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La Suite

Il documento descrive la storia e le caratteristiche della suite musicale e dei suoi movimenti tipici come l'allemanda, la corrente e la sarabanda. Vengono spiegati gli sviluppi della suite dal XVI secolo fino al periodo barocco e l'importanza che ha avuto nell'evoluzione della musica strumentale.
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Il documento descrive la storia e le caratteristiche della suite musicale e dei suoi movimenti tipici come l'allemanda, la corrente e la sarabanda. Vengono spiegati gli sviluppi della suite dal XVI secolo fino al periodo barocco e l'importanza che ha avuto nell'evoluzione della musica strumentale.
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LA SUITE

(Enciclopedia Italiana - 1936)

Nella terminologia musicale questa voce designa una sorta di composizione strumentale a più
tempi, ognuno di essi nel quadro d'una danza aulica più o meno idealizzata. Per eccezione, del
resto non infrequente, si vede comparire nella Suite, tra l'una e l'altra danza o al principio o
alla fine, o al posto di una delle danze più abituali, un'altra forma componistica (specialmente
un'Aria, o una Fuga, un Preludio, ecc.) contrassegnata non sempre dal suo proprio nome, ma
talvolta anche dalla sola indicazione di movimento (Adagio, Allegro, ecc.). Come avviene in
tutti i generi strumentali a più tempi, anche nella Suite il criterio che domina la successione
dei tempi stessi è quello d'alternare tempi in movimento lento e tempi in movimento rapido.
Nella suite tale criterio è anzi più saldamente connaturato, trattandosi d'un seguito di danze e
cioè di pezzi non soltanto d'indole prevalentemente ritmica, in cui il senso del movimento è
più che altrove accurato e quindi bisognoso di contrasti, ma anche derivati più o meno
strettamente da veri e proprî ballabili, nei quali l'alternanza suaccennata rispondeva a
esigenze pratiche.

E infatti già prima d'entrare - idealizzate o meno - nel quadro della Suite, le danze erano di
solito accoppiate; una lenta a una rapida e viceversa: Pavana-Gagliarda, p. es., come avviene
specie in Francia; Passamezzo-Saltarello, come in Italia, in cui il movimento in Allegro tien
dietro a quello in Adagio.

Quivi i primi accenni, e i primi nuclei insieme, della Suite; i quali si dànno dal sec. XVI al primo
XVII in Francia, in Italia e in Inghilterra specialmente, presso i liutisti e in genere i trascrittori
di musiche dall'originale per voci alla pratica per strumenti. E già in questi primi nuclei
vediamo affermata l'esigenza d'un nesso tonale tra l'una e l'altra delle danze, che poi nella
Suite rigorosa trova forza di legge.

Tra gli esempî più notevoli, per data e per caratterizzazione formale, di tali antecedenti
citiamo la riunione Pavana-Saltarello-Piva nell'Intavolatura di liuto pubblicata nel 1508 da O.
Petrucci.

Più le danze e in genere i pezzi riuniti insieme vanno aumentando di numero, più si avverte il
bisogno di forti nessi tra l'uno e l'altro: al nesso tonale s'aggiunge assai presto, già in
documenti del mezzo Cinquecento (cfr. il Libro di liuo dato fuori da A. Rotta nel 1546), il nesso
tematico: i varî pezzi hanno elementi tematici in comune.

A mezzo Seicento per impulso specialmente italiano (C. B. Buonamente, ecc.) la Suite si può
vedere in piena efficienza storica in tutta Europa (specie in Germania, Francia e Inghilterra)
coi caratteri già intravveduti e ora ufficialmente affermati. Tipo più frequente, la Suite di
Allemanda-Corrente-Sarabanda-Giga, che dai secentisti (importante, a proposito della prima
diffusione della Suite in Germania e in Francia, l'allievo di G. Frescobaldi, J. J. Froberger) passa
come base comune ai settecenteschi fino a J. S. Bach e G. F. Haendel. I pezzi non previsti nello
schema ufficiale sono di solito: come esordio, un Preludio (Ouverture, Toccata ecc.); tra la
Sarabanda e la Giga, un'altra danza qualunque (Gavotta, Minuetto, Bourrée, ecc.); come
conclusione, la Ciaccona, la Passacaglia o altre forme basate anch'esse sulla variazione, o un
Rondò.
PRELUDIO. - Nel concetto originario questo termine indica un'introduzione strumentale a un
componimento di qualsiasi tipo (vocale, misto o anch'esso puramente strumentale) e di
qualsiasi genere (epico, lirico, drammatico, ecc.).

