Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
189 visualizzazioni11 pagine

TESINA - Ins. Fisica Tecnica e Impianti Tecnici - Renzullo

Il documento tratta dell'illuminotecnica, disciplina che si occupa dell'illuminazione di spazi. Descrive il fenomeno luminoso e le grandezze fotometriche, approfondendo l'anatomia e il funzionamento dell'occhio umano nella percezione della luce. Infine introduce concetti come il fattore di visibilità K(λ) per quantificare la sensibilità dell'occhio a radiazioni di diversa lunghezza d'onda.

Caricato da

Andrea Renzullo
Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato PDF, TXT o leggi online su Scribd
Il 0% ha trovato utile questo documento (0 voti)
189 visualizzazioni11 pagine

TESINA - Ins. Fisica Tecnica e Impianti Tecnici - Renzullo

Il documento tratta dell'illuminotecnica, disciplina che si occupa dell'illuminazione di spazi. Descrive il fenomeno luminoso e le grandezze fotometriche, approfondendo l'anatomia e il funzionamento dell'occhio umano nella percezione della luce. Infine introduce concetti come il fattore di visibilità K(λ) per quantificare la sensibilità dell'occhio a radiazioni di diversa lunghezza d'onda.

Caricato da

Andrea Renzullo
Copyright
© © All Rights Reserved
Per noi i diritti sui contenuti sono una cosa seria. Se sospetti che questo contenuto sia tuo, rivendicalo qui.
Formati disponibili
Scarica in formato PDF, TXT o leggi online su Scribd
Sei sulla pagina 1/ 11

Fisica Tecnica e Impianti Tecnici

L’Illuminotecnica

Candidato: Andrea Renzullo

ORIENTA CAMPUS – Università Telematica ‘eCampus’

Form 29 – Corso di Laurea in Ingegneria Civile e Ambientale

1
INTRODUZIONE

L'illuminotecnica è la disciplina tecnico-scientifica che si occupa dell'illuminazione di spazi ed ambienti, sia


interni che esterni, sia sfruttando la luce solare sia la luce artificiale.
Per produrre un progetto di illuminazione artificiale la conoscenza dell'illuminotecnica è condizione
necessaria e si basa sullo studio del fenomeno visivo, definito dalle seguenti punti:
 Il fenomeno luminoso;
 Grandezze fotometriche;
 Sorgenti luminose;
 Illuminazione naturale ed artificiale di ambienti;
 Apparecchiature fotometriche.

IL FENOMENO VISIVO
IL FENOMENO LUMINOSO
La luce, come tutte le onde elettromagnetiche, interagisce con la materia. I fenomeni che più comunemente
influenzano o impediscono la trasmissione della luce attraverso la materia sono:
 l'assorbimento,
 la diffusione (scattering),
 la riflessione speculare o diffusa,
 la rifrazione e la diffrazione.

La riflessione diffusa da parte delle superfici, da sola o combinata con l'assorbimento, è il principale
meccanismo attraverso il quale gli oggetti si rivelano ai nostri occhi, mentre la diffusione da parte
dell'atmosfera è responsabile della luminosità del cielo.
La natura dell'energia luminosa é la stessa di quella delle altre radiazioni elettromagnetiche tra cui
ricordiamo in particolare:
 le onde radio,
 i raggi X,
 le radiazioni gamma (es. filamento metallico percorso da corrente).

Tutte le radiazioni elettromagnetiche, compresa quindi la luce, si trasmettono in linea retta alla stessa
velocità, pari a circa 300.000 km/secondo.
Le radiazioni visibili per l'occhio umano sono comprese in una fascia molto limitata di tale spettro compresa
tra le lunghezze d'onda di circa 380 e di circa 780 nm.
L'occhio umano valuta in misura diversa l'intensità corrispondente alle varie lunghezze d'onda ed è per
questo che uguali quantità di energia raggiante di differenti lunghezze d'onda non provocano un'impressione
luminosa di uguale intensità.
Se, ad esempio, si considerano uguali quantità di energia per tutte le varie lunghezze d'onda e si paragona
l'intensità della sensazione ricevuta, si constata che alla radiazione giallo verde (lunghezza d'onda pari a
555nm), corrisponde l'impressione luminosa più intensa mentre le radiazioni rosse e violette
determinano un'impressione molto più debole.

L'organo che recepisce e gestisce la luce è l’occhio, questo definisce perifericamente la visione, che ha la
duplice funzione:
 di ricevitore del messaggio luminoso,
 di processore dello stesso per la sua trasmissione al cervello (che ne è l'interprete finale).

