo a Monaco, dove l'Elettore
rifiutò cortesemente di offrire a Mozart un posto presso la sua corte.
Quindi essi andarono ad Augusta, facendo visita ai parenti paterni; qui
Wolfgang iniziò una vivace amicizia con la cugina Maria Anna Thekla
(con la quale in seguito tenne una corrispondenza piena di umorismo
allegro e osceno).
Alla fine di ottobre Mozart e la madre giunsero a Mannheim, la cui corte
dell'Elettore Palatino era una delle più famose ed evolute in Europa sul
piano musicale. Mozart vi soggiornò per più di quattro mesi, sebbene
comprendesse presto che neppure lì c'era posto per lui. Egli divenne
amico di vari musicisti di Mannheim, insegnò musica e suonò, si
innamorò di Aloysia Weber, un soprano, seconda delle quattro figlie di
un copista di musica.
Compose varie Sonate per pianoforte, alcune con accompagnamento di
violino. Prospettò al padre un progetto di viaggio in Italia con i Weber;
tale proposta, del tutto irresponsabile, fu respinta da Leopold con una
replica adirata, che citava il motto di Cesare Borgia: "Via, a Parigi! e
che tu possa presto trovare il tuo posto tra i grandi uomini: aut Caesar
aut nihil".
Il piano prevedeva che Wolfgang dovesse andare da solo nella capitale
francese, ma poiché il padre non aveva grande fiducia nelle capacità
amministrative del figlio, decise che dovesse essere ancora
accompagnato dalla madre. Essi raggiunsero Parigi verso la fine di marzo
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del 1778 e Mozart trovò ben presto da lavorare. Il suo risultato più
importante è la Sinfonia (KV 297) composta per i Concerts spirituels,
una brillante composizione in Re maggiore con la quale egli soddisfece il
gusto del pubblico parigino con grandi sfoggi orchestrali, senza però
sacrificare l'unità della composizione.
LA SORELLA NANNERL
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Il giorno della prima della Sinfonia, il 18 giugno, sua madre era
seriamente malata. Anna Maria Pertl coniugata Mozart, morì il 3 luglio
1778 e fu sepolta nel cimitero di Saint Eustache; al suo funerale erano
presenti solo il figlio Wolfgang e l'amico Heina.
Mozart scrisse dapprima a Leopold parlando di una grave malattia, e nel
contempo scrisse un'altra lettera a un amico di Salisburgo, l'abate Franz
Joseph Bullinger, chiedendogli di preparare il padre alla triste notizia.
Wolfgang andò quindi ad abitare con Friedrich Melchior, barone von
Grimm, un amico tedesco.
Poco tempo dopo Grimm scrisse a Leopold parlando pessimisticamente
delle prospettive di Wolfgang a Parigi. Leopold negoziò pertanto con
l'arcivescovo la riassunzione del figlio alla corte di Salisburgo, con il
ruolo di organista. Richiamato a casa, Wolfgang, sia pure riluttante,
obbedì e si diresse verso la città natale, passando per Mannheim, dove fu
accolto freddamente da Aloysia Weber. Alla metà di gennaio del 1780
egli era di nuovo a Salisburgo.
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per un incarico ben stipendiato alla corte locale), ma soprattutto con
l'Arcivescovo di Salisburgo Hieronymus von Colloredo, al quale spesso
le biografie su Mozart dedicano giudizi ingrati. Di sicuro egli, che può
essere definito a ben vedere un degno rappresentante del Dispotismo
illuminato (aveva un busto di Voltaire nella sua residenza), non capì di
aver un genio al proprio servizio ma è anche vero, però, che Mozart
domandasse sempre più di frequente licenze straordinarie e sempre più
lunghe, cosa che Colloredo, ovviamente, mal sopportava.
Ciò, in modo inevitabile, non poteva che portare a una rottura tra i due.
L'occasione arrivò presto. Grazie ai contatti con i Weber, a Wolfgang
venne commissionata un'opera, Idomeneo, ossia Ilia ed Idamante, da
rappresentarsi a Monaco. Convinto di poter accattivarsi con questa il
favore della Corte, Mozart si gettò nella composizione con entusiasmo, e
alla fine del 1780 era nella capitale bavarese. Il 29 gennaio 1781
Idomeneo andò in scena con successo trionfale, tanto che ne vennero
disposte numerose repliche; nello stesso periodo, l'Imperatrice Maria
Teresa moriva, e l'Arcivescovo Colloredo si recò a Vienna per i funerali.
Questi fatti "costrinsero" Wolfgang a rimanere più del dovuto fuori sede
e a raggiungere il suo padrone nella capitale austriaca: ufficialmente per
ricongiungersi a lui e scusarsi, in realtà con lo scopo di farsi assumere dal
nuovo Imperatore Giuseppe II, cosa che però non accadde. Solo nel 1787
Mozart sarà nominato compositore di corte, incarico modesto seppur
retribuito con 800 fiorini l'anno (Gluk ne aveva presi quattromila).
Le cose non andarono bene per Mozart, nel senso che l'Arcivescovo,
stizzito per il suo comportamento, lo fece letteralmente buttare fuori dal
palazzo dal suo Camerlengo con una "storica" pedata nel fondoschiena.
A nulla valsero le suppliche di papà Leopold al risoluto porporato: il
figlio, licenziato, rimase a Vienna con l'intenzione di vivere come libero
artista, cioè senza impieghi fissi pur componendo musica per la Corte.
Mozart rimarrà nella capitale austriaca, salvo brevi periodi, per il resto
della sua vita, componendovi le sue musiche migliori e morendovi
giovane, senza conoscere mai il vero successo.
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Mozart massone
Mozart entrò nella Massoneria proprio dopo la partenza per
Vienna, mentre la sua carriera di musicista era al culmine del successo.
Venne iniziato come apprendista il 14 dicembre 1784, nella Loggia “La
Beneficenza” di Vienna.
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Il compositore, in poco tempo, percorse tutto il cammino iniziatico della
massoneria “bruciando le tappe”: nel marzo del 1785 fu elevato al grado
di Compagno e il mese successivo, il 22 aprile, divenne Maestro. Nel
frattempo, anche suo padre Leopold venne iniziato ai misteri della Libera
Muratoria.
L'appartenenza massonica di Mozart non fu per adesione formale, ma
trasse fondamento in profondi convincimenti esoterici e spirituali, che
egli tradusse in musica, nelle Opere che più si riallacciano ai simboli e
agli ideali massonici: fra questi, resta impareggiabile la simbologia del
“Flauto Magico”. Simbolico anche il carattere di progressione delle terze
parallele, che contraddistingue la parte finale dell'opera K.623. Il
carattere massonico, poi, è impresso pure nella tonalità (con predilezione
di Mi bemolle) e nei timbri, dove è predominante la presenza di
strumenti a fiato e voci maschili.
All'universo della musica massonica apparterrebbero, fra le altre opere,
la “Cantata K.471” del 1785, “L'Adagio” per 2 clarinetti e 3 corni di
bassetto K.411 dello stesso anno e la “Musica Funebre Massonica”
K.477 (pure questa del 1785), oltre alla “Piccola Cantata Massonica”
K.623 del 1791.
Malattia e morte
Mozart morì cinquanta minuti dopo la mezzanotte del 5 dicembre
1791. Le esequie furono celebrate il 6 dicembre, alle tre del pomeriggio.
Il feretro fu portato al Duomo di Santo Stefano, davanti alla Cappella del
Crocifisso, nei pressi del cosiddetto "pulpito di Capistran", dove per i
funerali più modesti la benedizione avveniva all'aperto. Il corpo venne
poi sepolto in una fossa comune del cimitero di San Marco.
L'immagine che vuole Mozart morto povero e dimenticato da tutti non
corrisponde pienamente al vero. La sepoltura in una fossa comune era
consona allo status sociale di Mozart e non fu dettata da motivi
economici. Mozart, d'altronde, pur non godendo di un successo strepitoso
negli ultimi suoi anni di vita, era pur sempre imperial-regio compositore
di corte con un modesto stipendio di 800 fiorini l'anno. Peraltro, va
notato come - pur essendo di fatto andato disperso l'esatto luogo di
sepoltura di Mozart - vi siano a Vienna ben due monumenti funerari del
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compositore in due diversi cimiteri, uno presso il Cimitero di St. Marx e
un altro presso il Cimitero centrale (Zentralfriedhof).
LA MOGLIE COSTANZE
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La malattia e la morte di Mozart sono stati e sono tuttora un difficile
argomento di studio, oscurato da leggende romantiche e farcito di teorie
contrastanti. Gli studiosi sono in disaccordo sul corso del declino della
salute di Mozart, in particolare sul momento in cui Mozart divenne
conscio della sua morte imminente e se questa consapevolezza influenzò
le sue ultime opere.
L'idea romantica sostiene che il declino di Mozart fu graduale e che la
sua prospettiva e le sue composizioni declinarono anch'esse in ugual
misura. Al contrario, qualche erudito suo contemporaneo sottolineò come
Mozart nell'ultimo anno fosse di buon umore e che la morte giunse
inattesa anche per gli amici e la famiglia stessa.
Anche l'effettiva causa del decesso di Mozart è materia di congettura. Il
suo certificato di morte riporta hitziges Frieselfieber (“febbre miliare
acuta”, che allora era considerata contagiosa, o “esantema febbrile”), una
definizione insufficiente a identificare la corrispettiva diagnosi nella
medicina odierna. Sono state avanzate diverse ipotesi, dalla trichinosi
all'avvelenamento da mercurio, alla febbre reumatica o, più
recentemente, la sifilide. La pratica terapeutica del salasso, all'epoca
diffusa, è menzionata come concausa della morte.
Una serie di ricerche epidemiologiche eseguite nel 2009 da un gruppo di
patologi austriaci e olandesi, che si sono soffermati a studiare tutte le
principali cause di decesso negli ultimi anni di vita di Mozart, porta a
ritenere che - con grande probabilità - il compositore sia morto per una
nefrite acuta conseguente a una glomerulonefrite a eziologia
streptococcica.
Mozart morì lasciando incompiuto il Requiem, il cui completamento fu
affidato dalla moglie del compositore in un primo tempo al musicista
Joseph von Eybler, il quale, tuttavia, ben presto si fece indietro. Fu allora
chiamato il giovane compositore Franz Xaver Süssmayr, allievo e amico
di Mozart che terminò il lavoro, completando le parti non finite e
scrivendo ex novo quelle inesistenti.
Nel 1809 Constanze Weber, la vedova, si risposò col diplomatico danese
Georg Nikolaus von Nissen (1761–1826), grande ammiratore di Mozart e
autore di una delle prime biografie dedicate al musicista. Per questo
lavoro di sicuro Nissen attinse a testimonianze di Constanze, la quale,
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però, non può essere considerata una fonte del tutto attendibile. Ad
esempio dalle lettere scritte da Mozart ad amici e familiari (alla stessa
Constanze, ad esempio) Nissen e Constanze cancellarono spesso le parti
più scurrili e ciò nel chiaro intento di idealizzare la figura del
compositore.
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Lo stile mozartiano
Le composizioni di Mozart e di Haydn appartengono a un periodo
storico - la seconda metà del XVIII secolo - durante il quale avvenne
nella musica occidentale l'evoluzione dal cosiddetto stile galante ad un
nuovo stile, detto in seguito classico, che avrebbe accolto in sé anche gli
elementi contrappuntistici, che caratterizzavano la tarda musica barocca e
proprio in reazione alla cui "complessità" si era sviluppato lo stile galant
Lo stile della musica di Mozart non solo segue da vicino lo sviluppo
dello stile classico, ma senza dubbio contribuisce in modo fondamentale
a definirne le caratteristiche, in modo tale da poter essere considerato
esso stesso l'archetipo. Mozart fu uno straordinario compositore che si
dedicò con apparente semplicità a tutti i principali generi dell'epoca:
scrisse un gran numero di Sinfonie, Opere, Messa, Concerti per
strumento solista, musica da camera (fra cui Quartetti d'archi e Quintetti
d'archi) e Sonate per pianoforte.
Benché per nessuno di questi generi si possa affermare che egli fu il
"primo autore", per quanto riguarda il Concerto per pianoforte si deve
riconoscere che esso deve a Mozart, autore ed interprete delle proprie
composizioni, il grandioso sviluppo formale e di contenuti che avrebbe
caratterizzato questo genere nel secolo successivo. Lo stesso Beethoven
nutriva grande ammirazione per i Concerti per pianoforte mozartiani, che
furono il modello dei suoi Concerti, in modo particolare i primi tre.
Mozart rinnova il genere musicale del Concerto: il discorso musicale si
svolge come dialogo paritario fra due soggetti di uguale importanza, il
solista e l'orchestra. Mozart scrisse Concerti per pianoforte, violino,
flauto, oboe, corno, clarinetto, fagotto. Mozart scrisse anche un gran
numero di composizioni sacre, fra cui Messa, e composizioni più
"leggere", risalenti per lo più al periodo salisburghese, come le Marce, le
Danze, i Divertimenti, le Serenate e le Cassazioni.
I tratti caratteristici dello stile classico possono essere ritrovati senza
difficoltà nella musica di Mozart: chiarezza, equilibrio e trasparenza sono
elementi distintivi di ogni sua composizione. Tuttavia l'insistenza che a
volte viene data agli elementi di delicatezza e di grazia della sua musica
non riesce a nascondere la potenza eccezionale di alcuni dei suoi
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capolavori, quali il Concerto per pianoforte n. 24 in Do minore K.. 491,
la Sinfonia n. 40 in Sol minore K.. 550, e l'opera Don Giovanni.
Charles Rosen ha scritto:
« Solamente riconoscendo che la violenza e la sensualità è al centro
dell'opera di Mozart è possibile fare il primo passo verso la
comprensione delle sue strutture e della sua magnificenza. In un modo
paradossale, la caratterizzazione superficiale di Schumann della
Sinfonia K.. 550 in Sol minore può aiutarci a comprendere il demone
di Mozart in modo più completo. Nell'opera di Mozart ogni suprema
espressione di sofferenza e terrore ha qualcosa di sorprendentemente
voluttuoso. »
Soprattutto nell'ultimo decennio di vita Mozart esplorò l'armonia
cromatica con una intensità raramente ritrovata in altri compositori del
suo tempo.
Scrive Hermann Aber:
« Neppure l'uomo normale si dà pena di imitare alcuna cosa di cui non
rechi già in sé l'embrione. Nel genio questa scelta reca già l'impronta
dell'atto creativo. Essa è infatti il primo tentativo di una presa di
posizione, d'un affermarsi nei confronti della tradizione: tentativo che
dovrà agguerrirlo a rifiutare ciò che gli sia estraneo o d'intoppo e non
soltanto ad imitare ma a "ricreare" ed assimilare ogni elemento
congeniale. Non dovremo quindi mai dimenticare che la grandezza di
Mozart sta nel suo "Io", nella sua forza creativa; non nel materiale col
quale si è cimentato. »
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JOHAN CHISIAN BACH
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Attraverso un metodo di analisi scrupolosa delle influenze dovute
all'ambiente musicale col quale Mozart si confrontò nel corso della sua
breve vita, i due musicologi arrivarono a suddividere l'opera di Mozart in
34 fasi stilistiche diverse, ciascuna di esse sotto l'influenza di un dato
modello. Questo "approccio riduttivo" tuttavia è stato in seguito criticato
e messo in discussione, fra gli altri da Paumgartne:
« Nella compiaciuta infatuazione di quei confronti critico-stilistici, si
tralasciò anzitutto di cercar di scoprire in virtù di quali leggi più
profonde la musica di Mozart, nonostante le innegabili reminiscenze
dei modelli contemporanei, risulti così sostanzialmente diversa da
questi e, appunto perciò abbia potuto svilupparsi assumendo forme
proprie, originali e durature »
Mozart era ancora bambino durante il soggiorno a Londra quando
incontrò Johann Christian Bach ed ascoltò la sua musica. A Parigi,
Mannheim e Vienna egli ascoltò i lavori dei compositori attivi in quei
luoghi così come la famosa orchestra di Mannheim. In Italia ebbe modo
di conoscere ed approfondire la Ouverture italiana e l'opera buffa dei
grandi maestri italiani del settecento, e questa esperienza sarebbe stata di
fondamentale importanza nello sviluppo successivo della sua musica.
Sia a Londra sia in Italia, lo stile galante dominava la scena: uno stile
semplice, quasi da musica leggera, caratterizzato da una predilezione per
le cadenze, da una enfasi sulle frasi nella tonalità fondamentale-
dominante-sottodominante (escludendo così altri accordi), e dall'uso di
frasi simmetriche e di strutture articolate in modo chiaro.
Lo stile galante, che fu l'origine dello stile classico, era nato come
reazione alla "eccessiva complessità" della tarda musica barocca. Alcune
delle Sinfonie giovanili di Mozart hanno la forma di Ouvertures in tre
movimenti nello stile italiano; molte di queste sono "omotonali", ossia
tutti i tre movimenti sono nella stessa tonalità, essendo il movimento
lento centrale nella relativa tonalità minore. Altri lavori "imitano" lo stile
di Johann Christian Bach, mentre altri ancora mostrano la semplice
forma bipartita in uso fra i compositori viennesi.
Passando dalla giovinezza alla prima maturità Mozart iniziò ad inserire
alcune delle caratteristiche fondamentali dello stile barocco all'interno
delle proprie composizioni. Per esempio, la Sinfonia n. 29 in la
26
maggiore K. 201 impiega nel primo movimento un tema principale in
forma contrappuntistica e sono presenti anche sperimentazioni con frasi
di lunghezza irregolare.
A partire dal 1773 appaiono nei Quartetti dei movimenti conclusivi in
forma di fuga, probabilmente influenzati da Haydn, che aveva incluso
finali in questa forma nei Quartetti dell'opera 20. L'influenza dello stile
Sturm und Drang, che preannuncia col suo carattere la futura era
Romantica è evidente in alcune delle composizioni di quel periodo di
entrambi gli autori, fra cui spicca la Sinfonia n. 25 in sol minore K. 183,
la prima delle due uniche Sinfonie in tonalità minore scritte da Mozart.
« Mozart infuse negli strumenti il nostalgico afflato della voce umana
per la quale nutriva uno specialissimo amore. Orientò verso il cuore
della melodia l'inesauribile fiumana d'una ricca armonia, dando
sempre alla voce degli strumenti quella fervida intensità di sentimento
propria della voce umana: inesauribile fonte dell'espressione racchiusa
nel fondo del cuore. »
(Richard Wagner)
Mozart fu anche uno dei grandi autori di opere, egli passava con grande
facilità e naturalezza dalla scrittura strumentale a quella vocale. Le sue
opere appartengono ai tre generi principali in voga alla fine del
Settecento: l'opera buffa (Le nozze di Figaro, Don Giovanni e Così fan
tutte), l'opera seria (Idomeneo e La clemenza di Tito) e Singspiel (Il
ratto dal serraglio e Il flauto magico).
In tutte le sue grandi opere Mozart piega la scrittura strumentale per
sottolineare lo stato psicologico dei personaggi ed i cambiamenti di
situazione drammatica.
La scrittura operistica e quella strumentale si influenzano a vicenda:
l'orchestrazione via via più sofisticata che Mozart adotta per le
composizioni strumentali (Sinfonie e Concerti in primo luogo) viene
adottata anche per le Opere, mentre l'uso particolare che egli fa del
colore strumentale per evidenziare gli stati d'animo ritorna anche nelle
ultime composizioni non operistiche
27
Mozart ed i compositori contemporanei
Una grande amicizia e reciproca stima contraddistingue il legame
che unisce Mozart ad Haydn nonostante quest'ultimo fosse di ben
ventiquattro anni più anziano.
28
Non è possibile stabilire con certezza quando Mozart entrò in rapporti di
amicizia con Haydn ma di certo si sa che nel 1785 i due musicisti erano
intimi amici, tanto da darsi del tu, ed ebbero diversi incontri in casa dei
fratelli Storace, avendo occasione e di parlare di musica e di eseguire
insieme musica cameristica.
Mozart ebbe come intimo amico il fratello Michael Haydn e questo fatto
sembra essere di non secondaria importanza per la conoscenza di Joseph.
Altro fatto certo è che Haydn, dalla residenza degli Esterházy, dove
prestava servizio, si recava spesso a Vienna dove Mozart si era
definitivamente trasferito nel 1781.
Ad Haydn non poteva sfuggire la grandezza di Mozart ma non concepì
questo fatto oggettivo con ostilità ed invidia, bensì ne raccolse i
suggerimenti compositivi. E ciò avvenne anche per Mozart che
pubblicamente rese nota la sua riconoscenza ad Haydn dedicandogli ben
sei Quartetti ed apprezzò per tutta la vita il compositore più di ogni altro
musicista del passato o a lui contemporaneo.
Mozart compose i citati Quartetti tra il 1782 e il 1785 e ciò rappresenta
un'eccezione per un compositore che più volte si era trovato a scrivere
Concerti in poche ore e che a volte mandava a memoria la propria parte
in quanto presente nella sua sola testa ma non ancora riportata su uno
spartito.
La ragione è semplice: i Quartetti vennero scritti nel modo rivoluzionario
che Haydn aveva inventato, pubblicando proprio nel 1771 i sei Quartetti
russi op. 33, la cui modalità di composizione venne da Haydn stesso
definita "nuova e speciale maniera". La "nuova e speciale maniera" era
costituita dall'abbandono dei principi compositivi del Settecento (nel
Quartetto ed in seguito nella musica da camera in generale) della melodia
con accompagnamento per dare invece un ugual risalto alle quattro voci
dell'organico che si trovavano ora a colloquiare in modo paritetico.
Mozart aveva quindi due problemi da risolvere, imparare a comporre nel
nuovo modo e trovare quindi un proprio modo espressivo. Quale
conseguenza della reciproca amicizia e stima alla posterità vennero
tramandate due opere parallele e immortali. La stima che Haydn aveva di
Mozart è ben descritta nelle parole che Haydn dice al padre Leopold: «Vi
dico innanzi a Dio, da galantuomo, che vostro figlio è il più grande
29
compositore che io mi conosca, di nome e di persona. Ha gusto e
possiede al sommo grado l'arte del comporre».
30
Quando Mozart muore a soli 35 anni, Haydn si trova a Londra. Saprà
della morte dell'amico e collega solo al suo rientro a Vienna (1792),
rimanendone rattristato.
31
vestito di nero (Salieri mascherato), ma il tutto viene approfondito e,
soprattutto, la narrazione avviene ad opera di Salieri stesso. Il testo
subisce diverse modifiche, fino alla versione definitiva del 1981.
ANTONIO SALIERI
32
Nel 1984 il dramma di Shaffer viene portato al cinema da Miloš Forman
con Amadeus, dove però vengono ammorbiditi i lati negativi del
personaggio di Salieri rispetto al dramma di Puskin: anche se nella
versione rimasterizzata del film del 2002 verranno ripristinate alcune
scene più dure, il Salieri cinematografico (interpretato da F. Murray
Abraham che vinse l'Oscar per il miglior attore) è decisamente meno
negativo di quello del dramma di Shaffer, e per sua decisione dato che il
drammaturgo aveva curato anche la sceneggiatura del film.
Altre curiosità
Pochi altri autori musicali hanno suggestionato la fantasia del
pubblico come Mozart. Già bambino prodigio noto nelle maggiori corti
d'Europa, in seguito compositore di genio e infine protagonista di una
precoce e misteriosa morte: la sua vita è stata interpretata, sin
dall'Ottocento, come simbolo stesso della genialità e della perfezione
apollinea, idealizzando la sua figura come nessun altro autore prima o
dopo di lui.
Creando quindi un mito di Mozart, genio assoluto, che tuttora
nell'immaginario collettivo è probabilmente più popolare delle sue stesse
opere. In questo contesto non deve quindi stupire che siano fioriti
aneddoti di ogni tipo sulla sua figura, miranti a sottolineare (rare volte a
sproposito, ma spesso in modo esagerato) la sua genialità e la sua
"unicità". Qui di seguito sono elencati alcuni fra gli aneddoti più
interessanti e curiosi riguardo alla sua vita e alle sue opere.
Nel vasto repertorio di aneddoti che circondano la vita del giovane
Mozart, particolarmente curioso è quello che riguarda la sua visita a
Roma della Pasqua del 1770. In quest'occasione l'allora quattordicenne
Mozart ebbe modo di ascoltare l'esecuzione del celebre Miserere di
Gregorio Allegri. Questa composizione era proprietà esclusiva della
Schola Cantorum della Cappella Sistina, dalla quale era custodito
gelosamente.
L'esecuzione avveniva esclusivamente nel periodo pasquale a luci spente
e lo spartito non poteva essere copiato né letto, pena la scomunica. La
leggenda dice che il giovane Mozart, dopo averlo ascoltato una sola volta
sia stato in grado di trascriverlo, a memoria, nota per nota. A questa
33
leggenda si riconduce un secondo aneddoto: Felix Mendelssohn
Bartholdy, in visita a Roma, per scomMessa volle ripetere l'impresa di
Mozart e, dopo un solo ascolto, fu anch'egli in grado di trascrivere
fedelmente questa composizione.
34
È bizzarro segnalare come la recente ricerca storiografica abbia scoperto
che Mozart ascoltò quest'opera 2 volte prima di cimentarsi nella
trascrizione, mentre al molto meno celebrato Mendelssohn fu sufficiente
un solo ascolto. C'è comunque da considerare che Mozart l'ascoltò
quando aveva solamente 14 anni, mentre Mendelssohn era quasi
trentenne.
Mozart fece diversi viaggi in Italia, fin quando, da giovanissimo, iniziò la
carriera di concertista esibendosi nelle corti d'Europa. Non deve quindi
sorprendere che parlasse correttamente l'italiano (usanza allora molto
diffusa nel mondo musicale), mentre più curioso è il fatto che nelle
lettere egli amasse firmarsi come Amadé, francesizzando il proprio nome.
Pur nell'inconfutabilità del genio mozartiano, un capitolo a parte
meritano, nella sua vasta produzione artistica, i "prestiti" e le citazioni di
opere altrui che si possono riscontrare nei suoi lavori. Nel noto Requiem,
sono rintracciabili intere frasi musicali tratte da composizioni di Georg
Friedrich Händel. La vastità di queste "citazioni" o rielaborazioni di
musiche altrui è talmente ampia che il celebre compositore e critico
musicale Luciano Chailly riferisce che Clementi, ristampando una sua
Sonata, dovette segnalarvi in calce con comprensibile stato d'animo il
celebre "plagio di Mozart".
Il musicologo Giovanni Carli Ballola arrivò ad affermare che "se Mozart
fosse vissuto ai nostri tempi, avrebbe dovuto passare molto tempo, per i
suoi plagi, in un'aula di Pretura".
D'altra parte alla sua epoca non esisteva il concetto moderno di
"copyright", sviluppatosi dalla seconda metà dell'Ottocento: tutti i
musicisti riprendevano abbondantemente dai predecessori o
contemporanei.
Basti pensare alla grande importanza che nella musica sei-sette-
ottocentesca aveva la variazione su un tema altrui (fra le tante le
Variazioni su Là ci darem la mano di Chopin, tratte dal mozartiano Don
Giovanni); ma nel mondo moderno, dove il plagio è un reato oltre che un
peccato artistico, essa è pressoché sparita dal panorama musicale
occidentale.
35
GEORG FRIEDRICH HÄNDEL
36
Comunque è stata enorme l'influenza di Mozart sugli operisti napoletani
ed italiani in generale, compreso il grande Rossini, soprannominato "il
tedeschino" in gioventù per lo studio di Mozart ed altri grandi sinfonisti.
Anche in ambito tedesco (dunque fondamentalmente sinfonico) Mozart
fu "plagiato" da musicisti come Beethoven, che utilizzò due temi
musicali mozartiani (Sonate K. 332 e K. 135; Fuga della Fantasia K.
394) nella sua Sinfonia pastorale e Felix Mendelssohn che sfruttò in
diverse composizioni temi ispirati a Mozart.
Si racconta che un giovane Mozart durante uno dei suoi concerti alla
corte dell'imperatrice Maria Teresa rese omaggio a una graziosa piccola
dama che si trovava tra il reale seguito, chiedendola addirittura in moglie.
Quella damina sarebbe diventata la regina di Francia Maria Antonietta.
37
LE SINFONIE
Introduzione
JEAN-PHILIPPE RAMEAU
38
Molti autori hanno confuso il mutamento nello stile sinfonico durante la
vita di Mozart con il suo percorso professionale. Tali differenti
valutazioni si riferiscono alla funzione attribuita alle Sinfonie intese
precedentemente come composizioni finalizzate all’intrattenimento e
come introduzione di Opere, Balletti, Concerti, Serenate ed una varietà di
altri eventi sociali, religiosi o civici, fino a considerarle una
composizione autonoma che costituisce la principale attrazione dei
concerti.
L’esame delle Sinfonie mozartiane della fine degli anni 1770 e inizi anni
1780 mostra l’emergere di elementi essenziali di un nuovo stile. La
chiave del cambiamento tecnico e stilistico fu l’eclissamento della linea
compositiva della bass-line delle prime Sinfonie in partiture distinte per
violoncello, contrabbasso e fagotto. L’ultima Sinfonia in cui i fagotti non
sono “obbligato” è la K. 102 del 1775 e la prima in cui i violoncelli e
contrabbassi sono sistematicamente scritti separatamente è la K. 319 del
1779.
Questo nuovo uso degli strumenti “legno”, non totalmente assente nelle
composizioni anteriori al 1770 fu esplicitamente manifesto nella Sinfonia
39
“Linz” del 1783, ma fu pienamente sviluppato nella Sinfonia “Praga”,
essendo passati nei Concerti per pianoforte e nelle Opere dei primi anni
1780.
La crescente difficoltà non fu riservata alle sole parti per legni. Si andò
diffusamente ad accrescere la complessità della tessitura nei
contrappunti, nei cromatismi che contribuirono insieme alla maggiore
solennità e complessità della Sinfonia come genere.
40
MOZART BAMBINO
41
Sinfonia n 1 in Mi bemolle K. 16
42
All’inizio del Presto, un squillo d’ottoni introduce una giga come il
Finale di un rondò con un richiamo diatonico e contiene tocchi di
cromatismo convenzionale.
Sinfonia n 4 in RE K. 19
Questa Sinfonia non ha data certa: essa può essere stata eseguita in
uno o due Concerti dati da Leopoldo e Wolfang a “The Hague” il 30
Settembre 1765 e il 17 Gennaio 1766.
43
uno dei Concerti Bach-Abel), o nel periodo tra l’arrivo di Mozart in
Olanda nel settembre 1765 e il decimo compleanno del gennaio 1766.
NEVILLE MARRINER
44
Il primo movimento si apre con una melodia dei primi violini,
accompagnata da una corposa armonia dei legni, interrotti dagli accordi
nelle note ripetute dei strumenti bassi.
Finali in 3/8 6/8 9/8 o 12/8 erano diffusi nel periodo in cui fu scritta la
K.19 e di solito caratterizzavano le “giga Italiana”.
45
Sinfonia n 5 in Si bemolle K. 22
Sinfonia n 6 in SI K. 43
46
Tutte le Sinfonie autentiche di Mozart datate prima della fine del 1767
sono in tre movimenti. La K.43 può provvisoriamente essere indicata
come la prima Sinfonia in quattro movimenti.
47
L’andante è basato sugli otto numeri della sua “commedia latina” –
dovremmo chiamarla Cantata o Serenata – “Apollo e Giacinto” K. 38, un
sublime duetto di preghiera in cui il papà e la sorella di Giacinto tentano
di placare Apollo che essi avevano accusato erroneamente di aver ucciso
Giacinta.
Sinfonia n 7 in Re K. 45
48
rientro. La ragione dell’assenza prolungata di Leopold da Salisburgo è
che – seguendo il consiglio dell’imperatore - Wolfgang aveva composto
un’Opera comica “La finta semplice” K.51, la cui Messa in scena fu
ripetutamente rimandata a causa degli intrighi di una parte dei musicisti
viennesi. Le dicerie riguardavano il fatto che Wolfgang fosse un
bugiardo e che suo padre avesse composto al suo posto. Leopold sentiva
che non poteva lasciare Vienna prima di aver ristabilito la verità. L’opera
rimase non rappresentata a Vienna.
49
Symphony in G
NEVILLE MARRINER
50
Amand Schickmayr, un amico di Leopold Mozart, fu a Lambach dal
1738 e divenne abate del monastero nel 1746. All’inizio di gennaio del
1769 la famiglia Mozart, ritornando a Salisburgo dal suo soggiorno di
oltre un anno a Vienna, si fermò a Lambach. La visita, non citata nei
diari e nelle lettere tra familiari, è nota solo per l’indicazione in due
partiture musicali.
51
La K.45a tuttavia, forma un connubio con la Sinfonia in Si diesis K.22
anch’essa composta all’Aja, in cui l’accoglienza rivolta ai Mozart sembra
esser stata entusiastica.
Il primo movimento della K.45a è uno dei soli due movimenti orchestrali
di Mozart (l’altro è nella K.185/167°) che inizia con la melodia nei
bassi, una tessitura per altri aspetti che egli riserva presso i Finali delle
esposizioni e delle ricapitolazioni. In diverse delle sue Sinfonie giovanili,
gli incipits dei primi e ultimi movimenti sono circoscritte in contorno
melodico.
52
Come per l’Andante, la versione modificata è il primo degli Andante
sinfonici di Mozart ad usare una tessitura orchestrale che potrebbe essere
la sue preferita per molti anni: in questi movimenti (negli Andante delle
K. 43,100, 75, 113,183, 201, 203,200) i fiati sono entrambi silenziosi o
ridotti, i violini sono modificati e i clavicembali e bassi suonano
pizzicato.
Sinfonia n 10 in Sol K. 74
53
Sinfonia in FA K. 75
54
Ciò tuttavia conforta l’idea che un tema consueto diventa memorabile per
un attributo speciale: una pausa inattesa che modifica ciò che l’orecchio
si aspetta – la natura della pausa diventerà familiare per chi ha presente la
danza ungherese n 6 di Brahms .
Sinfonia in Fa K.76 – 42 a
55
Sinfonie e Piano Concerti di Mozart. Forse essi considerarono la K.42a
un passaggio in quella direzione. Ma essi sbagliarono indicando
quest’innovazione nella scrittura mozartiana del 1967.
Entrambe le sezioni del Finale del Minuetto hanno un tema centrale, che
poi pone le basi per il trio in Re minore, in cui è richiamato
ossessivamente più volte. Il sottofondo del tema principale del trio è
simile al “Night-Watchman’s song” inserita da J. Haydn in una mezza
dozzina di composizioni degli anni 1760.
56
Il Finale, come una variazione della tessitura del primo movimento,
sviluppa tale tessitura con i motivi che si rincorrono tra loro ed il tema
principale è affidato in un penetrante assolo del corno.
Sinfonia in FA K. 81 – (73L)
Il Finale è una “caccia” una giga con richiami di corno simili a quelli
usati a caccia.
57
Sinfonia n 11 in Re K. 84 (73q)
58
L’iniziale Allegro mostra una forna-sonata piena – sottolineata dalla
dicitura “Ouverture” nella fonte viennese – senza sezioni ripetute.
Sinfonia in Fa K. 95 (73n)
59
tamburi, e la sua quiete interiore dolcemente conduce al ritorno del
Minuetto.
Il Finale Allegro rientra nella forna-sonata e ripercorre il sottofondo
chiaro dell’apertura del movimento iniziale.
Sinfonia in DO K. 96 (111b)
Il caso della non genuinità della K.96 può emergere anche dal
collegamento tra il suo Andante e l’aria “Intendo, amico mio” dalla
Serenata “Il re pastore” K. 208 dell’aprile 1775. – Una versione
strumentale di quest’aria fu usata nel movimento centrale della Sinfonia
in DO K. 213c.
60
Seguendo questo particolare Andante, il Minuetto e il Finale tornano
all’estroversione e alla convenzionalità del primo movimento iniziale,
nonostante il trio (in tonalità subdominante) mantenga l’ambiguità.
Il Finale, espresso in una marcia veloce che è basata sul materiale usato
nel primo movimento, è in forna-sonata con entrambe le parti ripetute,
piuttosto che con il Rondò finale delle prime Sinfonie mozartiane.
ANDRÉ PREVIN
61
Sinfonia in Re K. 97 – 73m
62
Sinfonia n 12 in SOL – K. 110 (75g)
Sinfonia n 13 K. 112
Nel Minuetto, le viole, invece che avere una partitura autonoma – come
abituale per i Minuetti sinfonici mozartiani – raddoppiano la bass-line.
Poiché le sue danze di sala sono senza partitura per viola, questo
cambiamento nel Minuetto della K. 112 può significare che esso
assolveva un’altra funzione prima di esser inserito in questa Sinfonia che
attraverso questa sonorità, Mozart desiderasse evocare il ricordo di sale
da ballo nei suoi ascoltatori.
Nel trio, per soli archi, tuttavia, le viole hanno una partitura autonoma.
63
L’ipotesi che il Minuetto sia antecedente al resto della Sinfonia, è
suggerita dal fatto che è stata copiata nella partitura di Wolfang per mano
di Leopold.
LEOPOLD MOZART
64
Sinfonia n 14 in LA K. 114
I viaggi in Italia non erano fonte di guadagni e una parte dello stipendio
di Leopold fu trattenuta durante la sua assenza.
65
transizione verso il secondo tema con il sottostante stile-Quartetto, e lo
sviluppo breve entro il delicato ed elegante dialogo tra fiati e archi.
Perfino le battute d’esordio, con i loro decisi accordi o le fanfare che
iniziano piano, suggeriscono qualcosa di innovativo. L’assegnazione
degli acuti in LA dei corni è ciò che ha spinto Mozart ad usare i flauti
al posto degli oboi, e una volta che la scelta è stata fatta come
costruzione tecnica, l’intera Sinfonia sembra contraddistinta da quella
preferenza.
Il Finale inizia con una Toccata breve e una risposta, ripetuti una volta.
Dopo accade qualcosa di inatteso: invece di sviluppare la Toccata o
introdurre il tema iniziale, Mozart fa suonare l’orchestra due volte una
progressione d’accordo I_IV_V_I
COLIN DAVIS
J.S. Bach citava il testo tedesco di una canzone usata con una danza alla
bergamasca “Kraut und Ruben” a conclusione delle sue variazioni
“Goldberg”.
67
Mozart non cita la melodia, ma la presenza di quella progressione
d’accordo nel Finale supporta l’impressione che questo lavoro sia stato
composto avendo in mente il Carnevale. Il resto del movimento, in forma
Sonata con le due sezioni ripetute, è anch’esso in spirito sacro, anche se
usa la convenzione sinfonica.
68
L’andante in Do maggiore è un movimento binario con entrambe le parti
ripetute, rilevante per la sua scrittura concertata per corni e oboi. Il
Minuetto e trio (solo per archi) descritti da Kirnberger come “intrisi di
gradevolezza e di tranquillità”contiene una danza altrettanto elegante,
nobile e altamente piacevole.
Ognuno dei manoscritti autografi delle Sinfonie 128, 129 e 130 porta la
scritta “nel mese di maggio 1772, Salisburgo”, una straordinaria
prolificità per un unico mese, anche per il fuoriclasse compositore
sedicenne. Ciò era dovuto all’intento di assicurarsi i favori del nuovo
Arcivescovo? Forse è legato anche al fatto che Mozart stava
preparandosi al terzo viaggio in Italia da Ottobre 1772 a marzo 1773 e
che avrebbe richiesto nuove Sinfonie.
Sinfonia n 16 in DO K. 128
69
Lo sviluppo occupa solo 31 battute, durante le quali il materiale sonoro
s’esprime in scale, ancora costruite in modo razionale tanto da creare
l’effetto di aver traversato grandi distanze di tonalità. La ripresa contiene
un numero rilevante di tocchi della sezione-sviluppo.
70
Quando ci si avvicina al Finale e gli ascoltatori immaginano che Mozart
abbia già esaurito il suo tocco, egli li spiazza con una serie di richiami
dei corni da caccia. Questo è ciò che sorprende, entro una scrittura per
fiati tradizionale entro questa Sinfonia.
Sinfonia n 17 K. 129
Gli studi sulla evoluzione della scrittura mozartiana e sul tipo di carta
usato per i suoi manoscritti musicali hanno indicato che la K. 129 iniziò e
si sviluppò e si concluse in periodi successivi.
71
un conciso fugato in otto battute, che porta alla ripresa convenzionale.
Entrambe le parti vengono ripetute.
Sinfonia n 18 in Fa K. 130
72
il Minuetto aggiungendovi un’altra coppia di corni, sia in questo
movimento che per il Finale.
Quest’idea di mutamento in Mozart può esser stata influenzata dal
ritorno a Salisburgo da un tour europeo di un virtuoso cornista Ignaz
Leutgeb, per il quale in seguito egli ha scritto il suo Quintetto per Corno
ed i Concerti per corno.
CLAUDIO ABBADO
73
L’andantino grazioso è un movimento largo in forma binaria, il cui tema
iniziale contiene tre frasi piuttosto che le abituali frasi senza numero
preciso.
74
Sinfonia n 19 in Mi bemolle K. 132
(con un movimento lento alternativo)
Mozart inserì la citazione nella parte del secondo violino alle battute 37-
56 e nel passaggio parallelo alle battute 128-147.
75
Questo movimento fuori-misura deve aver qualche significato peculiare,
un riferimento a qualche avvenimento salisburghese o una finalità privata
che non ci è però pervenuta.
76
Il Minuetto inizia con uno scambio canonico tra primi e secondi violini.
Questa melodia è ripresa dagli strumenti gravi ed in seguito ripresa in
assolo incluso dopo un’accattivante pausa proprio prima del tema iniziale
a metà della seconda sezione. Il trio, per soli archi, è definito “ardito e
bizzarro” da Wyzewa e Saint-Foix, mentre Abert rilevò anche una
“tendenza verso l’eccentricità”. Sembra basato su una melodia legata ad
un Salmo, come se fosse una parodia di un Mottetto post-rinascimentale.
Un breve divertimento-danza all’inizio della seconda sezione è la sola
intrusione profana in un contesto ispirato al sacro come fu commentato
questo mescolare sacro e profano di Mozart da parte della corte del
principe-arcivescovo salisburghese.
Sinfonia n 20 in Re K. 133
Il primo movimento si apre con tre accordi per Tutti, dopo un tema di
trilli affidato agli archi. (questo tema richiama il modello di apertura per
la Sonata di J. C. Bach, che Mozart usò come riferimento per il primo
movimento del suo Piano Concerto n 3).
Squilli delle trombe come degli altri fiati definiscono questa come una
composizione festosa, rilevabile anche dall’assiduo dialogo tra archi e
fiati durante l’intero movimento.
77
alla tonalità iniziale senza riproporre il tema iniziale. Tal tema Mozart lo
riservò per il Finale laddove s’ascoltano dagli archi e delle trombe.
Il trio, per archi accompagnati dagli oboi, una volta ancora gli offrono
l’opportunità di estrarre un asso dalla manica, utilizzando sincopi, giochi
di contrappunto e negando la tessitura monotona di solito applicata per
questo stile di danza musicale.
78
Sinfonia n 21 in La K.134
Visto che le Sinfonie K. 128, 129, 130, 132, 133 e 134 sono datate
Maggio (tre Sinfonie), Luglio (due Sinfonie), ed agosto 1772, occorreva
la necessità di comporre altre Sinfonie.
WILHELM FURTWANGLER
79
Ciò può esser dovuto all’intenzione dei Mozart di costituire un “opus” di
sei, sebbene fossero composizioni manoscritte, suddiviso in due cicli: le
prime due K. 128, 129 nel primo e le restanti nel successivo ciclo.
Nel Finale ci si potrebbe aspettare che una danza che volga verso il
Finale sinfonico debba essere una lieve forma-rondò piuttosto che in
forna-sonata; questo non sembra esser percepito come un problema
estetico di discrepanza tra forma e contenuto ed il Finale della penultima
Sinfonia K.550, segue la stessa linea.
80
Sinfonia n 22 in DO K. 162
Il Finale tipo giga – in cui rientrano le trombe e che esordisce come una
fanfara che era affidata agli strumenti gravi nel primo movimento – è
composto in una concisa forna-sonata.
81
Sinfonia n 23 in Re K. 181 (162b)
82
Sinfonia n 24 in Si bemolle K. 182 (173dA)
83
contemporaneo JAP Schultz, piuttosto che di carattere appassionato,
malinconico, ombroso delle poche composizioni in tonalità minore.
Gli eccessi di aggettivi riguardano quei commentatori della storia della
musica che considerano le Sinfonie in tonalità minore di Mozart come
delle meditazioni preannuncianti i capolavori monumentali sinfonici del
romanticismo.
I seguaci di quest’idea ci assicurano che la K.183 è pre o proto-
romantica, che essa è l’esito della crisi romantica della musica austriaca
intorno al 1770, e che sia una manifestazione della tendenza culturale
identificata con lo “Sturm und Drang” così definito in seguito da Klinger.
Il nugolo di aggettivi può essere almeno parzialmente dissipato se si
tenta di considerare la K. 183 (ed altre composizioni in tonalità minore di
questo periodo) dal punto di vista della musica dei primi due terzi del
1700, anzicchè come preMessa allo sviluppo musicale successivo, del
1800.
I suoni delle Sinfonie in tonalità minore dei primi anni 1770 non sono
inediti. Questi effetti repentini sono stati inventati dai teatri d’opera come
ritratti di tempeste naturali tanto bene quanto le tempeste emotive umane.
Un’attenta analisi delle opere serie degli anni 1760 può rivelare
l’originale musicale delle cosidette Sinfonie “sturm und drang” degli
anni 1770. L’iniziale “Allegro con brio” che il conclusivo “Allegro della
K. 183 mostra la forma – Sonata su larga scala con le due sezioni ripetute
e l’aggiunta di una coda.
Il primo movimento che recentemente ha acquisito notorietà come
colonna sonora del film “Amadeus”, mostra, seguendo le parole di
Stanley Sadie “il tono incombente dato dalle note sincopate e ripetute …
l’utilizzo drammatico dell’inserimento della settima diminuita ed alle
ripetute frasi che seguono”.
La forza crescente dell’idea musicale è testimoniata dal forte senso
armonico che sostiene la struttura melodica da parte degli strumenti
gravi, e l’eco delle sezioni che non sono meramente decorative, ma
hanno la funzione di rafforzare l’intensità.
84
violini taciti e i fagotti obbligato, ed anche uniti dalle viole, violoncelli e
bassi. Gli unisono e i cromatismi contraddistinguono il Minuetto. Le frasi
di quattro battute e i ritorni in forma binaria sono tradizionali.
PHILADELPHIA ORCHESTRA
85
Sinfonia n 26 in Mi bemolle K. 184 (161A)
L’intera scrittura del concertante per i fiati per tutti i tre movimenti della
K.184 è caratteristico di questo periodo.
86
La consuetudine mozartiana nelle sue Serenate orchestrali e nelle sue
Sinfonie giovanili era quella di usare o flauti o oboi e non entrambi e
nelle sue ultime Sinfonie egli utilizza un paio di oboi e un singolo flauto.
87
Sinfonia n 27 in Sol K. 199 (161b)
KARL BOHM
88
Nell’Andantino grazioso in Re maggiore, gli upper strings (viole e
violoncelli) tacciono mentre i violini suonano prevalentemente in
pizzicato, e i flauti, presumibilmente limitati per rinforzare i Tutti, come
al solito offrono un tipo di aria-canzone adatta a serenate d’amore nelle
opere italiane.
89
Diversi commentatori hanno udito echi di altre musiche in questa
composizione. Abert individua la similarità tra il primo movimento e
quello della Sinfonia in Si bemolle K.182. Wyzewa e Saint-Foix
individuano l’influenza di Haydn nel medesimo primo movimento. Essi
considerarono che il tema d’apertura dell’Andante fosse entro lo stile di
una canzone popolare tedesca e considerarono il Minuetto come la prima
parte del Minuetto della Sinfonia Jupiter (la quale richiamava il Minuetto
di Haydin per la Sinfonia n 45). Hocquard ci rimanda al “Flauto magico”
nel finale, per ciò che egli definì “Il motivo Monostato”.
90
Il primo movimento inizia “piano”, senza la tradizionale fanfara o gli
accordi stentorei. Il tema iniziale consiste in un intervallo di ottava – che
ricompare all’inizio del movimento Finale – e un gruppo di crome che
conducono ad un ulteriore intervallo di ottava, e così via in una sequenza
continua, ripetuta quindi da Tutti all’ottava superiore ed in canone tra i
violini e gli altri archi.
BERLINER PHILHARMONIKER
91
L’Andante e il Minuetto hanno in comune l’uso predominante di ritmi
puntati e doppio puntati, caratteristici delle marce e delle sezioni lente
delle Ouvertures francesi.
L’Andante è forse il più eloquente dei molti che Mozart scrisse con
questa struttura. L’energia di questo movimento emerge dal Minuetto che
sembra dominato più da uno spirito guerriero (Marte) piuttosto che da
quello danzante (Tersicore).
92
cela l’attenzione che Mozart deve aver avuto per comporre le quattro
voci, sia attive che accattivanti.
Non possiamo stabilire se questa sia o meno una scelta stilistica definita
perché è possibile che non venisse richiesta alcuna drammaticità per
composizioni destinate all’intrattenimento-danza e al contempo fosse
richiesta serietà musicale per le occasioni di gala a Salisburgo.
93
Sinfonia n 31 in Re K. 297 (300a)
COLIN DAVIS
94
N. Harnoncourt ci riferisce che il passaggio in cui il primo movimento
della K.297 piacque tanto alla platea dovrebbe essere tra le battute 65.-
73, ripetuto alle 220-27, laddove una spiccata melodia ai violini è
supportata dai fiati e violoncelli e contrabbassi in pizzicato creando un
effetto brillante.
95
Sinfonia n 32 in Sol K. 318
96
Ma questa Sinfonia, datata 26 aprile 1779 fu composta troppo tardi per la
prima versione di “Thamos” (1773) e troppo presto per “Zaide” (1779-
80) e “Thamos” (inverno 1779-80). Inoltre, la musica di “Thamos” nel
corso degli anni 1780 fu più volte riutilizzata con nuovo testo per una
composizione viennese, per la quale si usò la Sinfonia in Mi bemolle
K.181 e non la K.318.
97
ma da sei misure prima del ritorno al cosiddetto “secondo tema”. La
parte tralasciata nella ripresa andrà ad inserirsi nella coda finale.
98
Nella sezione sviluppo del primo movimento il Mottetto delle prime
quattro note Do-Re-Fa-Mi, sono presenti alle battute 143-46 e 151-54 ed
ancora, modificati nell’Andante alle misure 44-47 e nel Minuetto 9-12 e
trio 1-4.
DIMITRI MITROPOULOS
99
L’Andante è nella forma A B A’ B A coda, con la sezione A’ scritta in
tessitura similare, prima negli archi in dominante e poi nei fiati sulla
tonica.
Sinfonia n 34 in Do K. 338
100
Il primo movimento fu originariamente seguito da un Minuetto o almeno
da un inizio di Minuetto, ma esso è stato stralciato dal manoscritto,
lasciandovi solo le prime 14 battute, che sono a fine dell’ultima pagina
del primo movimento.
Dopo la K.338, Mozart abbandonerà l’uso della giga nei Finali per
sempre.
101
Sinfonia n 35 in Re K. 385 “Haffner”
102
In seguito, Mozart modificò la partitura della K.385 per un concerto a
Vienna, eliminandovi la marcia, togliendo le ripetizioni entro il primo
movimento ed aggiungendovi parti per flauti e clarinetti nel primo ed
ultimo movimento, rafforzando le partiture nei Tutti.
“Il teatro non poteva essere più affollato, ma la cosa che mi fece più
piacere fu la presenza di Sua Maestà l’Imperatore e quando egli mi
applaudì buon Dio. Come sua abitudine, ha lasciato denaro al
botteghino prima di andar via. Doveva esserne rimasto deliziato. Il suo
obolo fu di 25 ducati”.
103
Sinfonia n 36 in Do K. 425 “Linz”
Se Mozart affermò il vero, bisogna credere che egli scrisse una nuova
Sinfonia tra il 30 ottobre e il 4 novembre, copiò le singole partiture (o
furono da altri ricopiate) e forse perfino ebbe il tempo di provare il
lavoro prima dell’esibizione in pubblico.
Il concerto ebbe luogo nella sala principale del Ballhaus di Linz. Nulla ci
è noto sull’orchestra che presumibilmente era con i Conti Thun, senior e
junior, che Mozart rincontrerà a Praga nel 1787 e con Franz
Niemetschek, il biografo di Mozart, chiamato “First-rate”. La nuova
Sinfonia fu in seguito eseguita a Vienna nel suo “Academy” il 1 aprile
1784.
Sin dal momento d’apertura, con i ritmi eleganti delle duine puntate che
aprono l’Adagio, l’ascoltatore è immerso nel mondo musicale
mozartiano dei suoi capolavori. I frutti della libertà artistica di Vienna,
del lavorare con i musicisti orchestrali della capitale, l’esperienza di
orchestrazione accumulata nei concerti per piano e “Dei Entfuhrung”,
l’approccio maggiormente professionale verso la Sinfonia in generale
sono elementi convergenti nella Sinfonia “Linz”.
104
L’ampio respiro del primo movimento, la sua forma perfettamente
equilibrata, l’abilità di orchestrazione non si accordano alle circostanze
sbrigative e di casualità in cui essa fu composta.
BRUNO WALTER
105
probabilmente non conosciute da Beethoven, ma in generale questa
rimane una variante rara entro la Sinfonia classica.
106
Sinfonia n 38 in Re K. 504 “Praga”
107
direttore, attribuendo ad essa gran parte del merito dell’ovazione che la
sua musica aveva ricevuto a Praga, grazie alla sua esecuzione.
108
Già prima del dicembre 1780, quando Wolfgang stava componendo
“Idomeneo” con la famosa orchestra Mannheim, Leopold due volte
avvertì sui pericoli delle richieste dei musicisti d’orchestra: “..quando la
tua musica è eseguita da un’orchestra mediocre, sarà sempre un
fallimento perché è composta affinché si distinguano i vari strumenti ed è
lontana dall’essere convenzionale così come lo è la musica italiana”.
“Fai del tuo meglio per mantenere l’intera orchestra di buonumore: per
quanto io conosca il tuo stile di composizione – esso richiede
un’attenzione inconsueta da parte di tutti gli strumentisti e mantenerne
elevato l’umore almeno per alcune ore, lo ritengo produttivo”
109
Sinfonia n 39 in Mi bemolle K. 543
L’Andante con moto presenta i suoi temi principali in forma binaria con
entrambe le sezioni ripetute, guidando verso una sezione che, insieme al
tema iniziale, ricorre frequentemente lungo lo sviluppo e per l’intero
movimento.
110
caso richiama lo spirito elevato della Sinfonia n 88 di Haydn composta
intorno al 1787.
111
Sinfonia n 40 in Sol minore K.550
112
classicismo e il romanticismo e perfino della sofferenza interiore e celata
di Mozart che ne accompagnò l’intera esistenza.
Nella prima metà del 1800 nei paesi di lingua tedesca, la K. 551
datata 10 agosto 1783 è conosciuta come la “Sinfonia con la fuga nel
Finale”. Il soprannome “Jupiter” ha origini inglesi. Il figlio di Mozart,
Franz disse che il termine fu coniato e diffuso da Haydn a Londra e
ripreso da J. P. Salomon violinista e direttore d’orchestra.
113
Cantate, Oratori, e composizioni liturgiche per indicare nobiltà e
sentimento religioso?
Quel che Mozart aveva in mente non lo si può conoscere, perché egli
“dimenticò” di scrivere le parole delle sue melodie.
Per il primo movimento egli riprese l’aria “Un bacio in mano” K 541.
RICCARDO MUTI
114
Composta per l’Opera di Anfossi “Le gelosie fortunate” Messa in scena a
Vienna il 2 Giugno 1788, l’aria appartiene al personaggio Monsieur
Girò, inesperto nelle faccende amorose, il quale dice a don Pompeo a
proposito dei pericoli femminili “voi siete un po’ tondo, mio car Pompeo
– L’usanze del mondo andate a studiar”. Cosa abbia a che fare questo
con il termine “Jupiter”?
115
Questa necessità di sviluppo estende il tema verso la chiusura con il
rientro della tonica alla battuta 76, e questa terza ripresa è ancor meno
capace di contenere l’inquietudine di sottofondo rispetto alle due volte
precedenti.
Infine, segue una falsa ripresa che si presenta come una coda, ma essa
non propone una risoluzione conclusiva, nonostante che la cadenza della
tonica si ripresenti per tre volte.
116
sul medesimo modello, dove la prosecuzione delle parole “in unum
Deum, Patrem omnipotentem”.
