Sardegna Romana e Altomedievale - Storia e Materiali
Sardegna Romana e Altomedievale - Storia e Materiali
LA SARDEGNA
ROMANA
E ALTOMEDIEVALE
Storia e materiali
A cura di
Simonetta Angiolillo
Rossana Martorelli
Marco Giuman
Antonio Maria Corda
Danila Artizzu
Attilio Mastino
Università degli Studi di Sassari
Rubens D’Oriano
Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Sassari, Olbia-Tempio e Nuoro
Jacopo Bonetto
Università degli Studi di Padova
Giampiero Pianu
Università degli Studi di Sassari
Carlo Tronchetti
Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Cagliari
e le province di Oristano, Medio Campidano, Carbonia-Iglesias e Ogliastra.
Sede Area funzionale Patrimonio Archeologico
Donatella Salvi
Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Cagliari
e le province di Oristano, Medio Campidano, Carbonia-Iglesias e Ogliastra.
Sede Area funzionale Patrimonio Archeologico
Simonetta Angiolillo
Università degli Studi di Cagliari
Romina Carboni
Università degli Studi di Cagliari
Ciro Parodo
Università degli Studi di Cagliari
Marco Giuman
Università degli Studi di Cagliari
Antonietta Boninu
Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Sassari, Olbia-Tempio e Nuoro
Raimondo Zucca
Università degli Studi di Sassari
Antonio Ibba
Università degli Studi di Sassari
Marilena Sechi
Università degli Studi di Sassari
Franco Porrà
Università degli Studi di Cagliari
Piergiorgio Floris
Università degli Studi di Cagliari
Francesca Cenerini
Università di Bologna
Paola Ruggeri
Università degli Studi di SassariMaria Bastiana Cocco
Università degli Studi di Sassari
Alberto Gavini
Università degli Studi di Sassari
Marianna Piras
Università degli Studi di Cagliari
Antonio M. Corda
Università degli Studi di Cagliari
Rossana Martorelli
Università degli Studi di Cagliari
Daniele Corda
Università degli Studi di Cagliari
Lucia Mura
Università degli Studi di Cagliari
Roberto Coroneo
Università degli Studi di Cagliari
Andrea Pala
Università degli Studi di Cagliari
Per il catalogo
Romina Carboni, Sabrina Cisci, Maria Bastiana Cocco, Emiliano Cruccas, Pierangela Defrassu,
Stefania Dore, Antonio Ibba, Francesca Lai, Anna Maria Nieddu, Chiara Pilo, Manuela Puddu, Silvia Sangiorgi,
Anna Luisa Sanna, Roberta Sulis, Enrico Trudu.
Corpora delle antichità della Sardegna
La Sardegna romana e altomedievale. Storia e materiali
La nascita del presente volume dei Corpora delle antichità della Sardegna è stata accolta con
grande gioia e soddisfazione. Rappresenta infatti la continuità del lavoro di sintesi in atto per
ampliare e diffondere la conoscenza dei beni archeologici e storico-artistici della Sardegna, e
segue quello già edito dedicato al mondo nuragico.
L’iniziativa dei Corpora delle antichità della Sardegna, in attuazione delle normative e degli accordi
nazionali e regionali, rappresenta il segno tangibile della realizzazione di programmi di col-
laborazione interistituzionale, a vantaggio della collettività, che le politiche dell’Amministra-
zione regionale intendono perseguire e intensiicare anche nel campo della valorizzazione dei
Beni Culturali. L’iniziativa si svolge, dunque, grazie alla collaborazione tra il Ministero per i
Beni e le Attività Culturali e del Turismo attraverso gli ufici centrali e periferici, con la colla-
borazione dell’organismo deputato a emanare normative in materia di catalogazione dei beni
culturali, e cioè l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, gli ufici territoriali a
partire dal Segretariato Regionale della Sardegna e le Soprintendenze competenti per territo-
rio; la Regione Autonoma della Sardegna, attraverso l’Assessorato alla Pubblica Istruzione, il
Settore del Sistema Informativo dei Beni Culturali, Uficio del Servizio Beni Culturali depu-
tato alle attività catalograiche; le Università degli Studi di Cagliari e Sassari, rispettivamente
i Dipartimenti di Storia, Beni Culturali e Territorio e di Storia, Scienze dell’Uomo e della
Formazione.
Docenti, funzionari, ricercatori sul campo e tecnici, ognuno per la parte di competenza, han-
no collaborato e collaborano per dare corpo a un progetto che offre una complessiva visione
delle testimonianze della produzione materiale, architettonica e artistica sul suolo isolano,
con la collaborazione preziosa delle amministrazioni locali, dei musei e delle strutture di
conservazione interessate. Un quadro ricco e multiforme che evidenzia la vitalità del popolo
sardo, i contatti commerciali e culturali con terre, vicine e lontane, in dalle epoche più remo-
te e la capacità di fondere conoscenze e cultura con essi senza mai perdere il tratto fondativo
della propria identità. La Sardegna si conferma una terra che accoglie nel proprio grembo,
rielaborandole in modo originale, tradizioni e istanze esterne dimostrando, se ancora ce ne
fosse bisogno, la sua funzione di centralità nel Mediterraneo, e smentendo quella linea di
interpretazione che sostiene che l’insularità abbia prodotto e produca di necessità un chiuso
e muto isolamento. Il patrimonio di studi raccolto e rielaborato è destinato alla fruizione
pubblica e perciò stesso alla crescita culturale dell’intera comunità.
Giuseppe Dessena
Assessore regionale della Pubblica Istruzione,
Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport
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Il progetto Corpora
Alla realizzazione del progetto Corpora le Soprintendenze per i beni archeologici della Sarde-
gna hanno dato un notevole contributo, mettendo a disposizione il patrimonio conoscitivo
accumulato in più di un secolo di attività di tutela e agevolando il più possibile la realizzazione
del ricco apparato fotograico che correda i dati informativi.
È del resto ben noto che la conoscenza e la documentazione sono il primo ed indispensabile
passo per una corretta tutela e soprattutto per una vera integrazione come patrimonio pub-
blico, nel senso della Costituzione, di beni che spesso necessitano per essere compresi di un
preliminare approccio specialistico.
Il risultato colloca i Corpora della Sardegna tra le iniziative di eccellenza in questo settore e
costituisce un punto fermo per la conoscenza del patrimonio archeologico sardo, utile per
ogni tipo di fruitori, istituzionali e non.
Oltre al pregevole risultato scientiico-documentario, però, mi preme mettere l’accento su
una questione di metodo che punta all’essenza della politica culturale di un territorio. Al di
là dei dibattiti in corso su competenze statali e degli enti locali, sulla separazione tra tutela e
valorizzazione, il raggiungimento di un così importante obiettivo attraverso la condivisione
di strumenti e risorse, non solo materiali o economiche, dimostra infatti la piena concretezza
del modello operativo dell’articolo 17 del Codice Urbani del 2004, laddove la norma colloca
la catalogazione tra le deinizioni fondamentali dell’attività di tutela ma sottolinea come essa
si debba realizzare, e certo non solo in un’ottica di ottimizzazione della spesa, con il concorso
degli enti locali, a partire naturalmente dalle Regioni. Il che naturalmente assume particolare
signiicato in una Regione Autonoma, giustamente gelosa della propria identità in dalle più
remote origini, come la Sardegna.
La realizzazione dei Corpora, quindi, apre la strada alla deinizione, anche formale, di ulteriori
obiettivi comuni, per una più ampia e capillare comunicazione del patrimonio; tra questi
mi sembra irrinunciabile l’ampliamento della rete di soggetti coinvolti e responsabilizzati
nell’attività di ricognizione e censimento del patrimonio sardo, nel quadro di una più organica
conoscenza del territorio e delle sue origini.
La rinnovata organizzazione degli ufici del Ministero in Sardegna ha ormai archiviato le
Soprintendenze per i beni archeologici a favore di ufici che integrano diverse competenze
per un’unitarietà dell’azione di tutela: questa nuova impostazione, superati i primi inevitabili
momenti legati alla complessità della transizione, punta anche a consentire una sempre più
eficace azione comune, sia nel campo della promozione turistica degli elementi che meglio
possono rappresentare l’identità dell’Isola per visitatori che vogliano accostarsi con curiosità
e voglia di conoscere, sia nello sforzo per una sempre più aggiornata ed eficace dissemina-
zione delle conoscenze prodotte dalla ricerca e dallo studio, perché divengano appropria-
zione condivisa di una cittadinanza attiva ed attenta. In questo percorso, il completamento
della prima parte del progetto Corpora costituisce un fondamentale ed incoraggiante punto di
partenza ed è giusto che sia salutato con gratitudine per tutti quelli che hanno concorso alla
sua realizzazione e con rinnovato entusiasmo per ulteriori ambiziosi passi avanti.
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Dall’indagine conoscitiva sui beni culturali ai Corpora
Il progetto Corpora delle antichità della Sardegna, da cui scaturisce il corpus delle antichità romane
e altomedievali, è una delle prime e più importanti iniziative programmate dalla Regione Au-
tonoma della Sardegna in attuazione della legge regionale n. 14 del 2006 e rappresenta una
tappa fondamentale nell’impegno che l’Amministrazione regionale profonde sul fronte della
documentazione dei beni culturali.
Un impegno iniziato nel 1995 con il progetto Indagine conoscitiva sui beni culturali della Sardegna a cui
ha fatto seguito, nel 1996, la Prima catalogazione del patrimonio di archeologia industriale della Sardegna
e, nel 1999, l’avvio della Catalogazione dei beni demoetnoantropologici della Sardegna con la Ricognizione
delle fonti inedite del patrimonio di interesse demoetnoantropologico. Con questi progetti la Regione Sarda
è divenuta soggetto attivo nel censimento e nella catalogazione del patrimonio culturale agendo
in sinergia con le diverse istituzioni che operano nel settore, nell’intento di costituire e imple-
mentare una propria base di dati catalograici utilizzabile a ini istituzionali per la programma-
zione degli interventi di salvaguardia e di valorizzazione di propria competenza.
Nel 2001 la Regione ha costituito una struttura interna all’Assessorato della Pubblica Istru-
zione e Beni Culturali, il Centro Catalogo Beni Culturali, braccio operativo del settore Si-
stema informativo del patrimonio culturale, preposto alla gestione del Catalogo Generale del
Patrimonio Culturale della Sardegna.
Consapevole del ruolo sempre più rilevante dell’informatica nei processi di produzione, ge-
stione e diffusione dei dati relativi al patrimonio culturale, nel 2005 la Regione ha deciso di
dotarsi di un proprio sistema informativo del patrimonio culturale sviluppando uno stru-
mento software denominato Almagest.
Almagest è un sistema web-based per la catalogazione partecipata dei beni culturali, con il
quale diversi soggetti catalogatori accreditati possono creare e gestire schede di catalogo
all’interno di ambiti gestionali.
Lo strumento, che supporta sia i tracciati di schede ministeriali, editati dall’Istituto Centrale
per il Catalogo e la Documentazione, sia tracciati originali, presenta un’interfaccia web che
consente la deinizione delle campagne (per es. campagna di catalogazione, campagna di revi-
sione, ecc.), la deinizione degli utenti e dei loro ruoli – ruoli operativi e non operativi (per es.
catalogatori, validatori, amministratori, fruitori) –, l’immissione dei dati catalograici e della
documentazione di corredo, la ricerca, il controllo formale delle schede attraverso strumenti
di gestione dei dati di riferimento quali vocabolari, ecc., oltre a complessi e personalizzabili
strumenti di reportistica.
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ne 3.00, con un livello di approfondimento pari al catalogo e con l’adozione dei vocabolari
e delle liste terminologiche previste dall’Istituto con il quale vi è stata costante e proicua
collaborazione.
La scheda RA è stata corredata dei necessari allegati documentali con la compilazione di
schede BIB (Bibliograia), DOC (Fonte documentale), DSC (Scavo archeologico) e IMR
(Documentazione fotograica).
La ricerca archivistica ha permesso di recuperare negli archivi delle competenti Soprinten-
denze Archeologiche le schede di catalogo, quando esistenti, realizzate in anni precedenti con
tracciati differenti o per livello di approfondimento o per versione: le schede cosiddette “pre-
gresse” sono state digitalizzate e allegate alle “nuove” per consentirne l’immediata fruizione.
L’impegno congiunto di tutti i soggetti ha portato nella banca dati dell’Amministrazione
regionale, per il solo corpus delle antichità romane e altomedievali, 1.470 schede RA e 12.403
fotograie di cui circa un terzo documentali e quindi realizzate secondo gli standard ministe-
riali, mentre le restanti rispondono a criteri che possono essere deiniti “artistici”.
Il presente volume, che costituisce parte di una collana dedicata al progetto Corpora, dà spazio
a una selezione mirata di schede in versione non integrale, ma “adattata” alle esigenze di una
pubblicazione che intende rivolgersi a un pubblico quanto più ampio possibile.
La struttura della scheda originale è stata infatti “ridotta” da un lato attraverso la selezione
dei campi (o voci) ritenuti più “signiicativi” e d’altro lato grazie all’accorpamento di alcune
informazioni che nella scheda ministeriale sono “destrutturate”, cioè distribuite in più campi
(o voci).
Sono presenti tutte le informazioni utili alla identiicazione della scheda (Numero di Catalo-
go Generale e Numero di inventario), all’individuazione del contesto di provenienza e dell’at-
tuale collocazione dell’oggetto (Provenienza e Collocazione), alla deinizione dell’oggetto
e della relativa documentazione bibliograica (le voci Oggetto, Materia e tecnica, Misure,
Descrizione, Stato di conservazione, Cronologia, Bibliograia), all’identiicazione dell’autore
della foto e del compilatore della scheda (voci Fotografo e Compilatore).
Si è ritenuto utile accorpare sotto la voce Provenienza le informazioni attinenti al luogo di
reperimento del reperto originariamente raccolte in più campi del tracciato ministeriale.
Inoltre per garantire una certa omogeneità, in termini di ampiezza e di fruibilità, il testo
inserito nella voce Descrizione risulta essere una parziale rielaborazione del corrispondente
campo della scheda ministeriale.
Inine, esigenze di sintesi hanno indotto a proporre nella voce Bibliograia solo una scelta
dei riferimenti bibliograici più signiicativi attinenti all’oggetto catalogato e inclusi nell’ori-
ginario tracciato ministeriale attraverso la scheda BIB, lasciando all’apparato bibliograico in
chiusura di ogni singolo contributo sulle diverse classi di materiali il compito di offrire un
quadro d’insieme completo delle pubblicazioni dedicate a ciascuno dei temi trattati.
La selezione che si propone in questa sede non può pertanto rendere conto della complessità
delle schede realizzate, della ricchezza di informazioni, apprezzabile anche nella molteplicità
degli allegati documentali di corredo, e dell’impegno profuso da tutti gli operatori.
Per ovviare a questo “limite” si è scelto di pubblicare un limitato numero di schede nella
versione integrale come attualmente presenti nel sistema informativo regionale. Peraltro, è
previsto che a questo patrimonio di conoscenze sia data la più ampia diffusione attraverso la
pubblicazione sul Portale Sardegna Cultura.
Un particolare ringraziamento al Settore Sistema Informativo dei Beni Culturali (Centro
Catalogo).
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Prefazione
Il Corpus romano e altomedievale
Il volume La Sardegna romana e altomedievale. Storia e materiali nasce nell’ambito del progetto
Corpora delle antichità della Sardegna, che vede la collaborazione interistituzionale tra la Regione
Autonoma della Sardegna (attraverso l’Assessorato alla Pubblica Istruzione), il Ministero per
i Beni e le Attività Culturali e del Turismo attraverso gli ufici centrali e periferici e le Univer-
sità degli Studi di Cagliari e di Sassari, attraverso rispettivamente il Dipartimento di Storia,
Beni culturali e Territorio e il Dipartimento di Storia, Scienze dell’Uomo e della Formazione,
in un programma di cooperazione culturale inalizzato a diffondere presso un pubblico più
ampio una conoscenza scientiicamente corretta dei beni archeologici e storico-artistici della
Sardegna. Il progetto ha coinvolto docenti dei due Atenei e numerosi giovani che si sono
formati nelle Università sarde ed ha permesso la valorizzazione della formazione da loro
acquisita durante il percorso di studi seguiti.
Per il Dipartimento di Storia, Beni culturali e Territorio dell’Università di Cagliari è stata
questa una delle occasioni di coinvolgimento e di presenza dei nostri giovani studiosi che si
sono formati nel Corso di laurea di Beni culturali e Spettacolo, nella laurea magistrale in Ar-
cheologia e storia dell’arte e nella Scuola di Specializzazione in Beni archeologici (incardinate
nel Dipartimento), in progetti di ricerca, pubblicazioni collettanee, mostre, iniziative culturali
che da anni vedono impegnato il Dipartimento in una costante azione di disseminazione dei
risultati delle ricerche e di collaborazione con enti locali, fondazioni, istituzioni e associazioni
culturali che operano sul territorio.
Il progetto aveva preso corpo, alcuni anni fa, all’interno della collaborazione tra la RAS e
l’allora Dipartimento di Archeologia e Storia dell’Arte, diretto in quel momento da Roberto
Coroneo, insigne studioso e docente di Storia dell’arte medievale (prematuramente scompar-
so), nell’ambito del rapporto da lui avviato con la RAS, con la quale aveva anche cooperato
all’allestimento del Portale Sardegna cultura, nella convinzione (che è opinione di tutti noi)
della necessità della sinergia fra enti in attività che integrino le diverse competenze al ine di
raggiungere quel bene comune che è l’obiettivo del nostro impegno nel campo della cultura
a tutti i livelli sociali.
Il presente volume, curato dal Dipartimento di Storia, Beni culturali e Territorio dell’Uni-
versità di Cagliari (nel quale è conluito il Dipartimento di Archeologia e Storia dell’Arte),
segue il volume dedicato al mondo nuragico (realizzato a cura del Dipartimento di Storia,
Scienze dell’Uomo e della Formazione dell’Università di Sassari) e raccoglie i risultati della
catalogazione di documenti materiali relativi all’ampio arco cronologico compreso fra l’inizio
della dominazione romana in Sardegna (III secolo a.C.) e la ine dell’appartenenza dell’Isola
all’impero bizantino (X-XI secolo).
Il censimento di tali beni, che ha preso l’avvio nel 2008, ha tenuto in considerazione prodotti
di arte uficiale, ma anche manufatti espressione di momenti della vita quotidiana negli aspetti
legati alla vita e alla morte (ad esempio le epigrai funerarie), al ine di portare a conoscenza di
un pubblico non esclusivamente specialistico importanti e preziose testimonianze della storia
e della cultura in Sardegna dall’età repubblicana all’inizio del periodo dei “Giudici”.
Il lavoro svolto ha un indubbio alto valore innovativo e scientiico: basterà ricordare e mette-
re in rilievo da una parte l’applicazione delle tecnologie informatiche nella fase di schedatura
(accompagnata dalla sperimentazione dei sistemi proposti sia dall’ICCD, sia dalla Regione
Sardegna) e dall’altra il riordino delle conoscenze su alcune produzioni locali antiche o im-
portazioni che da molto tempo si attendeva. Dato che i risultati sono sotto gli occhi di tutti
grazie alla pubblicazione del volume, si deve ricordare come tutto ciò sia stato possibile
grazie alla professionalità e alla capacità di dialogo e di scambio di tutti coloro che hanno
prestato la loro opera e dedicato il loro entusiasmo a vario titolo.
Le sperimentazioni e l’uso delle tecnologie informatiche sono state possibili perché i profes-
sionisti archeologi che hanno partecipato ai lavori, spinti da curiosità intellettuale e lessibilità
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nel percorrere nuove vie, hanno prestato la loro opera al di là dei termini previsti dai conte-
nuti di un contratto.
L’accesso ai reperti archeologici e il loro studio è stato possibile per lo spirito di aperta col-
laborazione fra l’Università di Cagliari, nelle persone dei coordinatori scientiici del progetto,
e la Soprintendenza Archeologica, il personale della quale, a tutti i livelli, si è prodigato con
grande liberalità.
Il volume comprende due parti. Nella seconda parte conluiscono 500 schede relative ad una
selezione ragionata nell’ambito della cospicua mole di materiali, operata secondo un crite-
rio di rappresentatività, che consenta al lettore di avere una panoramica vasta dei manufatti
circolanti e delle sfaccettature ad essi connesse, seppure attraverso una “sintesi-campione”.
La prima parte è, invece, dedicata a contributi incentrati su tematiche di carattere generale,
che spaziano dalla storia alla topograia, agli aspetti produttivi, istituzionali, culturali e religio-
si. I testi, concepiti per essere accessibili ad un pubblico vasto e non esclusivamente speciali-
stico, sono strutturati in forma agevole, corredata da un apparato bibliograico di riferimento
per eventuali approfondimenti. Suddivisa in tre capitoli, essa presenta in successione lavori
dedicati a La Sardegna romana, a Istituzioni ed epigraia della Sardegna romana e tardoantica, a La
Sardegna tardoantica ed altomedievale.
La parte relativa all’età romana, partendo da alcuni dei più importanti materiali conservati
nelle principali collezioni museali della Sardegna, permette di approfondire, grazie alla par-
tecipazione di studiosi e specialisti del settore, tematiche che contribuiscono ad una migliore
conoscenza dei processi che contraddistinguono la presenza romana in Sardegna e la sua
diffusione nel territorio isolano. Il volume si rivela una preziosa fonte di informazioni in
merito a tematiche e contesti che spaziano dall’ambito territoriale a quello dei manufatti
fornendo una visione d’insieme del complesso panorama civile e religioso dell’Isola di età ro-
mana e della sua evoluzione dalla proclamazione della provincia ino alla caduta dell’Impero.
Vengono presentati approfondimenti in merito ai rapporti tra città e territorio, nonché alle
complesse e articolate realtà religiose che contraddistinguono i culti isolani di questo periodo,
al ine di comprendere le dinamiche culturali, cultuali e politiche che legano la Sardegna alla
Penisola Italica e la sua apertura verso le inluenze esterne. Una buona esempliicazione di
ciò, tra le tante possibili, può essere individuata nell’ambito della produzione di monili che
si contraddistingue per l’alto livello tecnico, pur non possedendo peculiarità rispetto ai coevi
prodotti del resto dell’impero. Stesso discorso vale anche per la scultura. Fa fede di ciò la
bella serie di ritratti repubblicani conservati al museo di Cagliari che dimostra l’alto livello di
omogeneità culturale e sociale raggiunta dalle élites isolane già in questo periodo. Non manca-
no tuttavia peculiarità proprie che mostrano la speciicità sarda di alcuni ambiti quale quello
religioso, come ben dimostra la terracotta nota in letteratura come Sarda Ceres, produzione
peculiare della Sardegna di età romana.
Le schede relative alle antichità romane costituiscono un’ampia selezione attinente ai prin-
cipali aspetti della cultura e della vita della provincia Sardinia. Sono presentati i molteplici
oggetti relativi alla vita quotidiana, dalla ceramica di uso comune, a quella per il trasporto e
lo stoccaggio delle derrate, agli esemplari a carattere votivo, agli oggetti in vetro. Ma appar-
tengono alla categoria della quotidianità anche gli strigili, strumenti indispensabili per tutti gli
uomini che frequentando le terme si dedicavano all’esercizio sportivo, e, per la sfera femmi-
nile, i gioielli e gli specchi con le loro montature in bronzo argentato o in piombo; e inine le
ancore e gli scandagli, indispensabili per la navigazione, e le navi stesse.
Variegato e molto interessante è il quadro offerto dall’analisi delle terrecotte igurate, per lo
più espressione della devozione popolare, come nel caso delle statuette della Sarda Ceres (ex
voto prodotti in Sardegna per un culto a carattere agrario), o di quelle degli incubanti (rafi-
gurazioni di giovani addormentati in attesa della guarigione da parte del dio Esculapio). Alla
sfera cultuale attiene anche la testa di Eracle rinvenuta a Olbia, parte della statua di culto, o di
una sua copia, di un santuario cittadino. Tra le schede sono presenti anche quelle di matrici,
indizio certo di produzioni locali. In gran parte riguardano statuette ittili votive, ma è da se-
gnalare una di particolare interesse proveniente sempre dalla città gallurese: a forma di disco
con una scena della pompa triumphalis celebrata nel 303 per la vittoria sui Parti dei due impe-
ratori Diocleziano e Massimiano, rappresentati su un carro trainato da elefanti e circondati
da soldati, senatori, cavalieri, in una rafigurazione complessa e affollata di ben 173 igure tra
uomini e animali! È verisimile che con questa matrice si ottenessero piatti commemorativi,
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copie economiche di ben più ricchi esemplari in argento, capolavori dell’oreiceria romana
che ci sono noti dal I al IV secolo d.C.
Le schede della scultura rappresentano un carattere particolare della Sardegna: aperta a tutti
gli impulsi culturali provenienti dal Mediterraneo e testimoniati dalla presenza di statue di
produzione greca accanto ad altre opera di botteghe romane, offre un repertorio scultoreo
omogeneo a quello delle altre province, ma la forte impronta lasciata dalla cultura punica
le impedisce di apprezzare e rielaborare secondo le proprie esigenze la ritrattistica, potente
strumento di propaganda politica a Roma e in tutto l’impero. Pertanto i ritratti presenti in
Sardegna rafigurano sostanzialmente l’élite romana: governatori e imperatori.
Tra i monumenti funerari, nel I secolo a.C. uno con fregio dorico a Cagliari testimonia la
presenza in città dei numerosi Italici che formavano l’apparato amministrativo e militare
della provincia; contemporaneamente, ma con una produzione che perdura ino al II secolo
d.C., una serie di stele rafigura l’immagine del defunto con tratti molto schematici, estranei
al linguaggio formale romano. Ma la scelta di inserire nel monumento funebre un ritratto,
quale che sia il suo aspetto, è tipicamente romana e denota la volontà del committente di
aderire a tale cultura, come dimostra talora la presenza di un’iscrizione con il nome e l’età del
deceduto.
Un’ampia selezione di testi epigraici tra i circa 1600 inora rinvenuti sul territorio della pro-
vincia Sardina permette al lettore di affrontare, a partire dai dati testuali, tematiche complesse
legate all’Amministrazione dello Stato romano, alle amministrazioni locali e alla gestione
delle infrastrutture nel territorio.
La città di Sulci (l’attuale Sant’Antioco), presentata come modello tipo di centro urbano,
racconta, ad esempio, con le sue iscrizioni, storie individuali legate a componenti di diverso
livello sociale e storie connesse ad aspetti di tipo gestionale in un contesto come quello sardo
in cui una società pluristratiicata e composita è l’emblema di una commistione di culture e
di popoli a testimonianza della centralità mediterranea dell’Isola. Microstoria e macrostoria
si fondono quindi, alla luce dei reperti epigraici, in una serie di contributi che parlano di oc-
cupazione della Sardegna, di strategie di gestione del territorio, di pianiicazione, di controllo
militare e di utilizzo e valorizzazione delle risorse.
In questo quadro generale risulta evidente, già dall’indice del volume e dai tematismi proposti
in questa sezione, come il linguaggio comunicativo proprio del medium epigraico inteso come
testo esposto e quindi pubblico, sia orientato a una produzione d’immagine e di come, sia
pure in una provincia a “bassa densità epigraica” come la Sardinia, esso rivestisse un ruolo
primario nelle strategie di controllo del territorio.
I testi epigraici commentati nelle parti di saggio e brevemente descritti e presentati nella
ricca selezione di schede proposte nella sezione catalogo sono un evidente esempio di ciò
che la società romana pensasse di sé e di come si autorappresentasse in un’area periferica e
“multietnica” come la Sardegna.
Esempi di adesione incondizionata ai modelli culturali e religiosi romani, conservazione del
ricordo di culture precedenti nei nomi di sostrato, deinizione di conini fra popolazioni au-
toctone e immigrati e la presenza sul territorio di numerose iscrizioni menzionanti individui
allogeni fanno quindi dei testi epigraici della Sardegna un vero e proprio caso di scuola per la
comprensione delle dinamiche di conquista e di inculturazione dei territori esterni, ponendo
dunque, in termini problematici, lo stesso concetto di limes e di confronto con le aree esterne
ad esso ritenute, a torto o a ragione, resistenti.
La terza parte raccoglie contributi che completano il quadro delle conoscenze sull’antichità
in Sardegna ino all’età postclassica. In una sintesi sullo stato delle città nel passaggio fra l’età
imperiale, la tarda antichità e il medioevo, segnato dall’entrata dell’Isola nell’orbita del regno
dei Vandali e poi dell’impero bizantino come parte della provincia d’Africa, si mettono in
evidenza le persistenze e le modiiche registratesi nell’assetto urbanistico-topograico e nella
isionomia dei centri urbani. Se da un lato le città rimangono sullo stesso sito in continuità
con l’epoca precedente, diversi fattori concorrono a generare il mutamento del loro impian-
to, fra i quali – come è facilmente comprensibile – si evidenzia il ruolo primario dell’introdu-
zione della nuova religione cristiana. Con le sue esigenze, ben diverse da quanto richiesto dal
paganesimo, essa modiica anche l’aspetto delle città. Si pensi all’effetto che nei contempora-
nei doveva fare la chiusura dei templi, in seguito agli editti dell’imperatore Teodosio alla ine
del IV secolo, e la loro sostituzione con le chiese, che a loro volta “attraevano” come fattori
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poleogenetici nuclei di abitanti, non solo motivati dalla fede, ma anche perché impegnati nel
funzionamento e nella cura di tali ediici. Si pensi, inoltre, ad un altro aspetto che caratterizza
le città nell’età postclassica: il ripristino delle mura, con forte funzione difensiva, richiesta
anche dai movimenti di popoli nel bacino mediterraneo. Inine, un elemento di forte rottura
fu portato dal trasferimento delle sepolture all’interno del circuito urbano, dopo ben dieci
secoli di cimiteri extra urbem. La legge, introdotta nel IV secolo a.C., per ragioni di emergenza
ma anche per scelte ben precise, non è più così rigorosa nel vietare la sepoltura intra urbem.
Di conseguenza, i grandi cimiteri fuori delle città vengono abbandonati e le chiese urbane
con le aree circostanti ospitano i defunti, creando spazi dei morti all’interno di spazi dei vivi,
ma cambiando anche i tipi della sepoltura. Dai sarcofagi in pietra, oggetto di un contributo
di questo volume, si passa prevalentemente a tombe scavate nella terra o sotto il piano degli
ediici di culto.
Altri temi vengono affrontanti relativamente agli aspetti della vita quotidiana, come i ma-
nufatti in ceramica, vetro e metallo, usati in cucina e sulla tavola per la preparazione e la
consumazione dei cibi. Nei contributi si è cercato di disegnare un panorama generale delle
produzioni realizzate e diffuse nell’arco cronologico compreso fra il IV e la ine del X secolo,
mettendo in evidenza forme, tipi e caratteristiche tecniche legate a precisi procedimenti tec-
nologici, inquadrando i reperti nel più ampio panorama delle attività locali e della circolazio-
ne come merci di importazione ed esportazione nei più importanti porti del Mediterraneo.
Inine, legati al cerimoniale dei riti della nuova religione sono gli ultimi due contributi, dedi-
cati rispettivamente all’arredo e alla suppellettile liturgica, che analizzano manufatti in pietra
e marmo usati come elementi divisori funzionali alla ripartizione degli spazi secondo i diversi
tempi della liturgia e gli oggetti in metallo utilizzati nella somministrazione dei sacramenti e
nell’illuminazione degli ediici di culto.
Le schede del catalogo collegate a questa parte offrono una ricca panoramica di reperti, testi-
monianza della vita privata come degli aspetti più uficiali.
Si segnalano fra questi oggetti le numerose ibbie di cintura in metallo, ascrivibili ad una
produzione che trova confronti nel mondo mediterraneo, prevalentemente – ma non solo – di
cultura bizantina. Oggi comunemente ritenute parte dell’abbigliamento dei militari, costi-
tuiscono una prova concreta della dislocazione di numerosi piccoli contingenti a controllo
militare ed economico nel territorio, secondo un’organizzazione che venne applicata in tutto
l’impero, ma particolarmente nelle regioni periferiche.
Nella varietà dei reperti, è meritevole di particolare attenzione anche un gruppo di manufatti
di grande importanza, costituito dall’arredo scultoreo (plutei, capitelli, ecc.), di alto livello
qualitativo, prodotto al termine dell’età bizantina in Sardegna (ine X secolo) e con ogni
probabilità commissionato dai membri di quell’aristocrazia locale formatasi nel periodo della
dominazione orientale, dalla quale emergeranno proprio i “Giudici”. Essi attestano l’evolu-
zione di una classe sociale che dona elementi di arredo pro remedio animae, ma in realtà come
manifestazione di un potere in crescita, che vede nella captatio benevolentiae della Chiesa una
delle linee di azione. I reperti si allineano stilisticamente e concettualmente a quanto riscon-
trato nelle regioni bizantine dell’Italia meridionale (soprattutto in Campania).
14
1.
La Sardegna
romana
La Sardegna al centro del Mediterraneo
Attilio Mastino
La preistoria
La civiltà dei Sardi è il frutto di un complesso mosaico di correnti culturali attive nell’Isola a
partire dal periodo neolitico. In effetti la documentata presenza dell’uomo nella Sardegna set-
tentrionale sin dal Paleolitico inferiore (Perfugas-Laerru, cultura clactoniana: 500.000-350.000
anni da noi) e le successive attestazioni dell’homo sapiens in fase del Paleolitico superiore e del
Mesolitico ad Oliena (Grotta del bandito Corbeddu) risultano a tutt’oggi sporadiche perché si
possa parlare di una continuità culturale.
Il Neolitico antico reca in Sardegna i segni rivoluzionari di una nuova era: l’agricoltura, l’alle-
vamento, la produzione ceramica e litica mediante levigatura, la tessitura appaiono nei diversi
versanti dell’Isola sin dal VI-V millennio a.C. (Golfo di Cagliari, Sulcis, Golfo di Oristano,
Porto Conte, Sassarese, Golfo di Dorgali). È questa l’epoca in cui per la prima e l’unica volta
nella sua storia la Sardegna appare protagonista delle intraprese commerciali e manifatturiere su
larga scala, in relazione al possesso delle ingenti risorse dell’ossidiana del Monte Arci, vero “oro
nero” dell’antichità, secondo la colorita espressione di Giovanni Lilliu. I giacimenti di ossidiana
sardi sono i più occidentali del Mediterraneo e, conseguentemente, alimenteranno i commerci
transmarini in direzione dell’Africa, della Penisola Italiana, della Provenza e della Catalogna per
tutta l’età neo-eneolitica tra il VI e il III millennio a.C.
La Sardegna conoscerà per la sua natura geograica di isola, la più distante dalle altre terre in
tutto il bacino del Mediterraneo, il duplice destino di “isola-crocevia” e “isola-deposito”, isola
raggiunta dalle più notevoli e diversiicate componenti delle culture mediterranee e isola che
elabora in chiave conservatrice le varie trame delle culture allogene. Il tormentato rilievo geo-
graico della Sardegna spingerà i vari populi alla costituzione di micro-regioni, in cui una civiltà
sostanzialmente unitaria nelle varie epoche acquisirà modulazioni locali, che la ricerca storico-
archeologica si sforza di deinire, ma che già gli antichi avvertivano attribuendo ai Sardi – so-
prattutto a quelli che navigavano – la deinizione di “nazione”.
Nel Neolitico la cultura di Ozieri di marca egeo-anatolica porterà i culti del “dio toro” e della
“dea madre”, la sepoltura in grotticella artiiciale (domus de janas), la litotecnica e la ceramica a
decoro con bande tratteggiate dal nord al sud e dall’est all’ovest dell’Isola, costituendo la cultura
basica dei sardi neolitici; viceversa nell’Eneolitico (2750-1800 a.C.) sia la cultura di Abealzu-
Filigosa, sia quella di Monte Claro mostreranno più chiaramente le modulazioni regionalistiche.
Anche l’evoluta civiltà dell’età del Bronzo, che convenzionalmente è detta “nuragica”, si com-
porrà attraverso “aspetti cantonali”, determinata da uno sviluppo diversiicato dei tipi di torri
e castelli fortiicati (i nuraghi), dei tipi di tombe a corridoio (le tombe di giganti), dei tipi di
ceramica. L’incontro con gli Achei verso il XV secolo e ancor di più nei tempi del Miceneo III
B-C (XIV-XII secolo a.C.) porterà ad un impetuoso sviluppo della civiltà del bronzo sarda, che
nell’attività metallurgica conoscerà una nuova stagione di commerci e di rapporti culturali sia
con il versante orientale del Mediterraneo (Cipro, costa siriaca, Creta) sia con il versante occi-
dentale (Andalusia).
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Attilio Mastino
anche con gli Etruschi (con i quali i Sardi avevano regolari relazioni, basate anche su matrimoni
fra principi, sin dal periodo Villanoviano II); inine con i Greci, se la fondazione di Olbia, che
il mito attribuisce ai gemelli Iolei Ippeus e Antileone igli di Eracle, è veramente da attribuire ai
focesi di Marsiglia nel VI secolo a.C.
I santuari sardi, basati sul culto delle acque nei templi a pozzo, accoglievano merci di importa-
zione (così ad esempio a Serri-Santa Vittoria, a Cuccuru Nuraxi-Settimo San Pietro e a Orani-
Nurdole), dimostrando che sia in area montana, sia in collina e in pianura, andava maturando
un’evoluta civiltà sarda frutto delle tradizioni mediterranee isolane e dei nuovi apporti orientali,
greci ed etruschi.
Gli autori classici, in particolare Diodoro Siculo nel I secolo a.C. e Pausania nel II secolo d.C.,
hanno sintetizzato la complessità di questi rapporti in chiave mitica, attribuendo a Sardo-Sardus
Pater (giunto dalla Libia), ad Aristeo (iglio di Apollo e di Cirene), a Norace (iglio di Ermes e di
Erizia, arrivato all’Iberia), a Iolao con i cinquanta Eraclidi, a Dedalo, ad Enea, la primitiva colo-
nizzazione dell’ “isola dalle vene d’argento”, che poi avrebbe preso il nome di Sardò-Sardinia, di
Sandaliotis e di Ichnussa, dopo che i marinai greci riuscirono a disporre di una carta topograica
delle coste sarde.
L’arrivo dei Cartaginesi sul inire del VI secolo a.C. spezzò questa profonda elaborazione cultu-
rale che sembrava prossima all’acquisizione della isionomia urbana (non abbiamo prove certe
di “città” indigene) e della scrittura (ma segni alfabetici fenici o greci appaiono incisi a crudo su
ceramiche indigene dell’VIII-VII secolo a.C. a Monastir e a Su Cungiau ‘e Funtana-Nuraxinied-
du). I lingotti in rame e in piombo della prima età del Ferro in Sardegna rivelano l’adozione di
tre segni alfabetici di origine fenicia o greca a Forraxi Nioi-Nuragus, a Monte Olladiri-Monastir
e a Sant’Anastasia-Sardara.
Con le campagne di Malco e poi di Amilcare e di Asdrubale in Sardegna furono poste le basi per
una presenza diffusa dei Cartaginesi almeno sulle coste dell’Isola: di conseguenza furono sbar-
rate le porte alla colonizzazione greca, che pure aveva tentato una penetrazione lungo la costa
orientale e in particolare ad Olbia, almeno ino alla battaglia navale nel Mare Sardo del 535 a.C.
Nel primo trattato tra Roma e Cartagine, che Polibio data al primo anno della repubblica (cioè
al 509 a.C.), la Sardegna compare saldamente controllata dai Punici, ma non ancora inserita
nella “zona proibita”; il commercio per i Romani era anzi autorizzato, alla presenza di un araldo
o di uno scriba cartaginese, incaricati di riscuotere e registrare le merci e transazioni sottopo-
ste a dogana. Più tardi, con il secondo trattato tra Roma e Cartagine (348 a.C.), in Sardegna la
situazione appare mutata a sfavore di Roma, forse in seguito al tentativo di colonizzazione di
cinquecento romani in Sardegna (fondazione di Feronia, oggi Posada), riferitoci da Diodoro Si-
culo per l’anno 378 a.C.: la zona proibita, delimitata dal Promontorio Bello (forse Capo Farina,
ad occidente di Cartagine), era stata ampliata includendovi la Sardegna e la Libia, considerate
ancora assieme, ma ormai escluse dal commercio romano ed etrusco.
I Sardi che, incalzati dai Cartaginesi, si ritirarono sulle montagne, rifugiandosi nei loro castra,
nei loro nuraghi e nelle loro grotte, recarono con sé all’interno della Barbaria i prodotti culturali
della loro avanzata civiltà: la loro lingua, il cosiddetto “protosardo” di origine mediterranea, ci
è nota esclusivamente attraverso alcuni relitti lessicali, soprattutto idronimi e toponimi, dato
che sostanzialmente non ci sono rimaste tracce scritte. Ci sono poi noti molti nomi di persona
unici o rarissimi, che non hanno paralleli fuori dall’Isola, testimoniati in Sardegna per la prima
volta dalle iscrizioni latine: si tratta probabilmente di antroponimi indigeni, che persistevano in
età romana. Complessivamente si arriva a un centinaio di casi, distribuiti soprattutto nelle zone
interne, diffusi anche in età imperiale: un’ulteriore dimostrazione, se si vuole, di quell’evidente
attaccamento dei Sardi ad una tradizione precedente ancora vitale.
Mancano inora indagini esaustive sulle persistenze culturali indigene in età punica e romana.
Un buon saggio sull’argomento è ancora quello di Giovanni Lilliu, che sottolinea il tema della
resistenza, da intendersi come la «costante storica dell’isola che rivela, nella lunga durata, la vera
traccia dell’uomo e della società sarda» (LiLLiu 2002, pp. 225-237). Nel tempo romano poi «le
vecchie forme, i vecchi usi, molto di quel che era il patrimonio della tradizione indigena tutt’al-
tro che sommersa e ossiicata – aggiunge Lilliu – continuarono a vivere accanto e anche contro
la nuova cultura, tanto che gli scrittori li percepivano dall’esterno nel segno della loro autentica
identità, come cose d’un mondo diverso e lontano, una ‘metafora’ della memoria passata».
L’affresco dalla Domus di Orfeo Il processo di romanizzazione della Sardegna presenta una rilevante complessità, nelle sue ar-
sul Rio Mannu a Turris Libisonis. ticolazioni locali, nei suoi sviluppi attraverso il tempo, con un riconoscimento del ruolo svolto
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La Sardegna al centro del Mediterraneo
dalle tradizioni nuragiche e dalle tradizioni puniche nell’Isola. La storia di una provincia come
la Sardegna deve tener conto innanzi tutto delle differenze e delle relazioni, espressione della
convivenza di culture diverse, del fecondo rapporto tra civitates e urbes, tra nationes e gentes, tra
Romani e provinciali, tra colonizzazione italica e culture locali, in una terra inserita profonda-
mente nel gioco delle relazioni mediterranee. Del resto, più in generale i nuovi studi sulle pro-
vince romane, intese come ambiti territoriali di incontro tra culture e civiltà, tendono a deinire
i contorni di quella cultura unitaria mediterranea, che non appiattì le speciicità locali, ma che
seppe profondamente interagire con la realtà geograica, il paesaggio, l’ambiente, ma anche
con i popoli e gli uomini: ridare piena dignità alla Sardegna antica oggetto spesso di pregiudizi
ed enfatiche ricostruzioni, valutare ino in fondo le sue chiusure e le sue resistenze, ma anche
la sua feconda dimensione mediterranea, esplorare il conine tra romanizzazione e continuità
culturale, tra change e continuity, è compito che deve essere ancora affrontato, al di là della facile
tentazione di impossibili soluzioni unitarie.
Dunque la colonizzazione fenicia, il rapporto con la cultura locale e le relazioni con il mondo
greco e massaliota, villanoviano ed etrusco, la conquista cartaginese, il rapporto con il mondo
ellenistico, poi l’occupazione romana, i primi trioni sui Sardi. E poi l’età imperiale partendo
da Augusto, la Sardegna terra di relegazione, il conlitto tra pastori e contadini, l’economia e
la società: la geograia della Sardegna antica, la costa romanizzata e urbanizzata e la Barbaria
interna; i Sardo-libici e la colonizzazione romano-italica, la “resistenza” dei Sardi contro i Ro-
mani (un aspetto quest’ultimo che non può essere eluso e che criticamente va sottoposto ad
una rigorosa veriica delle fonti e dei dati disponibili); l’agro pubblico, la povera economia della
Sardegna romana, le varie attività economiche, la pesca e i trafici marittimi, la religiosità popo-
lare, la lingua. E poi le strade romane, con gli itinerari principali e le varianti; e ancora i porti, il
ruolo dell’esercito nei trasporti, la lotta, la vita religiosa, i culti orientali nella Sardegna romana.
Ancora la Sardegna cristiana, le più antiche notizie di christiani, le origini geograiche dei martiri
sardi; inine le eredità romane nella Sardegna medioevale, le sopravvivenze in ambito culturale,
giuridico, produttivo, agrario, nel paesaggio e nell’ambiente.
L’identità insulare del periodo romano non può prescindere dalla formazione di una identità o
di molteplici identità nelle fasi preromane. Il “canone” delle isole, formatosi entro il V secolo
a.C., ma presumibilmente già dal secolo precedente, considerava la Sardegna l’isola più gran-
de del mondo, come espressamente afferma Erodoto, partendo dal periplo di ciascuna isola.
Questo canone, attestato nel Periplo dello Pseudo Scilace, in Timeo, Alexis, Pseudo Aristotele,
Diodoro, Strabone, Anonimo della Geographia compendiaria, Tolomeo e in un epigramma elleni-
stico di Chio, comprendeva, originariamente, sette isole, il cui elenco, seppure non sempre nello
stesso ordine, è il seguente: Sardegna, Sicilia, Creta, Cipro, Lesbo, Corsica, Eubea. È sintoma-
tico del processo di formazione di questo canone il fatto che l’isola più occidentale dell’elenco
sia la Sardegna e che il più antico aggiornamento del canone, contenuto nel Periplo di Scila-
ce, forse ancora del VI secolo a.C., annoveri esclusivamente isole del Mediterraneo orientale.
L’“ammissione” delle Baleari nel canone delle isole mediterranee è un portato della civiltà elle-
nistica. Il siceliota Timeo di Tauromenio fu il primo ad aggregare l’isola di Maiorca al canone
tradizionale. Timeo afferma che la più grande di queste isole (Gymnesiai-Baleari) risulta essere
la più estesa dopo le seguenti sette: Sardegna, Sicilia, Cipro, Creta, Eubea, Cyrnos (Corsica) e
Lesbo. L’ottava posizione della maggiore delle isole Baleari è ribadita da Diodoro e da Strabone
ed è mantenuta, nel II secolo d.C., da Ampelio nella sua elencazione delle clarissimae insulae, che
include, inoltre, al nono e decimo posto, la Baliaris minor ed Ebusus. Le differenze tra le isole del
“canone” greco sono macroscopiche: Sicilia e Sardegna, ancorché accomunate da una medesi-
ma data di constitutio provinciale (227 a.C.), sono due isole diverse. Se è vero che Lucien Fèvre
utilizzò la Sicilia come paradigma della “île carrefour” e la Sardegna della “île conservatoire”, dicoto-
mia che le ricerche recenti hanno posto in dubbio, è evidente la differenza tra un’isola-non isola,
la Sicilia, perché separata da uno stretto braccio di mare dalla Calabria e dotata di un sistema di
poleis greche, elime, sicane, sicule e fenicie, e l’isola più distante fra tutte dalle terre continentali
collocata al di là di un grande mare, la Sardegna, caratterizzata da poche città di origine fenicia
e cartaginese e da insediamenti indigeni di tipo komai.
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Attilio Mastino
punici dalla Sicilia) e dopo la rivolta dei mercenari cartaginesi nel Nord Africa e nell’Isola: non
fu senza signiicato e senza conseguenze, per il successivo orientamento della provincia, il fatto
che a guidare le operazioni nell’Isola fosse scelto un esponente della gens Sempronia, il conso-
le Tiberio Sempronio Gracco, che poté procedere all’occupazione delle principali piazzeforti
cartaginesi quasi senza combattere, soprattutto per la favorevole accoglienza ricevuta dai mer-
cenari campani e dalle antiche colonie fenicie, sicuramente scontente per la più recente politica
cartaginese nei loro confronti. Ma subito dopo scoppiarono violente rivolte dei Sardi dell’inter-
no contro i Romani, che proseguirono per alcuni secoli, inizialmente col sostegno di Cartagine.
Più tardi, fu un altro esponente della stessa famiglia, Tiberio Sempronio Gracco, console nel
177 a.C., a reprimere con forza la grande rivolta dei barbari dell’interno, Iliensi e Balari, insor-
ti contro i Romani e contro le città costiere (erano stati proprio gli ambasciatori delle città a
sollecitare in senato l’intervento militare): racconta Livio che tra i Sardi messi in fuga e cacciati
dai loro accampamenti, forse dai nuraghi (castrisque exuti), si contarono 12.000 morti nel primo
anno di guerra e 15.000 nel secondo; nel 174 a.C., dedicando a Roma, nel tempio della Mater
Matuta, una tavola con la rappresentazione delle battaglie vinte e con un’immagine cartograica
dell’Isola, il console trionfatore scrisse di aver fatto uccidere o di aver preso prigionieri circa
80.000 Sardi. Furono dunque circa 50.000, se stiamo ai documenti uficiali, i Sardi venduti come
schiavi a Roma e sui mercati italici (una cifra enorme, se si considera che la popolazione isola-
na in questo periodo è valutata al di sotto dei 300.000 abitanti): l’abbondanza dell’offerta fece
allora ridurre notevolmente i prezzi degli schiavi, tanto che nacque l’espressione, utilizzata per
indicare gli oggetti di poco valore e acquistabili a basso prezzo, “Sardi venales”.
Fu un altro Gracco a distinguersi, durante gli anni della sua questura in Sardegna, per il com-
portamento corretto e giusto nei confronti degli isolani e per il suo buon governo, divenuto più
tardi proverbiale: a differenza dei suoi predecessori, usi a riportare a Roma piene di denaro quel-
le stesse anfore che all’andata avevano portato piene di vino, Gaio Gracco – il futuro tribuno
della plebe del 123 a.C. – superò i suoi colleghi in giustizia verso i popoli soggetti e intrattenne
una rete di relazioni personali con i più autorevoli esponenti delle città peregrine della Sardegna.
Un comportamento ben diverso avrebbero tenuto il propretore Albucio (accusato di concus-
sione dopo il 104 a.C. per conto dei Sardi da C. Giulio Cesare Strabone, zio di Cesare) e, di là a
cinquanta anni, il proconsole Marco Emilio Scauro, igliastro di Silla, orgoglioso esponente del
partito aristocratico, che i Sardi unanimi accusarono di malversazioni e di violenze: proprio la
loro unanimità avrebbe destato i sospetti e l’ironico apprezzamento di Cicerone. La linea difen-
siva adottata in quell’occasione dall’Arpinate dové irritare non poco i testimoni sardi, accusati
di rispondere ad un unico disegno criminoso, di aver tutti lo stesso colorito olivastro, di parlare
tutti la stessa lingua, inine di appartenere tutti ad una unica nazione (una mens, unus color, una vox,
una natio): alcuni Sardi anni dopo lamentarono anche gravi offese personali (è il caso di Famea
e del nipote Tigellio).
Non è da pensare che tutto ciò non possa aver inluito sulle simpatie e sulle scelte politiche
della provincia durante i tumultuosi anni delle guerre civili, dato che si erano andate stabilen-
do negli anni reti stabili e riconosciute di patronati e di clientele tra alcune famiglie romane e
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La Sardegna al centro del Mediterraneo
l’aristocrazia isolana: solo con la forza delle armi, ad esempio, il legato sillano Lucio Marcio
Filippo riuscì nell’82 a.C. a sconiggere e ad uccidere il pretore Quinto Antonio Balbo, che ino
all’ultimo aveva mantenuto salda la provincia dalla parte del partito popolare. Si spiega allora la
ragione per la quale nel 77 a.C., subito dopo la morte di Silla, il console mariano Marco Emilio
Lepido, sconitto dal collega Quinto Lutazio Catulo, decise di trasferirsi dall’Etruria meridio-
nale in Sardegna, nella speranza di trovare sostegno per la causa popolare: imbarcatosi a Cosa
(Porto Argentario), l’esercito raggiunse sicuramente Tharros, da dove per qualche tempo bloccò
i rifornimenti granari per la capitale; qui poi subì una pesante sconitta ad opera del governatore
sillano Lucio Valerio Triario. Dopo la morte di Lepido («per malattia e per rimorsi» per Floro,
II, 11,5), le truppe popolari furono poi condotte in salvo dal legato Marco Perperna ino a Tar-
ragona e da qui ad Uesca, nella Spagna Citeriore, venendo così ad incrementare le ila del partito
mariano, riorganizzate da Sertorio.
Cesare, che aveva studiato a memoria in da bambino l’apprezzata orazione pro Sardis pronun-
ciata cinquanta anni prima dallo zio Strabone, divenuto console nel 59 a.C., tra i suoi primi
provvedimenti presentò una proposta di legge de repetundis, proprio con l’intento di punire gli
abusi dei governatori senatorii nelle province. Più tardi, nel 49 a.C., scoppiata la guerra civile
tra Cesare e Pompeo, i Caralitani, fedeli al partito popolare, riuscirono a cacciare il governatore
pompeiano Marco Aurelio Cotta che, atterrito per le minacce e per le violenze subite – perter-
ritus – riuscì a raggiungere ad Utica i Pompeiani superstiti dopo Farsalo, ai quali annunciò che
tutta la Sardegna era ormai concordemente schierata con la parte avversa.
Da quel momento la città di Carales doveva contribuire in modo decisivo all’esito della battaglia
di Tapso, inviando in Africa truppe e rifornimenti per l’esercito di Cesare, proprio quando il
dittatore si era venuto a trovare in gravi dificoltà, letteralmente assediato dai nemici sulla fascia
litoranea. Dopo la vittoria e dopo il suicidio di Catone, eroe del partito repubblicano e della
causa della libertà contro la tirannide, il vincitore, partito da Utica, giunse il 15 giugno 46 a.C.
a Carales, dove si vendicò punendo i Pompeiani della città di Sulci, che avevano sostenuto con
rifornimenti di ferro non lavorato e di armi la causa di Pompeo e del senato. Durante il suo sog-
giorno a Carales Cesare sembra abbia deciso anche di sdebitarsi con la città per i servigi resi al
partito popolare: molti Caralitani ottennero allora la cittadinanza romana (con alcuni di essi, ad
esempio con il cantante Tigellio, che doveva essere già famoso, Cesare aveva stretto anche una
salda amicizia personale); negli anni successivi sarebbe stata abolita l’organizzazione cittadina
punica (la civitas), coi suoi magistrati (i sufeti) e i suoi organi (l’assemblea popolare e il senato
cittadino); sarebbe stato istituito il municipio di cittadini romani, retto dai quattuorviri. Nella
stessa occasione Cesare, trattenuto per circa un mese nei porti della Sardegna settentrionale e
della Corsica, potrebbe aver deciso la deduzione di una colonia romana nel Golfo dell’Asinara e
la fondazione di Turris Libisonis (Porto Torres), che sarebbe stata poi deinita da Ottaviano nella
prima età triumvirale, per iniziativa del legato Marco Lurio.
Nel tentativo di sottrarre la Sardegna a Sesto Pompeo, iglio di Pompeo Magno che, dopo un
lungo assedio di Carales, aveva occupato l’Isola, Ottaviano decise poi di coniare le monete con
la rappresentazione del dio nazionale dei Sardi, il Sardus Pater, e il ritratto del nonno materno
Marco Azio Balbo, che nell’anno cruciale del consolato di Cesare (nel 59 a.C.) aveva governato
la provincia in modo encomiabile, tra l’altro favorendo l’integrazione dell’aristocrazia isolana,
con ampie concessioni di cittadinanza a singole famiglie; egli si era occupato certamente di
raccogliere il ferro necessario per la campagna gallica. Ugualmente apprezzato era stato, nel 48
a.C., il governo del cesariano Sesto Peduceo.
In età imperiale naturalmente i problemi sarebbero stati differenti, anche se alcune decisioni
di Nerone (la condanna per concussione nel 56 d.C. del governatore Vipsanio Lenate, le do-
nazioni dei latifondi imperiali nel retroterra di Olbia alla concubina Atte), non possono non
rimandare all’attenzione con la quale ancora si sarebbe continuato a guardare, soprattutto in
certi ambienti, verso le esigenze e le attese di una provincia così vicina alla capitale.
La Barbaria
Geograicamente e culturalmente la Barbaria interna presentava una realtà economica e sociale
nettamente differente. Sulle coste si erano sviluppate le principali città, quasi tutte eredi delle
colonie fenicie e puniche, con dei retroterra intensamente coltivati e con la presenza di ville e
latifondi occupati da lavoratori agricoli, spesso in condizioni di schiavitù. Alla metà del I secolo
d.C. Plinio il Vecchio, nel terzo libro della sua Naturalis Historia, elencava in estrema sintesi i
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Attilio Mastino
popoli e le città della Sardegna romana, utilizzando fonti della prima età augustea; egli poneva
Turris Libisonis (l’attuale Porto Torres) al vertice ideale di una piramide che comprendeva alla
base le popolazioni non urbanizzate (Ilienses, Balari, Corsi) e quindi i diciotto oppida, tra cui alcune
civitates stipendiariae abitate da peregrini (Sulci, Valentia, Neapolis, Bitia); Plinio citava poi in ordine di
importanza i due municipi di cittadini romani Carales e Nora; ultima in assoluto era menzionata
l’unica colonia di cittadini romani della provincia Sardegna: colonia autem una quae vocatur ad Tur-
rem Libisonis. Più tardi altre città giunsero ad ottenere il riconoscimento di una piena romanità:
divennero municipi Olbia, Sulci, Bosa; colonie anche Uselis, Tharros, Cornus. Molti di questi centri
conobbero un notevole sviluppo urbanistico, con opere pubbliche signiicative, terme, mercati,
ediici per spettacoli.
La Barbaria interna, collocata nelle zone montane più chiuse alla romanizzazione, avrebbe man-
tenuto consuetudini religiose preistoriche ino all’età di Gregorio Magno, anche se gli ultimi stu-
di hanno consentito di documentare splendidamente la precoce penetrazione del cristianesimo
nel Nuorese (Sant’Eisio di Orune).
L’insediamento interno della Sardegna fu limitato da un lato a piccoli centri agricoli di scarsa
romanizzazione (un’unica colonia, la colonia Iulia Augusta Uselis, del resto collocata sulla strada
che collegava inizialmente Carales al Tirso e orientata verso il Golfo di Tharros e il Campida-
no), dall’altro lato ad alcuni campi militari posti a controllo della rete stradale, almeno in età
repubblicana e nei primi decenni dell’impero; per il resto, vaste aree collinari e montuose erano
occupate dalle popolazioni non urbanizzate, dalle tribù bellicose della Barbaria, gli Ilienses, i Ba-
lari, i Corsi, ma anche i Galillenses o gli altri popoli enumerati dal geografo Tolomeo, distribuiti in
villaggi collocati in latifondi di uso comunitario.
Un gruppo di documenti epigraici ci illumina sulla politica perseguita dall’autorità romana
nelle zone interne della Sardegna, nel quadro del tradizionale contrasto tra contadini e pastori.
Due iscrizioni, una rinvenuta a Preneste e un’altra a Fordongianus ricordano poi all’inizio del
I secolo d.C. le civitates Barbariae, al di là del iume Tirso, presso le Aquae Hypsitanae: un gruppo
di tribù indigene (gli Ilienses, i Nurritani, i Celesitani, i Cusinitani, ecc.) al cui interno, durante il
regno di Augusto, non era ancora comparsa un’élite suficientemente romanizzata e afidabile,
se il governo e il controllo militare del territorio era afidato non più ai principes locali ricordati
da Livio durante la guerra annibalica, ma ad un praefectus equestre comandante della coorte I
dei Corsi. Del resto la toponomastica sarda ha conservato il ricordo della Barbaria romana,
dato che il toponimo Barbagia – nelle sue articolazioni territoriali – è ancora oggi utilizzato per
indicare l’area montuosa della Sardegna interna. Le iscrizioni documentano soprattutto a livello
onomastico l’esistenza di una lingua locale protosarda: signiicativo è il ricordo del monumento
per eccellenza dell’età nuragica, che marchiava il paesaggio trasformato dall’uomo, il nuraghe: la
parola nurac Sessar è documentata sull’epigrafe di Mulargia attribuita agli Ilienses e sul diploma di
congedo rinvenuto a Posada di Hannibal, un soldato della coorte di Liguri e Corsi originario del
villaggio di Nur(ac) Alb(us), forse da localizzare sui Montes Insani, a nord dell’Ogliastra.
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La Sardegna al centro del Mediterraneo
odiavano l’alleanza con i Romani, tanto che in Sardegna non c’erano alla metà del I secolo a.C.
città amiche del popolo romano o libere, ma solo civitates stipendiariae.
Di fatto la deportazione in Sardegna di genti straniere è variamente attestata anche per l’età
successiva a Cicerone: dalle numerose notizie delle fonti letterarie risulta evidente una conti-
nuità nell’apporto etnico africano e nelle immigrazioni in Sardegna dal Nord Africa: è noto il
giudizio che, ormai alla metà del XII secolo, fu espresso dall’arabo Edrisi di Ceuta: «i Sardi sono
di schiatta Rum ‘afariqah berberizzanti, rifuggenti dal consorzio di ogni altra nazione di Rum»; il
“fondo” etnico delle genti sarde, formatosi in età preistorica, ma confermato in età romana, era
dunque berbero-libico-punico.
Le rivolte
La “resistenza” degli indigeni alla romanizzazione nelle zone interne della Sardegna si manife-
stò da un punto di vista culturale prima ancora che da un punto di vista militare. Sono molte
le sopravvivenze della cultura sardo-punica ancora in età imperiale, a contatto con gli immigra-
ti italici. Già alla ine dell’età repubblicana furono dislocati nelle zone interne della Sardegna
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Attilio Mastino
alcuni accampamenti militari, in qualche caso eredi di precedenti postazioni cartaginesi, con lo
scopo di controllare in modo articolato le zone montuose della Barbaria sarda, senza però un
deinito sistema di difesa lineare (limes). Si preferiva effettuare interventi mirati su singoli obiet-
tivi, utilizzando in certe circostanze anche i cani addestrati alla caccia all’uomo (come già aveva
fatto, nel 231 a.C., il console Marco Pomponio Matone) oppure si faceva ricorso a veri e propri
stratagemmi, come quello noto anche a Strabone, per il quale i Romani riuscivano a cogliere di
sorpresa i Sardi, attaccandoli nei santuari dove venivano celebrate le feste tradizionali in occa-
sione delle quali si consumavano i frutti delle razzie.
Secondo Tito Livio gli Iliensi, ora localizzati nel Marghine-Goceano, all’epoca di Augusto non
erano stati ancora completamente paciicati; per Pausania, che scriveva nel II secolo d.C., essi si
erano rifugiati sui monti, al di là dei precipizi, e si erano fortiicati con palizzate. Diodoro Siculo
rileva che gli Iolei greci (ben distinti dagli Ilienses del mito romano della tarda repubblica) per
mantenere la loro libertà e la loro indipendenza erano stati costretti a trasferire le proprie sedi
sui monti e abitavano alla metà del I secolo a.C. «certi luoghi ardui e di accesso dificile, ove
assuefatti a nutrirsi di latte e di carni, perché si occupano di pastorizia, non hanno bisogno di
messi; e perché abitano in dimore sotterranee (i nuraghi?), scavandosi gallerie in luogo di case,
con facilità scansano i pericoli delle guerre». Inine Strabone osserva: «Sono quattro le tribù
delle montagne, i Parati, i Sossinati, i Balari, gli Aconiti, i quali vivono nelle caverne e se hanno
qualche terra adatta alla semina non la seminano con cura; anzi, compiono razzie contro le terre
degli agricoltori e non solo di quelli dell’isola, ma salpano anche contro quelli del continente,
soprattutto i Pisani».
Col passare del tempo, gli interventi repressivi attuati dai governatori romani con l’impiego
di agguerriti reparti ausiliari e, sulle coste, con la lotta da guerra, per combattere la pirateria,
ottennero una progressiva riduzione dell’insicurezza; un fondamentale contributo fu però dato
dalla realizzazione di un’ampia rete stradale, che rese accessibili anche le regioni più isolate della
provincia.
L’economia latifondistica
È noto che, dopo la conquista, teoricamente l’insieme del territorio della provincia fu dichiarato
ager publicus populi Romani; sulle terre lasciate in precario possesso ai vecchi proprietari dovevano
pagarsi una decima dei prodotti e vari vectigalia; cambiava radicalmente il rapporto tra proprieta-
ri, possessori e mano d’opera agricola; nascevano delicati problemi giuridici sulla proprietà della
terra, che coinvolgevano le popolazioni rurali con violenze, occupazioni illegali di terre pubbli-
che, contrasti tra contadini e pastori, immediate esigenze di ripristinare l’ordine con interventi
repressivi. Sono numerosi i cippi di conine che attestano, alla ine dell’età repubblicana, una
vasta operazione di centuriazione in Sardegna, soprattutto nell’area che era stata interessata nel
215 a.C. dalla rivolta di Hampsicora: la limitatio che allora fu effettuata (con una prima fase forse
già della ine del II secolo a.C.) ebbe lo scopo di accelerare il processo di sedentarizzazione delle
tribù nomadi, di contenere il brigantaggio e di favorire lo sviluppo agricolo: è costante nelle
fonti la preoccupazione dell’autorità di controllare gli spostamenti dei pastori indigeni e di issa-
re i conini dei singoli latifondi, occupati alcuni da popolazioni locali, altri da coloni (agricoltori
soprattutto, ma anche pastori) insediati nelle terre possedute da singole famiglie.
L’elemento che sembra abbia caratterizzato il “sottosviluppo” economico della Sardegna in età
romana è quello della monocoltura cerealicola, eredità del periodo punico, che provocò l’ab-
bandono delle altre produzioni e limitò la competitività e i commerci, favorendo lo sfruttamen-
to e determinando una subordinazione economica e politica e un aumento delle diseguaglianze
sociali. La colonizzazione romano-italica causò in alcuni casi la parcellizzazione delle risorse
e l’espropriazione dei terreni occupati dagli indigeni, spesso chiusi in nuovi conini e impediti
nelle tradizionali attività pastorali, che anche in ragione della natura dei suoli imponevano un
minimo di nomadismo. La scarsa urbanizzazione della Sardegna e la tradizionale caratteristica
estensiva degli insediamenti sparsi (segnalata anche da Pausania, che parla di popolazione di-
spersa sul territorio) favorivano lo sviluppo di un’economia latifondistica, basata sulla monocol-
tura cerealicola, che richiedeva l’impiego di numerosa mano d’opera servile.
È sicuro che durante la repubblica l’agricoltura sarda doveva essere ben poco sviluppata, se in
alcune occasioni non riusciva a garantire neppure l’autosuficienza alimentare. L’estensione dei
campi abbandonati alla ine del I secolo a.C. raggiungeva in Sardegna secondo Varrone una di-
mensione notevole in alcune località, anche a causa del brigantaggio (propter latrocinia vicinorum).
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La Sardegna al centro del Mediterraneo
Strabone sostiene che le razzie dei popoli montani (gli Iolei-Diaghesbei) costituivano, assieme
con la malaria, un grave inconveniente che riduceva il vantaggio della disponibilità di suoli adatti
alle colture cerealicole.
La situazione dové comunque col tempo modiicarsi, soprattutto grazie all’attività dei coloniz-
zatori romano-italici e in conseguenza dell’ampliamento della conquista: fu allora promossa su
vasta scala la piantagione di alberi da frutto; si diffuse l’olivicoltura, la viticoltura, la produzione
di agrumi; lo scrittore Palladio attesta forse la coltivazione di cedri nell’Isola e in particolare nel
Campidano. Il protezionismo italico limitava però enormemente la produzione di olio e di vino.
C’erano poi altri prodotti meno pregiati (tra i quali il miele amaro, considerato di cattiva qualità).
L’economia sarda poggiava comunque su basi alquanto fragili, soprattutto a causa dell’assenza
di capitali adeguati e per la necessità di mantenere un apparato amministrativo e commerciale
spesso parassitario (si pensi alla presenza di usurai, come quelli cacciati da Catone nel 198 a.C.;
oppure di pubblicani, di appaltatori, di mercanti e di speculatori).
L’attività pastorale con l’allevamento, tradizionalmente nomade, che pure non poteva costituire
di per sé una valida alternativa all’agricoltura, doveva essere ancora largamente praticata con
poco vantaggio per gli isolani. Si aggiunga la pesca, la produzione di garum o comunque l’espor-
tazione di pesce salato. Tra le altre attività, è documentato lo sfruttamento del sottosuolo per
l’estrazione di minerali, soprattutto nell’Iglesiente: dalle miniere si estraeva l’oro (tanto che in
età imperiale si sarebbe veriicata una vera e propria corsa all’oro da parte degli aurileguli), l’ar-
gento, il ferro, il piombo, ma anche l’allume e le corniole. Fin dall’inizio del II secolo a.C. è atte-
stato a Carales l’impianto di saline, gestite da società private, che impiegavano personale di con-
dizione servile. Intensa fu anche l’attività edilizia, fondata sullo sfruttamento delle cave, spesso
per la realizzazione di importanti opere pubbliche. Per alcuni materiali (il granito) è accertata
l’esportazione fuori dall’Isola, a Roma e a Cartagine. Nell’Isola si sviluppò poi un’attività arti-
gianale molto limitata e comunque non competitiva, forse non suficientemente motivata da un
punto di vista economico e comunque debole e priva di una tradizione qualitativa riconosciuta
e apprezzata sul mercato. È espressamente menzionata l’attività tessile; ma l’abbigliamento più
tipico della Sardegna era la caratteristica mastruca, la veste fatta di pelli di capra, mostruosa se per
Isidoro «coloro che la indossano assumono le sembianze di un animale». Le fonti letterarie ci
forniscono molti dettagli sulla vegetazione (i pini, i cedri, le querce) e sulla fauna (per esempio
i musmones-muloni, i cavalli, gli uccelli favolosi, gli insetti, i tonni che si nutrono di “ghiande
marine”, i cetacei): esse contribuiscono a deinire l’ambiente naturale della Sardegna antica, con
le sue bellezze selvagge e i suoi problemi, tra cui in primo piano il clima malsano che provocava
la malaria.
La società isolana
L’oligarchia sarda ancora in età punica sembra fondasse la sua ricchezza sullo sfruttamento dei
latifondi, occupando mano d’opera libera e schiavi di origine locale o libica: dopo la grande
battaglia di Canne, vinta da Annibale, nell’inverno 216-215 a.C., l’aristocrazia sarda effettuò una
precisa scelta di campo ilo-punica, forse perché colpita dalla pesante politica iscale romana;
Livio sostiene che alla vigilia della rivolta di Hampsicora (probabilmente un esponente dell’antica
nobiltà sardo-punica) una clandestina legatio, un’ambasceria di principes delle città sardo-puniche e
delle civitates non urbanizzate, partita forse da Cornus, raggiunse Cartagine per stringere un’alle-
anza militare e manifestare la propria disponibilità a ribellarsi ai Romani, ottenendo in cambio
comprensione e aiuti. Si trattò di una vera e propria alleanza militare tra i Sardo-punici della
costa e i Cartaginesi, ai quali si aggiunsero anche gli indigeni dell’interno, i Sardi vestiti di pelli
(i Sardi Pelliti): tra essi gli Ilienses del Marghine-Goceano, se Silio Italico ricorda le origini troiane
di Hampsagora; alcuni gruppi sociali dalla lontana origine fenicia avrebbero viceversa preferito
l’alleanza con i Romani. Il Bellum Sardum combattuto nel 215 a.C., si risolse con l’insuccesso dei
Sardo-punici e una dura occupazione romana.
Successivamente dovettero esservi anche in Sardegna casi di straordinaria ricchezza, come
quello del caralitano Famea, che nel 64 a.C. aveva deciso di sostenere l’elezione di Cicerone
al consolato, mettendo a disposizione di Attico le sue cospicue sostanze. Il nipote Tigellio più
tardi avrebbe accumulato un patrimonio enorme, fondato sulle elargizioni di Cesare e sullo
straordinario successo come cantante.
Porto Torres, Turris Libisonis, In età imperiale sono conosciuti dalle iscrizioni soltanto pochissimi senatori e cavalieri di ori-
il cardo della città. gine sarda, tanto che può ipotizzarsi una povertà diffusa e quasi generalizzata. Gran parte della
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Attilio Mastino
popolazione apparteneva ad una classe sociale inferiore, con una forte percentuale di schiavi e
di liberti. Sicuramente schiavi erano gli addetti alle miniere, gli operai delle saline, gran parte dei
lavoratori dei campi e i responsabili delle botteghe iguline operanti nelle città sarde.
La religiosità popolare
Siamo scarsamente informati sulle caratteristiche della religiosità tradizionale in età nuragica,
che qualche esito avrà sicuramente avuto in epoca punica e romana. L’unica divinità veramen-
te “indigena”, per quanto reinterpretata a posteriori, fu Sid-Sardus Pater-Babi, eroe fondatore,
che i mitograi classici ritenevano giunto in Sardegna con una schiera di Libii: sulle monete di
Ottaviano lo vediamo rafigurato come un dio cacciatore, armato di lancia, con un copricapo
di piume. Così come per l’Africa e per l’Iberia, si può parlare di fenomeni di sincretismo e di
sviluppo di particolarismi nella vita religiosa, non ostacolati dall’autorità romana: Sid Babi (iglio
di Melqart e di Tanit) era venerato ad Antas, ricordato in una ventina di iscrizioni puniche tra il V
e la ine del II secolo a.C. e ora anche in un’iscrizione latina di età imperiale; a Sulci è attestato il
soprannome Sidonius, sicuramente connesso con questa divinità; si tratta con tutta probabilità di
un culto sovrapposto ad una devozione più antica per un’analoga igura paleosarda, inluenzata
comunque da Baal-Hammon/Saturno (il cui paredro Frugiferius era forse venerato a Tharros nel II
secolo a.C.) e proseguita in età imperiale con altre forme.
Dopo l’occupazione romana furono praticati con continuità in Sardegna anche i culti di Tanit,
già presente sulle monete sardo-puniche, che come Elat aveva un tempio a Sulci; di Baalshamen,
ricordato a Carales nel III secolo a.C.; di Melqart, venerato a Tharros nel III-II secolo a.C.; di
Eshmun Merre, identiicato con Asclepio ed Esculapio nella famosa trilingue di San Nicolò Ger-
rei attorno al 150 a.C., al quale vanno forse riferite le statue del così detto Bes; di Ashtart, che a
Carales ebbe nel III secolo a.C. un altare di bronzo: quest’ultimo culto documenta le relazioni tra
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La Sardegna al centro del Mediterraneo
la Sardegna e la Sicilia occidentale nell’età punica. Anche il culto di Demetra e Kore, introdotto
dai Cartaginesi, presenta nell’Isola peculiari caratteristiche, per essere associato (a Terreseu),
ancora nel III secolo d.C., a sacriici cruenti. I busti ittili di Cerere, tanto diffusi in Sardegna,
sono eredi dei thymiateria punici.
Sorprendono le sopravvivenze della religiosità punica in epoca romana, a causa di una pro-
fonda assimilazione da parte delle popolazioni indigene punicizzate: è noto che alcuni tophet
proseguirono la loro attività ino al II secolo a.C. (Monte Sirai, Carales, Bitia, Tharros e Olbia) e
addirittura al I secolo a.C. (Sulci), determinando oltre tutto un preciso orientamento culturale
per le successive necropoli di età imperiale, almeno nei siti più marginali.
Appare poi signiicativa la sopravvivenza in Sardegna di una serie di pratiche magiche che
sembrano fondarsi su antichissime competenze e su una tradizione di conoscenze che non si
può escludere vadano collegate al mondo punico e al mondo etrusco, se non altro per quanto
riguarda il settore dell’aruspicina. A parte il sacriicio rituale dei fanciulli e degli anziani e l’uso di
erbe velenose, si pensi al rito dell’incubazione (forse nelle aree funerarie come quella di Mont’e
Prama), all’interpretazione dei sogni, all’ordalia per accertare la responsabilità dei briganti e dei
ladri sacrileghi, alla lettura di prodigi che annunciano lo scoppio delle guerre (scudi che suda-
no sangue), all’idolatria e alla venerazione di ligna et lapides, alla presenza di maghi e streghe (le
terribili bitiae dalla duplice pupilla che uccidono con lo sguardo). Conosciamo poi l’episodio
che vide protagonista un governatore romano, Flavius Maximinus, che secondo una diceria rac-
colta da Ammiano Marcellino avrebbe ucciso con l’inganno un sardo espertissimo nell’evocare
anime dannate e nel trarre presagi dagli spiriti. Che tali pratiche siano proseguite in Sardegna
è documentato dal culto per Viduus, il dio che aiutava la separazione del corpo dallo spirito e
riduceva la durata dell’agonia dei moribondi; più esplicitamente è testimoniato da Gregorio
Magno a proposito del chierico Paolo, accusato di celebrare nascostamente dei riti magici. Ma
più in generale, Gregorio invita il vescovo di Carales a vigilare contro i cultori degli idoli, gli
indovini e gli stregoni: una categoria di persone specializzata nelle scienze occulte.
Con questa vivacità e con questa complessità culturale la Sardegna si sarebbe confrontata ben
presto con nuovi problemi, ad iniziare da quelli religiosi, dopo il progressivo affermarsi del
cristianesimo.
Le rotte: Africa, Italia, Sicilia, Corsica, Gallia, Hispania Citerior e Betica, Siria, Egitto
Nell’editto dei prezzi, promulgato nel 301 d.C. da Diocleziano e dai suoi colleghi, erano cal-
mierate le tariffe per quattro rotte commerciali, tutte in partenza dalla Sardegna, verso Roma,
Genova, la Gallia e il Nord Africa. Particolarmente importante era anche la rotta, ricordata da
Plinio il Vecchio (che certamente leggeva il Perì okeanoù di Posidonio di Apamea, a sua volta
dipendente da Pitea di Marsiglia), che dalla Siria arrivava a Carales e poi a Gades sull’Oceano:
il segmento che collegava Myriandum in Siria (a breve distanza da Antiochia) con la Sardegna,
toccando Cipro, la Licia, Rodi, la Laconia e la Sicilia era lungo 2113 miglia (oltre 3000 km); da
Carales a Gades, toccando le isole Baleari, oltre le colonne d’Ercole, era calcolata una distanza di
1250 miglia: si tratta dell’unica attestazione di un qualche ruolo della Sardegna nella navigazione
oceanica, verso le rotte atlantiche, già adombrata dalle origini tartessie del mitico Norace, iglio
di Ermes e di Erizia, la ninfa di Gades. È da sottolineare il riferimento a Rodi come punto di
passaggio della rotta tra la Siria e Cadice, attraverso la Sardegna: attorno al 110 a.C. questa rotta
fu seguita proprio da Posidonio di Apamea, che secondo Strabone a Gades avrebbe preso co-
noscenza del fenomeno delle maree, trattato nell’opera De oceano; per arrivarvi nell’ultimo tratto
avrebbe percorso la rotta Puteoli-Carales-Carthago Nova-Gades, evitando di toccare il Nord Africa,
dove era in corso la guerra giugurtina. La stazione di partenza della rotta per Carales, Myriandum,
nella Siria settentrionale, va inine messa in un qualche rapporto con l’epitafio di un marinaio
di origine sarda, che ha servito nella lotta militare di Ravenna, C. Iulius Celer, il quale nel I secolo
d.C. fu sepolto a Seleucia di Pieria.
L’attività marinara era dunque consistente, anche per l’interesse strategico dell’Isola e per la
presenza a Carales di cantieri nautici (navalia) e di una base militare della lotta da guerra, con
comando a Miseno, impegnata nella lotta contro la pirateria tirrenica in dall’età di Augusto,
con marinai sardi, egiziani, traci, dalmati. I Sardi erano considerati poi valenti marinai ed erano
imbarcati sulle navi della lotta di Miseno (nel Mediterraneo occidentale) e di Ravenna. Tra le
province occidentali è anzi la Sardegna la provincia di origine del maggior numero di marinai
arruolati nelle lotte militari romane.
27
Attilio Mastino
La Corsica
La storia della Corsica è inestricabilmente legata a quella della Sardegna in dalle origini mitiche.
Le leggende greche di fondazione immaginano un originario regno di Sardegna e Corsica, afi-
dato a Forco, iglio di Ponto e di Gea o secondo un’altra versione di Oceano e di Teti, sposo di
Keto, padre delle Gorgoni dell’estremo occidente (Medusa, Stenno ed Euriale) e delle Focidi,
divinità e mostri marini, oppure delle Sirene, di Echidna, delle Esperidi, tutte leggendarie iglie
di Forco-Tirreno. Secondo Servio, re della Corsica e della Sardegna è stato una volta Forco, il
quale, dopo esser stato annientato in una battaglia navale e poi mandato in rovina da Atlante
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La Sardegna al centro del Mediterraneo
con gran parte del suo esercito, venne ricordato dai suoi compagni come trasformato in una
divinità marina. Antiche leggende marinare parlavano di mostri marini, che secondo Eliano
trascorrevano l’inverno nei paraggi del braccio di mare della Corsica e della Sardegna, accom-
pagnati da delini di straordinarie dimensioni.
La “deliziosa” Corsica, sesta tra le isole Mediterranee nel Periplo di Scilace, in Dionigi il Periegeta
è confrontata all’amplissima Sardegna, unite nello stesso mare d’occidente. Ed Eustazio, par-
lando delle isole del mare Ligustico, conferma che la più estesa è la Sardegna, mentre la Corsica
prende il nome dalla serva Corsa oppure dalla sommità dei suoi monti, e il suo paesaggio è
caratterizzato da uno straordinario manto boschivo, inhorrens Corsica silvis per Avieno. Il paesag-
gio era dominato da quegli alberi ittissimi che impedirono la colonizzazione romano-etrusca
ricordata da Teofrasto nel IV secolo a.C., quando sull’Isola non riuscirono a sbarcare i venti-
cinque battelli, che ebbero i pennoni danneggiati dai rami degli alberi di una foresta sterminata.
Niceforo chiamava la Corsica anche kefalké, testa irta di capelli, per via delle tante cime monta-
gnose e la ricchezza di boschi.
Gli Oracula Sibyllina annunciavano per Cyrno e per la Sardegna uno stesso destino tragico, una
sorta di apocalisse incombente, «sia a cagione di grandi procelle invernali, sia per le sciagure
inlitte dal supremo dio, quando le due isole nel profondo del pelago penetreranno, sotto i lutti
marini».
Le due isole, separate da un braccio di mare che poteva essere percorso in un terzo di una
giornata, erano unite in età romana in un’unica provincia e territorialmente contigue anche
sul piano economico e culturale; la politica provinciale romana nel quadrante tirrenico adot-
tava un’amministrazione unitaria. Questo carattere unitario dello studio dell’unica provincia
romana, almeno per l’età tardorepubblicana e il primo impero, si ritrova in tutte le opere più
recenti che hanno trattato gli aspetti storici, giuridici, epigraici e archeologici della Corsica. Tale
approccio metodologico è, tuttavia, utilizzabile anche per le fasi preromane della storia delle
due isole, per quanto la Sardegna sia stata caratterizzata dapprima dall’urbanizzazione fenicia
e successivamente dal dominio punico, mentre la Corsica abbia conosciuto la prima coloniz-
zazione solo con la fondazione focea di Alalíe nel 565 a.C. e, successivamente alla battaglia del
Mare Sardonio, l’avvio del dominio etrusco. Sul versante sardo è importante sottolineare la
recente acquisizione delle prime cospicue testimonianze greche da Olbia, che danno spessore
all’interpretazione primitiva relativa ad una liaison tra Alalia e Olbìa nei tempi immediatamente
precedenti la battaglia del Mare Sardonio.
La Sicilia
Bisogna constatare che gli studiosi non hanno in qui dedicato una trattazione organica al tema
delle relazioni tra Sardegna e Sicilia in età antica, relazioni che pure appaiono intense e profonde:
del resto già la rilessione degli antichi non sembra aver enucleato eficacemente questo tema,
29
Attilio Mastino
attraverso una lettura delle testimonianze storiche, anche a causa dei vuoti documentari delle
fonti di fronte a due realtà profondamente distinte sotto il proilo culturale e politico, e anche
geograico, quello della Sicilia occidentale punica e quello della Sicilia orientale, colonizzata
dai Greci; due mondi in aperta conlittualità tra loro e che spesso avevano tratto ognuno dalla
propria parte le realtà indigene, elime, sicule e sicane, che ancora nel V secolo controllavano
una vasta porzione del territorio dell’isola ed erano pronte a riaffermarsi prepotentemente.
Il quadro più completo e articolato, limitato però all’epoca arcaica e coninato in una cor-
nice mitica, è in sostanza quello fornitoci dallo storico siceliota Diodoro Siculo nel I secolo
a.C., che ha tratto gli elementi principali da Timeo di Tauromenio (IV-III sec. a.C.): la
prospettiva che ne emerge è senza dubbio quella di un recupero della Sardegna alla grecità
sicula, attuata attraverso la valorizzazione delle imprese dell’eroe-ecista Iolao, di Dedalo e
di Aristeo, personaggi legati nella cronologia mitica greca alla civilizzazione della Sardegna
e della Sicilia. Il metodo è analogo a quello applicato per la Sicilia punica, con lo scopo di
rivendicare – scrive Galvagno – l’originaria grecità di un territorio sul quale continuarono ad
esercitarsi attività, interessi e prospettive dei Sicelioti. Sicilia e Sardegna sarebbero legate da
una evidente parentela etnica, nell’ambito dell’ellenizzazione dell’Occidente lungo la via era-
clea, segnata dai viaggi e dalle straordinarie imprese di Eracle: nel IV libro della Biblioteca
storica di Diodoro, il mito di Iolao padre, equiparato alla divinità indigena dei Sardi Sardus,
rappresenta il ponte tra le due isole: Iolao era venerato in epoca storica con pari intensità in
Sardegna e nella Sicilia greca e più precisamente ad Agyrion (Agira, in provincia di Enna), la
città natale di Diodoro.
Il Nord Africa
I rapporti tra Africa e Sardegna dovettero essere intensi anche in epoca preistorica, se appunto
ad un libico, all’eroe Sardus, iglio di Maceride (nome dato dagli Egizi e dai Libii ad Eracle-
Melqart), i mitograi greci attribuivano la primitiva colonizzazione dell’Isola. Ancora in età stori-
ca Sardus era venerato in Sardegna con l’attributo di Pater, per essere stato il primo a guidare per
mare una schiera di colonizzatori giunti dall’Africa e per aver dato il nome all’Isola, in preceden-
za denominata “l’isola dalle vene d’argento”, con riferimento alla ricchezza delle sue miniere:
a questo eroe-dio, identiicato con il Sid Babi punico e con Iolao patér greco, il condottiero dei
Tespiadi, fu dedicato un tempio presso Metalla, restaurato all’inizio del III secolo d.C., mentre
la sua immagine ritorna propagandisticamente sulle enigmatiche monete di Marcus Atius Balbus.
Gli apporti etnici africani erano ben noti, se i mitograi classici registravano un nuovo arrivo di
popoli libici, evidentemente via mare: infatti una moltitudine di Libii avrebbe raggiunto l’Isola
con una forte lotta, sterminando quasi completamente i Greci che vi si trovavano e costringen-
do i Troiani (gli Iliensi) a ritirarsi sui monti dell’interno e a proteggersi in zone quasi inaccessi-
bili. Ancora nel II secolo d.C. essi si chiamavano Ilieis, «assai simili nell’aspetto e nell’apparato
delle armi e in tutto il tenore di vita ai Libii». Al di là del mito, può essere sostanzialmente con-
divisa la realtà di forti e signiicativi contatti tra l’Africa numida e la Sardegna nuragica: queste
relazioni indubbiamente si intensiicarono con l’arrivo dei Fenici e, in epoca ormai storica, con
la dominazione cartaginese, per la quale si pongono problemi d’interpretazione più facilmente
risolvibili da archeologi e storici.
La distanza tra Carales e Cartagine era modesta, poco meno di 200 miglia, inferiore certamen-
te a quella tra la Sardegna e la Penisola Iberica e anche a quella tra la Sardegna e la Penisola
Italiana, almeno per le tecniche di navigazione utilizzate nell’antichità. D’altra parte il porto di
Carales, città collocata su un promontorio che si affacciava sul Mare Africum, con alle spalle un
vasto stagno, divenne già in età repubblicana lo scalo più naturale per le rotte che da Utica (poi
anche da Cartagine), attraverso Tabraca e l’Isola Galata, andavano ad Ostia, risalendo le coste
orientali della Sardegna e congiungendosi all’altezza della Corsica con le rotte provenienti dalla
Penisola Iberica e dirette, toccata l’Elba e il litorale etrusco, alla foce del Tevere. Per il ritorno
doveva essere più praticata la rotta che, da Populonia, raggiungeva l’Elba, l’Isola Planasia e
l’Isola del Giglio e da qui la Corsica; quindi, attraversate le Bocche di Bonifacio, toccava i
principali scali della Sardegna occidentale, per arrivare poi in Africa sfruttando la spinta del
maestrale (il Circius), che batte costantemente quelle coste e facilita la traversata verso SW. Si è
notato come la Sardegna si trovasse, secondo le concezioni geograiche antiche, al vertice di un
triangolo ideale Africa-Sardegna-Ostia, tracciato sulla base dell’equidistanza dell’Isola da Roma
e da Cartagine. Per l’età repubblicana possiamo individuare, grazie alle informazioni conser-
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La Sardegna al centro del Mediterraneo
vateci nelle fonti letterarie, quelle che erano le rotte più praticate e gli scali commerciali usati.
Il segmento Italia-Sardegna della rotta per l’Africa era percorso regolarmente già nel VI secolo
a.C. se il primo trattato tra Roma e Cartagine del 509 a.C. autorizzava il commercio romano
nell’Isola, pur con alcune limitazioni; viceversa col secondo trattato, riferibile al 378 a.C., era con-
sentito soltanto l’approdo in Sardegna per un periodo massimo di cinque giorni e soltanto se le
condizioni del mare fossero state proibitive e se la burrasca lo avesse reso indispensabile.
Per l’epoca romana, abbiamo un inventario di alcuni dei parametri che possono essere utilizzati
per delineare, lungo un ampio arco cronologico, i rapporti tra la Sardegna e le province romane del
Maghreb: queste convergenze, fondate su una consuetudine che risale almeno ad età fenicio-puni-
ca, si alimentarono con ripetuti signiicativi scambi di popolazione e in particolare con la presenza
di deportati e di immigrati africani in Sardegna, di militari e di civili sardi nel Nord Africa. La roma-
nizzazione si sviluppò perciò in modo analogo, specie per le afinità strutturali dell’economia e più
precisamente dell’agricoltura di queste province, collegate da un intenso trafico commerciale e
spesso associate anche nel destino politico. La sopravvivenza di elementi culturali punici e indigeni
si manifestò in Sardegna come in Africa nelle istituzioni cittadine, nella vita religiosa, nella lingua e
nell’onomastica; la documentazione epigraica conferma ulteriori successive convergenze.
Gli elementi in nostro possesso sono così eterogenei e di diversa qualità che non consen-
tono ancora una conclusione: eppure, per quanto alcune categorie utilizzate possano essere
generiche e interpretabili in maniera diversa, l’abbondanza stessa delle testimonianze, pur con
signiicative oscillazioni nel tempo, è tale da render certi che non può più essere sottovalutata la
componente “africana” della storia della Sardegna antica, nel quadro di una più ampia vocazio-
ne “mediterranea”, che costituì la vera speciicità isolana.
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32
La Sardegna e il mare
Rubens D’Oriano
La geograia
L’area mediterranea fu uno dei principali “luoghi” di sviluppo culturale del Vecchio Mondo,
grazie a due principali fattori: l’essere posizionata nella fascia climatica temperata del pianeta
e lo svilupparsi attorno a un mare che, nella buona sostanza, è il più grande lago della Terra.
Oltre a contribuire alla mitezza del clima, esso, in dagli albori dell’espansione della specie
umana, lungi dal rappresentare una dificoltà alle relazioni culturali ne ha costituito al contra-
rio una delle principali opportunità, poiché i viaggi per mare sono sempre stati il più veloce
mezzo di comunicazione.
La Penisola Italiana e la Sicilia separano il Mediterraneo in due settori, e nel bel mezzo di
quello occidentale sorge dai lutti la Sardegna, posta quindi favorevolmente al centro delle
rotte che lo attraversano. Il rapporto tra le popolazioni dell’Isola e il mare risale perciò a
tempi ben più antichi dell’età romana, e allora un excursus su questo argomento non può pre-
scindere da un riassunto delle precedenti vicende, le cui dinamiche spesso si perpetuano nei
secoli che qui ci interessano.
Prima di Roma
Dal mare giunsero i primi uomini in Sardegna nel Paleolitico inferiore, e dal mare vi ritorna-
rono nel Paleolitico superiore e ancora nel Neolitico antico.
Dal mare orientale giunsero nel Neolitico le rivoluzionarie tecniche della coltivazione e della
domesticazione degli animali, alle quali conseguì la sedentarizzazione degli insediamenti, e
sul mare era avviata la prima risorsa sarda che giunse al di là dell’Isola, l’ossidiana. È dificile
sottrarsi all’impressione che ancora dal mare dell’alba pervenne nella Nurra l’idea costruttiva
dell’altare di Monte d’Accoddi, con la sua somiglianza (casuale?) con le ziqqurat mesopotami-
che, questione però tutt’altro che risolta.
Sempre tramite i mari, questa volta occidentali, si diffuse il megalitismo, la tecnica di erezione
di monumenti in grandi blocchi di pietra, dapprima menhir e dolmen, poi sviluppatasi in loco
nel tempo ino alla sida che ai cieli lanciarono le possenti torri nuragiche. Ancora dalle coste
spagnole e francesi si spinsero in Sardegna i portatori della cosiddetta cultura Campaniforme,
gli itineranti artigiani che diffusero qui, come altrove in Europa, avanzate tecnologie dei primi
metalli.
Fino all’età del Bronzo medio, cioè alle soglie di quella che in Sardegna è la fase matura ed
esplosiva della Civiltà Nuragica, questi rapporti si svolgevano nel Mediterraneo in genere per
successivi contatti di corto raggio; dobbiamo cioè immaginare che nuovi stimoli, tecniche e
idee si diffondessero da un’area a quella adiacente e da questa alla successiva, percorrendo
così lunghe distanze, ma in tempi adeguatamente dilatati.
Con la fase apogeica della Civiltà Nuragica invece assistiamo inalmente al rivoluzionario
fenomeno di navigazioni consapevoli di lunga distanza: i mercanti che dalla Grecia micenea
si spingono verso l’Italia meridionale e la Sicilia e poi da qui in Sardegna e Spagna, alla ricerca
principalmente di metalli, acquisiscono e diffondono forse per la prima volta l’immagine
mentale del grande lago mediterraneo nel suo intero e coerente sviluppo dalle coste del
Medio Oriente allo Stretto di Gibilterra.
La Sardegna nuragica è investita in pieno dal nuovo fenomeno, per la sua ricchezza mineraria,
per essere centralmente incardinata sulle rotte che immettono alle ancor più ricche in metalli
coste spagnole e toscane – con le quali infatti essa già era in contatto a sua volta – e per essere
già essa stessa la terra di una grandiosa civiltà, appunto autonomamente dinamica sul Mar
Mediterraneo occidentale.
La nuova temperie incrementa questi contatti, che tra l’età del Bronzo inale e la prima età del
Ferro introducono materiali sardi, sia ceramiche che bronzi anche igurati, sulle coste della
Penisola Italiana, della Sicilia, di Creta, di Cipro, del Nord Africa, della Spagna, della Corsica,
33
Rubens D’Oriano
della Francia, ad opera della marineria sia nuragica che cipriota e levantina, alle quali ultime ha
ceduto il testimone delle navigazioni dall’Oriente quella greca, col crollo del mondo miceneo
ad opera anche dei Popoli del Mare.
Nella seconda metà del IX secolo a.C. dal variegato coacervo dei mercanti che si muovono
dal Levante verso occidente, ancora principalmente alla ricerca di metalli, emerge la compo-
nente fenicia, che tra VIII e VII secolo costella anche le coste della Sardegna – come quelle
della Sicilia occidentale, del Nord Africa e della Spagna meridionale – di insediamenti stabili
e vere e proprie fondazioni urbane, quali Sulky (S. Antioco), Karaly (Cagliari), Tharros, Nora,
Bithia, ecc. La nostra isola partecipa anche del parallelo fenomeno di espansione insediativa
di matrice greca (proiettato soprattutto verso la Sicilia orientale e la Magna Grecia) pur se
con un unico insediamento, quello di Olbìa la felice, prima fenicio dalla metà dell’VIII secolo
al 630, e poi greco da questo momento alla ine del VI secolo. Dal mare quindi pervenne la
rivoluzione urbana, che delle varie fasi culturali dell’antichità è quella della quale ancora siamo
partecipi noi, all’alba del terzo millennio.
In questo fervore di rapporti tra le popolazioni della Sardegna, gli altri indigeni d’Occidente
e i mercanti e coloni prima micenei, poi levantini e inine fenici e greci, si costituisce anche
quel mondo mitico che fa dell’Isola la terra delle avventure di Sardo, Norax, Herakles, Iolao,
Dedalo, Aristeo, frutto del desiderio dei vari popoli di riconoscere nel proprio patrimonio
leggendario gli eroi e gli dei degli “altri” in funzione di feconda integrazione.
Nella seconda metà del VI secolo Cartagine, allora la più prospera colonia fenicia, a seguito
di imprese belliche condotte per terra in Sardegna contro gli stessi Fenici dell’Isola , e con la
battaglia del Mare Sardo (Sardonio nel racconto di Erodoto), combattuta al ianco degli Etru-
schi contro i Greci della corsa Alalia, acquisisce il controllo dell’Isola , che cederà a Roma
solo tra la Prima e la Seconda Guerra Punica alla data convenzionale del 238 a.C.
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La Sardegna e il mare
Porti e approdi
Conosciamo con suficiente attendibilità il sistema dei porti e degli approdi della Sardegna
romana, grazie al dato archeologico e alle fonti letterarie, prime fra tutti l’Itinerarium Antonini
(una sorta di guida stradale dell’impero) e la Geograia di Claudio Tolomeo (un elenco delle
località notevoli, soprattutto costiere e subcostiere, del Mediterraneo ognuna corredata da
coordinate geograiche). Figurano nel sistema sia le antiche città costiere come Tharros, Ka-
raly, Sulky, Olbia ecc. sia centri di nuova fondazione come la colonia di Turris Libisonis (Porto
Torres), sia approdi naturali ora dotati di adatte infrastrutture.
Per citare solo i principali scali, in senso antiorario da nord, possiamo ricordare Longone
(Santa Teresa Gallura), Portus Tibulas (Castelsardo), Turris Libisonis, Porto Conte, Bosa, Cala su
Pallosu, Tharros, Othoca (Santa Giusta), Neapolis (Santa Maria de Nabui), Sulci (la fenicia Sulky),
Bithia, Nora, Karales (la fenicia Karaly), Sarcapos (Santa Maria di Villaputzu), Sulci (Tortolì),
Portus Liguidonis (Posada?), Olbia.
Alcuni di questi porti, come per esempio Olbia e Karales, erano muniti di varie dotazioni tipi-
che, tra le quali i cantieri navali almeno di riparazione se non addirittura di costruzione, e i
santuari delle divinità protettrici dei viaggi per mare, tra le quali Venere, la più cara ai marinai
anche per le sue valenze erotiche.
In essi gettavano l’ancora non solo le navi da carico commerciale (onerarie) ma anche quelle
da guerra. A Karales nel 215 a.C. approda la spedizione di Tito Manlio Torquato inviata con-
tro il ribelle Ampsicora e di lì a poco nel 202 le imbarcazioni militari al comando di Tiberio
Claudio Nerone, reduci da una tempesta; all’altro capo della vicenda storica romana in Sarde-
gna, conosciamo la disavventura della lotta imperiale inviata nel 398 d.C. a domare il ribelle
Gildone in Nord Africa, la quale, per essersi anch’essa imbattuta in una tempesta forse nelle
perigliose Bocche di Bonifacio, si separa in due e una parte si dirige verso Sulci, mentre l’altra
ripara nel porto di Olbia. Nel mezzo, ci è noto il distaccamento sempre a Olbia e Karales di
reparti della lotta militare che controllava il Mediterraneo occidentale dalla principale base
di Miseno in Campania.
Esportazioni
Com’è noto, il sottosuolo e i fondali marini conservano in genere solo materie non deperibili
(terracotta, vetro, metallo, osso, pietra), mentre il grosso del commercio antico consisteva in
altre categorie di oggetti (cereali, ortaggi, legname, frutta, spezie, stoffe, schiavi, sale, coloran-
ti, argilla cruda, animali vivi e morti e loro derivati come formaggi e pelli, ecc.) che venivano
trasportati in contenitori deperibili o diversamente stivati nelle navi. È per questo che non
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Rubens D’Oriano
riconosciamo ad oggi nei contesti archeologici d’oltremare produzioni sarde d’età romana,
con la sola eccezione del granito e di un lingotto di piombo di cui si dirà tra poco. Quindi per
l’identiicazione dei beni che l’Isola esportava dobbiamo rivolgerci a fonti di informazione
diverse dalla cultura materiale come le notizie letterarie, deduzioni inferite dai contesti am-
bientali, toponimi, ipotesi sulla prosecuzione di produzioni testimoniate in fasi precedenti.
La Sardegna era in primis, come già in età punica, fonte importante di approvvigionamento
granario, non solo per Roma stessa, viste le spedizioni ricordate dalle fonti letterarie verso la
Grecia e l’Asia Minore (v. Mastino in quest’opera).
Anche i metalli (rame, piombo, argento, ferro, soprattutto del Sulcis e dell’Algherese) costi-
tuivano una primaria risorsa, sfruttata grazie all’utilizzo anche di condannati, qui deportati
appunto ad metalla (alle miniere), e un lingotto di piombo sardo è noto da Roma.
Il manto boschivo dell’Isola, come delle altre regioni mediterranee, era certo più ricco di
oggi, e ad una probabile esportazione almeno di legno di pino sono legati il centro di Tibulas
col suo Portus Tibulas, dal nome latino del pino “tibulus”, e la testimonianza di Palladio circa la
conservazione di tronchi di quest’albero forse nel territorio di Neapolis.
È probabile in fase fenicia e punica la produzione sarda di sale nelle numerose lagune, non
a caso vicinissime a importanti centri abitati come Olbia, Othoca, Neapolis, Sulky, Karaly, Nora,
Bithia, e se ne può ipotizzare la prosecuzione anche in età romana, alla luce di due iscrizioni
relative a saline di Karales e vista la fondamentale importanza di questa derrata nell’antichità
come unico conservante per cibi ad alto tenore proteico. E arriviamo così alla carne animale,
e ad altri derivati animali come formaggi o pelli, nonché agli esemplari esportabili vivi. Le
pelli ci connettono a loro volta all’allume, ottimale per il procedimento della concia e usato
anche per la produzione del vetro; la sua rarità nel Mediterraneo occidentale ne favorì l’e-
sportazione dalle poche aree in cui è presente, tra le quali i monti del Nuorese.
Un impianto per l’estrazione della porpora a pochi metri dal molo portuale di Olbia fa so-
spettare anche per questo prezioso prodotto la destinazione oltremarina.
Merce in antico erano anche gli esseri umani quando ridotti in schiavitù, principalmente
Portorotondo, colonne di granito dalla come prigionieri di guerra, e che tale sorte sia toccata a componenti delle popolazioni della
cava, ora sui moli di accesso al porto; Sardegna ribellatesi a Roma all’inizio del suo controllo dell’Isola è testimoniato, tra gli altri, da
II-III sec. d.C. Tito Livio che ci conserva l’espressione sardi venales, cioè a basso costo, dato l’alto numero che
ne pervenne in poco tempo sul mercato dell’Urbe. Certo nel caso sardo si tratta di un “bene
Ostia, Piazzale delle Corporazioni, da esportazione” estremamente sui generis, e in una situazione del tutto circoscritta nel tempo.
mosaico dei Navicularii Turritani; Chiudiamo la carrellata delle esportazioni, sicuramente imprecisa per difetto, con le evidenze
II sec. d.C. archeologiche relative all’esportazione del granito di Santa Teresa Gallura, e forse dell’Isola
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La Sardegna e il mare
di Cavallo (arcipelago di La Maddalena) e di Olbia, non solo verso Roma ma anche in Spagna,
Nord Africa e Sicilia, quale pregiata pietra da costruzione. Chi conosca bene il granito gallurese
potrà facilmente rintracciare le colonne con esso realizzate tuttora visibili nella capitale dell’im-
pero al Colosseo, presso le chiese di San Giovanni in Laterano, Santa Maria sopra Minerva,
Santi Cosma e Damiano.
Inine un dato globale. Sovrapponendo la carta della rete stradale romana della Sardegna a
quelle delle produzioni isolane d’età romana (cereali, minerali, ecc.) si evince come il sistema
viario fosse sapientemente organizzato in funzione del drenaggio delle risorse verso i princi-
pali porti, soprattutto Karales, Olbia e Turris Libisonis, ove operava l’annona, l’organizzazione
logistico-amministrativa che curava l’approvvigionamento di Roma. All’altro capo della rotta,
nel Piazzale delle Corporazioni di Ostia, il porto dell’Urbe, tra i mosaici che ornano le sedi delle
rappresentanze delle consorterie di trasporto marittimo o armatori (i navicularii), assieme agli
altri spiccano quelli dei Navicularii Turritani (di Turris Libisonis) e Karalitani (di Karales).
Importazioni
Il Mediterraneo romano realizza nell’antichità il momento di massima diffusione di beni,
nel senso della quantità, della diversiicazione e dell’ampiezza di circolazione geograica, e la
Sardegna non può che esserne uno specchio paradigmatico per la sua centralità.
Anche per le importazioni l’evidenza archeologica non può che dare solo un’immagine par-
ziale, pur essa legata com’è in genere ai soli materiali non deperibili, e le altre fonti di infor-
mazione (notizie letterarie, epigraiche, ecc.) aggiungono ulteriori dati che però di certo non
Alghero, località Mariposa, coprono la totalità dello spettro. Nonostante questa parzialità, la gamma nota resta impres-
carico di anfore vinarie iberiche; sionantemente ampia.
seconda metà I sec. a.C. Il peso maggiore è naturalmente quello delle grandi produzioni mediterranee occidentali,
di arrivo spesso diretto dall’area di produzione: olio, vino, salse di pesce, laterizi, cerami-
Bicchiere di vetro siriaco da Olbia, che da mensa, da cucina, da dispensa e da illuminazione, marmi, prodotti di artigianato
necropoli di San Simplicio; II sec. d.C. artistico in varie materie, vetri, metalli, profumi e via dicendo, dall’intero circuito costiero
e subcostiero comprendente Penisola Italiana, Sicilia, Nord Africa, Spagna, Francia. Dai
Portaprofumi siriaco in forma paesi affacciati sull’Egeo analoghi prodotti pervengono per via più indiretta, in specie dai
di cammello con suonatrici, da Olbia, porti di smistamento e ridistribuzione di Delo, del Nord Africa, della Sicilia, della Campa-
scavo di via Napoli; II sec. d.C. nia e del Lazio.
Viaggi ancor più avventurosi, e per tramite di ancor più numerosi intermediari, percorrono
Zafiro di Ceylon da Olbia, oggetti particolarmente esotici come, per fare pochi esempi, ambra dal Baltico, vetri e profu-
scavo del porto; II sec. d.C. mi dalla Siria, zafiri da Ceylon.
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Rubens D’Oriano
Porto Cervo, carico di giganteschi blocchi Tutto lascia intendere che potessero giungere in Sardegna anche prodotti deperibili analoghi,
e colonna di marmo; II-III sec. d.C. ma in diverse varietà e qualità, a quelli che l’Isola esportava come legname, animali e loro
sottoprodotti, ecc. Maggiori dettagli su speciiche importazioni potranno essere rintracciati
Due ceppi d’ancora in piombo da Bosa, nelle sezioni di quest’opera dedicate alla ceramica, all’artigianato artistico e ad altre categorie.
località Turas; età imperiale.
Mobilità umana
Isola Asinara, località Cala Reale, Il mare è stata anche la grande strada della mobilità umana durante l’età romana, accresciuta
carico di anfore per salse di pesce rispetto alle fasi storiche precedenti, e la Sardegna anche in questo campo non fa eccezione.
della Lusitania (Portogallo); Oltre alla mobilità degli equipaggi delle navi, che furono un importantissimo veicolo di circo-
età tardo-imperiale. lazione culturale, va ricordata quella dei singoli o dei gruppi che dalla Sardegna fuoriuscirono
per stanziarsi altrove o, viceversa, che nell’Isola trovarono nuova sede.
Santa Teresa Gallura, carico di lingotti Per la prima tipologia ricordiamo ancora i già citati schiavi venduti sul mercato dell’Urbe in
di piombo germanico; età augustea. seguito alla repressione delle ribellioni durante la prima dominazione romana, e i militari che
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La Sardegna e il mare
prestavano servizio nei reparti dislocati in tutto l’impero, come la Cohors II Sardorum (Seconda
Coorte dei Sardi) operante in Nord Africa, o – per l’esempio di un singolo tra i tanti – il
marinaio C. Iulius Celer della lotta militare di Ravenna, morto a Seleucia di Pieria nel lontano
Oriente.
Tra chi pervenne nell’Isola vanno citati almeno i gruppi di Libici trasferiti qui da Roma per la
coltivazione agraria, i Campani Patulcenses dell’entroterra della costa sud-orientale, un gruppo
di Falisci dal Lazio presso Posada, i profughi da Roma a ridosso del sacco dei Visigoti del
410, mentre per i singoli ricordiamo, per un esempio tra i molti, un appaltatore di trasporti
appunto marittimi da Cipro, morto a Olbia.
Rotte
Una certa vulgata sulla navigazione antica ancora diffonde l’erronea idea che nell’antichità si
rifuggisse dal percorrere rotte d’altura o che si preferisse sempre, in presenza dell’alternativa,
la navigazione sottocosta.
Smentiscono questa convinzione già evidenze subacquee, quale per esempio il relitto prove-
niente dall’Africa individuato nella Fossa del Tirreno durante le ricerche del DC9 di Ustica,
una nave quindi che preferì il più breve tragitto d’altura tra Sicilia e Italia centrale rispetto al
bordeggiare la costa italica meridionale. O, per un caso dalle acque sarde, un carico d’anfore
spagnole localizzato nel corso delle ricerche del relitto della corazzata Roma, molto al largo
nel Golfo dell’Asinara: evidentemente anche in questo caso il risalire la costa del Golfo alla
volta delle Bocche di Bonifacio fu ritenuto meno conveniente rispetto al dirigersi diretta-
mente dalle Baleari all’estremo nord della Sardegna. Se si considerano l’assoluta casualità di
questi ritrovamenti, perché effettuati in indagini non archeologiche, e l’ovvio concentrarsi del
99% delle nostre conoscenze di archeologia subacquea nel raggio di poche centinaia di metri
dalle coste e quindi a poche decine di metri di profondità, si può intuire quale possa essere
l’enorme numero di relitti antichi giacenti in alto mare a testimonianza del nostro assunto.
E in relazione alla Sardegna è proprio la posizione dell’Isola, praticamente irraggiungibile se
non con giorni interi di navigazione lontano dalle coste (sola eccezione il percorso Gallura-
Corsica-Isola d’Elba-costa toscana), a mostrare la fallacia dell’obbligata preferenzialità delle
rotte costiere rispetto a quelle d’altura (anche già in fasi storiche ben più antiche dell’età
romana). Insomma, nel ragionare sulle opzioni che dettavano agli antichi naviganti la rotta
da seguire, assieme all’esigenza della sicurezza va tenuta nel debito conto quella della rapidità
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Rubens D’Oriano
che, consentendo più viaggi, consentiva maggiori guadagni. È quindi forse maturo il tempo
per superare il tradizionale elenco delle rotte che toccano la Sardegna come note dai dati
Olbia, testa ittile di Ercole con leontè letterari ed epigraici (collegamenti diretti con: Penisola Italiana, Sicilia, Nord Africa, Spagna,
dai fondali dell’Isola Bocca; II sec. a.C. Francia, Corsica, per i dettagli dei quali si veda il contributo di A. Mastino in quest’opera),
rotte incardinate in una struttura a rete nella quale, in senso topologico, si può raggiungere
San Teodoro, località Coda Cavallo, da un punto (un porto) uno qualsiasi degli altri (porti) ma obbligatoriamente percorrendo i
relitto di nave commerciale (oneraria); preissati segmenti di connessione dei punti. È invece da valutare una maggiore luidità dei
IV sec. d.C. percorsi e libertà da parte dei comandanti di navi, nel senso della possibilità di poter “taglia-
re” lungo le “diagonali” abbreviando il tragitto, in relazione alle esigenze temporali, e quindi
Relitto di nave commerciale (oneraria) economiche, e alle condizioni atmosferiche e climatiche. D’altra parte sono ben noti lo svi-
da Olbia, scavo del porto; 450 a.C. luppo e la diffusione della cartograia mediterranea dall’età ellenistica in poi, e la disponibilità
di portolani e simili che contribuivano, assieme all’esperienza personale e alle notizie orali in
Portaprofumi in forma di tonno da Olbia, possesso dei comandanti di navi, a fare del Mediterraneo in età romana uno spazio di comu-
necropoli di San Simplicio; I sec. d.C. nicazione del tutto privo di incognite a grande scala.
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La Sardegna e il mare
In deinitiva, per esplicitare il pensiero con un’immagine, le rotte romane spesso riportare
sulle carte geograiche edite in varie opere andrebbero intese in senso piuttosto relativo di
linee di tendenza, più che di tragitti obbligati e privi di alternative.
Relitti e carichi
Nella statistica sui dati relativi ai giacimenti archeologici subacquei del passato a farla da
padrone sono di gran lunga quelli d’età romana. E le coste della Sardegna, al centro com’è
del Mediterraneo occidentale, non fanno eccezione, costellate in misura strabocchevole di
testimonianze di ogni genere, dal relitto intero e/o il suo carico al singolo oggetto. Di essi
però, se conosciamo spesso la provenienza grazie all’identiicazione dell’area di produzione
dei reperti, ignoriamo in genere la destinazione ultima, a causa dell’onnipresenza e amplissi-
ma circolazione delle merci in età romana. Per fare solo un paio di esempi, nulla accerta che
un carico di anfore lusitane affondato all’Asinara fosse destinato ad un porto sardo, poiché
le stesse sono presenti anche altrove al di là dell’area di produzione nell’odierno Portogallo, e
un carico di lingotti di raro piombo germanico dalle acque di Santa Teresa Gallura era diretto
certamente a Roma. Pertanto in genere queste testimonianze acclarano la centralità della
Sardegna nelle rotte mediterranee occidentali e nulla più.
Dato lo strabocchevole numero dei ritrovamenti subacquei d’età romana delle coste sarde, in
questa sede è possibile solo menzionare i casi più interessanti sotto vari aspetti.
Celeberrima è la nave affondata verso il 120 a.C. presso l’Isola di Spargi, per porsi il suo scavo
all’alba dell’archeologia subacquea, o il carico di oltre duecento lingotti di piombo del fondale
dell’Isola di Mal di Ventre, col cui metallo è stata realizzata la protezione dai neutrini cosmici
del laboratorio di isica nucleare del Gran Sasso; non frequente caso di un carico tardoimperiale
ben conservato è quello di Funtana Mare, con tra l’altro un tesoretto di centinaia di monete,
e pregevolissime sono le terrecotte igurate come le teste ittili di Mercurio da Karales o di
Ercole da Olbia.
In argomento navale vero e proprio, tra i molti relitti noti sarà suficiente citare il recupero
di ventiquattro relitti di navi, tra porzioni piccole e grandi, del porto di Olbia, undici dei
quali, affondati all’ormeggio dai Vandali durante l’attacco alla città verso il 450 d.C., ci
restituiscono un fotogramma di una delle svolte della storia occidentale: la ine del mondo
romano.
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Rubens D’Oriano
Il cuore del sistema è il grande “lago” sul quale tutti i paesi e i popoli più o meno diretta-
mente si affacciano e agevolmente comunicano, e perciò battezzato dai Romani Mare Medi-
terraneum, cioè “in mezzo alle terre”. Questo cuore pulsa in due parti, e al centro di quella
occidentale s’incastona la Sardegna, la cui vicenda in età romana pertanto si può compren-
dere appieno solo contestualizzandola sempre in questa privilegiata posizione al centro del
primo mondo divenuto globale.
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La Sardegna e il mare
altro perché almeno dall’età romana in poi la percentuale maggioritaria della popolazione
sarda abita le coste e i loro immediati hinterland, a meno di non voler illogicamente sostenere
che i Sardi dell’interno siano e fossero più “sardi” di quelli della costa, contrapponendo sardi
“puri” a sardi “meticci”.
La critica a questa mitologia è piuttosto ovvia: i Sardi di oggi, come i Siciliani, i Cretesi, i To-
scani, i Catalani, non possono che essere l’esito della stratiicazione genetica e culturale di tut-
te le popolazioni che si sono avvicendate nell’Isola, Nuragici certo, e prima ancora Neolitici,
Campaniformi, e poi Fenici, Greci, Cartaginesi, Romani, Bizantini, Arabi, Pisani, Aragonesi,
come era già chiaro a una delle più alte voci che questa terra abbia inora espresso, il Premio
Nobel per la letteratura Grazia Deledda, che già circa un secolo fa insegnava «Siamo spagnoli,
africani, fenici, cartaginesi, romani, arabi, pisani, bizantini, piemontesi» nell’incipit della poesia che si
intitola (guarda caso) Siamo Sardi.
Il logudorese, parlato anche nelle Barbagie, è per i linguisti la lingua più prossima al latino:
altro che orgogliose enclaves di consapevole resistenza o di difesa di purezza primigenia. Poco
tempo fa i “sardisti” hanno celebrato come elemento a favore della visione che qui si critica
l’individuazione, nel DNA delle genti di un’area dell’Ogliastra, di una percentuale di patri-
monio genetico nuragico maggiore che nel resto della Sardegna, ove esso è assolutamente
irrisorio e coerente con i parametri attesi in base ai successivi apporti umani. Al contrario,
quest’isola genetica conferma la correttezza del dato generale e quindi le sue implicazioni
globali nel senso qui indicato.
Quanto poi alla “colonizzazione”, il termine viene inteso dal grande pubblico nell’accezione
negativa acquisita, a pieno titolo, nell’ambito del brutale fenomeno colonialista occidentale
dei secoli XVI-XIX ai danni delle popolazioni d’Africa, Asia e Americhe. Ma nell’antichità
mediterranea le dinamiche interculturali del trasferimento e stanziamento altrove di gruppi
di Fenici, Greci, Romani videro casistiche molto alterne, sia nette che sfumate, di contrap-
posizione ma anche di collaborazione, di scontro ma anche di incontro, assolutamente non
assimilabili al pervasivamente truce colonialismo moderno.
Per banali esigenze di economia comunicativa deiniamo i popoli con certi nomi (Greci, Ro-
mani, ecc.), ma questi vocaboli hanno un valore cangiante col contesto. È forte l’impressione
che il grande pubblico di fronte a espressioni quali “i Romani conquistarono la Sardegna” o
“la Sardegna romana” abbia la percezione di un’invasione, di una dislocazione massiva di citta-
dini dell’Urbe nell’Isola a danno o, addirittura, previo sterminio delle genti locali. È piuttosto
evidente invece che si tratta in realtà della Sardegna sotto Roma, come per tutto il resto del
Mediterraneo si trattava della Spagna o della Grecia durante il dominio di Roma, lungo il quale
in ogni regione sopravvivevano tutte le componenti antropiche e culturali precedenti, sul cui
substrato gli elementi della civiltà romana, anche umani, si innestarono dialetticamente in un
graduale processo di sostanziale rispetto e integrazione di lunga durata, e di esito molto varie-
gato. È compito della divulgazione scientiica esplicitare tutta la complessità e la ricchezza di
questi processi dell’intero mondo che solo convenzionalmente deiniamo “romano”.
Circa l’autoctonia, dobbiamo essere sempre consapevoli della relatività e convenzionalità del
termine d’origine greca “autoctono”, o del suo corrispettivo di origine latina “indigeno”. È
autoctono chi è nato nel posto al momento dell’arrivo di altri da altrove, ma spesso a sua
volta è egli stesso discendente più o meno remoto di stranieri, e via retrocedendo nel tempo.
Le popolazioni nuragiche che assistono alla nascita degli insediamenti stabili fenici in Sarde-
gna – spesso volentieri coadiuvando il fenomeno, altro che “invasioni” e “colonizzazioni” in
senso rapinoso, come si diceva sopra – sono a loro volta discendenti dei Neolitici, dei Monte
Claro, e così via. Questi equivoci culturali sorgono dall’errata identiicazione della terra con
il popolo: una cosa è la Sardegna, altra le popolazioni che l’hanno abitata in ricca sovrappo-
sizione storica e culturale.
In un mondo di selvaggia globalizzazione, assistiamo ad un inquietante ritorno, per reazione,
di identitarismi e nazionalismi vari. Non è questa la sede per argomentare sulla fallacia e il
pericolo del concetto d’identità di gruppi umani (se chiedessimo a tutti i Sardi, come a qual-
siasi altro gruppo umano, di indicare quali qualità si debbano avere per essere “sardi”, siamo
certi di ottenere un adeguato numero di risposte simili e/o attendibili sul piano scientiico?)
e dell’erronea percezione persino dell’identità personale, ma è utile fare voti, per chi ci cre-
de, afinché l’orgoglio di ogni (pseudo)identità sia ricchezza da porre al fecondo confronto
integrativo con le altre per l’arricchimento reciproco, e non giustiicazione di chiusure e
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Rubens D’Oriano
fondamentalismi. E purché sia chiaro che anche le più radicate (pseudo)identità non sono
eterne, ma luiscono inevitabilmente e quotidianamente, anche se impercettibilmente, verso
sempre nuove conigurazioni. Non ci sono più i Micenei e gli Etruschi in quanto tali, non
estinti ovviamente ma “diventati” “Greci”, “Romani” ecc., nell’incessante divenire genetico
e culturale della specie, e quindi in adeguato torno di tempo non ci saranno più (se esistono
come tali e qualsiasi cosa indichino questi termini) i cosiddetti Italiani, Padani, Sardi, destinati
a trasformarsi in altre e per ora impredicibili conigurazioni. Che così sia è inevitabile e sano
per la specie, la cui storia insegna che sopravvive solo se rimescola incessantemente le carte
della genetica e della cultura.
Alla in ine è questo uno dei signiicati profondi della vicenda della Sardegna romana (e
nuragica, fenicia, punica) e del suo rapporto col mare: una tappa particolarmente ricca e
complessa del luire storico dei vari popoli dell’Isola, del Mediterraneo, dell’Umanità.
Bibliograia
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Le città della Sardegna in età romana
Jacopo Bonetto, Andrea Rafaele Ghiotto
Le città romane della Sardegna non risaltano per numerosità né per il loro tasso di monumen-
talizzazione rispetto ai centri urbani di altre realtà provinciali, quale ad esempio la vicina Africa
Proconsolare. Ciononostante, le testimonianze archeologiche ad oggi conosciute offrono una
serie di spunti piuttosto rilevanti per lo studio del fenomeno urbano e della cultura architetto-
nica in ambito insulare.
Le principali indicazioni provengono, come prevedibile, dalle ben note aree archeologiche di
Nora e di Tharros, la cui riscoperta in estensione si deve alla lungimirante opera dell’allora
Soprintendente Gennaro Pesce, il quale già negli anni Cinquanta dello scorso secolo ne intuì
appieno le potenzialità in termini di valorizzazione e di promozione turistica. Ma accanto a
Nora e a Tharros, che rappresentano due tra i più visitati insediamenti antichi dell’Isola, si devo-
no citare altri importanti centri a lunga continuità di vita, oggetto di recenti e felici interventi
di archeologia urbana, come Cagliari (Carales), Porto Torres (Turris Libisonis) e Olbia, oppure
anche le meno popolose Fordongianus (Forum Traiani) e Sant’Antioco (Sulci).
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Jacopo Bonetto, Andrea Raffaele Ghiotto
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Le città della Sardegna in età romana
recenti hanno invece dimostrato che tale assunto deve essere rivisto sulla base di una lettura
analitica e diacronica dell’abitato. In effetti, se molti tratti viari fortemente segmentati sembra-
no ricalcare l’andamento di precedenti percorsi conformi alla morfologia della penisola, condi-
zionata dalla presenza di pendii e dall’andamento della linea di costa, è altrettanto vero che altre
percorrenze interne all’abitato vennero sicuramente annullate o modiicate in una progressiva
rideinizione dell’assetto urbano in atto tra l’età punica e l’intera età romana. Cambiamento
e persistenza: il risultato è un assetto ampiamente irregolare che non deve apparire casuale o
caotico, ma come l’esito di un progressivo e motivato sviluppo urbano.
Il fenomeno appare particolarmente evidente nel settore orientale dell’abitato, dove totale fu
lo stravolgimento dell’organizzazione urbana precedente sopraggiunto con l’istituzione del
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Jacopo Bonetto, Andrea Raffaele Ghiotto
municipium. Nella seconda metà del I secolo a.C. l’area dei magazzini punici, attraversata da un
importante asse stradale con orientamento est-ovest, fu infatti interamente demolita e interrata
per consentire la realizzazione del complesso forense. Diversamente da quanto ipotizzato in
precedenza, il foro di Nora non si sovrappose quindi a una precedente piazza punica, anzi la
sua introduzione nell’assetto cittadino comportò il radicale cambiamento funzionale del setto-
re urbano di più remota origine nella storia insediativa norense, dal momento che esso appare
prevalentemente destinato allo svolgimento e alla celebrazione della vita politica e ammini-
strativa municipale. Diversamente, come confermeranno gli esiti monumentali di media età
imperiale, le principali funzioni commerciali vennero delegate al quartiere portuale che già da
tempo doveva essersi sviluppato lungo il versante nord-occidentale della penisola, applicando
così un moderno principio di specializzazione degli spazi urbani e determinando nel contempo
un’eccezione alla norma vitruviana che avrebbe voluto il foro delle città marittime nelle imme-
diate vicinanze del porto (Vitr., I, 7, 1). In altre parole, la costruzione del foro rappresentò per
Nora un intervento circoscritto dal punto di vista areale, ma straordinariamente innovativo sia
dal punto di vista urbanistico, per la revisione delle logiche di fruizione dello spazio urbano,
sia dal punto di vista architettonico, per il grandioso impatto monumentale dell’opera pubblica
rivolta scenograicamente verso il mare.
Di contro, secondo una recente lettura urbanistica, l’impianto di Carales sembra riferibile a un
piano programmatico unitario di concezione pienamente romana, riconducibile a un modello di
città regolare a maglia ortogonale applicato sul terreno con orientamento nord-ovest/sud-est.
Secondo quanto ricostruito nel settore del santuario di via Malta, è stato ipotizzato (in attesa
di conferma) che la presenza di dislivelli dettati dal forte condizionamento orograico sia stata
risolta ricorrendo a una successione sistematica di terrazzamenti paralleli tra loro, con orienta-
mento perpendicolare a quello degli assi prevalenti. Di fatto ignoti rimangono lo sviluppo del
perimetro murario e il suo rapporto con la viabilità interna; l’ubicazione delle necropoli offre
comunque un’idea suficientemente chiara dei limiti dell’area urbana.
In un centro di (ri)fondazione come questo, caratterizzato da una serie di elementi di chiara
matrice italica introdotti dalle componenti politiche e commerciali cittadine più in vista, la
programmazione non dovette però limitarsi all’applicazione sul terreno dello schema ideato
dagli urbanisti romani, ma venne evidentemente a comprendere anche la deinizione funzio-
nale preventiva delle aree pubbliche, sacre, abitative, commerciali e artigianali. In questo senso
vanno lette, ad esempio, l’ubicazione del complesso forense e di altri ediici pubblici nel settore
centrale (piazza del Carmine) nelle vicinanze del nuovo porto, la presenza di un ricco ed esteso
quartiere residenziale lungo l’odierno corso Vittorio Emanuele oppure la dislocazione delle
attività artigianali e commerciali nella zona orientale della città.