Può essere interessante osservare che l'organo visivo non ha una gerarchia qualitativa che, in funzione della
specie, trovi l'uomo come il più dotato per efficienza e qualità della visione. Quello che sicuramente appare
dimostrato è che l'uomo ha una capacità superiore alle altre specie animali nel dare un significato globale
della visione, collegando forme, colore e movimento degli oggetti.

2
L’occhio è un organo sensorio complesso che converte l’energia luminosa in segnali elettrici che vengono
elaborati dal cervello. Esso consta di un elemento principale detto globo (o bulbo oculare) e di elementi
accessori, alcuni dei quali sono finalizzati al movimento (muscoli oculari) ed altri hanno una funzione
protettiva (palpebre, ciglia, sopracciglia, apparato lacrimale). I più importanti componenti ottici per il
funzionamento dell’occhio sono:
 l'iride: agisce quale diaframma regolatore della quantità di luce che entra,
 il cristallino: si comporta come una vera e propria lente.

La loro azione combinata consente di mettere a fuoco gli oggetti, l'immagine dei quali va a impressionare la
retina dove esistono milioni di delicati sensori luminosi, chiamati:
 coni: che reagiscono a stimoli di una certa intensità, sono i responsabili della visione diurna o, come
si dice, della visione fotopica;
 bastoncelli: servono soprattutto per la visione a bassa luminosità (visione notturna scotopica) e sono
insensibili al discernimento dei colori.

La maggior parte della rifrazione necessaria per produrre un’immagine avviene nella cornea, appena la luce
entra nell’occhio. La ragione di ciò è dovuta al fatto che la differenza tra gli indici di rifrazione è maggiore
sulle superfici di separazione aria-cornea rispetto a tutte le altre superfici all’interno dell’occhio.
Il cristallino conta solo per un quarto della rifrazione totale prodotta dall’occhio, ciononostante il suo
contributo è determinante poiché, come abbiamo detto, modificando l’aspetto del cristallino, attraverso i
muscoli ciliari, possiamo variare l’entità della rifrazione prodotta dal cristallino, che, a sua volta, varia la sua
lunghezza focale. In particolare, quando osserviamo un oggetto lontano, i muscoli ciliari sono rilassati,
facendo sì che il cristallino sia relativamente piatto. In questo modo viene causata una piccola rifrazione e la
lunghezza focale è al suo massimo.
Quando invece osserviamo un oggetto vicino, il cristallino deve accorciare la sua distanza focale e causare
una maggiore rifrazione, perciò i muscoli ciliari si tendono per dare al cristallino una maggiore curvatura. Il
processo di cambiamento dell’aspetto del cristallino, e quindi la regolazione della distanza focale, viene detto
accomodamento. Produrre l’accomodamento corretto non è facile per un neonato, ma è automatico per un
adulto. Il fatto che i muscoli ciliari debbano essere tesi per focalizzare gli oggetti vicini significa che i nostri
occhi si possono “stancare” a causa dello sforzo muscolare. Per questo motivo è salutare interrompere la
lettura di tanto in tanto per e guardare oggetti distanti: così facendo i muscoli ciliari si rilassano e riducono al
minimo lo sforzo dei nostri occhi. Il cristallino, però, può essere modificato fino a un certo punto, ovvero c’è
un limite per la messa a fuoco di oggetti vicini. Si può, infatti, individuare un punto, chiamato punto
prossimo, per cui un oggetto posto a distanza maggiore da esso appare sfocato, indipendentemente da quanto
ci si sforza di metterlo a fuoco.
Per un giovane, la distanza del punto prossimo è normalmente di 25 cm, ma essa aumenta con il passare
degli anni. Una persona di 40 anni può avere il suo punto prossimo a 40 cm, in tarda età può trovarlo anche
oltre i 500 cm. Perciò invecchiando, di solito, è necessario allontanare il foglio per poterlo leggere e
inforcare gli occhiali. Invece il punto remoto è la più grande distanza alla quale può trovarsi un oggetto
dall’occhio ed essere ancora messo a fuoco.
Infine la quantità di luce che raggiunge la retina è controllata da un diaframma colorato, chiamato iride.
Allargandosi e restringendosi, l’iride regola le dimensioni della pupilla, l’apertura attraverso la quale la luce
entra nell’occhio. Con la luce intensa la pupilla si chiude fino a un diametro di un millimetro. Nelle notti più
buie, la pupilla adattata all’oscurità può aprirsi fino a un diametro di 7 mm.