WIENER PHILHARMONIKER
117
Leonard Ratner ha dimostrato che il fugato della coda del Finale della
Sinfonia “Jupiter” è un esempio di “musica combinatoria” - quella parte
della teoria musicale in cui si imparano i modi di combinare i suoni tra
loro, ossia i modi in cui i suoni possono essere posizionati e combinati
tra loro in numerose maniere.
118
A causa della chiusura del teatro d’opera imperiale per motivi di penuria
economica, Mozart apparentemente ritornò alla musica sacra dopo una
parentesi di qualche anno.
L’abate Vogler così scriveva nel 1790: “la fuga è una conversazione tra
una moltitudine di cantanti….perciò tal forma d’arte musicale non
contempla accompagnamento né ruoli secondari, ognuno ha il ruolo
principale”.
119
Altre annotazioni sull’analisi dei movimenti
CLAUDIO ABBADO
120
L’Andante Cantabile è una pagina di intenso pathos che si colloca ai
vertici dell’arte mozartiana. Nell’esposizione compaiono tre nuclei
tematici: un primo serenamente cantabile, un secondo più agitato e
fremente, un terzo aperto e caldo. Lo sviluppo è totalmente dominato
dalla seconda idea tematica fino a quando ricompare, ampia e
rassicurante, la terza idea che introduce la ripresa, ricca di variazioni e
ampliata da una coda di notevoli dimensioni.
www.tuttiallopera.altervistra.org
121
SINFONIA CONCERTANTE IN MI BEMOLLE MAGGIORE PER
FIATI E ORCHESTRA, K1 A9 (K6 297B)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro
2. Adagio
3. Andantino con variazioni
Organico: flauto, oboe, fagotto, corno, orchestra
Composizione: Parigi, 27 Aprile 1778
123
SINFONIA CONCERTANTE [N. 52] IN MI BEMOLLE
MAGGIORE PER VIOLINO E VIOLA, K1 364 (K6 320D)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro maestoso (mi bemolle maggiore)
2. Andante (do minore)
3. Presto (mi bemolle maggiore)
Organico: violino, viola, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, Agosto - Settembre 1779
Edizione: Andrè, Offenbach 1802
Il 1779 fu uno degli anni più difficili e penosi della vita di Mozart.
L'ex-fanciullo prodigio aveva ormai ventitre anni e era dovuto tornare a
testa bassa a Salisburgo, dopo un viaggio di sedici mesi che aveva avuto
come tappe intermedie Mannheim e Monaco e come meta finale Parigi.
Profondamente provato dalla morte della madre, che era avvenuta mentre
si trovava solo con lei a Parigi e che aveva segnato il suo definitivo
passaggio all'età adulta, rifiutato da Aloysa Weber, di cui s'era invaghito
a Mannheim, amaramente deluso nella speranza di trovare una
collocazione professionale più rispondente alle sue aspirazioni, si era
dovuto rassegnare al soffocante ambiente salisburghese, riassumendo il
suo ruolo di servitore del principe-arcivescovo. L'insoddisfazione e la
rabbia non spensero ma anzi stimolarono la sua voglia di comporre.
Tra le musiche scritte in quei mesi spiccano la Messa dell'Incoronazione
K.317 (23 marzo), la Sinfonia n. 33 in si bemolle maggiore K. 319 (9
luglio), la Serenata "Posthorn" K. 320 (3 agosto) e, subito dopo, la
Sinfonia concertante in mi bemolle maggiore per violino, viola e
orchestra K. 364 (K. 320 d), la più ambiziosa e perfetta di tutte le sue
creazioni di quel periodo, destinata alla straordinaria orchestra di
Mannheim, da poco trasferitasi a Monaco al seguito del duca Karl
Theodor: se non lo rivelassero i documenti, ne sarebbero un chiaro
indizio lo stile serio ed elevato, l'ampia architettura e la profondità
d'espressione, che la distinguono dalla musica scritta per Salisburgo,
dove aveva l'impressione di scrivere "solo per le sedie", come egli stesso
ebbe a dire.
124
YUTAKA SADO
125
Per gli eccellenti musicisti di quell'orchestra, molti dei quali erano suoi
amici personali, si sentiva invece stimolato a dare il meglio di sé, libero
di scrivere senza costrizioni, sicuro di essere capito e apprezzato.
Nell'epoca dello stile galante, quando la musica doveva essere soprattutto
piacevole, leggera ed elegante, la Sinfonia concertante consentiva di
incrociare Sinfonia e Concerto, alleggerendo il serioso stile sinfonico con
le divagazioni brillanti e virtuosistiche dello stile concertante.
Generalmente il tono di questo genere di composizioni era piuttosto
vivace e leggero, ma Mozart preferì dare a questa sua seconda Sinfonia
concertante (ne aveva già composta una a Parigi, nell'aprile 1778) un
carattere serio e severo: il timbro scuro della viola attenua il brillio del
violino, il primo movimento si tiene lontano dai vivaci temi da Opera
buffa presenti nei tempi veloci di molte Sinfonie mozartiane di quegli
anni, il meditativo tempo lento centrale ha una dimensione e un ruolo
ben superiori al consueto.
In Mozart la tonalità di mi bemolle maggiore corrisponde spesso a
un'aspirazione alla felicità e alla pienezza interiore: ne è una conferma il
primo movimento Allegro maestoso.
È pieno di vita e di speranza e presenta una grande ricchezza tematica: il
tema esposto nell'introduzione orchestrale da oboi, corni e archi
s'affermerà come il tema principale, ma ha un bel rilievo anche il tema
immediatamente successivo, disseminato di trilli, che con un crescendo
prepara l'entrata dei due solisti.
Modulazioni a tonalità minori velano quest'atmosfera luminosa nello
sviluppo, che culmina in un nuovo tema ricco di pathos introdotto dal
violino, in sol minore.
La ripresa della parte iniziale porta alla cadenza, che solitamente era
lasciata all'improvvisazione dei solisti ma in questo caso scritta da
Mozart di suo pugno, sfruttando principalmente il gioco d'eco tra violino
e viola.
L'ampio Andante, nella cupa tonalità di do minore, è un canto
emozionante e patetico, mormorato inzialmente dai violini e ripreso dai
due solisti, che ingaggiano un dialogo intenso e serrato.
126
Il mi bemolle maggiore viene nuovamente raggiunto nella parte centrale,
ma ben presto violino e viola riprendono il loro canto sempre più privo di
speranza, punteggiato da pause inquietanti.
Si apre in tempo di contraddanza il Presto conclusivo, la cui allegria
traboccante spazza via d'un colpo solo il tono raccolto e intenso
dell'Andante: è un Rondò pieno di vita, di gioia, di slancio, che ha
qualcosa della verve indiavolata dell'opera buffa.
Mauro Mariani
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 16 marzo 2001, direttore
Yutaka Sado
127
KARAJAN INTERPRETA MOZART
128
Ad alcuni il Mozart di Karajan, con i suoi tempi rapidi e i suoi eleganti
virtuosismi, sembrava troppo superficiale ed edonistico, sbrigativo e
poco profondo; ad altri invece troppo ricercato e sofisticato, non di rado
svenevole e caramelloso: dunque stilisticamente inattendibile.
130
gli accordi a piena orchestra che concludono l'esposizione tematica.
Ma già nel ritornello Karajan assottiglia quasi impercettibilmente il
tessuto sonoro, distendendolo nel "piano": sicché lo stesso materiale si
ricompone in un'altra visione, più trasognata, quasi elegiaca.
Nello sviluppo, allorché si presenta bruscamente la tonalità di Fa diesis
minore, il contrasto tra la figura tematica ed il penetrante staccato dei
bassi assume un tono drammatico di spessore inaudito, quasi si
annunciasse una catastrofe.
Ciò che prima appariva scorrere in superficie, si espande ora nel senso
della profondità, per precipitare in abissi smisurati.
Qui Karajan esagera, certamente; ma infonde alla partitura una verità
bruciante, che no non è al di là bensì nella musica stessa. E tutto ciò si
verifica in un incalzare sempre più incisivo del tempo: il massimo degli
eventi si produce nel minor tempo possibile.
BERLINER PHILHARMONIKER
131
Senza che per questo venga pregiudicata, quasi valore a sé stante, la
pastosità e la morbidezza del suono orchestrale, la sua risplendente
purezza.
L'Adagio introduttivo della Sinfonia in Mi bemolle maggiore K 543, ed
ancor più quello della "Praga" (in Re maggiore, K 504), sono documenti
eloquenti di una poetica interpretativa che rasenta l'enfasi, la forzatura
espressiva.
Con ampio gusto, Karajan deliba ogni particolare e lo carica di
un'intenzione solenne, austera ed insieme fastosa. Qui il tempo è dilatato
ad arte, teatrale l'indugio; e difatti il guizzo con cui viene introdotto
l'Allegro (nella "Praga" con l'incalzante sincopato dei violini, mentre
trombe e corni esplodono la loro luminosa fanfara) è un vero colpo di
scena, dove il protagonista è il direttore, non altri.
Queste intenzionali estremizzazioni, in cui Karajan era maestro
insuperabile, possono cogliere di sorpresa e perfino indisporre chi si
attenda da una Sinfonia di Mozart un pacato piacere, magari da gustarsi
ad occhi chiusi e senza sussulti; ma suscitano nell'ascoltatore attento, e
non solo per la tecnica con cui sono realizzate, un'emozione intensa.
Per avere un'idea adeguata del Mozart di Karajan bisogna però partire
dalla fine, ossia dalla "Jupiter". Per Karajan non è solo il monumento
classicamente proteso a coronamento della produzione sinfonica di
Mozart in una ferma dichiarazione di ideali razionali. Il motto iniziale è
inciso nella pietra, netto e poderoso, e determina subito l'atmosfera
incombente su tutto il primo tempo; le cause che seguono sono cariche di
presagi e di destino: in questi elementi e già contenuto il nucleo da cui si
svilupperà il tema della Marcia funebre dell' "Eroica" di Beethoven.
In questo clima, con Karajan tutta la Sinfonia s'erge come un'erme
solitario paesaggio di rovine classiche. Ed è un'immagine di folgorante
bellezza contemplata al crepuscolo di un mondo.
Superficie e profondità assumono un significato tangibile nella
lontananza che ormai ci separa da quel mondo; ed è alla soglia di quel
limite che Karajan ci conduce, prima di liberare l'estasi della fuga finale
in un fervido canto d'addio.
Un atteggiamento decadente? Forse. Certo è che Karajan si sentiva uno
degli ultimi sommi sacerdoti eletti ad offrire quel rito, ed a rievocarne
tutti gli incanti.
132
OUVERTURES
Una serata all'opera non è sempre stata l'impegno serio che è oggi.
In passato il pubblico che andava all'opera, soprattutto per divertirsi ed
incontrare gli amici, faceva un tale rumore che a malapena si riusciva a
sentire l'inizio della musica.
Per ovviare a questo, i compositori svilupparono l'Ouverture
(letteralmente l' "apertura") nella quale gli strumentisti attaccavano con
alcuni fragorosi accordi per mettere le conversazioni a tacere ed attirare
l'attenzione, come fa un giudice con il martelletto.
Questi accordi diventavano gradualmente un movimento completo ed
indipendente, seguito da una parte più pacata e poi da un brano finale
forte con un tempo rapido per fare crescere l'eccitazione del pubblico
all'avvicinarsi dell'alzata del sipario.
Eccezion fatta per la Francia dove venne adottato un stratagemma
diverso, questa Ouverture in tre parti (chiamata allora in Italia, come oggi
d'altronde, Sinfonia) divenne quasi universale all'inizio del Settecento.
Il Lucio Silla di Mozart ne è un esempio perfetto, mentre l'Ouverture del
Die Entfuhrung aus dem Serail ne modifica la struttura inserendo un
movimento lento in mezzo a quello brioso.
Nel 1767, Gluck introdusse un nuovo tipo di Ouverture per la sua opera
Alceste.
Egli era dell'opinione che l'Ouverture doveva, non solo mettere a tacere il
pubblico, ma anche calarlo nell'atmosfera del dramma che si sarebbe
svolto poco dopo.
Che Mozart fosse dello stesso parere lo si può vedere paragonando
l'Ouverture gioiosa e dirompente nelle Nozze di Figaro, una delle sue
opere buffe predilette, con il linguaggio musicale nobile ed intriso di
dignità con l'Ouverture del Don Giovanni, con il suo titolo mozartiano e
tragico Il dissoluto punito.
Com'è noto, questa precisazione del compositore sul tema è preziosa
perché, nonostante una trama macabra in cui l'eroe viene trascinato a
forza all'inferno da una statua divenuta viva per l'occasione, il Don
Giovanni viene classificato (per ragioni tecniche) come opera buffa,
un'opera comica!
Tutte le Ouvertures sono orchestrate allo stesso modo, ossia con un paio
di flauti, oboi, clarinetti, fagotti, corni, trombe e timpani e con archi. Le
tre eccezioni sono Die Zauberflote con tre tromboni aggiunti, Lucio Silla
133
con un numero minore di flauti, clarinetti e fagotti e, infine, Die
Entfuhrung dem dem Serail in cui, nei brani esterni, i flauti sono sostituiti
da un unico ottavino ed i timpani sono corredati da cimbali, triangolo e
grancassa per rendere meglio l'atmosfera turca dell'azione.
Questa formazione orchestrale comprendente otto strumenti a fiato,
quattro ottoni, strumenti a percussione ed archi, era superiore all'epoca a
quella considerata normale per la Sinfonia da concerto, la quale si
limitava a due oboi, due corni e ad archi, con un fagotto come parte del
gruppo dei bassi.
GEORGE PRETRE
134
I teatri lirici erano allora in grado di ospitare orchestre più consistenti e
quindi i compositori ne approfittarono per aggiungere colore strumentale
alle proprie opere.
Molto spesso, perfino nelle Ouvertures ben sviluppate mozartiane,
l'orchestra al completo sembra sprecata, essendo la musica altrettanto
incisiva con un numero minore di strumenti; era quindi abbastanza
corrente il fatto di avere delle Ouvertures a più movimenti - tra cui le
prime scritte da Mozart - staccate dalle relative Opere ed eseguite come
Sinfonie da concerto con un'orchestra ridotta.
135
La clemenza di Tito K 621
Per questa sua ultima opera, scritta appena tre mesi prima della sua
morte, Mozart scelse un libretto di Caterino Mazzola secondo Metastasio
e lo portò a termine il 5 settembre 1791.
La prima esecuzione ebbe luogo l'indomani al Teatro nazionale di Praga,
in occasione delle celebrazioni per l'incoronazione del re di Baviera,
Leopoldo II.
La fredda brillantezza di questo unico movimento, Allegro in Do
maggiore, è in netto contrasto con la dolcezza umana e piena di grazia
del Concerto per clarinetto composto immediatamente dopo.
136
Lucio Silla K 135
137
Don Giovanni K 527
138
Der Schauspieldirektor K 486
LORIN MAAZEL
139
140
CONCERTI PER PIANOFOTRE E ORCHESTRA
Introduzione
141
Il passaggio alla “seconda esposizione” è senza dubbio uno dei più
cruciali dell’intero Concerto, il momento in cui l’ascoltatore fa la sua
conoscenza con il solista, il personaggio che si pone come interlocutore
primario.
142
a ribadire, secondo una convenzione arcaica, del tutto ritonificata
peraltro, un proposito unitario.
143
Ma proprio tale apparente riluttività, in termini temporali, finisce per
rendere ancora più pregnante il momento ed anche questo appartiene in
fondo alla sorprendente qualità mozartiana, portata a qualificare, a
rendere importanti le cose solitamente meno evidenziate, se non
addirittura appartati.
Più che un contrasto sembra ora un dialogo, assai meno serrato se,
anzicchè la pura botta e risposta è un fare più articolato che si scioglie
lungo percorsi quasi divaganti a volte; ed anche qui le sorprese non
mancano, se vediamo ad esempio riapparire temi che si erano dati per
persi, come talora avviene per certi secondi temi dell’esposizione
orchestrale non più riascoltati in quanto soppiantati dalle nuove proposte
del solista.
144
Un’animazione che proprio per l’intrecciarsi così ingegnoso di tanti
spunti e di tante combinazioni riesce a far sprigionare ogni volta un senso
di autentica aspettativa dalla tensione cadenzale che apre al solista il
consueto spazio per la sua esibizione virtuosistica.
145
Era questo delle cadenze uno dei luoghi deputati del Concerto
settecentesco, strettamente legato al gusto di un’epoca che privilegiava,
quasi a contraltare l’ordine e la razionalità del linguaggio corrente,
l’improvvisazione.
146
abbracciante l’intero arco della sua struttura tripartita: così da imprimere
ai Finali quella tensione verso un’illusione di felicità che si decanta,
sovente nella stessa sublime ambivalenza delle grandi chiuse teatrali,
dalla conclusione della Folle journée allo stupefatto lieto fine della
“Clemenza di Tito”.
147
Concerto n1 in Fa maggiore K 37
MOZART AL PIANOFORTE
148
Indicativo della nuova visione che sorregge il compositore nell’affrontare
le prove del Concerto, un cammino lungo il quale procederà con sempre
più sorprendente dimestichezza, è il ruolo della cadenza: se nel primo
movimento lo stacco cadenzale non è ancora molto netto, già
nell’Andante si può avvertire una intenzionalità che diverrà esplicita nel
terzo movimento dove la preparazione della cadenza, chiaramente
indicata come tale, è realizzata da una figurazione nuova introdotta dal
solista accompagnato dall’orchestra.
149
Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 in Re maggiore K 40
E’ così strutturato:
il primo movimento è tratto dal primo tempo della Sonata op. 2 n.
1 di Honauer
l'Andante centrale è modellato sull'omonimo movimento della
Sonata op. 1 n. 4 di Eckardt
il terzo movimento forse si basa su un pezzo di Carl Philip
Emmanuel Bach
Il Presto del terzo movimento, si basa sulla scansione binaria della
Sonata italiana, e presenta, nell'ambito dei primi quattro Concerti
di Mozart, un carattere più vario che si identifica nell'alternanza di
figurazioni ritmiche.
L'orchestra ha lo stesso organico dei primi due Concerti, con
l'aggiunta di due trombe che contribuiscono ad arricchire le sonorità e ad
attribuire a quest'opera una maggiore identificazione col genere musicale
del Concerto, nel tentativo di uscire dalle convenzioni della musica
Rococò.
150
I Tutti si presentano molto completi sia dal punto di vista dell'estensione
che per quanto riguarda la notevole elaborazione, che finisce col
rinnovare le caratteristiche delle composizioni cui Mozart si ispirava.
ALFRED BRENDEL
151
Il manoscritto autografo di questo Concerto è stato acquistato da
Constanza Mozart da Johann Andrè, ma è andato perduto. Era intestato
“Concerto per il clavicembalo del signor Cavaliere Amadeo Wolfgango
Mozart nel dicembre 1773”. Probabilmente Mozart portò questo
Concerto a Monaco nel 1774 e sappiamo che fu eseguito a Mannheim
nel febbraio 1778.
Nel febbraio 1782 Mozart ha composto un Rondò finale sostitutivo (K
382) per il piano Concerto K 175. Senza dubbio egli compose questo
nuovo Finale per l’esecuzione nei concerti Lenten a Vienna. John Irving
credeva che Mozart avesse composto tale variazione per catturare
l’attenzione della platea viennese più facilmente che non con
l’antecedente “forma – sonata concepita (contrappuntisticamente).
In questa forma, il Concerto fu eseguito più volte tra il 1782 e il 1783,
Mozart lo descrisse come “più apprezzato in questa versione”. Il nuovo
Rondò include un flauto, che non era presente nella partitura degli altri
due movimenti. Una parte della partitura salisburghese mostra alcune
variazioni nel primo corno e negli oboi, che potrebbe ricondursi
all’aggiunta di un flauto. Tuttavia, non abbiamo alcuna parte per flauto
nei primi due movimenti. Klaus Hortschanisky ha teorizzato che il
nuovo Finale fu eseguito a Mannheim nel 1778.
Perciò, sembra esistano tre versioni – o esecuzioni – del Concerto per
pianoforte K 175:
- l’originale in tre movimenti del 1773.
- Variazione con un corno, due oboi, un flauto del 1778
- Sostituzione del rondò K 382 al Finale, con l’orchestrazione del
1778
Quando Mozart inviò una copia del Rondò a Salisburgo nel marzo del
1782, scrisse a suo padre:
152
Apparentemente la popolarità del brano cambiò l’opinione di Mozart sul
Rondò e fu resa nota per la vendita di Lorenz Lausch il 2 Aprile 1785.
L’intero Concerto è stato pubblicato sul Journal des pieces de clavcin di
Boyer a Parigi nel 1785, con la sostituzione del Rondò finale.
153
Mozart scrisse due diverse cadenze per i tre movimenti a Vienna. Esse
furono scritte molto dopo, come evidenziato da Robert Levin, che ha
mostrato come la cadenza del primo movimento arriva al Fa acuto,
mostrando così come essa sia indiscutibilmente stata scritta per un uso
successivo, per uno strumento a cinque ottave.
NEVILLE MARRINER
155
L’Andante sembra riprodurre uno schema analogo a quello del primo
movimento con un’esposizione orchestrale dei due soggetti, il secondo
dei quali con ritornello; l’entrata del solo ripropone il primo soggetto, in
dialogo con l’orchestra da cui si diramano nuove idee frammiste al
ritornello del secondo soggetto.
Il clima di sognante tenerezza evocato con quel passo sostenuto, con quel
respiro lungo in cui pare già di presentire la compiutezza dei grandi
Adagi della maturità, trova un’ulteriore intensificazione nello sviluppo
centrale, nutrito da una melodia nuova che introdotta dal solista, viene
poi ripresa dagli strumenti dell’orchestra i quali si muovono con una
peculiarità timbrica estremamente controllata, come del resto tutto il
quadro dinamico – da notare il decrescendo annotato alla fine
dell’esposizione orchestrale e nella terz’ultima battuta.
Il Finale rappresenta senza dubbio il momento più straordinario del
Concerto per l’originalità che percorre senza sosta la sua ampia struttura:
organizzato in forma di sonata questo Allegro si caratterizza altresì per la
tensione contrappuntistica che lo anima - da far pensare già al supremo
approdo della “jupiter” – e che si alimenta di un’eccezionale esuberanza
tematica: ben quattro temi infatti si susseguono nel Tutti che apre il
movimento, un canone all’unisono, un secondo motivo, affidato ai soli
archi, dal profilo sincopato, un terzo già apertamente melodico, un quarto
infine enunciato dalle viole e dai bassi all’unisono, dal carattere
nuovamente ritmico.
L’ingresso del solista innesca di nuovo il gioco contrappuntistico sul
primo soggetto del Tutti: una vera e propria botta e risposta tra pianoforte
e orchestra che via via coinvolge altri soggetti ma che ne stimola altri
nuovi del discorso del solista.
156
Concerto per pianoforte e orchestra n. 6 K 238
Questo Concerto non risulta essere stato commissionato, ma
probabilmente lo stesso Mozart lo compose per se stesso o lo destinò a
qualche allieva o alla sorella. Composto nel 1776, assieme al K 242, al K
246 e al K 271 (legati però ad una committenza), risente dell'influenza
del gusto francese e salisburghese, e forse anche dei Sei Concerti Op. 13
di J. C. Bach. Sin dalle prime battute, il Concerto K. 238 dimostra un
carattere tranquillo, in cui prevale l'andamento cantabile sulla ricerca del
virtuosismo.
157
L' Andante un poco adagio si rifà alla struttura della sonata bipartita,
attraverso la presenza di due parti bilanciati tra loro ma allo stesso tempo
contrapposti. Il terzo tempo, invece è nello stile francese del rondeau, e
vede il succedersi del tema, di tre episodi intermedi e delle riprese, con
l'orchestra che finalmente assume un ruolo più importante nei confronti
del solista. La mancata ricerca di virtuosismo si ripercuote anche nella
conclusione del Concerto, che termina con un piano, dopo l'ultima
esposizione del tema eseguita dall'orchestra, privata dell'apporto del
solista.
158
Concerto per pianoforte n 8 in Do maggiore K. 246
159
Scritto per la contessa Antonia von Lutzow, moglie del comandante
locale, Mozart non aveva necessità di scrivere una composizione
semplice per un dilettante – la contessa era un’apprezzata pianista ed
un’allieva di Leopold.
160
un Allegro caratterizzato da un senso ampio e possente della costruzione
tematica nel rapporto dialogante tra il pianoforte e l'orchestra, formata da
due violini, viola, due oboi, due corni, violoncello e contrabbasso.
161
A questo primo movimento ricco di proposte tematiche e di robusta
tessitura sinfonica succede un tempo lento eccezionalmente esteso, che
alterna un patetismo intenso e quasi tragico (è la prima volta che Mozart
scrive un tempo di Concerto in minore) a zone cantabili e affettuose, ed
apre al Concerto per pianoforte le strade di un pronunciato protagonismo
espressivo.
162
pianoforte a quattro mani, per lo spiccato carattere di virtuosismo
competitivo che lo anima, per la sensualità e brillantezza sonora della
scrittura, per l'intensa vitalità concertante che circola nei rapporti tra i
due strumenti solisti e tra questi e l'orchestra.
L'imponenza del primo movimento, che nello sviluppo si colora di tinte
cupe, dovette risuonare esaltata agli orecchi degli ascoltatori viennesi
grazie a una successiva, e purtroppo perduta, rielaborazione della
partitura, arricchita di clarinetti, trombe e timpani.
CLAUDIO ARRAU
163
Anche nella sua più diMessa veste orchestrale originaria, il
Concerto appare come un prodigio di sensibilità timbrica, soprattutto
nelle introduzioni al primo e al secondo tempo, dove il modesto
schieramento dei fiati, tipico del normale organico settecentesco (oboi,
fagotti e corni in coppie) non potrebbe venire utilizzato con varietà e
fantasia maggiori.
Come spesso, anche qui Mozart sembra giocare le sue carte migliori nel
Rondò finale, strutturato su un tema ricorrente dall'incipit in "levare"
(insolita e in verità poco mozartiana civetteria ritmica: Wolfgang
evidentemente respirava ancora l'aria di Parigi) e dalle mosse d'una
disinvolta eleganza mondana che tuttavia non riesce a dissimulare un
tenero empito lirico, il quale traboccherà nella conciliazione degli episodi
secondari e in tutta la parte conclusiva, dove il motivo, prima di sfociare
nella cadenza e nell'ultima, squillante ripresa, si discioglie in
progressioni cariche di intenso pathos.
Opera di notevole freschezza, ma anche profondamente matura, è di
grande interesse per il rapporto che stabilisce fra i due solisti e fra questi
e l'orchestra. È un problema che Mozart affrontò una seconda volta
subito dopo, con la Sinfonia concertante K 364 per violino e viola, scritta
in estate.
Forse nel Concerto per due pianoforti non si giunge ancora alla
approfondita distinzione di ruoli della Sinfonia concertante, ma il dialogo
fra i due pianoforti è vivacissimo e ricco di fantasia, portando su un
piano assai elevato lo stile piacevolmente mondano proprio delle
composizioni del periodo salisburghese.
L'Andante è simile a un duetto operistico delicatamente ornato col da
capo.
Il Rondò include un drammatico passaggio nei modi minori, uno
sviluppo sinfonicamente impegnato del tema principale e una elaborata
cadenza.
164
Concerti per pianoforte e orchestra
n 11, n 12, n 13 ossia K 413, K 414, K 415
EUGEN JOCHUM
165
Proprio in merito alla novità di queste pagine, Wolfgang scrisse una
famosa lettera al padre che reca la data del 28 dicembre 1782:
166
ripresa corre regolare e culmina nella cadenza del solista scritta dallo
stesso Mozart.
167
bemolle maggiore e precede una specie di coda orchestrale, nella quale
Mozart ripropone il motivo cromatico precedente. La consueta cadenza
del solista porta alla chiusa del movimento.
168
conduce la sua esposizione con regolarità, senza strafare e senza
particolari virtuosismi: la difficoltà tecnica di questa pagina infatti non va
oltre quella richiesta a un ottimo dilettante. Interessante invece è la
sezione di sviluppo che si apre con un nuovo motivo, in note ribattute,
elaborato dal pianoforte, culminante con un intenso episodio in Fa diesis
minore. La ripresa è regolare e culmina nella cadenza del solista.
MAURIZIO POLLINI
Gli episodi solistici si alternano alle ripetizioni parziali del refrain con
naturale scorrevolezza: il primo è brillante e ritmico, il secondo è
interamente basato sull’elaborazione della seconda idea del tema
principale, il terzo è costruito su un nuovo motivo presentato dal
pianoforte e subito ripreso con gioia dai violini in Re maggiore, il
quarto analogamente al secondo prende spunto dalla seconda idea del
tema principale.
170
solista sembra quasi estraniarsi dal materiale musicale presentato
precedentemente dall’orchestra, in cerca di vie musicali originali,
come nel secondo tema, che presenta una malinconia propria della
malinconia mozartiana. Un lungo episodio solistico di impronta
virtuosistica (ottave spezzate, arpeggi, veloci scale) che culmina con
la riproposizione del motivo tambureggiante, porta alla coda
dell’esposizione basata sul primo tema. Lo sviluppo è articolato in due
episodi, il primo dei quali vede il solista presentare un perentorio
motivo discendente a note lunghe seguito da un veloce gioco di
scalette in imitazione; il secondo è invece basato sul primo tema
orchestrale, ora in La minore, arricchito dai suggestivi arabeschi del
pianoforte. La ripresa, regolare, porta alla consueta cadenza del solista
e alla chiusa orchestrale.
KARL BOHM
172
canzone popolare bavarese “Heut K.ommt der Hans zu Mir, freut sich die
Lies”.
WIENER PHILHARMONIKER
174
Prima esecuzione pubblica: Vienna, Trattnerschen Saal, 17 Marzo 1784
Edizione: Artaria, Vienna 1798
GEZA ANDA
175
Il Concerto K 450 è invero una composizione eminentemente brillante,
nella quale il virtuosismo del solista ha ampio modo di emergere, mentre
l'orchestra, formata da archi, oboi, fagotti e corni, con l'aggiunta di un
flauto nell'ultimo tempo, ha un elaborato trattamento sinfonico. Creato in
un periodo in cui Mozart godeva il massimo favore della società
viennese, il Concerto è uno di quelli che, a quanto osserva l'Abert, il
musicista scrisse parte per sé e parte per il pubblico: «E' come se Mozart
volesse testimoniare a che punto lo spirito della musica di società poteva
essere unito con il sentimento personale dell'artista».
L’Allegro iniziale si apre con un tema assai cromatico presentato dai
fiati, ai quali rispondono lievemente i primi violini; dopo un Tutti
orchestrale, appare, presentato dagli archi, il secondo tema, caratterizzato
da sincopi di un effetto tenero e cattivante; si ha quindi un altro Tutti. Il
pianoforte entra con un ampio passaggio libero, che porta a un punto
coronato, e riprende poi da solo il materiale tematico precedentemente
esposto, introducendo anche nuovi temi e approdando ad una chiusa
orchestrale rifacentesi al primo Tutti. Nello svolgimento si hanno
passaggi modulanti del solista, imitazioni fra gli strumenti dell'orchestra,
la riapparizione del tema iniziale in orchestra sotto il trillo del pianoforte.
La ripresa ha numerose varianti rispetto all'esposizione e perviene alla
conclusione attraverso una grande cadenza.
L’ Andante, in Mi bemolle, è concepito nello spirito della variazione. Un
tema semplice e cantabile, con ripetizioni distribuite fra il solista e
l'orchestra, è seguito da due variazioni e da una libera coda. Accenti da
cantico religioso sono stati rimarcati da alcuni studiosi nello svolgimento
del discorso musicale.
L’Allegro finale è un Rondò con una intonazione di caccia (e il Saint-
Foix vi sottolinea anzi una certa atmosfera francese che lo avvicina al
Quartetto soprannominato appunto La caccia).
Il ritornello, spigliato e grazioso, è introdotto dal pianoforte ed è
immesso in uno svolgimento originale per varietà di episodi e
modulazioni inaspettate. Anche qui una cadenza precede la conclusione:
va segnalato al riguardo che di questo, come di parecchi Concerti
mozartiani, ci sono pervenute le cadenze composte dall'autore per uso
proprio o di altri esecutori.
176
Piano Concerto n 16 in Re maggiore K 451
ORCHESTRA MOZART
177
curioso di sapere quale tra i tre Concerti in Si bemolle, Re e Sol è il
preferito da voi e da mia sorella, e se il vostro giudizio sia concorde col
mio e con quello delle platee”
Per la prima parte, a partire dal K 175 Mozart utilizzò trombe e timpani
come strumenti obbligati in ogni Concerto. Il primo movimento ha il
carattere di una Ouverture brillante, il piano comincia aggiungendo
passaggi virtuosi e aggraziati. Il secondo movimento ha i tratti di una
Romanza, che prelude al movimento centrale del Concerto in Re minore.
E l’imprevedibile Finale ha il ritmo di una danza campagnola che
termina dopo una cadenza, come un valzer veloce, concludendosi con
una fanfara non dissimile dal Bel Danubio blu di un secolo dopo!
178
ALFRED BRENDEL
179
Concerto per pianoforte n 17 in Sol maggiore K. 453
Si può altresì affermare che questo Concerto sia ancora più unico rispetto
agli altri. Nessun altro Concerto infatti ha inizio con i soli violini, a cui si
uniscono in seguito i Tutti. Come una sorta di ricambio, gli stessi violini
taceranno durante la cadenza dove – altrettanto inusualmente – solo i
bassi saranno presenti.
Quando il resto degli archi arriveranno, una misura dopo, essi non
suoneranno un prevedibile armonico in Sol maggiore, bensì un accordo
pressoché romantico alla nona minore, che in realtà è un accordo di
settima con l’ottava aumentata!
180
La partitura del pianoforte, altrettanto, ha i suoi tratti sorprendenti e
inconsueti, come una serie di triadi interrotti come lo scintillante primo
studio in Do maggiore di Chopin.
EUGEN JOCHUM
181
E’ consueto per le composizioni adulte di Mozart che un’atmosfera
placida si tramuti in atmosfera oscura ed incerta.
Ciò è ancor più evidente nel secondo movimento, dove un inatteso fuoco
passionale segue l’introduzione pacata.
E’ un colpo di genio il modo in cui Mozart trova le linee per ritornare dal
Do diesis minore verso Do maggiore in appena quattro battute. Il sole
così riappare!
Dopo una breve cadenza, giunge il Presto finale nello stile dell’Opera
buffa – unico anch’esso – e ciò conduce verso la conclusione effettiva di
questa multiforme composizione.
182
Concerto per pianoforte n 18 in Si bemolle maggiore
K 456 – “Paradise - Concerto”
183
Se per circa un secolo, il Concerto K 271 fu indicato con”Jeunehomme”,
si poteva indicare questo Concerto con il sottotitolo “Concerto paradiso”
visto che era stato composto per la pianista cieca Maria Teresa Paradis
(1759-1824). Ella eseguiva questo concerto nelle sue esibizioni e Mozart
stesso lo esegui a Vienna il 13 Febbraio 1785 in un recital della cantante
Luisa Laschi.
184
quel sottofondo familiare all’inizio della ripresa può essere ben
confrontato con i sentimenti del rientro in casa dopo una giornata
trascorsa lontani. Dopo tal rientro, “casa dolce casa”, la tonalità di Si
bemolle maggiore non sarà più lasciata fino alla conclusione
dell’Allegro.
MAURIZIO POLLINI
Una novità nei Concerti per pianoforte di Mozart è la forma mutata del
secondo movimento. E’ nella tonalità elegiaca di Sol minore, una tonalità
che in ogni composizione mozartiana con la medesima tonalità spesso
esprime smarrimento, paura, tragicità, perfino disperazione, come
nell’aria di Pamina “Ach, ich fuhl’s”.
185
Nonostante ciò che si intravvede in questo tipo di variazione, orchestra e
pianoforte sono presenti qui con una tale profonda fusione che le parole
non servono. Il lamento dolce del tema alla prima variazione per
pianoforte solo è gradualmente intensificata fino ad arrivare ad uno
stormo d’ali nella terza variazione. La variazione nella rassicurante
tonalità di Sol maggiore sembra provenire da altezze celestiali. Ma qui il
panico riemerge ancora nell’ultima variazione, una variante più concisa
rispetto alla seconda variazione e che conduce verso la coda drammatica
che non cela più nulla, ma è palesemente espressa.
La somiglianza con i movimenti finali citati non può essere celata: come
in essi, si inizia con uno sfrontato assolo del pianoforte così come è
simile il secondo tema e i passaggi virtuosistici, ma il K 456 richiede
meno abilità tecniche dei precedenti.
186
partiture di Mozart, dopo l’improvvisazione-cadenza, il pianoforte ritrova
l’orchestra in due accordi conclusivi, una convenzione che sarà
mantenuta per tutto il diciannovesimo secolo, laddove questi due accordi
non verranno nemmeno stampati nella partitura per il pianoforte-solo.
LEONARD BERNSTEIN
187
Concerto per pianoforte n 19 in Fa Maggiore K 459
188
“… credo che nessuno potrebbe addormentarsi qui, a meno che non
abbia dormito per l’intera notte precedente”.
WIENER PHILHARMONIKER
189
Nonostante che il suo ritmo sia fluido, il secondo movimento è di
bellezza incantevole. Ottiene ciò con la profondità del sentire attraverso
l’inserimento ripetuto di episodi in tonalità minore che produce l’effetto
di una scintilla in una scena di tramonto, un effetto “schubertiano”
prossimo alla malinconica nostalgia. Uno dei suoi tratti distintivi è la
canonica ripetizione del motivo iniziale tra i fiati ed il piano.
Una fuga entro un Concerto per pianoforte! Qualcosa che non era mai
accaduto prima. Quest’eccezione è una fuga gioiosa che inizia con una
breve ripresa del tema, un procedere di solito riservato esclusivamente al
Finale delle fughe.
Ma non solo: nella ripresa un vero conflitto si impone tra i due soggetti
laddove essi si fronteggiano in una drammatica fuga doppia – un simbolo
di lotta in cui apparentemente il tema danzante ha la meglio.
190
Concerto per pianoforte n 20 in Re minore K 466
KRYSTIAN ZIMERMAN
191
In opposizione alla percezione delle sue composizioni tanto raffinate ed
al limite stucchevoli, la sua tonalità minore, la sua discontinuità ritmica,
la ricchezza d’orchestrazione – compresi ottoni e percussioni – il
tempestoso ardore e i contrasti pungenti della tessiture esprimono con
vigore l’imminente età di rivoluzione, libertà, individualismo.
F. Blume circoscrive l’unicità del frangente storico di tali stravolgimenti
come determinante nella composizione medesima del Concerto; per
Blume, il K 466 fu il primo Concerto in cui il convenzionalismo cede
all’espressione libera dell’individualità artistica e del “linguaggio del
cuore”.
192
distinzione mozartiana tra il Solo ed il Tutti nel primo movimento resta
profondamente netta, senza alcun compromesso o commistione tra loro:
in contrasto, dopo una particolare ampia introduzione il pianoforte fa il
suo ingresso con una sequenza di intervalli disomogenei che potrebbero
esser eseguiti da qualunque altro strumento. Un preciso punto di
distinzione è che il movimento non si conclude in una forma tradizionale,
come se i contendenti fossero già esausti delle proprie inusuali
espressioni.
LEONARD BERNSTEIN
193
Il secondo movimento è una romanza con strofa che si veste di
tranquillità ed inizialmente sembra rafforzarsi dalla sua tonalità in Si
bemolle maggiore e dal supporto che il piano ed orchestra provvedono
reciprocamente a donarsi passandosi e perfino completando
reciprocamente le frasi altrui, ma a ciò segue una sezione centrale molto
mossa, in Sol minore.
Il Rondò acuisce la direzione appassionata e cromatica che porta alla
cadenza, dopo la quale la composizione consegna la sua sorpresa finale
espressa in Re minore con un notevole smarrimento rispetto a ciò che ci
si potrebbe attendere, nonostante Mozart avesse assegnato un semplice
finale in levare. L’altro Concerto in tonalità minore di Mozart, il n. 24 in
Do minore K 491, non lascia mai la modalità minore.
194
l’orchestra s’esprime con delicate frasi, solo interrotte da improvvise
fiammate di tonanti fanfare. Perciò l’andamento è definito da una
relazione di interscambio prima che il pianoforte torni a farsi sentire.
WIENER PHILHARMONIKER
195
Mozart non scrisse le cadenze per questo Concerto, come fece per i suoi
nove Concerti precedenti per la semplice ragione che i preparativi per la
prima esecuzione dell’11 Febbraio 1785 furono così immediati che il
copista stava ancora lavorando sulle partiture orchestrali e così Mozart
improvvisò le cadenze del Concerto.
A. Eistein forse nel miglior modo esprime tal punto di vista considerando
i Concerti mozartiani come l’apice convergente – una perfetta fusione di
elementi che creano la più alta omogeneità e che trasportano l’ascoltatore
verso il massimo dei livelli, con la sensazione diffusa che “oltre ciò non
c’è progresso possibile, perché la perfezione non consente ulteriore
passo, è “imperfettibile”.
196
Importanza dell'opera e contesto storico
Opera ponte. Opera preromantica. In questi e in molti altri modi
simili viene solitamente definito questo Concerto. In realtà queste
definizioni partono da un punto di vista falsato che è quello “a posteriori”
tipico di una visione storiografica che tende a classificare opere ed eventi
in riferimento a periodi o movimenti spesso più definiti nella visione di
chi scrive da critico o da storico che agli occhi dell'artista in oggetto o dei
suoi contemporanei.
CLAUDIO ARRAU
197
Così facendo si inverte inavvertitamente il rapporto di causa-effetto e
Mozart diventa un pre-romantico; mentre, per l’influenza esercitata sui
compositori del secolo successivo, sarebbe più corretto definire i
musicisti romantici: "post-mozartiani". Mozart non fu compositore
Romantico, eppure fu il modello cui il romanticismo musicale più spesso
guardò.
La forza del Romanticismo fu l’universalità, la durata, la
multidisciplinarità. Movimenti di poco precedenti ma che non ebbero
simili dimensioni vengono definiti comunemente “preromantici”. Così fu
per lo Sturm und Drang tedesco di cui Mozart non è ricordato come il
principale esponente in ambito musicale solo perché sopravvisse altri 18
anni alle sue opere ascrivibili a questo genere (la Sinfonia K 183 in Sol
minore, i Concerti per fagotto, per flauto, per violino ecc. ecc), e in quei
18 anni rivoluzionò completamente il panorama musicale.
Lo Sturm und Drang però non nacque in “previsione” del Romanticismo,
ma in relazione alle istanze sociali politiche e culturali di quello
straordinario periodo storico che fu la seconda metà del Settecento.
L’importanza nella storia della musica del Concerto per pianoforte (o
fortepiano) e orchestra in Re minore K 466 è enorme. La sua influenza,
evidente in alcune opere (come nel primo Concerto per pianoforte e
orchestra di Brahms), attraversa tutto l' Ottocento e si estende sino al XX
secolo.
Il K 466 è a tutt'oggi il Concerto più eseguito, assieme al K 488 tra i 25
Concerti per pianoforte di Mozart. E fu il Concerto preferito da
Beethoven, che ne scrisse una cadenza che viene a tutt’oggi eseguita da
gran parte degli interpreti non avendo Mozart lasciato una sua cadenza
per il K 466.
Proprio in Beethoven dobbiamo cercare le influenze più profonde ed
immediate, ma non nei Concerti per pianoforte del compositore di Bonn,
che sono strutturalmente e concettualmente molto diversi da quelli di
Mozart, ma nelle Sinfonie.
Mozart compose 41 Sinfonie, ma solo poche di esse sono assimilabili per
dimensioni, organico, intenzioni e contenuti a quelle che nei 150 anni
successivi furono il genere "principe" della ricerca musicale.
198
La Sinfonia era per Mozart ancora una composizione "galante" assimilata
alla Serenata o al Divertimento, mentre i generi in cui espresse
maggiormente la sua ricerca furono: l'Opera lirica, il Quartetto d'archi e,
appunto, il Concerto per pianoforte.
In quest'ultimo soprattutto egli si esibiva abitualmente come solista e
direttore e sarebbe ovvio, anche senza necessità di ascolto, presumere
che vi espriMessa al meglio le sue capacità compositive ed esecutive.
L'assenza di una cadenza autografa di Mozart nel K 466, va letta proprio
come indice dell'importanza che attribuiva a questa composizione.
GEORG SOLTI
199
La cadenza costituisce nel Concerto classico quella parte affidata allo
strumento solista che interviene poco prima della coda e che non veniva
scritta ma era affidata alle capacità improvvisative e virtuosistiche del
solista. Mozart scrisse di sua mano le cadenze solo per i Concerti più
semplici e destinati ad altri esecutori, mentre non scrisse quelle per i
Concerti scritti per le proprie accademie.
Nei Concerti di Mozart assistiamo ad una sconvolgente evoluzione non
solo delle dimensioni dell'orchestra, ma anche nei timbri, nel rapporto tra
le varie parti dell'orchestra e nel carattere dell'opera, che da
intrattenimento virtuosistico si teatralizza divenendo discorso,
narrazione, azione drammatica, musica assoluta. Il K 466 è esemplare nel
presentare tutti questi aspetti, a partire dall'organico che è il più vasto
nella sua produzione e che ormai incarna completamente quello che sarà
l'orchestra romantica di natura pubblica e borghese ormai emancipata
dalle corti principesche o dalle cappelle vescovili.
200
Questo Concerto è perfetto come un cristallo.
201
Ma qui, perfino prima dell’arrivo del secondo tema, Mozart dovrebbe
presentarci due ispirazioni melodiche indipendenti legate al tema
principale che in seguito riprenderebbe per il secondo tema. Il secondo di
questi motivi sottostanti è ben distinguibile e ciò è dovuto alla sua
tonalità minore. Tal inizio anticipa il Beethoven del terzo Concerto per
pianoforte e il suo proseguire è identico all’inizio della Sinfonia in sol
minore che egli compose tre anni dopo! Ma perché tale deviazione in un
nostalgico mondo della modulazione minore?
202
armonie minori sotto-traccia – sembra che Mozart non possa fare a meno
di esse – non ne distolgono il tratto.
CLAUDIO ARRAU
203
Tutto ciò in sole quattro settimane! Potremmo immaginare un Mozart
esclusivamente assorbito dalla sua composizione, ma non è così. Nello
stesso lasso di tempo, Mozart dovette seguire diversi traslochi del suo
prezioso pianoforte (un Walter) che egli usò per numerosi concerti: il 13
febbraio eseguì un concerto probabilmente alla presenza dell’imperatore
Giuseppe II, il 15 febbraio eseguì la seconda esecuzione del Concerto in
Re minore, il 18 suonò ad uno dei suoi concerti di beneficienza e il 21 fu
dato un concerto dall’oboista francese Le Brun; il 25 febbraio e il 4
marzo diede altri due concerti di beneficienza.
204
Concerto per pianoforte n 22 in Mi bemolle maggiore K 482
LORIN MAAZEL
205
Il tempo ristretto tra composizione ed esecuzione in pubblico è la ragione
più plausibile delle scarne annotazioni presenti nel manoscritto per
pianoforte e le parti lasciate in bianco probabilmente erano lasciate
all’improvvisazione dello stesso autore-esecutore.
Laddove le composizioni di Mozart hanno la medesima tonalità, esse
spesso condividono i medesimi tratti. Così ci sono similitudini tra il K
482 e il precedente Concerto K 271.
206
anticipandone così l’Andante – cui segue il Fa minore che richiama il
passaggio introspettivo della tonalità del solo-piano dell’esposizione.
CLEVELAN ORCHESTRA
207
Analizzandone la struttura, è un movimento fondato su un tema soffuso
di 32 battute, inusuale durata per un tema – variazione. Il tema inizia con
l’orchestra degli archi in pizzicato ed in seguito è preso dal pianoforte. Il
fiorire delle variazioni è interrotto due volte da un paio di parentesi in
tonalità maggiore affidate agli strumenti a fiato. Queste parentesi
sembrano non aver relazione con l’Andante e creano l’impressione di
esser davanti ad un gruppo d’amici che consolano un amico colpito da un
dolore, il solista, ma senza regalargli sollievo, almeno così appare.
208
assolutamente più eloquente di ogni discorso. Ma il “sogno” non è
permanente: esso si disperde in una modulazione misteriosa, riprendendo
la tonalità originaria del Concerto, una modulazione espressa dai violini
pizzicati con le sincopi al pianoforte contrastanti rispetto al sottofondo
delle armonie dei fiati nei Pianissimo.
209
Concerto per pianoforte e orchestra n. 23 in La maggiore K. 488
210
Ce lo conferma lo stesso Mozart
“A dire la verità, alla fine, dopo aver suonato così tanto, ero veramente
sfinito, e torna a mio grande merito che gli ascoltatori non si siano mai
stancati”.
211
famiglie nobili di questi paesi avevano casa anche a Vienna e vi si
recavano abitualmente per godere dei suoi spettacoli. Tutto ciò spiega
perché Mozart, ma anche Gluck., Haydn, e poi Beethoven – nessuno
nativo di Vienna – si trasferirono nella capitale dell’impero.
Tuttavia, alla fine degli anni ’80, la guerra contro i Turchi e le ribellioni
nei Paesi Bassi causarono una recessione, e anche gli avvenimenti
francesi portarono a interrompere le riforme liberali e a istituire misure
repressive. La combinazione di tutti questi fattori provocò un declino
della vita culturale, dei concerti pubblici e del mecenatismo artistico.
LORIN MAAZEL
212
Ci possono essere anche altre ragioni, più o meno legate ai mutamenti
dei gusti del mercato musicale: l’amore viscerale per il melodramma,
manifestato dal Salisburghese in mille occasioni – nel biennio 1786-87
Le nozze di Figaro e Don Giovanni assorbirono gran parte delle energie
creative –, ma anche la volontà di affermarsi come compositore a tutto
tondo, e non solo come pianista virtuoso.
Nel Concerto del primo Settecento gli effetti teatrali non erano molto
sensibili, se si eccettua l’entrata dell’orchestra al completo; ma nel
Concerto classico la sortita del solista è un avvenimento, equivalente alla
sortita d’un nuovo personaggio nel melodramma: Mozart non manca di
sottolinearlo con una quantità di mezzi musicali. Nei suoi Concerti le
scelte sono sempre diverse e ingegnose: la modalità d’ingresso, sempre
mutevole, del protagonista è una delle tante sorprese che egli riserva al
suo pubblico, e il fatto che questo pubblico nelle varie accademie
viennesi fosse omogeneo, se non proprio lo stesso, ci fa capire quanto
213
fosse obbligatorio per Mozart cercare effetti nuovi, seppure nell’ambito
d’un genere consolidato.
214
Difficile stabilire una gerarchia tra i Concerti per pianoforte e orchestra
di Mozart; il Concerto in La maggiore, che eccezionalmente prevede due
clarinetti in luogo dei consueti due oboi, si caratterizza per l’alternanza
tra la trasognata malinconia del tempo lento in Fa diesis minore (tonalità
molto rara al tempo di Mozart), di straordinaria carica espressiva, e il
tono giocoso dei due tempi estremi, del terzo in particolar modo.
215
prolungate anzicchè riprendere passaggi assimilabili anteriormente
espliciti.
WLADIMIR ASHKENAZY
216
Mozart utilizzò nel suo Concerto ogni sorta di espressione che richiami
alla drammaticità:
tonalità minore, cromatismo, settime diminuite sia in melodia che
in armonia, accordi del seicento napoletano, temi o motivi
discendenti.
217
triste e malinconico. Solo il tempo principale del primo movimento resta
immune da tal trasformazione: la sua tonalità è minore e fissa così la
cornice tragica per l’intera composizione. Quando la relativa tonalità
maggiore di Mi bemolle è arricchita durante l’esposizione al piano, il
tempo principale è ripreso dal flauto.
GEOGE PRETRE
218
Primo movimento: Allegro
219
motivo Chaconne(*) dei fiati. Il primo movimento si conclude con un
pianissimo, in assenza di speranza, con rassegnata accettazione.
220
La tonalità principale del larghetto è Mi bemolle maggiore, con la
relativa tonalità di Do minore, mentre gli episodi sono rispettivamente in
Do minore e in La bemolle maggiore.
Nell’episodio riflessivo in Do minore, il tratto dominante è espresso dal
suono austero degli oboi mentre nel secondo episodio i lievi clarinetti
prevalgono. Perciò s’ottiene un perfetto contrasto rispetto al primo e
terzo movimento.
In questo caso non c’è nulla che richiami un’atmosfera placida di solito
abbinata con le medesime variazioni.
Piuttosto è il contrario: la successione inesorabile di queste variazioni ha
un effetto quasi ipnotico. Una particolarità di questo tema è una sorta di
ritornello con una nuova armonia, un accordo di 4/6 napoletano, una
variante di quest’accordo che – enfatizza l’atmosfera pacata di questo
movimento.
Tal successione di variazioni è mitigata due volte da parentesi in tonalità
maggiore in cui si dissolve il tema. La seconda parentesi-episodio
221
imprime un’impressione specifica: è il solo momento dell’intero
Concerto in cui la tonalità variante, il Do maggiore, appare.
Dopo una pausa, il tema riprende in una versione accelerata che conduce
verso una danza macabra come guidata da spirito rabbioso.
SVJATOSLAV RICHTER
222
Concerto per pianoforte n 25 in Do maggiore K 503
223
facoltosi borghesi, accanto alle Sinfonie, alle Arie per voce e orchestra,
alle brevi improvvisazioni e composizioni pianistiche, il Concerto per
pianoforte era atteso come l'appuntamento immancabile e prediletto.
Tutta la musica per pianoforte era peraltro considerata come genere di
intrattenimento e di svago, ed era destinata agli esecutori dilettanti, che si
dedicavano al pianoforte in quanto strumento di rapide soddisfazioni. Le
Accademie viennesi, non a caso, avevano non solo una funzione
ricreativa ma anche commerciale: l'ascoltatore infatti, se aveva ritenuto
di suo gradimento le composizioni udite nel corso del Concerto, poteva
acquistare, per le proprie private esibizioni, una copia degli spartiti, fatta
appositamente incidere dall'autore a proprie spese.
224
Appunto come pianista Mozart si conquistò rapidamente la
considerazione di virtuoso "alla moda". Il pianoforte, strumento di
recente diffusione, aveva potenzialità in gran parte ancora da scoprire e
la scrittura pianistica mozartiana, con le sue inedite escursioni dinamiche,
i controllati effetti percussivi del tocco, la scorrevolezza brillante,
presentava degli aspetti di eclatante novità. I primi Concerti viennesi (K
413/415) sono scritti appositamente per mettere in luce queste qualità,
come testimonia una celebre lettera al padre del 28 dicembre 1782: "che
anche i non intenditori restino contenti, pur senza sapere il perché".
Dunque un contenuto musicale disinvolto e disimpegnato, improntato a
un concetto semplicemente decorativo della scrittura pianistica, un ruolo
accessorio della compagine strumentale (nei primi Concerti viennesi gli
strumenti a fiato sono considerati ad libitum), una estrema nitidezza
nell'impianto strutturale.
Negli interessi del compositore non tardò tuttavia ad imporsi una nuova
tendenza; la scrittura solistica esorbita dai margini decorativi, l'orchestra
riveste un ruolo "integrato" e non subalterno rispetto al solista, la
concezione formale acquista una più vasta articolazione interna.
Insomma il Concerto per pianoforte diviene progressivamente nelle mani
di Mozart un vero e proprio laboratorio di sperimentazioni formali e
linguistiche. E questa complessità è senz'altro uno dei motivi che
portarono al declino della fortuna di Mozart presso il pubblico viennese.
Non a caso il Concerto K 503 nacque come opera isolata in circostanze
poco chiare; potrebbe essere stato destinato a un ciclo di Accademie nel
periodo dell'Avvento; o eseguito nel viaggio a Praga nel gennaio 1787.
La partitura ha una orchestrazione estremamente ricca (flauto e coppie di
oboi, fagotti, corni, trombe, più timpani; anche se mancano i clarinetti).
Già la tonalità di Do maggiore viene impiegata spesso da Mozart per
lavori di contenuto aulico; il lavoro si richiama sotto questo aspetto ai
Concerti K.. 415 (in Do) e K 459 (in Re), ma secondo una complessità
ben maggiore di quella mostrata dai modelli.
Il primo tempo, Allegro maestoso, si apre con una imponente
introduzione orchestrale; il materiale tematico mostra però una certa
"neutralità" espressiva: troviamo degli accordi spezzati, delle note
ribattute (alle quali è stato talvolta attribuito un significato massonico) e
delle scale, nonché qualche elemento contrappuntistico; come dire che il
225
materiale trae interesse, più che dalla sua fisionomia, dal trattamento
rigoroso e consequenziale che riceve.
Il secondo tema si presenta, inconsuetamente, nel modo minore e
presenta un inciso ritmico che percorrerà internamente tutto il tempo. Il
pianoforte fa il suo ingresso con un tema del tutto diverso, dal carattere
decorativo, e appare solo in un secondo momento il primo tema
dell'esposizione orchestrale.