Meno conosciuto resta per questa fase l’impianto delle altre città romane dell’Isola, che comun-
que non avevano ancora raggiunto il loro massimo sviluppo. Analogamente a quanto osserva-
to per Nora, alcuni importanti centri a continuità di vita, come Sulci, Tharros e Olbia, rivelano il
coesistere di elementi introdotti dal nuovo ordinamento politico-amministrativo romano con
varie preesistenze di ascendenza punica; altri, come Bithia e Othoca, videro a quanto pare limita-
ta la loro crescita urbana; altri ancora, come Neapolis, Cornus (per la quale è stata ipotizzata una
localizzazione differenziata della città romana rispetto a quella punica) e Bosa, dovettero invece
attendere l’avanzata età imperiale. Tra le città di fondazione spicca il caso della colonia Iulia Turris
Libisonis (Porto Torres), di origine cesariana oppure ottavianea, che sembrerebbe aver gravitato
inizialmente sul tratto terminale del rio Mannu, secondo un modello deinito “porto-canale”,
per essere ben presto soggetta a una complessiva riorganizzazione urbanistica. Diversamente
Uselis (Usellus), che pure ebbe lo status di colonia, non sembra aver mai conosciuto un signii-
cativo sviluppo urbano, caratteristica questa che l’accomuna a vari centri nell’interno dell’Isola
quali ad esempio Valentia, Biora, Sorabile o Luguido.
All’età augustea e, più in generale, all’età giulio-claudia risale la prima grande fase di sviluppo
edilizio delle città sarde, favorita pur con qualche dificoltà dal clima di pace e di stabilità
politica garantito dalle istituzioni imperiali. Ciò si tradusse da un lato in una crescita econo-
mica e demograica e nel conseguente ampliamento dei centri abitati, dall’altro nel sensibile
incremento delle dotazioni monumentali e infrastrutturali e nella particolare cura rivolta al
decoro urbano. Fu questo, ad esempio, il periodo in cui Nora deinì l’aspetto del proprio
centro monumentale con la costruzione del teatro nelle vicinanze del foro, ma in realtà
questo lungo e felice periodo interessò nel loro complesso anche molte altre città dell’Isola,
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Le città della Sardegna in età romana
con l’eccezione di Tharros che sembra aver stentato a recepire le sollecitazioni del nuovo
sistema politico. L’esempio più eloquente è costituito dalla riorganizzazione – forse una
vera e propria riprogrammazione – urbanistica di Turris Libisonis, che fu attuata applicando
principi di regolarità dell’impianto, di funzionalizzazione degli spazi e di coerente eficienza
infrastrutturale (strade, ponte, porto, acquedotto); meno chiara resta invece la sua forma
urbana, per quanto concerne sia il perimetro murario sia l’organizzazione viaria. Ultima a
godere dei beneici del clima di generale benessere instauratosi in questa fase fu Sulci (la più
importante città dell’Isola assieme a Carales a detta di Strabone, V, 2, 7), che in età claudia
si riprese appieno dagli effetti negativi della pesante sanzione comminatale a suo tempo da
Cesare per l’appoggio fornito alla fazione ilopompeiana, divenendo municipium e realizzan-
do, tra l’altro, un complesso forense impreziosito da un pregevole ciclo statuario dedicato
alla famiglia imperiale.
Il fenomeno della monumentalizzazione e dello sviluppo delle città sarde proseguì nella se-
conda metà del I secolo d.C. – come ben documentato soprattutto ad Olbia – e nel corso del
II, con una serie di interventi che lasciano presagire sin d’ora una progressiva “quartierizza-
zione” della vita pubblica, a scapito dell’indiscusso ruolo centripeto svolto originariamente
dagli spazi forensi sotto l’aspetto funzionale prima ancora che topograico.
Tra le classi di ediici più in voga in questo periodo spiccano gli aniteatri, ubicati in conte-
sti suburbani o comunque marginali, e i sempre più diffusi impianti termali, che nelle città
dell’epoca venivano a svolgere il ruolo di nuovi poli di convergenza della vita pubblica.
Contestualmente proseguirono le opere di urbanizzazione, consistenti nella realizzazione di
infrastrutture essenziali quali strade, fognature e acquedotti, ma si veriicarono anche casi di
vero e proprio urbanesimo, come ben esempliicato dalla nascita di Forum Traiani (Fordon-
gianus) in corrispondenza di un preesistente insediamento termale-militare in riva al Tirso,
già noto con il nome di Aquae Ypsitanae. Il riconoscimento strategico, itinerario e commer-
ciale accordato a questo centro dalla politica traianea ne favorì lo sviluppo e la pianiicazione
secondo un modello urbano regolare, la cui deinizione si avvale oggi di dati sempre più
dettagliati. Anche in questo caso, grande rilevanza nel centro di nuova istituzione assunsero
tanto il complesso termale sorto – con la vicina piazza lastricata – in corrispondenza delle
locali sorgenti di acqua calda quanto l’aniteatro costruito all’esterno dell’abitato, servito
dall’apposito collegamento viario in direzione di Cagliari.
Con l’età severiana e per tutto il III secolo d.C. le città sarde non solo raggiunsero il loro
apice monumentale ma conobbero anche la loro massima crescita urbana, sviluppando ap-
pieno le linee di tendenza già in nuce nella fase precedente. Il fenomeno è molto evidente
in molti centri dell’Isola e ancor più si coglie in quelli meglio indagati nella loro estensione,
come Nora e Tharros.
Se dal punto di vista architettonico si rileva un intenso fervore edilizio, con la costruzione o
la ristrutturazione di numerosi ediici pubblici e privati, dal punto di vista urbanistico si as-
siste a una serie di interventi di vario tenore. Innanzitutto si registra un’ulteriore attenzione
agli aspetti infrastrutturali, per i quali si richiama ancora una volta il caso di Nora, la cui rete
stradale, provvista di fognature sottopavimentali e iancheggiata per lunghi tratti da portici,
fu interamente lastricata e raggiunse all’epoca la sua massima estensione. Netti appaiono,
come già ricordato, i condizionamenti ambientali (morfologici e costieri) e antropici (pree-
sistenze viarie e architettoniche di varie epoche), soprattutto nel settore centrale della città,
mentre alcuni tracciati più ampi e rettilinei caratterizzano il quartiere nord-occidentale e
quello meridionale. Non si tratta in ogni caso di un impianto stradale regolare incentrato su
due assi generatori ortogonali propri di molte città romane, quanto piuttosto dell’esito di un
progressivo sviluppo della rete viaria lungo una doppia percorrenza prettamente funzionale:
una est-ovest, dal quartiere portuale a quello forense; l’altra nord-sud, dal territorio verso il
centro cittadino, conforme alla forma allungata della penisola.
Simile appare la situazione della stessa Tharros, la cui viabilità dominante procede dall’entro-
terra attraverso la penisola assecondando l’andamento della linea di costa; sorprende per la
sua accentuata regolarità l’anomala presenza di due (se non tre) lunghe arterie rettilinee, tra
loro parallele e piuttosto ravvicinate, che risalgono lungo il versante meridionale del colle di
Su Muru Mannu enfatizzando l’orientamento prevalente dell’abitato.
In secondo luogo sempre Nora offre un chiaro esempio di pianiicazione urbana e di qualii-
cazione funzionale di un intero settore urbano, quello nord-occidentale, ideato ora secondo
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Jacopo Bonetto, Andrea Raffaele Ghiotto
una moderna concezione connessa con la vocazione commerciale dell’intera area gravitante
sull’insenatura portuale. La rete viaria, provvista di un semplice ma eficiente sistema di
scolo delle acque meteoriche, si articola qui in modo molto più regolare, in particolare per
quanto concerne la spaziosa strada rettilinea diretta al porto. In questo versante della peni-
sola, grazie anche all’adattamento artiiciale del pendio, venne creato non solo il più grande
complesso termale cittadino (“Terme a mare”), ma anche un ampio isolato scandito da
stretti vicoli trasversali e dotato di ediici commerciali e abitativi, concepiti secondo criteri di
regolarità e di modularità, quali il grande complesso polifunzionale (noto come “macellum/
horreum” o “insula A”) e il quartiere delle case-bottega, comprensivo di un altro piccolo im-
pianto balneare. Le differenze tra questo e gli altri settori urbani sono palesi.
Interventi monumentali di un certo respiro sono attestati anche sul inire del III e quindi nel
corso del IV secolo d.C.: alcuni di questi riguardarono secondo tradizione la sfera pubblica,
mentre altri, successivi all’editto costantiniano, segnarono l’avvio di una nuova edilizia sacra
cristiana destinata a connotare in forme del tutto inedite sia i centri abitati sia le aree subur-
bane, come avvenne ad esempio a Nora e a Tharros. Tuttavia la documentazione archeologi-
ca e le fonti epigraiche coeve testimoniano soprattutto il succedersi di numerosi interventi
di restauro, che sempre più frequentemente si rendevano necessari in contesti urbani segnati
dagli inesorabili effetti dell’incessante trascorrere del tempo. Il ben noto fenomeno della
“sopravvivenza urbana”, legato alla manutenzione e all’eficienza anche simbolica degli edi-
ici pubblici e delle principali infrastrutture cittadine, sembra perpetuarsi ino alla conquista
vandala dell’Isola nei decenni centrali del V secolo d.C. Saranno poi la crisi irreversibile
delle istituzioni imperiali, il disuso e l’abbandono di ediici, strade, fognature e acquedotti e
gli effetti della progressiva contrazione della vita urbana a segnare l’avvio di una lunga fase
di transizione degli antichi centri sardi verso le forme urbane affermatesi in età medievale.
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Le città della Sardegna in età romana
Fori e piazze
Già si è fatto cenno al complesso forense meglio noto dell’intera Isola. Si tratta del foro di Nora,
realizzato tra il 40 e il 20 a.C. nel settore centro-orientale della penisola su cui si sviluppava l’a-
bitato, sovrapponendosi a un precedente quartiere abitativo e commerciale di età punica appo-
sitamente demolito e interrato. Esso si compone di una grande piazza lastricata (34 x 44,2 m),
deinita sui lati lunghi e forse su quello breve meridionale da due o da tre portici e conclusa sul
lato breve settentrionale da un tempio sorto in corrispondenza di un precedente ediicio sacro.
Alle spalle del portico orientale trovava posto la basilica civile, funzionale soprattutto all’ammi-
nistrazione della giustizia, mentre su quello opposto occidentale si apriva la curia, pavimentata
in opus sectile, sede del senato cittadino. Al centro e ai lati della piazza si disponevano varie basi
di statue e di altri monumenti onorari. Interamente perduta a causa dell’azione erosiva del mare
è la porzione meridionale del complesso, ad eccezione del muro di chiusura ancora conservato
in fondazione lungo l’attuale linea di battigia. Il foro, sul quale gravitava la vita politica e sociale
della comunità norense, costituiva il principale complesso pubblico cittadino e consentiva lo
svolgimento delle molteplici funzioni previste dall’ordinamento municipale da poco consegui-
to. Trascorsi circa due secoli dalla sua costruzione, tra la ine del II e i primi decenni del III
secolo d.C. l’intero complesso forense fu sottoposto a un’intensa attività di potenziamento ar-
chitettonico, che comportò l’ampliamento della piazza, il restauro della basilica e la costruzione
di due archi di accesso da nord-est e da nord-ovest. Il foro, ristrutturato anche nel corso del
IV e all’inizio del V secolo d.C., rimase in uso ino al collasso delle istituzioni cittadine soprag-
giunto con la conquista vandala.
Probabili resti di aree e di strutture forensi, datati rispettivamente all’età claudia e a quella lavia,
sono stati individuati anche a Sant’Antioco (area del Cronicario) e ad Olbia, in corrispondenza
del principale ingresso in città provenendo dal porto. Rimane invece ipotetica la localizzazione
del foro di Turris Libisonis presso il cosiddetto “Peristilio Pallottino”. Inine una vasta piazza
lastricata si estende a monte del complesso termale di Fordongianus.
Ediici sacri
Piuttosto vario è il panorama dei templi e dei santuari presenti nelle città sarde. In molti casi si
assiste infatti a una prolungata continuità di frequentazione di aree e di ediici di culto di origine
punica, in altri all’introduzione di forme proprie dell’architettura sacra di tradizione romana.
Tra gli esempi riferibili alla seconda categoria rientra senza dubbio il santuario di via Malta a
Cagliari. Si tratta di un complesso sacro su terrazze, le cui caratteristiche planimetriche e archi-
tettoniche rimandano direttamente a quelle del santuario di Giunone a Gabii, nel Lazio. Il com-
plesso cagliaritano occupa un’ampia supericie delimitata da un recinto in muratura (120 x 43 m)
e osserva un orientamento conforme a quello del pendio collinare. Lungo lo stesso asse si di-
spongono la poderosa platea di fondazione (15,75 x 10,75 m) di un tempio tetrastilo, con un’im-
ponente scalinata di accesso e, più a valle, una cavea teatroide composta da tredici ile di gradoni
curvilinei. Tra le parti che compongono il complesso santuariale, meglio nota è quella superiore.
L’ediicio sacro risulta afiancato lateralmente da uno spazio aperto, tenuto a giardino, terrazzato
per mezzo di due muri curvilinei collegati alla scalinata templare. Inoltre è probabile che l’intero
settore situato più a monte fosse delimitato da un triportico. Databile alla seconda metà o alla
ine del II secolo a.C., il complesso sacro di via Malta a Cagliari sembra trovare un confronto
tipologico in Sardegna nel meno conosciuto santuario tardorepubblicano sul colle del Fortino
di Sant’Antioco (Sulci), comprensivo di un tempio a pianta periptera sine postico originariamente
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Jacopo Bonetto, Andrea Raffaele Ghiotto
raggiungibile mediante una rampa d’accesso estesa lungo il pendio orientale del rilievo.
Se l’innovatività delle soluzioni adottate in questi due santuari appare strettamente legata
alle politiche attuate da Roma in Sardegna dopo l’istituzione della provincia, altri ediici sacri
presenti nelle città dell’Isola manifestano piuttosto i segni di un certo conservatorismo
architettonico o, per meglio dire, di una sorta di ibridazione di modelli punici e romani.
Tali segni, ravvisabili già nel tempietto distilo di Tharros (“Tempietto K”), risalente alla se-
conda metà del II secolo a.C. o all’inizio del successivo, appaiono in tutta la loro evidenza
nel tempio del foro di Nora (40-20 a.C.), signiicativamente sovrapposto a un precedente
ediicio sacro. Oltre all’applicazione di un sistema metrico di tradizione punica in fase
progettuale, questo tempio rivela l’adozione di alcune caratteristiche ereditate dalla stessa
cultura architettonica, come l’inserimento della struttura all’interno di un recinto e la mo-
desta elevazione su un basso podio (0,7 m). Altri aspetti, come la probabile pianta tetrastila
con ante estese ino a metà pronao, le dimensioni (9,6 x 18,4 m), le proporzioni e la pavi-
mentazione in cementizio, appaiono invece più propriamente compatibili con i caratteri
dell’edilizia sacra romana di età tardorepubblicana. In questo quadro così composito si in-
serisce anche la particolare bipartizione del pronao con il conseguente doppio accesso alla
cella, che sembra trovare confronto in Sardegna nel quasi coevo Tempio B del Santuario
di Melqart/Ercole ad Olbia.
Se a Tharros non mancano gli interventi di rifacimento di ediici sacri più antichi (Tempio
delle semicolonne doriche, Tempio a corte), peraltro poco distinguibili nelle loro forme
assunte in età romana, è ancora Nora ad offrire un esempio di tempio particolarmente ben
conservato. Si tratta del cosiddetto “Tempio romano”, datato dopo il 230 d.C. Sorto su un
precedente ediicio sacro, esso risulta inserito all’interno di un’area delimitata da un recinto
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Le città della Sardegna in età romana
in muratura, accessibile dal portico che iancheggia il lato settentrionale della strada che
risale dal foro. All’interno del recinto una breve gradinata frontale, interrotta al centro da
un altare, conduce al pronao esastilo e quindi alla cella a pianta quasi quadrata, conclusa
sul fondo dall’angusto vano del penetrale, dotato di due ingressi. Esternamente le pareti
laterali della cella erano scandite da semicolonne. Sempre all’interno del recinto sacro, il
corridoio scoperto che si sviluppa parallelamente alla cella permette di raggiungere tre vani
allineati, in qualche modo connessi con le pratiche religiose. Nella stessa Nora, alla fase di
sviluppo monumentale avviata nel corso della media età imperiale risale la riediicazione
del santuario di Esculapio (il punico Eshmun) all’estremità del promontorio di Sa Punta
‘e su Coloru (“la punta del serpente”), sviluppatosi in corrispondenza di un’area sacra di
remota origine punica e già interessato da una signiicativa fase di frequentazione nel corso
del II secolo a.C.
Inine si deve ricordare la precoce introduzione in Sardegna del culto imperiale, al quale
erano dedicati cicli statuari nel contesto dei fori cittadini, come proposto per Sulci, o in
appositi Augustea, uno dei quali sembra essere attestato per via epigraica a Bosa (CIL X
7939). Al culto imperiale era probabilmente dedicato lo stesso “Tempio romano” di Nora.
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Jacopo Bonetto, Andrea Raffaele Ghiotto
ormai destinato ad usi ben diversi rispetto a quelli teatrali, sono stati riferiti i grandi orci in
terracotta posti all’interno dell’iposcenio, già interpretati come vasi risuonatori.
Ben più numerose sono invece le testimonianze relative agli aniteatri, attestati a Cagliari,
Nora, Sant’Antioco, Tharros e Fordongianus. Tra questi l’ediicio più monumentale è sicu-
ramente quello cagliaritano, realizzato nella Valle di Palabanda incidendo il pendio in roccia
calcarea e integrando in muratura la porzione rimanente. Nel settore costruito in alzato la
struttura fu smantellata dopo l’età antica sino al livello delle fondazioni. L’aniteatro, ca-
pace di contenere quasi 12.300 spettatori, misura complessivamente 92,8 x 79,2 m; l’arena
46,2 x 31 m. Alle estremità si trovano due aperture, ma soltanto quella sud-occidentale,
realizzata in muratura e rivolta a valle verso l’abitato, era realmente accessibile dall’esterno.
Il muro del podio, originariamente dotato di un parapetto di protezione, è notevolmente
rialzato rispetto alla supericie dell’arena (h. m 2,8). La cavea si sviluppa su tre maeniana.
Piuttosto articolata è anche la parte ipogea della struttura, sia sotto il piano dell’arena, dove
si aprono un’ampia fossa centrale e due fosse minori laterali originariamente coperte da
tavolati, sia nei passaggi, nei corridoi e negli ambienti di servizio ricavati nella roccia. La
costruzione dell’aniteatro cagliaritano è stata attribuita con discreta afidabilità alla tarda
età lavia.
Meno imponenti, sia sotto l’aspetto dimensionale sia sotto l’aspetto architettonico, sono
invece gli altri ediici aniteatrali attestati nell’Isola. Grazie a recenti indagini di scavo che
ne hanno deinito le dimensioni, le caratteristiche tecniche e la scansione in due fasi co-
struttive, è oggi meglio conosciuta la struttura in muratura dell’aniteatro di Forum Traiani,
per il quale è stata proposta un’origine militare. Poco noti, probabilmente perché realizzati
con l’ampio impiego di legno e di altri materiali deperibili, sono i due aniteatri di Nora e di
Sulci. Tra tutti si distingue inine quello di Tharros, caratterizzato da una particolare pianta
Nora, “Terme a mare”. subcircolare, che trova comunque confronto nel mondo romano.
54
Le città della Sardegna in età romana
Impianti termali
Tra le classi di ediici più frequenti in quasi tutte le città sarde vi è sicuramente quella
degli impianti termali, diffusisi nel corso dell’età imperiale sino a diventare un punto di
riferimento per la vita sociale dei quartieri urbani, in cui essi appaiono omogeneamente
distribuiti. Se si eccettua il complesso termale delle Aquae Ypsitanae di Fordongianus, sulla
riva del Tirso, che sfrutta le naturali scaturigini di acqua calda, gli altri impianti presenti
nei centri abitati dell’Isola erano riforniti prevalentemente dagli acquedotti, che garanti-
vano il necessario approvvigionamento idrico.
Dal punto di vista planimetrico e funzionale gli ediici balneari sardi rientrano nelle con-
suete caratteristiche dell’architettura termale romana. Sotto l’aspetto dimensionale si di-
stinguono per la loro imponenza i grandi complessi di Nora (“Terme a mare”) e di Turris
Libisonis (Terme centrali), caratterizzati da percorsi di fruizione “anulari”, che raggiungo-
no la supericie di oltre 2000 mq. Più comuni sono invece gli impianti di medie e piccole
dimensioni, con percorsi di fruizione “rettilinei”. Diversi episodi di restauro apportati tra
il III e la metà del V secolo d.C. attestano l’ininterrotta fortuna di questo genere di ediici
ino alla tarda antichità.
j. B.
55
Jacopo Bonetto, Andrea Raffaele Ghiotto
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56
Città e territorio, vici, pagi, stationes
Giampiero Pianu
Nel 238 a.C. i Romani, con un pretesto molto dubbio sul piano dello stesso ius latino, sottrag-
gono il possesso della Sardegna ai Cartaginesi. Addirittura l’Isola diviene subito dopo, nel 227
a.C., insieme alla vicina Corsica, una provincia romana. Questo fatto, apparentemente, non ge-
nerò conlitti importanti nelle città dell’Isola. Gli scavi nei vari centri abitati di Karales (Cagliari),
Nora, Tharros, Sulci (Sant’Antioco) non presentano tracce speciiche di un evento che invece
avrebbe potuto generare notevole caos. Si notano solo piccoli cambiamenti che avvennero tra
l’altro qualche tempo dopo la conquista, come la costruzione del foro e di nuovi templi, ad
esempio a Nora e Olbia. Si è spiegato questo fenomeno sulla base di un (presunto) “antico”
risentimento delle città di fondazione fenicia contro i Cartaginesi, che non avrebbero rispettato
vecchi patti di non aggressione e soprattutto avrebbero imposto tasse e gabelle eccessive. É
assai più probabile che il cambio politico sia semplicemente avvenuto grazie alla cooptazio-
ne di larghi strati dell’aristocrazia punica, agevolata da un partito “romano” già ben radicato
nell’Isola prima della data della conquista. É nota infatti la presenza a Cagliari ed in altre zone
sarde di negotiatores italici in epoche antecedenti alla conquista, che avrebbero intessuto rapporti
economici con il ceto dirigente punico e favorito la fusione fra le due etnie.
Per quel che ne sappiamo soltanto a Cornus si veriicò, nel 215 a.C., una rivolta, dovuta ad un
certo Ampsicora, un ricco latifondista “sardo-punico” (concetto etnico di dubbia valenza, pe-
raltro molto caro agli studiosi moderni), legato “politicamente” a Cartagine. In realtà si trattò
semplicemente di un personaggio che vedeva nella conservazione degli antichi rapporti di
forza l’unica possibilità per mantenere intatte le proprie ricchezze. Egli così richiese un aiuto
a Cartagine, che fu concesso in misura ridotta e soprattutto arrivò tardi, ma in particolare as-
soldò un esercito andando a cercare mercenari anche fra i “sardi pelliti” delle montagne, per
difendere i suoi possedimenti e non certo in funzione di un malinteso “patriottismo isolano”,
di una difesa della “libertà” e della “identità” dei Sardi, come oggi favoleggia una becera politica
falsamente indipendentista. Ampsicora era solo un sardo asservito a Cartagine che riiutava un
diverso asservimento, che anelava alla “sua libertà” (non certo a quella dei Sardi). La sconitta
di Ampsicora segna dunque solo la sua sconitta personale e dei suoi presunti “alleati indigeni”
(a pagamento).
In realtà per molti anni, o meglio per qualche secolo, soprattutto le popolazioni dell’interno
della zona del Nuorese, che una nota iscrizione purtroppo perduta identiica nelle Civitates
Barbariae, diedero notevole fastidio ai nuovi “padroni”, con rivolte e ribellioni che possiamo
però pensare fossero, probabilmente, semplici azioni di guerriglia, ruberie e saccheggio, sicu-
ramente dificili da combattere per un esercito strutturato com’era quello romano. Di queste
“ribellioni” o “scorrerie”, che peraltro non possiamo escludere siano avvenute anche durante
il dominio punico, siamo ben informati dalle fonti letterarie latine, come ad esempio Livio,
ma in particolare dal testo epigraico noto come i “Fasti Capitolini” che attestano numerosi
“trioni sui Sardi” celebrati da vari consoli e generali Romani per tutto il periodo repubblicano.
Vista la ripetitività di tali “trioni” possiamo pensare che si sia trattato di spedizioni conclusesi
con la scoperta di qualche covo e con il massacro di un certo numero di pastori, utilizzando
la consuetudine di questi ultimi di riunirsi a festeggiare con abbondanti libagioni dopo le varie
scorribande. Questi “trioni” celebrati a Roma non furono di fatto conclusivi, almeno ino alla
prima età imperiale, anzi si può pensare che spesso si trattò, forse, di vanagloria di alcuni di
questi magistrati.
Un testo epigraico importante, come la tavola di Esterzili, ci testimonia quale fosse il teno-
re di queste ribellioni. Nell’epigrafe, del 69 d.C., i Romani si fanno garanti della “pace” fra i
Gallilenses ed i Patulcenses Campani. Si tratta di due popolazioni non altrimenti note, ma è chiaro
che la prima, composta da pastori, abitava le zone montuose, mentre la seconda, verosimil-
mente agricoltori, quelle pianeggianti a ridosso del Sarcidano-Gerrei e della Barbagia di Seulo.
I Gallilenses facevano spesso razzie in pianura, perpetuando il perenne conlitto fra pastori ed
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Giampiero Pianu
agricoltori esistente già dalla creazione dell’uomo, si pensi solo al conlitto biblico fra Caino e
Abele. I Romani garantivano la sicurezza dei contadini, ma la tavola ci attesta solo il momento
della pace, che probabilmente, nonostante le promesse, non dovette essere duratura.
Quel che appare certo è che i Romani non si limitarono, presumibilmente in dai primi anni
del loro dominio, ad occupare le terre che erano state dei Cartaginesi, ossia le pianure e i siti
collinari del Campidano di Cagliari, dell’Oristanese e del Sulcis. Essi arrivarono ad estendere il
loro dominio in nelle Barbagie, dove il rapporto con i punici era stato ino a quel momento
solo di qualche piccolo scambio di oggetti e dove viveva una popolazione che era la diretta di-
scendente del mondo nuragico. Una società basata ancora su antichi sistemi di vita, un mondo
agro-pastorale, che viveva in villaggi più o meno grandi, che non conosceva ancora la scrittura
né la struttura della “polis”, ossia della città.
Ciò che appare decisamente nuovo, rispetto alle epoche precedenti, è proprio il sistema di
occupazione delle campagne che Roma adottò nell’Isola. Purtroppo poco o niente sappiamo
del sistema di vita nel territorio rurale dell’Isola per l’epoca fenicia e punica. Gli studi in questo
settore sono ancora agli inizi, per cui è dificile spesso capire la vera entità delle novità apporta-
te da Roma. La presenza romana si incentrò da subito su un rigido controllo del territorio, sia
dal punto di vista militare sia, ovviamente, da quello iscale, lasciando invece ampia autonomia,
o addirittura ampia “libertà”, in tanti altri settori.
Una delle chiavi di volta di questo controllo del territorio fu sicuramente la realizzazione di una
ittissima rete stradale. Si può discutere se le strade romane in Sardegna siano state realizzate
contemporaneamente, secondo uno straordinario piano unitario, cosa che appare abbastanza
improbabile. Di sicuro sappiamo però che in da pochi anni dopo la conquista esistono miliari,
come quello ritrovato vicino a Cuglieri, che attestano l’esistenza delle strade e, soprattutto la
loro cura e manutenzione. Come ben sappiamo, costruire un ponte o una strada, opera pur
impegnativa, è cosa relativamente “facile”, è ben più dificile, soprattutto in termini economici,
mantenerli in eficienza. E la rete viaria romana fu mantenuta in perfetta eficienza, con con-
tinui interventi di manutenzione come dimostrano i numerosi miliari, ino alla tarda antichità.
Forse anche oltre, almeno in parte, visto che essa con i suoi ponti e le sue strade, è stata così
capillare, così vasta e così importante, che ha costituito la base di gran parte della rete viaria
sarda ino agli anni Cinquanta del secolo scorso, che di fatto la ricalcava.
Le fonti letterarie, in particolare l’Itinerarium Antonini, un’opera risalente probabilmente al III
secolo d.C. e che trattava delle strade dell’impero di Roma, testimonia per la Sardegna, a grandi
linee, l’esistenza di quattro grandi strade, due litoranee lungo le coste occidentale ed orientale e
due interne. Nel nord dell’Isola le strade partivano da Tibula o Portus Tibulae, entrambe d’incerta
identiicazione ancora oggi (forse Castelsardo? o Santa Teresa di Gallura?), ed in realtà non si
sa nemmeno se si tratti della stessa località, se cioè Portus Tibulae abbia a che fare geograica-
mente con Tibula. Esse però arrivavano tutte a Karales. L’Itinerarium in realtà ce le presenta con
un maggior numero di segmenti, ma il risultato è appunto quello descritto. Proprio il fatto che
la città capolinea a nord non sia Turris Libisonis, odierna Porto Torres, colonia romana fondata
verosimilmente da Cesare nel 46 a.C. che diventerà dopo la sua fondazione il centro principale
della Sardegna settentrionale, dimostra l’antichità di questi percorsi, che erano dunque in uso
in dall’epoca repubblicana.
D’altra parte gli stessi percorsi sono poi attestati, direttamente, dalle pietre miliarie, che testi-
moniano spesso gli interventi di rifacimento e di manutenzione. Nei miliari invece proprio la
città di Turris è attestata come caput viae di almeno una delle strade centrali mentre per la parte
meridionale anche i miliari indicano Karales come unico centro principale.
La strada centrale che andava da Turris a Karales ripercorre di fatto la attuale SS 131. In epoca
romana essa andava ad innestarsi, quasi sicuramente nell’altipiano di Campeda, fra Bonorva
e Macomer, con la strada che da Ulbiam (Olbia) portava appunto a Karales. Nella zona di Bo-
norva infatti sono attestati miliari pertinenti ad entrambe le strade. Questa strada, prima di
arrivare a Karales, toccava Macopsisa (Macomer), le Aquae Lesitane (Abbasanta), Forum Traiani
(Fordongianus), Othoca (Santa Giusta), Decimo (Decimomannu). Ma da Ulbiam a Karales esisteva
anche un’altra strada, più diretta ma più tortuosa e “dificile”, che attraversava proprio i mon-
tuosi territori della Barbagia. La distanza fra le stationes di questa seconda strada è decisamente
maggiore e testimonia un territorio non molto popolato, con pochi centri che dovevano avere
essenzialmente un’importanza militare. Infatti, dopo Ulbiam sono attestate le stazioni di Caput
Tirsi (Benetutti), Sorabile (Fonni), Biora (Serri), Valentia (Nuragus) prima di arrivare a Cagliari.
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Città e territorio, vici, pagi, stationes
La testimonianza dell’Itinerarium Antonini deve però essere presa come una generica griglia, non
come qualcosa di deinito e assoluto, come spesso è accaduto in epoca recente. I recenti scavi
condotti nella località di Sant’Eis, nei pressi di Orune, ci attestano l’esistenza di un abitato
romano di dimensioni non irrilevanti, in vita sicuramente ai tempi della stesura dell’itinerario,
ma da esso non registrato.
Allo stesso modo la ricerca, purtroppo ancora agli inizi, sui tracciati stradali rilevabili sul terre-
no ci porta alla certezza che i percorsi dovevano essere decisamente più articolati. Essi preve-
devano dei diverticula, cioè dei tratti secondari che raggiungevano anche centri minori, talvolta
singole fattorie. Queste osservazioni sono integrabili con lo studio dei ponti romani, che oggi
richiede un aggiornamento del pur magistrale libro di Foiso Fois, e portano a postulare più
che a ipotizzare, altri percorsi, non registrati delle fonti, come quello lungo la vallata del iu-
me Temo, da Gurulis (odierna Padria) a Bosa, o quello lungo la vallata del Tirso, da Fonni ad
Abbasanta, o ancora quello che da Karales doveva portare al Sardopatoris Fanum (Antas) e poi a
Neapolis (Guspini) solo per citare i principali.
La capillarità della rete viaria romana ci consente di affermare che tutto il territorio della Sar-
degna fu raggiunto ed occupato. É ovvio che questa rete viaria abbia ricalcato antichi tracciati,
risalenti verosimilmente alle prime presenze umane nell’Isola, ma la novità introdotta da Roma
fu la gestione ed il controllo di questi percorsi. Naturalmente ciò avvenne non con l’inserimen-
to isico di cittadini o soldati romani nella struttura sociale degli abitati, ma attraverso sistemi di
alleanze e cooptazione con famiglie del luogo. Le truppe servivano solo per mantenere l’ordine
e per reprimere eventuali ribellioni. Oltre che per garantire le entrate iscali, cosa fondamentale
per Roma. E le strade servivano proprio per favorire la rapidità di eventuali spostamenti di
truppe, oltre ad un buon funzionamento del sistema postale, ed allo spostamento delle merci
verso le città e i porti d’imbarco.
I Romani, come detto, non fondarono nell’Isola nuove città, se si eccettua appunto la colonia
di Turris Libisonis odierna Porto Torres. Il titolo di “Colonia Iulia” attribuito a Turris ci conferma
che la sua fondazione fu di età cesariana (46 a.C.) o eventualmente di qualche anno posteriore
e quindi al massimo di età augustea. Ma Turris Libisonis non può certo essere deinita colonia
militare, nata cioè per scopi difensivi. Essa era una colonia di popolamento, legata alla neces-
sità di dare sfogo alla richiesta di terre da parte di soldati che ben avevano meritato nelle varie
campagne militari. Turris, con le zone di pianura circostanti della Nurra, divenne dunque un
importante centro agricolo nonché un essenziale porto per l’esportazione dei cereali, come
dimostra, in età imperiale, il mosaico dei Naviculari Turritani presente nel Piazzale delle Corpo-
razioni ad Ostia. In questa zona, nelle immediate adiacenze del teatro ostiense, sono presenti
numerosi mosaici dedicati dai mercanti di varie città dell’impero, che avevano grandi interessi
negli scambi commerciali con Roma. Per la Sardegna sono attestate solo le corporazioni di
Karales e di Turris appunto.
I ceti dominanti romani dunque non ricorsero, per instaurare il loro dominio sulla Sardegna,
all’istituto della “colonia”. Si preoccuparono invece di “romanizzare” le città di origine fenicia
e punica che già esistevano. Magari mantenendo in piedi vecchi incarichi, come l’eforato, equi-
parandolo ai duoviri nei documenti uficiali, o concedendo il titolo di municipium ad alcune delle
città puniche. Purtroppo ci mancano ancora molti dettagli di questa conquista, che gli studi
storico-epigraici stanno scandagliando e che gli scavi stanno pian piano mettendo in luce.
Ed anche dal punto di vista delle variazioni e del rinnovamento edilizio, che pure dovette aver
luogo (a Nora la creazione del foro ed il cambiamento politico della città è ben visibile anche
se gli interventi architettonici appaiono essere di qualche secolo posteriori alla conquista), non
sembrano esserci novità di particolare rilievo.
Nelle campagne, invece, il cambiamento assunse una connotazione decisamente più forte. Il
Campidano, la vasta pianura che si estende da Cagliari ad Oristano e che costituisce la zona
agricola più importante e fruttuosa dell’Isola, fu occupata da numerosi stanziamenti, spesso di
piccola entità, che noi oggi chiamiamo comunemente “ville”. In realtà il termine è improprio
se confrontato col gigantesco fenomeno delle “villae” padronali che si sviluppò nell’Italia cen-
trale fra il II secolo a.C. ed il II secolo d.C. In Sardegna infatti quelle che noi chiamiamo “ville”
appartengono in genere ad un’epoca successiva, al III-IV secolo d.C., allorché il “sistema villa”
in Italia era ormai entrato in crisi irreversibile. Le così dette ville in Sardegna sono in genere
attestate archeologicamente dalla presenza di piccoli ediici termali che dovrebbero presuppor-
re poi una “pars dominica” ed una “pars rustica”, che in realtà non sono di fatto mai attestate. In
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Giampiero Pianu
due casi, quando si è scavato in maniera seria ed estensiva, come a Is Bangius di Marrubiu e
a San Cromazio di Villa Speciosa, le terme sono risultate nel primo caso essere un Praetorium,
cioè un luogo legato alla presenza di truppe, e nell’altro un piccolo vicus, che ha svolto con ogni
probabilità anche il ruolo di mansio, ossia di stazione di posta.
Se noi andiamo a vedere la dislocazione sul terreno delle così dette ville, quale appare dallo stu-
dio effettuato qualche anno fa da Giuseppe Nieddu e Consuelo Cossu, troviamo che esse sono
fondamentalmente disposte lungo le principali direttrici stradali, per cui paiono svolgere una
doppia funzione: quella legata allo sfruttamento agricolo del terreno e quella relativa al control-
lo della viabilità, magari anche con funzioni di supporto (stazioni di posta, bagni). Ma alla luce
di studi più approfonditi sul territorio, come nei casi delle ricerche effettuate nell’Oristanese da
Alfonso Stiglitz e da Stefania Atzori, e nel Guspinese da Peter Van Dommelen, ci accorgiamo
che l’occupazione del territorio è decisamente più capillare. Così gli insediamenti con le picco-
le strutture termali risultano numericamente molto inferiori ad altri stanziamenti, ancora più
piccoli, talvolta costituiti da una o due abitazioni (fattorie), attestate spesso solo da “campi di
cocci” o da ristrettissime necropoli. Non abbiamo elementi per chiamare questi abitati vici, pagi
o altro, in mancanza di attestazioni epigraiche in merito, ma è certa la loro esistenza.
Questo modello insediativo deriva forse, come sostiene proprio Alfonso Stiglitz, da un pre-
cedente tessuto di epoca punica, ma in periodo romano esso diventa decisamente più consi-
stente. L’aggiunta degli ediici termali, normalmente successiva all’impianto dell’insediamento,
riguarda un numero molto piccolo di casi. Ma la loro collocazione lungo le strade che potrem-
mo deinire di “grande importanza” ci porta a pensare che essi fossero funzionali al ruolo di
stationes assunto da questi abitati, inteso anche come luoghi di sosta e di riposo, cioè di mansiones.
Nel resto della Sardegna in particolare nelle zone settentrionali, centrali ed orientali dell’Isola, il
fenomeno delle così dette villae è decisamente meno attestato. Se si esclude la presenza di “ville
marittime”, ossia di dimore lussuose lungo le coste, legate ai possedimenti e al lusso di qualche
importante e facoltoso personaggio, di cui peraltro non conosciamo mai il nome, notiamo che
gli stanziamenti rurali con annesse terme sono decisamente meno frequenti. Ma la presenza
romana è di fatto attestata in tutti gli insediamenti che in gergo tecnico vengono deiniti “nura-
gici”. In realtà secondo l’attuale “scienza archeologica” si dovrebbe smettere di usare il termine
“nuragico” per le presenze umane successive all’VIII-VII secolo a.C., quando venne meno la
spinta propulsiva di una civiltà che aveva occupato, con le sue torri ed i suoi villaggi, tutta l’I-
sola, prima civiltà veramente regionale. Secondo altri addirittura bisognerebbe limitare questo
termine a qualche secolo prima, magari il XIII-XII secolo a.C., quando si smise di costruire
le grandi torri. Questi sono però soltanto sottili bizantinismi della scienza moderna, perché
il mancato uso del termine nuragico non spiega cosa è successo, al momento della conquista
punica prima, e romana poi, nei siti precedentemente di civiltà nuragica e che ine abbiano fatto
i loro abitanti. Poiché agli studiosi è sembrato brutto chiamarli i “post-nuragici”, oggi si dei-
niscono questi centri semplicemente “sardi”, dimenticando che storicamente, per arrivare ad
avere una deinizione di sardità, queste popolazioni post-nuragiche “mancano” ancora di alcu-
ne dominazioni importanti, come ad esempio quella vandalica, quella bizantina, quella pisana,
genovese, aragonese, sabauda e chi vuole può aggiungere quelle che ho dimenticato. Perché in
fatto di dominazioni straniere l’Isola non è seconda a nessuno.
Giovanni Lilliu, nel 1989, quantiicava in poche decine il numero di villaggi “nuragici” del
centro e del nord Sardegna che presentavano negli strati supericiali attestazioni di materiale
romano. Oggi, con l’afinamento della ricerca, o per meglio dire con la “necessità scientiica”
(oggi comprovata, ma in anni anche recenti debitamente ignorata) di conservare tutte le at-
testazioni di valore archeologico rinvenute durante gli scavi, si è notato che non c’è di fatto,
credo con pochissime eccezioni, alcun villaggio nuragico che non restituisca cocci di epoca e di
fattura romana. Questi cocci, come dimostrano i più recenti scavi, sono in buona parte di età
tardoimperiale, ma non mancano attestazioni risalenti ad epoca repubblicana, ossia al periodo
immediatamente successivo alla conquista. Questi reperti romani, che comunemente vengono
chiamati di supericie ed attribuiti ai momenti più tardi dei vari siti, talvolta semplicemente a
strati di abbandono, se venissero studiati in maniera più accurata ci attesterebbero invece im-
portanti fasi della vita dei vari villaggi.
Un esempio lampante è quello relativo al villaggio di Santu Antine di Torralba, dove abbiamo
documentate profonde trasformazioni strutturali a partire dal III secolo a.C., con la rioccupa-
zione di antiche capanne risalenti all’età del Bronzo, ma anche con l’inserimento in quel tessuto
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Città e territorio, vici, pagi, stationes
urbanistico di nuove costruzioni che determinano una importante variazione sia delle strutture
abitative, sia dell’organizzazione generale della vita del villaggio. Poi, in epoca imperiale, addirit-
tura ci fu la creazione di un impianto produttivo, quello che Antonio Taramelli deinì appunto
una “villa”, destinato alla raccolta dei prodotti agricoli della zona pianeggiante circostante.
La variazione delle attestazioni della cultura materiale, in particolare quella ceramica, non signi-
ica, ovviamente, che tutti questi villaggi siano stati occupati da genti di stirpe e tradizione lati-
na. Signiica molto più semplicemente che le stesse popolazioni che abitavano i villaggi nuragici
arrivano ad utilizzare la nuova cultura materiale romana, e con essa, aggiungo, le nuove idee
ed i nuovi modi di vita, che in maniera lenta ma inesorabile, giungono poco a poco nell’intera
Isola. La romanizzazione della Sardegna si può riassumere in questi fatti, nell’aver raggiunto, in
maniera capillare, l’intero territorio regionale, romanizzando anche i più reconditi centri abitati
nel mezzo delle montagne. Questo è potuto avvenire soltanto grazie appunto alla vastissima
rete di vie di comunicazione, che non ha riguardato solo le grandi strade citate nell’Itinerariuman
Antonini, ma tanti piccoli “sentieri” che la più accurata ricerca archeologica sta oggi mettendo
in evidenza dappertutto. E poiché le torri e poi i villaggi nuragici segnavano in maniera molto
netta le varie vie di comunicazione già a partire dal II millennio a.C., i romani hanno sempli-
cemente fatto in modo che gli stessi centri segnassero e servissero anche la propria rete viaria.
Non è certo irrilevante notare che il nuraghe e villaggio di Santu Antine di Torralba, ad esem-
pio, sorge lungo la strada che da Karalis portava a Turris per cui è verosimile ipotizzare anche
per esso una funzione di stazione di posta. Anche questi villaggi ex-nuragici svolsero dunque il
ruolo di vici, pagi o stationes come i poveri abitati del Campidano.
La tradizione storica, dal Pais in poi, ha sempre visto in Sardegna la presenza di grandi latifondi,
molti dei quali in possesso della stessa casa imperiale. In realtà i latifondi imperiali ci furono,
in varie zone dell’Isola, soprattutto nel nord, ma poco sappiamo di come questi latifondi fos-
sero in realtà gestiti. Quando si parla di latifondi si pensa in genere a grandi distese coltivate in
maniera estensiva a grano oppure abbandonate, magari utilizzate a pascolo più o meno brado.
Forse dobbiamo abituarci a pensare a qualcosa di diverso. Forse in questi territori sconinati
continuavano a vivere e lavorare, e non necessariamente in forme di vita di tipo schiavile, le
popolazioni che già li occupavano nelle epoche precedenti. Gli studi in questo senso sono
solo agli inizi, soprattutto quelli di tipo archeologico, e possiamo attenderci notevoli sviluppi
e chiarimenti.
Roma, quando conquistò la Sardegna, aveva bisogno sostanzialmente di grano, che natural-
mente otteneva attraverso imposte sui produttori più o meno vessatorie. È molto probabile
che anche in epoca romana sia stato mantenuto il sistema della monocultura cerealicola, che
era stato codiicato da una legge di età punica, tramandataci dallo Pseudo Aristotele, secon-
do cui tutti gli alberi da frutto nell’Isola dovevano essere abbattuti e veniva fatto divieto ai
proprietari terrieri di piantarne di altri, pena pesantissime sanzioni, non solo economiche. Ve-
rosimilmente per coltivare queste terre a grano. Questa notizia è stata spesso confutata dagli
studiosi di archeologia fenicio-punica perché ritenuta illogica e contraria al buon senso ed alla
buona disposizione dei Punici nei riguardi delle genti dell’Isola. Ma in questo “buonismo” non
bisogna dimenticare che anche quella punica era una dominazione coloniale e che anche Car-
tagine aveva bisogno di grano, magari per lasciare alle terre attorno alle città africane le colture
più pregiate, come sappiamo dalle fonti antiche. Roma dovette approittare di tale situazione
e la Sardegna divenne per qualche secolo, ino in particolare alla conquista dell’Egitto, uno dei
granai più importanti per la capitale. Sappiamo dalle fonti storiche, in particolare da Tito Livio
e Polibio, che più di una volta il grano sardo risolse situazioni dificili della città tiberina, in oc-
casione di carestie o situazioni belliche complicate che comportavano una maggiore necessità
di frumento. Ciò avvenne non solo attraverso la normale, già pesante, tassazione ordinaria, ma
anche con esazioni straordinarie coattive che certo comportarono malumori e qualche rivolta
fra gli indigeni. In età imperiale il grano sardo divenne decisamente meno importante, anche
se il ruolo della Sardegna nell’approvvigionamento annonario di Roma rimase sempre molto
consistente. È quindi probabile che il famoso divieto sugli alberi da frutto sia stato pian piano
abbandonato.
I Romani tuttavia non dovettero dimenticare, da subito, anche le altre grandi ricchezze che
l’Isola offriva, a cominciare dalle enormi (per l’epoca) risorse minerarie. Lo sfruttamento delle
risorse dei metalli presenti nell’Iglesiente soprattutto, ma anche nella zona della Nurra e del
Sarrabus, dovette partire molto presto. Le nostre conoscenze, in merito, sono tuttavia ancora
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Giampiero Pianu
piuttosto scarse e basate solo su fonti letterarie non certo esaustive, ma che parlano talvolta di
condanne “ad metalla” per personaggi scomodi, come addirittura papa Ponziano.
Altra grande attenzione dovette essere riservata all’inesauribile produzione di legname assicu-
rata dai boschi dell’interno, che poteva garantire il fabbisogno per la costruzione di navi o per
qualunque altro uso legato a questo bene, così prezioso nel mondo antico. Ed inine non bi-
sogna dimenticare che l’Isola garantiva una produzione, anch’essa inesauribile, di sale. Questo
prodotto, anche nei libri più recenti, viene spesso dimenticato o citato come qualcosa di poco
conto. Esso invece era importantissimo nel mondo antico, ma anche in quello moderno, alme-
no ino all’avvento dei moderni frigoriferi. Il sale, infatti, era una dei pochi sistemi conosciuti
per la conservazione degli alimenti, in particolare della carne.
Non voglio qui ripetere, con il Pais, le altre ricchezze della nostra isola, che porterebbe ad un
lungo elenco privo peraltro di rilevanza speciica, dal pescato al miele, ad esempio, attestato da
una bellissima statuetta di Aristeo visto come primigenio agricoltore.
La Sardegna, specialmente quella delle campagne, vista da Roma doveva apparire una terra non
accogliente, piena di insidie, con malattie endemiche come la malaria e abitata da genti indo-
mabili soprattutto all’interno, dove prevaleva la cultura di tradizione “nuragica” della “balentìa”,
della forza, dell’abigeato, e della dificile convivenza paciica. Dovevano esserci anche allora
episodi che potremmo deinire di feroce banditismo, cosa peraltro durata ino a pochi decenni
fa e forse mai debellata, ma conluita oggi in fenomeni di “delinquenza” più globalizzati. Tut-
tavia, come detto, sul piano archeologico non abbiamo di fatto tracce evidenti di conquiste for-
zose, non risultano ad esempio incendi e distruzioni non solo nei centri urbani ma nemmeno
nelle campagne. Dunque la conquista dovette essere lenta e progressiva, ma senza sostanziali
frizioni, se si escludono appunto i fenomeni attestati in Barbagia.
La presenza di aspetti romani in ogni più piccolo centro abitato dell’Isola la dice lunga sul fatto
che anche le campagne, come le città, furono presto conquistate dalla nuova “civiltà”. E questo
avvenne forse perché Roma, che era sicuramente inlessibile sul piano iscale e, relativamente,
su quello dell’ordine pubblico, di certo non dovette essere oppressiva in altri settori, altrettanto
importanti, della vita quotidiana. Infatti la vita nei piccoli villaggi dell’interno dovette conti-
nuare a scorrere in maniera tranquilla seguendo i millenari ritmi delle stagioni e le millenarie
abitudini delle loro popolazioni. Roma sicuramente non impose alcunché da questo punto di
vista, come ha sempre fatto in ogni altra parte del mondo conquistato. Alleanza e massima
collaborazione con le aristocrazie ed i ceti dominanti sono stati alla base della grande conqui-
sta dell’impero, come ben ci documenta l’opera di imperatori come Augusto (che tenne i suoi
domini in pace per quarant’anni) o Adriano. Ordine pubblico e status quo garantito in cambio
di una corretta alleanza. Dal punto di vista religioso ad esempio, e l’aspetto mistico è parte
fondamentale per ogni uomo, non vi fu l’imposizione di nuove divinità, che magari vennero
poi cooptate col tempo dalle varie popolazioni rurali. Furono sicuramente rispettate le antiche
divinità di tradizione fenicia e punica, rivisitate magari nelle forme, ed i vecchi rituali di tradizio-
ne nuragica. Inoltre sappiamo che il pantheon uficiale romano si arricchì di una nuova divinità,
del tutto ignota nella capitale, ma ben presente nell’Isola, il Sardus Pater. Ad esso fu dedicato un
grande santuario extraurbano ad Antas, nei pressi di Fluminimaggiore, nella zona mineraria per
eccellenza, il Sardopatoris Fanum, che riprendeva un vecchio luogo di culto punico installatosi,
forse, su uno, ancora più antico, di epoca nuragica. Ma il culto del Sardus Pater è stato sicura-
mente assai più diffuso nell’Isola.
La Sardegna fu anche terra di elezione per l’attecchire della nuova religione, quella cristiana,
grazie all’impulso che venne dalle comunità religiose della vicina Africa. Così l’esistenza di
luoghi di culto cristiani è attestata già dal IV secolo d.C. nella città di Cagliari, dove sorse la
chiesa di San Saturnino, ristrutturata poi in epoca bizantina. Ma anche nelle campagne, almeno
in zone relativamente vicine ai centri urbani compaiono strutture ecclesiali già fra il IV e il V
secolo d.C., come nel caso di San Cromazio a Villa Speciosa. L’impianto delle chiese anche in
zone rurali venne poi decisamente favorito dalla “violenta” polemica fra papa Gregorio Magno
ed i vescovi isolani. Fra la ine del VI e gli inizi del VII secolo d.C. il grande papa, infatti, inviò
ai prelati sardi alcune lettere in cui deplorava che, soprattutto nelle campagne, le popolazioni
adorassero ancora alla sua epoca idoli di pietra o di legno, verosimilmente retaggio di aspetti
religiosi risalenti all’età del Ferro o addirittura, del Bronzo, che erano stati tollerati anche dai
Romani. E così nacque un nuovo impulso alla diffusione del verbo cristiano per cui non solo
le città ma soprattutto le campagne sarde si riempirono di chiesette campestri, che sorsero
62
Città e territorio, vici, pagi, stationes
spesso presso quei centri abitati che normalmente chiamiamo mansiones o stationes dislocate
lungo i percorsi stradali a cui garantivano supporto logistico, come dimostra ad esempio il caso
di Santa Maria de Mesumundu a Siligo. E tale ruolo funzionale venne spesso espletato, come
detto, dai villaggi di antica tradizione nuragica, che talvolta avevano ancora nelle vicinanze la
stessa torre nuragica, adibita ormai a funzioni completamente diverse. Non a caso tanti nuraghi
sono oggi indicati col nome di un santo cristiano, alla cui devozione era stato dedicato quel
sito. Importanti tracce di una precoce romanizzazione sono state scoperte anche nel bel mezzo
della Barbagia, a Sant’Eis di Orune, dove è stato rinvenuto un prezioso bicchiere di vetro de-
corato con una iconograia ben nota, quella in cui Cristo assegna a Pietro il compito di fondare
la sua Chiesa. In deinitiva anche le zone rurali, pur con qualche comprensibile attardamento
localizzato, furono ben partecipi degli avvenimenti storici e culturali che hanno riguardato la
storia della nostra Isola nel corso dei secoli.
Credo, per concludere, che non sia un caso che il “dialetto” (o meglio i “dialetti”) parlati nella
Sardegna rappresentino in realtà delle lingue vere e proprie, che derivano in maniera diretta dal
così detto ceppo delle lingue neolatine. La lingua, com’è noto, è uno dei sistemi identitari più
forti e conservativi di un popolo, e questo signiica dunque che la dominazione romana non fu
un episodio efimero accettato dalle popolazioni in maniera passiva. Tutt’altro, visto che arrivò
a cambiare in maniera decisiva le strutture lessicali ed il vocabolario delle popolazioni della Sar-
degna. Ed in particolare questo aspetto si coglie bene nella zona interna delle Barbagie, quella
apparentemente più ostile, più ribelle, alla dominazione romana, dove si parla ancora oggi
una delle lingue riconosciuta fra le più vicine alla lingua di Roma. Credo che questa notazione
possa mettere in evidenza al meglio l’importanza e la capillarità della “colonizzazione romana”
dell’isola sarda, delle città ma anche e soprattutto delle campagne.
Bibliograia
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Giampiero Pianu
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Lo spazio del sacro tra devozione e ritualità
Maria Adele Ibba
La completa presa di possesso della Sardegna da parte di Roma passò anche attraverso un
delicato processo di sincretismo religioso operato da tutte le componenti etniche presenti
nell’Isola, sia quelle costituite dai suoi abitanti – in particolare Nuragici, Punici e Libici – sia
dai nuovi arrivati che dietro alle generiche deinizioni di “Romani” e di “Italici” comprende-
vano persone di diversa provenienza dalla Penisola (Roma, Campania, Lazio, Etruria, etc.).
Il processo di interpretatio religiosa, che ne conseguì, consistette nella recezione di inlussi e,
in alcuni casi, nell’assimilazione e reinterpretazione del pantheon di ciascuna componente più
che in una mera sostituzione religiosa a favore delle divinità dei nuovi arrivati.
Le più antiche attestazioni nell’Isola di spazi dedicati al sacro sono localizzate spesso in pre-
esistenti luoghi di culto di ambito agrario o salutifero, nei quali evidentemente si continuava
a percepire la presenza divina. In particolare, le attestazioni di culti agrari sul territorio si
trovano spesso in connessione con strutture nuragiche nelle quali già i Punici avevano indivi-
duato spazi sacri dove depositare offerte alle loro divinità. In alcuni casi gli stessi culti punici
e romani sono interpretabili come una ripresa di quelli più antichi di ambito nuragico, come
nel caso del nuraghe Su Mulinu di Villanovafranca dove il riutilizzo di età punica si caratte-
rizza per la grande quantità di lucerne, in sintonia con quanto attestato nella stessa camera
del nuraghe per l’età del Ferro. Questa prevalenza di lucerne ha fatto pensare che i soggetti
praticanti i nuovi culti fossero gruppi di origine nuragica, attori di una rilettura delle proprie
tradizioni impostate sulle nuove forme di religiosità.
Lo sfruttamento agricolo, principalmente cerealicolo, diffuso nell’Isola durante tutto il pe-
riodo della dominazione romana diede vita a una intensa pratica cultuale rurale dedicata alla
divinità agraria per eccellenza, Cerere, identiicata con la greca Demetra il cui culto era stato
introdotto nell’Isola dai Cartaginesi. La conferma dell’assimilazione tra i due culti ci viene
data dal fatto che a partire dalla ine del I secolo d.C. i thymiateria di tradizione punica con
volto femminile e copricapo, spesso decorato con spighe o frutti, sono sostituiti ino a tutto
il II secolo da piccoli busti in terracotta rafiguranti un personaggio femminile con il polos,
un alto copricapo decorato con spighe di grano e identiicati come immagini della dea. La
peculiarità tutta isolana di questa tipologia di oggetti gli ha derivato il nome di Sarda Ceres.
Il riutilizzo di alcuni nuraghi in funzione rituale prevede l’uso di una pluralità di spazi con-
tigui, per esempio di un cortile con la vicina torre nel caso del nuraghe Genna Maria di Vil-
lanovaforru, oppure di due camere sovrapposte all’interno di una torre come in quello del
nuraghe Lugherras di Paulilatino. In entrambi i casi i reperti rinvenuti, in particolare thymia-
teria, rendono evidente la connessione con culti fertilistici femminili quali quelli di Astarte/
Tanit in età punica e di Demetra/Cerere in quella romano-repubblicana, nei quali la camera
priva di luci richiama la grotta presente di frequente in santuari extrainsulari come quelli della
Cueva di Es Cuieram a Ibiza e di Macchia delle Valli a Vetralla (VT), entrambi dedicati a queste
divinità. A Villanovaforru la torre è adiacente al cortile, mentre a Paulilatino il luogo di culto
era posto nella camera superiore del nuraghe; quella inferiore invece, ormai cieca e accessibile
solo dall’alto, era destinata al vero e proprio deposito votivo. Le fasi di vita cultuale dei due
siti sono datate sulla base dei materiali rinvenuti, a Villanovaforru dalla ine del IV a.C. sino
ai secoli VI-VII d.C. e a Paulilatino dal IV secolo a.C. sino all’età imperiale.
Nel nuraghe La Varrosa di Sorso il corridoio che si sviluppa intorno alla torre centrale fu
obliterato sul fondo proprio per creare un ambiente cieco. All’interno di questo “antro”,
come gli stessi scavatori lo deinirono, erano state sistemate due “pedane cubiche in mura-
tura a secco” che dovevano fungere da altari. La presenza di un pilastrino su uno di essi e il
rinvenimento di due braccia in bronzo pertinenti a una statua femminile o di adolescente,
di una falce in ferro e di sei lucerne integre con soggetti richiamanti culti fertilistici, ha fatto
pensare che qui a partire dal II secolo a.C. ino almeno al I d.C. venissero praticati culti mi-
sterici propiziatori della fertilità.
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Maria Adele Ibba
Le attestazioni di riutilizzo dei nuraghi in senso religioso, e non solo, sono segno quindi del
fatto che le comunità locali rimasero nei luoghi di appartenenza adattandosi, man mano, alle
nuove realtà culturali e religiose delle quali diventarono soggetti attivi e partecipi.
A Terraseo di Narcao, in località Strumpu Bagoi, in età augustea si assiste alla sistemazione di
un’area a vocazione sacra almeno a partire dalla ine del IV secolo a.C., legata a un culto di
ambito demetriaco. Il rinvenimento, all’interno di un deposito costituito da una cassetta litica,
di una moneta del 15 a.C. associata a una piccola statua femminile – intorno alla quale erano
state collocate urne con resti di sacriicio, bruciaprofumi e una lucerna – fornisce un termine
cronologico per la sistemazione del santuario, i cui materiali documentano la pratica di un
culto agrario anche in epoca romana. In questo periodo, infatti, viene ediicato un sacello pa-
vimentato in cocciopesto che almeno in parte va a sovrapporsi all’angolo di un ambiente pre-
esistente inglobandolo e al cui interno è stato rinvenuto un altare sul quale si conservavano
ancora resti di sacriici animali, più precisamente cenere e ossa di suino. Al di sotto dell’altare
era collocata la cassetta litica di cui si è detto. Contemporanei al sacello sarebbero inoltre due
dei sei altari antistanti e un basamento allineato lungo la fronte. Il santuario avrebbe avuto
una continuità di vita ino all’età antonina.
L’unica attestazione certa, però, di uno spazio sacro dedicato alla dea delle messi si ha per il
territorio di Olbia dove il rinvenimento di parte dell’architrave di un piccolo tempio, un’aedi-
cula, ricorda la dedica dell’ediicio a Cerere, nel 65 d.C. (CIL XI 1414), da parte di Atte liberta
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Lo spazio del sacro tra devozione e ritualità
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Maria Adele Ibba
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Lo spazio del sacro tra devozione e ritualità
costantiniana. Una scalinata immetteva in una grande corte dalla quale si accedeva al tem-
pio vero e proprio, dotato di una cella e di un “penetrale absidato bipartito”. Tra i materiali
rinvenuti, un particolare interesse hanno rivestito da subito, oltre a quattro piccole statue
ittili di offerenti, due più grandi rafiguranti dei dormienti di cui uno è avvolto dalle spire di
un serpente (cat. n. 1.102), riconducibili alla pratica dell’incubazione nella quale il paziente/
devoto riceveva durante il sonno la visita del dio sotto spoglia animale.
Alla complessità del culto di Esculapio può essere riportato anche il rinvenimento di statue
di Bes in varie parti della Sardegna: Cagliari, Bithia, Maracalagonis e Fordongianus. La rafigu-
razione di questa divinità è consueta nel mondo punico e viene comunemente associata alla
divinità guaritrice Eshmun. L’utilizzo della sua iconograia continua nella Sardegna romana,
sempre in associazione con luoghi legati a culti salutari. Se ancora non è chiara la datazione
delle statue che lo rafigurano rinvenute a Bithia e a Cagliari, che potrebbero risalire come
primo uso all’età punica, due esemplari da Fordongianus (cat. nn. 1.236-1.237) rimandano
più chiaramente a quella romana sia per la resa dei tratti sia per l’associazione al culto di
Esculapio e delle Ninfe attestato da alcune iscrizioni, databili tra l’età repubblicana e quella
augustea, rinvenute nell’area archeologica.
Ulteriori esempi del fenomeno di sincretismo religioso operato dai romani in dalle prime
fasi della loro presenza nell’Isola si ritrovano in ambiti uficiali come quelli di Antas (Flumi-
nimaggiore) e di Olbia. Il primo caso è rappresentato dal santuario extraurbano di Antas, in
una valle posta nell’area metallifera di Metalla il cui toponimo è ricordato dall’Itinerario An-
toniniano. Sotto Caracalla fu restaurato un precedente tempio, di probabile epoca augustea,
costruito su un ediicio sacro di età punica che sorgeva a sua volta nell’area di una necropoli a
inumazione con tombe singole a pozzetto di età nuragica risalente agli inizi del primo millen-
nio a.C. Se, per l’epoca punica, alcune iscrizioni su basi di oggetti votivi ricordano la dedica al
SID ADDIR BAB[I], quella posta sull’architrave celebra i lavori di restauro all’epoca di Ca-
racalla e riporta l’intitolazione “Temp[l(um) D]ei [Sa]rdi Patris Bab[i ..]” (CIL X 7539). L’identi-
icazione di Sardus Pater con Sid e il noto racconto di Pausania sull’arrivo nell’Isola di Sardo e
dei Libici permettono di collegare la divinità titolare del tempio a Ercole, il Melqart dei fenici
di cui Sardo era iglio e al quale Sid era strettamente legato. La presenza nelle dediche, con-
giuntamente a Sid/Sardus Pater, del termine BAB[i ..] ha portato a ritenere che quest’ultimo sia
il nome di una divinità locale di origine nuragica. Questo santuario rappresenterebbe quindi il
tentativo di connettere il controllo statale dell’importante distretto minerario con il coinvolgi-
mento delle popolazioni locali. L’ediicio oggi visibile è frutto di un restauro di età moderna
che ripropone il suo aspetto di età imperiale con un “pronao tetrastilo in ordine ionico”. Esso
presenterebbe un “penetrale bipartito” come nel Tempio di Eshmun a Nora.
I rinvenimenti archeologici effettuati a Olbia sembrano indicare che la principale divinità
cittadina fosse Ercole e, come nel caso di Esculapio, anche il suo culto era andato a sovrap-
porsi a quelli preesistenti del greco Eracle e del punico Melqart. Divinità, queste ultime, ben
radicate nel panorama cultuale preromano della Sardegna come attestato da fonti letterarie,
epigraiche e archeologiche. Le recenti indagini condotte nel centro gallurese hanno riportato
alla luce, sulla collina di San Paolo, un santuario circoscritto da un tèmenos, all’interno del quale
sono i resti di tre templi. Secondo gli scavatori il primo di essi, di epoca cartaginese, sarebbe
stato sostituito in età romana da un ediicio templare dedicato a Ercole – del quale residuano
solo la parte delle murature e una cisterna, entrambe puniche – che in epoca lavia doveva
costituire la parte centrale di un santuario circondato da un muro e con altre due strutture
templari, già di età tardorepubblicana, a proposito delle quali si ignorano però i nomi delle di-
vinità venerate. Si è ipotizzato che l’immagine di una statua di culto, probabilmente bronzea e
opera di artisti centro-italici, possa essere stata riprodotta localmente in una testa in terracotta
(cat. n. 123) databile alla seconda metà del II secolo a.C., rinvenuta nelle acque presso l’Isola
di Bocca. La testa troverebbe a sua volta un confronto stringente in un ex voto rafigurante il
dio rinvenuto nell’area del santuario; per quanto ormai andato perduto di esso si conservano
il disegno e la descrizione effettuate al momento della scoperta nel 1939.
Il culto di Ercole ebbe sicuramente un’ampia diffusione nell’Isola dovuta anche al sincreti-
smo con Melqart/Eracle; ciò è attestato oltre che dalla toponomastica dai dati archeologici.
Il rinvenimento di statuine in bronzo o in terracotta rafiguranti il dio con la caratteri-
stica leontè o più semplicemente i suoi attributi, come la clava, infatti ne esempliicano la
devozione. Un altare dedicato a Hercules Victor rinvenuto a Cagliari (CIL X 7554), oggi
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Maria Adele Ibba
scomparso, sembra attestare la presenza in città di uno spazio sacro che ospitava il suo culto.
La volontà politica di onorare uficialmente le divinità del pantheon romano portò alla co-
struzione di numerosi ediici i cui resti archeologici costellano centri urbani come Carales,
Turris Libisonis, Tharros e Nora e territori non urbanizzati come quelli di Antas e di Bidonì.
Ben pochi, però, sono i casi nei quali si può associare ai resti della struttura templare la
divinità alla quale essa era dedicata. Tra questi va ricordato il tempio di Giove di Bidonì sul
Monte Onnarìu il cui altare riporta il nome del dio.
Con la conquista romana il potenziale economico costituito dalle sue materie prime attirò
nell’Isola persone provenienti da diverse parti della Penisola, gli Italici. Si trattava di pro-
prietari terrieri, banchieri, mercanti e armatori impegnati sia nello sfruttamento delle risor-
se locali sia nella commercializzazione dei prodotti che ne derivavano. L’ingente quantità di
denaro mosso e il potere da esso derivato investivano questi personaggi di un ruolo cruciale
anche nella scelta dei culti da praticare e dei luoghi dove ediicare gli ediici pubblici, tra cui
quelli sacri. L’inluenza che la componente italica esercitò risulta evidente nelle manifesta-
zioni architettoniche e artistiche giunte ino a noi. Per quanto riguarda la sfera sacra due mo-
numenti in particolare a Carales e a Sulci sono testimoni dei modelli di riferimento. Tra questi
il più esempliicativo è un ediicio scavato alla ine degli anni Trenta a Cagliari, in Via Malta,
nell’area dove si è ipotizzato sorgesse il foro romano.
Considerato con il cosiddetto Tempio sull’Acropoli di Sulci e con il cosiddetto Tempietto
distilo di Tharros come uno degli ediici sacri più antichi di ambito romano inora cono-
sciuti in Sardegna, esso riveste una particolare importanza nel panorama isolano di età
tardorepubblicana per la peculiarità della sua planimetria, che trova confronti con l’area
centro-italica e al contempo risulta condivisa dalla componente punica urbana, come del
resto il rinvenimento di monete con due sufeti nel recto testimonierebbe, ricordando la
magistratura punica cittadina esistente a Carales in quel periodo. Sfruttando i dislivelli del
terreno, esso era disposto su terrazze, con il tempio in alto e una cavea teatrale in basso.
L’ediicio sacro era circondato da uno spazio verosimilmente adibito a giardino nel quale
un pozzo attingeva da acque sorgive. Di recente è stata avanzata l’ipotesi della presenza
Moneta dei due sufeti. di un portico lungo il muro che delimitava l’area sacra sul tipo di modelli italici, come nel
caso del tempio di Giunone a Gabi. La presenza del giardino, il rinvenimento di circa tre
Corallo grezzo da Cagliari, chili di corallo grezzo, l’identiicazione di quattro fulcra di letto a doppia testata utilizzati nei
teatro-tempio di via Malta. banchetti rituali e la cavea teatrale antistante al tempio destinata alle rappresentazioni sacre
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Lo spazio del sacro tra devozione e ritualità
Bibliograia
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71
Maria Adele Ibba
72
La ceramica: importazioni e produzioni locali
Carlo Tronchetti
Esaminare la Sardegna di età romana dal punto di vista della produzione e della circolazione
delle ceramiche signiica prendere in considerazione gli svariati fattori che concorrono a for-
marne l’aspetto.
Difatti l’Isola era dotata già da secoli di una forte tradizione nel campo della produzione va-
scolare che in età ellenistica, immediatamente precedente l’inizio della dominazione politica
romana del 238 a.C., si era uniformata per molti aspetti alla facies comune mediterranea, pur
mantenendo stretto il legame con le radici puniche.
Questo ha fatto sì che la cosiddetta “romanizzazione” sia in realtà un lungo processo di inte-
grazione di diversi habitus, che hanno come esiti la formazione della Sardegna romana.
In campo ceramico il processo si veriica esaminando le oficine che già nel III secolo a.C. pro-
ducevano ceramiche ispirate al vasellame a vernice nera importato, prevalentemente ellenico,
ed utilizzando la verniciatura anche su forme puniche; nelle medesime oficine, dallo scorcio
del III secolo, iniziano ad essere fabbricati anche vasi che derivano da prodotti di manifatture
della Penisola Italiana.
L’adozione di tali forme e di talune modalità tecniche (potremmo dire anche “tecnologiche”),
ci suggerisce l’esistenza in loco di artigiani provenienti dalla zona centro-italica, suggestione che
è confermata da tutta una serie di testimonianze, ben note, che travalicano il semplice ambito
ceramologico.
Il primo materiale ceramico databile in età romana che perviene in Sardegna giunge dalla
Campania, come carico d’accompagno delle anfore vinarie Dressel 1, senza che si possa esclu-
dere anche la possibilità che qualche pezzo particolare sia dovuto a fatti occasionali speciici,
come può essere stato il caso delle patere ombelicate calene decorate a rilievo. In questa fase
iniziale predominano le produzioni campane: quella calena appunto e la ceramica a vernice
nera denominata Campana A, ancora entro il III secolo a.C. con forme di gutti. Le produzioni
di “imitazione” invece fanno riferimento a repertori formali differenziati, che si riferiscono sia
alla consolidata tradizione artigianale punica, sia, genericamente, all’area dell’Italia centrale, di
cui è indice la frequenza della patera a breve orlo estrolesso che si diffonde nella prima metà
del II secolo a.C. È in questo secolo e nei primi decenni del successivo che l’Isola è interes-
sata da una forte importazione di ceramica Campana A, con forme destinate al consumo di
alimenti solidi e soprattutto liquidi, e in misura minore di Campana B e produzioni etrusche
settentrionali. Tutti questi vasi sono estremamente funzionali e non decorati se non in modo
molto semplice, con foglie e palmette stilizzate ovvero semplici cerchi impressi sul fondo in-
terno, afidando l’aspetto estetico alla forma ed alla lucente vernice nera.
Dalla metà del II secolo nascono numerose oficine, distribuite un po’ in tutto il territorio iso-
lano, che producono vasellame da mensa che imita quello importato a vernice nera, lavorando
con una tecnica particolare che permetteva di ottenere un’argilla cotta di colore grigio, con
diverse sfumature, su cui veniva stesa una vernice di colore nero opaco o grigio scuro. Questi
vasi invadono letteralmente la Sardegna a partire dai decenni inali del II secolo a.C. sino a
poco dopo la metà del I secolo d.C., costituendo il vasellame da mensa più usato in assoluto.
La forma maggiormente diffusa ed adottata è quella di una coppa con largo piede e parete
curva ad arco di cerchio, di solito ornata semplicemente da uno o due solchi sotto il bordo.
Destinati unicamente al consumo delle bevande sono i vasetti a pareti sottili (boccali, bicchieri,
coppe) prodotti nell’Italia centrale nello stesso lasso di tempo, che giungono unitamente alle
anfore vinarie dalla medesima area geograica. È interessante mettere in rilievo questi contatti
con l’Italia centrale tirrenica e più interna percepiti nell’esame delle ceramiche, che sono un
elemento concorrente con altri, come l’onomastica e i santuari di tipo italico, a meglio illumi-
nare i rapporti tra il mondo romano peninsulare e quello isolano.
Più genericamente di ambito mediterraneo sono, invece, gli unguentari fusiformi, prodotti
localmente ed ampiamente diffusi nelle necropoli, ed anche in contesti abitativi.
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Carlo Tronchetti
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La ceramica: importazioni e produzioni locali
Anfora vinaria Dressel 1 da Tharros. Dalla metà del I secolo a.C. si assiste ad un radicale cambiamento. I vasi da mensa, da antica
(in basso) tradizione realizzati verniciati in nero, iniziano adesso ad essere fabbricati ricoperti da vernice
rossa; questa produzione viene deinita sigillata italica e tardo-italica. Il nome “sigillata” deriva
dal fatto che la prima fase della produzione vede la massima frequenza di vasi decorati a rilievo
(sigilla) oppure (ma è meno probabile) perché recano sulla parete o il fondo interno il bollo del
proprietario dell’oficina e/o del lavorante. I termini italica e tardo-italica sono invece semplici
distinzioni cronologiche, anche se esistono differenze piuttosto marcate tra le due fasi. Iniziati
a produrre ad Arezzo verso il 50 a.C., i vasi in sigillata italica e tardo-italica si articolano in
numerose oficine che in breve tempo si diffondono in tutta Italia; in molti casi suppliscono a
necessità prevalentemente locali, mentre altri opiici sono dedicati ad una produzione rivolta
al commercio terrestre e marittimo. Questi ultimi si collocano prevalentemente in centri pro-
duttori di zone costiere, come Luni e Pisa; da quest’ultima giungono in Sardegna numerosi
carichi di questa ceramica, che viene fabbricata sino ai primi decenni del II secolo d.C. e resta
in uso sino a circa la sua metà.
Inizialmente dotata, come detto, di decorazioni ottenute a matrice di grande inezza, spesso
con intenti narrativi, questo tipo di ceramica passa dopo pochi decenni ad una produzione di
massa standardizzata, prodotta in opiici con un tipo di procedure di lavoro deinite addirittura
“preindustriali”. Anche in questo caso siamo di fronte a vasellame da mensa, che si suddivide
in forme di piattini, piatti, vassoi, coppette, coppe, scodelle e grandi coppe, verosimilmente
zuppiere, talora articolate in veri e propri servizi identiicati per la simile forma dell’orlo.
La fase più tarda, denominata tardo-italica, parte grosso modo dalla metà del I secolo d.C. e fra
il 70 e l’80 d.C. rinasce la decorazione igurata, ma senza più disegno narrativo, solo giustappo-
nendo singoli motivi ricavati da punzoni talora abbastanza sommari. Questi vasi proseguono
sino alla prima metà del II secolo d.C.
Assieme a questa ceramica continuano a giungere i vasetti a pareti sottili, che in questi decenni
raggiungono il culmine della loro rafinatezza, imitando in taluni casi le più costose coppe in
metallo pregiato come l’oro; anche in questo caso si assiste ad un moltiplicarsi di oficine, fra
cui spiccano quelle iberiche, che inviano i loro prodotti in tutto il Mediterraneo. La sottigliezza
delle pareti di queste coppette, bicchieri e boccalini non impedisce che su taluni si stenda una
ine decorazione a rilievo di festoni, punte, foglie, oppure fasci di linee impresse; in alcuni sulla
parete del vaso prima della cottura veniva stesa della sabbia che, dopo la cottura e dipinta di
giallo carico, ricordava la supericie corrusca del vaso aureo.
La Sardegna, oltre a recepire ceramiche esterne, prosegue con la fabbricazione di imitazioni.
È stata di recente individuata quella deinita “sigillata sarda”, cioè l’imitazione della sigillata
italica in oficine sarde, che coprono prevalentemente, ma non solamente, le zone interne
dell’Isola. Alcune necropoli del I secolo d.C. mostrano infatti pochissime tombe con oggetti
importati, mentre più abbondanti sono le imitazioni, evidentemente destinate ad acquirenti
meno abbienti.
È importante l’individuazione di queste fabbriche locali. Esse, come pure quelle della ceramica
a vernice nera a pasta grigia cui si è fatto cenno sopra, sono forti segnali per farci conoscere la
vivacità produttiva della Sardegna, che non si esauriva solo nella coltivazione del grano di cui
parlano sovente le fonti latine, ma andava ad interessare iorenti attività artigianali che fanno
diffusamente fronte alle esigenze del mercato locale. Ciò ci segnala anche l’esistenza di un ceto
che vuole signiicarsi come non povero, ma che non ha evidentemente le possibilità econo-
miche di permettersi oggetti importati, anche se di valore non eccessivamente elevato, come i
vasi a vernice nera e quelli in sigillata italica. È da rilevare che queste produzioni di imitazione
si trovano attestate non solo nelle zone più interne ed in ambito extra-urbano, ma anche in
pieno ambito urbano, a signiicarci la loro ampia diffusione e vasto utilizzo.
Abbiamo messo in risalto questi aspetti che ci derivano dall’osservazione delle ceramiche di
imitazione, ma non bisogna passare sotto silenzio tutte le produzioni di ceramica cosiddetta
comune, deinizione molto generica e sostanzialmente non corretta, ma entrata nell’uso co-
mune per indicare vasellame non decorato né particolarmente rafinato, destinato ad essere
utilizzato per la mensa e la dispensa, mentre per il vasellame da fuoco si tende ad utilizzare la
denominazione “ceramica da cucina”. In ogni parte del mondo romano (così come pure in
precedenza ed altrove) esistono oficine che producono ceramica che possiamo deinire utili-
taria, destinata agli scopi sopra detti, come ad esempio una brocchetta diffusa nei Campidani e
nell’Oristanese, che copre le esigenze di un mercato essenzialmente locale con forme funzio-
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nali, che possono anche rimanere sostanzialmente invariate nel lungo periodo. È interessante
anche notare che abbastanza spesso in queste oficine, nel settore delle ceramiche da fuoco,
vengono fabbricati vasi (pentole, tegami) lavorati a mano senza l’uso del tornio, proprio in
funzione dell’uso cui era destinato il vaso stesso.
Nel quadro delle importazioni non si può tralasciare che le oficine ceramiche italiche offrono
anche specializzazioni funzionali, come è il caso delle lucerne. Nel corso del I secolo d.C.
giungono nell’Isola numerose lucerne con disco inemente decorato e recanti il bollo del
fabbricante sul fondo esterno, prezioso indizio per l’analisi dei lussi produttivi e commerciali.
A partire dalla metà del I secolo d.C. il panorama delle importazioni ceramiche della Sardegna
comincia ad ampliarsi notevolmente. Le produzioni vinarie dell’Italia sono afiancate da quelle
galliche, della Francia meridionale, da dove provengono, assieme alle anfore vinarie, anche i vasi
in sigillata sud-gallica, caratterizzata da una vernice brillante color rosso cupo. Queste produ-
zioni nascono dapprima come imitazioni della sigillata italica, per poi distaccarsene e assumere
un carattere distintivo peculiare. Il loro mercato copre prevalentemente la parte continentale
dell’Europa, ma alcune oficine, come quella di La Graufesenque, esportano i loro prodotti am-
piamente nell’area mediterranea per un lungo periodo di tempo; difatti l’uso dei vasi da mensa
in sigillata sud-gallica è attestato in Sardegna sino alla metà del II secolo d.C.
Dalla Penisola Iberica proviene una grande quantità di olio contenuto nelle anfore Dressel
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La ceramica: importazioni e produzioni locali
20, dalla caratteristica forma sferoidale, unitamente ancora a poca ceramica a pareti sottili: il
servito ine da mensa ormai è regno delle sigillate italiche e sud-galliche, anche se sino ai primi
decenni della seconda metà del secolo si continuano a produrre ed utilizzare in abbondanza i
vasi a vernice nera su pasta grigia.
È dall’età degli imperatori della famiglia Flavia (69-96 d.C.) che comincia ad affacciarsi sul
mercato, in modo sempre più rilevante, la grande produzione ceramica dell’Africa romana.
Questa esplosione è stata convincentemente posta in relazione con la messa a olivicoltura di
gran parte del territorio fertile dell’attuale Tunisia. La loridissima produzione di olio veniva
commerciata entro le anfore fabbricate nelle oficine africane, site verosimilmente nelle stesse
proprietà terriere. Nelle medesime oficine si realizzava anche ceramica da mensa e dispensa,
ceramica da cucina di elevata qualità e lucerne, che afiancavano sui mercati quelle prodotte
nella Penisola Italiana. La sigillata africana è stata chiamata con questo nome unicamente per-
ché il suo colore aranciato può essere in qualche modo accostato al color rosso, ma tendente
al camoscio, della sigillata italica, anche se nella prima fase della produzione non abbiamo pra-
ticamente alcun vaso decorato ed è quasi del tutto assente la irma del vasaio, se non più tardi
su vasi molto particolari. La sigillata africana attinge il suo repertorio formale da svariate fonti.
Alcune forme derivano dalla sigillata sud-gallica, altre dalla sigillata italica, altre riprendono
forme di ceramica comune locale, altre, inine, sono creazioni autonome.
La prima fase della produzione di sigillata africana comprende la sigillata A, contraddistinta
da una vernice a buccia di arancio, sia come colore che come aspetto lievemente rugoso, e si
caratterizza per la decorazione semplicissima, limitata a solchi impressi e strie a rotella disposti
sulle pareti o sul fondo interno. Spiccano, per modo di dire, solo le patere con orlo estrolesso,
di derivazione sud-gallica, che presentano il bordo decorato a rilievo con foglie allungate e
carnose, come negli esemplari imitati. L’assoluta maggioranza dei vasi è costituita da forme
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La ceramica: importazioni e produzioni locali
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La ceramica: importazioni e produzioni locali
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La ceramica: importazioni e produzioni locali
Tharros, il territorio Bosano, Porto Torres ed Olbia, giungendo all’esterno dell’Isola unicamen-
te ad Ostia. Nella Sardegna interna è attestata solo in misura ridottissima a Fordongianus.
Nello stesso periodo, ma con una forbice cronologica assai più ampia, che corre durante tutto
il IV secolo e giunge a superare i conini del V, si pone la ceramica cosiddetta “campidanese”,
così chiamata dall’area della sua principale distribuzione. Si tratta precipuamente di brocche e
ampie ciotole in argilla marrone, con forme sostanzialmente ripetitive, fra cui spicca la brocca
con collo appena rigonio e marcato ombelico di tornitura sul fondo esterno. Peculiare è la
tecnica decorativa, realizzata con una itta serie di strie ottenute levigando con la stecca la
supericie del vaso prima della cottura. In alcune serie di ciotole queste strie si articolano a
formare semplici disegni ad angoli ovvero a griglia, con notevole effetto decorativo.
Ancora la Sardegna mostra la vivacità e le capacità produttive degli opiici locali, che offrono
ceramiche di ottimo livello qualitativo, sia dal punto di vista tecnico che formale, e trovano
ampia risposta nel mercato regionale.
Tornando alle importazioni, a partire dal IV secolo d.C. le oficine predominanti tornano
ad essere quelle collocate nella zona tunisina settentrionale, con la produzione denominata
sigillata D, che viene fabbricata ed esportata, assieme alle anfore olearie, sino al VII secolo
d.C., raggiungendo una diffusione vastissima sia come quantità che come estensione, che toc-
ca gli estremi limiti dell’impero romano. Interessante è notare, come ha già rilevato Andrea
Carandini, che di questa ceramica, delle anfore olearie che accompagnava, e quindi anche della
importanza fondamentale delle produzioni africane nel quadro dell’economia romana, le fonti
antiche non dicono assolutamente niente, e che senza la ricerca archeologica molti aspetti
dell’impero romano ci rimarrebbero sconosciuti. La sigillata D si caratterizza per un maggiore
spessore delle pareti dei vasi, su cui la vernice rossa si stende solo nella parte interna e su quella
esterna immediatamente adiacente l’orlo. Siamo di fronte adesso, per lo più, a forme di dimen-
sioni piuttosto grandi, molto verosimilmente non più legate, come in precedenza, al consumo
individuale dei cibi, che venivano serviti ai commensali già predisposti in porzioni singole nei
piatti o nelle ciotole. Adesso evidentemente si afferma un nuovo tipo di commensalità, dove
il cibo è servito in un grande recipiente da cui ognuno attinge. Sono tipici di questa produ-
zione le grandi coppe con un listello pendente poco sotto l’orlo esterno, i vassoi con la parete
decorata da tacche impresse, gli ampi piatti che recano spesso una decorazione impressa sul
fondo interno. Una delle caratteristica principali della sigillata D è appunto l’abbondanza delle
decorazioni, impresse sulla vasta supericie del fondo interno dei vasi. La rafigurazioni sono
moltissime, talune solo decori geometrici o itomori, sovente con scene della vita quotidia-
na o di ambito religioso riportabili al primitivo cristianesimo. Così abbiamo scene di giochi
nel circo, rappresentazioni di racconti tratti dalla Bibbia, simbologie cristiane come la croce
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ricavata dalle prime lettere del nome di Cristo (chrismon), talora corredata dall’alfa e omega.
A ianco delle ceramiche ini da mensa e da cucina le oficine africane producono ancora,
ovviamente, anfore olearie, che giungono frequenti nell’Isola, nelle loro forme più tarde dei-
nibili genericamente sotto il nome di “anfore cilindriche del tardo-impero”, sottodivisibili in
un gran numero di varianti date soprattutto dalla forma dell’orlo. Assieme sono fabbricate ed
esportate lucerne, contraddistinte da un’argilla ed una vernice rossa simile a quella dei vasi da
mensa. In questo periodo le lucerne non recano più, come nei secoli precedenti, il bollo del
fabbricante sul fondo esterno, ma permane la ricca decorazione sulla spalla e sul disco. Anche
in questo caso si trovano frequentissimi simboli e scene legate alla religione: dal segno del Cri-
sto, il chrismon già visto nei piatti, al pesce, al pavone, alla rafigurazione di patriarchi e così via.
La spalla delle lucerne, invece, spesso presenta rafinate decorazioni geometriche, con riquadri
a rombi, cerchielli e, in alcuni casi, anche con impronte tratte da monete.
I contatti tra la Sardegna e la parte orientale del Mediterraneo, mediate con ogni verosimiglian-
za da Cartagine, sono testimoniati dall’arrivo di anfore di piccole dimensioni, destinate ad un
vino pregiato prodotto nell’area costiera meridionale dell’Anatolia.
Con la conquista di Cartagine da parte degli Arabi nel 698 d.C. s’interrompe quella unità me-
diterranea che aveva caratterizzato, attraverso alterne vicende, il mondo occidentale nel segno
dell’impero romano.
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La decorazione architettonica in età romana
Donatella Salvi
La maggior parte degli elementi architettonici di età romana conservati in Sardegna è ormai
slegata dagli altri elementi con i quali componeva l’originale e organica membratura. Per
questo è possibile esaminare i singoli manufatti – capitelli per lo più ma anche basi e colonne
– utilizzando l’ordine e gli elementi stilistici per risalire al periodo di realizzazione, i materiali
per identiicarne la provenienza, le dimensioni per ipotizzare le caratteristiche dell’ediicio del
quale facevano parte.
La suddivisione in ordini, codiicata da Vitruvio ma con radici nella Grecia di V/IV secolo
a.C., stabilisce non solo l’aspetto degli elementi, ma anche le proporzioni fra le parti che li
compongono e che creano l’equilibrio complessivo. Così se il capitello dorico è semplice nel-
la sequenza di abaco – punto di contatto con la trabeazione – ed echino liscio, l’articolazione
del capitello ionico si basa sull’equilibrio fra le volute e la sporgenza dell’echino decorato,
mentre quello corinzio è interamente condizionato dall’apparato vegetale che “veste” il ca-
lato, cioè il corpo del capitello, con il ritmo assunto dalla successione delle foglie d’acanto e
degli altri elementi vegetali che, nella parte superiore, si sovrappongono al calato e formano
le volute angolari. Colonne scanalate o colonne lisce partecipano ai vari ordini, con una liber-
tà che si accentua con il passare del tempo e trae valori cromatici dall’associazione di marmi
colorati nella piena età imperiale.
Nei secoli precedenti, pur nella koinè culturale rappresentata dall’ellenismo, i modelli greci
sono variamente iltrati dal valore che l’ellenizzazione assume in ogni contesto. In questa
ottica un elemento di grande interesse, dai contorni ancora sfumati, è quello del passaggio
culturale, oltre che politico, della Sardegna dalla sfera punica a quella romana, con conseguen-
te variazione dei sostrati e dei modelli che sono insiti nelle scelte architettoniche.
Poco in realtà si conosce della decorazione architettonica di età punica nell’Isola, se si eccet-
tuano, in ambito privato, alcune decorazioni a rilievo nelle sepolture a pozzo di Tuvixeddu o
altre inserite nella conigurazione delle stele di tipo ellenistico o in quelle “greco-orientaliz-
zanti”. In ambito pubblico si può far riferimento ai più antichi capitelli dorici del tempio di
Antas e a quelli, di vario ordine, del tempio monolitico di Tharros. Per la loro ottima qualità,
questi ultimi costituiscono realizzazioni ricercate e colte, segno di una adesione diretta a mo-
delli ellenistici intenzionalmente esibiti. Si tratta però di casi isolati, mentre sono numerose le
più semplici sagome di capitelli dorici dall’echino ad arco di cerchio schiacciato o rigido, con
anuli fra l’echino e il sommoscapo, o tuscanici, con listello sporgente sul sommoscapo, fre-
quenti in età tardopunica e romano-repubblicana a Tharros e a Nora ma che spesso escludono,
per le dimensioni contenute, la monumentalità dell’ediicio di appartenenza. Salvo rare ecce-
zioni – uno di grandi dimensioni in marmo grigio, di piena età romana, è a Sant’Antioco – gli
esemplari dorici e tuscanici sardi sono in pietra locale: arenaria e andesite a Nora, arenaria a
Tharros, calcare nel Cagliaritano, arenaria a Terralba.
L’ordine ionico, diversamente da quello dorico, è destinato alla visione frontale se è caratteriz-
zato da due facce con ampie volute che racchiudono una decorazione a ovuli e due facce che
simulano un fascio di foglie. Una composizione più libera è ottenuta dai capitelli ionici con
quattro facce uguali, nei quali le volute si dispongono sulle diagonali, lettendosi verso il centro
di ogni faccia. In Sardegna, però, i capitelli ionici più antichi sono quelli ritrovati nel tempio di
Eshmun a Nora, lontani dai canoni ellenistici già adottati in ambito occidentale. L’impostazione
che dispone in un assetto cubico la decorazione delle facce, tutte dotate di volute che si incon-
trano ad angolo retto, li fa rientrare piuttosto in quei capitelli “eterodossi” noti in area siriana,
dove è possibile trovare anche un parziale confronto per il quarto capitello cubico di Nora che
si differenza dagli altri, con echino liscio o con resti di sommarie palmette di raccordo, per la
presenza al centro di tre facce di una palmetta verticale e, sulla quarta, di un busto umano che
lo rimanda piuttosto a modelli italici o africani. Di dificile collocazione cronologica, è stato
attribuito, come i capitelli ionici, ad una fase “punico-romana” di II secolo a.C.
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Donatella Salvi
Dopo la conquista romana, costituiscono invece segno certo di nuovi apporti e diverse com-
mittenze gli elementi architettonici riposizionati nella possibile collocazione originale nell’a-
rea cagliaritana cosiddetta Villa Tigellio, che sono riferibili ad un periodo compreso fra la ine
del II ed il I secolo a.C.
Si tratta in realtà di uno spazio privato urbano organizzato, nel quale colonne e capitelli,
tutti ionici a quattro facce, decorano l’atrio delle singole abitazioni che compongono il com-
plesso. L’abaco, leggermente incurvato al centro, copre completamente il punto superiore
d’incontro delle volute sulle diagonali. Ai lati del canale ampio e liscio le volute si avvolgono
a spigolo vivo ino all’occhio centrale, tondeggiante e sporgente. Il kyma, compreso e quasi
compresso fra le volute, è composto da tre ovuli con sottile sguscio intervallati da freccette;
semipalmette con lobi ad uncino sporgenti sugli ovuli laterali ne formano il raccordo. Un col-
larino di fusarole e perline segna in alcuni esemplari il distacco fra l’echino e il sommoscapo.
L’uso del calcare bianco e tenero dimostra la realizzazione locale; lo stucco, come a Pompei
e in genere in ambito italico di età repubblicana, rende plastico il dettaglio e protegge la pie-
tra dalla consunzione. Caratteri analoghi presentano alcuni capitelli di Nora ora custoditi a
Cagliari, o provenienti da recenti recuperi fortuiti.
Alla stessa fase repubblicana e a maestranze di analoga formazione è attribuibile il capitello
corinzio italico (o corinzio libero) riposizionato nell’area delle “Due colonne” a Tharros, men-
tre non conservano tracce di stucco due capitelli simili in trachite conservati a Muravera. A
differenziarli dai corinzi canonici è la base, fasciata dalle due corone di foglie, e la parte supe-
riore nella quale le elici tubolari e le volute nascono libere e larghe fra le foglie della seconda
corona, per attorcigliarsi agli angoli e concludersi nel grosso occhio forato delle volute; le
elici, inine, formano sul calato due semplici anelli che si siorano. Su questi poggiava il largo
iore d’abaco con petali espansi.
Se la lavorazione in situ della pietra si abbina per qualche tempo a modelli nuovi, il capitello
corinzio in marmo è la vera novità della fase romana e costituirà, nelle sue varianti, un ilo
conduttore per gran parte dell’età imperiale. L’uniicazione dei caratteri, che limita il poten-
ziale sviluppo di elaborazioni locali, ha come conseguenza la diffusione, in tutte le province,
di manufatti già initi o semilavorati, realizzati con il marmo proveniente dalle cave di Luni,
divenute in età augustea di proprietà imperiale. La lavorazione standardizzata porta in breve
ad una distribuzione capillare, superando l’equazione “marmo uguale lusso” diffusa ino ai
tempi di Cesare e oggetto di vivace dibattito sulla distinzione fra il lusso privato e la magnii-
centia publica.
A Cagliari è possibile che ciò si colleghi alla generale riorganizzazione della città e alla realiz-
zazione ex novo di strutture che richiamino i modelli della capitale “marmorizzata”, nell’ottica
di una nuova politica edilizia. Ad un tempio di una certa imponenza fanno pensare infatti
due capitelli corinzi di grandi dimensioni – normali, secondo la deinizione che li distingue da
quelli italici – due grandi basi, un frammento di architrave e tronchi di dimensioni diverse di
colonne ioniche, variamente assemblati secoli dopo nella chiesa di San Saturnino. Pur senza
raggiungere il “gigantismo”, palese in alcune province, l’insieme base/colonna/capitello do-
Capitello dorico, Torralba. veva raggiungere l’altezza di oltre sette metri. Nei capitelli – ora molto corrosi – due corone
di foglie occupano circa metà dell’altezza totale. Le foglioline appuntite ed eleganti creano,
Capitello ionico igurato da Nora. siorandosi, occhielli tondeggianti e un po’ obliqui fra i lobi. Cauli sbiechi e corposi, percorsi
da leggere solcature parallele concluse da collarino tubolare, originano i caulicoli e le grosse
Capitello corinzio, Porto Torres. elici che s’incurvano verso il centro; un calice corposo, con i sepali ripiegati, sostiene lo stelo
che sale verso il iore d’abaco.
Le considerazioni stilistiche e le proporzioni tra le parti, aderenti ai canoni vitruviani, confer-
Nella pagina accanto mano l’attribuzione ad ambiente artistico augusteo.
Capitello corinzio, Selargius. Certamente coevo il frammento di trabeazione, impiegato come capitello, la cui decorazione
è costituita da tre fasce lavorate alternate a fasce lisce e separate da modanature di perle e
Capitello con delini, Selargius. astragali: la fascia più alta, in aggetto, presenta una sequenza di ampi ovuli con largo sguscio
e lancette, quella centrale un kyma lesbio; la terza un kyma lesbio rovescio. La faccia inferiore
Capitello ionico da Cagliari, via Angioj. del pezzo conserva il segno circolare dell’appoggio ad altro elemento architettonico.
Ancora a modelli urbani è ispirato un più consistente gruppo di capitelli, conservati anche
Capitello ionico, Porto Torres. grazie al riutilizzo nella basilica di San Gavino a Porto Torres, dove la quantità complessiva
non solo dei capitelli, ma anche di basi e di colonne dimostra una intensa attività edilizia pro-
Capitello ionico, Sassari. trattasi per tutta l’età imperiale. Si tratta ancora di corinzi e di compositi in marmo di buona
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La decorazione architettonica in età romana
fattura, prodotti dalle stesse botteghe, che trovano i confronti più diretti nell’architettura
romana e ostiense di età lavia. Le foglie delle due corone sono aderenti al calato ed il lobo
centrale si lette all’esterno. I lobi laterali, composti di tre e cinque fogliette, si sovrappongo-
no formando occhielli verticali tra le scanalature parallele delle foglie; scanalati sono anche i
cauli, compresi fra le foglie, ed il collarino diviso in tre sepali; la costolatura centrale ha il mar-
gine segnato da piccoli fori simmetrici che non raggiungono la deinizione “a spighetta”, che
è usuale negli esemplari romani. Al posto del calice, a sorreggere lo stelo del iore d’abaco,
è una foglietta allungata. Matrice comune a questo e agli esemplari presenti in varie località
della Penisola – ad esempio a Prato, San Vincenzo, ad Ostia ecc. – possono essere i capitelli
del Palazzo dei Flavi sul Palatino, quelli del tempio di Vespasiano e Tito e delle Colonnacce,
anche se in Sardegna la lavorazione è forse più dimessa. Il rimando è valido sia per i capitelli
corinzi, nei quali ora l’altezza delle due corone supera la metà del calato, sia per i capitelli
compositi che uniscono al motivo corinzio del calato la parte superiore ionica, nella quale
il nastro delle volute si arricchisce di viticci avvolgenti che si rifanno ai modelli dell’Arco di
Tito e della Domus Flavia. Segno della fortuna di questo modello, utilizzato nell’Isola ancora
nel II e ino al III secolo, è la presenza di un buon numero di esemplari, a volte riutilizzati,
presenti nella basilica di Santa Giusta a Santa Giusta, in piazza San Giorgio a Decimoputzu,
nella chiesa di San Giuliano a Selargius, nel centro urbano e nei depositi comunali di Villasor,
nella chiesa di San Saturnino a Cagliari e da ultimo a Decimonannu, con un esemplare forse
di provenienza cagliaritana.
Al primo secolo dell’impero vanno poi ascritti alcuni capitelli igurati, evidentemente desti-
nati ad ediici speciici: tre, di grandi dimensioni, con coppie di colombe rivolte verso il iore
d’abaco, rilavorati con simboli paleocristiani e ridotti in altezza con l’abolizione della prima
corona, sono riutilizzati a San Gavino, ed uno, uguale ma non modiicato, è custodito ad
Alghero; tre di minori dimensioni, con delini affrontati, sono a Selargius. Inine un ultimo
capitello igurato, recuperato a Decimo nell’altare della chiesa di Sant’Antonio, privo di tutte
le parti vegetali, conserva soltanto le morbide spire di un serpente che alza la testa al posto
del iore d’abaco.
Di poco più tardo, e presente con un buon numero di copie, è il modello del capitello ionico
con sommoscapo decorato a foglie d’acanto alternate a foglie d’acqua. Il ritrovamento di
almeno quattro di questi – tre di colonna ed uno di pilastro – nell’area archeologica indi-
viduata nel 1957 in via Angioj a Cagliari rende plausibile la loro appartenenza a un portico
colonnato, nel quale erano utilizzate anche alcune anteisse in marmo con lavorazione simile
a quella dei capitelli. Altri esemplari simili si trovano uno a Iglesias, due a Santa Giusta e ben
tre a Decimo, due dei quali riutilizzati nel cosiddetto Calvario del cimitero locale. Alle grandi
dimensioni e alla lavorazione pressoché standardizzata, e talvolta non inita, si aggiunge in
alcuni esemplari l’incisione di sigle differenti (VE, PF), forse identiicative dell’artigiano ai
ini della contabilizzazione. Quasi tutti presentano l’abaco modanato, le ampie volute incava-
te concluse da un piccolo iore quadrilobato e deinite da un listello piatto, ovuli con ampio
sguscio alternato a freccette, semipalmette a tre lobi con estremità leggermente sovrapposte.
Si distacca da questo standard l’esemplare del Calvario di Decimo, ora rovesciato come base
alla colonna, che presenta una modanatura ad astragali e perline e una morbida accuratezza
nel dettaglio delle foglie d’acanto. Il confronto pressoché puntuale è con i capitelli presen-
ti nei Giardini delle Terme di Antonino a Cartagine e con i capitelli di Ostia provenienti
dall’ampliamento di età severiana della Schola di Traiano, ma anche, per il trattamento delle
foglie del sommoscapo, con la decorazione della basilica severiana di Leptis Magna. A con-
fronti africani e alle stesse Terme di Antonino porta anche la lavorazione del kyma con ovuli
inseriti in sgusci ampi. É possibile perciò proporre una datazione intorno alla seconda metà
del II secolo d.C., periodo al quale è riferibile anche un bell’esemplare composito in marmo,
custodito nel seminario di Oristano, con analogo abbinamento di foglie d’acanto, alternate a
palmette e foglie d’acqua a rivestire il calato.
La presenza del piccolo iore al centro delle volute dei capitelli citati e di alcuni esemplari
ionici di Porto Torres richiama un insieme eterogeneo di capitelli nei quali un iore occupa
lo spazio delle volute o parte della supericie libera del calato: si tratta di un corinzieggiante
in arenaria da Nora con iore che poggia su una foglia isolata, di un composito in calcare
proveniente da Selargius, che sul calato ha grossi iori posti ai lati di una palmetta, di un com-
posito di pilastro, in trachite, da Fordongianus, di un capitello corinzieggiante in marmo da
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Donatella Salvi
Serri e di uno, ionico, da Olbia. L’introduzione del nuovo motivo vegetale, che compare sia in
produzioni in pietra locale che in marmo, ha confronto in esemplari compositi e ionici afri-
cani, anche non contemporanei fra loro, e precedenti in manufatti per i quali la deinizione
di corinzieggiante corrisponde in realtà a una somma di motivi e di modelli (calice di foglie
d’acanto su foglie d’acqua, piccole volute assorbite dall’avvolgersi di foglie angolari, iori fra
viticci a voluta contrapposti nei capitelli di lesena), come nel caso dei capitelli della porticus
post scaenam del teatro di Volterra di età claudia o, in composizione diversa, in un capitello
di Ercolano con elementi vegetali applicati. Rilettono lo stesso gusto decorativo le corolle
quadrilobate che compaiono nelle volute degli acroteri di alcune stele funerarie cagliaritane,
databili intorno al III secolo.
D’altra parte nel corso di questo secolo appaiono ormai allentati i rapporti con le produzioni
delle capitale, con pochi esemplari non più raggruppabili: alcuni reperti in marmo sono an-
cora attribuibili ad età severiana per il itto lavorio di trapano che traduce la forma vegetale in
una somma di chiaroscuri, annullando la consistenza del calato ed invadendo anche le volute,
quasi assorbite dalla foglia protezionale su cui si adagiano.
Capitelli corinzi di maggiori dimensioni presenti a Ussana, Oristano, Santa Giusta, Villaspe-
ciosa e Porto Torres sono invece riferibili alla tipologia detta asiatica o ad acanto spinoso: le
foglie appuntite aderiscono al calato formando occhielli geometrici fra i lobi, e nel caso del
capitello ora nell’Antiquarium Arborense di Oristano, i lobi della seconda corona, divenuti
orizzontali, formano intorno al calato una sorta di motivo continuo; in un altro – reimpiegato
a Santa Maria di Uta e di datazione dubbia – le elici piatte si piegano verso l’abaco su una
piccola foglia che sostituisce il calice; lo stelo è spesso ondeggiante. L’effetto complessivo
diventa gradualmente meno plastico ino ad apparire essenzialmente disegnativo, a scapito
dell’organicità naturalistica dell’insieme.
Le produzioni sarde in pietra locale si afidano invece negli ultimi secoli dell’impero a sempli-
icazioni progressive nei cosiddetti capitelli a foglie lisce, la cui struttura richiama per lo più i
capitelli corinzi e compositi. Presenti a Roma già in età lavia con esempi completi dell’appa-
rato vegetale ma privi del dettaglio, assumono col tempo una propria autonomia che inisce
per distinguerli deinitivamente dai prototipi, caratterizzando prima le tarde fasi romane e
poi quelle altomedievali. Si tratta comunque di una produzione non omogenea che nell’Isola
ha raramente prodotti di buona qualità, ma presenta molte varianti sia nell’impostazione del
capitello che nella realizzazione delle parti: foglie di diverso spessore possono essere distri-
buite su una o due corone che sostengono volute piatte e rotondeggianti, aderenti al calato o
fuse con esso; il canale può essere schematico o ridotto a una fascetta piatta; il iore d’abaco
è quasi sempre suggerito da una sporgenza quadrangolare che raccorda la curva dell’abaco
con quanto resta dell’echino.
Non mancano gli esemplari in marmo, sempre con foglie carnose e ripiegate a becco e, a
Sant’Antioco e a Porto Torres, con una sola corona e raccordo fra il calato e le volute con
palmette piatte.
Pietra locale e lavorazione sempliicata caratterizzano anche l’apparato architettonico – capi-
telli ionici e colonne lisce a rocchi sovrapposti – del tempio di Antas, che è attribuito alla fase
edilizia del III secolo d.C. Se la pietra, un conglomerato di frammenti di dolomie e calcari, può
avere per la durezza e la composizione condizionato il lavoro, il modello al quale questi capitelli
sembrano ispirarsi va ricercato in ambito africano, senza trascurare le esperienze parallele della
Grecia e della Siria: gli ovuli grandi sono a rilievo, intervallati da larghe frecce, la spirale che
disegna le volute non ha diretto rapporto con l’echino, il canale è praticamente simulato.
Per quanto riguarda gli altri elementi architettonici ritrovati in Sardegna, le basi in marmo,
numerose e spesso riutilizzate, sono per lo più di tipo attico. Rare invece quelle che aggiun-
gono decorazioni alla semplice modanatura: un bell’esempio è nella chiesa di Santa Giusta a
Santa Giusta ed uno, nel braccio occidentale di San Saturnino a Cagliari, trova confronto con
Colonna rudentata in marmo grigio, una base di Largo Argentina a Roma, sia per il toro percorso da un motivo a treccia che per
Sassari. la scozia con baccellature limitate alla faccia a vista.
L’ampia varietà di marmo con il quale sono realizzate le colonne ne dimostra l’importazio-
ne, ma è noto che in granito sardo sono stati realizzati fusti lisci per i cantieri dell’Isola e
Nella pagina accanto per l’esportazione. Tuttavia le colonne in granito presenti a San Gavino di Porto Torres non
Colonna in marmo cipollino, Sassari. sembrano provenire dalle più note cave con tonalità rosate di Capo Testa e Olbia, ma for-
se dalle cave dell’Asinara, che conservano tracce di coltivazione nei banchi di granito grigio.
90
La decorazione architettonica in età romana
Trabeazioni, cornici, fregi, lastre di rivestimento o capitelli di lesena invece sono pervenuti
in numero irrisorio e insuficiente a valutazioni d’insieme anche quando la qualità dei fram-
menti è elevata.
In conclusione, se si eccettuano i pochi casi di contestualizzazione e di possibile ricompo-
sizione degli elementi, è incerta e varia la condizione degli spolia, per lo più riutilizzati nelle
chiese, ma condizionati dalle nuove esigenze di assemblaggio in un nuovo organismo: spesso
sono assenti le basi ed alcuni capitelli sono rilavorati con l’abolizione o con il restringimento
inorganico del calato per farli combaciare con la colonna che li sostiene. Né mancano situa-
zioni opposte, come accade nella chiesa di San Saturnino di Ussana, dove capitelli corinzi
completi sono abbinati con tozzi tronchi di colonne. In altri casi colonne antiche sono state
completate da capitelli realizzati ex novo, mentre nella cripta di Santa Giusta, a Villasor e a
Decimo, i capitelli rovesciati sono stati utilizzati come basi.
È possibile chiedersi a quali ediici, privati o pubblici, che componevano l’ornatus civitatis, le
decorazioni architettoniche pervenute fossero pertinenti. Le fonti letterarie ed epigraiche
relative al decoro urbano sono piuttosto limitate e già compiutamente prese in considerazio-
ne. Da esse è comunque dificile estrapolare i dati relativi alle strutture che potrebbero aver
utilizzato gli elementi architettonici conservati. Ed anche nel caso della più esplicita iscrizione
turritana CIL X 7946, che ricorda la restitutio del templum Fortunae et basilicam cum tribunali et co-
lumnis sex, l’unica informazione che è possibile trarne è quella dell’esistenza, intorno alla metà
del III secolo, di strutture che, vetustate collapsae a quella data, potevano essere state costruite
anche due secoli prima.
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92
La statuaria e la scultura decorativa
Simonetta Angiolillo
Nel 1895 F. Wickhoff, nel Die Wiener Genesis, rivendicando per la prima volta per l’arte di
Roma una posizione autonoma, ne sosteneva il carattere originale e innovativo. Compren-
dendo l’eccezionale importanza ideologica che il ritratto aveva avuto nel mondo romano,
proprio nella creazione di tale genere artistico individuava la grandezza dell’arte di Roma. Del
resto, dall’ammirato racconto dello storico greco Polibio conosciamo l’uso di calchi in cera
dei volti dei defunti, veri e propri ritratti realistici, nei funerali dei personaggi illustri: «Non è
facile per un giovane che aspiri alla fama e alla virtù vedere uno spettacolo più bello di questo.
[…] Quando ha inito di parlare del morto, l’oratore incaricato dell’elogio funebre ricorda
i successi e le imprese dei suoi antenati, dei quali sono presenti le immagini, cominciando
dal più antico. Così, rinnovandosi continuamente la fama di virtù degli uomini valorosi, si
immortala la gloria di coloro che hanno compiuto nobili imprese e il nome di coloro che
hanno servito bene la patria è conosciuto da tutti e si trasmette ai posteri. E, quel che più
importa, i giovani sono spinti a sopportare tutto per procacciarsi la gloria che si accompagna
ai valorosi» (Polibio, Storie, VI, 53).
La situazione della Sardegna, arrivata all’impero romano dopo secoli di dominazione punica
che l’hanno profondamente segnata, appare del tutto singolare, perché, come sottolineato da
F. Barreca, la cultura fenicio-punica è caratterizzata dalla «tendenza spiccata all’aniconismo».
Ed esaminando la scultura di età romana nell’Isola vediamo che un solo ritratto di dimensioni
reali o di poco inferiori al vero, scoperto fortuitamente a Cagliari, risale a età repubblicana,
proprio quando, complici le competizioni tra le diverse gentes per primeggiare all’interno della
aristocrazia senatoria, Roma vede un incredibile iorire di ritratti. Una testa in marmo bianco
a grana molto ine rappresenta in modo realistico un uomo di una certa età (cat. n. 1.200), il
volto solcato da rughe profonde sulle guance e da altre appena accennate sulla fronte spazio-
sa e intorno agli occhi, le sopracciglia un po’ aggrottate, la bocca tagliente rialzata a sinistra,
le orecchie a sventola. Sulla fronte i capelli formano un ciuffo che ricorda la pettinatura di
Alessandro Magno, ripresa dal grande Pompeo: «[…] i capelli si elevavano dolcemente dalla
fronte; questa […] creava quella rassomiglianza coi ritratti del re Alessandro di cui si parlava,
più che vederla realmente. Molti sulle prime gli attribuirono persino il nome di Alessandro,
che Pompeo non respinse» (Plutarco, Vita di Pompeo 2, 2, trad. C. Carena). Il ritratto unisce
due aspetti discordanti: da un lato un programmatico richiamo alla austerità dei patres, dall’al-
tro una rafinata esecuzione frutto di una cultura profondamente greca e un tratto iconogra-
ico quanto mai signiicativo, la pettinatura, che costituisce un preciso richiamo a una certa
ideologia. Dunque il soggetto rafigurato vive la stessa contraddizione che le fonti letterarie
ci fanno conoscere per numerosi personaggi della tarda repubblica, in primo luogo Cicero-
ne, denigratore nelle orazioni pubbliche dell’arte greca e di chi la apprezza, collezionista egli
stesso nella vita privata.
L’ottima qualità della scultura e la sua unicità nel quadro offerto dalla Sardegna autorizzano
ad attribuirla a una bottega Urbana e non locale e a considerarla come il ritratto di un espo-
nente di quegli italici che in Sardegna arrivavano per svolgervi le funzioni di magistrati, di
militari o di negotiatores.
In epoca imperiale il panorama si arricchisce di esemplari. Da Cagliari provengono un ri-
tratto frammentario di Augusto del tipo Prima Porta (cat. n. 1.202) e un busto maschile di
ignoto di mezza età (cat. n. 1.201), i cui caratteri formali e iconograici inducono a collocarlo
nell’ambito della estrema età giulio-claudia, quando si afferma un clima di reazione al freddo
classicismo della ritrattistica uficiale di Augusto e Tiberio, con un ritorno a canoni di mag-
giore realismo. Allo stesso periodo appartengono anche un ritratto da Cagliari e una statuetta
da Villasimius (cat. n. 1.214), entrambi rafiguranti donne ignote.
A parte pochi altri casi isolati, per esempio a Tharros un ritratto probabilmente di Ottavia
(cat. n. 1.198), sorella di Augusto morta nell’11 a.C., e a Porto Torres quello di un fanciullo
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membro della famiglia imperiale, il gruppo di ritratti giulio-claudi più consistente e interes-
sante proviene da Sant’Antioco, dove è stata messa in luce una galleria di statue dedicate,
probabilmente nel foro, all’imperatore e alla sua famiglia. Ne fanno parte due teste origina-
riamente inserite in una statua, una statua iconica integra e due acefale. La prima testa-ritratto
rappresenta Tiberio (cat. n. 1.203), il volto un po’ inclinato verso destra, la fronte spaziosa, gli
occhi grandi, la bocca sinuosa con due morbide pieghe agli angoli, il mento carnoso con fos-
setta centrale. La pettinatura, a piccole ciocche che formano una forcella centrale e un motivo
a tenaglia sulla tempia destra, riprende quella del tipo “dell’adozione” (4 d.C.), ma alcune dif-
ferenze signiicative riscontrabili sulle tempie rendono certi che si tratti di un’opera postuma.
La seconda rafigura Claudio (cat. n. 1.204) in età sicuramente giovanile, quale appare sulle
monete dell’anno della sua ascesa al trono, il 41 d.C., quando in realtà aveva già 51 anni: il vol-
to marcatamente triangolare, e una pettinatura in gradus formata sulla fronte molto bassa. La
contraddizione con la sua età reale è solo apparente, dal momento che le serie monetali del 41
attestano entrambi i tipi, quello giovane e quello anziano. Elementi iconograici ed elementi
Ritratto di Nerone da Olbia. formali concordano nel fare attribuire i due ritratti a una medesima bottega, responsabile
anche dell’unica statua iconica integra rinvenuta a Sulci e inora in tutta la Sardegna.
Quest’ultima rappresenta Druso minore in abbigliamento militare (cat. n. 1.224). Il iglio di
Nella pagina accanto Tiberio, che nel 20 d.C. triumphavit ex Illyrico e fu ucciso nel 23 non ancora quarantenne, è
Ritratto di Druso da Sant’Antioco. riconoscibile dalla fronte sfuggente, il naso aquilino, il mento tondeggiante, il ciuffo di capelli
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Simonetta Angiolillo
Statua di pescatore
da Porto Torres.
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Simonetta Angiolillo
dal momento che, su base epigraica (sotgiu, 1988, B2; CIL X 7536), conosciamo l’esistenza
di proprietà private di Claudio nell’ager di Sulci. Se infatti quella di dedicare ritratti imperiali è
una tradizione diffusa e se non è sempre possibile né necessario individuare una motivazione
particolare per questa forma di omaggio, è d’altra parte sicuro che non è questo l’unico caso
in Sardegna in cui si possa additare un legame particolare tra la città dedicante e l’imperatore.
A Olbia il rinvenimento di uno dei migliori esemplari del tipo creato per celebrare l’inizio
del principato di Nerone (cat. n. 1.205), nel 54 d.C., non può essere disgiunto dalla presenza
nell’agro della città di latifondi e di fabbriche di laterizi di proprietà di Nerone, donati in
seguito alla sua concubina Atte. E un’altra statua dello stesso imperatore, questa volta in
bronzo, ridotta in numerosi e piccoli frammenti, è stata rinvenuta su una nave affondata nel
porto di Olbia alla metà del V secolo: secondo una pratica nota anche da altri relitti, la statua
era stata imbarcata quando era stata già intenzionalmente fatta a pezzi e aveva dunque perso
qualsiasi valore storico e artistico per mantenere solo quello monetario di materia prima fa-
cilmente riutilizzabile. È impossibile, allo stato attuale, individuare la collocazione originaria
della scultura, se cioè fosse stata caricata a Olbia o provenisse da un altro porto.
In questa città sono stati rinvenuti anche i ritratti di Domiziano e della moglie Domizia, o
della nipote Giulia, e uno di Traiano (cat. n. 1.206), probabili dediche a imperatori resisi
benemeriti nei confronti della popolazione: a età lavia risale infatti un intervento di ripristi-
no del porto insieme alla sistemazione monumentale dell’antistante foro, dove con grande
verisimiglianza dovevano essere esposti i ritratti imperiali. È interessante notare che il fatto
che su entrambi i ritratti lavi i guasti siano gli stessi, nonostante che solo l’imperatore fosse
stato condannato alla perdita delle immagini, non Domizia né Giulia, suggerisce l’ipotesi che
la forte corrosione che caratterizza le sculture sia addebitabile a danneggiamenti prodotti
dal tempo e dalla conservazione e che dunque la damnatio memoriae non fosse stata applicata,
come, del resto, è attestato anche ad Afrodisia in Caria.
Per l’omaggio di Olbia a Traiano, in mancanza di elementi concreti, C. Saletti ha ipotizzato
che i fundi assegnati ad Atte da Nerone, e forse tornati di proprietà imperiale dopo la morte
della liberta, possano esser stati poi donati alla città da Traiano (saLetti, 1989).
Un ritratto di Marco Aurelio in età avanzata (cat. n. 1.207) e uno della moglie Faustina mi-
nore (cat. n. 1.199) sono stati rinvenuti a Porto Torres; la stessa imperatrice, o una sua con-
temporanea, è rafigurata anche in una testa in stucco di dimensioni un po’ inferiori al vero,
rinvenuta nell’area della “Villa di Tigellio” a Cagliari. Le immagini forse di Filippo Minore
a Cagliari e di Costantino a Olbia costituiscono gli esemplari iconici più tardi della provincia.
Costantino è incoronato, con il gladio in mano e con cornucopia e globo a far da sostegno
(cat. n. 1.231); è possibile che la statuetta, date le sue piccole dimensioni, fosse destinata al
Frammenti della statua bronzea larario di una ricca domus.
di Nerone, da Olbia. È attestato anche un certo numero di statue iconiche, acefale: le più numerose sono le igure
maschili togate (cat. n. 1.221) o loricate, ma altri tipi, usati soprattutto per la famiglia impe-
riale, rafigurano il personaggio in nudità eroica (lo Hüftmantel a Sulci, o il tipo dello Zeus
Nella pagina accanto seduto, cat. n. 1.225, a Porto Torres). A Cagliari, nell’area di Sant’Eulalia, si è rinvenuta anche
Anasyrmene da Antas. la statua di un sacerdote di Osiride, di età adrianea (cat. n. 1.235).
Meno numeroso ma ugualmente interessante è il gruppo delle statue iconiche femminili:
Giove Dolicheno da Antas. oltre a una sacerdotessa di Iside del II secolo a.C. (cat. n. 1.212) di notevole livello qualitativo,
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La statuaria e la scultura decorativa
probabilmente legata a committenza italica e proveniente dall’area del santuario di via Malta a
Cagliari, si possono ricordare due begli esemplari da Porto Torres (cat. n. 1.214) e da Quartuc-
ciu, che nel I secolo d.C. riprendono con diversa sensibilità il noto tipo della Kore prassitelica:
una igura femminile stante con ampio chitone, sul quale è avvolto un himation che passa sotto
il braccio destro lasciando scoperti la spalla e il seno, sale obliquamente sulla spalla sinistra
formando un rotolo voluminoso e si raccoglie con un ricco nodo sull’anca; da qui scende ino
all’altezza delle caviglie in una cascata di pieghe. Nonostante la sovrapposizione di chitone e
himation, la leggerezza dei tessuti lascia trasparire il modellato del corpo femminile. Al secolo
successivo appartiene la statua, ora collocata nel Giardino Pubblico di Cagliari, proveniente da
Uta dove era reimpiegata nella chiesa di San Tommaso. Si rifà al modello, molto famoso in età
ellenistica e romana, della Grande Ercolanese: ancora una igura femminile avvolta in un ampio
chitone e in un himation che le copre il capo e le imprigiona le braccia. Il volto è una integrazio-
ne ottocentesca; originale è invece l’acconciatura dei capelli, ravviati all’indietro con una sorta
di treccia che vi si sovrappone, eseguita con una peculiare lavorazione a traforo, secondo una
stilizzazione che trova l’unico confronto suficientemente puntuale in una moneta traianea raf-
igurante Matidia, nipote dell’imperatore. Per le loro dimensioni maggiori del reale è possibile
che tutte queste sculture rappresentassero imperatrici o divinità.
Di altre statue iconiche siamo informati inine da evidenze di carattere epigraico: merita
una menzione quella eretta pecunia publica nel foro di Cagliari in onore di un tribuno militare,
pretore e questore, di cui non si è conservato il nome; la statua doveva essere equestre per le
notevoli dimensioni della base. È da segnalare inoltre la notizia della dedica, a Bosa, di quattro
statue in argento ad Antonino Pio, alla moglie Faustina e ai igli adottivi Marco Aurelio e
Lucio Vero (CIL X 7939), di un peso variabile da 1047 a 371 gr. Si tratta di un uso che ci è
noto per esempio dal busto in argento di Lucio Vero al Museo di Torino o da quello in oro
di Marco Aurelio ad Avenches.
Accanto alle statue iconiche si conoscono rappresentazioni di divinità (cat. nn. 1.150, 1.213,
1.218), per lo più a carattere ornamentale o votivo; non sembrano infatti conservarsi in Sar-
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La statuaria e la scultura decorativa
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degna statue di culto in marmo, gli unici probabili casi, ad Antas e a Olbia, sono rispettiva-
mente in bronzo e in terracotta (cat. n. 1.123). Alcuni esemplari sono di importazione: è stata
rinvenuta a Pula una Afrodite di dimensioni ridotte che si allaccia il sandalo, databile circa alla
metà del II secolo a.C. e lavorata nel rinomato marmo lychnites, la miglior qualità del marmo
pario. Allo stesso clima culturale, anche se di poco posteriore, appartiene una statuetta forse
in marmo pentelico, da Porto Torres, riconducibile all’altro tipo molto famoso della Anadio-
mene, l’Afrodite che si strizza i capelli dopo il bagno (cat. n. 1.210). Meritano una menzione
anche la bella statuetta acefala trovata a Cagliari che riprende lo schema della Musa con rotolo
di Philiskos di Rodi, la statua di un pescatore da Porto Torres, replica di un originale ellenistico
(cat. n. 1.226) e le rafigurazioni di Bacco stante con la pantera (cat. nn. 1.227, 1.230) e nella
replica del Dionysos tauros prassitelico, con minuscole corna taurine. Un’evidente funzione
decorativa aveva una serie di piccole erme, per lo più di qualità molto modesta: alcune sono
bifronti (cat. nn. 1.233, 1.234), con teste di satiri, sileni e Pan; altre, a Tharros e a Porto Torres,
rappresentano repliche di una testa maschile protetta da elmo calcidico con paragnatidi e cor-
na d’ariete sulla calotta e all’altezza delle orecchie (cat. n. 1.232), secondo un tipo molto dif-
fuso nel I secolo d.C., particolarmente a Pompei. Interessanti sono anche, rinvenuti a Porto
Torres, una statuetta rafigurante un cervo azzannato da un cane e un oscillum marmoreo (cat.
n. 1.197), elemento decorativo che veniva appeso nei peristili delle ville e delle case, molto
frequente a Pompei e nel Lazio, ma noto un po’ in tutto l’impero; l’esemplare turritano, forse
di età severiana, fa parte di un piccolo gruppo caratterizzato da una diversa lavorazione sulle
due facce: a rilievo molto basso e senza uso di trapano su un lato, in cui è rafigurato un efebo
alato che danza con una lunga benda in mano; a rilievo molto accentuato e con abbondante
uso di trapano sull’altro, in cui è lavorata una testa di divinità maschile con lunghi capelli e
barba (cat. n. 1.197).
Per la scultura in bronzo, il Nerone di Olbia e un dito di dimensioni maggiori del reale da
Antas costituiscono la preziosa testimonianza dell’esistenza di scultura bronzea di grandi
dimensioni in Sardegna: purtroppo, come insegna proprio il caso del relitto di Olbia, il valore
monetario del bronzo è stato il primo motivo della scomparsa di questi reperti. Molto più
ricca è invece la documentazione relativa alla piccola bronzistica, votiva e decorativa. Per
quanto attiene alla sfera religiosa, sono numerosi gli ex voto, tra i quali citiamo una singolare
anasyrmene dedicata nel santuario di Antas, igura femminile inginocchiata e in atto di scoprirsi
il ventre, di matrice ellenistica, probabilmente tolemaica, e poi rafigurazioni di Lari (cat. n.
1.151) e di varie divinità (cat. nn. 1.154, 1.155, 1.156): tra di esse Iuppiter Dolichenus, ad Antas,
dio siriaco dal forte carattere soteriologico, e Aristeo, il iglio di Apollo che insegnò agli uomi-
ni ad allevare il bestiame e le api, da Oliena (cat. n. 1153). Inine, da Padria, una mano votiva
di Sabazio nello schema della benedictio Latina, con anulare e mignolo piegati e le rimanenti
dita distese. La mano è coperta di motivi simbolici legati alla personalità del dio; in particolare
un serpente con valore salutifero, un ariete rafigurante la morte sconitta da Sabazio e una
donna con bambino, forse identiicabile con Cibele protettrice dei neonati.