L'occhio utilizza solo una modesta banda della potenza raggiante e, inoltre, presenta una diversa sensibilità a
radiazioni di uguale flusso energetico ma di diversa frequenza. Si rende dunque necessario definire
quantitativamente tale sensibilità, al fine di stabilire dei criteri comparativi validi nel campo eterocromatico.
Per lo stesso motivo è indispensabile tener conto di un certo numero di grandezze fotometriche, capaci di
descrivere il fenomeno della visione, correlabili cioè con la risposta visiva di un osservatore umano esposto
alla luce.
Definiremo quindi:
 Il flusso luminoso (φ);
 la radiazione (M);
 l'illuminamento (E);
3
 l'intensità;
 luminosa (I);
 la luminanza (L).

Per stabilire un rapporto tra grandezze radiometriche e grandezze fotometriche è dunque necessario fare
attenzione al comportamento dell'occhio. Quest’ultimo, percepisce meglio la gamma dei colori intermedi.
Così, per esempio, per ottenere la stessa impressione visiva, occorre convogliare su di esso molta più energia
nell'unità di tempo con luce violetta o rossa che non con luce gialla.
La determinazione di una misura relativa delle diverse sensazioni visive che due grandezze energeticamente
uguali, ma di diversa frequenza, producono sull'occhio, risulta peraltro ostacolata dalle spiccate
caratteristiche di accomodamento che questo presenta al variare degli stimoli a cui è sottoposto e dalla
soggettività delle osservazioni fatte.
A ciò si è cercato di ovviare adottando un occhio medio internazionale in grado di rispecchiare le
caratteristiche medie, statisticamente definite, dell'occhio umano.
Per mezzo di un adeguato numero di misure soggettive fondamentali, si è inoltre pervenuti alla definizione di
una funzione che rappresenta la sensibilità medi dell'occhio umano a radiazioni differenti, ma di uguale
energia.
Tale funzione è il fattore di visibilità K(λ) e non è altro che la quantificazione numerica della sensibilità
visiva dell'occhio umano medio.
Il fattore di visibilità K(λ) è definito in modo che sia soddisfatta la seguente relazione:

K(λ1) P(λ1) = K(λ2) P(λ2)

quando le due potenze raggianti P(λ1) e P(λ2) relative a luci monocromatiche di diversa lunghezza d'onda λ1 e
λ2 sono state regolate in modo da generare sensazioni di visibilità equivalenti per intensità luminosa.
Il fattore K(λ) risulta definito a meno di una costante che può essere scelta convenzionalmente.

Il massimo di sensazione di visibilità, cioè K(λ) = Kmax si ha per una radiazione monocromatica avente
λ = 555 μm e tale valore massimo è dato da:

Kmax = 683 lumen/watt

dove i lumen sono l'unità di misura del flusso luminoso.


Per comodità si definisce un coefficiente di visibilità relativa V(λ) (o coefficiente spettrale di visibilità)
tramite la relazione:

V(λ) = K(λ) / Kmax

4
Nel grafico precedentemente riportato è chiaro l'andamento del coefficiente di visibilità in funzione
della lunghezza d'onda della radiazione monocromatica.
Da tale curva, si vede che la sensibilità dell'occhio umano è massima per una lunghezza d'onda di circa 555
μm (colore giallo-verdastro), posta al centro del campo di visibilità e tende ad annullarsi agli estremi (400-
700 μm). Si vede come le lunghezze d'onda utili ai fini della visione coprano un campo molto limitato dello
spettro di emissione termica di un corpo nero, quale può essere considerato, per esempio, il filamento di una
lampada a incandescenza.
La figura mostra anche come si modifica la curva quando l'intensità della radiazione diventa particolarmente
debole, questa condizione è detta visione scotopica; in questo caso il massimo della sensibilità dell'occhio si
ha per una sorgente monocromatica di colore azzurro-verdastro, che definisce l’effetto Purkinye.

LE GRANDEZZE FOTOMETRICHE
La grandezza fotometrica fondamentale è la visibilità V, che caratterizza le radiazioni luminose per la loro
capacità di suscitare nell'occhio la generica intensità di sensazione. Essa non è utilizzata per la definizione
dell'unità di misura primaria, a causa della difficile riproducibilità della procedura sperimentale.
In qualità di unità primaria è utilizzata la candela internazionale, unità di misura dell'intensità luminosa.