226
Poi viene introdotta un'altra idea tematica diversiva per il pianoforte, di
carattere ingenuo, in Mi bemolle; e quando il pianoforte arriva al
secondo tema, questo è del tutto nuovo rispetto a quello in minore
dell'esposizione orchestrale (che invece viene ampiamente sfruttato nella
sezione dello sviluppo).
Queste indicazioni offrono da sole un'idea della eccezionale complessità
del movimento, che è segnato anche dalla perfetta integrazione fra la
scrittura orchestrale e quella pianistica.
Rispetto al tempo iniziale, quasi dimesso appare l'Andante aperto da una
introduzione orchestrale che presenta due temi, il primo di carattere
"affettuoso", il secondo più galante; e questa esposizione viene ripresa ed
ampliata dal pianoforte.
La sezione centrale non si pone in contrasto ma in perfetta continuità
espressiva, e lascia ampio spazio all'elegante virtuosismo del solista,
prima della ripresa.
Il Finale segue la forma del Rondò e viene aperto dall'orchestra piuttosto
che dal pianoforte (come avviene più di consueto); il refrain è di
carattere popolaresco, formato da due elementi distinti, infantile (archi) e
contadino (fiati); si alterna poi con episodi ben distinti che non
conservano un carattere così ingenuo ma sono estremamente sofisticati,
sia nell'invenzione melodica che nell'elaborazione; così avviene, ad
esempio, nello sviluppo, in minore, che accoglie un complesso intreccio
dei fiati sull'accompagnamento del pianoforte.
Il solista trova modo soprattutto in questo tempo di impegnarsi in un
brillante cimento tecnico, ma questo impegno non è così accattivante e
appariscente come in altri Concerti.
Il gusto "popolare", dunque, cede al "sofisticato" e viene assorbito in un
movimento che contraddice fortemente ogni concessione al pubblico.
Una distanza incolmabile rispetto a quella "via di mezzo fra il troppo
difficile e il troppo facile" che aveva segnato i primi Concerti viennesi.
227
Concerto per pianoforte n 26 in Re maggiore K 537
EMIL GILES
228
La risposta plausibile potrebbe essere che la composizione era su
commissione, anche se nel periodo 1786-90 i lavori su commissione
scarseggiavano. Perciò è più plausibile supporre che Mozart l’avesse
composto per sé, avendo in mente un’occasione particolare per eseguirlo,
deduzione derivante dal fatto che egli lo eseguì solo due volte nell’anno:
a Dresda in aprile e il 15 ottobre 1790 a Francoforte, in occasione
dell’incoronazione dell’imperatore Leopoldo II. Da ciò derivò la
denominazione “Concerto dell’incoronazione”.
Può darsi che Mozart intendesse che solo trombe e timpani potessero
essere estromessi, infatti il Concerto è scritto consentendo l’esecuzione
anche per soli archi, sebbene in tal modo perdesse parte del proprio
carattere.
229
Da questo punto di vista, il modello ci riporta indietro ai primi Concerti
K 413-415 e K 449, che secondo quanto espresso dallo stesso Mozart
potevano esser eseguiti anche senza i fiati.
EUGEN JOCHUM
230
Però il Concerto K 537 contiene un vero enigma: mentre il manoscritto
per orchestra è compiuto e definito nettamente, la parte per piano lascia
diversi spazi indefiniti per l’accompagnamento.
Possono darsi due ipotesi: sia che Mozart ipotizzasse una prima
esecuzione più prossima di quanto avvenne poi e sia che egli fosse
troppo preso dalle altre composizioni in corso di stesura.
A dispetto del fatto che solo poche composizioni furono indicate nel suo
catalogo privato, sappiamo che in quel periodo egli compose in rapida
successione tre nuove arie del Don Giovanni per l’edizione viennese del
maggio 1788, tutte richiedenti particolari attenzione e rilievo.
Inoltre, solo dopo una settimana da questo Concerto, egli completò l’aria
K 538 per Aloysia Lange, il suo primo amore, nonostante il fatto che la
prima parte di essa risalisse a 10 anni prima, la scrittura di 212 misure
deve aver richiesto notevole stress emotivo.
Inoltre, la partitura per pianoforte della Sonata per piano e violino K 454
che egli eseguì con la Strinasacchi è vicina alle parti mancanti di questo
Concerto, con la sola parte per violino scritta a parte rispetto al
manoscritto per pianoforte.
Solo dopo la morte di Mozart le parti smarrite del Concerto K.537 furono
completate, probabilmente da Johann Andrè nel 1794, il primo editore di
questo Concerto che fu eseguito per l’incoronazione e che aveva visto il
manoscritto autografo quindi prima che venisse smarrito in seguito.
231
Andrè era un apprezzato musicista e sebbene alcune parti della sua
ricostruzione sembrano pertinenti, ce ne sono altre in cui egli errò con
armonie approssimative e imprecise.
Poiché egli non indicò che parte del manoscritto era di propria creazione,
per oltre 150 anni si ritenne che quello fosse interamente attribuibile a
Mozart. Solo nel 1935 quando la prima versione parziale fu pubblicata, i
fatti furono resi noti: la scrittura differente fu evidente.
232
Concerto per pianoforte n 27 in Si bemolle maggiore K 595
ALFRED BRENDEL
233
Tra gennaio e febbraio Mozart scrisse una serie di Danze per la stagione
di danza viennese; dopo ciò egli compose un vero lavoro geniale, la sua
Fantasia in Fa minore K.608 per l’organo meccanico del conte Deym,
seguito dalle sublimi Variazioni per pianoforte K.613 ed il suo ultimo
Quintetto per archi K.614 (su commissione di Johann Tost).
In soli sei mesi compose inoltre il Flauto magico che ottenne un tale
successo che se Mozart fosse vissuto appena poco di più – avrebbe
colmato i suoi guai finanziari. La percentuale delle composizioni create
in quell’anno è strepitoso, perfino per lo standard di Mozart: compose la
Clemenza di Tito – scritta in appena 19 giorni – ed insieme il Concerto
per clarinetto K 622, L’Ave Verum K.618 e naturalmente la sua Messa
Requiem. Un gioiello come L’Adagio per armonica 617a che non fece in
tempo ad aggiungere nel catalogo personale.
ZUBIN METHA
234
Il solo parallelo di questa esuberanza compositiva possiamo trovarlo solo
con l’ultimo anno di vita di Schubert, quando presagendo la sua
imminente fine, creò un capolavoro dietro l’altro.
235
superiore, La bemolle, seguito dal discendere alla quarta inferiore, Si
bemolle.
236
Un cenno sulle cadenze: esse traggono i propri temi e motivi dai
rispettivi movimenti e come in un caleidoscopio, mette loro in differenti
combinazioni introducendovi nuovi passaggi virtuosi quali richiami.
www.tuttiallopera.altervista.org
237
RONDÒ PER PIANOFORTE
ED ORCHESTRA IN RE MAGGIORE, K 382
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
Allegretto (re maggiore)
Organico: pianoforte, flauto, 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Vienna, marzo 1782
239
MESSA E REQUIEM
Se si scorre la cronologia della musica liturgica di Mozart,
immediatamente è agevole percepire come essa si situi quasi
esclusivamente negli anni salisburghesi, e perdipiù sia riferibile al suo
servizio presso la Cappella di corte del locale principe-arcivescovo
(Sigismund conte di Schrattenbach fino al 1771, Hieronymus conte di
Colloredo dal 1772 al 1781).
Su una settantina scarsa di numeri di catalogo vocali e strumentali (tra
Messa complete e non, brevi composizioni destinate al proprium missae
o all'ufficio vespasiano solenne, ed una ventina di Sonate da chiesa), solo
una quindicina non furono scritte per Salisburgo: dei rimanenti, una
cinquantina vennero riferiti proprio al periodo dell'episcopato del conte
di Colloredo, assai meno tollerante del suo predecessore nei confronti del
giovane Konzertmeister, ed in generale più attivo e dunque più attento
alle esigenze di decoro - anche musicale: il che però significava capacità
di apprezzare il valore di quel suo dipendente d'eccezione.
Limitandosi al caso delle sole Messe (quelle pervenuteci, tra singoli
brani e serie complete, Messe normali e da Morto, sono in tutto una
ventina di titoli), la considerazione può essere verificata con piena
agevolezza.
Tranne un Kyrie risalente al soggiorno parigino del 1776, e due Messe
complete per Vienna (1768), il grosso si colloca a Salisburgo e
particolarmente tra il 1773 ed il 1780: perdipiù - significativamente,
anche se nel secondo caso soprattutto per le ben note luttuose circostanze
biografiche - le uniche due opere posteriori al brusco licenziamento dalla
corte di Colloredo (la Messa K 427 ed il Requiem) sono entrambe
incompiute.
In via preliminare, sarà bene ricordare che per Messa completa in musica
s'intende la serie dei cinque testi che costituiscono il cosiddetto
ordinarium missae, cioè quelle parti invariabili della celebrazione
eucaristica che restano costanti e che si ritrovano in ogni festa lungo
l'anno liturgico: nell'ordine, il Kyrie, il Gloria, il Credo, il Sanctus-
Benedictus, l'Agnus Dei (la Messa pro defunctis, o da requiem, in genere
musica anche l'Introito "Requiem aeternam", sostituisce a Gloria e Credo
la sequenza Dies irae, e muta l'invocazione finale dell'Agnus Dei - "dona
eis requiem sempiternam" anziché "miserere nobis e "dona nobis
pacem"). Ancora, non si dimentichi che nella sua interezza una Messa
240
cantata poteva contemplare anche altri interventi musicali
(esclusivamente vocali, vocali con strumenti o solo strumentali; in canto
gregoriano o in polifonia o solistici) che si legavano ai vari momenti del
proprium (Introito, Graduale, Tratto, Offertorio, Communio), quelli cioè
che presentavano un formulario liturgico specifico di una data festività o
di una determinata categoria estiva.
242
Un esordio fuori del comune
MOZART ORCHESTRA
Di esse, due Messe - K 319 e K 349 - sono state scritte per chiese
viennesi quando nel 1768 Leopold Mozart aveva deciso di trasferire la
famiglia nella capitale asburgica per profittare di migliori occasioni
professionali da tentare con Wolfgang.
Per la verità, la datazione della prima è controversa, come del resto
tradisce di numero di catalogazione originario. La perplessità degli
studiosi è di indole stilistica, non sembando opera di un esordiente in
quel campo: perdipiù, se la si confronta con l'altra - pressoché
contemporanea - il divario sembrerebbe notevole.
C'è però da tener conto che queste due opere rientrano in sottogeneri
243
distinti, dato che l'una è una Missa e l'altra una Missa brevis, e perciò una
certa divaricazione stilistica è da mettere in conto. In ogni caso,
sappiamo con certezza che Mozart scrisse una Messa per la
consacrazione della chiesa annessa ad un orfanotrofio di Vienna,
celebrata solennemente il 7 dicembre 1768 alla presenza della famiglia
imperiale, come racconta una cronaca apparsa di un giornale locale:
244
Tutti". Ma essa traspare anche dall'estensione dei singoli brani, e dalla
loro ampia articolazione interna.
Il Kyrie consta ad esempio di un maestoso Adagio introduttivo in breve e
fitto dialogo tra coro a blocchi "recitativi" ed orchestra, cui segue un
Allegro come "Sinfonia", vale a dire iniziato da un consistente
preambolo strumentale: esso viene poi immediatamente ripetuto, ma
stavolta sovrapponendogli le voci.
245
L'ingresso del coro chiarisce anche la struttura compositiva: il pezzo è
costruito accordalmente con un basso d'accompagnamento, ed i violini si
limitano a fiorire gli altrimenti nudi tralicci armonici.
Il passaggio al "Chrite eleison" è segnato da una repentina riduzione di
spessore sonoro (da "Tutti" a "Soli", il che significa che anche i tromboni
ed i oboi tacciono): poi però vi è riservato un apposito Andante più
raccolto e melodico, in cui i solisti si avvicendano e si accoppiano
sostenuti esclusivamente dagli archi.
Dopodiché viene riesposto l'Allegro precedente. Il Gloria ad episodi
corali nello stesso stile (salvo un transitorio spunto imitativo al "propter
magnam gloriam tuam"), intercala duetti ed arie solistiche ("Laudamus"
e "Domine"; "Quoniam"), per concludere con una severa fuga a quattro
voci ("Cum sancto spiritu").
Un'analoga alternanza ricompare nel Credo, che però mostra una
maggiore propensione all'imitazione tra le voci corali, ed oltre al duetto
dell' "Et incarnatus" ed all'aria dell' "Et in Spiritum Sanctum" presenta
una cerimoniale marcia funebre al "Crucifixus" e subitanei raccoglimenti
su parole egualmente significative ("mortuos", "mortuorum") incrementa
ulteriormente esibizione di dottrina contrappuntistica, stesa com'è in
doppia fuga.
Dopo iniziali clangori, il Sanctus utilizza la solita scrittura corale, mentre
il Benedictus è steso responsorialmente tra soprano solo e "Tutti".
Infine l'Agnus Dei inizia come aria tenorile coinvolgendo prima il coro al
completo, e poi concludendo con un ternario e cullante Allegro generale
("dona nobis pacem").
Nel complesso, si tratta dunque di una tipica Messa in quello stile
moderno che da tempo i maestri italiani e specie napoletani praticavano e
diffondevano nei paesi cattolici, fatto di episodi corali massicci impostati
su di una scrittura omoritmica accordale, e di pagine solistiche
arieggianti alla lontana vocalità teatrale, oratoriale, cantatistica: né
mancavano alcuni opportuni esempi di gravitas stilistica, da sempre
connotante la musica da chiesa.
L'altra Messa K. 49, appartiene invece alla categoria della Missa brevis,
che comporta dimensioni ridotte, intonazioni del testo senza indugi,
articolazione minima di ciascun brano. Il Kyrie è steso in un'agile e
sciolta polifonia di stile moderno (con l'orchestra, di soli archi ed organo,
che raddoppia le voci), mentre il Gloria è un sol blocco nello stile corale
che si è sopra descritto, punteggiato da qualche assolo: i pezzi seguenti
246
ripropongono - si direbbe in miniatura e semplificato - il percorso già
delineato in precedenza per la Messa K 139.
Entrambe scritte per Salisburgo rispettivamente agli inizi e nell'autunno
del 1769, le Messa K 65 e K 66 replicano la dicotomia precedente.
La prima è infatti una Missa brevis nella quale Mozart però sperimenta
anche una maggior autonomia strumentale, non facendo agire
incessantemente i violini ma assegnando loro - specie nel Kyrie e nel
Gloria - funzioni di struttura tra gli interventi corali, durante i quali
spesso tacciono. Da segnalare il canone cromatico del Benedictus, un
tratto di stile sublime solitamente non attribuito a questo momento
liturgico.
MOZART ORCHESTRA
247
L'altra (K.. 66) è invece del tipo solenne, scritta per accompagnare la
prima Messa dell'amico Dominkus Hagenauer entrato nel convento
salisburghese di San Pietro col nome di padre Domenico
(la composizione è difatti nota anche come Dominicus Messa).
Accanto ai tratti consueti a questo genere di opere (e si noti l'ampiezza
dell'aria per soprano al "Quoniam" del Gloria, subito seguita dalla
conclusiva grande fuga a quattro voci), è visibile spesso un'intenzione
unificante che ad esempio spinge Mozart a concepire il Kyrie come una
struttura bipartita in due sezioni analoghe, e ad utilizzare le medesime
figurazioni strumentali ripetute sistematicamente nel corso di un brano (il
"Qui tollis" del Gloria, o il Credo negli episodi collettivi).
Di non poco interesse è anche il tessuto orchestrale all'interno del quale
nel "Laudamus" sono incastonate le due voci, ed un tratto singolare
l'estroversa platealità di certe soluzioni ad effetto: la drammaticità delle
irruzioni orchestrali dopo gli unisoni solistici del "Crucifixus", e
nell'Agnus Dei del salto dalle inquietudini tonali del "miserere nobis"
alle grazie del "dona nobis pacem"; oppure la sorpresa della falsa
partenza a del Benedictus, con un soggetto esposto dal basso continuo
che però le voci non raccolgono e sostituiscono con uno proprio.
248
l'organista Adlgasser. Mio padre è maestro di Cappella (in realtà
vicemaestro) alla chiesa metropolitana, il che mi dà l'occasione di
scrivere per la chiesa quanto voglio. La nostra musica da chiesa è assai
differente da quella italiana, e lo diviene sempre più. Una Messa, anche
solenne, con tutto il Kyrie, Gloria, Credo, la Sonata all'Epistola,
l'Offertorio o Mottetto, Sanctus ed Agnus Dei, anche quando celebra il
principe stesso, deve durare al massimo tre quarti d'ora. Ci vuole uno
studio particolare per questo tipo di composizione. Ed oltre a ciò, una
Messa deve avere tutti gli strumenti (trombe, timpani ecc.).
CHARLES MACKERRAS
249
In base a queste limitazioni che Colloredo riteneva opportuno imporre al
ruolo dell'apparato musicale nella liturgia, abbonda in tale sezione
salisburghese del catalogo mozartiano il tipo della Missa brevis, ben
esemplificato della K 140 (databile forse al 1773), e parallelamente è
esente quello della Missa solemnis.
Esplicitamente o no, nella varietà brevis rientrano la K 167 "in honorem
sanctissimae Trinitatis" (giugno 1773), la K 220 (1775 o 1776) per un
certo fare cinguettante dei violini nel Sanctus-Benedictus nota anche
come Spatzen Messa, cioè Messa dei passeri) e la K 275 (1777).
Attorno a questa data appare anche quel tipo di Messa che Mozart in
seguito preferibilmente praticherà, e che sulla base dell'indicazione che
accompagna la K 262 (del 1776) potremmo definire Missa longa.
Come il nome fa agevolmente intuire, si tratta di una più ampia versione
della Missa brevis: in termini meno ovvi, fatta di singoli movimenti quasi
esclusivamente in blocco (qualche articolazione interna si ha solo nel
Credo e nell'Agnus Dei), senza vistose suddivisioni in ampie ed
autonome pagine solistiche e dunque priva di connotati che per comodità
potremmo dire italiani.
Concepiti solisticamente potevano dunque al massimo essere alcuni
movimenti come il Benedictus o l'Agnus Dei.
Oltre a quella citata che offre il nome alla categoria, ne possono far parte
le tre Messe in Do maggiore del 1776, cioè la K 257 (Credo- Messa, per
la frequente replica dell'affermazione iniziale nel corso appunto del
Credo, secondo un'abitudine non ignota ad altri compositori austriaci
prima di Mozart), la K 258 (Spaur- Messa, perché si pensa composta per
la consacrazione sacerdotale del conte di Spaur) e la K 259 (Organ-
Messa, dato che il relativo Benedictus presenta eccezionalmente una
parte per organo solo scritta per esteso), nonché la K 317 (K.ronungs
Messa, del 1779): Messa dell'incoronazione perché commemora un
solenne atto di omaggio di questo tipo compiuto durante la guerra del
1774 nei confronti di un'immagine della Madonna venerata a Salisburgo)
e la K 337 (1780).
Globalmente, in tutta questa serie di Messe salisburghesi si assiste
anzitutto per i violini al definitivo abbandono di quella modalità di
scrittura che, dal nome del compositore Johann Georg Reutter (1708-
1772) l'aveva resa proverbiale, si diceva "à la Reutter".
Essa prevedeva per queste parti strumentali un'iperattività incessante
dall'inizio alla fine di ogni movimento, con figurazioni di semicrome a
250
mitraglia ma prive del minimo interesse melodico.
Dopo la K 167, che ancora palesa un'anima sensibile, questo filo
conduttore sopravvive solo saltuariamente, ed è sostituito piuttosto da
una concezione strumentale differente, analoga a quella del
contemporaneo sinfonismo: i violini conservano ancora un ruolo di guida
lungo la composizione, ma con figurazioni ritmicamente assai più varie,
individuando alcuni momenti di deciso spicco melodico (per un caso
esemplare, si ascolti l'attacco dell'Agnus Dei della K 259) da sottoporre a
sviluppo, ed imparando anche a tacere.
MOZART ORCHESTRA
251
La maggior scioltezza e varietà nella condotta degli archi produce anche
una più duttile collaborazione con le voci, soprattutto corali ma anche
solistiche, per cui il loro rapporto si fa più compenetrato e multiforme.
E la stessa trama del coro, laddove si mantiene accordale, grazie alla
ritmica più variata appare meno rigidamente scandita. Per non dire di
quelle inusitate forme di reciproco eccitamento che mostra il "dona nobis
pacem" negli Agnus Dei della K 257 e 258, con veri e propri Crescendo
davvero insoliti in testi come questi fin li inclini all'idillio più che
all'esaltato entusiasmo.
Contemporaneamente, a ciò si associano tendenze costruttivamente
mirate a disporre un singolo movimento secondo un progetto melodico-
armonico.
Già nella K 167 il ripresentarsi di una stessa figurazione conferisce
maggiore unitarietà al Credo (si noti l'intensità espressiva che un ostinato
ritmo unito ad armonie - ed enarmonie - pungenti genera nel "Qui tollis"
del Gloria nella K 262), mentre Kyrie e Gloria sono architettati come una
struttura tripartita ABA con B modulante: nel Benedictus essa si fonda su
due temi, localizzati rispettivamente alla tonica ed alla dominante,
riproducendo quello schema noto come forna-sonata che andava
affermandosi nei vari generi di musica strumentale solistica e d'assieme.
Così come in essi strutturava di preferenza il primo movimento di una
composizione in più tempi, nella Messa è soprattutto il Kyrie ad essere
interessato da questa articolazione.
Lo mostrano appunto quelli della K 192, K 220, K 262 (assai ampia, con
"Sinfonia" ed esordio solo corale, come si addice ad una Missa longa),
K 257 (la medesima costruzione appare anche nel Benedictus) e K 259.
Il Gloria della K 262 ed i Credo delle K 257-259 e K 317 presentano
invece elementi ricorrenti tali da poter imparentare il loro procedere con
quello di un'altra forma strumentale quale il Rondò.
Infine, non va trascurata la trama unicamente polifonico-imitativa che
Mozart compose per le sue prime Messe salisburghesi, brevi o meno che
siano.
Col passar del tempo, questa densità di scrittura si attenua (viene ad
esempio limitata esclusivamente ai passi solistici).
Di tale progressivo abbandono è eloquente anche la scomparsa delle
fughe che tradizionalmente concludevano Gloria e Credo, molto ridotte
nella K 194 o circoscritte al solo Gloria nella K. 258, o assenti del tutto
nelle K 220, K 257, K 259, K 275 (il cui solo Sanctus esibisce
252
un'esposizione di fuga), K 317 e K 337 (unica fuga, nel Benedictus).
Così come, complementariamente, non passa inosservata l'intenzione di
puntare con decisione piuttosto sulle risorse di un diverso linguaggio
tecnico- espressivo come quello incarnato ad esempio dalle liriche arcate
di vere e proprie arie quali i Benedictus della K. 275 e K. 317 ("aria" per
Quartetto vocale), come pure gli Agnus Dei della medesima K 317 e
K 337, dei quali è agevole rilevare le valenze melodiche anticipatrici di
celeberrime pagine operistiche a venire (rispettivamente, "Dove sono i
bei momenti" e "Porgi, amor, qualche ristoro").
CARLOS KLEIBER
253
A maggior ragione, dunque, suonerà inattesa nella K 258 l'apparizione
nel Sanctus di un "Pleni sunt coeli" in vero e proprio stile antico (un
tangibile segno dell'influenza esercitata da padre Martini, con cui in
quell'epoca i Mozart continuavano ad intrattenere rapporti epistolari).
L'abbandono di Salisburgo significava anche l'accantonamento del
genere "Messa" (seppure non immediato ed autentico, secondo quanto
mostra - come si vedrà tra poco - la vicenda della K 427). Ora Mozart
non doveva più provvedere per servizio alle necessità liturgiche, e
d'altronde le restrizioni imposte alla musica da chiesa dal nuovo sovrano
Giuseppe II (1780-1831) ed i suoi interventi di nazionalizzazione che
limitavano le risorse di molti ordini religiosi, non costituivano certo
preMessa incoraggianti per possibili richieste di opere sacre.
254
l'ultima sezione del Credo e l'Agnus Dei, che non figura nemmeno
iniziato.
Nel 1785 Mozart riutilizzò gran parte di ciò che aveva a disposizione
riservandolo nell'Oratorio Davide penitente (e nel 1801 la casa editrice
Breitkopf und Hartle pubblicava una versione della Messa K 427 fatta
completare da Alois Schmitt.
STAATSKAPELLE DRESDEN
255
del sereno "Christe eleison" intermedio per soprano solo e coro. Nelle
altre Messe non è che mancassero momenti di forte espressività, ma
erano riservati a luoghi obbligati, in un certo senso prevedibili (il
"Crucifixus", ad esempio): meno ovvio era scegliere tinte così
drammatiche e contrastate per le invocazioni del Kyrie.
256
KRÖNUNG-MESSA (MESSA DELL’INCORONAZIONE)
in do maggiore per soli, coro e orchestra, K 317
257
della Finta giardiniera. Quell'anno 1776 ed il successivo 1777 furono
tutti presi dai ripetuti tentativi di abbandonare Salisburgo e di andare a
far musica in una città meno provinciale e più al passo coi tempi. Infine
riuscì a partire il 23 settembre 1777 per un lungo viaggio che lo avrebbe
portato successivamente a Monaco, Augusta, Mannheim e Parigi. Un
viaggio che fu tutt'altro che fortunato; non portò infatti al musicista gli
sperati successi e la sperata sistemazione e segnò duramente la sua vita
privata, che a Parigi gli morì l'adorata madre dopo che a Mannheim
aveva conosciuto la prima grave disillusione amorosa che aveva il nome
di Aloysia Weber.
Un viaggio, insomma, che segna all'attivo di Mozart - a parte qualche
nuova amicizia - solo la diretta conoscenza - così importante, peraltro,
per la sua formazione - della musica innovatrice di Gluck - era in corso a
Parigi durante il suo soggiorno la lunga diatriba tra «gluckisti» e
«piccinisti» - e della straordinaria (per quei tempi) orchestra di
Mannheim. Sicché dopo qualche ingenuo tentativo per convincere il
padre di consentirgli un prolungamento del viaggio non restò altra scelta
a Wolfgang che rientrare - era la metà del gennaio del 1779 e il musicista
aveva 23 anni - a Salisburgo; specie dopo che il padre gli comunicò
come, grazie alle pressioni sue e di altri amici salisburghesi,
l'arcivescovo Gerolamo Colloredo, feudatario della città, aveva deciso di
riassumerlo al suo servizio con il salario di 500 fiorini l'anno, in qualità
di organista e «Konzertmeister» di corte.
Una soluzione che Wolfgang accettò con riluttanza come il solo mezzo
possibile, in quel momento, per guadagnare l'«eterno pane», non
mancando di notare in una lettera all'amico Bullinger: « ... voi sapete
quanto mi sia odiosa Salisburgo! E non soltanto per le ingiustizie che
mio padre ed io vi abbiamo subite, motivo più che sufficiente a cancellar
dalla mente il pensiero di ritornare in simile luogo. Ma ora sia come Dio
vuole: purché le cose vadano in modo da consentirci di vivere
tranquilli... ».
Tornò quindi a Salisburgo come un estraneo; deluso ma più maturo,
andando sempre col pensiero ben oltre gli angusti confini della corte
salisburghese, e ritrovando sia pur a fatica nella musica una alternativa
alla ancora impossibile fuga. «Credetemi - scriveva al padre da Vienna
qualche anno dopo - non amo poltrire ma lavorare. A Salisburgo è vero
258
ciò mi è costato molta fatica e a stento sono riuscito a decidermi.
Perché? Perché il mio spirito non era soddisfatto».
Ma i frutti di questa «molta fatica» furono assai numerosi in quei due
anni di soggiorno salisburghese che dovevano concludersi con la
rappresentazione a Monaco dell'Idomeneo. E compose in quegli anni la
Serenata K. 320, il Divertimento K. 334, il Concerto per due pianoforti e
orchestra K. 365, la Sinfonia concertante per violino e viola K. 364, le
tre Sinfonie K. 318, 319 e 338; per non ricordare che le composizioni più
importanti. E poi - per far fronte ai suoi impegni professionali verso la
corte arcivescovile - numerose pagine di carattere religioso: la Messa in
do maggiore (dell'Incoronazione), la Messa K. 337, i due Vespri K. 321
e 339, il Regina Coeli K. 276, due «Lieder» religiosi K. 343 ed una serie
di Sonate da chiesa per organo e orchestra.
Ma il quadro della vita e dell'attività salisburghese di Mozart in quegli
anni non sarebbe completo se non ricordassimo la presenza nella città di
una compagnia di commedianti diretta prima dall'impresario austriaco
Bohm e poi da Emanuele Schikaneder, il futuro librettista del Flauto-
magico. Una presenza che portò insieme all'acuirsi del vecchio amore di
Mozart per il teatro ed al primo accostarsi del musicista a quella
ideologia massonica che avrebbe poi definitivamente abbracciato durante
il soggiorno viennese. Frutto di questo contatto con Schikaneder furono
appunto le musiche di scena per il Thamos re d'Egitto, che permisero al
musicista di riaccostarsi al teatro, appunto, e di affrontare un soggetto nel
quale - come accadrà più tardi col Flauto magico - non mancano i
simboli della ideologia massonica.
Al centro di questo contrastato periodo - fu eseguita il 23 marzo 1779 - si
pone la composizione della Messa dell'Incoronazione K. 317 in do
maggiore. Non molto chiara è l'occasione che determinò la creazione di
questa partitura anche se la maggior parte dei biografi mozartiani
concordano nel ritenere che il titolo «dell'Incoronazione» ricordi le
tradizionali feste per l'anniversario dell'Incoronazione avvenuta per
disposizione del Pontefice nel 1751, di una immagine della Vergine,
ritenuta miracolosa, che si venerava a Maria Plain nei pressi di
Salisburgo e che secondo la tradizione aveva salvato nel 1744 la città
dagli orrori della guerra.
259
Ma a parte l'occasione religiosa che ne aveva determinato la
composizione, la struttura di questa Messa riporta la nostra attenzione su
tutti gli elementi che caratterizzarono la vita di Mozart in quegli anni
salisburghesi. Giustamente nota il De Saint-Foix che con questa Messa,
Mozart dà inizio ad un nuovo tipo di musica religiosa: per la misura
anche se non per i mezzi usati che sono quelli tradizionali (archi, due
oboi, due corni, due trombe, timpani ed un basso costituito da
violoncelli, contrabassi, fagotti e organo, oltre al coro e ai solisti di
canto). La musica mozartiana - nota ancora il De Saint-Foix - ha forse
perduto qualche po' di quel profumo di simpatia e di cordiale semplicità,
ma ha guadagnato in scatto, in forza, in vigore persuasivo: essa dà
nettamente l'impressione che l'orizzonte del musicista si sia allargato, che
260
egli non si senta più confinato nella sua provincia e che stia gustando
qualcosa di più vasto e di più profondo.
Considerazioni queste che ci riportano a quei due fondamentali incontri
occorsi al musicista prima del ritorno a Salisburgo; ove la osservazione
più volte fatta a proposito di questa Messa sulla sua maggiore
espressività ci ricorda il nome di Gluck, e l'essenza della sua «riforma»,
mentre il carattere strumentale dei temi - anche di quelli affidati alle voci
del coro o a quella dei solisti - ed ancora di più la forma propria della
musica strumentale della gran parte dei brani di questa Messa, non può
non riportare il pensiero ai contatti avuti da Mozart a Mannheim con gli
strumentisti di quell'orchestra di corte.
E' possibile anche ritrovare in questa Messa dell'Incoronazione perfino
l'eco dell'amore di Mozart per il teatro; che se non è difficile rendersi
conto anche ad orecchio della parentela tra l'aria «Dove sono i bei
momenti» delle Nozze di Figaro e l'Agnus Dei di questa partitura, non
sfuggirà neppure il carattere di rappresentazione, di «fatto teatrale» che
circola nell'intero lavoro mozartiano. E, per concludere, non si può non
notare l'osservazione avanzata recentemente che vuol riportare la
struttura fondamentalmente omofona delle parti di canto di questa Messa
- l'aver cioè respinto la tradizionale struttura delle Messa barocche a un
tentativo - al di là delle esigenze espressive del musicista - di fornire
musica «popolare», scritta cioè sul metro di una destinazione ad
esecutori ed ascoltatori assai più larga - assai più «democratica» - di
quanto non avvenisse in passato. E di qui a ricordare i primi legami tra
Mozart e la Massoneria con il suo carattere di rinnovamento illuministico
il passo, come si capisce, è assai breve.
Del resto queste diverse componenti espressive e strutturali si
riconoscono anche da un'analisi superficiale. La Messa si suddivide nelle
tradizionali sei parti Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Benedicttis ed Agnus
Dei.
Il Kyrie è composto di due sezioni: un «Andante maestoso» affidato
direttamente alle voci del coro con il triplo appello cui risponde con
ritmo solenne l'accompagnamento dei violini, ed un «Più andante»
esposto dal soprano solo leggermente accompagnato dagli archi e ripreso
in imitazione dagli oboi. Lo stesso tema viene ripetuto al «Christe
eleison» anche dal tenore solo ma trasportato in modo minore, cosa che
261
conferisce all'intero brano un carattere di alta poesia. Il Kyrie si conclude
con la ripresa del tema del coro «Andante maestoso» e con una «coda»
che ripresenta contemporaneamente il materiale tematico delle due
sezioni.
Il Gloria è una forma tripartita al modo di un tempo di Sonata o di
Sinfonia dove il primo soggetto si conclude con le parole «bonae
voluntatis» ed il secondo sulle parole «gloriam tuam»; si apre qui una
seconda sezione dove i due soggetti sono ripresi a lungo sia dai solisti,
che dal coro e dall'orchestra, il tutto si conclude con una
«ricapitolazione» ed una «coda» in imitazione sulla parola «Amen»,
mentre gli archi riespongono la melodia e il ritmo della prima parte.
Anche il Credo ha una struttura strumentale assai precisa. Qui al
contrario di quello che avviene nei brani precedenti le voci non appaiono
che dopo la quinta battuta quasi che Mozart abbia voluto riaffermare una
sorta di primato della componente orchestrale della partitura. Il brano è
costituito in forma tripartita nella quale è possibile distinguere una prima
sezione «Allegro molto» che contiene a sua volta il tema principale fino
alle parole «et invisibilium», un soggetto sussidiario fino a «deo vero» e
un ritorno del soggetto principale con variazioni che si conclude con il
«descendit de coelis» che si trasforma poi in un breve fugato che
introduce la seconda sezione - un adagio in fa minore - che apre una
parentesi di grande bellezza poetica sulle parole «Et incarnatus».
La terza sezione ripropone l'«Allegro molto» iniziale sulle parole «et
resurrexit» ancora basato sul soggetto principale fino all'«Amen» esposto
in imitazione sullo stesso tema su cui erano state cantate le parole
«descendit de coelis». Tutto si conclude poi omofonicamente
sull'«Amen», che è preceduto però da una breve ripresa delle parole
«Credo in unum Deum» che si ripetono come una affermazione reiterata
nella stessa tonalità di fa maggiore con cui si era aperto il brano.
Lo stesso tono grandioso caratterizza l'«Andante maestoso» con il quale
inizia il successivo Sanctus, che è un coro solenne sostenuto dagli archi
all'unisono e dai bassi fino all'«Allegro assai» dell'«Osanna» che
conclude rapidamente il brano.
Anche il Benedictus è una forma tripartita: «Allegretto» la prima sezione
con un tema leggero esposto dal violino solista che dà all'intero brano il
262
carattere di un rondò strumentale. Lo stesso tema viene infatti ripreso
nella terza sezione, mentre la seconda sezione altro non è che la ripresa
dell'«Osanna» che serve anche da «coda» all'intero brano.
263
Infine l'Agnus Dei dopo un preludio strumentale affida il tema al soprano
solo, ed è il tema che ricorda l'aria delle Nozze; il tema è poi ripreso
anche dal tenore che si alterna con il coro finché sulle parole «Dona
nobis pacem» ritorna con le stesse armonie ed imitazioni strumentali ma
anche con una ripresa in tempo «Allegro con spirito» il tema del Kyrie
iniziale.
E' quest'«Allegro con spirito» che conclude l'opera con una estensione
geniale dell'idea primitiva - nota il De Saint-Foix - il quale aggiunge pure
come la ripresa dell'idea iniziale dimostra il profondo bisogno di unità
formale sentito da Mozart in questa occasione. Una unità formale
realizzata non solo attraverso la scelta di precise forme strumentali
all'interno di ogni brano della Messa ma riaffermata quasi serrando
l'intero edificio sonoro all'interno dello stesso tema che quindi dà l'avvio
al discorso e lo conclude.
Gianfilippo De'Rossi
KYRIE
Kyrie eleison
Christe eleison
Kyrie eleison
GLORIA
264
CREDO
265
MESSA IN DO MINORE
PER SOLI, CORO E ORCHESTRA, K1 427 (K6 417A)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Kyrie - soprano e coro - Andante moderato (do minore)
2. Gloria - coro - Allegro vivace (do maggiore)
a. Laudamus te - soprano - Allegro aperto (fa maggiore)
b. Gratias agimus - coro - Adagio (la minore)
c. Domine Deus, Rex coelestis - soprano e contralto - Allegro
moderato (re minore)
d. Qui tollis peccata mundi - doppio coro - Largo (sol minore)
e. Quoniam tu solus sanctus - soprano, contralto e tenore -
Allegro (mi minore)
f. Jesu Christe - coro - Adagio (do maggiore)
g. Cum sancto Spiritu - coro - Allegro (do maggiore)
3. Credo - coro - Allegro maestoso (do maggiore) schizzo
a. Et incarnatus est - soprano - Andante (fa maggiore)
4. Sanctus - doppio coro - Largo (do maggiore)
a. Osanna - coro - Allegro comodo (do maggiore)
5. Benedictus - soli - Allegro comodo (la minore)
a. Osanna - doppio coro - Allegro comodo (do maggiore)
266
I due massimi capolavori di Wolfgang Amadeus Mozart
nell'ambito della musica sacra, la Messa in do minore K. 427 (K. 417 a) e
il Requiem in re minore K. 626, rimasero entrambi incompiuti. Fu la
morte a fermare per sempre la mano di Mozart mentre vergava il
Lacrimosa del Requiem, mentre l'incompiutezza della Messa deve essere
attribuita a cause meno tragiche. Mozart aveva infatti iniziato a comporla
per una sua autonoma decisione, uscendo per una volta dal sistema della
committenza che regolava la produzione musicale dell'epoca; ma i tempi
non erano maturi perché un musicista potesse liberamente dedicare il suo
tempo a una composizione priva d'una precisa destinazione e quindi la
Messa in do minore fu messa da parte a favore di lavori più urgenti.
Invece Mozart non lasciò mai a metà le musiche sacre connesse ai suoi
impegni salisburghesi. Non dipendere per una volta da una precisa
committenza permise però a Mozart di concepire liberamente questa
Messa su una scala più ampia e complessa, mentre fino allora aveva
dovuto ottemperare alle imposizioni del suo "padrone", il principe-
arcivescovo di Salisburgo, che dalla musica sacra pretendeva semplicità
e brevità.
La Messa in do minore non obbediva dunque a una committenza, ma fu
concepita da Mozart come un'offerta votiva per il superamento delle
difficoltà che si frapponevano al suo matrimonio e allo stesso tempo
come un dono all'amata Konstanze. In una lettera inviata al padre da
Vienna il 4 gennaio 1783, il ventisettenne Wolfgang rivela di aver fatto
"una promessa nel [suo] cuore" e che "la migliore prova di questa
promessa è la partitura d'una Messa che ancora aspetta d'essere
completata". Da questa stessa lettera si deduce che fin dall'inizio Mozart
pensava di far eseguire la sua Messa a Salisburgo. Effettivamente la
prima volta che si recò da Vienna a Salisburgo dopo il suo matrimonio
portò con sé la partitura e continuò a lavorarvi, ma il giorno previsto per
l'esecuzione, il 26 ottobre 1783, la Messa era ancora incompiuta e
probabilmente venne integrata con pezzi di altre Messe di Mozart.
Il giorno dopo il compositore ripartì per Vienna e non avrebbe più visto
la sua città natale, né avrebbe più portato a termine questa Messa, di cui
aveva scritto per intero il Kyrie, il Gloria e il Sanctus-Benedictus, mentre
il Credo era interrotto all'lncarnatus est e per di più era lacunoso
nell'orchestrazione e l'Agnus Dei mancava totalmente. Due anni dopo, a
267
Vienna, avrebbe riutilizzato il Kyrie e il Gloria nell'Oratorio Davide
penitente K. 469.
KENT NAGASANO
268
Nonostante l'incompiutezza, la Messa in do minore è la più vasta,
complessa e impegnativa composizione sacra di Mozart. Come Bach
nella Messa in si minore e Beethoven nella Missa solemnis, anche
Mozart riprende qui gli stili della musica sacra delle epoche precedenti,
quasi a voler ancorare saldamente la sua Messa alla tradizione. Attinge a
Bach e Händel, da lui scoperti e studiati proprio in quegli anni, e anche
agli italiani, come Caldara, Porpora e Pergolesi, scrivendo una "personale
summa theologica del sacro in musica, i cui principi vengono desunti da
una sterminata eredità artistica dagli orizzonti europei, sviluppata più in
estensione geografica che in profondità storica, non rimontando oltre i
limiti del XVIII secolo, il solo che il compositore ritenesse attingibile e
spiritualmente frequentabile" (Giovanni Carli Ballola).
Subito il Kyrie rivela la compenetrazione dell'elemento oggettivo dello
stile sacro con quello soggettivo dell'espressione individuale, quando la
severa polifonia corale e la voce grave e maestosa dei tromboni vengono
amalgamate nell'intima e sofferta tonalità di do minore, o quando il
dolente cromatismo del motivo dei soprani e dei contralti viene
sviluppato in rigoroso stile imitato.
Al centro del Kyrie s'inserisce il luminoso solo per soprano del Christe,
affettuoso omaggio alla moglie Konstanze, che cantò questa parte nella
prima esecuzione della Messa.
Il Gloria si apre con una chiara reminiscenza dello stile di Händel,
evidente nella stretta alternanza di possenti e gloriosi accordi e di
dinamici ed esultanti passaggi contrappuntistici, con una citazione quasi
letterale dell'Alleluja del Messiah.
Tutto il Gloria è concepito su scala monumentale ed è diviso in otto
numeri. Un'aria tripartita col "da capo" (Laudamus Te), un duetto per due
soprani (Domine Deus) e un terzetto per due soprani e tenore (Quoniam
tu solus sanctus) si alternano a due possenti episodi corali a cinque voci
(Gratias agimus) e a doppio coro (Qui tollis). È suggellato dalla
grandiosa fuga del Cum Sancto Spiritu, che fornisce una conclusione
adeguatamente solenne, che però Mozart sottrae a ogni manierata
magniloquenza con l'inserzione di elementi del moderno linguaggio
sinfonico, apportatore di un'emozione più viva e drammatica.
269
GIOVANNI BATTISTA PERGOLESI
270
L'incompiuto Credo consta di due sole parti, entrambe lacunose
nell'orchestrazione, che può tuttavia essere completata senza problemi
insormontabili. Il primo pezzo è un maestoso coro a cinque voci, fitto di
riferimenti alla musica tardobarocca, a cominciare dall'ampia
introduzione orchestrale, memore ancora una volta di Händel, in
particolare delle sue Ouvertures.
L'Et incarnatus est è un altro solo offerto alla voce dell'amata Konstanze:
una pagina nel cullante ritmo di siciliana, raccolta, tenera, delicata, che
trasfigura il virtuosismo vocale in estatico lirismo, come nel lunghissimo
vocalizzo della cadenza che unisce al soprano tre strumenti obbligati
(flauto, oboe e fagotto). È stato più volte sottolineato lo stile
italianeggiante di questo brano.
Dopo questa melodiosa aria Mozart ritorna alla grandiosità tiel doppio
coro col Sanctus, questa volta senza reminiscenze barocche ma con
sintetico e audace stile moderno, culminante nel possente "pieni sunt
coeli et terra gloria tua", che sembra raffigurare musicalmente tutta la
magnificenza divina. Qui s'innesta la fuga dell'Osanna, nel cui serrato
contrappunto si scorge chiaramente Bach.
Il Benedictus è riservato alle quattro voci soliste ma non concede nulla a
dolcezze melodiche d'ascendenza operistica e procede con un aspro e
spigoloso contrappunto, mentre modulazioni tipicamente mozartiane a
tonalità minori immergono il brano in un'atmosfera inquieta e ansiosa,
prima della trionfale ripresa della fuga dell'Osanna.
Mauro Mariani
271
Testo delle parti vocali
KYRIE
CORO E SOPRANO
Kyrie eleison
Christe eleison
Kyrie eleison
GLORIA
CORO
Gloria in excelsis Deo, et in terra pax hominibus bonae voluntatis.
SOPRANO
Laudamus te, benedicimus te, adoramus te, glorificamus te.
CORO
Gratias agimus tibi propter magnam gloriam tuam.
SOPRANO I e II
Domine Deus, Rex coelestis, Pater Omnipotens,
Domine Fili Unigenite, Jesu Christe, Altissime,
Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris.
CORO
Qui tollis peccata mundi, miserere nobis, suscipe deprecationem
nostram.
Qui sedes ad dexteram Patris, miserere nobis.
CORO
Jesu Christe. Cum Sancto Spiritu in gloria Dei Patris. Amen.
272
CREDO (Symbolum Nicenum)
CORO
Credo in unum Deum, Patrem Omnipotentem, factorem coeli et terrae,
visibilium omnium et invisibilium. Et in unum Dominum, Jesum
Christum, Filium Dei, Unigenitum, et ex Patre natum ante omnia saecula,
Deum de Deo, lumen de lumine, Deum verum de Deo vero, genitum, non
factum consubstantialem Patri, per quem omnia facta sunt, qui propter
nos homines et propter nostram salutem descendit de coelis.
SOPRANO
Et incarnatus est de spiritu sancto ex Maria Virgine, et homo factus est.
SANCTUS
CORO
Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus, Sabaoth. Pieni sunt coeli et
terra gloria ejus.
Osanna in excelsis.
BENEDICTUS
CORO
Osanna in excelsis.
273
REQUIEM IN RE MINORE
PER SOLI, CORO ED ORCHESTRA, K 626
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Requiem - soprano e coro - Adagio (re minore)
2. Kyrie - coro - Allegro (re minore)
3. Dies irae - coro - Allegro assai (re minore) abbozzo
a. Tuba mirum - soli - Andante (si bemolle maggiore) abbozzo
b. Rex tremendae - coro - Grave (sol minore) abbozzo
c. Recordare - coro - Andante (re minore) abbozzo
d. Confutatis - coro - Andante (la minore) abbozzo
e. Lacrimosa - coro - Larghetto (re minore) abbozzo
4. Domine Jesu - soli e coro - Andante con moto (sol minore)
abbozzo
a. Hostias - coro - Andante (mi bemolle maggiore). Andante
con moto (sol minore) abbozzo
5. Sanctus - coro - Adagio (re maggiore) aggiunta
a. Osanna - coro - Allegro (re maggiore) aggiunta
6. Benedictus - soli - Andante (si bemolle maggiore) aggiunta
a. Osanna - coro - Allegro (si bemolle maggiore) aggiunta
7. Agnus Dei - coro - ... (re minore) aggiunta
8. Lux aeterna - soprano e coro - ... (re minore). Allegro. Adagio
274
Incompiuto, lo sviluppo degli abbozzi e le aggiunte sono opera di Franz
Xaver Süssmayer sulla base degli appunti di Mozart.
275
colmare le lacune fu principalmente Franz Xaver Süssmayer, allievo del
compositore, ma prima di lui erano stati coinvolti altri due allievi, Franz
jakob Freystädtler e Joseph Eybler, sotto il probabile coordinamento di
un altro musicista vicino alla famiglia Mozart, l'abate Maximilian
Stadler.
276
Tutti costoro furono legati da un vincolo di segretezza; nessuno doveva
sospettare che Mozart non fosse l'unico autore del Requiem. È solo nel
1825, quando ormai da molto tempo il Requiem era stato eseguito e
pubblicato, che vennero avanzati i primi reali sospetti sul contributo di
altre mani nel completamento della partitura, dando luogo a una
controversia che sarebbe durata per parecchi anni.
In che misura la composizione, che è ammirata e venerata come una delle
più alte del suo autore, è effettivamente di Mozart? Questa domanda è
riecheggiata nei secoli, dal 1825 ad oggi, e si pone in modo inquietante ai
posteri. Ad essa ha cercato di rispondere in modo il più possibile
esauriente la ricerca musicologica, fino all'edizione critica curata nel
1965 da Leopold Nowak, e poi al più recente studio di Christoph Wolff
(Il Requiem di Mozart. La storia, i documenti, la partitura, Astrolabio,
Roma, 2006), imprescindibile punto di riferimento anche per queste note.
Converrà dunque riassumere la situazione oggettiva del Requiem, nella
versione completata da Sussmayer e altri, e consegnata dalla vedova al
committente. Essa si articola in otto differenti grandi numeri musicali.
nn. 1-2. Introitus e Kyrie
L'Introitus è l'unica sezione della partitura interamente di mano di
Mozart. Il Kyrie invece è autografo per le parti corali, mentre i raddoppi
strumentali sono stati realizzati nei giorni immediatamente seguenti alla
morte dell'autore da Franz Jakob Freystädtler, per una esecuzione di tutto
questo numero musicale alla cerimonia funebre svoltasi nella chiesa di
San Michele il 10 dicembre. In seguito Süssmayer aggiunse le parti di
trombe e timpani.
n. 3. Dies Irae
Si tratta del numero musicale più vasto della partitura, diviso in sei
sezioni differenti (la cosiddetta "sequenza"). Le prime cinque sezioni
sono state composte da Mozart in forma abbreviata, ovvero con le parti
corali e solistiche complete, la linea del basso e alcune indicazioni di
orchestrazione, più o meno precise a seconda dei vari momenti.
L'orchestrazione venne completata in un primo momento da Joseph
Eybler, quindi nuovamente realizzata da Süssmayer sulla base del
completamento di Eybler. Quanto alla sesta sezione, "Lacrymosa",
Mozart ne scrisse solamente le prime otto battute; il rimanente venne
completato da Süssmayer.
277
Un appunto di un tema di fuga su un foglio staccato suggerisce che
Mozart aveva pensato di concludere tutta la sequenza con una settima
sezione, una fuga sull"'Amen"; una soluzione che venne però scartata da
Sussmayer, forse per la sua eccessiva difficoltà.
n. 4 Offertorium
La situazione è la medesima dei primi sei numeri del Dies Irae. Il
completamento è stato iniziato dall'abate Maximilian Stadler e portato a
termine da Süssmayer.
n. 5 Sanctus - n. 6 Benedictus - n. 7 Agnus Dei
Mozart non compose questi numeri musicali, che vennero scritti da
Süssmayer. Un’analisi dei materiali melodici di base di queste sezioni -
nonché dell'"Osanna" che chiude il Sanctus e il Benedictus - mostra delle
corrispondenze che suggeriscono come Süssmayer avesse a disposizione
alcuni appunti che non ci sono pervenuti.
n. 8 Communio
Mozart non compose questo numero musicale. Süssmayer riprese
testualmente la musica dei nn. 1-2. Introitus e Kyrie.
È difficile sfuggire all'impressione che il Requiem così come è arrivato ai
posteri si allontani considerevolmente nel risultato da quelle che erano le
intenzioni del compositore. C'è, in primo luogo, un problema di
architettura complessiva. Non sappiamo se l'idea di riprendere, nella
Communio, la musica di Introitus e Kyrie sia ascrivibile al compositore;
certamente la progettata fuga conclusiva del "Lacrymosa" doveva
assumere nella partitura un ruolo di grande rilievo, anche perché il
soggetto di questa fuga può essere considerato una trasformazione del
motivo iniziale del Requiem. Ma anche i temi di Sanctus e Benedictus
presentano corrispondenze di questo tipo, dando l'impressione di una
ferrea coerenza e unità concettuale nella partitura. Proprio questi fattori -
in secondo luogo - risultano fortemente compromessi dalla realizzazione
di Süssmayer, che semplicemente non aveva gli strumenti tecnici, oltre
che la fantasia inventiva, per elaborare gli appunti che aveva a
disposizione. La gratitudine dovuta dai posteri a questo onesto artigiano
non cancella purtroppo i suoi limiti.
278
E tuttavia è indiscutibile che, anche in questa veste compromessa, il
Requiem appaia come un capolavoro, a cui incompiutezza e ipotesi
attribuiscono un fascino ulteriore.
MOZART MORENTE
Nei pochissimi lavori sacri degli anni viennesi, al contrario, egli tenne
certamente presenti i precetti dettati dall'imperatore Giuseppe II - cui nel
frattempo era succeduto Leopoldo II - per una musica sacra disadorna e
di facile comprensione. La nuova via di Mozart nel Requiem si basa però
sull'antico, ossia su un uso della polifonia e del contrappunto ispirato ai
modelli barocchi.
279
Lo studio delle partiture di Bach e di Händel, la cui grandiosità nella
scrittura corale e orchestrale penetra fin nella Zauberflote e nella
Clemenza di Tito, si palesa a maggior ragione nel Requiem.
Non a caso nei primi due numeri della partitura, Introitus e Kyrie,
l'influenza di Händel non è generica, ma riferita a due precisi modelli.
L'attacco dell'Introitus è infatti ricalcato sul Funeral Anthem for Queen
Caroline HWV264; c'è però nella partitura di Mozart, una atmosfera
sonora peculiare, legata in gran parte alle scelte di strumentazione, dove
gli unici legni presenti sono corni di bassetto (della famiglia dei
clarinetti) e fagotti; di qui il timbro opaco e spettrale, che intreccia
polifonie opponendosi ai pizzicati degli archi. Si staglia come contrasto,
poco dopo, il purissimo a solo di soprano "Te decet Hymnus".
Ancora Händel, con il Dettingen Anthem HWV 265, è il modello di uno
dei momenti più impressionanti della partitura di Mozart, la doppia fuga
del Kyrie, dove il carattere arcaico della scrittura è significativamente
sottolineato. Ancor più che nei primi due numeri, si palesa nel terzo,
Dies Irae, una delle caratteristiche più distintive del Requiem: il fatto che
il contrappunto non sia riservato a determinate sezioni della partitura, ma
innervi nella sostanza gran parte di essa; non a caso il ruolo dei solisti di
canto è nettamente subordinato rispetto al coro, e, pur
nell'incompiutezza, la parte corale è sufficiente a restituire la potenza
della concezione. C'è poi, da parte dell'autore, la capacità di avvicendare
i vari momenti della partitura secondo una logica di contrasti che segue
un preciso percorso interno di evoluzione.
Così la sequenza si divide in sei sezioni, fra loro plasticamente
contrapposte in quanto a scelte di organico e contenuto espressivo; il
Dies irae, interamente corale, è di impatto massiccio; sintetico,
drammatico, ricco di effetti figurati ("tremor").
Il Tuba mirum vede alternarsi i quattro solisti (basso, tenore, contralto e
soprano), che si uniscono solo al termine; ma l'effetto folgorante è quello
iniziale del trombone solista, che dialoga con il basso evocando il giorno
del giudizio.
Il Rex tremendae majestatis reca nettissima l'impronta di Händel,
nell'alternanza - poi sovrapposizione - dei ritmi puntati degli archi e della
massa corale.
280
Il Recordare, nuovamente affidato ai solisti, costruito secondo lo schema
ABA'CA", è innervato da imitazioni di carattere arcaico, cui
conferiscono fascino peculiare le scelte timbriche - non a caso
l'introduzione strumentale è tutta di mano di Mozart.
Il Confutatis contrappone coro maschile e femminile nelle immagini dei
dannati e dei redenti. Le otto battute superstiti del Lacrimosa si
interrompono al vertice del "crescendo": la conclusione funzionale di
Süssmayer non compromette l'incanto sofferto della pagina.
L'Offertorium si articola, come di consueto, in due parti, entrambe
concluse dalla fuga "Quam olim Abrahae".
Il Domine Jesu Christe ha una condotta corale incalzante e agitata, di
derivazione mottettistica; l'episodio "Sed signifer sanctus Michael" passa
ai solisti, e scivola direttamente nella fuga; nettamente contrastante lo
squarcio sereno dell'Hostias, dove la scrittura corale omofonica è
accompagnata dal fraseggio in sincopi degli archi.
LOUIS LANGRÉE
281
Rispetto ai primi quattro numeri della partitura, la tensione si stempera
fatalmente nei tre composti da Süssmayer. L'incedere solenne e corale
del Sanctus è nel solco della tradizione, il fugato dell"'Osanna" scolastico
e sommario.