Per i bronzetti decorativi possiamo citare la rafigurazione di un gladiatore da Ruinas presso
Oristano (cat. n. 1.152), oltre a un piccolo gruppo di appliques che dovevano decorare mobili
o suppellettili: una scimmia-gladiatore pertinente a una lucerna, un piccolo lanternarius ad-
dormentato nell’attesa del padrone, forse impugnatura di un bastone, un busto di sileno da
un fulcrum, una coppia costituita da un uomo anziano con rotolo in mano e dal suo giovane
lanternarius africano, probabile decorazione di un carro.
Al termine di questo esame, spunti di particolare rilessione offre la ritrattistica, dove la
stragrande maggioranza delle opere considerate rafigura membri della famiglia imperiale, se
non addirittura gli stessi imperatori. Mancano quindi ritratti di privati: i pochi che potrebbero
essere inclusi in questa categoria, sono comunque attribuibili a bottega Urbana e possono
essere considerati, proprio grazie alla loro unicità, relativi a magistrati o funzionari. Sembra
allora che la Sardegna, anche in virtù del carattere aniconico della cultura punica che condi-
ziona profondamente la tradizione dei Sardi, abbia continuato a sentire il ritratto come una
forma artistica estranea e non l’abbia fatto proprio, facendone dunque esclusivamente uno
strumento di propaganda del centro del potere. Per sua stessa natura, è ovvio, il ritratto è
sempre un mezzo di propaganda, di esaltazione personale, e come tale viene in genere usato
dalla classe dirigente, o anche più semplicemente da chiunque ne abbia la possibilità, ma in
Sardegna questo non sembra avvenire: l’unico esempio di ritratto di magistrati locali che
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La statuaria e la scultura decorativa
possiamo indicare con certezza è quello della moneta coniata per la constitutio del municipio
caralitano. Su una faccia sono infatti rafigurati i busti maschili dei due sufeti con i loro nomi
Aristo Mutumbal Ricoce suf., e di questi uno è togato. L’intreccio di elementi provenienti da
culture diverse non potrebbe essere più evidente: Aristo, forse di origine greca, e Mutumbal
Ricoce sono sufeti, rappresentanti quindi di una magistratura di tradizione punica, ma la loro
immagine viene efigiata sulla moneta secondo un uso romano e uno dei due indossa addi-
rittura la toga.
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Simonetta Angiolillo
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La coroplastica votiva della Sardegna romana
Romina Carboni
Quando si parla di scultura ittile di età romana in Sardegna si fa riferimento a diverse tipo-
logie che spaziano dalla decorazione architettonica – un esempio per tutti è rappresentato
dalle terrecotte acroteriali del tempio di Antas – a quella cultuale tout court. Come ricorda
Sabatino Moscati, elementi imprescindibili per la comprensione di questa produzione sono i
«due iloni, non totalmente scissi ma certo ben differenziati, [che] possono ravvisarsi in tale
artigianato: quello colto e quello popolare. Il primo si lega alle suggestioni dell’eredità fenicia,
della presenza punica, e soprattutto dell’inlusso greco; il secondo rilette una produzione
spontanea che, rispetto a quelle suggestioni, si colloca in posizione di autonomia, di reazione,
o comunque di indipendenza» (Moscati 1992).
Tra i tanti casi attestati nell’Isola di artigianato cosiddetto colto, si può ricordare un com-
plesso che riveste un grande interesse sia per l’originalità dei reperti che lo contraddistingue,
dalla quale peraltro traspare un notevole livello di autonomia, che per la sua connessione con
le produzioni di votivi dei santuari italici: si tratta per la precisione delle terrecotte igurate
provenienti dalla laguna di Santa Gilla a Cagliari, cronologicamente inquadrate nel momento
di passaggio dall’età punica a quella romana. Le terrecotte, datate da S. Moscati tra la ine del
III e il II secolo a.C., sono caratterizzate da una grande varietà tipologica che comprende nu-
merose protomi maschili e femminili, altrettanto consistenti votivi anatomici, ino ad arrivare
alle poche teste femminili a tutto tondo e alle attestazioni di animali, quali tori, molossi, grii,
levrieri e coccodrilli. Le terrecotte sono realizzate con matrici stanche, se non addirittura con-
sunte, con riporti plasmati a mano e integrazioni realizzate con la stecca e la spatola. Il livello
tecnico nel complesso appare piuttosto elevato e probabilmente è da ricondursi ad un’unica
oficina dove lavorano artigiani qualiicati, forse di origine africana, che si specializzano nella
produzione di determinate tipologie di materiali.
Tra gli ex voto anatomici si ricorda la prevalenza di mani: alcune reggono il portarotoli, altre
un serpente – con un chiaro riferimento a culti di natura egizia –, ino ad arrivare alle cosid-
dette mani chiromantiche. Queste ultime sono così chiamate per via della presenza di diverse
linee incise corrispondenti a quelle del cuore, della vita e della testa, oltre a due rigoniamenti
plastici a indicazione del “monte di Venere” e del “monte della luna”. Se questi esemplari
costituiscono una peculiarità esclusiva del contesto di Santa Gilla, altrettanto può dirsi per
alcune terrecotte a forma di animali, tra i quali si ricordano i levrieri, rafigurati con le zampe
anteriori protese in avanti, e le teste di coccodrilli, che ancora una volta rimandano all’ambito
cultuale egiziano.
Accanto ad esemplari connotati da un grande livello di originalità, si ritrovano elementi – legati
soprattutto alle protomi, alle teste, nonché ai votivi anatomici e ad alcuni animali più “classici” –
che richiamano i depositi votivi italici, rispetto ai quali mancano qui le attestazioni di statuette,
bambini in fasce, mezze teste ed ex voto anatomici, quali orecchie, lingue, organi genitali ecc.
Notevoli afinità con il complesso di Santa Gilla si ravvisano in un altro contesto di alto
livello, quello di Padria, l’antica Gurulis Vetus. Quest’ultimo, datato tra il IV secolo a.C. e il
III d.C. e dunque a cavallo tra il periodo inale dell’età punica e la piena età romana, si ca-
ratterizza per il ricorso a modelli ellenistici che vengono rielaborati da maestranze altamente
qualiicate. L’area sacra in questione, collocata ai piedi di una delle tre colline che delimita-
no il centro di Padria in corrispondenza della località di San Giuseppe, è stata interpretata
come un santuario a cielo aperto. Tra i materiali venuti alla luce, la cui frammentazione viene
considerata intenzionale, si segnala, insieme a ceramica e frammenti ossei di incinerati, una
rilevante quantità di ittili votivi. Questi ultimi sono attestati da numerosi esemplari di ex voto
anatomici (mani, piedi, dita, occhi, orecchie, organi interni, cat. nn. 1.126-1.131), da rafigu-
razioni di animali o di parti di essi (serpenti, leoni, bovini, equini, colombe, galletti, rapaci,
cat. nn. 1.132-1.135), di frutti (mela, melagrane, ichi) e di vegetali (foglia, iore), statuette,
teste, protomi, maschere (cat. nn. 1.103-1.115) e per inire elementi architettonici (capitelli,
109
Romina Carboni
colonne, decorazioni). Le terrecotte che riproducono igure maschili e femminili, nude e pan-
neggiate, in alcuni casi adorne di gioielli, possono riferirsi a divinità e ad eroi, ma nel caso di
forte caratterizzazione isionomica si può pensare a dei veri e propri ritratti. Se i materiali – in
particolare gli ex voto anatomici, il gallo e il serpente (cat. n. 1.134) – orientano verso un culto
di ambito salutifero, la presenza di terrecotte rafiguranti Eracle con leontè, nonché le clave
(cat. n. 1.136), portano a riconoscere nella divinità destinataria del culto proprio il mitico
fondatore della colonia di Ogryle.
I reperti sono stati realizzati a stampo o a mano, con l’ausilio della stecca, della spatola e
di uno strumento a pettine. Le matrici di riferimento appaiono stanche e consunte; si può
osservare un’alternanza tra tipi accurati, come le protomi, ed altri sommari, come nel caso
dei volti maschili e femminili e dei busti. Se le afinità con il complesso di Santa Gilla, forse
da ascrivere alla presenza di coroplasti vaganti o alla trasmissione di matrici, sono indubbie
– in particolare per la resa dei volti, per la presenza delle mani a dita piegate o per la rappre-
Protome femminile da Cagliari, sentazione del serpente –, altrettanto evidente appare il nesso con complessi votivi di tipo
Santa Gilla. etrusco-laziale-campano, dai quali quello in esame si discosta per l’assenza di rafigurazioni di
bambini in fasce e di organi genitali, con l’eccezione di un utero. Sulla base dell’osservazione
Levriero da Cagliari, Santa Gilla. della tecnica utilizzata, si può ipotizzare che ci si trovi davanti a manufatti realizzati in diverse
oficine che, pur mostrando differenti livelli di abilità tecnica, operano nella stessa area dando
Testa di coccodrillo da Cagliari, vita a prodotti ascrivibili in parte al ilone dell’artigianato “colto”, in parte a quello deinito
Santa Gilla. “popolare”. Date le analogie tecniche, è verosimile pensare che esistessero botteghe miste
che realizzavano i loro prodotti per una doppia committenza, elemento quest’ultimo che
Mano “chiromantica” da Cagliari, potrebbe aver inluito anche nelle scelte selettive di alcune tipologie di terrecotte a discapito
Santa Gilla. di altre, come è ravvisabile nel complesso di Santa Gilla.
110
La coroplastica votiva della Sardegna romana
111
Romina Carboni
Statuetta da Neapolis.
Statuetta da Bithia.
Il legame inscindibile tra l’artigianato popolare e quello colto, al quale il primo si ispira
elaborandolo con risultati spesso irriconoscibili, è evidente in numerosi contesti della Sar-
degna tardopunica-romana. Tra questi se ne citano qui due relativi alla sfera cultuale di am-
bito salutare che, pur essendo di matrice punica, presentano una continuità d’utilizzo ino
all’età romana: il primo di questi è Neapolis, con attestazioni che si concentrano nel IV-III
secolo, con attardamenti ino al II secolo a.C., il secondo Bithia, la cui fase di vita principale
è inquadrabile tra il III e il I secolo a.C. La caratteristica che li differenzia sta nella tecnica di
produzione dei materiali che talvolta si rifà prevalentemente alla modellatura a mano, come a
Neapolis, talaltra a quella al tornio, come nel caso di Bithia.
Per quanto riguarda il primo contesto si ha a che fare con un complesso di votivi costituito da
terrecotte igurate realizzate in argilla locale per lo più plasmate a mano a tutto pieno (virili o
muliebri, nude e stanti), igurine e vasi plastici realizzati al tornio, votivi anatomici plasmati a
mano o al tornio, pinakes e frutti. La maggior parte delle terrecotte è ascrivibile al gruppo del-
le statuine di terracotta massiccia, rafigurate con corpo cilindrico, testa sferoidale distinta e
con le mani disposte in corrispondenza di differenti parti del corpo, in particolare degli occhi,
forse ad indicare le parti “malate” per le quali si chiedeva alla divinità la guarigione (da qui il
nome di “devoti sofferenti”). La diffusione, tipicamente insulare, delle statuette in questione
di contro alla minore attestazione nell’Isola degli ex voto anatomici, in particolare degli organi
interni, potrebbe essere legata alla volontà degli offerenti di offrire oggetti personalizzati con
la rappresentazione della igura umana nella sua interezza, sostituendo la parte con il tutto.
La tipologia delle terrecotte del deposito votivo di Neapolis indirizza verso un’interpretazione
del complesso in chiave popolare, come sembra emergere sia dalla collocazione suburbana
del santuario di pertinenza, come nel caso di Bithia, sia dalla tipologia degli ex voto, realizzati
in economia. Una particolarità del deposito di Neapolis sta nel limitato numero di statuette
realizzate al tornio che, secondo R. Zucca, costituirebbero «[…] un adattamento dell’artigia-
nato locale del predominante tipo bitiense» (zucca 2005).
Il deposito votivo di Bithia proviene in parte da una fossa posta nelle vicinanze di una strut-
tura templare a cella tripartita, il cosiddetto tempio di Bes, in parte dall’interno della cella dello
stesso, laddove si è rinvenuta anche la statua del dio. Il deposito ha restituito terrecotte igurate
– in particolare votivi anatomici –, ceramica e monete di età punica, romano-repubblicana e
imperiale. La produzione votiva si caratterizza, come già anticipato, per l’assoluta prevalenza
delle igurine al tornio, appartenenti a due diverse tipologie – l’una campanata, per via della
base aperta, e la seconda ovoidale, a base parzialmente chiusa – entrambe riconducibili alla
rafigurazione dei cosiddetti devoti sofferenti. La presenza di questi ultimi, in associazione con
gli ex voto ittili, permette di far riferimento sia nel caso di Bithia che in quello di Neapolis ad una
divinità guaritrice come destinataria del culto. Questi due luoghi di culto sembrano rispondere
112
La coroplastica votiva della Sardegna romana
alla diffusione nell’Isola di precise divinità connesse con la sfera salutare, in primis il punico
Eshmun, che si identiica in età romana con Esculapio, l’equivalente del dio greco Asclepio.
Una signiicativa testimonianza cultuale legata al dio è il cosiddetto tempio di Esculapio
messo in luce a Nora presso Sa Punta ‘e su Coloru. La struttura fu interessata da diverse fasi
edilizie che ne rendono dificile la ricostruzione cronologica, anche se si è quasi certi di un
impianto ascrivibile almeno al II secolo a.C.; si arriva poi ino al IV secolo d.C., periodo a cui
si data il pavimento musivo, e ancora oltre con strutture forse di VI-VII secolo d.C. L’attri-
buzione ad Esculapio, tuttora incerta, è basata sul rinvenimento sotto il piano di calpestio del
corridoio di sei statue pertinenti al II secolo a.C.: due statue, una delle quali con un serpente
avvolto lungo il corpo (cat. n. 1.102), rafigurano incubanti e quattro, di dimensioni minori,
devoti del dio Asclepio. Mentre solitamente i culti di natura salutare sono legati al dono di
ex voto anatomici o di rafigurazioni di devoti, in questo caso ci si trova davanti alle uniche
attestazioni conosciute di ex voto con rafigurazione di incubanti. Accanto ad una certa eclet-
ticità mostrata dal coroplasta che fonde elementi di tradizioni diverse, emerge chiaramente
l’inluenza di modelli italici – ai quali rimandano sia le rafigurazioni di devoti che la resa dei
tratti dei volti – la cui diffusione è attestata grazie a queste dediche già nel II secolo a.C.
Oltre alle terrecotte provenienti da depositi votivi, numerose sono le attestazioni di sculture
in terracotta di provenienza incerta o sconosciuta, ma riferibili a divinità precise. Ad età im-
periale risale una particolare tipologia di terrecotte votive relative ad un culto di natura agraria
ed inquadrabile tra la ine del I e la ine del II secolo d.C.: la cosiddetta Sarda Ceres (cat. nn.
1.117-1.118). Queste rafigurazioni, provenienti esclusivamente da nuraghi, con l’eccezione
del caso di Olmedo, si caratterizzano per la diffusione areale limitata esclusivamente alla
Sardegna, e più precisamente al solo versante nord-occidentale. Nello speciico si tratta di
rafigurazioni di piccole dimensioni – comprese tra i 12 e i 19 cm – di busti ittili realizzati a
matrice e rafiguranti una divinità femminile a mezzo busto con polos, diadema e velo. Il viso
è incorniciato da lunghi capelli che ricadono sulle spalle, lasciando talvolta visibili le orecchie
spesso adorne di orecchini emisferici. Il capo è sormontato da un kalathos che può recare de-
corazioni di diverso tipo, tra le quali una o più spighe di grano. Il busto è coperto sul davanti
da una veste resa in maniera schematica con un panneggio più o meno stilizzato, mentre il
retro può essere liscio o presentare un’indicazione del drappeggio con colpi di stecca. Tal-
volta fa la sua comparsa sul retro, inciso o grafito in caratteri capitali, anche un marchio di
fabbrica, riferibile al nome dell’artigiano o del proprietario.
Esistono due principali sottotipi che caratterizzano questa produzione e che si differenziano
per la resa più o meno naturalistica e per la forma più o meno slanciata del busto. All’interno
del primo sottotipo rientra un esemplare conservato al Museo di Porto Torres (cat. n. 1.118),
caratterizzato da una sagoma asimmetrica e da un basso piedistallo cilindrico. Il polos non alto
– caratteristica tipica del primo sottotipo insieme al piedistallo non accentuato – è decorato
con una spiga posta in posizione centrale. Dall’alto diadema lunato si dipartono i capelli lisci
resi con tratti obliqui paralleli e divisi da una scriminatura centrale. Il busto è coperto da una
veste con scollatura a V dai tratti stilizzati che sulle spalle sono resi con solchi verticali, men-
tre il seno è indicato, appiattito, mediante spirali. Il lato posteriore, come avviene spesso negli
esemplari del primo gruppo, presenta un bollo impresso tra le spalle nel quale si legge LVCI,
riferimento all’oficina di Lucius.
Più slanciato e dal maggiore effetto naturalistico è invece un busto conservato nel Mu-
seo Archeologico di Cagliari che permette di apprezzare i caratteri distintivi del secondo
sottogruppo di questa produzione. Si tratta di un busto dalla forma più espansa rispetto
all’esempio precedente e dal proilo continuo, nel quale si staglia un alto polos arrotondato con
decorazione a spiga di grano e un basso diadema arrotondato (cat. n. 1.117). Il viso è incorni-
ciato dai capelli ondulati che lasciano scoperte le orecchie abbellite da orecchini emisferici e
dal velo, il cui bordo è indicato da due solchi visibili lateralmente. La veste ha uno scollo a V e
il seno è reso con due motivi a spirale asimmetrici, mentre sulla parte posteriore il panneggio
è indicato con un motivo a spina di pesce.
I ittili in questione sono riconducibili ad una divinità femminile connessa alla sfera agraria,
che in piena età romana è assimilata a Cerere per via della compresenza di diversi elementi:
una o più spighe sul kalathos, che riportano la divinità ivi rafigurata alla sfera agraria, e l’asso-
ciazione di spighe, polos, diadema e velo che è propria, insieme alle bende, dell’iconograia del-
la dea in questione. Secondo C. Vismara, è possibile che i busti siano da ricollegare a cerimo-
113
Romina Carboni
nie simili ai Cerealia, forse in questo caso di carattere privato in connessione con la diffusione
delle colture cerealicole (visMara 1980). Questi manufatti possono essere considerati eredi
dei thymiateria a testa/busto femminile di epoca punica o romana di fattura punicizzante (cat.
nn. 1.97-1.98), anche se mostrano una evidente cesura rispetto ai prodotti precedenti in virtù
del fenomeno di adattamento della produzione artistica alle forme della cultura egemone. Se
i thymiatheria si inquadrano infatti perfettamente in quello che è l’ambiente culturale punico, i
busti su piedistallo sono invece un prodotto propriamente romano.
Questo, deiniamolo così, “passaggio” ha come conseguenza una progressiva defunzionaliz-
zazione del ittile votivo. A differenza infatti di quanto avveniva con i thymiateria a testa/busto
femminile che rivestivano anche una funzione pratica – quella di bruciaprofumi –, i piccoli
busti possono essere considerati come ittili votivi tout court, essendo infatti sprovvisti di
tracce di bruciato e di foro di aerazione. Questa graduale defunzionalizzazione, ravvisabile
già in alcuni esemplari di thymiateria, è testimoniata da alcuni esemplari di ittili che possono
114
La coroplastica votiva della Sardegna romana
115
Romina Carboni
del complesso sacro, al cui interno il culto di Asclepio/Esculapio potrebbe essere stato asso-
ciato a quello di Igea o di qualche altra divinità ignota, si afiancherebbe verosimilmente un
più speciico riferimento alla sfera della procreazione, evocata dalla probabile riproduzione
dell’organo genitale femminile interno».
Sempre da Nora, e più precisamente dall’ex area della Marina militare, sono venute alla luce
diverse tipologie di terrecotte riconducibili a statuette antropomorfe, protomi, placchette
votive ed ex voto anatomici provenienti da un contesto di recente acquisizione. Si tratta per
la precisione di esemplari realizzati a stampo, alcuni dei quali prodotti con matrici stanche
che ne hanno causato, complici le condizioni dell’ambiente di giacitura e la qualità modesta
dell’argilla utilizzata, la perdita di numerosi dettagli. Il livello di produzione dei manufatti ap-
pare modesto, riconducibile probabilmente ad una manifattura locale che contrassegna anche
altri rinvenimenti provenienti dalle aree circostanti. Le terrecotte in questione sono caratte-
rizzate da uno stato di conservazione frammentario che ha consentito la restituzione parziale
delle teste di statuette, sia maschili che femminili, e solo saltuariamente dei busti o della parte
inferiore del corpo. In numerosi casi, lo stato di usura dei reperti non permette tuttavia di
distinguere il genere delle terrecotte, anche se si è potuto constatare come le teste muliebri
siano in genere capite velato. Tra queste ne è stata rinvenuta una ricoperta da un ingobbio in
stucco bianco e da pittura rossa, ancora parzialmente individuabile sia sulla parte anteriore
che su quella posteriore del capo. Il tipo iconograico risale a modelli di matrice medio-italica
che si diffondono nell’Isola durante gli ultimi secoli della repubblica, con acme durante la
piena età ellenistica sia nella stessa Nora che in diversi altri siti della Sardegna.
Accanto a questi esemplari si sono rinvenute anche statuette votive intere che presentano rei-
terata la medesima iconograia sul lato anteriore, mentre il retro è liscio e provvisto del foro di
aerazione. Si tratta di una serie di esemplari – la cui altezza varia dai 14 ai 20 cm – realizzati a
matrice, nei quali è visibile il bordo che indica la linea di giunzione verticale tra le due parti che
compongono il manufatto. Il soggetto a rilievo presenta una igura femminile a seno scoperto
e nuda ino alla zona pubica, con le gambe coperte da una veste. La parte superiore del corpo
è incorniciata da un velo a conchiglia e le braccia della igura sono portate entrambe alla testa;
i capelli, resi con linee ondulate sulle tempie, incorniciano il viso e ricadono sulle spalle. Alla
destra della igura femminile se ne trova una seconda di dimensioni minori relativa ad un perso-
naggio maschile barbato, dai tratti grotteschi, nudo, anch’egli con le braccia sollevate, apparen-
temente ad imitazione della igura principale: il braccio destro è portato al capo, mentre quello
sinistro sembra sparire dietro la igura femminile. Le statuette in questione, tuttora in corso di
studio, sembrano inserirsi all’interno di un sostrato culturale dalla forte inluenza orientale, in
una forma sincretica con divinità dalle prerogative simili, quali Iside, Demetra ed Afrodite.
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117
Romina Carboni
118
La scultura funeraria
Ciro Parodo
L’archeologia della morte è stata negli ultimi anni al centro di un intenso dibattito scientiico,
scaturito da un rinnovato approccio di natura interdisciplinare nei confronti dello studio dei
costumi e dei rituali funerari antichi. Entro un tale orizzonte ermeneutico non deve tuttavia
essere trascurata la sempre decisiva rilevanza esercitata da un’indagine di carattere iconolo-
gico quale strumento di ricerca del valore semantico codiicato nell’uso e nella funzione di
un’immagine. L’analisi del linguaggio formale adottato a Roma in un tale contesto tematico,
inteso come rilessione sui segni iconici nella loro accezione di indicatori storico-culturali
dei fenomeni socio-politici e delle dinamiche ideologiche, costituisce l’obiettivo primario di
questo contributo sulla scultura funeraria in Sardegna in età romana.
Le testimonianze offerte dalle fonti e dalle evidenze archeologiche consentono di veriicare
come sia le canoniche pratiche funerarie dell’incinerazione e dell’inumazione, che le più
tradizionali forme cultuali romane afferenti alla dimensione ctonia fossero diffuse anche in
Sardegna. Rammentiamo a tal proposito i casi dei Parentalia, festività dedicata alla comme-
morazione dei defunti tra il 13 e il 21 febbraio, la cui celebrazione è attestata a Nora nel 55
a.C. (Cic. Scaur. 6, 10), e dei refrigeria, eredi dell’ancora radicata tradizione pagana dei pasti
funebri rituali, consumati nelle necropoli paleocristiane di San Cromazio di Villaspeciosa e
di Cornus.
L’analisi della scultura funeraria romana in Sardegna permette di evidenziare due problema-
tiche relative alle classi di materiali documentate: una di carattere quantitativo, riferibile alla
limitata attestazione di alcune di esse – come le urne cinerarie –, e un’altra di natura qua-
litativa, concernente l’affermazione di determinate classi ampiamente diffuse nel resto del
mondo romano – come le stele –, ma che nell’Isola sono reinterpretate alla luce di speciiche
varianti locali. Per quanto riguarda le sopraccitate urne, ricordiamo i due esemplari di pro-
venienza urbana, rinvenuti a Carales e Turris Libisonis, realizzati in marmo e con coperchio
a spioventi, ascrivibili a un arco cronologico compreso tra il I e gli inizi del II secolo d.C.
Le due urne presentano una struttura compositiva analoga incentrata intorno alla tabula che
nell’esemplare cagliaritano, il più antico tra i due, è anepigrafe ed è inquadrata da un festone
di frutta pendente dalle corna di protomi di ariete collocate agli angoli superiori della cassa.
Quella turritana, invece, di cui l’epigrafe ci rivela il nome del defunto, il liberto Caius Vehilius
Rufus, si contraddistingue per una certa esuberanza nell’ornamentazione che si palesa nel
ricorso a elementi decorativi di tipo mitologico, quali teste di Giove Ammone e singi, indici
dell’affermazione del culto isiaco a Turris Libisonis tramite i documentati rapporti con le città
campane e Ostia (cat. n. 1.188).
Esigue sono le testimonianze di un apparato decorativo scultoreo relativo alle tipologie mo-
numentali dell’edilizia funeraria. L’esempio più celebre è rappresentato dall’ipogeo di Atilia
Pomptilla, comunemente conosciuto come “Grotta delle Vipere” per via dell’immagine dei
due serpenti affrontati che ne decorano il frontone, localizzato alle pendici della necropoli
di Tuvixeddu. Il sepolcro, realizzato tra la seconda metà del I e gli inizi del II secolo d.C., è
deinibile come un heroon sulla base sia dei caratteri architettonici che lo contraddistinguono,
con il prospetto di tipo templare distilo in antis, sia dei quattordici carmina, sette in latino e
altrettanti in greco, compresi nell’apparato epigraico dell’ipogeo (CIL X 7563-7578), attra-
verso i quali la defunta viene esaltata per le sue virtutes coniugali.
Altrettanto interessante è il monumento a fregio dorico ritrovato ancora a Cagliari, presso le
strutture sovrapposte alla fullonica di via XX Settembre, che costituisce l’unica attestazione in
Sardegna di una classe di materiali dalla decorazione di matrice ellenistica, come documentato
in particolare dalle stele greche di area micro-asiatica, ben diffusa nel mondo italico in età
tardorepubblicana nella sua duplice variante con la base che sorregge un’edicola o un’iscrizio-
ne e il fregio. In questo esemplare l’epigrafe funeraria si è preservata su uno dei tre blocchi
rimasti, mentre gli altri due sono decorati con un fregio costituito da triglii e metope ornate
119
Ciro Parodo
con motivi alternati di un iore a sei petali e di una patera ombelicata (cat. n. 1.194). L’iscrizio-
ne ci informa che il sepolcro era pertinente a C(aius) Apsena C(ai) f(ilius) Pollio che per ragioni
onomastiche possiamo reputare etrusco, verosimilmente appartenente a quelle classi medie
centro-italiche che tra il II e il I secolo a.C. furono coinvolte nei lussi migratori diretti verso
la provincia Sardinia.
Trasferendoci a Sulci, desta notevole interesse un altro monumento funerario, conosciuto
come “Sa Presonedda”, che si contraddistingue per un impianto architettonico di matrice pu-
nico-ellenistica. Il sepolcro, risalente a un arco cronologico compreso tra il II secolo a.C. e il
I d.C., consiste in un mausoleo a struttura piramidale alto circa quattro metri e costituito da
una camera funeraria ipogeica a cui si accede mediante una scalinata. Il vano è chiuso da una
porta a coulisse, ornata su entrambe le facce da una decorazione a rilievo: quella esterna da
un motivo rettangolare, risultato della connessione di due elementi paralleli e due trasversali,
e quella interna da uno circolare. Se in passato i due motivi sono stati interpretati rispetti-
vamente come un prospetto architettonico di tipo ellenistico e una ruota a sei raggi, oggi si
tende a riconoscere nel primo un dokanon e nel secondo una stella, due elementi iconograici
ascrivibili all’orizzonte soteriologico del culto dei Dioscuri, e dunque funzionali a sottolinea-
re la rivendicazione d’immortalità da parte della committenza, secondo modelli ideologici già
estesamente diffusi nel mondo italico.
Se alcuni indizi confermano la realizzazione del monumento in età romana, come la messa
in opera dei blocchi trachitici squadrati legati con malta di calce, d’altra parte la sua caratte-
ristica struttura piramidale richiama il tipo del mausoleo-torre che trova puntuali confronti
in area nordafricana, come a Beni-Rhenane, El-Kroube e Dougga dove, fra III e II secolo a.C.,
la più radicata tradizione punica rileva i decisivi apporti della koinè ellenistica. I suoi effetti,
evidentemente sottoposti a un’ulteriore rilettura, sono percepibili a partire dal I secolo a.C.
anche nell’ambito dell’edilizia funeraria romana, come dimostrano i numerosi monumenti
italici e provinciali a naiskos, quali ad esempio le tombe cosiddette “di Gerone” a Siracusa e
“degli Scipioni” a Tarragona, o di Lucius Poblicius a Colonia.
Un analogo ibridismo culturale emerge da una cospicua serie di stele in pietra locale, datate
tra la ine dell’età repubblicana e quella primo-imperiale, generalmente di forma paralle-
Urna cineraria. Cagliari, lepipeda e lavorate con le tecniche del rilievo piatto o dell’incisione (cat. nn. 1.183-1.187,
Museo Archeologico Nazionale 2.33-2.34). Sulla base di differenze di natura iconograica, le stele, concentrate in particolare
(particolare della protome di ariete). nelle aree del Sassarese e dell’Oristanese, sono state suddivise in due modelli, “a specchio” e
“a toppa di chiave”, secondo due denominazioni confacenti al tipo di rafigurazione schema-
Urna cineraria. Cagliari, tica del defunto, ovvero con il collo realizzato a linee parallele o divergenti. Originariamente
Museo Archeologico Nazionale (fronte). utilizzate come segnacoli di tombe a incinerazione, in seguito sono state reimpiegate anche
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La scultura funeraria
per realizzare le pareti e la copertura di sepolture a fossa, come nel caso della tomba n. 20 del-
la necropoli di San Leonardo a Viddalba che ha restituito il numero più cospicuo di esemplari.
Interessanti indizi circa l’attività lavorativa del defunto potrebbero essere forniti dalle saltuarie
immagini di alcuni oggetti, quali una nave, un falcetto e un aratro, come nei casi di tre stele ri-
spettivamente di Castelsardo, Ossi e Viddalba, riferibili a un miles classiarius oppure a un mercan-
te dedito al commercio marittimo (cat. n. 1.184), e a degli agricoltori. Tra le stele iscritte, l’utiliz-
zo della formula canonica dell’adprecatio Dis Manibus e di un sistema onomastico basato sull’uso,
per quanto irregolare, dei duo nomina rilettono l’adeguamento della committenza locale ai più
consueti modelli socio-culturali romani (cat. n. 2.34); un atteggiamento ribadito dall’adozione
di speciiche dinamiche visuali di auto-rappresentazione che trovano traduzione nell’immagine
stessa del defunto, seppur realizzata in maniera sommaria.
Questi semata funerari rivestono una peculiare importanza in quanto documentano quel-
la sintesi di molteplici codici culturali tipica della Sardegna, da quelli punici, ancora vitali
nell’Isola e che trovano espressione nella disorganica resa anatomica dei soggetti rafigurati,
comparabile con quella che caratterizza le stele iconiche di Mactaris e i muñecos di Baelo Claudia,
datati al I-II secolo d.C., siti romani di radicata tradizione cartaginese, ino a quelli italici. Gli
inlussi artistici provenienti dalla Penisola risultano palesi, ad esempio, dal confronto con i
cippi funerari a busto tarantini e le columellae campane, la cui produzione si concentra tra il I
secolo a.C. e il I secolo d.C., che si contraddistinguono per una sintassi decorativa sintetica
analoga a quella delle stele sarde.
Ugualmente interessanti, in quanto testimoni della continuità di tratti culturali encorici, sono
altri monumenti funerari, come la stele di Foronto e il cippo di Quintus Volusius Nercau, entrambi
provenienti da Sedilo e datati tra il I e il II secolo d.C. Il primo presenta sulla parte sommitale
l’immagine abbozzata del volto del defunto, scolpito secondo lo schema a T ricorrente nella
bronzistica nuragica; mentre il secondo, che riporta un’epigrafe con un antroponimo di chiara
matrice indigena, è decorato sul registro superiore con due cerchielli incisi a imitazione di due
occhi, che suggeriscono un ipotetico confronto con quelli delle statue di Mont’e Prama.
L’altra tipologia sepolcrale che ci apprestiamo ad analizzare, quella delle cupae, è ampiamente
documentata nel mondo romano, in particolare nelle aree iberica e nordafricana tra II e III
secolo d.C. Si tratta di monumenti funerari caratterizzati da uno zoccolo e da una copertura
di forma semicilindrica, associati a sepolture a incinerazione o a inumazione, che possono
essere realizzati in muratura o lavorati in un blocco monolitico, il cui modello deriva verosi-
milmente dalle tombe a tumulo (cat. n. 1.182). In Sardegna le cupae, il cui uso è attestato so-
prattutto a Carales, Forum Traiani e nelle zone limitrofe, si contraddistinguono, analogamente
agli esemplari lusitani, per la caratteristica sagoma a forma di botte vinaria, resa ancora più
121
Ciro Parodo
realistica mediante la riproduzione delle doghe, e, talvolta, per la presenza di un’ascia realiz-
zata a bassorilievo. Secondo un’ipotesi consolidata, che tuttavia non trova reali riscontri, tale
tipo formale suggerirebbe una qualche pertinenza della committenza all’ambito produttivo-
commerciale della viticoltura, oppure una connessione al culto dionisiaco declinato nella sua
variante ctonia. Le iscrizioni funerarie, solitamente modanate e ubicate sul lato lungo dei
manufatti, ci informano che spesso sia i defunti che i dedicanti appartenevano ai ceti umili
della società, come testimonierebbero i numerosi antroponimi, frequentemente orientali, di
schiavi e liberti, mentre più in generale i dati onomastici offrono interessanti termini di com-
parazione con quelli dell’Africa romana mediterranea.
La produzione più signiicativa in ambito funerario sardo resta, tuttavia, quella dei sarcofagi, re-
alizzati, in un numero di ottantacinque esemplari, entro un arco cronologico compreso tra il II
secolo d.C. e la metà del V, allorché vengono progressivamente sostituiti dalle inumazioni a fos-
sa rivestite da mosaici funerari già diffuse in Nord Africa. La sistematica indagine recentemente
condotta da A. Teatini ha consentito di smentire due posizioni teoretiche assunte in passato,
ovvero la pressoché totale provenienza dei monumenti da oficine Urbane e ostiensi, mentre
ora è possibile apprezzare un più ampio orizzonte geograico delle importazioni e l’attestazione
di una manifattura locale, nonché la sostanziale mancanza di varietà nel repertorio iconograico
proposto, che invece si è dimostrata più diversiicata di quanto si ritenesse in principio.
I sarcofagi di provenienza Urbana costituiscono il numero più cospicuo degli esemplari rin-
venuti in Sardegna, ben sessanta, distribuiti in prevalenza tra Cagliari, Porto Torres e Olbia.
Documentati in particolare dopo la metà del II secolo d.C., essi costituiscono degli ottimi
indicatori delle scelte stilistiche della committenza sarda, attenta ai linguaggi formali più af-
fermati nella capitale, come dimostra la frequente ricorrenza dei temi marini e dionisiaci che
si intensiica tra l’età severiana e la metà del III secolo. A questo proposito ricordiamo in
particolare il sarcofago conservato presso il Museo Archeologico di Cagliari, e proveniente
dalla necropoli di San Saturno, ascrivibile agli anni successivi al primo quarto del III secolo.
Il manufatto, evidentemente realizzato per soddisfare le rafinate esigenze di una clientela
d’élite, è ornato sulla fronte con due ittiocentauri, ciascuno recante sul dorso una nereide, che
sorreggono il ritratto centrale della defunta rafigurata con uno strumento musicale a corda
Stele di Caius Valerius. in mano entro un clipeus modellato a forma di valva di conchiglia.
Viddalba, Museo Archeologico. Se durante la seconda metà del III secolo è possibile apprezzare un incremento in senso
quantitativo della produzione urbana, i più tardi sarcofagi strigilati ascrivibili all’età post-
Stele di Caius Valerius. gallienica palesano una contrazione a livello qualitativo, per quanto non manchino i prodotti
Viddalba, Museo Archeologico di più elevata fattura come l’esemplare ritrovato presso la cripta della basilica di San Gavino a
(particolare). Porto Torres, con i ritratti della coppia dei due defunti alle estremità e al centro la porta Inferi,
122
La scultura funeraria
123
Ciro Parodo
È ipotizzabile che la scelta di ricorrere alla variante del clipeus decorato con le immagini dei
dodici segni zodiacali, tema frequentemente utilizzato come simbolo dell’aeternitas che sot-
tende la consecratio imperiale quale espressione del ciclico lusso temporale, sia stata determi-
nata dalla volontà della committenza di appropriarsi ideologicamente del motivo del cerchio
astrologico per veicolare il messaggio del proprio status immortale.
A partire dalla metà del IV secolo si registrano in Sardegna le prime attestazioni di sarcofagi
cristiani, numericamente esigue se raffrontate alla loro coeva, ampia diffusione a Roma. Parti-
colarmente interessante è l’esemplare frammentario olbiese di età costantiniana, il più antico
documento di scultura funeraria paleocristiana in ambito isolano, con scene tratte dall’Antico
e dal Nuovo Testamento suddivise su due registri, tra cui si riconoscono quelle relative al
sacriicio di Isacco e agli episodi del miracolo del paralitico e di Daniele nella fossa dei le-
oni (cat. n. 3.158). Persiste ancora l’utilizzo di soggetti pagani, testimoniato ad esempio dal
sarcofago con Muse e Apollo proveniente dalla cripta della basilica turritana di San Gavino
124
La scultura funeraria
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126
Il mosaico e la pittura
Simonetta Angiolillo
Il mosaico è il genere artistico meglio documentato nella Sardegna di età romana, più vivace
e originale, quello per il quale è possibile individuare le peculiarità dei differenti centri di pro-
duzione, accanto a caratteri uniformemente diffusi per tutta l’Isola, e riconoscere l’attività di
varie botteghe. Va tuttavia sottolineato che il quadro che abbiamo di fronte è essenzialmente
frutto della casualità dei rinvenimenti e dunque passibile di modiiche man mano che nuove
scoperte saranno realizzate: basti pensare che di tutte le città romane della provincia solo Nora
e ora Turris Libisonis sono state indagate estensivamente, ma non in tutta la loro area urba-
na, e la capitale Carales è conosciuta in minima parte solo grazie a scavi di emergenza e non
programmati.
Durante il periodo repubblicano e per tutto il I secolo dell’impero le forme più diffuse di
pavimentazione, soprattutto nella Sardegna centro-meridionale, sono costituite da cementizi
a base ittile, cocciopesti, nella maggior parte dei casi con inserzione di tessere che formano
motivi geometrici o simboli religiosi di tradizione preromana , come il segno di Tanit, e in mi-
sura minore da cementizi a base litica, o battuti di scaglie. Si conoscono solo pochi mosaici,
e in bianco e nero, a Olbia e a Cagliari dove, nella cosiddetta fullonica, un bordo inserito in un
pavimento in cocciopesto è decorato da un susseguirsi di delini, ancore, bipenni, timoni in
tessere nere su fondo bianco e arricchito da un riquadro policromo al cui interno un’iscrizio-
ne reca il nome del proprietario. Mosaici bicromi sono frequenti soprattutto a Porto Torres,
Turris Libisonis, dove mostrano un repertorio marcatamente Urbano, conseguenza dei vincoli
stretti che legavano la colonia alla madre patria; in particolare si può citare un esemplare a
cassettoni – ne resta solo un riquadro decorato da due scudi ellittici incrociati – e uno con
una composizione di “scalei” circondata da mura urbane (cat. n. 1.239).
Dalla ine della repubblica il mosaico tessellato si afferma in modo egemonico, accanto a spo-
radiche presenze di opera sectilia, soprattutto a Nora. Sullo scorcio del II secolo in questa città,
ino a oggi la più ricca di mosaici, sembra iniziare la sua attività un’oficina riconoscibile per
l’uso esclusivo dei colori bianco, ocra e nero e di un repertorio geometrico in cui gli schemi,
per lo più comuni nell’impero, sono rielaborati in modo da offrire soluzioni rare. È il caso
di quello che costituisce quasi il motivo irma della bottega: una composizione in obliquo di
cerchi e di quadrati curvilinei tangenti, i cui spazi di risulta sono occupati da cerchi o quadrati
rettilinei sui quali si impostano due pelte. Di contro al ripetersi in questa città per ben quat-
tro volte di un simile schema, con gli stessi motivi decorativi, sta l’assoluta mancanza di altre
attestazioni, in tale speciica variante, nel resto dell’Isola, dove invece, per esempio a Tharros,
è presente l’alternativa, molto più nota anche fuori della provincia, con i quadrati sempre ret-
tilinei. L’attività della bottega di Nora è riconoscibile sino alla metà del III secolo soprattutto
nei grandi ediici pubblici: nelle Terme centrali, nel “Tempio romano”, nella basilica del foro.
Nell’età dei Severi il repertorio musivo norense registra un improvviso cambiamento: nella
Casa dell’Atrio tetrastilo vengono eseguiti mosaici di carattere innovativo, privi di riscontri nel
panorama del municipium e del resto della Sardegna contemporanea, caratterizzati da un alto
livello tecnico, da una ricchezza e da una originalità di schemi inora sconosciuti, da un uso di
tessere molto piccole, inine da una ricca policromia. Particolarità queste spiegabili solo con
la presenza di maestranze esterne alla città, diverse da quelle attive ino ad allora; maestranze
che possono essere ricondotte alle province d’Africa dove, a partire dal II secolo, si era avuto
un grande iorire di botteghe, responsabili di una vasta produzione di notevole livello tecnico
e artistico. Il loro prestigio, riconosciuto nell’impero, portava i mosaicisti in varie province, là
dove una committenza economicamente forte poteva chiamarli: per esempio, sono africane le
maestranze alle quali si attribuiscono i pavimenti della villa di Piazza Armerina.
Tra i mosaici della Casa dell’Atrio tetrastilo opera di maestranze africane, il più interessante
presenta una composizione molto semplice, ma realizzata con una cura, una ricchezza cro-
matica e ornamentale e una ricercatezza inora sconosciuti: un reticolato di fasce che forma-
127
Simonetta Angiolillo
Cagliari, Fullonica.
no riquadri, con segmenti di cerchio in tessere nere a sottolineare le intersezioni; nelle fasce
quadrati con pelte opposte ai vertici si alternano a complessi ornati vegetali e, ugualmente,
nei riquadri si avvicendano due diversi motivi loreali, resi con una policromia che arriva a
raggiungere la luminosità dell’oro. Nella parte occidentale del vano un impoverimento della
gamma cromatica e del repertorio decorativo e l’uso di tessere sensibilmente più grandi
denunciano un successivo intervento di restauro del pavimento. La presenza di questi ca-
ratteri anche in altri mosaici della casa suggerisce l’ipotesi che nello stesso ediicio abbiano
lavorato sia artigiani africani che locali e che questi ultimi abbiano cominciato come aiutanti
dei più famosi maestri. Appreso così da questi il repertorio, l’uso del colore, la grandiosità
dell’impianto decorativo, pur non riuscendo ad acquisirne la maestria, avranno continuato
da soli la loro attività anche dopo la partenza delle maestranze d’oltre mare e a essi sarà stata
afidata l’esecuzione del restauro, resosi presto necessario per motivi a noi sconosciuti, e di
altri pavimenti della casa, poi anche della città. L’opera di questo secondo atelier norense è
riconoscibile oltre che a Nora, anche a Carales e a Sulci, dove sono stati rinvenuti due esemplari
pressoché identici alla parte restaurata del mosaico della Casa dell’Atrio tetrastilo.
È dal III secolo che un simile tipo di repertorio, che negli schemi, nella scelta dei motivi deco-
rativi e nella cromia mostra di essere inluenzato dalla produzione africana, si afferma un po’
in tutta la provincia, diventando patrimonio comune delle botteghe sarde, indipendentemente
dalla presenza di maestranze straniere, che pure in taluni singoli casi sembra di poter ancora
riconoscere. Alla produzione africana si rifanno alcuni pavimenti a trama geometrica vegeta-
lizzata, un tipo di decorazione che, nato in Italia nel mosaico bianco e nero di età adrianea,
trova la sua massima espressione nelle province d’Africa a partire dalla ine del II o dal III
secolo, arricchito nei motivi e con l’aggiunta di una ricca policromia, per poi diffondersi so-
prattutto nella parte occidentale dell’impero, testimonianza di una koinè mediterranea di età
tarda, che sembra comunque rifarsi a modelli africani. Questa tipologia trova spazio, in una
forma ancora molto discreta, a Nora nella Casa dell’Atrio tetrastilo, dove un sottile tralcio a
foglioline disegna uno schema a ottagoni tangenti. Ma più ricco e lussureggiante il motivo si
presenta a Capo Frasca, sempre nel III secolo, in un complesso termale, dove il meandro a
svastica e quadrati è ottenuto da un festone di foglie con melograne e boccioli rossi, ocra e
rosa, e in un periodo successivo nei pressi di Cagliari, a Villaspeciosa e a Settimo San Pietro.
Nel primo caso, in una vasta aula mosaicata molto probabilmente destinata al culto cristia-
no, il motivo dei cerchi tangenti e secanti vede le circonferenze delineate da foglie di acanto
e festoni vegetali. L’attenzione alla qualità tecnica e alla ricchezza cromatica, in aggiunta al
carattere africano del repertorio usato, garantiscono anche qui la presenza diretta o mediata
di maestranze africane.
Pure a Settimo San Pietro un tralcio, questa volta di vite, ricco di foglie e viticci disegna una
composizione di cerchi tangenti. Esso trova una corrispondenza pressoché esatta in due mo-
saici di età tarda, rispettivamente di Cartagine e di Maiorca, che differiscono dal pavimento
sardo per la scelta di vari motivi ornamentali, soprattutto per quelli che decorano i medaglio-
128
Il mosaico e la pittura
ni: igure di uccelli in Africa e in Spagna, elementi geometrici a Settimo. La pressoché totale
identità del mosaico africano con quello ispanico e di contro le differenze che separano
questi da quello sardo e alcune particolarità tecniche che distinguono quest’ultimo – in parti-
colare una notevole rafinatezza nell’uso del colore con grande cura per le alternanze croma-
tiche – autorizzano a ipotizzare che responsabili di questo pavimento non siano maestranze
africane bensì una bottega locale venuta a contatto con modelli africani.
Un altro segno della adesione da parte delle botteghe isolane al repertorio diffuso nelle pro-
vince d’Africa è la realizzazione, a partire circa dalla metà del IV secolo, di un nutrito gruppo
di mosaici funerari a Cagliari, Nora e Porto Torres.
Se pure la schiacciante maggioranza dei pavimenti in Sardegna reca una decorazione geo-
metrica, il mosaico igurato è comunque presente a Nora, con due esemplari, e soprattutto a
Carales e Turris.
A Nora esistevano due quadretti musivi in tessere minute: l’uno, ora scomparso, decorava il
pavimento della terrazza antistante il tempio di Esculapio, l’altro, con una nereide a cavallo di
un tritone, il cubicolo della Casa dell’Atrio tetrastilo.
129
Simonetta Angiolillo
Più numerose sono le attestazioni di Carales, a cominciare dal già citato mosaico in bianco e
nero con una teoria di pesci alternati ad ancore, bipenni, timoni.
Otto emblemata, quadretti in tessere minutissime stesi su un supporto laterizio, riuniti nel III
secolo in un pavimento nella Casa degli Stucchi, rafigurano i cosiddetti xenia (dono per gli
ospiti), nature morte, in questo caso pesci, e vive (cat. n. 1.242). A ulteriore testimonianza
della koinè mediterranea, di questi riquadri, l’uno riprende in modo libero un famoso mosaico
eseguito a Pergamo, nel palazzo degli Attalidi, da Sosos: in quel caso quattro colombe poggiate
sul bordo di un cratere d’oro colmo d’acqua si curvano a bere, nel nostro sono invece alcune
anatre che attorniano il vaso e si dissetano. Un altro, danneggiato nella zona superiore, pre-
senta la stessa composizione nota da un pavimento di Leptis Magna: nella metà inferiore un
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Il mosaico e la pittura
grosso gallinaceo si china a beccare ciliegie che cadono da un cesto di vimini, mentre nella
parte superiore vi sono altri volatili e una costruzione sul cui tetto sono stesi frutti.
Due minuscoli frammenti attestano poi la presenza, anche nella provincia Sardinia, di un mo-
saico con scena di venatio molto vicino a quello noto da Zliten e databile a età severiana.
Circa alla metà del III secolo vengono eseguiti, ancora a Cagliari, tre mosaici igurati di più
ampio respiro. Nel frigidarium delle terme site in regione Bonaria una composizione a retico-
lato di fasce con treccia multipla policroma formante riquadri è decorata, alternativamente,
da schematici motivi loreali e da scene di tiaso, con nereidi (cat. n. 1.241), tritoni o amorini
su delini o mostri marini; l’esecuzione è poco accurata, le igure sono rese in modo alquanto
piatto con contorni marcati, masse muscolari uniformi e volti estremamente sempliicati, con
mento tondo e bocca segnata da due linee parallele (cat. n. 1.240).
Contemporaneo a questo, è un mosaico rafigurante Orfeo, rinvenuto in Stampace e ora al
Museo Archeologico di Torino. Al centro il cantore, accompagnato da un corvo e da una
volpe, suona la lira, ammansendo sia gli animali paciici che quelli più pericolosi, che si susse-
guono lungo i lati della stanza, senza il minimo segno di aggressività: un cinghiale, un leone,
un bue, un cavallo, un altro leone, un maiale, un capriolo, un orso, un altro quadrupede, un
leopardo e un’antilope. Purtroppo di questo straordinario esemplare, tagliato in riquadri e
spedito a Torino, restano solo un disegno eseguito dal pittore D. Colombino nel 1803, pri-
ma della partenza per la capitale sabauda, e, al Museo di Torino, tre riquadri: Orfeo, la parte
anteriore del cavallo e il capriolo. La igura del cantore, seduto sulla roccia con un mantello
che gli copre la parte inferiore del corpo, è caratterizzata da masse muscolari rese evidenti da
frequenti passaggi di luce e ombra, mentre il volto è segnato da grandi occhi, dal grosso naso
unito alle arcate sopracciliari senza soluzione di continuità, dal mento tondeggiante. Ritro-
viamo anche negli animali il gioco di luci e ombre, ma qui gli artigiani, meno condizionati da
modelli colti, si sono espressi in una forma più schematica e appiattita, con grosse pennellate
giustapposte di colore. Nello stesso ediicio nel 1718 era stato rinvenuto un altro mosaico,
ora perduto, rafigurante le fatiche di Ercole. Gli stretti rapporti di stile che legano il mosaico
di Orfeo alla produzione africana coeva, accanto al fatto che questi due ultimi mosaici sono
così isolati nel pur abbondante patrimonio sardo, hanno suggerito anche in questo caso
l’ipotesi di una presenza di maestranze africane.
Una isionomia particolare caratterizza il mosaico igurato a Turris Libisonis. Solo in questa
città infatti, accanto a numerose attestazioni di composizioni geometriche in bianco e nero,
troviamo, ancora nel III secolo, e nella stessa bicromia, decorazioni musive igurate a soggetto
131
Simonetta Angiolillo
Mosaico di Orfeo da Cagliari, Orfeo. marino, tipologia questa di evidente tradizione romano-ostiense, a chiara dimostrazione degli
Torino, Museo Archeologico Nazionale. stretti rapporti che legavano la colonia Iulia Turris Libisonis alla capitale. Nel primo esemplare,
databile tra la ine del II e gli inizi del III secolo, un cavallo marino rafigurato con un tratto
Mosaico di Orfeo da Cagliari, capriolo. quasi naïf, con corte orecchie tondeggianti e muso allungato, chiude a sinistra la scena che
Torino, Museo Archeologico Nazionale. vede un polipo catturare con i tentacoli un’aragosta, mentre a sua volta un grosso pesce lo sta
addentando. Nel secondo pavimento, di qualche decennio posteriore al precedente, numerosi
Mosaico di Orfeo da Cagliari, cavallo. animali si dispongono in modo regolare su ile parallele: pesci di vario tipo, polipi, murene,
Torino, Museo Archeologico Nazionale. calamari, un’aragosta, un delino allineati in modo paratattico, senza che nessuno interagisca
con il vicino, a eccezione di una murena in procinto di attaccare un polipo, e inquadrati da
una foca in alto e da un coccodrillo in basso (cat. n. 1.240).
Nella pagina accanto Nonostante entrambi i mosaici si inseriscano nella tradizione centro-italica del mosaico ma-
Porto Torres, Domus dei Mosaici, rino bianco e nero, gli esemplari di Turris, e soprattutto questo secondo, mostrano peculiarità
corridoio centrale. tali, nei caratteri tecnici e nelle soluzioni iconograiche, da farli attribuire a una bottega locale.
Il nero è qui usato solo per le proilature, mentre i corpi sono resi in bruno; la composizione
non ha assolutamente nulla della libertà e della vivacità degli esemplari medio-italici, ma a
dispetto di questo limite, della totale mancanza cioè di ricerca compositiva e di naturalismo,
troviamo innovazioni iconograiche davvero originali e inedite. Foca e coccodrillo infatti
non seguono la tradizione iconograica diffusa in Grecia e a Roma, che rafigura l’una come
vitello marino con la metà anteriore terrestre mentre dell’altro privilegia la natura terricola.
Qui la foca è un animale interamente acquatico, che nella parte anteriore è trattato in modo
abbastanza vicino alla realtà, nella forma del muso e delle due grosse pinne, e poi prosegue
seguendo l’immagine consueta del mostro marino con la coda a volute a terminazione trifo-
gliata; parallelamente, il coccodrillo è animale terrestre nella metà anteriore e marino, sempre
con tipica coda a volute, nella metà posteriore. Opera dunque di una bottega locale che dei
modelli romano-ostiensi non segue altro che il soggetto, alla quale forse non interessa imi-
tarne la grandiosità e la vivacità compositiva, ma che è attenta a modiicare le iconograie
secondo le proprie conoscenze: il coccodrillo, animale lontano, noto solo in letteratura e
forse attraverso archetipi, assume i contorni fantastici del mostro marino, mentre la foca,
probabilmente conosciuta agli artigiani sardi perché presente nei loro mari, mantiene sì il
tratto fantastico della coda, ma perde le sembianze mitologiche di vitello marino per diven-
tare una vera foca.
A partire dal III secolo si veriica però anche a Turris Libisonis un’apertura al repertorio
policromo di matrice africana, geometrico e igurato; ne fanno fede, per le composizioni
geometriche, il ripetersi di due diverse realizzazioni dello schema del reticolato di fasce già
incontrate nella parte meridionale della provincia. Il primo tipo ha le fasce decorate da una
treccia multipla policroma: nelle terme di Bonaria a Cagliari la decorazione dei riquadri è
costituita da motivi di tiaso marino alternati a elementi vegetali, mentre a Turris nel tepidarium
delle Terme Centrali e nel Peristilio di via Ponte Romano da motivi ornamentali geometrici o
vegetali, e nella sala con vasca delle Terme di via Ponte Romano e nel corridoio centrale della
Domus dei Mosaici da rafigurazioni di pesci. Viene ripreso in due differenti domus turritane
(quella di Orfeo e quella dei Mosaici) anche il secondo tipo con fasce decorate da pelte oppo-
ste a un quadrato sulla diagonale e con segmenti di cerchio in tessere nere alle intersezioni, già
visto a Nora nella Casa dell’Atrio tetrastilo. Lo schema è lo stesso ma la realizzazione è molto
diversa tra i due mosaici di Porto Torres (più organica e con una serie di corrispondenze e
di alternanze interne quello della Domus di Orfeo) e soprattutto tra quello di Nora e questi,
che nell’insieme sembrano lontani dal rigore della costruzione, dalla policromia ricca di toni
e sfumature e dall’elevata qualità tecnica dell’esemplare norense.
Per quanto attiene invece al mosaico igurato policromo, gli scavi eseguiti a Porto Torres
all’inizio di questo secolo hanno sensibilmente arricchito le nostre conoscenze più che rad-
doppiando il repertorio e restituendo quattro mosaici igurati databili alla ine del III o agli
inizi del IV secolo e provenienti da domus private. Il corridoio centrale della Domus dei Mo-
saici, della quale abbiamo già visto le composizioni a schema geometrico, è decorato da un
reticolato di fasce ornate da treccia multipla policroma che disegna sette riquadri igurati,
nei quali, sul fondo di un mare rappresentato da segmenti di linee rette, nuotano due pesci
contrapposti e disposti parallelamente, l’uno sopra all’altro, in modo da occupare l’intera su-
pericie disponibile. Solo in un caso i due pesci, sempre nel solito schema, sono costretti nella
parte inferiore del pannello mentre un polpo occupa tutta l’area rimanente. Nonostante una
132
Il mosaico e la pittura
resa piatta e schematica e un aspetto alquanto ripetitivo, è evidente la cura posta dal mosai-
cista per creare un effetto di vivacità cromatica: sul fondo bianco spiccano i pesci dai colori
brillanti – rossi di varie sfumature, vivido azzurro, verde in varie gradazioni – per i quali è fat-
to uso anche di pasta vitrea, a forte contrasto con il resto del pavimento in cui predominano
i toni rossi e ocra. È ipotizzabile con buona dose di certezza che la bottega alla quale si deve
questo mosaico sia la stessa responsabile degli altri tre mosaici a reticolato di fasce ornate
da treccia multipla policroma presenti in città, dei quali, come si è già avuto modo di vedere,
anche quello delle Terme di via Ponte Romano aveva i riquadri decorati da pesci.
Della Domus di Orfeo sono stati messi in luce vari ambienti disposti attorno a un atrio cen-
trale, ornato da un mosaico geometrico, con al centro una vasca polilobata di piccole di-
mensioni pavimentata da un tessellato a soggetto marino. Pesci di vario tipo, ricci, molluschi
nuotano nel mare indicato da segmenti di linea nera dritta o dentata, attorno a una colonna
centrale, non conservata, che conteneva i condotti di adduzione dell’acqua: una replica in
piccole dimensioni delle tante fontane che decoravano le case del Nord Africa.
A est di quest’area è un vano fortemente danneggiato da sbancamenti e spoliazioni, di cui si
conserva peraltro una piccola parte dell’elevato dipinto con partizioni architettoniche e del
pavimento occupato da un ottagono sui cui lati si impostano quadrati a formare un poligono
a sedici lati; lo spazio di risulta tra questo e la cornice del campo è occupato da un complesso
motivo vegetale in cui girali arricciolati e desinenti in piccoli quadripetali si dipartono dalla co-
rolla di un iore policromo. Il centro del pannello ottagonale è occupato da tre igure femminili
nelle quali si possono agevolmente riconoscere le Tre Grazie: hanno i capelli raccolti e ornati
da corone di foglie e sono nude, tranne che per la presenza di monili. La rappresentazione
segue solo in parte l’iconograia consueta, quella illustrata da Servio nel IV secolo (ad Aen.
I 720, 8-9), “nude, unite, una è rafigurata rivolta all’indietro, due guardano verso di noi”: in
questo caso le dee si abbracciano, sì, poggiando ciascuna le mani sulle spalle delle altre due,
ma nessuna è vista dal dietro, così invece di seguire la abituale disposizione lineare, le tre ninfe
ne seguono una circolare dove una compagna è di proilo e le altre sono viste di prospetto. Si
tratta di una variante raramente attestata e per lo più in ambiente greco; sembra dunque che il
mosaicista, o il committente, di Turris Libisonis abbia ignorato lo schema ormai standardizzato
per proporne uno insolito, forse ricollegandosi a repertori di matrice greca.
In un vano a ovest dell’atrio il pannello ottagonale centrale di una composizione policroma
geometrica racchiude una immagine di Orfeo che suona la lira in mezzo agli animali; l’icono-
graia è quella dell’Orfeo greco, seguita anche nell’esemplare di Cagliari: nudo, con il berretto
frigio azzurro e con un mantello rosso che gli copre la spalla sinistra, i ianchi e la gamba
133
Simonetta Angiolillo
destra. Seduto su una roccia tra due alberi sottili, poggia la mano destra che impugna il plettro
sulla gamba corrispondente, mentre con l’altra sostiene la lira. Alla sua sinistra sono, dall’alto,
un corvo, un pappagallo, un leone, un cervo e una grossa lucertola; sull’altro lato, sempre
dall’alto, una civetta, un lungo serpente attorcigliato attorno al tronco dell’albero, un toro e
un leopardo. Sono animali in parte connotati (il corvo per la sua natura apollinea; la civetta
per il suo particolare rapporto con Atena; il serpente, arrotolato attorno a un albero come se
si trattasse del bastone di Asclepio, ancora per la sua relazione con Apollo e per la sua valenza
salviica), in parte rappresentati per la loro natura selvaggia e pericolosa: l’antilope o cervo, il
leopardo, il toro, tutti ammansiti dal canto di Orfeo.
Da un punto di vista iconograico, il mosaico turritano sembra fortemente indebitato nei
confronti di quello cagliaritano: oltre a scegliere per la rafigurazione del cantore il tipo gre-
co, che non è il più diffuso, l’artigiano di Turris, con la stessa semplice soluzione adottata
a Carales, risolve un problema che interessa tutte le immagini di Orfeo con la lira e che è
determinato dalla distanza tra la mano destra e lo strumento musicale tenuto a sinistra. Tale
problema, che in alcuni casi comporta effetti decisamente sgradevoli, viene eliminato con il
rafigurare Orfeo in un momento di riposo, con la mano che stringe il plettro appoggiata alla
gamba destra. Un simile accorgimento è stato riconosciuto come una invenzione dell’artista
attivo a Cagliari, di cui abbiamo già sottolineato la rafinatezza e i rapporti con la tradizione
africana: infatti, pur conoscendosi altri espedienti per risolvere la questione, l’iconograia
seguita a Porto Torres è attestata ino a oggi solo a Cagliari. Una simile considerazione non
può non suscitare interrogativi sui rapporti tra i due mosaici e sulle maestranze responsabili
della loro esecuzione. È un dato certo la asimmetria qualitativa tra i due pavimenti, che scon-
siglia l’ipotesi di una stessa oficina itinerante. Il mosaico di Turris, se pure mostra una certa
rafinatezza nella scelta cromatica, con un ampio uso di pasta vitrea per i verdi e gli azzurri,
presenta però un modellato piuttosto piatto e schematico, evidente soprattutto nella gamba
scoperta e nel piede sinistro. L’Orfeo di Cagliari al contrario si caratterizza per una resa in
chiaroscuro delle masse muscolari, per un modellato naturalistico apprezzabile in particolare
nel piede, per un panneggio plastico e mosso, in conclusione per una qualità decisamente
superiore. Contrasta con queste differenze formali il rifarsi a una stessa iconograia anche
nei dettagli – l’acconciatura dei capelli, la forma triangolare della fronte, la forma dell’arcata
134
Il mosaico e la pittura
sopracciliare, del naso e della bocca – e nella resa della muscolatura degli animali a pennellate
giustapposte alternativamente chiare e scure.
Differenze si riscontrano anche nell’impianto: di ampio respiro a Cagliari, dove, come te-
stimonia il disegno eseguito dal pittore Colombino, la scena occupava un intero pavimento,
mentre a Porto Torres il racconto è compresso e sintetizzato in un unico pannello al centro
di uno schema geometrico. Alcuni animali – leone, leopardo, toro – compaiono in entrambi i
mosaici, al cervo di Porto Torres può corrispondere il capriolo di Cagliari, ma in quest’ultima
composizione mancano i rettili e parte degli uccelli.
Rispetto all’Orfeo di Carales, quello turritano mostra, dunque, importanti differenze, di im-
pianto e di qualità, a fronte di corrispondenze di carattere iconograico tali da rendere ine-
vitabile l’ipotesi di un rapporto tra i due, non opera di stesse maestranze, ma probabilmente
dipendenti l’uno dall’altro, il mosaico di Porto Torres da quello di Cagliari.
A una stessa bottega sono da attribuire entrambi i mosaici a soggetto mitologico della domus,
come conferma un confronto tra l’Orfeo e le Tre Grazie, che rivela indubbie concordanze
soprattutto nella struttura del volto e nella resa piatta e maldestra di braccia e gambe.
È certamente dificile, e forse prematuro, cercare di farsi un’idea del committente della domus
sulla sola base di questi mosaici. Nonostante la vitalità dei culti orici ancora in età tarda, Gra-
zie e Orfeo in ambito romano perdono il carattere religioso che li aveva connotati in Grecia,
per assumere un’ampia gamma di signiicati. Per Servio (ad Aen. I 720, 6-10) le dee simboleg-
giano la riconoscenza che unisce il benefattore e colui che riceve il beneicio, infatti la loro
posizione signiica che un dono fatto viene ricambiato in misura doppia; in alcuni mosaici
esse sembrano rappresentare i valori tradizionali delle nozze e nel nostro caso, afiancando il
cantore tracio divenuto compendio e paradigma di virtù e di cultura classica, ne rafforzano
il messaggio ed esprimono l’ideale di mousikos aner coltivato dal committente. Resta quindi
la suggestione di una personalità che, non solo con la scelta dei soggetti mitici esibisce la
propria formazione, ma con quella delle speciiche iconograie si mostra attenta al ricco pa-
trimonio culturale e iconograico del mondo greco; quest’ultimo egli privilegia, soprattutto
nel caso delle Tre Grazie, a scapito di quello ormai canonizzato e recepito in tutto l’impero.
Abbiamo esaminato il patrimonio musivo delle principali città romane della Sardegna, dove
si sono concentrati i rinvenimenti fortuiti o le indagini archeologiche, ma le attestazioni sono
diffuse per tutta l’Isola, come dimostrano i casi di Settimo San Pietro e di Villaspeciosa, e
135
Simonetta Angiolillo
aspettano solo di essere scoperte. Citerò per tutti il caso della villa di Santa Filitica a Sorso
databile tra la metà del III e il primo quarto del IV secolo, dove è stata messa in luce una
decorazione musiva di grande interesse. All’ingresso di un vasto ambiente termale che, all’in-
terno di una composizione di esagoni a nido d’ape, ripropone il motivo degli xenia – pesci,
uccelli, frutta, iori – il visitatore è accolto dalla igura di Dioniso che indossa una corona
di vite, in piedi accanto a un grande cratere; all’uscita, un paio di sandali insieme a strigili e
unguentari gli augurano un esito felice per le abluzioni che sta per intraprendere. Il mosaico
nelle sue componenti consente vari livelli di lettura, da quelli più immediati – un richiamo
a non scottarsi e a non scivolare, una esibizione della ricchezza del committente – a un più
sottile richiamo al culto dionisiaco, al desiderio del dominus di esplicitare, attraverso la decora-
zione musiva, il proprio patrimonio culturale e religioso.
Per quanto riguarda la produzione pittorica in Sardegna, allo stato attuale il panorama è mol-
Porto Torres, Domus di Orfeo, Orfeo. to povero, nonostante le descrizioni ottocentesche di elaborate pitture allora ancora leggibili,
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Il mosaico e la pittura
come quella di una scena di lavori campestri nella Casa degli Stucchi nell’area della “Villa di
Tigellio” a Cagliari. Dei ricchi intonaci di questa domus rimangono migliaia di frustuli dai quali
è stato possibile solo ricomporre lo schema decorativo di un sofitto e riconoscere alcuni si-
stemi pittorici cui dovevano appartenere i tanti frammenti di Stagioni (cat. n. 1.247), di eroti,
di personaggi non riconoscibili.
Emerge in tale situazione il complesso dell’ipogeo di San Salvatore a Cabras, i cui ambienti
conservano intera la loro decorazione, sia pure con aggiunte e grafiti successivi. Alla fase
originaria, di età costantiniana, appartengono rafigurazioni mitologiche, Ercole in lotta con-
tro il leone nemeo, Venere, Mercurio, le Ninfe e Pegaso, che, per la loro connessione con
l’acqua, confermano l’ipotesi già formulata di un culto salutare legato al suo uso rituale.
Per la pittura funeraria, si segnalano due ipogei giudaici a Sulci con scarna decorazione e iscri-
zioni dipinte e un terzo, della ine del III-metà del IV secolo, con rafigurazione della defunta
tra cesti colmi di frutta, rami ioriti e festoni. Più o meno contemporanee, ma di maggior im-
pegno e di grande originalità nelle scelte iconograiche, erano le pitture, ora scomparse, degli
ipogei del colle di Bonaria a Cagliari rafiguranti la resurrezione di Lazzaro e la guarigione
del paralitico nel cubicolo di Munazio Ireneo, il ciclo di Giona in quello che prende il nome
dal profeta. Qui, in modo del tutto inconsueto, sono rappresentate, l’una accanto all’altra, la
barca dalla quale Giona viene gettato in bocca a un pistrice, e la sua successiva salvezza, e la
nave che trasporta gli Apostoli pescatori di uomini.
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137
Simonetta Angiolillo
138
I beni suntuari
Marco Giuman, Romina Carboni
«Ella era vestita di un peplo più risplendente del bagliore del fuoco, portava fermagli ben ritor-
ti e rilucenti orecchini a calice, le collane intorno al delicato collo erano magniiche, belle, d’o-
ro, riccamente lavorate; e come la luna brillavano sul petto delicato, meraviglia per la vista». Le
parole con le quali nell’Inno omerico ad Afrodite (vv. 86-90) viene tratteggiato l’aspetto seducente
della dea dell’amore, in un crescendo che non a caso trova traduzione concreta in un processo
metanarrativo di tipo primariamente visivo, possono fornirci il giusto abbrivio alle tematiche
generali di questo breve contributo. Da sempre infatti, in ogni epoca e cultura, gioielli, monili
e ornamenta in genere suscitano all’occhio dell’osservatore un fascino potente, forse in virtù
di uno spettro di valori decisamente articolato, in grado di proiettare su un singolo oggetto
piani culturali e funzionali assai diversiicati. Come ben compendia F. Borel «l’ornamento dice
l’essenziale, sottolinea le età della vita, partecipa al matrimonio, accompagna la nascita, i lutti.
È l’elemento motore della seduzione nel senso più ampio del termine; e partecipando alla
seduzione e alla bellezza, partecipa attivamente al grande ciclo dell’esistenza» (BoreL 1996).
A questo quadro funzionale naturalmente non può venire meno anche il mondo romano:
elemento polisemico per eccellenza, e perciò stesso caratteristico di entrambi i generi, il
monile prezioso, soprattutto per quanto concerne l’età arcaica, viene a riassumere in sé signi-
icati simbolici che ne travalicano il mero valore pecuniario, tramutandolo in un importante
demarcatore di natura sociale. In primo luogo come simbolo del potere. Sappiamo da Plinio
ad esempio (Nat. XXIII 4, 10) che sarebbe stato Tarquinio Prisco il primo a donare al pro-
prio iglio, dimostratosi in grado di uccidere in combattimento un nemico mentre ancora
aveva indosso la toga praetexta (sarebbe a dire che non aveva ancora conseguito la maggiore
età), una bulla d’oro, dando così il via a una consuetudine (cfr. Giovenale, Satire, V, 163-165)
che avrebbe poi caratterizzato tutti i igli di quanti avessero ottenuto l’ordine equestre. E in
ciò forse non è casuale che l’aneddoto pliniano veda protagonista proprio Tarquinio Prisco,
ovvero il primo tra i sovrani di Roma per il quale le fonti annalistiche non mancano di rimar-
care l’origine etrusca. Un dato che peraltro sembra trovare conferma ulteriore nella notizia,
riportata da più testimonianze, secondo la quale tutti i simboli del potere utilizzati nella Roma
di età regia e successivamente recepiti dai magistrati della repubblica – e tra questi anche
l’uso dell’anello – avrebbero avuto un’origine etrusca. È noto infatti come nel mondo antico
proprio l’Etruria, quell’Etruria che si dimostrerà fondamentale nell’elaborazione dei modelli
sociali e culturali della Roma di età arcaica, venga a rivestire un ruolo essenziale per lo svilup-
po e il perfezionamento delle arti orafe – si pensi alla tecnica celeberrima della granulazione
o del pulviscolo – oltre a costituire un polo di eccellenza assoluta per la quantità e la qualità
delle sue produzioni. Ma l’episodio di Tarquinio, a ben guardare, sembra suggerirci anche
dell’altro. Se infatti da un lato l’acquisizione della bulla da parte del giovane nobile – agli altri
è riservata una semplice striscia di cuoio – trasforma l’oggetto prezioso in un vero e proprio
status symbol, con tutte le conseguenze che ciò viene a comportare sul piano sociale dell’auto-
rappresentazione, dall’altro è proprio la speciicità dell’episodio, evidentemente da intendere
nell’ottica più propria del passaggio dall’adolescenza all’età adulta, a caricare questo oggetto
prezioso, per il quale sono peraltro note le valenze apotropaiche, di un valore semantico più
ampio, di chiara matrice rituale. Ancora da Plinio (Nat. XXXIII 4) conosciamo l’usanza,
successivamente ripresa in ambito cristiano, di portare «in pegno alla sposa un anello di ferro,
senza gemma incastonata», mentre per quanto concerne il valore funerario degli ornamenta è
forse suficiente fare riferimento all’abbondanza di gioielli rinvenuti nei corredi di quasi tutte
le civiltà antiche.
Segno di potere e di appartenenza sociale non scevro da rilessi di matrice rituale, bene rifu-
gio nei momenti di massima crisi, ma anche status symbol capace di sottolineare le potenzialità
economiche del suo possessore, il monile prezioso rappresenta indubbiamente un marcatore
non secondario delle trasformazioni e dei profondi mutamenti che vengono a caratterizza-
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Marco Giuman, Romina Carboni
140
I beni suntuari
re la società romana nel corso dei secoli. È quanto possiamo osservare, ad esempio, in un
momento particolare della storia di Roma, quando, all’indomani della conquista della Magna
Grecia e della successiva espansione verso oriente, i gioielli sono visti come il fumo negli
occhi da parte dei circoli più conservatori della capitale. Al pari di tappeti, stoffe pregiate,
marmi, gli ornamenti preziosi vengono infatti interpretati come un pericolosissimo indizio
della deriva asiana e della conseguente decadenza morale che verrebbe alla civiltà romana dal
contatto con il mondo ellenico, ritenuto latore del peggiore malcostume e dei vizi più nefandi
(Plin. Nat. XXIII 148). Così già nel 215 a.C. è approvata in senato una legge che vorrebbe
limitare a mezza oncia – corrispondente all’incirca a 13 grammi – il peso complessivo dell’oro
che può essere portato indossato da una matrona romana, un provvedimento che peraltro ha
vita breve e viene revocato dopo che una mezza sommossa popolare ne ha richiesto a gran
voce l’abrogazione. Il dado, oramai, è tratto e come scriverà Giovenale (6, 457) «l’amore per
il lusso non deve avere freni per chi può permetterselo».
Così è un dato di fatto, al di là dei tentativi di Augusto di ridare dignità ai rigidi mores degli
antenati, invero per buona parte solo di facciata, che l’ostentazione pubblica di gioielli e mo-
nili sempre più sfarzosi e complessi da parte delle classi più abbienti diviene una condotta
abituale nella Roma di età imperiale, con dinamiche sociali di autocelebrazione che oramai
non coinvolgono solamente le donne. Come non manca infatti di rimarcare Ovidio (Cosmetici,
25 ss.), tentando di dimostrare come l’esibizione di gioielli non sia più da intendere in una
prospettiva prettamente femminile, «i vostri mariti si sono appropriati di una usanza che era
propria delle donne: la donna sposata ha poco da aggiungere alla loro rafinatezza». Ma è
probabilmente nel Satyricon di Petronio che possiamo cogliere al meglio quel ruolo di vero e
proprio vettore sociale che oramai contraddistingue l’oreiceria nella Roma di età imperiale:
Trimalcione (Petronio, Satyricon, XXXII) ha le dita piene di anelli preziosi e i polsi appesantiti
da bracciali in avorio e oro, per i quali lo stesso protagonista si premura di far veriicare ai suoi
ospiti la mole massiccia. Allo stesso modo la sua sposa, Fortunata, è causticamente ritratta
stracarica di gioie di ogni sorta (Satyricon, LXVII, 6-7): «giunse così il momento che Fortunata
si silò dalle braccia cicciose i braccialetti e li porse a Scintilla da ammirare. Poi si tolse gli
anelli e la reticella d’oro […]. Trimalcione notò la cosa e fattosi portare il tutto disse “vedete
i lacci delle donne! È così che ci pelano, babbioni che non siamo altro. Dev’essere almeno
sei libre e mezzo. Però anche io ho un braccialetto di dieci fatto coi millesimi di Mercurio”».
Sono questi casi limite, naturalmente, peraltro ulteriormente caricati dall’iperbole caustica e
all’un tempo sottile della satira sociale di Petronio, ma è indubbio che, a partire dai primissimi
decenni del I secolo d.C., le morigerate e misurate matrone della Roma repubblicana si sono
oramai trasformate in dame rifulgenti di gioie di ogni foggia e colore, come ben dimostra
Lollia Paolina, la moglie di Caligola, la quale, presentandosi a una cerimonia pubblica, si mo-
stra «ricoperta di smeraldi e perle […], con monili risplendenti sulla testa, nei capelli, sul collo,
alle orecchie e alle dita» (Plin. Nat. IX 117).
L’assunzione del gioiello come oggetto à la page, come status symbol mondano non più riserva-
to ai soli ceti aristocratici, ma più in generale a chiunque disponga del denaro suficiente per
il suo acquisto – è nuovamente Plinio (Nat. XXXIII 23) a ironizzare sul fatto che «oramai
persino i servi ricoprono d’oro i loro anelli di ferro e decorano altri oggetti con oro puro» –
non può che tradursi in un notevole incremento della produzione di ornamenta, ora appannag-
gio anche di quei segmenti sociali che forse oggi deiniremmo middle class. A tale fenomeno
tuttavia non sembra corrispondere un analogo accrescimento tipologico dei modelli, un dato
apparentemente singolare e per il quale sembrano poter concorrere più fattori, non ultime
le peculiarità che contraddistinguono le creazioni orafe e che le differenziano in maniera
sostanziale dalle produzioni artigianali di tipo seriale, quali ad esempio quelle ceramiche.
Orecchino romano da Sorso, In questo senso, i costi elevati e la non sempre agevole reperibilità delle materie prime – si
località Su Pidocciu. pensi alle pietre preziose che in molti casi giungono dalle Indie, dall’Arabia o ancora dall’A-
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna. frica nera (Plin. Nat. XII 84) – unitamente all’altissimo livello di specializzazione dei maestri
orai, si traducono inevitabilmente in pochi e rinomati poli specializzati (tra questi in Italia,
oltre alla capitale, si possono ricordare Taranto, Pompei, Alessandria, mentre per ciò che
Nella pagina accanto riguarda il Mediterraneo orientale sono rinomate le produzioni asiane e siriache) a garanzia
Collana a semplici maglie d’oro alternate di una continuità tecnica di bottega che inevitabilmente favorisce un certo conservatorismo
a vaghi di pietra dura. dei modelli. Certo, in età imperiale si fanno sempre più rari, in quasi a scomparire, i motivi
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale. iligranati e a granulazione di tradizione ellenistica, sostituiti in maniera progressiva dall’in-
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Marco Giuman, Romina Carboni
serzione sempre più massiccia di pietre preziose e dalle decorazioni a smalto, ma si tratta di
modiiche di tipo accessorio, che non intaccano cioè la struttura funzionale del gioiello ma
solo – e in maniera assai parziale – l’aspetto esteriore e la tassonomia degli ornati. In fondo,
come ben riassume M.T. Guaitoli, è la stessa polisemia dell’ornamentum a determinare una sua
naturale tendenza alla conservazione: «tutte le fonti antiche – e anche la realtà che accomuna
le società antiche a quelle moderne in materia di ornamenti preziosi – sono concordi nell’at-
tribuire a questa particolare categoria di oggetti alcuni valori che ad essi rimangono legati
nel tempo. Si passa da un signiicante meramente attinente alla sfera del piacere e del gusto
estetico, a quello strettamente connesso alla funzione sociale, non disgiunta a sua volta da una
inconscia (o indiretta) volontà di trasmissione e di collezionismo» (guaitoLi 2012).
Per il moderno studioso, questo alto grado di omogeneità tipologica e di sostanziale tendenza
al conservatorismo tecnico e formale rende particolarmente complesso il corretto inqua-
dramento esegetico dell’ornamentun, sia per ciò che ne concerne l’attribuzione a un centro di
produzione, sia per ciò che riguarda il suo corretto inquadramento cronologico; a maggiore
ragione per quegli esemplari di collezione, e sono moltissimi, per i quali non sono noti i con-
testi di rinvenimento. A ciò si aggiunga il numero relativamente esiguo degli oggetti preziosi
giunti ino a noi – che proprio in virtù del loro valore intrinseco possono essere a più riprese
fusi, smontati, riusati – e non ultimo le molte contraffazioni che, dalle botteghe antiquarie di
età illuministica ai moderni falsari, caratterizzano questa particolare classe di materiali.
M. G.
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I beni suntuari
Un altro interessante monile proveniente dal contesto di Sorso è un anello, inquadrabile tra il
I secolo a.C. e il I d.C., costituito da due cerchi in ilo godronato uniti, in modo da rimanere
mobili, da un terzo elemento circolare analogo più piccolo (cat. n. 1.169). Come ricorda S. An-
giolillo (angioLiLLo 2000), la tipologia è la stessa del doppio anello d’oro – liscio, con un terzo
elemento minore di congiunzione – rinvenuto all’interno di un sarcofago contenente il corredo
funerario, ricco di gioielli, della defunta Crepereia Tryphaena, morta all’età di diciotto anni durante
il regno di Marco Aurelio. La valenza dell’unione di più anelli potrebbe essere ricondotta al noto
potere magico e terapeutico dei gioielli ed in particolare a quello derivato dalla legatura delle
dita: «L’alluce legato al dito vicino riduce i goniori degli inguini, i due medi sulla mano destra
legati leggermente con un ilo bloccano catarri e cisposità» (Plin. Nat. XXVIII 42). Al contrario
gli anelli nei quali i due anelli sono strettamente saldati tra di loro dovevano essere destinati ai
defunti e avere la funzione di trattenere l’anima nel corpo.
Dal contesto tombale di Su Pidocciu proviene anche un orecchino d’oro del tipo a disco con
pendenti, che risponde ad una tipologia ben attestata in epoca ellenistica. Dal gancio si sviluppa
un disco con granato incastonato a notte al quale si raccordano, mediante un anello di sospen-
sione, due pendenti rafiguranti l’uno una ghianda, l’altro un vaso. Come sottolinea S. Angiolillo,
è evidente lo stretto legame esistente con l’oreiceria ellenistica – alla quale riporta anche la va-
riante del pendente a forma di vaso e di ghianda –, anche se alcune caratteristiche morfologiche
e tecniche fanno propendere per una datazione più tarda che oscilla tra la prima e la media età
imperiale. Come dimostrano confronti ravvisabili in ambito musivo, in particolare un esemplare
di Pompei dove è ritratta una donna con orecchino con pendente a forma di anfora, la tipologia
continua ad essere in auge infatti anche in età imperiale. Dal punto di vista tipologico l’esemplare
in questione non presenta peculiarità di sorta, se non fosse per il fatto che esso è stato rinvenuto
senza il compagno. A causa delle scarse notizie legate alle modalità di rinvenimento, non è possi-
bile affermare se la presenza di un solo orecchino possa essere ricondotta ad una violazione della
tomba, e dunque al furto di uno dei due esemplari, o se invece ad un possibile rituale di natura
religiosa, come è stato supposto per alcune tombe inviolate rinvenute nei pressi di Roma.
Dallo stesso contesto proviene anche un altro monile, questa volta un pendente, identiicato
come contenitore per amuleti. Si tratta di un esemplare costituito da due lamine auree rettango-
lari lavorate a stampo e tenute insieme da un grosso ilo d’oro che ne costituisce anche l’anello. Il
pendente trova confronti in numerosi esemplari presenti al collo di uomini e donne ritratti come
mummie. Questi manufatti sono rafigurati generalmente come pendenti di collane oppure legati
a semplici nastri, in virtù della loro duplice funzione: decorativa da una parte, funzionale dall’altra
in quanto destinati a contenere lamine con iscrizioni magiche. Sulla base dei confronti, questo
esemplare può essere inquadrato in un arco cronologico compreso tra il II e il IV secolo d.C.,
periodo quest’ultimo ino al quale i pendenti sono attestati in relazione alle mummie.
Un altro contesto di un certo interesse che permette di apprezzare la varietà delle tipologie di gio-
ielli diffuse nella Sardegna di età romana è quello individuato ad Olbia, a poca distanza dalla chie-
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Marco Giuman, Romina Carboni
sa di San Simplicio. Il corredo, ascrivile al I secolo a.C., è andato perso poco dopo la sua fortuita
scoperta ad opera di un contadino, ma fortunatamente è possibile risalire alla sua composizione
grazie all’accurata descrizione fattane da G. Spano e alla ricostruzione successiva ad opera di S.
Angiolillo (angioLiLLo 1992). Il corredo era composto originariamente da due collane, tre paia
di orecchini, dodici anelli e uno scarabeo. Una delle collane è stata individuata da S. Angiolillo
in un esemplare conservato al British Museum, che si contraddistingue per la notevole qualità
della fattura e per la ricchezza dei motivi e delle combinazioni della decorazione. Si tratta per
l’esattezza di una collana composta da quindici cilindri d’oro superstiti di lunghezza variabile, che
va diminuendo man mano che ci si avvicina alla chiusura dietro il collo. I cilindri sono lavorati in
iligrana con motivi a rose, stelle, foglie d’edera e triangoli, e recano al centro rubini incastonati
di forma rotonda, ovale, cuoriforme e a goccia. Il rubino più grosso è quello del cilindro centrale.
Nonostante la lavorazione in iligrana conosca ampia diffusione in epoca ellenistica e permetta di
inserire l’esemplare in questione nell’ambito delle produzioni di area egea del III-II secolo a.C.,
non esistono tuttavia confronti puntuali.
Sebbene non sia stato possibile rintracciare gli altri gioielli del contesto, la loro descrizione ad
opera di G. Spano permette di stabilire che essi erano accomunati dalla presenza di pietre. Sulla
base del resoconto fornito è possibile affermare che anche la seconda collana – «a iletti d’oro a
foggia di treccia che forma il cordone, dal quale pendono gli ornamenti in tutta la sua lunghezza,
fatti in forma di colonnette di sei globetti saldati insieme […] La singolarità di questa collana
sono i fermagli delle estremità, il gancio maschio e femmina, attaccati ad una piccola ibula di
forma triangolata, attorno lavorati a iligrana, ed in mezzo la solita pietra rossa rotonda» (sPano
1861) – costituiva un unicum per la Sardegna, probabilmente da ricondurre, basandosi sui con-
fronti, all’operato di botteghe tarantine dell’inizio del III secolo a.C. Alle stesse botteghe si po-
trebbe attribuire anche la produzione degli orecchini del contesto in esame, del tipo a disco con
tre o cinque pendenti con quello centrale conigurato ad anfora. Si ha a che fare anche in questo
caso con una tipologia che conosce ampia diffusione nel II-I secolo a.C. nell’area magno-greca,
con particolare concentrazione nella zona di Taranto. Secondo S. Angiolillo una coppia potreb-
be essere rintracciata negli orecchini di provenienza ignota, attualmente conservati al British
Museum. Si tratta dunque di un corredo che, sulla base delle informazioni desunte dall’analisi
stilistica e tipologica dei suoi componenti, può essere ascritto ad una forbice cronologica com-
presa tra il III e il I secolo a.C.; la deposizione del corredo potrebbe dunque essere inquadrata,
pur con le dovute cautele necessarie, all’interno di quest’ultimo secolo. Il contesto è composto
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I beni suntuari
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Marco Giuman, Romina Carboni
rimandando dunque a necessità di carattere funzionale, potrebbe aver rivestito anche valenze di
carattere proilattico, legate sia alle lustrationes che alla cura dai mali (Hom. Od. XXII 481). Come
ricorda Plinio (Nat. XXXV 176-177), infatti, «è tanta la forza che messo sul fuoco scopre con
l’esalazione i mali epilettici. La sua natura riscalda, cuoce, ma rimuove anche gli ascessi dei corpi,
per questo si mescola a tali empiastri e pomate. Giova meravigliosamente applicato col grasso
nel dolore anche per reni e lombi. Toglie anche le impetigini del viso con resina di terebinto e
le lebbre; così è chiamato rapace dalla velocità dell’agire, infatti dev’essere tolto subito. Giova
anche agli asmatici con l’ingerimento, anche a quelli che tossiscono elementi purulenti e contro
le ferite degli scorpioni», inoltre «Trova posto anche nei riti religiosi per puriicare le case con la
fumigazione».
L’armilla è stata rinvenuta insieme a quattordici monete d’argento, inquadrabili tra il regno di
Caracalla e quello di Gallieno, che hanno permesso di ascrivere il corredo funerario alla seconda
metà del III secolo d.C. Questa datazione, issata sulla base della moneta più recente, è confer-
mata anche dai confronti stabiliti con bracciali simili a quello di Porto Torres e dai coevi ritratti
di mummie con bracciali voluminosi.
Al carattere apotropaico sono collegati gioielli con le estremità conformate a testa di serpente,
animale salutifero per eccellenza, che trovano ampia diffusione nella Sardegna di età romana. È
questo il caso di diversi bracciali a cerchio e a spirale con la presenza del serpente nelle termina-
zioni, come si può osservare in un esemplare bronzeo conservato al Civico Museo Archeologico
Villa Abbas di Sardara, dove i particolari della testa dell’animale sono segnati con incisioni. Non
si può poi non ricordare, rimanendo in tema, una collana d’oro proveniente da Porto Conte e
oggi conservata al Museo Sanna di Sassari. Si tratta di un esemplare lavorato in maglia tubolare
con le terminazioni conigurate a protomi leonine, alle quali sono ancorati due anelli che pote-
vano essere funzionali a reggere il fermaglio o a issare il gioiello alla veste da una spalla all’altra.
Sebbene la tipologia a doppia protome animale sembri rimandare ad una koinè artistica ellenistica,
l’esecuzione poco naturalistica delle teste leonine porta a ritenere l’esemplare, come suggerisce
S. Angiolillo, «la ripresa di una tipologia ellenistica realizzata nel tardo impero (III-IV sec. d.C.)»
(angioLiLLo 2000). Dato questo confermato anche dalla tipologia della collana a maglia tubolare
che, sebbene diffusa a partire dall’età ellenistica, trova una più ampia attestazione in età imperiale.
Il serpente fa la sua comparsa anche su anelli di solo metallo, largamente utilizzati in periodo el-
lenistico. Un esempio di questa tipologia è rappresentata da un esemplare in argento, conservato
al Museo Archeologico di Cagliari, consistente in una verga attorcigliata a spirale conigurata a
serpente, con la testa e la coda a chiusura dell’anello.
Un indubbio carattere apotropaico è rivestito anche dall’onice a “occhio di gatto” incastonato
in diversi anelli, del quale è un interessante esempio un elegante esemplare conservato al Museo
Sanna di Sassari, realizzato a fascia, con l’onice centrale dai toni del blu, bianco e marrone.
Dalla località di Porto Conte, nei pressi di Alghero, provengono, oltre alla già citata collana con
le teste di leone, anche diversi altri esemplari di gioielli che permettono di apprezzare ancora una
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I beni suntuari
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Marco Giuman, Romina Carboni
Sardegna di alcune tipologie ampiamente diffuse in età repubblicana e primo-imperiale, come gli
orecchini a spicchi di sfera e quelli decorati con le perle che, come apprendiamo da Plinio (Nat.
IX 114), dovettero godere di largo consenso: «È vanto delle donne metterle alle dita e a due o a
tre alle orecchie […] e desiderano ormai anche le povere, ripetendo che la perla unica è in pub-
blico il littore della donna».
Stesso discorso vale per gli anelli, apprezzati anche dagli uomini. Dopo un periodo iniziale nel
corso del quale gli anelli d’oro furono utilizzati soprattutto in occasioni di natura uficiale rappre-
sentando uno status symbol e dunque il potere delle classi privilegiate, questi ornamenta si diffondo-
no in modo più capillare. Dopo un uso limitato al solo anulare, essi vengono utilizzati in tutte le
dita della mano, con l’esclusione del solo dito medio (Plin. Nat. XXXIII 24). Anche in Sardegna
sono ampiamente attestati, oltre che il tipo a sigillo, quelli a verga piena che si allarga per ospitare
il castone inciso di pietre preziose, pietre dure o vetri intagliati. Limitati invece, anche se tipo-
logicamente molto diversi, i bracciali per i quali si passa da esemplari molto semplici, costituiti
da ili d’oro o di bronzo con le estremità fermate con un doppio giro a spirale, ad esemplari più
ricercati e colorati.
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148
Turris Libisonis Colonia Iulia
Antonietta Boninu
L’ampio territorio di pertinenza della città antica di Porto Torres era abitato e frequentato in
dall’età neolitica; le numerose e articolate domus de janas, scavate nel banco di calcare, costitui-
scono un’eloquente testimonianza delle necropoli complesse e delle aree dei villaggi del Neo-
litico recente (IV-III millennio a.C.), utilizzate almeno ino all’età del Bronzo. I corsi d’acqua,
il mare, i campi fertili hanno sostenuto anche i numerosi insediamenti nuragici, ubicati lungo la
linea di costa e all’interno. Purtroppo varie manomissioni e il polo industriale hanno cancellato
molte tracce. Non è da escludere che la presenza delle torri nuragiche possa essere letta anche
nel poleonimo, che ricorderebbe strutture evidenti nel paesaggio costiero.
L’originario nucleo abitato si è sviluppato nella città di Turris Libisonis Colonia Iulia, intorno alla
metà del I secolo a.C. Il tratto centrale più riparato del golfo, chiuso a nord-ovest dall’Isola
dell’Asinara, l’Herculis Insula delle fonti, e a sud dalla serie di colline che la contornano, è stato
prescelto per accogliere la città, che ha incentrato nel porto la forza economica e culturale, par-
tecipando alle dinamiche di relazioni e attività nel bacino del Mediterraneo. Gli accessi alla città
erano assicurati dalle tre strade che la collegavano alla costa orientale, occidentale e all’interno,
ino al porto di Karales. Ad ovest disponeva delle terre coltivabili e delle miniere di piombo
argentifero; ad est sembra prevalere, insieme all’agricoltura, l’attività di cava per l’estrazione dei
blocchi di calcare per le costruzioni. La strada verso il sud attraversava la regione della Nurra
dedicata all’agricoltura, in prevalenza cereali, ripercorrendo un tracciato preesistente e, a tratti,
sovrapponendosi agli insediamenti di età neolitica. Lungo le tre strade, nelle sezioni vicine alla
città, si sviluppavano le necropoli, che restituiscono monumenti funerari ad inumazione e a in-
cinerazione, costruiti o ricavati nei rilievi naturali, accanto a semplici fosse in terra o in cassoni
ricavati nel banco di calcare. La strada meridionale corre quasi parallela all’acquedotto, che si
dipartiva dalla valle ricca d’acqua nel territorio di Sassari, l’Eba Giara, circa 14 miglia a sud-est.
La città, nell’assicurare a Roma rifornimenti di risorse alimentari, ha potenziato le attività
portuali, consolidatesi con l’impianto dell’agenzia dei navicularii et negotiantes turritani ad Ostia,
nel porto di Roma. Per la raccolta dei prodotti agricoli il iume, navigabile almeno per tre
miglia, ha svolto ruolo primario. Nella radice dell’attuale molo di ponente, a breve distanza
dalla foce del iume, sono state scavate strutture relative al primo impianto portuale del-
la città. Probabilmente nella fase iniziale dell’organizzazione commerciale un unico bacino
svolgeva le funzioni per l’attività lungo il iume e in mare. L’andamento della linea di costa
e i necessari fondali per le navi onerarie hanno individuato già nel II secolo d.C. un amplia-
mento del porto verso est, a breve distanza dalla lingua di terra ove è stata ediicata la torre
in età aragonese. Gli ampliamenti e revisioni del bacino portuale sono stati seguiti da scelte
urbanistiche, che registrano occupazioni di aree prima dedicate alle attività produttive e alle
sepolture e rifacimenti ed estensioni del sistema viario, idoneo ad un nuovo assetto della
città. Ad ovest le sponde del iume hanno offerto anche sorgenti di acqua dolce, che ha
favorito il potenziamento delle attività artigianali con fornaci per la produzione di ceramica,
terrecotte e laterizi. L’attraversamento delle acque del iume, dopo una prima soluzione con
apprestamenti mobili, venne assicurato da un monumentale ponte su sette arcate, ediicato
con particolare perizia ingegneristica.
Per la conoscenza della città e per la comprensione delle aree inora scavate è opportuno ri-
cordare alcuni dati, che hanno pesantemente condizionato la salvaguardia delle testimonianze
archeologiche giunte ino all’Ottocento. Per le Ferrovie dello Stato è stato scavato un tunnel
nella collina sovrastante la riva destra del iume, che ha asportato e disperso una consistente
sezione della città antica. Tra il 1927 e il 1930 si è ripetuta una seconda opera di distruzione,
interessando una ancora più vasta e contigua porzione della città per l’impianto di un secon-
do binario, per la costruzione della stazione e per gli alloggi dei ferrovieri. Dell’immensa de-
molizione sono stati salvati alcuni mosaici e sculture di marmo, che rivelano l’enorme perdita
di un’area dedicata, molto probabilmente, ad ediici pubblici di particolare importanza. Dai
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Antonietta Boninu
primi anni Settanta le scelte di tutela hanno costruito una rete di relazioni interistituzionali e
con i cittadini, perché si potesse segnare una svolta nel rispetto della città antica e perseguire
soluzioni delle esigenze contemporanee in formule compatibili. Il ponte pedonale costruito a
scavalco del primo binario intende sottolineare gli intendimenti comuni per risarcire, in parte,
l’immensa cesura e poter indicare l’estensione del tessuto della importantissima città antica.
In anni recenti lo studio per la redazione del Piano Urbanistico Comunale, in adeguamento
ai principi del Piano Paesaggistico Regionale, ha potuto precisare le modalità per difendere
le preesistenze archeologiche con strumenti normativi idonei ed eficaci. Attualmente Porto
Torres, rispetto a tante città pluristratiicate, può presentare i risultati di una politica condivisa
di salvaguardia, che restituisce alla città, alla Sardegna, alla ricerca archeologica, allo sviluppo
culturale ed economico una risorsa ineguagliabile. Attualmente, per un concerto di intenti
della Soprintendenza Archeologica, del Comune e della Regione Sardegna, si dispone delle
aree, acquisite, comprese tra le Terme Maetzke e il iume, caratterizzate dagli elementi propri
per l’istituzione di un parco archeologico urbano. Le norme nazionali e la Legge Regionale
n.14/2006 contengono i criteri e le direttive perché il parco possa diventare realtà in una città
marcata anche dalla crisi dell’area industriale.
La visita della città antica si può articolare almeno in sedici monumenti della città e delle
necropoli. L’Antiquarium Turritano, inaugurato nel 1984, accoglie e presenta signiicativi
documenti archeologici, da conoscere, da guardare e apprezzare anche per obiettiva bellezza,
da analizzare, da studiare, da ammirare, in una logica di ricerca individuale e di fonte unica
della storia, che richiama tutti. Le scoperte e gli interventi effettuati negli ultimi decenni sug-
geriscono di riportare schede speciiche, che riassumono e anticipano ricerche, per restituire
alla comunità una preziosa risorsa comune.
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Turris Libisonis Colonia Iulia
Il mosaico del Vano III é articolato su un motivo di ottagoni e spazi di risulta quadrati. Il
Vano IV presenta un mosaico con motivo geometrico uguale a quello del contiguo III. A
nord si sviluppa un vasto ambiente con pianta trapezoidale, e con tappeto musivo molto
lacunoso, a causa di demolizioni, modiicazioni, sovrapposizioni ed asportazioni; sul tappeto
si susseguono quadrati con pesci e motivi geometrici. Il Vano VI è costituito da una vasca
rettangolare rivestita con lastre di marmo; il pavimento ha mosaico a scacchiera con tessere
alternate bianche, rosse e nere. L’ambiente VII, pertinente un impianto termale, presenta un
mosaico articolato su due ile parallele di rettangoli decorati con motivi geometrici. Non è
escluso che, data la notevole pendenza verso il iume, l’ediicio presenti un terzo livello, al
ine di sfruttare il declivio nella quota inferiore.
Nei consistenti crolli, che obliteravano i sette vani, erano presenti elementi della copertura
e dei rivestimenti parietali: intonaci dipinti, igurati con motivi di volti umani, iori e frutta,
che presuppongono una complessa articolazione decorativa. L’apparato decorativo – lastre
di marmo policromo, mosaici, intonaci dipinti – e le porzioni delle colonne rivelano cura
dei materiali e disponibilità economiche. L’analisi delle tecniche murarie, blocchi di calcare
alternati a blocchetti di argilla essiccati e conservatisi negli strati di crollo, e le partizioni archi-
tettoniche sembrerebbero rimandare ad prima fase di vita della domus, collocabile nel I secolo
d.C., anche con confronti nel settore orientale della stessa città di Turris Libisonis.
Data la felice posizione, la domus è stata oggetto di ampliamenti, revisioni, rifacimenti ed
adattamenti, che si sono susseguiti almeno ino alla ine del III secolo d.C.
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Antonietta Boninu
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Turris Libisonis Colonia Iulia
attorno al vano centrale, di pianta rettangolare, con vasca al centro; a sud del vano centrale
è stato individuato l’ottavo ambiente con mosaico geometrico policromo. Il pavimento pre-
senta un rivestimento a mosaico decorato con rombi rossi e neri su campo bianco. La vasca
presenta tre lobi lungo i lati nord, est e sud, il quarto lato è rettilineo; le pareti esterne sono
intonacate e dipinte con una fascia di colore verde. All’esterno del lobo settentrionale sono
presenti le canalette di adduzione e di scarico dell’acqua e un pozzetto di ispezione, realizzati
al di sotto del pavimento e conluenti in un condotto maggiore. All’interno della vasca sono
evidenti la base di una colonna centrale e le tracce del rivestimento parietale con lastre di
marmo. Il pavimento è decorato da mosaico con sedici pesci, disposti intorno alla colonna.
Su due registri paralleli lungo la linea nord-sud si individuano, da ovest: nel primo registro,
torpedine (Torpediniforme), tonno (Thunnus), murena (Muraena helena), cozza (Mytilus galloprovin-
cialis), triglia (Mullida), riccio di mare (Echinoidea/Paracentrotus lividus), sgombro (Scomber scom-
brus), pinna comune (Pinna nobilis); nel secondo registro: sogliola (Solea solea), mostella (Phycis
phycis), seppia (Sepiida), cernia (Epinaphelina), dentice (Dentex dentex), granchio (Prachyura), om-
brina (Umbrina cirrosa), gallinella di mare/capone (Chelidonichthus lucerna).
Dal vano centrale l’accesso ai tre ambienti orientali era dato da due gradini, ad una quota in-
feriore; dei due ambienti perimetrali si conservano lacerti, del centrale residua una porzione
dell’elevato della parete nord, intonacata e dipinta di colore rosso; del muro di delimitazione
orientale si conservano blocchi della base, della parete sono stati recuperati frammenti di
intonaco dipinto con partizioni architettoniche. Del pavimento si conservano porzioni pe-
rimetrali e parte del riquadro centrale, decorato dalle Tre Grazie, racchiuse in un ottagono
realizzato con riquadri e compreso in una fascia a scacchiera. Dal grande ambiente centrale
di raccordo si accede ai tre ambienti occidentali, è visibile la soglia in marmo del centrale,
mentre gli ingressi per gli altri due sono obliterati dai pilastri del porticato. I tre vani sono
contigui lungo l’asse nord-sud e sono stati privati della struttura di delimitazione ovest dagli
interventi di spoliazione, che hanno asportato anche la corrispondente fascia dei mosaici e
causato manifestazioni di subsidenza dei pavimenti.
Nei tre ambienti la decorazione dei rivestimenti pavimentali è data da mosaici policromi e le
suddivisioni strutturali, ridotte a livello di pavimento, sono costituite da muri realizzati con
armatura lignea e mattoni crudi, integrati da argilla e rivestiti di intonaco affrescato. Il mo-
saico del vano meridionale conserva un tappeto impostato su un motivo geometrico di qua-
drati, rettangoli e rombi; i rettangoli racchiudono, alternativamente, doppia freccia e treccia, i
quadrati motivi loreali reiterati. Il mosaico del vano settentrionale è impostato su quadrati e
rettangoli disposti su ile parallele alternate e recanti motivi geometrici e itomori. Il mosaico
del vano centrale presenta un emblema ottagonale contornato da motivo nastriforme, che
racchiude la composizione di Orfeo che suona la lira circondato da nove animali, rivolti verso
il cantore, e due alberi sullo sfondo; a sinistra si rilevano: civetta su un ramo, sovrastante ser-
pente attorcigliato sul tronco dell’albero, toro e leopardo; a destra: corvo sull’albero, cornac-
chia, leone, cervo e lucertola. Il tappeto presenta una serie di riquadri delimitanti l’ottagono
centrale e alternativamente recanti trecce, quadrati, rettangoli e rombi. La planimetria della
domus restituisce i conini est ed ovest con una simmetria dei vani, che si aprono sull’ambiente
che li raccorda. Non si dispone di elementi certi per ipotizzare l’ingresso principale (ostium)
della domus, ubicabile sia a sud che a nord. I frammenti degli affreschi parietali, da attribuire
agli ambienti di appartenenza, sono stati in parte restaurati e restituiscono motivi decorativi
con partizioni architettoniche impostate su alto zoccolo monocromo rosso, puttini danzanti,
maschere, uccellini, frutti, e due igure interpretabili come Orfeo ed Euridice. La qualità tec-
nica dell’ediicio, i motivi dell’apparato decorativo degli ambienti, nei pavimenti e nelle pareti,
mostrano, tra l’altro, l’inserimento di Turris Libisonis, all’inizio del III secolo d.C., in un’ampia
circolazione di cartoni e maestranze specializzate e la presenza nella città di una committenza
economicamente solida.
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Antonietta Boninu
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Turris Libisonis Colonia Iulia
sud e con ingresso a nord, delimitato ad est da un muro di grandi blocchi regolari di calcare.
Al di sotto degli strati di crollo delle coperture del vano, a seguito di abbandono intorno alla
metà del IV secolo d.C., sono stati individuati altri ambienti; lo status giuridico dei lavori non
ha permesso l’estensione dell’indagine. Del vano è stato messo in luce il mosaico pavimen-
tale: il motivo decorativo con tessere rosse, nere, bianche, ocra è geometrico e si articola
su ottagoni, il primo dall’ingresso racchiude un doppio anello con rami d’ulivo, contenente
un’epigrafe su sei righi. Risulta un unicum la formula di saluto rivolta a chi arriva: Quod benis/
ti contentus/ esto tutus fe/cisti qui probis/simus super/ benisti (“Poiché sei venuto sii contento, hai
valutato di stare sicuro tu che molto probo sopraggiungesti”).
Le esigenze di tutela urgente dell’area hanno imposto la veriica di scavo nel settore orientale
e settentrionale, all’interno di un perimetro dato da conini di sicurezza rispetto alle strade
e all’abitazione a nord. Al centro dell’area sono evidenti e monumentali corpi strutturali su
terrazzamenti, che degradano sul declivio verso nord. Le porzioni delle strutture messe in
luce rilevano un grande complesso coerente nelle sue parti, variamente modiicato dalle fasi
di riutilizzo dell’area e dalle spoliazioni per il prelievo di materiale da costruzione. Lo svilup-
po planimetrico e architettonico delle diverse unità costruttive viene scandito dall’alternarsi
di spazi aperti e di spazi chiusi, ottenuti con suggestivi salti di quota sul fronte della linea di
costa. L’articolazione planimetrica si sviluppa in due strutture connesse tra loro e proiettate
verso ovest, nord-est ed est. Dai residui strutturali riversi sul versante meridionale e ancora in
opera si recuperano tre registri architettonici, impostati su un arco. Le marcate caratteristiche
rilevate conigurano le strutture quale espressione di un ambizioso programma di edilizia
pubblica, che prospetta verso il mare e contorna il rilievo naturale, svettando notevolmente
sulla sommità.
La porzione strutturale documentata restituisce un ambiente semi ipogeo con ingresso sot-
tolineato dall’arco e con vano quadrangolare, che immette in una galleria ricoperta a botte,
proiettata con notevole pendenza verso est. La copertura del vano quadrangolare d’ingresso
e della galleria con volta in opera cementizia e rivestimento in malta idraulica, unita alla
rilevata lunghezza di nove metri, restituiscono all’insieme un impegno di tecnica e di pro-
getto propri degli ediici pubblici. Il paramento murario è realizzato con blocchi di calcare
compatto, inemente lavorati e messi in opera con una puntuale giustapposizione. Per l’arco,
ai lati dell’evidente blocco di chiave svettante, si articola una composizione architettonica
curata nei minimi particolari, sia nell’estradosso che nell’intradosso. Al di sopra dell’arco, e
in sottosquadro rispetto al fronte, residua parte dell’elevato con malta a vista: si conserva
traccia evidente dell’alloggiamento di una grande lastra, di rivestimento o di iscrizione mo-
numentale, in posizione orizzontale per una lunghezza di circa due metri. Fra le lastre iscritte
note inora, l’epigrafe di Titus Flavius Iustinus, duovir quinquennalis potrebbe corrispondere per
le misure, ma le opere pubbliche riportate nell’epigrafe non trovano riscontro nelle caratteri-
stiche strutturali dell’ediicio.
Tutto il fronte della costruzione, messa in luce per circa sette metri, reca segni evidenti di un
organico apparato decorativo; le tracce di malta sul paramento, le porzioni di intonaci, le crustae
in marmi policromi e grappe di issaggio, ancora in situ, ne costituiscono inequivocabile testimo-
nianza. I dati restituiti dallo scavo di una sezione della fossa di fondazione collocano la realizza-
zione dell’impianto originario in un periodo compreso tra il I secolo a.C. e la prima metà del I
secolo d.C. Le fasi di vita e di attività del complesso monumentale sembrano perdurare ino al
II-III secolo. Ai numerosi frammenti di lastre di rivestimento dei paramenti murari si uniscono
colonne di marmo scanalate e lisce, di diversi diametri e altezze, collocabili nei tre livelli della
costruzione. Fra le sculture spiccano tre statue di marmo collocabili tra il I e il II secolo d.C.
Di una statua di marmo bianco si conserva la parte centrale del busto; è rappresentato un per-
sonaggio che indossa la corazza da parata, chiusa sul ianco sinistro da cerniera e sul pettorale
destro da spallaccio decorato. Al centro della corazza, nel registro superiore, la decorazione è
data dalla testa di Gorgone, e nel registro inferiore da due Vittorie alate con in testa il calathos,
rivolte al centro verso il tripode faceforo e con la mano sinistra e destra sollevate e aperte a
contornare la parte superiore della iaccola. Delle due Vittorie affrontate si conserva la parte
superiore della destra ino all’attacco delle gambe e della sinistra parte della testa e la mano
sinistra. Le Vittorie poggiano su due contornanti ed esili viluppi e volute, dei quali restano
sulla destra del frammento i desinenti girali, resi con accurata tecnica e precisione calligraica.
Sull’omero sinistro della statua è poggiato il lembo centrale del paludamentum, mantello, che
155
Antonietta Boninu
156
Turris Libisonis Colonia Iulia
ricade sul dorso con ricche pieghe per raccogliersi sul braccio sinistro, mancante. Sulle mor-
bide e simmetriche pieghe della tunica aderente al braccio sinistro e sulle soprastanti strisce
di cuoio della corazza, terminanti con le frange a spina di pesce, si conservano evidenti tracce
di pennellate di pittura di colore rosso. Nel sottosquadro delle pieghe del mantello le tracce
di pittura sono di colore rosso bruno. L’analisi dell’opera nel contesto della produzione scul-
torea turritana ha identiicato un frammento pertinente, costituito dalla parte inferiore della
corazza, esposto nel Museo Nazionale G.A. Sanna di Sassari.
Di una seconda statua loricata si conserva in un unico frammento il busto ino all’attacco
delle gambe, il braccio sinistro ino al polso e la parte alta del braccio destro. Sono comba-
cianti la mano sinistra, la gamba destra e il piede, il sostegno contiguo, dato da un globo e da
una cornucopia ricolma di frutti; la gamba sinistra, ino alla caviglia, si ricompone da quattro
frammenti. Il personaggio è in posizione di adlocutio, per rivolgere un discorso ai militari.
Per l’impostazione della scultura il modello di riferimento si segnala nella statua loricata
dell’Augusto di Prima Porta, conservata nei Musei Vaticani, mentre la collocazione cronolo-
gica indica l’ambito del II secolo d.C. Nella sezione centrale del torace è annodato il cingulum
militiae, che lo suddivide orizzontalmente in due registri e lo sottolinea con doppia ripresa
della fascia. Il registro superiore è decorato da due grii affrontati e l’inferiore da un’aquila
araldica centrale. Le pteryges, ali inferiori della corazza, sono decorate da una serie di elementi
singoli, in parte abrasi: si conservano un iore, due scudi incrociati, un elmo e probabilmente
una testa di aquila. Sul mantello e sulla corazza si sono rilevate tracce di pittura di colore
rosso bruno e di diverse tonalità; nella tunica sottostante la corazza il colore giallo-oro tenue
risulta uniforme.
Della terza statua si conservano il busto, il braccio sinistro e la parte superiore del destro,
la gamba sinistra ino al ginocchio e la destra al di sopra del femore. La presenza della leontè
(pelle di leone), con le zampe anteriori annodate sul petto e le posteriori raccolte sulla spalla
e riportate sull’avambraccio sinistro, è inequivocabile per identiicare la rappresentazione
di Ercole. La igura è stante con la gamba destra appoggiata ad un sostegno e la sinistra
leggermente lessa. Sono pertinenti alla statua frammenti della mano sinistra e della clava,
retta con la mano destra. Le superici della scultura, riinite con particolare cura, conservano
tracce della pittura distribuita a marcare i vari elementi caratterizzanti. Sulla leontè sono state
rilevate le tracce di colore bruno rossastro, distribuito uniformemente per evidenziare la
pelle del leone; tracce di pittura si sono rilevate anche sul corpo per sottolinearne il colore
naturale. Le tre sculture costituiscono singolari e importantissimi esempi di graphta andreia,
statue dipinte, che in Sardegna sono attestate per la prima volta; il materiale utilizzato e la
rafinata esecuzione consentono di inserirle tra le più importanti manifestazioni artistiche
dell’Isola in età romana. Assumono inoltre un’inequivocabile importanza dal punto di vista
topograico e storico per la lettura del contesto urbano di Turris Libisonis, ponendosi come
elemento cardine di un rinnovato processo di vitalità economica e culturale della città-porto,
le cui importazioni rivelano una solida e consistente presenza nei rapporti commerciali del
Mediterraneo.
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2083-2092.
158
2.
Istituzioni
ed epigrafia
della Sardegna
romana
e tardoantica
Il patrimonio epigraico della Sardegna romana.
Caratteri generali
Raimondo Zucca
Il patrimonio epigraico della Sardinia costituisce un non esteso novero di monumenti inscrit-
ti, di cui può seguirsi il processo delle oficine epigraiche, dall’approvvigionamento del mate-
riale durevole su cui dovrà essere inciso il testo, alla individuazione del tipo di supporto, alla
selezione delle eventuali scelte iconograiche, alla stesura della minuta del testo epigraico,
alla sua ordinatio, alla sua realizzazione materiale ad incisione, o, ben più raramente, a rilievo,
ovvero con litterae metalliche issate con perni o alveolate entro i solchi previamente tracciati.
La varietà delle scelte operate nelle oficine scrittorie si pone in relazione alla committenza,
pubblica o privata, ed alla occorrenza, votiva, onoraria, funeraria, e così via discorrendo, che
ha determinato il messaggio scritto.
Abbiamo parlato di oficine scrittorie poiché i prodotti extra-oficinali, in particolare i graf-
iti, spesso su ceramica, costituiscono una parte estremamente minoritaria dell’epigraia della
Sardinia.
La ricerca epigraica in Sardegna, a parte i contributi occasionali di autori dei secoli XVI-
XVIII, tra cui il manoscritto del Padre Simon Sotgio, Vida y milagros de San Gavino, con l’iscri-
zione turritana CIL X 7951, rimonta all’Ottocento con i contributi pionieristici di Alberto
Lamarmora e Giovanni Spano e lo straordinario lavoro di Theodor Mommsen e dei suoi
collaboratori, con la edizione nel 1883 del X volume del Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL),
contenente anche le iscrizioni della Sardinia. Dopo il CIL dobbiamo menzionare per il secolo
XIX i lavori di Ettore Pais, Filippo Nissardi, Pietro Tamponi e Filippo Vivanet, in parte con-
luiti nell’Ephemeris Epigraphica VIII.
Il Novecento è stato contraddistinto dall’edizione di nuovi testi epigraici illustrati dal So-
printendente Antonio Taramelli e da archeologi quali Paolino Mingazzini, Massimo Pallotti-
no e Giovanni Lilliu. Più intensa l’edizione critica di nuovi testi epigraici di Piero Meloni e
soprattutto di Giovanna Sotgiu, autrice delle Iscrizioni Latine della Sardegna e di numerosissimi
studi e ricerche, e dei loro allievi Attilio Mastino, Franco Porrà, Ignazio Didu e Marcella Bo-
nello. Ad essi si sono aggiunti tra gli anni settanta del XX secolo e i primi decenni del XXI,
Antonio Maria Corda e Piergiorgio Floris dell’Università di Cagliari, Paola Ruggeri, Antonio
Ibba e Raimondo Zucca dell’Ateneo sassarese.
Fondamentali gli apporti all’epigraia sarda di Giancarlo Susini, Angela Donati e Francesca
Cenerini dell’Università di Bologna, Silvio Panciera dell’Università Sapienza di Roma, Lidio
Gasperini dell’Ateneo di Roma “Tor Vergata” e, soprattutto, di Marc Mayer dell’Universitat
de Barcelona. Per i Carmina Latina Epigraphica Sardiniae possediamo il corpus curato da Paolo
Cugusi dell’Università di Cagliari. Le iscrizioni cristiane, prese in esame in questo volume
da Antonio Maria Corda, hanno ricevuto numerosi contributi ad opera di Giovanna Sotgiu,
Letizia Ermini Pani e dallo stesso Corda, autore del Corpus delle iscrizioni cristiane della
Sardinia.
Il nostro contributo sarà principalmente incentrato sulle oficine lapidarie, poiché sono
scarsi, benché importantissimi, i documenti scrittori su supporto metallico (in particolare il
bronzo, sia nella dedica votiva ad Aescolapius-Asklepios-Eshmun di San Nicolò Gerrei (CIL
I2 2226), sia nelle tabulae di patronato di Vselis (CIL X 7843= ILS 6107, cat. n. 2.71) e, forse,
di Neapolis e dei testi giuridici, in sostanza assenti in Sardinia a parte la tabula di Esterzili (CIL
X 7852 = ILS 5947, cat. n. 2.70) e le iscrizioni musive (sotgiu 1961, n. 58, cat. n. 2.85) e
parietariae (CIL X 7733), dipendenti da oficine specializzate differenti.
161
Raimondo Zucca
ben delimitata, che a livello romanzo presenta caratteristiche di forte arcaicità, pressoché
uniche nel Mediterraneo; inoltre la dislocazione prevalentemente costiera delle città romane,
eredi quasi tutte delle antiche colonie fenicie e puniche, consente di studiare meglio la distri-
buzione nel resto del territorio delle iscrizioni, con particolare riguardo per le zone isolate,
interne e montagnose, dove era prevalentemente insediata una popolazione locale ostile agli
immigrati italici, a quel che pare non interessata a superare i limiti di un millenario analfabe-
tismo».
Dalle osservazioni di József Herman ed Attilio Mastino siamo autorizzati a ricostruire un
paesaggio epigraico della Sardinia sostanzialmente limitato alle aree urbane, ed all’interno di
queste al caput provinciae Sardiniae Karales ed al secondo polo urbano dell’Isola, in età imperiale,
la colonia Iulia Turris Libisonis, mentre le altre città hanno restituito un panorama epigraico
piuttosto limitato, concentrato prevalentemente nel centro urbano rispetto alle minime atte-
stazioni inscritte dell’ager, in particolare pertinenti all’epigraia funeraria.
I paesaggi rurali della Sardinia sono infatti sostanzialmente muti, ad eccezione delle viae dotate
di un numero rilevante di miliari, del praetorium di servizio al cursus publicus di Muru de Bangius
di Marrubiu, lungo il compendium itineris fra la via a Karalibus Turrem e Forum Traiani (AE 1992,
892), di una serie di templa extraurbani, tra i quali primeggia il templum Sardi Patris di Antas (AE
1971, 119-120, cat. n. 2.3) e di pochi termini fra populi sardi e di limites fra fundi.
Nelle aree interne della Sardinia le iscrizioni sono, infatti, limitatissime: già Theodor
Mommsen, a proposito dei tituli latini del territorio prossimo a Forum Traiani (Fordongianus),
aveva notato che «paucis titulis ad Forum Traiani effossis adiunxi qui prodierunt in vicis vicinis item
mediterraneis Samugheo, Busachi, Ula; qui si recte excepti essent, haberent utilitatem propter Sardorum
genuinorum nomina a Romana consuetudine abhorrentia».
L’ipotesi che in un quadro di prevalente cultura orale i Sardi dell’area centrale abbiano adot-
tato il codice alfabetico latino in fase imperiale per esprimere la propria lingua (che, tuttavia,
era in fase regressiva a fronte del latino sin dal primo impero) appare una possibilità remota,
benché le attestazioni epigraiche di antroponimi ed, eccezionalmente, di lessemi paleosardi
siano in aumento in particolare nei territoria di Aquae Ypsitanae /Forum Traiani, Vselis e Valentia.
L’acquisizione della scrittura in Sardegna rimonta sostanzialmente ai primi insediamenti ur-
bani fenici, scaglionati fra il 780 a.C. circa (Sulki) e lo scorcio del VII secolo a.C. Appare
rilevante nel quadro della strutturazione di oficine scrittorie negli insediamenti fenici di Sar-
degna l’utilizzo delle risorse litiche locali, segno evidente che, presumibilmente, in ambito
santuariale erano presenti scribi che proponevano in loco iscrizioni di tipo monumentale.
È il caso della stele di Nora, un testo presumibilmente sacro al dio Pumai, che reca la prima
menzione della Sardegna nella forma shrdn, incisa su un supporto di panchina tirreniana (are-
naria), entro l’VIII secolo a.C., sulla base della paleograia.
Ugualmente un frammento di una seconda stele di Nora, forse leggermente anteriore alla
prima, rilette l’utilizzo dell’arenaria come supporto di una iscrizione monumentale.
Nel caso del frammento della stele di Bosa, con una sola linea di scrittura superstite, coeva
162
Il patrimonio epigraico della Sardegna romana. Caratteri generali
alla stele di Nora, abbiamo l’uso della trachite locale per una stele di grandi dimensioni.
In età punica abbiamo l’evidenza di paesaggi epigraici nelle città cartaginesi di Karalis, Nora,
Bithia, Sulci, l’anonima Monte Sirai, Othoca, Tharros e Olbia.
Karales
Durante il principato augusteo Karales conobbe una notevole monumentalizzazione, che
vide partecipi sia il potere provinciale, che proprio a Karales aveva la sede, sia le autorità
municipali, sia gli evergeti. La sistemazione monumentale del municipio non si esaurì
naturalmente nel periodo augusteo, ma continuò dinamicamente per tutto l’impero. Rile-
vante fu l’intervento di tarda età lavia, curato dal praef(ectus) provinci[ae] Sardin(iae) Sex. Lae-
canius Labeo, in onore di Domiziano, e consistente nella sistemazione di lastricato e fogne
delle plateae e degli itinera c[ampi] di Karales con p(ecunia) p(ublica) e privata (sotgiu 1961, n.
50). Il forum di Karalis sorgeva, probabilmente, presso l’attuale Piazza del Carmine, do-
minato in fase tardorepubblicana, dalla terrazza del teatro-tempio di Venere e Adone di
via Malta. Il templum Veneris dovette cadere in desuetudine al momento della costituzione
municipale e le sue fortune dovettero essere ereditate dal Capitolium e dal templum Urbis
Romae et Augustorum.
Il forum di Caralis era, come di regola, adorno di statue e di dediche agli imperatori, ai prefetti
del pretorio, ai governatori provinciali, ai magistrati cittadini, ai patroni ed ai personaggi
comunque meritevoli. Pare probabile che nel forum igurassero le dediche a Caracalla (CIL
X 7561), ai governatori Marco Cosconio Frontone (CIL X 7583-4, cat. n. 2.8) e Quinto
Gabinio Barbaro (CIL X 7585), al pr[oco(n)sul)] [---] Ti. f. Quir. I[---] (sotgiu 1961, n. 52), al
[pr]aef(ectus) cohor(tis) Maur(orum) et [A]frorum e quattuorviro municipale [S]ex. Iul[ius - f. Qui]r.
Felix e ad una donna Bennia [---]ca, congiunta ad un personaggio di rango senatorio (sotgiu
1961, n. 55). Probabilmente nello stesso forum fu innalzata la statua del potente prefetto del
pretorio Plauziano, abbattuta intempestivamente dal governatore della Sardinia Recio (?) Co-
stante. Attorno al forum gravitavano gli ediici caratteristici del municipium come la curia, sede
dei decuriones, l’aerarium con il tesoro cittadino, il carcer, la basilica con il tribunal (per il quale deve
pensarsi anche alla utilizzazione da parte dei governatori provinciali), il mercato (macellum).
Quest’ultimo dovette essere costruito, probabilmente, da un [L. ? A]litenus L. f. Quir. [---]
commemorato da una iscrizione per il [macellum et po]ndera (CIL X 7598). Inine al carcer, non
163
Raimondo Zucca
Nora
Al forum rettangolare, di costituzione cesariana, si riportano diverse basi di statua: la conferma
dello statuto municipale di Nora è avvenuta con il rinvenimento della base di statua di un
quattuorviro giusdicente dell’alto impero, Quinto Minucio Pio, in quanto in Sardinia i munici-
pia appaiono retti da un collegio quattuorvirale (sotgiu 1961, n. 45): con un inanziamento
pubblico e per decreto dei decuriones di Nora, fu innalzata la statua di Quinto Minucio Pio,
quattuorviro giusdicente per tre volte, creato su suffragio dei decurioni primo lamen Aug(usti)
ed eletto primo lamen Aug(usti) perpetuus mentre era assente dalla città.
Nella stessa età augustea o tiberiana fu laminica, sacerdotessa delle imperatrici vive o diviniz-
zate (nel caso speciico Livia), Favonia M. f. Vera, onorata con una statua nel foro norense.
