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Sardegna Romana e Altomedievale - Storia e Materiali

Il documento descrive il progetto dei Corpora delle antichità della Sardegna, che ha l'obiettivo di ampliare e diffondere la conoscenza dei beni archeologici e storico-artistici della Sardegna. Il progetto è realizzato grazie alla collaborazione tra enti pubblici come il Ministero per i Beni Culturali, la Regione Autonoma della Sardegna e le Università di Cagliari e Sassari. Il documento sottolinea l'importanza della documentazione e della conoscenza per la tutela del patrimonio culturale sardo.
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Sardegna Romana e Altomedievale - Storia e Materiali

Il documento descrive il progetto dei Corpora delle antichità della Sardegna, che ha l'obiettivo di ampliare e diffondere la conoscenza dei beni archeologici e storico-artistici della Sardegna. Il progetto è realizzato grazie alla collaborazione tra enti pubblici come il Ministero per i Beni Culturali, la Regione Autonoma della Sardegna e le Università di Cagliari e Sassari. Il documento sottolinea l'importanza della documentazione e della conoscenza per la tutela del patrimonio culturale sardo.
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Opera realizzata con il inanziamento della

Regione Autonoma della Sardegna


Assessorato della Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport
Direzione Generale dei Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport
Servizio Beni Culturali e Sistema Museale

© - Regione Autonoma della Sardegna - 2017


ISBN 978-88-7138-960-8
Coordinamento editoriale Lavinia Foddai
Segreteria di redazione Lucia M. Manconi
Progetto graico copertine Alfredo Scrivani
Impaginazione Giovanna Bucalossi
Fotoritocco Franco Baralla, Stefania Marras, Renato Cardone

Referenze graiche e fotograiche


La documentazione iconograica pubblicata nel volume è opera dei fotograi Pierluigi Dessì e Nicola Monari, alcune immagini
sono tratte dagli archivi degli Autori, altre provengono da:
G. Alvito – Teravista: igura a p. 54.
S. Angiolillo: igure a pp. 53, 142 (in basso), 143 (in alto e seconda in basso).
Archivio Comune di San Nicolò Gerrei: igura a p. 234.
Archivio Dipartimento di Storia, Beni culturali e Territorio dell’Università di Cagliari: igure a pp. 209, 212.
Archivio Dipartimento di Storia, Scienze dell’Uomo e della Formazione dell’Università di Sassari: igure a pp. 208, 210.
Archivio Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio: igure a pp. 36 (a destra), 37 (a destra), 39.
Archivio Soprintendenza Archeologica per il Piemonte, Torino I: igura a p. 132 (in alto).
Archivio Soprintendenza Archeologica della Sardegna: igure a pp. 74-85.
Archivio Soprintendenza per i Beni Archeologici per le province di Sassari e Nuoro: igura a p. 136.
M. Bonello Lai: igura a p. 275.
J. Bonetto: igura a p. 268.
A. Boninu, A. Pandoli: igure a pp. 150, 152, 154, 156.
A. Buonopane: igura a p. 187.
G. Olla Repetto: igura a p. 271 (in alto).
C. Carta, L. Serio: igura a p. 133.
F. Cenerini: igura a p. 235.
I. Cerato, V. De Marco, A. Faggin, G. Furlan, A.R. Ghiotto, M. Novello: igura a p. 47 (disegno ed elaborazione).
R. Coroneo: igura a p. 316.
P. Corrias: igure a pp. 141-142.
V. Crespi: igura a p. 29.
A. Farina, M. Sechi: igura a p. 195 (rilievo).
P. Fois, D. Salvi: igure a pp. 276-277.
S. Ganga: igure a pp. 186 (disegno), 189 (restituzione su foto di A. Ibba).
Gabinetto Fotograico Nazionale: igure a p. 128 (a destra), 131 (in basso).
A.R. Ghiotto: igure a p. 115.
E. Grixoni: igure a p. 36 (a sinistra), 37 (a sinistra), 40 (a sinistra e in basso a destra), 42, 102.
A. Melis, G. Zuddas: igura a p. 272.
P. Meloni: igura a p. 34.
S. Moscati: igure a pp. 110 (a sinistra), 112 (a sinistra).
A. Mossa: igura a p. 114.
L. Pani Ermini, R. Zucca: igure a pp. 298-299.
G. Rassu: igure a p. 38 (a destra e in basso a sinistra).
P. Ruggeri: igura a p. 162.
O. Savio: igure a pp. 226, 256, 260.
G. Sotgiu: igure a pp. 188, 258 (in alto).
R. Santucci: igure a pp. 237, 271 (in basso).
E. Trainito: igure a pp. 35, 38 (in alto a sinistra), 40 (in alto a destra).
A. Zara: igura a p. 52 (disegno ed elaborazione).
http://www.wildwinds.com/coins/greece/sardinia/caralis/RPC_624.th.jpg: igura a p. 70 (a sinistra).
Corpora delle antichità della Sardegna

LA SARDEGNA
ROMANA
E ALTOMEDIEVALE
Storia e materiali
A cura di
Simonetta Angiolillo
Rossana Martorelli
Marco Giuman
Antonio Maria Corda
Danila Artizzu

Università degi stUdi di Cagliari


dipartimento di storia,
Beni culturali e territorio
Autori

Attilio Mastino
Università degli Studi di Sassari

Rubens D’Oriano
Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Sassari, Olbia-Tempio e Nuoro

Jacopo Bonetto
Università degli Studi di Padova

Andrea Raffaele Ghiotto


Università degli Studi di Padova

Giampiero Pianu
Università degli Studi di Sassari

Maria Adele Ibba


Università degli Studi di Cagliari

Carlo Tronchetti
Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Cagliari
e le province di Oristano, Medio Campidano, Carbonia-Iglesias e Ogliastra.
Sede Area funzionale Patrimonio Archeologico

Donatella Salvi
Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Cagliari
e le province di Oristano, Medio Campidano, Carbonia-Iglesias e Ogliastra.
Sede Area funzionale Patrimonio Archeologico

Simonetta Angiolillo
Università degli Studi di Cagliari

Romina Carboni
Università degli Studi di Cagliari

Ciro Parodo
Università degli Studi di Cagliari

Marco Giuman
Università degli Studi di Cagliari

Antonietta Boninu
Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Sassari, Olbia-Tempio e Nuoro

Raimondo Zucca
Università degli Studi di Sassari

Antonio Ibba
Università degli Studi di Sassari

Marilena Sechi
Università degli Studi di Sassari

Franco Porrà
Università degli Studi di Cagliari

Piergiorgio Floris
Università degli Studi di Cagliari

Francesca Cenerini
Università di Bologna
Paola Ruggeri
Università degli Studi di SassariMaria Bastiana Cocco
Università degli Studi di Sassari

Alberto Gavini
Università degli Studi di Sassari

Marianna Piras
Università degli Studi di Cagliari

Antonio M. Corda
Università degli Studi di Cagliari

Rossana Martorelli
Università degli Studi di Cagliari

Daniele Corda
Università degli Studi di Cagliari

Maria Grazia Arru


Università degli Studi di Cagliari

Lucia Mura
Università degli Studi di Cagliari

Roberto Coroneo
Università degli Studi di Cagliari

Andrea Pala
Università degli Studi di Cagliari

Per il catalogo

Romina Carboni, Sabrina Cisci, Maria Bastiana Cocco, Emiliano Cruccas, Pierangela Defrassu,
Stefania Dore, Antonio Ibba, Francesca Lai, Anna Maria Nieddu, Chiara Pilo, Manuela Puddu, Silvia Sangiorgi,
Anna Luisa Sanna, Roberta Sulis, Enrico Trudu.
Corpora delle antichità della Sardegna
La Sardegna romana e altomedievale. Storia e materiali

La nascita del presente volume dei Corpora delle antichità della Sardegna è stata accolta con
grande gioia e soddisfazione. Rappresenta infatti la continuità del lavoro di sintesi in atto per
ampliare e diffondere la conoscenza dei beni archeologici e storico-artistici della Sardegna, e
segue quello già edito dedicato al mondo nuragico.
L’iniziativa dei Corpora delle antichità della Sardegna, in attuazione delle normative e degli accordi
nazionali e regionali, rappresenta il segno tangibile della realizzazione di programmi di col-
laborazione interistituzionale, a vantaggio della collettività, che le politiche dell’Amministra-
zione regionale intendono perseguire e intensiicare anche nel campo della valorizzazione dei
Beni Culturali. L’iniziativa si svolge, dunque, grazie alla collaborazione tra il Ministero per i
Beni e le Attività Culturali e del Turismo attraverso gli ufici centrali e periferici, con la colla-
borazione dell’organismo deputato a emanare normative in materia di catalogazione dei beni
culturali, e cioè l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, gli ufici territoriali a
partire dal Segretariato Regionale della Sardegna e le Soprintendenze competenti per territo-
rio; la Regione Autonoma della Sardegna, attraverso l’Assessorato alla Pubblica Istruzione, il
Settore del Sistema Informativo dei Beni Culturali, Uficio del Servizio Beni Culturali depu-
tato alle attività catalograiche; le Università degli Studi di Cagliari e Sassari, rispettivamente
i Dipartimenti di Storia, Beni Culturali e Territorio e di Storia, Scienze dell’Uomo e della
Formazione.
Docenti, funzionari, ricercatori sul campo e tecnici, ognuno per la parte di competenza, han-
no collaborato e collaborano per dare corpo a un progetto che offre una complessiva visione
delle testimonianze della produzione materiale, architettonica e artistica sul suolo isolano,
con la collaborazione preziosa delle amministrazioni locali, dei musei e delle strutture di
conservazione interessate. Un quadro ricco e multiforme che evidenzia la vitalità del popolo
sardo, i contatti commerciali e culturali con terre, vicine e lontane, in dalle epoche più remo-
te e la capacità di fondere conoscenze e cultura con essi senza mai perdere il tratto fondativo
della propria identità. La Sardegna si conferma una terra che accoglie nel proprio grembo,
rielaborandole in modo originale, tradizioni e istanze esterne dimostrando, se ancora ce ne
fosse bisogno, la sua funzione di centralità nel Mediterraneo, e smentendo quella linea di
interpretazione che sostiene che l’insularità abbia prodotto e produca di necessità un chiuso
e muto isolamento. Il patrimonio di studi raccolto e rielaborato è destinato alla fruizione
pubblica e perciò stesso alla crescita culturale dell’intera comunità.

Giuseppe Dessena
Assessore regionale della Pubblica Istruzione,
Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport

7
Il progetto Corpora

Alla realizzazione del progetto Corpora le Soprintendenze per i beni archeologici della Sarde-
gna hanno dato un notevole contributo, mettendo a disposizione il patrimonio conoscitivo
accumulato in più di un secolo di attività di tutela e agevolando il più possibile la realizzazione
del ricco apparato fotograico che correda i dati informativi.
È del resto ben noto che la conoscenza e la documentazione sono il primo ed indispensabile
passo per una corretta tutela e soprattutto per una vera integrazione come patrimonio pub-
blico, nel senso della Costituzione, di beni che spesso necessitano per essere compresi di un
preliminare approccio specialistico.
Il risultato colloca i Corpora della Sardegna tra le iniziative di eccellenza in questo settore e
costituisce un punto fermo per la conoscenza del patrimonio archeologico sardo, utile per
ogni tipo di fruitori, istituzionali e non.
Oltre al pregevole risultato scientiico-documentario, però, mi preme mettere l’accento su
una questione di metodo che punta all’essenza della politica culturale di un territorio. Al di
là dei dibattiti in corso su competenze statali e degli enti locali, sulla separazione tra tutela e
valorizzazione, il raggiungimento di un così importante obiettivo attraverso la condivisione
di strumenti e risorse, non solo materiali o economiche, dimostra infatti la piena concretezza
del modello operativo dell’articolo 17 del Codice Urbani del 2004, laddove la norma colloca
la catalogazione tra le deinizioni fondamentali dell’attività di tutela ma sottolinea come essa
si debba realizzare, e certo non solo in un’ottica di ottimizzazione della spesa, con il concorso
degli enti locali, a partire naturalmente dalle Regioni. Il che naturalmente assume particolare
signiicato in una Regione Autonoma, giustamente gelosa della propria identità in dalle più
remote origini, come la Sardegna.
La realizzazione dei Corpora, quindi, apre la strada alla deinizione, anche formale, di ulteriori
obiettivi comuni, per una più ampia e capillare comunicazione del patrimonio; tra questi
mi sembra irrinunciabile l’ampliamento della rete di soggetti coinvolti e responsabilizzati
nell’attività di ricognizione e censimento del patrimonio sardo, nel quadro di una più organica
conoscenza del territorio e delle sue origini.
La rinnovata organizzazione degli ufici del Ministero in Sardegna ha ormai archiviato le
Soprintendenze per i beni archeologici a favore di ufici che integrano diverse competenze
per un’unitarietà dell’azione di tutela: questa nuova impostazione, superati i primi inevitabili
momenti legati alla complessità della transizione, punta anche a consentire una sempre più
eficace azione comune, sia nel campo della promozione turistica degli elementi che meglio
possono rappresentare l’identità dell’Isola per visitatori che vogliano accostarsi con curiosità
e voglia di conoscere, sia nello sforzo per una sempre più aggiornata ed eficace dissemina-
zione delle conoscenze prodotte dalla ricerca e dallo studio, perché divengano appropria-
zione condivisa di una cittadinanza attiva ed attenta. In questo percorso, il completamento
della prima parte del progetto Corpora costituisce un fondamentale ed incoraggiante punto di
partenza ed è giusto che sia salutato con gratitudine per tutti quelli che hanno concorso alla
sua realizzazione e con rinnovato entusiasmo per ulteriori ambiziosi passi avanti.

Filippo Maria Gambari


Segretario regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali
e del turismo per la Sardegna

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Dall’indagine conoscitiva sui beni culturali ai Corpora

Il progetto Corpora delle antichità della Sardegna, da cui scaturisce il corpus delle antichità romane
e altomedievali, è una delle prime e più importanti iniziative programmate dalla Regione Au-
tonoma della Sardegna in attuazione della legge regionale n. 14 del 2006 e rappresenta una
tappa fondamentale nell’impegno che l’Amministrazione regionale profonde sul fronte della
documentazione dei beni culturali.
Un impegno iniziato nel 1995 con il progetto Indagine conoscitiva sui beni culturali della Sardegna a cui
ha fatto seguito, nel 1996, la Prima catalogazione del patrimonio di archeologia industriale della Sardegna
e, nel 1999, l’avvio della Catalogazione dei beni demoetnoantropologici della Sardegna con la Ricognizione
delle fonti inedite del patrimonio di interesse demoetnoantropologico. Con questi progetti la Regione Sarda
è divenuta soggetto attivo nel censimento e nella catalogazione del patrimonio culturale agendo
in sinergia con le diverse istituzioni che operano nel settore, nell’intento di costituire e imple-
mentare una propria base di dati catalograici utilizzabile a ini istituzionali per la programma-
zione degli interventi di salvaguardia e di valorizzazione di propria competenza.
Nel 2001 la Regione ha costituito una struttura interna all’Assessorato della Pubblica Istru-
zione e Beni Culturali, il Centro Catalogo Beni Culturali, braccio operativo del settore Si-
stema informativo del patrimonio culturale, preposto alla gestione del Catalogo Generale del
Patrimonio Culturale della Sardegna.
Consapevole del ruolo sempre più rilevante dell’informatica nei processi di produzione, ge-
stione e diffusione dei dati relativi al patrimonio culturale, nel 2005 la Regione ha deciso di
dotarsi di un proprio sistema informativo del patrimonio culturale sviluppando uno stru-
mento software denominato Almagest.
Almagest è un sistema web-based per la catalogazione partecipata dei beni culturali, con il
quale diversi soggetti catalogatori accreditati possono creare e gestire schede di catalogo
all’interno di ambiti gestionali.
Lo strumento, che supporta sia i tracciati di schede ministeriali, editati dall’Istituto Centrale
per il Catalogo e la Documentazione, sia tracciati originali, presenta un’interfaccia web che
consente la deinizione delle campagne (per es. campagna di catalogazione, campagna di revi-
sione, ecc.), la deinizione degli utenti e dei loro ruoli – ruoli operativi e non operativi (per es.
catalogatori, validatori, amministratori, fruitori) –, l’immissione dei dati catalograici e della
documentazione di corredo, la ricerca, il controllo formale delle schede attraverso strumenti
di gestione dei dati di riferimento quali vocabolari, ecc., oltre a complessi e personalizzabili
strumenti di reportistica.

La catalogazione per i Corpora


In questo contesto i Corpora delle antichità della Sardegna costituiscono un momento signii-
cativo: la catalogazione diviene il metodo prescelto per la disamina di beni di eccellenza del
patrimonio culturale isolano con il ine di “offrire una panoramica ampia e aggiornata”, da
valorizzare e rendere fruibile nelle forme più adeguate, della produzione artistica e artigianale
delle civiltà che si sono avvicendate nell’Isola attraverso i secoli.
L’analisi dei materiali scelti, dai Dipartimenti universitari che hanno partecipato all’iniziativa,
tra quelli “più signiicativi e di alto valore storico-artistico […] conservati nei Musei nazionali
e Musei locali” è stata afidata a archeologi specializzati nei diversi ambiti di ricerca; conte-
stualmente si è proceduto ad attivare la campagna di documentazione fotograica.
Il Centro Catalogo regionale ha costantemente seguito tutte le attività in relazione alla gestio-
ne degli archivi, fornendo indicazioni di tipo metodologico e curando la veriica delle schede
e degli allegati sotto il proilo tecnico-catalograico.
Tutte le operazioni sono state condotte in aderenza ai più recenti standard ministeriali come
stabiliti dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD): per la schedatura
dei materiali archeologici è stata utilizzata la scheda RA di reperto archeologico nella versio-

9
ne 3.00, con un livello di approfondimento pari al catalogo e con l’adozione dei vocabolari
e delle liste terminologiche previste dall’Istituto con il quale vi è stata costante e proicua
collaborazione.
La scheda RA è stata corredata dei necessari allegati documentali con la compilazione di
schede BIB (Bibliograia), DOC (Fonte documentale), DSC (Scavo archeologico) e IMR
(Documentazione fotograica).
La ricerca archivistica ha permesso di recuperare negli archivi delle competenti Soprinten-
denze Archeologiche le schede di catalogo, quando esistenti, realizzate in anni precedenti con
tracciati differenti o per livello di approfondimento o per versione: le schede cosiddette “pre-
gresse” sono state digitalizzate e allegate alle “nuove” per consentirne l’immediata fruizione.
L’impegno congiunto di tutti i soggetti ha portato nella banca dati dell’Amministrazione
regionale, per il solo corpus delle antichità romane e altomedievali, 1.470 schede RA e 12.403
fotograie di cui circa un terzo documentali e quindi realizzate secondo gli standard ministe-
riali, mentre le restanti rispondono a criteri che possono essere deiniti “artistici”.
Il presente volume, che costituisce parte di una collana dedicata al progetto Corpora, dà spazio
a una selezione mirata di schede in versione non integrale, ma “adattata” alle esigenze di una
pubblicazione che intende rivolgersi a un pubblico quanto più ampio possibile.
La struttura della scheda originale è stata infatti “ridotta” da un lato attraverso la selezione
dei campi (o voci) ritenuti più “signiicativi” e d’altro lato grazie all’accorpamento di alcune
informazioni che nella scheda ministeriale sono “destrutturate”, cioè distribuite in più campi
(o voci).
Sono presenti tutte le informazioni utili alla identiicazione della scheda (Numero di Catalo-
go Generale e Numero di inventario), all’individuazione del contesto di provenienza e dell’at-
tuale collocazione dell’oggetto (Provenienza e Collocazione), alla deinizione dell’oggetto
e della relativa documentazione bibliograica (le voci Oggetto, Materia e tecnica, Misure,
Descrizione, Stato di conservazione, Cronologia, Bibliograia), all’identiicazione dell’autore
della foto e del compilatore della scheda (voci Fotografo e Compilatore).
Si è ritenuto utile accorpare sotto la voce Provenienza le informazioni attinenti al luogo di
reperimento del reperto originariamente raccolte in più campi del tracciato ministeriale.
Inoltre per garantire una certa omogeneità, in termini di ampiezza e di fruibilità, il testo
inserito nella voce Descrizione risulta essere una parziale rielaborazione del corrispondente
campo della scheda ministeriale.
Inine, esigenze di sintesi hanno indotto a proporre nella voce Bibliograia solo una scelta
dei riferimenti bibliograici più signiicativi attinenti all’oggetto catalogato e inclusi nell’ori-
ginario tracciato ministeriale attraverso la scheda BIB, lasciando all’apparato bibliograico in
chiusura di ogni singolo contributo sulle diverse classi di materiali il compito di offrire un
quadro d’insieme completo delle pubblicazioni dedicate a ciascuno dei temi trattati.
La selezione che si propone in questa sede non può pertanto rendere conto della complessità
delle schede realizzate, della ricchezza di informazioni, apprezzabile anche nella molteplicità
degli allegati documentali di corredo, e dell’impegno profuso da tutti gli operatori.
Per ovviare a questo “limite” si è scelto di pubblicare un limitato numero di schede nella
versione integrale come attualmente presenti nel sistema informativo regionale. Peraltro, è
previsto che a questo patrimonio di conoscenze sia data la più ampia diffusione attraverso la
pubblicazione sul Portale Sardegna Cultura.
Un particolare ringraziamento al Settore Sistema Informativo dei Beni Culturali (Centro
Catalogo).

Dott.ssa Roberta Sanna


Direttore del Servizio Beni Culturali e Sistema Museale

Dott.ssa Anna Maria Musu


Responsabile del Settore sistema informativo beni culturali
Direzione generale dei beni culturali, informazione, spettacolo e sport
Assessorato della pubblica istruzione, beni culturali, informazione, spettacolo e sport
Regione Autonoma della Sardegna

10
Prefazione
Il Corpus romano e altomedievale

Il volume La Sardegna romana e altomedievale. Storia e materiali nasce nell’ambito del progetto
Corpora delle antichità della Sardegna, che vede la collaborazione interistituzionale tra la Regione
Autonoma della Sardegna (attraverso l’Assessorato alla Pubblica Istruzione), il Ministero per
i Beni e le Attività Culturali e del Turismo attraverso gli ufici centrali e periferici e le Univer-
sità degli Studi di Cagliari e di Sassari, attraverso rispettivamente il Dipartimento di Storia,
Beni culturali e Territorio e il Dipartimento di Storia, Scienze dell’Uomo e della Formazione,
in un programma di cooperazione culturale inalizzato a diffondere presso un pubblico più
ampio una conoscenza scientiicamente corretta dei beni archeologici e storico-artistici della
Sardegna. Il progetto ha coinvolto docenti dei due Atenei e numerosi giovani che si sono
formati nelle Università sarde ed ha permesso la valorizzazione della formazione da loro
acquisita durante il percorso di studi seguiti.
Per il Dipartimento di Storia, Beni culturali e Territorio dell’Università di Cagliari è stata
questa una delle occasioni di coinvolgimento e di presenza dei nostri giovani studiosi che si
sono formati nel Corso di laurea di Beni culturali e Spettacolo, nella laurea magistrale in Ar-
cheologia e storia dell’arte e nella Scuola di Specializzazione in Beni archeologici (incardinate
nel Dipartimento), in progetti di ricerca, pubblicazioni collettanee, mostre, iniziative culturali
che da anni vedono impegnato il Dipartimento in una costante azione di disseminazione dei
risultati delle ricerche e di collaborazione con enti locali, fondazioni, istituzioni e associazioni
culturali che operano sul territorio.
Il progetto aveva preso corpo, alcuni anni fa, all’interno della collaborazione tra la RAS e
l’allora Dipartimento di Archeologia e Storia dell’Arte, diretto in quel momento da Roberto
Coroneo, insigne studioso e docente di Storia dell’arte medievale (prematuramente scompar-
so), nell’ambito del rapporto da lui avviato con la RAS, con la quale aveva anche cooperato
all’allestimento del Portale Sardegna cultura, nella convinzione (che è opinione di tutti noi)
della necessità della sinergia fra enti in attività che integrino le diverse competenze al ine di
raggiungere quel bene comune che è l’obiettivo del nostro impegno nel campo della cultura
a tutti i livelli sociali.
Il presente volume, curato dal Dipartimento di Storia, Beni culturali e Territorio dell’Uni-
versità di Cagliari (nel quale è conluito il Dipartimento di Archeologia e Storia dell’Arte),
segue il volume dedicato al mondo nuragico (realizzato a cura del Dipartimento di Storia,
Scienze dell’Uomo e della Formazione dell’Università di Sassari) e raccoglie i risultati della
catalogazione di documenti materiali relativi all’ampio arco cronologico compreso fra l’inizio
della dominazione romana in Sardegna (III secolo a.C.) e la ine dell’appartenenza dell’Isola
all’impero bizantino (X-XI secolo).
Il censimento di tali beni, che ha preso l’avvio nel 2008, ha tenuto in considerazione prodotti
di arte uficiale, ma anche manufatti espressione di momenti della vita quotidiana negli aspetti
legati alla vita e alla morte (ad esempio le epigrai funerarie), al ine di portare a conoscenza di
un pubblico non esclusivamente specialistico importanti e preziose testimonianze della storia
e della cultura in Sardegna dall’età repubblicana all’inizio del periodo dei “Giudici”.
Il lavoro svolto ha un indubbio alto valore innovativo e scientiico: basterà ricordare e mette-
re in rilievo da una parte l’applicazione delle tecnologie informatiche nella fase di schedatura
(accompagnata dalla sperimentazione dei sistemi proposti sia dall’ICCD, sia dalla Regione
Sardegna) e dall’altra il riordino delle conoscenze su alcune produzioni locali antiche o im-
portazioni che da molto tempo si attendeva. Dato che i risultati sono sotto gli occhi di tutti
grazie alla pubblicazione del volume, si deve ricordare come tutto ciò sia stato possibile
grazie alla professionalità e alla capacità di dialogo e di scambio di tutti coloro che hanno
prestato la loro opera e dedicato il loro entusiasmo a vario titolo.
Le sperimentazioni e l’uso delle tecnologie informatiche sono state possibili perché i profes-
sionisti archeologi che hanno partecipato ai lavori, spinti da curiosità intellettuale e lessibilità

11
nel percorrere nuove vie, hanno prestato la loro opera al di là dei termini previsti dai conte-
nuti di un contratto.
L’accesso ai reperti archeologici e il loro studio è stato possibile per lo spirito di aperta col-
laborazione fra l’Università di Cagliari, nelle persone dei coordinatori scientiici del progetto,
e la Soprintendenza Archeologica, il personale della quale, a tutti i livelli, si è prodigato con
grande liberalità.
Il volume comprende due parti. Nella seconda parte conluiscono 500 schede relative ad una
selezione ragionata nell’ambito della cospicua mole di materiali, operata secondo un crite-
rio di rappresentatività, che consenta al lettore di avere una panoramica vasta dei manufatti
circolanti e delle sfaccettature ad essi connesse, seppure attraverso una “sintesi-campione”.
La prima parte è, invece, dedicata a contributi incentrati su tematiche di carattere generale,
che spaziano dalla storia alla topograia, agli aspetti produttivi, istituzionali, culturali e religio-
si. I testi, concepiti per essere accessibili ad un pubblico vasto e non esclusivamente speciali-
stico, sono strutturati in forma agevole, corredata da un apparato bibliograico di riferimento
per eventuali approfondimenti. Suddivisa in tre capitoli, essa presenta in successione lavori
dedicati a La Sardegna romana, a Istituzioni ed epigraia della Sardegna romana e tardoantica, a La
Sardegna tardoantica ed altomedievale.
La parte relativa all’età romana, partendo da alcuni dei più importanti materiali conservati
nelle principali collezioni museali della Sardegna, permette di approfondire, grazie alla par-
tecipazione di studiosi e specialisti del settore, tematiche che contribuiscono ad una migliore
conoscenza dei processi che contraddistinguono la presenza romana in Sardegna e la sua
diffusione nel territorio isolano. Il volume si rivela una preziosa fonte di informazioni in
merito a tematiche e contesti che spaziano dall’ambito territoriale a quello dei manufatti
fornendo una visione d’insieme del complesso panorama civile e religioso dell’Isola di età ro-
mana e della sua evoluzione dalla proclamazione della provincia ino alla caduta dell’Impero.
Vengono presentati approfondimenti in merito ai rapporti tra città e territorio, nonché alle
complesse e articolate realtà religiose che contraddistinguono i culti isolani di questo periodo,
al ine di comprendere le dinamiche culturali, cultuali e politiche che legano la Sardegna alla
Penisola Italica e la sua apertura verso le inluenze esterne. Una buona esempliicazione di
ciò, tra le tante possibili, può essere individuata nell’ambito della produzione di monili che
si contraddistingue per l’alto livello tecnico, pur non possedendo peculiarità rispetto ai coevi
prodotti del resto dell’impero. Stesso discorso vale anche per la scultura. Fa fede di ciò la
bella serie di ritratti repubblicani conservati al museo di Cagliari che dimostra l’alto livello di
omogeneità culturale e sociale raggiunta dalle élites isolane già in questo periodo. Non manca-
no tuttavia peculiarità proprie che mostrano la speciicità sarda di alcuni ambiti quale quello
religioso, come ben dimostra la terracotta nota in letteratura come Sarda Ceres, produzione
peculiare della Sardegna di età romana.
Le schede relative alle antichità romane costituiscono un’ampia selezione attinente ai prin-
cipali aspetti della cultura e della vita della provincia Sardinia. Sono presentati i molteplici
oggetti relativi alla vita quotidiana, dalla ceramica di uso comune, a quella per il trasporto e
lo stoccaggio delle derrate, agli esemplari a carattere votivo, agli oggetti in vetro. Ma appar-
tengono alla categoria della quotidianità anche gli strigili, strumenti indispensabili per tutti gli
uomini che frequentando le terme si dedicavano all’esercizio sportivo, e, per la sfera femmi-
nile, i gioielli e gli specchi con le loro montature in bronzo argentato o in piombo; e inine le
ancore e gli scandagli, indispensabili per la navigazione, e le navi stesse.
Variegato e molto interessante è il quadro offerto dall’analisi delle terrecotte igurate, per lo
più espressione della devozione popolare, come nel caso delle statuette della Sarda Ceres (ex
voto prodotti in Sardegna per un culto a carattere agrario), o di quelle degli incubanti (rafi-
gurazioni di giovani addormentati in attesa della guarigione da parte del dio Esculapio). Alla
sfera cultuale attiene anche la testa di Eracle rinvenuta a Olbia, parte della statua di culto, o di
una sua copia, di un santuario cittadino. Tra le schede sono presenti anche quelle di matrici,
indizio certo di produzioni locali. In gran parte riguardano statuette ittili votive, ma è da se-
gnalare una di particolare interesse proveniente sempre dalla città gallurese: a forma di disco
con una scena della pompa triumphalis celebrata nel 303 per la vittoria sui Parti dei due impe-
ratori Diocleziano e Massimiano, rappresentati su un carro trainato da elefanti e circondati
da soldati, senatori, cavalieri, in una rafigurazione complessa e affollata di ben 173 igure tra
uomini e animali! È verisimile che con questa matrice si ottenessero piatti commemorativi,

12
copie economiche di ben più ricchi esemplari in argento, capolavori dell’oreiceria romana
che ci sono noti dal I al IV secolo d.C.
Le schede della scultura rappresentano un carattere particolare della Sardegna: aperta a tutti
gli impulsi culturali provenienti dal Mediterraneo e testimoniati dalla presenza di statue di
produzione greca accanto ad altre opera di botteghe romane, offre un repertorio scultoreo
omogeneo a quello delle altre province, ma la forte impronta lasciata dalla cultura punica
le impedisce di apprezzare e rielaborare secondo le proprie esigenze la ritrattistica, potente
strumento di propaganda politica a Roma e in tutto l’impero. Pertanto i ritratti presenti in
Sardegna rafigurano sostanzialmente l’élite romana: governatori e imperatori.
Tra i monumenti funerari, nel I secolo a.C. uno con fregio dorico a Cagliari testimonia la
presenza in città dei numerosi Italici che formavano l’apparato amministrativo e militare
della provincia; contemporaneamente, ma con una produzione che perdura ino al II secolo
d.C., una serie di stele rafigura l’immagine del defunto con tratti molto schematici, estranei
al linguaggio formale romano. Ma la scelta di inserire nel monumento funebre un ritratto,
quale che sia il suo aspetto, è tipicamente romana e denota la volontà del committente di
aderire a tale cultura, come dimostra talora la presenza di un’iscrizione con il nome e l’età del
deceduto.
Un’ampia selezione di testi epigraici tra i circa 1600 inora rinvenuti sul territorio della pro-
vincia Sardina permette al lettore di affrontare, a partire dai dati testuali, tematiche complesse
legate all’Amministrazione dello Stato romano, alle amministrazioni locali e alla gestione
delle infrastrutture nel territorio.
La città di Sulci (l’attuale Sant’Antioco), presentata come modello tipo di centro urbano,
racconta, ad esempio, con le sue iscrizioni, storie individuali legate a componenti di diverso
livello sociale e storie connesse ad aspetti di tipo gestionale in un contesto come quello sardo
in cui una società pluristratiicata e composita è l’emblema di una commistione di culture e
di popoli a testimonianza della centralità mediterranea dell’Isola. Microstoria e macrostoria
si fondono quindi, alla luce dei reperti epigraici, in una serie di contributi che parlano di oc-
cupazione della Sardegna, di strategie di gestione del territorio, di pianiicazione, di controllo
militare e di utilizzo e valorizzazione delle risorse.
In questo quadro generale risulta evidente, già dall’indice del volume e dai tematismi proposti
in questa sezione, come il linguaggio comunicativo proprio del medium epigraico inteso come
testo esposto e quindi pubblico, sia orientato a una produzione d’immagine e di come, sia
pure in una provincia a “bassa densità epigraica” come la Sardinia, esso rivestisse un ruolo
primario nelle strategie di controllo del territorio.
I testi epigraici commentati nelle parti di saggio e brevemente descritti e presentati nella
ricca selezione di schede proposte nella sezione catalogo sono un evidente esempio di ciò
che la società romana pensasse di sé e di come si autorappresentasse in un’area periferica e
“multietnica” come la Sardegna.
Esempi di adesione incondizionata ai modelli culturali e religiosi romani, conservazione del
ricordo di culture precedenti nei nomi di sostrato, deinizione di conini fra popolazioni au-
toctone e immigrati e la presenza sul territorio di numerose iscrizioni menzionanti individui
allogeni fanno quindi dei testi epigraici della Sardegna un vero e proprio caso di scuola per la
comprensione delle dinamiche di conquista e di inculturazione dei territori esterni, ponendo
dunque, in termini problematici, lo stesso concetto di limes e di confronto con le aree esterne
ad esso ritenute, a torto o a ragione, resistenti.
La terza parte raccoglie contributi che completano il quadro delle conoscenze sull’antichità
in Sardegna ino all’età postclassica. In una sintesi sullo stato delle città nel passaggio fra l’età
imperiale, la tarda antichità e il medioevo, segnato dall’entrata dell’Isola nell’orbita del regno
dei Vandali e poi dell’impero bizantino come parte della provincia d’Africa, si mettono in
evidenza le persistenze e le modiiche registratesi nell’assetto urbanistico-topograico e nella
isionomia dei centri urbani. Se da un lato le città rimangono sullo stesso sito in continuità
con l’epoca precedente, diversi fattori concorrono a generare il mutamento del loro impian-
to, fra i quali – come è facilmente comprensibile – si evidenzia il ruolo primario dell’introdu-
zione della nuova religione cristiana. Con le sue esigenze, ben diverse da quanto richiesto dal
paganesimo, essa modiica anche l’aspetto delle città. Si pensi all’effetto che nei contempora-
nei doveva fare la chiusura dei templi, in seguito agli editti dell’imperatore Teodosio alla ine
del IV secolo, e la loro sostituzione con le chiese, che a loro volta “attraevano” come fattori

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poleogenetici nuclei di abitanti, non solo motivati dalla fede, ma anche perché impegnati nel
funzionamento e nella cura di tali ediici. Si pensi, inoltre, ad un altro aspetto che caratterizza
le città nell’età postclassica: il ripristino delle mura, con forte funzione difensiva, richiesta
anche dai movimenti di popoli nel bacino mediterraneo. Inine, un elemento di forte rottura
fu portato dal trasferimento delle sepolture all’interno del circuito urbano, dopo ben dieci
secoli di cimiteri extra urbem. La legge, introdotta nel IV secolo a.C., per ragioni di emergenza
ma anche per scelte ben precise, non è più così rigorosa nel vietare la sepoltura intra urbem.
Di conseguenza, i grandi cimiteri fuori delle città vengono abbandonati e le chiese urbane
con le aree circostanti ospitano i defunti, creando spazi dei morti all’interno di spazi dei vivi,
ma cambiando anche i tipi della sepoltura. Dai sarcofagi in pietra, oggetto di un contributo
di questo volume, si passa prevalentemente a tombe scavate nella terra o sotto il piano degli
ediici di culto.
Altri temi vengono affrontanti relativamente agli aspetti della vita quotidiana, come i ma-
nufatti in ceramica, vetro e metallo, usati in cucina e sulla tavola per la preparazione e la
consumazione dei cibi. Nei contributi si è cercato di disegnare un panorama generale delle
produzioni realizzate e diffuse nell’arco cronologico compreso fra il IV e la ine del X secolo,
mettendo in evidenza forme, tipi e caratteristiche tecniche legate a precisi procedimenti tec-
nologici, inquadrando i reperti nel più ampio panorama delle attività locali e della circolazio-
ne come merci di importazione ed esportazione nei più importanti porti del Mediterraneo.
Inine, legati al cerimoniale dei riti della nuova religione sono gli ultimi due contributi, dedi-
cati rispettivamente all’arredo e alla suppellettile liturgica, che analizzano manufatti in pietra
e marmo usati come elementi divisori funzionali alla ripartizione degli spazi secondo i diversi
tempi della liturgia e gli oggetti in metallo utilizzati nella somministrazione dei sacramenti e
nell’illuminazione degli ediici di culto.
Le schede del catalogo collegate a questa parte offrono una ricca panoramica di reperti, testi-
monianza della vita privata come degli aspetti più uficiali.
Si segnalano fra questi oggetti le numerose ibbie di cintura in metallo, ascrivibili ad una
produzione che trova confronti nel mondo mediterraneo, prevalentemente – ma non solo – di
cultura bizantina. Oggi comunemente ritenute parte dell’abbigliamento dei militari, costi-
tuiscono una prova concreta della dislocazione di numerosi piccoli contingenti a controllo
militare ed economico nel territorio, secondo un’organizzazione che venne applicata in tutto
l’impero, ma particolarmente nelle regioni periferiche.
Nella varietà dei reperti, è meritevole di particolare attenzione anche un gruppo di manufatti
di grande importanza, costituito dall’arredo scultoreo (plutei, capitelli, ecc.), di alto livello
qualitativo, prodotto al termine dell’età bizantina in Sardegna (ine X secolo) e con ogni
probabilità commissionato dai membri di quell’aristocrazia locale formatasi nel periodo della
dominazione orientale, dalla quale emergeranno proprio i “Giudici”. Essi attestano l’evolu-
zione di una classe sociale che dona elementi di arredo pro remedio animae, ma in realtà come
manifestazione di un potere in crescita, che vede nella captatio benevolentiae della Chiesa una
delle linee di azione. I reperti si allineano stilisticamente e concettualmente a quanto riscon-
trato nelle regioni bizantine dell’Italia meridionale (soprattutto in Campania).

Prof. Francesco Atzeni


Direttore del Dipartimento di Storia, Beni Culturali e Territorio
Università degli Studi di Cagliari

14
1.
La Sardegna
romana
La Sardegna al centro del Mediterraneo
Attilio Mastino

La preistoria
La civiltà dei Sardi è il frutto di un complesso mosaico di correnti culturali attive nell’Isola a
partire dal periodo neolitico. In effetti la documentata presenza dell’uomo nella Sardegna set-
tentrionale sin dal Paleolitico inferiore (Perfugas-Laerru, cultura clactoniana: 500.000-350.000
anni da noi) e le successive attestazioni dell’homo sapiens in fase del Paleolitico superiore e del
Mesolitico ad Oliena (Grotta del bandito Corbeddu) risultano a tutt’oggi sporadiche perché si
possa parlare di una continuità culturale.
Il Neolitico antico reca in Sardegna i segni rivoluzionari di una nuova era: l’agricoltura, l’alle-
vamento, la produzione ceramica e litica mediante levigatura, la tessitura appaiono nei diversi
versanti dell’Isola sin dal VI-V millennio a.C. (Golfo di Cagliari, Sulcis, Golfo di Oristano,
Porto Conte, Sassarese, Golfo di Dorgali). È questa l’epoca in cui per la prima e l’unica volta
nella sua storia la Sardegna appare protagonista delle intraprese commerciali e manifatturiere su
larga scala, in relazione al possesso delle ingenti risorse dell’ossidiana del Monte Arci, vero “oro
nero” dell’antichità, secondo la colorita espressione di Giovanni Lilliu. I giacimenti di ossidiana
sardi sono i più occidentali del Mediterraneo e, conseguentemente, alimenteranno i commerci
transmarini in direzione dell’Africa, della Penisola Italiana, della Provenza e della Catalogna per
tutta l’età neo-eneolitica tra il VI e il III millennio a.C.
La Sardegna conoscerà per la sua natura geograica di isola, la più distante dalle altre terre in
tutto il bacino del Mediterraneo, il duplice destino di “isola-crocevia” e “isola-deposito”, isola
raggiunta dalle più notevoli e diversiicate componenti delle culture mediterranee e isola che
elabora in chiave conservatrice le varie trame delle culture allogene. Il tormentato rilievo geo-
graico della Sardegna spingerà i vari populi alla costituzione di micro-regioni, in cui una civiltà
sostanzialmente unitaria nelle varie epoche acquisirà modulazioni locali, che la ricerca storico-
archeologica si sforza di deinire, ma che già gli antichi avvertivano attribuendo ai Sardi – so-
prattutto a quelli che navigavano – la deinizione di “nazione”.
Nel Neolitico la cultura di Ozieri di marca egeo-anatolica porterà i culti del “dio toro” e della
“dea madre”, la sepoltura in grotticella artiiciale (domus de janas), la litotecnica e la ceramica a
decoro con bande tratteggiate dal nord al sud e dall’est all’ovest dell’Isola, costituendo la cultura
basica dei sardi neolitici; viceversa nell’Eneolitico (2750-1800 a.C.) sia la cultura di Abealzu-
Filigosa, sia quella di Monte Claro mostreranno più chiaramente le modulazioni regionalistiche.
Anche l’evoluta civiltà dell’età del Bronzo, che convenzionalmente è detta “nuragica”, si com-
porrà attraverso “aspetti cantonali”, determinata da uno sviluppo diversiicato dei tipi di torri
e castelli fortiicati (i nuraghi), dei tipi di tombe a corridoio (le tombe di giganti), dei tipi di
ceramica. L’incontro con gli Achei verso il XV secolo e ancor di più nei tempi del Miceneo III
B-C (XIV-XII secolo a.C.) porterà ad un impetuoso sviluppo della civiltà del bronzo sarda, che
nell’attività metallurgica conoscerà una nuova stagione di commerci e di rapporti culturali sia
con il versante orientale del Mediterraneo (Cipro, costa siriaca, Creta) sia con il versante occi-
dentale (Andalusia).

La tarda età nuragica: Fenici e Cartaginesi in Sardegna


In tempi storici, durante la prima età del Ferro (IX-VIII sec. a.C.) e nelle successive fasi orien-
talizzante e arcaica (VII-VI sec. a.C.), abbandonate le torri preistoriche dell’età del Bronzo,
i Sardi si daranno forme di organizzazione sociale alquanto complesse, con una leadership
di “ottimati”, segnalata anche dalla tradizione mitologica greca (gli àristoi di Diodoro Siculo),
che si esprimerà in doni prestigiosi al pantheon indigeno come i “colossi” in arenaria gessosa di
Mont’e Prama di Cabras, sede di un santuario funerario dove forse si praticava il rito del sonno
terapeutico ricordato da Aristotele, ai piedi delle statue scolpite nel calcare di Cornus. Queste
nuove forme culturali sono il frutto di una rete di relazioni con i Fenici, attestati sulle coste
sarde sin dal 750 a.C., con le colonie di nuova fondazione di Nora, Sulci, Tharros, Othoca, ma

17
Attilio Mastino

anche con gli Etruschi (con i quali i Sardi avevano regolari relazioni, basate anche su matrimoni
fra principi, sin dal periodo Villanoviano II); inine con i Greci, se la fondazione di Olbia, che
il mito attribuisce ai gemelli Iolei Ippeus e Antileone igli di Eracle, è veramente da attribuire ai
focesi di Marsiglia nel VI secolo a.C.
I santuari sardi, basati sul culto delle acque nei templi a pozzo, accoglievano merci di importa-
zione (così ad esempio a Serri-Santa Vittoria, a Cuccuru Nuraxi-Settimo San Pietro e a Orani-
Nurdole), dimostrando che sia in area montana, sia in collina e in pianura, andava maturando
un’evoluta civiltà sarda frutto delle tradizioni mediterranee isolane e dei nuovi apporti orientali,
greci ed etruschi.
Gli autori classici, in particolare Diodoro Siculo nel I secolo a.C. e Pausania nel II secolo d.C.,
hanno sintetizzato la complessità di questi rapporti in chiave mitica, attribuendo a Sardo-Sardus
Pater (giunto dalla Libia), ad Aristeo (iglio di Apollo e di Cirene), a Norace (iglio di Ermes e di
Erizia, arrivato all’Iberia), a Iolao con i cinquanta Eraclidi, a Dedalo, ad Enea, la primitiva colo-
nizzazione dell’ “isola dalle vene d’argento”, che poi avrebbe preso il nome di Sardò-Sardinia, di
Sandaliotis e di Ichnussa, dopo che i marinai greci riuscirono a disporre di una carta topograica
delle coste sarde.
L’arrivo dei Cartaginesi sul inire del VI secolo a.C. spezzò questa profonda elaborazione cultu-
rale che sembrava prossima all’acquisizione della isionomia urbana (non abbiamo prove certe
di “città” indigene) e della scrittura (ma segni alfabetici fenici o greci appaiono incisi a crudo su
ceramiche indigene dell’VIII-VII secolo a.C. a Monastir e a Su Cungiau ‘e Funtana-Nuraxinied-
du). I lingotti in rame e in piombo della prima età del Ferro in Sardegna rivelano l’adozione di
tre segni alfabetici di origine fenicia o greca a Forraxi Nioi-Nuragus, a Monte Olladiri-Monastir
e a Sant’Anastasia-Sardara.
Con le campagne di Malco e poi di Amilcare e di Asdrubale in Sardegna furono poste le basi per
una presenza diffusa dei Cartaginesi almeno sulle coste dell’Isola: di conseguenza furono sbar-
rate le porte alla colonizzazione greca, che pure aveva tentato una penetrazione lungo la costa
orientale e in particolare ad Olbia, almeno ino alla battaglia navale nel Mare Sardo del 535 a.C.
Nel primo trattato tra Roma e Cartagine, che Polibio data al primo anno della repubblica (cioè
al 509 a.C.), la Sardegna compare saldamente controllata dai Punici, ma non ancora inserita
nella “zona proibita”; il commercio per i Romani era anzi autorizzato, alla presenza di un araldo
o di uno scriba cartaginese, incaricati di riscuotere e registrare le merci e transazioni sottopo-
ste a dogana. Più tardi, con il secondo trattato tra Roma e Cartagine (348 a.C.), in Sardegna la
situazione appare mutata a sfavore di Roma, forse in seguito al tentativo di colonizzazione di
cinquecento romani in Sardegna (fondazione di Feronia, oggi Posada), riferitoci da Diodoro Si-
culo per l’anno 378 a.C.: la zona proibita, delimitata dal Promontorio Bello (forse Capo Farina,
ad occidente di Cartagine), era stata ampliata includendovi la Sardegna e la Libia, considerate
ancora assieme, ma ormai escluse dal commercio romano ed etrusco.
I Sardi che, incalzati dai Cartaginesi, si ritirarono sulle montagne, rifugiandosi nei loro castra,
nei loro nuraghi e nelle loro grotte, recarono con sé all’interno della Barbaria i prodotti culturali
della loro avanzata civiltà: la loro lingua, il cosiddetto “protosardo” di origine mediterranea, ci
è nota esclusivamente attraverso alcuni relitti lessicali, soprattutto idronimi e toponimi, dato
che sostanzialmente non ci sono rimaste tracce scritte. Ci sono poi noti molti nomi di persona
unici o rarissimi, che non hanno paralleli fuori dall’Isola, testimoniati in Sardegna per la prima
volta dalle iscrizioni latine: si tratta probabilmente di antroponimi indigeni, che persistevano in
età romana. Complessivamente si arriva a un centinaio di casi, distribuiti soprattutto nelle zone
interne, diffusi anche in età imperiale: un’ulteriore dimostrazione, se si vuole, di quell’evidente
attaccamento dei Sardi ad una tradizione precedente ancora vitale.
Mancano inora indagini esaustive sulle persistenze culturali indigene in età punica e romana.
Un buon saggio sull’argomento è ancora quello di Giovanni Lilliu, che sottolinea il tema della
resistenza, da intendersi come la «costante storica dell’isola che rivela, nella lunga durata, la vera
traccia dell’uomo e della società sarda» (LiLLiu 2002, pp. 225-237). Nel tempo romano poi «le
vecchie forme, i vecchi usi, molto di quel che era il patrimonio della tradizione indigena tutt’al-
tro che sommersa e ossiicata – aggiunge Lilliu – continuarono a vivere accanto e anche contro
la nuova cultura, tanto che gli scrittori li percepivano dall’esterno nel segno della loro autentica
identità, come cose d’un mondo diverso e lontano, una ‘metafora’ della memoria passata».
L’affresco dalla Domus di Orfeo Il processo di romanizzazione della Sardegna presenta una rilevante complessità, nelle sue ar-
sul Rio Mannu a Turris Libisonis. ticolazioni locali, nei suoi sviluppi attraverso il tempo, con un riconoscimento del ruolo svolto

18
La Sardegna al centro del Mediterraneo

dalle tradizioni nuragiche e dalle tradizioni puniche nell’Isola. La storia di una provincia come
la Sardegna deve tener conto innanzi tutto delle differenze e delle relazioni, espressione della
convivenza di culture diverse, del fecondo rapporto tra civitates e urbes, tra nationes e gentes, tra
Romani e provinciali, tra colonizzazione italica e culture locali, in una terra inserita profonda-
mente nel gioco delle relazioni mediterranee. Del resto, più in generale i nuovi studi sulle pro-
vince romane, intese come ambiti territoriali di incontro tra culture e civiltà, tendono a deinire
i contorni di quella cultura unitaria mediterranea, che non appiattì le speciicità locali, ma che
seppe profondamente interagire con la realtà geograica, il paesaggio, l’ambiente, ma anche
con i popoli e gli uomini: ridare piena dignità alla Sardegna antica oggetto spesso di pregiudizi
ed enfatiche ricostruzioni, valutare ino in fondo le sue chiusure e le sue resistenze, ma anche
la sua feconda dimensione mediterranea, esplorare il conine tra romanizzazione e continuità
culturale, tra change e continuity, è compito che deve essere ancora affrontato, al di là della facile
tentazione di impossibili soluzioni unitarie.
Dunque la colonizzazione fenicia, il rapporto con la cultura locale e le relazioni con il mondo
greco e massaliota, villanoviano ed etrusco, la conquista cartaginese, il rapporto con il mondo
ellenistico, poi l’occupazione romana, i primi trioni sui Sardi. E poi l’età imperiale partendo
da Augusto, la Sardegna terra di relegazione, il conlitto tra pastori e contadini, l’economia e
la società: la geograia della Sardegna antica, la costa romanizzata e urbanizzata e la Barbaria
interna; i Sardo-libici e la colonizzazione romano-italica, la “resistenza” dei Sardi contro i Ro-
mani (un aspetto quest’ultimo che non può essere eluso e che criticamente va sottoposto ad
una rigorosa veriica delle fonti e dei dati disponibili); l’agro pubblico, la povera economia della
Sardegna romana, le varie attività economiche, la pesca e i trafici marittimi, la religiosità popo-
lare, la lingua. E poi le strade romane, con gli itinerari principali e le varianti; e ancora i porti, il
ruolo dell’esercito nei trasporti, la lotta, la vita religiosa, i culti orientali nella Sardegna romana.
Ancora la Sardegna cristiana, le più antiche notizie di christiani, le origini geograiche dei martiri
sardi; inine le eredità romane nella Sardegna medioevale, le sopravvivenze in ambito culturale,
giuridico, produttivo, agrario, nel paesaggio e nell’ambiente.
L’identità insulare del periodo romano non può prescindere dalla formazione di una identità o
di molteplici identità nelle fasi preromane. Il “canone” delle isole, formatosi entro il V secolo
a.C., ma presumibilmente già dal secolo precedente, considerava la Sardegna l’isola più gran-
de del mondo, come espressamente afferma Erodoto, partendo dal periplo di ciascuna isola.
Questo canone, attestato nel Periplo dello Pseudo Scilace, in Timeo, Alexis, Pseudo Aristotele,
Diodoro, Strabone, Anonimo della Geographia compendiaria, Tolomeo e in un epigramma elleni-
stico di Chio, comprendeva, originariamente, sette isole, il cui elenco, seppure non sempre nello
stesso ordine, è il seguente: Sardegna, Sicilia, Creta, Cipro, Lesbo, Corsica, Eubea. È sintoma-
tico del processo di formazione di questo canone il fatto che l’isola più occidentale dell’elenco
sia la Sardegna e che il più antico aggiornamento del canone, contenuto nel Periplo di Scila-
ce, forse ancora del VI secolo a.C., annoveri esclusivamente isole del Mediterraneo orientale.
L’“ammissione” delle Baleari nel canone delle isole mediterranee è un portato della civiltà elle-
nistica. Il siceliota Timeo di Tauromenio fu il primo ad aggregare l’isola di Maiorca al canone
tradizionale. Timeo afferma che la più grande di queste isole (Gymnesiai-Baleari) risulta essere
la più estesa dopo le seguenti sette: Sardegna, Sicilia, Cipro, Creta, Eubea, Cyrnos (Corsica) e
Lesbo. L’ottava posizione della maggiore delle isole Baleari è ribadita da Diodoro e da Strabone
ed è mantenuta, nel II secolo d.C., da Ampelio nella sua elencazione delle clarissimae insulae, che
include, inoltre, al nono e decimo posto, la Baliaris minor ed Ebusus. Le differenze tra le isole del
“canone” greco sono macroscopiche: Sicilia e Sardegna, ancorché accomunate da una medesi-
ma data di constitutio provinciale (227 a.C.), sono due isole diverse. Se è vero che Lucien Fèvre
utilizzò la Sicilia come paradigma della “île carrefour” e la Sardegna della “île conservatoire”, dicoto-
mia che le ricerche recenti hanno posto in dubbio, è evidente la differenza tra un’isola-non isola,
la Sicilia, perché separata da uno stretto braccio di mare dalla Calabria e dotata di un sistema di
poleis greche, elime, sicane, sicule e fenicie, e l’isola più distante fra tutte dalle terre continentali
collocata al di là di un grande mare, la Sardegna, caratterizzata da poche città di origine fenicia
e cartaginese e da insediamenti indigeni di tipo komai.

L’occupazione romana: i rapporti di clientela e le fortune del “partito popolare”


L’occupazione della Sardegna da parte dei Romani avvenne nel 238 a.C., all’indomani della
conclusione della prima guerra romano-cartaginese (terminata con lo sgombero degli eserciti

19
Attilio Mastino

Epigrafe funeraria del decurio della cohors


dei Liguri e princeps equitum
C. Cassius Blaesianus, da Olbia.

punici dalla Sicilia) e dopo la rivolta dei mercenari cartaginesi nel Nord Africa e nell’Isola: non
fu senza signiicato e senza conseguenze, per il successivo orientamento della provincia, il fatto
che a guidare le operazioni nell’Isola fosse scelto un esponente della gens Sempronia, il conso-
le Tiberio Sempronio Gracco, che poté procedere all’occupazione delle principali piazzeforti
cartaginesi quasi senza combattere, soprattutto per la favorevole accoglienza ricevuta dai mer-
cenari campani e dalle antiche colonie fenicie, sicuramente scontente per la più recente politica
cartaginese nei loro confronti. Ma subito dopo scoppiarono violente rivolte dei Sardi dell’inter-
no contro i Romani, che proseguirono per alcuni secoli, inizialmente col sostegno di Cartagine.
Più tardi, fu un altro esponente della stessa famiglia, Tiberio Sempronio Gracco, console nel
177 a.C., a reprimere con forza la grande rivolta dei barbari dell’interno, Iliensi e Balari, insor-
ti contro i Romani e contro le città costiere (erano stati proprio gli ambasciatori delle città a
sollecitare in senato l’intervento militare): racconta Livio che tra i Sardi messi in fuga e cacciati
dai loro accampamenti, forse dai nuraghi (castrisque exuti), si contarono 12.000 morti nel primo
anno di guerra e 15.000 nel secondo; nel 174 a.C., dedicando a Roma, nel tempio della Mater
Matuta, una tavola con la rappresentazione delle battaglie vinte e con un’immagine cartograica
dell’Isola, il console trionfatore scrisse di aver fatto uccidere o di aver preso prigionieri circa
80.000 Sardi. Furono dunque circa 50.000, se stiamo ai documenti uficiali, i Sardi venduti come
schiavi a Roma e sui mercati italici (una cifra enorme, se si considera che la popolazione isola-
na in questo periodo è valutata al di sotto dei 300.000 abitanti): l’abbondanza dell’offerta fece
allora ridurre notevolmente i prezzi degli schiavi, tanto che nacque l’espressione, utilizzata per
indicare gli oggetti di poco valore e acquistabili a basso prezzo, “Sardi venales”.
Fu un altro Gracco a distinguersi, durante gli anni della sua questura in Sardegna, per il com-
portamento corretto e giusto nei confronti degli isolani e per il suo buon governo, divenuto più
tardi proverbiale: a differenza dei suoi predecessori, usi a riportare a Roma piene di denaro quel-
le stesse anfore che all’andata avevano portato piene di vino, Gaio Gracco – il futuro tribuno
della plebe del 123 a.C. – superò i suoi colleghi in giustizia verso i popoli soggetti e intrattenne
una rete di relazioni personali con i più autorevoli esponenti delle città peregrine della Sardegna.
Un comportamento ben diverso avrebbero tenuto il propretore Albucio (accusato di concus-
sione dopo il 104 a.C. per conto dei Sardi da C. Giulio Cesare Strabone, zio di Cesare) e, di là a
cinquanta anni, il proconsole Marco Emilio Scauro, igliastro di Silla, orgoglioso esponente del
partito aristocratico, che i Sardi unanimi accusarono di malversazioni e di violenze: proprio la
loro unanimità avrebbe destato i sospetti e l’ironico apprezzamento di Cicerone. La linea difen-
siva adottata in quell’occasione dall’Arpinate dové irritare non poco i testimoni sardi, accusati
di rispondere ad un unico disegno criminoso, di aver tutti lo stesso colorito olivastro, di parlare
tutti la stessa lingua, inine di appartenere tutti ad una unica nazione (una mens, unus color, una vox,
una natio): alcuni Sardi anni dopo lamentarono anche gravi offese personali (è il caso di Famea
e del nipote Tigellio).
Non è da pensare che tutto ciò non possa aver inluito sulle simpatie e sulle scelte politiche
della provincia durante i tumultuosi anni delle guerre civili, dato che si erano andate stabilen-
do negli anni reti stabili e riconosciute di patronati e di clientele tra alcune famiglie romane e

20
La Sardegna al centro del Mediterraneo

l’aristocrazia isolana: solo con la forza delle armi, ad esempio, il legato sillano Lucio Marcio
Filippo riuscì nell’82 a.C. a sconiggere e ad uccidere il pretore Quinto Antonio Balbo, che ino
all’ultimo aveva mantenuto salda la provincia dalla parte del partito popolare. Si spiega allora la
ragione per la quale nel 77 a.C., subito dopo la morte di Silla, il console mariano Marco Emilio
Lepido, sconitto dal collega Quinto Lutazio Catulo, decise di trasferirsi dall’Etruria meridio-
nale in Sardegna, nella speranza di trovare sostegno per la causa popolare: imbarcatosi a Cosa
(Porto Argentario), l’esercito raggiunse sicuramente Tharros, da dove per qualche tempo bloccò
i rifornimenti granari per la capitale; qui poi subì una pesante sconitta ad opera del governatore
sillano Lucio Valerio Triario. Dopo la morte di Lepido («per malattia e per rimorsi» per Floro,
II, 11,5), le truppe popolari furono poi condotte in salvo dal legato Marco Perperna ino a Tar-
ragona e da qui ad Uesca, nella Spagna Citeriore, venendo così ad incrementare le ila del partito
mariano, riorganizzate da Sertorio.
Cesare, che aveva studiato a memoria in da bambino l’apprezzata orazione pro Sardis pronun-
ciata cinquanta anni prima dallo zio Strabone, divenuto console nel 59 a.C., tra i suoi primi
provvedimenti presentò una proposta di legge de repetundis, proprio con l’intento di punire gli
abusi dei governatori senatorii nelle province. Più tardi, nel 49 a.C., scoppiata la guerra civile
tra Cesare e Pompeo, i Caralitani, fedeli al partito popolare, riuscirono a cacciare il governatore
pompeiano Marco Aurelio Cotta che, atterrito per le minacce e per le violenze subite – perter-
ritus – riuscì a raggiungere ad Utica i Pompeiani superstiti dopo Farsalo, ai quali annunciò che
tutta la Sardegna era ormai concordemente schierata con la parte avversa.
Da quel momento la città di Carales doveva contribuire in modo decisivo all’esito della battaglia
di Tapso, inviando in Africa truppe e rifornimenti per l’esercito di Cesare, proprio quando il
dittatore si era venuto a trovare in gravi dificoltà, letteralmente assediato dai nemici sulla fascia
litoranea. Dopo la vittoria e dopo il suicidio di Catone, eroe del partito repubblicano e della
causa della libertà contro la tirannide, il vincitore, partito da Utica, giunse il 15 giugno 46 a.C.
a Carales, dove si vendicò punendo i Pompeiani della città di Sulci, che avevano sostenuto con
rifornimenti di ferro non lavorato e di armi la causa di Pompeo e del senato. Durante il suo sog-
giorno a Carales Cesare sembra abbia deciso anche di sdebitarsi con la città per i servigi resi al
partito popolare: molti Caralitani ottennero allora la cittadinanza romana (con alcuni di essi, ad
esempio con il cantante Tigellio, che doveva essere già famoso, Cesare aveva stretto anche una
salda amicizia personale); negli anni successivi sarebbe stata abolita l’organizzazione cittadina
punica (la civitas), coi suoi magistrati (i sufeti) e i suoi organi (l’assemblea popolare e il senato
cittadino); sarebbe stato istituito il municipio di cittadini romani, retto dai quattuorviri. Nella
stessa occasione Cesare, trattenuto per circa un mese nei porti della Sardegna settentrionale e
della Corsica, potrebbe aver deciso la deduzione di una colonia romana nel Golfo dell’Asinara e
la fondazione di Turris Libisonis (Porto Torres), che sarebbe stata poi deinita da Ottaviano nella
prima età triumvirale, per iniziativa del legato Marco Lurio.
Nel tentativo di sottrarre la Sardegna a Sesto Pompeo, iglio di Pompeo Magno che, dopo un
lungo assedio di Carales, aveva occupato l’Isola, Ottaviano decise poi di coniare le monete con
la rappresentazione del dio nazionale dei Sardi, il Sardus Pater, e il ritratto del nonno materno
Marco Azio Balbo, che nell’anno cruciale del consolato di Cesare (nel 59 a.C.) aveva governato
la provincia in modo encomiabile, tra l’altro favorendo l’integrazione dell’aristocrazia isolana,
con ampie concessioni di cittadinanza a singole famiglie; egli si era occupato certamente di
raccogliere il ferro necessario per la campagna gallica. Ugualmente apprezzato era stato, nel 48
a.C., il governo del cesariano Sesto Peduceo.
In età imperiale naturalmente i problemi sarebbero stati differenti, anche se alcune decisioni
di Nerone (la condanna per concussione nel 56 d.C. del governatore Vipsanio Lenate, le do-
nazioni dei latifondi imperiali nel retroterra di Olbia alla concubina Atte), non possono non
rimandare all’attenzione con la quale ancora si sarebbe continuato a guardare, soprattutto in
certi ambienti, verso le esigenze e le attese di una provincia così vicina alla capitale.

La Barbaria
Geograicamente e culturalmente la Barbaria interna presentava una realtà economica e sociale
nettamente differente. Sulle coste si erano sviluppate le principali città, quasi tutte eredi delle
colonie fenicie e puniche, con dei retroterra intensamente coltivati e con la presenza di ville e
latifondi occupati da lavoratori agricoli, spesso in condizioni di schiavitù. Alla metà del I secolo
d.C. Plinio il Vecchio, nel terzo libro della sua Naturalis Historia, elencava in estrema sintesi i

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Attilio Mastino

popoli e le città della Sardegna romana, utilizzando fonti della prima età augustea; egli poneva
Turris Libisonis (l’attuale Porto Torres) al vertice ideale di una piramide che comprendeva alla
base le popolazioni non urbanizzate (Ilienses, Balari, Corsi) e quindi i diciotto oppida, tra cui alcune
civitates stipendiariae abitate da peregrini (Sulci, Valentia, Neapolis, Bitia); Plinio citava poi in ordine di
importanza i due municipi di cittadini romani Carales e Nora; ultima in assoluto era menzionata
l’unica colonia di cittadini romani della provincia Sardegna: colonia autem una quae vocatur ad Tur-
rem Libisonis. Più tardi altre città giunsero ad ottenere il riconoscimento di una piena romanità:
divennero municipi Olbia, Sulci, Bosa; colonie anche Uselis, Tharros, Cornus. Molti di questi centri
conobbero un notevole sviluppo urbanistico, con opere pubbliche signiicative, terme, mercati,
ediici per spettacoli.
La Barbaria interna, collocata nelle zone montane più chiuse alla romanizzazione, avrebbe man-
tenuto consuetudini religiose preistoriche ino all’età di Gregorio Magno, anche se gli ultimi stu-
di hanno consentito di documentare splendidamente la precoce penetrazione del cristianesimo
nel Nuorese (Sant’Eisio di Orune).
L’insediamento interno della Sardegna fu limitato da un lato a piccoli centri agricoli di scarsa
romanizzazione (un’unica colonia, la colonia Iulia Augusta Uselis, del resto collocata sulla strada
che collegava inizialmente Carales al Tirso e orientata verso il Golfo di Tharros e il Campida-
no), dall’altro lato ad alcuni campi militari posti a controllo della rete stradale, almeno in età
repubblicana e nei primi decenni dell’impero; per il resto, vaste aree collinari e montuose erano
occupate dalle popolazioni non urbanizzate, dalle tribù bellicose della Barbaria, gli Ilienses, i Ba-
lari, i Corsi, ma anche i Galillenses o gli altri popoli enumerati dal geografo Tolomeo, distribuiti in
villaggi collocati in latifondi di uso comunitario.
Un gruppo di documenti epigraici ci illumina sulla politica perseguita dall’autorità romana
nelle zone interne della Sardegna, nel quadro del tradizionale contrasto tra contadini e pastori.
Due iscrizioni, una rinvenuta a Preneste e un’altra a Fordongianus ricordano poi all’inizio del
I secolo d.C. le civitates Barbariae, al di là del iume Tirso, presso le Aquae Hypsitanae: un gruppo
di tribù indigene (gli Ilienses, i Nurritani, i Celesitani, i Cusinitani, ecc.) al cui interno, durante il
regno di Augusto, non era ancora comparsa un’élite suficientemente romanizzata e afidabile,
se il governo e il controllo militare del territorio era afidato non più ai principes locali ricordati
da Livio durante la guerra annibalica, ma ad un praefectus equestre comandante della coorte I
dei Corsi. Del resto la toponomastica sarda ha conservato il ricordo della Barbaria romana,
dato che il toponimo Barbagia – nelle sue articolazioni territoriali – è ancora oggi utilizzato per
indicare l’area montuosa della Sardegna interna. Le iscrizioni documentano soprattutto a livello
onomastico l’esistenza di una lingua locale protosarda: signiicativo è il ricordo del monumento
per eccellenza dell’età nuragica, che marchiava il paesaggio trasformato dall’uomo, il nuraghe: la
parola nurac Sessar è documentata sull’epigrafe di Mulargia attribuita agli Ilienses e sul diploma di
congedo rinvenuto a Posada di Hannibal, un soldato della coorte di Liguri e Corsi originario del
villaggio di Nur(ac) Alb(us), forse da localizzare sui Montes Insani, a nord dell’Ogliastra.

Le origini etniche dei Sardi


Da un punto di vista etnico, la popolazione che abitava la Sardegna ino al I secolo a.C. aveva
mantenuto sostanzialmente notevoli afinità con i libio-punici africani; per quanto avvelenate
dalla polemica giudiziaria, le affermazioni di Cicerone pronunciate in occasione della difesa di
Scauro, il governatore del 55 a.C., contengono molte verità. L’appellativo Afer è ripetutamente
usato da Cicerone come equivalente di Sardus; l’espressione Africa ipsa parens illa Sardiniae ha
suggerito la realtà di una «ampia penetrazione di genti africane e il carattere coatto e punitivo
della colonizzazione o, meglio, della deportazione» (Moscati 1967, pp. 385-388). Numerose
altre fonti letterarie e le testimonianze archeologiche confermano già da epoca preistorica la
successiva immissione di gruppi umani arrivati dall’Africa settentrionale (ma anche dall’Iberia,
dalla Corsica, dalla Sicilia e forse dalla Grecia e dall’Oriente), ino alle più recenti colonizzazioni
puniche, tanto che alcune fonti parlano di Sardo-lìbici; solo con l’occupazione romana erano
iniziati un dificile rapporto e una contrastata convivenza con gli immigrati italici. Gli incroci
di razze diverse che ne erano derivati, secondo Cicerone, avevano reso i Sardi ancor più sel-
vaggi e ostili; in seguito ai ripetuti travasi la razza si era inselvatichita, “inacidita” come il vino,
prendendo tutte quelle caratteristiche che le venivano rimproverate; discendenti dei Cartaginesi,
mescolati con sangue africano, relegati nell’Isola, i Sardi secondo Cicerone presentavano tutti i
difetti dei Punici, erano dunque bugiardi e traditori, quasi tutti non rispettavano la parola data,

22
La Sardegna al centro del Mediterraneo

La “maschera del Satiro”.


Porto Torres, Antiquarium Turritano.

odiavano l’alleanza con i Romani, tanto che in Sardegna non c’erano alla metà del I secolo a.C.
città amiche del popolo romano o libere, ma solo civitates stipendiariae.
Di fatto la deportazione in Sardegna di genti straniere è variamente attestata anche per l’età
successiva a Cicerone: dalle numerose notizie delle fonti letterarie risulta evidente una conti-
nuità nell’apporto etnico africano e nelle immigrazioni in Sardegna dal Nord Africa: è noto il
giudizio che, ormai alla metà del XII secolo, fu espresso dall’arabo Edrisi di Ceuta: «i Sardi sono
di schiatta Rum ‘afariqah berberizzanti, rifuggenti dal consorzio di ogni altra nazione di Rum»; il
“fondo” etnico delle genti sarde, formatosi in età preistorica, ma confermato in età romana, era
dunque berbero-libico-punico.

Le rivolte
La “resistenza” degli indigeni alla romanizzazione nelle zone interne della Sardegna si manife-
stò da un punto di vista culturale prima ancora che da un punto di vista militare. Sono molte
le sopravvivenze della cultura sardo-punica ancora in età imperiale, a contatto con gli immigra-
ti italici. Già alla ine dell’età repubblicana furono dislocati nelle zone interne della Sardegna

23
Attilio Mastino

alcuni accampamenti militari, in qualche caso eredi di precedenti postazioni cartaginesi, con lo
scopo di controllare in modo articolato le zone montuose della Barbaria sarda, senza però un
deinito sistema di difesa lineare (limes). Si preferiva effettuare interventi mirati su singoli obiet-
tivi, utilizzando in certe circostanze anche i cani addestrati alla caccia all’uomo (come già aveva
fatto, nel 231 a.C., il console Marco Pomponio Matone) oppure si faceva ricorso a veri e propri
stratagemmi, come quello noto anche a Strabone, per il quale i Romani riuscivano a cogliere di
sorpresa i Sardi, attaccandoli nei santuari dove venivano celebrate le feste tradizionali in occa-
sione delle quali si consumavano i frutti delle razzie.
Secondo Tito Livio gli Iliensi, ora localizzati nel Marghine-Goceano, all’epoca di Augusto non
erano stati ancora completamente paciicati; per Pausania, che scriveva nel II secolo d.C., essi si
erano rifugiati sui monti, al di là dei precipizi, e si erano fortiicati con palizzate. Diodoro Siculo
rileva che gli Iolei greci (ben distinti dagli Ilienses del mito romano della tarda repubblica) per
mantenere la loro libertà e la loro indipendenza erano stati costretti a trasferire le proprie sedi
sui monti e abitavano alla metà del I secolo a.C. «certi luoghi ardui e di accesso dificile, ove
assuefatti a nutrirsi di latte e di carni, perché si occupano di pastorizia, non hanno bisogno di
messi; e perché abitano in dimore sotterranee (i nuraghi?), scavandosi gallerie in luogo di case,
con facilità scansano i pericoli delle guerre». Inine Strabone osserva: «Sono quattro le tribù
delle montagne, i Parati, i Sossinati, i Balari, gli Aconiti, i quali vivono nelle caverne e se hanno
qualche terra adatta alla semina non la seminano con cura; anzi, compiono razzie contro le terre
degli agricoltori e non solo di quelli dell’isola, ma salpano anche contro quelli del continente,
soprattutto i Pisani».
Col passare del tempo, gli interventi repressivi attuati dai governatori romani con l’impiego
di agguerriti reparti ausiliari e, sulle coste, con la lotta da guerra, per combattere la pirateria,
ottennero una progressiva riduzione dell’insicurezza; un fondamentale contributo fu però dato
dalla realizzazione di un’ampia rete stradale, che rese accessibili anche le regioni più isolate della
provincia.

L’economia latifondistica
È noto che, dopo la conquista, teoricamente l’insieme del territorio della provincia fu dichiarato
ager publicus populi Romani; sulle terre lasciate in precario possesso ai vecchi proprietari dovevano
pagarsi una decima dei prodotti e vari vectigalia; cambiava radicalmente il rapporto tra proprieta-
ri, possessori e mano d’opera agricola; nascevano delicati problemi giuridici sulla proprietà della
terra, che coinvolgevano le popolazioni rurali con violenze, occupazioni illegali di terre pubbli-
che, contrasti tra contadini e pastori, immediate esigenze di ripristinare l’ordine con interventi
repressivi. Sono numerosi i cippi di conine che attestano, alla ine dell’età repubblicana, una
vasta operazione di centuriazione in Sardegna, soprattutto nell’area che era stata interessata nel
215 a.C. dalla rivolta di Hampsicora: la limitatio che allora fu effettuata (con una prima fase forse
già della ine del II secolo a.C.) ebbe lo scopo di accelerare il processo di sedentarizzazione delle
tribù nomadi, di contenere il brigantaggio e di favorire lo sviluppo agricolo: è costante nelle
fonti la preoccupazione dell’autorità di controllare gli spostamenti dei pastori indigeni e di issa-
re i conini dei singoli latifondi, occupati alcuni da popolazioni locali, altri da coloni (agricoltori
soprattutto, ma anche pastori) insediati nelle terre possedute da singole famiglie.
L’elemento che sembra abbia caratterizzato il “sottosviluppo” economico della Sardegna in età
romana è quello della monocoltura cerealicola, eredità del periodo punico, che provocò l’ab-
bandono delle altre produzioni e limitò la competitività e i commerci, favorendo lo sfruttamen-
to e determinando una subordinazione economica e politica e un aumento delle diseguaglianze
sociali. La colonizzazione romano-italica causò in alcuni casi la parcellizzazione delle risorse
e l’espropriazione dei terreni occupati dagli indigeni, spesso chiusi in nuovi conini e impediti
nelle tradizionali attività pastorali, che anche in ragione della natura dei suoli imponevano un
minimo di nomadismo. La scarsa urbanizzazione della Sardegna e la tradizionale caratteristica
estensiva degli insediamenti sparsi (segnalata anche da Pausania, che parla di popolazione di-
spersa sul territorio) favorivano lo sviluppo di un’economia latifondistica, basata sulla monocol-
tura cerealicola, che richiedeva l’impiego di numerosa mano d’opera servile.
È sicuro che durante la repubblica l’agricoltura sarda doveva essere ben poco sviluppata, se in
alcune occasioni non riusciva a garantire neppure l’autosuficienza alimentare. L’estensione dei
campi abbandonati alla ine del I secolo a.C. raggiungeva in Sardegna secondo Varrone una di-
mensione notevole in alcune località, anche a causa del brigantaggio (propter latrocinia vicinorum).

24
La Sardegna al centro del Mediterraneo

Strabone sostiene che le razzie dei popoli montani (gli Iolei-Diaghesbei) costituivano, assieme
con la malaria, un grave inconveniente che riduceva il vantaggio della disponibilità di suoli adatti
alle colture cerealicole.
La situazione dové comunque col tempo modiicarsi, soprattutto grazie all’attività dei coloniz-
zatori romano-italici e in conseguenza dell’ampliamento della conquista: fu allora promossa su
vasta scala la piantagione di alberi da frutto; si diffuse l’olivicoltura, la viticoltura, la produzione
di agrumi; lo scrittore Palladio attesta forse la coltivazione di cedri nell’Isola e in particolare nel
Campidano. Il protezionismo italico limitava però enormemente la produzione di olio e di vino.
C’erano poi altri prodotti meno pregiati (tra i quali il miele amaro, considerato di cattiva qualità).
L’economia sarda poggiava comunque su basi alquanto fragili, soprattutto a causa dell’assenza
di capitali adeguati e per la necessità di mantenere un apparato amministrativo e commerciale
spesso parassitario (si pensi alla presenza di usurai, come quelli cacciati da Catone nel 198 a.C.;
oppure di pubblicani, di appaltatori, di mercanti e di speculatori).
L’attività pastorale con l’allevamento, tradizionalmente nomade, che pure non poteva costituire
di per sé una valida alternativa all’agricoltura, doveva essere ancora largamente praticata con
poco vantaggio per gli isolani. Si aggiunga la pesca, la produzione di garum o comunque l’espor-
tazione di pesce salato. Tra le altre attività, è documentato lo sfruttamento del sottosuolo per
l’estrazione di minerali, soprattutto nell’Iglesiente: dalle miniere si estraeva l’oro (tanto che in
età imperiale si sarebbe veriicata una vera e propria corsa all’oro da parte degli aurileguli), l’ar-
gento, il ferro, il piombo, ma anche l’allume e le corniole. Fin dall’inizio del II secolo a.C. è atte-
stato a Carales l’impianto di saline, gestite da società private, che impiegavano personale di con-
dizione servile. Intensa fu anche l’attività edilizia, fondata sullo sfruttamento delle cave, spesso
per la realizzazione di importanti opere pubbliche. Per alcuni materiali (il granito) è accertata
l’esportazione fuori dall’Isola, a Roma e a Cartagine. Nell’Isola si sviluppò poi un’attività arti-
gianale molto limitata e comunque non competitiva, forse non suficientemente motivata da un
punto di vista economico e comunque debole e priva di una tradizione qualitativa riconosciuta
e apprezzata sul mercato. È espressamente menzionata l’attività tessile; ma l’abbigliamento più
tipico della Sardegna era la caratteristica mastruca, la veste fatta di pelli di capra, mostruosa se per
Isidoro «coloro che la indossano assumono le sembianze di un animale». Le fonti letterarie ci
forniscono molti dettagli sulla vegetazione (i pini, i cedri, le querce) e sulla fauna (per esempio
i musmones-muloni, i cavalli, gli uccelli favolosi, gli insetti, i tonni che si nutrono di “ghiande
marine”, i cetacei): esse contribuiscono a deinire l’ambiente naturale della Sardegna antica, con
le sue bellezze selvagge e i suoi problemi, tra cui in primo piano il clima malsano che provocava
la malaria.

La società isolana
L’oligarchia sarda ancora in età punica sembra fondasse la sua ricchezza sullo sfruttamento dei
latifondi, occupando mano d’opera libera e schiavi di origine locale o libica: dopo la grande
battaglia di Canne, vinta da Annibale, nell’inverno 216-215 a.C., l’aristocrazia sarda effettuò una
precisa scelta di campo ilo-punica, forse perché colpita dalla pesante politica iscale romana;
Livio sostiene che alla vigilia della rivolta di Hampsicora (probabilmente un esponente dell’antica
nobiltà sardo-punica) una clandestina legatio, un’ambasceria di principes delle città sardo-puniche e
delle civitates non urbanizzate, partita forse da Cornus, raggiunse Cartagine per stringere un’alle-
anza militare e manifestare la propria disponibilità a ribellarsi ai Romani, ottenendo in cambio
comprensione e aiuti. Si trattò di una vera e propria alleanza militare tra i Sardo-punici della
costa e i Cartaginesi, ai quali si aggiunsero anche gli indigeni dell’interno, i Sardi vestiti di pelli
(i Sardi Pelliti): tra essi gli Ilienses del Marghine-Goceano, se Silio Italico ricorda le origini troiane
di Hampsagora; alcuni gruppi sociali dalla lontana origine fenicia avrebbero viceversa preferito
l’alleanza con i Romani. Il Bellum Sardum combattuto nel 215 a.C., si risolse con l’insuccesso dei
Sardo-punici e una dura occupazione romana.
Successivamente dovettero esservi anche in Sardegna casi di straordinaria ricchezza, come
quello del caralitano Famea, che nel 64 a.C. aveva deciso di sostenere l’elezione di Cicerone
al consolato, mettendo a disposizione di Attico le sue cospicue sostanze. Il nipote Tigellio più
tardi avrebbe accumulato un patrimonio enorme, fondato sulle elargizioni di Cesare e sullo
straordinario successo come cantante.
Porto Torres, Turris Libisonis, In età imperiale sono conosciuti dalle iscrizioni soltanto pochissimi senatori e cavalieri di ori-
il cardo della città. gine sarda, tanto che può ipotizzarsi una povertà diffusa e quasi generalizzata. Gran parte della

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Attilio Mastino

popolazione apparteneva ad una classe sociale inferiore, con una forte percentuale di schiavi e
di liberti. Sicuramente schiavi erano gli addetti alle miniere, gli operai delle saline, gran parte dei
lavoratori dei campi e i responsabili delle botteghe iguline operanti nelle città sarde.

Le istituzioni sardo-puniche e romane


Numerose furono le così dette “persistenze” culturali in ambito religioso, linguistico, onomasti-
co, giuridico, amministrativo, che attestano curiose convergenze con simili situazioni africane, a
causa non solo della comune matrice etnica e dell’uguale esperienza punica, ma soprattutto gra-
zie alla continuità di rapporti, alle simili strutture economiche e alle analoghe situazioni sociali.
È nota la sopravvivenza di modelli costituzionali cartaginesi e di tradizioni puniche nell’orga-
nizzazione delle città della Sardegna romana, durante gli ultimi tre secoli della repubblica e l’alto
impero: sappiamo che le promozioni giuridiche delle civitates indigene dell’Isola non datano ad
epoca precedente a Cesare e si concentrano tra l’età triumvirale e l’età augustea; è da presumere
che tutte le città e le popolazioni rurali abbiano continuato ad amministrarsi secondo le norme
del diritto pubblico punico, che sopravvisse in alcuni casi ino alle soglie del III secolo d.C.
L’elemento più signiicativo è dato dalle attestazioni (quasi esclusivamente in iscrizioni puniche
e neo-puniche) della magistratura dei sufeti in numerose città sarde, anche molti anni dopo la
costituzione della provincia romana: citeremo in particolare i casi di Carales, di Sulci, di Neapolis,
di Tharros e di Bitia.
L’abbandono delle forme costituzionali sardo-puniche avvenne in Sardegna molto tardi, pro-
gressivamente a partire dalla seconda metà del I secolo a.C.; in alcuni casi, particolarmente
periferici e conservativi, le strutture indigene furono mantenute in piena età imperiale (ino a
quattro-cinque secoli dalla caduta di Cartagine). È il caso di Bitia, città per la quale ci è rimasta
una dedica all’imperatore Marco Aurelio dove è ricordata la realizzazione di una serie di opere
pubbliche, nell’anno individuato dal nome dei due sufeti, di cui uno, “il romano”, in possesso a
titolo individuale della cittadinanza romana, in una comunità di peregrini.
La civitas, l’organizzazione dei peregrini, è attestata a Carales, a Neapolis e, meno probabilmente,
ad Olbia; il senato cittadino è menzionato a Sulci alla metà del I secolo a.C. Signiicativa è l’atte-
stazione nel II secolo d.C. dell’ “intero popolo di Bitia”, che probabilmente è da identiicare con
l’assemblea popolare sardo-punica.
Questo tipo di attestazioni conferma un accentuato conservatorismo, sul quale avrà pesato
sicuramente l’insularità, il senso d’isolamento di alcune comunità dalla lontana ascendenza fe-
nicio-punica (vere e proprie enclaves in territorio romano), la fedeltà a tradizioni che in Africa
dimostravano contemporaneamente analoga vitalità. Pare probabile che una così lunga soprav-
vivenza sia stata favorita dai nuovi apporti, dai successivi contatti e dai continui scambi culturali
con l’Africa.

La religiosità popolare
Siamo scarsamente informati sulle caratteristiche della religiosità tradizionale in età nuragica,
che qualche esito avrà sicuramente avuto in epoca punica e romana. L’unica divinità veramen-
te “indigena”, per quanto reinterpretata a posteriori, fu Sid-Sardus Pater-Babi, eroe fondatore,
che i mitograi classici ritenevano giunto in Sardegna con una schiera di Libii: sulle monete di
Ottaviano lo vediamo rafigurato come un dio cacciatore, armato di lancia, con un copricapo
di piume. Così come per l’Africa e per l’Iberia, si può parlare di fenomeni di sincretismo e di
sviluppo di particolarismi nella vita religiosa, non ostacolati dall’autorità romana: Sid Babi (iglio
di Melqart e di Tanit) era venerato ad Antas, ricordato in una ventina di iscrizioni puniche tra il V
e la ine del II secolo a.C. e ora anche in un’iscrizione latina di età imperiale; a Sulci è attestato il
soprannome Sidonius, sicuramente connesso con questa divinità; si tratta con tutta probabilità di
un culto sovrapposto ad una devozione più antica per un’analoga igura paleosarda, inluenzata
comunque da Baal-Hammon/Saturno (il cui paredro Frugiferius era forse venerato a Tharros nel II
secolo a.C.) e proseguita in età imperiale con altre forme.
Dopo l’occupazione romana furono praticati con continuità in Sardegna anche i culti di Tanit,
già presente sulle monete sardo-puniche, che come Elat aveva un tempio a Sulci; di Baalshamen,
ricordato a Carales nel III secolo a.C.; di Melqart, venerato a Tharros nel III-II secolo a.C.; di
Eshmun Merre, identiicato con Asclepio ed Esculapio nella famosa trilingue di San Nicolò Ger-
rei attorno al 150 a.C., al quale vanno forse riferite le statue del così detto Bes; di Ashtart, che a
Carales ebbe nel III secolo a.C. un altare di bronzo: quest’ultimo culto documenta le relazioni tra

26
La Sardegna al centro del Mediterraneo

la Sardegna e la Sicilia occidentale nell’età punica. Anche il culto di Demetra e Kore, introdotto
dai Cartaginesi, presenta nell’Isola peculiari caratteristiche, per essere associato (a Terreseu),
ancora nel III secolo d.C., a sacriici cruenti. I busti ittili di Cerere, tanto diffusi in Sardegna,
sono eredi dei thymiateria punici.
Sorprendono le sopravvivenze della religiosità punica in epoca romana, a causa di una pro-
fonda assimilazione da parte delle popolazioni indigene punicizzate: è noto che alcuni tophet
proseguirono la loro attività ino al II secolo a.C. (Monte Sirai, Carales, Bitia, Tharros e Olbia) e
addirittura al I secolo a.C. (Sulci), determinando oltre tutto un preciso orientamento culturale
per le successive necropoli di età imperiale, almeno nei siti più marginali.
Appare poi signiicativa la sopravvivenza in Sardegna di una serie di pratiche magiche che
sembrano fondarsi su antichissime competenze e su una tradizione di conoscenze che non si
può escludere vadano collegate al mondo punico e al mondo etrusco, se non altro per quanto
riguarda il settore dell’aruspicina. A parte il sacriicio rituale dei fanciulli e degli anziani e l’uso di
erbe velenose, si pensi al rito dell’incubazione (forse nelle aree funerarie come quella di Mont’e
Prama), all’interpretazione dei sogni, all’ordalia per accertare la responsabilità dei briganti e dei
ladri sacrileghi, alla lettura di prodigi che annunciano lo scoppio delle guerre (scudi che suda-
no sangue), all’idolatria e alla venerazione di ligna et lapides, alla presenza di maghi e streghe (le
terribili bitiae dalla duplice pupilla che uccidono con lo sguardo). Conosciamo poi l’episodio
che vide protagonista un governatore romano, Flavius Maximinus, che secondo una diceria rac-
colta da Ammiano Marcellino avrebbe ucciso con l’inganno un sardo espertissimo nell’evocare
anime dannate e nel trarre presagi dagli spiriti. Che tali pratiche siano proseguite in Sardegna
è documentato dal culto per Viduus, il dio che aiutava la separazione del corpo dallo spirito e
riduceva la durata dell’agonia dei moribondi; più esplicitamente è testimoniato da Gregorio
Magno a proposito del chierico Paolo, accusato di celebrare nascostamente dei riti magici. Ma
più in generale, Gregorio invita il vescovo di Carales a vigilare contro i cultori degli idoli, gli
indovini e gli stregoni: una categoria di persone specializzata nelle scienze occulte.
Con questa vivacità e con questa complessità culturale la Sardegna si sarebbe confrontata ben
presto con nuovi problemi, ad iniziare da quelli religiosi, dopo il progressivo affermarsi del
cristianesimo.

Le rotte: Africa, Italia, Sicilia, Corsica, Gallia, Hispania Citerior e Betica, Siria, Egitto
Nell’editto dei prezzi, promulgato nel 301 d.C. da Diocleziano e dai suoi colleghi, erano cal-
mierate le tariffe per quattro rotte commerciali, tutte in partenza dalla Sardegna, verso Roma,
Genova, la Gallia e il Nord Africa. Particolarmente importante era anche la rotta, ricordata da
Plinio il Vecchio (che certamente leggeva il Perì okeanoù di Posidonio di Apamea, a sua volta
dipendente da Pitea di Marsiglia), che dalla Siria arrivava a Carales e poi a Gades sull’Oceano:
il segmento che collegava Myriandum in Siria (a breve distanza da Antiochia) con la Sardegna,
toccando Cipro, la Licia, Rodi, la Laconia e la Sicilia era lungo 2113 miglia (oltre 3000 km); da
Carales a Gades, toccando le isole Baleari, oltre le colonne d’Ercole, era calcolata una distanza di
1250 miglia: si tratta dell’unica attestazione di un qualche ruolo della Sardegna nella navigazione
oceanica, verso le rotte atlantiche, già adombrata dalle origini tartessie del mitico Norace, iglio
di Ermes e di Erizia, la ninfa di Gades. È da sottolineare il riferimento a Rodi come punto di
passaggio della rotta tra la Siria e Cadice, attraverso la Sardegna: attorno al 110 a.C. questa rotta
fu seguita proprio da Posidonio di Apamea, che secondo Strabone a Gades avrebbe preso co-
noscenza del fenomeno delle maree, trattato nell’opera De oceano; per arrivarvi nell’ultimo tratto
avrebbe percorso la rotta Puteoli-Carales-Carthago Nova-Gades, evitando di toccare il Nord Africa,
dove era in corso la guerra giugurtina. La stazione di partenza della rotta per Carales, Myriandum,
nella Siria settentrionale, va inine messa in un qualche rapporto con l’epitafio di un marinaio
di origine sarda, che ha servito nella lotta militare di Ravenna, C. Iulius Celer, il quale nel I secolo
d.C. fu sepolto a Seleucia di Pieria.
L’attività marinara era dunque consistente, anche per l’interesse strategico dell’Isola e per la
presenza a Carales di cantieri nautici (navalia) e di una base militare della lotta da guerra, con
comando a Miseno, impegnata nella lotta contro la pirateria tirrenica in dall’età di Augusto,
con marinai sardi, egiziani, traci, dalmati. I Sardi erano considerati poi valenti marinai ed erano
imbarcati sulle navi della lotta di Miseno (nel Mediterraneo occidentale) e di Ravenna. Tra le
province occidentali è anzi la Sardegna la provincia di origine del maggior numero di marinai
arruolati nelle lotte militari romane.

27
Attilio Mastino

Forse ci rimangono tracce di appaltatori di trasporto marittimo, anche se l’attestazione ad Ostia


nel 173 d.C. di un gruppo di armatori (domini navium) di origine sarda e africana ha fatto ipotiz-
zare l’esistenza di una associazione di imprenditori marittimi, in qualche modo collegata con
altre analoghe organizzazioni africane di proprietari di navi nell’età di Marco Aurelio. Ancora
ad Ostia sono attestati nei primi anni dell’età severiana i Navicularii et Negotiantes Karalitani e i
Navicularii Turritani, appaltatori di trasporto marittimo originari rispettivamente di Carales e di
Turris Libisonis; forse un’organizzazione analoga esisteva anche ad Olbia.
È soprattutto l’indagine archeologica sottomarina ad aver consentito di conoscere un gran
numero di relitti di navi romane, spinte dal mare in burrasca contro scogli, promontori, spiag-
ge non ridossate dal vento, lungo tutte le coste della Sardegna: gli scavi, a partire da quello
dell’Isola di Spargi nell’arcipelago di La Maddalena, spesso hanno permesso di recuperare il
carico costituito da anfore vinarie, da rottami metallici destinati ad essere rifusi (Rena Majore
presso Aglientu), da massae plumbeae di origine sarda o iberica, da mattoni di produzione urbana,
da elementi architettonici, colonne, statue, vasellame destinato al commercio locale; emergono
dopo duemila anni le ancore e gli elementi del corredo di bordo.
Conosciamo numerosi episodi di naufragi lungo le coste dell’Isola, come all’altezza dei Montes
Insani sulla costa orientale. Attraverso i collegamenti marittimi si spostavano i Sardi interessati
ad emigrare per ragioni diverse: il servizio militare nell’esercito o nella lotta, matrimoni, affari,
necessità di carriera. L’asse privilegiato è quello verso il Nord Africa, ma conosciamo moltissimi
casi di Sardi trasferitisi in Italia e nelle province più lontane, come quello di Iul(ia) Fortunata domo
Sardinia, moglie di un Verecundius Diogenes, morta ad Eburacum (York) in Britannia: si è supposto
che il marito della defunta sia da identiicare con un magistrato locale ricordato in un’altra iscri-
zione; si tratterebbe dunque di un esponente dell’aristocrazia provinciale, che avrebbe ricoperto
nel III secolo d.C. le massime cariche amministrative nella colonia di Eburacum, senza però essere
originario della Britannia, dato che apparterrebbe alla tribù dei Bituriges Cubi stanziata in Aquita-
nia. La presenza di Massalioti in Sardegna è documentata ampiamente già per l’età punica, grazie
ai materiali e alle iscrizioni, due delle quali attestano l’attività a Tharros nel III secolo a.C. di due
mercanti originari di Marsiglia. A parte il trasferimento nell’Isola della III coorte di Aquitani
nei primi decenni del I secolo d.C., è noto che nelle saline di Carales è stata ritrovata l’iscrizione
funeraria di un negotians Gallicanus, probabilmente un esportatore di sale, nel corso del III secolo.
La rotta Sardegna-Gallia Narbonense è attestata nell’editto dei prezzi del 301. Per il percorso
inverso Turris Libisonis doveva essere uno scalo obbligato per le navi che da Narbo Martius, ma
anche da Marsiglia, spinte dal maestrale (il Circius di Plinio) intendevano raggiungere Ostia. Il
punto più pericoloso in questa navigazione era rappresentato dalle Bocche di Bonifacio, vero
e proprio cimitero di navi, a causa della presenza di isole e scogli, pericolosi per le correnti e
i venti. In alcuni casi era preferita la rotta che da Marsiglia costeggiava ad oriente la Corsica e
quindi l’Isola d’Elba e il litorale etrusco. La rotta che toccava la Corsica e la Sardegna era inol-
tre utilizzata dalle navi che dalla foce del Rodano dovevano raggiungere il Nord Africa, dopo
una navigazione di circa otto giorni, tempo minimo per compiere tale tragitto. La Sardegna
era ugualmente interessata da una rotta Gallia-Sicilia, che forse ai porti della costa occidentale
dell’Isola doveva appoggiarsi.
L’uguale esperienza punica sicuramente ha contribuito a stabilire una serie di rotte tra la Sarde-
gna e la Penisola Iberica: una rotta collegava la città mineraria di Carthago Nova verso i due porti
sardi più importanti della costa occidentale, Tharros e Sulci. Proprio per le rotte che dall’Hispania
raggiungevano Roma, la Sardegna settentrionale aveva una precisa funzione di appoggio, dato
che era preferito l’attraversamento delle Bocche di Bonifacio; viceversa per le rotte gaditane che
raggiungevano Puteoli o che, attraverso Lilybaeum in Sicilia si dirigevano verso l’oriente mediter-
raneo, è più probabile una rotta meridionale, che toccava Carales.

La Corsica
La storia della Corsica è inestricabilmente legata a quella della Sardegna in dalle origini mitiche.
Le leggende greche di fondazione immaginano un originario regno di Sardegna e Corsica, afi-
dato a Forco, iglio di Ponto e di Gea o secondo un’altra versione di Oceano e di Teti, sposo di
Keto, padre delle Gorgoni dell’estremo occidente (Medusa, Stenno ed Euriale) e delle Focidi,
divinità e mostri marini, oppure delle Sirene, di Echidna, delle Esperidi, tutte leggendarie iglie
di Forco-Tirreno. Secondo Servio, re della Corsica e della Sardegna è stato una volta Forco, il
quale, dopo esser stato annientato in una battaglia navale e poi mandato in rovina da Atlante

28
La Sardegna al centro del Mediterraneo

Cagliari, la Grotta delle Vipere.

con gran parte del suo esercito, venne ricordato dai suoi compagni come trasformato in una
divinità marina. Antiche leggende marinare parlavano di mostri marini, che secondo Eliano
trascorrevano l’inverno nei paraggi del braccio di mare della Corsica e della Sardegna, accom-
pagnati da delini di straordinarie dimensioni.
La “deliziosa” Corsica, sesta tra le isole Mediterranee nel Periplo di Scilace, in Dionigi il Periegeta
è confrontata all’amplissima Sardegna, unite nello stesso mare d’occidente. Ed Eustazio, par-
lando delle isole del mare Ligustico, conferma che la più estesa è la Sardegna, mentre la Corsica
prende il nome dalla serva Corsa oppure dalla sommità dei suoi monti, e il suo paesaggio è
caratterizzato da uno straordinario manto boschivo, inhorrens Corsica silvis per Avieno. Il paesag-
gio era dominato da quegli alberi ittissimi che impedirono la colonizzazione romano-etrusca
ricordata da Teofrasto nel IV secolo a.C., quando sull’Isola non riuscirono a sbarcare i venti-
cinque battelli, che ebbero i pennoni danneggiati dai rami degli alberi di una foresta sterminata.
Niceforo chiamava la Corsica anche kefalké, testa irta di capelli, per via delle tante cime monta-
gnose e la ricchezza di boschi.
Gli Oracula Sibyllina annunciavano per Cyrno e per la Sardegna uno stesso destino tragico, una
sorta di apocalisse incombente, «sia a cagione di grandi procelle invernali, sia per le sciagure
inlitte dal supremo dio, quando le due isole nel profondo del pelago penetreranno, sotto i lutti
marini».
Le due isole, separate da un braccio di mare che poteva essere percorso in un terzo di una
giornata, erano unite in età romana in un’unica provincia e territorialmente contigue anche
sul piano economico e culturale; la politica provinciale romana nel quadrante tirrenico adot-
tava un’amministrazione unitaria. Questo carattere unitario dello studio dell’unica provincia
romana, almeno per l’età tardorepubblicana e il primo impero, si ritrova in tutte le opere più
recenti che hanno trattato gli aspetti storici, giuridici, epigraici e archeologici della Corsica. Tale
approccio metodologico è, tuttavia, utilizzabile anche per le fasi preromane della storia delle
due isole, per quanto la Sardegna sia stata caratterizzata dapprima dall’urbanizzazione fenicia
e successivamente dal dominio punico, mentre la Corsica abbia conosciuto la prima coloniz-
zazione solo con la fondazione focea di Alalíe nel 565 a.C. e, successivamente alla battaglia del
Mare Sardonio, l’avvio del dominio etrusco. Sul versante sardo è importante sottolineare la
recente acquisizione delle prime cospicue testimonianze greche da Olbia, che danno spessore
all’interpretazione primitiva relativa ad una liaison tra Alalia e Olbìa nei tempi immediatamente
precedenti la battaglia del Mare Sardonio.

La Sicilia
Bisogna constatare che gli studiosi non hanno in qui dedicato una trattazione organica al tema
delle relazioni tra Sardegna e Sicilia in età antica, relazioni che pure appaiono intense e profonde:
del resto già la rilessione degli antichi non sembra aver enucleato eficacemente questo tema,

29
Attilio Mastino

attraverso una lettura delle testimonianze storiche, anche a causa dei vuoti documentari delle
fonti di fronte a due realtà profondamente distinte sotto il proilo culturale e politico, e anche
geograico, quello della Sicilia occidentale punica e quello della Sicilia orientale, colonizzata
dai Greci; due mondi in aperta conlittualità tra loro e che spesso avevano tratto ognuno dalla
propria parte le realtà indigene, elime, sicule e sicane, che ancora nel V secolo controllavano
una vasta porzione del territorio dell’isola ed erano pronte a riaffermarsi prepotentemente.
Il quadro più completo e articolato, limitato però all’epoca arcaica e coninato in una cor-
nice mitica, è in sostanza quello fornitoci dallo storico siceliota Diodoro Siculo nel I secolo
a.C., che ha tratto gli elementi principali da Timeo di Tauromenio (IV-III sec. a.C.): la
prospettiva che ne emerge è senza dubbio quella di un recupero della Sardegna alla grecità
sicula, attuata attraverso la valorizzazione delle imprese dell’eroe-ecista Iolao, di Dedalo e
di Aristeo, personaggi legati nella cronologia mitica greca alla civilizzazione della Sardegna
e della Sicilia. Il metodo è analogo a quello applicato per la Sicilia punica, con lo scopo di
rivendicare – scrive Galvagno – l’originaria grecità di un territorio sul quale continuarono ad
esercitarsi attività, interessi e prospettive dei Sicelioti. Sicilia e Sardegna sarebbero legate da
una evidente parentela etnica, nell’ambito dell’ellenizzazione dell’Occidente lungo la via era-
clea, segnata dai viaggi e dalle straordinarie imprese di Eracle: nel IV libro della Biblioteca
storica di Diodoro, il mito di Iolao padre, equiparato alla divinità indigena dei Sardi Sardus,
rappresenta il ponte tra le due isole: Iolao era venerato in epoca storica con pari intensità in
Sardegna e nella Sicilia greca e più precisamente ad Agyrion (Agira, in provincia di Enna), la
città natale di Diodoro.

Il Nord Africa
I rapporti tra Africa e Sardegna dovettero essere intensi anche in epoca preistorica, se appunto
ad un libico, all’eroe Sardus, iglio di Maceride (nome dato dagli Egizi e dai Libii ad Eracle-
Melqart), i mitograi greci attribuivano la primitiva colonizzazione dell’Isola. Ancora in età stori-
ca Sardus era venerato in Sardegna con l’attributo di Pater, per essere stato il primo a guidare per
mare una schiera di colonizzatori giunti dall’Africa e per aver dato il nome all’Isola, in preceden-
za denominata “l’isola dalle vene d’argento”, con riferimento alla ricchezza delle sue miniere:
a questo eroe-dio, identiicato con il Sid Babi punico e con Iolao patér greco, il condottiero dei
Tespiadi, fu dedicato un tempio presso Metalla, restaurato all’inizio del III secolo d.C., mentre
la sua immagine ritorna propagandisticamente sulle enigmatiche monete di Marcus Atius Balbus.
Gli apporti etnici africani erano ben noti, se i mitograi classici registravano un nuovo arrivo di
popoli libici, evidentemente via mare: infatti una moltitudine di Libii avrebbe raggiunto l’Isola
con una forte lotta, sterminando quasi completamente i Greci che vi si trovavano e costringen-
do i Troiani (gli Iliensi) a ritirarsi sui monti dell’interno e a proteggersi in zone quasi inaccessi-
bili. Ancora nel II secolo d.C. essi si chiamavano Ilieis, «assai simili nell’aspetto e nell’apparato
delle armi e in tutto il tenore di vita ai Libii». Al di là del mito, può essere sostanzialmente con-
divisa la realtà di forti e signiicativi contatti tra l’Africa numida e la Sardegna nuragica: queste
relazioni indubbiamente si intensiicarono con l’arrivo dei Fenici e, in epoca ormai storica, con
la dominazione cartaginese, per la quale si pongono problemi d’interpretazione più facilmente
risolvibili da archeologi e storici.
La distanza tra Carales e Cartagine era modesta, poco meno di 200 miglia, inferiore certamen-
te a quella tra la Sardegna e la Penisola Iberica e anche a quella tra la Sardegna e la Penisola
Italiana, almeno per le tecniche di navigazione utilizzate nell’antichità. D’altra parte il porto di
Carales, città collocata su un promontorio che si affacciava sul Mare Africum, con alle spalle un
vasto stagno, divenne già in età repubblicana lo scalo più naturale per le rotte che da Utica (poi
anche da Cartagine), attraverso Tabraca e l’Isola Galata, andavano ad Ostia, risalendo le coste
orientali della Sardegna e congiungendosi all’altezza della Corsica con le rotte provenienti dalla
Penisola Iberica e dirette, toccata l’Elba e il litorale etrusco, alla foce del Tevere. Per il ritorno
doveva essere più praticata la rotta che, da Populonia, raggiungeva l’Elba, l’Isola Planasia e
l’Isola del Giglio e da qui la Corsica; quindi, attraversate le Bocche di Bonifacio, toccava i
principali scali della Sardegna occidentale, per arrivare poi in Africa sfruttando la spinta del
maestrale (il Circius), che batte costantemente quelle coste e facilita la traversata verso SW. Si è
notato come la Sardegna si trovasse, secondo le concezioni geograiche antiche, al vertice di un
triangolo ideale Africa-Sardegna-Ostia, tracciato sulla base dell’equidistanza dell’Isola da Roma
e da Cartagine. Per l’età repubblicana possiamo individuare, grazie alle informazioni conser-

30
La Sardegna al centro del Mediterraneo

vateci nelle fonti letterarie, quelle che erano le rotte più praticate e gli scali commerciali usati.
Il segmento Italia-Sardegna della rotta per l’Africa era percorso regolarmente già nel VI secolo
a.C. se il primo trattato tra Roma e Cartagine del 509 a.C. autorizzava il commercio romano
nell’Isola, pur con alcune limitazioni; viceversa col secondo trattato, riferibile al 378 a.C., era con-
sentito soltanto l’approdo in Sardegna per un periodo massimo di cinque giorni e soltanto se le
condizioni del mare fossero state proibitive e se la burrasca lo avesse reso indispensabile.
Per l’epoca romana, abbiamo un inventario di alcuni dei parametri che possono essere utilizzati
per delineare, lungo un ampio arco cronologico, i rapporti tra la Sardegna e le province romane del
Maghreb: queste convergenze, fondate su una consuetudine che risale almeno ad età fenicio-puni-
ca, si alimentarono con ripetuti signiicativi scambi di popolazione e in particolare con la presenza
di deportati e di immigrati africani in Sardegna, di militari e di civili sardi nel Nord Africa. La roma-
nizzazione si sviluppò perciò in modo analogo, specie per le afinità strutturali dell’economia e più
precisamente dell’agricoltura di queste province, collegate da un intenso trafico commerciale e
spesso associate anche nel destino politico. La sopravvivenza di elementi culturali punici e indigeni
si manifestò in Sardegna come in Africa nelle istituzioni cittadine, nella vita religiosa, nella lingua e
nell’onomastica; la documentazione epigraica conferma ulteriori successive convergenze.
Gli elementi in nostro possesso sono così eterogenei e di diversa qualità che non consen-
tono ancora una conclusione: eppure, per quanto alcune categorie utilizzate possano essere
generiche e interpretabili in maniera diversa, l’abbondanza stessa delle testimonianze, pur con
signiicative oscillazioni nel tempo, è tale da render certi che non può più essere sottovalutata la
componente “africana” della storia della Sardegna antica, nel quadro di una più ampia vocazio-
ne “mediterranea”, che costituì la vera speciicità isolana.

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32
La Sardegna e il mare
Rubens D’Oriano

La geograia
L’area mediterranea fu uno dei principali “luoghi” di sviluppo culturale del Vecchio Mondo,
grazie a due principali fattori: l’essere posizionata nella fascia climatica temperata del pianeta
e lo svilupparsi attorno a un mare che, nella buona sostanza, è il più grande lago della Terra.
Oltre a contribuire alla mitezza del clima, esso, in dagli albori dell’espansione della specie
umana, lungi dal rappresentare una dificoltà alle relazioni culturali ne ha costituito al contra-
rio una delle principali opportunità, poiché i viaggi per mare sono sempre stati il più veloce
mezzo di comunicazione.
La Penisola Italiana e la Sicilia separano il Mediterraneo in due settori, e nel bel mezzo di
quello occidentale sorge dai lutti la Sardegna, posta quindi favorevolmente al centro delle
rotte che lo attraversano. Il rapporto tra le popolazioni dell’Isola e il mare risale perciò a
tempi ben più antichi dell’età romana, e allora un excursus su questo argomento non può pre-
scindere da un riassunto delle precedenti vicende, le cui dinamiche spesso si perpetuano nei
secoli che qui ci interessano.

Prima di Roma
Dal mare giunsero i primi uomini in Sardegna nel Paleolitico inferiore, e dal mare vi ritorna-
rono nel Paleolitico superiore e ancora nel Neolitico antico.
Dal mare orientale giunsero nel Neolitico le rivoluzionarie tecniche della coltivazione e della
domesticazione degli animali, alle quali conseguì la sedentarizzazione degli insediamenti, e
sul mare era avviata la prima risorsa sarda che giunse al di là dell’Isola, l’ossidiana. È dificile
sottrarsi all’impressione che ancora dal mare dell’alba pervenne nella Nurra l’idea costruttiva
dell’altare di Monte d’Accoddi, con la sua somiglianza (casuale?) con le ziqqurat mesopotami-
che, questione però tutt’altro che risolta.
Sempre tramite i mari, questa volta occidentali, si diffuse il megalitismo, la tecnica di erezione
di monumenti in grandi blocchi di pietra, dapprima menhir e dolmen, poi sviluppatasi in loco
nel tempo ino alla sida che ai cieli lanciarono le possenti torri nuragiche. Ancora dalle coste
spagnole e francesi si spinsero in Sardegna i portatori della cosiddetta cultura Campaniforme,
gli itineranti artigiani che diffusero qui, come altrove in Europa, avanzate tecnologie dei primi
metalli.
Fino all’età del Bronzo medio, cioè alle soglie di quella che in Sardegna è la fase matura ed
esplosiva della Civiltà Nuragica, questi rapporti si svolgevano nel Mediterraneo in genere per
successivi contatti di corto raggio; dobbiamo cioè immaginare che nuovi stimoli, tecniche e
idee si diffondessero da un’area a quella adiacente e da questa alla successiva, percorrendo
così lunghe distanze, ma in tempi adeguatamente dilatati.
Con la fase apogeica della Civiltà Nuragica invece assistiamo inalmente al rivoluzionario
fenomeno di navigazioni consapevoli di lunga distanza: i mercanti che dalla Grecia micenea
si spingono verso l’Italia meridionale e la Sicilia e poi da qui in Sardegna e Spagna, alla ricerca
principalmente di metalli, acquisiscono e diffondono forse per la prima volta l’immagine
mentale del grande lago mediterraneo nel suo intero e coerente sviluppo dalle coste del
Medio Oriente allo Stretto di Gibilterra.
La Sardegna nuragica è investita in pieno dal nuovo fenomeno, per la sua ricchezza mineraria,
per essere centralmente incardinata sulle rotte che immettono alle ancor più ricche in metalli
coste spagnole e toscane – con le quali infatti essa già era in contatto a sua volta – e per essere
già essa stessa la terra di una grandiosa civiltà, appunto autonomamente dinamica sul Mar
Mediterraneo occidentale.
La nuova temperie incrementa questi contatti, che tra l’età del Bronzo inale e la prima età del
Ferro introducono materiali sardi, sia ceramiche che bronzi anche igurati, sulle coste della
Penisola Italiana, della Sicilia, di Creta, di Cipro, del Nord Africa, della Spagna, della Corsica,

33
Rubens D’Oriano

La Sardegna nella Geograia di Tolomeo.

della Francia, ad opera della marineria sia nuragica che cipriota e levantina, alle quali ultime ha
ceduto il testimone delle navigazioni dall’Oriente quella greca, col crollo del mondo miceneo
ad opera anche dei Popoli del Mare.
Nella seconda metà del IX secolo a.C. dal variegato coacervo dei mercanti che si muovono
dal Levante verso occidente, ancora principalmente alla ricerca di metalli, emerge la compo-
nente fenicia, che tra VIII e VII secolo costella anche le coste della Sardegna – come quelle
della Sicilia occidentale, del Nord Africa e della Spagna meridionale – di insediamenti stabili
e vere e proprie fondazioni urbane, quali Sulky (S. Antioco), Karaly (Cagliari), Tharros, Nora,
Bithia, ecc. La nostra isola partecipa anche del parallelo fenomeno di espansione insediativa
di matrice greca (proiettato soprattutto verso la Sicilia orientale e la Magna Grecia) pur se
con un unico insediamento, quello di Olbìa la felice, prima fenicio dalla metà dell’VIII secolo
al 630, e poi greco da questo momento alla ine del VI secolo. Dal mare quindi pervenne la
rivoluzione urbana, che delle varie fasi culturali dell’antichità è quella della quale ancora siamo
partecipi noi, all’alba del terzo millennio.
In questo fervore di rapporti tra le popolazioni della Sardegna, gli altri indigeni d’Occidente
e i mercanti e coloni prima micenei, poi levantini e inine fenici e greci, si costituisce anche
quel mondo mitico che fa dell’Isola la terra delle avventure di Sardo, Norax, Herakles, Iolao,
Dedalo, Aristeo, frutto del desiderio dei vari popoli di riconoscere nel proprio patrimonio
leggendario gli eroi e gli dei degli “altri” in funzione di feconda integrazione.
Nella seconda metà del VI secolo Cartagine, allora la più prospera colonia fenicia, a seguito
di imprese belliche condotte per terra in Sardegna contro gli stessi Fenici dell’Isola , e con la
battaglia del Mare Sardo (Sardonio nel racconto di Erodoto), combattuta al ianco degli Etru-
schi contro i Greci della corsa Alalia, acquisisce il controllo dell’Isola , che cederà a Roma
solo tra la Prima e la Seconda Guerra Punica alla data convenzionale del 238 a.C.

34
La Sardegna e il mare

Porti e approdi
Conosciamo con suficiente attendibilità il sistema dei porti e degli approdi della Sardegna
romana, grazie al dato archeologico e alle fonti letterarie, prime fra tutti l’Itinerarium Antonini
(una sorta di guida stradale dell’impero) e la Geograia di Claudio Tolomeo (un elenco delle
località notevoli, soprattutto costiere e subcostiere, del Mediterraneo ognuna corredata da
coordinate geograiche). Figurano nel sistema sia le antiche città costiere come Tharros, Ka-
raly, Sulky, Olbia ecc. sia centri di nuova fondazione come la colonia di Turris Libisonis (Porto
Torres), sia approdi naturali ora dotati di adatte infrastrutture.
Per citare solo i principali scali, in senso antiorario da nord, possiamo ricordare Longone
(Santa Teresa Gallura), Portus Tibulas (Castelsardo), Turris Libisonis, Porto Conte, Bosa, Cala su
Pallosu, Tharros, Othoca (Santa Giusta), Neapolis (Santa Maria de Nabui), Sulci (la fenicia Sulky),
Bithia, Nora, Karales (la fenicia Karaly), Sarcapos (Santa Maria di Villaputzu), Sulci (Tortolì),
Portus Liguidonis (Posada?), Olbia.
Alcuni di questi porti, come per esempio Olbia e Karales, erano muniti di varie dotazioni tipi-
che, tra le quali i cantieri navali almeno di riparazione se non addirittura di costruzione, e i
santuari delle divinità protettrici dei viaggi per mare, tra le quali Venere, la più cara ai marinai
anche per le sue valenze erotiche.
In essi gettavano l’ancora non solo le navi da carico commerciale (onerarie) ma anche quelle
da guerra. A Karales nel 215 a.C. approda la spedizione di Tito Manlio Torquato inviata con-
tro il ribelle Ampsicora e di lì a poco nel 202 le imbarcazioni militari al comando di Tiberio
Claudio Nerone, reduci da una tempesta; all’altro capo della vicenda storica romana in Sarde-
gna, conosciamo la disavventura della lotta imperiale inviata nel 398 d.C. a domare il ribelle
Gildone in Nord Africa, la quale, per essersi anch’essa imbattuta in una tempesta forse nelle
perigliose Bocche di Bonifacio, si separa in due e una parte si dirige verso Sulci, mentre l’altra
ripara nel porto di Olbia. Nel mezzo, ci è noto il distaccamento sempre a Olbia e Karales di
reparti della lotta militare che controllava il Mediterraneo occidentale dalla principale base
di Miseno in Campania.

Esportazioni
Com’è noto, il sottosuolo e i fondali marini conservano in genere solo materie non deperibili
(terracotta, vetro, metallo, osso, pietra), mentre il grosso del commercio antico consisteva in
altre categorie di oggetti (cereali, ortaggi, legname, frutta, spezie, stoffe, schiavi, sale, coloran-
ti, argilla cruda, animali vivi e morti e loro derivati come formaggi e pelli, ecc.) che venivano
trasportati in contenitori deperibili o diversamente stivati nelle navi. È per questo che non

Olbia, relitto 5 dello scavo del porto in


riparazione presso il cantiere navale;
età neroniano-vespasianea.

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Rubens D’Oriano

riconosciamo ad oggi nei contesti archeologici d’oltremare produzioni sarde d’età romana,
con la sola eccezione del granito e di un lingotto di piombo di cui si dirà tra poco. Quindi per
l’identiicazione dei beni che l’Isola esportava dobbiamo rivolgerci a fonti di informazione
diverse dalla cultura materiale come le notizie letterarie, deduzioni inferite dai contesti am-
bientali, toponimi, ipotesi sulla prosecuzione di produzioni testimoniate in fasi precedenti.
La Sardegna era in primis, come già in età punica, fonte importante di approvvigionamento
granario, non solo per Roma stessa, viste le spedizioni ricordate dalle fonti letterarie verso la
Grecia e l’Asia Minore (v. Mastino in quest’opera).
Anche i metalli (rame, piombo, argento, ferro, soprattutto del Sulcis e dell’Algherese) costi-
tuivano una primaria risorsa, sfruttata grazie all’utilizzo anche di condannati, qui deportati
appunto ad metalla (alle miniere), e un lingotto di piombo sardo è noto da Roma.
Il manto boschivo dell’Isola, come delle altre regioni mediterranee, era certo più ricco di
oggi, e ad una probabile esportazione almeno di legno di pino sono legati il centro di Tibulas
col suo Portus Tibulas, dal nome latino del pino “tibulus”, e la testimonianza di Palladio circa la
conservazione di tronchi di quest’albero forse nel territorio di Neapolis.
È probabile in fase fenicia e punica la produzione sarda di sale nelle numerose lagune, non
a caso vicinissime a importanti centri abitati come Olbia, Othoca, Neapolis, Sulky, Karaly, Nora,
Bithia, e se ne può ipotizzare la prosecuzione anche in età romana, alla luce di due iscrizioni
relative a saline di Karales e vista la fondamentale importanza di questa derrata nell’antichità
come unico conservante per cibi ad alto tenore proteico. E arriviamo così alla carne animale,
e ad altri derivati animali come formaggi o pelli, nonché agli esemplari esportabili vivi. Le
pelli ci connettono a loro volta all’allume, ottimale per il procedimento della concia e usato
anche per la produzione del vetro; la sua rarità nel Mediterraneo occidentale ne favorì l’e-
sportazione dalle poche aree in cui è presente, tra le quali i monti del Nuorese.
Un impianto per l’estrazione della porpora a pochi metri dal molo portuale di Olbia fa so-
spettare anche per questo prezioso prodotto la destinazione oltremarina.
Merce in antico erano anche gli esseri umani quando ridotti in schiavitù, principalmente
Portorotondo, colonne di granito dalla come prigionieri di guerra, e che tale sorte sia toccata a componenti delle popolazioni della
cava, ora sui moli di accesso al porto; Sardegna ribellatesi a Roma all’inizio del suo controllo dell’Isola è testimoniato, tra gli altri, da
II-III sec. d.C. Tito Livio che ci conserva l’espressione sardi venales, cioè a basso costo, dato l’alto numero che
ne pervenne in poco tempo sul mercato dell’Urbe. Certo nel caso sardo si tratta di un “bene
Ostia, Piazzale delle Corporazioni, da esportazione” estremamente sui generis, e in una situazione del tutto circoscritta nel tempo.
mosaico dei Navicularii Turritani; Chiudiamo la carrellata delle esportazioni, sicuramente imprecisa per difetto, con le evidenze
II sec. d.C. archeologiche relative all’esportazione del granito di Santa Teresa Gallura, e forse dell’Isola

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La Sardegna e il mare

di Cavallo (arcipelago di La Maddalena) e di Olbia, non solo verso Roma ma anche in Spagna,
Nord Africa e Sicilia, quale pregiata pietra da costruzione. Chi conosca bene il granito gallurese
potrà facilmente rintracciare le colonne con esso realizzate tuttora visibili nella capitale dell’im-
pero al Colosseo, presso le chiese di San Giovanni in Laterano, Santa Maria sopra Minerva,
Santi Cosma e Damiano.
Inine un dato globale. Sovrapponendo la carta della rete stradale romana della Sardegna a
quelle delle produzioni isolane d’età romana (cereali, minerali, ecc.) si evince come il sistema
viario fosse sapientemente organizzato in funzione del drenaggio delle risorse verso i princi-
pali porti, soprattutto Karales, Olbia e Turris Libisonis, ove operava l’annona, l’organizzazione
logistico-amministrativa che curava l’approvvigionamento di Roma. All’altro capo della rotta,
nel Piazzale delle Corporazioni di Ostia, il porto dell’Urbe, tra i mosaici che ornano le sedi delle
rappresentanze delle consorterie di trasporto marittimo o armatori (i navicularii), assieme agli
altri spiccano quelli dei Navicularii Turritani (di Turris Libisonis) e Karalitani (di Karales).

Importazioni
Il Mediterraneo romano realizza nell’antichità il momento di massima diffusione di beni,
nel senso della quantità, della diversiicazione e dell’ampiezza di circolazione geograica, e la
Sardegna non può che esserne uno specchio paradigmatico per la sua centralità.
Anche per le importazioni l’evidenza archeologica non può che dare solo un’immagine par-
ziale, pur essa legata com’è in genere ai soli materiali non deperibili, e le altre fonti di infor-
mazione (notizie letterarie, epigraiche, ecc.) aggiungono ulteriori dati che però di certo non
Alghero, località Mariposa, coprono la totalità dello spettro. Nonostante questa parzialità, la gamma nota resta impres-
carico di anfore vinarie iberiche; sionantemente ampia.
seconda metà I sec. a.C. Il peso maggiore è naturalmente quello delle grandi produzioni mediterranee occidentali,
di arrivo spesso diretto dall’area di produzione: olio, vino, salse di pesce, laterizi, cerami-
Bicchiere di vetro siriaco da Olbia, che da mensa, da cucina, da dispensa e da illuminazione, marmi, prodotti di artigianato
necropoli di San Simplicio; II sec. d.C. artistico in varie materie, vetri, metalli, profumi e via dicendo, dall’intero circuito costiero
e subcostiero comprendente Penisola Italiana, Sicilia, Nord Africa, Spagna, Francia. Dai
Portaprofumi siriaco in forma paesi affacciati sull’Egeo analoghi prodotti pervengono per via più indiretta, in specie dai
di cammello con suonatrici, da Olbia, porti di smistamento e ridistribuzione di Delo, del Nord Africa, della Sicilia, della Campa-
scavo di via Napoli; II sec. d.C. nia e del Lazio.
Viaggi ancor più avventurosi, e per tramite di ancor più numerosi intermediari, percorrono
Zafiro di Ceylon da Olbia, oggetti particolarmente esotici come, per fare pochi esempi, ambra dal Baltico, vetri e profu-
scavo del porto; II sec. d.C. mi dalla Siria, zafiri da Ceylon.

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Rubens D’Oriano

Porto Cervo, carico di giganteschi blocchi Tutto lascia intendere che potessero giungere in Sardegna anche prodotti deperibili analoghi,
e colonna di marmo; II-III sec. d.C. ma in diverse varietà e qualità, a quelli che l’Isola esportava come legname, animali e loro
sottoprodotti, ecc. Maggiori dettagli su speciiche importazioni potranno essere rintracciati
Due ceppi d’ancora in piombo da Bosa, nelle sezioni di quest’opera dedicate alla ceramica, all’artigianato artistico e ad altre categorie.
località Turas; età imperiale.
Mobilità umana
Isola Asinara, località Cala Reale, Il mare è stata anche la grande strada della mobilità umana durante l’età romana, accresciuta
carico di anfore per salse di pesce rispetto alle fasi storiche precedenti, e la Sardegna anche in questo campo non fa eccezione.
della Lusitania (Portogallo); Oltre alla mobilità degli equipaggi delle navi, che furono un importantissimo veicolo di circo-
età tardo-imperiale. lazione culturale, va ricordata quella dei singoli o dei gruppi che dalla Sardegna fuoriuscirono
per stanziarsi altrove o, viceversa, che nell’Isola trovarono nuova sede.
Santa Teresa Gallura, carico di lingotti Per la prima tipologia ricordiamo ancora i già citati schiavi venduti sul mercato dell’Urbe in
di piombo germanico; età augustea. seguito alla repressione delle ribellioni durante la prima dominazione romana, e i militari che

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La Sardegna e il mare

Carico di anfore vinarie campane


dall’Isola di Spargi; 120 a.C.
La Maddalena, Museo Archeologico
Navale “Nino Lamboglia”.

prestavano servizio nei reparti dislocati in tutto l’impero, come la Cohors II Sardorum (Seconda
Coorte dei Sardi) operante in Nord Africa, o – per l’esempio di un singolo tra i tanti – il
marinaio C. Iulius Celer della lotta militare di Ravenna, morto a Seleucia di Pieria nel lontano
Oriente.
Tra chi pervenne nell’Isola vanno citati almeno i gruppi di Libici trasferiti qui da Roma per la
coltivazione agraria, i Campani Patulcenses dell’entroterra della costa sud-orientale, un gruppo
di Falisci dal Lazio presso Posada, i profughi da Roma a ridosso del sacco dei Visigoti del
410, mentre per i singoli ricordiamo, per un esempio tra i molti, un appaltatore di trasporti
appunto marittimi da Cipro, morto a Olbia.

Rotte
Una certa vulgata sulla navigazione antica ancora diffonde l’erronea idea che nell’antichità si
rifuggisse dal percorrere rotte d’altura o che si preferisse sempre, in presenza dell’alternativa,
la navigazione sottocosta.
Smentiscono questa convinzione già evidenze subacquee, quale per esempio il relitto prove-
niente dall’Africa individuato nella Fossa del Tirreno durante le ricerche del DC9 di Ustica,
una nave quindi che preferì il più breve tragitto d’altura tra Sicilia e Italia centrale rispetto al
bordeggiare la costa italica meridionale. O, per un caso dalle acque sarde, un carico d’anfore
spagnole localizzato nel corso delle ricerche del relitto della corazzata Roma, molto al largo
nel Golfo dell’Asinara: evidentemente anche in questo caso il risalire la costa del Golfo alla
volta delle Bocche di Bonifacio fu ritenuto meno conveniente rispetto al dirigersi diretta-
mente dalle Baleari all’estremo nord della Sardegna. Se si considerano l’assoluta casualità di
questi ritrovamenti, perché effettuati in indagini non archeologiche, e l’ovvio concentrarsi del
99% delle nostre conoscenze di archeologia subacquea nel raggio di poche centinaia di metri
dalle coste e quindi a poche decine di metri di profondità, si può intuire quale possa essere
l’enorme numero di relitti antichi giacenti in alto mare a testimonianza del nostro assunto.
E in relazione alla Sardegna è proprio la posizione dell’Isola, praticamente irraggiungibile se
non con giorni interi di navigazione lontano dalle coste (sola eccezione il percorso Gallura-
Corsica-Isola d’Elba-costa toscana), a mostrare la fallacia dell’obbligata preferenzialità delle
rotte costiere rispetto a quelle d’altura (anche già in fasi storiche ben più antiche dell’età
romana). Insomma, nel ragionare sulle opzioni che dettavano agli antichi naviganti la rotta
da seguire, assieme all’esigenza della sicurezza va tenuta nel debito conto quella della rapidità

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Rubens D’Oriano

che, consentendo più viaggi, consentiva maggiori guadagni. È quindi forse maturo il tempo
per superare il tradizionale elenco delle rotte che toccano la Sardegna come note dai dati
Olbia, testa ittile di Ercole con leontè letterari ed epigraici (collegamenti diretti con: Penisola Italiana, Sicilia, Nord Africa, Spagna,
dai fondali dell’Isola Bocca; II sec. a.C. Francia, Corsica, per i dettagli dei quali si veda il contributo di A. Mastino in quest’opera),
rotte incardinate in una struttura a rete nella quale, in senso topologico, si può raggiungere
San Teodoro, località Coda Cavallo, da un punto (un porto) uno qualsiasi degli altri (porti) ma obbligatoriamente percorrendo i
relitto di nave commerciale (oneraria); preissati segmenti di connessione dei punti. È invece da valutare una maggiore luidità dei
IV sec. d.C. percorsi e libertà da parte dei comandanti di navi, nel senso della possibilità di poter “taglia-
re” lungo le “diagonali” abbreviando il tragitto, in relazione alle esigenze temporali, e quindi
Relitto di nave commerciale (oneraria) economiche, e alle condizioni atmosferiche e climatiche. D’altra parte sono ben noti lo svi-
da Olbia, scavo del porto; 450 a.C. luppo e la diffusione della cartograia mediterranea dall’età ellenistica in poi, e la disponibilità
di portolani e simili che contribuivano, assieme all’esperienza personale e alle notizie orali in
Portaprofumi in forma di tonno da Olbia, possesso dei comandanti di navi, a fare del Mediterraneo in età romana uno spazio di comu-
necropoli di San Simplicio; I sec. d.C. nicazione del tutto privo di incognite a grande scala.

40
La Sardegna e il mare

In deinitiva, per esplicitare il pensiero con un’immagine, le rotte romane spesso riportare
sulle carte geograiche edite in varie opere andrebbero intese in senso piuttosto relativo di
linee di tendenza, più che di tragitti obbligati e privi di alternative.

Relitti e carichi
Nella statistica sui dati relativi ai giacimenti archeologici subacquei del passato a farla da
padrone sono di gran lunga quelli d’età romana. E le coste della Sardegna, al centro com’è
del Mediterraneo occidentale, non fanno eccezione, costellate in misura strabocchevole di
testimonianze di ogni genere, dal relitto intero e/o il suo carico al singolo oggetto. Di essi
però, se conosciamo spesso la provenienza grazie all’identiicazione dell’area di produzione
dei reperti, ignoriamo in genere la destinazione ultima, a causa dell’onnipresenza e amplissi-
ma circolazione delle merci in età romana. Per fare solo un paio di esempi, nulla accerta che
un carico di anfore lusitane affondato all’Asinara fosse destinato ad un porto sardo, poiché
le stesse sono presenti anche altrove al di là dell’area di produzione nell’odierno Portogallo, e
un carico di lingotti di raro piombo germanico dalle acque di Santa Teresa Gallura era diretto
certamente a Roma. Pertanto in genere queste testimonianze acclarano la centralità della
Sardegna nelle rotte mediterranee occidentali e nulla più.
Dato lo strabocchevole numero dei ritrovamenti subacquei d’età romana delle coste sarde, in
questa sede è possibile solo menzionare i casi più interessanti sotto vari aspetti.
Celeberrima è la nave affondata verso il 120 a.C. presso l’Isola di Spargi, per porsi il suo scavo
all’alba dell’archeologia subacquea, o il carico di oltre duecento lingotti di piombo del fondale
dell’Isola di Mal di Ventre, col cui metallo è stata realizzata la protezione dai neutrini cosmici
del laboratorio di isica nucleare del Gran Sasso; non frequente caso di un carico tardoimperiale
ben conservato è quello di Funtana Mare, con tra l’altro un tesoretto di centinaia di monete,
e pregevolissime sono le terrecotte igurate come le teste ittili di Mercurio da Karales o di
Ercole da Olbia.
In argomento navale vero e proprio, tra i molti relitti noti sarà suficiente citare il recupero
di ventiquattro relitti di navi, tra porzioni piccole e grandi, del porto di Olbia, undici dei
quali, affondati all’ormeggio dai Vandali durante l’attacco alla città verso il 450 d.C., ci
restituiscono un fotogramma di una delle svolte della storia occidentale: la ine del mondo
romano.

Risorse del mare


Il mare era per le genti sarde una ricca fonte di risorse, sia da esportazione che da consumo
locale. Tra le prime si sono ricordati sopra il sale e la porpora. Almeno al consumo locale era
destinato il pesce, la cui cattura e allevamento è testimoniata da lische, ami e altri strumenti
da pesca; il corallo, di raro ma non assente rinvenimento; i molluschi commestibili, forse
anche allevati (il toponimo Coclearia, “conchiglia tortile”, corrispondente a San Teodoro, può
riferirsi a tale attività o all’allevamento delle conchiglie da porpora, svolti entrambi nel grande
stagno retrodunale della spiaggia La Cinta); le conchiglie raccolte per scopo ornamentale e
altre funzioni, tra le quali segnaliamo le buccine usate come strumenti acustici previo tron-
camento dell’apice inferiore.

La Sardegna nel primo mondo globale


Abbiamo visto in precedenza come il mondo romano sia titolare di alcune performances ino ad
allora inusitate: onnipresenza di molte merci, maggiore intensità di trafici marittimi (indiziata
dall’incremento dei giacimenti subacquei), accentuata mobilità umana, variegatissima multicul-
turalità, diffusa conoscenza di rotte e geograia (ed altre se ne potrebbero aggiungere, come
l’incremento demograico, però non direttamente connesse all’argomento qui trattato).
Questi primati si devono sostanzialmente al fatto che ora per la prima volta e per lungo
tempo l’intero mondo mediterraneo è uniicato sotto un’unica gestione politica e gode di
sostanziale quiete bellica, la pax romana, essendo teatro dei conlitti principali i soli conini
dell’impero.
Si tratta quindi – si passi l’azzardo modernista – del primo mondo passato allo stato globale,
con tutti i pregi (quelli elencati) e i difetti (già allora l’immediata circolazione degli effetti
delle instabilità economiche e politiche, dei fenomeni inlattivi, ecc.) di una globalizzazione
ante litteram.

41
Rubens D’Oriano

Il cuore del sistema è il grande “lago” sul quale tutti i paesi e i popoli più o meno diretta-
mente si affacciano e agevolmente comunicano, e perciò battezzato dai Romani Mare Medi-
terraneum, cioè “in mezzo alle terre”. Questo cuore pulsa in due parti, e al centro di quella
occidentale s’incastona la Sardegna, la cui vicenda in età romana pertanto si può compren-
dere appieno solo contestualizzandola sempre in questa privilegiata posizione al centro del
primo mondo divenuto globale.

La Sardegna autoctona colonia altrui: un falso mito duro a morire


Com’è naturale, e come s’è qui visto in dal paragrafo sulla Sardegna preromana, per la storia
culturale di un’isola mediterranea quanto ad essa è pervenuto dal mare è, per forza di geo-
graia, elemento fondante.
Presso certi strati dell’opinione pubblica sarda questi apporti, civiltà romana in primis, sono
vissuti con più o meno cosciente insofferenza, come un vulnus di una mitizzata autoctonia
percepita a priori come preferibile ad ogni inquinante (presunta) allogenìa.
Questo sentire deriva dall’errata autoidentiicazione dei Sardi di oggi nelle popolazioni nu-
ragiche, quindi un “Noi Sardi di oggi ci riconosciamo nei gloriosi autoctoni Nuragici e chi è
venuto dopo è nostro invasore-colonizzatore-sfruttatore”. Questo atteggiamento trova origi-
Resti di pesci da Olbia, ne soprattutto in opere di divulgazione scientiica che in alcuni casi ancora oggi propongono
santuario di Melqart-Ercole; un ritirarsi dei discendenti delle popolazioni nuragiche, all’avvento di Fenici, Cartaginesi e
II-III d.C. Romani, nell’interno montuoso dell’Isola in una presunta consapevole resistenza e riiuto dei
nuovi tempi e dei nuovi venuti, andando poi a rintracciare questa stessa posizione in un (più
Ancoretta a tre ami da Olbia, presunto che argomentato) analogo arroccarsi culturale delle popolazioni sarde dell’interno
scavo del porto; età imperiale. nei confronti di più moderni arrivi esterni, dagli spagnoli ai piemontesi agli “italiani”. L’im-
magine simbolo richiama proprio il pastore che dall’alto del monte scruta torvamente il mare,
Buccine forate per uso come strumento potenziale orizzonte d’arrivo di rapinosi stranieri. Anche acquisendo per corretta questa im-
acustico, da Olbia, scavo del porto; magine, in realtà piuttosto mitizzata nella sua nostalgia di immaginarie purezze primigenie,
età imperiale. la sua rappresentatività della realtà della storia culturale sarda è del tutto immotivata, se non

42
La Sardegna e il mare

altro perché almeno dall’età romana in poi la percentuale maggioritaria della popolazione
sarda abita le coste e i loro immediati hinterland, a meno di non voler illogicamente sostenere
che i Sardi dell’interno siano e fossero più “sardi” di quelli della costa, contrapponendo sardi
“puri” a sardi “meticci”.
La critica a questa mitologia è piuttosto ovvia: i Sardi di oggi, come i Siciliani, i Cretesi, i To-
scani, i Catalani, non possono che essere l’esito della stratiicazione genetica e culturale di tut-
te le popolazioni che si sono avvicendate nell’Isola, Nuragici certo, e prima ancora Neolitici,
Campaniformi, e poi Fenici, Greci, Cartaginesi, Romani, Bizantini, Arabi, Pisani, Aragonesi,
come era già chiaro a una delle più alte voci che questa terra abbia inora espresso, il Premio
Nobel per la letteratura Grazia Deledda, che già circa un secolo fa insegnava «Siamo spagnoli,
africani, fenici, cartaginesi, romani, arabi, pisani, bizantini, piemontesi» nell’incipit della poesia che si
intitola (guarda caso) Siamo Sardi.
Il logudorese, parlato anche nelle Barbagie, è per i linguisti la lingua più prossima al latino:
altro che orgogliose enclaves di consapevole resistenza o di difesa di purezza primigenia. Poco
tempo fa i “sardisti” hanno celebrato come elemento a favore della visione che qui si critica
l’individuazione, nel DNA delle genti di un’area dell’Ogliastra, di una percentuale di patri-
monio genetico nuragico maggiore che nel resto della Sardegna, ove esso è assolutamente
irrisorio e coerente con i parametri attesi in base ai successivi apporti umani. Al contrario,
quest’isola genetica conferma la correttezza del dato generale e quindi le sue implicazioni
globali nel senso qui indicato.
Quanto poi alla “colonizzazione”, il termine viene inteso dal grande pubblico nell’accezione
negativa acquisita, a pieno titolo, nell’ambito del brutale fenomeno colonialista occidentale
dei secoli XVI-XIX ai danni delle popolazioni d’Africa, Asia e Americhe. Ma nell’antichità
mediterranea le dinamiche interculturali del trasferimento e stanziamento altrove di gruppi
di Fenici, Greci, Romani videro casistiche molto alterne, sia nette che sfumate, di contrap-
posizione ma anche di collaborazione, di scontro ma anche di incontro, assolutamente non
assimilabili al pervasivamente truce colonialismo moderno.
Per banali esigenze di economia comunicativa deiniamo i popoli con certi nomi (Greci, Ro-
mani, ecc.), ma questi vocaboli hanno un valore cangiante col contesto. È forte l’impressione
che il grande pubblico di fronte a espressioni quali “i Romani conquistarono la Sardegna” o
“la Sardegna romana” abbia la percezione di un’invasione, di una dislocazione massiva di citta-
dini dell’Urbe nell’Isola a danno o, addirittura, previo sterminio delle genti locali. È piuttosto
evidente invece che si tratta in realtà della Sardegna sotto Roma, come per tutto il resto del
Mediterraneo si trattava della Spagna o della Grecia durante il dominio di Roma, lungo il quale
in ogni regione sopravvivevano tutte le componenti antropiche e culturali precedenti, sul cui
substrato gli elementi della civiltà romana, anche umani, si innestarono dialetticamente in un
graduale processo di sostanziale rispetto e integrazione di lunga durata, e di esito molto varie-
gato. È compito della divulgazione scientiica esplicitare tutta la complessità e la ricchezza di
questi processi dell’intero mondo che solo convenzionalmente deiniamo “romano”.
Circa l’autoctonia, dobbiamo essere sempre consapevoli della relatività e convenzionalità del
termine d’origine greca “autoctono”, o del suo corrispettivo di origine latina “indigeno”. È
autoctono chi è nato nel posto al momento dell’arrivo di altri da altrove, ma spesso a sua
volta è egli stesso discendente più o meno remoto di stranieri, e via retrocedendo nel tempo.
Le popolazioni nuragiche che assistono alla nascita degli insediamenti stabili fenici in Sarde-
gna – spesso volentieri coadiuvando il fenomeno, altro che “invasioni” e “colonizzazioni” in
senso rapinoso, come si diceva sopra – sono a loro volta discendenti dei Neolitici, dei Monte
Claro, e così via. Questi equivoci culturali sorgono dall’errata identiicazione della terra con
il popolo: una cosa è la Sardegna, altra le popolazioni che l’hanno abitata in ricca sovrappo-
sizione storica e culturale.
In un mondo di selvaggia globalizzazione, assistiamo ad un inquietante ritorno, per reazione,
di identitarismi e nazionalismi vari. Non è questa la sede per argomentare sulla fallacia e il
pericolo del concetto d’identità di gruppi umani (se chiedessimo a tutti i Sardi, come a qual-
siasi altro gruppo umano, di indicare quali qualità si debbano avere per essere “sardi”, siamo
certi di ottenere un adeguato numero di risposte simili e/o attendibili sul piano scientiico?)
e dell’erronea percezione persino dell’identità personale, ma è utile fare voti, per chi ci cre-
de, afinché l’orgoglio di ogni (pseudo)identità sia ricchezza da porre al fecondo confronto
integrativo con le altre per l’arricchimento reciproco, e non giustiicazione di chiusure e

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Rubens D’Oriano

fondamentalismi. E purché sia chiaro che anche le più radicate (pseudo)identità non sono
eterne, ma luiscono inevitabilmente e quotidianamente, anche se impercettibilmente, verso
sempre nuove conigurazioni. Non ci sono più i Micenei e gli Etruschi in quanto tali, non
estinti ovviamente ma “diventati” “Greci”, “Romani” ecc., nell’incessante divenire genetico
e culturale della specie, e quindi in adeguato torno di tempo non ci saranno più (se esistono
come tali e qualsiasi cosa indichino questi termini) i cosiddetti Italiani, Padani, Sardi, destinati
a trasformarsi in altre e per ora impredicibili conigurazioni. Che così sia è inevitabile e sano
per la specie, la cui storia insegna che sopravvive solo se rimescola incessantemente le carte
della genetica e della cultura.
Alla in ine è questo uno dei signiicati profondi della vicenda della Sardegna romana (e
nuragica, fenicia, punica) e del suo rapporto col mare: una tappa particolarmente ricca e
complessa del luire storico dei vari popoli dell’Isola, del Mediterraneo, dell’Umanità.

Bibliograia

deL vais, C. ed. 2006


In piscosissimo mari. Il mare e le sue risorse tra antichità e tradizione. Guida alla mostra (Cabras, Museo Civico,
11 febbraio-30 giugno 2006). Iglesias.
Mastino, A. ed. 2005
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Mastino, a., sPanu, P.g. & zucca, R. 2005
Mare sardum. Merci e scambi marittimi della Sardegna antica. Roma.
Mastino, a., sPanu, P.g. & zucca, R. eds. 2009.
Naves plenis velis euntes. Roma.

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Le città della Sardegna in età romana
Jacopo Bonetto, Andrea Rafaele Ghiotto

Le città romane della Sardegna non risaltano per numerosità né per il loro tasso di monumen-
talizzazione rispetto ai centri urbani di altre realtà provinciali, quale ad esempio la vicina Africa
Proconsolare. Ciononostante, le testimonianze archeologiche ad oggi conosciute offrono una
serie di spunti piuttosto rilevanti per lo studio del fenomeno urbano e della cultura architetto-
nica in ambito insulare.
Le principali indicazioni provengono, come prevedibile, dalle ben note aree archeologiche di
Nora e di Tharros, la cui riscoperta in estensione si deve alla lungimirante opera dell’allora
Soprintendente Gennaro Pesce, il quale già negli anni Cinquanta dello scorso secolo ne intuì
appieno le potenzialità in termini di valorizzazione e di promozione turistica. Ma accanto a
Nora e a Tharros, che rappresentano due tra i più visitati insediamenti antichi dell’Isola, si devo-
no citare altri importanti centri a lunga continuità di vita, oggetto di recenti e felici interventi
di archeologia urbana, come Cagliari (Carales), Porto Torres (Turris Libisonis) e Olbia, oppure
anche le meno popolose Fordongianus (Forum Traiani) e Sant’Antioco (Sulci).

Aspetti urbanistici e fasi di sviluppo urbano


L’esperienza urbana in Sardegna affonda le sue origini in quell’antica tradizione insediativa
che aveva avuto avvio nella tarda età arcaica, attraverso la formazione di un articolato paesag-
gio demico, perlopiù di ambito costiero, che si venne concretizzando a partire dalla seconda
metà del VI secolo a.C., quando i centri emporici fenici furono via via assorbiti nell’orbita
imperialistica cartaginese. Oggettiva appare la dificoltà di ricostruire un quadro completo del
fenomeno urbano per ciascun abitato sardo nel corso della successiva età romana, non solo a
causa dell’aleatorietà dei rinvenimenti imposta dalle sovrapposizioni post-antiche, ma talvolta
anche per lo scarso interesse dimostrato da una tradizione di studi maggiormente rivolta ad
altre fondamentali fasi storiche dell’Isola, quali l’età nuragica o quella fenicio-punica. Tutta-
via appare ben chiaro che, nelle loro forme spaziali e architettoniche, le città della Sardegna
tardorepubblicana costituirono per la maggior parte l’evoluzione di precedenti centri punici,
attuatasi senza alterazioni nette e improvvise nel corso di un lungo arco di tempo successivo
alla data di istituzione uficiale della provincia Sardinia et Corsica.
Nel 227 a.C. la Sardegna divenne un distretto territoriale e amministrativo extra-italico dello
Stato romano, ma la sua popolazione, la sua lingua, i suoi usi e costumi e le sue stesse tradizioni
urbane e architettoniche restarono saldamente pervase da quella cultura sardo-punica che era
andata profondamente radicandosi per lunghi secoli, come ben dimostrano i laboratori privile-
giati di analisi urbanologica costituiti da Nora e Tharros. La stessa Cagliari, il cui preponderante
ruolo politico e commerciale nel contesto insulare fu ribadito dalla nuova funzione di caput
provinciae, sembra aver inizialmente mantenuto inalterata la propria ubicazione sulle sponde
dello Stagno di Santa Gilla, mentre il governatore e i funzionari provinciali inviati da Roma
risiedettero forse in un nucleo urbano chiuso tra mura (munitus vicus Caralis), distinto dalla
città punica (Krly), del quale abbiamo notizia esclusivamente grazie a una discussa deinizione
riportata dal grammatico Consenzio (Gramm., ed. Keil, V, p. 349). Così come estremamente si-
gniicativa, ma altrettanto particolare, fu la dedica di un deposito votivo che una igura romana
di altissimo rango politico o religioso pose a Nora, nel settore centrale della città, all’indomani
dell’istituzione della provincia.
Un più coerente inserimento dell’Isola nell’orbita di Roma dovette progressivamente veriicarsi
nel corso del II secolo a.C., in particolare dopo la caduta di Cartagine nel 146 a.C., grazie al
pieno coinvolgimento nei trafici commerciali mediterranei controllati ormai interamente dalla
potenza egemone. L’inserimento delle città portuali sarde nella rete commerciale romana fun-
geva da apripista per lo scambio non solo delle merci, ma anche delle persone, delle idee e, per
quanto ci riguarda, dei modelli di cultura urbanistica e architettonica. Ne sono testimonianza
sia lo spostamento dell’abitato di Cagliari dalla più riparata insenatura di Santa Gilla verso l’area

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Jacopo Bonetto, Andrea Raffaele Ghiotto

dell’attuale centro cittadino, sia la costruzione di scenograici santuari su terrazze, di chiara


impronta ellenistica, nella stessa Cagliari (via Malta) e, a quanto pare, anche a Sant’Antioco.
L’introduzione di nuovi principi urbanistici e architettonici, veicolati da ricchi e dinamici nego-
tiatores italici, ebbe quindi avvio tra il II e il I secolo a.C. in alcune principali città costiere, grazie
a realizzazioni di forte impatto monumentale e di sicuro effetto ideologico-rappresentativo, ma
ancora piuttosto limitate dal punto di vista quantitativo. Fu questo l’avvio di un più profondo
e duraturo processo di recepimento di una lunga serie di sollecitazioni tecniche e culturali di
matrice romana. Si venne così concretizzando una progressiva fusione tra la tenace e vitale
tradizione sardo-punica e i nuovi apporti provenienti dalla Penisola, ino a modellare una rin-
novata identità sarda variamente composita.
Specchio di questo fenomeno sono le città stesse, intese come organismi spaziali in continua
evoluzione. Purtroppo la frequente e invasiva sovrapposizione di aree urbanizzate post-antiche
e l’inevitabile parzialità delle informazioni ricavate dalle indagini di scavo non consentono ad
oggi di deinire alcuni punti fermi essenziali per uno studio urbanologico esaustivo delle città
sarde. Sfuggono ad esempio molti dati non solo sull’effettiva consistenza e sull’articolazione
interna dei centri punici entrati nell’orbita di Roma, ma spesso anche in merito ai limiti stessi
degli spazi urbani e al perimetro delle loro eventuali cinte murarie (fatta eccezione per Olbia),
alla posizione e all’impianto dei complessi forensi (ad eccezione di Nora) oppure, in molti
casi, alla specializzazione funzionale delle aree urbane. Inoltre – ed è questo un limite molto
avvertito – non si dispone ad oggi di una suficiente seriazione di sequenze stratigraiche che
permettano lo studio degli abitati in chiave diacronica. Di contro sono disponibili ampie e pre-
ziose indicazioni sulle scelte insediative, sia dei centri di origine punica sia di quelli di fondazio-
ne romana, e sullo sviluppo quasi completo della rete viaria di età imperiale di due importanti
città quali Nora e Tharros.
L’immagine che se ne ricava può essere sintetizzata come segue. Per quanto riguarda i centri di
origine punica con continuità di vita, grande fortuna conobbero in età romana alcuni insedia-
menti costieri (come Nora, Sulci e Tharros) sorti e poi sviluppatisi con un’evidente propensione
marittima e con una spiccata vocazione commerciale, i quali videro potenziate le proprie dota-
zioni portuali e la propria mole di trafici nell’ambito delle rotte del Mediterraneo occidentale.
La scelta locazionale alla base di questi insediamenti urbani, posti su penisole pronunciate col-
legate mediante istmi o tomboli all’isola madre, fu da subito vincolata alla presenza di una o più
cale riparate dai venti dominanti e favorevoli quindi all’approdo e alle operazioni di carico/sca-
rico con ogni condizione atmosferica. Simili vantaggi offriva anche il profondo Golfo di Olbia,
che determinò la fortuna anche in età romana dell’antico insediamento di origine greco-punica.
Alcune di queste insenature, volutamente ricercate per le loro caratteristiche propizie, avevano
però spesso un regime semilagunare tendente all’impaludamento e dovettero dunque risultare,
perlomeno in certi casi, poco idonee allo sviluppo di dotazioni portuali e di trafici marittimi di
maggiore entità. Fu questa probabilmente una delle principali motivazioni dello spostamento
del centro urbano di Cagliari che, lasciato l’abitato punico di Krly sulle sponde dello Stagno di
Santa Gilla (via Brenta), fu di fatto “rifondato” nel corso del II secolo a.C. venendo a gravitare
su un nuovo porto meglio accessibile e più aperto verso i contatti con l’esterno. La Carales ro-
mana può essere pertanto considerata come una città di (ri)fondazione, e in quanto tale lascia
trasparire alcuni tratti urbanistici ben diversi rispetto a quelli dei principali centri di tradizione
punica sopra citati.
Un rapido confronto tra Nora e Cagliari può essere utile per chiarire le principali differenze tra
le città romane di fondazione e quelle di tradizione punica, quantunque sia appena il caso di
ricordare che anche sul caso norense grava una carenza di conoscenze non ancora risolta, in
merito allo sviluppo e all’assetto della città precedentemente alla fase di monumentalizzazione
intrapresa nella seconda metà del I secolo a.C. Per entrambe le città, in assenza quasi totale di
dati sulle eventuali cinte difensive (un tratto murario sembra aver deinito l’area urbana di Nora
in corrispondenza della strozzatura dell’istmo), i dati più utili sembrano potersi ricavare dalla
posizione dei complessi forensi e dal loro inserimento nell’abitato, dalla specializzazione fun-
zionale delle aree urbane e, per quanto riguarda Nora, dallo sviluppo e dall’articolazione della
rete viaria della media età imperiale.
Per lungo tempo si è supposto che l’assetto urbano di Nora, caratterizzato da una certa irrego-
larità sia dei tratti viari sia degli isolati da essi deiniti, ricalcasse fedelmente quello del prece-
dente centro punico, pur in assenza di concrete indicazioni archeologiche nel merito. Scavi più

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Le città della Sardegna in età romana

Nora, pianta ricostruttiva del foro


nella sua fase originaria.

recenti hanno invece dimostrato che tale assunto deve essere rivisto sulla base di una lettura
analitica e diacronica dell’abitato. In effetti, se molti tratti viari fortemente segmentati sembra-
no ricalcare l’andamento di precedenti percorsi conformi alla morfologia della penisola, condi-
zionata dalla presenza di pendii e dall’andamento della linea di costa, è altrettanto vero che altre
percorrenze interne all’abitato vennero sicuramente annullate o modiicate in una progressiva
rideinizione dell’assetto urbano in atto tra l’età punica e l’intera età romana. Cambiamento
e persistenza: il risultato è un assetto ampiamente irregolare che non deve apparire casuale o
caotico, ma come l’esito di un progressivo e motivato sviluppo urbano.
Il fenomeno appare particolarmente evidente nel settore orientale dell’abitato, dove totale fu
lo stravolgimento dell’organizzazione urbana precedente sopraggiunto con l’istituzione del

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Jacopo Bonetto, Andrea Raffaele Ghiotto

municipium. Nella seconda metà del I secolo a.C. l’area dei magazzini punici, attraversata da un
importante asse stradale con orientamento est-ovest, fu infatti interamente demolita e interrata
per consentire la realizzazione del complesso forense. Diversamente da quanto ipotizzato in
precedenza, il foro di Nora non si sovrappose quindi a una precedente piazza punica, anzi la
sua introduzione nell’assetto cittadino comportò il radicale cambiamento funzionale del setto-
re urbano di più remota origine nella storia insediativa norense, dal momento che esso appare
prevalentemente destinato allo svolgimento e alla celebrazione della vita politica e ammini-
strativa municipale. Diversamente, come confermeranno gli esiti monumentali di media età
imperiale, le principali funzioni commerciali vennero delegate al quartiere portuale che già da
tempo doveva essersi sviluppato lungo il versante nord-occidentale della penisola, applicando
così un moderno principio di specializzazione degli spazi urbani e determinando nel contempo
un’eccezione alla norma vitruviana che avrebbe voluto il foro delle città marittime nelle imme-
diate vicinanze del porto (Vitr., I, 7, 1). In altre parole, la costruzione del foro rappresentò per
Nora un intervento circoscritto dal punto di vista areale, ma straordinariamente innovativo sia
dal punto di vista urbanistico, per la revisione delle logiche di fruizione dello spazio urbano,
sia dal punto di vista architettonico, per il grandioso impatto monumentale dell’opera pubblica
rivolta scenograicamente verso il mare.
Di contro, secondo una recente lettura urbanistica, l’impianto di Carales sembra riferibile a un
piano programmatico unitario di concezione pienamente romana, riconducibile a un modello di
città regolare a maglia ortogonale applicato sul terreno con orientamento nord-ovest/sud-est.
Secondo quanto ricostruito nel settore del santuario di via Malta, è stato ipotizzato (in attesa
di conferma) che la presenza di dislivelli dettati dal forte condizionamento orograico sia stata
risolta ricorrendo a una successione sistematica di terrazzamenti paralleli tra loro, con orienta-
mento perpendicolare a quello degli assi prevalenti. Di fatto ignoti rimangono lo sviluppo del
perimetro murario e il suo rapporto con la viabilità interna; l’ubicazione delle necropoli offre
comunque un’idea suficientemente chiara dei limiti dell’area urbana.
In un centro di (ri)fondazione come questo, caratterizzato da una serie di elementi di chiara
matrice italica introdotti dalle componenti politiche e commerciali cittadine più in vista, la
programmazione non dovette però limitarsi all’applicazione sul terreno dello schema ideato
dagli urbanisti romani, ma venne evidentemente a comprendere anche la deinizione funzio-
nale preventiva delle aree pubbliche, sacre, abitative, commerciali e artigianali. In questo senso
vanno lette, ad esempio, l’ubicazione del complesso forense e di altri ediici pubblici nel settore
centrale (piazza del Carmine) nelle vicinanze del nuovo porto, la presenza di un ricco ed esteso
quartiere residenziale lungo l’odierno corso Vittorio Emanuele oppure la dislocazione delle
attività artigianali e commerciali nella zona orientale della città.
Meno conosciuto resta per questa fase l’impianto delle altre città romane dell’Isola, che comun-
que non avevano ancora raggiunto il loro massimo sviluppo. Analogamente a quanto osserva-
to per Nora, alcuni importanti centri a continuità di vita, come Sulci, Tharros e Olbia, rivelano il
coesistere di elementi introdotti dal nuovo ordinamento politico-amministrativo romano con
varie preesistenze di ascendenza punica; altri, come Bithia e Othoca, videro a quanto pare limita-
ta la loro crescita urbana; altri ancora, come Neapolis, Cornus (per la quale è stata ipotizzata una
localizzazione differenziata della città romana rispetto a quella punica) e Bosa, dovettero invece
attendere l’avanzata età imperiale. Tra le città di fondazione spicca il caso della colonia Iulia Turris
Libisonis (Porto Torres), di origine cesariana oppure ottavianea, che sembrerebbe aver gravitato
inizialmente sul tratto terminale del rio Mannu, secondo un modello deinito “porto-canale”,
per essere ben presto soggetta a una complessiva riorganizzazione urbanistica. Diversamente
Uselis (Usellus), che pure ebbe lo status di colonia, non sembra aver mai conosciuto un signii-
cativo sviluppo urbano, caratteristica questa che l’accomuna a vari centri nell’interno dell’Isola
quali ad esempio Valentia, Biora, Sorabile o Luguido.
All’età augustea e, più in generale, all’età giulio-claudia risale la prima grande fase di sviluppo
edilizio delle città sarde, favorita pur con qualche dificoltà dal clima di pace e di stabilità
politica garantito dalle istituzioni imperiali. Ciò si tradusse da un lato in una crescita econo-
mica e demograica e nel conseguente ampliamento dei centri abitati, dall’altro nel sensibile
incremento delle dotazioni monumentali e infrastrutturali e nella particolare cura rivolta al
decoro urbano. Fu questo, ad esempio, il periodo in cui Nora deinì l’aspetto del proprio
centro monumentale con la costruzione del teatro nelle vicinanze del foro, ma in realtà
questo lungo e felice periodo interessò nel loro complesso anche molte altre città dell’Isola,

48
Le città della Sardegna in età romana

con l’eccezione di Tharros che sembra aver stentato a recepire le sollecitazioni del nuovo
sistema politico. L’esempio più eloquente è costituito dalla riorganizzazione – forse una
vera e propria riprogrammazione – urbanistica di Turris Libisonis, che fu attuata applicando
principi di regolarità dell’impianto, di funzionalizzazione degli spazi e di coerente eficienza
infrastrutturale (strade, ponte, porto, acquedotto); meno chiara resta invece la sua forma
urbana, per quanto concerne sia il perimetro murario sia l’organizzazione viaria. Ultima a
godere dei beneici del clima di generale benessere instauratosi in questa fase fu Sulci (la più
importante città dell’Isola assieme a Carales a detta di Strabone, V, 2, 7), che in età claudia
si riprese appieno dagli effetti negativi della pesante sanzione comminatale a suo tempo da
Cesare per l’appoggio fornito alla fazione ilopompeiana, divenendo municipium e realizzan-
do, tra l’altro, un complesso forense impreziosito da un pregevole ciclo statuario dedicato
alla famiglia imperiale.
Il fenomeno della monumentalizzazione e dello sviluppo delle città sarde proseguì nella se-
conda metà del I secolo d.C. – come ben documentato soprattutto ad Olbia – e nel corso del
II, con una serie di interventi che lasciano presagire sin d’ora una progressiva “quartierizza-
zione” della vita pubblica, a scapito dell’indiscusso ruolo centripeto svolto originariamente
dagli spazi forensi sotto l’aspetto funzionale prima ancora che topograico.
Tra le classi di ediici più in voga in questo periodo spiccano gli aniteatri, ubicati in conte-
sti suburbani o comunque marginali, e i sempre più diffusi impianti termali, che nelle città
dell’epoca venivano a svolgere il ruolo di nuovi poli di convergenza della vita pubblica.
Contestualmente proseguirono le opere di urbanizzazione, consistenti nella realizzazione di
infrastrutture essenziali quali strade, fognature e acquedotti, ma si veriicarono anche casi di
vero e proprio urbanesimo, come ben esempliicato dalla nascita di Forum Traiani (Fordon-
gianus) in corrispondenza di un preesistente insediamento termale-militare in riva al Tirso,
già noto con il nome di Aquae Ypsitanae. Il riconoscimento strategico, itinerario e commer-
ciale accordato a questo centro dalla politica traianea ne favorì lo sviluppo e la pianiicazione
secondo un modello urbano regolare, la cui deinizione si avvale oggi di dati sempre più
dettagliati. Anche in questo caso, grande rilevanza nel centro di nuova istituzione assunsero
tanto il complesso termale sorto – con la vicina piazza lastricata – in corrispondenza delle
locali sorgenti di acqua calda quanto l’aniteatro costruito all’esterno dell’abitato, servito
dall’apposito collegamento viario in direzione di Cagliari.
Con l’età severiana e per tutto il III secolo d.C. le città sarde non solo raggiunsero il loro
apice monumentale ma conobbero anche la loro massima crescita urbana, sviluppando ap-
pieno le linee di tendenza già in nuce nella fase precedente. Il fenomeno è molto evidente
in molti centri dell’Isola e ancor più si coglie in quelli meglio indagati nella loro estensione,
come Nora e Tharros.
Se dal punto di vista architettonico si rileva un intenso fervore edilizio, con la costruzione o
la ristrutturazione di numerosi ediici pubblici e privati, dal punto di vista urbanistico si as-
siste a una serie di interventi di vario tenore. Innanzitutto si registra un’ulteriore attenzione
agli aspetti infrastrutturali, per i quali si richiama ancora una volta il caso di Nora, la cui rete
stradale, provvista di fognature sottopavimentali e iancheggiata per lunghi tratti da portici,
fu interamente lastricata e raggiunse all’epoca la sua massima estensione. Netti appaiono,
come già ricordato, i condizionamenti ambientali (morfologici e costieri) e antropici (pree-
sistenze viarie e architettoniche di varie epoche), soprattutto nel settore centrale della città,
mentre alcuni tracciati più ampi e rettilinei caratterizzano il quartiere nord-occidentale e
quello meridionale. Non si tratta in ogni caso di un impianto stradale regolare incentrato su
due assi generatori ortogonali propri di molte città romane, quanto piuttosto dell’esito di un
progressivo sviluppo della rete viaria lungo una doppia percorrenza prettamente funzionale:
una est-ovest, dal quartiere portuale a quello forense; l’altra nord-sud, dal territorio verso il
centro cittadino, conforme alla forma allungata della penisola.
Simile appare la situazione della stessa Tharros, la cui viabilità dominante procede dall’entro-
terra attraverso la penisola assecondando l’andamento della linea di costa; sorprende per la
sua accentuata regolarità l’anomala presenza di due (se non tre) lunghe arterie rettilinee, tra
loro parallele e piuttosto ravvicinate, che risalgono lungo il versante meridionale del colle di
Su Muru Mannu enfatizzando l’orientamento prevalente dell’abitato.
In secondo luogo sempre Nora offre un chiaro esempio di pianiicazione urbana e di qualii-
cazione funzionale di un intero settore urbano, quello nord-occidentale, ideato ora secondo

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Jacopo Bonetto, Andrea Raffaele Ghiotto

una moderna concezione connessa con la vocazione commerciale dell’intera area gravitante
sull’insenatura portuale. La rete viaria, provvista di un semplice ma eficiente sistema di
scolo delle acque meteoriche, si articola qui in modo molto più regolare, in particolare per
quanto concerne la spaziosa strada rettilinea diretta al porto. In questo versante della peni-
sola, grazie anche all’adattamento artiiciale del pendio, venne creato non solo il più grande
complesso termale cittadino (“Terme a mare”), ma anche un ampio isolato scandito da
stretti vicoli trasversali e dotato di ediici commerciali e abitativi, concepiti secondo criteri di
regolarità e di modularità, quali il grande complesso polifunzionale (noto come “macellum/
horreum” o “insula A”) e il quartiere delle case-bottega, comprensivo di un altro piccolo im-
pianto balneare. Le differenze tra questo e gli altri settori urbani sono palesi.
Interventi monumentali di un certo respiro sono attestati anche sul inire del III e quindi nel
corso del IV secolo d.C.: alcuni di questi riguardarono secondo tradizione la sfera pubblica,
mentre altri, successivi all’editto costantiniano, segnarono l’avvio di una nuova edilizia sacra
cristiana destinata a connotare in forme del tutto inedite sia i centri abitati sia le aree subur-
bane, come avvenne ad esempio a Nora e a Tharros. Tuttavia la documentazione archeologi-
ca e le fonti epigraiche coeve testimoniano soprattutto il succedersi di numerosi interventi
di restauro, che sempre più frequentemente si rendevano necessari in contesti urbani segnati
dagli inesorabili effetti dell’incessante trascorrere del tempo. Il ben noto fenomeno della
“sopravvivenza urbana”, legato alla manutenzione e all’eficienza anche simbolica degli edi-
ici pubblici e delle principali infrastrutture cittadine, sembra perpetuarsi ino alla conquista
vandala dell’Isola nei decenni centrali del V secolo d.C. Saranno poi la crisi irreversibile
delle istituzioni imperiali, il disuso e l’abbandono di ediici, strade, fognature e acquedotti e
gli effetti della progressiva contrazione della vita urbana a segnare l’avvio di una lunga fase
di transizione degli antichi centri sardi verso le forme urbane affermatesi in età medievale.

Tharros, arteria stradale diretta al colle A. R. G.


di Su Muru Mannu.

50
Le città della Sardegna in età romana

Edilizia pubblica e opere infrastrutturali


Mura e opere difensive
Nelle città sarde poco noti sono nel complesso i sistemi difensivi e i circuiti murari riferibili
all’età romana, che ad Olbia come in altri casi sembrano comunque aver ripreso ampi tratti
delle fortiicazioni riferibili alla precedente fase punica. A Tharros, sul colle di Su Muru Mannu,
un’ampia porzione di opera difensiva preromana fu a quanto pare ripresa e potenziata nel II
secolo a.C., mentre altri interventi fortiicatori sono attestati nel secolo successivo a Nora e a
Sulci. Dopo un periodo di silenzio documentario, corrispondente alla fase di generale stabilità
politica instauratasi nella prima età imperiale, nuove testimonianze di strutture difensive sono
attestate nelle città dell’Isola a partire dalla metà del III secolo d.C., ad esempio nella stessa
Tharros e a Turris Libisonis.

Fori e piazze
Già si è fatto cenno al complesso forense meglio noto dell’intera Isola. Si tratta del foro di Nora,
realizzato tra il 40 e il 20 a.C. nel settore centro-orientale della penisola su cui si sviluppava l’a-
bitato, sovrapponendosi a un precedente quartiere abitativo e commerciale di età punica appo-
sitamente demolito e interrato. Esso si compone di una grande piazza lastricata (34 x 44,2 m),
deinita sui lati lunghi e forse su quello breve meridionale da due o da tre portici e conclusa sul
lato breve settentrionale da un tempio sorto in corrispondenza di un precedente ediicio sacro.
Alle spalle del portico orientale trovava posto la basilica civile, funzionale soprattutto all’ammi-
nistrazione della giustizia, mentre su quello opposto occidentale si apriva la curia, pavimentata
in opus sectile, sede del senato cittadino. Al centro e ai lati della piazza si disponevano varie basi
di statue e di altri monumenti onorari. Interamente perduta a causa dell’azione erosiva del mare
è la porzione meridionale del complesso, ad eccezione del muro di chiusura ancora conservato
in fondazione lungo l’attuale linea di battigia. Il foro, sul quale gravitava la vita politica e sociale
della comunità norense, costituiva il principale complesso pubblico cittadino e consentiva lo
svolgimento delle molteplici funzioni previste dall’ordinamento municipale da poco consegui-
to. Trascorsi circa due secoli dalla sua costruzione, tra la ine del II e i primi decenni del III
secolo d.C. l’intero complesso forense fu sottoposto a un’intensa attività di potenziamento ar-
chitettonico, che comportò l’ampliamento della piazza, il restauro della basilica e la costruzione
di due archi di accesso da nord-est e da nord-ovest. Il foro, ristrutturato anche nel corso del
IV e all’inizio del V secolo d.C., rimase in uso ino al collasso delle istituzioni cittadine soprag-
giunto con la conquista vandala.
Probabili resti di aree e di strutture forensi, datati rispettivamente all’età claudia e a quella lavia,
sono stati individuati anche a Sant’Antioco (area del Cronicario) e ad Olbia, in corrispondenza
del principale ingresso in città provenendo dal porto. Rimane invece ipotetica la localizzazione
del foro di Turris Libisonis presso il cosiddetto “Peristilio Pallottino”. Inine una vasta piazza
lastricata si estende a monte del complesso termale di Fordongianus.

Ediici sacri
Piuttosto vario è il panorama dei templi e dei santuari presenti nelle città sarde. In molti casi si
assiste infatti a una prolungata continuità di frequentazione di aree e di ediici di culto di origine
punica, in altri all’introduzione di forme proprie dell’architettura sacra di tradizione romana.
Tra gli esempi riferibili alla seconda categoria rientra senza dubbio il santuario di via Malta a
Cagliari. Si tratta di un complesso sacro su terrazze, le cui caratteristiche planimetriche e archi-
tettoniche rimandano direttamente a quelle del santuario di Giunone a Gabii, nel Lazio. Il com-
plesso cagliaritano occupa un’ampia supericie delimitata da un recinto in muratura (120 x 43 m)
e osserva un orientamento conforme a quello del pendio collinare. Lungo lo stesso asse si di-
spongono la poderosa platea di fondazione (15,75 x 10,75 m) di un tempio tetrastilo, con un’im-
ponente scalinata di accesso e, più a valle, una cavea teatroide composta da tredici ile di gradoni
curvilinei. Tra le parti che compongono il complesso santuariale, meglio nota è quella superiore.
L’ediicio sacro risulta afiancato lateralmente da uno spazio aperto, tenuto a giardino, terrazzato
per mezzo di due muri curvilinei collegati alla scalinata templare. Inoltre è probabile che l’intero
settore situato più a monte fosse delimitato da un triportico. Databile alla seconda metà o alla
ine del II secolo a.C., il complesso sacro di via Malta a Cagliari sembra trovare un confronto
tipologico in Sardegna nel meno conosciuto santuario tardorepubblicano sul colle del Fortino
di Sant’Antioco (Sulci), comprensivo di un tempio a pianta periptera sine postico originariamente

51
Jacopo Bonetto, Andrea Raffaele Ghiotto

Nora, pianta ricostruttiva


del “Tempio romano”.

raggiungibile mediante una rampa d’accesso estesa lungo il pendio orientale del rilievo.
Se l’innovatività delle soluzioni adottate in questi due santuari appare strettamente legata
alle politiche attuate da Roma in Sardegna dopo l’istituzione della provincia, altri ediici sacri
presenti nelle città dell’Isola manifestano piuttosto i segni di un certo conservatorismo
architettonico o, per meglio dire, di una sorta di ibridazione di modelli punici e romani.
Tali segni, ravvisabili già nel tempietto distilo di Tharros (“Tempietto K”), risalente alla se-
conda metà del II secolo a.C. o all’inizio del successivo, appaiono in tutta la loro evidenza
nel tempio del foro di Nora (40-20 a.C.), signiicativamente sovrapposto a un precedente
ediicio sacro. Oltre all’applicazione di un sistema metrico di tradizione punica in fase
progettuale, questo tempio rivela l’adozione di alcune caratteristiche ereditate dalla stessa
cultura architettonica, come l’inserimento della struttura all’interno di un recinto e la mo-
desta elevazione su un basso podio (0,7 m). Altri aspetti, come la probabile pianta tetrastila
con ante estese ino a metà pronao, le dimensioni (9,6 x 18,4 m), le proporzioni e la pavi-
mentazione in cementizio, appaiono invece più propriamente compatibili con i caratteri
dell’edilizia sacra romana di età tardorepubblicana. In questo quadro così composito si in-
serisce anche la particolare bipartizione del pronao con il conseguente doppio accesso alla
cella, che sembra trovare confronto in Sardegna nel quasi coevo Tempio B del Santuario
di Melqart/Ercole ad Olbia.
Se a Tharros non mancano gli interventi di rifacimento di ediici sacri più antichi (Tempio
delle semicolonne doriche, Tempio a corte), peraltro poco distinguibili nelle loro forme
assunte in età romana, è ancora Nora ad offrire un esempio di tempio particolarmente ben
conservato. Si tratta del cosiddetto “Tempio romano”, datato dopo il 230 d.C. Sorto su un
precedente ediicio sacro, esso risulta inserito all’interno di un’area delimitata da un recinto

52
Le città della Sardegna in età romana

Cagliari, aniteatro romano.

in muratura, accessibile dal portico che iancheggia il lato settentrionale della strada che
risale dal foro. All’interno del recinto una breve gradinata frontale, interrotta al centro da
un altare, conduce al pronao esastilo e quindi alla cella a pianta quasi quadrata, conclusa
sul fondo dall’angusto vano del penetrale, dotato di due ingressi. Esternamente le pareti
laterali della cella erano scandite da semicolonne. Sempre all’interno del recinto sacro, il
corridoio scoperto che si sviluppa parallelamente alla cella permette di raggiungere tre vani
allineati, in qualche modo connessi con le pratiche religiose. Nella stessa Nora, alla fase di
sviluppo monumentale avviata nel corso della media età imperiale risale la riediicazione
del santuario di Esculapio (il punico Eshmun) all’estremità del promontorio di Sa Punta
‘e su Coloru (“la punta del serpente”), sviluppatosi in corrispondenza di un’area sacra di
remota origine punica e già interessato da una signiicativa fase di frequentazione nel corso
del II secolo a.C.
Inine si deve ricordare la precoce introduzione in Sardegna del culto imperiale, al quale
erano dedicati cicli statuari nel contesto dei fori cittadini, come proposto per Sulci, o in
appositi Augustea, uno dei quali sembra essere attestato per via epigraica a Bosa (CIL X
7939). Al culto imperiale era probabilmente dedicato lo stesso “Tempio romano” di Nora.

Ediici per spettacoli


Nel pieno centro monumentale di Nora, ad ovest del foro, si trova l’unico teatro cono-
sciuto dell’intera Isola (fatta eccezione per la cavea teatroide del santuario di via Malta a
Cagliari e per il caso ancora incerto di Turris Libisonis). Allo stato attuale, dell’ediicio si
conservano la parte inferiore della cavea, costituita da undici gradoni in andesite e sorretta
da possenti sostruzioni in blocchi arenitici; i due ingressi laterali voltati a botte pesante-
mente restaurati; lo spazio dell’orchestra pavimentato in lastre di marmo (in gran parte di
restauro) con un bordo esterno in mosaico; le poderose strutture basali del settore scenico,
con le tracce degli incassi per la travatura lignea su cui poggiava il palcoscenico; le scalette
per raggiungere gli spalti sopra agli ingressi. Quasi nulla rimane invece della parte superio-
re della cavea e del monumentale muro di frontescena. Considerando anche la porzione
perduta della cavea, la capienza del teatro doveva aggirarsi sui 1100-1200 posti a sedere.
Risalente alla prima età imperiale, l’ediicio fu interessato da due fasi di ristrutturazione e di
potenziamento successive al suo impianto originario. Tra i vari interventi di modiica spic-
ca la costruzione della porticus post scaenam, della quale rimangono dodici basi per colonne
alternate alle soglie d’accesso aperte sulla strada antistante. A un utilizzo tardo dell’ediicio,

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Jacopo Bonetto, Andrea Raffaele Ghiotto

ormai destinato ad usi ben diversi rispetto a quelli teatrali, sono stati riferiti i grandi orci in
terracotta posti all’interno dell’iposcenio, già interpretati come vasi risuonatori.
Ben più numerose sono invece le testimonianze relative agli aniteatri, attestati a Cagliari,
Nora, Sant’Antioco, Tharros e Fordongianus. Tra questi l’ediicio più monumentale è sicu-
ramente quello cagliaritano, realizzato nella Valle di Palabanda incidendo il pendio in roccia
calcarea e integrando in muratura la porzione rimanente. Nel settore costruito in alzato la
struttura fu smantellata dopo l’età antica sino al livello delle fondazioni. L’aniteatro, ca-
pace di contenere quasi 12.300 spettatori, misura complessivamente 92,8 x 79,2 m; l’arena
46,2 x 31 m. Alle estremità si trovano due aperture, ma soltanto quella sud-occidentale,
realizzata in muratura e rivolta a valle verso l’abitato, era realmente accessibile dall’esterno.
Il muro del podio, originariamente dotato di un parapetto di protezione, è notevolmente
rialzato rispetto alla supericie dell’arena (h. m 2,8). La cavea si sviluppa su tre maeniana.
Piuttosto articolata è anche la parte ipogea della struttura, sia sotto il piano dell’arena, dove
si aprono un’ampia fossa centrale e due fosse minori laterali originariamente coperte da
tavolati, sia nei passaggi, nei corridoi e negli ambienti di servizio ricavati nella roccia. La
costruzione dell’aniteatro cagliaritano è stata attribuita con discreta afidabilità alla tarda
età lavia.
Meno imponenti, sia sotto l’aspetto dimensionale sia sotto l’aspetto architettonico, sono
invece gli altri ediici aniteatrali attestati nell’Isola. Grazie a recenti indagini di scavo che
ne hanno deinito le dimensioni, le caratteristiche tecniche e la scansione in due fasi co-
struttive, è oggi meglio conosciuta la struttura in muratura dell’aniteatro di Forum Traiani,
per il quale è stata proposta un’origine militare. Poco noti, probabilmente perché realizzati
con l’ampio impiego di legno e di altri materiali deperibili, sono i due aniteatri di Nora e di
Sulci. Tra tutti si distingue inine quello di Tharros, caratterizzato da una particolare pianta
Nora, “Terme a mare”. subcircolare, che trova comunque confronto nel mondo romano.

54
Le città della Sardegna in età romana

Ediici commerciali e di stoccaggio


Almeno un rapido cenno meritano gli edifici destinati allo svolgimento di funzioni com-
merciali e di stoccaggio, spesso documentati per via epigrafica. Si tratta più precisamente
di mercati alimentari (macella) e di granai (horrea), la cui presenza nelle città sarde ben si
concilia con il noto ruolo svolto dall’Isola nel garantire i rifornimenti di grano necessari
a Roma.
Le testimonianze archeologiche di questo genere di ediici utilitari sono piuttosto limita-
te: a Porto Torres sono state individuate alcune strutture murarie attribuite a un horreum,
mentre a Nora si trova un grande complesso edilizio con cortile centrale scoperto (noto
come “macellum/horreum” o “insula A”), gravitante sulla via del porto, destinato prevalen-
temente a funzioni di immagazzinamento e di commercio.

Impianti termali
Tra le classi di ediici più frequenti in quasi tutte le città sarde vi è sicuramente quella
degli impianti termali, diffusisi nel corso dell’età imperiale sino a diventare un punto di
riferimento per la vita sociale dei quartieri urbani, in cui essi appaiono omogeneamente
distribuiti. Se si eccettua il complesso termale delle Aquae Ypsitanae di Fordongianus, sulla
riva del Tirso, che sfrutta le naturali scaturigini di acqua calda, gli altri impianti presenti
nei centri abitati dell’Isola erano riforniti prevalentemente dagli acquedotti, che garanti-
vano il necessario approvvigionamento idrico.
Dal punto di vista planimetrico e funzionale gli ediici balneari sardi rientrano nelle con-
suete caratteristiche dell’architettura termale romana. Sotto l’aspetto dimensionale si di-
stinguono per la loro imponenza i grandi complessi di Nora (“Terme a mare”) e di Turris
Libisonis (Terme centrali), caratterizzati da percorsi di fruizione “anulari”, che raggiungo-
no la supericie di oltre 2000 mq. Più comuni sono invece gli impianti di medie e piccole
dimensioni, con percorsi di fruizione “rettilinei”. Diversi episodi di restauro apportati tra
il III e la metà del V secolo d.C. attestano l’ininterrotta fortuna di questo genere di ediici
ino alla tarda antichità.

Strade, acquedotti e altre infrastrutture urbane


Tra le realizzazioni infrastrutturali più appariscenti che caratterizzano l’aspetto delle città
romane dell’Isola vi sono le numerose strade urbane, rivestite da spesse e resistenti lastre
lapidee. Gli esempi più noti e meglio conservati, soprattutto per quanto riguarda l’e-
stensione complessiva dei tratti viari messi in luce, si trovano a Nora e a Tharros, ma non
mancano attestazioni anche a Turris Libisonis e in altri centri. Si tratta di strade che, oltre a
garantire gli spostamenti interni agli abitati e ad assicurare il collegamento con la viabilità
esterna ad essi, talvolta oltrepassando ponti come nel formidabile esempio turritano, pre-
sentano pavimentazioni particolarmente accurate e conformi all’elevato grado di decoro
urbano raggiunto dalle città sarde nel corso dell’età imperiale. L’ammontare complessivo
di oltre 1000 metri cubi di pietra andesitica, appositamente estratti per essere impiegati
nell’opera di lastricatura della rete viaria di Nora, rende l’idea dell’impegno economico e
realizzativo richiesto da questo genere di cantieri pubblici. Spesso sotto il manto stradale
si sviluppava un’eficiente rete di canalizzazioni di delusso delle acque sporche e meteo-
riche, destinata a garantire la salubrità della vita civica.
Tra le infrastrutture urbane rientrano anche gli acquedotti, destinati a rifornire d’acqua
corrente centri abitati sino ad allora provvisti soltanto di pozzi e cisterne distribuiti in
modo capillare nel tessuto urbano. Il più antico acquedotto dell’Isola sembra essere quello
di Turris Libisonis, datato all’età augustea. Oltre a costituire la prima attestazione nota in
Sardegna, di poco successiva alla deduzione della colonia, l’acquedotto turritano offre uno
dei rari esempi di ricorso all’opera reticolata attestati nell’ambito dell’intera provincia Sardi-
nia et Corsica. Più recenti sono gli acquedotti di Cagliari (esteso per quasi una cinquantina
di chilometri), di Olbia e di Nora (che l’iscrizione CIL X 7542 ricorda restaurato tra il 425
e il 450 d.C.), seguiti da quelli di Neapolis, di Tharros e di Forum Traiani. Gli acquedotti
servivano non solo gli impianti termali e le eventuali utenze private, ma anche le fontane
pubbliche distribuite lungo le strade cittadine.

j. B.