Il Benedictus, affidato ai solisti e perciò intimistico, è singolarmente
esteso e rifinito. L'Agnus Dei si basa sul contrasto fra la duplice
invocazione e la supplica "dona eis requiem".
Quanto alla Communio, Süssmayer si limitò, come si è detto, a
riprendere la musica di Introitus e Kyrie; una soluzione che può apparire
semplicistica, ma che lo stesso Mozart aveva adottato in altri lavori sacri,
come la Messa dell'Incoronazione K. 317, rispettando in tal modo, con il
ritorno della stessa musica iniziale, quella logica circolare, così propria
dell'epoca, intesa a ribadire i principi eterni della religione.
Forse, più che a questioni teologiche, la scelta di Süssmayer deve essere
stata legata alla fretta e alla consapevolezza della propria inadeguatezza.
Tuttavia questo riapparire della musica dei numeri iniziali ha il merito di
far riassaporare all'ascoltatore consapevole di tutte le complesse vicende
del Requiem di Mozart, dell'ambizione e della novità del suo progetto,
dei problemi legati all'incompiutezza, proprio quelle pagine che più
strettamente manifestano il pensiero del compositore e ne prospettano la
forza concettuale ed espressiva.
Quale conclusione migliore, per il capolavoro incompiuto?
Arrigo Quattrocchi
282
LITANIE E VESPRI
284
Naturalmente anche la cittadina sulla Salzach si era adeguata in campo
"sacro" a quel particolarissimo stile che, nato a Napoli, si era ben presto
diffuso in tutta Europa, arrivando a dettar legge anche in tradizioni
lontanissime: il cosiddetto "stilus mixtus", che ammetteva la
compresenza, all'interno della stessa composizione sacra, di pagine
apertamente profane ed edonistiche e di pagine improntate al severo stile
contrappuntistico di matrice palestriniana. Da una parte l'opera sacra
veniva divisa, come un libretto d'opera, in arie, concertati e brani corali,
in cui era ben presente il gusto del contemporaneo teatro musicale; era
questo il modo per far sentire ben viva e attuale la religione. Dall'altra
parte in particolari punti del testo liturgico era obbligatorio l'impiego del
rigoroso intreccio contrappuntistico fra le parti vocali, ispirato ai modelli
della polifonia controriformistica, di cui Giovanni Pierluigi da Paestrina
fu il massimo esponente; come dire che il sacro si richiamava anche a
valori eterni e immutabili.
Rispetto alla "Messa Cantata" napoletana, a Salisburgo però, la scuola
sacra salisburghese si differenziava per il permanere di una forte
tradizione corale e contrappuntistica e per il ruolo non secondario
dell'elemento sinfonico. Si aggiunga la precisa impronta personale
dell'arcivescovo Hieronymus von Colloredo. Eletto nel 1772, Colloredo
contrastò, con le sue idee illuministiche e la sua predilezione per i
modelli italiani, la prolissità barocca dello stile salisburghese,
pronunciandosi a favore di una estrema stringatezza formale del brano
religioso, suddiviso - senza ulteriori frazionamenti interni - solo nelle
grandi sezioni dell'"ordinarium missae" (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus,
Agnus Dei), evitando ulteriori frazionamenti interni. Come scrisse
Mozart (o meglio il padre Leopold, come è stato riconosciuto
recentemente) al suo maestro bolognese Padre Martini, il 4 settembre
1776 "la nostra Musica di chiesa è assai differente di quella d'italia, e
sempre più, che una Messa con tutto - il Kyrie, Gloria, Credo, la Sonata
all'Epistola, l'Offertorio ò sia Mottetto, Sanctus ed agnus Dei ed anche la
più Solenne, quando dice la Messa il Principe stesso non ha da durare
che al più longo 3 quarti d'ora, ci vuole uno Studio particolare per questa
Sorte di Compositione, e che deve però essere una Messa con tutti
Strumenti - Trombe di guerra, Tym-pani etc".
A tali caratteristiche rispondono tutte le composizioni sacre successive
all'elezione di Colloredo, e dunque anche le Vesperae Solemnes de
285
Confessore, che, scritte nel 1780, chiudono tutto il lungo ciclo
salisburghese.
286
Mozart era tornato nel gennaio 1779 a Salisburgo dal lungo e avvilente
viaggio a Mannheim e Parigi; l'obiettivo di trovare una prestigiosa
collocazione al di fuori della città natale era andato deluso. Subito era
stato riassunto da Colloredo con l'incarico di organista di corte, che gli
imponeva di suonare nella cattedrale, a corte e nella cappella, di
comporre quanto gli veniva richiesto e di istruire i fanciulli cantori.
Nel contesto di tali incarichi nascono dunque due importanti Messa - la
Messa cosiddetta "dell'incoronazione" K. 317 e la Missa solemnis K. 337
- e, come contraltare, due complete intonazioni dei Vespri, le Vesperae
de Dominica K. 321 e le Vesperae Solemnes de Confessore K. 339. Tutti
questi lavori si ispirano ai medesimi precetti di stringatezza e cordialità
espressiva imposti da Colloredo, ma le Messa mostra una intonazione
meno seria e chiesastica, più apertamente operistica e con un uso meno
severo del contrappunto.
Non sono note le occasioni per cui furono scritti i due cicli dei Vespri (il
secondo nasce per celebrare un santo non vescovo, confessore della
fede), che avevano ovviamente destinazione liturgica e si basavano sugli
stessi sei testi: cinque Salmi della Vulgata, dal carattere laudativo e
propiziatorio (più precisamente Dixit Dominus, n. 109; Confitebor, n.
110; Beatus Vir, n. 11; Laudate Pueri, n. 112; Laudate Dominum, n.
116); più il testo del Magnificat (Luca, I: 46-56).
Un confronto sommario fra le due Vesperae è illuminante nel rilevare i
tratti in comune, e dunque quegli aspetti delle partiture che sono da
ascriversi a quelle regole e convenzioni non scritte cui ci si riferiva
all'inizio di queste pagine. Innanzitutto la tonalità di do maggiore,
"ufficiale" per la musica sacra salisburghese. Poi la strumentazione,
selettiva e fastosa; trombe, tromboni, timpani, organo e archi, escluse
però le viole, in omaggio all'antica tradizione salisburghese; in K. 339 si
aggiunge un fagotto ad libitum (il ruolo dei tre tromboni è sempre quello
di raddoppiare le voci corali). Poi il fatto che ciascuno dei sei brani che
compongono il ciclo dei Vespri sia sostanzialmente indipendente dagli
altri; ne dà conferma il fatto che, nonostante tutti i brani terminino con la
stessa frase testuale ("Gloria Patri et Filio, et Spiritui Sancto, sicut erat in
principio et nunc et semper, et in saecula saeculorum. Amen") le
conclusioni musicali di ciascuno di essi non presentano fra loro richiami
tematici, ma si basano su un materiale autonomo e si riallacciano al
287
clima espressivo del singolo brano. Inoltre le tipologie dei singoli salmi,
per le quali il Laudate Pueri doveva avere una impostazione
contrappuntistica, e il Laudate Dominum quella di un'aria profana; le
altre pagine quella del Mottetto concertato.
Tutto ciò potrebbe offrire l'impressione di una certa aridità creativa di
questo Mozart sacro, in cui ben arduo deve essere stato per il
compositore il districarsi in questo letto di Procuste imposto dalla
tradizione. Nulla di più fallace, perché è proprio nella libertà creativa
nata dal rispetto delle regole consacrate che possiamo cogliere l'altezza
dell'ingegno dell'autore ventiquattrenne. Come ha scritto Alfred Einstein
"Chi non conosce queste composizioni non può asserire di conoscere
Mozart".
Non a caso ben differenti sono i due cicli; le Vesperae Solemnes de
Confessore si sviluppano in direzione di un maggiore decorativismo
rispetto alle Vesperae de Dominica (peculiare è anche il percorso tonale:
Do maggiore, Mi bemolle maggiore, Sol Maggiore, Re Minore, Fa
Maggiore, Do Maggiore). In K. 339 i primi tre Salmi, nella loro
atmosfera festosa e solenne, sono improntati a una polifonia di facile
scrittura, nella quale si inseriscono agevolmente gli interventi solistici; la
forma è, per ciascuna pagina, quella di un libero rondò, in cui idee
principali si alternano con idee secondarie, secondo una libera
combinazione, nell'assenza di una vera e propria elaborazione tematica.
Il Dixit ha attacco perentorio e una conduzione quasi esclusivamente
corale; i solisti entrano solo al "Gloria Patri". Il Confitebor (dove
tacciono trombe e timpani, come nei due brani seguenti) vede invece
aerei dialoghi e intrecci fra i solisti. Il Beatus vir accoglie anche un lungo
vocalizzo in terzine del soprano, e un uso misurato dell'elemento
contrappuntistico.
Fortissimo il trapasso imposto dal Laudate Pueri; abbiamo qui in tutto e
per tutto un brano in stile severo, dove le voci corali si inseguono in un
serrato contrappunto, salvo un piccolo passaggio omofonico. La tonalità
minore, l'assenza dei solisti e la scelta di un antico soggetto di fuga (con
il salto di settima diminuita, che Mozart reimpiegherà nel Kyrie del
Requiem) attribuiscono alla pagina il suo fascino arcaicizzante. Nuovo
trapasso è quello del Laudate Dominum; ci troviamo di fronte qui a una
vera e propria aria per soprano, nel ritmo cullante di 6/8 e con una
288
strumentazione peculiare (archi, organo e fagotto ad libitum). La melodia
del soprano, calata in una incantevole ambientazione espressiva, viene
ripresa poi dal coro, e la voce solista ritorna infine nella coda.
LEOPOLD MOZART
289
Il Magnificat si riallaccia all'impostazione dei tre salmi iniziali; a una
breve introduzione in Adagio del coro succede un Allegro in cui il
gruppo dei solisti si contrappone al coro, e il soprano ha spesso la
funzione di corifea. Assistiamo, in qualche modo, a un esito tipico della
religiosità cattolica, per cui il gusto fastoso e decorativo celebra, secondo
"affetti" paradigmatici, il trionfo dell'apparato liturgico.
Arrigo Quattrocchi
Testo
DIXIT DOMINUS
290
Memor erit in saeculum testamenti sui.
Virtutem operum suorum annuntiabit populo suo.
Ut det illis hereditatem gentium.
Fidelia omnia mandata ejus in ventate et aequitate.
Opera manuum ejus veritas et judicium.
Facta in veritate et aequitate.
Confirmata in saeculum saeculi.
Redemptionem misit Dominus populo suo,
mandavit in aeternum testamentum suum.
Sanctum et terribile nomen ejus.
Initium sapientiae timor Domini,
intellectus bonus omnibus facientibus eum,
laudatio ejus manet in saeculum saeculi.
Gloria patri et filio et spiritui sancto,
sicut erat in principio et nunc et semper
et in saecula saeculorum. Amen.
BEATUS VIR
291
Peccator videbit et irascetur,
dentibus suis fremet et tabescet,
desiderium peccatorum peribit.
Gloria patri et filio et spiritui sancto
sicut erat in principio et nunc et semper
in saecula saeculorum. Amen.
LAUDATE PUERI
292
MAGNIFICAT
293
PICCOLE COMPOSIZIONI DA CHIESA
TE DEUM IN DO MAGGIORE
PER CORO ED ORCHESTRA, K1 141 (K6 66B)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Te Deum laudamus - coro - Allegro (do maggiore), Adagio
294
Questo Te Deum è il lavoro d'un musicista che deve ancora crescere, ma
quale musicista! L'attacco è un allegro che comunica una letizia serena e
spirituale, senza la magniloquenza formale che spesso era connessa a
questo testo sacro usato per occasioni solenni.
MYUNG-WHUN CHUNG
296
Tu rex gloriae, Christe. Vincitore della morte,
Tu Patris sempiternus es Filius. hai aperto ai credenti il regno dei
Tu, ad liberandum suscepturus cieli.
hominem, Tu siedi alla destra di Dio, nella
non horruisti Virginis uterum. gloria del Padre.
Verrai a giudicare il mondo alla
Tu, devicto mortis aculeo, fine dei tempi.
aperuisti credentibus regna
caelorum. Soccorri i tuoi figli, Signore,
Tu ad dexteram Dei sedes, in che hai redento col tuo Sangue
gloria Patris. prezioso.
Iudex crederis esse venturus. Accoglici nella tua gloria
nell'assemblea dei santi.
Te ergo quaesumus, tuis famulis
subveni, Salva il tuo popolo, Signore,
quos pretioso sanguine guida e proteggi i tuoi figli.
redemisti. Ogni giorno ti benediciamo,
Aeterna fac cum sanctis tuis in lodiamo il tuo nome per sempre.
gloria numerari.
Degnati oggi, Signore,
Salvum fac populum tuum, di custodirci senza peccato.
Domine, Sia sempre con noi la tua
et benedic hereditati tuae. misericordia:
Et rege eos, et extolle illos usque in te abbiamo sperato.
in aeternum.
Per singulos dies benedicimus Pietà di noi, Signore,
te; pietà di noi.
et laudamus nomen tuum in Tu sei la nostra speranza,
saeculum, non saremo confusi in eterno.
et in saeculum saeculi.
Dignare, Domine, die isto
sine peccato nos custodire.
Miserere nostri, Domine,
miserere nostri.
Fiat misericordia tua, Domine,
super nos,
quem ad modum speravimus in
te.
297
In te, Domine, speravi:
non confundar in aeternum.
EXULTATE, JUBILATE
Mottetto per soprano ed orchestra, K1 165 (K6 158a)
298
Messa solenne o dei vespri; di infima qualità letteraria, i testi
contenevano spesso allusioni alla festa per cui i Mottetti erano concepiti.
VENANZIO RAUZZINI
299
Se la destinazione era chiesiastica, lo stile musicale era sfacciatamente
profano, melodrammatico. In questa tradizione si inserisce l'«Exultate,
jubilate» che adotta la struttura con due arie inframmezzate da un
recitativo e seguite dall'Alleluja conclusivo.
Il 17 gennaio ricorre la festività di S. Antonio Abate, ma poiché il testo è
un generico invito al canto e alla gioia (l'invocazione mariana della
seconda aria è forse dovuta a un particolare culto per la Vergine nella
chiesa dei Teatini), l'«Exultate, jubilate» si configura come un «Mottetto
per ogni tempo» e pezzo «di baule» per il Rauzzini.
Dell'arte vocale del sopranista, a proprio agio nella coloratura come
nell'intonazione di ampi intervalli e nel cantabile, Mozart trae spunto per
un pezzo di fatata luminosità, in cui lo scintillio virtuosistico è pari al
fascino di un'invenzione ammaliante.
Se si eccettua il recitativo, «Fulget amica dies», nella sequenza e
all'occasione nella struttura stessa dei movimenti oltre che nel
coefficiente virtuosistico della scrittura, la partitura tende a profilarsi
come una sorta di concerto per voce e orchestra. La prima aria,
«Exultate, jubilate», ha struttura bipartita («ABA'B'») e un andamento
spumeggiante.
La seconda, «Tu virginum corona», è un incantevole idillio vocale senza
i fiati. Interessante la struttura, che pare voler raggiungere una
mediazione fra l'aria e il movimento di concerto: Mozart piega le
simmetrie dettate da un'ovvia intonazione del testo a ragioni puramente
musicali.
L'esito è una specie di rondò-sonata («ABCA'B'A"»): dopo
l'introduzione-ritornello o esposizione orchestrale, si delinea
un'esposizione solistica con due idee tematiche, una sezione intermedia
di riconduzione, una ripresa e un ulteriore ritorno della sezione
principale. Il ritornello di chiusura connette direttamente l'aria con
l'«Alleluja» finale. Qui il testo è costituito da una sola parola e il
movimento assume le limpide forme di un rondò con tema e due episodi
(schema: «AbA'cA"+Coda»).
Cesare Fertonani
300
Testo
Alleluja. Alleluia.
301
SUB TUUM PRAESIDIUM, K 198
Offertorio in fa maggiore per soprano, tenore ed archi
Attribuzione incerta
MICHAEL HAYDN
302
Molto simile, nello stile, alle composizioni sacre di Michael
Haydn, ma certamente più ricercato dal punto di vista armonico, è
l'Offertorio Sub tuum praesidium attribuito a Wolfgang Amadeus Mozart
e situato cronologicamente tra il 1773 e il 1774. Il compositore, allora
diciottenne, risiedeva a Salisburgo e si dedicava per lo più alla musica
sacra; di quel periodo ci rimangono pagine "minori" come la Missa
brevis K. 192 o Litaniae Lauretanae K. 195 che si segnalano però per la
forte unità tematica e l'uso disinvolto dei principi del contrappunto.
Non si hanno notizie certe che l'Offertorio sia stato composto
effettivamente da Mozart, anche se il trattamento delle voci ed alcune
modulazioni inusuali hanno fatto pensare al suo stile. I due solisti, dopo
l'usuale esposizione del tema, danno vita ad un frequente scambio di
domanda e risposta che avvicina il brano più ad un duetto d'Opera che
non ad una pagina sacra.
Fabrizio Scipioni
Testo
303
KYRIE IN RE MINORE
PER CORO ED ORCHESTRA, K1 341 (K6 368A)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
Andante maestoso (re maggiore)
Organico: coro misto, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2
trombe, timpani, organo, archi
Composizione: Monaco, Novembre 1780 - Marzo 1781
Edizione: Andrè, Offenbach 1825
304
scrittura corale. Pur essendo rimasta una pagina isolata, il Kyrie K. 341
ha sempre affascinato il pubblico e gli studiosi.
ANTONIO PAPPANO
305
AVE VERUM CORPUS
Mottetto in re maggiore per coro, archi ed organo, K 618
306
MYUNG-WHUN CHUNG
307
Testo
308
CANTATE
Personaggi:
Gerechtigkeit (Giustizia) - soprano
309
3. Ein ergrimmter Löwe brüllet - Aria (Barmherzigkeit) - Allegro (mi
bemolle maggiore). Andante (do minore). Allegro (mi bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Was glaubst du, wird man wohl - Recitativo (Barmherzigkeit,
Gerechtigkeit, Christgeist)
Wenn aus so vieler Tausend - Recitativo (Christgeist) - 2 oboi, 2
fagotti, 2 corni, archi
Sie können dich - Recitativo (Barmherzigkeit, Christgeist,
Gerechtigkeit)
4. Erwache, fauler Knecht - Aria (Gerechtigkeit) - Andante (la
maggiore). Allegro. Adagio (fa diesi minore). Allegro (re
maggiore). Andante (la maggiore) - archi
Er reget sich - Recitativo (Christgeist, Barmherzigkeit,
Gerechtigkeit)
Wie, wer erwecket mich? - Recitativo (Christgeist) - 2 fagotti, 2
corni, archi
Was Rechenschaft? - Recitativo (Weltgeist, Christgeist)
Erwache, fauler Knecht - Recitativo (Christgeist) - Allegro. Adagio
- trombone contralto, archi
Ich weiss nicht - Recitativo (Weltgeist)
5. Hat der Schöpfer dieses Leben - Aria (Weltgeist) - Allegro
grazioso (fa maggiore - si bemolle maggiore - fa maggiore) 2 oboi,
2 corni, archi
Dass Träume Träume sind - Recitativo (Christgeist) - archi
6. Jener Donnerworte Kraft - Aria (Christgeist) - Andante un poco
Adagio (mi bemolle maggiore - do minore - mi bemolle maggiore)
- trombone contralto, archi
Ist dieses, o so zweifle nimmermehr - Recitativo (Weltgeist,
Christgeist)
7. Schildre einen Philosophen - Aria (Weltgeist) - Allegro (sol
maggiore). Andante. Allegro - 2 flauti, 2 corni, archi
Wen hör' ich nun hier in der Nähe? - Recitativo (Weltgeist,
Christgeist)
8. Manches Übel will zuweilen - Aria (Christgeist) - Allegro (si
bemolle maggiore - sol minore - si bemolle maggiore) - 2 oboi, 2
310
fagotti, 2 corni, archi
Er hält mich einem Kraken gleich - Recitativo (Christgeist,
Weltgeist, Barmherzigkeit, Gerechtigkeit) - archi
9. Lasst mir euren Gnadenschein - Trio (Barmherzigkeit,
Gerechtigkeit, Christgeist) - Un poco Andante (re maggiore).
Andante grazioso (sol maggiore). Un poco Andante (re maggiore) -
2 oboi, 2 corni, archi
311
Commento
La vicenda è ambientata in un ameno giardino vicino ad un bosco,
in un'epoca indefinita.
L'opera consiste di una sinfonia di apertura, sette arie corredate da
cadenza e colorature, diversi recitativi ed un terzetto finale.
Nella (complicata, considerata la profondità dell'argomento) allegoria
riprodotta dal dramma morale, come viene altrimenti definito, anche se il
termine corretto è geistliches Singspiel, si assiste ad un intenso
contraltare tra un aderente al Cristianesimo, la Giustizia, la Misericordia,
lo Spirito mondano e lo Spirito cristiano che discutono attorno alle
possibilità di salvezza dell'anima dei mortali.
Da segnalare in particolare l'aria Ein ergrimmter Löwe brüllet e l'assolo
di trombone nel numero Jener Donnerworte Kraft. Un'altra aria -
Manches Übel will zuweilen - verrà poi ripresa da Mozart per un'altra
sua opera, La finta semplice.
LA BETULIA LIBERATA
Oratorio sacro in due parti per soli,
coro ed orchestra, K1 118 (K6 74c)
Personaggi:
Ozia (Ozias), governatore di Betulia (tenore)
Giuditta (Judith), vedova di Manasse (contralto)
Amital, nobildonna di Israele (soprano)
Achior, principe degli ammoniti (basso)
Cabri (Cabris) e Carmi, capi popolo (soprani)
Betuliani (coro)
312
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, timpani, archi
Composizione: Padova e Salisburgo: Marzo - Aprile 1771
PIETRO METASTASIO
Sinossi
Gli abitanti della città di Betulla sono soffocati dall'assedio da parte
di Oloferne. Giuditta, dopo aver accusato il popolo di pusillanimità,
preannuncia un misterioso evento in nome del quale chiede
raccoglimento e preghiera. Si inserisce l'episodio del nobile Achior,
vendicativamente inviato a Betulia da Oloferne, per «rovinarlo»
313
(citazioni dal libretto) insieme alla città: un brano di storia ebraica dalla
bocca di Achior, poi una singolare, accesa discussione (Cantata!) tra
Ozia e Achior sul contrasto fra politeismo e monoteismo. Quindi
Giuditta, «ornata con tanto studio», lascia la città accompagnata dallo
stupore del popolo-coro.
Nella seconda parte - dopo un'altra dissertazione di Achior sull'esistenza
di un solo Dio - rientra trionfalmente in scena Giuditta, padrona della
testa recisa di Oloferne; in un interminabile recitativo degno del miglior
esprit noir («Su l'empia cervice il colpo abbasso. Balzar mi sento il
teschio semivivo») Giuditta descrive l'uccisione dell'oppressore.
Chiudono l'Oratorio la conversione di Achior, la fuga degli Assiri in
seguito alla morte di Oloferne, e il canto di ringraziamento di Giuditta e
del popolo liberato.
Struttura musicale
314
5. Del pari infeconda - Aria (Giuditta) - Andante (fa maggiore) - 2
flauti, 2 corni, archi
Oh saggia, oh santa, oh eccelsa donna! - Recitativo (Ozia, Cabri,
Giuditta)
6. Pietà, se irato sei - Coro e preghiera (Ozia, Coro) - Adagio (do
minore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Signor, Carmi a te viene - Recitativo (Cabri, Amital, Ozia, Carmi,
Achior)
7. Terribile d'aspetto - Aria (Achior) - Allegro (do maggiore) - 2 oboi,
2 corni, 2 trombe, archi
Ti consola, Achior - Recitativo (Ozia, Cabri, Achior, Giuditta)
8. Parto inerme, e non pavento - Aria (Giuditta) - Allegro (sol
maggiore). Adagio. Allegro - 2 oboi, 2 corni, archi
9. Oh prodigio! oh stupor! - Coro (Coro) - Allegro (mi bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
Parte II:
Troppo mal corrisponde - Recitativo (Achior, Ozia)
10. Se Dio veder tu vuoi - Aria (Ozia) - Andante (la maggiore) -
2 oboi, 2 corni, archi
Confuso io son - Recitativo (Achior, Ozia, Amital)
11. Quel nocchier, che in gran procella - Aria (Amital) - Allegro
(si bemolle maggiore). Andante (sol minore). Allegro (si bemolle
maggiore) - 2 oboi, 2 corni
Lungamente non dura - Recitativo (Ozia, Amital, Choeur, Cabri,
Giuditta, Achior)
Appena da Betulia partii - Recitativo (Giuditta, Amital, Ozia) -
archi
Oh prodigo! Oh portento! - Recitativo (Ozia, Cabri, Achior,
Giuditta, Amital)
12. Prigionier che fa ritorno - Aria (Giuditta) - Adagio (re
maggiore). Andante (sol maggiore). Adagio (re maggiore) - 2 oboi,
2 corni, archi
Giuditta, Ozia, popoli, amici - Recitativo (Achior)
315
13. Te solo adoro - Aria (Achior) - Andante (fa maggiore) - archi
Di tua vittoria un glorioso effetto - Recitativo (Ozia, Amital)
14. Con troppa rea viltà - Aria (Amital) - Andante (mi
maggiore). Adagio. Andante - archi
Quanta cura hai di noi - Recitativo (Cabri, Carmi, Ozia, Amital)
15. Quei moti, che senti - Aria (Carmi) - Allegro (fa minore) - 2
oboi, 2 fagotti, 2 corni, archi
Segnansi, o Carmi, i fuggitivi - Recitativo (Ozia, Amital, Cabri,
Achior, Giuditta)
16. Lodi al gran Dio - Coro (Giuditta, Coro) - Andante (sol
maggiore). Allegro (re maggiore) - 2 oboi, 2 corni, archi
316
L’occasione per comporre la sua prima Opera seria (e dunque la
prima di notevole impegno) venne a Mozart dal Regio Ducal Teatro di
Milano, in seguito ai contatti che il compositore, accompagnato dal
padre, ebbe nel febbraio 1770 con una serie di influenti personaggi, tra
cui il conte Firmian e Giovanni Battista Sammartini. Il quattordicenne
salisburghese iniziò la partitura a Bologna il 29 settembre 1770, per
concluderla a Milano in tempo perché venisse allestita per
l’inaugurazione della stagione di carnevale, il 26 dicembre dello stesso
anno.
Il libretto, scritto originariamente da Vittorio Amedeo Cigna-Santi per la
musica di Quirino Gasparini (al Regio di Torino, nel 1767: per l’Opera
mozartiana venne nuovamente scritturato proprio il cast di
quell’allestimento), era stato tratto con inappuntabile abilità e
competenza, in base ai canoni del melodramma metastasiano, dalla
tragedia Mithridate (1673) di Racine, disponibile attraverso la traduzione
italiana di Giuseppe Parini. L’opera ottenne, come scrisse lo stesso Parini
su ‘La Gazzetta di Milano’, un caloroso successo, sancito da venti
repliche.
Al centro della vicenda è il conflitto tra Mitridate e i suoi due figli per la
mano di Aspasia, conflitto risolto con l’irrealistica conciliazione dei due
fratelli e la ‘redenzione’ finale del crudele tiranno.
La musica del giovane Mozart conferisce insolita intensità emotiva alla
rappresentazione degli affetti tipici dell’Opera seria (l’ira del re, la
disperazione delle vittime, l’infelicità degli amanti). L’energia e la
violenza che il compositore profonde in questi momenti è esaltata
dall’impiego frequentissimo del recitativo accompagnato (per ben sette
volte), voce dell’inquietudine perenne dei personaggi, che si risolve in
arie di varia struttura: incalzanti e convulse, come quella di Aspasia "Nel
sen mi palpita", o ambigue e tormentate nella loro stesura, come l’aria di
sortita di Mitridate "Se di lauri il crine adorno", passata attraverso
almeno quattro rielaborazioni successive.
Un ben diverso clima di serenità estatica è riscontrabile nelle arie del
secondo atto degli amanti Sifare (l’ampia "Lungi da te mio bene", con
un’evocativa parte di corno obbligato) e Aspasia ("Nel grave tormento");
a quest’ultima spetta anche la topica, drammatica cavatina
"Pallid’ombre" nella scena del veleno, mentre l’orchestra riceve il debito
317
tributo in pagine importanti, come l’elaborata marcia che accompagna lo
sbarco di Mitridate nel primo atto.
"Mozart, Signori il catalogo è questo", a cura di Amedeo Poggi e
Edgar Vallora,
edito da Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino 1991, pag. 113
318
La Cantata Die Maurerfreude ("La gioia massonica") è una di queste.
Essa fu composta a Vienna il 20 aprile 1785, in previsione della
cerimonia di conferimento del titolo di "Cavaliere dell'Impero" a Ignaz
von Born, guida spirituale della Massoneria viennese, per le sue scoperte
in campo scientifico: a ciò alludono i versi del testo di F. Petran, che
iniziano con le parole "Il vedere come la natura scopra il suo volto /
all'occhio del tenace ricercatore / questa è la delizia degli occhi dei
massoni".
La solenne funzione si tenne il 24 aprile presso la Loggia "Zur gekrönte
Hoffnung" ("La speranza coronata"), alla quale erano affiliati sia Mozart
sia suo padre Leopold.
La splendida pagina, che appoggia la voce del tenore su una
strumentazione delicata (archi, oboi, clarinetti, corni) nella tonalità
massonica per eccellenza di mi bemolle maggiore, mostra non solo tutta
la serietà e l'entusiasmo del musicista nei confronti degli omaggi
massonici, ma afferma anche un canto libero e personale all'interno del
rigore cerimoniale.
Sergio Sablich
319
EINE KLEINE DEUTSCHE KANTATE
(UNA PICCOLA CANTATA TEDESCA)
Cantata massonica in do maggiore per soprano e pianoforte, K 619
321
La musica assume un carattere fermo e deciso e non mancano accenti dolci e persuasivi,
laddove si insiste sui valori morali della vita. L' Allegro sottolinea la stretta finale
in un clima di brillante e ottimistica fede nel futuro. Il clima espressivo
dell'intero pezzo ricorda le ultime scene della Clemenza di Tito e non va
dimenticato che nello stesso periodo Mozart era impegnato nella stesura
del Flauto magico K. 620, in cui è racchiuso, con ben più profondi esiti
musicali, il suo credo artistico e umano, proiettato in una sfera di alta
idealità morale e filosofica.
Testo
Recitative:
Recitativo:
Die ihr des unermeßlichen Weltalls
Voi che adorate il creatore
Schöpfer ehrt,
dell'immensurabile universo,
Jehova nennt ihn, oder Gott,
lo chiamiate Jehova, o Dio,
nennt Fu ihn, oder Brahma,
o Fu, o Brahma,
Hört! hört Worte aus der Posaune
ascoltate! Ascoltate parole dal
des Allherrschers!
trombone
Laut tönt durch Erden, Monde,
celeste dell'Onnipotente!
Sonnen
Forte risuona per terre, lune ed astri
ihr ewger Schall,
il suo suono eterno,
Hört Menschen, hört, Menschen, sie
ascoltatelo, uomini, anche voi!
auch ihr!
Andante
Andante Amatemi nelle mie opere,
Liebt mich in meinen Werken, amate l'ordine, la proporzione, la
Liebt Ordnung, Ebenmaß und consonanza!
Einklang! Amatevi, amate voi stessi e i vostri
Liebt euch selbst und eure Brüder! fratelli!
Körperkraft und Schönheit sei eure Forza fisica e bellezza siano i vostri
Zier, scopi,
Verstandeshelle euer Adel! chiarezza di comprensione la vostra
Reicht euch der ewgen Freundschaft nobiltà!
Bruderhand, Porgetevi la mano fraterna
Die nur ein Wahn, nie Wahrheit dell'eterna amicizia,
euch so lang entzog! che solo una follia, mai verità, potrà
mai allontanare!
322
Allegro
Zerbrechet dieses Wahnes Bande, Allegro
Zerreißet dieses Vorurteiles Spezzate questi vani legami,
Schleier, strappate questo velo del
Enthüllt euch vom Gewand, pregiudizio,
Das Menschheit in Sektiererei spogliatevi dalle vesti
verkleidet! che coprono l'umanità settaria!
Zu Sicheln schmiedet um das Eisen, In falci viene forgiato il ferro,
Das Menschen-, das Bruderblut che fin ora ha versato il sangue
bisher vergoß! degli uomini, dei fratelli!
Zersprenget Felsen mit dem Spezzate le rocce col nero bastone,
schwarzen Staube, che spesso spara piombo nel cuore
Der mordend Blei ins Bruderherz del fratello!
oft schnellte!
Andante
Wähnt nicht, daß wahres Unglück Andante
sei auf meiner Erde! Non abbiate lo stolto pensiero che la
Belehrung ist es nur, die wohltut, vera infelicità esista sulla mia terra!
Wenn sie euch zu bessern Taten E' solo l'insegnamento che fa bene,
spornt, se vi sprona ad azioni migliori,
Die Menschen, ihr in Unglück voi uomini, che errate nell'infelicità,
wandelt, quando dementi e ciechi andando
Wenn töricht blind ihr rückwärts in indietro trovate spine,
den Stachel schlagt, deve spingervi sempre avanti,
Der vorwärts, vorwärts euch avanti.
antreiben sollte.
Andante Andante
Seid weise nur, seid kraftvoll und Siate saggi, siate forti e siate
seid Brüder! fratelli!
Dann ruht auf euch mein ganzes Allora sia su voi tutto il mio favore,
Wohlgefallen, allora lacrime di gioia vi righeranno
Dann netzen Freudenzähren nur die le guance,
Wangen, allora i vostri lamenti diverranno
Dann werden eure Klagen canti di gioia,
323
Jubeltöne, allora i deserti si trasfromeranno per
Dann schaffet ihr zu Edens Tälern voi in valli paradisiache,
Wüsten, allora tutto riderà per voi nella
Dann lachet alles euch in der Natur, natura,
Allegro Allegro
Dann ist's erreicht, des Lebens allora sarà raggiunta la vera felicità
wahres Glück! della vita!
324
assegnano all'«aria di sdegno» una interpretazione musicale di impronta
virtuosistica, «Non curo l'affetto» comporta una scrittura vocale assai
impegnativa.
Nella parte principale, la disinvolta cantabilità della prima e della terza
intonazione del testo traduce il tono di scherno con cui Creusa si rivolge
a Cherinto; l'espressione dello sdegno in sé trova piuttosto sfogo nei
lunghi vocalizzi della seconda e nella quarta intonazione.
Nella parte secondaria, in minore e accompagnata dai soli archi,
l'incedere franto degli incisi e delle frasi sembra invece mirato a
rappresentare con derisione un terzo aspetto affettivo: l'indecisione e il
timore di Cherinto, «timido amante [...] che trema se deve / far uso del
brando».
Cesare Fertonani
Testo
325
MISERO ME... MISERO PARGOLETTO
Aria in mi bemolle maggiore per soprano ed orchestra, K1 77 (K6
73e)
326
Testo
327
Testo tratto dallo speciale della rivista Amadeus, Ottobre 1995
328
Testo
Testo
330
VOI AVETE UN COR FEDELE, K 217
Aria in sol maggiore per soprano ed orchestra
Testo
331
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 9 maggio 1992
CARLO GOLDONI
332
AH, LO PREVIDI! AH, T'INVOLA AGL'OCCHI MIEI, K 272
Recitativo, aria e cavatina in do minore per soprano ed orchestra
333
Testo
ANDROMEDA
Ah, lo previdi !
Povero Prence, con quel ferro istesso
che me salvò, ti lacerasti il petto.
(ad Eristeo)
Ma tu si fiero scempio perché non impedir?
335
sono strettamente collegate alla bravura del cantante o della cantante per
cui erano scritte.
Delle sue 57 Arie in stile concertante 33 sono per soprano, una per
soprano e tenore, 12 per tenore, una per due tenori, una per contralto e 5
per basso. I brani utilizzano in gran parte testi italiani, eccetto 2 arie per
soprano (K. 383 e K. 580), una per basso (K. 433), una per tenore (K.
435) e l'aria per due tenori (K. 389). Da ciò si deduce che Mozart aveva
una predilezione per la voce di soprano, tanto è vero che molti pezzi di
questo tipo furono scritti per cantanti, quali Aloysia Weber, Josepha
Duschek, Nancy Storace ed Henriette Baranius. Nella stessa musica
vocale sacra affiora questa preferenza; anche quando contralto, tenore e
basso sono aggiunti come voci solistiche, la parte del soprano è più ricca,
se non raddoppiata, come ad esempio nella Messa in do minore K. 427.
Esempio del gusto vocalistico mozartiano è la pagina scritta su testo di
Metastasio, il poeta più rappresentativo del melodramma settecentesco.
Si compone di recitativo e aria: «Basta vincesti, eccoti il foglio»
(recitativo) «...Ah, non lasciarmi, no» (aria) utilizza versi della Didone
abbandonata ed è scritta per soprano, due flauti, due fagotti, due corni e
archi (reca la data del 27 febbraio 1778, Mannheim). La caratteristica
musicale della due composizione è data dalla freschezza e dalla
semplicità dell'invenzione melodica, come espressione di un sentimento
affettuosamente amoroso, in linea con il neo-classicismo della poesia
metastasiana. Il Recitativo e Aria K. 486a è articolato in un Andantino,
un Allegretto e un Andantino espressivo, con ritorno al primo tempo
(Allegretto).
Testo
336
Di vita mancherei nel dirti addio,
che viver non potrei fra tanti affanni!
POPOLI DI TESSAGLIA...
IO NON CHIEDO, ETERNI DEI, K1 316 (K6 300B)
Recitativo ed aria in do maggiore per soprano ed orchestra
337
presenza di qualche importante solista di canto era frequente, ed è ovvio
che il virtuoso dovesse figurare al meglio delle sue possibilità, mettendo
in mostra tutte le risorse della propria tecnica.
RANIERI DE'CALZABIGHI
338
adeguò in più occasioni disciplinatamente a tale prassi, ad esempio per il
Don Giovanni, Opera che, nata a Praga nel 1787, venne arricchita l'anno
seguente a Vienna di nuove pagine: l'aria «Dalla sua pace» e il duetto
«Per quelle tue manine» che compensavano gli interpreti di Don Ottavio
e Leporello della soppressione delle arie «Il mio tesoro» e «Ah pietà
signori miei» (venne aggiunta inoltre l'aria «Mi tradì quell'alma ingrata»
per Elvira).
In mancanza dell'autore della vecchia Opera nella nuova città, a operare
gli indispensabili aggiustamenti provvedeva qualche compositore locale;
il quale era ovviamente tenuto in primo luogo a venire incontro a tutte le
esigenze ed i capricci dei nuovi virtuosi. Mozart non disdegnò in più
occasioni di fornire nuova musica per Opere di compositori di moda,
allora più rinomati di lui, come Cimarosa, Paisiello, Pasquale Anfossi,
Vicente Martin y Soler. Difficile valutare se il compositore si sia sforzato
in queste occasioni di rientrare appieno nel contesto drammatico
dell'Opera; certamente le pagine pensate come "sostitutive" non
differiscono molto nell'impostazione dalle arie da concerto; in entrambi i
casi l'obiettivo era quello di valorizzare al massimo i mezzi vocali, il
gusto, le propensioni del cantante destinatario.
Delle tre arie le prime due - «Popoli di Tessaglia», - «Io non chiedo
eterni Dei» K. 316/300b; e «Mia speranza adorata», «Ah non sai qual
pena» K. 416 - nacquero come arie da concerto, mentre la terza - «Vorrei
spiegarvi, oh Dio» K. 418 - nacque invece come aria sostitutiva. Tutti e
tre i brani furono pensati però "su misura" per i mezzi straordinari di una
virtuosa che giocò un ruolo non episodico nella vita personale e
professionale del compositore, Aloysia Weber, poi maritata Lange.
Mozart conobbe Aloysia sul finire del 1777 a Mannheim, prima
importante \tappa del lungo viaggio che avrebbe portato il compositore
ventiduenne a Parigi. Figlia di un copista di musica, Aloysia aveva sedici
anni ed era già una cantante perfettamente formata. Fra i due sbocciò
una passione, sembra, ricambiata; Mozart decise di portare Aloysia in
Italia per farla diventare una prima donna e scrisse questa sua intenzione
al padre, rimasto a Salisburgo, causandone le ire. L'autorità paterna ebbe
la meglio e il giovane parti per Parigi sotto il controllo della madre.
Di ritorno dalla deludente - per i risultati professionali - e dolorosa - per
la morte della madre - esperienza parigina, Mozart si fermò a Monaco nel
339
dicembre 1778, per ritrovare Aloysia; ma la virtuosa aveva ormai altre
ambizioni, e trattò con sostanziale freddezza quello spasimante che non
era in grado di garantirle una adeguata carriera.
ALOYSIA WEBER-LANGE
340
Aloysia sposò nel 1780 un attore della corte viennese, Joseph Lange, e
divenne una autentica star della capitale dell'impero; Mozart sposò
invece la sorella di Aloysia, Constanze; logico che i rapporti con quella
che era nel frattempo divenuta sua cognata avessero frequenti risvolti
professionali.
Tutte queste vicende sono, d'altronde, notissime; e non varrebbe la pena
di ricordarle se non aiutassero a spiegare la nascita delle tre arie K. 316,
416 e 418.
L'aria «Popoli di Tessaglia», «Io non chiedo», scritta sul testo che
Ranieri de' Calzabigi aveva steso per l'Alceste di Gluck (la situazione è
quella dell'eroina che aggiorna il popolo sulle disperate condizioni dello
sposo Admeto), fu scritta da Mozart a Parigi, nel periodo intercorso fra
l'incontro con Aloysia e la disillusione; sebbene l'autografo rechi la data
dell'8 gennaio 1779, è verosimile che l'aria fosse pressoché definita nelle
sue linee generali quando Mozart giunse a Monaco, un paio di settimane
prima.
Si trattava infatti di un vero e proprio dono di fidanzamento ad Aloysia,
preannunciato in una lettera del 30 luglio 1778 in cui il compositore si
rivolge alla virtuosa in lingua italiana, la lingua che usava per le
occasioni più elette e preziose: «[...] e con quella occasione avrà anche il
Popolo di Tessaglia, ch'è già mezzo Terminato - se lei ne sarà si contenta
- comme lo son io - potrò chiamarmi felice. - intanto, sinché avrò la
soddisfazione di sapere di lei stessa l'incontro che avrà avuta questa
scena appresso di lei s'intende, perché siccome l'ho fatta solamente per
lei - così non desidero altra Lode che la sua; intanto dunque non posso
dir altro, che, tra le mie composizioni di questo genere - devo confessare
che questa scena è la migliore ch'ho fatto in vita mia».
Giudizio impegnativo, questo, ma nell'insieme condivisibile anche
tenendo presenti le successive arie da concerto del compositore. Già
l'introduzione strumentale, un Andantino sostenuto e languido, crea una
ambientazione concentrata e dolorosa con pochissimi dettagli; e tutto il
recitativo procede attraverso sofferte trascolorazioni. Segue un
Andantino sostenuto e cantabile impreziosito dal rilievo di oboe e
fagotto, che presto intrecciano le loro linee con i teneri gorgheggi del
soprano, in uno scambio continuo di ruoli. Si arriva così all'Allegro assai,
dove il virtuosismo diventa espressione della disperazione dell'eroina; la
341
voce del soprano viene impegnata in lunghe tenute di fiato e rapidissime
terzine, e viene spinta fino all'altezza del sol sovracuto.
Ciò che rende davvero magistrale questa scena e aria nel suo insieme è la
perfetta valorizzazione di tutti i diversi aspetti dell'arte della cantante, da
quello elegiaco a quello virtuosistico, ma in assoluta coincidenza con le
diverse situazioni drammatiche proposte dal testo poetico, in modo che
l'intera scena si sviluppi attraverso una lievitazione espressiva.
Testo
ALCESTE
342
ma il mio duol consoli almeno
qualche raggio di pietà.
La scena e aria «Mia speranza adorata - Ah non sai qual pena sia» -
è su testo di Gaetano Sertor, scritto in origine per la Zemira di Anfiossi;
la situazione è quella dell'eroe Gandarte che si separa dalla sua sposa.
343
ALOYSIA WEBER-LANGE
Testo
GENDARTE
345
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 23 febbraio 1997
346
102 sono state messa in musica dal Sig.r Maestro Mozart, per
compiacere la Sig.ra Lange, non essendo quelle state scritte dal Sig.
Maestro Anfossi secondo la di lei abilità, ma per altro soggetto. Questo
si vuole far noto perché ne vada l'onore a chi conviene, senza che
rimanga in alcuna parte pregiudicata la riputazione e la fama del già
molto cognito Napoletano".
PASQUALE ANFOSSI
347
Adamberger per convincerlo a non eseguire l'Aria per lui composta -
testimoniano le difficoltà incontrate da Mozart nel proporsi a Vienna
come autore d'Opera, obiettivo perseguito con tenacia fino all'incontro
con Da Ponte - quasi tre anni più tardi -, attraverso una serie di tentativi
rappresentati da Opere mai portate a termine quali L'oca del Cairo K.
422, Lo sposo deluso K. 430, o rimaste allo stato di abbozzo, come il
Terzetto Del gran regno delle Amazzoni K. 434, e infine dagli interventi
in Opere di altri compositori quali il Quartetto K. 479 e il Terzetto K.
480 per La villanetta rapita di Francesco Bianchi o le Arie K. 418, K.
419 e K. 420 per Il curioso indiscreto di Anfossi: preziose occasioni per
mettersi in luce in un repertorio considerato appannaggio esclusivo degli
italiani.
Questi interventi mozartiani, generalmente inclusi tra le Arie da concerto
- quindi decontestualizzati -, vanno invece necessariamente rapportati
all'Opera cui erano originariamente destinati.
Il curioso indiscreto era stata rappresentata con successo nell'agosto
1778 all'Académie Royale de Musique di Parigi: è l'unico lavoro di
Anfossi cui Mozart sicuramente assistette nei mesi del suo soggiorno
nella capitale francese, e che l'argomento su cui è imperniata l'Opera
avesse colpito l'immaginazione di Mozart trova conferma nella
corrispondenza di situazioni che accomunano questo dramma giocoso a
Così fan tutte.
Le due Arie sostituite con più frequenza nei numerosi allestimenti in città
italiane che precedono quello viennese sono quelle di Clorinda nella
sesta scena del primo atto e quella del Contino di Ripaverde nella quarta
scena del secondo atto: si tratta di Ah spiegarti o Dio vorrei e Per pietà
non ricercate, cioè proprio le Arie che Mozart rimusicherà a Vienna per
la cognata Aloysia e per Adamberger; questi interventi mozartiani si
collocano dunque nei "punti deboli" dell'Opera di Anfossi, già
evidenziati dalle sostituzioni avvenute nei precedenti allestimenti.
Nel giugno del 1783 Mozart aveva posto in musica in forma di Lied per
canto e pianoforte (Ah, spiegarti o Dio vorrei K. 178) le prime due
quartine del testo originale dell'Aria di Clorinda, quello utilizzato da
Anfossi. Il Lied rappresenta probabilmente un primo tentativo,
abbandonato poi per la nuova versione del tutto differente, la bellissima
Aria Vorrei spiegarvi o Dio! K. 418, cui sono state apportate
348
significative modifiche testuali. L'Aria conclude la scena in cui Clorinda,
soggiogata dalle avances del Contino, è intimamente combattuta tra il
trasporto che prova per lui e il senso del dovere che l'induce a
respingerlo. Mozart ha ritenuto il testo originale non adeguato a rendere
la situazione che si intendeva esprimere: un amore che si vorrebbe
dichiarare ma che si è costretti a tacere.
MYUNG-WHUN CHUNG
349
distintamente la presenza dietro le quinte di un Mozart grande uomo di
teatro.
Apre il brano l'Adagio, con un'introduzione orchestrale di undici battute,
in cui sul pizzicato "con sordino" degli archi e i lunghi accordi tenuti dei
fagotti e dei corni, si distendono i nostalgici accenti dell'oboe primo, che
espone la melodia, di limpida bellezza, ripresa dall'entrata del soprano.
È sulla parola "affanno", ripetuta per tre volte, che si ha il primo
crescendo emotivo; l'acme espressivo giunge sulla parola "piangere",
dove si fa più serrato il dialogo imitativo tra la voce umana e quella
dell'oboe, quasi quest'ultimo esprimesse la voce più intima, non legata
alla parola, dell'animo diviso della protagonista.
Conclusasi l'esposizione sulla dominante inizia una sezione modulante
costruita sulla seconda quartina di versi, caratterizzata da salti più arditi
quali la decima discendente sull'aggettivo "cruda".
Segue la ripresa variata della prima parte, dove una diversa
armonizzazione degli archi dà una sfumatura più tenera a questo inciso.
Quando si arriva nuovamente alla parola "piangere", vero nucleo
emotivo di tutto il brano, ci sorprende un lungo do naturale, improvvisa
virata nel modo minore, da cui parte quasi un lamento straziante - ripreso
dall'oboe - che ascende per piccoli incisi fino a tramutarsi in un grido
disumano sul mi sovracuto, dall'effetto quasi strumentale, per poi
precipitare, risalire, discendere ancora fino alla sospensione sulla
dominante: qui, con un repentino cambio di carattere, attacca l'Allegro,
costruito sulla seconda parte del testo, per brevi incisi, sul palpitante
fremito in crome degli archi.
Segue l'indicazione più allegro: comincia la scintillante coda conclusiva,
con le uniche concessioni al virtuosismo vocale, di grande effetto
specialmente negli arditissimi cambi improvvisi di registro dovuti agli
ampi salti melodici.
Federico Pirani
350
Testo
Ah conte, partite,
correte, fuggite,
lontano da me.
La vostra diletta
Emilia v'aspetta;
languir non la fate,
è degna d'amor.
Ah stelle spietate!
Nemiche mi siete.
Mi perdo s'ei resta.
Partite, correte,
D'amor non parlate,
è vostro il suo cor.
351
MÄNNER SUCHEN STETS ZU NASCHEN, K1 433 (K6 416C)
Aria in fa maggiore per basso ed orchestra
Abbozzo incompiuto
AMMONIMENTO
Doch das Naschen vor dem Essen Tuttavìa mangiucchiare prima del
nimmt den Appetit. pasto
Manche kam, die das vergessen toglie l'appetito.
um den Schatz, den sie besessen Taluna che se ne era dimenticata
und um ihren Liebsten mit. perdette il tesoro che aveva
posseduto,
Väter, lasst euch's Warnung sein, fra tutti il più caro.
sperrt die Zuckerplätzchen ein,
sperrt die jungen Mädchen, Padri, ascoltate l'ammonimento,
die Zuckerplätzchen ein, rinchiudete i vostri zuccherini,
sperrt sie ein. rinchiudete le giovanette,
i vostri zuccherini,
rinchiudeteli!
352
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 10 novembre 1967
353
Testo
Ilia:
Non più. Tutto ascoltai, tutto compresi.
D'Elettra e d'Idamante noti sono gli amori,
al caro imegno omai mancar non dei,
va, scordati di me, donati a lei.
Idamante:
Ch'io mi scordi di te? Che a lei mi doni
Puoi consigliarmi? E puoi voler ch'io viva?
Ilia:
Non congiurar, mia vita,
Contro la mia costanza!
Il colpo atroce mi distrugge abbastanza!
Idamante:
Ah no, sarebbe il viver mio di morte
Assai peggior! Fosti il mio primo amore,
E l'ultimo sarai. Venga la morte!
Intrepido l'attendo, ma ch'io possa
Struggermi ad altra face, ad altr'oggetto
Donar gl'affetti miei,
Come tentarlo? Ah! di dolor morrei!
355
ROSALIND PLOWRIGHT
356
Testo
357
MENTRE TI LASCIO, O FIGLIA, K 513
Aria in mi bemolle maggiore per basso ed orchestra
358
Testo
359
alcune reminiscenze di quest'Opera, anche se possiede una sua linea
espressiva autonoma. Il recitativo iniziale è un Andante in mi minore
affidato agli archi.
Subentra poi l'aria Bella mia fiamma, addio! accompagnata dal flauto,
dagli oboi, dai contrabbassi e dai corni e improntata ad un sentimento di
serenità, sino alla frase «Acerba morte», in cui si spezza il clima di
assorta contemplazione attraverso una serie di accordi cromatici. Si
ritorna al primo tema con nuove modulazioni e la tensione si fa più viva
nell'Allegro e sulle parole «Vieni, affretta la vendetta», in cui si richiama
l'atmosfera un pò concitata del Don Giovanni, tra stati d'animo
contrastanti e alternati fra di loro. E' una grande aria non soltanto di
bravura, ma puntata sulla schiettezza e la passionalità dei sentimenti
umani.
Testo
360
Quest'affanno, questo passo
è terribile per me.
Ah, dov'è il tempio? dov'è l'ara?
Vieni affretta la vendetta!
Questa vita così amara
più soffribile non è.
Oh cara, addio per sempre!
361
Subentra poi l'aria Bella mia fiamma, addio! accompagnata dal flauto,
dagli oboi, dai contrabbassi e dai corni e improntata ad un sentimento di
serenità, sino alla frase «Acerba morte», in cui si spezza il clima di
assorta contemplazione attraverso una serie di accordi cromatici.
ROSALIND PLOWRIGHT
362
Si ritorna al primo tema con nuove modulazioni e la tensione si fa più
vìva nell'Allegro e sulle parole «Vieni, affretta la vendetta», in cui si
richiama l'atmosfera un pò concitata del Don Giovanni, tra stati d'animo
contrastanti e alternati fra di loro. E' una grande aria non soltanto di
bravura, ma puntata sulla schiettezza e la passionalità dei sentimenti
umani.
Testo
363
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 7 febbraio 1982,
direttore Wilfried Boettcher, soprano Rosalind Plowright
364
l'ingrato amante, mentre l'aria assume un tono più incisivamente
espressìvo, per concludersi con la frase dei violini sul tema dell'Allegro
assai.
ROSALIND PLOWRIGHT
365
Testo
366
LORENZO DA PONTE
367
Testo
L'aria di Mozart "Chi sa, chi sa qual sia" K. 582 non fu in realtà
concepita dall'autore come aria "da concerto" - ossia destinata già in
origine ad essere cantata da qualche virtuoso committente all'interno di
una "accademia", nome che veniva dato ai lunghissimi trattenimenti
musicali che, secondo l'uso dell'epoca, alternavano diversi esecutori e
diversi generi compositivi. Ebbe invece la prima esecuzione all'interno di
un'Opera teatrale, che era invece un lavoro di un altro compositore, Il
burbero di buon cuore di Vicente Martin y Soler.
Che Mozart abbia aderito senza sdegnarsi, in questa come in molteplici
altre occasioni, alla prassi di aggiungere propria musica ad Opere di altri
autori - allora più rinomati di lui, come Cimarosa, Paisiello, Pasquale
368
Anfossi, e lo stesso Martin y Soler - è cosa che non deve stupire. La
prassi delle arie "sostitutive" si inserisce infatti compiutamente in un
sistema produttivo, quale quello dell'Opera del Settecento, incentrato
principalmente sulla figura del cantante.
LORENZO DA PONTE
369
Il passaggio di un'Opera da una piazza teatrale a un'altra, o anche la
ripresa a distanza di tempo nella stessa città comportava il suo
adattamento alla situazione contingente, alle nuove esigenze di una
differente compagnia di canto. Da qui nasceva la prassi - considerata
all'epoca del tutto legittima, con buona pace dei sempre vigili cultori
dell'unità dell'Opera d'arte - di inserire all'interno di un'Opera vecchia
un'aria nuova, confezionata su misura per il virtuoso disponibile sulla
piazza.
In mancanza dell'autore della vecchia Opera nella nuova città o in
occasione della ripresa, a operare gli indispensabili aggiustamenti
provvedeva qualche compositore locale; il quale era ovviamente tenuto
in primo luogo a venire incontro a tutte le esigenze ed i capricci dei
nuovi virtuosi.
Quando Il burbero di buon cuore di Martin y Soler, che aveva debuttato
a Vienna nel gennaio 1786, venne ripreso nella stessa città, il 9 novembre
1789, toccò dunque a Mozart fare i cambiamenti del caso, con il
probabile sostegno di Lorenzo da Ponte per i nuovi testi poetici.