 Il flusso luminoso (Φ) è definito come il prodotto della potenza radiante luminosa per la visibilità,
ovvero rappresenta l'energia irradiata in ogni secondo dalla sorgente di luce, riferita alla sensibilità
spettrale relativa dell'occhio umano:
Φ = V ⋅W [lumen]
V=φ/W [lumen Watt]

 Si definisce illuminamento (E) il rapporto tra il flusso luminoso incidente sopra una superficie e la
superficie stessa:
E = dΦ / dS [lumen / m2] = [lux]

 Si definisce radianza (M) di una superficie emittente, il flusso luminoso emesso per unità di
superficie:
M = dΦ / dS [lux s.b.]

 Si definisce intensità luminosa (I) di una sorgente luminosa in una certa direzione il flusso luminoso
emesso entro l'angolo solido unitario appoggiato alla direzione considerata:

I Ω = dΦ (Ω) / dΩ [lumen/steradiante] = candela

Il parametro intensità luminosa è essenziale nel campo dell'illuminotecnica, infatti, è una grandezza
principalmente utilizzata per la caratterizzazione delle sorgenti luminose, attraverso le curve fotometriche,
ma anche in alcune prescrizioni progettuali e normative.

 La luminanza può essere definita per superfici che emettono luce o la riflettono. La luminanza è una
grandezza fotometrica molto utilizzata nella ingegneria dell'illuminazione, soprattutto per descrivere
le superfici emittenti e nei calcoli relativi alla valutazione dei flussi emessi dalle sorgenti dirette e
indirette, in campo aperto.
Si definisce luminanza (L) di un elemento di una superficie emittente in una direzione α, il rapporto
fra l'intensità luminosa emessa nella direzione considerata e l'area dell'elemento stesso proiettata
sopra un piano perpendicolare alla direzione, dato dall’equazione:

L = dIα / dSem cosα [cd/m2] = nit

5
LE SORGENTI LUMINOSE
La scelta di una sorgente di luce è motivata da esigenze funzionali, impiantistiche, estetiche e di costo.
I parametri principali che permettono di comparare tra di loro le lampade sono:
 Flusso luminoso emesso Φ (lumen): Potenza raggiante utile ai fini dell’illuminazione, ossia la
porzione di energia raggiante che ricade nel campo del visibile pesata secondo la sensibilità
dell’occhio umano (curva di visibilità).
 Solido fotometrico, curva fotometrica (cd/m2): Distribuzione spaziale del flusso luminoso (le
curve fotometriche sono rappresentate da una sezione del solido fotometrico e sono utilizzate in
luogo di esso in caso di simmetria assiale).
 Efficienza specifica η (lumen/W): Rapporto tra il flusso luminoso emesso e la potenza elettrica
assorbita.
Le lampade ad incandescenza tradizionali hanno efficienza luminosa di circa 12lm/W mentre, ad
esempio, quelle a vapore di sodio a bassa pressione sono caratterizzate da efficienza di circa 200
lm/W. Il parametro efficienza luminosa assume particolare importanza nei casi in cui l'economia
d'esercizio giochi un ruolo
notevole nel bilancio globale delle spese dell'impianto d'illuminazione. Il massimo teorico
dell'efficienza specifica di p una lampada è di 683 lumen/Watt, corrispondente ad una radiazione
monocromatica di 0,555 mm, per la quale si raggiunge il valore massimo del coefficiente di
visibilità.
 Durata (h): Si definisce la Vita tecnica individuale che è il numero di ore di accensione dopo le
quali la lampada va fuori servizio. Poi c’è la Vita minima che è il numero di ore di vita minima
garantite dal costruttore. La Vita economica è il numero di ore dopo le quali il livello di
illuminamento decade di oltre il 30%, mentre la Vita media è il numero di ore dopo le quali il 50% di
un lotto significativo di lampade va fuori servizio.
Le sorgenti che hanno la durata di vita media più breve (1000 - 1500 ore) sono le lampade ad
incandescenza tradizionali; la durata di vita media più elevata è quella delle lampade ad induzione
(oltre 60.000 ore) e quella dei LED (100.000 ore). La durata delle sorgenti luminose è strettamente
correlata con il decadimento del flusso luminoso nel corso della loro vita.
 Decadimento del flusso luminoso (%): E’ la diminuzione del flusso luminoso emesso nel tempo,
definibile anche come il valore iniziale che, misurato dopo 10 ore di accensione per le lampade a
incandescenza e dopo 100 ore per le lampada, porta allo scaricamento.
6
 Temperatura di colore T (K): Temperatura alla quale il corpo nero emette una luce di colore
uguale a quello della lampada in esame. Quanto più la temperatura di colore è bassa, tanto la luce è
calda (emissione a bassa temperatura, nel rosso/arancio); quanto più la temperatura di colore è
elevata, tanto più la tonalità della luce è fredda (emissione ad alta temperatura, nel blu).
 Resa cromatica Ra (%): Attitudine di una sorgente luminosa a rendere i colori allo stesso modo
della radiazione solare; si determina illuminando con una radiazione di riferimento (con spettro di
emissione prossimo a quello del Sole) e con la radiazione in esame delle piastrine di colori campione
e confrontando
nel diagramma CIE - UCS le coordinate cromatiche.
Il valore di Ra che si ottiene è la media di 8 valori ottenuti su colori diversi, mediante la relazione:
Ri = 100 – 4.6ΔEa,i