55
Jacopo Bonetto, Andrea Raffaele Ghiotto

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56
Città e territorio, vici, pagi, stationes
Giampiero Pianu

Nel 238 a.C. i Romani, con un pretesto molto dubbio sul piano dello stesso ius latino, sottrag-
gono il possesso della Sardegna ai Cartaginesi. Addirittura l’Isola diviene subito dopo, nel 227
a.C., insieme alla vicina Corsica, una provincia romana. Questo fatto, apparentemente, non ge-
nerò conlitti importanti nelle città dell’Isola. Gli scavi nei vari centri abitati di Karales (Cagliari),
Nora, Tharros, Sulci (Sant’Antioco) non presentano tracce speciiche di un evento che invece
avrebbe potuto generare notevole caos. Si notano solo piccoli cambiamenti che avvennero tra
l’altro qualche tempo dopo la conquista, come la costruzione del foro e di nuovi templi, ad
esempio a Nora e Olbia. Si è spiegato questo fenomeno sulla base di un (presunto) “antico”
risentimento delle città di fondazione fenicia contro i Cartaginesi, che non avrebbero rispettato
vecchi patti di non aggressione e soprattutto avrebbero imposto tasse e gabelle eccessive. É
assai più probabile che il cambio politico sia semplicemente avvenuto grazie alla cooptazio-
ne di larghi strati dell’aristocrazia punica, agevolata da un partito “romano” già ben radicato
nell’Isola prima della data della conquista. É nota infatti la presenza a Cagliari ed in altre zone
sarde di negotiatores italici in epoche antecedenti alla conquista, che avrebbero intessuto rapporti
economici con il ceto dirigente punico e favorito la fusione fra le due etnie.
Per quel che ne sappiamo soltanto a Cornus si veriicò, nel 215 a.C., una rivolta, dovuta ad un
certo Ampsicora, un ricco latifondista “sardo-punico” (concetto etnico di dubbia valenza, pe-
raltro molto caro agli studiosi moderni), legato “politicamente” a Cartagine. In realtà si trattò
semplicemente di un personaggio che vedeva nella conservazione degli antichi rapporti di
forza l’unica possibilità per mantenere intatte le proprie ricchezze. Egli così richiese un aiuto
a Cartagine, che fu concesso in misura ridotta e soprattutto arrivò tardi, ma in particolare as-
soldò un esercito andando a cercare mercenari anche fra i “sardi pelliti” delle montagne, per
difendere i suoi possedimenti e non certo in funzione di un malinteso “patriottismo isolano”,
di una difesa della “libertà” e della “identità” dei Sardi, come oggi favoleggia una becera politica
falsamente indipendentista. Ampsicora era solo un sardo asservito a Cartagine che riiutava un
diverso asservimento, che anelava alla “sua libertà” (non certo a quella dei Sardi). La sconitta
di Ampsicora segna dunque solo la sua sconitta personale e dei suoi presunti “alleati indigeni”
(a pagamento).
In realtà per molti anni, o meglio per qualche secolo, soprattutto le popolazioni dell’interno
della zona del Nuorese, che una nota iscrizione purtroppo perduta identiica nelle Civitates
Barbariae, diedero notevole fastidio ai nuovi “padroni”, con rivolte e ribellioni che possiamo
però pensare fossero, probabilmente, semplici azioni di guerriglia, ruberie e saccheggio, sicu-
ramente dificili da combattere per un esercito strutturato com’era quello romano. Di queste
“ribellioni” o “scorrerie”, che peraltro non possiamo escludere siano avvenute anche durante
il dominio punico, siamo ben informati dalle fonti letterarie latine, come ad esempio Livio,
ma in particolare dal testo epigraico noto come i “Fasti Capitolini” che attestano numerosi
“trioni sui Sardi” celebrati da vari consoli e generali Romani per tutto il periodo repubblicano.
Vista la ripetitività di tali “trioni” possiamo pensare che si sia trattato di spedizioni conclusesi
con la scoperta di qualche covo e con il massacro di un certo numero di pastori, utilizzando
la consuetudine di questi ultimi di riunirsi a festeggiare con abbondanti libagioni dopo le varie
scorribande. Questi “trioni” celebrati a Roma non furono di fatto conclusivi, almeno ino alla
prima età imperiale, anzi si può pensare che spesso si trattò, forse, di vanagloria di alcuni di
questi magistrati.
Un testo epigraico importante, come la tavola di Esterzili, ci testimonia quale fosse il teno-
re di queste ribellioni. Nell’epigrafe, del 69 d.C., i Romani si fanno garanti della “pace” fra i
Gallilenses ed i Patulcenses Campani. Si tratta di due popolazioni non altrimenti note, ma è chiaro
che la prima, composta da pastori, abitava le zone montuose, mentre la seconda, verosimil-
mente agricoltori, quelle pianeggianti a ridosso del Sarcidano-Gerrei e della Barbagia di Seulo.
I Gallilenses facevano spesso razzie in pianura, perpetuando il perenne conlitto fra pastori ed

57
Giampiero Pianu

agricoltori esistente già dalla creazione dell’uomo, si pensi solo al conlitto biblico fra Caino e
Abele. I Romani garantivano la sicurezza dei contadini, ma la tavola ci attesta solo il momento
della pace, che probabilmente, nonostante le promesse, non dovette essere duratura.
Quel che appare certo è che i Romani non si limitarono, presumibilmente in dai primi anni
del loro dominio, ad occupare le terre che erano state dei Cartaginesi, ossia le pianure e i siti
collinari del Campidano di Cagliari, dell’Oristanese e del Sulcis. Essi arrivarono ad estendere il
loro dominio in nelle Barbagie, dove il rapporto con i punici era stato ino a quel momento
solo di qualche piccolo scambio di oggetti e dove viveva una popolazione che era la diretta di-
scendente del mondo nuragico. Una società basata ancora su antichi sistemi di vita, un mondo
agro-pastorale, che viveva in villaggi più o meno grandi, che non conosceva ancora la scrittura
né la struttura della “polis”, ossia della città.
Ciò che appare decisamente nuovo, rispetto alle epoche precedenti, è proprio il sistema di
occupazione delle campagne che Roma adottò nell’Isola. Purtroppo poco o niente sappiamo
del sistema di vita nel territorio rurale dell’Isola per l’epoca fenicia e punica. Gli studi in questo
settore sono ancora agli inizi, per cui è dificile spesso capire la vera entità delle novità apporta-
te da Roma. La presenza romana si incentrò da subito su un rigido controllo del territorio, sia
dal punto di vista militare sia, ovviamente, da quello iscale, lasciando invece ampia autonomia,
o addirittura ampia “libertà”, in tanti altri settori.
Una delle chiavi di volta di questo controllo del territorio fu sicuramente la realizzazione di una
ittissima rete stradale. Si può discutere se le strade romane in Sardegna siano state realizzate
contemporaneamente, secondo uno straordinario piano unitario, cosa che appare abbastanza
improbabile. Di sicuro sappiamo però che in da pochi anni dopo la conquista esistono miliari,
come quello ritrovato vicino a Cuglieri, che attestano l’esistenza delle strade e, soprattutto la
loro cura e manutenzione. Come ben sappiamo, costruire un ponte o una strada, opera pur
impegnativa, è cosa relativamente “facile”, è ben più dificile, soprattutto in termini economici,
mantenerli in eficienza. E la rete viaria romana fu mantenuta in perfetta eficienza, con con-
tinui interventi di manutenzione come dimostrano i numerosi miliari, ino alla tarda antichità.
Forse anche oltre, almeno in parte, visto che essa con i suoi ponti e le sue strade, è stata così
capillare, così vasta e così importante, che ha costituito la base di gran parte della rete viaria
sarda ino agli anni Cinquanta del secolo scorso, che di fatto la ricalcava.
Le fonti letterarie, in particolare l’Itinerarium Antonini, un’opera risalente probabilmente al III
secolo d.C. e che trattava delle strade dell’impero di Roma, testimonia per la Sardegna, a grandi
linee, l’esistenza di quattro grandi strade, due litoranee lungo le coste occidentale ed orientale e
due interne. Nel nord dell’Isola le strade partivano da Tibula o Portus Tibulae, entrambe d’incerta
identiicazione ancora oggi (forse Castelsardo? o Santa Teresa di Gallura?), ed in realtà non si
sa nemmeno se si tratti della stessa località, se cioè Portus Tibulae abbia a che fare geograica-
mente con Tibula. Esse però arrivavano tutte a Karales. L’Itinerarium in realtà ce le presenta con
un maggior numero di segmenti, ma il risultato è appunto quello descritto. Proprio il fatto che
la città capolinea a nord non sia Turris Libisonis, odierna Porto Torres, colonia romana fondata
verosimilmente da Cesare nel 46 a.C. che diventerà dopo la sua fondazione il centro principale
della Sardegna settentrionale, dimostra l’antichità di questi percorsi, che erano dunque in uso
in dall’epoca repubblicana.
D’altra parte gli stessi percorsi sono poi attestati, direttamente, dalle pietre miliarie, che testi-
moniano spesso gli interventi di rifacimento e di manutenzione. Nei miliari invece proprio la
città di Turris è attestata come caput viae di almeno una delle strade centrali mentre per la parte
meridionale anche i miliari indicano Karales come unico centro principale.
La strada centrale che andava da Turris a Karales ripercorre di fatto la attuale SS 131. In epoca
romana essa andava ad innestarsi, quasi sicuramente nell’altipiano di Campeda, fra Bonorva
e Macomer, con la strada che da Ulbiam (Olbia) portava appunto a Karales. Nella zona di Bo-
norva infatti sono attestati miliari pertinenti ad entrambe le strade. Questa strada, prima di
arrivare a Karales, toccava Macopsisa (Macomer), le Aquae Lesitane (Abbasanta), Forum Traiani
(Fordongianus), Othoca (Santa Giusta), Decimo (Decimomannu). Ma da Ulbiam a Karales esisteva
anche un’altra strada, più diretta ma più tortuosa e “dificile”, che attraversava proprio i mon-
tuosi territori della Barbagia. La distanza fra le stationes di questa seconda strada è decisamente
maggiore e testimonia un territorio non molto popolato, con pochi centri che dovevano avere
essenzialmente un’importanza militare. Infatti, dopo Ulbiam sono attestate le stazioni di Caput
Tirsi (Benetutti), Sorabile (Fonni), Biora (Serri), Valentia (Nuragus) prima di arrivare a Cagliari.

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Città e territorio, vici, pagi, stationes

La testimonianza dell’Itinerarium Antonini deve però essere presa come una generica griglia, non
come qualcosa di deinito e assoluto, come spesso è accaduto in epoca recente. I recenti scavi
condotti nella località di Sant’Eis, nei pressi di Orune, ci attestano l’esistenza di un abitato
romano di dimensioni non irrilevanti, in vita sicuramente ai tempi della stesura dell’itinerario,
ma da esso non registrato.
Allo stesso modo la ricerca, purtroppo ancora agli inizi, sui tracciati stradali rilevabili sul terre-
no ci porta alla certezza che i percorsi dovevano essere decisamente più articolati. Essi preve-
devano dei diverticula, cioè dei tratti secondari che raggiungevano anche centri minori, talvolta
singole fattorie. Queste osservazioni sono integrabili con lo studio dei ponti romani, che oggi
richiede un aggiornamento del pur magistrale libro di Foiso Fois, e portano a postulare più
che a ipotizzare, altri percorsi, non registrati delle fonti, come quello lungo la vallata del iu-
me Temo, da Gurulis (odierna Padria) a Bosa, o quello lungo la vallata del Tirso, da Fonni ad
Abbasanta, o ancora quello che da Karales doveva portare al Sardopatoris Fanum (Antas) e poi a
Neapolis (Guspini) solo per citare i principali.
La capillarità della rete viaria romana ci consente di affermare che tutto il territorio della Sar-
degna fu raggiunto ed occupato. É ovvio che questa rete viaria abbia ricalcato antichi tracciati,
risalenti verosimilmente alle prime presenze umane nell’Isola, ma la novità introdotta da Roma
fu la gestione ed il controllo di questi percorsi. Naturalmente ciò avvenne non con l’inserimen-
to isico di cittadini o soldati romani nella struttura sociale degli abitati, ma attraverso sistemi di
alleanze e cooptazione con famiglie del luogo. Le truppe servivano solo per mantenere l’ordine
e per reprimere eventuali ribellioni. Oltre che per garantire le entrate iscali, cosa fondamentale
per Roma. E le strade servivano proprio per favorire la rapidità di eventuali spostamenti di
truppe, oltre ad un buon funzionamento del sistema postale, ed allo spostamento delle merci
verso le città e i porti d’imbarco.
I Romani, come detto, non fondarono nell’Isola nuove città, se si eccettua appunto la colonia
di Turris Libisonis odierna Porto Torres. Il titolo di “Colonia Iulia” attribuito a Turris ci conferma
che la sua fondazione fu di età cesariana (46 a.C.) o eventualmente di qualche anno posteriore
e quindi al massimo di età augustea. Ma Turris Libisonis non può certo essere deinita colonia
militare, nata cioè per scopi difensivi. Essa era una colonia di popolamento, legata alla neces-
sità di dare sfogo alla richiesta di terre da parte di soldati che ben avevano meritato nelle varie
campagne militari. Turris, con le zone di pianura circostanti della Nurra, divenne dunque un
importante centro agricolo nonché un essenziale porto per l’esportazione dei cereali, come
dimostra, in età imperiale, il mosaico dei Naviculari Turritani presente nel Piazzale delle Corpo-
razioni ad Ostia. In questa zona, nelle immediate adiacenze del teatro ostiense, sono presenti
numerosi mosaici dedicati dai mercanti di varie città dell’impero, che avevano grandi interessi
negli scambi commerciali con Roma. Per la Sardegna sono attestate solo le corporazioni di
Karales e di Turris appunto.
I ceti dominanti romani dunque non ricorsero, per instaurare il loro dominio sulla Sardegna,
all’istituto della “colonia”. Si preoccuparono invece di “romanizzare” le città di origine fenicia
e punica che già esistevano. Magari mantenendo in piedi vecchi incarichi, come l’eforato, equi-
parandolo ai duoviri nei documenti uficiali, o concedendo il titolo di municipium ad alcune delle
città puniche. Purtroppo ci mancano ancora molti dettagli di questa conquista, che gli studi
storico-epigraici stanno scandagliando e che gli scavi stanno pian piano mettendo in luce.
Ed anche dal punto di vista delle variazioni e del rinnovamento edilizio, che pure dovette aver
luogo (a Nora la creazione del foro ed il cambiamento politico della città è ben visibile anche
se gli interventi architettonici appaiono essere di qualche secolo posteriori alla conquista), non
sembrano esserci novità di particolare rilievo.
Nelle campagne, invece, il cambiamento assunse una connotazione decisamente più forte. Il
Campidano, la vasta pianura che si estende da Cagliari ad Oristano e che costituisce la zona
agricola più importante e fruttuosa dell’Isola, fu occupata da numerosi stanziamenti, spesso di
piccola entità, che noi oggi chiamiamo comunemente “ville”. In realtà il termine è improprio
se confrontato col gigantesco fenomeno delle “villae” padronali che si sviluppò nell’Italia cen-
trale fra il II secolo a.C. ed il II secolo d.C. In Sardegna infatti quelle che noi chiamiamo “ville”
appartengono in genere ad un’epoca successiva, al III-IV secolo d.C., allorché il “sistema villa”
in Italia era ormai entrato in crisi irreversibile. Le così dette ville in Sardegna sono in genere
attestate archeologicamente dalla presenza di piccoli ediici termali che dovrebbero presuppor-
re poi una “pars dominica” ed una “pars rustica”, che in realtà non sono di fatto mai attestate. In

59
Giampiero Pianu

due casi, quando si è scavato in maniera seria ed estensiva, come a Is Bangius di Marrubiu e
a San Cromazio di Villa Speciosa, le terme sono risultate nel primo caso essere un Praetorium,
cioè un luogo legato alla presenza di truppe, e nell’altro un piccolo vicus, che ha svolto con ogni
probabilità anche il ruolo di mansio, ossia di stazione di posta.
Se noi andiamo a vedere la dislocazione sul terreno delle così dette ville, quale appare dallo stu-
dio effettuato qualche anno fa da Giuseppe Nieddu e Consuelo Cossu, troviamo che esse sono
fondamentalmente disposte lungo le principali direttrici stradali, per cui paiono svolgere una
doppia funzione: quella legata allo sfruttamento agricolo del terreno e quella relativa al control-
lo della viabilità, magari anche con funzioni di supporto (stazioni di posta, bagni). Ma alla luce
di studi più approfonditi sul territorio, come nei casi delle ricerche effettuate nell’Oristanese da
Alfonso Stiglitz e da Stefania Atzori, e nel Guspinese da Peter Van Dommelen, ci accorgiamo
che l’occupazione del territorio è decisamente più capillare. Così gli insediamenti con le picco-
le strutture termali risultano numericamente molto inferiori ad altri stanziamenti, ancora più
piccoli, talvolta costituiti da una o due abitazioni (fattorie), attestate spesso solo da “campi di
cocci” o da ristrettissime necropoli. Non abbiamo elementi per chiamare questi abitati vici, pagi
o altro, in mancanza di attestazioni epigraiche in merito, ma è certa la loro esistenza.
Questo modello insediativo deriva forse, come sostiene proprio Alfonso Stiglitz, da un pre-
cedente tessuto di epoca punica, ma in periodo romano esso diventa decisamente più consi-
stente. L’aggiunta degli ediici termali, normalmente successiva all’impianto dell’insediamento,
riguarda un numero molto piccolo di casi. Ma la loro collocazione lungo le strade che potrem-
mo deinire di “grande importanza” ci porta a pensare che essi fossero funzionali al ruolo di
stationes assunto da questi abitati, inteso anche come luoghi di sosta e di riposo, cioè di mansiones.
Nel resto della Sardegna in particolare nelle zone settentrionali, centrali ed orientali dell’Isola, il
fenomeno delle così dette villae è decisamente meno attestato. Se si esclude la presenza di “ville
marittime”, ossia di dimore lussuose lungo le coste, legate ai possedimenti e al lusso di qualche
importante e facoltoso personaggio, di cui peraltro non conosciamo mai il nome, notiamo che
gli stanziamenti rurali con annesse terme sono decisamente meno frequenti. Ma la presenza
romana è di fatto attestata in tutti gli insediamenti che in gergo tecnico vengono deiniti “nura-
gici”. In realtà secondo l’attuale “scienza archeologica” si dovrebbe smettere di usare il termine
“nuragico” per le presenze umane successive all’VIII-VII secolo a.C., quando venne meno la
spinta propulsiva di una civiltà che aveva occupato, con le sue torri ed i suoi villaggi, tutta l’I-
sola, prima civiltà veramente regionale. Secondo altri addirittura bisognerebbe limitare questo
termine a qualche secolo prima, magari il XIII-XII secolo a.C., quando si smise di costruire
le grandi torri. Questi sono però soltanto sottili bizantinismi della scienza moderna, perché
il mancato uso del termine nuragico non spiega cosa è successo, al momento della conquista
punica prima, e romana poi, nei siti precedentemente di civiltà nuragica e che ine abbiano fatto
i loro abitanti. Poiché agli studiosi è sembrato brutto chiamarli i “post-nuragici”, oggi si dei-
niscono questi centri semplicemente “sardi”, dimenticando che storicamente, per arrivare ad
avere una deinizione di sardità, queste popolazioni post-nuragiche “mancano” ancora di alcu-
ne dominazioni importanti, come ad esempio quella vandalica, quella bizantina, quella pisana,
genovese, aragonese, sabauda e chi vuole può aggiungere quelle che ho dimenticato. Perché in
fatto di dominazioni straniere l’Isola non è seconda a nessuno.
Giovanni Lilliu, nel 1989, quantiicava in poche decine il numero di villaggi “nuragici” del
centro e del nord Sardegna che presentavano negli strati supericiali attestazioni di materiale
romano. Oggi, con l’afinamento della ricerca, o per meglio dire con la “necessità scientiica”
(oggi comprovata, ma in anni anche recenti debitamente ignorata) di conservare tutte le at-
testazioni di valore archeologico rinvenute durante gli scavi, si è notato che non c’è di fatto,
credo con pochissime eccezioni, alcun villaggio nuragico che non restituisca cocci di epoca e di
fattura romana. Questi cocci, come dimostrano i più recenti scavi, sono in buona parte di età
tardoimperiale, ma non mancano attestazioni risalenti ad epoca repubblicana, ossia al periodo
immediatamente successivo alla conquista. Questi reperti romani, che comunemente vengono
chiamati di supericie ed attribuiti ai momenti più tardi dei vari siti, talvolta semplicemente a
strati di abbandono, se venissero studiati in maniera più accurata ci attesterebbero invece im-
portanti fasi della vita dei vari villaggi.
Un esempio lampante è quello relativo al villaggio di Santu Antine di Torralba, dove abbiamo
documentate profonde trasformazioni strutturali a partire dal III secolo a.C., con la rioccupa-
zione di antiche capanne risalenti all’età del Bronzo, ma anche con l’inserimento in quel tessuto

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Città e territorio, vici, pagi, stationes

urbanistico di nuove costruzioni che determinano una importante variazione sia delle strutture
abitative, sia dell’organizzazione generale della vita del villaggio. Poi, in epoca imperiale, addirit-
tura ci fu la creazione di un impianto produttivo, quello che Antonio Taramelli deinì appunto
una “villa”, destinato alla raccolta dei prodotti agricoli della zona pianeggiante circostante.
La variazione delle attestazioni della cultura materiale, in particolare quella ceramica, non signi-
ica, ovviamente, che tutti questi villaggi siano stati occupati da genti di stirpe e tradizione lati-
na. Signiica molto più semplicemente che le stesse popolazioni che abitavano i villaggi nuragici
arrivano ad utilizzare la nuova cultura materiale romana, e con essa, aggiungo, le nuove idee
ed i nuovi modi di vita, che in maniera lenta ma inesorabile, giungono poco a poco nell’intera
Isola. La romanizzazione della Sardegna si può riassumere in questi fatti, nell’aver raggiunto, in
maniera capillare, l’intero territorio regionale, romanizzando anche i più reconditi centri abitati
nel mezzo delle montagne. Questo è potuto avvenire soltanto grazie appunto alla vastissima
rete di vie di comunicazione, che non ha riguardato solo le grandi strade citate nell’Itinerariuman
Antonini, ma tanti piccoli “sentieri” che la più accurata ricerca archeologica sta oggi mettendo
in evidenza dappertutto. E poiché le torri e poi i villaggi nuragici segnavano in maniera molto
netta le varie vie di comunicazione già a partire dal II millennio a.C., i romani hanno sempli-
cemente fatto in modo che gli stessi centri segnassero e servissero anche la propria rete viaria.
Non è certo irrilevante notare che il nuraghe e villaggio di Santu Antine di Torralba, ad esem-
pio, sorge lungo la strada che da Karalis portava a Turris per cui è verosimile ipotizzare anche
per esso una funzione di stazione di posta. Anche questi villaggi ex-nuragici svolsero dunque il
ruolo di vici, pagi o stationes come i poveri abitati del Campidano.
La tradizione storica, dal Pais in poi, ha sempre visto in Sardegna la presenza di grandi latifondi,
molti dei quali in possesso della stessa casa imperiale. In realtà i latifondi imperiali ci furono,
in varie zone dell’Isola, soprattutto nel nord, ma poco sappiamo di come questi latifondi fos-
sero in realtà gestiti. Quando si parla di latifondi si pensa in genere a grandi distese coltivate in
maniera estensiva a grano oppure abbandonate, magari utilizzate a pascolo più o meno brado.
Forse dobbiamo abituarci a pensare a qualcosa di diverso. Forse in questi territori sconinati
continuavano a vivere e lavorare, e non necessariamente in forme di vita di tipo schiavile, le
popolazioni che già li occupavano nelle epoche precedenti. Gli studi in questo senso sono
solo agli inizi, soprattutto quelli di tipo archeologico, e possiamo attenderci notevoli sviluppi
e chiarimenti.
Roma, quando conquistò la Sardegna, aveva bisogno sostanzialmente di grano, che natural-
mente otteneva attraverso imposte sui produttori più o meno vessatorie. È molto probabile
che anche in epoca romana sia stato mantenuto il sistema della monocultura cerealicola, che
era stato codiicato da una legge di età punica, tramandataci dallo Pseudo Aristotele, secon-
do cui tutti gli alberi da frutto nell’Isola dovevano essere abbattuti e veniva fatto divieto ai
proprietari terrieri di piantarne di altri, pena pesantissime sanzioni, non solo economiche. Ve-
rosimilmente per coltivare queste terre a grano. Questa notizia è stata spesso confutata dagli
studiosi di archeologia fenicio-punica perché ritenuta illogica e contraria al buon senso ed alla
buona disposizione dei Punici nei riguardi delle genti dell’Isola. Ma in questo “buonismo” non
bisogna dimenticare che anche quella punica era una dominazione coloniale e che anche Car-
tagine aveva bisogno di grano, magari per lasciare alle terre attorno alle città africane le colture
più pregiate, come sappiamo dalle fonti antiche. Roma dovette approittare di tale situazione
e la Sardegna divenne per qualche secolo, ino in particolare alla conquista dell’Egitto, uno dei
granai più importanti per la capitale. Sappiamo dalle fonti storiche, in particolare da Tito Livio
e Polibio, che più di una volta il grano sardo risolse situazioni dificili della città tiberina, in oc-
casione di carestie o situazioni belliche complicate che comportavano una maggiore necessità
di frumento. Ciò avvenne non solo attraverso la normale, già pesante, tassazione ordinaria, ma
anche con esazioni straordinarie coattive che certo comportarono malumori e qualche rivolta
fra gli indigeni. In età imperiale il grano sardo divenne decisamente meno importante, anche
se il ruolo della Sardegna nell’approvvigionamento annonario di Roma rimase sempre molto
consistente. È quindi probabile che il famoso divieto sugli alberi da frutto sia stato pian piano
abbandonato.
I Romani tuttavia non dovettero dimenticare, da subito, anche le altre grandi ricchezze che
l’Isola offriva, a cominciare dalle enormi (per l’epoca) risorse minerarie. Lo sfruttamento delle
risorse dei metalli presenti nell’Iglesiente soprattutto, ma anche nella zona della Nurra e del
Sarrabus, dovette partire molto presto. Le nostre conoscenze, in merito, sono tuttavia ancora

61
Giampiero Pianu

piuttosto scarse e basate solo su fonti letterarie non certo esaustive, ma che parlano talvolta di
condanne “ad metalla” per personaggi scomodi, come addirittura papa Ponziano.
Altra grande attenzione dovette essere riservata all’inesauribile produzione di legname assicu-
rata dai boschi dell’interno, che poteva garantire il fabbisogno per la costruzione di navi o per
qualunque altro uso legato a questo bene, così prezioso nel mondo antico. Ed inine non bi-
sogna dimenticare che l’Isola garantiva una produzione, anch’essa inesauribile, di sale. Questo
prodotto, anche nei libri più recenti, viene spesso dimenticato o citato come qualcosa di poco
conto. Esso invece era importantissimo nel mondo antico, ma anche in quello moderno, alme-
no ino all’avvento dei moderni frigoriferi. Il sale, infatti, era una dei pochi sistemi conosciuti
per la conservazione degli alimenti, in particolare della carne.
Non voglio qui ripetere, con il Pais, le altre ricchezze della nostra isola, che porterebbe ad un
lungo elenco privo peraltro di rilevanza speciica, dal pescato al miele, ad esempio, attestato da
una bellissima statuetta di Aristeo visto come primigenio agricoltore.
La Sardegna, specialmente quella delle campagne, vista da Roma doveva apparire una terra non
accogliente, piena di insidie, con malattie endemiche come la malaria e abitata da genti indo-
mabili soprattutto all’interno, dove prevaleva la cultura di tradizione “nuragica” della “balentìa”,
della forza, dell’abigeato, e della dificile convivenza paciica. Dovevano esserci anche allora
episodi che potremmo deinire di feroce banditismo, cosa peraltro durata ino a pochi decenni
fa e forse mai debellata, ma conluita oggi in fenomeni di “delinquenza” più globalizzati. Tut-
tavia, come detto, sul piano archeologico non abbiamo di fatto tracce evidenti di conquiste for-
zose, non risultano ad esempio incendi e distruzioni non solo nei centri urbani ma nemmeno
nelle campagne. Dunque la conquista dovette essere lenta e progressiva, ma senza sostanziali
frizioni, se si escludono appunto i fenomeni attestati in Barbagia.
La presenza di aspetti romani in ogni più piccolo centro abitato dell’Isola la dice lunga sul fatto
che anche le campagne, come le città, furono presto conquistate dalla nuova “civiltà”. E questo
avvenne forse perché Roma, che era sicuramente inlessibile sul piano iscale e, relativamente,
su quello dell’ordine pubblico, di certo non dovette essere oppressiva in altri settori, altrettanto
importanti, della vita quotidiana. Infatti la vita nei piccoli villaggi dell’interno dovette conti-
nuare a scorrere in maniera tranquilla seguendo i millenari ritmi delle stagioni e le millenarie
abitudini delle loro popolazioni. Roma sicuramente non impose alcunché da questo punto di
vista, come ha sempre fatto in ogni altra parte del mondo conquistato. Alleanza e massima
collaborazione con le aristocrazie ed i ceti dominanti sono stati alla base della grande conqui-
sta dell’impero, come ben ci documenta l’opera di imperatori come Augusto (che tenne i suoi
domini in pace per quarant’anni) o Adriano. Ordine pubblico e status quo garantito in cambio
di una corretta alleanza. Dal punto di vista religioso ad esempio, e l’aspetto mistico è parte
fondamentale per ogni uomo, non vi fu l’imposizione di nuove divinità, che magari vennero
poi cooptate col tempo dalle varie popolazioni rurali. Furono sicuramente rispettate le antiche
divinità di tradizione fenicia e punica, rivisitate magari nelle forme, ed i vecchi rituali di tradizio-
ne nuragica. Inoltre sappiamo che il pantheon uficiale romano si arricchì di una nuova divinità,
del tutto ignota nella capitale, ma ben presente nell’Isola, il Sardus Pater. Ad esso fu dedicato un
grande santuario extraurbano ad Antas, nei pressi di Fluminimaggiore, nella zona mineraria per
eccellenza, il Sardopatoris Fanum, che riprendeva un vecchio luogo di culto punico installatosi,
forse, su uno, ancora più antico, di epoca nuragica. Ma il culto del Sardus Pater è stato sicura-
mente assai più diffuso nell’Isola.
La Sardegna fu anche terra di elezione per l’attecchire della nuova religione, quella cristiana,
grazie all’impulso che venne dalle comunità religiose della vicina Africa. Così l’esistenza di
luoghi di culto cristiani è attestata già dal IV secolo d.C. nella città di Cagliari, dove sorse la
chiesa di San Saturnino, ristrutturata poi in epoca bizantina. Ma anche nelle campagne, almeno
in zone relativamente vicine ai centri urbani compaiono strutture ecclesiali già fra il IV e il V
secolo d.C., come nel caso di San Cromazio a Villa Speciosa. L’impianto delle chiese anche in
zone rurali venne poi decisamente favorito dalla “violenta” polemica fra papa Gregorio Magno
ed i vescovi isolani. Fra la ine del VI e gli inizi del VII secolo d.C. il grande papa, infatti, inviò
ai prelati sardi alcune lettere in cui deplorava che, soprattutto nelle campagne, le popolazioni
adorassero ancora alla sua epoca idoli di pietra o di legno, verosimilmente retaggio di aspetti
religiosi risalenti all’età del Ferro o addirittura, del Bronzo, che erano stati tollerati anche dai
Romani. E così nacque un nuovo impulso alla diffusione del verbo cristiano per cui non solo
le città ma soprattutto le campagne sarde si riempirono di chiesette campestri, che sorsero

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Città e territorio, vici, pagi, stationes

spesso presso quei centri abitati che normalmente chiamiamo mansiones o stationes dislocate
lungo i percorsi stradali a cui garantivano supporto logistico, come dimostra ad esempio il caso
di Santa Maria de Mesumundu a Siligo. E tale ruolo funzionale venne spesso espletato, come
detto, dai villaggi di antica tradizione nuragica, che talvolta avevano ancora nelle vicinanze la
stessa torre nuragica, adibita ormai a funzioni completamente diverse. Non a caso tanti nuraghi
sono oggi indicati col nome di un santo cristiano, alla cui devozione era stato dedicato quel
sito. Importanti tracce di una precoce romanizzazione sono state scoperte anche nel bel mezzo
della Barbagia, a Sant’Eis di Orune, dove è stato rinvenuto un prezioso bicchiere di vetro de-
corato con una iconograia ben nota, quella in cui Cristo assegna a Pietro il compito di fondare
la sua Chiesa. In deinitiva anche le zone rurali, pur con qualche comprensibile attardamento
localizzato, furono ben partecipi degli avvenimenti storici e culturali che hanno riguardato la
storia della nostra Isola nel corso dei secoli.
Credo, per concludere, che non sia un caso che il “dialetto” (o meglio i “dialetti”) parlati nella
Sardegna rappresentino in realtà delle lingue vere e proprie, che derivano in maniera diretta dal
così detto ceppo delle lingue neolatine. La lingua, com’è noto, è uno dei sistemi identitari più
forti e conservativi di un popolo, e questo signiica dunque che la dominazione romana non fu
un episodio efimero accettato dalle popolazioni in maniera passiva. Tutt’altro, visto che arrivò
a cambiare in maniera decisiva le strutture lessicali ed il vocabolario delle popolazioni della Sar-
degna. Ed in particolare questo aspetto si coglie bene nella zona interna delle Barbagie, quella
apparentemente più ostile, più ribelle, alla dominazione romana, dove si parla ancora oggi
una delle lingue riconosciuta fra le più vicine alla lingua di Roma. Credo che questa notazione
possa mettere in evidenza al meglio l’importanza e la capillarità della “colonizzazione romana”
dell’isola sarda, delle città ma anche e soprattutto delle campagne.

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63
Giampiero Pianu

Testa ittile di Ercole con leontè dai fondali


dell’Isola Bocca; II sec. a.C.

64
Lo spazio del sacro tra devozione e ritualità
Maria Adele Ibba

La completa presa di possesso della Sardegna da parte di Roma passò anche attraverso un
delicato processo di sincretismo religioso operato da tutte le componenti etniche presenti
nell’Isola, sia quelle costituite dai suoi abitanti – in particolare Nuragici, Punici e Libici – sia
dai nuovi arrivati che dietro alle generiche deinizioni di “Romani” e di “Italici” comprende-
vano persone di diversa provenienza dalla Penisola (Roma, Campania, Lazio, Etruria, etc.).
Il processo di interpretatio religiosa, che ne conseguì, consistette nella recezione di inlussi e,
in alcuni casi, nell’assimilazione e reinterpretazione del pantheon di ciascuna componente più
che in una mera sostituzione religiosa a favore delle divinità dei nuovi arrivati.
Le più antiche attestazioni nell’Isola di spazi dedicati al sacro sono localizzate spesso in pre-
esistenti luoghi di culto di ambito agrario o salutifero, nei quali evidentemente si continuava
a percepire la presenza divina. In particolare, le attestazioni di culti agrari sul territorio si
trovano spesso in connessione con strutture nuragiche nelle quali già i Punici avevano indivi-
duato spazi sacri dove depositare offerte alle loro divinità. In alcuni casi gli stessi culti punici
e romani sono interpretabili come una ripresa di quelli più antichi di ambito nuragico, come
nel caso del nuraghe Su Mulinu di Villanovafranca dove il riutilizzo di età punica si caratte-
rizza per la grande quantità di lucerne, in sintonia con quanto attestato nella stessa camera
del nuraghe per l’età del Ferro. Questa prevalenza di lucerne ha fatto pensare che i soggetti
praticanti i nuovi culti fossero gruppi di origine nuragica, attori di una rilettura delle proprie
tradizioni impostate sulle nuove forme di religiosità.
Lo sfruttamento agricolo, principalmente cerealicolo, diffuso nell’Isola durante tutto il pe-
riodo della dominazione romana diede vita a una intensa pratica cultuale rurale dedicata alla
divinità agraria per eccellenza, Cerere, identiicata con la greca Demetra il cui culto era stato
introdotto nell’Isola dai Cartaginesi. La conferma dell’assimilazione tra i due culti ci viene
data dal fatto che a partire dalla ine del I secolo d.C. i thymiateria di tradizione punica con
volto femminile e copricapo, spesso decorato con spighe o frutti, sono sostituiti ino a tutto
il II secolo da piccoli busti in terracotta rafiguranti un personaggio femminile con il polos,
un alto copricapo decorato con spighe di grano e identiicati come immagini della dea. La
peculiarità tutta isolana di questa tipologia di oggetti gli ha derivato il nome di Sarda Ceres.
Il riutilizzo di alcuni nuraghi in funzione rituale prevede l’uso di una pluralità di spazi con-
tigui, per esempio di un cortile con la vicina torre nel caso del nuraghe Genna Maria di Vil-
lanovaforru, oppure di due camere sovrapposte all’interno di una torre come in quello del
nuraghe Lugherras di Paulilatino. In entrambi i casi i reperti rinvenuti, in particolare thymia-
teria, rendono evidente la connessione con culti fertilistici femminili quali quelli di Astarte/
Tanit in età punica e di Demetra/Cerere in quella romano-repubblicana, nei quali la camera
priva di luci richiama la grotta presente di frequente in santuari extrainsulari come quelli della
Cueva di Es Cuieram a Ibiza e di Macchia delle Valli a Vetralla (VT), entrambi dedicati a queste
divinità. A Villanovaforru la torre è adiacente al cortile, mentre a Paulilatino il luogo di culto
era posto nella camera superiore del nuraghe; quella inferiore invece, ormai cieca e accessibile
solo dall’alto, era destinata al vero e proprio deposito votivo. Le fasi di vita cultuale dei due
siti sono datate sulla base dei materiali rinvenuti, a Villanovaforru dalla ine del IV a.C. sino
ai secoli VI-VII d.C. e a Paulilatino dal IV secolo a.C. sino all’età imperiale.
Nel nuraghe La Varrosa di Sorso il corridoio che si sviluppa intorno alla torre centrale fu
obliterato sul fondo proprio per creare un ambiente cieco. All’interno di questo “antro”,
come gli stessi scavatori lo deinirono, erano state sistemate due “pedane cubiche in mura-
tura a secco” che dovevano fungere da altari. La presenza di un pilastrino su uno di essi e il
rinvenimento di due braccia in bronzo pertinenti a una statua femminile o di adolescente,
di una falce in ferro e di sei lucerne integre con soggetti richiamanti culti fertilistici, ha fatto
pensare che qui a partire dal II secolo a.C. ino almeno al I d.C. venissero praticati culti mi-
sterici propiziatori della fertilità.

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Maria Adele Ibba

Braccia in bronzo da Sorso,


loc. La Varrosa.

Le attestazioni di riutilizzo dei nuraghi in senso religioso, e non solo, sono segno quindi del
fatto che le comunità locali rimasero nei luoghi di appartenenza adattandosi, man mano, alle
nuove realtà culturali e religiose delle quali diventarono soggetti attivi e partecipi.
A Terraseo di Narcao, in località Strumpu Bagoi, in età augustea si assiste alla sistemazione di
un’area a vocazione sacra almeno a partire dalla ine del IV secolo a.C., legata a un culto di
ambito demetriaco. Il rinvenimento, all’interno di un deposito costituito da una cassetta litica,
di una moneta del 15 a.C. associata a una piccola statua femminile – intorno alla quale erano
state collocate urne con resti di sacriicio, bruciaprofumi e una lucerna – fornisce un termine
cronologico per la sistemazione del santuario, i cui materiali documentano la pratica di un
culto agrario anche in epoca romana. In questo periodo, infatti, viene ediicato un sacello pa-
vimentato in cocciopesto che almeno in parte va a sovrapporsi all’angolo di un ambiente pre-
esistente inglobandolo e al cui interno è stato rinvenuto un altare sul quale si conservavano
ancora resti di sacriici animali, più precisamente cenere e ossa di suino. Al di sotto dell’altare
era collocata la cassetta litica di cui si è detto. Contemporanei al sacello sarebbero inoltre due
dei sei altari antistanti e un basamento allineato lungo la fronte. Il santuario avrebbe avuto
una continuità di vita ino all’età antonina.
L’unica attestazione certa, però, di uno spazio sacro dedicato alla dea delle messi si ha per il
territorio di Olbia dove il rinvenimento di parte dell’architrave di un piccolo tempio, un’aedi-
cula, ricorda la dedica dell’ediicio a Cerere, nel 65 d.C. (CIL XI 1414), da parte di Atte liberta

66
Lo spazio del sacro tra devozione e ritualità

di Nerone. La localizzazione dell’aedicula non è nota, ma di recente è stata avanzata l’ipotesi


che potesse sorgere in città nell’area dell’odierna Chiesa di San Simplicio, dove il rinvenimen-
to di un deposito votivo datato tra il II e la metà del I secolo a.C. attesterebbe un culto alla
dea Demetra.
Sempre al mondo agricolo, ma non solo, riporta il culto di Dioniso/Bacco; non conosciamo
con certezza gli spazi o gli ediici dedicatigli per quanto il rinvenimento di iscrizioni, di statue
e di altri oggetti, tutti risalenti all’epoca imperiale, documentino invece una sicura devozione
in ambito urbano. Due statue rafiguranti il dio sono note a Cagliari (cat. nn. 1.230, 1.227),
una a Tharros e una a Bosa. Accanto alle statue sono attestate anche alcune erme (cat. n. 1.233)
tra le quali un esemplare acefalo in porido rinvenuto nel quartiere Marina a Cagliari dedicato
al più mite dio italico Libero (CIL X 7556), con il quale Dioniso veniva spesso identiicato.
Alla cerchia del dio rimandano anche una serie di statuine, di oscilla e una maschera marmorea
da Turris Libisonis, rafiguranti sileni, satiri, fauni, menadi e il dio Pan.
Oggetti come l’oscillum (cat. n. 1.197) reimpiegato in una fontana dell’area termale Maetzke
di Turris Libisonis possono riportare oltre che al culto di Bacco, dio della natura coltivata, an-
che al culto di Silvano, dio dei boschi e della natura selvaggia. Trattando di spazi consacrati,
perciò, non si può non ricordare l’esistenza dei nemora, i boschi sacri, nei quali in occasione
delle feste campestri venivano appesi sugli alberi gli oscilla, generalmente costituiti da dischi
decorati o da maschere (Verg., Georg. II, 388-389), al ine di propiziare salute e fertilità. Di
uno di questi boschi, il nemus Sorabense, dedicato a Silvano e a Diana, localizzato nel territorio
di Fonni, ci dà notizia l’iscrizione di epoca imperiale del prefetto della provincia Caio Ulpio
Severo (AE 1992, 891).
Un’origine molto antica hanno anche i culti salutari associati all’acqua che, in quanto agente
puriicatore, si riteneva fosse in grado di svolgere un’azione terapeutica. Le testimonianze
archeologiche localizzate presso sorgenti d’acqua che indicano una funzione cultuale legata
alla sanatio sono molteplici. La presenza diffusa nel territorio di luoghi di culto risalenti all’età
nuragica legati all’acqua, pozzi e fonti sacre, mostra spesso una loro rilettura in età romana. È
il caso attestato dalla base in bronzo con dedica rinvenuta nel territorio di San Nicolò Gerrei,
nell’entroterra montano di Cagliari, datata tra la ine del II a.C. e il I secolo a.C. Nell’iscrizio-
ne Cleone, funzionario delle saline di Cagliari, fa scrivere nelle tre lingue correnti del periodo
la dedica di un altare circolare in bronzo a una divinità individuata come Eshmun nel testo
punico, come Asclepio in quello greco e come Esculapio in quello latino (CIS I, 143 = CIL
X 7856 = IG XIV, 608). Ciò che uniica le differenti denominazioni della divinità è il fatto
che a ciascuna è associato l’epiteto Merre che per alcuni studiosi signiicherebbe “colui che
guarisce” e per altri, invece, sarebbe il nome di una preesistente divinità fenicia o più verosi-
milmente protosarda venerata nel sito.
A Cagliari, uno spazio dedicato al culto di Esculapio è documentato da una pluralità di eviden-
ze nell’area dell’attuale quartiere di Stampace, a partire dalla citazione del nome di un quartiere
dedicato al dio in associazione con Marte, che compare in un’iscrizione funeraria di II-III se-
colo d.C. (CIL X 7604), dal rinvenimento di una statua del dio e, soprattutto dalla scoperta nel
Viale Trento di un ediicio in blocchi squadrati. L’origine del luogo di culto va riportata a età
punica, come testimoniano il ritrovamento nell’area di una mano ittile con un grafito punico,
che ricorda il fatto che Eshmun ha esaudito la sua preghiera e di un’iscrizione che menziona
la costruzione di un tempio in blocchi quadrati e che riporta i nomi degli arteici dell’opera
(ICO Sard., 36). A tali lavori vanno ricondotti verosimilmente alcuni elementi architettonici
presenti nel sito. La fase attualmente visibile si data a età romana, tra il II a.C. e il I secolo d.C.,
e consiste in alcuni tratti murari che presentano almeno due fasi di realizzazione, la prima in
blocchi squadrati e una seconda di cui emerge un muro a telaio. Lo scavo archeologico ha
interessato solo una parte di quello che doveva essere l’ediicio e pertanto non è possibile
chiarirne l’effettiva sistemazione nelle sue diverse fasi. Risulta coerente ipotizzare che anche
nella fase romana esso fosse dedicato a Esculapio, la divinità salutare con cui Eshmun viene
associato. La dedica al dio sarebbe confermata inoltre dal rinvenimento tra i materiali di ex
voto anatomici.
Lo stesso discorso si può riproporre per il tempio posto sul promontorio di Sa Punta ‘e su
Coloru a Nora, dove in epoca romana un nuovo ediicio templare si imposta su uno prece-
dente di epoca punica. La struttura attualmente visibile è frutto di un complesso insieme di
ristrutturazioni di un ediicio realizzato in età punica che si protraggono sino, almeno, all’età

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Maria Adele Ibba

Statua di incubante da Nora,


Tempio di Punta ’e su Coloru.

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Lo spazio del sacro tra devozione e ritualità

costantiniana. Una scalinata immetteva in una grande corte dalla quale si accedeva al tem-
pio vero e proprio, dotato di una cella e di un “penetrale absidato bipartito”. Tra i materiali
rinvenuti, un particolare interesse hanno rivestito da subito, oltre a quattro piccole statue
ittili di offerenti, due più grandi rafiguranti dei dormienti di cui uno è avvolto dalle spire di
un serpente (cat. n. 1.102), riconducibili alla pratica dell’incubazione nella quale il paziente/
devoto riceveva durante il sonno la visita del dio sotto spoglia animale.
Alla complessità del culto di Esculapio può essere riportato anche il rinvenimento di statue
di Bes in varie parti della Sardegna: Cagliari, Bithia, Maracalagonis e Fordongianus. La rafigu-
razione di questa divinità è consueta nel mondo punico e viene comunemente associata alla
divinità guaritrice Eshmun. L’utilizzo della sua iconograia continua nella Sardegna romana,
sempre in associazione con luoghi legati a culti salutari. Se ancora non è chiara la datazione
delle statue che lo rafigurano rinvenute a Bithia e a Cagliari, che potrebbero risalire come
primo uso all’età punica, due esemplari da Fordongianus (cat. nn. 1.236-1.237) rimandano
più chiaramente a quella romana sia per la resa dei tratti sia per l’associazione al culto di
Esculapio e delle Ninfe attestato da alcune iscrizioni, databili tra l’età repubblicana e quella
augustea, rinvenute nell’area archeologica.
Ulteriori esempi del fenomeno di sincretismo religioso operato dai romani in dalle prime
fasi della loro presenza nell’Isola si ritrovano in ambiti uficiali come quelli di Antas (Flumi-
nimaggiore) e di Olbia. Il primo caso è rappresentato dal santuario extraurbano di Antas, in
una valle posta nell’area metallifera di Metalla il cui toponimo è ricordato dall’Itinerario An-
toniniano. Sotto Caracalla fu restaurato un precedente tempio, di probabile epoca augustea,
costruito su un ediicio sacro di età punica che sorgeva a sua volta nell’area di una necropoli a
inumazione con tombe singole a pozzetto di età nuragica risalente agli inizi del primo millen-
nio a.C. Se, per l’epoca punica, alcune iscrizioni su basi di oggetti votivi ricordano la dedica al
SID ADDIR BAB[I], quella posta sull’architrave celebra i lavori di restauro all’epoca di Ca-
racalla e riporta l’intitolazione “Temp[l(um) D]ei [Sa]rdi Patris Bab[i ..]” (CIL X 7539). L’identi-
icazione di Sardus Pater con Sid e il noto racconto di Pausania sull’arrivo nell’Isola di Sardo e
dei Libici permettono di collegare la divinità titolare del tempio a Ercole, il Melqart dei fenici
di cui Sardo era iglio e al quale Sid era strettamente legato. La presenza nelle dediche, con-
giuntamente a Sid/Sardus Pater, del termine BAB[i ..] ha portato a ritenere che quest’ultimo sia
il nome di una divinità locale di origine nuragica. Questo santuario rappresenterebbe quindi il
tentativo di connettere il controllo statale dell’importante distretto minerario con il coinvolgi-
mento delle popolazioni locali. L’ediicio oggi visibile è frutto di un restauro di età moderna
che ripropone il suo aspetto di età imperiale con un “pronao tetrastilo in ordine ionico”. Esso
presenterebbe un “penetrale bipartito” come nel Tempio di Eshmun a Nora.
I rinvenimenti archeologici effettuati a Olbia sembrano indicare che la principale divinità
cittadina fosse Ercole e, come nel caso di Esculapio, anche il suo culto era andato a sovrap-
porsi a quelli preesistenti del greco Eracle e del punico Melqart. Divinità, queste ultime, ben
radicate nel panorama cultuale preromano della Sardegna come attestato da fonti letterarie,
epigraiche e archeologiche. Le recenti indagini condotte nel centro gallurese hanno riportato
alla luce, sulla collina di San Paolo, un santuario circoscritto da un tèmenos, all’interno del quale
sono i resti di tre templi. Secondo gli scavatori il primo di essi, di epoca cartaginese, sarebbe
stato sostituito in età romana da un ediicio templare dedicato a Ercole – del quale residuano
solo la parte delle murature e una cisterna, entrambe puniche – che in epoca lavia doveva
costituire la parte centrale di un santuario circondato da un muro e con altre due strutture
templari, già di età tardorepubblicana, a proposito delle quali si ignorano però i nomi delle di-
vinità venerate. Si è ipotizzato che l’immagine di una statua di culto, probabilmente bronzea e
opera di artisti centro-italici, possa essere stata riprodotta localmente in una testa in terracotta
(cat. n. 123) databile alla seconda metà del II secolo a.C., rinvenuta nelle acque presso l’Isola
di Bocca. La testa troverebbe a sua volta un confronto stringente in un ex voto rafigurante il
dio rinvenuto nell’area del santuario; per quanto ormai andato perduto di esso si conservano
il disegno e la descrizione effettuate al momento della scoperta nel 1939.
Il culto di Ercole ebbe sicuramente un’ampia diffusione nell’Isola dovuta anche al sincreti-
smo con Melqart/Eracle; ciò è attestato oltre che dalla toponomastica dai dati archeologici.
Il rinvenimento di statuine in bronzo o in terracotta rafiguranti il dio con la caratteri-
stica leontè o più semplicemente i suoi attributi, come la clava, infatti ne esempliicano la
devozione. Un altare dedicato a Hercules Victor rinvenuto a Cagliari (CIL X 7554), oggi

69
Maria Adele Ibba

scomparso, sembra attestare la presenza in città di uno spazio sacro che ospitava il suo culto.
La volontà politica di onorare uficialmente le divinità del pantheon romano portò alla co-
struzione di numerosi ediici i cui resti archeologici costellano centri urbani come Carales,
Turris Libisonis, Tharros e Nora e territori non urbanizzati come quelli di Antas e di Bidonì.
Ben pochi, però, sono i casi nei quali si può associare ai resti della struttura templare la
divinità alla quale essa era dedicata. Tra questi va ricordato il tempio di Giove di Bidonì sul
Monte Onnarìu il cui altare riporta il nome del dio.
Con la conquista romana il potenziale economico costituito dalle sue materie prime attirò
nell’Isola persone provenienti da diverse parti della Penisola, gli Italici. Si trattava di pro-
prietari terrieri, banchieri, mercanti e armatori impegnati sia nello sfruttamento delle risor-
se locali sia nella commercializzazione dei prodotti che ne derivavano. L’ingente quantità di
denaro mosso e il potere da esso derivato investivano questi personaggi di un ruolo cruciale
anche nella scelta dei culti da praticare e dei luoghi dove ediicare gli ediici pubblici, tra cui
quelli sacri. L’inluenza che la componente italica esercitò risulta evidente nelle manifesta-
zioni architettoniche e artistiche giunte ino a noi. Per quanto riguarda la sfera sacra due mo-
numenti in particolare a Carales e a Sulci sono testimoni dei modelli di riferimento. Tra questi
il più esempliicativo è un ediicio scavato alla ine degli anni Trenta a Cagliari, in Via Malta,
nell’area dove si è ipotizzato sorgesse il foro romano.
Considerato con il cosiddetto Tempio sull’Acropoli di Sulci e con il cosiddetto Tempietto
distilo di Tharros come uno degli ediici sacri più antichi di ambito romano inora cono-
sciuti in Sardegna, esso riveste una particolare importanza nel panorama isolano di età
tardorepubblicana per la peculiarità della sua planimetria, che trova confronti con l’area
centro-italica e al contempo risulta condivisa dalla componente punica urbana, come del
resto il rinvenimento di monete con due sufeti nel recto testimonierebbe, ricordando la
magistratura punica cittadina esistente a Carales in quel periodo. Sfruttando i dislivelli del
terreno, esso era disposto su terrazze, con il tempio in alto e una cavea teatrale in basso.
L’ediicio sacro era circondato da uno spazio verosimilmente adibito a giardino nel quale
un pozzo attingeva da acque sorgive. Di recente è stata avanzata l’ipotesi della presenza
Moneta dei due sufeti. di un portico lungo il muro che delimitava l’area sacra sul tipo di modelli italici, come nel
caso del tempio di Giunone a Gabi. La presenza del giardino, il rinvenimento di circa tre
Corallo grezzo da Cagliari, chili di corallo grezzo, l’identiicazione di quattro fulcra di letto a doppia testata utilizzati nei
teatro-tempio di via Malta. banchetti rituali e la cavea teatrale antistante al tempio destinata alle rappresentazioni sacre

70
Lo spazio del sacro tra devozione e ritualità

riporterebbero a pratiche rituali legate al culto di Adone. La rafigurazione nelle monete


dei sufeti di un tempio tetrastilo con la legenda VENERIS KAR, ha portato alla sua iden-
tiicazione con quello di Via Malta e, di conseguenza, alla dedica di quest’ultimo al culto di
Venere in associazione con Adone.
Il rinvenimento di una serie di cippi terminali posti a indicare la linea di conine tra pro-
prietà diverse, come quelli rinvenuti nel territorio di Cuglieri (cat. n. 2.84), riportano a un
altro aspetto degli spazi cultuali, quello legato al territorio come spiega Ovidio (Fasti II,
639-684) a proposito dei Terminalia, le feste in onore di Terminus, numen tutelare dei conini.
La cerimonia si celebrava annualmente il 23 febbraio presso il cippo dove “alla ine della
notte” i proprietari dei terreni coninanti portavano ciascuno una focaccia e una ghirlanda
con le quali lo cingevano. Dopo aver acceso un fuoco su un altare improvvisato vi getta-
vano in sequenza per tre volte grano, favi e vi versavano vino, mentre i familiari abbigliati
con vesti bianche, colore del sacriicio, assistevano in silenzio. La cerimonia si concludeva
cospargendo il cippo con il sangue di un agnello e quando possibile con l’offerta di una
scrofa da latte.
Inine, la religiosità dell’uomo romano si esprimeva non solo nei luoghi pubblici consacrati
secondo il rito a una divinità ben precisa, ma anche in quelli privati. Sappiamo che all’inter-
no della casa esistevano piccoli spazi dove il pater familias procedeva a rendere omaggio ai
Lari, i due igli della ninfa Lara e di Mercurio, che erano le divinità tutelari della casa oltre
che dei crocicchi e della città. In Sardegna la pratica del loro culto è attestata da una pic-
cola statua bronzea rinvenuta a Gesturi – nella quale il nume indossa la caratteristica veste
corta, regge con una mano un rhythòn e con l’altra una patera, strumenti peculiari del rito
(cat. n. 1.151) – e da almeno tre iscrizioni di cui una posta su un’arula, dedicata a un solo
Lare (CIL X 7555), rinvenuta a Carales presso la chiesa di San Paolo, nell’odierno quartiere
di Sant’Avendrace.
Per concludere, il quadro del panorama religioso isolano in qui delineato, per quanto
sintetico, dimostra una diffusione capillare su tutto il territorio, non solo nei centri urbani,
caratterizzato più che dall’imposizione della propria visione religiosa da parte dei nuovi
arrivati, dal recepimento da parte romana della devozione e della ritualità delle popolazioni
locali ed esterne già insediatesi nell’Isola, che dal canto loro dovettero ampliare il proprio
pantheon accogliendo i nuovi dei nei luoghi già deputati ai propri culti tradizionali.

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72
La ceramica: importazioni e produzioni locali
Carlo Tronchetti

Esaminare la Sardegna di età romana dal punto di vista della produzione e della circolazione
delle ceramiche signiica prendere in considerazione gli svariati fattori che concorrono a for-
marne l’aspetto.
Difatti l’Isola era dotata già da secoli di una forte tradizione nel campo della produzione va-
scolare che in età ellenistica, immediatamente precedente l’inizio della dominazione politica
romana del 238 a.C., si era uniformata per molti aspetti alla facies comune mediterranea, pur
mantenendo stretto il legame con le radici puniche.
Questo ha fatto sì che la cosiddetta “romanizzazione” sia in realtà un lungo processo di inte-
grazione di diversi habitus, che hanno come esiti la formazione della Sardegna romana.
In campo ceramico il processo si veriica esaminando le oficine che già nel III secolo a.C. pro-
ducevano ceramiche ispirate al vasellame a vernice nera importato, prevalentemente ellenico,
ed utilizzando la verniciatura anche su forme puniche; nelle medesime oficine, dallo scorcio
del III secolo, iniziano ad essere fabbricati anche vasi che derivano da prodotti di manifatture
della Penisola Italiana.
L’adozione di tali forme e di talune modalità tecniche (potremmo dire anche “tecnologiche”),
ci suggerisce l’esistenza in loco di artigiani provenienti dalla zona centro-italica, suggestione che
è confermata da tutta una serie di testimonianze, ben note, che travalicano il semplice ambito
ceramologico.
Il primo materiale ceramico databile in età romana che perviene in Sardegna giunge dalla
Campania, come carico d’accompagno delle anfore vinarie Dressel 1, senza che si possa esclu-
dere anche la possibilità che qualche pezzo particolare sia dovuto a fatti occasionali speciici,
come può essere stato il caso delle patere ombelicate calene decorate a rilievo. In questa fase
iniziale predominano le produzioni campane: quella calena appunto e la ceramica a vernice
nera denominata Campana A, ancora entro il III secolo a.C. con forme di gutti. Le produzioni
di “imitazione” invece fanno riferimento a repertori formali differenziati, che si riferiscono sia
alla consolidata tradizione artigianale punica, sia, genericamente, all’area dell’Italia centrale, di
cui è indice la frequenza della patera a breve orlo estrolesso che si diffonde nella prima metà
del II secolo a.C. È in questo secolo e nei primi decenni del successivo che l’Isola è interes-
sata da una forte importazione di ceramica Campana A, con forme destinate al consumo di
alimenti solidi e soprattutto liquidi, e in misura minore di Campana B e produzioni etrusche
settentrionali. Tutti questi vasi sono estremamente funzionali e non decorati se non in modo
molto semplice, con foglie e palmette stilizzate ovvero semplici cerchi impressi sul fondo in-
terno, afidando l’aspetto estetico alla forma ed alla lucente vernice nera.
Dalla metà del II secolo nascono numerose oficine, distribuite un po’ in tutto il territorio iso-
lano, che producono vasellame da mensa che imita quello importato a vernice nera, lavorando
con una tecnica particolare che permetteva di ottenere un’argilla cotta di colore grigio, con
diverse sfumature, su cui veniva stesa una vernice di colore nero opaco o grigio scuro. Questi
vasi invadono letteralmente la Sardegna a partire dai decenni inali del II secolo a.C. sino a
poco dopo la metà del I secolo d.C., costituendo il vasellame da mensa più usato in assoluto.
La forma maggiormente diffusa ed adottata è quella di una coppa con largo piede e parete
curva ad arco di cerchio, di solito ornata semplicemente da uno o due solchi sotto il bordo.
Destinati unicamente al consumo delle bevande sono i vasetti a pareti sottili (boccali, bicchieri,
coppe) prodotti nell’Italia centrale nello stesso lasso di tempo, che giungono unitamente alle
anfore vinarie dalla medesima area geograica. È interessante mettere in rilievo questi contatti
con l’Italia centrale tirrenica e più interna percepiti nell’esame delle ceramiche, che sono un
elemento concorrente con altri, come l’onomastica e i santuari di tipo italico, a meglio illumi-
nare i rapporti tra il mondo romano peninsulare e quello isolano.
Più genericamente di ambito mediterraneo sono, invece, gli unguentari fusiformi, prodotti
localmente ed ampiamente diffusi nelle necropoli, ed anche in contesti abitativi.

73
Carlo Tronchetti

Piatto a vernice nera di oficina campana,


provenienza sconosciuta.

Patera di oficina tardo-punica,


da Cagliari.

Coppa a vernice nera di oficina campana,


provenienza sconosciuta.

Coppa a vernice nera di oficina campana,


provenienza sconosciuta.

Coppa di oficina locale a vernice nera


a pasta grigia, da Bithia.

Piatto da pesce a vernice nera


di oficina campana,
provenienza sconosciuta.

Coppa di oficina locale a vernice nera


a pasta grigia, da Bithia.

Patera di oficina locale a vernice nera


a pasta grigia, da Bithia.

74
La ceramica: importazioni e produzioni locali

Anfora vinaria Dressel 1 da Tharros. Dalla metà del I secolo a.C. si assiste ad un radicale cambiamento. I vasi da mensa, da antica
(in basso) tradizione realizzati verniciati in nero, iniziano adesso ad essere fabbricati ricoperti da vernice
rossa; questa produzione viene deinita sigillata italica e tardo-italica. Il nome “sigillata” deriva
dal fatto che la prima fase della produzione vede la massima frequenza di vasi decorati a rilievo
(sigilla) oppure (ma è meno probabile) perché recano sulla parete o il fondo interno il bollo del
proprietario dell’oficina e/o del lavorante. I termini italica e tardo-italica sono invece semplici
distinzioni cronologiche, anche se esistono differenze piuttosto marcate tra le due fasi. Iniziati
a produrre ad Arezzo verso il 50 a.C., i vasi in sigillata italica e tardo-italica si articolano in
numerose oficine che in breve tempo si diffondono in tutta Italia; in molti casi suppliscono a
necessità prevalentemente locali, mentre altri opiici sono dedicati ad una produzione rivolta
al commercio terrestre e marittimo. Questi ultimi si collocano prevalentemente in centri pro-
duttori di zone costiere, come Luni e Pisa; da quest’ultima giungono in Sardegna numerosi
carichi di questa ceramica, che viene fabbricata sino ai primi decenni del II secolo d.C. e resta
in uso sino a circa la sua metà.
Inizialmente dotata, come detto, di decorazioni ottenute a matrice di grande inezza, spesso
con intenti narrativi, questo tipo di ceramica passa dopo pochi decenni ad una produzione di
massa standardizzata, prodotta in opiici con un tipo di procedure di lavoro deinite addirittura
“preindustriali”. Anche in questo caso siamo di fronte a vasellame da mensa, che si suddivide
in forme di piattini, piatti, vassoi, coppette, coppe, scodelle e grandi coppe, verosimilmente
zuppiere, talora articolate in veri e propri servizi identiicati per la simile forma dell’orlo.
La fase più tarda, denominata tardo-italica, parte grosso modo dalla metà del I secolo d.C. e fra
il 70 e l’80 d.C. rinasce la decorazione igurata, ma senza più disegno narrativo, solo giustappo-
nendo singoli motivi ricavati da punzoni talora abbastanza sommari. Questi vasi proseguono
sino alla prima metà del II secolo d.C.
Assieme a questa ceramica continuano a giungere i vasetti a pareti sottili, che in questi decenni
raggiungono il culmine della loro rafinatezza, imitando in taluni casi le più costose coppe in
metallo pregiato come l’oro; anche in questo caso si assiste ad un moltiplicarsi di oficine, fra
cui spiccano quelle iberiche, che inviano i loro prodotti in tutto il Mediterraneo. La sottigliezza
delle pareti di queste coppette, bicchieri e boccalini non impedisce che su taluni si stenda una
ine decorazione a rilievo di festoni, punte, foglie, oppure fasci di linee impresse; in alcuni sulla
parete del vaso prima della cottura veniva stesa della sabbia che, dopo la cottura e dipinta di
giallo carico, ricordava la supericie corrusca del vaso aureo.
La Sardegna, oltre a recepire ceramiche esterne, prosegue con la fabbricazione di imitazioni.
È stata di recente individuata quella deinita “sigillata sarda”, cioè l’imitazione della sigillata
italica in oficine sarde, che coprono prevalentemente, ma non solamente, le zone interne
dell’Isola. Alcune necropoli del I secolo d.C. mostrano infatti pochissime tombe con oggetti
importati, mentre più abbondanti sono le imitazioni, evidentemente destinate ad acquirenti
meno abbienti.
È importante l’individuazione di queste fabbriche locali. Esse, come pure quelle della ceramica
a vernice nera a pasta grigia cui si è fatto cenno sopra, sono forti segnali per farci conoscere la
vivacità produttiva della Sardegna, che non si esauriva solo nella coltivazione del grano di cui
parlano sovente le fonti latine, ma andava ad interessare iorenti attività artigianali che fanno
diffusamente fronte alle esigenze del mercato locale. Ciò ci segnala anche l’esistenza di un ceto
che vuole signiicarsi come non povero, ma che non ha evidentemente le possibilità econo-
miche di permettersi oggetti importati, anche se di valore non eccessivamente elevato, come i
vasi a vernice nera e quelli in sigillata italica. È da rilevare che queste produzioni di imitazione
si trovano attestate non solo nelle zone più interne ed in ambito extra-urbano, ma anche in
pieno ambito urbano, a signiicarci la loro ampia diffusione e vasto utilizzo.
Abbiamo messo in risalto questi aspetti che ci derivano dall’osservazione delle ceramiche di
imitazione, ma non bisogna passare sotto silenzio tutte le produzioni di ceramica cosiddetta
comune, deinizione molto generica e sostanzialmente non corretta, ma entrata nell’uso co-
mune per indicare vasellame non decorato né particolarmente rafinato, destinato ad essere
utilizzato per la mensa e la dispensa, mentre per il vasellame da fuoco si tende ad utilizzare la
denominazione “ceramica da cucina”. In ogni parte del mondo romano (così come pure in
precedenza ed altrove) esistono oficine che producono ceramica che possiamo deinire utili-
taria, destinata agli scopi sopra detti, come ad esempio una brocchetta diffusa nei Campidani e
nell’Oristanese, che copre le esigenze di un mercato essenzialmente locale con forme funzio-

75
Carlo Tronchetti

Boccalino a pareti sottili di prima età


imperiale, provenienza sconosciuta.

Boccalino a pareti sottili di età


repubblicana, provenienza sconosciuta.

Coppetta a pareti sottili di prima età


imperiale, provenienza sconosciuta.

Piatto in sigillata italica da Gesico,


Santa Lucia.

Unguentario fusiforme di età repubblicana,


provenienza sconosciuta (in basso).

76
La ceramica: importazioni e produzioni locali

Grande coppa in sigillata tardo-italica


da Nora.

Coppetta in sigillata italica da Gesico,


Santa Lucia.

Coppetta in sigillata sarda da Masullas,


Sa Mitza Salida.

Coppa in sigillata tardo-italica


da Tharros.

Unguentario fusiforme di età repubblicana,


provenienza sconosciuta (in basso).

77
Carlo Tronchetti

Bottiglia di produzione locale


da Masullas, Sa Mitza Salida.

Nella pagina accanto


Piatto in sigillata sud-gallica,
provenienza sconosciuta.

Patera in sigillata sud-gallica


marmorizzata, da Tharros.

Grande pentola di manifattura locale


da Muravera, Costa Rej.

Grande coppa in sigillata sud-gallica


da Nora.

Lucerna di prima età imperiale


da Sant’Antioco, necropoli.

nali, che possono anche rimanere sostanzialmente invariate nel lungo periodo. È interessante
anche notare che abbastanza spesso in queste oficine, nel settore delle ceramiche da fuoco,
vengono fabbricati vasi (pentole, tegami) lavorati a mano senza l’uso del tornio, proprio in
funzione dell’uso cui era destinato il vaso stesso.
Nel quadro delle importazioni non si può tralasciare che le oficine ceramiche italiche offrono
anche specializzazioni funzionali, come è il caso delle lucerne. Nel corso del I secolo d.C.
giungono nell’Isola numerose lucerne con disco inemente decorato e recanti il bollo del
fabbricante sul fondo esterno, prezioso indizio per l’analisi dei lussi produttivi e commerciali.
A partire dalla metà del I secolo d.C. il panorama delle importazioni ceramiche della Sardegna
comincia ad ampliarsi notevolmente. Le produzioni vinarie dell’Italia sono afiancate da quelle
galliche, della Francia meridionale, da dove provengono, assieme alle anfore vinarie, anche i vasi
in sigillata sud-gallica, caratterizzata da una vernice brillante color rosso cupo. Queste produ-
zioni nascono dapprima come imitazioni della sigillata italica, per poi distaccarsene e assumere
un carattere distintivo peculiare. Il loro mercato copre prevalentemente la parte continentale
dell’Europa, ma alcune oficine, come quella di La Graufesenque, esportano i loro prodotti am-
piamente nell’area mediterranea per un lungo periodo di tempo; difatti l’uso dei vasi da mensa
in sigillata sud-gallica è attestato in Sardegna sino alla metà del II secolo d.C.
Dalla Penisola Iberica proviene una grande quantità di olio contenuto nelle anfore Dressel

78
La ceramica: importazioni e produzioni locali

20, dalla caratteristica forma sferoidale, unitamente ancora a poca ceramica a pareti sottili: il
servito ine da mensa ormai è regno delle sigillate italiche e sud-galliche, anche se sino ai primi
decenni della seconda metà del secolo si continuano a produrre ed utilizzare in abbondanza i
vasi a vernice nera su pasta grigia.
È dall’età degli imperatori della famiglia Flavia (69-96 d.C.) che comincia ad affacciarsi sul
mercato, in modo sempre più rilevante, la grande produzione ceramica dell’Africa romana.
Questa esplosione è stata convincentemente posta in relazione con la messa a olivicoltura di
gran parte del territorio fertile dell’attuale Tunisia. La loridissima produzione di olio veniva
commerciata entro le anfore fabbricate nelle oficine africane, site verosimilmente nelle stesse
proprietà terriere. Nelle medesime oficine si realizzava anche ceramica da mensa e dispensa,
ceramica da cucina di elevata qualità e lucerne, che afiancavano sui mercati quelle prodotte
nella Penisola Italiana. La sigillata africana è stata chiamata con questo nome unicamente per-
ché il suo colore aranciato può essere in qualche modo accostato al color rosso, ma tendente
al camoscio, della sigillata italica, anche se nella prima fase della produzione non abbiamo pra-
ticamente alcun vaso decorato ed è quasi del tutto assente la irma del vasaio, se non più tardi
su vasi molto particolari. La sigillata africana attinge il suo repertorio formale da svariate fonti.
Alcune forme derivano dalla sigillata sud-gallica, altre dalla sigillata italica, altre riprendono
forme di ceramica comune locale, altre, inine, sono creazioni autonome.
La prima fase della produzione di sigillata africana comprende la sigillata A, contraddistinta
da una vernice a buccia di arancio, sia come colore che come aspetto lievemente rugoso, e si
caratterizza per la decorazione semplicissima, limitata a solchi impressi e strie a rotella disposti
sulle pareti o sul fondo interno. Spiccano, per modo di dire, solo le patere con orlo estrolesso,
di derivazione sud-gallica, che presentano il bordo decorato a rilievo con foglie allungate e
carnose, come negli esemplari imitati. L’assoluta maggioranza dei vasi è costituita da forme

79
Carlo Tronchetti

80
La ceramica: importazioni e produzioni locali

Lucerna di oficina nordafricana


da Sant’Antioco, necropoli.

Lucerna di oficina nordafricana di tarda


età imperiale, provenienza sconosciuta.

Anfora olearia (Africana piccola)


di oficina nordafricana,
provenienza sconosciuta (in basso).

Nella pagina accanto


Bottiglia in sigillata africana,
provenienza sconosciuta.

Brocchetta in sigillata africana,


provenienza sconosciuta.

Patera in sigillata africana,


provenienza sconosciuta.

Patera in sigillata africana con simboli


cristiani, provenienza sconosciuta.

Vassoio in sigillata africana,


provenienza sconosciuta. aperte, facili da impilare e quindi agevoli da trasportare nelle navi, come merce di accompa-
gno ai pregiati carichi di anfore olearie, anche se non mancano forme chiuse di boccalini e
Pentola da cucina di oficina nordafricana, brocchette, che però hanno poco esito e tendono a scomparire quasi del tutto in breve tempo.
provenienza sconosciuta. A ianco della ceramica da mensa ed alle anfore olearie africane (deinite Africana I e II, con
distinzione tipologica e cronologica) le oficine producono anche ceramica da cucina. Si tratta
di pentole, casseruole e tegami, caratterizzati dalla verniciatura della parte interna del vaso con
vernice rossa che, negli esemplari migliori, si presenta densa e molto coprente; il fondo esterno
abitualmente presenta una itta serie di solchi concentrici, destinati alla miglior diffusione del
calore; la parete esterna, essendo destinata a subire gli effetti del fuoco, è lasciata grigia, oppure
a strie orizzontali alternativamente grigie e lucidate a stecca. Ad essi si accompagnano i coper-
chi, in molti casi piatti-coperchi, dal caratteristico orlo annerito che, con il passare del tempo
diviene da appena ingrossato a segnato da un accentuato bordo sporgente. Questa ceramica
africana da cucina, che riprende in parte forme di vasi già affermate localmente, accompagna
l’espansione commerciale dell’olio africano e delle ceramiche ini da mensa dal I sino a tutto
il V secolo d.C.
Lo spostamento delle oficine dalla Tunisia settentrionale alla Tunisia centrale, o comunque
la prevalenza di queste per i prodotti esportati, porta nel III secolo d.C. all’affermazione della
sigillata C. Questa si caratterizza principalmente per la diversità di tecnica che, negli esemplari
più ini, sembra essere stata la matrice piuttosto che il tornio: i vasi, talora anche di rilevanti
dimensioni, hanno pareti molto sottili e durissime, coperte da un vernice rossa che può essere
di qualità variante da ottima a mediocre. In questi vasi appare spesso una decorazione ottenuta
a rilievo con la tecnica della barbotine, già utilizzata nella sigillata italica, tardo-italica e sud-
gallica. Gli elementi decorativi venivano lavorati a parte e poi applicati sulla supericie del vaso
con argilla fresca prima della cottura. È da notare che adesso il vasellame tende a divenire di
dimensioni maggiori rispetto a prima, fenomeno che si accentuerà negli anni successivi.
A ianco delle ceramiche importate, dal III secolo la Sardegna si qualiica per due impor-
tanti produzioni locali. La prima si localizza a Sulci ed è denominata “ceramica iammata”
a motivo della sua caratteristica decorazione a brevi pennellate brune stese sul corpo molto
chiaro del vaso. Si compone di bacili di grandi e grandissime dimensioni, anfore da dispensa,
brocche e brocchette di dimensioni, forma e decorazione altamente standardizzate. Il luogo
di fabbricazione è sicuramente Sant’Antioco, e da lì si diffonde in rilevante quantità per tutti i
centri costieri della Sardegna sud-occidentale, toccando poi con quantità assai minori Neapolis,

81
Carlo Tronchetti

82
La ceramica: importazioni e produzioni locali

Bacile in ceramica iammata


da Sant’Antioco, necropoli.
(vista frontale e dall’alto)

Piatto di oficina locale campidanese,


provenienza sconosciuta.

Brocca di oficina locale campidanese,


provenienza sconosciuta.

Nella pagina accanto


Anfora vinaria di oficina orientale,
da Cagliari.

83
La ceramica: importazioni e produzioni locali

Grande vassoio in sigillata africana,


da Nora.

Nella pagina accanto


Anfora vinaria di oficina orientale,
da Nora.

Tharros, il territorio Bosano, Porto Torres ed Olbia, giungendo all’esterno dell’Isola unicamen-
te ad Ostia. Nella Sardegna interna è attestata solo in misura ridottissima a Fordongianus.
Nello stesso periodo, ma con una forbice cronologica assai più ampia, che corre durante tutto
il IV secolo e giunge a superare i conini del V, si pone la ceramica cosiddetta “campidanese”,
così chiamata dall’area della sua principale distribuzione. Si tratta precipuamente di brocche e
ampie ciotole in argilla marrone, con forme sostanzialmente ripetitive, fra cui spicca la brocca
con collo appena rigonio e marcato ombelico di tornitura sul fondo esterno. Peculiare è la
tecnica decorativa, realizzata con una itta serie di strie ottenute levigando con la stecca la
supericie del vaso prima della cottura. In alcune serie di ciotole queste strie si articolano a
formare semplici disegni ad angoli ovvero a griglia, con notevole effetto decorativo.
Ancora la Sardegna mostra la vivacità e le capacità produttive degli opiici locali, che offrono
ceramiche di ottimo livello qualitativo, sia dal punto di vista tecnico che formale, e trovano
ampia risposta nel mercato regionale.
Tornando alle importazioni, a partire dal IV secolo d.C. le oficine predominanti tornano
ad essere quelle collocate nella zona tunisina settentrionale, con la produzione denominata
sigillata D, che viene fabbricata ed esportata, assieme alle anfore olearie, sino al VII secolo
d.C., raggiungendo una diffusione vastissima sia come quantità che come estensione, che toc-
ca gli estremi limiti dell’impero romano. Interessante è notare, come ha già rilevato Andrea
Carandini, che di questa ceramica, delle anfore olearie che accompagnava, e quindi anche della
importanza fondamentale delle produzioni africane nel quadro dell’economia romana, le fonti
antiche non dicono assolutamente niente, e che senza la ricerca archeologica molti aspetti
dell’impero romano ci rimarrebbero sconosciuti. La sigillata D si caratterizza per un maggiore
spessore delle pareti dei vasi, su cui la vernice rossa si stende solo nella parte interna e su quella
esterna immediatamente adiacente l’orlo. Siamo di fronte adesso, per lo più, a forme di dimen-
sioni piuttosto grandi, molto verosimilmente non più legate, come in precedenza, al consumo
individuale dei cibi, che venivano serviti ai commensali già predisposti in porzioni singole nei
piatti o nelle ciotole. Adesso evidentemente si afferma un nuovo tipo di commensalità, dove
il cibo è servito in un grande recipiente da cui ognuno attinge. Sono tipici di questa produ-
zione le grandi coppe con un listello pendente poco sotto l’orlo esterno, i vassoi con la parete
decorata da tacche impresse, gli ampi piatti che recano spesso una decorazione impressa sul
fondo interno. Una delle caratteristica principali della sigillata D è appunto l’abbondanza delle
decorazioni, impresse sulla vasta supericie del fondo interno dei vasi. La rafigurazioni sono
moltissime, talune solo decori geometrici o itomori, sovente con scene della vita quotidia-
na o di ambito religioso riportabili al primitivo cristianesimo. Così abbiamo scene di giochi
nel circo, rappresentazioni di racconti tratti dalla Bibbia, simbologie cristiane come la croce

85
Carlo Tronchetti

ricavata dalle prime lettere del nome di Cristo (chrismon), talora corredata dall’alfa e omega.
A ianco delle ceramiche ini da mensa e da cucina le oficine africane producono ancora,
ovviamente, anfore olearie, che giungono frequenti nell’Isola, nelle loro forme più tarde dei-
nibili genericamente sotto il nome di “anfore cilindriche del tardo-impero”, sottodivisibili in
un gran numero di varianti date soprattutto dalla forma dell’orlo. Assieme sono fabbricate ed
esportate lucerne, contraddistinte da un’argilla ed una vernice rossa simile a quella dei vasi da
mensa. In questo periodo le lucerne non recano più, come nei secoli precedenti, il bollo del
fabbricante sul fondo esterno, ma permane la ricca decorazione sulla spalla e sul disco. Anche
in questo caso si trovano frequentissimi simboli e scene legate alla religione: dal segno del Cri-
sto, il chrismon già visto nei piatti, al pesce, al pavone, alla rafigurazione di patriarchi e così via.
La spalla delle lucerne, invece, spesso presenta rafinate decorazioni geometriche, con riquadri
a rombi, cerchielli e, in alcuni casi, anche con impronte tratte da monete.
I contatti tra la Sardegna e la parte orientale del Mediterraneo, mediate con ogni verosimiglian-
za da Cartagine, sono testimoniati dall’arrivo di anfore di piccole dimensioni, destinate ad un
vino pregiato prodotto nell’area costiera meridionale dell’Anatolia.
Con la conquista di Cartagine da parte degli Arabi nel 698 d.C. s’interrompe quella unità me-
diterranea che aveva caratterizzato, attraverso alterne vicende, il mondo occidentale nel segno
dell’impero romano.

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86
La decorazione architettonica in età romana
Donatella Salvi

La maggior parte degli elementi architettonici di età romana conservati in Sardegna è ormai
slegata dagli altri elementi con i quali componeva l’originale e organica membratura. Per
questo è possibile esaminare i singoli manufatti – capitelli per lo più ma anche basi e colonne
– utilizzando l’ordine e gli elementi stilistici per risalire al periodo di realizzazione, i materiali
per identiicarne la provenienza, le dimensioni per ipotizzare le caratteristiche dell’ediicio del
quale facevano parte.
La suddivisione in ordini, codiicata da Vitruvio ma con radici nella Grecia di V/IV secolo
a.C., stabilisce non solo l’aspetto degli elementi, ma anche le proporzioni fra le parti che li
compongono e che creano l’equilibrio complessivo. Così se il capitello dorico è semplice nel-
la sequenza di abaco – punto di contatto con la trabeazione – ed echino liscio, l’articolazione
del capitello ionico si basa sull’equilibrio fra le volute e la sporgenza dell’echino decorato,
mentre quello corinzio è interamente condizionato dall’apparato vegetale che “veste” il ca-
lato, cioè il corpo del capitello, con il ritmo assunto dalla successione delle foglie d’acanto e
degli altri elementi vegetali che, nella parte superiore, si sovrappongono al calato e formano
le volute angolari. Colonne scanalate o colonne lisce partecipano ai vari ordini, con una liber-
tà che si accentua con il passare del tempo e trae valori cromatici dall’associazione di marmi
colorati nella piena età imperiale.
Nei secoli precedenti, pur nella koinè culturale rappresentata dall’ellenismo, i modelli greci
sono variamente iltrati dal valore che l’ellenizzazione assume in ogni contesto. In questa
ottica un elemento di grande interesse, dai contorni ancora sfumati, è quello del passaggio
culturale, oltre che politico, della Sardegna dalla sfera punica a quella romana, con conseguen-
te variazione dei sostrati e dei modelli che sono insiti nelle scelte architettoniche.
Poco in realtà si conosce della decorazione architettonica di età punica nell’Isola, se si eccet-
tuano, in ambito privato, alcune decorazioni a rilievo nelle sepolture a pozzo di Tuvixeddu o
altre inserite nella conigurazione delle stele di tipo ellenistico o in quelle “greco-orientaliz-
zanti”. In ambito pubblico si può far riferimento ai più antichi capitelli dorici del tempio di
Antas e a quelli, di vario ordine, del tempio monolitico di Tharros. Per la loro ottima qualità,
questi ultimi costituiscono realizzazioni ricercate e colte, segno di una adesione diretta a mo-
delli ellenistici intenzionalmente esibiti. Si tratta però di casi isolati, mentre sono numerose le
più semplici sagome di capitelli dorici dall’echino ad arco di cerchio schiacciato o rigido, con
anuli fra l’echino e il sommoscapo, o tuscanici, con listello sporgente sul sommoscapo, fre-
quenti in età tardopunica e romano-repubblicana a Tharros e a Nora ma che spesso escludono,
per le dimensioni contenute, la monumentalità dell’ediicio di appartenenza. Salvo rare ecce-
zioni – uno di grandi dimensioni in marmo grigio, di piena età romana, è a Sant’Antioco – gli
esemplari dorici e tuscanici sardi sono in pietra locale: arenaria e andesite a Nora, arenaria a
Tharros, calcare nel Cagliaritano, arenaria a Terralba.
L’ordine ionico, diversamente da quello dorico, è destinato alla visione frontale se è caratteriz-
zato da due facce con ampie volute che racchiudono una decorazione a ovuli e due facce che
simulano un fascio di foglie. Una composizione più libera è ottenuta dai capitelli ionici con
quattro facce uguali, nei quali le volute si dispongono sulle diagonali, lettendosi verso il centro
di ogni faccia. In Sardegna, però, i capitelli ionici più antichi sono quelli ritrovati nel tempio di
Eshmun a Nora, lontani dai canoni ellenistici già adottati in ambito occidentale. L’impostazione
che dispone in un assetto cubico la decorazione delle facce, tutte dotate di volute che si incon-
trano ad angolo retto, li fa rientrare piuttosto in quei capitelli “eterodossi” noti in area siriana,
dove è possibile trovare anche un parziale confronto per il quarto capitello cubico di Nora che
si differenza dagli altri, con echino liscio o con resti di sommarie palmette di raccordo, per la
presenza al centro di tre facce di una palmetta verticale e, sulla quarta, di un busto umano che
lo rimanda piuttosto a modelli italici o africani. Di dificile collocazione cronologica, è stato
attribuito, come i capitelli ionici, ad una fase “punico-romana” di II secolo a.C.

87
Donatella Salvi

Dopo la conquista romana, costituiscono invece segno certo di nuovi apporti e diverse com-
mittenze gli elementi architettonici riposizionati nella possibile collocazione originale nell’a-
rea cagliaritana cosiddetta Villa Tigellio, che sono riferibili ad un periodo compreso fra la ine
del II ed il I secolo a.C.
Si tratta in realtà di uno spazio privato urbano organizzato, nel quale colonne e capitelli,
tutti ionici a quattro facce, decorano l’atrio delle singole abitazioni che compongono il com-
plesso. L’abaco, leggermente incurvato al centro, copre completamente il punto superiore
d’incontro delle volute sulle diagonali. Ai lati del canale ampio e liscio le volute si avvolgono
a spigolo vivo ino all’occhio centrale, tondeggiante e sporgente. Il kyma, compreso e quasi
compresso fra le volute, è composto da tre ovuli con sottile sguscio intervallati da freccette;
semipalmette con lobi ad uncino sporgenti sugli ovuli laterali ne formano il raccordo. Un col-
larino di fusarole e perline segna in alcuni esemplari il distacco fra l’echino e il sommoscapo.
L’uso del calcare bianco e tenero dimostra la realizzazione locale; lo stucco, come a Pompei
e in genere in ambito italico di età repubblicana, rende plastico il dettaglio e protegge la pie-
tra dalla consunzione. Caratteri analoghi presentano alcuni capitelli di Nora ora custoditi a
Cagliari, o provenienti da recenti recuperi fortuiti.
Alla stessa fase repubblicana e a maestranze di analoga formazione è attribuibile il capitello
corinzio italico (o corinzio libero) riposizionato nell’area delle “Due colonne” a Tharros, men-
tre non conservano tracce di stucco due capitelli simili in trachite conservati a Muravera. A
differenziarli dai corinzi canonici è la base, fasciata dalle due corone di foglie, e la parte supe-
riore nella quale le elici tubolari e le volute nascono libere e larghe fra le foglie della seconda
corona, per attorcigliarsi agli angoli e concludersi nel grosso occhio forato delle volute; le
elici, inine, formano sul calato due semplici anelli che si siorano. Su questi poggiava il largo
iore d’abaco con petali espansi.
Se la lavorazione in situ della pietra si abbina per qualche tempo a modelli nuovi, il capitello
corinzio in marmo è la vera novità della fase romana e costituirà, nelle sue varianti, un ilo
conduttore per gran parte dell’età imperiale. L’uniicazione dei caratteri, che limita il poten-
ziale sviluppo di elaborazioni locali, ha come conseguenza la diffusione, in tutte le province,
di manufatti già initi o semilavorati, realizzati con il marmo proveniente dalle cave di Luni,
divenute in età augustea di proprietà imperiale. La lavorazione standardizzata porta in breve
ad una distribuzione capillare, superando l’equazione “marmo uguale lusso” diffusa ino ai
tempi di Cesare e oggetto di vivace dibattito sulla distinzione fra il lusso privato e la magnii-
centia publica.
A Cagliari è possibile che ciò si colleghi alla generale riorganizzazione della città e alla realiz-
zazione ex novo di strutture che richiamino i modelli della capitale “marmorizzata”, nell’ottica
di una nuova politica edilizia. Ad un tempio di una certa imponenza fanno pensare infatti
due capitelli corinzi di grandi dimensioni – normali, secondo la deinizione che li distingue da
quelli italici – due grandi basi, un frammento di architrave e tronchi di dimensioni diverse di
colonne ioniche, variamente assemblati secoli dopo nella chiesa di San Saturnino. Pur senza
raggiungere il “gigantismo”, palese in alcune province, l’insieme base/colonna/capitello do-
Capitello dorico, Torralba. veva raggiungere l’altezza di oltre sette metri. Nei capitelli – ora molto corrosi – due corone
di foglie occupano circa metà dell’altezza totale. Le foglioline appuntite ed eleganti creano,
Capitello ionico igurato da Nora. siorandosi, occhielli tondeggianti e un po’ obliqui fra i lobi. Cauli sbiechi e corposi, percorsi
da leggere solcature parallele concluse da collarino tubolare, originano i caulicoli e le grosse
Capitello corinzio, Porto Torres. elici che s’incurvano verso il centro; un calice corposo, con i sepali ripiegati, sostiene lo stelo
che sale verso il iore d’abaco.
Le considerazioni stilistiche e le proporzioni tra le parti, aderenti ai canoni vitruviani, confer-
Nella pagina accanto mano l’attribuzione ad ambiente artistico augusteo.
Capitello corinzio, Selargius. Certamente coevo il frammento di trabeazione, impiegato come capitello, la cui decorazione
è costituita da tre fasce lavorate alternate a fasce lisce e separate da modanature di perle e
Capitello con delini, Selargius. astragali: la fascia più alta, in aggetto, presenta una sequenza di ampi ovuli con largo sguscio
e lancette, quella centrale un kyma lesbio; la terza un kyma lesbio rovescio. La faccia inferiore
Capitello ionico da Cagliari, via Angioj. del pezzo conserva il segno circolare dell’appoggio ad altro elemento architettonico.
Ancora a modelli urbani è ispirato un più consistente gruppo di capitelli, conservati anche
Capitello ionico, Porto Torres. grazie al riutilizzo nella basilica di San Gavino a Porto Torres, dove la quantità complessiva
non solo dei capitelli, ma anche di basi e di colonne dimostra una intensa attività edilizia pro-
Capitello ionico, Sassari. trattasi per tutta l’età imperiale. Si tratta ancora di corinzi e di compositi in marmo di buona

88
La decorazione architettonica in età romana

fattura, prodotti dalle stesse botteghe, che trovano i confronti più diretti nell’architettura
romana e ostiense di età lavia. Le foglie delle due corone sono aderenti al calato ed il lobo
centrale si lette all’esterno. I lobi laterali, composti di tre e cinque fogliette, si sovrappongo-
no formando occhielli verticali tra le scanalature parallele delle foglie; scanalati sono anche i
cauli, compresi fra le foglie, ed il collarino diviso in tre sepali; la costolatura centrale ha il mar-
gine segnato da piccoli fori simmetrici che non raggiungono la deinizione “a spighetta”, che
è usuale negli esemplari romani. Al posto del calice, a sorreggere lo stelo del iore d’abaco,
è una foglietta allungata. Matrice comune a questo e agli esemplari presenti in varie località
della Penisola – ad esempio a Prato, San Vincenzo, ad Ostia ecc. – possono essere i capitelli
del Palazzo dei Flavi sul Palatino, quelli del tempio di Vespasiano e Tito e delle Colonnacce,
anche se in Sardegna la lavorazione è forse più dimessa. Il rimando è valido sia per i capitelli
corinzi, nei quali ora l’altezza delle due corone supera la metà del calato, sia per i capitelli
compositi che uniscono al motivo corinzio del calato la parte superiore ionica, nella quale
il nastro delle volute si arricchisce di viticci avvolgenti che si rifanno ai modelli dell’Arco di
Tito e della Domus Flavia. Segno della fortuna di questo modello, utilizzato nell’Isola ancora
nel II e ino al III secolo, è la presenza di un buon numero di esemplari, a volte riutilizzati,
presenti nella basilica di Santa Giusta a Santa Giusta, in piazza San Giorgio a Decimoputzu,
nella chiesa di San Giuliano a Selargius, nel centro urbano e nei depositi comunali di Villasor,
nella chiesa di San Saturnino a Cagliari e da ultimo a Decimonannu, con un esemplare forse
di provenienza cagliaritana.
Al primo secolo dell’impero vanno poi ascritti alcuni capitelli igurati, evidentemente desti-
nati ad ediici speciici: tre, di grandi dimensioni, con coppie di colombe rivolte verso il iore
d’abaco, rilavorati con simboli paleocristiani e ridotti in altezza con l’abolizione della prima
corona, sono riutilizzati a San Gavino, ed uno, uguale ma non modiicato, è custodito ad
Alghero; tre di minori dimensioni, con delini affrontati, sono a Selargius. Inine un ultimo
capitello igurato, recuperato a Decimo nell’altare della chiesa di Sant’Antonio, privo di tutte
le parti vegetali, conserva soltanto le morbide spire di un serpente che alza la testa al posto
del iore d’abaco.
Di poco più tardo, e presente con un buon numero di copie, è il modello del capitello ionico
con sommoscapo decorato a foglie d’acanto alternate a foglie d’acqua. Il ritrovamento di
almeno quattro di questi – tre di colonna ed uno di pilastro – nell’area archeologica indi-
viduata nel 1957 in via Angioj a Cagliari rende plausibile la loro appartenenza a un portico
colonnato, nel quale erano utilizzate anche alcune anteisse in marmo con lavorazione simile
a quella dei capitelli. Altri esemplari simili si trovano uno a Iglesias, due a Santa Giusta e ben
tre a Decimo, due dei quali riutilizzati nel cosiddetto Calvario del cimitero locale. Alle grandi
dimensioni e alla lavorazione pressoché standardizzata, e talvolta non inita, si aggiunge in
alcuni esemplari l’incisione di sigle differenti (VE, PF), forse identiicative dell’artigiano ai
ini della contabilizzazione. Quasi tutti presentano l’abaco modanato, le ampie volute incava-
te concluse da un piccolo iore quadrilobato e deinite da un listello piatto, ovuli con ampio
sguscio alternato a freccette, semipalmette a tre lobi con estremità leggermente sovrapposte.
Si distacca da questo standard l’esemplare del Calvario di Decimo, ora rovesciato come base
alla colonna, che presenta una modanatura ad astragali e perline e una morbida accuratezza
nel dettaglio delle foglie d’acanto. Il confronto pressoché puntuale è con i capitelli presen-
ti nei Giardini delle Terme di Antonino a Cartagine e con i capitelli di Ostia provenienti
dall’ampliamento di età severiana della Schola di Traiano, ma anche, per il trattamento delle
foglie del sommoscapo, con la decorazione della basilica severiana di Leptis Magna. A con-
fronti africani e alle stesse Terme di Antonino porta anche la lavorazione del kyma con ovuli
inseriti in sgusci ampi. É possibile perciò proporre una datazione intorno alla seconda metà
del II secolo d.C., periodo al quale è riferibile anche un bell’esemplare composito in marmo,
custodito nel seminario di Oristano, con analogo abbinamento di foglie d’acanto, alternate a
palmette e foglie d’acqua a rivestire il calato.
La presenza del piccolo iore al centro delle volute dei capitelli citati e di alcuni esemplari
ionici di Porto Torres richiama un insieme eterogeneo di capitelli nei quali un iore occupa
lo spazio delle volute o parte della supericie libera del calato: si tratta di un corinzieggiante
in arenaria da Nora con iore che poggia su una foglia isolata, di un composito in calcare
proveniente da Selargius, che sul calato ha grossi iori posti ai lati di una palmetta, di un com-
posito di pilastro, in trachite, da Fordongianus, di un capitello corinzieggiante in marmo da

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Donatella Salvi

Serri e di uno, ionico, da Olbia. L’introduzione del nuovo motivo vegetale, che compare sia in
produzioni in pietra locale che in marmo, ha confronto in esemplari compositi e ionici afri-
cani, anche non contemporanei fra loro, e precedenti in manufatti per i quali la deinizione
di corinzieggiante corrisponde in realtà a una somma di motivi e di modelli (calice di foglie
d’acanto su foglie d’acqua, piccole volute assorbite dall’avvolgersi di foglie angolari, iori fra
viticci a voluta contrapposti nei capitelli di lesena), come nel caso dei capitelli della porticus
post scaenam del teatro di Volterra di età claudia o, in composizione diversa, in un capitello
di Ercolano con elementi vegetali applicati. Rilettono lo stesso gusto decorativo le corolle
quadrilobate che compaiono nelle volute degli acroteri di alcune stele funerarie cagliaritane,
databili intorno al III secolo.
D’altra parte nel corso di questo secolo appaiono ormai allentati i rapporti con le produzioni
delle capitale, con pochi esemplari non più raggruppabili: alcuni reperti in marmo sono an-
cora attribuibili ad età severiana per il itto lavorio di trapano che traduce la forma vegetale in
una somma di chiaroscuri, annullando la consistenza del calato ed invadendo anche le volute,
quasi assorbite dalla foglia protezionale su cui si adagiano.
Capitelli corinzi di maggiori dimensioni presenti a Ussana, Oristano, Santa Giusta, Villaspe-
ciosa e Porto Torres sono invece riferibili alla tipologia detta asiatica o ad acanto spinoso: le
foglie appuntite aderiscono al calato formando occhielli geometrici fra i lobi, e nel caso del
capitello ora nell’Antiquarium Arborense di Oristano, i lobi della seconda corona, divenuti
orizzontali, formano intorno al calato una sorta di motivo continuo; in un altro – reimpiegato
a Santa Maria di Uta e di datazione dubbia – le elici piatte si piegano verso l’abaco su una
piccola foglia che sostituisce il calice; lo stelo è spesso ondeggiante. L’effetto complessivo
diventa gradualmente meno plastico ino ad apparire essenzialmente disegnativo, a scapito
dell’organicità naturalistica dell’insieme.
Le produzioni sarde in pietra locale si afidano invece negli ultimi secoli dell’impero a sempli-
icazioni progressive nei cosiddetti capitelli a foglie lisce, la cui struttura richiama per lo più i
capitelli corinzi e compositi. Presenti a Roma già in età lavia con esempi completi dell’appa-
rato vegetale ma privi del dettaglio, assumono col tempo una propria autonomia che inisce
per distinguerli deinitivamente dai prototipi, caratterizzando prima le tarde fasi romane e
poi quelle altomedievali. Si tratta comunque di una produzione non omogenea che nell’Isola
ha raramente prodotti di buona qualità, ma presenta molte varianti sia nell’impostazione del
capitello che nella realizzazione delle parti: foglie di diverso spessore possono essere distri-
buite su una o due corone che sostengono volute piatte e rotondeggianti, aderenti al calato o
fuse con esso; il canale può essere schematico o ridotto a una fascetta piatta; il iore d’abaco
è quasi sempre suggerito da una sporgenza quadrangolare che raccorda la curva dell’abaco
con quanto resta dell’echino.
Non mancano gli esemplari in marmo, sempre con foglie carnose e ripiegate a becco e, a
Sant’Antioco e a Porto Torres, con una sola corona e raccordo fra il calato e le volute con
palmette piatte.
Pietra locale e lavorazione sempliicata caratterizzano anche l’apparato architettonico – capi-
telli ionici e colonne lisce a rocchi sovrapposti – del tempio di Antas, che è attribuito alla fase
edilizia del III secolo d.C. Se la pietra, un conglomerato di frammenti di dolomie e calcari, può
avere per la durezza e la composizione condizionato il lavoro, il modello al quale questi capitelli
sembrano ispirarsi va ricercato in ambito africano, senza trascurare le esperienze parallele della
Grecia e della Siria: gli ovuli grandi sono a rilievo, intervallati da larghe frecce, la spirale che
disegna le volute non ha diretto rapporto con l’echino, il canale è praticamente simulato.
Per quanto riguarda gli altri elementi architettonici ritrovati in Sardegna, le basi in marmo,
numerose e spesso riutilizzate, sono per lo più di tipo attico. Rare invece quelle che aggiun-
gono decorazioni alla semplice modanatura: un bell’esempio è nella chiesa di Santa Giusta a
Santa Giusta ed uno, nel braccio occidentale di San Saturnino a Cagliari, trova confronto con
Colonna rudentata in marmo grigio, una base di Largo Argentina a Roma, sia per il toro percorso da un motivo a treccia che per
Sassari. la scozia con baccellature limitate alla faccia a vista.
L’ampia varietà di marmo con il quale sono realizzate le colonne ne dimostra l’importazio-
ne, ma è noto che in granito sardo sono stati realizzati fusti lisci per i cantieri dell’Isola e
Nella pagina accanto per l’esportazione. Tuttavia le colonne in granito presenti a San Gavino di Porto Torres non
Colonna in marmo cipollino, Sassari. sembrano provenire dalle più note cave con tonalità rosate di Capo Testa e Olbia, ma for-
se dalle cave dell’Asinara, che conservano tracce di coltivazione nei banchi di granito grigio.

90
La decorazione architettonica in età romana

Trabeazioni, cornici, fregi, lastre di rivestimento o capitelli di lesena invece sono pervenuti
in numero irrisorio e insuficiente a valutazioni d’insieme anche quando la qualità dei fram-
menti è elevata.
In conclusione, se si eccettuano i pochi casi di contestualizzazione e di possibile ricompo-
sizione degli elementi, è incerta e varia la condizione degli spolia, per lo più riutilizzati nelle
chiese, ma condizionati dalle nuove esigenze di assemblaggio in un nuovo organismo: spesso
sono assenti le basi ed alcuni capitelli sono rilavorati con l’abolizione o con il restringimento
inorganico del calato per farli combaciare con la colonna che li sostiene. Né mancano situa-
zioni opposte, come accade nella chiesa di San Saturnino di Ussana, dove capitelli corinzi
completi sono abbinati con tozzi tronchi di colonne. In altri casi colonne antiche sono state
completate da capitelli realizzati ex novo, mentre nella cripta di Santa Giusta, a Villasor e a
Decimo, i capitelli rovesciati sono stati utilizzati come basi.
È possibile chiedersi a quali ediici, privati o pubblici, che componevano l’ornatus civitatis, le
decorazioni architettoniche pervenute fossero pertinenti. Le fonti letterarie ed epigraiche
relative al decoro urbano sono piuttosto limitate e già compiutamente prese in considerazio-
ne. Da esse è comunque dificile estrapolare i dati relativi alle strutture che potrebbero aver
utilizzato gli elementi architettonici conservati. Ed anche nel caso della più esplicita iscrizione
turritana CIL X 7946, che ricorda la restitutio del templum Fortunae et basilicam cum tribunali et co-
lumnis sex, l’unica informazione che è possibile trarne è quella dell’esistenza, intorno alla metà
del III secolo, di strutture che, vetustate collapsae a quella data, potevano essere state costruite
anche due secoli prima.

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92
La statuaria e la scultura decorativa
Simonetta Angiolillo

Nel 1895 F. Wickhoff, nel Die Wiener Genesis, rivendicando per la prima volta per l’arte di
Roma una posizione autonoma, ne sosteneva il carattere originale e innovativo. Compren-
dendo l’eccezionale importanza ideologica che il ritratto aveva avuto nel mondo romano,
proprio nella creazione di tale genere artistico individuava la grandezza dell’arte di Roma. Del
resto, dall’ammirato racconto dello storico greco Polibio conosciamo l’uso di calchi in cera
dei volti dei defunti, veri e propri ritratti realistici, nei funerali dei personaggi illustri: «Non è
facile per un giovane che aspiri alla fama e alla virtù vedere uno spettacolo più bello di questo.
[…] Quando ha inito di parlare del morto, l’oratore incaricato dell’elogio funebre ricorda
i successi e le imprese dei suoi antenati, dei quali sono presenti le immagini, cominciando
dal più antico. Così, rinnovandosi continuamente la fama di virtù degli uomini valorosi, si
immortala la gloria di coloro che hanno compiuto nobili imprese e il nome di coloro che
hanno servito bene la patria è conosciuto da tutti e si trasmette ai posteri. E, quel che più
importa, i giovani sono spinti a sopportare tutto per procacciarsi la gloria che si accompagna
ai valorosi» (Polibio, Storie, VI, 53).
La situazione della Sardegna, arrivata all’impero romano dopo secoli di dominazione punica
che l’hanno profondamente segnata, appare del tutto singolare, perché, come sottolineato da
F. Barreca, la cultura fenicio-punica è caratterizzata dalla «tendenza spiccata all’aniconismo».
Ed esaminando la scultura di età romana nell’Isola vediamo che un solo ritratto di dimensioni
reali o di poco inferiori al vero, scoperto fortuitamente a Cagliari, risale a età repubblicana,
proprio quando, complici le competizioni tra le diverse gentes per primeggiare all’interno della
aristocrazia senatoria, Roma vede un incredibile iorire di ritratti. Una testa in marmo bianco
a grana molto ine rappresenta in modo realistico un uomo di una certa età (cat. n. 1.200), il
volto solcato da rughe profonde sulle guance e da altre appena accennate sulla fronte spazio-
sa e intorno agli occhi, le sopracciglia un po’ aggrottate, la bocca tagliente rialzata a sinistra,
le orecchie a sventola. Sulla fronte i capelli formano un ciuffo che ricorda la pettinatura di
Alessandro Magno, ripresa dal grande Pompeo: «[…] i capelli si elevavano dolcemente dalla
fronte; questa […] creava quella rassomiglianza coi ritratti del re Alessandro di cui si parlava,
più che vederla realmente. Molti sulle prime gli attribuirono persino il nome di Alessandro,
che Pompeo non respinse» (Plutarco, Vita di Pompeo 2, 2, trad. C. Carena). Il ritratto unisce
due aspetti discordanti: da un lato un programmatico richiamo alla austerità dei patres, dall’al-
tro una rafinata esecuzione frutto di una cultura profondamente greca e un tratto iconogra-
ico quanto mai signiicativo, la pettinatura, che costituisce un preciso richiamo a una certa
ideologia. Dunque il soggetto rafigurato vive la stessa contraddizione che le fonti letterarie
ci fanno conoscere per numerosi personaggi della tarda repubblica, in primo luogo Cicero-
ne, denigratore nelle orazioni pubbliche dell’arte greca e di chi la apprezza, collezionista egli
stesso nella vita privata.
L’ottima qualità della scultura e la sua unicità nel quadro offerto dalla Sardegna autorizzano
ad attribuirla a una bottega Urbana e non locale e a considerarla come il ritratto di un espo-
nente di quegli italici che in Sardegna arrivavano per svolgervi le funzioni di magistrati, di
militari o di negotiatores.
In epoca imperiale il panorama si arricchisce di esemplari. Da Cagliari provengono un ri-
tratto frammentario di Augusto del tipo Prima Porta (cat. n. 1.202) e un busto maschile di
ignoto di mezza età (cat. n. 1.201), i cui caratteri formali e iconograici inducono a collocarlo
nell’ambito della estrema età giulio-claudia, quando si afferma un clima di reazione al freddo
classicismo della ritrattistica uficiale di Augusto e Tiberio, con un ritorno a canoni di mag-
giore realismo. Allo stesso periodo appartengono anche un ritratto da Cagliari e una statuetta
da Villasimius (cat. n. 1.214), entrambi rafiguranti donne ignote.
A parte pochi altri casi isolati, per esempio a Tharros un ritratto probabilmente di Ottavia
(cat. n. 1.198), sorella di Augusto morta nell’11 a.C., e a Porto Torres quello di un fanciullo

93
Simonetta Angiolillo

Ritratto di vecchio ignoto da Cagliari.

Nella pagina accanto


Ritratto di Augusto da Cagliari
(in alto).

Ritratto di Claudio da Sant’Antioco


(a destra).

Ritratto di ignoto da Cagliari


(in basso).

94
La statuaria e la scultura decorativa

95
membro della famiglia imperiale, il gruppo di ritratti giulio-claudi più consistente e interes-
sante proviene da Sant’Antioco, dove è stata messa in luce una galleria di statue dedicate,
probabilmente nel foro, all’imperatore e alla sua famiglia. Ne fanno parte due teste origina-
riamente inserite in una statua, una statua iconica integra e due acefale. La prima testa-ritratto
rappresenta Tiberio (cat. n. 1.203), il volto un po’ inclinato verso destra, la fronte spaziosa, gli
occhi grandi, la bocca sinuosa con due morbide pieghe agli angoli, il mento carnoso con fos-
setta centrale. La pettinatura, a piccole ciocche che formano una forcella centrale e un motivo
a tenaglia sulla tempia destra, riprende quella del tipo “dell’adozione” (4 d.C.), ma alcune dif-
ferenze signiicative riscontrabili sulle tempie rendono certi che si tratti di un’opera postuma.
La seconda rafigura Claudio (cat. n. 1.204) in età sicuramente giovanile, quale appare sulle
monete dell’anno della sua ascesa al trono, il 41 d.C., quando in realtà aveva già 51 anni: il vol-
to marcatamente triangolare, e una pettinatura in gradus formata sulla fronte molto bassa. La
contraddizione con la sua età reale è solo apparente, dal momento che le serie monetali del 41
attestano entrambi i tipi, quello giovane e quello anziano. Elementi iconograici ed elementi
Ritratto di Nerone da Olbia. formali concordano nel fare attribuire i due ritratti a una medesima bottega, responsabile
anche dell’unica statua iconica integra rinvenuta a Sulci e inora in tutta la Sardegna.
Quest’ultima rappresenta Druso minore in abbigliamento militare (cat. n. 1.224). Il iglio di
Nella pagina accanto Tiberio, che nel 20 d.C. triumphavit ex Illyrico e fu ucciso nel 23 non ancora quarantenne, è
Ritratto di Druso da Sant’Antioco. riconoscibile dalla fronte sfuggente, il naso aquilino, il mento tondeggiante, il ciuffo di capelli

97
Simonetta Angiolillo

Ritratto in stucco di Faustina minore


da Cagliari, “Villa di Tigellio” (in alto).

Sacerdote di Osiride da Cagliari,


chiesa di Sant’Eulalia (in basso). convergenti verso la parte centrale della fronte. Indossa una corazza di tipo ellenistico con
gorgoneion sullo sterno, cingulum militiae girato attorno al torace e doppia serie di strisce di cuoio
Statua iconica di togato, da Porto Torres. pendenti dal bordo inferiore; sulla spalla sinistra il paludamentum, i sandali ai piedi e l’elmo
poggiato a terra.
Completano il gruppo scultoreo di Sant’Antioco le statue acefale di un togato (cat. n. 1.223),
Nella pagina accanto probabilmente velato capite, e di una igura maschile coperta solo da un mantello avvolto in-
Sacerdotessa isiaca da Cagliari, torno ai ianchi, secondo il tipo dello Hüftmantel, entrambe di età giulio-claudia. Pur in man-
santuario di via Malta (in basso). canza di dati certi e nell’impossibilità di identiicare con certezza i due personaggi, è possibile
ipotizzare che la statua eroica rafigurasse Augusto.
Statua iconica femminile da Porto Torres I due ritratti di Tiberio e di Claudio forniscono gli elementi per una datazione dell’intera gal-
(a destra). leria all’inizio del regno di quest’ultimo imperatore, cronologia particolarmente signiicativa

98
Simonetta Angiolillo

Statua di pescatore
da Porto Torres.

Nella pagina accanto


Statue di Bacco da Cagliari,
terme di viale Trieste.

100
La statuaria e la scultura decorativa

101
Simonetta Angiolillo

dal momento che, su base epigraica (sotgiu, 1988, B2; CIL X 7536), conosciamo l’esistenza
di proprietà private di Claudio nell’ager di Sulci. Se infatti quella di dedicare ritratti imperiali è
una tradizione diffusa e se non è sempre possibile né necessario individuare una motivazione
particolare per questa forma di omaggio, è d’altra parte sicuro che non è questo l’unico caso
in Sardegna in cui si possa additare un legame particolare tra la città dedicante e l’imperatore.
A Olbia il rinvenimento di uno dei migliori esemplari del tipo creato per celebrare l’inizio
del principato di Nerone (cat. n. 1.205), nel 54 d.C., non può essere disgiunto dalla presenza
nell’agro della città di latifondi e di fabbriche di laterizi di proprietà di Nerone, donati in
seguito alla sua concubina Atte. E un’altra statua dello stesso imperatore, questa volta in
bronzo, ridotta in numerosi e piccoli frammenti, è stata rinvenuta su una nave affondata nel
porto di Olbia alla metà del V secolo: secondo una pratica nota anche da altri relitti, la statua
era stata imbarcata quando era stata già intenzionalmente fatta a pezzi e aveva dunque perso
qualsiasi valore storico e artistico per mantenere solo quello monetario di materia prima fa-
cilmente riutilizzabile. È impossibile, allo stato attuale, individuare la collocazione originaria
della scultura, se cioè fosse stata caricata a Olbia o provenisse da un altro porto.
In questa città sono stati rinvenuti anche i ritratti di Domiziano e della moglie Domizia, o
della nipote Giulia, e uno di Traiano (cat. n. 1.206), probabili dediche a imperatori resisi
benemeriti nei confronti della popolazione: a età lavia risale infatti un intervento di ripristi-
no del porto insieme alla sistemazione monumentale dell’antistante foro, dove con grande
verisimiglianza dovevano essere esposti i ritratti imperiali. È interessante notare che il fatto
che su entrambi i ritratti lavi i guasti siano gli stessi, nonostante che solo l’imperatore fosse
stato condannato alla perdita delle immagini, non Domizia né Giulia, suggerisce l’ipotesi che
la forte corrosione che caratterizza le sculture sia addebitabile a danneggiamenti prodotti
dal tempo e dalla conservazione e che dunque la damnatio memoriae non fosse stata applicata,
come, del resto, è attestato anche ad Afrodisia in Caria.
Per l’omaggio di Olbia a Traiano, in mancanza di elementi concreti, C. Saletti ha ipotizzato
che i fundi assegnati ad Atte da Nerone, e forse tornati di proprietà imperiale dopo la morte
della liberta, possano esser stati poi donati alla città da Traiano (saLetti, 1989).
Un ritratto di Marco Aurelio in età avanzata (cat. n. 1.207) e uno della moglie Faustina mi-
nore (cat. n. 1.199) sono stati rinvenuti a Porto Torres; la stessa imperatrice, o una sua con-
temporanea, è rafigurata anche in una testa in stucco di dimensioni un po’ inferiori al vero,
rinvenuta nell’area della “Villa di Tigellio” a Cagliari. Le immagini forse di Filippo Minore
a Cagliari e di Costantino a Olbia costituiscono gli esemplari iconici più tardi della provincia.
Costantino è incoronato, con il gladio in mano e con cornucopia e globo a far da sostegno
(cat. n. 1.231); è possibile che la statuetta, date le sue piccole dimensioni, fosse destinata al
Frammenti della statua bronzea larario di una ricca domus.
di Nerone, da Olbia. È attestato anche un certo numero di statue iconiche, acefale: le più numerose sono le igure
maschili togate (cat. n. 1.221) o loricate, ma altri tipi, usati soprattutto per la famiglia impe-
riale, rafigurano il personaggio in nudità eroica (lo Hüftmantel a Sulci, o il tipo dello Zeus
Nella pagina accanto seduto, cat. n. 1.225, a Porto Torres). A Cagliari, nell’area di Sant’Eulalia, si è rinvenuta anche
Anasyrmene da Antas. la statua di un sacerdote di Osiride, di età adrianea (cat. n. 1.235).
Meno numeroso ma ugualmente interessante è il gruppo delle statue iconiche femminili:
Giove Dolicheno da Antas. oltre a una sacerdotessa di Iside del II secolo a.C. (cat. n. 1.212) di notevole livello qualitativo,

102
La statuaria e la scultura decorativa

probabilmente legata a committenza italica e proveniente dall’area del santuario di via Malta a
Cagliari, si possono ricordare due begli esemplari da Porto Torres (cat. n. 1.214) e da Quartuc-
ciu, che nel I secolo d.C. riprendono con diversa sensibilità il noto tipo della Kore prassitelica:
una igura femminile stante con ampio chitone, sul quale è avvolto un himation che passa sotto
il braccio destro lasciando scoperti la spalla e il seno, sale obliquamente sulla spalla sinistra
formando un rotolo voluminoso e si raccoglie con un ricco nodo sull’anca; da qui scende ino
all’altezza delle caviglie in una cascata di pieghe. Nonostante la sovrapposizione di chitone e
himation, la leggerezza dei tessuti lascia trasparire il modellato del corpo femminile. Al secolo
successivo appartiene la statua, ora collocata nel Giardino Pubblico di Cagliari, proveniente da
Uta dove era reimpiegata nella chiesa di San Tommaso. Si rifà al modello, molto famoso in età
ellenistica e romana, della Grande Ercolanese: ancora una igura femminile avvolta in un ampio
chitone e in un himation che le copre il capo e le imprigiona le braccia. Il volto è una integrazio-
ne ottocentesca; originale è invece l’acconciatura dei capelli, ravviati all’indietro con una sorta
di treccia che vi si sovrappone, eseguita con una peculiare lavorazione a traforo, secondo una
stilizzazione che trova l’unico confronto suficientemente puntuale in una moneta traianea raf-
igurante Matidia, nipote dell’imperatore. Per le loro dimensioni maggiori del reale è possibile
che tutte queste sculture rappresentassero imperatrici o divinità.
Di altre statue iconiche siamo informati inine da evidenze di carattere epigraico: merita
una menzione quella eretta pecunia publica nel foro di Cagliari in onore di un tribuno militare,
pretore e questore, di cui non si è conservato il nome; la statua doveva essere equestre per le
notevoli dimensioni della base. È da segnalare inoltre la notizia della dedica, a Bosa, di quattro
statue in argento ad Antonino Pio, alla moglie Faustina e ai igli adottivi Marco Aurelio e
Lucio Vero (CIL X 7939), di un peso variabile da 1047 a 371 gr. Si tratta di un uso che ci è
noto per esempio dal busto in argento di Lucio Vero al Museo di Torino o da quello in oro
di Marco Aurelio ad Avenches.
Accanto alle statue iconiche si conoscono rappresentazioni di divinità (cat. nn. 1.150, 1.213,
1.218), per lo più a carattere ornamentale o votivo; non sembrano infatti conservarsi in Sar-

103
Simonetta Angiolillo

Oscillum da Porto Torres.

Nella pagina accanto


Aristeo da Oliena (a destra).

Bronzetto rafigurante gladiatore,


provenienza sconosciuta.
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale
(a sinistra).

104
La statuaria e la scultura decorativa

105
Simonetta Angiolillo

degna statue di culto in marmo, gli unici probabili casi, ad Antas e a Olbia, sono rispettiva-
mente in bronzo e in terracotta (cat. n. 1.123). Alcuni esemplari sono di importazione: è stata
rinvenuta a Pula una Afrodite di dimensioni ridotte che si allaccia il sandalo, databile circa alla
metà del II secolo a.C. e lavorata nel rinomato marmo lychnites, la miglior qualità del marmo
pario. Allo stesso clima culturale, anche se di poco posteriore, appartiene una statuetta forse
in marmo pentelico, da Porto Torres, riconducibile all’altro tipo molto famoso della Anadio-
mene, l’Afrodite che si strizza i capelli dopo il bagno (cat. n. 1.210). Meritano una menzione
anche la bella statuetta acefala trovata a Cagliari che riprende lo schema della Musa con rotolo
di Philiskos di Rodi, la statua di un pescatore da Porto Torres, replica di un originale ellenistico
(cat. n. 1.226) e le rafigurazioni di Bacco stante con la pantera (cat. nn. 1.227, 1.230) e nella
replica del Dionysos tauros prassitelico, con minuscole corna taurine. Un’evidente funzione
decorativa aveva una serie di piccole erme, per lo più di qualità molto modesta: alcune sono
bifronti (cat. nn. 1.233, 1.234), con teste di satiri, sileni e Pan; altre, a Tharros e a Porto Torres,
rappresentano repliche di una testa maschile protetta da elmo calcidico con paragnatidi e cor-
na d’ariete sulla calotta e all’altezza delle orecchie (cat. n. 1.232), secondo un tipo molto dif-
fuso nel I secolo d.C., particolarmente a Pompei. Interessanti sono anche, rinvenuti a Porto
Torres, una statuetta rafigurante un cervo azzannato da un cane e un oscillum marmoreo (cat.
n. 1.197), elemento decorativo che veniva appeso nei peristili delle ville e delle case, molto
frequente a Pompei e nel Lazio, ma noto un po’ in tutto l’impero; l’esemplare turritano, forse
di età severiana, fa parte di un piccolo gruppo caratterizzato da una diversa lavorazione sulle
due facce: a rilievo molto basso e senza uso di trapano su un lato, in cui è rafigurato un efebo
alato che danza con una lunga benda in mano; a rilievo molto accentuato e con abbondante
uso di trapano sull’altro, in cui è lavorata una testa di divinità maschile con lunghi capelli e
barba (cat. n. 1.197).
Per la scultura in bronzo, il Nerone di Olbia e un dito di dimensioni maggiori del reale da
Antas costituiscono la preziosa testimonianza dell’esistenza di scultura bronzea di grandi
dimensioni in Sardegna: purtroppo, come insegna proprio il caso del relitto di Olbia, il valore
monetario del bronzo è stato il primo motivo della scomparsa di questi reperti. Molto più
ricca è invece la documentazione relativa alla piccola bronzistica, votiva e decorativa. Per
quanto attiene alla sfera religiosa, sono numerosi gli ex voto, tra i quali citiamo una singolare
anasyrmene dedicata nel santuario di Antas, igura femminile inginocchiata e in atto di scoprirsi
il ventre, di matrice ellenistica, probabilmente tolemaica, e poi rafigurazioni di Lari (cat. n.
1.151) e di varie divinità (cat. nn. 1.154, 1.155, 1.156): tra di esse Iuppiter Dolichenus, ad Antas,
dio siriaco dal forte carattere soteriologico, e Aristeo, il iglio di Apollo che insegnò agli uomi-
ni ad allevare il bestiame e le api, da Oliena (cat. n. 1153). Inine, da Padria, una mano votiva
di Sabazio nello schema della benedictio Latina, con anulare e mignolo piegati e le rimanenti
dita distese. La mano è coperta di motivi simbolici legati alla personalità del dio; in particolare
un serpente con valore salutifero, un ariete rafigurante la morte sconitta da Sabazio e una
donna con bambino, forse identiicabile con Cibele protettrice dei neonati.
Per i bronzetti decorativi possiamo citare la rafigurazione di un gladiatore da Ruinas presso
Oristano (cat. n. 1.152), oltre a un piccolo gruppo di appliques che dovevano decorare mobili
o suppellettili: una scimmia-gladiatore pertinente a una lucerna, un piccolo lanternarius ad-
dormentato nell’attesa del padrone, forse impugnatura di un bastone, un busto di sileno da
un fulcrum, una coppia costituita da un uomo anziano con rotolo in mano e dal suo giovane
lanternarius africano, probabile decorazione di un carro.
Al termine di questo esame, spunti di particolare rilessione offre la ritrattistica, dove la
stragrande maggioranza delle opere considerate rafigura membri della famiglia imperiale, se
non addirittura gli stessi imperatori. Mancano quindi ritratti di privati: i pochi che potrebbero
essere inclusi in questa categoria, sono comunque attribuibili a bottega Urbana e possono
essere considerati, proprio grazie alla loro unicità, relativi a magistrati o funzionari. Sembra
allora che la Sardegna, anche in virtù del carattere aniconico della cultura punica che condi-
ziona profondamente la tradizione dei Sardi, abbia continuato a sentire il ritratto come una
forma artistica estranea e non l’abbia fatto proprio, facendone dunque esclusivamente uno
strumento di propaganda del centro del potere. Per sua stessa natura, è ovvio, il ritratto è
sempre un mezzo di propaganda, di esaltazione personale, e come tale viene in genere usato
dalla classe dirigente, o anche più semplicemente da chiunque ne abbia la possibilità, ma in
Sardegna questo non sembra avvenire: l’unico esempio di ritratto di magistrati locali che

106
La statuaria e la scultura decorativa

possiamo indicare con certezza è quello della moneta coniata per la constitutio del municipio
caralitano. Su una faccia sono infatti rafigurati i busti maschili dei due sufeti con i loro nomi
Aristo Mutumbal Ricoce suf., e di questi uno è togato. L’intreccio di elementi provenienti da
culture diverse non potrebbe essere più evidente: Aristo, forse di origine greca, e Mutumbal
Ricoce sono sufeti, rappresentanti quindi di una magistratura di tradizione punica, ma la loro
immagine viene efigiata sulla moneta secondo un uso romano e uno dei due indossa addi-
rittura la toga.

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107
Simonetta Angiolillo

Busto femminile. Cagliari,


Museo Archeologico Nazionale.

108
La coroplastica votiva della Sardegna romana
Romina Carboni

Quando si parla di scultura ittile di età romana in Sardegna si fa riferimento a diverse tipo-
logie che spaziano dalla decorazione architettonica – un esempio per tutti è rappresentato
dalle terrecotte acroteriali del tempio di Antas – a quella cultuale tout court. Come ricorda
Sabatino Moscati, elementi imprescindibili per la comprensione di questa produzione sono i
«due iloni, non totalmente scissi ma certo ben differenziati, [che] possono ravvisarsi in tale
artigianato: quello colto e quello popolare. Il primo si lega alle suggestioni dell’eredità fenicia,
della presenza punica, e soprattutto dell’inlusso greco; il secondo rilette una produzione
spontanea che, rispetto a quelle suggestioni, si colloca in posizione di autonomia, di reazione,
o comunque di indipendenza» (Moscati 1992).
Tra i tanti casi attestati nell’Isola di artigianato cosiddetto colto, si può ricordare un com-
plesso che riveste un grande interesse sia per l’originalità dei reperti che lo contraddistingue,
dalla quale peraltro traspare un notevole livello di autonomia, che per la sua connessione con
le produzioni di votivi dei santuari italici: si tratta per la precisione delle terrecotte igurate
provenienti dalla laguna di Santa Gilla a Cagliari, cronologicamente inquadrate nel momento
di passaggio dall’età punica a quella romana. Le terrecotte, datate da S. Moscati tra la ine del
III e il II secolo a.C., sono caratterizzate da una grande varietà tipologica che comprende nu-
merose protomi maschili e femminili, altrettanto consistenti votivi anatomici, ino ad arrivare
alle poche teste femminili a tutto tondo e alle attestazioni di animali, quali tori, molossi, grii,
levrieri e coccodrilli. Le terrecotte sono realizzate con matrici stanche, se non addirittura con-
sunte, con riporti plasmati a mano e integrazioni realizzate con la stecca e la spatola. Il livello
tecnico nel complesso appare piuttosto elevato e probabilmente è da ricondursi ad un’unica
oficina dove lavorano artigiani qualiicati, forse di origine africana, che si specializzano nella
produzione di determinate tipologie di materiali.
Tra gli ex voto anatomici si ricorda la prevalenza di mani: alcune reggono il portarotoli, altre
un serpente – con un chiaro riferimento a culti di natura egizia –, ino ad arrivare alle cosid-
dette mani chiromantiche. Queste ultime sono così chiamate per via della presenza di diverse
linee incise corrispondenti a quelle del cuore, della vita e della testa, oltre a due rigoniamenti
plastici a indicazione del “monte di Venere” e del “monte della luna”. Se questi esemplari
costituiscono una peculiarità esclusiva del contesto di Santa Gilla, altrettanto può dirsi per
alcune terrecotte a forma di animali, tra i quali si ricordano i levrieri, rafigurati con le zampe
anteriori protese in avanti, e le teste di coccodrilli, che ancora una volta rimandano all’ambito
cultuale egiziano.
Accanto ad esemplari connotati da un grande livello di originalità, si ritrovano elementi – legati
soprattutto alle protomi, alle teste, nonché ai votivi anatomici e ad alcuni animali più “classici” –
che richiamano i depositi votivi italici, rispetto ai quali mancano qui le attestazioni di statuette,
bambini in fasce, mezze teste ed ex voto anatomici, quali orecchie, lingue, organi genitali ecc.
Notevoli afinità con il complesso di Santa Gilla si ravvisano in un altro contesto di alto
livello, quello di Padria, l’antica Gurulis Vetus. Quest’ultimo, datato tra il IV secolo a.C. e il
III d.C. e dunque a cavallo tra il periodo inale dell’età punica e la piena età romana, si ca-
ratterizza per il ricorso a modelli ellenistici che vengono rielaborati da maestranze altamente
qualiicate. L’area sacra in questione, collocata ai piedi di una delle tre colline che delimita-
no il centro di Padria in corrispondenza della località di San Giuseppe, è stata interpretata
come un santuario a cielo aperto. Tra i materiali venuti alla luce, la cui frammentazione viene
considerata intenzionale, si segnala, insieme a ceramica e frammenti ossei di incinerati, una
rilevante quantità di ittili votivi. Questi ultimi sono attestati da numerosi esemplari di ex voto
anatomici (mani, piedi, dita, occhi, orecchie, organi interni, cat. nn. 1.126-1.131), da rafigu-
razioni di animali o di parti di essi (serpenti, leoni, bovini, equini, colombe, galletti, rapaci,
cat. nn. 1.132-1.135), di frutti (mela, melagrane, ichi) e di vegetali (foglia, iore), statuette,
teste, protomi, maschere (cat. nn. 1.103-1.115) e per inire elementi architettonici (capitelli,

109
Romina Carboni

colonne, decorazioni). Le terrecotte che riproducono igure maschili e femminili, nude e pan-
neggiate, in alcuni casi adorne di gioielli, possono riferirsi a divinità e ad eroi, ma nel caso di
forte caratterizzazione isionomica si può pensare a dei veri e propri ritratti. Se i materiali – in
particolare gli ex voto anatomici, il gallo e il serpente (cat. n. 1.134) – orientano verso un culto
di ambito salutifero, la presenza di terrecotte rafiguranti Eracle con leontè, nonché le clave
(cat. n. 1.136), portano a riconoscere nella divinità destinataria del culto proprio il mitico
fondatore della colonia di Ogryle.
I reperti sono stati realizzati a stampo o a mano, con l’ausilio della stecca, della spatola e
di uno strumento a pettine. Le matrici di riferimento appaiono stanche e consunte; si può
osservare un’alternanza tra tipi accurati, come le protomi, ed altri sommari, come nel caso
dei volti maschili e femminili e dei busti. Se le afinità con il complesso di Santa Gilla, forse
da ascrivere alla presenza di coroplasti vaganti o alla trasmissione di matrici, sono indubbie
– in particolare per la resa dei volti, per la presenza delle mani a dita piegate o per la rappre-
Protome femminile da Cagliari, sentazione del serpente –, altrettanto evidente appare il nesso con complessi votivi di tipo
Santa Gilla. etrusco-laziale-campano, dai quali quello in esame si discosta per l’assenza di rafigurazioni di
bambini in fasce e di organi genitali, con l’eccezione di un utero. Sulla base dell’osservazione
Levriero da Cagliari, Santa Gilla. della tecnica utilizzata, si può ipotizzare che ci si trovi davanti a manufatti realizzati in diverse
oficine che, pur mostrando differenti livelli di abilità tecnica, operano nella stessa area dando
Testa di coccodrillo da Cagliari, vita a prodotti ascrivibili in parte al ilone dell’artigianato “colto”, in parte a quello deinito
Santa Gilla. “popolare”. Date le analogie tecniche, è verosimile pensare che esistessero botteghe miste
che realizzavano i loro prodotti per una doppia committenza, elemento quest’ultimo che
Mano “chiromantica” da Cagliari, potrebbe aver inluito anche nelle scelte selettive di alcune tipologie di terrecotte a discapito
Santa Gilla. di altre, come è ravvisabile nel complesso di Santa Gilla.

110
La coroplastica votiva della Sardegna romana

Maschera femminile da Padria (in alto).

Testa femminile da Padria.

Elemento architettonico ittile da Padria.

Nella pagina accanto


Ex voto ittile (frutto) da Padria.

111
Romina Carboni

Statua di incubante da Nora,


tempio c.d. di Esculapio.

Statuetta da Neapolis.

Statuetta da Bithia.

Nella pagina accanto


Statuetta di adorante da Nora,
tempio c.d. di Esculapio.

Il legame inscindibile tra l’artigianato popolare e quello colto, al quale il primo si ispira
elaborandolo con risultati spesso irriconoscibili, è evidente in numerosi contesti della Sar-
degna tardopunica-romana. Tra questi se ne citano qui due relativi alla sfera cultuale di am-
bito salutare che, pur essendo di matrice punica, presentano una continuità d’utilizzo ino
all’età romana: il primo di questi è Neapolis, con attestazioni che si concentrano nel IV-III
secolo, con attardamenti ino al II secolo a.C., il secondo Bithia, la cui fase di vita principale
è inquadrabile tra il III e il I secolo a.C. La caratteristica che li differenzia sta nella tecnica di
produzione dei materiali che talvolta si rifà prevalentemente alla modellatura a mano, come a
Neapolis, talaltra a quella al tornio, come nel caso di Bithia.
Per quanto riguarda il primo contesto si ha a che fare con un complesso di votivi costituito da
terrecotte igurate realizzate in argilla locale per lo più plasmate a mano a tutto pieno (virili o
muliebri, nude e stanti), igurine e vasi plastici realizzati al tornio, votivi anatomici plasmati a
mano o al tornio, pinakes e frutti. La maggior parte delle terrecotte è ascrivibile al gruppo del-
le statuine di terracotta massiccia, rafigurate con corpo cilindrico, testa sferoidale distinta e
con le mani disposte in corrispondenza di differenti parti del corpo, in particolare degli occhi,
forse ad indicare le parti “malate” per le quali si chiedeva alla divinità la guarigione (da qui il
nome di “devoti sofferenti”). La diffusione, tipicamente insulare, delle statuette in questione
di contro alla minore attestazione nell’Isola degli ex voto anatomici, in particolare degli organi
interni, potrebbe essere legata alla volontà degli offerenti di offrire oggetti personalizzati con
la rappresentazione della igura umana nella sua interezza, sostituendo la parte con il tutto.
La tipologia delle terrecotte del deposito votivo di Neapolis indirizza verso un’interpretazione
del complesso in chiave popolare, come sembra emergere sia dalla collocazione suburbana
del santuario di pertinenza, come nel caso di Bithia, sia dalla tipologia degli ex voto, realizzati
in economia. Una particolarità del deposito di Neapolis sta nel limitato numero di statuette
realizzate al tornio che, secondo R. Zucca, costituirebbero «[…] un adattamento dell’artigia-
nato locale del predominante tipo bitiense» (zucca 2005).
Il deposito votivo di Bithia proviene in parte da una fossa posta nelle vicinanze di una strut-
tura templare a cella tripartita, il cosiddetto tempio di Bes, in parte dall’interno della cella dello
stesso, laddove si è rinvenuta anche la statua del dio. Il deposito ha restituito terrecotte igurate
– in particolare votivi anatomici –, ceramica e monete di età punica, romano-repubblicana e
imperiale. La produzione votiva si caratterizza, come già anticipato, per l’assoluta prevalenza
delle igurine al tornio, appartenenti a due diverse tipologie – l’una campanata, per via della
base aperta, e la seconda ovoidale, a base parzialmente chiusa – entrambe riconducibili alla
rafigurazione dei cosiddetti devoti sofferenti. La presenza di questi ultimi, in associazione con
gli ex voto ittili, permette di far riferimento sia nel caso di Bithia che in quello di Neapolis ad una
divinità guaritrice come destinataria del culto. Questi due luoghi di culto sembrano rispondere

112
La coroplastica votiva della Sardegna romana

alla diffusione nell’Isola di precise divinità connesse con la sfera salutare, in primis il punico
Eshmun, che si identiica in età romana con Esculapio, l’equivalente del dio greco Asclepio.
Una signiicativa testimonianza cultuale legata al dio è il cosiddetto tempio di Esculapio
messo in luce a Nora presso Sa Punta ‘e su Coloru. La struttura fu interessata da diverse fasi
edilizie che ne rendono dificile la ricostruzione cronologica, anche se si è quasi certi di un
impianto ascrivibile almeno al II secolo a.C.; si arriva poi ino al IV secolo d.C., periodo a cui
si data il pavimento musivo, e ancora oltre con strutture forse di VI-VII secolo d.C. L’attri-
buzione ad Esculapio, tuttora incerta, è basata sul rinvenimento sotto il piano di calpestio del
corridoio di sei statue pertinenti al II secolo a.C.: due statue, una delle quali con un serpente
avvolto lungo il corpo (cat. n. 1.102), rafigurano incubanti e quattro, di dimensioni minori,
devoti del dio Asclepio. Mentre solitamente i culti di natura salutare sono legati al dono di
ex voto anatomici o di rafigurazioni di devoti, in questo caso ci si trova davanti alle uniche
attestazioni conosciute di ex voto con rafigurazione di incubanti. Accanto ad una certa eclet-
ticità mostrata dal coroplasta che fonde elementi di tradizioni diverse, emerge chiaramente
l’inluenza di modelli italici – ai quali rimandano sia le rafigurazioni di devoti che la resa dei
tratti dei volti – la cui diffusione è attestata grazie a queste dediche già nel II secolo a.C.
Oltre alle terrecotte provenienti da depositi votivi, numerose sono le attestazioni di sculture
in terracotta di provenienza incerta o sconosciuta, ma riferibili a divinità precise. Ad età im-
periale risale una particolare tipologia di terrecotte votive relative ad un culto di natura agraria
ed inquadrabile tra la ine del I e la ine del II secolo d.C.: la cosiddetta Sarda Ceres (cat. nn.
1.117-1.118). Queste rafigurazioni, provenienti esclusivamente da nuraghi, con l’eccezione
del caso di Olmedo, si caratterizzano per la diffusione areale limitata esclusivamente alla
Sardegna, e più precisamente al solo versante nord-occidentale. Nello speciico si tratta di
rafigurazioni di piccole dimensioni – comprese tra i 12 e i 19 cm – di busti ittili realizzati a
matrice e rafiguranti una divinità femminile a mezzo busto con polos, diadema e velo. Il viso
è incorniciato da lunghi capelli che ricadono sulle spalle, lasciando talvolta visibili le orecchie
spesso adorne di orecchini emisferici. Il capo è sormontato da un kalathos che può recare de-
corazioni di diverso tipo, tra le quali una o più spighe di grano. Il busto è coperto sul davanti
da una veste resa in maniera schematica con un panneggio più o meno stilizzato, mentre il
retro può essere liscio o presentare un’indicazione del drappeggio con colpi di stecca. Tal-
volta fa la sua comparsa sul retro, inciso o grafito in caratteri capitali, anche un marchio di
fabbrica, riferibile al nome dell’artigiano o del proprietario.
Esistono due principali sottotipi che caratterizzano questa produzione e che si differenziano
per la resa più o meno naturalistica e per la forma più o meno slanciata del busto. All’interno
del primo sottotipo rientra un esemplare conservato al Museo di Porto Torres (cat. n. 1.118),
caratterizzato da una sagoma asimmetrica e da un basso piedistallo cilindrico. Il polos non alto
– caratteristica tipica del primo sottotipo insieme al piedistallo non accentuato – è decorato
con una spiga posta in posizione centrale. Dall’alto diadema lunato si dipartono i capelli lisci
resi con tratti obliqui paralleli e divisi da una scriminatura centrale. Il busto è coperto da una
veste con scollatura a V dai tratti stilizzati che sulle spalle sono resi con solchi verticali, men-
tre il seno è indicato, appiattito, mediante spirali. Il lato posteriore, come avviene spesso negli
esemplari del primo gruppo, presenta un bollo impresso tra le spalle nel quale si legge LVCI,
riferimento all’oficina di Lucius.
Più slanciato e dal maggiore effetto naturalistico è invece un busto conservato nel Mu-
seo Archeologico di Cagliari che permette di apprezzare i caratteri distintivi del secondo
sottogruppo di questa produzione. Si tratta di un busto dalla forma più espansa rispetto
all’esempio precedente e dal proilo continuo, nel quale si staglia un alto polos arrotondato con
decorazione a spiga di grano e un basso diadema arrotondato (cat. n. 1.117). Il viso è incorni-
ciato dai capelli ondulati che lasciano scoperte le orecchie abbellite da orecchini emisferici e
dal velo, il cui bordo è indicato da due solchi visibili lateralmente. La veste ha uno scollo a V e
il seno è reso con due motivi a spirale asimmetrici, mentre sulla parte posteriore il panneggio
è indicato con un motivo a spina di pesce.
I ittili in questione sono riconducibili ad una divinità femminile connessa alla sfera agraria,
che in piena età romana è assimilata a Cerere per via della compresenza di diversi elementi:
una o più spighe sul kalathos, che riportano la divinità ivi rafigurata alla sfera agraria, e l’asso-
ciazione di spighe, polos, diadema e velo che è propria, insieme alle bende, dell’iconograia del-
la dea in questione. Secondo C. Vismara, è possibile che i busti siano da ricollegare a cerimo-

113
Romina Carboni

Statuetta votiva da Nora,


ex area militare.

Nella pagina accanto


C.d. “Dama di Nora”, da Nora.

Muso di animale da Nora.

nie simili ai Cerealia, forse in questo caso di carattere privato in connessione con la diffusione
delle colture cerealicole (visMara 1980). Questi manufatti possono essere considerati eredi
dei thymiateria a testa/busto femminile di epoca punica o romana di fattura punicizzante (cat.
nn. 1.97-1.98), anche se mostrano una evidente cesura rispetto ai prodotti precedenti in virtù
del fenomeno di adattamento della produzione artistica alle forme della cultura egemone. Se
i thymiatheria si inquadrano infatti perfettamente in quello che è l’ambiente culturale punico, i
busti su piedistallo sono invece un prodotto propriamente romano.
Questo, deiniamolo così, “passaggio” ha come conseguenza una progressiva defunzionaliz-
zazione del ittile votivo. A differenza infatti di quanto avveniva con i thymiateria a testa/busto
femminile che rivestivano anche una funzione pratica – quella di bruciaprofumi –, i piccoli
busti possono essere considerati come ittili votivi tout court, essendo infatti sprovvisti di
tracce di bruciato e di foro di aerazione. Questa graduale defunzionalizzazione, ravvisabile
già in alcuni esemplari di thymiateria, è testimoniata da alcuni esemplari di ittili che possono

114
La coroplastica votiva della Sardegna romana

essere inquadrati in una tipologia “intermedia” provvista di caratteristiche proprie in parte


dei thymiateria – il foro di siato e la forma chiusa – ed in parte dei piccoli busti ittili – in
particolare per quanto riguarda la resa della veste, gli attributi rafigurati, nonché per la qualità
dell’argilla e per la presenza frequente della irma. Un esempio è costituito da un esemplare
conservato al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari: si tratta di un busto ittile di divinità
femminile con il capo provvisto di un largo polos decorato con tre spighe di grano con sot-
tostante diadema lunato. Il viso è incorniciato dai capelli che ricadono sulle spalle e lasciano
scoperte le orecchie adorne di orecchini emisferici. La veste è resa in modo naturalistico
con pieghe in corrispondenza del seno e delle braccia e presenta lo scollo a V. Come risulta
evidente, le caratteristiche iconograiche indirizzano questo esemplare verso la tipologia dei
busti ittili, mentre la presenza del foro di siato nel lato posteriore e la forma chiusa sono
evidenti indizi del collegamento con i cosiddetti thymiateria a testa/busto femminile.
A differenza di quanto avviene per questi ultimi che trovano ampio riscontro in tutta l’area
mediterranea, non sembrano esistere confronti tipologici puntuali per i piccoli busti del nord
Sardegna. È interessante osservare però come dal punto di vista morfologico esistano afinità
con le rafigurazioni dei busti di Iside e di Serapide del II secolo d.C., pertinenti prevalente-
mente ad anse plastiche di lucerne, nonché con alcune produzioni egiziane di periodo elle-
nistico-romano, come si può dedurre dall’osservazione di un canopo ittile da Alessandria.
Frutto di un fenomeno sincretico tra Cerere e Iside, entrambe divinità connesse alla sfera
agraria e la cui popolarità in un culto comune trova riscontro tra la ine del I e il II secolo
d.C., potrebbe essere anche l’afinità esistente tra l’effetto visivo che suggerisce l’incrocio
delle pieghe della veste dei busti di Cerere e quello del nodo isiaco.
Prima di concludere questa breve disamina sulle terrecotte della Sardegna romana, appare
utile fare un accenno ad alcuni rinvenimenti avvenuti in passato, e recentemente ripresi e
analizzati, e ad altri avvenuti in tempi recenti nel territorio di Nora. Tra il 1978 e 1984 furono
condotte nei fondali prospicienti Nora, presso il promontorio della torre di Sant’Eisio e
dell’antistante Isola del Coltellazzo, esplorazioni subacquee, coordinate da M. Cassien, che
portarono al recupero dei carichi di alcuni relitti, forse in numero di tre. Uno di questi è
pertinente ad un’imbarcazione punico-ellenistica, inquadrata cronologicamente tra il III e
il II secolo a.C., che ha restituito numerosi frammenti di terrecotte votive relative a igure
panneggiate, elementi anatomici, rafigurazioni di animali, e di parti di essi, nonché teste ittili
di grandi dimensioni, recentemente analizzati da A.R. Ghiotto. Una di queste, la cosiddetta
Dama di Nora, è ritenuta da S. Angiolillo una testimonianza della produzione artistica romana
di età repubblicana, inluenzata dalla cultura medio-italica – alla quale riportano anche gli ex
voto anatomici, le teste e le statuette. Si tratta di una testa a tutto tondo internamente cava
realizzata a stampo, per la quale si è ipotizzata, viste le dimensioni (h. 50 cm), l’appartenenza
ad una statua di culto.
Se questo esemplare, così come le altre teste rinvenute, riportano a modelli di alto livello e
dunque ad un artigianato “colto”, la presenza di alcuni ex voto anatomici e le rafigurazioni di
animali orientano invece verso una produzione più popolare. Ne costituiscono un esempio le
orecchie e i musi di animali lavorati a mano, la resa dei quali è ben distante da quella dettaglia-
ta e accurata degli animali di Santa Gilla. Questa compresenza di artigianato “colto” e “popo-
lare” non può non ricordare il già menzionato contesto di Padria, con il quale sembra infatti
di poter istituire un valido confronto; come ricorda A.R. Ghiotto, i due contesti «da un lato
sembrano rifarsi ai comuni modelli di Santa Gilla per quanto riguarda le produzioni “colte”,
dall’altro palesano signiicative analogie tecniche e tipologiche relativamente a classi di ma-
nufatti riferibili al ilone “popolare”» (ghiotto 2014). Sebbene non sia semplice deinire la
provenienza di queste terrecotte, A.R. Ghiotto ha ipotizzato, sulla base dell’analisi tipologica,
stilistica e formale di parte dei reperti, che si possa parlare di una produzione extra-insulare,
probabilmente italica, o al massimo di una produzione locale della zona di Nora legata a ma-
estranze itineranti o all’importazione di matrici «magari su sollecitazione di una committenza
locale di origine italica o di estrazione ilo-romana». Altrettanto problematica appare anche
la deinizione del luogo di destinazione delle terrecotte e l’individuazione del relativo culto.
Con le debite cautele del caso, si è ipotizzato che i reperti potessero essere destinati al già
citato santuario urbano cosiddetto di Eshmun, data anche la presenza delle rafigurazioni di
parti di animali interpretabili come ex voto, delle teste votive e dei votivi anatomici tra i quali
compare un probabile utero. Secondo A.R. Ghiotto, «alla già nota valenza medica e salutifera

115
Romina Carboni

del complesso sacro, al cui interno il culto di Asclepio/Esculapio potrebbe essere stato asso-
ciato a quello di Igea o di qualche altra divinità ignota, si afiancherebbe verosimilmente un
più speciico riferimento alla sfera della procreazione, evocata dalla probabile riproduzione
dell’organo genitale femminile interno».
Sempre da Nora, e più precisamente dall’ex area della Marina militare, sono venute alla luce
diverse tipologie di terrecotte riconducibili a statuette antropomorfe, protomi, placchette
votive ed ex voto anatomici provenienti da un contesto di recente acquisizione. Si tratta per
la precisione di esemplari realizzati a stampo, alcuni dei quali prodotti con matrici stanche
che ne hanno causato, complici le condizioni dell’ambiente di giacitura e la qualità modesta
dell’argilla utilizzata, la perdita di numerosi dettagli. Il livello di produzione dei manufatti ap-
pare modesto, riconducibile probabilmente ad una manifattura locale che contrassegna anche
altri rinvenimenti provenienti dalle aree circostanti. Le terrecotte in questione sono caratte-
rizzate da uno stato di conservazione frammentario che ha consentito la restituzione parziale
delle teste di statuette, sia maschili che femminili, e solo saltuariamente dei busti o della parte
inferiore del corpo. In numerosi casi, lo stato di usura dei reperti non permette tuttavia di
distinguere il genere delle terrecotte, anche se si è potuto constatare come le teste muliebri
siano in genere capite velato. Tra queste ne è stata rinvenuta una ricoperta da un ingobbio in
stucco bianco e da pittura rossa, ancora parzialmente individuabile sia sulla parte anteriore
che su quella posteriore del capo. Il tipo iconograico risale a modelli di matrice medio-italica
che si diffondono nell’Isola durante gli ultimi secoli della repubblica, con acme durante la
piena età ellenistica sia nella stessa Nora che in diversi altri siti della Sardegna.
Accanto a questi esemplari si sono rinvenute anche statuette votive intere che presentano rei-
terata la medesima iconograia sul lato anteriore, mentre il retro è liscio e provvisto del foro di
aerazione. Si tratta di una serie di esemplari – la cui altezza varia dai 14 ai 20 cm – realizzati a
matrice, nei quali è visibile il bordo che indica la linea di giunzione verticale tra le due parti che
compongono il manufatto. Il soggetto a rilievo presenta una igura femminile a seno scoperto
e nuda ino alla zona pubica, con le gambe coperte da una veste. La parte superiore del corpo
è incorniciata da un velo a conchiglia e le braccia della igura sono portate entrambe alla testa;
i capelli, resi con linee ondulate sulle tempie, incorniciano il viso e ricadono sulle spalle. Alla
destra della igura femminile se ne trova una seconda di dimensioni minori relativa ad un perso-
naggio maschile barbato, dai tratti grotteschi, nudo, anch’egli con le braccia sollevate, apparen-
temente ad imitazione della igura principale: il braccio destro è portato al capo, mentre quello
sinistro sembra sparire dietro la igura femminile. Le statuette in questione, tuttora in corso di
studio, sembrano inserirsi all’interno di un sostrato culturale dalla forte inluenza orientale, in
una forma sincretica con divinità dalle prerogative simili, quali Iside, Demetra ed Afrodite.

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117
Romina Carboni

Urna cineraria. Cagliari,


Museo Archeologico Nazionale (fronte).

118
La scultura funeraria
Ciro Parodo

L’archeologia della morte è stata negli ultimi anni al centro di un intenso dibattito scientiico,
scaturito da un rinnovato approccio di natura interdisciplinare nei confronti dello studio dei
costumi e dei rituali funerari antichi. Entro un tale orizzonte ermeneutico non deve tuttavia
essere trascurata la sempre decisiva rilevanza esercitata da un’indagine di carattere iconolo-
gico quale strumento di ricerca del valore semantico codiicato nell’uso e nella funzione di
un’immagine. L’analisi del linguaggio formale adottato a Roma in un tale contesto tematico,
inteso come rilessione sui segni iconici nella loro accezione di indicatori storico-culturali
dei fenomeni socio-politici e delle dinamiche ideologiche, costituisce l’obiettivo primario di
questo contributo sulla scultura funeraria in Sardegna in età romana.
Le testimonianze offerte dalle fonti e dalle evidenze archeologiche consentono di veriicare
come sia le canoniche pratiche funerarie dell’incinerazione e dell’inumazione, che le più
tradizionali forme cultuali romane afferenti alla dimensione ctonia fossero diffuse anche in
Sardegna. Rammentiamo a tal proposito i casi dei Parentalia, festività dedicata alla comme-
morazione dei defunti tra il 13 e il 21 febbraio, la cui celebrazione è attestata a Nora nel 55
a.C. (Cic. Scaur. 6, 10), e dei refrigeria, eredi dell’ancora radicata tradizione pagana dei pasti
funebri rituali, consumati nelle necropoli paleocristiane di San Cromazio di Villaspeciosa e
di Cornus.
L’analisi della scultura funeraria romana in Sardegna permette di evidenziare due problema-
tiche relative alle classi di materiali documentate: una di carattere quantitativo, riferibile alla
limitata attestazione di alcune di esse – come le urne cinerarie –, e un’altra di natura qua-
litativa, concernente l’affermazione di determinate classi ampiamente diffuse nel resto del
mondo romano – come le stele –, ma che nell’Isola sono reinterpretate alla luce di speciiche
varianti locali. Per quanto riguarda le sopraccitate urne, ricordiamo i due esemplari di pro-
venienza urbana, rinvenuti a Carales e Turris Libisonis, realizzati in marmo e con coperchio
a spioventi, ascrivibili a un arco cronologico compreso tra il I e gli inizi del II secolo d.C.
Le due urne presentano una struttura compositiva analoga incentrata intorno alla tabula che
nell’esemplare cagliaritano, il più antico tra i due, è anepigrafe ed è inquadrata da un festone
di frutta pendente dalle corna di protomi di ariete collocate agli angoli superiori della cassa.
Quella turritana, invece, di cui l’epigrafe ci rivela il nome del defunto, il liberto Caius Vehilius
Rufus, si contraddistingue per una certa esuberanza nell’ornamentazione che si palesa nel
ricorso a elementi decorativi di tipo mitologico, quali teste di Giove Ammone e singi, indici
dell’affermazione del culto isiaco a Turris Libisonis tramite i documentati rapporti con le città
campane e Ostia (cat. n. 1.188).
Esigue sono le testimonianze di un apparato decorativo scultoreo relativo alle tipologie mo-
numentali dell’edilizia funeraria. L’esempio più celebre è rappresentato dall’ipogeo di Atilia
Pomptilla, comunemente conosciuto come “Grotta delle Vipere” per via dell’immagine dei
due serpenti affrontati che ne decorano il frontone, localizzato alle pendici della necropoli
di Tuvixeddu. Il sepolcro, realizzato tra la seconda metà del I e gli inizi del II secolo d.C., è
deinibile come un heroon sulla base sia dei caratteri architettonici che lo contraddistinguono,
con il prospetto di tipo templare distilo in antis, sia dei quattordici carmina, sette in latino e
altrettanti in greco, compresi nell’apparato epigraico dell’ipogeo (CIL X 7563-7578), attra-
verso i quali la defunta viene esaltata per le sue virtutes coniugali.
Altrettanto interessante è il monumento a fregio dorico ritrovato ancora a Cagliari, presso le
strutture sovrapposte alla fullonica di via XX Settembre, che costituisce l’unica attestazione in
Sardegna di una classe di materiali dalla decorazione di matrice ellenistica, come documentato
in particolare dalle stele greche di area micro-asiatica, ben diffusa nel mondo italico in età
tardorepubblicana nella sua duplice variante con la base che sorregge un’edicola o un’iscrizio-
ne e il fregio. In questo esemplare l’epigrafe funeraria si è preservata su uno dei tre blocchi
rimasti, mentre gli altri due sono decorati con un fregio costituito da triglii e metope ornate

119
Ciro Parodo

con motivi alternati di un iore a sei petali e di una patera ombelicata (cat. n. 1.194). L’iscrizio-
ne ci informa che il sepolcro era pertinente a C(aius) Apsena C(ai) f(ilius) Pollio che per ragioni
onomastiche possiamo reputare etrusco, verosimilmente appartenente a quelle classi medie
centro-italiche che tra il II e il I secolo a.C. furono coinvolte nei lussi migratori diretti verso
la provincia Sardinia.
Trasferendoci a Sulci, desta notevole interesse un altro monumento funerario, conosciuto
come “Sa Presonedda”, che si contraddistingue per un impianto architettonico di matrice pu-
nico-ellenistica. Il sepolcro, risalente a un arco cronologico compreso tra il II secolo a.C. e il
I d.C., consiste in un mausoleo a struttura piramidale alto circa quattro metri e costituito da
una camera funeraria ipogeica a cui si accede mediante una scalinata. Il vano è chiuso da una
porta a coulisse, ornata su entrambe le facce da una decorazione a rilievo: quella esterna da
un motivo rettangolare, risultato della connessione di due elementi paralleli e due trasversali,
e quella interna da uno circolare. Se in passato i due motivi sono stati interpretati rispetti-
vamente come un prospetto architettonico di tipo ellenistico e una ruota a sei raggi, oggi si
tende a riconoscere nel primo un dokanon e nel secondo una stella, due elementi iconograici
ascrivibili all’orizzonte soteriologico del culto dei Dioscuri, e dunque funzionali a sottolinea-
re la rivendicazione d’immortalità da parte della committenza, secondo modelli ideologici già
estesamente diffusi nel mondo italico.
Se alcuni indizi confermano la realizzazione del monumento in età romana, come la messa
in opera dei blocchi trachitici squadrati legati con malta di calce, d’altra parte la sua caratte-
ristica struttura piramidale richiama il tipo del mausoleo-torre che trova puntuali confronti
in area nordafricana, come a Beni-Rhenane, El-Kroube e Dougga dove, fra III e II secolo a.C.,
la più radicata tradizione punica rileva i decisivi apporti della koinè ellenistica. I suoi effetti,
evidentemente sottoposti a un’ulteriore rilettura, sono percepibili a partire dal I secolo a.C.
anche nell’ambito dell’edilizia funeraria romana, come dimostrano i numerosi monumenti
italici e provinciali a naiskos, quali ad esempio le tombe cosiddette “di Gerone” a Siracusa e
“degli Scipioni” a Tarragona, o di Lucius Poblicius a Colonia.
Un analogo ibridismo culturale emerge da una cospicua serie di stele in pietra locale, datate
tra la ine dell’età repubblicana e quella primo-imperiale, generalmente di forma paralle-
Urna cineraria. Cagliari, lepipeda e lavorate con le tecniche del rilievo piatto o dell’incisione (cat. nn. 1.183-1.187,
Museo Archeologico Nazionale 2.33-2.34). Sulla base di differenze di natura iconograica, le stele, concentrate in particolare
(particolare della protome di ariete). nelle aree del Sassarese e dell’Oristanese, sono state suddivise in due modelli, “a specchio” e
“a toppa di chiave”, secondo due denominazioni confacenti al tipo di rafigurazione schema-
Urna cineraria. Cagliari, tica del defunto, ovvero con il collo realizzato a linee parallele o divergenti. Originariamente
Museo Archeologico Nazionale (fronte). utilizzate come segnacoli di tombe a incinerazione, in seguito sono state reimpiegate anche

120
La scultura funeraria

per realizzare le pareti e la copertura di sepolture a fossa, come nel caso della tomba n. 20 del-
la necropoli di San Leonardo a Viddalba che ha restituito il numero più cospicuo di esemplari.
Interessanti indizi circa l’attività lavorativa del defunto potrebbero essere forniti dalle saltuarie
immagini di alcuni oggetti, quali una nave, un falcetto e un aratro, come nei casi di tre stele ri-
spettivamente di Castelsardo, Ossi e Viddalba, riferibili a un miles classiarius oppure a un mercan-
te dedito al commercio marittimo (cat. n. 1.184), e a degli agricoltori. Tra le stele iscritte, l’utiliz-
zo della formula canonica dell’adprecatio Dis Manibus e di un sistema onomastico basato sull’uso,
per quanto irregolare, dei duo nomina rilettono l’adeguamento della committenza locale ai più
consueti modelli socio-culturali romani (cat. n. 2.34); un atteggiamento ribadito dall’adozione
di speciiche dinamiche visuali di auto-rappresentazione che trovano traduzione nell’immagine
stessa del defunto, seppur realizzata in maniera sommaria.
Questi semata funerari rivestono una peculiare importanza in quanto documentano quel-
la sintesi di molteplici codici culturali tipica della Sardegna, da quelli punici, ancora vitali
nell’Isola e che trovano espressione nella disorganica resa anatomica dei soggetti rafigurati,
comparabile con quella che caratterizza le stele iconiche di Mactaris e i muñecos di Baelo Claudia,
datati al I-II secolo d.C., siti romani di radicata tradizione cartaginese, ino a quelli italici. Gli
inlussi artistici provenienti dalla Penisola risultano palesi, ad esempio, dal confronto con i
cippi funerari a busto tarantini e le columellae campane, la cui produzione si concentra tra il I
secolo a.C. e il I secolo d.C., che si contraddistinguono per una sintassi decorativa sintetica
analoga a quella delle stele sarde.
Ugualmente interessanti, in quanto testimoni della continuità di tratti culturali encorici, sono
altri monumenti funerari, come la stele di Foronto e il cippo di Quintus Volusius Nercau, entrambi
provenienti da Sedilo e datati tra il I e il II secolo d.C. Il primo presenta sulla parte sommitale
l’immagine abbozzata del volto del defunto, scolpito secondo lo schema a T ricorrente nella
bronzistica nuragica; mentre il secondo, che riporta un’epigrafe con un antroponimo di chiara
matrice indigena, è decorato sul registro superiore con due cerchielli incisi a imitazione di due
occhi, che suggeriscono un ipotetico confronto con quelli delle statue di Mont’e Prama.
L’altra tipologia sepolcrale che ci apprestiamo ad analizzare, quella delle cupae, è ampiamente
documentata nel mondo romano, in particolare nelle aree iberica e nordafricana tra II e III
secolo d.C. Si tratta di monumenti funerari caratterizzati da uno zoccolo e da una copertura
di forma semicilindrica, associati a sepolture a incinerazione o a inumazione, che possono
essere realizzati in muratura o lavorati in un blocco monolitico, il cui modello deriva verosi-
milmente dalle tombe a tumulo (cat. n. 1.182). In Sardegna le cupae, il cui uso è attestato so-
prattutto a Carales, Forum Traiani e nelle zone limitrofe, si contraddistinguono, analogamente
agli esemplari lusitani, per la caratteristica sagoma a forma di botte vinaria, resa ancora più

Stele funeraria con immagine di una nave,


da Castelsardo (particolare della nave).

121
Ciro Parodo

realistica mediante la riproduzione delle doghe, e, talvolta, per la presenza di un’ascia realiz-
zata a bassorilievo. Secondo un’ipotesi consolidata, che tuttavia non trova reali riscontri, tale
tipo formale suggerirebbe una qualche pertinenza della committenza all’ambito produttivo-
commerciale della viticoltura, oppure una connessione al culto dionisiaco declinato nella sua
variante ctonia. Le iscrizioni funerarie, solitamente modanate e ubicate sul lato lungo dei
manufatti, ci informano che spesso sia i defunti che i dedicanti appartenevano ai ceti umili
della società, come testimonierebbero i numerosi antroponimi, frequentemente orientali, di
schiavi e liberti, mentre più in generale i dati onomastici offrono interessanti termini di com-
parazione con quelli dell’Africa romana mediterranea.
La produzione più signiicativa in ambito funerario sardo resta, tuttavia, quella dei sarcofagi, re-
alizzati, in un numero di ottantacinque esemplari, entro un arco cronologico compreso tra il II
secolo d.C. e la metà del V, allorché vengono progressivamente sostituiti dalle inumazioni a fos-
sa rivestite da mosaici funerari già diffuse in Nord Africa. La sistematica indagine recentemente
condotta da A. Teatini ha consentito di smentire due posizioni teoretiche assunte in passato,
ovvero la pressoché totale provenienza dei monumenti da oficine Urbane e ostiensi, mentre
ora è possibile apprezzare un più ampio orizzonte geograico delle importazioni e l’attestazione
di una manifattura locale, nonché la sostanziale mancanza di varietà nel repertorio iconograico
proposto, che invece si è dimostrata più diversiicata di quanto si ritenesse in principio.
I sarcofagi di provenienza Urbana costituiscono il numero più cospicuo degli esemplari rin-
venuti in Sardegna, ben sessanta, distribuiti in prevalenza tra Cagliari, Porto Torres e Olbia.
Documentati in particolare dopo la metà del II secolo d.C., essi costituiscono degli ottimi
indicatori delle scelte stilistiche della committenza sarda, attenta ai linguaggi formali più af-
fermati nella capitale, come dimostra la frequente ricorrenza dei temi marini e dionisiaci che
si intensiica tra l’età severiana e la metà del III secolo. A questo proposito ricordiamo in
particolare il sarcofago conservato presso il Museo Archeologico di Cagliari, e proveniente
dalla necropoli di San Saturno, ascrivibile agli anni successivi al primo quarto del III secolo.
Il manufatto, evidentemente realizzato per soddisfare le rafinate esigenze di una clientela
d’élite, è ornato sulla fronte con due ittiocentauri, ciascuno recante sul dorso una nereide, che
sorreggono il ritratto centrale della defunta rafigurata con uno strumento musicale a corda
Stele di Caius Valerius. in mano entro un clipeus modellato a forma di valva di conchiglia.
Viddalba, Museo Archeologico. Se durante la seconda metà del III secolo è possibile apprezzare un incremento in senso
quantitativo della produzione urbana, i più tardi sarcofagi strigilati ascrivibili all’età post-
Stele di Caius Valerius. gallienica palesano una contrazione a livello qualitativo, per quanto non manchino i prodotti
Viddalba, Museo Archeologico di più elevata fattura come l’esemplare ritrovato presso la cripta della basilica di San Gavino a
(particolare). Porto Torres, con i ritratti della coppia dei due defunti alle estremità e al centro la porta Inferi,

122
La scultura funeraria

Cupa con quattro laterculi. Cagliari,


Museo Archeologico Nazionale
(particolare delle doghe a rilievo).

Cupa con quattro laterculi. Cagliari,


Museo Archeologico Nazionale (fronte).

Cupa con quattro laterculi. Cagliari,


Museo Archeologico Nazionale
(particolare dell’ascia a rilievo).

emblematicamente rafigurata dischiusa quale simbolo dell’accesso alla vita ultraterrena. In


generale, tuttavia, a causa del minore dispendio economico da essi richiesto rispetto a quelli
a fregio, questi sarcofagi tradiscono la fruizione da parte di ceti sociali meno abbienti, obbe-
dendo dunque a una certa serialità che sostanzialmente ne pregiudica la qualità tecnica.
In concomitanza con la fase successiva, quella tetrarchica, si assiste a una rinnovata diver-
siicazione in ambito tematico, signiicativamente rappresentata dall’esemplare cagliaritano,
databile al primo decennio del IV secolo, con la caratteristica forma a lenos, espressione di
quella prospettiva escatologica di matrice dionisiaca che trova ulteriore traduzione visuale
nella scena di pigiatura dell’uva rafigurata sotto l’imago clipeata della defunta che stringe un
volumen (cat. n. 1.192). Questa è sorretta da due Victoriae alate ed è attorniata dai quattro Ge-
nii stagionali, secondo una stratiicazione di livelli semantici che contribuisce a sottolineare
l’aspirazione della committente a vivere una condizione eterna di beatitudine ultramondana.
Particolarmente interessante si rivela il caso del sarcofago marmoreo ospitato presso il
Museo Nazionale G.A. Sanna di Sassari e realizzato da botteghe urbane entro il terzo decen-
nio del IV secolo d.C. Del manufatto si conserva solo un frammento della fronte che presen-
ta al centro l’immagine del busto della defunta racchiuso entro un cerchio zodiacale, secondo
una soluzione iconograica atipica nel panorama della scultura funeraria romana, sorretto da
due Vittorie alate, di cui se ne conserva solo una, e afiancato dai Genii dell’Inverno e della
Primavera, mentre al di sotto è rafigurato un episodio del mito di Selene ed Endimione.

123
Ciro Parodo

Sarcofago con scene dell’Antico


e del Nuovo Testamento, da Olbia
(frammento della fronte).

Sarcofago con scene dell’Antico


e del Nuovo Testamento, da Olbia
(particolare del sacriico di Isacco).

Sarcofago con scene dell’Antico


e del Nuovo Testamento, da Olbia
(particolare del sacriicio di Isacco).

È ipotizzabile che la scelta di ricorrere alla variante del clipeus decorato con le immagini dei
dodici segni zodiacali, tema frequentemente utilizzato come simbolo dell’aeternitas che sot-
tende la consecratio imperiale quale espressione del ciclico lusso temporale, sia stata determi-
nata dalla volontà della committenza di appropriarsi ideologicamente del motivo del cerchio
astrologico per veicolare il messaggio del proprio status immortale.
A partire dalla metà del IV secolo si registrano in Sardegna le prime attestazioni di sarcofagi
cristiani, numericamente esigue se raffrontate alla loro coeva, ampia diffusione a Roma. Parti-
colarmente interessante è l’esemplare frammentario olbiese di età costantiniana, il più antico
documento di scultura funeraria paleocristiana in ambito isolano, con scene tratte dall’Antico
e dal Nuovo Testamento suddivise su due registri, tra cui si riconoscono quelle relative al
sacriicio di Isacco e agli episodi del miracolo del paralitico e di Daniele nella fossa dei le-
oni (cat. n. 3.158). Persiste ancora l’utilizzo di soggetti pagani, testimoniato ad esempio dal
sarcofago con Muse e Apollo proveniente dalla cripta della basilica turritana di San Gavino

124
La scultura funeraria

e risalente ai primi decenni del IV secolo, a dimostrazione di come il cristianesimo fatichi ad


affermarsi nella comunità sarda tardoantica, oppure di come i suoi messaggi siano veicolati
mediante una strategia igurativa che si riferisce ancora al repertorio iconograico classico.
Escluse le ridottissime attestazioni di sarcofagi realizzati da oficine campane e ostiensi – tra
cui rammentiamo in particolare l’esemplare di età tardo-antonina ritrovato presso le fonda-
zioni della chiesa di San Simplicio a Olbia e che presenta sulla fronte due gorgoneia dall’evi-
dente valore apotropaico (cat. n. 1.189) – l’altro grande centro di importazione dei sarcofagi
isolani è Cartagine. La città nordafricana, infatti, parallelamente al deicit della produzione
Urbana che ino ad allora aveva dominato nella pars Occidentis dell’impero, riservando a quella
orientale gli esiti della manifattura attica e micro-asiatica, assume tra la ine del IV e la metà
del V secolo, contestualmente ad altri centri come quelli gallici e iberici, un ruolo primario
nell’esportazione dei sarcofagi destinati ai mercati del Mediterraneo occidentale, ivi compre-
so quello sardo. Gli esemplari isolani provenienti da Cartagine sono sette, tra i quali ben sei
caralitani, con una netta prevalenza di quelli ornati con semplici strigilature, quantunque non
manchino soggetti più complessi, come nel caso del sarcofago di esportazione nordafricana
cronologicamente più antico, ovvero quello di Rufia Marcella decorato con Genii stagionali
che reggono festoni, attribuibile agli inizi del IV secolo e proveniente dalla basilica di San
Saturnino a Cagliari dove era stato reimpiegato nell’altare.
Un ultimo sguardo deve inine essere rivolto ai sarcofagi realizzati da botteghe isolane, so-
stanzialmente esclusi in passato, come già sottolineato, ma di cui ora è possibile apprezzare,
grazie al contributo di indagini più approfondite, ben quattordici esemplari, ancora una volta
provenienti in prevalenza dall’area cagliaritana, come nel caso del sarcofago strigilato con
imago clipeata della defunta al centro e colonnine tortili ai lati, ritrovato a Decimomannu e ri-
salente a età post-gallienica (cat. n. 1.191). In particolare nel capoluogo della provincia è pos-
sibile individuare un’oficina a cui attribuire, agli inizi del IV secolo, la produzione di quattro
sarcofagi strigilati in cui viene rielaborato, secondo il linguaggio formale locale, il caratteristi-
co motivo urbano del delino a testa in giù. Se da una parte tale tipologia iconograica rilette,
sul piano igurativo, le più concrete esigenze economiche di un centro quale Carales, dove i
trafici portuali svolgono da sempre un ruolo preponderante, dall’altra pare simbolicamente
ribadire, come dimostrato dal percorso storico in qui tracciato, quanto le vicende storiche
sarde siano state contraddistinte da un persistente fenomeno di Mischkultur.

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126
Il mosaico e la pittura
Simonetta Angiolillo

Il mosaico è il genere artistico meglio documentato nella Sardegna di età romana, più vivace
e originale, quello per il quale è possibile individuare le peculiarità dei differenti centri di pro-
duzione, accanto a caratteri uniformemente diffusi per tutta l’Isola, e riconoscere l’attività di
varie botteghe. Va tuttavia sottolineato che il quadro che abbiamo di fronte è essenzialmente
frutto della casualità dei rinvenimenti e dunque passibile di modiiche man mano che nuove
scoperte saranno realizzate: basti pensare che di tutte le città romane della provincia solo Nora
e ora Turris Libisonis sono state indagate estensivamente, ma non in tutta la loro area urba-
na, e la capitale Carales è conosciuta in minima parte solo grazie a scavi di emergenza e non
programmati.
Durante il periodo repubblicano e per tutto il I secolo dell’impero le forme più diffuse di
pavimentazione, soprattutto nella Sardegna centro-meridionale, sono costituite da cementizi
a base ittile, cocciopesti, nella maggior parte dei casi con inserzione di tessere che formano
motivi geometrici o simboli religiosi di tradizione preromana , come il segno di Tanit, e in mi-
sura minore da cementizi a base litica, o battuti di scaglie. Si conoscono solo pochi mosaici,
e in bianco e nero, a Olbia e a Cagliari dove, nella cosiddetta fullonica, un bordo inserito in un
pavimento in cocciopesto è decorato da un susseguirsi di delini, ancore, bipenni, timoni in
tessere nere su fondo bianco e arricchito da un riquadro policromo al cui interno un’iscrizio-
ne reca il nome del proprietario. Mosaici bicromi sono frequenti soprattutto a Porto Torres,
Turris Libisonis, dove mostrano un repertorio marcatamente Urbano, conseguenza dei vincoli
stretti che legavano la colonia alla madre patria; in particolare si può citare un esemplare a
cassettoni – ne resta solo un riquadro decorato da due scudi ellittici incrociati – e uno con
una composizione di “scalei” circondata da mura urbane (cat. n. 1.239).
Dalla ine della repubblica il mosaico tessellato si afferma in modo egemonico, accanto a spo-
radiche presenze di opera sectilia, soprattutto a Nora. Sullo scorcio del II secolo in questa città,
ino a oggi la più ricca di mosaici, sembra iniziare la sua attività un’oficina riconoscibile per
l’uso esclusivo dei colori bianco, ocra e nero e di un repertorio geometrico in cui gli schemi,
per lo più comuni nell’impero, sono rielaborati in modo da offrire soluzioni rare. È il caso
di quello che costituisce quasi il motivo irma della bottega: una composizione in obliquo di
cerchi e di quadrati curvilinei tangenti, i cui spazi di risulta sono occupati da cerchi o quadrati
rettilinei sui quali si impostano due pelte. Di contro al ripetersi in questa città per ben quat-
tro volte di un simile schema, con gli stessi motivi decorativi, sta l’assoluta mancanza di altre
attestazioni, in tale speciica variante, nel resto dell’Isola, dove invece, per esempio a Tharros,
è presente l’alternativa, molto più nota anche fuori della provincia, con i quadrati sempre ret-
tilinei. L’attività della bottega di Nora è riconoscibile sino alla metà del III secolo soprattutto
nei grandi ediici pubblici: nelle Terme centrali, nel “Tempio romano”, nella basilica del foro.
Nell’età dei Severi il repertorio musivo norense registra un improvviso cambiamento: nella
Casa dell’Atrio tetrastilo vengono eseguiti mosaici di carattere innovativo, privi di riscontri nel
panorama del municipium e del resto della Sardegna contemporanea, caratterizzati da un alto
livello tecnico, da una ricchezza e da una originalità di schemi inora sconosciuti, da un uso di
tessere molto piccole, inine da una ricca policromia. Particolarità queste spiegabili solo con
la presenza di maestranze esterne alla città, diverse da quelle attive ino ad allora; maestranze
che possono essere ricondotte alle province d’Africa dove, a partire dal II secolo, si era avuto
un grande iorire di botteghe, responsabili di una vasta produzione di notevole livello tecnico
e artistico. Il loro prestigio, riconosciuto nell’impero, portava i mosaicisti in varie province, là
dove una committenza economicamente forte poteva chiamarli: per esempio, sono africane le
maestranze alle quali si attribuiscono i pavimenti della villa di Piazza Armerina.
Tra i mosaici della Casa dell’Atrio tetrastilo opera di maestranze africane, il più interessante
presenta una composizione molto semplice, ma realizzata con una cura, una ricchezza cro-
matica e ornamentale e una ricercatezza inora sconosciuti: un reticolato di fasce che forma-

127
Simonetta Angiolillo

Cagliari, Fullonica.

Frammento di cocciopesto con probabile


simbolo astrale. Cagliari,
Museo Archeologico Nazionale (in basso).

no riquadri, con segmenti di cerchio in tessere nere a sottolineare le intersezioni; nelle fasce
quadrati con pelte opposte ai vertici si alternano a complessi ornati vegetali e, ugualmente,
nei riquadri si avvicendano due diversi motivi loreali, resi con una policromia che arriva a
raggiungere la luminosità dell’oro. Nella parte occidentale del vano un impoverimento della
gamma cromatica e del repertorio decorativo e l’uso di tessere sensibilmente più grandi
denunciano un successivo intervento di restauro del pavimento. La presenza di questi ca-
ratteri anche in altri mosaici della casa suggerisce l’ipotesi che nello stesso ediicio abbiano
lavorato sia artigiani africani che locali e che questi ultimi abbiano cominciato come aiutanti
dei più famosi maestri. Appreso così da questi il repertorio, l’uso del colore, la grandiosità
dell’impianto decorativo, pur non riuscendo ad acquisirne la maestria, avranno continuato
da soli la loro attività anche dopo la partenza delle maestranze d’oltre mare e a essi sarà stata
afidata l’esecuzione del restauro, resosi presto necessario per motivi a noi sconosciuti, e di
altri pavimenti della casa, poi anche della città. L’opera di questo secondo atelier norense è
riconoscibile oltre che a Nora, anche a Carales e a Sulci, dove sono stati rinvenuti due esemplari
pressoché identici alla parte restaurata del mosaico della Casa dell’Atrio tetrastilo.
È dal III secolo che un simile tipo di repertorio, che negli schemi, nella scelta dei motivi deco-
rativi e nella cromia mostra di essere inluenzato dalla produzione africana, si afferma un po’
in tutta la provincia, diventando patrimonio comune delle botteghe sarde, indipendentemente
dalla presenza di maestranze straniere, che pure in taluni singoli casi sembra di poter ancora
riconoscere. Alla produzione africana si rifanno alcuni pavimenti a trama geometrica vegeta-
lizzata, un tipo di decorazione che, nato in Italia nel mosaico bianco e nero di età adrianea,
trova la sua massima espressione nelle province d’Africa a partire dalla ine del II o dal III
secolo, arricchito nei motivi e con l’aggiunta di una ricca policromia, per poi diffondersi so-
prattutto nella parte occidentale dell’impero, testimonianza di una koinè mediterranea di età
tarda, che sembra comunque rifarsi a modelli africani. Questa tipologia trova spazio, in una
forma ancora molto discreta, a Nora nella Casa dell’Atrio tetrastilo, dove un sottile tralcio a
foglioline disegna uno schema a ottagoni tangenti. Ma più ricco e lussureggiante il motivo si
presenta a Capo Frasca, sempre nel III secolo, in un complesso termale, dove il meandro a
svastica e quadrati è ottenuto da un festone di foglie con melograne e boccioli rossi, ocra e
rosa, e in un periodo successivo nei pressi di Cagliari, a Villaspeciosa e a Settimo San Pietro.
Nel primo caso, in una vasta aula mosaicata molto probabilmente destinata al culto cristia-
no, il motivo dei cerchi tangenti e secanti vede le circonferenze delineate da foglie di acanto
e festoni vegetali. L’attenzione alla qualità tecnica e alla ricchezza cromatica, in aggiunta al
carattere africano del repertorio usato, garantiscono anche qui la presenza diretta o mediata
di maestranze africane.
Pure a Settimo San Pietro un tralcio, questa volta di vite, ricco di foglie e viticci disegna una
composizione di cerchi tangenti. Esso trova una corrispondenza pressoché esatta in due mo-
saici di età tarda, rispettivamente di Cartagine e di Maiorca, che differiscono dal pavimento
sardo per la scelta di vari motivi ornamentali, soprattutto per quelli che decorano i medaglio-

128
Il mosaico e la pittura

Nora, Casa dell’Atrio tetrastilo,


pavimenti.

ni: igure di uccelli in Africa e in Spagna, elementi geometrici a Settimo. La pressoché totale
identità del mosaico africano con quello ispanico e di contro le differenze che separano
questi da quello sardo e alcune particolarità tecniche che distinguono quest’ultimo – in parti-
colare una notevole rafinatezza nell’uso del colore con grande cura per le alternanze croma-
tiche – autorizzano a ipotizzare che responsabili di questo pavimento non siano maestranze
africane bensì una bottega locale venuta a contatto con modelli africani.
Un altro segno della adesione da parte delle botteghe isolane al repertorio diffuso nelle pro-
vince d’Africa è la realizzazione, a partire circa dalla metà del IV secolo, di un nutrito gruppo
di mosaici funerari a Cagliari, Nora e Porto Torres.
Se pure la schiacciante maggioranza dei pavimenti in Sardegna reca una decorazione geo-
metrica, il mosaico igurato è comunque presente a Nora, con due esemplari, e soprattutto a
Carales e Turris.
A Nora esistevano due quadretti musivi in tessere minute: l’uno, ora scomparso, decorava il
pavimento della terrazza antistante il tempio di Esculapio, l’altro, con una nereide a cavallo di
un tritone, il cubicolo della Casa dell’Atrio tetrastilo.

129
Simonetta Angiolillo

Villaspeciosa, particolare del pavimento.

Settimo San Pietro,


particolare del pavimento (in basso),

Nella pagina accanto


Mosaico funerario. Porto Torres,
Antiquarium Turritano.

Emblema dalla Casa degli Stucchi.


Cagliari, Museo Archeologico Nazionale
(in basso).