L'uso d'un preludio, auletico o citaristico, è frequente già nelle prime fioriture elleniche e anzi
nei poemi omerici se ne parla come di già antico costume degli aedi. Esso si conserva poi
durante l'intero svolgimento di quella civiltà e lascia documenti fin nel sec. II (preludio e inni
attribuiti a Mesomede da Creta). Come si vede, l'improvvisazione è già spesso superata presso
i Greci nel piano di vera e propria composizione, degna di essere scritta al pari di qualunque
altra. Dalle civiltà classiche l'uso del preludiare passa nelle pratiche dei tempi cristiani, senza
lasciarci però documenti che in epoca tarda, l'improvvisazione rioccupando per gran tempo il
campo strumentale e ciò specialmente nel preludio. Praticato nell'arte trovadorica insieme
con altri tipi strumentali (danze, ecc.), esso trova ambiente favorevole (se pur non sempre
aperto dalle disposizioni liturgiche, le quali di tanto in tanto vietano l'uso di strumenti, e
perfino dell'organo, in chiesa) nella pratica delle funzioni sacre. L'organista suole fin da allora,
come anche oggi, avviare le voci del coro sacerdotale e soprattutto quelle della massa dei
fedeli al canto innodico (senza netta esclusione del salmodico) mediante una preliminare
intonazione (e il termine resterà e diventerà anzi nel secoloXVI titolo di ampie e meditate
composizioni organistiche, come si vede a S. Marco con i Gabrieli e in Spagna con A. da
Cabezón). Questa intonazione, come s'intende dalla parola stessa, aveva uno scopo pratico
ben definito: indicare cioè alla pluralità dei cantori l'orbita tonale dell'inno. Di solito essa si
compiva, quindi, presentando elementi del cantico in ordinata successione o anche in varia
fantasia, liberamente avviata e liberamente risolta. Nell'andare dei tempi, formandosi una
tradizione organistica di chiesa, ricca di esperienze d'arte e di consolidati usi liturgici, il
fantasioso improvvisare cede sempre più di frequente il campo a meditate elaborazioni, che
diventeranno del resto non soltanto intonazioni e Preludî, ma anche Canzoni, Toccate,
Capricci, Ricercari, Tientos, ecc. E del resto la natura di tutti questi componimenti è
fondamentalmente una, e i varî nomi precedono di molto un vero differenziamento delle
forme. Le quali nel preludio possono tutt'al più presentare - in confronto, per es., scioltezza di
discorso, spesso risolto in passaggi virtuosistici; caratteri che anche nei tempi moderni spesso
compaiono a ricordare le pratiche improvvisatorie del preludio di mestiere.
Nell'affermarsi in questo modo come componimento avente in sé un valore estetico, il
preludio compare nel sec. XVIII nel quadro della Suite, della Partita per tastiera d'organo o di
cembalo (meno spesso in quelle per più strumenti, ove si trova invece, anch'essa non
regolarmente, l'Ouverture), e in quello, più ristretto materialmente, del binomio Preludio-
Fuga (o Toccata, Fantasia, ecc.). Le forme che quivi esso prende sono del resto ancora
abbastanza varie, passando dall'estrema libertà di movimenti (che talvolta giunge perfino
all'assenza della figurazione ritmica) del tipo "improvvisazione" allo schema della Sonata pre-
classica (A : ∥ : A′), o anche, più di rado, dell'Aria. D'altra parte è questo il tempo in cui l'arte
strumentale ricomincia ad accostarsi alla vocale, e anche nel preludio d'un J.S. Bach non è
infrequente un atteggiamento quasi di "recitativo" o di passaggio di bravura, con diminuzioni,
ecc., che ricordano, oltre la più diretta loro fonte puramente organistica, anche le pratiche
della composizione e dell'interpretazione vocale di teatro, ricordate, del resto, anche dall'altro
tipo di preludio Bach-Händel: quello ad Aria.

Nelle vicende posteriori, dal tardo Settecento in poi, il preludio, che s'avvia alle stesse
possibilità d'autonomia di qualunque altro tipo componistico, viene perdendo sempre di più i
vecchi caratteri di estroso virtuosismo improvvisatorio e cercando anzi, in quadri
materialmente ristretti, valori di raffinato e intenso lirismo, come avviene, per es., nei 24
preludî per pianoforte di F. F. Chopin. I quali, come quelli che già aveva dato M. Clementi, al
nome di preludî non annettono l'accezione che l'etimologia suggerirebbe, ma lo conservano
soltanto per quel carattere di varietà formale che durante i secoli esso aveva mostrato. In
questo senso pubblicano Preludî gli ottocentisti e i nostri contemporanei. Si vedano, per es., i
24 preludî di C. Debussy, che, con quelli dello Chopin, possono essere considerati tra le più
preziose notazioni liriche di ogni tempo.