Ecco insomma che "Chi sa, chi sa qual sia" K. 582 venne espressamente
pensata (insieme a un'altra pagina destinata sempre al Burbero, "Vado,
ma dove?" K. 583) per i mezzi di Louise Villeneuve, una cantante
appena entrata nella compagnia viennese e passata alla storia per essere
stata, nel gennaio 1790, la prima interprete del ruolo di Dorabella in Così
fan tutte (per lei Mozart aveva già scritto un'altra aria sostitutiva, "Alma
grande e nobil core" K. 578, da inserirsi, nell'agosto 1789, ne I due
baroni di Rocca azzurra di Cimarosa). Ben poche sono le notizie
biografiche accertate intorno a questa interprete. Si è ipotizzato - senza in
realtà grande fondamento - che fosse la sorella di Adriana Ferrarese del
Bene (pseudonimo di Francesca Gabrieli; una grande virtuosa nativa di
Ferrara, che fu la prima Fiordiligi in Così fan tutte).
E noto come, prima di entrare a far parte, nel 1789, della compagnia del
Burgtheater di Vienna, la Villeneuve avesse cantato nel 1787-88 a
Venezia presso il Teatro San Moisè. Si può aggiungere ora - come dato
inedito - che, con altri membri del Burgtheather - i coniugi Bussani,
interpreti di Alfonso e Despina in Così fan tutte - si trasferì in seguito a
Roma, dove fu attiva al Teatro Valle negli anni Novanta del secolo. Non
arrivò comunque mai ad essere una grande virtuosa, e la scrittura vocale
370
della parte di Dorabella mostra come potesse vantare buona tecnica e
sicuro carattere, anche se non una grande estensione vocale.
DOMENICO CIMAROSA
371
Nella sua brevità "Chi sa, chi sa qual sia", sviluppa nel modo migliore
queste caratteristiche vocali.
L'aria viene intonata dal personaggio di Madama Lucilla, moglie
sfortunata di Giocondo, assillato dai debiti ma ben deciso ad imporre alla
moglie di non immischiarsi dei suoi affari familiari; e la sposa si
domanda così quale sia la causa della collera del marito.
Si tratta di un Andante che dipinge mirabilmente l'agitazione del
personaggio, con il suo fraseggio spezzato, le improvvise colorature, le
ombreggiature armoniche, nonché il fitto ordito dei fiati che si
intrecciano con il soprano. In definitiva una patina che, all'interno del
Burbero, non deve aver mancato di fare il suo effetto e di garantire i
meritati applausi alla solista.
Arrigo Quattrocchi
Testo
MADAMA LUCILLA
372
LIEDER CON
ACCOMPAGNAMENTO DI PIANOFORTE
Attribuzione incerta
Ridente la calma
Ridente la calma nell'alma si desti
Né resti più segno di sdegno e timor.
Tu vieni frattanto a stringer mio bene
Le dolci catene si grate al mio cor.
373
OISEAUX, SI TOUS LES ANS, K1 307 (K6 284D)
Aria in do maggiore per soprano e pianoforte
Testo
Il Lied Das Veilchen possiede uno dei requisiti principi della storia
del genere, un testo letterario tedesco e per di più del sommo poeta
tedesco, Goethe, benché Mozart ne fosse all'oscuro. Composto a Vienna
nel giugno del 1785 e divenuto il più famoso brano da camera di Mozart,
è un bozzetto a metà fra l'idillio e la piccola scena, che s'intorbida quando
la ragazza calpesta inavvertitamente nel prato la violetta, la quale pur
avrebbe voluto esser colta per venir amorosamente stretta al petto, ma
non si dispera di morire perché questo almeno accade ai piedi della
fanciulla.
Di ciò che sarà caratteristico nel Lied romantico abbiamo qui, al
pianoforte, il ritmo leggiadro evocante il passo della ragazza, la
trasposizione del suo canto spensierato nonché il ripiegamento
dell'armonia nel fatale attimo in cui la violetta è calpestata: ma sono
requisiti, pur nella concentrata ricchezza dell'invenzione mozartiana, che
troveranno il loro pieno dispiegamento soltanto con Schubert.
Giangiorgio Satragni
375
Testo
Das Veilchen
376
JOHANN WOLFGANG VON GOETHE
377
ALS LUISE DIE BRIEFE EINES UNGETREUEN LIEBHABERS
VERBRANNTE, K 520
Lied in do minore per soprano e pianoforte
Testo
Als Luise die Briefe ihres Quando Luisa bruciò le lettere del
ungetreuen suo
Liebhabers verbrannte amante infedele
Testo
380
JOHANN HEINRICH CAMPE
381
OUVERTURES, CASSAZIONI, SERENATE,
DIVERTIMENTI PER ORCHESTRA
ADAGIO IN MI MAGGIORE
PER VIOLINO ED ORCHESTRA, K 261
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
Adagio (mi maggiore)
Organico: violino solista, 2 flauti, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, autunno - Inverno 1776
Edizione: Andrè, Offenbach 1801
382
Nella musica profana e sacra, strumentale e vocale, teatrale e da
concerto, sinfonica e da camera, seria o buffa egli è riuscito a lasciare il
segno della sua genialità. Non a caso Massimo Mila ritiene che l'arte di
Mozart è «un mare dove confluiscono e convivono pacificamente le più
disparate tendenze del suo secolo.
Anche in questo egli rassomiglia a Raffaello, cui viene sempre
paragonato per la levigata perfezione esteriore e per l'assoluta finitezza
formale. Artisti compendiatori e coronatori di un'epoca, artisti la cui
forza è forza di civiltà, non di primitiva barbarie: e civiltà è prima di tutto
conservazione, religiosa pietà di ciò che è stato prima di noi e che ha
contribuito a crescerci quali siamo.
Vi sono artisti ribelli ed essenzialmente rivoluzionari che nelle epoche di
lotta e di trasformazione svolgono un lavoro prezioso di demolizione
delle vecchie sovrastrutture, dei pregiudizi ritardatori, e sbarazzano il
terreno per la manifestazione di un ordine nuovo.
E vi sono artisti, invece, i quali edificano la casa dell'uomo, cioè la
civiltà, sopra quanto rimane dei vecchi edifici, utilizzando tutti i mattoni
salvabili dalle rovine, trovando con naturale spontaneità la conciliazione
e la continuità fra le testimonianze del passato e le esigenze del
presente».
Mozart appartiene certamente a questa seconda categoria di compositori
e la sua immensa produzione si distende idealmente fra i due estremi
della facilità galante e dello stile severo dettato dalla polifonia
strumentale, inglobando le posizioni intermedie comprese tra il
linguaggio brillante ed eclettico delle opere teatrali e delle composizioni
vocali e l'impegno rigoroso della scrittura Quartettistica.
Ma, al di là di queste classificazioni tecniche, ciò che conta è la sigla
espressiva della musica di Mozart, dove l'allegrezza si sposa alla
malinconia, il sorriso spunta tra le lacrime e il senso «di ilarità e di
umorismo fa capolino tra le pieghe della tristezza. Un'arte semplice e
lineare in apparenza, ma dai risvolti complessi e profondi, dove l'animo
umano si specchia e si osserva alla ricerca dela propria misteriosa
identità.
383
SANZIO RAFFAELLO
384
***
L'autografo dell'Adagio in mi maggiore K. 261 reca semplicemente
questa indicazione: «Adagio di A. W. Mozart, 1776», ma si ritiene che
questo brano sia stato composto nell'estate del 1776, in quanto c'è una
lettera scritta da Leopold Mozart in questo periodo al figlio per
ricordargli l'impegno a scrivere un Adagio e un Rondò per Brunetti,
violinista della corte di Salisburgo.
Dal canto suo Brunetti si era lamentato delle difficoltà incontrate nel
suonare certi adagi mozartiani e aveva sollecitato il musicista a comporre
altri pezzi più facili. Naturalmente Mozart volle soddisfare tale desiderio
e compose questo Adagio per violino con accompagnamento di due
flauti, due corni e archi, che è tra le opere più caratteristiche
dell'inventiva del salisburghese. Infatti tutto scorre con una purezza di
canto e una freschezza melodica di penetrante effetto, su un
accompagnamento molto discreto dell'orchestra.
L'Adagio si apre con un preludio di quattro misure, con l'orchestra che
disegna una frase cantabile ripresa poi dal violino. Nel gioco tra il solista
e il Tutti si inserisce un altro tema che ha la funzione di sviluppare
l'intero discorso musicale, arricchito da una serie incessante di
modulazioni strumentali.
Il violino solista si abbandona alla cadenza virtuosistica prima che si
giunga alla coda in cui si riascolta il tema del preludio. Il brano è
esemplare nella sua semplicità e non si può negare alla piccola orchestra
una tessitura timbrica di toccante poesia.
Arrigo Quattrocchi
385
CASSAZIONE N. 2 IN
SI BEMOLLE MAGGIORE, K1 99 (K6 63A)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Marcia (si bemolle maggiore)
2. Allegro molto (si bemolle maggiore)
3. Andante (mi bemolle maggiore)
4. Minuetto e Trio (si bemolle maggiore)
5. Andante (sol minore)
6. Minuetto e Trio (si bemolle maggiore)
7. Allegro - Andante - Allegro (si bemolle maggiore)
Organico: 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, estate 1769
IL PICCOLO MOZART
387
Occorre dunque figurarsi un simile contesto per collocare la Cassazione
K. 99/63a e per spiegare l'intonazione lieta e disimpegnata del suo
contenuto, svolto da Mozart non solo con l'ineccepibile artigianato che
contraddistingue comunque le sue opere giovanili, ma con la cura
minuziosa del dettaglio, l'invenzione preziosa del materiale.
L'organico prevede coppie di oboi e corni più due violini, viola e basso
(realizzato all'epoca da contrabbassi e fagotti, senza violoncelli).
La Cassazione comprende sette movimenti e, secondo la prassi, si apre
con una Marcia ("Marche", alla francese) introduttiva, destinata ad
essere replicata al termine dell'ultimo tempo.
Seguono un brillante Allegro molto in forma sonata, poi un Andante di
finissima fattura, affidato agli archi soli con sordina; poi ancora il primo
Menuet (alla francese, con un Trio per archi soli), un secondo Andante
(archi e oboi) dalla scrittura fittissima, il secondo Menuet (più incisivo),
e il Finale, che contrappone una vivace sezione in 2/4 a un idilliaco
Andante in 6/8.
Arrigo Quattrocchi
388
CONCERTO O SIA DIVERTIMENTO IN MI BEMOLLE
MAGGIORE PER ORCHESTRA, K 113
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (mi bemolle maggiore)
2. Andante (si bemolle maggiore)
3. Minuetto (mi bemolle maggiore)
4. Allegro (mi bemolle maggiore)
Organico: 2 clarinetti, 2 corni, archi; nel 1777 sono stati aggiunti 2 oboi,
2 corni inglesi, 2 fagotti
Composizione: Milano, 22 novembre 1771
Prima esecuzione: Milano, residenza di Albert Michael von Mayr, 23
novembre 1771
389
Il dialogo concertante trova infine accenti di cordiale umorismo
nell'Allegro conclusivo, in particolare nell'articolazione Soli-Tutti del
primo tema, poi utilizzato anche nello sviluppo, e nella chiusa cadenzale
dell'esposizione.
Cesare Fertonani
Testo tratto dallo speciale della rivista Amadeus, Ottobre 1995
DIVERTIMENTO N. 7
IN RE MAGGIORE PER ORCHESTRA, K1 205 (K6 167A)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Largo (re maggiore)
2. Allegro (re maggiore)
3. Minuetto (re maggiore)
4. Adagio (la maggiore)
5. Minuetto (re maggiore)
6. Presto (re maggiore)
Organico: 2 fagotti, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, luglio 1773
390
melodica. Segue un Menuetto dal carattere popolare e dal ritmo scandito,
con un Trio nel quale i corni e il fagotto tacciono; dunque realmente a tre
voci. L'Adagio che si colloca al centro della partitura vede anch'esso il
concorso dei soli archi; violino e viola si impegnano in uno scambio di
ruoli (melodico e di accompagnamento) con un levigato fraseggio. Il
secondo Menuetto è piuttosto dissimile dal primo; di impostazione più
elegante, impiega nel Trio alternativamente i due corni e la coppia
violino/viola. Chiude la composizione un brillante rondò di impronta
italiana, in cui i motivi dei vari episodi sono delle variazioni del tema
principale; procedimento insolito per Mozart, che da solo qualifica
l'invenzione preziosa e non manieristica della partitura.
Arrigo Quattrocchi
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 22 novembre 1991
392
393
Il Divertìmento si apre con un tempo in forma di sonata dal ritmo vivace
ed allegro; segue un Minuetto in cui il musicista introduce ornamenti e
variazioni al tema principale.
L'Andantino è un delicato e delizioso rondò con una serie di intermezzi
che sembrano tanti siparietti di un'unica scena.
Il secondo Minuetto è un tema con sei variazioni, di cui l'ultima si
richiama ciclicamente all'inizio del movimento.
Anche il quinto tempo (Allegro assai) ha l'andamento di un rondò,
sviluppato ampiamente e con ricchezza di invenzione timbrica.
Il Divertimento si chiude con una Marcia alla Francese, detta in tal
modo per il particolare carattere del ritmo, molto marcato e meno
cantabile della maggior parte dei temi di marcia composti in precedenza
da Mozart.
Si ritiene, secondo alcuni studiosi mozartiani, tra cui Alfred Einstein, che
il musicista abbia anticipato in questo Divertimento in re maggiore i temi
per il balletto parigino Les Petits riens composto nell'estate del 1778 e
andato in scena senza il nome dell'autore sul manifesto, insieme all'Opera
buffa di Piccinni Le due gemelle, tanto che il successo andò al coreografo
Noverre e nessuno seppe in quella occasione chi fosse l'autore
dell'ouverture e delle quattordici danze distribuite in tre quadri.
394
DIVERTIMENTO N. 15 IN SI BEMOLLE MAGGIORE
"LODRONNISCHE NACHTMUSIK N. 2", K 287
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (si bemolle maggiore)
2. Tema con 6 Variazioni. Andante grazioso (fa maggiore)
3. Minuetto (si bemolle maggiore)
4. Adagio (mi bemolle maggiore)
5. Minuetto (si bemolle maggiore)
6. Andante (si bemolle maggiore). Molto allegro (si bemolle
maggiore)
Organico: 2 corni, 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Salisburgo, 1 febbraio 1777
Prima esecuzione: Salisburgo, Palazzo del conte Czernin, 1 febbraio
1777
Edizione: Gombart, Ausburg 1799
Dedica: contessa Lodron
396
DIVERTIMENTO N. 17 IN RE MAGGIORE PER SESTETTO, K1
334, K6 320B "MUSIQUE VON ROBING"
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (re maggiore)
2. Tema e 6 variazioni. Andante (re minore)
3. Minuetto (re maggiore)
4. Adagio (la maggiore)
5. Minuetto e 2 trii (re maggiore)
6. Rondò. Allegro (re maggiore)
Organico: 2 corni, 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Salisburgo, primavera – estate 1779
Edizione: Gombart, Ausburg 1799
398
GIUSEPPE II D’ASBURGO
399
Molti vi aderirono per moda o per avere l'appoggio e la protezione dei
"fratelli" o magari per la speranza di avere la rivelazione di grandi segreti
esoterici, come la pietra filosofale o la comunicazione con gli spiriti dei
defunti.
Ma gli ideali alla base della massoneria erano ben più alti: il forte senso
etico, l'amicizia e la fratellanza tra gli uomini, la liberazione dell'umanità
dall'oscurantismo e dalla superstizione.
Fu tra la fine del 1784 e l'inizio del 1785 che Mozart si iscrisse alla
loggia "Alla speranza incoronata nell'Oriente di Vienna", ritrovandosi in
compagnia di aristocratici, eruditi e artisti.
La loggia richiese a Mozart varie musiche per i propri riti, tra cui la più
importante è la Maurerische Trauermusik (Musica funebre massonica),
probabilmente composta già nel luglio del 1785 ma eseguita il 17
novembre nel corso di una cerimonia in memoria del conte Franz
Esterhàzy von Galantha, Gran Maestro della loggia, e di un altro fratello,
il duca Georg August von Mecklenburg-Strelitz.
È un pezzo assai breve ma estremamente significativo, sia per il suo
intrinseco valore musicale sia per il suo profondo significato spirituale.
Spicca nell'organico orchestrale della Musica funebre massonica la
presenza di tre corni di bassetto e un controfagotto, che le conferiscono
un particolarissimo colore velato e funereo.
Ma ciò che ne fa qualcosa di unico nel catalogo mozartiano è il modo
con cui l'arcaismo di un tema scritto negli antichi modi liturgici
gregoriani viene incastonato in elementi audacemente moderni.
Inizia come una sorta di deplorazione, con lunghi accordi dei fiati simili
a profondi sospiri, intervallati da lunghe pause, su cui s'innesta una
dolente frase dei violini primi, punteggiata dai cupi interventi di corni e
controfagotto.
Presto affiora agli archi un ritmo che allude a una marcia funebre, mentre
oboi e clarinetti accompagnano con una sorta di cantus frmus: è un
dolore acuto e profondo, ma rattenuto e dignitoso, che non cede alla
disperazione.
400
LO STEMMA DELLA FAMIGLIA ESTERHÀZY
401
Tornano, ancora più sofferenti, i singhiozzi degli strumenti a fiato,
accompagnati ora dalle sincopi dei violini, e presto si è già alla coda,
conclusa da un accordo in do maggiore, che lascia intravedere un raggio
di speranza anche in questo momento di profondo abbattimento e
sconforto.
Mauro Mariani
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 8 gennaio 2012
402
SERENATA N. 1 IN RE MAGGIORE PER ORCHESTRA "FINAL-
MUSIK", K1 100, K6 62A
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (re maggiore)
2. Andante (re maggiore)
3. Minuetto (sol maggiore)
4. Allegro (re maggiore)
5. Minuetto (re maggiore)
6. Andante (la maggiore)
7. Minuetto (re maggiore)
8. Allegro (re maggiore)
Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, archi
Composizione: Salisburgo, estate 1769
403
SERENATA N. 4 IN RE MAGGIORE
PER ORCHESTRA, K1 203, K6 189B
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Andante maestoso (re maggiore). Allegro assai (re maggiore)
2. Andante (si bemolle maggiore)
3. Minuetto (fa maggiore). Trio
4. Allegro (si bemolle maggiore)
5. Minuetto (re maggiore). Trio (la maggiore)
6. Andante (sol maggiore)
7. Minuetto (re maggiore). Trio (re minore)
8. Prestissimo (re maggiore)
Organico: 2 oboi o flauti, fagotto, 2 corni, 2 trombe, archi
Composizione: Salisburgo, Agosto 1774
405
406
Il Concerto è anch'esso nella tonalità di si bemolle, con il movimento
centrale (minuetto e trio) in fa maggiore.
Il quinto movimento della Serenata è di nuovo un minuetto e trio che
riporta alla tonalità fondamentale di re maggiore (col trio in la
maggiore).
Il successivo andante, in sol maggiore, è di una tenera riflessività ed è
essenzialmente affidato ai violini e agli oboi.
Il terzo minuetto e trio (settimo movimento, col trio in re minore) riporta
nuovamente alla tonalità fondamentale, che trionfa nel finale prestissimo.
La più articolata varietà di colorazioni e di espressioni si congiunge nella
Serenata in re maggiore all'unitarietà della concezione tematica, alla
perfetta simmetria delle strutture, alla omogeneità dei toni affettivi, nella
totale pienezza creativa che contraddistingue tutta l'opera di Mozart.
Carlo Marinelli
407
SERENATA N. 5 IN RE MAGGIORE
PER ORCHESTRA, K1 204 (K6 213A)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro assai (re maggiore)
2. Andante moderato (la maggiore)
3. Allegro (la maggiore)
4. Minuetto I (re maggiore)
5. Trio (la maggiore)
6. Andante (sol maggiore)
7. Minuetto II (re maggiore)
8. Trio (sol maggiore)
9. Andantino grazioso (re maggiore)
10. Allegro (re maggiore)
Organico: 2 oboi (anche flauti), fagotto, 2 corni, 2 trombe, archi
Composizione: Salisburgo, 5 agosto 1773
Prima esecuzione: Salisburgo, Logiker-Universität, 9 agosto 1773
408
Luigi Pestalozza
409
Arrigo Quattrocchi
SERENATA N. 7 IN RE MAGGIORE
PER ORCHESTRA "HAFFNER", K1 250 (K6 248B)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro maestoso (re maggiore)
2. Andante (sol maggiore)
3. Minuetto I (sol minore) - Trio (sol maggiore)
4. Rondò. Allegro (sol maggiore)
5. Minuetto II galante (re maggiore) - Trio (re minore)
6. Andante (la maggiore)
7. Minuetto III (re maggiore) - Trio I (sol maggiore) - Trio II (re
maggiore)
8. Adagio (re maggiore). Allegro assai (re maggiore)
Organico: 2 oboi o flauti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, archi
Composizione: Salisburgo, luglio 1776
Prima esecuzione: Salisburgo, Residenz-Theater, 21 luglio 1776
Edizione: Andrè, Offenbach 1792
411
SERENATA N. 9 IN RE MAGGIORE
PER ORCHESTRA "POSTHORN", K 320
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Adagio maestoso (re maggiore)
412
Delicatamente espressiva è la frase caratterizzante l'Andantino in re
minore nella esposizione dei violini, ripresa dal Tutti dell'orchestra.
Ancora ai violini è affidato un nuovo tema in fa maggiore e su di esso si
sviluppa una trama strumentale di particolare piacevolezza melodica.
Segue un altro Menuetto con due Trii, di cui il primo è riservato al
flautino, mentre il secondo è scritto per due oboi, il corno da postiglione
o Posthorn, due violini, viola e contrabbasso.
Il tempo finale ha un tono saldo e vigoroso, marcatamente sinfonico e
vagamente evocativo dell'atmosfera un po' esotica che troverà maggiore
compiutezza e realizzazione musicale nell'Opera Il ratto dal serraglio.
L'intelaiatura strumentale è molto varia e presenta una gamma sonora di
entrate e di uscite, nelle tonalità più diverse, di tutti i protagonisti
dell'orchestra, sino ad una coda di esaltante brillantezza espressiva, che
conclude degnamente il ciclo delle Serenate salisburghesi di Mozart.
413
MARCE, DANZE, TEMPI DI
SINFONIE PER ORCHESTRA
414
La Marcia è costituita da due temi distinti e opposti, ai quali se ne
aggiunge un terzo con funzione di sviluppo; il discorso ha uno
svolgimento melodico e ritmico molto composto e misurato, sorretto da
un’orchestra vivace e brillante negli effetti strumentali e comprendente
due violini, viola, due oboi, due fagotti, due trombe, due corni e
contrabbasso.
415
MARCIA IN RE MAGGIORE
PER ORCHESTRA, K1 335 N. 1 (K6 320A N. 1)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
... (re maggiore)
Organico: 2 oboi, 2 corni, 2 trombe, archi
Composizione: Salisburgo, 1 - 3 agosto 1779
Edizione: Andrè, Offenbach 1801
E' giunta sino a noi una dozzina delle marce che Mozart compose
in epoche diverse (quella K. 544 è andata perduta, mentre le marce K.
206 e K. 362 sono dell'opera «Idomeneo») ed elaborò per le più varie
formazioni strumentali. Ad esempio le Marce K. 246, 290 e 445 sono
scritte per gli archi e due corni; la K. 384 comprende solo i fiati e nella
maggior parte dei casi, tra cui le due Marce in re maggiore K. 335, sono
impiegate le trombe con i flauti, oppure con gli oboi e i corni.
L'elemento caratteristico di queste marce è la corposità e la compostezza
del suono, in cui predomina l'aspetto dolcemente cantabile, in quanto le
trombe non assumono mai un tono eccitante e marziale.
A Mozart interessava soprattutto mettere in evidenza le sfumature
timbriche dei vari strumenti, secondo quel gusto classico
dell'orchestrazione settecentesca, che il musicista aveva ereditato dalle
Sinfonie di Haydn.
La Marcia in re maggiore K. 335 porta la data dell'agosto 1779 e fu
scritta a Salisburgo; è molto semplice e scorrevole nella sua struttura, con
qualche accenno umoristico, che appartiene alla vena più autenticamente
musicale di Mozart, sempre interessante e mai noioso, anche nei pezzi
della sua produzione «minore».
416
SEI DANZE TEDESCHE PER ORCHESTRA, K 509
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. re maggiore
2. sol maggiore
3. mi bemolle maggiore
4. fa maggiore
5. la maggiore
6. do maggiore
Organico: ottavino, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2
trombe, timpani, archi
Composizione: Praga, 6 febbraio 1787
Edizione: Artaria, Vienna 1790
Dedica: barone Pachta
419
Un'altra particolarità è l'imprevista e relativamente ampia coda, che si
avvia con la brillante sonorità delle trombe e culmina in un festoso
crescendo e in una serie di rutilanti accordi fortissimo, su cui si libra il
trillo dell'ottavino.
Mauro Mariani
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma Auditorium Parco della Musica, 8 gennaio 2012
ANDANTE IN DO MAGGIORE
PER FLAUTO ED ORCHESTRA, K1 315 (K6 285E)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
Organico: 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Mannheim, gennaio 1778
420
quale non manca di riaffermare le proprie caratteristiche tecniche e
stilistiche in una cadenza liberamente concepita. Alla fine il flauto si
congeda con un poetico addio, tanto ammirevole quanto piacevole e
gradevole.
421
Ascoltando questa pagina mozartiana, che è un nonnulla di fronte alla
grandiosità e all'importanza della produzione di questo artista si può
capire come il senso creativo fosse spontaneo e naturale nel compositore
salisburghese.
Al contrario di Haydn, Mozart non doveva rivolgere preghiere a Dio per
avere idee musicali: generalmente egli le sviluppava prima mentalmente,
con una concentrazione intensa e gioiosa allo stesso tempo, e poi le
trasferiva sulla carta da musica, avendo già davanti agli occhi la struttura
del brano. Per questa ragione, al di là dell'impegno, della fatica e dello
sforzo creativo che pur esistono nelle opere maggiori del musicista,
Mozart diventa l'eroe musicale della prima generazione romantica, più di
Bach, di Haydn e forse dello stesso Beethoven.
CONCERTONE IN DO MAGGIORE
PER DUE VIOLINI E ORCHESTRA, K1 190 (K6 186E)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro spiritoso (do maggiore)
2. Andantino grazioso (fa maggiore)
3. Tempo di Minuetto. Vivace (do maggiore)
Organico: 2 violini solisti, 2 oboi, 2 corni, 2 trombe lunghe, archi
Composizione: Salisburgo, 3 maggio 1773 - 31 maggio 1774
Edizione: Cranz, Amburgo 1871
422
tra gruppo solistico e tutti, rispondente allo schema del concerto grosso
di tipo barocco.
Tale caratteristica strutturale si può cogliere sin nel primo movimento
(Allegro spiritoso), di gusto brillante, ma non virtuosistico, con un
dialogo elegante tra i due violini da soli oppure insieme agli oboi in un
gioco di contrappunto con il resto della piccola orchestra.
Dopo quattro misure introduttive viene esposto il primo tema al quale se
ne aggiunge subito un altro non meno piacevole nell'invenzione
armonica. C'è una risposta dei violini solisti al secondo tema e poi una
ripresa del ritornello al posto dello sviluppo: i due violini espongono una
frase in tono minore su accompagnamento dell'orchestra.
Dopo la ripetizione delle quattro misure introduttive si giunge ad una
cadenza dei violini solisti con l'oboe, in cui si saldano perfettamente
spontaneità di effetti ed equilibrio di scrittura. Anche l'Andantino
grazioso del secondo movimento contiene due temi strettamente legati
fra di loro e indicati dall'orchestra e dai solisti.
Il ritornello del secondo tema è seguito da uno sviluppo in tonalità
minore da parte dei due violinisti. Non manca la cadenza che è la
ripetizione per quattro volte della stessa figura musicale e ad essa segue
una lunga coda dell'orchestra, che ripropone il secondo tema. In questo
movimento i due violini solisti dialogano a risposte alternate e Mozart
annota in partitura i termini "dolce" e "mezzo forte", come a sottolineare
le sfumature espressive.
Il Tempo di menuetto, molto preciso e ben cadenzato nel ritmo, è affidato
a tutta l'orchestra, mentre nel Trio si riascoltano le parti solistiche,
secondo il modello compositivo italiano. Il Concertone si conclude in
modo sostenuto e vivace, nel rispetto di un contrappunto strumentale di
solido impianto sonoro.
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 15 febbraio 1991
423
CONCERTO PER CLARINETTO IN LA MAGGIORE, K 622
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (la maggiore)
424
nonché virtuoso di straordinaria abilità che pose Mozart nella condizione
di sperimentare le potenzialità del clarinetto fino ad allora inesplorate.
ANTON STADLER
427
nell'introduzione del primo atto, oppure alla disperazione di Papageno
alla ricerca di Papagena nel finale del secondo atto dell'opera.
COSTANZE MOZART
428
Mozart torna con questo Concerto alla ricchezza tematica che
caratterizzava le creazioni della sua giovinezza, al piacere di far parlare
ogni momento strumentale come fosse una scena, come avesse a
disposizione personaggi. Ne risulta una composizione di incredibile
freschezza e vitalità, nonostante il momento esistenziale, per Mozart, non
fosse tra i migliori. Ombre di una strana cupezza, quasi fosse
l'interiorizzazione di una minaccia, caratterizzarono i suoi ultimi mesi; un
disagio tra l'altro provato non solo dal compositore, ma anche dalla
moglie, continuamente afflitta da problemi non meglio identificati ai
quali tentava di porre rimedio con lunghi soggiorni termali. Ma di questi
momenti la storia ha cancellato i tristi effetti, lasciandoci tra le tante
meraviglie mozartiane, questo splendido Concerto per clarinetto.
Simone Ciolfi
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 16 Gennaio 2010
CONCERTO N. 1 IN RE MAGGIORE
PER CORNO E ORCHESTRA, K1 412 (K6 386B)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (re maggiore)
2. Rondò. Allegro (re maggiore)
Organico: corno solista, 2 oboi, 2 fagotti, archi
Composizione: Vienna, luglio - agosto 1782
429
Vienna e aprì un negozio di alimentari con formaggi e prosciutti molto
apprezzati da Mozart.
Leitgeb era un bravo strumentista di corno, anche se piuttosto ignorante e
sempliciotto, tanto da essere preso in giro bonariamente da Mozart, come
attesta la dedica un po' maliziosa apposta sul frontespizio del Concerto
K. 417 che dice testualmente: "Wolfgang Amadeus Mozart ha avuto
pietà di quell'asino, bue e pazzo di Leitgeb, Vienna 27 marzo 1783".
Nell'Allegro K. 412 sono scritte sulla partitura queste annotazioni in
italiano riferite al povero cornista: "Adagio a lei signor asino - Animo -
Presto - Coraggio - oh che stonatura - oh che seccatore - respira un poco -
avanti, avanti! - oh porco infame - e vieni a seccarmi per la quarta - oh
maledetto - anche bravura? - bravo - ah trillo di pecore - finisci? - grazie
al ciel! basta, basta!". Leitgeb tollerava gli scherzi del compositore e pur
di avere i Concerti con dedica per poi suonarli consentiva a starsene
inginocchiato dietro la stufa mentre Mozart, ridendo, lavorava ai suoi
pezzi di bravura, secondo quanto dice Paumgartner.
I Concerti mozartiani per corno e orchestra sono semplici e scorrevoli e
si adattano con straordinaria naturalezza al colore timbrico dello
strumento solista, ponendo in evidenza sia gli aspetti cantabili che i tratti
virtuosistici insiti nella parte del corno. Nel primo dei due Concerti, il K.
412/514, che vede il corno accompagnato da due oboi, due fagotti, due
violini, viola, violoncello e contrabbasso, il tema iniziale viene esposto
dai violini e seguito da un ritornello brioso, sul quale si innesta la frase
cordialmente scintillante e fresca del corno, in un gioco spigliato di
domande e risposte, secondo una varietà di modulazioni improntate ad
un senso di piacevole divertimento. Di questo schizzo di concerto esiste
il manoscritto alla Biblioteca di Berlino e si ritiene che esso sia stato
composto tra luglio e dicembre del 1782.
All'Allegro segue il Rondò K. 514 in re maggiore che viene abitualmente
accomunato al primo pezzo. Probabilmente i due movimenti erano
destinati ad un unico Concerto, rimasto incompleto, e non si sa con
precisione perché ambedue hanno una numerazione diversa. Anche nel
Rondò (aprile 1787) il tema principale viene esposto prima dai violini e
dagli altri strumenti dell'orchestra e poi ripreso dal corno solista, il quale
intreccia un dialogo quanto mai scorrevole ed elegante con gli archi e i
due oboi. Non manca una variazione sul tema in un gioco di armonie dal
430
forte al piano, che sfocia in un passaggio del solista nella tonalità minore;
l'orchestra riprende slancio e si avverte una frase in fa maggiore che cade
sulla dominante di re maggiore. Il corno ripropone il tema del rondò,
ripreso poi dal Tutti orchestrale, inserito in una vivace e spigliata coda, in
cui per due volte il solista sembra esprimere un saluto d'addio, secondo
lo stile della musica concertante abilmente trattata da Mozart.
431
Leutgeb nutriva una profonda ammirazione per Mozart, ma questi, pur
stimandolo come cornista, lo considerava un ignorante e un superficiale,
come è documentato in alcune frasi scritte dallo stesso compositore sul
frontespizio delle partiture dei Concerti per corno.
Ad esempio, proprio sul frontespizio del secondo Concerto, che apparve
il 27 maggio 1783 a Vienna, è scritto: «Mozart ha avuto pietà di
quell'asino, bue e pazzo di Leutgeb».
Mentre a margine del rondò del Concerto in re maggiore sono così
annotate le pene del povero cornista: «Adagio a lei signor asino, animo,
presto, coraggio, oh che stonatura! oh che seccatura! respira un poco,
avanti, avanti porco infame, oh maledetto! bravo, ah trillo di pecore,
finisci?, grazie al ciel, basta, basta!».
Leutgeb accettava di essere strapazzato in questo modo e tollerava
docilmente gli scherzi di Mozart, contento di poter suonare quella musica
scritta appositamente per lui, soprattutto perché si adattava in maniera
superba al carattere dello strumento.
Certo questi lavori non raggiungono il livello dei Concerti per pianoforte,
ma si lasciano ammirare per l'ampia linea melodica, il brio virtuosistico e
la vivacità dei tempi finali, sul tipo delle cacce in sei ottavi.
Per questa ragione tali Concerti restano tra i pezzi fondamentali e più
diffusi nel repertorio dei suonatori di corno.
432
CONCERTO PER CORNO N. 3
IN MI BEMOLLE MAGGIORE, K 447
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (mi bemolle maggiore)
434
particolarmente alle qualità del suo concittadino e amico Leutgeb. Del
resto, è lo stesso Mozart a sostenere, in una lettera scritta dopo
l'esibizione di Leutgeb ai Concert Spirituel del 1770, che il suo amico era
in grado di "cantare un adagio con la più dolce, accattivante e
impeccabile delle voci"; ciononostante, vari studiosi hanno sottolineato
come la particolare estroversione virtuosistica del primo e del terzo
movimento del Concerto K. 447 faccia pensare a un autore
maggiormente smaliziato sotto il profilo tecnico e dalla professionalità
più solida.
Quanto alle difficoltà tecniche, corre l'obbligo di ricordare che Mozart,
come i suoi predecessori, scrisse i suoi Concerti per corno naturale, uno
strumento ancora privo delle moderne chiavi, quindi riservato a musicisti
dalle qualità non comuni. Prima che le chiavi fossero brevettate in
Prussia attorno al 1815-16, il corno naturale permetteva solo l'emissione
dei suoni armonici, che il tubo ritorto terminante in un padiglione
emetteva mediante la pressione dell'aria e la tensione delle labbra.
Proprio per questo esistevano corni con diversi canneggi, cioè ad altezza
variabile, mentre ad alcuni strumenti si potevano aggiungere delle
"ritorte", porzioni di tubo che aumentavano la lunghezza del canneggio,
variando così il suono base e tutta la serie di armonici. Attraverso la
mano, inserita nel padiglione dello strumento si potevano produrre altri
suoni, calanti o crescenti, con cui si integravano le note mancanti,
malgrado l'evidente differenza timbrica.
Le caratteristiche tecniche del Terzo Concerto appaiono oggi
sorprendenti, dal momento che si tratta di una partitura difficile anche
per un moderno solista, e che doveva quindi presentarsi come di inusitata
difficoltà per chi - all'epoca di Mozart - disponeva del solo corno
naturale.
In merito alla datazione del Terzo Concerto, nonostante varie incertezze,
un tempo si concordava generalmente sull'anno 1783, dopo il ritorno di
Mozart a Vienna da un breve soggiorno salisburghese; oggi, dopo gli
studi di Alan Tyson sulle carte originali, si è propensi a una datazione più
tarda per i movimenti estremi, attorno al 1787, mentre soltanto la
Romanza centrale risalirebbe all'84.
435
ALESSIO ALLEGRINI
436
Lo schema del Concerto solistico settecentesco viene nel complesso
rispettato, ma a differenza dei Concerti precedenti Mozart sostituisce agli
oboi i clarinetti, che affiancati ai fagotti arricchiscono sensibilmente la
tavolozza dell'orchestra.
Viene anche conferito un maggior sviluppo al dialogo fra strumento
solista e orchestra, la quale nell'Allegro iniziale (4/4, mi bemolle
maggiore), ad esempio, invece di intercalare semplicemente gli interventi
in assolo del solista viene anche investita di piena luce, come nella
modulazione in minore a metà del primo movimento. Alla fine di questo
primo movimento Mozart offre al solista non una ma ben due cadenze,
una scritta, l'altra lasciata all'arbitrio dell'esecutore.
L'afflato intimo che attraversa la Romanza centrale regala al Concerto un
momento di ispirata profondità, dai tratti quasi malinconici. Il tema in
2/2 del Larghetto si dipana infatti su una linea musicale di poetica
affettuosità, ottenuta sfruttando al massimo le non infinite possibilità
coloristiche dello strumento e segnando financo passaggi di assoluta
originalità armonica, del tutto inusuali nei Concerti dell'epoca.
Nel movimento centrale, come già in quello di apertura, il disegno
melodico presagisce il futuro Concerto per clarinetto, ovvero corno di
bassetto.
Una viva memoria dell'antico uso venatorio del corno si riconosce nel
gioioso Allegro conclusivo, presentando una vivace scena di caccia che,
seppure stagliata su orizzonti affatto mutati, sarà possibile ritrovare a un
secolo di distanza nel terzo movimento della Sinfonia Romantica di
Bruckner. Scritto in forma di Rondò, il movimento finale vede
riemergere anche il tema della Romanza, sempre in la bemolle, ma
modificato nel ritmo e ampliato sotto l'aspetto melodico.
Nel complesso la scrittura strumentale, con le parti assai elaborate di
clarinetti e fagotti, conferisce al Terzo Concerto una qualità e
un'ampiezza che lo distacca dalle opere precedenti, innalzandolo una
spanna al di sopra dei suoi confratelli e quasi alla pari delle migliori
pagine per solista e orchestra del catalogo mozartiano.
437
Andrea Penna
438
presto... suvvia... da bravo... Coraggio... bestia... o che stonatura... Ahi!
ohimè... bravo, poveretto...' e ancora 'Grazie al ciel! basta, basta!'
E se non bastasse, nell'autografo del K. 417 leggiamo: "Wolfgang
Amadé Mozart si è mosso a compassione per il somaro, bove e sciocco
Leitgeb".
Eppure Karl von Dittersdorf, nella sua autobiografia, ne parla nei termini
di un 'raro virtuoso', anche se Amadé lo costringeva a strisciare carponi
in salotto per raccogliere i fogli di musica composti di fresco.
Concepito anch'esso per corno naturale, come gli altri, il Concerto K. 495
si articola in un Allegro moderato, il cui primo tema evoca la Cantata
"Die Maurerfreude" K. 471 dell'anno precedente, e non manca di tratti
originali, come l'entrata anticipata del corno solista sulla coda
dell'esposizione orchestrale e l'assenza di un vero e proprio sviluppo.
La Romanza centrale (Andante), che sembra riecheggiare inizialmente la
Sonata K. 497 per pianoforte a quattro mani (Adagio) ultimata pochi
giorni dopo, si affida alle virtù melodiche e timbricamente pastose del
solista, mentre l'epilogo, come di consueto in questi Concerti, avviene
all'insegna di un tradizionale Rondò-caccia (Chasse) in 6/8, consono alle
vocazioni venatorie insite nello strumento.
Lorenzo Tozzi
439
CONCERTO N. 1 IN SI BEMOLLE MAGGIORE
PER FAGOTTO, K1 191 (K6 186E)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (si bemolle maggiore)
2. Andante ma Adagio (fa maggiore)
3. Rondò. Tempo di Minuetto (si bemolle maggiore)
Organico: fagotto solista, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, 4 giugno 1774
Edizione: Andrè, Offenbach 1805
Dedica: scritto per Melchior Sandmayr
440
CARL PHILIPP EMMANUEL BACH
441
«All'antico stile (quello nel quale si era espresso fino ad allora - NdR)
preciso e serrato che aveva come elemento fondamentale la conquista
dell'espressione fino nelle più riposte sfumature - scrive ancora il De
Saint Foix - succede uno stile assai più largo e brillante dove
l'espressione, in luogo di rifugiarsi nei particolari, si estende a tutto
l'insieme dei pezzi dando loro, ad esempio, un senso generale di gaiezza,
d'ardore vigoroso o di malinconia ma senza che questi sentimenti siano
analizzati, approfonditi e interpretati con la penetrante esattezza di
linguaggio delle Sinfonie e delle Sonate che pur li precedono di poco».
Salvo, è necessario aggiungere, mescolare nei successivi altissimi esiti
della maturità le scoperte linguistiche «galanti» di cui si parla con le
reminiscenze ancora barocche della fanciullezza in una unità espressiva
davvero ineguagliabile.
Ma fermiamoci a questo punto per dire come questo Concerto per
fagotto e orchestra sia appunto un tipico concerto «galante» in stile
concertante, nel quale l'elemento virtuosistico ha il sopravvento e nel
quale sarebbe inutile ricercare la presenza di una particolarmente ricca
problematica musicale od espressiva salvo forse «l'impressione - come
nota l'Einstein - che le finestre siano state aperte all'improvviso e che un
soffio d'aria pura inondi il locale».
La composizione si suddivide nei tre tradizionali tempi del Concerto con
strumento solista. Il primo tempo si apre con un grande preludio nel
quale vengono esposti i due soggetti dell'intero movimento seguiti da un
lungo ritornello; due soggetti che in seguito passeranno, come vuole la
tradizione, ad arricchire il dialogo tra il «Solo» e i «Tutti».
Vi è da notare come in questo primo movimento sia presente una grande
influenza di Joseph Haydn nella cura tutta particolare data alla
elaborazione tematica che prende il posto di quella più libera fantasia che
caratterizzava le opere mozartiane precedenti e nei numerosi pezzi in
stile imitativo.
L'Andante ma adagio si ricorda soprattutto per un'evidente intento di
ricerca espressiva: si tratta di una delle tipiche malinconiche pagine
mozartiane pure ancora una volta evidentemente influenzata dai moduli
«galanti» ancora presentì nei numerosi passaggi «imitativi».
442
Ancora «galante» il finale il cui tema più sviluppato è un vero e proprio
minuetto in due parti.
Gian Filippo De' Rossi
Trascrizione per flauto del Concerto per oboe, K6 271k (oggi perduto)
443
destinazione originaria all'oboe, strumento capace, molto più del flauto,
di conferire espressione alle note lunghe.
L'episodio che segue è un bell'esempio dell'arte mozartiana di dare
importanza a un elemento musicale apparentemente privo di interesse: la
chiusa orchestrale costituita da un trillo seguito da un arpeggio
discendente, dà infatti vita a un serrato dialogo fra flauto e archi che
sfocia in un passo di bravura del solista per poi venire riutilizzata nella
breve sezione di Sviluppo e ancora nel finale, come formula conclusiva
dell'intero movimento.
Se nel primo movimento spiccavano l'agilità e il virtuosismo del flauto,
l'Adagio non troppo è dominato da un intimo raccoglimento, da una
serenità tipicamente mozartiana; l'ingresso del solista è una specie di
pacata risposta all'introduzione orchestrale, mentre il secondo tema
irrompe come uno squarcio di luce, nel quale il solista si getta «trillando»
con gioia.
Una semplice riconduzione tonale separa la Ripresa dei temi precedenti,
ora tutti nella tonalità d'impianto, cui segue la cadenza del solista e
l'epilogo orchestrale.
Tutt'altra atmosfera nel Rondò finale, il cui refrain verrà in seguito
utilizzato da Mozart nell'aria di Blondchen Welche Wonne, welche Lust
dell'Opera Il ratto dal serraglio.
Gli episodi brillanti (come il «richiamo» dei corni, le cadenze orchestrali
in stile di Opera buffa e i passi di virtuosismo solistico si alternano
brillantemente alle riprese del refrain, sempre frizzante e festoso e spesso
preceduto da vivaci cadenzine ad libitum del flauto.
Alessandro De Bei
Testo tratto dal libretto inserito nel CD AM 098-2 allegato alla
rivista Amadeus
444
CONCERTO PER FLAUTO ED ARPA
IN DO MAGGIORE, K1 299 (K6 297C)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (do maggiore)
448
Il motivo di questo taglio sulla cifra pattuita sembra dovuto al fatto che il
secondo dei due Concerti per flauto e orchestra non era altro che una
trascrizione del Concerto per oboe e orchestra composto in precedenza
per Ferlendis. Mozart torna a parlare del Concerto per oboe in una lettera
invata al padre il 15 febbraio 1783: «Ti prego di spedirmi il volume con
il Concerto per oboe scritto per Ramm e Ferlendis. Ne ho bisogno per
l'oboista Anton Mayer».
Mozart ricevette il materiale il 29 marzo, ma da allora non si seppe più
nulla della partitura originale di questo Concerto. Fu Bernhard
Paumgartner, fedele e appassionato studioso e divulgatore dell'opera
mozartiana, a ritrovare nel 1920 al Mozarteum di Salisburgo un pacco di
parti per orchestra, su cui c'era scritto in calce: "Concerto in do per oboe
principale e due violini, due oboi, due corni, viola e basso del signor W.
A. Mozart".
La prima preoccupazione fu di controllare se si trattasse di una
trascrizione o della versione originale: Paumgartner, dopo attenti
confronti di natura tecnica, tenendo conto anche dell'edizione completa
delle opere di Mozart curata con l'aiuto di Brahms nel 1883, decise che il
Concerto in do maggiore per oboe e orchestra, era lo stesso composto dal
musicista a Salisburgo per Ferlendis nell'estate del 1777.
Il Concerto, della durata di 19 minuti, ha una freschezza e una
spigliatezza melodica di gusto mozartiano e l'oboe solista vi svolge un
ruolo di straordinaria eleganza sonora, nel rispetto delle regole della
musica di intrattenimento, non mancando di primeggiare in cadenze
brillanti e piacevoli, secondo quel classicismo inimitabile che appartiene
interamente allo stile del compositore di Salisburgo. L'Allegro iniziale, in
perfetta aderenza alla forma tipica del Concerto per strumento solista e
orchestra, ha un carattere gaio e frizzante. Ad una breve introduzione
orchestrale, nella quale si presentano i due temi sviluppati poi nel corso
del brano, segue l'entrata dell'oboe solista, ponendo in evidenza la linea
melodica tra figurazioni arpeggiate, scale, trilli e staccati. L'oboe propone
eleganti armonie su leggere punteggiature dell'orchestra, che conclude il
tempo con spumeggianti arpeggi in do maggiore, dopo la cadenza del
solista. Ancora l'orchestra apre l'Adagio non troppo del secondo tempo e
presenta il tema su un unisono.
449
GIUSEPPE SINOPOLI
450
L'oboe con frasi estremamente melodiche domina questo movimento ed
espone una nuova cadenza, prima della conclusione affidata alla sola
orchestra. L'Allegretto finale è un rondò di indubbio effetto musicale; la
linea del discorso dell'oboe è assecondata dall'orchestra, che ne sottolinea
il tono scherzoso, riprendendo spesso, con procedimenti a canone, alcune
cellule melodiche. In questo terzo tempo si avverte in modo più spiccato
il gioco contrappuntistico, confluente in una chiusa gaia e spensierata,
nella più serena fiducia nel potere trasfigurante dell'arte dei suoni.
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 10 febbraio 1985,
direttore Giuseppe Sinopoli, oboe Augusto Loppi
451
Il Concerto si apre con un preludio orchestrale molto breve
comprendente due temi separati e seguito da uno stesso ritornello
deliziosamente espressivo.
Il solista riprende il primo tema e successivamente sviluppa una serie di
variazioni delicatamente arabescate, nel contesto di un gioco di
modulazioni con il "Tutti" strumentale, in cui non manca la cadenza
violinistica, senza eccessive figurazioni virtuosistiche.
Anche l'Adagio inizia con due temi e un ritornello, mentre il violino
solista propone una nuova frase alla quale si contrappone il primo dei
due temi iniziali.
Ciò che distingue questo secondo movimento è la linea del canto
estremamente semplice e intimistica, tipicamente mozartiana.
Il Presto conclusivo è molto haydniano non solo per il piglio ritmico
iniziale, cordialmente estroso, ma per la freschezza quasi popolaresca dei
due temi, ai quali se ne aggiunge un altro più breve e sviluppato, come
una cadenza.
Anche in questo movimento il ruolo del violino solista è molto curato e
si inserisce abilmente nel discorso finemente variegato con il "Tutti"
orchestrale, così da raggiungere nel passaggio delle diverse tonalità e tra
cadenze brevi e lunghe (c'è anche una grande cadenza facoltativa) effetti
di piacevole intrattenimento musicale.
452
CONCERTO N. 2 IN RE MAGGIORE
PER VIOLINO E ORCHESTRA, K 211
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro moderato (re maggiore)
2. Andante (sol maggiore)
3. Rondò. Allegro (re maggiore)
Organico: violino solista, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, 14 giugno 1775
Edizione: Andrè, Offenbach 1870
453
Il musicista dispiega sonorità squillanti e luminose, episodi di sottile
umorismo e abbandoni sensuali, il tutto accompagnato da quell'ambiguo
sorriso che distingue la creatività mozartiana sin dall'epoca giovanile.
GIUSEPPE TARTINI
454
Il manoscritto del Concerto per violino e orchestra K. 211 conservato alla
Biblioteca di Berlino reca la seguente indicazione: "Concerto di violino
di W. A. Mozart m. p. à Salsburg lì 14 di Giugno 1775". Si può dire che
il Concerto possiede un'eleganza melodica tutta francese, senza che la
galanteria abbia il sopravvento sui veri valori musicali.
I temi del "Tutti" orchestrale si ritrovano regolarmente utilizzati negli
assoli, in una disposizione ad incastro di straordinario equilibrio formale.
Anche qui l'Allegro moderato del primo tempo attacca con un preludio
dell'orchestra, in cui è facile evidenziare due temi distinti seguiti da un
grande ritornello.
Il violino solista espone il proprio tema con morbide modulazioni, su una
tessitura orchestrale quanto mai semplificata e ridotta all'essenziale.
L'Andante è una pagina di pungente poesia musicale, in cui non mancano
cadenze dello strumento solista (ad un certo punto in partitura è indicato
al solista di improvvisare una "cadence a piacere").
L'accompagnamento dell'orchestra si svolge secondo lo stile delle opere
comiche italiane e francesi, pienamente rispettoso delle ragioni di canto.
Il tema del Rondò finale viene esposto dal violino solista e ripreso
dall'orchestra nel passaggio dal maggiore al minore o viceversa, tra
indicazioni di pp e ff.
L'orchestra ripropone alla fine il tema principale, prima della stretta
conclusiva, preceduta da un brillante assolo del violino solista.
Ennio Melchiorre
455
CONCERTO PER VIOLINO N. 3 IN SOL MAGGIORE, K 216
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (sol maggiore)
2. Adagio (re maggiore)
3. Rondò. Allegro (sol maggiore)
Organico: violino solista, 2 oboi (anche flauti), 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, 12 Settembre 1775
456
Definitivo ed eclatante colpo di scena, anch'esso comune ai tre Concerti,
il congedo in sordina, sul filo della sommessa clausola dei fiati.
Giovanni Carli Ballola
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 26 Marzo 2010
CONCERTO N. 4 IN RE MAGGIORE
PER VIOLINO E ORCHESTRA, K 218
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (re maggiore)
457
Il terzo movimento è un Rondeau che alterna un ritornello in tempo
Andante grazioso, una melodia elegante e garbata, a una serie di episodi
in tempo Allegro ma non troppo dal carattere più brillante. Come nel
Rondeau del Concerto K. 216, l'episodio centrale è imperniato su temi di
sapore popolare: un primo motivo di danza e un secondo, una sorta di
musette con tanto di bordone, che è anch'esso un ballo strasburghese.
Claudio Toscani
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 27 aprile 1990
459
CONCERTO N. 6 IN RE MAGGIORE
PER VIOLINO E ORCHESTRA, K 271A
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro maestoso (re maggiore)
2. Andante (sol maggiore)
3. Rondò. Allegro (re maggiore)
Organico: violino solista, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Salisburgo, 16 luglio 1777
460
Si ha notizia di altre due copie antiche di tale Concerto: una trascritta dal
violinista francese Baillot e l'altra ritrovata a Berlino dal collezionista
tedesco Aloys Fuchs.
Non è improbabile, come sostengono Paumgartner e Aloys Greither, che
il Concerto sia stato ritoccato dai solisti di scuola francese, inserendovi
dei passaggi più brevì e sintetici rispetto allo stile mozartiano.
Ad esempio il tema principale del solista nell'Allegro maestoso non è
sviluppato con la necessaria ampiezza; l'Andante ha una linea liederistica
troppo semplice e il Rondò finale ha un preludio orchestrale troppo
lungo.
Insomma, a detta di questi studiosi (ma anche De Saint-Foix è dello
stesso avviso) Mozart sarebbe presente in questo Concerto K. 271a solo
parzialmente, ma ciò non toglie che da esso si sprigioni una eleganza e
una brillantezza di piacevole effetto musicale, specie nel rapporto
dialogante tra il violino solista e il resto dell'orchestra, formata dagli
archi, da due oboi e due corni.
461
RONDÒ PER VIOLINO ED ORCHESTRA
IN DO MAGGIORE, K 373
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
Allegro grazioso (do maggiore)
Organico: violino solista, 2 oboi, 2 corni, archi
Composizione: Vienna, 2 Aprile 1781
Prima esecuzione: Vienna, Deutsches Ritterordenhaus, 8 Aprile 1781
Edizione: Andrè, Offenbach 1800
462
concerto), e il Recitativo e Aria "A questo seno deh vieni" K. 374,
interpretato dal castrato Francesco Ceccarelli.
Il Rondò K. 373 è una breve pagina, concentrata in meno di sei minuti,
ma raffinatissima, dotata di grande freschezza, e caratterizzata da uno
stile più maturo e personale se messa a confronto con i cinque Concerti
per violino del 1775.
Rispettando le convenzioni della forma del Rondò, il brano ruota intorno
a un tema elegante, esposto all'inizio dal solista e subito ripreso
dall'orchestra, che si alterna a episodi caratterizzati da estesi arabeschi
del violino, o sottolineati da brevi slittamenti tonali (una delicata
modulazione prima in la minore, poi in re minore) che coincidono con
delle increspature drammatiche del discorso musicale.
L'episodio in do minore, dominato dal canto del violino accompagnato
dai pizzicati degli archi e da delicati giochi imitativi, apre uno squarcio
espressivo e carico di pathos, prima della cadenza solistica, introdotta da
tre lunghi accordi degli archi, e della coda che conclude il Rondò con un
delizioso effetto di eco giocato tra i violini primi, l'oboe e il violino
solista.
Gianluigi Mattietti
463
SONATE DA CHIESA
464
SONATA DA CHIESA N. 15, K1 328 (K2 317C)
in do maggiore per organo ed archi
465
COMPOSIZIONI PER FIATI
466
Nel brevissimo Minuetto che segue, il Trio (secondo una prassi che trae
le proprie origini dal cuore del Barocco) è letteralmente affidato a solo
tre parti strumentali, quelle dei due corni inglesi divisi e dei due fagotti
all'unissono. Italiano fin nella melodia, presa in prestito da una Sinfonia
di Paisiello, è l'Andante grazioso, seguito da un breve Adagio dal
carattere più «serio». Conclude il Divertimento un chiassoso Rondò, nel
più schietto spirito dell'Opera buffa.
468
L'Allegro molto iniziale è costituito da due temi, ambedue esposti dagli
oboi, su accompagnamento del fagotto.
Su questo impianto è costruito lo sviluppo dell'intero movimento,
secondo un procedimento mirante ad allietare l'animo dell'ascoltatore.
L'Andantino ha la forma di una Sonata di brevi proporzioni, poggiata su
due temi e una coda melodica elaborata sul ritmo della prima frase.
È una pagina di pungente fascino sonoro e strumentata con delicatezza di
accenti, soprattutto nel gioco delle imitazioni tra oboi e fagotti.