Più numerose sono le attestazioni di Carales, a cominciare dal già citato mosaico in bianco e
nero con una teoria di pesci alternati ad ancore, bipenni, timoni.
Otto emblemata, quadretti in tessere minutissime stesi su un supporto laterizio, riuniti nel III
secolo in un pavimento nella Casa degli Stucchi, rafigurano i cosiddetti xenia (dono per gli
ospiti), nature morte, in questo caso pesci, e vive (cat. n. 1.242). A ulteriore testimonianza
della koinè mediterranea, di questi riquadri, l’uno riprende in modo libero un famoso mosaico
eseguito a Pergamo, nel palazzo degli Attalidi, da Sosos: in quel caso quattro colombe poggiate
sul bordo di un cratere d’oro colmo d’acqua si curvano a bere, nel nostro sono invece alcune
anatre che attorniano il vaso e si dissetano. Un altro, danneggiato nella zona superiore, pre-
senta la stessa composizione nota da un pavimento di Leptis Magna: nella metà inferiore un

130
Il mosaico e la pittura

grosso gallinaceo si china a beccare ciliegie che cadono da un cesto di vimini, mentre nella
parte superiore vi sono altri volatili e una costruzione sul cui tetto sono stesi frutti.
Due minuscoli frammenti attestano poi la presenza, anche nella provincia Sardinia, di un mo-
saico con scena di venatio molto vicino a quello noto da Zliten e databile a età severiana.
Circa alla metà del III secolo vengono eseguiti, ancora a Cagliari, tre mosaici igurati di più
ampio respiro. Nel frigidarium delle terme site in regione Bonaria una composizione a retico-
lato di fasce con treccia multipla policroma formante riquadri è decorata, alternativamente,
da schematici motivi loreali e da scene di tiaso, con nereidi (cat. n. 1.241), tritoni o amorini
su delini o mostri marini; l’esecuzione è poco accurata, le igure sono rese in modo alquanto
piatto con contorni marcati, masse muscolari uniformi e volti estremamente sempliicati, con
mento tondo e bocca segnata da due linee parallele (cat. n. 1.240).
Contemporaneo a questo, è un mosaico rafigurante Orfeo, rinvenuto in Stampace e ora al
Museo Archeologico di Torino. Al centro il cantore, accompagnato da un corvo e da una
volpe, suona la lira, ammansendo sia gli animali paciici che quelli più pericolosi, che si susse-
guono lungo i lati della stanza, senza il minimo segno di aggressività: un cinghiale, un leone,
un bue, un cavallo, un altro leone, un maiale, un capriolo, un orso, un altro quadrupede, un
leopardo e un’antilope. Purtroppo di questo straordinario esemplare, tagliato in riquadri e
spedito a Torino, restano solo un disegno eseguito dal pittore D. Colombino nel 1803, pri-
ma della partenza per la capitale sabauda, e, al Museo di Torino, tre riquadri: Orfeo, la parte
anteriore del cavallo e il capriolo. La igura del cantore, seduto sulla roccia con un mantello
che gli copre la parte inferiore del corpo, è caratterizzata da masse muscolari rese evidenti da
frequenti passaggi di luce e ombra, mentre il volto è segnato da grandi occhi, dal grosso naso
unito alle arcate sopracciliari senza soluzione di continuità, dal mento tondeggiante. Ritro-
viamo anche negli animali il gioco di luci e ombre, ma qui gli artigiani, meno condizionati da
modelli colti, si sono espressi in una forma più schematica e appiattita, con grosse pennellate
giustapposte di colore. Nello stesso ediicio nel 1718 era stato rinvenuto un altro mosaico,
ora perduto, rafigurante le fatiche di Ercole. Gli stretti rapporti di stile che legano il mosaico
di Orfeo alla produzione africana coeva, accanto al fatto che questi due ultimi mosaici sono
così isolati nel pur abbondante patrimonio sardo, hanno suggerito anche in questo caso
l’ipotesi di una presenza di maestranze africane.
Una isionomia particolare caratterizza il mosaico igurato a Turris Libisonis. Solo in questa
città infatti, accanto a numerose attestazioni di composizioni geometriche in bianco e nero,
troviamo, ancora nel III secolo, e nella stessa bicromia, decorazioni musive igurate a soggetto

131
Simonetta Angiolillo

Mosaico di Orfeo da Cagliari, Orfeo. marino, tipologia questa di evidente tradizione romano-ostiense, a chiara dimostrazione degli
Torino, Museo Archeologico Nazionale. stretti rapporti che legavano la colonia Iulia Turris Libisonis alla capitale. Nel primo esemplare,
databile tra la ine del II e gli inizi del III secolo, un cavallo marino rafigurato con un tratto
Mosaico di Orfeo da Cagliari, capriolo. quasi naïf, con corte orecchie tondeggianti e muso allungato, chiude a sinistra la scena che
Torino, Museo Archeologico Nazionale. vede un polipo catturare con i tentacoli un’aragosta, mentre a sua volta un grosso pesce lo sta
addentando. Nel secondo pavimento, di qualche decennio posteriore al precedente, numerosi
Mosaico di Orfeo da Cagliari, cavallo. animali si dispongono in modo regolare su ile parallele: pesci di vario tipo, polipi, murene,
Torino, Museo Archeologico Nazionale. calamari, un’aragosta, un delino allineati in modo paratattico, senza che nessuno interagisca
con il vicino, a eccezione di una murena in procinto di attaccare un polipo, e inquadrati da
una foca in alto e da un coccodrillo in basso (cat. n. 1.240).
Nella pagina accanto Nonostante entrambi i mosaici si inseriscano nella tradizione centro-italica del mosaico ma-
Porto Torres, Domus dei Mosaici, rino bianco e nero, gli esemplari di Turris, e soprattutto questo secondo, mostrano peculiarità
corridoio centrale. tali, nei caratteri tecnici e nelle soluzioni iconograiche, da farli attribuire a una bottega locale.
Il nero è qui usato solo per le proilature, mentre i corpi sono resi in bruno; la composizione
non ha assolutamente nulla della libertà e della vivacità degli esemplari medio-italici, ma a
dispetto di questo limite, della totale mancanza cioè di ricerca compositiva e di naturalismo,
troviamo innovazioni iconograiche davvero originali e inedite. Foca e coccodrillo infatti
non seguono la tradizione iconograica diffusa in Grecia e a Roma, che rafigura l’una come
vitello marino con la metà anteriore terrestre mentre dell’altro privilegia la natura terricola.
Qui la foca è un animale interamente acquatico, che nella parte anteriore è trattato in modo
abbastanza vicino alla realtà, nella forma del muso e delle due grosse pinne, e poi prosegue
seguendo l’immagine consueta del mostro marino con la coda a volute a terminazione trifo-
gliata; parallelamente, il coccodrillo è animale terrestre nella metà anteriore e marino, sempre
con tipica coda a volute, nella metà posteriore. Opera dunque di una bottega locale che dei
modelli romano-ostiensi non segue altro che il soggetto, alla quale forse non interessa imi-
tarne la grandiosità e la vivacità compositiva, ma che è attenta a modiicare le iconograie
secondo le proprie conoscenze: il coccodrillo, animale lontano, noto solo in letteratura e
forse attraverso archetipi, assume i contorni fantastici del mostro marino, mentre la foca,
probabilmente conosciuta agli artigiani sardi perché presente nei loro mari, mantiene sì il
tratto fantastico della coda, ma perde le sembianze mitologiche di vitello marino per diven-
tare una vera foca.
A partire dal III secolo si veriica però anche a Turris Libisonis un’apertura al repertorio
policromo di matrice africana, geometrico e igurato; ne fanno fede, per le composizioni
geometriche, il ripetersi di due diverse realizzazioni dello schema del reticolato di fasce già
incontrate nella parte meridionale della provincia. Il primo tipo ha le fasce decorate da una
treccia multipla policroma: nelle terme di Bonaria a Cagliari la decorazione dei riquadri è
costituita da motivi di tiaso marino alternati a elementi vegetali, mentre a Turris nel tepidarium
delle Terme Centrali e nel Peristilio di via Ponte Romano da motivi ornamentali geometrici o
vegetali, e nella sala con vasca delle Terme di via Ponte Romano e nel corridoio centrale della
Domus dei Mosaici da rafigurazioni di pesci. Viene ripreso in due differenti domus turritane
(quella di Orfeo e quella dei Mosaici) anche il secondo tipo con fasce decorate da pelte oppo-
ste a un quadrato sulla diagonale e con segmenti di cerchio in tessere nere alle intersezioni, già
visto a Nora nella Casa dell’Atrio tetrastilo. Lo schema è lo stesso ma la realizzazione è molto
diversa tra i due mosaici di Porto Torres (più organica e con una serie di corrispondenze e
di alternanze interne quello della Domus di Orfeo) e soprattutto tra quello di Nora e questi,
che nell’insieme sembrano lontani dal rigore della costruzione, dalla policromia ricca di toni
e sfumature e dall’elevata qualità tecnica dell’esemplare norense.
Per quanto attiene invece al mosaico igurato policromo, gli scavi eseguiti a Porto Torres
all’inizio di questo secolo hanno sensibilmente arricchito le nostre conoscenze più che rad-
doppiando il repertorio e restituendo quattro mosaici igurati databili alla ine del III o agli
inizi del IV secolo e provenienti da domus private. Il corridoio centrale della Domus dei Mo-
saici, della quale abbiamo già visto le composizioni a schema geometrico, è decorato da un
reticolato di fasce ornate da treccia multipla policroma che disegna sette riquadri igurati,
nei quali, sul fondo di un mare rappresentato da segmenti di linee rette, nuotano due pesci
contrapposti e disposti parallelamente, l’uno sopra all’altro, in modo da occupare l’intera su-
pericie disponibile. Solo in un caso i due pesci, sempre nel solito schema, sono costretti nella
parte inferiore del pannello mentre un polpo occupa tutta l’area rimanente. Nonostante una

132
Il mosaico e la pittura

resa piatta e schematica e un aspetto alquanto ripetitivo, è evidente la cura posta dal mosai-
cista per creare un effetto di vivacità cromatica: sul fondo bianco spiccano i pesci dai colori
brillanti – rossi di varie sfumature, vivido azzurro, verde in varie gradazioni – per i quali è fat-
to uso anche di pasta vitrea, a forte contrasto con il resto del pavimento in cui predominano
i toni rossi e ocra. È ipotizzabile con buona dose di certezza che la bottega alla quale si deve
questo mosaico sia la stessa responsabile degli altri tre mosaici a reticolato di fasce ornate
da treccia multipla policroma presenti in città, dei quali, come si è già avuto modo di vedere,
anche quello delle Terme di via Ponte Romano aveva i riquadri decorati da pesci.
Della Domus di Orfeo sono stati messi in luce vari ambienti disposti attorno a un atrio cen-
trale, ornato da un mosaico geometrico, con al centro una vasca polilobata di piccole di-
mensioni pavimentata da un tessellato a soggetto marino. Pesci di vario tipo, ricci, molluschi
nuotano nel mare indicato da segmenti di linea nera dritta o dentata, attorno a una colonna
centrale, non conservata, che conteneva i condotti di adduzione dell’acqua: una replica in
piccole dimensioni delle tante fontane che decoravano le case del Nord Africa.
A est di quest’area è un vano fortemente danneggiato da sbancamenti e spoliazioni, di cui si
conserva peraltro una piccola parte dell’elevato dipinto con partizioni architettoniche e del
pavimento occupato da un ottagono sui cui lati si impostano quadrati a formare un poligono
a sedici lati; lo spazio di risulta tra questo e la cornice del campo è occupato da un complesso
motivo vegetale in cui girali arricciolati e desinenti in piccoli quadripetali si dipartono dalla co-
rolla di un iore policromo. Il centro del pannello ottagonale è occupato da tre igure femminili
nelle quali si possono agevolmente riconoscere le Tre Grazie: hanno i capelli raccolti e ornati
da corone di foglie e sono nude, tranne che per la presenza di monili. La rappresentazione
segue solo in parte l’iconograia consueta, quella illustrata da Servio nel IV secolo (ad Aen.
I 720, 8-9), “nude, unite, una è rafigurata rivolta all’indietro, due guardano verso di noi”: in
questo caso le dee si abbracciano, sì, poggiando ciascuna le mani sulle spalle delle altre due,
ma nessuna è vista dal dietro, così invece di seguire la abituale disposizione lineare, le tre ninfe
ne seguono una circolare dove una compagna è di proilo e le altre sono viste di prospetto. Si
tratta di una variante raramente attestata e per lo più in ambiente greco; sembra dunque che il
mosaicista, o il committente, di Turris Libisonis abbia ignorato lo schema ormai standardizzato
per proporne uno insolito, forse ricollegandosi a repertori di matrice greca.
In un vano a ovest dell’atrio il pannello ottagonale centrale di una composizione policroma
geometrica racchiude una immagine di Orfeo che suona la lira in mezzo agli animali; l’icono-
graia è quella dell’Orfeo greco, seguita anche nell’esemplare di Cagliari: nudo, con il berretto
frigio azzurro e con un mantello rosso che gli copre la spalla sinistra, i ianchi e la gamba

133
Simonetta Angiolillo

Porto Torres, Domus dei Mosaici,


particolare del mosaico del vano IX.

Nella pagina accanto


Porto Torres, Domus di Orfeo,
le Tre Grazie.

destra. Seduto su una roccia tra due alberi sottili, poggia la mano destra che impugna il plettro
sulla gamba corrispondente, mentre con l’altra sostiene la lira. Alla sua sinistra sono, dall’alto,
un corvo, un pappagallo, un leone, un cervo e una grossa lucertola; sull’altro lato, sempre
dall’alto, una civetta, un lungo serpente attorcigliato attorno al tronco dell’albero, un toro e
un leopardo. Sono animali in parte connotati (il corvo per la sua natura apollinea; la civetta
per il suo particolare rapporto con Atena; il serpente, arrotolato attorno a un albero come se
si trattasse del bastone di Asclepio, ancora per la sua relazione con Apollo e per la sua valenza
salviica), in parte rappresentati per la loro natura selvaggia e pericolosa: l’antilope o cervo, il
leopardo, il toro, tutti ammansiti dal canto di Orfeo.
Da un punto di vista iconograico, il mosaico turritano sembra fortemente indebitato nei
confronti di quello cagliaritano: oltre a scegliere per la rafigurazione del cantore il tipo gre-
co, che non è il più diffuso, l’artigiano di Turris, con la stessa semplice soluzione adottata
a Carales, risolve un problema che interessa tutte le immagini di Orfeo con la lira e che è
determinato dalla distanza tra la mano destra e lo strumento musicale tenuto a sinistra. Tale
problema, che in alcuni casi comporta effetti decisamente sgradevoli, viene eliminato con il
rafigurare Orfeo in un momento di riposo, con la mano che stringe il plettro appoggiata alla
gamba destra. Un simile accorgimento è stato riconosciuto come una invenzione dell’artista
attivo a Cagliari, di cui abbiamo già sottolineato la rafinatezza e i rapporti con la tradizione
africana: infatti, pur conoscendosi altri espedienti per risolvere la questione, l’iconograia
seguita a Porto Torres è attestata ino a oggi solo a Cagliari. Una simile considerazione non
può non suscitare interrogativi sui rapporti tra i due mosaici e sulle maestranze responsabili
della loro esecuzione. È un dato certo la asimmetria qualitativa tra i due pavimenti, che scon-
siglia l’ipotesi di una stessa oficina itinerante. Il mosaico di Turris, se pure mostra una certa
rafinatezza nella scelta cromatica, con un ampio uso di pasta vitrea per i verdi e gli azzurri,
presenta però un modellato piuttosto piatto e schematico, evidente soprattutto nella gamba
scoperta e nel piede sinistro. L’Orfeo di Cagliari al contrario si caratterizza per una resa in
chiaroscuro delle masse muscolari, per un modellato naturalistico apprezzabile in particolare
nel piede, per un panneggio plastico e mosso, in conclusione per una qualità decisamente
superiore. Contrasta con queste differenze formali il rifarsi a una stessa iconograia anche
nei dettagli – l’acconciatura dei capelli, la forma triangolare della fronte, la forma dell’arcata

134
Il mosaico e la pittura

sopracciliare, del naso e della bocca – e nella resa della muscolatura degli animali a pennellate
giustapposte alternativamente chiare e scure.
Differenze si riscontrano anche nell’impianto: di ampio respiro a Cagliari, dove, come te-
stimonia il disegno eseguito dal pittore Colombino, la scena occupava un intero pavimento,
mentre a Porto Torres il racconto è compresso e sintetizzato in un unico pannello al centro
di uno schema geometrico. Alcuni animali – leone, leopardo, toro – compaiono in entrambi i
mosaici, al cervo di Porto Torres può corrispondere il capriolo di Cagliari, ma in quest’ultima
composizione mancano i rettili e parte degli uccelli.
Rispetto all’Orfeo di Carales, quello turritano mostra, dunque, importanti differenze, di im-
pianto e di qualità, a fronte di corrispondenze di carattere iconograico tali da rendere ine-
vitabile l’ipotesi di un rapporto tra i due, non opera di stesse maestranze, ma probabilmente
dipendenti l’uno dall’altro, il mosaico di Porto Torres da quello di Cagliari.
A una stessa bottega sono da attribuire entrambi i mosaici a soggetto mitologico della domus,
come conferma un confronto tra l’Orfeo e le Tre Grazie, che rivela indubbie concordanze
soprattutto nella struttura del volto e nella resa piatta e maldestra di braccia e gambe.
È certamente dificile, e forse prematuro, cercare di farsi un’idea del committente della domus
sulla sola base di questi mosaici. Nonostante la vitalità dei culti orici ancora in età tarda, Gra-
zie e Orfeo in ambito romano perdono il carattere religioso che li aveva connotati in Grecia,
per assumere un’ampia gamma di signiicati. Per Servio (ad Aen. I 720, 6-10) le dee simboleg-
giano la riconoscenza che unisce il benefattore e colui che riceve il beneicio, infatti la loro
posizione signiica che un dono fatto viene ricambiato in misura doppia; in alcuni mosaici
esse sembrano rappresentare i valori tradizionali delle nozze e nel nostro caso, afiancando il
cantore tracio divenuto compendio e paradigma di virtù e di cultura classica, ne rafforzano
il messaggio ed esprimono l’ideale di mousikos aner coltivato dal committente. Resta quindi
la suggestione di una personalità che, non solo con la scelta dei soggetti mitici esibisce la
propria formazione, ma con quella delle speciiche iconograie si mostra attenta al ricco pa-
trimonio culturale e iconograico del mondo greco; quest’ultimo egli privilegia, soprattutto
nel caso delle Tre Grazie, a scapito di quello ormai canonizzato e recepito in tutto l’impero.
Abbiamo esaminato il patrimonio musivo delle principali città romane della Sardegna, dove
si sono concentrati i rinvenimenti fortuiti o le indagini archeologiche, ma le attestazioni sono
diffuse per tutta l’Isola, come dimostrano i casi di Settimo San Pietro e di Villaspeciosa, e

135
Simonetta Angiolillo

aspettano solo di essere scoperte. Citerò per tutti il caso della villa di Santa Filitica a Sorso
databile tra la metà del III e il primo quarto del IV secolo, dove è stata messa in luce una
decorazione musiva di grande interesse. All’ingresso di un vasto ambiente termale che, all’in-
terno di una composizione di esagoni a nido d’ape, ripropone il motivo degli xenia – pesci,
uccelli, frutta, iori – il visitatore è accolto dalla igura di Dioniso che indossa una corona
di vite, in piedi accanto a un grande cratere; all’uscita, un paio di sandali insieme a strigili e
unguentari gli augurano un esito felice per le abluzioni che sta per intraprendere. Il mosaico
nelle sue componenti consente vari livelli di lettura, da quelli più immediati – un richiamo
a non scottarsi e a non scivolare, una esibizione della ricchezza del committente – a un più
sottile richiamo al culto dionisiaco, al desiderio del dominus di esplicitare, attraverso la decora-
zione musiva, il proprio patrimonio culturale e religioso.
Per quanto riguarda la produzione pittorica in Sardegna, allo stato attuale il panorama è mol-
Porto Torres, Domus di Orfeo, Orfeo. to povero, nonostante le descrizioni ottocentesche di elaborate pitture allora ancora leggibili,

136
Il mosaico e la pittura

come quella di una scena di lavori campestri nella Casa degli Stucchi nell’area della “Villa di
Tigellio” a Cagliari. Dei ricchi intonaci di questa domus rimangono migliaia di frustuli dai quali
è stato possibile solo ricomporre lo schema decorativo di un sofitto e riconoscere alcuni si-
stemi pittorici cui dovevano appartenere i tanti frammenti di Stagioni (cat. n. 1.247), di eroti,
di personaggi non riconoscibili.
Emerge in tale situazione il complesso dell’ipogeo di San Salvatore a Cabras, i cui ambienti
conservano intera la loro decorazione, sia pure con aggiunte e grafiti successivi. Alla fase
originaria, di età costantiniana, appartengono rafigurazioni mitologiche, Ercole in lotta con-
tro il leone nemeo, Venere, Mercurio, le Ninfe e Pegaso, che, per la loro connessione con
l’acqua, confermano l’ipotesi già formulata di un culto salutare legato al suo uso rituale.
Per la pittura funeraria, si segnalano due ipogei giudaici a Sulci con scarna decorazione e iscri-
zioni dipinte e un terzo, della ine del III-metà del IV secolo, con rafigurazione della defunta
tra cesti colmi di frutta, rami ioriti e festoni. Più o meno contemporanee, ma di maggior im-
pegno e di grande originalità nelle scelte iconograiche, erano le pitture, ora scomparse, degli
ipogei del colle di Bonaria a Cagliari rafiguranti la resurrezione di Lazzaro e la guarigione
del paralitico nel cubicolo di Munazio Ireneo, il ciclo di Giona in quello che prende il nome
dal profeta. Qui, in modo del tutto inconsueto, sono rappresentate, l’una accanto all’altra, la
barca dalla quale Giona viene gettato in bocca a un pistrice, e la sua successiva salvezza, e la
nave che trasporta gli Apostoli pescatori di uomini.

Bibliograia

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interscambi culturali, religiosi e produttivi. Atti del XI Congresso Nazionale di Archeologia Cristiana (Cagliari
23-27 settembre 2014). Cagliari, pp. 565-570.

137
Simonetta Angiolillo

Orecchini con pendente da Alghero,


Maristella - Porto Conte.

Orecchini con pendente da Porto Torres,


necropoli di San Gavino.

138
I beni suntuari
Marco Giuman, Romina Carboni

«Ella era vestita di un peplo più risplendente del bagliore del fuoco, portava fermagli ben ritor-
ti e rilucenti orecchini a calice, le collane intorno al delicato collo erano magniiche, belle, d’o-
ro, riccamente lavorate; e come la luna brillavano sul petto delicato, meraviglia per la vista». Le
parole con le quali nell’Inno omerico ad Afrodite (vv. 86-90) viene tratteggiato l’aspetto seducente
della dea dell’amore, in un crescendo che non a caso trova traduzione concreta in un processo
metanarrativo di tipo primariamente visivo, possono fornirci il giusto abbrivio alle tematiche
generali di questo breve contributo. Da sempre infatti, in ogni epoca e cultura, gioielli, monili
e ornamenta in genere suscitano all’occhio dell’osservatore un fascino potente, forse in virtù
di uno spettro di valori decisamente articolato, in grado di proiettare su un singolo oggetto
piani culturali e funzionali assai diversiicati. Come ben compendia F. Borel «l’ornamento dice
l’essenziale, sottolinea le età della vita, partecipa al matrimonio, accompagna la nascita, i lutti.
È l’elemento motore della seduzione nel senso più ampio del termine; e partecipando alla
seduzione e alla bellezza, partecipa attivamente al grande ciclo dell’esistenza» (BoreL 1996).
A questo quadro funzionale naturalmente non può venire meno anche il mondo romano:
elemento polisemico per eccellenza, e perciò stesso caratteristico di entrambi i generi, il
monile prezioso, soprattutto per quanto concerne l’età arcaica, viene a riassumere in sé signi-
icati simbolici che ne travalicano il mero valore pecuniario, tramutandolo in un importante
demarcatore di natura sociale. In primo luogo come simbolo del potere. Sappiamo da Plinio
ad esempio (Nat. XXIII 4, 10) che sarebbe stato Tarquinio Prisco il primo a donare al pro-
prio iglio, dimostratosi in grado di uccidere in combattimento un nemico mentre ancora
aveva indosso la toga praetexta (sarebbe a dire che non aveva ancora conseguito la maggiore
età), una bulla d’oro, dando così il via a una consuetudine (cfr. Giovenale, Satire, V, 163-165)
che avrebbe poi caratterizzato tutti i igli di quanti avessero ottenuto l’ordine equestre. E in
ciò forse non è casuale che l’aneddoto pliniano veda protagonista proprio Tarquinio Prisco,
ovvero il primo tra i sovrani di Roma per il quale le fonti annalistiche non mancano di rimar-
care l’origine etrusca. Un dato che peraltro sembra trovare conferma ulteriore nella notizia,
riportata da più testimonianze, secondo la quale tutti i simboli del potere utilizzati nella Roma
di età regia e successivamente recepiti dai magistrati della repubblica – e tra questi anche
l’uso dell’anello – avrebbero avuto un’origine etrusca. È noto infatti come nel mondo antico
proprio l’Etruria, quell’Etruria che si dimostrerà fondamentale nell’elaborazione dei modelli
sociali e culturali della Roma di età arcaica, venga a rivestire un ruolo essenziale per lo svilup-
po e il perfezionamento delle arti orafe – si pensi alla tecnica celeberrima della granulazione
o del pulviscolo – oltre a costituire un polo di eccellenza assoluta per la quantità e la qualità
delle sue produzioni. Ma l’episodio di Tarquinio, a ben guardare, sembra suggerirci anche
dell’altro. Se infatti da un lato l’acquisizione della bulla da parte del giovane nobile – agli altri
è riservata una semplice striscia di cuoio – trasforma l’oggetto prezioso in un vero e proprio
status symbol, con tutte le conseguenze che ciò viene a comportare sul piano sociale dell’auto-
rappresentazione, dall’altro è proprio la speciicità dell’episodio, evidentemente da intendere
nell’ottica più propria del passaggio dall’adolescenza all’età adulta, a caricare questo oggetto
prezioso, per il quale sono peraltro note le valenze apotropaiche, di un valore semantico più
ampio, di chiara matrice rituale. Ancora da Plinio (Nat. XXXIII 4) conosciamo l’usanza,
successivamente ripresa in ambito cristiano, di portare «in pegno alla sposa un anello di ferro,
senza gemma incastonata», mentre per quanto concerne il valore funerario degli ornamenta è
forse suficiente fare riferimento all’abbondanza di gioielli rinvenuti nei corredi di quasi tutte
le civiltà antiche.
Segno di potere e di appartenenza sociale non scevro da rilessi di matrice rituale, bene rifu-
gio nei momenti di massima crisi, ma anche status symbol capace di sottolineare le potenzialità
economiche del suo possessore, il monile prezioso rappresenta indubbiamente un marcatore
non secondario delle trasformazioni e dei profondi mutamenti che vengono a caratterizza-

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Marco Giuman, Romina Carboni

140
I beni suntuari

re la società romana nel corso dei secoli. È quanto possiamo osservare, ad esempio, in un
momento particolare della storia di Roma, quando, all’indomani della conquista della Magna
Grecia e della successiva espansione verso oriente, i gioielli sono visti come il fumo negli
occhi da parte dei circoli più conservatori della capitale. Al pari di tappeti, stoffe pregiate,
marmi, gli ornamenti preziosi vengono infatti interpretati come un pericolosissimo indizio
della deriva asiana e della conseguente decadenza morale che verrebbe alla civiltà romana dal
contatto con il mondo ellenico, ritenuto latore del peggiore malcostume e dei vizi più nefandi
(Plin. Nat. XXIII 148). Così già nel 215 a.C. è approvata in senato una legge che vorrebbe
limitare a mezza oncia – corrispondente all’incirca a 13 grammi – il peso complessivo dell’oro
che può essere portato indossato da una matrona romana, un provvedimento che peraltro ha
vita breve e viene revocato dopo che una mezza sommossa popolare ne ha richiesto a gran
voce l’abrogazione. Il dado, oramai, è tratto e come scriverà Giovenale (6, 457) «l’amore per
il lusso non deve avere freni per chi può permetterselo».
Così è un dato di fatto, al di là dei tentativi di Augusto di ridare dignità ai rigidi mores degli
antenati, invero per buona parte solo di facciata, che l’ostentazione pubblica di gioielli e mo-
nili sempre più sfarzosi e complessi da parte delle classi più abbienti diviene una condotta
abituale nella Roma di età imperiale, con dinamiche sociali di autocelebrazione che oramai
non coinvolgono solamente le donne. Come non manca infatti di rimarcare Ovidio (Cosmetici,
25 ss.), tentando di dimostrare come l’esibizione di gioielli non sia più da intendere in una
prospettiva prettamente femminile, «i vostri mariti si sono appropriati di una usanza che era
propria delle donne: la donna sposata ha poco da aggiungere alla loro rafinatezza». Ma è
probabilmente nel Satyricon di Petronio che possiamo cogliere al meglio quel ruolo di vero e
proprio vettore sociale che oramai contraddistingue l’oreiceria nella Roma di età imperiale:
Trimalcione (Petronio, Satyricon, XXXII) ha le dita piene di anelli preziosi e i polsi appesantiti
da bracciali in avorio e oro, per i quali lo stesso protagonista si premura di far veriicare ai suoi
ospiti la mole massiccia. Allo stesso modo la sua sposa, Fortunata, è causticamente ritratta
stracarica di gioie di ogni sorta (Satyricon, LXVII, 6-7): «giunse così il momento che Fortunata
si silò dalle braccia cicciose i braccialetti e li porse a Scintilla da ammirare. Poi si tolse gli
anelli e la reticella d’oro […]. Trimalcione notò la cosa e fattosi portare il tutto disse “vedete
i lacci delle donne! È così che ci pelano, babbioni che non siamo altro. Dev’essere almeno
sei libre e mezzo. Però anche io ho un braccialetto di dieci fatto coi millesimi di Mercurio”».
Sono questi casi limite, naturalmente, peraltro ulteriormente caricati dall’iperbole caustica e
all’un tempo sottile della satira sociale di Petronio, ma è indubbio che, a partire dai primissimi
decenni del I secolo d.C., le morigerate e misurate matrone della Roma repubblicana si sono
oramai trasformate in dame rifulgenti di gioie di ogni foggia e colore, come ben dimostra
Lollia Paolina, la moglie di Caligola, la quale, presentandosi a una cerimonia pubblica, si mo-
stra «ricoperta di smeraldi e perle […], con monili risplendenti sulla testa, nei capelli, sul collo,
alle orecchie e alle dita» (Plin. Nat. IX 117).
L’assunzione del gioiello come oggetto à la page, come status symbol mondano non più riserva-
to ai soli ceti aristocratici, ma più in generale a chiunque disponga del denaro suficiente per
il suo acquisto – è nuovamente Plinio (Nat. XXXIII 23) a ironizzare sul fatto che «oramai
persino i servi ricoprono d’oro i loro anelli di ferro e decorano altri oggetti con oro puro» –
non può che tradursi in un notevole incremento della produzione di ornamenta, ora appannag-
gio anche di quei segmenti sociali che forse oggi deiniremmo middle class. A tale fenomeno
tuttavia non sembra corrispondere un analogo accrescimento tipologico dei modelli, un dato
apparentemente singolare e per il quale sembrano poter concorrere più fattori, non ultime
le peculiarità che contraddistinguono le creazioni orafe e che le differenziano in maniera
sostanziale dalle produzioni artigianali di tipo seriale, quali ad esempio quelle ceramiche.
Orecchino romano da Sorso, In questo senso, i costi elevati e la non sempre agevole reperibilità delle materie prime – si
località Su Pidocciu. pensi alle pietre preziose che in molti casi giungono dalle Indie, dall’Arabia o ancora dall’A-
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna. frica nera (Plin. Nat. XII 84) – unitamente all’altissimo livello di specializzazione dei maestri
orai, si traducono inevitabilmente in pochi e rinomati poli specializzati (tra questi in Italia,
oltre alla capitale, si possono ricordare Taranto, Pompei, Alessandria, mentre per ciò che
Nella pagina accanto riguarda il Mediterraneo orientale sono rinomate le produzioni asiane e siriache) a garanzia
Collana a semplici maglie d’oro alternate di una continuità tecnica di bottega che inevitabilmente favorisce un certo conservatorismo
a vaghi di pietra dura. dei modelli. Certo, in età imperiale si fanno sempre più rari, in quasi a scomparire, i motivi
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale. iligranati e a granulazione di tradizione ellenistica, sostituiti in maniera progressiva dall’in-

141
Marco Giuman, Romina Carboni

serzione sempre più massiccia di pietre preziose e dalle decorazioni a smalto, ma si tratta di
modiiche di tipo accessorio, che non intaccano cioè la struttura funzionale del gioiello ma
solo – e in maniera assai parziale – l’aspetto esteriore e la tassonomia degli ornati. In fondo,
come ben riassume M.T. Guaitoli, è la stessa polisemia dell’ornamentum a determinare una sua
naturale tendenza alla conservazione: «tutte le fonti antiche – e anche la realtà che accomuna
le società antiche a quelle moderne in materia di ornamenti preziosi – sono concordi nell’at-
tribuire a questa particolare categoria di oggetti alcuni valori che ad essi rimangono legati
nel tempo. Si passa da un signiicante meramente attinente alla sfera del piacere e del gusto
estetico, a quello strettamente connesso alla funzione sociale, non disgiunta a sua volta da una
inconscia (o indiretta) volontà di trasmissione e di collezionismo» (guaitoLi 2012).
Per il moderno studioso, questo alto grado di omogeneità tipologica e di sostanziale tendenza
al conservatorismo tecnico e formale rende particolarmente complesso il corretto inqua-
dramento esegetico dell’ornamentun, sia per ciò che ne concerne l’attribuzione a un centro di
produzione, sia per ciò che riguarda il suo corretto inquadramento cronologico; a maggiore
ragione per quegli esemplari di collezione, e sono moltissimi, per i quali non sono noti i con-
testi di rinvenimento. A ciò si aggiunga il numero relativamente esiguo degli oggetti preziosi
giunti ino a noi – che proprio in virtù del loro valore intrinseco possono essere a più riprese
fusi, smontati, riusati – e non ultimo le molte contraffazioni che, dalle botteghe antiquarie di
età illuministica ai moderni falsari, caratterizzano questa particolare classe di materiali.

M. G.

I gioielli della Sardegna di età romana


I gioielli della Sardegna romana non si discostano nella loro isionomia da quelli del resto
dell’impero romano. Questo fattore, combinato con la standardizzazione che ne contraddi-
stingue la produzione, rende dificile individuare centri di produzione, se non in presenza di
scarti di lavorazione o di altri “indizi” archeologici. Allo stato attuale risulta arduo individuare
oficine specializzate nella produzione di gioielli nella Sardegna di età romana. Altrettan-
to problematica appare anche la deinizione di un arco cronologico di riferimento per una
classe di materiali tesaurizzata e dalle caratteristiche conservative. Non aiuta in questo senso
nemmeno il contesto di rinvenimento usuale dei gioielli che, per quanto riguarda il territorio
sardo, è pertinente per lo più all’ambito funerario.
Esempliicativo in questo senso il caso di un contesto tombale presso Sorso in località Su
Pidocciu, che ha restituito, tra gli altri materiali, alcuni monili preziosi: due collane, un orec-
chino e due anelli. Dal momento che sono sconosciute sia le circostanze del rinvenimento
che il dettaglio del contesto, risulta problematico fornire indicazioni che vadano al di là di
considerazioni di natura stilistica e tipologica, le uniche a consentire di avanzare valutazioni
di carattere cronologico. Una delle due collane, a doppio ilo, si caratterizza per l’alternanza
tra vaghi globulari in pasta vitrea di colore blu e maglie in oro (cat. n. 1.165). Essa presenta
una chiusura costituita da un semplice gancio ed è arricchita da un medaglione circolare con
Collana romana da Olbia. bordo doppio godronato e decorazione interna costituita da due serie di pelte intrecciate
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna. con lavorazione a giorno. L’esemplare in questione, vista la lunghezza (133 cm), rientra nella
tipologia delle catene ed in particolare di quelle diffuse in epoca imperiale (II-III sec. d.C.),
Portamuleti da Sorso, località Su Pidocciu. le quali correvano, come desumiamo dalle fonti letterarie (Plin. Nat. XXXIII 40) e da quelle
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna. iconograiche, sui ianchi delle donne.
La tipologia caratterizzata dall’alternanza di pietre dure e maglie d’oro risulta ampiamente
attestata sul territorio isolano almeno a partire dal II secolo a.C., anche se trova l’apice della
Nella pagina accanto sua diffusione dalla seconda metà del I secolo d.C. A questo periodo si fa risalire, sulla base dei
Collana da Olbia. Londra, British Museum. confronti con alcuni esemplari di area vesuviana, una collana conservata al Museo Archeo-
logico di Cagliari: a semplici maglie d’oro si alternano vaghi in pietra dura di colore verde,
Anello con coppia di cavalieri affrontati, di forma cilindrica e prismatica, mentre la chiusura è costituita da un medaglione d’oro
da Alghero, Maristella - Porto Conte. arricchito dall’inserimento di cinque pietre, sempre di colore verde. Di dimensioni ben
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna. maggiori sono invece i vaghi di una collana coeva a quella di Sorso, proveniente da Olbia e
oggi conservata al Museo Sanna di Sassari. Gli elementi che compongono la collana sono
Anello con onice a “occhio di gatto”. tutti di forma romboidale: i vaghi in pasta vitrea di colore viola e sezione quadrangolare si
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna. alternano a maglie d’oro decorate a giorno.

142
I beni suntuari

Un altro interessante monile proveniente dal contesto di Sorso è un anello, inquadrabile tra il
I secolo a.C. e il I d.C., costituito da due cerchi in ilo godronato uniti, in modo da rimanere
mobili, da un terzo elemento circolare analogo più piccolo (cat. n. 1.169). Come ricorda S. An-
giolillo (angioLiLLo 2000), la tipologia è la stessa del doppio anello d’oro – liscio, con un terzo
elemento minore di congiunzione – rinvenuto all’interno di un sarcofago contenente il corredo
funerario, ricco di gioielli, della defunta Crepereia Tryphaena, morta all’età di diciotto anni durante
il regno di Marco Aurelio. La valenza dell’unione di più anelli potrebbe essere ricondotta al noto
potere magico e terapeutico dei gioielli ed in particolare a quello derivato dalla legatura delle
dita: «L’alluce legato al dito vicino riduce i goniori degli inguini, i due medi sulla mano destra
legati leggermente con un ilo bloccano catarri e cisposità» (Plin. Nat. XXVIII 42). Al contrario
gli anelli nei quali i due anelli sono strettamente saldati tra di loro dovevano essere destinati ai
defunti e avere la funzione di trattenere l’anima nel corpo.
Dal contesto tombale di Su Pidocciu proviene anche un orecchino d’oro del tipo a disco con
pendenti, che risponde ad una tipologia ben attestata in epoca ellenistica. Dal gancio si sviluppa
un disco con granato incastonato a notte al quale si raccordano, mediante un anello di sospen-
sione, due pendenti rafiguranti l’uno una ghianda, l’altro un vaso. Come sottolinea S. Angiolillo,
è evidente lo stretto legame esistente con l’oreiceria ellenistica – alla quale riporta anche la va-
riante del pendente a forma di vaso e di ghianda –, anche se alcune caratteristiche morfologiche
e tecniche fanno propendere per una datazione più tarda che oscilla tra la prima e la media età
imperiale. Come dimostrano confronti ravvisabili in ambito musivo, in particolare un esemplare
di Pompei dove è ritratta una donna con orecchino con pendente a forma di anfora, la tipologia
continua ad essere in auge infatti anche in età imperiale. Dal punto di vista tipologico l’esemplare
in questione non presenta peculiarità di sorta, se non fosse per il fatto che esso è stato rinvenuto
senza il compagno. A causa delle scarse notizie legate alle modalità di rinvenimento, non è possi-
bile affermare se la presenza di un solo orecchino possa essere ricondotta ad una violazione della
tomba, e dunque al furto di uno dei due esemplari, o se invece ad un possibile rituale di natura
religiosa, come è stato supposto per alcune tombe inviolate rinvenute nei pressi di Roma.
Dallo stesso contesto proviene anche un altro monile, questa volta un pendente, identiicato
come contenitore per amuleti. Si tratta di un esemplare costituito da due lamine auree rettango-
lari lavorate a stampo e tenute insieme da un grosso ilo d’oro che ne costituisce anche l’anello. Il
pendente trova confronti in numerosi esemplari presenti al collo di uomini e donne ritratti come
mummie. Questi manufatti sono rafigurati generalmente come pendenti di collane oppure legati
a semplici nastri, in virtù della loro duplice funzione: decorativa da una parte, funzionale dall’altra
in quanto destinati a contenere lamine con iscrizioni magiche. Sulla base dei confronti, questo
esemplare può essere inquadrato in un arco cronologico compreso tra il II e il IV secolo d.C.,
periodo quest’ultimo ino al quale i pendenti sono attestati in relazione alle mummie.
Un altro contesto di un certo interesse che permette di apprezzare la varietà delle tipologie di gio-
ielli diffuse nella Sardegna di età romana è quello individuato ad Olbia, a poca distanza dalla chie-

143
Marco Giuman, Romina Carboni

sa di San Simplicio. Il corredo, ascrivile al I secolo a.C., è andato perso poco dopo la sua fortuita
scoperta ad opera di un contadino, ma fortunatamente è possibile risalire alla sua composizione
grazie all’accurata descrizione fattane da G. Spano e alla ricostruzione successiva ad opera di S.
Angiolillo (angioLiLLo 1992). Il corredo era composto originariamente da due collane, tre paia
di orecchini, dodici anelli e uno scarabeo. Una delle collane è stata individuata da S. Angiolillo
in un esemplare conservato al British Museum, che si contraddistingue per la notevole qualità
della fattura e per la ricchezza dei motivi e delle combinazioni della decorazione. Si tratta per
l’esattezza di una collana composta da quindici cilindri d’oro superstiti di lunghezza variabile, che
va diminuendo man mano che ci si avvicina alla chiusura dietro il collo. I cilindri sono lavorati in
iligrana con motivi a rose, stelle, foglie d’edera e triangoli, e recano al centro rubini incastonati
di forma rotonda, ovale, cuoriforme e a goccia. Il rubino più grosso è quello del cilindro centrale.
Nonostante la lavorazione in iligrana conosca ampia diffusione in epoca ellenistica e permetta di
inserire l’esemplare in questione nell’ambito delle produzioni di area egea del III-II secolo a.C.,
non esistono tuttavia confronti puntuali.
Sebbene non sia stato possibile rintracciare gli altri gioielli del contesto, la loro descrizione ad
opera di G. Spano permette di stabilire che essi erano accomunati dalla presenza di pietre. Sulla
base del resoconto fornito è possibile affermare che anche la seconda collana – «a iletti d’oro a
foggia di treccia che forma il cordone, dal quale pendono gli ornamenti in tutta la sua lunghezza,
fatti in forma di colonnette di sei globetti saldati insieme […] La singolarità di questa collana
sono i fermagli delle estremità, il gancio maschio e femmina, attaccati ad una piccola ibula di
forma triangolata, attorno lavorati a iligrana, ed in mezzo la solita pietra rossa rotonda» (sPano
1861) – costituiva un unicum per la Sardegna, probabilmente da ricondurre, basandosi sui con-
fronti, all’operato di botteghe tarantine dell’inizio del III secolo a.C. Alle stesse botteghe si po-
trebbe attribuire anche la produzione degli orecchini del contesto in esame, del tipo a disco con
tre o cinque pendenti con quello centrale conigurato ad anfora. Si ha a che fare anche in questo
caso con una tipologia che conosce ampia diffusione nel II-I secolo a.C. nell’area magno-greca,
con particolare concentrazione nella zona di Taranto. Secondo S. Angiolillo una coppia potreb-
be essere rintracciata negli orecchini di provenienza ignota, attualmente conservati al British
Museum. Si tratta dunque di un corredo che, sulla base delle informazioni desunte dall’analisi
stilistica e tipologica dei suoi componenti, può essere ascritto ad una forbice cronologica com-
presa tra il III e il I secolo a.C.; la deposizione del corredo potrebbe dunque essere inquadrata,
pur con le dovute cautele necessarie, all’interno di quest’ultimo secolo. Il contesto è composto

Armilla d’oro da Sorso.


Cagliari, Museo Archeologico Nazionale.

Nella pagina accanto


Collana da Alghero, località Porto Conte.
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna.

Collana da Alghero, località Porto Conte.


Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna
(particolare).

144
I beni suntuari

da gioielli di importazione provenienti dalla Magna Grecia, in particolare da Taranto, ma anche


dalla Grecia, come accade nel caso delle collane che, vista la datazione più antica, potrebbero aver
fatto parte dei «gioielli di famiglia» e come tali essere stati conservati insieme a quelli più recenti.
Un altro esemplare di notevole interesse è un bracciale rinvenuto nel 1925 in una necropoli di
Porto Torres e ora custodito al Museo Archeologico di Cagliari. Si tratta di un’armilla d’oro
perfettamente conservata, in spessa lamina con la parte interna cava e quella esterna lavorata
a sbalzo con motivi di globetti e archi sovrapposti. La parte interna fu riempita, attraverso un
forellino, da zolfo allo stato liquido, secondo un procedimento utilizzato abitualmente in età ro-
mana, a partire dall’epoca ellenistica, per dare più consistenza ai gioielli. L’utilizzo dello zolfo, pur

145
Marco Giuman, Romina Carboni

Anello a testa di serpente. Cagliari,


Museo Archeologico Nazionale.

Bracciale con teste di serpente. Sardara,


Civico Museo Archeologico Villa Abbas
(in basso).

rimandando dunque a necessità di carattere funzionale, potrebbe aver rivestito anche valenze di
carattere proilattico, legate sia alle lustrationes che alla cura dai mali (Hom. Od. XXII 481). Come
ricorda Plinio (Nat. XXXV 176-177), infatti, «è tanta la forza che messo sul fuoco scopre con
l’esalazione i mali epilettici. La sua natura riscalda, cuoce, ma rimuove anche gli ascessi dei corpi,
per questo si mescola a tali empiastri e pomate. Giova meravigliosamente applicato col grasso
nel dolore anche per reni e lombi. Toglie anche le impetigini del viso con resina di terebinto e
le lebbre; così è chiamato rapace dalla velocità dell’agire, infatti dev’essere tolto subito. Giova
anche agli asmatici con l’ingerimento, anche a quelli che tossiscono elementi purulenti e contro
le ferite degli scorpioni», inoltre «Trova posto anche nei riti religiosi per puriicare le case con la
fumigazione».
L’armilla è stata rinvenuta insieme a quattordici monete d’argento, inquadrabili tra il regno di
Caracalla e quello di Gallieno, che hanno permesso di ascrivere il corredo funerario alla seconda
metà del III secolo d.C. Questa datazione, issata sulla base della moneta più recente, è confer-
mata anche dai confronti stabiliti con bracciali simili a quello di Porto Torres e dai coevi ritratti
di mummie con bracciali voluminosi.
Al carattere apotropaico sono collegati gioielli con le estremità conformate a testa di serpente,
animale salutifero per eccellenza, che trovano ampia diffusione nella Sardegna di età romana. È
questo il caso di diversi bracciali a cerchio e a spirale con la presenza del serpente nelle termina-
zioni, come si può osservare in un esemplare bronzeo conservato al Civico Museo Archeologico
Villa Abbas di Sardara, dove i particolari della testa dell’animale sono segnati con incisioni. Non
si può poi non ricordare, rimanendo in tema, una collana d’oro proveniente da Porto Conte e
oggi conservata al Museo Sanna di Sassari. Si tratta di un esemplare lavorato in maglia tubolare
con le terminazioni conigurate a protomi leonine, alle quali sono ancorati due anelli che pote-
vano essere funzionali a reggere il fermaglio o a issare il gioiello alla veste da una spalla all’altra.
Sebbene la tipologia a doppia protome animale sembri rimandare ad una koinè artistica ellenistica,
l’esecuzione poco naturalistica delle teste leonine porta a ritenere l’esemplare, come suggerisce
S. Angiolillo, «la ripresa di una tipologia ellenistica realizzata nel tardo impero (III-IV sec. d.C.)»
(angioLiLLo 2000). Dato questo confermato anche dalla tipologia della collana a maglia tubolare
che, sebbene diffusa a partire dall’età ellenistica, trova una più ampia attestazione in età imperiale.
Il serpente fa la sua comparsa anche su anelli di solo metallo, largamente utilizzati in periodo el-
lenistico. Un esempio di questa tipologia è rappresentata da un esemplare in argento, conservato
al Museo Archeologico di Cagliari, consistente in una verga attorcigliata a spirale conigurata a
serpente, con la testa e la coda a chiusura dell’anello.
Un indubbio carattere apotropaico è rivestito anche dall’onice a “occhio di gatto” incastonato
in diversi anelli, del quale è un interessante esempio un elegante esemplare conservato al Museo
Sanna di Sassari, realizzato a fascia, con l’onice centrale dai toni del blu, bianco e marrone.
Dalla località di Porto Conte, nei pressi di Alghero, provengono, oltre alla già citata collana con
le teste di leone, anche diversi altri esemplari di gioielli che permettono di apprezzare ancora una

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I beni suntuari

volta l’eleganza e la policromia che contraddistinguono la produzione degli ornamenta preziosi


isolani di epoca romana. È questo il caso di una coppia di orecchini d’oro, risalenti al II-III seco-
lo d.C., del tipo ad anello con pendenti in pietra grigio-verde conformati a prisma con elementi
piramidali granulati (cat. n. 1.166). Il ricorso alle pietre dure e a paste vitree conferma il favore di
cui esse godevano in età romana come elemento centrale della decorazione. È quanto si osserva
sia negli esemplari di orecchini con più pendenti che in quelli nei quali la pietra è incastonata
direttamente nel sostegno principale del monile. Si ricordano, a titolo esempliicativo, una cop-
pia di orecchini provenienti da Olbia, nei quali l’elemento emisferico d’oro consiste in un disco
traforato con motivo loreale con tre pendenti arricchiti da vaghi rossi incastonati a notte (cat. n.
1.168), o ancora due orecchini in oro privi di pendenti traforati e conigurati a iore con cinque
petali e la parte centrale occupata da un granato; entrambi rientrano nel genere che trova ampia
diffusione nel II e nel III secolo d.C.
L’uso delle pietre e delle paste vitree è attestato anche in alcuni esemplari di anelli, sempre pro-
venienti da Porto Conte e inquadrabili cronologicamente tra il I e il II secolo d.C. Un esempio
è fornito da un anello in ferro con castone ovale che racchiude un granato inciso; l’intaglio
rafigura una coppia di cavalieri affrontati, uno dei quali provvisto di lancia (cat. n. 1.171). Altri
due esemplari presentano la verga lavorata, secondo una tipologia che si diffonde a partire dal
I secolo d.C. L’uno ha una conformazione biida che termina con tre foglie aperte sulle quali è
issata una pietra blu con un busto femminile inciso; il secondo presenta la verga decorata da
una itta lavorazione in iligrana, mentre il castone con granato inciso è racchiuso da un motivo
intrecciato in oro: l’incisione consiste in una corona d’alloro all’interno della quale si individua
una spiga di grano.
Da questa breve disamina sui gioielli di età romana in Sardegna si evince dunque come essi non
presentino caratteri di originalità rispetto a quelli diffusi nel resto dell’impero romano. La produ-
zione iniziale risente infatti di una forte inluenza ellenistica che permea e inluenza, uniforman-
dola, la produzione artigianale di Roma e delle province. Questo è quanto emerge ad esempio
dalla predilezione mostrata per l’effetto coloristico e ornamentale, nonché per l’uso delle tecniche
della iligrana, della granulazione e dei ili trinati nella lavorazione dell’oro. I contatti tra Roma e le
altre culture permisero poi nel corso del tempo di arricchire i caratteri della produzione artistica
arrivando anche a risultati originali. È questo il caso dell’utilizzo ampiamente diffuso delle pietre
colorate e delle paste vitree, che iniscono col prendere il sopravvento sulle parti in oro, o ancora
dell’uso del traforo, accanto alla tecnica della granulazione e della iligrana, per gli orecchini. Tra
gli esemplari attestati si ritrovano anche ornamenta in bronzo che rispondono alle esigenze di una
comunità meno abbiente, ma comunque desiderosa di far sfoggio di monili per i quali si cerca di
ottenere risultati simili a quelli degli esemplari più preziosi con l’inserzione di gemme e paste vi-
tree, lisce o decorate. Le gemme, in particolare, ebbero come funzione principale quella di sigillo
personale, valore al quale si aggiunse anche quello magico riconducibile alle proprietà attribuite
dalla mineralogia antica alle pietre. Come ricorda Paolo Vitellozzi, l’eficacia di questi amuleti «è
data, nella concezione di chi li utilizza, dalla sinergia di diverse componenti atte a sviluppare la
dynamis di un’entità evocata mediante una formula o un rito, nel cui ambito la gemma si pone
come elemento catalizzatore» (viteLLozzi 2010). Una gemma può mostrare legami con la sfera
magica anche in assenza di iscrizioni o caratteri magici, in quanto spesso il nesso imprescindibile
è quello tra l’immagine rafigurata e la pietra. La cospicua collezione glittica del Museo di Cagliari
permette di apprezzare la varietà tipologica e la ricchezza del repertorio iconograico di questi
esemplari. Si spazia infatti dalla sfera della religione a quella della vita quotidiana, ino ai simboli
dell’ideologia politica e militare. Spesso il modello di riferimento è tratto da opere scultoree o da
originali musivi, come nel caso di un esemplare proveniente da Padria rafigurante due uccelli
poggiati su un grosso cratere; il modello originale è pertinente ad un mosaico del II secolo a.C.,
prodotto a Pergamo, che godette di ampia fortuna e fu poi replicato su diversi supporti, come ci
conferma anche Plinio (Nat. XXXVI 184).
Tra i gioielli più diffusi nell’Isola in questo periodo si ritrovano sicuramente le collane che, come
si è avuto modo di vedere, mostrano spesso l’alternanza di vaghi in pietre dure e paste vitree e
maglie d’oro e si caratterizzano per l’eleganza della fattura e per la policromia. Altrettanto nume-
rosi gli orecchini, attestati sia nella variante più semplice, costituita da un ilo di bronzo annodato,
che in quella di matrice ellenistica a disco con pendenti, ino ad arrivare a quelli più complessi,
ormai lontani dai modelli greci, con dischi decorati a traforo e pietre dure o paste vitree policro-
me che diventano protagoniste delle creazioni di questo periodo. Stupisce però la mancanza in

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Marco Giuman, Romina Carboni

Sardegna di alcune tipologie ampiamente diffuse in età repubblicana e primo-imperiale, come gli
orecchini a spicchi di sfera e quelli decorati con le perle che, come apprendiamo da Plinio (Nat.
IX 114), dovettero godere di largo consenso: «È vanto delle donne metterle alle dita e a due o a
tre alle orecchie […] e desiderano ormai anche le povere, ripetendo che la perla unica è in pub-
blico il littore della donna».
Stesso discorso vale per gli anelli, apprezzati anche dagli uomini. Dopo un periodo iniziale nel
corso del quale gli anelli d’oro furono utilizzati soprattutto in occasioni di natura uficiale rappre-
sentando uno status symbol e dunque il potere delle classi privilegiate, questi ornamenta si diffondo-
no in modo più capillare. Dopo un uso limitato al solo anulare, essi vengono utilizzati in tutte le
dita della mano, con l’esclusione del solo dito medio (Plin. Nat. XXXIII 24). Anche in Sardegna
sono ampiamente attestati, oltre che il tipo a sigillo, quelli a verga piena che si allarga per ospitare
il castone inciso di pietre preziose, pietre dure o vetri intagliati. Limitati invece, anche se tipo-
logicamente molto diversi, i bracciali per i quali si passa da esemplari molto semplici, costituiti
da ili d’oro o di bronzo con le estremità fermate con un doppio giro a spirale, ad esemplari più
ricercati e colorati.

R. C.

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148
Turris Libisonis Colonia Iulia
Antonietta Boninu

L’ampio territorio di pertinenza della città antica di Porto Torres era abitato e frequentato in
dall’età neolitica; le numerose e articolate domus de janas, scavate nel banco di calcare, costitui-
scono un’eloquente testimonianza delle necropoli complesse e delle aree dei villaggi del Neo-
litico recente (IV-III millennio a.C.), utilizzate almeno ino all’età del Bronzo. I corsi d’acqua,
il mare, i campi fertili hanno sostenuto anche i numerosi insediamenti nuragici, ubicati lungo la
linea di costa e all’interno. Purtroppo varie manomissioni e il polo industriale hanno cancellato
molte tracce. Non è da escludere che la presenza delle torri nuragiche possa essere letta anche
nel poleonimo, che ricorderebbe strutture evidenti nel paesaggio costiero.
L’originario nucleo abitato si è sviluppato nella città di Turris Libisonis Colonia Iulia, intorno alla
metà del I secolo a.C. Il tratto centrale più riparato del golfo, chiuso a nord-ovest dall’Isola
dell’Asinara, l’Herculis Insula delle fonti, e a sud dalla serie di colline che la contornano, è stato
prescelto per accogliere la città, che ha incentrato nel porto la forza economica e culturale, par-
tecipando alle dinamiche di relazioni e attività nel bacino del Mediterraneo. Gli accessi alla città
erano assicurati dalle tre strade che la collegavano alla costa orientale, occidentale e all’interno,
ino al porto di Karales. Ad ovest disponeva delle terre coltivabili e delle miniere di piombo
argentifero; ad est sembra prevalere, insieme all’agricoltura, l’attività di cava per l’estrazione dei
blocchi di calcare per le costruzioni. La strada verso il sud attraversava la regione della Nurra
dedicata all’agricoltura, in prevalenza cereali, ripercorrendo un tracciato preesistente e, a tratti,
sovrapponendosi agli insediamenti di età neolitica. Lungo le tre strade, nelle sezioni vicine alla
città, si sviluppavano le necropoli, che restituiscono monumenti funerari ad inumazione e a in-
cinerazione, costruiti o ricavati nei rilievi naturali, accanto a semplici fosse in terra o in cassoni
ricavati nel banco di calcare. La strada meridionale corre quasi parallela all’acquedotto, che si
dipartiva dalla valle ricca d’acqua nel territorio di Sassari, l’Eba Giara, circa 14 miglia a sud-est.
La città, nell’assicurare a Roma rifornimenti di risorse alimentari, ha potenziato le attività
portuali, consolidatesi con l’impianto dell’agenzia dei navicularii et negotiantes turritani ad Ostia,
nel porto di Roma. Per la raccolta dei prodotti agricoli il iume, navigabile almeno per tre
miglia, ha svolto ruolo primario. Nella radice dell’attuale molo di ponente, a breve distanza
dalla foce del iume, sono state scavate strutture relative al primo impianto portuale del-
la città. Probabilmente nella fase iniziale dell’organizzazione commerciale un unico bacino
svolgeva le funzioni per l’attività lungo il iume e in mare. L’andamento della linea di costa
e i necessari fondali per le navi onerarie hanno individuato già nel II secolo d.C. un amplia-
mento del porto verso est, a breve distanza dalla lingua di terra ove è stata ediicata la torre
in età aragonese. Gli ampliamenti e revisioni del bacino portuale sono stati seguiti da scelte
urbanistiche, che registrano occupazioni di aree prima dedicate alle attività produttive e alle
sepolture e rifacimenti ed estensioni del sistema viario, idoneo ad un nuovo assetto della
città. Ad ovest le sponde del iume hanno offerto anche sorgenti di acqua dolce, che ha
favorito il potenziamento delle attività artigianali con fornaci per la produzione di ceramica,
terrecotte e laterizi. L’attraversamento delle acque del iume, dopo una prima soluzione con
apprestamenti mobili, venne assicurato da un monumentale ponte su sette arcate, ediicato
con particolare perizia ingegneristica.
Per la conoscenza della città e per la comprensione delle aree inora scavate è opportuno ri-
cordare alcuni dati, che hanno pesantemente condizionato la salvaguardia delle testimonianze
archeologiche giunte ino all’Ottocento. Per le Ferrovie dello Stato è stato scavato un tunnel
nella collina sovrastante la riva destra del iume, che ha asportato e disperso una consistente
sezione della città antica. Tra il 1927 e il 1930 si è ripetuta una seconda opera di distruzione,
interessando una ancora più vasta e contigua porzione della città per l’impianto di un secon-
do binario, per la costruzione della stazione e per gli alloggi dei ferrovieri. Dell’immensa de-
molizione sono stati salvati alcuni mosaici e sculture di marmo, che rivelano l’enorme perdita
di un’area dedicata, molto probabilmente, ad ediici pubblici di particolare importanza. Dai

149
Antonietta Boninu

Porto Torres, la città. Nel settore ovest


l’area dell’istituendo Parco.

primi anni Settanta le scelte di tutela hanno costruito una rete di relazioni interistituzionali e
con i cittadini, perché si potesse segnare una svolta nel rispetto della città antica e perseguire
soluzioni delle esigenze contemporanee in formule compatibili. Il ponte pedonale costruito a
scavalco del primo binario intende sottolineare gli intendimenti comuni per risarcire, in parte,
l’immensa cesura e poter indicare l’estensione del tessuto della importantissima città antica.
In anni recenti lo studio per la redazione del Piano Urbanistico Comunale, in adeguamento
ai principi del Piano Paesaggistico Regionale, ha potuto precisare le modalità per difendere
le preesistenze archeologiche con strumenti normativi idonei ed eficaci. Attualmente Porto
Torres, rispetto a tante città pluristratiicate, può presentare i risultati di una politica condivisa
di salvaguardia, che restituisce alla città, alla Sardegna, alla ricerca archeologica, allo sviluppo
culturale ed economico una risorsa ineguagliabile. Attualmente, per un concerto di intenti
della Soprintendenza Archeologica, del Comune e della Regione Sardegna, si dispone delle
aree, acquisite, comprese tra le Terme Maetzke e il iume, caratterizzate dagli elementi propri
per l’istituzione di un parco archeologico urbano. Le norme nazionali e la Legge Regionale
n.14/2006 contengono i criteri e le direttive perché il parco possa diventare realtà in una città
marcata anche dalla crisi dell’area industriale.
La visita della città antica si può articolare almeno in sedici monumenti della città e delle
necropoli. L’Antiquarium Turritano, inaugurato nel 1984, accoglie e presenta signiicativi
documenti archeologici, da conoscere, da guardare e apprezzare anche per obiettiva bellezza,
da analizzare, da studiare, da ammirare, in una logica di ricerca individuale e di fonte unica
della storia, che richiama tutti. Le scoperte e gli interventi effettuati negli ultimi decenni sug-
geriscono di riportare schede speciiche, che riassumono e anticipano ricerche, per restituire
alla comunità una preziosa risorsa comune.

La Domus dei Mosaici o del Mercante


La domus, messa in luce sul versante occidentale della città e sulla riva destra del iume, ha
un impianto, suddiviso in abitazione e terme, disposto a ventaglio sul rilievo rivolto verso il
iume, a ridosso di una strada nord-sud, che risale la collina.
All’estremità sinistra dell’area scavata, a ridosso di un ambiente absidato, si conserva una
scala di undici gradini, che conduceva al primo piano. Sono individuati sette ambienti con
pavimenti in mosaico policromo e pareti con intonaco dipinto. Nel Vano I la fascia perime-
trale presenta un campo di tessere nere con motivi decorativi e lettere: sulla sinistra un paio
di sandali e sulla destra tre lettere, O R C, di tessere rosse. Nel Vano II il tappeto, decorato da
treccia continua, accoglie due riquadri con pesci, che nuotano tra le onde in campo bianco.

150
Turris Libisonis Colonia Iulia

Il mosaico del Vano III é articolato su un motivo di ottagoni e spazi di risulta quadrati. Il
Vano IV presenta un mosaico con motivo geometrico uguale a quello del contiguo III. A
nord si sviluppa un vasto ambiente con pianta trapezoidale, e con tappeto musivo molto
lacunoso, a causa di demolizioni, modiicazioni, sovrapposizioni ed asportazioni; sul tappeto
si susseguono quadrati con pesci e motivi geometrici. Il Vano VI è costituito da una vasca
rettangolare rivestita con lastre di marmo; il pavimento ha mosaico a scacchiera con tessere
alternate bianche, rosse e nere. L’ambiente VII, pertinente un impianto termale, presenta un
mosaico articolato su due ile parallele di rettangoli decorati con motivi geometrici. Non è
escluso che, data la notevole pendenza verso il iume, l’ediicio presenti un terzo livello, al
ine di sfruttare il declivio nella quota inferiore.
Nei consistenti crolli, che obliteravano i sette vani, erano presenti elementi della copertura
e dei rivestimenti parietali: intonaci dipinti, igurati con motivi di volti umani, iori e frutta,
che presuppongono una complessa articolazione decorativa. L’apparato decorativo – lastre
di marmo policromo, mosaici, intonaci dipinti – e le porzioni delle colonne rivelano cura
dei materiali e disponibilità economiche. L’analisi delle tecniche murarie, blocchi di calcare
alternati a blocchetti di argilla essiccati e conservatisi negli strati di crollo, e le partizioni archi-
tettoniche sembrerebbero rimandare ad prima fase di vita della domus, collocabile nel I secolo
d.C., anche con confronti nel settore orientale della stessa città di Turris Libisonis.
Data la felice posizione, la domus è stata oggetto di ampliamenti, revisioni, rifacimenti ed
adattamenti, che si sono susseguiti almeno ino alla ine del III secolo d.C.

Le Terme Centrali e la Domus di Orfeo


Il toponimo “Palazzo di Re Barbaro” indica una vasta area ove sono state effettuate opere
tese alla ricerca dei corpi santi dei protomartiri Gavino, Proto e Gianuario; ad attirare l’atten-
zione sono state le elevate strutture emergenti sul declivio settentrionale della collina del Faro
e prospicienti la linea di costa, ad est del primo bacino portuale marittimo-luviale. L’area nel
settore orientale registra le pesanti perdite a causa dei lavori delle Ferrovie. Il Taramelli nel
1927 ha recuperato la grande lastra di marmo con l’iscrizione in caratteri greci, che ricorda
nell’VIII secolo la vittoria sui Longobardi. Riconoscendo la notevole importanza dell’epi-
grafe è stato disposto il trasferimento nella Basilica di San Gavino, ove è ancora nella navata
destra. L’attribuzione del reperto ad una monumentale basilica risulta, alla luce delle scoperte
successive, rispondente.
Negli anni Sessanta le operazioni di scavo hanno rispettato le quote dei piani stradali, iso-
lando le notevoli strutture. Nel seguire il tracciato della strada est-ovest sono stati asportati
massicci strati archeologici e recuperate alcune sculture, compresa l’Ara di Cuspius Felix, sa-
cerdote di Bubastis, recante il nome dei consoli del 35 d.C. Di fatto i numerosi interventi di
scavo hanno deinito un grande parallelepipedo, delimitato su tre lati da un massiccio muro di
contenimento, ediicato all’interno di un consistente banco di crolli di strutture preesistenti.
Il muro, in opera cementizia, ha presentato notevoli lacune e crolli nell’angolo nord-ovest,
lungo il lato est e a nord. La struttura era stata eretta per contenere un terrapieno realizzato
per la costruzione del porticato di accesso alle terme. Il complesso monumentale conserva
un impianto termale con percorso assiale, che si sviluppa, dal porticato di accesso, in frigida-
rium, apodyteria, tepidarium e tre calidaria, che obliterano lungo il lato sud strutture precedenti,
in parte visibili e pertinenti parzialmente a un criptoportico contiguo ad una strada est-ovest.
Le pareti degli ambienti termali erano rivestite di lastre marmoree e le volte di mosaici con
tessere in pasta vitrea; i pavimenti decorati con mosaici geometrici policromi sono stati datati
tra la ine del III e l’inizio del IV secolo d.C.
Al di sotto del terrapieno sono state messe in luce porzioni di due domus separate da una con-
sistente fossa di spoliazione, che ha asportato i blocchi della delimitazione ovest della domus
orientale e i blocchi contigui della delimitazione est della domus occidentale. Il muro est di
contenimento del terrapieno è stato ediicato in senso nord-sud all’interno della domus orien-
tale. La causa del crollo del muro est è stata una fossa di spoliazione, che in parte ha ampliato
la stessa fossa di fondazione della struttura, sulla quale il crollo si è adagiato. Le operazioni
di spoliazione hanno asportato oltre la metà di un vano con pavimento in mosaico policro-
mo e igurato. Dell’ambiente si è individuata l’esterna delimitazione est, adiacente alla strada
nord-sud, costituita da muratura in blocchi di calcare e due ambienti contigui, a nord e a sud,
pertinenti un ediicio che si sviluppa verso ovest con un quarto e vasto ambiente.

151
Antonietta Boninu

Porto Torres, Terme Centrali


e protezione della Domus di Orfeo.

La ricerca di una soluzione di protezione e di conservazione della complessa stratigraia


ha condotto nell’area centrale del porticato di accesso delle terme, per veriicare l’anomalia
centrale di un settore incoerente, continuamente minato dalle acque meteoriche. Si è per-
seguita la soluzione dettata dai dati archeologici emersi, in coerenza anche con l’obiettivo
di garantire veriiche ulteriori. Non si esclude che il prelievo di numerosi blocchi di calcare
sia stato dettato dalla costruzione della vicina basilica. L’intervento di scavo ha messo in
luce, ad est e a ovest della fossa di spoliazione, strutture precedenti, che hanno imposto una
veriica puntuale, da connettere al settore est. La presenza dei pilastri del portico e quindi
la loro conservazione in sicurezza, le condutture di scarico pertinenti le terme, l’esigenza di
perseguire una soluzione complessiva di salvaguardia delle articolate e importanti stratigraie,
ha ridotto drasticamente le possibilità di ampliamento della ricerca di scavo. L’analisi dei ri-
sultati, l’imponenza delle strutture monumentali delle terme, la presenza della fossa di spolia-
zione centrale, utilizzabile perché su base di argilla compatta, la delimitazione orientale degli
ediici preesistenti le terme, il contiguo asse stradale nord-sud hanno motivato il progetto di
protezione del settore. La soluzione prescelta garantisce la rispondenza con le norme, con i
criteri e i principi della conservazione, il rispetto del contesto, la sicurezza d’uso, i costi mol-
to contenuti per la manutenzione sostenibile, l’ispezione degli impianti, e inine la massima
sicurezza per le cose e le persone. Inoltre la ricostituzione spaziale e strutturale del piano del
porticato delle terme assolve a più funzioni: restituisce l’accesso, il motivo decorativo del pa-
vimento in mosaico e preserva le strutture sottostanti con accessi agevoli per comprenderne
la complessa stratigraia.
La struttura di protezione, non invasiva rispetto ai resti monumentali e rispondente anche ai
principi di reversibilità, si adatta alle quote dei resti archeologici, si fonda su pilastri di acciaio
impiantati nella fossa centrale di spoliazione in terreno sterile e comprende la muratura pe-
rimetrale del terrapieno del porticato nei lati ovest e nord, mentre lungo il lato est si estende
ino alla delimitazione dell’ediicio preesistente le terme, contiguo alla strada nord-sud. La
struttura di protezione dispone di tre accessi, due a nord e uno a sud, che consentono un’are-
azione continua e naturale, che non apporta variazioni al microclima del grande ambiente. Il
percorso di visita si articola in due tracciati paralleli, l’occidentale a quota inferiore rispetto ai
pavimenti di mosaico, l’orientale lungo la fossa di spoliazione, allo stesso piano dei pavimen-
ti, perché si possa eseguire la ricostruzione del motivo decorativo del mosaico danneggiato
dal muro di contenimento del terrapieno.
Le strutture preesistenti le terme sono riconducibili a due domus, contigue lungo l’asse nord-
sud. Della domus occidentale lo scavo ha individuato parte di un ambiente orientale e altri
contigui a sud, non indagati. Della domus orientale sono leggibili otto ambienti, articolati

152
Turris Libisonis Colonia Iulia

attorno al vano centrale, di pianta rettangolare, con vasca al centro; a sud del vano centrale
è stato individuato l’ottavo ambiente con mosaico geometrico policromo. Il pavimento pre-
senta un rivestimento a mosaico decorato con rombi rossi e neri su campo bianco. La vasca
presenta tre lobi lungo i lati nord, est e sud, il quarto lato è rettilineo; le pareti esterne sono
intonacate e dipinte con una fascia di colore verde. All’esterno del lobo settentrionale sono
presenti le canalette di adduzione e di scarico dell’acqua e un pozzetto di ispezione, realizzati
al di sotto del pavimento e conluenti in un condotto maggiore. All’interno della vasca sono
evidenti la base di una colonna centrale e le tracce del rivestimento parietale con lastre di
marmo. Il pavimento è decorato da mosaico con sedici pesci, disposti intorno alla colonna.
Su due registri paralleli lungo la linea nord-sud si individuano, da ovest: nel primo registro,
torpedine (Torpediniforme), tonno (Thunnus), murena (Muraena helena), cozza (Mytilus galloprovin-
cialis), triglia (Mullida), riccio di mare (Echinoidea/Paracentrotus lividus), sgombro (Scomber scom-
brus), pinna comune (Pinna nobilis); nel secondo registro: sogliola (Solea solea), mostella (Phycis
phycis), seppia (Sepiida), cernia (Epinaphelina), dentice (Dentex dentex), granchio (Prachyura), om-
brina (Umbrina cirrosa), gallinella di mare/capone (Chelidonichthus lucerna).
Dal vano centrale l’accesso ai tre ambienti orientali era dato da due gradini, ad una quota in-
feriore; dei due ambienti perimetrali si conservano lacerti, del centrale residua una porzione
dell’elevato della parete nord, intonacata e dipinta di colore rosso; del muro di delimitazione
orientale si conservano blocchi della base, della parete sono stati recuperati frammenti di
intonaco dipinto con partizioni architettoniche. Del pavimento si conservano porzioni pe-
rimetrali e parte del riquadro centrale, decorato dalle Tre Grazie, racchiuse in un ottagono
realizzato con riquadri e compreso in una fascia a scacchiera. Dal grande ambiente centrale
di raccordo si accede ai tre ambienti occidentali, è visibile la soglia in marmo del centrale,
mentre gli ingressi per gli altri due sono obliterati dai pilastri del porticato. I tre vani sono
contigui lungo l’asse nord-sud e sono stati privati della struttura di delimitazione ovest dagli
interventi di spoliazione, che hanno asportato anche la corrispondente fascia dei mosaici e
causato manifestazioni di subsidenza dei pavimenti.
Nei tre ambienti la decorazione dei rivestimenti pavimentali è data da mosaici policromi e le
suddivisioni strutturali, ridotte a livello di pavimento, sono costituite da muri realizzati con
armatura lignea e mattoni crudi, integrati da argilla e rivestiti di intonaco affrescato. Il mo-
saico del vano meridionale conserva un tappeto impostato su un motivo geometrico di qua-
drati, rettangoli e rombi; i rettangoli racchiudono, alternativamente, doppia freccia e treccia, i
quadrati motivi loreali reiterati. Il mosaico del vano settentrionale è impostato su quadrati e
rettangoli disposti su ile parallele alternate e recanti motivi geometrici e itomori. Il mosaico
del vano centrale presenta un emblema ottagonale contornato da motivo nastriforme, che
racchiude la composizione di Orfeo che suona la lira circondato da nove animali, rivolti verso
il cantore, e due alberi sullo sfondo; a sinistra si rilevano: civetta su un ramo, sovrastante ser-
pente attorcigliato sul tronco dell’albero, toro e leopardo; a destra: corvo sull’albero, cornac-
chia, leone, cervo e lucertola. Il tappeto presenta una serie di riquadri delimitanti l’ottagono
centrale e alternativamente recanti trecce, quadrati, rettangoli e rombi. La planimetria della
domus restituisce i conini est ed ovest con una simmetria dei vani, che si aprono sull’ambiente
che li raccorda. Non si dispone di elementi certi per ipotizzare l’ingresso principale (ostium)
della domus, ubicabile sia a sud che a nord. I frammenti degli affreschi parietali, da attribuire
agli ambienti di appartenenza, sono stati in parte restaurati e restituiscono motivi decorativi
con partizioni architettoniche impostate su alto zoccolo monocromo rosso, puttini danzanti,
maschere, uccellini, frutti, e due igure interpretabili come Orfeo ed Euridice. La qualità tec-
nica dell’ediicio, i motivi dell’apparato decorativo degli ambienti, nei pavimenti e nelle pareti,
mostrano, tra l’altro, l’inserimento di Turris Libisonis, all’inizio del III secolo d.C., in un’ampia
circolazione di cartoni e maestranze specializzate e la presenza nella città di una committenza
economicamente solida.

Via delle Terme


L’area, contigua alle Terme Maetzke e compresa tra via delle Terme ad est, via Petronia a sud
e abitazione privata a nord, è stata sottoposta a veriica archeologica a seguito di demolizione
delle strutture ediicate nei primi anni Cinquanta sul declivio naturale del versante nord della
collina del Faro. Nel settore occidentale dell’area è stato messo in luce, al di sotto di strati di
età altomedievale e di età romana, un ambiente con planimetria rettangolare in senso nord-

153
Antonietta Boninu

Busto di statua loricata da Porto Torres,


via delle Terme.

154
Turris Libisonis Colonia Iulia

sud e con ingresso a nord, delimitato ad est da un muro di grandi blocchi regolari di calcare.
Al di sotto degli strati di crollo delle coperture del vano, a seguito di abbandono intorno alla
metà del IV secolo d.C., sono stati individuati altri ambienti; lo status giuridico dei lavori non
ha permesso l’estensione dell’indagine. Del vano è stato messo in luce il mosaico pavimen-
tale: il motivo decorativo con tessere rosse, nere, bianche, ocra è geometrico e si articola
su ottagoni, il primo dall’ingresso racchiude un doppio anello con rami d’ulivo, contenente
un’epigrafe su sei righi. Risulta un unicum la formula di saluto rivolta a chi arriva: Quod benis/
ti contentus/ esto tutus fe/cisti qui probis/simus super/ benisti (“Poiché sei venuto sii contento, hai
valutato di stare sicuro tu che molto probo sopraggiungesti”).
Le esigenze di tutela urgente dell’area hanno imposto la veriica di scavo nel settore orientale
e settentrionale, all’interno di un perimetro dato da conini di sicurezza rispetto alle strade
e all’abitazione a nord. Al centro dell’area sono evidenti e monumentali corpi strutturali su
terrazzamenti, che degradano sul declivio verso nord. Le porzioni delle strutture messe in
luce rilevano un grande complesso coerente nelle sue parti, variamente modiicato dalle fasi
di riutilizzo dell’area e dalle spoliazioni per il prelievo di materiale da costruzione. Lo svilup-
po planimetrico e architettonico delle diverse unità costruttive viene scandito dall’alternarsi
di spazi aperti e di spazi chiusi, ottenuti con suggestivi salti di quota sul fronte della linea di
costa. L’articolazione planimetrica si sviluppa in due strutture connesse tra loro e proiettate
verso ovest, nord-est ed est. Dai residui strutturali riversi sul versante meridionale e ancora in
opera si recuperano tre registri architettonici, impostati su un arco. Le marcate caratteristiche
rilevate conigurano le strutture quale espressione di un ambizioso programma di edilizia
pubblica, che prospetta verso il mare e contorna il rilievo naturale, svettando notevolmente
sulla sommità.
La porzione strutturale documentata restituisce un ambiente semi ipogeo con ingresso sot-
tolineato dall’arco e con vano quadrangolare, che immette in una galleria ricoperta a botte,
proiettata con notevole pendenza verso est. La copertura del vano quadrangolare d’ingresso
e della galleria con volta in opera cementizia e rivestimento in malta idraulica, unita alla
rilevata lunghezza di nove metri, restituiscono all’insieme un impegno di tecnica e di pro-
getto propri degli ediici pubblici. Il paramento murario è realizzato con blocchi di calcare
compatto, inemente lavorati e messi in opera con una puntuale giustapposizione. Per l’arco,
ai lati dell’evidente blocco di chiave svettante, si articola una composizione architettonica
curata nei minimi particolari, sia nell’estradosso che nell’intradosso. Al di sopra dell’arco, e
in sottosquadro rispetto al fronte, residua parte dell’elevato con malta a vista: si conserva
traccia evidente dell’alloggiamento di una grande lastra, di rivestimento o di iscrizione mo-
numentale, in posizione orizzontale per una lunghezza di circa due metri. Fra le lastre iscritte
note inora, l’epigrafe di Titus Flavius Iustinus, duovir quinquennalis potrebbe corrispondere per
le misure, ma le opere pubbliche riportate nell’epigrafe non trovano riscontro nelle caratteri-
stiche strutturali dell’ediicio.
Tutto il fronte della costruzione, messa in luce per circa sette metri, reca segni evidenti di un
organico apparato decorativo; le tracce di malta sul paramento, le porzioni di intonaci, le crustae
in marmi policromi e grappe di issaggio, ancora in situ, ne costituiscono inequivocabile testimo-
nianza. I dati restituiti dallo scavo di una sezione della fossa di fondazione collocano la realizza-
zione dell’impianto originario in un periodo compreso tra il I secolo a.C. e la prima metà del I
secolo d.C. Le fasi di vita e di attività del complesso monumentale sembrano perdurare ino al
II-III secolo. Ai numerosi frammenti di lastre di rivestimento dei paramenti murari si uniscono
colonne di marmo scanalate e lisce, di diversi diametri e altezze, collocabili nei tre livelli della
costruzione. Fra le sculture spiccano tre statue di marmo collocabili tra il I e il II secolo d.C.
Di una statua di marmo bianco si conserva la parte centrale del busto; è rappresentato un per-
sonaggio che indossa la corazza da parata, chiusa sul ianco sinistro da cerniera e sul pettorale
destro da spallaccio decorato. Al centro della corazza, nel registro superiore, la decorazione è
data dalla testa di Gorgone, e nel registro inferiore da due Vittorie alate con in testa il calathos,
rivolte al centro verso il tripode faceforo e con la mano sinistra e destra sollevate e aperte a
contornare la parte superiore della iaccola. Delle due Vittorie affrontate si conserva la parte
superiore della destra ino all’attacco delle gambe e della sinistra parte della testa e la mano
sinistra. Le Vittorie poggiano su due contornanti ed esili viluppi e volute, dei quali restano
sulla destra del frammento i desinenti girali, resi con accurata tecnica e precisione calligraica.
Sull’omero sinistro della statua è poggiato il lembo centrale del paludamentum, mantello, che

155
Antonietta Boninu

Statua di Ercole da Porto Torres,


via delle Terme.

156
Turris Libisonis Colonia Iulia

ricade sul dorso con ricche pieghe per raccogliersi sul braccio sinistro, mancante. Sulle mor-
bide e simmetriche pieghe della tunica aderente al braccio sinistro e sulle soprastanti strisce
di cuoio della corazza, terminanti con le frange a spina di pesce, si conservano evidenti tracce
di pennellate di pittura di colore rosso. Nel sottosquadro delle pieghe del mantello le tracce
di pittura sono di colore rosso bruno. L’analisi dell’opera nel contesto della produzione scul-
torea turritana ha identiicato un frammento pertinente, costituito dalla parte inferiore della
corazza, esposto nel Museo Nazionale G.A. Sanna di Sassari.
Di una seconda statua loricata si conserva in un unico frammento il busto ino all’attacco
delle gambe, il braccio sinistro ino al polso e la parte alta del braccio destro. Sono comba-
cianti la mano sinistra, la gamba destra e il piede, il sostegno contiguo, dato da un globo e da
una cornucopia ricolma di frutti; la gamba sinistra, ino alla caviglia, si ricompone da quattro
frammenti. Il personaggio è in posizione di adlocutio, per rivolgere un discorso ai militari.
Per l’impostazione della scultura il modello di riferimento si segnala nella statua loricata
dell’Augusto di Prima Porta, conservata nei Musei Vaticani, mentre la collocazione cronolo-
gica indica l’ambito del II secolo d.C. Nella sezione centrale del torace è annodato il cingulum
militiae, che lo suddivide orizzontalmente in due registri e lo sottolinea con doppia ripresa
della fascia. Il registro superiore è decorato da due grii affrontati e l’inferiore da un’aquila
araldica centrale. Le pteryges, ali inferiori della corazza, sono decorate da una serie di elementi
singoli, in parte abrasi: si conservano un iore, due scudi incrociati, un elmo e probabilmente
una testa di aquila. Sul mantello e sulla corazza si sono rilevate tracce di pittura di colore
rosso bruno e di diverse tonalità; nella tunica sottostante la corazza il colore giallo-oro tenue
risulta uniforme.
Della terza statua si conservano il busto, il braccio sinistro e la parte superiore del destro,
la gamba sinistra ino al ginocchio e la destra al di sopra del femore. La presenza della leontè
(pelle di leone), con le zampe anteriori annodate sul petto e le posteriori raccolte sulla spalla
e riportate sull’avambraccio sinistro, è inequivocabile per identiicare la rappresentazione
di Ercole. La igura è stante con la gamba destra appoggiata ad un sostegno e la sinistra
leggermente lessa. Sono pertinenti alla statua frammenti della mano sinistra e della clava,
retta con la mano destra. Le superici della scultura, riinite con particolare cura, conservano
tracce della pittura distribuita a marcare i vari elementi caratterizzanti. Sulla leontè sono state
rilevate le tracce di colore bruno rossastro, distribuito uniformemente per evidenziare la
pelle del leone; tracce di pittura si sono rilevate anche sul corpo per sottolinearne il colore
naturale. Le tre sculture costituiscono singolari e importantissimi esempi di graphta andreia,
statue dipinte, che in Sardegna sono attestate per la prima volta; il materiale utilizzato e la
rafinata esecuzione consentono di inserirle tra le più importanti manifestazioni artistiche
dell’Isola in età romana. Assumono inoltre un’inequivocabile importanza dal punto di vista
topograico e storico per la lettura del contesto urbano di Turris Libisonis, ponendosi come
elemento cardine di un rinnovato processo di vitalità economica e culturale della città-porto,
le cui importazioni rivelano una solida e consistente presenza nei rapporti commerciali del
Mediterraneo.

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2083-2092.

158
2.
Istituzioni
ed epigrafia
della Sardegna
romana
e tardoantica
Il patrimonio epigraico della Sardegna romana.
Caratteri generali
Raimondo Zucca

Il patrimonio epigraico della Sardinia costituisce un non esteso novero di monumenti inscrit-
ti, di cui può seguirsi il processo delle oficine epigraiche, dall’approvvigionamento del mate-
riale durevole su cui dovrà essere inciso il testo, alla individuazione del tipo di supporto, alla
selezione delle eventuali scelte iconograiche, alla stesura della minuta del testo epigraico,
alla sua ordinatio, alla sua realizzazione materiale ad incisione, o, ben più raramente, a rilievo,
ovvero con litterae metalliche issate con perni o alveolate entro i solchi previamente tracciati.
La varietà delle scelte operate nelle oficine scrittorie si pone in relazione alla committenza,
pubblica o privata, ed alla occorrenza, votiva, onoraria, funeraria, e così via discorrendo, che
ha determinato il messaggio scritto.
Abbiamo parlato di oficine scrittorie poiché i prodotti extra-oficinali, in particolare i graf-
iti, spesso su ceramica, costituiscono una parte estremamente minoritaria dell’epigraia della
Sardinia.
La ricerca epigraica in Sardegna, a parte i contributi occasionali di autori dei secoli XVI-
XVIII, tra cui il manoscritto del Padre Simon Sotgio, Vida y milagros de San Gavino, con l’iscri-
zione turritana CIL X 7951, rimonta all’Ottocento con i contributi pionieristici di Alberto
Lamarmora e Giovanni Spano e lo straordinario lavoro di Theodor Mommsen e dei suoi
collaboratori, con la edizione nel 1883 del X volume del Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL),
contenente anche le iscrizioni della Sardinia. Dopo il CIL dobbiamo menzionare per il secolo
XIX i lavori di Ettore Pais, Filippo Nissardi, Pietro Tamponi e Filippo Vivanet, in parte con-
luiti nell’Ephemeris Epigraphica VIII.
Il Novecento è stato contraddistinto dall’edizione di nuovi testi epigraici illustrati dal So-
printendente Antonio Taramelli e da archeologi quali Paolino Mingazzini, Massimo Pallotti-
no e Giovanni Lilliu. Più intensa l’edizione critica di nuovi testi epigraici di Piero Meloni e
soprattutto di Giovanna Sotgiu, autrice delle Iscrizioni Latine della Sardegna e di numerosissimi
studi e ricerche, e dei loro allievi Attilio Mastino, Franco Porrà, Ignazio Didu e Marcella Bo-
nello. Ad essi si sono aggiunti tra gli anni settanta del XX secolo e i primi decenni del XXI,
Antonio Maria Corda e Piergiorgio Floris dell’Università di Cagliari, Paola Ruggeri, Antonio
Ibba e Raimondo Zucca dell’Ateneo sassarese.
Fondamentali gli apporti all’epigraia sarda di Giancarlo Susini, Angela Donati e Francesca
Cenerini dell’Università di Bologna, Silvio Panciera dell’Università Sapienza di Roma, Lidio
Gasperini dell’Ateneo di Roma “Tor Vergata” e, soprattutto, di Marc Mayer dell’Universitat
de Barcelona. Per i Carmina Latina Epigraphica Sardiniae possediamo il corpus curato da Paolo
Cugusi dell’Università di Cagliari. Le iscrizioni cristiane, prese in esame in questo volume
da Antonio Maria Corda, hanno ricevuto numerosi contributi ad opera di Giovanna Sotgiu,
Letizia Ermini Pani e dallo stesso Corda, autore del Corpus delle iscrizioni cristiane della
Sardinia.
Il nostro contributo sarà principalmente incentrato sulle oficine lapidarie, poiché sono
scarsi, benché importantissimi, i documenti scrittori su supporto metallico (in particolare il
bronzo, sia nella dedica votiva ad Aescolapius-Asklepios-Eshmun di San Nicolò Gerrei (CIL
I2 2226), sia nelle tabulae di patronato di Vselis (CIL X 7843= ILS 6107, cat. n. 2.71) e, forse,
di Neapolis e dei testi giuridici, in sostanza assenti in Sardinia a parte la tabula di Esterzili (CIL
X 7852 = ILS 5947, cat. n. 2.70) e le iscrizioni musive (sotgiu 1961, n. 58, cat. n. 2.85) e
parietariae (CIL X 7733), dipendenti da oficine specializzate differenti.

Un modesto paesaggio epigraico di una provincia a bassa densità epigraica


József Herman a proposito della provincia Sardinia ha evocato il concetto di bassa “densité
épigraphique”. Attilio Mastino in un suo studio sulla Geograia epigraica della Sardegna ha ripreso
i concetti di Herman sottolineando che «Il vantaggio di utilizzare la Sardegna per una valu-
tazione della “densità epigraica” consiste soprattutto nel fatto che si tratta di una provincia

161
Raimondo Zucca

Tvrris Libisonis, iscrizione funeraria


CIL X 7591 in una trascrizione
seicentesca.

ben delimitata, che a livello romanzo presenta caratteristiche di forte arcaicità, pressoché
uniche nel Mediterraneo; inoltre la dislocazione prevalentemente costiera delle città romane,
eredi quasi tutte delle antiche colonie fenicie e puniche, consente di studiare meglio la distri-
buzione nel resto del territorio delle iscrizioni, con particolare riguardo per le zone isolate,
interne e montagnose, dove era prevalentemente insediata una popolazione locale ostile agli
immigrati italici, a quel che pare non interessata a superare i limiti di un millenario analfabe-
tismo».
Dalle osservazioni di József Herman ed Attilio Mastino siamo autorizzati a ricostruire un
paesaggio epigraico della Sardinia sostanzialmente limitato alle aree urbane, ed all’interno di
queste al caput provinciae Sardiniae Karales ed al secondo polo urbano dell’Isola, in età imperiale,
la colonia Iulia Turris Libisonis, mentre le altre città hanno restituito un panorama epigraico
piuttosto limitato, concentrato prevalentemente nel centro urbano rispetto alle minime atte-
stazioni inscritte dell’ager, in particolare pertinenti all’epigraia funeraria.
I paesaggi rurali della Sardinia sono infatti sostanzialmente muti, ad eccezione delle viae dotate
di un numero rilevante di miliari, del praetorium di servizio al cursus publicus di Muru de Bangius
di Marrubiu, lungo il compendium itineris fra la via a Karalibus Turrem e Forum Traiani (AE 1992,
892), di una serie di templa extraurbani, tra i quali primeggia il templum Sardi Patris di Antas (AE
1971, 119-120, cat. n. 2.3) e di pochi termini fra populi sardi e di limites fra fundi.
Nelle aree interne della Sardinia le iscrizioni sono, infatti, limitatissime: già Theodor
Mommsen, a proposito dei tituli latini del territorio prossimo a Forum Traiani (Fordongianus),
aveva notato che «paucis titulis ad Forum Traiani effossis adiunxi qui prodierunt in vicis vicinis item
mediterraneis Samugheo, Busachi, Ula; qui si recte excepti essent, haberent utilitatem propter Sardorum
genuinorum nomina a Romana consuetudine abhorrentia».
L’ipotesi che in un quadro di prevalente cultura orale i Sardi dell’area centrale abbiano adot-
tato il codice alfabetico latino in fase imperiale per esprimere la propria lingua (che, tuttavia,
era in fase regressiva a fronte del latino sin dal primo impero) appare una possibilità remota,
benché le attestazioni epigraiche di antroponimi ed, eccezionalmente, di lessemi paleosardi
siano in aumento in particolare nei territoria di Aquae Ypsitanae /Forum Traiani, Vselis e Valentia.
L’acquisizione della scrittura in Sardegna rimonta sostanzialmente ai primi insediamenti ur-
bani fenici, scaglionati fra il 780 a.C. circa (Sulki) e lo scorcio del VII secolo a.C. Appare
rilevante nel quadro della strutturazione di oficine scrittorie negli insediamenti fenici di Sar-
degna l’utilizzo delle risorse litiche locali, segno evidente che, presumibilmente, in ambito
santuariale erano presenti scribi che proponevano in loco iscrizioni di tipo monumentale.
È il caso della stele di Nora, un testo presumibilmente sacro al dio Pumai, che reca la prima
menzione della Sardegna nella forma shrdn, incisa su un supporto di panchina tirreniana (are-
naria), entro l’VIII secolo a.C., sulla base della paleograia.
Ugualmente un frammento di una seconda stele di Nora, forse leggermente anteriore alla
prima, rilette l’utilizzo dell’arenaria come supporto di una iscrizione monumentale.
Nel caso del frammento della stele di Bosa, con una sola linea di scrittura superstite, coeva

162
Il patrimonio epigraico della Sardegna romana. Caratteri generali

alla stele di Nora, abbiamo l’uso della trachite locale per una stele di grandi dimensioni.
In età punica abbiamo l’evidenza di paesaggi epigraici nelle città cartaginesi di Karalis, Nora,
Bithia, Sulci, l’anonima Monte Sirai, Othoca, Tharros e Olbia.

La comunicazione epigraica della Sardinia


Giancarlo Susini ha messo in luce il valore, nella “comunicazione di massa dell’antichità”,
delle “iscrizioni esposte” degli spazi urbani a partire, in particolare, dal principato di Au-
gusto, vero arteice della nascita su scala urbana delle regiones di Italia e su scala provinciale
dell’epigraia monumentale. Anche le città della Sardinia partecipano di questo impulso a
dotare l’ornatus civitatis di “iscrizioni esposte”, ma in modo piuttosto moderato, anche per la
scarsità di una classe di evergeti in ogni centro urbano.
Lo spazio urbano delle città della Sardinia viene ad essere investito dalla epigraia, benché
la decontestualizzazione delle iscrizioni, il loro riuso e la rarità di una musealizzazione all’a-
perto dei luoghi urbani caratterizzati dalle iscrizioni ci privino nella maggior parte dei casi
dell’aspetto epigraico del paesaggio.
L’addensarsi dei rinvenimenti epigraici pubblici e onorari nelle aree forensi delle città rilette,
naturalmente, la preminenza dei fora nel quadro del paesaggio epigraico. Accanto ai fora stan-
no gli ediici pubblici, dotati di iscrizioni relative alla loro dedicatio, al restauro ovvero all’uso
esclusivo di spazi da parte di singoli personaggi (ad esempio le epigrai dei loca aniteatrali).
Finalmente il paesaggio epigraico par excellence è quello delle necropoli, ma anche in questo
caso la rimozione dei tituli funerari dai sepulcra è stata la regola, a prescindere dai casi dei mo-
numenti funerari rupestri.
Ci manca nelle città sarde, con qualche eccezione, il corredo epigraico dei writers dell’antichi-
tà che si accanivano sugli intonaci e sulle pareti degli ediici pubblici e privati per comunicare
i loro amori, i gusti letterari, la sete, la rabbia, il tifo sportivo etc. Ancora è per noi perduto il
paesaggio della ordinata propaganda politica e della pubblicità ante litteram che fregia soprat-
tutto alcuni spazi urbani di Pompei.
Prenderemo ora in considerazione gli aspetti generali della comunicazione epigraica nelle
principali città della Sardinia, principiando con il caput provinciae, Karales.

Karales
Durante il principato augusteo Karales conobbe una notevole monumentalizzazione, che
vide partecipi sia il potere provinciale, che proprio a Karales aveva la sede, sia le autorità
municipali, sia gli evergeti. La sistemazione monumentale del municipio non si esaurì
naturalmente nel periodo augusteo, ma continuò dinamicamente per tutto l’impero. Rile-
vante fu l’intervento di tarda età lavia, curato dal praef(ectus) provinci[ae] Sardin(iae) Sex. Lae-
canius Labeo, in onore di Domiziano, e consistente nella sistemazione di lastricato e fogne
delle plateae e degli itinera c[ampi] di Karales con p(ecunia) p(ublica) e privata (sotgiu 1961, n.
50). Il forum di Karalis sorgeva, probabilmente, presso l’attuale Piazza del Carmine, do-
minato in fase tardorepubblicana, dalla terrazza del teatro-tempio di Venere e Adone di
via Malta. Il templum Veneris dovette cadere in desuetudine al momento della costituzione
municipale e le sue fortune dovettero essere ereditate dal Capitolium e dal templum Urbis
Romae et Augustorum.
Il forum di Caralis era, come di regola, adorno di statue e di dediche agli imperatori, ai prefetti
del pretorio, ai governatori provinciali, ai magistrati cittadini, ai patroni ed ai personaggi
comunque meritevoli. Pare probabile che nel forum igurassero le dediche a Caracalla (CIL
X 7561), ai governatori Marco Cosconio Frontone (CIL X 7583-4, cat. n. 2.8) e Quinto
Gabinio Barbaro (CIL X 7585), al pr[oco(n)sul)] [---] Ti. f. Quir. I[---] (sotgiu 1961, n. 52), al
[pr]aef(ectus) cohor(tis) Maur(orum) et [A]frorum e quattuorviro municipale [S]ex. Iul[ius - f. Qui]r.
Felix e ad una donna Bennia [---]ca, congiunta ad un personaggio di rango senatorio (sotgiu
1961, n. 55). Probabilmente nello stesso forum fu innalzata la statua del potente prefetto del
pretorio Plauziano, abbattuta intempestivamente dal governatore della Sardinia Recio (?) Co-
stante. Attorno al forum gravitavano gli ediici caratteristici del municipium come la curia, sede
dei decuriones, l’aerarium con il tesoro cittadino, il carcer, la basilica con il tribunal (per il quale deve
pensarsi anche alla utilizzazione da parte dei governatori provinciali), il mercato (macellum).
Quest’ultimo dovette essere costruito, probabilmente, da un [L. ? A]litenus L. f. Quir. [---]
commemorato da una iscrizione per il [macellum et po]ndera (CIL X 7598). Inine al carcer, non

163
Raimondo Zucca

lontano dalla basilica giudiziaria, si riferisce l’iscrizione di un comandante dei sorveglianti, il


caralitano Valerius Iulianus, m(agister) clavic(u)larius (CIL X 7613).
Non lungi dal forum sono documentati vari ediici termali, benché ignoriamo quali di queste
terme fossero le thermae Ruianae restaurate sotto il governatore M. Domitius Tertius, nel 208-
209 d.C. (sotgiu 1961, n. 158, cat. n. 2.65). Degli ediici per gli spettacoli di Karales è noto
l’aniteatro di età lavia, del tipo scavato nella roccia calcarea, dislocato nel suburbio nord
orientale, che ha restituito incisi sui sedili alcune epigrai dei loca. La sua preminenza tra gli
altri aniteatri sardi non è solamente giustiicata dal rango di capitale provinciale che Karales
esercitò, ma anche dal conseguente esercizio del laminato provinciale a Karales. Il lamen
provinciale era infatti obbligato a dare un munus durante l’anno di gestione del sacerdozio e
talora dava sia un munus sia ludi.
Il cuore economico di Karales era rappresentato dal porto, ubicato presso l’odierna darsena,
ancorché la linea di costa sia avanzata rispetto all’antichità. Gli horrea per l’immagazzinamento
dei prodotti provinciali, in particolare il frumento vennero restaurati sotto Elagabalo, secon-
do la targa marmorea pervenuta sino a noi (sotgiu 1961, n. 51). L’area funeraria principale
era dislocata lungo la via principale d’accesso a Karales, la via a Turre Karales, corrispondente
all’odierno viale Sant’Avendrace. Ai lati della via sono localizzati i sepolcri monumentali, sia
costruiti, sia scavati nel banco di calcare, come il sepolcro di Tito Vinio Berillo (CIL X 7719;
AE 1992, 871), quello di C. Rubellius Clytius (CIL X 7697; CLE, 808) e la tomba a naiskos di
Atilia Pomptilla, del marito Cassio Filippo e dei loro liberti, adorna di un imponente ciclo di
carmi greci e latini, scolpiti nella roccia che eternano l’amore coniugale di Atilia, che offrì
agli dei la propria vita per la salvezza del marito (CIL X 7563-7578). La necropoli orientale si
estendeva a partire dal viale Regina Margherita, dove va localizzato il sepolcreto dei classiari, i
soldati della lotta Misenense, ino alla collina calcarea di Bonaria.

Nora
Al forum rettangolare, di costituzione cesariana, si riportano diverse basi di statua: la conferma
dello statuto municipale di Nora è avvenuta con il rinvenimento della base di statua di un
quattuorviro giusdicente dell’alto impero, Quinto Minucio Pio, in quanto in Sardinia i munici-
pia appaiono retti da un collegio quattuorvirale (sotgiu 1961, n. 45): con un inanziamento
pubblico e per decreto dei decuriones di Nora, fu innalzata la statua di Quinto Minucio Pio,
quattuorviro giusdicente per tre volte, creato su suffragio dei decurioni primo lamen Aug(usti)
ed eletto primo lamen Aug(usti) perpetuus mentre era assente dalla città.
Nella stessa età augustea o tiberiana fu laminica, sacerdotessa delle imperatrici vive o diviniz-
zate (nel caso speciico Livia), Favonia M. f. Vera, onorata con una statua nel foro norense.
Assai più complesso è il caso delle numerose dediche ad imperatori rinvenute durante le cam-
pagne di scavo di Nora del 1952-1960 e prive, quasi totalmente, dei dati di rinvenimento. Le
dediche si riferiscono ad Adriano (sotgiu 1988, B 23), Caracalla (CIL X 7547, sotgiu 1961,
n. 45), ad Augusti anonimi della prima metà del III secolo (tre iscrizioni), a Salonino (sotgiu
1988, B 21, cat. n. 2.6), ad imperatori del IV secolo (quattro iscrizioni).
Al centro monumentale di Nora si raccordano, verosimilmente, due iscrizioni. La prima è la
targa commemorativa di lavori effettuati sulla [b]asilica giudiziaria e su un’altra struttura ad
essa connessa, da ricercarsi nell’area gravitante sul forum (sotgiu 1988, B 32). La seconda è
impaginata su fregio modanato superiormente ed inferiormente. L’epigrafe, commemorativa
di lavori relativi agli [orname?]nta del teatro effettuati de sua pec(unia), è posta da C. Mucius C.f.
Scaevola pro c[o(n)s(ule)], forse in qualità di patronus dei Norenses (CIL X 7543). Il personaggio
va identiicato con l’omonimo XVvir s(acris) f(aciundis), documentato negli acta dei quinti ludi
saeculares del 17 a.C. ed in iscrizioni di Foruli, un vicus di Amiternum.
L’acquedotto norense, di età severiana, fu restaurato in età tardoantica e dotato di una iscri-
zione con un carmen epigraphicum celebrativo della restitutio dei [sub]ductos latices dell’acquedot-
Frontespizio del volume X, parte II, to norense nel 425-450 d.C., attuata per ordine di un Flaviolus, forse il praeses provinciae, da
del CIL di Theodor Mommsen (1883), [V]alerius Euhodius, principalis ac primoris di Nora (CIL X 7542).
relativo anche alla Sardinia.
Sulci
Frontespizio del volume I La costituzione del municipium Sulcitanorum con la relativa ascrizione dei cives alla tribù Quirina,
delle Iscrizioni latine della Sardegna direttamente attestata da quattro iscrizioni riferite ai magistrati municipali, va probabilmente
di Giovanna Sotgiu (1961). assegnata all’imperatore Claudio, prima del 48 d.C.

164
Il patrimonio epigraico della Sardegna romana. Caratteri generali

Le gentes sulcitane che gestirono le magistrature furono, in base alla nostra documentazio-
ne epigraica, i L. Cornelii (due membri, non contemporaneamente), i C. Coelii, i T. Flavii
e i M. Porcii. I magistrati annuali venivano, come di norma, individuati tra i decuriones attra-
verso una preliminare designatio e, successivamente, eletti dai membri della curia municipale.
L’epigraia sulcitana ci documenta il caso di due f(ratres) MM. Porc(ii) Felix e Impetratus che
vennero de[s(ignati)] per l’ anno successivo entrambi alla carica di IIIIviri a(edilicia) p(otestate)
(CIL X 7514).
Gli interventi dei governatori provinciali a Sulci sono ristretti al proconsole, di età traianea,
C. Asinius Tucurianus che lastricò una platea pubblica (CIL X 7516) e a M. Domitius M. f. Tertius
(208-209 d.C.), attestato in due iscrizioni, delle quali una onoraria (CIL X 7517), l’altra com-
memorativa (AE 1974, 353a).
Una assai precoce introduzione di culti alessandrini a Sulci, forse già in età alto imperiale, è
desumibile dall’epigrafe, del I-II secolo d.C., relativa alla restitutio del templ(um) Isis et Serap(is)
cum signis et ornam(entis) et area, effettuata ob hon(orem) del quattuorvirato a(edilicia) p(otestate),
cui vennero des(ignati) i due fratelli M. Porcii, Felix ed Impetratus, dal loro libertus M. Porc(ius)
M.l.Primig[enius] (CIL X 7514).
Infine un flam(en) Aug(ustalis) (bis), L. Cornelius Quir(ina tribu) Marcellus, che fu cooptatus et
adlectus ...inter sa[c]erdotales prov(inciae) Sard(iniae), dunque venne cooptato nel concilium pro-
vinciale della Sardinia, che tributava il culto agli Augusti nel tempio caralitano (CIL X 7518,
cat. n. 2.10).

Tharros
La città sembra disponesse del forum nell’area costiera presso le terme di Convento Vecchio.
In questo settore sono documentate dediche ad imperatori, almeno quattro tra il II e il IV se-
colo: [L. Septimi]us Get[a] L. Sep[timii Severi Aug. n(ostri)] ilius; D(ominus) N(oster) [---Consta]ntinus,
[li]beralissi[mus] (CIL X 7909); un Augustus di cui è indicata la potestà tribunicia, il III con-
solato e la qualiica di pater [patriae]; un imperatore di cui era lodata una qualità, ac sup[er
omnes retro princip]es; un Augustus forse [co]nserba[tor], in una iscrizione in cui [dedic]ante e
[cura]nte è un M. [---], forse governatore della Sardinia.
Altri governatori compaiono nell’epigraia tharrense: forse un [pro]c(urator) Aug(usti) (CIL
X 7895), un altro proc(urator) [Aug(usti)] che dedica una iscrizione forse ad un imperatore
[pa]ter [patriae], con l’intervento di qualche organo cittadino dei [Tar]rhenses, un equestre di
cui è indicato il cursus discendente che potrebbe essere stato un governatore o un patrono
dei Tharrenses. Lo statuto cittadino appare incerto tra l’alto impero e il periodo severiano.
L’epigrafe più importante si riferisce al [ka]lend(arium) r[eipublica?]e Tar[hensium] e probabil-
mente ad un IIv[ir] (sotgiu 1988, add. B57). Questa iscrizione pubblica concerne il kalen-
darium cittadino, ossia il registro dei prestiti della città, ed un magistrato, un duoviro, che in
Sardinia caratterizza l’amministrazione delle coloniae. D’altro canto un’epigrafe turritana di
età severiana (CIL X 7951) documenta un Marcianus, liberto imperiale, tabularius pertic(arum)
Turr(itanae) et Tarren(is), incaricato nell’archivio (tabularium) dei fundi imperiali delle perticae
Base di statua di Quinto Minucio Pio di Turris e Tharros.
quattuorviro, da Nora. Ne ricaviamo plausibilmente il raggiungimento dello statuto coloniale di Tharros entro la

165
Raimondo Zucca

Iscrizione di Marcus Ulpius Victor,


da Turris Libisonis, del 244 d.C.
(CIL X 7946).

ine del II/principio del III secolo d.C. I compiti del liberto imperiale potrebbero porsi in
relazione a controversie coninarie tra i praedia imperiali e i fundi dei coloni delle due perticae.
Una iscrizione rinvenuta ad Ostia attesta l’ediicazione e l’inaugurazione a Tharros, presumi-
bilmente nell’area forense, di un macellum con i [pon]dera per i Tarrenses, frutto dell’evergesia di
un liberto, [L. Fla?]v(ius) L. l. Storax (CIL XIV 423).

Cornus
Lo statuto della città di Cornus è incerto sino al II/III sec. d.C. L’elevazione probabile di Cornus
al rango di colonia onoraria, entro il III secolo d.C., è documentata dalla dedica di una statua,
incisa sulla base, all’eq(ues) R(omanus) Q. Sergius Q. f. Quir(ina tribu) Quadratus, adlectus patronus civi-
tatis dallo splendidissimus ordo Cornensium per i merita che aveva riportato [in co]lon[os], nei confronti

166
Il patrimonio epigraico della Sardegna romana. Caratteri generali

dunque dei cittadini della colonia di Cornus. Dopo l’adlectio, l’ordo decurionum e il populus di Cornus
deliberarono l’erezione di una statua al patrono [aere c]o[lla]to (CIL X 7915).
La base, dispersa, fu individuata nel forum di Cornus, sul colle di Corchinas, insieme ad altre epi-
grai onorarie che chiariscono, con certezza, la localizzazione dell’area monumentale di Cornus.
Si tratta della possibile dedica di una statua a un L. Cornel(ius) [---], aere c[ollato], ob mer[ita sua],
consistenti in un intervento nello stesso forum (CIL X 7918), di un’altra dedica a un personaggio
il cui gentilizio è incerto L. f(ilius) Honorius che fu lamen d[ivi ---] (CIL X 7916) ed inine della
base di statua di un M. Cominius M. il(ius) Crescens. Quest’ ultimo personaggio, appartenente
all’ordine equestre, rivestì il laminato cittadino a Cornus (lamen civitatis Cornen(sium)). Successiva-
mente Marco Cominio Crescente fu inviato al concilium provinciale a Karales, in qualità di rappre-
sentante di Cornus (legatus), dove fu eletto sacerd(os) provinciae Sardiniae (CIL X 7917, cat. n. 2.11).

Turris Libisonis
Giovanni Azzena ha individuato il forum della colonia Iulia Turris Libisonis nel cosiddetto peri-
stilio Pallottino, una platea lastricata in lastre di calcare delimitata, almeno ad oriente, unico
settore scavato, da una porticus, scandita da colonne. Da quest’area deriva la base di statua di
Galerius (sotgiu 1961, n. 241, cat. n. 2.7), che quasi certamente igurava insieme ai tre piedi-
stalli per le statue di Diocleziano, Massimiano e Costanzo, e la dedica al duoviro M. A[llius]
(sotgiu 1961, n. 244). Al forum con estrema probabilità si riferiscono le statue dei magistrati
cittadini di cui ci restano le iscrizioni. Per il duovirato quinquennale la summa honoraria era, nella
seconda metà del I secolo d.C. a Turris, di 35.000 sesterzi. A questa somma obbligatoria l’eletto
poteva aggiungere un ulteriore erogazione di carattere evergetico, come nel caso del duoviro
quinquennale T. Flavius Iustinus che dotò la colonia di un lacus adducendovi, inoltre, l’acqua.
Sono nove i duoviri della colonia documentati (CIL X 7954, cat. n. 2.66; sotgiu 1961, n. 238;
241; 242 + AE 1988, 662; sotgiu 1961, n. 243-244; AE 1985, 487).
Nel caso di cattiva gestione delle inanze della città o di dissidi all’interno del corpo civico
poteva essere inviato da Roma un curator rei publicae, benché in progresso di tempo tale carica
tendesse ad istituzionalizzarsi, convivendo con i magistrati cittadini. A Turris è documentato
un solo caso di curator rei publicae, L. Magnius Fulvianus, che curò, su ordine di M. Vlpius Vic-
tor, governatore della Sardinia nel 244 d.C. e con l’ utilizzo della p(ecunia) p(ublica), ossia delle
inanze cittadine, il restauro del templum Fortunae e della basilica civile con il tribunal ligneo,
dotato di sei colonne (CIL X 7946).

Olbia
La città romana ereditò il circuito murario del centro cartaginese: in un’area prossima al
settore settentrionale delle mura fu scoperta una lastra marmorea posta ad imperatori
[glo]riosissimi da parte di un governatore o dall’ordo di Olbia, [devotissimus numin]i maiestatique
[eorum] del IV secolo (sotgiu 1961, n. 310). Le dimensioni della targa potrebbero suggerirne
l’interpretazione di titulus commemorativo della costruzione o del restauro di una struttura
edilizia, non esclusa una torre rettangolare costruita in conci di granito legati da malta di
calce, presso la quale apparve l’iscrizione in esame.
In area suburbana, presso la chiesa di San Simplicio, la scoperta di una favissa con terrecot-
te igurate relative al culto demetriaco ed alla sfera della sanatio, riportabile al III-II seco-
lo a.C. attesta l’esistenza nel pantheon olbiense di una dea delle messi e della natura fecon-
da che potrebbe essere alla base della persistenza in età neroniana del culto di Ceres, attestato
dall’epistilio dell’aedicula votata da Acte, l’amata di Nerone (CIL XI 1414 = sotgiu 1961, n. 309).
L’area forense è supposta presso l’ediicio scolastico di Corso Umberto, dirimpetto all’area por-
tuale. Le indagini archeologiche hanno evidenziato un possibile tempio. La scoperta nell’area
di un ritratto di Nerone e di un ritratto di Traiano potrebbero indiziare l’esistenza di un Augu-
steum olbiense. A breve distanza , in direzione est, nella Villa Tamponi, si rinvenne una lastra
opistografa commemorante una possibile restitutio di un ediicio in ruin[a] forse già del V secolo,
mentre l’iscrizione più antica fu posta a Costantino da parte di T. Sep(timius) Ianuarius, v(ir)
c(larissimus), pr(a)es(es) p(rovinciae) Sard(iniae)], databile tra il 312-314 e il 315-319 (CIL X 7974).
Ignoriamo lo statuto della città di Olbia in età imperiale: la sua profonda romanizzazione è
un indizio a favore di una costituzione probabilmente municipale. Nello scarso materiale
epigraico è rilevante la menzione di un liberto imperiale [proc(urator)?] cal(endarii) Olbies, ossia
del curatore del registro dei prestiti della città, connessi alle proprietà imperiali.

167
Raimondo Zucca

Aquae Ypsitanae - Forum Traiani


Le Aquae Ypsitanae, collocate sulla riva sinistra del iume Tirso, venivano ad assumere il triplice
ruolo di “ville d’eaux”, di nodo stradale dei due tronconi delle viae a Turre e a Karalis, note a par-
tire dal 46 d.C., e di centro militare per il controllo dei popoli della Barbagia. Infatti ad Aquae
Ypsitanae fu probabilmente acquartierato un distaccamento della I coorte dei Corsi, in quanto
uno dei prefetti di questa coorte ebbe anche l’incarico prefettizio sulle comunità organizzate
dai Romani della Barbagia (civitates Barbariae). Le stesse comunità posero in Fordongianus,
forse sotto Tiberio, una dedica all’imperatore, forse in un sacello, per cura del prefetto della
provincia Sardinia (sotgiu 1961, n. 188). All’ornatus del centro delle Aquae Ypsitanae riportiamo
anche l’architrave in marmo di un ediicio sconosciuto con dedica posta dall’equestre T. Iulius
Pollio, verosimilmente governatore della Sardinia nella tarda età neroniana (CIL X 7863). Nel
corso dello stesso I secolo d.C. furono effettuati lavori non determinabili in una piscina dello
stabilimento termale a cura di uno schiavo cittadino, Felix, Ypsitanorum servus (IL Sard I 194).
Durante il principato di Traiano, probabilmente al momento del passaggio della Sardinia
dalla amministrazione imperiale a quella senatoria, nel 111, il nuovo proconsul Sardiniae L(ucius)
Cossonius L(uci) f(ilius) Stel(latina) Gallus, per celebrare la conclusione del secolare conlitto fra
le civitates Barbariae e l’area romanizzata ad occidente del plesso montano centrale, diede attua-
zione alla volontà di Traiano della fondazione di un nuovo centro, Forum Traiani.
La zona pubblica del nuovo centro urbano potrebbe ricercarsi probabilmente nell’area cen-
trale dell’abitato odierno, da dove provengono una iscrizione commemorativa di un’opera
(compiuta forse grazie al lascito testamentario di un anonimo personaggio e con un decreto
dei decurioni cittadini) e due dediche a Caracalla (sotgiu 1961, n. 189 = sotgiu 1988, A
189, p. 568), Alessandro Severo (sotgiu 1961, n. 190 = sotgiu 1988, A 190, p. 568) e ad un
anonimo dominus noster (sotgiu 1961, n. 200 = sotgiu 1988, A 200, p. 568). Si aggiungano
due dediche ad imperatori anonimi pro salute rinvenute dell’area urbana e connesse al forum o
all’Augusteum della città.
Le divinità femminili delle aquae Ypsitanae erano le Nymphae (CIL X 7859-7860; sotgiu 1961,
n. 186-187; sotgiu 1988, E 11, p. 620; AE 1991, 908-909; 1998, 671; AE 2001, 1112; AE
1991, 909).
L’Aesculapius venerato nelle aquae Ypsitanae è documentato sin dall’estrema età repubblicana o
al principio del periodo augusteo, da un’arula dedicata ad Aescul(apius) in scioglimento di un
votum da parte di un L. Cornelius Sylla (sotgiu 1988, B 130).

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169
Raimondo Zucca

Tavola di Esterzili, CIL X 7852.


Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna.

170
La Sardegna provincia romana: l’amministrazione
Attilio Mastino

I magistrati romani in Sardegna in età repubblicana


L’amministrazione della Sardegna e della Corsica in età romana è stata per lungo tempo
congiunta e del resto anche la storia delle due grandi isole tirreniche è stata inestricabilmente
legata in dalle origini mitiche; i rapporti con Roma risalgono grazie alla mediazione etrusca
ad alcuni secoli prima della nascita della provincia romana e sono legati ai tentativi di colo-
nizzazione lungo la costa orientale della Corsica e della Sardegna, dove sorse all’indomani del
sacco di Roma da parte dei Galli nel IV secolo a.C. la città di Feronia, che sembra più antica
della stessa colonia cartaginese di Olbia e contemporanea alle prime operazioni militari ro-
mane sulla costa orientale delle due isole. Il secolo successivo, già al momento dello scoppio
della prima guerra romano-cartaginese si erano svolte vittoriose operazioni militari romane
in Corsica (ad Aleria) e in Sardegna (ad Olbia e a Sulci); ma l’occupazione da parte dei Romani
avvenne solo a partire dal 238 a.C., dopo la rivolta dei mercenari cartaginesi nel Nord Africa,
ad opera del console Tiberio Sempronio Gracco, che poté procedere all’occupazione delle
principali piazzeforti cartaginesi in Sardegna quasi senza combattere, soprattutto per la favo-
revole accoglienza ricevuta dai mercenari campani e dalle antiche colonie fenicie, sicuramente
scontente per la più recente politica cartaginese nei loro confronti. Ma subito dopo scoppia-
rono violente rivolte dei Sardi e dei Corsi dell’interno contro i Romani, che proseguirono per
alcuni secoli, inizialmente col sostegno di Cartagine; numerosi i trioni celebrati dai generali
romani de Sardeis e de Corseis.
Costituita da Roma nel 227 a.C., la Sardinia fu la prima vera provincia transmarina, collocata
al di là di un grande mare: afidata ad un pretore, ma spesso anche ad un console, compren-
deva la Sardegna, la Corsica e le isole circumsarde. Il governo era afidato al governatore
col suo consilium che (in forza della legge approvata certamente qualche decennio dopo) era
composto da senatori e poi da cavalieri, che partecipavano all’attività giudiziaria nei tribunali
che si riunivano periodicamente in varie località delle due isole.
Il termine provincia nel diritto pubblico romano degli ultimi secoli della repubblica indicava
un territorio extraitalico ben deinito storicamente e geograicamente, occupato da Roma per
annessione o per conquista e sottoposto al potere personale e diretto di un magistrato milita-
re di rango pretorio o consolare (imperium). Festo spiegava così con una paretimologia il ter-
mine provincia: quod populus Romanus eas pro vicit, id est ante vicit. Eppure, prima della costituzione
delle due prime province territoriali (la Sicilia occidentale e la Sardegna-Corsica), il termine
provincia era stato utilizzato semplicemente per indicare la sfera di competenza esclusiva di un
magistrato, anche all’interno della Penisola: una sfera di competenza che spesso era indeinita
e perciò poteva determinare sovrapposizioni e conlitti con magistrati responsabili di attività
contigue (magari sul mare).
Con lo sviluppo delle conquiste mediterranee, a seguito di particolari eventi storici, Roma
procedette alla redactio in formam provinciae di numerosi territori, al cui interno furono spesso
mantenute le situazioni di fatto preesistenti e si riconobbe l’autonomia dei municipi e delle
colonie di cittadini romani che costituivano vere e proprie enclaves, talora addirittura veri e
propri potentati territoriali, che godevano di forme di notevole autonomia di fronte al magi-
strato provinciale. La diversiicata situazione del territorio provinciale fu regolata attraverso
l’approvazione di una lex provinciae, approvata dai comizi, che issava il quadro normativo e
istituzionale e stabiliva la misura delle imposizioni tributarie; una formula provinciae depositata
negli archivi pubblici (tabularia) di Roma e di Carales elencava la condizione delle singole città
e delle popolazioni non urbanizzate nei confronti di Roma.
Per rispondere alle nuove esigenze determinate dalle annessioni, l’aristocrazia romana fu
costretta ad ampliare il numero dei pretori in carica, magistrati titolari di un imperium militare,
capaci di comandare un esercito e dunque di governare una provincia: al pretore urbano
(dopo le leggi Licinie-Sestie e la ine delle lotte tra patrizi e plebei) e al pretore peregrino
(dopo la ine della prima guerra romano-cartaginese), si aggiunsero così nel 227 a.C. due

171
Attilio Mastino

nuovi pretori per la Sicilia e la Sardegna, incaricati di governare le due nuove province, una
delle quali (la Sardinia) si trovava collocata esattamente sull’orizzonte marino che la potenza
di Roma aveva issato per la sua espansione verso occidente. Pressanti esigenze militari,
disordini e vere e proprie guerre imposero spesso di inviare a governare una provincia uno
dei due consoli in carica oppure di trattenere con funzioni di proconsole o di propretore il
governatore dell’anno precedente, ino all’arrivo del successore; e ciò anche al ine di non
ampliare il numero delle famiglie nobili che potevano vantare al loro interno dei magistrati
curuli (consoli e pretori).
Occupata a partire dal 238 a.C., la Sardegna divenne provincia romana solo nel 227 a.C.,
anno per il quale è attestato il pretore Marco Valerio (Levino); ad essa fu normalmente asso-
ciata anche la Corsica, almeno durante la repubblica, fatta eccezione per gli anni nei quali un
magistrato o un ex magistrato fu inviato in Corsica, con l’incarico evidentemente di domare
una qualche rivolta che richiedeva un impegno contemporaneo di due comandanti (è il caso
ad esempio dell’anno 174 a.C., quando il propretore Servio Cornelio Silla fu mantenuto in
Sardegna, mentre il nuovo pretore Marco Atilio Serrano venne spedito in Corsica; l’anno
successivo quest’ultimo fu trasferito in Sardegna, mentre il nuovo pretore Gaio Cicereio
combatteva in Corsica uccidendo 7000 nemici).
In particolari occasioni le isole vennero afidate ad un console, talora a tutti e due i consoli
(nel 232 a.C. prima della costituzione della provincia vi vennero inviati Marco Emilio Lepido
e Marco Publicio Malleolo, seguiti l’anno successivo da Marco Pomponio Matone e Gaio Pa-
pirio Masone; nel 163 a.C. Manio Iuventio Thalna e Tiberio Sempronio Gracco, subentrato
dopo la morte del collega); inine, in casi di particolare gravità, vi fu inviato un privatus cum
imperio, come Tito Manlio Torquato nel Bellum Sardum contro Hampsicora, in realtà un ex con-
sole con il titolo di proconsole. Il governatore era però normalmente un pretore, che poteva
essere mantenuto per uno, due o più anni con un imperium prorogato, afiancando magari il
magistrato di nuova nomina: comandi pluriennali sono ad esempio quelli di Aulo Cornelio
Mamulla nel 217-216 a.C., alla vigilia del Bellum Sardum di Hampsicora; di Quinto Mucio Sce-
vola nel 215-212 a.C.; di Gaio Aurunculeio nel 209-208 a.C.; di Publio Cornelio Lentulo nel
203-202 a.C.; di Tiberio Sempronio Longo nel 196-195 a.C.; di Lucio Oppio Salinatore nel
191-190 a.C. Una proroga era possibile anche per i consoli, come tra il 176 e il 175 a.C. per
Tiberio Sempronio Gracco, che poi tornò nell’Isola negli anni 163 e 162 a.C.; i comandi più
lunghi furono quelli di Lucio Aurelio Oreste tra il 126 e il 122 a.C. e di Marco Cecilio Metello
tra il 115 e il 111 a.C., magistrati che rimasero in Sardegna anche cinque anni, evidentemente
per dare continuità all’azione di governo in concomitanza con qualche operazione di guerra
che prevedeva a posteriori una riorganizzazione territoriale (Marc Mayer ha parlato per que-
sto periodo di “seconda occupazione militare della Sardegna”).
Dopo la conquista, l’insieme del territorio della provincia fu dichiarato almeno teoricamen-
te “agro pubblico del Popolo Romano”; sulle terre lasciate in precario possesso ai vecchi
proprietari dovevano pagarsi una decima sui prodotti e vari tributi; cambiava radicalmente
il rapporto tra proprietari, possessori e mano d’opera agricola; nascevano delicati problemi
giuridici sulla proprietà della terra che coinvolgevano le popolazioni rurali, con violenze, oc-
cupazioni illegali di terre pubbliche, contrasti tra contadini e pastori, immediate esigenze di
ripristinare l’ordine con interventi repressivi. Sono numerosi i cippi di conine che attestano,
alla ine dell’età repubblicana, una vasta operazione di centuriazione in Sardegna, soprattutto
nell’area che era stata interessata dalla rivolta di Hampsicora: la delimitazione catastale che
allora fu effettuata ebbe lo scopo di accelerare il processo di sedentarizzazione delle tribù
nomadi, di contenere il brigantaggio e di favorire lo sviluppo agricolo: è costante nelle fonti
la preoccupazione dell’autorità di controllare gli spostamenti dei pastori indigeni e di issare i
conini dei singoli latifondi, occupati alcuni da popolazioni locali, altri da coloni – agricoltori
soprattutto, ma anche pastori – insediati nelle terre possedute da singole famiglie.
Iniziò la costruzione delle principali strade, come quella che il proconsole Marcus Cornuicius,
antenato dell’ammiraglio della lotta di Ottaviano, tracciò a nord di Cornus lungo la costa
occidentale, apparentemente alla ine del II secolo a.C. (cat. n. 2.81).
Si andò sviluppando una forte “resistenza alla romanizzazione” delle popolazioni locali, gli
Iliensi, i Balari e i Corsi localizzati all’interno della Barbaria sarda, ma anche quei Corsi della
Cippo terminale da Orotelli. Corsica ribelli e ostili che sono ripetutamente ricordati nei Fasti trionfali romani; quei Va-
Fin(es) Nurr(itanorum); EE VIII 729. nacini, quei Cervini collocati a valle del Monte Aureo, quegli oscuri Sibroar(enses) con le loro

172
La Sardegna provincia romana: l’amministrazione

quindici civitates, quelle popolazioni non urbanizzate ricordate, in numero incredibilmente


alto, soprattutto dal geografo Tolomeo nel II secolo d.C. Per la Sardegna repubblicana Yann
Le Bohec ha parlato di una vera e propria depressione demograica della Barbaria interna, che
però pare più aperta alla romanizzazione in dalla prima età imperiale.
Assistiamo in Sardegna ad una vera e propria maturazione del sistema istituzionale romano,
con rilevanti innovazioni costituzionali: il sistema della prorogatio imperii fu generalizzato a
partire dalla lex Cornelia de provinciis ordinandis del dittatore Silla, che nell’81 a.C. decise di
congelare l’imperium dei consoli e dei pretori, attribuendo solo ai magistrati usciti di carica
(proconsoli e propretori) il comando militare e la responsabilità del governo provinciale. Di
norma ai proconsoli spettarono le province più importanti (come l’Asia o l’Africa), mentre
ai propretori furono afidate le province con minori esigenze militari; il titolo che andò però
affermandosi fu per tutti i governatori (sia per gli ex consoli che per gli ex pretori) quello di
proconsole. In questo quadro fu normalmente inviato a governare la Sardegna un ex pretore
(propretore) col suo consilium che, in forza della lex provinciae, era composto anche da un legato
di rango pretorio, da un questore incaricato di gestire le rendite erariali e da un gruppo di se-
natori. Le eccezioni, nel corso delle guerre civili, sono numerose, se è vero che Sesto Pompeo
ottenne ad esempio il rango di proconsole; inoltre l’Isola fu amministrata di fatto da legati,
liberti di Sesto Pompeo (Menodoro) o di Ottaviano (Eleno).

La serie di magistrati in età repubblicana


259 Lucius Cornelius Scipio, consul
258 Gaius Sulpicius Paterculus, consul
I Sardi offrono vesti e viveri ai legionari 238 Tiberius Sempronius Gracchus, consul
di Caio Gracco, Giovanni Marghinotti 236 Gaius Licinius Varus, consul; Marcus Claudius Clinea, legatus
(1850 circa). Comune di Cagliari. 235 Titus Manlius Torquatus, consul

173
Attilio Mastino

234 Spurius Carvilius Maximus (Ruga), consul; Publius Cornelius, praetor


233 Manius Pomponius Matho, consul
232 Marcus Aemilius Lepidus, consul; Marcus Publicius Malleolus, consul
231 Marcus Pomponius Matho, consul; Gaius Papirius Maso, consul
227 Marcus Valerius (Laevinus ?), praetor
225 Gaius Atilius Regulus, consul
217 Aulus Cornelius Mamulla, praetor
216 Aulus Cornelius Mamulla, propraetor
215 Quintus Mucius Scaevola, praetor; Titus Manlius Torquatus, propraetor
214-212 Quintus Mucius Scaevola, propraetor
211 Lucius Cornelius Lentulus, praetor
210 Publius Manlius Vulso, praetor
209 Gaius Aurunculeius, praetor
208 Gaius Aurunculeius, propraetor
207 Aulus Hostilius (Cato), praetor
206 Tiberius Claudius Asellus, praetor
205 Gnaeus Octavius, praetor
204 Tiberius Claudius Nero, praetor; Gnaeus Octavius, propraetor
203 Publius Cornelius Lentulus (Caudinus), praetor; Gnaeus Octavius, propraetor
202 Publius Cornelius Lentulus (Caudinus), propraetor
201 Marcus Fabius Buteo, praetor
200 Marcus Valerius Falto, propraetor ?
199 Lucius Villius Tappulus, praetor
198 Marcus Porcius Cato, praetor
197 Lucius Atilius, praetor
196 Tiberius Sempronius Longus, praetor
195 Tiberius Sempronius Longus, propraetor
194 Gnaeus Cornelius Merenda, praetor
193 Lucius Porcius Licinius, praetor
192 Quintus Salonius Sarra, praetor
191 Lucius Oppius Salinator, praetor
190 Lucius Oppius Salinator, propraetor
189 Quintus Fabius Pictor, praetor
188 Gaius Stertinius, praetor
187 Quintus Fulvius Flaccus, praetor
186 Gaius Aurelius Scaurus, praetor
185 Lucius Postumius Tempsanus, praetor ?
184 Quintus Naevius Matho, praetor
183 Gnaeus Sicinius, praetor
182 Gaius Terentius Istra, praetor
181 Marcus Pinarius Rusca (Posca ?), praetor
180 Gaius Maenius, praetor
179 Gaius Valerius Laevinus, praetor
178 Titus Aebutius Parrus, praetor
177 Lucius Mummius, praetor; Titus Aebutius Parrus, propraetor, Tiberius Sempronius Gracchus,
consul
176 Marcus Popillius Laenas, praetor; Titus Aebutius Parrus, propraetor, Tiberius Sempronius
Gracchus, proconsul
175 Servius Cornelius Sulla ?, praetor ?; Tiberius Sempronius Gracchus, proconsul
174 Marcus Atilius (Serranus), praetor ?; Servius Cornelius Sulla, propraetor ?
173 Gaius Cicereius, praetor; Marcus Atilius (Serranus), propraetor
172 Spurius Cluvius, praetor
171 Lucius Furius Philus, praetor
170 Marcus Recius, praetor ?
169 Publius Fonteius Capito, praetor
168 Gaius Papirius Carbo, praetor
167 Aulus Manlius Torquatus, praetor

174
La Sardegna provincia romana: l’amministrazione

166 Marcus Fonteius ?, praetor


163 Manius Iuventius Thalna, consul; Tiberius Sempronius Gracchus, consul II
162 Publius Cornelius Scipio Nasica (Corculum), consul; Tiberius Sempronius Gracchus,
proconsul
126 Lucius Aurelius Orestes, consul; Gaius Sempronius Gracchus quaestor; Marcus Aemilius
Scaurus, proquestor
125 Lucius Aurelius Orestes proconsul; Gaius Sempronius Gracchus, proquaestor
124-122 Lucius Aurelius Orestes, proconsul
115 Marcus Caecilius Metellus, consul
114-111 Marcus Caecilius Metellus, proconsul
110 ? Marcus Cornuicius, proconsule
107 ? Titus Albucius, praetor
106 ? Titus Albucius, propraetor; Gnaeus Pompeius Strabo, quaestor
90 Publius Servilius Vatia Isauricus, praetor
89-88 Publius Servilius Vatia Isauricus, propraetor
82 Quintus Antonius Balbus, praetor; Lucius Marcius Philippus, legatus (di Silla)
77 Gaius Valerius Triarius, legatus propraetore; Marcus Aemilius Lepidus, proconsul; Marcus
Perperna Vento (Veiento ?), legatus (di Marcus Aemilius Lepidus)
67 Gnaeus Pompeius Magnus, proconsul cum imperio consulari ininito; Publius Atilius, legatus
propraetore (di Pompeo)
66 ? Lucius Lucceius ?, propraetor
ante 59 Marcus Atius Balbus, praetor, propraetor ?
57-56 Gnaeus Pompeius Magnus, proconsul e curator annonae; Quintus Tullius Cicero, legatus
(di Pompeo)
56 Appius Claudius Pulcher, propraetor ?
ante 55 Gaius Megabocchus, propraetor
55 Marcus Aemilius Scaurus, propraetor
post 55 Marcus Cispius Luci ilius, propraetor
49 Marcus Aurelius Cotta, propraetor; Quintus Valerius Orca, legatus propraetore (di Cesare)
49 Sextus Peducaeus, legatus propraetore (di Cesare)
47 Lucius Nasidius, praefectus classis (di Pompeo)
46 Gaius Iulius Caesar, dictator III
43-42 Gaius Iulius Caesar Octavianus, IIIvir rei publicae constituendae
42-40 Marcus Lurius, propraetor
40 (Gnaeus Pompeius) Menodorus (Menas), praefectus classis e legatus (di Sesto Pompeo);
(Gaius Iulius) Helenus, praefectus classis e legatus (di Ottaviano)
39-38 Sextus Pompeius Magnus Pius, proconsul (in Sicilia, Sardegna e Corsica);
(Gnaeus Pompeius) Menodorus (Menas), praefectus classis e legatus (di Sesto Pompeo)

Trioni romani per guerre in Sardegna e in Corsica


258, 11 marzo
Lucius Cornelius Scipio, consul 259, de Poenis, Sardinia et Corsica

258, 6 ottobre
Gaius Sulpicius Paterculus, consul 258, de Poenis et Sardeis

234, 10 marzo
Titus Manlius Torquatus, consul 235, de Sardeis

233, I aprile
Spurius Carvilius Maximus (Ruga), consul 234, de Sardeis

232, 15 marzo
Manius Pomponius Matho, consul 233, de Sardeis

230, 5 marzo
Gaius Papirius Maso, consul 231, de Corseis in Monte Albano

175
Attilio Mastino

175, 23 febbraio
Tiberius Sempronius Gracchus, consul 177, proconsul 176, ex Sardinia

172, I ottobre,
Gaius Cicereius, praetor 173, propraetor 172 ?, ex Corsica in Monte Albano

122, 8 dicembre
Lucius Aurelius Orestes, consul 126, proconsul 125-122, ex Sardinia

111, 15 luglio
Marcus Caecilius Metellus, consul 115, proconsul 114-111, ex Sardinia

106 ?
Titus Albucius, praetor 107 ?, propraetor 106 ?, ex Sardinia

88, 21 ottobre
Publius Servilius Vatia Isauricus, praetor 90, propraetor 89-88, Sardegna ?

L’amministrazione in età imperiale


L’occupazione romana della Sardegna e della Corsica sembra dovette proseguire uniicata
e dové conoscere forme diverse, da un lato l’intervento militare, la conquista violenta, la
colonizzazione, l’esilio di personaggi illustri, come Seneca in Corsica, ma anche Cesonio
Massimo, Publio Anteio Rufo e Mettio Pompusiano sotto Domiziano; in Sardegna furono
esiliati durante il regno di Nerone Aniceto, Gaio Cassio Longino, Rufrio Crispino e suc-
cessivamente i cristiani della Chiesa di Roma (più precisamente damnati ad metalla nell’età
di Commodo) e, inalmente, sotto Massimino il Trace il ponteice Ponziano e Ippolito
(anch’essi condannati a lavorare nelle miniere, probabilmente nella regione sulcitana). Per
il periodo imperiale, a parte l’ipotesi di truppe legionarie in Sardegna nella tarda età augu-
stea connessa al titolo di prolegato per il governatore della Sardegna nel 14 d.C., abbiamo
la documentazione dell’utilizzo di liberti di origine ebraica incaricati da Tiberio di repri-
mere il brigantaggio. Nello stesso periodo si registra la costituzione di una serie di coorti,
reparti ausiliari di cinquecento o mille peregrini privi della cittadinanza romana, formati
da Corsi, Liguri, Aquitani, Lusitani, Afri, Mauri e inine Sardi. Per quel che concerne la
lotta, Sardegna e Corsica erano tutelate da due distaccamenti della classis Misenensis, con i
comandi collocati rispettivamente nei porti di Carales e di Aleria.
La provincia aveva solo due colonie dedotte in età repubblicana, entrambe in Corsica:
Mariana per opera di Gaio Mario (dopo la guerra giugurtina o meglio dopo la sconitta dei
Cimbri e Teutoni, verso il 100 a.C.) e Aleria per opera di Silla vent’anni dopo. Le colonie
della Sardegna furono costituite in età triumvirale (Turris Libisonis) o augustea (Uselis);
più tardi Tharros e Cornus. Altre città ottennero la condizione di municipio (Carales in età
triumvirale, Nora, Sulci in età claudia, Bosa, Olbia).
Un’opera di profonda riforma del governo delle province si deve ad Ottaviano Augusto
che nel 27 a.C., concluse le guerre civili con la battaglia di Azio e la morte di Antonio e
di Cleopatra, trovò un’intesa con il Senato, che gli consentì di assumere il controllo delle
province non paciicate e di mantenere il comando degli eserciti. Il sistema della prorogatio
imperii stabilito dal dittatore Silla fu mantenuto in vita da Augusto solo per le province più
paciiche e prive di legioni (provinciae populi Romani), che furono sostanzialmente ammini-
strate dal Senato con proconsoli ex consoli o ex pretori: tale fu il caso della Sardegna, con-
siderata nel 27 a.C. provincia paciicata e dunque lasciata all’amministrazione senatoria
secondo il modello repubblicano; il proconsole era afiancato da un legato, anch’esso un
ex pretore, e da un questore responsabile dell’amministrazione inanziaria; un procuratore
imperiale si occupava comunque direttamente degli interessi di Augusto nella provincia.
Tutte le province sottoposte ad occupazione militare e minacciate dai nemici furono in-
vece dichiarate province imperiali e afidate ad ex magistrati scelti dal principe, col titolo
di legati Augusti propraetore, comandanti di una legione, dunque ex pretori (legati legionis) o
di un’intera armata di più legioni, dunque ex consoli (legati Augusti propraetore). Dice Dione
Cassio che a parole l’intenzione di Augusto era quella di fare in modo che il Senato otte-

176
La Sardegna provincia romana: l’amministrazione

Iscrizione menzionante le [civ]itates


Barb[ariae ---]; ILSard. 188.
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale.

nesse il vantaggio di gestire senza rischi la parte migliore dell’impero e di addossarsi lui
stesso le dificoltà e i pericoli, ma di fatto il suo obiettivo era quello di utilizzare questo
pretesto afinché i senatori non avessero la disponibilità delle legioni, e quindi la possibi-
lità di muovere guerra, in modo tale da poter disporre solo lui dell’esercito e mantenere
dei soldati. Le province di nuova istituzione e le province restituite dal Senato al principe
in seguito a guerre (come la Sardegna dopo il 6 d.C.) furono considerate ugualmente pro-
vince imperiali ma, in quanto prive di legioni, furono governate da funzionari dell’ordine
equestre, con uno stipendio che andava dai 60 mila ai 300 mila sesterzi (200 mila per la
Sardegna) e con un titolo che doveva essere quello di procuratore di Augusto, prefetto,
preside o prolegato. In una posizione speciale era l’Egitto, considerato proprietà persona-
le dell’imperatore e afidato ad un prefetto equestre al vertice della carriera.
Non sembra che la Corsica già in questo periodo costituisse una provincia autonoma
dalla Sardegna, se nel 6 d.C. secondo Strabone e Dione Cassio la provincia conobbe per
tre anni gravi disordini e scorrerie di briganti, inendo per diventare la base dalla quale
partivano i pirati che arrivavano a saccheggiare il litorale etrusco di Pisa: in quell’occa-
sione i proconsoli nominati dal Senato lasciarono il campo a dei prolegati equestri con
spiccate caratteristiche militari (stratiarchi, strateghi), incaricati da Augusto di controllare
forse con truppe legionarie la provincia ancora non interamente paciicata. Un prefetto
prolegato ancora nel 14 d.C. (dunque ben oltre i tre anni indicati da Dione Cassio) si oc-
cupava di costruire la strada militare che da Ad Medias (Abbasanta) raggiungeva Austis,
il campo militare forse della coorte di Lusitani, alle falde occidentali del Gennargentu, in
piena Barbaria, che ancora oggi conserva il nome del primo imperatore. In questo quadro
andrebbe collocata la dedica ad un Augusto (con buone motivazioni recentemente ci si
è orientati su Tiberio) delle civitates Barbariae rinvenuta a Fordongianus (le antiche Aquae
Ypsitanae): un atto di omaggio al principe che implica il successo di una profonda azione
militare di controllo del territorio barbaricino, più precisamene all’interno di una vera e
propria prefettura distrettuale, sulla quale doveva operare la I coorte di Corsi, arruolata
forse in Corsica, che sappiamo comandata da Sex(tus) Iulius S(purii ?) f(ilius) Pol(lia tribu)
Rufus che in contemporanea ebbe singolarmente la responsabilità di praefectus civitatum
Barbariae in Sardinia.
Già con Augusto era dunque iniziata l’oscillazione della Sardegna tra amministrazione
senatoria e amministrazione imperiale, forse in qualche caso solo per soddisfare le esi-
genze dell’erario così come del isco imperiale e per tenere in equilibrio le uscite rispetto
alle entrate: allora si rese necessario trovare una compensazione, attraverso quella che è
stata deinita la “politica di scambio” delle province tra imperatore e Senato, che sem-
bra svilupparsi nel I e nel II secolo d.C. I disordini dovettero però continuare negli anni
successivi, tanto che nel 19 d.C., nei primi anni dell’età di Tiberio, il prefetto del pretorio
Lucio Elio Seiano decise di rafforzare il presidio militare dell’Isola e quattromila giovani
liberti romani seguaci dei culti egizi e giudaici furono costretti ad arruolarsi: essi furono
allora inviati in Sardegna agli ordini del prefetto provinciale per reprimere il brigantaggio;

177
Attilio Mastino

se fossero morti per l’inclemenza del clima, cioè forse per la malaria, scrive Tacito, sareb-
be stato un danno di nessun conto.
Davide Faoro ha recentemente ipotizzato che la prefettura equestre di Corsica dipen-
dente dalla provincia Sardinia (sulla quale abbiamo pochissimi documenti) si sia progres-
sivamente resa autonoma dal governatore caralitano, tanto da arrivare alla nascita di
una vera e propria provincia affidata ad un procuratore equestre di basso rango in età
claudio-neroniana (Faoro 2011, pp. 75 ss.). Ciò non avrebbe però impedito il ritorno
della Corsica sotto il controllo dei proconsoli senatorii della Sardinia nel corso del II
secolo d.C., in età antonina.
Per ricostruire l’evoluzione dell’amministrazione provinciale della Sardegna in età impe-
riale si deve partire dalla Tavola di Esterzili (cat. n. 2.70), con la condanna dei pastori sardi
della tribù dei Galillenses, esempio istruttivo di una politica tendente a privilegiare l’eco-
nomia agricola degli immigrati italici. Inciso sicuramente a Carales il 18 marzo 69, esposto
al pubblico per iniziativa dei Patulcenses originari della Campania all’interno di un villaggio
agricolo, il documento contiene una sentenza con la quale il governatore provinciale (pro-
console) Lucio Elvio Agrippa ripristinava nell’età di Otone la linea di conine issata nel
112 a.C. dal proconsole Marco Cecilio Metello, dopo una lunga campagna militare durata
per almeno cinque anni che aveva coinvolto la popolazione locale dei Galillenses. Si tratta
di un esempio signiicativo di una politica tendente a privilegiare l’economia agricola dei
Busto in marmo di statua loricata, contadini immigrati dalla Penisola in Sardegna. Il documento, scoperto nel 1866, studiato
con Gorgone e Vittorie alate. da Giovanni Spano e Theodor Mommsen e conservato al Museo Nazionale di Sassari, ci
Li Punti, Centro di Restauro e informa su una lunga controversia, conclusasi con una sentenza con la quale il governa-
Conservazione dei Beni Culturali. tore provinciale, un clarissimo ex pretore appartenente al senato, ripristinava la linea di

178
La Sardegna provincia romana: l’amministrazione

conine issata 170 anni prima dal proconsole Metello, dopo una lunga campagna militare
conclusa con il trionfo del generale vittorioso celebrato a Roma lungo il percorso che
terminava nel tempio di Giove Capitolino.
Il documento (una lastra di bronzo larga 61 cm, alta 45 cm e pesante circa 20 kg) fornisce
informazioni preziose sul governo provinciale, passato nell’età di Nerone dall’imperatore
al Senato, sul funzionamento degli archivi (tabularia) in provincia e nella capitale e sul con-
litto tra pastori indigeni dediti all’allevamento transumante e contadini immigrati dalla
Campania, sostenuti dall’autorità romana, interessata a contenere il nomadismo sul quale
si alimentava il brigantaggio; ma anche decisa a valorizzare le attività agricole e a favorire
un’occupazione stabile delle fertili terre nelle pianure della Trexenta e della Marmilla,
soprattutto a promuovere l’urbanizzazione delle zone interne della Barbaria sarda, dove si
era andata sviluppando una lunga resistenza alla romanizzazione. «Documento tra i più
importanti e signiicativi dell’età antica in Sardegna – ha scritto Giovanni Brizzi – la Ta-
vola di Esterzili propone agli studiosi una gamma vastissima di problemi del più alto inte-
resse: geograico-storici, per l’identiicazione delle sedi dei Galillenses e Patulcenses, nonché
dei territori tra loro contesi; giuridici, per le forme dell’intervento romano e il rapporto
tra tabularium principis e tabularia provinciali; linguistici, per le forme adottate, gli imprestiti,
il grado di alfabetizzazione degli estensori; archeologici, per il rapporto tra il documento,
il luogo di rinvenimento e il contesto paesaggistico e monumentale, epigraici, storici,
inine» (Brizzi in Mastino 1993, p.5). Si ripete in questo caso ad Esterzili, su scala assai
ridotta, «quanto si era veriicato già nella penisola, conducendo l’Italia delle piane costiere,
l’Italia tirrenica progressivamente identiicatasi in Roma, l’Italia dei contadini, a scontrarsi
con l’Italia appenninica, l’Italia dei pastori unita sia pur solo supericialmente dal vincolo
della transumanza. Viene da chiedersi, dunque, se non sia stata proprio questa scelta di
campo ormai consueta, questo atteggiamento connaturato nella politica dello stato ege-
mone, uno tra i motivi fondamentali della mancata metanoia tra i Sardi e il potere romano».
Il documento testimonia il passaggio dell’amministrazione della Sardegna dall’imperatore
al Senato nell’età di Nerone: si succedono le sentenze di Marco Giovenzio Rixa, “uomo
di provate qualità”, cavaliere e procuratore imperiale (governatore della Sardegna negli
anni 65-67 d.C.), il senatore Cecilio Semplice (proconsole nel 67-68) e il proconsole Lucio
Elvio Agrippa (sentenza del 13 di marzo 69). Componevano il Consiglio del Governa-
tore otto consiglieri, senatori e cavalieri: Marco Giulio Romolo, legato propretore; Tito
Atilio Sabino, questore propretore, Marco Stertinio Rufo iunior, Sesto Elio Modesto,
Publio Lucrezio Clemente, Marco Domizio Vitale, Lucio Lusio Fido, Marco Stertinio
Rufo senior. Seguono le autenticazioni degli undici testimoni. Il passaggio da Nerone al
Senato dell’amministrazione della provincia è collegato alla decisione dell’ultimo dei giu-
lio-claudii di concedere la libertà alla Grecia, provincia senatoria; e di compensare il Se-

Diploma militare di Ursari,


iglio di Tornalis da Anela
del 22 dicembre dell’anno 68; CIL XVI 9.
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna.

179
Attilio Mastino

nato con le entrate a favore dell’erario di Saturno provenienti dalla grande isola tirrenica.
Con Vespasiano la Sardegna fu restituita all’amministrazione dei procuratori imperiali, so-
stituiti nuovamente da proconsoli con Traiano. Si discute su un periodo di amministrazio-
ne imperiale nel corso del II secolo (sulla base di una discussa epigrafe di Turris Libisonis):
sappiamo che una rivolta di Mauri, arrivati dall’Africa, aveva suggerito all’imperatore Mar-
co Aurelio il temporaneo passaggio della provincia spagnola della Betica dall’amministra-
zione senatoria a quella imperiale. Forse questo fu uno dei tanti momenti della “politica di
scambio tra imperatore e Senato” della provincia Sardinia: non è escluso che già Traiano
avesse restituito la Sardegna al Senato e che alla metà del II secolo l’Isola conoscesse un
nuovo periodo di amministrazione imperiale afidata a procuratori equestri, se veramente
lo scambio con la Betica del 174 signiicò un cambiamento di amministrazione; più tardi
con Commodo la Sardegna sarebbe tornata sotto il diretto controllo imperiale. In quest’oc-
casione la Corsica (per Davide Faoro) avrebbe riacquistato la sua piena autonomia.
Più tardi conosciamo in Sardegna attraverso procuratori e prefetti, presidi, inizialmente
viri egregii, quindi (forse durante il principato di Claudio II) perfectissimi e, sotto Costantino
dopo l’ “abolizione” dell’ordine equestre, clarissimi. Il governatore Quinto Bebio Modesto,
procuratore dei due Augusti e prefetto della Sardegna, fu adlectus nel consilium imperiale col
titolo di amicus consiliarius di Caracalla e Geta, come testimonia una dedica di Forum Traiani
posta dal liberto imperiale Servatus, procurator metallorum et praediorum, incaricato della gestio-
ne delle miniere e delle terre agricole di proprietà imperiale nell’Isola.
Con Diocleziano e poi con Costantino il sistema dei governi provinciali fu radicalmente
trasformato e subì forse un impoverimento, a causa del progressivo accentramento buro-
cratico: il potere imperiale fu attribuito a due Augusti e a due Cesari, secondo il sistema
della Tetrarchia; furono allora costituite quattro prefetture del pretorio (Oriente con capi-
tale Nicomedia, Balcani con capitale Sirmio, Italia con capitale Milano, Gallia con capitale
Treviri), con tredici diocesi afidate a vicari dei prefetti del pretorio; le province furono
divise, ridotte come territorio con oscillazioni di conini e con suddivisioni successive e
collocate sotto la responsabilità di presidi equestri o di funzionari senatori; la Penisola
Italiana rientrò nell’organizzazione provinciale. Al di là degli aspetti di dettaglio, la riforma
dioclezianea segnò una svolta profondissima, creando una sorta di piramide e una catena
di comando al cui vertice erano gli imperatori e i loro prefetti del pretorio. Le province
diventarono uno snodo periferico del governo imperiale ma, aumentate di numero, per-
sero quella conigurazione “nazionale” storicamente radicata nelle tradizioni locali che le
aveva caratterizzate in dalla loro prima costituzione. Inine le città provinciali, collocate
alla base della piramide, dovettero rinunciare ad ogni forma di autonomia e di autogover-
no compendiata nella formula della antica “libertas” iscale, per diventare i terminali delle
decisioni prese dall’alto, attuate dai magistrati municipali, depotenziati e spesso trasformati
in funzionari della burocrazia imperiale.
La Sardegna fu inserita allora nella diocesi italiciana e poi (con Costantino) nella prefettura
del pretorio d’Italia, alle dipendenze del vicarius urbis Romae che risiedeva nella capitale.
L’Isola fu amministrata da un praeses, certamente diverso da quello che soprintendeva alla
Corsica. Sul piano iscale, l’Isola con la Sicilia e con la Corsica costituivano un unico di-
stretto, afidato dal 325 ad un rationalis trium provinciarum, inizialmente per la gestione del
patrimonio imperiale. Più tardi il rationalis acquisì una competenza più ampia, occupandosi
anche delle imposte che andavano a beneicio dell’erario (sacrae largitiones), sostituendosi
così all’exactor auri et argenti provinciarum III, attestato in epoca precedente, nell’anno dei
decennali di Costantino.

La serie di magistrati in età imperiale


27 a.C.-ante 17 a.C.? Gaius Mucius Scaevola, proconsul
Prima età augustea [Quintus C]aecilius H.f. M[etellus?], proconsul
Età augustea [---]rius Ca[---], proconsul
13-14 d.C. Titus Pomp(e)ius [P]roculus, prolegato
20-25 c. Anonimo, praefectus provinciae Sardiniae
46 Lucius Aurelius Patroclus, praefectus
55 Vipsanius Laenas, procurator ?
56 ? Iulius Pollio, procurator ?

180
La Sardegna provincia romana: l’amministrazione

66 Marcus Iuventius Rixa, procurator Augusti


67-68 Gnaeus Caecilius Simplex, vir clarissimus proconsul
68-69 Lucius Helvius Agrippa, proconsul, Marcus Iulius Romulus, legatus propraetore, Titus
Atilius Sabinus, quaestor
70 [---]tius Secundus, proconsul
72 c. Gaius Caesius Aper, legatus propraetore
73-74 Sextus Subrius Dexter, procurator et praefectus
83 Sextus Laecanius Labeo, procurator Augusti et praefectus
88 [---] Herius Priscus, procurator et praefectus
96 Tiberius Claudius Servilius Geminus, procurator et praefectus
tra il 98 e il 117 Claudius Paternus Clementianus, procurator
tra il 110 e il 117 Caius Asinius Tucurianus, proconsul
112-113 [Lucius Cosso]nius Gallus Vecilius Crispinus Mansuanius Marcellinus Numisius [S]abinus, proconsul
metà II secolo Gaius Ulpius Severus, procurator et praefectus
169-176 c. Marcus Peducaeus Plautius Quintillus, proconsul
verso il 175 Lucius Ragonius Urinatius Larcius Quintianus, proconsul
174 c. Lucius Septimius Severus, quaestor
193 ? Caius Ulpius Victor, procurator Augusti praefectus
195 Marcus Pi[---]us [---], v.e., procurator Augusti
196-200 Lucius Baebius Aurelius Iuncinus, procurator Augusti praefectus, v.e.
198-200 Quintus Cosconius M. f. Pollia Fronto, procurator Augustorum duorum et praefectus
199-200 Publius Aelius Peregrinus, procurator Augustorum duorum et praefectus
203-204 Raecius Constans (titolatura greca che corrisponde a quella latina di praefectus)
205-206 Marcus Cosconius Fronto, procurator Augustorum duorum et praefectus
208-209 Marcus Domitius Tertius, procurator Augustorum duorum et procurator Augustorum
trium, praefectus
210-211 Quintus Gabinius Barbarus, procurator Augustorum duorum et procurator Augustorum
trium, praefectus
211-212 Quintus Baebius Modestus, praefectus
213-217 [-] Aurelius [---], procurator Augusti et praefectus
213-217 Quintus Co[ce]ius Proculus, procurator Augusti et praefectus
218-222 Lucius Ceion[ius ---] Alienus, procurator Augusti et praefectus, vir egregius
226 Titus Licinius Hierocles, procurator Augusti et praeses
ante 231 Publius Sallustius Sempronius Victor (titolatura greca che corrisponde a quella latina
procurator Augusti, praeses)
235 [---] Octabianus, praefectus et procurator, vir egregius
236 Anonimo, [procurator Augusti et praefectus], v.e.
244 Marcus Ulpius Victor, procurator Augusti nostri et praefectus, vir egregius
245-248 Publius Aelius Valens, procurator eorum; procurator Augusti et praefectus, vir egregius
248 Marcus [---]o [---]ia[---], procurator Augusti et praefectus
249-251 Marcus Antonius Septimius Heraclitus, procurator Augusti
253-257 Marcus Calpurnius Caelianus, procurator et praefectus, vir egregius
257-259 Publius Maridius Maridianus, procurator Augustorum
metà III secolo A(ulus) Vibius Maxim[i]nus
268 Marcus Aurelius Quintillus, procurator Augusti v.e.
III secolo, ante Aureliano Lucius Flavius Honoratus, procurator et praefectus
268-270 Lucius Septimius Leonticus procurator, vir egregius (poi perfectissimus)
271 Septimius Nicrinus, procurator, vir egregius (poi perfectissimus)
272 ? Publius [---]tius, praeses, vir perfectissimus
275 Cassius Firminianus, praeses, vir egregius
III secolo, dopo Aureliano Publius Vibius Marianus, procurator et praeses
282 Iulius [---]nus, praeses, vir egregius
282-283 Marcus Aelius Vitalis, praeses, vir perfectissimus
284-305 Anonimo, praeses
286-293 [---] Maximinus, praeses, vir perfectissimus
286-305 Delphius, praeses
286-293 o 293-305 Iulicus, praeses

181
Attilio Mastino

298-305 Publius Valerius Flavianus, praeses, vir perfectissimus


293-305 [M(arcus ?)] Aurelius Marcus, praeses, vir perfectissimus
303-304 Barbarus, praeses
305 Valerius Domitianus, praeses et procurator, vir perfectissimus (erroneamente egregius)
307-309 Lucius Cornelius Fortunatianus, praeses, vir perfectissimus
309-311 ? Papius Pacatianus, praeses, vir perfectissimus
311-312 Florianus, praeses, vir perfectissimus
312-314 Lucius Mes[o]pius R[ust]icus, praeses, vir perfectissimus
315 Costantius, praeses
316 o 312-314 Titus Septimius Ianuarius, praeses, vir clarissimus
317 Bassus, praeses
317-319 Anonimo, praeses
319 Festus, praeses, vir clarissimus
321-323 Postumius Matidianus Lepidus, praeses, vir clarissimus
333-335 Flavius Titianus, praeses, vir perfectissimus
335-337 Flavius Octabianus, praeses, vir perfectissimus
335-337 Helennus, procurator, vir perfectissimus
337-340 Munatius Genteanus, praeses
346 Rubulenius Restitutus, praeses
351-352 Anonimo, praeses
352-361 Flavius Amachius praeses, vir perfectissimus
364-366 Flavius Maximinus, praeses, procurator, vir perfectissimus
375 Laodicius, praeses
387-388 Salustius Exsuperius, praeses, vir perfectissimus
397-398 Benignus praeses
IV sec.? Marcus Mat[---] Romulus, praeses, vir perfectissimus
IV sec.? Claudius [Iustin?]us, praeses
V sec.? Silici[us], praeses
425-450 Flaviolus, praeses

Lo sviluppo in età vandala e bizantina


Di grande interesse per capire gli sviluppi successivi è il ruolo della Sardegna all’interno dello
stato vandalo, che dal 439 d.C. ebbe come capitale Cartagine: Carales fu la capitale delle pro-
vince transmarine che comprendevano Sicilia, Sardegna, Corsica e Baleari. Una realtà che in
qualche modo vediamo ripresa da Giustiniano con la nascita della prefettura del pretorio e
poi dell’esarcato africano, che sarebbe crollato nel 698 con l’arrivo degli Arabi a Cartagine,
quando le strutture del comando bizantino sarebbero state trasferite in Sardegna. Gli ultimi
studi hanno messo in evidenza forme di sopravvivenza e vere e proprie eredità dell’ammini-
strazione romana e bizantina ino all’età dei giudicati medioevali e oltre.

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183
Attilio Mastino

Iscrizione onoraria da Porto Torres,


Terme Pallottino. Sassari,
Museo Nazionale G.A. Sanna
(in alto).

Iscrizione onoraria da Porto Torres,


Terme centrali. Sassari,
Museo Nazionale G.A. Sanna
(in alto a destra).

Iscrizione onoraria da Sant’Antioco.


Sant’Antioco, Museo Archeologico
Comunale F. Barreca (in basso a destra).

184
Gli statuti municipali
Antonio Ibba

Plinio il Vecchio fu collaboratore dell’imperatore Vespasiano e autore della Naturalis Historia,


ispirata, nei libri II-VI, ai principi della letteratura geograica che puntava a fornire ai lettori
una rappresentazione generale ed essenziale di un territorio, senza entrare nel dettaglio degli
aspetti politici. Nell’illustrare la Sardinia (nat. 3.85), Plinio fotografava una situazione a lui
non contemporanea e che probabilmente ricavava da una fonte non meglio precisabile ma
che parrebbe risalire a un momento fra il II triumvirato e la prima età augustea, forse da lui
stesso integrata con nozioni collazionate da documenti uficiali e opere divulgative, secondo
un modus operandi che è chiaramente espresso nel cosiddetto proemio (nat. 1.17).
Pur con questi limiti, il panorama istituzionale dell’Isola qui fornito è uno dei più antichi a
noi pervenuto, sicuramente ben più articolato di quelli tramandatici dal greco d’Asia Strabo-
ne in età tiberiana e dall’iberico Pomponio Mela qualche decennio dopo. Infatti, dopo aver
indicato i celeberrimi in ea (i.d. Sardinia) populorum, riporta gerarchicamente una selezione di
appena sei centri abitati (oppida) fra i XVIII a lui noti nell’Isola, in apparenza senza seguire un
ordine geograico o cronologico come in altre formulae: Sulcitani, Valentini, Neapolitani, Vitenses,
Caralitani civium R(omanorum) et Norenses, colonia autem una, quae vocatur Ad Turrem Libisonis. Pare
infatti poco probabile l’emendamento dell’ultima frase proposto da Leandro Polverini: colonia
autem U<selita>na <et> quae vocatur Ad Turrem Libisonis.
All’inizio si ricordano dunque gli oppida “semplici”, in altri termini quelle comunità urbane
che si gestivano ancora con iura peregrina e che in parte potrebbero coincidere con le civitates
sociae o stipendiariae ricordate da Cicerone (Balb. 9.24 e 18.41; Scaur. 24.44), Livio (23.21.6 e
40.8; 41.12.6, 17, 28.9), Valerio Massimo (7.6.1) e Plutarco (CG 2.2): Sulci (Sant’Antioco), che
aveva una costituzione di tipo punico almeno dal V secolo a.C. e, pur con un evidente e avan-
zato processo di assimilazione della cultura latina, era ancora guidata da un consiglio dei ’RŠ
(ISO Npu5 = CIL I2 2225 = X 7513, cat. n. 2.13), equiparabile al senato (ordo decurionum) delle
città romane; Bitia (nella piana di Chia, forse Capo Malfatano), che ancora intorno al 177 d.C.
utilizzava il neopunico per le iscrizioni uficiali ed era guidata dai sufeti BB‘L, H R‘MY (il
“Romano”), e [---]H (ISO Npu8), eredi dunque di una tradizione amministrativa importata in
Sardegna da Cartagine; Neapolis (Santa Maria di Nabui-Guspini) il cui statuto è incerto giac-
ché solo intorno al III secolo d.C. viene indicata come splendidissima civitas (sotgiu 1961, n. 4
= EDR155898), quando però il termine aveva ormai perduto il signiicato tecnico-giuridico
di comunità di diritto non romano per assumere genericamente quello di città; un testo da
Vallermosa (CIL X, 7841 = EDR153082) potrebbe ricordare in età imperiale un sufeta forse
riconducibile a Neapolis o a Karales o a Sulci, ma la lettura è tutt’altro che sicura; un altro fram-
mento ricorda un [Ti.] Claudius Ne[---] forse “presidente del senato locale” (AE 1997, 751
= EDR153013: pri[nceps civitatis?]), con un’organizzazione che dunque potrebbe richiamare
quelle delle città sufetali di Calama e Thugga o del municipio di Lepcis Magna in Africa. Viene
poi Valentia (Nuragus o Bidda Beccia, fra Isili e Nurallao), forse fondata da Marco Ceci-
lio Metello (115-111 a.C.) e organizzata secondo dei modelli italici, per alcuni forse gestita
da un pretore (CIL X 7851 = EDR127019: si tratta più verosimilmente di un governatore
provinciale); nel I secolo d.C. la civitas Valentina era guidata da un prefetto (AE 2007, 692 =
EDR154657), interpretabile sia come un militare incaricato di gestire il distretto di Valentia
(equiparabile al praefectus civitatum Barbariae di CIL XIV, 2954), sia come funzionario eletto dai
Valentini per amministrare periodicamente la giustizia nei villaggi dipendenti dalla comunità,
sia come un magistrato che sostituiva i supremi magistrati (duoviri) di Uselis nelle civitates che
l’imperatore aveva assegnato alla colonia della Marmilla.
A questi centri seguono gli oppida civium Romanorum, espressione in passato considerata equi-
valente di municipia, città non fondate dai Romani ma i cui abitanti avevano ricevuto la piena
cittadinanza e si amministravano secondo le classiche istituzioni romane (i quattuorviri iure
dicundo, che detenevano il potere esecutivo e giudiziario, i quattuorviri aedilicia potestate, incaricati

185
Antonio Ibba

della gestione delle strade, degli ediici e degli spazi pubblici, l’ordo decurionum che deteneva
il potere legislativo); studi più recenti ci orientano invece verso comunità comunque pe-
regrine ma al cui interno si erano costituiti dei conventus (associazioni) di cittadini romani,
privi di un proprio territorio ma autonomi e politicamente tanto inluenti da condizionare
la vita politica della colletività che li ospitava. Plinio ne ricorda in questo caso due, Karales
e probabilmente Nora.
Per Karales, la notizia è confermata da una moneta di età triumvirale che, seppur con legenda
punica, ricorda la città governata ancora da sufeti (pare improbabile un municipio sufetale
come quello di Lepcis Magna in Africa); per Nora la formula ben si adatta a quanto possiamo ri-
cavare dalla Pro Scauro di Cicerone e costituisce un interessante terminus post quem per la fonda-
zione del municipio, ricordato su un testo del II triumvirato (AE 2006, 520 = EDR157250)
con il quattuorvir aedilis Aristio Rufus e su uno di età augustea o giulio-claudia (sotgiu 1961,
n. 45 = EDR157151) con Q. Minucius Pius che per tre volte fu quattuorvir iure dicundo, oltre
che sacerdote del culto imperiale (lamen Augusti, nominato con voto dei decurioni, decurionum
suffragio) e mentre era assente (absens) lamen Augusti perpetuus (poteva dunque portare le inse-

La Sardegna romana,
i centri abitati e le strade.

Nella pagina accanto


Dedica di Aristius Rufus; EDR157250.

186
Gli statuti municipali

gne dei lamines e godere dei loro privilegi anche dopo aver terminato l’incarico); dubbia la
testimonianza di EDR157265.
Chiudeva inine la rassegna pliniana la colonia di Turris Libisonis, forse non inclusa fra i XVIII
oppida. L’Anonimo Ravennate (5.26) ci informa che la città portava il titolo Iulia: dobbiamo
dunque ipotizzare una deduzione con Cesare o più verosimilmente Ottaviano, fra il 42-40
o 38-36 a.C. (cronologia confortata dal confronto con sotgiu 1961, n. 241 = EDR073720
del 305 d.C., cat. n. 2.7). I suoi abitanti erano eccezionalmente iscritti in una tribù urbana,
la Collina, ed organizzati in XXIII sezioni di voto (curiae: CIL X 7953 = EDR153008, cat.
n. 2.12), dunque secondo una costituzione “arcaica” forse elaborata dallo stesso Cesare ed
applicata anche a Iulia Genetiva Urso in Betica (dove le curiae sono addirittura ventiquattro).
Numerose iscrizioni attestano la presenza di aediles, duoviri, duoviri quinquennales (questi ultimi
incaricati ogni quattro anni di ricostituire l’ordo decurionum; al loro ingresso in carica, honos, ver-
savano nella cassa della colonia la cospicua summa honoraria di 35.000 sesterzi, CIL X 7954 =
EDR153028, cat. n. 2.66), di un senato locale (ordo decurionum), fra i sacerdoti di augures, seviri,
quindecemviri, lamines e un collegio di augustales. Nel 244 d.C., in circostanze evidentemente
eccezionali, Filippo l’Arabo nominò un “commissario straordinario” (curator rei publicae) che
temporaneamente sostituì i magistrati locali e d’intesa con il governatore provinciale gestì
importanti lavori pubblici in città (CIL X 7946 = EDR152973).
Grazie ad altre fonti letterarie ed epigraiche è in parte possibile integrare e ampliare questo
quadro volutamente sintetico e cristallizzato da Plinio entro i primi anni dell’impero e ten-
tare di ricostruire la sua lista laddove questa sfortunatamente rimane muta. Tolomeo (3.3.2)
e una tabula di patronato (CIL X 7845 = EDR155204, cat. n. 2.71) ricordano la colonia Iulia
Augusta Uselis (Usellus) amministrata nel 158 d.C. da duoviri quinquennales (dubbia l’attribuzione

187
Antonio Ibba

dei IIviri q. di un’emissione monetale di età augustea): la titolatura farebbe pensare sia a una
fase municipale, non registrata da Plinio e alla quale potrebbe teoricamente riferirsi anche
il C. Iulius Felicio, municipii libertus di Sanluri (CIL X 7844 = EDR110141), seguita da una
promozione coloniale con Augusto, oppure a un privilegio unico forse attribuito durante il
proconsolato di Marco Furio Camillo, nel 1 a.C. o nel 4 d.C. (AE 1999, 894a = EDR158497;
cat. n. 2.64). Nell’occasione alla città potrebbe essere stato assegnato un vasto territorio (per-
tica) i cui conini forse giungevano sino al Tirso e alle Aquae Ypsitanae e che avrebbe potuto
comprendere Valentia nel Sarcidano e il pagus Uneritanus di Las Plassas in Marmilla (AE 2002,
628 = EDR154079, cat. n. 2.67). La tabula ricorda anche il populus di Uselis e un patronus, pro-
babilmente residente a Karales e incaricato presumibilmente di difenderne gli interessi presso
il governatore.
Una pertica molto ampia ma di dificile deinizione era stata assegnata da Ottaviano anche
a Turris Libisonis. Un epitafio da Porto Torres ricorda un liberto imperiale responsabile del
tabularium pertic(arum) Turr(itanae) et T<h>arr(e)ns(is) (CIL X 7951 = EDR078723). Se ne po-
trebbe dedurre che anche Tarrhi, guidata da sufeti nel V secolo a.C., avesse ottenuto da
Augusto lo statuto coloniale: anche i suoi abitanti potrebbero allora essere iscritti alla Collina
(CIL VIII 2886); più prudentemente altri hanno ipotizzato una promozione municipale nel
I secolo d.C. e la deduzione della colonia nel corso del II secolo. Un testo frammentario ricor-
da la cassa prestiti della città (kalendarium rei publicae) e forse un duoviro (EDR153548); in altri
si ricordano genericamente i Tarrhenses.
Meno sicura pare l’esistenza di una colonia a Cornus, patria di Hampsicora ed epicentro della
rivolta antiromana del 215 a.C. (Liv. 23.40-41): in CIL X 7915 = EDR153805 (III secolo
d.C.) si allude infatti a un cavaliere, patronus civitatis forse originario di Karales, nominato dallo
splendidissimus ordo Cornensium per aver agito in favore dei coloni, ma questi potrebbero esse-
re anche degli afittuari nei praedia della regione (un testo da Columbaris, AE 1979, 307 =
EDR077448, menziona infatti un [arca]rius . praedi[orum ---], un funzionario che gestiva la cassa,
arca, di vasti possedimenti). Le iscrizioni ricordano inoltre dei lamines imperiali (CIL X 7916-
7 = EDR153812-3), presumibilmente onorati nel foro civico.
I lamines imperiali delle singole città si radunavano nel consiglio provinciale che si tene-
va periodicamente nella capitale per nominare un presidente (sacerdos provinciae), celebrare
con sontuosi spettacoli l’imperatore e “indirizzare” o “controllare” l’attività del governatore.
Nell’assemblea godevano di un prestigio maggiore i rappresentanti delle coloniae mentre a un
gradino inferiore si trovavano quelli di municipia e civitates. Non sembra tuttavia questo il caso
dei Karalitani, il cui ordo decurionum era spesso arricchito dall’ingresso (adlectio) del presidente
Dedica a Viduus; EDR110141. uscente del concilium provinciae (sacerdotalis, p.e. CIL X 7917 = EDR153813, cat. n. 2.11, ori-
ginario di Cornus, CIL X 7940 = EDR153726 da Bosa, forse AE 2005, 683 = EDR157343
da Nora).
Nella pagina accanto La prima attestazione databile del municipium è dell’anno 83 d.C. (sotgiu 1961, n. 50 =
Epitaio di C. Quinctius e di sua moglie; EDR071678); un quattuorvir aedilicia potestate (CIL X 7603 = EDR086524) è genericamente
EDR086524. del I secolo d.C. In passato si è ipotizzato lo status di municipium c. R. concesso da Cesare o

188
Gli statuti municipali

Ottaviano, sulla base del passo pliniano e del testo di Sanluri (meno sicuro il municipii libertus
di CIL X 7862 = EDR086564). In realtà è forse più prudente pensare a un municipium latinum
(dove la cittadinanza era concessa solo ai magistrati più importanti e ai membri dell’ordo),
fondato in un momento compreso fra il II triumvirato e l’età lavia e i cui abitanti erano
iscritti alla Quirina (tribù non a caso cara anche a Claudio e Vespasiano): si spiegherebbe così
forse meglio l’onomastica di molti Karalitani (in apparenza privi dei tratti distintivi dei cives) e
la presenza ancora in età severiana di un civis latino che alla ine del servizio militare otteneva
la cittadinanza romana (CIL XVI 127 = EDR071682, cat. n. 2.76: C. Tarcutius Tarsaliae il.
Hospitalis Caralis ex Sard., 208-218, forse 212-213 d.C.).
L’epigraia locale ricorda numerosi quattuorviri iure dicundo ordinari o quinquennali, quattuorviri
aedilicia potestate, l’ordo decurionum, fra i sacerdozi lamines e laminicae, pontiices, augures, aruspices,
un collegio degli Augustali in un arco di tempo compreso fra il I-III secolo d.C. Rimane ipo-
tetica la sua promozione a colonia, sulla base di un testo controverso forse meglio attribuibile
a Porto Torres (AE 1985, 487 = EDR078717) e di un frammento di incerta restituzione (AE
1989, 351 = EDR157656); alla ine del III secolo è sicura la precoce presenza dei principales,
il senato ristretto composto da quanti in passato avevano ricoperto magistrature e sacerdozi
superiori e che di fatto dirigeva la vita politica delle città, accollandosi in cambio anche la
maggior parte degli oneri (CIL X 7808 = EDR109010; possibili ma meno certi altri esempi).
Allo stesso modo è più plausibile che anche Nora, dove ancora nel I secolo d.C. si scriveva
in neopunico, fosse un municipium latinum. Le iscrizioni attestano la presenza di laminicae, di
nuovo Augustales, di un senato locale e del populus, nel II secolo forse di un curator rei publicae
(AE 1971, 125b = EDR075141). Fra il 425-430 d.C. troviamo ancora un principalis ac primoris
che curò il restauro del locale acquedotto (CIL X 7542).
Se nulla sappiamo della Sulci d’Oriente (Tortolì), una cospicua documentazione ci giunge da
Sant’Antioco, municipium latino con Claudio o Vespasiano e i cui abitanti erano anch’essi tribuli
della Quirina: sono attestati quattuorviri iure dicundo e aedilicia postestate, pontiices, lamines (uno dei
quali fu adlectus fra i sacerdotales della provincia, CIL X 7518=EDR153899, cat. n. 2.10), il populus.
Il senato locale poteva accogliere anche degli incolae evidentemente scelti fra i ricchi mercatores
che frequentavano il suo porto; al contrario i patroni noti parrebbero di origine locale.
Non sappiamo se il suo corpo elettorale o quello della già ricordata Neapolis era organizzato
in tribù (sotgiu 1961, n. 4 = EDR155898), secondo un modello che trova un parallelo a

189
Antonio Ibba

Lylibaeum in Sicilia e che potrebbe risalire a tradizioni puniche. In una dedica del 257 d.C. (AE
2007, 688 = EDR153019; cat. n. 2.5) è ricordato invece l’ordo decurionum dei Neapolitani, forse
iscritti alla Quirina (AE 2006, 1849-51: 129 d.C.): se ne potrebbe dedurre che la città era dive-
nuta municipio anch’essa nel I secolo d.C.; alla promozione si potrebbe allora legare il culto
di Marsyas (AE 2007, 690 = EDR153024, cat. n. 2.86), simbolo della libertas nelle comunità
romane. L’area del foro ha restituito il frammento di una tabula di patronato.
Il rango di municipium è stato attribuito anche ad altri centri urbani ma sempre sulla base di
labili indizi. È il caso di Forum Traiani, antiche Aquae Ypsitanae, che probabilmente nel 111 d.C.
ottennero lo status giuridico di forum, ormai desueto, forse grazie all’insediamento di veterani
delle guerre daciche e di municipes Karalitani; una civitas Forotranensium è ricordata durante il
principato di Caracalla (AE 1992, 892) e forse l’ordo decurionum in un momento fra II-III se-
colo d.C. (sotgiu 1961, n. 201 = EDR153114). A Olbia una civitas è ricordata durante il basso
impero (CIL X 7976 = EDR078746) mentre per il periodo precedente è noto solo un liberto
imperiale responsabile della “cassa prestiti” (sotgiu 1961, n. 314 = EDR154026: procurator
kalendarii), testimonianza ulteriore del particolare legame fra la città della Gallura e l’ammini-
strazione centrale almeno sin dai tempi di Nerone. L’ordo decurionum è ricordato anche a Bosa
fra il 138-141 d.C. (CIL X 7939, cat. n. 2.4) e probabilmente con il populus su una tabula di
patronato rinvenuta a Cupra Maritima nel Piceno, forse del principato di Nerone o Vespasiano
(EE VIII, 227 = EDR129183); è noto inoltre un sacerdos Urbis Romae (sacerdote della città di
Roma) e dell’imperatore (CIL X 7940 = EDR153726).
Tralasciando gli insediamenti militari, del tutto oscuro rimane inine lo statuto di altre comu-
nità note dalle fonti letterarie e da poche iscrizioni, alcune delle quali forse da annoverare fra
i XVIII oppida di Plinio, altre fra i semplici vici: fra i più importanti Longones (Santa Teresa di
Gallura?), Tibula (Castelsardo?), Gemellae (forse fra Bulzi, Perfugas e Martis), Aquae Laesitanae
(Benetutti), Caput Tyrsi (Buddusò?), Carbia (Alghero?), Gurulis Vetus (Padria) e Gurulis Nova
(Cuglieri), Pheronia (Posada), polis romano-ceretana fondata nella prima metà del IV secolo
a.C., Sarcapos (Villaputzu) e Macopsisa (Macomer), che ospitavano già in età repubblicana degli
Italici o Sardi romanizzati, Othoca (Santa Giusta), Aquae Neapolitanae (Sardara), Metalla (Gru-
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191
Antonio Ibba

Pietra miliare da Scala di Giocca.


Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna
(a sinistra).

Pietra miliare da Carbonia.


Carbonia, Museo Archeologico Villa Sulcis
(a destra).

192
Quadro generale della viabilità romana in Sardegna
Marilena Sechi

I Romani costruirono nella Sardegna un capillare sistema viario che fu funzionale alle esigen-
ze militari, amministrative, economiche e culturali e che costituì un fondamentale elemento
uniicante nel territorio. Pur riprendendo spesso sentieri già esistenti, forse costruiti in epoca
nuragica e fenicio-punica o addirittura preistorica e protostorica, essi crearono un sistema
stradale di nuova concezione che portò ad una razionalizzazione dei precedenti percorsi.
L’articolazione del sistema viario, con la creazione di una itta rete di vie principali e di strade
secondarie, fu il frutto di una lenta evoluzione che andò di pari passo alla conquista dell’I-
sola. La scelta dei tracciati fu dettata, oltre che dalla conformazione geologica dell’area di
passaggio, dalle necessità di controllare militarmente le zone romanizzate e non paciicate,
di garantire il buon funzionamento del cursus publicus e dell’annona, di collegare le zone di
approvvigionamento agricolo e minerario.
Anche in Sardegna venne tendenzialmente applicata una radicale differenziazione nella tecni-
ca costruttiva tra le strade urbane, costituite con una pavimentazione lastricata in basoli lapi-
dei, e gli ambiti extraurbani, dove prevalevano le viae glarea stratae, caratterizzate da un limite
della carreggiata segnato da due cordonature di pietre inisse di taglio (margines o crepidines) e
da una parte centrale (summum dorsum) costruita con un costipamento di pietrisco e ghiaia, la
cui supericie era solitamente baulata per favorire il delusso delle acque. Nei resti conservati-
si in Sardegna si nota generalmente un riempimento del summum dorsum con basoli di piccola
e media dimensione rinzeppati con pietrame minuto e la costante presenza dei margini late-
rali e talora di un allineamento al centro per dividere le due corsie. Le modalità di costruzione
delle strade venivano poi adattate sulla base delle caratteristiche geomorfologiche del terreno
attraversato e si rinvengono pertanto delle varianti al modello della via extraurbana glareata:
alcuni tratti vennero costituiti per esempio direttamente sulla roccia regolarizzando e inglo-
bando il sostrato geologico locale.
La Sardegna è una tra le province romane che ha restituito il maggior numero di miliari
stradali in rapporto alla sua supericie: circa 150 reperti, ma tale cifra è da incrementarsi
con i ritrovamenti degli ultimi anni e con i cippi ancora inediti o considerati anepigrai che
attendono di essere studiati. La distribuzione dei cippi non è omogenea e la maggioranza dei
ritrovamenti si concentra nel retroterra di Olbia e nel Meilogu, in particolare lungo la strada
romana a Karalibus Olbiam, mentre alcune vie, la litoranea orientale e il percorso interno tra
Karales e Olbia, hanno restituito sino ad ora un numero di pietre miliari molto esiguo o nul-
lo. Complessivamente anche la datazione dei miliari non è uniforme: si ritrova un cospicuo
numero di miliari relativi al III e al IV secolo d.C. sino al regno di Magno Massimo e Flavio
Vittore, con scarse attestazioni nel I e nel II. Le motivazioni possono essere rintracciate nella
maggiore importanza di alcuni tracciati rispetto ad altri in relazione alle esigenze economiche
dei Romani e dal più sentito intento propagandistico degli imperatori in alcuni periodi storici,
come durante l’anarchia militare. Causa della scarsa rappresentatività dei miliari più antichi
nei ritrovamenti potrebbe essere stata la prassi, già ricorrente in età romana, di riutilizzare
i miliari in disuso sia per scopi edilizi (ne sono un esempio i cippi reimpiegati per reggere
il pavimento delle terme romane di Sas Presones a Rebeccu), sia come supporti di altri mi-
liari, come testimonia il celebre cippo viario dedicato a Lucio Domizio Alessandro che si è
recentemente appurato essere palinsesto (AE 1966, 169, cat. n. 2.78). I cippi dismessi pote-
vano anche conluire in appositi centri di raccolta, forse riconoscibili a Sbrangatu ad Olbia
e a Sas Presones a Rebeccu. La realizzazione dei miliari nell’Isola si deve probabilmente a
maestranze locali, lapicidi itineranti o stabiliti in oficine impiantate nei territori attraversati
dalle strade, sfruttanti la materia prima locale come la trachite nel Meilogu e il granito per la
zona olbiese.
Le testimonianze letterarie antiche pertinenti il sistema viario dell’Isola si riducono essenzial-
mente all’Itinerarium Antonini, opera datata nella sua prima redazione all’inizio del III secolo

193
Marilena Sechi

d.C., che riconosce nella Sardegna sette direttrici viarie intervallate da quaranta mansiones: la
litoranea orientale a Portu Tibulas Caralis; la strada interna della Barbagia denominata aliud iter
ab Ulbia Caralis; la strada centrale dell’Isola a Tibulas Caralis; la via a portu Tibulas per compen-
dium Ulbia; la litoranea occidentale a Tibulas Sulcis e le strade a Sulcis Nura e a Caralis Nura.
Nel corso degli studi non sempre è stato possibile arrivare a soluzioni certe e condivise sulla
collocazione delle stationes elencate nell’Itinerarium e accertarne la corrispondenza con gli in-
sediamenti che si conservano sul terreno. L’autore del documento sembra peraltro ignorare
alcuni tragitti viari e punti di sosta (il caso più eclatante è quello di Turris Libisonis citato come
Ad Turrem solo lungo la litoranea occidentale e non nella strada centrale) e le informazioni
contenute nell’opera vanno pertanto utilizzate con criticità e integrate con gli altri dati, in
particolare con i miliari, fonte epigraica per eccellenza nella ricostruzione dei percorsi viari.
I cippi rinvenuti in Sardegna ci fanno conoscere le stesse strade dell’Itinerario con differenti
denominazioni e dei percorsi che rappresentano dei tronchi parziali o delle vere e proprie
varianti.
La via a Karalibus Turrem rappresentava in età romana il principale vettore di comunicazione
della Sardegna e il suo percorso era comune alla via a Tibulas Caralis dell’Itinerarium Antonini
nella parte centro-meridionale del suo tracciato, all’incirca da Molaria a Karales. Gli studiosi
concordano ormai nel ritenere che la via fosse originariamente bipartita in due tronchi. I
miliari più antichi parlano in effetti di via a Turre o a Karalis e la denominazione completa
è attestata solo dal principato severiano, come via a Turre Karales, mentre a partire dall’età
dell’anarchia militare prevale la denominazione di via a Karalibus Turrem, pur con la ricompar-
sa in alcuni casi della più antica denominazione.
Il rinvenimento nel 2001 nei territori di Ruinas e di Allai di due miliari (AE 2002, 629-630)
dedicati all’imperatore Claudio ha confermato l’esistenza di un tracciato viario a Karalis che
nel 46 d.C. univa il caput provinciae alle Aquae Ypsitanae passando per Uselis, testimoniando una
politica attuata dall’imperatore e dal suo prefetto Lucio Aurelio Patroclo mirante al controllo
delle zone interne romanizzate della Sardegna.
Dalla parte opposta, l’esistenza di un tracciato che negli stessi anni collegava Turris Libisonis
verso il centro della Sardegna è testimoniato da due miliari della via a Turre dedicati allo stesso
Claudio rinvenuti a Pranu Maiore, a nord-ovest delle Aquae Ypsitanae (AE 1893, 47; EE VIII,
744). Nonostante sia altamente probabile che essi siano stati incisi da lapicidi e in località dif-
ferenti rispetto ai cippi della via a Karalis, anche questi miliari utilizzano lo stesso formulario
con il verbo iussit alla ine del testo che denota l’imposizione di un provvedimento dettato da
Claudio rivolto alle strade della Sardegna.
Nello stesso tronco stradale con partenza da Turris sono attestati gli interventi tra il 68 e il
69 d.C. ad opera di Nerone (miliario di Scala di Giocca CIL X 8014, cat. n. 2.77) e di Vitellio
(cippo di Nostra Signora di Cabu Abbas di Torralba CIL X 8016). Nel 74 d.C. Vespasiano
commissionò delle opere stradali tra il LV e il LVI miglio a Turre (CIL X 8023-8024) e in
un tratto compreso tra Molaria e Ad Medias (miliario di Bonu Trau): i tre miliari di Macomer
menzionano chiaramente, con la citazione della formula refecit et restituit, l’esecuzione di lavori
di restauro in età vespasianea. Appare peraltro possibile che i cippi dedicati a Nerone e a Vi-
tellio, considerata la vicinanza cronologica con i miliari vespasianei, siano stati posti anch’essi
in occasione di rifacimenti del manto stradale, seppure non ne venga data esplicita menzione.
Si può ipotizzare che tra il 68 e il 74 d.C. fosse in atto un progetto di manutenzione generale
che interessò la via a Turre, forse pianiicato da Nerone e completato dai suoi successori. I
lavori potrebbero essere stati commissionati a seguito di una riorganizzazione dell’annona,
resa forse più urgente dalla crisi che Roma attraversò nella primavera del 68, quando vennero
meno i rifornimenti egiziani e africani e diventò determinante il grano sardo.
I due tronchi della via centrale, noti come viae a Turre e a Karalis, solo successivamente ven-
nero concepiti unitariamente, forse in concomitanza con la promozione delle Aquae Ypsitanae
alla condizione giuridica di forum, quando si realizzò un tracciato che pose Forum Traiani come
punto mediano della via. In età traianea si determinò quindi uno spostamento del percor-
so verso la costa: da Forum Traiani la strada giunse sino ad Othoca e alle Aquae Neapolitanae,
mentre l’antico tracciato passante per Uselis divenne un deverticulum della viabilità principale.
Più tardi, forse in età severiana, fu realizzata una via per compendium, un tragitto più breve che
da Forum Traiani, evitando Othoca, transitava nei pressi della località Muru de Bangius, dove
venne costruito un praetorium dotato di balneum e di strutture di servizio destinato ad ospitare i

194
Quadro generale della viabilità romana in Sardegna

Macomer, Tanca Melchiorre Murenu,


rilievo di un tratto di venti metri
della strada glareata romana a Karalibus
Turrem con crepidines laterali e ilare
al centro costruiti con pietre di maggiori
dimensioni rispetto al summum dorsum.

funzionari della burocrazia provinciale. Sotto i Severi si procedette anche ad una restaurazio-
ne del tracciato sia a nord, a Padru Mannu nel territorio di Bortigali e al LVI miglio da Turris
già ripristinato in età vespasianea, sia a sud nei pressi di Monastir e di Sestu.
Dalla via a Karalibus Turrem si diramava la via a Karalibus Olbiam, non menzionata nell’Itinera-
rium Antonini, il cui primo punto di riferimento certo partendo da sud è il miliario rinvenuto
a Mura Ispuntones nel territorio di Bonorva (AE 2002, 657) che indica espressamente una
diramazione già avvenuta in questa località citando la strada per Olbia. I territori attraversati
dalla via a Karalibus Olbiam hanno restituito circa settanta dei 150 miliari della Sardegna, con
alcune aree dove i rinvenimenti sono stati maggiormente diffusi: Bonorva (Monte Cujaru),
Torralba (Code), Mores (Silvaru) e Olbia, soprattutto dalla loc. Sbrangatu dalla quale proviene
il gruppo di miliari più consistente. I cippi recuperati attestano sicuramente lavori di restauro
in un arco cronologico che va dall’età severiana sino al regno di Magno Massimo e Flavio
Vittore con una concentrazione di rinvenimenti tra il III e il IV secolo, mentre per la strada
in questione non sono conosciuti miliari del I e del II. Possibile possa riferirsi a Domiziano
un miliario di incerta lettura dalla loc. Sbrangatu (EE VIII, 785): se tale datazione fosse con-
fermata sarebbe l’attestazione più antica dell’arteria stradale per Olbia.
La grande densità di ritrovamenti in quest’area della Sardegna potrebbe trovare delle ragioni
principalmente storiche ed economiche, legate sia alla volontà di celebrazione e di propaganda
da parte degli imperatori in carica per attestare il loro potere, sia alla grande importanza eco-
nomica che la strada assunse dall’età imperiale sino a quella tardoantica per il funzionamento
dell’annona e per il trasporto del grano verso Olbia, il porto sardo più vicino alle coste laziali.
L’esigenza fu particolarmente sentita durante la crisi generale dell’impero nell’anarchia mili-
tare che rese indispensabile l’invio a Roma di grandi quantitativi di grano per garantire il cui
trasporto era fondamentale poter disporre di un eficiente apparato stradale funzionale al rag-
giungimento del porto olbiese nel minor tempo possibile. L’intensiicarsi del trafico di merci e
di carri lungo la direttrice rese pertanto necessarie frequenti opere di restauro testimoniate dai
miliari che, posti in una strada di così grande visibilità, divennero uno straordinario strumento
di propaganda politica. L’area dove transitava la via per Olbia era in età romana un’importante
zona agricola e si conigurava, insieme alla pianura del Campidano, come una fonte imprescin-
dibile per la produzione del grano indirizzato all’annona. Lungo la via per Olbia erano localiz-
zati numerosi insediamenti di età romana a vocazione prettamente agricola collegati all’arteria
principale tramite una itta rete di vie secondarie. Uno sfruttamento agricolo che fu avviato
già in età neroniana, quando vasti latifondi imperiali nell’entroterra di Olbia vennero afidati da
Nerone a Claudia Atte, la liberta da lui favorita, che valorizzò i beni con straordinario spirito
imprenditoriale, mettendoli a coltura e impiantandovi delle iglinae per la produzione di laterizi.