Nella musica teatrale, il termine Preludio distingue di solito un'introduzione che, senza
assumere il quadro piuttosto autonomo dell'Ouverture o della Sinfonia né le forme tipiche di
queste, abbia però una sua euritmia e un senso di sufficiente appagamento formale. Preludio
potrebbe chiamarsi in tal senso la Toccata iniziale dell'Orfeo di Claudio Monteverdi. Gli
schemi, entro questi limiti, possono variare all'infinito, ed anche essere sostituiti da uno
svolgimento di tipo nomico, cioè "continuo". Esempî notevoli compaiono, in tal senso, presso i
grandi operisti del sec. XIX e specialmente presso G. Verdi (Traviata, Ballo in maschera, Aida)
e R. Wagner, che fa precedere un preludio (da lui detto, con traduzione letterale, Vorspiel) a
quasi tutte le opere della maturità, dal Lohengrin in poi, con la sola eccezione
dell'introduzione (piuttosto Ouverture) dei Meistersinger. E oggi, specialmente per l'opera
seria l'introduzione di tipo preludio è di solito preferita a quella di tipo Ouverture o Sinfonia.

ALLEMANDA. - È il nome di una danza di metro binario di origine tedesca.


Nell'Orchésographie, pubblicata nel 1589 dall'Arbeau (v.), si trova menzione dell'allemanda
come di una danza già in quel tempo antica, e brevi notizie ne dànno pure il Mersenne e nel
suo Dictionnaire de Musique il Brossard.

I più recenti trattati e dizionarî definiscono generalmente l'allemanda come una composizione
di movimento moderatamente rapido, di ritmo binario e di forma bipartita, che nella suite
seguiva immediatamente al preludio, e il tema della quale cominciava con un'anacrusi d'una
sola nota. Definizione esatta se riferita a certi esempî di allemanda, inesatta se
intenzionalmente assoluta. Infatti, se, p. es., le allemande delle suites per viola da gamba di G.
S. Bach sono precedute da un preludio, quelle delle suites francesi per clavicembalo dello
stesso Bach hanno l'allemanda come pezzo iniziale. E se numerosi sono gli esempî di
allemanda con tema anacrusico per una sola nota, non rarissimi sono gli esempî di allemanda
con tema anacrusico di due o tre note.
La denominazione di danza allemanda si trova anche quale titolo di musiche più recenti e di
ritmo e carattere del tutto differenti dal ritmo e dal carattere dell'allemanda primitiva. Tali, p.
es., le 12 Danze allemande di Beethoven, scritte nel 1795. Si tratta, in tali casi, di musiche di
ritmo ternario del tipo del Ländler. Il vocabolo allemanda è diventato un semplice aggettivo di
significato etnico.

CORRENTE. - Danza assai diffusa, dal sec. XVI al XVIII, in Francia e in Italia, dai quali paesi
passò anche in Germania. A una sua origine francese fa pensare la somiglianza col branle
ternario del Poitou e specialmente col branle courant frequente nelle raccolte e danceries
francesi del'500. In Italia ebbe manifestazioni musicali assai importanti presso i migliori
organisti e violinisti: M. Pesenti, D. Zipoli, M.A. Rossi, A. Corelli, ecc. Nella Suite la corrente di
tipo ternario (frequente, tra gli schemi ritmici: ♩∣♩.♪♩∣♩, ove compaiono elementi quasi tipici
della corrente, cioè l'iniziale anacrusi e il prolungamento del tempo forte) fu posta in onore da
G.S. Bach, G.F. Haendel, Ph. Rameau, ecc., di solito tenendo dietro all'Allemanda, cui contrasta
in virtù del suo movimento vivace.

SARABANDA. - Danza in voga dal sec. XVI alla metà del XVIII. Il nome proviene dal persiano
serbend, nome di una danza accompagnata dal canto. Del resto le origini orientali sono state
più d'una volta riproposte: secondo Hawkins si dovrebbe ricondurre la Sarabanda ad una
molto antica danza moresca, la quale opinione era già espressa da M. Mersenne nel 1616. È
certo che in Europa la danza ebbe per primo centro d'espansione la Spagna, e che gli inizî
della sua voga risalgono al sec. XVI: probabilmente verso la fine di quel secolo (Th. Arbeau,
nell'Orchésographie del 1583, non ne fa menzione), ma in tal caso dobbiamo pensare che la
diffusione ne sia stata molto rapida, se già M. Cervantes e il Guevara possano sentire il bisogno
di reagire contro di essa, il Lope de Vega si ponga a difenderla, e perfino in Inghilterra della
nuova danza faccia menzione Shakespeare.