Assai più complesso è il caso delle numerose dediche ad imperatori rinvenute durante le cam-
pagne di scavo di Nora del 1952-1960 e prive, quasi totalmente, dei dati di rinvenimento. Le
dediche si riferiscono ad Adriano (sotgiu 1988, B 23), Caracalla (CIL X 7547, sotgiu 1961,
n. 45), ad Augusti anonimi della prima metà del III secolo (tre iscrizioni), a Salonino (sotgiu
1988, B 21, cat. n. 2.6), ad imperatori del IV secolo (quattro iscrizioni).
Al centro monumentale di Nora si raccordano, verosimilmente, due iscrizioni. La prima è la
targa commemorativa di lavori effettuati sulla [b]asilica giudiziaria e su un’altra struttura ad
essa connessa, da ricercarsi nell’area gravitante sul forum (sotgiu 1988, B 32). La seconda è
impaginata su fregio modanato superiormente ed inferiormente. L’epigrafe, commemorativa
di lavori relativi agli [orname?]nta del teatro effettuati de sua pec(unia), è posta da C. Mucius C.f.
Scaevola pro c[o(n)s(ule)], forse in qualità di patronus dei Norenses (CIL X 7543). Il personaggio
va identiicato con l’omonimo XVvir s(acris) f(aciundis), documentato negli acta dei quinti ludi
saeculares del 17 a.C. ed in iscrizioni di Foruli, un vicus di Amiternum.
L’acquedotto norense, di età severiana, fu restaurato in età tardoantica e dotato di una iscri-
zione con un carmen epigraphicum celebrativo della restitutio dei [sub]ductos latices dell’acquedot-
Frontespizio del volume X, parte II, to norense nel 425-450 d.C., attuata per ordine di un Flaviolus, forse il praeses provinciae, da
del CIL di Theodor Mommsen (1883), [V]alerius Euhodius, principalis ac primoris di Nora (CIL X 7542).
relativo anche alla Sardinia.
Sulci
Frontespizio del volume I La costituzione del municipium Sulcitanorum con la relativa ascrizione dei cives alla tribù Quirina,
delle Iscrizioni latine della Sardegna direttamente attestata da quattro iscrizioni riferite ai magistrati municipali, va probabilmente
di Giovanna Sotgiu (1961). assegnata all’imperatore Claudio, prima del 48 d.C.
164
Il patrimonio epigraico della Sardegna romana. Caratteri generali
Le gentes sulcitane che gestirono le magistrature furono, in base alla nostra documentazio-
ne epigraica, i L. Cornelii (due membri, non contemporaneamente), i C. Coelii, i T. Flavii
e i M. Porcii. I magistrati annuali venivano, come di norma, individuati tra i decuriones attra-
verso una preliminare designatio e, successivamente, eletti dai membri della curia municipale.
L’epigraia sulcitana ci documenta il caso di due f(ratres) MM. Porc(ii) Felix e Impetratus che
vennero de[s(ignati)] per l’ anno successivo entrambi alla carica di IIIIviri a(edilicia) p(otestate)
(CIL X 7514).
Gli interventi dei governatori provinciali a Sulci sono ristretti al proconsole, di età traianea,
C. Asinius Tucurianus che lastricò una platea pubblica (CIL X 7516) e a M. Domitius M. f. Tertius
(208-209 d.C.), attestato in due iscrizioni, delle quali una onoraria (CIL X 7517), l’altra com-
memorativa (AE 1974, 353a).
Una assai precoce introduzione di culti alessandrini a Sulci, forse già in età alto imperiale, è
desumibile dall’epigrafe, del I-II secolo d.C., relativa alla restitutio del templ(um) Isis et Serap(is)
cum signis et ornam(entis) et area, effettuata ob hon(orem) del quattuorvirato a(edilicia) p(otestate),
cui vennero des(ignati) i due fratelli M. Porcii, Felix ed Impetratus, dal loro libertus M. Porc(ius)
M.l.Primig[enius] (CIL X 7514).
Infine un flam(en) Aug(ustalis) (bis), L. Cornelius Quir(ina tribu) Marcellus, che fu cooptatus et
adlectus ...inter sa[c]erdotales prov(inciae) Sard(iniae), dunque venne cooptato nel concilium pro-
vinciale della Sardinia, che tributava il culto agli Augusti nel tempio caralitano (CIL X 7518,
cat. n. 2.10).
Tharros
La città sembra disponesse del forum nell’area costiera presso le terme di Convento Vecchio.
In questo settore sono documentate dediche ad imperatori, almeno quattro tra il II e il IV se-
colo: [L. Septimi]us Get[a] L. Sep[timii Severi Aug. n(ostri)] ilius; D(ominus) N(oster) [---Consta]ntinus,
[li]beralissi[mus] (CIL X 7909); un Augustus di cui è indicata la potestà tribunicia, il III con-
solato e la qualiica di pater [patriae]; un imperatore di cui era lodata una qualità, ac sup[er
omnes retro princip]es; un Augustus forse [co]nserba[tor], in una iscrizione in cui [dedic]ante e
[cura]nte è un M. [---], forse governatore della Sardinia.
Altri governatori compaiono nell’epigraia tharrense: forse un [pro]c(urator) Aug(usti) (CIL
X 7895), un altro proc(urator) [Aug(usti)] che dedica una iscrizione forse ad un imperatore
[pa]ter [patriae], con l’intervento di qualche organo cittadino dei [Tar]rhenses, un equestre di
cui è indicato il cursus discendente che potrebbe essere stato un governatore o un patrono
dei Tharrenses. Lo statuto cittadino appare incerto tra l’alto impero e il periodo severiano.
L’epigrafe più importante si riferisce al [ka]lend(arium) r[eipublica?]e Tar[hensium] e probabil-
mente ad un IIv[ir] (sotgiu 1988, add. B57). Questa iscrizione pubblica concerne il kalen-
darium cittadino, ossia il registro dei prestiti della città, ed un magistrato, un duoviro, che in
Sardinia caratterizza l’amministrazione delle coloniae. D’altro canto un’epigrafe turritana di
età severiana (CIL X 7951) documenta un Marcianus, liberto imperiale, tabularius pertic(arum)
Turr(itanae) et Tarren(is), incaricato nell’archivio (tabularium) dei fundi imperiali delle perticae
Base di statua di Quinto Minucio Pio di Turris e Tharros.
quattuorviro, da Nora. Ne ricaviamo plausibilmente il raggiungimento dello statuto coloniale di Tharros entro la
165
Raimondo Zucca
ine del II/principio del III secolo d.C. I compiti del liberto imperiale potrebbero porsi in
relazione a controversie coninarie tra i praedia imperiali e i fundi dei coloni delle due perticae.
Una iscrizione rinvenuta ad Ostia attesta l’ediicazione e l’inaugurazione a Tharros, presumi-
bilmente nell’area forense, di un macellum con i [pon]dera per i Tarrenses, frutto dell’evergesia di
un liberto, [L. Fla?]v(ius) L. l. Storax (CIL XIV 423).
Cornus
Lo statuto della città di Cornus è incerto sino al II/III sec. d.C. L’elevazione probabile di Cornus
al rango di colonia onoraria, entro il III secolo d.C., è documentata dalla dedica di una statua,
incisa sulla base, all’eq(ues) R(omanus) Q. Sergius Q. f. Quir(ina tribu) Quadratus, adlectus patronus civi-
tatis dallo splendidissimus ordo Cornensium per i merita che aveva riportato [in co]lon[os], nei confronti
166
Il patrimonio epigraico della Sardegna romana. Caratteri generali
dunque dei cittadini della colonia di Cornus. Dopo l’adlectio, l’ordo decurionum e il populus di Cornus
deliberarono l’erezione di una statua al patrono [aere c]o[lla]to (CIL X 7915).
La base, dispersa, fu individuata nel forum di Cornus, sul colle di Corchinas, insieme ad altre epi-
grai onorarie che chiariscono, con certezza, la localizzazione dell’area monumentale di Cornus.
Si tratta della possibile dedica di una statua a un L. Cornel(ius) [---], aere c[ollato], ob mer[ita sua],
consistenti in un intervento nello stesso forum (CIL X 7918), di un’altra dedica a un personaggio
il cui gentilizio è incerto L. f(ilius) Honorius che fu lamen d[ivi ---] (CIL X 7916) ed inine della
base di statua di un M. Cominius M. il(ius) Crescens. Quest’ ultimo personaggio, appartenente
all’ordine equestre, rivestì il laminato cittadino a Cornus (lamen civitatis Cornen(sium)). Successiva-
mente Marco Cominio Crescente fu inviato al concilium provinciale a Karales, in qualità di rappre-
sentante di Cornus (legatus), dove fu eletto sacerd(os) provinciae Sardiniae (CIL X 7917, cat. n. 2.11).
Turris Libisonis
Giovanni Azzena ha individuato il forum della colonia Iulia Turris Libisonis nel cosiddetto peri-
stilio Pallottino, una platea lastricata in lastre di calcare delimitata, almeno ad oriente, unico
settore scavato, da una porticus, scandita da colonne. Da quest’area deriva la base di statua di
Galerius (sotgiu 1961, n. 241, cat. n. 2.7), che quasi certamente igurava insieme ai tre piedi-
stalli per le statue di Diocleziano, Massimiano e Costanzo, e la dedica al duoviro M. A[llius]
(sotgiu 1961, n. 244). Al forum con estrema probabilità si riferiscono le statue dei magistrati
cittadini di cui ci restano le iscrizioni. Per il duovirato quinquennale la summa honoraria era, nella
seconda metà del I secolo d.C. a Turris, di 35.000 sesterzi. A questa somma obbligatoria l’eletto
poteva aggiungere un ulteriore erogazione di carattere evergetico, come nel caso del duoviro
quinquennale T. Flavius Iustinus che dotò la colonia di un lacus adducendovi, inoltre, l’acqua.
Sono nove i duoviri della colonia documentati (CIL X 7954, cat. n. 2.66; sotgiu 1961, n. 238;
241; 242 + AE 1988, 662; sotgiu 1961, n. 243-244; AE 1985, 487).
Nel caso di cattiva gestione delle inanze della città o di dissidi all’interno del corpo civico
poteva essere inviato da Roma un curator rei publicae, benché in progresso di tempo tale carica
tendesse ad istituzionalizzarsi, convivendo con i magistrati cittadini. A Turris è documentato
un solo caso di curator rei publicae, L. Magnius Fulvianus, che curò, su ordine di M. Vlpius Vic-
tor, governatore della Sardinia nel 244 d.C. e con l’ utilizzo della p(ecunia) p(ublica), ossia delle
inanze cittadine, il restauro del templum Fortunae e della basilica civile con il tribunal ligneo,
dotato di sei colonne (CIL X 7946).
Olbia
La città romana ereditò il circuito murario del centro cartaginese: in un’area prossima al
settore settentrionale delle mura fu scoperta una lastra marmorea posta ad imperatori
[glo]riosissimi da parte di un governatore o dall’ordo di Olbia, [devotissimus numin]i maiestatique
[eorum] del IV secolo (sotgiu 1961, n. 310). Le dimensioni della targa potrebbero suggerirne
l’interpretazione di titulus commemorativo della costruzione o del restauro di una struttura
edilizia, non esclusa una torre rettangolare costruita in conci di granito legati da malta di
calce, presso la quale apparve l’iscrizione in esame.
In area suburbana, presso la chiesa di San Simplicio, la scoperta di una favissa con terrecot-
te igurate relative al culto demetriaco ed alla sfera della sanatio, riportabile al III-II seco-
lo a.C. attesta l’esistenza nel pantheon olbiense di una dea delle messi e della natura fecon-
da che potrebbe essere alla base della persistenza in età neroniana del culto di Ceres, attestato
dall’epistilio dell’aedicula votata da Acte, l’amata di Nerone (CIL XI 1414 = sotgiu 1961, n. 309).
L’area forense è supposta presso l’ediicio scolastico di Corso Umberto, dirimpetto all’area por-
tuale. Le indagini archeologiche hanno evidenziato un possibile tempio. La scoperta nell’area
di un ritratto di Nerone e di un ritratto di Traiano potrebbero indiziare l’esistenza di un Augu-
steum olbiense. A breve distanza , in direzione est, nella Villa Tamponi, si rinvenne una lastra
opistografa commemorante una possibile restitutio di un ediicio in ruin[a] forse già del V secolo,
mentre l’iscrizione più antica fu posta a Costantino da parte di T. Sep(timius) Ianuarius, v(ir)
c(larissimus), pr(a)es(es) p(rovinciae) Sard(iniae)], databile tra il 312-314 e il 315-319 (CIL X 7974).
Ignoriamo lo statuto della città di Olbia in età imperiale: la sua profonda romanizzazione è
un indizio a favore di una costituzione probabilmente municipale. Nello scarso materiale
epigraico è rilevante la menzione di un liberto imperiale [proc(urator)?] cal(endarii) Olbies, ossia
del curatore del registro dei prestiti della città, connessi alle proprietà imperiali.
167
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Il patrimonio epigraico della Sardegna romana. Caratteri generali
169
Raimondo Zucca
170
La Sardegna provincia romana: l’amministrazione
Attilio Mastino
171
Attilio Mastino
nuovi pretori per la Sicilia e la Sardegna, incaricati di governare le due nuove province, una
delle quali (la Sardinia) si trovava collocata esattamente sull’orizzonte marino che la potenza
di Roma aveva issato per la sua espansione verso occidente. Pressanti esigenze militari,
disordini e vere e proprie guerre imposero spesso di inviare a governare una provincia uno
dei due consoli in carica oppure di trattenere con funzioni di proconsole o di propretore il
governatore dell’anno precedente, ino all’arrivo del successore; e ciò anche al ine di non
ampliare il numero delle famiglie nobili che potevano vantare al loro interno dei magistrati
curuli (consoli e pretori).
Occupata a partire dal 238 a.C., la Sardegna divenne provincia romana solo nel 227 a.C.,
anno per il quale è attestato il pretore Marco Valerio (Levino); ad essa fu normalmente asso-
ciata anche la Corsica, almeno durante la repubblica, fatta eccezione per gli anni nei quali un
magistrato o un ex magistrato fu inviato in Corsica, con l’incarico evidentemente di domare
una qualche rivolta che richiedeva un impegno contemporaneo di due comandanti (è il caso
ad esempio dell’anno 174 a.C., quando il propretore Servio Cornelio Silla fu mantenuto in
Sardegna, mentre il nuovo pretore Marco Atilio Serrano venne spedito in Corsica; l’anno
successivo quest’ultimo fu trasferito in Sardegna, mentre il nuovo pretore Gaio Cicereio
combatteva in Corsica uccidendo 7000 nemici).
In particolari occasioni le isole vennero afidate ad un console, talora a tutti e due i consoli
(nel 232 a.C. prima della costituzione della provincia vi vennero inviati Marco Emilio Lepido
e Marco Publicio Malleolo, seguiti l’anno successivo da Marco Pomponio Matone e Gaio Pa-
pirio Masone; nel 163 a.C. Manio Iuventio Thalna e Tiberio Sempronio Gracco, subentrato
dopo la morte del collega); inine, in casi di particolare gravità, vi fu inviato un privatus cum
imperio, come Tito Manlio Torquato nel Bellum Sardum contro Hampsicora, in realtà un ex con-
sole con il titolo di proconsole. Il governatore era però normalmente un pretore, che poteva
essere mantenuto per uno, due o più anni con un imperium prorogato, afiancando magari il
magistrato di nuova nomina: comandi pluriennali sono ad esempio quelli di Aulo Cornelio
Mamulla nel 217-216 a.C., alla vigilia del Bellum Sardum di Hampsicora; di Quinto Mucio Sce-
vola nel 215-212 a.C.; di Gaio Aurunculeio nel 209-208 a.C.; di Publio Cornelio Lentulo nel
203-202 a.C.; di Tiberio Sempronio Longo nel 196-195 a.C.; di Lucio Oppio Salinatore nel
191-190 a.C. Una proroga era possibile anche per i consoli, come tra il 176 e il 175 a.C. per
Tiberio Sempronio Gracco, che poi tornò nell’Isola negli anni 163 e 162 a.C.; i comandi più
lunghi furono quelli di Lucio Aurelio Oreste tra il 126 e il 122 a.C. e di Marco Cecilio Metello
tra il 115 e il 111 a.C., magistrati che rimasero in Sardegna anche cinque anni, evidentemente
per dare continuità all’azione di governo in concomitanza con qualche operazione di guerra
che prevedeva a posteriori una riorganizzazione territoriale (Marc Mayer ha parlato per que-
sto periodo di “seconda occupazione militare della Sardegna”).
Dopo la conquista, l’insieme del territorio della provincia fu dichiarato almeno teoricamen-
te “agro pubblico del Popolo Romano”; sulle terre lasciate in precario possesso ai vecchi
proprietari dovevano pagarsi una decima sui prodotti e vari tributi; cambiava radicalmente
il rapporto tra proprietari, possessori e mano d’opera agricola; nascevano delicati problemi
giuridici sulla proprietà della terra che coinvolgevano le popolazioni rurali, con violenze, oc-
cupazioni illegali di terre pubbliche, contrasti tra contadini e pastori, immediate esigenze di
ripristinare l’ordine con interventi repressivi. Sono numerosi i cippi di conine che attestano,
alla ine dell’età repubblicana, una vasta operazione di centuriazione in Sardegna, soprattutto
nell’area che era stata interessata dalla rivolta di Hampsicora: la delimitazione catastale che
allora fu effettuata ebbe lo scopo di accelerare il processo di sedentarizzazione delle tribù
nomadi, di contenere il brigantaggio e di favorire lo sviluppo agricolo: è costante nelle fonti
la preoccupazione dell’autorità di controllare gli spostamenti dei pastori indigeni e di issare i
conini dei singoli latifondi, occupati alcuni da popolazioni locali, altri da coloni – agricoltori
soprattutto, ma anche pastori – insediati nelle terre possedute da singole famiglie.
Iniziò la costruzione delle principali strade, come quella che il proconsole Marcus Cornuicius,
antenato dell’ammiraglio della lotta di Ottaviano, tracciò a nord di Cornus lungo la costa
occidentale, apparentemente alla ine del II secolo a.C. (cat. n. 2.81).
Si andò sviluppando una forte “resistenza alla romanizzazione” delle popolazioni locali, gli
Iliensi, i Balari e i Corsi localizzati all’interno della Barbaria sarda, ma anche quei Corsi della
Cippo terminale da Orotelli. Corsica ribelli e ostili che sono ripetutamente ricordati nei Fasti trionfali romani; quei Va-
Fin(es) Nurr(itanorum); EE VIII 729. nacini, quei Cervini collocati a valle del Monte Aureo, quegli oscuri Sibroar(enses) con le loro
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La Sardegna provincia romana: l’amministrazione
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Attilio Mastino
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La Sardegna provincia romana: l’amministrazione
258, 6 ottobre
Gaius Sulpicius Paterculus, consul 258, de Poenis et Sardeis
234, 10 marzo
Titus Manlius Torquatus, consul 235, de Sardeis
233, I aprile
Spurius Carvilius Maximus (Ruga), consul 234, de Sardeis
232, 15 marzo
Manius Pomponius Matho, consul 233, de Sardeis
230, 5 marzo
Gaius Papirius Maso, consul 231, de Corseis in Monte Albano
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Attilio Mastino
175, 23 febbraio
Tiberius Sempronius Gracchus, consul 177, proconsul 176, ex Sardinia
172, I ottobre,
Gaius Cicereius, praetor 173, propraetor 172 ?, ex Corsica in Monte Albano
122, 8 dicembre
Lucius Aurelius Orestes, consul 126, proconsul 125-122, ex Sardinia
111, 15 luglio
Marcus Caecilius Metellus, consul 115, proconsul 114-111, ex Sardinia
106 ?
Titus Albucius, praetor 107 ?, propraetor 106 ?, ex Sardinia
88, 21 ottobre
Publius Servilius Vatia Isauricus, praetor 90, propraetor 89-88, Sardegna ?
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La Sardegna provincia romana: l’amministrazione
nesse il vantaggio di gestire senza rischi la parte migliore dell’impero e di addossarsi lui
stesso le dificoltà e i pericoli, ma di fatto il suo obiettivo era quello di utilizzare questo
pretesto afinché i senatori non avessero la disponibilità delle legioni, e quindi la possibi-
lità di muovere guerra, in modo tale da poter disporre solo lui dell’esercito e mantenere
dei soldati. Le province di nuova istituzione e le province restituite dal Senato al principe
in seguito a guerre (come la Sardegna dopo il 6 d.C.) furono considerate ugualmente pro-
vince imperiali ma, in quanto prive di legioni, furono governate da funzionari dell’ordine
equestre, con uno stipendio che andava dai 60 mila ai 300 mila sesterzi (200 mila per la
Sardegna) e con un titolo che doveva essere quello di procuratore di Augusto, prefetto,
preside o prolegato. In una posizione speciale era l’Egitto, considerato proprietà persona-
le dell’imperatore e afidato ad un prefetto equestre al vertice della carriera.
Non sembra che la Corsica già in questo periodo costituisse una provincia autonoma
dalla Sardegna, se nel 6 d.C. secondo Strabone e Dione Cassio la provincia conobbe per
tre anni gravi disordini e scorrerie di briganti, inendo per diventare la base dalla quale
partivano i pirati che arrivavano a saccheggiare il litorale etrusco di Pisa: in quell’occa-
sione i proconsoli nominati dal Senato lasciarono il campo a dei prolegati equestri con
spiccate caratteristiche militari (stratiarchi, strateghi), incaricati da Augusto di controllare
forse con truppe legionarie la provincia ancora non interamente paciicata. Un prefetto
prolegato ancora nel 14 d.C. (dunque ben oltre i tre anni indicati da Dione Cassio) si oc-
cupava di costruire la strada militare che da Ad Medias (Abbasanta) raggiungeva Austis,
il campo militare forse della coorte di Lusitani, alle falde occidentali del Gennargentu, in
piena Barbaria, che ancora oggi conserva il nome del primo imperatore. In questo quadro
andrebbe collocata la dedica ad un Augusto (con buone motivazioni recentemente ci si
è orientati su Tiberio) delle civitates Barbariae rinvenuta a Fordongianus (le antiche Aquae
Ypsitanae): un atto di omaggio al principe che implica il successo di una profonda azione
militare di controllo del territorio barbaricino, più precisamene all’interno di una vera e
propria prefettura distrettuale, sulla quale doveva operare la I coorte di Corsi, arruolata
forse in Corsica, che sappiamo comandata da Sex(tus) Iulius S(purii ?) f(ilius) Pol(lia tribu)
Rufus che in contemporanea ebbe singolarmente la responsabilità di praefectus civitatum
Barbariae in Sardinia.
Già con Augusto era dunque iniziata l’oscillazione della Sardegna tra amministrazione
senatoria e amministrazione imperiale, forse in qualche caso solo per soddisfare le esi-
genze dell’erario così come del isco imperiale e per tenere in equilibrio le uscite rispetto
alle entrate: allora si rese necessario trovare una compensazione, attraverso quella che è
stata deinita la “politica di scambio” delle province tra imperatore e Senato, che sem-
bra svilupparsi nel I e nel II secolo d.C. I disordini dovettero però continuare negli anni
successivi, tanto che nel 19 d.C., nei primi anni dell’età di Tiberio, il prefetto del pretorio
Lucio Elio Seiano decise di rafforzare il presidio militare dell’Isola e quattromila giovani
liberti romani seguaci dei culti egizi e giudaici furono costretti ad arruolarsi: essi furono
allora inviati in Sardegna agli ordini del prefetto provinciale per reprimere il brigantaggio;
177
Attilio Mastino
se fossero morti per l’inclemenza del clima, cioè forse per la malaria, scrive Tacito, sareb-
be stato un danno di nessun conto.
Davide Faoro ha recentemente ipotizzato che la prefettura equestre di Corsica dipen-
dente dalla provincia Sardinia (sulla quale abbiamo pochissimi documenti) si sia progres-
sivamente resa autonoma dal governatore caralitano, tanto da arrivare alla nascita di
una vera e propria provincia affidata ad un procuratore equestre di basso rango in età
claudio-neroniana (Faoro 2011, pp. 75 ss.). Ciò non avrebbe però impedito il ritorno
della Corsica sotto il controllo dei proconsoli senatorii della Sardinia nel corso del II
secolo d.C., in età antonina.
Per ricostruire l’evoluzione dell’amministrazione provinciale della Sardegna in età impe-
riale si deve partire dalla Tavola di Esterzili (cat. n. 2.70), con la condanna dei pastori sardi
della tribù dei Galillenses, esempio istruttivo di una politica tendente a privilegiare l’eco-
nomia agricola degli immigrati italici. Inciso sicuramente a Carales il 18 marzo 69, esposto
al pubblico per iniziativa dei Patulcenses originari della Campania all’interno di un villaggio
agricolo, il documento contiene una sentenza con la quale il governatore provinciale (pro-
console) Lucio Elvio Agrippa ripristinava nell’età di Otone la linea di conine issata nel
112 a.C. dal proconsole Marco Cecilio Metello, dopo una lunga campagna militare durata
per almeno cinque anni che aveva coinvolto la popolazione locale dei Galillenses. Si tratta
di un esempio signiicativo di una politica tendente a privilegiare l’economia agricola dei
Busto in marmo di statua loricata, contadini immigrati dalla Penisola in Sardegna. Il documento, scoperto nel 1866, studiato
con Gorgone e Vittorie alate. da Giovanni Spano e Theodor Mommsen e conservato al Museo Nazionale di Sassari, ci
Li Punti, Centro di Restauro e informa su una lunga controversia, conclusasi con una sentenza con la quale il governa-
Conservazione dei Beni Culturali. tore provinciale, un clarissimo ex pretore appartenente al senato, ripristinava la linea di
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La Sardegna provincia romana: l’amministrazione
conine issata 170 anni prima dal proconsole Metello, dopo una lunga campagna militare
conclusa con il trionfo del generale vittorioso celebrato a Roma lungo il percorso che
terminava nel tempio di Giove Capitolino.
Il documento (una lastra di bronzo larga 61 cm, alta 45 cm e pesante circa 20 kg) fornisce
informazioni preziose sul governo provinciale, passato nell’età di Nerone dall’imperatore
al Senato, sul funzionamento degli archivi (tabularia) in provincia e nella capitale e sul con-
litto tra pastori indigeni dediti all’allevamento transumante e contadini immigrati dalla
Campania, sostenuti dall’autorità romana, interessata a contenere il nomadismo sul quale
si alimentava il brigantaggio; ma anche decisa a valorizzare le attività agricole e a favorire
un’occupazione stabile delle fertili terre nelle pianure della Trexenta e della Marmilla,
soprattutto a promuovere l’urbanizzazione delle zone interne della Barbaria sarda, dove si
era andata sviluppando una lunga resistenza alla romanizzazione. «Documento tra i più
importanti e signiicativi dell’età antica in Sardegna – ha scritto Giovanni Brizzi – la Ta-
vola di Esterzili propone agli studiosi una gamma vastissima di problemi del più alto inte-
resse: geograico-storici, per l’identiicazione delle sedi dei Galillenses e Patulcenses, nonché
dei territori tra loro contesi; giuridici, per le forme dell’intervento romano e il rapporto
tra tabularium principis e tabularia provinciali; linguistici, per le forme adottate, gli imprestiti,
il grado di alfabetizzazione degli estensori; archeologici, per il rapporto tra il documento,
il luogo di rinvenimento e il contesto paesaggistico e monumentale, epigraici, storici,
inine» (Brizzi in Mastino 1993, p.5). Si ripete in questo caso ad Esterzili, su scala assai
ridotta, «quanto si era veriicato già nella penisola, conducendo l’Italia delle piane costiere,
l’Italia tirrenica progressivamente identiicatasi in Roma, l’Italia dei contadini, a scontrarsi
con l’Italia appenninica, l’Italia dei pastori unita sia pur solo supericialmente dal vincolo
della transumanza. Viene da chiedersi, dunque, se non sia stata proprio questa scelta di
campo ormai consueta, questo atteggiamento connaturato nella politica dello stato ege-
mone, uno tra i motivi fondamentali della mancata metanoia tra i Sardi e il potere romano».
Il documento testimonia il passaggio dell’amministrazione della Sardegna dall’imperatore
al Senato nell’età di Nerone: si succedono le sentenze di Marco Giovenzio Rixa, “uomo
di provate qualità”, cavaliere e procuratore imperiale (governatore della Sardegna negli
anni 65-67 d.C.), il senatore Cecilio Semplice (proconsole nel 67-68) e il proconsole Lucio
Elvio Agrippa (sentenza del 13 di marzo 69). Componevano il Consiglio del Governa-
tore otto consiglieri, senatori e cavalieri: Marco Giulio Romolo, legato propretore; Tito
Atilio Sabino, questore propretore, Marco Stertinio Rufo iunior, Sesto Elio Modesto,
Publio Lucrezio Clemente, Marco Domizio Vitale, Lucio Lusio Fido, Marco Stertinio
Rufo senior. Seguono le autenticazioni degli undici testimoni. Il passaggio da Nerone al
Senato dell’amministrazione della provincia è collegato alla decisione dell’ultimo dei giu-
lio-claudii di concedere la libertà alla Grecia, provincia senatoria; e di compensare il Se-
179
Attilio Mastino
nato con le entrate a favore dell’erario di Saturno provenienti dalla grande isola tirrenica.
Con Vespasiano la Sardegna fu restituita all’amministrazione dei procuratori imperiali, so-
stituiti nuovamente da proconsoli con Traiano. Si discute su un periodo di amministrazio-
ne imperiale nel corso del II secolo (sulla base di una discussa epigrafe di Turris Libisonis):
sappiamo che una rivolta di Mauri, arrivati dall’Africa, aveva suggerito all’imperatore Mar-
co Aurelio il temporaneo passaggio della provincia spagnola della Betica dall’amministra-
zione senatoria a quella imperiale. Forse questo fu uno dei tanti momenti della “politica di
scambio tra imperatore e Senato” della provincia Sardinia: non è escluso che già Traiano
avesse restituito la Sardegna al Senato e che alla metà del II secolo l’Isola conoscesse un
nuovo periodo di amministrazione imperiale afidata a procuratori equestri, se veramente
lo scambio con la Betica del 174 signiicò un cambiamento di amministrazione; più tardi
con Commodo la Sardegna sarebbe tornata sotto il diretto controllo imperiale. In quest’oc-
casione la Corsica (per Davide Faoro) avrebbe riacquistato la sua piena autonomia.
Più tardi conosciamo in Sardegna attraverso procuratori e prefetti, presidi, inizialmente
viri egregii, quindi (forse durante il principato di Claudio II) perfectissimi e, sotto Costantino
dopo l’ “abolizione” dell’ordine equestre, clarissimi. Il governatore Quinto Bebio Modesto,
procuratore dei due Augusti e prefetto della Sardegna, fu adlectus nel consilium imperiale col
titolo di amicus consiliarius di Caracalla e Geta, come testimonia una dedica di Forum Traiani
posta dal liberto imperiale Servatus, procurator metallorum et praediorum, incaricato della gestio-
ne delle miniere e delle terre agricole di proprietà imperiale nell’Isola.
Con Diocleziano e poi con Costantino il sistema dei governi provinciali fu radicalmente
trasformato e subì forse un impoverimento, a causa del progressivo accentramento buro-
cratico: il potere imperiale fu attribuito a due Augusti e a due Cesari, secondo il sistema
della Tetrarchia; furono allora costituite quattro prefetture del pretorio (Oriente con capi-
tale Nicomedia, Balcani con capitale Sirmio, Italia con capitale Milano, Gallia con capitale
Treviri), con tredici diocesi afidate a vicari dei prefetti del pretorio; le province furono
divise, ridotte come territorio con oscillazioni di conini e con suddivisioni successive e
collocate sotto la responsabilità di presidi equestri o di funzionari senatori; la Penisola
Italiana rientrò nell’organizzazione provinciale. Al di là degli aspetti di dettaglio, la riforma
dioclezianea segnò una svolta profondissima, creando una sorta di piramide e una catena
di comando al cui vertice erano gli imperatori e i loro prefetti del pretorio. Le province
diventarono uno snodo periferico del governo imperiale ma, aumentate di numero, per-
sero quella conigurazione “nazionale” storicamente radicata nelle tradizioni locali che le
aveva caratterizzate in dalla loro prima costituzione. Inine le città provinciali, collocate
alla base della piramide, dovettero rinunciare ad ogni forma di autonomia e di autogover-
no compendiata nella formula della antica “libertas” iscale, per diventare i terminali delle
decisioni prese dall’alto, attuate dai magistrati municipali, depotenziati e spesso trasformati
in funzionari della burocrazia imperiale.
La Sardegna fu inserita allora nella diocesi italiciana e poi (con Costantino) nella prefettura
del pretorio d’Italia, alle dipendenze del vicarius urbis Romae che risiedeva nella capitale.
L’Isola fu amministrata da un praeses, certamente diverso da quello che soprintendeva alla
Corsica. Sul piano iscale, l’Isola con la Sicilia e con la Corsica costituivano un unico di-
stretto, afidato dal 325 ad un rationalis trium provinciarum, inizialmente per la gestione del
patrimonio imperiale. Più tardi il rationalis acquisì una competenza più ampia, occupandosi
anche delle imposte che andavano a beneicio dell’erario (sacrae largitiones), sostituendosi
così all’exactor auri et argenti provinciarum III, attestato in epoca precedente, nell’anno dei
decennali di Costantino.
180
La Sardegna provincia romana: l’amministrazione
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Gli statuti municipali
Antonio Ibba
185
Antonio Ibba
della gestione delle strade, degli ediici e degli spazi pubblici, l’ordo decurionum che deteneva
il potere legislativo); studi più recenti ci orientano invece verso comunità comunque pe-
regrine ma al cui interno si erano costituiti dei conventus (associazioni) di cittadini romani,
privi di un proprio territorio ma autonomi e politicamente tanto inluenti da condizionare
la vita politica della colletività che li ospitava. Plinio ne ricorda in questo caso due, Karales
e probabilmente Nora.
Per Karales, la notizia è confermata da una moneta di età triumvirale che, seppur con legenda
punica, ricorda la città governata ancora da sufeti (pare improbabile un municipio sufetale
come quello di Lepcis Magna in Africa); per Nora la formula ben si adatta a quanto possiamo ri-
cavare dalla Pro Scauro di Cicerone e costituisce un interessante terminus post quem per la fonda-
zione del municipio, ricordato su un testo del II triumvirato (AE 2006, 520 = EDR157250)
con il quattuorvir aedilis Aristio Rufus e su uno di età augustea o giulio-claudia (sotgiu 1961,
n. 45 = EDR157151) con Q. Minucius Pius che per tre volte fu quattuorvir iure dicundo, oltre
che sacerdote del culto imperiale (lamen Augusti, nominato con voto dei decurioni, decurionum
suffragio) e mentre era assente (absens) lamen Augusti perpetuus (poteva dunque portare le inse-
La Sardegna romana,
i centri abitati e le strade.
186
Gli statuti municipali
gne dei lamines e godere dei loro privilegi anche dopo aver terminato l’incarico); dubbia la
testimonianza di EDR157265.
Chiudeva inine la rassegna pliniana la colonia di Turris Libisonis, forse non inclusa fra i XVIII
oppida. L’Anonimo Ravennate (5.26) ci informa che la città portava il titolo Iulia: dobbiamo
dunque ipotizzare una deduzione con Cesare o più verosimilmente Ottaviano, fra il 42-40
o 38-36 a.C. (cronologia confortata dal confronto con sotgiu 1961, n. 241 = EDR073720
del 305 d.C., cat. n. 2.7). I suoi abitanti erano eccezionalmente iscritti in una tribù urbana,
la Collina, ed organizzati in XXIII sezioni di voto (curiae: CIL X 7953 = EDR153008, cat.
n. 2.12), dunque secondo una costituzione “arcaica” forse elaborata dallo stesso Cesare ed
applicata anche a Iulia Genetiva Urso in Betica (dove le curiae sono addirittura ventiquattro).
Numerose iscrizioni attestano la presenza di aediles, duoviri, duoviri quinquennales (questi ultimi
incaricati ogni quattro anni di ricostituire l’ordo decurionum; al loro ingresso in carica, honos, ver-
savano nella cassa della colonia la cospicua summa honoraria di 35.000 sesterzi, CIL X 7954 =
EDR153028, cat. n. 2.66), di un senato locale (ordo decurionum), fra i sacerdoti di augures, seviri,
quindecemviri, lamines e un collegio di augustales. Nel 244 d.C., in circostanze evidentemente
eccezionali, Filippo l’Arabo nominò un “commissario straordinario” (curator rei publicae) che
temporaneamente sostituì i magistrati locali e d’intesa con il governatore provinciale gestì
importanti lavori pubblici in città (CIL X 7946 = EDR152973).
Grazie ad altre fonti letterarie ed epigraiche è in parte possibile integrare e ampliare questo
quadro volutamente sintetico e cristallizzato da Plinio entro i primi anni dell’impero e ten-
tare di ricostruire la sua lista laddove questa sfortunatamente rimane muta. Tolomeo (3.3.2)
e una tabula di patronato (CIL X 7845 = EDR155204, cat. n. 2.71) ricordano la colonia Iulia
Augusta Uselis (Usellus) amministrata nel 158 d.C. da duoviri quinquennales (dubbia l’attribuzione
187
Antonio Ibba
dei IIviri q. di un’emissione monetale di età augustea): la titolatura farebbe pensare sia a una
fase municipale, non registrata da Plinio e alla quale potrebbe teoricamente riferirsi anche
il C. Iulius Felicio, municipii libertus di Sanluri (CIL X 7844 = EDR110141), seguita da una
promozione coloniale con Augusto, oppure a un privilegio unico forse attribuito durante il
proconsolato di Marco Furio Camillo, nel 1 a.C. o nel 4 d.C. (AE 1999, 894a = EDR158497;
cat. n. 2.64). Nell’occasione alla città potrebbe essere stato assegnato un vasto territorio (per-
tica) i cui conini forse giungevano sino al Tirso e alle Aquae Ypsitanae e che avrebbe potuto
comprendere Valentia nel Sarcidano e il pagus Uneritanus di Las Plassas in Marmilla (AE 2002,
628 = EDR154079, cat. n. 2.67). La tabula ricorda anche il populus di Uselis e un patronus, pro-
babilmente residente a Karales e incaricato presumibilmente di difenderne gli interessi presso
il governatore.
Una pertica molto ampia ma di dificile deinizione era stata assegnata da Ottaviano anche
a Turris Libisonis. Un epitafio da Porto Torres ricorda un liberto imperiale responsabile del
tabularium pertic(arum) Turr(itanae) et T<h>arr(e)ns(is) (CIL X 7951 = EDR078723). Se ne po-
trebbe dedurre che anche Tarrhi, guidata da sufeti nel V secolo a.C., avesse ottenuto da
Augusto lo statuto coloniale: anche i suoi abitanti potrebbero allora essere iscritti alla Collina
(CIL VIII 2886); più prudentemente altri hanno ipotizzato una promozione municipale nel
I secolo d.C. e la deduzione della colonia nel corso del II secolo. Un testo frammentario ricor-
da la cassa prestiti della città (kalendarium rei publicae) e forse un duoviro (EDR153548); in altri
si ricordano genericamente i Tarrhenses.
Meno sicura pare l’esistenza di una colonia a Cornus, patria di Hampsicora ed epicentro della
rivolta antiromana del 215 a.C. (Liv. 23.40-41): in CIL X 7915 = EDR153805 (III secolo
d.C.) si allude infatti a un cavaliere, patronus civitatis forse originario di Karales, nominato dallo
splendidissimus ordo Cornensium per aver agito in favore dei coloni, ma questi potrebbero esse-
re anche degli afittuari nei praedia della regione (un testo da Columbaris, AE 1979, 307 =
EDR077448, menziona infatti un [arca]rius . praedi[orum ---], un funzionario che gestiva la cassa,
arca, di vasti possedimenti). Le iscrizioni ricordano inoltre dei lamines imperiali (CIL X 7916-
7 = EDR153812-3), presumibilmente onorati nel foro civico.
I lamines imperiali delle singole città si radunavano nel consiglio provinciale che si tene-
va periodicamente nella capitale per nominare un presidente (sacerdos provinciae), celebrare
con sontuosi spettacoli l’imperatore e “indirizzare” o “controllare” l’attività del governatore.
Nell’assemblea godevano di un prestigio maggiore i rappresentanti delle coloniae mentre a un
gradino inferiore si trovavano quelli di municipia e civitates. Non sembra tuttavia questo il caso
dei Karalitani, il cui ordo decurionum era spesso arricchito dall’ingresso (adlectio) del presidente
Dedica a Viduus; EDR110141. uscente del concilium provinciae (sacerdotalis, p.e. CIL X 7917 = EDR153813, cat. n. 2.11, ori-
ginario di Cornus, CIL X 7940 = EDR153726 da Bosa, forse AE 2005, 683 = EDR157343
da Nora).
Nella pagina accanto La prima attestazione databile del municipium è dell’anno 83 d.C. (sotgiu 1961, n. 50 =
Epitaio di C. Quinctius e di sua moglie; EDR071678); un quattuorvir aedilicia potestate (CIL X 7603 = EDR086524) è genericamente
EDR086524. del I secolo d.C. In passato si è ipotizzato lo status di municipium c. R. concesso da Cesare o
188
Gli statuti municipali
Ottaviano, sulla base del passo pliniano e del testo di Sanluri (meno sicuro il municipii libertus
di CIL X 7862 = EDR086564). In realtà è forse più prudente pensare a un municipium latinum
(dove la cittadinanza era concessa solo ai magistrati più importanti e ai membri dell’ordo),
fondato in un momento compreso fra il II triumvirato e l’età lavia e i cui abitanti erano
iscritti alla Quirina (tribù non a caso cara anche a Claudio e Vespasiano): si spiegherebbe così
forse meglio l’onomastica di molti Karalitani (in apparenza privi dei tratti distintivi dei cives) e
la presenza ancora in età severiana di un civis latino che alla ine del servizio militare otteneva
la cittadinanza romana (CIL XVI 127 = EDR071682, cat. n. 2.76: C. Tarcutius Tarsaliae il.
Hospitalis Caralis ex Sard., 208-218, forse 212-213 d.C.).
L’epigraia locale ricorda numerosi quattuorviri iure dicundo ordinari o quinquennali, quattuorviri
aedilicia potestate, l’ordo decurionum, fra i sacerdozi lamines e laminicae, pontiices, augures, aruspices,
un collegio degli Augustali in un arco di tempo compreso fra il I-III secolo d.C. Rimane ipo-
tetica la sua promozione a colonia, sulla base di un testo controverso forse meglio attribuibile
a Porto Torres (AE 1985, 487 = EDR078717) e di un frammento di incerta restituzione (AE
1989, 351 = EDR157656); alla ine del III secolo è sicura la precoce presenza dei principales,
il senato ristretto composto da quanti in passato avevano ricoperto magistrature e sacerdozi
superiori e che di fatto dirigeva la vita politica delle città, accollandosi in cambio anche la
maggior parte degli oneri (CIL X 7808 = EDR109010; possibili ma meno certi altri esempi).
Allo stesso modo è più plausibile che anche Nora, dove ancora nel I secolo d.C. si scriveva
in neopunico, fosse un municipium latinum. Le iscrizioni attestano la presenza di laminicae, di
nuovo Augustales, di un senato locale e del populus, nel II secolo forse di un curator rei publicae
(AE 1971, 125b = EDR075141). Fra il 425-430 d.C. troviamo ancora un principalis ac primoris
che curò il restauro del locale acquedotto (CIL X 7542).
Se nulla sappiamo della Sulci d’Oriente (Tortolì), una cospicua documentazione ci giunge da
Sant’Antioco, municipium latino con Claudio o Vespasiano e i cui abitanti erano anch’essi tribuli
della Quirina: sono attestati quattuorviri iure dicundo e aedilicia postestate, pontiices, lamines (uno dei
quali fu adlectus fra i sacerdotales della provincia, CIL X 7518=EDR153899, cat. n. 2.10), il populus.
Il senato locale poteva accogliere anche degli incolae evidentemente scelti fra i ricchi mercatores
che frequentavano il suo porto; al contrario i patroni noti parrebbero di origine locale.
Non sappiamo se il suo corpo elettorale o quello della già ricordata Neapolis era organizzato
in tribù (sotgiu 1961, n. 4 = EDR155898), secondo un modello che trova un parallelo a
189
Antonio Ibba
Lylibaeum in Sicilia e che potrebbe risalire a tradizioni puniche. In una dedica del 257 d.C. (AE
2007, 688 = EDR153019; cat. n. 2.5) è ricordato invece l’ordo decurionum dei Neapolitani, forse
iscritti alla Quirina (AE 2006, 1849-51: 129 d.C.): se ne potrebbe dedurre che la città era dive-
nuta municipio anch’essa nel I secolo d.C.; alla promozione si potrebbe allora legare il culto
di Marsyas (AE 2007, 690 = EDR153024, cat. n. 2.86), simbolo della libertas nelle comunità
romane. L’area del foro ha restituito il frammento di una tabula di patronato.
Il rango di municipium è stato attribuito anche ad altri centri urbani ma sempre sulla base di
labili indizi. È il caso di Forum Traiani, antiche Aquae Ypsitanae, che probabilmente nel 111 d.C.
ottennero lo status giuridico di forum, ormai desueto, forse grazie all’insediamento di veterani
delle guerre daciche e di municipes Karalitani; una civitas Forotranensium è ricordata durante il
principato di Caracalla (AE 1992, 892) e forse l’ordo decurionum in un momento fra II-III se-
colo d.C. (sotgiu 1961, n. 201 = EDR153114). A Olbia una civitas è ricordata durante il basso
impero (CIL X 7976 = EDR078746) mentre per il periodo precedente è noto solo un liberto
imperiale responsabile della “cassa prestiti” (sotgiu 1961, n. 314 = EDR154026: procurator
kalendarii), testimonianza ulteriore del particolare legame fra la città della Gallura e l’ammini-
strazione centrale almeno sin dai tempi di Nerone. L’ordo decurionum è ricordato anche a Bosa
fra il 138-141 d.C. (CIL X 7939, cat. n. 2.4) e probabilmente con il populus su una tabula di
patronato rinvenuta a Cupra Maritima nel Piceno, forse del principato di Nerone o Vespasiano
(EE VIII, 227 = EDR129183); è noto inoltre un sacerdos Urbis Romae (sacerdote della città di
Roma) e dell’imperatore (CIL X 7940 = EDR153726).
Tralasciando gli insediamenti militari, del tutto oscuro rimane inine lo statuto di altre comu-
nità note dalle fonti letterarie e da poche iscrizioni, alcune delle quali forse da annoverare fra
i XVIII oppida di Plinio, altre fra i semplici vici: fra i più importanti Longones (Santa Teresa di
Gallura?), Tibula (Castelsardo?), Gemellae (forse fra Bulzi, Perfugas e Martis), Aquae Laesitanae
(Benetutti), Caput Tyrsi (Buddusò?), Carbia (Alghero?), Gurulis Vetus (Padria) e Gurulis Nova
(Cuglieri), Pheronia (Posada), polis romano-ceretana fondata nella prima metà del IV secolo
a.C., Sarcapos (Villaputzu) e Macopsisa (Macomer), che ospitavano già in età repubblicana degli
Italici o Sardi romanizzati, Othoca (Santa Giusta), Aquae Neapolitanae (Sardara), Metalla (Gru-
gua) e Ferraria (San Gregorio?).
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Antonio Ibba
192
Quadro generale della viabilità romana in Sardegna
Marilena Sechi
I Romani costruirono nella Sardegna un capillare sistema viario che fu funzionale alle esigen-
ze militari, amministrative, economiche e culturali e che costituì un fondamentale elemento
uniicante nel territorio. Pur riprendendo spesso sentieri già esistenti, forse costruiti in epoca
nuragica e fenicio-punica o addirittura preistorica e protostorica, essi crearono un sistema
stradale di nuova concezione che portò ad una razionalizzazione dei precedenti percorsi.
L’articolazione del sistema viario, con la creazione di una itta rete di vie principali e di strade
secondarie, fu il frutto di una lenta evoluzione che andò di pari passo alla conquista dell’I-
sola. La scelta dei tracciati fu dettata, oltre che dalla conformazione geologica dell’area di
passaggio, dalle necessità di controllare militarmente le zone romanizzate e non paciicate,
di garantire il buon funzionamento del cursus publicus e dell’annona, di collegare le zone di
approvvigionamento agricolo e minerario.
Anche in Sardegna venne tendenzialmente applicata una radicale differenziazione nella tecni-
ca costruttiva tra le strade urbane, costituite con una pavimentazione lastricata in basoli lapi-
dei, e gli ambiti extraurbani, dove prevalevano le viae glarea stratae, caratterizzate da un limite
della carreggiata segnato da due cordonature di pietre inisse di taglio (margines o crepidines) e
da una parte centrale (summum dorsum) costruita con un costipamento di pietrisco e ghiaia, la
cui supericie era solitamente baulata per favorire il delusso delle acque. Nei resti conservati-
si in Sardegna si nota generalmente un riempimento del summum dorsum con basoli di piccola
e media dimensione rinzeppati con pietrame minuto e la costante presenza dei margini late-
rali e talora di un allineamento al centro per dividere le due corsie. Le modalità di costruzione
delle strade venivano poi adattate sulla base delle caratteristiche geomorfologiche del terreno
attraversato e si rinvengono pertanto delle varianti al modello della via extraurbana glareata:
alcuni tratti vennero costituiti per esempio direttamente sulla roccia regolarizzando e inglo-
bando il sostrato geologico locale.
La Sardegna è una tra le province romane che ha restituito il maggior numero di miliari
stradali in rapporto alla sua supericie: circa 150 reperti, ma tale cifra è da incrementarsi
con i ritrovamenti degli ultimi anni e con i cippi ancora inediti o considerati anepigrai che
attendono di essere studiati. La distribuzione dei cippi non è omogenea e la maggioranza dei
ritrovamenti si concentra nel retroterra di Olbia e nel Meilogu, in particolare lungo la strada
romana a Karalibus Olbiam, mentre alcune vie, la litoranea orientale e il percorso interno tra
Karales e Olbia, hanno restituito sino ad ora un numero di pietre miliari molto esiguo o nul-
lo. Complessivamente anche la datazione dei miliari non è uniforme: si ritrova un cospicuo
numero di miliari relativi al III e al IV secolo d.C. sino al regno di Magno Massimo e Flavio
Vittore, con scarse attestazioni nel I e nel II. Le motivazioni possono essere rintracciate nella
maggiore importanza di alcuni tracciati rispetto ad altri in relazione alle esigenze economiche
dei Romani e dal più sentito intento propagandistico degli imperatori in alcuni periodi storici,
come durante l’anarchia militare. Causa della scarsa rappresentatività dei miliari più antichi
nei ritrovamenti potrebbe essere stata la prassi, già ricorrente in età romana, di riutilizzare
i miliari in disuso sia per scopi edilizi (ne sono un esempio i cippi reimpiegati per reggere
il pavimento delle terme romane di Sas Presones a Rebeccu), sia come supporti di altri mi-
liari, come testimonia il celebre cippo viario dedicato a Lucio Domizio Alessandro che si è
recentemente appurato essere palinsesto (AE 1966, 169, cat. n. 2.78). I cippi dismessi pote-
vano anche conluire in appositi centri di raccolta, forse riconoscibili a Sbrangatu ad Olbia
e a Sas Presones a Rebeccu. La realizzazione dei miliari nell’Isola si deve probabilmente a
maestranze locali, lapicidi itineranti o stabiliti in oficine impiantate nei territori attraversati
dalle strade, sfruttanti la materia prima locale come la trachite nel Meilogu e il granito per la
zona olbiese.
Le testimonianze letterarie antiche pertinenti il sistema viario dell’Isola si riducono essenzial-
mente all’Itinerarium Antonini, opera datata nella sua prima redazione all’inizio del III secolo
193
Marilena Sechi
d.C., che riconosce nella Sardegna sette direttrici viarie intervallate da quaranta mansiones: la
litoranea orientale a Portu Tibulas Caralis; la strada interna della Barbagia denominata aliud iter
ab Ulbia Caralis; la strada centrale dell’Isola a Tibulas Caralis; la via a portu Tibulas per compen-
dium Ulbia; la litoranea occidentale a Tibulas Sulcis e le strade a Sulcis Nura e a Caralis Nura.
Nel corso degli studi non sempre è stato possibile arrivare a soluzioni certe e condivise sulla
collocazione delle stationes elencate nell’Itinerarium e accertarne la corrispondenza con gli in-
sediamenti che si conservano sul terreno. L’autore del documento sembra peraltro ignorare
alcuni tragitti viari e punti di sosta (il caso più eclatante è quello di Turris Libisonis citato come
Ad Turrem solo lungo la litoranea occidentale e non nella strada centrale) e le informazioni
contenute nell’opera vanno pertanto utilizzate con criticità e integrate con gli altri dati, in
particolare con i miliari, fonte epigraica per eccellenza nella ricostruzione dei percorsi viari.
I cippi rinvenuti in Sardegna ci fanno conoscere le stesse strade dell’Itinerario con differenti
denominazioni e dei percorsi che rappresentano dei tronchi parziali o delle vere e proprie
varianti.
La via a Karalibus Turrem rappresentava in età romana il principale vettore di comunicazione
della Sardegna e il suo percorso era comune alla via a Tibulas Caralis dell’Itinerarium Antonini
nella parte centro-meridionale del suo tracciato, all’incirca da Molaria a Karales. Gli studiosi
concordano ormai nel ritenere che la via fosse originariamente bipartita in due tronchi. I
miliari più antichi parlano in effetti di via a Turre o a Karalis e la denominazione completa
è attestata solo dal principato severiano, come via a Turre Karales, mentre a partire dall’età
dell’anarchia militare prevale la denominazione di via a Karalibus Turrem, pur con la ricompar-
sa in alcuni casi della più antica denominazione.
Il rinvenimento nel 2001 nei territori di Ruinas e di Allai di due miliari (AE 2002, 629-630)
dedicati all’imperatore Claudio ha confermato l’esistenza di un tracciato viario a Karalis che
nel 46 d.C. univa il caput provinciae alle Aquae Ypsitanae passando per Uselis, testimoniando una
politica attuata dall’imperatore e dal suo prefetto Lucio Aurelio Patroclo mirante al controllo
delle zone interne romanizzate della Sardegna.
Dalla parte opposta, l’esistenza di un tracciato che negli stessi anni collegava Turris Libisonis
verso il centro della Sardegna è testimoniato da due miliari della via a Turre dedicati allo stesso
Claudio rinvenuti a Pranu Maiore, a nord-ovest delle Aquae Ypsitanae (AE 1893, 47; EE VIII,
744). Nonostante sia altamente probabile che essi siano stati incisi da lapicidi e in località dif-
ferenti rispetto ai cippi della via a Karalis, anche questi miliari utilizzano lo stesso formulario
con il verbo iussit alla ine del testo che denota l’imposizione di un provvedimento dettato da
Claudio rivolto alle strade della Sardegna.
Nello stesso tronco stradale con partenza da Turris sono attestati gli interventi tra il 68 e il
69 d.C. ad opera di Nerone (miliario di Scala di Giocca CIL X 8014, cat. n. 2.77) e di Vitellio
(cippo di Nostra Signora di Cabu Abbas di Torralba CIL X 8016). Nel 74 d.C. Vespasiano
commissionò delle opere stradali tra il LV e il LVI miglio a Turre (CIL X 8023-8024) e in
un tratto compreso tra Molaria e Ad Medias (miliario di Bonu Trau): i tre miliari di Macomer
menzionano chiaramente, con la citazione della formula refecit et restituit, l’esecuzione di lavori
di restauro in età vespasianea. Appare peraltro possibile che i cippi dedicati a Nerone e a Vi-
tellio, considerata la vicinanza cronologica con i miliari vespasianei, siano stati posti anch’essi
in occasione di rifacimenti del manto stradale, seppure non ne venga data esplicita menzione.
Si può ipotizzare che tra il 68 e il 74 d.C. fosse in atto un progetto di manutenzione generale
che interessò la via a Turre, forse pianiicato da Nerone e completato dai suoi successori. I
lavori potrebbero essere stati commissionati a seguito di una riorganizzazione dell’annona,
resa forse più urgente dalla crisi che Roma attraversò nella primavera del 68, quando vennero
meno i rifornimenti egiziani e africani e diventò determinante il grano sardo.
I due tronchi della via centrale, noti come viae a Turre e a Karalis, solo successivamente ven-
nero concepiti unitariamente, forse in concomitanza con la promozione delle Aquae Ypsitanae
alla condizione giuridica di forum, quando si realizzò un tracciato che pose Forum Traiani come
punto mediano della via. In età traianea si determinò quindi uno spostamento del percor-
so verso la costa: da Forum Traiani la strada giunse sino ad Othoca e alle Aquae Neapolitanae,
mentre l’antico tracciato passante per Uselis divenne un deverticulum della viabilità principale.
Più tardi, forse in età severiana, fu realizzata una via per compendium, un tragitto più breve che
da Forum Traiani, evitando Othoca, transitava nei pressi della località Muru de Bangius, dove
venne costruito un praetorium dotato di balneum e di strutture di servizio destinato ad ospitare i
194
Quadro generale della viabilità romana in Sardegna
funzionari della burocrazia provinciale. Sotto i Severi si procedette anche ad una restaurazio-
ne del tracciato sia a nord, a Padru Mannu nel territorio di Bortigali e al LVI miglio da Turris
già ripristinato in età vespasianea, sia a sud nei pressi di Monastir e di Sestu.
Dalla via a Karalibus Turrem si diramava la via a Karalibus Olbiam, non menzionata nell’Itinera-
rium Antonini, il cui primo punto di riferimento certo partendo da sud è il miliario rinvenuto
a Mura Ispuntones nel territorio di Bonorva (AE 2002, 657) che indica espressamente una
diramazione già avvenuta in questa località citando la strada per Olbia. I territori attraversati
dalla via a Karalibus Olbiam hanno restituito circa settanta dei 150 miliari della Sardegna, con
alcune aree dove i rinvenimenti sono stati maggiormente diffusi: Bonorva (Monte Cujaru),
Torralba (Code), Mores (Silvaru) e Olbia, soprattutto dalla loc. Sbrangatu dalla quale proviene
il gruppo di miliari più consistente. I cippi recuperati attestano sicuramente lavori di restauro
in un arco cronologico che va dall’età severiana sino al regno di Magno Massimo e Flavio
Vittore con una concentrazione di rinvenimenti tra il III e il IV secolo, mentre per la strada
in questione non sono conosciuti miliari del I e del II. Possibile possa riferirsi a Domiziano
un miliario di incerta lettura dalla loc. Sbrangatu (EE VIII, 785): se tale datazione fosse con-
fermata sarebbe l’attestazione più antica dell’arteria stradale per Olbia.
La grande densità di ritrovamenti in quest’area della Sardegna potrebbe trovare delle ragioni
principalmente storiche ed economiche, legate sia alla volontà di celebrazione e di propaganda
da parte degli imperatori in carica per attestare il loro potere, sia alla grande importanza eco-
nomica che la strada assunse dall’età imperiale sino a quella tardoantica per il funzionamento
dell’annona e per il trasporto del grano verso Olbia, il porto sardo più vicino alle coste laziali.
L’esigenza fu particolarmente sentita durante la crisi generale dell’impero nell’anarchia mili-
tare che rese indispensabile l’invio a Roma di grandi quantitativi di grano per garantire il cui
trasporto era fondamentale poter disporre di un eficiente apparato stradale funzionale al rag-
giungimento del porto olbiese nel minor tempo possibile. L’intensiicarsi del trafico di merci e
di carri lungo la direttrice rese pertanto necessarie frequenti opere di restauro testimoniate dai
miliari che, posti in una strada di così grande visibilità, divennero uno straordinario strumento
di propaganda politica. L’area dove transitava la via per Olbia era in età romana un’importante
zona agricola e si conigurava, insieme alla pianura del Campidano, come una fonte imprescin-
dibile per la produzione del grano indirizzato all’annona. Lungo la via per Olbia erano localiz-
zati numerosi insediamenti di età romana a vocazione prettamente agricola collegati all’arteria
principale tramite una itta rete di vie secondarie. Uno sfruttamento agricolo che fu avviato
già in età neroniana, quando vasti latifondi imperiali nell’entroterra di Olbia vennero afidati da
Nerone a Claudia Atte, la liberta da lui favorita, che valorizzò i beni con straordinario spirito
imprenditoriale, mettendoli a coltura e impiantandovi delle iglinae per la produzione di laterizi.
195
Marilena Sechi
Nell’Isola doveva esistere anche un percorso alternativo, più breve e diretto, per collegare
Karales a Olbia rispetto al tracciato che si snodava attraverso le vie a Karalibus Turrem e a Kara-
libus Olbiam: la strada interna della Barbagia, denominata nell’Itinerarium Antoninini come aliud
iter ab Ulbia Caralis, sorta prioritariamente per esigenze militari e di controllo della Barbaria.
Il tracciato attraversava territori scarsamente urbanizzati: nonostante la sua lunghezza (172
miglia, circa 254 km) secondo la fonte itineraria era intervallato da sole cinque stazioni (Ulbia,
Caput Tyrsi, Sorabile, Biora, Caralis). Lungo il tracciato è stato rinvenuto un unico miliario (CIL
X 8026) che attesta l’esecuzione di lavori di restauro tra il 364 e il 366 d.C. durante il regno di
Valentiniano e il governo del preside Flavius Maximinus.
Della strada orientale della Sardegna, nota nell’Itinerarium Antonini come via a Portus Tibulas
Caralis, non si conservano miliari stradali, se non qualche cippo ritenuto anepigrafe, e labili
sono le tracce archeologiche pertinenti. Il solo terminus ante quem certo è pertanto la datazione
dell’Itinerarium Antonini che ci consente di appurare che tale via dovette essere sicuramente
attiva dalla prima metà del III secolo d.C.
L’altro lato dell’Isola era percorso dalla litoranea occidentale, per la quale l’Itinerario ricono-
sce un percorso sostanzialmente unitario denominato a Tibulas Sulcis mentre i miliari attesta-
no solo dei tronchi parziali che dovevano collegare Tharros a Cornus, Nora a Bithia e a Karales,
Karales a Sulci. Da questa arteria viaria proviene il più antico miliario sino ad ora rinvenuto
nella Sardegna posto dal proconsole M(arcus) Cornuicius (AE 2007, 693, cat. n. 2.81), la cui
paleograia e il formulario suggeriscono una datazione alla ine del II secolo. Il monumento
era probabilmente pertinente al segmento stradale compreso tra Bosa e Cornus, uno dei pri-
mi realizzati dai Romani nella litoranea occidentale, forse già esistente dal momento della
Porto Torres, Su Cruciissu Mannu, fondazione punica di Cornus, che transitava in un’area dove erano stanziate le popolazioni
tratto della via a Karalibus Turrem dei Giddilitani, degli Euthichiani e i gruppi collocati nei latifondi delle Numisie citati nei cippi
con tracce di carraie costruito direttamente terminali rinvenuti nella zona, forse coevi al miliario di Cuglieri.
sulla roccia. La litoranea occidentale a Tibulas Sulcis doveva continuare nella parte meridionale con la via
196
Quadro generale della viabilità romana in Sardegna
a Karalibus Sulcos o a Sulcis, strada di fondamentale importanza per il collegamento tra Karales
con la zona mineraria del Sulcis Iglesiente, ricca di ferro, piombo, rame, galena argentifera,
oro. Il miliario dedicato a Vespasiano dal proconsole [---]tius Secundus dalla località Santa Ma-
ria di Flumentepido di Carbonia, datato al 70 d.C., è sino ad ora la più antica testimonianza
certa del tracciato (CIL X 8005). Dubbia appare invece la lettura di un miliario (CIL X 8007)
proveniente dalla stessa località che potrebbe essere stato posto dal prolegato Tito Pompeo
Proculo, personaggio attivo nell’Isola nell’ultimo anno dell’età di Augusto. La via fu sicura-
mente fatta oggetto dei primi restauri sotto Traiano tra il 106-107 e il 117 d.C. L’importanza
strategica del tracciato in età romana è testimoniata dal miliario di Lucio Domizio Alessandro
dedicato dal praeses della provincia Papio Pacaziano (AE 1966, 169, cat. n. 2.78), un’epigrafe
onoraria posta per testimoniare la lealtà e l’appoggio dato dal preside della Sardegna all’usur-
patore al trono, vicario della diocesi dell’Africa, proclamatosi imperatore contro Massenzio.
Da un’analisi complessiva, si può denotare una originaria frammentazione del sistema viario
romano. I primi interventi attestati dai miliari in Sardegna risalgono all’età repubblicana, forse
alla ine del II secolo a.C., e sono relativi al tratto tra Bosa e Cornus, che doveva rappresentare
uno dei primi segmenti della litoranea occidentale e dell’apparato viario dell’Isola. Tra il 13 e
il 14 d.C. sono accertati i lavori dell’imperatore Augusto e del prolegato Tito Pompeo Pro-
culo in un miliario (EE VIII, 742) indicante il 10° miglio di una strada che non viene espres-
samente menzionata, probabilmente una deverticulum che collegava Ad Medias con Austis, di
probabile fondazione augustea. Nel 46 d.C. Claudio impose un provvedimento che interessò
i due tronchi ancora non concepiti unitariamente delle vie a Turre e a Karalis e, tra il 68 e il 74
d.C., furono attuati una serie di interventi lungo la via a Turre ad opera di Nerone, di Vitellio
e di Vespasiano, il quale nel 70 d.C. fu anche promotore di lavori nella via a Karalibus Sulcos.
Gli unici ripristini testimoniati dai miliari nel II secolo si collocano in età traianea lungo la via
a Karalibus Sulcos; allo stesso Traiano è da riferirsi la creazione di un percorso unitario della
strada centrale sarda. Dalla ine del II secolo i Severi furono fautori di un potenziamento
delle infrastrutture sarde e di una restaurazione complessiva dell’apparato stradale.
Dal III sino alla seconda metà del IV secolo d.C. si registra un incremento dei lavori di manu-
tenzione soprattutto negli assi viari a Karalibus Turrem e a Karalibus Olbiam, divenuti strategici
per i collegamenti ai tre porti principali dell’Isola. Una vera e propria riforma di restauro
rivolta al complessivo sistema viario dell’Isola si riscontra dopo quella severiana con Marcus
Iulius Philippus I, detto Filippo l’Arabo, il quale nel quinquennio del suo principato (244-249
d.C.) e dei governi di Marcus Ulpius Victor e di Publius Aelius Valens, fu promotore di numerosi
interventi lungo diverse direttrici stradali. Gli ultimi lavori di restauro accertati dai miliari ci
riportano agli anni 364-366 nella strada interna tra Carales e Olbia e tra il 387-388 d.C. quando
la Sardegna riconobbe l’usurpazione di Magno Massimo e di Flavio Vittore e li celebrò nei
miliari più tardi sino ad ora attestati lungo le vie a Karalibus Olbiam, a Karalibus Turrem e a Nora
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198
Le truppe ausiliarie nella Sardegna romana del I secolo d.C.
Franco Porrà
Uno dei principali settori nei quali si esercitò l’opera riformatrice di Augusto fu quello mi-
litare; a lui si deve, infatti, il nuovo assetto dell’esercito romano che, seppur con opportune
modiiche adeguate alle circostanze, di fatto rimase tale per tutto l’alto impero. Le forze di
terra furono da lui organizzate in unità di diverso tipo. Le legioni, come nella precedente età
repubblicana, continuarono a costituire il nerbo dell’esercito romano; soprattutto nella parte
occidentale dell’impero il reclutamento in questi reparti, comandati ciascuno di norma da
un legatus Augusti legionis senatorio, interessò dapprima cittadini romani della Penisola Italica,
mentre successivamente si veriicarono in maniera crescente arruolamenti, sempre di cives
romani, anche nelle province. Accanto alle legioni esistevano truppe ausiliarie composte,
almeno inizialmente, da provinciali sprovvisti della cittadinanza romana (peregrini), anche se la
documentazione epigraica permette di apprendere che col tempo nei corpi ausiliari furono
reclutati sempre più frequentemente anche cittadini romani. A Roma si trovava una guarni-
gione composta di unità differenti per modalità di reclutamento, funzione e importanza; tra
queste per il prestigio e il ruolo esercitato spiccavano le coorti pretorie, ciascuna delle quali
posta agli ordini di un tribunus equestre, i cui effettivi sino alla ine del II secolo d.C. furono
in maggioranza costituiti da cittadini romani reclutati in Italia. Per quanto riguarda inine le
forze navali, accanto a quelle di minore importanza, si deve registrare l’esistenza delle due
lotte principali, quella di Miseno e quella di Ravenna. Quest’ultima controllava il Mediterra-
neo orientale, mentre la prima pattugliava quello centro-occidentale e quindi anche le acque
circostanti la Sardegna. Il servizio militare nella lotta non era considerato particolarmente
prestigioso e l’arruolamento per lo più non riguardava cittadini romani.
Tornando alle unità ausiliarie, è opportuno sottolineare che potevano essere diverse per or-
ganico e per tipologia. Da quest’ultimo punto di vista esse erano distinte in cohortes e alae. Le
prime erano reparti di fanteria (cohortes peditatae) di circa cinquecento uomini (quingenariae),
mentre le seconde erano unità di cavalleria caratterizzate dagli stessi effettivi. Esistevano
inoltre coorti miste costituite da fanti e cavalieri (cohortes equitatae) per un totale di circa sei-
cento soldati. Tutte le unità ausiliarie sopra elencate erano comandate da praefecti appartenenti
all’ordine equestre così come praefecti equestri erano i comandanti delle due principali lotte.
Per tutti i suddetti reparti a partire all’incirca dall’età lavia esistette inoltre la possibilità di or-
ganici raddoppiati. Anche in questo caso il comandante era un esponente dell’ordine equestre
caratterizzato di norma dal titolo di tribunus. Le unità ausiliarie erano in genere denominate
con un etnico che faceva riferimento alla popolazione presso cui era avvenuto l’originario
arruolamento; il fatto che con gli anni si facesse ricorso anche ad un reclutamento su base
regionale e persino locale non comportò usualmente la modiica dell’etnico iniziale. Spesso
si nota, inoltre, la presenza di un numerale che indicava quanti reparti erano stati simultane-
amente arruolati presso una determinata popolazione.
Passando alla Sardegna, è noto che nell’organizzazione provinciale varata da Augusto nel 27
a.C. l’Isola, che con la vicina Corsica costituiva una sola provincia, fu considerata paciicata
e fu quindi assegnata al Senato che ne afidò l’amministrazione ad un proconsole ex pretore.
La decisione discendeva verosimilmente dal fatto che la Sardegna era stata conquistata da
Roma nel 238/237 a.C. e si può presumere pertanto che, dopo oltre due secoli, si trovasse in
un’avanzata fase di romanizzazione. Lo status di provincia del Senato e del popolo romano
comportava di norma solo la presenza di truppe ausiliarie. Per gli anni del principato augu-
steo che precedono il 6 d.C. non abbiamo informazioni sul presidio militare isolano. Secondo
le fonti letterarie (Dione Cassio LV, 28, 1 e Strabone V, 2, 7) in tale anno si veriicarono tor-
bidi ad opera di popolazioni indigene dell’interno gravi al punto da imporre il passaggio della
Sardegna all’amministrazione imperiale. Un miliario rinvenuto tra Fordongianus e Busachi
(ILS 105) informa sul titolo del governatore della provincia, prolegato, che indica una igura
che fa le veci del legatus Augusti pro praetore, di norma a capo di una provincia imperiale, e che
199
Franco Porrà
autorizza ad ipotizzare che l’allora governatore dell’Isola fosse un cavaliere e non più un
senatore, fatto quest’ultimo supportato anche dalle fonti letterarie sopra citate. Dal passo di
Dione Cassio cui si è fatto riferimento sembra ricavarsi che l’emergenza fosse stata affrontata
dall’imperatore con l’invio di soldati sulla cui tipologia non c’è accordo tra gli studiosi. Per al-
cuni il prolegato oltre alla normale guarnigione di auxilia aveva ai suoi ordini anche legionari, per
altri il suo comando si esercitava invece esclusivamente su forze ausiliarie. Tra gli studiosi che
sostengono l’ipotesi dell’invio di legionari nell’Isola alcuni ritengono che la presenza di questi
ultimi si sia protratta sino al 19 d.C., anno in cui essi sarebbero stati rimpiazzati da 4000 liberti
professanti culti giudaici ed egiziani provenienti da Roma, trasferiti in Sardegna per reprimervi
il brigantaggio. Non sappiamo precisamente quanto questi ultimi si siano trattenuti nell’Isola;
è stato comunque proposto che la loro permanenza si concludesse con la scomparsa (31 d.C.)
del prefetto del pretorio di Tiberio, Lucio Elio Seiano, il quale sarebbe stato il fautore del loro
trasferimento in Sardegna. La presenza di legionari nell’Isola nel periodo successivo non è do-
cumentata; d’altra parte le diverse titolature note per i governatori della Sardinia se da un lato
denunciano i suoi frequenti mutamenti di condizione giuridica da provincia del Senato e del
popolo romano a provincia imperiale, dall’altro sono compatibili esclusivamente con la pre-
senza di truppe ausiliarie. La documentazione epigraica consente di affermare che perlomeno
dalla fase inale del principato augusteo e per circa tre secoli si ebbe in Sardegna la presenza di
auxilia consistenti esclusivamente in coorti peditatae ed equitatae.
Per quanto riguarda il I secolo d.C., periodo qui oggetto di trattazione, sei di esse sono di-
rettamente documentate, mentre l’esistenza di una settima è deducibile in modo indiretto.
Le sei unità sono la coorte [I] di Corsi, la coorte VII (?) di Lusitani, la coorte III equitata di
Aquitani, la coorte equitata di Liguri, la coorte I gemina equitata di Sardi e di Corsi, la coorte
II gemina equitata di Liguri e di Corsi. Il settimo reparto è la coorte di Sardi. Non si affronta
invece la coorte di Mauri e di Afri: oltre, infatti, l’assenza di certezze in merito all’effettivo
stanziamento del reparto in Sardegna, ad un suo esame si oppongono considerazioni crono-
logiche. Nonostante quanto affermato da Piero Meloni (MeLoni 1990, p. 361), che data l’uni-
ca attestazione epigraica menzionante l’unità (CIL X 7600: Cagliari) tra il I e il II secolo d.C.,
la presenza della coorte nell’Isola sarebbe da collocare posteriormente agli inizi del II secolo
sia perché di essa non si fa menzione nei tre diplomi militari rinvenuti in Sardegna dell’88,
del 96 e del 102 d.C. sia perché la citazione della tribus di appartenenza del suo comandante e
la formula onomastica di quest’ultimo articolata nei tria nomina giustiicherebbero il II secolo
piuttosto che il I per l’iscrizione cagliaritana.
Tra le coorti a noi note quella di Corsi, forse caratterizzata dal numerale I, fu stanziata
nell’Isola in dagli inizi del I secolo d.C. Della presenza di tale reparto in Sardegna ci infor-
ma un’iscrizione, funeraria piuttosto che onoraria, rinvenuta nel Lazio a Palestrina, l’antica
Praeneste (CIL XIV 2954 = ILS 2684). L’unità, composta presumibilmente di cinquecento uo-
mini, era acquartierata molto probabilmente presso l’odierna Fordongianus. Non sappiamo
Nella pagina accanto se il suo originario reclutamento fosse avvenuto in Corsica o presso i Corsi della Sardegna
Epitaio di Rufus, Tabusi f(ilius), settentrionale. Il titulus menziona Sex(tus) Iulius Rufus che fu praefectus della coorte di Corsi e
Valentinus, soldato della cohors III contemporaneamente praefectus civitatum Barbariae in Sardinia. Il testo risale all’epoca dell’im-
Aquitanorum equitata (CIL X 7596), peratore Tiberio (14-37 d.C.), dato che in esso si trova un riferimento alla divinizzazione e
forse da Oschiri, Nostra Signora quindi alla morte di Augusto. Sesto Giulio Rufo, probabilmente un pretoriano, come rivela
di Castro (a sinistra). l’iscrizione fu mantenuto sotto le armi per volontà di Augusto (evocatus divi Augusti); non c’è
però accordo tra gli studiosi in merito alla cronologia degli incarichi da lui esercitati nell’Isola.
Epitaio di Decumus, Cirneti f(ilius), Accanto alla posizione di chi sostiene l’età tiberiana si deve registrare infatti quella di altri
Caniensis, soldato della cohors III studiosi che recentemente hanno pensato agli anni di Augusto, datazione che permetterebbe,
Aquitanorum equitata inoltre, di mettere in relazione le prefetture rivestite dal personaggio con i disordini scoppiati
(Sotgiu 1961, n. 222), da Bitti in Sardegna nella tarda età augustea e di collocare di conseguenza in questo periodo l’attività
(in alto a destra). del reparto nell’Isola se non addirittura la sua costituzione. Non abbiamo altri documenti che
attestino l’esistenza autonoma della coorte; essa, però, dovette comunque essere di stanza
Epitaio di Ti(berius) Iulius Capito, in Sardegna per tutto o quasi tutto il periodo della dinastia giulio-claudia (14-68 d.C.), dal
missicius della cohors III Aquitanorum momento che gli ausiliari corsi costituiranno una stabile componente delle coorti gemine di
equitata (AE 1980, 532 = 1982, cui si parlerà più avanti.
438 = 1988, 652), da Oschiri, Un’iscrizione funeraria (CIL X 7884), rinvenuta ad Austis (Augustis), testimonia la presenza
Nostra Signora di Castro nell’Isola di una coorte di Lusitani, forse la VII. Se accettiamo tale identiicazione possiamo
(in basso a destra). pensare che l’unità in origine, oltre che probabilmente quingenaria, fosse anche equitata. Dato
200
Le truppe ausiliarie nella Sardegna romana del I secolo d.C.
201
Franco Porrà
il suo etnico, la coorte era stata reclutata nell’antica Lusitania, provincia romana coincidente
per lo più con l’attuale Portogallo. Non abbiamo informazioni certe sulla sede dell’accam-
pamento del reparto, anche se non si può escludere che si trattasse della stessa Austis. L’epi-
grafe ricorda Ubasus Niclinus, iglio di Chilo (?), trombettiere della coorte di Lusitani defunto
a cinquant’anni dopo averne trascorso ben trentuno sotto le armi. L’iscrizione è stata datata
nella prima metà del I secolo d.C. La lunga durata del servizio militare attivo del defunto per-
mette alcune considerazioni ulteriori. In primo luogo è possibile risalire agli inizi del secolo
per quanto riguarda il momento del suo arruolamento; inoltre egli, data la sua onomastica,
è da considerarsi molto probabilmente un lusitano; si può quindi pensare che avesse fatto
parte del nucleo originario dell’unità. Non è noto se il reparto esistesse prima del suo arrivo
in Sardegna. Raimondo Zucca ha recentemente ipotizzato che la coorte di Lusitani fosse
stata appositamente costituita per far fronte ai torbidi della tarda età augustea, che tra il 6 e
il 14 fosse stato organizzato il presidio di Augustis e che Ubasus avesse iniziato il suo servizio
militare proprio in questi anni (Zucca 2009, p. 312). Se accettiamo l’identiicazione dell’unità
con la cohors VII Lusitanorum, si deve pensare che la permanenza del reparto nell’Isola avesse
avuto termine intorno alla metà o alla seconda metà del I secolo d.C., allorché è sicura la
presenza in Numidia della cohors VII Lusitanorum.
Quattro iscrizioni funerarie permettono di parlare della cohors III Aquitanorum, i cui soldati in
origine furono reclutati nei territori atlantici dell’odierna Francia situati a nord dei Pirenei.
Anch’essa, come le altre tre unità di Aquitani note, era equitata. Il reparto, quasi certamente
quingenario, era probabilmente acquartierato a Nostra Signora di Castro (Oschiri), l’antica Lu-
guido, il cui nome potrebbe essere considerato un adattamento della radice celtica lug-. Per il loro
formulario tutti i tituli sono inquadrabili nella prima metà del I secolo d.C. Il primo di essi (CIL
X 7596), rinvenuto forse a Nostra Signora di Castro, menziona il soldato Rufus, Tabusi f(ilius),
Valentinus; quest’ultimo termine probabilmente deve essere considerato un etnico signiicante
“originario di Valentia”, con riferimento ad una delle tante città fondate dai Romani con que-
sto nome, forse meglio quelle della Gallia Narbonense o della Penisola Iberica piuttosto che
quella di Sardegna. Autore della dedica è Spedius, deinito frater, sostantivo che può indicare un
commilitone piuttosto che un vero e proprio fratello del defunto. La seconda epigrafe è stata
rinvenuta a Bitti (Sotgiu 1961, 222) e ricorda il soldato Decumus, Cirneti f(ilius). Nell’iscrizione
dopo la iliazione è riportato un etnico che in passato è stato interpretato come C(i)niensis o C(lu)
niensis con riferimento rispettivamente a località dell’Isola di Maiorca (Cinium) o della Corsica
(Clunium) o ancora dell’Hispania Tarraconensis (Clunia). In realtà dalla foto dell’iscrizione si coglie
chiaramente una A in nesso con una N; si può pertanto proporre la lettura Caniensis, etnico
di non facile interpretazione. Si tenga però presente che in epoca tardoantica è attestato in
Aquitania il toponimo Canniaco. Un plausibile etnico da mettere in relazione con esso sarebbe
Canniacensis, di cui il Caniensis dell’iscrizione sarda potrebbe essere quindi una forma sincopata.
Da Iscia Cunzada, presso Nostra Signora di Castro, proviene un’iscrizione particolarmente
interessante (AE 1980, 532 = 1982, 438 = 1988, 652) che, oltre al numerale III che contrad-
distingueva l’unità e che non igura nelle altre epigrai sarde relative al reparto, permette di
conoscere un congedato (missicius) della coorte in questione, che divenne cittadino romano
per volontà dell’imperatore Tiberio, come il suo nome, Ti(berius) Iulius Capito, e la sua ap-
partenenza alla tribù Fabia consentono di affermare. La quarta iscrizione (AE 2004, 674),
rinvenuta ad Ardara, menziona un soldato, [O]rcoeta, iglio di [B]iho (?), arruolato presso la
popolazione aquitana dei Convenae, stanziata tra la valle dell’Alta Garonna e i Pirenei. L’etnico
e l’onomastica di origine aquitana permettono di pensare che il soldato fosse stato tra i primi
ad essere arruolati nel reparto. D’altra parte una situazione simile si può prospettare anche
per il Ti(berius) Iulius Capito sopra menzionato nel cui cognomen, terminante in -o come molti
antroponimi dell’area celtica, si potrebbe vedere l’esito di una scelta effettuata dal militare per
ragioni di afinità fonica nel momento dell’ottenimento della cittadinanza. Il missicius come si
è detto ebbe lo status di civis Romanus sotto Tiberio e per quanto non si possa escludere che
egli, come allora poteva accadere, avesse conseguito tale privilegio durante il servizio, che
dobbiamo presupporre di lunga durata, è possibile che lo avesse ricevuto alla conclusione,
da congedato. L’arruolamento di Capito in deinitiva potrebbe anche essere avvenuto in un
periodo piuttosto risalente del principato di Tiberio se non alla ine di quello di Augusto,
quando, in quest’ultimo caso, potrebbe essere stato creato l’accampamento di Luguido. Se
dovesse essere confermata la correlazione tra l’etnico Caniensis e l’Aquitania, sopra ipotizzata,
202
Le truppe ausiliarie nella Sardegna romana del I secolo d.C.
203
Franco Porrà
iscrizioni funerarie e due bolli su tegola), talvolta contrassegnata dal numerale I e dal titolo di
praetoria, infatti, per ragioni diverse che vanno dal formulario all’onomastica rivelatrice della
condizione giuridica dei soldati, cittadini romani e non più peregrini, è da collocare tutta
nel corso del II secolo d.C., se non addirittura agli inizi del III, e non sarà quindi oggetto di
trattazione nel presente lavoro.
Come è stato già detto, delle tre coorti attestate nella prima metà del I secolo d.C. due, quelle
di Lusitani e Aquitani, furono trasferite nei decenni centrali del secolo; la terza, quella di Cor-
si, visto il ruolo da essa rivestito nella costituzione delle coorti gemine di ine secolo, rimase
in Sardegna. Le nuove formazioni di Liguri e di Sardi furono create per rimpiazzare quelle
trasferite e quindi sicuramente per non modiicare il numero dei reparti attivi nell’Isola. Sugli
avvicendamenti delle truppe in questione non vi è però accordo tra gli studiosi; infatti ac-
canto a chi sostiene che la cohors Ligurum fosse subentrata a quella di Aquitani nell’accampa-
mento di Nostra Signora di Castro, vi è invece chi ritiene che la cohors di Aquitani fosse stata
sostituita da quella di Sardi.
In conclusione, stante l’incertezza sull’effettiva breve presenza di soldati legionari, si può
affermare che nella prima parte del I secolo d.C. operarono nell’Isola almeno tre coorti ausi-
liarie quingenarie e il contingente di 4000 liberti. Nei decenni centrali del secolo sembra che
si sia veriicata una prima riduzione delle forze militari poiché le testimonianze in nostro pos-
sesso riguardano sempre almeno tre unità ausiliarie quingenarie, ma non abbiamo elementi in
favore della permanenza nel territorio sardo dei liberti. Un’ulteriore contrazione delle truppe
sembra delinearsi alla ine del secolo. Ammesso infatti che i diplomi militari dell’88, del 96 e
del 102 registrino tutti i reparti allora stanziati in Sardegna, si può pensare che in quegli anni
il dispositivo militare romano, composto di due coorti gemine probabilmente quingenarie,
si fosse ancor più ridotto. La progressiva diminuzione dell’organico militare è compatibile
solamente con una provincia col tempo sempre più pacata; questo aspetto fu senz’altro tenuto
presente da Traiano quando, nella seconda metà del suo principato (98-117), volle restituire
la Sardinia all’amministrazione del Senato.
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L’onomastica della Sardegna romana
dalla conquista al III secolo d.C.
Piergiorgio Floris
207
Piergiorgio Floris
non fosse più una novità: questi, infatti, oltre che per svolgervi funzioni amministrative e
militari temporanee, sin dalla conquista avevano verosimilmente iniziato a stanziarvisi per
diversi motivi, per periodi più lunghi o anche permanentemente; tale condizione poteva
riguardare ad esempio ex soldati (non solo romani, ma anche latini e italici che dall’88 a.C.
godevano della cittadinanza romana) che, magari dopo aver stabilito legami familiari in loco,
decidevano di trattenersi nei luoghi in cui avevano svolto il loro servizio oppure publica-
ni, negotiatores e mercatores impegnati in attività inanziarie e commerciali nell’Isola. Queste
persone portavano naturalmente con sé i loro modelli antroponimici, i quali, però, a parte
casi possibili ma non attestati di manomissioni di schiavi, legalmente non avevano potuto
propagarsi tra i Sardi. Nella plausibile sequenza C. Valerius Aris potrebbe invece rilevarsi
un segno della penetrazione del modo di denominazione romano in Sardegna nel senso
di una mescolanza tra questo e quello punico. Un percorso analogo si coglie forse per un
altro sardo menzionato dall’Arpinate nella stessa orazione: Cn. Domitius Sincaius, hospes e
familiaris di Cicerone, dovette infatti il conseguimento della cittadinanza romana a Pom-
peo, verosimilmente attraverso l’opera di un non altrimenti conosciuto Cn. Domitius (Cic.
Pro Scauro, 19, 43), da cui il sardo Sincaius derivò il prenome e il gentilizio. In rapporto al
processo di diffusione del sistema onomastico romano nell’Isola sono interessanti anche
i nomi dei sardi Phamea e M. Tigellius, che vissero a Roma nei decenni centrali del i secolo
a.C. Nonostante che alcuni studiosi abbiano ipotizzato l’origine greca del primo antropo-
nimo e che si siano quindi espressi in favore dell’appartenenza del personaggio sardo alla
classe dei liberti, sembra più probabile che il nome sia punico. Il ricco Phamea, più volte
citato nell’epistolario ciceroniano (Cic. Att. IX, 9, 4; IX, 13, 6; XIII, 49; fam. VII, 24, 2; IX,
16, 8), era il nonno o forse meglio lo zio di M. Tigellius, musico e cantante morto intorno al
40-39 a.C. che fu apprezzato da Cesare, Cleopatra e Ottaviano (Cic. Att. XIII, 49, 2; 50, 3;
51, 2; fam. VII, 24, 1-2; Hor. sat. I, 2; I, 3, 4). Rispetto a Phamea, il nipote ha però un nome
del tutto romano composto di prenome e gentilizio ed è proprio la difformità onomastica
tra i due che fa presumere che il secondo, a differenza del primo, godesse della cittadinanza
romana. È stata del resto avanzata l’ipotesi che alcuni termini adoperati da Orazio in una
Iscrizione menzionante il militare sua satira (I, 3, 1-6), con riferimento rispettivamente all’abitudine di Tigellio di iniziare a
Charitti, Cota[e f(ilius)], da Buggerru. cantare senza che gli fosse stato ordinato e alla possibilità di Ottaviano di metterlo a tace-
208
L’onomastica della Sardegna romana dalla conquista al III secolo d.C.
re, possano essere interpretati nel senso dell’esistenza tra i due di un rapporto patrono/
cliente. Si può quindi pensare di ricostruire anche per Tigellio un percorso analogo a quelli
prospettati per Aris e Sincaius: dietro l’intervento di un ignoto M. Tigellius, nella conces-
sione del beneicio della cittadinanza romana all’artista sardo potrebbe celarsi l’operato di
Ottaviano se non di Cesare.
In un’iscrizione bilingue in fenicio e latino da Sulci/Sant’Antioco (CIL X 7513 = I2, 2225;
cat. n. 2.13) cronologicamente non lontana dalla Pro Scauro sono riportati i nomi punici Hi-
milco (“fratello della regina”) e Iddibal (“il mio signore è Baal”), mentre altri sono in epigrai
sarde di età imperiale rinvenute anche in zone non prossime alle coste; in tal senso si può
probabilmente interpretare la forma declinata Barecis, attestata a Valentia (presso l’odierna
Nuragus) come patronimico e da connettere probabilmente con Barec/Baric (“ha bene-
detto”: FLoris 2009, n. 4), mentre un’iscrizione rinvenuta nel territorio di Isili menziona
il patronimico Anno (= “(dio) lo ha dato”: AE 2009, 453) e a Ula Tirso è ricordato Usur-
bal, in cui si deve forse vedere una graia alternativa di Hasdrubal (“ha aiutato Baal”: AE
1998, 672). È recente inine la scoperta di un diploma militare di Posada del 102 d.C. (AE
2013, 650) in cui si trovano molti nomi personali. Tra questi spicca il celeberrimo Hannibal
(“ha favorito Baal”) che caratterizza il fante ausiliario beneiciario dei privilegi concessigli
dall’imperatore Traiano. Gli antroponimi di diversa origine (punica, forse epicoria, latina)
inclusi in questo documento forniscono una prova della mescolanza onomastica che do-
veva esistere tra i Sardi dell’epoca; va comunque tenuto presente che per alcuni studiosi
in Hannibal, più che l’inlusso della tradizione punica, potrebbe riconoscersi l’esito della
volontà di attribuire un nome appropriato ad una persona destinata a svolgere il mestiere
delle armi.
A Karales si registrano inoltre Salsula (FLoris 2005, n. 161) e il patronimico Silisonis (zuc-
ca 1996, pp. 1459-1460, n. 17; cat. n. 2.85), rimandanti entrambi ad una radice punica
signiicante “tre”; le due forme sarebbero quindi corrispondenti al diffuso cognomen latino
Tertius/-a. La seconda, in particolare, ricorre nell’onomastica di M. Ploti(us), Silisonis f(ilius),
Rufus, in cui si accompagna ai tria nomina tipicamente romani, determinando ancora una
volta una sequenza contraddistinta dalla commistione di sistemi onomastici diversi. A tale
209
Piergiorgio Floris
Iscrizione menzionante
[L(ucius) A]litenus, L(uci) f(ilius),
Quir(ina), L[---], da Cagliari.
proposito sembra inine degno di attenzione il nome del magistrato cittadino norense [.]
Aristius Rufus (AE 2006, 520). Secondo alcuni studiosi in regioni come la Sardegna o il
Nord Africa il gentilizio Aristius potrebbe infatti costituire l’adattamento al latino di nomi
punici come il già citato Aris, evidenziando un meccanismo di assimilazione culturale di-
verso e più marcato rispetto a quello precedentemente discusso in cui elementi latini si
giustappongono a quello originario.
Per il tramite dei Cartaginesi l’Africa trasmise alla Sardegna anche nomi personali libici. Il
più antico tra quelli conosciuti potrebbe essere Hampsicora/Hampsagoras. Tale antroponimo,
nonostante tentativi di considerarlo di origine greca, è stato dai più reputato punico. La
problematica è stata però convincentemente ripresa negli ultimi anni da Attilio Mastino,
il quale, piuttosto che sulla graia liviana Hampsicora (XXIII, 32, 10; 40, 3, 7, 8; 41, 3, 4, 6),
ha concentrato la sua attenzione su quella Hampsagoras utilizzata da Silio Italico (Pun. XII,
344-345); lo studioso, come già Ettore Pais, suggerendo l’esistenza di una relazione tra
Hampsagoras e l’idronimo numida Ampsaga, ha quindi ipotizzato che il famoso personaggio
sardo fosse il discendente di genti numide migrate nella Sardegna centro-occidentale du-
rante gli anni del dominio cartaginese (Mastino 2009, pp. 77-84).
In età imperiale la persistenza nell’Isola della tradizione onomastica libica è dimostrata da
antroponimi presenti nelle iscrizioni; a tale proposito si possono ad esempio considerare i
maschili Burce da Pirri (CIL X 7809) e Mustul(l)us da Sant’Antioco (Sotgiu 1961, n. 14), men-
tre si posseggono minori certezze per il femminile Musterida da Karales (FLoris 2005, n. 205)
e per Sadecis, patronimico del militare sardo Optatus, noto da un’iscrizione rinvenuta a Milev,
nell’odierna Algeria (AE 1929, 169), per i quali si possono prospettare anche altre soluzioni.
Quanto agli antroponimi di origine latina, si sa che nel corso del tempo il sistema di de-
nominazione cui essi appartengono conobbe rilevanti trasformazioni pertinenti il tipo e
la quantità delle componenti della sequenza onomastica con differenze relative al sesso e
alla condizione sociale. Nell’epoca qui in esame i suoi elementi più signiicativi erano il
gentilizio (o nomen) e il cognomen. Nella documentazione sarda i gentilizi analizzabili sono
circa 230. Se è vero che si tratta per lo più di casi singoli e che quelli per cui si conoscono
da una a cinque testimonianze costituiscono un po’ più dell’85% del totale, vi sono però an-
210
L’onomastica della Sardegna romana dalla conquista al III secolo d.C.
che nomina molto frequenti che in buona parte coincidono con quelli in genere più comuni
nel mondo romano. I più usuali in Sardegna sono, in ordine numericamente decrescente, i
diffusissimi Valerius e Iulius. Se le cause della divulgazione nell’Isola del primo sono meno
sicure, quelle del secondo sono certamente da ricondurre all’inluenza locale dei primi im-
peratori di Roma e per lo stesso motivo non sorprende il gran numero di occorrenze sar-
de di altri nomina imperiali; continuando con l’ordine decrescente si possono infatti citare
Claudius, Flavius, Aurelius ed Aelius. Dopo Valerius il gentilizio non imperiale più ricorrente è
invece Antonius, anch’esso di norma comunissimo, seguito a sua volta da Cornelius, Pompeius,
Licinius, appartenuti a importanti stirpi della nobilitas repubblicana e in generale assai fre-
quenti in tutto l’impero. Più densa di signiicati sembra essere, invece, la notevole quantità
degli Herennii isolani. Tale nomen, infatti, pur essendo divulgato ovunque, lo era certamente
meno di quelli sopra elencati. La rilevanza degli Herennii sardi appare ancora maggiore se
si considera che essi nell’Isola si incontrano prevalentemente a Karales e nel suo territorio.
La questione è stata affrontata nel 2007 da Franco Porrà, il quale, analizzando un’epigrafe
rinvenuta ad Elmas ma di probabile origine caralitana menzionante Herennia Helvidia, M. f.,
Aemiliana (CIL X 7828), donna legata alle famiglie senatorie degli Herennii forse originari
della Betica e degli Helvidii Prisci italici, ha ipotizzato che la diffusione nella capitale della
Sardegna romana dei gentilizi Herennius ed Helvidius, e in particolar modo del primo, possa
essere connessa con interessi sardi della famiglia della donna (Porrà 2007).
Anche altri nomina attestati nell’Isola possono essere messi in relazione con grandi famiglie
senatorie dei primi due secoli dell’età imperiale; a Karales questo è quanto si può ipotizzare,
ad esempio, per i Cassii, gli Atilii e i Rubellii originari di Tibur (Tivoli) e per i Vinii di Ami-
ternum (presso L’Aquila), il cui soggiorno in Sardegna fu determinato oltre che da probabili
attività economiche locali anche da motivi politici. È anche possibile osservare la peculiare
concentrazione di alcuni gentilizi in determinati centri o aree geograiche dell’Isola; gli An-
tonii, gli Herennii e i Licinii sono infatti documentati soprattutto a Karales e nella Sardegna
centro meridionale, i Claudii a Olbia, gli Allii a Turris Libisonis (Porto Torres), i Cornelii e i
Pompeii a Sulci e i Rutilii a Bosa.
211
Piergiorgio Floris
Utili informazioni si possono ricavare anche dai gentilizi rari o poco comuni; se legati
a specifiche aree geografiche, essi potrebbero infatti fornire l’indizio di flussi migratori
da queste ultime verso la Sardegna, spostamenti che però potrebbero anche precedere
di qualche generazione le attestazioni epigrafiche isolane. A questo proposito ci si può
soffermare sul panorama offerto da Karales; alcuni nomina presenti nelle iscrizioni della
capitale provinciale sembrano infatti rimandare all’Italia centro-meridionale; tra questi
si possono citare Blossius (FLoris 2005, n. 180b) e Patulcius (FLoris 2005, n. 225), che
fanno pensare a collegamenti con la Campania, mentre Albinovanus (FLoris 2005, n. 73;
cat. n. 2.40) e Insteius (FLoris 2005, n. 110b) sembrano riferibili ancora all’Italia meri-
dionale, forse alla Lucania. Quanto all’Italia centrale, al Latium potrebbero rimandare
Sutorius (FLoris 2005, nn. 193 = cat. n. 2.30, 194, 234) e Voluscius (FLoris 2005, n. 126),
all’Umbria Aleitenius/Alfitenus (FLoris 2005, n. 156; CIL X 7598) e Opsilius (FLoris
2005, n. 99), all’Etruria Apsena (FLoris 2005, n. 50). Altri ancora, come Pisidius (FLoris
2005, n. 185) e Trosius (FLoris 2005, n. 117), sono invece forse da mettere in relazione
con l’Italia settentrionale.
Merita inoltre una menzione il gentilizio Vaterius, un nomen abbastanza raro, che però pro-
prio a Karales e nel suo ager ricorre ben quattro volte (una ciascuna in FLoris 2005, nn. 80b e
188 da Karales e altre due in CIL X 7602 da Elmas), una quantità grosso modo equivalente
a quelle che si riscontrano rispettivamente a Roma e nel Nord Africa, con la particolarità
che nella capitale della Sardinia Vaterius appartiene anche ad esponenti dell’élite locale. Rive-
stono inine un certo interesse alcuni gentilizi infrequenti che possono essere considerati
neoformazioni costituite sulla base di nomi comuni, cognomina o del nome paterno. Alarius
contraddistingue un Caralitanus testimone di un diploma militare rinvenuto ad Anela (CIL
X 7891; cat. n. 2.72); è possibile che la forma derivi dal sostantivo ala tipico del lessico
militare e che quindi sia stata forse assunta dal suo portatore durante o in seguito al servi-
zio nell’esercito. Chrysius (FLoris 2005, n. 64) è invece creato da un nome personale greco
(Chrysós), mentre Tarullius, proprio di un soldato sardo della lotta di Miseno ricordato
in un’iscrizione trovata presso l’odierna Sorrento (CIL X 687), discende forse dal tracio
Tarula; come per Alarius la sua adozione da parte del marinaio potrebbe essere messa in re-
212
L’onomastica della Sardegna romana dalla conquista al III secolo d.C.
lazione con il servizio militare e la scelta potrebbe essere stata condizionata dall’ambiente
della lotta di Miseno, ove i soldati di origine tracia erano numerosi.
I cognomina e i nomi unici latini contenuti nelle epigrai romane di Sardegna sono circa
trecento. Rispetto ai dati forniti nel 1965 da Iiro Kajanto per tutto il mondo romano
(kajanto 1965) si osserva nell’Isola un’inversione di posizioni relativamente alle due ca-
tegorie principali. La prima in Sardegna, con un’ottantina di testimonianze, è infatti quella
degli antroponimi facenti riferimento a caratteristiche isiche (i più comuni sono Crescens
e derivati, Rufus) e dell’animo umano (ad es. Severus, Hilarus e derivati) con una leggera
preponderanza di questo secondo sottogruppo, mentre al secondo posto, con circa qua-
ranta casi, si collocano quelli formati da gentilizi (ad es. Iulianus, Valerianus). Seguono
quindi quelli che il Kajanto chiama «cognomina relating to circumstances», tra i quali sono
molto frequenti i cosiddetti “wish-names” (tra i più comuni Felix, Faustus, Fortunatus, Vic-
tor e rispettivi derivati). Anche altre categorie sono molto produttive, come quella degli
etnici indicanti la provenienza da determinate aree geograiche (ad es. Germanus, Gallus,
Caralitanus), mentre ve ne sono di meno rappresentate che però comprendono alcuni dei
cognomina più attestati nell’Isola (Saturninus e Silvanus tra i teofori, Proculus tra quelli creati
da praenomina, Ianuarius tra quelli legati al calendario, Primitivus, Secundus e Rogatus tra quelli
che fanno riferimento alla nascita, Urbanus e Ingenuus tra quelli che esprimono l’origine
sociale e geograica). Va comunque osservato che se i gentilizi consentono di valutare
l’importanza dell’apporto onomastico dalla Penisola Italiana e la capacità di penetrazione
del modello latino in Sardegna, i cognomina e i nomi unici possono tradire invece la per-
sistenza dell’inluenza del sostrato, per lo meno di quello punico e libico per individuare
il quale rispetto a quello indigeno vi sono maggiori strumenti. Per molti cognomina latini,
infatti, e in particolare per alcuni dei più diffusi è possibile ipotizzare che siano anche
traduzioni latine di antichi nomi punici e libici. A questo proposito tra i più frequenti si
potrebbero citare Crescens, Faustus, Felix, Fortunatus e Ianuarius. Con tale fenomeno potreb-
be inoltre combinarsi quello più dificile da individuare dei cosiddetti “Deckname”, vale a
dire di antroponimi latini che ne richiamano altri indigeni, punici o libici contraddistinti
da radici omofone.
I nomi personali di origine greca contenuti nella documentazione sarda sono poco meno
di 170; a fronte di questo notevole dato quantitativo va notato, però, che ben l’85% di essi
consta di un unico esempio, il che si riscontra invece solo nel 65% di cognomina e nomi unici
latini. Fondandosi sulla classiicazione approntata per i grecanici di Roma da Heikki Solin
(soLin 2003), si può affermare che nell’Isola la maggior parte di essi rientra nelle categorie
dei teofori (Hermes è uno dei più diffusi), dei nomi di personaggi o esseri mitologici (solo
Aegle è però testimoniato più di una volta) e di quelli legati a circostanze, tra cui ancora una
volta spiccano i “wish-names” (come Eutychus/-a e Docimus/-a). Se ne conoscono quindi di
appartenenti a molte altre categorie come Agathangelus, Diocles ed Hermogenes (nomi com-
posti), Alexander (nomi di personaggi storici), Callistus/-te (nomi denotanti caratteristiche
isiche e spirituali dell’essere umano), Helpis ed Heuresis (nomi indicanti concetti astratti),
Tecusa e Trophimus/-me (nomi facenti riferimento ad aspetti della vita familiare).
Nel patrimonio onomastico sardo si trovano inine una quindicina di elementi di deriva-
zione diversa rispetto a quelle sopra discusse. Spesso essi devono essere ricondotti al ruolo
rivestito dall’esercito romano nella diffusione di onomastica allogena; aquitani sono ad
esempio forse Orcoeta/Orgoeta e il patronimico declinato [B]ihonis, per l’appunto relativi ad
un soldato della coorte III di Aquitani attestato ad Ardara (AE 2004, 674); si pensa all’o-
rigine dalla Penisola Iberica per il nome personale di Ubasus, trombettiere di una coorte di
Lusitani (CIL X 7884: Austis), mentre potrebbe essere tracio Tabusus, patronimico di un
altro soldato della coorte di Aquitani ricordato in un’iscrizione conservata a Cagliari, ma da
attribuire probabilmente a Nostra Signora di Castro presso Oschiri (FLoris 2005, n. 231).
Per altre persone provviste di antroponimi di questo tipo le epigrai che li tramandano non
permettono di sapere se la loro presenza in Sardegna sia ugualmente legata all’esercito o se
dipenda da altri motivi. Si possono comunque menzionare Aino da Isili (AE 2009, 454) e il
genitivo Caturoni da Austis (sotgiu 1988, pp. 590, B52, 640, add. B52), i cui nomi personali
sembrano rimandare alla Penisola Iberica, il probabile celtico Vircunnis, noto da un’epigra-
fe sarda di cui non si conosce l’esatta provenienza (sotgiu 1961, n. 333) e Fatta da Karales
(FLoris 2005, n. 223), forse dalmatico o celtico.
213
Piergiorgio Floris
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214
Sulci (Sant’Antioco)
Francesca Cenerini
Quando fu pubblicato nel 1883 il X volume del Corpus Inscriptionum Latinarum, il patrimonio
epigraico sulcitano era costituito da sedici iscrizioni (CIL X 7513-7528, cat. nn. 2.13, 2.18),
in parte effettivamente viste da Iohannes Schmidt e in parte note dalla tradizione manoscrit-
ta, e da cinque frammenti (CIL X 7529-7532 e 7534). A questo patrimonio si aggiungeva
l’iscrizione tarda concernente il luogo di conservazione del corpo del beato Antioco, già rin-
venuta nella cripta della basilica di Sant’Antioco e ora conservata a Iglesias (CIL X 7533). Tra
le iscrizioni edite nel Corpus è già annoverata la famosa pietra cosiddetta bilingue, neopunico
e latino, che tanti motivi di contrasto aveva suscitato tra lo scopritore, lo Schmidt appunto,
che visitò Sant’Antioco il 9 aprile 1881 su incarico di Theodor Mommsen, e i funzionari loca-
li, nello speciico il R. Commissario Filippo Vivanet. La “regina delle iscrizioni” sulcitane era
stata trovata capovolta di ianco della porta d’ingresso nel cortile della casa Angius a Sant’An-
tioco, come risulta dalla corrispondenza fra lo stesso Schmidt e il Mommsen. A integrazione
del panorama dell’epigraia sulcitana al tempo dell’edizione del CIL, si possono aggiungere
le cinque iscrizioni (CIL X 7535-7539) pubblicate nella sezione Ora inter Sulcos et Tharros, tra
cui l’iscrizione del frontone del tempio di Antas, databile all’età di Caracalla (CIL X 7539).
Nel 1961 Giovanna Sotgiu ha edito Iscrizioni latine della Sardegna. Supplemento al Corpus Inscrip-
tionum Latinarum, X e all’Ephemeris Epigraphica, VIII. Nella rubrica S. Antioco (Sulci) sono
registrate 33 nuove iscrizioni rispetto all’edizione del Corpus, tra cui anche alcuni veri e propri
inediti. Parte di queste iscrizioni, che G. Sotgiu correttamente indica conservate al Museo
di Cagliari, recentemente sono state trasferite dai depositi del suddetto Museo e sono state
esposte nel nuovo allestimento del lapidario del Museo Archeologico di Sant’Antioco. Tali
iscrizioni sono state rese visibili al pubblico e sono fruibili anche ai non addetti ai lavori, in
quanto le didascalie forniscono la doppia traduzione dei loro testi latini in italiano e in inglese.
G. Sotgiu è anche l’editrice di altre iscrizioni inedite sulcitane, rinvenute sia in occasione
di scavi archeologici sia appartenenti a collezioni private. Tra le iscrizioni pubblicate da
G. Sotgiu e conservate oggi a Sant’Antioco va ricordata la dedica all’imperatore Adriano da
parte dei Sulcitani, rinvenuta nel 1897 in località Su Narboni, databile, sulla base della titola-
tura imperiale, al 118 d.C.; il frammento con la residua menzione dei [---]/ Sulci[tani], mutilo
su tre lati, tranne che nella parte inferiore, rinvenuto (in reimpiego?) nella necropoli romana
ubicata lungo la linea di costa marina; il titolo funerario degli Antonii, rinvenuto nell’antica via
di Sa Trinidadi, che comprende un carmen funerario che occupa le ultime due righe del testo:
pater hoc natis [---] / miser ecce su[m ---]; la targa di Gargilia Gemella, ricomposto da più frammenti,
già appartenente alla collezione privata Schiff.
La composizione della famiglia di Gargilia Gemella non è del tutto perspicua. I titolari del
sepolcro dovrebbero essere un personaggio maschile, il cui nome doveva essere inciso nella
parte superiore della pietra, oggi perduta, e Gargilia Gemella, di nascita libera, come si evince
dal suo patronimico, L.f., iglia di Lucio. Il rapporto tra i due contitolari dell’iscrizione funera-
ria è deinito dalle parole coniux e domina sua. I quattro personaggi che materialmente pongo-
no la dedica (fecerunt) ricordano la madre karissima, presumibilmente la stessa Gargilia Gemella.
Essi sono Felix, Senecio, Docimus e Quinta che dovrebbero avere come gentilizio Pompeius,
trascritto al plurale alla ine della seconda superstite linea di scrittura. Sono, evidentemente,
i igli di Gargilia Gemella, sia che la lettera L dell’inizio della linea 3 (non rilevata dalla Sotgiu,
in quanto il tratto verticale, a differenza di quello orizzontale, è molto poco marcato) vada
interpretata come l(iberi), igli appunto, oppure come abbreviazione del praenomen Lucius, da
intendersi comune ai tre igli maschi. Non è chiaro se la parola domina appartenga, per così
dire, al linguaggio degli affetti, già proprio dei poeti che descrivevano le loro pene d’amore,
oppure, come io riterrei più probabile e più compatibile con il lessico epigraico, abbia un
ben preciso valore giuridico, indicando un rapporto di servitù tra il marito e la moglie. Quin-
di, a livello di ipotesi, i dedicanti potrebbero essere igli soltanto della donna che, non va di-
215
Francesca Cenerini
menticato, è di nascita libera, nati da una precedente unione con un Pompeo. Attilio Mastino
ha convincentemente sostenuto l’ipotesi che Pompeo Magno o i suoi igli avessero concesso
ad alcuni abitanti di Sulci la cittadinanza romana a titolo individuale per premiarli per l’atteg-
giamento ilo-pompeiano durante la guerra civile vinta da Cesare, cosa che spiegherebbe la
durezza della punizione inlitta da Cesare ai Sulcitani. Sulci è, infatti, ricordata dall’anonimo
autore del Bellum Africanum (98, 2) come porto di rifornimento di uomini e di vettovaglie per
i Pompeiani che, nel 47 a.C., stavano organizzando la resistenza a Cesare in Africa. I ceti di-
rigenti ilo-pompeiani di Sulci accolgono la lotta di Lucio Nasidio, già incaricato da Pompeo
Magno del comando della lotta di Marsiglia, che in quel momento stava prevalentemente
operando sulle rotte del Mar Tirreno, come è attestato dalle fonti letterarie (Cicerone e Cassio
Dione). In effetti, la gens Pompeia è la più attestata a Sulci (dieci casi), seguiti dalla Cornelia (otto
casi) e dalla Iulia (sette casi).
Due iscrizioni che menzionano Pompeii sulcitani sono conservate nel locale Lapidario (oltre
ai Pompeii igli di Gargilia Gemella appena ricordata): la prima è l’iscrizione funeraria di Pompeia
Rhodine postale dal marito e dal iglio, di cui non è conservata l’onomastica completa causa la
frattura della pietra, in un periodo compreso tra il I e il II secolo d.C. e rinvenuta nel riem-
pimento del fossato punico nell’area della necropoli di Is Pirixeddus. Con ogni probabilità
il marito ha un simplex nomen, integrato dall’Editore (sotgiu 1995, n. 6; AE 1997, 744) con
[Hy]ginus, ma preceduto dal gentilizio. Io penso, invece, che l’impaginato dell’iscrizione che
ha previsto in alto al centro l’incisione delle parole Diis Manibus, che occupano, disposte su
due linee di scrittura, il vertice triangolare della pietra non consente, sulla sinistra, spazio
suficiente per l’inserimento dell’eventuale nomen dell’uomo, che, quindi, potrebbe essere di
condizione servile o peregrina. Il iglio, al contrario, può essere libero o, preferibilmente,
liberto (zucca 2003, n. 49 propone la lettura a l. 5 in. [---] L(uci) l(ibertus) Isius), in quanto ci
dovrebbe essere spazio per due elementi onomastici, nomen e cognomen. Entrambi i cognomina
ricostruibili, Rhodine e Hyginus, sono di cosiddetta derivazione grecanica, senza che questo,
per altro, attesti con certezza una provenienza orientale di chi li portava.
Nella seconda iscrizione (sotgiu 1975, n. 3 = AE 1975, 463) si legge che L. Pompeius Pelagia-
nus dedica il sepolcro alla mamma pientissima Fabia Nice. Il termine latino mamma è un sinonimo
del maggiormente attestato mater ed è già presente nell’epigraia funeraria sarda nella cosid-
detta “Grotta delle Vipere” di Cagliari, dove Atilia Pomptilla è deinita mamma optima (CIL X
7564). Claudia Pompeia compare come dedicante in un’iscrizione posta al marito L. Remmius
Exuper[---] (sotgiu 1973, n. 3 = AE 1974, 354; zucca 2003, n. 50) facente parte della col-
lezione privata Arturo Giacomina; L. Pompeius Marcianus è il iglio di Avionia Restituta: la sua
pietra (una lastra funeraria ricomposta parzialmente da dieci frammenti, già appartenuta alla
collezione Schiff e conservata nel Museo di Cagliari) racconta che è morto a 23 anni e sei
mesi (sotgiu 1961, n. 13; zucca 2003, n. 48); Pompeius Mustulus Pontianus pone l’epigrafe se-
polcrale al frater bene merenti P. Pompeius Dativus (sotgiu 1961, n. 14; zucca 2003, n. 47), che è
conservata nella collezione privata Biggio.
Cesare, dopo avere sconitto i seguaci di Pompeo a Thapsus, nel 46 a.C. sbarca a Karalis e im-
pone ai Sulcitani una multa di dieci milioni di sesterzi e l’aumento a un ottavo della decima dei
prodotti del suolo, per punire la città del suo appoggio a Pompeo. Sulci, peraltro, non dovette
soffrire a lungo per queste restrizioni volute da Cesare, se Strabone (5, 2, 7) attesta che Karalis
e Sulci sono alla sua epoca le più importanti e iorenti città della Sardegna. Evidentemente
Cesare deve avere preso anche dei provvedimenti favorevoli alle parti sulcitane che lo avevano
appoggiato e che, in tal modo, hanno potuto raggiungere una posizione di preminenza politica
ed economica all’interno della città e che si debbono essere adoperati per fare ripartire l’eco-
nomia dell’Isola, la cui stagnazione non giovava a nessuno. L’interesse per l’area mineraria del
Sulcis Iglesiente è ben attestata anche per il successore di Cesare, l’imperatore Augusto.
Nel Museo di Sant’Antioco è conservato, proveniente dai depositi del Museo di Cagliari, il
calco della targa commemorativa della restitutio del templum Isis et Serapis, rinvenuta nel 1819,
il cui originale è conservato nel Museo di Oslo (CIL X 7514; zucca 2003, n. 2). Il liberto
M. Porcius Primigenius, nella sua veste di magister Larum Augustorum, ristruttura integralmente
il tempio di Iside e Serapide di Sulci, cum signis et ornamenta et area. Sull’ubicazione di questo
tempio gli archeologi non sono concordi. Alberto Ferrero della Marmora ne aveva identiica-
to ipoteticamente i resti a sud del porto, nella zona dove era stato successivamente ediicato
il Castello di Castro, all’ingresso dell’Isola di Sant’Antioco, congiunta alla terraferma da un
216
Sulci (Sant’Antioco)
ponte. Si tratta di una zona di approdo che ben si adatterebbe al culto delle due divinità egizie,
oggetto di devozione cosmopolita. L’occasione del restauro del tempio menzionato in questa
iscrizione si presta a plurime interpretazioni. In prima battuta si potrebbe pensare che fosse
dovuta ob honor(em), cioè per la designazione (designatorum) dei suoi due igli M. Porcius Felix e
M. Porcius Impetratus al quattuorvirato a(edilicia) p(otestate), come è effettivamente attestato dalla
pietra. Secondo un’altra interpretazione, invece, l’abbreviazione F di linea 4 non va integrata
in f(iliorum), bensì in f(ratrum): M. Porcio Primigenio, quindi, sarebbe il liberto che realizza
l’opera in occasione dell’edilità dei due fratelli suoi patroni. Secondo una terza interpretazio-
ne, invece, M. Porcius Felix è il padre di M. Porcius Impetratus, e quindi padre e iglio (la F va
pertanto sciolta in ilii) sono stati designati al quatturovirato aedilicia potestate, in occasione del
quale il liberto M. Porcio Primigenio ristruttura il tempio di Iside e Serapide di Sulci.
Nel Museo di Sant’Antioco è ora esposta la parte conservata di un’iscrizione, già edita in CIL
X 7517, di un governatore della Sardegna di età severiana, probabilmente negli anni 208/209
d.C., M. Domitius M.f. Tertius, che potrebbe essere proprio di origine sulcitana. Il governatore
è, infatti, noto da cinque iscrizioni sarde, di cui due rinvenute a Sant’Antioco (la già citata CIL
X 7517 e AE 1974, 353a = zucca 2003, n. 11). La terza è un miliario rinvenuto in prossimità
di Macomer (CIL X 8025), che attesta la restitutio della via a Turre: si tratterebbe del milia-
rio di San Pantaleo con il 56° miglio da Turris. La quarta documenta il restauro delle terme
Ruianae di Cagliari (sotgiu 1961, n. 158). La quinta, rinvenuta a Nora (AE 1971, 123 = AE
1974, 359), di cui si conserva soltanto un piccolo frammento, ha consentito di ascrivere con
certezza questo governatore alla tribù Quirina, che è quella di Sulci.
Sulla base del confronto tra questi testi è possibile proporre la ricostruzione del cursus del
governatore, così come appare da questo frammento di Sant’Antioco, rinvenuto nella parte
meridionale dell’area monumentale di Su Narboni, in parte coincidente con il foro della cit-
tà romana di Sulci, come attestano gli scavi archeologici: M. Do[mitio M(arci) f(ilio) Quiri]/na
(tribu) Terti[o, proc(uratori) Aug(ustorum trium)],/ [p]raef(ecto) pr[ov(inciae) Sard(iniae), proc(uratori)]
/ [p]rov(inciae) My[siae Sup(eriori)s, proc(uratori)] / [pr]ov(inciae) Cyr[enarum], / [pr]aepo[s(ito)
vexil(lationum) ex] / [S]yria, t[rib(uno) cohor(tis)] / [II]I Aug(ustae) T[hracum] / [trib(uno)] m(ilitum)
leg(ionis) [---], / ---. Sono elencate le tres militiae equestri, la prefettura di corte per noi perduta
causa la frattura della pietra, il tribunato di legione, il tribunato di coorte miliaria, il comando
di vessillazioni, la procuratela della provincia Cyrenarum, quella della Misia Superiore e, inine,
il governo della Sardegna, con il titolo di procurator et praefectus, di rango ducenario. L’ipote-
si dell’origine sarda del governatore può verosimilmente suscitare perplessità, soprattutto
perché la nomina sarebbe avvenuta in deroga a disposizioni imperiali più antiche, che non
vedevano di buon occhio l’origine del governatore dai luoghi di governo (cfr., ad es., Dio 72,
31, 1). La risposta potrebbe essere ricercata nel fatto che Settimio Severo potesse avere avuto
bisogno di un governatore di origine locale, che conoscesse bene la zona, per mettere a frut-
to un programma di sfruttamento più razionale delle risorse minerarie del Sulcis Iglesiente,
come è testimoniato dalla presenza di interessi imperiali in questa stessa area. Sono rientrati
da Cagliari e sono presenti a Sant’Antioco anche il frammento di un iscrizione funeraria
menzionante un’Alia che fecit coiugi bene merenti (sotgiu 1961, n. 9; zucca 2003, n. 23) e un
altro frammento relativo ai pondera del macellum (?) (sotgiu 1961, n. 19; zucca 2003, n. 20).
Due iscrizioni di carattere monumentale sono conservate nel Museo di Sant’Antioco. La pri-
ma è la già citata bilingue. Si tratta di una base di statua in dolomia, calcare durissimo e molto
dificile da lavorare, il cosiddetto “marmo di Maladroxia”, con tracce evidenti di inissione
dei piedi della statua stessa sul lato superiore (64 x 80 x 63) (CIL X 7513; Zucca 2003, n. 1,
cat. n. 2.13). Sulla faccia anteriore sono state tracciate in tempi diversi due iscrizioni, una in
punico, l’altra in latino, con testo simile, ma non identico. Non si tratta, cioè, di una sempli-
ce traduzione. La prima, collocata al centro, è su quattro righe in caratteri neopunici. Nello
spazio sovrastante è stata tracciata successivamente un’iscrizione in caratteri latini, che è un
adattamento del testo punico alle istituzioni romane. In entrambi i testi, l’autore della dedica
è Imilcone che offre una statua al padre omonimo. Quest’ultimo aveva precedentemente
curato, su incarico delle autorità locali, la costruzione di un tempio che, dalla dedica in lingua
punica, appare intitolato alla dea vicino-orientale Elat, paredra di El, il dio per antonomasia.
Il testo latino, ascrivibile all’età cesariana-augustea, dà un’interpretazione romana (ex senatus
consulto) a realtà puniche, istituzionali e culturali, diverse. Infatti, nel testo punico si parla dei
“migliori di Sulkì”, ove il locativo richiama chiaramente l’istituzione locale della punica Sulkì.
217
Francesca Cenerini
Iscrizione di Lucius Valerius Potitus, Questa pietra documenta un avanzato processo di romanizzazione della città che, nel giro di
lamen e pontifex a Sulci nel corso poco tempo, sfocerà nella concessione dello statuto di municipio romano. Tale concessione
del II secolo. d.C. si può ascrivere o all’età augustea, oppure all’età di Claudio.
Museo Archeologico comunale L’altra iscrizione monumentale ospitata nel Museo è quella tracciata sulla faccia inferiore di
“F. Barreca” di Sant’Antioco. una soglia che, viste le dimensioni di un metro e 16 centimetri di larghezza (116 x 47 x 29),
doveva appartenere a un ediicio pubblico sulcitano di età punica. Questa iscrizione, rinve-
nuta negli anni Novanta del secolo scorso durante alcuni lavori stradali nella zona centrale
dell’abitato di Sant’Antioco (AE 1996, 813; zucca 2003, n. 18), è stata donata al Museo dal
sig. Paolo Mocci. Il fatto che si tratti di un’iscrizione tracciata su di un blocco di reimpiego
è comprovato dalla leggera concavità della faccia su cui è inciso il testo, nonché dalla imper-
fetta lavorazione della facce del blocco, corrispondenti ai limiti laterali dell’iscrizione stessa.
Il titolare dell’iscrizione, L. Valerius Potitus, non dovrebbe essere cittadino di Sulci, in quanto
è iscritto alla tribù Ufentina e non alla Quirina, ma Attilio Mastino (Mastino 1997) non ne
esclude un’origo sulcitana per la presenza a Sulci del gentilizio Valerius. Valerio Potito è lamen
del culto imperiale e ponteice nel capoluogo sulcitano e ricopre altri incarichi di carattere
religioso nel corso del II secolo d.C. (pontifex e curator sacrorum). Problematica appare in que-
sto testo la menzione della quinquennalitas, vale a dire una funzione rivestita ogni cinque anni,
che può essere riferita sia alla sfera del sacro, sia alla più alta carica civica, in questo caso il
quattuorvirato quinquennale di Sulci.
Altre due iscrizioni di carattere sacro sono conservate nel locale museo: un frammento di
marmo mutilo su tutti i lati, rinvenuto durante i lavori di restauro del pavimento della chiesa
parrocchiale, che forse menziona gli dei Apollo e Asclepio (22 x 19 x 4) (AE 1971, 130;
zucca 2003, n. 3); una placchetta di avorio rinvenuta nell’estate 2010 nell’area sacra del co-
siddetto Cronicario di Sant’Antioco, il cui scavo è in corso da alcuni anni. Tale placchetta, in
un avorio che tende allo sfaldamento, è stata ritagliata già in antico da un oggetto di maggiori
dimensioni e misura attualmente 3,3 cm in larghezza, 2,5 cm in altezza, per uno spessore di
0,5 cm. In un momento successivo alla redazione dell’iscrizione è stata praticata al centro del-
la placchetta stessa una fessurazione (per un ipotizzabile reimpiego dell’oggetto in materiale
prezioso) che misura 1,5 cm di larghezza per 0,7 cm di altezza. Tale intervento ha intaccato
l’integrità della scrittura. Propongo la seguente integrazione delle due righe della scrittura
latina: [---]rubalis f(ilius) / [--- ex vot]o (?) pos[uit]. Inoltre, nell’angolo in basso a destra della
placchetta sembrerebbero essere superstiti due righe di scrittura che potrebbero che essere
interpretate come iscrizione neopunica: sulla base delle due lettere superstiti nella seconda
linea di scrittura, verosimilmente lamed e shin, è possibile ipotizzare che si tratti di una dedica
alla divinità fenicia Shadrapa, la cui presenza nel luogo di culto sulcitano è verosimile, dato che
nello stesso santuario è acclarata la presenza del rito dell’incubazione, caratteristico del culto
di Eshmun, già attestato a Bitia e a Nora e attribuito da Aristotele (Phys., IV, 11, 23-25) alle po-
218
Sulci (Sant’Antioco)
polazioni locali. La placchetta potrebbe essere quindi interpretata come una bilingue, il cui te-
sto latino riporta la menzione di un ex voto posto da un iglio di Asdrubale, la cui onomastica
completa non ci è pervenuta a causa della frattura dell’avorio, e il cui testo punico ci potrebbe
informare che la divinità oggetto della dedica è Shadrapa. Lo stato frammentario dell’oggetto
non ci consente di andare oltre al suo inquadramento nella tipologia dei donari su materiale
prezioso attestati nel mondo punico, ad esempio nel santuario di Tas-Silg di Malta dedicato
ad Astarte. L’iscrizione si data all’età tardorepubblicana, sia su basi archeologiche, sia anche
perché dalla prima età imperiale sembra cessare in Sardegna l’uso delle deposizioni di ex voto
a favore di quella di una moneta (obolo).
Le restanti iscrizioni attualmente ospitate nel Lapidario di Sant’Antioco sono tutte di caratte-
re funerario. Va segnalata una recente e importante acquisizione in seguito al sequestro di una
collezione privata da parte del reparto operativo dei Carabinieri tutela patrimonio culturale
di Roma, a seguito di un’indagine coordinata da Roberto Lai. L’iscrizione è stata rinvenuta in
un’area di necropoli, e precisamente nell’angolo settentrionale del recinto dell’attuale campo
sportivo, in prossimità della massicciata della vecchia linea ferroviaria, tra l’attuale Lungomare
Vespucci e la via Nazionale. Nelle immediate adiacenze era stata rinvenuta nel corso degli
anni Sessanta del secolo scorso un’altra iscrizione che, appartenuta alla collezione privata di
don Salvatore Armeni, già parroco di Sant’Antioco, e pubblicata da G. Sotgiu (sotgiu 1969,
n. 78 = AE 1971, 129), si trova ora esposta al pubblico nel piccolo museo dedicato alla col-
lezione Armeni, inaugurato nella Torre di Calasetta il 22 agosto 2008. Dato che queste due
iscrizioni menzionano entrambe servi della casa imperiale, si può avanzare l’ipotesi che in
questa parte della necropoli di Sant’Antioco vi fosse un luogo di sepoltura comune del per-
sonale addetto all’amministrazione delle proprietà imperiali del Sulcis Iglesiente. L’iscrizione
è stata incisa su di una lastrina molto semplice, in marmo, con ogni probabilità di recupero,
stante la sgusciatura posteriore del lato sinistro, priva di qualsiasi elemento di decorazione:
Axiocho / Ner(onis) Claudi / ser(vo) reg(ionario) Primiginia / contub(ernalis) et Axius f(ilius) / bene
merenti. La compagna Primiginia e il iglio Axius pongono la lapide funeraria ad Axiochus, servus
regionarius di Nerone Claudio, cioè di Nerone, futuro imperatore, che assume il nome di Nero
Claudius Drusus Germanicus Caesar dopo che la sua adozione da parte dell’imperatore Claudio
viene formalizzata nel 50 d.C. Nerone conserva questo nome ino al 54 d.C., anno in cui
diventa imperatore, assumendo la titolatura propria del suo nuovo rango.