195
Marilena Sechi

Nell’Isola doveva esistere anche un percorso alternativo, più breve e diretto, per collegare
Karales a Olbia rispetto al tracciato che si snodava attraverso le vie a Karalibus Turrem e a Kara-
libus Olbiam: la strada interna della Barbagia, denominata nell’Itinerarium Antoninini come aliud
iter ab Ulbia Caralis, sorta prioritariamente per esigenze militari e di controllo della Barbaria.
Il tracciato attraversava territori scarsamente urbanizzati: nonostante la sua lunghezza (172
miglia, circa 254 km) secondo la fonte itineraria era intervallato da sole cinque stazioni (Ulbia,
Caput Tyrsi, Sorabile, Biora, Caralis). Lungo il tracciato è stato rinvenuto un unico miliario (CIL
X 8026) che attesta l’esecuzione di lavori di restauro tra il 364 e il 366 d.C. durante il regno di
Valentiniano e il governo del preside Flavius Maximinus.
Della strada orientale della Sardegna, nota nell’Itinerarium Antonini come via a Portus Tibulas
Caralis, non si conservano miliari stradali, se non qualche cippo ritenuto anepigrafe, e labili
sono le tracce archeologiche pertinenti. Il solo terminus ante quem certo è pertanto la datazione
dell’Itinerarium Antonini che ci consente di appurare che tale via dovette essere sicuramente
attiva dalla prima metà del III secolo d.C.
L’altro lato dell’Isola era percorso dalla litoranea occidentale, per la quale l’Itinerario ricono-
sce un percorso sostanzialmente unitario denominato a Tibulas Sulcis mentre i miliari attesta-
no solo dei tronchi parziali che dovevano collegare Tharros a Cornus, Nora a Bithia e a Karales,
Karales a Sulci. Da questa arteria viaria proviene il più antico miliario sino ad ora rinvenuto
nella Sardegna posto dal proconsole M(arcus) Cornuicius (AE 2007, 693, cat. n. 2.81), la cui
paleograia e il formulario suggeriscono una datazione alla ine del II secolo. Il monumento
era probabilmente pertinente al segmento stradale compreso tra Bosa e Cornus, uno dei pri-
mi realizzati dai Romani nella litoranea occidentale, forse già esistente dal momento della
Porto Torres, Su Cruciissu Mannu, fondazione punica di Cornus, che transitava in un’area dove erano stanziate le popolazioni
tratto della via a Karalibus Turrem dei Giddilitani, degli Euthichiani e i gruppi collocati nei latifondi delle Numisie citati nei cippi
con tracce di carraie costruito direttamente terminali rinvenuti nella zona, forse coevi al miliario di Cuglieri.
sulla roccia. La litoranea occidentale a Tibulas Sulcis doveva continuare nella parte meridionale con la via

196
Quadro generale della viabilità romana in Sardegna

a Karalibus Sulcos o a Sulcis, strada di fondamentale importanza per il collegamento tra Karales
con la zona mineraria del Sulcis Iglesiente, ricca di ferro, piombo, rame, galena argentifera,
oro. Il miliario dedicato a Vespasiano dal proconsole [---]tius Secundus dalla località Santa Ma-
ria di Flumentepido di Carbonia, datato al 70 d.C., è sino ad ora la più antica testimonianza
certa del tracciato (CIL X 8005). Dubbia appare invece la lettura di un miliario (CIL X 8007)
proveniente dalla stessa località che potrebbe essere stato posto dal prolegato Tito Pompeo
Proculo, personaggio attivo nell’Isola nell’ultimo anno dell’età di Augusto. La via fu sicura-
mente fatta oggetto dei primi restauri sotto Traiano tra il 106-107 e il 117 d.C. L’importanza
strategica del tracciato in età romana è testimoniata dal miliario di Lucio Domizio Alessandro
dedicato dal praeses della provincia Papio Pacaziano (AE 1966, 169, cat. n. 2.78), un’epigrafe
onoraria posta per testimoniare la lealtà e l’appoggio dato dal preside della Sardegna all’usur-
patore al trono, vicario della diocesi dell’Africa, proclamatosi imperatore contro Massenzio.
Da un’analisi complessiva, si può denotare una originaria frammentazione del sistema viario
romano. I primi interventi attestati dai miliari in Sardegna risalgono all’età repubblicana, forse
alla ine del II secolo a.C., e sono relativi al tratto tra Bosa e Cornus, che doveva rappresentare
uno dei primi segmenti della litoranea occidentale e dell’apparato viario dell’Isola. Tra il 13 e
il 14 d.C. sono accertati i lavori dell’imperatore Augusto e del prolegato Tito Pompeo Pro-
culo in un miliario (EE VIII, 742) indicante il 10° miglio di una strada che non viene espres-
samente menzionata, probabilmente una deverticulum che collegava Ad Medias con Austis, di
probabile fondazione augustea. Nel 46 d.C. Claudio impose un provvedimento che interessò
i due tronchi ancora non concepiti unitariamente delle vie a Turre e a Karalis e, tra il 68 e il 74
d.C., furono attuati una serie di interventi lungo la via a Turre ad opera di Nerone, di Vitellio
e di Vespasiano, il quale nel 70 d.C. fu anche promotore di lavori nella via a Karalibus Sulcos.
Gli unici ripristini testimoniati dai miliari nel II secolo si collocano in età traianea lungo la via
a Karalibus Sulcos; allo stesso Traiano è da riferirsi la creazione di un percorso unitario della
strada centrale sarda. Dalla ine del II secolo i Severi furono fautori di un potenziamento
delle infrastrutture sarde e di una restaurazione complessiva dell’apparato stradale.
Dal III sino alla seconda metà del IV secolo d.C. si registra un incremento dei lavori di manu-
tenzione soprattutto negli assi viari a Karalibus Turrem e a Karalibus Olbiam, divenuti strategici
per i collegamenti ai tre porti principali dell’Isola. Una vera e propria riforma di restauro
rivolta al complessivo sistema viario dell’Isola si riscontra dopo quella severiana con Marcus
Iulius Philippus I, detto Filippo l’Arabo, il quale nel quinquennio del suo principato (244-249
d.C.) e dei governi di Marcus Ulpius Victor e di Publius Aelius Valens, fu promotore di numerosi
interventi lungo diverse direttrici stradali. Gli ultimi lavori di restauro accertati dai miliari ci
riportano agli anni 364-366 nella strada interna tra Carales e Olbia e tra il 387-388 d.C. quando
la Sardegna riconobbe l’usurpazione di Magno Massimo e di Flavio Vittore e li celebrò nei
miliari più tardi sino ad ora attestati lungo le vie a Karalibus Olbiam, a Karalibus Turrem e a Nora
Bithiae.

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Le truppe ausiliarie nella Sardegna romana del I secolo d.C.
Franco Porrà

Uno dei principali settori nei quali si esercitò l’opera riformatrice di Augusto fu quello mi-
litare; a lui si deve, infatti, il nuovo assetto dell’esercito romano che, seppur con opportune
modiiche adeguate alle circostanze, di fatto rimase tale per tutto l’alto impero. Le forze di
terra furono da lui organizzate in unità di diverso tipo. Le legioni, come nella precedente età
repubblicana, continuarono a costituire il nerbo dell’esercito romano; soprattutto nella parte
occidentale dell’impero il reclutamento in questi reparti, comandati ciascuno di norma da
un legatus Augusti legionis senatorio, interessò dapprima cittadini romani della Penisola Italica,
mentre successivamente si veriicarono in maniera crescente arruolamenti, sempre di cives
romani, anche nelle province. Accanto alle legioni esistevano truppe ausiliarie composte,
almeno inizialmente, da provinciali sprovvisti della cittadinanza romana (peregrini), anche se la
documentazione epigraica permette di apprendere che col tempo nei corpi ausiliari furono
reclutati sempre più frequentemente anche cittadini romani. A Roma si trovava una guarni-
gione composta di unità differenti per modalità di reclutamento, funzione e importanza; tra
queste per il prestigio e il ruolo esercitato spiccavano le coorti pretorie, ciascuna delle quali
posta agli ordini di un tribunus equestre, i cui effettivi sino alla ine del II secolo d.C. furono
in maggioranza costituiti da cittadini romani reclutati in Italia. Per quanto riguarda inine le
forze navali, accanto a quelle di minore importanza, si deve registrare l’esistenza delle due
lotte principali, quella di Miseno e quella di Ravenna. Quest’ultima controllava il Mediterra-
neo orientale, mentre la prima pattugliava quello centro-occidentale e quindi anche le acque
circostanti la Sardegna. Il servizio militare nella lotta non era considerato particolarmente
prestigioso e l’arruolamento per lo più non riguardava cittadini romani.
Tornando alle unità ausiliarie, è opportuno sottolineare che potevano essere diverse per or-
ganico e per tipologia. Da quest’ultimo punto di vista esse erano distinte in cohortes e alae. Le
prime erano reparti di fanteria (cohortes peditatae) di circa cinquecento uomini (quingenariae),
mentre le seconde erano unità di cavalleria caratterizzate dagli stessi effettivi. Esistevano
inoltre coorti miste costituite da fanti e cavalieri (cohortes equitatae) per un totale di circa sei-
cento soldati. Tutte le unità ausiliarie sopra elencate erano comandate da praefecti appartenenti
all’ordine equestre così come praefecti equestri erano i comandanti delle due principali lotte.
Per tutti i suddetti reparti a partire all’incirca dall’età lavia esistette inoltre la possibilità di or-
ganici raddoppiati. Anche in questo caso il comandante era un esponente dell’ordine equestre
caratterizzato di norma dal titolo di tribunus. Le unità ausiliarie erano in genere denominate
con un etnico che faceva riferimento alla popolazione presso cui era avvenuto l’originario
arruolamento; il fatto che con gli anni si facesse ricorso anche ad un reclutamento su base
regionale e persino locale non comportò usualmente la modiica dell’etnico iniziale. Spesso
si nota, inoltre, la presenza di un numerale che indicava quanti reparti erano stati simultane-
amente arruolati presso una determinata popolazione.
Passando alla Sardegna, è noto che nell’organizzazione provinciale varata da Augusto nel 27
a.C. l’Isola, che con la vicina Corsica costituiva una sola provincia, fu considerata paciicata
e fu quindi assegnata al Senato che ne afidò l’amministrazione ad un proconsole ex pretore.
La decisione discendeva verosimilmente dal fatto che la Sardegna era stata conquistata da
Roma nel 238/237 a.C. e si può presumere pertanto che, dopo oltre due secoli, si trovasse in
un’avanzata fase di romanizzazione. Lo status di provincia del Senato e del popolo romano
comportava di norma solo la presenza di truppe ausiliarie. Per gli anni del principato augu-
steo che precedono il 6 d.C. non abbiamo informazioni sul presidio militare isolano. Secondo
le fonti letterarie (Dione Cassio LV, 28, 1 e Strabone V, 2, 7) in tale anno si veriicarono tor-
bidi ad opera di popolazioni indigene dell’interno gravi al punto da imporre il passaggio della
Sardegna all’amministrazione imperiale. Un miliario rinvenuto tra Fordongianus e Busachi
(ILS 105) informa sul titolo del governatore della provincia, prolegato, che indica una igura
che fa le veci del legatus Augusti pro praetore, di norma a capo di una provincia imperiale, e che

199
Franco Porrà

autorizza ad ipotizzare che l’allora governatore dell’Isola fosse un cavaliere e non più un
senatore, fatto quest’ultimo supportato anche dalle fonti letterarie sopra citate. Dal passo di
Dione Cassio cui si è fatto riferimento sembra ricavarsi che l’emergenza fosse stata affrontata
dall’imperatore con l’invio di soldati sulla cui tipologia non c’è accordo tra gli studiosi. Per al-
cuni il prolegato oltre alla normale guarnigione di auxilia aveva ai suoi ordini anche legionari, per
altri il suo comando si esercitava invece esclusivamente su forze ausiliarie. Tra gli studiosi che
sostengono l’ipotesi dell’invio di legionari nell’Isola alcuni ritengono che la presenza di questi
ultimi si sia protratta sino al 19 d.C., anno in cui essi sarebbero stati rimpiazzati da 4000 liberti
professanti culti giudaici ed egiziani provenienti da Roma, trasferiti in Sardegna per reprimervi
il brigantaggio. Non sappiamo precisamente quanto questi ultimi si siano trattenuti nell’Isola;
è stato comunque proposto che la loro permanenza si concludesse con la scomparsa (31 d.C.)
del prefetto del pretorio di Tiberio, Lucio Elio Seiano, il quale sarebbe stato il fautore del loro
trasferimento in Sardegna. La presenza di legionari nell’Isola nel periodo successivo non è do-
cumentata; d’altra parte le diverse titolature note per i governatori della Sardinia se da un lato
denunciano i suoi frequenti mutamenti di condizione giuridica da provincia del Senato e del
popolo romano a provincia imperiale, dall’altro sono compatibili esclusivamente con la pre-
senza di truppe ausiliarie. La documentazione epigraica consente di affermare che perlomeno
dalla fase inale del principato augusteo e per circa tre secoli si ebbe in Sardegna la presenza di
auxilia consistenti esclusivamente in coorti peditatae ed equitatae.
Per quanto riguarda il I secolo d.C., periodo qui oggetto di trattazione, sei di esse sono di-
rettamente documentate, mentre l’esistenza di una settima è deducibile in modo indiretto.
Le sei unità sono la coorte [I] di Corsi, la coorte VII (?) di Lusitani, la coorte III equitata di
Aquitani, la coorte equitata di Liguri, la coorte I gemina equitata di Sardi e di Corsi, la coorte
II gemina equitata di Liguri e di Corsi. Il settimo reparto è la coorte di Sardi. Non si affronta
invece la coorte di Mauri e di Afri: oltre, infatti, l’assenza di certezze in merito all’effettivo
stanziamento del reparto in Sardegna, ad un suo esame si oppongono considerazioni crono-
logiche. Nonostante quanto affermato da Piero Meloni (MeLoni 1990, p. 361), che data l’uni-
ca attestazione epigraica menzionante l’unità (CIL X 7600: Cagliari) tra il I e il II secolo d.C.,
la presenza della coorte nell’Isola sarebbe da collocare posteriormente agli inizi del II secolo
sia perché di essa non si fa menzione nei tre diplomi militari rinvenuti in Sardegna dell’88,
del 96 e del 102 d.C. sia perché la citazione della tribus di appartenenza del suo comandante e
la formula onomastica di quest’ultimo articolata nei tria nomina giustiicherebbero il II secolo
piuttosto che il I per l’iscrizione cagliaritana.
Tra le coorti a noi note quella di Corsi, forse caratterizzata dal numerale I, fu stanziata
nell’Isola in dagli inizi del I secolo d.C. Della presenza di tale reparto in Sardegna ci infor-
ma un’iscrizione, funeraria piuttosto che onoraria, rinvenuta nel Lazio a Palestrina, l’antica
Praeneste (CIL XIV 2954 = ILS 2684). L’unità, composta presumibilmente di cinquecento uo-
mini, era acquartierata molto probabilmente presso l’odierna Fordongianus. Non sappiamo
Nella pagina accanto se il suo originario reclutamento fosse avvenuto in Corsica o presso i Corsi della Sardegna
Epitaio di Rufus, Tabusi f(ilius), settentrionale. Il titulus menziona Sex(tus) Iulius Rufus che fu praefectus della coorte di Corsi e
Valentinus, soldato della cohors III contemporaneamente praefectus civitatum Barbariae in Sardinia. Il testo risale all’epoca dell’im-
Aquitanorum equitata (CIL X 7596), peratore Tiberio (14-37 d.C.), dato che in esso si trova un riferimento alla divinizzazione e
forse da Oschiri, Nostra Signora quindi alla morte di Augusto. Sesto Giulio Rufo, probabilmente un pretoriano, come rivela
di Castro (a sinistra). l’iscrizione fu mantenuto sotto le armi per volontà di Augusto (evocatus divi Augusti); non c’è
però accordo tra gli studiosi in merito alla cronologia degli incarichi da lui esercitati nell’Isola.
Epitaio di Decumus, Cirneti f(ilius), Accanto alla posizione di chi sostiene l’età tiberiana si deve registrare infatti quella di altri
Caniensis, soldato della cohors III studiosi che recentemente hanno pensato agli anni di Augusto, datazione che permetterebbe,
Aquitanorum equitata inoltre, di mettere in relazione le prefetture rivestite dal personaggio con i disordini scoppiati
(Sotgiu 1961, n. 222), da Bitti in Sardegna nella tarda età augustea e di collocare di conseguenza in questo periodo l’attività
(in alto a destra). del reparto nell’Isola se non addirittura la sua costituzione. Non abbiamo altri documenti che
attestino l’esistenza autonoma della coorte; essa, però, dovette comunque essere di stanza
Epitaio di Ti(berius) Iulius Capito, in Sardegna per tutto o quasi tutto il periodo della dinastia giulio-claudia (14-68 d.C.), dal
missicius della cohors III Aquitanorum momento che gli ausiliari corsi costituiranno una stabile componente delle coorti gemine di
equitata (AE 1980, 532 = 1982, cui si parlerà più avanti.
438 = 1988, 652), da Oschiri, Un’iscrizione funeraria (CIL X 7884), rinvenuta ad Austis (Augustis), testimonia la presenza
Nostra Signora di Castro nell’Isola di una coorte di Lusitani, forse la VII. Se accettiamo tale identiicazione possiamo
(in basso a destra). pensare che l’unità in origine, oltre che probabilmente quingenaria, fosse anche equitata. Dato

200
Le truppe ausiliarie nella Sardegna romana del I secolo d.C.

201
Franco Porrà

il suo etnico, la coorte era stata reclutata nell’antica Lusitania, provincia romana coincidente
per lo più con l’attuale Portogallo. Non abbiamo informazioni certe sulla sede dell’accam-
pamento del reparto, anche se non si può escludere che si trattasse della stessa Austis. L’epi-
grafe ricorda Ubasus Niclinus, iglio di Chilo (?), trombettiere della coorte di Lusitani defunto
a cinquant’anni dopo averne trascorso ben trentuno sotto le armi. L’iscrizione è stata datata
nella prima metà del I secolo d.C. La lunga durata del servizio militare attivo del defunto per-
mette alcune considerazioni ulteriori. In primo luogo è possibile risalire agli inizi del secolo
per quanto riguarda il momento del suo arruolamento; inoltre egli, data la sua onomastica,
è da considerarsi molto probabilmente un lusitano; si può quindi pensare che avesse fatto
parte del nucleo originario dell’unità. Non è noto se il reparto esistesse prima del suo arrivo
in Sardegna. Raimondo Zucca ha recentemente ipotizzato che la coorte di Lusitani fosse
stata appositamente costituita per far fronte ai torbidi della tarda età augustea, che tra il 6 e
il 14 fosse stato organizzato il presidio di Augustis e che Ubasus avesse iniziato il suo servizio
militare proprio in questi anni (Zucca 2009, p. 312). Se accettiamo l’identiicazione dell’unità
con la cohors VII Lusitanorum, si deve pensare che la permanenza del reparto nell’Isola avesse
avuto termine intorno alla metà o alla seconda metà del I secolo d.C., allorché è sicura la
presenza in Numidia della cohors VII Lusitanorum.
Quattro iscrizioni funerarie permettono di parlare della cohors III Aquitanorum, i cui soldati in
origine furono reclutati nei territori atlantici dell’odierna Francia situati a nord dei Pirenei.
Anch’essa, come le altre tre unità di Aquitani note, era equitata. Il reparto, quasi certamente
quingenario, era probabilmente acquartierato a Nostra Signora di Castro (Oschiri), l’antica Lu-
guido, il cui nome potrebbe essere considerato un adattamento della radice celtica lug-. Per il loro
formulario tutti i tituli sono inquadrabili nella prima metà del I secolo d.C. Il primo di essi (CIL
X 7596), rinvenuto forse a Nostra Signora di Castro, menziona il soldato Rufus, Tabusi f(ilius),
Valentinus; quest’ultimo termine probabilmente deve essere considerato un etnico signiicante
“originario di Valentia”, con riferimento ad una delle tante città fondate dai Romani con que-
sto nome, forse meglio quelle della Gallia Narbonense o della Penisola Iberica piuttosto che
quella di Sardegna. Autore della dedica è Spedius, deinito frater, sostantivo che può indicare un
commilitone piuttosto che un vero e proprio fratello del defunto. La seconda epigrafe è stata
rinvenuta a Bitti (Sotgiu 1961, 222) e ricorda il soldato Decumus, Cirneti f(ilius). Nell’iscrizione
dopo la iliazione è riportato un etnico che in passato è stato interpretato come C(i)niensis o C(lu)
niensis con riferimento rispettivamente a località dell’Isola di Maiorca (Cinium) o della Corsica
(Clunium) o ancora dell’Hispania Tarraconensis (Clunia). In realtà dalla foto dell’iscrizione si coglie
chiaramente una A in nesso con una N; si può pertanto proporre la lettura Caniensis, etnico
di non facile interpretazione. Si tenga però presente che in epoca tardoantica è attestato in
Aquitania il toponimo Canniaco. Un plausibile etnico da mettere in relazione con esso sarebbe
Canniacensis, di cui il Caniensis dell’iscrizione sarda potrebbe essere quindi una forma sincopata.
Da Iscia Cunzada, presso Nostra Signora di Castro, proviene un’iscrizione particolarmente
interessante (AE 1980, 532 = 1982, 438 = 1988, 652) che, oltre al numerale III che contrad-
distingueva l’unità e che non igura nelle altre epigrai sarde relative al reparto, permette di
conoscere un congedato (missicius) della coorte in questione, che divenne cittadino romano
per volontà dell’imperatore Tiberio, come il suo nome, Ti(berius) Iulius Capito, e la sua ap-
partenenza alla tribù Fabia consentono di affermare. La quarta iscrizione (AE 2004, 674),
rinvenuta ad Ardara, menziona un soldato, [O]rcoeta, iglio di [B]iho (?), arruolato presso la
popolazione aquitana dei Convenae, stanziata tra la valle dell’Alta Garonna e i Pirenei. L’etnico
e l’onomastica di origine aquitana permettono di pensare che il soldato fosse stato tra i primi
ad essere arruolati nel reparto. D’altra parte una situazione simile si può prospettare anche
per il Ti(berius) Iulius Capito sopra menzionato nel cui cognomen, terminante in -o come molti
antroponimi dell’area celtica, si potrebbe vedere l’esito di una scelta effettuata dal militare per
ragioni di afinità fonica nel momento dell’ottenimento della cittadinanza. Il missicius come si
è detto ebbe lo status di civis Romanus sotto Tiberio e per quanto non si possa escludere che
egli, come allora poteva accadere, avesse conseguito tale privilegio durante il servizio, che
dobbiamo presupporre di lunga durata, è possibile che lo avesse ricevuto alla conclusione,
da congedato. L’arruolamento di Capito in deinitiva potrebbe anche essere avvenuto in un
periodo piuttosto risalente del principato di Tiberio se non alla ine di quello di Augusto,
quando, in quest’ultimo caso, potrebbe essere stato creato l’accampamento di Luguido. Se
dovesse essere confermata la correlazione tra l’etnico Caniensis e l’Aquitania, sopra ipotizzata,

202
Le truppe ausiliarie nella Sardegna romana del I secolo d.C.

si potrebbero prospettare inine anche per il reclutamento di Decumus le considerazioni cro-


nologiche avanzate per [O]rcoeta e Ti(berius) Iulius Capito.
Sulla base della documentazione epigraica inora vista si può quindi affermare che il presidio
dell’Isola nei primi decenni del I secolo d.C. fu stabilmente composto almeno dalle tre unità
di Corsi, Aquitani e Lusitani. Durante l’età giulio-claudia tale assetto fu però modiicato. Si è
già detto, infatti, del probabile trasferimento in Numidia della cohors Lusitanorum. Il fatto che
la coorte di Aquitani fosse la III induce invece ad affermare con certezza che il reparto pri-
ma del 74 d.C. aveva già lasciato la Sardegna dal momento che in quell’anno si trovava nella
Germania Superiore.
Tre iscrizioni funerarie ci informano della presenza in Sardegna di una coorte di Liguri. La
prima (ILS 2595 = sotgiu 1961, 313, cat. n. 2.20), rinvenuta ad Olbia, menziona C(aius)
Cassius, Pal(atina tribu), Blaesianus, decurione della coorte di Liguri, princeps equitum. La seconda
(AE 1994, 795) ricorda M(arcus) Iunius Germanus, signifer dell’unità, defunto dopo aver militato
per diciotto anni. La terza, ampiamente lacunosa, rinvenuta a Ruinas e recentemente pubbli-
cata (Mastino & zucca 2014, pp. 383-410), è dedicata ad un anonimo cavaliere della coorte
equitata. Dal primo epitaio si ricava innanzitutto che il reparto, verosimilmente quingenario,
era misto di fanti e cavalieri. Il fatto che dedicante del testo sia un liberto di Atte, la famosa
liberta e concubina di Nerone che risiedette in Sardegna probabilmente tra il 62 e il 65, in-
duce a pensare che plausibilmente la cohors Ligurum si trovasse in Sardegna almeno dagli anni
inali del periodo giulio-claudio. L’originario reclutamento dell’unità nella Penisola Italica
permette di sostenere che i suoi soldati già all’atto dell’arruolamento godessero della citta-
dinanza romana e che avessero un prestigio equiparabile a quello dei legionari. La località di
rinvenimento del secondo documento epigraico, Tula, distante circa 7 km da Nostra Signora
di Castro, ha fatto pensare, invece, che l’accampamento del reparto fosse probabilmente
quello di Luguido, già precedentemente occupato, come si è detto, dalla coorte III di Aquitani.
Il terzo titulus, databile come quello di Tula sulla base del formulario e della paleograia alla
ine dell’età giulio-claudia, permette di pensare che un distaccamento della cohors Ligurum si
trovasse nel territorio di Ruinas, area indubbiamente di grande importanza strategica.
Per conoscere l’entità delle truppe di terra romane in Sardegna nella tarda età giulio-claudia
(41-68 d.C.) è opportuno inoltre prendere in considerazione tre importanti documenti epi-
graici successivi di qualche decennio. Infatti tre diplomi militari, rispettivamente dell’88, del
96 e del 102, permettono di appurare che il presidio militare in Sardegna nella seconda metà
del I secolo d.C. fu soggetto a mutamenti. Tutti i diplomi, il primo dei quali, rinvenuto a Sor-
gono (CIL X 7883 = XVI 34, cat. n. 2.73), parecchio lacunoso, integrabile grazie al secondo,
trovato a Dorgali (CIL X 7890 = XVI 40, cat. n. 2.74), e il terzo, proveniente da Posada,
recentemente edito (AE 2013, 650), menzionano gli stessi reparti: la cohors I gemina Sardorum et
Corsorum e la cohors II gemina Ligurum et Corsorum. Si trattava di unità, verosimilmente quingena-
rie, composte da fanti e cavalieri. I dati attualmente a disposizione non consentono di sapere
in quali località dell’Isola le due coorti fossero stanziate. I diplomi di Dorgali e di Posada ci
fanno però conoscere l’identità dei beneiciari, entrambi soldati della cohors II gemina Ligurum
et Corsorum e probabilmente sardi; l’origine isolana del primo, Tunila, può essere ipotizzata
in quanto egli è detto Cares(ius), termine da considerarsi un etnico da mettere in relazione
con il popolo dei Karønsioi menzionati da Tolomeo (III, 3, 6), forse dislocati presso Oro-
sei, nella valle del Cedrino. Quella del secondo, Hannibal, Tabilatis f(ilius), sulla base dell’origo
Nur(-) Alb(-), le cui prime tre lettere superstiti coincidono con quelle iniziali del paleosardo
nurak, da cui deriva la parola “nuraghe”. I diplomi, gli unici documenti epigraici datati con
certezza tra quelli che fanno riferimento alle forze armate presenti nell’Isola in età imperiale,
permettono di registrare la fusione del reparto di Corsi rispettivamente con quello di Liguri e
con uno di Sardi; di quest’ultimo, per analogia con gli altri due forse quingenario, dobbiamo
quindi presupporre l’esistenza almeno dall’età neroniana poiché nel diploma dell’88 si fa ri-
ferimento per tutti i soldati, in attività o congedati, ad un’anzianità di servizio di almeno ven-
ticinque anni. Il diploma di Sorgono è pertanto il documento che, indirettamente, autorizza
ad affermare che in Sardegna nel I secolo d.C., prima dell’88, ci fu anche una coorte di Sardi
che, come i reparti di Corsi e Liguri, fu sciolta in occasione della creazione delle due cohortes
geminae e poi probabilmente ricostituita in una data successiva al 102, forse in occasione del
trasferimento, documentato con sicurezza nel 129, della cohors II gemina Ligurum et Corsorum in
Siria. La non trascurabile documentazione epigraica relativa ad un’unità così denominata (sei

203
Franco Porrà

iscrizioni funerarie e due bolli su tegola), talvolta contrassegnata dal numerale I e dal titolo di
praetoria, infatti, per ragioni diverse che vanno dal formulario all’onomastica rivelatrice della
condizione giuridica dei soldati, cittadini romani e non più peregrini, è da collocare tutta
nel corso del II secolo d.C., se non addirittura agli inizi del III, e non sarà quindi oggetto di
trattazione nel presente lavoro.
Come è stato già detto, delle tre coorti attestate nella prima metà del I secolo d.C. due, quelle
di Lusitani e Aquitani, furono trasferite nei decenni centrali del secolo; la terza, quella di Cor-
si, visto il ruolo da essa rivestito nella costituzione delle coorti gemine di ine secolo, rimase
in Sardegna. Le nuove formazioni di Liguri e di Sardi furono create per rimpiazzare quelle
trasferite e quindi sicuramente per non modiicare il numero dei reparti attivi nell’Isola. Sugli
avvicendamenti delle truppe in questione non vi è però accordo tra gli studiosi; infatti ac-
canto a chi sostiene che la cohors Ligurum fosse subentrata a quella di Aquitani nell’accampa-
mento di Nostra Signora di Castro, vi è invece chi ritiene che la cohors di Aquitani fosse stata
sostituita da quella di Sardi.
In conclusione, stante l’incertezza sull’effettiva breve presenza di soldati legionari, si può
affermare che nella prima parte del I secolo d.C. operarono nell’Isola almeno tre coorti ausi-
liarie quingenarie e il contingente di 4000 liberti. Nei decenni centrali del secolo sembra che
si sia veriicata una prima riduzione delle forze militari poiché le testimonianze in nostro pos-
sesso riguardano sempre almeno tre unità ausiliarie quingenarie, ma non abbiamo elementi in
favore della permanenza nel territorio sardo dei liberti. Un’ulteriore contrazione delle truppe
sembra delinearsi alla ine del secolo. Ammesso infatti che i diplomi militari dell’88, del 96 e
del 102 registrino tutti i reparti allora stanziati in Sardegna, si può pensare che in quegli anni
il dispositivo militare romano, composto di due coorti gemine probabilmente quingenarie,
si fosse ancor più ridotto. La progressiva diminuzione dell’organico militare è compatibile
solamente con una provincia col tempo sempre più pacata; questo aspetto fu senz’altro tenuto
presente da Traiano quando, nella seconda metà del suo principato (98-117), volle restituire
la Sardinia all’amministrazione del Senato.

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205
Franco Porrà

Iscrizione funeraria da Cagliari.


Cagliari, ex Museo Archeologico
Nazionale.

Iscrizione funeraria cristiana, da Olbia,


San Simplicio. Sassari,
Museo Nazionale G.A. Sanna.

206
L’onomastica della Sardegna romana
dalla conquista al III secolo d.C.
Piergiorgio Floris

Nelle fonti antiche letterarie ed epigraiche riguardanti la Sardegna e pertinenti al lungo


periodo che va dalla conquista romana dell’Isola (238/237 a.C.) al terzo secolo della nostra
era sono contenuti numerosi antroponimi di diversa origine; basti infatti pensare che sola-
mente nelle iscrizioni ve ne sono più di ottocento.
Nel momento in cui acquisirono il possesso della Sardinia i Romani vi trovarono una si-
tuazione onomastica articolata, anche se in linea di massima riconducibile a due modelli
principali, uno indigeno e l’altro fenicio-punico. Del primo, adoperato dalle diverse popo-
lazioni isolane eredi della tradizione nuragica, conosciamo poco meno di una trentina di
nomi personali inseriti in epigrai non anteriori all’età imperiale e per lo più provenienti da
aree non urbane. L’esame di questo materiale è complesso poiché fa riferimento ad un si-
stema linguistico non ben noto; la sua analisi è resa ancora più dificile dal fatto che esso si
compone soprattutto di nomi del tutto privi di confronti in Sardegna e nel resto del mondo
romano, situazione che impone cautela nell’affermarne in modo netto l’origine indigena.
Un antroponimo per cui la qualiica di epicorio sembra però accettabile è ad esempio Cha-
rittus, o forse meglio Charitti, attestato ben quattro volte con leggere differenze graiche in
testi epigraici di Busachi (CIL X 7876), Buggerru (CIL X 8321), Fordongianus (Sotgiu
1961, n. 196) e Borore (AE 1992, 889). Si possono segnalare inoltre Nercau, ricorrente più
volte anche in forme declinate nella Sardegna centro occidentale a Sedilo (AE 1992, 885),
Samugheo (GasPerini 1992, p. 587), Aidomaggiore (AE 1992, 887), Allai (AE 1993, 846),
e un femminile, di cui si conosce solo la forma declinata Nispenini, noto da due iscrizioni,
delle quali la prima è stata rinvenuta a Borore (AE 1992, 888) e la seconda a Olbia (CIL X
7988; cat. n. 2.44).
Portata in principio in Sardegna dai Fenici, la tradizione onomastica fenicio-punica vi fu
ulteriormente propagata durante la lunga fase cartaginese (VI-III secolo a.C.) e la sua vita-
lità continuò anche dopo la conquista romana sia attraverso il persistere dell’imposizione
diretta di nomi personali punici sia indirettamente con l’adattamento di tali antroponimi
al latino o, forse, anche con la loro traduzione in questa lingua. Oltre che dalle fonti epi-
graiche, in cui per l’epoca in esame si contano poco più di una quindicina di casi, i nomi
punici sono ben documentati sin dall’età repubblicana anche da quelle letterarie. Secondo
alcune attendibili interpretazioni potrebbe infatti avere questa origine il nome di Hostus,
che con suo padre Ampsicora combatté i Romani nel corso del 215 a.C. Si è pensato infatti
all’adattamento al latino di un punico Hiostus, signiicante “amico di Astarte”.
Nomi punici igurano anche nell’orazione giudiziaria Pro Scauro di Cicerone (54 a.C.). Nel
discorso dell’Arpinate sono infatti ricordati più volte i norensi Bostare (Cic. Pro Scauro 2, 7;
2, 8; 5, 8; 6, 12) e Aris (ivi, 2, 13; 6, 9; 6, 10; 6, 12), entrambi appartenenti all’élite della loro
città e caratterizzati da antroponimi punici discretamente comuni. Il primo è un teoforo
(“in mano di Astarte/per mezzo di Astarte”) la cui divulgazione nell’Isola è confermata da
un’iscrizione funeraria urbana di età imperiale menzionante un Bostare di Karales (CIL VI
13627). Il riferimento ad Aris (“lo sposo di”) da parte di Cicerone è anche più interessante
in quanto potrebbe fornire la testimonianza dell’incontro tra tradizioni onomastiche diver-
se. Raimondo Zucca (zucca 1994, p. 872) ha infatti formulato la proposta di identiicare il
norense Aris, legato da un rapporto di hospitalitas con il senatore Publio Valerio Triario, che
nel processo del 54 fu accusatore dell’imputato Marco Emilio Scauro per conto dei Sardi,
con il Valerius che fu l’unico teste originario dell’Isola nella prima udienza del dibattimento
e che una ventina d’anni prima era stato beneicato della cittadinanza romana per inter-
cessione di Caio Valerio Triario (Cic. Pro Scauro 13, 29), il padre di Publio, il quale nel 77
era stato in Sardinia forse come legatus propraetore. Se l’ipotesi fosse corretta, Aris potrebbe
essersi in realtà chiamato C. Valerius Aris.
È più che probabile che all’epoca del processo la presenza di cittadini romani in Sardegna

207
Piergiorgio Floris

non fosse più una novità: questi, infatti, oltre che per svolgervi funzioni amministrative e
militari temporanee, sin dalla conquista avevano verosimilmente iniziato a stanziarvisi per
diversi motivi, per periodi più lunghi o anche permanentemente; tale condizione poteva
riguardare ad esempio ex soldati (non solo romani, ma anche latini e italici che dall’88 a.C.
godevano della cittadinanza romana) che, magari dopo aver stabilito legami familiari in loco,
decidevano di trattenersi nei luoghi in cui avevano svolto il loro servizio oppure publica-
ni, negotiatores e mercatores impegnati in attività inanziarie e commerciali nell’Isola. Queste
persone portavano naturalmente con sé i loro modelli antroponimici, i quali, però, a parte
casi possibili ma non attestati di manomissioni di schiavi, legalmente non avevano potuto
propagarsi tra i Sardi. Nella plausibile sequenza C. Valerius Aris potrebbe invece rilevarsi
un segno della penetrazione del modo di denominazione romano in Sardegna nel senso
di una mescolanza tra questo e quello punico. Un percorso analogo si coglie forse per un
altro sardo menzionato dall’Arpinate nella stessa orazione: Cn. Domitius Sincaius, hospes e
familiaris di Cicerone, dovette infatti il conseguimento della cittadinanza romana a Pom-
peo, verosimilmente attraverso l’opera di un non altrimenti conosciuto Cn. Domitius (Cic.
Pro Scauro, 19, 43), da cui il sardo Sincaius derivò il prenome e il gentilizio. In rapporto al
processo di diffusione del sistema onomastico romano nell’Isola sono interessanti anche
i nomi dei sardi Phamea e M. Tigellius, che vissero a Roma nei decenni centrali del i secolo
a.C. Nonostante che alcuni studiosi abbiano ipotizzato l’origine greca del primo antropo-
nimo e che si siano quindi espressi in favore dell’appartenenza del personaggio sardo alla
classe dei liberti, sembra più probabile che il nome sia punico. Il ricco Phamea, più volte
citato nell’epistolario ciceroniano (Cic. Att. IX, 9, 4; IX, 13, 6; XIII, 49; fam. VII, 24, 2; IX,
16, 8), era il nonno o forse meglio lo zio di M. Tigellius, musico e cantante morto intorno al
40-39 a.C. che fu apprezzato da Cesare, Cleopatra e Ottaviano (Cic. Att. XIII, 49, 2; 50, 3;
51, 2; fam. VII, 24, 1-2; Hor. sat. I, 2; I, 3, 4). Rispetto a Phamea, il nipote ha però un nome
del tutto romano composto di prenome e gentilizio ed è proprio la difformità onomastica
tra i due che fa presumere che il secondo, a differenza del primo, godesse della cittadinanza
romana. È stata del resto avanzata l’ipotesi che alcuni termini adoperati da Orazio in una
Iscrizione menzionante il militare sua satira (I, 3, 1-6), con riferimento rispettivamente all’abitudine di Tigellio di iniziare a
Charitti, Cota[e f(ilius)], da Buggerru. cantare senza che gli fosse stato ordinato e alla possibilità di Ottaviano di metterlo a tace-

208
L’onomastica della Sardegna romana dalla conquista al III secolo d.C.

re, possano essere interpretati nel senso dell’esistenza tra i due di un rapporto patrono/
cliente. Si può quindi pensare di ricostruire anche per Tigellio un percorso analogo a quelli
prospettati per Aris e Sincaius: dietro l’intervento di un ignoto M. Tigellius, nella conces-
sione del beneicio della cittadinanza romana all’artista sardo potrebbe celarsi l’operato di
Ottaviano se non di Cesare.
In un’iscrizione bilingue in fenicio e latino da Sulci/Sant’Antioco (CIL X 7513 = I2, 2225;
cat. n. 2.13) cronologicamente non lontana dalla Pro Scauro sono riportati i nomi punici Hi-
milco (“fratello della regina”) e Iddibal (“il mio signore è Baal”), mentre altri sono in epigrai
sarde di età imperiale rinvenute anche in zone non prossime alle coste; in tal senso si può
probabilmente interpretare la forma declinata Barecis, attestata a Valentia (presso l’odierna
Nuragus) come patronimico e da connettere probabilmente con Barec/Baric (“ha bene-
detto”: FLoris 2009, n. 4), mentre un’iscrizione rinvenuta nel territorio di Isili menziona
il patronimico Anno (= “(dio) lo ha dato”: AE 2009, 453) e a Ula Tirso è ricordato Usur-
bal, in cui si deve forse vedere una graia alternativa di Hasdrubal (“ha aiutato Baal”: AE
1998, 672). È recente inine la scoperta di un diploma militare di Posada del 102 d.C. (AE
2013, 650) in cui si trovano molti nomi personali. Tra questi spicca il celeberrimo Hannibal
(“ha favorito Baal”) che caratterizza il fante ausiliario beneiciario dei privilegi concessigli
dall’imperatore Traiano. Gli antroponimi di diversa origine (punica, forse epicoria, latina)
inclusi in questo documento forniscono una prova della mescolanza onomastica che do-
veva esistere tra i Sardi dell’epoca; va comunque tenuto presente che per alcuni studiosi
in Hannibal, più che l’inlusso della tradizione punica, potrebbe riconoscersi l’esito della
volontà di attribuire un nome appropriato ad una persona destinata a svolgere il mestiere
delle armi.
A Karales si registrano inoltre Salsula (FLoris 2005, n. 161) e il patronimico Silisonis (zuc-
ca 1996, pp. 1459-1460, n. 17; cat. n. 2.85), rimandanti entrambi ad una radice punica
signiicante “tre”; le due forme sarebbero quindi corrispondenti al diffuso cognomen latino
Tertius/-a. La seconda, in particolare, ricorre nell’onomastica di M. Ploti(us), Silisonis f(ilius),
Rufus, in cui si accompagna ai tria nomina tipicamente romani, determinando ancora una
volta una sequenza contraddistinta dalla commistione di sistemi onomastici diversi. A tale

Iscrizione menzionante Sulla, Annonis


(ilius), da Isili.

209
Piergiorgio Floris

Iscrizione menzionante
[L(ucius) A]litenus, L(uci) f(ilius),
Quir(ina), L[---], da Cagliari.

Nella pagina accanto


Iscrizione di C. Apsena, C. f., Pollio,
da Cagliari.

proposito sembra inine degno di attenzione il nome del magistrato cittadino norense [.]
Aristius Rufus (AE 2006, 520). Secondo alcuni studiosi in regioni come la Sardegna o il
Nord Africa il gentilizio Aristius potrebbe infatti costituire l’adattamento al latino di nomi
punici come il già citato Aris, evidenziando un meccanismo di assimilazione culturale di-
verso e più marcato rispetto a quello precedentemente discusso in cui elementi latini si
giustappongono a quello originario.
Per il tramite dei Cartaginesi l’Africa trasmise alla Sardegna anche nomi personali libici. Il
più antico tra quelli conosciuti potrebbe essere Hampsicora/Hampsagoras. Tale antroponimo,
nonostante tentativi di considerarlo di origine greca, è stato dai più reputato punico. La
problematica è stata però convincentemente ripresa negli ultimi anni da Attilio Mastino,
il quale, piuttosto che sulla graia liviana Hampsicora (XXIII, 32, 10; 40, 3, 7, 8; 41, 3, 4, 6),
ha concentrato la sua attenzione su quella Hampsagoras utilizzata da Silio Italico (Pun. XII,
344-345); lo studioso, come già Ettore Pais, suggerendo l’esistenza di una relazione tra
Hampsagoras e l’idronimo numida Ampsaga, ha quindi ipotizzato che il famoso personaggio
sardo fosse il discendente di genti numide migrate nella Sardegna centro-occidentale du-
rante gli anni del dominio cartaginese (Mastino 2009, pp. 77-84).
In età imperiale la persistenza nell’Isola della tradizione onomastica libica è dimostrata da
antroponimi presenti nelle iscrizioni; a tale proposito si possono ad esempio considerare i
maschili Burce da Pirri (CIL X 7809) e Mustul(l)us da Sant’Antioco (Sotgiu 1961, n. 14), men-
tre si posseggono minori certezze per il femminile Musterida da Karales (FLoris 2005, n. 205)
e per Sadecis, patronimico del militare sardo Optatus, noto da un’iscrizione rinvenuta a Milev,
nell’odierna Algeria (AE 1929, 169), per i quali si possono prospettare anche altre soluzioni.
Quanto agli antroponimi di origine latina, si sa che nel corso del tempo il sistema di de-
nominazione cui essi appartengono conobbe rilevanti trasformazioni pertinenti il tipo e
la quantità delle componenti della sequenza onomastica con differenze relative al sesso e
alla condizione sociale. Nell’epoca qui in esame i suoi elementi più signiicativi erano il
gentilizio (o nomen) e il cognomen. Nella documentazione sarda i gentilizi analizzabili sono
circa 230. Se è vero che si tratta per lo più di casi singoli e che quelli per cui si conoscono
da una a cinque testimonianze costituiscono un po’ più dell’85% del totale, vi sono però an-

210
L’onomastica della Sardegna romana dalla conquista al III secolo d.C.

che nomina molto frequenti che in buona parte coincidono con quelli in genere più comuni
nel mondo romano. I più usuali in Sardegna sono, in ordine numericamente decrescente, i
diffusissimi Valerius e Iulius. Se le cause della divulgazione nell’Isola del primo sono meno
sicure, quelle del secondo sono certamente da ricondurre all’inluenza locale dei primi im-
peratori di Roma e per lo stesso motivo non sorprende il gran numero di occorrenze sar-
de di altri nomina imperiali; continuando con l’ordine decrescente si possono infatti citare
Claudius, Flavius, Aurelius ed Aelius. Dopo Valerius il gentilizio non imperiale più ricorrente è
invece Antonius, anch’esso di norma comunissimo, seguito a sua volta da Cornelius, Pompeius,
Licinius, appartenuti a importanti stirpi della nobilitas repubblicana e in generale assai fre-
quenti in tutto l’impero. Più densa di signiicati sembra essere, invece, la notevole quantità
degli Herennii isolani. Tale nomen, infatti, pur essendo divulgato ovunque, lo era certamente
meno di quelli sopra elencati. La rilevanza degli Herennii sardi appare ancora maggiore se
si considera che essi nell’Isola si incontrano prevalentemente a Karales e nel suo territorio.
La questione è stata affrontata nel 2007 da Franco Porrà, il quale, analizzando un’epigrafe
rinvenuta ad Elmas ma di probabile origine caralitana menzionante Herennia Helvidia, M. f.,
Aemiliana (CIL X 7828), donna legata alle famiglie senatorie degli Herennii forse originari
della Betica e degli Helvidii Prisci italici, ha ipotizzato che la diffusione nella capitale della
Sardegna romana dei gentilizi Herennius ed Helvidius, e in particolar modo del primo, possa
essere connessa con interessi sardi della famiglia della donna (Porrà 2007).
Anche altri nomina attestati nell’Isola possono essere messi in relazione con grandi famiglie
senatorie dei primi due secoli dell’età imperiale; a Karales questo è quanto si può ipotizzare,
ad esempio, per i Cassii, gli Atilii e i Rubellii originari di Tibur (Tivoli) e per i Vinii di Ami-
ternum (presso L’Aquila), il cui soggiorno in Sardegna fu determinato oltre che da probabili
attività economiche locali anche da motivi politici. È anche possibile osservare la peculiare
concentrazione di alcuni gentilizi in determinati centri o aree geograiche dell’Isola; gli An-
tonii, gli Herennii e i Licinii sono infatti documentati soprattutto a Karales e nella Sardegna
centro meridionale, i Claudii a Olbia, gli Allii a Turris Libisonis (Porto Torres), i Cornelii e i
Pompeii a Sulci e i Rutilii a Bosa.

211
Piergiorgio Floris

Iscrizione menzionante Aino, Libial(is)


f(ilius), da Isili.

Utili informazioni si possono ricavare anche dai gentilizi rari o poco comuni; se legati
a specifiche aree geografiche, essi potrebbero infatti fornire l’indizio di flussi migratori
da queste ultime verso la Sardegna, spostamenti che però potrebbero anche precedere
di qualche generazione le attestazioni epigrafiche isolane. A questo proposito ci si può
soffermare sul panorama offerto da Karales; alcuni nomina presenti nelle iscrizioni della
capitale provinciale sembrano infatti rimandare all’Italia centro-meridionale; tra questi
si possono citare Blossius (FLoris 2005, n. 180b) e Patulcius (FLoris 2005, n. 225), che
fanno pensare a collegamenti con la Campania, mentre Albinovanus (FLoris 2005, n. 73;
cat. n. 2.40) e Insteius (FLoris 2005, n. 110b) sembrano riferibili ancora all’Italia meri-
dionale, forse alla Lucania. Quanto all’Italia centrale, al Latium potrebbero rimandare
Sutorius (FLoris 2005, nn. 193 = cat. n. 2.30, 194, 234) e Voluscius (FLoris 2005, n. 126),
all’Umbria Aleitenius/Alfitenus (FLoris 2005, n. 156; CIL X 7598) e Opsilius (FLoris
2005, n. 99), all’Etruria Apsena (FLoris 2005, n. 50). Altri ancora, come Pisidius (FLoris
2005, n. 185) e Trosius (FLoris 2005, n. 117), sono invece forse da mettere in relazione
con l’Italia settentrionale.
Merita inoltre una menzione il gentilizio Vaterius, un nomen abbastanza raro, che però pro-
prio a Karales e nel suo ager ricorre ben quattro volte (una ciascuna in FLoris 2005, nn. 80b e
188 da Karales e altre due in CIL X 7602 da Elmas), una quantità grosso modo equivalente
a quelle che si riscontrano rispettivamente a Roma e nel Nord Africa, con la particolarità
che nella capitale della Sardinia Vaterius appartiene anche ad esponenti dell’élite locale. Rive-
stono inine un certo interesse alcuni gentilizi infrequenti che possono essere considerati
neoformazioni costituite sulla base di nomi comuni, cognomina o del nome paterno. Alarius
contraddistingue un Caralitanus testimone di un diploma militare rinvenuto ad Anela (CIL
X 7891; cat. n. 2.72); è possibile che la forma derivi dal sostantivo ala tipico del lessico
militare e che quindi sia stata forse assunta dal suo portatore durante o in seguito al servi-
zio nell’esercito. Chrysius (FLoris 2005, n. 64) è invece creato da un nome personale greco
(Chrysós), mentre Tarullius, proprio di un soldato sardo della lotta di Miseno ricordato
in un’iscrizione trovata presso l’odierna Sorrento (CIL X 687), discende forse dal tracio
Tarula; come per Alarius la sua adozione da parte del marinaio potrebbe essere messa in re-

212
L’onomastica della Sardegna romana dalla conquista al III secolo d.C.

lazione con il servizio militare e la scelta potrebbe essere stata condizionata dall’ambiente
della lotta di Miseno, ove i soldati di origine tracia erano numerosi.
I cognomina e i nomi unici latini contenuti nelle epigrai romane di Sardegna sono circa
trecento. Rispetto ai dati forniti nel 1965 da Iiro Kajanto per tutto il mondo romano
(kajanto 1965) si osserva nell’Isola un’inversione di posizioni relativamente alle due ca-
tegorie principali. La prima in Sardegna, con un’ottantina di testimonianze, è infatti quella
degli antroponimi facenti riferimento a caratteristiche isiche (i più comuni sono Crescens
e derivati, Rufus) e dell’animo umano (ad es. Severus, Hilarus e derivati) con una leggera
preponderanza di questo secondo sottogruppo, mentre al secondo posto, con circa qua-
ranta casi, si collocano quelli formati da gentilizi (ad es. Iulianus, Valerianus). Seguono
quindi quelli che il Kajanto chiama «cognomina relating to circumstances», tra i quali sono
molto frequenti i cosiddetti “wish-names” (tra i più comuni Felix, Faustus, Fortunatus, Vic-
tor e rispettivi derivati). Anche altre categorie sono molto produttive, come quella degli
etnici indicanti la provenienza da determinate aree geograiche (ad es. Germanus, Gallus,
Caralitanus), mentre ve ne sono di meno rappresentate che però comprendono alcuni dei
cognomina più attestati nell’Isola (Saturninus e Silvanus tra i teofori, Proculus tra quelli creati
da praenomina, Ianuarius tra quelli legati al calendario, Primitivus, Secundus e Rogatus tra quelli
che fanno riferimento alla nascita, Urbanus e Ingenuus tra quelli che esprimono l’origine
sociale e geograica). Va comunque osservato che se i gentilizi consentono di valutare
l’importanza dell’apporto onomastico dalla Penisola Italiana e la capacità di penetrazione
del modello latino in Sardegna, i cognomina e i nomi unici possono tradire invece la per-
sistenza dell’inluenza del sostrato, per lo meno di quello punico e libico per individuare
il quale rispetto a quello indigeno vi sono maggiori strumenti. Per molti cognomina latini,
infatti, e in particolare per alcuni dei più diffusi è possibile ipotizzare che siano anche
traduzioni latine di antichi nomi punici e libici. A questo proposito tra i più frequenti si
potrebbero citare Crescens, Faustus, Felix, Fortunatus e Ianuarius. Con tale fenomeno potreb-
be inoltre combinarsi quello più dificile da individuare dei cosiddetti “Deckname”, vale a
dire di antroponimi latini che ne richiamano altri indigeni, punici o libici contraddistinti
da radici omofone.
I nomi personali di origine greca contenuti nella documentazione sarda sono poco meno
di 170; a fronte di questo notevole dato quantitativo va notato, però, che ben l’85% di essi
consta di un unico esempio, il che si riscontra invece solo nel 65% di cognomina e nomi unici
latini. Fondandosi sulla classiicazione approntata per i grecanici di Roma da Heikki Solin
(soLin 2003), si può affermare che nell’Isola la maggior parte di essi rientra nelle categorie
dei teofori (Hermes è uno dei più diffusi), dei nomi di personaggi o esseri mitologici (solo
Aegle è però testimoniato più di una volta) e di quelli legati a circostanze, tra cui ancora una
volta spiccano i “wish-names” (come Eutychus/-a e Docimus/-a). Se ne conoscono quindi di
appartenenti a molte altre categorie come Agathangelus, Diocles ed Hermogenes (nomi com-
posti), Alexander (nomi di personaggi storici), Callistus/-te (nomi denotanti caratteristiche
isiche e spirituali dell’essere umano), Helpis ed Heuresis (nomi indicanti concetti astratti),
Tecusa e Trophimus/-me (nomi facenti riferimento ad aspetti della vita familiare).
Nel patrimonio onomastico sardo si trovano inine una quindicina di elementi di deriva-
zione diversa rispetto a quelle sopra discusse. Spesso essi devono essere ricondotti al ruolo
rivestito dall’esercito romano nella diffusione di onomastica allogena; aquitani sono ad
esempio forse Orcoeta/Orgoeta e il patronimico declinato [B]ihonis, per l’appunto relativi ad
un soldato della coorte III di Aquitani attestato ad Ardara (AE 2004, 674); si pensa all’o-
rigine dalla Penisola Iberica per il nome personale di Ubasus, trombettiere di una coorte di
Lusitani (CIL X 7884: Austis), mentre potrebbe essere tracio Tabusus, patronimico di un
altro soldato della coorte di Aquitani ricordato in un’iscrizione conservata a Cagliari, ma da
attribuire probabilmente a Nostra Signora di Castro presso Oschiri (FLoris 2005, n. 231).
Per altre persone provviste di antroponimi di questo tipo le epigrai che li tramandano non
permettono di sapere se la loro presenza in Sardegna sia ugualmente legata all’esercito o se
dipenda da altri motivi. Si possono comunque menzionare Aino da Isili (AE 2009, 454) e il
genitivo Caturoni da Austis (sotgiu 1988, pp. 590, B52, 640, add. B52), i cui nomi personali
sembrano rimandare alla Penisola Iberica, il probabile celtico Vircunnis, noto da un’epigra-
fe sarda di cui non si conosce l’esatta provenienza (sotgiu 1961, n. 333) e Fatta da Karales
(FLoris 2005, n. 223), forse dalmatico o celtico.

213
Piergiorgio Floris

Bibliograia

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214
Sulci (Sant’Antioco)
Francesca Cenerini

Quando fu pubblicato nel 1883 il X volume del Corpus Inscriptionum Latinarum, il patrimonio
epigraico sulcitano era costituito da sedici iscrizioni (CIL X 7513-7528, cat. nn. 2.13, 2.18),
in parte effettivamente viste da Iohannes Schmidt e in parte note dalla tradizione manoscrit-
ta, e da cinque frammenti (CIL X 7529-7532 e 7534). A questo patrimonio si aggiungeva
l’iscrizione tarda concernente il luogo di conservazione del corpo del beato Antioco, già rin-
venuta nella cripta della basilica di Sant’Antioco e ora conservata a Iglesias (CIL X 7533). Tra
le iscrizioni edite nel Corpus è già annoverata la famosa pietra cosiddetta bilingue, neopunico
e latino, che tanti motivi di contrasto aveva suscitato tra lo scopritore, lo Schmidt appunto,
che visitò Sant’Antioco il 9 aprile 1881 su incarico di Theodor Mommsen, e i funzionari loca-
li, nello speciico il R. Commissario Filippo Vivanet. La “regina delle iscrizioni” sulcitane era
stata trovata capovolta di ianco della porta d’ingresso nel cortile della casa Angius a Sant’An-
tioco, come risulta dalla corrispondenza fra lo stesso Schmidt e il Mommsen. A integrazione
del panorama dell’epigraia sulcitana al tempo dell’edizione del CIL, si possono aggiungere
le cinque iscrizioni (CIL X 7535-7539) pubblicate nella sezione Ora inter Sulcos et Tharros, tra
cui l’iscrizione del frontone del tempio di Antas, databile all’età di Caracalla (CIL X 7539).
Nel 1961 Giovanna Sotgiu ha edito Iscrizioni latine della Sardegna. Supplemento al Corpus Inscrip-
tionum Latinarum, X e all’Ephemeris Epigraphica, VIII. Nella rubrica S. Antioco (Sulci) sono
registrate 33 nuove iscrizioni rispetto all’edizione del Corpus, tra cui anche alcuni veri e propri
inediti. Parte di queste iscrizioni, che G. Sotgiu correttamente indica conservate al Museo
di Cagliari, recentemente sono state trasferite dai depositi del suddetto Museo e sono state
esposte nel nuovo allestimento del lapidario del Museo Archeologico di Sant’Antioco. Tali
iscrizioni sono state rese visibili al pubblico e sono fruibili anche ai non addetti ai lavori, in
quanto le didascalie forniscono la doppia traduzione dei loro testi latini in italiano e in inglese.
G. Sotgiu è anche l’editrice di altre iscrizioni inedite sulcitane, rinvenute sia in occasione
di scavi archeologici sia appartenenti a collezioni private. Tra le iscrizioni pubblicate da
G. Sotgiu e conservate oggi a Sant’Antioco va ricordata la dedica all’imperatore Adriano da
parte dei Sulcitani, rinvenuta nel 1897 in località Su Narboni, databile, sulla base della titola-
tura imperiale, al 118 d.C.; il frammento con la residua menzione dei [---]/ Sulci[tani], mutilo
su tre lati, tranne che nella parte inferiore, rinvenuto (in reimpiego?) nella necropoli romana
ubicata lungo la linea di costa marina; il titolo funerario degli Antonii, rinvenuto nell’antica via
di Sa Trinidadi, che comprende un carmen funerario che occupa le ultime due righe del testo:
pater hoc natis [---] / miser ecce su[m ---]; la targa di Gargilia Gemella, ricomposto da più frammenti,
già appartenente alla collezione privata Schiff.
La composizione della famiglia di Gargilia Gemella non è del tutto perspicua. I titolari del
sepolcro dovrebbero essere un personaggio maschile, il cui nome doveva essere inciso nella
parte superiore della pietra, oggi perduta, e Gargilia Gemella, di nascita libera, come si evince
dal suo patronimico, L.f., iglia di Lucio. Il rapporto tra i due contitolari dell’iscrizione funera-
ria è deinito dalle parole coniux e domina sua. I quattro personaggi che materialmente pongo-
no la dedica (fecerunt) ricordano la madre karissima, presumibilmente la stessa Gargilia Gemella.
Essi sono Felix, Senecio, Docimus e Quinta che dovrebbero avere come gentilizio Pompeius,
trascritto al plurale alla ine della seconda superstite linea di scrittura. Sono, evidentemente,
i igli di Gargilia Gemella, sia che la lettera L dell’inizio della linea 3 (non rilevata dalla Sotgiu,
in quanto il tratto verticale, a differenza di quello orizzontale, è molto poco marcato) vada
interpretata come l(iberi), igli appunto, oppure come abbreviazione del praenomen Lucius, da
intendersi comune ai tre igli maschi. Non è chiaro se la parola domina appartenga, per così
dire, al linguaggio degli affetti, già proprio dei poeti che descrivevano le loro pene d’amore,
oppure, come io riterrei più probabile e più compatibile con il lessico epigraico, abbia un
ben preciso valore giuridico, indicando un rapporto di servitù tra il marito e la moglie. Quin-
di, a livello di ipotesi, i dedicanti potrebbero essere igli soltanto della donna che, non va di-

215
Francesca Cenerini

menticato, è di nascita libera, nati da una precedente unione con un Pompeo. Attilio Mastino
ha convincentemente sostenuto l’ipotesi che Pompeo Magno o i suoi igli avessero concesso
ad alcuni abitanti di Sulci la cittadinanza romana a titolo individuale per premiarli per l’atteg-
giamento ilo-pompeiano durante la guerra civile vinta da Cesare, cosa che spiegherebbe la
durezza della punizione inlitta da Cesare ai Sulcitani. Sulci è, infatti, ricordata dall’anonimo
autore del Bellum Africanum (98, 2) come porto di rifornimento di uomini e di vettovaglie per
i Pompeiani che, nel 47 a.C., stavano organizzando la resistenza a Cesare in Africa. I ceti di-
rigenti ilo-pompeiani di Sulci accolgono la lotta di Lucio Nasidio, già incaricato da Pompeo
Magno del comando della lotta di Marsiglia, che in quel momento stava prevalentemente
operando sulle rotte del Mar Tirreno, come è attestato dalle fonti letterarie (Cicerone e Cassio
Dione). In effetti, la gens Pompeia è la più attestata a Sulci (dieci casi), seguiti dalla Cornelia (otto
casi) e dalla Iulia (sette casi).
Due iscrizioni che menzionano Pompeii sulcitani sono conservate nel locale Lapidario (oltre
ai Pompeii igli di Gargilia Gemella appena ricordata): la prima è l’iscrizione funeraria di Pompeia
Rhodine postale dal marito e dal iglio, di cui non è conservata l’onomastica completa causa la
frattura della pietra, in un periodo compreso tra il I e il II secolo d.C. e rinvenuta nel riem-
pimento del fossato punico nell’area della necropoli di Is Pirixeddus. Con ogni probabilità
il marito ha un simplex nomen, integrato dall’Editore (sotgiu 1995, n. 6; AE 1997, 744) con
[Hy]ginus, ma preceduto dal gentilizio. Io penso, invece, che l’impaginato dell’iscrizione che
ha previsto in alto al centro l’incisione delle parole Diis Manibus, che occupano, disposte su
due linee di scrittura, il vertice triangolare della pietra non consente, sulla sinistra, spazio
suficiente per l’inserimento dell’eventuale nomen dell’uomo, che, quindi, potrebbe essere di
condizione servile o peregrina. Il iglio, al contrario, può essere libero o, preferibilmente,
liberto (zucca 2003, n. 49 propone la lettura a l. 5 in. [---] L(uci) l(ibertus) Isius), in quanto ci
dovrebbe essere spazio per due elementi onomastici, nomen e cognomen. Entrambi i cognomina
ricostruibili, Rhodine e Hyginus, sono di cosiddetta derivazione grecanica, senza che questo,
per altro, attesti con certezza una provenienza orientale di chi li portava.
Nella seconda iscrizione (sotgiu 1975, n. 3 = AE 1975, 463) si legge che L. Pompeius Pelagia-
nus dedica il sepolcro alla mamma pientissima Fabia Nice. Il termine latino mamma è un sinonimo
del maggiormente attestato mater ed è già presente nell’epigraia funeraria sarda nella cosid-
detta “Grotta delle Vipere” di Cagliari, dove Atilia Pomptilla è deinita mamma optima (CIL X
7564). Claudia Pompeia compare come dedicante in un’iscrizione posta al marito L. Remmius
Exuper[---] (sotgiu 1973, n. 3 = AE 1974, 354; zucca 2003, n. 50) facente parte della col-
lezione privata Arturo Giacomina; L. Pompeius Marcianus è il iglio di Avionia Restituta: la sua
pietra (una lastra funeraria ricomposta parzialmente da dieci frammenti, già appartenuta alla
collezione Schiff e conservata nel Museo di Cagliari) racconta che è morto a 23 anni e sei
mesi (sotgiu 1961, n. 13; zucca 2003, n. 48); Pompeius Mustulus Pontianus pone l’epigrafe se-
polcrale al frater bene merenti P. Pompeius Dativus (sotgiu 1961, n. 14; zucca 2003, n. 47), che è
conservata nella collezione privata Biggio.
Cesare, dopo avere sconitto i seguaci di Pompeo a Thapsus, nel 46 a.C. sbarca a Karalis e im-
pone ai Sulcitani una multa di dieci milioni di sesterzi e l’aumento a un ottavo della decima dei
prodotti del suolo, per punire la città del suo appoggio a Pompeo. Sulci, peraltro, non dovette
soffrire a lungo per queste restrizioni volute da Cesare, se Strabone (5, 2, 7) attesta che Karalis
e Sulci sono alla sua epoca le più importanti e iorenti città della Sardegna. Evidentemente
Cesare deve avere preso anche dei provvedimenti favorevoli alle parti sulcitane che lo avevano
appoggiato e che, in tal modo, hanno potuto raggiungere una posizione di preminenza politica
ed economica all’interno della città e che si debbono essere adoperati per fare ripartire l’eco-
nomia dell’Isola, la cui stagnazione non giovava a nessuno. L’interesse per l’area mineraria del
Sulcis Iglesiente è ben attestata anche per il successore di Cesare, l’imperatore Augusto.
Nel Museo di Sant’Antioco è conservato, proveniente dai depositi del Museo di Cagliari, il
calco della targa commemorativa della restitutio del templum Isis et Serapis, rinvenuta nel 1819,
il cui originale è conservato nel Museo di Oslo (CIL X 7514; zucca 2003, n. 2). Il liberto
M. Porcius Primigenius, nella sua veste di magister Larum Augustorum, ristruttura integralmente
il tempio di Iside e Serapide di Sulci, cum signis et ornamenta et area. Sull’ubicazione di questo
tempio gli archeologi non sono concordi. Alberto Ferrero della Marmora ne aveva identiica-
to ipoteticamente i resti a sud del porto, nella zona dove era stato successivamente ediicato
il Castello di Castro, all’ingresso dell’Isola di Sant’Antioco, congiunta alla terraferma da un

216
Sulci (Sant’Antioco)

ponte. Si tratta di una zona di approdo che ben si adatterebbe al culto delle due divinità egizie,
oggetto di devozione cosmopolita. L’occasione del restauro del tempio menzionato in questa
iscrizione si presta a plurime interpretazioni. In prima battuta si potrebbe pensare che fosse
dovuta ob honor(em), cioè per la designazione (designatorum) dei suoi due igli M. Porcius Felix e
M. Porcius Impetratus al quattuorvirato a(edilicia) p(otestate), come è effettivamente attestato dalla
pietra. Secondo un’altra interpretazione, invece, l’abbreviazione F di linea 4 non va integrata
in f(iliorum), bensì in f(ratrum): M. Porcio Primigenio, quindi, sarebbe il liberto che realizza
l’opera in occasione dell’edilità dei due fratelli suoi patroni. Secondo una terza interpretazio-
ne, invece, M. Porcius Felix è il padre di M. Porcius Impetratus, e quindi padre e iglio (la F va
pertanto sciolta in ilii) sono stati designati al quatturovirato aedilicia potestate, in occasione del
quale il liberto M. Porcio Primigenio ristruttura il tempio di Iside e Serapide di Sulci.
Nel Museo di Sant’Antioco è ora esposta la parte conservata di un’iscrizione, già edita in CIL
X 7517, di un governatore della Sardegna di età severiana, probabilmente negli anni 208/209
d.C., M. Domitius M.f. Tertius, che potrebbe essere proprio di origine sulcitana. Il governatore
è, infatti, noto da cinque iscrizioni sarde, di cui due rinvenute a Sant’Antioco (la già citata CIL
X 7517 e AE 1974, 353a = zucca 2003, n. 11). La terza è un miliario rinvenuto in prossimità
di Macomer (CIL X 8025), che attesta la restitutio della via a Turre: si tratterebbe del milia-
rio di San Pantaleo con il 56° miglio da Turris. La quarta documenta il restauro delle terme
Ruianae di Cagliari (sotgiu 1961, n. 158). La quinta, rinvenuta a Nora (AE 1971, 123 = AE
1974, 359), di cui si conserva soltanto un piccolo frammento, ha consentito di ascrivere con
certezza questo governatore alla tribù Quirina, che è quella di Sulci.
Sulla base del confronto tra questi testi è possibile proporre la ricostruzione del cursus del
governatore, così come appare da questo frammento di Sant’Antioco, rinvenuto nella parte
meridionale dell’area monumentale di Su Narboni, in parte coincidente con il foro della cit-
tà romana di Sulci, come attestano gli scavi archeologici: M. Do[mitio M(arci) f(ilio) Quiri]/na
(tribu) Terti[o, proc(uratori) Aug(ustorum trium)],/ [p]raef(ecto) pr[ov(inciae) Sard(iniae), proc(uratori)]
/ [p]rov(inciae) My[siae Sup(eriori)s, proc(uratori)] / [pr]ov(inciae) Cyr[enarum], / [pr]aepo[s(ito)
vexil(lationum) ex] / [S]yria, t[rib(uno) cohor(tis)] / [II]I Aug(ustae) T[hracum] / [trib(uno)] m(ilitum)
leg(ionis) [---], / ---. Sono elencate le tres militiae equestri, la prefettura di corte per noi perduta
causa la frattura della pietra, il tribunato di legione, il tribunato di coorte miliaria, il comando
di vessillazioni, la procuratela della provincia Cyrenarum, quella della Misia Superiore e, inine,
il governo della Sardegna, con il titolo di procurator et praefectus, di rango ducenario. L’ipote-
si dell’origine sarda del governatore può verosimilmente suscitare perplessità, soprattutto
perché la nomina sarebbe avvenuta in deroga a disposizioni imperiali più antiche, che non
vedevano di buon occhio l’origine del governatore dai luoghi di governo (cfr., ad es., Dio 72,
31, 1). La risposta potrebbe essere ricercata nel fatto che Settimio Severo potesse avere avuto
bisogno di un governatore di origine locale, che conoscesse bene la zona, per mettere a frut-
to un programma di sfruttamento più razionale delle risorse minerarie del Sulcis Iglesiente,
come è testimoniato dalla presenza di interessi imperiali in questa stessa area. Sono rientrati
da Cagliari e sono presenti a Sant’Antioco anche il frammento di un iscrizione funeraria
menzionante un’Alia che fecit coiugi bene merenti (sotgiu 1961, n. 9; zucca 2003, n. 23) e un
altro frammento relativo ai pondera del macellum (?) (sotgiu 1961, n. 19; zucca 2003, n. 20).
Due iscrizioni di carattere monumentale sono conservate nel Museo di Sant’Antioco. La pri-
ma è la già citata bilingue. Si tratta di una base di statua in dolomia, calcare durissimo e molto
dificile da lavorare, il cosiddetto “marmo di Maladroxia”, con tracce evidenti di inissione
dei piedi della statua stessa sul lato superiore (64 x 80 x 63) (CIL X 7513; Zucca 2003, n. 1,
cat. n. 2.13). Sulla faccia anteriore sono state tracciate in tempi diversi due iscrizioni, una in
punico, l’altra in latino, con testo simile, ma non identico. Non si tratta, cioè, di una sempli-
ce traduzione. La prima, collocata al centro, è su quattro righe in caratteri neopunici. Nello
spazio sovrastante è stata tracciata successivamente un’iscrizione in caratteri latini, che è un
adattamento del testo punico alle istituzioni romane. In entrambi i testi, l’autore della dedica
è Imilcone che offre una statua al padre omonimo. Quest’ultimo aveva precedentemente
curato, su incarico delle autorità locali, la costruzione di un tempio che, dalla dedica in lingua
punica, appare intitolato alla dea vicino-orientale Elat, paredra di El, il dio per antonomasia.
Il testo latino, ascrivibile all’età cesariana-augustea, dà un’interpretazione romana (ex senatus
consulto) a realtà puniche, istituzionali e culturali, diverse. Infatti, nel testo punico si parla dei
“migliori di Sulkì”, ove il locativo richiama chiaramente l’istituzione locale della punica Sulkì.

217
Francesca Cenerini

Iscrizione di Lucius Valerius Potitus, Questa pietra documenta un avanzato processo di romanizzazione della città che, nel giro di
lamen e pontifex a Sulci nel corso poco tempo, sfocerà nella concessione dello statuto di municipio romano. Tale concessione
del II secolo. d.C. si può ascrivere o all’età augustea, oppure all’età di Claudio.
Museo Archeologico comunale L’altra iscrizione monumentale ospitata nel Museo è quella tracciata sulla faccia inferiore di
“F. Barreca” di Sant’Antioco. una soglia che, viste le dimensioni di un metro e 16 centimetri di larghezza (116 x 47 x 29),
doveva appartenere a un ediicio pubblico sulcitano di età punica. Questa iscrizione, rinve-
nuta negli anni Novanta del secolo scorso durante alcuni lavori stradali nella zona centrale
dell’abitato di Sant’Antioco (AE 1996, 813; zucca 2003, n. 18), è stata donata al Museo dal
sig. Paolo Mocci. Il fatto che si tratti di un’iscrizione tracciata su di un blocco di reimpiego
è comprovato dalla leggera concavità della faccia su cui è inciso il testo, nonché dalla imper-
fetta lavorazione della facce del blocco, corrispondenti ai limiti laterali dell’iscrizione stessa.
Il titolare dell’iscrizione, L. Valerius Potitus, non dovrebbe essere cittadino di Sulci, in quanto
è iscritto alla tribù Ufentina e non alla Quirina, ma Attilio Mastino (Mastino 1997) non ne
esclude un’origo sulcitana per la presenza a Sulci del gentilizio Valerius. Valerio Potito è lamen
del culto imperiale e ponteice nel capoluogo sulcitano e ricopre altri incarichi di carattere
religioso nel corso del II secolo d.C. (pontifex e curator sacrorum). Problematica appare in que-
sto testo la menzione della quinquennalitas, vale a dire una funzione rivestita ogni cinque anni,
che può essere riferita sia alla sfera del sacro, sia alla più alta carica civica, in questo caso il
quattuorvirato quinquennale di Sulci.
Altre due iscrizioni di carattere sacro sono conservate nel locale museo: un frammento di
marmo mutilo su tutti i lati, rinvenuto durante i lavori di restauro del pavimento della chiesa
parrocchiale, che forse menziona gli dei Apollo e Asclepio (22 x 19 x 4) (AE 1971, 130;
zucca 2003, n. 3); una placchetta di avorio rinvenuta nell’estate 2010 nell’area sacra del co-
siddetto Cronicario di Sant’Antioco, il cui scavo è in corso da alcuni anni. Tale placchetta, in
un avorio che tende allo sfaldamento, è stata ritagliata già in antico da un oggetto di maggiori
dimensioni e misura attualmente 3,3 cm in larghezza, 2,5 cm in altezza, per uno spessore di
0,5 cm. In un momento successivo alla redazione dell’iscrizione è stata praticata al centro del-
la placchetta stessa una fessurazione (per un ipotizzabile reimpiego dell’oggetto in materiale
prezioso) che misura 1,5 cm di larghezza per 0,7 cm di altezza. Tale intervento ha intaccato
l’integrità della scrittura. Propongo la seguente integrazione delle due righe della scrittura
latina: [---]rubalis f(ilius) / [--- ex vot]o (?) pos[uit]. Inoltre, nell’angolo in basso a destra della
placchetta sembrerebbero essere superstiti due righe di scrittura che potrebbero che essere
interpretate come iscrizione neopunica: sulla base delle due lettere superstiti nella seconda
linea di scrittura, verosimilmente lamed e shin, è possibile ipotizzare che si tratti di una dedica
alla divinità fenicia Shadrapa, la cui presenza nel luogo di culto sulcitano è verosimile, dato che
nello stesso santuario è acclarata la presenza del rito dell’incubazione, caratteristico del culto
di Eshmun, già attestato a Bitia e a Nora e attribuito da Aristotele (Phys., IV, 11, 23-25) alle po-

218
Sulci (Sant’Antioco)

polazioni locali. La placchetta potrebbe essere quindi interpretata come una bilingue, il cui te-
sto latino riporta la menzione di un ex voto posto da un iglio di Asdrubale, la cui onomastica
completa non ci è pervenuta a causa della frattura dell’avorio, e il cui testo punico ci potrebbe
informare che la divinità oggetto della dedica è Shadrapa. Lo stato frammentario dell’oggetto
non ci consente di andare oltre al suo inquadramento nella tipologia dei donari su materiale
prezioso attestati nel mondo punico, ad esempio nel santuario di Tas-Silg di Malta dedicato
ad Astarte. L’iscrizione si data all’età tardorepubblicana, sia su basi archeologiche, sia anche
perché dalla prima età imperiale sembra cessare in Sardegna l’uso delle deposizioni di ex voto
a favore di quella di una moneta (obolo).
Le restanti iscrizioni attualmente ospitate nel Lapidario di Sant’Antioco sono tutte di caratte-
re funerario. Va segnalata una recente e importante acquisizione in seguito al sequestro di una
collezione privata da parte del reparto operativo dei Carabinieri tutela patrimonio culturale
di Roma, a seguito di un’indagine coordinata da Roberto Lai. L’iscrizione è stata rinvenuta in
un’area di necropoli, e precisamente nell’angolo settentrionale del recinto dell’attuale campo
sportivo, in prossimità della massicciata della vecchia linea ferroviaria, tra l’attuale Lungomare
Vespucci e la via Nazionale. Nelle immediate adiacenze era stata rinvenuta nel corso degli
anni Sessanta del secolo scorso un’altra iscrizione che, appartenuta alla collezione privata di
don Salvatore Armeni, già parroco di Sant’Antioco, e pubblicata da G. Sotgiu (sotgiu 1969,
n. 78 = AE 1971, 129), si trova ora esposta al pubblico nel piccolo museo dedicato alla col-
lezione Armeni, inaugurato nella Torre di Calasetta il 22 agosto 2008. Dato che queste due
iscrizioni menzionano entrambe servi della casa imperiale, si può avanzare l’ipotesi che in
questa parte della necropoli di Sant’Antioco vi fosse un luogo di sepoltura comune del per-
sonale addetto all’amministrazione delle proprietà imperiali del Sulcis Iglesiente. L’iscrizione
è stata incisa su di una lastrina molto semplice, in marmo, con ogni probabilità di recupero,
stante la sgusciatura posteriore del lato sinistro, priva di qualsiasi elemento di decorazione:
Axiocho / Ner(onis) Claudi / ser(vo) reg(ionario) Primiginia / contub(ernalis) et Axius f(ilius) / bene
merenti. La compagna Primiginia e il iglio Axius pongono la lapide funeraria ad Axiochus, servus
regionarius di Nerone Claudio, cioè di Nerone, futuro imperatore, che assume il nome di Nero
Claudius Drusus Germanicus Caesar dopo che la sua adozione da parte dell’imperatore Claudio
viene formalizzata nel 50 d.C. Nerone conserva questo nome ino al 54 d.C., anno in cui
diventa imperatore, assumendo la titolatura propria del suo nuovo rango.
Anche l’imperatore Claudio aveva possedimenti lungo la fascia costiera tra Sant’Antioco e
Gonnesa, come è attestato dalla presenza di iscrizioni relative a suoi schiavi e liberti personali.
La prima di queste è l’iscrizione sopra ricordata, rinvenuta nello stesso contesto di quella di
Axiochus e conluita nella collezione Armeni. La sua editrice, G. Sotgiu (sotgiu 1969, n. 78),
la ha interpretata come segnacolo funerario posto a Lyde, schiava di Claudio, denominato Ti-
berius Germanicus, non ancora imperatore, vissuta vent’anni, da parte del conservos Secundio. L’at-
tribuzione della Sotgiu è stata contestata dagli estensori della scheda dell’Année Epigraphique
(AE 1971, 129) che ritengono che questo Tiberio Germanico sia da identiicare invece con
Tiberio Gemello, iglio di Druso Minore, il iglio di Tiberio. La Sotgiu ha comunque ribadito
la sua attribuzione che è stata accolta in pubblicazioni successive (ad esempio in Zucca 2003,
n. 57). La seconda attestazione di schiavi di Claudio è quella relativa a Nisus Ti(beri) Claudi
Caesaris Aug(usti) German(ici servus) (CIL X 7536) posta dalla sua contubernalis Claudia Aug(usti)
lib(erta) Proposis, rinvenuta in località Su Perdadu presso Gonnesa nel settore settentrionale del
territorio sulcitano. Come si può vedere, si tratta di esempi socialmente del tutto omogenei,
cioè di uomini o donne servi imperiali, la cui memoria funebre è posta dal compagno/a di
vita, qualiicato contubernalis o conservus, letteralmente compagno di servitù. È quindi evidente
che Claudio aveva dei possedimenti nel Sulcis Iglesiente, con ogni probabilità miniere, che
faceva amministrare dai suoi schiavi e liberti.
Statue di Tiberio, Claudio e Druso Minore (il iglio di Tiberio) sono state rinvenute durante
gli scavi nell’area del cosiddetto Cronicario, nella zona del foro, pertinenti all’Augusteo di Sulci
(zucca 2003, n. 5), e a Claudio in particolare sono state poste da eminenti cittadini sulcitani
alcune dediche, tra cui quella relativa all’inaugurazione di un horologium da parte di L. Aemilius
Saturninus, databile al 48 d.C. sulla base della titolatura imperiale (CIL X 7515 + Sotgiu 1961,
n. 35). Il monumentale epistilio è stato rinvenuto in tre grandi frammenti, reimpiegati in due
diverse località, Sa Barra, nella laguna antistante Sant’Antioco, nei ruderi dell’ipotetica chiesa
di Santa Isandra, e il ponte presso Santa Caterina, all’ingresso dell’isola. Il primo frammento è

219
Francesca Cenerini

Iscrizione degli Arruntii, I-II sec. d.C.


Sant’Antioco, Museo Archeologico
comunale “F. Barreca”.

Iscrizione del sepolcro familiare


dei Cornelii con iscrizione metrica.
Sant’Antioco, Museo Archeologico
comunale “F. Barreca”.

220
Sulci (Sant’Antioco)

disperso, mentre gli altri due sono conservati al Museo Archeologico di Cagliari (zucca 2003,
n. 4). Non conosciamo la natura giuridica delle proprietà amministrate da Axioco: potevano
essere proprietà personali di Nerone ereditate dal padre naturale Cn. Domizio Enobarbo
oppure proprietà imperiali, forse denominate regiones in riferimento alle principali città dei
territori dove si estendevano le proprietà imperiali. In tal caso, Axioco sarebbe uno schiavo
addetto all’uficio amministrativo di una delle regiones della Sardinia, molto probabilmente
quella sulcitana che incorporava anche il bacino minerario di Antas. Da questa area proven-
gono anche tegole e mattoni con il bollo (ex) ig(linis) Aug(usti).
Tra le altre iscrizioni funerarie conservate nel Museo di Sant’Antioco c’è una lastrina di forma
irregolare, cui è stata adattata in seguito l’iscrizione (sotgiu 1961, n. 8; zucca 2003, n. 22;
cenerini 2007, pp. 114-115). Rinvenuta nell’area della necropoli punica di Is Pirixeddus, è
databile al II-III secolo d.C. Si tratta del segnacolo funerario della piccola Aemilia Urbana,
morta a cinque anni e sedici giorni, che viene ricordata dalla madre con inconsolabile rim-
pianto. Questo testo, sia pure molto povero, presenta un grande interesse proprio per il suo
insistito adeguamento ai canoni dell’epigraia sepolcrale latina classica, cui evidentemente il
committente di questa iscrizione sepolcrale si voleva adeguare. L’adprecatio agli Dei Mani pare
inserita in un secondo momento, si va a capo quando non c’è più spazio, spezzando le parole
(es.: qu/inque), i dittonghi femminili del dativo mancano o hanno una forma in ai; alle ll.5/6 la
parola incomparavit è stata sciolta anche in incomparav(ilis) (e)t infelicissime. Va però notato che su
questa pietra non c’è nessuna abbreviazione e forse il lapicida, non troppo esperto di latino,
ha fatto confusione con una forma verbale e ha veramente scritto, sbagliando l’interpreta-
zione di quello che doveva scrivere, incomparavit, anche se questa parola non signiica nulla.
Un’altra iscrizione funeraria è stata trovata in frammenti nel corso degli anni Sessanta del
secolo scorso nell’area della necropoli romana (AE 1975, 464; zucca 2003, n. 58). Anche
questa si data, su basi paleograiche, tra il II e il III secolo d.C., sia pure con una scrittura
che presenta caratteristiche più legate a un’oficina lapidaria. Il piccolo monumento ricorda
Phoebe (il nomen era riportato nella parte sinistra della lastrina marmorea, oggi mancante) ed
è posto da una persona, la cui onomastica completa è dificilmente ricostruibile, come il
preciso rapporto tra le due. L’iscrizione dovrebbe essere posta da una Gorge, il cui gentilizio
è perduto, alla patrona e madre (secondo l’interpretazione di G. Sotgiu – sotgiu 1975, n. 4
–, prima editrice di questo documento) [be]ne mer<en>ti, anche se, già dall’antichità, a questa
parola mancano una e e una n. L’iscrizione può essere stata posta da una liberta e alumna
(cfr. zucca 2003, n. 58). Sullo specchio epigraico sono ancora visibili le tracce dell’ordinatio
orizzontale e la scrittura della sigla f(ecit) s(ibi) p(osteris)q(ue), composta in quadrato, ha una
funzione decorativa.
Anche la lastrina marmorea degli Arruntii, databile tra la ine del I e l’inizio del II secolo d.C.,
è venuta in luce nell’area della necropoli di Is Pirixeddus (sotgiu 1975, n. 2; AE 1975, 462;
zucca 2003, n. 25). Si tratta dell’iscrizione sepolcrale che L. Arruntius Teres fece per suo i-
glio M. Arruntius Rogatus e per Arruntius Gallus, altro membro della famiglia, sia pure privo di
praenomen, forse un liberto, a meno che la lettera F incisa alla ine della quarta linea di scrittu-
ra, comunemente interpretata come abbreviazione del verbo f(ecit), riferito all’azione di Ar-
runtius Teres, non vada integrata invece come f(ilio). In tal modo Arruntius Rogatus e Arruntius
Gallus sarebbero due fratelli o fratellastri. Va notato che in questa iscrizione il lapicida ha
“saltato” tra la G e la A del cognomen Gallo (linea 4) un foro praticato precedentemente sulla
lastra. Infatti la lastrina appare di evidente reimpiego (altra importante caratteristica dell’e-
pigraia latina di Sulci, che riutilizza spesso, per quanto è dato di vedere, parti di monumenti
di età punica). In particolare, si tratta di una precedente base di statuetta, analoga a quelle di
età punica rinvenute nel tempio di Antas, il cui piano di appoggio ribassato è visibile sull’at-
tuale retro, mentre il foro all’origine era utilizzato per fare passare un perno che issava la
statuetta alla sua base. A livello di osservazione generale, si può dire che, in documentati casi
analoghi, la pietra veniva stuccata, e poi incisa o ripassata con il colore. Il lapicida sulcitano,
evidentemente, ha preferito eliminare il problema alla radice, saltando l’ostacolo, ulteriore
segno, a mio parere, di una non perfetta comprensione del testo da incidere.
Sempre dalla stessa area cimiteriale proviene un’altra lastrina di marmo, decorata ai quattro
angoli da hedaerae distinguentes, databile su basi paleograiche al III secolo d.C. (sotgiu 1975,
n. 1; AE 1975, 461). L’iscrizione ricorda il sepolcro familiare che i igli L. Cornelius Felix, L.
Cornelius Annalis e Cornelia Peregrina fecero per il padre L. Cornelius Annalis, per se stessi e per i

221
Francesca Cenerini

loro discendenti. Come ampiamente in uso nell’epoca, il testo anagraico dell’iscrizione è ac-
compagnato da un carme epigraico, scritto in caratteri minori, composto da distici elegiaci,
con echi ovidiani (cugusi 2003, n. 2). Tale poesia, accanto ai consueti motivi del compianto
funebre, allude al fatto che il defunto aveva ricoperto la massima magistratura sulcitana e
che era deceduto nel corso dell’ottavo mese durante l’esercizio delle sue funzioni. Numero-
si sono infatti i riferimenti alla magistratura stessa: la (toga) praetexta, la purpura e le secures.
Che i Cornelii fossero una gens di alto lignaggio a Sulci è comprovato dal fatto che altri espo-
nenti della stessa famiglia hanno rivestito pubbliche funzioni in città. Ricordo ad esempio
L. Cornelius Marcellus, della tribù Quirina, patrono municipale, il cui cursus comprendeva sia
cariche magistratuali e religiose municipali (CIL X 7518; zucca 2003, n. 13, cat. 2.10), sia
un incarico provinciale, cioè l’esercizio del sacerdozio della provincia, probabilmente in età
adrianea. L’epigrafe viene posta dai Sulcitani per espressa volontà testamentaria dello stesso
Marcello, che è ricordato come padre di L. Cornelio Lauro, con la chiara volontà di valoriz-
zare questa famiglia, evidentemente mecenate nei confronti della comunità, all’interno della
rappresentazione sulla scena politica delle principali gentes sulcitane.
Da ultimo, anche un recente rinvenimento epigraico di Sant’Antioco è ospitato nel Museo,
su gentile concessione della sig.ra Susanna Mura. Si tratta di un’iscrizione funebre in calcare
giallastro, databile alla piena età imperiale, rinvenuta nella primavera del 2003 probabilmente
in una necropoli prediale, pertinente a una villa rustica ubicata in prossimità di Cala Sapone,
lungo la costa sud-occidentale dell’Isola di Sant’Antioco. Probabilmente la pietra ricorda un
liberto, la cui onomastica è perduta, e una donna di cui rimane il solo cognomen Repar(ata).
L’insenatura a sud della cosiddetta Cala Sapone, la più vicina al luogo della villa rustica, porta
il signiicativo toponimo di Portu ‘e su trigu (Porto del grano). Si tratta, come si può ben
vedere, di una denominazione piuttosto diffusa lungo le coste della Sardegna, che altro non
indica che il luogo dove la memoria storica della collettività colloca l’imbarco stagionale del
prodotto cerealicolo locale.
Per completare questa rassegna sull’epigraia di Sulci, un breve cenno deve essere fatto alle
iscrizioni non conservate in Museo oppure quelle note dalla sola tradizione: tra queste ultime
si segnala quella commemorativa dell’intervento del proconsul C. Asinius Tucurianus relativa
alla lastricatura di una platea probabilmente in età traianea (CIL X 7516; zucca 2003, n. 8); la
dedica al patronus municipii T. Flavius T.f. Septiminus, ascritto alla tribù Quirina, quattuorvir i.d.,
lamen Augustalis e pontifex sacrorum, equo publico exornatus (CIL X 7519; zucca 2003, n. 14).
Nella catacomba di Sant’Antioco, sottostante la basilica intitolata al protomartire sulcitano
è conservata l’iscrizione in onore del patronus C. Caelius Magnus, ascritto alla tribù Quirina,
decurione e sacerdote cittadino, databile all’inizio del III secolo d.C. (sotgiu 1961, n. 3;
zucca 2003, n. 12). La presenza di un signum (Sidonii), inciso sulla parte superiore della stele,
sopra la corniciatura e all’interno di una tabula ansata, potrebbe derivare dalla devozione del
defunto per il dio punico Sid Addir, interpretato come Sardus Pater, oppure con i desiderio di
richiamare le origini della famiglia del defunto, visto che il termine Sidonii era usato dai Greci
e dai Romani per indicare il popolo fenicio.
Alcune iscrizioni di Sant’Antioco sono conservate nel Museo di Cagliari: tra queste l’iscrizio-
ne funeraria di Sex. Avienus Callicles e di Aviena Philumena (CIL X 7521; zucca 2003, n. 20);
quella di Flavius Polycarpus postagli dalla moglie Valeria Quadratilla (CIL X 7523; zucca 2003,
n. 38); la dedica a Sex. Iulius Sex. f., ascritto alla tribù Voltinia, fatta da Licinia Urbana (CIL
X 7524; zucca 2003, n. 42). Va segnalato che alcune iscrizioni note da CIL (X, 7520, 7525,
7526, 8320) sono a tutt’oggi disperse.
Un certo numero di epigrai sulcitane è conservato in collezioni private: tra queste si segna-
lano, nella collezione Biggio: la dedica a un personaggio anonimo, ob merita sua, da parte delle
universae tribus di Neapolis (?) e dei Beronicenses (sotgiu 1961, n. 4; zucca 2003, n. 15). Recen-
temente è stata proposta l’integrazione della parte iniziale della prima linea di scrittura super-
stite con una funzione che l’onorato potrebbe avere esercitato, vale a dire quella di curator rei
publicae civitatis Neapolitanorum. Non era infrequente, infatti, che i curatores rei publicae fossero
cittadini di comunità limitrofe a quella in cui esercitavano la curatela e, a partire dalla ine del
II secolo d.C., potevano essere anche di rango municipale. Il personaggio onorato poteva,
infatti, essere di origine sulcitana, sulla base del rinvenimento della dedica in suo onore. La
dedica poteva essere stata posta da parte delle universae tribus (vale a dire le circoscrizioni elet-
torali) di una città (Neapolis o Sulci) e da parte dei Beronicenses, populus o collegium, per i meriti

222
Sulci (Sant’Antioco)

riportati nella curatela (?) della splendidissima civitas Neapolitanorum. Un’altra ipotesi propone,
invece, che Beronicenses siano degli incolae arrivati dalla città libica di Berenice, odierna Bengasi,
dopo la repressione della rivolta giudaica in età adrianea.
Appartengono alla collezione Biggio anche il frammento di un’iscrizione relativa a horrea sul-
citani (sotgiu 1961, n. 6; zucca 2003, n. 19); l’epitafio di P. Docetius Tert(i) ilius Ligus, ascritto
alla tribù Tromentina (sotgiu 1961, n. 18; AE 1988, 654; zucca 2003, n. 32); il trapezoforo
marmoreo, reimpiegato come segnacolo sepolcrale di Germanus, mancante dell’angolo an-
teriore sinistro, la cui collocazione funeraria viene enfatizzata dalla scrittura della littera nigra
theta apposta sul lato superiore del supporto, non rilevata nella precedente bibliograia; la già
ricordata basetta marmorea integra su tutti i lati, reimpiegata come attesta la lavorazione sul
retro e rinvenuta nella necropoli ipogea punica e romana di Sant’Antioco (sotgiu 1961, n. 14;
zucca 2003, n. 47) che ricorda P. Pompeius Dativus e che gli è stata posta dal fratello Pompeius
Mustulus Pontian(us); l’iscrizione sepolcrale di T. Fulcinius Ingeniosus, natione Sicositanus, “natio” la
cui identiicazione non è ancora certa (zucca 2003, n. 34); l’iscrizione e il carmen funerario di
Q. Fabius Montanus, che visse sette anni (AE 1997, 741; zucca 2003, n. 35).
Appartengono alla collezione Arturo Giacomina l’iscrizione funeraria che il padre pose a Da-
nicia Consulta, vissuta undici anni e un mese (sotgiu 1973, n. 5; AE 1974, 356; zucca 2003,
n. 31); quella di Licinia Galla postale dai igli (sotgiu 1973, n. 6; AE 1974, 357; zucca 2003,
n. 44); quella di M. Valerius Rufus e di Iulia Kara posta loro dal iglio e marito C. Clodius Gallus
(sotgiu 1973, n. 7; AE 1974, 357; zucca 2003, n. 54); quella di Lucilla, Caesarum nostrorum
serva, postale dal coniux Fructus, Caesarum nostrorum servus (sotgiu 1973, n. 4; AE 1974, 355;
zucca 2003, n. 56).
A Sant’Antioco sono presenti altre collezioni private e non sono noti i luoghi di conservazio-
ne di altre iscrizioni, in particolare quella sepolcrale del bambino Cornelio Emiliano, di forma
particolare (CIL X 7522; zucca 2003, n. 28) e quella pubblicata recentemente da Giovanna
Sotgiu (sotgiu 1995, n. 4) che menziona i liberti Cestia Anticona e Cestius Signa: va notato che
la liberta fece il sepolcro per il colliberto libens animo: tale formula, benché caratteristica del
lessico delle iscrizioni votive, è attestata anche nell’epigraia funeraria in relazione al carattere
di res religiosa del luogo della sepoltura (zucca 2003, n. 27).

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224
I bambini e i rapporti familiari
Paola Ruggeri

Le fasi principali dell’infanzia in epoca romana erano deinite dai termini infans e puer. Per
infans si intendeva il bambino che non aveva raggiunto la capacità di parlare, il termine stesso
è composto da in e fari con riferimento alla mancanza di articolazione del linguaggio. La de-
inizione puer se da una parte si poneva come alternativa ad infans e dunque poteva deinire
il bambino in grado di esprimersi con la parola e di manifestare la propria volontà, dall’altra
copriva un arco di età piuttosto ampio che poteva comprendere “la fase dell’infante”, come
pure l’età adolescenziale e post-adolescenziale sino ai sedici, diciassette anni e inanco sino
alla prima età adulta. A riprova di ciò si può considerare l’epitafio, proveniente da Karales,
in cui Eytychius un ragazzo di ventun’anni e mezzo (qui bixit ann(os) XXI, me<n>ses VI, dies
XIIII) viene deinito puer innocens (sotgiu 1988, A 102): nel contesto del lessico epigraico
del IV secolo d.C., epoca alla quale l’epitafio risale, risulta assai probabile che puer deinisse
un’età anagraica addirittura molto più ampia rispetto a quella dei primi secoli dell’impero.
A Karales viene attestato in un epitafio un infa<n>s, [I]rtius (?) Iulianus, scomparso all’età di
cinque anni, per il quale viene utilizzata un’aggettivazione “affettuosa” quanto generica (de-
stinata non solo ai bambini): l’infans viene infatti deinito dolcissimo e devoto, dulcissimu<s>
p(ius), espressioni utilizzate di frequente per esprimere il sentimento d’affetto dei genitori
(parentes) nei confronti dei igli e delle iglie morti prematuramente (CIL X 7671). Per quanto
riguarda le bambine neonate, il lessico per deinirle era improntato ad una serie di vezzeg-
giativi come pupa, che evocava l’aspetto della bambola – peraltro si utilizzava anche pupus, il
bambolotto, per i neonati – ed anche pusa. Puella e il vezzeggiativo puellula mantenevano la
stessa genericità di puer, con riferimento ad età giovanili avanzate, anche dopo i vent’anni, in
cui l’infanzia non era ormai che un ricordo. A Turris Libisonis si può notare, per l’epoca tarda
tra il IV e il V secolo, un riferimento originale alla prima infanzia sottolineato dal sostantivo
infantula: un’iscrizione con simboli ebraici ricorda la sepoltura dell’infantula Gaudiosa, morta
all’incirca a tre anni (annor[u]m plus minu(s) tres) (AE 1982, 436).
Gli studiosi dell’infanzia in epoca antica sottolineano che il momento della morte e del di-
stacco da essa provocato era quello in cui emergeva l’identità personale dei bambini, spesso
sottoposti ad esclusione da parte del mondo adulto maschile. Eppure il testo della targa di un
sepolcro familiare da Sulci (odierna Sant’Antioco) comunica l’aflizione di un padre, il liberto
L. Antonius per la morte di Antonia, la sua bambina di un anno (anni[cula]) e di Antonius, il
suo altro iglio. Il brevissimo carme sepolcrale a chiusa dell’epitafio si sostanzia del topos,
piuttosto comune, della disgrazia di un genitore, miser per la perdita dei igli, i nati, ricordati
insieme; esso in questa cornice pare divenire al contrario espressione di sentimenti sinceri e
che suscitano compassione (sotgiu 1961, n. 10).
L’epigraia di Sulci offre, del resto, numerose testimonianze interessanti riguardo il senti-
mento di mestizia delle madri e dei padri al momento del distacco dai propri igli, scomparsi
in tenera età: una madre del II secolo d.C. piange la morte della iglia Aemili(a) Urbana,
incomparav(ilis) et infelicissim(a), vissuta appena cinque anni e sedici giorni (sotgiu 1988, A 8).
Così pure, sempre nel II secolo d.C., la madre Flavia Assararia, probabilmente una liberta
della gens Flavia di Sulci, dedica un’epigrafe al iglio morto a cinque anni, un iglio piissimus
et dulcissimus di cui la madre si sentiva assai orgogliosa perché egli era nato libero, secondo
quanto attesterebbe il cognome del bambino Flavius Ingenuus (AE 1997, 743); e ancora il pa-
dre M. Danicius Buccula si rammarica con eguale intensità per la scomparsa della iglia Danicia
Consulta, dulcissima et pientissima, morta a undici anni e un mese (sotgiu 1988, B 6). Per quanto
riguarda il piccolo Cornelius Aemilianus, morto a tre anni e otto mesi, la lastra marmorea che
lo commemorava (CIL X 7522) apre la prospettiva su un orizzonte sociale diverso rispetto
a quello, legato principalmente ai ceti libertini, considerato sino ad ora. Il piccolo Cornelius
doveva appartenere alla prestigiosa famiglia sulcitana dei Cornelii che diedero alla città di-
versi magistrati municipali, un quattuorviro iure dicundo e patrono del municipio sulcitano,

225
Paola Ruggeri

Iscrizione di Aemilia Urbana, da Sulci.

L. Cornelius Marcellus e un quattuorviro, L. Cornelius Annalis, morto durante l’esercizio della


carica, al quale i igli indirizzarono un carmen epigraphicum, celebrativo del suo prestigio, in cui
si evocavano la toga praetexta, le scuri dei fasci littori e la porpora. La lastra fu rinvenuta all’in-
terno di un sarcofago in piombo che conteneva i resti di due scheletri, quelli di un adulto e di
un bambino, probabilmente lo stesso Cornelius Aemilianus: forse il bimbo, morto precedente-
mente, era stato poi inumato (e la lastra con lui) insieme al padre adottivo; ad una adozione
del piccolo Cornelius da parte di un Aemilius farebbe infatti pensare il cognome Aemilianus. Il
corredo funebre comprendeva due vasi e due lucerne e sarebbe ascrivibile al principio del
II secolo d.C. Dell’iscrizione oggi si sono perse le tracce, ma di essa fu realizzato un disegno
dallo studioso tedesco Johannes Schmidt per conto del Corpus Inscriptionum Latinarum di Ber-
lino: egli indicò, nella parte inferiore della lastra, la presenza di generici ornamenta scolpiti. A
tale proposito si può unicamente sottolineare che, talvolta, nei bassorilievi collegati a sepoltu-
re infantili, potevano essere rappresentati simboli collegati all’infanzia come giochi o animali.
Anche per Q. Fabius Montanus, un bambino sulcitano morto a sette anni all’incirca nella prima
metà del I secolo d.C., si può pensare ad una provenienza da un ceto medio-alto: la sua morte
prematura viene commemorata dal padre con un carme epigraico ricco di pathos e di accenni
alla crudeltà della sorte, il fatum (sotgiu 1988, E 2).
Il sentimento materno, al contrario, si esprimeva con maggiore frequenza sia tra le mura di
casa sia purtroppo nel dolore autentico per la morte dei igli in tenera età. In ogni caso la igu-
ra della mater costituiva il riferimento affettivo ed educativo per i igli piccoli con un rapporto
che continuava e si consolidava anche nell’età della pubertà ed oltre. Si poteva trattare di un
legame fatto di inaspettate tenerezze se a Sulci L. Pompeius Pelagianus, ormai adulto, si occupa
della sepoltura della madre Fabia Ni[ce] alla quale si rivolge conidenzialmente come mam[ma
pie]nt[issim(a)] (sotgiu 1988, B 11).
Ciò riguardava anche igure femminili dell’aristocrazia urbana come le patronae, giunte a sta-
bilirsi in Sardegna a seguito dei mariti, che si occupavano di relazioni e talvolta intrecciavano
rapporti di autentico amore materno nei confronti di pueri e puellae in condizione di schiavitù
– soprattutto se si trattava di vernae, schiavetti nati all’interno delle loro stesse dimore – poi
liberati per iniziativa delle stesse patronae. La matrona Atilia Pomptilla moglie di L. Cassius Phi-
lippus, giunta nell’Isola in epoca adrianea o antonina per condividere i graves casus del marito
– probabilmente il venir meno del favore di un imperatore e il conseguente esilio – visse a
Karales una parte importante della sua esistenza che comprese anche la malattia del marito,
per poi morire in città, all’incirca all’età di sessantadue anni. Il marito devoto fece erigere
per lei il famoso ipogeo funerario detto della “Grotta delle Vipere”, sito sull’attuale viale

226
I bambini e i rapporti familiari

Sant’Avendrace, che conserva iscrizioni greche e latine che documentano, talvolta in modo
preciso, alcuni aspetti della vita della coppia. I coniugi, senza igli propri, avevano provveduto
ad allevare ed educare probabilmente due vernae che poi vennero manomessi da Atilia, rice-
vendone il nome. L. Atilius Felix e [L.Ati]lius Eutychus, grati per le cure e l’amore ricevuto da
bambini e per la nuova condizione sociale di liberti, frutto dell’interessamento di Pomptilla, a
loro volta dimostrano sentimenti profondi di affetto nei confronti dei due coniugi. Nell’ulti-
mo, in ordine cronologico, degli epitafi del complesso di Sant’Avendrace, posto sicuramente
dopo la morte di L. Cassius Philippus successiva a quella di Atilia Pomptilla, Felix ed Eutychus si
rivolgono con appellativi affettuosi, tipici di un lessico intimamente familiare, a chi li aveva
presi in carico da bambini amandoli teneramente, chiamandoli mamma e tata e deinendoli pa-
rentes sancti: i due liberti predispongono per se stessi e per le loro famiglie una futura sepoltura
accanto a quella dei patroni, genitori d’adozione (CIL X 7564).
A costituire un ruolo di supporto della igura materna vi erano poi donne, al servizio delle
famiglie appartenenti ai ceti elevati, che accudivano i bambini nati liberi creando con loro
stretti rapporti che spesso potevano avere connotazioni di tipo affettivo: si trattava di schiave
e liberte impiegate come nutrici e pedagoghe. La liberta Aelia Nereis ebbe un ruolo, peraltro
di dificile deinizione, nell’educazione della sua piccola alumna Aelia Bonavia, nella Karales
della ine del II e del III secolo d.C. (sotgiu 1961, n. 98). La piccola Bonavia morta a sei anni,
quattro mesi e dodici giorni era alumna di Nereis, quest’ultima doveva essere una sorta di pe-
dagoga, educatrice della bimba. Per quanto il sostantivo alumnus/a abbia diversi signiicati a
seconda dei contesti documentari e geograici, in questo caso è assai probabile che esso pos-
sa evocare specularmente un ruolo da educatrice per Nereis, una liberta di origine orientale
secondo l’indicazione fornita dal suo nome, che supportava e a volte sostituiva quello edu-
cativo della madre; ciò del resto accadeva frequentemente nelle case delle famiglie abbienti.
La liberta-educatrice provvedeva probabilmente non all’istruzione diretta delle bambine ma
si curava di afiancarle nel percorso di crescita, tramite i precetti di una buona “educazione”
secondo il modello romano tradizionale.
Il sistema familiare romano, accanto alle relazioni “orizzontali” – fratello-sorella, marito-
moglie, padre-madre e iglio-iglia – prevedeva un sistema genitoriale incentrato, in situazioni
emergenziali, quali ad esempio la morte di uno dei genitori, sulla linea collaterale degli zii
(cognatio transversa) con una precisa distinzione fra zii paterni, legati alla discendenza agnatizia
e patrilineare e zii materni con un legame attraverso il ramo femminile e cognatizio.
Nella Sardegna romana questo sistema pare essersi diffuso, grazie alle migrazioni dalla Peni-
sola di Romani e Italici, in special modo nei centri costieri da Turris Libisonis a Karales; anche
se non va del tutto escluso, con particolare riguardo alla linea cognatizia, che, ancora nella
prima metà del I secolo a.C., si sia veriicata una sovrapposizione, poco traumatica, del mo-
dello parentale romano su quello punico, in centri come quello di Nora fortemente connotati
da una società e da modelli culturali a quell’epoca ancora fortemente punicizzati.
In questo senso vanno considerati preziosi testimoni alcuni epitafi che rendono conto
dell’inluenza capillare del sistema familiare romano, espresso all’interno delle discendenze
agnatizie e cognatizie, dal patruus, lo zio paterno e dalla matertera, la zia materna.
Lo zio paterno (patruus) Donatus, menzionato in un’iscrizione proveniente da Pirri (CIL X
7815), si occupò della sepoltura della nipote Iulia Iucundula, morta undicenne, che era orfana
di padre: Donatus nella sua qualità di patruus, quasi pater alius secondo Isidoro di Siviglia, era
probabilmente il tutore di Iucundula, sottoposta alla sua patria potestas. Si può pensare ad un
vero e proprio ruolo di Donatus nell’educazione della iglia del fratello, ormai quasi in età da
poter divenire sposa se non fosse sopraggiunta la morte: come patruus doveva vegliare sulla
castità e l’onore della fanciulla; questo gli era imposto dall’auctoritas familiare che gli compe-
teva come sostituto del fratello.
Per quanto riguardava la matertera, la zia di parte materna, quasi mater altera secondo il giurista
Paolo Festo, occorre pensare ad un ruolo sostitutivo della madre anche in senso affettivo. Del
resto la perdita della madre creava un vuoto nei igli ancora piccoli e talvolta l’essere afidati
alle cure del personale di servizio della casa non era suficiente ad indirizzare l’educazione dei
igli maschi verso il modello del civis, secondo i dettami del mos maiorum e quella delle iglie
femmine verso il modello femminile della matrona. Anche presso il ceto dei liberti, soprattut-
to a partire dalla seconda metà del I secolo d.C., il venir meno della igura materna rischiava
di compromettere la formazione di pueri e puellae che mirassero rispettivamente a conquistare

227
Paola Ruggeri

Scudo pertinente ad una statua ittile


di gladiatore, da Turris Libisonis.

un ruolo di prestigio, ad esempio nella conduzione di attività economicamente proicue, nel


caso delle puellae a contrarre un buon matrimonio dal quale originare igli nati liberi (ingenui)
ed inine nel caso di igli di liberti imperiali a mantenere il ruolo prestigioso faticosamente
conquistato dai genitori.
Un’iscrizione funeraria quasi sicuramente proveniente da Olbia e trasferita nell’Ottocento
a Genova offre uno spaccato sul quotidiano, necessariamente sintetico, ma che consente
alcune considerazioni circa il ruolo di una matertera vissuta in Sardegna in epoca neroniana.
Claudia Ianuaria, forse sposa di Ti. Claudius Herma, un liberto di Atte – la famosa liberta e
amante di Nerone, autoesiliatasi ad Olbia nel periodo del matrimonio dell’imperatore con
Poppea Sabina – si dedicò a sostituire presso il nipote, iglio della sorella, Ti. Claudius Sp. f.
Gemellus, la madre scomparsa prematuramente. Si noti l’ascendente Sp(urii) f(ilius). Può essere
probabile che la coppia avesse adottato Gemellus, per il quale Ianuaria fu matertera, incarnando
questo importante ruolo sostitutivo materno anche nel compianto per la morte del nipote
avvenuta all’età di nove anni, quattro mesi e quindici giorni (CIL X 7640). I legami tra zie
materne e nipoti continuavano a mantenersi saldi anche una volta terminata l’età infantile
come testimonia il testo di un’iscrizione proveniente da Turris Libisonis in cui, nel III secolo
d.C., la matertera Severa provvide alla sepoltura del nipote Cecilius Gemellus venuto a mancare in
età adulta, a trentasette anni (AE 1992, 899).
Le realtà quotidiana dei bambini nella Sardegna romana doveva essere diversa da ciò che
appare dal complesso delle iscrizioni funerarie loro dedicate da componenti di nuclei fa-
miliari strutturati. Vi erano situazioni dificili negli stessi centri urbani dove vivevano i loro

228
I bambini e i rapporti familiari

coetanei, amati e seguiti nel percorso educativo. Una traccia di una situazione di questo tipo
si può cogliere nella testimonianza di Aulo Gellio sul periodo della permanenza nell’Isola
come questore di Gaio Gracco (dal 126 ai primi mesi del 124 a.C.). Tornato a Roma Gracco
pronunciò dinanzi ai comizi un vibrante discorso sulla parsimonia e la pudicizia, facendo
riferimento al comportamento tenuto in provincia dove non vi era stata, da parte sua, alcuna
indulgenza verso il vizio e l’eccesso: «Nessuna taverna nella mia sede, né fanciulli di aspetto
seducente (neque pueri eximia facie stabant)»; «Fui per due anni nella provincia; se una meretrice
ha varcato la soglia di casa mia o se un qualsiasi giovane schiavo è stato da me adescato (aut
cuiusquam servulus propter me sollicitatus est), ritenetemi l’ultimo e il peggiore di tutta l’umanità»
(Gell., XV, 12, 2, 3). Il questore vedeva con i propri occhi le condizioni di pueri e servuli privati
dell’infanzia e dell’adolescenza, costretti a prostituirsi per sopravvivere e spesso sfruttati da
lenoni senza scrupoli: una situazione diffusa nel mondo romano che coinvolgeva anche le
bambine-puellae. Spesso su quella che attualmente viene deinita a livello socio-pedagogico
“infanzia negata” incidevano l’arcaica pratica dell’esposizione, laddove non interveniva l’in-
fanticidio ed un sistema economico e gerarchico che in alcune fasi storiche non consentiva
la promozione sociale se non per canali privilegiati: certamente divenire l’amasio e l’amante
di qualche personaggio ricco e potente o comunque tirare su la giornata prostituendosi per
molti bambini e adolescenti era una scelta obbligata, tanto più se si era rimasti orfani.
Esistevano certo casi in cui l’orfano veniva accudito, fors’anche amorevolmente, da chi si era
sostituito al padre come C. Ant(onius) Sosius, patrigno di C. Clo(dius) Saturninus, suo privignus
(ossia igliastro) morto ad undici anni, del quale curò la sepoltura (CIL X 7642) nella Karales
tra la seconda metà del II e la prima metà del III secolo d.C. Ma la schiera degli orfani senza
famiglia, privi di supporto economico e di punti di riferimento affettivo dovette ingrossarsi
viepiù, visto anche l’elevato indice di mortalità della popolazione che sottraeva ai igli uno o
entrambi i genitori. Per quanto lontana nel tempo e dalla mentalità della Sardegna romana
del II e del III secolo d.C., fa rilettere l’iscrizione dedicata dalla moglie Paulina e dal iglio
Ianuarius al benefattore Secundus di Olbia che in epoca cristiana (tra V e VI sec. d.C.) nella città
portuale, sulla base del diffuso clima di attenzione verso i pauperes, mostrò cura e si prodigò
nell’assistere gli orfani, tanto da essere deinito pater orfanorum oltre che pauperum refugium.
Forse offriva loro ricovero in una struttura di accoglienza (uno xenodochium?) da lui creata
(CIL X 7995).
Certo dovevano esistere alcune aree rurali della Sardegna romana dove la vita dei bambini era
improntata ad una dimensione diversa rispetto a quella dei centri urbani, anche per via delle
differenti condizioni ambientali e paesaggistiche che consentivano loro una maggior libertà
esistenziale. Il rovescio della medaglia sembra esser stata una mortalità infantile più ampia che
altrove in relazione al defatigante lavoro dei campi, come già accadeva per i propri genitori
inseriti appieno nel sistema produttivo romano della monocoltura cerealicola. Le iscrizioni di
bambini, provenienti dalla regione storica del Barigadu e da Samugheo nell’attuale Mandro-
lisai, aderiscono ad una serie di parametri individuati in alcuni dei primi studi socio-culturali
sulla Sardegna romana, basati su lotti di materiale epigraico – in particolare cippi a capanna
e cupe – provenienti da territori ben delimitati e in antico a forte vocazione agricola. I cippi
a capanna provenienti da Busachi e da Bidonì, con gli epitafi dei piccoli G. Beviranus Verus,
morto a quattro anni (CIL X 7873) e Colonei (AE 1993, 848), morto a due anni, mostrano
che i due bambini appartenevano a famiglie culturalmente legate a radici locali come rilevano
il gentilizio Beviranus, tratto da un nome encorico sebbene al piccolo fosse stata attribuita la
cittadinanza romana e il nome Colonei (apparentemente un nominativo) che sembra derivato
dall’onomastica preromana. Una situazione comune anche alla popolazione adulta che, pur
vivendo nei centri della zona a stretto contatto con Romani immigrati dalla Penisola, mante-
neva tradizioni di una cultura popolare viva e ben radicata, che potrebbero aver avuto rilessi
anche sulla struttura familiare e sul rapporto tra adulti e mondo dell’infanzia. Un contesto
sociale simile parrebbe quello evidenziato dai cippi a capanna provenienti dal territorio di
Samugheo, presso il conine della Barbaria sul Tirso, quello del quattordicenne Tars(i)nius
Q[u]iuse[i f]il[i]us (AE 1993, 837), con nome derivato dal sostrato preromano, e quello della
bimba con nome di tradizione romana, Terentia Antonia, morta a cinque anni (AE 1993, 838).
Al modello del miles, il soldato romano, vennero probabilmente educati i bimbi sepolti pres-
so le necropoli di Perda Litterada e Pira Pateri in prossimità dell’estremo sud-occidentale
dell’abitato di Austis, l’antica Augustis, presidio militare di una coorte dei Lusitani costituito

229
Bambola ittile, un legionario.
Da Turris Libisonis,
necropoli sudorientale,
scavi via Cavour-via Libio, tomba 249.
I bambini e i rapporti familiari

Vaso plastico a forma di maialino


o cinghialetto. Da Turris Libisonis,
necropoli sudorientale,
scavi via Cavour-via Libio, tomba 262.

al termine dell’età augustea: oltre alla sepoltura del trombettiere della coorte, Isasus Chilonis f.
Niclinus (CIL X 7884, nella rilettura di Le Bohec, non Ubasus), la necropoli ha restituito quelle
di tre bambini scomparsi a sette anni, Castricius iglio di un commilitone del trombettiere, Fau-
stus Aedilis (CIL X 7885); Geminius (CIL X 7886) e L. Lucretius (sotgiu 1961, n. 219), il primo
iglio di L. Minucius Severus, mentre il secondo sarebbe stato un giovanissimo liberto al suo
servizio. Nella stessa area venne poi sepolto il piccolo Nercadaus iglio di P. Manlius, nipote di
Graecinus, morto a tre anni e sei mesi, l’epitafio che lo ricorda è uno dei pochissimi nell’Isola
con la rappresentazione di un volto di fanciullo (CIL X 7888). Una piccola comunità dunque
costituita da militari e dalle loro famiglie, in cui i bambini forse giocavano e sognavano scon-
tri e combattimenti. Del resto tutto ciò faceva parte dell’immaginario del bambino romano
che, in taluni fortunati casi, poteva disporre di riproduzioni in miniatura di spade e di igurine
in terracotta, rappresentanti ad esempio legionari, attraverso le quali intravedere un futuro
glorioso secondo gli indirizzi formativi della società in cui viveva.
La recente, straordinaria scoperta, presso l’antica Carbia, nel territorio di Alghero, della sepol-
tura di un bambino tra i dieci e gli undici anni, risalente al II secolo d.C. che ha restituito un
set scrittorio (righello in osso, spatola per la cera in ferro, frammenti della tavoletta scrittoria
in osso), mostra come la vita di alcuni bambini nella Sardegna romana fosse talvolta ricca di
possibilità e come importanti fenomeni di acculturazione potessero riguardare il percorso
educativo infantile anche in piccoli centri a carattere rurale della provincia.

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232
Servi e liberti
Maria Bastiana Cocco

La documentazione relativa alla presenza di servi e liberti privati, pubblici ed imperiali nella
Sardegna romana e i contributi offerti al suo riesame, nel panorama delle ricerche sulla storia
della Sardegna antica, risultano in qualche modo dispersi nell’ambito della letteratura storica,
giuridica, socio-economica, toponomastica ed archeologica relativa alla provincia; ma l’analisi
delle principali fonti letterarie ed epigraiche permette di presentare una sintesi di quali sia-
no stati lo sviluppo, le forme diffuse e le eredità trasmesse dal fenomeno servile in Sardinia,
giungendo attraverso la tarda antichità ino al Medioevo.
Durante l’età repubblicana le popolazioni autoctone dell’Isola avevano rappresentato per i
Romani una fonte di approvvigionamento di prigionieri di guerra, da vendere sui mercati di
schiavi nell’Urbe e presso i principali porti del Mediterraneo; come già proverbialmente fatto
da Sinnio Capitone e da Cicerone, Sesto Aurelio Vittore (De vir. ill. 57, 1-2) ancora nel IV secolo
d.C. si riferiva ad esse con la ben poco lusinghiera deinizione Sardi venales, “da vendere ad un
prezzo ribassato”. La Sardegna, sottratta ai Cartaginesi nel 238-237 a.C., era divenuta provincia
romana insieme alla Corsica nel 227 a.C. non senza ulteriori sforzi bellici necessari al consolida-
mento della conquista; l’espressione dispregiativa Sardi venales secondo Aurelio Vittore sarebbe
collegata con le operazioni militari condotte tra il 177 e il 176 a.C. dal proconsole Tiberio
Sempronio Gracco (padre dei Gracchi tribuni della plebe) contro le popolazioni ribelli locali
Balari ed Ilienses; il testo di una tabula picta citata da Livio (XLI, 28,8) ricordava che, in aggiunta
ai 27.000 indigeni uccisi nei due anni di scontri, sarebbero stati più di 50.000 i captivi portati a
Roma da Gracco: una quantità tale di schiavi, incapaci di parlare il latino e il greco, riversata sui
mercati italici avrebbe provocato il crollo del loro prezzo.
In realtà la presenza di schiavi in Sardegna affonda più in profondità le sue radici nella storia
antecedente dell’Isola, almeno a partire dall’epoca fenicia, con la pratica della ierodulia e della
prostituzione sacra, ed ebbe un ruolo economico decisivo già durante l’occupazione cartagi-
nese, con il potenziamento della produzione cerealicola nel Campidano attuato attraverso il
sistematico ricorso all’utilizzazione di manodopera rurale asservita di origine indigena e libica.
Inoltre, intorno al 378-377 a.C. e quindi ancora in epoca cartaginese, le fonti narrano di un ten-
tativo romano di fondare nell’Isola una colonia transmarina in regime di totale esenzione iscale,
attraverso l’invio di cinquecento coloni (diod. XV, 27,4), in concomitanza con un’epidemia
di peste scoppiata a Cartagine (Diod. XV, 24,2-3): la colonia, identiicata dagli studiosi con la
Fhrwnàa p’lij di Tolomeo (III, 3,4) presso la foce del Rio Posada, sarebbe stata posta sotto la
protezione della dea italica Feronia, legata al mondo plebeo e al diritto di asylum dei servi presso
i santuari.
Tra il II secolo a.C. e il I secolo d.C., l’incremento produttivo agricolo portò all’aflusso da un
lato di coloni romano-italici, immigrati nelle zone più fertili dell’Isola, dall’altro di numerosa
manodopera servile, impiegata non soltanto all’interno delle villae rusticae, ma anche in fun-
zione dello sfruttamento sistematico delle altre risorse economiche: tra esse, gli stagni costieri
furono oggetto di un intenso e redditizio sfruttamento e la loro gestione in età repubblicana
fu afidata in appalto a socii salarii di origine italica. A metà del II secolo a.C. un servus di tali
socii, Cleon, di origini egeo-microasiatiche, verosimilmente dopo essere stato risanato da una
malattia contratta nel poco salubre ambiente lavorativo, poté acquistare e dedicare a Eshmun
Asklepios Aesculapius Merre un’arula bronzea del peso di 100 libbre (33 kg circa), rinvenuta a
San Nicolò Gerrei presso un santuario campestre sede di un culto salutifero preromano (CIL
I2 2226 = CIL X 7856 = ILLRP I 41 = IG XIV 608 = IGR I 511 = CIS I 1, 143 = ICO,
Sardegna, PUN. 9 = AE 2000, 646). All’esportazione del sale sardo potrebbe essere stato
interessato, tre secoli più tardi, anche L. Iulius Ponticlus, un commerciante originario delle Gal-
lie (negotians Gallicanus), ricordato su un cippo funerario del II secolo d.C. rinvenuto a Karales
presso le cosiddette saline di Levante (CIL X 7612): il serbus Primus, che curò la sepoltura del
suo dominus amantissimus, potrebbe averlo seguito in Sardegna per aiutarlo nell’esercizio della

233
Maria Bastiana Cocco

Arula bronzea con iscrizione trilingue


dedicata dal servus Cleon, da San Nicolò
Gerrei.

sua professione, connessa con l’importazione e l’esportazione di merci presso la capitale


provinciale Karales, principale scalo portuale della Sardinia.
La natura stessa del suolo sardo, condizionato stagionalmente dalla malaria e votato rigida-
mente alla cerealicoltura sin dall’età punica, fece della coltivazione per mezzo di schiavi il me-
todo più adatto, conveniente e diffuso anche in età romana tardorepubblicana ed imperiale.
Le fonti epigraiche ci permettono di conoscere l’esistenza in Sardegna di praedia in mano a
una serie di ricchi possessores. La Fundan(ia) Galla ricordata su una lastra frammentaria rinve-
nuta a Tharros è tradizionalmente identiicata con la moglie dell’agronomo romano Varrone,
proprietaria di terre nell’Oristanese (CIL X 7893). A lei nel 36 a.C. Varrone dedicò il De re
rustica (I, 1), forse proprio nell’intento di fornirle utili indicazioni pratiche circa la messa a
frutto delle terre sarde; la donna fu promotrice tra la ine del I secolo a.C. e gli inizi del I seco-
lo d.C. della dedica di un templum con pomar(ium) sacro a una divinità agreste, costruito dal suo
anonimo servus disp(ensator), che ne amministrava una villa localizzata nell’hinterland tharrense.
Tra Planargia e Montiferru, nell’ager di Gurulis Nova, le attestazioni epigraiche (CIL X 7930;
EE VIII, 732, cat. n. 2.84) ricordano nel I secolo d.C. i conini tra le terre degli Euthiciani,
insediati sulla riva sinistra del luvius Olla (il Riu Mannu), e i Giddilitani, una popolazione indi-
gena, probabilmente dedita alla pastorizia, localizzata sulla sponda opposta del iume. Altri
termini fundorum (CIL X 7931, 7932; sotgiu 1961, n. 233, cat. n. 2.83), su base paleograica
databili fra II e III secolo d.C., stabilirono i conini tra gli stessi Eutychiani e alcune popolazio-
ni rurali asservite, in passato ritenute di origine libica o iberica, ma oggi forse da considerare
autoctone: gli Uddadhaddar(itani) (cat. n. 2.84), i [---]rarri(tani) e i [M]uthon(enses), che lavorava-
no nel latifondo delle Numisiae, imprenditrici italiche concessionarie delle terre tra il Riu de
S’Abba Lughida, il Riu Marafè e la sponda sinistra del Riu Mannu.
Centuriazione ed assegnazioni di parcelle viritim dovevano invece caratterizzare il territorio della
colonia Iulia Augusta Uselis e la pertica della colonia Iulia Turris Libisonis. Portando a compimento i
progetti di Cesare, in età triumvirale Ottaviano procedette alla deduzione della colonia proletaria
di Turris, localizzata sulle coste del Golfo dell’Asinara, forse fondata da Marco Lurio, legato di
Ottaviano in Sardegna tra 42 e 40 a.C. La bassa estrazione sociale dei cittadini di Turris, dimostrata
dalla documentazione epigraica locale (dove già ai tempi dalla fondazione alto era il numero di
servi, liberti e loro discendenti), potrebbe trovare un preciso riscontro nell’iscrizione dei cives alla tri-
bù urbana Collina, che secondo un’ipotesi di Silvio Panciera avrebbe soppiantato l’originaria tribù
rustica alla quale potrebbero essere stati inizialmente iscritti gli abitanti (Panciera 1987, p. 48). Era
iscritto alla Coll(ina) anche il ricco C. Vehilius C. l(ibertus) Rufus, committente tra la ine del I e gli
inizi del II secolo d.C. di una splendida urna cineraria in marmo bianco di fabbrica Urbana (CIL X
7967): potrebbe tuttavia trattarsi non di un individuo originario di Turris, ma di un incola, iduciario
di un patronus (dell’Urbe?) di cui avrebbe curato in loco gli investimenti economici.
In età tardorepubblicana la Sardegna fu profondamente coinvolta nel bellum servorum tra i
liberti di Ottaviano e di Sesto Pompeo, in particolare tra il 40 e il 38 a.C. Il controllo dell’Isola
ebbe un ruolo strategico in quello che nelle Res Gestae Divi Augusti (25, 1; 27, 3) è annovera-
to come un vero e proprio bellum servile, che vide come principali protagonisti degli scontri
militari il liberto Menodoro, praefectus classis e legatus di Sesto Pompeo, e i liberti di Ottaviano
Eleno e Filadelfo, che si contesero con alterne fortune la Sardinia prima che lo stesso Otta-
viano, dopo il 36 a.C., riprendesse il completo controllo dell’Isola.

234
Servi e liberti

Epitaio di Axiochus, Ner(onis) Claudi La igura di Sesto Pompeo appare davvero lontanissima da quella di M. Porcio Catone, one-
ser(vus) reg(ionarius), da Sulci. sto pretore della provincia sarda nel 198 a.C., che secondo Plutarco (Cato mai., 6, 2) si distinse
per aver eliminato le futili spese, rinunciando persino all’utilizzo di un mezzo di trasporto
in occasione delle visite uficiali nelle diverse città della provincia, che preferiva raggiungere a
piedi accompagnato soltanto da un servo pubblico (dhm’sioj), il quale gli teneva una veste e
un vaso rituale per le libagioni da compiere durante i sacriici.
Per l’età imperiale occorre soffermarsi sul volontario esilio sardo della concubina di Nerone
Claudia Augusti liberta Acte, che visse nell’agro di Olbia dal 62 al 65 d.C. circondata da una
nutrita e fedele familia servile, in parte epigraicamente documentata. Atte fu imprendito-
rialmente impegnata, all’interno dei praedia precedentemente posseduti dalla gens Domitia nei
dintorni di Olbia e Hafa (attuale Mores), a lei donati da Nerone, nella coltivazione cerealicola
e in diverse attività produttive complementari, come le fabbriche i cui lateres sono stati rin-
venuti in diverse zone dell’Isola. L’amicizia tra C. Cassius Blaesianus, decurio princeps equitum
della cohors Ligurum (equitata) di stanza a Luguido nel I secolo d.C. e Ti. Claudius Actes l(ibertus)
Eutychus, dedicante della sepoltura del militare (sotgiu 1961, n. 313, cat. n. 2.20), potrebbe
indicare l’assegnazione al reparto ausiliario stanziato a Luguido-Oschiri di funzioni di control-
lo e polizia, durante la permanenza di Atte in Sardegna, a tutela dei possedimenti imperiali
nei dintorni di Olbia.
A Karales è attestata la presenza di altri personaggi, probabilmente liberti e loro discendenti,
legati ai praedia sardi dei Caii Rubellii di Tibur (CIL X 7697), invisi a Nerone, e dei Titii Vinii
di Aminternum (CIL X 7719), sostenitori di Galba; famosa è poi la vicenda dell’esule romano
L. Cassius Philippus e della moglie Atilia Pomptilla, il cui heroon monumentale scolpito nella
roccia (la cosiddetta Grotta delle Vipere) si affaccia lungo l’attuale viale Sant’Avendrace; uno
speciale legame affettivo si era venuto a formare tra i due coniugi esiliati in Sardegna e i due
conliberti di Atilia, Felix ed Eutychus, dedicanti ed eredi del mausoleo, i quali nell’iscrizione
incisa sulla parete di fondo del pronaos dell’ipogeo (CIL X 7564) si riferiscono alla patrona e
al marito deinendoli rispettivamente mamma optima e tata, nonché parentes sancti: un evidente
segno di gratitudine e affetto di due ex schiavi verso gli antichi domini, che si spinge ben oltre
il semplice rapporto di subordinazione personale che induceva il liberto all’obsequium e alla
pietas verso il patronus.
La documentazione epigraica relativa agli schiavi e i liberti imperiali, rinvenuta in diverse
località dell’Isola, lungi dall’essere abbondante come per altre province dell’impero, è co-
munque signiicativa per l’individuazione, la localizzazione, la determinazione della probabile

235
Maria Bastiana Cocco

estensione e l’analisi delle forme di amministrazione del patrimonium imperiale in Sardegna.


A Claudio non ancora divenuto imperatore appartenevano i conservi Lyde e Secundio, Ti. Ger-
manici (servi), ricordati su un epitaio da Sulci (AE 1971, 129). A Nerone non ancora impera-
tore apparteneva invece il reg(ionarius) Axiochus, Ner(onis) Claudi ser(vus), sepolto a Sulci dalla
contub(ernalis) Primiginia a metà del I secolo d.C. (AE 2012, 642). Francesca Cenerini ha notato
che Axiochus potrebbe essere stato uno schiavo «già attivo nelle proprietà private del giovane
Nerone in Sardegna trasferito, con la qualiica di regionarius, in quelle imperiali di Claudio nel
Sulcis Iglesiente e qui sepolto insieme ai suoi compagni di servizio» (cenerini 2012).
Saltus e latifundia degli imperatori erano coltivati da servi e talvolta amministrati, con ruoli di
responsabilità maggiore purtroppo non sempre precisabili, da schiavi o liberti imperiali (in
particolare nel retroterra di Karales, Olbia, Sulci e Turris Libisonis); tra tali possedimenti aveva-
no un ruolo economico strategico le zone minerarie di Metalla nell’Iglesiente (dove, a partire
dalla ine del II secolo, vennero coninati alcuni tra i primi cristiani damnati ad metalla), e forse
anche quelle dell’Argentiera e le cave di granito dell’Isola dell’Asinara, insieme a quelle di
Capo Testa in Gallura. Da Metalla provengono i modesti epitai funerari di alcuni servi e dei
componenti dei loro piccoli nuclei familiari: relegati nelle miniere e nelle cave, gli schiavi vi
svolgevano un lavoro durissimo, alloggiati in spartane abitazioni nei villaggi poco distanti dai
luoghi di estrazione.
Il patrimonio imperiale sardo mantenne un’estensione e degli interessi economici conside-
revoli, curati tra il I e il III secolo d.C. da potenti servi, vernae e liberti della familia Caesaris, che
operarono nell’Isola per conto degli imperatori svolgendo importanti compiti sia nell’ammi-
nistrazione dei praedia e delle rendite, in qualità di regionarii (Sulci, Metalla), procuratores metallo-
rum et praediorum (Forum Traiani), dispensatores e arcarii (Karales e ager karalitanus), sia operando
direttamente all’interno dell’amministrazione provinciale, subregionale e cittadina, talvolta
con il ruolo più speciico di procurator ripae (Turris Libisonis), di procurator calendarii (Olbia), di
tabularius provinciae (Karales), di tabularius perticae (Turris Libisonis e Tharros), con funzioni che
potremmo deinire a cavallo tra il patrimonium degli imperatori e l’amministrazione centrale
e periferica della provincia.
I servi e liberti della familia Caesaris vivevano dunque una condizione socio-economica ben
diversa dal resto della popolazione di origine servile; ciò si riletteva positivamente anche
nella loro vita privata: sposavano a volte donne ingenuae, avevano una certa autonomia di
spesa, dedicavano iscrizioni onorarie ed ex voto di pregio.
Molto limitate in Sardinia le testimonianze relative alla servitus publica. Secondo Lidio
Gasperini, schiavi pubblici sarebbero stati impiegati nella manutenzione degli impianti ter-
mali presso le Aquae Ypsitanae, sulla sponda sinistra del iume Tirso: nel I secolo d.C. un [Fe]
lix Ypsit[anorum (servus)] eseguì un intervento edilizio presso una piscina delle thermae (sotgiu
1961, n. 194), mentre tra ine I e inizi II secolo d.C. un’iscrizione funeraria ricorda un
Aque<n>sis, isci (servus), dipendente dal iscus imperiale (AE 1992, 880), in un periodo pre-
cedente alla trasformazione delle Aquae Ypsitanae in Forum Traiani.
A Tharros è documentato un Rogatus, ser(vus) pub(licus), iglio di Hilarus, forse anch’egli servus
publicus (CIL X 7903). Per Karales, fra I e II secolo d.C., sono noti i nomi di due liberti del
municipium Iulium civium Romanorum: C. Iulius Saecularis, mun[icipi l(ibertus)] (CIL X 7682), e
C. Iulius Felicio (CIL X 7844), autore di una dedica in onore dell’arcaico e funerario dio
Viduus, rinvenuta nel Medio Campidano presso Sanluri.
Nel I secolo d.C. visse a Karales il mag(ister) Augustal(is) ed accensus consulum L. Iulius Mario
(CIL X 7552), che dedicò [de pec]unia sua un titulus marmoreo pertinente ad un’aedicula o un
luogo di culto in onore di Aesculapius Aug(ustus), forse in seguito ad una richiesta di guarigio-
ne. Alla celebrazione del culto imperiale era legato anche il mag(ister) Lar(um) Aug(ustorum)
M. Porc(ius) Primig[enius], padre o liberto dei due fratelli (?) M. Porc(ius) Felix e M. Porc(ius)
Impetratus, candidati a Sulci al quattuorvirato aedilicia potestate tra l’età lavia e l’età adrianea:
in loro onore, si occupò della restitutio del templum di Iside e Serapide e delle sue suppellettili
cultuali, forse in corrispettivo della summa onoraria che i due decurioni avrebbero dovuto
versare per la loro candidatura al quattuorvirato (CIL X 7514).
Garantire un eventuale supporto di tipo economico ai propri patroni non era certo l’unico
compito al quale i liberti dovevano attenersi, né l’unico modo attraverso il quale esprimere la
propria ides verso gli antichi domini. Spesso erano proprio i liberti ad occuparsi della sepoltu-
ra del patrono: un bell’esempio “al femminile” in questo senso è senz’altro rappresentato a

236
Servi e liberti

Nora dall’epitaio di Elia Cara Marcellina, vidua sibi suficie<n>s, sepolta tra II e III secolo d.C.
dalla sua liberta Aurelia Victoria, che dedicando il titulus (sotgiu 1961, n. 46, cat. n. 2.14) la
elogia come patrona inconparabilis (!).
Resta invece purtroppo anonimo il liberto (¶pele›qeroj) del corocitaredo Apollonios
(IG XIV, 611), che in età adrianea seppellì a Turris Libisonis il suo patrono, un artista itine-
rante, probabilmente morto all’improvviso dopo aver fatto tappa a Turris per esibirsi nel
teatro cittadino (cat. n. 2.38). Il mare aveva portato nel porto di Turris, intorno alla metà
del III secolo d.C., anche il marinaio Eudromus, servus (?) della Virgo Vestalis Maxima Flavia
Publicia: si tratta forse del timoniere del cunbus Port(u)ensis con l’insegna Porphyris, immune dal
pagamento dei dazi e delle tasse portuali, sul cui scafo era afissa una rara tabella immunitatis
(AE 2010, 620) recuperata durante i recenti lavori di ristrutturazione del porto commerciale
di Porto Torres.
La vicendevole pietà fra domini e servi, fra patroni e liberti e tra gli stessi componenti della fami-
lia servile emerge da una serie di numerose iscrizioni funerarie isolane, tra le quali afiorano
quelle di non pochi alumni e alcuni vernae; al mondo degli alumni e ad un profondo rapporto
di affetto e devozione, del resto, fa pensare anche l’epitaio paleocristiano della giovane
Musa (AE 1992, 202), seppellita il 1 giugno 394 d.C. a Turris Libisonis, sul mons Agellus, dal
suo dominus et nutritor Thalassus Pal(atinus).
Questi testi in realtà rappresentano soltanto la punta dell’iceberg di una documentazione
privata, in parte per sempre perduta, in parte ancora sommersa e da riscoprire, che soprat-
tutto nelle necropoli delle città conservava il ricordo di nomi, famiglie, mestieri, relazioni,
affetti. Il divario tra città e campagna risente naturalmente della scarsa alfabetizzazione
dei servi rurali, che raramente facevano ricorso all’epigraia per comunicare, nonché di una
minore disponibilità economica rispetto alla familia servile urbana. Fuori dalle città, se si
escludono i cippi di conine, la popolazione servile torna ad essere quasi “epigraicamente
muta”: una delle poche eccezioni proviene dalle campagne di Aidomaggiore, nei pressi del
nuraghe Sanilo, dove un anonimo dom(inus) aveva dedicato uno stringato epitaio a Qdabinel,
un servus (o una serva?) con un antroponimo di origine neopunica o protosarda, inciso sul
supporto in basalto con la rarissima tecnica delle lettere a rilievo (AE 1992, 886).
Alcuni signacula in bronzo rimandano all’esistenza di proprietà fondiarie private e fabbriche
nelle zone più fertili, ma anche più interne dell’Isola. Non mancano esempi di signacula

Epitaio di Rogatus, ser(vus) pub(licus),


da Tharros.

237
Maria Bastiana Cocco

bronzei direttamente appartentuti a servi e liberti, che con ruoli di responsabilità lavorava-
no alla catena di produzione dei manufatti, contrassegnando con il loro nome la serie dei
prodotti realizzati.
Ad un momento di pausa dal duro lavoro, all’interno delle fabbriche laterizie olbiensi che
ancora nella seconda metà del IV secolo continuavano la produzione di lateres, va riferito
il grafito occasionale della schiava (H)elenopoli(s), inciso con uno stecco sull’argilla ancor
fresca di un embrice, che ci restituisce il ricordo della sua gioia per il pericolo scampa-
to da Asclepiades (uno schiavo?), suo compagno nel lavoro e forse anche nella vita privata
(AE 1992, 910).
Nel III-IV secolo d.C. nell’agro di Sanluri possedevano fondi il v(ir) c(larissimus) Cens(orius?)
Secundinus, probabilmente un notabile locale piuttosto che un senatore, e l’h(onestissima)
f(emina) Quarta, forse moglie di un cavaliere, le cui terre erano lavorate rispettivamente dagli
asserviti Maltamonenses e Semilitenses: un terminus fundorum (EE VIII, 719) attesta il ripristino
del conine tra i due praedia, resosi necessario in seguito all’asportazione di più antichi cippi
terminali.
Tra IV e V secolo, un ricco membro della gens Aelia donò una cospicua parte dei suoi praedia
privati localizzati nell’ager di Cornus alla locale comunità cristiana: a questi fundi deve essere
collegato un liberto della gens ricordato su un epitaio sub ascia del III secolo d.C., Cn. Aelius
Gaia[nus], incaricato dell’amministrazione inanziaria delle proprietà fondiarie degli Aelii
cornuensi con la qualiica di [arka]rius praedi[orum] (AE 1979, 307).
L’estensione delle proprietà imperiali e di quelle dei ricchi possessores deve dunque aver con-
tinuato a caratterizzare il paesaggio rurale dell’Isola ino ad età tardoantica. In Sardegna fat-
tori come l’isolamento e l’ampiezza dei latifondi avevano favorito a lungo la sopravvivenza
della schiavitù accanto al colonato: un cippo da San Lussorio di Tortolì, secondo l’interpre-
tazione proposta da Piero Meloni (MeLoni 2000), attesta epigraicamente nel IV secolo d.C.
l’esistenza di (servi) vulgares, schiavi agricoli generici, al lavoro all’interno di praedia localizzati
in quest’area della Sardegna centro-orientale in qualità di manodopera rurale servile non
specializzata (sotgiu 1988, p. 589, B 50; cat. n. 2.82).
Ma nel momento in cui i latifondi imperiali passarono dalla tradizionale conduzione diretta,
tramite conductores unici, ad un sistema di gestione indiretta, basato sulla suddivisione del la-
tifondo d’origine in una serie di poderi più piccoli, da afidare in regime di eniteusi a diversi
coloni che avrebbero pagato per l’usufrutto un basso e isso canone d’afitto, la parcellizza-
zione dei praedia portò di conseguenza alla suddivisione dell’instrumentum necessario al lavo-
ro nei campi: gli attrezzi, gli animali da soma e da tiro, ma anche le famiglie di schiavi, prece-
dentemente sottoposte alle direttive di un unico vilicus o conductor, ed ora smembrate al ser-
vizio di diversi domini. L’imperatore Costantino, con una costituzione datata al 29 aprile 325
(o 334) indirizzata al rationalis trium provinciarum Gerulus, sembra essersi interessato diretta-
mente proprio ai problemi sociali delle campagne sarde, ordinando che in Sardinia le famiglie
di servi rurali fossero ricostituite (Cod. Theod. II, 25,1).
La schiavitù non scomparve neppure con l’avvento del cristianesimo, anzi continuò a vivere
all’interno delle strutture religiose e fu integrata nella gestione del patrimonio ecclesiasti-
co, formatosi progressivamente attraverso le donazioni evergetiche di ricchi possessores: la
Chiesa in Sardinia adoperava manodopera e personale servile ancora nel V-VI secolo d.C. se
dall’ager Karalitanus (?) proviene un collare di schiavo (AE 1975, 465), appartenuto al servus
di un Felix arc(hi)diac(onus).
In età bizantina nell’Isola doveva essere ancora attivo il commercio di schiavi, se Gregorio
Magno (Ep. IX, 123: a. 599 d.C.) mandò in Sardegna come suo emissario il notaio Bonifa-
cio per acquistare schiavi barbaricini a buon prezzo, da destinare agli asili e alle strutture in
sostegno dei bisognosi, una volta convertiti al cristianesimo.
Le eredità trasmesse dal fenomeno servile in Sardegna attraverso la tarda antichità sembra-
no giungere ino al Medioevo, quando le fonti – e in particolar modo, tra XI e XIII secolo,
i Condaghes – parlano della contrapposizione di liveros e di servos, registrano la presenza di
ankillas, di livertos e livertatos, di colivertas, di culivertos, inine di terrales de ittu, categorie comples-
se frutto della trasformazione storica delle antiche istituzioni sociali e giuridiche codiicate
nella giurisprudenza romana classica e tardoantica come servi, liberti e conliberti. L’isolamento
geograico, favorendo l’immobilismo sociale, segnò profondamente il passaggio dalla tarda
antichità al Medioevo, passando attraverso la dominazione vandala e l’epoca bizantina.

238
Servi e liberti

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239
Maria Bastiana Cocco

Ara con dedica a Bubastis,


da parte di C. Cuspius Felix.
Da Porto Torres, Terme Centrali.
Porto Torres, Museo Archeologico Nazionale
Antiquarium Turritano.

240
Culti e religiosità
Alberto Gavini

La documentazione archeologica ed epigraica che riguarda la presenza di culti tributati a


divinità pagane nella Sardegna romana è costituita da un repertorio apprezzabile, almeno dal
punto di vista qualitativo. La presenza di un forte sostrato punico e nuragico non ha impedito
agli dei del pantheon romano di trovare con il passare del tempo un buon numero di devoti
anche nell’Isola.
In particolare nel corso dei primi secoli della presenza romana si ebbe una sostanziale con-
vivenza fra le divinità venerate dai Sardi e quelle romane; in alcuni casi si arrivò ad una vera
e propria sovrapposizione fra i “nuovi” e i “vecchi” dei. È il caso dell’iscrizione trilingue
(punico, greco e latino) di San Niccolò Gerrei (CIL X 7856), databile attorno alla metà del
II secolo a.C., nella quale il dio greco-latino Asclepio-Esculapio venne identiicato con il
punico Eshmun, con l’appellativo Merre ad indicarne le qualità di guaritore. Un caso analogo è
quello della base bilingue (punico e latino) di Sulci, che menziona nel I secolo a.C. un tempio
dedicato al culto della dea Tanit-Elat (cat. n. 2.13).
Oltre al culto di Esculapio quello di Ercole è sicuramente uno dei quelli di più antica attesta-
zione in Sardegna. Infatti, prima ancora che i Romani giungessero nell’Isola, il dio era presen-
te già con i Cartaginesi con il nome di Melqart e successivamente con i Greci come Herakles. Il
radicamento sul territorio sardo è evidente nella toponomastica di età romana, dove il nome
del dio è spesso presente, per indicare probabilmente luoghi caratterizzati dal culto del dio;
tali siti presentavano forse templi, sacelli e statue a lui dedicati. Si pensi ad esempio alla Hercu-
lis insula, l’isola di Ercole, l’odierna Asinara, dove doveva esistere almeno un sacello dedicato
al dio, forse dai naviganti che frequentavano continuamente quelle zone. L’isola era visibile
da Turris Libisonis, dove sicuramente il dio era oggetto di culto, come dimostra in particolare
la statua rinvenuta tra il 2006 e il 2010 durante alcuni scavi inizialmente realizzati per ini
edilizi in un’area della città ad alto interesse archeologico. Il retroterra costiero di fronte alla
Herculis insula era anch’esso fortemente connotato dal dio, come dimostra la statio ad Herculem
nota dall’Itinerarium Antonini e localizzabile presso Stintino, nel cui territorio è ancora oggi
conservato il toponimo Cuili Ercoli.
Andando verso oriente un altro centro costiero nel quale Ercole è attestato è Olbia, dove
presso la chiesa di San Paolo sono stati rinvenuti i resti di un tempio e una testa di terracotta
del dio databile al II secolo a.C. Un culto salutifero riconducibile al dio è stato invece identii-
cato presso l’ipogeo di San Salvatore di Cabras, dove si è conservato un grafito che rafigura
Ercole mentre strozza il leone nemeo. Tornando alle attestazioni di carattere toponomastico
si deve citare anche un Herculis portus identiicato nel sud dell’Isola, a est di Bithia e di Nora. Da
Carales invece proviene invece una piccola ara con dedica a Hercules Victor. Nell’interno della
Sardegna e per la precisione da Serri, dove si localizza l’antica Biora, è stata inine rinvenuta
una dedica ad Ercole databile al II secolo d.C., eseguita dai Martenses (CIL X 7858), forse un
collegio paramilitare devoto anche a Marte.
Con l’età imperiale il quadro religioso pagano dell’Isola si fa più articolato; è in questo perio-
do infatti che le divinità romane si affermarono con maggiore decisione.
La centralità dell’Isola nel Mediterraneo ha inoltre favorito il contatto con culture re-
ligiose provenienti da zone talvolta anche molto distanti: è il caso ad esempio dei culti
orientali, originari dell’Egitto e del Vicino Oriente antico. Secondo quanto riferisce in
maniera dettagliata Tacito, nel 19 d.C. durante il regno di Tiberio 4000 liberti furono in-
viati nell’Isola per reprimere il brigantaggio, in seguito ad un editto del senato. La notizia,
presente in maniera più o meno analoga anche in Flavio Giuseppe, Svetonio e Cassio
Dione, riguardava uomini di religione ebraica e di fede egizia (questi ultimi, secondo
qualche studioso, non presenti fra i 4000 liberti ma forse giunti ugualmente in seguito al
senatoconsulto) che poi continuarono le loro pratiche cultuali in Sardegna contribuendo
probabilmente alla diffusione di queste sul territorio della provincia.

241
Alberto Gavini

Forse la precoce attestazione dei culti isiaci nell’Isola è riconducibile proprio a questo evento.
Già nel 35 d.C. tali culti dovevano infatti essere ben radicati: lo dimostra la dedica alla dea
Bubastis di un’ara cilindrica a Turris Libisonis da parte di Gaio Cuspio Felice (cat. n. 2.1). Il
documento, di grande importanza dal punto di vista storico-religioso, attesta un culto del
quale non sono rimasti molti documenti nel mondo romano, soprattutto per quanto riguarda
l’ambito epigraico: sono infatti meno di dieci le iscrizioni in latino che sono riconducibili al
culto della dea. Davanti ad un repertorio così ridotto è facile capire che l’ara turritana assume
un ruolo importante non solo in ambito sardo, ma anche in un contesto molto più ampio.
Una divinità femminile di grande successo nell’Isola fu sicuramente Cerere: oltre ad un nu-
mero elevato di busti ittili che la rappresentavano, la venerazione nei confronti della dea è
documentata anche da una iscrizione che ricorda la realizzazione di una edicola a lei con-
sacrata ad Olbia da Atte, la liberta di Nerone che fu costretta ad allontanarsi da Roma e ad
andare in Sardegna in seguito al matrimonio dell’imperatore con Poppea. La dedica fu proba-
bilmente un gesto di ringraziamento della liberta nei confronti della dea poiché Nerone si era
salvato da una congiura che era stata ordita nei sui confronti nel 65 d.C. proprio nell’ultimo
giorno dei Ludi Ceriales, giochi circensi in onore di Cerere. Di tale monumento si conserva
oggi, all’interno del cimitero monumentale di Pisa, una parte dell’epistilio sul quale è incisa
la dedica.
La diffusione in Sardegna del culto di Cerere, protettrice dei raccolti, è ben documentata,
come è stato già evidenziato, da numerosi busti ittili: la forte vocazione cerealicola dell’agri-
coltura dell’Isola in età romana è probabilmente alla base di questo fenomeno.
A questa stessa situazione deve forse essere ricondotta, almeno in parte, anche l’affermazio-
ne dei già citati culti isiaci: è il caso della dedica di Gneo Cornelio Clado a Iside, rappresentata
come Thermouthis (AE 1932, 63), divinità femminile con busto di donna e coda anguipe-
de. L’iscrizione è incisa su un altare di marmo di forma parallelepipeda sul quale, oltre ad
Iside-Thermouthis, sono rafigurati due animali legati al mito di Iside ed Osiride: il coccodrillo
Souchos e il cane Sothis. In considerazione del fatto che Thermouthis era la forma agraria di
Iside nonché la protettrice dei naviganti, è possibile che il dedicante fosse scampato ad un
naufragio, magari insieme ad un carico di grano sardo, oppure potrebbe aver ringraziato la
dea per un raccolto favorevole. Sia la dedica a Bubastis che quella ad Iside-Thermouthis sono da
ricondurre alla frequentazione di un tempio isiaco che sicuramente doveva esistere a Turris
Libisonis. A tale contesto potrebbe essere connessa anche una lucerna ittile sulla quale è raf-
igurato Anubis, il dio cinocefalo spesso rappresentato come accompagnatore di Iside: studi
recenti hanno messo in rilievo la presenza di lucerne a soggetto isiaco presso ediici di culto.
Sempre ad Iside è riferita l’iscrizione rinvenuta a Castelsardo che celebrava la realizzazione
per la dea egizia di un sacello, costruito dalle fondamenta, da parte di due fratelli, Quinto
Fuio Proculo e Quinto Fuio Celso (CIL X 7948). Un altro tempio isiaco, in questo caso
dedicato ad Iside e a Serapide, era attivo tra il I ed il II secolo d.C. nell’antica Sulci, importante
centro che sorgeva sull’Isola di Sant’Antioco. L’ediicio fu restaurato da un liberto in onore
di due fratelli, Marco Porcio Felice e Marco Porcio Impetrato (CIL X 7514), che raggiun-
sero la massima magistratura del municipium di Sulci: il quattuorvirato. Anche in questo caso
la presenza dei culti isiaci potrebbe essere riconducibile, almeno in parte, al mondo della
navigazione e dei trafici commerciali, essendo stato il centro sulcitano da sempre a forte vo-
cazione marittima. Purtroppo sia per Castelsardo che per Sant’Antioco non è stato possibile
individuare con certezza assoluta le strutture dei templi, poiché probabilmente sono ormai
completamente distrutte.
Dall’Isola di Sant’Antioco proviene anche un reperto isiaco di carattere personale: si tratta
di una statuetta bronzea di Arpocrate, il iglio della dea Iside. Ad un ambito privato sono at-
tribuibili anche altri reperti isiaci rinvenuti in aree più interne della Sardegna: è il caso di una
gemma con un’acclamazione in greco a Zeus Serapide rinvenuta a Sorgono e di tre statuette
bronzee rafiguranti il toro Apis ritrovate a Bolotana (due esemplari) e ad Oliena. I culti isiaci
erano inine praticati anche a Carales, dove esiste una situazione analoga a quella turritana: si
conservano molti reperti che denunciano il gradimento nei confronti della gens isiaca, ma è
assente un’iscrizione che menzioni un tempio, ediicio che pur doveva far parte dell’impianto
urbanistico della città romana. È il caso ad esempio della doppia corona dell’Alto e del Basso
Iscrizione con dedica a Iside-Thermouthis. Egitto, con iscrizione latina databile ad età lavia, che doveva far parte di una statuetta di
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna. Horus. Oltre ad alcune singi (cat. n. 1.238), rinvenute nei quartieri di Stampace e di Castello,

242
Fordongianus, area archeologica
di Forum Traiani,
iscrizione con voto alle Ninfe.
Alberto Gavini

vi sono anche un Osiride-canopo acefalo proveniente dalla zona di San Mauro e una statua
di sacerdote isiaco scoperta durante gli scavi effettuati presso la chiesa di Sant’Eulalia (cat.
n. 1.235).
Le sorgenti termali intorno alle quali si è sviluppato il centro di Forum Traiani (oggi Fordon-
gianus), già Aquae Ypsitanae, hanno connotato profondamente la vita religiosa di questo sito.
Non è un caso infatti che proprio qui vi siano attestazioni delle Ninfe, anche con l’attributo
di salutares, in particolare nei primi anni del III secolo d.C. Sono collocabili precisamente tra
il 4 febbraio 211 e il 26 febbraio 212 due dediche in favore di Quinto Bebio Modesto (AE
1998, 671), che fu governatore della Sardegna. È dunque evidente che le qualità terapeutiche
della acque forotraianensi dovevano essere ben note e si conidava nel potere delle divinità
guaritrici.
Ad età severiana è riconducibile anche l’ultima fase del più noto santuario sardo di età
romana: il tempio di Antas. L’ediicio, restaurato durante il regno di Caracalla tra il 213 e il
217 e oggi visibile grazie alla ricostruzione effettuata nel secolo scorso, era dedicato al Sardus
Pater, divinità eponima del popolo sardo. Il dio era iglio del libico Makeris, identiicabile con
Melqart-Ercole. Era una divinità antica e tradizionale, all’origine della stirpe dei Sardi. Era raf-
igurato, su monete del 38 a.C. fatte battere da Ottaviano nella zecca di una città sarda, con la
testa barbata, una corona di piume e un giavellotto sulla spalla. Il tempio di Antas, del quale
è stata individuata una prima fase romana di età augustea, è prostilo tetrastilo su podio ed è
Fluminimaggiore, area archeologica caratterizzato da una cella con sul lato di fondo un penetrale bipartito.
di Antas, tempio tetrastilo con dedica Di qualche anno precedente è un’iscrizione rinvenuta a Ossi con dedica a Giove Dolicheno
al Sardus Pater. (CIL X 7949) in favore di Caracalla e Geta, membri di una dinastia imperiale, quella severiana,

244
Culti e religiosità

molto presente nelle iscrizioni legate al dio di Doliche, probabilmente a causa dell’origine si-
riana della moglie di Settimio Severo, Giulia Domna. Assimilato a Giove Ottimo Massimo,
il dio era molto amato dai militari ed era rafigurato solitamente con una corazza da generale
romano, nell’atto di brandire con la mano destra un’ascia bipenne, mentre nella sinistra tene-
va un fascio di fulmini.
Proprio a Giove Ottimo Massimo, il dio capitolino per eccellenza, era sicuramente tributato
un culto nei principali centri della Sardegna romana come in quelli minori, in particolare in
età imperiale. Una dedica rivolta al dio è stata rinvenuta a Las Plassas, in un territorio che
doveva appartenere all’antica colonia augustea di Uselis, l’odierna Usellus (cat. n. 2.67). La
realizzazione del monumento fu opera dei pagani Uneritani, cioè gli abitanti del pagus di Uneri,
un piccolo sito che evidentemente gravitava nell’orbita della colonia. Il dio poteva essere
anche venerato in associazione con altre divinità, specialmente Giunone e Minerva: è il caso
di una dedica di Martis rivolta proprio alla triade capitolina, oltre che a Spes e Salus, a favo-
re dell’imperatore Massimino il Trace e di suo iglio Massimo. Oltre ad un potere salviico
Giove aveva anche un ruolo politico, molto evidente nell’iscrizione che lo ricorda nei pressi
di Bidonì, su un altare rupestre probabilmente pertinente ad un tempio, identiicabile con
una struttura della quale si conservano solo le fondazioni: ciò è riconducibile alla volontà di
affermare la presenza romana in una zona di conine tra la Barbaria e i territori ove i Romani
erano più presenti.
Per quanto riguarda Giunone si ricordi una dedica rivolta alla dea da un sacerdote del culto
imperiale, Marco Favonio Callisto, che ricorda il dono di una casa di Carales effettuato dalla
propria iglia Favonia Vera in favore dei cittadini di Nora, dove l’iscrizione fu esposta. In
ambito funerario invece la dea è ricordata come Iuno infera nella Grotta della Vipera a Carales.
A proposito di divinità legate alla morte e al mondo dei morti è sicuramente di notevole
interesse l’attestazione epigraica, anche in questo caso di ambito caralitano, di Viduus (CIL
X 7844, non noto da altre iscrizioni), che secondo Varrone, Tertulliano e Cipriano era un dio
che aveva il compito di presiedere al distacco dell’anima dal corpo.
Alcune divinità venerate in età romana ci sono note in Sardegna solo da reperti anepigrai.
È il caso ad esempio di Sabazio, dio traco-frigio, spesso assimilato dai Greci a Dioniso, che
prendeva forse il nome da una bevanda fermentata usata nel corso dei riti. A lui è riconduci-
bile una mano destra bronzea posta nel gesto della benedictio latina, cioè con le prime tre dita
distese e con l’anulare ed il mignolo ripiegati a contatto con il palmo. Il reperto, dotato nella
parte inferiore di un incavo funzionale all’inserimento di un asta, è ornato da una ricca deco-
razione costituita da elementi legati al dio fra i quali un serpente, animale a lui sacro. Si tratta
probabilmente dell’elemento sommitale di una sorta di scettro, usato dai sabaziasti nel corso
delle loro cerimonie. Sabazio è stato identiicato anche in un bronzetto che lo rafigura, con
la barba e in abbigliamento frigio (berretto, tunica corta e calzari), con i piedi su una testa di
ariete, mentre alza il braccio destro e fa con la mano il gesto di benedizione.
Un’altra divinità per la quale non si hanno nell’Isola iscrizioni ma della quale si conosce un
importante documento scultoreo è Mitra. Per la precisione si tratta di un frammento di un
rilievo che conserva l’immagine di Cautopates (cat. n. 1.196), uno dei due assistenti del dio; con
Cautes formava la coppia dei geni del tramonto (il primo) e dell’alba (il secondo). Entrambi
venivano solitamente rafigurati, come dadofori, ai lati di Mitra che uccide il toro in quella che
era nei templi mitraici l’immagine principale di culto: la tauroctonia. Cautopates è rappresenta-
to come un uomo vestito con una tunica corta, i pantaloni alla moda persiana ed un mantello
issato al petto. Il reperto è stato scoperto nell’area delle terme centrali di Turris Libisonis,
non lontano dalle quali doveva esistere un mitreo nel quale il rilievo doveva essere collocato.
Come è stato notato per i casi delle iscrizioni dei templi isiaci di Castelsardo e Sant’Antioco,
non sempre è possibile associare un’epigrafe pertinente alla dedica e alla realizzazione o al
restauro di un tempio ad un ediicio preciso, o perché questo non si è conservato, o perché
non è stato ancora scoperto, o a causa del fatto che il testo che lo menziona non è stato rin-
venuto nel contesto originario. In tutte queste situazioni l’esistenza del documento epigraico
rappresenta un fondamentale elemento per la ricostruzione ideale dell’assetto urbanistico di
una città antica. È quello che succede per Turris Libisonis a proposito del tempio della Fortuna
(CIL X 7946) che, secondo quanto è riportato su un’epigrafe databile al 244 d.C. (all’inizio
del regno di Filippo l’Arabo), fu restaurato insieme alla basilica giudiziaria della città.
Un culto completamente nuovo creato dai Romani con la ine dell’età repubblicana fu quello

245
Alberto Gavini

imperiale. Che si sia sviluppato per iniziativa dei poteri locali o che sia stato incentivato da
Roma, esso ebbe in Sardegna una buona diffusione. Fino all’età adrianea il culto imperiale
era amministrato dal lamen provinciae, che subito dopo fu sostituito dal sacerdos provinciae, titolo
che pare essere stato considerato più autorevole. Il ruolo di sacerdote del culto poteva essere
ricoperto anche dalle donne: per quanto concerne la Sardegna è attestato in particolare a
Carales, dove il quartiere nel quale sorgevano i templi di Marte e di Esculapio (Vicus Martis et
Aesculapi) ricordava in un’iscrizione la laminica perpetua Titia Flavia Blandina e dove una base di
statua ricorda Giulia Vateria, altra laminica. Il culto imperiale veniva celebrato in un ediicio
deputato unicamente a tale scopo, l’Augusteum, del quale si ha ad esempio un’attestazione
a Bosa: un’iscrizione rinvenuta nel paese della Planargia ricorda la realizzazione di statue di
Antonino Pio, della moglie Faustina e dei igli Marco Aurelio e Lucio Vero. Si occupavano
del culto imperiale anche i magistri augustales e, ad un livello inferiore, i loro ministri (aiutanti):
è nota per Carales un’iscrizione incisa su una doppia corona dell’Alto e del Basso Egitto, della
quale si è già detto a proposito dei culti isiaci, che ricorda proprio un minister di questo genere
(sotgiu 1961, n. 49). Il fatto che tale iscrizione sia stata incisa su un reperto di matrice egizia
ha lasciato supporre una qualche connessione fra il culto imperiale e i culti isiaci. Trattandosi
di un testo databile probabilmente ad età lavia tale situazione è abbastanza verosimile, in
considerazione del favore che la gens isiaca godeva in quel periodo.
Il quadro d’insieme che è stato qui presentato per illustrare la situazione religiosa della Sarde-
gna in età romana dà conto della vivacità dell’Isola in quel periodo. L’incontro fra le divinità
sardo-puniche e quelle romane non solo non aveva prodotto traumi, ma anzi aveva genera-
to situazioni di convivenza virtuosa. Man mano che la presenza romana si fece più decisa
nell’Isola si giunse ad un ovvio e naturale cambiamento di mentalità religiosa, in particolare
nei centri principali e nelle aree costiere, con l’affermazione delle divinità venerate a Roma.
I problemi iniziarono quando il Cristianesimo riuscì ad imporsi politicamente. La volontà di
eliminare ogni traccia di paganesimo trovò però una iera opposizione da parte degli abitanti
dell’Isola, evidentemente molto legati alle loro tradizioni religiose. Il paganesimo aveva infatti
sviluppato in Sardegna, come in altre parti dell’impero, una serie di pratiche magiche e di ma-
ledizioni che facevano ormai parte della religiosità popolare. Questa situazione è dimostrata
dal fatto che ancora al tempo di Gregorio Magno i Sardi erano dediti all’adorazione di idoli
di legno e di pietra (ligna et lapides).

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247
Alberto Gavini

Iscrizione funeraria giudaica


con l’epitafio di Anianus.
Da Porto Torres, Terme centrali.
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna.

248
Ebrei in Sardegna: storia, siti e materiali
Marianna Piras

Il punto di partenza per la storia degli ebrei in Sardegna è il 19 d.C., anno in cui Tiberio
emana un senatusconsultum che espelle quattromila Ebrei, libertini generis, da Roma, inviandoli
in Sardegna. Le motivazioni andrebbero quindi rintracciate nel clima di tensione che c’era a
Roma in quegli stessi anni a causa dei gravi problemi per l’approvvigionamento del grano, e
rapportate alla questione delle distribuzioni annonarie per gli Ebrei, nonché alla malattia che
portò Germanico alla morte poco dopo essere tornato dalle province orientali e inine alle
inondazioni del Tevere. Non sono tutti elementi che chiamano in causa direttamente i giudei,
ma contribuirono senza dubbio a creare nei loro confronti un clima non positivo. Un’altra
motivazione potrebbe essere ricercata nell’usanza degli Ebrei di inviare offerte al tempio di
Gerusalemme. Ovunque essi si trovassero erano tenuti ad inviare ogni anno due dracme a
Gerusalemme, cosa che ovviamente non era ben tollerata negli ambienti romani. Già Cicerone
nel 62 a.C., difendendo L. Flacco, aveva avuto modo di criticare aspramente quest’usanza
affermando che fosse dannosa sul piano economico e pericolosa su quello politico. Queste
informazioni dovevano essere note all’epoca di Tiberio, in cui la Giudea dava segni di pro-
fondo scontento dovuto sia a motivazioni economiche, sia a fermenti nazionalistici.
Questa è l’unica notizia certa riguardante la presenza ebraica in Sardegna, almeno ino alle
lettere di Gregorio Magno, risalenti al VI secolo. Sono dunque i materiali a dover fare luce
sulla loro presenza nell’Isola.
Per quanto riguarda le iscrizioni ebraiche si dovrebbe tenere presente quanto detto da Heikki
Solin a proposito delle iscrizioni cristiane, ovvero che non si dovrebbe parlare in senso stretto
di epigraia cristiana, quanto di iscrizioni poste per persone che avevano fatto una precisa
professione di fede e che esse, tecnicamente, non presentano particolari differenze con quel-
le pagane. Per l’ambito ebraico in particolare dobbiamo tenere presenti alcuni particolari
elencati con precisione da Le Bohec (Le Bohec 1981). Secondo lo studioso, per essere de-
inita ebraica un’iscrizione deve rispondere ad almeno uno dei seguenti requisiti: il contesto
di ritrovamento deve essere di sicura pertinenza ebraica; devono essere presenti caratteri
ebraici, formule eulogiche in lingua ebraica o l’etnico iudaeus/-a; l’onomastica deve rimandare
inequivocabilmente all’ambito biblico, ed è in base a questi principi che ho scelto di valutare
i materiali indicati come ebraici ritrovati in Sardegna.
Da un punto di vista strettamente epigraico, la Sardegna è caratterizzata innanzitutto da
una grande assenza documentaria, quella del caput provinciae. Il centro di Carales infatti non
ha restituito alcun manufatto epigraico, il che va contro quanto emerge dalle fonti scritte
che lasciano intendere che a Carales esistesse una comunità ricca, numericamente e social-
mente importante da intrattenere legami con i notabili e con vertici militari. Non sono solo
i materiali epigraici a scarseggiare, in generale tutti i materiali ebraici ritrovati a Carales
sono di scarso valore e ritrovati fuori contesto. Si tratta principalmente di lucerne ittili o
frammenti di esse marchiati con la menorah. Il primo manufatto su cui ci soffermeremo è l’i-
scrizione corsiva bilingue, detta “di Bonus”, dipinta in rosso nell’arcosolio A4 dell’ipogeo di
Beronice a Sulci (EDR152993). Il testo ebraico era ritenuto illeggibile ino al 2009, quando
ne è stata data lettura da Cesare Colafemmina (coLaFeMMina 2009). Si può dare una doppia
interpretazione di questo testo, considerandolo o come un’acclamazione funeraria o come
un epitafio vero e proprio. Collocando il nome nella lacuna il testo sarebbe interpretabile
come un’acclamazione funeraria, mentre nel secondo caso Bonus sarebbe un antroponimo,
attestato in questa forma sia in età tardoromana sia in ambito cristiano in un buon nume-
ro di casi. A. Corda sostiene inoltre che non si può escludere che il secondo Bonus sia un
ulteriore antroponimo, seppure identico al precedente, o ancora che possa essere la parte
inale di un elemento nominale come [Homo]bonus attestato in CIL XIII 10010, 987 (corda
1994). C. Colafemmina invece propone una lettura diversa, poiché studiando l’apografo del
Taramelli legge Bonus fe(cit), In pace Bonus.

249
Marianna Piras

Il testo in lingua ebraica era ritenuto illeggibile, sebbene P.B. Serra sostenesse che il testo in
latino fosse la sua legenda. C. Colafemmina, riprendendo la lettura di V. Colorni, sostiene che
a destra si possa leggere benissimo !ma [- - -] lc ~wlv. Si tratta di una formula normalmente
completata in questo modo !ma larvy lc ~wlv ovvero “Pace su Israele, amen”. Il testo tra-
scritto dal Sanilippo riporta soltanto !ma ~wlv. Sul lato sinistro prima dell’arco compaiono
infatti degli scarabocchi che vorrebbero essere dei caratteri ebraici “abbelliti”, come attesta
appunto la presenza di “amen”, mentre le altre lettere potrebbero essere quindi interpretate
come “su Israele” con le lettere la in nesso. Chi tracciò l’iscrizione dovette quindi completare
il testo con degli arabeschi in maniera piuttosto approssimativa.
Non si tratta dell’unica iscrizione dall’interpretazione dubbia proveniente da Sulci. Un altro
testo infatti presenta problemi interpretativi ben maggiori e di peso indubbiamente più
importante. Si tratta di EDR152996, rinvenuta nell’ipogeo di Iuda. L’iscrizione si presenta
piuttosto in cattivo stato di conservazione poiché, dopo che la tomba fu fotografata, si
decise di scoperchiarla. Questo fatto causò il disfacimento dell’intonaco su cui era dipinta
l’iscrizione, danneggiandola. Si tratta della terza attestazione del nome Iuda in Sardegna
dopo un’iscrizione proveniente da Isili e un anello digitale. Secondo A. Corda, vista la lacu-
na centrale in cui per lo studioso potrebbe ipotizzarsi un simbolo oggi perduto, l’elemento
nominale potrebbe essere Iudonti, emendabile in Iud a nti di cui abbiamo un importantissi-
mo precedente nell’iscrizione di Meliosa proveniente da Tortosa (CIL II2 14, 806; CIJ 661).
C. Colafemmina ritiene che il testo possa essere integrato dalla carica ricoperta dal defunto,
Iud[anti arc]onti, fatto che spiegherebbe anche la ricchezza della decorazione del sepolcro e
la cura dell’epitafio.
In ll. 3-4 il termine anoro sta per annorum, di cui A. Taramelli presuppone una ripetizione er-
rata, tuttavia sembra più corretta l’interpretazione di A. Corda che suggerisce una possibile
sepoltura bisoma indicando in [- - -]enus un secondo elemento nominale oppure una formula
indicante l’approssimazione di età con l’apertura della vocale i>e, [plus m]enus.
Il testo in lingua ebraica presenta una formula molto consueta nelle iscrizioni giudaiche “Pace
su Israele, amen, amen”, formule molto diffuse nell’epigraia ebraica e ampiamente riprese dai
Salmi. Non è chiaro il motivo per cui il termine wma sia scritto destroso. Forse si tratta di im-
perizia del realizzatore o forse si è deliberatamente deciso di scriverlo in maniera “singolare”.
Tenendo per buona la lettura di C. Colafemmina si può rivalutare in modo più compiuto
anche la dibattuta iscrizione di Peon Geta (CIL X 1449*; CIJ 526; JIWE 174). Quest’ultima
iscrizione è stata ritenuta a lungo un falso, poiché il manufatto originale di fatto non è mai
stato ritrovato. Tuttavia è possibile pensare che si tratti effettivamente di una traduzione la-
tina di un’originale iscrizione greca come d’altronde è sostenuto dal Muratori che per primo
la riporta. Il testo in questione nominerebbe un senex, un membro del consiglio degli anziani
della comunità, cioè della gherousia. Erano gli arconti che avevano terminato il loro periodo
di incarico ad entrare a far parte della gherousia, dunque se Iuda era stato un arconte della co-
munità di Sulci, non deve stupire che esistesse anche una gherousia e che Peon Geta in un altro
periodo ne abbia fatto parte. In questo caso un importante tassello si inserirebbe a delineare
il quadro della comunità sulcitana.
Salendo verso nord e spostandoci a Turris Libisonis, dobbiamo considerare l’iscrizione di
Anianus (EDR078727, cat. n. 2.45).
I primi problemi sorgono nella valutazione della lacuna delle prime due linee, in cui anche la
dimensione ridotta dei caratteri permette di individuare due possibili letture. La prima è i[li]
/ Iacotuli, in cui Iacotulus sarebbe una corruttela per Iacobtulus, diminutivo di Iacob, una lettura
quindi suggestiva per il richiamo al nome biblico tipicamente giudaico, che tuttavia non ha
riscontri epigraici. Si è scelto qui di propendere per l’ipotesi di A. Corda (corda 1994) che
legge i[l]/i Acotuli, con un’apertura in seconda sillaba u>o probabile volgarismo o semplice
errore. Sono attestate in epigraia sia la forma Acotulus sia Acutulus, in particolare ne abbiamo
un esempio al femminile a Roma proveniente dalla catacomba di Domitilla (ICVR III, 6524).
In l. 3 è particolare l’uso del termine pater per identiicare il nonno, mentre sembra meno pro-
babile la lettura proposta da A. Mastino pate/ris (synagogae), un titolo di carattere onoriico che
sembra non comportasse alcun tipo di onere per chi ne era insignito, il quale poteva dedicarsi
ad attività di beneicenza e di aiuto alla comunità, probabilmente si trattava dei inanziatori
della sinagoga e si poteva essere insigniti di questo titolo anche per più comunità (Mastino
1984). A. Corda si sofferma sulla sequenza DEINGEN con attenzione. Nella prima edizione

250
Ebrei in Sardegna: storia, siti e materiali

del testo viene sciolta con dein gen(itus), locuzione indicativa della nascita a una nuova vita,
quella celeste ed eterna, mentre nell’AE viene interpretata come causa patologica della morte
di Anianus, ovvero de ing(u) i n(e). Tuttavia la proposta di A. Corda, che riprende in parte quella
del primo editore, sembra la più credibile e quella coi maggiori riscontri. Lo studioso infatti
legge (in) dei n(omine) gen(itus), con un riferimento nell’iscrizione trilingue di Meliosa da Tarra-
gona, che pur con vocaboli diversi riprende il medesimo concetto, e in CIJ 671 che invece si
presenta proprio speculare. C. Colafemmina invece riprende la lettura proposta da D. Noy
sostenendo che negli epitafi giudaici e cristiani l’indicazione di mortu(u)s era seguita dall’età
del defunto o dalla data di morte, indicazione molto comune secondo J. Janssens. L’età qui è
espressa dopo vixit, perciò DEINGEN sarebbe da suddividere in DEI N GEN. Dei sarebbe
una semplice inversione per die, mentre n sarebbe l’abbreviazione di n(onarum), inine gen sa-
rebbe l’abbreviazione di gen(uarium), forma tarda di Genuarius. La lettura proposta da D. Noy
e C. Colafemmina sarebbe dunque: dei n(onarium) gen(uarium).
I casi dubbi non riguardano solo l’interpretazione del testo, ma anche l’attribuzione o meno
all’ambito epigraico. Mentre ormai non appaiono più dubbi sul dover espungere il sigillo
di Aster dal computo dei materiali ebraici, resta ancora dubbia l’attribuzione dell’iscrizione
trovata ad Ardara, l’iscrizione di Sedecam (EDR153001).
Il dubbio di attribuzione nasce dall’interpretazione del patronimico in l. 2. G. Piras sostiene
che si possa riferire all’ambito giudaico o quanto meno giudaizzante e propone di integrare
con [A]ronis (Piras 2009). In epigraia le attestazioni del nome biblico Aron, anche nella
forma Aaron, sono molto scarsi. Nella forma Aaron compare solo in un papiro del Fayyum
datato al 114 d.C., su cui permangono dubbi sull’appartenenza all’ambito giudaico, e in un
epitafio da Wadi al-Mukatteb, nel Sinai, dedicato alla memoria di Mosè, Samuele e Aronne.
Secondo T. Ilan, il nome di Aronne non venne mai portato nella Palestina post biblica e le
scarse tracce possono dipendere da questo (iLan 2008). Anche nelle fonti documentarie resta
la stessa situazione di scarsità di attestazioni e l’unica attestazione riguarda un papiro di un
censimento del III secolo a.C., ma sul nostro ÇArwn non si ha comunque la certezza di giu-
daicità. In Sardegna la prima attestazione risale addirittura al ‘400. Come fa notare lo stesso
G. Piras, non è sempre possibile pensare che ad un nome di pertinenza giudaica corrisponda
un personaggio di religione ebraica, ma egli stesso sostiene che per ÇArwn ci sia ancora un
margine di incertezza. Tuttavia va considerato che nel nostro caso l’integrazione [A]ronis è
essa stessa dubbia e meritevole di ulteriori approfondimenti. Per l’H inale l’integrazione più
probabile è h(ic situs est), oppure come abbreviazione di h(eres) che si accorderebbe maggior-
mente se l’elemento onomastico fosse al dativo.
Resta il dubbio quindi che il titulus in questione possa o meno essere attribuito all’ambito giu-
daico. Essendo databile al I d.C., si potrebbe pensare che si possa trattare di alcuni degli ebrei
coscritti all’epoca di Tiberio o dei loro immediati diretti discendenti, ma l’analisi di G. Piras
si fonda esclusivamente sull’integrazione di [-]ronis con un riferimento biblico ad Aronne. Il
nome è poco diffuso già in Palestina e ha pochissimi riscontri ovunque, peraltro essi stessi
dubbi. Inoltre il luogo di ritrovamento, Ardara, non ha dato inora altri reperti ebraici che
facciano pensare allo stanziamento di comunità ebraiche nelle vicinanze, il che potrebbe farci
pensare ad una sepoltura occasionale oppure al fatto che il manufatto sia stato portato nel
luogo di ritrovamento da un altro sito.
Ovviamente è normale notare che i ritrovamenti di ambito ebraico si concentrino sulle coste
e nelle aree lungo i tracciati delle due direttrici principali isolane, questo per due motivi prin-
cipali. Il primo è che ovviamente lo stanziamento delle comunità ebraiche doveva in qualche
modo essere agevolato dalla presenza di rotte commerciali; il secondo motivo, di carattere
più generale, è che il livello di alfabetizzazione della popolazione vada a degradare man mano
che ci si allontana dai centri costieri verso l’interno, ad esclusione chiaramente dei centri
urbani con forte presenza romana dovuta alla necessità di controllare il territorio, come ad
esempio Forum Traiani.
Le iscrizioni inora considerate sono in lingua latina o al massimo bilingui, poiché in tutta la
Sardegna non sono presenti iscrizioni ebraiche in lingua greca e ne esiste solo una, seppur
frammentaria, completamente in ebraico. Il manufatto, EDR153439, viene da Tharros, locali-
tà Capo San Marco, e la zona di ritrovamento viene indicata da Mahmoud – Ebn – Djobair,
storico arabo del XII secolo. Nella sua opera scrive infatti «In questo luogo (Qawsama) re-
stano vestigia d’antica costruzione che, ci venne riferito, era stata in passato stanza di ebrei»,

251
Marianna Piras

ma va tenuto conto che spesso gli autori arabi tendono ad assimilare gli Ebrei ai Cristiani, in
quanto Ahl al-Kitab “gente del libro”.
Da Tharros sembrerebbe provenire anche un anello che, nella verga interna, ha un’iscrizione
con formula eulogica in lingua ebraica. La provenienza non è chiara, poiché l’anello è stato
ritrovato a Macomer, ma secondo lo Spano, che lo aveva acquistato per poi donarlo al Museo
Archeologico di Cagliari, proveniva da Tharros. Il testo, costituito da una formula eulogica e
dalle iniziali della formula “Simom Tob”, richiama un’iscrizione di Taormina in lingua greca
che presenta la medesima formula.
Il dubbio di provenienza resta anche per un altro anello con iscrizione, l’anello di Iuda. Secon-
do G. Spano sarebbe stato ritrovato a Sant’Antioco, mentre per A. Taramelli è sicuramente
proveniente da Capoterra (sPano 1856, taraMeLLi 1908). L’attribuzione all’ambito ebraico
non è chiaramente dubbia, come invece è accaduto per il noto “sigillo di Aster”, attribuibile
secondo P.B. Serra all’ambito giudeo-cristiano. La presenza di una croce greca posta di lato al
monogramma non lascia spazio ad interpretazioni fantasiose, tanto più che la deinizione di
giudeo-cristiano si attribuisce alle comunità ino al III d.C. o, al massimo, al IV d.C., mentre
la datazione di questo manufatto si colloca in pieno VI secolo.