La Sarabanda ha subito, da tempi a tempi e da paesi a paesi, un'importante evoluzione: nella


prima fase della quale essa si presentava, soprattutto in Spagna, con tendenze ben poco
edificanti, tanto da provocare lo sdegno dei religiosi (il padre Mariana nel suo Tratado contra
los juegos publicos, infierisce particolarmente contro questa danza) e da incontrare, verso gli
ultimi anni del regno di Filippo II, un tassativo divieto. Ma anche fuori di Spagna, in Italia p. es.,
alcuni levavano la voce contro di essa, e tra questi G. B. Marino nell'Adone. La musica della
Sarabanda era già allora in ritmo ternario, ma in movimento Allegro e - secondo M. Mersenne
- in molte strofe si giovava di chitarra e castagnette. Così anche M. Praetorius, che pubblica nel
1612 una raccolta di Sarabande tedesche, non ne conosce alcuna in movimento lento: tutte
sono in movimento d'allegro e di carattere gaio, e - a differenza da quelle cui allude il
Mersenne - non sono composte in più strofe ma anzi in una sola.
Verso la fine del sec. XVI la Sarabanda francese era già molto modificata nel suo aspetto
coreico e aveva già preso un carattere più nobile e raccolto.

Gli svolgimenti secenteschi confermano, dapprima specialmente in Francia e in Inghiltena,


questo nuovo indirizzo e, tra l'altro la Sarabanda inglese diviene, sotto l'aspetto coreico, un
tipo di contraddanza. L'orientamento verso l'austerità più solenne è oltralpe seguito anche
dalla musica, che a mezzo il Seicento rattiene il movimento fino ad assumer quello del Grave.
Le membrature dell'idea melodica si fanno più solide, disegnandosi in note lunghe e
insistendo su stilemi ritmici (accentuazione della seconda unità della misura, che si prolunga
nella terza), destinati a distinguere il ritmo della sarabanda da quello delle altre danze coeve.
Così si presenta il nucleo di questa danza al compositore strumentale del secondo trentennio
del Seicento. Se, infatti, qualche Italiano (p. es. F. Vitali nelle Sonate a 6, op. XI) continuerà
perfino agli ultimi del secolo (quell'op. XI è pubblicata nel 1683) a concepire la Sarabanda nel
suo carattere arcaico - specialmente riguardo al movimento, che manterrà in Allegro - la
grandissima maggioranza ne svilupperà le nuove risorse concependola come forma
tendenzialmente melodica, equivalente a quella che nella musica vocale sta maturando l'Aria.
È questo un primo passo verso l'idealizzazione sinfonica della vecchia danza: sulla capace
sintassi che la lunghezza delle note cardinali chiaramente mostra, il compositore barocco
tende a rilevare l'elemento melico con ogni sorta di diminuzioni più o meno sostanziose:
dall'esteriore artifizio del trillo al già più intenso mordente, al melodico gruppetto e via
dicendo.

L'interesse musicale comincia così a passare dalla scansione ritmico-armonica - naturalmente


egemonica nell'orbita del ballabile - alla figura del melos e - sempre più spesso - alle vicende
che essa figura attraversa durante il pezzo. Le quali vicende, che nascono come Variazioni
vere e proprie, conducono il quadro a dimensioni più vaste o a proporzioni diverse. In una
Sarabanda dello Chambonnières abbiamo già un esempio significativo: la prima parte ha 8
misure, che col ritornello diventano 16; la seconda parte ne ha 16 (col ritornello 32), in
quanto il suo secondo periodo non è la ripetizione del suo primo ma un'ulteriore ed assai
libera deduzione.
La tendenza all'ampliamento della seconda parte si ritrova in una Sarabanda di G. B. Lulli
(1633-87), ove la melodia, essendo già interessante nelle sue linee essenziali, non ha bisogno
di molti abbellimenti (dal Lulli, del resto, poco usati anche nella musica vocale) e quasi
soltanto s'intensifica mediante appoggiature. Così vediamo che la melodia, conchiusa in 8
misure ritornellate, è utilizzata nella seconda parte per ben 26 misure (anch'esse con
ritornello) in vicende che già sanno di "variazione amplificatrice", sia nelle diverse figure
meliche tratte da singoli elementi dell'idea iniziale, sia nell'ampio itinerario tonale.

A questo momento la Sarabanda è già tanto avanzata nella sua evoluzione da entrare, senza
bisogno di ulteriori modificazioni struttive, nel quadro della composizione strumentale in più
tempi, sullo stesso piano dell'Allemanda, della Corrente, della Giga, ecc. Così la ritroviamo
nella Sonata da camera di A. Corelli (il cui gusto musicale è talmente alto e severo da
potenziare esteticamente perfino il tipo ballabile, come vediamo nella 7ª sonata dell'op. V: in 2
periodi di 8 misure ambedue ritornellati, e la melodia quasi interamente priva di
abbellimenti) e nella Suite francese e tedesca, assumendo un movimento anche più grave
(sistematico dal Muffat in poi) e un'espressione intesa ad austera maestà. Tranne rare
eccezioni - come quella della sarabanda a 2 periodi della 7a sonata di Corelli - la Sarabanda
che entra nella Sonata da camera, nella Suite, nella Partita, nell'Ordre, ecc., ha così forma
generalmente ternaria in conseguenza dell'ampliarsi della seconda parte da uno a due periodi.
Lo schema A-A′-A″, con A″ molto libero, si trova più specialmente presso i Tedeschi, da G. F.
Haendel (v. le Sarabande della IV Suite [A in 20 mis.; A′-A″ in 28] dalla VII [A in 8 mis.; A′-A″ in
24], ecc.) a J. S. Bach che predilige la simmetria: A in 8 mis.; A′ in 8, A′′ in 8.