Anche l’imperatore Claudio aveva possedimenti lungo la fascia costiera tra Sant’Antioco e
Gonnesa, come è attestato dalla presenza di iscrizioni relative a suoi schiavi e liberti personali.
La prima di queste è l’iscrizione sopra ricordata, rinvenuta nello stesso contesto di quella di
Axiochus e conluita nella collezione Armeni. La sua editrice, G. Sotgiu (sotgiu 1969, n. 78),
la ha interpretata come segnacolo funerario posto a Lyde, schiava di Claudio, denominato Ti-
berius Germanicus, non ancora imperatore, vissuta vent’anni, da parte del conservos Secundio. L’at-
tribuzione della Sotgiu è stata contestata dagli estensori della scheda dell’Année Epigraphique
(AE 1971, 129) che ritengono che questo Tiberio Germanico sia da identiicare invece con
Tiberio Gemello, iglio di Druso Minore, il iglio di Tiberio. La Sotgiu ha comunque ribadito
la sua attribuzione che è stata accolta in pubblicazioni successive (ad esempio in Zucca 2003,
n. 57). La seconda attestazione di schiavi di Claudio è quella relativa a Nisus Ti(beri) Claudi
Caesaris Aug(usti) German(ici servus) (CIL X 7536) posta dalla sua contubernalis Claudia Aug(usti)
lib(erta) Proposis, rinvenuta in località Su Perdadu presso Gonnesa nel settore settentrionale del
territorio sulcitano. Come si può vedere, si tratta di esempi socialmente del tutto omogenei,
cioè di uomini o donne servi imperiali, la cui memoria funebre è posta dal compagno/a di
vita, qualiicato contubernalis o conservus, letteralmente compagno di servitù. È quindi evidente
che Claudio aveva dei possedimenti nel Sulcis Iglesiente, con ogni probabilità miniere, che
faceva amministrare dai suoi schiavi e liberti.
Statue di Tiberio, Claudio e Druso Minore (il iglio di Tiberio) sono state rinvenute durante
gli scavi nell’area del cosiddetto Cronicario, nella zona del foro, pertinenti all’Augusteo di Sulci
(zucca 2003, n. 5), e a Claudio in particolare sono state poste da eminenti cittadini sulcitani
alcune dediche, tra cui quella relativa all’inaugurazione di un horologium da parte di L. Aemilius
Saturninus, databile al 48 d.C. sulla base della titolatura imperiale (CIL X 7515 + Sotgiu 1961,
n. 35). Il monumentale epistilio è stato rinvenuto in tre grandi frammenti, reimpiegati in due
diverse località, Sa Barra, nella laguna antistante Sant’Antioco, nei ruderi dell’ipotetica chiesa
di Santa Isandra, e il ponte presso Santa Caterina, all’ingresso dell’isola. Il primo frammento è
219
Francesca Cenerini
220
Sulci (Sant’Antioco)
disperso, mentre gli altri due sono conservati al Museo Archeologico di Cagliari (zucca 2003,
n. 4). Non conosciamo la natura giuridica delle proprietà amministrate da Axioco: potevano
essere proprietà personali di Nerone ereditate dal padre naturale Cn. Domizio Enobarbo
oppure proprietà imperiali, forse denominate regiones in riferimento alle principali città dei
territori dove si estendevano le proprietà imperiali. In tal caso, Axioco sarebbe uno schiavo
addetto all’uficio amministrativo di una delle regiones della Sardinia, molto probabilmente
quella sulcitana che incorporava anche il bacino minerario di Antas. Da questa area proven-
gono anche tegole e mattoni con il bollo (ex) ig(linis) Aug(usti).
Tra le altre iscrizioni funerarie conservate nel Museo di Sant’Antioco c’è una lastrina di forma
irregolare, cui è stata adattata in seguito l’iscrizione (sotgiu 1961, n. 8; zucca 2003, n. 22;
cenerini 2007, pp. 114-115). Rinvenuta nell’area della necropoli punica di Is Pirixeddus, è
databile al II-III secolo d.C. Si tratta del segnacolo funerario della piccola Aemilia Urbana,
morta a cinque anni e sedici giorni, che viene ricordata dalla madre con inconsolabile rim-
pianto. Questo testo, sia pure molto povero, presenta un grande interesse proprio per il suo
insistito adeguamento ai canoni dell’epigraia sepolcrale latina classica, cui evidentemente il
committente di questa iscrizione sepolcrale si voleva adeguare. L’adprecatio agli Dei Mani pare
inserita in un secondo momento, si va a capo quando non c’è più spazio, spezzando le parole
(es.: qu/inque), i dittonghi femminili del dativo mancano o hanno una forma in ai; alle ll.5/6 la
parola incomparavit è stata sciolta anche in incomparav(ilis) (e)t infelicissime. Va però notato che su
questa pietra non c’è nessuna abbreviazione e forse il lapicida, non troppo esperto di latino,
ha fatto confusione con una forma verbale e ha veramente scritto, sbagliando l’interpreta-
zione di quello che doveva scrivere, incomparavit, anche se questa parola non signiica nulla.
Un’altra iscrizione funeraria è stata trovata in frammenti nel corso degli anni Sessanta del
secolo scorso nell’area della necropoli romana (AE 1975, 464; zucca 2003, n. 58). Anche
questa si data, su basi paleograiche, tra il II e il III secolo d.C., sia pure con una scrittura
che presenta caratteristiche più legate a un’oficina lapidaria. Il piccolo monumento ricorda
Phoebe (il nomen era riportato nella parte sinistra della lastrina marmorea, oggi mancante) ed
è posto da una persona, la cui onomastica completa è dificilmente ricostruibile, come il
preciso rapporto tra le due. L’iscrizione dovrebbe essere posta da una Gorge, il cui gentilizio
è perduto, alla patrona e madre (secondo l’interpretazione di G. Sotgiu – sotgiu 1975, n. 4
–, prima editrice di questo documento) [be]ne mer<en>ti, anche se, già dall’antichità, a questa
parola mancano una e e una n. L’iscrizione può essere stata posta da una liberta e alumna
(cfr. zucca 2003, n. 58). Sullo specchio epigraico sono ancora visibili le tracce dell’ordinatio
orizzontale e la scrittura della sigla f(ecit) s(ibi) p(osteris)q(ue), composta in quadrato, ha una
funzione decorativa.
Anche la lastrina marmorea degli Arruntii, databile tra la ine del I e l’inizio del II secolo d.C.,
è venuta in luce nell’area della necropoli di Is Pirixeddus (sotgiu 1975, n. 2; AE 1975, 462;
zucca 2003, n. 25). Si tratta dell’iscrizione sepolcrale che L. Arruntius Teres fece per suo i-
glio M. Arruntius Rogatus e per Arruntius Gallus, altro membro della famiglia, sia pure privo di
praenomen, forse un liberto, a meno che la lettera F incisa alla ine della quarta linea di scrittu-
ra, comunemente interpretata come abbreviazione del verbo f(ecit), riferito all’azione di Ar-
runtius Teres, non vada integrata invece come f(ilio). In tal modo Arruntius Rogatus e Arruntius
Gallus sarebbero due fratelli o fratellastri. Va notato che in questa iscrizione il lapicida ha
“saltato” tra la G e la A del cognomen Gallo (linea 4) un foro praticato precedentemente sulla
lastra. Infatti la lastrina appare di evidente reimpiego (altra importante caratteristica dell’e-
pigraia latina di Sulci, che riutilizza spesso, per quanto è dato di vedere, parti di monumenti
di età punica). In particolare, si tratta di una precedente base di statuetta, analoga a quelle di
età punica rinvenute nel tempio di Antas, il cui piano di appoggio ribassato è visibile sull’at-
tuale retro, mentre il foro all’origine era utilizzato per fare passare un perno che issava la
statuetta alla sua base. A livello di osservazione generale, si può dire che, in documentati casi
analoghi, la pietra veniva stuccata, e poi incisa o ripassata con il colore. Il lapicida sulcitano,
evidentemente, ha preferito eliminare il problema alla radice, saltando l’ostacolo, ulteriore
segno, a mio parere, di una non perfetta comprensione del testo da incidere.
Sempre dalla stessa area cimiteriale proviene un’altra lastrina di marmo, decorata ai quattro
angoli da hedaerae distinguentes, databile su basi paleograiche al III secolo d.C. (sotgiu 1975,
n. 1; AE 1975, 461). L’iscrizione ricorda il sepolcro familiare che i igli L. Cornelius Felix, L.
Cornelius Annalis e Cornelia Peregrina fecero per il padre L. Cornelius Annalis, per se stessi e per i
221
Francesca Cenerini
loro discendenti. Come ampiamente in uso nell’epoca, il testo anagraico dell’iscrizione è ac-
compagnato da un carme epigraico, scritto in caratteri minori, composto da distici elegiaci,
con echi ovidiani (cugusi 2003, n. 2). Tale poesia, accanto ai consueti motivi del compianto
funebre, allude al fatto che il defunto aveva ricoperto la massima magistratura sulcitana e
che era deceduto nel corso dell’ottavo mese durante l’esercizio delle sue funzioni. Numero-
si sono infatti i riferimenti alla magistratura stessa: la (toga) praetexta, la purpura e le secures.
Che i Cornelii fossero una gens di alto lignaggio a Sulci è comprovato dal fatto che altri espo-
nenti della stessa famiglia hanno rivestito pubbliche funzioni in città. Ricordo ad esempio
L. Cornelius Marcellus, della tribù Quirina, patrono municipale, il cui cursus comprendeva sia
cariche magistratuali e religiose municipali (CIL X 7518; zucca 2003, n. 13, cat. 2.10), sia
un incarico provinciale, cioè l’esercizio del sacerdozio della provincia, probabilmente in età
adrianea. L’epigrafe viene posta dai Sulcitani per espressa volontà testamentaria dello stesso
Marcello, che è ricordato come padre di L. Cornelio Lauro, con la chiara volontà di valoriz-
zare questa famiglia, evidentemente mecenate nei confronti della comunità, all’interno della
rappresentazione sulla scena politica delle principali gentes sulcitane.
Da ultimo, anche un recente rinvenimento epigraico di Sant’Antioco è ospitato nel Museo,
su gentile concessione della sig.ra Susanna Mura. Si tratta di un’iscrizione funebre in calcare
giallastro, databile alla piena età imperiale, rinvenuta nella primavera del 2003 probabilmente
in una necropoli prediale, pertinente a una villa rustica ubicata in prossimità di Cala Sapone,
lungo la costa sud-occidentale dell’Isola di Sant’Antioco. Probabilmente la pietra ricorda un
liberto, la cui onomastica è perduta, e una donna di cui rimane il solo cognomen Repar(ata).
L’insenatura a sud della cosiddetta Cala Sapone, la più vicina al luogo della villa rustica, porta
il signiicativo toponimo di Portu ‘e su trigu (Porto del grano). Si tratta, come si può ben
vedere, di una denominazione piuttosto diffusa lungo le coste della Sardegna, che altro non
indica che il luogo dove la memoria storica della collettività colloca l’imbarco stagionale del
prodotto cerealicolo locale.
Per completare questa rassegna sull’epigraia di Sulci, un breve cenno deve essere fatto alle
iscrizioni non conservate in Museo oppure quelle note dalla sola tradizione: tra queste ultime
si segnala quella commemorativa dell’intervento del proconsul C. Asinius Tucurianus relativa
alla lastricatura di una platea probabilmente in età traianea (CIL X 7516; zucca 2003, n. 8); la
dedica al patronus municipii T. Flavius T.f. Septiminus, ascritto alla tribù Quirina, quattuorvir i.d.,
lamen Augustalis e pontifex sacrorum, equo publico exornatus (CIL X 7519; zucca 2003, n. 14).
Nella catacomba di Sant’Antioco, sottostante la basilica intitolata al protomartire sulcitano
è conservata l’iscrizione in onore del patronus C. Caelius Magnus, ascritto alla tribù Quirina,
decurione e sacerdote cittadino, databile all’inizio del III secolo d.C. (sotgiu 1961, n. 3;
zucca 2003, n. 12). La presenza di un signum (Sidonii), inciso sulla parte superiore della stele,
sopra la corniciatura e all’interno di una tabula ansata, potrebbe derivare dalla devozione del
defunto per il dio punico Sid Addir, interpretato come Sardus Pater, oppure con i desiderio di
richiamare le origini della famiglia del defunto, visto che il termine Sidonii era usato dai Greci
e dai Romani per indicare il popolo fenicio.
Alcune iscrizioni di Sant’Antioco sono conservate nel Museo di Cagliari: tra queste l’iscrizio-
ne funeraria di Sex. Avienus Callicles e di Aviena Philumena (CIL X 7521; zucca 2003, n. 20);
quella di Flavius Polycarpus postagli dalla moglie Valeria Quadratilla (CIL X 7523; zucca 2003,
n. 38); la dedica a Sex. Iulius Sex. f., ascritto alla tribù Voltinia, fatta da Licinia Urbana (CIL
X 7524; zucca 2003, n. 42). Va segnalato che alcune iscrizioni note da CIL (X, 7520, 7525,
7526, 8320) sono a tutt’oggi disperse.
Un certo numero di epigrai sulcitane è conservato in collezioni private: tra queste si segna-
lano, nella collezione Biggio: la dedica a un personaggio anonimo, ob merita sua, da parte delle
universae tribus di Neapolis (?) e dei Beronicenses (sotgiu 1961, n. 4; zucca 2003, n. 15). Recen-
temente è stata proposta l’integrazione della parte iniziale della prima linea di scrittura super-
stite con una funzione che l’onorato potrebbe avere esercitato, vale a dire quella di curator rei
publicae civitatis Neapolitanorum. Non era infrequente, infatti, che i curatores rei publicae fossero
cittadini di comunità limitrofe a quella in cui esercitavano la curatela e, a partire dalla ine del
II secolo d.C., potevano essere anche di rango municipale. Il personaggio onorato poteva,
infatti, essere di origine sulcitana, sulla base del rinvenimento della dedica in suo onore. La
dedica poteva essere stata posta da parte delle universae tribus (vale a dire le circoscrizioni elet-
torali) di una città (Neapolis o Sulci) e da parte dei Beronicenses, populus o collegium, per i meriti
222
Sulci (Sant’Antioco)
riportati nella curatela (?) della splendidissima civitas Neapolitanorum. Un’altra ipotesi propone,
invece, che Beronicenses siano degli incolae arrivati dalla città libica di Berenice, odierna Bengasi,
dopo la repressione della rivolta giudaica in età adrianea.
Appartengono alla collezione Biggio anche il frammento di un’iscrizione relativa a horrea sul-
citani (sotgiu 1961, n. 6; zucca 2003, n. 19); l’epitafio di P. Docetius Tert(i) ilius Ligus, ascritto
alla tribù Tromentina (sotgiu 1961, n. 18; AE 1988, 654; zucca 2003, n. 32); il trapezoforo
marmoreo, reimpiegato come segnacolo sepolcrale di Germanus, mancante dell’angolo an-
teriore sinistro, la cui collocazione funeraria viene enfatizzata dalla scrittura della littera nigra
theta apposta sul lato superiore del supporto, non rilevata nella precedente bibliograia; la già
ricordata basetta marmorea integra su tutti i lati, reimpiegata come attesta la lavorazione sul
retro e rinvenuta nella necropoli ipogea punica e romana di Sant’Antioco (sotgiu 1961, n. 14;
zucca 2003, n. 47) che ricorda P. Pompeius Dativus e che gli è stata posta dal fratello Pompeius
Mustulus Pontian(us); l’iscrizione sepolcrale di T. Fulcinius Ingeniosus, natione Sicositanus, “natio” la
cui identiicazione non è ancora certa (zucca 2003, n. 34); l’iscrizione e il carmen funerario di
Q. Fabius Montanus, che visse sette anni (AE 1997, 741; zucca 2003, n. 35).
Appartengono alla collezione Arturo Giacomina l’iscrizione funeraria che il padre pose a Da-
nicia Consulta, vissuta undici anni e un mese (sotgiu 1973, n. 5; AE 1974, 356; zucca 2003,
n. 31); quella di Licinia Galla postale dai igli (sotgiu 1973, n. 6; AE 1974, 357; zucca 2003,
n. 44); quella di M. Valerius Rufus e di Iulia Kara posta loro dal iglio e marito C. Clodius Gallus
(sotgiu 1973, n. 7; AE 1974, 357; zucca 2003, n. 54); quella di Lucilla, Caesarum nostrorum
serva, postale dal coniux Fructus, Caesarum nostrorum servus (sotgiu 1973, n. 4; AE 1974, 355;
zucca 2003, n. 56).
A Sant’Antioco sono presenti altre collezioni private e non sono noti i luoghi di conservazio-
ne di altre iscrizioni, in particolare quella sepolcrale del bambino Cornelio Emiliano, di forma
particolare (CIL X 7522; zucca 2003, n. 28) e quella pubblicata recentemente da Giovanna
Sotgiu (sotgiu 1995, n. 4) che menziona i liberti Cestia Anticona e Cestius Signa: va notato che
la liberta fece il sepolcro per il colliberto libens animo: tale formula, benché caratteristica del
lessico delle iscrizioni votive, è attestata anche nell’epigraia funeraria in relazione al carattere
di res religiosa del luogo della sepoltura (zucca 2003, n. 27).
Bibliograia
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graia 2006. Atti della XIVe Rencontre sur l’épigraphie in onore di Sivio Panciera con altri contributi di
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Un nuovo servus regionarius da Sulci. In S. deMougin & j. scheid eds., Colons et colonies dans le monde
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cenerini, F. 2014
Le iscrizioni latine della collezione Biggio. Sardinia, Corsica et Baleares antiquae 12, pp. 61-63.
223
Francesca Cenerini
224
I bambini e i rapporti familiari
Paola Ruggeri
Le fasi principali dell’infanzia in epoca romana erano deinite dai termini infans e puer. Per
infans si intendeva il bambino che non aveva raggiunto la capacità di parlare, il termine stesso
è composto da in e fari con riferimento alla mancanza di articolazione del linguaggio. La de-
inizione puer se da una parte si poneva come alternativa ad infans e dunque poteva deinire
il bambino in grado di esprimersi con la parola e di manifestare la propria volontà, dall’altra
copriva un arco di età piuttosto ampio che poteva comprendere “la fase dell’infante”, come
pure l’età adolescenziale e post-adolescenziale sino ai sedici, diciassette anni e inanco sino
alla prima età adulta. A riprova di ciò si può considerare l’epitafio, proveniente da Karales,
in cui Eytychius un ragazzo di ventun’anni e mezzo (qui bixit ann(os) XXI, me<n>ses VI, dies
XIIII) viene deinito puer innocens (sotgiu 1988, A 102): nel contesto del lessico epigraico
del IV secolo d.C., epoca alla quale l’epitafio risale, risulta assai probabile che puer deinisse
un’età anagraica addirittura molto più ampia rispetto a quella dei primi secoli dell’impero.
A Karales viene attestato in un epitafio un infa<n>s, [I]rtius (?) Iulianus, scomparso all’età di
cinque anni, per il quale viene utilizzata un’aggettivazione “affettuosa” quanto generica (de-
stinata non solo ai bambini): l’infans viene infatti deinito dolcissimo e devoto, dulcissimu<s>
p(ius), espressioni utilizzate di frequente per esprimere il sentimento d’affetto dei genitori
(parentes) nei confronti dei igli e delle iglie morti prematuramente (CIL X 7671). Per quanto
riguarda le bambine neonate, il lessico per deinirle era improntato ad una serie di vezzeg-
giativi come pupa, che evocava l’aspetto della bambola – peraltro si utilizzava anche pupus, il
bambolotto, per i neonati – ed anche pusa. Puella e il vezzeggiativo puellula mantenevano la
stessa genericità di puer, con riferimento ad età giovanili avanzate, anche dopo i vent’anni, in
cui l’infanzia non era ormai che un ricordo. A Turris Libisonis si può notare, per l’epoca tarda
tra il IV e il V secolo, un riferimento originale alla prima infanzia sottolineato dal sostantivo
infantula: un’iscrizione con simboli ebraici ricorda la sepoltura dell’infantula Gaudiosa, morta
all’incirca a tre anni (annor[u]m plus minu(s) tres) (AE 1982, 436).
Gli studiosi dell’infanzia in epoca antica sottolineano che il momento della morte e del di-
stacco da essa provocato era quello in cui emergeva l’identità personale dei bambini, spesso
sottoposti ad esclusione da parte del mondo adulto maschile. Eppure il testo della targa di un
sepolcro familiare da Sulci (odierna Sant’Antioco) comunica l’aflizione di un padre, il liberto
L. Antonius per la morte di Antonia, la sua bambina di un anno (anni[cula]) e di Antonius, il
suo altro iglio. Il brevissimo carme sepolcrale a chiusa dell’epitafio si sostanzia del topos,
piuttosto comune, della disgrazia di un genitore, miser per la perdita dei igli, i nati, ricordati
insieme; esso in questa cornice pare divenire al contrario espressione di sentimenti sinceri e
che suscitano compassione (sotgiu 1961, n. 10).
L’epigraia di Sulci offre, del resto, numerose testimonianze interessanti riguardo il senti-
mento di mestizia delle madri e dei padri al momento del distacco dai propri igli, scomparsi
in tenera età: una madre del II secolo d.C. piange la morte della iglia Aemili(a) Urbana,
incomparav(ilis) et infelicissim(a), vissuta appena cinque anni e sedici giorni (sotgiu 1988, A 8).
Così pure, sempre nel II secolo d.C., la madre Flavia Assararia, probabilmente una liberta
della gens Flavia di Sulci, dedica un’epigrafe al iglio morto a cinque anni, un iglio piissimus
et dulcissimus di cui la madre si sentiva assai orgogliosa perché egli era nato libero, secondo
quanto attesterebbe il cognome del bambino Flavius Ingenuus (AE 1997, 743); e ancora il pa-
dre M. Danicius Buccula si rammarica con eguale intensità per la scomparsa della iglia Danicia
Consulta, dulcissima et pientissima, morta a undici anni e un mese (sotgiu 1988, B 6). Per quanto
riguarda il piccolo Cornelius Aemilianus, morto a tre anni e otto mesi, la lastra marmorea che
lo commemorava (CIL X 7522) apre la prospettiva su un orizzonte sociale diverso rispetto
a quello, legato principalmente ai ceti libertini, considerato sino ad ora. Il piccolo Cornelius
doveva appartenere alla prestigiosa famiglia sulcitana dei Cornelii che diedero alla città di-
versi magistrati municipali, un quattuorviro iure dicundo e patrono del municipio sulcitano,
225
Paola Ruggeri
226
I bambini e i rapporti familiari
Sant’Avendrace, che conserva iscrizioni greche e latine che documentano, talvolta in modo
preciso, alcuni aspetti della vita della coppia. I coniugi, senza igli propri, avevano provveduto
ad allevare ed educare probabilmente due vernae che poi vennero manomessi da Atilia, rice-
vendone il nome. L. Atilius Felix e [L.Ati]lius Eutychus, grati per le cure e l’amore ricevuto da
bambini e per la nuova condizione sociale di liberti, frutto dell’interessamento di Pomptilla, a
loro volta dimostrano sentimenti profondi di affetto nei confronti dei due coniugi. Nell’ulti-
mo, in ordine cronologico, degli epitafi del complesso di Sant’Avendrace, posto sicuramente
dopo la morte di L. Cassius Philippus successiva a quella di Atilia Pomptilla, Felix ed Eutychus si
rivolgono con appellativi affettuosi, tipici di un lessico intimamente familiare, a chi li aveva
presi in carico da bambini amandoli teneramente, chiamandoli mamma e tata e deinendoli pa-
rentes sancti: i due liberti predispongono per se stessi e per le loro famiglie una futura sepoltura
accanto a quella dei patroni, genitori d’adozione (CIL X 7564).
A costituire un ruolo di supporto della igura materna vi erano poi donne, al servizio delle
famiglie appartenenti ai ceti elevati, che accudivano i bambini nati liberi creando con loro
stretti rapporti che spesso potevano avere connotazioni di tipo affettivo: si trattava di schiave
e liberte impiegate come nutrici e pedagoghe. La liberta Aelia Nereis ebbe un ruolo, peraltro
di dificile deinizione, nell’educazione della sua piccola alumna Aelia Bonavia, nella Karales
della ine del II e del III secolo d.C. (sotgiu 1961, n. 98). La piccola Bonavia morta a sei anni,
quattro mesi e dodici giorni era alumna di Nereis, quest’ultima doveva essere una sorta di pe-
dagoga, educatrice della bimba. Per quanto il sostantivo alumnus/a abbia diversi signiicati a
seconda dei contesti documentari e geograici, in questo caso è assai probabile che esso pos-
sa evocare specularmente un ruolo da educatrice per Nereis, una liberta di origine orientale
secondo l’indicazione fornita dal suo nome, che supportava e a volte sostituiva quello edu-
cativo della madre; ciò del resto accadeva frequentemente nelle case delle famiglie abbienti.
La liberta-educatrice provvedeva probabilmente non all’istruzione diretta delle bambine ma
si curava di afiancarle nel percorso di crescita, tramite i precetti di una buona “educazione”
secondo il modello romano tradizionale.
Il sistema familiare romano, accanto alle relazioni “orizzontali” – fratello-sorella, marito-
moglie, padre-madre e iglio-iglia – prevedeva un sistema genitoriale incentrato, in situazioni
emergenziali, quali ad esempio la morte di uno dei genitori, sulla linea collaterale degli zii
(cognatio transversa) con una precisa distinzione fra zii paterni, legati alla discendenza agnatizia
e patrilineare e zii materni con un legame attraverso il ramo femminile e cognatizio.
Nella Sardegna romana questo sistema pare essersi diffuso, grazie alle migrazioni dalla Peni-
sola di Romani e Italici, in special modo nei centri costieri da Turris Libisonis a Karales; anche
se non va del tutto escluso, con particolare riguardo alla linea cognatizia, che, ancora nella
prima metà del I secolo a.C., si sia veriicata una sovrapposizione, poco traumatica, del mo-
dello parentale romano su quello punico, in centri come quello di Nora fortemente connotati
da una società e da modelli culturali a quell’epoca ancora fortemente punicizzati.
In questo senso vanno considerati preziosi testimoni alcuni epitafi che rendono conto
dell’inluenza capillare del sistema familiare romano, espresso all’interno delle discendenze
agnatizie e cognatizie, dal patruus, lo zio paterno e dalla matertera, la zia materna.
Lo zio paterno (patruus) Donatus, menzionato in un’iscrizione proveniente da Pirri (CIL X
7815), si occupò della sepoltura della nipote Iulia Iucundula, morta undicenne, che era orfana
di padre: Donatus nella sua qualità di patruus, quasi pater alius secondo Isidoro di Siviglia, era
probabilmente il tutore di Iucundula, sottoposta alla sua patria potestas. Si può pensare ad un
vero e proprio ruolo di Donatus nell’educazione della iglia del fratello, ormai quasi in età da
poter divenire sposa se non fosse sopraggiunta la morte: come patruus doveva vegliare sulla
castità e l’onore della fanciulla; questo gli era imposto dall’auctoritas familiare che gli compe-
teva come sostituto del fratello.
Per quanto riguardava la matertera, la zia di parte materna, quasi mater altera secondo il giurista
Paolo Festo, occorre pensare ad un ruolo sostitutivo della madre anche in senso affettivo. Del
resto la perdita della madre creava un vuoto nei igli ancora piccoli e talvolta l’essere afidati
alle cure del personale di servizio della casa non era suficiente ad indirizzare l’educazione dei
igli maschi verso il modello del civis, secondo i dettami del mos maiorum e quella delle iglie
femmine verso il modello femminile della matrona. Anche presso il ceto dei liberti, soprattut-
to a partire dalla seconda metà del I secolo d.C., il venir meno della igura materna rischiava
di compromettere la formazione di pueri e puellae che mirassero rispettivamente a conquistare
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Paola Ruggeri
228
I bambini e i rapporti familiari
coetanei, amati e seguiti nel percorso educativo. Una traccia di una situazione di questo tipo
si può cogliere nella testimonianza di Aulo Gellio sul periodo della permanenza nell’Isola
come questore di Gaio Gracco (dal 126 ai primi mesi del 124 a.C.). Tornato a Roma Gracco
pronunciò dinanzi ai comizi un vibrante discorso sulla parsimonia e la pudicizia, facendo
riferimento al comportamento tenuto in provincia dove non vi era stata, da parte sua, alcuna
indulgenza verso il vizio e l’eccesso: «Nessuna taverna nella mia sede, né fanciulli di aspetto
seducente (neque pueri eximia facie stabant)»; «Fui per due anni nella provincia; se una meretrice
ha varcato la soglia di casa mia o se un qualsiasi giovane schiavo è stato da me adescato (aut
cuiusquam servulus propter me sollicitatus est), ritenetemi l’ultimo e il peggiore di tutta l’umanità»
(Gell., XV, 12, 2, 3). Il questore vedeva con i propri occhi le condizioni di pueri e servuli privati
dell’infanzia e dell’adolescenza, costretti a prostituirsi per sopravvivere e spesso sfruttati da
lenoni senza scrupoli: una situazione diffusa nel mondo romano che coinvolgeva anche le
bambine-puellae. Spesso su quella che attualmente viene deinita a livello socio-pedagogico
“infanzia negata” incidevano l’arcaica pratica dell’esposizione, laddove non interveniva l’in-
fanticidio ed un sistema economico e gerarchico che in alcune fasi storiche non consentiva
la promozione sociale se non per canali privilegiati: certamente divenire l’amasio e l’amante
di qualche personaggio ricco e potente o comunque tirare su la giornata prostituendosi per
molti bambini e adolescenti era una scelta obbligata, tanto più se si era rimasti orfani.
Esistevano certo casi in cui l’orfano veniva accudito, fors’anche amorevolmente, da chi si era
sostituito al padre come C. Ant(onius) Sosius, patrigno di C. Clo(dius) Saturninus, suo privignus
(ossia igliastro) morto ad undici anni, del quale curò la sepoltura (CIL X 7642) nella Karales
tra la seconda metà del II e la prima metà del III secolo d.C. Ma la schiera degli orfani senza
famiglia, privi di supporto economico e di punti di riferimento affettivo dovette ingrossarsi
viepiù, visto anche l’elevato indice di mortalità della popolazione che sottraeva ai igli uno o
entrambi i genitori. Per quanto lontana nel tempo e dalla mentalità della Sardegna romana
del II e del III secolo d.C., fa rilettere l’iscrizione dedicata dalla moglie Paulina e dal iglio
Ianuarius al benefattore Secundus di Olbia che in epoca cristiana (tra V e VI sec. d.C.) nella città
portuale, sulla base del diffuso clima di attenzione verso i pauperes, mostrò cura e si prodigò
nell’assistere gli orfani, tanto da essere deinito pater orfanorum oltre che pauperum refugium.
Forse offriva loro ricovero in una struttura di accoglienza (uno xenodochium?) da lui creata
(CIL X 7995).
Certo dovevano esistere alcune aree rurali della Sardegna romana dove la vita dei bambini era
improntata ad una dimensione diversa rispetto a quella dei centri urbani, anche per via delle
differenti condizioni ambientali e paesaggistiche che consentivano loro una maggior libertà
esistenziale. Il rovescio della medaglia sembra esser stata una mortalità infantile più ampia che
altrove in relazione al defatigante lavoro dei campi, come già accadeva per i propri genitori
inseriti appieno nel sistema produttivo romano della monocoltura cerealicola. Le iscrizioni di
bambini, provenienti dalla regione storica del Barigadu e da Samugheo nell’attuale Mandro-
lisai, aderiscono ad una serie di parametri individuati in alcuni dei primi studi socio-culturali
sulla Sardegna romana, basati su lotti di materiale epigraico – in particolare cippi a capanna
e cupe – provenienti da territori ben delimitati e in antico a forte vocazione agricola. I cippi
a capanna provenienti da Busachi e da Bidonì, con gli epitafi dei piccoli G. Beviranus Verus,
morto a quattro anni (CIL X 7873) e Colonei (AE 1993, 848), morto a due anni, mostrano
che i due bambini appartenevano a famiglie culturalmente legate a radici locali come rilevano
il gentilizio Beviranus, tratto da un nome encorico sebbene al piccolo fosse stata attribuita la
cittadinanza romana e il nome Colonei (apparentemente un nominativo) che sembra derivato
dall’onomastica preromana. Una situazione comune anche alla popolazione adulta che, pur
vivendo nei centri della zona a stretto contatto con Romani immigrati dalla Penisola, mante-
neva tradizioni di una cultura popolare viva e ben radicata, che potrebbero aver avuto rilessi
anche sulla struttura familiare e sul rapporto tra adulti e mondo dell’infanzia. Un contesto
sociale simile parrebbe quello evidenziato dai cippi a capanna provenienti dal territorio di
Samugheo, presso il conine della Barbaria sul Tirso, quello del quattordicenne Tars(i)nius
Q[u]iuse[i f]il[i]us (AE 1993, 837), con nome derivato dal sostrato preromano, e quello della
bimba con nome di tradizione romana, Terentia Antonia, morta a cinque anni (AE 1993, 838).
Al modello del miles, il soldato romano, vennero probabilmente educati i bimbi sepolti pres-
so le necropoli di Perda Litterada e Pira Pateri in prossimità dell’estremo sud-occidentale
dell’abitato di Austis, l’antica Augustis, presidio militare di una coorte dei Lusitani costituito
229
Bambola ittile, un legionario.
Da Turris Libisonis,
necropoli sudorientale,
scavi via Cavour-via Libio, tomba 249.
I bambini e i rapporti familiari
al termine dell’età augustea: oltre alla sepoltura del trombettiere della coorte, Isasus Chilonis f.
Niclinus (CIL X 7884, nella rilettura di Le Bohec, non Ubasus), la necropoli ha restituito quelle
di tre bambini scomparsi a sette anni, Castricius iglio di un commilitone del trombettiere, Fau-
stus Aedilis (CIL X 7885); Geminius (CIL X 7886) e L. Lucretius (sotgiu 1961, n. 219), il primo
iglio di L. Minucius Severus, mentre il secondo sarebbe stato un giovanissimo liberto al suo
servizio. Nella stessa area venne poi sepolto il piccolo Nercadaus iglio di P. Manlius, nipote di
Graecinus, morto a tre anni e sei mesi, l’epitafio che lo ricorda è uno dei pochissimi nell’Isola
con la rappresentazione di un volto di fanciullo (CIL X 7888). Una piccola comunità dunque
costituita da militari e dalle loro famiglie, in cui i bambini forse giocavano e sognavano scon-
tri e combattimenti. Del resto tutto ciò faceva parte dell’immaginario del bambino romano
che, in taluni fortunati casi, poteva disporre di riproduzioni in miniatura di spade e di igurine
in terracotta, rappresentanti ad esempio legionari, attraverso le quali intravedere un futuro
glorioso secondo gli indirizzi formativi della società in cui viveva.
La recente, straordinaria scoperta, presso l’antica Carbia, nel territorio di Alghero, della sepol-
tura di un bambino tra i dieci e gli undici anni, risalente al II secolo d.C. che ha restituito un
set scrittorio (righello in osso, spatola per la cera in ferro, frammenti della tavoletta scrittoria
in osso), mostra come la vita di alcuni bambini nella Sardegna romana fosse talvolta ricca di
possibilità e come importanti fenomeni di acculturazione potessero riguardare il percorso
educativo infantile anche in piccoli centri a carattere rurale della provincia.
Bibliograia
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Sassari, pp. 815-854.
231
Paola Ruggeri
232
Servi e liberti
Maria Bastiana Cocco
La documentazione relativa alla presenza di servi e liberti privati, pubblici ed imperiali nella
Sardegna romana e i contributi offerti al suo riesame, nel panorama delle ricerche sulla storia
della Sardegna antica, risultano in qualche modo dispersi nell’ambito della letteratura storica,
giuridica, socio-economica, toponomastica ed archeologica relativa alla provincia; ma l’analisi
delle principali fonti letterarie ed epigraiche permette di presentare una sintesi di quali sia-
no stati lo sviluppo, le forme diffuse e le eredità trasmesse dal fenomeno servile in Sardinia,
giungendo attraverso la tarda antichità ino al Medioevo.
Durante l’età repubblicana le popolazioni autoctone dell’Isola avevano rappresentato per i
Romani una fonte di approvvigionamento di prigionieri di guerra, da vendere sui mercati di
schiavi nell’Urbe e presso i principali porti del Mediterraneo; come già proverbialmente fatto
da Sinnio Capitone e da Cicerone, Sesto Aurelio Vittore (De vir. ill. 57, 1-2) ancora nel IV secolo
d.C. si riferiva ad esse con la ben poco lusinghiera deinizione Sardi venales, “da vendere ad un
prezzo ribassato”. La Sardegna, sottratta ai Cartaginesi nel 238-237 a.C., era divenuta provincia
romana insieme alla Corsica nel 227 a.C. non senza ulteriori sforzi bellici necessari al consolida-
mento della conquista; l’espressione dispregiativa Sardi venales secondo Aurelio Vittore sarebbe
collegata con le operazioni militari condotte tra il 177 e il 176 a.C. dal proconsole Tiberio
Sempronio Gracco (padre dei Gracchi tribuni della plebe) contro le popolazioni ribelli locali
Balari ed Ilienses; il testo di una tabula picta citata da Livio (XLI, 28,8) ricordava che, in aggiunta
ai 27.000 indigeni uccisi nei due anni di scontri, sarebbero stati più di 50.000 i captivi portati a
Roma da Gracco: una quantità tale di schiavi, incapaci di parlare il latino e il greco, riversata sui
mercati italici avrebbe provocato il crollo del loro prezzo.
In realtà la presenza di schiavi in Sardegna affonda più in profondità le sue radici nella storia
antecedente dell’Isola, almeno a partire dall’epoca fenicia, con la pratica della ierodulia e della
prostituzione sacra, ed ebbe un ruolo economico decisivo già durante l’occupazione cartagi-
nese, con il potenziamento della produzione cerealicola nel Campidano attuato attraverso il
sistematico ricorso all’utilizzazione di manodopera rurale asservita di origine indigena e libica.
Inoltre, intorno al 378-377 a.C. e quindi ancora in epoca cartaginese, le fonti narrano di un ten-
tativo romano di fondare nell’Isola una colonia transmarina in regime di totale esenzione iscale,
attraverso l’invio di cinquecento coloni (diod. XV, 27,4), in concomitanza con un’epidemia
di peste scoppiata a Cartagine (Diod. XV, 24,2-3): la colonia, identiicata dagli studiosi con la
Fhrwnàa p’lij di Tolomeo (III, 3,4) presso la foce del Rio Posada, sarebbe stata posta sotto la
protezione della dea italica Feronia, legata al mondo plebeo e al diritto di asylum dei servi presso
i santuari.
Tra il II secolo a.C. e il I secolo d.C., l’incremento produttivo agricolo portò all’aflusso da un
lato di coloni romano-italici, immigrati nelle zone più fertili dell’Isola, dall’altro di numerosa
manodopera servile, impiegata non soltanto all’interno delle villae rusticae, ma anche in fun-
zione dello sfruttamento sistematico delle altre risorse economiche: tra esse, gli stagni costieri
furono oggetto di un intenso e redditizio sfruttamento e la loro gestione in età repubblicana
fu afidata in appalto a socii salarii di origine italica. A metà del II secolo a.C. un servus di tali
socii, Cleon, di origini egeo-microasiatiche, verosimilmente dopo essere stato risanato da una
malattia contratta nel poco salubre ambiente lavorativo, poté acquistare e dedicare a Eshmun
Asklepios Aesculapius Merre un’arula bronzea del peso di 100 libbre (33 kg circa), rinvenuta a
San Nicolò Gerrei presso un santuario campestre sede di un culto salutifero preromano (CIL
I2 2226 = CIL X 7856 = ILLRP I 41 = IG XIV 608 = IGR I 511 = CIS I 1, 143 = ICO,
Sardegna, PUN. 9 = AE 2000, 646). All’esportazione del sale sardo potrebbe essere stato
interessato, tre secoli più tardi, anche L. Iulius Ponticlus, un commerciante originario delle Gal-
lie (negotians Gallicanus), ricordato su un cippo funerario del II secolo d.C. rinvenuto a Karales
presso le cosiddette saline di Levante (CIL X 7612): il serbus Primus, che curò la sepoltura del
suo dominus amantissimus, potrebbe averlo seguito in Sardegna per aiutarlo nell’esercizio della
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Maria Bastiana Cocco
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Servi e liberti
Epitaio di Axiochus, Ner(onis) Claudi La igura di Sesto Pompeo appare davvero lontanissima da quella di M. Porcio Catone, one-
ser(vus) reg(ionarius), da Sulci. sto pretore della provincia sarda nel 198 a.C., che secondo Plutarco (Cato mai., 6, 2) si distinse
per aver eliminato le futili spese, rinunciando persino all’utilizzo di un mezzo di trasporto
in occasione delle visite uficiali nelle diverse città della provincia, che preferiva raggiungere a
piedi accompagnato soltanto da un servo pubblico (dhm’sioj), il quale gli teneva una veste e
un vaso rituale per le libagioni da compiere durante i sacriici.
Per l’età imperiale occorre soffermarsi sul volontario esilio sardo della concubina di Nerone
Claudia Augusti liberta Acte, che visse nell’agro di Olbia dal 62 al 65 d.C. circondata da una
nutrita e fedele familia servile, in parte epigraicamente documentata. Atte fu imprendito-
rialmente impegnata, all’interno dei praedia precedentemente posseduti dalla gens Domitia nei
dintorni di Olbia e Hafa (attuale Mores), a lei donati da Nerone, nella coltivazione cerealicola
e in diverse attività produttive complementari, come le fabbriche i cui lateres sono stati rin-
venuti in diverse zone dell’Isola. L’amicizia tra C. Cassius Blaesianus, decurio princeps equitum
della cohors Ligurum (equitata) di stanza a Luguido nel I secolo d.C. e Ti. Claudius Actes l(ibertus)
Eutychus, dedicante della sepoltura del militare (sotgiu 1961, n. 313, cat. n. 2.20), potrebbe
indicare l’assegnazione al reparto ausiliario stanziato a Luguido-Oschiri di funzioni di control-
lo e polizia, durante la permanenza di Atte in Sardegna, a tutela dei possedimenti imperiali
nei dintorni di Olbia.
A Karales è attestata la presenza di altri personaggi, probabilmente liberti e loro discendenti,
legati ai praedia sardi dei Caii Rubellii di Tibur (CIL X 7697), invisi a Nerone, e dei Titii Vinii
di Aminternum (CIL X 7719), sostenitori di Galba; famosa è poi la vicenda dell’esule romano
L. Cassius Philippus e della moglie Atilia Pomptilla, il cui heroon monumentale scolpito nella
roccia (la cosiddetta Grotta delle Vipere) si affaccia lungo l’attuale viale Sant’Avendrace; uno
speciale legame affettivo si era venuto a formare tra i due coniugi esiliati in Sardegna e i due
conliberti di Atilia, Felix ed Eutychus, dedicanti ed eredi del mausoleo, i quali nell’iscrizione
incisa sulla parete di fondo del pronaos dell’ipogeo (CIL X 7564) si riferiscono alla patrona e
al marito deinendoli rispettivamente mamma optima e tata, nonché parentes sancti: un evidente
segno di gratitudine e affetto di due ex schiavi verso gli antichi domini, che si spinge ben oltre
il semplice rapporto di subordinazione personale che induceva il liberto all’obsequium e alla
pietas verso il patronus.
La documentazione epigraica relativa agli schiavi e i liberti imperiali, rinvenuta in diverse
località dell’Isola, lungi dall’essere abbondante come per altre province dell’impero, è co-
munque signiicativa per l’individuazione, la localizzazione, la determinazione della probabile
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Maria Bastiana Cocco
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Servi e liberti
Nora dall’epitaio di Elia Cara Marcellina, vidua sibi suficie<n>s, sepolta tra II e III secolo d.C.
dalla sua liberta Aurelia Victoria, che dedicando il titulus (sotgiu 1961, n. 46, cat. n. 2.14) la
elogia come patrona inconparabilis (!).
Resta invece purtroppo anonimo il liberto (¶pele›qeroj) del corocitaredo Apollonios
(IG XIV, 611), che in età adrianea seppellì a Turris Libisonis il suo patrono, un artista itine-
rante, probabilmente morto all’improvviso dopo aver fatto tappa a Turris per esibirsi nel
teatro cittadino (cat. n. 2.38). Il mare aveva portato nel porto di Turris, intorno alla metà
del III secolo d.C., anche il marinaio Eudromus, servus (?) della Virgo Vestalis Maxima Flavia
Publicia: si tratta forse del timoniere del cunbus Port(u)ensis con l’insegna Porphyris, immune dal
pagamento dei dazi e delle tasse portuali, sul cui scafo era afissa una rara tabella immunitatis
(AE 2010, 620) recuperata durante i recenti lavori di ristrutturazione del porto commerciale
di Porto Torres.
La vicendevole pietà fra domini e servi, fra patroni e liberti e tra gli stessi componenti della fami-
lia servile emerge da una serie di numerose iscrizioni funerarie isolane, tra le quali afiorano
quelle di non pochi alumni e alcuni vernae; al mondo degli alumni e ad un profondo rapporto
di affetto e devozione, del resto, fa pensare anche l’epitaio paleocristiano della giovane
Musa (AE 1992, 202), seppellita il 1 giugno 394 d.C. a Turris Libisonis, sul mons Agellus, dal
suo dominus et nutritor Thalassus Pal(atinus).
Questi testi in realtà rappresentano soltanto la punta dell’iceberg di una documentazione
privata, in parte per sempre perduta, in parte ancora sommersa e da riscoprire, che soprat-
tutto nelle necropoli delle città conservava il ricordo di nomi, famiglie, mestieri, relazioni,
affetti. Il divario tra città e campagna risente naturalmente della scarsa alfabetizzazione
dei servi rurali, che raramente facevano ricorso all’epigraia per comunicare, nonché di una
minore disponibilità economica rispetto alla familia servile urbana. Fuori dalle città, se si
escludono i cippi di conine, la popolazione servile torna ad essere quasi “epigraicamente
muta”: una delle poche eccezioni proviene dalle campagne di Aidomaggiore, nei pressi del
nuraghe Sanilo, dove un anonimo dom(inus) aveva dedicato uno stringato epitaio a Qdabinel,
un servus (o una serva?) con un antroponimo di origine neopunica o protosarda, inciso sul
supporto in basalto con la rarissima tecnica delle lettere a rilievo (AE 1992, 886).
Alcuni signacula in bronzo rimandano all’esistenza di proprietà fondiarie private e fabbriche
nelle zone più fertili, ma anche più interne dell’Isola. Non mancano esempi di signacula
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Maria Bastiana Cocco
bronzei direttamente appartentuti a servi e liberti, che con ruoli di responsabilità lavorava-
no alla catena di produzione dei manufatti, contrassegnando con il loro nome la serie dei
prodotti realizzati.
Ad un momento di pausa dal duro lavoro, all’interno delle fabbriche laterizie olbiensi che
ancora nella seconda metà del IV secolo continuavano la produzione di lateres, va riferito
il grafito occasionale della schiava (H)elenopoli(s), inciso con uno stecco sull’argilla ancor
fresca di un embrice, che ci restituisce il ricordo della sua gioia per il pericolo scampa-
to da Asclepiades (uno schiavo?), suo compagno nel lavoro e forse anche nella vita privata
(AE 1992, 910).
Nel III-IV secolo d.C. nell’agro di Sanluri possedevano fondi il v(ir) c(larissimus) Cens(orius?)
Secundinus, probabilmente un notabile locale piuttosto che un senatore, e l’h(onestissima)
f(emina) Quarta, forse moglie di un cavaliere, le cui terre erano lavorate rispettivamente dagli
asserviti Maltamonenses e Semilitenses: un terminus fundorum (EE VIII, 719) attesta il ripristino
del conine tra i due praedia, resosi necessario in seguito all’asportazione di più antichi cippi
terminali.
Tra IV e V secolo, un ricco membro della gens Aelia donò una cospicua parte dei suoi praedia
privati localizzati nell’ager di Cornus alla locale comunità cristiana: a questi fundi deve essere
collegato un liberto della gens ricordato su un epitaio sub ascia del III secolo d.C., Cn. Aelius
Gaia[nus], incaricato dell’amministrazione inanziaria delle proprietà fondiarie degli Aelii
cornuensi con la qualiica di [arka]rius praedi[orum] (AE 1979, 307).
L’estensione delle proprietà imperiali e di quelle dei ricchi possessores deve dunque aver con-
tinuato a caratterizzare il paesaggio rurale dell’Isola ino ad età tardoantica. In Sardegna fat-
tori come l’isolamento e l’ampiezza dei latifondi avevano favorito a lungo la sopravvivenza
della schiavitù accanto al colonato: un cippo da San Lussorio di Tortolì, secondo l’interpre-
tazione proposta da Piero Meloni (MeLoni 2000), attesta epigraicamente nel IV secolo d.C.
l’esistenza di (servi) vulgares, schiavi agricoli generici, al lavoro all’interno di praedia localizzati
in quest’area della Sardegna centro-orientale in qualità di manodopera rurale servile non
specializzata (sotgiu 1988, p. 589, B 50; cat. n. 2.82).
Ma nel momento in cui i latifondi imperiali passarono dalla tradizionale conduzione diretta,
tramite conductores unici, ad un sistema di gestione indiretta, basato sulla suddivisione del la-
tifondo d’origine in una serie di poderi più piccoli, da afidare in regime di eniteusi a diversi
coloni che avrebbero pagato per l’usufrutto un basso e isso canone d’afitto, la parcellizza-
zione dei praedia portò di conseguenza alla suddivisione dell’instrumentum necessario al lavo-
ro nei campi: gli attrezzi, gli animali da soma e da tiro, ma anche le famiglie di schiavi, prece-
dentemente sottoposte alle direttive di un unico vilicus o conductor, ed ora smembrate al ser-
vizio di diversi domini. L’imperatore Costantino, con una costituzione datata al 29 aprile 325
(o 334) indirizzata al rationalis trium provinciarum Gerulus, sembra essersi interessato diretta-
mente proprio ai problemi sociali delle campagne sarde, ordinando che in Sardinia le famiglie
di servi rurali fossero ricostituite (Cod. Theod. II, 25,1).
La schiavitù non scomparve neppure con l’avvento del cristianesimo, anzi continuò a vivere
all’interno delle strutture religiose e fu integrata nella gestione del patrimonio ecclesiasti-
co, formatosi progressivamente attraverso le donazioni evergetiche di ricchi possessores: la
Chiesa in Sardinia adoperava manodopera e personale servile ancora nel V-VI secolo d.C. se
dall’ager Karalitanus (?) proviene un collare di schiavo (AE 1975, 465), appartenuto al servus
di un Felix arc(hi)diac(onus).
In età bizantina nell’Isola doveva essere ancora attivo il commercio di schiavi, se Gregorio
Magno (Ep. IX, 123: a. 599 d.C.) mandò in Sardegna come suo emissario il notaio Bonifa-
cio per acquistare schiavi barbaricini a buon prezzo, da destinare agli asili e alle strutture in
sostegno dei bisognosi, una volta convertiti al cristianesimo.
Le eredità trasmesse dal fenomeno servile in Sardegna attraverso la tarda antichità sembra-
no giungere ino al Medioevo, quando le fonti – e in particolar modo, tra XI e XIII secolo,
i Condaghes – parlano della contrapposizione di liveros e di servos, registrano la presenza di
ankillas, di livertos e livertatos, di colivertas, di culivertos, inine di terrales de ittu, categorie comples-
se frutto della trasformazione storica delle antiche istituzioni sociali e giuridiche codiicate
nella giurisprudenza romana classica e tardoantica come servi, liberti e conliberti. L’isolamento
geograico, favorendo l’immobilismo sociale, segnò profondamente il passaggio dalla tarda
antichità al Medioevo, passando attraverso la dominazione vandala e l’epoca bizantina.
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Servi e liberti
Bibliograia
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Maria Bastiana Cocco
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Culti e religiosità
Alberto Gavini
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Alberto Gavini
Forse la precoce attestazione dei culti isiaci nell’Isola è riconducibile proprio a questo evento.
Già nel 35 d.C. tali culti dovevano infatti essere ben radicati: lo dimostra la dedica alla dea
Bubastis di un’ara cilindrica a Turris Libisonis da parte di Gaio Cuspio Felice (cat. n. 2.1). Il
documento, di grande importanza dal punto di vista storico-religioso, attesta un culto del
quale non sono rimasti molti documenti nel mondo romano, soprattutto per quanto riguarda
l’ambito epigraico: sono infatti meno di dieci le iscrizioni in latino che sono riconducibili al
culto della dea. Davanti ad un repertorio così ridotto è facile capire che l’ara turritana assume
un ruolo importante non solo in ambito sardo, ma anche in un contesto molto più ampio.
Una divinità femminile di grande successo nell’Isola fu sicuramente Cerere: oltre ad un nu-
mero elevato di busti ittili che la rappresentavano, la venerazione nei confronti della dea è
documentata anche da una iscrizione che ricorda la realizzazione di una edicola a lei con-
sacrata ad Olbia da Atte, la liberta di Nerone che fu costretta ad allontanarsi da Roma e ad
andare in Sardegna in seguito al matrimonio dell’imperatore con Poppea. La dedica fu proba-
bilmente un gesto di ringraziamento della liberta nei confronti della dea poiché Nerone si era
salvato da una congiura che era stata ordita nei sui confronti nel 65 d.C. proprio nell’ultimo
giorno dei Ludi Ceriales, giochi circensi in onore di Cerere. Di tale monumento si conserva
oggi, all’interno del cimitero monumentale di Pisa, una parte dell’epistilio sul quale è incisa
la dedica.
La diffusione in Sardegna del culto di Cerere, protettrice dei raccolti, è ben documentata,
come è stato già evidenziato, da numerosi busti ittili: la forte vocazione cerealicola dell’agri-
coltura dell’Isola in età romana è probabilmente alla base di questo fenomeno.
A questa stessa situazione deve forse essere ricondotta, almeno in parte, anche l’affermazio-
ne dei già citati culti isiaci: è il caso della dedica di Gneo Cornelio Clado a Iside, rappresentata
come Thermouthis (AE 1932, 63), divinità femminile con busto di donna e coda anguipe-
de. L’iscrizione è incisa su un altare di marmo di forma parallelepipeda sul quale, oltre ad
Iside-Thermouthis, sono rafigurati due animali legati al mito di Iside ed Osiride: il coccodrillo
Souchos e il cane Sothis. In considerazione del fatto che Thermouthis era la forma agraria di
Iside nonché la protettrice dei naviganti, è possibile che il dedicante fosse scampato ad un
naufragio, magari insieme ad un carico di grano sardo, oppure potrebbe aver ringraziato la
dea per un raccolto favorevole. Sia la dedica a Bubastis che quella ad Iside-Thermouthis sono da
ricondurre alla frequentazione di un tempio isiaco che sicuramente doveva esistere a Turris
Libisonis. A tale contesto potrebbe essere connessa anche una lucerna ittile sulla quale è raf-
igurato Anubis, il dio cinocefalo spesso rappresentato come accompagnatore di Iside: studi
recenti hanno messo in rilievo la presenza di lucerne a soggetto isiaco presso ediici di culto.
Sempre ad Iside è riferita l’iscrizione rinvenuta a Castelsardo che celebrava la realizzazione
per la dea egizia di un sacello, costruito dalle fondamenta, da parte di due fratelli, Quinto
Fuio Proculo e Quinto Fuio Celso (CIL X 7948). Un altro tempio isiaco, in questo caso
dedicato ad Iside e a Serapide, era attivo tra il I ed il II secolo d.C. nell’antica Sulci, importante
centro che sorgeva sull’Isola di Sant’Antioco. L’ediicio fu restaurato da un liberto in onore
di due fratelli, Marco Porcio Felice e Marco Porcio Impetrato (CIL X 7514), che raggiun-
sero la massima magistratura del municipium di Sulci: il quattuorvirato. Anche in questo caso
la presenza dei culti isiaci potrebbe essere riconducibile, almeno in parte, al mondo della
navigazione e dei trafici commerciali, essendo stato il centro sulcitano da sempre a forte vo-
cazione marittima. Purtroppo sia per Castelsardo che per Sant’Antioco non è stato possibile
individuare con certezza assoluta le strutture dei templi, poiché probabilmente sono ormai
completamente distrutte.
Dall’Isola di Sant’Antioco proviene anche un reperto isiaco di carattere personale: si tratta
di una statuetta bronzea di Arpocrate, il iglio della dea Iside. Ad un ambito privato sono at-
tribuibili anche altri reperti isiaci rinvenuti in aree più interne della Sardegna: è il caso di una
gemma con un’acclamazione in greco a Zeus Serapide rinvenuta a Sorgono e di tre statuette
bronzee rafiguranti il toro Apis ritrovate a Bolotana (due esemplari) e ad Oliena. I culti isiaci
erano inine praticati anche a Carales, dove esiste una situazione analoga a quella turritana: si
conservano molti reperti che denunciano il gradimento nei confronti della gens isiaca, ma è
assente un’iscrizione che menzioni un tempio, ediicio che pur doveva far parte dell’impianto
urbanistico della città romana. È il caso ad esempio della doppia corona dell’Alto e del Basso
Iscrizione con dedica a Iside-Thermouthis. Egitto, con iscrizione latina databile ad età lavia, che doveva far parte di una statuetta di
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna. Horus. Oltre ad alcune singi (cat. n. 1.238), rinvenute nei quartieri di Stampace e di Castello,
242
Fordongianus, area archeologica
di Forum Traiani,
iscrizione con voto alle Ninfe.
Alberto Gavini
vi sono anche un Osiride-canopo acefalo proveniente dalla zona di San Mauro e una statua
di sacerdote isiaco scoperta durante gli scavi effettuati presso la chiesa di Sant’Eulalia (cat.
n. 1.235).
Le sorgenti termali intorno alle quali si è sviluppato il centro di Forum Traiani (oggi Fordon-
gianus), già Aquae Ypsitanae, hanno connotato profondamente la vita religiosa di questo sito.
Non è un caso infatti che proprio qui vi siano attestazioni delle Ninfe, anche con l’attributo
di salutares, in particolare nei primi anni del III secolo d.C. Sono collocabili precisamente tra
il 4 febbraio 211 e il 26 febbraio 212 due dediche in favore di Quinto Bebio Modesto (AE
1998, 671), che fu governatore della Sardegna. È dunque evidente che le qualità terapeutiche
della acque forotraianensi dovevano essere ben note e si conidava nel potere delle divinità
guaritrici.
Ad età severiana è riconducibile anche l’ultima fase del più noto santuario sardo di età
romana: il tempio di Antas. L’ediicio, restaurato durante il regno di Caracalla tra il 213 e il
217 e oggi visibile grazie alla ricostruzione effettuata nel secolo scorso, era dedicato al Sardus
Pater, divinità eponima del popolo sardo. Il dio era iglio del libico Makeris, identiicabile con
Melqart-Ercole. Era una divinità antica e tradizionale, all’origine della stirpe dei Sardi. Era raf-
igurato, su monete del 38 a.C. fatte battere da Ottaviano nella zecca di una città sarda, con la
testa barbata, una corona di piume e un giavellotto sulla spalla. Il tempio di Antas, del quale
è stata individuata una prima fase romana di età augustea, è prostilo tetrastilo su podio ed è
Fluminimaggiore, area archeologica caratterizzato da una cella con sul lato di fondo un penetrale bipartito.
di Antas, tempio tetrastilo con dedica Di qualche anno precedente è un’iscrizione rinvenuta a Ossi con dedica a Giove Dolicheno
al Sardus Pater. (CIL X 7949) in favore di Caracalla e Geta, membri di una dinastia imperiale, quella severiana,
244
Culti e religiosità
molto presente nelle iscrizioni legate al dio di Doliche, probabilmente a causa dell’origine si-
riana della moglie di Settimio Severo, Giulia Domna. Assimilato a Giove Ottimo Massimo,
il dio era molto amato dai militari ed era rafigurato solitamente con una corazza da generale
romano, nell’atto di brandire con la mano destra un’ascia bipenne, mentre nella sinistra tene-
va un fascio di fulmini.
Proprio a Giove Ottimo Massimo, il dio capitolino per eccellenza, era sicuramente tributato
un culto nei principali centri della Sardegna romana come in quelli minori, in particolare in
età imperiale. Una dedica rivolta al dio è stata rinvenuta a Las Plassas, in un territorio che
doveva appartenere all’antica colonia augustea di Uselis, l’odierna Usellus (cat. n. 2.67). La
realizzazione del monumento fu opera dei pagani Uneritani, cioè gli abitanti del pagus di Uneri,
un piccolo sito che evidentemente gravitava nell’orbita della colonia. Il dio poteva essere
anche venerato in associazione con altre divinità, specialmente Giunone e Minerva: è il caso
di una dedica di Martis rivolta proprio alla triade capitolina, oltre che a Spes e Salus, a favo-
re dell’imperatore Massimino il Trace e di suo iglio Massimo. Oltre ad un potere salviico
Giove aveva anche un ruolo politico, molto evidente nell’iscrizione che lo ricorda nei pressi
di Bidonì, su un altare rupestre probabilmente pertinente ad un tempio, identiicabile con
una struttura della quale si conservano solo le fondazioni: ciò è riconducibile alla volontà di
affermare la presenza romana in una zona di conine tra la Barbaria e i territori ove i Romani
erano più presenti.
Per quanto riguarda Giunone si ricordi una dedica rivolta alla dea da un sacerdote del culto
imperiale, Marco Favonio Callisto, che ricorda il dono di una casa di Carales effettuato dalla
propria iglia Favonia Vera in favore dei cittadini di Nora, dove l’iscrizione fu esposta. In
ambito funerario invece la dea è ricordata come Iuno infera nella Grotta della Vipera a Carales.
A proposito di divinità legate alla morte e al mondo dei morti è sicuramente di notevole
interesse l’attestazione epigraica, anche in questo caso di ambito caralitano, di Viduus (CIL
X 7844, non noto da altre iscrizioni), che secondo Varrone, Tertulliano e Cipriano era un dio
che aveva il compito di presiedere al distacco dell’anima dal corpo.
Alcune divinità venerate in età romana ci sono note in Sardegna solo da reperti anepigrai.
È il caso ad esempio di Sabazio, dio traco-frigio, spesso assimilato dai Greci a Dioniso, che
prendeva forse il nome da una bevanda fermentata usata nel corso dei riti. A lui è riconduci-
bile una mano destra bronzea posta nel gesto della benedictio latina, cioè con le prime tre dita
distese e con l’anulare ed il mignolo ripiegati a contatto con il palmo. Il reperto, dotato nella
parte inferiore di un incavo funzionale all’inserimento di un asta, è ornato da una ricca deco-
razione costituita da elementi legati al dio fra i quali un serpente, animale a lui sacro. Si tratta
probabilmente dell’elemento sommitale di una sorta di scettro, usato dai sabaziasti nel corso
delle loro cerimonie. Sabazio è stato identiicato anche in un bronzetto che lo rafigura, con
la barba e in abbigliamento frigio (berretto, tunica corta e calzari), con i piedi su una testa di
ariete, mentre alza il braccio destro e fa con la mano il gesto di benedizione.
Un’altra divinità per la quale non si hanno nell’Isola iscrizioni ma della quale si conosce un
importante documento scultoreo è Mitra. Per la precisione si tratta di un frammento di un
rilievo che conserva l’immagine di Cautopates (cat. n. 1.196), uno dei due assistenti del dio; con
Cautes formava la coppia dei geni del tramonto (il primo) e dell’alba (il secondo). Entrambi
venivano solitamente rafigurati, come dadofori, ai lati di Mitra che uccide il toro in quella che
era nei templi mitraici l’immagine principale di culto: la tauroctonia. Cautopates è rappresenta-
to come un uomo vestito con una tunica corta, i pantaloni alla moda persiana ed un mantello
issato al petto. Il reperto è stato scoperto nell’area delle terme centrali di Turris Libisonis,
non lontano dalle quali doveva esistere un mitreo nel quale il rilievo doveva essere collocato.
Come è stato notato per i casi delle iscrizioni dei templi isiaci di Castelsardo e Sant’Antioco,
non sempre è possibile associare un’epigrafe pertinente alla dedica e alla realizzazione o al
restauro di un tempio ad un ediicio preciso, o perché questo non si è conservato, o perché
non è stato ancora scoperto, o a causa del fatto che il testo che lo menziona non è stato rin-
venuto nel contesto originario. In tutte queste situazioni l’esistenza del documento epigraico
rappresenta un fondamentale elemento per la ricostruzione ideale dell’assetto urbanistico di
una città antica. È quello che succede per Turris Libisonis a proposito del tempio della Fortuna
(CIL X 7946) che, secondo quanto è riportato su un’epigrafe databile al 244 d.C. (all’inizio
del regno di Filippo l’Arabo), fu restaurato insieme alla basilica giudiziaria della città.
Un culto completamente nuovo creato dai Romani con la ine dell’età repubblicana fu quello
245
Alberto Gavini
imperiale. Che si sia sviluppato per iniziativa dei poteri locali o che sia stato incentivato da
Roma, esso ebbe in Sardegna una buona diffusione. Fino all’età adrianea il culto imperiale
era amministrato dal lamen provinciae, che subito dopo fu sostituito dal sacerdos provinciae, titolo
che pare essere stato considerato più autorevole. Il ruolo di sacerdote del culto poteva essere
ricoperto anche dalle donne: per quanto concerne la Sardegna è attestato in particolare a
Carales, dove il quartiere nel quale sorgevano i templi di Marte e di Esculapio (Vicus Martis et
Aesculapi) ricordava in un’iscrizione la laminica perpetua Titia Flavia Blandina e dove una base di
statua ricorda Giulia Vateria, altra laminica. Il culto imperiale veniva celebrato in un ediicio
deputato unicamente a tale scopo, l’Augusteum, del quale si ha ad esempio un’attestazione
a Bosa: un’iscrizione rinvenuta nel paese della Planargia ricorda la realizzazione di statue di
Antonino Pio, della moglie Faustina e dei igli Marco Aurelio e Lucio Vero. Si occupavano
del culto imperiale anche i magistri augustales e, ad un livello inferiore, i loro ministri (aiutanti):
è nota per Carales un’iscrizione incisa su una doppia corona dell’Alto e del Basso Egitto, della
quale si è già detto a proposito dei culti isiaci, che ricorda proprio un minister di questo genere
(sotgiu 1961, n. 49). Il fatto che tale iscrizione sia stata incisa su un reperto di matrice egizia
ha lasciato supporre una qualche connessione fra il culto imperiale e i culti isiaci. Trattandosi
di un testo databile probabilmente ad età lavia tale situazione è abbastanza verosimile, in
considerazione del favore che la gens isiaca godeva in quel periodo.
Il quadro d’insieme che è stato qui presentato per illustrare la situazione religiosa della Sarde-
gna in età romana dà conto della vivacità dell’Isola in quel periodo. L’incontro fra le divinità
sardo-puniche e quelle romane non solo non aveva prodotto traumi, ma anzi aveva genera-
to situazioni di convivenza virtuosa. Man mano che la presenza romana si fece più decisa
nell’Isola si giunse ad un ovvio e naturale cambiamento di mentalità religiosa, in particolare
nei centri principali e nelle aree costiere, con l’affermazione delle divinità venerate a Roma.
I problemi iniziarono quando il Cristianesimo riuscì ad imporsi politicamente. La volontà di
eliminare ogni traccia di paganesimo trovò però una iera opposizione da parte degli abitanti
dell’Isola, evidentemente molto legati alle loro tradizioni religiose. Il paganesimo aveva infatti
sviluppato in Sardegna, come in altre parti dell’impero, una serie di pratiche magiche e di ma-
ledizioni che facevano ormai parte della religiosità popolare. Questa situazione è dimostrata
dal fatto che ancora al tempo di Gregorio Magno i Sardi erano dediti all’adorazione di idoli
di legno e di pietra (ligna et lapides).
Bibliograia
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Culti e religiosità
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Insulae Christi. Il Cristianesimo primitivo in Sardegna, Corsica e Baleari. Mediterraneo tardoantico e medievale,
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Gli ediici sacri della Sardegna romana: problemi di lettura e di interpretazione. Studi di storia antica ed archeolo-
gia, 5. Ortacesus.
247
Alberto Gavini
248
Ebrei in Sardegna: storia, siti e materiali
Marianna Piras
Il punto di partenza per la storia degli ebrei in Sardegna è il 19 d.C., anno in cui Tiberio
emana un senatusconsultum che espelle quattromila Ebrei, libertini generis, da Roma, inviandoli
in Sardegna. Le motivazioni andrebbero quindi rintracciate nel clima di tensione che c’era a
Roma in quegli stessi anni a causa dei gravi problemi per l’approvvigionamento del grano, e
rapportate alla questione delle distribuzioni annonarie per gli Ebrei, nonché alla malattia che
portò Germanico alla morte poco dopo essere tornato dalle province orientali e inine alle
inondazioni del Tevere. Non sono tutti elementi che chiamano in causa direttamente i giudei,
ma contribuirono senza dubbio a creare nei loro confronti un clima non positivo. Un’altra
motivazione potrebbe essere ricercata nell’usanza degli Ebrei di inviare offerte al tempio di
Gerusalemme. Ovunque essi si trovassero erano tenuti ad inviare ogni anno due dracme a
Gerusalemme, cosa che ovviamente non era ben tollerata negli ambienti romani. Già Cicerone
nel 62 a.C., difendendo L. Flacco, aveva avuto modo di criticare aspramente quest’usanza
affermando che fosse dannosa sul piano economico e pericolosa su quello politico. Queste
informazioni dovevano essere note all’epoca di Tiberio, in cui la Giudea dava segni di pro-
fondo scontento dovuto sia a motivazioni economiche, sia a fermenti nazionalistici.
Questa è l’unica notizia certa riguardante la presenza ebraica in Sardegna, almeno ino alle
lettere di Gregorio Magno, risalenti al VI secolo. Sono dunque i materiali a dover fare luce
sulla loro presenza nell’Isola.
Per quanto riguarda le iscrizioni ebraiche si dovrebbe tenere presente quanto detto da Heikki
Solin a proposito delle iscrizioni cristiane, ovvero che non si dovrebbe parlare in senso stretto
di epigraia cristiana, quanto di iscrizioni poste per persone che avevano fatto una precisa
professione di fede e che esse, tecnicamente, non presentano particolari differenze con quel-
le pagane. Per l’ambito ebraico in particolare dobbiamo tenere presenti alcuni particolari
elencati con precisione da Le Bohec (Le Bohec 1981). Secondo lo studioso, per essere de-
inita ebraica un’iscrizione deve rispondere ad almeno uno dei seguenti requisiti: il contesto
di ritrovamento deve essere di sicura pertinenza ebraica; devono essere presenti caratteri
ebraici, formule eulogiche in lingua ebraica o l’etnico iudaeus/-a; l’onomastica deve rimandare
inequivocabilmente all’ambito biblico, ed è in base a questi principi che ho scelto di valutare
i materiali indicati come ebraici ritrovati in Sardegna.
Da un punto di vista strettamente epigraico, la Sardegna è caratterizzata innanzitutto da
una grande assenza documentaria, quella del caput provinciae. Il centro di Carales infatti non
ha restituito alcun manufatto epigraico, il che va contro quanto emerge dalle fonti scritte
che lasciano intendere che a Carales esistesse una comunità ricca, numericamente e social-
mente importante da intrattenere legami con i notabili e con vertici militari. Non sono solo
i materiali epigraici a scarseggiare, in generale tutti i materiali ebraici ritrovati a Carales
sono di scarso valore e ritrovati fuori contesto. Si tratta principalmente di lucerne ittili o
frammenti di esse marchiati con la menorah. Il primo manufatto su cui ci soffermeremo è l’i-
scrizione corsiva bilingue, detta “di Bonus”, dipinta in rosso nell’arcosolio A4 dell’ipogeo di
Beronice a Sulci (EDR152993). Il testo ebraico era ritenuto illeggibile ino al 2009, quando
ne è stata data lettura da Cesare Colafemmina (coLaFeMMina 2009). Si può dare una doppia
interpretazione di questo testo, considerandolo o come un’acclamazione funeraria o come
un epitafio vero e proprio. Collocando il nome nella lacuna il testo sarebbe interpretabile
come un’acclamazione funeraria, mentre nel secondo caso Bonus sarebbe un antroponimo,
attestato in questa forma sia in età tardoromana sia in ambito cristiano in un buon nume-
ro di casi. A. Corda sostiene inoltre che non si può escludere che il secondo Bonus sia un
ulteriore antroponimo, seppure identico al precedente, o ancora che possa essere la parte
inale di un elemento nominale come [Homo]bonus attestato in CIL XIII 10010, 987 (corda
1994). C. Colafemmina invece propone una lettura diversa, poiché studiando l’apografo del
Taramelli legge Bonus fe(cit), In pace Bonus.
249
Marianna Piras
Il testo in lingua ebraica era ritenuto illeggibile, sebbene P.B. Serra sostenesse che il testo in
latino fosse la sua legenda. C. Colafemmina, riprendendo la lettura di V. Colorni, sostiene che
a destra si possa leggere benissimo !ma [- - -] lc ~wlv. Si tratta di una formula normalmente
completata in questo modo !ma larvy lc ~wlv ovvero “Pace su Israele, amen”. Il testo tra-
scritto dal Sanilippo riporta soltanto !ma ~wlv. Sul lato sinistro prima dell’arco compaiono
infatti degli scarabocchi che vorrebbero essere dei caratteri ebraici “abbelliti”, come attesta
appunto la presenza di “amen”, mentre le altre lettere potrebbero essere quindi interpretate
come “su Israele” con le lettere la in nesso. Chi tracciò l’iscrizione dovette quindi completare
il testo con degli arabeschi in maniera piuttosto approssimativa.
Non si tratta dell’unica iscrizione dall’interpretazione dubbia proveniente da Sulci. Un altro
testo infatti presenta problemi interpretativi ben maggiori e di peso indubbiamente più
importante. Si tratta di EDR152996, rinvenuta nell’ipogeo di Iuda. L’iscrizione si presenta
piuttosto in cattivo stato di conservazione poiché, dopo che la tomba fu fotografata, si
decise di scoperchiarla. Questo fatto causò il disfacimento dell’intonaco su cui era dipinta
l’iscrizione, danneggiandola. Si tratta della terza attestazione del nome Iuda in Sardegna
dopo un’iscrizione proveniente da Isili e un anello digitale. Secondo A. Corda, vista la lacu-
na centrale in cui per lo studioso potrebbe ipotizzarsi un simbolo oggi perduto, l’elemento
nominale potrebbe essere Iudonti, emendabile in Iud a nti di cui abbiamo un importantissi-
mo precedente nell’iscrizione di Meliosa proveniente da Tortosa (CIL II2 14, 806; CIJ 661).
C. Colafemmina ritiene che il testo possa essere integrato dalla carica ricoperta dal defunto,
Iud[anti arc]onti, fatto che spiegherebbe anche la ricchezza della decorazione del sepolcro e
la cura dell’epitafio.
In ll. 3-4 il termine anoro sta per annorum, di cui A. Taramelli presuppone una ripetizione er-
rata, tuttavia sembra più corretta l’interpretazione di A. Corda che suggerisce una possibile
sepoltura bisoma indicando in [- - -]enus un secondo elemento nominale oppure una formula
indicante l’approssimazione di età con l’apertura della vocale i>e, [plus m]enus.
Il testo in lingua ebraica presenta una formula molto consueta nelle iscrizioni giudaiche “Pace
su Israele, amen, amen”, formule molto diffuse nell’epigraia ebraica e ampiamente riprese dai
Salmi. Non è chiaro il motivo per cui il termine wma sia scritto destroso. Forse si tratta di im-
perizia del realizzatore o forse si è deliberatamente deciso di scriverlo in maniera “singolare”.
Tenendo per buona la lettura di C. Colafemmina si può rivalutare in modo più compiuto
anche la dibattuta iscrizione di Peon Geta (CIL X 1449*; CIJ 526; JIWE 174). Quest’ultima
iscrizione è stata ritenuta a lungo un falso, poiché il manufatto originale di fatto non è mai
stato ritrovato. Tuttavia è possibile pensare che si tratti effettivamente di una traduzione la-
tina di un’originale iscrizione greca come d’altronde è sostenuto dal Muratori che per primo
la riporta. Il testo in questione nominerebbe un senex, un membro del consiglio degli anziani
della comunità, cioè della gherousia. Erano gli arconti che avevano terminato il loro periodo
di incarico ad entrare a far parte della gherousia, dunque se Iuda era stato un arconte della co-
munità di Sulci, non deve stupire che esistesse anche una gherousia e che Peon Geta in un altro
periodo ne abbia fatto parte. In questo caso un importante tassello si inserirebbe a delineare
il quadro della comunità sulcitana.
Salendo verso nord e spostandoci a Turris Libisonis, dobbiamo considerare l’iscrizione di
Anianus (EDR078727, cat. n. 2.45).
I primi problemi sorgono nella valutazione della lacuna delle prime due linee, in cui anche la
dimensione ridotta dei caratteri permette di individuare due possibili letture. La prima è i[li]
/ Iacotuli, in cui Iacotulus sarebbe una corruttela per Iacobtulus, diminutivo di Iacob, una lettura
quindi suggestiva per il richiamo al nome biblico tipicamente giudaico, che tuttavia non ha
riscontri epigraici. Si è scelto qui di propendere per l’ipotesi di A. Corda (corda 1994) che
legge i[l]/i Acotuli, con un’apertura in seconda sillaba u>o probabile volgarismo o semplice
errore. Sono attestate in epigraia sia la forma Acotulus sia Acutulus, in particolare ne abbiamo
un esempio al femminile a Roma proveniente dalla catacomba di Domitilla (ICVR III, 6524).
In l. 3 è particolare l’uso del termine pater per identiicare il nonno, mentre sembra meno pro-
babile la lettura proposta da A. Mastino pate/ris (synagogae), un titolo di carattere onoriico che
sembra non comportasse alcun tipo di onere per chi ne era insignito, il quale poteva dedicarsi
ad attività di beneicenza e di aiuto alla comunità, probabilmente si trattava dei inanziatori
della sinagoga e si poteva essere insigniti di questo titolo anche per più comunità (Mastino
1984). A. Corda si sofferma sulla sequenza DEINGEN con attenzione. Nella prima edizione
250
Ebrei in Sardegna: storia, siti e materiali
del testo viene sciolta con dein gen(itus), locuzione indicativa della nascita a una nuova vita,
quella celeste ed eterna, mentre nell’AE viene interpretata come causa patologica della morte
di Anianus, ovvero de ing(u) i n(e). Tuttavia la proposta di A. Corda, che riprende in parte quella
del primo editore, sembra la più credibile e quella coi maggiori riscontri. Lo studioso infatti
legge (in) dei n(omine) gen(itus), con un riferimento nell’iscrizione trilingue di Meliosa da Tarra-
gona, che pur con vocaboli diversi riprende il medesimo concetto, e in CIJ 671 che invece si
presenta proprio speculare. C. Colafemmina invece riprende la lettura proposta da D. Noy
sostenendo che negli epitafi giudaici e cristiani l’indicazione di mortu(u)s era seguita dall’età
del defunto o dalla data di morte, indicazione molto comune secondo J. Janssens. L’età qui è
espressa dopo vixit, perciò DEINGEN sarebbe da suddividere in DEI N GEN. Dei sarebbe
una semplice inversione per die, mentre n sarebbe l’abbreviazione di n(onarum), inine gen sa-
rebbe l’abbreviazione di gen(uarium), forma tarda di Genuarius. La lettura proposta da D. Noy
e C. Colafemmina sarebbe dunque: dei n(onarium) gen(uarium).
I casi dubbi non riguardano solo l’interpretazione del testo, ma anche l’attribuzione o meno
all’ambito epigraico. Mentre ormai non appaiono più dubbi sul dover espungere il sigillo
di Aster dal computo dei materiali ebraici, resta ancora dubbia l’attribuzione dell’iscrizione
trovata ad Ardara, l’iscrizione di Sedecam (EDR153001).
Il dubbio di attribuzione nasce dall’interpretazione del patronimico in l. 2. G. Piras sostiene
che si possa riferire all’ambito giudaico o quanto meno giudaizzante e propone di integrare
con [A]ronis (Piras 2009). In epigraia le attestazioni del nome biblico Aron, anche nella
forma Aaron, sono molto scarsi. Nella forma Aaron compare solo in un papiro del Fayyum
datato al 114 d.C., su cui permangono dubbi sull’appartenenza all’ambito giudaico, e in un
epitafio da Wadi al-Mukatteb, nel Sinai, dedicato alla memoria di Mosè, Samuele e Aronne.
Secondo T. Ilan, il nome di Aronne non venne mai portato nella Palestina post biblica e le
scarse tracce possono dipendere da questo (iLan 2008). Anche nelle fonti documentarie resta
la stessa situazione di scarsità di attestazioni e l’unica attestazione riguarda un papiro di un
censimento del III secolo a.C., ma sul nostro ÇArwn non si ha comunque la certezza di giu-
daicità. In Sardegna la prima attestazione risale addirittura al ‘400. Come fa notare lo stesso
G. Piras, non è sempre possibile pensare che ad un nome di pertinenza giudaica corrisponda
un personaggio di religione ebraica, ma egli stesso sostiene che per ÇArwn ci sia ancora un
margine di incertezza. Tuttavia va considerato che nel nostro caso l’integrazione [A]ronis è
essa stessa dubbia e meritevole di ulteriori approfondimenti. Per l’H inale l’integrazione più
probabile è h(ic situs est), oppure come abbreviazione di h(eres) che si accorderebbe maggior-
mente se l’elemento onomastico fosse al dativo.
Resta il dubbio quindi che il titulus in questione possa o meno essere attribuito all’ambito giu-
daico. Essendo databile al I d.C., si potrebbe pensare che si possa trattare di alcuni degli ebrei
coscritti all’epoca di Tiberio o dei loro immediati diretti discendenti, ma l’analisi di G. Piras
si fonda esclusivamente sull’integrazione di [-]ronis con un riferimento biblico ad Aronne. Il
nome è poco diffuso già in Palestina e ha pochissimi riscontri ovunque, peraltro essi stessi
dubbi. Inoltre il luogo di ritrovamento, Ardara, non ha dato inora altri reperti ebraici che
facciano pensare allo stanziamento di comunità ebraiche nelle vicinanze, il che potrebbe farci
pensare ad una sepoltura occasionale oppure al fatto che il manufatto sia stato portato nel
luogo di ritrovamento da un altro sito.
Ovviamente è normale notare che i ritrovamenti di ambito ebraico si concentrino sulle coste
e nelle aree lungo i tracciati delle due direttrici principali isolane, questo per due motivi prin-
cipali. Il primo è che ovviamente lo stanziamento delle comunità ebraiche doveva in qualche
modo essere agevolato dalla presenza di rotte commerciali; il secondo motivo, di carattere
più generale, è che il livello di alfabetizzazione della popolazione vada a degradare man mano
che ci si allontana dai centri costieri verso l’interno, ad esclusione chiaramente dei centri
urbani con forte presenza romana dovuta alla necessità di controllare il territorio, come ad
esempio Forum Traiani.
Le iscrizioni inora considerate sono in lingua latina o al massimo bilingui, poiché in tutta la
Sardegna non sono presenti iscrizioni ebraiche in lingua greca e ne esiste solo una, seppur
frammentaria, completamente in ebraico. Il manufatto, EDR153439, viene da Tharros, locali-
tà Capo San Marco, e la zona di ritrovamento viene indicata da Mahmoud – Ebn – Djobair,
storico arabo del XII secolo. Nella sua opera scrive infatti «In questo luogo (Qawsama) re-
stano vestigia d’antica costruzione che, ci venne riferito, era stata in passato stanza di ebrei»,
251
Marianna Piras
ma va tenuto conto che spesso gli autori arabi tendono ad assimilare gli Ebrei ai Cristiani, in
quanto Ahl al-Kitab “gente del libro”.
Da Tharros sembrerebbe provenire anche un anello che, nella verga interna, ha un’iscrizione
con formula eulogica in lingua ebraica. La provenienza non è chiara, poiché l’anello è stato
ritrovato a Macomer, ma secondo lo Spano, che lo aveva acquistato per poi donarlo al Museo
Archeologico di Cagliari, proveniva da Tharros. Il testo, costituito da una formula eulogica e
dalle iniziali della formula “Simom Tob”, richiama un’iscrizione di Taormina in lingua greca
che presenta la medesima formula.
Il dubbio di provenienza resta anche per un altro anello con iscrizione, l’anello di Iuda. Secon-
do G. Spano sarebbe stato ritrovato a Sant’Antioco, mentre per A. Taramelli è sicuramente
proveniente da Capoterra (sPano 1856, taraMeLLi 1908). L’attribuzione all’ambito ebraico
non è chiaramente dubbia, come invece è accaduto per il noto “sigillo di Aster”, attribuibile
secondo P.B. Serra all’ambito giudeo-cristiano. La presenza di una croce greca posta di lato al
monogramma non lascia spazio ad interpretazioni fantasiose, tanto più che la deinizione di
giudeo-cristiano si attribuisce alle comunità ino al III d.C. o, al massimo, al IV d.C., mentre
la datazione di questo manufatto si colloca in pieno VI secolo.
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253
Marianna Piras
254
Il mondo cristiano: l’ecclesia docens e l’ecclesia discens
Antonio M. Corda
Il cristianesimo irrompe nel mondo antico “colorando” di nuove tinte produzioni letterarie,
pittoriche, artistiche e epigraiche, dando, in quest’ultimo caso, una nuova connotazione a
testi e formule costruendo così un nuovo linguaggio epigraico.
La Sardinia non fa certamente eccezione rispetto al resto dell’Orbis ed anzi con i suoi ma-
nufatti epigraici di matrice cristiana (circa 250 contro circa 1500 “pagani” inora rinvenuti
nell’Isola) fornisce lo spaccato di una società quanto mai variegata in cui tutte le classi sociali,
e in particolare le nuove classi dirigenti originate dalla struttura organizzativa della Chiesa
nascente, hanno un ruolo deinito e importante.
Il testo epigraico infatti nella sua qualità principale di “testo esposto” e cioè di linguaggio
orientato alla comunicazione pubblica ha il compito di fornire in primo luogo le informa-
zioni relative ai personaggi che vengono in esso menzionati con due scopi principali: con-
servarne il ricordo e raccontare qualcosa della loro vita per elogiarne comportamenti e virtù.
Nel mondo cristiano questi aspetti sono enfatizzati principalmente in funzione dell’intensità
con cui i defunti (le iscrizioni cristiane sono per quasi totalità iscrizioni funerarie) hanno vis-
suto il loro essere cristiani – e cioè hanno espresso la loro devozione – oppure con che grado
di eficienza, che nel mondo cristiano può equivalere al “grado di santità”, hanno svolto il
loro ministero.
Ruolo e fede giocano una partita interessante nelle iscrizioni cristiane quando ad esempio
nell’iscrizione proveniente dalla catacomba di Sant’Antioco a Sulci si parla di arredi e di ricchi
marmi posti a celebrare quella che nel testo epigraico CIL X 7533 viene deinita “un’aula”
(più probabilmente la chiesa e non la tomba del martire) destinata a risplendere.
Questa luce doveva essere senza dubbio originata dai marmi, ma a far brillare l’aula era piut-
tosto la fede con cui i devoti pellegrini si sarebbero accostati, nella vicina catacomba, alla
tomba del martire. Nel testo epigraico il personaggio centrale è il martire Antioco, ma gli
attori sono gli estensori del testo che sono in realtà uomini di apparato, come Petrus antistes
(vescovo), più una serie di personaggi minori che giocarono un ruolo importante sia nell’ab-
bellimento del monumento, che nella stesura dell’epigrafe stessa.
Nel messaggio epigraico cristiano vengono quindi coinvolti attori che, dal punto di vista
sociale e del ruolo, svolgono diverse funzioni all’interno della Chiesa locale.
Ad una prima grande differenziazione fra i semplici fedeli che compongono l’ecclesia discens e
gli ordinati che invece rappresentano l’ecclesia docens fa seguito una strutturata deinizione di
diversi ruoli ad indicare così una gerarchia ben organizzata e complessa.
In questo modo la religione, di per sé un fatto privato, diventa un fatto “non privato”, una
testimonianza di appartenenza ad una comunità che vive così, raccontandosi in un testo epi-
graico, la sua dimensione pubblica.
In un quadro così ricco meraviglia generalmente la quasi totale assenza della menzione dei
ruoli civili che invece erano un po’ la caratteristica dell’epigraia dei periodi precedenti ed
erano il veicolo principe per comunicare al lettore occasionale, destinatario ultimo del testo,
il proprio elevato status sociale.
In generale e soprattutto nei primi secoli della cristianità i testi epigraici non riportano questo
tipo di dati che al contrario diventano un po’ più frequenti dopo la pace della Chiesa (312 d.C.).
Resta da chiedersi se ciò avvenisse per manifestazione di umiltà o per la paura di ritorsioni.
Probabilmente entrambi i fattori hanno avuto il loro ruolo soprattutto quando il proprio es-
sere cristiano non andava molto d’accordo con una dimensione pubblica svolta in un mondo
antico in cui la religione giocava una partita molto più politica che nel mondo moderno.
Il prefectus urbi Giunio Basso non ebbe però paura a Roma a manifestare la propria apparte-
nenza al credo cristiano quando vicino alla sua carica civile menzionò il suo essere neoitus,
cioè neobattezzato. Stride in questo caso l’ostentazione di un ruolo d’ingresso nella comuni-
tà cristiana con quello di prafectus Vrbi, secondo a Roma per importanza solo all’imperatore.
255
Antonio M. Corda
Dificilmente però la famiglia di Giunio Basso nel 359 avrebbe avuto nocumento da questa
sua dichiarazione: troppo alto era il livello sociale e ben lontano il periodo da quello delle
grandi persecuzioni.
È interessante osservare cosa accade in Sardegna. Nell’Isola l’essere battezzati veniva espres-
so con la classica generica formula idelis che troviamo ad esempio citata in una iscrizione pro-
veniente da Porto Torres menzionante il puer Victorinus (EDR153374; cat. n. 2.62). Nel testo
viene precisata la data di morte del puer (26 ottobre del 415 d.C.) mediante la menzione della
coppia consolare in carica in quell’anno rappresentata dagli imperatori Onorio e Arcadio.
La fortuna di conoscere con esattezza la data di produzione di un’epigrafe è però riservata
– nelle iscrizioni della Sardegna – a ben pochi casi.
Quasi tutte le iscrizioni cristiane dell’Isola sono, infatti, non datate anche se possiamo uti-
lizzare dei criteri di datazione indiretti per stabilire con un certo grado di attendibilità l’arco
cronologico di appartenenza.
In quest’ottica fa gioco, per le rilessioni qui proposte, veriicare l’appartenenza dei perso-
naggi menzionati nei testi ai diversi ordini delle Chiese locali andando ad analizzare le cariche
in essi indicate. È noto che con l’andare del tempo esse vennero deinite e integrate nei ruoli
e ampliate come numero in quantità e qualità. Grazie ad esse è quindi possibile descrivere
la struttura della società cristiana sarda dei primi secoli e cercare di deinirne le cronologie.
La struttura della Chiesa divisa in ecclesia docens (la gerarchia ecclesiastica) ed ecclesia discens (ge-
nericamente i fedeli) è codiicata già a partire dalla metà del III secolo, quando papa Cornelio
scrisse al vescovo Fabio deinendo con un elenco redatto in greco (la lingua uficiale della
prima cristianità) le diverse cariche.
Quasi tutti i ruoli menzionati da papa Cornelio sono presenti nel corpus delle iscrizioni sarde in
manufatti che come arco cronologico abbracciano un periodo che va dal IV al VI secolo d.C.
Il fatto già ricordato che non venissero di fatto menzionate, se non in qualche raro caso, ca-
riche e ruoli civili o militari non signiica che i cristiani non fossero civilmente impegnati (si
veda ad esempio dell’iscrizione sotgiu 1961, n. 112 di Iohannes ex tribunu).
A cambiare, nel mondo cristiano, è la stessa percezione di impegno civile. Molti di essi svol-
gevano infatti un ruolo sia religioso che civile, e cioè con ricadute al di fuori della sfera religio-
sa, ma in quest’ultimo ambito il loro operare e la loro giurisdizione non derivava da un ruolo
256
Il mondo cristiano: l’ecclesia docens e l’ecclesia discens
257
Antonio M. Corda
del testo da parte dell’ordinator e cioè da parte di colui che era incaricato di redigere i testi.
L’iscrizione recita expectat Christi ope /rursus sua vivere carne / et gaudia lucis nobae / ipso dominan-
te videre. Il minister Silbius, dunque, “aspetta che per la potenza di Cristo la sua carne possa
rivivere e aspetta di vedere la gioia della nuova luce nel suo regno”. L’attesa del giorno del
giudizio, in questo senso può essere anche intesa l’espressione lucis nobae, e quindi il paradiso
è la grande speranza di Silbius, un desiderio che evidentemente accomunava l’estensore del
testo, il defunto e il lettore interessato.
Se il diacono, che comunque faceva parte degli ordini superiori, era il braccio esecutivo del
vescovo il presbitero era colui che stava più a contatto con i fedeli.
L’unico presbyter noto in Sardegna è Iohannes / p(res)b(yter) huius {a}ec(c)l(esiae) di EDR075865
proveniente da Maracalagonis la cui attribuzione ad una chiesa locale in quell’area suscita non
poche dificoltà in quanto nella faccia anteriore (l’epigrafe è opistografa) la pietra reca incisa
una importante iscrizione (EDR073095) alto-imperiale del 208/209 d.C., inequivocabilmente
proveniente da Carales. Allo stato attuale delle conoscenze resta dificile stabilire con certezza
se tale iscrizione sia pertinente al centro o alla “periferia”, vale a dire il suo ager.
Dopo il IV secolo si aggiungeranno a questi ruoli quelli di archipresbyter come Istefan/us
archi{e}presbyter / s(an)c(ta)e ec(c)les(iae) Ka(ra)litan(a)e (EDR075151 da Carales) e inine di archidia-
conus come il “detestabile” (per il sentire moderno) Felix, che imponeva ai propri servi di por-
tare un collare di metallo perché fossero, in caso di fuga, riconoscibili come di sua proprietà.
In un manufatto (EDR076319) del Museo Nazionale di Cagliari abbiamo infatti l’iscrizione
S[ervus sum] Felicis arc(hi)diac(oni) tene me ne fugiam: “sono schiavo dell’archidiaconus Felice: trat-
tienimi perché io non scappi.”
258
Il mondo cristiano: l’ecclesia docens e l’ecclesia discens
Dopo la metà del V secolo compaiono nell’epigraia isolana altri ruoli come quello di monaco,
si veda ad esempio il B[onifa]/tius r(e)l(igiosus) di EDR154687, di virgo sacra e di abbatissa. Il mona-
chesimo in Sardegna fu introdotto da Fulgenzio di Ruspe e furono fondati una serie di monasteri
maschili e femminili. A Carales, probabilmente nel VI secolo, Redempta (Corda 1999, CAR067) fu
abb(atissa) monast(erii) s(an)c(t)i Laure[nti] e quindi superiora di una comunità di monache.
Sia Iohanna (EDR153761) di provenienza ignota che Stephana di Carales (EDR154112) dei-
nite castae virgines sacrae, furono praticamente delle suore che, al pari delle viduae, avevano un
ruolo all’interno della comunità. Uno status speciale veniva infatti riconosciuto all’interno
della comunità cristiana alle vedove che rispondevano ai requisiti di una condotta di vita irre-
prensibile e al fatto di non essersi risposate dopo la dipartita del proprio marito. La comunità
cristiana locale se ne faceva carico in cambio della loro testimonianza di fedeltà e religiosità
e della loro opera all’interno dell’organizzazione della chiesa locale. Questo fu forse il ruolo
dell’olbiese Valeria (se l’iscrizione è cristiana) che venne lasciata sola dal proprio marito con
ben quattro igli (EDR154027).
La presenza sul territorio di un così alto numero di ordinati presuppone ovviamente una
signiicativa presenza di ideles che vivevano la propria dimensione religiosa, la propria vita e
il proprio ruolo sociale rispondendo in prima istanza ai precetti della Chiesa. Erano quindi i
ideles, la Chiesa discens, oggetto e cura di una gerarchia che in quei secoli si dimostrò partico-
Iscrizione di Karissimus da Tharros; larmente attenta fornendo alla bisogna assistenza e aiuto.
Corda 1999, THA004 (particolare). Il Karissimus ricordato nell’iscrizione di Tharros (corda 1999, THA004; cat. n. 2.51) in cui
il defunto viene rappresentato come un cavallo in corsa con il marchio di Cristo sulla coscia
si autodeinisce infatti come amicus omnium (amicus di tutti) e non come sarebbe avvenuto in
Nella pagina accanto precedenza come amicus amicorum (amicus degli amici). L’espressione riferita a Karissimus sem-
Collare di schiavo; EDR076319. bra indicare quella che fu l’attività del nostro all’interno della chiesa tharrense e cioè quello di
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale. gestire una specie di ostello (xenodochium) per pellegrini.
L’attività caritativa di questo tipo è peraltro nota in Sardegna in un’iscrizione proveniente da
Iscrizione di Beneria da Tharros; Olbia in cui viene menzionato un certo Secundus mag/n(a)e integritatis viro bo/no patri orfanorum /
EDR081161 (particolare, chrismon). inopum refugium pere/grinorum (EDR153370).
259
Antonio M. Corda
La solidarietà nei confronti dei più poveri viene citata anche in testi dai formulari inattesi nel
panorama delle iscrizioni cristiane come quello del sarcofago di Turris Libisonis (EDR153375)
in cui, in un contesto che sembra più coerente con un mondo pagano – il dedicante ricorda
come la defunta si augurasse di premorire al proprio marito usando l’espressione semper optasti
hoc et evenit tibi / rogum maritus ut tibi facere(t) prior – venga celebrata la igura di Flavia Cyriace,
donna esemplare per virtù cristiane e soprattutto dedita ad attività caritative. Viene quindi
enfatizzato in Ciriaca il senso più pieno del cristianesimo nel precetto evangelico di amore
verso il prossimo, che viene appunto esaltato nel suo lasciare in eredità le proprie sostanze ai
più poveri: rem suam [pauperibus] / linquit nec quidem ipsa po[steris suis].
La menzione della Chiesa come apparato occorre in diversi testi, soprattutto in quelli in cui
un personaggio laico o consacrato svolge un ruolo di tipo amministrativo.
La presenza nelle iscrizioni cristiane di ruoli come quello di defensor (avvocato), notarius (can-
celliere) e rector (amministratore) sono la spia di un’organizzazione eficace, strutturata e pre-
sente nel territorio.
Una singolare iscrizione proveniente da Cagliari (Corda 1999, CAR056) ci ricorda Menas
notar(ius) subregiona/rius s(an)c(t)ae Rom(anae) eccl(esiae) et rec(tor). Il nome, di chiara origine orien-
tale, è portato da un notaio incardinato a Roma che viene deinito anche rector.
Viene da chiedersi come mai questo personaggio si trovasse a Carales e perché. È possibile
ipotizzare un ritorno alle origini? Forse era un civis caralitanus che aveva fatto carriera ed era
tornato a casa una volta inito il proprio incarico romano oppure, in alternativa, si trattava di
una persona di iducia del ponteice inviata a Carales per “mettere in ordine” qualche aspetto
amministrativo, come è testimoniato per altri casi dalle lettere di Gregorio Magno. Ciò che
risulta certo è l’impegno di Menas in pratiche di tipo amministrativo sia con l’interlocutore
ordinario (quella che ora chiamiamo la società civile) sia, è da pensare, con un interlocutore
privilegiato come l’amministrazione dello stato.
Al notarius si deve poi aggiungere una igura come quella del defensor, che presuppone un’or-
ganizzazione strutturata di una diocesi che, oltre alla cura animarum, era attenta grazie all’aiuto
Iscrizione di Deusdedit, defensor, dei defensores, dei notarii, dei rectores alla tutela dei propri ideles.
da Cagliari; Corda 1999, CAR018. In buona sostanza questi testi propongono la dimensione più temporale di una Chiesa che
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Il mondo cristiano: l’ecclesia docens e l’ecclesia discens
col passare del tempo diventava sempre più organizzata, strutturata e di dimensioni no-
tevoli e che, coerentemente con le lettere “sarde” di Gregorio Magno suggeriscono per
l’Isola come momento di compiuta cristianizzazione, nonostante alcune sacche di paganesi-
mo, un’età molto tarda di V-VI secolo.
Bibliograia
261
3.
La Sardegna
tardoantica
e altomedievale
Le città in Sardegna fra tardoantico ed altomedioevo
Rossana Martorelli
265
Rossana Martorelli
266
Le città in Sardegna fra tardoantico ed altomedioevo
40, 1-12), era dislocata fra il colle di Corchinas (dove in dall’Ottocento vennero effettuati
i primi ritrovamenti di rovine, statue, sarcofagi, iscrizioni, monete), Campu ‘e Corra e la
sella pianeggiante fra le due alture, in cui doveva trovarsi il foro. A Forum Traiani, fondata
nell’area presso il complesso termale delle Aquae Ypsitane, sul iume Tirso, scelta dall’impe-
ratore Traiano per la posizione strategica nel sistema viario e perché ai piedi della Barbaria
(Barbagia), abitata da popolazioni non romanizzate, il foro era forse dietro alle terme. A
Turris dal III secolo il porto e il foro si spostarono ad oriente. Ad Olbia il foro, che ricerche
recenti hanno permesso di ipotizzare affacciato sul porto, presumibilmente rimase in uso
ino all’arrivo dei Vandali.
Le città-municipium almeno dal IV secolo divennero sede di diocesi. La più antica è Carales,
rappresentata al concilio di Arles del 314 dal vescovo Quintasius e dal presbyter Ammonius.
Non è certo se nuovi presuli siano stati istituiti prima del concilio di Sardica (343), ma dalla
ine del medesimo secolo Carales è certamente metropolita, per cui doveva esistere almeno
un’altra diocesi.
Si ritiene che entro la prima metà del V secolo siano state create le altre sedi presenti al
Concilio di Cartagine nel 484 (v. paragrafo I Vandali), perché non sarebbero potute nascere
in questo periodo, se anche nell’Isola fu applicato il divieto dei re vandali di istituire nuovi
presuli (facendo essa parte del regno).
Anche per la prima metà del V secolo non si hanno notizie su luoghi di culto cristiani nelle
città sarde. Il Martirologio Geronimiano, calendario in uso in tutto l’impero, compilato fra il
431 e il 450, nomina diversi martiri legati alla Sardegna, di cui sono ritenuti autentici Lussorio
(a Forum Traiani), Gavino (a Turris) e Simplicio (forse ad Olbia, anche se la fonte riporta in
Sardinia). Sebbene non menzionato, Saturnino era certamente oggetto di devozione a Carales.
Stretto era il legame con il suburbio, dove si dislocavano i sepolcreti nei quali gradualmente
trovarono sepoltura i cristiani e nacquero i santuari martiriali. Delle prime fasi si hanno
poche e non sempre chiare testimonianze al di sotto dei martyria bizantini (cfr. paragrafo
L’età bizantina).
Tra ine IV e prima metà V secolo le città acquisirono una isionomia cristiana. Contempora-
neamente e talvolta in dipendenza dei poli cultuali si ampliava la supericie urbana. A Carales
nella zona orientale fu progettato il nuovo quartiere ritrovato sotto la chiesa di Sant’Eulalia,
spianando un’area prima occupata da un tempio per impiantare una strada lastricata e due
complessi residenziali di notevoli dimensioni. Tale strada fu poi deviata per un portico mo-
numentale, affacciato forse su una terrazza a giardino, che mutò la direzione degli assi viari
da NE/SW a NW/SE. Anche a Nora un quartiere si sviluppò attorno alla nuova strada, con
267
Rossana Martorelli
I Vandali
L’Isola fu conquistata dai Vandali, che sferrarono un attacco violento su Olbia. Indagini re-
centi hanno restituito una decina di navi attraccate nel porto, incendiate in connessione con
il sacco di Roma (455 d.C.). I relitti mai rimossi ne decretarono la cessazione d’uso. Forse a
questo evento vanno ricollegati i crolli visti anche in passato in alcuni punti della città, ma
Olbia non venne distrutta: la ridotta funzionalità del porto e il venir meno della sua posizio-
ne strategica con la caduta dell’impero romano, che spostò l’asse verso Cartagine e non più
Roma, furono la causa di una fase di stasi economica, politica e sociale.
Caralis mantenne invece il ruolo di città principale della Sardegna, come sede del funzionario
rappresentante del nuovo regno. Si conosce solo il nome dell’ultimo – Goda – che emise
moneta poco prima della sua sconitta da parte dei bizantini, che riconquistarono l’Isola.
Sporadiche e disomogenee sono le attestazioni relative a nuovi interventi edilizi o urbanistici.
Al concilio indetto a Cartagine nel 484 da Unnerico su questioni dogmatiche (MGH, AA, 3,
1, pp. 63-64 e 71) presero parte 5 presuli (Lucifer II – Carales; Vitalis – Sulcis; Martinianus – Fo-
rum Traiani; Bonifatius – Senafer; Felix – Turris Libisonis). Il concilio si concluse con la condanna
all’esilio in Sardegna e Corsica di numerosi vescovi e monaci che riiutarono l’arianesimo, tra
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Le città in Sardegna fra tardoantico ed altomedioevo
cui Fulgenzio di Ruspe. A Caralis, i religiosi giunti al suo seguito introdussero la disciplina
monastica; quando poi la sua casa (Vita Fulg., 24) divenne inadatta per i numerosi seguaci,
chiese al vescovo Brumasio (fra 519-523) un terreno presso il santuario di San Saturnino
per fondare un cenobio, che fu dotato di uno scriptorium. Dell’ecclesia episcopalis non si hanno
notizie, ma alcuni indizi ne suggeriscono l’ubicazione nel nuovo quartiere (oggi La Marina).
Nel teatro di Nora, ad ovest del foro, sono state evidenziate trasformazioni: all’esterno
erano focolari e nuove costruzioni, forse ad uso artigianale; all’interno, dopo la ine degli
spettacoli, l’iposcenio fu utilizzato come cantina con grossi dolia per contenere le derrate
alimentari. Negli stessi anni la vita si spostò deinitivamente nel nuovo quartiere, dove ven-
ne ediicata una basilica, dotata forse di battistero, anche se Nora non sembra essere stata
sede di una diocesi.
Anche a Tharros si riscontra un nuovo impulso edilizio. Le terme n. 1 furono riadattate
per impiantarvi il complesso episcopale. Nel 1956 tornò alla luce un ediicio ad aula unica
monoabsidata, che conteneva una vasca esagonale, scavata nella roccia e foderata da lastre
basaltiche, con tre gradini di accesso. Sul bordo si vedono ancora un sedile in arenaria e i
resti delle basi di colonnine che in origine dovevano sorreggere un baldacchino in pietra.
Sulla collina che sovrasta a nord il battistero sopravvivono i resti di un piccolo ediicio forse
a tre navate, absidato ad ovest, in cui si è indotti a riconoscere la cattedrale connessa al batti-
stero. I vani delle originarie terme, evidentemente non più in uso, furono forse destinati sia a
residenza del vescovo e del clero sia ad “ufici diocesani”. Johannes episcopus tharrensis, il primo
presule noto, è citato nella XII epistola di un’opera perduta di Fulgenzio (inizi VI secolo).
La posizione della cattedrale tharrense, urbana e centrale, apre la via verso la possibilità che
tutte le sedi delle diocesi fossero entro i limiti urbani e non nel suburbio in prossimità dei
santuari. In base a quest’ultima ipotesi la tradizione ha da sempre identiicato il complesso in
loc. Columbaris (costituito da un sepolcreto all’interno del quale vennero ediicati a partire
dal IV secolo una chiesa cimiteriale, una basilica e un battistero, completati da una struttura
residenziale) con la cattedrale di Senafer = Cornus. Il toponimo Senafer, derivato forse dalla
contrazione di Sinus Afer, sembrerebbe più appropriato ad un distretto territoriale, dato che
diversamente dalle altre sedi diocesane non si riferisce ad alcun centro urbano noto. La di-
stanza da Cornus, l’ubicazione e la sua isionomia, accostabile alle ecclesiae baptismales per gli
abitanti delle campagne, fanno pensare che potrebbe essere una cattedrale rurale, per coloro
che in un sistema latifondistico in uso in età romana e bizantina popolavano il territorio: i
possessores, che gestivano l’economia agricolo-pastorale. È possibile invece che Cornus avesse
una sua propria chiesa principale in ambito urbano, che più tardi assunse dignità di cattedrale:
un vescovo Boethius di Cornus partecipa al Concilio del 649. Un ediicio absidato, identiicato
dagli scopritori come basilica, risalente a ine IV-V secolo per analogia costruttiva con la
basilica funeraria di Columbaris, è tornato alla luce nell’area nord-est del foro all’interno
dell’area urbana.
269
Rossana Martorelli
L’età bizantina
Le città igurano nel VII secolo nella Cosmographia dell’Anonimo Ravennate (V, 26): Caralis,
Sulci, Neapolis, Othoca, Tharri, Corni, Bosa, Turris Libisonis. Sia nelle lettere di papa Gregorio
Magno (590-604) che nella Descriptio Orbis Romani di Giorgio di Cipro (prima metà VII seco-
lo) il toponimo Olbia appare sostituito con Fausißh. Studi recenti la ubicano sul sito della
città romana – e non nella loc. Pasana, a 3 km da Olbia dove è stata da alcuni localizzata in
base all’assonanza del toponimo.
Le mura urbiche rimasero in uso e le città sarde – come in tutto il Mediterraneo – dovevano
apparire centri fortiicati. Procopio di Cesarea, narrando lo scontro a Caralis nel 552 fra i Goti
che per un anno occuparono l’Isola e l’esercito di Giustiniano, riferiva che essi uscirono dalle
porte della città (Bellum Gothicum, IV, 24,31-38). Pochi decenni dopo (ottobre 598), Gregorio
Magno (Ep., IX, 11) esortava il suo vescovo Ianuarius a rinforzare le mura, forse danneggia-
te durante i suddetti eventi, per arginare il pericolo di incursioni da parte dei Longobardi.
Appartengono al circuito urbico le strutture in grossi blocchi ritrovate sotto la chiesa di San
Michele nel quartiere di Stampace e sotto l’ex Albergo “La Scala di ferro” in viale Regina
Margherita, che sembrano delineare un percorso che proteggeva il centro urbano a nord,
dall’aniteatro, sotto l’attuale via Manno, per congiungersi poi alle mura a triplice cortina
individuate da G. Lilliu sotto al Palazzo dell’INPS in via XX Settembre.
Non si escludono anche i cosiddetti “ridotti”, aree di minori dimensioni, cinte da mura,
con funzione difensiva e militare, spesso presenti all’interno delle città bizantine. A Carales
risiedeva la lotta e certamente anche un corpo di guardia. Dall’area prospiciente lo stagno
di Santa Gilla proviene un’epigrafe che menziona un metatum Sancti Longini. Il metatum era un
ridotto e la dedica a San Longino, il centurione testimone della Passione del Cristo, sugge-
risce l’intenzione di porre il luogo sotto la protezione di un “militare”. La Cosmographia del
Ravennate cita un praesidium Norae: le mura non sono state trovate; si ipotizza che le cosid-
dette Terme a mare, che hanno subito modiiche, defunzionalizzando alcuni ambienti e chiu-
dendo gli accessi al mare, siano da identiicare con il suddetto praesidium. Delle mura di Sulci
rimangono alcuni resti vicino al Fortino Sabaudo. Ancora nell’Ottocento A. Della Marmora
e V. Angius vedevano un castrum, attestato già in una stampa seicentesca. In particolare Della
Marmora ne fornisce un disegno: una costruzione trapezoidale con quattro torrette d’angolo
e due sui lati lunghi. Situato dove oggi è il campo sportivo, proteggeva l’accesso alla città, che
avveniva dai due bacini portuali a nord e a sud dell’istmo e dal ponte romano, che collegava
l’isola alla terraferma mediante una strada (afiorante oggi dall’acqua). La Descriptio Orbis Ro-
mani di Giorgio di Cipro menziona un Kßstron tou Tßrwn, secondo molti studiosi da iden-
tiicare con il cosiddetto Castellum aquae, in origine serbatoio idrico della città, trasformato
con l’aggiunta di altri ambienti, visibilmente addossati alla struttura principale quadrangolare;
270
Le città in Sardegna fra tardoantico ed altomedioevo
oppure con i resti murari individuati sul Colle di San Giovanni. Forum Traiani, l’unica città
sarda citata nel De aediiciis di Procopio di Cesarea (Aed., VI, 7,12-13), è detta phrourion (oppi-
dum, luogo fortiicato). Delle mura non si sa nulla; si è pensato che Casteddu Ezzu, nuraghe
riusato in età bizantina a scopi difensivi, fosse legato alla città. Forse anche Cornus era dotata
di un castrum al quale andrebbero attribuiti i resti murari segnalati all’inizio del Novecento. A
Turris Libisonis tratti delle mura sono tornati alla luce sotto la Banca Nazionale del Lavoro e
il Banco di Sardegna, tra via Sassari e via Mannu, nel corso Vittorio Emanuele e nella zona
dell’ex pretura. Innalzate su interri contenenti reperti di V-VI secolo, rientrano nella risiste-
mazione degli inizi dell’età bizantina.
Il sistema viario, pur invariato rispetto ai secoli precedenti, registrava modiiche nell’orienta-
mento delle strade in relazione ai nuovi poli.
I centri politico-amministrativi della città “romana” probabilmente rimasero in vita. Caralis fu
capitale amministrativa all’interno della provincia d’Africa (VII dell’impero). Del funzionario
271
Rossana Martorelli
– il praeses – non si conosce la sede, ma pesi ed exagia (usati nelle ufici pubblici e commer-
ciali) trovati in Piazza del Carmine inducono a ritenere che il fulcro fosse ancora nel foro.
Le indagini in via Malta hanno restituito reperti di VII secolo, ma sembra che la zona dove
era stato il teatro-tempio in età repubblicana fosse un giardino dopo la sua dismissione; dalla
vicina via Maddalena provengono frammenti di anfore del X secolo. A Nora il foro in età
protobizantina non era più la sede del potere, ma solo luogo di residenza e attività artigianali.
A Forum Traiani, situato dietro alle Terme, rimase forse in uso ino a tarda età.
Nel 599 Gregorio Magno lamentava gli abusi del dux Theodorus a danno di poveri, religiosi
e del vescovo di Turris (Ep., I, 59). Non si sa se il dux risiedesse nella città, ma è opinione
comune che le terme centrali in età bizantina siano state trasformate in palazzo pubblico,
tramandato con il nome di re Barbaro, che nella tradizione locale richiama il praeses Barbarus,
che aveva condannato al martirio Gavinus, Protus e Ianuarius. Un’epigrafe, oggi nella basilica
di San Gavino, celebra la vittoria di un tal Constantinus (imperatore o doux) sui Longobardi e
altri barbari (seconda metà VII-inizi VIII sec.). A. Taramelli disse che era incisa sullo stipite
della porta di un ediicio romano, poi usato come architrave di una chiesa bizantina presso
la stazione. L. Pani Ermini, invece, ha proposto che fosse stata posta su un ediicio pubblico
laico, il palazzo di Re Barbaro. La massima autorità militare, scissa ino al VII secolo da quella
politico-amministrativa, risiedeva a Forum Traiani, forse la Chrysopolis di Procopio (Aed., VI,
7,12) e Giorgio Ciprio (Descriptio, 682). Una scelta strategica, per la sua posizione centrale, in
un progetto di organizzazione della difesa dell’Isola.
Ancora nuovi quartieri si impiantarono in porzioni già incluse nell’area urbana, ma sino a
quel momento poco frequentate. A Caralis l’estensione dell’area urbana verso est è correlata
al nuovo porto, presso il molo Ichnusa (via Campidano), dove sono stati visti resti di una
banchina e grossi contenitori cilindrici della tarda età imperiale. La chiesa di Santa Maria de
portu gruttis, reintitolata dagli Spagnoli a San Bardilio e demolita nel 1909, e il San Saturnino
de portu kalaretani, citato in documenti di età giudicale, confermano l’uso portuale del bacino
che si apriva dove oggi è viale Cimitero. Anche a Nora il nuovo quartiere (Area M) si affaccia
su un’insenatura usata come approdo almeno alla ine del VII secolo. A Tharros un quartiere
residenziale fu costruito sui muri rasati dell’aniteatro romano. Le terme all’estremità sud del
centro abitato vennero riadattate, con la ripartizione interna degli spazi, foderando la parete
esterna, verso il mare, con una muratura priva di inestre, mentre un altro muro invase la sede
stradale e ne impedì la percorribilità verso l’estremità della penisola di San Marco. Il toponi-
mo attuale di Terme di Convento vecchio induce ad ipotizzare che il complesso termale sia
stato destinato ad accogliere una comunità monastica.
272
Le città in Sardegna fra tardoantico ed altomedioevo
Dall’arcidiocesi di Carales dipendevano altre sei sedi isolane (Ep., IX, 203 inviata nel 599 da
Gregorio Magno). Nel pieno VII secolo la Descriptio di Giorgio di Cipro (che riporta: Kßral-
loj mhtr’rolij, To›rhj, Sanßfar, Sànhj, So›lkhj, Fausißnh, Crus’polij, kßstron to›
Tßrwn) attesta che le maggiori città dell’Isola continuavano ad avere un ruolo nell’organiz-
zazione ecclesiastica. Oltre a Senafer, come ricordato, nel 649 è noto un vescovo della sancta
Ecclesia Cornensis, Boethius, facendo pensare a due sedi diverse. Sànhj è citata distintamente dal
Kßstron tou Tßrwn: la primitiva dimora del vescovo potrebbe essersi spostata nel suburbio,
a San Giovanni di Sinis, una chiesa forse in origine a croce libera come i grandi santuari sardi,
oggi nella ristrutturazione di epoca medievale ad impianto longitudinale, trinavato, che con-
serva sotto il pavimento resti di epoca anteriore, fra cui un lacerto di decorazione absidale
con motivo a tendaggi attribuibile all’età mediobizantina. Un documento negli archivi della
Megisti Lavra al Monte Athos riporta la professione di fede di Eutalio, vescovo sulcitano
(circa 680), che aveva ricusato l’ortodossia nell’ambito delle dispute tra monoteliti e diteliti.
A Turris il presule Marinianus fu destinatario di alcune missive di Gregorio Magno e nel 648
la diocesi fu coinvolta nella questione relativa al potere arrogato dall’arcivescovo cagliaritano
di ordinare i vescovi delle sedi suffraganee sarde. Nel 649 un nuovo episcopo – Valentino
– partecipò al sinodo di Martino I. Gregorio Magno (Ep., IV, 27, a. 594) raccomanda all’arci-
vescovo Ianuarius di Cagliari di eleggere un vescovo in loco qui intra provinciam Sardiniam dicitur
Fausiana, ove la consuetudine di nominare un presule era da tempo decaduta. Si può intra-
vedere un segno delle dificoltà durante il periodo di assedio da parte dei Vandali. Nel 600,
però, Olbia-Phausania ha il vescovo Victor, che si prodiga nell’evangelizzazione dei Barbaricini
e lamenta i soprusi dei funzionari africani nell’esazione dei tributi (Ep., XI, 7).
Ancora incerto il quadro dei luoghi di culto cristiani. Delle cattedrali è nota solo Tharros, ma
le città avevano altri ediici. A Carales ne rimane l’eco nei primi atti di età giudicale: San Salva-
tore, San Leonardo e Santa Lucia de civita o bagnaria (oggi la Marina); Santi Andrea e Anania de
portu, Santa Maria de portu gruttis o salis; Sant’Anastasia, Santa Restituta, San Guglielmo, luoghi
rupestri. A Nora si ritiene che il tempio di Su Coloru, forse dedicato ad Eshmun/Asklepio,
sia stato riconvertito al cristianesimo. A Neapolis erano le chiese di Santa Maria de Nabui e
Sant’Elena, citata da Vidal; a Bosa non si sa se sotto San Pietro vi fosse una chiesa più antica.
La religiosità si viveva molto nel suburbio, nei cimiteri e nei santuari dei martiri. La basilica di
San Saturnino a Carales ebbe un nuovo e radicale restauro. Il martyrium cruciforme ediicato
sull’area funeraria antica, che divenne il cimitero della gerarchia ecclesiastica caralitana, riprese
modelli costantinopolitani. Anche nella necropoli di Nora si creò un polo cultuale dove la tra-
dizione ritiene sia stato sepolto Eisio, il martire di Aelia Capitolina (nome romano di Gerusa-
273
Rossana Martorelli
Nora, Sant’Eisio.
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Le città in Sardegna fra tardoantico ed altomedioevo
Forum Traiani, martyrium I manufatti attestano che le città sarde continuarono a vivere nel medesimo sito, ma con mo-
di San Lussorio. dalità diverse. Il recupero a Caralis, Turris, Bosa e Olbia della Forum Ware, ceramica invetriata
prodotta in area romano-campana dalla metà dell’VIII alla metà del IX secolo, prova una
frequentazione ininterrotta di tali centri urbani; dall’altra parte però gli scavi stanno rimetten-
do in luce città “a macchie”, ove quartieri abitati convivono con ruderi e accumuli di detriti,
segno di continuità, ma anche della non volontà (o non possibilità) di ricostruire.
Cagliari continua ad essere un porto iorente e i reperti documentano una itta rete di rela-
zioni commerciali con l’Africa, la Penisola Iberica e l’Oriente. Proprio per questo si ritiene
che sia stata una delle mete principali delle incursioni islamiche subito dopo la distruzione
di Cartagine del 697-698, riportate da fonti scritte di parte araba fra il 711 e il 753. È degli
stessi anni la notizia fornita dal monaco inglese Beda il Venerabile della vendita delle ossa di
Sant’Agostino al re longobardo Liutprando (721-725), che le portò a Pavia (Bedae Venerabilis
Opera, VI. Opera didascalica. De tempore ratione, LXVI, 593. CCL, 123, p. 535), ribadita nell’Histo-
ria Langobardorum di Paolo Diacono (VI, 48. MGH, Scriptores Rerum Langobardicarum, p. 181).
La tradizione ritiene che le reliquie siano giunte con gli esuli africani del regno vandalico, ma
è probabile che siano state portate dopo la conquista araba. In seguito la città è nominata da
Eginardo, biografo di Carlo Magno (770-840), in Annales regni Francorum: Legati Sardorum de
Carali civitate dona ferentes (a. 815).
Nei secoli VIII-XI essa vive momenti dificili: nell’area archeologica di Sant’Eulalia cumuli di
detriti di ediici distrutti, mai rimossi, furono ricoperti di terra, generando discariche nel pie-
no centro urbano; il portico monumentale crollò; case ancora abitate coninarono con ruderi
ino al deinitivo abbandono e alla desertiicazione. Un grafito, in caratteri cuici, murato nel
rifacimento vittorino della chiesa di San Saturnino, insieme ad un’epigrafe araba (inizi X se-
colo), danno la percezione di una società multietnica forse non sempre in pace. Si è ipotizzato
che Caralis sia la città sarda distrutta nel 935 da parte della lotta araba, di ritorno da Genova;
se così fosse, tale attacco potrebbe aver causato il deinitivo abbandono dell’area urbana e il
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Rossana Martorelli
trasferimento dei suoi abitanti e dei centri del potere civile e religioso nell’area di Santa Gilla.
Nora appare destrutturata: molti antichi ediici, spoliati, furono trasformati in discariche e in
impianti artigianali modesti; le strade ricoperte di terra; spazi abitati alternati a spazi deserti.
La città non sembra sopravvivere oltre la ine del VII secolo o gli inizi dell’VIII, quando
un incendio danneggiò le Terme a mare, forse a causa dei primi attacchi arabi. Invece, il
santuario di Sant’Eisio fu frequentato nei secoli VIII-XI, forse gestito da monaci orientali,
come suggeriscono alcuni manufatti scultorei recuperati al largo dell’Isola di San Macario e
l’agiograia. Anche per Sulci dalla passio di Sant’Antioco si è indotti a ritenere che il santuario
fosse ancora in vita, gestito da una comunità di religiosi, forse orientale. Il compilatore della
passio di Santa Giusta di Othoca, che racconta di un’inondazione che avrebbe cancellato la
vecchia città, come punizione divina per i persecutori della santa, doveva vedere una città
desertiicata.
Se l’Archivum ipotizzato a San Giorgio di Cabras in base ai numerosi sigilli ivi recuperati è
da riferire ad un trasferimento dell’Archivum di Tharros, si dovrebbe pensare all’abbandono
dell’antica città e allo spostamento del centro amministrativo in un’area interna.
L’aniteatro di Forum Traiani fu smantellato come ediicio di spettacolo e ridestinato a sepol-
creto di soldati: le tombe contenevano ibbie di cintura dei militari bizantini e monete, che
consentono di datarne l’uso almeno sino alla ine dell’VIII secolo.
Cornus, per quanto attiene al complesso in loc. Columbaris, non fu frequentata oltre la ine
del VII secolo. Nel X-XI, in seguito alla riorganizzazione diocesana territoriale, una sede
diocesana fu istituita a Bosa, secondo alcuni in sostituzione di Senafer. A Bosa le ricerche ar-
cheologiche hanno riportato alla luce un cimitero sotto la cattedrale di San Pietro ediicata in
età giudicale: si ipotizza che l’abitato antico dovesse essere nei pressi, come indicano i reperti
ascrivibili ai secoli VIII-XI.
A Turris la basilica, caduta in disuso e demolita ino alle fondazioni, venne coperta da un
nuovo ediicio di cui si è trovato un lato del portico, usato come cimitero: le tombe poggiano
– occultandole – sulle fondazioni della chiesa più antica. Esso era decorato, come dimostrano i
lacerti di affresco recuperati negli strati di crollo, databili al IX-X secolo. Fu demolito per cause
ignote, anche se si può azzardare l’ipotesi di qualche attacco dall’esterno alla ine del X secolo.
Che la città fosse ancora in vita almeno nel IX è testimoniato dalla Forum Ware e da monete
bizantine e arabe trovate nella regione di Balai. Queste ultime potrebbero essere l’indizio di re-
lazioni commerciali, o – come a Caralis – di un nucleo islamico residente in città, l’altro grande
porto dell’Isola, che metteva in comunicazione tra l’altro con la Spagna, dove gli arabi erano
stanziati dal 711. Turris fu con ogni probabilità la prima sede dei giudici del regno di Torres,
che nel XII secolo andarono a risiedere in una vila de Ardar e in un castedu/casteddu de Ardar.
276
Le città in Sardegna fra tardoantico ed altomedioevo
Forse il porto di Olbia è ricordato dall’Apocalisse dello Pseudo-Metodio come uno dei
primi a subire un tentativo di incursione islamica. Egli narra che i Saraceni depredarono
le città e i villaggi, ino a Roma, l’Illiria, l’Egitto, Âfnasôliôs e Lûzâ la grande, di fronte a
Roma. Lo storico W. Kaegi ha tradotto Lûzâ con Olbia, anticipando l’attacco alla Sardegna
al VII secolo. Altri studiosi ritengono invece che egli abbia usato una traduzione latina e
non la versione originaria siriaca, confondendo con avvenimenti del 720 o di pochi anni
prima. Il trafico commerciale rimase attivo nel suo porto, che sui relitti impiantò un
nuovo approdo.