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Ebrei in Sardegna: storia, siti e materiali

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253
Marianna Piras

Iscrizione funeraria cristiana


con l’epitafio di Iscribonissa,
da Cornus, necropoli paleocristiana.
Cuglieri, convento dei Cappuccini.

Iscrizione funeraria cristiana


con l’epitafio di Sabbatius.
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna.

254
Il mondo cristiano: l’ecclesia docens e l’ecclesia discens
Antonio M. Corda

Il cristianesimo irrompe nel mondo antico “colorando” di nuove tinte produzioni letterarie,
pittoriche, artistiche e epigraiche, dando, in quest’ultimo caso, una nuova connotazione a
testi e formule costruendo così un nuovo linguaggio epigraico.
La Sardinia non fa certamente eccezione rispetto al resto dell’Orbis ed anzi con i suoi ma-
nufatti epigraici di matrice cristiana (circa 250 contro circa 1500 “pagani” inora rinvenuti
nell’Isola) fornisce lo spaccato di una società quanto mai variegata in cui tutte le classi sociali,
e in particolare le nuove classi dirigenti originate dalla struttura organizzativa della Chiesa
nascente, hanno un ruolo deinito e importante.
Il testo epigraico infatti nella sua qualità principale di “testo esposto” e cioè di linguaggio
orientato alla comunicazione pubblica ha il compito di fornire in primo luogo le informa-
zioni relative ai personaggi che vengono in esso menzionati con due scopi principali: con-
servarne il ricordo e raccontare qualcosa della loro vita per elogiarne comportamenti e virtù.
Nel mondo cristiano questi aspetti sono enfatizzati principalmente in funzione dell’intensità
con cui i defunti (le iscrizioni cristiane sono per quasi totalità iscrizioni funerarie) hanno vis-
suto il loro essere cristiani – e cioè hanno espresso la loro devozione – oppure con che grado
di eficienza, che nel mondo cristiano può equivalere al “grado di santità”, hanno svolto il
loro ministero.
Ruolo e fede giocano una partita interessante nelle iscrizioni cristiane quando ad esempio
nell’iscrizione proveniente dalla catacomba di Sant’Antioco a Sulci si parla di arredi e di ricchi
marmi posti a celebrare quella che nel testo epigraico CIL X 7533 viene deinita “un’aula”
(più probabilmente la chiesa e non la tomba del martire) destinata a risplendere.
Questa luce doveva essere senza dubbio originata dai marmi, ma a far brillare l’aula era piut-
tosto la fede con cui i devoti pellegrini si sarebbero accostati, nella vicina catacomba, alla
tomba del martire. Nel testo epigraico il personaggio centrale è il martire Antioco, ma gli
attori sono gli estensori del testo che sono in realtà uomini di apparato, come Petrus antistes
(vescovo), più una serie di personaggi minori che giocarono un ruolo importante sia nell’ab-
bellimento del monumento, che nella stesura dell’epigrafe stessa.
Nel messaggio epigraico cristiano vengono quindi coinvolti attori che, dal punto di vista
sociale e del ruolo, svolgono diverse funzioni all’interno della Chiesa locale.
Ad una prima grande differenziazione fra i semplici fedeli che compongono l’ecclesia discens e
gli ordinati che invece rappresentano l’ecclesia docens fa seguito una strutturata deinizione di
diversi ruoli ad indicare così una gerarchia ben organizzata e complessa.
In questo modo la religione, di per sé un fatto privato, diventa un fatto “non privato”, una
testimonianza di appartenenza ad una comunità che vive così, raccontandosi in un testo epi-
graico, la sua dimensione pubblica.
In un quadro così ricco meraviglia generalmente la quasi totale assenza della menzione dei
ruoli civili che invece erano un po’ la caratteristica dell’epigraia dei periodi precedenti ed
erano il veicolo principe per comunicare al lettore occasionale, destinatario ultimo del testo,
il proprio elevato status sociale.
In generale e soprattutto nei primi secoli della cristianità i testi epigraici non riportano questo
tipo di dati che al contrario diventano un po’ più frequenti dopo la pace della Chiesa (312 d.C.).
Resta da chiedersi se ciò avvenisse per manifestazione di umiltà o per la paura di ritorsioni.
Probabilmente entrambi i fattori hanno avuto il loro ruolo soprattutto quando il proprio es-
sere cristiano non andava molto d’accordo con una dimensione pubblica svolta in un mondo
antico in cui la religione giocava una partita molto più politica che nel mondo moderno.
Il prefectus urbi Giunio Basso non ebbe però paura a Roma a manifestare la propria apparte-
nenza al credo cristiano quando vicino alla sua carica civile menzionò il suo essere neoitus,
cioè neobattezzato. Stride in questo caso l’ostentazione di un ruolo d’ingresso nella comuni-
tà cristiana con quello di prafectus Vrbi, secondo a Roma per importanza solo all’imperatore.

255
Antonio M. Corda

Iscrizione di Iohannes da Carales;


Sotgiu 1961, n. 112.

Dificilmente però la famiglia di Giunio Basso nel 359 avrebbe avuto nocumento da questa
sua dichiarazione: troppo alto era il livello sociale e ben lontano il periodo da quello delle
grandi persecuzioni.
È interessante osservare cosa accade in Sardegna. Nell’Isola l’essere battezzati veniva espres-
so con la classica generica formula idelis che troviamo ad esempio citata in una iscrizione pro-
veniente da Porto Torres menzionante il puer Victorinus (EDR153374; cat. n. 2.62). Nel testo
viene precisata la data di morte del puer (26 ottobre del 415 d.C.) mediante la menzione della
coppia consolare in carica in quell’anno rappresentata dagli imperatori Onorio e Arcadio.
La fortuna di conoscere con esattezza la data di produzione di un’epigrafe è però riservata
– nelle iscrizioni della Sardegna – a ben pochi casi.
Quasi tutte le iscrizioni cristiane dell’Isola sono, infatti, non datate anche se possiamo uti-
lizzare dei criteri di datazione indiretti per stabilire con un certo grado di attendibilità l’arco
cronologico di appartenenza.
In quest’ottica fa gioco, per le rilessioni qui proposte, veriicare l’appartenenza dei perso-
naggi menzionati nei testi ai diversi ordini delle Chiese locali andando ad analizzare le cariche
in essi indicate. È noto che con l’andare del tempo esse vennero deinite e integrate nei ruoli
e ampliate come numero in quantità e qualità. Grazie ad esse è quindi possibile descrivere
la struttura della società cristiana sarda dei primi secoli e cercare di deinirne le cronologie.
La struttura della Chiesa divisa in ecclesia docens (la gerarchia ecclesiastica) ed ecclesia discens (ge-
nericamente i fedeli) è codiicata già a partire dalla metà del III secolo, quando papa Cornelio
scrisse al vescovo Fabio deinendo con un elenco redatto in greco (la lingua uficiale della
prima cristianità) le diverse cariche.
Quasi tutti i ruoli menzionati da papa Cornelio sono presenti nel corpus delle iscrizioni sarde in
manufatti che come arco cronologico abbracciano un periodo che va dal IV al VI secolo d.C.
Il fatto già ricordato che non venissero di fatto menzionate, se non in qualche raro caso, ca-
riche e ruoli civili o militari non signiica che i cristiani non fossero civilmente impegnati (si
veda ad esempio dell’iscrizione sotgiu 1961, n. 112 di Iohannes ex tribunu).
A cambiare, nel mondo cristiano, è la stessa percezione di impegno civile. Molti di essi svol-
gevano infatti un ruolo sia religioso che civile, e cioè con ricadute al di fuori della sfera religio-
sa, ma in quest’ultimo ambito il loro operare e la loro giurisdizione non derivava da un ruolo

256
Il mondo cristiano: l’ecclesia docens e l’ecclesia discens

Iscrizione di Silbius da Olmedo;


EDR153634.

pertinente l’amministrazione statale ma da quella che si può deinire un’amministrazione


“parallela” dovuta all’organizzazione della Chiesa dei primi secoli e favorita dall’azione di
Papa Damaso (vescovo di Roma dal 366 al 384).
L’utilizzo corrente di queste cariche e la reale presenza di questi ruoli nelle varie aree
dell’Orbis christianuus antiquus diventerà un fatto consolidato a partire dal IV secolo. Nel secolo
successivo agli ordini minori e maggiori si aggiungeranno una serie di ordini che indiretta-
mente, con la loro presenza o assenza, di fatto ci permetteranno di ascrivere le epigrai ad un
determinato ambito cronologico.
Le iscrizioni menzionanti cariche ecclesiastiche sono nella Provincia Sardinia solo qualche de-
cina, ma nonostante il loro numero ridotto si può, in base ai formulari utilizzati nei testi e al
tipo di cariche menzionate, ascriverle grosso modo e in base a quanto appena detto ad un
arco cronologico omogeneo di IV-V secolo d.C., un momento in cui la Chiesa sarda delle
origini è ormai completamente strutturata e ben presente sul territorio.
Nei nostri testi sono pertanto ben rappresentati sia gli ordini maggiori che gli ordini minori.
In qualche caso viene addirittura indicata la progressione di carriera (il cursus ministeriorum)
svolta dal defunto.
Tra i tanti vescovi citati vale la pena ricordare Bonifatius di Carales (EDR154685) di cui
l’iscrizione, incisa su un sarcofago che è ancora possibile vedere a San Saturnino a Cagliari, ci
fornisce la durata dell’episcopato (et se/dit cathedra annis VII, m(ensibus) IIII) secondo una prassi
non infrequente, tipica però di aree ben più centrali rispetto alla Sardegna come ad esempio
Roma o le grandi città africane.
L’organizzazione della Chiesa antica prevedeva, come oggi, al vertice della gerarchia un ve-
scovo (come Bonifatius a Carales o Victor a Forum Traiani) che operava in stretta collaborazione
con presbiteri e diaconi. Dobbiamo quindi pensare che a Carales fu collaboratore di un con-
fratello nell’episcopato di Bonifatius, il diacono Si[---] (EDR154110) di cui non conosciamo
il nome completo ma di cui sappiamo dal testo che fu sposato e che ebbe una iglia. Un
diacono, deinito nel testo come minister, è noto invece in una bella iscrizione di Olmedo
(EDR153634) incisa in caratteri capitali ed onciali (spia di un periodo tardo) e che testimonia
non solo l’alta qualità di esecuzione di un manufatto realizzato, dobbiamo supporre, presso
un’oficina specializzata ma una grande capacità di elaborazione concettuale e contenutistica

257
Antonio M. Corda

del testo da parte dell’ordinator e cioè da parte di colui che era incaricato di redigere i testi.
L’iscrizione recita expectat Christi ope /rursus sua vivere carne / et gaudia lucis nobae / ipso dominan-
te videre. Il minister Silbius, dunque, “aspetta che per la potenza di Cristo la sua carne possa
rivivere e aspetta di vedere la gioia della nuova luce nel suo regno”. L’attesa del giorno del
giudizio, in questo senso può essere anche intesa l’espressione lucis nobae, e quindi il paradiso
è la grande speranza di Silbius, un desiderio che evidentemente accomunava l’estensore del
testo, il defunto e il lettore interessato.
Se il diacono, che comunque faceva parte degli ordini superiori, era il braccio esecutivo del
vescovo il presbitero era colui che stava più a contatto con i fedeli.
L’unico presbyter noto in Sardegna è Iohannes / p(res)b(yter) huius {a}ec(c)l(esiae) di EDR075865
proveniente da Maracalagonis la cui attribuzione ad una chiesa locale in quell’area suscita non
poche dificoltà in quanto nella faccia anteriore (l’epigrafe è opistografa) la pietra reca incisa
una importante iscrizione (EDR073095) alto-imperiale del 208/209 d.C., inequivocabilmente
proveniente da Carales. Allo stato attuale delle conoscenze resta dificile stabilire con certezza
se tale iscrizione sia pertinente al centro o alla “periferia”, vale a dire il suo ager.
Dopo il IV secolo si aggiungeranno a questi ruoli quelli di archipresbyter come Istefan/us
archi{e}presbyter / s(an)c(ta)e ec(c)les(iae) Ka(ra)litan(a)e (EDR075151 da Carales) e inine di archidia-
conus come il “detestabile” (per il sentire moderno) Felix, che imponeva ai propri servi di por-
tare un collare di metallo perché fossero, in caso di fuga, riconoscibili come di sua proprietà.
In un manufatto (EDR076319) del Museo Nazionale di Cagliari abbiamo infatti l’iscrizione
S[ervus sum] Felicis arc(hi)diac(oni) tene me ne fugiam: “sono schiavo dell’archidiaconus Felice: trat-
tienimi perché io non scappi.”

258
Il mondo cristiano: l’ecclesia docens e l’ecclesia discens

Dopo la metà del V secolo compaiono nell’epigraia isolana altri ruoli come quello di monaco,
si veda ad esempio il B[onifa]/tius r(e)l(igiosus) di EDR154687, di virgo sacra e di abbatissa. Il mona-
chesimo in Sardegna fu introdotto da Fulgenzio di Ruspe e furono fondati una serie di monasteri
maschili e femminili. A Carales, probabilmente nel VI secolo, Redempta (Corda 1999, CAR067) fu
abb(atissa) monast(erii) s(an)c(t)i Laure[nti] e quindi superiora di una comunità di monache.
Sia Iohanna (EDR153761) di provenienza ignota che Stephana di Carales (EDR154112) dei-
nite castae virgines sacrae, furono praticamente delle suore che, al pari delle viduae, avevano un
ruolo all’interno della comunità. Uno status speciale veniva infatti riconosciuto all’interno
della comunità cristiana alle vedove che rispondevano ai requisiti di una condotta di vita irre-
prensibile e al fatto di non essersi risposate dopo la dipartita del proprio marito. La comunità
cristiana locale se ne faceva carico in cambio della loro testimonianza di fedeltà e religiosità
e della loro opera all’interno dell’organizzazione della chiesa locale. Questo fu forse il ruolo
dell’olbiese Valeria (se l’iscrizione è cristiana) che venne lasciata sola dal proprio marito con
ben quattro igli (EDR154027).
La presenza sul territorio di un così alto numero di ordinati presuppone ovviamente una
signiicativa presenza di ideles che vivevano la propria dimensione religiosa, la propria vita e
il proprio ruolo sociale rispondendo in prima istanza ai precetti della Chiesa. Erano quindi i
ideles, la Chiesa discens, oggetto e cura di una gerarchia che in quei secoli si dimostrò partico-
Iscrizione di Karissimus da Tharros; larmente attenta fornendo alla bisogna assistenza e aiuto.
Corda 1999, THA004 (particolare). Il Karissimus ricordato nell’iscrizione di Tharros (corda 1999, THA004; cat. n. 2.51) in cui
il defunto viene rappresentato come un cavallo in corsa con il marchio di Cristo sulla coscia
si autodeinisce infatti come amicus omnium (amicus di tutti) e non come sarebbe avvenuto in
Nella pagina accanto precedenza come amicus amicorum (amicus degli amici). L’espressione riferita a Karissimus sem-
Collare di schiavo; EDR076319. bra indicare quella che fu l’attività del nostro all’interno della chiesa tharrense e cioè quello di
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale. gestire una specie di ostello (xenodochium) per pellegrini.
L’attività caritativa di questo tipo è peraltro nota in Sardegna in un’iscrizione proveniente da
Iscrizione di Beneria da Tharros; Olbia in cui viene menzionato un certo Secundus mag/n(a)e integritatis viro bo/no patri orfanorum /
EDR081161 (particolare, chrismon). inopum refugium pere/grinorum (EDR153370).

259
Antonio M. Corda

La solidarietà nei confronti dei più poveri viene citata anche in testi dai formulari inattesi nel
panorama delle iscrizioni cristiane come quello del sarcofago di Turris Libisonis (EDR153375)
in cui, in un contesto che sembra più coerente con un mondo pagano – il dedicante ricorda
come la defunta si augurasse di premorire al proprio marito usando l’espressione semper optasti
hoc et evenit tibi / rogum maritus ut tibi facere(t) prior – venga celebrata la igura di Flavia Cyriace,
donna esemplare per virtù cristiane e soprattutto dedita ad attività caritative. Viene quindi
enfatizzato in Ciriaca il senso più pieno del cristianesimo nel precetto evangelico di amore
verso il prossimo, che viene appunto esaltato nel suo lasciare in eredità le proprie sostanze ai
più poveri: rem suam [pauperibus] / linquit nec quidem ipsa po[steris suis].
La menzione della Chiesa come apparato occorre in diversi testi, soprattutto in quelli in cui
un personaggio laico o consacrato svolge un ruolo di tipo amministrativo.
La presenza nelle iscrizioni cristiane di ruoli come quello di defensor (avvocato), notarius (can-
celliere) e rector (amministratore) sono la spia di un’organizzazione eficace, strutturata e pre-
sente nel territorio.
Una singolare iscrizione proveniente da Cagliari (Corda 1999, CAR056) ci ricorda Menas
notar(ius) subregiona/rius s(an)c(t)ae Rom(anae) eccl(esiae) et rec(tor). Il nome, di chiara origine orien-
tale, è portato da un notaio incardinato a Roma che viene deinito anche rector.
Viene da chiedersi come mai questo personaggio si trovasse a Carales e perché. È possibile
ipotizzare un ritorno alle origini? Forse era un civis caralitanus che aveva fatto carriera ed era
tornato a casa una volta inito il proprio incarico romano oppure, in alternativa, si trattava di
una persona di iducia del ponteice inviata a Carales per “mettere in ordine” qualche aspetto
amministrativo, come è testimoniato per altri casi dalle lettere di Gregorio Magno. Ciò che
risulta certo è l’impegno di Menas in pratiche di tipo amministrativo sia con l’interlocutore
ordinario (quella che ora chiamiamo la società civile) sia, è da pensare, con un interlocutore
privilegiato come l’amministrazione dello stato.
Al notarius si deve poi aggiungere una igura come quella del defensor, che presuppone un’or-
ganizzazione strutturata di una diocesi che, oltre alla cura animarum, era attenta grazie all’aiuto
Iscrizione di Deusdedit, defensor, dei defensores, dei notarii, dei rectores alla tutela dei propri ideles.
da Cagliari; Corda 1999, CAR018. In buona sostanza questi testi propongono la dimensione più temporale di una Chiesa che

260
Il mondo cristiano: l’ecclesia docens e l’ecclesia discens

col passare del tempo diventava sempre più organizzata, strutturata e di dimensioni no-
tevoli e che, coerentemente con le lettere “sarde” di Gregorio Magno suggeriscono per
l’Isola come momento di compiuta cristianizzazione, nonostante alcune sacche di paganesi-
mo, un’età molto tarda di V-VI secolo.

Bibliograia

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Pani erMini, L. & Marinone, M. 1981
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Sotgiu, G. 1961
Iscrizioni latine della Sardegna (Supplemento al Corpus Inscriptionum Latinarum, X e all’Ephemeris Epigraphica,
VIII). Padova.

261
3.
La Sardegna
tardoantica
e altomedievale
Le città in Sardegna fra tardoantico ed altomedioevo
Rossana Martorelli

Le città fra tardoantico ed altomedioevo: uno sguardo d’insieme


Le recenti ricerche storiche ed archeologiche stanno incrementando le conoscenze sulle cit-
tà sarde, fornendo una nuova base per delinearne l’assetto raggiunto in epoca postclassica
attraverso dinamiche di continuità o trasformazione. Sia le fonti scritte – sebbene scarse e
relativamente più abbondanti su Cagliari – sia l’archeologia confermano una sostanziale per-
sistenza nel medesimo sito degli insediamenti urbani, sino a che un insieme di eventi ne causò
il progressivo abbandono in favore di nuovi centri agli inizi del medioevo.
Impedisce di disegnare bene l’urbanistica e la isionomia delle città sarde in questo periodo
il fatto che i livelli archeologici relativi a tali secoli sono stati asportati durante esplorazioni
“archeologiche” condotte in passato per riportare in luce le fasi di età punica e romana. Al
momento si possono solo avanzare ipotesi in base ai dati disponibili.

Le città negli ultimi secoli dell’impero romano e l’arrivo del cristianesimo


Il cristianesimo fu anche in Sardegna la novità più incisiva nel paesaggio urbano nella tarda
antichità, creando città policentriche in cui l’attività non era più convogliata verso un unico
fulcro (il foro), ma attorno ad una molteplicità di nuovi poli. Le idee cristiane giunsero forse
già nel I-II secolo con gli Ebrei deportati, i damnati ad metalla, o semplicemente con militari
e mercanti che viaggiavano nell’impero. Se nell’Isola di Molara – di fronte ad Olbia – si deve
ambientare l’esilio di papa Ponziano in Sardinia in insula nociva (Cat. Lib., pp. 4-5) o in Sardinia
insula Bucina (LP, I, 145-146) durante l’impero di Massimino, è verosimile che la città acco-
gliesse una comunità cristiana già numerosa. Alla ine del III secolo si data anche il frammen-
to di sarcofago con scene bibliche ritrovato sempre ad Olbia (oggi al Museo Archeologico
Nazionale di Cagliari), ma realizzato probabilmente nelle botteghe di Ostia.
I cristiani si inserirono in un’urbanistica tipicamente romana. Tranne Forum Traiani (Fordon-
gianus), le città erano in pianura e dotate di un porto: Carales (Cagliari), Nora (Nora), Sulkes
(Sant’Antioco), Neapolis (sullo stagno di Marceddì), Othoca (Santa Giusta-OR), Tharros (Thar-
ros), Cornus (S’Archittu), Bosa (la vetus, presso la chiesa di San Pietro, a 2 km circa di fronte
alla Bosa attuale), Turris Libisonis (Porto Torres), Olbia-Phausania (l’unica sulla costa orientale).
Bosa e Forum Traiani, invece, si affacciavano sui iumi Temo e Tirso. Scomparvero, poi, Bithia
e Valentia e nessuna città sembra fondata ex novo.
Il poeta Claudiano, navigando al largo di Caralis nel 398, così la descriveva: Obvia dimittit frac-
tusum lamina collem/ Eficitur portus medium mare, tutoque ventis/Omnibus ingenti mansuescunt stagna
recessu. E passando al largo di Olbia cantava: litoreo complectitur Olbia muro (De bello gildonico). Tale
muro, ritenuto il circuito urbico, di recente è stato attribuito da R. D’Oriano ai moli del porto,
che abbracciavano il sito dell’antica area urbana.
Già in età romana le città erano dotate di mura, che si mantennero totalmente o parzialmente
almeno ino alla metà del V secolo, così come il sistema viario, imperniato sul forum. A Caglia-
ri il nome della chiesa di San Nicola de Capusolio, nota dal medioevo, sita in via Sassari, vicino
a piazza del Carmine (ricalcata quest’ultima sul forum romanum), suggerisce la prossimità del
Capitolium (da cui Capusolium). Il forum di Nora ha restituito testimonianze archeologiche e
reperti che attestano una frequentazione in questo periodo, anche se già dal III d.C. la città
ebbe un ampliamento verso sud, con l’impianto di una nuova strada a ianco delle Terme a
mare, alla quale venne poi congiunta una via lastricata, larga e di buona fattura. A Sulci, dagli
scavi nell’area retrostante il Cronicario, ritenuta il foro romano, non emergono stratigraie
posteriori al III secolo. Si deve pensare che il fulcro politico della città fosse stato spostato.
Poco si sa della topograia della sp[l]en[didissi]ma civitas Neap[oli]tanorum, probabilmente una
colonia dedotta dai Romani e così detta per la rigogliosità del territorio in cui si trovava (Pal-
ladio, in Opus agriculturae, dice di avere una coltura di cedri nei suoi fundi in Sardinia territorio
neapolitano). A Tharros il foro non è stato ben individuato. Cornus, menzionata in Livio (XXIII,

265
Rossana Martorelli

Pianta della Sardegna con indicazione


delle città.

266
Le città in Sardegna fra tardoantico ed altomedioevo

Cagliari, Sant’Eulalia, il nuovo quartiere,


veduta d’insieme.

40, 1-12), era dislocata fra il colle di Corchinas (dove in dall’Ottocento vennero effettuati
i primi ritrovamenti di rovine, statue, sarcofagi, iscrizioni, monete), Campu ‘e Corra e la
sella pianeggiante fra le due alture, in cui doveva trovarsi il foro. A Forum Traiani, fondata
nell’area presso il complesso termale delle Aquae Ypsitane, sul iume Tirso, scelta dall’impe-
ratore Traiano per la posizione strategica nel sistema viario e perché ai piedi della Barbaria
(Barbagia), abitata da popolazioni non romanizzate, il foro era forse dietro alle terme. A
Turris dal III secolo il porto e il foro si spostarono ad oriente. Ad Olbia il foro, che ricerche
recenti hanno permesso di ipotizzare affacciato sul porto, presumibilmente rimase in uso
ino all’arrivo dei Vandali.
Le città-municipium almeno dal IV secolo divennero sede di diocesi. La più antica è Carales,
rappresentata al concilio di Arles del 314 dal vescovo Quintasius e dal presbyter Ammonius.
Non è certo se nuovi presuli siano stati istituiti prima del concilio di Sardica (343), ma dalla
ine del medesimo secolo Carales è certamente metropolita, per cui doveva esistere almeno
un’altra diocesi.
Si ritiene che entro la prima metà del V secolo siano state create le altre sedi presenti al
Concilio di Cartagine nel 484 (v. paragrafo I Vandali), perché non sarebbero potute nascere
in questo periodo, se anche nell’Isola fu applicato il divieto dei re vandali di istituire nuovi
presuli (facendo essa parte del regno).
Anche per la prima metà del V secolo non si hanno notizie su luoghi di culto cristiani nelle
città sarde. Il Martirologio Geronimiano, calendario in uso in tutto l’impero, compilato fra il
431 e il 450, nomina diversi martiri legati alla Sardegna, di cui sono ritenuti autentici Lussorio
(a Forum Traiani), Gavino (a Turris) e Simplicio (forse ad Olbia, anche se la fonte riporta in
Sardinia). Sebbene non menzionato, Saturnino era certamente oggetto di devozione a Carales.
Stretto era il legame con il suburbio, dove si dislocavano i sepolcreti nei quali gradualmente
trovarono sepoltura i cristiani e nacquero i santuari martiriali. Delle prime fasi si hanno
poche e non sempre chiare testimonianze al di sotto dei martyria bizantini (cfr. paragrafo
L’età bizantina).
Tra ine IV e prima metà V secolo le città acquisirono una isionomia cristiana. Contempora-
neamente e talvolta in dipendenza dei poli cultuali si ampliava la supericie urbana. A Carales
nella zona orientale fu progettato il nuovo quartiere ritrovato sotto la chiesa di Sant’Eulalia,
spianando un’area prima occupata da un tempio per impiantare una strada lastricata e due
complessi residenziali di notevoli dimensioni. Tale strada fu poi deviata per un portico mo-
numentale, affacciato forse su una terrazza a giardino, che mutò la direzione degli assi viari
da NE/SW a NW/SE. Anche a Nora un quartiere si sviluppò attorno alla nuova strada, con

267
Rossana Martorelli

Nora, quartiere nuovo, la basilica.

impianto regolare, ediici quadrangolari, costruiti in “opus africanum” (riquadri delimitati da


piedritti in materiale litico, riempiti da pezzame litico o ceramico). Turris registra fra III e IV
secolo spostamenti delle aree cimiteriali in settori prima urbani.

I Vandali
L’Isola fu conquistata dai Vandali, che sferrarono un attacco violento su Olbia. Indagini re-
centi hanno restituito una decina di navi attraccate nel porto, incendiate in connessione con
il sacco di Roma (455 d.C.). I relitti mai rimossi ne decretarono la cessazione d’uso. Forse a
questo evento vanno ricollegati i crolli visti anche in passato in alcuni punti della città, ma
Olbia non venne distrutta: la ridotta funzionalità del porto e il venir meno della sua posizio-
ne strategica con la caduta dell’impero romano, che spostò l’asse verso Cartagine e non più
Roma, furono la causa di una fase di stasi economica, politica e sociale.
Caralis mantenne invece il ruolo di città principale della Sardegna, come sede del funzionario
rappresentante del nuovo regno. Si conosce solo il nome dell’ultimo – Goda – che emise
moneta poco prima della sua sconitta da parte dei bizantini, che riconquistarono l’Isola.
Sporadiche e disomogenee sono le attestazioni relative a nuovi interventi edilizi o urbanistici.
Al concilio indetto a Cartagine nel 484 da Unnerico su questioni dogmatiche (MGH, AA, 3,
1, pp. 63-64 e 71) presero parte 5 presuli (Lucifer II – Carales; Vitalis – Sulcis; Martinianus – Fo-
rum Traiani; Bonifatius – Senafer; Felix – Turris Libisonis). Il concilio si concluse con la condanna
all’esilio in Sardegna e Corsica di numerosi vescovi e monaci che riiutarono l’arianesimo, tra

268
Le città in Sardegna fra tardoantico ed altomedioevo

Tharros, vasca battesimale.

cui Fulgenzio di Ruspe. A Caralis, i religiosi giunti al suo seguito introdussero la disciplina
monastica; quando poi la sua casa (Vita Fulg., 24) divenne inadatta per i numerosi seguaci,
chiese al vescovo Brumasio (fra 519-523) un terreno presso il santuario di San Saturnino
per fondare un cenobio, che fu dotato di uno scriptorium. Dell’ecclesia episcopalis non si hanno
notizie, ma alcuni indizi ne suggeriscono l’ubicazione nel nuovo quartiere (oggi La Marina).
Nel teatro di Nora, ad ovest del foro, sono state evidenziate trasformazioni: all’esterno
erano focolari e nuove costruzioni, forse ad uso artigianale; all’interno, dopo la ine degli
spettacoli, l’iposcenio fu utilizzato come cantina con grossi dolia per contenere le derrate
alimentari. Negli stessi anni la vita si spostò deinitivamente nel nuovo quartiere, dove ven-
ne ediicata una basilica, dotata forse di battistero, anche se Nora non sembra essere stata
sede di una diocesi.
Anche a Tharros si riscontra un nuovo impulso edilizio. Le terme n. 1 furono riadattate
per impiantarvi il complesso episcopale. Nel 1956 tornò alla luce un ediicio ad aula unica
monoabsidata, che conteneva una vasca esagonale, scavata nella roccia e foderata da lastre
basaltiche, con tre gradini di accesso. Sul bordo si vedono ancora un sedile in arenaria e i
resti delle basi di colonnine che in origine dovevano sorreggere un baldacchino in pietra.
Sulla collina che sovrasta a nord il battistero sopravvivono i resti di un piccolo ediicio forse
a tre navate, absidato ad ovest, in cui si è indotti a riconoscere la cattedrale connessa al batti-
stero. I vani delle originarie terme, evidentemente non più in uso, furono forse destinati sia a
residenza del vescovo e del clero sia ad “ufici diocesani”. Johannes episcopus tharrensis, il primo
presule noto, è citato nella XII epistola di un’opera perduta di Fulgenzio (inizi VI secolo).
La posizione della cattedrale tharrense, urbana e centrale, apre la via verso la possibilità che
tutte le sedi delle diocesi fossero entro i limiti urbani e non nel suburbio in prossimità dei
santuari. In base a quest’ultima ipotesi la tradizione ha da sempre identiicato il complesso in
loc. Columbaris (costituito da un sepolcreto all’interno del quale vennero ediicati a partire
dal IV secolo una chiesa cimiteriale, una basilica e un battistero, completati da una struttura
residenziale) con la cattedrale di Senafer = Cornus. Il toponimo Senafer, derivato forse dalla
contrazione di Sinus Afer, sembrerebbe più appropriato ad un distretto territoriale, dato che
diversamente dalle altre sedi diocesane non si riferisce ad alcun centro urbano noto. La di-
stanza da Cornus, l’ubicazione e la sua isionomia, accostabile alle ecclesiae baptismales per gli
abitanti delle campagne, fanno pensare che potrebbe essere una cattedrale rurale, per coloro
che in un sistema latifondistico in uso in età romana e bizantina popolavano il territorio: i
possessores, che gestivano l’economia agricolo-pastorale. È possibile invece che Cornus avesse
una sua propria chiesa principale in ambito urbano, che più tardi assunse dignità di cattedrale:
un vescovo Boethius di Cornus partecipa al Concilio del 649. Un ediicio absidato, identiicato
dagli scopritori come basilica, risalente a ine IV-V secolo per analogia costruttiva con la
basilica funeraria di Columbaris, è tornato alla luce nell’area nord-est del foro all’interno
dell’area urbana.

269
Rossana Martorelli

Cagliari, tratto delle mura urbiche sotto


l’ex Hotel ‘La Scala di ferro’.

Cagliari, tratto delle mura urbiche sotto la


chiesa di San Michele a Stampace
(in basso).

L’età bizantina
Le città igurano nel VII secolo nella Cosmographia dell’Anonimo Ravennate (V, 26): Caralis,
Sulci, Neapolis, Othoca, Tharri, Corni, Bosa, Turris Libisonis. Sia nelle lettere di papa Gregorio
Magno (590-604) che nella Descriptio Orbis Romani di Giorgio di Cipro (prima metà VII seco-
lo) il toponimo Olbia appare sostituito con Fausißh. Studi recenti la ubicano sul sito della
città romana – e non nella loc. Pasana, a 3 km da Olbia dove è stata da alcuni localizzata in
base all’assonanza del toponimo.
Le mura urbiche rimasero in uso e le città sarde – come in tutto il Mediterraneo – dovevano
apparire centri fortiicati. Procopio di Cesarea, narrando lo scontro a Caralis nel 552 fra i Goti
che per un anno occuparono l’Isola e l’esercito di Giustiniano, riferiva che essi uscirono dalle
porte della città (Bellum Gothicum, IV, 24,31-38). Pochi decenni dopo (ottobre 598), Gregorio
Magno (Ep., IX, 11) esortava il suo vescovo Ianuarius a rinforzare le mura, forse danneggia-
te durante i suddetti eventi, per arginare il pericolo di incursioni da parte dei Longobardi.
Appartengono al circuito urbico le strutture in grossi blocchi ritrovate sotto la chiesa di San
Michele nel quartiere di Stampace e sotto l’ex Albergo “La Scala di ferro” in viale Regina
Margherita, che sembrano delineare un percorso che proteggeva il centro urbano a nord,
dall’aniteatro, sotto l’attuale via Manno, per congiungersi poi alle mura a triplice cortina
individuate da G. Lilliu sotto al Palazzo dell’INPS in via XX Settembre.
Non si escludono anche i cosiddetti “ridotti”, aree di minori dimensioni, cinte da mura,
con funzione difensiva e militare, spesso presenti all’interno delle città bizantine. A Carales
risiedeva la lotta e certamente anche un corpo di guardia. Dall’area prospiciente lo stagno
di Santa Gilla proviene un’epigrafe che menziona un metatum Sancti Longini. Il metatum era un
ridotto e la dedica a San Longino, il centurione testimone della Passione del Cristo, sugge-
risce l’intenzione di porre il luogo sotto la protezione di un “militare”. La Cosmographia del
Ravennate cita un praesidium Norae: le mura non sono state trovate; si ipotizza che le cosid-
dette Terme a mare, che hanno subito modiiche, defunzionalizzando alcuni ambienti e chiu-
dendo gli accessi al mare, siano da identiicare con il suddetto praesidium. Delle mura di Sulci
rimangono alcuni resti vicino al Fortino Sabaudo. Ancora nell’Ottocento A. Della Marmora
e V. Angius vedevano un castrum, attestato già in una stampa seicentesca. In particolare Della
Marmora ne fornisce un disegno: una costruzione trapezoidale con quattro torrette d’angolo
e due sui lati lunghi. Situato dove oggi è il campo sportivo, proteggeva l’accesso alla città, che
avveniva dai due bacini portuali a nord e a sud dell’istmo e dal ponte romano, che collegava
l’isola alla terraferma mediante una strada (afiorante oggi dall’acqua). La Descriptio Orbis Ro-
mani di Giorgio di Cipro menziona un Kßstron tou Tßrwn, secondo molti studiosi da iden-
tiicare con il cosiddetto Castellum aquae, in origine serbatoio idrico della città, trasformato
con l’aggiunta di altri ambienti, visibilmente addossati alla struttura principale quadrangolare;

270
Le città in Sardegna fra tardoantico ed altomedioevo

Cagliari, tratto delle mura urbiche sotto


il palazzo dell’INPS.
Veduta dei ritrovamenti effettuati
da Giovanni Lilliu negli anni Cinquanta.

Epigrafe del metatum Sancti Longini,


da Cagliari.

oppure con i resti murari individuati sul Colle di San Giovanni. Forum Traiani, l’unica città
sarda citata nel De aediiciis di Procopio di Cesarea (Aed., VI, 7,12-13), è detta phrourion (oppi-
dum, luogo fortiicato). Delle mura non si sa nulla; si è pensato che Casteddu Ezzu, nuraghe
riusato in età bizantina a scopi difensivi, fosse legato alla città. Forse anche Cornus era dotata
di un castrum al quale andrebbero attribuiti i resti murari segnalati all’inizio del Novecento. A
Turris Libisonis tratti delle mura sono tornati alla luce sotto la Banca Nazionale del Lavoro e
il Banco di Sardegna, tra via Sassari e via Mannu, nel corso Vittorio Emanuele e nella zona
dell’ex pretura. Innalzate su interri contenenti reperti di V-VI secolo, rientrano nella risiste-
mazione degli inizi dell’età bizantina.
Il sistema viario, pur invariato rispetto ai secoli precedenti, registrava modiiche nell’orienta-
mento delle strade in relazione ai nuovi poli.
I centri politico-amministrativi della città “romana” probabilmente rimasero in vita. Caralis fu
capitale amministrativa all’interno della provincia d’Africa (VII dell’impero). Del funzionario

271
Rossana Martorelli

Porto Torres, c.d. Palazzo di re Barbaro.

– il praeses – non si conosce la sede, ma pesi ed exagia (usati nelle ufici pubblici e commer-
ciali) trovati in Piazza del Carmine inducono a ritenere che il fulcro fosse ancora nel foro.
Le indagini in via Malta hanno restituito reperti di VII secolo, ma sembra che la zona dove
era stato il teatro-tempio in età repubblicana fosse un giardino dopo la sua dismissione; dalla
vicina via Maddalena provengono frammenti di anfore del X secolo. A Nora il foro in età
protobizantina non era più la sede del potere, ma solo luogo di residenza e attività artigianali.
A Forum Traiani, situato dietro alle Terme, rimase forse in uso ino a tarda età.
Nel 599 Gregorio Magno lamentava gli abusi del dux Theodorus a danno di poveri, religiosi
e del vescovo di Turris (Ep., I, 59). Non si sa se il dux risiedesse nella città, ma è opinione
comune che le terme centrali in età bizantina siano state trasformate in palazzo pubblico,
tramandato con il nome di re Barbaro, che nella tradizione locale richiama il praeses Barbarus,
che aveva condannato al martirio Gavinus, Protus e Ianuarius. Un’epigrafe, oggi nella basilica
di San Gavino, celebra la vittoria di un tal Constantinus (imperatore o doux) sui Longobardi e
altri barbari (seconda metà VII-inizi VIII sec.). A. Taramelli disse che era incisa sullo stipite
della porta di un ediicio romano, poi usato come architrave di una chiesa bizantina presso
la stazione. L. Pani Ermini, invece, ha proposto che fosse stata posta su un ediicio pubblico
laico, il palazzo di Re Barbaro. La massima autorità militare, scissa ino al VII secolo da quella
politico-amministrativa, risiedeva a Forum Traiani, forse la Chrysopolis di Procopio (Aed., VI,
7,12) e Giorgio Ciprio (Descriptio, 682). Una scelta strategica, per la sua posizione centrale, in
un progetto di organizzazione della difesa dell’Isola.
Ancora nuovi quartieri si impiantarono in porzioni già incluse nell’area urbana, ma sino a
quel momento poco frequentate. A Caralis l’estensione dell’area urbana verso est è correlata
al nuovo porto, presso il molo Ichnusa (via Campidano), dove sono stati visti resti di una
banchina e grossi contenitori cilindrici della tarda età imperiale. La chiesa di Santa Maria de
portu gruttis, reintitolata dagli Spagnoli a San Bardilio e demolita nel 1909, e il San Saturnino
de portu kalaretani, citato in documenti di età giudicale, confermano l’uso portuale del bacino
che si apriva dove oggi è viale Cimitero. Anche a Nora il nuovo quartiere (Area M) si affaccia
su un’insenatura usata come approdo almeno alla ine del VII secolo. A Tharros un quartiere
residenziale fu costruito sui muri rasati dell’aniteatro romano. Le terme all’estremità sud del
centro abitato vennero riadattate, con la ripartizione interna degli spazi, foderando la parete
esterna, verso il mare, con una muratura priva di inestre, mentre un altro muro invase la sede
stradale e ne impedì la percorribilità verso l’estremità della penisola di San Marco. Il toponi-
mo attuale di Terme di Convento vecchio induce ad ipotizzare che il complesso termale sia
stato destinato ad accogliere una comunità monastica.

272
Le città in Sardegna fra tardoantico ed altomedioevo

Cagliari, San Saturnino.

Dall’arcidiocesi di Carales dipendevano altre sei sedi isolane (Ep., IX, 203 inviata nel 599 da
Gregorio Magno). Nel pieno VII secolo la Descriptio di Giorgio di Cipro (che riporta: Kßral-
loj mhtr’rolij, To›rhj, Sanßfar, Sànhj, So›lkhj, Fausißnh, Crus’polij, kßstron to›
Tßrwn) attesta che le maggiori città dell’Isola continuavano ad avere un ruolo nell’organiz-
zazione ecclesiastica. Oltre a Senafer, come ricordato, nel 649 è noto un vescovo della sancta
Ecclesia Cornensis, Boethius, facendo pensare a due sedi diverse. Sànhj è citata distintamente dal
Kßstron tou Tßrwn: la primitiva dimora del vescovo potrebbe essersi spostata nel suburbio,
a San Giovanni di Sinis, una chiesa forse in origine a croce libera come i grandi santuari sardi,
oggi nella ristrutturazione di epoca medievale ad impianto longitudinale, trinavato, che con-
serva sotto il pavimento resti di epoca anteriore, fra cui un lacerto di decorazione absidale
con motivo a tendaggi attribuibile all’età mediobizantina. Un documento negli archivi della
Megisti Lavra al Monte Athos riporta la professione di fede di Eutalio, vescovo sulcitano
(circa 680), che aveva ricusato l’ortodossia nell’ambito delle dispute tra monoteliti e diteliti.
A Turris il presule Marinianus fu destinatario di alcune missive di Gregorio Magno e nel 648
la diocesi fu coinvolta nella questione relativa al potere arrogato dall’arcivescovo cagliaritano
di ordinare i vescovi delle sedi suffraganee sarde. Nel 649 un nuovo episcopo – Valentino
– partecipò al sinodo di Martino I. Gregorio Magno (Ep., IV, 27, a. 594) raccomanda all’arci-
vescovo Ianuarius di Cagliari di eleggere un vescovo in loco qui intra provinciam Sardiniam dicitur
Fausiana, ove la consuetudine di nominare un presule era da tempo decaduta. Si può intra-
vedere un segno delle dificoltà durante il periodo di assedio da parte dei Vandali. Nel 600,
però, Olbia-Phausania ha il vescovo Victor, che si prodiga nell’evangelizzazione dei Barbaricini
e lamenta i soprusi dei funzionari africani nell’esazione dei tributi (Ep., XI, 7).
Ancora incerto il quadro dei luoghi di culto cristiani. Delle cattedrali è nota solo Tharros, ma
le città avevano altri ediici. A Carales ne rimane l’eco nei primi atti di età giudicale: San Salva-
tore, San Leonardo e Santa Lucia de civita o bagnaria (oggi la Marina); Santi Andrea e Anania de
portu, Santa Maria de portu gruttis o salis; Sant’Anastasia, Santa Restituta, San Guglielmo, luoghi
rupestri. A Nora si ritiene che il tempio di Su Coloru, forse dedicato ad Eshmun/Asklepio,
sia stato riconvertito al cristianesimo. A Neapolis erano le chiese di Santa Maria de Nabui e
Sant’Elena, citata da Vidal; a Bosa non si sa se sotto San Pietro vi fosse una chiesa più antica.
La religiosità si viveva molto nel suburbio, nei cimiteri e nei santuari dei martiri. La basilica di
San Saturnino a Carales ebbe un nuovo e radicale restauro. Il martyrium cruciforme ediicato
sull’area funeraria antica, che divenne il cimitero della gerarchia ecclesiastica caralitana, riprese
modelli costantinopolitani. Anche nella necropoli di Nora si creò un polo cultuale dove la tra-
dizione ritiene sia stato sepolto Eisio, il martire di Aelia Capitolina (nome romano di Gerusa-

273
Rossana Martorelli

Nora, Sant’Eisio.

lemme), ucciso in Sardegna. Il santuario è oggi frutto di un rifacimento successivo. A Sulci la


catacomba accolse presto il culto di Antioco. Un’epigrafe ricorda interventi di Petrus antistes,
che rinnovò con marmi un’aula dove il corpo del beato Antioco riposava. La chiesa attuale
viene ascritta nel suo primo impianto tra la ine del VI e il VII secolo e ritenuta una iliazione
del modello del San Saturnino di Cagliari, ma non si sa se sostituisca un ediicio più antico. Il
martyrium di Luxurius, individuato di recente, perpendicolare alla chiesa attuale, fu ediicato in
un sepolcreto in uso almeno ino all’VIII. Ad est della basilica un vano ha tracce di pitture,
ascrivibili al medesimo secolo. Nel cimitero sud di Turris sono stati rinvenuti diversi ediici
databili tra IV e XI secolo, tra cui una chiesa trinavata, con abside a ferro di cavallo, forse
dedicata ai martiri turritani, in Atrio Comita. A Tharros, invece, non si ha memoria di martyria.
L’Ep. IX, 196 di papa Gregorio ricorda che un ebreo di nome Pietro, convertitosi al cristia-
nesimo, pose a forza un’immagine della Vergine in una sinagoga della città di Carales. Due
iscrizioni presso il Palazzo di re Barbaro documentano anche a Turris una comunità ebraica.
L’epistolario gregoriano menziona diverse comunità monastiche a Cagliari, che usavano do-
mus private, lasciate in testamento alla Chiesa locale. Esistevano inoltre il cenobio di San
Saturnino e un monastero di San Lorenzo, citato nell’epigrafe di una sua badessa, Redempta.
Un’altra comunità è attestata a Turris (Ep., X, 3, al vescovo Mariniano, a. 599) e due epigrai
di benefattori della comunità non escludono xenodochia o piccoli cenobi a Tharros e Olbia.
Scarse sono le fonti relative a monaci orientali. Una lettera fu indirizzata nel 655 o 662 dal
monaco Anastasio, discepolo di Massimo il confessore, dal suo esilio in Crimea ad una comu-
nità di religiosi stabilita a Caralis [PG XC, coll. 133-136]. Forse non si trattava di un gruppo
stanziale a Caralis, ma solo di monaci “peregrini”, transitanti in città per poi insediarsi in aree
più isolate.
Nel VI secolo sepolture furono poste a Tharros nelle Terme n. 1 e nelle terme di Convento
Vecchio, entro le mura. L’inumazione all’interno dell’area urbana era vietata dalla legge roma-
na, ma in età bizantina iniziò a veriicarsi ovunque.

I cosiddetti “secoli bui”


Ancora “bui” sono i secoli VIII-X, “illuminati” da una documentazione scarsa, che ha creato
una letteratura spesso fantasiosa, dovuta anche al fatto che molte città dopo l’età bizantina
furono abbandonate e le testimonianze monumentali e materiali andarono a poco a poco di-
sperse. Le ragioni furono imputate, secondo una storiograia ideologicamente condizionata,
a invasioni islamiche, che avrebbero distrutto le città e soprattutto le chiese. L’archeologia,
insieme ad un’accurata rilettura delle fonti e al confronto con il coevo panorama mediterra-
neo, ha portato nuovi elementi.
Le città-diocesi sono ancora nominate nelle Notitiae episcopatuum orientalium di Leone il Sapien-
te (PG, CVIII, c. 344), ma forse il compilatore utilizzò un testo più antico.

274
Le città in Sardegna fra tardoantico ed altomedioevo

Forum Traiani, martyrium I manufatti attestano che le città sarde continuarono a vivere nel medesimo sito, ma con mo-
di San Lussorio. dalità diverse. Il recupero a Caralis, Turris, Bosa e Olbia della Forum Ware, ceramica invetriata
prodotta in area romano-campana dalla metà dell’VIII alla metà del IX secolo, prova una
frequentazione ininterrotta di tali centri urbani; dall’altra parte però gli scavi stanno rimetten-
do in luce città “a macchie”, ove quartieri abitati convivono con ruderi e accumuli di detriti,
segno di continuità, ma anche della non volontà (o non possibilità) di ricostruire.
Cagliari continua ad essere un porto iorente e i reperti documentano una itta rete di rela-
zioni commerciali con l’Africa, la Penisola Iberica e l’Oriente. Proprio per questo si ritiene
che sia stata una delle mete principali delle incursioni islamiche subito dopo la distruzione
di Cartagine del 697-698, riportate da fonti scritte di parte araba fra il 711 e il 753. È degli
stessi anni la notizia fornita dal monaco inglese Beda il Venerabile della vendita delle ossa di
Sant’Agostino al re longobardo Liutprando (721-725), che le portò a Pavia (Bedae Venerabilis
Opera, VI. Opera didascalica. De tempore ratione, LXVI, 593. CCL, 123, p. 535), ribadita nell’Histo-
ria Langobardorum di Paolo Diacono (VI, 48. MGH, Scriptores Rerum Langobardicarum, p. 181).
La tradizione ritiene che le reliquie siano giunte con gli esuli africani del regno vandalico, ma
è probabile che siano state portate dopo la conquista araba. In seguito la città è nominata da
Eginardo, biografo di Carlo Magno (770-840), in Annales regni Francorum: Legati Sardorum de
Carali civitate dona ferentes (a. 815).
Nei secoli VIII-XI essa vive momenti dificili: nell’area archeologica di Sant’Eulalia cumuli di
detriti di ediici distrutti, mai rimossi, furono ricoperti di terra, generando discariche nel pie-
no centro urbano; il portico monumentale crollò; case ancora abitate coninarono con ruderi
ino al deinitivo abbandono e alla desertiicazione. Un grafito, in caratteri cuici, murato nel
rifacimento vittorino della chiesa di San Saturnino, insieme ad un’epigrafe araba (inizi X se-
colo), danno la percezione di una società multietnica forse non sempre in pace. Si è ipotizzato
che Caralis sia la città sarda distrutta nel 935 da parte della lotta araba, di ritorno da Genova;
se così fosse, tale attacco potrebbe aver causato il deinitivo abbandono dell’area urbana e il

275
Rossana Martorelli

Grafito da Cagliari, San Saturnino.

trasferimento dei suoi abitanti e dei centri del potere civile e religioso nell’area di Santa Gilla.
Nora appare destrutturata: molti antichi ediici, spoliati, furono trasformati in discariche e in
impianti artigianali modesti; le strade ricoperte di terra; spazi abitati alternati a spazi deserti.
La città non sembra sopravvivere oltre la ine del VII secolo o gli inizi dell’VIII, quando
un incendio danneggiò le Terme a mare, forse a causa dei primi attacchi arabi. Invece, il
santuario di Sant’Eisio fu frequentato nei secoli VIII-XI, forse gestito da monaci orientali,
come suggeriscono alcuni manufatti scultorei recuperati al largo dell’Isola di San Macario e
l’agiograia. Anche per Sulci dalla passio di Sant’Antioco si è indotti a ritenere che il santuario
fosse ancora in vita, gestito da una comunità di religiosi, forse orientale. Il compilatore della
passio di Santa Giusta di Othoca, che racconta di un’inondazione che avrebbe cancellato la
vecchia città, come punizione divina per i persecutori della santa, doveva vedere una città
desertiicata.
Se l’Archivum ipotizzato a San Giorgio di Cabras in base ai numerosi sigilli ivi recuperati è
da riferire ad un trasferimento dell’Archivum di Tharros, si dovrebbe pensare all’abbandono
dell’antica città e allo spostamento del centro amministrativo in un’area interna.
L’aniteatro di Forum Traiani fu smantellato come ediicio di spettacolo e ridestinato a sepol-
creto di soldati: le tombe contenevano ibbie di cintura dei militari bizantini e monete, che
consentono di datarne l’uso almeno sino alla ine dell’VIII secolo.
Cornus, per quanto attiene al complesso in loc. Columbaris, non fu frequentata oltre la ine
del VII secolo. Nel X-XI, in seguito alla riorganizzazione diocesana territoriale, una sede
diocesana fu istituita a Bosa, secondo alcuni in sostituzione di Senafer. A Bosa le ricerche ar-
cheologiche hanno riportato alla luce un cimitero sotto la cattedrale di San Pietro ediicata in
età giudicale: si ipotizza che l’abitato antico dovesse essere nei pressi, come indicano i reperti
ascrivibili ai secoli VIII-XI.
A Turris la basilica, caduta in disuso e demolita ino alle fondazioni, venne coperta da un
nuovo ediicio di cui si è trovato un lato del portico, usato come cimitero: le tombe poggiano
– occultandole – sulle fondazioni della chiesa più antica. Esso era decorato, come dimostrano i
lacerti di affresco recuperati negli strati di crollo, databili al IX-X secolo. Fu demolito per cause
ignote, anche se si può azzardare l’ipotesi di qualche attacco dall’esterno alla ine del X secolo.
Che la città fosse ancora in vita almeno nel IX è testimoniato dalla Forum Ware e da monete
bizantine e arabe trovate nella regione di Balai. Queste ultime potrebbero essere l’indizio di re-
lazioni commerciali, o – come a Caralis – di un nucleo islamico residente in città, l’altro grande
porto dell’Isola, che metteva in comunicazione tra l’altro con la Spagna, dove gli arabi erano
stanziati dal 711. Turris fu con ogni probabilità la prima sede dei giudici del regno di Torres,
che nel XII secolo andarono a risiedere in una vila de Ardar e in un castedu/casteddu de Ardar.

276
Le città in Sardegna fra tardoantico ed altomedioevo

Epigrafe araba da Cagliari,


San Saturnino.

Forse il porto di Olbia è ricordato dall’Apocalisse dello Pseudo-Metodio come uno dei
primi a subire un tentativo di incursione islamica. Egli narra che i Saraceni depredarono
le città e i villaggi, ino a Roma, l’Illiria, l’Egitto, Âfnasôliôs e Lûzâ la grande, di fronte a
Roma. Lo storico W. Kaegi ha tradotto Lûzâ con Olbia, anticipando l’attacco alla Sardegna
al VII secolo. Altri studiosi ritengono invece che egli abbia usato una traduzione latina e
non la versione originaria siriaca, confondendo con avvenimenti del 720 o di pochi anni
prima. Il trafico commerciale rimase attivo nel suo porto, che sui relitti impiantò un
nuovo approdo.

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278
La produzione ceramica: manifatture locali
ed importazioni
Daniele Corda

Compiere uno studio relativo ai manufatti ceramici utilizzati e circolanti in Sardegna in età
tardoantica e altomedievale non può in alcun modo prescindere dall’analisi dei rapporti cul-
turali e commerciali che legarono l’Isola alle grandi entità politiche dominanti il panorama
mediterraneo nel corso dei cinque secoli successivi al progressivo disfacimento delle istitu-
zioni dell’Impero Romano d’Occidente.
Durante il V secolo d.C. la Sardegna non subì, almeno per quanto riguarda i commerci e le
importazioni, sostanziali trasformazioni rispetto alla precedente fase storica. La conquista
di Cartagine da parte dei Vandali, giunti in Nord Africa dopo aver percorso l’Europa conti-
nentale ino alla Penisola Iberica ed aver attraversato lo stretto di Gibilterra, non segnò un
momento di rottura, ma anzi, a fronte di un calo d’importazioni registrato in altre regioni
mediterranee, è possibile riscontrare una signiicativa continuità nello scambio di materiali
tra la Sardegna e i centri produttivi nordafricani gravitanti attorno all’importante centro com-
merciale cartaginese, i cui prodotti, in dal I secolo d.C., venivano esportati capillarmente in
tutte le regioni del Mediterraneo. Queste ceramiche ini da mensa, conosciute come Terre
Sigillate Africane (TSA), per le quali sono stati individuati diversi tipi a seconda delle fasi cro-
nologiche di produzione (sigillate africane di tipo A, C, D ed E), giunsero in Sardegna senza
soluzione di continuità ino al VII secolo (cat. n. 3.17).
Si trattava di manufatti destinati alla mensa, prodotti con un’argilla di color mattone o ros-
sastro e ricoperti da una vernice rosso/arancione; le decorazioni potevano essere a stampo
o a rilievo e riprendevano motivi vari, vegetali, geometrici oppure rafigurazioni animali o
simboliche, spesso di ascendenza cristiana. Numerose erano anche le lucerne, in particolar
modo le forme VIII e X dell’Atlante delle forme ceramiche, prodotte nelle oficine della Tunisia
centrale o settentrionale, realizzate a matrice e decorate sulla spalla con motivi geometrici o
itomori, mentre il disco poteva presentare le medesime decorazioni oppure immagini zoo-
morfe o simboli cristologici (cat. nn. 3.1, 3.3, 3.4). In alcuni casi potevano recare delle scene
tratte dall’Antico o dal Nuovo Testamento.
In quasi un secolo di dominio vandalo dell’Isola, corrispondente a un periodo compreso tra
gli anni subito successivi al sacco di Roma del 455, nei quali viene individuato il momento di
conquista della regione da parte delle armate vandale, e il 534, anno della loro deinitiva resa
al potere bizantino, continuarono a sbarcare nei maggiori centri urbani costieri della Sarde-
gna, a Carales, Nora, Tharros, Turris Libisonis, manufatti da mensa ascrivibili alle sigillate africa-
ne di tipo D e, in misura minore, E, testimonianza che i Vandali, se da un lato imposero con
forza il loro dominio politico e religioso, da un punto di vista economico acquisirono i centri
produttivi nordafricani e li fecero propri, proseguendo la creazione dei manufatti ceramici in
sigillata con solo piccole variazioni nelle forme.
Tali manufatti seguivano la principale linea di diffusione della classe ceramica, lungo le rot-
te che univano l’Africa alla Spagna, attestandosi prevalentemente nella parte occidentale
dell’Isola, da sud a nord. Le merci, poi, penetravano anche verso centri minori o più interni
nell’entroterra della Sardegna che continua ad essere un mercato di primaria importanza per
i prodotti africani.
La diffusione di tali manufatti nella Sardegna centrale e orientale appare, invece, meno
signiicativa. Ciò potrebbe indicare una dificoltà di alimentazione delle importazioni per
l’assenza, in questo momento, di un importante centro portuale di riferimento, che apra i
mercati locali ai trafici mediterranei. Il dinamico centro di Olbia, situato sulla costa nord-
orientale, snodo commerciale di fondamentale rilievo durante tutta l’età imperiale e princi-
pale ponte di contatto tra la Sardegna e Roma, ha restituito l’unico contesto archeologico
nell’Isola che testimoni un’azione violenta, collocabile cronologicamente attorno al 450
d.C., durante le fasi di conquista vandala dell’Isola, costituito dall’affondamento contestua-
le di dieci navi all’ancora nel porto cittadino.

279
Daniele Corda

Brocchetta c.d. costolata, da Torralba.

Nemmeno con la riconquista giustinianea dei territori un tempo facenti parte dell’Impero
Romano d’Occidente e poi occupati dalle popolazioni barbare, tra cui il Nord Africa e la Sar-
degna, si può riscontrare una cesura nelle produzioni di sigillate africane e nei commerci con
l’Isola; anzi, se da un punto di vista quantitativo può rilevarsi un lieve calo negli scambi, per
ciò che riguarda le classi ceramiche che viaggiavano per il Mediterraneo è possibile apprezzare
il ripristino di contatti con le altre aree riconquistate, che erano andati via via afievolendosi in
favore di legami a più corto raggio ma più saldi e afidabili. La circolazione su larga scala di tali
manufatti era garantita dal loro transito all’interno delle navi commerciali che trasportavano
le principali mercanzie delle rotte mediterranee. Tali prodotti erano stoccati nelle stive all’in-
terno di anfore di varie dimensioni, dai piccoli spatheia (30-45 cm), destinati a contenere salse
di pesce, alle grandi anfore vinarie e olearie, orientali e iberiche, che potevano raggiungere
considerevoli dimensioni, ino a 1,5 m d’altezza (cat. nn. 3.25, 3.26, 3.31).
Per la Sardegna, rimase sempre molto saldo il legame con l’Africa e Cartagine, la quale s’iden-
tiicò come la punta avanzata del dominio di Bisanzio nel Mediterraneo occidentale. L’Isola, a
quel punto, divenne uno scalo ancor più determinante nelle rotte commerciali che legavano le
lontane terre occidentali di conine con la capitale. Interessanti, in questo senso, sono i ritrova-
menti in contesti sardi di ceramiche pertinenti alle “fasi intermedie” del percorso che collegava
Bisanzio con le terre del conine occidentale dell’impero e, quindi, anche con la Sardegna. Ce-
ramiche da fuoco con una presenza facilmente individuabile in frattura di grossi e scuri inclusi
vulcanici permettono di identiicare questi materiali come Pantellerian Ware, prodotta nell’isola

280
La produzione ceramica: manifatture locali ed importazioni

a largo delle coste tunisine ed esportata in un vasto bacino d’utenza commerciale centro-
mediterraneo, comprendente la Sardegna, la Sicilia, il Nord Africa, l’Isola di Lampedusa.
Parallelamente alle ceramiche d’importazione, la Sardegna meridionale fu interessata da una
produzione che, a causa della sua limitata area di diffusione, è stata attribuita a botteghe del sud
dell’Isola e viene tradizionalmente deinita “campidanese”. I manufatti mostrano un impasto
depurato di argilla rosa, beige o grigia. Sulla supericie sono presenti delle decorazioni a linee
polite verticali, orizzontali o variamente combinate tra loro, ottenute mediante l’uso di una
stecca (cat. nn. 3.6, 3.11, 3.14, 3.15). Viene ritrovata spesso in contesti d’uso domestico, ma i
dati emersi dallo studio dei materiali della necropoli tardoantica di Pill’‘e Matta a Quartucciu
dimostrano l’uso diffuso di questi manufatti anche in contesti di tipo funerario.
La stessa situazione, caratterizzata da depositi stratigraici chiusi non più tardi del V secolo,
ha restituito nuovi manufatti pertinenti a ceramiche prevalentemente di ambito funerario ma
non solo, ad esempio i due ritrovamenti relativi ad un contesto abitativo a Sant’Imbenia o ad
una fase di frequentazione del Palazzo di Re Barbaro a Porto Torres; inoltre sono emerse dagli
scavi di Sant’Eulalia a Cagliari, caratterizzate da un impasto chiaro, che va dal beige-giallino
al verdastro, oppure rosso-rosato. La supericie ceramica risulta sempre molto porosa e in
molteplici casi è possibile individuare tracce di un’ingobbiatura. Le forme son sempre chiuse,
brocchette di piccole dimensioni con corpo piriforme o globulare, lungo collo cilindrico e
orlo arrotondato, caratterizzate dalla presenza, su una parte o tutta la supericie, di costolature
parallele realizzate prima della cottura. Possono essere riconosciuti due gruppi in base alla
posizione della costolatura sul vaso: solo nella parte inferiore della pancia, a livello dell’impo-
sta dell’ansa, oppure sul collo e sulla pancia, alcune volte senza soluzione di continuità (cat.
nn. 3.8, 3.9, 3.13, 3.18, 3.23). Vengono tradizionalmente associate a relazioni con l’Oriente e
riportate ad un orizzonte produttivo del Mediterraneo orientale (infatti sono citate in lettera-
tura, oltre che come brocchette “costolate”, anche con la denominazione di “bizantine”), ma
l’assenza di dati archeometrici sulle provenienze degli impasti pone ancora dei quesiti che ri-
chiedono una risposta più argomentata, soprattutto a fronte di dubbi interpretativi consistenti,
quale, ad esempio, l’assenza di tali manufatti in contesti nei quali fossero presenti oggetti con-
siderati “fossili guida” per l’età bizantina, come le ibbie di cintura.
Accanto a manufatti dai connotati più distinguibili, in tutti i contesti archeologici sardi si ri-
trovano grandi quantità di materiali relativi a ceramiche prive di rivestimento. Si distinguono
principalmente in due grandi macrogruppi: le ceramiche da fuoco e le ceramiche da mensa/
dispensa. Il primo gruppo presenta un impasto grossolano caratterizzato dalla presenza di
considerevoli inclusi quarzosi che rendono le pareti ceramiche particolarmente resistenti agli
shock termici, permettendo di utilizzare i manufatti ceramici per la cottura degli alimenti tanto
a riverbero quanto direttamente a contatto con la iamma viva. Il secondo gruppo è caratteriz-
zato, invece, da un’argilla più depurata, anche se non ine come quella delle altre classi cerami-
che, e da una grande varietà di forme, destinate a numerosi usi sia nelle fasi di conservazione
degli alimenti, sia nel servizio quotidiano sulle tavole e nelle cucine. A fronte delle signiicative
quantità che costantemente emergono dagli scavi archeologici, in realtà queste sono tra le
ceramiche che creano i maggiori problemi interpretativi. A causa della poca cura estetica nella
loro foggiatura, vengono spesso automaticamente considerate produzioni locali (cat. n. 3.20).
In realtà l’analisi anche solo macroscopica degli inclusi permette quanto meno di riconoscere
l’estraneità dei corpi ceramici con le composizioni litiche dei luoghi in cui vengono ritrovati
questi manufatti. Soprattutto in riferimento alle ceramiche da fuoco e al loro particolare po-
tenziale tecnologico, negli ultimi anni si sta tendendo verso una rivalutazione dell’attribuzione
di tali manufatti ad un circuito necessariamente locale. Tuttavia un problema ancora di arduo
scioglimento rimane legato all’attribuzione cronologica di tali manufatti, che tuttora non riesce
a prescindere dalla contestualizzazione con altre ceramiche di cui si abbia una maggiore co-
noscenza cronologica. Le maggiori dificoltà risiedono nella tendenza di questi manufatti a
forme particolarmente conservative con il passare del tempo, che rendono problematiche le
attribuzioni a determinati orizzonti cronologici. Un contesto esemplare sullo studio di que-
sti manufatti, sicuramente relativo alle fasi bizantine della storia sarda, ci viene restituito dal
sito di Santa Filitica, in agro di Sorso (SS), caratterizzato dall’evoluzione di una villa romana
in un villaggio bizantino di VII-VIII secolo. Il sito ha dato grandi quantità di ceramiche
prive di rivestimento, la cui analisi dei corpi ceramici ha dimostrato essere probabilmente di
produzione locale o sub-locale (cat. n. 3.24).

281
Daniele Corda

Brocchetta da Cornus.

La vera cesura negli equilibri che avevano caratterizzato i trafici del Mediterraneo può essere
riconosciuta nel 698, data della conquista cartaginese ad opera degli Arabi, i quali posero ine
alle produzioni che avevano caratterizzato il Nord Africa ino a quel momento e impiantarono
nuove oficine nelle quali produrre manufatti che rispecchiassero nuove esigenze e rispondes-
sero a differenti capacità tecnologiche.
La Sardegna, vedendosi privata in modo assai drastico del suo principale e più diretto partner
commerciale, trovò in altre aree dell’impero i nuovi mediatori dei trafici con la capitale Bisan-
zio, in particolar modo nell’Italia centrale e meridionale. Tale legame è testimoniato dal diffuso
ritrovamento in contesti sardi di ceramiche caratterizzate principalmente dalla presenza di
tracce di pittura, rossastra o bruna, direttamente applicata sulla parete ceramica oppure su un
leggero strato di ingobbio. In realtà tale insieme di manufatti sembra essere costituito da una
serie di produzioni distinte tra loro sia per quanto concerne le caratteristiche formali, sia per
le aree di produzione in cui questi pezzi vennero fabbricati, sia riguardo alle datazioni. Questa
ceramica è presente in numerosi contesti dell’Italia centro-meridionale e si riferisce ad un arco
cronologico compreso tra il V e il XII secolo. In Sardegna sono numerosi i siti in cui è pre-
sente. Secondo gli ultimi studi relativi all’Italia meridionale, la ceramica dipinta interesserebbe
un periodo molto lungo, dal VI-VII secolo ino al XV, suddiviso in quattro fasi. Riguardo
alla prima fase, è possibile riferirsi ad un contesto culturale di inluenza bizantina, in cui mo-
tivi decorativi diffusi in una vasta area mediterranea vengono reinterpretati a livello locale o
sub-regionale, su forme ceramiche varie, prevalentemente chiuse, che rimandano a confronti
orientali. Una delle tappe intermedie del percorso di diffusione culturale delle ceramiche di-

282
La produzione ceramica: manifatture locali ed importazioni

pinte è Creta, che ha restituito numerosi contesti ricchi di ritrovamenti di ceramiche dipinte di
VII-IX secolo. In ambito sardo, per colpa della conoscenza parziale di gruppi di materiali con-
frontabili, numerosi sono gli errori di attribuzione di frammenti ceramici sovradipinti oppure
si evita di avanzare proposte più o meno precise di datazione. L’apporto dell’archeometria
fornirebbe dati preziosi su una maggiore conoscenza di questi manufatti, dai quali al momento
è possibile rilevare solo un rapporto stretto tra la Sardegna e la Penisola Italiana.
Tali ceramiche probabilmente giungevano in Sardegna insieme a delle anfore di forma globu-
lare – tipiche dell’Italia meridionale, specialmente dell’area campana – utilizzate probabilmente
per trasportare vino. A volte tali manufatti presentavano dei segni incisi, come, ad esempio, al-
cune anfore ritrovate in un butto altomedievale alle pendici del colle di Bonaria a Cagliari, sulle
quali Donatella Mureddu interpretò alcune incisioni sulla supericie ceramica come le lettere
greche ATRI e PA e, integrandole come pateres, le attribuì, quindi, ad un contesto monastico,
forse relativo alla chiesa di Santa Maria Portu salis o Portu gruttis, molto vicina al luogo di ritro-
vamento dei reperti (cat. nn. 3.27, 3.28, 3.29, 3.30). Confronti di questo genere possono essere
fatti con un’anfora recuperata in un sito monastico napoletano, Santa Patrizia, proveniente da
contesti di inizio VIII secolo.
Il rapporto tra la Sardegna e la capitale dell’impero viene mediato dal territorio italico, man
mano che Bisanzio, pressata dagli Arabi, allenta il suo controllo diretto sui territori di conine
e, quindi, anche sulla Sardegna. L’Isola, nel frattempo entra con sempre maggiore intensità
all’interno di circuiti commerciali ma anche culturali legati alla Penisola Italiana e, soprattutto,
a Roma. Tali rapporti sono individuabili dal ritrovamento sempre più consistente in stratigra-
ie sarde di frammenti relativi ad una ceramica chiamata Forum Ware, il cui nome deriva dalla
scoperta, agli inizi del Novecento, di una consistente quantità di oggetti nel Foro di Roma,
presso la chiesa di Santa Maria Antiqua. Tali manufatti sono caratterizzati per avere sulla loro
supericie uno spesso strato di vernice piombifera che in monocottura vetriica, dando al ma-
nufatto una grande uniformità e lucentezza. Sulla supericie sono presenti delle decorazioni
plastiche applicate, cosiddette “a petali” o “a cordoni”, “a scaglie”, “a bugne”.
Il nord della Sardegna ha restituito rilevanti testimonianze di questa classe ceramica: tra i vari
recuperi spiccano per integrità e interesse due manufatti rinvenuti a Olbia e Porto Torres. Si
tratta rispettivamente di una brocchetta, mancante dell’orlo e dell’ansa, di forma ovoidale con
fondo piano e cannello cilindrico applicato superiormente (cat. n. 3.12), e di un boccaletto
monoansato a base piana, con un collo cilindrico decorato da quattro incisioni orizzontali,
un’ansa a bastoncello e un versatoio bilobato, ritrovato quasi totalmente integro (cat. n. 3.21).
Entrambi i reperti presentano una decorazione a petali applicati e uno spesso strato di vetrina
ne ricopre le superici interne ed esterne. Sassari ha restituito diversi frammenti di Forum Ware,
benché in condizioni più frammentarie. Anche nel sud Sardegna si registrano ritrovamenti di
questa ceramica, nonostante ino a pochi anni fa la distribuzione dei recuperi di manufatti rela-
tivi a questa classe ceramica fosse nettamente a sfavore delle aree meridionali dell’Isola, poten-
do segnalare solo qualche frammento emerso dal già citato scavo presso il colle di Bonaria, per
il quale proprio grazie a tali rottami ceramici è stato possibile attribuire dei limiti cronologici al
contesto di rinvenimento. Tuttavia gli scavi archeologici presso il Bastione di Santa Caterina a
Cagliari, iniziati nel 2009-2010 e ripresi a partire dal 2012, hanno fornito dati utili alla revisione
della loro distribuzione nell’Isola. Una grande cisterna con sezione a bottiglia di probabile im-
pianto punico, riutilizzata poi in età romana come luogo di culto, perse la sua funzione d’uso
nell’alto medioevo, quando venne reimpiegata come discarica e interamente colmata.
È proprio da questi strati di butto, sigillati dalle stratiicazioni dei secoli successivi, che sono
emerse consistenti quantità di frammenti di Forum Ware attestate in differenti varianti croma-
tiche e tipologiche e in associazione con altri materiali come ceramiche sovradipinte, anfore
globulari e una ibbia decorata di tipo bizantino, che hanno permesso di attribuire le fasi
dell’abbandono dell’area ipogeica e il suo riutilizzo come discarica ad un arco cronologico
compreso tra l’VIII e il X secolo.
Sono, questi, anni decisivi per la storia della Sardegna bizantina, troppo lontana dalla capitale
per poter mantenere un dialogo costante e sempre più minacciata dalle scorrerie degli Arabi
che imperversavano nel Mediterraneo occidentale. Tale fase di incertezza avrebbe prodotto
un’emancipazione del potere del governatore bizantino in Sardegna rispetto alla madre patria,
che in una prima fase avrebbe, forse, governato l’Isola in totale indipendenza, vedendola poi
dividersi in più regni, ognuno in mano a uno judex: cominciava per la Sardegna l’età giudicale.

283
Daniele Corda

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284
La lavorazione del vetro
Maria Grazia Arru

Il vetro, grazie alle sue caratteristiche peculiari quali la malleabilità, l’impermeabilità e la


trasparenza, unitamente al basso costo di produzione, si è rivelato nel corso dei millenni un
materiale prezioso per la creazione di vasellame da mensa, di manufatti per l’illuminazione
e per l’ornamento personale e di elementi architettonici come le lastre da inestra. Il suo
studio è, purtroppo, condizionato da vari fattori, fra i quali i più importanti sono la fragi-
lità del materiale e il riutilizzo dei frammenti che venivano raccolti e rifusi nelle fornaci.
Un’ulteriore dificoltà è rappresentata dal fatto che, spesso, i materiali vitrei provenienti dai
contesti di scavo restano in gran parte inediti.
In Sardegna alla notevole diffusione del vasellame vitreo di uso comune fra I e III secolo
d.C. si contrappone una minor frequenza di questa presenza nei contesti databili dall’inizio
del IV sino alla ine del VI d.C. e le tipologie presenti si limitano a poche forme da mensa
(bottiglie, calici e coppe) e d’uso cosmetico-funerario (balsamari).
Per quanto riguarda i balsamari, diffusi in tutto il territorio sardo (presenti non solo nelle
aree cimiteriali di siti importanti come quelli di Olbia, Cornus e Tharros, ma anche nei piccoli
insediamenti rurali), si ritrovano associati anche a materiali di IV-V secolo d.C. (come per
esempio nelle catacombe di Sant’Antioco e a Cornus). I balsamari tubolari, frequenti nel
I e II d.C., nei contesti databili tra la ine del III e l’inizio del IV subiscono una drastica
contrazione quantitativa, dovuta probabilmente alla trasformazione dei riti funerari oppure
a una fase di involuzione economica delle oficine vetrarie.
Il sito di Cornus rappresenta un caso particolare, dato che i frammenti vitrei recuperati du-
rante le indagini archeologiche nelle aree a ridosso delle sepolture, deputate allo svolgimen-
to dei banchetti funebri, hanno permesso di acquisire numerose informazioni sia sull’uti-
lizzo del vasellame vitreo da mensa nell’arco temporale tra tarda antichità e alto medioevo,
sia sulle dinamiche della circolazione di tali manufatti nell’Isola. Le forme più comuni nel
IV secolo sono i bicchieri a fondo apodo, le coppe emisferiche, i piatti, le bottiglie. L’unica
decorazione presente sulle lisce pareti dei bicchieri e delle coppe è costituita da linee sottili
incise a metà del corpo o sotto il bordo.
Il passaggio dalla produzione tardoromana a quella altomedievale sembra avvenire tra la
fine del IV secolo e la prima metà del V, non senza importanti cambiamenti dal punto
di vista tecnico. Infatti è proprio in questa fase che il vetro, oltre ad assumere una co-
lorazione tendente al verde o al color ambra, presenta, al posto delle incisioni, delle de-
corazioni a disegni geometrici, realizzate con filamenti in pasta vitrea solitamente dello
stesso colore di quello del recipiente, oppure con pasticche di vetro colorato (nella mag-
gior parte dei casi, blu). Questa tecnica decorativa, semplice, ma capace di creare effetti
raffinati, era conosciuta già nel II millennio a.C., ma ricompare proprio tra la fine del
IV e gli inizi del V secolo e si afferma soprattutto a partire dal VI. Da questo momento
generalmente, anche se non esclusivamente, viene associata alla forma del bicchiere a
calice: il filamento si distingue dal corpo del recipiente grazie a un colore diverso, gene-
ralmente bianco e più sporadicamente blu, rosso, giallo e verde. Di solito i filamenti si
presentano in rilievo rispetto alla superficie, ma altre volte, forse per il deterioramento
del materiale, appare come una debole traccia. In qualche caso la decorazione compene-
tra la parete del manufatto, fatto che rappresenterebbe un ulteriore elemento distintivo
rispetto alla produzione di V secolo. Anche gli orli dei vasi cambiano decisamente: si
ingrossano e, anziché essere semplicemente tagliati, sono rifiniti alla fiamma. Tale accor-
gimento distingue, dal punto di vista morfologico, la produzione tardoantica da quella
altomedievale. Tutti questi cambiamenti che modificano l’aspetto dei manufatti rivelano
un mutamento nella tecnica di esecuzione. Piatti con orlo ribattuto e bicchieri con fondo
apodo concavo, privi di decorazioni, sono in uso in Sardegna nel V-VI secolo e sono
presenti anche brocche, bottiglie e lampade.

285
Maria Grazia Arru

Ryton da Domusnovas. Cagliari,


Museo Archeologico Nazionale.

Coppa da Ittiri. Cagliari,


Museo Archeologico Nazionale.

286
La lavorazione del vetro

In particolare i fondi conici con estremità arrotondata o a punta vengono riferiti alla ti-
pologia della lampada deinita “imbutiforme con appendice cava”, diffusa in Italia sicura-
mente nel VI secolo, ma probabilmente presente già alla ine del V secolo. Tale oggetto,
destinato all’illuminazione, doveva essere appeso tramite dei sostegni in metallo. Sono
presenti anche frammenti di lampade appartenenti al tipo con tazza troncoconica a tre
anse importate in Occidente dall’area siro-palestinese e utilizzate abbondantemente nel VI
secolo. La luce veniva prodotta da uno stoppino di ibre vegetali immerso in una sostanza
oleosa combustibile, che galleggiava sopra uno strato d’acqua. In ambito funerario nel
IV-VI secolo venivano usate come signaculum presso le sepolture. Gli elementi caratteriz-
zanti la forma Isings 134 sono le tre anse di piccole dimensioni, piegate ad angolo acuto,
impostate in basso, sulle pareti, che presentano un proilo troncoconico, oppure in alto,
sul bordo, formato da un orlo tubolare, saldato sul lato esterno; il fondo è apodo con rien-
tranza o leggero conoide (le anse potevano essere un dispositivo inalizzato all’inserimento
del supporto metallico per la sospensione oppure, semplicemente, fungevano da prese).
Le lucerne sono ritenute una produzione che inizia nel IV secolo nell’area orientale del
Mediterraneo, attestate in Siria, Palestina, Cipro e Turchia, e si diffonde nel corso del-
lo stesso secolo in Occidente ino all’alto medioevo. Nella Penisola circolano in modo
uniforme. In Sardegna le lucerne sono documentate dal ritrovamento in gran numero di
frammenti di bordi e di anse a Cornus, intorno alle sepolture dell’area cimiteriale orientale.
Sono attestate inoltre a Sant’Antioco, dove sono state rinvenute nelle catacombe durante
gli scavi eseguiti dal Taramelli.
Nell’Isola, fra gli esemplari di pregio e di particolare valore artistico, si segnala la coppa che
reca incisa sul fondo una igura interpretata come immagine di Cristo legislatore e imperator;
ritrovata nel XIX secolo a Ittiri, è datata al V secolo (cat. n. 3.37). Nel VI e VII la produ-
zione sembra focalizzata sulle poche tipologie già in uso nel secolo precedente.
Compare nel V e conosce grande diffusione nei secoli successivi il calice (forma Isings
111c), di cui si conoscono varie forme: su stelo corto e tozzo, con piede campaniforme,
coppa ad “U”, cilindrica o troncoconica, orli ingrossati e arrotondati o anche lavorati. Si
tratta del cosiddetto “calice di tipo mediterraneo”, che rappresenta una vera e propria “no-
vità” della produzione vetraria e che sostituisce quasi del tutto il bicchiere apodo. Questo
manufatto vitreo, nella sua forma più classica, è attestato in Italia in contesti databili a par-
tire dal V secolo ed è presente ino all’XI-XII. Dal VI al VII-VIII costituisce una delle for-
me più comuni e frequenti, così da essere ritenuto un “fossile guida”. Durante il medioevo,
dall’XI ino al XIV secolo, presumibilmente, diventa un prodotto ricercato e raro e fa parte
di un tipo di manufatti a carattere suntuario. In Sardegna il bicchiere a calice è documentato
sia dai pezzi integri conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari e nel Museo
G.A. Sanna di Sassari, sia da frammenti venuti alla luce più recentemente nel corso di scavi
stratigraici o raccolte di supericie. Alcuni degli esemplari conservati nel Museo di Caglia-
ri, databili tra IV e VI secolo, vengono da Cornus, Tharros e Olbia: presentano lo stelo corto
e tozzo e il piede campaniforme; la coppa invece può essere a U, di forma cilindrica molto
ampia, allungata o troncoconica; gli orli sono ingrossati e arrotondati o semplicemente
lavorati. Possono essere presenti dei ilamenti di pasta vitrea in rilievo, che sottolineano il
bordo. Non sempre è possibile stabilire il contesto d’origine. Nel Museo Sanna di Sassari
fanno parte della collezione dei vetri romani due calici integri, uno dei quali caratterizzato
da una decorazione dipinta. Per quanto riguarda i ritrovamenti maggiormente signiicativi
è soprattutto a Cornus e a Cagliari che viene documentata la presenza della tipologia in esa-
me, il calice di tipo “mediterraneo”, con numerosi frammenti di piedi che denotano diverse
varianti: lo stelo basso e sottile internamente cavo si unisce con piedi a disco o a tromba
depressa, con anello di base a sezione tubolare o semplicemente arrotondato; oppure lo
stelo è a globo di vetro pieno.
In ambito funerario la presenza di calici come parte del corredo funebre è stata recen-
temente testimoniata anche nella necropoli di Pill’‘e Matta alla periferia di Quartucciu
(Cagliari), nelle tombe databili tra IV e V secolo d.C. Due frammenti di piedi provengono,
inoltre, dalla zona vicino a Gesturi (sono probabilmente pertinenti a piccoli abitati rurali,
che dall’epoca romana possono aver avuto una continuità di vita ino all’alto medioevo)
e altri da Porto Torres.
Un contesto che attesta la diffusione dei calici in ambito cagliaritano è il sito di

287
Maria Grazia Arru

Sant’Eulalia: i frammenti testimoniano la presenza di un’unica tipologia con piede a disco


non perfettamente circolare, debolmente campaniforme; l’anello di base, più o meno in-
grossato, è a sezione tubolare; lo stelo basso e sottile internamente cavo e diaframmato;
gli orli delle coppe, invece, di cui a causa della frammentarietà del materiale non è stato
possibile ricostruire la forma, sono arrotondati. In sintesi la forma è documentata non
oltre i secoli VII-VIII.
Anche il corno potorio è una nuova forma: l’esemplare ritrovato a Domusnovas (cat. n.
3.36, si tratta di un reperto fuori contesto) ha una decorazione con ilamenti e nervature
e, per confronto con esemplari simili rinvenuti nelle tombe longobarde, viene datato al
VI-VII secolo. In questo periodo diminuiscono le forme aperte (coppe e piatti), mentre
aumenta la presenza di calici e forme chiuse.
Tutti questi reperti attestano una situazione paragonabile a quella di altri paesi dell’area
mediterranea, nei quali si nota un impoverimento del repertorio, riscontrabile sia nella con-
trazione delle forme che nel livello tecnico assai ordinario, sebbene si cominci a ravvisare
anche qui una maggiore riinitura degli orli. Le numerose scorie di lavorazione recuperate
a Cornus e a Cagliari (in vico III Lanusei e nell’area sottostante la chiesa di Sant’Eulalia)
lasciano intuire che si tratta di produzioni locali. I frammenti vitrei provenienti dagli scavi
archeologici sotto la chiesa di Sant’Eulalia in Cagliari sono riconducibili alle tipologie del
bicchiere a calice, del bicchiere a fondo apodo e della lampada. Si tratta di produzioni
omogenee con quelle diffuse nei secoli IV, V e VI in Occidente e confrontabili, in ambi-
to sardo, soprattutto con alcuni esemplari rinvenuti nelle necropoli suburbane di epoca
romana dell’antico insediamento di Cornus. Da questo sito proviene infatti una notevole
quantità di vetri, databili dal secolo I al VI d.C. di notevole bellezza e di pregevole fattu-
ra. In particolare presentano notevoli analogie con i reperti di Sant’Eulalia piedi di calici
con stelo basso e sottile recuperati a Cornus intorno alla mensa relativa alle tombe 20-21;
nel deposito votivo di Genna Maria; nella necropoli altomedievale di Nurachi e a Nora,
nella necropoli romana. I vetri di Sant’Eulalia rientrano nell’ambito cronologico che va
dall’inizio del IV a tutto il V-VI secolo d.C., attestato nell’Isola a Olbia (dalle necropoli
suburbane di Olbia proviene una grande quantità di vetri: balsamari e vasellame da mensa
quale bicchieri, calici, coppe, piatti), Cornus, Tharros (in alcune tombe di epoca romana,
localizzate a San Giovanni di Sinis nella seconda metà del XIX secolo, è stata recuperata
una notevole quantità di vetri: olle, balsamari, bicchieri, piatti, bottiglie, brocche), Nora, nei
centri abitati, nelle ville o nei ruderi afioranti.
Anche dalle indagini effettuate nel sito archeologico di Vico III Lanusei in Cagliari sono
stati recuperati interessanti reperti vitrei: l’analisi di questi materiali contribuisce a rico-
noscere che in Sardegna la manifattura del vetro era inserita in un quadro produttivo e
commerciale vitale. Questa situazione emerge chiaramente non solo dalle notizie di vec-
chi ritrovamenti, ma anche dalle indagini più recenti: sembra ormai deinitivamente accer-
tato come quella del vetro in Sardegna fosse una produzione corrente e uniformemente
diffusa non solo relativamente alle forme in uso in età romana, ma anche per quelle tarde
ino al VII secolo.
A Tergu, durante i recenti scavi del monastero benedettino, sono stati rinvenuti frammenti
di vetro di varie forme e dimensioni, presumibilmente prodotti in una fornace di cui è
stato ritrovato in buono stato di conservazione il crogiuolo (ossia la parte in cui venivano
fusi i minerali per la produzione del vetro), databili al X-XI secolo. A Nora l’unica strut-
tura sicuramente connessa con la produzione di oggetti vitrei è stata recentemente datata
all’alto medioevo. Tuttavia, questa fornace individuata nei pressi del teatro, anche se rientra
in pieno nella casistica delle fornaci secondarie altomedievali, è priva di elementi che ne
deiniscano chiaramente la produzione.
Dal sito di Santu Stevanu (Luogosanto, Sardegna nord-orientale) provengono circa 700
frammenti vitrei rinvenuti durante gli scavi stratigraici del 2001-2002. Purtroppo la loro
frammentarietà non ha consentito di ricostruire le forme originarie; tuttavia una parte è at-
tribuibile alla forma del bicchiere apodo eseguito a sofiatura libera (XI-XIII secolo e ino
al XIV) e al bicchiere di corpo troncoconico o cilindrico con base apoda o piede ad anello
realizzato tramite sofiatura entro stampo (XIII-XV secolo). Diversi frammenti di fondi,
recuperati nel corso delle indagini condotte nei primi anni 2000 nel castello di Las Plassas,
in Marmilla, riportano allo stesso tipo di bicchiere e a una cronologia simile.

288
La lavorazione del vetro

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289
Maria Grazia Arru

Fibbia da Uras, nuraghe Domu Beccia.


Cagliari, Museo Archeologico Nazionale.

Fibbia da Borutta, Santu Pedru de Sorres.


Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna.

Fibbia da Tissi, tombe in via Paris de Idda.


Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna.

Fibbia da Siligo, insediamento presso la


chiesa di Mesumundu.
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna.

290
L’artigianato metallico
Rossana Martorelli

La lavorazione del metallo ha origini molto antiche in Sardegna, favorita dall’esistenza di


numerose cave di minerali in diverse zone dell’Isola, ampiamente sfruttate in dall’età
preistorica, preziose fonti di attrazione di popoli stranieri, quali i Fenici, che approdaro-
no sulle coste sarde proprio per il commercio del metallo e che, dopo aver impiantato dei
semplici emporia, gradualmente li trasformarono in insediamenti stabili.
La presenza di tali bacini lascia rilessi anche nella toponomastica di centri come Ferraria,
lungo la via costiera orientale; Argentaria, nei pressi di Sassari; Plumbaria Nesos, nome
antico dell’attuale Isola di Sant’Antioco. Più nota è Metalla, che molti studiosi propongo-
no di identiicare con Buggerru, oggi importante centro nella zona mineraria del Sulcis
Iglesiente e in età romana forse da collegare con la destinazione dei condannati ai lavori
forzati, ad metalla, se con tale espressione ci si riferiva non solo ad una generica depor-
tazione nelle cave di pietra e nelle miniere, bensì ad un preciso luogo. Fra questi nel II
secolo erano anche alcuni cristiani, tra cui il diacono e futuro papa Callisto (Hipp., Philos.,
9.12.1-9).
Le fonti scritte, dai testi storico-letterari alle norme giuridiche contenute nei codici le-
gislativi ino alle narrazioni agiograiche, menzionano spesso l’attività in miniera, che
costituiva la prima fase dell’artigianato metallico. In epoca bizantina una disposizione del
Prochiron legum riporta una sanzione in relazione a miniere di Sardegna e Corsica e alcune
norme della legislazione corrente condannavano ad metalla in Sardegna i propinatori di
iltri magici.
Certamente nei diversi bacini metalliferi dislocati, oltre al Sulcis Iglesiente, anche nel
Guspinese, nell’area del Montiferru, nella Nurra, in Gallura e nel bacino del corso del
Flumendosa, avveniva la fase iniziale di lavorazione. Le materie prime (argento, ferro,
oro) si reperivano da blocchi di pietra, preventivamente frantumati, dai quali si faceva
uscire il minerale, reso luido e liquido con l’aiuto di una fonte di calore. Risciacquato e
puriicato dalle scorie, veniva lasciato decantare e raffreddare, in modo da formare dei
solidi – i lingotti – da vendere come prodotti semilavorati alle oficine degli artigiani, che
da essi realizzavano gli oggetti veri e propri.
Più dificile è, invece, individuare i luoghi destinati alla lavorazione secondaria, durante
la quale dal prodotto semilavorato si giungeva alla realizzazione dell’oggetto inito, attra-
verso i procedimenti tecnici della forgiatura, della fusione o della cosiddetta “cera persa”.
Tale fase doveva essere afidata a botteghe, come altrove gestite da piccoli artigiani, se-
condo le modalità di un’attività quasi domestica, sebbene la lavorazione del metallo sia,
fra le forme artigianali, senz’altro quella più soggetta e legata alle disposizioni dello Stato.
Le oficine del faber (termine con cui genericamente si indicava chi lavorava il metallo,
ma che sovente era accompagnato da un aggettivo che ne precisava la specializzazione
nell’ambito delle diverse sfaccettature che tale “arte” comportava: caligarius, armentarius,
ecc.) erano dislocate con ogni probabilità in relazione soprattutto alle grandi città. A
Cagliari, le indagini condotte in vico III Lanusei hanno restituito una matrice litica per
la realizzazione di gioielli, che giaceva ancora in una discarica formatasi nell’immediato
suburbio orientale della città nell’alto medioevo (cat. n. 3.159). Mediante la tecnica della
fusione, il metallo portato alla sua propria temperatura di fusione veniva colato in questo
stampo, in cui erano incisi alcuni solchi, che seguivano il disegno di orecchini e ibule.
Il tipo dei manufatti prodotti rientra agevolmente dell’oreiceria di epoca bizantina, ben
attestato ovunque nella stessa Isola.
Tale scoperta è certamente eccezionale ed è assimilabile ad altri due esemplari rinvenuti
rispettivamente a Roma e a Luni, poiché solitamente solo le scorie sono l’unica testimo-
nianza superstite di un’attività di lavorazione del metallo. Queste ultime, ritenute pertan-
to un indicatore prezioso, attestano che una oficina era situata almeno nelle vicinanze.

291
Rossana Martorelli

Quadrangula usato come insegna


di pellegrinaggio, da Selargius.

Sono state ritrovate in gran numero a Cagliari nella discarica già ricordata, ma anche a
Cornus, dove è stata ipotizzata la presenza di botteghe in loco. In questo caso, trattandosi
di un complesso cultuale inserito in un cimitero, si potrebbe ipotizzare non tanto un’of-
icina ad uso dell’intera città cornuense, quanto per il funzionamento del cimitero (ele-
menti per la bara: barrette o altro) e per la stessa chiesa, laddove il metallo poteva essere
impiegato per realizzare oggetti destinati agli ediici stessi (chiodi, grappe, elementi di
serratura, cerniere di cassettine reliquiario, lampade o altro), o per la suppellettile liturgi-
ca (è stato rinvenuto un cucchiaino nel pastoforio destro del battistero).
In età postclassica l’industria artigianale del metallo fu molto iorente in Sardegna, stando
alla testimonianza offerta dai reperti che gli scavi archeologici restituiscono in grande
abbondanza. In metallo, infatti, venivano realizzati oggetti di diverso genere e di diversa
destinazione funzionale e la grande varietà morfologica e qualitativa all’interno di ogni
tipologia denota una fervida attività produttiva, legata con ogni probabilità non solo al
fabbisogno interno degli abitanti dell’Isola, ma anche ad un commercio extraisolano,
così come dalle altre regioni del Mediterraneo giungevano oggetti e forse modelli. Tra
i reperti sicuramente pervenuti da regioni extraisolane si può ricordare il quadrangula
in argento recuperato in una sepoltura tornata alla luce nella chiesa di San Giuliano a
Selargius (Cagliari), una placchetta insegna di pellegrinaggio, ottenuta o comprata dal
defunto in ricordo di un viaggio devozionale probabilmente a Roma, ad limina apostolorum
in Vaticano e sulla via Ostiense, poiché su di essa sono efigiati i busti di Pietro e Paolo,
principes apostolorum.
In metallo, venivano forgiati oggetti legati alla carpenteria (edilizia), fra cui certamente i
chiodi sono fra i reperti più frequenti in ogni contesto, sia funerario che abitativo. Nu-
merose anche le grappe, insieme ai ganci, le cerniere per il mobilio e le porte, le chiavi e
gli elementi di serrature.
Frequenti anche gli utensili, utilizzati in ambito domestico, come parti di recipienti, ma
soprattutto i coltelli, generalmente di piccole dimensioni, a lamina piatta, saldata al co-
dolo, ugualmente in metallo, che veniva poi inserito nell’immanicatura, invece in legno o
avorio (cat. n. 3.133). Il coltello veniva usato sia in casa che per tagliare l’erba e pertanto
alcuni popoli seminomadi erano soliti portarlo appeso alla cintura, insieme ad altri og-
getti essenziali alla vita quotidiana.
Le forchette, invece, non compaiono fra la suppellettile domestica anteriormente alla ine
del XIV secolo. Alla funzione della forchetta assolveva il cucchiaio, costituito da un lun-
go manico ad asticella, terminante ad un’estremità con una punta, con la quale si inilza-

292
L’artigianato metallico

Cucchiaino ad uso liturgico, trovato nel vano alcuni cibi solidi, mentre all’altra aveva una ligula, generalmente ovale e concava, per
pastoforio del battistero di Cornus. raccogliere anche gli alimenti liquidi. I cucchiaini si trovano anche fra la suppellettile di
uso liturgico, spesso decorati con motivi cristiani. Il silenzio delle fonti scritte ha indotto
a formulare diverse ipotesi: una donazione di interi servizi da parte di fedeli facoltosi alla
propria chiesa, perché servissero come posate alla mensa dei poveri; oggetti impiegati
per mescolare l’acqua e il vino nel calice prima della celebrazione eucaristica, oppure
per amalgamare l’olio e la cenere nel sacro crisma con cui il vescovo ungeva la fronte al
neoita, che – secondo il rito antico – subito dopo aver ricevuto il battesimo veniva con-
sacrato mediante il sacramento della conirmatio (la Cresima). A proposito di quest’ultima
supposizione, proprio in Sardegna, a Cornus, nel pastoforio (sacrestia) destro dell’ediicio
battesimale, coperto dal crollo del tetto e delle pareti avvenuto dopo l’abbandono del
luogo, giaceva un piccolo cucchiaino in argento.
Fra la suppellettile liturgica anche patene, brocche e lucerne. Ad una di queste apparte-
neva forse la statuina raffigurante l’apostolo Paolo come suggerisce il confronto con un
esemplare conservato al Museo Archeologico di Firenze.
In metallo venivano realizzati i complementi all’abbigliamento e i monili di ornamento
della persona, che si ritrovano frequentemente, anche perché accompagnavano il defun-
to nell’ultimo viaggio nell’aldilà. Molto numerose sono le fibbie di cintura, in bronzo,
ferro e argento. Composte da un anello circolare, quadrato o reniforme, sono caratteriz-
zate da una placca che presenta diverse forme e si inseriscono nella produzione cosid-
detta “bizantina” con i tipi “Syrakus” (cat. nn. 3.66, 3.85), “Corinto” (cat. nn. 3.67-3.69,
3.74, 3.87-3.88), “Bologna”, “Balgota”, “a scudetto”, ad U (cat. nn. 3.70-3.73, 3.75-3.76,
3.81-3.84, 3.89, 3.92-3.93), ornati con motivi geometrici, floreali o figurati, segni fanta-
stici, creati da linee e spirali, volatili isolati non meglio definibili, pavoni, scene desunte
dal repertorio della caccia e della guerra, ma anche della Bibbia; meno comune la de-
corazione à cloisonné. A questi esemplari si aggiungono manufatti più originali, di forma
triangolare, quadrata semilunata o a croce patente ed una con scena circense da San
Giorgio di Cabras.
Le ibbie chiudevano cinturoni usati nell’abbigliamento dei militari dell’esercito bizanti-
no e dunque anche di stanza in Sardegna. Trovate in diversi luoghi, attestano la presenza
di contingenti militari nelle grandi città e in alcuni centri rurali (Borutta, Sorres, Padru,
Sestu, ecc.), dislocati in modo da garantire la difesa del territorio attraverso postazioni
o veri e propri castra, abitati talvolta anche dalle famiglie. Ritenute per molto tempo un
manufatto in uso nel VI e VII secolo, sono state in questi ultimi anni recuperate anche
in contesti databili in base alla stratigraia o al materiale numismatico almeno ino alla
ine dell’VIII, attestando una sostanziale continuità del costume militare in tutta l’età
bizantina.
Degni di attenzione sono alcuni elementi forse di una cintura multipla, trovati a Selar-
gius, che sembra l’esito inale di una lunga evoluzione della cintura, nata forse presso i
popoli nomadi, che avevano necessità di portare con sé molti oggetti, appesi alla vita, poi
attestata nell’equipaggiamento dell’esercito bizantino e longobardo. Il possesso e l’uso
nell’abbigliamento doveva considerarsi espressione di un alto grado sociale e militare, per
cui, è possibile che appartenesse a qualche membro o famigliare dell’exercitus Sardiniae.
Attestate in Sardegna sono anche le ibule, spille utilizzate per la chiusura delle vesti,
ugualmente in bronzo, ferro e argento (cat. nn. 3.63-3.65). La tipologia è abbastanza
omogenea, prevalentemente nella forma a disco circolare (da Dolianova, Nurachi, etc.),
che riconduce ad un ambito culturale romano-bizantino, anche se non mancano varianti
originali, come l’esemplare a stella da Cornus.
Ad esclusione di un rinvenimento a San Giorgio di Cabras, risalente all’età altomedievale,
i bottoni in questo periodo non sono usati, perché non richiesti da abiti a tunica dalla
linea sciolta.
In metallo erano realizzate spesso anche le passamanerie che ornavano le vesti al collo e
ai polsi. Numerosi sono gli aghi crinali, impiegati per raccogliere la chioma in acconcia-
ture dalle forme più o meno elaborate, oppure per fermare il velo o la cufia che funge-
vano da copricapo, secondo una moda che accomuna tutti i territori dell’impero romano,
dall’Oriente all’Occidente. Di piccole dimensioni, fusiformi, con diverse varianti nella
morfologia della testa, vennero realizzati in avorio e osso in epoca romana, ma dalla

293
Rossana Martorelli

Orecchini con pendente da Dolianova,


necropoli di Bruncu e S’Olia.
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale.

Anello a castone da Dolianova,


necropoli di Bruncu e S’Olia.
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale
(a sinistra).

Anello a castone da Sassari, La Crucca.


Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna
(a destra).

294
L’artigianato metallico

ine del V secolo si iniziò a privilegiare il metallo, modiicando anche la struttura, che si
assottiglia e si avvicina maggiormente ad uno spillone. Fra le attestazioni attribuibili al
V-VII secolo si può ricordare l’ago di Patriga foemina honesta, rinvenuto con una ibula in
una sepoltura del cimitero di Cornus (cat. n. 3.61).
Molto comuni anche i monili per l’ornamento della persona. Nell’età altomedievale in
Sardegna si registra all’inizio una persistenza dell’orecchino tradizionale romano più tipi-
co, ad anello semplice, oppure arricchito da pendenti in metallo, in pasta vitrea, ambra,
corallo o pietre dure (cat. nn. 3.45-3.47, 3.51). In piena epoca bizantina si diffondono tipi
più elaborati: a cestello, semilunati a pendenti, a poliedro, ad anelli saldati, gli ultimi due
comunemente adottati presso i nuclei germanici (cat. nn. 3.43-3.44, 3.48-3.50). Mostra-
no, invece, un aspetto del tutto originale gli orecchini cosiddetti “a globo mammellato”,
che riprendono un modello in uso in epoca punica (cat. nn. 3.39-3.42).
Ben noti anche gli anelli digitali (cat. nn. 3.54-3.60), che a partire dalla tarda antichità
assumono una forma molto semplice, a verghetta larga e piatta, o a sottile ilo a sezione
cilindrica, lisci o con una decorazione circoscritta alla sommità (raramente anche sulla
spalla), talvolta evidenziata da un castone, riempito da gemme antiche con immagini di
divinità; oppure utilizza segni e simboli cristiani semplici (croci, cristogrammi, o stella a
sei punte).
Meno comuni le armille, i bracciali, che sembra fossero indossati sia dagli uomini che dal-
le donne. Non esclusivamente in metallo (ad es. anche in pasta vitrea), prediligono even-
tualmente il bronzo e la forma a semplice anello, talvolta ad estremità aperte e desinenti
in teste di animali (serpenti o altro), ulteriore indizio imputabile forse ad un’inluenza
germanica, forse con una valenza apotropaica contro il malocchio (cat. nn. 3.52-3.53).
Delle collane rimangono più spesso i vaghi in pasta vitrea, corallo, ambra o corniola, a
parte qualche anellino di catenella che potrebbe essere attribuito alla collana stessa o alla
fermezza in metallo, generalmente in argento o bronzo, raramente in oro (cat. nn. 3.38,
3.137). Esclusivamente alla veste funebre sembrano pertinenti invece le crocette cucite
sul sudario (cat. n. 3.62), ritrovate ad esempio nel cimitero di Forum Traiani, presso il san-
tuario del martire Luxurius, realizzate ritagliando monete longobarde degli inizi dell’VIII
secolo.
La gioielleria eredita certamente tradizioni e tecniche in uso nell’Isola in dall’epoca pu-
nica, ma assorbe probabilmente nuove mode provenienti dalle cosiddette popolazioni
barbariche, anche per la presenza sul suolo isolano di individui spesso assoldati nell’eser-
cito bizantino di stanza nelle provincie. Soprattutto respira la nuova cultura dell’Oriente,
verosimilmente attraverso modelli giunti con donazioni altolocate, esercito, commercian-
ti, pellegrini. Anche la Sardegna si inserisce, dunque, in una koinè mediterranea, pur non
trascurando espressioni di artigianato locale, che si manifesta con forme nuove e originali
(spilla a raggi, orecchini a globo mammellato).
Inine, in metallo erano realizzati utensili per la cosmetica, come spatoline, forse per il
trucco, e specchi. Da Cornus proviene un esemplare del tipo tradizionale a disco, per il
quale il motivo decorativo inciso sulla teca in sughero, rafigurante un’anfora sotto un
elemento architettonico ad arco, autorizza a proporre un inquadramento nell’età proto-
bizantina (cat. nn. 3.141-3.142).
Gli attrezzi per la lavorazione nei campi, fra i quali i falcetti, generalmente in ferro, sebbe-
ne non manchino oggetti in bronzo, sono frequenti in contesti rurali, ma anche in ambito
urbano, evidentemente utilizzati non solo in relazione al lavoro agricolo nei campi, ma per
tagliare l’erba negli orti attigui alle case. In metallo sono anche gli strumenti per la tessitura,
come l’ago e il ditale (cat. n. 3.96), o per la pesca, come l’amo.
Poco documentati, invece, gli oggetti pertinenti alle armi e alle armature, a cui si possono
attribuire con certezza solo punte di frecce, cuspidi di lame (cat. n. 3.132) e forse parti di
corazze, oppure i inimenti da cavallo (cat. n. 3.131), forse ugualmente legati all’uso militare.
Inine, il metallo è usato per le sepolture, per alcune lamine, anche forate, in ferro, bron-
zo e piombo, per tenere saldati gli assi lignei posti a coperchio delle tombe, oppure per
le bare ugualmente in legno. Sono noti listelli in piombo a fascia piatta, che si rastrema
alle due estremità, con un foro al centro. Una peculiarità della Sardegna, conseguenza
della disponibilità della materia prima, sembra poi risiedere nell’uso del piombo per la
realizzazione di sarcofagi a cassa parallelepipeda (cat. n. 3.108).

295
Rossana Martorelli

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296
I sarcofagi tardoantichi: produzione locale
e importazione
Lucia Mura

Il sarcofago è un manufatto attinente ai contesti funerari: realizzato in forma di cassa, era de-
stinato a contenere il corpo di un defunto sepolto secondo il rito dell’inumazione. Il termine
è composto dalle parole greche “sàrx, sarcòs” (carne) e “fagheìn” (mangiare) e deriva dalla cre-
denza antica secondo la quale i cadaveri venivano consumati rapidamente da un particolare
tipo di pietra calcarea della regione della Troade con cui venivano realizzate le casse funerarie.
Presente in dalla preistoria, il suo uso si diffonde in tutte le civiltà antiche del Mediterraneo;
comunemente in pietra o marmo, poteva essere realizzato anche in legno, terracotta e metallo
e generalmente la supericie era decorata in vario modo. Normalmente il sarcofago veniva
collocato all’interno di mausolei o cubicoli, piuttosto che in spazi aperti. Queste caratteri-
stiche lo rendono un oggetto distintivo e quindi costoso, ragione per cui era destinato, in
particolare, alla sepoltura di personaggi di rango elevato o comunque con un certo potenziale
economico.
Il sarcofago è presente soprattutto nel mondo romano e si diffonde in relazione al prevalere
del rito dell’inumazione su quello dell’incinerazione. Viene realizzato per lo più in marmo,
spesso importato, specialmente dalla Grecia; il prodotto veniva spedito dalle cave già sbozza-
to, per essere poi terminato e riinito nelle botteghe locali.
Le decorazioni presenti sulla supericie dei manufatti seguono lo sviluppo della stessa arte ro-
mana ed esprimono il senso della vita e della morte della società del tempo. Nel II secolo d.C.
sono diffusi soggetti tratti dalla mitologia greca, che rappresentano simbolicamente esempi
di vita o il senso di ineluttabilità della morte; durante il III le immagini iniziano a cambiare,
con l’abbandono delle scene mitiche e la scelta di temi quali scene di battaglia e di caccia,
soggetti ilosoici, marini e agropastorali, che richiamano una condizione di vita beata e nei
quali il defunto-committente viene ritratto direttamente ed esaltato nelle sue qualità migliori.
Dalla seconda metà del III secolo, con la sempre maggiore diffusione del Cristianesimo (uno
degli elementi che, insieme alla crisi dell’impero romano e alle invasioni dei popoli germanici,
determina il passaggio al periodo “tardoantico”), il nuovo credo si fa strada nel repertorio i-
gurativo funerario, dapprima attraverso soggetti “neutrali” i quali, già presenti nel repertorio
pagano, potevano essere letti anche in chiave cristiana, come per esempio le scene di caccia,
bucoliche o ilosoiche. Successivamente, dall’età di Costantino (306-337 d.C.), compaiono
temi esplicitamente cristiani, sviluppati in un fregio continuo o a doppio registro, con scene
tratte dal Vecchio e Nuovo Testamento che ruotano attorno alla igura salviica di Cristo,
attraverso la rappresentazione di miracoli, e alla Passione. In un secondo momento si svilup-
pano composizioni più semplici, con pannelli che alternano campi igurati e campi strigilati
– cioè decorati con scanalature a S – e una scansione delle scene data dalla suddivisione della
fronte del sarcofago attraverso colonne o alberi, per cui la narrazione del soggetto tematico
diventa maggiormente episodica.
Fra III e IV secolo, dunque, la produzione di sarcofagi è iorente, con una coesistenza di deco-
razioni cristiane e neutrali, queste ultime utilizzabili da parte di una committenza ancora pagana,
mentre, verso la ine del IV, in seguito alla conversione al Cristianesimo anche delle classi più
elevate, cessa la richiesta di soggetti pagani a favore di decorazioni esclusivamente cristiane.
Dopo il 270, all’apice della crisi dell’impero, era intanto pressoché terminata l’importazio-
ne di massa dei prodotti marmorei dal Mediterraneo orientale, perciò i manufatti vengono
lavorati direttamente nelle oficine locali, specie quelle di Roma, da maestranze trasferitesi
dall’Oriente. La produzione delle botteghe romane è la più importante e inluenza gli altri
centri di fabbricazione che si sviluppano tra IV e V secolo, quali Milano, la Spagna (Tar-
ragona), la Gallia meridionale (Arles, Marsiglia) e Costantinopoli. All’inizio del V secolo
la produzione romana diminuisce notevolmente a vantaggio di quella delle province, tra
le quali emergono Ravenna, sede della corte imperiale, Cartagine e poche altre regioni,
inluenzate da Costantinopoli, nuova capitale.

297
Lucia Mura

La presenza di sarcofagi andò diminuendo e sempliicandosi nelle decorazioni ino a cessare


quasi completamente nel VI secolo, probabilmente per una serie di concause, dovute non
solo a motivi economici e politici, ma anche ad un cambiamento negli usi funerari e alla scelta
di altre tipologie tombali.
Nelle necropoli della Sardegna, relative sia a centri urbani sia a contesti rurali, sono attestati,
in proporzioni differenti, sarcofagi in marmo e in pietra.
Allo stato attuale delle ricerche, i sarcofagi in marmo sono stati rinvenuti principalmente in
alcune delle più importanti città della Sardegna antica, in particolare Carales, Turris Libisonis
e Olbia, mentre rari sono gli esemplari nelle aree interne rurali. I manufatti più antichi risal-
gono alla metà del II secolo d.C. e arrivano ino alla metà del V, ma si concentrano nel III.
I reperti più signiicativi per un’analisi delle testimonianze del periodo tardoantico ci sono
giunti non integri, ma per lo più attraverso frammenti delle lastre frontali decorate. Sono
pochi i sarcofagi in forme intatte, con cassa rettangolare e spesso privi di coperchio; alcuni
hanno una forma cosiddetta “a lenos”, con sagoma ovale che richiama la tinozza nella quale si
pigiava l’uva che, insieme ad una decorazione con soggetti dionisiaci, rappresenta un chiaro
riferimento al culto del dio Dioniso.
Le tipologie decorative sono abbastanza varie: dai temi bucolici o marini a quelli dionisiaci,
dalle Stagioni alle Muse o ilosoi, dai soggetti mitologici a quelli relativi alla vita privata.
Variegati anche i temi prettamente decorativi, tra i quali si distinguono i sarcofagi con il lato
frontale scandito in campi strigilati, alternati a pannelli igurati. Talvolta un medaglione cen-
trale racchiude il ritratto del defunto, oppure i defunti sono rappresentati nei pannelli laterali
mentre al centro vi è una scena simbolica. Sono più scarse le composizioni di grande respiro
a fregio continuo o a doppio registro. I sarcofagi con soggetti espressamente cristiani non
sono numerosi, forse a causa di una diffusione non ancora capillare del cristianesimo, ma è
possibile che prevalesse un repertorio igurativo neutro, adatto ad una committenza mista,
oppure che si preferissero altre tipologie sepolcrali. In tutti i manufatti è ormai scomparsa
l’originaria policromia che doveva decorare le scene rappresentate.
Tra gli esempi più rappresentativi – molti dei quali ben noti in bibliograia – vi sono alcuni
frammenti provenienti dall’area cagliaritana: oltre a sarcofagi con soggetti pagani (scene di
tiaso marino, Vittorie alate, Tellus, maschere teatrali, eroti), si segnala un frammento di una
fronte strigilata, rinvenuto nel territorio di Pirri, con igura di pescatore nel pannello laterale
Frammento di sarcofago con igura sinistro, in piedi sulla barca, che regge una rete piena di pesci; il soggetto, interpretato come
di pescatore. Cagliari, San Pietro, non è tuttavia necessariamente cristiano. Di produzione romana, viene datato alla
Museo Archeologico Nazionale. ine del III secolo.

298
I sarcofagi tardoantichi: produzione locale e importazione

La necropoli dove sorgono il martyrium di San Saturnino e la seicentesca chiesa di San Lu-
cifero, al limite orientale della Cagliari antica, utilizzata sin dall’età romana e ino al VI-VII
secolo, ha restituito vari tipi di tombe. Le relazioni seicentesche sugli scavi alla ricerca di corpi
santi attestano la presenza di diversi sarcofagi, sia in marmo che in pietra, in tutta l’area della
basilica e negli ediici funerari su cui fu costruita la chiesa di San Lucifero, datati questi ultimi
fra IV e VI-VII secolo. Non sempre gli autori di queste cronache si soffermano sulla descri-
zione dei singoli manufatti o ne precisano il materiale: si ha notizia di un sarcofago in marmo
nero con iscrizione metrica, datata al V secolo, rinvenuto nel 1616 e oggi perduto; altri due
manufatti con decorazione strigilata, uno integro e l’altro frammentario, sono conservati nel
giardino circostante la chiesa di San Saturnino. Gli scritti seicenteschi ci informano inoltre
di un piccolo gruppo di sarcofagi in piombo, di cui uno solo decorato, con animali e una
igura maschile, in uno degli ediici funerari e nel braccio meridionale della chiesa. All’interno
del cosiddetto Santuario dei Martiri, nella cripta sottostante il presbiterio della cattedrale di
Cagliari, realizzata nel Seicento proprio per ospitare le presunte reliquie rinvenute in questi
scavi, furono murati quattro sarcofagi, ornati con soggetti dionisiaci e decorativi, datati al III
secolo e riconosciuti tre di produzione romana e uno locale.
Alcuni sarcofagi in marmo con temi marini, dionisiaci e decorativi risalgono al II-III secolo.
Un frammento decorato di una fronte è stato rinvenuto durante lo scavo per un pozzo ar-
tesiano nel 1843: si conserva parte dei busti di una coppia di coniugi riccamente abbigliati,
ormai acefali, all’interno di una valva di conchiglia, e al di sotto parte della scena dell’Ado-
razione dei Magi; probabilmente doveva essere a doppio registro. È datato verso la metà del
IV secolo e prodotto a Roma. Il manufatto è stato successivamente riutilizzato come lastra
tombale, come dimostra parte di un’iscrizione funeraria incisa sul retro, dedicata ad una vidua,
databile al V-VI secolo.
Altri due frammenti rinvenuti nel Cagliaritano sono in realtà di incerta provenienza: una la-
stra frontale, recuperata forse nell’area funeraria occidentale della città antica, è decorata con

Frammento di sarcofago con immagine


di coniugi e scena dell’Adorazione dei Magi.
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale.

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Lucia Mura

Sarcofago con Orfeo da Porto Torres, ghirlande e colonnine e, all’interno di una tabula ansata, conserva un’iscrizione funeraria in
basilica di San Gavino. greco, dedicata ad una monaca di nome Greca, attribuibile ad un reimpiego del manufatto nel
V-VI secolo; grazie a studi recenti, è stata riconosciuta l’origine campana della lastra decorata,
databile alla ine del II secolo.
Un frammento, interpretato anche come stele, porta la rappresentazione della testa di un
pastore con una pecora, all’interno di un’edicola a timpano triangolare; è possibile leggere la
igura in chiave cristiana come il Buon Pastore. Recentemente, in base a nuovi confronti, è
stato attribuito ad una bottega di Cartagine e datato tra la ine del IV e l’inizio del V secolo.
Roberto Coroneo proponeva invece una possibile provenienza dall’area orientale, forse co-
stantinopolitana.
Da Porto Torres, l’antica Turris Libisonis, in particolare dalla necropoli presso la basilica di
San Gavino, provengono alcuni esemplari in marmo decorati con soggetti pagani o neutri,
quali la “porta inferi”, i Geni delle stagioni, Apollo o ilosofo con le Muse, alternati a pannelli
strigilati, mentre solo uno è a fregio continuo; sono datati tra la metà del III e l’inizio del IV
secolo. Attualmente sono collocati nella cripta sottostante la basilica e tre di essi sono stati
riutilizzati per contenere le reliquie dei santi Gavino, Proto e Gianuario. Due sarcofagi in
particolare presentano soggetti interpretabili anche in chiave cristiana: un frammento di una
fronte, strigilato, con mandorla centrale con parte di un pastore crioforo (Buon Pastore?), e
un sarcofago integro con campi strigilati, Orfeo citaredo nel pannello centrale e i defunti ai
lati. Orfeo è l’eroe che, per salvare la compagna Euridice, è sceso negli inferi e ne è tornato e
per questo viene assimilato al Cristo; inoltre, per il suo rapporto con Apollo e per la capacità
di ammansire le iere con la lira, è paragonabile ai temi delle muse e dei ilosoi, un simbo-
lismo teso a sottolineare le qualità spirituali e intellettuali del defunto. I manufatti sono di
produzione romana e ostiense e databili tra la seconda metà e la ine del III secolo.
Ad Olbia, presso la basilica di San Simplicio, sono stati rinvenuti alcuni sarcofagi in marmo
decorati con soggetti pagani o neutri, provenienti da Roma e Ostia, ma il più importante è il
frammento di una fronte, ora conservato al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, la cui
decorazione rappresenta al momento il più antico documento cristiano dell’intera Sardegna
(cat. n. 3.158): disposti su due registri, sono rappresentati il sacriicio di Isacco, la guarigione
del paralitico, Daniele fra i leoni e, nel livello inferiore, quattro o forse cinque teste maschili
riferibili, in base alla differente torsione, a due scene diverse. Secondo una recente lettura ico-
nograica, rafigurano probabilmente due miracoli di Cristo: il primo gruppo è composto dal
Cristo imberbe con un apostolo, il secondo da due apostoli affrontati al Cristo; mancano pur-
troppo gli elementi necessari a una piena comprensione degli episodi. È stato riconosciuto
come fabbricato a Roma in un periodo che, in base a differenti interpretazioni degli studiosi,
oscilla tra l’età della Tetrarchia e quella costantiniana (ine III-prima metà IV secolo).
Nell’area di Cornus agli inizi del Novecento è venuto alla luce un sarcofago in marmo, stri-
gilato, di produzione cartaginese, databile tra la ine del IV e l’inizio del V secolo, a lungo
riutilizzato come fontana in una piazza di Cuglieri e oggi conservato all’Antiquarium, così
come un frammento di alzata di coperchio con tabula iscritta.
Inine, un frammento di fronte di sarcofago fa parte della collezione Biggio di Sant’Antioco: di
produzione romana, vi è rappresentato Orfeo citaredo ed è assimilabile all’esemplare di Porto
Torres, sia nella datazione (terzo venticinquennio del III secolo), sia nell’interpretazione del

300
I sarcofagi tardoantichi: produzione locale e importazione

soggetto. Ad esso si potrebbe abbinare, come pannello laterale, un frammento con rappresen-
tazione del defunto.
I sarcofagi in marmo provenienti da contesti non urbani risultano essere attualmente un
numero esiguo: tra gli altri, a Gesico, nella regione della Trexenta, è conservata una cassa stri-
gilata con clipeo con defunto e geni alati, datata alla metà del III secolo, mentre a Dolianova,
all’esterno della chiesa di San Pantaleo, si trova un sarcofago strigilato, forse di produzione
cartaginese, riutilizzato in un’edicola e ornato ai lati con scudi in rilievo, probabili stemmi
relativi al momento del riutilizzo, avvenuto forse alla ine del XIII secolo.
Secondo le analisi fatte fare negli anni Cinquanta del Novecento da Gennaro Pesce, risulta
che il marmo dei sarcofagi sardi sia di provenienza greca, in particolare dell’Imetto (marmo
“imezio”) – che però non viene lavorato né nelle oficine della Gallia né a Ravenna – ma an-
che pentelico e pario; nessun sarcofago sarebbe in marmo lunense (di Carrara), pavonazzetto
o proconnesio. In realtà, imezio e proconnesio sono di dificile distinzione l’uno dall’altro,
per cui è probabile, anche per via di confronti e analisi macroscopiche recentemente con-
dotte, che i sarcofagi sardi siano lavorati nel marmo proconnesio; in questo materiale sono
realizzati i manufatti provenienti da Cartagine. Allo stesso modo, si potrebbero rintracciare
marmi lunensi. Nuove e più moderne analisi potrebbero chiarire l’effettiva natura del marmo,
fornendo importanti precisazioni sulla provenienza dei materiali, considerando la pressoché
totale assenza di cave di marmo in Sardegna.
La maggior parte dei sarcofagi in marmo rinvenuti in Sardegna è comunque di importazione:
il centro di produzione più importante era la capitale, Roma, mentre pochissimi esemplari
provengono dalle botteghe di Ostia e della Campania; per l’età tardoantica, tra la ine del IV
e la metà del V secolo, sono state recentemente riconosciute delle produzioni provenienti da
Cartagine, in concomitanza con l’interruzione delle importazioni da Roma. Non mancano
i manufatti realizzati in botteghe locali, anche se in numero ridotto, i quali sembrano essere
delle imitazioni più semplici ed economiche dei sarcofagi lavorati nella capitale. Il lusso
di importazione di marmi entra in crisi per dinamiche generali, che determinano azioni di
disturbo nella navigazione tirrenica, e per l’occupazione vandala delle città sarde: mentre
sono presenti, anche se non in quantità abbondante, capitelli ed elementi di arredo liturgico
di produzione italica o orientale, vi è una assenza quasi totale di sarcofagi di importazione.
Questo fatto potrebbe essere indizio di un cambiamento dei costumi funerari, per cui si
prediligono altre tipologie tombali, o di una disponibilità economica limitata da parte dei
potenziali committenti.
Per quanto riguarda la presenza di sarcofagi in pietra, alcuni centri urbani come Nora, Othoca e
Olbia allo stato attuale delle ricerche non hanno restituito manufatti in contesti databili ad età
tardoantica, mentre a Tharros-San Giovanni di Sinis, Neapolis e Forum Traiani sono in numero
ridotto e per lo più privi di decorazione. Questo non aiuta a dare una datazione puntuale ai
sarcofagi più semplici, per cui un primo ambito cronologico è dato dalla frequentazione delle
necropoli, tra il tardo IV secolo ed il VII.
A Sulci la naturale conformazione del sito e la struttura della catacomba, realizzata sfruttando
precedenti ipogei funerari di età punica, induce a parlare, più che di sarcofagi propriamente
detti, intesi come prodotti a sé, di sepolture a cassa ricavate direttamente nella roccia. Tuttavia
gli studi deiniscono alcune sepolture “a sarcofago”, anche se non meglio descritte: sono ve-
nute alla luce nella navata settentrionale della chiesa dedicata al martire Antioco, sopra le quali
sembra impostarsi una vasca quadrangolare, interpretata come battistero; altre sono presenti
all’interno della catacomba, inglobate in murature ed utilizzate come altari.
La stessa cosa può dirsi per Turris Libisonis, nella cui necropoli orientale di Scoglio Lungo
è attestata la presenza di ipogei tardoantichi scavati nella roccia calcarea, dove in epoca ro-
mana era un’attività di cava. Il Maetzke parla di tombe a fossa e arcosoli, in corrispondenza
dei quali si trovano “sarcofagi ricavati nello spessore della roccia”, quindi in realtà si tratta
di casse scavate direttamente nel calcare, non di sarcofagi veri e propri, come nel caso di
Sant’Antioco.
A Cornus, nel settore orientale dell’area cimiteriale di Columbaris (frequentata dal IV al VII
secolo, che in un articolato complesso monumentale comprende un gruppo episcopale e una
basilica funeraria), sono state identiicate 157 tombe, delle quali 102 sono sarcofagi, non tutti
ancora indagati.
I sarcofagi in pietra appaiono numerosi anche a Cagliari, in particolare nella necropoli presso

301
Lucia Mura

San Saturnino. Le cronache seicentesche ci informano della presenza di alcune casse, di cui
una fu riconosciuta come sepoltura di San Lucifero. Nell’area circostante la basilica sono an-
cora visibili manufatti sia decorati che lisci, in situ oppure ricollocati nel giardino, tra cui l’uni-
co sarcofago che conserva un’iscrizione, dedicata al vescovo Bonifatius, datata al IV-V secolo.
Sempre da San Saturnino proviene l’angolo superiore sinistro di una lastra, interpretata come
fronte di sarcofago (ma potrebbe anche essere una mensola), con parte della scena della re-
surrezione di Lazzaro; deinito in marmo subito dopo la scoperta, è probabile invece che sia
realizzato in pietra; tuttavia, poiché il reperto al momento non è rintracciabile, non è possibile
chiarire il dubbio. Pur con qualche particolarità e sommarietà nella realizzazione del motivo
decorativo, in base a confronti iconograici l’epoca di realizzazione può essere ristretta al IV
secolo, prima dell’età di Teodosio (379-395 d.C.). Altri prodotti sono visibili nel muro ester-
no della chiesa di San Lucifero, dove sono inglobati una fronte (o alzata di coperchio), liscia
con specchio rettangolare sagomato, e un’arca strigilata con al centro una tabula rettangolare
ansata, anepigrafe, per la quale ultimamente è stata proposta una produzione cartaginese in
calcare Keddel, datata alla prima metà del V secolo. Al di sotto, sul marciapiede, è sistemato
un altro sarcofago a cassa non decorata, con spigoli squadrati e interno a vasca. Inine, sap-
piamo che nella vicina via Sant’Eusebio, tra il 1924 e il 1925, furono portate alla luce alcune
sepolture, tra cui almeno quattro sarcofagi in calcare, di cui due con coperchio.
Nella necropoli del colle di Bonaria, sfruttata in dall’età punica, nel cosiddetto cubicolo di
Giona, datato al IV secolo grazie alle note pitture parietali oggi scomparse, sono parzialmente
visibili due sarcofagi posti sul pavimento, uno lungo la parete di fondo, l’altro perpendicolare
al primo; realizzati in calcare, si presentano lisci, senza alcuna decorazione, con l’interno a va-
sca. Della scoperta nell’area di altri sarcofagi in calcare, quasi tutti frammentari, è data notizia
nelle pubblicazioni di ine Ottocento, che tuttavia non si soffermano sulla loro descrizione.
Nell’area funeraria occidentale, invece, la presenza di sarcofagi è al momento attestata solo da
notizie di rinvenimenti isolati: un sarcofago in arenaria a cassa semplice non decorata in via
Po, un grosso frammento di sarcofago lapideo in viale Trieste e un altro frammento riutiliz-
zato nelle murature in via Caprera. Uno dei sarcofagi presenti nel giardino di San Saturnino
dovrebbe provenire dall’area di Sant’Avendrace. Di questi esemplari tuttavia non è data ulte-
riore descrizione nelle pubblicazioni.
Inine, tre esemplari fuori contesto si trovano all’interno del convento dei Cappuccini in viale
Sant’Ignazio, forse provenienti dalla necropoli presso San Saturnino e qui collocati dopo gli
scavi seicenteschi.
Altri sarcofagi in pietra, al momento non numerosi, sono stati rinvenuti in vari contesti rurali
dell’Isola. Tra questi si possono segnalare un frammento in trachite, proveniente da Biora
(Serri), con croce monogrammatica iscritta in un clipeo, con le lettere alfa e omega pendenti
dai bracci laterali, datato tra la ine del V ed il VII secolo; normalmente interpretato come
settore centrale della fronte di un sarcofago, potrebbe essere anche un elemento architetto-
nico spezzato (cuneo di arco, architrave, plinto, mensola o pluteo). Un sarcofago integro in
arenaria proviene invece dal territorio di Selargius, con la fronte inquadrata da cornici, strigi-
lata, con tre edicole in cui sono rappresentati una igura maschile armata di spada e protomi
leonine; viene datato all’inizio del IV secolo ed è noto come sarcofago di San Lussorio, dal
nome della chiesa romanica campestre in cui si trova.
La maggioranza dei sarcofagi in pietra semplici in qui citati presenta caratteristiche abba-
stanza omogenee: la cassa è di forma rettangolare, con spigoli esterni squadrati e interno a
vasca; spesso sono visibili i segni dello scalpello. Solo a Cornus e San Giovanni di Sinis è atte-
stata la presenza del cosiddetto cuscino funebre, una sorta di gradino risparmiato sul fondo
del sarcofago, sul quale veniva adagiato il capo del defunto. In pochi casi si è conservata la
copertura, comunque ipotizzabile soprattutto nei casi in cui sono presenti le tacche per l’ag-
gancio: prevale il coperchio a uno o due spioventi, talvolta arricchito da acroteri angolari e
dal riquadro per l’iscrizione.
Nella maggior parte dei casi la supericie dei sarcofagi in pietra non è decorata, forse per esi-
genze dei committenti o perché maggiormente destinati all’interro rispetto a quelli decorati
o intonacati (sempre che l’intonaco non sia traccia di un utilizzo successivo come pietra da
costruzione). Decorazioni sono presenti su alcuni manufatti di Cagliari e di Forum Traiani: gli
esemplari cagliaritani hanno la fronte con strigilature, abbinate a pannelli igurati, al clipeo o
alla tabula che doveva ospitare l’iscrizione, analogamente all’impianto decorativo dei sarcofagi

302
I sarcofagi tardoantichi: produzione locale e importazione

marmorei, con la rielaborazione originale dei temi marini (in particolare delini) nelle igu-
razioni. I sarcofagi di Forum Traiani, che si trovano nella cripta paleocristiana sottostante la
chiesa dedicata al martire Lussorio, presso la presunta sepoltura del santo, hanno in un caso
delle cornici concentriche che inquadrano motivi non leggibili, mentre altri due, aggiunti in
seguito all’ampliamento del santuario nel VI secolo e che ospitavano le deposizioni di due
vescovi, sono intonacati con colore rosso.
La pietra in cui sono realizzati i sarcofagi di produzione locale – calcare, arenaria, trachite
– sembra per ciascuna località ricavata da cave vicine. Il fatto di avere a disposizione in loco
il materiale permette di ipotizzare una lavorazione in oficine locali in dalle prime fasi di
realizzazione del manufatto. Questa congettura è molto concreta nel caso di Cornus, dove gli
scavi hanno rivelato, a sud delle aule di culto, un complesso di ambienti abitativi e funzionali,
interpretati come episcopio, nei quali si è proposto di riconoscere una bottega di scalpellini,
per la presenza al suo interno di materiale appena sbozzato ed elementi architettonici vari,
dove potevano essere lavorati o rilavorati sia i manufatti in calcare, sia quelli in marmo di
importazione. A Cagliari la presenza di un impianto artigianale presso la basilica di San Sa-
turnino rimane un’ipotesi, basata per il momento solo sul rinvenimento nell’area di alcuni ele-
menti scultorei, sia funerari che architettonici, in pietra locale. Anche a Forum Traiani, nell’area
delle terme, ristrutturate in età bizantina, sembra di poter riconoscere ambienti destinati ad
oficine private di lapicidi, per la presenza di numerosi elementi architettonici non initi. Un
elemento di novità rispetto a questo quadro relativo alle produzioni locali è offerto dal rico-
noscimento di alcuni prodotti lavorati in un calcare non sardo, ma della zona di Cartagine,
Sarcofago in calcare da Cagliari, detto Keddel, che dimostra come la circolazione e il commercio non rimangano appannaggio
San Saturnino. del solo marmo, ma interessino anche oggetti in pietra.

303
Lucia Mura

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304
La decorazione architettonica e l’arredo liturgico
in marmo delle chiese altomedievali
Roberto Coroneo

Per la Sardegna tardoantica e bizantina è la scultura, molto più dell’architettura e della pittura, che
consente di ricostruire gli ambienti della committenza, le importazioni di manufatti, le produ-
zioni locali e dunque le principali tendenze di evoluzione artistica nell’Isola fra il V e l’XI secolo.
A differenza dei manufatti marmorei del III-IV secolo, che rientrano nella tipologia funeraria,
tutti quelli del V-VII secolo si inseriscono nel contesto della produzione destinata alle chiese. È
il caso sia degli elementi di decorazione architettonica (capitelli), sia di quelli di arredo liturgi-
co, che funzionavano tanto da complemento ornamentale quanto da strumenti di trasmissione
del messaggio cristiano (mense d’altare, cibori, plutei e pilastrini del recinto presbiteriale). Non
sempre la committenza deve identiicarsi come ecclesiastica: ciò può ipotizzarsi nella maggior
parte dei casi, soprattutto per i manufatti del V-VII secolo, ma non sembra applicarsi a quelli del
X-XI, che rilettono le esigenze di rappresentatività aulica di una classe politica nuova, quella
dei giudici, localmente eredi dell’autorità imperiale di Bisanzio, alla ricerca di autolegittimazione
storica mediante un vero e proprio sistema di scritture e di sculture “esposte”, contraddistinte da
caratteri di forte originalità.
Nei depositi del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari sono custoditi due frammenti di
sarcofagi marmorei del tipo a doppio registro, lavorati a Roma, Ostia o Porto. Il sarcofago
di Olbia, ascrivibile alla ine del III-inizi del IV secolo, è il più antico, fra quelli superstiti in
Sardegna, che in base all’iconograia possa dirsi prodotto e utilizzato per la sepoltura sicura-
mente di un cristiano (cat. n. 3.158).
Il secondo frammento marmoreo si colloca nella metà del IV secolo e conserva una porzione
del clipeo dei coniugi defunti alla cui base residua una minima parte dell’Adorazione dei Magi.
Sia lo schema, sia i dettagli risultano identici a quelli nel sarcofago detto “di Adelia”, scoperto
nel 1872 in una rotonda del cimitero di San Giovanni a Siracusa. La produzione di entrambi in
oficina romana, ostiense o portuense, risulta soprattutto dallo schema con clipeo a conchiglia
afiancato da pannelli strigilati o inserito al centro del doppio registro, frequente in esemplari
romani datati entro il 350.
Fra i capitelli presenti in Sardegna, numerosi di tipo composito a foglie lisce furono probabil-
mente lavorati in oficine romane, ostiensi o portuensi tra la metà del IV e la metà del V se-
colo. È però dificile individuarli con precisione, stante la continuità di produzione nei secoli
successivi e l’assenza di un organico corpus dei capitelli isolani. Fra gli esemplari a corona dop-
pia, si segnalano quelli databili tra la metà del IV e gli inizi del V secolo: uno nelle catacombe
e due nella collezione Biggio di Sant’Antioco, uno nella parrocchiale di San Pietro a Terralba,
uno nell’Antiquarium Comunale di Cuglieri, proveniente dall’area cristiana di Cornus. Fra
gli esemplari a corona unica, si segnalano quello nell’Antiquarium di Sant’Antioco, databile
tra l’ultimo quarto del IV e i primi decenni del V secolo, e quello nei depositi del Museo
Archeologico Nazionale di Cagliari, proveniente da San Macario.
Parallelamente all’importazione degli esemplari da Roma, Ostia e Porto, assume consistenza
il fenomeno dell’importazione in Occidente di capitelli prodotti in Oriente tra la metà del V
e la metà del VI secolo. Nella classe dei capitelli corinzi a foglie d’acanto inemente dentellate,
inquadrabili nella produzione di oficine d’area costantinopolitana o ellenica, si inseriscono
un capitello a doppia corona, nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, e due a uni-
ca corona, uno nell’Antiquarium Comunale di Cuglieri, proveniente da Cornus, e uno nella
collezione Cao, acquisita dal Comune di Cagliari. Il capitello dell’Antiquarium Comunale di
Cuglieri, recuperato negli scavi degli anni Sessanta nell’area basilicale di Cornus, è identico ai
due reimpiegati nel portico della chiesa di Santa Fosca a Torcello e simile a quelli riutilizzati
nella basilica di San Marco a Venezia, ad altri di area greca – basilica A di Filippi, basilica C
di Nea Anchialos, triconco di Mitropolis a Gortyna, ciborio della cripta di San Demetrio a
Tessalonica – e pontica; un analogo capitello nel Museo Archeologico di Barcellona docu-
menta l’ampio raggio delle esportazioni dall’Oriente.

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Roberto Coroneo

Sempre della classe dei capitelli corinzi, ma del tipo “a lira”, fanno parte i due capitelli scavati
per il riutilizzo come acquasantiere nella parrocchiale di Sant’Elena a Mulargia. In Sardegna,
un esemplare dello stesso tipo “a lira” è stato rinvenuto nei primi anni Novanta all’interno
dell’altare maggiore, datato 1789, della parrocchiale di Sant’Antonio abate a Decimomannu,
assieme a un cospicuo gruppo di spogli marmorei databili fra l’età romana repubblicana/
primoimperiale e i primi decenni del XIV secolo.
Nella versione a corona singola o doppia, il capitello “a lira” rappresenta una tra le classi
più diffuse di analoghi manufatti marmorei esportati dall’area orientale (costantinopolitana
o ellenica) in ambito mediterraneo tra la metà del V e la metà del VI secolo. In particolare,
gli esemplari di Mulargia e di Decimomannu risultano assai simili a quelli reimpiegati nella
basilica di San Marco a Venezia, nel portico della chiesa di Santa Fosca a Torcello, nella cripta
della cattedrale di Otranto, nella Grande Moschea di Kairouan (Tunisia). Esemplari erratici
sono presenti in Turchia, nel Topkapı Sarayı di Istanbul, nel Museo Archeologico di Nicea-
Iznik, nell’area all’ingresso degli scavi di Troia-Truva e ad Harran. All’esterno dell’ingresso al
Museo Archeologico di Antalya è depositato un capitello del tipo “a stampella”, con le facce
brevi scolpite “a lira”. Piccoli capitelli dello stesso tipo si trovano anche in Siria, nel cortile del
Museo Nazionale di Damasco, e a Creta: due esemplari di Plemeniana, simili a quelli deposi-
tati nel giardino del Museo Archeologico di Hanià. Più slanciato ma tipologicamente analogo
è un capitello di ciborio della chiesa A di Kephalos in Grecia.
Nella prima metà del VI secolo la tipologia “a lira” sembra convivere con quella “a due
zone”, sebbene per quest’ultima si diano maggiori probabilità di circoscrivere la produzione
all’ambito costantinopolitano. È bizonale un capitello del Museo Archeologico di Cagliari
(cat. n. 3.157), confrontabile con esemplari datati alla prima metà del VI secolo: i due che
sormontano le colonnine del ciborio del prete Mercurio, eretto al tempo di papa Ormisdas
nel 514-523, reimpiegate nel monumento funebre del cardinale Venerio in San Clemente
a Roma; i tre ritenuti appartenenti a un ciborio e riutilizzati nella cripta della cattedrale di
Otranto; uno nel Museo Copto del Cairo, identico all’esemplare cagliaritano. Un altro molto
simile, ma con colombe ad ali non sagomate, si conserva nel Museo Archeologico di Antalya.
Quanto al cestino, l’ornato vimineo appare più itto nel capitello “a due zone”, con colombe
ad ali non sagomate, riutilizzato nel portico sud-est di Santa Soia a Costantinopoli.
Nella basilica di San Gavino a Porto Torres fu riutilizzato un insieme di capitelli con co-
lombe. Si tratta in origine di esemplari tardoimperiali di diversa tipologia, rilavorati molto
probabilmente in loco per il reimpiego in ediici di culto cristiano. Le modalità di riuso non
consentono di appurarne la destinazione funzionale, ma denotano comunque, sia nei tre
capitelli con colombe affrontate (nei setti divisori dell’aula) sia nei due con colombe angolari
(uno nell’aula, l’altro nel sagrato della basilica), la volontà non solo di cristianizzare i marmi
classici, ma anche di conformarli alla tipologia dei capitelli costantinopolitani “a due zone”
della prima metà del VI secolo.
La disparità di proposte interpretative avanzate dalla critica evidenzia il carattere di unicum dei
due capitelli con colombe angolari, che pongono in effetti non pochi problemi di lettura e di
datazione. È verosimile che si tratti di marmi classici, di classe composita in ragione dell’a-
baco a lati convessi; l’ornato a fuseruole in un tratto di collarino superiore richiama appunto
capitelli compositi della stessa basilica di San Gavino, collocati tra la metà del I e la metà del
II secolo. La rilavorazione comportò la rimodellazione delle foglie d’acanto basali in foglie
lisce, l’eliminazione della corona superiore e il ricavo di ornati cristiani sotto le volute angolari
(colombe), mentre gli spazi frontali divennero funzionali all’inserto dei caulicoli, dei motivi
itomori e della croce clipeata.
La dislocazione dei capitelli costantinopolitani in qui analizzati, nonché quella d’altri
elementi marmorei di struttura architettonica e di arredo liturgico, consente di delinea-
re un quadro indicativo delle modalità di irradiazione della cultura artistica orientale in
Sardegna. Se ne constata la presenza in primo luogo nei siti costieri, sede dei principali
centri di potere laico ed ecclesiastico al sud (Cagliari) e al nord (Porto Torres), e in centri
del territorio che mantengono organici collegamenti con quelli portuali; in secondo luogo
nei complessi episcopali (Cornus); quindi lungo la strada a Caralibus-Turrem, nel frattempo
denominata “via dei Greci” e mantenuta in eficienza con una serie di stazioni presso le
quali sorgevano chiese come quelle di San Sergio a Mulargia e San Costantino Magno a
Sedilo e a Nuraminis, dedicate a santi militari del menologio greco e dunque indicative

306
La decorazione architettonica e l’arredo liturgico in marmo delle chiese altomedievali

degli stanziamenti di truppe per il controllo del più importante asse viario dell’Isola.
Particolarmente signiicativi al riguardo risultano anche gli elementi di arredo liturgico. Un
frammento di lastra in marmo grigio è stato occasionalmente rinvenuto nel santuario sulci-
tano di Sant’Antioco. Sottoposto ad analisi archeometrica di laboratorio ha rivelato la prove-
nienza del marmo dalle cave del Proconneso. Potrebbe trattarsi di un frammento di pluteo.
Nonostante si conservi soltanto un minimo tratto della cornice marginale, le modanature per
lavorazione e spessori rientrano nella classe di quelle riscontrabili nei plutei e nei parapetti del
532-537 nella chiesa di Santa Soia di Costantinopoli, per cui è probabile che il frammento
derivi da una lastra analoga a quelle o ad altre di produzione costantinopolitana, largamente
esportate nell’arco cronologico del VI secolo.
Negli scavi di Cornus fu rinvenuta una mensa d’altare in marmo bianco, poi nell’Antiqua-
rium Comunale di Cuglieri, assieme ad almeno una delle colonnine, sempre in marmo
bianco che reggevano la tavola. La tipologia è generica, ma sono possibili rimandi alla
mensa d’altare del Lapidario di Grado, ascritta al VI secolo, e ad analoghi esemplari, fram-
mentari, a Roma nella chiesa di San Saba, ascritti al V-VI secolo. Un frammento di mensa
simile, in marmo grigio chiaro, proviene dal recupero marino presso l’Isola di San Macario,
prospiciente la costa di Pula.
Basi con croce, diversi pilastrini e plutei di recinzione presbiteriale sono pertinenti a tre impor-
tanti santuari martiriali, San Gavino di Porto Torres, San Saturnino di Cagliari e Sant’Antioco
dell’antica Sulci, che così confermano la speciale attenzione riservata in dal VI-VII secolo
al decoro dei principali fulcri di devozione locale. Anche in questi casi l’individuazione delle
possibili provenienze dei marmi, qualora d’importazione e non frutto di rilavorazione di
marmi classici in situ, appare utile a determinare lussi di scambio che travalicano l’ambito
puramente commerciale e indiziano polarizzazioni culturali assai più profonde e radicate.
La base con croce del San Saturnino di Cagliari e quelle del San Gavino di Porto Torres,
ascrivibili alla metà del VI secolo, sono simili a elementi di arredo liturgico di Ravenna, o
tipologicamente o per la conformazione della croce. Dividono dunque con la scultura del più
importante centro imperiale d’Italia la problematica relativa alla provenienza dei manufatti
marmorei, non sempre prodotti in loco ma giunti in misura massiccia dall’area orientale e in
particolare da Costantinopoli. Se non di altare a cippo, stanti le ridotte dimensioni, la base ca-
gliaritana potrebbe aver svolto funzione di plinto di colonnina di ciborio o di pergula e analoga
funzione potrebbe proporsi per le due basi reimpiegate all’esterno del San Gavino di Porto
Torres e per la terza, del tutto identica, ritrovata nel corso di scavi recenti nel sito.
Circa la natura funzionale di queste ultime, bisogna osservare che le modanature lungo la
base e alla sommità delle facce frontali sono forse il residuo delle cornici di marmi imperiali
di spoglio, rilavorati in vista del reimpiego e in origine simili all’ara isiaca del I-II secolo,
ritrovata a Porto Torres e oggi nel Museo Nazionale G.A. Sanna a Sassari. Circa la data-
zione, i marmi sono inquadrabili verso la metà del VI secolo in base alla forma della croce
astile e gemmata, confrontabile in particolare con la croce-reliquiario donata dall’imperatore
Giustino II (565-ante 574), in lamina d’argento dorato e gemme, nel tesoro della basilica di
San Pietro in Vaticano. Un ultimo confronto tipologico può indicarsi con il plinto di colonna
nella galleria orientale della basilica pelagiana di San Lorenzo fuori le mura a Roma.
A Porto Torres, erratico all’interno della basilica di San Gavino, si trova anche un pilastrino
di recinzione, del pari ascrivibile alla metà del VI secolo. A causa dello stato di forte consun-
zione del rilievo, il marmo è di problematica lettura e collocazione cronologica, ma, come
per gli altri manufatti marmorei di Cagliari e Porto Torres, se ne potrebbe ipotizzare una
provenienza da Bisanzio o da Ravenna, ovvero il trasferimento in Sardegna di scultori dai
centri orientali o dalla città esarcale.
Palesa invece un preciso referente romano il pluteo con decorazione a squame reimpie-
gato nella basilica di Sant’Antioco, possibile prodotto d’importazione al pari dell’analogo
frammento recuperato fra le rovine della chiesa di San Nicola a Donori e oggi nei depo-
siti del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, da ascrivere anch’esso alla metà del
VI secolo. In Sardegna, due frammenti di analogo pluteo a squame, ma con cornice a
listello superiormente epigraica, sono documentati da due fotograie nell’Archivio della
Soprintendenza BAPSAE per le province di Sassari e Nuoro, con l’indicazione generica
del recupero nel corso dei lavori di restauro intrapresi nel 1988 nella chiesa di San Michele
di Plaiano nelle campagne di Sassari.

307
Roberto Coroneo

Il motivo a squame, di ascendenza classica, è largamente documentato in ambito mediter-


raneo fra il V e il VII secolo, con numerose varianti. I margini arrotondati, sia delle squa-
me sia del listello interno, e il rilievo bombato dei fondi suggeriscono per il frammento
di Sant’Antioco una datazione alta, già proposta al V-VI secolo sulla base di confronti ro-
mani, vicini anche per il rigore geometrico della composizione: Sant’Agata dei Goti, Santa
Pudenziana; Mercati Traianei, San Giovanni a Porta Latina, Santi Giovanni e Paolo, Santi
Quattro Coronati, San Saba, Sant’Agnese.
Oltre alla necessità di ricorrere al lusso d’esportazione, l’indisponibilità nell’Isola di marmo
bianco di cava deve aver determinato la scelta di reimpiegare, secondo il criterio “economi-
co” ma in base all’apprezzamento “antiquario” del materiale in sé, elementi architettonici
classici per le mensole sagomate a sguscio frontale ospitante una larga foglia d’acanto o liscia
e riutilizzate nella fabbrica della basilica di San Gavino. Mensole analoghe a quelle di Porto
Torres si vedono inserite degli spigoli del corpo cupolato della basilica di San Saturnino
a Cagliari, nella cui area si conservano erratici altri tre simili elementi con foglia d’acanto.
Tutti gli esemplari cagliaritani sono lavorati nel calcare locale delle cave aperte in dall’epoca
Cagliari, San Saturnino, mensola di età imperiale nelle pendici dell’antistante colle di Bonaria e attestano pertanto l’esistenza, nel
protobizantina inserita nella muratura cantiere della basilica di San Saturnino, di un’oficina di lapicidi in grado di rielaborare i
del corpo cupolato. modelli orientali secondo un processo astrattivo, che estrapola la foglia d’acanto dal regolare

308
La decorazione architettonica e l’arredo liturgico in marmo delle chiese altomedievali

contesto del capitello corinzio “teodosiano” e la adatta allo sguscio, appiattendola e talvolta
geometrizzandola con dura resa metallica, ma sempre mantenendone le nervature, i lobi che
si chiudono a occhiello e la cima corposa che ricade quasi isolandosi dalla deinizione ito-
morfa del resto.
Pur ascrivibile al VI secolo in base alla peculiare sempliicazione della foglia d’acanto, l’intero
gruppo continua a presentare aspetti problematici riguardo non solo alla collocazione cro-
nologica, ma anche all’originaria funzione strutturale. A prescindere dagli esemplari con la
forma “a stampella” tipica del capitello-imposta, solo una delle mensole (erratica nell’area di
San Saturnino a Cagliari) è provvista di piatto rilievo discoidale nella base ed è perciò identi-
icabile come pulvino destinato all’appoggio sul capitello o come capitello-imposta destinato
all’appoggio direttamente sulla colonna. Al pari di questa, nessuna mensola risulta in situ; per-
tanto, in assenza di univoche indicazioni funzionali, è dificile precisare se quelle riutilizzate o
le altre erratiche fossero mensole in dall’origine oppure pulvini o capitelli-imposta.
Quanto alla possibilità di documentare archeologicamente gli spazi operativi degli sculto-
ri locali, recenti riletture dell’area cristiana di Cornus hanno evidenziato un ambiente a sud
dell’aula trasformata in battistero, in cui si è proposto di riconoscere l’oficina dei lapicidi at-
tivi alla rilavorazione di marmi classici per la produzione dei manufatti architettonici e plastici
destinati al complesso ecclesiastico. Proverrebbero dunque da questa oficina le mensole e i
capitelli-imposta con foglia d’acanto come pure un capitello con pesci, ascrivibili non oltre
il VII secolo. Lo stato non inito di alcuni materiali sembra indicare una brusca interruzione
dell’attività produttiva, forse da porre in relazione con l’evento traumatico (per il momento
non precisabile) che ha generato analoga soluzione di continuità nella documentazione ar-
cheologica recuperata nel sito. In particolare si osserva la mancata ultimazione di una menso-
la sbozzata nel torso di una statua classica, mentre uno dei capitelli-imposta ancora mantiene
nella faccia lunga il decoro dell’elemento classico di spoglio da cui fu ricavato. Interessa inol-
tre rilevare che il modello base utilizzato dai lapicidi è ancora una volta la foglia d’acanto del
capitello corinzio “teodosiano”, della quale si trattengono la sagoma generale, le nervature,
gli occhielli, resi però come semplici incisioni lineari, mentre ad emergere è unicamente la
cima vegetale, che assume un’insolita evidenza. Siamo ancora nel campo dei processi astrat-
tivi, ma in tal caso esasperati al punto da generare un risultato formale di grande originalità,
che si afida al colpo d’occhio per suggerire, più che ricostruire, l’immagine itomorfa di
partenza, comunque ancora percepibile con evidenza.
Il deciso abbandono del modello vegetale si veriica a Sant’Antioco nel capitello-imposta
e nella mensola con pesci, in pietra locale. In questi esemplari lo sguscio ospitante la foglia
d’acanto o liscia non viene più inteso come forma da ultimare secondo la deinizione ito-
morfa dell’ornato, bensì come campo la cui conformazione suggerisce l’inserimento di igure
autonome da quella di partenza. Le sagome curvilinee della foglia vengono cioè assimilate a
quelle della forma base del pesce, simbolo cristologico fra i più diffusi, e così dichiaratamente
piegate non solo all’iconologia cristiana, ma anche con ogni evidenza alla semplice funzione
di contorno per un’elaborazione iconograica del tutto inedita. Lungo i margini della foglia,
di cui si accentua la ricaduta della cima, si rilevano infatti le piatte sagome di tre e due pesci,
rispettivamente giustapposti nel capitello-imposta e contrapposti nella mensola. Come in un
capitello del Museo Bellomo di Siracusa, la trascuranza dei dettagli nella resa del pesce accen-
tua i tratti fortemente non classici di queste sculture, nelle quali si consuma la netta cesura
non solo con il sistema organico di eredità classica, ma anche con la vitalità dello stesso nelle
varie formulazioni classiciste del VI secolo, che l’hanno preceduta.
Ad analoghi fenomeni di continuità e innovazione può ricondursi anche un gruppo di capi-
telli di produzione locale, collocabili fra il VII e il IX secolo, che permettono di constatare
l’assunzione di modelli del V-VI secolo e la loro rielaborazione secondo logiche formali del
tutto originali e innovative.
Nella collezione Biggio di Sant’Antioco sono custoditi tre capitelli pseudo-corinzi, la cui
provenienza è sconosciuta. Tuttavia l’inquadramento nell’ambito territoriale sulcitano è ve-
rosimile sulla base degli altri materiali conluiti nella stessa raccolta privata, eterogenei ma in
massima parte riferibili a contesti preistorici e protostorici, fenicio-punici, romani e medievali
di Sant’Antioco. Due capitelli sono in marmo, il terzo in calcare. I tre capitelli derivano dal
tipo corinzio a foglie lisce, sottoposto a particolari modiiche che si riscontrano in ambito
mediterraneo ed europeo fra il VII e l’VIII secolo.

309
Roberto Coroneo

Rispetto agli esemplari precedenti, appaiono decisamente innovativi i capitelli “cubici” con
croce, probabilmente destinati a sormontare le colonnine di un ciborio della seconda metà
del X secolo, già nella chiesa di Sant’Antioco. Sono identici fra loro e tutti in marmo. Uno,
integro, si trova nella locale collezione Biggio. Un altro, frammentario, è murato nel vano di
passaggio dalla “cripta” alle catacombe. Un terzo, integro, è a Iglesias nella collezione co-
munale Pistis-Corsi. Gli esemplari integri si conigurano a due volumi distinti: dal collarino
della parte inferiore, troncoconica, si sviluppano quattro foglie lisce, che svasando vanno a
toccare con le punte gli spigoli del cubo superiore, saldandosi con il listello che riquadra le
facce frontali, ospitanti croci greche con gemma centrale. I capitelli sono caratterizzati non
solo dalla conformazione “cubica” che li apparenta ad analoghi esemplari d’area italo-setten-
trionale fra il VII e l’XI secolo, ma anche dal tipo della croce greca a bracci patenti, che trova
riscontri signiicativi a partire dal IX per afiancarsi, nella seconda metà del X, alla forma a
bracci potenziati. Tra la metà del IX e la metà dell’XI, analoghi capitelli pseudocorinzi di tipo
“cubico” rappresentano una forte continuità con i tipi del V-VI e al contempo nuove sintesi,
caratterizzati come sono da un’accentuata sempliicazione dei volumi costitutivi, cubico nella
metà superiore, cilindrico nell’inferiore.
Alla tipologia “occidentale” dei capitelli cubici del ciborio sulcitano fa riscontro la transenna
di Porto Torres con croci gigliate di peculiare disegno. Della transenna ci sono giunti due
frammenti, oggi nei depositi dell’Antiquarium Turritano. Il primo fu recuperato nel 1963 in
un saggio di scavo all’esterno della basilica. Il secondo è stato ritrovato nell’area del Banco di
Sardegna, sempre a Porto Torres, negli scavi del 1982-83. Non è possibile chiarire il motivo
della differente dislocazione dei frammenti, che derivano comunque dalla stessa transenna,
con ogni probabilità da riferire all’arredo liturgico d’una delle basiliche di San Gavino prece-
denti la fabbrica dell’XI secolo. Sembra trattarsi di un prodotto d’importazione, databile fra
l’VIII e il IX secolo. Il quadro dei referenti artistici implica la possibile derivazione dalle bot-
teghe localizzate nell’arco provenzale, ligure e padano di irradiazione dei cantieri attivi nelle
cave alpine, soprattutto nelle Marittime. Chiarirne la presenza a Porto Torres non è agevole,
stanti le parziali informazioni di contesto storico che è possibile oggi ricavare dalla complessa
stratigraia del sito di San Gavino. Come conclusione provvisoria è possibile trarne soltanto
l’indizio di stretti rapporti con ambiti ecclesiastici di cultura “latina” carolingia, in parallelo
o anche in contrasto con le indicazioni “greche” imperiali che emanavano da Cagliari e da
centri del meridione sardo più organicamente in contatto con ambiti o centri di irradiazione
della cultura costantinopolitana.
Un pluteo a girali, frammentario nella cattedrale di Santa Maria Assunta a Oristano, è di
probabile importazione romana e costituisce un’ulteriore, anche in questo caso problema-
tica, conferma della pluralità di provenienze che nel IX secolo sembra contraddistinguere,
come fenomeno nuovo, il quadro della scultura in Sardegna, fors’anche attestando una rin-
novata azione della Chiesa di Roma, volta a rinsaldare il suo ruolo storico mai venuto meno
nell’Isola. I confronti riportano puntualmente alla scultura romana del IX secolo, sebbene
non esista, in nessuno, una così spiccata tendenza alla regolarizzazione del tralcio secondo
forme geometriche.
Con ogni probabilità apparteneva a un protiro mediobizantino, con funzione di mensole-
architrave, la coppia di marmi epigraici prelevata dalle rovine di una chiesa di Santa Soia,
ubicata fra Villasor e Decimoputzu, e ospitante l’iscrizione di Unuspiti e di Sorica. Anche se
inciso in due marmi diversi e separato dal segno cruciforme, il testo epigraico è chiaramente
unitario in quanto l’invocazione compare soltanto in un marmo e nell’altro viene sottintesa.
La lettura dell’epigrafe è e doveva essere continua, iniziando nel marmo di Unuspiti e conclu-
dendosi in quello di Sorica, la cui menzione segue come di regola quella del consorte.
A favore dell’ipotesi che restituisce i due marmi paralleli, inissi nel muro ai ianchi di una
porta architravata, a creare una sorta di breve ambulacro forse voltato a botte, con pilastri e
capitelli per il sostegno di “mensole”, vanno i signiicativi riscontri con la tipologia struttura-
le della coppia di analoghi elementi in situ nel protiro del ianco nord della basilica dei Santi
Martiri a Cimitile. A differenza dei marmi della Santa Soia di Villasor-Decimoputzu, nelle
mensole-architrave di Cimitile è la faccia sgusciata a ospitare l’epigrafe latina che menziona
quale committente il vescovo nolano Leone III, la cui cronologia si attesta tra la ine del IX
e gli inizi del X secolo.
È possibile che svolgessero invece funzione d’epistilio di recinto presbiteriale i marmi pa-

310
La decorazione architettonica e l’arredo liturgico in marmo delle chiese altomedievali

Pluteo da Pula, Isola di San Macario.


Cagliari, Museo Archeologico Nazionale.

rallelepipedi ospitanti epigrai medioelleniche, pertinenti al San Giovanni di Assemini (cat.


n. 3.143): iscrizione di Torcotorio e Getite, alla Santa Soia di Villasor-Decimoputzu: iscri-
zione di Torcotorio, Salusio e Ortzocor; al Sant’Antioco del centro omonimo: iscrizione di
Torcotorio, Salusio e Nispella. Dificilmente, perché troppo pesante, avrebbe potuto espleta-
re simile funzione l’iscrizione di Nispella, oggi custodita nel San Giovanni di Assemini (cat.
n. 3.145).
Per sostenere l’ipotesi dell’originaria appartenenza di siffatti elementi al recinto presbiteriale
di arredi liturgici eretti per la muniicenza dei committenti celebrati nelle epigrai, il riscontro
più pertinente va individuato nella pergula cui appartenevano il tratto di epistilio e l’archetto
di Šopot oggi nel Muzej hrvatskih arheoloških spomenika di Spalato e nel Zavičajni muzej
di Benkovac, con iscrizione dedicatoria di Branimir, dux Cruatorum nell’879-892, di cui sono
note iniziative di costruzione e decorazione di ediici ecclesiastici. Altra categoria di possibili
epistili o meglio architravi di portale annovera marmi parallelepipedi anepigrai, decorati a
girali con andamento di lettura orizzontale, come in un frammento custodito nella casa co-
munale di Donori (cat. n. 3.144).
Alcuni pilastrini marmorei, decorati su due o tre facce contigue, devono considerarsi di si-
cura appartenenza a recinti presbiteriali, in quanto provvisti nella parte alta di scanalatura
d’incastro per un imprecisabile elemento architettonico orizzontale, come in frammenti del
Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, del San Pantaleo di Dolianova e del San Giovanni
di Assemini (cat. nn. 3.148-3.152), analoghi quanto a decori ad altri custoditi a Sant’Antioco.
Generalmente la critica storico-artistica ha identiicato come pluteo ogni lastra marmorea
con rilievo zoomorfo, pertinente al complemento ornamentale mediobizantino di chiese al-
tomedievali del meridione sardo. In realtà poche lastre conservano dettagli tali da attestare
la precisa funzione del marmo, mentre occorrerebbe di volta in volta distinguere la funzione
speciica di lastra di arredo liturgico, qual è il pluteo (destinato a chiudere i varchi fra i pi-
lastrini del recinto presbiteriale), da quella delle lastre di decorazione architettonica, quali il
pannello o la formella destinati a incrostare la parete di un prospetto interno o esterno.
In base ad abbondanti riscontri specie campani, possono individuarsi come plutei le tre la-
stre del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, provenienti dal recupero marino presso
l’isola di San Macario (cat. nn. 3.154-3.156), di cui una integra a quadrupedi affrontati, una
frammentaria, l’altra integra ma con unica igura animale. Appare così legittimo identiicare
plutei nelle lastre con rilievo zoomorfo, integre a Maracalagonis, frammentarie a Cagliari,
nella cattedrale e nel Museo Archeologico Nazionale (da Donori), a Villasor e a Sant’Antioco.
Quanto alla tipologia decorativa è da operare una prima distinzione fra cornice e campo
interno, decorato con temi iterativi e temi igurativi propriamente detti, quali quelli dei plutei
con igure animali e delle lastre con igure umane. Quando tripartite, le cornici presentano
nella banda mediana ovoli o fuseruole. Fra i temi iterativi sviluppati in orizzontale nelle facce
di architravi, in verticale nelle facce di pilastrini e stipiti, in curva nelle superici di archetti di
ciborio, si annoverano il nastro intrecciato, il doppio nastro intrecciato, l’intreccio annodato,

311
Roberto Coroneo

Nuraminis, archetto di ciborio


con iscrizione di Costantinou Megalou.

le rosette baccellate, il tralcio a girali con foglie e rosette, con pampini e grappoli d’uva, il
tralcio animato, le foglie d’acanto. Nel complesso, il repertorio ornamentale lascia distinguere
motivi geometrici (ovoli, fuseruole, nastro intrecciato, doppio nastro intrecciato, intreccio
annodato), motivi itomori (rosette, tralcio, foglie d’acanto), motivi zoomori ausiliari (uc-
celletti nei girali del tralcio animato) e autonomi (pavoni nei cibori, quadrupedi e uccelli in
plutei, pannelli e formelle), motivi antropomori.
Figure antropomorfe si trovano esclusivamente in frammenti di lastre di Sant’Antioco, che
presentano tibicini, un personaggio maschile con spada, un altro con fascio, un personaggio
femminile con libro. Zampe ungulate e testa felina consentono di riconoscere il leone in uno
dei due plutei di Maracalagonis, in un pluteo di San Macario e in un pluteo di Sant’Antioco,
ricomponibile con due frammenti. Gli stessi caratteri, uniti alle mammelle, identiicano come
leonessa le igure animali dell’altro pluteo di Maracalagonis, del pluteo frammentario di San
Macario e di un pluteo di Sant’Antioco. Il pegaso compare nel pluteo di San Macario a qua-
drupedi affrontati e in un pluteo di Sant’Antioco. Il grifo è rafigurato come leone alato, con
testa d’uccello, a Cagliari nella lastra della cattedrale e nel pluteo del Museo Archeologico
Nazionale. Sono grii gli animali affrontati al pegaso e al leone rispettivamente nel pluteo
di San Macario e in quello di Donori (oggi nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari),
ricomponibile con due frammenti. Nella lastra di Villasor con igure animali in doppio
registro, nonostante l’abrasione del rilievo, è possibile riconoscere nel riquadro superiore un
toro, caratterizzato dalle forme massicce e dalle corna ricurve, in quello inferiore un grifo.
Figure animali isolate o in schema araldico (affrontate pressoché specularmente rispetto a un
elemento centrale) si ritrovano diffusamente nella scultura tardoantica, bizantina e dell’alto
medioevo occidentale; si tratta di temi e patterns di antica ascendenza mesopotamica, iltrati
nelle culture mediterranee già in epoca preromana e continuamente rivitalizzati da apporti
orientali, specie con la mediazione di stoffe seriche prima sasanidi, poi costantinopolitane e
siriache, prodotte in ambiti tanto cristiani quanto islamici. Per le sculture zoomorfe mediobi-
zantine del meridione sardo i riscontri più puntuali e abbondanti si registrano in Campania,
con strette afinità quanto a tecniche di lavorazione del marmo, trattamento delle cornici e
destinazione funzionale delle lastre (plutei o pannelli e formelle d’incrostazione parietale),
nonché scelte comuni sia d’insieme sia di dettaglio.
Le possibilità di seriazione cronologica dei rilievi zoomori mediobizantini campani e sardi
si basano sul processo di graduale abbandono della deinizione bidimensionale, in favore
di quella plastica. Questo parametro, in relazione a varie cifre desunte da scelte di dettaglio
(zampe, coda, mantello o piumaggio, ali), consente di distinguere tre gruppi di sculture, con
leggero anticipo della produzione campana (dalla ine del IX ai primi decenni dell’XI secolo)
rispetto a quella sarda (dalla metà del X ai primi decenni dell’XI secolo).

312
La decorazione architettonica e l’arredo liturgico in marmo delle chiese altomedievali

Numerosi frammenti marmorei mediobizantini del meridione sardo dichiarano l’apparte-


nenza a uno dei quattro archetti di un ciborio. Nella vela dell’archetto, delimitata da cornici
a listello, quasi tutti i frammenti mostrano la igura del pavone, cui doveva affrontarsene
un’altra speculare all’incirca; è tema iconograico largamente documentato e canonico nella
decorazione dei cibori altomedievali, in quanto compreso nell’iconologia della resurrezione
della carne e dell’immortalità dell’anima cristiana.
Parzialmente conservata, la igura del pavone si trova in frammenti di Cagliari, Donori (oggi
nel Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, cat. n. 3.153), Nuraminis, Sant’Antioco e
Monastir. Frammenti degli stessi o di altri archetti dei cibori di Cagliari e Donori dispon-
gono al colmo due rosette ai lati della croce greca potenziata; nel ciborio di Nuraminis, al
clipeo con analoga croce si affrontano due pavoncelle. Almeno uno degli archetti del ci-
borio di Sant’Antioco aveva pavoni affrontati senza croce al colmo; lo stato frammentario
di quello di Monastir non consente di decidere in proposito. In alcuni archetti le cornici
marginali a listello, sia quella superiore rettilinea sia quella arcuata, ospitano epigrai in
greco o in latino.
I quattro frammenti del ciborio di Nuraminis appartenevano ad almeno tre archetti. Nel
frammento epigraico in greco, ma in capitali latine si legge: [Konsta]ntin(o)u megal[ou], pro-
babile parte di un’invocazione a San Costantino imperatore, afinché per sua intercessione
sia concessa la remissione dei peccati. Infatti nel frammento con listello rettilineo in lingua e
graia medioellenica si trova presbiai[s] per presbeiais, da integrare come: [on tais] presbeiais [doei
moi Kyrios o Theos ten afesen ton amartion?], con formula cioè analoga a quella che chiude l’iscri-
zione di Nispella. Nel suo listello arcuato, l’epigrafe può essere in via d’ipotesi così integrata:
[Kyrie boethei] tou doulou sou Tou[rcotoriou?]. Le due parole iniziali si leggono nel listello arcuato
del quarto frammento: [...]pi K(yri)e boeith[ei tou doulou sou oppure tes doules sou?].
Dei sette frammenti del ciborio di Sant’Antioco, quello più importante conserva nel listello
rettilineo l’iscrizione latina [p]ro nostra pecca[ta] e nel listello arcuato l’altra, pure incompleta,
[...]e de tetro angu[...], così lette da Taramelli, Diehl e Sotgiu; secondo gli stessi, un altro fram-
mento andrebbe così integrato [in]terced[e]. Un terzo frammento, successivamente rinvenuto
ma non più rintracciabile, aveva: festina etern[...]. Altri frammenti hanno: eum dne et n[...]; [...]in
[...]; [...]e ista tor[...].
Non sembra possibile, per il momento, risalire al senso complessivo dei testi epigraici. In
quelli di Sant’Antioco si colgono però assonanze tanto con l’iscrizione di Nispella quanto
con l’espressione on tais presbeiais del ciborio di Nuraminis, giacché anche qui l’intercede e il pro
nostra peccata parrebbero appartenere ad analoga formula d’invocazione per la remissione dei
peccati, in latino anziché in greco. Sia la traslitterazione dal greco al latino in uno dei fram-
menti del ciborio di Nuraminis, sia la presenza di epigrai in lingua e graia medioellenica
in altri archetti dello stesso monumento, sia soprattutto il fatto che la medesima formula
d’invocazione fosse applicata tanto nella sua versione canonica in greco (ad Assemini e a
Nuraminis), quanto in traduzione o trasposizione latina (nel ciborio di Sant’Antioco), porta-
no a constatare, attraverso i documenti epigraici, il mantenimento nel giudicato di Cagliari
nel X secolo di quell’identità linguistica e culturale greco-latina, già rilevata in altri ambiti
dell’Occidente altomedievale e qui operante non solo a livello del committente o di chi dettò
le epigrai, ma con ogni evidenza anche del lapicida che le incise.

Bibliograia

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314
La suppellettile liturgica
Andrea Pala

Gli studi più antichi sulla suppellettile liturgica cristiana si possono ricondurre alla ine dell’Otto-
cento, quando in Francia si diedero alle stampe i primi repertori sull’argomento che riproduceva-
no graicamente gli oggetti desunti da quelli reali, analizzando le particolarità ed evidenziando le
caratteristiche formali. A questi lavori seguirono quelli tedeschi degli anni Trenta del XX secolo.
In Italia, invece, un approccio sistematico alla materia si ebbe solo negli ultimi anni del Novecento.
Un importante contributo è stato prodotto dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documen-
tazione, afferente al Ministero per i Beni Culturali e Ambientali italiano, da cui si trae una catalo-
gazione che divide le suppellettili in arredi d’altare, vasi sacri, biancheria e coperture sacre, oggetti
liturgici, oggetti processionali, insegne ecclesiastiche e oggetti devozionali.
Questa ampia categoria di oggetti mobili comprende i manufatti utilizzati durante il rituale sacro,
inteso come un insieme di cerimonie, di formulari, di gesti e usanze, talvolta differenziate da
speciicità linguistiche, dottrinarie e giuridiche. Il Cristianesimo annovera due importanti divisioni
tra i riti: uno orientale e l’altro occidentale, entro i quali sussistono ulteriori differenze. La storia
della liturgia dalle origini sino al IV secolo è sostanzialmente comune tra Oriente e Occidente, ad
eccezione di elementi di culto di carattere locale che rivelano l’esistenza di diversi riti, anche se non
necessariamente implicanti l’utilizzo di differenti oggetti funzionali al cerimoniale. Alla ine del IV
secolo l’organizzazione della Chiesa vede il prevalere dei grandi centri storici che per tradizione
cultuale emergono sulle piccole chiese, le quali assimilano particolarità liturgiche dei nuclei più
grandi. Questi ultimi si impongono in virtù dei canoni sinodali e conciliari. È infatti nel 451 che
viene convocato dall’imperatore romano d’Oriente Marciano il Concilio di Calcedonia, nel quale
vengono stabiliti i quattro patriarcati di Antiochia, Alessandria, Gerusalemme e Costantinopo-
li. Si creano così i principali centri rituali per l’Oriente cristiano, caratterizzati da un insieme di
cerimonie e usi liturgici diversi. Tra il VI e il VII secolo in Oriente sono oramai consolidati i riti
armeno, bizantino, copto e siriaco; ognuno si sviluppa sotto l’inluenza del patrimonio culturale
della propria nazione di appartenenza. Queste consuetudini liturgiche si stabilizzeranno solo nel
XVI secolo grazie all’utilizzo della stampa, assicurando così un ordo che sancisce i canoni e limita
le molteplici varianti riportate nei manoscritti.
Diversamente in Occidente, dopo la Pace di Costantino del 313, si sviluppano due famiglie litur-
giche: la gallicana e la romana. Quest’ultima in un primo momento rimase circoscritta all’Italia
centrale e all’Africa settentrionale, mentre quella gallicana si diffuse in tutta l’Europa occidentale,
comprendendo diversi cerimoniali, tra i quali il gallicano propriamente detto, il gotico, il celtico e
l’ispanico. Alcune varianti del rito liturgico romano si manifestarono ad opera di ordini monastici
e religiosi, come la famiglia dei benedettini dal VI-VIII secolo.
Anche nell’isola di Sardegna l’uso di suppellettili liturgiche è legato alla presenza cristiana, la cui
prima attestazione potrebbe risalire già al II secolo. I primi gruppi cristiani cominciano a formarsi
nelle città portuali di Carales, Nora, Sulci, Tharros, Turris Libisonis, Olbia, a cui si aggiungono Cornus,
situata quasi sul mare e Forum Traiani, a breve distanza dalla costa. Tutti centri che avevano intensi
rapporti commerciali con Roma, Cartagine e l’Africa, luogo di scambio di contingenti militari tra
le due terre: sardi che prestavano servizio in Africa e africani che prestavano servizio in Sardegna.
Questi ultimi, insieme ai marinai e ai damnati ad metalla – ossia i condannati ai lavori forzati nelle
miniere sarde – , erano i nuovi propagatori nell’Isola della religione cristiana, e di conseguenza dei
riti liturgici, che non necessariamente erano legati ad un ediicio religioso tradizionalmente inteso.
In linea generale, gli utensili liturgici cristiani si trovavano all’interno degli ediici che furono or-
ganizzati per esprimere e favorire in tutto la comunione dell’assemblea; l’ambiente interno fu
orientato verso il centro dell’azione liturgica e ritmato secondo un movimento che generalmente
partiva dall’atrio, si estendeva nell’aula e si deiniva nel presbiterio, ossia la zona riservata uni-
camente al clero, che fu il punto scelto per l’azione liturgica e il referente primario dello spazio
interno degli ediici. Nell’area presbiterale l’azione liturgica si realizzava intorno all’altare, luogo
al quale gli oggetti erano principalmente destinati. Una prima suddivisione è determinata dagli

315
Andrea Pala

oggetti utilizzati per la celebrazione eucaristica, utensili primari per il sacriicio della messa. Questi
sono: la croce, con le due varianti d’altare e pensile; i candelieri o candelabri, funzionali all’illumi-
nazione, e una o più tovaglie che coprono l’altare, di dimensioni variabili. Il signiicato simbolico
della tovaglia è riconducibile sia al sudario che avvolgeva Cristo, sia alla tovaglia che ricopriva la
mensa nell’Ultima Cena.
La prima documentazione di una croce sistemata sopra l’altare durante la messa risale alla testi-
monianza di Narsai di Nisibe nella metà del V secolo; una prassi liturgica siro-caldaica che non
sembra fosse adottata nel rito greco e latino, dove le croci sino al X e gli inizi dell’XI secolo veni-
vano sistemate nella pergula o poste nella sommità del ciborio dell’altare. La croce fu in origine un
oggetto di piccole dimensioni dove non appariva l’efigie di Cristo, documentata materialmente
solo dal VI in esempi di committenza imperiale (Crux Vaticana o di Giustino II).
In Sardegna la prima attestazione di una croce legata alla liturgia cristiana è riscontrabile in
un’epistola del ponteice Gregorio Magno del 599, indirizzata al vescovo di Cagliari Gianuario
(Ep., IX, 195). Nella lettera si ha testimonianza di alcuni ebrei giunti da Cagliari che andarono dal
papa a lamentarsi di un personaggio di nome Pietro, neo convertito alla fede cristiana, ma che in-
sieme ad alcuni “scapestrati” aveva occupato la sinagoga cagliaritana sistemando un’icona mariana
e una croce (venerandam crucem). Le più antiche croci d’altare presenti in Sardegna sono databili solo
al Cinquecento.
Un altro oggetto legato all’arredo d’altare, preposto al sostegno della candela, era il candeliere o
candelabro, il cui uso nella liturgia è antichissimo, strettamente connesso alla simbologia della luce.
Questa suppellettile si può distinguere per materiali, forme, decorazione, funzione e disposizione.
I tipi più diffusi erano tre: il candelabro a sette bracci, il candelabro per il cero pasquale e il cande-
labro da disporre sulla mensa o nei pressi dell’altare. Il numero dei candelabri in origine non era
prescritto ed era verosimilmente legato alla solennità della festa.
Altrettanto importanti sono le suppellettili legate all’illuminazione dell’ambiente ecclesiale, come
le lucerne, cioè lampade a olio portatili o pensili, costituite da un contenitore per il liquido dotato
di uno o più beccucci per il lucignolo. Questi oggetti si differenziano dalle suppellettili di uso
profano perché dotati di monogramma cristologico o iscrizioni legate alla simbologia della luce.
Infatti nella liturgia primitiva venivano utilizzate nella funzione del lucernario (lucernarium), laddove
si offriva al Signore, come sacriicio di luce, la lampada simbolo di Cristo luce del mondo, che si
accendeva all’inizio dell’assemblea dei fedeli riuniti nella preghiera notturna. Le lucerne potevano
essere ittili o metalliche (cat. nn. 3.105-3.106), costituite da un corpo di varia foggia, di cui si han-
no numerose testimonianze rinvenute anche negli scavi archeologici compiuti in Sardegna, come
le lampade in ceramica di produzione africana con motivi cristiani rinvenute nel villaggio di Santa
Filitica (presso Sorso), a Olbia e a Tharros. Vi erano anche lucerne pensili (lucernae aerae) che erano
dotate di anelli o ganci di sospensione, i quali consentivano di appendere l’oggetto nella pergula
del ciborio, tra gli intercolumni. A questa tipologia di manufatti è assimilabile una statuina in me-
tallo rafigurante San Paolo, identiicabile come parte di una lampada di bronzo di età teodosiana
(ine IV- inizi V secolo), proveniente dalla necropoli di Cornus e attualmente custodita nel Museo
Archeologico Nazionale di Cagliari. All’interno dell’ediicio religioso ci potevano essere diversi tipi
di lampade pensili.
La categoria dei vasi sacri è suddivisibile in vasi eucaristici, vasi per oli santi e, per estensione,
reliquiari. Queste suppellettili sono estremamente diversiicate tra di loro, sia per forma sia per
materia che le costituisce. La divergenza è dovuta sostanzialmente alla varie funzioni alle quali
gli oggetti sono destinati. I vasi eucaristici sono importanti oggetti utilizzati per preparare, som-
ministrare, trasportare, conservare ed esporre le specie eucaristiche, considerate corpo e sangue
di Cristo durante la consacrazione. I primi vasi eucaristici usati dai cristiani dovevano rispondere
solo ad esigenze di praticità e di decoro, senza particolari prescrizioni circa la forma e la materia.
Quest’ultima fu codiicata in seguito da precise regole che prevedevano l’uso di materiali non
fragili e impermeabili, a cui seguì dopo la pace costantiniana l’utilizzo di materiale di valore come
l’oro e l’argento, sui quali spesso venivano incastonate preziose gemme.
Le più antiche cerimonie eucaristiche iniziavano con una processione di offerta del pane e del
vino, consegnati dai fedeli entro appositi recipienti detti amulae, per il vino, e offertoria, per il pane.
Successivamente il ministro versava il vino in anfore dette amae oppure nei calices offertorii. Il pane
veniva raccolto nelle patenae ministeriales.
Lampada ittile con croce. Seguiva la mescita del vino in un calice, opportunamente iltrato con un colatoio e l’aggiunta di
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale. poche gocce d’acqua tramite un cucchiaino. I principali vasi sacri furono quelli destinati all’Eu-

316
La suppellettile liturgica

carestia, issati a livello tipologico da una lunga fase di distinzione strutturale e di materiali già nel
corso del VII secolo.
L’origine dei calici è presumibilmente da ricercare negli oggetti di uso domestico, che hanno dato
luogo a fenomeni di reimpiego, dando anche atto a episodi di riconversione semantica dei temi di
iconograia pagana. Il termine calice deriva dal greco k›lix. La sua menzione nei testi liturgici, nei
canoni sinodali o conciliari, nelle bolle papali è molto frequente. Nella liturgia cristiana si possono
distinguere in linea generale i calici ministeriali, riservati alla comunione dei fedeli almeno ino al
XIII secolo, i calici funerari e quelli da viaggio. Questi ultimi si distinguono talvolta per avere la
struttura smontabile. Il calice è un oggetto liturgico composto da un insieme di elementi che si
identiicano nella coppa, preposta a contenere la miscela di vino e acqua; il fusto (o gambo) spes-
so dotato di un nodo, di forma polilobata o sferica, e il piede che regge l’intera architettura della
suppellettile. Nodo e piede si prestavano generalmente a decorazioni con placchette smaltate e/o
lavorate a bulino, oppure riportavano iscrizioni, spesso legate alla committenza. In epoca tardo-
antica il calice era sovente dotato di anse che si appoggiavano alla coppa, utilizzate per sollevare il
vaso sacro ma che scompaiono già dal X secolo. Non si può escludere che per la somministrazio-
ne della comunione esistessero patene di varia dimensione, forma e materia, utilizzate dai primi
tempi del cristianesimo, come i già menzionati offertoria, anche se questi ultimi non erano propria-
mente patene ma contenitori di grandi dimensioni. La distinzione degli oggetti menzionati nelle
fonti scritte non è comunque facile perché spesso queste accomunano e confondono la termino-
logia. Tra le suppellettili ecclesiastiche c’è una serie di utensili correlati al rito eucaristico, funzionali
anche alle pratiche dell’offertorio, come il cucchiaio eucaristico, le ampolline, il colatoio e la istola.
Quest’ultima era strettamente legata all’uso dei calici ministeriali secondo una prassi liturgica atte-
stata ino al XIII secolo. La istola appare nelle fonti e negli inventari sotto termini diversi: arundo,
calamus, canolas, canonus, pipa, pugillaris, sipho, sumptorium, tutellus. L’uso di questo utensile risale almeno
all’epoca di Gregorio Magno (590-604) e la sua diffusione fu notevole nel XII e XIII secolo in
Italia, Francia, Inghilterra, Germania e Polonia. Col decadere della somministrazione della comu-
nione sotto le due specie, come decretato nel 1415 dal concilio di Costanza, sparì generalmente
l’uso di tale manufatto, anche se viene ripetutamente citato negli inventari delle epoche successive.
Esisteva anche la tipologia del calice sancto, riservato alla consacrazione, diverso dai ministeriales,
Frammento di lampada con igura preposti alla somministrazione del sacramento ai fedeli. Un altro vaso sacro conforme alla liturgia
di San Paolo, da Cornus. Cagliari, cristiana è la pisside. Questa suppellettile nel corso dell’età medievale ha avuto molteplici forme e
Museo Archeologico Nazionale. impieghi e la sua conigurazione poteva variare da una forma cilindrica, poligonale, ovale o allun-

317
La suppellettile liturgica

gata a forma di torre. I materiali utilizzati sono diversi: legno, avorio, osso, oro, argento, piombo,
stagno. A questa varietà di forme e materiali corrispondeva un uso differenziato. Nell’antichità
e nella tarda antichità venivano utilizzate sia come scatola di cosmetici sia come recipiente per
l’incenso nel culto e, a partire dall’età paleocristiana, sono impiegate come contenitore per l’Eu-
carestia, per le reliquie, per l’incenso e per l’olio consacrato. L’impiego liturgico delle pissidi come
contenitori dell’Eucarestia è citato nel decretale De cura pastorali di Leone IV (847-855). Come
detto, tra i vasi sacri si annoverano i reliquiari, ovvero contenitori di forma e materiale diverso,
quasi sempre prezioso, utilizzati per custodire ed esporre le reliquie, cioè i resti mortali dei santi
o anche gli oggetti a loro collegati, compresi anche gli oggetti che tradizionalmente si riferiscono
alla Madonna o alla vita, passione, morte e resurrezione di Cristo. Uno dei più celebri reliquiari
conservati in Sardegna è un argento epigraico custodito nel tesoro della chiesa di San Francesco
a Oristano, noto con il nome di Reliquiario di San Basilio, che i più recenti studi riconducono però
ai resti sacri di San Gregorio Nazianzieno, la cui fattura è il risultato dell’assemblaggio di varie
componenti realizzate in epoche diverse, con il pezzo più antico databile all’XI secolo.
Unitamente agli oggetti per la liturgia sono comprese le suppellettili per l’abluzione, riconducibili
al rito del lavabo, sia dei piedi (pedilavium) sia del capo (capilavium), quest’ultimo legato al battesimo.
Per le abluzioni liturgiche veniva utilizzato un servizio speciico, composto da un recipiente per
versare e uno distinto per raccogliere l’acqua. Questi utensili potevano essere una brocca e un
bacile, bacili gemelli, acquamanile e piatto. Nell’Isola si annovera anche un acquamanile bronzeo
a forma di pavone, di possibile pertinenza liturgica, proveniente dal territorio di Mores, conser-
vato nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari e databile al X-XI secolo. Nel Museo Archeologico
Nazionale della stessa città è conservata una coppa vitrea con una scena cristologica rinvenuta a
Ittiri (cat. n. 3.37), databile al IV-V secolo, ipoteticamente legata alla liturgia cristiana ma anche
riconducibile a una donazione senza precisa funzione cerimoniale. Un aspetto dell’abluzione è
costituito dall’aspersione, azione per la quale si usano oggetti speciici per spargere il liquido be-
nedetto, detti aspersori. Alle origini del culto cristiano per la cerimonia dell’aspersione venivano
usati rami di alloro, issopo, olivo o mirto, sostituiti nel XIII secolo da mazzetti di setole issati in
un ramo d’argento, poi rimpiazzati già dal XV secolo da una sfera forata posta all’estremità, ancora
in uso nella liturgia cristiana. Un accessorio indispensabile per l’aspersione è il secchiello, utilizzato
per contenere l’acqua benedetta, di cui si annoverano straordinarie opere di arte suntuaria, come
la situla eburnea dell’arcivescovo Gotofredo, conservata nel tesoro del duomo di Milano e databile
al X secolo. Questi oggetti erano prevalentemente in avorio, avevano una struttura troncoconica
che assecondava la forma della zanna dell’animale da cui provenivano ed erano sovente lavorati
in maniera molto rafinata. Nello stesso tesoro del duomo è custodita una “colomba eucaristica”,
ovvero un vaso sacro a forma di colomba che conservava l’Eucarestia. Questo tipo di suppellet-
tile, menzionato già nella vita di papa Silvestro (314-335) nel Liber Pontiicalis come arredo d’altare,
il cui uso eucaristico è però documentato dal IX secolo, è di piccole dimensioni, circa venti cen-
timetri; veniva appesa sopra l’altare e alludeva alla rappresentazione simbolica dello Spirito Santo,
in virtù della reale presenza del pane e del vino. Tali suppellettili, non documentate nella Chiesa
orientale, pendevano da un piano sul quale si issavano le catenelle di sospensione. In Sardegna
non ne sono state trovate per il periodo più antico.
L’utilizzo dei liquidi era disciplinato anche dalle ampolle, cioè due piccoli vasi d’argento – in certe
circostanze di altri materiali – preposti a contenere il vino e l’acqua per la celebrazione liturgica.
Questi recipienti erano talvolta contrassegnati per la loro destinazione d’uso con una V – come
vino (vinum) – e una A – come acqua (aqua) – per indicare la sostanza contenuta all’interno. In
merito alla deinizione della forma di queste suppellettili, che si è mantenuta pressoché immutata
nei secoli, le ampolle vengono suddivise in tre tipi principali: a “iaschetta”, con lungo collo il cui
bordo superiore si apre a formare un piccolo versatoio appuntito, e prive di manico; a “brocca”,
con corpo panciuto poggiante su piede, lungo collo con versatoio a beccuccio oppure allungato a
forma di S, e manico a voluta; a “boccale”, solitamente privo di piede, con bordo superiore aperto
a beccuccio e manico.
Un dato legato alla liturgia cristiana è l’uso dell’incenso, utilizzato in un primo periodo
solamente per celebrare la sepoltura del cristiano o profumare gli ambienti; anche se viene
ampiamente adoperato già alla ine delle persecuzioni. Al termine del IV l’uso dell’incen-
Nella pagina accanto siere è documentato a Gerusalemme, ma è adottato in Occidente solo dal V. Tuttavia,
Acquamanile bronzeo. Cagliari, è dall’VIII secolo che viene impiegato a Roma; ciononostante l’incensazione diveniva
Museo Archeologico Nazionale. frequente soltanto nel IX durante gli ofici notturni. Afinché abbia luogo la cerimonia è

319
Andrea Pala

Incensiere. Cagliari,
Museo Archeologico Nazionale.

necessario il servizio per l’incensazione, costituito da un turibolo, dalla navicella portaincenso


e da un cucchiaio per l’incenso. Il turibolo era un recipiente metallico preposto a bruciare
l’incenso ed effonderne il profumo. La sua struttura poteva essere semplice o articolata, per
la cui costruzione venivano utilizzati il bronzo o materiali più nobili come argento e oro,
questi ultimi adoperati soprattutto nel periodo carolingio. L’oggetto assumeva una forma
sferica, a scatola rotonda, esagonale, mentre più raramente gli veniva data una conigurazio-
ne zoomorfa o antropomorfa; era sovente cesellato oppure lavorato a incisione o a sbalzo;
la decorazione poteva essere molto complessa. Tra i materiali paleocristiani e altomedievali
del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari sono conservati due turiboli bronzei, uno dei
quali frammentario. Per questi incensieri, appartenuti alla collezione Timon e probabilmente
estranei al contesto isolano, è stata ipotizza una provenienza dall’ambiente copto e quindi
ascritti al V-VII secolo, anche se i confronti con altri oggetti analoghi presenti in Italia cen-
trale potrebbero ricondurli al XIII (cat. n. 3.107).
Insieme alle suppellettili liturgiche ci sono la biancheria e le coperture sacre, termine con cui
si designano i teli utilizzati per il sacriicio eucaristico, ovvero tessuti che possono venire in
contatto con le sacre specie e di cui in Sardegna non si conservano testimonianze materiali di
antica data. È necessario prendere atto che la perdita, la dispersione o l’alienazione dell’antica
dotazione di suppellettili gravano sulla maggior parte degli ediici religiosi in Sardegna com-
presi in un arco cronologico tra il IV e il XIV secolo e che i materiali recuperati nelle campa-
gne di scavo archeologico sono conluiti nelle raccolte museali, insieme agli oggetti reperiti
nel mercato antiquario. Affermazioni di questo genere mettono in evidenza la problematica
relativa alla creazione di un corpus completo di suppellettili liturgiche, ma soprattutto eviden-
ziano i tanti interrogativi legati alla collocazione e l’uso delle suppellettili nel “rituale antico”,
con la discriminante della modiicata percezione del rito in età moderna dovuta alle risolu-
zioni della riforma liturgica già messa in atto dal Concilio di Trento (1545-1563), quando si è
proceduto a rendere omogenei i culti sul modello della tradizione romana.