dove ΔEa,i rappresenta il cambiamento di colore della i-esima piastrina. Convenzionalmente alla
sorgente campione è assegnato il valore 100; aumentando l’alterazione del colore, Ra diminuisce
fino a 0.
I valori di riferimento sono:
- R a ottima = 90 – 100;
- R a buona = 70 – 90;
- R a moderata = 50 – 70.

ILLUMINAZIONE NATURALE ED ARTIFICIALE DI AMBIENTI

L’ illuminazione di un ambiente deve garantire una buona visibilità, confort visivo e sicurezza e deve fornire
condizioni ottimali per lo svolgimento del compito visivo richiesto, anche quando si distoglie lo sguardo dal
compito o per riposo o per variazione del compito.
L’illuminazione naturale contribuisce al comfort visivo e costituisce il riferimento a cui anche la luce
artificiale tende. Il flusso luminoso totale in un punto all’interno di un ambiente è dato dalla
sovrapposizione di diversi contributi:
 componente cielo (arriva sul punto direttamente dal cielo);
 componente riflessa esterna (arriva sul punto per riflessioni da parte di superfici poste all’esterno);
 componente riflessa interna (arriva sul punto per riflessioni da parte di superfici poste all’interno).

Il fattore di luce diurna, DF, in un punto appartenente ad una superficie interna è definito come il rapporto
tra l’illuminamento in quel punto, dovuto a una distribuzione di luminanza del cielo nota e assegnata, e
l’illuminamento su superficie orizzontale esterna in assenza di ostruzioni, prodotto dalla volta celeste con la
stessa distribuzione di luminanza.
Per calcolare il fattore di luce diurna, DF, si deve tenere in conto in particolare la configurazione
dell’ambiente con aspetti come la forma, la posizione e le dimensioni delle superfici vetrate e i loro
coefficienti di trasmissione, quindi:
DF = SC + CRE + CRI (Buona illuminazione diurna DF > 4)
Nello specifico:
 SC è la componente cielo, definita come il rapporto percentuale fra l’illuminamento dovuto a una
apertura sul punto desiderato per effetto della radiazione solare diffusa e l’illuminamento ottenuto
con cielo internazionale;
 CRE è la componente di riflessione esterna;
 CRI è la componente di riflessione interna, definita come il rapporto percentuale fra l’illuminamento
prodotto dalle riflessioni interne dalla luce diurna su una superficie e l’illuminamento del cielo
coperto. Questo componente dipende dai fattori di riflessione del pavimento, delle pareti, dal
rapporto tra superficie vetrata e superficie del pavimento.

Un fattore che deve essere valutato in sede di progetto è il dimensionamento delle superfici vetrate. Il DM
del 5/7/1975 fissa il vincolo del rapporto tra le superfici vetrate e l’area del pavimento che deve essere non
inferiore a 1/8. Tuttavia bisogna valutare l’incidenza della dimensione della finestra sul comfort visivo.

7
Per un pre-dimensionamento delle superfici vetrate si può utilizzare il metodo di Vaughn Bradshaw, che
consiglia, per una buona distribuzione della luce diurna nella stanza, di avere l’altezza della finestra più
quella del davanzale non inferiore alla metà della dimensione in profondità dell’ambiente.
L’altezza della finestra ha sicuramente un ruolo fondamentale per determinare la quantità di luce disponibile
in un ambiente, mentre la posizione della finestra influisce sulla qualità luminosa dell’interno.