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278
La produzione ceramica: manifatture locali
ed importazioni
Daniele Corda
Compiere uno studio relativo ai manufatti ceramici utilizzati e circolanti in Sardegna in età
tardoantica e altomedievale non può in alcun modo prescindere dall’analisi dei rapporti cul-
turali e commerciali che legarono l’Isola alle grandi entità politiche dominanti il panorama
mediterraneo nel corso dei cinque secoli successivi al progressivo disfacimento delle istitu-
zioni dell’Impero Romano d’Occidente.
Durante il V secolo d.C. la Sardegna non subì, almeno per quanto riguarda i commerci e le
importazioni, sostanziali trasformazioni rispetto alla precedente fase storica. La conquista
di Cartagine da parte dei Vandali, giunti in Nord Africa dopo aver percorso l’Europa conti-
nentale ino alla Penisola Iberica ed aver attraversato lo stretto di Gibilterra, non segnò un
momento di rottura, ma anzi, a fronte di un calo d’importazioni registrato in altre regioni
mediterranee, è possibile riscontrare una signiicativa continuità nello scambio di materiali
tra la Sardegna e i centri produttivi nordafricani gravitanti attorno all’importante centro com-
merciale cartaginese, i cui prodotti, in dal I secolo d.C., venivano esportati capillarmente in
tutte le regioni del Mediterraneo. Queste ceramiche ini da mensa, conosciute come Terre
Sigillate Africane (TSA), per le quali sono stati individuati diversi tipi a seconda delle fasi cro-
nologiche di produzione (sigillate africane di tipo A, C, D ed E), giunsero in Sardegna senza
soluzione di continuità ino al VII secolo (cat. n. 3.17).
Si trattava di manufatti destinati alla mensa, prodotti con un’argilla di color mattone o ros-
sastro e ricoperti da una vernice rosso/arancione; le decorazioni potevano essere a stampo
o a rilievo e riprendevano motivi vari, vegetali, geometrici oppure rafigurazioni animali o
simboliche, spesso di ascendenza cristiana. Numerose erano anche le lucerne, in particolar
modo le forme VIII e X dell’Atlante delle forme ceramiche, prodotte nelle oficine della Tunisia
centrale o settentrionale, realizzate a matrice e decorate sulla spalla con motivi geometrici o
itomori, mentre il disco poteva presentare le medesime decorazioni oppure immagini zoo-
morfe o simboli cristologici (cat. nn. 3.1, 3.3, 3.4). In alcuni casi potevano recare delle scene
tratte dall’Antico o dal Nuovo Testamento.
In quasi un secolo di dominio vandalo dell’Isola, corrispondente a un periodo compreso tra
gli anni subito successivi al sacco di Roma del 455, nei quali viene individuato il momento di
conquista della regione da parte delle armate vandale, e il 534, anno della loro deinitiva resa
al potere bizantino, continuarono a sbarcare nei maggiori centri urbani costieri della Sarde-
gna, a Carales, Nora, Tharros, Turris Libisonis, manufatti da mensa ascrivibili alle sigillate africa-
ne di tipo D e, in misura minore, E, testimonianza che i Vandali, se da un lato imposero con
forza il loro dominio politico e religioso, da un punto di vista economico acquisirono i centri
produttivi nordafricani e li fecero propri, proseguendo la creazione dei manufatti ceramici in
sigillata con solo piccole variazioni nelle forme.
Tali manufatti seguivano la principale linea di diffusione della classe ceramica, lungo le rot-
te che univano l’Africa alla Spagna, attestandosi prevalentemente nella parte occidentale
dell’Isola, da sud a nord. Le merci, poi, penetravano anche verso centri minori o più interni
nell’entroterra della Sardegna che continua ad essere un mercato di primaria importanza per
i prodotti africani.
La diffusione di tali manufatti nella Sardegna centrale e orientale appare, invece, meno
signiicativa. Ciò potrebbe indicare una dificoltà di alimentazione delle importazioni per
l’assenza, in questo momento, di un importante centro portuale di riferimento, che apra i
mercati locali ai trafici mediterranei. Il dinamico centro di Olbia, situato sulla costa nord-
orientale, snodo commerciale di fondamentale rilievo durante tutta l’età imperiale e princi-
pale ponte di contatto tra la Sardegna e Roma, ha restituito l’unico contesto archeologico
nell’Isola che testimoni un’azione violenta, collocabile cronologicamente attorno al 450
d.C., durante le fasi di conquista vandala dell’Isola, costituito dall’affondamento contestua-
le di dieci navi all’ancora nel porto cittadino.
279
Daniele Corda
Nemmeno con la riconquista giustinianea dei territori un tempo facenti parte dell’Impero
Romano d’Occidente e poi occupati dalle popolazioni barbare, tra cui il Nord Africa e la Sar-
degna, si può riscontrare una cesura nelle produzioni di sigillate africane e nei commerci con
l’Isola; anzi, se da un punto di vista quantitativo può rilevarsi un lieve calo negli scambi, per
ciò che riguarda le classi ceramiche che viaggiavano per il Mediterraneo è possibile apprezzare
il ripristino di contatti con le altre aree riconquistate, che erano andati via via afievolendosi in
favore di legami a più corto raggio ma più saldi e afidabili. La circolazione su larga scala di tali
manufatti era garantita dal loro transito all’interno delle navi commerciali che trasportavano
le principali mercanzie delle rotte mediterranee. Tali prodotti erano stoccati nelle stive all’in-
terno di anfore di varie dimensioni, dai piccoli spatheia (30-45 cm), destinati a contenere salse
di pesce, alle grandi anfore vinarie e olearie, orientali e iberiche, che potevano raggiungere
considerevoli dimensioni, ino a 1,5 m d’altezza (cat. nn. 3.25, 3.26, 3.31).
Per la Sardegna, rimase sempre molto saldo il legame con l’Africa e Cartagine, la quale s’iden-
tiicò come la punta avanzata del dominio di Bisanzio nel Mediterraneo occidentale. L’Isola, a
quel punto, divenne uno scalo ancor più determinante nelle rotte commerciali che legavano le
lontane terre occidentali di conine con la capitale. Interessanti, in questo senso, sono i ritrova-
menti in contesti sardi di ceramiche pertinenti alle “fasi intermedie” del percorso che collegava
Bisanzio con le terre del conine occidentale dell’impero e, quindi, anche con la Sardegna. Ce-
ramiche da fuoco con una presenza facilmente individuabile in frattura di grossi e scuri inclusi
vulcanici permettono di identiicare questi materiali come Pantellerian Ware, prodotta nell’isola
280
La produzione ceramica: manifatture locali ed importazioni
a largo delle coste tunisine ed esportata in un vasto bacino d’utenza commerciale centro-
mediterraneo, comprendente la Sardegna, la Sicilia, il Nord Africa, l’Isola di Lampedusa.
Parallelamente alle ceramiche d’importazione, la Sardegna meridionale fu interessata da una
produzione che, a causa della sua limitata area di diffusione, è stata attribuita a botteghe del sud
dell’Isola e viene tradizionalmente deinita “campidanese”. I manufatti mostrano un impasto
depurato di argilla rosa, beige o grigia. Sulla supericie sono presenti delle decorazioni a linee
polite verticali, orizzontali o variamente combinate tra loro, ottenute mediante l’uso di una
stecca (cat. nn. 3.6, 3.11, 3.14, 3.15). Viene ritrovata spesso in contesti d’uso domestico, ma i
dati emersi dallo studio dei materiali della necropoli tardoantica di Pill’‘e Matta a Quartucciu
dimostrano l’uso diffuso di questi manufatti anche in contesti di tipo funerario.
La stessa situazione, caratterizzata da depositi stratigraici chiusi non più tardi del V secolo,
ha restituito nuovi manufatti pertinenti a ceramiche prevalentemente di ambito funerario ma
non solo, ad esempio i due ritrovamenti relativi ad un contesto abitativo a Sant’Imbenia o ad
una fase di frequentazione del Palazzo di Re Barbaro a Porto Torres; inoltre sono emerse dagli
scavi di Sant’Eulalia a Cagliari, caratterizzate da un impasto chiaro, che va dal beige-giallino
al verdastro, oppure rosso-rosato. La supericie ceramica risulta sempre molto porosa e in
molteplici casi è possibile individuare tracce di un’ingobbiatura. Le forme son sempre chiuse,
brocchette di piccole dimensioni con corpo piriforme o globulare, lungo collo cilindrico e
orlo arrotondato, caratterizzate dalla presenza, su una parte o tutta la supericie, di costolature
parallele realizzate prima della cottura. Possono essere riconosciuti due gruppi in base alla
posizione della costolatura sul vaso: solo nella parte inferiore della pancia, a livello dell’impo-
sta dell’ansa, oppure sul collo e sulla pancia, alcune volte senza soluzione di continuità (cat.
nn. 3.8, 3.9, 3.13, 3.18, 3.23). Vengono tradizionalmente associate a relazioni con l’Oriente e
riportate ad un orizzonte produttivo del Mediterraneo orientale (infatti sono citate in lettera-
tura, oltre che come brocchette “costolate”, anche con la denominazione di “bizantine”), ma
l’assenza di dati archeometrici sulle provenienze degli impasti pone ancora dei quesiti che ri-
chiedono una risposta più argomentata, soprattutto a fronte di dubbi interpretativi consistenti,
quale, ad esempio, l’assenza di tali manufatti in contesti nei quali fossero presenti oggetti con-
siderati “fossili guida” per l’età bizantina, come le ibbie di cintura.
Accanto a manufatti dai connotati più distinguibili, in tutti i contesti archeologici sardi si ri-
trovano grandi quantità di materiali relativi a ceramiche prive di rivestimento. Si distinguono
principalmente in due grandi macrogruppi: le ceramiche da fuoco e le ceramiche da mensa/
dispensa. Il primo gruppo presenta un impasto grossolano caratterizzato dalla presenza di
considerevoli inclusi quarzosi che rendono le pareti ceramiche particolarmente resistenti agli
shock termici, permettendo di utilizzare i manufatti ceramici per la cottura degli alimenti tanto
a riverbero quanto direttamente a contatto con la iamma viva. Il secondo gruppo è caratteriz-
zato, invece, da un’argilla più depurata, anche se non ine come quella delle altre classi cerami-
che, e da una grande varietà di forme, destinate a numerosi usi sia nelle fasi di conservazione
degli alimenti, sia nel servizio quotidiano sulle tavole e nelle cucine. A fronte delle signiicative
quantità che costantemente emergono dagli scavi archeologici, in realtà queste sono tra le
ceramiche che creano i maggiori problemi interpretativi. A causa della poca cura estetica nella
loro foggiatura, vengono spesso automaticamente considerate produzioni locali (cat. n. 3.20).
In realtà l’analisi anche solo macroscopica degli inclusi permette quanto meno di riconoscere
l’estraneità dei corpi ceramici con le composizioni litiche dei luoghi in cui vengono ritrovati
questi manufatti. Soprattutto in riferimento alle ceramiche da fuoco e al loro particolare po-
tenziale tecnologico, negli ultimi anni si sta tendendo verso una rivalutazione dell’attribuzione
di tali manufatti ad un circuito necessariamente locale. Tuttavia un problema ancora di arduo
scioglimento rimane legato all’attribuzione cronologica di tali manufatti, che tuttora non riesce
a prescindere dalla contestualizzazione con altre ceramiche di cui si abbia una maggiore co-
noscenza cronologica. Le maggiori dificoltà risiedono nella tendenza di questi manufatti a
forme particolarmente conservative con il passare del tempo, che rendono problematiche le
attribuzioni a determinati orizzonti cronologici. Un contesto esemplare sullo studio di que-
sti manufatti, sicuramente relativo alle fasi bizantine della storia sarda, ci viene restituito dal
sito di Santa Filitica, in agro di Sorso (SS), caratterizzato dall’evoluzione di una villa romana
in un villaggio bizantino di VII-VIII secolo. Il sito ha dato grandi quantità di ceramiche
prive di rivestimento, la cui analisi dei corpi ceramici ha dimostrato essere probabilmente di
produzione locale o sub-locale (cat. n. 3.24).
281
Daniele Corda
Brocchetta da Cornus.
La vera cesura negli equilibri che avevano caratterizzato i trafici del Mediterraneo può essere
riconosciuta nel 698, data della conquista cartaginese ad opera degli Arabi, i quali posero ine
alle produzioni che avevano caratterizzato il Nord Africa ino a quel momento e impiantarono
nuove oficine nelle quali produrre manufatti che rispecchiassero nuove esigenze e rispondes-
sero a differenti capacità tecnologiche.
La Sardegna, vedendosi privata in modo assai drastico del suo principale e più diretto partner
commerciale, trovò in altre aree dell’impero i nuovi mediatori dei trafici con la capitale Bisan-
zio, in particolar modo nell’Italia centrale e meridionale. Tale legame è testimoniato dal diffuso
ritrovamento in contesti sardi di ceramiche caratterizzate principalmente dalla presenza di
tracce di pittura, rossastra o bruna, direttamente applicata sulla parete ceramica oppure su un
leggero strato di ingobbio. In realtà tale insieme di manufatti sembra essere costituito da una
serie di produzioni distinte tra loro sia per quanto concerne le caratteristiche formali, sia per
le aree di produzione in cui questi pezzi vennero fabbricati, sia riguardo alle datazioni. Questa
ceramica è presente in numerosi contesti dell’Italia centro-meridionale e si riferisce ad un arco
cronologico compreso tra il V e il XII secolo. In Sardegna sono numerosi i siti in cui è pre-
sente. Secondo gli ultimi studi relativi all’Italia meridionale, la ceramica dipinta interesserebbe
un periodo molto lungo, dal VI-VII secolo ino al XV, suddiviso in quattro fasi. Riguardo
alla prima fase, è possibile riferirsi ad un contesto culturale di inluenza bizantina, in cui mo-
tivi decorativi diffusi in una vasta area mediterranea vengono reinterpretati a livello locale o
sub-regionale, su forme ceramiche varie, prevalentemente chiuse, che rimandano a confronti
orientali. Una delle tappe intermedie del percorso di diffusione culturale delle ceramiche di-
282
La produzione ceramica: manifatture locali ed importazioni
pinte è Creta, che ha restituito numerosi contesti ricchi di ritrovamenti di ceramiche dipinte di
VII-IX secolo. In ambito sardo, per colpa della conoscenza parziale di gruppi di materiali con-
frontabili, numerosi sono gli errori di attribuzione di frammenti ceramici sovradipinti oppure
si evita di avanzare proposte più o meno precise di datazione. L’apporto dell’archeometria
fornirebbe dati preziosi su una maggiore conoscenza di questi manufatti, dai quali al momento
è possibile rilevare solo un rapporto stretto tra la Sardegna e la Penisola Italiana.
Tali ceramiche probabilmente giungevano in Sardegna insieme a delle anfore di forma globu-
lare – tipiche dell’Italia meridionale, specialmente dell’area campana – utilizzate probabilmente
per trasportare vino. A volte tali manufatti presentavano dei segni incisi, come, ad esempio, al-
cune anfore ritrovate in un butto altomedievale alle pendici del colle di Bonaria a Cagliari, sulle
quali Donatella Mureddu interpretò alcune incisioni sulla supericie ceramica come le lettere
greche ATRI e PA e, integrandole come pateres, le attribuì, quindi, ad un contesto monastico,
forse relativo alla chiesa di Santa Maria Portu salis o Portu gruttis, molto vicina al luogo di ritro-
vamento dei reperti (cat. nn. 3.27, 3.28, 3.29, 3.30). Confronti di questo genere possono essere
fatti con un’anfora recuperata in un sito monastico napoletano, Santa Patrizia, proveniente da
contesti di inizio VIII secolo.
Il rapporto tra la Sardegna e la capitale dell’impero viene mediato dal territorio italico, man
mano che Bisanzio, pressata dagli Arabi, allenta il suo controllo diretto sui territori di conine
e, quindi, anche sulla Sardegna. L’Isola, nel frattempo entra con sempre maggiore intensità
all’interno di circuiti commerciali ma anche culturali legati alla Penisola Italiana e, soprattutto,
a Roma. Tali rapporti sono individuabili dal ritrovamento sempre più consistente in stratigra-
ie sarde di frammenti relativi ad una ceramica chiamata Forum Ware, il cui nome deriva dalla
scoperta, agli inizi del Novecento, di una consistente quantità di oggetti nel Foro di Roma,
presso la chiesa di Santa Maria Antiqua. Tali manufatti sono caratterizzati per avere sulla loro
supericie uno spesso strato di vernice piombifera che in monocottura vetriica, dando al ma-
nufatto una grande uniformità e lucentezza. Sulla supericie sono presenti delle decorazioni
plastiche applicate, cosiddette “a petali” o “a cordoni”, “a scaglie”, “a bugne”.
Il nord della Sardegna ha restituito rilevanti testimonianze di questa classe ceramica: tra i vari
recuperi spiccano per integrità e interesse due manufatti rinvenuti a Olbia e Porto Torres. Si
tratta rispettivamente di una brocchetta, mancante dell’orlo e dell’ansa, di forma ovoidale con
fondo piano e cannello cilindrico applicato superiormente (cat. n. 3.12), e di un boccaletto
monoansato a base piana, con un collo cilindrico decorato da quattro incisioni orizzontali,
un’ansa a bastoncello e un versatoio bilobato, ritrovato quasi totalmente integro (cat. n. 3.21).
Entrambi i reperti presentano una decorazione a petali applicati e uno spesso strato di vetrina
ne ricopre le superici interne ed esterne. Sassari ha restituito diversi frammenti di Forum Ware,
benché in condizioni più frammentarie. Anche nel sud Sardegna si registrano ritrovamenti di
questa ceramica, nonostante ino a pochi anni fa la distribuzione dei recuperi di manufatti rela-
tivi a questa classe ceramica fosse nettamente a sfavore delle aree meridionali dell’Isola, poten-
do segnalare solo qualche frammento emerso dal già citato scavo presso il colle di Bonaria, per
il quale proprio grazie a tali rottami ceramici è stato possibile attribuire dei limiti cronologici al
contesto di rinvenimento. Tuttavia gli scavi archeologici presso il Bastione di Santa Caterina a
Cagliari, iniziati nel 2009-2010 e ripresi a partire dal 2012, hanno fornito dati utili alla revisione
della loro distribuzione nell’Isola. Una grande cisterna con sezione a bottiglia di probabile im-
pianto punico, riutilizzata poi in età romana come luogo di culto, perse la sua funzione d’uso
nell’alto medioevo, quando venne reimpiegata come discarica e interamente colmata.
È proprio da questi strati di butto, sigillati dalle stratiicazioni dei secoli successivi, che sono
emerse consistenti quantità di frammenti di Forum Ware attestate in differenti varianti croma-
tiche e tipologiche e in associazione con altri materiali come ceramiche sovradipinte, anfore
globulari e una ibbia decorata di tipo bizantino, che hanno permesso di attribuire le fasi
dell’abbandono dell’area ipogeica e il suo riutilizzo come discarica ad un arco cronologico
compreso tra l’VIII e il X secolo.
Sono, questi, anni decisivi per la storia della Sardegna bizantina, troppo lontana dalla capitale
per poter mantenere un dialogo costante e sempre più minacciata dalle scorrerie degli Arabi
che imperversavano nel Mediterraneo occidentale. Tale fase di incertezza avrebbe prodotto
un’emancipazione del potere del governatore bizantino in Sardegna rispetto alla madre patria,
che in una prima fase avrebbe, forse, governato l’Isola in totale indipendenza, vedendola poi
dividersi in più regni, ognuno in mano a uno judex: cominciava per la Sardegna l’età giudicale.
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Daniele Corda
Bibliograia
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La lavorazione del vetro
Maria Grazia Arru
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Maria Grazia Arru
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La lavorazione del vetro
In particolare i fondi conici con estremità arrotondata o a punta vengono riferiti alla ti-
pologia della lampada deinita “imbutiforme con appendice cava”, diffusa in Italia sicura-
mente nel VI secolo, ma probabilmente presente già alla ine del V secolo. Tale oggetto,
destinato all’illuminazione, doveva essere appeso tramite dei sostegni in metallo. Sono
presenti anche frammenti di lampade appartenenti al tipo con tazza troncoconica a tre
anse importate in Occidente dall’area siro-palestinese e utilizzate abbondantemente nel VI
secolo. La luce veniva prodotta da uno stoppino di ibre vegetali immerso in una sostanza
oleosa combustibile, che galleggiava sopra uno strato d’acqua. In ambito funerario nel
IV-VI secolo venivano usate come signaculum presso le sepolture. Gli elementi caratteriz-
zanti la forma Isings 134 sono le tre anse di piccole dimensioni, piegate ad angolo acuto,
impostate in basso, sulle pareti, che presentano un proilo troncoconico, oppure in alto,
sul bordo, formato da un orlo tubolare, saldato sul lato esterno; il fondo è apodo con rien-
tranza o leggero conoide (le anse potevano essere un dispositivo inalizzato all’inserimento
del supporto metallico per la sospensione oppure, semplicemente, fungevano da prese).
Le lucerne sono ritenute una produzione che inizia nel IV secolo nell’area orientale del
Mediterraneo, attestate in Siria, Palestina, Cipro e Turchia, e si diffonde nel corso del-
lo stesso secolo in Occidente ino all’alto medioevo. Nella Penisola circolano in modo
uniforme. In Sardegna le lucerne sono documentate dal ritrovamento in gran numero di
frammenti di bordi e di anse a Cornus, intorno alle sepolture dell’area cimiteriale orientale.
Sono attestate inoltre a Sant’Antioco, dove sono state rinvenute nelle catacombe durante
gli scavi eseguiti dal Taramelli.
Nell’Isola, fra gli esemplari di pregio e di particolare valore artistico, si segnala la coppa che
reca incisa sul fondo una igura interpretata come immagine di Cristo legislatore e imperator;
ritrovata nel XIX secolo a Ittiri, è datata al V secolo (cat. n. 3.37). Nel VI e VII la produ-
zione sembra focalizzata sulle poche tipologie già in uso nel secolo precedente.
Compare nel V e conosce grande diffusione nei secoli successivi il calice (forma Isings
111c), di cui si conoscono varie forme: su stelo corto e tozzo, con piede campaniforme,
coppa ad “U”, cilindrica o troncoconica, orli ingrossati e arrotondati o anche lavorati. Si
tratta del cosiddetto “calice di tipo mediterraneo”, che rappresenta una vera e propria “no-
vità” della produzione vetraria e che sostituisce quasi del tutto il bicchiere apodo. Questo
manufatto vitreo, nella sua forma più classica, è attestato in Italia in contesti databili a par-
tire dal V secolo ed è presente ino all’XI-XII. Dal VI al VII-VIII costituisce una delle for-
me più comuni e frequenti, così da essere ritenuto un “fossile guida”. Durante il medioevo,
dall’XI ino al XIV secolo, presumibilmente, diventa un prodotto ricercato e raro e fa parte
di un tipo di manufatti a carattere suntuario. In Sardegna il bicchiere a calice è documentato
sia dai pezzi integri conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari e nel Museo
G.A. Sanna di Sassari, sia da frammenti venuti alla luce più recentemente nel corso di scavi
stratigraici o raccolte di supericie. Alcuni degli esemplari conservati nel Museo di Caglia-
ri, databili tra IV e VI secolo, vengono da Cornus, Tharros e Olbia: presentano lo stelo corto
e tozzo e il piede campaniforme; la coppa invece può essere a U, di forma cilindrica molto
ampia, allungata o troncoconica; gli orli sono ingrossati e arrotondati o semplicemente
lavorati. Possono essere presenti dei ilamenti di pasta vitrea in rilievo, che sottolineano il
bordo. Non sempre è possibile stabilire il contesto d’origine. Nel Museo Sanna di Sassari
fanno parte della collezione dei vetri romani due calici integri, uno dei quali caratterizzato
da una decorazione dipinta. Per quanto riguarda i ritrovamenti maggiormente signiicativi
è soprattutto a Cornus e a Cagliari che viene documentata la presenza della tipologia in esa-
me, il calice di tipo “mediterraneo”, con numerosi frammenti di piedi che denotano diverse
varianti: lo stelo basso e sottile internamente cavo si unisce con piedi a disco o a tromba
depressa, con anello di base a sezione tubolare o semplicemente arrotondato; oppure lo
stelo è a globo di vetro pieno.
In ambito funerario la presenza di calici come parte del corredo funebre è stata recen-
temente testimoniata anche nella necropoli di Pill’‘e Matta alla periferia di Quartucciu
(Cagliari), nelle tombe databili tra IV e V secolo d.C. Due frammenti di piedi provengono,
inoltre, dalla zona vicino a Gesturi (sono probabilmente pertinenti a piccoli abitati rurali,
che dall’epoca romana possono aver avuto una continuità di vita ino all’alto medioevo)
e altri da Porto Torres.
Un contesto che attesta la diffusione dei calici in ambito cagliaritano è il sito di
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La lavorazione del vetro
Bibliograia
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L’artigianato metallico
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Rossana Martorelli
Sono state ritrovate in gran numero a Cagliari nella discarica già ricordata, ma anche a
Cornus, dove è stata ipotizzata la presenza di botteghe in loco. In questo caso, trattandosi
di un complesso cultuale inserito in un cimitero, si potrebbe ipotizzare non tanto un’of-
icina ad uso dell’intera città cornuense, quanto per il funzionamento del cimitero (ele-
menti per la bara: barrette o altro) e per la stessa chiesa, laddove il metallo poteva essere
impiegato per realizzare oggetti destinati agli ediici stessi (chiodi, grappe, elementi di
serratura, cerniere di cassettine reliquiario, lampade o altro), o per la suppellettile liturgi-
ca (è stato rinvenuto un cucchiaino nel pastoforio destro del battistero).
In età postclassica l’industria artigianale del metallo fu molto iorente in Sardegna, stando
alla testimonianza offerta dai reperti che gli scavi archeologici restituiscono in grande
abbondanza. In metallo, infatti, venivano realizzati oggetti di diverso genere e di diversa
destinazione funzionale e la grande varietà morfologica e qualitativa all’interno di ogni
tipologia denota una fervida attività produttiva, legata con ogni probabilità non solo al
fabbisogno interno degli abitanti dell’Isola, ma anche ad un commercio extraisolano,
così come dalle altre regioni del Mediterraneo giungevano oggetti e forse modelli. Tra
i reperti sicuramente pervenuti da regioni extraisolane si può ricordare il quadrangula
in argento recuperato in una sepoltura tornata alla luce nella chiesa di San Giuliano a
Selargius (Cagliari), una placchetta insegna di pellegrinaggio, ottenuta o comprata dal
defunto in ricordo di un viaggio devozionale probabilmente a Roma, ad limina apostolorum
in Vaticano e sulla via Ostiense, poiché su di essa sono efigiati i busti di Pietro e Paolo,
principes apostolorum.
In metallo, venivano forgiati oggetti legati alla carpenteria (edilizia), fra cui certamente i
chiodi sono fra i reperti più frequenti in ogni contesto, sia funerario che abitativo. Nu-
merose anche le grappe, insieme ai ganci, le cerniere per il mobilio e le porte, le chiavi e
gli elementi di serrature.
Frequenti anche gli utensili, utilizzati in ambito domestico, come parti di recipienti, ma
soprattutto i coltelli, generalmente di piccole dimensioni, a lamina piatta, saldata al co-
dolo, ugualmente in metallo, che veniva poi inserito nell’immanicatura, invece in legno o
avorio (cat. n. 3.133). Il coltello veniva usato sia in casa che per tagliare l’erba e pertanto
alcuni popoli seminomadi erano soliti portarlo appeso alla cintura, insieme ad altri og-
getti essenziali alla vita quotidiana.
Le forchette, invece, non compaiono fra la suppellettile domestica anteriormente alla ine
del XIV secolo. Alla funzione della forchetta assolveva il cucchiaio, costituito da un lun-
go manico ad asticella, terminante ad un’estremità con una punta, con la quale si inilza-
292
L’artigianato metallico
Cucchiaino ad uso liturgico, trovato nel vano alcuni cibi solidi, mentre all’altra aveva una ligula, generalmente ovale e concava, per
pastoforio del battistero di Cornus. raccogliere anche gli alimenti liquidi. I cucchiaini si trovano anche fra la suppellettile di
uso liturgico, spesso decorati con motivi cristiani. Il silenzio delle fonti scritte ha indotto
a formulare diverse ipotesi: una donazione di interi servizi da parte di fedeli facoltosi alla
propria chiesa, perché servissero come posate alla mensa dei poveri; oggetti impiegati
per mescolare l’acqua e il vino nel calice prima della celebrazione eucaristica, oppure
per amalgamare l’olio e la cenere nel sacro crisma con cui il vescovo ungeva la fronte al
neoita, che – secondo il rito antico – subito dopo aver ricevuto il battesimo veniva con-
sacrato mediante il sacramento della conirmatio (la Cresima). A proposito di quest’ultima
supposizione, proprio in Sardegna, a Cornus, nel pastoforio (sacrestia) destro dell’ediicio
battesimale, coperto dal crollo del tetto e delle pareti avvenuto dopo l’abbandono del
luogo, giaceva un piccolo cucchiaino in argento.
Fra la suppellettile liturgica anche patene, brocche e lucerne. Ad una di queste apparte-
neva forse la statuina raffigurante l’apostolo Paolo come suggerisce il confronto con un
esemplare conservato al Museo Archeologico di Firenze.
In metallo venivano realizzati i complementi all’abbigliamento e i monili di ornamento
della persona, che si ritrovano frequentemente, anche perché accompagnavano il defun-
to nell’ultimo viaggio nell’aldilà. Molto numerose sono le fibbie di cintura, in bronzo,
ferro e argento. Composte da un anello circolare, quadrato o reniforme, sono caratteriz-
zate da una placca che presenta diverse forme e si inseriscono nella produzione cosid-
detta “bizantina” con i tipi “Syrakus” (cat. nn. 3.66, 3.85), “Corinto” (cat. nn. 3.67-3.69,
3.74, 3.87-3.88), “Bologna”, “Balgota”, “a scudetto”, ad U (cat. nn. 3.70-3.73, 3.75-3.76,
3.81-3.84, 3.89, 3.92-3.93), ornati con motivi geometrici, floreali o figurati, segni fanta-
stici, creati da linee e spirali, volatili isolati non meglio definibili, pavoni, scene desunte
dal repertorio della caccia e della guerra, ma anche della Bibbia; meno comune la de-
corazione à cloisonné. A questi esemplari si aggiungono manufatti più originali, di forma
triangolare, quadrata semilunata o a croce patente ed una con scena circense da San
Giorgio di Cabras.
Le ibbie chiudevano cinturoni usati nell’abbigliamento dei militari dell’esercito bizanti-
no e dunque anche di stanza in Sardegna. Trovate in diversi luoghi, attestano la presenza
di contingenti militari nelle grandi città e in alcuni centri rurali (Borutta, Sorres, Padru,
Sestu, ecc.), dislocati in modo da garantire la difesa del territorio attraverso postazioni
o veri e propri castra, abitati talvolta anche dalle famiglie. Ritenute per molto tempo un
manufatto in uso nel VI e VII secolo, sono state in questi ultimi anni recuperate anche
in contesti databili in base alla stratigraia o al materiale numismatico almeno ino alla
ine dell’VIII, attestando una sostanziale continuità del costume militare in tutta l’età
bizantina.
Degni di attenzione sono alcuni elementi forse di una cintura multipla, trovati a Selar-
gius, che sembra l’esito inale di una lunga evoluzione della cintura, nata forse presso i
popoli nomadi, che avevano necessità di portare con sé molti oggetti, appesi alla vita, poi
attestata nell’equipaggiamento dell’esercito bizantino e longobardo. Il possesso e l’uso
nell’abbigliamento doveva considerarsi espressione di un alto grado sociale e militare, per
cui, è possibile che appartenesse a qualche membro o famigliare dell’exercitus Sardiniae.
Attestate in Sardegna sono anche le ibule, spille utilizzate per la chiusura delle vesti,
ugualmente in bronzo, ferro e argento (cat. nn. 3.63-3.65). La tipologia è abbastanza
omogenea, prevalentemente nella forma a disco circolare (da Dolianova, Nurachi, etc.),
che riconduce ad un ambito culturale romano-bizantino, anche se non mancano varianti
originali, come l’esemplare a stella da Cornus.
Ad esclusione di un rinvenimento a San Giorgio di Cabras, risalente all’età altomedievale,
i bottoni in questo periodo non sono usati, perché non richiesti da abiti a tunica dalla
linea sciolta.
In metallo erano realizzate spesso anche le passamanerie che ornavano le vesti al collo e
ai polsi. Numerosi sono gli aghi crinali, impiegati per raccogliere la chioma in acconcia-
ture dalle forme più o meno elaborate, oppure per fermare il velo o la cufia che funge-
vano da copricapo, secondo una moda che accomuna tutti i territori dell’impero romano,
dall’Oriente all’Occidente. Di piccole dimensioni, fusiformi, con diverse varianti nella
morfologia della testa, vennero realizzati in avorio e osso in epoca romana, ma dalla
293
Rossana Martorelli
294
L’artigianato metallico
ine del V secolo si iniziò a privilegiare il metallo, modiicando anche la struttura, che si
assottiglia e si avvicina maggiormente ad uno spillone. Fra le attestazioni attribuibili al
V-VII secolo si può ricordare l’ago di Patriga foemina honesta, rinvenuto con una ibula in
una sepoltura del cimitero di Cornus (cat. n. 3.61).
Molto comuni anche i monili per l’ornamento della persona. Nell’età altomedievale in
Sardegna si registra all’inizio una persistenza dell’orecchino tradizionale romano più tipi-
co, ad anello semplice, oppure arricchito da pendenti in metallo, in pasta vitrea, ambra,
corallo o pietre dure (cat. nn. 3.45-3.47, 3.51). In piena epoca bizantina si diffondono tipi
più elaborati: a cestello, semilunati a pendenti, a poliedro, ad anelli saldati, gli ultimi due
comunemente adottati presso i nuclei germanici (cat. nn. 3.43-3.44, 3.48-3.50). Mostra-
no, invece, un aspetto del tutto originale gli orecchini cosiddetti “a globo mammellato”,
che riprendono un modello in uso in epoca punica (cat. nn. 3.39-3.42).
Ben noti anche gli anelli digitali (cat. nn. 3.54-3.60), che a partire dalla tarda antichità
assumono una forma molto semplice, a verghetta larga e piatta, o a sottile ilo a sezione
cilindrica, lisci o con una decorazione circoscritta alla sommità (raramente anche sulla
spalla), talvolta evidenziata da un castone, riempito da gemme antiche con immagini di
divinità; oppure utilizza segni e simboli cristiani semplici (croci, cristogrammi, o stella a
sei punte).
Meno comuni le armille, i bracciali, che sembra fossero indossati sia dagli uomini che dal-
le donne. Non esclusivamente in metallo (ad es. anche in pasta vitrea), prediligono even-
tualmente il bronzo e la forma a semplice anello, talvolta ad estremità aperte e desinenti
in teste di animali (serpenti o altro), ulteriore indizio imputabile forse ad un’inluenza
germanica, forse con una valenza apotropaica contro il malocchio (cat. nn. 3.52-3.53).
Delle collane rimangono più spesso i vaghi in pasta vitrea, corallo, ambra o corniola, a
parte qualche anellino di catenella che potrebbe essere attribuito alla collana stessa o alla
fermezza in metallo, generalmente in argento o bronzo, raramente in oro (cat. nn. 3.38,
3.137). Esclusivamente alla veste funebre sembrano pertinenti invece le crocette cucite
sul sudario (cat. n. 3.62), ritrovate ad esempio nel cimitero di Forum Traiani, presso il san-
tuario del martire Luxurius, realizzate ritagliando monete longobarde degli inizi dell’VIII
secolo.
La gioielleria eredita certamente tradizioni e tecniche in uso nell’Isola in dall’epoca pu-
nica, ma assorbe probabilmente nuove mode provenienti dalle cosiddette popolazioni
barbariche, anche per la presenza sul suolo isolano di individui spesso assoldati nell’eser-
cito bizantino di stanza nelle provincie. Soprattutto respira la nuova cultura dell’Oriente,
verosimilmente attraverso modelli giunti con donazioni altolocate, esercito, commercian-
ti, pellegrini. Anche la Sardegna si inserisce, dunque, in una koinè mediterranea, pur non
trascurando espressioni di artigianato locale, che si manifesta con forme nuove e originali
(spilla a raggi, orecchini a globo mammellato).
Inine, in metallo erano realizzati utensili per la cosmetica, come spatoline, forse per il
trucco, e specchi. Da Cornus proviene un esemplare del tipo tradizionale a disco, per il
quale il motivo decorativo inciso sulla teca in sughero, rafigurante un’anfora sotto un
elemento architettonico ad arco, autorizza a proporre un inquadramento nell’età proto-
bizantina (cat. nn. 3.141-3.142).
Gli attrezzi per la lavorazione nei campi, fra i quali i falcetti, generalmente in ferro, sebbe-
ne non manchino oggetti in bronzo, sono frequenti in contesti rurali, ma anche in ambito
urbano, evidentemente utilizzati non solo in relazione al lavoro agricolo nei campi, ma per
tagliare l’erba negli orti attigui alle case. In metallo sono anche gli strumenti per la tessitura,
come l’ago e il ditale (cat. n. 3.96), o per la pesca, come l’amo.
Poco documentati, invece, gli oggetti pertinenti alle armi e alle armature, a cui si possono
attribuire con certezza solo punte di frecce, cuspidi di lame (cat. n. 3.132) e forse parti di
corazze, oppure i inimenti da cavallo (cat. n. 3.131), forse ugualmente legati all’uso militare.
Inine, il metallo è usato per le sepolture, per alcune lamine, anche forate, in ferro, bron-
zo e piombo, per tenere saldati gli assi lignei posti a coperchio delle tombe, oppure per
le bare ugualmente in legno. Sono noti listelli in piombo a fascia piatta, che si rastrema
alle due estremità, con un foro al centro. Una peculiarità della Sardegna, conseguenza
della disponibilità della materia prima, sembra poi risiedere nell’uso del piombo per la
realizzazione di sarcofagi a cassa parallelepipeda (cat. n. 3.108).
295
Rossana Martorelli
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296
I sarcofagi tardoantichi: produzione locale
e importazione
Lucia Mura
Il sarcofago è un manufatto attinente ai contesti funerari: realizzato in forma di cassa, era de-
stinato a contenere il corpo di un defunto sepolto secondo il rito dell’inumazione. Il termine
è composto dalle parole greche “sàrx, sarcòs” (carne) e “fagheìn” (mangiare) e deriva dalla cre-
denza antica secondo la quale i cadaveri venivano consumati rapidamente da un particolare
tipo di pietra calcarea della regione della Troade con cui venivano realizzate le casse funerarie.
Presente in dalla preistoria, il suo uso si diffonde in tutte le civiltà antiche del Mediterraneo;
comunemente in pietra o marmo, poteva essere realizzato anche in legno, terracotta e metallo
e generalmente la supericie era decorata in vario modo. Normalmente il sarcofago veniva
collocato all’interno di mausolei o cubicoli, piuttosto che in spazi aperti. Queste caratteri-
stiche lo rendono un oggetto distintivo e quindi costoso, ragione per cui era destinato, in
particolare, alla sepoltura di personaggi di rango elevato o comunque con un certo potenziale
economico.
Il sarcofago è presente soprattutto nel mondo romano e si diffonde in relazione al prevalere
del rito dell’inumazione su quello dell’incinerazione. Viene realizzato per lo più in marmo,
spesso importato, specialmente dalla Grecia; il prodotto veniva spedito dalle cave già sbozza-
to, per essere poi terminato e riinito nelle botteghe locali.
Le decorazioni presenti sulla supericie dei manufatti seguono lo sviluppo della stessa arte ro-
mana ed esprimono il senso della vita e della morte della società del tempo. Nel II secolo d.C.
sono diffusi soggetti tratti dalla mitologia greca, che rappresentano simbolicamente esempi
di vita o il senso di ineluttabilità della morte; durante il III le immagini iniziano a cambiare,
con l’abbandono delle scene mitiche e la scelta di temi quali scene di battaglia e di caccia,
soggetti ilosoici, marini e agropastorali, che richiamano una condizione di vita beata e nei
quali il defunto-committente viene ritratto direttamente ed esaltato nelle sue qualità migliori.
Dalla seconda metà del III secolo, con la sempre maggiore diffusione del Cristianesimo (uno
degli elementi che, insieme alla crisi dell’impero romano e alle invasioni dei popoli germanici,
determina il passaggio al periodo “tardoantico”), il nuovo credo si fa strada nel repertorio i-
gurativo funerario, dapprima attraverso soggetti “neutrali” i quali, già presenti nel repertorio
pagano, potevano essere letti anche in chiave cristiana, come per esempio le scene di caccia,
bucoliche o ilosoiche. Successivamente, dall’età di Costantino (306-337 d.C.), compaiono
temi esplicitamente cristiani, sviluppati in un fregio continuo o a doppio registro, con scene
tratte dal Vecchio e Nuovo Testamento che ruotano attorno alla igura salviica di Cristo,
attraverso la rappresentazione di miracoli, e alla Passione. In un secondo momento si svilup-
pano composizioni più semplici, con pannelli che alternano campi igurati e campi strigilati
– cioè decorati con scanalature a S – e una scansione delle scene data dalla suddivisione della
fronte del sarcofago attraverso colonne o alberi, per cui la narrazione del soggetto tematico
diventa maggiormente episodica.
Fra III e IV secolo, dunque, la produzione di sarcofagi è iorente, con una coesistenza di deco-
razioni cristiane e neutrali, queste ultime utilizzabili da parte di una committenza ancora pagana,
mentre, verso la ine del IV, in seguito alla conversione al Cristianesimo anche delle classi più
elevate, cessa la richiesta di soggetti pagani a favore di decorazioni esclusivamente cristiane.
Dopo il 270, all’apice della crisi dell’impero, era intanto pressoché terminata l’importazio-
ne di massa dei prodotti marmorei dal Mediterraneo orientale, perciò i manufatti vengono
lavorati direttamente nelle oficine locali, specie quelle di Roma, da maestranze trasferitesi
dall’Oriente. La produzione delle botteghe romane è la più importante e inluenza gli altri
centri di fabbricazione che si sviluppano tra IV e V secolo, quali Milano, la Spagna (Tar-
ragona), la Gallia meridionale (Arles, Marsiglia) e Costantinopoli. All’inizio del V secolo
la produzione romana diminuisce notevolmente a vantaggio di quella delle province, tra
le quali emergono Ravenna, sede della corte imperiale, Cartagine e poche altre regioni,
inluenzate da Costantinopoli, nuova capitale.
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Lucia Mura
298
I sarcofagi tardoantichi: produzione locale e importazione
La necropoli dove sorgono il martyrium di San Saturnino e la seicentesca chiesa di San Lu-
cifero, al limite orientale della Cagliari antica, utilizzata sin dall’età romana e ino al VI-VII
secolo, ha restituito vari tipi di tombe. Le relazioni seicentesche sugli scavi alla ricerca di corpi
santi attestano la presenza di diversi sarcofagi, sia in marmo che in pietra, in tutta l’area della
basilica e negli ediici funerari su cui fu costruita la chiesa di San Lucifero, datati questi ultimi
fra IV e VI-VII secolo. Non sempre gli autori di queste cronache si soffermano sulla descri-
zione dei singoli manufatti o ne precisano il materiale: si ha notizia di un sarcofago in marmo
nero con iscrizione metrica, datata al V secolo, rinvenuto nel 1616 e oggi perduto; altri due
manufatti con decorazione strigilata, uno integro e l’altro frammentario, sono conservati nel
giardino circostante la chiesa di San Saturnino. Gli scritti seicenteschi ci informano inoltre
di un piccolo gruppo di sarcofagi in piombo, di cui uno solo decorato, con animali e una
igura maschile, in uno degli ediici funerari e nel braccio meridionale della chiesa. All’interno
del cosiddetto Santuario dei Martiri, nella cripta sottostante il presbiterio della cattedrale di
Cagliari, realizzata nel Seicento proprio per ospitare le presunte reliquie rinvenute in questi
scavi, furono murati quattro sarcofagi, ornati con soggetti dionisiaci e decorativi, datati al III
secolo e riconosciuti tre di produzione romana e uno locale.
Alcuni sarcofagi in marmo con temi marini, dionisiaci e decorativi risalgono al II-III secolo.
Un frammento decorato di una fronte è stato rinvenuto durante lo scavo per un pozzo ar-
tesiano nel 1843: si conserva parte dei busti di una coppia di coniugi riccamente abbigliati,
ormai acefali, all’interno di una valva di conchiglia, e al di sotto parte della scena dell’Ado-
razione dei Magi; probabilmente doveva essere a doppio registro. È datato verso la metà del
IV secolo e prodotto a Roma. Il manufatto è stato successivamente riutilizzato come lastra
tombale, come dimostra parte di un’iscrizione funeraria incisa sul retro, dedicata ad una vidua,
databile al V-VI secolo.
Altri due frammenti rinvenuti nel Cagliaritano sono in realtà di incerta provenienza: una la-
stra frontale, recuperata forse nell’area funeraria occidentale della città antica, è decorata con
299
Lucia Mura
Sarcofago con Orfeo da Porto Torres, ghirlande e colonnine e, all’interno di una tabula ansata, conserva un’iscrizione funeraria in
basilica di San Gavino. greco, dedicata ad una monaca di nome Greca, attribuibile ad un reimpiego del manufatto nel
V-VI secolo; grazie a studi recenti, è stata riconosciuta l’origine campana della lastra decorata,
databile alla ine del II secolo.
Un frammento, interpretato anche come stele, porta la rappresentazione della testa di un
pastore con una pecora, all’interno di un’edicola a timpano triangolare; è possibile leggere la
igura in chiave cristiana come il Buon Pastore. Recentemente, in base a nuovi confronti, è
stato attribuito ad una bottega di Cartagine e datato tra la ine del IV e l’inizio del V secolo.
Roberto Coroneo proponeva invece una possibile provenienza dall’area orientale, forse co-
stantinopolitana.
Da Porto Torres, l’antica Turris Libisonis, in particolare dalla necropoli presso la basilica di
San Gavino, provengono alcuni esemplari in marmo decorati con soggetti pagani o neutri,
quali la “porta inferi”, i Geni delle stagioni, Apollo o ilosofo con le Muse, alternati a pannelli
strigilati, mentre solo uno è a fregio continuo; sono datati tra la metà del III e l’inizio del IV
secolo. Attualmente sono collocati nella cripta sottostante la basilica e tre di essi sono stati
riutilizzati per contenere le reliquie dei santi Gavino, Proto e Gianuario. Due sarcofagi in
particolare presentano soggetti interpretabili anche in chiave cristiana: un frammento di una
fronte, strigilato, con mandorla centrale con parte di un pastore crioforo (Buon Pastore?), e
un sarcofago integro con campi strigilati, Orfeo citaredo nel pannello centrale e i defunti ai
lati. Orfeo è l’eroe che, per salvare la compagna Euridice, è sceso negli inferi e ne è tornato e
per questo viene assimilato al Cristo; inoltre, per il suo rapporto con Apollo e per la capacità
di ammansire le iere con la lira, è paragonabile ai temi delle muse e dei ilosoi, un simbo-
lismo teso a sottolineare le qualità spirituali e intellettuali del defunto. I manufatti sono di
produzione romana e ostiense e databili tra la seconda metà e la ine del III secolo.
Ad Olbia, presso la basilica di San Simplicio, sono stati rinvenuti alcuni sarcofagi in marmo
decorati con soggetti pagani o neutri, provenienti da Roma e Ostia, ma il più importante è il
frammento di una fronte, ora conservato al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, la cui
decorazione rappresenta al momento il più antico documento cristiano dell’intera Sardegna
(cat. n. 3.158): disposti su due registri, sono rappresentati il sacriicio di Isacco, la guarigione
del paralitico, Daniele fra i leoni e, nel livello inferiore, quattro o forse cinque teste maschili
riferibili, in base alla differente torsione, a due scene diverse. Secondo una recente lettura ico-
nograica, rafigurano probabilmente due miracoli di Cristo: il primo gruppo è composto dal
Cristo imberbe con un apostolo, il secondo da due apostoli affrontati al Cristo; mancano pur-
troppo gli elementi necessari a una piena comprensione degli episodi. È stato riconosciuto
come fabbricato a Roma in un periodo che, in base a differenti interpretazioni degli studiosi,
oscilla tra l’età della Tetrarchia e quella costantiniana (ine III-prima metà IV secolo).
Nell’area di Cornus agli inizi del Novecento è venuto alla luce un sarcofago in marmo, stri-
gilato, di produzione cartaginese, databile tra la ine del IV e l’inizio del V secolo, a lungo
riutilizzato come fontana in una piazza di Cuglieri e oggi conservato all’Antiquarium, così
come un frammento di alzata di coperchio con tabula iscritta.
Inine, un frammento di fronte di sarcofago fa parte della collezione Biggio di Sant’Antioco: di
produzione romana, vi è rappresentato Orfeo citaredo ed è assimilabile all’esemplare di Porto
Torres, sia nella datazione (terzo venticinquennio del III secolo), sia nell’interpretazione del
300
I sarcofagi tardoantichi: produzione locale e importazione
soggetto. Ad esso si potrebbe abbinare, come pannello laterale, un frammento con rappresen-
tazione del defunto.
I sarcofagi in marmo provenienti da contesti non urbani risultano essere attualmente un
numero esiguo: tra gli altri, a Gesico, nella regione della Trexenta, è conservata una cassa stri-
gilata con clipeo con defunto e geni alati, datata alla metà del III secolo, mentre a Dolianova,
all’esterno della chiesa di San Pantaleo, si trova un sarcofago strigilato, forse di produzione
cartaginese, riutilizzato in un’edicola e ornato ai lati con scudi in rilievo, probabili stemmi
relativi al momento del riutilizzo, avvenuto forse alla ine del XIII secolo.
Secondo le analisi fatte fare negli anni Cinquanta del Novecento da Gennaro Pesce, risulta
che il marmo dei sarcofagi sardi sia di provenienza greca, in particolare dell’Imetto (marmo
“imezio”) – che però non viene lavorato né nelle oficine della Gallia né a Ravenna – ma an-
che pentelico e pario; nessun sarcofago sarebbe in marmo lunense (di Carrara), pavonazzetto
o proconnesio. In realtà, imezio e proconnesio sono di dificile distinzione l’uno dall’altro,
per cui è probabile, anche per via di confronti e analisi macroscopiche recentemente con-
dotte, che i sarcofagi sardi siano lavorati nel marmo proconnesio; in questo materiale sono
realizzati i manufatti provenienti da Cartagine. Allo stesso modo, si potrebbero rintracciare
marmi lunensi. Nuove e più moderne analisi potrebbero chiarire l’effettiva natura del marmo,
fornendo importanti precisazioni sulla provenienza dei materiali, considerando la pressoché
totale assenza di cave di marmo in Sardegna.
La maggior parte dei sarcofagi in marmo rinvenuti in Sardegna è comunque di importazione:
il centro di produzione più importante era la capitale, Roma, mentre pochissimi esemplari
provengono dalle botteghe di Ostia e della Campania; per l’età tardoantica, tra la ine del IV
e la metà del V secolo, sono state recentemente riconosciute delle produzioni provenienti da
Cartagine, in concomitanza con l’interruzione delle importazioni da Roma. Non mancano
i manufatti realizzati in botteghe locali, anche se in numero ridotto, i quali sembrano essere
delle imitazioni più semplici ed economiche dei sarcofagi lavorati nella capitale. Il lusso
di importazione di marmi entra in crisi per dinamiche generali, che determinano azioni di
disturbo nella navigazione tirrenica, e per l’occupazione vandala delle città sarde: mentre
sono presenti, anche se non in quantità abbondante, capitelli ed elementi di arredo liturgico
di produzione italica o orientale, vi è una assenza quasi totale di sarcofagi di importazione.
Questo fatto potrebbe essere indizio di un cambiamento dei costumi funerari, per cui si
prediligono altre tipologie tombali, o di una disponibilità economica limitata da parte dei
potenziali committenti.
Per quanto riguarda la presenza di sarcofagi in pietra, alcuni centri urbani come Nora, Othoca e
Olbia allo stato attuale delle ricerche non hanno restituito manufatti in contesti databili ad età
tardoantica, mentre a Tharros-San Giovanni di Sinis, Neapolis e Forum Traiani sono in numero
ridotto e per lo più privi di decorazione. Questo non aiuta a dare una datazione puntuale ai
sarcofagi più semplici, per cui un primo ambito cronologico è dato dalla frequentazione delle
necropoli, tra il tardo IV secolo ed il VII.
A Sulci la naturale conformazione del sito e la struttura della catacomba, realizzata sfruttando
precedenti ipogei funerari di età punica, induce a parlare, più che di sarcofagi propriamente
detti, intesi come prodotti a sé, di sepolture a cassa ricavate direttamente nella roccia. Tuttavia
gli studi deiniscono alcune sepolture “a sarcofago”, anche se non meglio descritte: sono ve-
nute alla luce nella navata settentrionale della chiesa dedicata al martire Antioco, sopra le quali
sembra impostarsi una vasca quadrangolare, interpretata come battistero; altre sono presenti
all’interno della catacomba, inglobate in murature ed utilizzate come altari.
La stessa cosa può dirsi per Turris Libisonis, nella cui necropoli orientale di Scoglio Lungo
è attestata la presenza di ipogei tardoantichi scavati nella roccia calcarea, dove in epoca ro-
mana era un’attività di cava. Il Maetzke parla di tombe a fossa e arcosoli, in corrispondenza
dei quali si trovano “sarcofagi ricavati nello spessore della roccia”, quindi in realtà si tratta
di casse scavate direttamente nel calcare, non di sarcofagi veri e propri, come nel caso di
Sant’Antioco.
A Cornus, nel settore orientale dell’area cimiteriale di Columbaris (frequentata dal IV al VII
secolo, che in un articolato complesso monumentale comprende un gruppo episcopale e una
basilica funeraria), sono state identiicate 157 tombe, delle quali 102 sono sarcofagi, non tutti
ancora indagati.
I sarcofagi in pietra appaiono numerosi anche a Cagliari, in particolare nella necropoli presso
301
Lucia Mura
San Saturnino. Le cronache seicentesche ci informano della presenza di alcune casse, di cui
una fu riconosciuta come sepoltura di San Lucifero. Nell’area circostante la basilica sono an-
cora visibili manufatti sia decorati che lisci, in situ oppure ricollocati nel giardino, tra cui l’uni-
co sarcofago che conserva un’iscrizione, dedicata al vescovo Bonifatius, datata al IV-V secolo.
Sempre da San Saturnino proviene l’angolo superiore sinistro di una lastra, interpretata come
fronte di sarcofago (ma potrebbe anche essere una mensola), con parte della scena della re-
surrezione di Lazzaro; deinito in marmo subito dopo la scoperta, è probabile invece che sia
realizzato in pietra; tuttavia, poiché il reperto al momento non è rintracciabile, non è possibile
chiarire il dubbio. Pur con qualche particolarità e sommarietà nella realizzazione del motivo
decorativo, in base a confronti iconograici l’epoca di realizzazione può essere ristretta al IV
secolo, prima dell’età di Teodosio (379-395 d.C.). Altri prodotti sono visibili nel muro ester-
no della chiesa di San Lucifero, dove sono inglobati una fronte (o alzata di coperchio), liscia
con specchio rettangolare sagomato, e un’arca strigilata con al centro una tabula rettangolare
ansata, anepigrafe, per la quale ultimamente è stata proposta una produzione cartaginese in
calcare Keddel, datata alla prima metà del V secolo. Al di sotto, sul marciapiede, è sistemato
un altro sarcofago a cassa non decorata, con spigoli squadrati e interno a vasca. Inine, sap-
piamo che nella vicina via Sant’Eusebio, tra il 1924 e il 1925, furono portate alla luce alcune
sepolture, tra cui almeno quattro sarcofagi in calcare, di cui due con coperchio.
Nella necropoli del colle di Bonaria, sfruttata in dall’età punica, nel cosiddetto cubicolo di
Giona, datato al IV secolo grazie alle note pitture parietali oggi scomparse, sono parzialmente
visibili due sarcofagi posti sul pavimento, uno lungo la parete di fondo, l’altro perpendicolare
al primo; realizzati in calcare, si presentano lisci, senza alcuna decorazione, con l’interno a va-
sca. Della scoperta nell’area di altri sarcofagi in calcare, quasi tutti frammentari, è data notizia
nelle pubblicazioni di ine Ottocento, che tuttavia non si soffermano sulla loro descrizione.
Nell’area funeraria occidentale, invece, la presenza di sarcofagi è al momento attestata solo da
notizie di rinvenimenti isolati: un sarcofago in arenaria a cassa semplice non decorata in via
Po, un grosso frammento di sarcofago lapideo in viale Trieste e un altro frammento riutiliz-
zato nelle murature in via Caprera. Uno dei sarcofagi presenti nel giardino di San Saturnino
dovrebbe provenire dall’area di Sant’Avendrace. Di questi esemplari tuttavia non è data ulte-
riore descrizione nelle pubblicazioni.
Inine, tre esemplari fuori contesto si trovano all’interno del convento dei Cappuccini in viale
Sant’Ignazio, forse provenienti dalla necropoli presso San Saturnino e qui collocati dopo gli
scavi seicenteschi.
Altri sarcofagi in pietra, al momento non numerosi, sono stati rinvenuti in vari contesti rurali
dell’Isola. Tra questi si possono segnalare un frammento in trachite, proveniente da Biora
(Serri), con croce monogrammatica iscritta in un clipeo, con le lettere alfa e omega pendenti
dai bracci laterali, datato tra la ine del V ed il VII secolo; normalmente interpretato come
settore centrale della fronte di un sarcofago, potrebbe essere anche un elemento architetto-
nico spezzato (cuneo di arco, architrave, plinto, mensola o pluteo). Un sarcofago integro in
arenaria proviene invece dal territorio di Selargius, con la fronte inquadrata da cornici, strigi-
lata, con tre edicole in cui sono rappresentati una igura maschile armata di spada e protomi
leonine; viene datato all’inizio del IV secolo ed è noto come sarcofago di San Lussorio, dal
nome della chiesa romanica campestre in cui si trova.
La maggioranza dei sarcofagi in pietra semplici in qui citati presenta caratteristiche abba-
stanza omogenee: la cassa è di forma rettangolare, con spigoli esterni squadrati e interno a
vasca; spesso sono visibili i segni dello scalpello. Solo a Cornus e San Giovanni di Sinis è atte-
stata la presenza del cosiddetto cuscino funebre, una sorta di gradino risparmiato sul fondo
del sarcofago, sul quale veniva adagiato il capo del defunto. In pochi casi si è conservata la
copertura, comunque ipotizzabile soprattutto nei casi in cui sono presenti le tacche per l’ag-
gancio: prevale il coperchio a uno o due spioventi, talvolta arricchito da acroteri angolari e
dal riquadro per l’iscrizione.
Nella maggior parte dei casi la supericie dei sarcofagi in pietra non è decorata, forse per esi-
genze dei committenti o perché maggiormente destinati all’interro rispetto a quelli decorati
o intonacati (sempre che l’intonaco non sia traccia di un utilizzo successivo come pietra da
costruzione). Decorazioni sono presenti su alcuni manufatti di Cagliari e di Forum Traiani: gli
esemplari cagliaritani hanno la fronte con strigilature, abbinate a pannelli igurati, al clipeo o
alla tabula che doveva ospitare l’iscrizione, analogamente all’impianto decorativo dei sarcofagi
302
I sarcofagi tardoantichi: produzione locale e importazione
marmorei, con la rielaborazione originale dei temi marini (in particolare delini) nelle igu-
razioni. I sarcofagi di Forum Traiani, che si trovano nella cripta paleocristiana sottostante la
chiesa dedicata al martire Lussorio, presso la presunta sepoltura del santo, hanno in un caso
delle cornici concentriche che inquadrano motivi non leggibili, mentre altri due, aggiunti in
seguito all’ampliamento del santuario nel VI secolo e che ospitavano le deposizioni di due
vescovi, sono intonacati con colore rosso.
La pietra in cui sono realizzati i sarcofagi di produzione locale – calcare, arenaria, trachite
– sembra per ciascuna località ricavata da cave vicine. Il fatto di avere a disposizione in loco
il materiale permette di ipotizzare una lavorazione in oficine locali in dalle prime fasi di
realizzazione del manufatto. Questa congettura è molto concreta nel caso di Cornus, dove gli
scavi hanno rivelato, a sud delle aule di culto, un complesso di ambienti abitativi e funzionali,
interpretati come episcopio, nei quali si è proposto di riconoscere una bottega di scalpellini,
per la presenza al suo interno di materiale appena sbozzato ed elementi architettonici vari,
dove potevano essere lavorati o rilavorati sia i manufatti in calcare, sia quelli in marmo di
importazione. A Cagliari la presenza di un impianto artigianale presso la basilica di San Sa-
turnino rimane un’ipotesi, basata per il momento solo sul rinvenimento nell’area di alcuni ele-
menti scultorei, sia funerari che architettonici, in pietra locale. Anche a Forum Traiani, nell’area
delle terme, ristrutturate in età bizantina, sembra di poter riconoscere ambienti destinati ad
oficine private di lapicidi, per la presenza di numerosi elementi architettonici non initi. Un
elemento di novità rispetto a questo quadro relativo alle produzioni locali è offerto dal rico-
noscimento di alcuni prodotti lavorati in un calcare non sardo, ma della zona di Cartagine,
Sarcofago in calcare da Cagliari, detto Keddel, che dimostra come la circolazione e il commercio non rimangano appannaggio
San Saturnino. del solo marmo, ma interessino anche oggetti in pietra.
303
Lucia Mura
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304
La decorazione architettonica e l’arredo liturgico
in marmo delle chiese altomedievali
Roberto Coroneo
Per la Sardegna tardoantica e bizantina è la scultura, molto più dell’architettura e della pittura, che
consente di ricostruire gli ambienti della committenza, le importazioni di manufatti, le produ-
zioni locali e dunque le principali tendenze di evoluzione artistica nell’Isola fra il V e l’XI secolo.
A differenza dei manufatti marmorei del III-IV secolo, che rientrano nella tipologia funeraria,
tutti quelli del V-VII secolo si inseriscono nel contesto della produzione destinata alle chiese. È
il caso sia degli elementi di decorazione architettonica (capitelli), sia di quelli di arredo liturgi-
co, che funzionavano tanto da complemento ornamentale quanto da strumenti di trasmissione
del messaggio cristiano (mense d’altare, cibori, plutei e pilastrini del recinto presbiteriale). Non
sempre la committenza deve identiicarsi come ecclesiastica: ciò può ipotizzarsi nella maggior
parte dei casi, soprattutto per i manufatti del V-VII secolo, ma non sembra applicarsi a quelli del
X-XI, che rilettono le esigenze di rappresentatività aulica di una classe politica nuova, quella
dei giudici, localmente eredi dell’autorità imperiale di Bisanzio, alla ricerca di autolegittimazione
storica mediante un vero e proprio sistema di scritture e di sculture “esposte”, contraddistinte da
caratteri di forte originalità.
Nei depositi del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari sono custoditi due frammenti di
sarcofagi marmorei del tipo a doppio registro, lavorati a Roma, Ostia o Porto. Il sarcofago
di Olbia, ascrivibile alla ine del III-inizi del IV secolo, è il più antico, fra quelli superstiti in
Sardegna, che in base all’iconograia possa dirsi prodotto e utilizzato per la sepoltura sicura-
mente di un cristiano (cat. n. 3.158).
Il secondo frammento marmoreo si colloca nella metà del IV secolo e conserva una porzione
del clipeo dei coniugi defunti alla cui base residua una minima parte dell’Adorazione dei Magi.
Sia lo schema, sia i dettagli risultano identici a quelli nel sarcofago detto “di Adelia”, scoperto
nel 1872 in una rotonda del cimitero di San Giovanni a Siracusa. La produzione di entrambi in
oficina romana, ostiense o portuense, risulta soprattutto dallo schema con clipeo a conchiglia
afiancato da pannelli strigilati o inserito al centro del doppio registro, frequente in esemplari
romani datati entro il 350.
Fra i capitelli presenti in Sardegna, numerosi di tipo composito a foglie lisce furono probabil-
mente lavorati in oficine romane, ostiensi o portuensi tra la metà del IV e la metà del V se-
colo. È però dificile individuarli con precisione, stante la continuità di produzione nei secoli
successivi e l’assenza di un organico corpus dei capitelli isolani. Fra gli esemplari a corona dop-
pia, si segnalano quelli databili tra la metà del IV e gli inizi del V secolo: uno nelle catacombe
e due nella collezione Biggio di Sant’Antioco, uno nella parrocchiale di San Pietro a Terralba,
uno nell’Antiquarium Comunale di Cuglieri, proveniente dall’area cristiana di Cornus. Fra
gli esemplari a corona unica, si segnalano quello nell’Antiquarium di Sant’Antioco, databile
tra l’ultimo quarto del IV e i primi decenni del V secolo, e quello nei depositi del Museo
Archeologico Nazionale di Cagliari, proveniente da San Macario.
Parallelamente all’importazione degli esemplari da Roma, Ostia e Porto, assume consistenza
il fenomeno dell’importazione in Occidente di capitelli prodotti in Oriente tra la metà del V
e la metà del VI secolo. Nella classe dei capitelli corinzi a foglie d’acanto inemente dentellate,
inquadrabili nella produzione di oficine d’area costantinopolitana o ellenica, si inseriscono
un capitello a doppia corona, nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, e due a uni-
ca corona, uno nell’Antiquarium Comunale di Cuglieri, proveniente da Cornus, e uno nella
collezione Cao, acquisita dal Comune di Cagliari. Il capitello dell’Antiquarium Comunale di
Cuglieri, recuperato negli scavi degli anni Sessanta nell’area basilicale di Cornus, è identico ai
due reimpiegati nel portico della chiesa di Santa Fosca a Torcello e simile a quelli riutilizzati
nella basilica di San Marco a Venezia, ad altri di area greca – basilica A di Filippi, basilica C
di Nea Anchialos, triconco di Mitropolis a Gortyna, ciborio della cripta di San Demetrio a
Tessalonica – e pontica; un analogo capitello nel Museo Archeologico di Barcellona docu-
menta l’ampio raggio delle esportazioni dall’Oriente.
305
Roberto Coroneo
Sempre della classe dei capitelli corinzi, ma del tipo “a lira”, fanno parte i due capitelli scavati
per il riutilizzo come acquasantiere nella parrocchiale di Sant’Elena a Mulargia. In Sardegna,
un esemplare dello stesso tipo “a lira” è stato rinvenuto nei primi anni Novanta all’interno
dell’altare maggiore, datato 1789, della parrocchiale di Sant’Antonio abate a Decimomannu,
assieme a un cospicuo gruppo di spogli marmorei databili fra l’età romana repubblicana/
primoimperiale e i primi decenni del XIV secolo.
Nella versione a corona singola o doppia, il capitello “a lira” rappresenta una tra le classi
più diffuse di analoghi manufatti marmorei esportati dall’area orientale (costantinopolitana
o ellenica) in ambito mediterraneo tra la metà del V e la metà del VI secolo. In particolare,
gli esemplari di Mulargia e di Decimomannu risultano assai simili a quelli reimpiegati nella
basilica di San Marco a Venezia, nel portico della chiesa di Santa Fosca a Torcello, nella cripta
della cattedrale di Otranto, nella Grande Moschea di Kairouan (Tunisia). Esemplari erratici
sono presenti in Turchia, nel Topkapı Sarayı di Istanbul, nel Museo Archeologico di Nicea-
Iznik, nell’area all’ingresso degli scavi di Troia-Truva e ad Harran. All’esterno dell’ingresso al
Museo Archeologico di Antalya è depositato un capitello del tipo “a stampella”, con le facce
brevi scolpite “a lira”. Piccoli capitelli dello stesso tipo si trovano anche in Siria, nel cortile del
Museo Nazionale di Damasco, e a Creta: due esemplari di Plemeniana, simili a quelli deposi-
tati nel giardino del Museo Archeologico di Hanià. Più slanciato ma tipologicamente analogo
è un capitello di ciborio della chiesa A di Kephalos in Grecia.
Nella prima metà del VI secolo la tipologia “a lira” sembra convivere con quella “a due
zone”, sebbene per quest’ultima si diano maggiori probabilità di circoscrivere la produzione
all’ambito costantinopolitano. È bizonale un capitello del Museo Archeologico di Cagliari
(cat. n. 3.157), confrontabile con esemplari datati alla prima metà del VI secolo: i due che
sormontano le colonnine del ciborio del prete Mercurio, eretto al tempo di papa Ormisdas
nel 514-523, reimpiegate nel monumento funebre del cardinale Venerio in San Clemente
a Roma; i tre ritenuti appartenenti a un ciborio e riutilizzati nella cripta della cattedrale di
Otranto; uno nel Museo Copto del Cairo, identico all’esemplare cagliaritano. Un altro molto
simile, ma con colombe ad ali non sagomate, si conserva nel Museo Archeologico di Antalya.
Quanto al cestino, l’ornato vimineo appare più itto nel capitello “a due zone”, con colombe
ad ali non sagomate, riutilizzato nel portico sud-est di Santa Soia a Costantinopoli.
Nella basilica di San Gavino a Porto Torres fu riutilizzato un insieme di capitelli con co-
lombe. Si tratta in origine di esemplari tardoimperiali di diversa tipologia, rilavorati molto
probabilmente in loco per il reimpiego in ediici di culto cristiano. Le modalità di riuso non
consentono di appurarne la destinazione funzionale, ma denotano comunque, sia nei tre
capitelli con colombe affrontate (nei setti divisori dell’aula) sia nei due con colombe angolari
(uno nell’aula, l’altro nel sagrato della basilica), la volontà non solo di cristianizzare i marmi
classici, ma anche di conformarli alla tipologia dei capitelli costantinopolitani “a due zone”
della prima metà del VI secolo.
La disparità di proposte interpretative avanzate dalla critica evidenzia il carattere di unicum dei
due capitelli con colombe angolari, che pongono in effetti non pochi problemi di lettura e di
datazione. È verosimile che si tratti di marmi classici, di classe composita in ragione dell’a-
baco a lati convessi; l’ornato a fuseruole in un tratto di collarino superiore richiama appunto
capitelli compositi della stessa basilica di San Gavino, collocati tra la metà del I e la metà del
II secolo. La rilavorazione comportò la rimodellazione delle foglie d’acanto basali in foglie
lisce, l’eliminazione della corona superiore e il ricavo di ornati cristiani sotto le volute angolari
(colombe), mentre gli spazi frontali divennero funzionali all’inserto dei caulicoli, dei motivi
itomori e della croce clipeata.
La dislocazione dei capitelli costantinopolitani in qui analizzati, nonché quella d’altri
elementi marmorei di struttura architettonica e di arredo liturgico, consente di delinea-
re un quadro indicativo delle modalità di irradiazione della cultura artistica orientale in
Sardegna. Se ne constata la presenza in primo luogo nei siti costieri, sede dei principali
centri di potere laico ed ecclesiastico al sud (Cagliari) e al nord (Porto Torres), e in centri
del territorio che mantengono organici collegamenti con quelli portuali; in secondo luogo
nei complessi episcopali (Cornus); quindi lungo la strada a Caralibus-Turrem, nel frattempo
denominata “via dei Greci” e mantenuta in eficienza con una serie di stazioni presso le
quali sorgevano chiese come quelle di San Sergio a Mulargia e San Costantino Magno a
Sedilo e a Nuraminis, dedicate a santi militari del menologio greco e dunque indicative
306
La decorazione architettonica e l’arredo liturgico in marmo delle chiese altomedievali
degli stanziamenti di truppe per il controllo del più importante asse viario dell’Isola.
Particolarmente signiicativi al riguardo risultano anche gli elementi di arredo liturgico. Un
frammento di lastra in marmo grigio è stato occasionalmente rinvenuto nel santuario sulci-
tano di Sant’Antioco. Sottoposto ad analisi archeometrica di laboratorio ha rivelato la prove-
nienza del marmo dalle cave del Proconneso. Potrebbe trattarsi di un frammento di pluteo.
Nonostante si conservi soltanto un minimo tratto della cornice marginale, le modanature per
lavorazione e spessori rientrano nella classe di quelle riscontrabili nei plutei e nei parapetti del
532-537 nella chiesa di Santa Soia di Costantinopoli, per cui è probabile che il frammento
derivi da una lastra analoga a quelle o ad altre di produzione costantinopolitana, largamente
esportate nell’arco cronologico del VI secolo.
Negli scavi di Cornus fu rinvenuta una mensa d’altare in marmo bianco, poi nell’Antiqua-
rium Comunale di Cuglieri, assieme ad almeno una delle colonnine, sempre in marmo
bianco che reggevano la tavola. La tipologia è generica, ma sono possibili rimandi alla
mensa d’altare del Lapidario di Grado, ascritta al VI secolo, e ad analoghi esemplari, fram-
mentari, a Roma nella chiesa di San Saba, ascritti al V-VI secolo. Un frammento di mensa
simile, in marmo grigio chiaro, proviene dal recupero marino presso l’Isola di San Macario,
prospiciente la costa di Pula.
Basi con croce, diversi pilastrini e plutei di recinzione presbiteriale sono pertinenti a tre impor-
tanti santuari martiriali, San Gavino di Porto Torres, San Saturnino di Cagliari e Sant’Antioco
dell’antica Sulci, che così confermano la speciale attenzione riservata in dal VI-VII secolo
al decoro dei principali fulcri di devozione locale. Anche in questi casi l’individuazione delle
possibili provenienze dei marmi, qualora d’importazione e non frutto di rilavorazione di
marmi classici in situ, appare utile a determinare lussi di scambio che travalicano l’ambito
puramente commerciale e indiziano polarizzazioni culturali assai più profonde e radicate.
La base con croce del San Saturnino di Cagliari e quelle del San Gavino di Porto Torres,
ascrivibili alla metà del VI secolo, sono simili a elementi di arredo liturgico di Ravenna, o
tipologicamente o per la conformazione della croce. Dividono dunque con la scultura del più
importante centro imperiale d’Italia la problematica relativa alla provenienza dei manufatti
marmorei, non sempre prodotti in loco ma giunti in misura massiccia dall’area orientale e in
particolare da Costantinopoli. Se non di altare a cippo, stanti le ridotte dimensioni, la base ca-
gliaritana potrebbe aver svolto funzione di plinto di colonnina di ciborio o di pergula e analoga
funzione potrebbe proporsi per le due basi reimpiegate all’esterno del San Gavino di Porto
Torres e per la terza, del tutto identica, ritrovata nel corso di scavi recenti nel sito.
Circa la natura funzionale di queste ultime, bisogna osservare che le modanature lungo la
base e alla sommità delle facce frontali sono forse il residuo delle cornici di marmi imperiali
di spoglio, rilavorati in vista del reimpiego e in origine simili all’ara isiaca del I-II secolo,
ritrovata a Porto Torres e oggi nel Museo Nazionale G.A. Sanna a Sassari. Circa la data-
zione, i marmi sono inquadrabili verso la metà del VI secolo in base alla forma della croce
astile e gemmata, confrontabile in particolare con la croce-reliquiario donata dall’imperatore
Giustino II (565-ante 574), in lamina d’argento dorato e gemme, nel tesoro della basilica di
San Pietro in Vaticano. Un ultimo confronto tipologico può indicarsi con il plinto di colonna
nella galleria orientale della basilica pelagiana di San Lorenzo fuori le mura a Roma.
A Porto Torres, erratico all’interno della basilica di San Gavino, si trova anche un pilastrino
di recinzione, del pari ascrivibile alla metà del VI secolo. A causa dello stato di forte consun-
zione del rilievo, il marmo è di problematica lettura e collocazione cronologica, ma, come
per gli altri manufatti marmorei di Cagliari e Porto Torres, se ne potrebbe ipotizzare una
provenienza da Bisanzio o da Ravenna, ovvero il trasferimento in Sardegna di scultori dai
centri orientali o dalla città esarcale.
Palesa invece un preciso referente romano il pluteo con decorazione a squame reimpie-
gato nella basilica di Sant’Antioco, possibile prodotto d’importazione al pari dell’analogo
frammento recuperato fra le rovine della chiesa di San Nicola a Donori e oggi nei depo-
siti del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, da ascrivere anch’esso alla metà del
VI secolo. In Sardegna, due frammenti di analogo pluteo a squame, ma con cornice a
listello superiormente epigraica, sono documentati da due fotograie nell’Archivio della
Soprintendenza BAPSAE per le province di Sassari e Nuoro, con l’indicazione generica
del recupero nel corso dei lavori di restauro intrapresi nel 1988 nella chiesa di San Michele
di Plaiano nelle campagne di Sassari.
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Roberto Coroneo
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La decorazione architettonica e l’arredo liturgico in marmo delle chiese altomedievali
contesto del capitello corinzio “teodosiano” e la adatta allo sguscio, appiattendola e talvolta
geometrizzandola con dura resa metallica, ma sempre mantenendone le nervature, i lobi che
si chiudono a occhiello e la cima corposa che ricade quasi isolandosi dalla deinizione ito-
morfa del resto.
Pur ascrivibile al VI secolo in base alla peculiare sempliicazione della foglia d’acanto, l’intero
gruppo continua a presentare aspetti problematici riguardo non solo alla collocazione cro-
nologica, ma anche all’originaria funzione strutturale. A prescindere dagli esemplari con la
forma “a stampella” tipica del capitello-imposta, solo una delle mensole (erratica nell’area di
San Saturnino a Cagliari) è provvista di piatto rilievo discoidale nella base ed è perciò identi-
icabile come pulvino destinato all’appoggio sul capitello o come capitello-imposta destinato
all’appoggio direttamente sulla colonna. Al pari di questa, nessuna mensola risulta in situ; per-
tanto, in assenza di univoche indicazioni funzionali, è dificile precisare se quelle riutilizzate o
le altre erratiche fossero mensole in dall’origine oppure pulvini o capitelli-imposta.
Quanto alla possibilità di documentare archeologicamente gli spazi operativi degli sculto-
ri locali, recenti riletture dell’area cristiana di Cornus hanno evidenziato un ambiente a sud
dell’aula trasformata in battistero, in cui si è proposto di riconoscere l’oficina dei lapicidi at-
tivi alla rilavorazione di marmi classici per la produzione dei manufatti architettonici e plastici
destinati al complesso ecclesiastico. Proverrebbero dunque da questa oficina le mensole e i
capitelli-imposta con foglia d’acanto come pure un capitello con pesci, ascrivibili non oltre
il VII secolo. Lo stato non inito di alcuni materiali sembra indicare una brusca interruzione
dell’attività produttiva, forse da porre in relazione con l’evento traumatico (per il momento
non precisabile) che ha generato analoga soluzione di continuità nella documentazione ar-
cheologica recuperata nel sito. In particolare si osserva la mancata ultimazione di una menso-
la sbozzata nel torso di una statua classica, mentre uno dei capitelli-imposta ancora mantiene
nella faccia lunga il decoro dell’elemento classico di spoglio da cui fu ricavato. Interessa inol-
tre rilevare che il modello base utilizzato dai lapicidi è ancora una volta la foglia d’acanto del
capitello corinzio “teodosiano”, della quale si trattengono la sagoma generale, le nervature,
gli occhielli, resi però come semplici incisioni lineari, mentre ad emergere è unicamente la
cima vegetale, che assume un’insolita evidenza. Siamo ancora nel campo dei processi astrat-
tivi, ma in tal caso esasperati al punto da generare un risultato formale di grande originalità,
che si afida al colpo d’occhio per suggerire, più che ricostruire, l’immagine itomorfa di
partenza, comunque ancora percepibile con evidenza.
Il deciso abbandono del modello vegetale si veriica a Sant’Antioco nel capitello-imposta
e nella mensola con pesci, in pietra locale. In questi esemplari lo sguscio ospitante la foglia
d’acanto o liscia non viene più inteso come forma da ultimare secondo la deinizione ito-
morfa dell’ornato, bensì come campo la cui conformazione suggerisce l’inserimento di igure
autonome da quella di partenza. Le sagome curvilinee della foglia vengono cioè assimilate a
quelle della forma base del pesce, simbolo cristologico fra i più diffusi, e così dichiaratamente
piegate non solo all’iconologia cristiana, ma anche con ogni evidenza alla semplice funzione
di contorno per un’elaborazione iconograica del tutto inedita. Lungo i margini della foglia,
di cui si accentua la ricaduta della cima, si rilevano infatti le piatte sagome di tre e due pesci,
rispettivamente giustapposti nel capitello-imposta e contrapposti nella mensola. Come in un
capitello del Museo Bellomo di Siracusa, la trascuranza dei dettagli nella resa del pesce accen-
tua i tratti fortemente non classici di queste sculture, nelle quali si consuma la netta cesura
non solo con il sistema organico di eredità classica, ma anche con la vitalità dello stesso nelle
varie formulazioni classiciste del VI secolo, che l’hanno preceduta.
Ad analoghi fenomeni di continuità e innovazione può ricondursi anche un gruppo di capi-
telli di produzione locale, collocabili fra il VII e il IX secolo, che permettono di constatare
l’assunzione di modelli del V-VI secolo e la loro rielaborazione secondo logiche formali del
tutto originali e innovative.
Nella collezione Biggio di Sant’Antioco sono custoditi tre capitelli pseudo-corinzi, la cui
provenienza è sconosciuta. Tuttavia l’inquadramento nell’ambito territoriale sulcitano è ve-
rosimile sulla base degli altri materiali conluiti nella stessa raccolta privata, eterogenei ma in
massima parte riferibili a contesti preistorici e protostorici, fenicio-punici, romani e medievali
di Sant’Antioco. Due capitelli sono in marmo, il terzo in calcare. I tre capitelli derivano dal
tipo corinzio a foglie lisce, sottoposto a particolari modiiche che si riscontrano in ambito
mediterraneo ed europeo fra il VII e l’VIII secolo.
309
Roberto Coroneo
Rispetto agli esemplari precedenti, appaiono decisamente innovativi i capitelli “cubici” con
croce, probabilmente destinati a sormontare le colonnine di un ciborio della seconda metà
del X secolo, già nella chiesa di Sant’Antioco. Sono identici fra loro e tutti in marmo. Uno,
integro, si trova nella locale collezione Biggio. Un altro, frammentario, è murato nel vano di
passaggio dalla “cripta” alle catacombe. Un terzo, integro, è a Iglesias nella collezione co-
munale Pistis-Corsi. Gli esemplari integri si conigurano a due volumi distinti: dal collarino
della parte inferiore, troncoconica, si sviluppano quattro foglie lisce, che svasando vanno a
toccare con le punte gli spigoli del cubo superiore, saldandosi con il listello che riquadra le
facce frontali, ospitanti croci greche con gemma centrale. I capitelli sono caratterizzati non
solo dalla conformazione “cubica” che li apparenta ad analoghi esemplari d’area italo-setten-
trionale fra il VII e l’XI secolo, ma anche dal tipo della croce greca a bracci patenti, che trova
riscontri signiicativi a partire dal IX per afiancarsi, nella seconda metà del X, alla forma a
bracci potenziati. Tra la metà del IX e la metà dell’XI, analoghi capitelli pseudocorinzi di tipo
“cubico” rappresentano una forte continuità con i tipi del V-VI e al contempo nuove sintesi,
caratterizzati come sono da un’accentuata sempliicazione dei volumi costitutivi, cubico nella
metà superiore, cilindrico nell’inferiore.
Alla tipologia “occidentale” dei capitelli cubici del ciborio sulcitano fa riscontro la transenna
di Porto Torres con croci gigliate di peculiare disegno. Della transenna ci sono giunti due
frammenti, oggi nei depositi dell’Antiquarium Turritano. Il primo fu recuperato nel 1963 in
un saggio di scavo all’esterno della basilica. Il secondo è stato ritrovato nell’area del Banco di
Sardegna, sempre a Porto Torres, negli scavi del 1982-83. Non è possibile chiarire il motivo
della differente dislocazione dei frammenti, che derivano comunque dalla stessa transenna,
con ogni probabilità da riferire all’arredo liturgico d’una delle basiliche di San Gavino prece-
denti la fabbrica dell’XI secolo. Sembra trattarsi di un prodotto d’importazione, databile fra
l’VIII e il IX secolo. Il quadro dei referenti artistici implica la possibile derivazione dalle bot-
teghe localizzate nell’arco provenzale, ligure e padano di irradiazione dei cantieri attivi nelle
cave alpine, soprattutto nelle Marittime. Chiarirne la presenza a Porto Torres non è agevole,
stanti le parziali informazioni di contesto storico che è possibile oggi ricavare dalla complessa
stratigraia del sito di San Gavino. Come conclusione provvisoria è possibile trarne soltanto
l’indizio di stretti rapporti con ambiti ecclesiastici di cultura “latina” carolingia, in parallelo
o anche in contrasto con le indicazioni “greche” imperiali che emanavano da Cagliari e da
centri del meridione sardo più organicamente in contatto con ambiti o centri di irradiazione
della cultura costantinopolitana.
Un pluteo a girali, frammentario nella cattedrale di Santa Maria Assunta a Oristano, è di
probabile importazione romana e costituisce un’ulteriore, anche in questo caso problema-
tica, conferma della pluralità di provenienze che nel IX secolo sembra contraddistinguere,
come fenomeno nuovo, il quadro della scultura in Sardegna, fors’anche attestando una rin-
novata azione della Chiesa di Roma, volta a rinsaldare il suo ruolo storico mai venuto meno
nell’Isola. I confronti riportano puntualmente alla scultura romana del IX secolo, sebbene
non esista, in nessuno, una così spiccata tendenza alla regolarizzazione del tralcio secondo
forme geometriche.
Con ogni probabilità apparteneva a un protiro mediobizantino, con funzione di mensole-
architrave, la coppia di marmi epigraici prelevata dalle rovine di una chiesa di Santa Soia,
ubicata fra Villasor e Decimoputzu, e ospitante l’iscrizione di Unuspiti e di Sorica. Anche se
inciso in due marmi diversi e separato dal segno cruciforme, il testo epigraico è chiaramente
unitario in quanto l’invocazione compare soltanto in un marmo e nell’altro viene sottintesa.
La lettura dell’epigrafe è e doveva essere continua, iniziando nel marmo di Unuspiti e conclu-
dendosi in quello di Sorica, la cui menzione segue come di regola quella del consorte.
A favore dell’ipotesi che restituisce i due marmi paralleli, inissi nel muro ai ianchi di una
porta architravata, a creare una sorta di breve ambulacro forse voltato a botte, con pilastri e
capitelli per il sostegno di “mensole”, vanno i signiicativi riscontri con la tipologia struttura-
le della coppia di analoghi elementi in situ nel protiro del ianco nord della basilica dei Santi
Martiri a Cimitile. A differenza dei marmi della Santa Soia di Villasor-Decimoputzu, nelle
mensole-architrave di Cimitile è la faccia sgusciata a ospitare l’epigrafe latina che menziona
quale committente il vescovo nolano Leone III, la cui cronologia si attesta tra la ine del IX
e gli inizi del X secolo.
È possibile che svolgessero invece funzione d’epistilio di recinto presbiteriale i marmi pa-
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La decorazione architettonica e l’arredo liturgico in marmo delle chiese altomedievali
311
Roberto Coroneo
le rosette baccellate, il tralcio a girali con foglie e rosette, con pampini e grappoli d’uva, il
tralcio animato, le foglie d’acanto. Nel complesso, il repertorio ornamentale lascia distinguere
motivi geometrici (ovoli, fuseruole, nastro intrecciato, doppio nastro intrecciato, intreccio
annodato), motivi itomori (rosette, tralcio, foglie d’acanto), motivi zoomori ausiliari (uc-
celletti nei girali del tralcio animato) e autonomi (pavoni nei cibori, quadrupedi e uccelli in
plutei, pannelli e formelle), motivi antropomori.
Figure antropomorfe si trovano esclusivamente in frammenti di lastre di Sant’Antioco, che
presentano tibicini, un personaggio maschile con spada, un altro con fascio, un personaggio
femminile con libro. Zampe ungulate e testa felina consentono di riconoscere il leone in uno
dei due plutei di Maracalagonis, in un pluteo di San Macario e in un pluteo di Sant’Antioco,
ricomponibile con due frammenti. Gli stessi caratteri, uniti alle mammelle, identiicano come
leonessa le igure animali dell’altro pluteo di Maracalagonis, del pluteo frammentario di San
Macario e di un pluteo di Sant’Antioco. Il pegaso compare nel pluteo di San Macario a qua-
drupedi affrontati e in un pluteo di Sant’Antioco. Il grifo è rafigurato come leone alato, con
testa d’uccello, a Cagliari nella lastra della cattedrale e nel pluteo del Museo Archeologico
Nazionale. Sono grii gli animali affrontati al pegaso e al leone rispettivamente nel pluteo
di San Macario e in quello di Donori (oggi nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari),
ricomponibile con due frammenti. Nella lastra di Villasor con igure animali in doppio
registro, nonostante l’abrasione del rilievo, è possibile riconoscere nel riquadro superiore un
toro, caratterizzato dalle forme massicce e dalle corna ricurve, in quello inferiore un grifo.
Figure animali isolate o in schema araldico (affrontate pressoché specularmente rispetto a un
elemento centrale) si ritrovano diffusamente nella scultura tardoantica, bizantina e dell’alto
medioevo occidentale; si tratta di temi e patterns di antica ascendenza mesopotamica, iltrati
nelle culture mediterranee già in epoca preromana e continuamente rivitalizzati da apporti
orientali, specie con la mediazione di stoffe seriche prima sasanidi, poi costantinopolitane e
siriache, prodotte in ambiti tanto cristiani quanto islamici. Per le sculture zoomorfe mediobi-
zantine del meridione sardo i riscontri più puntuali e abbondanti si registrano in Campania,
con strette afinità quanto a tecniche di lavorazione del marmo, trattamento delle cornici e
destinazione funzionale delle lastre (plutei o pannelli e formelle d’incrostazione parietale),
nonché scelte comuni sia d’insieme sia di dettaglio.
Le possibilità di seriazione cronologica dei rilievi zoomori mediobizantini campani e sardi
si basano sul processo di graduale abbandono della deinizione bidimensionale, in favore
di quella plastica. Questo parametro, in relazione a varie cifre desunte da scelte di dettaglio
(zampe, coda, mantello o piumaggio, ali), consente di distinguere tre gruppi di sculture, con
leggero anticipo della produzione campana (dalla ine del IX ai primi decenni dell’XI secolo)
rispetto a quella sarda (dalla metà del X ai primi decenni dell’XI secolo).
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La decorazione architettonica e l’arredo liturgico in marmo delle chiese altomedievali
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314
La suppellettile liturgica
Andrea Pala
Gli studi più antichi sulla suppellettile liturgica cristiana si possono ricondurre alla ine dell’Otto-
cento, quando in Francia si diedero alle stampe i primi repertori sull’argomento che riproduceva-
no graicamente gli oggetti desunti da quelli reali, analizzando le particolarità ed evidenziando le
caratteristiche formali. A questi lavori seguirono quelli tedeschi degli anni Trenta del XX secolo.
In Italia, invece, un approccio sistematico alla materia si ebbe solo negli ultimi anni del Novecento.
Un importante contributo è stato prodotto dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documen-
tazione, afferente al Ministero per i Beni Culturali e Ambientali italiano, da cui si trae una catalo-
gazione che divide le suppellettili in arredi d’altare, vasi sacri, biancheria e coperture sacre, oggetti
liturgici, oggetti processionali, insegne ecclesiastiche e oggetti devozionali.
Questa ampia categoria di oggetti mobili comprende i manufatti utilizzati durante il rituale sacro,
inteso come un insieme di cerimonie, di formulari, di gesti e usanze, talvolta differenziate da
speciicità linguistiche, dottrinarie e giuridiche. Il Cristianesimo annovera due importanti divisioni
tra i riti: uno orientale e l’altro occidentale, entro i quali sussistono ulteriori differenze. La storia
della liturgia dalle origini sino al IV secolo è sostanzialmente comune tra Oriente e Occidente, ad
eccezione di elementi di culto di carattere locale che rivelano l’esistenza di diversi riti, anche se non
necessariamente implicanti l’utilizzo di differenti oggetti funzionali al cerimoniale. Alla ine del IV
secolo l’organizzazione della Chiesa vede il prevalere dei grandi centri storici che per tradizione
cultuale emergono sulle piccole chiese, le quali assimilano particolarità liturgiche dei nuclei più
grandi. Questi ultimi si impongono in virtù dei canoni sinodali e conciliari. È infatti nel 451 che
viene convocato dall’imperatore romano d’Oriente Marciano il Concilio di Calcedonia, nel quale
vengono stabiliti i quattro patriarcati di Antiochia, Alessandria, Gerusalemme e Costantinopo-
li. Si creano così i principali centri rituali per l’Oriente cristiano, caratterizzati da un insieme di
cerimonie e usi liturgici diversi. Tra il VI e il VII secolo in Oriente sono oramai consolidati i riti
armeno, bizantino, copto e siriaco; ognuno si sviluppa sotto l’inluenza del patrimonio culturale
della propria nazione di appartenenza. Queste consuetudini liturgiche si stabilizzeranno solo nel
XVI secolo grazie all’utilizzo della stampa, assicurando così un ordo che sancisce i canoni e limita
le molteplici varianti riportate nei manoscritti.
Diversamente in Occidente, dopo la Pace di Costantino del 313, si sviluppano due famiglie litur-
giche: la gallicana e la romana. Quest’ultima in un primo momento rimase circoscritta all’Italia
centrale e all’Africa settentrionale, mentre quella gallicana si diffuse in tutta l’Europa occidentale,
comprendendo diversi cerimoniali, tra i quali il gallicano propriamente detto, il gotico, il celtico e
l’ispanico. Alcune varianti del rito liturgico romano si manifestarono ad opera di ordini monastici
e religiosi, come la famiglia dei benedettini dal VI-VIII secolo.
Anche nell’isola di Sardegna l’uso di suppellettili liturgiche è legato alla presenza cristiana, la cui
prima attestazione potrebbe risalire già al II secolo. I primi gruppi cristiani cominciano a formarsi
nelle città portuali di Carales, Nora, Sulci, Tharros, Turris Libisonis, Olbia, a cui si aggiungono Cornus,
situata quasi sul mare e Forum Traiani, a breve distanza dalla costa. Tutti centri che avevano intensi
rapporti commerciali con Roma, Cartagine e l’Africa, luogo di scambio di contingenti militari tra
le due terre: sardi che prestavano servizio in Africa e africani che prestavano servizio in Sardegna.
Questi ultimi, insieme ai marinai e ai damnati ad metalla – ossia i condannati ai lavori forzati nelle
miniere sarde – , erano i nuovi propagatori nell’Isola della religione cristiana, e di conseguenza dei
riti liturgici, che non necessariamente erano legati ad un ediicio religioso tradizionalmente inteso.
In linea generale, gli utensili liturgici cristiani si trovavano all’interno degli ediici che furono or-
ganizzati per esprimere e favorire in tutto la comunione dell’assemblea; l’ambiente interno fu
orientato verso il centro dell’azione liturgica e ritmato secondo un movimento che generalmente
partiva dall’atrio, si estendeva nell’aula e si deiniva nel presbiterio, ossia la zona riservata uni-
camente al clero, che fu il punto scelto per l’azione liturgica e il referente primario dello spazio
interno degli ediici. Nell’area presbiterale l’azione liturgica si realizzava intorno all’altare, luogo
al quale gli oggetti erano principalmente destinati. Una prima suddivisione è determinata dagli
315
Andrea Pala
oggetti utilizzati per la celebrazione eucaristica, utensili primari per il sacriicio della messa. Questi
sono: la croce, con le due varianti d’altare e pensile; i candelieri o candelabri, funzionali all’illumi-
nazione, e una o più tovaglie che coprono l’altare, di dimensioni variabili. Il signiicato simbolico
della tovaglia è riconducibile sia al sudario che avvolgeva Cristo, sia alla tovaglia che ricopriva la
mensa nell’Ultima Cena.
La prima documentazione di una croce sistemata sopra l’altare durante la messa risale alla testi-
monianza di Narsai di Nisibe nella metà del V secolo; una prassi liturgica siro-caldaica che non
sembra fosse adottata nel rito greco e latino, dove le croci sino al X e gli inizi dell’XI secolo veni-
vano sistemate nella pergula o poste nella sommità del ciborio dell’altare. La croce fu in origine un
oggetto di piccole dimensioni dove non appariva l’efigie di Cristo, documentata materialmente
solo dal VI in esempi di committenza imperiale (Crux Vaticana o di Giustino II).
In Sardegna la prima attestazione di una croce legata alla liturgia cristiana è riscontrabile in
un’epistola del ponteice Gregorio Magno del 599, indirizzata al vescovo di Cagliari Gianuario
(Ep., IX, 195). Nella lettera si ha testimonianza di alcuni ebrei giunti da Cagliari che andarono dal
papa a lamentarsi di un personaggio di nome Pietro, neo convertito alla fede cristiana, ma che in-
sieme ad alcuni “scapestrati” aveva occupato la sinagoga cagliaritana sistemando un’icona mariana
e una croce (venerandam crucem). Le più antiche croci d’altare presenti in Sardegna sono databili solo
al Cinquecento.
Un altro oggetto legato all’arredo d’altare, preposto al sostegno della candela, era il candeliere o
candelabro, il cui uso nella liturgia è antichissimo, strettamente connesso alla simbologia della luce.
Questa suppellettile si può distinguere per materiali, forme, decorazione, funzione e disposizione.
I tipi più diffusi erano tre: il candelabro a sette bracci, il candelabro per il cero pasquale e il cande-
labro da disporre sulla mensa o nei pressi dell’altare. Il numero dei candelabri in origine non era
prescritto ed era verosimilmente legato alla solennità della festa.
Altrettanto importanti sono le suppellettili legate all’illuminazione dell’ambiente ecclesiale, come
le lucerne, cioè lampade a olio portatili o pensili, costituite da un contenitore per il liquido dotato
di uno o più beccucci per il lucignolo. Questi oggetti si differenziano dalle suppellettili di uso
profano perché dotati di monogramma cristologico o iscrizioni legate alla simbologia della luce.
Infatti nella liturgia primitiva venivano utilizzate nella funzione del lucernario (lucernarium), laddove
si offriva al Signore, come sacriicio di luce, la lampada simbolo di Cristo luce del mondo, che si
accendeva all’inizio dell’assemblea dei fedeli riuniti nella preghiera notturna. Le lucerne potevano
essere ittili o metalliche (cat. nn. 3.105-3.106), costituite da un corpo di varia foggia, di cui si han-
no numerose testimonianze rinvenute anche negli scavi archeologici compiuti in Sardegna, come
le lampade in ceramica di produzione africana con motivi cristiani rinvenute nel villaggio di Santa
Filitica (presso Sorso), a Olbia e a Tharros. Vi erano anche lucerne pensili (lucernae aerae) che erano
dotate di anelli o ganci di sospensione, i quali consentivano di appendere l’oggetto nella pergula
del ciborio, tra gli intercolumni. A questa tipologia di manufatti è assimilabile una statuina in me-
tallo rafigurante San Paolo, identiicabile come parte di una lampada di bronzo di età teodosiana
(ine IV- inizi V secolo), proveniente dalla necropoli di Cornus e attualmente custodita nel Museo
Archeologico Nazionale di Cagliari. All’interno dell’ediicio religioso ci potevano essere diversi tipi
di lampade pensili.
La categoria dei vasi sacri è suddivisibile in vasi eucaristici, vasi per oli santi e, per estensione,
reliquiari. Queste suppellettili sono estremamente diversiicate tra di loro, sia per forma sia per
materia che le costituisce. La divergenza è dovuta sostanzialmente alla varie funzioni alle quali
gli oggetti sono destinati. I vasi eucaristici sono importanti oggetti utilizzati per preparare, som-
ministrare, trasportare, conservare ed esporre le specie eucaristiche, considerate corpo e sangue
di Cristo durante la consacrazione. I primi vasi eucaristici usati dai cristiani dovevano rispondere
solo ad esigenze di praticità e di decoro, senza particolari prescrizioni circa la forma e la materia.
Quest’ultima fu codiicata in seguito da precise regole che prevedevano l’uso di materiali non
fragili e impermeabili, a cui seguì dopo la pace costantiniana l’utilizzo di materiale di valore come
l’oro e l’argento, sui quali spesso venivano incastonate preziose gemme.
Le più antiche cerimonie eucaristiche iniziavano con una processione di offerta del pane e del
vino, consegnati dai fedeli entro appositi recipienti detti amulae, per il vino, e offertoria, per il pane.
Successivamente il ministro versava il vino in anfore dette amae oppure nei calices offertorii. Il pane
veniva raccolto nelle patenae ministeriales.
Lampada ittile con croce. Seguiva la mescita del vino in un calice, opportunamente iltrato con un colatoio e l’aggiunta di
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale. poche gocce d’acqua tramite un cucchiaino. I principali vasi sacri furono quelli destinati all’Eu-
316
La suppellettile liturgica
carestia, issati a livello tipologico da una lunga fase di distinzione strutturale e di materiali già nel
corso del VII secolo.
L’origine dei calici è presumibilmente da ricercare negli oggetti di uso domestico, che hanno dato
luogo a fenomeni di reimpiego, dando anche atto a episodi di riconversione semantica dei temi di
iconograia pagana. Il termine calice deriva dal greco k›lix. La sua menzione nei testi liturgici, nei
canoni sinodali o conciliari, nelle bolle papali è molto frequente. Nella liturgia cristiana si possono
distinguere in linea generale i calici ministeriali, riservati alla comunione dei fedeli almeno ino al
XIII secolo, i calici funerari e quelli da viaggio. Questi ultimi si distinguono talvolta per avere la
struttura smontabile. Il calice è un oggetto liturgico composto da un insieme di elementi che si
identiicano nella coppa, preposta a contenere la miscela di vino e acqua; il fusto (o gambo) spes-
so dotato di un nodo, di forma polilobata o sferica, e il piede che regge l’intera architettura della
suppellettile. Nodo e piede si prestavano generalmente a decorazioni con placchette smaltate e/o
lavorate a bulino, oppure riportavano iscrizioni, spesso legate alla committenza. In epoca tardo-
antica il calice era sovente dotato di anse che si appoggiavano alla coppa, utilizzate per sollevare il
vaso sacro ma che scompaiono già dal X secolo. Non si può escludere che per la somministrazio-
ne della comunione esistessero patene di varia dimensione, forma e materia, utilizzate dai primi
tempi del cristianesimo, come i già menzionati offertoria, anche se questi ultimi non erano propria-
mente patene ma contenitori di grandi dimensioni. La distinzione degli oggetti menzionati nelle
fonti scritte non è comunque facile perché spesso queste accomunano e confondono la termino-
logia. Tra le suppellettili ecclesiastiche c’è una serie di utensili correlati al rito eucaristico, funzionali
anche alle pratiche dell’offertorio, come il cucchiaio eucaristico, le ampolline, il colatoio e la istola.
Quest’ultima era strettamente legata all’uso dei calici ministeriali secondo una prassi liturgica atte-
stata ino al XIII secolo. La istola appare nelle fonti e negli inventari sotto termini diversi: arundo,
calamus, canolas, canonus, pipa, pugillaris, sipho, sumptorium, tutellus. L’uso di questo utensile risale almeno
all’epoca di Gregorio Magno (590-604) e la sua diffusione fu notevole nel XII e XIII secolo in
Italia, Francia, Inghilterra, Germania e Polonia. Col decadere della somministrazione della comu-
nione sotto le due specie, come decretato nel 1415 dal concilio di Costanza, sparì generalmente
l’uso di tale manufatto, anche se viene ripetutamente citato negli inventari delle epoche successive.
Esisteva anche la tipologia del calice sancto, riservato alla consacrazione, diverso dai ministeriales,
Frammento di lampada con igura preposti alla somministrazione del sacramento ai fedeli. Un altro vaso sacro conforme alla liturgia
di San Paolo, da Cornus. Cagliari, cristiana è la pisside. Questa suppellettile nel corso dell’età medievale ha avuto molteplici forme e
Museo Archeologico Nazionale. impieghi e la sua conigurazione poteva variare da una forma cilindrica, poligonale, ovale o allun-
317
La suppellettile liturgica
gata a forma di torre. I materiali utilizzati sono diversi: legno, avorio, osso, oro, argento, piombo,
stagno. A questa varietà di forme e materiali corrispondeva un uso differenziato. Nell’antichità
e nella tarda antichità venivano utilizzate sia come scatola di cosmetici sia come recipiente per
l’incenso nel culto e, a partire dall’età paleocristiana, sono impiegate come contenitore per l’Eu-
carestia, per le reliquie, per l’incenso e per l’olio consacrato. L’impiego liturgico delle pissidi come
contenitori dell’Eucarestia è citato nel decretale De cura pastorali di Leone IV (847-855). Come
detto, tra i vasi sacri si annoverano i reliquiari, ovvero contenitori di forma e materiale diverso,
quasi sempre prezioso, utilizzati per custodire ed esporre le reliquie, cioè i resti mortali dei santi
o anche gli oggetti a loro collegati, compresi anche gli oggetti che tradizionalmente si riferiscono
alla Madonna o alla vita, passione, morte e resurrezione di Cristo. Uno dei più celebri reliquiari
conservati in Sardegna è un argento epigraico custodito nel tesoro della chiesa di San Francesco
a Oristano, noto con il nome di Reliquiario di San Basilio, che i più recenti studi riconducono però
ai resti sacri di San Gregorio Nazianzieno, la cui fattura è il risultato dell’assemblaggio di varie
componenti realizzate in epoche diverse, con il pezzo più antico databile all’XI secolo.
Unitamente agli oggetti per la liturgia sono comprese le suppellettili per l’abluzione, riconducibili
al rito del lavabo, sia dei piedi (pedilavium) sia del capo (capilavium), quest’ultimo legato al battesimo.
Per le abluzioni liturgiche veniva utilizzato un servizio speciico, composto da un recipiente per
versare e uno distinto per raccogliere l’acqua. Questi utensili potevano essere una brocca e un
bacile, bacili gemelli, acquamanile e piatto. Nell’Isola si annovera anche un acquamanile bronzeo
a forma di pavone, di possibile pertinenza liturgica, proveniente dal territorio di Mores, conser-
vato nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari e databile al X-XI secolo. Nel Museo Archeologico
Nazionale della stessa città è conservata una coppa vitrea con una scena cristologica rinvenuta a
Ittiri (cat. n. 3.37), databile al IV-V secolo, ipoteticamente legata alla liturgia cristiana ma anche
riconducibile a una donazione senza precisa funzione cerimoniale. Un aspetto dell’abluzione è
costituito dall’aspersione, azione per la quale si usano oggetti speciici per spargere il liquido be-
nedetto, detti aspersori. Alle origini del culto cristiano per la cerimonia dell’aspersione venivano
usati rami di alloro, issopo, olivo o mirto, sostituiti nel XIII secolo da mazzetti di setole issati in
un ramo d’argento, poi rimpiazzati già dal XV secolo da una sfera forata posta all’estremità, ancora
in uso nella liturgia cristiana. Un accessorio indispensabile per l’aspersione è il secchiello, utilizzato
per contenere l’acqua benedetta, di cui si annoverano straordinarie opere di arte suntuaria, come
la situla eburnea dell’arcivescovo Gotofredo, conservata nel tesoro del duomo di Milano e databile
al X secolo. Questi oggetti erano prevalentemente in avorio, avevano una struttura troncoconica
che assecondava la forma della zanna dell’animale da cui provenivano ed erano sovente lavorati
in maniera molto rafinata. Nello stesso tesoro del duomo è custodita una “colomba eucaristica”,
ovvero un vaso sacro a forma di colomba che conservava l’Eucarestia. Questo tipo di suppellet-
tile, menzionato già nella vita di papa Silvestro (314-335) nel Liber Pontiicalis come arredo d’altare,
il cui uso eucaristico è però documentato dal IX secolo, è di piccole dimensioni, circa venti cen-
timetri; veniva appesa sopra l’altare e alludeva alla rappresentazione simbolica dello Spirito Santo,
in virtù della reale presenza del pane e del vino. Tali suppellettili, non documentate nella Chiesa
orientale, pendevano da un piano sul quale si issavano le catenelle di sospensione. In Sardegna
non ne sono state trovate per il periodo più antico.
L’utilizzo dei liquidi era disciplinato anche dalle ampolle, cioè due piccoli vasi d’argento – in certe
circostanze di altri materiali – preposti a contenere il vino e l’acqua per la celebrazione liturgica.
Questi recipienti erano talvolta contrassegnati per la loro destinazione d’uso con una V – come
vino (vinum) – e una A – come acqua (aqua) – per indicare la sostanza contenuta all’interno. In
merito alla deinizione della forma di queste suppellettili, che si è mantenuta pressoché immutata
nei secoli, le ampolle vengono suddivise in tre tipi principali: a “iaschetta”, con lungo collo il cui
bordo superiore si apre a formare un piccolo versatoio appuntito, e prive di manico; a “brocca”,
con corpo panciuto poggiante su piede, lungo collo con versatoio a beccuccio oppure allungato a
forma di S, e manico a voluta; a “boccale”, solitamente privo di piede, con bordo superiore aperto
a beccuccio e manico.
Un dato legato alla liturgia cristiana è l’uso dell’incenso, utilizzato in un primo periodo
solamente per celebrare la sepoltura del cristiano o profumare gli ambienti; anche se viene
ampiamente adoperato già alla ine delle persecuzioni. Al termine del IV l’uso dell’incen-
Nella pagina accanto siere è documentato a Gerusalemme, ma è adottato in Occidente solo dal V. Tuttavia,
Acquamanile bronzeo. Cagliari, è dall’VIII secolo che viene impiegato a Roma; ciononostante l’incensazione diveniva
Museo Archeologico Nazionale. frequente soltanto nel IX durante gli ofici notturni. Afinché abbia luogo la cerimonia è
319
Andrea Pala
Incensiere. Cagliari,
Museo Archeologico Nazionale.
320
Bibliograia
321
Calice in terra sigillata italica
da Porto Torres. Sassari,
Museo Nazionale G.A. Sanna.
322
323
LA SARDEGNA
ROMANA
E ALTOMEDIEVALE
Catalogo
1.
La Sardegna
romana
La Sardegna Romana
1.1 - Lucerna 1.2 - Lucerna a prese laterali sinistra allungata, davanti ad un’erma
Numero Catalogo Generale: 00120278 (Deneauve IC) di una divinità barbata. L’uomo reg-
Numero inventario: 34352 Numero Catalogo Generale: 00162834 ge un oggetto di forma oblunga con la
Provenienza: Sconosciuta Numero inventario: 115/3070 mano sinistra, forse una verga. Un og-
Collocazione: Cagliari Provenienza: Mores (SS) getto di forma non chiara è rafigurato
Museo Archeologico Nazionale Collocazione: Sassari vicino alla sua gamba destra. Chiude
Oggetto: Lucerna Museo Nazionale G.A. Sanna lo sfondo un tronco d’albero con un
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Oggetto: Lucerna a prese laterali ramo con iori penduli.
verniciatura Materia e tecnica: Argilla/ a matrice Stato di conservazione: Mutilo
Misure: h 7; diam. 15,2 Misure: h 8,5; lungh. 9 Cronologia: Sec. I a.C.
Descrizione: Esemplare con quattro Descrizione: Esemplare tipo Deneauve Bibliograia: gaLLi 2000, p. 32.
beccucci e foro centrale segnato da IC, con corpo circolare tronco-coni- Fotografo: Dessì, Pierluigi
due linee concentriche; grosso cor- co, disco piano a cerchi concentrici di Compilatore: Sulis, Roberta
po globulare. Decorazione a picco- cui quello mediano inciso a solcature
le bugne sul disco. radiali, prese laterali piatte, a iocco,
Stato di conservazione: Mutilo fondo piano e piede basso ad anel-
Cronologia: Sec. II a.C. lo. Il becco a incudine e decorato a
Bibliograia: waLters 1914, p. 54, volute; infundibulum centrale e foro
ig. 62. di areazione verso il beccuccio. Nel
Fotografo: Monari, Nicola disco è presente una igura maschile
Compilatore: Cruccas, Emiliano nuda, barbata, seduta, con la gamba
1.3 - Lucerna a prese laterali costolato. Il becco è decorato con 1.4 - Lucerna
(Deneauve III) due cerchielli nella parte superiore Numero Catalogo Generale: 00039668
Numero Catalogo Generale: 00002288 e delimitato da un’incisione. Numero inventario: 98000
Numero inventario: 1268/3071 Stato di conservazione: Parzialmente Provenienza: Torralba (SS)
Provenienza: Sconosciuta ricomposto nuraghe Santu Antine
(collezione Vincenzo Dessì) Cronologia: Sec. I a.C. Collocazione: Torralba (SS)
Collocazione: Sassari Bibliograia: deneauve 1969; gaLLi Museo della Valle dei Nuraghi
Museo Nazionale G.A. Sanna 2000, p. 32. del Logudoro-Meilogu
Oggetto: Lucerna a prese laterali Fotografo: Dessì, Pierluigi Oggetto: Lucerna
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice Compilatore: Sulis, Roberta Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Misure: h 3; lungh. 11,5; diam. 8,3 Misure: h 11,5; lungh. 34,7; diam. 12,2
Descrizione: esemplare tipo Deneau- Descrizione: esemplare con quattro
ve III, con corpo circolare tronco- becchi di forma allungata, che si di-
conico, disco piano costituito da partono dal foro centrale; presumi-
due cornici concentriche toriformi bilmente munito in origine di quat-
rilevate, prese laterali a iocco ed tro anse di cui residuano una intera,
ansa ad anello, becco ad incudine, una mutila e l’attacco della terza.
piede ad anello e fondo piano. Il Stato di conservazione: Mutilo
disco è decorato con rami e bacche Cronologia: Età romana
d’ulivo, il piede con quattro cer- Fotografo: Dessì, Pierluigi
chielli, l’ansa ad anello è a nastro Compilatore: Carboni, Romina
1.5 - Lucerna a volute tiene per il collo con la mano sinistra. 1.6 - Lucerna a volute Stato di conservazione: Integro
(Loeschcke IV) La coda del mostro è avvolta, in una (Loeschcke I A) Cronologia: Secc. I a.C./I d.C.
Numero Catalogo Generale: 00002313 duplice spirale, intorno alla caviglia di Numero Catalogo Generale: 00162830 Bibliograia: gaLLi 2000, p. 33.
Numero inventario: 810/3086 Eracle. A destra è l’albero dei pomi Numero inventario: 226/3094 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Provenienza: Porto Torres (SS) d’oro. Provenienza: Porto Torres (SS) Compilatore: Sulis, Roberta
Collocazione: Sassari Stato di conservazione: Integro Collocazione: Sassari
Museo Nazionale G.A. Sanna Cronologia: Secc. I a.C./I d.C. Museo Nazionale G.A. Sanna
Oggetto: Lucerna a volute Bibliograia: gaLLi 2000, p. 37, n. 14. Oggetto: Lucerna a volute
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice Fotografo: Dessì, Pierluigi Materia e tecnica: Argilla/ a matrice
Misure: h 2,9; lungh. 12; diam. 8,5 Compilatore: Sulis, Roberta Misure: h 2.1; lungh. 11,5; diam. 8
Descrizione: Esemplare tipo Loeschcke Descrizione: Esemplare tipo Loeschcke
IV, con corpo circolare tronco-conico, I A, con corpo circolare tronco-coni-
spalla costituita da un modesto bordo, co, disco concavo a cerchi concentrici
disco concavo a cerchi digradanti con- digradanti e becco a forma di triango-
centrici e becco ogivale le cui ampie lo isoscele con angolo ottuso delimi-
volute coprono parte della sua super- tato da doppie volute. Nel disco è raf-
icie. Nel disco è rafigurato Eracle igurato il centauro Nesso che regge,
barbato, con indosso la leontè. L’eroe, sulla spalla sinistra, Deianira, tenendo-
nel giardino delle Esperidi, brandisce la per le braccia. La scena è conclusa, a
la clava con la mano destra per ab- sinistra, da un albero che simboleggia
battere il mostro serpentiforme, che la selva. Tracce di vernice rossastra.
329
La Sardegna Romana
1.11 - Lucerna a volute bilicne rivolta verso destra; motivi a foglia 1.12 - Lucerna polilicne Cronologia: Sec. I d.C.
(Deneauve VB) di edera decorano la parte anteriore Numero Catalogo Generale: 00162833 Bibliograia: gaLLi 2000, p. 42, n. 7.
Numero Catalogo Generale: 00162829 dell’ansa e dei becchi. Sul fondo è Numero inventario: 2015/3112 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Numero inventario: 8927/3076 grafita la sigla QV della fabbrica Provenienza: Porto Torres (SS) Compilatore: Sulis, Roberta
Provenienza: Porto Torres (SS) Q(uinti) V(olusi Hermetis). Collocazione: Sassari
scavi ad est del fascio di binari della Stato di conservazione: Parzialmente Museo Nazionale G.A. Sanna
ferrovia, pozzo n. 2 ricomposto Oggetto: Lucerna polilicne
Collocazione: Sassari Cronologia: Sec. I d.C. Materia e tecnica: Argilla/ a matrice
Museo Nazionale G.A. Sanna Bibliograia: sotgiu 1968, p. 143, n. 485. Misure: h 4; largh. 13,5; lungh. 32
Oggetto: Lucerna a volute bilicne Fotografo: Dessì, Pierluigi Descrizione: Esemplare a quattro bec-
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice Compilatore: Sulis, Roberta chi, a forma di nave; nel perimetro
Misure: h 2,5; lungh. 14; diam. 7 del manufatto è presente un bordo,
Descrizione: Esemplare apodo tipo in parte rialzato e sottolineato da
Deneauve VB, con corpo circola- cerchielli impressi, che indica le mu-
re troncoconico raccordato ai due rate della nave. La parte rimasta del
becchi arrotondati da volute, spalla disco è decorata. Nel tratto rimasto
leggermente pendente verso il di- del disco è rafigurata una testa di
sco, il quale è concavo a cerchi con- divinità barbata con sulla destra un
centrici digradanti, ansa a crescente attributo dificilmente identiicabile.
lunare e becco ogivale. Nel disco è Stato di conservazione: Parzialmente
rafigurata una protome di ariete ricomposto
330
La Sardegna Romana
1.13 - Lucerna a volute bilicne Bibliograia: sotgiu 1968, p. 109, n. 1.14 - Lucerna a volute bilicne Bibliograia: Atlante forme 1981; gaLLi
Numero Catalogo Generale: 00002307 459; Mastino 1984, pp. 72-73, n. 195. (Loeschcke III) 2000, pp. 41, 44.
Numero inventario: 808/3084 Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero Catalogo Generale: 00002310 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Provenienza: Porto Torres (SS) Compilatore: Sulis, Roberta Numero inventario: 1282/3082 Compilatore: Sulis, Roberta
Collocazione: Sassari Provenienza: Sconosciuta
Museo Nazionale G.A. Sanna (collezione Vincenzo Dessì)
Oggetto: Lucerna a volute bilicne Collocazione: Sassari
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice Museo Nazionale G.A. Sanna
Misure: h 3; lungh. 12; diam. 7 Oggetto: Lucerna a volute bilicne
Descrizione: Esemplare con corpo cir- Materia e tecnica: Argilla/ a matrice
colare dalla spalla leggermente con- Misure: h 3,4; lungh. 15; diam. 7
cava e becchi tondi, disco concavo Descrizione: Esemplare bilicne con
con incisioni concentriche digradan- corpo circolare troncoconico tipo
ti, piede ad anello a cerchi concen- Loeschcke III, disco concavo a cerchi
trici. Nel disco è rafigurata un’ara digradanti concentrici, ansa plastica
con offerte; lo spazio tra le volute è triangolare e piede ad anello. L’ansa
riempito con motivi itomori stiliz- è a forma di piastra triangolare deco-
zati. Sul fondo sono grafite quattro rata con un gorgoneion; nel disco è un
lettere (trascrizione Nini). mostro marino rivolto verso destra.
Stato di conservazione: Mutilo Stato di conservazione: Integro
Cronologia: Sec. I d.C. Cronologia: Sec. I d.C.
1.17 - Lucerna a disco motivo a ovuli; l’ansa è scanalata. Il 1.18 - Lucerna a volute Cronologia: Secc. II/III d.C.
(Loeschcke VIII L2) fondo caratterizzato da una cornice (Loeschcke I C) Bibliograia: gaLLi 2000, p. 37, n. 13.
Numero Catalogo Generale: 00162824 a cerchielli scanalata. Il piede reca il Numero Catalogo Generale: 00002312 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Numero inventario: 2231/3137 bollo con l’iscrizione Pullaeni. Trac- Numero inventario: 823/3092 Compilatore: Sulis, Roberta
Provenienza: Sconosciuta ce di vernice nera nella supericie. Provenienza: Sconosciuta
Collocazione: Sassari Stato di conservazione: Integro Collocazione: Sassari
Museo Nazionale G.A. Sanna Cronologia: Sec. II d.C. Museo Nazionale G.A. Sanna
Oggetto: Lucerna a disco Bibliograia: sotgiu 1968, p. 125, n. Oggetto: Lucerna a volute
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice 471, tav. XVIII ig. 471 b4. Materia e tecnica: Argilla/ a matrice
Misure: h 2; lungh. 10; diam. 7,5 Fotografo: Dessì, Pierluigi Misure: h 2,5; lungh. 13; diam. 8
Descrizione: Esemplare con cor- Compilatore: Sulis, Roberta Descrizione: Esemplare tipo Loeschcke
po circolare troncoconico tipo I C, con corpo circolare troncoconi-
Loeschcke VIII L2, con spalla co con spalla leggermente pendente
pendente verso l’esterno, becco ar- verso il disco concavo, beccuccio
rotondato nella parte posteriore e triangolare a volute, ansa perforata e
delimitato da un’incisione orizzon- base a forma di basso anello. Nel di-
tale, ansa perforata ad anello e disco sco è rafigurato un bestiario chino
lievemente concavo a cerchi con- su una leonessa abbattuta; il bordo
centrici digradanti. Nel disco è raf- è decorato con un motivo a ovoli
igurato uno struzzo che corre ver- in rilievo.
so destra; la spalla è ornata con un Stato di conservazione: Integro
331
La Sardegna Romana
1.19 - Lucerna a volute bilicne Cronologia: Età romana imperiale 1.20 - Piatto Stato di conservazione: Intero
(Deneauve VB) Bibliograia: gaLLi 2000, p. 41. (Morel F 2783/2784) Cronologia: Sec. IV a.C.
Numero Catalogo Generale: 00162832 Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero Catalogo Generale: 00162900 Bibliograia: roMuaLdi 1992, pp.114-
Numero inventario: 8939/3075 Compilatore: Sulis, Roberta Numero inventario: 34465 115, ig. 17.
Provenienza: Porto Torres (SS) Provenienza: Olbia Fotografo: Monari, Nicola
Collocazione: Sassari Collocazione: Cagliari Compilatore: Cruccas, Emiliano
Museo Nazionale G.A. Sanna Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Lucerna a volute bilicne Oggetto: Piatto
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
Misure: h 2,3; lungh. 13,5; diam. 6,4 a incisione/ verniciatura
Descrizione: Esemplare apodo tipo Misure: h 2,3; diam. 14,6
Deneauve VB, con corpo circola- Descrizione: Esemplare in cerami-
re troncoconico, raccordato ai due ca a vernice nera tipo Morel F
becchi arrotondati a volute; presen- 2783/2784, con ampia vasca leg-
ta la spalla leggermente pendente germente carenata, orlo distinto
verso l’esterno, il disco convesso ingrossato e piede ad anello. Deco-
a cerchi digradanti concentrici e razione a rotella sul fondo con sei
l’ansa plastica ad anello. Nel disco palmette inscritte all’interno di un
è rafigurato un kantharos; l’ansa è cerchio.
sormontata da un crescente lunare. Prodotto dell’Atelier des petites estam-
Stato di conservazione: Integro pilles.
1.23 - Piatto Fotografo: Monari, Nicola 1.24 - Piatto lo troncoconico. Vernice di colore
(Morel F 1122) Compilatore: Cruccas, Emiliano Numero Catalogo Generale: 00097741 rosso-arancio.
Numero Catalogo Generale: 00120288 Numero inventario: 9001/3785 Stato di conservazione: Reintegrato
Numero inventario: 66582 Provenienza: Porto Torres (SS) Cronologia: Sec. I d.C.
Provenienza: Sconosciuta Collocazione: Sassari Bibliograia: tronchetti 1996, pp.
(collezione Gouin) Museo Nazionale G.A. Sanna 55-60, tav. 7, ig. 10.
Collocazione: Cagliari Oggetto: Piatto Fotografo: Dessì, Pierluigi
Museo Archeologico Nazionale Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ a Compilatore: Trudu, Enrico
Oggetto: Piatto impressione/ a incisione/ verniciatura
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Misure: h 4,2; diam. 16,7; diam.
verniciatura piede 8,3
Misure: h 5,2; diam. 22,3 Descrizione: Esemplare con orlo leg-
Descrizione: Esemplare in ceramica a germente estrolesso e parete sva-
vernice nera tipo Morel F1122, con sata che forma un angolo arroton-
piede ad anello e depressione circo- dato con il fondo a proilo piano;
lare sul fondo interno. Segni di dita- la vasca interna presenta due fasce
te sul fondo dovuti ad immersione. decorate a circonferenze concentri-
Stato di conservazione: Intero che, una a ridosso della vasca, l’altra
Cronologia: Sec. II a.C. in posizione centrale a inquadrare
Bibliograia: MoreL 1981, pp. 82-83, un bollo in planta pedis con iscrizio-
tav. 2, 1122. ne SEX.IV. APR.; il piede è ad anel-
332
La Sardegna Romana
1.25 - Piatto Stato di conservazione: Integro 1.26 - Piatto un bollo ormai illeggibile. Prodotto
Numero Catalogo Generale: 00097859 Cronologia: Sec. I d.C. (Dragendorff 17) dell’Atelier de La Graufesenque.
Numero inventario: 196/3829 Bibliograia: hayes 1972, p. 20, ig. 2; Numero Catalogo Generale: 00120211 Stato di conservazione: Intero
Provenienza: Sconosciuta Atlante forme 1981, p. 24, tav. XIII, Numero inventario: 8311 Cronologia: Sec. I d.C.
Collocazione: Sassari igg. 12-14. Provenienza: Sconosciuta Bibliograia: zucca 1990, pp. 92-93,
Museo Nazionale G.A. Sanna Fotografo: Dessì, Pierluigi (collezione Timon) n. 71.
Oggetto: Piatto Compilatore: Trudu, Enrico Collocazione: Cagliari Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Museo Archeologico Nazionale Compilatore: Carboni, Romina
a barbottina/ verniciatura Oggetto: Piatto
Misure: h 3,5; largh. labbro 2,8; Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
diam. 19.5; diam. piede 7 verniciatura
Descrizione: Esemplare con orlo Misure: h 4; diam. 17
arrotondato rivolto verso l’ester- Descrizione: Esemplare di terra sigil-
no, decorato da sei foglie d’acqua lata sud-gallica tipo Dragendorff 17,
a barbottina; all’interno dell’orlo con orlo arrotondato, parete interna
corre una scanalatura probabil- con carenatura arrotondata nel pun-
mente funzionale all’alloggio di un to di congiunzione con il fondo pia-
coperchio; il corpo è quasi emisfe- no decorato da una solcatura circo-
rico, con piede ad anello e privo di lare e piede ad anello. Vernice mar-
decorazioni. La vernice è di colore morizzata di colore giallo e rosso
arancio-mattone, ine e brillante. lucente. Sul fondo interno compare
1.27 - Piatto Stato di conservazione: Mutilo 1.28 - Piatto 285; sirigu 2003, p. 115, tav. 28,2.