320
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321
Calice in terra sigillata italica
da Porto Torres. Sassari,
Museo Nazionale G.A. Sanna.

Nella pagina accanto


Brocca da Borutta. Sassari,
Museo Nazionale G.A. Sanna.

Brocca da Olbia. Cagliari,


Museo Archeologico Nazionale.

322
323
LA SARDEGNA
ROMANA
E ALTOMEDIEVALE
Catalogo
1.
La Sardegna
romana
La Sardegna Romana

1.1 - Lucerna 1.2 - Lucerna a prese laterali sinistra allungata, davanti ad un’erma
Numero Catalogo Generale: 00120278 (Deneauve IC) di una divinità barbata. L’uomo reg-
Numero inventario: 34352 Numero Catalogo Generale: 00162834 ge un oggetto di forma oblunga con la
Provenienza: Sconosciuta Numero inventario: 115/3070 mano sinistra, forse una verga. Un og-
Collocazione: Cagliari Provenienza: Mores (SS) getto di forma non chiara è rafigurato
Museo Archeologico Nazionale Collocazione: Sassari vicino alla sua gamba destra. Chiude
Oggetto: Lucerna Museo Nazionale G.A. Sanna lo sfondo un tronco d’albero con un
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Oggetto: Lucerna a prese laterali ramo con iori penduli.
verniciatura Materia e tecnica: Argilla/ a matrice Stato di conservazione: Mutilo
Misure: h 7; diam. 15,2 Misure: h 8,5; lungh. 9 Cronologia: Sec. I a.C.
Descrizione: Esemplare con quattro Descrizione: Esemplare tipo Deneauve Bibliograia: gaLLi 2000, p. 32.
beccucci e foro centrale segnato da IC, con corpo circolare tronco-coni- Fotografo: Dessì, Pierluigi
due linee concentriche; grosso cor- co, disco piano a cerchi concentrici di Compilatore: Sulis, Roberta
po globulare. Decorazione a picco- cui quello mediano inciso a solcature
le bugne sul disco. radiali, prese laterali piatte, a iocco,
Stato di conservazione: Mutilo fondo piano e piede basso ad anel-
Cronologia: Sec. II a.C. lo. Il becco a incudine e decorato a
Bibliograia: waLters 1914, p. 54, volute; infundibulum centrale e foro
ig. 62. di areazione verso il beccuccio. Nel
Fotografo: Monari, Nicola disco è presente una igura maschile
Compilatore: Cruccas, Emiliano nuda, barbata, seduta, con la gamba

1.3 - Lucerna a prese laterali costolato. Il becco è decorato con 1.4 - Lucerna
(Deneauve III) due cerchielli nella parte superiore Numero Catalogo Generale: 00039668
Numero Catalogo Generale: 00002288 e delimitato da un’incisione. Numero inventario: 98000
Numero inventario: 1268/3071 Stato di conservazione: Parzialmente Provenienza: Torralba (SS)
Provenienza: Sconosciuta ricomposto nuraghe Santu Antine
(collezione Vincenzo Dessì) Cronologia: Sec. I a.C. Collocazione: Torralba (SS)
Collocazione: Sassari Bibliograia: deneauve 1969; gaLLi Museo della Valle dei Nuraghi
Museo Nazionale G.A. Sanna 2000, p. 32. del Logudoro-Meilogu
Oggetto: Lucerna a prese laterali Fotografo: Dessì, Pierluigi Oggetto: Lucerna
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice Compilatore: Sulis, Roberta Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Misure: h 3; lungh. 11,5; diam. 8,3 Misure: h 11,5; lungh. 34,7; diam. 12,2
Descrizione: esemplare tipo Deneau- Descrizione: esemplare con quattro
ve III, con corpo circolare tronco- becchi di forma allungata, che si di-
conico, disco piano costituito da partono dal foro centrale; presumi-
due cornici concentriche toriformi bilmente munito in origine di quat-
rilevate, prese laterali a iocco ed tro anse di cui residuano una intera,
ansa ad anello, becco ad incudine, una mutila e l’attacco della terza.
piede ad anello e fondo piano. Il Stato di conservazione: Mutilo
disco è decorato con rami e bacche Cronologia: Età romana
d’ulivo, il piede con quattro cer- Fotografo: Dessì, Pierluigi
chielli, l’ansa ad anello è a nastro Compilatore: Carboni, Romina

1.5 - Lucerna a volute tiene per il collo con la mano sinistra. 1.6 - Lucerna a volute Stato di conservazione: Integro
(Loeschcke IV) La coda del mostro è avvolta, in una (Loeschcke I A) Cronologia: Secc. I a.C./I d.C.
Numero Catalogo Generale: 00002313 duplice spirale, intorno alla caviglia di Numero Catalogo Generale: 00162830 Bibliograia: gaLLi 2000, p. 33.
Numero inventario: 810/3086 Eracle. A destra è l’albero dei pomi Numero inventario: 226/3094 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Provenienza: Porto Torres (SS) d’oro. Provenienza: Porto Torres (SS) Compilatore: Sulis, Roberta
Collocazione: Sassari Stato di conservazione: Integro Collocazione: Sassari
Museo Nazionale G.A. Sanna Cronologia: Secc. I a.C./I d.C. Museo Nazionale G.A. Sanna
Oggetto: Lucerna a volute Bibliograia: gaLLi 2000, p. 37, n. 14. Oggetto: Lucerna a volute
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice Fotografo: Dessì, Pierluigi Materia e tecnica: Argilla/ a matrice
Misure: h 2,9; lungh. 12; diam. 8,5 Compilatore: Sulis, Roberta Misure: h 2.1; lungh. 11,5; diam. 8
Descrizione: Esemplare tipo Loeschcke Descrizione: Esemplare tipo Loeschcke
IV, con corpo circolare tronco-conico, I A, con corpo circolare tronco-coni-
spalla costituita da un modesto bordo, co, disco concavo a cerchi concentrici
disco concavo a cerchi digradanti con- digradanti e becco a forma di triango-
centrici e becco ogivale le cui ampie lo isoscele con angolo ottuso delimi-
volute coprono parte della sua super- tato da doppie volute. Nel disco è raf-
icie. Nel disco è rafigurato Eracle igurato il centauro Nesso che regge,
barbato, con indosso la leontè. L’eroe, sulla spalla sinistra, Deianira, tenendo-
nel giardino delle Esperidi, brandisce la per le braccia. La scena è conclusa, a
la clava con la mano destra per ab- sinistra, da un albero che simboleggia
battere il mostro serpentiforme, che la selva. Tracce di vernice rossastra.

329
La Sardegna Romana

1.7 - Lucerna Bibliograia: deneauve 1969, p. 113, 1.8 - Lucerna


(Deneauve IVA 317) tav. XXXVIII. Numero Catalogo Generale: 00028106
Numero Catalogo Generale: 00121740 Fotografo: Monari, Nicola Numero inventario: 71054
Numero inventario: 32377 Compilatore: Cruccas, Emiliano Provenienza: Narcao (CI)
Provenienza: Sconosciuta Strumpu Bagoi
(collezione Gouin) Collocazione: Cagliari
Collocazione: Cagliari Museo Archeologico Nazionale
Museo Archeologico Nazionale Oggetto: Lucerna
Oggetto: Lucerna Materia e tecnica: Argilla/ a mano/
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice lisciatura a stecca
Misure: h 3; lungh. 9,7; diam. 6,9 Misure: h 10; largh. 3; diam. 10;
Descrizione: Esemplare tipo De- spess. 0,7
neauve IVA 317, con corpo a di- Descrizione: Lucerna a piattello con
sco, beccuccio triangolare e foro alti ianchi a forma di palmetta egizia.
circolare. Decorazione a volute; sul Stato di conservazione: Frammentario
disco è l’immagine di un gladiatore Cronologia: Secc. I a.C./II d.C.
con spada impugnata nella mano Bibliograia: Barreca 1984, p. 123.
sinistra e scudo sul braccio destro, Fotografo: Monari, Nicola
entrambi sollevati. Compilatore: Sulis, Roberta
Stato di conservazione: Intero
Cronologia: Secc. I a.C./I d.C.

1.9 - Lucerna polilicne 1.10 - Lucerna bilicne Stato di conservazione: Parzialmente


Numero Catalogo Generale: 00028115 Numero Catalogo Generale: 00162827 ricomposto
Numero inventario: 71063 Numero inventario: 8967 Cronologia: Sec. I d.C.
Provenienza: Narcao (CI) Provenienza: Porto Torres (SS) Bibliograia: gaLLi 2000, p. 41, n. 26.
Strumpu Bagoi Collocazione: Sassari Fotografo: Dessì, Pierluigi
Collocazione: Cagliari Museo Nazionale G.A. Sanna Compilatore: Sulis, Roberta
Museo Archeologico Nazionale Oggetto: Lucerna bilicne
Oggetto: Lucerna polilicne Materia e tecnica: Argilla/ a matrice
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Misure: h 4,8; lungh. 15,5; diam. 4,2
Misure: h 8,3; diam. 5,5 Descrizione: Esemplare con corpo
Descrizione: Esemplare con corpo circolare su alto piedistallo cavo,
globulare su alto piedistallo cilin- cilindrico, con base quadrangolare
drico svasato nelle parti superiore igurata. Il disco è concavo a cer-
e inferiore; presenta quattro becchi chi digradanti concentrici; l’ansa
e il piede ad anello; privo di ansa. plastica è a forma di foglia. Nella
Stato di conservazione: Mutilo base, su un piedistallo di tre gradini,
Cronologia: Secc. I a.C./II d.C. è rafigurata la dea Minerva stante,
Bibliograia: Barreca 1984, pp. 123-124. frontale, con scudo nella sinistra e
Fotografo: Monari, Nicola lancia nella destra. Indossa un lun-
Compilatore: Sulis, Roberta go peplo, ha il gorgoneion sul petto
e porta l’elmo crestato sulla testa.

1.11 - Lucerna a volute bilicne rivolta verso destra; motivi a foglia 1.12 - Lucerna polilicne Cronologia: Sec. I d.C.
(Deneauve VB) di edera decorano la parte anteriore Numero Catalogo Generale: 00162833 Bibliograia: gaLLi 2000, p. 42, n. 7.
Numero Catalogo Generale: 00162829 dell’ansa e dei becchi. Sul fondo è Numero inventario: 2015/3112 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Numero inventario: 8927/3076 grafita la sigla QV della fabbrica Provenienza: Porto Torres (SS) Compilatore: Sulis, Roberta
Provenienza: Porto Torres (SS) Q(uinti) V(olusi Hermetis). Collocazione: Sassari
scavi ad est del fascio di binari della Stato di conservazione: Parzialmente Museo Nazionale G.A. Sanna
ferrovia, pozzo n. 2 ricomposto Oggetto: Lucerna polilicne
Collocazione: Sassari Cronologia: Sec. I d.C. Materia e tecnica: Argilla/ a matrice
Museo Nazionale G.A. Sanna Bibliograia: sotgiu 1968, p. 143, n. 485. Misure: h 4; largh. 13,5; lungh. 32
Oggetto: Lucerna a volute bilicne Fotografo: Dessì, Pierluigi Descrizione: Esemplare a quattro bec-
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice Compilatore: Sulis, Roberta chi, a forma di nave; nel perimetro
Misure: h 2,5; lungh. 14; diam. 7 del manufatto è presente un bordo,
Descrizione: Esemplare apodo tipo in parte rialzato e sottolineato da
Deneauve VB, con corpo circola- cerchielli impressi, che indica le mu-
re troncoconico raccordato ai due rate della nave. La parte rimasta del
becchi arrotondati da volute, spalla disco è decorata. Nel tratto rimasto
leggermente pendente verso il di- del disco è rafigurata una testa di
sco, il quale è concavo a cerchi con- divinità barbata con sulla destra un
centrici digradanti, ansa a crescente attributo dificilmente identiicabile.
lunare e becco ogivale. Nel disco è Stato di conservazione: Parzialmente
rafigurata una protome di ariete ricomposto

330
La Sardegna Romana

1.13 - Lucerna a volute bilicne Bibliograia: sotgiu 1968, p. 109, n. 1.14 - Lucerna a volute bilicne Bibliograia: Atlante forme 1981; gaLLi
Numero Catalogo Generale: 00002307 459; Mastino 1984, pp. 72-73, n. 195. (Loeschcke III) 2000, pp. 41, 44.
Numero inventario: 808/3084 Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero Catalogo Generale: 00002310 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Provenienza: Porto Torres (SS) Compilatore: Sulis, Roberta Numero inventario: 1282/3082 Compilatore: Sulis, Roberta
Collocazione: Sassari Provenienza: Sconosciuta
Museo Nazionale G.A. Sanna (collezione Vincenzo Dessì)
Oggetto: Lucerna a volute bilicne Collocazione: Sassari
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice Museo Nazionale G.A. Sanna
Misure: h 3; lungh. 12; diam. 7 Oggetto: Lucerna a volute bilicne
Descrizione: Esemplare con corpo cir- Materia e tecnica: Argilla/ a matrice
colare dalla spalla leggermente con- Misure: h 3,4; lungh. 15; diam. 7
cava e becchi tondi, disco concavo Descrizione: Esemplare bilicne con
con incisioni concentriche digradan- corpo circolare troncoconico tipo
ti, piede ad anello a cerchi concen- Loeschcke III, disco concavo a cerchi
trici. Nel disco è rafigurata un’ara digradanti concentrici, ansa plastica
con offerte; lo spazio tra le volute è triangolare e piede ad anello. L’ansa
riempito con motivi itomori stiliz- è a forma di piastra triangolare deco-
zati. Sul fondo sono grafite quattro rata con un gorgoneion; nel disco è un
lettere (trascrizione Nini). mostro marino rivolto verso destra.
Stato di conservazione: Mutilo Stato di conservazione: Integro
Cronologia: Sec. I d.C. Cronologia: Sec. I d.C.

1.15 - Lucerna Stato di conservazione: Mutilo 1.16 - Lucerna (Deneauve VIIA)


(Deneauve VIB) Cronologia: Sec. I d.C. Numero Catalogo Generale: 00120988
Numero Catalogo Generale: 00048341 Bibliograia: gaLLi 2000, pp. 49-51. Numero inventario: M 22/12B
Numero inventario: 135802 Fotografo: Monari, Nicola Provenienza: Sconosciuta
Provenienza: Nora (Pula - CA) Compilatore: Sulis, Roberta Collocazione: Cagliari
Su Cuventeddu Museo Archeologico Nazionale
Collocazione: Pula (CA) Oggetto: Lucerna
Civico Museo Archeologico G. Patroni Materia e tecnica: Argilla/ a matrice
Oggetto: Lucerna a disco Misure: h 4,1; lungh. 10,9; diam. 8,4.
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Descrizione: Esemplare con corpo a
a stampo disco con piccola ansa, beccuccio
Misure: h 2,8; lungh. 6,8; diam. 5 corto e foro circolare. Decorazio-
Descrizione: Esemplare con corpo ne a rilievo sul disco con immagine
ovale troncoconico tipo Deneauve di un gladiatore che abbatte il suo
VIB; disco concavo delimitato da avversario.
incisioni digradanti concentriche e Stato di conservazione: Intero
con decorazione. Tracce di vernice Cronologia: Secc. I/II d.C.
rossastra nella supericie e di bru- Bibliograia: deneauve 1969, p. 165.
ciato nel becco. Il disco è decora- Fotografo: Monari, Nicola
to con una conchiglia; la presa è Compilatore: Cruccas, Emiliano
scanalata.

1.17 - Lucerna a disco motivo a ovuli; l’ansa è scanalata. Il 1.18 - Lucerna a volute Cronologia: Secc. II/III d.C.
(Loeschcke VIII L2) fondo caratterizzato da una cornice (Loeschcke I C) Bibliograia: gaLLi 2000, p. 37, n. 13.
Numero Catalogo Generale: 00162824 a cerchielli scanalata. Il piede reca il Numero Catalogo Generale: 00002312 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Numero inventario: 2231/3137 bollo con l’iscrizione Pullaeni. Trac- Numero inventario: 823/3092 Compilatore: Sulis, Roberta
Provenienza: Sconosciuta ce di vernice nera nella supericie. Provenienza: Sconosciuta
Collocazione: Sassari Stato di conservazione: Integro Collocazione: Sassari
Museo Nazionale G.A. Sanna Cronologia: Sec. II d.C. Museo Nazionale G.A. Sanna
Oggetto: Lucerna a disco Bibliograia: sotgiu 1968, p. 125, n. Oggetto: Lucerna a volute
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice 471, tav. XVIII ig. 471 b4. Materia e tecnica: Argilla/ a matrice
Misure: h 2; lungh. 10; diam. 7,5 Fotografo: Dessì, Pierluigi Misure: h 2,5; lungh. 13; diam. 8
Descrizione: Esemplare con cor- Compilatore: Sulis, Roberta Descrizione: Esemplare tipo Loeschcke
po circolare troncoconico tipo I C, con corpo circolare troncoconi-
Loeschcke VIII L2, con spalla co con spalla leggermente pendente
pendente verso l’esterno, becco ar- verso il disco concavo, beccuccio
rotondato nella parte posteriore e triangolare a volute, ansa perforata e
delimitato da un’incisione orizzon- base a forma di basso anello. Nel di-
tale, ansa perforata ad anello e disco sco è rafigurato un bestiario chino
lievemente concavo a cerchi con- su una leonessa abbattuta; il bordo
centrici digradanti. Nel disco è raf- è decorato con un motivo a ovoli
igurato uno struzzo che corre ver- in rilievo.
so destra; la spalla è ornata con un Stato di conservazione: Integro

331
La Sardegna Romana

1.19 - Lucerna a volute bilicne Cronologia: Età romana imperiale 1.20 - Piatto Stato di conservazione: Intero
(Deneauve VB) Bibliograia: gaLLi 2000, p. 41. (Morel F 2783/2784) Cronologia: Sec. IV a.C.
Numero Catalogo Generale: 00162832 Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero Catalogo Generale: 00162900 Bibliograia: roMuaLdi 1992, pp.114-
Numero inventario: 8939/3075 Compilatore: Sulis, Roberta Numero inventario: 34465 115, ig. 17.
Provenienza: Porto Torres (SS) Provenienza: Olbia Fotografo: Monari, Nicola
Collocazione: Sassari Collocazione: Cagliari Compilatore: Cruccas, Emiliano
Museo Nazionale G.A. Sanna Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Lucerna a volute bilicne Oggetto: Piatto
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
Misure: h 2,3; lungh. 13,5; diam. 6,4 a incisione/ verniciatura
Descrizione: Esemplare apodo tipo Misure: h 2,3; diam. 14,6
Deneauve VB, con corpo circola- Descrizione: Esemplare in cerami-
re troncoconico, raccordato ai due ca a vernice nera tipo Morel F
becchi arrotondati a volute; presen- 2783/2784, con ampia vasca leg-
ta la spalla leggermente pendente germente carenata, orlo distinto
verso l’esterno, il disco convesso ingrossato e piede ad anello. Deco-
a cerchi digradanti concentrici e razione a rotella sul fondo con sei
l’ansa plastica ad anello. Nel disco palmette inscritte all’interno di un
è rafigurato un kantharos; l’ansa è cerchio.
sormontata da un crescente lunare. Prodotto dell’Atelier des petites estam-
Stato di conservazione: Integro pilles.

1.21 - Piatto Fotografo: Monari, Nicola 1.22 - Piatto


(Morel F 2234) Compilatore: Cruccas, Emiliano (Morel F 2234)
Numero Catalogo Generale: 00162898 Numero Catalogo Generale: 00162899
Numero inventario: 73910 Numero inventario: 34391
Provenienza: Sconosciuta Provenienza: Soleminis (CA)
Collocazione: Cagliari Collocazione: Cagliari
Museo Archeologico Nazionale Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Piatto Oggetto: Piatto
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Misure: h 5,8; diam. 25,7 Misure: h 3,7; diam. 17,4
Descrizione: Esemplare in ceramica Descrizione: Esemplare in ceramica
a vernice nera tipo Morel F 2234, a vernice nera tipo Morel F 2234,
leggermente asimmetrico, con am- con orlo arrotondato, piccolo piede
pia vasca, piccolo piede ad anello ad anello e scanalature sulle pareti
ed orlo leggermente distinto. De- esterne.
corazione a rotella sul fondo segna- Stato di conservazione: Intero
to da una verniciatura rossa. Cronologia: Secc. III/II a.C.
Stato di conservazione: Intero Bibliograia: MoreL 1981, pp. 150-
Cronologia: Secc. III/II a.C. 151, tav. 37, 2234.
Bibliograia: MoreL 1981, pp. 150- Fotografo: Monari, Nicola
151, tav. 37, 2234. Compilatore: Cruccas, Emiliano

1.23 - Piatto Fotografo: Monari, Nicola 1.24 - Piatto lo troncoconico. Vernice di colore
(Morel F 1122) Compilatore: Cruccas, Emiliano Numero Catalogo Generale: 00097741 rosso-arancio.
Numero Catalogo Generale: 00120288 Numero inventario: 9001/3785 Stato di conservazione: Reintegrato
Numero inventario: 66582 Provenienza: Porto Torres (SS) Cronologia: Sec. I d.C.
Provenienza: Sconosciuta Collocazione: Sassari Bibliograia: tronchetti 1996, pp.
(collezione Gouin) Museo Nazionale G.A. Sanna 55-60, tav. 7, ig. 10.
Collocazione: Cagliari Oggetto: Piatto Fotografo: Dessì, Pierluigi
Museo Archeologico Nazionale Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ a Compilatore: Trudu, Enrico
Oggetto: Piatto impressione/ a incisione/ verniciatura
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Misure: h 4,2; diam. 16,7; diam.
verniciatura piede 8,3
Misure: h 5,2; diam. 22,3 Descrizione: Esemplare con orlo leg-
Descrizione: Esemplare in ceramica a germente estrolesso e parete sva-
vernice nera tipo Morel F1122, con sata che forma un angolo arroton-
piede ad anello e depressione circo- dato con il fondo a proilo piano;
lare sul fondo interno. Segni di dita- la vasca interna presenta due fasce
te sul fondo dovuti ad immersione. decorate a circonferenze concentri-
Stato di conservazione: Intero che, una a ridosso della vasca, l’altra
Cronologia: Sec. II a.C. in posizione centrale a inquadrare
Bibliograia: MoreL 1981, pp. 82-83, un bollo in planta pedis con iscrizio-
tav. 2, 1122. ne SEX.IV. APR.; il piede è ad anel-

332
La Sardegna Romana

1.25 - Piatto Stato di conservazione: Integro 1.26 - Piatto un bollo ormai illeggibile. Prodotto
Numero Catalogo Generale: 00097859 Cronologia: Sec. I d.C. (Dragendorff 17) dell’Atelier de La Graufesenque.
Numero inventario: 196/3829 Bibliograia: hayes 1972, p. 20, ig. 2; Numero Catalogo Generale: 00120211 Stato di conservazione: Intero
Provenienza: Sconosciuta Atlante forme 1981, p. 24, tav. XIII, Numero inventario: 8311 Cronologia: Sec. I d.C.
Collocazione: Sassari igg. 12-14. Provenienza: Sconosciuta Bibliograia: zucca 1990, pp. 92-93,
Museo Nazionale G.A. Sanna Fotografo: Dessì, Pierluigi (collezione Timon) n. 71.
Oggetto: Piatto Compilatore: Trudu, Enrico Collocazione: Cagliari Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Museo Archeologico Nazionale Compilatore: Carboni, Romina
a barbottina/ verniciatura Oggetto: Piatto
Misure: h 3,5; largh. labbro 2,8; Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
diam. 19.5; diam. piede 7 verniciatura
Descrizione: Esemplare con orlo Misure: h 4; diam. 17
arrotondato rivolto verso l’ester- Descrizione: Esemplare di terra sigil-
no, decorato da sei foglie d’acqua lata sud-gallica tipo Dragendorff 17,
a barbottina; all’interno dell’orlo con orlo arrotondato, parete interna
corre una scanalatura probabil- con carenatura arrotondata nel pun-
mente funzionale all’alloggio di un to di congiunzione con il fondo pia-
coperchio; il corpo è quasi emisfe- no decorato da una solcatura circo-
rico, con piede ad anello e privo di lare e piede ad anello. Vernice mar-
decorazioni. La vernice è di colore morizzata di colore giallo e rosso
arancio-mattone, ine e brillante. lucente. Sul fondo interno compare

1.27 - Piatto Stato di conservazione: Mutilo 1.28 - Piatto 285; sirigu 2003, p. 115, tav. 28,2.
(Atlante forma VIII, 3) Cronologia: Sec. I d.C. Numero Catalogo Generale: 00162722 Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00162696 Bibliograia: Atlante forme 1985, p. Numero inventario: Assente Compilatore: Defrassu, Pierangela
Numero inventario: 186621 382, forma VIII n. 3, tav. CXVIII.2. Provenienza: Cagliari, San Lorenzo
Provenienza: Sardara (VS) Fotografo: Monari, Nicola Collocazione: Cagliari
necropoli di Terra’e Cresia Compilatore: Carboni, Romina Museo Archeologico Nazionale
tomba 64, numero 8 Oggetto: Piatto
Collocazione: Sardara (VS) Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
Civico Museo Archeologico lisciatura a stecca
Villa Abbas Misure: h 4,8; largh. 19,7; diam.
Oggetto: Piatto 19,7; spess. 0,4
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Descrizione: Esemplare apodo, con
verniciatura vasca ampia e leggermente svasata
Misure: h 3,7; diam. 15 e orlo arrotondato. Sulla supericie
Descrizione: esemplare tipo Atlan- interna ed esterna sono presen-
te forma VIII, varietà 3, con orlo ti numerose steccature. Superici
estrolesso, parete carenata e piede marrone rosato, lisce.
ad anello; vernice rossa. Il reperto è Stato di conservazione: Parzialmente
una produzione in ceramica comu- ricomposto
ne che imita le forme della sigillata Cronologia: Secc. III/IV d.C.
italica. Bibliograia: saLvi 1994a, pp. 284-

1.29 - Patera Stato di conservazione: Intero 1.30 - Patera Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00039517 Cronologia: Sec. II a.C. Numero Catalogo Generale: 00116062 Compilatore: Defrassu, Pierangela
Numero inventario: 2664/3687 Bibliograia: MoreL 1981, pp. 82-87, Numero inventario: 161503
Provenienza: Sconosciuta tavv. 1-4. Provenienza: Bithia (Domus de Maria - CA)
Collocazione: Sassari Fotografo: Dessì, Pierluigi necropoli romana, tomba n. 128
Museo Nazionale G.A. Sanna Compilatore: Pilo, Chiara Collocazione: Cagliari
Oggetto: Patera Museo Archeologico Nazionale
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Oggetto: Patera
a immersione Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Misure: h 2,9; diam. 19,3; diam. Misure: h 2,8; largh. 14,5; diam.
piede 10,3 14,5; spess. 0,6
Descrizione: Esemplare in ceramica Descrizione: Esemplare in ceramica
a vernice nera, con orlo verticale a vernice nera, con orlo penden-
pendulo, vasca a proilo troncoco- te con labbro ingrossato, distinto
nico espanso con cavità a proilo dalla vasca da una gola; vasca poco
arrotondato sul fondo interno, pie- profonda e piede distinto, ad anello.
de ad anello ed ombelico di tornitu- Argilla grigia, vernice grigio scura.
ra. Argilla di colore rosso-mattone, Stato di conservazione: Intero
dura, compatta, depurata; vernice Cronologia: Sec. II a.C.
nera abbastanza lucente, parzial- Bibliograia: tronchetti 1996, pp.
mente scrostata. 32-35, tavv. 3-4.

333
La Sardegna Romana

1.31 - Coppa Fotografo: Monari, Nicola 1.32 - Coppa Bibliograia: MoreL 1981, pp. 223-224,
Numero Catalogo Generale: 00162901 Compilatore: Cruccas, Emiliano (Morel F 2783) tav. 72; Boninu 1986, p. 139, ig. 205.
Numero inventario: 66607 Numero Catalogo Generale: 00098523 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Provenienza: Olbia Numero inventario: 2658/3684 Compilatore: Pilo, Chiara
Collocazione: Cagliari Provenienza: Sconosciuta
Museo Archeologico Nazionale Collocazione: Sassari
Oggetto: Coppa Museo Nazionale G.A. Sanna
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Oggetto: Coppa
a incisione/ verniciatura Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
Misure: h 3,7; diam. 13,4 a immersione
Descrizione: Esemplare in ceramica Misure: h 4,9; diam. 10,1; diam.
a vernice nera con piede ad anello piede 4,6
ed orlo indistinto. Decorazione a Descrizione: Esemplare in ceramica
rotella con quattro palmette in- a vernice nera tipo Morel F 2783,
scritte entro due cerchi concentri- con orlo leggermente rientrante e
ci. Prodotto dell’Atelier des petites bordo arrotondato, ampia vasca a
estampilles. proilo convesso e basso piede ad
Stato di conservazione: Ricomposto anello. Argilla rosata, abbastanza
Cronologia: Sec. IV a.C. depurata; vernice nera lucente.
Bibliograia: roMuaLdi 1992, pp. Stato di conservazione: Intero
114-115, ig. 15. Cronologia: Sec. III a.C.

1.33 - Coppa Bibliograia: MoreL 1981, pp. 199- 1.34 - Coppa Fotografo: Dessì, Pierluigi
(Morel F 2646) 200, tav. 63, 2646. (Morel F 2111a 1) Compilatore: Cruccas, Emiliano
Numero Catalogo Generale: 00162926 Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero Catalogo Generale: 00162924
Numero inventario: Assente Compilatore: Cruccas, Emiliano Numero inventario: Assente
Provenienza: Padria (SS) Provenienza: Padria (SS)
Collocazione: Padria (SS) Collocazione: Padria (SS)
Museo Civico Archeologico Museo Civico Archeologico
Oggetto: Coppa Oggetto: Coppa
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
verniciatura verniciatura
Misure: h 4,9; diam. 12,6; spess. 0,6 Misure: h 7,1; diam. 14,3; spess. 0,4
Descrizione: Esemplare in ceramica Descrizione: Esemplare in ceramica
a vernice nera tipo Morel F 2646, a vernice nera tipo Morel F 2111a
con bordi verticali e piccolo piede 1, con fondo a punta e orlo legger-
a disco separato dal corpo da una mente estrolesso. È stato ricostrui-
lieve incisione. Decorazione a ro- to da diversi frammenti e restaurato.
setta sul fondo interno, formata da Stato di conservazione: Parzialmente
cinque petali, posta all’interno di ricomposto
un cartiglio circolare. Cronologia: Sec. II a.C.
Stato di conservazione: Ricomposto Bibliograia: MoreL 1981, p. 138, tav.
Cronologia: Secc. III/II a.C. 31, 2111a 1.

1.35 - Coppa Cronologia: Secc. II/I a.C. 1.36 - Coppa Fotografo: Monari, Nicola
(Morel F 2737) Bibliograia: tronchetti 1996, pp. (Morel F 2654) Compilatore: Cruccas, Emiliano.
Numero Catalogo Generale: 00116066 40-41, tav. 3, ig. 6. Numero Catalogo Generale: 00162897
Numero inventario: 161518 Fotografo: Monari, Nicola Numero inventario: Assente
Provenienza: Bithia (Domus de Maria - CA) Compilatore: Defrassu, Pierangela Provenienza: Olbia
necropoli romana, tomba n. 128 Collocazione: Cagliari
Collocazione: Cagliari Museo Archeologico Nazionale
Museo Archeologico Nazionale Oggetto: Coppa
Oggetto: Coppa Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio a incisione/ verniciatura
Misure: h 3,3; largh. 8,3; diam. 7,3; Misure: h 4,4; largh. 13,4
spess. 0,2 Descrizione: Esemplare in ceramica a
Descrizione: Esemplare in ceramica vernice nera tipo Morel F 2654, con
a vernice nera tipo Morel F 2737, orlo leggermente distinto, vasca pro-
con orlo verticale ingrossato verso fonda e piede ad anello distinto. De-
l’esterno, vasca piccola e poco pro- corazione a rotella nel cerchio centra-
fonda, piede distinto ad anello. le, segnato da verniciatura rossa.
Argilla grigia abbastanza depura- Stato di conservazione: Intero
ta, vernice grigio intenso, super- Cronologia: Sec. I a.C.
icie liscia. Bibliograia: MoreL 1981, pp. 202-
Stato di conservazione: Intero 203, tav. 64, 2654.

334
La Sardegna Romana

1.37 - Coppa Fotografo: Dessì, Pierluigi 1.38 - Coppa Fotografo: Monari, Nicola
(Mayet XXXIII) Compilatore: Carboni, Romina (Morel F 2567) Compilatore: Cruccas, Emiliano
Numero Catalogo Generale: 00162717 Numero Catalogo Generale: 00120289
Numero inventario: Assente Numero inventario: M 20/27
Provenienza: Padria (SS) Provenienza: Sconosciuta
Collocazione: Padria (SS) Collocazione: Cagliari
Museo Civico Archeologico Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Coppa Oggetto: Coppa
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Misure: h 6,7; diam. 10; spess. 0,2 Misure: h 4,9; diam. 12,8
Descrizione: Esemplare in ceramica Descrizione: Esemplare in ceramica
a pareti sottili di forma emisfe- a vernice nera tipo Morel F 2567,
rica con orlo diritto tipo Mayet con basso piede ad anello ed orlo
XXXIII, pareti arrotondate con separato dalla parete esterna da
solcatura a metà del corpo e pie- una doppia e profonda risega. Tre
de a disco. Argilla di colore grigio cerchi concentrici incisi sul fondo
chiaro. interno.
Stato di conservazione: Ricomposto Stato di conservazione: Mutilo
Cronologia: Secc. I a.C./I d.C. Cronologia: Secc. I a.C./I d.C.
Bibliograia: Atlante forme 1985, Bibliograia: MoreL 1981, p. 186, tav.
p. 286, tav. XCII.3. 57, 2567a 1.

1.39 - Coppa sotto dell’orlo. Sul fondo interno è 1.40 - Coppa tivi vegetali. Vernice color camoscio.
(Ritterling 5 B) impresso il bollo LETO PRIN (?). (Conspectus R 9) Stato di conservazione: Mutilo
Numero Catalogo Generale: 00112959 Vernice color camoscio. Numero Catalogo Generale: 00112971 Cronologia: Sec. I d.C.
Numero inventario: Assente Stato di conservazione: Parzialmente Numero inventario: 30343 Bibliograia: Conspectus formarum 2002,
Provenienza: Olbia ricomposto Provenienza: Tresnuraghes (OR) p. 178, R9, tav. 58, R9.
Necropoli di Joanne Canu, tomba 59 Cronologia: Secc. I a.C./I d.C. Collocazione: Cagliari Fotografo: Monari, Nicola
Collocazione: Cagliari Bibliograia: Atlante forme 1985, pp. Museo Archeologico Nazionale Compilatore: Carboni, Romina
Museo Archeologico Nazionale 197-198, n. 12, tav. LVIII.1. Oggetto: Coppa
Oggetto: Coppa Fotografo: Monari, Nicola Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Compilatore: Carboni, Romina verniciatura
verniciatura Misure: h 10,2; diam. 15
Misure: h 7; diam. 12,8 Descrizione: Esemplare in terra sigil-
Descrizione: Esemplare in terra si- lata italica tipo Conspectus R 9, con
gillata italica tipo Ritterling 5 B, corpo emisferico, alto orlo verticale
di forma troncoconica con orlo sottolineato da una risega interna e
estrolesso, parete ad andamento da una esterna. Decorazione a rotel-
concavo-convesso e piede ad anel- la sull’orlo e sul listello mediano; la
lo. Decorazione a rotella sull’orlo parte inferiore del vaso è occupata da
e in corrispondenza della carena una teoria di veneri nude e danzatrici
sulla parete; motivo a doppia vo- su motivi cuoriformi entro fascia su-
luta applicato alla barbottina al di periore di palmette e inferiore di mo-

1.41 - Coppa planta pedis (?) entro cerchi concen- 1.42 - Coppa miniaturistica sca ha proilo emisferico e il piede è
(Goudineau 38 B) trici. Vernice camoscio. (Atlante forma LX 3) basso, ad anello svasato. All’interno
Numero Catalogo Generale: 00112963 Stato di conservazione: Intero Numero Catalogo Generale: 00097757 della vasca è presente una circon-
Numero inventario: Assente Cronologia: Secc. I/II d.C. Numero inventario: 2511/3801 ferenza incisa con bollo in planta
Provenienza: Sconosciuta Bibliograia: Atlante forme 1985, p. Provenienza: Porto Torres (SS) pedis. Vernice di colore camoscio-
Collocazione: Cagliari 393, n. 15, tav. CXXVIII.18. Collocazione: Sassari aranciato.
Museo Archeologico Nazionale Fotografo: Monari, Nicola Museo Nazionale G.A. Sanna Stato di conservazione: Integro
Oggetto: Coppa Compilatore: Carboni, Romina Oggetto: Coppa miniaturistica Cronologia: Secc. I/II d.C.
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Bibliograia: Atlante forme 1985, p.
verniciatura a impressione/ a rilievo applicato/ 199, tav. LX.3.
Misure: h 4,9; diam. 10,6 verniciatura Fotografo: Dessì, Pierluigi
Descrizione: Esemplare carenato in Misure: h 5,3; diam. 10; diam. orlo Compilatore: Trudu, Enrico
terra sigillata italica tipo Goudineau 9,3; diam. piede 4
38 B, con orlo estrolesso, parete Descrizione: Esemplare in terra si-
ad andamento concavo-convesso, gillata italica, con orlo dritto con
punto di carena sottolineato da scanalatura esterna, seguito da una
un listello pendente, basso piede fascia liscia con due decorazioni a
ad anello svasato; due cerchi con- rilievo applicato con motivo a spi-
centrici sul fondo interno. Decora- rale a doppia voluta; sotto l’orlo è
zione a rotella sopra il listello. Sul presente un listello aggettante con
fondo interno è visibile un bollo in due fasce a rilievo sottostanti; la va-

335
La Sardegna Romana

1.43 - Coppa Stato di conservazione: Intero 1.44 - Coppa sormontato da una fascia a spina di
(Hayes 2) Cronologia: Secc. I/II d.C. (Dragendorff 37) pesce e da una a ovuli; liscio il regi-
Numero Catalogo Generale: 00162691 Bibliograia: Boninu 1973, p. 304, n. Numero Catalogo Generale: 00048442 stro superiore.
Numero inventario: Assente 7, tav. II, 2, ig. 7. Numero inventario: 135773 Stato di conservazione: Ricomposto
Provenienza: Sconosciuta Fotografo: Monari, Nicola Provenienza: Nora (Pula - CA) Cronologia: Sec. I d.C.
Collocazione: Cagliari Compilatore: Carboni, Romina necropoli romana di Su Cuventeddu Bibliograia: chessa 1987, V. 1, p. 24;
Museo Archeologico Nazionale Collocazione: Pula (CA) MartoreLLi & Mureddu 2006.
Oggetto: Coppa Civico Museo Archeologico Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ G. Patroni Compilatore: Sulis, Roberta
verniciatura Oggetto: Coppa
Misure: h 4,2; diam. 15 Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
Descrizione: Esemplare in terra sigil- a matrice
lata africana tipo Hayes 2, di forma Misure: h 11; diam. 21,8
quasi emisferica, con orlo estroles- Descrizione: Esemplare in terra sigil-
so con scanalatura interna e piede ad lata sud-gallica tipo Dragendorff
anello. 37, con piede ad anello, pareti sva-
Decorazione a foglie d’acqua alla sate e orlo estrolesso. Nella parete
barbottina lungo l’orlo. Superi- si individuano tre registri decorati-
cie esterna con vernice arancione vi: motivi vegetali in quello inferio-
a buccia d’arancia, vernice interna re; una decorazione a foglie di vite e
arancione tendente al rosso. piccoli volatili nel registro centrale,

1.45 - Coppa Fotografo: Monari, Nicola 1.46 - Coppa Fotografo: Monari, Nicola
(Dragendorff 35) Compilatore: Carboni, Romina (Dragendorff 35 A) Compilatore: Carboni, Romina
Numero Catalogo Generale: 00120224 Numero Catalogo Generale: 00112962
Numero inventario: 15642 Numero inventario: Assente
Provenienza: Sconosciuta Provenienza: Sconosciuta
Collocazione: Cagliari Collocazione: Cagliari
Museo Archeologico Nazionale Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Coppa Oggetto: Coppa
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
verniciatura verniciatura
Misure: h 4,5; diam. 12,1 Misure: h 4,5; diam. 12,2
Descrizione: Esemplare in terra sigil- Descrizione: Esemplare in terra sigil-
lata sud-gallica tipo Dragendorff lata sud-gallica tipo Dragendorff
35, con orlo estrolesso e alto pie- 35 A, con orlo estrolesso e alto
de ad anello. Decorazione a foglie piede ad anello.
d’acqua sull’orlo applicate alla bar- Decorazione a foglie d’acqua appli-
bottina. Vernice marmorizzata di cate alla barbottina sull’orlo. Verni-
colore giallo e rosso lucente. ce rossa lucente.
Stato di conservazione: Intero Stato di conservazione: Intero
Cronologia: Secc. I/II d.C. Cronologia: Secc. I/II d.C.
Bibliograia: johns 1971, tav. 10. Bibliograia: johns 1971, tav. 10.

1.47 - Coppa scia mediana è composta da singole 1.48 - Coppa Fotografo: Dessì, Pierluigi
Numero Catalogo Generale: 00163111 scene, ottenute con matrici, giustap- Numero Catalogo Generale: 00097486 Compilatore: Pilo, Chiara
Numero inventario: OMA 519 poste in sequenza casuale e separate Numero inventario: 3862/8980
Provenienza: Olbia da elementi vegetali stilizzati. Il tema Provenienza: Porto Torres (SS)
Collocazione: Olbia della rafigurazione consiste in scene Collocazione: Sassari
Museo Archeologico di battaglia con barbari. L’impasto è di Museo Nazionale G.A. Sanna
Oggetto: Coppa colore giallino; la vernice è bruna. Oggetto: Coppa
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Stato di conservazione: Ricomposto Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
ritocco a mano Cronologia: Secc. II/III d.C. Misure: h 6,7; diam. 10; diam. piede 4,6
Misure: h 6,8; diam. 11,7; diam. pie- Bibliograia: D’oriano 2002, pp. Descrizione: Esemplare in ceramica
de 6,2; h campo igurato 4 1249-1263; d’oriano & Pietra comune, con orlo distinto, estro-
Descrizione: Esemplare in ceramica 2004, pp. 136-137, igg. 8-12. lesso, a proilo convesso e bordo
corinzia, con orlo espanso, legger- Fotografo: Dessì, Pierluigi arrotondato; il corpo è carenato con
mente svasato, pareti verticali che si Compilatore: Trudu, Enrico piede ad anello e due anse verticali
congiungono al fondo a spigolo vivo, sono impostate sull’orlo e in corri-
fondo leggermente rientrante e piede spondenza della carena. Argilla co-
rilevato ad anello atroizzato. Il campo lor crema abbastanza depurata.
decorato a rilievo è diviso in tre fasce: Stato di conservazione: Intero
la prima, subito sotto l’orlo, e la terza, Cronologia: Età romana imperiale
in basso poco sopra il fondo, sono Bibliograia: sirigu 1999, p. 145 for-
lisce; la decorazione igurata della fa- ma 4, tav. VI, nn. 4/21, 4/23.

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La Sardegna Romana

1.49 - Boccale Fotografo: Monari, Nicola 1.50 - Bicchiere Fotografo: Monari, Nicola
(Aranegui Gascò 1987, 6 A) Compilatore: Cruccas, Emiliano (Mayet II) Compilatore: Carboni, Romina
Numero Catalogo Generale: 00121764 Numero Catalogo Generale: 00162680
Numero inventario: M 19/22 Numero inventario: 147671
Provenienza: Sconosciuta Provenienza: Gesico (CA)
Collocazione: Cagliari necropoli punico-romana di Santa
Museo Archeologico Nazionale Lucia, tomba n. 28
Oggetto: Boccale Collocazione: Cagliari
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Museo Archeologico Nazionale
ingobbiatura Oggetto: Bicchiere
Misure: h 10,2; diam. 10,4 Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Descrizione: Esemplare in ceramica Misure: h 13,9; diam. 7,9
iberica a proilo bitroncoconico con Descrizione: Esemplare in ceramica a
ampia bocca tipo Aranegui Gascò pareti sottili tipo Mayet II, con orlo
1987, 6 A, orlo svasato, ansa a nastro estrolesso svasato e corpo ovoide
e tripla costolatura sul corpo. Argilla allungato con svasatura terminale.
grigia e copertura grigio scura. Argilla ocra.
Stato di conservazione: Intero Stato di conservazione: Ricomposto
Cronologia: Sec. III a.C. Cronologia: Sec. II a.C.
Bibliograia: aranegui gascò 1987, Bibliograia: Tronchetti 1999, p.
p. 91, tav. 1, 6 A; saLvi 1998, p. 32. 117, n. 42, tav. V, 42.

1.51 - Boccale miniaturistico (Atlante, decorazione 5, tav. CII n. 1). 1.52 - Boccale Stato di conservazione: Intero
(Atlante tipo 1/109) Nel campo decorato si innesta l’an- (Marabini XV) Cronologia: Sec. I d.C.
Numero Catalogo Generale: 00097872 sa ad orecchio, a sezione circolare; il Numero Catalogo Generale: 00120245 Bibliograia: Pinna 1986, p. 262, n.
Numero inventario: 2298/3845 piede è ad anello svasato, il fondo è Numero inventario: M 21/11C 22, ig. 4, 22.
Provenienza: Sconosciuta leggermente convesso. Le pareti pre- Provenienza: Sconosciuta Fotografo: Monari, Nicola
Collocazione: Sassari sentano un’ingubbiatura rossiccia. Collocazione: Cagliari Compilatore: Carboni, Romina
Museo Nazionale G.A. Sanna Stato di conservazione: Integro Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Boccale miniaturistico Cronologia: Sec. I d.C. Oggetto: Boccale
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ a Bibliograia: Atlante forme 1985, p. Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
impressione/ a incisione/ verniciatura 266, tav. LXXXIV.13. Misure: h 9,6; diam. 8,8
Misure: h 10,4; dia m. 9,8; diam. Fotografo: Dessì, Pierluigi Descrizione: Esemplare in cerami-
orlo 7.3; diam. base 3,7; spess. ansa Compilatore: Trudu, Enrico ca a pareti sottili tipo Marabini
1,2; h campo decorato 5,3 XV, con corpo ovoide, piccolo
Descrizione: Esemplare in ceramica a orlo arrotondato, ansa a sviluppo
pareti sottili tipo Atlante 1/109, con angolare e fondo piano. Decora-
orlo estrolesso con labbro arroton- zione incisa a pettine sul corpo.
dato; corpo globulare e rastremato Argilla arancio, non compatta,
nella parte inferiore con una fascia granulosa, con inclusi. Supericie
liscia nella parte superiore, seguita da interna rosa annerita, supericie
una scanalatura; la supericie restan- esterna arancio annerita e non
te è decorata da un motivo a rotella lisciata.

1.53 - Calice la prima fascia liscia, seguita da un Fotografo: Dessì, Pierluigi


(Dragendorff 5) listello a cordone a rilievo negativo, il Compilatore: Trudu, Enrico
Numero Catalogo Generale: 00097755 campo principale con una decorazio-
Numero inventario: 2581/3799 ne a matrice in rilievo inquadrata da
Provenienza: Porto Torres (SS) due serie di motivi decorativi ed ini-
Collocazione: Sassari ne una terza fascia con motivo a bac-
Museo Nazionale G.A. Sanna cellatura. Il campo decorato è com-
Oggetto: Calice posto da una fascia a globetti e una
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ con motivo a pteryges ovoidali, cui se-
a matrice/ verniciatura gue la decorazione principale: un fe-
Misure: h 15; diam. 19,1; diam. stone composto da piccole maschere
piede 10,5; h piede 2,5; h registro di Dioniso, maschere di Sileno, foglie
decorato 8 e grappoli d’uva. All’interno della
Descrizione: Esemplare in terra sigil- decorazione, in cartigli rettangolari,
lata italica tipo Dragendorff 5, con sono impressi i bolli rettangolari con
orlo estrolesso e con proilo a fascia iscrizione C(aius) Cispius e Comunis.
verticale segnato da una fascia incisa; Vernice di colore rosso-arancio.
piede distinto, separato da un basso Stato di conservazione: Integro
stelo, con proilo a quarto di cerchio Cronologia: Sec. I a.C.
e terminazione ad anello rilevato. Il Bibliograia: Boninu 1986, p. 139,
corpo, di proilo campaniforme, ha ig. 208.

337
La Sardegna Romana

1.54 - Calice de alto, ad anello. Sul fondo bollo 1.55 - Bicchiere Bibliograia: MoreL 1981, p. 407, tav.
(Dragendorff 1) C P (.) P (.) in planta pedis; all’ester- (Morel F 7321a 1) 204, 7321a 1.
Numero Catalogo Generale: 00162725 no, inserito nel campo decorativo Numero Catalogo Generale: 00162925 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Numero inventario: Assente perché compreso nella matrice, è Numero inventario: Assente Compilatore: Cruccas, Emiliano
Provenienza: Nora (Pula - CA) il bollo Zoilus con il nome dell’ar- Provenienza: Padria (SS)
Collocazione: Cagliari tigiano. Collocazione: Padria (SS)
Museo Archeologico Nazionale Stato di conservazione: Ricomposto Museo Civico Archeologico
Oggetto: Calice Cronologia: Sec. I d.C. Oggetto: Bicchiere
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Bibliograia: rowLand 1981, tav. Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
a tornio XIII, ig. A. verniciatura
Misure: h 12,4; diam. 7,9; spess. 0,5 Fotografo: Monari, Nicola Misure: h 10,1; diam. 8,9; spess. 0,5
Descrizione: Esemplare in terra sigil- Compilatore: Defrassu, Pierangela Descrizione: Esemplare in ceramica
lata tardo-italica tipo Dragendorff a vernice nera tipo Morel F 7321a
1, con orlo a fascia, leggermente 1, con corpo panciuto, bordo estro-
estrolesso con labbro assottigliato lesso e piede ad anello segnato da
e listello sporgente, decorato con una risega. In origine aveva due
applicazioni alla barbottina (ma- anse di cui rimane solo l’attacco
scherine e elementi vegetali), vasca inferiore.
emisferica abbastanza profonda, Stato di conservazione: Parzialmente
decorata a matrice (corsa di carri ricomposto
nel circo) su tutta la supericie; pie- Cronologia: Sec. II a.C.

1.56 - Kantharos di tre ciascuno, e perle alla barbottina 1.57 - Bicchiere igure femminili rappresentate con le
(Mayet VIII) sul collo. Argilla marrone scuro, po- Numero Catalogo Generale: 00116442 chiome sciolte nell’atto di portare le
Numero Catalogo Generale: 00114715 rosa, con inclusi; ingubbiatura grigio- Numero inventario: 186535 mani al capo coperto.
Numero inventario: 11065 marron con rilessi metallici. Tracce Provenienza: Sanluri (VS) Stato di conservazione: Parzialmente
Provenienza: Tharros (Cabras - OR) di sabbiatura all’interno. necropoli punico-romana ricomposto
Collocazione: Cagliari Stato di conservazione: Intero di Bidd’e Cresia Cronologia: Sec. I d.C.
Museo Archeologico Nazionale Cronologia: Sec. I d.C. Collocazione: Sardara (VS) Bibliograia: oswaLd & Pryce 1920.
Oggetto: Kantharos Bibliograia: tronchetti 1979, p. Civico Museo Archeologico Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ 123, n. 16, tav. XII, 4; Pinna 1986, Villa Abbas Compilatore: Carboni, Romina
ingobbiatura p. 257, n. 18, ig. 3, 18. Oggetto: Bicchiere
Misure: h 10; diam. 8,4; spess. 0,3 Fotografo: Monari, Nicola Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Descrizione: Esemplare in ceramica Compilatore: Carboni, Romina Misure: h 10,3; diam. 9
a pareti sottili tipo Mayet VIII, con Descrizione: Esemplare in ceramica a
corpo panciuto e schiacciato, orlo pareti sottili, con piccolo orlo estro-
leggermente estrolesso sottolineato lesso, due anse e piede ad anello
da una scanalatura orizzontale, alto svasato. Decorazione a rotella in
collo a pareti rettilinee separato dal prossimità dell’orlo; decorazione lo-
corpo mediante una scanalatura e reale all’attaccatura delle anse in cor-
un cordone piatto, anse bicostolate e rispondenza del corpo; due rosette
piccolo piede troncoconico. Decora- nella parte superiore dell’attaccatura
zione con foglie, divise in otto gruppi delle anse. Sul corpo sono visibili due

1.58 - Bottiglia centrale, saldata alla parte inferiore


(Hayes 160) del collo e alla spalla, corpo a dop-
Numero Catalogo Generale: 00097873 pio rigoniamento convesso e pie-
Numero inventario: 1603/3858 de ad anello svasato. La vernice è di
Provenienza: Cornus (Cuglieri - OR) colore arancio scuro, opaca.
Collocazione: Sassari Stato di conservazione: Integro
Museo Nazionale G.A. Sanna Cronologia: Sec. II d.C.
Oggetto: Bottiglia Bibliograia: hayes 1972, pp. 189-
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ 190, t. VII; Atlante forme 1985, pp.
verniciatura 46-47, tav. XXI.8-10.
Misure: h 13; diam. 8,9; diam. piede 3,4 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Descrizione: Esemplare in terra si- Compilatore: Trudu, Enrico
gillata africana tipo Hayes 160, con
orlo leggermente svasato, labbro
poco ingrossato, collo articolato in
due settori: quello superiore deco-
rato da nervature parallele disposte
orizzontalmente, quello inferiore
di forma cilindrica, privo di deco-
razione e di diametro maggiore.
Ansa a nastro, con una solcatura

338
La Sardegna Romana

1.59 - Brocca nico, con carenatura dal proilo ar-


(Bartoloni 1996, forma 29) rotondato, piede indistinto e fondo
Numero Catalogo Generale: 00116070 leggermente concavo con umbone
Numero inventario: 161493 centrale. Argilla nocciola, poco de-
Provenienza: Bithia (Domus de Maria - CA) purata, con inclusi di medie e gran-
necropoli romana, tomba n. 128 di dimensioni, supericie rugosa.
Collocazione: Cagliari Stato di conservazione: Ricomposto
Museo Archeologico Nazionale Cronologia: Sec. V a.C.
Oggetto: Brocca Bibliograia: BartoLoni 1996, p.
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio 105, tav. XLIV,2, igg. 24, 42.
Misure: h 22,5; largh. 13,4; diam. Fotografo: Monari, Nicola
7,8; spess. 0,5 Compilatore: Defrassu, Pierangela
Descrizione: Esemplare in ceramica
comune di produzione punica tipo
Bartoloni 1996, forma 29, con boc-
ca trilobata e orlo appena ingros-
sato che sormonta un collo stretto,
corto e leggermente rastremato
verso l’alto, ansa a nastro piuttosto
larga, che sormonta l’orlo e si im-
posta sulla spalla; corpo troncoco-

1.60 - Brocca Bibliograia: tronchetti 1996, tav. 1.61 - Brocca Stato di conservazione: Parzialmente
Numero Catalogo Generale: 00097792 21, 3. Numero Catalogo Generale: 00162726 ricomposto
Numero inventario: 2608/3872 Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero inventario: Assente Cronologia: Sec. II d.C.
Provenienza: Sconosciuta Compilatore: Pilo, Chiara Provenienza: Cagliari Bibliograia: saLvi 1994a, pp. 284-285.
Collocazione: Sassari necropoli romana di San Lorenzo Fotografo: Monari, Nicola
Museo Nazionale G.A. Sanna Collocazione: Cagliari Compilatore: Defrassu, Pierangela
Oggetto: Brocca Museo Archeologico Nazionale
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Oggetto: Brocca
Misure: h 22.5; diam. 18,5; diam. Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
piede 9,2 Misure: h 20,3; largh. 13,5; diam.
Descrizione: Esemplare in ceramica 6,1; spess. 0,4
comune, con orlo a tesa e bordo Descrizione: Esemplare in ceramica
arrotondato, collo strombato con comune, con corpo cilindrico, col-
collarino, corpo globulare lieve- lo troncoconico concluso con orlo
mente schiacciato con linea impres- a tesa, parete spartita da tre solchi
sa sulla spalla, basso piede ad anello poco profondi che delimitano al-
e ansa costolata impostata sotto il trettanti campi decorati a rotella,
collarino e sulla spalla. Argilla bei- spalla liscia e ansa a nastro piegata
ge-arancio. a gomito, impostata sulla spalla e
Stato di conservazione: Intero poco al di sotto dell’orlo. Supericie
Cronologia: Secc. I/II d.C. camoscio, ruvida.

1.62 - Brocca banda ondulata; un’altra banda on-


Numero Catalogo Generale: 00163197 dulata subito al di sopra, sul collo
Numero inventario: 5082 del vaso.
Provenienza: Sant’Antioco (CI) Stato di conservazione: Ricomposto
Collocazione: Sant’Antioco (CI) Cronologia: Sec. II d.C.
Museo Archeologico Comunale Bibliograia: tronchetti 1991, p.
F. Barreca 179, tav. IV, 4; tronchetti 1996,
Oggetto: Brocca pp. 127-128; tronchetti 2009.
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Fotografo: Monari, Nicola
verniciatura Compilatore: Puddu, Manuela
Misure: h 22,1; diam. orlo 8,8; spess. 0,6
Descrizione: Esemplare piriforme
in ceramica iammata, con corpo
globoso su cui si innesta senza so-
luzione di continuità il collo ad an-
damento concavo; l’orlo è ad anello
ingrossato, l’ansa a nastro è impo-
stata sotto l’orlo e sulla spalla. Due
bande brune orizzontali segnano la
pancia in basso e in alto (sotto l’at-
taccatura dell’ansa): tra di esse una

339
La Sardegna Romana

1.63 - Brocca Cronologia: Secc. II/IV d.C. 1.64 - Brocca piatto. Argilla arancio, poco depu-
Numero Catalogo Generale: 00162847 Bibliograia: tronchetti 1991, p. (Bartoloni 1996, forma 23) rata, con inclusi di medie e grandi
Numero inventario: 4647 179, tav. IV, ig. 4; tronchetti Numero Catalogo Generale: 00115326 dimensioni, supericie rugosa.
Provenienza: Sant’Antioco (CI) 1996. Numero inventario: 161501 Stato di conservazione: Intero
necropoli di Is Pirixeddus, tomba n. 50 Fotografo: Monari, Nicola Provenienza: Bithia (Domus de Maria - CA) Cronologia: Secc. IV/II a.C.
Collocazione: Cagliari Compilatore: Sulis, Roberta necropoli romana, tomba n. 128 Bibliograia: BartoLoni 1996, p. 100,
Museo Archeologico Nazionale Collocazione: Cagliari tavv. XVI,7, XVII,1, XXIV,2, igg.
Oggetto: Brocca Museo Archeologico Nazionale 24,30.
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Oggetto: Brocca Fotografo: Monari, Nicola
Misure: h 24; diam. 9 Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Compilatore: Defrassu, Pierangela
Descrizione: Esemplare in ceramica Misure: h 14,5; largh. 4,6; diam. 4,4;
iammata, con corpo globoso su spess. 0,3
cui si imposta il collo che termina Descrizione: Esemplare in ceramica
nell’orlo estrolesso; ansa a nastro comune di produzione punica tipo
che si imposta sotto l’orlo e sulla Bartoloni 1996, forma 23, con orlo
spalla; piede appena abbozzato. La sporgente, appena ingrossato, a se-
decorazione della supericie è ca- zione circolare; spalla leggermente
ratterizzata da larghe fasce dritte e carenata sulla quale si imposta un’an-
ondulate e da ampi tratti notati da sa a bastoncello a sezione circolare
brevi pennellate ricurve. che sormonta l’orlo; corpo cilindrico
Stato di conservazione: Mutilo rastremato verso il basso e fondo

1.65 - Olpe al di sopra e al di sotto dell’attacco 1.66 - Brocca Fotografo: Monari, Nicola
(Atlante forma XXI, 3) dell’ansa. Il piede è ad anello svasato. (Atlante forma CXXXII, 3) Compilatore: Carboni, Romina
Numero Catalogo Generale: 00097874 La vernice è di colore arancione chia- Numero Catalogo Generale: 00162667
Numero inventario: 2305/3860 ro, leggermente brillante. Numero inventario: 86043
Provenienza: Cornus (Cuglieri - OR) Stato di conservazione: Integro Provenienza: Muravera (CA)
Collocazione: Sassari Cronologia: Sec. II d.C. necropoli di Costa Rei, tomba n. 3
Museo Nazionale G.A. Sanna Bibliograia: Boninu 1973, p. 342, Collocazione: Cagliari
Oggetto: Olpe tav. VIII, ig. 37; Atlante forme 1985, Museo Archeologico Nazionale
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ p. 45, tav. XXI.3. Oggetto: Brocca
a incisione/ a rotella Fotografo: Dessì, Pierluigi Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
Misure: h 22,6; diam. 18,5; diam. Compilatore: Trudu, Enrico verniciatura
piede 7,6; diam. orlo 6,6 Misure: h 14,5; diam. 9,2
Descrizione: Esemplare in terra sigillata Descrizione: Esemplare in terra sigillata
africana, con orlo estrolesso svasato; africana, con orlo estrolesso, collo
collo distinto a sezione cilindrica con svasato, ansa impostata a metà corpo,
leggero rigoniamento mediano ansa piede ad anello. Decorazione a petti-
quasi verticale a nastro schiacciato, ne sul corpo del vaso. Vernice arancio.
saldata al collo e alla spalla; decorazio- Stato di conservazione: Ricomposto
ne a sette scanalature nella parte ester- Cronologia: Sec. II d.C.
na. Il corpo globulare presenta deco- Bibliograia: Atlante forme 1981, p. 42,
razioni a rotella e a incisione disposte tav. CXXXII.3.

1.67 - Brocca Stato di conservazione: Intero 1.68 - Brocca Diverse ile di decorazione a rotella
(Lamboglia 11, 11 bis) Cronologia: Secc. II/III d.C. Numero Catalogo Generale: 00121670 e solcature. Vernice arancione viva
Numero Catalogo Generale: 00121781 Bibliograia: Boninu 1973, p. 341, n. Numero inventario: M 22/4 brillante tendente al bruno.
Numero inventario: 15645 35, tav. VII, 3, ig. 35. Provenienza: Sconosciuta Stato di conservazione: Intero
Provenienza: Sconosciuta Fotografo: Monari, Nicola (collezione Caput) Cronologia: Sec. III d.C.
(collezione Timon) Compilatore: Carboni, Romina Collocazione: Cagliari Bibliograia: Boninu 1973, p. 355, n.
Collocazione: Cagliari Museo Archeologico Nazionale 41, ig. 41, tav. VIII, 5.
Museo Archeologico Nazionale Oggetto: Brocca Fotografo: Monari, Nicola
Oggetto: Brocca Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Compilatore: Carboni, Romina
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ verniciatura
verniciatura Misure: h 11,8; diam. 7,8
Misure: h 15,1; diam. 11,5 Descrizione: Esemplare in terra sigil-
Descrizione: Esemplare in terra si- lata africana, con corpo piriforme e
gillata africana tipo Lamboglia 11, orlo trilobato, sotto il quale si no-
11 bis, con corpo espanso a doppio tano due leggere nervature e due
rigoniamento, collo articolato in gradini, l’uno nell’attaccatura del
due settori (l’uno inferiore cilindri- collo con il corpo e il secondo all’at-
co, l’altro superiore più stretto de- taccatura del corpo con il fondo in
corato da nervature), fondo legger- modo da formare una leggera care-
mente concavo. Supericie esterna na; l’ansa presenta due scanalature e
con vernice arancione opaca. risale al di sopra del livello dell’orlo.

340
La Sardegna Romana

1.69 - Brocca 40, tav. VIII, 4, ig. 40; Atlante forme 1.70 - Lagynos sa a nastro rimane l’attacco superiore
Numero Catalogo Generale: 00162690 1981, pp. 44-45. Numero Catalogo Generale: 00163053 impostato alla base del collo. Il piede
Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola Numero inventario: OMA 768 è ad anello. Argilla rossastra, inclusi di
Provenienza: Sconosciuta Compilatore: Carboni, Romina Provenienza: Olbia piccole dimensioni.
Collocazione: Cagliari Collocazione: Olbia Stato di conservazione: Parzialmente
Museo Archeologico Nazionale Museo Archeologico ricomposto
Oggetto: Brocca Oggetto: Lagynos Cronologia: Secc. III/IV d.C.
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Bibliograia: Atlante forme 1981, pp. 176-
verniciatura ritocco a stecca 177, tav. LXXXIX.
Misure: h 14,8; diam. 13,7 Misure: h 18.1; diam. 20,6; diam. orlo 4,5 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Descrizione: Esemplare trilobato in Descrizione: Esemplare con corpo bico- Compilatore: Pilo, Chiara
terra sigillata africana, con collo nico (ceramica di Navigio, produzione
leggermente svasato, ansa scanalata africana), orlo svasato distinto da una
rimontante, base piana. Decorazio- scanalatura, collo conigurato a testa
ne a rotella su più ile in corrispon- di Satiro. La parte superiore del corpo
denza della pancia del vaso. Verni- è decorata a rilievo con scene di ludi
ce arancione brillante tendente al gladiatorii, la parte inferiore è baccellata.
rosso. Sul punto di giuntura tra le parti corre
Stato di conservazione: Intero una fascia non decorata, delimitata da
Cronologia: Sec. III d.C. una linea a rilievo sormontata a tratti
Bibliograia: Boninu 1973, p. 354, n. discontinui da ile di perline. Dell’an-

1.71 - Fiasca un motivo ad onda circolare. Argilla 1.72 - Fiasca da pellegrino


(Lamboglia 13/Hayes 147, n. 3/ beige-arancio. Numero Catalogo Generale: 00163198
Lamboglia 13 bis = Atlante I, XXII, 8) Stato di conservazione: Ricomposto Numero inventario: 99311
Numero Catalogo Generale: 00097789 Cronologia: Secc. I/III d.C. Provenienza: Sant’Antioco (CI)
Numero inventario: 3867/7996 Bibliograia: Atlante forme 1981, p. 49, Collocazione: Sant’Antioco (CI)
Provenienza: Porto Torres (SS) tav. XXII, 8. Museo Archeologico Comunale
Collocazione: Sassari Fotografo: Dessì, Pierluigi F. Barreca
Museo Nazionale G.A. Sanna Compilatore: Pilo, Chiara Oggetto: Fiasca da pellegrino
Oggetto: Fiasca Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Materia e tecnica: Argilla/ a rotella Misure: h 23,9; diam. orlo 6,5; diam.
Misure: h 15; largh. 10,5; diam. orlo 4 pancia 21
Descrizione: Esemplare in ceramica co- Descrizione: Esemplare in terra sigil-
mune, con orlo troncoconico distinto, lata africana, con proilo lenticolare,
collo strombato, corpo lenticolare collo corto, due anse ad anello. La
con due anse verticali piegate ad an- iasca è umbonata sui entrambi i lati.
golo retto e impostate sull’orlo e sulla Stato di conservazione: Parzialmente
spalla. Sulla faccia anteriore è presente ricomposto
una decorazione incisa: dall’esterno Cronologia: Sec. II d.C.
verso l’interno si susseguono tre cer- Bibliograia: hayes 1972, p. 185.
chi concentrici, una fascia con raggi Fotografo: Monari, Nicola
puntinati, cinque cerchi concentrici e Compilatore: Puddu, Manuela

1.73 - Askos Bibliograia: MoreL 1981, p. 429, tav. 1.74 - Askos a sezione quasi cilindrica, lisciato a
(Morel F 8241) 213, 8241a 1. (Hayes 123) stecca; il piede, distinto, è ad anello.
Numero Catalogo Generale: 00120297 Fotografo: Monari, Nicola Numero Catalogo Generale: 00097868 L’impasto è ricco di inclusi, la verni-
Numero inventario: M 20/10 Compilatore: Cruccas, Emiliano Numero inventario: 3855 ce è di colore arancio chiaro.
Provenienza: Sconosciuta Provenienza: Cornus (Cuglieri - OR) Stato di conservazione: Mutilo
Collocazione: Cagliari Collocazione: Sassari Cronologia: Sec. II d.C.
Museo Archeologico Nazionale Museo Nazionale G.A. Sanna Bibliograia: hayes 1972, pp. 175-
Oggetto: Askos Oggetto: Askos 176, tav. II.
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Fotografo: Dessì, Pierluigi
verniciatura ritocco a stecca Compilatore: Trudu, Enrico
Misure: h 8,3; diam. 9,5 Misure: h 11,9; largh. 4,5; lungh. 9,7;
Descrizione: Esemplare dal corpo otri- diam. orlo 3,4; diam. piede 4,2
forme in ceramica a vernice nera tipo Descrizione: Esemplare con orlo ad
Morel F 8241, rialzato nella parte imbuto in terra sigillata africana tipo
posteriore e terminante in un corto Hayes 123, su cui si innesta un’ansa
beccuccio; orlo ingrossato, collo ci- sormontante scanalata; l’altra estre-
lindrico, corta ansa a nastro imposta- mità dell’ansa è saldata alla parte
ta tra collo e beccuccio, basso piede superiore del corpo, in corrispon-
ad anello. Segni di ditate sul piede. denza di un beccuccio ora mancan-
Stato di conservazione: Intero te. Il corpo, dalla caratteristica for-
Cronologia: Sec. III a.C. ma a volatile stilizzato, è panciuto,

341
La Sardegna Romana

1.75 - Askos Stato di conservazione: Intero 1.76 - Askos Bibliograia: Mastino & visMara
Numero Catalogo Generale: 00162688 Cronologia: Sec. II d.C. Numero Catalogo Generale: 00120474 1994, p. 49, ig. 33.
Numero inventario: 8317 Bibliograia: Boninu 1973, p. 333, n. Numero inventario: M 20/11 Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Sconosciuta 29, tav. VI, 1, ig. 29; Atlante forme Provenienza: Nora (Pula - CA) Compilatore: Carboni, Romina
Collocazione: Cagliari 1981, p. 51. Collocazione: Cagliari
Museo Archeologico Nazionale Fotografo: Monari, Nicola Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Askos Compilatore: Carboni, Romina Oggetto: Askos
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
verniciatura lisciatura
Misure: h 11,3; diam. 11,1 Misure: h 23,5; largh. 21,5
Descrizione: Esemplare in terra si- Descrizione: Esemplare in ceramica
gillata africana, con corpo tronco- comune, con corpo schiacciato,
conico articolato in diversi settori orlo estrolesso, bocca svasata,
orizzontali per mezzo di scanala- corto collo, ansa a nastro che par-
ture, parte inferiore del vaso liscia, te dal collo e arriva all’angolo su-
fondo piano. Al beccuccio corri- periore del corpo opposto all’im-
sponde dalla parte opposta l’imboc- boccatura, fondo concavo con
catura del vaso, alta e stretta; al cen- umbone. Supericie esterna color
tro trova posto un’ansa a nastro con marrone-cuoio, ben lisciata.
scanalature. Supericie esterna con Stato di conservazione: Intero
vernice arancione tendente al rosso. Cronologia: Secc. II/III d.C.

1.77 - Askos miniaturistico Stato di conservazione: Mutilo 1.78 - Guttus nato da solcature; sulla spalla sono
Numero Catalogo Generale: 00163112 Cronologia: Sec. III d.C. (Morel F 8141) incise sottili linee verticali. Argilla
Numero inventario: OMA 520 Bibliograia: d’oriano 2002, pp. 1249- Numero Catalogo Generale: 00098513 beige, compatta, depurata; vernice
Provenienza: Olbia 1263; sanciu 2002, pp. 269-274. Numero inventario: 1333/3675 nera, lucente, con piccole scrostature.
Collocazione: Olbia Fotografo: Dessì, Pierluigi Provenienza: Sconosciuta Stato di conservazione: Intero
Museo Archeologico Compilatore: Trudu, Enrico Collocazione: Sassari Cronologia: Secc. IV/III a.C.
Oggetto: Askos miniaturistico Museo Nazionale G.A. Sanna Bibliograia: MoreL 1981, pp. 421-
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Oggetto: Guttus 422, tavv. 208-209, serie 8141.
a tornio Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Fotografo: Dessì, Pierluigi
Misure: h 13,1; largh. 4,1; lungh. 9,3 a impressione/ verniciatura Compilatore: Pilo, Chiara
Descrizione: Esemplare con l’inusuale Misure: h 11,2; diam. 10,1; diam.
forma di un dromedario visto di pro- piede 5,7; diam. medaglione 4.5
ilo recante sul dorso due suonatrici Descrizione: Esemplare in ceramica a
di aulos, sedute di ianco. L’animale vernice nera tipo Morel F 8141, con
è rafigurato in atto di avanzare. Il corpo a proilo convesso con mas-
muso è mutilo; sul collo è posiziona- sima espansione in corrispondenza
to un piccolo beccuccio rilevato. Nel della spalla, alto beccuccio svasato
lato posteriore, in corrispondenza del con orlo a collarino, ansa ad anello
dorso dell’animale è ricavato un foro costolata e alto piede proilato. Sul-
per l’immissione dei liquidi. L’impa- la supericie superiore è presente un
sto è di colore arancio chiaro. medaglione a testa di Sileno contor-

1.79 - Guttus Cronologia: Sec. III a.C. 1.80 - Guttus iltro; piede ad anello. Sul fondo sono
(Morel F 8164) Bibliograia: Sardegna Archeologica, p. 91. (Morel F 8151a) grafite due lettere (NC: la lettura del-
Numero Catalogo Generale: 00162896 Fotografo: Monari, Nicola Numero Catalogo Generale: 00163199 la seconda delle quali non è del tutto
Numero inventario: 60669 Compilatore: Cruccas, Emiliano Numero inventario: 13555 certa), ma è incerto se siano esito di
Provenienza: Sconosciuta Provenienza: Porto Torres (SS) un intervento moderno o in antico.
Collocazione: Cagliari Collocazione: Porto Torres (SS) Impasto marron-rossiccio.
Museo Archeologico Nazionale Museo Archeologico Nazionale Stato di conservazione: Mutilo
Oggetto: Guttus Antiquarium Turritano Cronologia: Secc. III/II a.C.
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Oggetto: Guttus Bibliograia: Manconi 2001, p. 94;
verniciatura Materia e tecnica: Argilla/ a tornio BechtoLd 1999
Misure: h 7,1; diam. 9,5 Misure: h 6; diam. 9; diam. orlo 3,6 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Descrizione: Esemplare in ceramica Descrizione: Esemplare discoidale in Compilatore: Puddu, Manuela
a vernice nera tipo Morel F 8164, ceramica a vernice nera tipo Morel
con corpo globulare a disco, con F 8151a, con foro d’uscita a forma
foro centrale nella parte interna de- di protome leonina con bocca aper-
pressa, piccola ansa a sezione circo- ta; tutt’intorno sono visibili piccole
lare con versatoio a protome leoni- impressioni disposte a raggiera a
na e piede ad anello troncoconico indicare la criniera. Sulla spalla si im-
distinto, con profonde scanalature. posta l’ansa ad anello (frammentaria),
Vernice scura e lucida. mentre nello spazio per il foro per il
Stato di conservazione: Intero riempimento sono 18 fori a mo’ di

342
La Sardegna Romana

1.81 - Bacile 1.82 - Matrice per focacce Stato di conservazione: Intero


Numero Catalogo Generale: 00162852 Numero Catalogo Generale: 00163056 Cronologia: Sec. IV d.C.
Numero inventario: 103732 Numero inventario: OMA 634 Bibliograia: versneL 1970, deLLa
Provenienza: Sant’Antioco (CI) Provenienza: Olbia Maria 1991, pp. 128-133; guaLan-
necropoli di Is Pirixeddus Collocazione: Olbia di 2010.
Collocazione: Cagliari Museo Archeologico Fotografo: Dessì, Pierluigi
Museo Archeologico Nazionale Oggetto: Matrice per focacce Compilatore: Pilo, Chiara
Oggetto: Bacile Materia e tecnica: Argilla/ incisione
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio a crudo
Misure: h 10,4; diam. 24 Misure: diam. 23
Descrizione: Esemplare concavo care- Descrizione: Esemplare di forma circo-
nato in ceramica iammata, con ampia lare con supericie anteriore decorata
imboccatura, ampio orlo estrolesso e con una complessa scena e supericie
piede ad anello decorato con un moti- posteriore non lavorata. Il campo i-
vo plastico a ditate sotto l’orlo. gurato, anch’esso di forma circolare, è
Stato di conservazione: Integro delimitato in successione da una sotti-
Cronologia: Secc. II/IV d.C. le linea incisa e da un solco impresso.
Bibliograia: tronchetti 1991, p. La decorazione igurata rappresenta,
179, n. 148, tav. V, ig. 1. distribuita su registri sovrapposti, la
Fotografo: Monari, Nicola pompa triumphalis di Diocleziano e
Compilatore: Sulis, Roberta Massimiano per la vittoria sui Parti.

1.83 - Olla con coperchio contraddistinto da un orlo legger-


(Bartoloni 1996 forma 38) mente ingrossato e arrotondato, pa-
Numero Catalogo Generale: 00115345 reti oblique, presa ad anello. L’argilla,
Numero inventario: 161490 (olla), sia dell’olla che del piatto-coperchio
161485 (piatto-coperchio) è nocciola chiaro, poco depurata con
Provenienza: Bithia (Domus de Maria - CA) inclusi di medie e grandi dimensioni;
necropoli romana, tomba n. 128 la supericie è rugosa.
Collocazione: Cagliari Stato di conservazione: Ricomposto
Museo Archeologico Nazionale Cronologia: Secc. IV/II a.C.
Oggetto: Olla con coperchio Bibliograia: BartoLoni 1996, p.
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio 113, tavv. XVI,3,6; XXVIII,2, igg.
Misure: h 18,6; largh. 21; diam. 17,5; 22-23, 35.
spess. 0,5; h coperchio 3,5; diam. Fotografo: Monari, Nicola
coperchio 18 Compilatore: Defrassu, Pierangela
Descrizione: Esemplare in ceramica
fenicia e punica tipo Bartoloni 1996
forma 38, con orlo piatto grosso ed
estrolesso; corpo troncoconico con
carena molto arrotondata, piede in-
distinto e fondo appena concavo.
L’olla conserva il piatto-coperchio

1.84 - Olla Cronologia: Età romana imperiale 1.85 - Pentola Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00097499 Bibliograia: rovina 1998, p. 793. Numero Catalogo Generale: 00121733 Compilatore: Carboni, Romina
Numero inventario: 3906/2602 Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero inventario: M 22/28
Provenienza: Sconosciuta Compilatore: Pilo, Chiara Provenienza: Sconosciuta
(collezione municipale di Sassari) (collezione Gouin)
Collocazione: Sassari Collocazione: Cagliari
Museo Nazionale G.A. Sanna Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Olla Oggetto: Pentola
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Misure: h 12,5; diam. 16; diam. orlo Misure: h 14,5; diam. 21,4
13; h coperchio 4,6; diam. coper- Descrizione: Esemplare in ceramica
chio 11,6 da cucina africana, con orlo rigon-
Descrizione: Esemplare in ceramica io estrolesso con risega interna
comune da cucina, con orlo di- per l’alloggiamento del coperchio e
stinto e bordo ingrossato, corpo base piana.
globulare schiacciato, con massimo Bande cinerognole sulla supericie
diametro in corrispondenza della esterna.
spalla, fondo concavo; coperchio Stato di conservazione: Intero
con orlo arrotondato, parete ad Cronologia: Sec. IV d.C.
andamento quasi rettilineo e presa. Bibliograia: sirigu 1999, p. 175, n.
Stato di conservazione: Ricomposto 10/14, tav. IX.

343
La Sardegna Romana

1.86 - Coperchio Bibliograia: Boninu 1973, p. 327, n. 1.87 - Braciere Stato di conservazione: Frammentario
(Hayes 20) 24, tav. V, 3. ig. 24. Numero Catalogo Generale: 00162719 Cronologia: Secc. II/I a.C.
Numero Catalogo Generale: 00162684 Fotografo: Monari, Nicola Numero inventario: Assente Bibliograia: iBBa 2000, pp. 143-145,
Numero inventario: Assente Compilatore: Carboni, Romina Provenienza: Cagliari 149-150, tav. III, 3-4.
Provenienza: Sconosciuta teatro-tempio di via Malta Fotografo: Monari, Nicola
Collocazione: Cagliari Collocazione: Cagliari Compilatore: Defrassu, Pierangela
Museo Archeologico Nazionale Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Coperchio Oggetto: Braciere
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Materia e tecnica: Argilla/ a matrice
verniciatura Misure: h 14.2; largh. 20; spess. 1,4;
Misure: h 4,8; diam. 18,1 spess. presa 8,4
Descrizione: Esemplare in terra sigil- Descrizione: Esemplare con orlo
lata africana tipo Hayes 20, di forma estrolesso con bordo arrotonda-
troncoconica con presa circolare to, presa trapezoidale, sostegno
alla sommità. Decorazione a rotella. a sezione triangolare. Nella parte
Supericie interna priva di vernice, posteriore, sotto l’orlo, residuano
opaca, arancione chiaro; supericie quattro incavi resi a pressione in
esterna con vernice arancione scura maniera sommaria; all’interno, sulla
tendente al bruno. presa e sul sostegno, inquadrata da
Stato di conservazione: Intero una doppia cornice trapezoidale, è
Cronologia: Sec. II d.C. una testa di sileno barbata.

1.88 - Braciere residua è distribuita su quattro re-


Numero Catalogo Generale: 00162720 gistri: nella parte superiore sono
Numero inventario: 2022N1010 (?) quattro elementi verticali a sezio-
Provenienza: Cagliari ne quadrangolare in rilievo, segue
teatro-tempio di via Malta una risega dal proilo arrotondato,
pozzo c.d. punico quindi una fascia a dentelli e una a
Collocazione: Cagliari ovuli e lance, dunque una zona li-
Museo Archeologico Nazionale scia percorsa da due serie di doppie
Oggetto: Braciere nervature orizzontali seguita da un
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice residuo di decorazione costituita da
Misure: h 35,5; largh. 21,8; spess. semicerchi impressi a crudo.
1,2; h ansa 8; spess. ansa 2,9 Stato di conservazione: Frammentario
Descrizione: Esemplare con vasca di Cronologia: Secc. II/I a.C.
forma troncoconica rastremata ver- Bibliograia: iBBa 2000, pp. 143-144,
so il basso mediante restringimen- tav. I, 1.
ti regolari a gradini, che segnano Fotografo: Monari, Nicola
l’alternarsi della decorazione; ansa Compilatore: Defrassu, Pierangela
a torciglione sottolineata all’impo-
sta e all’attacco da cinque incavi
ottenuti con la pressione delle dita
sull’argilla cruda. La decorazione

1.89 - Anfora Stato di conservazione: Integro 1.90 - Anfora Bibliograia: rizzo 2003, p. 156;
(Dressel 1C) Cronologia: Sec. I a.C. (Dressel 25) Bruno 2005, pp. 353-394.
Numero Catalogo Generale: 00163115 Bibliograia: gandoLFi 1986, pp. Numero Catalogo Generale: 00117285 Fotografo: Monari, Nicola
Numero inventario: OMA 375 115-124. Numero inventario: 319981 Compilatore: Cruccas, Emiliano
Provenienza: Olbia Fotografo: Dessì, Pierluigi Provenienza: Sardara (VS)
Isola di Mezzo Compilatore: Trudu, Enrico necropoli di Terra’e Cresia
Collocazione: Olbia Collocazione: Sardara (VS)
Museo Archeologico Civico Museo Archeologico
Oggetto: Anfora Villa Abbas
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Oggetto: Anfora
Misure: h 121; diam. orlo 13,5; h Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
orlo 7,5; largh. ansa 5,3 Misure: h 75,5; diam. 42,9; spess. 3,6
Descrizione: Esemplare tipo Dressel Descrizione: Esemplare tipo Dres-
1C, con orlo a fascia verticale, lie- sel 25, con corpo globulare, anse a
vemente rientrante verso la bocca, sezione circolare, corto collo, orlo
collo lungo e cilindrico, anse a ba- estrolesso rigonio e corto puntale
stone schiacciato saldate sull’orlo e arrotondato. Nella parte superio-
sulla spalla, di proilo arrotondato re del corpo, all’altezza delle anse,
e poco marcata, corpo ovoide affu- sono grafite le lettere CMM.
solato, con puntale cilindrico pieno. Stato di conservazione: Mutilo
Argilla di colore rosso-bruno. Cronologia: Sec. I d.C.

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La Sardegna Romana

1.91 - Anfora Stato di conservazione: Mutilo 1.92 - Anfora il fondo presenta un piede tubolare
(Beltràn IIB) Cronologia: Sec. II d.C. (Kapitan II/Niederbieber 77) ombelicato. Argilla di colore rosso-
Numero Catalogo Generale: 00163116 Bibliograia: Bruno 2005, p. 383, tav. 5. Numero Catalogo Generale: 00097599 bruno, granulosa, ricca di inclusi.
Numero inventario: OMA 554 Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero inventario: 4157/7729 Stato di conservazione: Reintegrato
Provenienza: Olbia Compilatore: Trudu, Enrico Provenienza: Porto Torres (SS) Cronologia: Secc. II/IV d.C.
Isola Bocca Collocazione: Sassari Bibliograia: Bruno 2005, p. 388, tav. 7.
Collocazione: Olbia Museo Nazionale G.A. Sanna Fotografo: Dessì, Pierluigi
Museo Archeologico Oggetto: Anfora Compilatore: Trudu, Enrico
Oggetto: Anfora Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Misure: h 77,4; diam. 26; diam. orlo
Misure: h 96,5; largh. 37,9; largh. 6,8; diam. piede 7,7
ansa 7,3 Descrizione: Esemplare tipo Kapitan
Descrizione: Esemplare tipo Beltràn II/Niederbieber 77, con orlo stret-
IIB, con orlo estrolesso, appiat- to e proilo ad anello, collo tronco-
tito superiormente, con imbocca- conico, lungo e stretto, percorso
tura larga, collo molto sviluppato, da scanalature; le anse, saldate sul
con anse a bastone schiacciato con collo e sulla spalla, sono a nastro
una scanalatura centrale, corpo ingrossato con proilo a gomito
piriforme notevolmente espan- rialzato, il corpo è affusolato, deci-
so verso la base. Argilla di colore samente stretto verso il fondo, con
arancio-beige. spalla arrotondata e ben delineata;

1.93 - Anfora costolature, è bipartita: la parte su- 1.94 - Anfora Stato di conservazione: Intero
Numero Catalogo Generale: 00099471 periore assume tonalità sfumate tra (Keay XXVI = Spatheion) Cronologia: Secc. IV/VII d.C.
Numero inventario: il grigio e il marrone, la parte inferio- Numero Catalogo Generale: 00162767 Bibliograia: sPanu 1998, pp. 44-54.
PTBNL78 54303444/81/12889 re è beige. Supericie ruvida. Numero inventario: OCRA 40885 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Provenienza: Porto Torres (SS) Stato di conservazione: Frammentario Provenienza: Porto Torres (SS) Compilatore: Defrassu, Pierangela
Collocazione: Porto Torres (SS) Cronologia: Secc. IV/VII d.C. Cala Reale
Museo Archeologico Nazionale Bibliograia: viLLedieu 1984; Collocazione: Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano Manconi 1999, p. 40 Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Anfora Fotografo: Dessì, Pierluigi Antiquarium Turritano
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Compilatore: Defrassu, Pierangela Oggetto: Anfora
Misure: largh. 25,5; lungh. 43; spess. 3,9 Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Descrizione: Esemplare con corpo Misure: largh. 20; lungh.84; diam.15;
globulare tendente a restringersi in spess. 1,9
corrispondenza del collo e del pun- Descrizione: Esemplare tipo Keay
tale; l’orlo non si conserva; residua XXVI, con corpo affusolato termi-
una minima parte dello stretto collo; nante con un puntale a ittone pie-
si conserva un’unica ansa a sezione no, anse piccole e strette con proilo
subcircolare impostata sull’ampia ad orecchia e sezione ellittica, orlo
spalla e sul collo; il puntale è cilindri- ingrossato e rivolto verso l’esterno.
co e poco pronunciato. La colora- Argilla arancio, supericie esterna
zione delle pareti, segnate da pesanti con engobbio grigio-beige, ruvida.

1.95 - Pisside Fotografo: Dessì, Pierluigi 1.96 - Unguentario Fotografo: Monari, Nicola
(Morel F 7553a 1) Compilatore: Cruccas, Emiliano (Cuadrado BIII) Compilatore: Cruccas, Emiliano
Numero Catalogo Generale: 00162922 Numero Catalogo Generale: 00162886
Numero inventario: Assente Numero inventario: 147684
Provenienza: Padria (SS) Provenienza: Gesico (CA)
Collocazione: Padria (SS) necropoli di Santa Lucia,
Museo Civico Archeologico tomba n. 34
Oggetto: Pisside Collocazione: Cagliari
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Museo Archeologico Nazionale
verniciatura Oggetto: Unguentario
Misure: h 6; diam. 9,7; spess. 0,5 Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Descrizione: Esemplare tipo Morel F Misure: h 16,6; diam. 6,6
7553a 1, con piede ad anello espan- Descrizione: Esemplare ceramica
so e orlo leggermente estrolesso. comune tipo Cuadrado BIII, con
Vernice nera, leggermente abrasa corpo fusiforme ovoide, orlo trian-
in alcuni punti. golare e base troncoconica. Argilla
Stato di conservazione: Parzialmente e supericie mattone.
ricomposto Stato di conservazione: Ricomposto
Cronologia: Sec. II a.C. Cronologia: Sec. I a.C.
Bibliograia: MoreL 1981, p. 415, tav. Bibliograia: tronchetti 1999, p.
206, 7553a 1. 119, tav. VI, 54; rotroFF 2006.

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La Sardegna Romana

1.97 - Thymiaterion tracce di verniciatura bianca; argilla 1.98 - Thymiaterion Stato di conservazione: Lacunoso
conigurato a testa femminile arancio. conigurato a testa femminile Cronologia: Secc. III/I a.C.
Numero Catalogo Generale: 00162708 Stato di conservazione: Mutilo Numero Catalogo Generale: 00162709 Bibliograia: regoLi 1991, p. 197, nn.
Numero inventario: Assente Cronologia: Secc. III/I a.C. Numero inventario: Assente 550-1, tav. XVI. 550-1.
Provenienza: Padria (SS), via Nazionale Bibliograia: regoLi 1991, pp. 175-6, Provenienza: Padria (SS), via Nazionale Fotografo: Dessì, Pierluigi
Collocazione: Padria (SS) nn. 441-2, tav. X. 441-2. Collocazione: Padria (SS) Compilatore: Carboni, Romina
Museo Civico Archeologico Fotografo: Dessì, Pierluigi Museo Civico Archeologico
Oggetto: Thymiaterion Compilatore: Carboni, Romina Oggetto: Thymiaterion
conigurato a testa femminile conigurato a testa femminile
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/
a stecca a stecca
Misure: h 16; largh. 8,4; spess. 1,4 Misure: h 16,7; largh. 10,3; spess. 0,9
Descrizione: Esemplare conformato Descrizione: Esemplare conformato
a testa di dea kernophoros; si è con- a testa di dea kernophoros. I tratti del
servato il kalathos, la testa e il collo volto sono appena accennati, mentre
della igura; manca la base. Il volto la capigliatura costituisce una massa
presenta naso e mento arrotonda- informe; visibile il seno coperto da
ti, occhi e bocca appena accennati; una veste con scollatura triangolare;
la capigliatura è resa da una massa base frammentaria; foro di aerazione
compatta. Nella parte posteriore nella parte posteriore. Argilla rosata
è presente il foro aeratore. Visibili con tracce di pittura bianca.

1.99 - Matrice verso l’esterno, apparentemente non 1.100 - Matrice conico, corazza anatomica, tunica,
Numero Catalogo Generale: 00163147 collegata alla rosetta e un pendente a Numero Catalogo Generale: 00163074 schinieri e scudo rotondo. L’argilla
Numero inventario: Assente forma di anforetta, con sottile fascia Numero inventario: Assente è rossa, abbastanza depurata.
Provenienza: Cagliari a perline nella parte superiore. Argil- Provenienza: Cagliari Stato di conservazione: Ricomposto
teatro-tempio di via Malta la di colore beige chiaro. teatro-tempio di via Malta Cronologia: Sec. II a.C.
pozzo c.d. punico Stato di conservazione: Frammentario pozzo F Bibliograia: coMeLLa 1992, pp. 418-
Collocazione: Cagliari Cronologia: Sec. III a.C. Collocazione: Cagliari 420, ig. 4.
Museo Archeologico Nazionale Bibliograia: coMeLLa 1992, pp. 415- Museo Archeologico Nazionale Fotografo: Monari, Nicola
Oggetto: Matrice di testina 424, ig. 1. Oggetto: Matrice Compilatore: Pilo, Chiara
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice Fotografo: Monari, Nicola Materia e tecnica: Argilla/ a matrice
Misure: h 14; largh. 10,3; prof. 4,5; Compilatore: Trudu, Enrico Misure: h 34,4; largh. 16,6; spess.
spess. 3,8 4,4; h campo igurato 28,5; largh.
Descrizione: Matrice che riproduce la campo igurato 11,7
parte anteriore di un thymiaterion raf- Descrizione: Esemplare di forma ret-
igurante una fanciulla kernophoros. Si tangolare con cornice piatta all’in-
conserva tutta la parte destra della terno della quale corre una scana-
testa, grande circa due terzi del vero, latura impressa. Il campo centrale
che reca un polos alto e liscio; l’orec- è occupato da una Nike rafigurata
chio residuo è ornato da un grande di prospetto, nell’atto di scende-
orecchino costituito da una rosetta, re dall’alto portando come trofeo
una navicella con estremità ripiegate un’armatura composta da elmo

1.101 - Matrice fascia di capelli riccioluti; porta una


Numero Catalogo Generale: 00163075 lunga e voluminosa barba a ciocche
Numero inventario: Assente ondulate. Argilla color beige, abba-
Provenienza: Cagliari stanza depurata.
teatro-tempio di via Malta Stato di conservazione: Mutilo
pozzo F Cronologia: Secc. II/I a.C.
Collocazione: Cagliari Bibliograia: Mingazzini 1950, p.
Museo Archeologico Nazionale 241 n. 18, ig. 23.
Oggetto: Matrice Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Compilatore: Pilo, Chiara
ritocco a stecca
Misure: h 21; largh. 16,1; spess. 2,8;
prof. 12; distanza angoli esterni
occhi 6,5
Descrizione: Esemplare che riprodu-
ce in negativo la parte anteriore di
una testa maschile: la fronte è larga
e alta, gli occhi sono grandi, con
bulbo oculare e palpebre a rilievo;
il naso è spezzato e la bocca è per-
duta. La fronte è coronata da una

346
La Sardegna Romana

1.102 - Statua votiva torno al corpo dell’uomo. La parte


Numero Catalogo Generale: 00163063 posteriore è lavorata in modo più
Numero inventario: Assente sommario ed è appiattita in diver-
Provenienza: Nora (Pula - CA) si punti. Argilla arancio-rosata con
Punta de su Coloru, santuario di inclusi bianchi e grigi di piccole di-
Eshmun - Esculapio. mensioni.
Collocazione: Cagliari Stato di conservazione: Ricomposto
Museo Archeologico Nazionale Cronologia: Sec. II a.C.
Oggetto: Statua votiva Bibliograia: angioLiLLo 1985, pp.
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ 104-105, tavv. IV-V, igg. 6-7.
ritocco a stecca Fotografo: Monari, Nicola
Misure: h 76; h volto 12; largh. torace Compilatore: Pilo, Chiara
15,8; dist. angoli esterni occhi 5,9
Descrizione: Statua di uomo nudo
recumbente con le gambe distese
e i piedi incrociati. La muscolatu-
ra è morbida, abbastanza deinita.
Il braccio destro è sollevato dietro
la testa, il sinistro scende lungo il
ianco e la mano è poggiata sulla
coscia; un serpente è avvolto at-

1.103 - Testa votiva femminile Stato di conservazione: Parzialmente 1.104 - Testa votiva femminile Fotografo: Dessì, Pierluigi
Numero Catalogo Generale: 00162700 ricomposto Numero Catalogo Generale: 00162701 Compilatore: Carboni, Romina
Numero inventario: 26634 Cronologia: Secc. IV/I a.C. Numero inventario: 27493
Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe Bibliograia: tore 1975; PensaBene Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe
Collocazione: Padria (SS) 2001, p. 348, n. 264, tav. 80, 264. Collocazione: Padria (SS)
Museo Civico Archeologico Fotografo: Dessì, Pierluigi Museo Civico Archeologico
Oggetto: Testa votiva femminile Compilatore: Carboni, Romina Oggetto: Testa votiva femminile
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/
a stecca a stecca
Misure: h 12; largh. 15,2; spess. 1,2/2 Misure: h 24; largh. 19; spess. 1,7
Descrizione: Parte sinistra superiore Descrizione: Grande testa votiva fem-
di viso di testa votiva femminile, minile di proilo di cui residua parte
comprendente la fronte, l’occhio si- della capigliatura ad onde ben marca-
nistro con palpebra ben modellata, te, del volto, del collo e dell’orecchio,
il naso sbrecciato, il labbro superio- che in origine aveva il lobo forato per
re carnoso e l’orecchio; ancora vi- l’orecchino. Sono visibili sulla super-
sibile una parte dell’occhio destro. icie tracce di pittura bianca.
Parzialmente visibile anche la ca- Stato di conservazione: Frammentario
pigliatura ad onde ben marcate. La Cronologia: Secc. IV/I a.C.
terracotta è nerastra con numerosi Bibliograia: tore 1975; gaLLi 1991,
piccoli inclusi micacei; argilla rosata. p. 11, ig. 7.

1.105 - Testa votiva femminile 1994, pp. 139-140, n. 122; tav. 1.106 - Testa votiva femminile Fotografo: Dessì, Pierluigi
Numero Catalogo Generale: 00162706 XXII, 122. Numero Catalogo Generale: 00162707 Compilatore: Carboni, Romina
Numero inventario: 27707 Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero inventario: Assente
Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe Compilatore: Carboni, Romina Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe
Collocazione: Padria (SS) Collocazione: Padria (SS)
Museo Civico Archeologico Museo Civico Archeologico
Oggetto: Testa votiva femminile Oggetto: Testa votiva femminile
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/
a stecca a stecca
Misure: h 7,8; lungh. 16; spess. 1,2 Misure: h 9,6; largh. 16,2; spess. 4,2
Descrizione: Testa votiva femminile Descrizione: Testa votiva femmi-
internamente cava. Rimane parte nile di cui residua unicamente
della fronte, una porzione anteriore parte dell’acconciatura ad onde
della cufia con un iocco centrale, morbide trattenuta da una fascia
al di sotto della quale si intravedono arrotolata e segnata da una serie
i capelli a ciocche ondulate. Argilla di incisioni.
rosata con numerosi inclusi micacei Argilla rosata-bruna.
e macchie biancastre e grigiastre. Stato di conservazione: Frammentario
Stato di conservazione: Frammentario Cronologia: Secc. IV/I a.C.
Cronologia: Secc. IV/I a.C. Bibliograia: tore 1975; caMPus
Bibliograia: tore 1975; caMPus 1994, p. 139, n. 121, tav. XXII, 121.

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La Sardegna Romana

1.107 - Testa votiva maschile Fotografo: Dessì, Pierluigi 1.108 - Testa votiva maschile p. 15, ig. 10; caMPus 1994, pp. 125-
Numero Catalogo Generale: 00162905 Compilatore: Cruccas, Emiliano Numero Catalogo Generale: 00162906 126, tav. VI, ig. 30.
Numero inventario: Assente Numero inventario: Assente Fotografo: Dessì, Pierluigi
Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe Compilatore: Cruccas, Emiliano
Collocazione: Padria (SS) Collocazione: Padria (SS)
Museo Civico Archeologico Museo Civico Archeologico
Oggetto: Testa votiva maschile Oggetto: Testa votiva maschile
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/
a stecca a stecca
Misure: h 12; largh. 11,7; spess. 1,5 Misure: h 15,5; largh. 11,2; spess. 2,85
Descrizione: Testa votiva maschile di Descrizione: Grande testa votiva ma-
cui restano il grosso naso con narici schile cava posteriormente, con un
ben evidenziate, una parte dell’oc- taglio obliquo nella parte sinistra.
chio destro e del labbro superiore e Le labbra sono carnose, il mento
la guancia destra. Argilla bruno-gri- prominente è segnato da una pic-
giastra con piccoli inclusi micacei. cola fossetta. La terracotta è rossa-
Stato di conservazione: Mutilo stra con ampie zone di color grigio
Cronologia: Secc. IV/I a.C. scuro.
Bibliograia: tore 1975; caMPus Stato di conservazione: Mutilo
1994, pp. 126-127, tav. VII, igg. Cronologia: Secc. IV/I a.C.
36-40. Bibliograia: tore 1975; gaLLi 1991,

1.109 - Testa votiva maschile Bibliograia: tore 1975; caMPus 1.110 - Testa votiva maschile
Numero Catalogo Generale: 00162921 1994, p. 140, tav. XXII, ig. 124. Numero Catalogo Generale: 00162907
Numero inventario: Assente Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero inventario: Assente
Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe Compilatore: Cruccas, Emiliano Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe
Collocazione: Padria (SS) Collocazione: Padria (SS)
Museo Civico Archeologico Museo Civico Archeologico
Oggetto: Testa votiva maschile Oggetto: Testa votiva maschile
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Materia e tecnica: Argilla/ a matrice
a stecca Misure: h 10,2; largh. 7,5; spess. 1,1
Misure: h 26; largh. 24,5; spess. 2,2 Descrizione: Testa votiva cava di gio-
Descrizione: Grande testa votiva vinetto; presenta capelli ondulati
maschile della quale residuano con una crocchia centrale. Argilla
parte della capigliatura a riccioli giallo pallido con inclusi micacei.
del tipo a chiocciola, l’orecchio Stato di conservazione: Mutilo
destro e una piccola parte del vol- Cronologia: Secc. IV/I a.C.
to; si intravede la parte terminale Bibliograia: Besques 1972, p. 111,
dell’occhio. Argilla rosata con par- tav. 138, i; tore 1975.
ti grigiastre. Fotografo: Dessì, Pierluigi
Stato di conservazione: Parzialmente Compilatore: Cruccas, Emiliano
ricomposto
Cronologia: Secc. IV/I a.C.

1.111 - Testa votiva 1.112 - Testa votiva femminile Cronologia: Sec. II a.C.
Numero Catalogo Generale: 00162908 Numero Catalogo Generale: 00162703 Bibliograia: Besques 1972, pp. 371-
Numero inventario: Assente Numero inventario: Assente 372, i D 3257-3258, tav. 209, i D
Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe 3257-3258; tore 1975.
Collocazione: Padria (SS) Collocazione: Padria (SS) Fotografo: Dessì, Pierluigi
Museo Civico Archeologico Museo Civico Archeologico Compilatore: Carboni, Romina
Oggetto: Testa votiva Oggetto: Testa votiva femminile
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/
Misure: h 6,6; largh. 5 a stecca
Descrizione: Piccola testa votiva ma- Misure: h 6,4; largh. 4,6; spess. 0,6
schile bifronte con folta barba; se Descrizione: piccola testa sormon-
capovolta assume i connotati di tata da una corona egittizzante. La
una vecchia. linea delle sopracciglia è in rilievo,
Stato di conservazione: Mutilo gli occhi sono appena accennati,
Cronologia: Secc. IV/I a.C. naso e bocca ben delineati e mento
Bibliograia: tore 1975; caMPus arrotondato. La parte posteriore è
1994, p. 123, tav. III, 14. superiormente piena ed inferior-
Fotografo: Dessì, Pierluigi mente cava. La terracotta è ros-
Compilatore: Cruccas, Emiliano siccia con numerosi piccoli inclusi
micacei.
Stato di conservazione: Mutilo

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La Sardegna Romana

1.113 - Busto femminile Fotografo: Dessì, Pierluigi 1.114 - Busto femminile


Numero Catalogo Generale: 00162704 Compilatore: Carboni, Romina Numero Catalogo Generale: 00162705
Numero inventario: 25943 Numero inventario: 22115
Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe
Collocazione: Padria (SS) Collocazione: Padria (SS)
Museo Civico Archeologico Museo Civico Archeologico
Oggetto: Busto femminile Oggetto: Busto femminile
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/
a stecca a stecca
Misure: h 14,5; largh. 7,2 Misure: h 7,4; largh. 6,1; spess. 1,4
Descrizione: Torso con himation pan- Descrizione: Torso panneggiato con
neggiato che lascia scoperta parte il seno ben evidenziato. Argilla
del seno; nel lato posteriore è pre- grigio-rosata.
sente un foro ovale. Stato di conservazione: Frammentario
Argilla di colore nocciola-rosato Cronologia: Secc. IV/I a.C.
con un’ampia macchia nerastra sul Bibliograia: Besques 1972, p. 290, f
panneggio. D 2359, tav. 361, f D 2359; tore
Stato di conservazione: Frammentario 1975.
Cronologia: Secc. IV/I a.C. Fotografo: Dessì, Pierluigi
Bibliograia: tore 1975; gaLLi 1991, Compilatore: Carboni, Romina
p. 18, ig. 13.

1.115 - Busto votivo maschile Fotografo: Dessì, Pierluigi 1.116 - Busto votivo femminile Stato di conservazione: Ricomposto
Numero Catalogo Generale: 00162909 Compilatore: Cruccas, Emiliano Numero Catalogo Generale: 00162751 Cronologia: Secc. I/II d.C.
Numero inventario: Assente Numero inventario: Bibliograia: viLLedieu 1984; Man-
Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe PT7718107+PT7717869/12819 coni 1999, pp. 27, 40, p. 27 ig. s.n.
Collocazione: Padria (SS) Provenienza: Porto Torres (SS) Fotografo: Dessì, Pierluigi
Museo Civico Archeologico saggi Banca Nazionale del Lavoro Compilatore: Defrassu, Pierangela
Oggetto: Busto votivo in Corso Vittorio Emanuele
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Collocazione: Porto Torres (SS),
a stecca Museo Archeologico Nazionale
Misure: h 13,4; largh. 16,5; spess. 1,9 Antiquarium Turritano
Descrizione: Torso maschile con Oggetto: Busto votivo femminile
corazza cavo posteriormente. Pet- Materia e tecnica: Argilla/ a matrice
to con muscoli ben evidenziati, Misure: h 9,4; largh. 6,2; spess. 0,5
braccio destro residuo privo della Descrizione: Figura avvolta in un pe-
mano. Argilla rossastra con parti sante mantello che copre capo e spal-
più scure. le; una vistosa capigliatura incornicia
Stato di conservazione: Parzialmente il volto; i tratti somatici sono resi in
ricomposto maniera abbastanza dettagliata; le
Cronologia: Secc. IV/I a.C. forme del busto sono appena accen-
Bibliograia: tore 1975; caMPus nate. Conserva traccia di colorazione
1994, p. 121, tav. I, 5. giallastra. Il retro è cavo, non lavorato.

1.117 - Statuetta/busto polos con spiga centrale sul quale è


Numero Catalogo Generale: 00121756 poggiato il mantello che scende ai
Numero inventario: 5243/M 22/21 lati della igura. La veste presen-
Provenienza: Calangianus (OT) ta tre pieghe a V sul petto, motivi
Collocazione: Cagliari spiraliformi in corrispondenza dei
Museo Archeologico Nazionale seni e bande oblique contrapposte
Oggetto: Statuetta/busto sopra la vita. Sul retro il panneggio
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ è reso da alcune incisioni oblique.
verniciatura Tutta la igura risulta leggermen-
Misure: h 18; largh. 8,7; spess. 5,5; te pendente a sinistra. L’argilla è
diam. fondo 7,1 giallo-marroncina, con sfumature
Descrizione: Busto di igura femmi- rosate, abbastanza depurata; tracce
nile tagliato in corrispondenza del- di vernice rossa.
la vita, internamente cavo; poggia Stato di conservazione: Integro
su un basso piedistallo liscio e ra- Cronologia: Secc. I/II d.C.
stremato. I capelli, divisi sulla fron- Bibliograia: visMara 1980, pp. 38-
te in due bande ondulate, scendo- 39 n. 31, tav. XXVII.
no con due boccoli ai lati del collo, Fotografo: Monari, Nicola
lasciando scoperte le orecchie con Compilatore: Pilo, Chiara
orecchini emisferici. In testa in-
dossa un diadema lunato e un alto

349
La Sardegna Romana

1.118 - Busto votivo femminile una piega ad Y; i seni sono indicati


Numero Catalogo Generale: 00099412 da semicerchi, le pieghe sulle spalle
Numero inventario: 12938 sono rese da tratti verticali. La i-
Provenienza: Porto Torres (SS) gura è tagliata all’altezza del seno e
Collocazione: Porto Torres (SS) poggiata su una stretta base legger-
Museo Archeologico Nazionale mente svasata verso il basso men-
Antiquarium Turritano tre in alto è delimitata da un listello
Oggetto: Busto votivo femminile convesso delimitato da due solchi
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice poco profondi. Sul retro è impressa
Misure: h 13; largh. 6,4; spess. 0,5 la parola LVCI.
Descrizione: Busto ben sagomato, Stato di conservazione: Intero
inclinato in avanti, con le spalle ab- Cronologia: Secc. I/II d.C.
bassate. Il capo è sormontato da un Bibliograia: visMara 1980, pp. 20-
basso polos percorso lungo il bordo 21, tav. V.
da un solco interrotto dalla spiga e Fotografo: Dessì, Pierluigi
da un diadema lunato abbastanza Compilatore: Defrassu, Pierangela
alto. I capelli, poco deiniti, presen-
tano una scriminatura centrale sul-
la fronte per poi ricadere lungo le
spalle. La veste presenta una scolla-
tura arrotondata sotto la quale vi è

1.119 - Statuetta femminile di perle a rilievo; la igura sembra


Numero Catalogo Generale: 00162752 indossare degli orecchini. Le di-
Numero inventario: 64310 mensioni del naso, l’unico dettaglio
Provenienza: Porto Torres (SS) anatomico del viso rappresentato,
via Cavour - angolo via Libio sono sproporzionate rispetto al
Collocazione: Porto Torres (SS) viso stesso. Sopra la testa e sul lato
Museo Archeologico Nazionale destro, in basso, sono presenti due
Antiquarium Turritano fori realizzati a crudo. Argilla rosa,
Oggetto: Statuetta femminile poco depurata, supericie liscia.
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice Stato di conservazione: Mutilo
Misure: h 13,9; largh. 7,6; spess. 0,3 Cronologia: Secc. I/II d.C.
Descrizione: Figura con mano de- Bibliograia: Manconi & PandoLFi
stra, aperta, poggiata sul ianco; il 1997, pp. 88-93; Manconi 2001,
braccio corrispondente è piegato p. 94.
ad angolo; la mano sinistra tocca la Fotografo: Dessì, Pierluigi
testa. La igura sembra coperta da Compilatore: Defrassu, Pierangela
un mantello ino al busto; la lunga
veste che copre la igura ino a ter-
ra è resa con un panneggio molto
stilizzato. Il viso è incorniciato da
una capigliatura resa con una ila

1.120 - Statuetta femminile Bibliograia: BartoLoni 2007, p.


Numero Catalogo Generale: 00163195 125, ig. 83.
Numero inventario: 36086 Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Sant’Antioco (CI) Compilatore: Puddu, Manuela
necropoli di Is Pirixeddus, tomba 180
Collocazione: Sant’Antioco (CI)
Museo Archeologico Comunale
F. Barreca
Oggetto: Statuetta femminile
Materia e tecnica: Argilla/ a mano
Misure: h 15,5
Descrizione: Su un piedistallo si erge
una igura femminile stante sulla
gamba sinistra, nuda tranne per il
lungo mantello rosso che le copre
le spalle e la gamba sinistra. I ca-
pelli biondi sono sparsi sulle spalle
e una ciocca è tenuta con la mano
destra.
Stato di conservazione: Intero
Cronologia: Sec. II d.C.

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La Sardegna Romana

1.121 - Statua maschile e sembra essere ripiegata o stretta da


Numero Catalogo Generale: 00162753 una larga cinta in vita. Lo stampo
Numero inventario: 64365 con il quale l’oggetto è stato realizzato è
Provenienza: Porto Torres (SS) comprensivo di una base rettangolare
via Cavour - angolo via Libio cava all’interno. Il retro è liscio. Argilla
Collocazione: Porto Torres (SS) beige molto chiaro, supericie liscia.
Museo Archeologico Nazionale Stato di conservazione: Ricomposto
Antiquarium Turritano Cronologia: Sec. II d.C.
Oggetto: Statua maschile Bibliograia: Manconi & PandoLFi
Materia e tecnica: Argilla/ a stampo 1997, pp. 88-93; Manconi 2001, p. 94.
Misure: h 14,6; largh. 5,9; spess. 2,8 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Descrizione: La statuetta rafigura un Compilatore: Defrassu, Pierangela
personaggio nell’atto di trasportare
un sacco poggiato sulle spalle. Con la
mano destra sollevata tiene la parte su-
periore del fardello, con la sinistra so-
stiene il fondo. La testa è leggermente
reclinata in avanti spinta dal peso del
sacco stesso; i dettagli del volto sono
appena accennati. Indossa una tunica
che si arresta all’altezza delle ginocchia

1.122 - Statua maschile si distingue un naso importante e


Numero Catalogo Generale: 00162755 l’incavo degli occhi. Il retro non è
Numero inventario: 6784 lavorato. Argilla beige chiaro, su-
Provenienza: Porto Torres (SS) pericie liscia.
area ex Pretura Stato di conservazione: Intero
Collocazione: Porto Torres (SS) Cronologia: Secc. I/III d.C.
Museo Archeologico Nazionale Bibliograia: Manconi 1999, p. 42,
Antiquarium Turritano p. 14, ig. s.n.; Manconi 2001, pp.
Oggetto: Statua maschile 54-55.
Materia e tecnica: Argilla/ a stampo Fotografo: Dessì, Pierluigi
Misure: h 7,2; largh. 2,5; spess. 0,5 Compilatore: Defrassu, Pierangela
Descrizione: statuina su base a tron-
co di cono cava: la igura, avvolta
in un mantello con cappuccio che
segue la linea tondeggiante delle te-
sta, scende ad incorniciare il volto,
coprire le spalle e cadere in sotto la
vita; dal mantello fuoriesce la mano
destra; la gamba sinistra è legger-
mente avanzata. I dettagli del viso
sono resi in maniera poco accurata,

1.123 - Testa di Eracle Sul collo è abbozzato il pomo d’A-


Numero Catalogo Generale: 00163048 damo. Il capo è coperto dalla pro-
Numero inventario: 63604/OMA 770 tome leonina che presenta il muso
Provenienza: Olbia solcato da profonde grinze verticali
Isola Bocca parallele, gli occhi infossati e le arca-
Collocazione: Olbia Museo Archeologico te sopraciliari accentuate; le orecchie,
Oggetto: Statua/testa di forma all’incirca ovale, sono im-
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ postate ai lati della testa, tra le cioc-
ritocco a stecca che iammeggianti della criniera che
Misure: h 41; largh. 34,5; prof. 21; si dispongono a raggiera intorno al
distanza fronte/mento 19 capo; una ila di denti regolari, con
Descrizione: Testa di statua di Eracle- zanne afilate, inquadrano il volto
Melqart leggermente reclinata verso dell’eroe. Ciufi lisci ricoprono anche
sinistra; volto tondeggiante con ar- la parte posteriore della testa, dove si
cate sopraciliari prominenti, grandi trova un ampio foro siatatoio.
occhi, naso diritto e sottile, piccola Stato di conservazione: Frammentario
bocca chiusa; corta barba riccioluta e Cronologia: Sec. II a.C.
bafi che scendono ai lati della bocca Bibliograia: guaLandi 1996, pp.
con due riccioli a chiocciola; i capel- 187-205, igg. 1-8.
li incorniciano il volto con ciocche Fotografo: Dessì, Pierluigi
ondulate che spuntano sotto la leontè. Compilatore: Pilo, Chiara

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La Sardegna Romana

1.124 - Bambola snodabile che e affusolate; il piede è reso in


Numero Catalogo Generale: 00162754 maniera sommaria. Sopra la testa
Numero inventario: 4351 è un appiccagnolo forato a crudo.
Provenienza: Porto Torres (SS) Le gambe e la tunica, quasi in cor-
via Cavour - angolo via Libio rispondenza dell’orlo, presentano
sepoltura ad inumazione fori, realizzati a crudo, attraverso i
Collocazione: Porto Torres (SS) quali doveva passare un perno at-
Museo Archeologico Nazionale torno al quale le gambe stesse do-
Antiquarium Turritano vevano ruotare. Argilla e supericie
Oggetto: Bambola snodabile arancione, ruvida.
Materia e tecnica: Argilla/ a stampo Stato di conservazione: Intero
Misure: h 17; largh. 7,2; spess. 3,9 Cronologia: Sec. I d.C.
Descrizione: Esemplare rafigurante Bibliograia: Manconi & PandoLFi
un soldato vestito con un pesante 1997, pp. 88-93; Manconi 2001,
mantello con cappuccio che copre p. 94.
la testa, incornicia il volto e scende Fotografo: Dessì, Pierluigi
ino a recuperare la lunghezza della Compilatore: Defrassu, Pierangela
corta tunica. Il soldato tiene lo scu-
do con la mano sinistra mentre la
destra si intravede sotto il mantello.
Le gambe snodabili sono cilindri-

1.125 - Campanello 1.126 - Ex voto anatomico Bibliograia: caMPus 1994, pp. 143-
Numero Catalogo Generale: 00163196 Numero Catalogo Generale: 00162910 146, tavv. XXV-XXVIII, igg. 148-
Numero inventario: 5115 Numero inventario: 27500 169; garBati 2008.
Provenienza: Sant’Antioco (CI) Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe Fotografo: Dessì, Pierluigi
necropoli di Is Pirixeddus Collocazione: Padria (SS) Compilatore: Cruccas, Emiliano
Collocazione: Sant’Antioco (CI) Museo Civico Archeologico
Museo Archeologico Comunale Oggetto: Ex voto anatomico
F. Barreca Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/
Oggetto: Campanello a stecca
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice Misure: h 11,2; largh. 9,8; spess. 0,8
Misure: h 7,1 Descrizione: Esemplare rafigurante
Descrizione: Campanello rafigurante una grande mano, cava interna-
il busto di uomo ammantato che mente, di cui residuano il palmo, il
porta alla bocca la siringa e la suona; dorso e la prima articolazione del-
capelli pettinati in avanti e barba. la dita dalla quale si deduce che la
Stato di conservazione: Mutilo mano era chiusa a pugno e l’indice
Cronologia: Sec. II d.C. teso. L’argilla è di colore rosato e
Bibliograia: BechtoLd 1999, p. 238, ben depurata con minuti inclusi mi-
nota 173. cacei e silicei.
Fotografo: Monari, Nicola Stato di conservazione: Mutilo
Compilatore: Puddu, Manuela Cronologia: Secc. IV/I a.C.

1.127 - Ex voto anatomico Fotografo: Dessì, Pierluigi 1.128 - Ex voto anatomico Stato di conservazione: Intero
Numero Catalogo Generale: 00162911 Compilatore: Cruccas, Emiliano Numero Catalogo Generale: 00162912 Cronologia: Secc. IV/I a.C.
Numero inventario: 27657 Numero inventario: 27625 Bibliograia: tore 1975; caMPus
Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe 1994, p. 153, tav. XXXII, ig. 217;
Collocazione: Padria (SS) Collocazione: Padria (SS) garBati 2008.
Museo Civico Archeologico Museo Civico Archeologico Fotografo: Dessì, Pierluigi
Oggetto: Ex voto anatomico Oggetto: Ex voto anatomico Compilatore: Cruccas, Emiliano
Materia e tecnica: Argilla/ a mano/ Materia e tecnica: Argilla/ a mano/
lisciatura a stecca lisciatura a stecca
Misure: h 5,5; largh. 6; spess. 2 Misure: h 9,8; largh. 10,2; spess. 3,4
Descrizione: Esemplare rafigurante Descrizione: Esemplare rafigurante
una mano con tre dita residue divi- un piede destro con parte interna
se da profondi solchi, leggermente appiattita e parte esterna con evi-
arcuate, unghie rese schematica- denziati l’alluce e la pianta che pog-
mente. gia su una suola sottile. La gamba
Argilla beige chiara. e il piede sono ricoperti da uno
Stato di conservazione: Mutilo stivaletto che lascia intravedere le
Cronologia: Secc. IV/I a.C. parti anatomiche dell’arto. La terra-
Bibliograia: tore 1975; caMPus cotta è rossastra con parti di colore
1994, p. 146, tav. XXVII, ig. 146; grigio. Sono evidenti diversi inclusi
garBati 2008. micacei e silicei.

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La Sardegna Romana

1.129 - Ex voto anatomico Fotografo: Dessì, Pierluigi 1.130 - Ex voto anatomico


Numero Catalogo Generale: 00162915 Compilatore: Cruccas, Emiliano Numero Catalogo Generale: 00162913
Numero inventario: Assente Numero inventario: Assente
Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe
Collocazione: Padria (SS) Collocazione: Padria (SS)
Museo Civico Archeologico Museo Civico Archeologico
Oggetto: Ex voto anatomico Oggetto: Ex voto anatomico
Materia e tecnica: Argilla/ a stampo/ Materia e tecnica: Argilla/ a mano/
ritocco a stecca lisciatura a stecca
Misure: largh. 7,7; lungh. 9,1; spess. 2,8 Misure: h 3,7; largh. 4,7; spess. 0,7
Descrizione: Occhio ittile umano, Descrizione: Esemplare rafigurante
con pupilla e palpebra ben model- una mammella femminile con ca-
late; posteriormente presenta un pezzolo evidenziato. Argilla rosa
foro circolare. Argilla ben depurata con inclusi silicei e micacei.
di colore grigio, con minuti inclusi Stato di conservazione: Mutilo
silicei e micacei. Cronologia: Secc. IV/I a.C.
Stato di conservazione: Lacunoso Bibliograia: tore 1975; coMeLLa
Cronologia: Secc. IV/I a.C. 1982, pp. 131-132, tav. 82 d-e; gar-
Bibliograia: tore 1975; caMPus Bati 2008.
1994, p. 141, tav. XXIV, igg. 133- Fotografo: Dessì, Pierluigi
134; garBati 2008. Compilatore: Cruccas, Emiliano

1.131 - Ex voto anatomico Fotografo: Dessì, Pierluigi 1.132 - Ex voto zoomorfo Stato di conservazione: Mutilo
Numero Catalogo Generale: 00162914 Compilatore: Cruccas, Emiliano Numero Catalogo Generale: 00162916 Cronologia: Secc. IV/I a.C.
Numero inventario: 17288 Numero inventario: Assente Bibliograia: tore 1975; caMPus
Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe 1994, p. 141, tavv. XXXVII-
Collocazione: Padria (SS) Collocazione: Padria (SS) XXXVIII, igg. 260, 262-263.
Museo Civico Archeologico Museo Civico Archeologico Fotografo: Dessì, Pierluigi
Oggetto: Ex voto anatomico Oggetto: Ex voto zoomorfo Compilatore: Cruccas, Emiliano
Materia e tecnica: Argilla/ a mano/ Materia e tecnica: Argilla/ a stampo/
lisciatura a stecca ritocco a stecca
Misure: h 8,2; largh. 6,3; spess. 3,6 Misure: h 10,3; largh. 5,2; spess. 1,1
Descrizione: Utero ittile cavo poste- Descrizione: Esemplare rafigurante
riormente, conformato a sella con una colomba della quale residua la
solcature laterali. Argilla rossastra testa, cava internamente, con becco
all’interno e grigiastra sulla superi- frantumato nella punta. Gli occhi,
cie esterna; sono evidenti numerosi di forma rotondeggiante, sono ap-
inclusi silicei e micacei. pena accennati, mentre l’attacca-
Stato di conservazione: Mutilo tura tra collo e spalla è segnata da
Cronologia: Secc. IV/I a.C. una risega; rimane anche la parte
Bibliograia: tore 1975; caMPus posteriore del collo. Argilla rosata
1994, p. 155, tav. XXXIII, ig. 230; con parti grigiastre e piccoli inclusi
garBati 2008. silicei e micacei.

1.133 - Ex voto zoomorfo 1.134 - Ex voto zoomorfo


Numero Catalogo Generale: 00162919 Numero Catalogo Generale: 00162917
Numero inventario: Assente Numero inventario: 27713
Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe
Collocazione: Padria (SS) Collocazione: Padria (SS)
Museo Civico Archeologico Museo Civico Archeologico
Oggetto: Ex voto zoomorfo Oggetto: Ex voto zoomorfo
Materia e tecnica: Argilla/ a mano Materia e tecnica: Argilla/ a stampo/
Misure: lungh. 7,4; spess. 2,1 ritocco a stecca
Descrizione: Esemplare rafigurante Misure: lungh. 24,3; spess. 2,3
un galletto con testa e becco rivol- Descrizione: Esemplare rafigurante
ti all’insù, con gli occhi resi da due un serpente. Argilla di colore rossa-
incavi, i due bargigli e le orecchie. stro con tracce di colore grigio.
Argilla rosata con parti grigiastre; Stato di conservazione: Mutilo
inclusi micacei e silicei. Cronologia: Secc. IV/I a.C.
Stato di conservazione: Frammentario Bibliograia: tore 1975; Bernardini
Cronologia: Secc. IV/I a.C. & zucca 2005, p. 291, n. 42.
Bibliograia: tore 1975; caMPus Fotografo: Dessì, Pierluigi
1994, p. 159, tav. XXXVII, ig. 258. Compilatore: Cruccas, Emiliano
Fotografo: Dessì, Pierluigi
Compilatore: Cruccas, Emiliano

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La Sardegna Romana

1.135 - Ex voto zoomorfo Fotografo: Dessì, Pierluigi 1.136 - Ex voto miniaturistico


Numero Catalogo Generale: 00162918 Compilatore: Cruccas, Emiliano Numero Catalogo Generale: 00162920
Numero inventario: 27592 Numero inventario: 22113
Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe Provenienza: Padria (SS), San Giuseppe
Collocazione: Padria (SS) Collocazione: Padria (SS)
Museo Civico Archeologico Museo Civico Archeologico
Oggetto: Ex voto zoomorfo Oggetto: Ex voto miniaturistico
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice Materia e tecnica: Argilla/ a mano
Misure: largh. 6,2; lungh. 4,2; spess. 0,6 Misure: lungh. 8; spess. 2,6
Descrizione: Esemplare rafigurante Descrizione: Clava ittile con protu-
un guscio di un riccio di mare. La su- beranze. Argilla rosata con macchie
pericie esterna presenta una partitu- nerastre e supericiali; numerosi in-
ra a solchi radiali che si congiungono clusi micacei di piccole dimensioni.
al centro in un bottone emisferico Stato di conservazione: Frammentario
buccellato. L’argilla è depurata, di Cronologia: Secc. IV/I a.C.
colore nocciola con parti grigiastre e Bibliograia: tore 1975; caMPus
piccoli inclusi silicei e micacei. 1994, p. 157, tav. XXXV, ig. 243;
Stato di conservazione: Frammentario Bernardini & zucca 2005, pp.
Cronologia: Secc. IV/I a.C. 290-291, n. 41.
Bibliograia: tore 1975; BeLL 1981, Fotografo: Dessì, Pierluigi
pp. 228, n. 898, tav. 134, 898. Compilatore: Cruccas, Emiliano

1.137 - Scudo miniaturistico lari isolati dal motivo a treccia sono


Numero Catalogo Generale: 00162780 evidenziati da due cornici in rilievo;
Numero inventario: 24016-13094 al centro vi è un elemento romboi-
Provenienza: Porto Torres (SS) dale anch’esso in rilievo. Sul lato
Terme centrali, criptoportico corto residua parte del punto di
Collocazione: Porto Torres (SS) contatto tra la statuina e lo scudo.
Museo Archeologico Nazionale Stato di conservazione: Intero
Antiquarium Turritano Cronologia: Secc. III/VII d.C.
Oggetto: Scudo miniaturistico Bibliograia: Manconi 2001, p. 95.
Materia e tecnica: Argilla/ a stampo Fotografo: Dessì, Pierluigi
Misure: h 2,5; largh. 6,2; lungh. 10,2; Compilatore: Defrassu, Pierangela
spess. 0,3
Descrizione: Scudo di forma rettan-
golare pertinente ad una statuina
di gladiatore. La supericie ester-
na, convessa, è quadripartita da un
motivo a treccia che segue tutto
il perimetro dello scudo stesso; il
perimetro esterno è sottolineato
da un leggero ispessimento della
supericie mentre i campi rettango-

1.138 - Lastra di rivestimento cavalli slanciati nella corsa e deco-


Numero Catalogo Generale: 00163076 rata lateralmente da girali. Argilla
Numero inventario: 5311 beige, abbastanza depurata.
Provenienza: Padria (SS), area di Santa Stato di conservazione: Ricomposto
Croce, ediicio templare alle pendici Cronologia: Secc. I a.C./I d.C.
meridionali del colle di San Paolo. Bibliograia: BorBein 1968; Storia Sar-
Collocazione: Cagliari degna 2005, p. 304; stoPPoni 2006,
Museo Archeologico Nazionale pp. 234 259-262 nn. 207.1a-n.
Oggetto: Lastra di rivestimento Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Compilatore: Pilo, Chiara
ritocco a stecca
Misure: h 32; largh. 49,3; spess. 5,5;
h fregio superiore 7; h campo igu-
rato 22; h listello inferiore 2.
Descrizione: Elemento rettangolare
coronato da una cornice costituita
da un listello aggettante e un kyma
ionico tra due listelli più sottili. Nel
campo centrale è rappresentata una
Nike di proilo, con la testa girata
di tre quarti, su biga trainata da due

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La Sardegna Romana

1.139 - Coppa 1.140 - Calice solo parte di un grosso pesce di proi-


(Isings 42a) Numero Catalogo Generale: 00039087 lo. Un ilamento vitreo è applicato sot-
Numero Catalogo Generale: 00039061 Numero inventario: 2452/3753 to l’orlo e uno sulla sommità del piede.
Numero inventario: 3751 Provenienza: Sconosciuta Vetro incolore, trasparente.
Provenienza: Sconosciuta (collezione municipale di Sassari) Stato di conservazione: Ricomposto
(collezione municipale di Sassari) Collocazione: Sassari Cronologia: Sec. III d.C.
Collocazione: Sassari Museo Nazionale G.A. Sanna Bibliograia: Lissia 2000, p. 62 n. 65,
Museo Nazionale G.A. Sanna Oggetto: Calice igg. a pp. 77-78 nn. 65-65b.
Oggetto: Coppa Materia e tecnica: Vetro/ sofiatura/ Fotografo: Dessì, Pierluigi
Materia e tecnica: Vetro/ sofiatura molatura Compilatore: Pilo, Chiara
Misure: h 5,6; diam. 11,2; diam. piede 6 Misure: h 20,6; diam. orlo 8,6; diam.
Descrizione: Esemplare tipo Isings piede 8,9
42a, con orlo svasato, labbro arro- Descrizione: Calice con orlo indistinto
tondato, vasca emisferica e fondo e bordo arrotondato, alto corpo cilin-
con piede ad anello. Vetro blu. drico rastremato verso il basso, tozzo
Stato di conservazione: Intero stelo globulare e piede a disco a pro-
Cronologia: Secc. I/IV d.C. ilo campaniforme con orlo tubolare.
Bibliograia: Lissia 2000, p. 60 n. 57, La supericie esterna presenta una de-
ig. a p. 74 nn. 57-57b. corazione itomorfa realizzata a mola
Fotografo: Dessì, Pierluigi in alto e, al di sotto, una decorazione
Compilatore: Pilo, Chiara dipinta a soggetto marino, che conserva

1.141 - Bicchiere cilindrico iscritto di motivi formati da due cerchi


(Stiafini-Borghetti 426) concentrici uniti da linee; completa
Numero Catalogo Generale: 00163190 la decorazione un motivo a spina di
Numero inventario: 5136 pesce che corre in verticale lungo
Provenienza: Cornus (Cuglieri - OR) tutta la parete.
Collocazione: Cagliari Stato di conservazione: Parzialmente
Museo Archeologico Nazionale ricomposto
Oggetto: Bicchiere cilindrico Cronologia: Sec. I d.C.
Materia e tecnica: Vetro/ sofiatura a Bibliograia: stiaFFini & Borghetti
matrice 1994, pp. 78-79, n. 426, tav. 105.
Misure: h 5,5; diam. 6,9; diam. base 6,3 Fotografo: Monari, Nicola
Descrizione: Esemplare tipo Stiaf- Compilatore: Puddu, Manuela
ini-Borghetti 426, di colore giallo
pallido, sofiato in stampo bipar-
tito, di forma cilindrica. L’orlo è
estrolesso e tagliato a spigolo vivo.
La decorazione si dispone su due
fasce orizzontali, inframmezzate da
una terza contenente un’iscrizione
a rilievo in greco (trascrizione: Labe
ten neiken): è costituita da una serie

1.142 - Bicchiere pato da una decorazione a rilievo


Numero Catalogo Generale: 00162758 disposta su tre registri. Nel primo,
Numero inventario: Assente immediatamente sotto il listello,
Provenienza: Porto Torres (SS) elementi loreali si alternano entro
via Cavour - angolo via Libio le pieghe morbide di una voluta;
sepoltura ad incinerazione nei due registri successivi, i mede-
Collocazione: Porto Torres (SS) simi elementi loreali sono inseriti
Museo Archeologico Nazionale negli spazi di risulta di un meandro.
Antiquarium Turritano Patina avorio su tutta la supericie.
Oggetto: Bicchiere Stato di conservazione: Ricomposto
Materia e tecnica: Vetro/ sofiatura a Cronologia: Secc. I/II d.C.
matrice Bibliograia: stiaFFini & Borghetti
Misure: h 13,6; largh. 5,5; diam. 7,2; 1994, pp. 140-141, tavv. 104-106;
spess. 1 Manconi & PandoLFi 1997, pp.
Descrizione: Esemplare di forma co- 88-93.
nica, rastremata verso il basso, su Fotografo: Dessì, Pierluigi
un piccolo piede presumibilmente Compilatore: Defrassu, Pierangela
a disco, labbro arrotondato, orlo
leggermente estrolesso poco al di
sotto del quale è presente un listel-
lo appena rilevato. Il corpo è occu-

355
La Sardegna Romana

1.143 - Hydria Stato di conservazione: Parzialmente 1.144 - Olla Fotografo: Dessì, Pierluigi
(Calvi D 7) ricomposto Numero Catalogo Generale: 00099444 Compilatore: Defrassu, Pierangela
Numero Catalogo Generale: 00039054 Cronologia: Secc. I/II d.C. Numero inventario: 12970
Numero inventario: 3727 Bibliograia: Lissia 2000, p. 58 n. 50, Provenienza: Porto Torres (SS)
Provenienza: Sconosciuta ig. a p. 67 n. 50. Collocazione: Porto Torres (SS)
Collocazione: Sassari Fotografo: Dessì, Pierluigi Museo Archeologico Nazionale
Museo Nazionale G.A. Sanna Compilatore: Pilo, Chiara Antiquarium Turritano
Oggetto: Hydria Oggetto: Olla
Materia e tecnica: Vetro/ sofiatura Materia e tecnica: Vetro/ sofiatura
Misure: h 11,6; diam. orlo 6,6; diam. Misure: h 16,4; largh. 16,2; diam.
fondo 8 14,2; spess. 0,7
Descrizione: Esemplare tipo Cal- Descrizione: Esemplare con largo collo
vi D 7, con orlo a tesa ripiegato ribattuto all’interno e ripiegato oriz-
e appiattito superiormente, corto zontalmente, breve collo imbutifor-
collo rigonio, corpo cubico con me, corpo ovoidale, base concava.
spigoli arrotondati, fondo piano Vetro verde-azzurro; residuano spa-
leggermente concavo; l’ansa a na- rute tracce di una patina iridescente.
stro, ripiegata, si imposta sul collo Stato di conservazione: Intero
immediatamente sotto l’orlo e sulla Cronologia: Secc. I/II d.C.
spalla. Vetro naturale color azzurro Bibliograia: Manconi 1999, pp. 12,
chiaro. 40, ig. s.n.

1.145 - Olla piegato verso il basso, proilo piat- 1.146 - Olla


(Rofia 384-386; 388-391) to e presa a collo di bottiglia. Vetro Numero Catalogo Generale: 00163191
con coperchio (Calvi gruppo alfa) naturale color verde-azzurro. Numero inventario: Assente
Numero Catalogo Generale: 00039039 Stato di conservazione: Integro Provenienza: Cornus (Cuglieri - OR)
Numero inventario: 2348/3708 Cronologia: Secc. I/II d.C. Collocazione: Cagliari
Provenienza: Cornus (Cuglieri - OR) Bibliograia: Lissia 2000, p. 35 n. 43, Museo Archeologico Nazionale
Collocazione: Sassari igg. a pp. 52-53 nn. 43-43b. Oggetto: Olla
Museo Nazionale G.A. Sanna Fotografo: Dessì, Pierluigi Materia e tecnica: Vetro/ sofiatura
Oggetto: Olla Compilatore: Pilo, Chiara Misure: h 16,4; diam. bocca 13,5;
Materia e tecnica: Vetro/ sofiatura diam. base 8,5
Misure: h 21,7; diam. 20,7; diam. Descrizione: Manufatto di colore
orlo olla 18,2; diam. orlo coperchio verde chiaro, con largo orlo ribat-
14; h coperchio 6,2 tuto all’esterno e ripiegato obliqua-
Descrizione: Esemplare di olla tipo mente. Il corpo è ovoidale su base
Rofia 384-386; 388-391, con orlo concava.
estrolesso ripiegato verso il bas- Stato di conservazione: Intero
so a formare un anello tubolare Cronologia: Secc. I/II d.C.
schiacciato irregolare; corpo glo- Bibliograia: stiaFFini & Borghetti
bulare schiacciato e fondo piano 1994, p. 44, n. 107.
leggermente concavo. Coperchio Fotografo: Monari, Nicola
tipo Calvi gruppo alfa, con orlo ri- Compilatore: Puddu, Manuela

1.147 - Balsamario Stato di conservazione: Intero 1.148 - Balsamario conigurato


Numero Catalogo Generale: 00162757 Cronologia: Sec. II d.C. (Isings 78e)
Numero inventario: 64371 Bibliograia: stiaFFini & Borghetti Numero Catalogo Generale: 00039101
Provenienza: Porto Torres (SS) 1994, p. 119, tav. 30; Manconi & Numero inventario: 3777
via Cavour - angolo via Libio PandoLFi 1997, pp. 88-93. Provenienza: Porto Torres (SS)
tomba 278 381/99 Fotografo: Dessì, Pierluigi Collocazione: Sassari
Collocazione: Porto Torres (SS) Compilatore: Defrassu, Pierangela Museo Nazionale G.A. Sanna
Museo Archeologico Nazionale Oggetto: Balsamario conigurato
Antiquarium Turritano Materia e tecnica: Vetro/ sofiatura a
Oggetto: Balsamario matrice
Materia e tecnica: Vetro/ sofiatura Misure: h 7,4; largh. 5,1.
Misure: h 15,2; largh. 8,6; diam. 3,9; Descrizione: Esemplare conigurato
spess. 0,3 a grappolo d’uva tipo Isings 78e,
Descrizione: Orlo ribattuto all’ester- con attacco del collo cilindrico.
no e ripiegato orizzontalmente, Vetro verde.
labbro arrotondato, alto collo ci- Stato di conservazione: Mutilo
lindrico leggermente strozzato alla Cronologia: Secc. I/II d.C.
base; corpo a bulbo su base piana. Bibliograia: Lissia 2000, p. 34 n. 35,
La supericie esterna, di colore ver- ig. a p. 48 nn. 35-35b.
dastro, conserva in corrispondenza Fotografo: Dessì, Pierluigi
dell’orlo una patina iridescente. Compilatore: Pilo, Chiara

356
La Sardegna Romana

1.149 - Vaso miniaturistico de è distinto, raccordato al corpo


Numero Catalogo Generale: 00002426 da un anello rilevato. La supericie
Numero inventario: 115/865/3977 è liscia, priva di decorazioni.
Provenienza: La Maddalena (OT) Stato di conservazione: Integro
Isola di Spargi, relitto romano Cronologia: Sec. II a.C.
Collocazione: Sassari Bibliograia: PaLLarés 1986, pp. 89-102.
Museo Nazionale G.A. Sanna Fotografo: Dessì, Pierluigi
Oggetto: Vaso miniaturistico Compilatore: Trudu, Enrico
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a
stampo/ riinitura a freddo
Misure: h 10,5; diam. 6,6; diam. orlo
6,4; diam. piede 3,1.
Descrizione: Esemplare con orlo
estrolesso, con applicati due pas-
santi a proilo quadrangolare con
foro a sezione circolare, sui quali
è inserito un manico semicircolare
basculante. Il collo e la spalla han-
no proilo curvo, distinto dal corpo
da una scanalatura incisa. Il corpo
ha proilo affusolato ogivale; il pie-

1.150 - Statua maschile votiva riore è liscia e non lavorata. Potreb-


Numero Catalogo Generale: 00163119 be trattarsi di una rafigurazione
Numero inventario: Assente del dio Asclepio.
Provenienza: Porto Torres (SS) Stato di conservazione: Mutilo
Collocazione: Sassari Cronologia: Sec. I d.C.
Museo Nazionale G.A. Sanna Bibliograia: equini schneider
Oggetto: Statua votiva 1979, p. 18, tav. III.
Materia e tecnica: Marmo/ scalpella- Fotografo: Dessì, Pierluigi
tura/ a gradina/ levigatura Compilatore: Trudu, Enrico
Misure: h 100; largh. 46
Descrizione: personaggio maschile
di dimensioni inferiori al naturale,
vestito del solo himation che, drap-
peggiato sulla spalla sinistra e sul
braccio, scende a coprire la parte
inferiore del corpo, lasciando nudi
il torso ed il braccio destro. Il grup-
po di pieghe al di sotto del petto,
poggia sull’avambraccio sinistro
che trattiene il mantello sulla gam-
ba sinistra, libera. La parte poste-

1.151 - Bronzetto votivo di Lare Fotografo: Monari, Nicola


Numero Catalogo Generale: 00163186 Compilatore: Puddu, Manuela
Numero inventario: 21023
Provenienza: Gesturi (VS)
Collocazione: Cagliari
Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Bronzetto votivo
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione
Misure: h 8,4
Descrizione: Bronzetto votivo di i-
gura maschile danzante, con corta
tunica pieghettata e calzature chiuse.
Con la mano destra sollevata tiene
un rhyton con estremità a forma di
muso di cane; nella mano sinistra
una patera.
Stato di conservazione: Mutilo
Cronologia: Sec. I d.C.
Bibliograia: di niro 1978, pp. 62-
63, n. 24, tav. XXVI; PorteLa
FiLgueiras 1984, pp. 168-170.

357
La Sardegna Romana

1.152 - Bronzetto votivo nella categoria dei gladiatori scutati.


di gladiatore Stato di conservazione: Mutilo
Numero Catalogo Generale: 00114727 Cronologia: Sec. II d.C.
Numero inventario: 10761 Bibliograia: angioLiLLo 1989, p.
Provenienza: Mogorella (OR) 214, n. 18.
Collocazione: Cagliari Fotografo: Monari, Nicola
Museo Archeologico Nazionale Compilatore: Puddu, Manuela
Oggetto: Bronzetto
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione
Misure: h 8,3
Descrizione: Bronzetto di igura ma-
schile stante, con la mano destra
all’altezza del capo ad impugnare una
spada di cui rimane solo l’elsa e la
sinistra all’altezza del ianco (doveva
reggere uno scudo). Indossa il peri-
zoma sostenuto dal balteus, una pro-
tezione legata al torso per il braccio
e la spalla destra e l’elmo completa-
mente chiuso tranne che sugli occhi.
Rafigura un secutor, che si fa rientrare

1.153 - Bronzetto votivo Bibliograia: angioLiLLo 1989, pp.


di Aristeo 213-214, n. 17.
Numero Catalogo Generale: 00163185 Fotografo: Monari, Nicola
Numero inventario: Assente Compilatore: Puddu, Manuela
Provenienza: Oliena (NU)
salto di Dule
Collocazione: Cagliari
Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Bronzetto votivo
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a
stampo
Misure: h 16
Descrizione: Bronzetto votivo di gio-
vane nudo, stante, con i capelli rac-
colti sulla sommità del capo e in due
trecce annodate sulla nuca che scen-
dono sulle spalle. Sulla pancia, sulle
spalle e ai lati del collo sono posate
simmetricamente cinque api.
Stato di conservazione: Mutilo
Cronologia: Età romana imperiale

1.154 - Bronzetto votivo ria, con pieghe ben deinite solo nel
di Minerva bordo esterno; nel petto si riconosce
Numero Catalogo Generale: 00002418 un’egida, decorata frontalmente con
Numero inventario: 104/392/3952 una testa di gorgone a rilievo.
Provenienza: Perfugas (SS) Stato di conservazione: Mutilo
Collocazione: Sassari Cronologia: Età romana imperiale
Museo Nazionale G.A. Sanna Bibliograia: Boninu 1986, p. 145.
Oggetto: Statuetta votiva Fotografo: Dessì, Pierluigi
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a Compilatore: Trudu, Enrico
cera persa/ riinitura a freddo
Misure: h 11; largh. 2,8
Descrizione: Bronzetto votivo. La i-
gura, sproporzionata, è dotata di un
elmo di tipo greco privo di visiera
sormontato da un ampio pennac-
chio a sezione triangolare rovesciata
che ricade posteriormente ino al
collo. Il viso è rivolto verso destra e
lievemente piegato, in atteggiamento
patetico. Il corpo è avvolto in un lun-
go chitone reso in maniera somma-

358
La Sardegna Romana

1.155 - Bronzetto votivo occhi appena accennati, ed è carat-


di Esculapio o di suo sacerdote terizzato da lunga barba riccioluta,
Numero Catalogo Generale: 00002573 bafi e folta capigliatura, in parte
Numero inventario: 19129/3951 contenuta nell’hymation.
Provenienza: Sconosciuta Stato di conservazione: Intero
Collocazione: Sassari Cronologia: Secc. I a.C./I d.C.
Museo Nazionale G.A. Sanna Bibliograia: Boninu 1986, p. 145.
Oggetto: Statuetta votiva Fotografo: Dessì, Pierluigi
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a Compilatore: Trudu, Enrico
cera persa/ riinitura a freddo
Misure: h 8,6; largh. 2,6; h testa 1,6
Descrizione: Bronzetto votivo di un
personaggio maschile rafigurato in
posizione di riposo, con le gambe
leggermente divaricate; il corpo e la
testa sono completamente avvolti
da un ampio hymation panneggiato
e ben delineato, con pieghe leggere
e aderenti che creano una sorta di
balteum all’altezza del petto. Il volto
è ben delineato, con naso, bocca ed

1.156 - Bronzetto votivo Il torso è possente, con muscolatu-


di Ercole con la clava ra ben deinita.
Numero Catalogo Generale: 00097554 Stato di conservazione: Integro
Numero inventario: 804/3930 Cronologia: Età romana imperiale
Provenienza: Ossi (SS) Bibliograia: Boninu 1986, p. 145,
Collocazione: Sassari ig. 215.
Museo Nazionale G.A. Sanna Fotografo: Dessì, Pierluigi
Oggetto: Statuetta votiva Compilatore: Trudu, Enrico
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a
cera persa/ riinitura a freddo
Misure: h 7,3; largh. 3,5
Descrizione: Bronzetto votivo di un
personaggio maschile stante e in
posizione di riposo, con la gamba
sinistra lievemente piegata; il brac-
cio destro è appoggiato sulla clava,
quello sinistro, piegato, regge la le-
ontè. Il viso è ampio ed espressivo,
con barba lunga e riccioluta e lab-
bra marcate; il capo è cinto da una
corona di foglie di pioppo bianco.

1.157 - Applique 1.158 - Strigile Fotografo: Dessì, Pierluigi


Numero Catalogo Generale: 00163184 Numero Catalogo Generale: 00163107 Compilatore: Trudu, Enrico
Numero inventario: 69992s Numero inventario: OMA 299
Provenienza: Fluminimaggiore (CI) Provenienza: Olbia
tempio del Sardus Pater di Antas necropoli Joanne Canu
Collocazione: Cagliari Collocazione: Olbia
Museo Archeologico Nazionale Museo Archeologico
Oggetto: Applique Oggetto: Strigile
Materia e tecnica: Bronzo/ a matrice Materia e tecnica: Bronzo/ forgiatura
Misure: largh. 3,6; lungh. 11 Misure: largh. 1,4; lungh. 20; lungh.
Descrizione: Manufatto a forma di manico 10; lungh. ligula 9,6
delino con un foro circolare al Descrizione: Strigile forgiato in un unico
centro. pezzo. Il manico o capulus, ampio e a
Stato di conservazione: Mutilo proilo rettangolare, è saldato sul dorso
Cronologia: Età romana imperiale del cucchiaio o ligula, aperto e di sezio-
Bibliograia: angioLiLLo 1995, pp. ne più ampia del manico. Il manufatto
333-4, n. 39, ig. 19. si presenta semplice e non decorato.
Fotografo: Monari, Nicola Stato di conservazione: Mutilo
Compilatore: Puddu, Manuela Cronologia: Sec. II a.C.
Bibliograia: Levi 1950, pp. 17 ss.,
tav. X, ig. a.

359
La Sardegna Romana

1.159 - Falce 1.160 - Specchio


Numero Catalogo Generale: 00162802 Numero Catalogo Generale: 00002469
Numero inventario: Assente Numero inventario:
Provenienza: Fluminimaggiore (CI) 3991/1290/2100/453
tempio del Sardus Pater di Antas Provenienza: Sconosciuta
Collocazione: Cagliari (collezione Vincenzo Dessì)
Museo Archeologico Nazionale Collocazione: Sassari
Oggetto: Falce Museo Nazionale G.A. Sanna
Materia e tecnica: Bronzo/ forgiatura Oggetto: Specchio
Misure: largh. 2,8; lungh. 10 Materia e tecnica: Bronzo/ fusione
Descrizione: Piccolo attrezzo con tre Misure: h 19,2; largh. 16,2
fori per il issaggio del manico. Descrizione: Manufatto circolare con
Stato di conservazione: Integro codolo trapezoidale con foro pas-
Cronologia: Secc. II/III d.C. sante per l’afissione del manico;
Bibliograia: angioLiLLo 1995, pp. tracce di argentatura.
329-339. Stato di conservazione: Integro
Fotografo: Monari, Nicola Cronologia: Età romana imperiale
Compilatore: Sulis, Roberta Fotografo: Dessì, Pierluigi
Compilatore: Pilo, Chiara

1.161 - Specchio Il manico è decorato a rilievo da un 1.162 - Ceppo di ancora


Numero Catalogo Generale: 00002547 motivo tortile e da elementi cuori- Numero Catalogo Generale: 00162841
Numero inventario: 4005/183/2285 formi con globetti inscritti. Numero inventario: Assente
Provenienza: Tharros (Cabras - OR) Stato di conservazione: Intero Provenienza: Sconosciuta
Collocazione: Sassari Cronologia: Età romana Collocazione: Cagliari
Museo Nazionale G.A. Sanna Bibliograia: Boninu 1986, p. 156. Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Specchio Fotografo: Dessì, Pierluigi Oggetto: Ancora
Materia e tecnica: Piombo/ fusione/ Compilatore: Trudu, Enrico Materia e tecnica: Piombo/martellatura
laminatura/ a sbalzo Misure: h 9,5; largh. 10; lungh. 136,4
Misure: h 16; largh. 8,9; lungh. ma- Descrizione: Strumento di ormeggio
nico 5.5; diam. disco decorato 6 a due bracci simmetrici.
Descrizione: Il manufatto si presen- Stato di conservazione: Integro
ta conformato a disco, con sottile Cronologia: Età romana
manico cilindrico rinforzato all’at- Bibliograia: aviLia 2007.
taccatura da un elemento a V con Fotografo: Monari, Nicola
terminazioni arrotondate. La par- Compilatore: Sulis, Roberta
te centrale è occupata da un busto
femminile lavorato a sbalzo; attorno
alla igura si dispongono un crescen-
te lunare, una stella, un ago crinale
e alcuni elementi di dificile lettura.

1.163 - Ceppo di ancora Cronologia: Età romana imperiale 1.164 - Scandaglio Fotografo: Dessì, Pierluigi
Numero Catalogo Generale: 00031116 Bibliograia: Boninu 1986, pp. 152-153. Numero Catalogo Generale: 00163121 Compilatore: Trudu, Enrico
Numero inventario: 5832 Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero inventario: 60099
Provenienza: Stintino (SS) Compilatore: Trudu, Enrico Provenienza: Castelsardo (SS)
ritrovamento subacqueo ritrovamento subacqueo
Collocazione: Sassari Collocazione: Sassari
Museo Nazionale G.A. Sanna Museo Nazionale G.A. Sanna
Oggetto: Ancora/ceppo Oggetto: Scandaglio
Materia e tecnica: Piombo/ fusione a Materia e tecnica: Piombo/ fusione a
stampo stampo
Misure: largh. 30; lungh. 214; spess. Misure: largh. 10; lungh. 19; prof. 3
13; largh. bracci 17,5 Descrizione: Il manufatto presenta
Descrizione: Il ceppo, del tipo isso, è un proilo a campana, con anello
composto da due braccia rettilinee di sospensione semicircolare e cor-
a sezione quadrangolare e da un po pieno a sezione quadrangolare;
foro di issaggio centrale di proilo i lati corti hanno un proilo arro-
rettangolare. In posizione mediana tondato.
sono presenti due fori quadrango- Stato di conservazione: Intero
lari per l’inserimento della barra Cronologia: Età romana
centrale, non conservata. Bibliograia: oLeson 2000, pp. 293-
Stato di conservazione: Mutilo 311, ig. 8.

360
La Sardegna Romana

1.165 - Collana lato d’oro rivolte verso l’esterno.


Numero Catalogo Generale: 00002564 Stato di conservazione: Intero
Numero inventario: 4052/7697 Cronologia: Secc. II/III d.C.
Provenienza: Sorso (SS), Su Pidocciu Bibliograia: angioLiLLo 2000, p. 99,
Collocazione: Sassari ig. a p. 100 (destra).
Museo Nazionale G.A. Sanna Fotografo: Dessì, Pierluigi
Oggetto: Collana Compilatore: Pilo, Chiara
Materia e tecnica: Oro/ fusione/
granulazione
Misure: lungh. 66
Descrizione: Esemplare composto
da due lunghi ili, ciascuno dei
quali costituito da una successio-
ne di quattro maglie alternate ad
un grano in pasta vitrea blu scuro.
La chiusura avveniva mediante un
gancio ed un medaglione posti alle
estremità del monile. Il medaglio-
ne, di forma circolare, è lavorato
a giorno con una cornice iligra-
nata e due serie di pelte in proi-

1.166 - Orecchini con pendente memorie 2006, p. 547 n. II.1160, ig. 1.167 - Orecchini con pendente tati qui dalla pasta vitrea verde.
Numero Catalogo Generale: 00002561 II.1160. Numero Catalogo Generale: 00163203 Stato di conservazione: Intero
Numero inventario: 4056/7694 Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero inventario: Assente Cronologia: Sec. II d.C.
Provenienza: Alghero (SS) Compilatore: Pilo, Chiara Provenienza: Porto Torres (SS) Bibliograia: Manconi 1986, pp. 284-
Maristella - Porto Conte necropoli meridionale o di San Gavino 285, n. 378, ig. 378.
Collocazione: Sassari Collocazione: Porto Torres (SS) Fotografo: Dessì, Pierluigi
Museo Nazionale G.A. Sanna Museo Archeologico Nazionale Compilatore: Puddu, Manuela
Oggetto: Orecchini con pendente Antiquarium Turritano
Materia e tecnica: Oro/ fusione/ Oggetto: Orecchini con pendente
granulazione Materia e tecnica: Oro/ battitura; pa-
Misure: h 5,5 sta vitrea/ colatura a stampo; pietra
Descrizione: Esemplari costituiti da dura/ a intaglio
un anello in ilo d’oro liscio a cui Misure: h 2,7; largh. castone 1
è appeso un pendente rigido con Descrizione: Esemplari con castone
elemento piramidale decorato a rettangolare riempito con pasta
granulazione e un prisma in pietra vitrea verde; al di sotto un ele-
grigio-verde. mento metallico a forma di doppia
Stato di conservazione: Intero goccia ed un pendente amigdaloi-
Cronologia: Secc. I/III d.C. de in pietra dura nera. Si tratta di
Bibliograia: angioLiLLo 2000, p. 107, una versione più economica degli
ig. a p. 106 (in alto a destra); Roma orecchini in oro e smeraldi, imi-

1.168 - Orecchini con pendente superiore è ripiegata verso l’alto. Il 1.169 - Anello gemino
Numero Catalogo Generale: 00002556 disco è decorato ad intaglio con una Numero Catalogo Generale: 00097517
Numero inventario: 4062/7868/1255 serie di gocce disposte intorno ad un Numero inventario: 4049/7696
Provenienza: Olbia foro centrale e ad incisione sulla su- Provenienza: Sorso (SS), Su Pidocciu
Collocazione: Sassari pericie. Collocazione: Sassari
Museo Nazionale G.A. Sanna Stato di conservazione: Mutilo Museo Nazionale G.A. Sanna
Oggetto: Orecchini con pendente Cronologia: Secc. II/III d.C. Oggetto: Anello gemino
Materia e tecnica: Oro/ laminatura Bibliograia: angioLiLLo 2000, p. Materia e tecnica: Oro/ godronatura
Misure: h 3,5; diam. elemento 108, ig. a p. 106 (sotto). Misure: diam. 1,7; diam. anello
circolare 1,8 Fotografo: Dessì, Pierluigi minore 1,1
Descrizione: Esemplari al cui gancio Compilatore: Pilo, Chiara Descrizione: Due elementi anulari te-
per l’inserimento nell’orecchio è nuti assieme da un terzo anello più
applicato un disco in lamina d’oro, piccolo.
al centro del quale era issata con Stato di conservazione: Intero
un ilo dello stesso metallo una pie- Cronologia: Secc. II/III d.C.
tra ora perduta. Alla parte inferiore Bibliograia: angioLiLLo 2000, p.
del disco è applicata una barretta 109, ig. a p. 109 (destra).
orizzontale alla quale sono appesi Fotografo: Dessì, Pierluigi
mediante degli anelli di sospensione Compilatore: Pilo, Chiara
tre pendenti con verghetta a globetti
e castone in pietra rossa; l’estremità

361
La Sardegna Romana

1.170 - Anello digitale Bibliograia: Moda costume 2003, p. 1.171 - Anello digitale Stato di conservazione: Intero
Numero Catalogo Generale: 00163058 179 n. 310. (Guiraud 1a) Cronologia: Secc. I/II d.C.
Numero inventario: Assente Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero Catalogo Generale: 00097534 Bibliograia: scatozza horicht 1989,
Provenienza: Sconosciuta Compilatore: Pilo, Chiara Numero inventario: 4077/7252/1275 p. 55 n. 66.
Collocazione: Sassari Provenienza: Alghero (SS) Fotografo: Dessì, Pierluigi
Museo Nazionale G.A. Sanna Maristella - Porto Conte Compilatore: Pilo, Chiara
Oggetto: Anello digitale Collocazione: Sassari
Materia e tecnica: Oro/ fusione; Museo Nazionale G.A. Sanna
corniola/ a incisione Oggetto: Anello digitale
Misure: largh. 2,6 Materia e tecnica: Ferro/ fusione;
Descrizione: Esemplare con verga corniola/ a incisione
piena, internamente piatta ed ester- Misure: largh. 1,8
namente bombata, che si allarga Descrizione: Anello digitale tipo Gui-
in corrispondenza del castone, raud 1a, con sagoma leggermente
con decorazione costituita da un schiacciata e verga a sezione circo-
pigmeo di proilo verso sinistra, lare che si allarga in corrispondenza
appoggiato ad un bastone e con del castone. Pietra rosso scuro con
grossa cicala sulle spalle. Pietra ros- supericie piatta incassata nel casto-
so scuro. ne su cui compare una coppia di
Stato di conservazione: Intero cavalieri affrontati, uno con lancia,
Cronologia: Sec. I a.C. e al di sopra, stelle e luna.

1.172 - Ago crinale Cronologia: Sec. II d.C. 1.173 - Scafo di nave Cronologia: Sec. V d.C.
Numero Catalogo Generale: 00117063 Bibliograia: FaMà 1985, p. 240, tav. Numero Catalogo Generale: 00163057 Bibliograia: riccardi 2002, p. 1270,
Numero inventario: 158626 63, 1, igg. 150-151. Numero inventario: OMA 771 igg. 4a-c; 5; D’oriano 2002.
Provenienza: Sardara (VS) Fotografo: Monari, Nicola Provenienza: Olbia Fotografo: Dessì, Pierluigi
necropoli romana di Terr’e Cresia Compilatore: Carboni, Romina Collocazione: Olbia Compilatore: Pilo, Chiara
tomba n. 44 Museo Archeologico
Collocazione: Sardara (VS) Oggetto: Nave oneraria/scafo
Civico Museo Archeologico Materia e tecnica: Legno
Villa Abbas Misure: largh. 480; lungh. 1165
Oggetto: Ago crinale Descrizione: Scafo del relitto di nave
Materia e tecnica: Osso/a incisione/ oneraria R2, del quale si conser-
levigatura vano chiglia, ordinate, tavole di
Misure: h 14; spess. 0,9 fasciame esterno e dritto di pop-
Descrizione: Esemplare a forma af- pa. Le ordinate con madiere sono
fusolata, con estremità inferiore ap- alternate a mezze ordinate che si
puntita e parte superiore conigura- incontrano sulla chiglia; gli elemen-
ta a testa femminile con alta accon- ti delle ordinate sono intestati, al-
ciatura tipica dell’età lavia e busto cuni giuntati con parallele semplici.
rappresentato in modo sommario. I corsi del fasciame esterno sono
Stato di conservazione: Parzialmente connessi con mortase.
ricomposto Stato di conservazione: Frammentario

1.174 - Ancora 1.175 - Base di colonna Fotografo: Dessì, Pierluigi


Numero Catalogo Generale: 00162845 Numero Catalogo Generale: 00163200 Compilatore: Puddu, Manuela
Numero inventario: Assente Numero inventario: Assente
Provenienza: Sconosciuta Provenienza: Porto Torres (SS)
Collocazione: Cagliari Collocazione: Porto Torres (SS)
Museo Archeologico Nazionale Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Ancora Antiquarium Turritano
Materia e tecnica: Pietra/ taglio Oggetto: Colonna/base attica
Misure: h 62; largh. 20; lungh. 35,5 Materia e tecnica: Calcare/ scalpellatura
Descrizione: Manufatto litico di for- Misure: h 32,2; prof. 58,5; diam.
ma trapezoidale, con un unico foro. base colonna 53; h dado 10; largh.
Stato di conservazione: Integro dado (quadrato) 58, 5
Cronologia: Età romana Descrizione: Impostata su plinto,
Bibliograia: aviLia 2007. presenta alternanza di due tori e
Fotografo: Monari, Nicola una scozia.
Compilatore: Sulis, Roberta Elemento impiegato verosimil-
mente in uno degli ediici pubblici
di Turris Libisonis.
Stato di conservazione: Mutilo
Cronologia: Sec. I d.C.
Bibliograia: Manconi 2001, p. 61.

362
La Sardegna Romana

1.176 - Capitello dorico 1.177 - Capitello ionico Fotografo: Dessì, Pierluigi


Numero Catalogo Generale: 00162929 Numero Catalogo Generale: 00162931 Compilatore: Cruccas, Emiliano
Numero inventario: Assente Numero inventario: Assente
Provenienza: Torralba (SS) Provenienza: Torralba (SS)
Collocazione: Torralba (SS) Collocazione: Torralba (SS)
Museo della Valle dei Nuraghi Museo della Valle dei Nuraghi
del Logudoro-Meilogu del Logudoro-Meilogu
Oggetto: Colonna Oggetto: Colonna
Materia e tecnica: Arenaria/ scalpellatura Materia e tecnica: Arenaria/ scalpellatura
Misure: h 45,5; largh. 66,5; diam. 41,5 Misure: h 50,5; largh. 55; diam. 41
Descrizione: Parte di colonna con ca- Descrizione: Parte di colonna con ca-
pitello dorico, abaco e corto echino pitello ionico.
frammentari e fortemente abrasi. Le volute presentano lateralmente
Stato di conservazione: Frammentario un restringimento centrale sottoli-
Cronologia: Secc. III/II a.C. neato da una fascia. Echino spor-
Bibliograia: MaMeLi & nieddu 2005, gente verso l’esterno nella zona tra
pp. 38-39, igg. 1-2. le due volute.
Fotografo: Dessì, Pierluigi Stato di conservazione: Frammentario
Compilatore: Cruccas, Emiliano Cronologia: Sec. IV d.C. (?)
Bibliograia: PensaBene 1973, pp.
50-51, nn. 186, 191, 192, tav. XVI.

1.178 - Capitello ionico iore sporgente a quattro petali. Un


Numero Catalogo Generale: 00097704 collarino liscio separa l’echino dal
Numero inventario: 4906/7869 sommoscapo, ricavato nello stesso
Provenienza: Porto Torres (SS) blocco del capitello.
Collocazione: Sassari Stato di conservazione: Intero
Museo Nazionale G.A. Sanna Cronologia: Secc. I/II d.C.
Oggetto: Capitello ionico Bibliograia: nieddu 1992, pp. 52-
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ 53, ig. 21.
a gradina/ levigatura Fotografo: Dessì, Pierluigi
Misure: h 25; largh. 55; lungh. 55 Compilatore: Trudu, Enrico
Descrizione: Il manufatto presen-
ta quattro facce uguali con kyma
ionico a tre ovoli ben evidenziati
all’interno dei sottili gusci; le lan-
cette non presentano la forma a
freccia. Gli ovuli laterali sono co-
perti da semipalmette a tre lobi ben
distinti, con le estremità ricurve e
rivolte verso l’alto, originate dal
canale delle volute. Le spirali delle
volute terminano con un piccolo

1.179 - Capitello ionico gli stretti rocchetti sono decorati


Numero Catalogo Generale: 00099507 con due foglie d’acanto a lobi fra-
Numero inventario: 36171 stagliati, tenute insieme central-
Provenienza: Porto Torres (SS) mente da un nastro con i margini
Collocazione: Porto Torres (SS) sporgenti e una decorazione a fo-
Museo Archeologico Nazionale gliette a doppio contorno, recanti
Antiquarium Turritano una piccola scanalatura centrale. Il
Oggetto: Capitello ionico capitello dovette essere impiegato
Materia e tecnica: Marmo bianco/ verosimilmente in uno degli ediici
scalpellatura pubblici di Turris Libisonis.
Misure: h 22,5; diam. 36; lungh. 40; Stato di conservazione: Mutilo
largh. abaco 45,5 Cronologia: Sec. II d.C.
Descrizione: Elemento di colonna Bibliograia: equini schneider 1979,
con kyma ionico a tre ovuli conte- p. 47, n. 41, tav. XXXVIII.
nuti in un piccolo guscio e separati Fotografo: Dessì, Pierluigi
da grosse frecce; i due ovuli ester- Compilatore: Puddu, Manuela
ni sono in parte coperti ciascuno
da una palmetta caratterizzata da
quattro lunghi lobi. Le volute pre-
sentano un bordo rilevato e termi-
nano con un bottoncino a rilievo;

363
La Sardegna Romana

1.180 - Capitello d’anta ionico to sporgente e fortemente inciso. Il


Numero Catalogo Generale: 00163135 sommoscapo è decorato con foglie
Numero inventario: Assente d’acanto a sette lobi alternate a fo-
Provenienza: Cagliari glie d’acqua, più riinite nella faccia
area archeologica di via G.M. Angioy principale, mentre il rocchetto è
Collocazione: Cagliari decorato con foglie d’acanto a sette
Museo Archeologico Nazionale lobi alternate a foglie d’acqua.
Oggetto: Capitello d’anta ionico Stato di conservazione: Mutilo
Materia e tecnica: Marmo bianco/ Cronologia: Secc. II/III d.C.
scalpellatura/ a trapano Bibliograia: saLvi 1994b, pp. 131-
Misure: h 38; largh. 65; lungh. 54; h 158, igg. 13-14.
abaco 6; lungh. abaco 57,5; largh. Fotografo: Monari, Nicola
abaco 54; lato di base 45,5 Compilatore: Trudu, Enrico
Descrizione: Capitello lavorato in un
unico blocco, destinato a essere
sorretto da un pilastro in posizione
d’angolo. L’elemento presenta una
faccia ed un lato privi di riinitura;
il rocchetto è semplicemente sboz-
zato, mentre la faccia in vista ha un
supericiale disegno del kyma, mol-

1.181 - Capitello corinzio cui si innestavano le elici a spirale.


Numero Catalogo Generale: 00099506 Sull’abaco è un iore carnoso con
Numero inventario: 27392 solcature profonde e forellini. Ca-
Provenienza: Porto Torres (SS) pitello impiegato verosimilmente
Collocazione: Porto Torres (SS) in uno degli ediici pubblici di Tur-
Museo Archeologico Nazionale ris Libisonis.
Antiquarium Turritano Stato di conservazione: Mutilo
Oggetto: Capitello corinzio Cronologia: Sec. II d.C.
Materia e tecnica: Marmo bianco/ Bibliograia: equini schneider 1979,
scalpellatura/ a trapano p. 50, n. 46, tav. XL.
Misure: h 45; largh. 50; largh. abaco Fotografo: Dessì, Pierluigi
48; spess. abaco 7 Compilatore: Puddu, Manuela
Descrizione: Capitello corinzio con
kalathos cilindrico. L’acanto è di-
sposto in due serie di otto foglie
piatte, ciascuna caratterizzata da
cinque lobi separati da incavi ver-
ticali. I caulicoli sono leggermen-
te obliqui e presentano profonde
solcature parallele; sull’orlo hanno
una serie di sepali rovesciati su

1.182 - Cippo a forma di botte concavi di funzione incerta. I la-


Numero Catalogo Generale: 00162844 terculi riportano tutti iscrizioni che
Numero inventario: Assente si riferiscono ai componenti della
Provenienza: Cagliari famiglia degli Stertinii.
ex Convento di San Lucifero Stato di conservazione: Mutilo
Collocazione: Cagliari Cronologia: Età romana imperiale
Museo Archeologico Nazionale Bibliograia: taraMeLLi 1905; BoneL-
Oggetto: Cippo a forma di botte Lo 1985; steFani 1990, p. 118, n. 1.
Materia e tecnica: Calcare bianco/ Fotografo: Monari, Nicola
scalpellatura Compilatore: Sulis, Roberta
Misure: h 54; largh. 54; lungh. 147
Descrizione: Cippo conigurato a
botte allungata, disposta orizzon-
talmente su una piatta base spor-
gente; sulla botte sono evidenziati
due cerchi e le estremità. Sul lato
anteriore sono posti, poggiati sulla
base, quattro laterculi rettangolari
inquadrati da una semplice cornice
e coronati da un timpano triango-
lare. Ai lati, sulla base, due elementi

364
La Sardegna Romana

1.183 - Stele funeraria a rilievo con un volto ovoidale ri-


Numero Catalogo Generale: 00097673 cavato ad aggetto basso nella parte
Numero inventario: 4152/9417 superiore. Gli occhi sono resi con
Provenienza: Valledoria (SS) una linea orizzontale incisa, il naso
Codaruina è stretto, con proilo a pilastrino; la
Collocazione: Sassari bocca è stretta, resa con un piccolo
Museo Nazionale G.A. Sanna segmento inciso, le orecchie sono
Oggetto: Stele funeraria appena delineate da una sottile li-
Materia e tecnica: Calcare/ scalpellatura/ nea curva.
a incisione Stato di conservazione: Mutilo
Misure: h 57; largh. 40; spess. 14; h Cronologia: Secc. I a.C./I d.C.
viso 23; largh. viso 14 Bibliograia: Moscati 1992, pp. 32,
Descrizione: Il manufatto ha un 64, tav. XXVII, ig. 2.
proilo parallelepipedo rastrema- Fotografo: Dessì, Pierluigi
to nella parte inferiore, con taglio Compilatore: Trudu, Enrico
superiore piatto e angoli legger-
mente smussati. La stele ha se-
zione quadrangolare, la supericie
appare sommariamente sbozzata.
Il campo igurato, profondamente
incavato, è occupato da un’ellisse

1.184 - Stele funeraria testa incisa, inquadrata da elementi


Numero Catalogo Generale: 00097674 vegetali stilizzati, raccordati da una
Numero inventario: 4153/5883 complessa decorazione, anch’essa
Provenienza: Castelsardo (SS) incisa, in cui è forse possibile rico-
Su Romasinu noscere una barca. Il volto ha pro-
Collocazione: Sassari ilo a goccia terminante a punta; i
Museo Nazionale G.A. Sanna particolari sono resi a incisione e
Oggetto: Stele funeraria punteruolo: gli occhi sono a forel-
Materia e tecnica: Calcare/ scalpellatura/ lino, il naso a segmento verticale,
a incisione la bocca a doppio segmento oriz-
Misure: h 63; largh. 43; spess. 25; h zontale.
testa 5; largh. testa 2,3 Stato di conservazione: Intero
Descrizione: Stele a specchio con Cronologia: Secc. I a.C./I d.C.
proilo tronco-piramidale a sezione Bibliograia: Moscati 1992, pp. 31,
quadrangolare, con taglio superio- 65, tav. XXVI, ig. 2.
re piatto. La supericie appare ben Fotografo: Dessì, Pierluigi
riinita su tutte le facce nella metà Compilatore: Trudu, Enrico
superiore. La metà inferiore, de-
stinata ad essere inissa nel terre-
no, è sommariamente sbozzata. Il
campo igurato è occupato da una

1.185 - Stele funeraria della stele sono visibili tre motivi 1.186 - Stele funeraria alla bocca; appena abbozzate le brac-
Numero Catalogo Generale: 00162697 circolari, sul lato destro il simbolo Numero Catalogo Generale: 00162819 cia. La igura è all’interno di un’edico-
Numero inventario: Assente del tridente. Numero inventario: Assente la semplice, con sommità ad acroteri
Provenienza: Sconosciuta Stato di conservazione: Mutilo Provenienza: Uras (OR) e decorazione vegetale ai lati.
Collocazione: Torralba (SS) Cronologia: Secc. I a.C./I d.C. necropoli romana Stato di conservazione: Mutilo
Museo della Valle dei Nuraghi Bibliograia: Moscati & uBerti Collocazione: Cagliari Cronologia: Età romana imperiale
del Logudoro-Meilogu 1991, pp. 93-94, n. 1, tav. VIII, 1. Museo Archeologico Nazionale Bibliograia: zonnedda 2007, pp.
Oggetto: Stele funeraria Fotografo: Dessì, Pierluigi Oggetto: Stele funeraria 289-297.
Materia e tecnica: Calcare grigio/ Compilatore: Carboni, Romina Materia e tecnica: Pietra/ scalpellatura Fotografo: Monari, Nicola
scalpellatura Misure: h 35; largh. 15; lungh. 25 Compilatore: Sulis, Roberta
Misure: h 61,8; largh. 44; spess. 24 Descrizione: Il manufatto ha forma
Descrizione: Stele a specchio ane- parallelepipeda con la faccia a vista
pigrafe con immagine di defunto igurata. Il soggetto della rafigurazione
stilizzato. Nel campo igurativo consiste in una rappresentazione an-
campeggia a rilievo un busto sche- tropomorfa a toppa di chiave: la testa
matizzato sormontato da una testa è un ovale appiattito che si innesta
di sagoma rotonda nella quale sono direttamente sul corpo rettangola-
abbozzati i dettagli isionomici; la re, reso con un rilievo bassissimo. I
igura è rappresentata all’interno di particolari anatomici, resi in negativo,
un’edicola anch’essa resa in modo si riducono agli occhi, due solchi ret-
schematico. Nella parte superiore tangolari, al naso lungo e squadrato e

365
La Sardegna Romana

1.187 - Stele funeraria un’incisione verticale, forse a indi-


Numero Catalogo Generale: 00162840 care una decorazione itomorfa; si
Numero inventario: 00162840 intravedono, sotto la veste, i piedi.
Provenienza: Uras (OR) Stato di conservazione: Mutilo
necropoli romana Cronologia: Età romana imperiale
Collocazione: Cagliari Bibliograia: zonnedda 2007, pp.
Museo Archeologico Nazionale 289-300.
Oggetto: Stele Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Pietra/ scalpellatura Compilatore: Sulis, Roberta
Misure: h 43; largh. 28
Descrizione: Esemplare di forma
parallelepipeda con faccia a vista
decorata con una igura antropo-
morfa stilizzata, in rilievo, acefala,
entro edicola con sommità ad acro-
teri e decorazione itomorfa ai lati.
Della igura sono ancora visibili le
spalle, il petto, la cui curva fa ipo-
tizzare si tratti di una igura femmi-
nile, le gambe, coperte da una veste
di forma trapezoidale con al centro

1.188 - Urna a tempietto perchio a doppio spiovente con pic- 2, tav. II; Mastino & visMara 1994, p.
con iscrizione coli acroteri ai quattro angoli. Sul lato 17, p. 15, ig. 8; Marmore luctus 2004, p.
Numero Catalogo Generale: 00162742 frontale è una tabula epigraphica, inserita 53, p. 53, ig. 1; Storia Sardegna 2005, p.
Numero inventario: 7 entro una cornice; l’iscrizione, centra- 278, p. 444, ig. 49.
Provenienza: Porto Torres (SS) ta, si sviluppa su tre linee con punti Fotografo: Dessì, Pierluigi
Collocazione: Porto Torres (SS) di separazione triangoliformi. Il lato Compilatori: Cocco, Maria Bastiana;
Museo Archeologico Nazionale frontale presenta una ricca decorazio- Defrassu, Pierangela
Antiquarium Turritano ne con due singi, in posizione ango-
Oggetto: Urna a tempietto con iscrizione lare, sormontate da protomi di Giove
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ Ammone con le corna attorcigliate,
levigatura/ a trapano dalle quali pende un ricco festone di
Misure: h 32; largh. 34,5; prof. 29,5; iori e frutta; al di sopra due sirene
spess. 3,3; h tabula epigraphica 11,5; alate e alla base due uccelli. L’urna era
largh. tabula epigraphica 19,5; h interna destinata ad ospitare le ceneri del liber-
tabula epigraphica 8; largh. interna tabula to C(aius) Vehilius C(ai) l(ibertus) Coll(ina
epigraphica 16; h minima lettere 1,5; h tribu) Rufus.
massima lettere 1,8 Stato di conservazione: Mutilo
Descrizione: Esemplare composto da Cronologia: Secc. I/II d.C.
una cassa parallelepipeda, inemente Bibliograia: CIL X 7967; equini
lavorata sul fronte e sulle facce laterali schneider 1979, p. 42, n. 35, tav.
ma non posteriormente, e da un co- XXXIV, 1-2; Mastino 1984, p. 88, n.