L’ illuminazione artificiale è prodotta dall’insieme dei corpi illuminanti intenzionalmente introdotti per lo
svolgimento dei compiti visivi richiesti in quel determinato luogo e per compensare la carenza o l’assenza di
illuminazione naturale. Scopo dell’illuminazione artificiale è rendere visibile all’osservatore quanto lo
circonda in condizioni di luce naturale carente o nulla e di favorire il suo compito visivo facilitando la
rapidità e l’accuratezza con cui gli oggetti vengono percepiti. Anche l’illuminazione artificiale, come quella
naturale, contribuisce al comfort visivo ma, oltre al comfort, si tratta di considerare altri aspetti e
caratteristiche dell'impianto.
Le tipologie impiantistiche posso essere classificate in due grandi categorie:
 l'illuminazione primaria, con la quale si creano i requisiti illuminotecnici essenziali e le buone
condizioni di visibilità mediamente in ogni punto del locale. Essa comprende gli impianti di
illuminazione generale (destinati a fornire luce su aree molto vaste e con un certo grado di
uniformità) e quelli di illuminazione localizzata (sono usati quando si vuole esaltare l'illuminamento
sulle aree in cui si svolge il compito visivo);
 l'illuminazione secondaria, a cui si ricorre quando dalla luce si vuole ottenere qualcosa di più che
condizioni di normale visibilità. Viene usata per creare particolari atmosfere, per generare messaggi,
promuovere una certa immagine, esaltare un oggetto o un particolare.
Si distinguono, come forme di illuminazione secondaria, l’illuminazione d'accento (esaltare la
presenza di un oggetto o gruppi di oggetti e richiamarvi l'attenzione dell'osservatore.), quella d'effetto
(consiste nel disegnare con la luce in locali chiusi), la Mood Lighting (consiste nel creare con la luce
il tono giusto) e l’illuminazione architettonica (modellata su una struttura o complesso
architettonico, al fine di evidenziarne le forme e i volumi).

Alcune caratteristiche dell’ambiente di cui tener conto:


 distribuzione delle luminanze,
 illuminamento,
 abbagliamento,
 aspetti del colore,
 calore apparente della luce.

La distribuzione delle luminanze all’interno del campo visivo influenza il grado di impegno degli organi
oculari e conseguentemente la visibilità ed il confort.
Per evitare l’affaticamento visivo dovuto a ripetuti e continui processi di adattamento, va realizzata una
distribuzione equilibrata delle luminanze, evitando variazioni e discontinuità accentuate tra le diverse aree
del campo visivo e tenendo conto dell’importanza che hanno le superfici riflettenti presenti nell’ambiente.
In particolare si consiglia, per le principali superfici di un ambiente, idonei intervalli per i fattori di
riflessione.

Si definisce poi illuminamento medio mantenuto (Ēm) quel valore di illuminamento al di sotto del quale
l’illuminamento medio su una specifica superficie non può mai scendere. Inoltre, i valori di illuminamento
tra l’area oggetto del compito visivo e quelli della zona immediatamente circostante non devono discostarsi
eccessivamente per evitare l’insorgere di affaticamento visivo e disturbi da abbagliamento e una buona
progettazione deve prevedere sia all’interno della zona del compito che in quella immediatamente
circostante, una buona uniformità di illuminamento.

Abbiamo parlato di disturbi da abbagliamento, ciò porta alla valutazione dell’abbagliamento. Quest’ultimo si
definisce come un disturbo transitorio della vista, che si manifesta come una sensazione eccessiva di luce; si
tratta di un turbamento o una soppressione momentanea della vista, a causa di un oggetto luminoso.
Questa sensazione, a volte, è espressione di degenerazione del pigmento dei bastoncelli della retina e
l’occhio, dunque, non riesce a sintetizzare questo fascio di luce; come conseguenza, temporanea o
8
permanente, la vista appare molto meno nitida. Tale sensazione, causata da valori eccessivi di luminanza,
varia in base al contesto luminoso; comunque, essa deriva dalla presenza di oggetti più luminosi rispetto al
contesto in cui si trova l’occhio.
Esistono diverse tipologie di abbagliamento, che dipendono dalla sorgente luminosa, dal grado di intensità e
dal modo in cui la luce colpisce l'occhio della persona abbagliata.
L'abbagliamento può essere diretto o indiretto; la luce può arrivare direttamente dalla fonte luminosa, come
il guardare direttamente il sole, oppure da una superficie riflettente, come uno specchio.
Poi, si riscontrano differenze a livello di zone oculari colpite dai fasci luminosi; questi possono colpire in
pieno la fovea dell'occhio, oppure delle aree periferiche.
Infine, si distingue l'abbagliamento rispetto all'intensità e agli effetti; esso è debilitante quando causa un
peggioramento visivo istantaneo, temporaneo e reversibile; un semplice esempio è la vista notturna, quando
la rodopsina dei bastoncelli si disattiva col buio e ci impiega un po’ di tempo a riattivarsi nel momento in cui
compare una luce improvvisa.
L'abbagliamento può essere anche di tipo fastidioso, che non causa problemi alla vista ma disturbi astenopici,
difficoltà di concentrazione e attenzione, diminuzione del rendimento e aumento delle possibilità di errore.