(Atlante forma VIII, 3) Cronologia: Sec. I d.C. Numero Catalogo Generale: 00162722 Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00162696 Bibliograia: Atlante forme 1985, p. Numero inventario: Assente Compilatore: Defrassu, Pierangela
Numero inventario: 186621 382, forma VIII n. 3, tav. CXVIII.2. Provenienza: Cagliari, San Lorenzo
Provenienza: Sardara (VS) Fotografo: Monari, Nicola Collocazione: Cagliari
necropoli di Terra’e Cresia Compilatore: Carboni, Romina Museo Archeologico Nazionale
tomba 64, numero 8 Oggetto: Piatto
Collocazione: Sardara (VS) Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
Civico Museo Archeologico lisciatura a stecca
Villa Abbas Misure: h 4,8; largh. 19,7; diam.
Oggetto: Piatto 19,7; spess. 0,4
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Descrizione: Esemplare apodo, con
verniciatura vasca ampia e leggermente svasata
Misure: h 3,7; diam. 15 e orlo arrotondato. Sulla supericie
Descrizione: esemplare tipo Atlan- interna ed esterna sono presen-
te forma VIII, varietà 3, con orlo ti numerose steccature. Superici
estrolesso, parete carenata e piede marrone rosato, lisce.
ad anello; vernice rossa. Il reperto è Stato di conservazione: Parzialmente
una produzione in ceramica comu- ricomposto
ne che imita le forme della sigillata Cronologia: Secc. III/IV d.C.
italica. Bibliograia: saLvi 1994a, pp. 284-
1.29 - Patera Stato di conservazione: Intero 1.30 - Patera Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00039517 Cronologia: Sec. II a.C. Numero Catalogo Generale: 00116062 Compilatore: Defrassu, Pierangela
Numero inventario: 2664/3687 Bibliograia: MoreL 1981, pp. 82-87, Numero inventario: 161503
Provenienza: Sconosciuta tavv. 1-4. Provenienza: Bithia (Domus de Maria - CA)
Collocazione: Sassari Fotografo: Dessì, Pierluigi necropoli romana, tomba n. 128
Museo Nazionale G.A. Sanna Compilatore: Pilo, Chiara Collocazione: Cagliari
Oggetto: Patera Museo Archeologico Nazionale
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Oggetto: Patera
a immersione Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Misure: h 2,9; diam. 19,3; diam. Misure: h 2,8; largh. 14,5; diam.
piede 10,3 14,5; spess. 0,6
Descrizione: Esemplare in ceramica Descrizione: Esemplare in ceramica
a vernice nera, con orlo verticale a vernice nera, con orlo penden-
pendulo, vasca a proilo troncoco- te con labbro ingrossato, distinto
nico espanso con cavità a proilo dalla vasca da una gola; vasca poco
arrotondato sul fondo interno, pie- profonda e piede distinto, ad anello.
de ad anello ed ombelico di tornitu- Argilla grigia, vernice grigio scura.
ra. Argilla di colore rosso-mattone, Stato di conservazione: Intero
dura, compatta, depurata; vernice Cronologia: Sec. II a.C.
nera abbastanza lucente, parzial- Bibliograia: tronchetti 1996, pp.
mente scrostata. 32-35, tavv. 3-4.
333
La Sardegna Romana
1.31 - Coppa Fotografo: Monari, Nicola 1.32 - Coppa Bibliograia: MoreL 1981, pp. 223-224,
Numero Catalogo Generale: 00162901 Compilatore: Cruccas, Emiliano (Morel F 2783) tav. 72; Boninu 1986, p. 139, ig. 205.
Numero inventario: 66607 Numero Catalogo Generale: 00098523 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Provenienza: Olbia Numero inventario: 2658/3684 Compilatore: Pilo, Chiara
Collocazione: Cagliari Provenienza: Sconosciuta
Museo Archeologico Nazionale Collocazione: Sassari
Oggetto: Coppa Museo Nazionale G.A. Sanna
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Oggetto: Coppa
a incisione/ verniciatura Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
Misure: h 3,7; diam. 13,4 a immersione
Descrizione: Esemplare in ceramica Misure: h 4,9; diam. 10,1; diam.
a vernice nera con piede ad anello piede 4,6
ed orlo indistinto. Decorazione a Descrizione: Esemplare in ceramica
rotella con quattro palmette in- a vernice nera tipo Morel F 2783,
scritte entro due cerchi concentri- con orlo leggermente rientrante e
ci. Prodotto dell’Atelier des petites bordo arrotondato, ampia vasca a
estampilles. proilo convesso e basso piede ad
Stato di conservazione: Ricomposto anello. Argilla rosata, abbastanza
Cronologia: Sec. IV a.C. depurata; vernice nera lucente.
Bibliograia: roMuaLdi 1992, pp. Stato di conservazione: Intero
114-115, ig. 15. Cronologia: Sec. III a.C.
1.33 - Coppa Bibliograia: MoreL 1981, pp. 199- 1.34 - Coppa Fotografo: Dessì, Pierluigi
(Morel F 2646) 200, tav. 63, 2646. (Morel F 2111a 1) Compilatore: Cruccas, Emiliano
Numero Catalogo Generale: 00162926 Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero Catalogo Generale: 00162924
Numero inventario: Assente Compilatore: Cruccas, Emiliano Numero inventario: Assente
Provenienza: Padria (SS) Provenienza: Padria (SS)
Collocazione: Padria (SS) Collocazione: Padria (SS)
Museo Civico Archeologico Museo Civico Archeologico
Oggetto: Coppa Oggetto: Coppa
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
verniciatura verniciatura
Misure: h 4,9; diam. 12,6; spess. 0,6 Misure: h 7,1; diam. 14,3; spess. 0,4
Descrizione: Esemplare in ceramica Descrizione: Esemplare in ceramica
a vernice nera tipo Morel F 2646, a vernice nera tipo Morel F 2111a
con bordi verticali e piccolo piede 1, con fondo a punta e orlo legger-
a disco separato dal corpo da una mente estrolesso. È stato ricostrui-
lieve incisione. Decorazione a ro- to da diversi frammenti e restaurato.
setta sul fondo interno, formata da Stato di conservazione: Parzialmente
cinque petali, posta all’interno di ricomposto
un cartiglio circolare. Cronologia: Sec. II a.C.
Stato di conservazione: Ricomposto Bibliograia: MoreL 1981, p. 138, tav.
Cronologia: Secc. III/II a.C. 31, 2111a 1.
1.35 - Coppa Cronologia: Secc. II/I a.C. 1.36 - Coppa Fotografo: Monari, Nicola
(Morel F 2737) Bibliograia: tronchetti 1996, pp. (Morel F 2654) Compilatore: Cruccas, Emiliano.
Numero Catalogo Generale: 00116066 40-41, tav. 3, ig. 6. Numero Catalogo Generale: 00162897
Numero inventario: 161518 Fotografo: Monari, Nicola Numero inventario: Assente
Provenienza: Bithia (Domus de Maria - CA) Compilatore: Defrassu, Pierangela Provenienza: Olbia
necropoli romana, tomba n. 128 Collocazione: Cagliari
Collocazione: Cagliari Museo Archeologico Nazionale
Museo Archeologico Nazionale Oggetto: Coppa
Oggetto: Coppa Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio a incisione/ verniciatura
Misure: h 3,3; largh. 8,3; diam. 7,3; Misure: h 4,4; largh. 13,4
spess. 0,2 Descrizione: Esemplare in ceramica a
Descrizione: Esemplare in ceramica vernice nera tipo Morel F 2654, con
a vernice nera tipo Morel F 2737, orlo leggermente distinto, vasca pro-
con orlo verticale ingrossato verso fonda e piede ad anello distinto. De-
l’esterno, vasca piccola e poco pro- corazione a rotella nel cerchio centra-
fonda, piede distinto ad anello. le, segnato da verniciatura rossa.
Argilla grigia abbastanza depura- Stato di conservazione: Intero
ta, vernice grigio intenso, super- Cronologia: Sec. I a.C.
icie liscia. Bibliograia: MoreL 1981, pp. 202-
Stato di conservazione: Intero 203, tav. 64, 2654.
334
La Sardegna Romana
1.37 - Coppa Fotografo: Dessì, Pierluigi 1.38 - Coppa Fotografo: Monari, Nicola
(Mayet XXXIII) Compilatore: Carboni, Romina (Morel F 2567) Compilatore: Cruccas, Emiliano
Numero Catalogo Generale: 00162717 Numero Catalogo Generale: 00120289
Numero inventario: Assente Numero inventario: M 20/27
Provenienza: Padria (SS) Provenienza: Sconosciuta
Collocazione: Padria (SS) Collocazione: Cagliari
Museo Civico Archeologico Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Coppa Oggetto: Coppa
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Misure: h 6,7; diam. 10; spess. 0,2 Misure: h 4,9; diam. 12,8
Descrizione: Esemplare in ceramica Descrizione: Esemplare in ceramica
a pareti sottili di forma emisfe- a vernice nera tipo Morel F 2567,
rica con orlo diritto tipo Mayet con basso piede ad anello ed orlo
XXXIII, pareti arrotondate con separato dalla parete esterna da
solcatura a metà del corpo e pie- una doppia e profonda risega. Tre
de a disco. Argilla di colore grigio cerchi concentrici incisi sul fondo
chiaro. interno.
Stato di conservazione: Ricomposto Stato di conservazione: Mutilo
Cronologia: Secc. I a.C./I d.C. Cronologia: Secc. I a.C./I d.C.
Bibliograia: Atlante forme 1985, Bibliograia: MoreL 1981, p. 186, tav.
p. 286, tav. XCII.3. 57, 2567a 1.
1.39 - Coppa sotto dell’orlo. Sul fondo interno è 1.40 - Coppa tivi vegetali. Vernice color camoscio.
(Ritterling 5 B) impresso il bollo LETO PRIN (?). (Conspectus R 9) Stato di conservazione: Mutilo
Numero Catalogo Generale: 00112959 Vernice color camoscio. Numero Catalogo Generale: 00112971 Cronologia: Sec. I d.C.
Numero inventario: Assente Stato di conservazione: Parzialmente Numero inventario: 30343 Bibliograia: Conspectus formarum 2002,
Provenienza: Olbia ricomposto Provenienza: Tresnuraghes (OR) p. 178, R9, tav. 58, R9.
Necropoli di Joanne Canu, tomba 59 Cronologia: Secc. I a.C./I d.C. Collocazione: Cagliari Fotografo: Monari, Nicola
Collocazione: Cagliari Bibliograia: Atlante forme 1985, pp. Museo Archeologico Nazionale Compilatore: Carboni, Romina
Museo Archeologico Nazionale 197-198, n. 12, tav. LVIII.1. Oggetto: Coppa
Oggetto: Coppa Fotografo: Monari, Nicola Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Compilatore: Carboni, Romina verniciatura
verniciatura Misure: h 10,2; diam. 15
Misure: h 7; diam. 12,8 Descrizione: Esemplare in terra sigil-
Descrizione: Esemplare in terra si- lata italica tipo Conspectus R 9, con
gillata italica tipo Ritterling 5 B, corpo emisferico, alto orlo verticale
di forma troncoconica con orlo sottolineato da una risega interna e
estrolesso, parete ad andamento da una esterna. Decorazione a rotel-
concavo-convesso e piede ad anel- la sull’orlo e sul listello mediano; la
lo. Decorazione a rotella sull’orlo parte inferiore del vaso è occupata da
e in corrispondenza della carena una teoria di veneri nude e danzatrici
sulla parete; motivo a doppia vo- su motivi cuoriformi entro fascia su-
luta applicato alla barbottina al di periore di palmette e inferiore di mo-
1.41 - Coppa planta pedis (?) entro cerchi concen- 1.42 - Coppa miniaturistica sca ha proilo emisferico e il piede è
(Goudineau 38 B) trici. Vernice camoscio. (Atlante forma LX 3) basso, ad anello svasato. All’interno
Numero Catalogo Generale: 00112963 Stato di conservazione: Intero Numero Catalogo Generale: 00097757 della vasca è presente una circon-
Numero inventario: Assente Cronologia: Secc. I/II d.C. Numero inventario: 2511/3801 ferenza incisa con bollo in planta
Provenienza: Sconosciuta Bibliograia: Atlante forme 1985, p. Provenienza: Porto Torres (SS) pedis. Vernice di colore camoscio-
Collocazione: Cagliari 393, n. 15, tav. CXXVIII.18. Collocazione: Sassari aranciato.
Museo Archeologico Nazionale Fotografo: Monari, Nicola Museo Nazionale G.A. Sanna Stato di conservazione: Integro
Oggetto: Coppa Compilatore: Carboni, Romina Oggetto: Coppa miniaturistica Cronologia: Secc. I/II d.C.
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Bibliograia: Atlante forme 1985, p.
verniciatura a impressione/ a rilievo applicato/ 199, tav. LX.3.
Misure: h 4,9; diam. 10,6 verniciatura Fotografo: Dessì, Pierluigi
Descrizione: Esemplare carenato in Misure: h 5,3; diam. 10; diam. orlo Compilatore: Trudu, Enrico
terra sigillata italica tipo Goudineau 9,3; diam. piede 4
38 B, con orlo estrolesso, parete Descrizione: Esemplare in terra si-
ad andamento concavo-convesso, gillata italica, con orlo dritto con
punto di carena sottolineato da scanalatura esterna, seguito da una
un listello pendente, basso piede fascia liscia con due decorazioni a
ad anello svasato; due cerchi con- rilievo applicato con motivo a spi-
centrici sul fondo interno. Decora- rale a doppia voluta; sotto l’orlo è
zione a rotella sopra il listello. Sul presente un listello aggettante con
fondo interno è visibile un bollo in due fasce a rilievo sottostanti; la va-
335
La Sardegna Romana
1.43 - Coppa Stato di conservazione: Intero 1.44 - Coppa sormontato da una fascia a spina di
(Hayes 2) Cronologia: Secc. I/II d.C. (Dragendorff 37) pesce e da una a ovuli; liscio il regi-
Numero Catalogo Generale: 00162691 Bibliograia: Boninu 1973, p. 304, n. Numero Catalogo Generale: 00048442 stro superiore.
Numero inventario: Assente 7, tav. II, 2, ig. 7. Numero inventario: 135773 Stato di conservazione: Ricomposto
Provenienza: Sconosciuta Fotografo: Monari, Nicola Provenienza: Nora (Pula - CA) Cronologia: Sec. I d.C.
Collocazione: Cagliari Compilatore: Carboni, Romina necropoli romana di Su Cuventeddu Bibliograia: chessa 1987, V. 1, p. 24;
Museo Archeologico Nazionale Collocazione: Pula (CA) MartoreLLi & Mureddu 2006.
Oggetto: Coppa Civico Museo Archeologico Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ G. Patroni Compilatore: Sulis, Roberta
verniciatura Oggetto: Coppa
Misure: h 4,2; diam. 15 Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
Descrizione: Esemplare in terra sigil- a matrice
lata africana tipo Hayes 2, di forma Misure: h 11; diam. 21,8
quasi emisferica, con orlo estroles- Descrizione: Esemplare in terra sigil-
so con scanalatura interna e piede ad lata sud-gallica tipo Dragendorff
anello. 37, con piede ad anello, pareti sva-
Decorazione a foglie d’acqua alla sate e orlo estrolesso. Nella parete
barbottina lungo l’orlo. Superi- si individuano tre registri decorati-
cie esterna con vernice arancione vi: motivi vegetali in quello inferio-
a buccia d’arancia, vernice interna re; una decorazione a foglie di vite e
arancione tendente al rosso. piccoli volatili nel registro centrale,
1.45 - Coppa Fotografo: Monari, Nicola 1.46 - Coppa Fotografo: Monari, Nicola
(Dragendorff 35) Compilatore: Carboni, Romina (Dragendorff 35 A) Compilatore: Carboni, Romina
Numero Catalogo Generale: 00120224 Numero Catalogo Generale: 00112962
Numero inventario: 15642 Numero inventario: Assente
Provenienza: Sconosciuta Provenienza: Sconosciuta
Collocazione: Cagliari Collocazione: Cagliari
Museo Archeologico Nazionale Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Coppa Oggetto: Coppa
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
verniciatura verniciatura
Misure: h 4,5; diam. 12,1 Misure: h 4,5; diam. 12,2
Descrizione: Esemplare in terra sigil- Descrizione: Esemplare in terra sigil-
lata sud-gallica tipo Dragendorff lata sud-gallica tipo Dragendorff
35, con orlo estrolesso e alto pie- 35 A, con orlo estrolesso e alto
de ad anello. Decorazione a foglie piede ad anello.
d’acqua sull’orlo applicate alla bar- Decorazione a foglie d’acqua appli-
bottina. Vernice marmorizzata di cate alla barbottina sull’orlo. Verni-
colore giallo e rosso lucente. ce rossa lucente.
Stato di conservazione: Intero Stato di conservazione: Intero
Cronologia: Secc. I/II d.C. Cronologia: Secc. I/II d.C.
Bibliograia: johns 1971, tav. 10. Bibliograia: johns 1971, tav. 10.
1.47 - Coppa scia mediana è composta da singole 1.48 - Coppa Fotografo: Dessì, Pierluigi
Numero Catalogo Generale: 00163111 scene, ottenute con matrici, giustap- Numero Catalogo Generale: 00097486 Compilatore: Pilo, Chiara
Numero inventario: OMA 519 poste in sequenza casuale e separate Numero inventario: 3862/8980
Provenienza: Olbia da elementi vegetali stilizzati. Il tema Provenienza: Porto Torres (SS)
Collocazione: Olbia della rafigurazione consiste in scene Collocazione: Sassari
Museo Archeologico di battaglia con barbari. L’impasto è di Museo Nazionale G.A. Sanna
Oggetto: Coppa colore giallino; la vernice è bruna. Oggetto: Coppa
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Stato di conservazione: Ricomposto Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
ritocco a mano Cronologia: Secc. II/III d.C. Misure: h 6,7; diam. 10; diam. piede 4,6
Misure: h 6,8; diam. 11,7; diam. pie- Bibliograia: D’oriano 2002, pp. Descrizione: Esemplare in ceramica
de 6,2; h campo igurato 4 1249-1263; d’oriano & Pietra comune, con orlo distinto, estro-
Descrizione: Esemplare in ceramica 2004, pp. 136-137, igg. 8-12. lesso, a proilo convesso e bordo
corinzia, con orlo espanso, legger- Fotografo: Dessì, Pierluigi arrotondato; il corpo è carenato con
mente svasato, pareti verticali che si Compilatore: Trudu, Enrico piede ad anello e due anse verticali
congiungono al fondo a spigolo vivo, sono impostate sull’orlo e in corri-
fondo leggermente rientrante e piede spondenza della carena. Argilla co-
rilevato ad anello atroizzato. Il campo lor crema abbastanza depurata.
decorato a rilievo è diviso in tre fasce: Stato di conservazione: Intero
la prima, subito sotto l’orlo, e la terza, Cronologia: Età romana imperiale
in basso poco sopra il fondo, sono Bibliograia: sirigu 1999, p. 145 for-
lisce; la decorazione igurata della fa- ma 4, tav. VI, nn. 4/21, 4/23.
336
La Sardegna Romana
1.49 - Boccale Fotografo: Monari, Nicola 1.50 - Bicchiere Fotografo: Monari, Nicola
(Aranegui Gascò 1987, 6 A) Compilatore: Cruccas, Emiliano (Mayet II) Compilatore: Carboni, Romina
Numero Catalogo Generale: 00121764 Numero Catalogo Generale: 00162680
Numero inventario: M 19/22 Numero inventario: 147671
Provenienza: Sconosciuta Provenienza: Gesico (CA)
Collocazione: Cagliari necropoli punico-romana di Santa
Museo Archeologico Nazionale Lucia, tomba n. 28
Oggetto: Boccale Collocazione: Cagliari
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Museo Archeologico Nazionale
ingobbiatura Oggetto: Bicchiere
Misure: h 10,2; diam. 10,4 Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Descrizione: Esemplare in ceramica Misure: h 13,9; diam. 7,9
iberica a proilo bitroncoconico con Descrizione: Esemplare in ceramica a
ampia bocca tipo Aranegui Gascò pareti sottili tipo Mayet II, con orlo
1987, 6 A, orlo svasato, ansa a nastro estrolesso svasato e corpo ovoide
e tripla costolatura sul corpo. Argilla allungato con svasatura terminale.
grigia e copertura grigio scura. Argilla ocra.
Stato di conservazione: Intero Stato di conservazione: Ricomposto
Cronologia: Sec. III a.C. Cronologia: Sec. II a.C.
Bibliograia: aranegui gascò 1987, Bibliograia: Tronchetti 1999, p.
p. 91, tav. 1, 6 A; saLvi 1998, p. 32. 117, n. 42, tav. V, 42.
1.51 - Boccale miniaturistico (Atlante, decorazione 5, tav. CII n. 1). 1.52 - Boccale Stato di conservazione: Intero
(Atlante tipo 1/109) Nel campo decorato si innesta l’an- (Marabini XV) Cronologia: Sec. I d.C.
Numero Catalogo Generale: 00097872 sa ad orecchio, a sezione circolare; il Numero Catalogo Generale: 00120245 Bibliograia: Pinna 1986, p. 262, n.
Numero inventario: 2298/3845 piede è ad anello svasato, il fondo è Numero inventario: M 21/11C 22, ig. 4, 22.
Provenienza: Sconosciuta leggermente convesso. Le pareti pre- Provenienza: Sconosciuta Fotografo: Monari, Nicola
Collocazione: Sassari sentano un’ingubbiatura rossiccia. Collocazione: Cagliari Compilatore: Carboni, Romina
Museo Nazionale G.A. Sanna Stato di conservazione: Integro Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Boccale miniaturistico Cronologia: Sec. I d.C. Oggetto: Boccale
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ a Bibliograia: Atlante forme 1985, p. Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
impressione/ a incisione/ verniciatura 266, tav. LXXXIV.13. Misure: h 9,6; diam. 8,8
Misure: h 10,4; dia m. 9,8; diam. Fotografo: Dessì, Pierluigi Descrizione: Esemplare in cerami-
orlo 7.3; diam. base 3,7; spess. ansa Compilatore: Trudu, Enrico ca a pareti sottili tipo Marabini
1,2; h campo decorato 5,3 XV, con corpo ovoide, piccolo
Descrizione: Esemplare in ceramica a orlo arrotondato, ansa a sviluppo
pareti sottili tipo Atlante 1/109, con angolare e fondo piano. Decora-
orlo estrolesso con labbro arroton- zione incisa a pettine sul corpo.
dato; corpo globulare e rastremato Argilla arancio, non compatta,
nella parte inferiore con una fascia granulosa, con inclusi. Supericie
liscia nella parte superiore, seguita da interna rosa annerita, supericie
una scanalatura; la supericie restan- esterna arancio annerita e non
te è decorata da un motivo a rotella lisciata.
337
La Sardegna Romana
1.54 - Calice de alto, ad anello. Sul fondo bollo 1.55 - Bicchiere Bibliograia: MoreL 1981, p. 407, tav.
(Dragendorff 1) C P (.) P (.) in planta pedis; all’ester- (Morel F 7321a 1) 204, 7321a 1.
Numero Catalogo Generale: 00162725 no, inserito nel campo decorativo Numero Catalogo Generale: 00162925 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Numero inventario: Assente perché compreso nella matrice, è Numero inventario: Assente Compilatore: Cruccas, Emiliano
Provenienza: Nora (Pula - CA) il bollo Zoilus con il nome dell’ar- Provenienza: Padria (SS)
Collocazione: Cagliari tigiano. Collocazione: Padria (SS)
Museo Archeologico Nazionale Stato di conservazione: Ricomposto Museo Civico Archeologico
Oggetto: Calice Cronologia: Sec. I d.C. Oggetto: Bicchiere
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Bibliograia: rowLand 1981, tav. Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
a tornio XIII, ig. A. verniciatura
Misure: h 12,4; diam. 7,9; spess. 0,5 Fotografo: Monari, Nicola Misure: h 10,1; diam. 8,9; spess. 0,5
Descrizione: Esemplare in terra sigil- Compilatore: Defrassu, Pierangela Descrizione: Esemplare in ceramica
lata tardo-italica tipo Dragendorff a vernice nera tipo Morel F 7321a
1, con orlo a fascia, leggermente 1, con corpo panciuto, bordo estro-
estrolesso con labbro assottigliato lesso e piede ad anello segnato da
e listello sporgente, decorato con una risega. In origine aveva due
applicazioni alla barbottina (ma- anse di cui rimane solo l’attacco
scherine e elementi vegetali), vasca inferiore.
emisferica abbastanza profonda, Stato di conservazione: Parzialmente
decorata a matrice (corsa di carri ricomposto
nel circo) su tutta la supericie; pie- Cronologia: Sec. II a.C.
1.56 - Kantharos di tre ciascuno, e perle alla barbottina 1.57 - Bicchiere igure femminili rappresentate con le
(Mayet VIII) sul collo. Argilla marrone scuro, po- Numero Catalogo Generale: 00116442 chiome sciolte nell’atto di portare le
Numero Catalogo Generale: 00114715 rosa, con inclusi; ingubbiatura grigio- Numero inventario: 186535 mani al capo coperto.
Numero inventario: 11065 marron con rilessi metallici. Tracce Provenienza: Sanluri (VS) Stato di conservazione: Parzialmente
Provenienza: Tharros (Cabras - OR) di sabbiatura all’interno. necropoli punico-romana ricomposto
Collocazione: Cagliari Stato di conservazione: Intero di Bidd’e Cresia Cronologia: Sec. I d.C.
Museo Archeologico Nazionale Cronologia: Sec. I d.C. Collocazione: Sardara (VS) Bibliograia: oswaLd & Pryce 1920.
Oggetto: Kantharos Bibliograia: tronchetti 1979, p. Civico Museo Archeologico Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ 123, n. 16, tav. XII, 4; Pinna 1986, Villa Abbas Compilatore: Carboni, Romina
ingobbiatura p. 257, n. 18, ig. 3, 18. Oggetto: Bicchiere
Misure: h 10; diam. 8,4; spess. 0,3 Fotografo: Monari, Nicola Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Descrizione: Esemplare in ceramica Compilatore: Carboni, Romina Misure: h 10,3; diam. 9
a pareti sottili tipo Mayet VIII, con Descrizione: Esemplare in ceramica a
corpo panciuto e schiacciato, orlo pareti sottili, con piccolo orlo estro-
leggermente estrolesso sottolineato lesso, due anse e piede ad anello
da una scanalatura orizzontale, alto svasato. Decorazione a rotella in
collo a pareti rettilinee separato dal prossimità dell’orlo; decorazione lo-
corpo mediante una scanalatura e reale all’attaccatura delle anse in cor-
un cordone piatto, anse bicostolate e rispondenza del corpo; due rosette
piccolo piede troncoconico. Decora- nella parte superiore dell’attaccatura
zione con foglie, divise in otto gruppi delle anse. Sul corpo sono visibili due
338
La Sardegna Romana
1.60 - Brocca Bibliograia: tronchetti 1996, tav. 1.61 - Brocca Stato di conservazione: Parzialmente
Numero Catalogo Generale: 00097792 21, 3. Numero Catalogo Generale: 00162726 ricomposto
Numero inventario: 2608/3872 Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero inventario: Assente Cronologia: Sec. II d.C.
Provenienza: Sconosciuta Compilatore: Pilo, Chiara Provenienza: Cagliari Bibliograia: saLvi 1994a, pp. 284-285.
Collocazione: Sassari necropoli romana di San Lorenzo Fotografo: Monari, Nicola
Museo Nazionale G.A. Sanna Collocazione: Cagliari Compilatore: Defrassu, Pierangela
Oggetto: Brocca Museo Archeologico Nazionale
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Oggetto: Brocca
Misure: h 22.5; diam. 18,5; diam. Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
piede 9,2 Misure: h 20,3; largh. 13,5; diam.
Descrizione: Esemplare in ceramica 6,1; spess. 0,4
comune, con orlo a tesa e bordo Descrizione: Esemplare in ceramica
arrotondato, collo strombato con comune, con corpo cilindrico, col-
collarino, corpo globulare lieve- lo troncoconico concluso con orlo
mente schiacciato con linea impres- a tesa, parete spartita da tre solchi
sa sulla spalla, basso piede ad anello poco profondi che delimitano al-
e ansa costolata impostata sotto il trettanti campi decorati a rotella,
collarino e sulla spalla. Argilla bei- spalla liscia e ansa a nastro piegata
ge-arancio. a gomito, impostata sulla spalla e
Stato di conservazione: Intero poco al di sotto dell’orlo. Supericie
Cronologia: Secc. I/II d.C. camoscio, ruvida.
339
La Sardegna Romana
1.63 - Brocca Cronologia: Secc. II/IV d.C. 1.64 - Brocca piatto. Argilla arancio, poco depu-
Numero Catalogo Generale: 00162847 Bibliograia: tronchetti 1991, p. (Bartoloni 1996, forma 23) rata, con inclusi di medie e grandi
Numero inventario: 4647 179, tav. IV, ig. 4; tronchetti Numero Catalogo Generale: 00115326 dimensioni, supericie rugosa.
Provenienza: Sant’Antioco (CI) 1996. Numero inventario: 161501 Stato di conservazione: Intero
necropoli di Is Pirixeddus, tomba n. 50 Fotografo: Monari, Nicola Provenienza: Bithia (Domus de Maria - CA) Cronologia: Secc. IV/II a.C.
Collocazione: Cagliari Compilatore: Sulis, Roberta necropoli romana, tomba n. 128 Bibliograia: BartoLoni 1996, p. 100,
Museo Archeologico Nazionale Collocazione: Cagliari tavv. XVI,7, XVII,1, XXIV,2, igg.
Oggetto: Brocca Museo Archeologico Nazionale 24,30.
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Oggetto: Brocca Fotografo: Monari, Nicola
Misure: h 24; diam. 9 Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Compilatore: Defrassu, Pierangela
Descrizione: Esemplare in ceramica Misure: h 14,5; largh. 4,6; diam. 4,4;
iammata, con corpo globoso su spess. 0,3
cui si imposta il collo che termina Descrizione: Esemplare in ceramica
nell’orlo estrolesso; ansa a nastro comune di produzione punica tipo
che si imposta sotto l’orlo e sulla Bartoloni 1996, forma 23, con orlo
spalla; piede appena abbozzato. La sporgente, appena ingrossato, a se-
decorazione della supericie è ca- zione circolare; spalla leggermente
ratterizzata da larghe fasce dritte e carenata sulla quale si imposta un’an-
ondulate e da ampi tratti notati da sa a bastoncello a sezione circolare
brevi pennellate ricurve. che sormonta l’orlo; corpo cilindrico
Stato di conservazione: Mutilo rastremato verso il basso e fondo
1.65 - Olpe al di sopra e al di sotto dell’attacco 1.66 - Brocca Fotografo: Monari, Nicola
(Atlante forma XXI, 3) dell’ansa. Il piede è ad anello svasato. (Atlante forma CXXXII, 3) Compilatore: Carboni, Romina
Numero Catalogo Generale: 00097874 La vernice è di colore arancione chia- Numero Catalogo Generale: 00162667
Numero inventario: 2305/3860 ro, leggermente brillante. Numero inventario: 86043
Provenienza: Cornus (Cuglieri - OR) Stato di conservazione: Integro Provenienza: Muravera (CA)
Collocazione: Sassari Cronologia: Sec. II d.C. necropoli di Costa Rei, tomba n. 3
Museo Nazionale G.A. Sanna Bibliograia: Boninu 1973, p. 342, Collocazione: Cagliari
Oggetto: Olpe tav. VIII, ig. 37; Atlante forme 1985, Museo Archeologico Nazionale
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ p. 45, tav. XXI.3. Oggetto: Brocca
a incisione/ a rotella Fotografo: Dessì, Pierluigi Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
Misure: h 22,6; diam. 18,5; diam. Compilatore: Trudu, Enrico verniciatura
piede 7,6; diam. orlo 6,6 Misure: h 14,5; diam. 9,2
Descrizione: Esemplare in terra sigillata Descrizione: Esemplare in terra sigillata
africana, con orlo estrolesso svasato; africana, con orlo estrolesso, collo
collo distinto a sezione cilindrica con svasato, ansa impostata a metà corpo,
leggero rigoniamento mediano ansa piede ad anello. Decorazione a petti-
quasi verticale a nastro schiacciato, ne sul corpo del vaso. Vernice arancio.
saldata al collo e alla spalla; decorazio- Stato di conservazione: Ricomposto
ne a sette scanalature nella parte ester- Cronologia: Sec. II d.C.
na. Il corpo globulare presenta deco- Bibliograia: Atlante forme 1981, p. 42,
razioni a rotella e a incisione disposte tav. CXXXII.3.
1.67 - Brocca Stato di conservazione: Intero 1.68 - Brocca Diverse ile di decorazione a rotella
(Lamboglia 11, 11 bis) Cronologia: Secc. II/III d.C. Numero Catalogo Generale: 00121670 e solcature. Vernice arancione viva
Numero Catalogo Generale: 00121781 Bibliograia: Boninu 1973, p. 341, n. Numero inventario: M 22/4 brillante tendente al bruno.
Numero inventario: 15645 35, tav. VII, 3, ig. 35. Provenienza: Sconosciuta Stato di conservazione: Intero
Provenienza: Sconosciuta Fotografo: Monari, Nicola (collezione Caput) Cronologia: Sec. III d.C.
(collezione Timon) Compilatore: Carboni, Romina Collocazione: Cagliari Bibliograia: Boninu 1973, p. 355, n.
Collocazione: Cagliari Museo Archeologico Nazionale 41, ig. 41, tav. VIII, 5.
Museo Archeologico Nazionale Oggetto: Brocca Fotografo: Monari, Nicola
Oggetto: Brocca Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Compilatore: Carboni, Romina
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ verniciatura
verniciatura Misure: h 11,8; diam. 7,8
Misure: h 15,1; diam. 11,5 Descrizione: Esemplare in terra sigil-
Descrizione: Esemplare in terra si- lata africana, con corpo piriforme e
gillata africana tipo Lamboglia 11, orlo trilobato, sotto il quale si no-
11 bis, con corpo espanso a doppio tano due leggere nervature e due
rigoniamento, collo articolato in gradini, l’uno nell’attaccatura del
due settori (l’uno inferiore cilindri- collo con il corpo e il secondo all’at-
co, l’altro superiore più stretto de- taccatura del corpo con il fondo in
corato da nervature), fondo legger- modo da formare una leggera care-
mente concavo. Supericie esterna na; l’ansa presenta due scanalature e
con vernice arancione opaca. risale al di sopra del livello dell’orlo.
340
La Sardegna Romana
1.69 - Brocca 40, tav. VIII, 4, ig. 40; Atlante forme 1.70 - Lagynos sa a nastro rimane l’attacco superiore
Numero Catalogo Generale: 00162690 1981, pp. 44-45. Numero Catalogo Generale: 00163053 impostato alla base del collo. Il piede
Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola Numero inventario: OMA 768 è ad anello. Argilla rossastra, inclusi di
Provenienza: Sconosciuta Compilatore: Carboni, Romina Provenienza: Olbia piccole dimensioni.
Collocazione: Cagliari Collocazione: Olbia Stato di conservazione: Parzialmente
Museo Archeologico Nazionale Museo Archeologico ricomposto
Oggetto: Brocca Oggetto: Lagynos Cronologia: Secc. III/IV d.C.
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Bibliograia: Atlante forme 1981, pp. 176-
verniciatura ritocco a stecca 177, tav. LXXXIX.
Misure: h 14,8; diam. 13,7 Misure: h 18.1; diam. 20,6; diam. orlo 4,5 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Descrizione: Esemplare trilobato in Descrizione: Esemplare con corpo bico- Compilatore: Pilo, Chiara
terra sigillata africana, con collo nico (ceramica di Navigio, produzione
leggermente svasato, ansa scanalata africana), orlo svasato distinto da una
rimontante, base piana. Decorazio- scanalatura, collo conigurato a testa
ne a rotella su più ile in corrispon- di Satiro. La parte superiore del corpo
denza della pancia del vaso. Verni- è decorata a rilievo con scene di ludi
ce arancione brillante tendente al gladiatorii, la parte inferiore è baccellata.
rosso. Sul punto di giuntura tra le parti corre
Stato di conservazione: Intero una fascia non decorata, delimitata da
Cronologia: Sec. III d.C. una linea a rilievo sormontata a tratti
Bibliograia: Boninu 1973, p. 354, n. discontinui da ile di perline. Dell’an-
1.73 - Askos Bibliograia: MoreL 1981, p. 429, tav. 1.74 - Askos a sezione quasi cilindrica, lisciato a
(Morel F 8241) 213, 8241a 1. (Hayes 123) stecca; il piede, distinto, è ad anello.
Numero Catalogo Generale: 00120297 Fotografo: Monari, Nicola Numero Catalogo Generale: 00097868 L’impasto è ricco di inclusi, la verni-
Numero inventario: M 20/10 Compilatore: Cruccas, Emiliano Numero inventario: 3855 ce è di colore arancio chiaro.
Provenienza: Sconosciuta Provenienza: Cornus (Cuglieri - OR) Stato di conservazione: Mutilo
Collocazione: Cagliari Collocazione: Sassari Cronologia: Sec. II d.C.
Museo Archeologico Nazionale Museo Nazionale G.A. Sanna Bibliograia: hayes 1972, pp. 175-
Oggetto: Askos Oggetto: Askos 176, tav. II.
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Fotografo: Dessì, Pierluigi
verniciatura ritocco a stecca Compilatore: Trudu, Enrico
Misure: h 8,3; diam. 9,5 Misure: h 11,9; largh. 4,5; lungh. 9,7;
Descrizione: Esemplare dal corpo otri- diam. orlo 3,4; diam. piede 4,2
forme in ceramica a vernice nera tipo Descrizione: Esemplare con orlo ad
Morel F 8241, rialzato nella parte imbuto in terra sigillata africana tipo
posteriore e terminante in un corto Hayes 123, su cui si innesta un’ansa
beccuccio; orlo ingrossato, collo ci- sormontante scanalata; l’altra estre-
lindrico, corta ansa a nastro imposta- mità dell’ansa è saldata alla parte
ta tra collo e beccuccio, basso piede superiore del corpo, in corrispon-
ad anello. Segni di ditate sul piede. denza di un beccuccio ora mancan-
Stato di conservazione: Intero te. Il corpo, dalla caratteristica for-
Cronologia: Sec. III a.C. ma a volatile stilizzato, è panciuto,
341
La Sardegna Romana
1.75 - Askos Stato di conservazione: Intero 1.76 - Askos Bibliograia: Mastino & visMara
Numero Catalogo Generale: 00162688 Cronologia: Sec. II d.C. Numero Catalogo Generale: 00120474 1994, p. 49, ig. 33.
Numero inventario: 8317 Bibliograia: Boninu 1973, p. 333, n. Numero inventario: M 20/11 Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Sconosciuta 29, tav. VI, 1, ig. 29; Atlante forme Provenienza: Nora (Pula - CA) Compilatore: Carboni, Romina
Collocazione: Cagliari 1981, p. 51. Collocazione: Cagliari
Museo Archeologico Nazionale Fotografo: Monari, Nicola Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Askos Compilatore: Carboni, Romina Oggetto: Askos
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
verniciatura lisciatura
Misure: h 11,3; diam. 11,1 Misure: h 23,5; largh. 21,5
Descrizione: Esemplare in terra si- Descrizione: Esemplare in ceramica
gillata africana, con corpo tronco- comune, con corpo schiacciato,
conico articolato in diversi settori orlo estrolesso, bocca svasata,
orizzontali per mezzo di scanala- corto collo, ansa a nastro che par-
ture, parte inferiore del vaso liscia, te dal collo e arriva all’angolo su-
fondo piano. Al beccuccio corri- periore del corpo opposto all’im-
sponde dalla parte opposta l’imboc- boccatura, fondo concavo con
catura del vaso, alta e stretta; al cen- umbone. Supericie esterna color
tro trova posto un’ansa a nastro con marrone-cuoio, ben lisciata.
scanalature. Supericie esterna con Stato di conservazione: Intero
vernice arancione tendente al rosso. Cronologia: Secc. II/III d.C.
1.77 - Askos miniaturistico Stato di conservazione: Mutilo 1.78 - Guttus nato da solcature; sulla spalla sono
Numero Catalogo Generale: 00163112 Cronologia: Sec. III d.C. (Morel F 8141) incise sottili linee verticali. Argilla
Numero inventario: OMA 520 Bibliograia: d’oriano 2002, pp. 1249- Numero Catalogo Generale: 00098513 beige, compatta, depurata; vernice
Provenienza: Olbia 1263; sanciu 2002, pp. 269-274. Numero inventario: 1333/3675 nera, lucente, con piccole scrostature.
Collocazione: Olbia Fotografo: Dessì, Pierluigi Provenienza: Sconosciuta Stato di conservazione: Intero
Museo Archeologico Compilatore: Trudu, Enrico Collocazione: Sassari Cronologia: Secc. IV/III a.C.
Oggetto: Askos miniaturistico Museo Nazionale G.A. Sanna Bibliograia: MoreL 1981, pp. 421-
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Oggetto: Guttus 422, tavv. 208-209, serie 8141.
a tornio Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Fotografo: Dessì, Pierluigi
Misure: h 13,1; largh. 4,1; lungh. 9,3 a impressione/ verniciatura Compilatore: Pilo, Chiara
Descrizione: Esemplare con l’inusuale Misure: h 11,2; diam. 10,1; diam.
forma di un dromedario visto di pro- piede 5,7; diam. medaglione 4.5
ilo recante sul dorso due suonatrici Descrizione: Esemplare in ceramica a
di aulos, sedute di ianco. L’animale vernice nera tipo Morel F 8141, con
è rafigurato in atto di avanzare. Il corpo a proilo convesso con mas-
muso è mutilo; sul collo è posiziona- sima espansione in corrispondenza
to un piccolo beccuccio rilevato. Nel della spalla, alto beccuccio svasato
lato posteriore, in corrispondenza del con orlo a collarino, ansa ad anello
dorso dell’animale è ricavato un foro costolata e alto piede proilato. Sul-
per l’immissione dei liquidi. L’impa- la supericie superiore è presente un
sto è di colore arancio chiaro. medaglione a testa di Sileno contor-
1.79 - Guttus Cronologia: Sec. III a.C. 1.80 - Guttus iltro; piede ad anello. Sul fondo sono
(Morel F 8164) Bibliograia: Sardegna Archeologica, p. 91. (Morel F 8151a) grafite due lettere (NC: la lettura del-
Numero Catalogo Generale: 00162896 Fotografo: Monari, Nicola Numero Catalogo Generale: 00163199 la seconda delle quali non è del tutto
Numero inventario: 60669 Compilatore: Cruccas, Emiliano Numero inventario: 13555 certa), ma è incerto se siano esito di
Provenienza: Sconosciuta Provenienza: Porto Torres (SS) un intervento moderno o in antico.
Collocazione: Cagliari Collocazione: Porto Torres (SS) Impasto marron-rossiccio.
Museo Archeologico Nazionale Museo Archeologico Nazionale Stato di conservazione: Mutilo
Oggetto: Guttus Antiquarium Turritano Cronologia: Secc. III/II a.C.
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Oggetto: Guttus Bibliograia: Manconi 2001, p. 94;
verniciatura Materia e tecnica: Argilla/ a tornio BechtoLd 1999
Misure: h 7,1; diam. 9,5 Misure: h 6; diam. 9; diam. orlo 3,6 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Descrizione: Esemplare in ceramica Descrizione: Esemplare discoidale in Compilatore: Puddu, Manuela
a vernice nera tipo Morel F 8164, ceramica a vernice nera tipo Morel
con corpo globulare a disco, con F 8151a, con foro d’uscita a forma
foro centrale nella parte interna de- di protome leonina con bocca aper-
pressa, piccola ansa a sezione circo- ta; tutt’intorno sono visibili piccole
lare con versatoio a protome leoni- impressioni disposte a raggiera a
na e piede ad anello troncoconico indicare la criniera. Sulla spalla si im-
distinto, con profonde scanalature. posta l’ansa ad anello (frammentaria),
Vernice scura e lucida. mentre nello spazio per il foro per il
Stato di conservazione: Intero riempimento sono 18 fori a mo’ di
342
La Sardegna Romana
1.84 - Olla Cronologia: Età romana imperiale 1.85 - Pentola Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00097499 Bibliograia: rovina 1998, p. 793. Numero Catalogo Generale: 00121733 Compilatore: Carboni, Romina
Numero inventario: 3906/2602 Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero inventario: M 22/28
Provenienza: Sconosciuta Compilatore: Pilo, Chiara Provenienza: Sconosciuta
(collezione municipale di Sassari) (collezione Gouin)
Collocazione: Sassari Collocazione: Cagliari
Museo Nazionale G.A. Sanna Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Olla Oggetto: Pentola
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Misure: h 12,5; diam. 16; diam. orlo Misure: h 14,5; diam. 21,4
13; h coperchio 4,6; diam. coper- Descrizione: Esemplare in ceramica
chio 11,6 da cucina africana, con orlo rigon-
Descrizione: Esemplare in ceramica io estrolesso con risega interna
comune da cucina, con orlo di- per l’alloggiamento del coperchio e
stinto e bordo ingrossato, corpo base piana.
globulare schiacciato, con massimo Bande cinerognole sulla supericie
diametro in corrispondenza della esterna.
spalla, fondo concavo; coperchio Stato di conservazione: Intero
con orlo arrotondato, parete ad Cronologia: Sec. IV d.C.
andamento quasi rettilineo e presa. Bibliograia: sirigu 1999, p. 175, n.
Stato di conservazione: Ricomposto 10/14, tav. IX.
343
La Sardegna Romana
1.86 - Coperchio Bibliograia: Boninu 1973, p. 327, n. 1.87 - Braciere Stato di conservazione: Frammentario
(Hayes 20) 24, tav. V, 3. ig. 24. Numero Catalogo Generale: 00162719 Cronologia: Secc. II/I a.C.
Numero Catalogo Generale: 00162684 Fotografo: Monari, Nicola Numero inventario: Assente Bibliograia: iBBa 2000, pp. 143-145,
Numero inventario: Assente Compilatore: Carboni, Romina Provenienza: Cagliari 149-150, tav. III, 3-4.
Provenienza: Sconosciuta teatro-tempio di via Malta Fotografo: Monari, Nicola
Collocazione: Cagliari Collocazione: Cagliari Compilatore: Defrassu, Pierangela
Museo Archeologico Nazionale Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Coperchio Oggetto: Braciere
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Materia e tecnica: Argilla/ a matrice
verniciatura Misure: h 14.2; largh. 20; spess. 1,4;
Misure: h 4,8; diam. 18,1 spess. presa 8,4
Descrizione: Esemplare in terra sigil- Descrizione: Esemplare con orlo
lata africana tipo Hayes 20, di forma estrolesso con bordo arrotonda-
troncoconica con presa circolare to, presa trapezoidale, sostegno
alla sommità. Decorazione a rotella. a sezione triangolare. Nella parte
Supericie interna priva di vernice, posteriore, sotto l’orlo, residuano
opaca, arancione chiaro; supericie quattro incavi resi a pressione in
esterna con vernice arancione scura maniera sommaria; all’interno, sulla
tendente al bruno. presa e sul sostegno, inquadrata da
Stato di conservazione: Intero una doppia cornice trapezoidale, è
Cronologia: Sec. II d.C. una testa di sileno barbata.
1.89 - Anfora Stato di conservazione: Integro 1.90 - Anfora Bibliograia: rizzo 2003, p. 156;
(Dressel 1C) Cronologia: Sec. I a.C. (Dressel 25) Bruno 2005, pp. 353-394.
Numero Catalogo Generale: 00163115 Bibliograia: gandoLFi 1986, pp. Numero Catalogo Generale: 00117285 Fotografo: Monari, Nicola
Numero inventario: OMA 375 115-124. Numero inventario: 319981 Compilatore: Cruccas, Emiliano
Provenienza: Olbia Fotografo: Dessì, Pierluigi Provenienza: Sardara (VS)
Isola di Mezzo Compilatore: Trudu, Enrico necropoli di Terra’e Cresia
Collocazione: Olbia Collocazione: Sardara (VS)
Museo Archeologico Civico Museo Archeologico
Oggetto: Anfora Villa Abbas
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Oggetto: Anfora
Misure: h 121; diam. orlo 13,5; h Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
orlo 7,5; largh. ansa 5,3 Misure: h 75,5; diam. 42,9; spess. 3,6
Descrizione: Esemplare tipo Dressel Descrizione: Esemplare tipo Dres-
1C, con orlo a fascia verticale, lie- sel 25, con corpo globulare, anse a
vemente rientrante verso la bocca, sezione circolare, corto collo, orlo
collo lungo e cilindrico, anse a ba- estrolesso rigonio e corto puntale
stone schiacciato saldate sull’orlo e arrotondato. Nella parte superio-
sulla spalla, di proilo arrotondato re del corpo, all’altezza delle anse,
e poco marcata, corpo ovoide affu- sono grafite le lettere CMM.
solato, con puntale cilindrico pieno. Stato di conservazione: Mutilo
Argilla di colore rosso-bruno. Cronologia: Sec. I d.C.
344
La Sardegna Romana
1.91 - Anfora Stato di conservazione: Mutilo 1.92 - Anfora il fondo presenta un piede tubolare
(Beltràn IIB) Cronologia: Sec. II d.C. (Kapitan II/Niederbieber 77) ombelicato. Argilla di colore rosso-
Numero Catalogo Generale: 00163116 Bibliograia: Bruno 2005, p. 383, tav. 5. Numero Catalogo Generale: 00097599 bruno, granulosa, ricca di inclusi.
Numero inventario: OMA 554 Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero inventario: 4157/7729 Stato di conservazione: Reintegrato
Provenienza: Olbia Compilatore: Trudu, Enrico Provenienza: Porto Torres (SS) Cronologia: Secc. II/IV d.C.
Isola Bocca Collocazione: Sassari Bibliograia: Bruno 2005, p. 388, tav. 7.
Collocazione: Olbia Museo Nazionale G.A. Sanna Fotografo: Dessì, Pierluigi
Museo Archeologico Oggetto: Anfora Compilatore: Trudu, Enrico
Oggetto: Anfora Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Misure: h 77,4; diam. 26; diam. orlo
Misure: h 96,5; largh. 37,9; largh. 6,8; diam. piede 7,7
ansa 7,3 Descrizione: Esemplare tipo Kapitan
Descrizione: Esemplare tipo Beltràn II/Niederbieber 77, con orlo stret-
IIB, con orlo estrolesso, appiat- to e proilo ad anello, collo tronco-
tito superiormente, con imbocca- conico, lungo e stretto, percorso
tura larga, collo molto sviluppato, da scanalature; le anse, saldate sul
con anse a bastone schiacciato con collo e sulla spalla, sono a nastro
una scanalatura centrale, corpo ingrossato con proilo a gomito
piriforme notevolmente espan- rialzato, il corpo è affusolato, deci-
so verso la base. Argilla di colore samente stretto verso il fondo, con
arancio-beige. spalla arrotondata e ben delineata;
1.93 - Anfora costolature, è bipartita: la parte su- 1.94 - Anfora Stato di conservazione: Intero
Numero Catalogo Generale: 00099471 periore assume tonalità sfumate tra (Keay XXVI = Spatheion) Cronologia: Secc. IV/VII d.C.
Numero inventario: il grigio e il marrone, la parte inferio- Numero Catalogo Generale: 00162767 Bibliograia: sPanu 1998, pp. 44-54.
PTBNL78 54303444/81/12889 re è beige. Supericie ruvida. Numero inventario: OCRA 40885 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Provenienza: Porto Torres (SS) Stato di conservazione: Frammentario Provenienza: Porto Torres (SS) Compilatore: Defrassu, Pierangela
Collocazione: Porto Torres (SS) Cronologia: Secc. IV/VII d.C. Cala Reale
Museo Archeologico Nazionale Bibliograia: viLLedieu 1984; Collocazione: Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano Manconi 1999, p. 40 Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Anfora Fotografo: Dessì, Pierluigi Antiquarium Turritano
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Compilatore: Defrassu, Pierangela Oggetto: Anfora
Misure: largh. 25,5; lungh. 43; spess. 3,9 Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Descrizione: Esemplare con corpo Misure: largh. 20; lungh.84; diam.15;
globulare tendente a restringersi in spess. 1,9
corrispondenza del collo e del pun- Descrizione: Esemplare tipo Keay
tale; l’orlo non si conserva; residua XXVI, con corpo affusolato termi-
una minima parte dello stretto collo; nante con un puntale a ittone pie-
si conserva un’unica ansa a sezione no, anse piccole e strette con proilo
subcircolare impostata sull’ampia ad orecchia e sezione ellittica, orlo
spalla e sul collo; il puntale è cilindri- ingrossato e rivolto verso l’esterno.
co e poco pronunciato. La colora- Argilla arancio, supericie esterna
zione delle pareti, segnate da pesanti con engobbio grigio-beige, ruvida.
1.95 - Pisside Fotografo: Dessì, Pierluigi 1.96 - Unguentario Fotografo: Monari, Nicola
(Morel F 7553a 1) Compilatore: Cruccas, Emiliano (Cuadrado BIII) Compilatore: Cruccas, Emiliano
Numero Catalogo Generale: 00162922 Numero Catalogo Generale: 00162886
Numero inventario: Assente Numero inventario: 147684
Provenienza: Padria (SS) Provenienza: Gesico (CA)
Collocazione: Padria (SS) necropoli di Santa Lucia,
Museo Civico Archeologico tomba n. 34
Oggetto: Pisside Collocazione: Cagliari
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Museo Archeologico Nazionale
verniciatura Oggetto: Unguentario
Misure: h 6; diam. 9,7; spess. 0,5 Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Descrizione: Esemplare tipo Morel F Misure: h 16,6; diam. 6,6
7553a 1, con piede ad anello espan- Descrizione: Esemplare ceramica
so e orlo leggermente estrolesso. comune tipo Cuadrado BIII, con
Vernice nera, leggermente abrasa corpo fusiforme ovoide, orlo trian-
in alcuni punti. golare e base troncoconica. Argilla
Stato di conservazione: Parzialmente e supericie mattone.
ricomposto Stato di conservazione: Ricomposto
Cronologia: Sec. II a.C. Cronologia: Sec. I a.C.
Bibliograia: MoreL 1981, p. 415, tav. Bibliograia: tronchetti 1999, p.
206, 7553a 1. 119, tav. VI, 54; rotroFF 2006.
345
La Sardegna Romana
1.97 - Thymiaterion tracce di verniciatura bianca; argilla 1.98 - Thymiaterion Stato di conservazione: Lacunoso
conigurato a testa femminile arancio. conigurato a testa femminile Cronologia: Secc. III/I a.C.
Numero Catalogo Generale: 00162708 Stato di conservazione: Mutilo Numero Catalogo Generale: 00162709 Bibliograia: regoLi 1991, p. 197, nn.
Numero inventario: Assente Cronologia: Secc. III/I a.C. Numero inventario: Assente 550-1, tav. XVI. 550-1.
Provenienza: Padria (SS), via Nazionale Bibliograia: regoLi 1991, pp. 175-6, Provenienza: Padria (SS), via Nazionale Fotografo: Dessì, Pierluigi
Collocazione: Padria (SS) nn. 441-2, tav. X. 441-2. Collocazione: Padria (SS) Compilatore: Carboni, Romina
Museo Civico Archeologico Fotografo: Dessì, Pierluigi Museo Civico Archeologico
Oggetto: Thymiaterion Compilatore: Carboni, Romina Oggetto: Thymiaterion
conigurato a testa femminile conigurato a testa femminile
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/
a stecca a stecca
Misure: h 16; largh. 8,4; spess. 1,4 Misure: h 16,7; largh. 10,3; spess. 0,9
Descrizione: Esemplare conformato Descrizione: Esemplare conformato
a testa di dea kernophoros; si è con- a testa di dea kernophoros. I tratti del
servato il kalathos, la testa e il collo volto sono appena accennati, mentre
della igura; manca la base. Il volto la capigliatura costituisce una massa
presenta naso e mento arrotonda- informe; visibile il seno coperto da
ti, occhi e bocca appena accennati; una veste con scollatura triangolare;
la capigliatura è resa da una massa base frammentaria; foro di aerazione
compatta. Nella parte posteriore nella parte posteriore. Argilla rosata
è presente il foro aeratore. Visibili con tracce di pittura bianca.
1.99 - Matrice verso l’esterno, apparentemente non 1.100 - Matrice conico, corazza anatomica, tunica,
Numero Catalogo Generale: 00163147 collegata alla rosetta e un pendente a Numero Catalogo Generale: 00163074 schinieri e scudo rotondo. L’argilla
Numero inventario: Assente forma di anforetta, con sottile fascia Numero inventario: Assente è rossa, abbastanza depurata.
Provenienza: Cagliari a perline nella parte superiore. Argil- Provenienza: Cagliari Stato di conservazione: Ricomposto
teatro-tempio di via Malta la di colore beige chiaro. teatro-tempio di via Malta Cronologia: Sec. II a.C.
pozzo c.d. punico Stato di conservazione: Frammentario pozzo F Bibliograia: coMeLLa 1992, pp. 418-
Collocazione: Cagliari Cronologia: Sec. III a.C. Collocazione: Cagliari 420, ig. 4.
Museo Archeologico Nazionale Bibliograia: coMeLLa 1992, pp. 415- Museo Archeologico Nazionale Fotografo: Monari, Nicola
Oggetto: Matrice di testina 424, ig. 1. Oggetto: Matrice Compilatore: Pilo, Chiara
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice Fotografo: Monari, Nicola Materia e tecnica: Argilla/ a matrice
Misure: h 14; largh. 10,3; prof. 4,5; Compilatore: Trudu, Enrico Misure: h 34,4; largh. 16,6; spess.
spess. 3,8 4,4; h campo igurato 28,5; largh.
Descrizione: Matrice che riproduce la campo igurato 11,7
parte anteriore di un thymiaterion raf- Descrizione: Esemplare di forma ret-
igurante una fanciulla kernophoros. Si tangolare con cornice piatta all’in-
conserva tutta la parte destra della terno della quale corre una scana-
testa, grande circa due terzi del vero, latura impressa. Il campo centrale
che reca un polos alto e liscio; l’orec- è occupato da una Nike rafigurata
chio residuo è ornato da un grande di prospetto, nell’atto di scende-
orecchino costituito da una rosetta, re dall’alto portando come trofeo
una navicella con estremità ripiegate un’armatura composta da elmo
346
La Sardegna Romana
1.103 - Testa votiva femminile Stato di conservazione: Parzialmente 1.104 - Testa votiva femminile Fotografo: Dessì, Pierluigi
Numero Catalogo Generale: 00162700 ricomposto Numero Catalogo Generale: 00162701 Compilatore: Carboni, Romina
Numero inventario: 26634 Cronologia: Secc. IV/I a.C. Numero inventario: 27493
Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe Bibliograia: tore 1975; PensaBene Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe
Collocazione: Padria (SS) 2001, p. 348, n. 264, tav. 80, 264. Collocazione: Padria (SS)
Museo Civico Archeologico Fotografo: Dessì, Pierluigi Museo Civico Archeologico
Oggetto: Testa votiva femminile Compilatore: Carboni, Romina Oggetto: Testa votiva femminile
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/
a stecca a stecca
Misure: h 12; largh. 15,2; spess. 1,2/2 Misure: h 24; largh. 19; spess. 1,7
Descrizione: Parte sinistra superiore Descrizione: Grande testa votiva fem-
di viso di testa votiva femminile, minile di proilo di cui residua parte
comprendente la fronte, l’occhio si- della capigliatura ad onde ben marca-
nistro con palpebra ben modellata, te, del volto, del collo e dell’orecchio,
il naso sbrecciato, il labbro superio- che in origine aveva il lobo forato per
re carnoso e l’orecchio; ancora vi- l’orecchino. Sono visibili sulla super-
sibile una parte dell’occhio destro. icie tracce di pittura bianca.
Parzialmente visibile anche la ca- Stato di conservazione: Frammentario
pigliatura ad onde ben marcate. La Cronologia: Secc. IV/I a.C.
terracotta è nerastra con numerosi Bibliograia: tore 1975; gaLLi 1991,
piccoli inclusi micacei; argilla rosata. p. 11, ig. 7.
1.105 - Testa votiva femminile 1994, pp. 139-140, n. 122; tav. 1.106 - Testa votiva femminile Fotografo: Dessì, Pierluigi
Numero Catalogo Generale: 00162706 XXII, 122. Numero Catalogo Generale: 00162707 Compilatore: Carboni, Romina
Numero inventario: 27707 Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero inventario: Assente
Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe Compilatore: Carboni, Romina Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe
Collocazione: Padria (SS) Collocazione: Padria (SS)
Museo Civico Archeologico Museo Civico Archeologico
Oggetto: Testa votiva femminile Oggetto: Testa votiva femminile
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/
a stecca a stecca
Misure: h 7,8; lungh. 16; spess. 1,2 Misure: h 9,6; largh. 16,2; spess. 4,2
Descrizione: Testa votiva femminile Descrizione: Testa votiva femmi-
internamente cava. Rimane parte nile di cui residua unicamente
della fronte, una porzione anteriore parte dell’acconciatura ad onde
della cufia con un iocco centrale, morbide trattenuta da una fascia
al di sotto della quale si intravedono arrotolata e segnata da una serie
i capelli a ciocche ondulate. Argilla di incisioni.
rosata con numerosi inclusi micacei Argilla rosata-bruna.
e macchie biancastre e grigiastre. Stato di conservazione: Frammentario
Stato di conservazione: Frammentario Cronologia: Secc. IV/I a.C.
Cronologia: Secc. IV/I a.C. Bibliograia: tore 1975; caMPus
Bibliograia: tore 1975; caMPus 1994, p. 139, n. 121, tav. XXII, 121.
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La Sardegna Romana
1.107 - Testa votiva maschile Fotografo: Dessì, Pierluigi 1.108 - Testa votiva maschile p. 15, ig. 10; caMPus 1994, pp. 125-
Numero Catalogo Generale: 00162905 Compilatore: Cruccas, Emiliano Numero Catalogo Generale: 00162906 126, tav. VI, ig. 30.
Numero inventario: Assente Numero inventario: Assente Fotografo: Dessì, Pierluigi
Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe Compilatore: Cruccas, Emiliano
Collocazione: Padria (SS) Collocazione: Padria (SS)
Museo Civico Archeologico Museo Civico Archeologico
Oggetto: Testa votiva maschile Oggetto: Testa votiva maschile
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/
a stecca a stecca
Misure: h 12; largh. 11,7; spess. 1,5 Misure: h 15,5; largh. 11,2; spess. 2,85
Descrizione: Testa votiva maschile di Descrizione: Grande testa votiva ma-
cui restano il grosso naso con narici schile cava posteriormente, con un
ben evidenziate, una parte dell’oc- taglio obliquo nella parte sinistra.
chio destro e del labbro superiore e Le labbra sono carnose, il mento
la guancia destra. Argilla bruno-gri- prominente è segnato da una pic-
giastra con piccoli inclusi micacei. cola fossetta. La terracotta è rossa-
Stato di conservazione: Mutilo stra con ampie zone di color grigio
Cronologia: Secc. IV/I a.C. scuro.
Bibliograia: tore 1975; caMPus Stato di conservazione: Mutilo
1994, pp. 126-127, tav. VII, igg. Cronologia: Secc. IV/I a.C.
36-40. Bibliograia: tore 1975; gaLLi 1991,
1.109 - Testa votiva maschile Bibliograia: tore 1975; caMPus 1.110 - Testa votiva maschile
Numero Catalogo Generale: 00162921 1994, p. 140, tav. XXII, ig. 124. Numero Catalogo Generale: 00162907
Numero inventario: Assente Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero inventario: Assente
Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe Compilatore: Cruccas, Emiliano Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe
Collocazione: Padria (SS) Collocazione: Padria (SS)
Museo Civico Archeologico Museo Civico Archeologico
Oggetto: Testa votiva maschile Oggetto: Testa votiva maschile
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Materia e tecnica: Argilla/ a matrice
a stecca Misure: h 10,2; largh. 7,5; spess. 1,1
Misure: h 26; largh. 24,5; spess. 2,2 Descrizione: Testa votiva cava di gio-
Descrizione: Grande testa votiva vinetto; presenta capelli ondulati
maschile della quale residuano con una crocchia centrale. Argilla
parte della capigliatura a riccioli giallo pallido con inclusi micacei.
del tipo a chiocciola, l’orecchio Stato di conservazione: Mutilo
destro e una piccola parte del vol- Cronologia: Secc. IV/I a.C.
to; si intravede la parte terminale Bibliograia: Besques 1972, p. 111,
dell’occhio. Argilla rosata con par- tav. 138, i; tore 1975.
ti grigiastre. Fotografo: Dessì, Pierluigi
Stato di conservazione: Parzialmente Compilatore: Cruccas, Emiliano
ricomposto
Cronologia: Secc. IV/I a.C.
1.111 - Testa votiva 1.112 - Testa votiva femminile Cronologia: Sec. II a.C.
Numero Catalogo Generale: 00162908 Numero Catalogo Generale: 00162703 Bibliograia: Besques 1972, pp. 371-
Numero inventario: Assente Numero inventario: Assente 372, i D 3257-3258, tav. 209, i D
Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe 3257-3258; tore 1975.
Collocazione: Padria (SS) Collocazione: Padria (SS) Fotografo: Dessì, Pierluigi
Museo Civico Archeologico Museo Civico Archeologico Compilatore: Carboni, Romina
Oggetto: Testa votiva Oggetto: Testa votiva femminile
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/
Misure: h 6,6; largh. 5 a stecca
Descrizione: Piccola testa votiva ma- Misure: h 6,4; largh. 4,6; spess. 0,6
schile bifronte con folta barba; se Descrizione: piccola testa sormon-
capovolta assume i connotati di tata da una corona egittizzante. La
una vecchia. linea delle sopracciglia è in rilievo,
Stato di conservazione: Mutilo gli occhi sono appena accennati,
Cronologia: Secc. IV/I a.C. naso e bocca ben delineati e mento
Bibliograia: tore 1975; caMPus arrotondato. La parte posteriore è
1994, p. 123, tav. III, 14. superiormente piena ed inferior-
Fotografo: Dessì, Pierluigi mente cava. La terracotta è ros-
Compilatore: Cruccas, Emiliano siccia con numerosi piccoli inclusi
micacei.
Stato di conservazione: Mutilo
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1.115 - Busto votivo maschile Fotografo: Dessì, Pierluigi 1.116 - Busto votivo femminile Stato di conservazione: Ricomposto
Numero Catalogo Generale: 00162909 Compilatore: Cruccas, Emiliano Numero Catalogo Generale: 00162751 Cronologia: Secc. I/II d.C.
Numero inventario: Assente Numero inventario: Bibliograia: viLLedieu 1984; Man-
Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe PT7718107+PT7717869/12819 coni 1999, pp. 27, 40, p. 27 ig. s.n.
Collocazione: Padria (SS) Provenienza: Porto Torres (SS) Fotografo: Dessì, Pierluigi
Museo Civico Archeologico saggi Banca Nazionale del Lavoro Compilatore: Defrassu, Pierangela
Oggetto: Busto votivo in Corso Vittorio Emanuele
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Collocazione: Porto Torres (SS),
a stecca Museo Archeologico Nazionale
Misure: h 13,4; largh. 16,5; spess. 1,9 Antiquarium Turritano
Descrizione: Torso maschile con Oggetto: Busto votivo femminile
corazza cavo posteriormente. Pet- Materia e tecnica: Argilla/ a matrice
to con muscoli ben evidenziati, Misure: h 9,4; largh. 6,2; spess. 0,5
braccio destro residuo privo della Descrizione: Figura avvolta in un pe-
mano. Argilla rossastra con parti sante mantello che copre capo e spal-
più scure. le; una vistosa capigliatura incornicia
Stato di conservazione: Parzialmente il volto; i tratti somatici sono resi in
ricomposto maniera abbastanza dettagliata; le
Cronologia: Secc. IV/I a.C. forme del busto sono appena accen-
Bibliograia: tore 1975; caMPus nate. Conserva traccia di colorazione
1994, p. 121, tav. I, 5. giallastra. Il retro è cavo, non lavorato.
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1.125 - Campanello 1.126 - Ex voto anatomico Bibliograia: caMPus 1994, pp. 143-
Numero Catalogo Generale: 00163196 Numero Catalogo Generale: 00162910 146, tavv. XXV-XXVIII, igg. 148-
Numero inventario: 5115 Numero inventario: 27500 169; garBati 2008.
Provenienza: Sant’Antioco (CI) Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe Fotografo: Dessì, Pierluigi
necropoli di Is Pirixeddus Collocazione: Padria (SS) Compilatore: Cruccas, Emiliano
Collocazione: Sant’Antioco (CI) Museo Civico Archeologico
Museo Archeologico Comunale Oggetto: Ex voto anatomico
F. Barreca Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/
Oggetto: Campanello a stecca
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice Misure: h 11,2; largh. 9,8; spess. 0,8
Misure: h 7,1 Descrizione: Esemplare rafigurante
Descrizione: Campanello rafigurante una grande mano, cava interna-
il busto di uomo ammantato che mente, di cui residuano il palmo, il
porta alla bocca la siringa e la suona; dorso e la prima articolazione del-
capelli pettinati in avanti e barba. la dita dalla quale si deduce che la
Stato di conservazione: Mutilo mano era chiusa a pugno e l’indice
Cronologia: Sec. II d.C. teso. L’argilla è di colore rosato e
Bibliograia: BechtoLd 1999, p. 238, ben depurata con minuti inclusi mi-
nota 173. cacei e silicei.
Fotografo: Monari, Nicola Stato di conservazione: Mutilo
Compilatore: Puddu, Manuela Cronologia: Secc. IV/I a.C.
1.127 - Ex voto anatomico Fotografo: Dessì, Pierluigi 1.128 - Ex voto anatomico Stato di conservazione: Intero
Numero Catalogo Generale: 00162911 Compilatore: Cruccas, Emiliano Numero Catalogo Generale: 00162912 Cronologia: Secc. IV/I a.C.
Numero inventario: 27657 Numero inventario: 27625 Bibliograia: tore 1975; caMPus
Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe 1994, p. 153, tav. XXXII, ig. 217;
Collocazione: Padria (SS) Collocazione: Padria (SS) garBati 2008.
Museo Civico Archeologico Museo Civico Archeologico Fotografo: Dessì, Pierluigi
Oggetto: Ex voto anatomico Oggetto: Ex voto anatomico Compilatore: Cruccas, Emiliano
Materia e tecnica: Argilla/ a mano/ Materia e tecnica: Argilla/ a mano/
lisciatura a stecca lisciatura a stecca
Misure: h 5,5; largh. 6; spess. 2 Misure: h 9,8; largh. 10,2; spess. 3,4
Descrizione: Esemplare rafigurante Descrizione: Esemplare rafigurante
una mano con tre dita residue divi- un piede destro con parte interna
se da profondi solchi, leggermente appiattita e parte esterna con evi-
arcuate, unghie rese schematica- denziati l’alluce e la pianta che pog-
mente. gia su una suola sottile. La gamba
Argilla beige chiara. e il piede sono ricoperti da uno
Stato di conservazione: Mutilo stivaletto che lascia intravedere le
Cronologia: Secc. IV/I a.C. parti anatomiche dell’arto. La terra-
Bibliograia: tore 1975; caMPus cotta è rossastra con parti di colore
1994, p. 146, tav. XXVII, ig. 146; grigio. Sono evidenti diversi inclusi
garBati 2008. micacei e silicei.
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1.131 - Ex voto anatomico Fotografo: Dessì, Pierluigi 1.132 - Ex voto zoomorfo Stato di conservazione: Mutilo
Numero Catalogo Generale: 00162914 Compilatore: Cruccas, Emiliano Numero Catalogo Generale: 00162916 Cronologia: Secc. IV/I a.C.
Numero inventario: 17288 Numero inventario: Assente Bibliograia: tore 1975; caMPus
Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe 1994, p. 141, tavv. XXXVII-
Collocazione: Padria (SS) Collocazione: Padria (SS) XXXVIII, igg. 260, 262-263.
Museo Civico Archeologico Museo Civico Archeologico Fotografo: Dessì, Pierluigi
Oggetto: Ex voto anatomico Oggetto: Ex voto zoomorfo Compilatore: Cruccas, Emiliano
Materia e tecnica: Argilla/ a mano/ Materia e tecnica: Argilla/ a stampo/
lisciatura a stecca ritocco a stecca
Misure: h 8,2; largh. 6,3; spess. 3,6 Misure: h 10,3; largh. 5,2; spess. 1,1
Descrizione: Utero ittile cavo poste- Descrizione: Esemplare rafigurante
riormente, conformato a sella con una colomba della quale residua la
solcature laterali. Argilla rossastra testa, cava internamente, con becco
all’interno e grigiastra sulla superi- frantumato nella punta. Gli occhi,
cie esterna; sono evidenti numerosi di forma rotondeggiante, sono ap-
inclusi silicei e micacei. pena accennati, mentre l’attacca-
Stato di conservazione: Mutilo tura tra collo e spalla è segnata da
Cronologia: Secc. IV/I a.C. una risega; rimane anche la parte
Bibliograia: tore 1975; caMPus posteriore del collo. Argilla rosata
1994, p. 155, tav. XXXIII, ig. 230; con parti grigiastre e piccoli inclusi
garBati 2008. silicei e micacei.
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1.143 - Hydria Stato di conservazione: Parzialmente 1.144 - Olla Fotografo: Dessì, Pierluigi
(Calvi D 7) ricomposto Numero Catalogo Generale: 00099444 Compilatore: Defrassu, Pierangela
Numero Catalogo Generale: 00039054 Cronologia: Secc. I/II d.C. Numero inventario: 12970
Numero inventario: 3727 Bibliograia: Lissia 2000, p. 58 n. 50, Provenienza: Porto Torres (SS)
Provenienza: Sconosciuta ig. a p. 67 n. 50. Collocazione: Porto Torres (SS)
Collocazione: Sassari Fotografo: Dessì, Pierluigi Museo Archeologico Nazionale
Museo Nazionale G.A. Sanna Compilatore: Pilo, Chiara Antiquarium Turritano
Oggetto: Hydria Oggetto: Olla
Materia e tecnica: Vetro/ sofiatura Materia e tecnica: Vetro/ sofiatura
Misure: h 11,6; diam. orlo 6,6; diam. Misure: h 16,4; largh. 16,2; diam.
fondo 8 14,2; spess. 0,7
Descrizione: Esemplare tipo Cal- Descrizione: Esemplare con largo collo
vi D 7, con orlo a tesa ripiegato ribattuto all’interno e ripiegato oriz-
e appiattito superiormente, corto zontalmente, breve collo imbutifor-
collo rigonio, corpo cubico con me, corpo ovoidale, base concava.
spigoli arrotondati, fondo piano Vetro verde-azzurro; residuano spa-
leggermente concavo; l’ansa a na- rute tracce di una patina iridescente.
stro, ripiegata, si imposta sul collo Stato di conservazione: Intero
immediatamente sotto l’orlo e sulla Cronologia: Secc. I/II d.C.
spalla. Vetro naturale color azzurro Bibliograia: Manconi 1999, pp. 12,
chiaro. 40, ig. s.n.
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1.154 - Bronzetto votivo ria, con pieghe ben deinite solo nel
di Minerva bordo esterno; nel petto si riconosce
Numero Catalogo Generale: 00002418 un’egida, decorata frontalmente con
Numero inventario: 104/392/3952 una testa di gorgone a rilievo.
Provenienza: Perfugas (SS) Stato di conservazione: Mutilo
Collocazione: Sassari Cronologia: Età romana imperiale
Museo Nazionale G.A. Sanna Bibliograia: Boninu 1986, p. 145.
Oggetto: Statuetta votiva Fotografo: Dessì, Pierluigi
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a Compilatore: Trudu, Enrico
cera persa/ riinitura a freddo
Misure: h 11; largh. 2,8
Descrizione: Bronzetto votivo. La i-
gura, sproporzionata, è dotata di un
elmo di tipo greco privo di visiera
sormontato da un ampio pennac-
chio a sezione triangolare rovesciata
che ricade posteriormente ino al
collo. Il viso è rivolto verso destra e
lievemente piegato, in atteggiamento
patetico. Il corpo è avvolto in un lun-
go chitone reso in maniera somma-
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1.163 - Ceppo di ancora Cronologia: Età romana imperiale 1.164 - Scandaglio Fotografo: Dessì, Pierluigi
Numero Catalogo Generale: 00031116 Bibliograia: Boninu 1986, pp. 152-153. Numero Catalogo Generale: 00163121 Compilatore: Trudu, Enrico
Numero inventario: 5832 Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero inventario: 60099
Provenienza: Stintino (SS) Compilatore: Trudu, Enrico Provenienza: Castelsardo (SS)
ritrovamento subacqueo ritrovamento subacqueo
Collocazione: Sassari Collocazione: Sassari
Museo Nazionale G.A. Sanna Museo Nazionale G.A. Sanna
Oggetto: Ancora/ceppo Oggetto: Scandaglio
Materia e tecnica: Piombo/ fusione a Materia e tecnica: Piombo/ fusione a
stampo stampo
Misure: largh. 30; lungh. 214; spess. Misure: largh. 10; lungh. 19; prof. 3
13; largh. bracci 17,5 Descrizione: Il manufatto presenta
Descrizione: Il ceppo, del tipo isso, è un proilo a campana, con anello
composto da due braccia rettilinee di sospensione semicircolare e cor-
a sezione quadrangolare e da un po pieno a sezione quadrangolare;
foro di issaggio centrale di proilo i lati corti hanno un proilo arro-
rettangolare. In posizione mediana tondato.
sono presenti due fori quadrango- Stato di conservazione: Intero
lari per l’inserimento della barra Cronologia: Età romana
centrale, non conservata. Bibliograia: oLeson 2000, pp. 293-
Stato di conservazione: Mutilo 311, ig. 8.
360
La Sardegna Romana
1.166 - Orecchini con pendente memorie 2006, p. 547 n. II.1160, ig. 1.167 - Orecchini con pendente tati qui dalla pasta vitrea verde.
Numero Catalogo Generale: 00002561 II.1160. Numero Catalogo Generale: 00163203 Stato di conservazione: Intero
Numero inventario: 4056/7694 Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero inventario: Assente Cronologia: Sec. II d.C.
Provenienza: Alghero (SS) Compilatore: Pilo, Chiara Provenienza: Porto Torres (SS) Bibliograia: Manconi 1986, pp. 284-
Maristella - Porto Conte necropoli meridionale o di San Gavino 285, n. 378, ig. 378.
Collocazione: Sassari Collocazione: Porto Torres (SS) Fotografo: Dessì, Pierluigi
Museo Nazionale G.A. Sanna Museo Archeologico Nazionale Compilatore: Puddu, Manuela
Oggetto: Orecchini con pendente Antiquarium Turritano
Materia e tecnica: Oro/ fusione/ Oggetto: Orecchini con pendente
granulazione Materia e tecnica: Oro/ battitura; pa-
Misure: h 5,5 sta vitrea/ colatura a stampo; pietra
Descrizione: Esemplari costituiti da dura/ a intaglio
un anello in ilo d’oro liscio a cui Misure: h 2,7; largh. castone 1
è appeso un pendente rigido con Descrizione: Esemplari con castone
elemento piramidale decorato a rettangolare riempito con pasta
granulazione e un prisma in pietra vitrea verde; al di sotto un ele-
grigio-verde. mento metallico a forma di doppia
Stato di conservazione: Intero goccia ed un pendente amigdaloi-
Cronologia: Secc. I/III d.C. de in pietra dura nera. Si tratta di
Bibliograia: angioLiLLo 2000, p. 107, una versione più economica degli
ig. a p. 106 (in alto a destra); Roma orecchini in oro e smeraldi, imi-
1.168 - Orecchini con pendente superiore è ripiegata verso l’alto. Il 1.169 - Anello gemino
Numero Catalogo Generale: 00002556 disco è decorato ad intaglio con una Numero Catalogo Generale: 00097517
Numero inventario: 4062/7868/1255 serie di gocce disposte intorno ad un Numero inventario: 4049/7696
Provenienza: Olbia foro centrale e ad incisione sulla su- Provenienza: Sorso (SS), Su Pidocciu
Collocazione: Sassari pericie. Collocazione: Sassari
Museo Nazionale G.A. Sanna Stato di conservazione: Mutilo Museo Nazionale G.A. Sanna
Oggetto: Orecchini con pendente Cronologia: Secc. II/III d.C. Oggetto: Anello gemino
Materia e tecnica: Oro/ laminatura Bibliograia: angioLiLLo 2000, p. Materia e tecnica: Oro/ godronatura
Misure: h 3,5; diam. elemento 108, ig. a p. 106 (sotto). Misure: diam. 1,7; diam. anello
circolare 1,8 Fotografo: Dessì, Pierluigi minore 1,1
Descrizione: Esemplari al cui gancio Compilatore: Pilo, Chiara Descrizione: Due elementi anulari te-
per l’inserimento nell’orecchio è nuti assieme da un terzo anello più
applicato un disco in lamina d’oro, piccolo.
al centro del quale era issata con Stato di conservazione: Intero
un ilo dello stesso metallo una pie- Cronologia: Secc. II/III d.C.
tra ora perduta. Alla parte inferiore Bibliograia: angioLiLLo 2000, p.
del disco è applicata una barretta 109, ig. a p. 109 (destra).
orizzontale alla quale sono appesi Fotografo: Dessì, Pierluigi
mediante degli anelli di sospensione Compilatore: Pilo, Chiara
tre pendenti con verghetta a globetti
e castone in pietra rossa; l’estremità
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La Sardegna Romana
1.170 - Anello digitale Bibliograia: Moda costume 2003, p. 1.171 - Anello digitale Stato di conservazione: Intero
Numero Catalogo Generale: 00163058 179 n. 310. (Guiraud 1a) Cronologia: Secc. I/II d.C.
Numero inventario: Assente Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero Catalogo Generale: 00097534 Bibliograia: scatozza horicht 1989,
Provenienza: Sconosciuta Compilatore: Pilo, Chiara Numero inventario: 4077/7252/1275 p. 55 n. 66.
Collocazione: Sassari Provenienza: Alghero (SS) Fotografo: Dessì, Pierluigi
Museo Nazionale G.A. Sanna Maristella - Porto Conte Compilatore: Pilo, Chiara
Oggetto: Anello digitale Collocazione: Sassari
Materia e tecnica: Oro/ fusione; Museo Nazionale G.A. Sanna
corniola/ a incisione Oggetto: Anello digitale
Misure: largh. 2,6 Materia e tecnica: Ferro/ fusione;
Descrizione: Esemplare con verga corniola/ a incisione
piena, internamente piatta ed ester- Misure: largh. 1,8
namente bombata, che si allarga Descrizione: Anello digitale tipo Gui-
in corrispondenza del castone, raud 1a, con sagoma leggermente
con decorazione costituita da un schiacciata e verga a sezione circo-
pigmeo di proilo verso sinistra, lare che si allarga in corrispondenza
appoggiato ad un bastone e con del castone. Pietra rosso scuro con
grossa cicala sulle spalle. Pietra ros- supericie piatta incassata nel casto-
so scuro. ne su cui compare una coppia di
Stato di conservazione: Intero cavalieri affrontati, uno con lancia,
Cronologia: Sec. I a.C. e al di sopra, stelle e luna.
1.172 - Ago crinale Cronologia: Sec. II d.C. 1.173 - Scafo di nave Cronologia: Sec. V d.C.
Numero Catalogo Generale: 00117063 Bibliograia: FaMà 1985, p. 240, tav. Numero Catalogo Generale: 00163057 Bibliograia: riccardi 2002, p. 1270,
Numero inventario: 158626 63, 1, igg. 150-151. Numero inventario: OMA 771 igg. 4a-c; 5; D’oriano 2002.
Provenienza: Sardara (VS) Fotografo: Monari, Nicola Provenienza: Olbia Fotografo: Dessì, Pierluigi
necropoli romana di Terr’e Cresia Compilatore: Carboni, Romina Collocazione: Olbia Compilatore: Pilo, Chiara
tomba n. 44 Museo Archeologico
Collocazione: Sardara (VS) Oggetto: Nave oneraria/scafo
Civico Museo Archeologico Materia e tecnica: Legno
Villa Abbas Misure: largh. 480; lungh. 1165
Oggetto: Ago crinale Descrizione: Scafo del relitto di nave
Materia e tecnica: Osso/a incisione/ oneraria R2, del quale si conser-
levigatura vano chiglia, ordinate, tavole di
Misure: h 14; spess. 0,9 fasciame esterno e dritto di pop-
Descrizione: Esemplare a forma af- pa. Le ordinate con madiere sono
fusolata, con estremità inferiore ap- alternate a mezze ordinate che si
puntita e parte superiore conigura- incontrano sulla chiglia; gli elemen-
ta a testa femminile con alta accon- ti delle ordinate sono intestati, al-
ciatura tipica dell’età lavia e busto cuni giuntati con parallele semplici.
rappresentato in modo sommario. I corsi del fasciame esterno sono
Stato di conservazione: Parzialmente connessi con mortase.
ricomposto Stato di conservazione: Frammentario
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1.185 - Stele funeraria della stele sono visibili tre motivi 1.186 - Stele funeraria alla bocca; appena abbozzate le brac-
Numero Catalogo Generale: 00162697 circolari, sul lato destro il simbolo Numero Catalogo Generale: 00162819 cia. La igura è all’interno di un’edico-
Numero inventario: Assente del tridente. Numero inventario: Assente la semplice, con sommità ad acroteri
Provenienza: Sconosciuta Stato di conservazione: Mutilo Provenienza: Uras (OR) e decorazione vegetale ai lati.
Collocazione: Torralba (SS) Cronologia: Secc. I a.C./I d.C. necropoli romana Stato di conservazione: Mutilo
Museo della Valle dei Nuraghi Bibliograia: Moscati & uBerti Collocazione: Cagliari Cronologia: Età romana imperiale
del Logudoro-Meilogu 1991, pp. 93-94, n. 1, tav. VIII, 1. Museo Archeologico Nazionale Bibliograia: zonnedda 2007, pp.
Oggetto: Stele funeraria Fotografo: Dessì, Pierluigi Oggetto: Stele funeraria 289-297.
Materia e tecnica: Calcare grigio/ Compilatore: Carboni, Romina Materia e tecnica: Pietra/ scalpellatura Fotografo: Monari, Nicola
scalpellatura Misure: h 35; largh. 15; lungh. 25 Compilatore: Sulis, Roberta
Misure: h 61,8; largh. 44; spess. 24 Descrizione: Il manufatto ha forma
Descrizione: Stele a specchio ane- parallelepipeda con la faccia a vista
pigrafe con immagine di defunto igurata. Il soggetto della rafigurazione
stilizzato. Nel campo igurativo consiste in una rappresentazione an-
campeggia a rilievo un busto sche- tropomorfa a toppa di chiave: la testa
matizzato sormontato da una testa è un ovale appiattito che si innesta
di sagoma rotonda nella quale sono direttamente sul corpo rettangola-
abbozzati i dettagli isionomici; la re, reso con un rilievo bassissimo. I
igura è rappresentata all’interno di particolari anatomici, resi in negativo,
un’edicola anch’essa resa in modo si riducono agli occhi, due solchi ret-
schematico. Nella parte superiore tangolari, al naso lungo e squadrato e
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1.188 - Urna a tempietto perchio a doppio spiovente con pic- 2, tav. II; Mastino & visMara 1994, p.
con iscrizione coli acroteri ai quattro angoli. Sul lato 17, p. 15, ig. 8; Marmore luctus 2004, p.
Numero Catalogo Generale: 00162742 frontale è una tabula epigraphica, inserita 53, p. 53, ig. 1; Storia Sardegna 2005, p.
Numero inventario: 7 entro una cornice; l’iscrizione, centra- 278, p. 444, ig. 49.
Provenienza: Porto Torres (SS) ta, si sviluppa su tre linee con punti Fotografo: Dessì, Pierluigi
Collocazione: Porto Torres (SS) di separazione triangoliformi. Il lato Compilatori: Cocco, Maria Bastiana;
Museo Archeologico Nazionale frontale presenta una ricca decorazio- Defrassu, Pierangela
Antiquarium Turritano ne con due singi, in posizione ango-
Oggetto: Urna a tempietto con iscrizione lare, sormontate da protomi di Giove
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ Ammone con le corna attorcigliate,
levigatura/ a trapano dalle quali pende un ricco festone di
Misure: h 32; largh. 34,5; prof. 29,5; iori e frutta; al di sopra due sirene
spess. 3,3; h tabula epigraphica 11,5; alate e alla base due uccelli. L’urna era
largh. tabula epigraphica 19,5; h interna destinata ad ospitare le ceneri del liber-
tabula epigraphica 8; largh. interna tabula to C(aius) Vehilius C(ai) l(ibertus) Coll(ina
epigraphica 16; h minima lettere 1,5; h tribu) Rufus.
massima lettere 1,8 Stato di conservazione: Mutilo
Descrizione: Esemplare composto da Cronologia: Secc. I/II d.C.
una cassa parallelepipeda, inemente Bibliograia: CIL X 7967; equini
lavorata sul fronte e sulle facce laterali schneider 1979, p. 42, n. 35, tav.
ma non posteriormente, e da un co- XXXIV, 1-2; Mastino 1984, p. 88, n.
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1.192 - Sarcofago a lenos lare. Gli altri settori della compo- Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00162809 sizione sono occupati ciascuno da Compilatore: Sulis, Roberta
Numero inventario: 5936 due Geni delle Stagioni, rafigurati
Provenienza: Cagliari come putti, stanti, corpo frontale,
Collocazione: Cagliari teste di scorcio verso il medaglione,
Museo Archeologico Nazionale le gambe in posizione simmetrica
Oggetto: Sarcofago a Lenos e contrapposta. Da sinistra verso
Materia e tecnica: Marmo/ a trapano/ destra, l’Inverno che regge, nella
scalpellatura mano sinistra abbassata, un corvo
Misure: h 77; largh. 66; lungh. 203; per le ali; il Genio della Primavera,
spess. 8 con nella mano sinistra un cesto
Descrizione: Arca a tinozza con de- ricco di iori; l’Autunno con l’uva;
corazione sulla fronte e sulle due l’Estate, con nebride, reca le spighe.
facce laterali. Al centro della fronte Sulla fronte, nel listello superiore, è
è un medaglione circolare all’in- presente l’iscrizione: E+[--- a]nno
terno del quale è un busto mulie- uno mens(ibus) VIII dieb(us) XVI.
bre frontale; veste tunica e pallio e Stato di conservazione: Intero
regge un volumen tra le mani. Due Cronologia: Sec. IV d.C.
Vittorie sorreggono il medaglione, Bibliograia: CIL X 7737; Pesce 1957,
sotto il quale tre putti pigiano l’uva pp. 19-21, tavv. I 1, II 2, III 3; FLoris
che trabocca da un tino quadrango- 2005, pp. 566-567 nr. 239, ig. 239.
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1.198 - Ritratto femminile sidua è ben disegnata; gli occhi sono 1.199 - Ritratto femminile lungati, segnati da palpebre pesanti,
Numero Catalogo Generale: 00162788 grandi, globosi, a proilo triangolare, Numero Catalogo Generale: 00162739 guardano verso l’alto, le labbra sono
Numero inventario: 2987 rivolti verso il basso. Numero inventario: 10286 carnose, gli zigomi poco pronunciati.
Provenienza: Tharros (Cabras - OR) Stato di conservazione: Mutilo Provenienza: Porto Torres (SS) Le orecchie sono forate per l’inser-
Collocazione: Oristano Cronologia: Sec. I d.C. Terme Centrali, porticato zione degli orecchini.
Antiquarium Arborense Bibliografia: a ngioLiLLo 1987; Collocazione: Porto Torres (SS) Stato di conservazione: Mutilo
Museo Archeologico G. Pau s aLetti 1989, pp. 77-78, fig. 3; Museo Archeologico Nazionale Cronologia: Sec. II d.C.
Oggetto: Testa ritratto femminile pp. 78-79. Antiquarium Turritano Bibliograia: Marmore luctus 2004, p. 35.
Materia e tecnica: Marmo bianco/ Fotografo: Monari, Nicola Oggetto: Testa ritratto femminile Fotografo: Dessì, Pierluigi
scalpellatura Compilatore: Defrassu, Pierangela Materia e tecnica: Marmo bianco Compilatore: Defrassu, Pierangela
Misure: h 23; largh. 26 Misure: h 18,5; largh. 14; spess. 18
Descrizione: Esemplare rafigurante Descrizione: Esemplare rafigurante
forse Ottavia o Livia. La capigliatura forse Faustina Minore o Sabina. I
è caratterizzata da un rotolo fronta- capelli, impreziositi da un diadema
le molto morbido, basso e schiac- sagomato, presentano sulla fronte
ciato, fermato da una sottile fascia, una scriminatura centrale che separa
suddiviso in ciocche parallele sulla due ciocche rese a morbide onde che
fronte. Sul lato destro residua una vanno ad annodarsi sulla nuca in una
banda a ciocche larghe; la fronte è semplice crocchia. La fronte bassa è
quasi completamente occupata dalla occupata dalla capigliatura; gli occhi,
capigliatura; l’arcata sopracciliare re- con pupilla incisa, leggermente al-
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1.200 - Ritratto maschile lati della bocca, alla radice del naso 1.201 - Ritratto maschile a tenaglia sulla tempia destra; anche
Numero Catalogo Generale: 00163178 e sul collo. Numero Catalogo Generale: 00163179 dalla nuca sono pettinati in avanti. Età
Numero inventario: Assente Stato di conservazione: Mutilo Numero inventario: Assente apparente di 35-40 anni.
Provenienza: Cagliari Cronologia: Sec. I a.C. Provenienza: Sconosciuta Stato di conservazione: Mutilo
via Cavour, pozzo Bibliograia: angioLiLLo 1971, pp. Collocazione: Cagliari Cronologia: Sec. I d.C.
Collocazione: Cagliari 119-122, tavv. 70-71. Museo Archeologico Nazionale Bibliograia: angioLiLLo 1971, pp.
Museo Archeologico Nazionale Fotografo: Monari, Nicola Oggetto: Busto maschile 122-124, tavv. 72-73.
Oggetto: Testa ritratto maschile Compilatore: Puddu, Manuela Materia e tecnica: Marmo bianco/ Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Marmo bianco/ scalpellatura Compilatore: Puddu, Manuela
scalpellatura Misure: h 36; h volto 22
Misure: h 24 Descrizione: Busto maschile che presen-
Descrizione: Esemplare con volto ta un taglio molto alto, comprendente
ovale e fronte spaziosa; gli occhi clavicole e sterno. Il viso, leggermente
sono piccoli e infossati e la bocca girato verso destra, è caratterizzato da
una linea obliqua che scende verso zigomi alti con gote infossate e fronte
sinistra, mentre le guance sono in- spaziosa; labbra sottili, soprattutto il
cavate e le orecchie a sventola. La superiore, mento carnoso e pronun-
chioma ancora folta è pettinata a ciato, segnato da una fossetta. I capelli
ciocchette, con un ciuffo sulla fron- sono resi a piccole ciocche piatte sul
te. La fronte è solcata da tre rughe capo, che sulla fronte formano un
orizzontali; altre rughe profonde ai motivo a coda di rondine al centro e
1.202 - Ritratto di Augusto 1.203 - Ritratto di Tiberio con motivo a tenaglia sulla tempia
Numero Catalogo Generale: 00163177 Numero Catalogo Generale: 00163172 destra ed a coda di rondine al centro.
Numero inventario: 6123 Numero inventario: 6113 Stato di conservazione: Frammentario
Provenienza: Cagliari Provenienza: Sant’Antioco (CI) Cronologia: Sec. I d.C.
Collocazione: Cagliari Su Narboni Bibliograia: taraMeLLi 1914, p. 110,
Museo Archeologico Nazionale Collocazione: Cagliari n. 72; angioLiLLo 1978b, pp. 157-
Oggetto: Statua maschile/testa Museo Archeologico Nazionale 161, tavv. I-II.
Materia e tecnica: Marmo bianco/ Oggetto: Statua maschile/testa Fotografo: Monari, Nicola
scalpellatura Materia e tecnica: Marmo bianco/ Compilatore: Puddu, Manuela
Misure: h 32 scalpellatura
Descrizione: Testa di statua tipo Misure: h 40
Augusto di Prima Porta: viso Descrizione: Testa di statua maschile
triangolare, occhi piccoli e capelli rafigurante Tiberio: capo legger-
pettinati in ciocche che sul davan- mente inclinato e girato verso la pro-
ti si ripartiscono in un motivo a pria destra, fronte spaziosa e segnata
coda di rondine ed uno a tenaglia. dalle bozze temporali, occhi grandi
Stato di conservazione: Frammentario e rivolti in alto. Le labbra sono sot-
Cronologia: Sec. I d.C. tili e le guance incavate, mentre il
Bibliograia: saLetti 1989, p. 77, ig. 2. mento è segnato da una fossetta. La
Fotografo: Monari, Nicola capigliatura è resa a piccole ciocche
Compilatore: Puddu, Manuela ordinate che ricadono sulla fronte,
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1.205 - Ritratto di Nerone Bibliograia: taraMeLLi 1914, p. 15; 1.206 - Ritratto di Traiano Cronologia: Sec. II d.C.
Numero Catalogo Generale: 00163180 saLetti 1989, p. 79, ig. 7. (Burgerkronentypus) Bibliograia: taraMeLLi 1914, p. 15;
Numero inventario: 35533 Fotografo: Monari, Nicola Numero Catalogo Generale: 00163181 saLetti 1989, p. 80, ig. 11.
Provenienza: Olbia Compilatore: Puddu, Manuela Numero inventario: 36429 Fotografo: Monari, Nicola
scuola elementare Provenienza: Olbia Compilatore: Puddu, Manuela
Collocazione: Cagliari scuola elementare
Museo Archeologico Nazionale Collocazione: Cagliari
Oggetto: Statua maschile/testa Museo Archeologico Nazionale
Materia e tecnica: Marmo bianco/ Oggetto: Statua maschile/testa
scalpellatura Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura
Misure: h 70; h testa 44 Misure: h 44
Descrizione: Testa di statua maschi- Descrizione: Testa di statua maschi-
le rafigurante Nerone: volto largo le rafigurante forse Traiano (Bur-
con occhi grandi, naso carnoso e gerkronentypus): volto squadrato,
bocca piccola e piena. La chioma è naso e mento grossi, labbro supe-
pettinata come una sorta di calotta riore sporgente, capelli pettinati
e scende sulla fronte con lunghe in avanti e verso destra in ciocche
ciocche, con un piccolo motivo a compatte di identica lunghezza,
coda di rondine al centro; basette. con un piccolo motivo a coda di
Stato di conservazione: Frammentario rondine sulla tempia sinistra.
Cronologia: Sec. I d.C. Stato di conservazione: Mutilo
1.208 - Testa di Bacco fanciullo sta. Il torso pertinente, non più re- 1.209 - Ritratto maschile socchiuse. Leggere tracce di doratura
Numero Catalogo Generale: 00162855 peribile, era coperto dalla nebride. Numero Catalogo Generale: 00162738 si conservano intorno agli occhi e alla
Numero inventario: 30170 Stato di conservazione: Mutilo Numero inventario: 7877 bocca. Tracce di incastri sul collo dimo-
Provenienza: Cagliari, Villino Pernis Cronologia: Sec. I d.C. Provenienza: Porto Torres (SS) strano che la testa ritratto doveva essere
Collocazione: Cagliari Bibliograia: taraMeLLi 1905, pp. 47- Collocazione: Porto Torres (SS) inserita in una statua o in un busto.
Museo Archeologico Nazionale 48, igg. 4-5. Museo Archeologico Nazionale Stato di conservazione: Mutilo
depositi Fotografo: Monari, Nicola Antiquarium Turritano Cronologia: Secc. II/III d.C.
Oggetto: Testa maschile Compilatore: Sulis, Roberta Oggetto: Testa ritratto maschile Bibliograia: Marmore luctus 2004, p. 39.
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ Materia e tecnica: Marmo bianco/ Fotografo: Dessì, Pierluigi
a trapano scalpellatura Compilatore: Defrassu, Pierangela
Misure: h 7,5; largh. 6,9 Misure: h 23,5; largh. 17; spess. 19,6
Descrizione: Testa di statua maschile Descrizione: Testa ritratto di fanciullo
rafigurante Bacco fanciullo: l’ovale contraddistinto da un volto molto
è tondo e paffuto; le labbra, tumi- largo, guance ampie e piene, mento
de, sono composte a formare un te- arrotondato. La capigliatura, realizzata
nue sorriso, segnato dalle fossette; con il trapano, conserva abbondanti
gli occhi a mandorla vicini; il naso è tracce di doratura, incornicia a ciocche
camuso: i capelli, divisi da una scri- ordinate il volto lasciando scoperte
minatura centrale, si raccolgono in le orecchie. Gli occhi grandi, segnati
una bassa crocchia sulla nuca; una da pesanti palpebre, hanno l’iride e la
corona di pampini incornicia la te- pupilla incise. Le labbra sono carnose,
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1.232 - Erma di guerriero ciato, gli occhi scavati, sottolineati da 1.233 - Erma bifronte di Bacco Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00162737 pesanti palpebre; le pupille dovevano Numero Catalogo Generale: 00163183 Compilatore: Puddu, Manuela
Numero inventario: 10531 essere incrostate di vetro. Numero inventario: 10914
Provenienza: Porto Torres (SS) Stato di conservazione: Mutilo Provenienza: Cagliari, via Ospedale
zona delle tabernae Cronologia: Sec. I d.C. Collocazione: Cagliari
ad est della fogna principale Bibliograia: equini schneider 1979; Museo Archeologico Nazionale
Collocazione: Porto Torres (SS) angioLiLLo 1987; Marmore luctus Oggetto: Erma bifronte
Museo Archeologico Nazionale 2004, p. 41. Materia e tecnica: Marmo bianco/
Antiquarium Turritano Fotografo: Dessì, Pierluigi scalpellatura
Oggetto: Erma Compilatore: Defrassu, Pierangela Misure: h 16,7
Materia e tecnica: Marmo giallo antico/ Descrizione: Erma che da una parte
scalpellatura ha rafigurato un fanciullo in at-
Misure: h 13; largh. 7,9 teggiamento mesto e dall’altra un
Descrizione: Erma di guerriero con elmo bambino sorridente, entrambi coi
di tipo calcidico, ornato di corna di capelli ricci, con due bande ai lati
ariete. L’elmo è provvisto di paragna- della testa e pampini ad incornicia-
tidi che proteggono parte delle guance re il volto.
e vanno a chiudersi sotto il mento. Il Stato di conservazione: Mutilo
viso, allungato, presenta la fronte cor- Cronologia: Sec. I d.C.
rugata, coperta quasi interamente dal Bibliograia: taraMeLLi 1905, p. 46,
copricapo; il naso è lievemente schiac- igg. 2-3.
1.234 - Erma di satiro avanti e sulla fronte in piccoli ricci. 1.235 - Statua di sacerdote isiaco Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00097728 Mossi sono anche i bafi e la barba, Numero Catalogo Generale: 00162807 Compilatore: Sulis, Roberta
Numero inventario: 4932/10132 che, come la frangia, presentano un Numero inventario: 180044
Provenienza: Porto Torres (SS) abbondante uso del trapano. La parte Provenienza: Cagliari, area archeologica
Terme centrali o via Cardinale, fogna posteriore della testa è tagliata. sottostante la chiesa di Sant’Eulalia,
Collocazione: Sassari Stato di conservazione: Frammentario teatro
Museo Nazionale G.A. Sanna Cronologia: Sec. II d.C. Collocazione: Cagliari
Oggetto: Erma Bibliograia: equini schneider 1979, Museo e area archeologica
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ p. 40 n. 31, tav. XXX, 2. di Sant’Eulalia
levigatura/ a trapano Fotografo: Dessì, Pierluigi Oggetto: Statua
Misure: h 14,8; largh. 11,2; prof. 8,6; Compilatore: Pilo, Chiara Materia e tecnica: granito/ scalpellatura
dist. fronte-mento 8,8; dist. angoli Misure: h 67
esterni occhi 6,2. Descrizione: Il manufatto rafigura un
Descrizione: Erma di personaggio bar- sacerdote di Iside nell’atto di presen-
bato rappresentante un satiro, con tare il canopo reggendolo, per non
corona d’edera. Il volto è squadrato contaminarlo, con le due mani co-
con arcate sopraciliari incurvate, oc- perte dal mantello. Nel torso reca il
chi cavi contornati da spesse palpe- disco solare alato.
bre, naso grosso e bocca aperta. I Stato di conservazione: Mutilo
capelli si dispongono sulla testa in Cronologia: Sec. II d.C.
ciocche ondulate incise pettinate in Bibliograia: Mureddu 2002a, pp. 57-61.
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1.236 - Statua di Bes Stato di conservazione: Mutilo 1.237 - Statua di Bes sinistra si arrotola un serpentello.
Numero Catalogo Generale: 00163188 Cronologia: Età romana imperiale Numero Catalogo Generale: 00163189 Stato di conservazione: Mutilo
Numero inventario: 180529 Bibliograia: taraMeLLi 1903, pp. Numero inventario: 180528 Cronologia: Età romana imperiale
Provenienza: Fordongianus (OR) 482-484, igg. 10, 10a. Provenienza: Fordongianus (OR) Bibliograia: taraMeLLi 1903, pp.
terme romane Fotografo: Monari, Nicola terme romane 482-484, igg. 9, 9a.
nei pressi della vasca superiore Compilatore: Puddu, Manuela nei pressi della vasca superiore Fotografo: Monari, Nicola
Collocazione: Cagliari Collocazione: Cagliari Compilatore: Puddu, Manuela
Museo Archeologico Nazionale Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Statua Oggetto: Statua
Materia e tecnica: Trachite/ scalpellatura Materia e tecnica: Trachite grigio-
Misure: h 81,5. chiara/ scalpellatura
Descrizione: Statua di Bes stante, in Misure: h 79
posizione frontale, deforme per Descrizione: Statua acefala di Bes,
proporzioni e pinguedine. Testa stante su basamento, in posizione
sommariamente sbozzata; braccia frontale, deforme per proporzio-
piegate e mani accostate al ven- ni e pinguedine. Braccia piegate e
tre; il corpo nudo è cinto intorno mani accostate al ventre; il corpo
ai ianchi da un perizoma; sulla nudo è cinto intorno ai ianchi da
schiena la gobba. Intorno al brac- un perizoma, arrotolato intorno
cio sinistro ed alla vita si arrotola ad un cingulum alla vita; sulla schie-
un serpentello. na la gobba. Intorno alla mano
1.239 - Mosaico arco più alta dei merli. Segue un Cronologia: Sec. II d.C.
Numero Catalogo Generale: 00097736 campo nero, separato da una linea Bibliograia: angioLiLLo 1981, pp.
Numero inventario: 3534/4941/8538 nera di tre tessere e una bianca di 183-184, tav. XXV, ig. 155.
Provenienza: Porto Torres (SS) quattro, partito in una serie di pic- Fotografo: Dessì, Pierluigi
Terme centrali coli quadrati bianchi tangenti per Compilatore: Trudu, Enrico
Collocazione: Sassari i vertici, intersecantisi in modo
Museo Nazionale G.A. Sanna da creare riquadri. Questi ultimi
Oggetto: Mosaico sono occupati da quadrati bianchi
Materia e tecnica: Marmo di Carrara/ diagonali, a loro volta decorati,
a mosaico; marmo nero antico/ su ile alterne, da una svastica nera
a mosaico con le estremità ripiegate o dalle
Misure: largh. 230; lungh. 242; lar- stesse diagonali segnate da tesse-
gh. tessere 0,9; lungh. tessere 1,4 re nere tangenti per i vertici. Lo
Descrizione: Mosaico con bordo schema può interpretarsi come
esterno decorato da una schema- una composizione di scalei a T. Sul
tica rappresentazione di cortina lato opposto, il bordo, separato dal
muraria in opera isodoma: tre i- campo da una doppia proilatura di
lari di blocchi rettangolari bianchi quattro tessere bianche e tre nere,
proilati di nero, coronati da merli è decorato da un girale di tessere
neri a T disposti ad intervalli re- nere.
golari e interrotti da una porta ad Stato di conservazione: Mutilo
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1.246 - Affresco quale si conservano parte di un tral- 1.247 - Affresco residua la parte destra del volto di una
Numero Catalogo Generale: 00163061 cio vegetale arcuato ed un elemento Numero Catalogo Generale: 00163060 igura femminile, verosimilmente la
Numero inventario: Assente non meglio identiicato su uno sfon- Numero inventario: Assente personiicazione dell’Estate.
Provenienza: Cagliari, via Tigellio do bianco-grigio; i colori utilizzati Provenienza: Cagliari, via Tigellio Stato di conservazione: Frammentario
Collocazione: Cagliari, Dipartimento sono il verde, il rosato e il bruno. Collocazione: Cagliari, Dipartimento Cronologia: Secc. II/III d.C.
di Storia, Beni Culturali e Territorio, Stato di conservazione: Frammentario di Storia, Beni Culturali e Territorio, Bibliograia: Villa Tigellio 1981, p. 39
Cittadella dei Musei Cronologia: Sec. I d.C. Cittadella dei Musei n. 2, tav. IV, 1.
Oggetto: Affresco Bibliograia: Villa Tigellio 1981, pp. 38- Oggetto: Affresco Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Intonaco/ a fresco 39 n. 1, tav. 3, 1. Materia e tecnica: intonaco/ a fresco Compilatore: Pilo, Chiara
Misure: h 18; largh. 12,5; spess. primo Fotografo: Monari, Nicola Misure: h 14,6; largh. 13; spess. 2,4;
strato intonaco 1,2; spess. secondo Compilatore: Pilo, Chiara spess. primo strato intonaco 0,9;
strato intonaco 1,1; spess. terzo stra- spess. secondo strato intonaco 1,2;
to intonaco 0,3. spess. terzo strato intonaco 0,3
Descrizione: due frammenti comba- Descrizione: Due frammenti comba-
cianti di rivestimento parietale costi- cianti di rivestimento parietale forma-
tuito da tre strati di intonaco. Il pri- to da tre strati di intonaco di cui due
mo e il secondo strato sono di colore più grossolani, con inclusi frequenti
bianco con inclusi rosati e grigi di di piccole dimensioni, più radi di me-
piccole dimensioni; più sottile e ine die dimensioni, e un terzo, quello su-
lo strato superiore, sul quale è rea- periciale, più ine; su questo è realiz-
lizzata la decorazione igurata, della zata la decorazione dipinta della quale
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2.
Istituzioni
ed epigrafia
della Sardegna
romana
e tardoantica
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica
2.1 - Iscrizione sacra è costituita da una ricca ghirlanda Bibliograia: Le gLay 1984, pp. 105-115,
Numero Catalogo Generale: 00163002 di iori e frutti, divisa da nastri in tavv. I-IV, p. 116 ig. 1; Boninu 1984,
Numero inventario: 13017 quattro festoni, che poggiano su pp. 28-29, ig. 11; sotgiu 1988, pp.
Provenienza: Porto Torres (SS) quattro elementi: da sinistra a de- 595-596, n. B69; Mastino & visMa-
Terme centrali stra, essi rappresentano una divini- ra 1994, pp. 38-39, ig. 22.
Collocazione: Porto Torres (SS) tà-serpente con iore di loto sulla Fotografo: Dessì, Pierluigi
Museo Archeologico Nazionale testa rivolta verso destra, una iac- Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Antiquarium Turritano cola, una seconda divinità-serpente
Oggetto: Ara con iscrizione con iore di loto sulla testa rivolta
Materia e tecnica: Marmo bianco/ verso sinistra, inine una seconda
scalpellatura/ levigatura/ a trapano iaccola; la decorazione è comple-
Lingua dell’iscrizione: Latino tata da due elementi cultuali, posti
Tecnica di scrittura: A solchi al di sopra di due dei quattro festo-
Tipo di caratteri: Lettere capitali ni, ai lati dell’iscrizione: una situla
Posizione dell’iscrizione: Fascia centrale (vaso rituale contenente l’acqua
dell’altare sacra del Nilo) e un sistro. L’iscri-
Misure: h 92; diam. 60; h lettere zione è una dedica alla divinità
2,7-4 egiziana Bubastis da parte di C(aius)
Descrizione: Ara di forma cilindrica, Cuspius Felix.
riccamente decorata lungo tutta la Stato di conservazione: Integro
supericie laterale; la decorazione Cronologia: 35 d.C.
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2.13 - Iscrizione onoraria Il manufatto è di forma parallele- 1996, p. 1466, n. 26; zucca 2003a,
Numero Catalogo Generale: 00163078 pipeda, con doppia modanatura a p. 234, n. 20, p. 236, n. 1; cenerini
Numero inventario: 5920 listello nella base. Sulla faccia su- 2008a, pp. 223-224, ig. 2.
Provenienza: Sant’Antioco (CI) periore del blocco si trovano i fori Fotografo: Monari, Nicola
Collocazione: Sant’Antioco (CI), per i perni di issaggio di una sta- Compilatore: Lai, Francesca
Museo Archeologico Comunale tua; negli stessi alloggiamenti sono
F. Barreca presenti tracce di metallo. Dall’i-
Oggetto: Base onoraria con iscrizione scrizione si deduce che la statua
Materia e tecnica: Pietra/ scalpellatura/ doveva appartenere a un ediicio
levigatura/ a incisione sacro dedicato alla Signora Elat e
Lingua dell’iscrizione: Latino/neopunico fatto realizzare da Himilco al quale
Tecnica di scrittura: A solchi il iglio omonimo dedica la statua.
Tipo di caratteri: Lettere capitali Stato di conservazione: Mutilo
Posizione dell’iscrizione: Faccia del blocco Cronologia: 101-44 a.C.
Misure: h 85; largh. 77; prof. 74; h Bibliograia: CIL X 7513; degrassi
lettere 2,5 1957, n. 158; aMadasi guzzo 1967,
Descrizione: Base con iscrizione bi- pp. 129-131, n. 4, tav. LIII; vidMan
lingue su campo epigraico aperto 1969, n. 149; uBerti 1983, pp. 800
e impaginata su sette linee, di cui ss.; BartoLoni 1986, p. 201, n.1189;
le prime tre costituiscono il testo aMadasi guzzo 1990, p. 80, n. 13;
latino, le restanti quello neopunico. zucca 1994, p. 886, n. 62; zucca
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2.19 - Iscrizione funeraria listello, di cui rimangono solo due 667, n. C116; durLiat 1982; Cata-
Numero Catalogo Generale: 00163090 frammenti, nella parte inferiore de- logo P.E.T.R.A.E. 2002, pp. 535-
Numero inventario: 21645 stra e nell’angolo inferiore destro. 537, n. 337; artizzu 2008, pp. 76-
Provenienza: Donori (CA) Sul verso il testo è inciso su campo 79, Lai 2012.
chiesa di San Nicola, oggi distrutta epigraico aperto e occupa tutti i Fotografo: Monari, Nicola
Collocazione: Cagliari frammenti residui. L’iscrizione sul Compilatore: Lai, Francesca
ex Museo Archeologico Nazionale recto è l’epitafio di Aurelia Honora-
Oggetto: Lastra con iscrizione ta posto dallo sposo Eupr[epes---?],
Materia e tecnica: Marmo/ lisciatura/ verna Aug(ustorum trium); l’iscrizione
a incisione sul verso è un prezziario dettagliato
Lingua dell’iscrizione: Latino relativo ai dazi applicati alle merci
Tecnica di scrittura: A solchi in transito da alcune aree dell’ager
Tipo di caratteri: Lettere capitali karalitanus verso la capitale.
Posizione dell’iscrizione: Su recto e verso Stato di conservazione: Parzialmente
Misure: h frammenti 13,5-38; largh. ricomposto
frammenti 41-84 Cronologia: Iscrizione sul recto: 209-
Descrizione: Lastra opistografa par- 211 d.C., iscrizione sul verso: 582-
zialmente ricomposta da quattro 602 d.C.
frammenti contigui iscritti e due Bibliograia: EE VIII 720-721; Pani
solidali. Sul recto l’iscrizione è incisa erMini & Marinone 1981, pp. 47-
entro doppia cornice modanata a 48, n. 77, ig. 77; sotgiu 1988, p.
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2.28 - Iscrizione funeraria chio; altri quattro fori situati alla ig. 104; Mastino 1984, p. 94, n.
Numero Catalogo Generale: 00163026 base. Al centro del lato a vista, in 8, tav. IX; sotgiu 1988, p. 665, n.
Numero inventario: 5 uno spazio risparmiato alla de- C108; iBBa & teatini 2006a, pp.
Provenienza: Porto Torres (SS) corazione, è collocata una tabula 55-63, pp. 62-63, igg. 1-4.
Collocazione: Sassari epigraphica rettangolare; ai suoi lati Fotografo: Dessì, Pierluigi
Museo Nazionale G.A. Sanna è collocata un’articolata scena di Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Oggetto: Sarcofago/cassa caccia, con schema simmetrico:
con iscrizione quattro grifoni a testa di leone
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ divorano due tori e due arieti;
a incisione sotto la tabula, un cane assale una
Lingua dell’iscrizione: Latino lepre, mentre una seconda lepre
Tecnica di scrittura: A solchi è già stata uccisa. Ai lati è rafi-
Tipo di caratteri: Lettere capitali gurato un grifone con la zampa
Posizione dell’iscrizione: Al centro del appoggiata alla testa di un ariete.
lato frontale del sarcofago L’iscrizione contiene l’epitafio di
Misure: h 54; largh. 217; prof. 60; Iulia Severa, dedicato dal marito
spess. 7,5; h lettere 2,57-3,14 Quintus Iulius Zosimianus.
Descrizione: Sarcofago di forma Stato di conservazione: Integro
parallelepipeda; sui ianchi, in Cronologia: 130-160 d.C.
alto, è presente una coppia di pic- Bibliograia: CIL X 7962; Pesce
coli fori per il issaggio del coper- 1957, pp. 96-97, n. 54, tav. LXXV,
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2.43 - Iscrizione funeraria tiche con taglio orizzontale sotto il Bibliograia: Maetzke 1966, pp.
cristiana P, inserite entro ciascuna delle alette 355-357, pp. 357-358, ig. 2-4; an-
Numero Catalogo Generale: 00162996 laterali; è realizzata in tessere bianche gioLiLLo 1981, p. 193, n. 173, tavv.
Numero inventario: 9038 su fondo rosso; alla ine del testo è XXXVIII, XLVIII; Mastino 1984,
Provenienza: Porto Torres (SS) presente una palma. La tabula, con- pp. 63-64, note 135-136; sotgiu
abitazione privata torniata da tessere nere e circondata 1988, pp. 596, n. B75; corda 1999,
Collocazione: Porto Torres (SS) da una stretta fascia con un motivo p. 205, TUR010, tav. LII; AE 1999,
Museo Archeologico Nazionale a meandro spezzato, è inserita in un n. 815.
Antiquarium Turritano riquadro a fondo bianco, anch’esso Fotografo: Dessì, Pierluigi
Oggetto: Mosaico con iscrizione contorniato di tessere nere; ai lati Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Materia e tecnica: Pasta vitrea/ a mosaico della tabula ansata sono presenti
Lingua dell’iscrizione: Latino quattro colombe. Intorno al riqua-
Tecnica di scrittura: A mosaico dro bianco corre una cornice for-
Tipo di caratteri: Lettere capitali mata da un motivo a treccia a sette
Posizione dell’iscrizione: Entro tabula nastri, realizzato con tessere bianche,
ansata nere e gialle. L’iscrizione è la dedica
Misure: h 140; largh. 270 a Septimia Musa, morta a 47 anni, 5
Descrizione: Rivestimento musivo di mesi e 15 giorni, da parte del marito.
tomba a cassone. In alto presenta Stato di conservazione: Parzialmente
un’iscrizione collocata entro una ta- ricomposto
bula ansata, con croci monogramma- Cronologia: 350-450 d.C.
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2.76 - Diploma militare palinsesto sata. Il testo più antico era parte di un’i-
Numero Catalogo Generale: 00121349 scrizione verosimilmente pubblica e
Numero inventario: Assente onoraria, che (in dativo o nominativo)
Provenienza: Seulo (CA) ricordava un C. Aes[---], altrimenti sco-
Collocazione: Cagliari nosciuto. La lamina è stata riutilizzata
Museo Archeologico Nazionale per l’incisione del testo di un diploma
Oggetto: Lastra di rivestimento militare di cui è leggibile la datazione
con iscrizione consolare (202-218 d.C.), il nome del
Materia e tecnica: Bronzo/ laminatura/ beneiciario, Tarcutius Hospitalis, di Kara-
a bulino les, e parte del nome dei testimoni che
Lingua dell’iscrizione: Latino davano validità giuridica al documento.
Tecnica di scrittura: A solchi Stato di conservazione: Parzialmente ri-
Tipo di caratteri: Lettere capitali composto
Posizione dell’iscrizione: recto e verso Cronologia: Sec. II/202-218 (forse
Misure: h 15,8; largh. 14,5; spess. 212) d.C.
0,1; h lettere 0,14-4 Bibliograia: AE 1898, 78; AE 1916,
Descrizione: Frammento palinsesto, 52; CIL XVI 127; sotgiu 1961b, p.
corrispondente all’angolo superiore 120, n. 181; Catalogo P.E.T.R.A.E.
sinistro di una placca. Supericie accu- 2002, pp. 1220-1221, n. 933.
ratamente lavorata; campo epigraico Fotografo: Monari, Nicola
inquadrato da una cornice liscia ribas- Compilatore: Ibba, Antonio
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2.85 - Mosaico pavimentale sere di colore rosso, che includono 1; angioLiLLo 1981, pp. 85-86, n. 72;
Numero Catalogo Generale: 00163102 disegni geometrici a motivi loreali sotgiu 1988, p. 561, n. A68; zuc-
Numero inventario: Assente (due iori bianchi a sei petali fusi- ca 1996, pp. 1459-1460; coLavitti
Provenienza: Cagliari, palazzo dell’INPS formi). Il mosaico comprendeva 2003, pp. 63-64, ig. 40 a, b, c, d, f.
sito della fullonica due sezioni. La parte attualmente Fotografo: Monari, Nicola
Collocazione: Cagliari, palazzo dell’INPS visibile comprende solo gli elemen- Compilatore: Lai, Francesca
sito della fullonica ti marini (piccoli delini; ancora,
Oggetto: Mosaico pavimentale bipenne, timone, in tessere nere) e
con iscrizione include inoltre un campo proilato
Materia e tecnica: Marmo colorato/ da tre ile di tessere rosse e decora-
a mosaico to da due gruppi di cerchi neri su
Lingua dell’iscrizione: Latino cui si inserisce il motivo loreale. I
Tecnica di scrittura: A solchi due gruppi musivi sono separati da
Tipo di caratteri: Lettere capitali una fascia, in cui sono inserite due
Posizione dell’iscrizione: Su mosaico, piccole clessidre. L’iscrizione con-
sotto motivo geometrico tiene il nome del proprietario della
Misure: h 89; largh. 163; h lettere fullonica, Marcus Plotius Rufus.
6,3-10 Stato di conservazione: Mutilo
Descrizione: Iscrizione musiva di- Cronologia: Sec. I a.C.
sposta su un’unica linea, inquadrata Bibliograia: Sotgiu 1961b, p. 50, n.
entro una cornice costituita da tes- 58; angioLiLLo 1978a, p. 188, tav. II,
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3.
La Sardegna
tardoantica
e altomedievale
La Sardegna tardoantica e altomedievale
3.1 - Lucerna quadrati concentrici che racchiudono 3.2 - Lucerna Bibliograia: Serra 1997, pp. 335-
Numero Catalogo Generale: 00120998 due cerchi alternati a rosette a giran- Numero Catalogo Generale: 00111496 401; sPanu 1998, p. 220.
Numero inventario: 82053 dola con un puntino rilevato centrale Numero inventario: Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Sconosciuta inserite in un cerchio. L’ansa piena e (numero d’ordine P649) Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Collocazione: Cagliari puntuta sorge dal corpo e si collega Provenienza: Tharros (Cabras - OR)
Museo Archeologico Nazionale alla base ad anello. Collocazione: Oristano
Oggetto: Lucerna Stato di conservazione: Intero Antiquarium Arborense
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Cronologia: Secc. V/VI d.C. Museo Archeologico G. Pau
verniciatura Bibliograia: Pani erMini & Marino- Oggetto: Lucerna
Misure: h 3,7; diam. 6; lungh. 11 ne 1981, p. 129, ig. 211; saLvi 2005. Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
Descrizione: Lucerna in terra sigillata Fotografo: Monari, Nicola ingobbiatura
africana tipo Atlante forma X A1 a, Compilatore: Sanna, Anna Luisa Misure: h 3,7; diam. 9,1; lungh. 9,5;
di forma allungata con canale lungo diam. base 3
e rastremato e beccuccio circolare. Descrizione: Lucerna di produzione
Il disco concavo, a due infundibula, è orientale/egiziana, di forma cir-
decorato con una croce monogram- colare, con infundibulum centrale e
matica; un bordo rilevato che si pro- becco circolare. Il fondo è a disco.
lunga ai margini del canale lo separa L’argilla è di colore arancione chia-
dall’orlo orizzontale. La decorazione ro, poco depurata, micacea.
comprende anche un piccolo cerchio Stato di conservazione: Intero
impresso sotto la croce e due motivi Cronologia: Secc. VII/VIII d.C.
3.3 - Lucerna pasto è depurato, con minuscole 3.4 - Lucerna a disco none 1981, p. 132, ig. 219; sPanu
Numero Catalogo Generale: 00163157 tracce di mica. Numero Catalogo Generale: 00163270 1998, p. 218, nota 1054; MartoreL-
Numero inventario: OMA 586 Stato di conservazione: Integro Numero inventario: 82059 Li 2002, pp. 137-148; saLvi 2005
Provenienza: Olbia, porto Cronologia: Secc. V/VI d.C. Provenienza: Sconosciuta pp. 196-197; sangiorgi 2006, pp.
Collocazione: Olbia Bibliograia: BarBera & Petriaggi Collocazione: Cagliari 137-150.
Museo Archeologico 1993, p. 174, n. 132. Museo Archeologico Nazionale Fotografo: Monari, Nicola
Oggetto: Lucerna Fotografo: Dessì, Pierluigi Oggetto: Lucerna a disco Compilatore: Dore, Stefania
Materia e tecnica: Argilla/ a stampo Compilatore: Sangiorgi, Silvia Materia e tecnica: Impasto/ a matrice
Misure: diam. 6,3; lungh. 10,9; diam. Misure: largh. 9,2; lungh. 8,4
fondo 3 Descrizione: Frammento di disco
Descrizione: Lucerna in terra sigillata e di parte dell’orlo e del canale di
africana tipo Atlante forma X A1 a, una lucerna di forma allungata tipo
con il becco a canale aperto e spalla Atlante forma X. Il disco, concavo,
piatta, disco rotondo con due in- ha due infundibula ed è separato
fundibula. La decorazione realizzata dall’orlo orizzontale da un bordo
sulla spalla presenta tre cerchi con- rilevato che si prolunga ai margini
centrici decorati a girandola che si del canale. La decorazione riporta
alternano a tre quadrati gemmati una igura di orante con tunica.
con cerchi inscritti; sul disco, in- Stato di conservazione: Frammentario
vece, è presente uno iota gemmato Cronologia: Sec. V d.C.
decorato da viticci e corimbi. L’im- Bibliograia: Pani erMini & Mari-
3.5 - Piatto terno e all’esterno in sotto l’orlo. 3.6 - Piatto scuro, piuttosto depurato, con in-
Numero Catalogo Generale: 00163158 Stato di conservazione: Frammentario Numero Catalogo Generale: 00116161 clusi bianchi di piccole dimensioni,
Numero inventario: OMA 575 Cronologia: Metà sec. V d.C. Numero inventario: 186475 a frattura irregolare e dal caratteri-
Provenienza: Olbia, porto Bibliograia: hayes 1972, n. 61A; Provenienza: Serrenti (CA), Sant’Antonio stico suono metallico.
Collocazione: Olbia Pietra 2006, pp. 181-186. Collocazione: Sardara (VS) Stato di conservazione: Integro
Museo Archeologico Fotografo: Dessì, Pierluigi Civico Museo Archeologico Cronologia: Secc. III/VII d.C.
Oggetto: Piatto Compilatore: Sangiorgi, Silvia Villa Abbas Bibliograia: saLvi 2005, pp. 198-199.