Non meno gradevole è il Minuetto con il trio in mi bemolle maggiore su
ritmo di valzer, in cui emerge la voce dei corni.
Il Presto conclusivo è un rondò, il cui tema brillante sarà ripreso più tardi
da Mozart nell'aria della lettera delle Nozze di Figaro.
L'impianto del movimento segue una linea classica: tema, intermezzo e
ripresa del tema principale, con l'aggiunta di una coda dal ritmo spigliato
e divertente, inserito in un gioco strumentale dagli effetti piacevolmente
gustosi.
469
470
QUINTETTO PER PIANOFORTE E FIATI
IN MI BEMOLLE MAGGIORE, K 452
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Largo - Allegro moderato (mi bemolle maggiore)
2. Larghetto (si bemolle maggiore)
3. Rondò. Allegretto (mi bemolle maggiore)
Organico: pianoforte, oboe, clarinetto, fagotto, corno
Composizione: Vienna, 30 marzo 1784
Prima esecuzione: Vienna, Burgtheater, 1 aprile 1784
Edizione: Gombart, Ausburg 1799
472
GIOVANNI PAISIELLO
473
Anche la critica è unanimemente concorde nel considerare questo
unicum della produzione mozartiana una vetta, vero punto di svolta di
tutta la successiva opera cameristica con pianoforte. Se Abert ne
sottolinea la "straordinaria tensione" e Halbreich lo qualifica come
"esempio perfetto di dialogo concertante", per Bernhard Paumgartner
"esso rimane ancor oggi il più nobile esempio di musica da camera per
strumenti a fiato. Beethoven lo tenne evidentemente a modello,
componendo il suo Quintetto op. 16; ma non lo superò". Il rango speciale
riservato da Mozart a questa composizione si palesa già nell'anomalia di
un vasto Largo introduttivo di particolare solennità, che si estende per
venti battute intrecciando al pianoforte in spazi piccolissimi le entrate dei
quattro fiati, ora da soli, ora a due a due, ora riuniti in un insieme
d'incantata trasparenza timbrica. L'atmosfera muta repentinamente con il
tema dell'Allegro moderato, di piglio cavalleresco, iniziato dal pianoforte
solo in piano ed energicamente scandito dai fiati nel forte.
Il dialogo così avviato si intensifica nella presentazione del secondo
tema, distribuito fra la tastiera e i fiati, e prosegue ininterrotto alternando
evoluzioni brillanti, ricchi virtuosismi, episodi corali di sonorità
pregnante, animate rincorse ritmiche, scambi di parti e di ruoli tra
portatori della sostanza tematica e accompagnatori nelle ripetizioni. A
uno sviluppo conciso segue una ripresa variata, quasi trasfigurata
dall'abile gioco concertante dei motivi. Questa vitalità si stempera
nell'intimità del Larghetto, "romantica rêverie basata su effetti di magica
bellezza sonora" (Abert). Il primo tema annunciato da oboe, corno e
fagotto ha carattere pastorale, quasi "napoletano" (forse a questo pensava
Mozart quando volle che Paisiello ascoltasse il Quintetto) e conduce
spontaneamente a una nuova idea esposta da pianoforte, clarinetto e
oboe, cui segue una straordinaria varietà di episodi secondari.
Si attua qui un percorso armonico di audacia estrema, che culmina nella
modulazione al lontano mi minore (il brano è in si bemolle maggiore),
senza perdere tuttavia, pur nella violenza dei contrasti dinamici e nella
densa polifonia, la tenuta dei rapporti timbrici. Da questa selva agitata e a
tratti oscura il tema principale riemerge come liberato da un
accerchiamento, e insieme potenziato nei suoi aspetti caratteristici dalle
esperienze attraverso le quali è passato. Il passaggio al Rondò finale
(Allegretto) sancisce questa ritrovata armonia nel segno di un'esuberanza
incline alle grandi sonorità, al superamento dei confini cameristici in un
474
tratto Concertistico di ampia gestualità, sia nei passaggi solistici sia nelle
impennate virtuosistiche. Ma anche qui, dopo una Cadenza in tempo che
impegna tutti gli strumenti in una serie di entrate in rigoroso stile imitato,
il senso dell'equilibrio impone una riduzione dei pesi specifici in favore
di un mite, lieve congedo: esso avviene ripresentando il tema principale e
lasciandolo svanire in una dissolvenza incrociata, unita a un canto
dolcemente suadente dei fiati sull'accompagnamento discreto, a dinamica
sempre più smorzata, del pianoforte.
Sergio Sablich
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma Auditorio di Via della Conciliazione, 12 Aprile 2002
Nel corso della seconda metà del Settecento nelle piccole corti e
nelle case patrizie dell'Europa centrale si diffuse enormemente l'abitudine
di affidare l'intrattenimento musicale durante feste e cerimonie a un
475
piccolo complesso di fiati che veniva indicato con il termine tedesco di
Harmonie. Il nucleo standard di una Harmonie era un Ottetto formato da
due oboi, due clarinetti, due corni e due fagotti e il suo repertorio era
costituito principalmente da arrangiamenti e trascrizioni delle opere più
in voga o da lavori originali nelle forme disimpegnate della Serenata, del
Divertimento, della Cassazione. A questo complesso musicale, destinato
a scomparire del tutto nel giro di pochi decenni, diedero il loro contributo
praticamente tutti i compositori dell'epoca, sia con arrangiamenti che con
lavori originali.
Le tre Serenate per fiati composte da Mozart al principio degli anni
Ottanta costituiscono senza dubbio il vertice sommo di questa
produzione. Se però la Serenata in mi bemolle maggiore K. 375 pur
elevandosi di molto al di sopra della media delle composizioni coeve a
livello qualitativo, non se ne discosta radicalmente a livello formale, la
Serenata in do minore K. 388 (384a) ne stravolge completamente le
convenzioni: già la scelta di una tonalità minore - cosa all'epoca ancora
rarissima perfino nelle composizioni più "impegnate" come i Quartetti, le
Sonate e le Sinfonie - costituisce una sorta di contraddizione in termini in
un brano che dovrebbe essere di piacevole intrattenimento; poi il numero
dei movimenti, ridotto a quattro, e la loro struttura formale sembrano
guardare più al modello della Sinfonia che a quello della Serenata, così
come la temperatura espressiva del brano e la complessità di esecuzione.
Con la Serenata in si bemolle maggiore K. 361 (370a) Mozart, pur
tornando a una struttura apparentemente più convenzionale in sette
movimenti, osa ancora di più, non solo aggiungendo altri strumenti
all'organico base della Harmonie - due corni di bassetto (un particolare
tipo di clarinetto che suona una quinta sotto, inventato in quegli anni e
particolarmente amato da Mozart per il suo timbro molto più scuro e
velato rispetto al clarinetto), una seconda coppia di corni e un
contrabbasso - ma dilatando le dimensioni e la densità di scrittura di
ciascun movimento, dando vita così a un lavoro assolutamente unico nel
suo genere; e questa ipertrofia quantitativa e qualitativa della Serenata in
si bemolle maggiore doveva essere tanto più evidente all'epoca di
Mozart, visto che una mano anonima ha aggiunto sul manoscritto
autografo la dicitura di "Gran Partita" con cui ancora oggi viene
abitualmente chiamata.
476
MAPPA DEI VIAGGI DI MOZART
477
Per quanto possa sembrare impossibile, le notizie che abbiamo sulla
genesi di questo straordinario capolavoro e sulle sue esecuzioni
pubbliche durante la vita di Mozart sono alquanto vaghe, per non dire
nulle.
Un tempo la sua nascita veniva collocata dagli studiosi in modo
pressoché unanime nel periodo compreso tra la fine del 1780 e l'inizio
del 1781, quando Mozart si trovava a Monaco per curare la prima
esecuzione di Idomeneo.
A confortare questa ipotesi c'era la presenza degli ottimi strumentisti a
fiato dell'orchestra di corte e del principe Karl Theodor del Palatinato che
Mozart aveva già avuto modo di conoscere qualche anno prima a
Mannheim: la Serenata avrebbe potuto essere composta, dunque, sia
come segno di amicizia per gli strumentisti provenienti dalla leggendaria
orchestra di Mannheim (che si era sciolta nel 1778 quando Karl Theodor
era stato chiamato a Monaco come principe elettore di Baviera), sia come
omaggio al principe nella speranza di ottenere un incarico a corte.
In tempi più recenti si è cominciato ad affermare che a Monaco furono
composti solamente quattro dei sette movimenti che formano la
Serenata, mentre i rimanenti tre sarebbero stati scritti da Mozart nella
primavera-estate del 1781, nei primi mesi trascorsi a Vienna dopo la
rottura con l'Arcivescovo di Salisburgo.
Infine gli studi condotti in questi ultimi anni con l'aiuto della tecnologia -
come l'analisi della filigrana della carta del manoscritto originale -
sembrerebbero postdatare la nascita dell'intera Serenata al primo periodo
viennese: lo studioso mozartiano Roger Hellyer ha addirittura avanzato
l'ipotesi che il pezzo potesse rappresentare un dono per Constanze in
occasione delle nozze, celebrate a Vienna il 4 agosto del 1782.
Sia come sia, nulla ci è dato sapere su una qualsiasi esecuzione pubblica
del brano durante la vita di Mozart. Anche in questo caso possiamo solo
supporre che «il grande pezzo per strumenti a fiato di un tipo molto
speciale composto da Herr Mozart» di cui parlava l'annuncio
pubblicitario per il concerto dato al Burgtheater di Vienna dal
clarinettista Anton Stadler il 23 marzo del 1784 fosse proprio la Serenata
in si bemolle maggiore, o almeno una sua parte.
478
KARL THEODOR
479
Fin dall'apertura la Serenata afferma la sua divergenza dalle convenzioni
del genere: anche se le nostre orecchie moderne non possono più
rendersene conto, le quattordici battute di introduzione lenta (Largo), che
sarebbero assolutamente normali in un Quartetto o in una Sinfonia, in
una Serenata fanno più o meno l'effetto di una persona che si presenti a
un pique-nique vestita in abito da sera.
Non c'è da stupirsi se dopo un simile incipit il gioioso ma sapientissimo
Allegro molto che lo segue si apra nello sviluppo a una scrittura più
contrappuntistica e a brevi momenti di malinconia in tonalità minore e se
perfino il solido Menuetto contenga al suo interno un primo Trio che si
configura come un delicato notturno per soli clarinetti e corni di bassetto
e un secondo Trio increspato da un poeticissimo e malinconico dialogo
fra oboe e clarinetto.
Quanto poi all'Adagio che segue, siamo forse di fronte a una delle pagine
di più ineffabile bellezza di tutta la letteratura musicale; e non è andato
troppo lontano dal vero Peter Shaffer, che nella prima scena della sua
commedia Amadeus, poi portata sul grande schermo da Milos Forman, fa
dire a Salieri all'ascolto di questo Adagio: «Mi sembrò di aver sentito la
voce di Dio!». Segue un giocoso Menuetto che, se rimane sereno e
cantabile anche nel secondo Trio, dal tono rassicurantemente
popolareggiante, nasconde nel suo cuore un primo Trio in minore dai
toni misteriosi e inquietanti. Perfino la Romanze, altro momento di
sospensione lirica, contiene al suo interno un agitato Allegretto in
minore, mentre lo spensierato Tema con variazioni che segue offre a
turno a tutti gli strumentisti la possibilità di salire alla ribalta; ma anche
qui la quarta variazione sembra anticipare voci e colori di alcune pagine
della Zauberflöte. Questo capolavoro davvero straordinario, in cui
Mozart usa con inarrivabile maestria la tavolozza offertagli da un
ensemble di strumenti a fiato, si chiude gioiosamente con un brevissimo
e festoso Rondò di sapore turco, forse la pagina più in sintonia con le
esigenze di una normale Serenata per Harmonie.
Carlo Cavalletti
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 9 febbraio 2007
480
SERENATA PER FIATI N. 11
IN MI BEMOLLE MAGGIORE, K 375
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro maestoso (mi bemolle maggiore)
2. Minuetto I e trio (mi bemolle maggiore)
3. Adagio (mi bemolle maggiore)
4. Minuetto II e trio (mi bemolle maggiore)
5. Allegro (mi bemolle maggiore)
Organico: 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni - Nel 1782 aggiunti 2 oboi
Composizione: Vienna, ottobre 1781
Prima esecuzione: Vienna, residenza del pittore von Hickel, 15 ottobre
1781
Edizione: Andrè, Offenbach 1792
482
La Serenata si conclude con un Allegro, in forma di rondò-sonata, basato
su un tema saltellante dal gusto popolaresco, che riporta al clima festoso
e svagato tipico delle Serenate, e su chiari rimandi tematici tra gli episodi
(il primo è introdotto da un tema ascendente del corno solo, che poi viene
ripreso ed elaborato contrappuntisticamente nel secondo episodio).
Gianluigi Mattietti
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 3 aprile 2009
SERENATA N. 12 IN DO MINORE
"NACHTMUSIK" PER FIATI, K1 388, K6 384A
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (do minore)
483
piaceri della vita di cui circonda Don Giovanni, una cena al suono di un
piccolo gruppo di strumenti a fiato.
La forma e il numero dei movimenti delle Serenate e delle composizioni
affini erano variabili, mentre una costante era il tono disimpegnato,
gradevole e semplice: questo carattere informale contribuiva non poco al
fascino di una musica nata con il modesto scopo di fornire un sottofondo
musicale al chiacchiericcio e al rumore di bicchieri e posate. Però nella
produzione mozartiana di musiche di questo tipo troviamo - oltre alle
brevi e disimpegnate composizioni degli anni di Salisburgo, che
comunque hanno qualità artistica molto superiore a quel che la loro
destinazione effimera meritasse - anche tre lavori di dimensioni e
ambizioni maggiori, scritti a Monaco di Baviera e a Vienna nel 1781 e
1782, che hanno qualcosa d'enigmatico, perché il loro carattere serio e la
loro scrittura complessa appaiono incompatibili con le occasioni in cui
venivano solitamente eseguite le Serenate.
Di questo piccolo gruppo di composizioni fa parte la Serenata in do
minore K. 388, che al carattere enigmatico cui si è appena accennato
unisce anche il mistero della sua destinazione. Per chi fu scritta e per
quale occasione? È stato suggerito che il principe Schwarzenberg o il
giovane principe Liechtenstein potrebbero esserne stati i committenti, ma
non sarebbero rimasti sorpresi, disorientati, irritati e perfino spaventati da
questa Serenata così particolare, così appassionatamente personale
nell'espressione? E come conciliare la sua drammaticità col fatto che fu
composta in uno dei momenti più felici della vita di Mozart, nel luglio
1782, pochi giorni dopo il trionfo della sua Opera comica Il ratto dal
serraglio al Burgtheater di Vienna e immediatamente prima del tanto
desiderato e sospirato matrimonio con Konstanze?
Già la sola scelta del tragico do minore per questo genere di
composizioni, che di norma dovevano avere la leggerezza, l'eleganza e la
disinvoltura dello stile "galante", era un fatto eccezionale e annunciava
un particolare impegno espressivo. Come il sol minore, anche il do
minore è una tonalità emblematica del mondo spirituale di Mozart: se il
sol minore è angoscioso, tenebroso e agitato, il do minore è immerso in
un'atmosfera più tragica ma più oggettiva, è più cupo ma più composto,
come se Mozart vedesse in questa tonalità la manifestazione d'un potere
trascendente e fatale.
484
L'Allegro iniziale è basato su un gruppo di temi concisi e marcatamente
contrastanti, che creano un'atmosfera tragica più fortemente rilevata e più
ampiamente articolata che in ogni altra precedente composizione di
Mozart.
485
L'atmosfera si rasserena nell'Andante, in mi bemolle maggiore: è un
movimento relativamente breve, in cui i vari strumenti dialogano
pacatamente tra loro, con toni d'intenso lirismo.
Le Serenate avevano normalmente due Minuetti, che contribuivano al
loro carattere leggero e disimpegnato, ma Mozart questa volta ne scrisse
uno solo, dando così a questa composizione la struttura più compatta e
severa d'una Sinfonia: si tratta d'un Menuetto in canone, costruito su
lunghe linee contrappuntistiche che passano tra i vari strumenti,
seguendo una tecnica imitativa non troppo rigida.
Il finale è un Allegro, suddiviso in un tema e sette variazioni: il tema, in
do minore, è una svelta melodia dal profilo semplice e ben definito, le
variazioni sono fortemente caratterizzate e delineano un percorso
emotivo simmetrico, sfociando nella ripresa del tema iniziale, questa
volta in un luminoso e vivace do maggiore.
Mauro Mariani
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 17 febbraio 2006
486
COMPOSIZIONI PER ARCHI E FIATI
487
Carlo Marinelli
QUARTETTO IN FA MAGGIORE
PER OBOE E ARCHI, K1 370 (K6 368B)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (fa maggiore)
2. Adagio (re minore)
3. Rondò. Allegro (fa maggiore)
Organico: oboe, violino, viola, violoncello
Composizione: Monaco, gennaio - marzo 1781
Edizione: Andrè, Offenbach 1802
488
Fu in quel periodo che vide la luce il Quartetto per oboe e archi K. 370,
scritto per Friedrich Ramm la cui bravura strumentale dissipò i dubbi di
Mozart circa la sonorità troppo nasale del suo strumento al quale il
salisburghese preferì comunque sempre il clarinetto.
Lo stile dell'Allegro del Quartetto con oboe è più cameristico e più
equilibrato tra le parti rispetto al movimento analogo del Quartetto
'concertante' con flauto K. 285; si segnala l'Adagio in re minore di
insolita mestizia al quale segue il tradizionale Allegro in forma di Rondò,
quanto mai adatto col suo 6/8, interrotto solo brevemente da un episodio
alla breve, a mettere in evidenza le doti virtuosistiche dell'oboista.
Johannes Streicher
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 25 settembre 1990
490
Nell'opera K. 298 sarebbero stati utilizzati anche temi altrui, come un
Lied di Franz Anton Hoffmeister rielaborato nel primo movimento e un
antico e popolare rondò francese nel trio del minuetto. La composizione
si snoda con tono piacevole e brillante, sin dall'Andante cantabile e di
delicato lirismo all'italiana, arricchito da una serie di spigliate variazioni,
affidate volta per volta ai vari strumenti, prima di ritornare al bel tema
del flauto. Da sottolineare l'eleganza melodica e armonica del Rondò e la
fosforescente leggerezza dell'Allegretto conclusivo.
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma Auditorio di Via della Conciliazione, 24 febbraio 1989
492
Questo Quartetto, noto anche nella numerazione K. 285b, si collega agli
altri due Quartetti, in re maggiore K. 285 e in sol maggiore K. 285a,
perché composti per lo stesso organico strumentale (flauto e archi). In
fondo i Quartetti K. 285a e K. 285b si richiamano maggiormente allo
stile di Johann Christian Bach, quanto mai elegante e misurato negli
effetti, e secondo Einstein si ritrova nel finale del K. 285b la versione
originale del tema con variazioni della Serenata per strumenti a fiato K.
361.
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Nazionale di Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 25 novembre 1983
QUINTETTO IN LA MAGGIORE
PER CLARINETTO, K. 581 "STADLER"
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (la maggiore)
495
L'Allegro iniziale, in forma sonata, si basa su temi ampi e cantabili, di
immediata piacevolezza, non disgiunta per la seconda idea da una certa
malinconia, evidenziata dalla ripresa in minore del clarinetto; lo sviluppo
poi evita i contrasti dialettici e si fonda piuttosto sulla figurazione
arpeggiata che introduce il clarinetto, elaborata in suadenti giri armonici;
è questo il movimento che offre ai cinque strumenti le maggiori
possibilità di intreccio e di scambio di ruoli - ad esempio se nella
esposizione si susseguono violino e clarinetto, nella ripresa i ruoli
vengono invertiti - sempre condizionate dalla ricerca di soluzioni sonore
dolcemente eufoniche.
Il secondo tempo, un tenero Larghetto in una regolarissima forma di
Lied, vede il clarinetto impegnato nell'esibizione delle proprie capacità
melodiche e del rapido passaggio dai gravi agli acuti; nella sezione
centrale esso instaura un dialogo con il primo violino, sul morbido
sfondo creato dagli altri archi.
La presenza inconsueta di due Trii avvicina lo spirito del Minuetto a
quello dei Divertimenti salisburghesi; alla garbata melodia della danza si
contrappongono prima una sezione in minore per soli archi, e poi un
motivo dal carattere di Ländler popolaresco.
E popolaresco è anche il Tema con variazioni (finale al posto del più
usuale Rondò) il cui carattere disimpegnato è una precisa scelta
dell'autore, che aveva già abbozzato un movimento più complesso; le
variazioni, improntate alla massima godibilità d'ascolto, si susseguono
secondo una studiata logica di contrasti alternati, con una variegata
scrittura strumentale che riassume le caratteristiche più salienti dell'intera
composizione.
Arrigo Quattrocchi
496
QUINTETTO IN MI BEMOLLE MAGGIORE
PER CORNO ED ARCHI, K1 407 (K6 386C)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (mi bemolle maggiore)
2. Andante (si bemolle maggiore)
3. Allegro (mi bemolle maggiore)
Organico: corno, violino, 2 viole, violoncello
Composizione: Vienna, dicembre 1782
Edizione: Schmid & Rau, Lipsia 1796
Dedica: Ignaz Leutgeb
497
terza bassa, ma a partire dall'esposizione del tema principale sarà il corno
a condurre il discorso.
Solo occasionalmente gli altri strumenti vanno al di là della funzione di
sostegno, come per esempio nel brevissimo sviluppo, o alla fine
dell'esposizione quando il primo violino ripete ironicamente i quattro fa
staccati del corno, episodio ripetuto ed ampliato con l'intervento degli
altri archi alla fine della ripresa.
L'Andante, nella tonalità della dominante, lascia spazio maggiore alla
cantabilità del primo violino che si alterna col corno mentre sulla base
armonica del violoncello le viole procedono per lo più parallelamente.
Come anche nel Rondò finale le due viole danno solo un colore
lievemente più scuro senza creare atmosfere più adombrate come la loro
presenza potrebbe invece suggerire (basti pensare ad alcuni dei Quintetti
per archi mozartiani).
Di impianto formale semplice, il Quintetto K. 407 è vicino al mondo
dell'Entführung coeva, e anche l'accenno di fugato nelle sue ultime
battute è solamente una scherzosa allusione a forme più severe da Mozart
sì magistralmente padroneggiate ma qui non ostentate.
Johannec Streicher
498
COMPOSIZIONI PER STRUMENTI SOLI
Organico: glassharmonika
Composizione: Vienna, gennaio - maggio 1791
Dedica: Marianne Kirchgässer
499
TRII, QUARTETTI E QUINTETTI PER ARCHI
Trascrizione per Quartetto d'archi dalla Fuga per due pianoforti, K 426
Tra gli aspetti più affascinanti della riflessione storica sulla musica
vi è senza dubbio l'indagine su come sia mutato nei secoli il concetto di
tradizione che spettatori, dilettanti, compositori ed esecutori hanno fatto
proprio nei secoli. Qualche particola dell'infinito caleidoscopio di
opinioni che animò tale problematica, ancora oggi attuale, ci giunge dalle
testimonianze scritte di chi la musica la visse come lavoro e come
impegno critico e intellettuale.
Sia detto subito che la materia è magmatica, sempre aperta a nuove
interpretazioni e sottoposta a nuove evoluzioni del gusto; essa ha però il
pregio, se analizzata con attenzione, di apportare spesso qualche
elemento rivelatore sulle relazioni tra musica e società, non dimenticando
tuttavia che nella maniera in cui un compositore si rivolge al passato c'è
una percentuale di influenza sociale, dichiarata o tacita, e una parte di
esperienza e di giudizio personali.
Mozart è un punto di osservazione privilegiato per la problematica in
questione: da giovanissimo ebbe il pregio di viaggiare molto, di avere un
apprendistato cosmopolita; ebbe la fortuna di conoscere molti ambienti
culturali europei con i loro gusti e le loro tradizioni. La sua sensibilità fu
termometro di molte delle tensioni culturali dell'epoca. Il suo incontro a
Vienna e la decennale amicizia con il bibliotecario imperiale barone
Gottfried van Swieten, vengono spesso descritti come elementi
500
importanti per l'evoluzione del suo stile. Mozart aveva cominciato a
frequentare il barone nel 1781. Ambasciatore a Berlino presso Federico
II, van Swieten si era affiliato in quella città a un gruppo di difensori
della memoria bachiana e händeliana di cui facevano parte altri
compositori.
Uomo politico con interessi culturali, grande amante della musica al
punto da essere compositore di Sinfonie («rigide come lui stesso» a dire
di Joseph Haydn), van Swieten amava farsi promotore anche a Vienna
della diffusione dell'opera di J. S. Bach e di Händel. Aveva dato in gran
copia anche a Mozart spartiti e partiture di questi due autori, materiale di
cui il salisburghese si serviva eseguendoli e studiandoli in casa. Scrisse
nel 1783: «Quando Constanze udì le fughe, se ne innamorò: ora non
vuoi sentire altro che fughe e soprattutto (in questo campo) Händel e
Bach. Siccome poi mi aveva sentito improvvisarne io stesso, mi domandò
se non ne avessi già scritta qualcuna e quando le risposi che no, mi
rimproverò aspramente di aver trascurato quanto di più bello e
interessante ci sia nella musica, e non smise di pregarmi fino a che non
gliene scrissi una. [...] Col tempo ne farò altre cinque e le regalerò al
barone van Swieten».
Più che per Mozart, il cui ruolo di compositore aveva sempre
contemplato di necessità lo studio di variegate tipologie di musiche
recenti o passate, la citazione ci interessa per la presa di posizione della
moglie: che Constanze trovasse le fughe così attraenti al puro ascolto,
testimonia un fatto di evoluzione del gusto assai interessante.
L'amore per il contrappunto non era dunque più una faccenda per soli
esperti: dalle appendici solenni del genere sacro e dal silenzioso lavoro
del privato esercizio, lo stile contrappuntistico aumentava il suo indice di
gradimento fra gli ascoltatori. E Mozart si mise a lavoro: il 29 dicembre
1783 completò la stesura della Fuga in do minore K. 426, opera
preceduta da diversi frammenti di fughe per tastiera lasciate incomplete.
Si trattava di una severa e maestosa fuga a quattro voci per due
fortepiani, alla quale Mozart voleva far precedere un Preludio: un
progetto iniziato ma portato a compimento più tardi.
Nel giugno del 1788, infatti, egli riprese in mano la vecchia fuga e la
riadattò per Quartetto od orchestra d'archi aggiungendo, come ebbe a
scrivere lui stesso, anche un «Adagio a due violini, viola e basso per una
501
fuga che scrissi tempo fa». Si trattava dell'Adagio e Fuga in do minore
K. 546, un'opera che trasfondeva nel colorismo degli archi il carattere
serio e impegnato della composizione precedente.
502
Rispetto alla prima versione, l'Adagio ha qui la funzione di accentuare
l'effetto meccanico e sublime della fuga tramite un'introduzione patetica
ad hoc: la tensione tra l'elemento fiero ed energico che apre il brano e un
secondo segmento dal tono dolente e sommesso costruito su respiri di
semitono, costituisce una sorta di rifugio intimistico dalla natura
interrogativa.
Nella Fuga seguente Mozart allestisce un'imponente struttura: un austero
soggetto caratterizzato da ampi intervalli viene sottoposto al severo
artificio del contrappunto e puntellato da un mobile controsoggetto che
dona al tutto un'affascinante sinuosità cromatica.
Nel trattamento dell'elaborazione motivica Mozart segue strade a volte
personali a volte ortodosse, riuscendo a stupirci anche nelle situazioni
più canonizzate del genere, fino allo "stretto" finale (topos tecnico della
fuga) che conclude il brano in modo grandioso e solenne.
Il Mozart lirico, sensuale e ammiccante si trasforma qui in un poderoso
busto di marmo: l'unica ragione per cui egli si riconosca in costruzioni
del genere è l'affidare loro un valore mistico, trascendente. Artificio,
solennità, chiara percezione dell'architettura donano alla musica
contrappuntistica una dignità "religiosa", un sapore rituale.
Il meccanismo del contrappunto sembra rendere la composizione
indipendente dai turbamenti umani (non a caso era spesso usata per
celebrare la divinità), donargli una vita propria nella quale il brano pare
originarsi da sé.
L'interpretazione dello stile severo nel tardo Settecento anticipa il
crescendo culturale che porterà nel secolo successivo la musica a essere
arte con una propria altissima dignità intellettuale e spirituale.
Mozart intercettava con l'Adagio e Fuga K. 546 l'evoluzione del gusto
europeo tendente a far evolvere il classicismo verso lo spiritualismo
romantico ancora di là da venire.
Ma non è da escludere che la sua natura fortemente trasgressiva, sempre
e comunque attenta a dare il meglio della sua maestria creativa in ogni
campo, donasse al solenne portamento della fuga anche un tocco
segretamente ironico.
503
Simone Ciolfi
FABIO LUISI
504
CINQUE FUGHE PER QUARTETTO D'ARCHI, K 405
506
QUARTETTO PER ARCHI N. 1
IN SOL MAGGIORE, K1 80 (K6 73F)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Adagio (sol maggiore)
2. Allegro (sol maggiore)
3. Minuetto (sol maggiore)
4. Rondò (sol maggiore)
507
FRANZ JOSEPH HAYDN
508
Al punto che si può dire che un rapido sguardo alla loro produzione -
sessantotto Quartetti in quasi mezzo secolo, fra il 1757 e il 1803, Haydn;
ventisei Quartetti nell'arco di un ventennio, tra il 1770 e il 1790, Mozart -
consenta di fotografare perfettamente la profonda trasformazione
verificatasi in quegli anni nel genere del Quartetto per archi.
Intorno alla metà del Settecento, i Quartetti, che venivano più
frequentemente chiamati "Divertimenti", erano ancora brani di
intrattenimento estremamente disimpegnati che potevano essere in un
numero variabile di movimenti (tre, quattro, cinque), e non attribuivano
affatto la stessa importanza ai quattro strumenti, "guidati" nettamente dal
primo violino. Anche i primi dieci Quartetti di Haydn, scritti intorno al
1757 per le serate del principe Karl Joseph von Fürnberg nel castello di
Weinzierl, si rifanno a questo modello e sono tutti in cinque movimenti
con due minuetti.
Dopo una pausa durata oltre dieci anni, Haydn tornò al Quartetto nel
1768 e fino al 1772 portò a termine ben diciotto lavori (sei op. 9, sei op.
17 e sei op. 20) che, pur essendo ancora indicati col titolo di
"Divertimenti", delineano chiaramente il modello di un brano più serio e
impegnativo in quattro movimenti, in cui gradualmente gli altri tre
strumenti acquistano importanza a fianco del primo violino. Se in alcuni
movimenti lenti dell'op. 9 l'antico protagonismo del primo violino
riaffiora, l'op. 17 appare ancora più equilibrata, con i quattro strumenti su
un piano di quasi assoluta parità, fino a giungere nell'op. 20 a un ulteriore
inspessimento della scrittura contrappuntistica: ben tre Quartetti hanno il
movimento finale in forma di fuga. A tutto questo si aggiunge, sotto
l'influenza del cosiddetto periodo Sturm und Drang, un più frequente
utilizzo delle tonalità minori. Dopo l'op. 20, però, Haydn abbandona
ancora una volta per quasi dieci anni il genere del Quartetto, proprio
mentre il giovane Mozart vi compie i suoi primi passi.
Il Quartetto in sol maggiore K. 80/73f, scritto nel 1770 dal
quattordicenne Mozart durante il suo primo viaggio in Italia, e i tre
Divertimenti K. 136-138, composti due anni dopo a Salisburgo, sono
pagine leggere e disimpegnate ancora a metà strada fra lo stile del
divertimento e quello più arcaico della Sonata a tre. Fra le principali
esperienze musicali del giovanissimo Mozart durante i due mesi trascorsi
a Milano al principio del 1770 bisogna senz'altro annoverare l'incontro
509
con due prestigiosi maestri italiani: Niccolò Piccinni e Giovanni Battista
Sammartini. E il Quartetto in sol maggiore K. 80/73f, terminato la sera
del 15 marzo del 1770 in una locanda di Lodi nel corso del viaggio da
Milano alla volta di Bologna, segue il modello formale in tre movimenti
(Adagio-Allegro-Menuetto) tipico di molte composizioni strumentali di
Sammartini e della sua scuola.
510
d'impianto di sol maggiore: un trasognato e sereno Adagio, il cui incipit
sembra prefigurare quello di «Porgi amor» dalle Nozze di Figaro, un
Allegro frenetico e pieno di buon umore e un breve e pomposo Menuetto.
Evidentemente Mozart doveva essere alquanto soddisfatto del suo lavoro
di esordio nel campo del Quartetto, visto che qualche anno dopo, alla
fine del 1773 o al principio del 1774, lo riprese rendendolo più moderno
con l'aggiunta di un quarto movimento in coda, un breve e luminoso
Rondò in sol maggiore.
Carlo Cavalletti
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 28 febbraio 2002
511
con il tema secondario, costruito con incisi distribuiti tra i violini;
soltanto per la chiusa ricompare la frase iniziale del tema principale.
Il Molto allegro finale è un vivace rondò con due episodi.
Cesare Fertonani
Testo tratto dallo speciale della rivista Amadeus, Ottobre 1995
ù
512
ideale parità, scambiandosi vicendevolmente le funzioni di guida
melodica ed accompagnamento. Al contrario, la scrittura per soli archi si
era da pochi anni emancipata dalla schiavitù del basso continuo, ossia dal
vincolo di una linea dello strumento grave su cui venivano costruite le
armonie di riempitivo e la melodia dello strumento superiore.
Fondamentale, in questo periodo di transizione, l'opera del milanese
Giovan Battista Sammartini, che seppe convertire la vecchia Sonata a
quattro nello stile arioso del gusto galante. Sotto il profilo della scrittura,
la maggiore libertà e leggerezza degli strumenti di accompagnamento
non faceva venir meno il principio del predominio del primo violino.
Sotto il profilo dei contenuti, invece, il "Quartetto" era sinonimo di
"Divertimento", dunque la destinazione agli strumenti ad arco non
contemplava la nozione di musica "per intenditori", ma si assimilava
perfettamente a tutti gli altri generi ed organici destinati
all'intrattenimento.
Pensati per essere eseguiti nelle "accademie" date in onore del giovane
compositore dalla nobiltà milanese, i sei Quartetti K. 155-160 recano la
traccia evidente del gusto italiano; eppure non è difficile trovarvi una
impronta autenticamente personale e anche il segno dell'influenza
salisburghese. Le sei partiture si articolano ciascuna in tre movimenti, ma
una sola di esse (il Quartetto K. 159) segue lo schema più antico che era
tipico di Sammartini: lento-veloce-veloce; gli altri cinque lavori, invece,
presentano il più moderno schema allegro-lento-allegro, con un minuetto
finale.
Il Quartetto in sol maggiore K. 156 reca dunque il segno di un gusto
disimpegnato tipicamente italiano, nella maniera di Sammartini. Con il
"Presto" che apre la composizione abbiamo tre agili temi
nell'esposizione, e uno dei tratti "italianisti" consiste nel fatto che la
sezione dello sviluppo non rielabora il materiale tematico già presentato
in precedenza, ma si basa su un quarto tema del tutto nuovo, che presenta
la caratteristica di un accompagnamento insistito del secondo violino.
Dunque una abbondanza di melodie, che ritroviamo anche nel tempo
conclusivo, un Tempo di minuetto pienamente cantabile, con due
minuetti che si avvicendano: il secondo è più lungo del primo, come di
consueto in quel periodo.
513
Il movimento più interessante è però quello centrale, per cui Mozart
scartò un abbozzo scritto in un primo momento, rimpiazzandolo con un
tempo del tutto nuovo; circostanza che indica come il compositore fosse
insoddisfatto del contenuto espressivo della pagina. E in effetti la nuova
stesura rivela una autentica crisi espressiva nel giovane Mozart,
interessato a caricare i suoi tempi lenti di un pathos sentimentale e
irrazionale che è stato spesso ricollegato all'atmosfera Sturm und Drang
di quegli anni, e che segna una netta rottura rispetto al gusto italiano.
Non a caso questo Adagio presenta una tonalità minore (mi minore) e
una cantilena continua del primo violino, accompagnata intensamente
dagli altri strumenti, con la definizione di un'atmosfera che - come
osservarono Wyzewa e Saint-Foix - rimanda a un importante arioso di
Giunia, la protagonista femminile del Lucio Siila.
Arrigo Quattrocchi
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di Via della Conciliazione, 29 gennaio 1999,
Quartetto Fiesole
515
chiusa dell'esposizione hanno struttura di canoni all'ottava; il compito di
diradare la spettrale malinconia che si cela, qui come nel breve sviluppo,
dietro l'apparente oggettività del contrappunto, è affidato alla cordialità
del tema secondario. Il finale è un Menuetto.
Cesare Fertonani
Testo tratto dallo speciale della rivista Amadeus, Ottobre 1995
516
Testo tratto dallo speciale della rivista Amadeus, Ottobre 1995
517
QUARTETTO PER ARCHI N. 7
IN MI BEMOLLE MAGGIORE, K1 160 (K6 159A)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Andante (si bemolle maggiore)
2. Allegro (sol minore)
3. Rondò. Allegro grazioso (si bemolle maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Milano, febbraio 1773
Edizione: Artaria, Vienna 1792
518
QUARTETTO PER ARCHI N. 13 IN RE MINORE, K 173
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro, ma molto moderato (re minore)
2. Andante grazioso (re maggiore)
3. Minuetto (re minore)
4. Allegro (re minore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, settembre 1773
Edizione: Artaria, Vienna 1792
521
piena determinazione di una civiltà musicale, quella che verrà
denominata dalla città imperiale e supernazionale che d'ora in avanti le
darà ricetto.
522
Una tale realtà si rivela in tutta la sua pienezza fin dalle prime battute del
Quartetto in sol maggiore K.387, primo della serie, dove l'affinità e
insieme l'autonomia di Mozart nei confronti dell'illustre amico e mentore
si coniugano in esiti di assoluta autorità stilistica. In altre parole,
prendendo le mosse da modelli e stimoli haydniani (provenienti dalle
serie più recenti dei Quartetti editi dal maestro di Esterhàza, in
particolare le op. 20 e 33, ossia gli splendidi Sonnen e Russische
Quartette)
Mozart se ne discosta creando una dimensione Quartettistica tutta sua,
vibrante di pathos e di tensioni drammatiche, in un'articolazione
armonica e polifonica senza precedenti e in una concezione sonatistica
profondamente diversa da quella espressa da Haydn. Ecco quindi la
densità e la rotondita della scrittura mozartiana prendere le distanze dal
gusto haydniano per il suono asciutto e puntuto, capricciosamente
chiaroscurato.
Inoltre il lavorio sul dato motivico, lungi dall'essere pervicace e
totalizzante, si concede le evasioni di un plastico bitematismo e di quelle
esuberanti formule cadenzali cui Mozart non rinuncerà neppure nelle
opere della avanzata maturità comprese le grandi Sinfonie, e che
sussisteranno tra i gesti più spiccati del suo stile strumentale.
Sempre nell'Allegro vivace assai, la differente armonizzazione cui viene
sottoposta la replica testuale del secondo tema si qualifica come tratto
squisitamente personale, e altrettanto si dica della spettacolarità (così
antitetica alla discreta sobrietà haydniana) con cui viene introdotta la
ripresa mediante una sorta di arco trionfale, fabbricato con frammenti dei
materiali tematici utilizzati.
Ma in nessun caso la discrepanza da Haydn appare più palese, come nel
Minuetto, che per il suo peso strutturale ed espressivo richiede (qui,
come poi nei Quartetti K. 458 e 464) il secondo posto, subito dopo il
primo tempo.
Invece del tipico Minuetto o Scherzo haydniano, breve, ben squadrato,
percorso da una rustica vitalità non senza trovate ritmiche piccanti o
colorismi zingareschi, abbiamo un brano la cui complessità e profondità
travalicano dalle tradizionali funzioni d'intermezzo, per assumere
un'importanza pari e talora superiore a quella di un movimento lento.
523
L'Andante cantabile potrebbe benissimo essere germogliato da un seme
haydniano (pari a quello, ad esempio, maturato nel cuore dell'op. 33 n.
3).
Senonché, fin dalle prime battute, l'incipit cantabile lievita in una densità
e profondità di suono, per librarsi subito dopo in certe ebbrezze estatiche
del primo violino che richiamano alle atmosfere traslucide di taluni
movimenti lenti degli ultimi Quartetti beethoveniani.
Si aggiunga il trasalimento drammatico provocato da certe inopinate
modulazioni e dal baratro armonico che s'apre immediatamente dopo la
ripresa sonatistica, portando il discorso, nel giro di cinque battute, da do
a re bemolle maggiore, e proseguendo per vie impervie che toccano il mi
bemolle minore, fino al porto della dominante.
Nel celebre finale polifonico, la perfetta assimilazione delle proposte
haydniane raccolte nei saggi contrappuntistici dell'op. 20, si concreta in
una tra le più abbaglianti conquiste del maturo stile strumentale
mozartiano. In sintesi, si può dire che qui Mozart coniuga gli elementi
del contrappunto tradizionale con quelli della dialettica sonatistica,
esattamente come avverrà sei anni più tardi nell'analogo Finale della
Sinfonia Jupiter.
Più in particolare, l'elemento tematico attinente alle strutture sona-
tistiche ed è costituito paradossalmente, da spunti in stile polifonico
rigoroso, come l'esposizione di una fuga tonale, che sostiene il ruolo di
primo episodio e una seconda esposizione fugata su tema sincopato, che
funge da secondo episodio, cui ben presto si accoda il gentile motivo
cantabile, sublimazione di un residuato galante ormai trasfigurato a
ricordo di se stesso.
Giovanni Carli Ballola
524
QUARTETTO PER ARCHI N. 15
IN RE MINORE, K1 421, K6 417B
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (re minore)
2. Andante (fa maggiore)
3. Minuetto e trio. Allegretto (re minore)
4. Allegro ma non troppo (re minore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, 14 - 17 Giugno 1783
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 15
Gennaio 1785
Edizione: Artaria, Vienna 1785
Dedica: Franz Joseph Haydn
525
racchiude un trasognato episodio in la bemolle maggiore; l'effimero
momento di pura elegia ci sorprende inatteso: dopo una sospensione sul
do minore la linea melodica del violino primo "discende" dall'alto, non
preparata da modulazioni, su di un lungo pedale di la bemolle.
526
Lontano da tensioni antagoniste e gerarchie tonali, Mozart si avvale qui
di uno "scarto" armonico che anticipa la sintassi del linguaggio
schubertiano.
Il Menuetto (Allegretto) ci riconduce alla tonalità minore d'impianto;
secondo H. Abert, domina nel brano un tono "caparbio e combattivo":
Mozart rifugge qui dalla simmetria delle canoniche otto battute dilatando
il periodo iniziale a dieci battute, con una notevole complessità di metro.
L'accentuazione dinamica e armonica sembra contraddire il corso
regolare, mentre la condotta delle parti rende indistinti i contorni delle
singole sezioni. Mozart gli oppone il più netto contrasto possibile nel
Trio (re maggiore) - un soave idillio d'impronta galante che riecheggia le
atmosfere campestri del Divertimento K. 334 - in cui il primo violino
intesse aeree figurazioni in un incalzante ritmo lombardo sul delicato
pizzicato scandito dagli altri strumenti.
Il movimento conclusivo (Allegro ma non troppo, in re minore), un tema
con variazioni, costituisce un esplicito omaggio ad Haydn, richiamando
l'analogo movimento del suo Quartetto Op. 33 n. 5. Significativa è la
scelta della forma della variazione: ripiegato in una sorta di
rassegnazione, Mozart si chiude entro l'approfondimento di un solo stato
d'animo.
Il tema, bipartito, è una semplice pastorale in ritmo di Siciliana (6/8),
seguito da quattro ampie variazioni che ne sottraggono progressivamente
l'iniziale purezza: la prima è caratterizzata dalle agili "improvvisazioni"
in semicrome del primo violino, la seconda da una complessa figurazione
sincopata ottenuta con la giustapposizione di ritmi differenti; nella terza e
quarta (re maggiore) sono la viola e il violoncello ad emergere in un
dialogo più serrato tra le parti. Segue, a conclusione, la ripresa del tema
di Siciliana in Più Allegro: l'intensificazione drammatica viene qui
perseguita con l'introduzione di un'incalzante terzina di semicrome sulla
nota ribattuta.
Giovanni Carli Ballola
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 14 novembre 1990
527
QUARTETTO PER ARCHI N. 16
IN MI BEMOLLE MAGGIORE, K1 428 (K6 421B)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro ma non troppo (mi bemolle maggiore)
2. Andante con moto (la bemolle maggiore)
3. Minuetto e trio. Allegro (mi bemolle maggiore)
4. Allegro vivace (mi bemolle maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, giugno - luglio 1783
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 15
gennaio 1785
Edizione: Artaria, Vienna 1785
Dedica: Franz Joseph Haydn
529
Haydn, dal canto suo, proprio dopo l'esecuzione di alcuni Quartetti di
Mozart a Vienna (episodio riferito nella lettera sopra citata), aveva
pronunciato parole di elogio per il suo amico, definito come una persona
«che ha gusto e possiede la più profonda scienza di comporre».
Naturalmente Mozart, nonostante la suggestione del modello haydniano,
è riuscito a dare una impronta personale ai suoi Quartetti, sia per la
qualità delle idee che per le innovazioni di linguaggio, nell'ambito di una
esposizione rigorosamente tematica.
Per questo carattere originale, così diversificato dalla pratica
Quartettistica del tempo, non c'è da meravigliarsi di alcuni giudizi poco
favorevoli apparsi nella stampa dell'epoca, come ad esempio quello della
"Gazzetta Viennese" del 1787, dove si dice: «Peccato che Mozart, nel
lodevolissimo intento di diventare un innovatore, si sia spinto troppo
lontano, e non certo a vantaggio del sentimento e del cuore. I suoi nuovi
Quartetti sono troppo drogati e, a lungo andare, nessun palato riesce a
tollerarli».
In realtà questi Quartetti, al di là della densità del discorso sonoro e di
alcune arditezze grammaticali, che fecero arricciare il naso a qualche
maestro contemporaneo (il compositore Giuseppe Sarti arrivò persino a
deplorare che «barbari assolutamente privi di orecchio s'ostinassero a
scrivere la musica»), racchiudono una gioiosità, una spontaneità e una
freschezza di espressione che sono i tratti tipici del genio mozartiano.
In particolare il Quartetto K. 428, composto tra luglio 1783 e febbraio
1784, è considerato uno dei migliori, per invenzione tematica e
schiettezza melodica della raccolta Quartettistica dedicata ad Haydn.
In più, alcuni commentatori dell'Opera mozartiana hanno voluto
ravvisare in certi passaggi armonici del Quartetto dei preannunci
romantici; il De Saint-Foix, ad esempio, ha notato nell'Andante con moto
delle figurazioni cromatiche premonitrici stilisticamente del Tristano e
Isotta wagneriano.
Forse una considerazione del genere può sembrare eccessiva e troppo
forzata, ma è certo che nell'Allegro non troppo, ricco di imitazioni fra i
vari strumenti, come nel citato Andante e nel Trio del Minuetto, che
accenna ad una musica vagamente esotica, Mozart dimostra di essere un
anticipatore delle coloriture romantiche, riservando all'Allegro vivace
530
finale la brillante cantabilità, festosa ed estroversa, perfettamente fedele
agli insegnamenti haydniani.
531
giacché, a differenza di quanto avviene in Haydn, il tema iniziale e le sue
figure complementari nel corso del movimento si articolano in derivati
provvisti di evidente autonomia motivica.
532
La novità, in questo sviluppatissimo primo tempo, è bensì costituita dalla
poderosa "coda", tra le più lunghe ed elaborate mai composte da Mozart,
aperta nei modi di uno "stretto", o piuttosto cadenza in tempo, mediante
un vigoroso canone alla quinta tra i due violini su pedale di dominante e
conclusa con una festosa apoteosi.
Il breve Minuetto, significativamente collocato subito dopo un primo
movimento di tale imponenza, colora di varie iridescenze armoniche la
sua frase principale, caratterizzata da un'insistita polarità della tonica,
ricorrente sul tempo forte per ben cinque misure su otto. L'aspirazione
più contemplativa che dinamica del Quartetto trova conferma nel suo
Adagio che si richiama al movimento lento di quello in sol maggiore per
le sue collusioni con i vasti "cantabili" esemplificati da Haydn, di gran
lunga superati per il fervore delle temperie inventive e la complessità
delle interrelazioni sottese tra la linea melodica e il movimento delle parti
subalterne.
Il momento eccelso di questo sistema di rapporti è dato dall'affiorare
estatico della seconda idea Sonatistica, in una progressione melodico-
armonica di sapore assolutamente schubertiano. Anche nell'Allegro assai
conclusivo, il più grandioso finale Quartettistico sinora mai scritto da
Mozart, l'esempio haydniano non tanto viene qualitativamente superato,
quanto distanziato per l'approccio sostanzialmente diverso alla struttura
Sonatistica.
Approccio che lungi dal mortificare l'esuberanza motivica (i temi, tutti
assai significativi, questa volta sono tre, il secondo dei quali collocato
come luminoso corridoio tra le due sezioni dell'esposizione) la pone a
confronto con le energie irruenti di un'acquisita padronanza delle
tecniche e degli spiriti dell'elaborazione, in un esito di trascendente
equilibrio.
Giovanni Carli Ballola
533
QUARTETTO PER ARCHI N. 18 IN LA MAGGIORE, K 464
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (la maggiore)
2. Minuetto e trio (la maggiore)
3. Andante (re maggiore)
4. Allegro (la maggiore)
Organico: 2 violini., viola, violoncello
Composizione: Vienna, 10 gennaio 1785
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 15
gennaio 1785
Edizione: Artaria, Vienna 1785
Dedica: Franz Joseph Haydn
534
FRANZ JOSEPH HAYDN
535
L'ideale della variazione mozartiana - non "rovistare nel tema" (Brahms)
in cerca della diversità, come faranno Beethoven e lo stesso autore delle
Variazioni op. 24 sopra un tema di Haendel, ma illuminarne
progressivamente l'identità, fino ad esaltarla - assurge qui a valori di
assoluta bellezza, collocandosi a degno contraltare delle celebrate
variazioni che pervadono l'estrema stagione creativa beethoveniana.
Quando il culmine sembra essere stato raggiunto dalla variazione in re
minore, con la sua febbrile figura dominante in terzine, esso viene
superato nella successiva doppia variazione col suo intreccio imitativo
degno di Bach, mentre nell'ultima e nella coda Mozart giunge a superare
se stesso attingendo a un sublime umorismo che si collega, ma in un
ordine superiore di valori, a quello del Finale del Quintetto K. 452 per
pianoforte e fiati.
Ma la tregua conciliante introdotta dalle variazioni viene spezzata
dall'Allegro non troppo, dove la tensione elaborativa riprende
implacabile, accentuando ogni elemento conflittuale desunto dai primi
due movimenti mediante chiari punti di contatto strutturali ed
esasperandolo con il mordente di un cromatismo programmato fin dalla
cellula motivica iniziale.
Giovanni Carli Ballola
536
QUARTETTO PER ARCHI N. 19
IN DO MAGGIORE "DELLE DISSONANZE", K 465
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Adagio. Allegro (do maggiore)
2. Andante cantabile (fa maggiore)
3. Minuetto e trio. Allegro (do maggiore)
4. Allegro molto (do maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, 14 gennaio 1785
Prima esecuzione: Vienna, Großer Redoutensaal del Burgtheater, 15
gennaio 1785
Edizione: Artaria, Vienna 1785
Dedica: Franz Joseph Haydn
537
FRANZ JOSEPH HAYDN
538
Ciò nonostante dopo la tensione espressiva dell'introduzione il brano
privilegia un'ambientazione più spensierata e una logica di contrasti
quasi teatrale; forte è il contrasto con gli schietti spunti tematici
dell'Allegro che costituisce il primo movimento, espressivamente appena
turbato nello sviluppo.
L'Andante cantabile, di impostazione contemplativa, si affida
prevalentemente a tre schemi di scrittura: la guida melodica del primo
violino, il dialogo serrato fra violino e violoncello, l'accompagnamento
ostinato del violoncello con interventi successivi delle voci superiori.
Al Minuetto, con i gustosi scarti dinamici e il fraseggio cromatico, si
oppone un agitato Trio in minore.
Ma l'intero Quartetto gravita verso il Finale, una pagina di eccezionale
ampiezza in forma sonata, dove è particolarmente evidente la traccia
dell'esempio haydniano; Mozart vi sfoggia tutte le risorse del nuovo stile
di scrittura, piegando duttilmente il fraseggio arguto del primo violino, i
calibrati giochi di imitazione, l'incisività ritmica e gli improvvisi silenzi,
verso un contenuto di brillante umorismo.
Arrigo Quattrocchi
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 16 marzo 1995
539
QUARTETTO PER ARCHI N. 20
IN RE MAGGIORE "HOFFMEISTER", K 499
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegretto (re maggiore)
2. Minuetto e trio. Allegretto (re maggiore)
3. Adagio (sol maggiore)
4. Allegro (re maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, 19 agosto 1786
Edizione: Hoffmeister, Vienna 1786
540
ovvero dei corni, delle trombe e delle percussioni. Per questo era indicata
per le occasioni di festa, per le cerimonie, come lo stesso Leopold
Mozart scrisse al figlio Wolfgang nel 1782, con la raccomandazione di
scrivere proprio in re maggiore una Serenata per la famiglia Haffner, di
Salisburgo, brano che in seguito sarebbe stato trasformato nella Sinfonia
K. 385.
543
Un secondo tema compare durante lo sviluppo, nel quale Mozart
arricchisce il tessuto armonico con il cromatismo e con modulazioni
verso tonalità lontane.
Il Minuetto che segue non smentisce l'atmosfera serena che aveva
caratterizzato il movimento precedente e anticipa, nel Trio, il tema del
finale.
La trama contrappuntistica, qui particolarmente fitta, assume la forma di
un gioco, di un'esibizione estroversa che non persegue immediate finalità
costruttive.
E' questa la caratteristica fondamentale dell'intero brano, uno spirito
ludico che ritroviamo anche nell'Adagio, dove un tema molto ampio e
flessuoso conserva i tratti di un'atmosfera spensierata e brillante, e che
giunge all'apice nell'Allegro finale.
Qui Mozart inscena un vero e proprio gioco delle parti fra i due temi che,
esposti l'un contro l'altro dai diversi strumenti, ingenerano effetti di
asimmetria, di volontario umorismo, provocando soluzioni tematiche e
armoniche impreviste.
Stefano Catucci
544
QUARTETTO PER ARCHI N. 21
IN RE MAGGIORE "PRUSSIANO 1", K 575
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegretto (re maggiore)
FEDERICO GUGLIELMO II
547
Nel caso di questo Quartetto c'è da rilevare l'arricchimento della scrittura
polifonico-contrappuntistica, conseguente alla riscoperta della lezione
bachiana - sulla scorta della missione restauratrice del barone Gottfried
van Swieten - insieme a una più intensa tramatura del gioco tematico.
Tra l'altro è significativo che l'incipit tematico che apre questo Quartetto
assurge a nucleo tematico del Rondò Finale, seppur ritmicamente
variato, e altrettanto si riscontra nei movimenti estremi degli altri due
Quartetti Prussiani.
Un ulteriore elemento distintivo che accomuna questo ciclo di Quartetti è
d'indole per così dire "somatica": il tema è in tutti enunciato dal
violoncello, con una stesura virtuosistica, e la presenza di questo
strumento è quasi paritetica rispetto a quella degli altri archi - un cortese,
per non dire doveroso, atto di riconoscimento a favore del regale
committente e del suo hobby di dilettante violoncellista, secondo il
costume culturale settecentesco.
Tutti e quattro i movimenti di questo Quartetto seguono la costruzione
formale e la tessitura tonale consacrata anche dalla stessa "poetica"
mozartiana, immersa però in un clima di sereno svolgimento d'eloquio,
ossia senza i turbamenti, il pathos e le espansioni stilistico-tonali che
costellano i sei Quartetti dedicati ad Haydn, composti pochi anni prima.
Dal che si dimostra ancora una volta che il demone della musica in
Mozart impone i suoi primari, imprescindibili diritti, qualsiasi sia
l'occasione che lo stimoli, che lo solleciti.
Prodigioso ed enigmatico demone che, secondo un grande teologo
protestante, "esprime ogni cosa per quello che è, semplicemente
tracciando dei limiti. Questo rende la sua musica bella, benefica,
commovente. Non ne conosco altre di cui si possa altrettanto dire". (K.