Nella scuola italiana A′′ è spesso tanto diverso da A e da A′ da potersi considerare - come
osserva G. Bas - periodo nuovo; del quale fatto dànno esempî gli stessi Corelli e Lulli.

L'inclusione della Sarabanda diviene, per la Suite e i generi analoghi, norma comune, ed il
posto è indicato tra la Corrente e la Giga. Nella Suite VII di F. G. Haendel, che ha 6 tempi:
Ouverture-Andante-Allegro-Sarabanda-Giga-Passacaglia, è comunque rispettato il rapporto
Sarabanda-Giga.

La vecchia danza compare del resto anche nel teatro di Haendel (dove una Sarabanda
strumentale dell'Almira dà il passo ad un'Aria vocale del Rinaldo) e in quello di C. W. v. Gluck,
dove la ritroviamo in un balletto (Air gai-Sarabanda) del 1° atto dell'Iphigénie en Aulide. La
forma è semplicissima:

∥ : A (8 mis. modulante dalla tonica re minore al relativo maggiore) : ∥ : A′ (4, relat. −


dominante + 8 tonica − tonica) : ∥.

Al risolversi, nell'ultimo Settecento, della composizione a più tempi nel solo quadro della
Sonata, di danze non resta che il Minuetto, sì che gli esempî di Sarabanda diventano rarissimi
e ormai anacronistici, mentre talvolta ne può suggerire il ricordo il ritmo e l'espressione
particolare di qualche pagina teatrale. Ai nostri giorni, con il ravvivarsi del generale
interessamento per le tradizioni sei-settecentesche, si riprende talvolta la Sarabanda o per
effetti decorativi e di colore o - idealizzandone ancor più la struttura e ampliandone le
dimensioni - per espressioni di profonda, meditativa gravità. Esempî mirabili di quest'ultimo
procedimento si hanno nelle Sarabande di C. Debussy (Hommage à Ramcau) e di F. Busoni
(Dottor Faust). Alla Sarabanda è poi ispirato e intitolato un poema sinfonico di Roger-Ducasse.
GIGA (dall'ant. ted. gîga). - Strumento musicale, derivato dall'antica lira ad arco,
particolarmente diffuso tra il sec. XII e il XIV. Di forma allungata, a fondo ricurvo, la cassa
armonica andava gradatamente assottigliandosi, a guisa di manico, in modo da offrire
appoggio alla mano sinistra, come nel violino. L'incurvatura terminale si arricciava e poteva
anche essere ornata di leggiadre finiture. La cassa armonica mancava d'incavi laterali, ma
aveva due fori; nel mezzo c'era una piccola apertura che nel gergo dei liutai si chiamava rosa.
Vi erano anche gighe preziose artisticamente scolpite: uno dei migliori esemplari che si
conosca è quello appartenente alla collezione Fidgor di Vienna. Alla giga si addicevano le
piacevoli arie di ballo, il canto dolce e ingenuo, dal libero metro.

Il vocabolo giga indica anche un vivace tempo di danza la cui vicenda artistica, nella
letteratura strumentale dei secoli XVII e XVIII, fu molto interessante.
La giga ebbe uno svolgimento assai vario e complesso. Secondo alcuni ebbe origine da forme
vocali; in Italia s'identificò con la tarantella e il saltarello. Chiamata dagl'Inglesi fig, fece le sue
prime apparizioni nelle composizioni dei virginalisti inglesi e nelle musiche per liuto.
Dall'Inghilterra passò nel continente e fu largamente coltivata in Germania e in Italia. Si
scriveva in misure di ottavi (3/8, 6/8 e 12/8) e di quarti (3/4 e 6/4), nei primi fu simile alle
altre danze di movimento vivace (gagliarda, saltarello). Anche la Canaria (in 3/4 o 6/8) può
considerarsi come una specie di giga. J. J. Frosberger, verso il 1650, scrisse gighe anche in
misura pari. Di Bernardo Pasquini, verso il 1700, si trova una giga in 3/8, divisa in due parti,
nella quale già s'affemia il principio, assai diffuso, di riprendere il motivo iniziale in moto
contrario.

Arcangelo Corelli, per il violino, e in seguito i clavicembalisti italiani del sec. XVIII scrissero
bellissime gighe, alcune assai note e diffuse. Grande varietà del tipo di giga, per fantasia di
ritmi e complessità di svolgimento offrono Bach e Haendel: o vagamente mosse, in tempi 3/8
e 6/8, o in tempo ordinario, mosso, a terzine (Haendel, Son., in fa); J. S. Bach, nella prima delle
Suites francesi, comprese una giga a tempo tagliato, in movimento moderato, con note
puntate.