1.189 - Sarcofago rispondenza dell’estremità destra, è


Numero Catalogo Generale: 00097691 rialzato di qualche centimetro.
Numero inventario: 4875 Stato di conservazione: Parzialmente
Provenienza: Olbia ricomposto
chiesa di San Simplicio Cronologia: Secc. II/III d.C.
Collocazione: Olbia Bibliograia: Pesce 1957, pp. 113-
Museo Archeologico 115, igg. 137-140.
Oggetto: Sarcofago/cassa Fotografo: Dessì, Pierluigi
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ Compilatore: Pilo, Chiara
levigatura/ a trapano
Misure: h 67; largh. 56; lungh. 200
Descrizione: Cassa parallelepipeda
decorata a rilievo sulla fronte e sui
lati. Sulla fronte tre eroti, uno al
centro e due ai lati, sorreggono due
encarpi; il campo sopra ciascun fe-
stone è occupato da un gorgoneion; i
lati corti sono decorati con un festo-
ne di foglie di quercia sormontato
da un gorgoneion. Gli spigoli interni
sono arrotondati e il fondo, in cor-

366
La Sardegna Romana

1.190 - Fronte di sarcofago


Numero Catalogo Generale: 00162794
Numero inventario: Assente
Provenienza: Sconosciuta
Collocazione: Cagliari
Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Sarcofago
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura
Misure: h 47; lungh. 33; spess. 9
Descrizione: Fronte di sarcofago con
rafigurazione, all’interno di una cor-
nice, di una grande testa di Medusa.
Stato di conservazione: Frammentario
Cronologia: Sec. III d.C.
Bibliograia: Pesce 1957, p. 63, n.
23, tavv. XXXVIII-XXXIX, igg.
50-51.
Fotografo: Monari, Nicola
Compilatore: Sulis, Roberta

1.191 - Sarcofago bande lungo le orecchie e conver-


Numero Catalogo Generale: 00162843 gono in una crocchia sulla nuca.
Numero inventario: Assente Stato di conservazione: Intero
Provenienza: Decimomannu (CA) Cronologia: Sec. III d.C.
Collocazione: Cagliari Bibliograia: Pesce 1957, pp. 52-54,
Museo Archeologico Nazionale tav. XXXI, igg. 42-43.
Oggetto: Sarcofago Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura Compilatore: Sulis, Roberta
Misure: h 5,6; largh. 6,2; lungh. 212
Descrizione: Arca parallelepipeda
rettangolare, strigilata. Al centro
della fronte, il tondo con il busto
della defunta, frontale; in basso
a destra è un foro per lo sgrondo
dell’acqua. La defunta veste una
tunica manicata e un manto che le
cade sulla spalla sinistra ino al pet-
to, una cintura all’altezza dell’addo-
me trattiene l’intera veste; i capelli
della donna, divisi da una scrimina-
tura centrale, sono ripartiti in due

1.192 - Sarcofago a lenos lare. Gli altri settori della compo- Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00162809 sizione sono occupati ciascuno da Compilatore: Sulis, Roberta
Numero inventario: 5936 due Geni delle Stagioni, rafigurati
Provenienza: Cagliari come putti, stanti, corpo frontale,
Collocazione: Cagliari teste di scorcio verso il medaglione,
Museo Archeologico Nazionale le gambe in posizione simmetrica
Oggetto: Sarcofago a Lenos e contrapposta. Da sinistra verso
Materia e tecnica: Marmo/ a trapano/ destra, l’Inverno che regge, nella
scalpellatura mano sinistra abbassata, un corvo
Misure: h 77; largh. 66; lungh. 203; per le ali; il Genio della Primavera,
spess. 8 con nella mano sinistra un cesto
Descrizione: Arca a tinozza con de- ricco di iori; l’Autunno con l’uva;
corazione sulla fronte e sulle due l’Estate, con nebride, reca le spighe.
facce laterali. Al centro della fronte Sulla fronte, nel listello superiore, è
è un medaglione circolare all’in- presente l’iscrizione: E+[--- a]nno
terno del quale è un busto mulie- uno mens(ibus) VIII dieb(us) XVI.
bre frontale; veste tunica e pallio e Stato di conservazione: Intero
regge un volumen tra le mani. Due Cronologia: Sec. IV d.C.
Vittorie sorreggono il medaglione, Bibliograia: CIL X 7737; Pesce 1957,
sotto il quale tre putti pigiano l’uva pp. 19-21, tavv. I 1, II 2, III 3; FLoris
che trabocca da un tino quadrango- 2005, pp. 566-567 nr. 239, ig. 239.

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La Sardegna Romana

1.193 - Fregio stello, una gola rovescia e un tralcio


Numero Catalogo Generale: 00163072 loreale sono presenti anche lungo
Numero inventario: 27428 lo spessore del manufatto.
Provenienza: Nora (Pula - CA) Stato di conservazione: Mutilo
Collocazione: Cagliari Cronologia: Sec. I d.C.
Museo Archeologico Nazionale Bibliograia: angioLiLLo 1987, ig.
depositi. 48; angioLiLLo 1989, p. 208.
Oggetto: Fregio Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ Compilatore: Pilo, Chiara
a gradina/ levigatura
Misure: h 27,5; lungh. 111; spess. 10,2
Descrizione: Frammento di fregio
delimitato superiormente ed infe-
riormente da un listello ed una gola
rispettivamente rovescia e dritta. Il
campo centrale presenta una deco-
razione loreale consistente in un
tralcio di melograno con girali dai
quali spuntano dei frutti; piccoli
uccellini in volo sono rappresentati
nell’atto di beccare i pomi. Un li-

1.194 - Fregio Stato di conservazione: Frammentario


Numero Catalogo Generale: 00163077 Cronologia: Sec. I a.C.
Numero inventario: Assente Bibliograia: angioLiLLo 1985, pp.
Provenienza: Cagliari, palazzo dell’INPS 99-102, tav. II.
Collocazione: Cagliari, palazzo dell’INPS, Fotografo: Monari, Nicola
sito della fullonica Compilatore: Pilo, Chiara
Oggetto: Fregio
Materia e tecnica: Calcare/ scalpellatura/
levigatura
Misure: h 47,5; largh. 81,5; prof. 37
Descrizione: Blocco di forma paral-
lelepipeda conservante parte di un
fregio dorico con evidenti tracce
di rilavorazione mediante martella-
mento e resti di calce. Il fregio è co-
stituito da triglii alternati a metope.
Le tre metope conservate sono de-
corate rispettivamente con un iore
a sei petali, una patera ombelicata e
un disco, probabilmente uno scudo
o altrimenti un elemento non inito.

1.195 - Rilievo di Giove Ammone pano, sulla fronte, lascia scoperte


Numero Catalogo Generale: 00162732 le corna (i cui dettagli sono poco
Numero inventario: 37061 deiniti) che si avvolgono in una
Provenienza: Porto Torres (SS) spirale all’altezza delle tempie.
Terme Centrali, penultima taberna Stato di conservazione: Mutilo
Collocazione: Porto Torres (SS) Cronologia: Sec. II d.C.
Museo Archeologico Nazionale Bibliograia: equini schneider 1979,
Antiquarium Turritano p. 41, tav. XXXII, igg. 1-2.
Oggetto: Rilievo Fotografo: Dessì, Pierluigi
Materia e tecnica: Marmo bianco/ Compilatore: Defrassu, Pierangela
scalpellatura
Misure: h 15,4; largh. 14,3; spess. 9,1
Descrizione: Altorilievo, probabil-
mente pertinente ad un puteale
marmoreo, rafigurante Giove
Ammone con corna di ariete a vo-
lute, occhi a mandorla, labbra ben
rilevate, folta barba. La capiglia-
tura, resa a ciocche spiraliformi
poco rilevate sulla testa, a luma-
chella, con diversi segni del tra-

368
La Sardegna Romana

1.196 - Rilievo di dadoforo al di sopra del petto, un elemento


Numero Catalogo Generale: 00162731 circolare funge da chiusura e so-
Numero inventario: 13070 stegno per il mantello che scivola
Provenienza: Porto Torres (SS) dietro le spalle, le gambe sono co-
Terme centrali perte da braghe. Il retro è lavorato
Collocazione: Porto Torres (SS) in maniera sommaria: le pieghe del
Museo Archeologico Nazionale mantello, poco deinite, si diradano
Antiquarium Turritano verso il basso.
Oggetto: Rilievo Stato di conservazione: Frammentario
Materia e tecnica: Marmo bianco/ Cronologia: Sec. III d.C.
scalpellatura Bibliograia: Manconi 2001, pp. 68-
Misure: h 51; largh. 24; spess. 14 69, 95.
Descrizione: Altorilievo rafiguran- Fotografo: Dessì, Pierluigi
te il dadoforo mitraico Cautopates, Compilatore: Defrassu, Pierangela
rappresentato stante, a gambe in-
crociate e iaccola rovesciata tra le
mani. Veste una tunica corta e ma-
nicata che si restringe in corrispon-
denza della vita, sotto il petto corre
una cintura segnata da piccoli cer-
chielli disposti a cadenza regolare,

1.197 - Oscillum con le estremità svolazzanti. Il rilievo


Numero Catalogo Generale: 00162734 è basso; le forme sono appiattite e
Numero inventario: 17013 hanno scarsa deinizione. Lato B: in-
Provenienza: Porto Torres (SS) corniciata in un kyma lesbio continuo
Terme Maetzke è una testa di divinità maschile con
Collocazione: Porto Torres (SS) lunga capigliatura e folta barba rea-
Museo Archeologico Nazionale lizzata con il trapano. Un foro pas-
Antiquarium Turritano sante, in corrispondenza della bocca
Oggetto: Oscillum proprio su questo lato, si riferisce al
Materia e tecnica: Marmo bianco/ reimpiego del pezzo in una fontana.
scalpellatura Stato di conservazione: Intero
Misure: diam. 33; spess. 2,7 Cronologia: Secc. I/II d.C.
Descrizione: Disco decorato su en- Bibliograia: Boninu 1984, p. 56;
trambi i lati. Lato A: all’interno di una teatini 2002, pp. 2317-2333.
piatta cornice leggermente rilevata Fotografo: Dessì, Pierluigi
lungo la circonferenza è un erote col- Compilatore: Defrassu, Pierangela
to durante una danza rappresentato
con le gambe di proilo e busto di tre
quarti, quasi di prospetto; le braccia
sono aperte a tenere davanti al corpo
una lunga vitta, stretta tra le mani e

1.198 - Ritratto femminile sidua è ben disegnata; gli occhi sono 1.199 - Ritratto femminile lungati, segnati da palpebre pesanti,
Numero Catalogo Generale: 00162788 grandi, globosi, a proilo triangolare, Numero Catalogo Generale: 00162739 guardano verso l’alto, le labbra sono
Numero inventario: 2987 rivolti verso il basso. Numero inventario: 10286 carnose, gli zigomi poco pronunciati.
Provenienza: Tharros (Cabras - OR) Stato di conservazione: Mutilo Provenienza: Porto Torres (SS) Le orecchie sono forate per l’inser-
Collocazione: Oristano Cronologia: Sec. I d.C. Terme Centrali, porticato zione degli orecchini.
Antiquarium Arborense Bibliografia: a ngioLiLLo 1987; Collocazione: Porto Torres (SS) Stato di conservazione: Mutilo
Museo Archeologico G. Pau s aLetti 1989, pp. 77-78, fig. 3; Museo Archeologico Nazionale Cronologia: Sec. II d.C.
Oggetto: Testa ritratto femminile pp. 78-79. Antiquarium Turritano Bibliograia: Marmore luctus 2004, p. 35.
Materia e tecnica: Marmo bianco/ Fotografo: Monari, Nicola Oggetto: Testa ritratto femminile Fotografo: Dessì, Pierluigi
scalpellatura Compilatore: Defrassu, Pierangela Materia e tecnica: Marmo bianco Compilatore: Defrassu, Pierangela
Misure: h 23; largh. 26 Misure: h 18,5; largh. 14; spess. 18
Descrizione: Esemplare rafigurante Descrizione: Esemplare rafigurante
forse Ottavia o Livia. La capigliatura forse Faustina Minore o Sabina. I
è caratterizzata da un rotolo fronta- capelli, impreziositi da un diadema
le molto morbido, basso e schiac- sagomato, presentano sulla fronte
ciato, fermato da una sottile fascia, una scriminatura centrale che separa
suddiviso in ciocche parallele sulla due ciocche rese a morbide onde che
fronte. Sul lato destro residua una vanno ad annodarsi sulla nuca in una
banda a ciocche larghe; la fronte è semplice crocchia. La fronte bassa è
quasi completamente occupata dalla occupata dalla capigliatura; gli occhi,
capigliatura; l’arcata sopracciliare re- con pupilla incisa, leggermente al-

369
La Sardegna Romana

1.200 - Ritratto maschile lati della bocca, alla radice del naso 1.201 - Ritratto maschile a tenaglia sulla tempia destra; anche
Numero Catalogo Generale: 00163178 e sul collo. Numero Catalogo Generale: 00163179 dalla nuca sono pettinati in avanti. Età
Numero inventario: Assente Stato di conservazione: Mutilo Numero inventario: Assente apparente di 35-40 anni.
Provenienza: Cagliari Cronologia: Sec. I a.C. Provenienza: Sconosciuta Stato di conservazione: Mutilo
via Cavour, pozzo Bibliograia: angioLiLLo 1971, pp. Collocazione: Cagliari Cronologia: Sec. I d.C.
Collocazione: Cagliari 119-122, tavv. 70-71. Museo Archeologico Nazionale Bibliograia: angioLiLLo 1971, pp.
Museo Archeologico Nazionale Fotografo: Monari, Nicola Oggetto: Busto maschile 122-124, tavv. 72-73.
Oggetto: Testa ritratto maschile Compilatore: Puddu, Manuela Materia e tecnica: Marmo bianco/ Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Marmo bianco/ scalpellatura Compilatore: Puddu, Manuela
scalpellatura Misure: h 36; h volto 22
Misure: h 24 Descrizione: Busto maschile che presen-
Descrizione: Esemplare con volto ta un taglio molto alto, comprendente
ovale e fronte spaziosa; gli occhi clavicole e sterno. Il viso, leggermente
sono piccoli e infossati e la bocca girato verso destra, è caratterizzato da
una linea obliqua che scende verso zigomi alti con gote infossate e fronte
sinistra, mentre le guance sono in- spaziosa; labbra sottili, soprattutto il
cavate e le orecchie a sventola. La superiore, mento carnoso e pronun-
chioma ancora folta è pettinata a ciato, segnato da una fossetta. I capelli
ciocchette, con un ciuffo sulla fron- sono resi a piccole ciocche piatte sul
te. La fronte è solcata da tre rughe capo, che sulla fronte formano un
orizzontali; altre rughe profonde ai motivo a coda di rondine al centro e

1.202 - Ritratto di Augusto 1.203 - Ritratto di Tiberio con motivo a tenaglia sulla tempia
Numero Catalogo Generale: 00163177 Numero Catalogo Generale: 00163172 destra ed a coda di rondine al centro.
Numero inventario: 6123 Numero inventario: 6113 Stato di conservazione: Frammentario
Provenienza: Cagliari Provenienza: Sant’Antioco (CI) Cronologia: Sec. I d.C.
Collocazione: Cagliari Su Narboni Bibliograia: taraMeLLi 1914, p. 110,
Museo Archeologico Nazionale Collocazione: Cagliari n. 72; angioLiLLo 1978b, pp. 157-
Oggetto: Statua maschile/testa Museo Archeologico Nazionale 161, tavv. I-II.
Materia e tecnica: Marmo bianco/ Oggetto: Statua maschile/testa Fotografo: Monari, Nicola
scalpellatura Materia e tecnica: Marmo bianco/ Compilatore: Puddu, Manuela
Misure: h 32 scalpellatura
Descrizione: Testa di statua tipo Misure: h 40
Augusto di Prima Porta: viso Descrizione: Testa di statua maschile
triangolare, occhi piccoli e capelli rafigurante Tiberio: capo legger-
pettinati in ciocche che sul davan- mente inclinato e girato verso la pro-
ti si ripartiscono in un motivo a pria destra, fronte spaziosa e segnata
coda di rondine ed uno a tenaglia. dalle bozze temporali, occhi grandi
Stato di conservazione: Frammentario e rivolti in alto. Le labbra sono sot-
Cronologia: Sec. I d.C. tili e le guance incavate, mentre il
Bibliograia: saLetti 1989, p. 77, ig. 2. mento è segnato da una fossetta. La
Fotografo: Monari, Nicola capigliatura è resa a piccole ciocche
Compilatore: Puddu, Manuela ordinate che ricadono sulla fronte,

1.204 - Ritratto di Claudio trario alla precedente; sulla fronte


Numero Catalogo Generale: 00163173 una frangia, con un piccolo motivo
Numero inventario: 6114 a tenaglia sull’occhio sinistro.
Provenienza: Sant’Antioco (CI) Stato di conservazione: Frammentario
Su Narboni Cronologia: Sec. I d.C.
Collocazione: Cagliari Bibliograia: taraMeLLi 1914, p. 110,
Museo Archeologico Nazionale n. 72; angioLiLLo 1978b, pp. 161-
Oggetto: Statua maschile/testa 165, tavv. III-IV.
Materia e tecnica: Marmo bianco/ Fotografo: Monari, Nicola
scalpellatura Compilatore: Puddu, Manuela
Misure: h 39
Descrizione: Testa di statua maschile
rafigurante Claudio: viso giovani-
le di forma triangolare, con fronte
bassa; occhi grandi e incassati, con
spesse palpebre; mento piccolo e
sfuggente, benché carnoso; due
pieghe ai lati di naso e bocca. La
capigliatura è resa a piccole ciocche
pettinate in ile sovrapposte in cui
ciascuna è disposta in senso con-

370
La Sardegna Romana

1.205 - Ritratto di Nerone Bibliograia: taraMeLLi 1914, p. 15; 1.206 - Ritratto di Traiano Cronologia: Sec. II d.C.
Numero Catalogo Generale: 00163180 saLetti 1989, p. 79, ig. 7. (Burgerkronentypus) Bibliograia: taraMeLLi 1914, p. 15;
Numero inventario: 35533 Fotografo: Monari, Nicola Numero Catalogo Generale: 00163181 saLetti 1989, p. 80, ig. 11.
Provenienza: Olbia Compilatore: Puddu, Manuela Numero inventario: 36429 Fotografo: Monari, Nicola
scuola elementare Provenienza: Olbia Compilatore: Puddu, Manuela
Collocazione: Cagliari scuola elementare
Museo Archeologico Nazionale Collocazione: Cagliari
Oggetto: Statua maschile/testa Museo Archeologico Nazionale
Materia e tecnica: Marmo bianco/ Oggetto: Statua maschile/testa
scalpellatura Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura
Misure: h 70; h testa 44 Misure: h 44
Descrizione: Testa di statua maschi- Descrizione: Testa di statua maschi-
le rafigurante Nerone: volto largo le rafigurante forse Traiano (Bur-
con occhi grandi, naso carnoso e gerkronentypus): volto squadrato,
bocca piccola e piena. La chioma è naso e mento grossi, labbro supe-
pettinata come una sorta di calotta riore sporgente, capelli pettinati
e scende sulla fronte con lunghe in avanti e verso destra in ciocche
ciocche, con un piccolo motivo a compatte di identica lunghezza,
coda di rondine al centro; basette. con un piccolo motivo a coda di
Stato di conservazione: Frammentario rondine sulla tempia sinistra.
Cronologia: Sec. I d.C. Stato di conservazione: Mutilo

1.207 - Ritratto di Marco Aurelio con ciocche piccole e poco distinte,


Numero Catalogo Generale: 00162740 i bafi coprono il labbro superiore,
Numero inventario: 7870 scendono oltre quello inferiore, e
Provenienza: Porto Torres (SS) vanno a toccare la barba stessa. La
piazzale antistante bocca è leggermente socchiusa, la
la stazione ferroviaria fronte appena corrugata; gli occhi,
Collocazione: Porto Torres (SS) leggermente all’ingiù, hanno le pu-
Museo Archeologico Nazionale pille lievemente incise e le palpebre
Antiquarium Turritano sottili.
Oggetto: Testa ritratto maschile Stato di conservazione: Mutilo
Materia e tecnica: Marmo bianco/ Cronologia: Sec. II d.C.
scalpellatura Bibliograia: equini schneider 1979;
Misure: h 33; largh. 25,8 saLetti 1989; Marmore luctus 2004,
Descrizione: Testa di statua maschile p. 34.
rafigurante Marco Aurelio: vol- Fotografo: Dessì, Pierluigi
to allungato e incorniciato da una Compilatore: Defrassu, Pierangela
folta capigliatura, realizzata con un
abbondante uso del trapano, fatta
di morbide e abbondanti ciocche,
che lascia scoperte le orecchie; la
lunga barba copre gote e mento

1.208 - Testa di Bacco fanciullo sta. Il torso pertinente, non più re- 1.209 - Ritratto maschile socchiuse. Leggere tracce di doratura
Numero Catalogo Generale: 00162855 peribile, era coperto dalla nebride. Numero Catalogo Generale: 00162738 si conservano intorno agli occhi e alla
Numero inventario: 30170 Stato di conservazione: Mutilo Numero inventario: 7877 bocca. Tracce di incastri sul collo dimo-
Provenienza: Cagliari, Villino Pernis Cronologia: Sec. I d.C. Provenienza: Porto Torres (SS) strano che la testa ritratto doveva essere
Collocazione: Cagliari Bibliograia: taraMeLLi 1905, pp. 47- Collocazione: Porto Torres (SS) inserita in una statua o in un busto.
Museo Archeologico Nazionale 48, igg. 4-5. Museo Archeologico Nazionale Stato di conservazione: Mutilo
depositi Fotografo: Monari, Nicola Antiquarium Turritano Cronologia: Secc. II/III d.C.
Oggetto: Testa maschile Compilatore: Sulis, Roberta Oggetto: Testa ritratto maschile Bibliograia: Marmore luctus 2004, p. 39.
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ Materia e tecnica: Marmo bianco/ Fotografo: Dessì, Pierluigi
a trapano scalpellatura Compilatore: Defrassu, Pierangela
Misure: h 7,5; largh. 6,9 Misure: h 23,5; largh. 17; spess. 19,6
Descrizione: Testa di statua maschile Descrizione: Testa ritratto di fanciullo
rafigurante Bacco fanciullo: l’ovale contraddistinto da un volto molto
è tondo e paffuto; le labbra, tumi- largo, guance ampie e piene, mento
de, sono composte a formare un te- arrotondato. La capigliatura, realizzata
nue sorriso, segnato dalle fossette; con il trapano, conserva abbondanti
gli occhi a mandorla vicini; il naso è tracce di doratura, incornicia a ciocche
camuso: i capelli, divisi da una scri- ordinate il volto lasciando scoperte
minatura centrale, si raccolgono in le orecchie. Gli occhi grandi, segnati
una bassa crocchia sulla nuca; una da pesanti palpebre, hanno l’iride e la
corona di pampini incornicia la te- pupilla incise. Le labbra sono carnose,

371
La Sardegna Romana

1.210 - Statua le braccia, delle quali rimane solo


di Afrodite Anadiomene l’attacco; ciocche di capelli sono
Numero Catalogo Generale: 00162735 conservate sulla spalla destra, poco
Numero inventario: 7889 al di sopra del seno sinistro e an-
Provenienza: Porto Torres (SS) che a destra al di sopra e a metà del
piazzale antistante la stazione seno. Si tratta di una replica di un
ferroviaria, presso il ponte romano originale, probabilmente bronzeo e
Collocazione: Porto Torres (SS) tardo ellenistico.
Museo Archeologico Nazionale Stato di conservazione: Mutilo
Antiquarium Turritano Cronologia: Secc. II/I a.C.
Oggetto: Statua femminile/torso Bibliograia: Marmore luctus 2004, p. 38.
Materia e tecnica: Marmo pentelico/ Fotografo: Dessì, Pierluigi
scalpellatura/ levigatura Compilatore: Defrassu, Pierangela
Misure: h 26; largh. 17,7
Descrizione: Scultura identiicata
come Afrodite che esce dal ba-
gno nell’atto di strizzarsi i capelli,
secondo lo schema tipico dell’a-
nadiomene. La igura è rappresen-
tata completamente nuda, colta
nell’atto di sollevare verso il capo

1.211 - Statua di Afrodite sopra la testa un lembo del mantello.


Numero Catalogo Generale: 00061462 Stato di conservazione: Mutilo
Numero inventario: Assente Cronologia: Secc. II/I a.C.
Provenienza: Cagliari Bibliograia: angioLiLLo 1987, p.
scavi di viale Trieste n. 105 143, ig. 72.
Collocazione: Cagliari Fotografo: Monari, Nicola
Museo Archeologico Nazionale, Compilatore: Sulis, Roberta
depositi
Oggetto: Statua femminile
Materia e tecnica: Marmo greco/
scalpellatura/ levigatura
Misure: h 75
Descrizione: Statua femminile rafigu-
rante forse Afrodite pudica: igura
nuda, parzialmente coperta da un
mantello che passa sulla spalla sini-
stra, scende lungo il ianco sinistro
ed è trattenuto dalla mano sinistra in
modo da coprire il pube. La igura
è stante e frontale; il braccio destro,
sollevato, probabilmente reggeva

1.212 - Statua isiaca Stato di conservazione: Parzialmente


Numero Catalogo Generale: 00163176 ricomposto
Numero inventario: Assente Cronologia: Sec. II a.C.
Provenienza: Cagliari Bibliograia: angioLiLLo 1989, pp.
piazza del Carmine 203, 209, n. 9, ig. 9.
palazzo delle Poste Fotografo: Monari, Nicola
teatro-tempio di via Malta Compilatore: Puddu, Manuela
Collocazione: Cagliari
Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Statua femminile
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura
Misure: h 121
Descrizione: Statua femminile rafi-
gurante probabilmente Iside o una
sacerdotessa isiaca: igura stante
sulla gamba destra, con indosso un
chitone a pieghe itte, lungo ino ai
piedi, con bottoncini sul braccio
destro ed un mantello a doppio
risvolto chiuso da una ibbia sulla
spalla destra; ai piedi sandali.

372
La Sardegna Romana

1.213 - Statua di divinità femminile Cronologia: Sec. I d.C.


Numero Catalogo Generale: 00163193 Bibliograia: BartoLoni 2007, p. 113.
Numero inventario: 2754 Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Sant’Antioco (CI) Compilatore: Puddu, Manuela
cronicario
Collocazione: Sant’Antioco (CI)
Museo Archeologico Comunale
F. Barreca
Oggetto: Statua femminile
Materia e tecnica: Marmo bianco/
scalpellatura
Misure: h 94
Descrizione: Statua di divinità fem-
minile panneggiata, su piedistallo
circolare, stante sulla gamba sinistra:
indossa il peplo cinto in vita e te-
nuto da ibbie sulle spalle, secondo
un’iconograia di epoca classica; la-
bili tracce di colore giallo su quanto
resta della chioma sulle spalle.
Stato di conservazione: Mutilo

1.214 - Statua femminile I capelli, divisi da una scriminatura


Numero Catalogo Generale: 00162797 centrale, sono raccolti in una alta
Numero inventario: Assente crocchia sulla nuca.
Provenienza: Villasimius (CA) Stato di conservazione: Mutilo
ediicio termale di Santa Maria Cronologia: Sec. I d.C.
Collocazione: Villasimius (CA) Bibliograia: angioLiLLo 2007, pp.
Museo Archeologico Comunale 139-147.
Oggetto: Statua femminile Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura Compilatore: Sulis, Roberta
Misure: h 68
Descrizione: Statua femminile stante
su basamento, frontale. Indossa un
lungo chitone manicato cinto sotto
al seno; sopra, un ampio mantello
avvolge la spalla sinistra, scende lun-
go il ianco opposto e si raccoglie
nel braccio sinistro. L’ovale del vol-
to è allungato, il mento è lievemente
pronunciato e gli occhi, vicini, sono a
forma di mandorla. Le labbra tumide
sono composte in un tenue sorriso.

1.215 - Statua femminile Stato di conservazione: Mutilo


Numero Catalogo Generale: 00097733 Cronologia: Sec. I d.C.
Numero inventario: 4939/7872 Bibliograia: equini schneider 1979,
Provenienza: Porto Torres (SS) pp. 29-30 n. 16, tav. XXI.
Collocazione: Sassari Fotografo: Dessì, Pierluigi
Museo Nazionale G.A. Sanna Compilatore: Pilo, Chiara
Oggetto: Statua
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/
levigatura
Misure: h 219; h plinto 8
Descrizione: Statua femminile stante,
con il peso sulla gamba sinistra e
la destra leggermente piegata. In-
dossa un chitone con maniche al
gomito e un himation che, coprendo
la spalla sinistra, si avvolge davanti
al busto lasciando scoperto il brac-
cio destro e scende ino ai piedi;
dall’orlo inferiore del chitone fuo-
riesce la punta del calzare destro.
Copia di un originale greco.

373
La Sardegna Romana

1.216 - Statua di Afrodite Urania trattenuto, in origine, dalla mano


Numero Catalogo Generale: 00162790 sinistra ricade lungo lo stesso lato.
Numero inventario: 65 Il retro non è lavorato.
Provenienza: Neapolis (Guspini - VS) Stato di conservazione: Mutilo
settore nord-occidentale della città Cronologia: Sec. I d.C.
Collocazione: Oristano Bibliograia: zucca 1987, pp. 102,
Antiquarium Arborense 207-208, tav. 24, ig. 1.
Museo archeologico G. Pau Fotografo: Monari, Nicola
Oggetto: Statua femminile Compilatore: Defrassu, Pierangela
Materia e tecnica: Marmo bianco
Misure: h 82; largh. 30
Descrizione: Esemplare acefalo rap-
presentato nell’atto di inarcare il
bacino sull’anca destra; poggia sul-
la gamba dello stesso lato e porta
in avanti la sinistra leggermente
lessa. Sulla spalla destra residua
traccia di una folta capigliatura; un
leggerissimo chitone, cinto sotto il
seno, riveste la dea modellandosi
sulle forme del corpo; l’himation,

1.217 - Statua femminile delle gambe. Le mani sono grandi:


Numero Catalogo Generale: 00162736 due dita distese e le altre chiuse a
Numero inventario: 7888 stringere il lembo di stoffa. La i-
Provenienza: Porto Torres (SS) gura è in altorilievo. La parte poste-
piazzale antistante riore è liscia.
la stazione ferroviaria Stato di conservazione: Mutilo
Collocazione: Porto Torres (SS) Cronologia: Sec. II d.C.
Museo Archeologico Nazionale Bibliograia: equini schneider 1979,
Antiquarium Turritano p. 25, tav. XI.
Oggetto: Statua femminile Fotografo: Dessì, Pierluigi
Materia e tecnica: Marmo colorato/ Compilatore: Defrassu, Pierangela
scalpellatura
Misure: h 48,3; largh. 18,2
Descrizione: Statua femminile vestita
di peplo su chitone a inte maniche
che scendono ino al polso. La i-
gura è rappresentata nel gesto di
sollevare i lembi del chitone con le
mani: questo si apre a ventaglio sui
due lati mentre al centro, una piega
verticale, lascia intuire l’anatomia

1.218 - Statua di Tyche e sulla testa è un diadema. Sandali


Numero Catalogo Generale: 00163182 ai piedi. Il retro del manufatto è
Numero inventario: 6121 piatto e lavorato sommariamente.
Provenienza: Sconosciuta Stato di conservazione: Mutilo
Collocazione: Cagliari Cronologia: Età romana
Museo Archeologico Nazionale Bibliograia: viLLard 1997, pp. 115-125.
Oggetto: Statua femminile Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Marmo bianco/ Compilatore: Puddu, Manuela
scalpellatura
Misure: h 85
Descrizione: Statua femminile di Ty-
che stante, su un piccolo basamen-
to. Indossa una leggera veste lunga
ino ai piedi e cinta in vita con un
nodo; al di sopra un mantello drap-
peggiato intorno ai ianchi e getta-
to sul braccio sinistro, con il quale
tiene una cornucopia, mentre il de-
stro, di cui rimane solo l’attaccatu-
ra, era disteso lungo il ianco. I ca-
pelli sono pettinati in uno chignon

374
La Sardegna Romana

1.219 - Statua femminile onoraria stra, poggiata al petto, stringe un


Numero Catalogo Generale: 00162730 lembo del mantello mentre con
Numero inventario: 27393 l’avambraccio sinistro, perduto,
Provenienza: Porto Torres (SS) sembrerebbe che ne sorreggesse il
palazzo comunale lembo opposto. Il retro è riinito
Collocazione: Porto Torres (SS) in maniera sommaria.
Museo Archeologico Nazionale Stato di conservazione: Mutilo
Antiquarium Turritano Cronologia: Secc. I a.C./I d.C.
Oggetto: Statua onoraria Bibliograia: equini schneider 1979,
Materia e tecnica: Marmo bianco/ p. 36, tav. XXVII; Manconi 1986,
scalpellatura p. 273.
Misure: h 157; largh. 50 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Descrizione: Figura femminile Compilatore: Defrassu, Pierangela
panneggiata, acefala, stante sulla
gamba sinistra, mentre la destra
è lessa e leggermente portata in
avanti. Indossa tunica e palla. Il
braccio destro, piegato ad angolo
acuto, è coperto dal mantello che
lascia scoperta una piccola parte
dell’avambraccio. La mano de-

1.220 - Statua maschile onoraria Cronologia: Sec. I d.C.


Numero Catalogo Generale: 00097432 Bibliograia: equini schneider 1979,
Numero inventario: 4936/7879 p. 35, tav. XXVI, ig. 1.
Provenienza: Porto Torres (SS) Fotografo: Dessì, Pierluigi
Collocazione: Sassari Compilatore: Trudu, Enrico
Museo Nazionale G.A. Sanna
Oggetto: Statua onoraria togata
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/
levigatura/ a trapano
Misure: h 90; largh. 48
Descrizione: Statua maschile di di-
mensioni inferiori al naturale, ve-
stito di tunica e toga drappeggiata,
con ampio sinus. Il corpo poggia
sulla gamba sinistra lessa, mentre
la destra è portata all’indietro. Il
panneggio della toga richiama tipi
del periodo claudio o neroniano.
La parte posteriore è lavorata som-
mariamente.
Stato di conservazione: Mutilo

1.221 - Statua maschile onoraria possibile capire che fosse piegato


Numero Catalogo Generale: 00162727 ad angolo retto. Il retro è accurata-
Numero inventario: Assente mente lavorato.
Provenienza: Porto Torres (SS) Stato di conservazione: Mutilo
palazzo comunale Cronologia: Sec. I d.C.
Collocazione: Porto Torres (SS) Bibliograia: Manconi 2001, p. 51, p.
Museo Archeologico Nazionale 52, ig. s.n.
Antiquarium Turritano Fotografo: Dessì, Pierluigi
Oggetto: Statua onoraria Compilatore: Defrassu, Pierangela
Materia e tecnica: Marmo bianco/
scalpellatura
Misure: h 169; largh. 75
Descrizione: Statua maschile acefala,
di dimensioni di poco superiori al
normale, stante sulla gamba sini-
stra mentre la destra è lievemente
lessa e arretrata con il piede leg-
germente sollevato. Indossa tuni-
ca, toga e calzari. Priva del braccio
destro quasi per intero, conserva
il sinistro ino al gomito per cui è

375
La Sardegna Romana

1.222 - Statua maschile onoraria è lavorato in maniera sommaria.


Numero Catalogo Generale: 00162729 Stato di conservazione: Mutilo
Numero inventario: 27389 Cronologia: Sec. I d.C.
Provenienza: Porto Torres (SS) Bibliograia: equini schneider 1979,
Collocazione: Porto Torres (SS) p. 34, tav. XXV, ig. 1.
Museo Archeologico Nazionale Fotografo: Dessì, Pierluigi
Antiquarium Turritano Compilatore: Defrassu, Pierangela
Oggetto: Statua onoraria
Materia e tecnica: Marmo bianco/
scalpellatura
Misure: h 121; largh. 51
Descrizione: Figura maschile acefala
stante sulla gamba destra mentre la
sinistra, lievemente lessa, è legger-
mente protesa in avanti. Indossa
tunica e toga. Il braccio destro, pie-
gato ad angolo, coperto dalla toga
ino a metà avambraccio, poggia
sul petto e con la mano stringe il
voluminoso umbo; il sinistro, piega-
to ad angolo retto, è mutilo. Il retro

1.223 - Statua maschile onoraria Cronologia: Sec. I d.C.


Numero Catalogo Generale: 00163192 Bibliograia: BartoLoni 2007, p. 113.
Numero inventario: 6115 Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Sant’Antioco (CI) Compilatore: Puddu, Manuela
Collocazione: Sant’Antioco (CI)
Museo Archeologico Comunale
F. Barreca
Oggetto: Statua onoraria
Materia e tecnica: Marmo bianco/
scalpellatura
Misure: h 194
Descrizione: Statua maschile stan-
te sulla gamba sinistra, con in-
dosso la toga ampiamente pan-
neggiata e gettata sulla spalla
sinistra.
Ai piedi, alla sua sinistra, una cap-
sa per rotuli. La parte posteriore
della statua è lavorata sommaria-
mente e piuttosto piatta.
Stato di conservazione: Mutilo

1.224 - Statua loricata nodo a W. Il paludamentum poggia


di Druso minore sulla spalla destra retto dal braccio
Numero Catalogo Generale: 00163174 corrispondente e scende ino a co-
Numero inventario: Assente prire parte dell’elmo, posto accanto
Provenienza: Sant’Antioco (CI) al piede sinistro. Il braccio destro
Su Narboni abbassato doveva reggere il gladium.
via Eleonora d’Arborea n. 8 Stato di conservazione: Ricomposto
Collocazione: Cagliari Cronologia: Sec. I d.C.
Museo Archeologico Nazionale Bibliograia: angioLiLLo 1978b, pp.
Oggetto: Statua maschile loricata 165-167, tavv. V-VI.
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura Fotografo: Monari, Nicola
Misure: h 188; h testa 35 Compilatore: Puddu, Manuela
Descrizione: Statua maschile che raf-
igura Druso Minore. Stante sulla
gamba sinistra, indossa una corta
tunica militare, corazza di cuoio
decorata con gorgoneion sul petto e
fulmine sullo spallaccio; all’altezza
dei capezzoli due anelli; intorno al
torace è legato con due giri il cin-
gulum militiae, chiuso davanti con

376
La Sardegna Romana

1.225 - Statua maschile Cronologia: Sec. I d.C.


Numero Catalogo Generale: 00097698 Bibliograia: equini schneider 1979,
Numero inventario: 4900/8531 p. 31 n. 17, tavv. XX-XXI.
Provenienza: Porto Torres (SS) Fotografo: Dessì, Pierluigi
collina del faro Compilatore: Pilo, Chiara
Collocazione: Sassari
Museo Nazionale G.A. Sanna
Oggetto: Statua maschile/torso
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/
levigatura
Misure: h 112; largh. 87
Descrizione: Busto pertinente alla
statua di un imperatore rafigurato
come Zeus. Pettorali pronunciati e
muscolatura dell’addome ben dise-
gnata; himation poggiato sulla spalla
sinistra; il ianco sinistro, lavorato
sommariamente, doveva avere un
qualche elemento in appoggio.
Marmo bianco a grana grossa.
Stato di conservazione: Frammentario

1.226 - Statua maschile Cronologia: Sec. II d.C.


Numero Catalogo Generale: 00097725 Bibliograia: equini schneider 1979,
Numero inventario: 4929/7874 pp. 22-23 n. 7, tav. VIII, 1-2.
Provenienza: Porto Torres (SS) Fotografo: Dessì, Pierluigi
Collocazione: Sassari Compilatore: Pilo, Chiara
Museo Nazionale G.A. Sanna
Oggetto: Statua maschile/torso
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/
levigatura
Misure: h 56; largh. 35
Descrizione: Torso di igura maschi-
le nuda, ad eccezione di una pan-
no che cinge i ianchi; busto scar-
no, leggermente lesso in avanti
con alcune pieghe orizzontali
sull’addome; muscolatura poco
accentuata, ma ben deinita, anche
sul retro. Marmo bianco a grana
ine. La igura rappresenterebbe
un pescatore.
Stato di conservazione: Mutilo

1.227 - Statua di Bacco è una pantera accovacciata che sol-


Numero Catalogo Generale: 00163175 leva la zampa destra.
Numero inventario: Assente Stato di conservazione: Parzialmente
Provenienza: Cagliari ricomposto
viale Trieste, ediicio termale Cronologia: Sec. II d.C.
Collocazione: Cagliari Bibliograia: angioLiLLo 1989, pp.
Museo Archeologico Nazionale 206-207, n. 11.
Oggetto: Statua maschile Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Marmo bianco/ Compilatore: Puddu, Manuela
scalpellatura
Misure: h 160
Descrizione: Statua di Bacco stante
sulla gamba sinistra, nuda, tranne
per la pelle di cerbiatto intorno
al petto, legata sulla spalla destra;
i lunghi capelli sono sparsi sulle
spalle.
Con la mano sinistra doveva tene-
re il tirso, di cui rimane traccia sul
tronco di sostegno, che si innalza
dal basamento. Alla sinistra del dio

377
La Sardegna Romana

1.228 - Statua di Genius corato con motivi vegetali. Il retro


Numero Catalogo Generale: 00162789 presenta una lavorazione meno
Numero inventario: 180531 accurata.
Provenienza: Tharros (Cabras - OR) Stato di conservazione: Parzialmente
Collocazione: Oristano ricomposto
Antiquarium Arborense Cronologia: Sec. II d.C.
Museo Archeologico G. Pau Bibliograia: candiLio 1982, pp.
Oggetto: Statua maschile 149-150.
Materia e tecnica: Marmo bianco Fotografo: Monari, Nicola
Misure: h 86; largh. 30 Compilatore: Defrassu, Pierangela
Descrizione: Statua acefala rappre-
sentante un Genius con cesto col-
mo di frutti della terra retto, in
origine, con la mano sinistra, oggi
perduta. La igura è nuda, coper-
ta da un mantello appuntato sulla
spalla destra che copre parte del
petto e scende sulla schiena; pog-
gia sulla gamba sinistra mentre la
destra è leggermente portata in
avanti; aderisce ad un sostegno de-

1.229 - Statua di Sileno a ciocche lunghe, deinite e sepa-


Numero Catalogo Generale: 00162733 rate le une dalle altre, i bafi sono
Numero inventario: 7892 lunghi, la fronte è alta, corrugata,
Provenienza: Porto Torres (SS) gli occhi globosi, il naso è corto e
piazzale antistante la stazione schiacciato (lo si intuisce benché
ferroviaria, presso il ponte romano abraso), la bocca è socchiusa. I det-
Collocazione: Porto Torres (SS) tagli anatomici del busto sono resi
Museo Archeologico Nazionale in maniera plastica, la muscolatura
Antiquarium Turritano del petto, dell’addome e della schie-
Oggetto: Statua maschile/torso na è abbastanza deinita.
Materia e tecnica: Marmo bianco/ Stato di conservazione: Mutilo
scalpellatura/ a trapano Cronologia: Sec. II d.C.
Misure: h 17; largh. 14 Bibliograia: Marmore luctus 2004, p. 42.
Descrizione: Torso di sileno con un Fotografo: Dessì, Pierluigi
otre pieno sulla spalla sinistra. Il Compilatore: Defrassu, Pierangela
capo è coronato da un ramo d’e-
dera nel quale si distinguono foglie
e corimbi resi con un rilievo molto
alto; i capelli, resi a ciocche poco
nette, coprono la nuca e scendo-
no sul collo; la barba è realizzata

1.230 - Statua di Bacco stra, sul basamento, una pantera


Numero Catalogo Generale: 00061460 accovacciata, che solleva la zampa
Numero inventario: Assente anteriore destra. Sul nodoso tronco
Provenienza: Cagliari, viale Trieste n. 105, di sostegno è appeso un timpano e
ediicio termale compare un serpentello.
Collocazione: Cagliari Stato di conservazione: Mutilo
Museo Archeologico Nazionale Cronologia: Sec. II d.C.
Oggetto: Statua maschile Bibliograia: angioLiLLo 1989, pp.
Materia e tecnica: Marmo bianco/ 206-207.
scalpellatura/ a trapano Fotografo: Monari, Nicola
Misure: h 160; h pilastrino 65; h re- Compilatore: Puddu, Manuela
sidua pantera 39
Descrizione: Statua di Bacco nudo,
stante sulla gamba destra, con man-
tello afibbiato sulla spalla destra;
con la mano destra tiene il tirso e
contemporaneamente si appoggia
ad un tronco d’albero; intorno al
capo è un serto di tralci d’edera e di
vite con grappoli d’uva e la fronte
è cinta da una taenia. Alla sua sini-

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La Sardegna Romana

1.231 - Statuetta del Genius fattura rozza e grossolana, la mano


di Costantino che regge la spada ha proporzioni
Numero Catalogo Generale: 00163104 sbagliate.
Numero inventario: 7988/OMA 630 Stato di conservazione: Mutilo
Provenienza: Sconosciuta Cronologia: Sec. IV d.C.
Collocazione: Olbia Bibliograia: equini schneider 1979,
Museo Archeologico pp. 31-32, tav. XXII.
Oggetto: Statuetta maschile Fotografo: Dessì, Pierluigi
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ Compilatore: Trudu, Enrico
levigatura/ a trapano
Misure: h 35,5; largh. 11; h testa 5,8
Descrizione: Statuetta del Genius
di Costantino, vestito di lorica
con largo cingulum e singola ila di
pteryges semicircolari, non decorate.
I tratti del viso sono giovanili; il
capo è cinto da una corona di fo-
glie di quercia annodata dietro con
un nastro. Il personaggio regge
con la mano sinistra un gladius. La
igura, lavorata a tutto tondo, è di

1.232 - Erma di guerriero ciato, gli occhi scavati, sottolineati da 1.233 - Erma bifronte di Bacco Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00162737 pesanti palpebre; le pupille dovevano Numero Catalogo Generale: 00163183 Compilatore: Puddu, Manuela
Numero inventario: 10531 essere incrostate di vetro. Numero inventario: 10914
Provenienza: Porto Torres (SS) Stato di conservazione: Mutilo Provenienza: Cagliari, via Ospedale
zona delle tabernae Cronologia: Sec. I d.C. Collocazione: Cagliari
ad est della fogna principale Bibliograia: equini schneider 1979; Museo Archeologico Nazionale
Collocazione: Porto Torres (SS) angioLiLLo 1987; Marmore luctus Oggetto: Erma bifronte
Museo Archeologico Nazionale 2004, p. 41. Materia e tecnica: Marmo bianco/
Antiquarium Turritano Fotografo: Dessì, Pierluigi scalpellatura
Oggetto: Erma Compilatore: Defrassu, Pierangela Misure: h 16,7
Materia e tecnica: Marmo giallo antico/ Descrizione: Erma che da una parte
scalpellatura ha rafigurato un fanciullo in at-
Misure: h 13; largh. 7,9 teggiamento mesto e dall’altra un
Descrizione: Erma di guerriero con elmo bambino sorridente, entrambi coi
di tipo calcidico, ornato di corna di capelli ricci, con due bande ai lati
ariete. L’elmo è provvisto di paragna- della testa e pampini ad incornicia-
tidi che proteggono parte delle guance re il volto.
e vanno a chiudersi sotto il mento. Il Stato di conservazione: Mutilo
viso, allungato, presenta la fronte cor- Cronologia: Sec. I d.C.
rugata, coperta quasi interamente dal Bibliograia: taraMeLLi 1905, p. 46,
copricapo; il naso è lievemente schiac- igg. 2-3.

1.234 - Erma di satiro avanti e sulla fronte in piccoli ricci. 1.235 - Statua di sacerdote isiaco Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00097728 Mossi sono anche i bafi e la barba, Numero Catalogo Generale: 00162807 Compilatore: Sulis, Roberta
Numero inventario: 4932/10132 che, come la frangia, presentano un Numero inventario: 180044
Provenienza: Porto Torres (SS) abbondante uso del trapano. La parte Provenienza: Cagliari, area archeologica
Terme centrali o via Cardinale, fogna posteriore della testa è tagliata. sottostante la chiesa di Sant’Eulalia,
Collocazione: Sassari Stato di conservazione: Frammentario teatro
Museo Nazionale G.A. Sanna Cronologia: Sec. II d.C. Collocazione: Cagliari
Oggetto: Erma Bibliograia: equini schneider 1979, Museo e area archeologica
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ p. 40 n. 31, tav. XXX, 2. di Sant’Eulalia
levigatura/ a trapano Fotografo: Dessì, Pierluigi Oggetto: Statua
Misure: h 14,8; largh. 11,2; prof. 8,6; Compilatore: Pilo, Chiara Materia e tecnica: granito/ scalpellatura
dist. fronte-mento 8,8; dist. angoli Misure: h 67
esterni occhi 6,2. Descrizione: Il manufatto rafigura un
Descrizione: Erma di personaggio bar- sacerdote di Iside nell’atto di presen-
bato rappresentante un satiro, con tare il canopo reggendolo, per non
corona d’edera. Il volto è squadrato contaminarlo, con le due mani co-
con arcate sopraciliari incurvate, oc- perte dal mantello. Nel torso reca il
chi cavi contornati da spesse palpe- disco solare alato.
bre, naso grosso e bocca aperta. I Stato di conservazione: Mutilo
capelli si dispongono sulla testa in Cronologia: Sec. II d.C.
ciocche ondulate incise pettinate in Bibliograia: Mureddu 2002a, pp. 57-61.

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La Sardegna Romana

1.236 - Statua di Bes Stato di conservazione: Mutilo 1.237 - Statua di Bes sinistra si arrotola un serpentello.
Numero Catalogo Generale: 00163188 Cronologia: Età romana imperiale Numero Catalogo Generale: 00163189 Stato di conservazione: Mutilo
Numero inventario: 180529 Bibliograia: taraMeLLi 1903, pp. Numero inventario: 180528 Cronologia: Età romana imperiale
Provenienza: Fordongianus (OR) 482-484, igg. 10, 10a. Provenienza: Fordongianus (OR) Bibliograia: taraMeLLi 1903, pp.
terme romane Fotografo: Monari, Nicola terme romane 482-484, igg. 9, 9a.
nei pressi della vasca superiore Compilatore: Puddu, Manuela nei pressi della vasca superiore Fotografo: Monari, Nicola
Collocazione: Cagliari Collocazione: Cagliari Compilatore: Puddu, Manuela
Museo Archeologico Nazionale Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Statua Oggetto: Statua
Materia e tecnica: Trachite/ scalpellatura Materia e tecnica: Trachite grigio-
Misure: h 81,5. chiara/ scalpellatura
Descrizione: Statua di Bes stante, in Misure: h 79
posizione frontale, deforme per Descrizione: Statua acefala di Bes,
proporzioni e pinguedine. Testa stante su basamento, in posizione
sommariamente sbozzata; braccia frontale, deforme per proporzio-
piegate e mani accostate al ven- ni e pinguedine. Braccia piegate e
tre; il corpo nudo è cinto intorno mani accostate al ventre; il corpo
ai ianchi da un perizoma; sulla nudo è cinto intorno ai ianchi da
schiena la gobba. Intorno al brac- un perizoma, arrotolato intorno
cio sinistro ed alla vita si arrotola ad un cingulum alla vita; sulla schie-
un serpentello. na la gobba. Intorno alla mano

1.238 - Singe Stato di conservazione: Parzialmente


Numero Catalogo Generale: 00163187 ricomposta
Numero inventario: 7020 Cronologia: Età romana imperiale
Provenienza: Cagliari, orto botanico Bibliograia: Pesce 1978, pp. 75-77,
Collocazione: Cagliari igg. 53-54.
Oggetto: Statua zoomorfa Fotografo: Monari, Nicola
Museo Archeologico Nazionale Compilatore: Puddu, Manuela
Materia e tecnica: Granito di Siene/
scalpellatura
Misure: h 78; lungh. 147
Descrizione: Singe con le zam-
pe posteriori (munite di tre dita)
piegate e le anteriori (con quat-
tro dita) distese in avanti; coda
ripiegata a cerchio sulla coscia
sinistra. La testa umana maschile
è rivolta in avanti ed è coperta dal
classico copricapo faraonico con
il serpente ureo; sotto il collo un
pettorale semilunato a forma di
bassorilievo.

1.239 - Mosaico arco più alta dei merli. Segue un Cronologia: Sec. II d.C.
Numero Catalogo Generale: 00097736 campo nero, separato da una linea Bibliograia: angioLiLLo 1981, pp.
Numero inventario: 3534/4941/8538 nera di tre tessere e una bianca di 183-184, tav. XXV, ig. 155.
Provenienza: Porto Torres (SS) quattro, partito in una serie di pic- Fotografo: Dessì, Pierluigi
Terme centrali coli quadrati bianchi tangenti per Compilatore: Trudu, Enrico
Collocazione: Sassari i vertici, intersecantisi in modo
Museo Nazionale G.A. Sanna da creare riquadri. Questi ultimi
Oggetto: Mosaico sono occupati da quadrati bianchi
Materia e tecnica: Marmo di Carrara/ diagonali, a loro volta decorati,
a mosaico; marmo nero antico/ su ile alterne, da una svastica nera
a mosaico con le estremità ripiegate o dalle
Misure: largh. 230; lungh. 242; lar- stesse diagonali segnate da tesse-
gh. tessere 0,9; lungh. tessere 1,4 re nere tangenti per i vertici. Lo
Descrizione: Mosaico con bordo schema può interpretarsi come
esterno decorato da una schema- una composizione di scalei a T. Sul
tica rappresentazione di cortina lato opposto, il bordo, separato dal
muraria in opera isodoma: tre i- campo da una doppia proilatura di
lari di blocchi rettangolari bianchi quattro tessere bianche e tre nere,
proilati di nero, coronati da merli è decorato da un girale di tessere
neri a T disposti ad intervalli re- nere.
golari e interrotti da una porta ad Stato di conservazione: Mutilo

380
La Sardegna Romana

1.240 - Mosaico re brune con proilature in tessere


Numero Catalogo Generale: 00163123 nere; i particolari anatomici, pochi e
Numero inventario: 4944/17153 resi con linee bianche, si uniforma-
Provenienza: Porto Torres (SS) no allo schematismo che caratteriz-
Terme centrali za l’insieme della composizione.
Collocazione: Sassari Stato di conservazione: Integro
Museo Nazionale G.A. Sanna Cronologia: Sec. III d.C.
Oggetto: Mosaico Bibliograia: angioLiLLo 1981, p.
Materia e tecnica: Marmo di Carrara/ 183, tav. XXXIX, ig. 154.
a mosaico; marmo nero antico/ Fotografo: Dessì, Pierluigi
a mosaico Compilatore: Trudu, Enrico
Misure: largh. 308; lungh. 318; largh.
min. tessere 1; largh. max tessere
1,2; lungh. min. tessere 1,2; lungh.
max tessere 1,4
Descrizione: Mosaico policromo in
tessere bianche, nere e brune; sul
campo bianco si dispongono, in
modo abbastanza regolare, su ile
quasi parallele, numerosi animali
marini. Le igure sono rese in tesse-

1.241 - Mosaico trecce con scomparti internamente


Numero Catalogo Generale: 00163142 decorati. Il frammento rafigura su
Numero inventario: Assente fondo bianco una nereide a torso
Provenienza: Cagliari nudo, con i capelli raccolti e ornati
ambiente termale a Bonaria da un diadema, seduta su un toro
Collocazione: Cagliari marino, del quale sono visibili la
Museo Archeologico Nazionale parte anteriore del corpo, con le
Oggetto: Mosaico zampe sollevate e coda triida; il
Materia e tecnica: Marmo di Carrara/ resto della igura è stato oggetto in
a mosaico; marmo nero/ a mosai- antico di un restauro grossolano
co; marmo marrone/ a mosaico; in tessere più grosse e lastrine di
marmo verde/ a mosaico; marmo marmo. Le igure sono rivolte ver-
rosso/ a mosaico; marmo ocra/ a so destra, i corpi, uniformi, sono
mosaico; arenaria/ scalpellatura/ inquadrati da linee di contorno
levigatura. marcate.
Misure: largh. 82; lungh. 94; largh. Stato di conservazione: Mutilo
tessere nelle parti igurate 0,4; lungh. Cronologia: Sec. III d.C.
tessere nelle parti igurate 0,6; largh. Bibliograia: angioLiLLo 1981, pp.
tessere nel fondo 0,6; lungh. tessere 79-85, tav. XLIX, ig. 71q.
nel fondo 0,7 Fotografo: Monari, Nicola
Descrizione: Mosaico a reticolato di Compilatore: Trudu, Enrico

1.242 - Mosaico ta bianca e nera sono rafigurati uc-


Numero Catalogo Generale: 00163071 celli acquatici attorno ad un cratere.
Numero inventario: Assente Stato di conservazione: Frammentario
Provenienza: Cagliari Cronologia: Sec. I a.C.
Villa di Tigellio, esedra del piano Bibliograia: angioLiLLo 1981, p. 92
superiore della Casa degli stucchi n. 80, tav. LI, n. 80.
Collocazione: Cagliari Fotografo: Monari, Nicola
Museo Archeologico Nazionale Compilatore: Pilo, Chiara
depositi
Oggetto: Mosaico
Materia e tecnica: Pietra/ taglio
Misure: h 55; largh. 55 largh. tesse-
re del bordo 0,4; lungh. tessere del
bordo 0,5; largh. tessere del campo
0,1; lungh. tessere del campo 0,4
Descrizione: Emblema di forma qua-
drata composto da tessere lapidee
bianche, nere, grigie, gialle, mar-
roni, ocra e rosa e tessere in pasta
vitrea di colore verde e azzurro.
All’interno di una cornice dentella-

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La Sardegna Romana

1.243 - Mosaico che poggiano le zampe anteriori


Numero Catalogo Generale: 00163194 sull’orlo di un cratere a calice e be-
Numero inventario: Assente vono. Colori tra il giallo e il mar-
Provenienza: Sant’Antioco (CI) ron su sfondo bianco; il cratere è
Is Solus dorato.
Collocazione: Sant’Antioco (CI) Stato di conservazione: Mutilo
Museo Archeologico Comunale Cronologia: Secc. II/III d.C.
F. Barreca Bibliograia: angioLiLLo 1981, pp.
Oggetto: Mosaico 67-68, n. 65, tav. XLII.
Materia e tecnica: Pietra/ a mosaico Fotografo: Monari, Nicola
Misure: h 160; largh. 166,5; largh. Compilatore: Puddu, Manuela
min. tessere 1; largh. max tessere
1,5; lungh. min. tessere 0,4; lungh.
max tessere 0,7; lungh. campo 117;
largh. campo 108
Descrizione: Emblema con scena igu-
rata entro cornice a treccia (tesse-
re bianche, gialle e rosse su fondo
nero) e due bande lineari nera e
bianca. La igurazione consiste in
due pantere di proilo, affrontate,

1.244 - Mosaico genti tra loro, di colore nero, che


Numero Catalogo Generale: 00163201 determinano degli spazi di risulta
Numero inventario: Assente quadrati e a losanghe; sul perime-
Provenienza: Porto Torres (SS) tro esterno degli esagoni si trova un
Terme centrali motivo a treccia a due elementi con
Collocazione: Porto Torres (SS) tessere bianche, grigie e marron.
Museo Archeologico Nazionale Stato di conservazione: Frammentario
Antiquarium Turritano Cronologia: Secc. III/IV d.C.
Oggetto: Mosaico Bibliograia: angioLiLLo 1981, pp.
Materia e tecnica: Pietra/ taglio 174-175, n. 141, ig. 39, tav. 19.
Misure: h lacerto maggiore 221; h Fotografo: Dessì, Pierluigi
lacerto minore 130; largh. lacerto Compilatore: Puddu, Manuela
maggiore 224; largh. lacerto mino-
re 190; h min. tessere 1; h max tes-
sere 1,5; largh. min. tessere 2; largh.
max tessere 3
Descrizione: Mosaico composto da
tessere di colore marron chiaro e
scuro, bianco, nero e grigio; deco-
razione costituita da una serie di
esagoni allungati, incrociati e tan-

1.245 - Mosaico si dispone una fascia monocroma


Numero Catalogo Generale: 00163202 ocra ed inine una scacchiera costi-
Numero inventario: Assente tuita da elementi triangolari bianchi
Provenienza: Porto Torres (SS) e neri.
Terme centrali Stato di conservazione: Frammentario
Collocazione: Porto Torres (SS) Cronologia: Secc. III/IV d.C.
Museo Archeologico Nazionale Bibliograia: angioLiLLo 1981, pp.
Antiquarium Turritano 174-175, n. 141, ig. 39, tav. VIII.
Oggetto: Mosaico Fotografo: Dessì, Pierluigi
Materia e tecnica: Pietra/ taglio Compilatore: Puddu, Manuela
Misure: h lacerto maggiore 199; largh.
lacerto maggiore 243; h lacerto mi-
nore 168; largh. lacerto minore 191
Descrizione: Mosaico a fondo bian-
co, sul quale si dispone una ila di
quadrati con lati curvilinei neri e
centro bianco, accanto alla quale
corre una fascia di rettangoli al-
ternativamente bianchi e neri, pro-
ilati da un triplice giro di tessere
bianche; oltre questa decorazione

382
La Sardegna Romana

1.246 - Affresco quale si conservano parte di un tral- 1.247 - Affresco residua la parte destra del volto di una
Numero Catalogo Generale: 00163061 cio vegetale arcuato ed un elemento Numero Catalogo Generale: 00163060 igura femminile, verosimilmente la
Numero inventario: Assente non meglio identiicato su uno sfon- Numero inventario: Assente personiicazione dell’Estate.
Provenienza: Cagliari, via Tigellio do bianco-grigio; i colori utilizzati Provenienza: Cagliari, via Tigellio Stato di conservazione: Frammentario
Collocazione: Cagliari, Dipartimento sono il verde, il rosato e il bruno. Collocazione: Cagliari, Dipartimento Cronologia: Secc. II/III d.C.
di Storia, Beni Culturali e Territorio, Stato di conservazione: Frammentario di Storia, Beni Culturali e Territorio, Bibliograia: Villa Tigellio 1981, p. 39
Cittadella dei Musei Cronologia: Sec. I d.C. Cittadella dei Musei n. 2, tav. IV, 1.
Oggetto: Affresco Bibliograia: Villa Tigellio 1981, pp. 38- Oggetto: Affresco Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Intonaco/ a fresco 39 n. 1, tav. 3, 1. Materia e tecnica: intonaco/ a fresco Compilatore: Pilo, Chiara
Misure: h 18; largh. 12,5; spess. primo Fotografo: Monari, Nicola Misure: h 14,6; largh. 13; spess. 2,4;
strato intonaco 1,2; spess. secondo Compilatore: Pilo, Chiara spess. primo strato intonaco 0,9;
strato intonaco 1,1; spess. terzo stra- spess. secondo strato intonaco 1,2;
to intonaco 0,3. spess. terzo strato intonaco 0,3
Descrizione: due frammenti comba- Descrizione: Due frammenti comba-
cianti di rivestimento parietale costi- cianti di rivestimento parietale forma-
tuito da tre strati di intonaco. Il pri- to da tre strati di intonaco di cui due
mo e il secondo strato sono di colore più grossolani, con inclusi frequenti
bianco con inclusi rosati e grigi di di piccole dimensioni, più radi di me-
piccole dimensioni; più sottile e ine die dimensioni, e un terzo, quello su-
lo strato superiore, sul quale è rea- periciale, più ine; su questo è realiz-
lizzata la decorazione igurata, della zata la decorazione dipinta della quale

1.248 - Stucco decorato


Numero Catalogo Generale: 00002441
Numero inventario: 285/3967
Provenienza: Porto Torres (SS)
Collocazione: Sassari
Museo Nazionale G.A. Sanna
Oggetto: Testa femminile
Materia e tecnica: Stucco/ a matrice
Misure: lungh. 12; largh. 11
Descrizione: Testa pertinente ad al-
torilievo; modellata solo la parte a
vista. Volto tondo e paffuto; labbra
tumide imbronciate, naso schiac-
ciato, arcata sopracciliare sfumata,
palpebre gonie; capelli tirati indie-
tro con alto ciuffo sulla fronte.
Stato di conservazione: Mutilo
Cronologia: Età romana
Bibliograia: FioreLLi 1883, p. 121.
Fotografo: Dessì, Pierluigi
Compilatore: Sulis, Roberta

1.249 - Embrice con anteissa modiica della forma trapezoidale


Numero Catalogo Generale: 00163127 canonica degli embrici che consen-
Numero inventario: te il progressivo incastro di diver-
16088/16092/160098 si elementi. Lo spazio decorativo
Provenienza: Castiadas (CA) dell’anteissa è scandito da cinque
relitto di Cala Sinzias palmette.
Collocazione: Cagliari Stato di conservazione: Parzialmente
Museo Archeologico Nazionale ricomponibile
Oggetto: Embrice con anteissa Cronologia: Sec. I d.C.
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice Bibliograia: saLvi 1995, pp. 263-272.
Misure: lungh. 75; largh. 50; largh. Fotografo: Monari, Nicola
posteriore 48,5 Compilatore: Trudu, Enrico
Descrizione: Embrice dotato di cor-
nice rialzata con funzione di ante-
issa decorativa. Alle spalle della
cornice è presente uno spazio non
delimitato sul lato lungo, tra l’an-
teissa stessa ed i margini rialzati
dell’embrice, pensato come canale
per il delusso delle acque mete-
oriche. L’elemento presenta una

383
2.
Istituzioni
ed epigrafia
della Sardegna
romana
e tardoantica
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.1 - Iscrizione sacra è costituita da una ricca ghirlanda Bibliograia: Le gLay 1984, pp. 105-115,
Numero Catalogo Generale: 00163002 di iori e frutti, divisa da nastri in tavv. I-IV, p. 116 ig. 1; Boninu 1984,
Numero inventario: 13017 quattro festoni, che poggiano su pp. 28-29, ig. 11; sotgiu 1988, pp.
Provenienza: Porto Torres (SS) quattro elementi: da sinistra a de- 595-596, n. B69; Mastino & visMa-
Terme centrali stra, essi rappresentano una divini- ra 1994, pp. 38-39, ig. 22.
Collocazione: Porto Torres (SS) tà-serpente con iore di loto sulla Fotografo: Dessì, Pierluigi
Museo Archeologico Nazionale testa rivolta verso destra, una iac- Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Antiquarium Turritano cola, una seconda divinità-serpente
Oggetto: Ara con iscrizione con iore di loto sulla testa rivolta
Materia e tecnica: Marmo bianco/ verso sinistra, inine una seconda
scalpellatura/ levigatura/ a trapano iaccola; la decorazione è comple-
Lingua dell’iscrizione: Latino tata da due elementi cultuali, posti
Tecnica di scrittura: A solchi al di sopra di due dei quattro festo-
Tipo di caratteri: Lettere capitali ni, ai lati dell’iscrizione: una situla
Posizione dell’iscrizione: Fascia centrale (vaso rituale contenente l’acqua
dell’altare sacra del Nilo) e un sistro. L’iscri-
Misure: h 92; diam. 60; h lettere zione è una dedica alla divinità
2,7-4 egiziana Bubastis da parte di C(aius)
Descrizione: Ara di forma cilindrica, Cuspius Felix.
riccamente decorata lungo tutta la Stato di conservazione: Integro
supericie laterale; la decorazione Cronologia: 35 d.C.

2.2 - Iscrizione sacra del pantheon romano (dis deabusque)


Numero Catalogo Generale: 00163085 formulata secondo l’indicazione
Numero inventario: Assente dell’oracolo di Apollo Claro.
Provenienza: Sarroch (CA) Stato di conservazione: Mutilo
chiesa di San Nicola Cronologia: 213-214 d.C.
Collocazione: Villa San Pietro (CA) Bibliograia: AE 1929, 156; sotgiu
chiesa parrocchiale di San Pietro 1955, pp. 579-580; sotgiu 1961b, pp.
Oggetto: Lastra con iscrizione 37-38; n. 42; BirLey 1974, pp. 511-513;
Materia e tecnica: Pietra/ sbozzatura/ euzennat 1976, pp. 63-68; sotgiu
levigatura/ a incisione 1988, pp. 558, n. A42; zucca 1994,
Lingua dell’iscrizione: Latino p. 877, n. 46; Catalogo P.E.T.R.A.E.
Tecnica di scrittura: A solchi 2002, pp. 745-746, n. 553.
Tipo di caratteri: Lettere capitali Fotografo: Monari, Nicola
Posizione dell’iscrizione: Entro doppia Compilatore: Lai, Francesca
cornice; occupa i 3/4 dello spazio
Misure: h 68; largh. 98; prof. 29; h
lettere 4,5-7,5
Descrizione: Spessa lastra di forma
rettangolare, con iscrizione realiz-
zata entro doppia cornice sempli-
ce. Il testo è una dedica alle divinità

2.3 - Iscrizione sacra centrato, è una dedica al Sardus Pa-


Numero Catalogo Generale: 00162563 ter da parte dello schiavo imperiale
Numero inventario: Assente Alexander, responsabile di una regio.
Provenienza: Fluminimaggiore (CI) Stato di conservazione: Intero
tempio del Sardus Pater di Antas Cronologia: 213-249 d.C.
Collocazione: Cagliari Bibliograia: sotgiu 1968-1970, pp.
Museo Archeologico Nazionale 15-20, n. 2, tav. VIII; AE 1971,
Oggetto: Tabula ansata con iscrizione 120 e AE 1972, 227; sotgiu 1988,
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione/ p. 583, n. B14; AE 1998, 671; AE
incisione 2001, 1112; Catalogo P.E.T.R.A.E.
Lingua dell’iscrizione: Latino 2002, pp. 1075-1076, n. 893.
Tecnica di scrittura: A solchi Fotografo: Monari, Nicola
Tipo di caratteri: Lettere capitali Compilatore: Ibba, Antonio
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 9,6; largh. 9,5; spess. 0,2; h
lettere 0,6-0,7
Descrizione: Tabula ansata rettangola-
re a sviluppo orizzontale, munita di
due fori passanti, uno al centro del-
la parte superiore e l’altro simme-
trico nella parte inferiore. Il testo,

387
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.4 - Iscrizione onoraria Faustina Maggiore, Marco Aurelio


Numero Catalogo Generale: 00163037 e Lucio Vero, posta da Q(uintus)
Numero inventario: Assente Rutilius V[---], forse un magistrato
Provenienza: Bosa (OR) cittadino o un sacerdote del culto
chiesa di San Pietro extra muros imperiale, a sue spese e per decreto
Collocazione: Bosa dell’ordo decurionum di Bosa; di cia-
Museo Archeologico di Bosa scuna statuetta argentea è precisato
e della Planargia il peso.
Oggetto: Lastra con iscrizione Stato di conservazione: Ricomposto
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ Cronologia: 138-141 d.C.
levigatura Bibliograia: CIL X 7939; Mastino
Lingua dell’iscrizione: Latino 1980a, p. 46 e note 19 e 21; gasPe-
Tecnica di scrittura: A solchi rini 1992a, pp. 297-301, n. 3, ig.4;
Tipo di caratteri: Lettere capitali AE 1992, 894; Storia Sardegna 2005,
Posizione dell’iscrizione: Fronte pp. 270-272.
Misure: h 45; largh. 118; spess. 12; Fotografo: Dessì, Pierluigi
h lettere 2-4 Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Descrizione: Lastra di forma rettan-
golare, che è una targa didascalica
relativa alla dedica di quattro sta-
tuette d’argento di Antonino Pio,

2.5 - Iscrizione onoraria anteriore. Interpunzione regolare a


Numero Catalogo Generale: 00162505 spina di rosa, foglia d’edera ed edere
Numero inventario: Assente stilizzate. Il testo contiene una de-
Provenienza: Neapolis (Guspini - VS) dica all’imperatore Valeriano, posta
Santa Maria di Nabui a spese pubbliche, per decreto dei
Collocazione: Guspini (VS) decurioni di Neapolis.
palazzo comunale Stato di conservazione: Ricomposto
Oggetto: Lastra di rivestimento Cronologia: 257-260 d.C.
con iscrizione Bibliograia: zucca & cossu 2005,
Materia e tecnica: Marmo bianco/ pp. 197-204.
scalpellatura Fotografo: Dessì, Pierluigi
Lingua dell’iscrizione: Latino Compilatore: Ibba, Antonio
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 24; largh. 74; spess. 3,5;
h lettere 4
Descrizione: Lastra di forma rettan-
golare; con nella faccia posteriore
evidenti tracce di malta, che par-
zialmente invade anche la faccia

2.6 - Iscrizione onoraria del museo. Il testo contiene una de-


Numero Catalogo Generale: 00163089 dica al iglio di Gallieno, Salonino,
Numero inventario: 135740/135741 che compare con i titoli di Caesar e
Provenienza: Nora (Pula - CA) princeps iuventutis.
Collocazione: Pula (CA) Stato di conservazione: Parzialmente
Civico Museo Archeologico ricomposto
G. Patroni Cronologia: 258-260 d.C.
Oggetto: Lastra con iscrizione Bibliograia: EE VIII 751, 770, 797;
Materia e tecnica: Marmo/ lisciatura/ MeLoni 1959, pp. 135 ss.; sotgiu
a incisione 1969, pp. 12-14, n. 4; sotgiu 1988,
Lingua dell’iscrizione: Latino p. 584, n. B21; zucca 1994, p. 878,
Tecnica di scrittura: A solchi n. 54; Catalogo P.E.T.R.A.E. 2002,
Tipo di caratteri: Lettere capitali pp. 734-735, n. 543; zucca 2004c,
Posizione dell’iscrizione: Non deinibile pp. 358-359.
Misure: h 38; largh. 21; prof. 2; h Fotografo: Monari, Nicola
lettere 3,5-4,5 Compilatore: Lai, Francesca
Descrizione: Lastra parzialmente ri-
composta da due frammenti di for-
ma irregolare a cui va ad aggiungersi
un terzo, di dimensioni molto infe-
riori, non rintracciato nei magazzini

388
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.7 - Iscrizione onoraria epigraico, delimitato da una corni-


Numero Catalogo Generale: 00104418 ce, è stato ottenuto ribassando la
Numero inventario: 7916 supericie del dado; sono presenti
Provenienza: Porto Torres (SS) quattro fori. L’iscrizione è la dedica
Terme Pallottino a Galerio da parte di Valerius Domi-
Collocazione: Sassari tianus, praeses provinciae.
Museo Nazionale G.A. Sanna Stato di conservazione: Mutilo
Oggetto: Base onoraria con iscrizione Cronologia: 305 d.C.
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ Bibliograia: AE 1948, 178; AE
a gradina/ levigatura 1951, 252; sotgiu 1961b, pp. 161-
Lingua dell’iscrizione: Latino 162, n. 241; Mastino 1984, p. 53;
Tecnica di scrittura: A solchi sotgiu 1988, p. 572, n. A241.
Tipo di caratteri: Lettere capitali Fotografo: Dessì, Pierluigi
Posizione dell’iscrizione: Faccia ante- Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
riore della base
Misure: h 126; largh. 53; prof. 50; h
lettere 3,2-5
Descrizione: Base di statua formata
da uno zoccolo di base, un dado
centrale con iscrizione sul lato a vi-
sta, una cimasa superiore. Il campo

2.8 - Iscrizione onoraria scrizione si trova nel dado centrale,


Numero Catalogo Generale: 00162569 non incorniciato, ed è una dedica
Numero inventario: 5848 a M(arcus) Cosconius Fronto, procu-
Provenienza: Cagliari ratore sotto il principato congiun-
Collocazione: Cagliari to di Settimio Severo e Caracalla e
ex Museo Archeologico Nazionale praef(ectus) prov(inciae) Sard(iniae), da
Oggetto: Base onoraria con iscrizione parte di P(ublius) Sempronius Victor,
Materia e tecnica: Calcare/ subbiatura/ optio praetorii.
levigatura Stato di conservazione: Mutilo
Lingua dell’iscrizione: Latino Cronologia: 206-207 d.C.
Tecnica di scrittura: A solchi Bibliograia: CIL X 7583; MeLoni
Tipo di caratteri: Lettere capitali 1958, pp. 204-205, n. 33; Le Bohec
Posizione dell’iscrizione: Fronte 1990, pp. 45-46, 118-119, n. 33;
Misure: h 107; largh. 66; prof. 48,5; zucca 1994, p. 870, n. 23; Catalo-
h lettere 3,5-5 go P.E.T.R.A.E. 2002, pp. 450-453,
Descrizione: Base parallelepipeda n. 247.
a sviluppo verticale, della quale si Fotografo: Monari, Nicola
conservano attualmente lo zoc- Compilatore: Ibba, Antonio
colo e parte del dado centrale. Lo
zoccolo è lavorato sommariamen-
te anche nella faccia anteriore; l’i-

2.9 - Iscrizione onoraria mediana superiore, è libero e inciso


Numero Catalogo Generale: 00162516 sul dado centrale; il testo contiene
Numero inventario: 21647 una dedica a Rufus, iglio di Lucius,
Provenienza: Cagliari da parte di Titus Cutius [---] e pro-
Collocazione: Cagliari babilmente uno Iul[ius ---].
ex Museo Archeologico Nazionale Stato di conservazione: Mutilo
Oggetto: Base onoraria con iscrizione Cronologia: 117-138 d.C.
Materia e tecnica: Calcare/ subbiatura/ Bibliograia: CIL X 7587; ILS 1402;
levigatura sotgiu 1961b, n. 158; Le Bohec
Lingua dell’iscrizione: Latino 1990, pp. 82, 123-124, n. 50; zuc-
Tecnica di scrittura: A solchi ca 1994, p. 868, n. 12; Catalogo
Tipo di caratteri: Lettere capitali P.E.T.R.A.E. 2002, pp. 457-458, n.
Posizione dell’iscrizione: Fronte 251; Porrà 2003, pp. 780-783.
Misure: h 113; largh. 47,5; prof. 48; Fotografo: Monari, Nicola
h lettere 4-5,5 Compilatore: Ibba, Antonio
Descrizione: Base parallelepipeda a
sviluppo verticale, composta da
un dado centrale, da uno zoccolo
e un coronamento, originariamente
raccordati da semplici modanature.
Il campo epigraico, in posizione

389
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.10 - Iscrizione onoraria per i perni di una statua. La statua


Numero Catalogo Generale: 00163086 è stata dedicata dai Sulcitani per Lu-
Numero inventario: 5811 cius Cornelius Marcellus, quattuorviro
Provenienza: Sant’Antioco (CI) II iure dicundo e padre di Lucius Cor-
Collocazione: Cagliari nelius Laurus, in ricordo dei servizi
ex Museo Archeologico Nazionale resi alla comunità, per volontà te-
Oggetto: Base onoraria con iscrizione stamentaria dello stesso Marcellus.
Materia e tecnica: Calcare bianco/ Stato di conservazione: Mutilo
sbozzatura/ levigatura/ a incisione Cronologia: 40-211 d.C.
Lingua dell’iscrizione: Latino Bibliograia: CIL X 7518; ILS 6764;
Tecnica di scrittura: A solchi zucca 1994, p. 887, n. 74; rug-
Tipo di caratteri: Lettere capitali geri 1999, p. 162, n. 10; Catalogo
Posizione dell’iscrizione: Faccia levigata P.E.T.R.A.E. 2002, pp. 776-777, n.
della lastra 586; zucca 2003, p. 243, n. 13.
Misure: h 89; largh. 70; prof. 36; h Fotografo: Monari, Nicola
lettere 2-3 Compilatore: Lai, Francesca
Descrizione: Base parallelepipeda
con iscrizione su campo epigraico
aperto, impaginata su nove linee.
Sulla faccia superiore della grossa
lastra si trovano gli alloggiamenti

2.11 - Iscrizione onoraria Cominius M(arci) il(ius) Crescens, pro-


Numero Catalogo Generale: 00163018 babilmente da parte di [-] Arrius
Numero inventario: Assente C[r]escens e S[---], entrambi, forse,
Provenienza: Cuglieri (OR) magistrati cornuensi.
Collocazione: Sassari Stato di conservazione: Mutilo
Museo Nazionale G.A. Sanna Cronologia: 211 d.C. (oppure 259
Oggetto: Base onoraria con iscrizione d.C. o 289 d.C.).
Materia e tecnica: Calcare/ scalpellatura/ Bibliograia: CIL X 7917; Mastino
levigatura 1979, pp. 111-112, n. 3; AE 1997,
Lingua dell’iscrizione: Latino 753; Storia Sardegna 2005, p. 268.
Tecnica di scrittura: A solchi Fotografo: Dessì, Pierluigi
Tipo di caratteri: Lettere capitali Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 125; largh. 61-69; prof.
51; h lettere 4
Descrizione: Grosso blocco utilizza-
to per una base di statua; la parte
superiore è costituita da una ci-
masa modanata. L’iscrizione, che
era incisa sulla cimasa e sul lato a
vista, dedicava la statua a M(arcus)

2.12 - Iscrizione onoraria re del dado centrale, è in campo


Numero Catalogo Generale: 00104411 aperto ed è una dedica a Q(uintus)
Numero inventario: 3 Allius Pudentillus, augure, da parte
Provenienza: Porto Torres (SS) delle XXIII curie della colonia di
Terme centrali Turris Libisonis e dei Ministri Larum
Collocazione: Sassari Augustorum.
Museo Nazionale G.A. Sanna Stato di conservazione: Parzialmente
Oggetto: Base onoraria con iscrizione ricomposto
Materia e tecnica: Travertino/ lisciatura/ Cronologia: 100-199 d.C.
a incisione Bibliograia: CIL X 7953; Mastino
Lingua dell’iscrizione: Latino 1984, pp. 40-41, 59 e 61; p. 87, n.
Tecnica di scrittura: A solchi 1, tav. I; Panciera 1987, p. 37 ss.;
Tipo di caratteri: Lettere capitali sotgiu 1988, p. 665, n. C104; Storia
Posizione dell’iscrizione: Faccia ante- Sardegna 2005, p. 277.
riore del dado della base Fotografo: Dessì, Pierluigi
Misure: h 123; largh. 65; prof. 53; h Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
lettere 4-6
Descrizione: Base formata da zocco-
lo, dado centrale e cimasa. Ai lati
un urceus e una patera. L’iscrizione,
posizionata sulla faccia anterio-

390
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.13 - Iscrizione onoraria Il manufatto è di forma parallele- 1996, p. 1466, n. 26; zucca 2003a,
Numero Catalogo Generale: 00163078 pipeda, con doppia modanatura a p. 234, n. 20, p. 236, n. 1; cenerini
Numero inventario: 5920 listello nella base. Sulla faccia su- 2008a, pp. 223-224, ig. 2.
Provenienza: Sant’Antioco (CI) periore del blocco si trovano i fori Fotografo: Monari, Nicola
Collocazione: Sant’Antioco (CI), per i perni di issaggio di una sta- Compilatore: Lai, Francesca
Museo Archeologico Comunale tua; negli stessi alloggiamenti sono
F. Barreca presenti tracce di metallo. Dall’i-
Oggetto: Base onoraria con iscrizione scrizione si deduce che la statua
Materia e tecnica: Pietra/ scalpellatura/ doveva appartenere a un ediicio
levigatura/ a incisione sacro dedicato alla Signora Elat e
Lingua dell’iscrizione: Latino/neopunico fatto realizzare da Himilco al quale
Tecnica di scrittura: A solchi il iglio omonimo dedica la statua.
Tipo di caratteri: Lettere capitali Stato di conservazione: Mutilo
Posizione dell’iscrizione: Faccia del blocco Cronologia: 101-44 a.C.
Misure: h 85; largh. 77; prof. 74; h Bibliograia: CIL X 7513; degrassi
lettere 2,5 1957, n. 158; aMadasi guzzo 1967,
Descrizione: Base con iscrizione bi- pp. 129-131, n. 4, tav. LIII; vidMan
lingue su campo epigraico aperto 1969, n. 149; uBerti 1983, pp. 800
e impaginata su sette linee, di cui ss.; BartoLoni 1986, p. 201, n.1189;
le prime tre costituiscono il testo aMadasi guzzo 1990, p. 80, n. 13;
latino, le restanti quello neopunico. zucca 1994, p. 886, n. 62; zucca

2.14 - Iscrizione funeraria realizzato dalla liberta Aurelia Victoria.


Numero Catalogo Generale: 00162568 Stato di conservazione: Intero
Numero inventario: Assente Cronologia: 200-249 d.C.
Provenienza: Nora (Pula - CA) Bibliograia: CIL X 7859; EE VIII
Collocazione: Cagliari 727; sotgiu 1961b, V. I-2, n. 46;
ex Museo Archeologico Nazionale Catalogo P.E.T.R.A.E. 2002, pp.
Oggetto: Stele funeraria con iscrizione 727-728, n. 537; ruggeri 2008, pp.
Materia e tecnica: Marmo bianco/ 137-146.
scalpellatura/ levigatura Fotografo: Monari, Nicola
Lingua dell’iscrizione: Latino Compilatore: Ibba, Antonio
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 31.5; largh. 28; spess. 1,2;
h lettere 2
Descrizione: Lastra rettangolare di
marmo bianco, a sviluppo verticale.
Il campo epigraico è libero e contie-
ne l’epitafio di Aelia Cara Marcellina
(vissuta per 60 anni, 9 mesi, 20 giorni,
vedova da 9 anni, 11 mesi, 10 giorni)

2.15 - Iscrizione funeraria campo epigraico è ben lavorato e


Numero Catalogo Generale: 00162559 allineato a sinistra e contiene l’epi-
Numero inventario: 5890 tafio di Antonius Calvisius, morto
Provenienza: Cagliari a 75 anni, posto dal iglio Antonius
cimitero comunale Calvisianus.
Collocazione: Cagliari Stato di conservazione: Intero
Museo Archeologico Nazionale Cronologia: 150-199 d.C.
Oggetto: Stele funeraria con iscrizione Bibliograia: CIL X 7619; BoneLLo
Materia e tecnica: Marmo bianco/ 1985, pp. 204-205, n. II; Catalogo
scalpellatura/ levigatura P.E.T.R.A.E. 2002, pp. 220-221, n.
Lingua dell’iscrizione: Latino 89; FLoris 2005, pp. 172-174, n. 47,
Tecnica di scrittura: A solchi p. 797, n. 47.
Tipo di caratteri: Lettere capitali Fotografo: Monari, Nicola
Posizione dell’iscrizione: Fronte Compilatore: Ibba, Antonio
Misure: h 30.5; largh. 34; prof. 1,5;
h lettere 2-2,1
Descrizione: Lastra trapezoidale di
forma irregolare. Alla l. 1, fra le
lettere D ed M, è incisa un’ascia. Il
testo è chiuso da un’edera di grandi
dimensioni sotto l’ultima linea. Il

391
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.16 - Iscrizione funeraria alla categoria dei liberti di Turris


Numero Catalogo Generale: 00104452 Libisonis (Servilia C(aii) l(iberta) Mo[-
Numero inventario: 15968/4999 --]), mentre i due uomini sembra-
Provenienza: Porto Torres (SS) no imparentati, in quanto recano
Collocazione: Sassari lo stesso gentilizio (Apronius) e lo
Museo Nazionale G.A. Sanna stesso praenomen (Caius).
Oggetto: Lastra con iscrizione Stato di conservazione: Parzialmente
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ ricomposto
levigatura Cronologia: 46 a.C.-27 d.C.
Lingua dell’iscrizione: Latino Bibliograia: sotgiu 1961b, p. 169,
Tecnica di scrittura: A solchi n. 251; Mastino 1984, pp. 60, 71;
Tipo di caratteri: Lettere capitali sotgiu 1988, p. 572, n. A251; Storia
Posizione dell’iscrizione: Fronte Sardegna 2005, pp. 278, 280.
Misure: h 60; largh. 78.5; spess. 3,5; Fotografo: Dessì, Pierluigi
h lettere 7-9,5 Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Descrizione: Lastra di forma rettan-
golare. Il campo epigraico, aperto,
è centrato; l’iscrizione restituisce i
nomi frammentari al nominativo di
tre personaggi, dei quali uno fem-
minile sicuramente appartenente

2.17 - Iscrizione funeraria Stato di conservazione: Parzialmente


Numero Catalogo Generale: 00163025 ricomposto
Numero inventario: 7908/5023 Cronologia: 150-299 d.C.
Provenienza: Sconosciuta Bibliograia: sotgiu 1961b, pp. 219-
Collocazione: Sassari 220, n. 334; sotgiu 1988, p. 576,
Museo Nazionale G.A. Sanna n. A334.
Oggetto: Lastra con iscrizione Fotografo: Dessì, Pierluigi
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
levigatura
Lingua dell’iscrizione: Latino
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 22; largh. 25; spess. 4; h
lettere 2-2,5
Descrizione: Lastra di forma rettango-
lare irregolare; il testo, in campo aper-
to, è l’epitafio di un Aur(elius) Atime-
tianus, morto a 55 anni, 2 mesi e 10
giorni, posto in suo ricordo dai suoi
eredi e dalla moglie, rimasti anonimi.

2.18 - Iscrizione funeraria contorno subellittico. Il timpano è


Numero Catalogo Generale: 00162860 decorato da volute simmetriche unite
Numero inventario: 5923 da un anello orizzontale soprastante
Provenienza: Cagliari un elemento circolare. Le volute de-
ex convento di San Lucifero terminano, sugli pseudo acroteri, due
Collocazione: Cagliari, contro spirali; nello spazio di risulta
Museo Archeologico Nazionale sono visibili due elementi subpira-
Oggetto: Cippo a forma di botte midali con facce lisce e spigoli vivi.
Materia e tecnica: Calcare/ scalpellatura/ L’iscrizione contiene la dedica alla
levigatura defunta Aurelia Felicitas da parte dello
Lingua dell’iscrizione: Latino sposo Flavius Ingenuus.
Tecnica di scrittura: A solchi Stato di conservazione: Intero
Tipo di caratteri: Lettere capitali Cronologia: 150-200 d.C.
Posizione dell’iscrizione: Fronte Bibliograia: CIL X 7631; steFani
Misure: h 71; largh. 63; lungh. 183; h 1986, p. 126, n. 11, ig. 6; Catalogo
lettere 3,5-4 P.E.T.R.A.E. 2002, pp. 248-250, n.
Descrizione: Cippo a botte, poggiante 105¸ FLoris 2005, pp. 190-192, n. 54.
su una bassa base sagomata; presenta Fotografo: Monari, Nicola
sul lato anteriore un laterculus rettan- Compilatore: Ibba, Antonio; Sulis, Ro-
golare, con doppia cornice modana- berta
ta sui tre lati e timpano curvilineo a

392
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.19 - Iscrizione funeraria listello, di cui rimangono solo due 667, n. C116; durLiat 1982; Cata-
Numero Catalogo Generale: 00163090 frammenti, nella parte inferiore de- logo P.E.T.R.A.E. 2002, pp. 535-
Numero inventario: 21645 stra e nell’angolo inferiore destro. 537, n. 337; artizzu 2008, pp. 76-
Provenienza: Donori (CA) Sul verso il testo è inciso su campo 79, Lai 2012.
chiesa di San Nicola, oggi distrutta epigraico aperto e occupa tutti i Fotografo: Monari, Nicola
Collocazione: Cagliari frammenti residui. L’iscrizione sul Compilatore: Lai, Francesca
ex Museo Archeologico Nazionale recto è l’epitafio di Aurelia Honora-
Oggetto: Lastra con iscrizione ta posto dallo sposo Eupr[epes---?],
Materia e tecnica: Marmo/ lisciatura/ verna Aug(ustorum trium); l’iscrizione
a incisione sul verso è un prezziario dettagliato
Lingua dell’iscrizione: Latino relativo ai dazi applicati alle merci
Tecnica di scrittura: A solchi in transito da alcune aree dell’ager
Tipo di caratteri: Lettere capitali karalitanus verso la capitale.
Posizione dell’iscrizione: Su recto e verso Stato di conservazione: Parzialmente
Misure: h frammenti 13,5-38; largh. ricomposto
frammenti 41-84 Cronologia: Iscrizione sul recto: 209-
Descrizione: Lastra opistografa par- 211 d.C., iscrizione sul verso: 582-
zialmente ricomposta da quattro 602 d.C.
frammenti contigui iscritti e due Bibliograia: EE VIII 720-721; Pani
solidali. Sul recto l’iscrizione è incisa erMini & Marinone 1981, pp. 47-
entro doppia cornice modanata a 48, n. 77, ig. 77; sotgiu 1988, p.

2.20 - Iscrizione funeraria sius Blaesianus, decurio della cohors Li-


Numero Catalogo Generale: 00162981 gurum, fatto realizzare da Ti(berius)
Numero inventario: Assente Claudius Eutychus, liberto di Atte.
Provenienza: Olbia Stato di conservazione: Integro
San Simplicio Cronologia: Seconda metà del sec. I
Collocazione: Olbia d.C.
Museo Archeologico Bibliograia: AE 1892, 137; taMPoni
Oggetto: Lastra con iscrizione 1892, pp. 104-105; taMPoni 1895,
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ p. 58; ILS 2595; sotgiu 1961b, p.
levigatura 208, n. 313; sotgiu 1988, p. 575,
Lingua dell’iscrizione: Latino n. A313; Mastino 2004, p. 59, nota
Tecnica di scrittura: A solchi 70; p. 61 note 98-99; p. 72; ruggeri
Tipo di caratteri: Lettere capitali 2004, p. 284, ig. 2; Storia Sardegna
Posizione dell’iscrizione: Fronte 2005, pp. 396-397.
Misure: h 40,5; largh. 51,5; spess. 5; Fotografo: Dessì, Pierluigi
h lettere 2-3 Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Descrizione: Lastra rettangolare di
grosse dimensioni, di forma rego-
lare. Il campo epigraico, centrato,
è delimitato da una doppia cornice
e contiene l’epitafio di C(aius) Cas-

2.21 - Iscrizione funeraria posta da Aulus Egrilius Plarianus e


Numero Catalogo Generale: 00163011 da Claudia Hermione per la defun-
Numero inventario: Assente ta Claudia Irena e per i discendenti
Provenienza: Tergu (SS) futuri.
Collocazione: Tergu (SS) Stato di conservazione: Integro
chiesa di Nostra Signora di Tergu Cronologia: 100-199 d.C.
Oggetto: Lastra con iscrizione Bibliograia: CIL X 7955; ILS 6151;
Materia e tecnica: Marmo bianco/ Mastino 1984, p. 93, n. 7, tav. VII;
scalpellatura sotgiu 1988, p. 655, n. C105.
Lingua dell’iscrizione: Latino Fotografo: Dessì, Pierluigi
Tecnica di scrittura: A solchi Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 89; largh. 101; spess. 10; h
lettere 3,8-9,3
Descrizione: Lastra di forma rettan-
golare. Il campo epigraico, centra-
to, è delimitato da una cornice deli-
neata semplicemente e leggermen-
te incavata; l’iscrizione è la dedica
funeraria di un sepulchrum familiae,

393
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.22 - Iscrizione funeraria Stato di conservazione: Mutilo


Numero Catalogo Generale: 00163080 Cronologia: 100-299 d.C.
Numero inventario: 180088 Bibliograia: sotgiu 1961b, pp. 220-
Provenienza: Cagliari 221, n. 335; Catalogo P.E.T.R.A.E.
Basilica di San Saturnino 2002, pp. 235-237, n. 98; FLoris
Collocazione: Cagliari 2005, pp. 219-221, n. 67.
Basilica di San Saturnino Fotografo: Monari, Nicola
Oggetto: Cippo funerario con iscrizione Compilatore: Lai, Francesca
Materia e tecnica: Calcare/ a incisione
Lingua dell’iscrizione: Latino
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Su una delle
facce maggiori del blocco
Misure: h 85; largh. 51; prof. 43; h
lettere 4,5-5
Descrizione: Cippo di forma parallele-
pipeda. L’iscrizione è incisa in cam-
po epigraico aperto ed è posta da
Lucius Clodius Saturninus per il padre
Lucius Clodius Festus morto a 45 anni.

2.23 - Iscrizione funeraria destro e quattro in quello sinistro e


Numero Catalogo Generale: 00163100 contiene l’epitafio di Clodia Beneria
Numero inventario: Assente morta a 80 anni.
Provenienza: Sconosciuta Stato di conservazione: Mutilo
Collocazione: Cagliari Cronologia: 100-299 d.C.
Torre del leone o Torre dell’aquila, Bibliograia: CIL X 7712; steFa-
palazzo Boyl ni 1986, p. 139, n. 32; Catalogo
Oggetto: Cippo funerario con iscrizione P.E.T.R.A.E. 2002, pp. 351-353, n.
Materia e tecnica: Calcare/ scalpellatura/ 166a-166b; FLoris 2005, pp. 493-
a incisione 496, nn. 198a-b.
Lingua dell’iscrizione: Latino Fotografo: Monari, Nicola
Tecnica di scrittura: A solchi Compilatore: Lai, Francesca
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Latercolo sinistro
Misure: h 42,7; largh. 36,5
Descrizione: Cippo, probabilmente
a botte, composto da due laterculi
visibili, inquadrati da una cornice
semplice creata mediante l’incisio-
ne di un solo solco. Il testo è impa-
ginato su cinque linee nel laterculus

2.24 - Iscrizione funeraria Stato di conservazione: Mutilo


Numero Catalogo Generale: 00162983 Cronologia: 100-199 d.C.
Numero inventario: 14212 Bibliograia: AE 1992, 907.
Provenienza: Porto Torres (SS) Fotografo: Dessì, Pierluigi
Collocazione: Porto Torres (SS) Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Museo Archeologico Nazionale
Antiquarium Turritano
Oggetto: Lastra con iscrizione
Materia e tecnica: Marmo bianco/
scalpellatura/ levigatura
Lingua dell’iscrizione: Latino
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 22; largh. 34; spess. 3; h
lettere 3-4
Descrizione: Lastra di forma rettango-
lare che contiene l’epitafio di Fl(avia)
Faventina posto dal marito Hermes;
hedera distinguens posta a separazione
delle lettere della sigla D(is) M(anibus).

394
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.25 - Iscrizione funeraria sullo zoccolo è incisa un’ascia; sulla


Numero Catalogo Generale: 00162545 faccia destra del dado è scolpita in
Numero inventario: 5854 rilievo un urceus, in quella sinistra
Provenienza: Cagliari una patera. Incassato fra le colon-
ex convento di San Lucifero ne, si apre il campo epigraico, in
Collocazione: Cagliari posizione mediana superiore, che
Museo Archeologico Nazionale contiene l’epitafio di M(arcus) Hen-
Oggetto: Ara funeraria con iscrizione nius Simphorus, morto a 65 anni, po-
Materia e tecnica: Calcare bianco/ sto dai igli.
scalpellatura/ levigatura Stato di conservazione: Intero
Lingua dell’iscrizione: Latino Cronologia: 100-199 d.C.
Tecnica di scrittura: A solchi Bibliograia: CIL X 7647; sotgiu
Tipo di caratteri: Lettere capitali 1961b, n. 265, BoneLLo 1985, pp.
Posizione dell’iscrizione: Centrale 201-227; Catalogo P.E.T.R.A.E.
Misure: h 144; largh. 59; prof. 51; h 2002, pp. 269-270, n. 119; FLoris
lettere 3,5-4 2005, pp. 229-230, n. 71; p. 778, n. 71.
Descrizione: Cippo composto da Fotografo: Monari, Nicola
zoccolo, dado centrale, corona- Compilatore: Ibba, Antonio
mento che riproduce un tempiet-
to timpanato con acroteri laterali
decorati da rosette a cinque petali;

2.26 - Iscrizione funeraria frontone sono incisi elementi spi-


Numero Catalogo Generale: 00162519 raliformi che si raccordano a quelli
Numero inventario: 180100 dei pulvini. Il dado centrale è com-
Provenienza: Vallermosa (CA) posto da un tronco di piramide
Collocazione: Cagliari con vertice verso l’alto. Il campo
Basilica di San Saturnino epigraico, non incorniciato, è in-
Oggetto: Ara funeraria con iscrizione ciso sul dado centrale in posizione
Materia e tecnica: Calcare/ subbiatura/ mediana superiore e contiene l’epi-
a gradina tafio di L(ucius) Herennius Saturus,
Lingua dell’iscrizione: Latino morto a 90 anni, posto dal iglio
Tecnica di scrittura: A solchi L(ucius) Herennius Faustillus.
Tipo di caratteri: Lettere capitali Stato di conservazione: Integro
Posizione dell’iscrizione: Fronte Cronologia: 100-199 d.C.
Misure: h 187; largh. 70; prof. 49; h Bibliograia: sotgiu 1961b, pp. 222-
lettere 4-5 223, n. 338; Catalogo P.E.T.R.A.E.
Descrizione: Cippo a sviluppo verti- 2002, p. 564, n. 367; corda 2007b,
cale composto da uno zoccolo, un pp. 68-69, n. 4.1.5.
dado centrale e un coronamento. Fotografo: Monari, Nicola
Il coronamento presenta un alto Compilatore: Ibba, Antonio
timpano centinato e un pulvino
con volute laterali; all’interno del

2.27 - Iscrizione funeraria corona d’alloro vittata. Il campo


Numero Catalogo Generale: 00162551 epigraico, ribassato, è incorniciato
Numero inventario: 21723 da una doppia cornice quadrangola-
Provenienza: Cagliari re modanata e reca inciso l’epitafio
Palazzina Mari del marinaio C(aius) Iulius Candidus,
Collocazione: Cagliari arruolato nella lotta del Miseno a
Museo Archeologico Nazionale 21 anni e morto a Cagliari a 38 anni,
Oggetto: Stele funeraria con iscrizione dopo 17 anni e 10 mesi di servizio.
Materia e tecnica: Calcare bianco/ Stato di conservazione: Integro
subbiatura/ a gradina Cronologia: 100-137 d.C.
Lingua dell’iscrizione: Latino Bibliograia: EE VIII 709; vivanet
Tecnica di scrittura: A solchi 1886, p. 105; MeLoni 1958, pp. 95,
Tipo di caratteri: Lettere capitali 98, 102, 276-277, n. 121, p. 278, n.
Posizione dell’iscrizione: Fronte 129; AE 1982, n. 426; Le Bohec
Misure: h 92; largh. 60; prof. 38,5; h 1990, pp. 42, 43, 114, n. 21, tav.
lettere 2,5-3 VIII; Catalogo P.E.T.R.A.E. 2002,
Descrizione: Lastra centinata a svi- pp. 200-202, n. 78, p. 1295, n. 78;
luppo verticale. All’interno della FLoris 2005, pp. 264-267, n. 87, pp.
centina, a rilievo, è stato scolpito un 779, 801, n. 87.
timpano triangolare al cui interno Fotografo: Monari, Nicola
è rafigurata, sempre in rilievo, una Compilatore: Ibba, Antonio

395
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.28 - Iscrizione funeraria chio; altri quattro fori situati alla ig. 104; Mastino 1984, p. 94, n.
Numero Catalogo Generale: 00163026 base. Al centro del lato a vista, in 8, tav. IX; sotgiu 1988, p. 665, n.
Numero inventario: 5 uno spazio risparmiato alla de- C108; iBBa & teatini 2006a, pp.
Provenienza: Porto Torres (SS) corazione, è collocata una tabula 55-63, pp. 62-63, igg. 1-4.
Collocazione: Sassari epigraphica rettangolare; ai suoi lati Fotografo: Dessì, Pierluigi
Museo Nazionale G.A. Sanna è collocata un’articolata scena di Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Oggetto: Sarcofago/cassa caccia, con schema simmetrico:
con iscrizione quattro grifoni a testa di leone
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ divorano due tori e due arieti;
a incisione sotto la tabula, un cane assale una
Lingua dell’iscrizione: Latino lepre, mentre una seconda lepre
Tecnica di scrittura: A solchi è già stata uccisa. Ai lati è rafi-
Tipo di caratteri: Lettere capitali gurato un grifone con la zampa
Posizione dell’iscrizione: Al centro del appoggiata alla testa di un ariete.
lato frontale del sarcofago L’iscrizione contiene l’epitafio di
Misure: h 54; largh. 217; prof. 60; Iulia Severa, dedicato dal marito
spess. 7,5; h lettere 2,57-3,14 Quintus Iulius Zosimianus.
Descrizione: Sarcofago di forma Stato di conservazione: Integro
parallelepipeda; sui ianchi, in Cronologia: 130-160 d.C.
alto, è presente una coppia di pic- Bibliograia: CIL X 7962; Pesce
coli fori per il issaggio del coper- 1957, pp. 96-97, n. 54, tav. LXXV,

2.29 - Iscrizione funeraria tra le lettere della sigla D(is) M(anibus).


Numero Catalogo Generale: 00162991 Stato di conservazione: Mutilo
Numero inventario: 228/14395 Cronologia: 180-250 d.C.
Provenienza: Porto Torres (SS) Bibliograia: sotgiu 1961b, p. 182,
Collocazione: Porto Torres (SS) n. 269, Mastino 1984, p. 61 e nota
Museo Archeologico Nazionale 128; sotgiu 1988, p. 573, n. A269.
Antiquarium Turritano Fotografo: Dessì, Pierluigi
Oggetto: Lastra con iscrizione Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/
levigatura
Lingua dell’iscrizione: Latino
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 24,5; largh. 21; spess. 5; h
lettere 1,5-3
Descrizione: Lastra di forma qua-
drangolare. L’iscrizione, in campo
aperto, contiene l’epitafio di Otaci-
lia Itageni (?) posto dal iglio A[e]lius
Doci[m(us)]; hedera distinguens alla l. 1

2.30 - Iscrizione funeraria epigraico è ribassato, delimitato


Numero Catalogo Generale: 00163087 da doppia cornice con modanatura
Numero inventario: Assente semplice a listello e contiene l’epi-
Provenienza: Cagliari tafio di Sutoria Athenais posto dal
Collocazione: Cagliari marito Lucius Sutorius Nicephorus.
ex Museo Archeologico Nazionale Stato di conservazione: Mutilo
Oggetto: Cippo funerario con iscrizione Cronologia: 100-299 d.C.
Materia e tecnica: Calcare/ sbozzatura/ Bibliograia: CIL X 7706; sotgiu
a incisione 1988, p. 610, n. C9, tav. XVII, ig. 2;
Lingua dell’iscrizione: Latino ruggeri 1990, p. 908; FLoris 2004,
Tecnica di scrittura: A solchi pp. 149-151, ig. 2; FLoris 2005, pp.
Tipo di caratteri: Lettere capitali 479-482, n. 193, ig. 193.
Posizione dell’iscrizione: Entro spec- Fotografo: Monari, Nicola
chio epigraico Compilatore: Lai, Francesca
Misure: h 121; largh. 58; prof. 60; h
lettere 2,5-3
Descrizione: Cippo altare a svilup-
po verticale, con base formata da
modanatura a listello e gola dritta,
dado e coronamento con modana-
tura a gola rovescia. Lo specchio

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Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.31 - Iscrizione funeraria te a quattro petali. Nell’iscrizione è


Numero Catalogo Generale: 00162555 l’epitafio di L(ucius) Tettius Crescens,
Numero inventario: Assente che, originario di Roma, a sue spese,
Provenienza: Cagliari quando era ancora in vita, commis-
ex albergo La Scala di Ferro sionò il monumento; al centro del
Collocazione: Cagliari timpano è rafigurata un’aquila ad ali
Museo Archeologico Nazionale spiegate, in posizione frontale.
Oggetto: Ara funeraria con iscrizione Stato di conservazione: Integro
Materia e tecnica: Calcare/ scalpellatura/ Cronologia: 117-149 d.C.
levigatura Bibliograia: AE 1929, 167; sotgiu
Lingua dell’iscrizione: Latino 1961b, pp. 45-50, n. 57; sotgiu
Tecnica di scrittura: A solchi 1988, p. 560, n. A57, tav. II, 1; Le
Tipo di caratteri: Lettere capitali Bohec 1990, p. 47, 122 n. 43; Cata-
Posizione dell’iscrizione: Fronte, dado logo P.E.T.R.A.E. 2002, pp. 39-43,
centrale, posizione mediana superiore n. 4; FLoris 2005, pp. 344-349, n.
Misure: h 120; largh. 51; prof. 44; h 115, pp. 785, 804 n. 115.
lettere 3-3,5 Fotografo: Monari, Nicola
Descrizione: Altare a sviluppo verti- Compilatore: Ibba, Antonio
cale. Il coronamento è un timpano
centinato afiancato da due acroteri
laterali in cui sono incise due roset-

2.32 - Iscrizione funeraria è incorniciato da una doppia cornice


Numero Catalogo Generale: 00162552 quadrangolare modanata e contiene
Numero inventario: 21721 l’epitafio del marinaio L(ucius) Turranius
Provenienza: Cagliari, Palazzina Mari Celer, arruolato nella lotta di Miseno a
Collocazione: Cagliari 17 anni e morto a Cagliari a 40 anni,
Museo Archeologico Nazionale dopo 23 anni di servizio, quando era
Oggetto: Stele funeraria con iscrizione ormai prossimo al congedo. Il soldato
Materia e tecnica: Calcare bianco/ era imbarcato probabilmente sulla nave
subbiatura/ a gradina comandata dal centurione Q(uintus) Na-
Lingua dell’iscrizione: Latino evius Aquila, che curò la sepoltura.
Tecnica di scrittura: A solchi Stato di conservazione: Intero
Tipo di caratteri: Lettere capitali Cronologia: 100-137 d.C.
Posizione dell’iscrizione: Fronte Bibliograia: EE VIII 711; MeLoni
Misure: h 110; largh. 62; spess. 28; h 1958, pp. 95, 98, 102, 277, n. 123,
lettere 3,5-4 p. 279 n. 133; sotgiu 1961b, n. 59;
Descrizione: Lastra centinata a svilup- Le Bohec 1990, pp. 41, 43-44, 114,
po verticale. All’interno della centina, n. 20; Catalogo P.E.T.R.A.E. 2002,
a rilievo, è stato scolpito un timpano pp. 365-367, n. 175; FLoris 2005, pp.
triangolare al cui interno è rafigurata 352-354, n. 118, pp. 785, 805 n. 118.
sempre in rilievo una corona d’alloro Fotografo: Monari, Nicola
vittata. Il campo epigraico, ribassato, Compilatore: Ibba, Antonio

2.33 - Iscrizione funeraria (Valerius) e del dato biometrico (40


Numero Catalogo Generale: 00163038 anni). Il campo igurato presenta
Numero inventario: VSL 1984 00036 una rafigurazione umana stilizzata
Provenienza: Viddalba (SS) a rilievo alto nella cosiddetta forma
San Leonardo a specchio, con testa ovoidale e col-
Collocazione: Viddalba (SS) lo semicilindrico; il naso e gli occhi
Museo Archeologico sono escavati.
Oggetto: Stele funeraria con iscrizione Stato di conservazione: Integro
Materia e tecnica: Calcare bianco/ Cronologia: Inizio del sec. I d.C.
scalpellatura Bibliograia: Mastino & PitzaLis 2003,
Lingua dell’iscrizione: Latino pp. 692-693, n. 4, p. 692, ig. 20.
Tecnica di scrittura: A solchi Fotografo: Dessì, Pierluigi
Tipo di caratteri: Lettere capitali Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 62; diam. 24; spess. 14
Descrizione: Stele di forma paralle-
lepipeda, con sommità centinata;
sul lato anteriore, che ha una cor-
nice semplice, è incisa, alla base,
un’iscrizione che consta dell’indi-
cazione del solo nome del defunto

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Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.34 - Iscrizione funeraria chi sono incisi a globetto, il naso


Numero Catalogo Generale: 00163035 ha forma trapezoidale aperta; la
Numero inventario: Assente bocca e le orecchie sono rese con
Provenienza: Viddalba (SS) un incavo. Al di sotto di essa è in-
San Leonardo cisa l’iscrizione di C(aius) Val(erius),
Collocazione: Viddalba (SS) morto a 35 anni: il monumento è
Museo Archeologico stato realizzato dalla madre.
Oggetto: Stele funeraria con iscrizione Stato di conservazione: Integro
Materia e tecnica: Arenaria/ scalpellatura Cronologia: Inizio del sec. I d.C.
Lingua dell’iscrizione: Latino Bibliograia: PitzaLis 1998, pp. 725-
Tecnica di scrittura: A solchi 755; Mastino & PitzaLis 2003, pp.
Tipo di caratteri: Lettere capitali 689-691, n. 2, p. 690, ig. 18.
Posizione dell’iscrizione: Fronte Fotografo: Dessì, Pierluigi
Misure: h 76; largh. 42; spess. 11 Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Descrizione: Stele di forma parallele-
pipeda che presenta, nella parte su-
periore, entro una cornice semplice
decorata da un motivo a palmetta
inciso, una rafigurazione antropo-
morfa, stilizzata, con testa circolare
e collo lungo trapezoidale; gli oc-

2.35 - Iscrizione funeraria moglie Rutilia Ammia.


Numero Catalogo Generale: 00163036 Stato di conservazione: Mutilo
Numero inventario: Assente Cronologia: 100-299 d.C.
Provenienza: Bosa (OR) Bibliograia: sotgiu 1961b, p. 154, n.
chiesa di San Pietro extra muros 234; Mastino 1980a, pp. 46 e 49;
Collocazione: Bosa (OR) sotgiu 1988 p. 571, n. A234, p.
chiesa di San Pietro extra muros 631, add. A234; gasPerini 1992a,
Oggetto: Cippo funerario con iscrizione pp. 302-303, n. 4, p. 302, ig. 5; AE
Materia e tecnica: Trachite/ scalpellatura 1992, 895.
Lingua dell’iscrizione: Latino Fotografo: Dessì, Pierluigi
Tecnica di scrittura: A solchi Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 63; largh. 45,5; prof. 27;
h lettere 5
Descrizione: Cippo di forma paralle-
lepipeda, originariamente decorato
nella parte superiore. L’iscrizione
contiene l’epitafio di L(ucius) Va-
lerius Tatianus, posto in suo ricordo
dal nipote Verrius Proculus, e dalla

2.36 - Iscrizione funeraria tafio di Lucius Valerius Victorinus,


Numero Catalogo Generale: 00163081 morto all’età di 14 anni, posto dal
Numero inventario: 180097 fratello Lucius Valerius Creius.
Provenienza: Cagliari Stato di conservazione: Intero
Collocazione: Cagliari Cronologia: 100-299 d.C.
Basilica di San Saturnino Bibliograia: sotgiu 1961b, p. 226, n.
Oggetto: Cippo funerario con iscrizione 345; sotgiu 1988, p. 577, n. A345;
Materia e tecnica: Calcare/ sbozzatura/ Catalogo P.E.T.R.A.E. 2002, pp.
a gradina/ a incisione 239-240, n. 100; FLoris 2005, pp.
Lingua dell’iscrizione: Latino 362-363, n. 123.
Tecnica di scrittura: A solchi Fotografo: Monari, Nicola
Tipo di caratteri: Lettere capitali Compilatore: Lai, Francesca
Misure: h 92; largh. 45; prof. 37; h
lettere 4, tranne la O in l. 2, alta 2,5
Descrizione: Cippo ad altare com-
posto da base con zoccolo, dado,
coronamento rettangolare, moda-
natura e decorazione su tre lati con
rosa a sei petali al centro del coro-
namento. Il testo, inciso su campo
epigraico aperto, contiene l’epi-

398
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.37 - Iscrizione funeraria berti e i loro discendenti; il campo


Numero Catalogo Generale: 00162573 epigraico è inquadrato ai lati da un
Numero inventario: Assente listello.
Provenienza: Quartu Sant’Elena (CA) Stato di conservazione: Mutilo
Santa Loria Cronologia: 100-299 d.C.
Collocazione: Quartu Sant’Elena (CA) Bibliograia: sotgiu 1969, pp. 60-61,
chiesa di Santa Maria di Cepola n. 81, tav. II n. 81; AE 1971, n. 131;
Oggetto: Cippo funerario con iscrizione sotgiu 1988, pp. 588, n. B44; Cata-
Materia e tecnica: Calcare/ subbiatura/ logo P.E.T.R.A.E. 2002, pp. 553-554,
levigatura n. 355.
Lingua dell’iscrizione: Latino Fotografo: Monari, Nicola
Tecnica di scrittura: A solchi Compilatore: Ibba, Antonio
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 32.5; largh. 51; prof. 58,5;
h lettere 2,5-3
Descrizione: Blocco parallelepipedo
appartenente a una tomba di fa-
miglia fatta realizzare da D(ecimus)
Veturius Fortunatus per se stesso, la
iglia Veturia Ianuaria, per i loro li-

2.38 - Iscrizione funeraria in suo ricordo da un anonimo liberto.


Numero Catalogo Generale: 00162993 Stato di conservazione: Integro
Numero inventario: 14191 Cronologia: 117-160 d.C.
Provenienza: Porto Torres (SS) Bibliograia: Mastino 1984, p. 68;
Collocazione: Porto Torres (SS) sotgiu 1988, p. 613, n. C20; Ma-
Museo Archeologico Nazionale stino & soLin 1992, pp. 354-359,
Antiquarium Turritano n. 4; p. 356, igg. 8-9; AE 1992,
Oggetto: Lastra con iscrizione 900; Storia Sardegna 2005, pp. 280 e
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ 282, ig. 33.
levigatura Fotografo: Dessì, Pierluigi
Lingua dell’iscrizione: Greco Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 15; largh. 25; spess. 3; h
lettere 2
Descrizione: Lastra di forma rettango-
lare, originariamente inserita in un
cippo calcareo sepolcrale sagomato.
L’iscrizione è l’epitafio in lingua gre-
ca del corocitaredo Apollonios, posto

2.39 - Iscrizione funeraria Stato di conservazione: Ricomposto


Numero Catalogo Generale: 00162988 Cronologia: 100-299 d.C.
Numero inventario: 231/14404 Bibliograia: taraMeLLi 1931, p. 117,
Provenienza: Porto Torres (SS) n. 8; sotgiu 1961b, pp. 172-173, n.
Collocazione: Porto Torres (SS) 256; sotgiu 1988, p. 572, A256.
Museo Archeologico Nazionale Fotografo: Dessì, Pierluigi
Antiquarium Turritano Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Oggetto: Lastra con iscrizione
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/
levigatura
Lingua dell’iscrizione: Latino
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 16; largh. 22; spess. 4; h
lettere 2
Descrizione: Lastra di forma rettan-
golare; il testo è impaginato in cam-
po aperto e contiene l’epitafio di
Crysis, di 25 anni, posto dal marito
di cui non è speciicato il nome.

399
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.40 - Iscrizione funeraria Euhodus, morto a 25 anni 5 mesi e


Numero Catalogo Generale: 00162514 27 giorni, posto presumibilmente
Numero inventario: 180085 dal suo padrone Flavius Asiaticus.
Provenienza: Cagliari Stato di conservazione: Mutilo
Basilica di San Saturnino Cronologia: 150-199 d.C.
Collocazione: Cagliari Bibliograia: CIL X 7700; EE VIII,
Basilica di San Saturnino p. 714; Catalogo P.E.T.R.A.E.
Oggetto: Ara funeraria con iscrizione 2002, pp. 57-59, n. 11; FLoris 2005,
Materia e tecnica: Calcare/ subbiatura/ pp. 235-237, n. 73.
a gradina Fotografo: Monari, Nicola
Lingua dell’iscrizione: Latino Compilatore: Ibba, Antonio
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Fronte, sinistra
Misure: h 77,5; largh. 49,5; prof.
48,5; h lettere 3,5-4,5
Descrizione: Cippo altare a svilup-
po verticale del quale rimangono
coronamento e dado centrale. Il
campo epigraico è giustiicato e
contiene l’epitafio per lo schiavo

2.41 - Iscrizione funeraria colo Karalitanus, morto a 6 anni.


Numero Catalogo Generale: 00162562 Stato di conservazione: Integro
Numero inventario: 5857 Cronologia: 200-299 d.C.
Provenienza: Cagliari Bibliograia: CIL X 7637; AE 1985,
cimitero monumentale di Bonaria 424; Catalogo P.E.T.R.A.E. 2002,
Collocazione: Cagliari pp. 80-82, n. 18; FLoris 2005, pp.
Museo Archeologico Nazionale 272-273, n. 90, p. 780, n. 90.
Oggetto: Stele funeraria con iscrizione Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Marmo bianco/ Compilatore: Ibba, Antonio
lisciatura
Lingua dell’iscrizione: Latino
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 23,2; largh. 22,2; spess.
7,5, h lettere 2
Descrizione: Lastra quadrangolare
non perfettamente squadrata. Il
campo epigraico, libero e vaga-
mente centrato, contiene l’epi-
tafio posto dalla madre al pic-

2.42 - Iscrizione funeraria superiore; tra le due colonne iscrit-


cristiana te, in inale di linea, segni di inter-
Numero Catalogo Generale: 00163034 punzione orizzontali con agli estre-
Numero inventario: Assente mi due bracci verticali. L’iscrizione
Provenienza: Porto Torres (SS) contiene l’epitafio di Flavia Cyriace,
Collocazione: Porto Torres (SS) morta a 26 anni, curato dal padre
Museo Archeologico Nazionale M[---], dalla madre Flavia Arnovia e
Antiquarium Turritano dal marito Demeter.
Oggetto: Lastra con iscrizione Stato di conservazione: Mutilo
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ Cronologia: 300-350 d.C.
levigatura Bibliograia: Manconi & Mastino
Lingua dell’iscrizione: Latino 1994, p. 811, tavv. CXI-CXIII; AE
Tecnica di scrittura: A solchi 1994, n. 796; corda 1999, TUR004,
Tipo di caratteri: Lettere capitali tav. L; cugusi 2003, p. 76, n. 19, pp.
Posizione dell’iscrizione: Fronte 165-170.
Misure: h 45; largh. 122; spess. 2,7; Fotografo: Dessì, Pierluigi
h lettere 3,5 Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Descrizione: Lastra di forma ret-
tangolare, segata sulla destra, con
iscrizione incisa su due colonne
afiancate. Resta parte della cornice

400
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.43 - Iscrizione funeraria tiche con taglio orizzontale sotto il Bibliograia: Maetzke 1966, pp.
cristiana P, inserite entro ciascuna delle alette 355-357, pp. 357-358, ig. 2-4; an-
Numero Catalogo Generale: 00162996 laterali; è realizzata in tessere bianche gioLiLLo 1981, p. 193, n. 173, tavv.
Numero inventario: 9038 su fondo rosso; alla ine del testo è XXXVIII, XLVIII; Mastino 1984,
Provenienza: Porto Torres (SS) presente una palma. La tabula, con- pp. 63-64, note 135-136; sotgiu
abitazione privata torniata da tessere nere e circondata 1988, pp. 596, n. B75; corda 1999,
Collocazione: Porto Torres (SS) da una stretta fascia con un motivo p. 205, TUR010, tav. LII; AE 1999,
Museo Archeologico Nazionale a meandro spezzato, è inserita in un n. 815.
Antiquarium Turritano riquadro a fondo bianco, anch’esso Fotografo: Dessì, Pierluigi
Oggetto: Mosaico con iscrizione contorniato di tessere nere; ai lati Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Materia e tecnica: Pasta vitrea/ a mosaico della tabula ansata sono presenti
Lingua dell’iscrizione: Latino quattro colombe. Intorno al riqua-
Tecnica di scrittura: A mosaico dro bianco corre una cornice for-
Tipo di caratteri: Lettere capitali mata da un motivo a treccia a sette
Posizione dell’iscrizione: Entro tabula nastri, realizzato con tessere bianche,
ansata nere e gialle. L’iscrizione è la dedica
Misure: h 140; largh. 270 a Septimia Musa, morta a 47 anni, 5
Descrizione: Rivestimento musivo di mesi e 15 giorni, da parte del marito.
tomba a cassone. In alto presenta Stato di conservazione: Parzialmente
un’iscrizione collocata entro una ta- ricomposto
bula ansata, con croci monogramma- Cronologia: 350-450 d.C.

2.44 - Iscrizione funeraria speni, morta a 55 anni dopo aver


cristiana sofferto 13 giorni, commemorata
Numero Catalogo Generale: 00104466 dal marito Pribatio e dal iglio Ba-
Numero inventario: 7985 lentinus. Le ansae della tabella sono
Provenienza: Olbia entrambe decorate con tre palmet-
San Simplicio te stilizzate; ai lati dell’ansa sinistra
Collocazione: Sassari sono incisi due volatili in posizio-
Museo Nazionale G.A. Sanna ne araldica; quello in alto ha le ali
Oggetto: Lastra con iscrizione spiegate.
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ Stato di conservazione: Ricomposto
levigatura Cronologia: 350-499 d.C.
Lingua dell’iscrizione: Latino Bibliograia: CIL X 7988; taMPoni
Tecnica di scrittura: A solchi 1895, p. 51; gasPerini 2004, pp.
Tipo di caratteri: Lettere capitali 311-316, n. 3, p. 312, ig. 5; Storia
Posizione dell’iscrizione: Fronte Sardegna 2005, p. 477, ig. 52.
Misure: h 31; largh. 58; spess. 2,5; Fotografo: Dessì, Pierluigi
h lettere 3 Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Descrizione: Lastra di forma rettan-
golare. L’iscrizione, su 7 linee, è
collocata entro una tabella ansata
e contiene l’epitafio di Valeria Ni-

2.45 - Iscrizione funeraria Iacotulus e nipote di Anianus, forse


giudaica il pater della comunità giudaica lo-
Numero Catalogo Generale: 00104406 cale. All’inizio della l. 6 è presen-
Numero inventario: 17023/5028 te la rafigurazione di una palma
Provenienza: Porto Torres (SS) o, con maggiori probabilità, di un
Terme centrali candelabro ebraico a sette bracci
Collocazione: Sassari (menorah).
Museo Nazionale G.A. Sanna Stato di conservazione: Mutilo
Oggetto: Lastra con iscrizione Cronologia: 450-599 d.C.
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ Bibliograia: AE 1966, 175; AE
levigatura 1982, 437; Mastino 1984, p. 96, n.
Lingua dell’iscrizione: Latino 10 e ig. 9, tav. XI; sotgiu 1988, p.
Tecnica di scrittura: A solchi 596, n. B74; AE 1994, 793.
Tipo di caratteri: Lettere capitali Fotografo: Dessì, Pierluigi
Posizione dell’iscrizione: Fronte Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Misure: h 19.5; largh. 36; spess. 5; h
lettere 1,9-3,3
Descrizione: Lastra di forma quasi
trapezoidale che contiene l’epi-
tafio di Anianus, vissuto 17 anni,
un mese e 15 giorni; era iglio di

401
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.46 - Iscrizione funeraria epigraico aperto. Sul retro una


cristiana modanatura delimita, probabil-
Numero Catalogo Generale: 00163091 mente, un secondo specchio epi-
Numero inventario: 178216 graico che induce a ritenere che
Provenienza: Cagliari la lastra ospitasse precedentemente
Sant’Avendrace - Santa Gilla un altro testo epigraico. Tra la l. 1
Collocazione: Cagliari e 2 è presente un cristogramma; nel
Museo Archeologico Nazionale lato destro, all’altezza delle ultime
Oggetto: Lastra con iscrizione due linee, una palma rovesciata.
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ Stato di conservazione: Ricomposto
lisciatura/ a incisione Cronologia: 400-599 d.C.
Lingua dell’iscrizione: Latino Bibliograia: Pani erMini 1981, p. 5,
Tecnica di scrittura: A solchi n. 4, ig. 4; sotgiu 1988, pp. 628-
Tipo di caratteri: Lettere capitali 629, n. E41, p. 672, n. add. E41, ig.
Posizione dell’iscrizione: Rovescio, lato 8; corda 1999, pp. 51-52, CAR008,
reso liscio tav. III, CAR008.
Misure: h 23.5; largh. 35; prof. 2,5; Fotografo: Monari, Nicola
h lettere 2,5-3 Compilatore: Lai, Francesca
Descrizione: Il testo, che contiene
l’epitafio di An{i}ziocia, morta a
55 anni, è impaginato su campo

2.47 - Iscrizione funeraria uomo di ammirevoli doti morali.


cristiana Stato di conservazione: Intero
Numero Catalogo Generale: 00027645 Cronologia: 400-499 d.C.
Numero inventario: 74542 Bibliograia: EE VIII 732; CIL X
Provenienza: Cornus (Cuglieri - OR) 7930-7932, 8059, 155; sotgiu
necropoli paleocristiana 1961b, n.102, 233; AE 1979, n.
Collocazione: Cuglieri (OR) 308; Mastino 1979, pp. 146-147,
convento dei Cappuccini n. 68, p. 146, tav. XXVII; sotgiu
Oggetto: Stele funeraria con iscrizione 1988, p. 594, n. B64, p. 640, n. add.
Materia e tecnica: Marmo bianco/ B64, tav. VII, 2; corda 1999, pp.
scalpellatura/ levigatura 137-138, CRN002, tav. XXXVI.
Lingua dell’iscrizione: Latino Fotografo: Dessì, Pierluigi
Tecnica di scrittura: A solchi Compilatore: Ibba, Antonio
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 21; largh. 22.5; spess. 2,5;
h lettere 2
Descrizione: Lastra quadrangolare ma
irregolare. Il campo epigraico è libe-
ro e vagamente centrato e contiene
l’epitafio di Euticius, morto a 55 anni,

2.48 - Iscrizione funeraria l’epitafio di Gelianus, forse riuti-


cristiana lizzata in una sepoltura successiva
Numero Catalogo Generale: 00163098 come copertura o signaculum.
Numero inventario: Assente Stato di conservazione: Mutilo
Provenienza: Cagliari Cronologia: 400-499 d.C.
necropoli di San Saturnino Bibliograia: saLvi 1997, p. 219, tav.
Collocazione: Cagliari III, 1; corda 1999, pp. 71-73,
Museo Archeologico Nazionale CAR033, tav. X, ig. CAR033.
Oggetto: Lastra con iscrizione Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Marmo/ lisciatura/ Compilatore: Lai, Francesca
a incisione
Lingua dell’iscrizione: Latino
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Mediana
Misure: h 36; largh. 61,5; prof. 8; h
lettere 6,3-7
Descrizione: Lastra modanata nel-
la parte superiore, con iscrizione
impaginata su due linee, su cam-
po epigraico aperto che contiene

402
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.49 - Iscrizione funeraria linee e su campo epigraico aperto


cristiana e riporta sulle due facce della lastra
Numero Catalogo Generale: 00163097 un testo simile (epitafio di Ireneus),
Numero inventario: Assente di cui molto probabilmente uno
Provenienza: Cagliari costituisce la correzione dell’altro.
necropoli di Bonaria Stato di conservazione: Integro
Collocazione: Cagliari Cronologia: 350-399 d.C.
ex Museo Archeologico Nazionale Bibliograia: vivanet 1892, p. 184;
Oggetto: Lastra con iscrizione sotgiu 1961b, pp. 77-79, n. 108;
Materia e tecnica: Marmo/ lisciatura/ Pani erMini & Marinone 1981,
a incisione pp. 24-25, n. 32, ig. 32a, 32b; cor-
Lingua dell’iscrizione: Latino da 1999, pp. 92-93, CAR058, tav.
Tecnica di scrittura: A solchi XVIII, CAR058; zucca 2002c, pp.
Tipo di caratteri: Lettere capitali 209-210.
Posizione dell’iscrizione: recto e verso Fotografo: Monari, Nicola
Misure: h 30; largh. 33; prof. 2; h Compilatore: Lai, Francesca
lettere 2-3
Descrizione: Lastra opistografa di
forma quadrangolare, interamen-
te ricomposta da due frammenti
contigui. Il testo è impaginato su 8

2.50 - Iscrizione funeraria cie è ben curata. Il campo epigrai-


cristiana co, in posizione mediana superiore
Numero Catalogo Generale: 00027642 è giustiicato e contiene l’epitafio
Numero inventario: 74539 di Iscribonissa di circa 28 anni, depo-
Provenienza: Cornus (Cuglieri - OR) sto il 19 di ottobre durante la XIII
necropoli paleocristiana indizione; croce greca con bracci
Collocazione: Cuglieri (OR) patenti.
convento dei Cappuccini Stato di conservazione: Integro
Oggetto: Stele funeraria con iscrizione Cronologia: 533-599 d.C.
Materia e tecnica: Marmo bianco/ Bibliograia: AE 1979, n. 312; Ma-
levigatura/ bocciardatura stino 1979, pp. 152-153, n. 72, p.
Lingua dell’iscrizione: Latino 152 e tav. XXXII; sotgiu 1988,
Tecnica di scrittura: A solchi pp. 594, B61, p. 640, n. add. B61,
Tipo di caratteri: Caratteri misti capi- tav. V; corda 1999, pp. 138-139,
tali e onciali CRN003, tav. XXXVI.
Posizione dell’iscrizione: Fronte Fotografo: Dessì, Pierluigi
Misure: h 30; largh. 41; spess. 3,5; h Compilatore: Ibba, Antonio
lettere 3-4
Descrizione: Lastra a sviluppo oriz-
zontale, quadrangolare, ritagliata
irregolarmente a destra. La superi-

2.51 - Iscrizione funeraria palme, cavallo bardato, monogram-


cristiana ma. Il testo è impaginato su campo
Numero Catalogo Generale: 00163096 epigraico aperto e contiene l’epi-
Numero inventario: 21310 tafio del defunto Karissimus.
Provenienza: Cabras (OR) Stato di conservazione: Ricomposto
chiesa di San Giovanni di Sinis Cronologia: 400-599 d.C.
Collocazione: Cagliari Bibliograia: sPano 1873b, p. 39; CIL
ex Museo Archeologico Nazionale X 7914; diehL 1961, pp. 194-195,
Oggetto: Stele funeraria con iscrizione n. 3400; Pani erMini & Marinone
Oggetto: Lastra con iscrizione 1981, pp. 8-9, n. 9; corda 1999, pp.
Materia e tecnica: Marmo/ lisciatura/ 190-192, THA002, tav. XI, VIII,
a incisione ig. THA002; Cugusi 2003, pp. 74-
Lingua dell’iscrizione: Latino 75, n. 17, pp. 156-160, n. 17.
Tecnica di scrittura: A solchi Fotografo: Monari, Nicola
Tipo di caratteri: Lettere capitali Compilatore: Lai, Francesca
Posizione dell’iscrizione: linea 1: sul
margine superiore; ll. 2-8 al centro
Misure: prof. 2; diam. 64; h lettere 2,5
Descrizione: Lastra di forma circo-
lare, probabile mensa funeraria, con
iscrizione ed elementi iconograici:

403
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.52 - Iscrizione funeraria lo specchio epigraico ha occupato


cristiana tutta la supericie utilizzabile, si apre
Numero Catalogo Generale: 00163093 con la rafigurazione di una croce
Numero inventario: Assente greca e contiene l’epitafio di tre
Provenienza: Cagliari personaggi, Laurentius, Agnes e Do-
Collocazione: Cagliari minica.
Museo Archeologico Nazionale Stato di conservazione: Parzialmente
Oggetto: Architrave con iscrizione ricomposto
Materia e tecnica: Marmo bianco/ Cronologia: 400-599 d.C.
a trapano/ a incisione Bibliograia: sotgiu 1961b, pp. 81-
Lingua dell’iscrizione: Latino 82, n. 113; Pani erMini & Marino-
Tecnica di scrittura: A solchi ne 1981, pp. 18-19, n. 23, ig. 23;
Tipo di caratteri: Lettere capitali sotgiu 1988, p. 630, n. A113 add.;
Misure: h 23; largh. 128; prof. 52; h corda 1999, p. 84, CAR047, tav.
lettere 2-5,5 XIV, ig. CAR047.
Descrizione: Cornice modanata iscrit- Fotografo: Monari, Nicola
ta di architrave, della quale si ripro- Compilatore: Lai, Francesca
duce in foto la parte destra. Decora-
zione con motivo a ovuli e dentelli
nella parte mediana e modanatura in
quella inferiore. Nella fase di riuso

2.53 - Iscrizione martiriale ricorda il martirio di Luxurius. Una


Numero Catalogo Generale: 00162556 grande croce patente profonda-
Numero inventario: Assente mente incisa e in posizione centra-
Provenienza: Fordongianus (OR) le; simili croci più piccole delimi-
chiesa di San Lussorio tano le due iscrizioni sottostanti.
Collocazione: Fordongianus (OR) Stato di conservazione: Intero
chiesa di San Lussorio Cronologia: 500-899 d.C.
Oggetto: Lastra di rivestimento Bibliograia: zucca 1988, pp. 21-
con iscrizione 26, n. 1, p. 22, ig. n. 5; AE 1990,
Materia e tecnica: Marmo bianco/ 459; AE 1992, 879 a-b; GasPe-
scalpellatura/ levigatura rini 1992a, pp. 316-321, n. 9, p.
Lingua dell’iscrizione: Latino 318, ig.13; corda 1999, p. 152, n.
Tecnica di scrittura: A solchi FTR003, tav. XXXIX.
Tipo di caratteri: Lettere capitali Fotografo: Dessì, Pierluigi
Posizione dell’iscrizione: Fronte, sopra Compilatore: Ibba, Antonio
l’architrave della piccola porta late-
rale destra
Misure: h 38,7; largh. 71; h lettere
2,8-3,8
Descrizione: Manufatto quadrango-
lare a sviluppo orizzontale. Il testo

2.54 - Iscrizione funeraria solanamente. L’iscrizione contiene


cristiana l’epitafio di Marcelianus, morto a
Numero Catalogo Generale: 00162526 7 anni circa, quattro giorni prima
Numero inventario: Assente delle none di maggio di un anno
Provenienza: Cagliari imprecisato del V secolo.
necropoli di San Saturnino Stato di conservazione: Integro
Collocazione: Cagliari Cronologia: 400-499 d.C.
Museo Archeologico Nazionale Bibliograia: AE 1996, 816; corda
Oggetto: Stele funeraria con iscrizione 1999, p. 86, CAR050, tav. XVI.
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura Fotografo: Monari, Nicola
Lingua dell’iscrizione: Latino Compilatore: Ibba, Antonio
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 34; largh. 89; prof. 9; h
lettere 2,5-4
Descrizione: Lastra opistografa a
sviluppo orizzontale. La faccia
anteriore, con tre modanature, è
anepigrafe; la faccia posteriore è
parzialmente liscia e lavorata gros-

404
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.55 - Iscrizione funeraria l’epitafio di Martialis, defunto all’e-


cristiana tà di circa 57 anni, si apre con una
Numero Catalogo Generale: 00163003 croce e si chiude con due colombe,
Numero inventario: Assente separate da un’altra croce.
Provenienza: Porto Torres (SS) Stato di conservazione: Parzialmente
Basilica di San Gavino ricomposto
Collocazione: Porto Torres (SS) Cronologia: 400-599 d.C.
Museo Archeologico Nazionale Bibliograia: sotgiu 1961b, pp. 197-
Antiquarium Turritano 198, n. 300; AE 1964, 102; Ma-
Oggetto: Lastra con iscrizione stino 1984, p. 55; sotgiu 1988, p.
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatuta/ 574, n. A300; corda 1999, p. 202,
levigatura TUR007, tav. LI.
Lingua dell’iscrizione: Latino Fotografo: Dessì, Pierluigi
Tecnica di scrittura: A solchi Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 41; largh. 62; spess. 8; h
lettere 3
Descrizione: spesso blocco in bardi-
glio, di forma originariamente ret-
tangolare; l’iscrizione, che contiene

2.56 - Copia di iscrizione funeraria di Renobata, ricordata nell’iscrizio-


cristiana ne incisa sull’altro lato della lastra
Numero Catalogo Generale: 00163079 (cfr. scheda 2.59).
Numero inventario: Assente Stato di conservazione: Integro
Provenienza: Assente Cronologia: Sec. IV d.C.
Collocazione: Cagliari Bibliograia: CIL X 7766; diehL
Museo Archeologico Nazionale 1961, p. 126, n. 3062B; Pani er-
Oggetto: Lastra con iscrizione/copia Mini & Marinone 1981, pp. 28-29,
Materia: Resina n. 38, ig. 38; sotgiu 1988, p. 661,
Lingua dell’iscrizione: Latino n. C54; corda 1999, pp. 93-94,
Tecnica di scrittura: A solchi CAR060, tav. XVIII.
Tipo di caratteri: Lettere capitali Fotografo: Monari, Nicola
Posizione dell’iscrizione: Rovescio Compilatore: Lai, Francesca
Misure: h 31.5; largh. 46; prof. 4,5;
h lettere 2-3,5
Descrizione: Lastra di forma trape-
zoidale, riproducente il verso di
una opistografa; il testo propone
l’iscrizione funeraria per un giova-
ne, Pascasius, defunto all’età di 13
anni, sepolto nella stessa tomba

2.57 - Iscrizione funeraria Bibliograia: CIL X 7738; Pani er-


cristiana Mini & Marinone 1981, p. 26, n.
Numero Catalogo Generale: 00163082 34; sotgiu 1988, p. 659, n. C35;
Numero inventario: 5806 corda 1999, p. 96, CAR064, tav.
Provenienza: Cagliari, San Lucifero XX, n. CAR064.
Collocazione: Cagliari Fotografo: Monari, Nicola
ex Museo Archeologico Nazionale Compilatore: Lai, Francesca
Oggetto: Lastra con iscrizione
Materia e tecnica: Marmo/ lisciatura/
a incisione
Lingua dell’iscrizione: Latino
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Misure: h 25; largh. 32; prof. 5; h
lettere 4.5-5,5
Descrizione: Frammento di lastra di
forma trapezoidale, iscritto su tre
linee residue, in cui è contenuto il
nome della defunta, Prisca.
Stato di conservazione: Mutilo
Cronologia: 400-499 d.C.

405
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.58 - Iscrizione funeraria decorazione costituita da una pal-


cristiana ma e una colomba in chiusura.
Numero Catalogo Generale: 00163103 Stato di conservazione: Mutilo
Numero inventario: 5872 Cronologia: 400-499 d.C.
Provenienza: Cagliari Bibliograia: CIL X 7769; Pani er-
chiesa di San Lucifero Mini & Marinone 1981, p. 28, n.
Collocazione: Cagliari 37; sotgiu 1988, p. 661, n. C56;
ex Museo Archeologico Nazionale corda 1999, p. 98, CAR066, tav.
Oggetto: Lastra con iscrizione XXI, n. CAR066.
Materia e tecnica: Marmo/ sbozzatura/ Fotografo: Monari, Nicola
lisciatura/ a incisione/ rubricatura Compilatore: Lai, Francesca
Lingua dell’iscrizione: Latino
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Misure: h 53; largh. 81.5; prof. 5,5;
h lettere 3-3,5
Descrizione: Lastra di forma irrego-
lare con iscrizione, incisa su cam-
po epigraico aperto, che contiene
l’epitafio di Quobuldeo e di Tecla;
presenza di caratteri rubricati e

2.59 - Iscrizione funeraria zione di Pascasius (cfr. scheda 2.56).


cristiana Nella parte laterale vi è un grafito
Numero Catalogo Generale: 00163079 (contenente le lettere RHEAT),
Numero inventario: 5842 probabilmente postclassico.
Provenienza: Cagliari, Sant’Avendrace Stato di conservazione: Frammentario
Collocazione: Cagliari Cronologia: Sec. IV d.C.
Museo Archeologico Nazionale Bibliograia: CIL X 7770; diehL
Oggetto: Lastra con iscrizione 1961, p. 134, n. 3103C; Pani er-
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ Mini & Marinone 1981, pp. 28-29,
a incisione n. 38; sotgiu 1988, p. 661, n. C54;
Lingua dell’iscrizione: Latino corda 1999, pp. 99-100, CAR068,
Tecnica di scrittura: A solchi tav. XXII, n. CAR068.
Tipo di caratteri: Lettere capitali Fotografo: Monari, Nicola
Posizione dell’iscrizione: Dritto e mar- Compilatore: Lai, Francesca
gine destro della lastra
Misure: h 31.5; largh. 46; prof. 4,5;
h lettere 2-3,5
Descrizione: Lastra di forma trape-
zoidale, opistografa, che sul drit-
to presenta l’epitafio di Renobata,
mentre dall’altro lato si trova l’iscri-

2.60 - Iscrizione funeraria Stato di conservazione: Integro


cristiana Cronologia: 400-599 d.C.
Numero Catalogo Generale: 00104443 Bibliograia: sotgiu 1961b, p. 236, n.
Numero inventario: 17018/5039 366; sotgiu 1988, p. 557, n. A366;
Provenienza: Sconosciuta corda 1999, p. 225, IGN007, tav.
Collocazione: Sassari LVII.
Museo Nazionale G.A. Sanna Fotografo: Dessì, Pierluigi
Oggetto: Lastra con iscrizione Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/
levigatura
Lingua dell’iscrizione: Latino
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 21; largh. 29; spess. 2,5; h
lettere 2-3
Descrizione: Lastra di forma rettan-
golare irregolare; il lato inferiore è
obliquo. Il testo, in campo aperto,
contiene l’epitafio di Sabbatius,
morto a 35 anni.

406
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.61 - Iscrizione su reliquario le reliquie di un San Saturnino.


Numero Catalogo Generale: 00162529 Stato di conservazione: Frammentario
Numero inventario: Assente Cronologia: 600-799 d.C.
Provenienza: Sinnai (CA), Solanas Bibliograia: artizzu 2002a, pp. 201-
Collocazione: Sinnai (CA) 208, pp. 203-204, igg. 1-2; artizzu
Pinacoteca comunale 2002b, pp. 1795-1805, p. 1796, ig. 1.
e Civico Museo Archeologico Fotografo: Monari, Nicola
Oggetto: Sarcofago/coperchio Compilatore: Ibba, Antonio
a lastra con iscrizione
Materia e tecnica: Calcare/ subbiatura/
levigatura/ bocciardatura
Lingua dell’iscrizione: Latino
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 22 / 29; largh. 42,5 / 72,5;
prof. 24,5 / 50; h lettere 19-19,5
Descrizione: Blocco parallelepi-
pedo appartenente a un altare
reliquario di grandi dimensio-
ni, che doveva forse contenere

2.62 - Iscrizione funeraria incisa una croce monogrammatica.


cristiana Stato di conservazione: Integro
Numero Catalogo Generale: 00104433 Cronologia: 26 ottobre 415 d.C.
Numero inventario: 7881/4870 Bibliograia: sotgiu 1961b, pp. 196-
Provenienza: Porto Torres (SS) 197, n. 299; Boninu 1986, p. 170,
Collocazione: Sassari ig. 247; sotgiu 1988, p. 574, n.
Museo Nazionale G.A. Sanna A299; corda 1999, pp. 195-196,
Oggetto: Lastra con iscrizione TUR002, tav. XLIX.
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ Fotografo: Dessì, Pierluigi
levigatura Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Lingua dell’iscrizione: Latino
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 71; largh. 29,5; spess. 5-7;
h lettere 2-3,5
Descrizione: Lastra iscritta di forma
parallelepipeda. Il campo epigra-
ico, aperto, è allineato a sinistra
e contiene l’epitafio di Victorinus,
morto a 15 anni; alla ine del testo è

2.63 - Iscrizione funeraria e foglie di loto. Al centro vi è una


cristiana tabula ansata a doppia cornice con
Numero Catalogo Generale: 00163092 iscrizione. La defunta, una monaca
Numero inventario: 5839 di nome Greca, prega il signore di
Provenienza: Cagliari, Santa Gilla non dimenticarla. I caratteri sono
Collocazione: Cagliari rubricati. Sulle anse della tabula
ex Museo Archeologico Nazionale ansata è incisa la formula di adpre-
Oggetto: Sarcofago/fronte catio agli dei Mani, in caratteri lati-
con iscrizione ni, mentre il testo contenuto nello
Materia e tecnica: Marmo bianco/ specchio epigraico è in greco.
a trapano/ a incisione/ rubricatura Stato di conservazione: Intero
Lingua dell’iscrizione: Greco Cronologia: 500-699 d.C.
Tecnica di scrittura: A solchi Bibliograia: Pani erMini & Mari-
Tipo di caratteri: Lettere capitali none 1981, pp. 50-51, n. 81, ig.
Posizione dell’iscrizione: Entro tabula 81, 81a; corda 1999, pp. 73-74,
ansata a doppia cornice CAR034, tav. X, n. CAR034; Mar-
Misure: h 39; largh. 21,5; prof. 11,5; ginesu 2003, pp. 387-391; serra
h lettere 2-2,5 2004, pp. 347-349; corda 2007a, p.
Descrizione: Fronte di sarcofago 113, CAR034, ig. 3.4.
iscritta con decorazione a trapano Fotografo: Monari, Nicola
costituita da festoni con colonnine Compilatore: Lai, Francesca

407
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.64 - Iscrizione il testo è delimitato nella parte su-


relativa ad un’opera pubblica periore da una cornice con doppia
Numero Catalogo Generale: 00162525 modanatura ed era pertinente a un
Numero inventario: Assente ediicio pubblico o a un monu-
Provenienza: Fordongianus (OR) mento donato da un proconsole,
chiesa di San Lussorio [---]rius Ca[---], a una colonia (pre-
Collocazione: Fordongianus (OR) sumibilmente Uselis) per ragioni
magazzini comunali ignote; l’iscrizione sul verso con-
Oggetto: Lastra di rivestimento tiene l’epitafio di un anonimo
con iscrizione cristiano.
Materia e tecnica: Marmo bianco/ Stato di conservazione: Mutilo
scalpellatura/ levigatura Cronologia: recto secc. I a.C./I d.C.;
Lingua dell’iscrizione: Latino verso sec. V d.C.
Tecnica di scrittura: A solchi Bibliograia: sotgiu 1999, pp. 466-
Tipo di caratteri: Lettere capitali 468, n. 4, pp. 471-472, ig. 4a-b; AE
Posizione dell’iscrizione: recto e verso 1999, 804 a-b; zucca 2001, pp. 527-
Misure: h 25.5; largh. 27,5; spess. 4; 528, n. 67.
h lettere 5-6 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Descrizione: Frammento opistogra- Compilatore: Ibba, Antonio
fo integro solo lungo lo spigolo
superiore. Nella faccia anteriore

2.65 - Iscrizione un ediicio pubblico, le thermae Ru-


relativa al restauro di terme ianae, restaurate per ordine del go-
pubbliche vernatore della Sardegna M(arcus)
Numero Catalogo Generale: 00162533 Domitius Tertius perché danneggiate
Numero inventario: Assente dal tempo. Erasione del nome di
Provenienza: Maracalagonis (CA) Geta (l. 2); sul verso è stata reim-
Collocazione: Cagliari piegata per l’epitafio di Iohannes.
Museo Archeologico Nazionale Stato di conservazione: Mutilo
Oggetto: Lastra di rivestimento Cronologia: Recto 208-210 d.C.; verso
con iscrizione sec. VI d.C.
Materia e tecnica: Marmo bianco/ Bibliograia: AE 1928, 117; MeLoni
scalpellatura/ levigatura 1958, pp. 206-207, n. 25; sotgiu
Lingua dell’iscrizione: Latino 1961b, pp. 104-105, n. 158; zuc-
Tecnica di scrittura: A solchi ca 1998b, pp. 627-633, tav. 3, ig.
Tipo di caratteri: Lettere capitali 1; Catalogo P.E.T.R.A.E. 2002, pp.
Posizione dell’iscrizione: Fronte 545-546, n. 346, p. 1299, n. 346;
Misure: h 35; largh. 85; spess. 2; h Porrà 2003, pp. 777-783; cenerini
lettere 5-7 2008b, pp. 821-830.
Descrizione: Lastra opistografa. An- Fotografo: Monari, Nicola
golo inferiore sinistro di un’iscri- Compilatore: Ibba, Antonio
zione monumentale che rivestiva

2.66 - Iscrizione sommità del lacus (una cisterna per


di opere pubbliche l’acqua) di cui l’iscrizione comme-
Numero Catalogo Generale: 00104410 mora la costruzione. L’opera venne
Numero inventario: 8 realizzata grazie al duoviro quin-
Provenienza: Porto Torres (SS) quennale T(itus) Flavius Iustinus, il
Terme centrali quale aveva versato nella cassa cit-
Collocazione: Sassari tadina la summa honoraria di 35.000
Museo Nazionale G.A. Sanna sesterzi per la sua candidatura alla
Oggetto: Architrave con iscrizione magistratura.
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ Stato di conservazione: Ricomposto
levigatura Cronologia: 69-96 d.C.
Lingua dell’iscrizione: Latino Bibliograia: CIL X 7954; ILS 5765;
Tecnica di scrittura: A solchi Boninu 1984, p. 40; Boninu 1986,
Tipo di caratteri: Lettere capitali pp. 138-139, p. 139, ig. 194; Pan-
Posizione dell’iscrizione: Faccia a vista ciera 1987, pp. 50-51; susini 1992,
sull’architrave pp. 373-376, p. 375, ig. 1, p. 376,
Misure: h 43; largh. 175; prof. 12- ig. 3; Mayer 2008, pp. 347-351, p.
15; h lettere 2,5-7 349, igg. 1-3.
Descrizione: Architrave di forma Fotografo: Dessì, Pierluigi
parallelepipeda che doveva origi- Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
nariamente essere collocato sulla

408
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.67 - Iscrizione rilievo con cornice e listello e con-


dei pagani Uneritani tiene la dedica per un tempio di
Numero Catalogo Generale: 00163101 Giove Ottimo Massimo, costruito
Numero inventario: Assente a spese e cura dei pagani Uneritani,
Provenienza: Las Plassas (VS) abitanti di un pagus non altrimenti
Collocazione: Las Plassas (VS) noto in Sardegna.
MudA - Museo multimediale Stato di conservazione: Intero
del Regno d’Arborea Cronologia: 1-49 d.C.
Oggetto: Blocco con iscrizione Bibliograia: Mastino 2001; serreLi
Materia e tecnica: Arenaria/ levigatura/ 2002.
scalpellatura/ a incisione Fotografo: Dessì, Pierluigi
Lingua dell’iscrizione: Latino Compilatore: Lai, Francesca
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Entro tabula
ansata
Misure: h 59; largh. 96,5; prof. 40,
h lettere 4,2
Descrizione: Blocco iscritto di forma
parallelepipeda. Il campo epigra-
ico è costituito da tabula ansata a

2.68 - Iscrizione al tempo del consolato di Publius


di opere pubbliche Marius Celsus e Lucius Ainius Gallus.
Numero Catalogo Generale: 00163099 Stato di conservazione: Mutilo
Numero inventario: 30219 Cronologia: 62 d.C.
Provenienza: Ales (OR) Bibliograia: taraMeLLi 1906; AE
Collocazione: Cagliari 1907, 119; LiLLiu 1947a, pp. 27 ss.;
ex Museo Archeologico Nazionale sotgiu 1961b, pp. 117-118, n. 177;
Oggetto: Lastra con iscrizione rowLand 1973, pp. 92 ss.; usai &
Materia e tecnica: Tufo trachitico/ zucca 1986, p. 336, n. 222; sotgiu
scalpellatura/ a incisione 1988, p. 566, n. A177; Catalogo
Lingua dell’iscrizione: Latino P.E.T.R.A.E. 2002, pp. 1106-1108,
Tecnica di scrittura: A solchi n. 921.
Tipo di caratteri: Lettere capitali Fotografo: Monari, Nicola
Misure: h 25; largh. 37; prof. 7; h Compilatore: Lai, Francesca
lettere 1,2-3
Descrizione: Lastra iscritta di forma
rettangolare. Specchio epigraico
piatto lievemente ribassato rispetto
alla cornice che lo delimita e con-
tenente una dedica per la costru-
zione di un non speciicato ediicio

2.69 - Iscrizione la lavorazione del blocco a dentelli,


di opere pubbliche funzionale all’incasso sulla superi-
Numero Catalogo Generale: 00163088 cie architettonica. L’architrave era
Numero inventario: Assente probabilmente pertinente a un edi-
Provenienza: Cagliari icio pubblico della Karales di età
Collocazione: Cagliari augustea, fatto erigere da un mem-
Museo Archeologico Nazionale bro della gens Iulia di Karales, del cui
Oggetto: Architrave con iscrizione/ nome rimane traccia nell’iscrizione.
blocco Stato di conservazione: Mutilo
Materia e tecnica: Marmo/ scalpellatura/ Cronologia: 27 a.C.-14 d.C.
a incisione Bibliografia: zucca 1994, p. 861,
Lingua dell’iscrizione: Latino p. 867, n. 4; FLoris 2008, pp. 173-195.
Tecnica di scrittura: A solchi Fotografo: Monari, Nicola
Tipo di caratteri: Lettere capitali Compilatore: Lai, Francesca
Posizione dell’iscrizione: Tutta la su-
pericie della faccia liscia del blocco
Misure: h 46; largh. 100; prof. 59; h
lettere 17,5
Descrizione: Architrave monumentale
con iscrizione incisa su campo epi-
graico aperto. Sul retro si osserva

409
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.70 - Tavola di Esterzili pronunciata qualche giorno prima,


Numero Catalogo Generale: 00163015 il 13 di marzo del 69 d.C., sulle di-
Numero inventario: Assente spute territoriali tra i pastori sardi
Provenienza: Esterzili (CA) della tribù dei Galillenses e i Patulcen-
Collocazione: Sassari ses immigrati dalla Campania.
Museo Nazionale G.A. Sanna Stato di conservazione: Integro
Oggetto: Lastra con iscrizione Cronologia: 18 marzo 69 d.C.
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione/ Bibliograia: CIL X 7852; ILS 5947;
a incisione Boninu 1986, p. 132, ig. 184; Bo-
Lingua dell’iscrizione: Latino ninu 1993, pp. 63-76, tav. I; cado-
Tecnica di scrittura: A solchi ni 1993, pp. 77-98; Mastino 1993c,
Tipo di caratteri: Lettere capitali pp. 99-117, pp. 116-117, igg. 1-2;
Posizione dell’iscrizione: Fronte Storia Sardegna 2005, pp. 137-144, p.
Misure: h 45; largh. 61; spess. 0,5; h 139, ig. 16.
lettere 0,9-1,5 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Descrizione: Lastra iscritta di forma Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
rettangolare; il testo, inciso entro
una doppia cornice, è datato al
18 marzo del 69 d.C. e contiene
il resoconto di una sentenza del
proconsole Lucius Helvius Agrippa

2.71 - Tavola di clientela triangolare. Il campo epigraico è in-


e patronato quadrato in una cornice leggermente
Numero Catalogo Generale: 00162560 a rilievo. All’interno della cornice,
Numero inventario: 5961 ai quattro angoli, sono visibili i fori
Provenienza: Cagliari passanti; un quinto foro, più piccolo,
Collocazione: Cagliari è presente nel timpano, in posizione
ex Museo Archeologico Nazionale quasi centrale. Il testo contiene il de-
Oggetto: Lastra di rivestimento creto di clientela e patronato stipula-
con iscrizione to il I settembre del 158 d.C. tra il po-
Materia e tecnica: Bronzo/ laminatura/ polo della Colonia Iulia Augusta Uselis
a incisione e Marcus Aristius Balbinus Atinianus.
Lingua dell’iscrizione: Latino Stato di conservazione: Integro
Tecnica di scrittura: A solchi Cronologia: I settembre 158 d.C.
Tipo di caratteri: Lettere capitali Bibliograia: CIL X 7845; sotgiu
Posizione dell’iscrizione: Fronte, all’in- 1961b, n. 226; usai & zucca 1986,
terno della cornice pp. 327-331, n. 1; zucca 1994, pp.
Misure: h 42; largh. 33; spess. 0,5; h 917-919; AE 1999, 804a; Catalogo
lettere 1-3 P.E.T.R.A.E. 2002, pp. 1103-1104, n.
Descrizione: Lastra iscritta quadran- 918.
golare a sviluppo verticale, con Fotografo: Monari, Nicola
sommità che riproduce un timpano Compilatore: Ibba, Antonio

2.72 - Diploma militare Ursaris, contiene la copia conforme


Numero Catalogo Generale: 00163017 della costituzione emessa il 22 di-
Numero inventario: 4097 cembre del 68 d.C. da Galba per
Provenienza: Anela (SS) concedere il congedo ai soldati del-
Collocazione: Sassari la legio I Adiutrix.
Museo Nazionale G.A. Sanna Stato di conservazione: Integro
Oggetto: Diploma militare Cronologia: 22 dicembre 68 d.C.
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione/ Bibliograia: CIL X 7891; AE 1983,
a incisione 451; Boninu 1986, pp. 132-133, p.
Lingua dell’iscrizione: Latino 133, igg. 185-186; sotgiu 1988,
Tecnica di scrittura: A solchi p. 663, n. C80; Le Bohec 1990, p.
Tipo di caratteri: Lettere capitali 120, n. 35, tavv. X-XI; Storia Sarde-
Posizione dell’iscrizione: recto e verso gna 2005, p. 400.
Misure: h 14,5-14,3; largh. 17; spess. Fotografo: Dessì, Pierluigi
0,2-0,1; h lettere 0,5-0,6 Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Descrizione: Due lastrine di dimen-
sioni sostanzialmente equivalenti,
ciascuna recante quattro fori cir-
colari alle estremità dei lati lunghi,
originariamente unite da ili metal-
lici. Il diploma, destinato al soldato

410
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.73 - Diploma militare beneiciario, contiene la copia con-


Numero Catalogo Generale: 00163094 forme della costituzione emessa da
Numero inventario: Assente Domiziano per concedere il conge-
Provenienza: Sorgono (NU) do ai soldati delle coorti I Gemina
Collocazione: Cagliari Sardorum et Corsorum e II Gemina
ex Museo Archeologico Nazionale Ligurum et Corsorum.
Oggetto: Diploma militare Stato di conservazione: Frammentario
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a Cronologia: 87-88 d.C.
stampo/ a bulino Bibliograia: CIL X 7883; EE VIII
Lingua dell’iscrizione: Latino 63; Catalogo P.E.T.R.A.E. 2002,
Tecnica di scrittura: A solchi pp. 914-916, n. 722.
Tipo di caratteri: Lettere capitali Fotografo: Monari, Nicola
Posizione dell’iscrizione: recto e verso Compilatore: Lai, Francesca
Misure: h 57; largh. 75; prof. 2; h
lettere 3-6
Descrizione: Specchio epigraico de-
limitato da doppia cornice. Nell’an-
golo inferiore sinistro del recto si
trova il foro per l’alloggiamento del
legamento metallico. Il diploma, di
cui non si è conservato il nome del

2.74 - Diploma militare di Tunila nice. Il diploma, destinato al sol-


Numero Catalogo Generale: 00121350 dato Tunila, contiene la copia con-
Numero inventario: 5959 forme della costituzione emessa da
Provenienza: Dorgali (NU) Nerva per concedere il congedo ai
Collocazione: Cagliari soldati delle coorti I Gemina Sardo-
Museo Archeologico Nazionale rum et Corsorum e II Gemina Ligurum
Oggetto: Diploma militare et Corsorum.
Materia e tecnica: Bronzo/ laminatura/ Stato di conservazione: Parzialmente
a bulino ricomposto
Lingua dell’iscrizione: Latino Cronologia: 10 ottobre 96 d.C.
Tecnica di scrittura: A solchi Bibliograia: CIL X 7890; CIL XVI
Tipo di caratteri: Lettere capitali 40; AE 1986, 449; Le Bohec 1990,
Posizione dell’iscrizione: recto e verso pp. 36-38, 112-113, n. 16; serra &
Misure: h 162; largh. 12,7; spess. Bacco 1998, pp. 1244-1245, n. 101;
0,1; h lettere 0,4 Catalogo P.E.T.R.A.E. 2002, pp.
Descrizione: Tavoletta a sviluppo 1127-1130, n. 938; Storia Sardegna
verticale incisa su due facce con- 2005, p. 397.
trapposte. Nella parte mediana Fotografo: Monari, Nicola
sono visibili i due fori passanti. Il Compilatore: Ibba, Antonio
campo epigraico della faccia ester-
na è inquadrato da una doppia cor-

2.75 - Copia di diploma militare no il I ottobre 134 in favore dei ma-


Numero Catalogo Generale: 00162536 rinai della lotta di Miseno che, sot-
Numero inventario: 5962 to il comando del prefetto M(arcus)
Collocazione: Cagliari Calpurnius Seneca, avevano militato
Museo Archeologico Nazionale onorevolmente; i beneiciari sono
Oggetto: Diploma militare D(ecimus) Numitorius Tarammo, Fifens(is),
Materia e tecnica: Galena/ laminatura/ e suo iglio Tarpalar o Tarpalaris.
a bulino Stato di conservazione: Intero
Lingua dell’iscrizione: Latino Cronologia: Copia del sec. XIX
Tecnica di scrittura: A solchi Bibliograia: CIL X 7855; CIL XVI 79;
Tipo di caratteri: Lettere capitali Le Bohec 1990, pp. 91, 121, n. 40.
Posizione dell’iscrizione: recto e verso Fotografo: Monari, Nicola
Misure: h 17,2; largh. 14,5; spess. Compilatore: Ibba, Antonio
0,1; h lettere 0,5
Descrizione: Lamina a sviluppo ver-
ticale, incisa sulla faccia anteriore
e posteriore. Nella parte mediana
e negli angoli superiore e inferiore
destro sono visibili i fori passanti.
Si tratta della copia originale di un
provvedimento emanato da Adria-

411
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.76 - Diploma militare palinsesto sata. Il testo più antico era parte di un’i-
Numero Catalogo Generale: 00121349 scrizione verosimilmente pubblica e
Numero inventario: Assente onoraria, che (in dativo o nominativo)
Provenienza: Seulo (CA) ricordava un C. Aes[---], altrimenti sco-
Collocazione: Cagliari nosciuto. La lamina è stata riutilizzata
Museo Archeologico Nazionale per l’incisione del testo di un diploma
Oggetto: Lastra di rivestimento militare di cui è leggibile la datazione
con iscrizione consolare (202-218 d.C.), il nome del
Materia e tecnica: Bronzo/ laminatura/ beneiciario, Tarcutius Hospitalis, di Kara-
a bulino les, e parte del nome dei testimoni che
Lingua dell’iscrizione: Latino davano validità giuridica al documento.
Tecnica di scrittura: A solchi Stato di conservazione: Parzialmente ri-
Tipo di caratteri: Lettere capitali composto
Posizione dell’iscrizione: recto e verso Cronologia: Sec. II/202-218 (forse
Misure: h 15,8; largh. 14,5; spess. 212) d.C.
0,1; h lettere 0,14-4 Bibliograia: AE 1898, 78; AE 1916,
Descrizione: Frammento palinsesto, 52; CIL XVI 127; sotgiu 1961b, p.
corrispondente all’angolo superiore 120, n. 181; Catalogo P.E.T.R.A.E.
sinistro di una placca. Supericie accu- 2002, pp. 1220-1221, n. 933.
ratamente lavorata; campo epigraico Fotografo: Monari, Nicola
inquadrato da una cornice liscia ribas- Compilatore: Ibba, Antonio

2.77 - Pietra miliare Stato di conservazione: Mutilo


Numero Catalogo Generale: 00163021 Cronologia: 67-68 d.C.
Numero inventario: 4895 Bibliograia: CIL X 8014; IBBa 2007,
Provenienza: Muros (SS) pp. 23-25, p. 24, ig. 1, p. 25, ig. 2.
Collocazione: Sassari Fotografo: Dessì, Pierluigi
Museo Nazionale G.A. Sanna Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Oggetto: Pietra miliare
Materia e tecnica: Calcare bianco/
scalpellatura
Lingua dell’iscrizione: Latino
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Lungo la
supericie laterale ricurva del cippo
Misure: h 95; h lettere 4-10
Descrizione: Blocco di forma cilin-
drica, sbozzato grossolanamente,
posto alla ine dell’età neroniana a
sedici miglia da Turris Libisonis, sul-
la strada principale che conduceva
al caput provinciae Karales.

2.78 - Pietra miliare zione di Domitius Alexander sotto


Numero Catalogo Generale: 00163083 la cura del praeses Papius Pacatianus.
Numero inventario: Assente Stato di conservazione: Ricomposto
Provenienza: Carbonia (CI) Cronologia: 309-310 d.C.
Collocazione: Carbonia (CI) Bibliograia: sotgiu 1961b, pp. 241-
Museo Archeologico Villa Sulcis 242, n. 372; sotgiu 1964; sotgiu
Oggetto: Cippo miliario con iscrizione 1988, pp. 577-578, n. A372; atzori
Materia e tecnica: Calcare/ sbozzatura/ 2006, pp. 137-139, n. 8.
levigatura/ a incisione Fotografo: Monari, Nicola
Lingua dell’iscrizione: Latino Compilatore: Lai, Francesca
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Su 3/4 della
faccia lavorata del cippo
Misure: h 110; largh. 40; prof. 30; h
lettere 3-6
Descrizione: Forma parallelepipeda
irregolare; foro per paletto stabi-
lizzatore sul retro. Venne collocato
all’undicesimo miglio della via a
Karalibus Sulcos durante l’usurpa-

412
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.79 - Pietra miliare Stato di conservazione: Parzialmente


Numero Catalogo Generale: 00040026 ricomposto
Numero inventario: Assente Cronologia: 321-323 d.C.
Provenienza: Torralba (SS) Bibliograia: Mastino 1988b, pp.
Collocazione: Torralba (SS) 315-329, p. 320, ig. 2; Mastino
Museo della Valle dei Nuraghi 1988a, pp. 143-150, p. 144, ig. 1;
del Logudoro-Meilogu AE 1988, n. 665.
Oggetto: Pietra miliare Fotografo: Dessì, Pierluigi
Materia e tecnica: Calcare/ scalpellatura Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Lingua dell’iscrizione: Latino
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 127; largh. 31-39; prof.
27; h lettere 7-8
Descrizione: Grosso blocco parallelepi-
pedo, rastremato verso il basso, della
a Karalibus Turrem; è ancora leggibile
la dedica a Costantino II, sotto la cura
del praeses Postumius Matidianus; hedera
in l. 6.

2.80 - Pietra miliare Cronologia: 335-337 d.C.


Numero Catalogo Generale: 00163022 Bibliograia: CIL X 8015; Storia Sar-
Numero inventario: 7880 degna 2005, pp. 337, 371.
Provenienza: Ozieri (SS) Fotografo: Dessì, Pierluigi
Sant’Antioco di Bisarcio Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Collocazione: Sassari
Museo Nazionale G.A. Sanna
Oggetto: Pietra miliare
Materia e tecnica: Trachite/ scalpellatura
Lingua dell’iscrizione: Latino
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 120; largh. 35; prof. 30; h
lettere 2-3
Descrizione: Cippo militare della
a Karalibus Olbiam dedicato a Flavius
Delmatius da parte del praeses Flavius
Octavianus; sotto l’iscrizione, in po-
sizione centrale, è incisa una palma.
Stato di conservazione: Integro

2.81 - Pietra miliare Bibliograia: corda & Mastino


Numero Catalogo Generale: 00162496 2007, pp. 277-314, igg. 4-5.
Numero inventario: Assente Fotografo: Dessì, Pierluigi
Provenienza: Cuglieri (OR) Compilatore: Ibba, Antonio
Collocazione: Cuglieri (OR)
palazzo del Municipio
Oggetto: Cippo miliario con iscrizione
Materia e tecnica: Basalto/ scalpellatura
Lingua dell’iscrizione: Latino
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 71; diam. 52; h lettere 7,5-9,5
Descrizione: Tozzo cilindro senza
decorazione o cornice.
Il miliario era pertinente alla Tibulas
Sulcos e l’iscrizione ricorda un Mar-
cus Cornuicius, forse governatore
dell’Isola.
Stato di conservazione: Ricomposto
Cronologia: 121-100 a.C. (?)

413
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.82 - Cippo terminale Stato di conservazione: Frammentario


dei Bulgares Cronologia: Secc. III/IV d.C.
Numero Catalogo Generale: 00163029 Bibliograia: Boninu 1976, pp. 105
Numero inventario: 26744 ss, n. 552, tav. XLVI; sotgiu 1988,
Provenienza: Tortolì (OG) p. 589, n. B50, p. 638, add. B50;
Collocazione: Sassari Mastino 1993a, p. 497; BoneLLo
Museo Nazionale G.A. Sanna Lai 1993, pp. 178-179, n. 5, tav.
Oggetto: Cippo terminale XIX; MeLoni 2000, pp. 1695 ss.,
con iscrizione ig. I; Storia Sardegna 2005, p. 291
Materia e tecnica: Granito/ scalpellatura Fotografo: Dessì, Pierluigi
Lingua dell’iscrizione: Latino Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: recto e verso
Misure: h 40; diam. 40; h lettere 2,5-8.
Descrizione: Blocco di forma ci-
lindrica e inciso su due lati in po-
sizione diametralmente opposta
(recto, verso): il recto contiene il testo
Bulgares; nel verso è incisa un’unica
lettera, la V.

2.83 - Cippo terminale Stato di conservazione: Mutilo


Numero Catalogo Generale: 00041668 Cronologia: Secc. I a.C./I d.C.
Numero inventario: 21897 Bibliograia: CIL I.2 2227; EE VIII
Provenienza: Cuglieri (OR) 732; Mastino 1979, p. 123, n. 23,
Collocazione: Cagliari tav. XVI; BoneLLo Lai 1993, pp.
ex Museo Archeologico Nazionale 169-174, tavv. VI-VII.
Oggetto: Cippo terminale Fotografo: Monari, Nicola
con iscrizione Compilatore: Ibba, Antonio
Materia e tecnica: Trachite rossa/ a
incisione
Lingua dell’iscrizione: Latino
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: recto e verso
Misure: h 79; largh. 66; spess. 15; h
lettere 5-7
Descrizione: Cippo terminale che in-
dicava i conini tra il territorio dei
Ciddilitani (il cui nome è inciso sul
recto) e degli Euthiciani (il cui nome
è inciso sul verso).

2.84 - Cippo terminale Stato di conservazione: Integro


Numero Catalogo Generale: 00041653 Cronologia: 1-199 d.C.
Numero inventario: 85023 Bibliograia: AE 1894, 153; ILS
Provenienza: Cuglieri (OR) 5983; sotgiu 1961b, pp. 152-154,
Collocazione: Cagliari n. 233, p. 153; Mastino 1979, pp.
Museo Archeologico Nazionale 123-124, n. 24, tavv. XVII-XVIII;
Oggetto: Cippo terminale AE 1982, 304; BoneLLo Lai 1993,
con iscrizione pp. 169-174, tavv. XI-XII.
Materia e tecnica: Trachite rossa/ Fotografo: Monari, Nicola
a incisione Compilatore: Ibba, Antonio
Lingua dell’iscrizione: Latino
Tecnica di scrittura: A solchi
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: recto e verso
Misure: h 108; largh. 63; prof. 34; h
lettere 5,5-7,5
Descrizione: Cippo terminale che in-
dicava i conini tra il territorio de-
gli Uddadhaddar Numisiarum (il cui
nome è inciso sul recto) e degli Euty-
chiani (il cui nome è inciso sul verso).

414
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.85 - Mosaico pavimentale sere di colore rosso, che includono 1; angioLiLLo 1981, pp. 85-86, n. 72;
Numero Catalogo Generale: 00163102 disegni geometrici a motivi loreali sotgiu 1988, p. 561, n. A68; zuc-
Numero inventario: Assente (due iori bianchi a sei petali fusi- ca 1996, pp. 1459-1460; coLavitti
Provenienza: Cagliari, palazzo dell’INPS formi). Il mosaico comprendeva 2003, pp. 63-64, ig. 40 a, b, c, d, f.
sito della fullonica due sezioni. La parte attualmente Fotografo: Monari, Nicola
Collocazione: Cagliari, palazzo dell’INPS visibile comprende solo gli elemen- Compilatore: Lai, Francesca
sito della fullonica ti marini (piccoli delini; ancora,
Oggetto: Mosaico pavimentale bipenne, timone, in tessere nere) e
con iscrizione include inoltre un campo proilato
Materia e tecnica: Marmo colorato/ da tre ile di tessere rosse e decora-
a mosaico to da due gruppi di cerchi neri su
Lingua dell’iscrizione: Latino cui si inserisce il motivo loreale. I
Tecnica di scrittura: A solchi due gruppi musivi sono separati da
Tipo di caratteri: Lettere capitali una fascia, in cui sono inserite due
Posizione dell’iscrizione: Su mosaico, piccole clessidre. L’iscrizione con-
sotto motivo geometrico tiene il nome del proprietario della
Misure: h 89; largh. 163; h lettere fullonica, Marcus Plotius Rufus.
6,3-10 Stato di conservazione: Mutilo
Descrizione: Iscrizione musiva di- Cronologia: Sec. I a.C.
sposta su un’unica linea, inquadrata Bibliograia: Sotgiu 1961b, p. 50, n.
entro una cornice costituita da tes- 58; angioLiLLo 1978a, p. 188, tav. II,

2.86 - Iscrizione magica rendere misero (?) muto e sordo un


Numero Catalogo Generale: 00162506 Decimus, o Decius Ostilius Donatus,
Numero inventario: Assente evidentemente un avversario che si
Provenienza: Neapolis (Guspini - VS) sarebbe dovuto rivolgere a Marsuas
Santa Maria di Nabui per un responso oracolare.
Collocazione: Guspini (VS) Stato di conservazione: Integro
palazzo comunale Cronologia: 200-299 d.C.
Oggetto: Anfora con iscrizione/ Bibliograia: zucca & cossu 2005,
parete pp. 212-218, ig. 5.12; AE 2007,
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ 690.
levigatura Fotografo: Dessì, Pierluigi
Lingua dell’iscrizione: Latino Compilatore: Ibba, Antonio
Tecnica di scrittura: A grafito
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Fronte
Misure: h 2,3; largh. 7; spess. 0,7; h
lettere 0,308-0,644
Descrizione: Frammento ittile graf-
ito. Nell’iscrizione, incisa per ini
magici, si richiede a una divinità,
Marsuas (= Marsya) di Neapolis di

2.87 - Instrumentum domesticum applicate nel bordo esterno, a pun-


(piatto) zone di tipo geometrico nella parte
Numero Catalogo Generale: 00163095 interna del fondo, iore e animale
Numero inventario: Assente in corsa sul bordo; decorazione
Provenienza: Sardegna geometrica su tre ile concentriche
Collocazione: Cagliari nella parte interna.
Dipartimento di Storia, Stato di conservazione: Parzialmente
Beni Culturali e Territorio ricomposto
Cittadella dei Musei Cronologia: 50-120 d.C.
Oggetto: Piatto Bibliograia: tronchetti 1996, p.
Materia e tecnica: Argilla/ a stampo/ 62, n. 9, p. 57, tav. 7, n. 9; oxé
verniciatura & coMFort 2000, p. 363, n. 1690
Lingua dell’iscrizione: Latino (1476, 1558), 2.
Tecnica di scrittura: A impressione Fotografo: Dessì, Pierluigi
Tipo di caratteri: Lettere capitali Compilatore: Lai, Francesca
Posizione dell’iscrizione: Parte interna
del fondo in cartiglio rettangolare
Misure: h 4; diam. 12,5
Descrizione: Piattino in sigillata ita-
lica con marchio di fabbrica di Lu-
cius Rasinius Pisanus. Decorazioni

415
Istituzioni ed epigrafia della Sardegna romana e tardoantica

2.88 - Instrumentum domesticum parti dalla rappresentazione di un


(sigillo) volto femminile. Nell’iscrizione è
Numero Catalogo Generale: 00163028 contenuto il nome del proprietario,
Numero inventario:114/3983 Antonia Ruina.
Provenienza: Bonorva (SS) Stato di conservazione: Integro
Collocazione: Sassari Cronologia: Secc. II/IV d.C.
Museo Nazionale G.A. Sanna Bibliograia: Boninu 1986, p. 153,
Oggetto: Sigillo ig. 218; zucca 2003b, p. 47, n. 4.
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione Fotografo: Dessì, Pierluigi
Lingua dell’iscrizione: Greco Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Tecnica di scrittura: A rilievo
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Sul fondo del
sigillo
Misure: h 2,3; largh. 5,7; h lettere 0,7
Descrizione: Sigillo di forma rettan-
golare, dotato di anello per la pren-
sione, con lettere a rilievo; sul fon-
do è presente, entro cartiglio ret-
tangolare, un’iscrizione sinistrorsa
in greco, su due linee, divisa in due

2.89 - Instrumentum domesticum Stato di conservazione: Integro


(sigillo) Cronologia: Secc. I/IV d.C.
Numero Catalogo Generale: 00162980 Bibliograia: CIL X 8059, 197; Bo-
Numero inventario: 42/3985 ninu 1986, p. 153, ig. 218; zucca
Provenienza: Padria (SS) 2003b, p. 50, n. 10.
Collocazione: Sassari Fotografo: Dessì, Pierluigi
Museo Nazionale G.A. Sanna Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Oggetto: Sigillo
Materia e tecnica: Bronzo/ a fusione
Lingua dell’iscrizione: Latino
Tecnica di scrittura: A rilievo
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Sul fondo del
sigillo
Misure: h 2,5-3; largh. 8; h lettere
0,7-1,2
Descrizione: Sigillo a forma di piede,
dotato di anello per la prensione;
sul fondo è presente l’iscrizione sini-
strorsa con lettere a rilievo pertinente
alla donna sua proprietaria, Honorata.

2.90 - Instrumentum domesticum sore (Niceri, in genitivo), seguito da


(sigillo) hedera.
Numero Catalogo Generale: 00163027 Stato di conservazione: Integro
Numero inventario: 48/3984 Cronologia: Secc. I/IV d.C.
Provenienza: Martis (SS) Bibliograia: CIL X 8059, 275; Bo-
Collocazione: Sassari ninu 1986, p. 153, ig. 218; zucca
Museo Nazionale G.A. Sanna 2003b, p. 55, n. 29.
Oggetto: Sigillo Fotografo: Dessì, Pierluigi
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione Compilatore: Cocco, Maria Bastiana
Lingua dell’iscrizione: Latino
Tecnica di scrittura: A rilievo
Tipo di caratteri: Lettere capitali
Posizione dell’iscrizione: Sul fondo del
sigillo
Misure: h 2,5; largh. 7; h lettere 1,6-1,7
Descrizione: Sigillo di forma rettan-
golare, dotato di anello per la pren-
sione; sul fondo è presente, entro
un cartiglio rettangolare, l’iscrizio-
ne sinistrorsa con lettere a rilievo
che indica il nome del suo posses-

416
3.
La Sardegna
tardoantica
e altomedievale
La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.1 - Lucerna quadrati concentrici che racchiudono 3.2 - Lucerna Bibliograia: Serra 1997, pp. 335-
Numero Catalogo Generale: 00120998 due cerchi alternati a rosette a giran- Numero Catalogo Generale: 00111496 401; sPanu 1998, p. 220.
Numero inventario: 82053 dola con un puntino rilevato centrale Numero inventario: Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Sconosciuta inserite in un cerchio. L’ansa piena e (numero d’ordine P649) Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Collocazione: Cagliari puntuta sorge dal corpo e si collega Provenienza: Tharros (Cabras - OR)
Museo Archeologico Nazionale alla base ad anello. Collocazione: Oristano
Oggetto: Lucerna Stato di conservazione: Intero Antiquarium Arborense
Materia e tecnica: Argilla/ a matrice/ Cronologia: Secc. V/VI d.C. Museo Archeologico G. Pau
verniciatura Bibliograia: Pani erMini & Marino- Oggetto: Lucerna
Misure: h 3,7; diam. 6; lungh. 11 ne 1981, p. 129, ig. 211; saLvi 2005. Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
Descrizione: Lucerna in terra sigillata Fotografo: Monari, Nicola ingobbiatura
africana tipo Atlante forma X A1 a, Compilatore: Sanna, Anna Luisa Misure: h 3,7; diam. 9,1; lungh. 9,5;
di forma allungata con canale lungo diam. base 3
e rastremato e beccuccio circolare. Descrizione: Lucerna di produzione
Il disco concavo, a due infundibula, è orientale/egiziana, di forma cir-
decorato con una croce monogram- colare, con infundibulum centrale e
matica; un bordo rilevato che si pro- becco circolare. Il fondo è a disco.
lunga ai margini del canale lo separa L’argilla è di colore arancione chia-
dall’orlo orizzontale. La decorazione ro, poco depurata, micacea.
comprende anche un piccolo cerchio Stato di conservazione: Intero
impresso sotto la croce e due motivi Cronologia: Secc. VII/VIII d.C.