Barth)
Guido Turchi
548
QUARTETTO PER ARCHI N. 23
IN FA MAGGIORE, K 590 "PRUSSIANO N. 3"
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro moderato (fa maggiore)
2. Andante (do maggiore)
3. Minuetto e trio. Allegretto (fa maggiore)
4. Allegro (fa maggiore)
Organico: 2 violini, viola, violoncello
Composizione: Vienna, giugno 1790
Edizione: Artaria, Vienna 1791
Dopo i sei Quartetti "Haydn" Mozart ebbe occasione di ritornare al
Quartetto d'archi nel 1786, con K. 499 (Quartetto detto "Hoffmeister" dal
nome del primo editore) e poi nel 1789/90 con i tre Quartetti detti
"Prussiani", K. 575, 589, 590. L'origine di queste tre composizioni è
stata messa in relazione con il viaggio compiuto dall'autore nell'aprile-
maggio 1789 a Praga, Dresda, Lipsia, Potsdam, e Berlino, al seguito del
principe Karl Lichnowsky. Nella capitale prussiana Mozart si presentò a
corte e potrebbe essere stato invitato a comporre qualche Quartetto per il
re Federico Guglielmo II, che era violoncellista dilettante. Infatti il
compositore accenna a Quartetti e Sonate in corso di stesura per la corte
prussiana in una lettera all'amico Puchberg; ma tale accenno potrebbe
essere stato inserito per rassicurare Puchberg sui debiti contratti da
Mozart. Fatto sta che i primi due Quartetti "Prussiani" ebbero i primi
abbozzi già sulla strada del ritorno a Vienna, il Terzo Quartetto, K. 590,
vide la luce solo un anno più tardi, e fu venduto da Mozart «a un prezzo
irrisorio, solo per potere avere in mano qualche soldo». I tre Quartetti
furono pubblicati postumi senza alcuna dedica al sovrano prussiano.
Tuttavia indizio sicuro della destinazione - se non della commissione - a
Federico Guglielmo II è lo stesso contenuto musicale delle partiture, che
mettono in grande risalto il ruolo del violoncello, certo per compiacere
l'impegno di strumentista del sovrano. Questo rilievo conferito al
violoncello, d'altra parte, doveva ripercuotersi su tutto l'equilibrio
strumentale delle partiture, che in massima parte non si affidano allo stile
dei Quartetti "Haydn" ma piuttosto mostrano una scrittura meno
549
elaborata e attribuiscono a ciascuno strumento, per ragioni di simmetria,
del materiale melodico. E tuttavia nell'ultimo tempo del Secondo
Quartetto e in quasi tutto il Terzo Mozart sembra rinunciare a questa
nuova melodiosità e fare ritorno al puro stile "classico"; forse perché
aveva nel frattempo rinunciato a dedicare questi ultimi Quartetti al re
prussiano.
L'Allegro moderato iniziale del Quartetto K. 590, comunque, risponde in
pieno alla logica scorrevole, cantabile, alla melodiosità boccheriniana
tipica del gusto imperante alla corte prussiana; caratteristiche queste
evidenti dal profilo del materiale tematico, come dal procedere del
discorso, che vede contrapposti dialetticamente primo violino e
violoncello, e che attribuisce allo strumento grave l'entrata del secondo
tema.
Lo sviluppo è breve e lineare, ma accoglie anche un complesso gioco
contrappuntistico. Più sottile il gioco strumentale nel tempo lento, un
Andante in cui una melodia liederistica tenera ed esitante viene
impreziosita da un accompagnamento scorrevole, che scivola a turno
dall'uno all'altro strumento.
Il Minuetto è basato sul contrasto fra le sonorità sommesse dei due
violini all'inizio e quelle aggressive e stridenti subito seguenti; l'eleganza
del Trio si lega alle note ribattute e alle acciaccature del violino.
Il Finale è forse la pagina che più si riporta ai Quartetti "Haydn"; da una
parte troviamo un tema brillante e scherzoso, tipico dei finali di Haydn;
dall'altra la logica del discorso assume ben presto una complessità
polifonica e una imprevedibilità tali da smentire completamente l'assunto
del tema, secondo quella capacità di conciliare il facile ed il difficile
proprio dell'ultimo Mozart.
Arrigo Quattrocchi
550
QUINTETTO PER ARCHI N. 1
IN SI BEMOLLE MAGGIORE, K 174
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro moderato (si bemolle maggiore)
2. Adagio (mi bemolle maggiore)
3. Minuetto ma Allegretto (si bemolle maggiore) - Trio (fa maggiore)
4. Allegro (si bemolle maggiore)
Organico: 2 violini, 2 viole, violoncello
Composizione: Salisburgo, dicembre 1773
Edizione: Traeg, Vienna 1798
LA CITTÀ DI SALISBURGO
552
importante del giovanile Quintetto: consapevole di ciò, Mozart volle in
seguito rielaborarla profondamente e arricchirla di una vigorosa coda, ciò
che avvenne dopo l'esperienza haydniana dei Quartetti K. 168 - 173.
Giovanni Carli Ballola
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 6 novembre 1973
553
Tra i progetti non andati in porto degli anni estremi, vi era forse quello di
approntare una serie di sei Quintetti da dedicare, insieme con un'altra di
sei Quartetti, rimasta essa pure incompleta (i cosiddetti Quartetti
«prussiani» K. 575, 589, 590) al Re di Prussia Friedrich Wilhelm III,
dilettante violoncellista; e la trascrizione della Serenata per fiati K. 388
giunse opportuna a «far numero». Naturalmente Mozart scelse giusto,
conferendo nuova veste timbrica ad un capolavoro che già travalicava i
limiti storici della Serenata per fiati: anche se l'oscuro drammaticismo di
tale opera con i suoi preziosi particolari di scrittura e soprattutto il suo
unico e definitivo colore, così legato all'impressionante, progressiva
tensione patetica delle variazioni conclusive e alle aggressive asperità
polifoniche del Minuetto e Trio in canone, non potè non risultare sfocato
e illanguidito sotto il nuovo e sia pur ovviamente magistrale
travestimento.
Giovanni Carli Ballola
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Sala Accademica di via dei Greci, 9 novembre 1973
554
artistico e di pienezza espressiva eccezionale per lo stesso Mozart - ed è
tutto detto - e non altrimenti paragonabile se non a quello che guidò la
mano del compositore nella creazione del coevo Don Giovanni.
MUSEO MOZART
555
Primo e secondo tema si suddividono la responsabilità dello sviluppo, e
la ripresa ha termine con un'imponente ed elaborata coda in forma e con
caratteri di «stretto»: non c'era motivo alcuno perché tali cose,
tradizionalmente riservate all'aulico Quartetto secondo l'alto esempio
Haydn, fossero escluse al Quintetto, il quale, di tutto suo, conserva in
Mozart la caratteristica degli elementi concertanti.
Se, infatti, primo violino e violoncello erano stati i protagonisti del
dialogo tematico nel primo tempo, primo violino e prima viola - dopo
l'intermezzo costituito da un Minuetto intriso di ambigua mestizia -
intrecciano le loro voci nell'Andante aperto alle più soavi lusinghe
consolatorie.
La letizia liberatrice effusa dai gruppetti e dalle volate belcantistiche dei
due strumenti in amoroso colloquio non passerà inascoltata al Beethoven
degli ultimi Quartetti, il quale donerà afflato trascendentale al tutto
umano di Mozart.
Ambiguità e mistero stringono da ogni lato le gioie illusorie del Finale,
pullulante di mirabili melodie la cui quasi provocatoria innocenza è
vanificata dalla profondità degli orizzonti elaborativi che dischiudono
immediatamente dietro di sé: come avverrà per la «Jupiter», la neutra
superficie del do maggiore mozartiano non promette facili certezze, ma
cela grandiose incognite.
Giovanni Carli Ballola
556
QUINTETTO PER ARCHI N. 4 IN SOL MINORE, K. 516
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (sol minore)
2. Minuetto e trio. Allegretto (sol minore)
3. Adagio ma non troppo (mi bemolle maggiore)
4. Adagio (sol minore) - Allegro (sol maggiore)
Organico: 2 violini, 2 viole, violoncello
Composizione: Vienna, 16 maggio 1787
Edizione: Artaria, Vienna 1790
557
sol maggiore, uno struggente e illusorio maggiore schumanniano,
ricavato per di più, nota per nota, dal tema udito nella prima parte.
Il tragico monolito costituito dai primi due tempi del Quintetto, s'incrina,
nell'Adagio ma non troppo, di un'accorata contemplazione accentuata
dall'estrema soggettivazione delle strutture musicali, tese quasi sempre
ad un'eloquenza assai vicina a quella «certa espressione parlante» attorno
cui si accanì l'ultimo Beethoven.
Figlio del proprio tempo, Mozart aveva sin troppo sentito parlare di
imitazione degli effetti e di sentimenti, anche se tali cose preferiva
lasciare in preda al culturalismo dello Sturrn una Drang, pago, da parte
sua, di scrivere della musica non fatta d'altro che di musica.
Ma chi potrebbe escludere che l'insolita eccitazione gestuale che anima il
secondo tema, palpitante immagine di un intimo affanno espresso ai
limiti della sensorialità, non sia l'eco, sublimata e interiorizzata
dal dolore, di quei sospiri dei violini in sordina per mezzo dei quali il
compositore, negli anni felici del suo esordio viennese, aveva voluto
raffigurati in note gli affanni amorosi di Belmonte?
Con un procedimento insolito, Mozart introduce il finale mediante un
Adagio, sorta di arioso intonato dal primo violino con accenti vocalistici
irrigiditi da iterazioni «parlanti» di impressionante incisività.
L'ncipit del Rondò conclusivo, in sol maggiore, giunge di sorpresa,
rompendo, come un soffio d'aria pura, ma non dissipando l'opprimente
angoscia del preambolo.
E non v'è chi non avverta la sottile disperazione che si cela sotto tanta
spensieratezza, troppo eccitata e troppo ossessiva, invero, per le buone
maniere mozartiane.
Giovanni Carli Ballola
558
QUINTETTO PER ARCHI N. 5 IN RE MAGGIORE, K 593
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Larghetto (re maggiore)
2. Adagio (sol maggiore)
3. Minuetto e trio. Allegretto (re maggiore)
4. Allegro (re maggiore)
Organico: 2 violini, 2 viole, violoncello
Composizione: Vienna, dicembre 1790
Edizione: Artaria, Vienna 1793
559
materiale, gli intrecci fra gli strumenti, Mozart dissimula magistralmente
il carattere sofisticato dell'elaborazione.
Arrigo Quattrocchi
560
molto iniziale è tutto intessuto di idee (con un primo tema ritmico ricco
di mordenti ed un secondo aggraziato, come da commedia) che
subiscono un trattamento elaborativo quasi di spessore sinfonico. Il clima
dominante è disteso con qualche lieve ed episodica increspatura
drammatica.
561
L'Andante in si bemolle, perno espressivo della partitura, è esemplare di
uno stile classico dalle idee chiare e distinte ed è costituito da una serie di
saporite variazioni in cui l'assunto iniziale (forse una reminiscenza
dell'aria "Wenn der Freude" del Ratto dal serraglio) viene arricchito di
merlettate trine sonore.
Discorsivo e quasi haydniano il Minuetto che include un Trio quasi
danzante dal sapore di preromantico Ländler popolare.
Geniale lo sviluppo del risolutivo Allegro (Rondò) finale con un tema
quasi da Singspiel, dal piglio snello e vivace e dalla sapiente orditura
contrappuntistica.
Un giudizio esaustivo lo diede in merito Massimo Mila che ebbe così a
definirlo "trionfo del gioco puro: il dolore ne è assente, non già l'umanità.
Ma questa si è liberata dal suo retaggio di miseria; svincolata dalla
servitù della sua condizione, più non conosce le angustie della carne, del
sangue, del cuore, e giubila smaterializzata nella purezza luminosa dello
spirito".
Una rilevante conquista artistica che solo pochi mesi dopo però Mozart
doveva lasciare ai posteri.
Lorenzo Tozzi
562
6 FUGHE A TRE VOCI PER TRII D'ARCHI, K6 404A
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. re maggiore - Adagio (Fuga da BWV 853 di Johann Sebastian
Bach)
2. sol maggiore - Adagio - (Fuga da BWV 883 di Johann Sebastian
Bach)
3. fa maggiore - Adagio - (Fuga da BWV 882 di Johann Sebastian
Bach)
4. fa maggiore; re minore - Adagio - (Adagio da BWV 527 e da
BWV 1080 n. 8 di Johann Sebastian Bach)
5. mi bemolle maggiore - Largo - (Largo ed Allegro da BWV 526 di
Johann Sebastian Bach)
6. fa maggiore - Adagio - (Fuga di Wilhelm Friedeman Bach (F
31/8))
Organico: violino, viola, basso
Composizione: luglio 1782
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1938
563
COMPOSIZIONI PER INSIEME D’ARCHI
Organico: archi
Composizione: Salisburgo, Febbraio 1772
564
Arrigo Quattrocchi
Organico: archi
Composizione: Salisburgo, febbraio 1772
Il Divertimento K. 137 per soli archi, così come gli altri due
Divertimenti che recano i numeri 136 e 138 del catalogo Koechel, fu
scritto tra gennaio e marzo del 1772 a Salisburgo (cinque mesi prima
della nomina del musicista a Konzertmeister, con 50 fiorini annui di
stipendio, alla corte dell'arcivescovo Geronimo di Colloredo) e
appartiene quindi alla produzione strumentale di un Mozart sedicenne,
che assorbe e assimila esperienze e stili altrui, specialmente della scuola
barocca e della Sinfonia d'opera italiana. Si tratta di composizioni
articolate in tre tempi con Allegri e Andanti alternati, molto vicine al
Quartetto e alle Sinfonie per archi, senza oboi e corni, e destinate ad una
esecuzione da tenersi sia all'aria aperta, in un elegante cortile o in un
giardino di un palazzo principesco, secondo le abitudini della società
feudale e mecenatistica del tempo, e sia in una sala da concerto vera e
propria.
I Divertimenti, come del resto le Cassazioni, le Serenate e le cosiddette
musiche notturne, sono legati al gusto settecentesco di far musica
insieme e riflettono una identica struttura formale, in cui si alternano
565
movimenti di danza e passaggi solistici e virtuosistici, riservati ad
esecutori di talento, ma non necessariamente eccezionali.
MASCHERA MORTUARIA
566
Per questa ragione i Divertimenti per archi, almeno quelli composti nel
1772, (i Divertimenti mozartiani per strumenti a fiato meriterebbero un
discorso a parte per una più libera invenzione e varietà di effetti sonori)
sono musiche di piacevole ascolto, dalla scrittura semplice e lineare e dai
giochi armonici chiari e precisi, improntati ad un classicismo sereno e
molto equilibrato.
Si avverte, è vero, la presenza di uno stile cameristico di solida fattura e
di luminosa civiltà, ma si è ancora lontani dai modelli del grande Mozart
caratterizzato da una inesauribile capacità inventiva e da una incisiva e
personale forza espressiva.
Il dato rilevante di questi Divertimenti è la limpidezza e la trasparenza
Quartettistica del suono e l'omogeneità e la fusione del gruppo
strumentale, in ubbidienza alle regole di un discorso musicale accessibile
a tutti e senza quei tormenti spirituali e quei risvolti drammatici che pur
esistono nell'arte mozartiana.
L'Andante che apre il Divertimento in si bemolle maggiore si mantiene
su un piano di scorrevole cantabilità, privo di sviluppi armonici di
particolare ricercatezza, così come vuole lo stile galante e di
intrattenimento in un incontro musicale di tono familiare.
L'Andante, che è un tempo piuttosto raccolto e si colloca abitualmente al
centro della composizione, è in questo caso una introduzione vagamente
patetica al brillante e brioso Allegro di molto, di spigliata e fresca
musicalità, e allo spumeggiante Allegro assai conclusivo, il cui taglio
ritmico si richiama all'Opera buffa e verrà ripreso dal compositore nelle
sue Nozze di Figaro.
Il Divertimento ha una durata di poco inferiore ai nove minuti e il sapore
della buona musica antica.
567
DIVERTIMENTO PER ARCHI N. 3
IN FA MAGGIORE, K1 138 (K6 125C)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (fa maggiore)
2. Andante (do maggiore)
3. Presto (fa maggiore)
Organico: archi
Composizione: Salisburgo, febbraio 1772
568
DIVERTIMENTO "GRAN TRIO", K 563
in mi bemolle maggiore per archi
573
COMPOSIZIONI PER PIANOFORTE E ARCHI
575
Eppure già le vicende della pubblicazione del Quartetto in sol minore
rivelano come, per l'organico di questo brano, Mozart nutrisse ambizioni
più alte. Secondo Nissen - primo biografo del compositore e sposo in
seconde nozze di Constanze Mozart - il Quartetto (la data sull'autografo
è quella del 16 ottobre 1785) sarebbe stato scritto come primo di una
serie di tre, dietro commissione dell'editore Hoffmeister; ma, dopo la
pubblicazione di questo primo brano, nell'inverno 1785-86, il contratto fu
rescisso in piena concordia fra le due parti, poiché il K. 478 appariva
troppo "difficile" al pubblico. Una cronaca dell'epoca, riportata da
Hermann Abert (W A. Mozart. Zweiter Teil, Leipzig 1919-21; ed. it.
Milano 1985, p. 173), definisce il Quartetto «una composizione che,
anche se perfettamente eseguita, può [...] e deve soddisfare in una
"musica da camera" solo il limitato gruppo degli intenditori. Altri pezzi
reggono anche se mediocremente eseguiti; questa composizione
mozartiana però non si può proprio ascoltare suonata da superficiali
dilettanti».
Ecco dunque i punti della "rivoluzione". Le composizioni pensate per il
mercato dei dilettanti dovevano tenere conto ovviamente dei limiti
endemici degli esecutori a cui erano rivolte. I condizionamenti imposti
dalla destinazione erano essenzialmente di due tipi: nel contenuto
musicale, che non doveva superare dimensioni piuttosto ristrette e
doveva essere improntato alla massima cordialità, evitando un impegno
concettuale più ardito; nella scrittura strumentale, che doveva rimanere
alla portata di strumentisti dotati di una consapevolezza tecnica discreta
ma non sviluppata, soprattutto per gli strumenti ad arco; questi si
limitavano ad "accompagnare" il pianoforte (strumento di più rapide
soddisfazioni), raddoppiandone la melodia e il basso, tanto che gli
strumenti ad arco erano spesso considerati "ad libitum", e un Trio o un
Quartetto potevano essere eseguiti anche nella veste di una Sonata
pianistica.
Il Quartetto in sol minore, invece, propone un rapporto assai più
dialettico fra pianoforte ed archi. Il modello non è quello della Sonata
pianistica o per violino e pianoforte, ma quello del Concerto per
pianoforte, il genere compositivo al quale Mozart si dedicò con maggiore
insistenza nei primi anni viennesi. Per comprendere l'affinità fra il
Quartetto e il Concerto occorre tenere presente che lo stesso Mozart
aveva espressamente previsto per i suoi primi tre Concerti viennesi (K.
576
413-415) la possibilità di omettere dall'orchestra le parti dei fiati, onde
rendere possibile l'esecuzione delle partiture anche in un salotto, con
l'accompagnamento di un semplice Quartetto d'archi. Il Quartetto in sol
minore è dunque un concerto in miniatura, con un ruolo "solistico" e
virtuosistico dello strumento a tastiera; il gruppo degli archi (violino,
viola, violoncello) tuttavia non si limita ad accompagnare il solista, ma
entra invece in un rapporto concertante e dialettico.
Da ultimo il contenuto. Alla complessità della scrittura corrisponde un
netto distacco del Quartetto dai canoni d'intrattenimento. Si tratta, non a
caso, dell'unica partitura in tonalità minore fra i brani cameristici con
pianoforte del compositore; e la tonalità di sol minore è fra le predilette
di Mozart, impiegata sempre per il conseguimento di fini di intensa
drammaticità.
Una ambientazione nettamente drammatica ha infatti l'Allegro iniziale.
Già il primo tema presenta immediatamente un brusco contrasto fra un
perentorio unisono e una cupa scala discendente del pianoforte, elementi
che percorrono insistentemente l'intero movimento; il secondo tema,
espressivamente contrastante, è alla base dello Sviluppo; una lunga coda
elabora polifonicamente il motivo iniziale, che sigilla con un nuovo
unisono il movimento.
Anche l'Andante centrale è del tutto distante dagli stilemi intrattenitivi,
essendo improntato piuttosto a un rapporto di solidale meditazione fra gli
strumenti con la densa scrittura polifonica degli archi e i delicati ricami
del pianoforte.
Il Finale - tradizionalmente più "disimpegnato" rispetto al primo
movimento - è un Rondò di impostazione brillante e nettamente
"Concertistica", con una sezione in minore che si richiama tuttavia al più
intenso contenuto espressivo del tempo iniziale.
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma Auditorio di Via della Conciliazione, 23 ottobre 1998
577
QUARTETTO PER PIANOFORTE N. 2
IN MI BEMOLLE MAGGIORE, K 493
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (mi bemolle maggiore)
2. Larghetto (la bemolle maggiore)
3. Allegretto (mi bemolle maggiore)
Organico: pianoforte, violino, viola, violoncello
Composizione: Vienna, 3 giugno 1786
Edizione: Artaria, Vienna 1787
ALEXANDER LONQUICH
579
ben preparati, in un ambiente piccolo, dove neppure le pause tra nota e
nota sfuggono all'orecchio attento e davanti a non più di due o tre
persone veramente interessate! In questo caso però non c'è davvero da
pensare al successo esteriore, al favore della moda o a lodi
convenzionali". Sono ancora Carli Ballola e Parenti a commentare,
accomunando i due Quartetti con pianoforte al Quintetto per pianoforte e
fiati: "Nei Quartetti (K. 478 e K. 493) e nel Quintetto (K. 452), a una
parte pianistica ancor più impegnativa e concertante di quanto non sarà
nei Trii o nelle Sonate con violino, si contrappongono compagini
strumentali trattate con un'autonomia, un'articolazione e talora una
difficoltà di scrittura che scoraggiarono editori ed esecutori, disorientati
dinanzi a tanta audace novità".
L'impronta innovatrice e la vena sperimentale di Mozart risaltano
anzitutto se messa a confronto con le convenzioni dello stile galante.
Scrive a questo proposito un altro studioso di Mozart, Alfred Einstein:
"Un brano per pianoforte e archi, nelle mani di Johann Christian Bach e
di Philipp Emanuel Bach, diventa automaticamente un Concerto per
pianoforte; Mozart invece riesce a trattarlo come pura musica da camera,
esigendo dal pianista un virtuosismo da Concertista ma intessendo gli
archi nello stesso materiale tematico, in una dimensione che non ha più
nulla a che vedere con il dilettantismo musicale". La fusione fra la
dimensione cameristica del Quartetto d'archi e il virtuosismo del
Concerto per pianoforte si realizza dunque per una terza via,
assolutamente inedita e personale.
Il pianoforte non si oppone più a violino, viola e violoncello intesi come
sostituti di un accompagnamento orchestrale subalterno, ma dialoga con
essi su un piano di parità, ora venendo alla ribalta con la sua pronunciata
individualità, ora passando sullo sfondo per lasciare ai suoi compagni la
possibilità di sviluppare autonomamente, solisticamente, un proprio
articolato corso di pensieri: e la scrittura ne riceve una conseguente
scioltezza e varietà.
Il Quartetto K. 493 rappresenta perfettamente la sintesi di questi due
mondi opposti, quelli del dialogo drammatico e dell'introspezione
interiore.
Quest'esito non sarebbe stato così naturale senza la vicinanza delle Nozze
di Figaro, prima compiuta affermazione del teatro di Mozart, sotto il cui
580
segno, storico e artistico, questo Quartetto si pone. Tutto vi appare però
come decantato.
581
Nei tre movimenti si respira un'aria di matura consapevolezza, di fluente
discorsività, di grazia ornamentale: anche le tensioni drammatiche, gli
spunti appassionati e "romantici", sono calati in un'atmosfera di
raggiunta armonia espressiva e formale, di equilibrio superiore, in una
parola classico.
Il primo movimento (Allegro) è il più ricco di sostanza tematica e di
espansività, con estese sezioni di calda effusione melodica e cantabile, in
un clima di fondo lucido e sereno, senza ombre.
Il pianoforte introduce incisivamente i motivi tematici e li elabora con
spiccate volate solistiche, incalzato dagli archi, sempre pronti
all'imitazione e alla variazione: gli episodi si connettono così in una
piena affermazione dello stile concertante.
Il Larghetto centrale in la bemolle maggiore è, come avviene spesso in
Mozart, il centro di gravità dell'opera, il momento introspettivo nel quale
il lirismo più delicato si dispiega in modo gravemente serio, pensoso e
profondo, senza perdere però il controllo della disciplina formale: di
certo questa non è musica per "signorine della buona società" che si
possa ascoltare con un sorriso distratto, né seguire con superficiale
disattenzione.
Vi domina, fin dal tema esposto per quattro battute dal pianoforte solo e
poi concluso dagli archi, un senso di trepida attesa, di ansia quasi
drammatica, che si manifesta negli scarti dinamici, nelle pause che
spezzano il fraseggio, nei giri tortuosi dell'armonia, sospesa tra ampie
aperture intervallari e ripiegamenti in scontrosi cromatismi: solo nella
seconda parte il discorso si ricompone in un flusso più disteso e
continuo.
Perfino il luminoso Rondò finale (Allegretto), la cui melodia sostenuta da
semplici accordi sembra l'essenza della purezza e dell'ingenuità, riserva
all'ascoltatore, sotto la superficie spensierata, idee contrastanti
singolarmente esposte e riprese, sortite solistiche ostentatamente marcate,
tratti di spirito ammiccanti, perfino risvolti umoristici insistiti e pungenti.
Da questa apparente dispersione di un gioco sorprendentemente esatto
tutto sfocia non in una cadenza, ma in un segnale del pianoforte che, con
un lungo trillo sospeso sulla dominante, richiama all'ordine i tre
582
strumenti ad arco preparando l'ultima ricomparsa del tema principale e
destinandolo alla trionfale conclusione.
Sergio Sablich
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma Auditorio di Via della Conciliazione, 12 Aprile 2002,
Alexander Lonquich pianoforte
583
e violoncello, caratterizzati da un contenuto brillante e disimpegnato, da
un ruolo protagonistico del pianoforte, e da una partecipazione più di
messa da parte degli altri due strumenti (soprattutto il violoncello, spesso
confinato nel semplice raddoppio della linea del basso pianistico).
Tuttavia la particolare destinazione strumentale dona certamente un
rilievo di interesse peculiare a K. 498.
Per favorire la diffusione editoriale del lavoro la prima edizione a stampa
(Artaria, Vienna, 1788) prevedeva l'impiego di un violino, e recitava
testualmente: «La parte del Violino si può eseguire anche con un
Clarinetto».
Tuttavia proprio il suono del clarinetto - strumento privilegiato nella
tarda produzione mozartiana per la intensa e felicissima collaborazione
con Stadler; basti citare il Quintetto K. 581, il Concerto K. 622, gli
interventi concertanti in due arie della "Clemenza di Tito" - è elemento
imprescindibile dell'economia del brano; la presenza dello strumento a
fiato spinge infatti il compositore a donare al Trio una ricchissima
abbondanza melodica, temperando la tecnica di elaborazione con il
prevalere di una logica paratattica; d'altra parte il ruolo della viola - altro
strumento amatissimo da Mozart, che lo suonava nelle sedute di
Quartetto - è assai più protagonistico di quello assegnato al violoncello
negli altri Trii. La presenza di due strumenti dal timbro "opaco" si
trasforma inoltre in una minore brillantezza del contenuto musicale.
Anche la successione dei tre movimenti è in parte anomala rispetto ai
brani con violino e violoncello. In prima posizione troviamo un Andante
dal carattere di Serenata, formalmente tripartito ma senza Sviluppo
(dunque quasi più simile a un Rondò), che si basa sulle trasformazioni
espressive attribuite al motivo principale. Seguono un Minuetto - che ha
nei giochi di imitazione cromatici del Trio i suoi momenti più seducenti -
e un Rondò conclusivo di espansiva eloquenza melodica, con un episodio
in minore dominato dalle nervose terzine della viola.
Arrigo Quattrocchi
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 25 ottobre 1990
584
TRIO PER PIANOFORTE N. 4
IN SI BEMOLLE MAGGIORE, K. 502
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (si bemolle maggiore)
2. Larghetto (mi bemolle maggiore)
3. Allegretto (si bemolle maggiore)
Organico: pianoforte, violino, violoncello
Composizione: Vienna, 18 novembre 1786
Edizione: Artaria, Vienna 1788
585
586
Il Larghetto si conclude in un'atmosfera teneramente poetica e
suggestiva, dettata dalla tonalità di mi bemolle. L'Allegretto finale svolge
un ritmo di gavotta e somiglia al rondò di un concerto da camera, nel
gioco tra il «solo» del pianoforte e il «tutti» degli altri strumenti,
realizzati con brillantezza e vivacità di colori contrastanti. Certo, la
componente virtuosistica ha il suo peso rilevante e specialmente il
pianoforte assolve un ruolo di primaria importanza, ma non si può negare
a questo rondò e all'intero Trio K. 502 una solidità di impianto e di
costruzione e una eccellente trasparenza di suoni, secondo le regole di un
discorso musicale accessibile a tutti e senza quei tormenti spirituali e
quei risvolti tragici che pur esistono nell'arte mozartiana.
587
fantasticare mozartiano, incline alla malinconia nera, ed anche alla
ripresa la risposta del violino appare in do minore. L'Andante cantabile
espone al pianoforte una melodia atona, resa ancor più tale
dall'armonizzazione in accordi tenaci degli archi. Sono le frasi dell'ultimo
Mozart, quelle che andrebbero definite rinuncia alle passioni, eppure il
tarlo dello Sturm una Drang riappare nell'improvvisa modulazione
all'attacco dello sviluppo, e nella chiusa, dove una variazione ritmica
prende vita da una terzina della terza battuta del tema.
Il Rondò, quasi pastorale, presenta secondo la tradizione francese un
episodio centrale, più lento, in minore. E sarà un Andante dalla cantilena
penetrante, lo sbalzo d'umore di una natura fragile e pronta
all'immedesimazione con le pene degli uomini, soprattutto le
inconfessate, inspiegabili, represse.
Gioacchino Lanza Tomasi
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 29 gennaio 1975
MUZIO CLEMENTI
591
Ma, sempre nell'autunno 1777, a Monaco, Mozart ebbe occasione di
conoscere i Duetti per clavicembalo e violino di J. Schuster: «Non sono
cattivi», scrive al padre, «se mi fermerò, ne scriverò io stesso nel
medesimo stile, dato che essi sono molto popolari quaggiù».
Ed ecco apparire, agli inizi dell'anno seguente, un gruppo di sei Sonate -
dette palatine perché dedicate alla moglie di Karl Theodor, principe
elettore del Palatinato - che saranno pubblicate a Parigi come op. 1 nello
stesso 1778 (K. 301-306): «Così, tanto per cambiare, ho scritto qualcosa
di diverso, duetti per pianoforte e violino» (da Mannheim, 14.2.78).
Infatti, in queste Sonate il violino è trattato in stile concertante.
La Sonata in sol maggiore, come la maggioranza delle consorelle, è in
due movimenti.
Il primo movimento, Allegro con spirito, ha un impianto classico
tripartito. Ai due temi principali (tonica e dominante) si accostano spunti
secondari. Lo sviluppo, di tipo tematico, è animato da inversioni e
cromatismi.
Il secondo movimento, un Allegro in 3/8, ha la forma di rondò variato:
motivi vivaci e popolari incorniciano l'episodio centrale in minore, di
delicata poesia. Il dialogo equilibrato tra i due strumenti che si alternano
il canto, e il sapiente contrappunto che regola le sovrapposizioni delle
loro voci, costituiscono l'essenza della Sonata classica per violino e
pianoforte.
Ala Botti Caselli
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 25 febbraio 1993
592
SONATA PER VIOLINO E PIANOFORTE
N. 21 IN MI MINORE, K1 304 (K6 300C)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (mi minore)
2. Tempo di Minuetto (mi minore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Parigi, giugno - luglio 1778
Edizione: Sieber, Parigi 1778
593
la melodia pronunciata dallo strumento a tastiera e limitava
drasticamente tutto il corredo tecnico e virtuosistico dell'esecuzione.
Subito dopo venne affermandosi un tipo più equilibrato di composizione
Sonatistica, nella quale entrambi gli strumenti venivano trattati con pari
dignità, ovvero ripartendo equamente il materiale melodico, integrando
maggiormente la scrittura e dando vita a veri e propri dialoghi
strumentali, non più a monologhi con l'assistenza di un partner.
594
Le Sonate per violino e pianoforte di Mozart appartengono senz'altro a
quest'ultima categoria e sono, anzi, l'esempio canonico di un linguaggio
ormai approdato a un livello di equilibrio e di integrazione fra le parti
tale da superare ogni residuo problema stilistico e formale per approdare
a una ricerca espressiva più densa di riflessione e di esperienza.
Il caso della Sonata in mi minore K. 304 è, da questo punto di vista,
emblematico. Mozart la scrisse nel 1778, a Parigi, in un periodo nel
quale, giunto all'età di ventidue anni, egli aveva per la prima volta
percorso fino in fondo le più acute tonalità emotive del dolore, quelle
legate all'amore per la giovane cantante Aloysia Weber, naufragato poco
prima che egli giungesse in Francia, e all'improvvisa morte della madre,
che lo aveva accompagnato in quella città.
Non è mai agevole stabilire quale rapporto intercorra tra le esperienze
vissute da un autore e il carattere della sua opera, tanto che insistendo su
questo aspetto si corre spesso il rischio di una inutile caccia al
pettegolezzo.
E tuttavia, pur non volendo tracciare nessuna linea di dipendenza diretta
fra quegli eventi e la Sonata K. 304, è altrettanto difficile non osservare
con sorpresa la distanza di questa composizione dai modelli di puro
intrattimento ai quali con tutta evidenza, si ispira.
L'impressione è che Mozart abbia mantenuto l'involucro per cambiare
radicalmente il contenuto.
L'idea di tagliare il secondo movimento della Sonata in "tempo di
minuetto" corrisponde, per esempio, alla moda parigina di quegli anni,
ma il tono introverso con il quale procede, anzi gli accenti persino
acutamente drammatici con cui si chiude, dopo la pausa beffardamente
luminosa del Trio che modula in mi maggiore, sono lontanissimi dalle
galanterie di quella forma di danza e rinviano a esperienze più incisive e
taglienti, quali mai prima avevano trovato posto in una forma "leggera"
come quella del minuetto, appunto.
I tempi della Sonata K. 304 sono due, conformemente a un modulo
piuttosto diffuso allora e al quale Mozart si attiene in tutte le sue prime
Sonate per violino e pianoforte.
595
ARCANGELO CORELLI
596
Ma, se il secondo movimento possiede una sensibile piega drammatica,
quello di apertura è, da questo punto di vista, addirittura esasperato: «è
una continua lotta», ha scritto Hermann Abert, «tra stanca rassegnazione
e incontenibile ribellione», un conflitto che si traduce in sonorità
estremamente tese e in una concentrazione del materiale che non concede
nulla al proverbiale accumulo della scrittura mozartiana, ma segue
rigorosamente il principio della forna-sonata con un solo tema di
riferimento.
Stefano Catucci
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 9 dicembre 2004
SONATA N. 22 IN LA MAGGIORE
PER VIOLINO E PIANOFORTE, K1 305 , K6 293D
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro molto (la maggiore)
2. Tema con Variazioni. Andante grazioso (la maggiore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Mannheim, febbraio 1778
Edizione: Sieber, Parigi 1778
597
tecniche dell'uno e dell'altro strumento. Nacque così tra l'altro la Sonata
K. 305 costituita di soli due tempi e improntata ad una festosa allegrezza
giovanile, che, a detta di alcuni esegeti mozartiani, rispecchierebbe il
nascente idillio amoroso tra il giovane Mozart e Aloysia Weber.
L'Allegro di molto si apre con un tema brillante e gioioso, ripetuto due
volte; subentra poi un secondo tema esposto dal pianoforte e poi ripreso
alternativamente dai due strumenti in una combinazione ritmica in tempo
di 6/8. Sia il violino che il pianoforte hanno la stessa importanza e non
manca qualche breve sortita solistica sia del primo che del secondo
strumento.
NANNERL MOZART
598
Nell''Andante grazioso, comprendente sei variazioni di purissima
eleganza inventiva, Mozart riesce a toccare effetti di piacevole gusto
musicale, nell'ambito di quello stile concertante che gli era congeniale.
La prima variazione è indicata dal pianoforte, mentre la seconda tocca al
violino; quindi il disegno tematico viene affidato ai due esecutori che si
alternano nella esposizione della quarta e della quinta variazione. Un
rapido movimento allegro conclude felicemente e con leggerezza la
Sonata K. 305, dove il violino e il pianoforte hanno un ruolo uguale e
distinto, secondo quell'unità di concezione artistica che appartiene alla
versatilità creatrice di Mozart.
600
SONATA PER VIOLINO E PIANOFORTE
N. 24 IN FA MAGGIORE, K1 376 (K6 374D)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (fa maggiore)
2. Andante (si bemolle maggiore)
3. Rondò. Allegro grazioso (fa maggiore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Vienna, aprile - luglio 1781
Edizione: Artaria, Vienna 1781
Dedica: Josepha Auernhammer
603
SONATA N. 26 IN SI BEMOLLE MAGGIORE
PER VIOLINO E PIANOFORTE, K1 378 (K6 317D)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro moderato (si bemolle maggiore)
2. Andantino sostenuto e cantabile (mi bemolle maggiore)
3. Rondò. Allegro (si bemolle maggiore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Salisburgo, 15 gennaio - 23 marzo 1779
Edizione: Artaria, Vienna 1781
Dedica: Josepha Auernhammer
604
L'Andantino sostenuto e cantabile si avvicina formalmente alla romanza
per la tenerezza sentimentale che lo pervade. Lo scambio delle idee fra i
due strumenti avviene secondo un gioco alternativo, identico ed
equidistante, finché il dialogo si scioglie in una lunga coda in cui Mozart
dispiega la sua abilità inventiva, dimostrando di non essersi dimenticato
delle eleganti movenze della musica francese da lui conosciuta durante la
permanenza a Parigi nel 1778. Il Rondò fa pensare allo stile di Haydn per
la inesauribile vivacità e freschezza ritmica. Violino e pianoforte si
rincorrono fra di loro con brillantezza di accenti, finché si distendono e si
riposano all'ombra del tema principale, salutato con i pizzicati e i bicordi
dello strumento ad arco.
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 23 febbraio 1985
605
L'Andantino cantabile è formato da cinque variazioni, più la ripetizione
del tema in tempo Allegretto e la chiusura con una coda dalle sonorità
dolcemente sfumate.
BRUNO CANINO
606
SONATA N. 28 IN MI BEMOLLE MAGGIORE
PER VIOLINO E PIANOFORTE, K1 380 , K6 374F
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (mi bemolle maggiore)
2. Andante con moto (sol minore)
3. Rondò. Allegro (mi bemolle maggiore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Salisburgo, Aprile - Luglio 1781
Edizione: Artaria, Vienna 1781
Dedica: Josepha Auernhammer
607
SALVATORE ACCARDO
608
Una nuova cadenza fa seguito al terzo tema e il ritornello conclusivo si
presenta leggermente modificato e variato.
Un tema cantabile in sol minore viene indicato dal pianoforte
nell'Andante con moto; interviene il violino, questa volta nella tonalità di
si bemolle e con accenti delicatamente elegiaci.
Sia il pianoforte che il violino intessono un discorso punteggiato da
modulazioni e passaggi cromatici, che rendono più incisiva e penetrante
la linea del fraseggio musicale, secondo la tonalità di base di sol minore.
È il pianoforte ad avviare il tema brillante del Rondò, ripreso subito dal
violino e intrecciato con variazioni e domande e risposte fra i due
strumenti.
Dopo un intermèzzo in do minore del violino tocca al pianoforte
assumere il ruolo di guida, fino a quando riappare il tema già annunciato
nell'intermezzo.
Una coda frizzante e un ritornello non meno vivace concludono la
Sonata in mi bemolle maggiore, considerata tra le più esemplari nel suo
classicismo musicale.
609
SONATA N. 33 IN MI BEMOLLE MAGGIORE
PER VIOLINO E PIANOFORTE, K 481
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Molto allegro (mi bemolle maggiore)
2. Adagio (la bemolle maggiore)
3. Allegretto con 6 variazioni (mi bemolle maggiore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Vienna, 12 dicembre 1785
Edizione: Hoffmeister, Vienna 1787
Mozart scrisse negli ultimi anni della sua vita tre importanti e
significative Sonate per violino e pianoforte: la Sonata in mi bemolle K.
454 composta nell'aprile del 1784, la Sonata in mi bemolle maggiore
apparsa nel dicembre del 1785 e la Sonata in la maggiore K. 526 che
reca la data del 24 agosto 1787 ed è la più brillante e geniale opera del
gruppo.
Egli stesso parlò della prima di queste Sonate in una lettera al padre del
24 aprile 1784, in cui diceva: «Abbiamo ora con noi la famosa
Strinasacchi di Mantova, ottima violinista. Suona con molto gusto e
sentimento. Al momento sto componendo una Sonata che eseguiremo
insieme giovedì al concerto che la violinista darà a teatro (29 aprile)».
Ma il giorno prima del concerto Mozart aveva scritto soltanto la parte del
violino, tanto che al momento della esecuzione in pubblico egli suonò a
memoria, con un foglio di carta bianca davanti agli occhi: una curiosità
che non sfuggì allo stesso imperatore Giuseppe II, conquistato dalle
eleganti fioriture del rondò finale in questa serata musicale viennese.
La Sonata in mi bemolle maggiore apparve un anno e mezzo dopo
(dicembre 1785) e il pubblico rimase conquistato dal fervore lirico
dell'Adagio e dal tempo finale articolato in sei variazioni, in cui il
compositore rivelò tra l'altro, la sua straordinaria abilità nel fondere e
amalgamare il suono del violino con quello del pianoforte.
Nell'ultima delle tre Sonate, quella in la maggiore K. 526, gli studiosi
dell'opera mozartiana hanno voluto cogliere un preannuncio e
610
un'anticipazione della Sonata «a Kreutzer» di Beethoven, più per la
vivacità dello stile dialettico che non per il sentimento drammatico che la
pervade.
Probabilmente la ragione di questa osservazione va spiegata nel senso
che tale Sonata fu elaborata durante la composizione del Don Giovanni e
risente quindi di una spigliata scrittura contrappuntistica.
La Sonata in mi bemolle maggiore rispecchia un perfetto equilibrio
formale nei tre movimenti e per questo motivo si iscrive tra i
componimenti della piena maturità mozartiana.
L'esposizione del Molto allegro iniziale contiene tre temi, presentati con
chiarezza armonica e poi riproposti nel riepilogo conclusivo.
Lavoro tematico e gioco di fantasia sono bene integrati fra di loro; uno
dei soggetti tematici riaffiora nella coda ed è costruito su uno dei motivi
della Sinfonia «Jupiter».
L'Adagio in la bemolle maggiore è un tema variato con varie
modulazioni e due ritornelli ed è contraddistinto da un sentimento di
assorta contemplazione, secondo un procedimento tipico della creatività
di Mozart.
Il violino svolge con straordinaria purezza espressiva la sua linea di
canto, proiettata verso un mondo di intensa spiritualità.
L'Allegretto si basa su sei eleganti variazioni di un tema di venti misure
di piacevole musicalità; la variazione finale passa dall'allegretto
all'allegro e cambia brillantemente di tempo, dal 2/4 al 6/8, in un clima di
serena distensione.
611
SONATA PER VIOLINO E PIANOFORTE
N. 34 IN LA MAGGIORE, K 526
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Molto Allegro (la maggiore)
2. Andante (re maggiore)
3. Presto (la maggiore)
Organico: violino, pianoforte
Composizione: Vienna, 24 agosto 1787
Edizione: Hoffmeister, Vienna 1787
612
con passaggi più diversi da una tonalità all'altra, dal fa diesis minore al re
maggiore e al do maggiore.
Alla fine ritorna anche il la maggiore con un richiamo al tema iniziale
della Sonata e prima che si giunga alla stretta conclusiva, tra accenti ora
piani e ora forti, nello spirito brillante del rondò, riecheggiante in un
certo senso il finale del Concerto per pianoforte e orchestra in la
maggiore K.488, scritto un anno prima di questa Sonata, di cui non si sa
a quale virtuoso di violino Mozart l'avesse destinato, secondo l'opinione
del celebre biografo e musicologo De Saint Foix.
614
Si ascolti, ad esempio, il senso di smarrimento del percorso armonico
nella parte centrale, non lontano da quello eccelso della vicina Fantasia
in do minore K. 475.
L'Allegretto finale, nella consueta forma del Rondò, proietta di nuovo
all'esterno l'anima mozartiana non tralasciando di concederci ancora un
tema principale particolarmente affascinante ed altri secondari scherzosi
e da Opera buffa, un gentile omaggio al virtuosismo della Strinasacchi.
Giulio D'Amore
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 16 maggio 1973
616
Quasi tutte le variazioni sono ligie alla tonalità (salvo la settima, in sol
minore), alla melodia e alla concatenazione armonica esposte nel tema; le
mutazioni hanno carattere ritmico, benché il passaggio dal ritmo binario
al ternario avvenga soltanto nelle variazioni quarta e dodicesima.
Per il resto, il trattamento è improntato allo stile «galante», imperniato
soprattutto sugli abbellimenti, ed illustrato dalle composizioni di un
maestro riconosciuto come Johann Christian Bach.
Qualche trovata rivela la mano del maestro, ad esempio il piccolo
monologo pianistico con la variazione del basso affidata alla mano
sinistra (var. III); una pastorale contrassegnata dall'entrata canonica degli
strumenti nella seconda parte della variazione (var. IV); la degradazione
del tema ad accompagnamento pianistico delle «broderies» del violino
(var. VII); il contrappunto a quattro parti (var. X) fra l'acuto e il grave
della tastiera, con un basso albertino intermedio e il tema originale
affidato al violino; un breve notturno, adagio, sul ritmo cullante del
pizzicato violinistico sincopato; infine, allegro, con l'arco, il violino
abbozza un finale da protagonista brillante.
La pubblicità sul «Magazin der Musik» delle Sonate per pianoforte e
violino di Mozart edite nel novembre 1781, avvertiva:
«l'accompagnamento del violino è così artisticamente intrecciato con la
parte pianistica che entrambi gli strumenti attrarranno continuamente
l'attenzione dell'uditorio».
L'annunzio è opportuna epigrafe anche per queste variazioni.
Claudio Casini
617
COMPOSIZIONI PER
PIANOFORTE A QUATTRO MANI
618
FUGA IN DO MINORE PER DUE PIANOFORTI, K 426
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
Allegro moderato (do minore)
Organico: 2 pianoforti
Composizione: Vienna, 29 dicembre 1783
Edizione: Hoffmeister, Vienna 1788
Nel 1788 Mozart ne ha fatto una trascrizione per Quartetto d’archi K 546
619
SONATA IN RE MAGGIORE
PER DUE PIANOFORTI, K1 448 (K6 375A)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro con spirito (re maggiore)
2. Andante (sol maggiore)
3. Allegro molto (re maggiore)
Organico: 2 pianoforti
Composizione: Vienna, Novembre 1781
Prima esecuzione privata: Vienna, casa Auernhammer, 23 Novembre
1781
Edizione: Artaria, Vienna 1795
620
Levità, brillantezza, sono i caratteri precipui dell'Allegro con spirito
iniziale, già dal primo gruppo tematico, tutto concentrato su energiche
asserzioni, volate, mulinanti arpeggi su figure di semicrome.
621
Per un attimo il secondo tema allenta la presa ritmica, con il suo arco
confidenziale di tipico gusto galante, ma già sopraggiunge il travolgente
Epilogo e un agile Sviluppo che, con l'inaspettato apparire di un nuovo
tema, mette in mostra la sublime maestria mozartiana nell'ordire la trama
complessa delle parti, ma senza sforzo apparente.
L'Andante è un tipico tempo di mezzo mozartiano, raffinato e discreto,
con un primo tema di Serenata e un secondo tema in continuità di
carattere con il primo.
Articolato in tre parti, spicca per quel suo stile cantabile e commuove per
i delicati colori armonici ed espressivi.
Un senso generale di pace si impadronisce della scena, inducendo a un
momento di calma e di meditazione dopo tanto spensierato correre. Ma
per poco: con il Molto Allegro, infatti, riprendono i giochi spensierati.
Formalmente si tratta di un assai esteso rondò, che richiama, almeno nel
carattere, alcuni passi del Ratto dal serraglio (risalente alla stessa epoca)
o persino, nel profilo tematico del refrain principale, il rivolto del tema
della Marcia alla turca K. 331.
Lo domina, anche nella sequenza degli episodi, degli interludi, delle frasi
di collegamento che Mozart, con la tipica perizia, accosta e giustappone
come segmenti a incastro, una sorta di mobilità ritmica continua senza
requie, fatta di corse impetuose, e di volate brillanti di carattere
virtuoslstico.
Tempus fugit, così in un baleno, la Ripresa del refrain principale per la
terza volta giunge a spazzare ogni indugio, concludendo in modo
smagliante l'intero movimento.
Marino Mora
Testo tratto dal libretto inserito nel CD allegato al n. 172 della rivista
Amadeus
622
SONATA IN RE MAGGIORE
PER PIANOFORTE A QUATTRO MANI, K1 381 (K6 123A)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (re maggiore)
2. Rondò alla polacca. Andante (la maggiore)
3. Tema e 12 Variazioni (re maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Monaco, 28 febbraio - marzo 1775
Prima esecuzione: Augsburg, Konzertsaal, 22 ottobre 1777
Edizione: Torricella, Vienna 1784
Gli studi più recenti dicono che Mozart compose questa Sonata a
Salisburgo, nel gennaio 1772, dopo il ritorno dal secondo viaggio in
Italia, che si era svolto tra l'agosto e il dicembre dell'anno precedente.
Aveva dunque in testa gli esempi di Niccolò Jommelli, oltre a quelli, già
ascoltati, di Johann Christian Bach, nel mettersi a scrivere una Sonata per
pianoforte a quattro mani, un genere, che, per l'epoca, era
sostanzialmente inedito, moderno.
E infatti un musicologo attento come Abert ha subito notato che si tratta
dell'avvicinamento a un campo nuovo e che "la distribuzione delle idee
musicali tra i due esecutori è ancora piuttosto semplicistica, limitandosi
per lo più a effetti d'eco o alla pura e semplice divisione tra melodia e
accompagnamento".
In effetti ci si trova davanti a un piccolo brano, che un Wolfgang
sedicenne aveva composto per sé e per la sorella Nannerl - che pare
conservasse gelosamente il manoscritto.
L'aspetto forse più curioso è una sorta di magniloquenza della scrittura,
l'avvicendarsi di temi grandiosi per una forma, in fondo, raccolta e intima
come era all'epoca quella del pianoforte a quattro mani: lo si lega
generalmente al fatto che Mozart in quel periodo stava entrando nel
cuore della composizione sinfonica - questa Sonata è nata tra la Sinfonìa
K. 114 e la K. 124 - e che dunque gli fosse rimasto nella penna qualcosa
del procedere "per masse" che è tipico della musica orchestrale.
623
Nicola Campogrande
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 22 febbraio 2008
NICOLÒ JOMMELLI
624
SONATA IN DO MAGGIORE
PER PIANOFORTE A QUATTRO MANI, K 521
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (do maggiore)
2. Andante (fa maggiore)
3. Allegretto (do maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 29 maggio 1787
Dedica: Babette e Nanette Natrop
«A Londra Wolfgang ha fatto il suo primo pezzo per 4 mani. Fino
ad oggi non era ancora stata fatta in nessun luogo una Sonata a quattro
mani» Leopold Mozart in una frase di discussa autenticità riportata dal
Nissen in un contesto sicuramente diverso da quello originario di cui non
c’è più fonte diretta.
Siamo nel 1765 presso “Hickford’s Great Room in Brewer Street” di
Londra, concerto in cui Wolfgang e la sorella Nannerl suonarono
separatamente ma anche insieme grazie alla Sonata in do maggiore
K19d che sembra sia stata composta appositamente per quel concerto.
Se la testimonianza fosse autentica si potrebbe pensare che Leopold
rivendicasse questo “primato” al figlio in buona fede in quanto all’epoca
non era molto diffuso l’interesse per questo genere (molto meno,
certamente, che nel secolo XIX, quando il pianoforte a quattro mani
divenne, fra l’altro, il mezzo più usato per la trascrizione di Sinfonie e
molta altra musica) e, nonostante i primi che scrissero per pianoforte a
quattro mani furono Sammartini, Johann Christian Bach e Jommelli (non
si hanno notizie precise sulla datazione dei loro più antichi lavori del
genere), non si sa se Mozart poteva conoscerli e verosimilmente le loro
opere non dovevano essere molto anteriori a quel 1765 in cui certamente
Wolfgang affrontò il nuovo genere e mostrò, anche in questo campo, una
notevole precocità.
Le edizioni a stampa di composizioni pianistiche a quattro mani non
sono molto numerose, ne molto antiche; le Sonate di J. Chr. Bach
rimasero manoscritte, Clementi cominciò abbastanza tardi a occuparsi
del genere e Mozart fece stampare i propri pezzi a partire dal 1783.
625
LEOPOLD MOZART
626
Wolfgang scrisse Sonate a quattro mani nel decennio 1765-1774 e nel
biennio 1786-1787 raggiungendo anche in questo ambito risultati
assolutamente senza precedenti, capolavori che ammettono ben pochi
confronti in tutta la letteratura pianistica e che definiscono con perfetta
compitezza una scrittura capace di valorizzare pienamente le peculiarità
del duo.
Il forte dislivello qualitativo tra le prime Sonate e il gruppo delle
composizioni successive non dipende solo dalla distanza cronologica; tra
il 1772 e il 1774 Mozart aveva scritto pagine ricche di un pensiero
musicale assai più profondo di quello rivelato dalla pur scorrevole
eleganza delle sue Sonate di quegli anni.
Il dislivello rivela proprio un atteggiamento diverso nei confronti del
genere (forse grazie anche a qualche suggestione di Clementi), una
volontà di affrontarlo con un impegno nuovo, prima evidentemente
ritenuto non necessario: come se il gusto della “novità”, il piacere delle
alternanze, dei giochi d’eco tra i due esecutori fosse di per se sufficiente
nel clima di piacevole “divertimento” mondano cui prevalentemente le
prime Sonate si attengono, come se esse risentissero proprio della loro
posizione di genere ancora “minore” e poco definito.
Queste considerazioni però non devono affatto indurre ad una frettolosa
liquidazione delle Sonate giovanili, che rivelano pur sempre la mano di
Mozart (soprattutto la notevole Sonata del 1774); ma sono
inevitabilmente suggerite dal confronto con un capolavoro come la
Sonata in fa maggiore k 497, che si colloca davvero molto più in alto.
Alla fine di maggio 1787 Mozart scrisse a Gottfried von Jacquin:
«Carissimo amico! – La prego di dire al signor Exner di venire domani
alle 9 per fare un salasso a mia moglie. Le accludo qui il suo Amynt e il
Kirchenlied. – Abbia la bontà di consegnare alla signorina sua sorella
la Sonata insieme ai miei omaggi; - le dica di applicarvisi subito perché
è un po’ difficile. – adieu.
Il suo amico sincero
627
Difficile immaginarsi lo stato d’animo di Mozart ma che la morte del
padre appaia solo come un post scriptum, dopo una serie di notizie
spicciole, è forse dovuto al fatto che Mozart non si era ancora reso
veramente conto del significato di ciò che aveva appreso; ad ogni modo
la banale routine non viene trascurata. La Sonata per la «signorina sua
sorella» era la Sonata in do maggiore per pianoforte a quattro mani (K
521) scritta il 29 maggio e cioè un giorno dopo la morte del padre.
Questa Sonata è l’ultima composizione di Mozart per pianoforte a
quattro mani che fu pubblicata pochi mesi dopo con dedica alle sorelle
Nanette e Babette Natorp, figlie di un ricco mercante che faceva parte di
una cerchia di amici di Mozart comprendente anche il fratello della sua
allieva Franziska von Jacquin, Gottfried, alla quale la Sonata fu inviata
appena composta.
La dedica e la lettera citata fanno pensare che tra gli scopi della Sonata
fosse preminente quello di fornire ad una cerchia di amici “dilettanti” di
notevoli capacità un pezzo brillante, che ne mettesse bene in luce le
capacità e in effetti Mozart nella sua lettera a Gottfried von Jacquin
raccomanda “di applicarvisi subito perché è un po’ difficile”.