Un precedente di questo modo di concepire la giga, notevolmente diverso da quello più


comunemente noto, può additarsi nella giga della Partita II di Franz von Biber (1644-1704).

GAVOTTA (dal fr. gavotte, propriamente danza dei Gavots, cioè degli abitanti del territotio di
Gap nel Delfinato). - Danza francese, in ritmo pari. Era una danza grave; venuta a far parte del
repertorio artistico, elaborata in una forma musicale autonoma, divenne alquanto più mossa,
sempre mantenendo moderazione e leggiadria di movimento. È scritta, di solito, in 2/2 (C⃒) o
2/4. Un tempo essa veniva unita alla Branle, che la precedeva.
Nella musica d'arte la gavotta cominciò a diffondersi dopo la prima metà del sec. XVII e venne
subito introdotta nella Suite, specialmente nella nuova forma di Allemanda, Corrente,
Sarabanda e Giga, affermatasi con J. J. Froberger, e vi si pose tra le due ultime danze. Come
tutte le antiche danze, la gavotta era divisa in due parti che venivano ripetute, ciascuna
formata d'un numero pari di misure; nella forma originaria della danza la seconda parte era
del doppio più lunga della prima. Dal Corelli la gavotta viene concepita anche in un
movimento più vivace. Il tempo di gavotta, specie nella musica per clavicembalo, costituì
anche il nucleo di uno svolgimento a variazioni, come nelle celebri gavotte variate di J. Ph.
Rameau e di .G. F. Händel.
MINUETTO. - Danza nata in Francia (Poitou) in principio del sec. XVII, il nome della quale
alcuni fanno derivare dal corregionale Branle à mener, altri dall'aggettivo menu, che infatti si
conviene ai passi del minuetto, più corti di quelli voluti nella maggior parte delle danze.

Praticata dapprima dal popolo, passò poi nel mondo aristocratico, trovandovi, fin dal tempo di
Luigi XIV, grande favore.
Il ritmo è ternario, spesso con inizio anacrustico, e la misura può essere in quarti come in
ottavi. Il movimento, dapprima moderato, attraverso gli anni viene sempre più spesso
accogliendo il dinamismo dell'Allegro, fino a raggiungere l'impeto dei minuetti della VI
sinfonia di J. Haydn (in Allegro molto) e della I del Beethoven (in Allegro molto e vivace).

La forma del minuetto, come generalmente tutte le forme che riuscirono a entrare nella
componistica del periodo cosiddetto "classico" (da Haydn, cioè, a Beethoven), si venne a
modificare in conseguenza della comune evoluzione dalla simmetria binaria alla ternaria. Il
minuetto dei tempi preclassici, inserito o no in opere teatrali o in Suites (nella Suite esso,
come la Gavotta, la Bourrée, la Loure, il Passepied, la Pavana, ecc., era considerato come
intermezzo, che poteva mancare, tra la Sarabanda e la Giga), è composto in due periodi (sulla
base delle 8 misure), ognuno integralmente ripetuto come è, di regola, prescritto dal segno di
ritornello.

Il primo periodo si svolge nel tono fondamentale fino alla cadenza, che la prima volta
conferma quel tono e la seconda invece modula in un tono alffine: di solito nel tono della
dominante; il secondo periodo percorre l'itinerario opposto, e la cadenza finale avviene quindi
nel tono fondamentale. Al minuetto tiene dietro, di solito, un secondo minuetto, poi chiamato
trio perché nelle partiture orchestrali era composto spesso per tre soli strumenti, a
contrastare più efficacemente col minuetto primo. Tale esigenza di contrasto chiede, del resto,
una diversità - tra i due minuetti - di carattere estetico ed esplicitamente di tono e spesso
anche di modo: minore nel caso d'un primo minuetto in maggiore e viceversa. È ovvio, a
questo proposito, che per la legge dei rapporti tonali saranno preferiti i toni affini. Dopo il trio
si replica il primo minuetto. Secondo queste norme, che naturalmente non hanno carattere
imperativo e anzi consentono facilmente eccezioni, l'intera composizione si può fondare sullo
schema:

In conseguenza del comune movimento dalla simmetria binaria alla ternaria, che venne a
determinare le forme del periodo classico, anche il minuetto, entrando nel quadro della sonata
(e quindi della sinfonia) classica, si modifica nella sua struttura interna. Esso si costruisce non
più in due ma in tre periodi, in quanto dopo il secondo periodo si ripete il primo:

Questo schema può essere poi ampliato, ma senza modificazioni nella struttura interna dei
varî pezzi, con l'aggiunta di un secondo e anche di un terzo trio (tra l'uno e l'altro dei quali
viene ripreso il minuetto primo) o anche di una coda, a conclusione finale. È evidente, nel caso
di minuetto a più trii, la nuova figura assunta dalla composizione: quella, cioè, del Rondò.