Infine si fa cenno anche al calore apparente della luce, infatti, ogni tipo di lampada “emette luce di diversa
tonalità a seconda della distribuzione spettrale della radiazione emessa ed è contraddistinta da una propria
temperatura di colore. Questo parametro, espresso in Kelvin (K), è usato per individuare e classificare il
colore apparente della luce emessa da una sorgente luminosa”: colore apparentemente caldo (< 3300 K),
colore apparente neutro da 3300 K a 5300 K e colore apparente freddo (> 5300 K).

Per poter realizzare l’illuminazione più adatta è necessaria una metodologie di calcolo. I metodi di calcolo
globali cercano di calcolare il flusso utile mediante considerazioni geometriche globali e consentono di
determinare l'illuminamento medio sul piano di lavoro in funzione delle caratteristiche geometriche del
locale, delle proprietà riflettenti delle pareti e delle caratteristiche ottiche dei corpi illuminanti.
In particolare si menzionano due metodi:
 Metodo del fattore di utilizzazione, si fonda sulla determinazione del fattore di utilizzazione,
definito come rapporto tra il flusso che ricade sul piano di lavoro e quello effettivamente emesso
dagli apparecchi - Fattore di Utilizzazione (Fu) definito come:
Fu: Flusso luminoso incidente sul piano utile / Flusso totale

 Basic Method CIE, parte da una approssimazione più precisa del flusso emesso dall'illuminante e
giunge a determinare, per dato numero e tipo di apparecchi, l'illuminamento che compete al piano
utile, alle pareti e al soffitto.

APPARECCHIATURE FOTOMETRICHE

La definizione accettata dalla CIE (Commission International de l’Eclairage) di apparecchio illuminante è la


seguente: un sistema che distribuisce, filtra o trasforma la luce emessa da una o più lampade e che
comprende, ad eccezione delle lampade stesse, tutte le parti necessarie per fissare e proteggere le lampade,
i circuiti ausiliari, i cavi e le connessioni per l’alimentazione elettrica.
Gli apparecchi illuminanti sono importanti tanto quanto lo sono le sorgenti, poiché consentono di indirizzare
il flusso luminoso evitando effetti di abbagliamento e di dispersione del flusso stesso. Le principali
caratteristiche fotometriche di un apparecchio di illuminazione sono:
 intensità luminosa massima (Imax): valore massimo tra le intensità del fascio emesso dal proiettore,
espressa in candele e riferita ad un flusso luminoso pari a 1000 lumen;
 apertura del fascio luminoso: il fascio luminoso può essere più o meno ampio in funzione del sistema
ottico e della posizione che occupa la sorgente rispetto al riflettore;
 rendimento ottico: rapporto tra il flusso luminoso uscente dall’apparecchio e il flusso emesso dalla
sorgente nuda.

L’emissione luminosa di un apparecchio può essere rappresentata per mezzo di diagrammi e, come per le
sorgenti luminose, anche per gli apparecchi l’intensità luminosa può essere rappresentata per mezzo del
9
solido fotometrico; tipicamente la rappresentazione fotometrica viene eseguita disegnando una o più sezioni
ottenute con un fascio di piani opportunamente scelto. Tali sezioni sono detti diagrammi polari delle
intensità luminose in funzione dell’angolo formato dalla direzione dell’intensità stessa con l’asse di
riferimento.
La curva fotometrica rappresenta graficamente come una sorgente luminosa emette luce nello spazio, in che
direzione emette la luce e con quale intensità. A qualsiasi oggetto che emette luce può essere associata una
curva fotometrica che consente di prevedere il suo impatto sull’ambiente circostante.
Per costruire una curva fotometrica è necessario misurare l’intensità luminosa.
Gli apparecchi fotometrici presentano dei parametri base, i principali sono:
 Grado di protezione dagli agenti esterni (Ipxy), la capacità di un apparecchio di resistere agli agenti
atmosferici solidi e liquidi è espressa tramite le lettere IP (Internal Protection) seguite da due cifre, di
cui la prima (variabile tra 0 e 6) indica il grado di protezione contro la penetrazione di corpi solidi o
polvere, la seconda (variabile tra 0 e 8) il grado di protezione contro la penetrazione di acqua.
 Dal punto di vista elettrico, la norma CEI 34 – 21/IEC 598 classifica gli apparecchi in base alla
protezione contro i contatti indiretti in:
– apparecchi di classe 0, dotati di isolamento semplice senza messa a terra;
– apparecchi di classe I, dotati di isolamento semplice con messa a terra;
– apparecchi di classe II, dotati di doppio isolamento senza messa a terra;
– apparecchi di classe III, destinati ad essere alimentati a bassissima tensione.