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Oggetto: Piatto Fotografo: Monari, Nicola
lucidatura Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Compilatore: Sangiorgi, Silvia
Misure: largh. 10; lungh. 21,5; spess. 0,5 ritocco a stecca
Descrizione: Piatto tipo Hayes 61A, Misure: h 4; diam. 20,5
con orlo congiunto alla parete obli- Descrizione: Piatto con orlo indistin-
qua a spigolo vivo all’esterno e in- to, vasca profonda con parete cur-
clinato con un gradino, all’interno. vilinea, fondo piatto, pareti sottili.
Il fondo è piano. Presenta quattro Sono visibili segni di tornitura. Le
fasce concentriche sovradipinte in superici sia interne che esterne
rosso mattone all’interno e sull’or- sono contraddistinte all’interno da
lo; alle fasce più esterne sono ap- steccature radiali sul fondo e pa-
pesi motivi a ghirlanda con altri, rallele sulle pareti e all’esterno da
più piccoli, ad andamento circo- steccature parallele sulle pareti e sul
lare. La supericie è lucidata all’in- fondo. Il corpo ceramico è beige
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La Sardegna tardoantica e altomedievale
3.9 - Brocca Stato di conservazione: Reintegrato 3.10 - Brocca 356-357, ig. 41; Atlante forme 1981,
Numero Catalogo Generale: 00163293 Cronologia: Secc. VI/VIII d.C. Numero Catalogo Generale: 00163294 pp. 42-43; steFani 1984, pp. 71-73;
Numero inventario: 66694/1396/83 Bibliograia: FuLFord & Peacock 1984, Numero inventario: 1399/83 rovina 1986a, p. 45; rovina 1990,
Provenienza: Sassari ig. 79, nn. 4 e 18; rovina 1986a, p. 45; Provenienza: Sassari, Fiume Santo p. 85, igg. 9,1; 10, a destra; rovina
insediamento tardoantico rovina 1990, p. 85, ig. 10; rovina 2000, Collocazione: Sassari 2000, p. 52, ig. a pag. 52, a destra.
e altomedievale di Fiume Santo p. 52, ig. a; scattu 2002, pp. 301-302; Museo Nazionale G.A. Sanna Fotografo: Dessì, Pierluigi
Collocazione: Sassari BoniFay 2004, pp. 291, 293, ig. 162. Oggetto: Brocca Compilatore: Nieddu, Anna Maria
Museo Nazionale G.A. Sanna Fotografo: Dessì, Pierluigi Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Oggetto: Brocca Compilatore: Nieddu, Anna Maria Misure: h 15; diam. 8,6; diam. piede 4,1
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Descrizione: Brocca con corpo piri-
Misure: h 12,5; diam. fondo 5,2 forme, alto collo cilindrico rigonio
Descrizione: Brocca a corpo globu- sotto l’orlo, distinto e ingrossato,
lare, privo di piede e con fondo segnato da un leggero ingrossa-
piano; collo cilindrico con orlo in- mento all’attacco con la spalla. Il
grossato e arrotondato. piede è anulare. Sulla parte superio-
Il corpo e il collo presentano sull’in- re del corpo sono state realizzate al
tera supericie costolature ottenute momento della lavorazione al tor-
al momento della lavorazione al tor- nio alcune solcature leggere.
nio. Sull’orlo e sulla spalla si impo- Stato di conservazione: Mutilo
sta un’ansa a bastoncello, a sezione Cronologia: Secc. IV/VII d.C.
ovale. Bibliograia: Boninu 1973, pp. 347,
3.11 - Brocca dovuti alle condizioni di cottura e 3.12 - Brocca lucentezza del rivestimento sono
Numero Catalogo Generale: 00163154 dalle steccature verticali e oblique che Numero Catalogo Generale: 00163161 meno evidenti. La decorazione è
Numero inventario: Assente dall’orlo arrivano al fondo dove si di- Numero inventario: OMA 603 completata da sette linee parallele
Provenienza: Cagliari spongono in cinque aree trapezoidali Provenienza: Olbia, porto incise in prossimità della spalla.
necropoli di San Lorenzo di differenti dimensioni. Impasto ben Collocazione: Olbia Stato di conservazione: Parzialmente
Collocazione: Cagliari depurato con piccoli inclusi bianchi. Museo Archeologico ricomposto
Museo Archeologico Nazionale Stato di conservazione: Integro Oggetto: Brocca Cronologia: Secc. IX/X d.C.
Oggetto: Brocca Cronologia: Sec. III d.C. Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Bibliograia: rovina 2002b, p. 173,
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Bibliograia: saLvi 1994a, pp. 284-285. invetriatura ig. 181, p. 310.
ritocco a stecca Fotografo: Monari, Nicola Misure: h 26; largh. 13,4; diam. 22,3 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Misure: h 15; diam. 12,8; h all’orlo 14,4; Compilatore: Sangiorgi, Silvia Descrizione: Brocca in ceramica Fo- Compilatore: Sangiorgi, Silvia
diam. collo 6,4; diam. fondo 8,23; lar- rum Ware di forma ovoidale con
gh. ansa 2,3; diam. umbone 1,3 fondo piano e beccuccio a cannello
Descrizione: Brocca in ceramica di tubolare, leggermente schiacciato
produzione cosiddetta campidane- all’estremità e staccato dall’orlo. Sul-
se (a linee polite/ steccata), con orlo la supericie esterna, caratterizzata
estrolesso e collo di forma cilindrica. dall’applicazione di petali ben rile-
La spalla è leggermente schiacciata e il vati e distribuiti in modo piuttosto
fondo convesso e ombelicato; l’ansa è rado, la vetrina verde, scura e bril-
a nastro. Le pareti sottili sono caratte- lante è distribuita uniformemente;
rizzate da un’ampia gamma di colori all’interno, invece, lo spessore e la
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La Sardegna tardoantica e altomedievale
3.13 - Brocca piccoli inclusi bianchi. Il manufatto 3.14 - Brocca cature, verticali, leggermente oblique
Numero Catalogo Generale: 00163165 appartiene al gruppo di ceramiche Numero Catalogo Generale: 00163166 ed orizzontali; sul fondo e attorno
Numero inventario: 186477 comuni denominato brocchette bi- Numero inventario: 186474 all’umbone, invece, le stesse sono
Provenienza: Serrenti (CA), Sant’Antonio zantine, prodotte probabilmente in Provenienza: Serrenti (CA), Sant’Antonio circolari. Impasto di colore marrone,
Collocazione: Sardara (VS) Nord Africa e presenti in una vasta Collocazione: Sardara (VS) poco depurato, con evidenti inclusi
Civico Museo Archeologico area del Mediterraneo occidentale. Civico Museo Archeologico Villa Abbas bianchi e neri, a fattura irregolare.
Villa Abbas Stato di conservazione: Mutilo Oggetto: Brocca Stato di conservazione: Integro
Oggetto: Brocca Cronologia: Secc. VI/VII d.C. Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Cronologia: Secc. III/VII d.C.
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Bibliograia: scattu 2002, pp. 301-322. ritocco a stecca Bibliograia: saLvi 2005, p. 58, tav. 26,2.
Misure: h 17; diam. 12,1; diam. orlo Fotografo: Monari, Nicola Misure: h 17,1; diam. 16; diam. orlo Fotografo: Monari, Nicola
5,5; diam. fondo 6,3 Compilatore: Sangiorgi, Silvia 8,2; diam. fondo 4; sp. ansa 1 Compilatore: Sangiorgi, Silvia
Descrizione: Brocca con collo cilindri- Descrizione: Brocca in ceramica di
co ad orlo arrotondato e ingrossato, produzione cosiddetta campidanese
corpo ovoidale e fondo apodo, ansa (a linee polite / steccata), con bocca
verticale leggermente schiacciata. circolare e orlo arrotondato ed estro-
Sulla pancia e all’attacco dell’ansa lesso, corpo rigonio e fondo om-
sono visibili tracce di utilizzo di stec- belicato con bottone esterno, ansa
ca per il trattamento delle superici. verticale a nastro con lieve depres-
Le costolature orizzontali sul corpo sione mediana. La supericie delle
e sul collo sono omogenee. Impasto pareti, sottili e dal caratteristico suo-
di colore beige, ben depurato con no metallico, rende evidenti le stec-
3.15 - Brocca caratteristico suono metallico, rende 3.16 - Brocca globulare Stato di conservazione: Intero
Numero Catalogo Generale: 00163168 evidenti steccature sia in orizzontale Numero Catalogo Generale: 00121736 Cronologia: Sec. II d.C.
Numero inventario: 166498 sia in verticale. Impasto di colore bei- Numero inventario: 33771 Bibliograia: sirigu 1999, pp. 129-176.
Provenienza: Sinnai (CA) ge scuro, depurato con piccoli inclusi Provenienza: Sconosciuta Fotografo: Monari, Nicola
Collocazione: Sinnai (CA) bianchi; fattura irregolare. (collezione Gouin) Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Pinacoteca comunale Stato di conservazione: Parzialmente Collocazione: Cagliari
e Civico Museo Archeologico ricomposto Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Brocca Cronologia: Secc. III/VII d.C. Oggetto: Brocca globulare
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Bibliograia: iBBa 2001, p. 77, n. 31; Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
ritocco a stecca iBBa 2006, p. 415. a stecca/ ingobbiatura
Misure: h 22; diam. 9,9; h all’orlo Fotografo: Monari, Nicola Misure: h 16; diam. 11,4; diam. piede
20,9; diam. fondo 7,1 Compilatore: Sangiorgi, Silvia 4,5; diam. esterno dell’imboccatura 3,8
Descrizione: Brocca in ceramica cam- Descrizione: Brocca globulare leg-
pidanese (a linee polite / steccata), germente schiacciata, con un’uni-
con collo cilindrico leggermente ri- ca ansa a nastro, collo allungato,
gonio e orlo distinto arrotondato rigonio, orlo estrolesso e piede
e appiattito. La spalla è leggermente a disco. La supericie esterna, con
schiacciata, il fondo convesso e om- tracce di steccatura, è trattata con
belicato, con un bottone esterno. ingobbiatura di colore chiaro che in
L’ansa verticale è a nastro e costolata. alcuni punti lascia visibile il colore
La supericie delle pareti, sottili e dal arancione dell’argilla sottostante.
421
La Sardegna tardoantica e altomedievale
3.18 - Brocca 322; vokaer 2009, pp. 121-136. 3.19 - Brocca da una doppia fascia di tratti im-
Numero Catalogo Generale: 00121573 Fotografo: Monari, Nicola Numero Catalogo Generale: 00117597 pressi e da una serie di V rovesciate.
Numero inventario: 18/11063 Compilatore: Sanna, Anna Luisa Numero inventario: 18/11063 Stato di conservazione: Intero
Provenienza: Santadi (CA) Provenienza: Tharros (Cabras - OR) Cronologia: Secc. V/VI d.C.
tomba di Barrua de Basciu Collocazione: Oristano Bibliograia: Ceramica Italia 1998,
Collocazione: Cagliari Antiquarium Arborense pp. 392-393, ig. 3,2; BoniFay 2004,
Museo Archeologico Nazionale Museo Archeologico G. Pau p. 292, ig. 163.
Oggetto: Brocca Oggetto: Brocca cathma A24 Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Compilatore: Sanna, Anna Luisa
ingobbiatura ingobbiatura
Misure: h 16; diam. 10; diam. im- Misure: h 17,5; diam. 11,5
boccatura 5,3; diam. base piatta 5 Descrizione: Piccola brocca con cor-
Descrizione: Piccola brocca con cor- po globulare schiacciato, lungo col-
po globulare e collo cilindrico, con lo svasato, orlo a fascia segnato da
ansa impostata direttamente sul collarino. L’ansa è impostata sulla
collo; base piatta. Il corpo e il collo carenatura della pancia e si con-
presentano costolature orizzontali. clude nel collo, sotto l’orlo, con un
Stato di conservazione: Intero gradino. Il piede è a disco.
Cronologia: Secc. VI/VII d.C. Nella parte inferiore del corpo le
Bibliograia: serra 1995, pp. 383- costolature sono nette, assenti in-
385, ig. 3; scattu 2002, pp. 301- vece nella parte superiore decorata
3.20 - Brocca p. 4, n. 1; Lavazza & vitaLi 1994, 3.21 - Boccale biconico Stato di conservazione: Parzialmente
Numero Catalogo Generale: 00163314 p. 42; ricci 1998, pp. 358-360, ig. Numero Catalogo Generale: 00163271 ricomposto
Numero inventario: 42771/651 4,7; rovina 2000, p. 46. Numero inventario: 9043 Cronologia: Secc. VII/VIII d.C.
Provenienza: Cheremule (SS) Fotografo: Dessì, Pierluigi Provenienza: Porto Torres (SS) Bibliograia: serra 1976, pp. 7-8, n.
San Pietro in Murighe Compilatore: Nieddu, Anna Maria Terme centrali 6, tav. XIV, 1; whitehouse 1980,
complesso ipogeico di Furrighesus Collocazione: Sassari pp. 125-156; caPrara 1986, p. 180;
o Museddus (?) Museo Nazionale G.A. Sanna ParoLi 1992, pp. 33-61; Mazzucato
Collocazione: Sassari Oggetto: Boccale biconico 1993; sannazaro 1994, pp. 242-250;
Museo Nazionale G.A. Sanna Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ rovina 2000, pp. 23, 26, ig. a p. 26.
Oggetto: Brocca invetriatura Fotografo: Dessì, Pierluigi
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Misure: h 8,2; diam. 4,8; diam. bocca 6,5 Compilatore: Nieddu, Anna Maria
Misure: h 14,5; diam. 15,5; diam. Descrizione: Boccale biconico in cera-
fondo 12; diam. orlo 8,5 mica Forum Ware. Il corpo è panciuto,
Descrizione: Brocca con corpo pan- con collo breve e fondo piano. L’ansa
ciuto e fondo piano; l’ansa a nastro a nastro spesso si imposta sul labbro e
si imposta sull’orlo e sulla spalla. Rea- in prossimità del fondo; in posizione
lizzata con impasto grossolano, ricco opposta rispetto a questa, sulla spalla,
di inclusi. c’è un piccolo beccuccio. La decora-
Stato di conservazione: Mutilo zione a squame è presente sul corpo,
Cronologia: Secc. VII/VIII d.C. mentre sul collo si dispongono quat-
Bibliograia: saLvi & serra 1990, tro scanalature orizzontali parallele.
3.22 - Brocca ovoidale Stato di conservazione: Mutilo 3.23 - Brocca Bibliograia: serra 1995, pp. 384-
Numero Catalogo Generale: 00007900 Cronologia: Secc. VII/VIII d.C. Numero Catalogo Generale: 00162601 386; Scattu 2002, pp. 301-322.
Numero inventario: 918/610 Bibliograia: taraMeLLi 1940, p. 86; Numero inventario: 918/610 Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Cheremule (SS) caPrara 1986, p. 172; caPrara Provenienza: Santadi (CI) Compilatore: Cisci, Sabrina
San Pietro in Murighe 1988, p. 431, n. 18; saLvi & serra tomba di Barrua de Basciu
complesso ipogeico di Furrighesus 1990, p. 4, n. 1; arthur & Patter- Collocazione: Cagliari
o Museddus (?) son 1994, ig. 4,1; siena, troiano Museo Archeologico Nazionale
Collocazione: Sassari & verrocchio 1998, pp. 693, 695, Oggetto: Brocca
Museo Nazionale G.A. Sanna igg. 25, 14-15; rovina 2000, p. 46. Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Oggetto: Brocca ovoidale Fotografo: Dessì, Pierluigi Misure: h 20; diam. 11,7
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Compilatore: Nieddu, Anna Maria Descrizione: Brocca con collo cilin-
incisione a crudo drico dall’orlo ispessito ad anello,
Misure: h 15; diam. 13,5; diam. piede 8,5 corpo ovoide, base a piattello e
Descrizione: Brocca con corpo pan- ansa a bastoncello leggermente
ciuto, collo basso appena distinto sopraelevata sull’orlo e impostata
dalla spalla e base piana; l’ansa, a verticalmente sulla spalla. La super-
bastoncello a sezione ellittica, si im- icie del collo e del corpo presenta
posta sotto l’orlo e sulla spalla. Sulla costolature distribuite uniforme-
spalla sono stati realizzati, con inci- mente.
sione a pettine, un motivo di linee Stato di conservazione: Mutilo
verticali e due bande concentriche. Cronologia: Secc. VI/VII d.C.
422
La Sardegna tardoantica e altomedievale
3.24 - Pentola La supericie interna è leggermente 3.25 - Anfora Cronologia: Sec. VI d.C.
Numero Catalogo Generale: 00163272 annerita in alcuni punti. L’impasto Numero Catalogo Generale: 00163169 Bibliograia: keay 1984.
Numero inventario: 8459/3925 è poco depurato, ricco di inclusi. Numero inventario: 181031 Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Porto Torres (SS) Stato di conservazione: Ricomposto Provenienza: Sconosciuta Compilatore: Sangiorgi, Silvia
Terme centrali Cronologia: Secc. III/V d.C. Collocazione: Villasimius (CA)
Collocazione: Sassari Bibliograia: serra 1976; rovina Museo Archeologico Comunale
Museo Nazionale G.A. Sanna 1998, pp. 791-793. Oggetto: Anfora
Oggetto: Pentola Fotografo: Dessì, Pierluigi Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Compilatore: Nieddu, Anna Maria Misure: h 114; diam. 34; spessore 1,8;
a mano spessore ansa 3,9; diam. orlo 11,7
Misure: h 13; diam. 19; diam. fondo 16,5 Descrizione: Grande anfora africana
Descrizione: Pentola in ceramica da trasporto di forma cilindrica tipo
comune da cucina, con corpo pan- Keay 55; le anse, impostate su collo e
ciuto e orlo leggermente rientran- spalla, sono a orecchia; l’orlo, a fascia
te, sottolineato in basso da una piana, è marcato esternamente da un
scanalatura ottenuta con le dita al lieve gradino all’attacco con il collo.
momento della lavorazione al tor- Il puntale, pieno, è troncoconico.
nio; la base è piana. Quattro picco- Concrezioni marine sulla supericie.
le prese orizzontali contrapposte L’impasto ha quarzo eolico e calcari
fra loro a due a due, realizzate a associati a calcite.
mano, sono applicate sulla spalla. Stato di conservazione: Integro
3.26 - Anfora Cronologia: Secc. V/VII d.C. 3.27 - Anfora globulare Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00163170 Bibliograia: keay 1984. Numero Catalogo Generale: 00162613 Compilatore: Cisci, Sabrina
Numero inventario: 181031 Fotografo: Monari, Nicola Numero inventario: 160933
Provenienza: Sconosciuta Compilatore: Sangiorgi, Silvia Provenienza: Cagliari
Collocazione: Villasimius (CA) area archeologica adiacente
Museo Archeologico Comunale il cimitero di Bonaria
Oggetto: Anfora Collocazione: Cagliari
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Museo Archeologico Nazionale
Misure: h 33; diam. 23,1; spess. 0,9; Oggetto: Anfora globulare
spessore ansa 6,3; diam. orlo 7,1; Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
diam. fondo 7,1. Misure: h 40; diam. 26
Descrizione: Anfora da trasporto con Descrizione: Anfora a corpo globu-
corpo di forma ovale tipo Keay 52. lare. Presenta l’orlo leggermente
Orlo piatto a sezione triangolare, leg- svasato sotto il quale si impostano
gera scanalatura sotto il collo; anse due anse a nastro. Il fondo è arro-
scanalate a sezione circolare; risega tra tondato.
spalla e pancia; fondo ad anello che Stato di conservazione: Ricomposto
termina all’interno a bottone. Concre- Cronologia: Sec. VIII d.C.
zioni marine sulla supericie. Impasto Bibliograia: Mureddu 2002c, pp.
di colore beige, ricco di inclusi e mica. 237-239, 300, n. 11, ig. 143; cisci
Stato di conservazione: Integro 2006, pp. 135-136.
3.28 - Anfora globulare Cronologia: Sec. VIII d.C. 3.29 - Anfora globulare 237-240, 299, n. 3, igg. 139-140;
Numero Catalogo Generale: 00162626 Bibliograia: Mureddu 2002c, pp. Numero Catalogo Generale: 00162627 cisci 2006, pp. 135-136.
Numero inventario: 160928 237-239, 299, n. 1, igg. 137-138; Numero inventario: 160929 Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Cagliari cisci 2006, pp. 135-136. Provenienza: Cagliari Compilatore: Cisci, Sabrina
area archeologica adiacente Fotografo: Monari, Nicola area archeologica adiacente
il cimitero di Bonaria Compilatore: Cisci, Sabrina il cimitero di Bonaria
Collocazione: Cagliari Collocazione: Cagliari
Museo Archeologico Nazionale Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Anfora globulare Oggetto: Anfora globulare
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Misure: h 49; diam. 32 Misure: h 47; diam. 32
Descrizione: Anfora con corpo Descrizione: Anfora con corpo piri-
piriforme, orlo piccolo e legger- forme, orlo piccolo e leggermente
mente ingrossato sotto il quale si ingrossato sotto il quale si imposta-
impostano le anse a sezione ova- no le anse a sezione ovale; il fon-
le. Sulla spalla e sul corpo sono do è arrotondato. Sulla spalla e su
presenti grafiti (trascrizione: PA un’ansa sono presenti alcuni grafiti
TRI / PA R). Il grafito PA po- (trascrizione: MH / P).
trebbe costituire l’abbreviazione Stato di conservazione: Ricomposto
di Pateres. Cronologia: Sec. VIII d.C.
Stato di conservazione: Ricomposto Bibliograia: Mureddu 2002c, pp.
423
La Sardegna tardoantica e altomedievale
3.30 - Anfora globulare 237-240, 300, n. 6, ig. 141; cisci 3.31 - Anfora ti 2000, p. 45, n. 1; cisci 2006, pp.
Numero Catalogo Generale: 00162628 2006, pp. 135-136. Numero Catalogo Generale: 00121747 123-136.
Numero inventario: 160932 Fotografo: Monari, Nicola Numero inventario: 179613 Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Cagliari Compilatore: Cisci, Sabrina Provenienza: Nora (Pula - CA) Compilatore: Cisci, Sabrina
area archeologica adiacente Collocazione: Cagliari
il cimitero di Bonaria Museo Archeologico Nazionale
Collocazione: Cagliari Oggetto: Anfora
Museo Archeologico Nazionale Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Oggetto: Anfora globulare Misure: h 48; diam. 28
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Descrizione: Anfora con corpo ovoi-
Misure: h 38; diam. 22 dale tipo LRA 1. La spalla si fonde
Descrizione: Anfora con corpo pi- con il collo cilindrico dai lati conca-
riforme. Le anse hanno sezione vi, orlo orizzontale dritto e anse a
ovale e sono impostate appena bastoncello, impostate da circa metà
sotto l’orlo di cui raggiungono del collo alla spalla. Il fondo è arro-
l’altezza con un proilo a gomito tondato. Sulla supericie del corpo
espanso e rialzato; il fondo è ar- sono presenti solcature orizzontali.
rotondato. Stato di conservazione: Parzialmente
Stato di conservazione: Ricomposto ricomposto
Cronologia: Sec. VIII d.C. Cronologia: Secc. V/VII d.C.
Bibliograia: Mureddu 2002c, pp. Bibliograia: coLavitti & tronchet-
3.32 - Anfora/ansa piccole dimensioni e tracce di mica. 3.33 - Dolio/orlo purato con inclusi bianchi piuttosto
Numero Catalogo Generale: 00163153 Stato di conservazione: Integro Numero Catalogo Generale: 00163164 evidenti.
Numero inventario: 1789751 Cronologia: Sec. VII d.C. Numero inventario: 171276 Stato di conservazione: Frammentario
Provenienza: Cagliari Bibliograia: SaLvi 2002b, p. 226, ig. 1. Provenienza: Barumini (VS) Cronologia: Secc. VI/VIII d.C.
necropoli orientale paleocristiana Fotografo: Monari, Nicola area archeologica Su Nuraxi Bibliograia: LiLLiu 1994, pp. 188-
di San Saturnino Compilatore: Sangiorgi, Silvia Collocazione: Barumini (VS) 190, ig. 16.
Collocazione: Cagliari polo espositivo Casa Zapata Fotografo: Monari, Nicola
Museo Archeologico Nazionale Oggetto: Dolio/orlo Compilatore: Sangiorgi, Silvia
Oggetto: Anfora/ansa Materia e tecnica: Argilla/ a impressione
Materia e tecnica: Argilla/ a impressione Misure: h 10,7; largh. 12,4; sp. 2,3;
Misure: largh. 3.51; sp. 2,8; lungh. diam. foro 2,7; diam. cerchielli 0,2
residua 9,22; diam. impressione 1,5 Descrizione: Frammento dell’orlo ispes-
Descrizione: Ansa di anfora con bollo. sito, piatto ed estroverso, di un collo
Sulla parte superiore è visibile una cilindrico di dolio. È caratterizzato
decorazione ottenuta tramite l’im- dalla decorazione, effettuata tramite
pressione del rovescio di una moneta impressione di una cannuccia, di due
(identiicabile con un decanummo di ile di cerchietti regolari disposti sullo
Costante II – 641-668), con presu- sbieco a vista dell’orlo; quattro analo-
mibile intento decorativo. È visibile ghi cerchietti sono visibili nella parte
una croce accantonata dalle lettere C bassa del collo.
ed X. L’impasto ha inclusi bianchi di L’impasto è di colore scuro, poco de-
3.34 - Matrice per focacce corato da due dischi imperlati e un Cronologia: Sec. VII d.C.
Numero Catalogo Generale: 00162939 lungo mantello sollevato sul braccio Bibliograia: dadea 1997, pp. 403-
Numero inventario: 171276 sinistro con un ricco panneggio, fer- 411, tav. I,1; sPanu & zucca 2008,
Provenienza: Cabras (OR) mato sopra la spalla destra da una i- pp. 147-172.
San Giorgio di Sinis bula. Il volto imberbe, con sguardo Fotografo: Monari, Nicola
Collocazione: Oristano isso, labbra serrate e arcate soprac- Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Antiquarium Arborense ciliari che si uniscono con regolarità
Museo Archeologico G. Pau al naso, è incorniciato da una capi-
Oggetto: Matrice per focacce gliatura ricciuta acconciata a calotta.
Materia e tecnica: Argilla/ a stampo/ I piedi sono disposti con le punte in
a impressione/ a incisione avanti, allargate. La rafigurazione è
Misure: h 11; diam. 10; spess. 6 corredata da un’iscrizione in greco,
Descrizione: Timbro di forma circo- in caratteri capitali con inluenze
lare, con robusta impugnatura. Al onciali, che identiica San Giorgio.
centro presenta, incisa in negativo, Un’altra epigrafe si snoda lungo il
l’immagine di San Giorgio martire di margine: “Benedizione del Santo e
Lydda, rafigurato in modo stilizza- glorioso martire Giorgio”. Il timbro
to tra due palme, con le mani aperte veniva utilizzato per la decorazione
rivolte verso il cielo. Il Santo indossa dei pani (benedetti?).
abiti nuziali: una pesante tunica ri- Stato di conservazione: Parzialmente
camata, con il margine inferiore de- ricomposto
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La Sardegna tardoantica e altomedievale
3.36 - Rhyton Stato di conservazione: Intero 3.37 - Coppa cielo. La igura può essere interpretata
Numero Catalogo Generale: 00162647 Cronologia: Secc. VI/VII d.C. Numero Catalogo Generale: 00121760 come Cristo, legislatore e imperatore.
Numero inventario: 17291 Bibliograia: stiaFFini & Borghetti Numero inventario: 10666 Stato di conservazione: Intero
Provenienza: Domusnovas (CI) 1994, pp. 83-84, 145, n. 160. Provenienza: Ittiri (SS), sepoltura Cronologia: Sec. V d.C.
Collocazione: Cagliari Fotografo: Monari, Nicola Collocazione: Cagliari Bibliograia: Pani erMini & Marino-
Museo Archeologico Nazionale Compilatore: Cisci, Sabrina Museo Archeologico Nazionale ne 1981, p. 123, n. 204; stiaFFini
Oggetto: Rhyton Oggetto: Coppa & Borghetti 1994, p. 124, n. 314;
Materia e tecnica: Vetro/ sofiatura Materia e tecnica: Vetro/ sofiatura Corrias 2002, pp. 474-504.
Misure: h 18; diam. 7,7 Misure: h 4; diam. 18,8, spess. 0,3 Fotografo: Monari, Nicola
Descrizione: Rhyton con orlo svasa- Descrizione: Coppa in vetro tipo Isings Compilatore: Cisci, Sabrina
to ingrossato e arrotondato verso 116 con rafigurazione cristiana in-
l’esterno. Il corpo, dalle pareti qua- cisa: tra due palme cariche di frutti
si verticali, termina con una punta è rafigurata una igura nimbata in
arricciolata. In prossimità dell’orlo tunica e pallio, con libro aperto nella
e nel punto della massima circonfe- mano sinistra e mano destra tesa nel
renza sono presenti ilamenti rilevati gesto dell’adlocutio. Il volto, di proilo,
in pasta vitrea verde chiaro; altri i- è imberbe con capelli corti che scen-
lamenti disposti a spirale sul fondo dono sulla fronte, naso dritto e occhi
e sulla punta e a festoni sulla zona con pupilla evidente. Sullo sfondo si
centrale sono applicati in pasta vitrea individuano quattro gemme romboi-
blu. dali interpretabili forse come stelle del
425
La Sardegna tardoantica e altomedievale
3.39 - Orecchino quattro elementi al globetto e di 3.40 - Orecchino ti da un ilo con supericie perlinata.
a globo mammellato quest’ultimo all’anello è presente una a globo mammellato Stato di conservazione: Intero
Numero Catalogo Generale: 00162631 sottile lamina che riproduce un ilo Numero Catalogo Generale: 00120577 Cronologia: Secc. VI/VIII d.C.
Numero inventario: Assente avvolto in quattro giri. Numero inventario: Assente Bibliograia: FioreLLi 1988a; saLvi
Provenienza: Norbello (OR) Stato di conservazione: Mutilo Provenienza: Nureci (OR) 1990; MartoreLLi 2001, pp. 377-393.
necropoli di Santa Maria Cronologia: Sec. VII d.C. Uriel, tomba Fotografo: Monari, Nicola
della Mercede, tomba alpha Bibliograia: saLvi 1990, pp. 216- Collocazione: Cagliari Compilatore: Dore, Stefania
Collocazione: Cagliari 217, n. 2. Museo Archeologico Nazionale
Museo Archeologico Nazionale Fotografo: Monari, Nicola Oggetto: Orecchino a globo
Oggetto: Orecchino a globo Compilatore: Cisci, Sabrina mammellato
mammellato Materia e tecnica: Argento/ fusione a
Materia e tecnica: Argento/ fusione a stampo/ cesellatura
stampo; oro/ saldatura Misure: diam. 7; spess. 0,2.
Misure: diam. 8,7 Descrizione: Orecchino in argento
Descrizione: Orecchino composto da composto da un anello decorato
anello in argento che termina con un con un piccolo globo, impreziosito
globetto in oro lievemente schiaccia- da quattro piccole sfere poste, a di-
to e caratterizzato da quattro protu- stanza regolare, nel punto di massi-
beranze sferiche posizionate a distan- ma espansione. I punti di contatto tra
za regolare intorno alla circonferenza le sfere e la supericie del globetto e
maggiore. Nei punti di incastro dei tra questo e l’anello sono sottolinea-
3.41 - Orecchino globo in cui si innestano appendici 3.42 - Orecchini tolineati da due giri di ilo ritorto.
a globo mammellato caliciformi turchesi. Il globo ha un a globo mammellato Stato di conservazione: Intero
Numero Catalogo Generale: 00163295 foro per la chiusura nel punto op- Numero Catalogo Generale: 00120587 Cronologia: Sec. VII d.C.
Numero inventario: 7708/631 posto a quello di saldatura al ilo. Numero inventario: 17090/17091 Bibliograia: sPano 1869, pp. 11-13;
Provenienza: Cheremule (SS) Stato di conservazione: Intero Provenienza: Bortigali (NU) LiLLiu 1947a, pp. 29-104; FioreL-
San Pietro in Murighe Cronologia: Secc. VI/VIII d.C. Berre, necropoli Li 1988b, p. 87; serra 1988, pp.
complesso ipogeico di Furrighesus Bibliograia: taraMeLLi 1940, p. 86; Collocazione: Cagliari 105-123; saLvi 1990; MartoreLLi
o Museddus (?) caPrara 1988, p. 430; saLvi & serra Museo Archeologico Nazionale 2001, pp. 377-393; saLvi 2002c,
Collocazione: Sassari 1990, p. 4, n. 1; MartoreLLi 1990, pp. Oggetto: Orecchini a globo pp. 159-163.
Museo Nazionale G.A. Sanna 540-541. mammellato Fotografo: Monari, Nicola
Oggetto: Orecchino a globo Fotografo: Dessì, Pierluigi Materia e tecnica: Oro/ fusione a Compilatore: Dore, Stefania
mammellato Compilatore: Nieddu, Anna Maria stampo
Materia e tecnica: Argento/ fusione a Misure: diam. 4,2; spess. 0,15
stampo/ laminatura/ lucidatura; Descrizione: Coppia di orecchini in
pasta vitrea/ fusione oro. Ciascuno è costituito da un
Misure: diam. 7,1; spess. 0,3; lungh. sottile anello con globetto; questo
appendici 0,5 è decorato da quattro piccole sfe-
Descrizione: Orecchino in argento re poste lungo il punto di massima
formato da un sottile ilo assotti- espansione. I punti di contatto tra
gliato a una delle estremità e con- queste e la supericie del globetto,
cluso, nell’estremità opposta, da un e tra questo e l’anello, sono sot-
3.43 - Orecchini a calice loreale punte; ogni punta reca una decorazio- 3.44 - Orecchino a calice loreale reale, chiuso da una corolla stellata a
Numero Catalogo generale: 00008024 ne costituita da tre granuli disposti a Numero Catalogo Generale: 00007826 sei punte ciascuna delle quali decora-
Numero Inventario: 12799/10702 triangolo. Al centro della corolla è il Numero inventario: 4823/7700/938 ta da tre granuli d’oro disposti a trian-
Provenienza: Borutta (SS) castone proilato da un ilo perlinato Provenienza: Viddazza (SS) golo, ha nel centro un castone a vasca
San Pietro di Sorres, necropoli nel punto di attacco con il cestello. Collocazione: Sassari cilindrica che conteneva una perla in
Collocazione: Sassari Stato di conservazione: Frammentario Museo Nazionale G.A. Sanna pasta vitrea turchese oggi perduta.
Museo Nazionale G.A. Sanna Cronologia: Sec. VII d.C. Oggetto: Orecchino a calice loreale Stato di conservazione: Integro
Oggetto: Orecchini a calice loreale Bibliograia: Maetzke 1966, p. 373, Materia e tecnica: Oro/ fusione/ Cronologia: Sec. VII d.C.
Materia e tecnica: Argento/ fusione/ ig. 9a; serra 1988, pp. 108-109, battitura/ saldatura/ laminatura/ Bibliograia: carducci 1962, pp.
battitura/ saldatura/ laminatura nn. 6-7, tav. V, 1-2; caPrara 1988, godronatura 244-245, n. 858; serra 1976, p. 10,
Misure: diam. 3,2; sp. 0,3; h. cestello 1,5. p. 399, ig. 3a; Possenti 1994. Misure: diam. 3,5; spess. 0,3 n. 23, tav. X, 1; caPrara 1986, pp.
Descrizione: Coppia di orecchini costi- Fotografo: Dessì, Pierluigi Descrizione: Orecchino formato da un 178-179, ig. 259; Possenti 1994;
tuiti ciascuno da un anello a baston- Compilatore: Nieddu, Anna Maria anello a bastoncello con le estremità rovina 2000, p. 51, ig. a p. 51.
cello che si assottiglia ad una delle assottigliate che si chiudono a gan- Fotografo: Dessì, Pierluigi
estremità, con fermapunta costitui- cetto. Nell’estremità issa è presente Compilatore: Nieddu, Anna Maria
to da un cilindro sagomato all’altra una fascetta formata da un ilo an-
estremità. Il cestello, issato all’anello nodato a spirale all’anello. Il cestello,
di sospensione tramite un anello di di forma piramidale, in sottile lamina
raccordo, è in lamina sagomata a cali- sagomata a calice loreale si raccorda
ce di iore, chiuso nella parte anteriore tramite una fascetta conformata in
da una corolla a forma di stella a sei due gancetti simmetrici. Il calice lo-
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La Sardegna tardoantica e altomedievale
3.48 - Orecchini con pendente pese tre campanelle e due sferette Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00120581 a base peduncolata. Le catenelle a Compilatore: Dore, Stefania
Numero inventario: 31484 maglia e a bastoncini sono decorate
Provenienza: Dolianova (CA) da perline di vetro (in un orecchino
necropoli di Bruncu e S’Olia se ne conservano quattro, nell’altro
Collocazione: Cagliari solo una), mentre le campanelle e
Museo Archeologico Nazionale le borchiette sono ornate a bulino.
Oggetto: Orecchini con pendente La grossa placca semicircolare, sulle
Materia e tecnica: Oro/ fusione a due facce, è decorata lungo l’orlo da
stampo/ a bulino un giro di perline in rilievo e da due
Misure: h 14; diam. 4,2; spess. 0,2 cordoncini a forte risalto; al centro
Descrizione: Coppia di orecchini è presente un castone, che solo in
composti da un cerchiello di grosso uno degli orecchini conserva la per-
ilo d’oro con incavo decorato per lina di vetro posta in origine.
l’inserzione dell’estremità appun- Stato di conservazione: Intero
tita. All’appiccagnolo robusto sta Cronologia: Sec. VII d.C.
appeso il pendaglio di forma semi- Bibliograia: taraMeLLi 1984, p. 271,
lunare con due incavi profondi, se- p. 270, ig. 8; saLvi 1989; BaLdini
micircolari nella parte inferiore. Da LiPPoLis 1999; saLvi 2002c, pp.
questo corpo semilunare si stacca- 159-163; MartoreLLi 2002, pp.
no cinque catenelle, a cui sono ap- 137-148.
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La Sardegna tardoantica e altomedievale
3.49 - Orecchino Cronologia: Sec. VII d.C. 3.50 - Orecchino a calice loreale sei punte decorate con tre granuli di-
Numero Catalogo Generale: 00007855 Bibliograia: Maetzke 1966, p. 373, con pendente sposti a triangolo; al centro della corol-
Numero inventario: 4832/10703 ig. 9b; cuLican 1982, ig. 1b; ca- Numero Catalogo Generale: 00120588 la è il castone a vasca cilindrica ornato
Provenienza: Borutta (SS) Prara 1988, p. 399, ig. 3b; Marto- Numero inventario: 17095 con ilo perlato saldato al cestello.
necropoli di San Pietro di Sorres reLLi 1990, pp. 539-540; Roma An- Provenienza: Bortigali (NU) Stato di conservazione: Intero
Collocazione: Sassari tichità 2001, pp. 354-355, V. II tav. 4, Berre, necropoli Cronologia: Secc. VI/VII d.C.
Museo Nazionale G.A. Sanna igg. 405-406. Collocazione: Cagliari Bibliograia: FioreLLi 1988b, p. 87;
Oggetto: Orecchino Fotografo: Dessì, Pierluigi Museo Archeologico Nazionale serra 1988, pp. 105-123; saLvi 1990;
Materia e tecnica: Argento/ fusione/ Compilatore: Nieddu, Anna Maria Oggetto: Orecchino a calice loreale BaLdini LiPPoLis 1999; saLvi 2002c,
battitura con pendente pp. 159-163; MartoreLLi 2002, pp.
Misure: diam. 2,5; diam. perlina mag- Materia e tecnica: Oro/ fusione a stampo 137-148.
giore 0,5; diam. perlina minore 0,3 Misure: diam. 4,7 /5; spess. 0,2; h ce- Fotografo: Monari, Nicola
Descrizione: Orecchino ad anello dota- stello 1,7; h pendente 1,4; peso gr. 16,2 Compilatore: Dore, Stefania
to di fermapunta conformato come Descrizione: Orecchino composto da un
un cilindretto sagomato. Il pendente, cerchio sottile a cui è avvolto, nella par-
isso, è ottenuto da due perline d’ar- te inferiore, un ilo più sottile; il punto
gento unite verticalmente e saldate di contatto tra i due è decorato da pic-
all’anello; le dimensioni delle due per- colissimi globi. Sono saldati al cerchio
line differiscono leggermente: quella un campanello con il batacchio e un
saldata al cerchio è più piccola. cestello a calice loreale, chiuso ante-
Stato di conservazione: Integro riormente da una corolla stellata con
3.51 - Orecchino capsula sferoidale o a globo mam- 3.52 - Bracciale a due teste Bibliograia: Maetzke 1966, p. 373,
Numero Catalogo Generale: 00163150 mellato. di serpente ig. 9d; CaPrara 1988, p. 399, ig. 3d;
Numero inventario: 99719 Stato di conservazione: Mutilo Numero Catalogo Generale: 00007884 Roma Antichità 2001, pp. 364-365.
Provenienza: Siurgus Donigala (CA) Cronologia: Secc. VII/VIII d.C. Numero inventario: 4852/10704 Fotografo: Dessì, Pierluigi
complesso sepolcrale bizantino di Bibliograia: ugas & serra 1990, p. Provenienza: Borutta (SS) Compilatore: Nieddu, Anna Maria
Su Nuraxi 115, ig. 9. necropoli di San Pietro di Sorres
Collocazione: Cagliari Fotografo: Monari, Nicola Collocazione: Sassari
Museo Archeologico Nazionale Compilatore: Sangiorgi, Silvia Museo Nazionale G.A. Sanna
Oggetto: Orecchino Oggetto: Bracciale a due teste
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione/ di serpente
battitura Materia e tecnica: Bronzo/ fusione/
Misure: diam. 5,6; spess. 0,3 battitura
Descrizione: Orecchino in bronzo di Misure: diam. 8; spess. 0,2
sagoma ellittica in ilo pieno. Rimane Descrizione: Bracciale a capi aperti,
un bastoncello assottigliato nell’e- in ilo di bronzo appiattito alle due
stremità mobile che originariamente estremità. I terminali sono decorati
doveva essere provvisto di pendente: con tre occhi di dado radiati dispo-
questo non è pervenuto ma ne ri- sti a triangolo, a formare una stiliz-
mangono labili tracce della ghiera e zata testa di serpente.
della lamina. Stato di conservazione: Integro
È possibile che il pendente fosse a Cronologia: Sec. VII d.C.
3.53 - Bracciale 3.54 - Anello digitale Bibliograia: saLvi 1990, pp. 217-
Numero Catalogo Generale: 00163160 Numero Catalogo Generale: 00162633 218, n. 5.
Numero inventario: OMA 602 Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Olbia Provenienza: Norbello (OR) Compilatore: Cisci, Sabrina
necropoli di Su Cuguttu necropoli di Santa Maria
Collocazione: Olbia della Mercede, tomba alpha
Museo Archeologico Collocazione: Cagliari
Oggetto: Bracciale Museo Archeologico Nazionale
Materia e tecnica: Bronzo/ godronatura Oggetto: Anello digitale
Misure: diam. 6,3; spess. 0,42 Materia e tecnica: Argento/ fusione a
Descrizione: Bracciale tubolare con stampo/ a incisione
incisioni parallele ad effetto spira- Misure: diam. 2,4
liforme. La chiusura è ad incastro, Descrizione: Anello digitale con ver-
forata a entrambe le estremità. ga di sezione piano-convessa che si
Stato di conservazione: Corrosione, incro- allarga verso il castone. Sul castone
stazioni terrose, mancante di perno di forma troncoconica, decorato
Cronologia: Secc. V/VI d.C. ai lati da tre barrette leggermente
Bibliograia: d’oriano 1996, pp. rilevate, è inciso un monogramma
357-358; sPanu 1998. cruciforme.
Fotografo: Dessì, Pierluigi Stato di conservazione: Intero
Compilatore: Sangiorgi, Silvia Cronologia: Sec. VII d.C.
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La Sardegna tardoantica e altomedievale
3.55 - Anello digitale 3.56 - Anello digitale castone è incisa la igura di Minerva
Numero Catalogo Generale: 00120481 Numero Catalogo Generale: 00120584 galeata, con un ramo nella destra, asta
Numero inventario: 6309 Numero inventario: 31486 nella sinistra e scudo al ianco.
Provenienza: Sconosciuta Provenienza: Dolianova (CA) Stato di conservazione: Mutilo
Collocazione: Cagliari necropoli di Bruncu e S’Olia Cronologia: Secc. VI/VIII d.C.
Museo Archeologico Nazionale Collocazione: Cagliari Bibliograia: taraMeLLi 1984, p. 271,
Oggetto: Anello digitale Museo Archeologico Nazionale p. 269 ig. 6; saLvi 1990; Marto-
Materia e tecnica: Piombo/ fusione a Oggetto: Anello digitale reLLi 2001, pp. 377-393.
stampo Materia e tecnica: Oro/ iligrana Fotografo: Monari, Nicola
Misure: h 0,7; diam. 2,6; spess. 0,5; Misure: h 0.6; diam. 2; spess. 0,2; Compilatore: Dore, Stefania
diam. castone 1,3; spess. castone 1,5 h castone 1,4; largh. castone 1,2;
Descrizione: Anello a verga cilindrica spess. castone 0,5; diam. occhiello
con castone di forma troncoconica. laterale 0,6.
Stato di conservazione: Frammentario Descrizione: Anello con ghiera spes-
Cronologia: Secc. VI/VIII d.C. sa che presenta in rilievo due ile di
Bibliograia: grisar & de LasaLa grosse perline in iligrana massiccia e
1997; sPanu 1998; MartoreLLi 2001. una mediana di piccole dimensioni;
Fotografo: Monari, Nicola il castone racchiude un topazio ed è
Compilatore: Dore, Stefania contornato da perline, mentre sulla
destra è presente un occhiello per
incastro di gemme. Sulla pietra del
3.57 - Anello digitale presente un motivo realizzato con 3.58 - Anello digitale Bibliograia: ugas & serra 1990, p.
Numero Catalogo Generale: 00007824 ilo godronato, a due volute che Numero Catalogo Generale: 00163151 116, ig. 12; saLvi & serra 1990.
Numero inventario: 22302 terminano con un globetto. Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Sassari, La Crucca Stato di conservazione: Mutilo Provenienza: Siurgus Donigala (CA) Compilatore: Sangiorgi, Silvia
complesso ipogeico Giorre Verdi, Cronologia: Secc. VI/VIII d.C. complesso sepolcrale bizantino
domus de janas 1, cella c Bibliograia: contu 1972, pp. 471- di Su Nuraxi
Collocazione: Sassari 472; serra 1976, p. 10, nn. 22; 13, Collocazione: Cagliari
Museo Nazionale G.A. Sanna tav. I, 3a; tav. XX, 1-2. Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Anello digitale Fotografo: Dessì, Pierluigi Oggetto: Anello digitale
Materia e tecnica: Oro/ fusione a Compilatore: Nieddu, Anna Maria Materia e tecnica: Bronzo/ a incisione
stampo/ saldatura Misure: diam. 2,2; largh. castone 1,4;
Misure: largh. 0,4; diam. 1,9; spess. h castone 0,9
0,1; h castone 0,9 Descrizione: Anello con verga a se-
Descrizione: Anello con verga a se- zione piano-convessa e castone el-
zione piano-convessa e castone lissoidale piatto.
ricavato nello spessore della verga Sul castone è inciso un monogram-
stessa. Il castone, che in origine ma con lettere greche, in nesso,
doveva contenere una perla in pa- forse, con una croce monogram-
sta vitrea verde, è a vasca circolare matica.
con bordi leggermente sporgenti. Stato di conservazione: Integro
Ai lati, sulla verga che si allarga, è Cronologia: Secc. VII/VIII d.C.
3.59 - Anello digitale Fotografo: Dessì, Pierluigi 3.60 - Anello digitale Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00007863 Compilatore: Sangiorgi, Silvia Numero Catalogo Generale: 00121356 Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Numero inventario: 4860 Numero inventario: Assente
Provenienza: Sconosciuta Provenienza: Villaputzu (CA)
(collezione Spano) tomba a camera, mausoleo di Cirredis
Collocazione: Sassari Collocazione: Cagliari
Museo Nazionale G.A. Sanna Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Anello digitale Oggetto: Anello digitale
Materia e tecnica: Bronzo/ a incisione Materia e tecnica: Bronzo/ fusione/
Misure: diam. 2,3; spess. 2; largh. a impressione
castone 1,5; h castone 1,1 Misure: h 3,1; diam. 2,7; spess.
Descrizione: Anello con verga a se- castone 0,4
zione piano-convessa e castone el- Descrizione: Anello con castone cir-
lissoidale piatto su cui è presente, colare rilevato rispetto alla verga a
all’interno di una cornice perlina- sezione piano-convessa. L’anello è
ta, l’incisione di un monogramma decorato con sette occhi di dado
crociato e l’invocazione Kyrie boéthei sul castone, tre a destra e uno a si-
(trad.: Signore soccorri). nistra sulla verga.
Stato di conservazione: Mutilo Stato di conservazione: Intero
Cronologia: Sec. VII d.C. Cronologia: Sec. VIII d.C.
Bibliograia: caPrara 1979, tav. VII, 3. Bibliograia: saLvi 2002a, p. 120, ig. 1,4.
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La Sardegna tardoantica e altomedievale
3.61 - Ago crinale Fotografo: Monari, Nicola 3.62 - Croce Fotografo: Dessì, Pierluigi
Numero Catalogo Generale: 00046759 Compilatore: Cisci, Sabrina Numero Catalogo Generale: 00163162 Compilatore: Sangiorgi, Silvia
Numero inventario: 95685 Numero inventario: OMA 598
Provenienza: Cornus (Cuglieri - OR) Provenienza: Telti (OT)
necropoli paleocristiana, tomba 80 sepoltura all’interno della chiesa
Collocazione: Cagliari Collocazione: Olbia
Museo Archeologico Nazionale Museo Archeologico
Oggetto: Ago crinale Oggetto: Croce
Materia e tecnica: Argento/ fusione a Materia e tecnica: Oro/ laminatura
stampo/ a incisione Misure: h 2,2; largh. 1,9
Misure: lungh. 15 Descrizione: Croce con bracci espansi
Descrizione: Ago crinale con fusto realizzata mediante il ritaglio di una
sfaccettato di forma poliedrica, con sottile lamina. Parallelo ai bordi è
un rigoniamento centrale. Su tre fac- presente un solco praticato median-
ce si legge un’iscrizione a solchi in let- te un’incisione. All’interno dei bracci
tere capitali +Patriga / femina / honesta. sono visibili ulteriori solchi incisi che
Stato di conservazione: Integro riprendono la sagoma dell’oggetto.
Cronologia: Secc. VI/VII d.C. Nella parte sommitale vi è un foro.
Bibliograia: aMante siMoni & Mar- Stato di conservazione: Integro
toreLLi 1986, pp. 161-189; Marto- Cronologia: Secc. VI/VII d.C.
reLLi 2000, pp. 28-29, n. 5. Bibliograia: saLvi & serra 1990.
3.64 - Fibula a disco piccolo. L’ardiglione è lungo e sottile 3.65 - Fibula ad arco zoomorfa placca è presente un’appendice di
Numero Catalogo Generale: 00162630 e tramite un’estremità conformata ad Numero Catalogo Generale: 00163297 forma triangolare, con due forellini
Numero inventario: Assente anello si lega a un perno issato a due Numero inventario: Assente simmetrici presso l’estremità oppo-
Provenienza: Norbello (OR) anelli saldati sul retro. Dalla parte op- Provenienza: Sassari sta all’arco, a voler rendere gli occhi
necropoli di Santa Maria posta è la staffa per il issaggio, dotata La Crucca, complesso ipogeico di un animale stilizzato (tartaruga?).
della Mercede, tomba alpha su un lato di un motivo a rilievo. Giorre Verdi, tomba Stato di conservazione: Mutilo
Collocazione: Cagliari Stato di conservazione: Integro Collocazione: Sassari Cronologia: Secc. V/VI d.C.
Museo Archeologico Nazionale Cronologia: Sec. VII d.C. Museo Nazionale G.A. Sanna Bibliograia: rovina 2000, pp. 47, 51,
Oggetto: Fibula a disco Bibliograia: saLvi 1990, p. 261, n. 1. Oggetto: Fibula ad arco zoomorfa ig. a p. 51.
Materia e tecnica: Argento/ fusione Fotografo: Monari, Nicola Materia e tecnica: Argento/ fusione Fotografo: Dessì, Pierluigi
a stampo/ saldatura; oro/ fusione Compilatore: Cisci, Sabrina a stampo; pasta vitrea/ colatura a Compilatore: Nieddu, Anna Maria
a stampo/ saldatura stampo
Misure: diam. 9,3 Misure: lungh. 4,2
Descrizione: Fibula in argento con Descrizione: La ibula, mutila, è col-
umbone centrale in oro. Il disco è legata all’ardiglione attraverso una
composto da due ordini di quattro cerniera ad incastro; l’arco è carat-
elementi anulari concentrici, decorati terizzato da una decorazione a seg-
con un motivo a zig-zag e separati tra menti quadrangolari realizzati a tra-
loro da una fascia liscia. La parte cen- foro, che in origine dovevano essere
trale è lievemente incavata e presenta riempiti in pasta vitrea nei colori
l’umbone decorato da un altro più rosso, granato e perla. Al posto della
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La Sardegna tardoantica e altomedievale
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La Sardegna tardoantica e altomedievale
3.72 - Fibbia Stato di conservazione: Intero 3.73 - Fibbia/placca 1990; sPanu 1998; MartoreLLi 2002,
Numero Catalogo Generale: 00163205 Cronologia: Sec. VII d.C. Numero Catalogo Generale: 00163206 pp. 137-148; MartoreLLi 2008.
Numero inventario: 2412 Bibliograia: Pani erMini & Marinone Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Sconosciuta 1981, p. 104 n. 163, ig. 163; serra Provenienza: Sconosciuta Compilatore: Dore, Stefania
Collocazione: Cagliari 1990; sPanu 1998; MartoreLLi 2002, Collocazione: Cagliari
Museo Archeologico Nazionale pp. 137-148; MartoreLLi 2008. Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Fibbia Fotografo: Monari, Nicola Oggetto: Fibbia/placca
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a Compilatore: Dore, Stefania Materia e tecnica: Bronzo/ a stampo
stampo/ a bulino Misure: largh. 3,5; lungh. 4,6; spess. 0,7
Misure: largh. 2,8; lungh. 7,5; diam. 3,1 Descrizione: Placca a U di ibbia di
Descrizione: Fibbia di cintura for- cintura.
mata da placca a U. Sul retro della Sul retro ha tre maglie per il is-
placca sono presenti tre maglie ad saggio alla cintura. Sulla fronte è
occhiello per il issaggio alla cintu- rappresentato un busto umano che
ra. L’anello cernierato, reniforme, indossa veste, tunica e mantello e
è ristretto al centro; l’ardiglione ha sembra avere il capo incoronato da
la punta a becco e presa posterio- diadema.
re più spessa, ed è decorato da una Stato di conservazione: Mutilo
triplice cornice che racchiude una Cronologia: Sec. VII d.C.
freccia con, al centro, un cerchietto Bibliograia: Pani erMini & Marinone
ad occhio di dado. 1981, p. 100 n. 151, ig. 151; serra
3.74 - Fibbia Bibliograia: Pani erMini & Marino- 3.75 - Fibbia/placca Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00121761 ne 1981, p. 97 n. 144, ig. 144; ser- Numero Catalogo Generale: 00163207 Compilatore: Dore, Stefania
Numero inventario: 10570 ra 1990; sPanu 1998; MartoreLLi Numero inventario: 2422
Provenienza: Siurgus Donigala (CA) 2002, pp. 137-148; MartoreLLi 2008. Provenienza: Sconosciuta
Collocazione: Cagliari Fotografo: Monari, Nicola Collocazione: Cagliari
Museo Archeologico Nazionale Compilatore: Dore, Stefania Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Fibbia Oggetto: Fibbia/placca
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a Materia e tecnica: Bronzo/ a stampo
stampo/ a incisione Misure: largh. 3; lungh. 4,4; spess. 0,5
Misure: largh. 2,8; lungh. 5,6; diam. 2,8 Descrizione: Placca a U di ibbia di
Descrizione: Fibbia di cintura di cintura, con tre maglie ad occhiello
tipo Corinto, con foro triangolare; sul retro per il issaggio della cintura.
la cerniera, cui è saldato l’anello, Sulla faccia a vista un listello liscio
è costituita da due linguette isse, racchiude due leoni araldici posti l’u-
decorate con X incise. Sulla faccia no di fronte all’altro.
a vista sono presenti punti incisi e Stato di conservazione: Mutilo
un monogramma a croce. Sul retro Cronologia: Sec. VII d.C.
sono le tre maglie per il issaggio Bibliograia: Pani erMini & Marinone
della cintura. 1981, p. 101 n. 155, ig. 155; serra
Stato di conservazione: Intero 1990; sPanu 1998; MartoreLLi 2002,
Cronologia: Sec. VII d.C. pp. 137-148; MartoreLLi 2008.
3.76 - Fibbia come una rafigurazione di serpenti. 3.77 - Fibbia/placca Bibliograia: Pani erMini & Marino-
Numero Catalogo Generale: 00163208 Stato di conservazione: Mutilo Numero Catalogo Generale: 00163210 ne 1981, p. 95 n. 140, ig. 140; ser-
Numero inventario: 2424 Cronologia: Sec. VII d.C. Numero inventario: 2424 ra 1990; sPanu 1998; MartoreLLi
Provenienza: Sconosciuta Bibliograia: Pani erMini & Mari- Provenienza: Sconosciuta 2002; MartoreLLi 2008.
Collocazione: Cagliari none 1981, p. 112 n. 183, ig. 183; Collocazione: Cagliari Fotografo: Monari, Nicola
Museo Archeologico Nazionale serra 1990; sPanu 1998; Marto- Museo Archeologico Nazionale Compilatore: Dore, Stefania
Oggetto: Fibbia reLLi 2002; MartoreLLi 2008. Oggetto: Fibbia/placca
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a Fotografo: Monari, Nicola Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a
stampo/ a incisione Compilatore: Dore, Stefania stampo/ a incisione
Misure: largh. 3,3; lungh. 8,4; diam. Misure: largh. 3,2; lungh. 5,5; spess. 0,4
4; spess. 0,6 Descrizione: Placca cernierata a due
Descrizione: Fibbia di cintura mutila occhielli di ibbia di cintura, con tre
con placca cernierata a U allunga- maglie per il issaggio della cintu-
ta, con tre maglie ad occhiello sul ra sul retro. Il motivo decorativo è
retro per il issaggio della cintura dato da linee e cerchietti ad occhio
e con anello cernierato, reniforme di dado incisi; nell’appendice ro-
con strozzatura centrale. La faccia tonda è appena intuibile la presenza
frontale è decorata da motivi geo- di un monogramma. Il tipo è molto
metrici a spirali a due anse e cerchi simile al tipo corinto.
concentrici disposti asimmetrica- Stato di conservazione: Mutilo
mente, da leggersi probabilmente Cronologia: Sec. VII d.C.
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La Sardegna tardoantica e altomedievale
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La Sardegna tardoantica e altomedievale
3.83 - Fibbia terza cornice deinisce una seconda 313, ig. 8; Pani erMini & Marino-
Numero Catalogo Generale: 00008017 fascia, decorata da una serie di quat- ne 1981, p. 108, n. 173; XVI-XVII;
Numero inventario: 4839/14353 tordici semicerchi. Nel settore cen- caPrara 1986, pp. 182-183, ig.
Provenienza: Siligo (SS) trale della placca, privo di decorazio- 264, in basso; caPrara 1988, pp.
tombe presso i resti delle terme ne, si conservano le tracce dell’osso 402, n. 1; 405, ig. 10; rovina 2000,
romane, insediamento tardoantico di seppia sul quale è stata modellata pp. 45, 56, ig. a p. 56.
e altomedievale presso la chiesa di la matrice. La supericie che deini- Fotografo: Dessì, Pierluigi
Mesumundu sce lo spessore della placca è orna- Compilatore: Nieddu, Anna Maria
Collocazione: Sassari ta da un motivo a zig-zag. Al retro
Museo Nazionale G.A. Sanna della placca sono saldate tre staffe
Oggetto: Fibbia funzionali al issaggio della ibbia
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a alla cintura. Alla cerniera della quale
stampo/ a incisione/ a punzone è dotata la placca sono connessi l’a-
Misure: largh. 3,7; lungh. 11; lungh. nello, ovale, e l’ardiglione a punta ri-
placca 6,5 curva, con lo scudetto ornato da un
Descrizione: Fibbia di cintura con motivo vegetale stilizzato, ottenuto
placca a U, proilata da una corni- con linee e occhi di dado incisi.
ce a ilo godronato, che deinisce, Stato di conservazione: Integro
insieme a una identica cornice, un Cronologia: Sec. VII d.C.
campo ornato da una serie continua Bibliograia: Maetzke 1961, pp.
di doppie foglioline stilizzate; una 360-361, tav. II; Maetzke 1965c, p.
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La Sardegna tardoantica e altomedievale
3.85 - Fibbia del tipo Siracusa Manunza 2007, pp. 87-130, tav. 3.86 - Fibbia adunco ed occhio segnato da un cer-
Numero Catalogo Generale: 00119388 XII, igg. 1-4. Numero Catalogo Generale: 00007870 chiello con punto mediano ottenuto
Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola Numero inventario: 4854 a punzone.
Provenienza: Cabras (OR) Compilatore: Dore, Stefania Provenienza: Gadoni (NU) Stato di conservazione: Mutilo
San Giorgio di Sinis necropoli tardoromana e altomedie- Cronologia: Sec. VII d.C.
Collocazione: Oristano vale presso il centro urbano Bibliograia: serra 1995, p. 397, p.
Antiquarium Arborense Collocazione: Sassari 400, nt 108, ig. 35.
Museo Archeologico G. Pau Museo Nazionale G.A. Sanna Fotografo: Dessì, Pierluigi
Oggetto: Fibbia Oggetto: Fibbia Compilatore: Sangiorgi, Silvia
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a Materia e tecnica: Bronzo/ a punzone
stampo/ a incisione Misure: largh. 3,6; h 2,2; spess. 0,1;
Misure: largh. 2,59; lungh. 4,6; lungh. ardiglione 1,1
spess. 0,3 Descrizione: Fibbia (da borsa o da
Descrizione: Fibbia del tipo Siracusa, cinturino?) con placca issa lunata
con placca piena caratterizzata da, che presenta alle estremità protomi
una decorazione ornitomorfa (cigni di rapace, presumibilmente un’aqui-
affrontati?). la. Ha anello ovale saldato alla placca
Stato di conservazione: Mutilo e ardiglione mobile con presa poste-
Cronologia: Secc. VI/VII d.C. riore ad occhiello e punta ricurva a
Bibliograia: Pani erMini & Marino- becco. Presenta una decorazione ad
ne 1981, p. XVI e p. 102, n. 157; occhi di dado. Il rapace ha becco
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La Sardegna tardoantica e altomedievale
3.98 - Brocca piriforme tale trifogliato. Nella parte superiore Fotografo: Dessì, Pierluigi
Numero Catalogo Generale: 00007882 dell’ansa è saldato un breve risalto Compilatore: Nieddu, Anna Maria
Numero inventario: 4853/14359 ad andamento verticale, leggermente
Provenienza: Borutta (SS) ondulato. Il piede e il corpo sono de-
sepoltura sul versante orientale corati con fasce orizzontali, costituite
presso la chiesa di Santu Pedru ognuna da tre linee parallele incise.
de Sorres Stato di conservazione: Integro
Collocazione: Sassari Cronologia: Sec. VII d.C.
Museo Nazionale G.A. Sanna Bibliograia: werner 1938, pp. 74-86;
Oggetto: Brocca piriforme de PaLoL 1950; Maetzke 1966, pp.
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione/ 369-371, igg. 3-4; aLMagro gorBea
saldatura/ levigatura 1966, pp. 367-380; serra 1971, pp. 33-
Misure: h 24; diam. 7; diam. fondo 6,7 64; Pani erMini & Marinone 1981,
Descrizione: Brocca con un corpo pp. XIV-XV; 85-88, nn. 126-129, igg.
piriforme (gruppo bronzi copti) 126-129; caretta 1982, p. 21, n. A2
su alto piede troncoconico e lungo 1, tav 8,2; caPrara 1986, pp. 173, 181,
collo leggermente svasato, con orlo ig. 263 a destra; rovina 1986b, p. 55;
indistinto, arrotondato. Sulla pancia e caPrara 1988, pp. 400, 403, ig. 7; Lo
sull’orlo è saldata l’ansa a nastro, dalla schiavo 1991, pp. 93, 96, ig. 80; Pani
forma a S, conformata, nel punto di erMini 1994, p. 400; rovina 2000, pp.
attacco sull’orlo, ad elemento vege- 45, 53, ig. a p. 53.
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La Sardegna tardoantica e altomedievale
3.103 - Bacile 138, ig. 60, n. 55; sPanu 1998, pp. 3.104 - Patera no ben segnati. Sul petto sembra di
Numero Catalogo Generale: 00118286 223-224. Numero Catalogo Generale: 00121346 riconoscere il collare con la bulla.
Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola Numero inventario: 293 Tra gli artigli è tenuto un serpente.
Provenienza: Sant’Andrea Frius (CA) Compilatore: Sangiorgi, Silvia Provenienza: Nureci (OR) Stato di conservazione: Intero
Linna Pertunta (?) Collocazione: Cagliari Cronologia: Secc. VI/VII d.C.
Collocazione: Cagliari Museo Archeologico Nazionale Bibliograia: serra 1971, pp. 33-68;
Museo Archeologico Nazionale Oggetto: Patera Pani erMini & Marinone 1981, p.
Oggetto: Bacile Materia e tecnica: Argento/ fusione/ 75, ig. 118.
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione/ martellatura/ a punzone Fotografo: Monari, Nicola
a incisione Misure: h 4; diam. 18 Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Misure: h 6,8; diam. 28,6; diam. fon- Descrizione: Piatto liturgico in metal-
do 23; spess. orlo 0,3 lo di bassa lega. Ha una ricca deco-
Descrizione: Il bacile ha la parete ad razione con volatile, probabilmente
arco di cerchio, con orlo dritto e un’aquila, al centro, racchiusa da
fondo leggermente concavo; sotto una corona di foglie a forma di
l’orlo vi è una leggera risega. Al cen- cuore. Sul bordo è una fascia otte-
tro della vasca sono tracciati cerchi nuta con due linee incise. L’aquila
concentrici di diverso diametro. è rappresentata frontalmente, col
Stato di conservazione: Mutilo capo rivolto verso destra; il becco
Cronologia: Sec. VI d.C. è ricurvo. Le ali sono aperte verso
Bibliograia: saLvi 2006, pp. 121, l’alto e la coda e il collarino appaio-
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La Sardegna tardoantica e altomedievale
3.105 - Lampada a olio a forma di delino. L’ansa ad anello, 3.106 - Lampada a olio Stato di conservazione: Intero
Numero Catalogo Generale: 00121581 sormontata da una croce, si imposta Numero Catalogo Generale: 00121580 Cronologia: Secc. IV/VI d.C.
Numero inventario: 5054 obliquamente ed è sostenuta da una Numero inventario: 5052 Bibliograia: Pani erMini & Marinone
Provenienza: Sconosciuta barra. Il delino è ben deinito, con Provenienza: Sconosciuta 1981, p. 80, ig. 123.
Collocazione: Cagliari la coda sollevata; la croce latina ha Collocazione: Cagliari Fotografo: Monari, Nicola
Museo Archeologico Nazionale bracci patenti ed estremità arricchite Museo Archeologico Nazionale Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Oggetto: Lampada a olio da gemme circolari. Oggetto: Lampada a olio
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a Stato di conservazione: Intero Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a
stampo/ riinitura a freddo Cronologia: Secc. V/VI d.C. stampo/ riinitura a freddo
Misure: h 8,1; largh. 7,1; lungh. 15,1; Bibliograia: Pani erMini & Marinone Misure: h 15,7; largh. 14; lungh. 20
diam. base 2,4 1981, p. 80, ig. 122. Descrizione: Lampada a due luci con
Descrizione: Lampada a una luce con Fotografo: Monari, Nicola base ad anello, corpo ovoide e bec-
corpo a navicella su base ad anello. Compilatore: Sanna, Anna Luisa cucci polilobati.
Quest’ultima ha foro mediano per L’infundibulum centrale con allog-
l’inserzione del piedistallo. L’orlo è giamento sporgente è chiuso da
piatto, con due volute lungo il canale. un coperchio a valva di conchiglia
Il beccuccio circolare si apre a sco- con muscolo verso l’alto. L’ansa,
della, l’infundibulum presenta un’ap- nascente da un anello, ha la forma
pendice allungata ed è chiuso da un di una testa di grifo con pomo in
coperchio con presa a tronco di pira- bocca sormontata da una croce tra
mide e bottone, la serratura mobile è le orecchie.
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La Sardegna tardoantica e altomedievale
3.109 - Sigillo 522-523; sPanu & zucca 2004, p. 28. 3.110 - Peso da una linea orizzontale sopra ogni
Numero Catalogo Generale: 00163281 Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero Catalogo Generale: 00162955 lettera.
Numero inventario: 64376 Compilatore: Nieddu, Anna Maria Numero inventario: Assente Stato di conservazione: Intero
Provenienza: Sorso (SS), Santa Filitica Provenienza: Cabras (OR) Cronologia: Secc. VI/VII d.C.
Collocazione: Sassari San Giorgio di Sinis Bibliograia: MeLoni 1982; serra
Museo Nazionale G.A. Sanna Collocazione: Oristano 1989; sPanu & zucca 2004, p. 92;
Oggetto: Sigillo Antiquarium Arborense sPanu & zucca 2008.
Materia e tecnica: Piombo/ a impressione Museo Archeologico G. Pau Fotografo: Monari, Nicola
Misure: diam. 3,6 Oggetto: Peso Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Descrizione: Sigillo circolare inscritto Materia e tecnica: Bronzo/ fusione/
su entrambe le facce. Al centro di battitura/ a incisione/ agemina
una delle due facce è presente una Misure: h 1,5; largh, 1,5; spess. 0,25;
stella a otto punte. L’iscrizione in peso gr. 4,26
lettere capitali, realizzata a impres- Descrizione: Tesserula quadrata, che
sione, è così trascritta: d.: (croce) / presenta sul dritto, iscritto a im-
pa / pae; r.: (croce) Nicolai. pressione in lettere capitali in crusta,
Stato di conservazione: Intero il nome del proprietario Purpurius,
Cronologia: Sec. IX d.C. abbreviato (PVR/PVRI); sul ro-
Bibliograia: rovina 1984; rovina vescio si potrebbe leggere V(iri)
1989, p. 19, nota 2; rovina 2000, p. e C(larissimi), lettere sovrastate da
35, 39, ig. a p. 39; rovina 2002a, pp. segni di abbreviazione, costituiti
3.111 - Sigillo ca 2004, p. 108-109, n. 8; sPanu & 3.112 - Sigillo ca 2004, p. 109-110, n. 8; sPanu &
Numero Catalogo Generale: 00162961 zucca 2008, pp. 160-161. Numero Catalogo Generale: 00162962 zucca 2008, pp. 160-161.
Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Cabras (OR) Compilatore: Sanna, Anna Luisa Provenienza: Cabras (OR) Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Sa Pedrera San Salvatore
Collocazione: Oristano Collocazione: Oristano
Antiquarium Arborense Antiquarium Arborense
Museo Archeologico G. Pau Museo Archeologico G. Pau
Oggetto: Sigillo Oggetto: Sigillo
Materia e tecnica: Piombo/ a impressione Materia e tecnica: Piombo/ a impressione
Misure: diam. 2,33; diam. campo Misure: diam. 2,64; diam. campo 2;
1,83; peso gr. 11,9 peso gr. 19,3
Descrizione: Sigillo di forma circola- Descrizione: Sigillo di forma circola-
re. Sul dritto è il monogramma cru- re; sul dritto è il monogramma cru-
ciforme Theodori, sul retro Patricii ciforme con invocazione a Maria
preceduto da una croce. L’iscrizio- iscritta in greco, a rilievo in lettere
ne è a rilievo in lettere capitali. capitali.
Stato di conservazione: Intero Stato di conservazione: Intero
Cronologia: Sec. VI d.C. Cronologia: Secc. VII/VIII d.C.
Bibliograia: sPanu 1998; cosenti- Bibliograia: sPanu 1998; cosenti-
no 2002, pp. 1-13; sPanu & zuc- no 2002, pp. 1-13; sPanu & zuc-
3.113 - Sigillo Bibliograia: sPanu 1998; cosenti- 3.114 - Sigillo Stato di conservazione: Intero
Numero Catalogo Generale: 00162968 no 2002, pp. 1-13; sPanu & zucca Numero Catalogo Generale: 00162969 Cronologia: Secc. VI/VIII d.C.
Numero inventario: Assente 2004, p. 112, n. 14; sPanu & zucca Numero inventario: Assente Bibliograia: zacos & vegLery 1972;
Provenienza: Cabras (OR) 2008, pp. 160-161. Provenienza: Cabras (OR) sPanu 1998, pp. 1-13; cosentino
San Giorgio di Sinis Fotografo: Monari, Nicola San Giorgio di Sinis 2002; sPanu & zucca 2004, p. 112,
Collocazione: Oristano Compilatore: Sanna, Anna Luisa Collocazione: Oristano n. 15; sPanu & zucca 2008, pp.
Antiquarium Arborense Antiquarium Arborense 160-161.
Museo Archeologico G. Pau Museo Archeologico G. Pau Fotografo: Monari, Nicola
Oggetto: Sigillo Oggetto: Sigillo Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Materia e tecnica: Piombo/ a impressione Materia e tecnica: Piombo/ a impressione
Misure: diam. 2,05; diam. campo Misure: diam. 2,75; diam. campo
1,83; peso gr. 5,6 2,16; peso gr. 13, 6
Descrizione: Sigillo di forma circo- Descrizione: Sigillo di forma circolare.
lare; sul dritto è un’invocazione Su entrambe le facce la legenda cir-
a Maria iscritta a rilievo in greco colare è iscritta in greco, in lettere
in lettere capitali alla “genitrice di capitali a rilevo, e invoca la “genitri-
Dio”; sul retro si fa riferimento a ce di Dio”. Sul dritto, al centro, vi è
Diomede. Si nota lo spazio cavo il monogramma di Costantino; sul
lasciato dal ilo, non più presente. retro un monogramma. Nelle parti
Stato di conservazione: Intero marginali si notano le tracce della ca-
Cronologia: Secc. VI/VIII d.C. vità lasciata dal ilo, non più presente.
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La Sardegna tardoantica e altomedievale
3.115 - Sigillo Bibliograia: sPanu 1998; cosenti- 3.116 - Sigillo Cronologia: Secc. VI/VIII d.C.
Numero Catalogo Generale: 00162974 no 2002, pp. 1-13; sPanu & zucca Numero Catalogo Generale: 00162975 Bibliograia: sPanu 1998; cosenti-
Numero inventario: Assente 2004, p. 114, n. 20; sPanu & zucca Numero inventario: Assente no 2002, pp. 1-13; sPanu & zucca
Provenienza: Cabras (OR) 2008, pp. 160-161. Provenienza: Cabras (OR) 2004, p. 115, ig. 21; sPanu & zuc-
San Giorgio di Sinis Fotografo: Monari, Nicola San Giorgio di Sinis ca 2008, pp. 160-161.
Collocazione: Oristano Compilatore: Sanna, Anna Luisa Collocazione: Oristano Fotografo: Monari, Nicola
Antiquarium Arborense Antiquarium Arborense Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Museo Archeologico G. Pau Museo Archeologico G. Pau
Oggetto: Sigillo Oggetto: Sigillo
Materia e tecnica: Piombo/ a impressione Materia e tecnica: Piombo/ a impressione
Misure: diam. 2,3; diam. campo 2; Misure: diam. 2,4; diam. campo
peso gr. 6,5 1,99; peso gr. 8,2
Descrizione: Sigillo di forma circola- Descrizione: Sigillo di forma circo-
re. Sul dritto si legge l’invocazione a lare; presenta sul dritto un mono-
Maria, genitrice di Dio; sul rovescio gramma cruciforme di Theodoros;
è menzionato Ioannes. Si notano le sul rovescio un monogramma cru-
tracce della cavità lasciata dal ilo, ciforme. Si notano le tracce della
non più presente. L’iscrizione, in cavità lasciata dal ilo, non più pre-
greco, è a rilievo in lettere capitali. sente. L’iscrizione, in greco, è a ri-
Stato di conservazione: Mutilo lievo in lettere capitali.
Cronologia: Secc. VI/VIII d.C. Stato di conservazione: Intero
3.117 - Sigillo sPanu 1998; cosentino 2002, pp. 1-13; 3.118 - Sigillo Cronologia: Secc. VII/VIII d.C.
Numero Catalogo Generale: 00163220 sPanu & zucca 2004, p. 119, n. 27. Numero Catalogo Generale: 00163221 Bibliograia: grisar & de LasaLa
Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola Numero inventario: Assente 1997; sPanu 1998; Morini 2002,
Provenienza: Cabras (OR) Compilatore: Dore, Stefania Provenienza: Cabras (OR) pp. 39-53; sPanu & zucca 2004, p.
San Giorgio di Sinis San Giorgio di Sinis 120, n. 29.
Collocazione: Oristano Collocazione: Oristano Fotografo: Monari, Nicola
Antiquarium Arborense Antiquarium Arborense Compilatore: Dore, Stefania
Museo Archeologico G. Pau Museo Archeologico G. Pau
Oggetto: Sigillo Oggetto: Sigillo
Materia e tecnica: Piombo/ a impressione Materia e tecnica: Piombo/ a impressione
Misure: diam. 2,27; diam. campo Misure: diam. 2,38; diam. campo
1,91; peso gr. 12 1,94; peso gr. 16,3
Descrizione: Sigillo di forma circo- Descrizione: Sigillo di forma circo-
lare con legenda redatta in lettere lare. Sul dritto sono rappresentate
greche sia sul dritto che sul rove- due igure antropomorfe che rap-
scio. L’iscrizione è realizzata a im- presentano i santi Pietro, a destra,
pressione in lettere capitali e men- e Paolo, a sinistra; sul rovescio è
ziona forse un magister militum. leggibile un’iscrizione a rilievo in
Stato di conservazione: Mutilo latino in lettere capitali: +ANA/
Cronologia: Sec. VI d.C. STASI/IARCHI/EPSC.
Bibliograia: grisar & de LasaLa 1997; Stato di conservazione: Intero
3.119 - Sigillo pp. 1-13; sPanu & zucca 2004; sPa- 3.120 - Sigillo Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00163230 nu & zucca 2004, p. 127, n. 38. Numero Catalogo Generale: 00163265 Compilatore: Dore, Stefania
Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola Numero inventario: Assente
Provenienza: Cabras (OR) Compilatore: Dore, Stefania Provenienza: Cabras (OR)
San Giorgio di Sinis San Giorgio di Sinis
Collocazione: Oristano Collocazione: Oristano
Antiquarium Arborense Antiquarium Arborense
Museo Archeologico G. Pau Museo Archeologico G. Pau
Oggetto: Sigillo Oggetto: Sigillo
Materia e tecnica: Piombo/ a impressione Materia e tecnica: Piombo/ a impressione
Misure: diam. 2,4; diam. campo Misure: diam. 2,6; diam. campo
1,88; peso gr. 11,8 2,04; peso gr. 14,8
Descrizione: Sigillo di forma circolare. Descrizione: Sigillo mutilo di forma
Sul dritto è un monogramma cruci- circolare bifacciale che pendeva da
forme con invocazione a Maria; sul una pergamena; sul retro la legenda
rovescio un monogramma. L’iscri- è in caratteri cuici.
zione, in greco, è in lettere capitali. Stato di conservazione: Mutilo
Stato di conservazione: Intero Cronologia: Sec. VIII d.C.
Cronologia: Secc. VI/VII d.C. Bibliograia: sPanu 1998; Morini
Bibliograia: grisar & de LasaLa 2002, pp. 39-53; sPanu & zucca
1997; sPanu 1998; cosentino 2002, 2004, p. 142 n. 73.
443
La Sardegna tardoantica e altomedievale
3.121 - Sigillo Stato di conservazione: Intero 3.122 - Sigillo di una unità della lotta che si ritiene
Numero Catalogo Generale: 00163269 Cronologia: Sec. XI d.C. Numero Catalogo Generale: 00162976 stazionasse in Sardegna.
Numero inventario: Assente Bibliograia: sPanu 1998; sPanu & Numero inventario: Assente Stato di conservazione: Intero
Provenienza: Cabras (OR) zucca 2004, pp. 145-6, n. 77. Provenienza: Cabras (OR) Cronologia: Sec. VII d.C.
San Giorgio di Sinis Fotografo: Monari, Nicola San Giorgio di Sinis Bibliograia: sPanu 1998; cosentino
Collocazione: Oristano Compilatore: Dore, Stefania Collocazione: Oristano 2002, pp. 1-13; sPanu & zucca 2004,
Antiquarium Arborense Antiquarium Arborense pp. 115-116, n. 22; sPanu & zucca
Museo Archeologico G. Pau Museo Archeologico G. Pau 2008, pp. 160-161.
Oggetto: Sigillo Oggetto: Sigillo Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Piombo/ a impressione Materia e tecnica: Piombo/ a impressione Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Misure: diam. 2,75; diam. campo Misure: diam. 2,44; diam. campo 1,94;
2,35; peso gr. 14,5 peso gr. 25,9
Descrizione: Sigillo di forma circo- Descrizione: Sigillo di forma circolare.
lare. Sul dritto è presente il mono- Sul dritto è presente un monogram-
gramma cruciforme con invocazio- ma cruciforme con invocazione alla
ne a Maria, cantonato da quattro “genitrice di Dio”; sul rovescio è
sillabe che permettono di identii- visibile un antroponimo. Si notano
care un Çerchis, giudice citato in una le tracce della cavità lasciata dal ilo,
carta del Condaghe di Santa Maria non più presente. L’iscrizione, ese-
di Bonarcado; sul retro la legenda, guita in rilievo in lettere capitali gre-
in greco, in lettere capitali. che, cita un Drungarios, comandante
444
La Sardegna tardoantica e altomedievale
3.126 - Peso sottolineate da un punto inciso a 3.127 - Peso estremità. Al centro del rovescio, la
Numero Catalogo Generale: 00162946 maggiore profondità. Numero Catalogo Generale: 00162948 cui supericie è liscia, è presente un
Numero inventario: Assente Stato di conservazione: Intero Numero inventario: Assente incavo.
Provenienza: Cabras (OR) Cronologia: Secc. VI/VII d.C. Provenienza: Cabras (OR) Stato di conservazione: Intero
San Giorgio di Sinis Bibliograia: serra 1989, pp. 45-76; San Giorgio di Sinis Cronologia: Secc. VI/VII d.C.
Collocazione: Oristano sPanu & zucca 2004; sPanu & Collocazione: Oristano Bibliograia: serra 1989, pp. 45-76;
Antiquarium Arborense zucca 2008, p. 163, ig. 9c. Antiquarium Arborense sPanu & zucca 2004; sPanu &
Museo Archeologico G. Pau Fotografo: Monari, Nicola Museo Archeologico G. Pau zucca 2008, p. 164, ig. 9e.
Oggetto: Peso Compilatore: Sanna, Anna Luisa Oggetto: Peso Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Bronzo/ martellatura/ Materia e tecnica: Bronzo/ martellatura/ Compilatore: Sanna, Anna Luisa
a bulino a bulino
Misure: diam. 2,55, spess. 0,65; peso Misure: diam. 2,2, spess. 0,5; peso
gr. 22 gr. 12,96
Descrizione: Peso (exagium) circola- Descrizione: Peso (exagium) di for-
re con bordi rilevati in ambedue le ma circolare, con bordi rilevati. Sul
facce, che presentano sia nel diritto dritto presenta al centro un cer-
sia nel rovescio un incavo centrale. chiello in rilievo afiancato da due
Nel dritto sono le lettere (trascri- lettere greche, deinite da punti po-
zione “NE”) in caratteri greci graf- sti alle estremità. Le lettere, grafite,
iti, sovrastate da una croce a bracci sono sovrastate da una decorazio-
patenti, le cui terminazioni sono ne a stella, anch’essa con punti alle
3.128 - Peso sPanu & zucca 2004; sPanu & 3.129 - Peso Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00162950 zucca 2008, p. 163, ig. 10a. Numero Catalogo Generale: 00121578 Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola Numero inventario: 21602
Provenienza: Cabras (OR) Compilatore: Sanna, Anna Luisa Provenienza: Villanovafranca (VS)
San Giorgio di Sinis Collocazione: Cagliari
Collocazione: Oristano Museo Archeologico Nazionale
Antiquarium Arborense Oggetto: Peso
Museo Archeologico G. Pau Materia e tecnica: Argento/ fusione
Oggetto: Peso a stampo/ a bulino/ a incisione/
Materia e tecnica: Bronzo/ martellatura/ a punzone/ agemina
a bulino Misure: h 2,9; largh. 3; spess. 0,7;
Misure: largh. 1,8; lungh. 1,8; spess. peso gr. 50,4
0,5; peso gr. 12,98 Descrizione: Peso (exagium) quadrato.
Descrizione: Peso (exagium) quadra- Sul dritto sono presenti, incise e rii-
to. Sul dritto le sigle ponderali in nite in crustae d’argento, sigle ponde-
greco, grafite, sono contornate da rali in greco e croce latina semplice.
una decorazione vegetale di forma La supericie del rovescio è liscia.
circolare. Stato di conservazione: Intero
Stato di conservazione: Intero Cronologia: Secc. V/VII d.C.
Cronologia: Secc. VI/VII d.C. Bibliograia: serra 1989, p. 56, tav.
Bibliograia: serra 1989, pp. 45-76; III, 2; ig. II, 3.
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La Sardegna tardoantica e altomedievale
3.130 - Peso Lungo il margine perimetrale vi 3.131 - Morso Stato di conservazione: Parzialmente
Numero Catalogo Generale: 00121576 è un motivo rettilineo di virgole. Numero Catalogo Generale: 00008012 ricomponibile
Numero inventario: 2557 Stato di conservazione: Integro Numero inventario: 452/634 Cronologia: Secc. VI/VIII d.C.
Provenienza: Cagliari, piazza del Carmine Cronologia: Secc. V/VII d.C. Provenienza: Cheremule (SS) Bibliograia: taraMeLLi 1940, p. 86;
Collocazione: Cagliari Bibliograia: sPano 1872; serra complesso ipogeico caPrara 1988, p. 430, n. 3; saLvi
Museo Archeologico Nazionale 1989, p. 59, tav. III, 1; ig. III,4. di San Pietro in Murighe & serra 1990, p. 4, n. 1; rovina
Oggetto: Peso Fotografo: Monari, Nicola Collocazione: Sassari 2000, p. 46.
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione Compilatore: Sanna, Anna Luisa Museo Nazionale G.A. Sanna Fotografo: Dessì, Pierluigi
a stampo/ a bulino/ a incisione/ Oggetto: Morso Compilatore: Nieddu, Anna Maria
a punzone/ agemina Materia e tecnica: Ferro/ fusione/
Misure: lungh. 3; largh. 3; spess. 0,7; battitura
peso gr. 51 Misure: largh. 15,5; lungh. 23
Descrizione: Peso (exagium) quadrato; Descrizione: morso che presenta il
sestante. È decorato sul dritto ed è iletto in due montanti, uguali fra
liscio sul rovescio. Le sigle pon- loro, caratterizzati ciascuno dalla
derali, in greco, grafite (“NIB”), presenza di una placchetta trape-
sono sormontate da croce latina e zoidale forata e in origine raccorda-
racchiuse entro una corona perlina- ti tramite un anello, oggi perduto.
ta. Ai lati della croce e nei quattro All’estremità di ciascun elemento
angoli sono disposti simmetrica- è presente un anello, funzionale
mente elementi fogliari trilobati. all’inserimento delle briglie.
3.132 - Lancia/cuspide Fotografo: Dessì, Pierluigi 3.133 - Coltello a codolo/lama Fotografo: Dessì, Pierluigi
Numero Catalogo Generale: 00007906 Compilatore: Nieddu, Anna Maria Numero Catalogo Generale: 00007914 Compilatore: Nieddu, Anna Maria
Numero inventario: 40807/336/639 Numero inventario: 4812/400/643
Provenienza: Cheremule (SS) Provenienza: Cheremule (SS)
complesso ipogeico complesso ipogeico
di San Pietro in Murighe di San Pietro in Murighe
Collocazione: Sassari Collocazione: Sassari
Museo Nazionale G.A. Sanna Museo Nazionale G.A. Sanna
Oggetto: Lancia/cuspide Oggetto: Coltello a codolo/lama
Materia e tecnica: Ferro/ fusione a stampo Materia e tecnica: Ferro/ fusione a stampo
Misure: largh. 2; lungh. 25 Misure: largh. 2,2; lungh. 8,7
Descrizione: Cuspide di lancia, bita- Descrizione: Lama di coltello, bita-
gliente. Di forma allungata, del tipo gliente, caratterizzata dalla presen-
a foglia di salice, è completata da za di un lungo e sottile codolo, ra-
una breve immanicatura a cannone. stremato verso la punta.
Stato di conservazione: Intero Stato di conservazione: Frammentario
Cronologia: Secc. VII/VIII d.C. Cronologia: Secc. VII/VIII d.C.
Bibliograia: taraMeLLi 1940, p. 86; Bibliograia: taraMeLLi 1940, p. 86;
caPrara 1988, p. 430, n. 6; saLvi & aMante siMoni & MartoreLLi
serra 1990, p. 4, n. 1; rovina 2000, 1986, p. 168; caPrara 1988, p. 430,
ig. a p. 55. n. 4; saLvi & serra 1990, p. 4, n. 1.
3.134 - Accetta caPrara 1988, p. 431, n. 16; saLvi 3.135 - Accetta & serra 1990, p. 4, n. 1; rovina
Numero Catalogo Generale: 00007902 & serra 1990, p. 4, n. 1. Numero Catalogo Generale: 00007915 2000, pp. 46, 55, ig. a p. 55.
Numero inventario: 4814/449/645 Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero inventario: 4816/451/647 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Provenienza: Cheremule (SS) Compilatore: Nieddu, Anna Maria Provenienza: Cheremule (SS) Compilatore: Nieddu, Anna Maria
complesso ipogeico complesso ipogeico
di San Pietro in Murighe di San Pietro in Murighe
Collocazione: Sassari Collocazione: Sassari
Museo Nazionale G.A. Sanna Museo Nazionale G.A. Sanna
Oggetto: Accetta Oggetto: Accetta
Materia e tecnica: Ferro/ fusione a Materia e tecnica: Ferro/ fusione a
stampo stampo
Misure: largh. 5,5; lungh. 10,5; largh. Misure: largh. 3,6; lungh. 7,5; largh.
tallone 1,2 tallone 1,3
Descrizione: Piccola accetta di forma Descrizione: Piccola accetta di forma
trapezoidale, provvista di un foro trapezoidale, provvista nel tallo-
ovoidale per l’immanicatura nel tal- ne di un foro ovoidale, funzionale
lone, il cui tagliente è leggermente all’immanicatura.
ricurvo. Stato di conservazione: Mutilo
Stato di conservazione: Intero Cronologia: Secc. VII/VIII d.C.
Cronologia: Secc. VII/VIII d.C. Bibliograia: taraMeLLi 1940, p. 86;
Bibliograia: taraMeLLi 1940, p. 86; caPrara 1988, p. 431, n. 14; saLvi
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3.136 - Statuetta zoomorfa Stato di conservazione: Intero 3.137 - Collana forme variano: rotonde, cilindriche e
Numero Catalogo Generale: 00002424 Cronologia: Sec. VI d.C. Numero Catalogo Generale: 00120594 a mandorla, di varia grandezza.
Numero inventario: 113/4804/82 Bibliograia: caPrara 1986, p. 173; Numero inventario: Stato di conservazione: Ricomposto
Provenienza: Mores (SS), Padru rovina 2000, p. 47. 31487/31488/31489/31490 Cronologia: Sec. VII d.C.
Collocazione: Sassari Fotografo: Dessì, Pierluigi Provenienza: Dolianova (CA) Bibliograia: taraMeLLi 1984, pp.
Museo Nazionale G.A. Sanna Compilatore: Nieddu, Anna Maria necropoli di Bruncu e S’Olia 271-272, p. 271, ig. 9; saLvi 1989;
Oggetto: Statuetta zoomorfa Collocazione: Cagliari saLvi 1990; BaLdini LiPPoLis 1999;
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a Museo Archeologico Nazionale saLvi 2002c pp. 159-163.
cera persa Oggetto: Collana Fotografo: Monari, Nicola
Misure: h 8,5; largh. 2 Materia e tecnica: Corniola/ intaglio; Compilatore: Dore, Stefania
Descrizione: Il reperto riproduce quarzo/ intaglio; oro/ fusione/ ili-
un uccello dal collo lungo, becco grana; pasta vitrea/ fusione
adunco piuttosto pronunciato e Descrizione: Collana ricomposta co-
lunga coda piatta e larga. stituita da ventiquattro elementi (tre
Sul capo è una depressione atta ad pendaglietti d’oro e ventuno vaghi):
alloggiare un elemento oggi perdu- una perlina sferica di corniola, due
to. Le superici sono levigate e il di quarzo, tre piccoli pendagli d’oro a
piumaggio non è deinito. Le zam- forma di mandorla con orlo rilevato
pe poggiano su ciò che rimane della a trecciola e pallina al centro, nume-
presa della quale l’oggetto faceva for- rosi vaghi di vetro e pasta di vetro
se parte. bianca, verde, azzurra e variegata. Le
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Indice generale dei reperti compresi nel volume
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Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Braciere 00162720 Cagliari, teatro-tempio di via Malta, pozzo c.d. punico
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00163154 Cagliari, necropoli di San Lorenzo
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00162726 Cagliari, necropoli romana di San Lorenzo
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00163214 Dolianova (CA), necropoli di Bruncu e S’Olia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00121999 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00162690 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00121670 Località sconosciuta (collezione Caput)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00120974 Olbia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00121597 Olbia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00163148 Sant’Andrea Frius (CA), area di culto di Linna Pertunta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00162847 Sant’Antioco (CI), necropoli di Is Pirixeddus, tomba n. 50
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00162603 Santadi (CI), Barrua de Basciu
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00121573 Santadi (CI), tomba di Barrua de Basciu
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00162601 Santadi (CI), tomba di Barrua de Basciu
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca (Atlante forma CXXXII, 3) 00162667 Muravera (CA), necropoli di Costa Rei, tomba n. 3
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca (Bartoloni 1996, forma 23) 00115326 Bithia (Domus de Maria - CA),
necropoli romana, tomba n. 128
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca (Bartoloni 1996, forma 29) 00116070 Bithia (Domus de Maria - CA),
necropoli romana, tomba n. 128
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca (Lamboglia 11, 11 bis) 00121781 Località sconosciuta (collezione Timon)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca globulare 00121736 Località sconosciuta (collezione Gouin)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Bronzetto votivo di Aristeo 00163185 Oliena (NU), salto di Dule
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Bronzetto votivo di gladiatore 00114727 Mogorella (OR)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Bronzetto votivo di Lare 00163186 Gesturi (VS)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Calice (Dragendorff 1) 00162725 Nora (Pula - CA)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Capitello bizonale 00163215 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Capitello d’anta ionico 00163135 Cagliari, area archeologica di via G.M. Angioy
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Ceppo di ancora 00162841 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Cerniera 00163212 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Ciborio/archivolto 00041717 Donori (CA), chiesa di San Nicola (?), oggi distrutta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Cintura/linguetta 00121785 Sant’Antioco (CI)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Cippo a forma di botte 00162844 Cagliari, ex Convento di San Lucifero
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Cippo terminale 00041653 Cuglieri (OR)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Collana 00120594 Dolianova (CA), necropoli di Bruncu e S’Olia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coperchio (Hayes 20) 00162684 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Copia di diploma militare 00162536 Assente
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Copia di iscrizione funeraria cristiana 00163079 Assente
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coppa 00121760 Ittiri (SS), sepoltura
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coppa 00162901 Olbia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coppa (Conspectus R 9) 00112971 Tresnuraghes (OR)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coppa (Dragendorff 35 A) 00112962 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coppa (Dragendorff 35) 00120224 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coppa (Goudineau 38 B) 00112963 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coppa (Hayes 2) 00162691 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coppa (Morel F 2567) 00120289 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coppa (Morel F 2654) 00162897 Olbia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coppa (Morel F 2737) 00116066 Bithia (Domus de Maria - CA),
necropoli romana, tomba n. 128
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coppa (Ritterling 5 B) 00112959 Olbia, Necropoli di Joanne Canu, tomba 59
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Diploma militare di Tunila 00121350 Dorgali (NU)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Diploma militare palinsesto 00121349 Seulo (CA)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Embrice con anteissa 00163127 Castiadas (CA), relitto di Cala Sinzias
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Erma bifronte di Bacco 00163183 Cagliari, via Ospedale
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Falce 00162802 Fluminimaggiore (CI), tempio del Sardus Pater di Antas
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia 00163204 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia 00163205 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia 00163208 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia 00121761 Siurgus Donigala (CA)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia 00163211 Siurgus Donigala (CA)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia 00163149 Siurgus Donigala (CA), complesso sepolcrale bizantino di Su Nuraxi
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia 00121763 Siurgus Donigala (CA), spazio funerario
all’interno del mastio di Su Nuraxi
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia 00162614 Uras (OR), nuraghe Domu Beccia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia 00162616 Uras (OR), nuraghe Domu Beccia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia 00162617 Uras (OR), nuraghe Domu Beccia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia 00162618 Uras (OR), nuraghe Domu Beccia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia/ placca 00163206 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia/ placca 00163207 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia/ placca 00163210 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibula a disco 00120579 Dolianova (CA), necropoli di Bruncu e S’Olia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibula a disco 00162630 Norbello (OR), necropoli di Santa Maria della Mercede,
tomba alpha
482
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fregio 00163072 Nora (Pula - CA)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fronte di sarcofago 00162794 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Guttus (Morel F 8164) 00162896 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Incensiere 00121780 Località sconosciuta (collezione Timon)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione di opere pubbliche 00163088 Cagliari
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00162860 Cagliari, ex convento di San Lucifero
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00162559 Cagliari, cimitero comunale
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00162562 Cagliari, cimitero monumentale di Bonaria
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00162545 Cagliari, ex convento di San Lucifero
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00162551 Cagliari, Palazzina Mari
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00162552 Cagliari, Palazzina Mari
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00162555 Ex albergo La Scala di Ferro
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria cristiana 00163093 Cagliari
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria cristiana 00162526 Cagliari, necropoli di San Saturnino
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria cristiana 00163098 Cagliari, necropoli di San Saturnino
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria cristiana 00163079 Cagliari, Sant’Avendrace
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria cristiana 00163091 Cagliari, Sant’Avendrace - Santa Gilla
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione relativa al restauro 00162533 Maracalagonis (CA)
di terme pubbliche
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione sacra 00162563 Fluminimaggiore (CI), tempio del Sardus Pater di Antas
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Kantharos (Mayet VIII)
(Stiafini-Borghetti 426) 00114715 Tharros (Cabras - OR)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Lampada a olio 00121580 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Lampada a olio 00121581 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Lastra di rivestimento 00163076 Padria (SS), area di Santa Croce, ediicio templare
alle pendici meridionali del colle di San Paolo
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Lucerna 00120278 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Lucerna 00120998 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Lucerna 00028106 Narcao (CI), Strumpu Bagoi
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Lucerna (Deneauve IVA 317) 00121740 Località sconosciuta (collezione Gouin)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Lucerna (Deneauve VIIA) 00120988 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Lucerna a disco (Atlante forma X) 00163270 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Lucerna polilicne 00028115 Narcao (CI), Strumpu Bagoi
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Matrice 00163147 Cagliari, teatro-tempio di via Malta, pozzo c.d. punico
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Matrice 00163074 Cagliari, teatro-tempio di via Malta, pozzo F
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Matrice 00163075 Cagliari, teatro-tempio di via Malta, pozzo F
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Matrice di fusione bivalve 00162629 Cagliari, vico III Lanusei
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Mosaico 00163142 Cagliari, ambiente termale a Bonaria
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Olla 00163191 Cornus (Cuglieri - OR)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Olla con coperchio 00115345 Bithia (Domus de Maria - CA),
(Bartoloni 1996 forma 38) necropoli romana, tomba n. 128
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Orecchini a globo mammellato 00120587 Bortigali (NU), Berre, necropoli
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Orecchini con pendente 00120581 Dolianova (CA), necropoli di Bruncu e S’Olia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Orecchino 00121640 Arbus (VS)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Orecchino 00121637 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Orecchino 00121639 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Orecchino 00163150 Siurgus Donigala (CA), complesso sepolcrale bizantino
di Su Nuraxi
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Orecchino a calice loreale 00120588 Bortigali (NU), Berre, necropoli
con pendente
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Orecchino a globo mammellato 00162631 Norbello (OR), necropoli di Santa Maria della Mercede,
tomba alpha
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Orecchino a globo mammellato 00120577 Nureci (OR), Uriel, tomba
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Patera 00116062 Bithia (Domus de Maria - CA),
necropoli romana, tomba n. 128
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Patera 00121346 Nureci (OR)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Pentola 00121733 Località sconosciuta (collezione Gouin)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Peso 00121576 Cagliari, piazza del Carmine
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Peso 00121578 Villanovafranca (VS)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Piatto 00162722 Cagliari, San Lorenzo
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Piatto (Dragendorff 17) 00120211 Località sconosciuta (collezione Timon)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Piatto (Morel F 1122) 00120288 Località sconosciuta (collezione Gouin)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Piatto (Morel F 2234) 00162898 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Piatto (Morel F 2234) 00162899 Soleminis (CA)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Piatto (Morel F 2783/2784) 00162900 Olbia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Pluteo 00041714 Pula (CA), Isola di San Macario
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Pluteo 00041715 Pula (CA), Isola di San Macario
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Pluteo 00041716 Pula (CA), Isola di San Macario
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Rhyton (Isings 113) 00162647 Domusnovas (CI)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Ritratto di Augusto 00163177 Cagliari
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Ritratto di Claudio 00163173 Sant’Antioco (CI), Su Narboni
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Ritratto di Nerone 00163180 Olbia, scuola elementare
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Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Ritratto di Tiberio 00163172 Sant’Antioco (CI), Su Narboni
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Ritratto di Traiano 00163181 Olbia, scuola elementare
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Ritratto maschile 00163178 Cagliari, via Cavour, pozzo
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Ritratto maschile 00163179 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Sarcofago 00162843 Decimomannu (CA)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Sarcofago a lenos 00162809 Cagliari
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Sarcofago/ fronte 00041695 Olbia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Scodella 00162602 Santadi (CI), Barrua de Basciu
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Singe 00163187 Cagliari, orto botanico
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Statua di Bacco 00061460 Cagliari, viale Trieste n. 105, ediicio termale
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Statua di Bacco 00163175 Cagliari, viale Trieste, ediicio termale
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Statua di Bes 00163188 Fordongianus (OR), terme romane,
nei pressi della vasca superiore
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Statua di Bes 00163189 Fordongianus (OR), terme romane,
nei pressi della vasca superiore
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Statua di Tyche 00163182 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Statua loricata di Druso Minore 00163174 Sant’Antioco (CI), Su Narboni, via Eleonora d’Arborea n. 8
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Statua votiva 00163063 Nora (Pula - CA), Punta de su Coloru,
santuario di Eshmun-Esculapio
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Statuetta/ busto 00121756 Calangianus (OT)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Stele funeraria 00162819 Uras (OR), necropoli romana
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Stele funeraria 00162840 Uras (OR), necropoli romana
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Unguentario (Cuadrado BIII) 00162886 Gesico (CA), necropoli di Santa Lucia, tomba n. 34
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Urna/coperchio 00163152 Cagliari, basilica di San Saturnino
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale, depositi Mosaico 00163071 Cagliari, Villa di Tigellio, esedra del piano superiore
della Casa degli stucchi
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale, depositi Statua di Afrodite 00061462 Cagliari, scavi di viale Trieste n. 105
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale, depositi Statua isiaca 00163176 Cagliari, piazza del Carmine, palazzo delle Poste,
teatro-tempio di via Malta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale, depositi Testa di Bacco fanciullo 00162855 Cagliari, Villino Pernis
Cagliari, Museo e area archeologica di Sant’Eulalia Statua di sacerdote isiaco 00162807 Cagliari, area archeologica sottostante la chiesa di Sant’Eulalia, teatro
Cagliari, palazzo dell’INPS, sito della fullonica Fregio 00163077 Cagliari, palazzo dell’INPS
Cagliari, palazzo dell’INPS, sito della fullonica Mosaico pavimentale 00163102 Cagliari, palazzo dell’INPS, sito della fullonica
Cagliari, Torre del leone o Torre dell’aquila, Iscrizione funeraria 00163100 Località sconosciuta
palazzo Boyl
Carbonia, Museo Archeologico Villa Sulcis Pietra miliare 00163083 Carbonia
Cuglieri (OR), convento dei Cappuccini Iscrizione funeraria cristiana 00027642 Cornus (Cuglieri - OR), necropoli paleocristiana
Cuglieri (OR), convento dei Cappuccini Iscrizione funeraria cristiana 00027645 Cornus (Cuglieri - OR), necropoli paleocristiana
Cuglieri (OR), palazzo del Municipio Pietra miliare 00162496 Cuglieri (OR)
Donori (CA), palazzo del municipio Architrave 00163155 Donori (CA), chiesa di San Nicola (?), oggi distrutta
Donori (CA), palazzo del municipio Pilastro 00163156 Donori (CA), chiesa di San Nicola (?), oggi distrutta
Fordongianus (OR), chiesa di San Lussorio Iscrizione martiriale 00162556 Fordongianus (OR), chiesa di San Lussorio
Fordongianus (OR), magazzini comunali Iscrizione relativa 00162525 Fordongianus (OR), chiesa di San Lussorio
ad un’opera pubblica
Guspini (VS), palazzo comunale Iscrizione magica 00162506 Neapolis (Guspini - VS), Santa Maria di Nabui
Guspini (VS), palazzo comunale Iscrizione onoraria 00162505 Neapolis (Guspini - VS), Santa Maria di Nabui
Las Plassas (VS), MudA - Museo multimediale Iscrizione dei pagani Uneritani 00163101 Las Plassas (VS)
del Regno d’Arborea
Olbia, Museo Archeologico Anfora (Beltràn IIB) 00163116 Olbia, Isola Bocca
Olbia, Museo Archeologico Anfora (Dressel 1C) 00163115 Olbia, Isola di Mezzo
Olbia, Museo Archeologico Askos miniaturistico 00163112 Olbia
Olbia, Museo Archeologico Bracciale 00163160 Olbia, necropoli di Su Cuguttu
Olbia, Museo Archeologico Brocca 00163161 Olbia, porto
Olbia, Museo Archeologico Collana 00163159 Olbia, necropoli Su Cuguttu
Olbia, Museo Archeologico Coppa 00163111 Olbia
Olbia, Museo Archeologico Croce 00163162 Telti (OT), sepoltura all’interno della chiesa
Olbia, Museo Archeologico Iscrizione funeraria 00162981 Olbia, San Simplicio
Olbia, Museo Archeologico Lagynos 00163053 Olbia
Olbia, Museo Archeologico Lucerna 00163157 Olbia, porto
Olbia, Museo Archeologico Matrice per focacce 00163056 Olbia
Olbia, Museo Archeologico Piatto 00163158 Olbia, porto
Olbia, Museo Archeologico Sarcofago 00097691 Olbia, chiesa di San Simplicio
Olbia, Museo Archeologico Scafo di nave 00163057 Olbia
Olbia, Museo Archeologico Statuetta del Genius di Costantino 00163104 Località sconosciuta
Olbia, Museo Archeologico Strigile 00163107 Olbia, necropoli Joanne Canu
Olbia, Museo Archeologico Testa di Eracle 00163048 Olbia, Isola Bocca
Oristano, Antiquarium Arborense Ago crinale 00162941 Cabras (OR), insediamento di San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Brocca 00117597 Tharros (Cabras - OR)
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Fibbia 00119388 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
484
Oristano, Antiquarium Arborense Fibbia 00162960 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Lucerna 00111496 Tharros (Cabras - OR)
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Matrice per focacce 00162939 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Peso 00162944 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Peso 00162946 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Peso 00162948 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Peso 00162950 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Peso 00162955 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Ritratto femminile 00162788 Tharros (Cabras - OR)
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00162961 Cabras (OR), Sa Pedrera
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00162968 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00162969 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00162974 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00162975 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00162976 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00163220 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00163221 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00163230 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00163265 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00163269 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00162962 Cabras (OR), San Salvatore
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Stadera 00162940 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Statua di Afrodite Urania 00162790 Neapolis (Guspini - VS), settore nord-occidentale della città
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Statua di Genius 00162789 Tharros (Cabras - OR)
Museo Archeologico G. Pau
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Bicchiere (Morel F 7321a 1) 00162925 Padria (SS)
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Busto femminile 00162704 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Busto femminile 00162705 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Busto votivo maschile 00162909 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Coppa (Mayet XXXIII) 00162717 Padria (SS)
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Coppa (Morel F 2111a 1) 00162924 Padria (SS)
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Coppa (Morel F 2646) 00162926 Padria (SS)
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Ex voto anatomico 00162910 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Ex voto anatomico 00162911 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Ex voto anatomico 00162912 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Ex voto anatomico 00162913 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Ex voto anatomico 00162914 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Ex voto anatomico 00162915 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Ex voto miniaturistico 00162920 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Ex voto zoomorfo 00162916 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Ex voto zoomorfo 00162917 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Ex voto zoomorfo 00162918 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Ex voto zoomorfo 00162919 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Pisside (Morel F 7553a 1) 00162922 Padria (SS)
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Testa votiva 00162908 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Testa votiva femminile 00162700 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Testa votiva femminile 00162701 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Testa votiva femminile 00162703 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Testa votiva femminile 00162706 Padria (SS), San Giuseppe
485
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Testa votiva femminile 00162707 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Testa votiva maschile 00162905 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Testa votiva maschile 00162906 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Testa votiva maschile 00162907 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Testa votiva maschile 00162921 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Thymiaterion conigurato 00162708 Padria (SS), via Nazionale
a testa femminile
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Thymiaterion conigurato 00162709 Padria (SS), via Nazionale
a testa femminile
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Anfora 00099471 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Anfora (Keay XXVI = Spatheion) 00162767 Porto Torres (SS), Cala Reale
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Balsamario 00162757 Porto Torres (SS), via Cavour - angolo via Libio,
Antiquarium Turritano tomba 278 381/99
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Bambola snodabile 00162754 Porto Torres (SS), via Cavour - angolo via Libio,
Antiquarium Turritano sepoltura ad inumazione
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Base di colonna 00163200 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Bicchiere 00162758 Porto Torres (SS), via Cavour - angolo via Libio,
Antiquarium Turritano sepoltura ad incinerazione
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Busto votivo femminile 00099412 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Busto votivo femminile 00162751 Porto Torres (SS), saggi Banca Nazionale del Lavoro
Antiquarium Turritano in Corso Vittorio Emanuele
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Capitello corinzio 00099506 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Capitello ionico 00099507 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Erma di guerriero 00162737 Porto Torres (SS), zona delle tabernae,
Antiquarium Turritano ad est della fogna principale
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Erma di satiro 00097728 Porto Torres (SS), Terme centrali o via Cardinale, fogna
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Guttus (Morel F 8151a) 00163199 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00162983 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00162988 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00162991 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00162993 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria cristiana 00163034 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria cristiana 00162996 Porto Torres (SS), abitazione privata
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria cristiana 00163003 Porto Torres (SS), Basilica di San Gavino
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Iscrizione sacra 00163002 Porto Torres (SS), Terme centrali
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Mosaico 00163202 Porto Torres (SS), Terme centrali
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Mosaico 00163201 Porto Torres (SS), Terme centrali
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Olla 00099444 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Orecchini con pendente 00163203 Porto Torres (SS), necropoli meridionale o di San Gavino
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Oscillum 00162734 Porto Torres (SS), Terme Maetzke
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Rilievo di dadoforo 00162731 Porto Torres (SS), Terme centrali
Antiquarium Turritano
Po Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Rilievo di Giove Ammone 00162732 Porto Torres (SS), Terme centrali, penultima taberna
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Ritratto di Marco Aurelio 00162740 Porto Torres (SS), piazzale antistante la stazione ferroviaria
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Ritratto femminile 00162739 Porto Torres (SS), Terme centrali, porticato
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Ritratto maschile 00162738 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Scudo miniaturistico 00162780 Porto Torres (SS), Terme centrali, criptoportico
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Statua di Afrodite Anadiomene 00162735 Porto Torres (SS), piazzale antistante la stazione ferroviaria,
Antiquarium Turritano presso il ponte romano
486
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Statua di Sileno 00162733 Porto Torres (SS), piazzale antistante la stazione ferroviaria,
Antiquarium Turritano presso il ponte romanoPorto Torres (SS), Museo Archeologico
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Statua femminile 00162736 Porto Torres (SS), piazzale antistante la stazione ferroviaria
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Statua femminile onoraria 00162730 Porto Torres (SS), palazzo comunale
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Statua maschile 00162755 Porto Torres (SS), area ex Pretura
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Statua maschile 00162753 Porto Torres (SS), via Cavour - angolo via Libio
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Statua maschile onoraria 00162729 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Statua maschile onoraria 00162727 Porto Torres (SS), palazzo comunale
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Statuetta femminile 00162752 Porto Torres (SS), via Cavour - angolo via Libio
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Urna a tempietto con iscrizione 00162742 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Pula (CA), Civico Museo Archeologico G. Patroni Coppa (Dragendorff 37) 00048442 Nora (Pula - CA), necropoli romana di Su Cuventeddu
Pula (CA), Civico Museo Archeologico G. Patroni Iscrizione onoraria 00163089 Nora (Pula - CA)
Pula (CA), Civico Museo Archeologico G. Patroni Lucerna (Deneauve VIB) 00048341 Nora (Pula - CA), Su Cuventeddu
Quartu Sant’Elena (CA), chiesa di Santa Maria di Cepola Iscrizione funeraria 00162573 Quartu Sant’Elena (CA), Santa Loria
Sant’Antioco (CI), Museo Archeologico Comunale Brocca 00163197 Sant’Antioco (CI)
F. Barreca
Sant’Antioco (CI), Museo Archeologico Comunale Campanello 00163196 Sant’Antioco (CI), necropoli di Is Pirixeddus
F. Barreca
Sant’Antioco (CI), Museo Archeologico Comunale Fiasca da pellegrino 00163198 Sant’Antioco (CI)
F. Barreca
Sant’Antioco (CI), Museo Archeologico Comunale Iscrizione onoraria 00163078 Sant’Antioco (CI)
F. Barreca
Sant’Antioco (CI), Museo Archeologico Comunale Mosaico 00163194 Sant’Antioco (CI), Is Solus
F. Barreca
Sant’Antioco (CI), Museo Archeologico Comunale Statua di divinità femminile 00163193 Sant’Antioco (CI), cronicario
F. Barreca
Sant’Antioco (CI), Museo Archeologico Comunale Statua maschile onoraria 00163192 Sant’Antioco (CI)
F. Barreca
Sant’Antioco (CI), Museo Archeologico Comunale Statuetta femminile 00163195 Sant’Antioco (CI), necropoli di Is Pirixeddus, tomba 180
F. Barreca
Sardara (VS), Civico Museo Archeologico Villa Abbas Ago crinale 00117063 Sardara (VS), necropoli romana di Terr’e Cresia, tomba n. 44
Sardara (VS), Civico Museo Archeologico Villa Abbas Anfora (Dressel 25) 00117285 Sanluri (VS), necropoli di Terra’e Cresia
Sardara (VS), Civico Museo Archeologico Villa Abbas Bicchiere 00116442 Sanluri (VS), necropoli punico-romana di Bidd’e Cresia
Sardara (VS), Civico Museo Archeologico Villa Abbas Brocca 00163165 Serrenti (CA), Sant’Antonio
Sardara (VS), Civico Museo Archeologico Villa Abbas Brocca 00163166 Serrenti (CA), Sant’Antonio
Sardara (VS), Civico Museo Archeologico Villa Abbas Piatto 00116161 Serrenti (CA), Sant’Antonio
Sardara (VS), Civico Museo Archeologico Villa Abbas Piatto (Atlante forma VIII, 3) 00162696 Sardara (VS), necropoli di Terra’e Cresia, tomba 64, numero 8
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Accetta 00007902 Cheremule (SS), complesso ipogeico di San Pietro in Murighe
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Accetta 00007915 Cheremule (SS), complesso ipogeico di San Pietro in Murighe
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Ampolla 00007891 Cabras (OR), San Giovanni di Sinis
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Anello digitale 00163058 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Anello digitale (Guiraud 1a) 00097534 Alghero (SS), Maristella - Porto Conte
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Anello digitale a castone 00007863 Località sconosciuta (collezione Spano)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Anello digitale a castone 00007824 Sassari, La Crucca, complesso ipogeico Giorre Verdi,
domus de janas 1, cella c.
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Anello gemino 00097517 Sorso (SS), Su Pidocciu
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Anfora (Kapitan II/Niederbieber 77) 00097599 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Askos (Hayes 123) 00097868 Cornus (Cuglieri - OR)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Balsamario conigurato (Isings 78e) 00039101 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Boccale miniaturistico 00097872 Località sconosciuta
(Atlante tipo 1/109)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Boccale biconico 00163271 Porto Torres (SS), Terme centrali
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Bottiglia (Hayes 160) 00097873 Cornus (Cuglieri - OR)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Bracciale a due teste di serpente 00007884 Borutta (SS), necropoli di San Pietro di Sorres
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Brocca 00163314 Cheremule (SS), San Pietro in Murighe,
complesso ipogeico di Furrighesus o Museddus (?)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Brocca 00097792 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Brocca 00163294 Sassari, Fiume Santo
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Brocca 00163293 Sassari, insediamento tardoantico e altomedievale
di Fiume Santo
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Brocca ovoidale 00007900 Cheremule (SS), San Pietro in Murighe,
complesso ipogeico di Furrighesus o Museddus (?)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Brocca piriforme 00007882 Borutta (SS), sepoltura sul versante orientale
presso la chiesa di Santu Pedru de Sorres
487
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Bronzetto votivo di Ercole 00097554 Ossi (SS)
con la clava
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Bronzetto votivo di Esculapio 00002573 Località sconosciuta
o di suo sacerdote
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Bronzetto votivo di Minerva 00002418 Perfugas (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Calice 00039087 Località sconosciuta (collezione municipale di Sassari)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Calice (Dragendorff 5) 00097755 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Capitello ionico 00097704 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Ceppo di ancora 00031116 Stintino (SS), ritrovamento subacqueo
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Cippo terminale dei Bulgares 00163029 Tortolì (OG)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Collana 00002564 Sorso (SS), Su Pidocciu
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Coltello a codolo/ lama 00007914 Cheremule (SS), complesso ipogeico di San Pietro in Murighe
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Coppa 00097486 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Coppa (Isings 42a) 00039061 Località sconosciuta (collezione municipale di Sassari)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Coppa (Morel F 2783) 00098523 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Coppa miniaturistica 00097757 Porto Torres (SS)
(Atlante forma LX, 3)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Custodia 00162070 Cornus (Cuglieri - OR)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Diploma militare 00163017 Anela (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Ditale 00163291 Sorso (SS), insediamento di Santa Filitica
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fiasca (Lamboglia 13/Hayes 147, n. 3/ 00097789 Porto Torres (SS)
Lamboglia 13 bis = Atlante I, XXII, 8)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia 00007873 Borutta (SS), area della basilica di Santu Pedru de Sorres
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia 00007879 Funtanazza (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia 00007866 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia 00007877 Località sconosciuta (collezione Dessì)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia 00007878 Siligo (SS), tombe presso i resti delle terme romane, insediamento
tardoantico e altomedievale presso la chiesa di Mesumundu
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia 00007881 Siligo (SS), tombe presso i resti delle terme romane, insediamento
tardoantico e altomedievale presso la chiesa di Mesumundu
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia 00008017 Siligo (SS), tombe presso i resti delle terme romane, insediamento
tardoantico e altomedievale presso la chiesa di Mesumundu
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia 00007872 Tissi (SS), tombe in via Paris de Idda
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia 00163171 Uri (SS), cavità naturale con sepolture di Badde Marina / Tiriu
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia 00007870 Gadoni (NU), necropoli tardoromana e altomedievale
presso il centro urbano
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia 00163163 Laerru (SS), necropoli
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia/ placca 00007868 Laerru (SS), necropoli
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibula ad arco zoomorfa 00163297 Sassari, La Crucca, complesso ipogeico Giorre Verdi, tomba
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Guttus (Morel F 8141) 00098513 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Hydria (Calvi D 7) 00039054 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Instrumentum domesticum (sigillo) 00163028 Bonorva (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Instrumentum domesticum (sigillo) 00163027 Martis (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Instrumentum domesticum (sigillo) 00162980 Padria (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Iscrizione di opere pubbliche 00104410 Porto Torres (SS), Terme centrali
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Iscrizione funeraria 00163025 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Iscrizione funeraria 00104452 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Iscrizione funeraria 00163026 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Iscrizione funeraria cristiana 00104443 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Iscrizione funeraria cristiana 00104466 Olbia, San Simplicio
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Iscrizione funeraria cristiana 00104433 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Iscrizione funeraria giudaica 00104406 Porto Torres (SS), Terme centrali
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Iscrizione onoraria 00163018 Cuglieri (OR)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Iscrizione onoraria 00104411 Porto Torres (SS), Terme centrali
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Iscrizione onoraria 00104418 Porto Torres (SS), Terme Pallottino
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lancia/ cuspide 00007906 Cheremule (SS), complesso ipogeico di San Pietro in Murighe
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna a disco (Loeschcke VIII L2) 00162824 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna a prese laterali 00162834 Mores (SS)
(Deneauve IC)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna a prese laterali 00002288 Località sconosciuta (collezione Vincenzo Dessì)
(Deneauve III)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna a volute (Loeschcke I A) 00162830 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna a volute (Loeschcke I C) 00002312 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna a volute (Loeschcke IV) 00002313 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna a volute bilicne 00002307 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna a volute bilicne 00162832 Porto Torres (SS)
(Deneauve VB)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna a volute bilicne 00162829 Porto Torres (SS), scavi ad est del fascio di binari della ferrovia,
(Deneauve VB) pozzo n. 2
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna a volute bilicne 00002310 Località sconosciuta (collezione Vincenzo Dessì)
(Loeschcke III)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna bilicne 00162827 Porto Torres (SS)
488
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna polilicne 00162833 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Morso 00008012 Cheremule (SS), complesso ipogeico di San Pietro in Murighe
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Mortaio 00163280 Sorso (SS), Santa Filitica
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Mortaio 00163286 Sorso (SS), Santa Filitica
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Mosaico 00097736 Porto Torres (SS), Terme centrali
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Mosaico 00163123 Porto Torres (SS), Terme centrali
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Olla 00097499 Località sconosciuta (collezione municipale di Sassari)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Olla (Rofia 384-386; 388-391) 00039039 Cornus (Cuglieri - OR)
con coperchio (Calvi gruppo alfa)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Olpe (Atlante forma XXI, 30) 00097874 Cornus (Cuglieri - OR)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Orecchini a calice loreale 00008024 Borutta (SS), San Pietro di Sorres, necropoli
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Orecchini con pendente 00002561 Alghero (SS), Maristella - Porto Conte
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Orecchini con pendente 00002556 Olbia
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Orecchino 00007855 Borutta (SS), necropoli di San Pietro di Sorres
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Orecchino a calice loreale 00007826 Viddazza (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Orecchino a globo mammellato 00163295 Cheremule (SS), San Pietro in Murighe,
complesso ipogeico di Furrighesus o Museddus (?)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Patera 00039517 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Pentola 00163272 Porto Torres (SS), Terme centrali
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Pettine 00007883 Porto Torres (SS), complesso funerario ipogeico
nella necropoli di Scoglio Lungo
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Piatto 00097859 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Piatto 00097741 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Pietra miliare 00163021 Muros (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Pietra miliare 00163022 Ozieri (SS), Sant’Antioco di Bisarcio
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Sarcofago 00007899 Tissi (SS), Paris de Idda
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Scandaglio 00163121 Castelsardo (SS), ritrovamento subacqueo
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Sigillo 00163281 Sorso (SS), Santa Filitica
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Specchio 00002469 Località sconosciuta (collezione Vincenzo Dessì)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Specchio 00002547 Tharros (Cabras - OR)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Specchio 00008015 Cornus (Cuglieri - OR)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Stadera 00097571 Porto Torres (SS), complesso funerario ipogeico
nella necropoli di Scoglio Lungo
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Statua femminile 00097733 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Statua maschile 00097725 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Statua maschile 00097698 Porto Torres (SS), collina del faro
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Statua maschile onoraria 00097432 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Statua maschile votiva 00163119 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Statuetta zoomorfa 00002424 Mores (SS), Padru
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Stele funeraria 00097674 Castelsardo (SS), Su Romasinu
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Stele funeraria 00097673 Valledoria (SS), Codaruina
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Stucco decorato 00002441 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Tavola di Esterzili 00163015 Esterzili (CA)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Vaso miniaturistico 00002426 La Maddalena (OT), Isola di Spargi, relitto romano
Sinnai (CA), Pinacoteca comunale Brocca 00163168 Sinnai (CA)
e Civico Museo Archeologico
Sinnai (CA), Pinacoteca comunale Fibbia/ placca 00163167 Sinnai (CA), casa privata
e Civico Museo Archeologico
Sinnai (CA), Pinacoteca comunale Iscrizione su reliquiario 00162529 Sinnai (CA), Solanas
e Civico Museo Archeologico
Tergu (SS), chiesa di Nostra Signora di Tergu Iscrizione funeraria 00163011 Tergu (SS)
Torralba (SS), Museo della Valle dei Nuraghi Capitello dorico 00162929 Torralba (SS)
del Logudoro-Meilogu
Torralba (SS), Museo della Valle dei Nuraghi Capitello ionico 00162931 Torralba (SS)
del Logudoro-Meilogu
Torralba (SS), Museo della Valle dei Nuraghi Lucerna 00039668 Torralba (SS), nuraghe Santu Antine
del Logudoro-Meilogu
Torralba (SS), Museo della Valle dei Nuraghi Pietra miliare 00040026 Torralba (SS)
del Logudoro-Meilogu
Torralba (SS), Museo della Valle dei Nuraghi Stele funeraria 00162697 Località sconosciuta
del Logudoro-Meilogu
Viddalba (SS), Museo Archeologico Iscrizione funeraria 00163035 Viddalba (SS), San Leonardo
Viddalba (SS), Museo Archeologico Iscrizione funeraria 00163038 Viddalba (SS), San Leonardo
Villa San Pietro (CA), chiesa parrocchiale di San Pietro Iscrizione sacra 00163085 Sarroch (CA), chiesa di San Nicola
Villasimius (CA), Museo Archeologico Comunale Anfora 00163169 Località sconosciuta
Villasimius (CA), Museo Archeologico Comunale Anfora 00163170 Località sconosciuta
Villasimius (CA), Museo Archeologico Comunale Statua femminile 00162797 Villasimius (CA), ediicio termale di Santa Maria
489
490
Indice
Il progetto Corpora 8
Filippo Maria Gambari
1. La Sardegna romana 15
La Sardegna e il mare 33
Rubens D’Oriano
491
I beni suntuari 139
Marco Giuman, Romina Carboni
L’onomastica della Sardegna romana dalla conquista al III secolo d.C. 207
Piergiorgio Floris
492
L’artigianato metallico 291
Rossana Martorelli
Apparati 465
Schede RA nel tracciato originale
Indice generale dei reperti compresi nel volume
493
Finito di stampare
nel mese di settembre 2017
presso Lito Terrazzi s.r.l.,
Loc. Cascine del Riccio, Firenze