L'importanza storica del minuetto è assai grande. Non soltanto esso costituì una delle danze
più frequenti nell'opera teatrale (specialmente nell'opera francese [Lulli-Rameau-Gluck] che
sì gran parte dava alle danze), ma mentre le altre danze sei-settecentesche non
oltrepassarono l'epoca preclassica della Suite, se non in modo sporadico e quasi a titolo di
rievocazione, il minuetto entrò come pezzo d'obbligo (nella sua figura propria o in quella dello
Scherzo, sua derivazione immediata) nel quadro della sonata (e quindi della sinfonia e della
sonata pluristrumentale: trio, quartetto, quintetto, ecc.) dell'epoca classica, giungendo presso
L. Boccherini, J. Haydn, W. A. Mozart e L. v. Beethoven a manifestazioni di valore estetico certo
pari, se non superiore, a quello toccato nella sua fioritura del primo Settecento. Nella
produzione beethoveniana importante il minuetto compare 17 volte (lo Scherzo, 46), ma dopo
il Beethoven esso cede definitivamente il posto, nella composizione a più tempi, allo Scherzo.
Accade al minuetto, in sostanza, quel che già dalla fine del sec. XVIII era accaduto alle altre
danze sei-settecentesche: esso non è più, infatti, che una forma atta a rievocazioni, a "quadri di
genere" a composizioni d'indole decorativa o leggiera. Per tale sua proprietà allusiva il
minuetto compare ancora non di rado nelle opere teatrali la cui vicenda si svolga nel Sei o nel
Settecento, o che allo spirito di quei secoli intendano richiamarsi. Esempî di minuetti moderni
di carattere più intimamente lirico non mancano tuttavia, e basterà citare il II tempo della
Sonatina per pianoforte di M. Ravel e il minuetto del II atto di Filomela di G. F. Malipiero,
ambedue, naturalmente, concepiti con una certa libertà di forma.

BOURRÉE. - Pezzo musicale in ritmo binario (inizio anacrustico) e movimento rapido:


frequente nell'ouverture francese e caro anche a G.S. Bach ed ai clavicembalisti. La bourrée
deriva da un'antica danza d'origine francese o, secondo alcuni, spagnola.

CIACCONA (fr. chaconne, dallo sp. chacona). - Composizione d'origine assai remota, di solito
strumentale (anche vocale nei finali d'opera della scuola lullista) che in un ritmo ternario
(raramente binario) moderatamente mosso viene svolgendo su di un basso ostinato, per lo
più di 8 battute, ma talvolta di 4, una serie di variazioni. Come la simigliantissima passacaglia
(v.), la ciaccona che pure figura tra le forme di danza, nel tempo della sua maggiore diffusione
(secoli XVII e XVIII) s'era gia elevata al valore e alla funzione di forma musicale pura e
compariva nella suite (v.) quasi sempre come ultimo pezzo. Esempî insigni di ciaccona
troviamo presso G. Frescobaldi, T. A. Vitali, G. S. Bach e presso gli operisti della scuola
francese.

PASSACAGLIA. - Danza aulica (probabilmente d'origine spagnola, come suggirisce l'etimologia


da pasar e calle) ancora in uso alla corte di Luigi XIV, dove era svolta da un solo danzatore. Di
essa rimane oggi in uso soltanto la forma musicale, consistente in un seguito, più o meno
organico, di variazioni d'un periodo dato, generalmente di 8, ma anche di 4° di 2 misure, in
ritmo ternario e movimento di solito sostenuto. Tale forma s'avvicina a quella della ciaccona
(v.), con la quale si confonderebbe se non presentasse spesso in variazione la stessa frase
basica, nella ciaccona di solito lasciata invariata a costante fondamento (come basso ostinato)
delle diverse zone. Ma anche questa distinzione non è sicura. Esempî notevoli di passacaglia si
dànno presso G. Frescobaldi (Toccate d'intavolatura, I), G. B. Lulli (Acis et Galathéé, con parti
vocali), D. Buxtehude (Passacaglia per organo in 28 variazioni nel basso), J. S. Bach (oggi nel
vol. XV della Gesammelte Ausgabe), C. Franck (2° corale per organo), J. Brahms (finale della IV
Sinfonia) e A. Casella (II tempo della Partita in do maggiore per pianoforte e orchestra).

Common questions

Basati sull'IA

The preludio has historically served as an important introductory component in musical compositions, originating from Greek traditions where it served practical purposes in guiding vocal performances. Over time, it evolved to acquire its own artistic value, transitioning from improvisational beginnings to more structured compositions during the 16th century with church organist practices. By the 18th century, preludios had become integral to Suites and keyboard compositions, with notable variations in form and expression, such as seen in the works of J.S. Bach. This evolution underscores the preludio’s significance in bridging instrumental music with vocal traditions and influencing subsequent forms like the Sonata and the broader suite .