Gli apparecchi fotometrici si differiscono poi per l’utilizzo, che può essere da esterni o da interni; gli
apparecchi per esterni possono essere suddivisi per:
- Proiettori, utilizzati nell’illuminazione di grandi aree, di impianti sportivi e di monumenti ed edifici
storici. Sono dotati di staffa per consentire il fissaggio ai sostegni e l’orientamento verso l’area da
illuminare;
- Apparecchi per illuminazione stradale, utilizzati per illuminare le zone caratterizzate
prevalentemente da traffico stradale, quali le diverse tipologie di strade e le gallerie;
- Apparecchi per arredo urbano, impiegati per l’illuminazione residenziale e per le aree a traffico
prevalentemente pedonale; in questi apparecchi, oltre all’aspetto funzionale, è importante l’aspetto
estetico.

La classificazione degli apparecchi per esterni si basa sul concetto di apertura del fascio luminoso, che può
essere più o meno ampio in funzione del sistema ottico e della posizione che occupa la sorgente rispetto al
riflettore; secondo la denominazione europea si ha:
- fascio stretto, apertura < 20°;
- fasciomedio, apertura tra 20° e 40°;
- fascio largo, apertura > 40°.

Gli apparecchi per interni, invece, possono essere suddivisi in:


- Apparecchi per illuminazione generale (illuminazione che consente di evidenziare eventuali ostacoli
ed evitare fenomeni di abbagliamento, es. uffici, locali commerciali, interni industriali di media
altezza);
- Apparecchi per illuminazione d’accento (il flusso luminoso uscente dall’apparecchio è indirizzato
verso aree contenute, es. illuminazione di vetrine, opere d’arte);
- Apparecchi decorativi (apparecchi in cui l’aspetto estetico è preponderante rispetto a quello
funzionale).

Gli apparecchi per interni possono inoltre essere classificati in base alla modalità di montaggio:
- a soffitto: sono caratterizzati da un’emissione di luce che al massimo può essere distribuita entro un
angolo di 180°;
- a sospensione;
- a parete: hanno la caratteristica principale di permettere un’emissione di luce diffusa nell’ambiente;
Gli apparecchi da parete sono uno strumento essenziale per l’illuminazione di piani verticali e
possono costituire un valido elemento decorativo per le pareti;

10
- da terra: presentano il vantaggio di poter essere spostati facilmente, assicurando una grande
flessibilità di illuminazione;
- da tavolo: sono gli apparecchi ideali per quei compiti visivi che si eseguono su aree ristrette che,
combinati con un’adeguata illuminazione generale diffusa, rappresentano la migliore fonte di luce
per compiti visivi quali la scrittura, il disegno o la lettura su un piano di lavoro prefissato;
- a incasso: gli incassi possono essere a parete o a soffitto; si tratta di apparecchi economici, data la
loro semplicità;
- su binario: rappresentano la soluzione più flessibile e sono utilizzati quando gli effetti di luce devono
cambiare spesso. Ogni binario ha un suo attacco meccanico ed elettrico, che permette l’impiego solo
di apparecchi appositamente realizzati;
- speciali per illuminazione d’emergenza: tali apparecchi sono obbligatori nell’illuminazione degli
spazi pubblici; sono dotati di una batteria e di un circuito che ne permette l’accensione automatica in
caso di mancanza di energia elettrica di rete.

Gli apparecchi fotometrici presentano anche diverse tipologie di illuminazione, infatti, si differenziano
alcune categorie:
 Illuminazione diretta: Più del 90% del flusso luminoso verso il basso;
 Illuminazione semidiretta: Tra il 60 e il 90% del flusso luminoso verso il basso;
 Illuminazione mista: Tra il 40 e il 60% del flusso luminoso verso il basso;
 Illuminazione semi-indiretta: Tra il 10 e il 20% del flusso luminoso verso il basso;
 Illuminazione indiretta: Più del 90% del flusso luminoso verso l’alto.

11

Potrebbero piacerti anche