Rispetto alla Sonata K 497, o al mirabile Quintetto in sol minore K 516
(finito un paio di settimane prima), o al Don Giovanni (che andò in scena
il 29 ottobre 1787) la Sonata in do maggiore si colloca in una sfera più
serena e “leggera”, sembra segnare un ritorno al gusto
dell’intrattenimento, del “divertimento” delle Sonate giovanili, ma con
ben altra consapevolezza ed eleganza: basta osservare in quale nuovo
contesto si inseriscano i giochi d’eco e di alternanza tra i due esecutori.
In effetti le composizioni dell’ultimo decennio di vita di Mozart,
trascorso a Vienna come libero professionista, erano tipicamente scritte
per essere destinate al fiorente mercato dei dilettanti, i facoltosi esponenti
dell’alta società che avevano nel loro programma educativo lo studio
della musica e del pianoforte, strumento di rapide soddisfazioni e nato
dalla felice intuizione di un artigiano italiano, Bartolomeo Cristofori, che
nel 1726 creò una meccanica di produzione del suono non più basata sul
pizzico delle corde come avveniva nel clavicembalo, ma sulla
percussione con martelletti. In questo modo si superarono i limiti del
cembalo, che erano rappresentati soprattutto dalla mancanza di suoni
dinamici e prolungati nel tempo. Come tutte le grandi invenzioni, però, il
628
nuovo strumento non fu da tutti considerato subito come un’ovvia
evoluzione, ma trovò i suoi accaniti oppositori, nell’aristocrazia in
particolare: l’antitesi clavicembalo - pianoforte sembrò infatti
rispecchiare la contrapposizione aristocrazia – borghesia che negli ultimi
decenni del secolo sfociò in un drammatico conflitto.
MUZIO CLEMENTI
629
La vittoria della borghesia sembrò sottolineare anche la vittoria e
affermazione del pianoforte, strumento scelto per l’educazione musicale
dalle famiglie borghesi d’Austria, Germania, Inghilterra e Francia. Avere
un pianoforte in casa soddisfaceva molteplici aspetti della cultura
borghese: l’amore per l’innovazione tecnica, il raggiungimento di uno
status sociale, il poter eseguire senza limitazioni strumentali le arie ed i
ballabili in voga (grazie anche ad un incremento notevole della musica a
stampa) e quindi (ma non meno importante) l’amore per l’Hausmusik.
La Hausmusik è la pratica strumentale ad uso casalingo e quindi
dilettantistico, nel significato originario del termine (cioè colui che si
diletta) e non nell’accezione negativa cui oggi siamo destinati a pensare.
In questo vastissimo repertorio troviamo innanzi tutto opere didattiche,
poi trascrizioni per pianoforte di brani famosi, ballabili, canzoni e brani
in cui il pianoforte era utilizzato come strumento accompagnatore di voci
od altri strumenti.
Ad affiancare questa realtà musicale, per poi fondersi con essa, troviamo
quella che è la letteratura per gruppi strumentali che invece non
privilegia la linea melodica di un solo strumento, ma che si sviluppa
nelle cosiddette parti reali, quindi parti con una precisa identità musicale
e non solo di accompagnamento.
Stiamo parlando della Kammermusik o musica da camera, che nel
Settecento segue due tendenze diverse. Da una parte quella
d’intrattenimento, mirata ad una scrittura prettamente “dialogata”: i
diversi strumenti sostengono a turno la parte melodica o d’abilità;
dall’altra compie una ricerca più ardita e profonda rivolta ad un pubblico
maggiormente colto. I risultati musicali sono caratterizzati da una
maggiore libertà nelle forme musicali utilizzate e nell’uso meno
convenzionale dell’armonia.
Piacevolezza e arduo intellettualismo convivono quindi negli stessi autori
e negli stessi generi, coprendo tutto l’arco delle esigenze di un pubblico
di dilettanti che andava da aristocratici musicofili fino al più umile
dilettantismo del salotto borghese e dell’intrattenimento domestico della
Hausmusik.
Da questo panorama trae origine il pianoforte suonato da due esecutori,
vale dire a quattro mani. Infatti la formazione pianistica a quattro mani
630
era all’inizio pensata prettamente per esecuzioni casalinghe con
trascrizioni facilitate di brani più complessi oppure semplici duettini e
ballabili. Come abbiamo detto prima, però, in ogni situazione convivono
aspetti anche opposti, quindi con compositori come Haydn e soprattutto
Mozart arriviamo ad avere una letteratura per pianoforte a quattro mani
in cui convivono piacevolezza amatoriale ed applicazione della ricerca,
in particolare nell’uso delle nuove forme musicali del momento.
La Sonata K521 in Do maggiore rientra a pieno titolo nella mescolanza
d’intenti culturali e musicali di cui sopra: abbiamo sia la presenza della
scrittura dialogata, quindi l’alternarsi di frasi melodiche o virtuosistiche
tra i due esecutori, sia la ricerca applicata a quella che è la forma più
importante della seconda metà del XVIII secolo: la Forna-sonata.
La Forna-sonata è bitematica e tripartita, ossia si compone di due temi
principali che sono articolati in tre sezioni; nella letteratura del
Classicismo e poi del Romanticismo in questa forma sono composti i
primi movimenti delle Sonate e delle sinfonie.
L’Allegro
Nell’incantevole freschezza del primo movimento va notata la
tendenza a ricondurre tutto il materiale tematico al tema iniziale.
Anche nella felicità luminosa di questa pagina con mancano tocchi
chiaroscurali, presenti soprattutto nello sviluppo.
Il primo movimento scritto in forma di sonata si articola in tre momenti
fondamentali: esposizione, sviluppo e ripresa.
Nell’esposizione vengono esposti appunto quelli che sono i temi
principali, denominati primo e secondo tema, ed hanno tonalità e
caratteri completamente differenti (incisivo e forte il primo, cantabile il
secondo).
Lo sviluppo è la parte in cui il materiale tematico viene elaborato con
scambi melodici e virtuosistici tra i due esecutori.
Infine nella ripresa si ritorna ai temi dell’inizio della composizione, ora
riesposti entrambi nella tonalità principale.
631
L’Andante
Il secondo movimento è un Andante, costruito in una forma A-B-
A. La prima sezione A é molto cantabile in una tonalità maggiore
orientata verso le sonorità e il carattere di una Serenata per fiati o di un
duetto fra innamorati.
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La seconda sezione B é in tonalità minore e di carattere drammatico, in
cui gli esecutori sono alle prese con una serie di arpeggi di
accompagnamento che enfatizzano il carattere agitato. La voce di Zerlina
si insinua nelle pieghe del discorso melodico; c’è quasi una citazione
dell’aria “Vedrai carino” sulle parole “E’ naturale”. La sezione centrale
del brano, in contrasto a quelle esterne, racchiude un episodio turbolento
e appassionato (in re minore) e una scrittura molto più tesa e frantumata
(sfogo tipico di Mozart, sortita sempre improvvisa, se pur prevedibile,
usata come mezzo stilistico) che se da un lato si avverte la vicinanza
dell’opera coeva, all’epoca ancora in corso di composizione, dall’altro
ricorda lontanamente il Concerto K466 (composto un paio d’anni prima).
La terza sezione conclude il movimento con il ritorno alla parte A, alla
quale segue una piccola coda conclusiva e chiaramente affermativa.
L’Allegretto
L’Allegretto conclusivo combina secondo uno schema consueto il
rondò con la forma sonata, alternando il semplice, affascinante refrain a
due episodi (il primo dei quali viene ripreso come un secondo tema).
Il Rondò si rifà ad antiche forme poetico-musicali di struttura circolare,
in cui una strofa o un tema musicale ritorna costante, spesso intercalato
da elementi secondari mai ripetuti ma ogni volta nuovi. Nell’età della
Sonata il Rondò divenne molto comune come finale, sfruttando la
vivacità dei temi popolareschi a cui spesso si ispirava, l’estrosità delle
diversioni e il forte senso di gioco che è insito nelle periodiche
riapparizioni del tema di base.
Stupisce la calma assoluta (ma anche in questo caso apparente) del Finale
(Allegretto), il cui tema innocuo non lascia presagire la metamorfosi
seguente, non improntata a una svolta demoniaca, o almeno non subito,
ma che di certo é molto più vivace. Così abbiamo una serie di episodi
caleidoscopici come nell’ultimo movimento della K 448, illustre
precedente di questo lavoro.
Le ombre del secondo movimento, o meglio di quella zona centrale,
tornano man mano che il tempo si sviluppa, con foschi arpeggi in minore
che intervengono di colpo, o vengono di colpo interrotti dal ritorno del
tema iniziale molto tranquillo.
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Si può notare che l’inizio di questo movimento è comparabile con
l’inizio dell’allegretto che chiude la k330 in quanto condividono la stessa
figura ritmico-melodica di apertura: un Mi da un ottavo puntato seguito
da due trentaduesimi e un salto di quinta alla tonica Do.
Questa Sonata raccoglie “valutazioni” molto variegate, di seguito riporto
una scala graduata delle stesse: Albert la trova “meno significativa”,
Einstein “splendida”, Paumgartner “un gioiello”: il francese Saint-Foix
trova il movimento con l’accenno a Zerlina “liederistico”, cioè tedesco, e
il tedesco Albert lo trova “in forma di rondò alla francese”; Dennerlein lo
definisce “un tranquillo canto”. Nessuno pensa a Zerlina, eppure questa è
l’unica ipotesi che si riesca a provare – senza che a ciò però si possa
collegare alcun significato. Mozart non ha amministrato consciamente il
suo patrimonio di idee, non gli era necessario memorizzare.
Francesco Trocchia
Il maesto Francesco Trocchia ha scritto due cadenze per il terzo tempo
(Allegretto) della Sonata K 521 dedicandole al duo Simone Renzi e
Paolo Ferrarelli, che sono state commentate da Claudio Grasso
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corrispondenza di quelle sospensioni che sullo spartito ci gridano di
cadenzare.
Per fortuna a volte c'è anche chi rischia di fare cose belle.
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Le due belle cadenze scritte dal M° Trocchia e dedicate al duo Renzi-
Ferrarelli colgono, in poche battute, il senso della Sonata K521 e del
terzo movimento in cui si trovano.
Di norma i pezzi a 4 mani instaurano, volenti o nolenti, gerarchie tra i
due pianisti.
Mozart era abituato a piegare queste gerarchie, a orchestrarle senza
stravolgerle: avete presente quei momenti stupendi in cui dal nulla
appare un corno inglese con la melodia mentre i violini fanno
l'accompagnamento?
Ecco, il canto accompagnato è presente anche in questa Sonata, ma non
c'è uno solo che canta e uno solo che accompagna.
In questa passeggiata a due, le cadenze sono momenti di riflessione, non
di rivalsa.
Per riflettere, i due pianisti rielaborano i temi unendoli a un movimento
cromatico.
E quello che ne esce fuori sono attimi di inganno, armonico e
anacronistico, che sono un po' la metafora dell'ascolto musicale: a cosa
penso quando ascolto Mozart?
E perché non esprimere i miei pensieri durante la cadenza?
Il bello di questo Rondò è che il pensiero non dura molto, non quanto la
musica.
E' anche un po' il bello di Mozart, che ci insinua dubbi senza chiarirli,
che mentre siamo ancora fermi a pensare ci chiede di ballare e cantare.
L'importante non è cadenzare, lo abbiamo già detto, ma rialzarsi e
riprendere da dove ci eravamo fermati.
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SONATA IN SI BEMOLLE MAGGIORE
PER DUE PIANOFORTI, K1 ANH 42, K6 375B
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Grave (si bemolle maggiore)
2. Presto (si bemolle maggiore)
Organico: 2 pianoforti
Composizione: Vienna, inizio 1782
Il Grave in si bemolle maggiore è il frammento di una Sonata per
due pianoforti rimasta incompiuta.
Esso segue la composizione della Sonata in re maggiore K. 448.
E' probabile che Mozart avesse intenzione di ampliare il suo repertorio
per due tastiere, lieto del successo ottenuto nel novembre 1781 con la
presentazione pubblica a Vienna della Sonata in re maggiore, interpretata
da lui stesso e dalla signorina Josephine von Aurnhammer.
In una lettera dell'agosto 1781 Mozart lascia intendere che Josephine è
innamorata di lui, ma egli infierisce contro la sua bruttezza e le sue pene.
Ed è forse ad una rottura definitiva che va imputata l'interruzione della
Sonata in si bemolle, rimasta al Grave e a poche battute di un Presto.
637
SONATE, FANTASIE E RONDÒ PER PIANOFORTE
FANTASIA IN DO MINORE
PER PIANOFORTE, K1 396, K6 385F
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
Adagio (do minore)
Organico: pianoforte, violino
Composizione: Vienna, agosto - settembre 1782
Edizione: Cappi, Vienna 1802 (Come Fantasia per pianoforte)
640
ripetuti, elemento che fra l'altro conferisce a queste prime battute un
andamento solenne e teatrale.
Il tema si trasforma presto in una melodia lunga sull'ondulato sostegno
del grave e ancora passa alla mano sinistra, come fosse intonato dalla
tenera voce di celli e contrabbassi. Il secondo elemento è invece di spirito
totalmente opposto: stabile tonalmente, tenero e affettuoso,
inconfondibilmente mozartiano. È un momento di calma e tranquilla
cantabilità che pare voler far superare il dramma iniziale.
Tutto però si prepara a cambiare: d'improvviso irrompe l'Allegro con il
suo tema agitato, fratto, disperso in piccoli incisi su registri diversi. Si
scatena una sorta di violenta tempesta: nei flessuosi appoggi semitonali
della mano sinistra, nelle veementi quartine di semicrome della destra,
nei ritmi incalzanti e nelle cadenze evitate. Come era avvenuto
nell'Adagio, va ora profilandosi un secondo tema di stampo più
moderato; richiama un ambiente galante, costruito com'è su deliziosi
arpeggi, morbidi appoggi discendenti, piccole e deliziose
ornamentazioni. Poi il basso prende a scivolare progressivamente per
semitoni, e così facendo unisce il suo movimento alle mobili e avvolgenti
terzine della mano destra. Si apre un grande recitativo declamato che
enfaticamente prepara il mutamento di tempo.
È infatti il momento dell'Andantino, aperto da un'idea semplice e
graziosa. Proprio da questo movimento in poi Mozart innesca un fitto
reticolo di rimandi - espliciti o meno - alle sezioni precedenti,
intensificando il ricorso all'artificio della variazione: l'idea graziosa sopra
citata, ad esempio, è tratta da un piccolo inciso cadenzale della sezione di
collegamento e più volte è sottoposta a vari livelli di mutazione. I ritorni
tematici sono ogni volta collegati da un breve interludio, il cui tranquillo
procedere per doppie terze - sul regolare e docile accompagnamento del
basso - ricorda una dolce frase intonata dai legni. Nel finale l'idea
graziosa compare in una forma molto particolare: via via sfaldata e
sfrangiata su cadenze irrisolte; ripetuta a oltranza si autodis\solve nelle
sue stesse ripetizioni.
Brucianti e improvvise, irrompono le velocissime quartine in biscrome
del Più Allegro. Richiamano toni e movenze del precedente Allegro e
presto si esauriscono in un arpeggio dai toni preludianti, con alcune
figurazioni tratte da un'altra sezione dell'Allegro (il moto per terze
641
discendenti). Come si vede il materiale ritorna ancora, ogni volta
trasformato, in un fitto e imprevedibile intreccio di richiami. Mozart ci ha
così preparati all'avvento dell'epilogo, ovvero il ritorno a specchio
dell'Adagio iniziale. Ma si guarda bene dal riproporlo con lo stesso
percorso e con le stesse dimensioni. Pochi istanti e una digressione
armonica interviene a modificarlo radicalmente: le comparse tematiche e
i motivi si presentano ravvicinati, ridotti, come espunti dalla pagina
iniziale per essere ora riproposti in termini diversi: un procedimento di
sintesi teso a concentrare e addensare le idee, per poterle cogliere in
profondità.
Marino Mora
Roma, Teatro Olimpico, 12 gennaio 1967 Testo tratto dal n. 66 della
rivista Amadeus
642
Infatti il brano rientra nel genere delle improvvisazioni, realizzate dal
musicista salisburghese nel corso dei suoi innumerevoli Concerti
pianistici, dove si dispiegavano congiuntamente l'estro inventivo e il
talento virtuosistico dell'artista.
L'Andante iniziale è immerso in un clima sospeso e sembra svolgersi
senza un tema preciso, quasi a preparare meglio il clima espressivo
dell'Adagio, così intimamente cantabile nel suo recitativo patetico,
seguito da un ritornello vivace e brillante, fatto di modulazioni morbide e
delicate.
Ritorna quindi la frase dell'Adagio in la minore, nucleo centrale del
pezzo, dove si respira un sentimento di malinconica poesia da Lied.
Con il tema dell'Allegretto (un Rondò in re maggiore) muta l'atmosfera
psicologica e tutto diventa più lieto e gioioso, in una varietà di brevi
punteggiature ritmiche e timbriche che appartengono alla fantasia
creatrice mozartiana.
Certamente il brano è estremamente conciso (poco più di sei minuti di
musica) e non offre spazio ad un'analisi molto ampia e dettagliata, ma è
rivelatore del temperamento di inesauribile freschezza pianistica di un
autore che anche nelle improvvisazioni ha lasciato il segno della sua
genialità.
643
RONDÒ PER PIANOFORTE IN RE MAGGIORE, K 485
Poche notizie si hanno in genere sulla genesi dei molti brevi brani
pianistici del catalogo di Mozart, la cui nascita è legata a circostanze che
rimangono nell'ombra. È questo anche il caso del Rondò in re maggiore
K. 485 e dell'Adagio in si minore K. 540.
ANDRAS SCHIFF
644
Il Rondò K. 485, ad esempio, non venne inserito da Mozart nel proprio
catalogo personale e la datazione del 10 gennaio 1786 risulta
dall'autografo; forse fu pensato in vista di una pubblicazione.
Si tratta di un Rondò piuttosto articolato e brillante basato, con poche
deviazioni, sulle varie fortune del capriccioso tema di base. Tuttavia il
fine ricreativo è raggiunto con il ricorso a una tecnica non
particolarmente impegnativa, il che lascia pensare che la pagina fosse
destinata a qualche allieva o a qualche nobile "dilettante".
Arrigo Quattrocchi
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma Auditorium Parco della Musica, 20 Febbraio 2009, Andras
Schiff pianoforte
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 10 giugno 1786
645
Mauro Mariani
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 11 Marzo 1787
Edizione: Hoffmeister, Vienna 1787
ANDRAS SCHIFF
646
Fra i singoli movimenti di Sonata spicca decisamente il Rondò in
la minore K. 511, terminato l'11 marzo 1787.
Nato dunque all'ombra del Don Giovanni, si mostra lontanissimo da quel
virtuosismo brillante e alla moda che, appena pochi mesi prima,
affascinava l'aristocrazia viennese.
Si tratta di una pagina sorprendente, un Andante di dimensioni
inconsuete e di contenuto quasi improprio rispetto alla giocosa forma del
Rondò; sobria nella scrittura, si apre con un tema dal sapore vagamente
esotico e dal carattere malinconico, che puntualmente si ripresenta nel
corso del pezzo, alternandosi con delle sezioni di ambientazione analoga
e coerente.
Soprattutto, l'elemento più innovativo è quello del cromatismo, che
pervade tutta l'invenzione tematica del pezzo; così l'intero brano è
pervaso da un pathos che si qualifica come un risultato espressivo inedito
e conferisce alla pagina la statura del piccolo capolavoro.
Arrigo Quattrocchi
647
SONATA PER PIANOFORTE N. 2
IN FA MAGGIORE, K1 280 (K6 189E)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro assai (fa maggiore)
2. Adagio (fa minore)
3. Presto (fa maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Salisburgo, autunno,1774
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1799
MOZART A 4 ANNI
649
Questa nuova sezione acquista rifrangenze tipiche del futuro diteggiare
pianistico e porta a una zona successiva, quella del secondo tema,
annunciato da un motto di tre note ascendenti al basso. Essa si apre
alternando il motto di tre note in questione a flussi di quartine, giocando
quindi su un contrasto di figure (lenta ascesa di note dal basso in
alternanza a grappoli di suoni discendenti all'acuto) che sarà tipico anche
dello 'sviluppo' (la parte 'centrale' di un tempo in forna-sonata, termine
che designa la struttura ricorrente di questi brani classici) in cui si
combinano o si approfondiscono elementi precedenti.
Questi pochi cenni sono sufficienti a chiarire come sia sottile la strategia
musicale che guida le scelte del nostro compositore. Scelte che guardano
anche al futuro: la chiarezza strutturale che caratterizza il primo
movimento, l'equilibrio sapiente delle sezioni contrastanti che sublima un
linguaggio formale generalmente accettato, si arricchisce già di
sfumature cromatiche, anche se ancora temperate dal solare stile
dell'epoca.
Più ombrosi appaiono invece alcuni momenti del brano centrale, Adagio,
l'unico in modo minore di tutte le Sonate mozartiane, costruito sopra un
ritmo trasfigurato di Siciliana, danza dall'andamento cantabile e cullante
di cui Mozart accentua la natura malinconica collocandone la tipologia
ritmica nell'indicazione dinamica, appunto, di 'Adagio'. Magnifici i
chiaroscuri tra modo maggiore e modo minore che egli riesce a creare nel
brano, quasi comparissero a tratti dei raggi di luce sul tessuto sonoro.
Si torna alla solarità nel Presto finale che porta in campo una miscela di
partenze, fermate, sezioni brillanti, soluzioni estrose, tra le quali spicca
una formula ritmica dal carattere 'ornitologico' (sembra il verso di un
volatile, lo si sente alla sola mano destra pochi secondi dopo l'inizio del
brano), il cui lieve tratto ironico dà al pezzo un carattere molto
particolare.
Simone Ciolfi
650
SONATA PER PIANOFORTE N. 3
IN SI BEMOLLE MAGGIORE, K1 281 (K6 189F)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (si bemolle maggiore)
2. Andante amoroso (mi bemolle maggiore)
3. Rondò. Allegro (si bemolle maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Salisburgo, autunno,1774
Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1799
651
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorio di via della Conciliazione, 13 marzo 1987
652
SONATA PER PIANOFORTE N. 6
IN RE MAGGIORE "DÜRNITZ", K1 284 (K6 205B)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (re maggiore)
2. Rondò alla polacca. Andante (la maggiore)
3. Tema e 12 Variazioni (re maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Monaco, 28 febbraio - marzo 1775
Prima esecuzione: Augsburg, Konzertsaal, 22 ottobre 1777
Edizione: Torricella, Vienna 1784
GLEN GOULD
SONATA N. 8 IN LA MINORE
PER PIANOFORTE "PARIGINA 1", K1 310 (K6 300D)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro maestoso (la minore)
2. Andante cantabile con espressione (fa maggiore)
3. Presto (la minore)
Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, 6 Luglio 1778
Edizione: Heina, Parigi 1782
655
potenzialità La Sonata in la minore è forse l'esempio più evidente di
questo nuovo atteggiamento. Non a caso si tratta della prima e - con la
Sonata in do minore K. 457 - di una delle due uniche Sonate per
pianoforte scritte da Mozart in una tonalità minore, scelta che si riflette in
un contenuto musicale di impronta altamente drammatica.
È verosimile che dietro questa scelta ci sia il desiderio di conquistare il
pubblico dei salotti parigini richiamandosi allo stile concitato e
tempestoso di Johann Schobert, compositore tedesco nato intorno al 1735
e morto prematuramente nel 1767, che aveva abbandonato la Germania
per Parigi, dove si era imposto proprio per il suo precoce interesse verso
le risorse del nuovo strumento a tastiera.
656
La Sonata K. 310 è dunque il frutto dell'incontro di due esigenze, la
scelta di un nuovo pathos espressivo, legato alla tonalità minore, e la
ricerca sulle risorse dello strumento a martelli. La pienezza armonica
delle figurazioni insistite di accompagnamento, l'inversione delle
funzioni melodiche e di accompagnamento fra le due mani, gli ampi
arpeggi della destra sugli accordi tenuti della sinistra, che mettono in
vibrazione tutti i suoni armonici del telaio, sono esempi di un dominio
ormai completo degli effetti timbrici del nuovo strumento, che trovano
nella Sonata in la minore una folgorante affermazione.
Il tempo iniziale, segnato dalle dissonanze armoniche e dal ritmo di
marcia dell'incipit, è in una ampia forna-sonata, con una pronunciata
contrapposizione tematica (marcia contro nervosa scorrevolezza di
semicrome), uno sviluppo animato dalle figurazioni insistite della mano
sinistra e dalle suggestive progressioni polifoniche della destra, una
ripresa che converte nel modo minore il secondo tema, riconducendolo
alla prevalente ambientazione espressiva del movimento.
L'Andante cantabile con espressione si richiama invece allo schema
galante della melodia ornata su basso albertino, ma mostra nella sezione
centrale prospettive più complesse, con l'apparizione di un nuovo
motivo, presentato nei diversi registri della tastiera con figurazioni di
accompagnamento cangianti e dissonanti.
Il Presto conclusivo torna all'ambientazione iniziale; si tratta di una
pagina in forma di Rondò, in cui i diversi episodi hanno origine dalla
stessa figura ritmica del refrain; questa caratteristica, insieme alla
ricchezza del contenuto armonico, garantisce all'intero movimento una
varietà espressiva continuamente rinnovata e insieme una ineluttabile
coerenza.
Arrigo Quattrocchi
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SONATA PER PIANOFORTE N. 9
IN RE MAGGIORE, K1 311 (K6 284C)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro con spirito (re maggiore)
2. Andante con espressione (sol maggiore)
3. Rondò. Allegro (re maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Mannheim, inizio novembre 1777
Prima esecuzione: Parigi, Salle des Machines du Palais des Tuileries, 8
settembre 1778
658
La transizione da un tema all'altro, come quella da un tempo all'altro,
avviene spesso nella maniera più spontanea, senza timori di rimanere in
un sostanziale monotematismo, con un gioco di richiami che potrebbe
anche far pensare in qualche caso ad una impostazione ciclica.
Nella Sonata (K. 309) si ritrova un po' tutta l'esperienza di Mannheim: la
dinamica è molto ricca, i contrasti espressivi sono sempre molto evidenti,
la forma è ampia e complessa.
Dedicata all'allieva Rose Cannabich, è stata considerata quasi un ritratto
della ragazza, ma la finalità didattica potrebbe anche non essere avvertita
dall'ascoltatore e in ogni caso essa non è certo un elemento pregiudiziale
per uno dei lavori più freschi e ispirati del catalogo mozartiano.
L'Allegro con spirito, con il quale inizia la Sonata in re maggiore, è una
pagina di intensa evidenza melodica: i due temi sono bene evidenziati ma
quello che più attrae è il tessuto nel quale si inseriscono, una fluida
materia di suture e di codette, già nella zona espositiva.
La parte elaborativa si divide in due sezioni: la prima, derivata
tematicamente dal capo del tema iniziale, è quasi una parentesi sinfonica
giocata tutta sull'appoggiatura, mentre l'altra si rifà al secondo tema.
La ripresa è anomala, imprevedibile: compare dapprima il secondo tema
(questa volta nella tonalità d'imposto) e la conclusione, breve e priva di
una vera coda, consiste semplicemente nella ripresa del primo tema.
Accattivante, forse un po' lezioso, è l'Andantino con espressione, la cui
forma sta fra il tema variato e il rondò.
Un Rondò dichiarato è il tempo conclusivo, brillante e vistoso, con certe
pretese virtuosistiche in primo piano.
La ripresa, del tutto regolare, è preceduta da una breve cadenza e da una
misura esitante che è quasi un riflesso di memoria del tempo centrale.
Renato Chiesa
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 6 febbraio 1992
659
SONATA N. 10 IN DO MAGGIORE PER PIANOFORTE
"PARIGINA", K1 330 (K6 300H)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro moderato (do maggiore)
661
SONATA N. 11 IN LA MAGGIORE PER PIANOFORTE
"MARCIA TURCA", K1 331 (K6 300I)
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Tema. Andante grazioso (la maggiore)
2. Minuetto (la maggiore)
3. Alla Turca. Allegretto (la minore)
Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, Maggio - Luglio 1778
Edizione: Artaria, Vienna 1784
La Sonata in la maggiore K. 331, pubblicata nel 1784 dall'editore
Artaria con il numero d'opera 6 è in un gruppo di tre Sonate che
comprendeva anche gli spartiti K. 330 e 332. Si tratta delle prime tre
Sonate scritte da Mozart negli anni viennesi, anzi probabilmente i tre
lavori vennero concepiti nel corso del periodo trascorso da Mozart a
Salisburgo nell'estate 1783 - il compositore era tornato nella città natale
per presentare alla famiglia d'origine la moglie Constanze Weber - come
lascia pensare una lettera del 12 giugno 1784 al padre, in cui Mozart
annuncia appunto la pubblicazione delle tre Sonate, definendole quelle
"che ho regalato a mia sorella". Mozart scrisse questi tre spartiti
verosimilmente per il proprio uso Concertistico e didattico, e si può
essere certi che il loro contenuto non mancò di destare la giusta
attenzione.
In particolare, la Sonata in la maggiore K. 331 era destinata ad imporsi
come la più celebre fra tutte le Sonate di Mozart, a causa dell'ultimo
movimento, il cosiddetto Rondò "Alla turca", ben noto anche al di fuori
degli ambienti della musica colta. Sulla scia della moda della turquerie,
che aveva avuto vastissima diffusione in tutta l'Europa nel corso del
Settecento, Mozart aveva scritto, nel 1782, l'Opera Die Entführung aus
dem Serail (Il ratto dal serraglio) che aveva colto una piena
affermazione presso il pubblico viennese.
Nella Sonata K. 331 troviamo dunque il desiderio di riallacciarsi a quel
successo, di inserirsi sulla scia della turquerie teatrale per riproporre, nei
salotti dell'aristocrazia, quegli stessi stilemi che dovevano attribuire alla
musica un sapore "turchesco". Altro esempio di turquerie è il Rondò
662
finale della Serenata per fiatti K. 361, eseguita nel marzo 1784, pagina
per molti aspetti gemella del Rondò pianistico.
663
Ciò che rende singolare questa Sonata, tuttavia, non è solamente la
presenza del movimento "Alla turca", ma il fatto che, inserendo nello
spartito un movimento così fortemente caratterizzato, Mozart decise di
costruire una Sonata complessivamente anomala. È infatti questa l'unica
Sonata di Mozart - a parte la giovanile Sonata in mi bemolle maggiore K.
282 - il cui primo movimento non si articola in forna-sonata. Il modello
della Sonata K. 331 è invece piuttosto quello della Suite, formato da
movimenti contrastanti e di danza.
Ecco dunque che l'iniziale Andante grazioso è un tema ingenuo con sei
variazioni, che raggiungono progressivamente una eclatante brillantezza
tecnica. Purissima è l'idea iniziale, che si arricchisce di fioriture
(Variazione I), di intensificazioni nell'accompagnamento (II), trova la
strada misteriosa del modo minore (III), sfrutta le contrapposizioni fra
diversi registri della tastiera, con la mano sinistra che suona sopra la
destra nel registro acuto (IV), si arresta nella pausa contemplativa
dell'Adagio fortemente fiorito (V) e cambia infine metro, da 6/8 a tempo
quaternario, per chiudere brillantemente il movimento (VI).
In posizione centrale troviamo un Minuetto di intonazione nobile e di
mirabili risorse timbriche, che fa ancora ricorso, nel Trio, all'inversione
delle mani.
Ma la Sonata gravita, ovviamente, verso il movimento conclusivo,
l'Allegretto "Alla turca", in forma di Rondò francese. Questo carattere
francese deriva dalla presenza di un tema principale in minore - ricco di
acciaccature o appoggiature e gruppetti, nella dinamica "piano" - e di un
refrain in maggiore e in forte; si inserisce anche una nuova sezione in
minore, basata sulla misteriosa scorrevolezza di quartine e di scale.
Ad attirare l'attenzione è soprattutto la particolare scrittura del refrain,
che viene ripresa e potenziata nella coda: vi troviamo infatti una sonora
melodia in ottava, accompagnata in modo insistito; gli arpeggi della
mano sinistra ottengono l'effetto di far entrare in vibrazione tutti i suoni
armonici dello strumento e Mozart aggiunge, alla destra, degli accordi
preceduti da acciaccature; ecco dunque che questa particolare scrittura si
propone di ricreare sulla tastiera il suono esotico, misterioso e
"selvaggio" delle bande militari turche che si avvalevano di tamburo,
triangoli e campanelli. Tanto efficace è questa invenzione - che appariva
664
ancor più efficace con i pianoforti dell'epoca, dal suono più aspro di
quelli moderni - che il brano ha acquisito fama imperitura.
Arrigo Quattrocchi
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 20 Febbraio 2009
SONATA N. 12 IN FA MAGGIORE
PER PIANOFORTE "PARIGINA 4", K1 332 , K6 300K
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (fa maggiore)
2. Adagio (si bemolle maggiore)
3. Allegro assai (fa maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Parigi, Agosto - Settembre 1778
Edizione: Torricella, Vienna 1784
665
Per Mozart lo strumento va suonato con naturalezza e morbidezza di
tocco, sottolineando le sfumature dinamiche ed espressive e senza
indulgere ai virtuosismi tecnici di un Muzio Clementi definito - a dire il
vero con eccessiva severità - «un ciarlatano come tutti gli italiani, abile
nei passaggi di terze, ma privo di espressione, gusto e sentimento».
666
con Aloysia Weber e la morte della madre - giunge a una sofferta
maturità.
Parigi, dominata dalla querelle fra i seguaci di Gluck e gli aderenti al
partito italiano di Piccinni, è quasi un incubo per il ventiduenne Mozart.
«Se qui la gente avesse orecchie e cuore per sentire, se capisse soltanto
un pochino di musica e avesse un minimo di gusto, di tutto il resto riderei
di cuore. Ma per quanto riguarda la musica mi trovo fra bruti, fra bestie».
L'umor nero mozartiano è splendidamente rappresentato proprio da una
Sonata per pianoforte - la grande e tragica Sonata in la minore K. 310 -
che, insieme con altre quattro Sonate parigine fra cui la K. 332 in fa
maggiore, costituisce una tappa importantissima nel percorso di
liberazione definitiva dall'estetica galante affrontato da Mozart.
Nel primo movimento Allegro lo stile è asciutto, essenziale. Il gioco fra
elementi propositivi statici e quasi neutri - i due temi principali - e le
innervature espressive e drammatiche dei passaggi modulanti -
memorabile quello della sezione di sviluppo - è condotto con singolare
maestria.
L'Adagio sviluppa un'idea di cantabile di ascendenza cembalistico-
galante fin nell'accompagnamento in caratteristico basso albertino, senza
rinunciare però ad un impianto schiettamente sonatistico.
Anche il finale Allegro assai è in forma sonata.
Lo scorrevole ritmo di 6/8, non meno delle guizzanti figurazioni di
semicrome, gli conferisce una particolare leggerezza velata talvolta da
momenti di intensa malinconia o di più energica drammaticità, fino alla
conclusione sottovoce, teneramente sfumata.
Giulio D'Amore
667
SONATA N. 13 IN SI BEMOLLE MAGGIORE PER
PIANOFORTE "PARIGINA 5", K1 333, K6 315C
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (si bemolle maggiore)
668
Salisburgo e anzi per quel suo particolare clima espressivo già indica i
tratti fondamentali in cui si configurerà la sua più alta produzione.
Umberto Nicoletti Altimari
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia
Filarmonica Romana,
Roma, Teatro Olimpico, 24 ottobre 1984
670
La Sonata in do minore viene pubblicata nel 1785 dall’editore Artaria
mentre l’autografo prende una strada misteriosa mai completamente
chiarita. I primi esegeti di Mozart lo danno per perduto mentre in realtà
era finito, non si sa bene quando, negli Stati Uniti rilegato in un fascio di
musiche di altri compositori. Il suo ultimo proprietario, un dilettante che
amava far musica in chiesa, lo lasciò in eredità alla sua congregazione
che lo rinchiuse in una cassetta di sicuezza in banca. Nel 1990 il fascio di
manoscritti settecenteschi viene ispezionato e di punto in bianco salta
fuori il tesoro che esitato in un’asta viene poi acquistato dal Mozarteum
di Salisburgo per una cifra di circa un miliardo e seicento milioni di lire
dell’epoca.
Il primo movimento (Molto allegro) si apre con un primo tema
contrassegnato dal forte contrasto tra le forti ottave ascendenti nel
registro medio-grave che si contrappongono ad una risposta in piano nel
registro medio-acuto. Una transizione conduce ad un tema intemedio e
quindi al secondo tema presentato in maggiore, dal carattere cantabile
che viene sviluppato attraverso un dialogo di “domande” nel registro
acuto e di “risposte” nel registro grave. Una sezione di sviluppo rielabora
elementi della transizione, del tema intermedio e soprattutto del primo
tema attraverso varie peregrinazioni tonali. Nella riesposizione Mozart
presenta nuovamente tutto il materiale dando unità e coerenza ai conflitti
che animano tutto questo movimento. Il secondo tema si ripresenta in
minore e la coda porta il movimento a spegnersi in pianissimo.
Il movimento lento centrale (Adagio) è una parentesi meditativa,
necessaria per allentare la tensione dei due vitali tempi estremi.
Caratterizzato dalla varietà e dal virtuosismo dell’ornamentazione, il
movimento espone subito il primo tema “sotto voce” e lo sviluppa in
forte ripresentandolo una seconda e terza volta sempre più arricchito di
fioriture. Il secondo tema è il cuore contemplativo e malinconico
dell’Adagio. Proposto in la bemolle maggiore e ripetuto in sol bemolle
maggiore si intreccia poi con il primo tema sviluppando una ripresa
caratterizzata dal frastagliarsi del canto, da ornamentazioni, escursioni di
registro, cadenze che rendono sottilmente inquieto il percorso del
movimento.
Nel finale (Allegro assai) ritorna lo stato d’animo agitato fin dal tema
iniziale tutto basato su sincopi, ovvero accenti spostati, che stabiliscono
671
una forte tensione armonica. Il secondo tema dal ritmo martellato è
seguito da una serie di cadenze inframmezzate da sospensioni che
contribuiscono a creare la forte tensione di questo movimento. La
ripresa, esposti nuovamente i due temi, si tramuta in un’ampia sezione di
sviluppo fino alla ricomparsa della tonalità d’impianto in do minore che
chiude solennemente il brano.
Terenzio Sacchi Lodispoto
Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell'Accademia di
Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 6 Marzo 2009
672
ANDRAS SCHIFF
673
Al di là della sua funzione primaria, la Sonata si segnala per la
freschezza delle idee: dal minimo sforzo emerge il massimo risultato,
quello di una piacevolezza immediata di ascolto, come nel garbato
Allegro iniziale; qui troviamo delineata una nitidissima forna-sonata, con
due temi fra loro connessi (il secondo è il rivolto del primo) eppure ben
distinti, uno sviluppo che prende le mosse dalla coda dell'esposizione, e
una riesposizione che parte - secondo un modello più semplice - dalla
tonalità della sottodominante.
Giustamente celebre è poi il tempo centrale, un Andante in cui la sinistra
si limita ad accompagnare, con un basso albertino, la levigatissima
melodia, che si ripresenta più volte, intercalata ad idee secondarie;
circostanza che dona alla pagina un carattere incantatorio ma non
monotono.
Quanto al finale, un Rondò in Allegretto, il suo refrain propone un
gustoso "inseguimento" fra le due mani, che si ripresenta ogni volta con
piccole modifiche nella scrittura strumentale e il movimento si mantiene
sempre brillante e scorrevole.
In definitiva pochi brani pianistici possono dirsi tanto idonei per i
principianti quanto densi di contenuto musicale.
Arrigo Quattrocchi
674
SONATA N. 16 IN SI BEMOLLE MAGGIORE
PER PIANOFORTE, K 570
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (si bemolle maggiore)
2. Adagio (mi bemolle maggiore)
3. Allegretto (si bemolle maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, Febbraio 1789
Edizione: Bureau d'Art et d'Industie, Vienna 1805
ANDRAS SCHIFF
675
Del febbraio 1789 - dunque precedente di pochi mesi - è la Sonata in si
bemolle maggiore K. 570. Anche in questo, come in molti altri casi, è
ignota la destinazione dello spartito che comunque ha quali
caratteristiche di base una estrema piacevolezza e un contenuto tecnico
non particolarmente complesso; non si tratta insomma di una Sonata "da
concerto", ma piuttosto di un brano pensato per qualche illustre
committente o per un'allieva non principiante.
C'è comunque, rispetto alle Sonate degli anni precedenti, un uso quasi
parsimonioso del materiale che va in direzione di una semplicità
espressiva tipica degli ultimi anni di Mozart.
L'Allegro iniziale si basa su un unico tema principale che viene
presentato in due vesti differenti ma non contrastanti fra di loro; infatti,
quando torna come seconda idea, viene ad esso sovrapposta una melodia
diversiva.
La scorrevolezza brillante della pagina è incrinata, nella sezione dello
sviluppo, da quelle implicazioni malinconiche che sono ricorrenti
nell'ultimo Mozart.
L'Adagio centrale è invece un movimento di grande nobiltà espressiva; si
apre con un tema ad accordi e si anima poi con un tema elegiaco
dall'accompagnamento ribattuto; ma tutto questo lungo tempo centrale
presenta una alternanza di situazioni che non contraddicono mai la sua
profondità concettuale.
Quanto all'Allegretto finale, si tratta di un movimento breve e brillante, il
cui tema principale ha quasi il carattere di Gavotta, mentre gli episodi
secondari costituiscono dei diversivi gustosi e quasi giocosi, in perfetta
coerenza con l'assunto di base della pagina.
Arrigo Quattrocchi
676
SONATA N. 17 IN RE MAGGIORE PER PIANOFORTE, K 576
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (re maggiore)
2. Adagio (la maggiore)
3. Allegretto (re maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, Luglio 1789
Edizione: Bureau d'Art et d'Industie, Vienna 1805
677
Lo sviluppo consiste quasi interamente in una vera e propria invenzione
a due voci sul tema di base, e la riesposizione non è affatto testuale; per
evitare monotonia Mozart sopprime il secondo tema, passando
direttamente al terzo, e aggiunge poi una lunga coda.
678
L'Adagio è un movimento tripartito, con due sezioni gemelle - basate su
una melodia nobile e pensosa, riesposta poi con varianti armoniche - che
incorniciano una centrale sezione in fa diesis minore, ricca di un pathos
che deriva dalle continue modulazioni e dai passaggi cromatici.
Gli stessi principi del tempo iniziale - con una minore attenzione verso il
contrappunto - si riscontrano anche nell'Allegretto conclusivo, che è un
Rondò estremamente complesso; sue caratteristiche sono l'unità tematica,
posto che anche il primo episodio si basa sul tema del refrain, e il
dinamismo ritmico delle terzine che pervadono quasi interamente la
pagina, ultima straordinaria invenzione del sonatismo di Mozart.
Arrigo Quattrocchi
679
SONATA N. 18 IN FA MAGGIORE PER PIANOFORTE, K 533
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (fa maggiore)
2. Andante (si bemolle maggiore)
3. Rondò. Andante (fa maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 3 Gennaio 1788
ANDRAS SCHIFF
681
VARIAZIONI PER PIANOFORTE
682
«legato»; la seconda, prevalentemente su un rapido «staccato» di
biscrome, dissolvente in una assorta rievocazione della seconda parte del
tema. La terza mette in risalto la presenza della mano sinistra.
GIOVANNI PAISIELLO
683
Dalla quarta variazione, il discorso si fa più movimentato e più elaborato.
Al carattere quasi d'improvvisazione che emerge dalle prime tre, si
sostituisce un lavorìo più minuzioso, e più ricco anche di soluzioni
armoniche.
Lo spazio si allarga e la musica spesso indugia in «cadenze» o è affidata
(come nella quinta variazione) ai «trilli» i quali ripropongono soluzioni
già sperimentate nel Rondò della Sonata K. 281.
Un impeto di più deciso virtuosismo sostiene l'ultima variazione, che è la
più ampia, e che porta, attraverso il clima fantastico di una imprevedibile
«cadenza», alla ripresa del tema.
Nelle ultime battute, è di straordinaria ricchezza espressiva il
ribaltamento della struttura ritmica, la diversa accentuazione data da
Mozart al tema di Paisiello.
684
10 VARIAZIONI IN SOL MAGGIORE
PER PIANOFORTE, K 455
sull'Arietta "Unser dummer Pöbel mein"
685
ANDRAS SCHIFF
686
Si giunge così alla decima e ultima Variazione, più lunga e complessa,
avviata col cambio del metro di base, da binario a ternario (3/8), e
dunque più capriccioso e brillante. Questa Variazione virtuosistica è
anche interrotta da una lunga cadenza, gioca poi col passaggio della
mano destra sulla sinistra, infine approda a una coda che riespone il tema
originario di Gluck, e conclude con estro e grazia tutto il percorso delle
Variazioni, che per il loro arco elaborato e impegnativo sono un vero
pezzo da concerto.
Arrigo Quattrocchi
ANDRAS SCHIFF
688
Una cadenza conduce all'undicesima variazione, un Adagio dalla melodia
fiorita, che è una vera pausa contemplativa prima dell'ultima Variazione.
ANDRAS SCHIFF
689
VARIAZIONI IN RE MAGGIORE PER PIANOFORTE, K 573
sul tema di un minuetto di Jean-Pierre Duport
Organico: pianoforte
Composizione: Potsdam, 29 Aprile 1789
Edizione: Artaria, Vienna 1792
JEAN-PIERRE DUPORT
690
Al 1789 appartengono le nove Variazioni in re maggiore su un
Minuetto di Jean-Pierre Duport K. 573. Si tratta di una pagina composta
durante il viaggio compiuto a Berlino nella primavera 1789 al seguito del
principe Karl Lichnowsky.
Mozart arrivò a Potsdam, dove il Re Federico Guglielmo II di Prussia
manteneva la propria residenza principale, il 25 aprile.
Chiese di essere ricevuto dal Sovrano ma si trovò di fronte, come
intermediario, Jean-Pierre Duport (1741-1818), importante figura di
violoncellista che ricopriva il ruolo di direttore della musica da camera
del Re.
Come tentativo di ingraziarsi l'arcigno e diffidente Duport - un tentativo
che non sembra essere stato molto proficuo - Mozart scrisse dunque,
appena tre giorni più tardi, il 29 aprile, un ciclo di Variazioni pianistiche,
basato sul Minuetto tratto dalla Sonata op. 4 n. 6 per violoncello e basso
continuo di Duport.
A differenza di numerosi cicli di Variazioni pianistiche di Mozart, le
Variazioni K. 573 non nacquero dunque come perfezionamento su carta
di una precedente improvvisazione.
Il semplice ed elegante Minuetto di Duport viene sottoposto tuttavia a
una serie di trasformazioni che si succedono secondo schemi prestabiliti,
gli stessi che Mozart teneva presenti quando si trovava ad improvvisare.
Le prime due variazioni offrono così le fitte semicrome della mano destra
accompagnate da accordi della sinistra, e poi viceversa.
La terza sfrutta gli arpeggi spezzati fra le due mani.
La quarta sviluppa, a mani alternate, delle terzine per terze e seste.
La quinta parte dal tema in note ribattute.
La sesta converte il tema nel modo minore.
La settima sfrutta le ottave spezzate, a mani alternate.
L'ottava è una pausa contemplativa, un Adagio fiorito e dal fraseggio
libero che prepara sapientemente la sorpresa dell'ultima Variazione, con
il mutamento del metro da ternario a binario.
691
Il ciclo delle Variazioni si conclude poi con il ritorno del tema,
sottilmente fiorito.
Arrigo Quattrocchi
693
MARCIA IN DO MINORE PER PIANOFORTE, K 453A
"PICCOLA MARCIA FUNEBRE DEL SIGNOR MAESTRO
CONTRAPPUNTO"
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
Lento (do minore)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, marzo - maggio 1784
Mauro Mariani
694
PICCOLA GIGA IN SOL MAGGIORE
PER PIANOFORTE, K 574
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
Allegro (sol maggiore)
Organico: pianoforte
Composizione: Lipsia, 16 Maggio 1789
Edizione: Artaria, Vienna 1792
695
ANDRAS SCHIFF
Arrigo Quattrocchi
696
COMPOSIZIONI PER ORGANO
ANDANTE IN FA MAGGIORE
PER ORGANO MECCANICO, K 616
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
Composizione: Vienna, 4 maggio 1791
Edizione: Artaria, Vienna 1791
698
L'Andante K. 616, noto anche come Rondò, presenta un virtuosismo
adatto ad uno strumento meccanico e si basa su un tema unico modulato
nelle tonalità di si bemolle, la minore, fa minore, la bemolle, secondo una
serie di variazioni che conferiscono una impronta patetica alla linea
espressiva.
Il pezzo si conclude con una stretta brillante, in cui il tema viene
riesposto depurato di ogni suo ornamento e abbellimento, in un clima di
dolcezza accordale.
699
FANTASIA PER ORGANO MECCANICO, K 594
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Adagio (fa maggiore)
700
MONUMENTO FUNEBRE
701
FANTASIA IN FA MINORE
PER ORGANO MECCANICO, K 608
Musica: Wolfgang Amadeus Mozart
1. Allegro (fa minore)
2. Andante (la bemolle maggiore)
3. Allegro
Organico: Organo meccanico
Composizione: Vienna, 3 marzo 1791
Edizione: Traeg, Vienna 1799
702
DANZE PER PIANOFORTE
MINUETTO PER PIANOFORTE
IN RE MAGGIORE, K1 355 (K6 376B)
Organico: pianoforte
Composizione: Vienna, 1789
Edizione: Mollo, Vienna 1801
ANDRAS SCHIFF
703
Anche il Minuetto K. 355/576b è un pezzo piuttosto misterioso.
Come nel caso della Fantasia K. 397 non ne esiste un autografo e l'unica
fonte è una edizione a stampa pubblicata da Mollo & Co. a Vienna nel
1801 con il titolo Menuetto avec Trio pour le Piano-Forte par W.A.
Mozart, et M. Stadler.
L'abate Maximilian Stadler, amico di famiglia dei Mozart e musicista
egli stesso, aiutò la vedova Constanze nella sistemazione e vendita del
patrimonio musicale del marito, talvolta portando a conclusione alcune
pagine incompiute.
Nel caso specifico aggiunse un Trio di propria invenzione al Minuetto di
Mozart, a proposito del quale non si può avanzare una datazione più
precisa degli ultimi tre anni di vita del compositore, e che forse non era
neanche destinato in origine alla tastiera.
Presenta infatti una nitida scrittura a tre voci (forse un trio d'archi?), che
anima le movenze stilizzate ed eleganti della danza.
Il Trio di Stadler viene spesso omesso nelle esecuzioni moderne.
Arrigo Quattrocchi
704
La Sinfonia n. 18 in Fa K. 130 è significativa per diversi motivi, tra cui la sua tonalità inusuale per Mozart e l'uso innovativo degli strumenti. In questa sinfonia, i flauti sono posti in tessiture più acute rispetto agli oboi, e vi è una coppia di corni in Do alto e Fa al posto dei tradizionali corni. Inoltre, il movimento Minuetto è arricchito con un'altra coppia di corni. L'influenza di Ignaz Leutgeb, un virtuoso cornista, è evidente, suggerendo un'innovazione influenzata dai contatti e dai viaggi di Mozart .
Nel primo movimento della Sinfonia n. 20 in Re K. 133, Mozart adopera la forma sonata in modo innovativo. Inizia con tre accordi per Tutti, seguiti da un tema di trilli affidato agli archi, consolidando un'apertura festosa. Questa stessa impostazione continua nel resto della Sinfonia, si nota una forma a specchio dove il tema conclusivo dell’esposizione è derivato dal tema principale. La sezione-sviluppo riporta la composizione alla tonalità iniziale senza riproporre il tema di apertura, riservando il tema principale per il Finale .
Mozart seguì la pratica di inserire arie sostitutive conformemente alle esigenze teatrali del tempo, un'usanza legittima che permetteva agli interpreti di esibirsi al meglio delle loro possibilità. Questo adattamento è evidente in opere come 'Don Giovanni', che fu arricchito con nuove pagine, come l'aria «Dalla sua pace» su richiesta degli interpreti. Questa prassi mostra la flessibilità di Mozart e la sua capacità di personalizzare il materiale musicale per massimizzare l'impatto sul pubblico e garantire il successo delle esibizioni, senza compromettere l'integrità artistica complessiva delle opere .
Nella Sinfonia n. 29 in La K. 201, l'idea di "equilibrio" si manifesta attraverso un preciso bilanciamento tra elementi lirici e strumentali-musicali. Mozart inizia il primo movimento in modo pacato, senza enfasi fanfaristica, seguendo con un tema di intervalli che ritorna nel Finale. L'Andante, nonostante i ritmi puntati e doppio puntati, esibisce un'eleganza serena. La sezione sviluppo, descritta da Einstein come ricca e drammatica, enfatizza la sofisticazione armonica e strutturale, perenne nelle sue transizioni sinuose. Nella forma-sonata, unisce incisioni liriche e una scrittura musicale dinamica, costruendo una narrativa sinfonica coesa e bilanciata .
Il Minuetto della Sinfonia n. 30 in Re, K. 202 si caratterizza per la sua struttura arguta basata su canoni tra la linea di basso e i violini. Le viole oscillano tra Do e Si naturale, creando una contraddizione evidente rispetto alla sintassi melodica degli altri strumenti. Questo movimento manifesta un equilibrio unico tra i contrasti canone e monotonia, infondendo vitalità musicale. Il Minuetto utilizza ritmi puntati e doppio puntati, una caratteristica stilistica solitamente associata alle Ouvertures francesi, inserendo un elemento di drammaticità in linea con la poetica sinfonica di Mozart .
Nella Sinfonia n. 30 in Re, K. 202, Mozart dimostra la sua capacità di combinare lo stile tradizionale con innovazioni personali attraverso il Minuetto, strutturato attorno a un canone che coinvolge bassi e violini, con viole che oscillano tra Do e Si naturale. Questo contrasto crea un effetto di tensione che si discosta dai tipici Minuetti dell'epoca. Mozart amalgama elementi classici con una composizione innovativa, garantendo contemporaneamente un'attenzione particolare alla struttura e alla coerenza tematica .
La Sinfonia n. 20 in Re K. 133, composta nel luglio 1772, è rappresentativa delle sinfonie giovanili di Mozart per la sua struttura e l'uso della forma sonata. Caratterizzata da un'apertura con tre accordi per Tutti e un tema di trilli affidato agli archi, la sinfonia si distingue per uno spirito festoso, enfatizzato dai fiati. La sezione di esposizione, il suo sviluppo e la ripresa rimandano a un tema principale compatto che conferisce coesione al movimento. Sebbene contenga ritmi "longobardi," essa non ripropone completamente il tema iniziale, riservandolo per il Finale, richiamando una tecnica compositiva avanzata per un compositore della sua giovane età .
La diversità stilistica di Mozart nella composizione delle arie ha contribuito significativamente allo sviluppo dell'opera lirica, in modo analogo alla sua influenza sulle sinfonie. Le sue arie sono spesso composte nei contesti di 'aria da concerto' o 'aria sostitutiva', ognuna innovativa nelle sue esigenze espressive. Questa flessibilità si osserva nel modo in cui Mozart ha adattato le sue composizioni per massimizzare l'espressione del cantante, riflettendo un'ampiezza straordinaria di stili musicali e tematiche emotive. Questa caratteristica non solo ha ampliato l'espressività dei singoli ruoli all'interno delle opere, ma ha anche contribuito a stabilire nuovi elementi stilistici che hanno avuto un impatto duraturo sull'opera lirica come forma artistica .
La poliedricità musicale di Mozart si riflette nelle sue composizioni per strumenti a fiato, come evidenziato nella Sinfonia n. 18, dove si distacca dalle convenzioni attraverso l'uso innovativo dei fiati. La scelta di impiegare flauti al posto degli oboi e diverse coppie di corni dimostra un interesse approfondito per il timbro e la tessitura e un'influenza marcata da figure come Ignaz Leutgeb. Questo interesse trova un'ulteriore espressione nei Concerti per Corno, una testimonianza del suo contatto con Leutgeb, che arricchì le sue composizioni con un'attenzione particolare alla varietà timbrica e alle capacità virtuosistiche degli strumenti a fiato .
Nonostante Mozart ritenesse la musica francese del suo tempo 'ridicola', nei suoi lavori emergono elementi delle forme francesi, soprattutto nell'uso di stili come la gavotta o la controdanza. Questo si osserva nel finale della Sinfonia n. 20 in Re K. 133, caratterizzato dalla forma di una gavotta o controdanza in rondò, che anticipa una Sinfonia francese. Questo uso mostra che Mozart era capace di assimilare stili internazionali adattandoli alla sua estetica, pur mantenendo una certa distanza critica dalle caratteristiche della musica francese contemporanea .