The Minuet is significant in classical music because it represents a pivotal evolution from dance music into a standard form within instrumental compositions like the symphony and sonata. Originating as a French court dance with a ternary rhythm, it was quickly adopted into orchestral works and became integral in the classical sonata-allegro structure. Its importance lies in its transformation during the Classical period to what became known as the Minuet and Trio format, later evolving into the Scherzo, a form extensively used by composers such as Beethoven. Thus, the Minuet's evolution marks a transition from pure dance music to a sophisticated form central to classical repertoire .

Originally, the Preludio functioned as an introductory improvisational piece meant to guide vocal performances in Greek traditions. By the medieval period, it remained improvisational, often as an intonation to prepare singers for liturgical music. By the 18th century, however, its role had expanded and solidified in classical compositions, particularly within the suite and keyboard genres. Composers like J.S. Bach transformed preludios into structured, stand-alone pieces of high artistic value, combining free-form improvisation with more formalized compositional techniques. Thus, the Preludio evolved from a practical tool to an important compositional form that bridged instrumental and vocal music .

Originally, suites consisted of a sequence of dances, often paired to contrast tempos, like the slow Pavane with the fast Galliard. By the early 17th century, these pairings became codified within a framework that emphasized tonal and thematic unity. Through the contributions of Italian composers and the influence of lutenists, by the mid-17th century, the suite's structure became standardized with movements like Allemande, Courante, Sarabande, and Gigue. Over time, the suite incorporated other forms such as preludes and fugues as both introductions and intermissions between movements. This standardized structure persisted into the Baroque period, particularly under the influence of composers like J.S. Bach and Handel .

The Ciaccona is distinguished in Baroque suites by its unique structure based on a repeating bass line, known as a ground bass, and often features a series of variations rather than a straightforward dance pattern. This recurring bass ostinato provides a foundation upon which a wide array of variations can unfold, allowing composers to explore intricate harmonic progressions and thematic elaborations. Unlike other dance forms such as the Allemande or Courante, which are characterized by their specific steps and tempos, the Ciaccona's emphasis on variation makes it more akin to compositional forms that showcase invention and virtuosity, exemplified by works from G. Frescobaldi and J.S. Bach .

Thematic and tonal unity played a crucial role in the early suites as exemplified by the 16th century Intavolatura di liuto by O. Petrucci. This collection highlighted the importance of maintaining a coherent tonal relationship between the sequences of dances, such as Pavana, Saltarello, and Piva. Such elements of unity ensured fluid transitions between diverse dances and enhanced the expressiveness of instrumental performances. By emphasizing these connections, Petrucci's work laid the groundwork for future compositions, where such unity became a formal requirement in suite construction, influencing composers to integrate thematic connections as a fundamental part of the suite’s structure .

In a traditional suite, thematic and tonal connections play a critical role in providing coherence and unity across multiple movements. These connections ensure a seamless progression between different dances, all of which typically adhere to a common key or closely related tonal centers. The integration of thematic motifs across movements, often seen as repeated rhythmic or melodic figures, establishes a cohesive narrative throughout the suite. This practice was particularly emphasized in the works of composers such as J.S. Bach, who utilized these connections to elevate the suite from a mere collection of dances to a unified artistic statement .

The Giga holds significance in Baroque music as it illustrates the cross-cultural influences and adaptability of dance forms in instrumental compositions. Originally linked to lively vocal forms and similar to lively dances like the tarantella, the Giga evolved into a staple of the Baroque suite, often concluding the sequence of dances with its vibrant and fast-paced rhythmic patterns. This evolution highlights the integration of diverse musical traditions into the formal structures of the period, with composers like Bach and Haendel enriching the Giga with sophisticated counterpoints and thematic developments, showcasing their ability to adapt and reimagine existing dance forms within a high art context .

J.S. Bach and G.F. Handel significantly contributed to the suite's evolution by expanding its scope and artistic depth. Bach introduced complex thematic development and contrapuntal textures that enriched the suite's expressive potential. His approach elevated the suite into a sophisticated form of instrumental music, emphasizing coherence through thematic and tonal unity across movements. Similarly, Handel integrated additional elements like overtures and harmonically adventurous transitions, further enhancing the suite's dramatic and expressive range. Their contributions established standards that influenced generations of composers, making the suite a fundamental aspect of Baroque instrumental music .

J.J. Froberger is credited with the dissemination of the suite in Europe due to his role in establishing the standard sequence of dances that became central to the form: Allemande, Courante, Sarabande, and Gigue. As a student of G. Frescobaldi, Froberger incorporated stylistic elements from Italian music into the suite and traveled across Europe, exposing musicians and composers in Germany and France to this emerging genre. Through his compositions and performances, Froberger's work became a model for later Baroque composers, helping to standardize the suite and elevate its status as a key form in instrumental music .

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