3.3 - Lucerna pasto è depurato, con minuscole 3.4 - Lucerna a disco none 1981, p. 132, ig. 219; sPanu
Numero Catalogo Generale: 00163157 tracce di mica. Numero Catalogo Generale: 00163270 1998, p. 218, nota 1054; MartoreL-
Numero inventario: OMA 586 Stato di conservazione: Integro Numero inventario: 82059 Li 2002, pp. 137-148; saLvi 2005
Provenienza: Olbia, porto Cronologia: Secc. V/VI d.C. Provenienza: Sconosciuta pp. 196-197; sangiorgi 2006, pp.
Collocazione: Olbia Bibliograia: BarBera & Petriaggi Collocazione: Cagliari 137-150.
Museo Archeologico 1993, p. 174, n. 132. Museo Archeologico Nazionale Fotografo: Monari, Nicola
Oggetto: Lucerna Fotografo: Dessì, Pierluigi Oggetto: Lucerna a disco Compilatore: Dore, Stefania
Materia e tecnica: Argilla/ a stampo Compilatore: Sangiorgi, Silvia Materia e tecnica: Impasto/ a matrice
Misure: diam. 6,3; lungh. 10,9; diam. Misure: largh. 9,2; lungh. 8,4
fondo 3 Descrizione: Frammento di disco
Descrizione: Lucerna in terra sigillata e di parte dell’orlo e del canale di
africana tipo Atlante forma X A1 a, una lucerna di forma allungata tipo
con il becco a canale aperto e spalla Atlante forma X. Il disco, concavo,
piatta, disco rotondo con due in- ha due infundibula ed è separato
fundibula. La decorazione realizzata dall’orlo orizzontale da un bordo
sulla spalla presenta tre cerchi con- rilevato che si prolunga ai margini
centrici decorati a girandola che si del canale. La decorazione riporta
alternano a tre quadrati gemmati una igura di orante con tunica.
con cerchi inscritti; sul disco, in- Stato di conservazione: Frammentario
vece, è presente uno iota gemmato Cronologia: Sec. V d.C.
decorato da viticci e corimbi. L’im- Bibliograia: Pani erMini & Mari-

3.5 - Piatto terno e all’esterno in sotto l’orlo. 3.6 - Piatto scuro, piuttosto depurato, con in-
Numero Catalogo Generale: 00163158 Stato di conservazione: Frammentario Numero Catalogo Generale: 00116161 clusi bianchi di piccole dimensioni,
Numero inventario: OMA 575 Cronologia: Metà sec. V d.C. Numero inventario: 186475 a frattura irregolare e dal caratteri-
Provenienza: Olbia, porto Bibliograia: hayes 1972, n. 61A; Provenienza: Serrenti (CA), Sant’Antonio stico suono metallico.
Collocazione: Olbia Pietra 2006, pp. 181-186. Collocazione: Sardara (VS) Stato di conservazione: Integro
Museo Archeologico Fotografo: Dessì, Pierluigi Civico Museo Archeologico Cronologia: Secc. III/VII d.C.
Oggetto: Piatto Compilatore: Sangiorgi, Silvia Villa Abbas Bibliograia: saLvi 2005, pp. 198-199.
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Oggetto: Piatto Fotografo: Monari, Nicola
lucidatura Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Compilatore: Sangiorgi, Silvia
Misure: largh. 10; lungh. 21,5; spess. 0,5 ritocco a stecca
Descrizione: Piatto tipo Hayes 61A, Misure: h 4; diam. 20,5
con orlo congiunto alla parete obli- Descrizione: Piatto con orlo indistin-
qua a spigolo vivo all’esterno e in- to, vasca profonda con parete cur-
clinato con un gradino, all’interno. vilinea, fondo piatto, pareti sottili.
Il fondo è piano. Presenta quattro Sono visibili segni di tornitura. Le
fasce concentriche sovradipinte in superici sia interne che esterne
rosso mattone all’interno e sull’or- sono contraddistinte all’interno da
lo; alle fasce più esterne sono ap- steccature radiali sul fondo e pa-
pesi motivi a ghirlanda con altri, rallele sulle pareti e all’esterno da
più piccoli, ad andamento circo- steccature parallele sulle pareti e sul
lare. La supericie è lucidata all’in- fondo. Il corpo ceramico è beige

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La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.7 - Scodella 3.8 - Brocca Bibliograia: serra 1995, pp. 384-


Numero Catalogo Generale: 00162602 Numero Catalogo Generale: 00162603 386, n. 4; scattu 2002, pp. 301-322.
Numero inventario: Assente Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Santadi (CI) Provenienza: Santadi (CI) Compilatore: Cisci, Sabrina
Barrua de Basciu Barrua de Basciu
Collocazione: Cagliari Collocazione: Cagliari
Museo Archeologico Nazionale Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Scodella Oggetto: Brocca
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
a stecca/ a stralucido Misure: h 15,5; diam. 8,5
Misure: h 4,4; diam. 18,8; spess. 0,7 Descrizione: Brocca costolata. Il col-
Descrizione: Scodella, parzialmente lo è cilindrico e l’orlo ispessito; il
ricomposta, a vasca medio-profon- corpo è piriforme, con base piana,
da, concava, con orlo non distinto ansa a nastro insellato leggermente
dalla parete e con fondo piano. sopraelevata sull’orlo e imposta-
Stato di conservazione: Parzialmente ta sulla spalla verticalmente. Una
ricomposto banda longitudinale formata da
Cronologia: Secc. VI/VII d.C. tre scanalature occupa la massima
Bibliograia: serra 1995, pp. 379-404. espansione del corpo.
Fotografo: Monari, Nicola Stato di conservazione: Mutilo
Compilatore: Cisci, Sabrina Cronologia: Secc. VI d.C.

3.9 - Brocca Stato di conservazione: Reintegrato 3.10 - Brocca 356-357, ig. 41; Atlante forme 1981,
Numero Catalogo Generale: 00163293 Cronologia: Secc. VI/VIII d.C. Numero Catalogo Generale: 00163294 pp. 42-43; steFani 1984, pp. 71-73;
Numero inventario: 66694/1396/83 Bibliograia: FuLFord & Peacock 1984, Numero inventario: 1399/83 rovina 1986a, p. 45; rovina 1990,
Provenienza: Sassari ig. 79, nn. 4 e 18; rovina 1986a, p. 45; Provenienza: Sassari, Fiume Santo p. 85, igg. 9,1; 10, a destra; rovina
insediamento tardoantico rovina 1990, p. 85, ig. 10; rovina 2000, Collocazione: Sassari 2000, p. 52, ig. a pag. 52, a destra.
e altomedievale di Fiume Santo p. 52, ig. a; scattu 2002, pp. 301-302; Museo Nazionale G.A. Sanna Fotografo: Dessì, Pierluigi
Collocazione: Sassari BoniFay 2004, pp. 291, 293, ig. 162. Oggetto: Brocca Compilatore: Nieddu, Anna Maria
Museo Nazionale G.A. Sanna Fotografo: Dessì, Pierluigi Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Oggetto: Brocca Compilatore: Nieddu, Anna Maria Misure: h 15; diam. 8,6; diam. piede 4,1
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Descrizione: Brocca con corpo piri-
Misure: h 12,5; diam. fondo 5,2 forme, alto collo cilindrico rigonio
Descrizione: Brocca a corpo globu- sotto l’orlo, distinto e ingrossato,
lare, privo di piede e con fondo segnato da un leggero ingrossa-
piano; collo cilindrico con orlo in- mento all’attacco con la spalla. Il
grossato e arrotondato. piede è anulare. Sulla parte superio-
Il corpo e il collo presentano sull’in- re del corpo sono state realizzate al
tera supericie costolature ottenute momento della lavorazione al tor-
al momento della lavorazione al tor- nio alcune solcature leggere.
nio. Sull’orlo e sulla spalla si impo- Stato di conservazione: Mutilo
sta un’ansa a bastoncello, a sezione Cronologia: Secc. IV/VII d.C.
ovale. Bibliograia: Boninu 1973, pp. 347,

3.11 - Brocca dovuti alle condizioni di cottura e 3.12 - Brocca lucentezza del rivestimento sono
Numero Catalogo Generale: 00163154 dalle steccature verticali e oblique che Numero Catalogo Generale: 00163161 meno evidenti. La decorazione è
Numero inventario: Assente dall’orlo arrivano al fondo dove si di- Numero inventario: OMA 603 completata da sette linee parallele
Provenienza: Cagliari spongono in cinque aree trapezoidali Provenienza: Olbia, porto incise in prossimità della spalla.
necropoli di San Lorenzo di differenti dimensioni. Impasto ben Collocazione: Olbia Stato di conservazione: Parzialmente
Collocazione: Cagliari depurato con piccoli inclusi bianchi. Museo Archeologico ricomposto
Museo Archeologico Nazionale Stato di conservazione: Integro Oggetto: Brocca Cronologia: Secc. IX/X d.C.
Oggetto: Brocca Cronologia: Sec. III d.C. Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Bibliograia: rovina 2002b, p. 173,
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Bibliograia: saLvi 1994a, pp. 284-285. invetriatura ig. 181, p. 310.
ritocco a stecca Fotografo: Monari, Nicola Misure: h 26; largh. 13,4; diam. 22,3 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Misure: h 15; diam. 12,8; h all’orlo 14,4; Compilatore: Sangiorgi, Silvia Descrizione: Brocca in ceramica Fo- Compilatore: Sangiorgi, Silvia
diam. collo 6,4; diam. fondo 8,23; lar- rum Ware di forma ovoidale con
gh. ansa 2,3; diam. umbone 1,3 fondo piano e beccuccio a cannello
Descrizione: Brocca in ceramica di tubolare, leggermente schiacciato
produzione cosiddetta campidane- all’estremità e staccato dall’orlo. Sul-
se (a linee polite/ steccata), con orlo la supericie esterna, caratterizzata
estrolesso e collo di forma cilindrica. dall’applicazione di petali ben rile-
La spalla è leggermente schiacciata e il vati e distribuiti in modo piuttosto
fondo convesso e ombelicato; l’ansa è rado, la vetrina verde, scura e bril-
a nastro. Le pareti sottili sono caratte- lante è distribuita uniformemente;
rizzate da un’ampia gamma di colori all’interno, invece, lo spessore e la

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La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.13 - Brocca piccoli inclusi bianchi. Il manufatto 3.14 - Brocca cature, verticali, leggermente oblique
Numero Catalogo Generale: 00163165 appartiene al gruppo di ceramiche Numero Catalogo Generale: 00163166 ed orizzontali; sul fondo e attorno
Numero inventario: 186477 comuni denominato brocchette bi- Numero inventario: 186474 all’umbone, invece, le stesse sono
Provenienza: Serrenti (CA), Sant’Antonio zantine, prodotte probabilmente in Provenienza: Serrenti (CA), Sant’Antonio circolari. Impasto di colore marrone,
Collocazione: Sardara (VS) Nord Africa e presenti in una vasta Collocazione: Sardara (VS) poco depurato, con evidenti inclusi
Civico Museo Archeologico area del Mediterraneo occidentale. Civico Museo Archeologico Villa Abbas bianchi e neri, a fattura irregolare.
Villa Abbas Stato di conservazione: Mutilo Oggetto: Brocca Stato di conservazione: Integro
Oggetto: Brocca Cronologia: Secc. VI/VII d.C. Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Cronologia: Secc. III/VII d.C.
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Bibliograia: scattu 2002, pp. 301-322. ritocco a stecca Bibliograia: saLvi 2005, p. 58, tav. 26,2.
Misure: h 17; diam. 12,1; diam. orlo Fotografo: Monari, Nicola Misure: h 17,1; diam. 16; diam. orlo Fotografo: Monari, Nicola
5,5; diam. fondo 6,3 Compilatore: Sangiorgi, Silvia 8,2; diam. fondo 4; sp. ansa 1 Compilatore: Sangiorgi, Silvia
Descrizione: Brocca con collo cilindri- Descrizione: Brocca in ceramica di
co ad orlo arrotondato e ingrossato, produzione cosiddetta campidanese
corpo ovoidale e fondo apodo, ansa (a linee polite / steccata), con bocca
verticale leggermente schiacciata. circolare e orlo arrotondato ed estro-
Sulla pancia e all’attacco dell’ansa lesso, corpo rigonio e fondo om-
sono visibili tracce di utilizzo di stec- belicato con bottone esterno, ansa
ca per il trattamento delle superici. verticale a nastro con lieve depres-
Le costolature orizzontali sul corpo sione mediana. La supericie delle
e sul collo sono omogenee. Impasto pareti, sottili e dal caratteristico suo-
di colore beige, ben depurato con no metallico, rende evidenti le stec-

3.15 - Brocca caratteristico suono metallico, rende 3.16 - Brocca globulare Stato di conservazione: Intero
Numero Catalogo Generale: 00163168 evidenti steccature sia in orizzontale Numero Catalogo Generale: 00121736 Cronologia: Sec. II d.C.
Numero inventario: 166498 sia in verticale. Impasto di colore bei- Numero inventario: 33771 Bibliograia: sirigu 1999, pp. 129-176.
Provenienza: Sinnai (CA) ge scuro, depurato con piccoli inclusi Provenienza: Sconosciuta Fotografo: Monari, Nicola
Collocazione: Sinnai (CA) bianchi; fattura irregolare. (collezione Gouin) Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Pinacoteca comunale Stato di conservazione: Parzialmente Collocazione: Cagliari
e Civico Museo Archeologico ricomposto Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Brocca Cronologia: Secc. III/VII d.C. Oggetto: Brocca globulare
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Bibliograia: iBBa 2001, p. 77, n. 31; Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/
ritocco a stecca iBBa 2006, p. 415. a stecca/ ingobbiatura
Misure: h 22; diam. 9,9; h all’orlo Fotografo: Monari, Nicola Misure: h 16; diam. 11,4; diam. piede
20,9; diam. fondo 7,1 Compilatore: Sangiorgi, Silvia 4,5; diam. esterno dell’imboccatura 3,8
Descrizione: Brocca in ceramica cam- Descrizione: Brocca globulare leg-
pidanese (a linee polite / steccata), germente schiacciata, con un’uni-
con collo cilindrico leggermente ri- ca ansa a nastro, collo allungato,
gonio e orlo distinto arrotondato rigonio, orlo estrolesso e piede
e appiattito. La spalla è leggermente a disco. La supericie esterna, con
schiacciata, il fondo convesso e om- tracce di steccatura, è trattata con
belicato, con un bottone esterno. ingobbiatura di colore chiaro che in
L’ansa verticale è a nastro e costolata. alcuni punti lascia visibile il colore
La supericie delle pareti, sottili e dal arancione dell’argilla sottostante.

3.17 - Brocca del collo. La pasta è rosata, coperta


Numero Catalogo Generale: 00121999 all’esterno da vernice di colore aran-
Numero inventario: 18/11063 cione tendente al mattone, mentre
Provenienza: Sconosciuta l’interno è privo di vernice e mostra
Collocazione: Cagliari un colore rosso bruno.
Museo Archeologico Nazionale Stato di conservazione: Intero
Oggetto: Brocca Cronologia: Sec. V d.C.
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Bibliograia: Boninu 1973, pp. 356-
verniciatura 357, tav IX, 2, ig. 43; steFani
Misure: h 20; diam. 4,4; diam. piede 1984, pp. 71-73; rovina 1990, pp.
4,5; h fondo 1,3; larghezza ansa 1,4; 83-89; sirigu 1999, pp. 129-176;
h collo 7, espansione massima 10,8 saLvi 2008, pp. 1731-1748.
Descrizione: Piccola brocca sigillata Fotografo: Monari, Nicola
africana A, con corpo arrotondato; Compilatore: Sanna, Anna Luisa
ha collo allungato e rigonio nel pun-
to di attacco dell’ansa, orlo espanso.
Il piede è distinto. L’ansa ha sezio-
ne quasi circolare, con curvatura a
gomito. Due linee incise sono visi-
bili nella parte alta della spalla e una
carenatura segna il punto d’innesto

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La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.18 - Brocca 322; vokaer 2009, pp. 121-136. 3.19 - Brocca da una doppia fascia di tratti im-
Numero Catalogo Generale: 00121573 Fotografo: Monari, Nicola Numero Catalogo Generale: 00117597 pressi e da una serie di V rovesciate.
Numero inventario: 18/11063 Compilatore: Sanna, Anna Luisa Numero inventario: 18/11063 Stato di conservazione: Intero
Provenienza: Santadi (CA) Provenienza: Tharros (Cabras - OR) Cronologia: Secc. V/VI d.C.
tomba di Barrua de Basciu Collocazione: Oristano Bibliograia: Ceramica Italia 1998,
Collocazione: Cagliari Antiquarium Arborense pp. 392-393, ig. 3,2; BoniFay 2004,
Museo Archeologico Nazionale Museo Archeologico G. Pau p. 292, ig. 163.
Oggetto: Brocca Oggetto: Brocca cathma A24 Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Compilatore: Sanna, Anna Luisa
ingobbiatura ingobbiatura
Misure: h 16; diam. 10; diam. im- Misure: h 17,5; diam. 11,5
boccatura 5,3; diam. base piatta 5 Descrizione: Piccola brocca con cor-
Descrizione: Piccola brocca con cor- po globulare schiacciato, lungo col-
po globulare e collo cilindrico, con lo svasato, orlo a fascia segnato da
ansa impostata direttamente sul collarino. L’ansa è impostata sulla
collo; base piatta. Il corpo e il collo carenatura della pancia e si con-
presentano costolature orizzontali. clude nel collo, sotto l’orlo, con un
Stato di conservazione: Intero gradino. Il piede è a disco.
Cronologia: Secc. VI/VII d.C. Nella parte inferiore del corpo le
Bibliograia: serra 1995, pp. 383- costolature sono nette, assenti in-
385, ig. 3; scattu 2002, pp. 301- vece nella parte superiore decorata

3.20 - Brocca p. 4, n. 1; Lavazza & vitaLi 1994, 3.21 - Boccale biconico Stato di conservazione: Parzialmente
Numero Catalogo Generale: 00163314 p. 42; ricci 1998, pp. 358-360, ig. Numero Catalogo Generale: 00163271 ricomposto
Numero inventario: 42771/651 4,7; rovina 2000, p. 46. Numero inventario: 9043 Cronologia: Secc. VII/VIII d.C.
Provenienza: Cheremule (SS) Fotografo: Dessì, Pierluigi Provenienza: Porto Torres (SS) Bibliograia: serra 1976, pp. 7-8, n.
San Pietro in Murighe Compilatore: Nieddu, Anna Maria Terme centrali 6, tav. XIV, 1; whitehouse 1980,
complesso ipogeico di Furrighesus Collocazione: Sassari pp. 125-156; caPrara 1986, p. 180;
o Museddus (?) Museo Nazionale G.A. Sanna ParoLi 1992, pp. 33-61; Mazzucato
Collocazione: Sassari Oggetto: Boccale biconico 1993; sannazaro 1994, pp. 242-250;
Museo Nazionale G.A. Sanna Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ rovina 2000, pp. 23, 26, ig. a p. 26.
Oggetto: Brocca invetriatura Fotografo: Dessì, Pierluigi
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Misure: h 8,2; diam. 4,8; diam. bocca 6,5 Compilatore: Nieddu, Anna Maria
Misure: h 14,5; diam. 15,5; diam. Descrizione: Boccale biconico in cera-
fondo 12; diam. orlo 8,5 mica Forum Ware. Il corpo è panciuto,
Descrizione: Brocca con corpo pan- con collo breve e fondo piano. L’ansa
ciuto e fondo piano; l’ansa a nastro a nastro spesso si imposta sul labbro e
si imposta sull’orlo e sulla spalla. Rea- in prossimità del fondo; in posizione
lizzata con impasto grossolano, ricco opposta rispetto a questa, sulla spalla,
di inclusi. c’è un piccolo beccuccio. La decora-
Stato di conservazione: Mutilo zione a squame è presente sul corpo,
Cronologia: Secc. VII/VIII d.C. mentre sul collo si dispongono quat-
Bibliograia: saLvi & serra 1990, tro scanalature orizzontali parallele.

3.22 - Brocca ovoidale Stato di conservazione: Mutilo 3.23 - Brocca Bibliograia: serra 1995, pp. 384-
Numero Catalogo Generale: 00007900 Cronologia: Secc. VII/VIII d.C. Numero Catalogo Generale: 00162601 386; Scattu 2002, pp. 301-322.
Numero inventario: 918/610 Bibliograia: taraMeLLi 1940, p. 86; Numero inventario: 918/610 Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Cheremule (SS) caPrara 1986, p. 172; caPrara Provenienza: Santadi (CI) Compilatore: Cisci, Sabrina
San Pietro in Murighe 1988, p. 431, n. 18; saLvi & serra tomba di Barrua de Basciu
complesso ipogeico di Furrighesus 1990, p. 4, n. 1; arthur & Patter- Collocazione: Cagliari
o Museddus (?) son 1994, ig. 4,1; siena, troiano Museo Archeologico Nazionale
Collocazione: Sassari & verrocchio 1998, pp. 693, 695, Oggetto: Brocca
Museo Nazionale G.A. Sanna igg. 25, 14-15; rovina 2000, p. 46. Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Oggetto: Brocca ovoidale Fotografo: Dessì, Pierluigi Misure: h 20; diam. 11,7
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Compilatore: Nieddu, Anna Maria Descrizione: Brocca con collo cilin-
incisione a crudo drico dall’orlo ispessito ad anello,
Misure: h 15; diam. 13,5; diam. piede 8,5 corpo ovoide, base a piattello e
Descrizione: Brocca con corpo pan- ansa a bastoncello leggermente
ciuto, collo basso appena distinto sopraelevata sull’orlo e impostata
dalla spalla e base piana; l’ansa, a verticalmente sulla spalla. La super-
bastoncello a sezione ellittica, si im- icie del collo e del corpo presenta
posta sotto l’orlo e sulla spalla. Sulla costolature distribuite uniforme-
spalla sono stati realizzati, con inci- mente.
sione a pettine, un motivo di linee Stato di conservazione: Mutilo
verticali e due bande concentriche. Cronologia: Secc. VI/VII d.C.

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La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.24 - Pentola La supericie interna è leggermente 3.25 - Anfora Cronologia: Sec. VI d.C.
Numero Catalogo Generale: 00163272 annerita in alcuni punti. L’impasto Numero Catalogo Generale: 00163169 Bibliograia: keay 1984.
Numero inventario: 8459/3925 è poco depurato, ricco di inclusi. Numero inventario: 181031 Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Porto Torres (SS) Stato di conservazione: Ricomposto Provenienza: Sconosciuta Compilatore: Sangiorgi, Silvia
Terme centrali Cronologia: Secc. III/V d.C. Collocazione: Villasimius (CA)
Collocazione: Sassari Bibliograia: serra 1976; rovina Museo Archeologico Comunale
Museo Nazionale G.A. Sanna 1998, pp. 791-793. Oggetto: Anfora
Oggetto: Pentola Fotografo: Dessì, Pierluigi Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio/ Compilatore: Nieddu, Anna Maria Misure: h 114; diam. 34; spessore 1,8;
a mano spessore ansa 3,9; diam. orlo 11,7
Misure: h 13; diam. 19; diam. fondo 16,5 Descrizione: Grande anfora africana
Descrizione: Pentola in ceramica da trasporto di forma cilindrica tipo
comune da cucina, con corpo pan- Keay 55; le anse, impostate su collo e
ciuto e orlo leggermente rientran- spalla, sono a orecchia; l’orlo, a fascia
te, sottolineato in basso da una piana, è marcato esternamente da un
scanalatura ottenuta con le dita al lieve gradino all’attacco con il collo.
momento della lavorazione al tor- Il puntale, pieno, è troncoconico.
nio; la base è piana. Quattro picco- Concrezioni marine sulla supericie.
le prese orizzontali contrapposte L’impasto ha quarzo eolico e calcari
fra loro a due a due, realizzate a associati a calcite.
mano, sono applicate sulla spalla. Stato di conservazione: Integro

3.26 - Anfora Cronologia: Secc. V/VII d.C. 3.27 - Anfora globulare Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00163170 Bibliograia: keay 1984. Numero Catalogo Generale: 00162613 Compilatore: Cisci, Sabrina
Numero inventario: 181031 Fotografo: Monari, Nicola Numero inventario: 160933
Provenienza: Sconosciuta Compilatore: Sangiorgi, Silvia Provenienza: Cagliari
Collocazione: Villasimius (CA) area archeologica adiacente
Museo Archeologico Comunale il cimitero di Bonaria
Oggetto: Anfora Collocazione: Cagliari
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Museo Archeologico Nazionale
Misure: h 33; diam. 23,1; spess. 0,9; Oggetto: Anfora globulare
spessore ansa 6,3; diam. orlo 7,1; Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
diam. fondo 7,1. Misure: h 40; diam. 26
Descrizione: Anfora da trasporto con Descrizione: Anfora a corpo globu-
corpo di forma ovale tipo Keay 52. lare. Presenta l’orlo leggermente
Orlo piatto a sezione triangolare, leg- svasato sotto il quale si impostano
gera scanalatura sotto il collo; anse due anse a nastro. Il fondo è arro-
scanalate a sezione circolare; risega tra tondato.
spalla e pancia; fondo ad anello che Stato di conservazione: Ricomposto
termina all’interno a bottone. Concre- Cronologia: Sec. VIII d.C.
zioni marine sulla supericie. Impasto Bibliograia: Mureddu 2002c, pp.
di colore beige, ricco di inclusi e mica. 237-239, 300, n. 11, ig. 143; cisci
Stato di conservazione: Integro 2006, pp. 135-136.

3.28 - Anfora globulare Cronologia: Sec. VIII d.C. 3.29 - Anfora globulare 237-240, 299, n. 3, igg. 139-140;
Numero Catalogo Generale: 00162626 Bibliograia: Mureddu 2002c, pp. Numero Catalogo Generale: 00162627 cisci 2006, pp. 135-136.
Numero inventario: 160928 237-239, 299, n. 1, igg. 137-138; Numero inventario: 160929 Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Cagliari cisci 2006, pp. 135-136. Provenienza: Cagliari Compilatore: Cisci, Sabrina
area archeologica adiacente Fotografo: Monari, Nicola area archeologica adiacente
il cimitero di Bonaria Compilatore: Cisci, Sabrina il cimitero di Bonaria
Collocazione: Cagliari Collocazione: Cagliari
Museo Archeologico Nazionale Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Anfora globulare Oggetto: Anfora globulare
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Misure: h 49; diam. 32 Misure: h 47; diam. 32
Descrizione: Anfora con corpo Descrizione: Anfora con corpo piri-
piriforme, orlo piccolo e legger- forme, orlo piccolo e leggermente
mente ingrossato sotto il quale si ingrossato sotto il quale si imposta-
impostano le anse a sezione ova- no le anse a sezione ovale; il fon-
le. Sulla spalla e sul corpo sono do è arrotondato. Sulla spalla e su
presenti grafiti (trascrizione: PA un’ansa sono presenti alcuni grafiti
TRI / PA R). Il grafito PA po- (trascrizione: MH / P).
trebbe costituire l’abbreviazione Stato di conservazione: Ricomposto
di Pateres. Cronologia: Sec. VIII d.C.
Stato di conservazione: Ricomposto Bibliograia: Mureddu 2002c, pp.

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La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.30 - Anfora globulare 237-240, 300, n. 6, ig. 141; cisci 3.31 - Anfora ti 2000, p. 45, n. 1; cisci 2006, pp.
Numero Catalogo Generale: 00162628 2006, pp. 135-136. Numero Catalogo Generale: 00121747 123-136.
Numero inventario: 160932 Fotografo: Monari, Nicola Numero inventario: 179613 Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Cagliari Compilatore: Cisci, Sabrina Provenienza: Nora (Pula - CA) Compilatore: Cisci, Sabrina
area archeologica adiacente Collocazione: Cagliari
il cimitero di Bonaria Museo Archeologico Nazionale
Collocazione: Cagliari Oggetto: Anfora
Museo Archeologico Nazionale Materia e tecnica: Argilla/ a tornio
Oggetto: Anfora globulare Misure: h 48; diam. 28
Materia e tecnica: Argilla/ a tornio Descrizione: Anfora con corpo ovoi-
Misure: h 38; diam. 22 dale tipo LRA 1. La spalla si fonde
Descrizione: Anfora con corpo pi- con il collo cilindrico dai lati conca-
riforme. Le anse hanno sezione vi, orlo orizzontale dritto e anse a
ovale e sono impostate appena bastoncello, impostate da circa metà
sotto l’orlo di cui raggiungono del collo alla spalla. Il fondo è arro-
l’altezza con un proilo a gomito tondato. Sulla supericie del corpo
espanso e rialzato; il fondo è ar- sono presenti solcature orizzontali.
rotondato. Stato di conservazione: Parzialmente
Stato di conservazione: Ricomposto ricomposto
Cronologia: Sec. VIII d.C. Cronologia: Secc. V/VII d.C.
Bibliograia: Mureddu 2002c, pp. Bibliograia: coLavitti & tronchet-

3.32 - Anfora/ansa piccole dimensioni e tracce di mica. 3.33 - Dolio/orlo purato con inclusi bianchi piuttosto
Numero Catalogo Generale: 00163153 Stato di conservazione: Integro Numero Catalogo Generale: 00163164 evidenti.
Numero inventario: 1789751 Cronologia: Sec. VII d.C. Numero inventario: 171276 Stato di conservazione: Frammentario
Provenienza: Cagliari Bibliograia: SaLvi 2002b, p. 226, ig. 1. Provenienza: Barumini (VS) Cronologia: Secc. VI/VIII d.C.
necropoli orientale paleocristiana Fotografo: Monari, Nicola area archeologica Su Nuraxi Bibliograia: LiLLiu 1994, pp. 188-
di San Saturnino Compilatore: Sangiorgi, Silvia Collocazione: Barumini (VS) 190, ig. 16.
Collocazione: Cagliari polo espositivo Casa Zapata Fotografo: Monari, Nicola
Museo Archeologico Nazionale Oggetto: Dolio/orlo Compilatore: Sangiorgi, Silvia
Oggetto: Anfora/ansa Materia e tecnica: Argilla/ a impressione
Materia e tecnica: Argilla/ a impressione Misure: h 10,7; largh. 12,4; sp. 2,3;
Misure: largh. 3.51; sp. 2,8; lungh. diam. foro 2,7; diam. cerchielli 0,2
residua 9,22; diam. impressione 1,5 Descrizione: Frammento dell’orlo ispes-
Descrizione: Ansa di anfora con bollo. sito, piatto ed estroverso, di un collo
Sulla parte superiore è visibile una cilindrico di dolio. È caratterizzato
decorazione ottenuta tramite l’im- dalla decorazione, effettuata tramite
pressione del rovescio di una moneta impressione di una cannuccia, di due
(identiicabile con un decanummo di ile di cerchietti regolari disposti sullo
Costante II – 641-668), con presu- sbieco a vista dell’orlo; quattro analo-
mibile intento decorativo. È visibile ghi cerchietti sono visibili nella parte
una croce accantonata dalle lettere C bassa del collo.
ed X. L’impasto ha inclusi bianchi di L’impasto è di colore scuro, poco de-

3.34 - Matrice per focacce corato da due dischi imperlati e un Cronologia: Sec. VII d.C.
Numero Catalogo Generale: 00162939 lungo mantello sollevato sul braccio Bibliograia: dadea 1997, pp. 403-
Numero inventario: 171276 sinistro con un ricco panneggio, fer- 411, tav. I,1; sPanu & zucca 2008,
Provenienza: Cabras (OR) mato sopra la spalla destra da una i- pp. 147-172.
San Giorgio di Sinis bula. Il volto imberbe, con sguardo Fotografo: Monari, Nicola
Collocazione: Oristano isso, labbra serrate e arcate soprac- Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Antiquarium Arborense ciliari che si uniscono con regolarità
Museo Archeologico G. Pau al naso, è incorniciato da una capi-
Oggetto: Matrice per focacce gliatura ricciuta acconciata a calotta.
Materia e tecnica: Argilla/ a stampo/ I piedi sono disposti con le punte in
a impressione/ a incisione avanti, allargate. La rafigurazione è
Misure: h 11; diam. 10; spess. 6 corredata da un’iscrizione in greco,
Descrizione: Timbro di forma circo- in caratteri capitali con inluenze
lare, con robusta impugnatura. Al onciali, che identiica San Giorgio.
centro presenta, incisa in negativo, Un’altra epigrafe si snoda lungo il
l’immagine di San Giorgio martire di margine: “Benedizione del Santo e
Lydda, rafigurato in modo stilizza- glorioso martire Giorgio”. Il timbro
to tra due palme, con le mani aperte veniva utilizzato per la decorazione
rivolte verso il cielo. Il Santo indossa dei pani (benedetti?).
abiti nuziali: una pesante tunica ri- Stato di conservazione: Parzialmente
camata, con il margine inferiore de- ricomposto

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La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.35 - Ampolla quale è rafigurato un personaggio


Numero Catalogo Generale: 00007891 identiicabile con San Mena, in pie-
Numero inventario: 4858/2325 di e in atteggiamento di orante. Il
Provenienza: Cabras (OR) santo indossa una tunica corta e
San Giovanni di Sinis stretta e una clamide che scende
Collocazione: Sassari dalle spalle ai piedi; è afiancato da
Museo Nazionale G.A. Sanna due cammelli accovacciati.
Oggetto: Ampolla Stato di conservazione: Integro
Materia e tecnica: Argilla/ a stampo/ Cronologia: Sec. VII d.C.
a impressione Bibliograia: sPano 1859, pp. 137-
Misure: h 8,2; largh. 6,2; spess. 2,4 139, tav. M, 4; taraMeLLi & La-
Descrizione: Ampolla dal corpo di vagnino 1933, p. 14, ig. a p. 139;
forma circolare schiacciato e a se- serra 1973, pp. 369-381; caPrara
zione lenticolare, con breve collo 1986, p. 180; LaMBert & Pede-
troncoconico e orlo leggermente Monte deMegLio 1993, pp. 205-
espanso. Le anse a bastoncello si 231; rovina 2000, pp. 23, 29, ig. a
impostano sull’orlo e sulle spalle. p. 29; giLLi 2002.
Una decorazione a stampo è pre- Fotografo: Dessì, Pierluigi
sente su entrambi i lati: due cornici, Compilatore: Nieddu, Anna Maria
una perlinata e una liscia, delimi-
tano un campo circolare entro il

3.36 - Rhyton Stato di conservazione: Intero 3.37 - Coppa cielo. La igura può essere interpretata
Numero Catalogo Generale: 00162647 Cronologia: Secc. VI/VII d.C. Numero Catalogo Generale: 00121760 come Cristo, legislatore e imperatore.
Numero inventario: 17291 Bibliograia: stiaFFini & Borghetti Numero inventario: 10666 Stato di conservazione: Intero
Provenienza: Domusnovas (CI) 1994, pp. 83-84, 145, n. 160. Provenienza: Ittiri (SS), sepoltura Cronologia: Sec. V d.C.
Collocazione: Cagliari Fotografo: Monari, Nicola Collocazione: Cagliari Bibliograia: Pani erMini & Marino-
Museo Archeologico Nazionale Compilatore: Cisci, Sabrina Museo Archeologico Nazionale ne 1981, p. 123, n. 204; stiaFFini
Oggetto: Rhyton Oggetto: Coppa & Borghetti 1994, p. 124, n. 314;
Materia e tecnica: Vetro/ sofiatura Materia e tecnica: Vetro/ sofiatura Corrias 2002, pp. 474-504.
Misure: h 18; diam. 7,7 Misure: h 4; diam. 18,8, spess. 0,3 Fotografo: Monari, Nicola
Descrizione: Rhyton con orlo svasa- Descrizione: Coppa in vetro tipo Isings Compilatore: Cisci, Sabrina
to ingrossato e arrotondato verso 116 con rafigurazione cristiana in-
l’esterno. Il corpo, dalle pareti qua- cisa: tra due palme cariche di frutti
si verticali, termina con una punta è rafigurata una igura nimbata in
arricciolata. In prossimità dell’orlo tunica e pallio, con libro aperto nella
e nel punto della massima circonfe- mano sinistra e mano destra tesa nel
renza sono presenti ilamenti rilevati gesto dell’adlocutio. Il volto, di proilo,
in pasta vitrea verde chiaro; altri i- è imberbe con capelli corti che scen-
lamenti disposti a spirale sul fondo dono sulla fronte, naso dritto e occhi
e sulla punta e a festoni sulla zona con pupilla evidente. Sullo sfondo si
centrale sono applicati in pasta vitrea individuano quattro gemme romboi-
blu. dali interpretabili forse come stelle del

3.38 - Collana Bibliograia: d’oriano 1996, pp.


Numero Catalogo Generale: 00163159 357-358.
Numero inventario: OMA 597 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Provenienza: Olbia Compilatore: Sangiorgi, Silvia
necropoli Su Cuguttu
Collocazione: Olbia
Museo Archeologico
Oggetto: Collana
Materia e tecnica: Pasta vitrea/fusione
Misure: lungh. 15; diam. massimo
vaghi 1,2; diam. minimo vaghi 0,5
Descrizione: Collana girocollo in
pasta vitrea composta da 47 ele-
menti disposti in sequenza ca-
suale in vetro azzurro-verde: 38
anellini sferici, quattro elementi
quadrangolari con angoli smus-
sati, quattro elementi esagonali e
uno di dimensioni maggiori.
Stato di conservazione: Ricomposto
Cronologia: Secc. V/VI d.C.

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La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.39 - Orecchino quattro elementi al globetto e di 3.40 - Orecchino ti da un ilo con supericie perlinata.
a globo mammellato quest’ultimo all’anello è presente una a globo mammellato Stato di conservazione: Intero
Numero Catalogo Generale: 00162631 sottile lamina che riproduce un ilo Numero Catalogo Generale: 00120577 Cronologia: Secc. VI/VIII d.C.
Numero inventario: Assente avvolto in quattro giri. Numero inventario: Assente Bibliograia: FioreLLi 1988a; saLvi
Provenienza: Norbello (OR) Stato di conservazione: Mutilo Provenienza: Nureci (OR) 1990; MartoreLLi 2001, pp. 377-393.
necropoli di Santa Maria Cronologia: Sec. VII d.C. Uriel, tomba Fotografo: Monari, Nicola
della Mercede, tomba alpha Bibliograia: saLvi 1990, pp. 216- Collocazione: Cagliari Compilatore: Dore, Stefania
Collocazione: Cagliari 217, n. 2. Museo Archeologico Nazionale
Museo Archeologico Nazionale Fotografo: Monari, Nicola Oggetto: Orecchino a globo
Oggetto: Orecchino a globo Compilatore: Cisci, Sabrina mammellato
mammellato Materia e tecnica: Argento/ fusione a
Materia e tecnica: Argento/ fusione a stampo/ cesellatura
stampo; oro/ saldatura Misure: diam. 7; spess. 0,2.
Misure: diam. 8,7 Descrizione: Orecchino in argento
Descrizione: Orecchino composto da composto da un anello decorato
anello in argento che termina con un con un piccolo globo, impreziosito
globetto in oro lievemente schiaccia- da quattro piccole sfere poste, a di-
to e caratterizzato da quattro protu- stanza regolare, nel punto di massi-
beranze sferiche posizionate a distan- ma espansione. I punti di contatto tra
za regolare intorno alla circonferenza le sfere e la supericie del globetto e
maggiore. Nei punti di incastro dei tra questo e l’anello sono sottolinea-

3.41 - Orecchino globo in cui si innestano appendici 3.42 - Orecchini tolineati da due giri di ilo ritorto.
a globo mammellato caliciformi turchesi. Il globo ha un a globo mammellato Stato di conservazione: Intero
Numero Catalogo Generale: 00163295 foro per la chiusura nel punto op- Numero Catalogo Generale: 00120587 Cronologia: Sec. VII d.C.
Numero inventario: 7708/631 posto a quello di saldatura al ilo. Numero inventario: 17090/17091 Bibliograia: sPano 1869, pp. 11-13;
Provenienza: Cheremule (SS) Stato di conservazione: Intero Provenienza: Bortigali (NU) LiLLiu 1947a, pp. 29-104; FioreL-
San Pietro in Murighe Cronologia: Secc. VI/VIII d.C. Berre, necropoli Li 1988b, p. 87; serra 1988, pp.
complesso ipogeico di Furrighesus Bibliograia: taraMeLLi 1940, p. 86; Collocazione: Cagliari 105-123; saLvi 1990; MartoreLLi
o Museddus (?) caPrara 1988, p. 430; saLvi & serra Museo Archeologico Nazionale 2001, pp. 377-393; saLvi 2002c,
Collocazione: Sassari 1990, p. 4, n. 1; MartoreLLi 1990, pp. Oggetto: Orecchini a globo pp. 159-163.
Museo Nazionale G.A. Sanna 540-541. mammellato Fotografo: Monari, Nicola
Oggetto: Orecchino a globo Fotografo: Dessì, Pierluigi Materia e tecnica: Oro/ fusione a Compilatore: Dore, Stefania
mammellato Compilatore: Nieddu, Anna Maria stampo
Materia e tecnica: Argento/ fusione a Misure: diam. 4,2; spess. 0,15
stampo/ laminatura/ lucidatura; Descrizione: Coppia di orecchini in
pasta vitrea/ fusione oro. Ciascuno è costituito da un
Misure: diam. 7,1; spess. 0,3; lungh. sottile anello con globetto; questo
appendici 0,5 è decorato da quattro piccole sfe-
Descrizione: Orecchino in argento re poste lungo il punto di massima
formato da un sottile ilo assotti- espansione. I punti di contatto tra
gliato a una delle estremità e con- queste e la supericie del globetto,
cluso, nell’estremità opposta, da un e tra questo e l’anello, sono sot-

3.43 - Orecchini a calice loreale punte; ogni punta reca una decorazio- 3.44 - Orecchino a calice loreale reale, chiuso da una corolla stellata a
Numero Catalogo generale: 00008024 ne costituita da tre granuli disposti a Numero Catalogo Generale: 00007826 sei punte ciascuna delle quali decora-
Numero Inventario: 12799/10702 triangolo. Al centro della corolla è il Numero inventario: 4823/7700/938 ta da tre granuli d’oro disposti a trian-
Provenienza: Borutta (SS) castone proilato da un ilo perlinato Provenienza: Viddazza (SS) golo, ha nel centro un castone a vasca
San Pietro di Sorres, necropoli nel punto di attacco con il cestello. Collocazione: Sassari cilindrica che conteneva una perla in
Collocazione: Sassari Stato di conservazione: Frammentario Museo Nazionale G.A. Sanna pasta vitrea turchese oggi perduta.
Museo Nazionale G.A. Sanna Cronologia: Sec. VII d.C. Oggetto: Orecchino a calice loreale Stato di conservazione: Integro
Oggetto: Orecchini a calice loreale Bibliograia: Maetzke 1966, p. 373, Materia e tecnica: Oro/ fusione/ Cronologia: Sec. VII d.C.
Materia e tecnica: Argento/ fusione/ ig. 9a; serra 1988, pp. 108-109, battitura/ saldatura/ laminatura/ Bibliograia: carducci 1962, pp.
battitura/ saldatura/ laminatura nn. 6-7, tav. V, 1-2; caPrara 1988, godronatura 244-245, n. 858; serra 1976, p. 10,
Misure: diam. 3,2; sp. 0,3; h. cestello 1,5. p. 399, ig. 3a; Possenti 1994. Misure: diam. 3,5; spess. 0,3 n. 23, tav. X, 1; caPrara 1986, pp.
Descrizione: Coppia di orecchini costi- Fotografo: Dessì, Pierluigi Descrizione: Orecchino formato da un 178-179, ig. 259; Possenti 1994;
tuiti ciascuno da un anello a baston- Compilatore: Nieddu, Anna Maria anello a bastoncello con le estremità rovina 2000, p. 51, ig. a p. 51.
cello che si assottiglia ad una delle assottigliate che si chiudono a gan- Fotografo: Dessì, Pierluigi
estremità, con fermapunta costitui- cetto. Nell’estremità issa è presente Compilatore: Nieddu, Anna Maria
to da un cilindro sagomato all’altra una fascetta formata da un ilo an-
estremità. Il cestello, issato all’anello nodato a spirale all’anello. Il cestello,
di sospensione tramite un anello di di forma piramidale, in sottile lamina
raccordo, è in lamina sagomata a cali- sagomata a calice loreale si raccorda
ce di iore, chiuso nella parte anteriore tramite una fascetta conformata in
da una corolla a forma di stella a sei due gancetti simmetrici. Il calice lo-

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La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.45 - Orecchino 3.46 - Orecchino 1999; saLvi 2002c, pp. 159-163.


Numero Catalogo Generale: 00121640 Numero Catalogo Generale: 00121639 Fotografo: Monari, Nicola
Numero inventario: Numero inventario: Compilatore: Dore, Stefania
(numero d’ordine M25/21A) (numero d’ordine M25/188)
Provenienza: Arbus (VS) Provenienza: Sconosciuta
Collocazione: Cagliari Collocazione: Cagliari
Museo Archeologico Nazionale Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Orecchino Oggetto: Orecchino
Materia e tecnica: Argento/ a stampo Materia e tecnica: Argento/ a stampo
Misure: diam. 4,5; spess. 0,3 Misure: diam. 3,6; spess. 0,2
Descrizione: Orecchino formato da Descrizione: Orecchino in argento
un grosso anello con pendente is- composto da un anello con sezione
so a cilindro adornato da quattro robusta, decorato con pendente is-
sporgenze cilindriche. so a boccola poliedrica. Le quattro
Stato di conservazione: Intero facce piatte di quest’ultima sono
Cronologia: Secc. VI/VIII d.C. vivacizzate da cinque punti incisi in
Bibliograia: BaLdini LiPPoLis 1999; saLvi profondità.
2002a, p. 118, tav. 3, igg. 12-13, p. 120. Stato di conservazione: Intero
Fotografo: Monari, Nicola Cronologia: Secc. VI/VIII d.C.
Compilatore: Dore, Stefania Bibliograia: ugas & serra 1990, pp.
123-124, ig. 21d; BaLdini LiPPoLis

3.47 - Orecchino Bibliograia: ugas & serra 1990, pp.


Numero Catalogo Generale: 00121637 123-124, ig. 21d; BaLdini LiPPoLis
Numero inventario: 1999; saLvi 2002c, pp. 159-163.
(numero d’ordine M25/18) Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Sconosciuta Compilatore: Dore, Stefania
Collocazione: Cagliari
Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Orecchino
Materia e tecnica: Argento/ a stampo
Misure: diam. 3,7; spess. 0,3
Descrizione: Orecchino in argento
formato da un anello, aperto e
assottigliato ad un capo. Il inale
dell’altro capo è sottolineato da
un ilo ritorto che crea una sorta
di piccolo cilindro. Il pendente è
isso, a goccia, ed è formato da
due sfere di diametro diverso,
unite tra loro.
Stato di conservazione: Intero
Cronologia: Secc. VI/VIII d.C.

3.48 - Orecchini con pendente pese tre campanelle e due sferette Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00120581 a base peduncolata. Le catenelle a Compilatore: Dore, Stefania
Numero inventario: 31484 maglia e a bastoncini sono decorate
Provenienza: Dolianova (CA) da perline di vetro (in un orecchino
necropoli di Bruncu e S’Olia se ne conservano quattro, nell’altro
Collocazione: Cagliari solo una), mentre le campanelle e
Museo Archeologico Nazionale le borchiette sono ornate a bulino.
Oggetto: Orecchini con pendente La grossa placca semicircolare, sulle
Materia e tecnica: Oro/ fusione a due facce, è decorata lungo l’orlo da
stampo/ a bulino un giro di perline in rilievo e da due
Misure: h 14; diam. 4,2; spess. 0,2 cordoncini a forte risalto; al centro
Descrizione: Coppia di orecchini è presente un castone, che solo in
composti da un cerchiello di grosso uno degli orecchini conserva la per-
ilo d’oro con incavo decorato per lina di vetro posta in origine.
l’inserzione dell’estremità appun- Stato di conservazione: Intero
tita. All’appiccagnolo robusto sta Cronologia: Sec. VII d.C.
appeso il pendaglio di forma semi- Bibliograia: taraMeLLi 1984, p. 271,
lunare con due incavi profondi, se- p. 270, ig. 8; saLvi 1989; BaLdini
micircolari nella parte inferiore. Da LiPPoLis 1999; saLvi 2002c, pp.
questo corpo semilunare si stacca- 159-163; MartoreLLi 2002, pp.
no cinque catenelle, a cui sono ap- 137-148.

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La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.49 - Orecchino Cronologia: Sec. VII d.C. 3.50 - Orecchino a calice loreale sei punte decorate con tre granuli di-
Numero Catalogo Generale: 00007855 Bibliograia: Maetzke 1966, p. 373, con pendente sposti a triangolo; al centro della corol-
Numero inventario: 4832/10703 ig. 9b; cuLican 1982, ig. 1b; ca- Numero Catalogo Generale: 00120588 la è il castone a vasca cilindrica ornato
Provenienza: Borutta (SS) Prara 1988, p. 399, ig. 3b; Marto- Numero inventario: 17095 con ilo perlato saldato al cestello.
necropoli di San Pietro di Sorres reLLi 1990, pp. 539-540; Roma An- Provenienza: Bortigali (NU) Stato di conservazione: Intero
Collocazione: Sassari tichità 2001, pp. 354-355, V. II tav. 4, Berre, necropoli Cronologia: Secc. VI/VII d.C.
Museo Nazionale G.A. Sanna igg. 405-406. Collocazione: Cagliari Bibliograia: FioreLLi 1988b, p. 87;
Oggetto: Orecchino Fotografo: Dessì, Pierluigi Museo Archeologico Nazionale serra 1988, pp. 105-123; saLvi 1990;
Materia e tecnica: Argento/ fusione/ Compilatore: Nieddu, Anna Maria Oggetto: Orecchino a calice loreale BaLdini LiPPoLis 1999; saLvi 2002c,
battitura con pendente pp. 159-163; MartoreLLi 2002, pp.
Misure: diam. 2,5; diam. perlina mag- Materia e tecnica: Oro/ fusione a stampo 137-148.
giore 0,5; diam. perlina minore 0,3 Misure: diam. 4,7 /5; spess. 0,2; h ce- Fotografo: Monari, Nicola
Descrizione: Orecchino ad anello dota- stello 1,7; h pendente 1,4; peso gr. 16,2 Compilatore: Dore, Stefania
to di fermapunta conformato come Descrizione: Orecchino composto da un
un cilindretto sagomato. Il pendente, cerchio sottile a cui è avvolto, nella par-
isso, è ottenuto da due perline d’ar- te inferiore, un ilo più sottile; il punto
gento unite verticalmente e saldate di contatto tra i due è decorato da pic-
all’anello; le dimensioni delle due per- colissimi globi. Sono saldati al cerchio
line differiscono leggermente: quella un campanello con il batacchio e un
saldata al cerchio è più piccola. cestello a calice loreale, chiuso ante-
Stato di conservazione: Integro riormente da una corolla stellata con

3.51 - Orecchino capsula sferoidale o a globo mam- 3.52 - Bracciale a due teste Bibliograia: Maetzke 1966, p. 373,
Numero Catalogo Generale: 00163150 mellato. di serpente ig. 9d; CaPrara 1988, p. 399, ig. 3d;
Numero inventario: 99719 Stato di conservazione: Mutilo Numero Catalogo Generale: 00007884 Roma Antichità 2001, pp. 364-365.
Provenienza: Siurgus Donigala (CA) Cronologia: Secc. VII/VIII d.C. Numero inventario: 4852/10704 Fotografo: Dessì, Pierluigi
complesso sepolcrale bizantino di Bibliograia: ugas & serra 1990, p. Provenienza: Borutta (SS) Compilatore: Nieddu, Anna Maria
Su Nuraxi 115, ig. 9. necropoli di San Pietro di Sorres
Collocazione: Cagliari Fotografo: Monari, Nicola Collocazione: Sassari
Museo Archeologico Nazionale Compilatore: Sangiorgi, Silvia Museo Nazionale G.A. Sanna
Oggetto: Orecchino Oggetto: Bracciale a due teste
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione/ di serpente
battitura Materia e tecnica: Bronzo/ fusione/
Misure: diam. 5,6; spess. 0,3 battitura
Descrizione: Orecchino in bronzo di Misure: diam. 8; spess. 0,2
sagoma ellittica in ilo pieno. Rimane Descrizione: Bracciale a capi aperti,
un bastoncello assottigliato nell’e- in ilo di bronzo appiattito alle due
stremità mobile che originariamente estremità. I terminali sono decorati
doveva essere provvisto di pendente: con tre occhi di dado radiati dispo-
questo non è pervenuto ma ne ri- sti a triangolo, a formare una stiliz-
mangono labili tracce della ghiera e zata testa di serpente.
della lamina. Stato di conservazione: Integro
È possibile che il pendente fosse a Cronologia: Sec. VII d.C.

3.53 - Bracciale 3.54 - Anello digitale Bibliograia: saLvi 1990, pp. 217-
Numero Catalogo Generale: 00163160 Numero Catalogo Generale: 00162633 218, n. 5.
Numero inventario: OMA 602 Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Olbia Provenienza: Norbello (OR) Compilatore: Cisci, Sabrina
necropoli di Su Cuguttu necropoli di Santa Maria
Collocazione: Olbia della Mercede, tomba alpha
Museo Archeologico Collocazione: Cagliari
Oggetto: Bracciale Museo Archeologico Nazionale
Materia e tecnica: Bronzo/ godronatura Oggetto: Anello digitale
Misure: diam. 6,3; spess. 0,42 Materia e tecnica: Argento/ fusione a
Descrizione: Bracciale tubolare con stampo/ a incisione
incisioni parallele ad effetto spira- Misure: diam. 2,4
liforme. La chiusura è ad incastro, Descrizione: Anello digitale con ver-
forata a entrambe le estremità. ga di sezione piano-convessa che si
Stato di conservazione: Corrosione, incro- allarga verso il castone. Sul castone
stazioni terrose, mancante di perno di forma troncoconica, decorato
Cronologia: Secc. V/VI d.C. ai lati da tre barrette leggermente
Bibliograia: d’oriano 1996, pp. rilevate, è inciso un monogramma
357-358; sPanu 1998. cruciforme.
Fotografo: Dessì, Pierluigi Stato di conservazione: Intero
Compilatore: Sangiorgi, Silvia Cronologia: Sec. VII d.C.

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La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.55 - Anello digitale 3.56 - Anello digitale castone è incisa la igura di Minerva
Numero Catalogo Generale: 00120481 Numero Catalogo Generale: 00120584 galeata, con un ramo nella destra, asta
Numero inventario: 6309 Numero inventario: 31486 nella sinistra e scudo al ianco.
Provenienza: Sconosciuta Provenienza: Dolianova (CA) Stato di conservazione: Mutilo
Collocazione: Cagliari necropoli di Bruncu e S’Olia Cronologia: Secc. VI/VIII d.C.
Museo Archeologico Nazionale Collocazione: Cagliari Bibliograia: taraMeLLi 1984, p. 271,
Oggetto: Anello digitale Museo Archeologico Nazionale p. 269 ig. 6; saLvi 1990; Marto-
Materia e tecnica: Piombo/ fusione a Oggetto: Anello digitale reLLi 2001, pp. 377-393.
stampo Materia e tecnica: Oro/ iligrana Fotografo: Monari, Nicola
Misure: h 0,7; diam. 2,6; spess. 0,5; Misure: h 0.6; diam. 2; spess. 0,2; Compilatore: Dore, Stefania
diam. castone 1,3; spess. castone 1,5 h castone 1,4; largh. castone 1,2;
Descrizione: Anello a verga cilindrica spess. castone 0,5; diam. occhiello
con castone di forma troncoconica. laterale 0,6.
Stato di conservazione: Frammentario Descrizione: Anello con ghiera spes-
Cronologia: Secc. VI/VIII d.C. sa che presenta in rilievo due ile di
Bibliograia: grisar & de LasaLa grosse perline in iligrana massiccia e
1997; sPanu 1998; MartoreLLi 2001. una mediana di piccole dimensioni;
Fotografo: Monari, Nicola il castone racchiude un topazio ed è
Compilatore: Dore, Stefania contornato da perline, mentre sulla
destra è presente un occhiello per
incastro di gemme. Sulla pietra del

3.57 - Anello digitale presente un motivo realizzato con 3.58 - Anello digitale Bibliograia: ugas & serra 1990, p.
Numero Catalogo Generale: 00007824 ilo godronato, a due volute che Numero Catalogo Generale: 00163151 116, ig. 12; saLvi & serra 1990.
Numero inventario: 22302 terminano con un globetto. Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Sassari, La Crucca Stato di conservazione: Mutilo Provenienza: Siurgus Donigala (CA) Compilatore: Sangiorgi, Silvia
complesso ipogeico Giorre Verdi, Cronologia: Secc. VI/VIII d.C. complesso sepolcrale bizantino
domus de janas 1, cella c Bibliograia: contu 1972, pp. 471- di Su Nuraxi
Collocazione: Sassari 472; serra 1976, p. 10, nn. 22; 13, Collocazione: Cagliari
Museo Nazionale G.A. Sanna tav. I, 3a; tav. XX, 1-2. Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Anello digitale Fotografo: Dessì, Pierluigi Oggetto: Anello digitale
Materia e tecnica: Oro/ fusione a Compilatore: Nieddu, Anna Maria Materia e tecnica: Bronzo/ a incisione
stampo/ saldatura Misure: diam. 2,2; largh. castone 1,4;
Misure: largh. 0,4; diam. 1,9; spess. h castone 0,9
0,1; h castone 0,9 Descrizione: Anello con verga a se-
Descrizione: Anello con verga a se- zione piano-convessa e castone el-
zione piano-convessa e castone lissoidale piatto.
ricavato nello spessore della verga Sul castone è inciso un monogram-
stessa. Il castone, che in origine ma con lettere greche, in nesso,
doveva contenere una perla in pa- forse, con una croce monogram-
sta vitrea verde, è a vasca circolare matica.
con bordi leggermente sporgenti. Stato di conservazione: Integro
Ai lati, sulla verga che si allarga, è Cronologia: Secc. VII/VIII d.C.

3.59 - Anello digitale Fotografo: Dessì, Pierluigi 3.60 - Anello digitale Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00007863 Compilatore: Sangiorgi, Silvia Numero Catalogo Generale: 00121356 Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Numero inventario: 4860 Numero inventario: Assente
Provenienza: Sconosciuta Provenienza: Villaputzu (CA)
(collezione Spano) tomba a camera, mausoleo di Cirredis
Collocazione: Sassari Collocazione: Cagliari
Museo Nazionale G.A. Sanna Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Anello digitale Oggetto: Anello digitale
Materia e tecnica: Bronzo/ a incisione Materia e tecnica: Bronzo/ fusione/
Misure: diam. 2,3; spess. 2; largh. a impressione
castone 1,5; h castone 1,1 Misure: h 3,1; diam. 2,7; spess.
Descrizione: Anello con verga a se- castone 0,4
zione piano-convessa e castone el- Descrizione: Anello con castone cir-
lissoidale piatto su cui è presente, colare rilevato rispetto alla verga a
all’interno di una cornice perlina- sezione piano-convessa. L’anello è
ta, l’incisione di un monogramma decorato con sette occhi di dado
crociato e l’invocazione Kyrie boéthei sul castone, tre a destra e uno a si-
(trad.: Signore soccorri). nistra sulla verga.
Stato di conservazione: Mutilo Stato di conservazione: Intero
Cronologia: Sec. VII d.C. Cronologia: Sec. VIII d.C.
Bibliograia: caPrara 1979, tav. VII, 3. Bibliograia: saLvi 2002a, p. 120, ig. 1,4.

429
La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.61 - Ago crinale Fotografo: Monari, Nicola 3.62 - Croce Fotografo: Dessì, Pierluigi
Numero Catalogo Generale: 00046759 Compilatore: Cisci, Sabrina Numero Catalogo Generale: 00163162 Compilatore: Sangiorgi, Silvia
Numero inventario: 95685 Numero inventario: OMA 598
Provenienza: Cornus (Cuglieri - OR) Provenienza: Telti (OT)
necropoli paleocristiana, tomba 80 sepoltura all’interno della chiesa
Collocazione: Cagliari Collocazione: Olbia
Museo Archeologico Nazionale Museo Archeologico
Oggetto: Ago crinale Oggetto: Croce
Materia e tecnica: Argento/ fusione a Materia e tecnica: Oro/ laminatura
stampo/ a incisione Misure: h 2,2; largh. 1,9
Misure: lungh. 15 Descrizione: Croce con bracci espansi
Descrizione: Ago crinale con fusto realizzata mediante il ritaglio di una
sfaccettato di forma poliedrica, con sottile lamina. Parallelo ai bordi è
un rigoniamento centrale. Su tre fac- presente un solco praticato median-
ce si legge un’iscrizione a solchi in let- te un’incisione. All’interno dei bracci
tere capitali +Patriga / femina / honesta. sono visibili ulteriori solchi incisi che
Stato di conservazione: Integro riprendono la sagoma dell’oggetto.
Cronologia: Secc. VI/VII d.C. Nella parte sommitale vi è un foro.
Bibliograia: aMante siMoni & Mar- Stato di conservazione: Integro
toreLLi 1986, pp. 161-189; Marto- Cronologia: Secc. VI/VII d.C.
reLLi 2000, pp. 28-29, n. 5. Bibliograia: saLvi & serra 1990.

3.63 - Fibula a disco sia nell’orlo che al centro, intorno


Numero Catalogo Generale: 00120579 all’umbone; è data da zone di mi-
Numero inventario: 31499 nutissime linee spezzate, a rilievo:
Provenienza: Dolianova (CA) tre nell’orlo esterno, racchiuse fra
necropoli di Bruncu e S’Olia due fasce di perline e divise da
Collocazione: Cagliari cerchielli rilevati, quattro al centro
Museo Archeologico Nazionale divise anch’esse in tre linee.
Oggetto: Fibula a disco Stato di conservazione: Intero
Materia e tecnica: Oro/ fusione a Cronologia: Secc. VI/VII d.C.
stampo/ trailatura/ granulazione/ Bibliograia: taraMeLLi 1984, pp.
cesellatura/ laminatura 267-273, p. 267, ig. 1; saLvi 1989;
Misure: diam. 6,2; spess. 0,1; peso MartoreLLi 2001, pp. 377-393;
gr. 39,5 MartoreLLi 2002, pp. 137-148;
Descrizione: Fibula di forma circola- saLvi 2002c, pp. 159-163.
re; nella faccia posteriore ha i due Fotografo: Monari, Nicola
ponticelli della cerniera dell’ago e Compilatore: Dore, Stefania
l’ardiglione saldati a fuoco. La fac-
cia anteriore ha l’orlo piano ed è
leggermente incavata, con al centro
un umbone semisferico assai spor-
gente. La decorazione è presente

3.64 - Fibula a disco piccolo. L’ardiglione è lungo e sottile 3.65 - Fibula ad arco zoomorfa placca è presente un’appendice di
Numero Catalogo Generale: 00162630 e tramite un’estremità conformata ad Numero Catalogo Generale: 00163297 forma triangolare, con due forellini
Numero inventario: Assente anello si lega a un perno issato a due Numero inventario: Assente simmetrici presso l’estremità oppo-
Provenienza: Norbello (OR) anelli saldati sul retro. Dalla parte op- Provenienza: Sassari sta all’arco, a voler rendere gli occhi
necropoli di Santa Maria posta è la staffa per il issaggio, dotata La Crucca, complesso ipogeico di un animale stilizzato (tartaruga?).
della Mercede, tomba alpha su un lato di un motivo a rilievo. Giorre Verdi, tomba Stato di conservazione: Mutilo
Collocazione: Cagliari Stato di conservazione: Integro Collocazione: Sassari Cronologia: Secc. V/VI d.C.
Museo Archeologico Nazionale Cronologia: Sec. VII d.C. Museo Nazionale G.A. Sanna Bibliograia: rovina 2000, pp. 47, 51,
Oggetto: Fibula a disco Bibliograia: saLvi 1990, p. 261, n. 1. Oggetto: Fibula ad arco zoomorfa ig. a p. 51.
Materia e tecnica: Argento/ fusione Fotografo: Monari, Nicola Materia e tecnica: Argento/ fusione Fotografo: Dessì, Pierluigi
a stampo/ saldatura; oro/ fusione Compilatore: Cisci, Sabrina a stampo; pasta vitrea/ colatura a Compilatore: Nieddu, Anna Maria
a stampo/ saldatura stampo
Misure: diam. 9,3 Misure: lungh. 4,2
Descrizione: Fibula in argento con Descrizione: La ibula, mutila, è col-
umbone centrale in oro. Il disco è legata all’ardiglione attraverso una
composto da due ordini di quattro cerniera ad incastro; l’arco è carat-
elementi anulari concentrici, decorati terizzato da una decorazione a seg-
con un motivo a zig-zag e separati tra menti quadrangolari realizzati a tra-
loro da una fascia liscia. La parte cen- foro, che in origine dovevano essere
trale è lievemente incavata e presenta riempiti in pasta vitrea nei colori
l’umbone decorato da un altro più rosso, granato e perla. Al posto della

430
La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.66 - Fibbia campo, e anzi lo costituiscono essi 3.67 - Fibbia


Numero Catalogo Generale: 00162960 stessi. Sul retro sono due cerchielli per Numero Catalogo Generale: 00162614
Numero inventario: Assente il issaggio al cuoio della cintura. Nel Numero inventario: Assente
Provenienza: Cabras (OR) punto in cui poggia l’ardiglione sull’a- Provenienza: Uras (OR)
San Giorgio di Sinis nello ci sono due leggere scanalature. nuraghe Domu Beccia
Collocazione: Oristano Stato di conservazione: Intero Collocazione: Cagliari
Antiquarium Arborense Cronologia: Secc. VI/VII d.C. Museo Archeologico Nazionale
Museo Archeologico G. Pau Bibliograia: sPanu & zucca 2004; Oggetto: Fibbia
Oggetto: Fibbia Manunza 2007, pp. 95-96, 99-100, Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a
Materia e tecnica: Bronzo / fusione / tav XII, 1. stampo/ a traforo/ a incisione
riinitura a freddo Fotografo: Monari, Nicola Misure: largh. 4; lungh. 8,5
Misure: h. 1,2; largh. 3,5; lungh. 5; Compilatore: Sanna, Anna Luisa Descrizione: Fibbia di cintura di tipo
largh. anello 3,2. Corinto, a placca con motivi trian-
Descrizione: Fibbia di tipo Siracusa golari e circolari.
con anello e placca ricavati in un unico Stato di conservazione: Intero
pezzo, completa di anello e ardiglione. Cronologia: Secc. VI/VII d.C.
La placca ha forma di scudo, bottone Bibliograia: Pani erMini & Marinone
terminale e due lobi presso l’attacco 1981, pp. 94-97; BaLdini LiPPoLis 1999,
dell’anello. La decorazione, ornito- pp. 221, 223; serra 2002b, pp. 211-212.
morfa, rappresenta due volativi stiliz- Fotografo: Monari, Nicola
zati affrontati che occupano l’intero Compilatore: Cisci, Sabrina

3.68 - Fibbia 3.69 - Fibbia


Numero Catalogo Generale: 00162616 Numero Catalogo Generale: 00162617
Numero inventario: Assente Numero inventario: Assente
Provenienza: Uras (OR) Provenienza: Uras (OR)
nuraghe Domu Beccia nuraghe Domu Beccia
Collocazione: Cagliari Collocazione: Cagliari
Museo Archeologico Nazionale Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Fibbia Oggetto: Fibbia
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a
stampo/ a traforo/ a incisione stampo/ a traforo/ a incisione
Misure: largh. 4; lungh. 9,5 Misure: largh. 3,7; lungh. 7,5
Descrizione: Fibbia di cintura di tipo Descrizione: Fibbia di cintura di tipo
Corinto, a placca con motivi trian- Corinto, a placca con motivi circo-
golari e circolari. lari e presumibilmente triangolari.
Stato di conservazione: Intero Stato di conservazione: Mutilo
Cronologia: Secc. VI/VII d.C. Cronologia: Secc. VI/VII d.C.
Bibliograia: Pani erMini & Marinone Bibliograia: Pani erMini & Marinone
1981, pp. 94-97; BaLdini LiPPoLis 1999, 1981, pp. 94-97; BaLdini LiPPoLis 1999,
pp. 221, 223; serra 2002b, pp. 211-212. pp. 221, 223; serra 2002b, pp. 211-212.
Fotografo: Monari, Nicola Fotografo: Monari, Nicola
Compilatore: Cisci, Sabrina Compilatore: Cisci, Sabrina

3.70 - Fibbia 3.71 - Fibbia linea orizzontale guarniscono la


Numero Catalogo Generale: 00162618 Numero Catalogo Generale: 00163204 supericie frontale dell’ardiglione.
Numero inventario: Assente Numero inventario: 2410 Stato di conservazione: Intero
Provenienza: Uras (OR) Provenienza: Sconosciuta Cronologia: Sec. VII d.C.
nuraghe Domu Beccia Collocazione: Cagliari Bibliograia: Pani erMini & Marinone
Collocazione: Cagliari Museo Archeologico Nazionale 1981, p. 102 n. 157, ig. 157; serra
Museo Archeologico Nazionale Oggetto: Fibbia 1990; sPanu 1998; MartoreLLi 2002,
Oggetto: Fibbia Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a pp. 137-148; MartoreLLi 2008.
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a stampo/ a incisione Fotografo: Monari, Nicola
stampo Misure: largh. 3,1; lungh. 6,9; diam. 3,6 Compilatore: Dore, Stefania
Misure: largh. 4; lungh. 5,5 Descrizione: Fibbia di cintura forma-
Descrizione: Fibbia di cintura con ta da placca a U, provvista sul retro
placca a U. A causa delle cattive di tre maglie ad anello per il is-
condizioni in cui è pervenuta non saggio alla cintura; anello di forma
sono leggibili i motivi decorativi. ovale con strozzatura centrale per
Stato di conservazione: Ricomposto l’appoggio dell’ardiglione con pun-
Cronologia: Sec. VII d.C. ta a becco e presa posteriore più
Bibliograia: BaLdini LiPPoLis 1999, pp. spessa. La placca è decorata da due
221, 223; serra 2002b, pp. 211-212. leoni araldici affrontati. L’anello è
Fotografo: Monari, Nicola ornato da occhi di dado, mentre
Compilatore: Cisci, Sabrina due rombi accostati e tagliati da una

431
La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.72 - Fibbia Stato di conservazione: Intero 3.73 - Fibbia/placca 1990; sPanu 1998; MartoreLLi 2002,
Numero Catalogo Generale: 00163205 Cronologia: Sec. VII d.C. Numero Catalogo Generale: 00163206 pp. 137-148; MartoreLLi 2008.
Numero inventario: 2412 Bibliograia: Pani erMini & Marinone Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Sconosciuta 1981, p. 104 n. 163, ig. 163; serra Provenienza: Sconosciuta Compilatore: Dore, Stefania
Collocazione: Cagliari 1990; sPanu 1998; MartoreLLi 2002, Collocazione: Cagliari
Museo Archeologico Nazionale pp. 137-148; MartoreLLi 2008. Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Fibbia Fotografo: Monari, Nicola Oggetto: Fibbia/placca
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a Compilatore: Dore, Stefania Materia e tecnica: Bronzo/ a stampo
stampo/ a bulino Misure: largh. 3,5; lungh. 4,6; spess. 0,7
Misure: largh. 2,8; lungh. 7,5; diam. 3,1 Descrizione: Placca a U di ibbia di
Descrizione: Fibbia di cintura for- cintura.
mata da placca a U. Sul retro della Sul retro ha tre maglie per il is-
placca sono presenti tre maglie ad saggio alla cintura. Sulla fronte è
occhiello per il issaggio alla cintu- rappresentato un busto umano che
ra. L’anello cernierato, reniforme, indossa veste, tunica e mantello e
è ristretto al centro; l’ardiglione ha sembra avere il capo incoronato da
la punta a becco e presa posterio- diadema.
re più spessa, ed è decorato da una Stato di conservazione: Mutilo
triplice cornice che racchiude una Cronologia: Sec. VII d.C.
freccia con, al centro, un cerchietto Bibliograia: Pani erMini & Marinone
ad occhio di dado. 1981, p. 100 n. 151, ig. 151; serra

3.74 - Fibbia Bibliograia: Pani erMini & Marino- 3.75 - Fibbia/placca Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00121761 ne 1981, p. 97 n. 144, ig. 144; ser- Numero Catalogo Generale: 00163207 Compilatore: Dore, Stefania
Numero inventario: 10570 ra 1990; sPanu 1998; MartoreLLi Numero inventario: 2422
Provenienza: Siurgus Donigala (CA) 2002, pp. 137-148; MartoreLLi 2008. Provenienza: Sconosciuta
Collocazione: Cagliari Fotografo: Monari, Nicola Collocazione: Cagliari
Museo Archeologico Nazionale Compilatore: Dore, Stefania Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Fibbia Oggetto: Fibbia/placca
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a Materia e tecnica: Bronzo/ a stampo
stampo/ a incisione Misure: largh. 3; lungh. 4,4; spess. 0,5
Misure: largh. 2,8; lungh. 5,6; diam. 2,8 Descrizione: Placca a U di ibbia di
Descrizione: Fibbia di cintura di cintura, con tre maglie ad occhiello
tipo Corinto, con foro triangolare; sul retro per il issaggio della cintura.
la cerniera, cui è saldato l’anello, Sulla faccia a vista un listello liscio
è costituita da due linguette isse, racchiude due leoni araldici posti l’u-
decorate con X incise. Sulla faccia no di fronte all’altro.
a vista sono presenti punti incisi e Stato di conservazione: Mutilo
un monogramma a croce. Sul retro Cronologia: Sec. VII d.C.
sono le tre maglie per il issaggio Bibliograia: Pani erMini & Marinone
della cintura. 1981, p. 101 n. 155, ig. 155; serra
Stato di conservazione: Intero 1990; sPanu 1998; MartoreLLi 2002,
Cronologia: Sec. VII d.C. pp. 137-148; MartoreLLi 2008.

3.76 - Fibbia come una rafigurazione di serpenti. 3.77 - Fibbia/placca Bibliograia: Pani erMini & Marino-
Numero Catalogo Generale: 00163208 Stato di conservazione: Mutilo Numero Catalogo Generale: 00163210 ne 1981, p. 95 n. 140, ig. 140; ser-
Numero inventario: 2424 Cronologia: Sec. VII d.C. Numero inventario: 2424 ra 1990; sPanu 1998; MartoreLLi
Provenienza: Sconosciuta Bibliograia: Pani erMini & Mari- Provenienza: Sconosciuta 2002; MartoreLLi 2008.
Collocazione: Cagliari none 1981, p. 112 n. 183, ig. 183; Collocazione: Cagliari Fotografo: Monari, Nicola
Museo Archeologico Nazionale serra 1990; sPanu 1998; Marto- Museo Archeologico Nazionale Compilatore: Dore, Stefania
Oggetto: Fibbia reLLi 2002; MartoreLLi 2008. Oggetto: Fibbia/placca
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a Fotografo: Monari, Nicola Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a
stampo/ a incisione Compilatore: Dore, Stefania stampo/ a incisione
Misure: largh. 3,3; lungh. 8,4; diam. Misure: largh. 3,2; lungh. 5,5; spess. 0,4
4; spess. 0,6 Descrizione: Placca cernierata a due
Descrizione: Fibbia di cintura mutila occhielli di ibbia di cintura, con tre
con placca cernierata a U allunga- maglie per il issaggio della cintu-
ta, con tre maglie ad occhiello sul ra sul retro. Il motivo decorativo è
retro per il issaggio della cintura dato da linee e cerchietti ad occhio
e con anello cernierato, reniforme di dado incisi; nell’appendice ro-
con strozzatura centrale. La faccia tonda è appena intuibile la presenza
frontale è decorata da motivi geo- di un monogramma. Il tipo è molto
metrici a spirali a due anse e cerchi simile al tipo corinto.
concentrici disposti asimmetrica- Stato di conservazione: Mutilo
mente, da leggersi probabilmente Cronologia: Sec. VII d.C.

432
La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.78 - Fibbia/placca più spessa. Sul retro sono tre maglie


Numero Catalogo Generale: 00163211 ad occhiello per il issaggio della
Numero inventario: 10511 cintura. L’appendice rotonda termi-
Provenienza: Siurgus Donigala (CA) nale della placca è decorata con un
Collocazione: Cagliari X grafito e sopralineato; la presa
Museo Archeologico Nazionale posteriore dell’ardiglione è guarni-
Oggetto: Fibbia/placca ta, nella faccia superiore, con due
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a triangoli contrapposti, circondati da
stampo/ a incisione puntini incisi.
Misure: largh. 2,8; lungh. 9; spess. Stato di conservazione: Intero
0,4; diam. 4 Cronologia: Sec. VII d.C.
Descrizione: Fibbia di cintura di tipo Bibliograia: Pani erMini & Marino-
Corinto, con placca traforata ret- ne 1981, p. 93 n. 133, ig. 133; serra
tangolare, decorata da un listello 1990; sPanu 1998; MartoreLLi 2002,
di cornice. La placca termina con pp. 137-148; MartoreLLi 2008.
un’appendice triangolare e un ele- Fotografo: Monari, Nicola
mento rotondo. L’anello cernierato Compilatore: Dore, Stefania
è reniforme e il punto d’appoggio
dell’ardiglione è sottolineato da due
elementi in rilievo. L’ardiglione ha
punta a becco e presa posteriore

3.79 - Cintura/linguetta Nell’appendice, contornata da una


Numero Catalogo Generale: 00121785 cornice, è invece rafigurata una
Numero inventario: igura umana frontale, con braccia
(numero d’ordine M28/3) alzate e copricapo appuntito su cui
Provenienza: Sant’Antioco (CI) poggia una croce greca.
Collocazione: Cagliari Stato di conservazione: Intero
Museo Archeologico Nazionale Cronologia: Sec. VII d.C.
Oggetto: Cintura/linguetta Bibliograia: sPano 1864, pp. 49-51;
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a Pani erMini & Marinone 1981,
stampo/ a incisione pp. 119-120, n. 202, ig. 202.
Misure: largh. 5; lungh. 10,4; spess. 0,4 Fotografo: Monari, Nicola
Descrizione: Placca composta da una Compilatore: Dore, Stefania
lastra quadrata unita a un’appendice
a forma di lancia. La parte quadra-
ta è formata da due lastre saldate,
tenute distanziate però nella parte
superiore da due chiodi a testa piat-
ta che ne impediscono, da quel lato,
la completa aderenza. Una cornice
incisa articolata in tre zone racchiu-
de la rafigurazione di un uccello.

3.80 - Cerniera L e presenta un’appendice sagomata


Numero Catalogo Generale: 00163212 e terminante a punta. La decorazio-
Numero inventario: Assente ne, ripartita fra i tre elementi, com-
Provenienza: Sconosciuta prende palmette disposte a raggiera
Collocazione: Cagliari alternate a motivi loreali puntinati e
Museo Archeologico Nazionale triangoli, un uccello dal proilo pun-
Oggetto: Cerniera tinato rivolto a destra, perline, pal-
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a mette, motivi geometrici puntinati
stampo/ a incisione e una sorta di motivo a opus pavona-
Misure: largh. 4,9; lungh. 20; spess. 0,4 ceum. Nell’appendice è rafigurato
Descrizione: Guarnizione, forse di un ramo puntinato con foglie cuo-
cassa lignea, formata da tre elementi riformi e, nella punta, un motivo a
uniti fra loro da cerniere, mediante palmetta o a spina di pesce.
perni con doppia testa sferica. Il pri- Stato di conservazione: Intero
mo elemento termina a ventaglio e Cronologia: Sec. VII d.C.
presenta tre fori; il secondo si com- Bibliograia: Pani erMini & Marino-
pone di due parti: quella superiore ne 1981, pp. 120, n. 203, ig. 203.
di forma rettangolare e quella infe- Fotografo: Monari, Nicola
riore di forma quadrata, traforata da Compilatore: Dore, Stefania
quattro aperture a forma di L. Il ter-
zo elemento ha forma rettangolare a

433
La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.81 - Fibbia ca è mobile, parzialmente traforata


Numero Catalogo Generale: 00163149 e decorata; è bordata da una doppia
Numero inventario: 99751 cornice con decorazione granulare.
Provenienza: Siurgus Donigala (CA) Nel retro della placca vi sono le tre
complesso sepolcrale bizantino piccole maglie per il issaggio del-
di Su Nuraxi la ibbia al cuoio. La decorazione
Collocazione: Cagliari rappresenta una scena di caccia al
Museo Archeologico Nazionale cinghiale: il cacciatore è rafigurato
Oggetto: Fibbia stante, volto a destra, armato di scu-
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a do e di lancia, verro e cane.
stampo Stato di conservazione: Integro
Misure: largh. 3,4; lungh. 7,9; spess. Cronologia: Secc. VII/VIII d.C.
0,4; lungh. placca 6,2; lungh. anello Bibliograia: ugas & serra 1990, pp.
1,7; larghanello 4,8 114, 120-121, ig. 4.
Descrizione: Fibbia di cintura con Fotografo: Monari, Nicola
placca del tipo a U. L’anello, sago- Compilatore: Sangiorgi, Silvia
mato ad otto, è mobile. L’ardiglio-
ne è del tipo a becco ricurvo, con
presa posteriore ispessita e decorata
a punzone con motivi geometrici di
linee spezzate simmetriche. La plac-

3.82 - Fibbia La supericie che deinisce lo spessore


Numero Catalogo Generale: 00007878 della placca è ornata da una serie di
Numero inventario: 12797/8898 tratti a zig-zag incisi. Sul retro della
Provenienza: Siligo (SS) placca sono saldate tre staffe forate,
tombe presso i resti delle terme funzionali al issaggio alla cintura.
romane, insediamento tardoantico All’estremità rettilinea della placca
e altomedievale presso la chiesa di sono collegati, tramite apposita cer-
Mesumundu niera, l’anello, di forma ovale, legger-
Collocazione: Sassari mente ristretto al centro, e l’ardiglione,
Museo Nazionale G.A. Sanna con punta a becco ricurvo e decorato,
Oggetto: Fibbia presso il punto di attacco alla cerniera,
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a da una croce di Sant’Andrea incisa.
stampo/ bulino Stato di conservazione: Integro
Misure: largh. 2,5; lungh. 6,7; spess. 0,5. Cronologia: Sec. VII d.C.
Descrizione: Fibbia di cintura con plac- Bibliograia: Maetzke 1965c, pp.
ca a U proilata, lungo tutto il perime- 312-313, ig. 7; Pani erMini & Ma-
tro, da una cornice liscia leggermente rinone 1981, pp. XVI-XVII; ca-
a rilievo; una analoga cornice deini- Prara 1986, p. 49; caPrara 1988,
sce un campo centrale, all’interno del pp. 403-404, 406, ig. 11.
quale è una croce latina con braccio Fotografo: Dessì, Pierluigi
orizzontale obliquo, a leggero rilievo. Compilatore: Nieddu, Anna Maria

3.83 - Fibbia terza cornice deinisce una seconda 313, ig. 8; Pani erMini & Marino-
Numero Catalogo Generale: 00008017 fascia, decorata da una serie di quat- ne 1981, p. 108, n. 173; XVI-XVII;
Numero inventario: 4839/14353 tordici semicerchi. Nel settore cen- caPrara 1986, pp. 182-183, ig.
Provenienza: Siligo (SS) trale della placca, privo di decorazio- 264, in basso; caPrara 1988, pp.
tombe presso i resti delle terme ne, si conservano le tracce dell’osso 402, n. 1; 405, ig. 10; rovina 2000,
romane, insediamento tardoantico di seppia sul quale è stata modellata pp. 45, 56, ig. a p. 56.
e altomedievale presso la chiesa di la matrice. La supericie che deini- Fotografo: Dessì, Pierluigi
Mesumundu sce lo spessore della placca è orna- Compilatore: Nieddu, Anna Maria
Collocazione: Sassari ta da un motivo a zig-zag. Al retro
Museo Nazionale G.A. Sanna della placca sono saldate tre staffe
Oggetto: Fibbia funzionali al issaggio della ibbia
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a alla cintura. Alla cerniera della quale
stampo/ a incisione/ a punzone è dotata la placca sono connessi l’a-
Misure: largh. 3,7; lungh. 11; lungh. nello, ovale, e l’ardiglione a punta ri-
placca 6,5 curva, con lo scudetto ornato da un
Descrizione: Fibbia di cintura con motivo vegetale stilizzato, ottenuto
placca a U, proilata da una corni- con linee e occhi di dado incisi.
ce a ilo godronato, che deinisce, Stato di conservazione: Integro
insieme a una identica cornice, un Cronologia: Sec. VII d.C.
campo ornato da una serie continua Bibliograia: Maetzke 1961, pp.
di doppie foglioline stilizzate; una 360-361, tav. II; Maetzke 1965c, p.

434
La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.84 - Fibbia cintura. La placca presenta sulla su-


Numero Catalogo Generale: 00007881 pericie una decorazione ormai il-
Numero inventario: 12789/14356 leggibile; una serie di brevi incisio-
Provenienza: Siligo (SS) ni rettilinee orna la cornice. Anche
tombe presso i resti delle terme l’ardiglione è decorato da una serie
romane, insediamento tardoantico di linee rettilinee incise, disposte
e altomedievale presso la chiesa di a formare uno stilizzato elemento
Mesumundu vegetale.
Collocazione: Sassari Stato di conservazione: Integro
Museo Nazionale G.A. Sanna Cronologia: Sec. VII d.C.
Oggetto: Fibbia Bibliograia: Maetzke 1961, pp.
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a 360-361, tav. III; Maetzke 1965c,
stampo/ a incisione p. 314, ig. 9a; Pani erMini & Ma-
Misure: largh. 3,1; lungh. 9,6; spess. 0,3 rinone 1981, pp. XVI-XVII; ca-
Descrizione: Fibbia di cintura con Prara 1988, pp. 402-403, n. 4; 405,
placca a U, fornita di cerniera alla ig. 10; rovina 2000, p. 45.
quale sono issati l’anello, di for- Fotografo: Dessì, Pierluigi
ma ovale, e l’ardiglione, con punta Compilatore: Nieddu, Anna Maria
spessa, a becco ricurvo. Sul retro
della placca sono saldate tre staffe
forate, funzionali al issaggio alla

3.85 - Fibbia del tipo Siracusa Manunza 2007, pp. 87-130, tav. 3.86 - Fibbia adunco ed occhio segnato da un cer-
Numero Catalogo Generale: 00119388 XII, igg. 1-4. Numero Catalogo Generale: 00007870 chiello con punto mediano ottenuto
Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola Numero inventario: 4854 a punzone.
Provenienza: Cabras (OR) Compilatore: Dore, Stefania Provenienza: Gadoni (NU) Stato di conservazione: Mutilo
San Giorgio di Sinis necropoli tardoromana e altomedie- Cronologia: Sec. VII d.C.
Collocazione: Oristano vale presso il centro urbano Bibliograia: serra 1995, p. 397, p.
Antiquarium Arborense Collocazione: Sassari 400, nt 108, ig. 35.
Museo Archeologico G. Pau Museo Nazionale G.A. Sanna Fotografo: Dessì, Pierluigi
Oggetto: Fibbia Oggetto: Fibbia Compilatore: Sangiorgi, Silvia
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a Materia e tecnica: Bronzo/ a punzone
stampo/ a incisione Misure: largh. 3,6; h 2,2; spess. 0,1;
Misure: largh. 2,59; lungh. 4,6; lungh. ardiglione 1,1
spess. 0,3 Descrizione: Fibbia (da borsa o da
Descrizione: Fibbia del tipo Siracusa, cinturino?) con placca issa lunata
con placca piena caratterizzata da, che presenta alle estremità protomi
una decorazione ornitomorfa (cigni di rapace, presumibilmente un’aqui-
affrontati?). la. Ha anello ovale saldato alla placca
Stato di conservazione: Mutilo e ardiglione mobile con presa poste-
Cronologia: Secc. VI/VII d.C. riore ad occhiello e punta ricurva a
Bibliograia: Pani erMini & Marino- becco. Presenta una decorazione ad
ne 1981, p. XVI e p. 102, n. 157; occhi di dado. Il rapace ha becco

3.87 - Fibbia becco ricurvo con presa posteriore


Numero Catalogo Generale: 00007877 ispessita. Ha inoltre una coppia di
Numero inventario: 12794 cerniere con perno in ferro a estre-
Provenienza: Sconosciuta mità ribattute. Nel retro della plac-
(collezione Dessì) ca rimangono le tre piccole maglie
Collocazione: Sassari per il issaggio della ibbia al cuoio.
Museo Nazionale G.A. Sanna La presa posteriore dell’ardiglione
Oggetto: Fibbia è decorata con un motivo curvili-
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a neo non identiicabile; la placca è
stampo decorata mediante incisioni con un
Misure: largh. 2,7; lungh. 5,4; spess. motivo puntinato, a taccheggiature
0,4; lungh. ardiglione 3,9; lungh. e ad onde.
anello 3; largh. anello 4,2. Stato di conservazione: Integro
Descrizione: Fibbia di cintura di tipo Cronologia: Sec. VII d.C.
Corinto, con placca traforata, ret- Bibliograia: serra 2002a, p. 153, ig.
tangolare nella parte verso l’anello 101, p. 292; Pani erMini & Mari-
e triangolare in quella terminale; none 1981, pp. 93-98, nn. 133-148.
il traforo consiste in fori circola- Fotografo: Dessì, Pierluigi
ri nella prima e rettangolari nella Compilatore: Sangiorgi, Silvia
seconda. È fornita di anello ovale
con cerniera e ardiglione del tipo a

435
La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.88 - Fibbia perno in ferro a estremità ribattute.


Numero Catalogo Generale: 00007866 Nel retro della placca rimangono le
Numero inventario: 12793 tre piccole maglie per il issaggio
Provenienza: Sconosciuta della ibbia al cuoio. La presa po-
Collocazione: Sassari steriore dell’ardiglione è decorata
Museo Nazionale G.A. Sanna superiormente con un motivo a li-
Oggetto: Fibbia nee incise; la placca è decorata me-
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a diante piccoli cerchi e taccheggia-
stampo ture che ne evidenziano la sagoma.
Misure: largh. 3,6; lungh. 6,8; lungh. Stato di conservazione: Integro
ardiglione 2,7 Cronologia: Sec. VII d.C.
Descrizione: Fibbia di cintura con Bibliograia: serra 2002a, p. 153, ig.
placca traforata, rettangolare nella 169, p. 308; Pani erMini & Mari-
parte verso l’anello e triangolare none 1981, pp. 93-98, nn. 133-148.
nella terminale; il traforo consiste Fotografo: Dessì, Pierluigi
in fori circolari nella prima e cuo- Compilatore: Sangiorgi, Silvia
riformi nella seconda. È fornita
di anello ovale con cerniera. L’ar-
diglione è del tipo a becco ricurvo
con presa posteriore ispessita. Ha
inoltre una coppia di cerniere con

3.89 - Fibbia issaggio alla cintura. La placca pre-


Numero Catalogo Generale: 00007873 senta, all’interno di una cornice a
Numero inventario: 4835/10697 dentelli resi in maniera molto som-
Provenienza: Borutta (SS) maria, la rafigurazione a rilievo di
area della basilica di Santu Pedru un leone visto di scorcio, con lunga
de Sorres coda, gradiente verso sinistra.
Collocazione: Sassari Stato di conservazione: Integro
Museo Nazionale G.A. Sanna Cronologia: Sec. VII d.C.
Oggetto: Fibbia Bibliograia: Maetzke 1966, pp. 370,
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a 372, igg. 6-7; Pani erMini & Ma-
stampo rinone 1981, p. 108, n. 173; XVI-
Misure: largh. 3,2; lungh. 8; spess. 0,5 XVII, ig. 173; caPrara 1986, pp.
Descrizione: Fibbia di cintura con 182-183, ig. 265; caPrara 1988, p.
placca a U fornita di cerniera nella 399. 401, ig. 5.
quale sono inseriti l’anello, di for- Fotografo: Dessì, Pierluigi
ma ovale, leggermente ristretto al Compilatore: Nieddu, Anna Maria
centro e caratterizzato, nel setto-
re opposto alla placca, da quattro
dentelli, e l’ardiglione, con punta a
becco ricurvo. Sul retro della placca
sono saldate tre staffe forate per il

3.90 - Fibbia/placca te posteriore della placca presenta


Numero Catalogo Generale: 00163167 due piccole maglie per il issaggio
Numero inventario: 181274 al cuoio ed un perno mobile a testa
Provenienza: Sinnai (CA), casa privata di chiodo.
Collocazione: Sinnai (CA) Stato di conservazione: Frammentario
Pinacoteca comunale Cronologia: Secc. VI/VII d.C.
e Civico Museo Archeologico Bibliograia: artizzu 2006, pp. 411-
Oggetto: Fibbia/placca 412, n. 51.
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a Fotografo: Monari, Nicola
stampo Compilatore: Sangiorgi, Silvia
Misure: h 2,9; largh. 4; spess. 0,3
Descrizione: Placca pertinente a una
ibbia di cintura rafigurante un ca-
vallo al galoppo, rivolto a sinistra.
L’animale presenta una decora-
zione ad occhi di dado sul collo e
sulla sella. Quest’ultima, insieme
alla criniera dell’animale, è deinita
tramite incisioni. Il particolare ana-
tomico dell’occhio è reso mediante
il motivo ad occhi di dado. La par-

436
La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.91 - Fibbia/placca con capo cinto da un cerchio (di


Numero Catalogo Generale: 00007868 luce) e con il mantello chiuso sul
Numero inventario: 4838 davanti, è in atteggiamento di oran-
Provenienza: Laerru (SS), necropoli te, segno dello stato di grazia. I due
Collocazione: Sassari leoni sono rafigurati ai suoi lati. A
Museo Nazionale G.A. Sanna destra è una croce e ai lati l’iscrizio-
Oggetto: Fibbia/placca ne che è stata incisa in lettere capi-
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a tali (“Daniele profeta”).
stampo Stato di conservazione: Mutilo
Misure: largh. 3,4; lungh. 5; spess. 0,4 Cronologia: Secc. VI/VIII d.C.
Descrizione: Placca di ibbia da cin- Bibliograia: serra 2002a, p. 153, ig.
tura a scudo arcuato, con linguetta 116, p. 294.
mediana ed una coppia di cerniere Fotografo: Dessì, Pierluigi
posizionate sul lato anteriore. Nel Compilatore: Sangiorgi, Silvia
retro della placca rimangono le tre
piccole maglie, spezzate, per il is-
saggio della ibbia al cuoio. Al cen-
tro è la rafigurazione di Daniele
tra i leoni, corredata di iscrizione e
croce. Si tratta di una rappresenta-
zione in negativo in cui il profeta,

3.92 - Fibbia di una cornice zigrinata, una deco-


Numero Catalogo Generale: 00007872 razione piuttosto deinita: si tratta
Numero inventario: 4850 di cavaliere a cavallo, rivolto verso
Provenienza: Tissi (SS) sinistra, dotato di scudo e forse di
tombe in via Paris de Idda elmo. Lo spessore della placca è
Collocazione: Sassari caratterizzato da tre linee continue
Museo Nazionale G.A. Sanna parallele. Nel retro della placca vi
Oggetto: Fibbia/placca sono le tre piccole maglie per il is-
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a saggio al cuoio.
stampo Stato di conservazione: Integro
Misure: largh. 3,1; lungh. 8,6; spess. Cronologia: Sec. VII d.C.
0,6; lungh. anello 3,5; largh. anello 4,5 Bibliograia: serra 2002a, p. 152, ig.
Descrizione: Fibbia per cintura con 109, p. 293; Maetzke 1961, p. 356,
placca del tipo ad U. Anello sago- tav. I; Pani erMini & Marinone
mato ad otto, mobile su coppia di 1981, pp. 103-104, nn. 151 ss.
cerniere contrapposte. Ardiglione Fotografo: Dessì, Pierluigi
del tipo a becco ricurvo, decorato Compilatore: Sangiorgi, Silvia
con motivo ad S; ha presa poste-
riore ispessita. Placca mobile bor-
data da una cornice leggermente in
rilievo. La placca ospita, all’interno

3.93 - Fibbia terali di alloggiamento e di scor- Bibliograia: deMartis 1995, p. 230;


Numero Catalogo Generale: 00163171 rimento dell’ardiglione. Ardiglione Pani erMini & Marinone 1981,
Numero inventario: 64379 del tipo a becco ricurvo con presa nn. 151 ss.
Provenienza: Uri (SS) posteriore ispessita. Placca mobile Fotografo: Dessì, Pierluigi
cavità naturale con sepolture bordata da una cornice, fornita di Compilatore: Sangiorgi, Silvia
di Badde Marina / Tiriu una coppia di cerniere con perno
Collocazione: Sassari in ferro ad estremità ribattute. Nel
Museo Nazionale G.A. Sanna retro della placca vi sono le tre
Oggetto: Fibbia piccole maglie per il issaggio al
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a cuoio. La presa posteriore dell’ar-
stampo diglione è decorata superiormente
Misure: largh. 3,2; lungh. 7,2; spess. a punzone con un motivo ad X e
0,4 linee parallele; lo spessore della
Descrizione: Fibbia per cintura, placca presenta un motivo a linea
completa di anello, di ardiglione spezzata. La placca ospita la rafi-
e di placca del tipo ad U o semi- gurazione di un uccello in rilievo
ellittico. Anello sagomato ad otto, e stilizzato, forse un drago alato,
mobile su coppia di cerniere con- che stringe tra le zampe un lungo
trapposte sul lato rettilineo della serpente.
placca e provvisto di insellatura Stato di conservazione: Integro
mediana anteriore con risalti la- Cronologia: Sec. VII d.C.

437
La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.94 - Fibbia Stato di conservazione: Integro


Numero Catalogo Generale: 00007879 Cronologia: Sec. VIII d.C.
Numero inventario: 4826 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Provenienza: Funtanazza (SS) Compilatore: Sangiorgi, Silvia
Collocazione: Sassari
Museo Nazionale G.A. Sanna
Oggetto: Fibbia
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione
a stampo/ a bulino
Misure: largh. 6,2; lungh. 5; spess. 3
Descrizione: Fibbia per cintura se-
milunata, completa di ardiglione
leggermente ricurvo all’estremità.
L’ardiglione è issato al resto del
pezzo mediante un perno con le
estremità ispessite. La decorazio-
ne, realizzata mediante bulino,
è costituita da un puntinato che
realizza un motivo a festoni e da
linee spezzate incise, campite da
cerchielli.

3.95 - Fibbia ca ha appendice terminale, fornita


Numero Catalogo Generale: 00121763 sul retro di tre maglie ad occhiello
Numero inventario: 2417 per il issaggio alla cintura. L’anello
Provenienza: Siurgus Donigala (CA) cernierato, a sezione triangolare, ha
spazio funerario all’interno del forma ovale e un forte avvallamen-
mastio di Su Nuraxi to centrale per la posa dell’ardiglio-
Collocazione: Cagliari ne con punta a becco decorata da
Museo Archeologico Nazionale una palmetta incisa; la presa po-
Oggetto: Fibbia steriore è leggermente più spessa.
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a L’anello, nella supericie superiore,
stampo/ a incisione è decorato da segmenti incisi.
Misure: largh. 4,1; lungh. 9,15 Stato di conservazione: Intero
Descrizione: Elemento di cintura for- Cronologia: Secc. VI/VII d.C.
mato da placca a forma di scudo. Bibliograia: Pani erMini & Mari-
La decorazione incisa rappresenta il none 1981, pp. 114-115, ig. 189;
Cristo, magister e rex, con capo nim- ugas & serra 1990, pp. 107-131.
bato e capelli lunghi. Il personaggio Fotografo: Monari, Nicola
veste tunica e pallio e ha la mano Compilatore: Sanna, Anna Luisa
destra atteggiata nell’adlocutio, men-
tre la sinistra regge un libro gem-
mato; ai lati due cipressi. La plac-

3.96 - Ditale 3.97 - Ago crinale coppie di lineette orizzontali, con,


Numero Catalogo Generale: 00163291 Numero Catalogo Generale: 00162941 in una faccia, una linea verticale che
Numero inventario: 66696 Numero inventario: Assente lo unisce alla punta. In una delle due
Provenienza: Sorso (SS) Provenienza: Cabras (OR) facce è l’iscrizione augurale grafita
insediamento di Santa Filitica insediamento di San Giorgio di Sinis a lettere capitali in deo bibas; in quella
Collocazione: Sassari Collocazione: Oristano opposta la supericie è decorata da
Museo Nazionale G.A. Sanna Antiquarium Arborense linee intrecciate con puntini entro gli
Oggetto: Ditale Museo Archeologico G. Pau occhielli e negli spazi di risulta laterali;
Materia e tecnica: Bronzo/ laminatura/ Oggetto: Ago crinale una serie di foglie d’edera decora la
ribattitura/ a impressione Materia e tecnica: Bronzo/ martellatura/ parte terminale della stessa faccia.
Misure: h 1,5; diam. 2 a bulino Stato di conservazione: Intero
Descrizione: Ditale; la supericie Misure: lungh. 18; diam. massimo Cronologia: Secc. VI/VII d.C.
esterna è interessata dalla presen- punta a sezione circolare 0,5; spess. Bibliograia: saLvi & serra 1990;
za di una itta serie di forellini non testa appiattita 0,25 MartoreLLi 2000, pp. 7-8, 28-29;
passanti, ottenuti con una punta Descrizione: Ago crinale con punta a sPanu & zucca 2008, p. 167, ig. 13.
sottile e dura, visibili in negativo sezione circolare e testa appiattita Fotografo: Monari, Nicola
sulla supericie interna. con foro quadrangolare e termina- Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Stato di conservazione: Mutilo zione emitorta. L’intera supericie è
Cronologia: Secc. VI/VIII d.C. decorata da una puntinatura che crea
Fotografo: Dessì, Pierluigi motivi a spina di pesce e a cuore; il
Compilatore: Nieddu, Anna Maria foro passante è compreso tra due

438
La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.98 - Brocca piriforme tale trifogliato. Nella parte superiore Fotografo: Dessì, Pierluigi
Numero Catalogo Generale: 00007882 dell’ansa è saldato un breve risalto Compilatore: Nieddu, Anna Maria
Numero inventario: 4853/14359 ad andamento verticale, leggermente
Provenienza: Borutta (SS) ondulato. Il piede e il corpo sono de-
sepoltura sul versante orientale corati con fasce orizzontali, costituite
presso la chiesa di Santu Pedru ognuna da tre linee parallele incise.
de Sorres Stato di conservazione: Integro
Collocazione: Sassari Cronologia: Sec. VII d.C.
Museo Nazionale G.A. Sanna Bibliograia: werner 1938, pp. 74-86;
Oggetto: Brocca piriforme de PaLoL 1950; Maetzke 1966, pp.
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione/ 369-371, igg. 3-4; aLMagro gorBea
saldatura/ levigatura 1966, pp. 367-380; serra 1971, pp. 33-
Misure: h 24; diam. 7; diam. fondo 6,7 64; Pani erMini & Marinone 1981,
Descrizione: Brocca con un corpo pp. XIV-XV; 85-88, nn. 126-129, igg.
piriforme (gruppo bronzi copti) 126-129; caretta 1982, p. 21, n. A2
su alto piede troncoconico e lungo 1, tav 8,2; caPrara 1986, pp. 173, 181,
collo leggermente svasato, con orlo ig. 263 a destra; rovina 1986b, p. 55;
indistinto, arrotondato. Sulla pancia e caPrara 1988, pp. 400, 403, ig. 7; Lo
sull’orlo è saldata l’ansa a nastro, dalla schiavo 1991, pp. 93, 96, ig. 80; Pani
forma a S, conformata, nel punto di erMini 1994, p. 400; rovina 2000, pp.
attacco sull’orlo, ad elemento vege- 45, 53, ig. a p. 53.

3.99 - Brocca appendice, forse una semplice de-


Numero Catalogo Generale: 00163148 corazione a bottone. La decorazio-
Numero inventario: 6560 ne realizzata mediante bulino, forse
Provenienza: Sant’Andrea Frius (CA) su tornio, è divisa in tre fasce com-
area di culto di Linna Pertunta prese tra due linee: sul collo e sulla
Collocazione: Cagliari base è presente un motivo puntina-
Museo Archeologico Nazionale to a zig-zag mentre sulla pancia vi è
Oggetto: Brocca un ramo dall’andamento sinuoso e
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a foglie a forma di cuore.
stampo/ a bulino Stato di conservazione: Mutilo
Misure: h 20,1; diam. 9,3; diam. broc- Cronologia: Sec. VII d.C.
ca 6,4; diam. base 6,9; spess. 0,23 Bibliograia: Pani erMini & Mari-
Descrizione: Brocca con base tron- none 1981, p. 85, n. 126, ig. 126;
coconica (gruppo bronzi copti): saLvi 2006, p. 119, n. 31, ig. 59, 31.
pancia con rigoniatura mediana, Fotografo: Monari, Nicola
collo corto, orlo svasato; l’ansa, a Compilatore: Sangiorgi, Silvia
forma di S, rappresenta un serpen-
te che con la coda aderisce alla pan-
cia e con la testa morde l’orlo. L’an-
sa è mobile, non saldata; nella parte
superiore è presente una piccola

3.100 - Brocca Bibliograia: taraMeLLi 1984, pp.


Numero Catalogo Generale: 00163214 269-270, p. 268 ig. 2; saLvi 1989.
Numero inventario: 31494 Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Dolianova (CA) Compilatore: Dore, Stefania
necropoli di Bruncu e S’Olia
Collocazione: Cagliari
Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Brocca
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione/
laminatura/ ribattitura
Misure: h 19,8; diam. 7,5
Descrizione: Brocca con fondo piat-
to e pancia con parete sub-verti-
cale; il collo, a leggera rigoniatura
mediana, è impostato sul ventre a
martellatura; la bocca è leggermen-
te espansa. L’ansa a leggera fogliet-
ta era originariamente assicurata
con chiodi.
Stato di conservazione: Intero
Cronologia: Secc. VII/VIII d.C.

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La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.101 - Brocca superiore si svolge un ramo a girali,


Numero Catalogo Generale: 00121597 racchiudente nelle sue anse foglie o
Numero inventario: Assente iori trilobati; nell’inferiore un altro
Provenienza: Olbia ramo con andamento sinuoso è ar-
Collocazione: Cagliari ricchito da lunghe foglie a cuore.
Museo Archeologico Nazionale Nella base è riportato un motivo
Oggetto: Brocca ad archetti, intercalati da boccio-
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione/ li con lungo stelo tra le foglie e al
battitura/ a incisione/ a impressione/ centro di ogni arco pende un iore
a bulino (o foglia) trilobato. Tutti i motivi
Misure: h 18,8; diam. 7,5; diam. im- geometrici e loreali sono arricchiti
boccatura 5,4; diam. base 7 da serie continue di puntini.
Descrizione: Brocca con base tronco- Stato di conservazione: Mutilo
conica svasata e collo troncoconico Cronologia: Sec. VII d.C.
(gruppo bronzi copti). Il ventre è Bibliograia: Pani erMini & Marino-
distinto dagli altri due segmenti ne 1981, p. 86, ig. 127.
da tre anelli in rilievo. La fascia Fotografo: Monari, Nicola
mediana del ventre è decorata da Compilatore: Sanna, Anna Luisa
una parte delimitata da due listelli
a spina di pesce, mentre un terzo e
uguale la divide in due registri: nel

3.102 - Brocca ricchita da un’appendice superiore


Numero Catalogo Generale: 00120974 terminante in un bottone e da una
Numero inventario: 5007 appendice inferiore, uguale, all’at-
Provenienza: Olbia tacco con il ventre che forma una
Collocazione: Cagliari voluta sopra una testa altamente
Museo Archeologico Nazionale stilizzata.
Oggetto: Brocca Stato di conservazione: Intero
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione/ Cronologia: Sec. VII d.C.
battitura/ a incisione/ a impressione/ Bibliograia: Pani erMini & Marino-
a bulino ne 1981, p. 86, ig. 127.
Misure: h 25; diam. 9,5; diam. base Fotografo: Monari, Nicola
10; diam. bocca 5,8; h corpo 22,5 Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Descrizione: Brocca con base tronco-
conica svasata e collo troncoconico
(gruppo bronzi copti). Il ventre è
distinto dagli altri due segmenti da
una fascia ottenuta da tre anelli in
rilievo. Corpo liscio, non decorato.
L’ansa nastriforme è unita al collo
con una presa triangolare, larga; ha
bottoni alle estremità. L’ansa è ar-

3.103 - Bacile 138, ig. 60, n. 55; sPanu 1998, pp. 3.104 - Patera no ben segnati. Sul petto sembra di
Numero Catalogo Generale: 00118286 223-224. Numero Catalogo Generale: 00121346 riconoscere il collare con la bulla.
Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola Numero inventario: 293 Tra gli artigli è tenuto un serpente.
Provenienza: Sant’Andrea Frius (CA) Compilatore: Sangiorgi, Silvia Provenienza: Nureci (OR) Stato di conservazione: Intero
Linna Pertunta (?) Collocazione: Cagliari Cronologia: Secc. VI/VII d.C.
Collocazione: Cagliari Museo Archeologico Nazionale Bibliograia: serra 1971, pp. 33-68;
Museo Archeologico Nazionale Oggetto: Patera Pani erMini & Marinone 1981, p.
Oggetto: Bacile Materia e tecnica: Argento/ fusione/ 75, ig. 118.
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione/ martellatura/ a punzone Fotografo: Monari, Nicola
a incisione Misure: h 4; diam. 18 Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Misure: h 6,8; diam. 28,6; diam. fon- Descrizione: Piatto liturgico in metal-
do 23; spess. orlo 0,3 lo di bassa lega. Ha una ricca deco-
Descrizione: Il bacile ha la parete ad razione con volatile, probabilmente
arco di cerchio, con orlo dritto e un’aquila, al centro, racchiusa da
fondo leggermente concavo; sotto una corona di foglie a forma di
l’orlo vi è una leggera risega. Al cen- cuore. Sul bordo è una fascia otte-
tro della vasca sono tracciati cerchi nuta con due linee incise. L’aquila
concentrici di diverso diametro. è rappresentata frontalmente, col
Stato di conservazione: Mutilo capo rivolto verso destra; il becco
Cronologia: Sec. VI d.C. è ricurvo. Le ali sono aperte verso
Bibliograia: saLvi 2006, pp. 121, l’alto e la coda e il collarino appaio-

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La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.105 - Lampada a olio a forma di delino. L’ansa ad anello, 3.106 - Lampada a olio Stato di conservazione: Intero
Numero Catalogo Generale: 00121581 sormontata da una croce, si imposta Numero Catalogo Generale: 00121580 Cronologia: Secc. IV/VI d.C.
Numero inventario: 5054 obliquamente ed è sostenuta da una Numero inventario: 5052 Bibliograia: Pani erMini & Marinone
Provenienza: Sconosciuta barra. Il delino è ben deinito, con Provenienza: Sconosciuta 1981, p. 80, ig. 123.
Collocazione: Cagliari la coda sollevata; la croce latina ha Collocazione: Cagliari Fotografo: Monari, Nicola
Museo Archeologico Nazionale bracci patenti ed estremità arricchite Museo Archeologico Nazionale Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Oggetto: Lampada a olio da gemme circolari. Oggetto: Lampada a olio
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a Stato di conservazione: Intero Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a
stampo/ riinitura a freddo Cronologia: Secc. V/VI d.C. stampo/ riinitura a freddo
Misure: h 8,1; largh. 7,1; lungh. 15,1; Bibliograia: Pani erMini & Marinone Misure: h 15,7; largh. 14; lungh. 20
diam. base 2,4 1981, p. 80, ig. 122. Descrizione: Lampada a due luci con
Descrizione: Lampada a una luce con Fotografo: Monari, Nicola base ad anello, corpo ovoide e bec-
corpo a navicella su base ad anello. Compilatore: Sanna, Anna Luisa cucci polilobati.
Quest’ultima ha foro mediano per L’infundibulum centrale con allog-
l’inserzione del piedistallo. L’orlo è giamento sporgente è chiuso da
piatto, con due volute lungo il canale. un coperchio a valva di conchiglia
Il beccuccio circolare si apre a sco- con muscolo verso l’alto. L’ansa,
della, l’infundibulum presenta un’ap- nascente da un anello, ha la forma
pendice allungata ed è chiuso da un di una testa di grifo con pomo in
coperchio con presa a tronco di pira- bocca sormontata da una croce tra
mide e bottone, la serratura mobile è le orecchie.

3.107 - Incensiere tangolari e a semiluna, e un anello.


Numero Catalogo Generale: 00121780 Stato di conservazione: Intero
Numero inventario: 14671 Cronologia: Secc. VI/VII d.C.
Provenienza: Sconosciuta Bibliograia: Pani erMini & Marino-
(collezione Timon) ne 1981, p. 88, ig. 131.
Collocazione: Cagliari Fotografo: Monari, Nicola
Museo Archeologico Nazionale Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Oggetto: Incensiere
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione/
a incisione
Misure: h 12; diam. 8,7; diam. piede 3,2
Descrizione: Bruciaincenso costitu-
ito da una coppa liscia emisferica
su base ad anello e coperchio emi-
sferico traforato con motivi stellari
alternati ad altri triangolari (gruppo
bronzi copti). Sopra questi, nell’e-
stremità, è una ila di fori tondi. Il
coperchio termina con un pinna-
colo piramidale, cubico alla base,
anch’esso traforato con motivi ret-

3.108 - Sarcofago te. La cassa è provvista ancora del


Numero Catalogo Generale: 00007899 coperchio, piano, con costolatura
Numero inventario: 4869/14360 centrale e, ai lati di questa, rami di
Provenienza: Tissi (SS), Paris de Idda palma alternati a doppie spirali ver-
Collocazione: Sassari ticali in rilievo.
Museo Nazionale G.A. Sanna Stato di conservazione: Frammentario
Oggetto: Sarcofago Cronologia: Sec. IV d.C.
Materia e tecnica: Piombo/ fusione a Bibliograia: Maetzke 1961, p. 356;
stampo Maetzke 1964, pp. 316-318, tavv. 2-3;
Misure: h 25; largh. 42; lungh. 140; Maetzke 1964, pp. 319-321; rovina
spess. 0,8 1986a, p. 45; rovina 1989, pp. 19-20,
Descrizione: Il sarcofago, frammen- igg. 8-9; rovina 2000, p. 43.
tario, è ricavato da un unico foglio Fotografo: Dessì, Pierluigi
di piombo, tagliato e ripiegato. I Compilatore: Nieddu, Anna Maria
ianchi recano una decorazione in
rilievo, realizzata al momento della
fusione del piombo, costituita da
sei rami di palma stilizzati, disposti
in verticale; altri rami di palma, di
dimensioni maggiori, sono presen-
ti anche nelle testate, uno per par-

441
La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.109 - Sigillo 522-523; sPanu & zucca 2004, p. 28. 3.110 - Peso da una linea orizzontale sopra ogni
Numero Catalogo Generale: 00163281 Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero Catalogo Generale: 00162955 lettera.
Numero inventario: 64376 Compilatore: Nieddu, Anna Maria Numero inventario: Assente Stato di conservazione: Intero
Provenienza: Sorso (SS), Santa Filitica Provenienza: Cabras (OR) Cronologia: Secc. VI/VII d.C.
Collocazione: Sassari San Giorgio di Sinis Bibliograia: MeLoni 1982; serra
Museo Nazionale G.A. Sanna Collocazione: Oristano 1989; sPanu & zucca 2004, p. 92;
Oggetto: Sigillo Antiquarium Arborense sPanu & zucca 2008.
Materia e tecnica: Piombo/ a impressione Museo Archeologico G. Pau Fotografo: Monari, Nicola
Misure: diam. 3,6 Oggetto: Peso Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Descrizione: Sigillo circolare inscritto Materia e tecnica: Bronzo/ fusione/
su entrambe le facce. Al centro di battitura/ a incisione/ agemina
una delle due facce è presente una Misure: h 1,5; largh, 1,5; spess. 0,25;
stella a otto punte. L’iscrizione in peso gr. 4,26
lettere capitali, realizzata a impres- Descrizione: Tesserula quadrata, che
sione, è così trascritta: d.: (croce) / presenta sul dritto, iscritto a im-
pa / pae; r.: (croce) Nicolai. pressione in lettere capitali in crusta,
Stato di conservazione: Intero il nome del proprietario Purpurius,
Cronologia: Sec. IX d.C. abbreviato (PVR/PVRI); sul ro-
Bibliograia: rovina 1984; rovina vescio si potrebbe leggere V(iri)
1989, p. 19, nota 2; rovina 2000, p. e C(larissimi), lettere sovrastate da
35, 39, ig. a p. 39; rovina 2002a, pp. segni di abbreviazione, costituiti

3.111 - Sigillo ca 2004, p. 108-109, n. 8; sPanu & 3.112 - Sigillo ca 2004, p. 109-110, n. 8; sPanu &
Numero Catalogo Generale: 00162961 zucca 2008, pp. 160-161. Numero Catalogo Generale: 00162962 zucca 2008, pp. 160-161.
Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Cabras (OR) Compilatore: Sanna, Anna Luisa Provenienza: Cabras (OR) Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Sa Pedrera San Salvatore
Collocazione: Oristano Collocazione: Oristano
Antiquarium Arborense Antiquarium Arborense
Museo Archeologico G. Pau Museo Archeologico G. Pau
Oggetto: Sigillo Oggetto: Sigillo
Materia e tecnica: Piombo/ a impressione Materia e tecnica: Piombo/ a impressione
Misure: diam. 2,33; diam. campo Misure: diam. 2,64; diam. campo 2;
1,83; peso gr. 11,9 peso gr. 19,3
Descrizione: Sigillo di forma circola- Descrizione: Sigillo di forma circola-
re. Sul dritto è il monogramma cru- re; sul dritto è il monogramma cru-
ciforme Theodori, sul retro Patricii ciforme con invocazione a Maria
preceduto da una croce. L’iscrizio- iscritta in greco, a rilievo in lettere
ne è a rilievo in lettere capitali. capitali.
Stato di conservazione: Intero Stato di conservazione: Intero
Cronologia: Sec. VI d.C. Cronologia: Secc. VII/VIII d.C.
Bibliograia: sPanu 1998; cosenti- Bibliograia: sPanu 1998; cosenti-
no 2002, pp. 1-13; sPanu & zuc- no 2002, pp. 1-13; sPanu & zuc-

3.113 - Sigillo Bibliograia: sPanu 1998; cosenti- 3.114 - Sigillo Stato di conservazione: Intero
Numero Catalogo Generale: 00162968 no 2002, pp. 1-13; sPanu & zucca Numero Catalogo Generale: 00162969 Cronologia: Secc. VI/VIII d.C.
Numero inventario: Assente 2004, p. 112, n. 14; sPanu & zucca Numero inventario: Assente Bibliograia: zacos & vegLery 1972;
Provenienza: Cabras (OR) 2008, pp. 160-161. Provenienza: Cabras (OR) sPanu 1998, pp. 1-13; cosentino
San Giorgio di Sinis Fotografo: Monari, Nicola San Giorgio di Sinis 2002; sPanu & zucca 2004, p. 112,
Collocazione: Oristano Compilatore: Sanna, Anna Luisa Collocazione: Oristano n. 15; sPanu & zucca 2008, pp.
Antiquarium Arborense Antiquarium Arborense 160-161.
Museo Archeologico G. Pau Museo Archeologico G. Pau Fotografo: Monari, Nicola
Oggetto: Sigillo Oggetto: Sigillo Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Materia e tecnica: Piombo/ a impressione Materia e tecnica: Piombo/ a impressione
Misure: diam. 2,05; diam. campo Misure: diam. 2,75; diam. campo
1,83; peso gr. 5,6 2,16; peso gr. 13, 6
Descrizione: Sigillo di forma circo- Descrizione: Sigillo di forma circolare.
lare; sul dritto è un’invocazione Su entrambe le facce la legenda cir-
a Maria iscritta a rilievo in greco colare è iscritta in greco, in lettere
in lettere capitali alla “genitrice di capitali a rilevo, e invoca la “genitri-
Dio”; sul retro si fa riferimento a ce di Dio”. Sul dritto, al centro, vi è
Diomede. Si nota lo spazio cavo il monogramma di Costantino; sul
lasciato dal ilo, non più presente. retro un monogramma. Nelle parti
Stato di conservazione: Intero marginali si notano le tracce della ca-
Cronologia: Secc. VI/VIII d.C. vità lasciata dal ilo, non più presente.

442
La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.115 - Sigillo Bibliograia: sPanu 1998; cosenti- 3.116 - Sigillo Cronologia: Secc. VI/VIII d.C.
Numero Catalogo Generale: 00162974 no 2002, pp. 1-13; sPanu & zucca Numero Catalogo Generale: 00162975 Bibliograia: sPanu 1998; cosenti-
Numero inventario: Assente 2004, p. 114, n. 20; sPanu & zucca Numero inventario: Assente no 2002, pp. 1-13; sPanu & zucca
Provenienza: Cabras (OR) 2008, pp. 160-161. Provenienza: Cabras (OR) 2004, p. 115, ig. 21; sPanu & zuc-
San Giorgio di Sinis Fotografo: Monari, Nicola San Giorgio di Sinis ca 2008, pp. 160-161.
Collocazione: Oristano Compilatore: Sanna, Anna Luisa Collocazione: Oristano Fotografo: Monari, Nicola
Antiquarium Arborense Antiquarium Arborense Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Museo Archeologico G. Pau Museo Archeologico G. Pau
Oggetto: Sigillo Oggetto: Sigillo
Materia e tecnica: Piombo/ a impressione Materia e tecnica: Piombo/ a impressione
Misure: diam. 2,3; diam. campo 2; Misure: diam. 2,4; diam. campo
peso gr. 6,5 1,99; peso gr. 8,2
Descrizione: Sigillo di forma circola- Descrizione: Sigillo di forma circo-
re. Sul dritto si legge l’invocazione a lare; presenta sul dritto un mono-
Maria, genitrice di Dio; sul rovescio gramma cruciforme di Theodoros;
è menzionato Ioannes. Si notano le sul rovescio un monogramma cru-
tracce della cavità lasciata dal ilo, ciforme. Si notano le tracce della
non più presente. L’iscrizione, in cavità lasciata dal ilo, non più pre-
greco, è a rilievo in lettere capitali. sente. L’iscrizione, in greco, è a ri-
Stato di conservazione: Mutilo lievo in lettere capitali.
Cronologia: Secc. VI/VIII d.C. Stato di conservazione: Intero

3.117 - Sigillo sPanu 1998; cosentino 2002, pp. 1-13; 3.118 - Sigillo Cronologia: Secc. VII/VIII d.C.
Numero Catalogo Generale: 00163220 sPanu & zucca 2004, p. 119, n. 27. Numero Catalogo Generale: 00163221 Bibliograia: grisar & de LasaLa
Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola Numero inventario: Assente 1997; sPanu 1998; Morini 2002,
Provenienza: Cabras (OR) Compilatore: Dore, Stefania Provenienza: Cabras (OR) pp. 39-53; sPanu & zucca 2004, p.
San Giorgio di Sinis San Giorgio di Sinis 120, n. 29.
Collocazione: Oristano Collocazione: Oristano Fotografo: Monari, Nicola
Antiquarium Arborense Antiquarium Arborense Compilatore: Dore, Stefania
Museo Archeologico G. Pau Museo Archeologico G. Pau
Oggetto: Sigillo Oggetto: Sigillo
Materia e tecnica: Piombo/ a impressione Materia e tecnica: Piombo/ a impressione
Misure: diam. 2,27; diam. campo Misure: diam. 2,38; diam. campo
1,91; peso gr. 12 1,94; peso gr. 16,3
Descrizione: Sigillo di forma circo- Descrizione: Sigillo di forma circo-
lare con legenda redatta in lettere lare. Sul dritto sono rappresentate
greche sia sul dritto che sul rove- due igure antropomorfe che rap-
scio. L’iscrizione è realizzata a im- presentano i santi Pietro, a destra,
pressione in lettere capitali e men- e Paolo, a sinistra; sul rovescio è
ziona forse un magister militum. leggibile un’iscrizione a rilievo in
Stato di conservazione: Mutilo latino in lettere capitali: +ANA/
Cronologia: Sec. VI d.C. STASI/IARCHI/EPSC.
Bibliograia: grisar & de LasaLa 1997; Stato di conservazione: Intero

3.119 - Sigillo pp. 1-13; sPanu & zucca 2004; sPa- 3.120 - Sigillo Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00163230 nu & zucca 2004, p. 127, n. 38. Numero Catalogo Generale: 00163265 Compilatore: Dore, Stefania
Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola Numero inventario: Assente
Provenienza: Cabras (OR) Compilatore: Dore, Stefania Provenienza: Cabras (OR)
San Giorgio di Sinis San Giorgio di Sinis
Collocazione: Oristano Collocazione: Oristano
Antiquarium Arborense Antiquarium Arborense
Museo Archeologico G. Pau Museo Archeologico G. Pau
Oggetto: Sigillo Oggetto: Sigillo
Materia e tecnica: Piombo/ a impressione Materia e tecnica: Piombo/ a impressione
Misure: diam. 2,4; diam. campo Misure: diam. 2,6; diam. campo
1,88; peso gr. 11,8 2,04; peso gr. 14,8
Descrizione: Sigillo di forma circolare. Descrizione: Sigillo mutilo di forma
Sul dritto è un monogramma cruci- circolare bifacciale che pendeva da
forme con invocazione a Maria; sul una pergamena; sul retro la legenda
rovescio un monogramma. L’iscri- è in caratteri cuici.
zione, in greco, è in lettere capitali. Stato di conservazione: Mutilo
Stato di conservazione: Intero Cronologia: Sec. VIII d.C.
Cronologia: Secc. VI/VII d.C. Bibliograia: sPanu 1998; Morini
Bibliograia: grisar & de LasaLa 2002, pp. 39-53; sPanu & zucca
1997; sPanu 1998; cosentino 2002, 2004, p. 142 n. 73.

443
La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.121 - Sigillo Stato di conservazione: Intero 3.122 - Sigillo di una unità della lotta che si ritiene
Numero Catalogo Generale: 00163269 Cronologia: Sec. XI d.C. Numero Catalogo Generale: 00162976 stazionasse in Sardegna.
Numero inventario: Assente Bibliograia: sPanu 1998; sPanu & Numero inventario: Assente Stato di conservazione: Intero
Provenienza: Cabras (OR) zucca 2004, pp. 145-6, n. 77. Provenienza: Cabras (OR) Cronologia: Sec. VII d.C.
San Giorgio di Sinis Fotografo: Monari, Nicola San Giorgio di Sinis Bibliograia: sPanu 1998; cosentino
Collocazione: Oristano Compilatore: Dore, Stefania Collocazione: Oristano 2002, pp. 1-13; sPanu & zucca 2004,
Antiquarium Arborense Antiquarium Arborense pp. 115-116, n. 22; sPanu & zucca
Museo Archeologico G. Pau Museo Archeologico G. Pau 2008, pp. 160-161.
Oggetto: Sigillo Oggetto: Sigillo Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Piombo/ a impressione Materia e tecnica: Piombo/ a impressione Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Misure: diam. 2,75; diam. campo Misure: diam. 2,44; diam. campo 1,94;
2,35; peso gr. 14,5 peso gr. 25,9
Descrizione: Sigillo di forma circo- Descrizione: Sigillo di forma circolare.
lare. Sul dritto è presente il mono- Sul dritto è presente un monogram-
gramma cruciforme con invocazio- ma cruciforme con invocazione alla
ne a Maria, cantonato da quattro “genitrice di Dio”; sul rovescio è
sillabe che permettono di identii- visibile un antroponimo. Si notano
care un Çerchis, giudice citato in una le tracce della cavità lasciata dal ilo,
carta del Condaghe di Santa Maria non più presente. L’iscrizione, ese-
di Bonarcado; sul retro la legenda, guita in rilievo in lettere capitali gre-
in greco, in lettere capitali. che, cita un Drungarios, comandante

3.123 - Stadera dividuabili i segni per l’indicazione


Numero Catalogo Generale: 00097571 del peso.
Numero inventario: 126/127 Stato di conservazione: Mutilo
Provenienza: Porto Torres (SS) Cronologia: Secc. VII/VIII d.C.
complesso funerario ipogeico Bibliograia: Maetzke 1965a, pp. 349-
nella necropoli di Scoglio Lungo 350, ig. 27; Manconi 1986, pp. 282-
Collocazione: Sassari 283, ig. 375; rovina 2000, p. 23.
Museo Nazionale G.A. Sanna Fotografo: Dessì, Pierluigi
Oggetto: Stadera Compilatore: Nieddu, Anna Maria
Materia e tecnica: Bronzo/ martellatura
Misure: lungh. 21,5; spess. 0,5
Descrizione: Stadera con asta a se-
zione quadrangolare. Termina,
ad una delle estremità, a ghianda;
nell’estremità opposta si conserva
uno degli appiccagnoli per l’inne-
sto del gancio di sospensione, pure
conservato. Le catenelle che soste-
nevano il piatto erano issate ad un
sostegno snodato, girevole intorno
alla testa conica. Non sono più in-

3.124 - Stadera cio permettendone libertà di movi-


Numero Catalogo Generale: 00162940 mento. L’impugnatura è racchiusa
Numero inventario: Assente tra due bordi in rilievo e ha termi-
Provenienza: Cabras (OR) nazione a gemma allungata, con
San Giorgio di Sinis sezione romboidale. Vi è incisa con
Collocazione: Oristano caratteri puntinati in greco, in lettere
Antiquarium Arborense capitali, la formula di appartenenza
Museo Archeologico G. Pau di Anthiocus (“Antioco Souba”).
Oggetto: Stadera Stato di conservazione: Mutilo
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione/ Cronologia: Sec. VII d.C.
riinitura a freddo/ a incisione Bibliograia: davidson 1952, pp.
Misure: lungh. 29,5; lungh. impu- 214-216, nn. 1661-1665, pl. 98;
gnatura 10; lungh. asta 19,5; lungh. serra 1997, p. 347, tav. V, 4; sPanu
gancio 8,7 & zucca 2008, pp. 147-172.
Descrizione: Stadera di cui residuano Fotografo: Monari, Nicola
asta e gancio di sospensione. L’asta Compilatore: Sanna, Anna Luisa
ha sezione triangolare e tacche per
l’individuazione del peso. L’impu-
gnatura ha sezione quadrata; vi sono
due chiodi bronzei, uno dei quali
sorregge l’anello da cui pende il gan-

444
La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.125 - Peso rese con puntinatura; la A ha la li-


Numero Catalogo Generale: 00162944 nea spezzata. Le lettere sono sovra-
Numero inventario: Assente state da una fascia con decorazione
Provenienza: Cabras (OR) a graticcio, al di sopra della quale
San Giorgio di Sinis sono altre decorazioni puntinate.
Collocazione: Oristano Nella parte inferiore è invece una
Antiquarium Arborense fascia con, all’interno, una linea on-
Museo Archeologico G. Pau dulata realizzata a rotella, sotto la
Oggetto: Peso quale è una rosetta puntinata.
Materia e tecnica: Bronzo/ martellatura/ Stato di conservazione: Intero
a bulino/ a rotella Cronologia: Secc. VI/VII d.C.
Misure: diam. 3,2, spess. 0,5; peso Bibliograia: serra 1989, pp. 45-76;
gr. 25,9 sPanu & zucca 2004; sPanu &
Descrizione: Peso (exagium) di for- zucca 2008, p. 162, ig. 9a.
ma circolare con bordi rilevati in Fotografo: Monari, Nicola
entrambe le facce. Presenta sul Compilatore: Sanna, Anna Luisa
diritto un incavo centrale a cui, nel
rovescio, corrisponde un cerchietto
rilevato. Sul dritto vi sono le sigle,
in greco, eseguite a rotella: le due
lettere, F ed A, hanno apicature

3.126 - Peso sottolineate da un punto inciso a 3.127 - Peso estremità. Al centro del rovescio, la
Numero Catalogo Generale: 00162946 maggiore profondità. Numero Catalogo Generale: 00162948 cui supericie è liscia, è presente un
Numero inventario: Assente Stato di conservazione: Intero Numero inventario: Assente incavo.
Provenienza: Cabras (OR) Cronologia: Secc. VI/VII d.C. Provenienza: Cabras (OR) Stato di conservazione: Intero
San Giorgio di Sinis Bibliograia: serra 1989, pp. 45-76; San Giorgio di Sinis Cronologia: Secc. VI/VII d.C.
Collocazione: Oristano sPanu & zucca 2004; sPanu & Collocazione: Oristano Bibliograia: serra 1989, pp. 45-76;
Antiquarium Arborense zucca 2008, p. 163, ig. 9c. Antiquarium Arborense sPanu & zucca 2004; sPanu &
Museo Archeologico G. Pau Fotografo: Monari, Nicola Museo Archeologico G. Pau zucca 2008, p. 164, ig. 9e.
Oggetto: Peso Compilatore: Sanna, Anna Luisa Oggetto: Peso Fotografo: Monari, Nicola
Materia e tecnica: Bronzo/ martellatura/ Materia e tecnica: Bronzo/ martellatura/ Compilatore: Sanna, Anna Luisa
a bulino a bulino
Misure: diam. 2,55, spess. 0,65; peso Misure: diam. 2,2, spess. 0,5; peso
gr. 22 gr. 12,96
Descrizione: Peso (exagium) circola- Descrizione: Peso (exagium) di for-
re con bordi rilevati in ambedue le ma circolare, con bordi rilevati. Sul
facce, che presentano sia nel diritto dritto presenta al centro un cer-
sia nel rovescio un incavo centrale. chiello in rilievo afiancato da due
Nel dritto sono le lettere (trascri- lettere greche, deinite da punti po-
zione “NE”) in caratteri greci graf- sti alle estremità. Le lettere, grafite,
iti, sovrastate da una croce a bracci sono sovrastate da una decorazio-
patenti, le cui terminazioni sono ne a stella, anch’essa con punti alle

3.128 - Peso sPanu & zucca 2004; sPanu & 3.129 - Peso Fotografo: Monari, Nicola
Numero Catalogo Generale: 00162950 zucca 2008, p. 163, ig. 10a. Numero Catalogo Generale: 00121578 Compilatore: Sanna, Anna Luisa
Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola Numero inventario: 21602
Provenienza: Cabras (OR) Compilatore: Sanna, Anna Luisa Provenienza: Villanovafranca (VS)
San Giorgio di Sinis Collocazione: Cagliari
Collocazione: Oristano Museo Archeologico Nazionale
Antiquarium Arborense Oggetto: Peso
Museo Archeologico G. Pau Materia e tecnica: Argento/ fusione
Oggetto: Peso a stampo/ a bulino/ a incisione/
Materia e tecnica: Bronzo/ martellatura/ a punzone/ agemina
a bulino Misure: h 2,9; largh. 3; spess. 0,7;
Misure: largh. 1,8; lungh. 1,8; spess. peso gr. 50,4
0,5; peso gr. 12,98 Descrizione: Peso (exagium) quadrato.
Descrizione: Peso (exagium) quadra- Sul dritto sono presenti, incise e rii-
to. Sul dritto le sigle ponderali in nite in crustae d’argento, sigle ponde-
greco, grafite, sono contornate da rali in greco e croce latina semplice.
una decorazione vegetale di forma La supericie del rovescio è liscia.
circolare. Stato di conservazione: Intero
Stato di conservazione: Intero Cronologia: Secc. V/VII d.C.
Cronologia: Secc. VI/VII d.C. Bibliograia: serra 1989, p. 56, tav.
Bibliograia: serra 1989, pp. 45-76; III, 2; ig. II, 3.

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La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.130 - Peso Lungo il margine perimetrale vi 3.131 - Morso Stato di conservazione: Parzialmente
Numero Catalogo Generale: 00121576 è un motivo rettilineo di virgole. Numero Catalogo Generale: 00008012 ricomponibile
Numero inventario: 2557 Stato di conservazione: Integro Numero inventario: 452/634 Cronologia: Secc. VI/VIII d.C.
Provenienza: Cagliari, piazza del Carmine Cronologia: Secc. V/VII d.C. Provenienza: Cheremule (SS) Bibliograia: taraMeLLi 1940, p. 86;
Collocazione: Cagliari Bibliograia: sPano 1872; serra complesso ipogeico caPrara 1988, p. 430, n. 3; saLvi
Museo Archeologico Nazionale 1989, p. 59, tav. III, 1; ig. III,4. di San Pietro in Murighe & serra 1990, p. 4, n. 1; rovina
Oggetto: Peso Fotografo: Monari, Nicola Collocazione: Sassari 2000, p. 46.
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione Compilatore: Sanna, Anna Luisa Museo Nazionale G.A. Sanna Fotografo: Dessì, Pierluigi
a stampo/ a bulino/ a incisione/ Oggetto: Morso Compilatore: Nieddu, Anna Maria
a punzone/ agemina Materia e tecnica: Ferro/ fusione/
Misure: lungh. 3; largh. 3; spess. 0,7; battitura
peso gr. 51 Misure: largh. 15,5; lungh. 23
Descrizione: Peso (exagium) quadrato; Descrizione: morso che presenta il
sestante. È decorato sul dritto ed è iletto in due montanti, uguali fra
liscio sul rovescio. Le sigle pon- loro, caratterizzati ciascuno dalla
derali, in greco, grafite (“NIB”), presenza di una placchetta trape-
sono sormontate da croce latina e zoidale forata e in origine raccorda-
racchiuse entro una corona perlina- ti tramite un anello, oggi perduto.
ta. Ai lati della croce e nei quattro All’estremità di ciascun elemento
angoli sono disposti simmetrica- è presente un anello, funzionale
mente elementi fogliari trilobati. all’inserimento delle briglie.

3.132 - Lancia/cuspide Fotografo: Dessì, Pierluigi 3.133 - Coltello a codolo/lama Fotografo: Dessì, Pierluigi
Numero Catalogo Generale: 00007906 Compilatore: Nieddu, Anna Maria Numero Catalogo Generale: 00007914 Compilatore: Nieddu, Anna Maria
Numero inventario: 40807/336/639 Numero inventario: 4812/400/643
Provenienza: Cheremule (SS) Provenienza: Cheremule (SS)
complesso ipogeico complesso ipogeico
di San Pietro in Murighe di San Pietro in Murighe
Collocazione: Sassari Collocazione: Sassari
Museo Nazionale G.A. Sanna Museo Nazionale G.A. Sanna
Oggetto: Lancia/cuspide Oggetto: Coltello a codolo/lama
Materia e tecnica: Ferro/ fusione a stampo Materia e tecnica: Ferro/ fusione a stampo
Misure: largh. 2; lungh. 25 Misure: largh. 2,2; lungh. 8,7
Descrizione: Cuspide di lancia, bita- Descrizione: Lama di coltello, bita-
gliente. Di forma allungata, del tipo gliente, caratterizzata dalla presen-
a foglia di salice, è completata da za di un lungo e sottile codolo, ra-
una breve immanicatura a cannone. stremato verso la punta.
Stato di conservazione: Intero Stato di conservazione: Frammentario
Cronologia: Secc. VII/VIII d.C. Cronologia: Secc. VII/VIII d.C.
Bibliograia: taraMeLLi 1940, p. 86; Bibliograia: taraMeLLi 1940, p. 86;
caPrara 1988, p. 430, n. 6; saLvi & aMante siMoni & MartoreLLi
serra 1990, p. 4, n. 1; rovina 2000, 1986, p. 168; caPrara 1988, p. 430,
ig. a p. 55. n. 4; saLvi & serra 1990, p. 4, n. 1.

3.134 - Accetta caPrara 1988, p. 431, n. 16; saLvi 3.135 - Accetta & serra 1990, p. 4, n. 1; rovina
Numero Catalogo Generale: 00007902 & serra 1990, p. 4, n. 1. Numero Catalogo Generale: 00007915 2000, pp. 46, 55, ig. a p. 55.
Numero inventario: 4814/449/645 Fotografo: Dessì, Pierluigi Numero inventario: 4816/451/647 Fotografo: Dessì, Pierluigi
Provenienza: Cheremule (SS) Compilatore: Nieddu, Anna Maria Provenienza: Cheremule (SS) Compilatore: Nieddu, Anna Maria
complesso ipogeico complesso ipogeico
di San Pietro in Murighe di San Pietro in Murighe
Collocazione: Sassari Collocazione: Sassari
Museo Nazionale G.A. Sanna Museo Nazionale G.A. Sanna
Oggetto: Accetta Oggetto: Accetta
Materia e tecnica: Ferro/ fusione a Materia e tecnica: Ferro/ fusione a
stampo stampo
Misure: largh. 5,5; lungh. 10,5; largh. Misure: largh. 3,6; lungh. 7,5; largh.
tallone 1,2 tallone 1,3
Descrizione: Piccola accetta di forma Descrizione: Piccola accetta di forma
trapezoidale, provvista di un foro trapezoidale, provvista nel tallo-
ovoidale per l’immanicatura nel tal- ne di un foro ovoidale, funzionale
lone, il cui tagliente è leggermente all’immanicatura.
ricurvo. Stato di conservazione: Mutilo
Stato di conservazione: Intero Cronologia: Secc. VII/VIII d.C.
Cronologia: Secc. VII/VIII d.C. Bibliograia: taraMeLLi 1940, p. 86;
Bibliograia: taraMeLLi 1940, p. 86; caPrara 1988, p. 431, n. 14; saLvi

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La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.136 - Statuetta zoomorfa Stato di conservazione: Intero 3.137 - Collana forme variano: rotonde, cilindriche e
Numero Catalogo Generale: 00002424 Cronologia: Sec. VI d.C. Numero Catalogo Generale: 00120594 a mandorla, di varia grandezza.
Numero inventario: 113/4804/82 Bibliograia: caPrara 1986, p. 173; Numero inventario: Stato di conservazione: Ricomposto
Provenienza: Mores (SS), Padru rovina 2000, p. 47. 31487/31488/31489/31490 Cronologia: Sec. VII d.C.
Collocazione: Sassari Fotografo: Dessì, Pierluigi Provenienza: Dolianova (CA) Bibliograia: taraMeLLi 1984, pp.
Museo Nazionale G.A. Sanna Compilatore: Nieddu, Anna Maria necropoli di Bruncu e S’Olia 271-272, p. 271, ig. 9; saLvi 1989;
Oggetto: Statuetta zoomorfa Collocazione: Cagliari saLvi 1990; BaLdini LiPPoLis 1999;
Materia e tecnica: Bronzo/ fusione a Museo Archeologico Nazionale saLvi 2002c pp. 159-163.
cera persa Oggetto: Collana Fotografo: Monari, Nicola
Misure: h 8,5; largh. 2 Materia e tecnica: Corniola/ intaglio; Compilatore: Dore, Stefania
Descrizione: Il reperto riproduce quarzo/ intaglio; oro/ fusione/ ili-
un uccello dal collo lungo, becco grana; pasta vitrea/ fusione
adunco piuttosto pronunciato e Descrizione: Collana ricomposta co-
lunga coda piatta e larga. stituita da ventiquattro elementi (tre
Sul capo è una depressione atta ad pendaglietti d’oro e ventuno vaghi):
alloggiare un elemento oggi perdu- una perlina sferica di corniola, due
to. Le superici sono levigate e il di quarzo, tre piccoli pendagli d’oro a
piumaggio non è deinito. Le zam- forma di mandorla con orlo rilevato
pe poggiano su ciò che rimane della a trecciola e pallina al centro, nume-
presa della quale l’oggetto faceva for- rosi vaghi di vetro e pasta di vetro
se parte. bianca, verde, azzurra e variegata. Le

3.138 - Pettine e rombi contrapposti per il vertice.


Numero Catalogo Generale: 00007883 Stato di conservazione: Frammentario
Numero inventario: 4844/14366 Cronologia: Secc. VII/VIII d.C.
Provenienza: Porto Torres (SS) Bibliograia: Maetzke 1965a, pp.
complesso funerario ipogeico 343, 344-345, ig. 19c; von hessen
nella necropoli di Scoglio Lungo 1971, pp. 37, 101; serra 1976, p.
Collocazione: Sassari 8, n. 10, tav. IX, 1; ward Perkins
Museo Nazionale G.A. Sanna 1977, p. 664; caPrara 1986 pp.
Oggetto: Pettine 173, 179, n. 261; Necropoli Stefano
Materia e tecnica: Osso/ levigatura/ 1990, pp. 42-43; Lo schiavo 1991,
a incisione pp. 95, 97, ig. 82; rovina 2000, ig.
Misure: largh. 5,4; lungh. 12 p. 28; Roma Antichità 2001, pp.
Descrizione: Pettine frammentario 402-406, n. II.4.799.
di forma rettangolare, con denti Fotografo: Dessì, Pierluigi
più itti su un lato, meno sul lato Compilatore: Nieddu, Anna Maria
opposto. Il manufatto è stato otte-
nuto da una sottile lamina levigata
rinforzata, nella parte mediana, da
due costole issate longitudinal-
mente con chiodini in ferro e or-
nate da un motivo inciso a triangoli

3.139 - Urna/coperchio mento del coperchio nel contenitore.


Numero Catalogo Generale: 00163152 Stato di conservazione: Mutilo
Numero inventario: 1789756 Cronologia: Sec. VII d.C.
Provenienza: Cagliari Bibliograia: saLvi 2002b, p. 226, ig. 99.
basilica di San Saturnino Fotografo: Monari, Nicola
Collocazione: Cagliari Compilatore: Sangiorgi, Silvia
Museo Archeologico Nazionale
Oggetto: Coperchio
Materia e tecnica: Osso/a incisione
Misure: h 4,7; largh. 2,4; lungh. 7,4;
largh. residua 2,55; spess. da 0,2 a 0,4;
lungh. croce 3,7; largh. croce 2,9
Descrizione: coperchio di reliquiario di
piccole dimensioni. Sulla parte ester-
na, liscia, è incisa una croce con bracci
patenti racchiusa da una doppia corni-
ce in prossimità del bordo, anch’essa
incisa. La parte interna ha una corni-
ce, ottenuta risparmiando il materiale
durante la lavorazione, che consentiva
l’incasso e probabilmente lo scorri-

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La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.140 - Fibbia anteriore vi è una piccola maglia in


Numero Catalogo Generale: 00163163 rame per il issaggio della ibbia al
Numero inventario: 1790 cuoio; rimangono tracce delle altre.
Provenienza: Laerru (SS), necropoli Stato di conservazione: Mutilo
Collocazione: Sassari Cronologia: Secc. VII/VIII d.C.
Museo Nazionale G.A. Sanna Bibliograia: saLvi & serra 1990.
Oggetto: Fibbia Fotografo: Dessì, Pierluigi
Materia e tecnica: Osso/ intaglio; Compilatore: Sangiorgi, Silvia
bronzo/ battitura
Misure: h 8,8; lungh. anello 3,9; largh.
anello 3,8
Descrizione: Fibbia di cintura. Anel-
lo sagomato ad otto, mobile su
coppia di cerniere contrapposte e
provvisto di insellatura mediana
di alloggiamento e di scorrimento
dell’ardiglione, a becco leggermen-
te ricurvo con presa posteriore
ispessita. È fornito di una coppia di
cerniere con perno in ferro a estre-
mità ribattute. Nel retro della parte

3.141 - Specchio 3.142 - Custodia Stato di conservazione: Mutilo


Numero Catalogo Generale: 00008015 Numero Catalogo Generale: 00162070 Cronologia: Secc. VI/VII d.C.
Numero inventario: 4829/7818 Numero inventario: 4829/7818 Bibliograia: caPrara 1986, p. 183, ig.
Provenienza: Cornus (Cuglieri - OR) Provenienza: Cornus (Cuglieri - OR) 266; Lo schiavo 1991, pp. 95, 97, ig.
Collocazione: Sassari Collocazione: Sassari 83; rovina 2000, pp. 24, 30, ig. a p.
Museo Nazionale G.A. Sanna Museo Nazionale G.A. Sanna 30; MartoreLLi 2005, pp. 9-32.
Oggetto: Specchio Oggetto: Custodia Fotografo: Dessì, Pierluigi
Materia e tecnica: Sughero/ a ritaglio; Materia e tecnica: Sughero/ intaglio; Compilatore: Nieddu, Anna Maria
bronzo/ martellatura bronzo/ battitura; argento/ agemina
Misure: diam. 7,5 Misure: largh. 9; lungh. 9
Descrizione: Specchio circolare rac- Descrizione: Custodia (dello spec-
chiuso in un contenitore di sughero. chio 3.141) con coperchio scorre-
Stato di conservazione: Integro vole, proilato lungo i bordi da una
Cronologia: Secc. VI/VII d.C. fascetta in bronzo issata tramite
Bibliograia: caPrara 1986, p. 183, ig. sottili chiodini e decorato con un
266; Lo schiavo 1991, pp. 95, 97, ig. sottile ilo d’argento. La decorazio-
83; rovina 2000, pp. 24, 30, ig. a p. ne rappresenta una nicchia delimi-
30; MartoreLLi 2005, pp. 9-32. tata da colonne tortili, sormontata
Fotografo: Dessì, Pierluigi da un architrave e da un arco ribas-
Compilatore: Nieddu, Anna Maria sato, all’interno della quale si trova
un’anfora in piedi.

3.143 - Architrave otoríouárchontosSardinía(s) kaìtêsdoúle(s)


Numero Catalogo Generale: 00162605 souGetit[.] (trad.: + Signore, soccorri
Numero inventario: Assente il tuo servo Torchitorio arconte di
Provenienza: Assemini (CA) Sardegna e la tua serva Geti[te]).
chiesa di San Giovanni Battista L’iscrizione celebra la coppia giu-
Collocazione: Assemini (CA) dicale composta dall’arconte della
chiesa di San Giovanni Battista Sardegna Torchitorio e dalla moglie
Oggetto: Architrave Getite.
Materia e tecnica: marmo bianco/ Stato di conservazione: Ricomponibile
scalpellatura/ levigatura/ a incisione Cronologia: Sec. X d.C.
Misure: h 16; largh. 177; prof. 20 Bibliograia: coroneo 2000, pp. 60-
Descrizione: Cinque frammenti com- 61, 208-209, cat. 1.1.
bacianti di un architrave decorato Fotografo: Monari, Nicola
da due bande tripartite, costituite Compilatore: Cisci, Sabrina
da fuseruole piatte e rotondeggianti
alternate ad anellini accoppiati entro
un binario di listelli sottili. La parte
centrale è campita da un’iscrizione
celebrativa in caratteri greci, eseguiti
a solchi. La trascrizione è la seguen-
te: + K(úri)e boétheitoûdoúlou [s]ouTork

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La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.144 - Architrave tralcio animato, costituito da race-


Numero Catalogo Generale: 00163155 mi percorsi da un solco mediano.
Numero inventario: Assente Il motivo procede da sinistra verso
Provenienza: Donori (CA) destra. I girali ospitano grappoli
chiesa di San Nicola (?), oggi distrutta d’uva (?), uccelli od un pampino.
Collocazione: Donori (CA) Dei volatili sono deiniti il becco,
palazzo del municipio l’occhio, l’attacco alare e le penne
Oggetto: Architrave delle ali. Sono tutti rivolti verso de-
Materia e tecnica: Marmo bianco/ stra. Il pezzo è parte di un archi-
scalpellatura/ a gradina trave di una porta o di un epistilio
Misure: h 24; largh. 85; spess. 14,4 in un recinto presbiteriale, come si
Descrizione: Parallelepipedo deco- può dedurre dalla lettura del deco-
rato su tre facce. Nei ianchi, ri- ro in orizzontale.
quadrati da cornice a due listelli, Stato di conservazione: Mutilo
vi è un nastro intrecciato con capi Cronologia: Sec. X d.C.
profondamente solcati nella parte Bibliograia: coroneo 2000, pp.
mediana, onde ravvicinate e botto- 227-228, ig. 8.1.
ni piccoli ed incavati al centro. La Fotografo: Monari, Nicola
fronte è riquadrata da una cornice Compilatore: Sangiorgi, Silvia
tripartita a fuseruole alternate ad
anellini binati; all’interno vi è un

3.145 - Frammento architettonico kaìtês] / ParthenomárturosBarbárasõn-


Numero Catalogo Generale: 00162606 taîspresbeíaisautõndóeimoi K(úrio)s
Numero inventario: Assente oTh(eò)s tènàfesin t[õnamartõn] (trad.:
Provenienza: Assemini (CA) In no[me del Padre, del Figlio e
chiesa parrocchiale di San Pietro dello Spirito Santo, amen.] Io, Ni-
Collocazione: Assemini (CA) spella, Ocote [..], dei santi apostoli
chiesa di San Giovanni Battista corifei Pietro e Paolo e di San Gio-
Oggetto: Frammento architettonico vanni Ba[ttista e della] vergine mar-
Materia e tecnica: marmo bianco/ tire Barbara per la cui intercessione
scalpellatura/ levigatura/ a incisione mi conceda il Signore Dio la remis-
Misure: h 16; largh. 131; prof. 40 sione [dei peccati]). Il manufatto
Descrizione: Frammento di paral- è lacunoso all’estremità destra. La
lelepipedo su cui è un’iscrizio- parte superiore è consunta a causa
ne celebrativa in greco medio- di sfregamento meccanico in segui-
ellenico eseguita a solchi, con to al reimpiego come soglia.
lettere capitali. La trascrizio- Stato di conservazione: Mutilo
ne è la seguente: +En onó[mati Cronologia: Sec. XI d.C.
toûÁrsenoskaìtoûYioûkaìtoûAgíou] Bibliograia: coroneo 2000, pp. 60,
PneúmatosEgóNispèllaOchótis [.] / 208-209, cat. 1.2.
tõnAgíonKorufaíonApostólo(n) PètrouP Fotografo: Monari, Nicola
aúloukaìtoûAgíouIoánnoutoûBap[tistoû Compilatore: Cisci, Sabrina

3.146 - Ciborio/archivolto Bibliograia: coroneo 2000, pp. 208-209,


Numero Catalogo Generale: 00162607 cat. 1.3.
Numero inventario: Assente Fotografo: Monari, Nicola
Provenienza: Assemini (CA) Compilatore: Cisci, Sabrina
chiesa di San Giovanni Battista
Collocazione: Assemini (CA)
chiesa di San Giovanni Battista
Oggetto: Ciborio/archivolto
Materia e tecnica: Marmo bianco/
scalpellatura/ levigatura/ a incisione
Misure: h 7,5; largh. 39; prof. 12
Descrizione: Frammento di parallelepi-
pedo. La fascia inferiore è decorata da
un ornato ad ovuli, mentre in quella
superiore è un’iscrizione in caratteri
greci eseguiti a solchi, delimitata da
una cornice a listello. La trascrizione è
la seguente: + K(úri)e boétheitoûdoúlou [s]
ou (trad.: Signore soccorri il tuo servo).
Stato di conservazione: Mutilo
Cronologia: Sec. X d.C.

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La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.147 - Pilastro Stato di conservazione: Mutilo


Numero Catalogo Generale: 00163156 Cronologia: Sec. X d.C.
Numero inventario: Assente Bibliograia: coroneo 2000, pp.
Provenienza: Donori (CA) 228-229, ig. 8.2.
chiesa di San Nicola (?), oggi distrutta Fotografo: Monari, Nicola
Collocazione: Donori (CA) Compilatore: Sangiorgi, Silvia
palazzo del municipio
Oggetto: Pilastro
Materia e tecnica: Marmo bianco/
scalpellatura/ a gradina
Misure: h 17,5; lungh. 53,5; spess. 12
Descrizione: Parallelepipedo decora-
to sul ianco con un nastro intrec-
ciato e piccoli bottoni incavati al
centro: il nastro e i bottoni sono
compresi entro una cornice a due li-
stelli. La fronte è invece decorata da
un tralcio a girali che nasce da due
mezze foglie con margini lobati.
All’interno dei girali vi sono grap-
poli d’uva ed una foglia cuoriforme.

3.148 - Balaustra/pilastrino lato destro sono presenti cinque


Numero Catalogo Generale: 00162608 rosette baccellate con corolle for-
Numero inventario: Assente mate da sedici petali, iore centrale
Provenienza: Assemini (CA) umbonato e inciso da ruota falcata,
chiesa di San Giovanni Battista mentre i baccelli sono costituiti da
Collocazione: Assemini (CA) trifogli contrapposti a doppia lega-
chiesa di San Giovanni Battista tura mediana. L’ultima rosetta è di-
Oggetto: Balaustra/pilastrino mezzata dall’inizio della scanalatura
Materia e tecnica: Marmo bianco/ d’incastro.
scalpellatura/ levigatura/ a trapano Stato di conservazione: Mutilo
Misure: h 75; largh. 15; prof. 12. Cronologia: Sec. X d.C.
Descrizione: Frammento di paral- Bibliograia: coroneo 2000, pp. 61,
lelepipedo decorato su tre facce 209-210, cat. 1.5.
riquadrate da cornice a listello. Un Fotografo: Monari, Nicola
listello delimita anche la parte su- Compilatore: Cisci, Sabrina
periore. Nel lato sinistro, al di so-
pra di una porzione basale liscia,
è presente una decorazione ad in-
treccio annodato, con i capi piegati
a gomito; nella faccia frontale è un
tralcio di vite molto consunto. Nel

3.149 - Balaustra/pilastrino gatura mediana. L’ultima rosetta è


Numero Catalogo Generale: 00162609 dimezzata dall’inizio della scanala-
Numero inventario: Assente tura d’incastro. Nella fascia frontale
Provenienza: Assemini (CA) campeggia un tralcio di vite molto
chiesa di San Giovanni Battista consunto e illeggibile. Il lato destro,
Collocazione: Assemini (CA) al di sopra di una fascia basale li-
chiesa di San Giovanni Battista scia, presenta una decorazione ad
Oggetto: Balaustra/pilastrino intreccio annodato, con i capi sim-
Materia e tecnica: Marmo bianco/ metrici percorsi da solco mediano,
scalpellatura/ levigatura/ a trapano/ intersecantisi lungo la direttrice
a incisione mediana del motivo e piegati a go-
Misure: h 55,5; largh. 16; profondità 12 mito contro la cornice marginale.
Descrizione: Frammento di paral- Stato di conservazione: Mutilo
lelepipedo decorato su tre facce Cronologia: Sec. X d.C.
riquadrate da cornice a listello. Bibliograia: coroneo 2000, pp. 61,
Nel lato sinistro sono presenti tre 210, cat. 1.6.
rosette baccellate, con corolle for- Fotografo: Monari, Nicola
mate da sedici petali, iore centrale Compilatore: Cisci, Sabrina
umbonato e inciso da ruota falcata,
mentre i baccelli sono costituiti da
trifogli contrapposti a doppia le-

450
La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.150 - Balaustra/pilastrino doppia legatura mediana. Nella fa-


Numero Catalogo Generale: 00162610 scia frontale campeggia un tralcio
Numero inventario: Assente di vite con racemi percorsi da un
Provenienza: Assemini (CA) solco mediano, nascenti da una lar-
chiesa di San Giovanni Battista ga foglia lobata e terminanti a mez-
Collocazione: Assemini (CA) za foglia palmata. Alle diramazioni
chiesa di San Giovanni Battista del tralcio sono inseriti trifogli,
Oggetto: Balaustra/pilastrino mentre i girali ospitano alternativa-
Materia e tecnica: Marmo bianco/ mente un pampino e un grappolo
scalpellatura/ levigatura/ a trapano/ d’uva.
a incisione Stato di conservazione: Mutilo
Misure: h 93; largh. 15,5; prof. 8 Cronologia: Sec. X d.C.
Descrizione: Frammento di paral- Bibliograia: coroneo 2000, pp. 61,
lelepipedo decorato su due facce 210-211, cat. 1.7.
contigue, riquadrate da cornice a Fotografo: Monari, Nicola
listello. Nel ianco sono presenti Compilatore: Cisci, Sabrina
otto rosette baccellate, con corol-
le formate da sedici petali, iore
centrale umbonato e inciso da una
ruota falcata, mentre i baccelli sono
costituiti da trifogli contrapposti a

3.151 - Balaustra/pilastrino doppia legatura mediana. Nella fa-


Numero Catalogo Generale: 00162611 scia frontale campeggia un tralcio
Numero inventario: Assente di vite con racemi percorsi da sol-
Provenienza: Assemini (CA) co mediano, nascenti da una larga
chiesa di San Giovanni Battista foglia lobata e terminanti a mezza
Collocazione: Assemini (CA) foglia palmata. Alle diramazioni del
chiesa di San Giovanni Battista tralcio sono inseriti trifogli, mentre
Oggetto: Balaustra/pilastrino i girali ospitano alternativamente
Materia e tecnica: Marmo bianco/ un pampino e un grappolo d’uva.
scalpellatura/ levigatura/ a trapano/ Stato di conservazione: Mutilo
a incisione Cronologia: Sec. X d.C.
Misure: h 57; largh. 15; prof. 12 Bibliograia: coroneo 2000, pp. 61,
Descrizione: Frammento di paral- 211, cat. 1.8.
lelepipedo decorato su due facce Fotografo: Monari, Nicola
contigue, riquadrate da cornice a Compilatore: Cisci, Sabrina
listello. Nel ianco sono presenti
cinque rosette baccellate, con co-
rolle formate da sedici petali, iore
centrale umbonato e inciso da una
ruota falcata, mentre i baccelli sono
costituiti da trifogli contrapposti a

3.152 - Balaustra/pilastrino da un solco mediano e includenti


Numero Catalogo Generale: 00162612 bottoni trapanati al centro. I capi si
Numero inventario: Assente intersecano lungo la direttrice me-
Provenienza: Assemini (CA) diana del motivo. Nel ianco è un
chiesa di San Giovanni Battista altro intreccio annodato con i capi
Collocazione: Assemini (CA) percorsi da una incisione mediana e
chiesa di San Giovanni Battista ripiegati a gomito contro la cornice.
Oggetto: Balaustra/pilastrino Stato di conservazione: Mutilo
Materia e tecnica: Marmo bianco/ Cronologia: Sec. X d.C.
scalpellatura/ levigatura/ a trapano/ Bibliograia: coroneo 2000, pp. 61,
a incisione 211-212, cat. 1.9.
Misure: h 87; largh. 15; prof. 12 Fotografo: Monari, Nicola
Descrizione: Frammento di paral- Compilatore: Cisci, Sabrina
lelepipedo decorato su due facce
contigue riquadrate da cornice a
tre listelli di cui uno marginale, uno
mediano più stretto e modellato
a toro, il terzo interno e ribassato
rispetto agli altri due. Nella faccia
frontale è presente un doppio na-
stro intrecciato con i capi percorsi

451
La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.153 - Ciborio/archivolto un pavone. Quest’ultimo, che si ap-


Numero Catalogo Generale: 00041717 poggia con le zampe sullo stelo, ha
Numero inventario: 82150 becco corto e ricurvo e occhio ovoi-
Provenienza: Donori (CA) dale cordonato. Il piumaggio sulla
chiesa di San Nicola, oggi distrutta testa, sul collo e sul corpo è reso con
Collocazione: Cagliari leggere picchiettature. Le zampe ter-
Museo Archeologico Nazionale minano ad artiglio, mentre la coda re-
Oggetto: Ciborio/archivolto sidua solo delle penne iniziali. Le piu-
Materia e tecnica: Marmo bianco/ scalpel- me dell’ala sono descritte da incisioni
latura/ levigatura/ a trapano/ a incisione brevi e parallele: nella parte alta, sepa-
Misure: h 34; largh. 61; prof. 6 rata dal resto da un cordoncino, sono
Descrizione: Frammento di lastra di inquadrate entro proili ad occhiello.
cui si conserva un breve tratto della Il tralcio è concluso da una cornice a
cornice a listello. Si individua un tri- listello lungo il margine arcuato.
foglio angolare da cui spuntano due Stato di conservazione: Mutilo
steli con foglioline e una gemma inci- Cronologia: Sec. X d.C.
sa. Inoltre è presente un gambo con Bibliograia: Pani erMini & Mari-
nervatura mediana che genera foglie none 1981, p. 66, n. 104; coroneo
a lobi appuntiti, termina con gemma 2000, pp. 69-72, 218-219, cat. 4.5.
e porta un frutto o un grappolo d’uva Fotografo: Monari, Nicola
beccato da un uccello, probabilmente Compilatore: Cisci, Sabrina

3.154 - Pluteo una foglia pentalobata che genera


Numero Catalogo Generale: 00041714 uno stelo con foglioline e termina
Numero inventario: 82147 a trifoglio nell’angolo inferiore sini-
Provenienza: Pula (CA) stro. A sinistra dell’albero della vita
Isola di San Macario è il grifo, caratterizzato da unghioni
Collocazione: Cagliari leonini e testa d’uccello. A destra è
Museo Archeologico Nazionale il pegaso con zoccoli e testa equi-
Oggetto: Pluteo na. In entrambi gli animali l’attacco
Materia e tecnica: Marmo bianco/ delle zampe anteriori è segnato da
scalpellatura/ levigatura/ a trapano/ un anello perlinato. Su di esso si
a incisione innesta l’ala che termina a ricciolo.
Misure: h 58; largh. 114; prof. 10 Stato di conservazione: Intero
Descrizione: Lastra riquadrata da Cronologia: Sec. X d.C.
una cornice a due listelli. Dal bor- Bibliograia: Pani erMini & Marino-
do inferiore del riquadro spuntano ne 1981, pp. 64-65, n. 101; coro-
due arbusti che iancheggiano l’al- neo 2000, pp. 101-102, 220, cat. 4.8.
bero della vita cui sono affrontati Fotografo: Monari, Nicola
un pegaso e un grifo. Negli spazi Compilatore: Cisci, Sabrina
di risulta sono visibili altri elementi
vegetali: trifogli a destra, nell’ango-
lo inferiore e in quello superiore,

3.155 - Pluteo gata verso l’alto, le zampe ungulate,


Numero Catalogo Generale: 00041715 le orecchie minute, le fauci semia-
Numero inventario: 82148 perte da cui fuoriesce la lingua.
Provenienza: Pula (CA) Stato di conservazione: Intero
Isola di San Macario Cronologia: Sec. X d.C.
Collocazione: Cagliari Bibliograia: Pani erMini & Mari-
Museo Archeologico Nazionale none 1981, p. 65, n. 102; coroneo
Oggetto: Pluteo 2000, pp. 101-102, 220-221, cat. 4.9.
Materia e tecnica: Marmo bianco/ Fotografo: Monari, Nicola
scalpellatura/ levigatura Compilatore: Cisci, Sabrina
Misure: h 65; largh. 87; prof. 9,5
Descrizione: Lastra riquadrata da una
cornice a due listelli. Il riquadro è
occupato da elementi itomori e
da un quadrupede, probabilmente
un leone. Si distinguono trifogli
angolari che generano trifogli più
piccoli e, in un caso, un iore o una
gemma rotondeggiante. La igura
del leone è molto abrasa e si rico-
nosce la sagoma con la coda ripie-

452
La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.156 - Pluteo foglie e termina con il picciolo di


Numero Catalogo Generale: 00041716 un trifoglio. A destra è un arbusto
Numero inventario: 82149 passante dietro il corpo dell’anima-
Provenienza: Pula (CA) le che genera, in basso, un trifoglio
Isola di San Macario e, in alto, due piccioli con trifoglio
Collocazione: Cagliari che iancheggiano una foglia o una
Museo Archeologico Nazionale gemma cuoriforme. Della igura
Oggetto: Pluteo della leonessa, conservata solo nel-
Materia e tecnica: Marmo bianco/ la parte posteriore, sono delineate
scalpellatura/ levigatura/ a trapano/ le pieghe della pelle, la peluria fra
a incisione le mammelle, l’incavo del tendine
Misure: h 66; largh. 62; prof. 10 e gli unghioni. La coda descrive
Descrizione: Lastra mutila riquadra- un’ansa e termina a foglia palmata.
ta da una cornice a largo listello, Stato di conservazione: Mutilo
ribattuta internamente da un’altra Cronologia: Sec. X d.C.
tripartita a ovoli rovesci, con ba- Bibliograia: Pani erMini & Mari-
stoncini arrotondati in punta. Il none 1981, pp. 65-66, n. 103; co-
riquadro è occupato da elementi roneo 2000, pp. 101-102, 221-222,
itomori e da un quadrupede, pro- cat. 4.10.
babilmente una leonessa. A sinistra Fotografo: Monari, Nicola
si individua uno stelo che porta Compilatore: Cisci, Sabrina

3.157 - Capitello bizonale Stato di conservazione: Mutilo


Numero Catalogo Generale: 00163215 Cronologia: Sec. VI d.C.
Numero inventario: Assente Bibliograia: Pani erMini & Mari-
Provenienza: Sconosciuta none 1981, pp. 63-64, ig. 98; co-
Collocazione: Cagliari roneo 2002, p. 112, 250.
Museo Archeologico Nazionale Fotografo: Monari, Nicola
Oggetto: Capitello bizonale Compilatore: Dore, Stefania
Materia e tecnica: Marmo/scalpellatura/
a trapano
Misure: h 27; largh. 34; prof. 75
Descrizione: Capitello rivestito da un
canestro ad intreccio vimineo, deli-
mitato in basso da un collarino con
decorazione a spina di pesce e in
alto da uno liscio. Nella zona sovra-
stante i quattro angoli si staccano
altrettante aquile sorreggenti l’aba-
co soprastante. Al centro, tra ogni
coppia di uccelli, è una croce latina
con bracci patenti, incorniciata da
una corona d’alloro.

3.158 - Sarcofago/fronte fuoco acceso (a destra) e l’angelo


Numero Catalogo Generale: 00041695 che blocca il braccio di Abramo e
Numero inventario: 6139 che porta l’agnello da sacriicare al
Provenienza: Olbia posto di Isacco (a sinistra). Segue
Collocazione: Cagliari la scena della guarigione del para-
Museo Archeologico Nazionale litico, in cui si distingue un perso-
Oggetto: Sarcofago/fronte naggio in piedi con il lettino sulle
Materia e tecnica: Marmo bianco/ spalle. Inine, a destra, residua una
scalpellatura/ levigatura/ a trapano/ porzione della scena di Daniele fra
a incisione i leoni. Nel registro inferiore si di-
Misure: h 78,5; largh. 62,5; prof. 9,5 stinguono quattro teste maschili.
Descrizione: Sarcofago frammen- Stato di conservazione: Frammentario
tario caratterizzato da un doppio Cronologia: Secc. III/IV d.C.
registro. Nel registro superiore, Bibliograia: Pani erMini, & Mari-
iniziando la lettura da sinistra, si none 1981, pp. 59-61, n. 93; Pani
individua la scena del sacriicio di erMini & zucca 1989, pp. 247-248.
Isacco, con la igura del patriarca Fotografo: Monari, Nicola
che con la destra brandisce il col- Compilatore: Cisci, Sabrina
tello e tiene la sinistra appoggiata
sulla testa del iglio inginocchiato.
Si individuano inoltre l’ara con il

453
La Sardegna tardoantica e altomedievale

3.159 - Matrice di fusione bivalve Stato di conservazione: Mutilo


Numero Catalogo Generale: 00162629 Cronologia: Secc. VI/VII d.C.
Numero inventario: Assente Bibliograia: Mureddu 2006, pp.
Provenienza: Cagliari, vico III Lanusei 391-392; Mureddu 2002b, pp. 243-
Collocazione: Cagliari 244, 317-318, igg. 195-198.
Museo Archeologico Nazionale Fotografo: Monari, Nicola
Oggetto: Matrice di fusione Compilatore: Cisci, Sabrina
Materia e tecnica: Scisto/ levigatura/
a incisione/ a intaglio
Misure: (parte superiore) largh. 4,6;
lungh. 9,7; spess. 0,5; (parte inferio-
re) largh. 5; lungh. 10; spess. 0,5.
Descrizione: Matrice di fusione bi-
valve, di forma rettangolare. Una
valva presenta una faccia lisciata e
una incisa con la realizzazione in
negativo, in sottosquadro incavato
di 0,2 cm, di due spille e due pen-
denti. La seconda valva è speculare
alla prima e riproduce il retro dei
gioielli.

3.160 - Mortaio sediamento Altomedievale 1999,


Numero Catalogo Generale: 00163280 pp. 199-200, tav. V, 3; rovina 2000,
Numero inventario: 66707 pp. 35, 37, ig. a p. 37, a destra.
Provenienza: Sorso (SS) Fotografo: Dessì, Pierluigi
Santa Filitica Compilatore: Nieddu, Anna Maria
Collocazione: Sassari
Museo Nazionale G.A. Sanna
Oggetto: Mortaio
Materiae tecnica: Marmo/ scalpellatura/
levigatura
Misure: h 15; diam. 13; spess. 4,5
Descrizione: Mortaio di forma tron-
coconica, pareti spesse, rastremate
verso l’alto, base piana all’esterno.
La supericie interna è levigata,
quella esterna mostra i segni lascia-
ti da una lavorazione effettuata con
una punta dura.
Stato di conservazione: Frammentario
Cronologia: Secc. VI/VII d.C.
Bibliograia: rovina 1989, p. 18; In-

3.161 - Mortaio 1989, pp. 16-19; Lusuardi siena


Numero Catalogo Generale: 00163286 & sannazaro 1994, pp. 157-188;
Numero inventario: 66700 rovina 1998, p. 787; Insediamento
Provenienza: Sorso (SS) Altomedievale 1999, pp. 199-200,
Santa Filitica tav. III, 4; rovina 2000, p. 35.
Collocazione: Sassari Fotografo: Dessì, Pierluigi
Museo Nazionale G.A. Sanna Compilatore: Nieddu, Anna Maria
Oggetto: Mortaio
Materia e tecnica: Pietra ollare/
scalpellatura/ a tornio/ levigatura
Misure: h 10; largh. 4,5; lungh.
beccuccio 6
Descrizione: Parete di vaso con orlo
dritto, leggermente assottigliato ri-
spetto alla parete e superiormente
piatto. Sotto l’orlo si imposta un
beccuccio irregolarmente tronco-
piramidale e con foro circolare.
Stato di conservazione: Frammentario
Cronologia: Secc. VI/VII d.C.
Bibliograia: AA. VV. 1987; rovina

454
Bibliograia del catalogo

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Indice generale dei reperti compresi nel volume

Collocazione Soggetto NCTN Provenienza


Assemini (CA), chiesa di San Giovanni Battista Architrave 00162605 Assemini (CA), chiesa di San Giovanni Battista
Assemini (CA), chiesa di San Giovanni Battista Balaustra/pilastrino 00162209 Assemini (CA), chiesa di San Giovanni Battista
Assemini (CA), chiesa di San Giovanni Battista Balaustra/pilastrino 00162608 Assemini (CA), chiesa di San Giovanni Battista
Assemini (CA), chiesa di San Giovanni Battista Balaustra/pilastrino 00162610 Assemini (CA), chiesa di San Giovanni Battista
Assemini (CA), chiesa di San Giovanni Battista Balaustra/pilastrino 00162611 Assemini (CA), chiesa di San Giovanni Battista
Assemini (CA), chiesa di San Giovanni Battista Balaustra/pilastrino 00162612 Assemini (CA), chiesa di San Giovanni Battista
Assemini (CA), chiesa di San Giovanni Battista Ciborio/archivolto 00162607 Assemini (CA), chiesa di San Giovanni Battista
Assemini (CA), chiesa di San Giovanni Battista Frammento architettonico 00162606 Assemini (CA), chiesa parrocchiale di San Pietro
Barumini (VS), polo espositivo Casa Zapata Dolio/ orlo 00163164 Barumini (VS), area archeologica Su Nuraxi
Bosa (OR), chiesa di San Pietro extra muros Iscrizione funeraria 00163036 Bosa (OR), chiesa di San Pietro extra muros
Bosa (OR), Museo Archeologico di Bosa e della Planargia Iscrizione onoraria 00163037 Bosa (OR), chiesa di San Pietro extra muros
Cagliari, Basilica di San Saturnino Iscrizione funeraria 00163081 Cagliari
Cagliari, Basilica di San Saturnino Iscrizione funeraria 00162514 Cagliari, Basilica di San Saturnino
Cagliari, Basilica di San Saturnino Iscrizione funeraria 00163080 Cagliari, Basilica di San Saturnino
Cagliari, Basilica di San Saturnino Iscrizione funeraria 00162519 Vallermosa (CA)
Cagliari, Dipartimento di Storia, Beni Culturali Affresco 00163060 Cagliari, via Tigellio
e Territorio, Cittadella dei Musei
Cagliari, Dipartimento di Storia, Beni Culturali Affresco 00163061 Cagliari, via Tigellio
e Territorio, Cittadella dei Musei
Cagliari, Dipartimento di Storia, Beni Culturali Instrumentum domesticum (piatto) 00163095 Sardegna
e Territorio, Cittadella dei Musei
Cagliari, ex Museo Archeologico Nazionale Cippo terminale 00041668 Cuglieri (OR)
Cagliari, ex Museo Archeologico Nazionale Diploma militare 00163094 Sorgono (NU)
Cagliari, ex Museo Archeologico Nazionale Iscrizione di opere pubbliche 00163099 Ales (OR)
Cagliari, ex Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00163087 Cagliari
Cagliari, ex Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00163090 Donori (CA), chiesa di San Nicola, oggi distrutta
Cagliari, ex Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00162568 Nora (Pula - CA)
Cagliari, ex Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria cristiana 00163096 Cabras (OR), chiesa di San Giovanni di Sinis
Cagliari, ex Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria cristiana 00163103 Cagliari, chiesa di San Lucifero
Cagliari, ex Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria cristiana 00163097 Cagliari, necropoli di Bonaria
Cagliari, ex Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria cristiana 00163082 Cagliari, San Lucifero
Cagliari, ex Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria cristiana 00163092 Cagliari, Santa Gilla
Cagliari, ex Museo Archeologico Nazionale Iscrizione onoraria 00162516 Cagliari
Cagliari, ex Museo Archeologico Nazionale Iscrizione onoraria 00162569 Cagliari
Cagliari, ex Museo Archeologico Nazionale Iscrizione onoraria 00163086 Sant’Antioco (CI)
Cagliari, ex Museo Archeologico Nazionale Tavola di clientela e patronato 00162560 Cagliari
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Ago crinale 00046759 Cornus (Cuglieri - OR), necropoli paleocristiana, tomba 8
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Ancora 00162845 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Anello digitale 00120584 Dolianova (CA), necropoli di Bruncu e S’Olia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Anello digitale 00120481 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Anello digitale 00162633 Norbello (OR), necropoli di Santa Maria della Mercede,
tomba alpha
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Anello digitale 00163151 Siurgus Donigala (CA), complesso sepolcrale bizantino
di Su Nuraxi
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Anello digitale 00121356 Villaputzu (CA), tomba a camera, mausoleo di Cirredis
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Anfora 00121747 Nora (Pula - CA)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Anfora globulare 00162613 Cagliari, area archeologica adiacente il cimitero di Bonaria
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Anfora globulare 00162626 Cagliari, area archeologica adiacente il cimitero di Bonaria
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Anfora globulare 00162627 Cagliari, area archeologica adiacente il cimitero di Bonaria
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Anfora globulare 00162628 Cagliari, area archeologica adiacente il cimitero di Bonaria
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Anfora/ ansa 00163153 Cagliari, necropoli orientale paleocristiana di San Saturnino
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Applique 00163184 Fluminimaggiore (CI), tempio del Sardus Pater di Antas
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Askos 00120474 Nora (Pula - CA)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Askos 00162688 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Askos (Morel F 8241) 00120297 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Bacile 00118286 Sant’Andrea Frius (CA), Linna Pertunta (?)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Bacile 00162852 Sant’Antioco (CI), necropoli di Is Pirixeddus
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Bicchiere cilindrico iscritto 00163190 Cornus (Cuglieri - OR)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Boccale (Aranegui Gascò 1987, 6 A) 00121764 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Boccale (Marabini XV) 00120245 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Braciere 00162719 Cagliari, teatro-tempio di via Malta

481
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Braciere 00162720 Cagliari, teatro-tempio di via Malta, pozzo c.d. punico
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00163154 Cagliari, necropoli di San Lorenzo
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00162726 Cagliari, necropoli romana di San Lorenzo
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00163214 Dolianova (CA), necropoli di Bruncu e S’Olia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00121999 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00162690 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00121670 Località sconosciuta (collezione Caput)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00120974 Olbia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00121597 Olbia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00163148 Sant’Andrea Frius (CA), area di culto di Linna Pertunta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00162847 Sant’Antioco (CI), necropoli di Is Pirixeddus, tomba n. 50
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00162603 Santadi (CI), Barrua de Basciu
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00121573 Santadi (CI), tomba di Barrua de Basciu
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca 00162601 Santadi (CI), tomba di Barrua de Basciu
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca (Atlante forma CXXXII, 3) 00162667 Muravera (CA), necropoli di Costa Rei, tomba n. 3
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca (Bartoloni 1996, forma 23) 00115326 Bithia (Domus de Maria - CA),
necropoli romana, tomba n. 128
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca (Bartoloni 1996, forma 29) 00116070 Bithia (Domus de Maria - CA),
necropoli romana, tomba n. 128
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca (Lamboglia 11, 11 bis) 00121781 Località sconosciuta (collezione Timon)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Brocca globulare 00121736 Località sconosciuta (collezione Gouin)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Bronzetto votivo di Aristeo 00163185 Oliena (NU), salto di Dule
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Bronzetto votivo di gladiatore 00114727 Mogorella (OR)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Bronzetto votivo di Lare 00163186 Gesturi (VS)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Calice (Dragendorff 1) 00162725 Nora (Pula - CA)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Capitello bizonale 00163215 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Capitello d’anta ionico 00163135 Cagliari, area archeologica di via G.M. Angioy
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Ceppo di ancora 00162841 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Cerniera 00163212 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Ciborio/archivolto 00041717 Donori (CA), chiesa di San Nicola (?), oggi distrutta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Cintura/linguetta 00121785 Sant’Antioco (CI)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Cippo a forma di botte 00162844 Cagliari, ex Convento di San Lucifero
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Cippo terminale 00041653 Cuglieri (OR)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Collana 00120594 Dolianova (CA), necropoli di Bruncu e S’Olia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coperchio (Hayes 20) 00162684 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Copia di diploma militare 00162536 Assente
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Copia di iscrizione funeraria cristiana 00163079 Assente
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coppa 00121760 Ittiri (SS), sepoltura
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coppa 00162901 Olbia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coppa (Conspectus R 9) 00112971 Tresnuraghes (OR)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coppa (Dragendorff 35 A) 00112962 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coppa (Dragendorff 35) 00120224 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coppa (Goudineau 38 B) 00112963 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coppa (Hayes 2) 00162691 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coppa (Morel F 2567) 00120289 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coppa (Morel F 2654) 00162897 Olbia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coppa (Morel F 2737) 00116066 Bithia (Domus de Maria - CA),
necropoli romana, tomba n. 128
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Coppa (Ritterling 5 B) 00112959 Olbia, Necropoli di Joanne Canu, tomba 59
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Diploma militare di Tunila 00121350 Dorgali (NU)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Diploma militare palinsesto 00121349 Seulo (CA)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Embrice con anteissa 00163127 Castiadas (CA), relitto di Cala Sinzias
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Erma bifronte di Bacco 00163183 Cagliari, via Ospedale
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Falce 00162802 Fluminimaggiore (CI), tempio del Sardus Pater di Antas
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia 00163204 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia 00163205 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia 00163208 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia 00121761 Siurgus Donigala (CA)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia 00163211 Siurgus Donigala (CA)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia 00163149 Siurgus Donigala (CA), complesso sepolcrale bizantino di Su Nuraxi
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia 00121763 Siurgus Donigala (CA), spazio funerario
all’interno del mastio di Su Nuraxi
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia 00162614 Uras (OR), nuraghe Domu Beccia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia 00162616 Uras (OR), nuraghe Domu Beccia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia 00162617 Uras (OR), nuraghe Domu Beccia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia 00162618 Uras (OR), nuraghe Domu Beccia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia/ placca 00163206 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia/ placca 00163207 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibbia/ placca 00163210 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibula a disco 00120579 Dolianova (CA), necropoli di Bruncu e S’Olia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fibula a disco 00162630 Norbello (OR), necropoli di Santa Maria della Mercede,
tomba alpha

482
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fregio 00163072 Nora (Pula - CA)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Fronte di sarcofago 00162794 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Guttus (Morel F 8164) 00162896 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Incensiere 00121780 Località sconosciuta (collezione Timon)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione di opere pubbliche 00163088 Cagliari
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00162860 Cagliari, ex convento di San Lucifero
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00162559 Cagliari, cimitero comunale
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00162562 Cagliari, cimitero monumentale di Bonaria
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00162545 Cagliari, ex convento di San Lucifero
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00162551 Cagliari, Palazzina Mari
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00162552 Cagliari, Palazzina Mari
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00162555 Ex albergo La Scala di Ferro
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria cristiana 00163093 Cagliari
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria cristiana 00162526 Cagliari, necropoli di San Saturnino
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria cristiana 00163098 Cagliari, necropoli di San Saturnino
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria cristiana 00163079 Cagliari, Sant’Avendrace
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria cristiana 00163091 Cagliari, Sant’Avendrace - Santa Gilla
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione relativa al restauro 00162533 Maracalagonis (CA)
di terme pubbliche
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Iscrizione sacra 00162563 Fluminimaggiore (CI), tempio del Sardus Pater di Antas
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Kantharos (Mayet VIII)
(Stiafini-Borghetti 426) 00114715 Tharros (Cabras - OR)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Lampada a olio 00121580 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Lampada a olio 00121581 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Lastra di rivestimento 00163076 Padria (SS), area di Santa Croce, ediicio templare
alle pendici meridionali del colle di San Paolo
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Lucerna 00120278 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Lucerna 00120998 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Lucerna 00028106 Narcao (CI), Strumpu Bagoi
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Lucerna (Deneauve IVA 317) 00121740 Località sconosciuta (collezione Gouin)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Lucerna (Deneauve VIIA) 00120988 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Lucerna a disco (Atlante forma X) 00163270 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Lucerna polilicne 00028115 Narcao (CI), Strumpu Bagoi
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Matrice 00163147 Cagliari, teatro-tempio di via Malta, pozzo c.d. punico
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Matrice 00163074 Cagliari, teatro-tempio di via Malta, pozzo F
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Matrice 00163075 Cagliari, teatro-tempio di via Malta, pozzo F
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Matrice di fusione bivalve 00162629 Cagliari, vico III Lanusei
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Mosaico 00163142 Cagliari, ambiente termale a Bonaria
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Olla 00163191 Cornus (Cuglieri - OR)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Olla con coperchio 00115345 Bithia (Domus de Maria - CA),
(Bartoloni 1996 forma 38) necropoli romana, tomba n. 128
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Orecchini a globo mammellato 00120587 Bortigali (NU), Berre, necropoli
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Orecchini con pendente 00120581 Dolianova (CA), necropoli di Bruncu e S’Olia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Orecchino 00121640 Arbus (VS)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Orecchino 00121637 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Orecchino 00121639 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Orecchino 00163150 Siurgus Donigala (CA), complesso sepolcrale bizantino
di Su Nuraxi
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Orecchino a calice loreale 00120588 Bortigali (NU), Berre, necropoli
con pendente
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Orecchino a globo mammellato 00162631 Norbello (OR), necropoli di Santa Maria della Mercede,
tomba alpha
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Orecchino a globo mammellato 00120577 Nureci (OR), Uriel, tomba
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Patera 00116062 Bithia (Domus de Maria - CA),
necropoli romana, tomba n. 128
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Patera 00121346 Nureci (OR)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Pentola 00121733 Località sconosciuta (collezione Gouin)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Peso 00121576 Cagliari, piazza del Carmine
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Peso 00121578 Villanovafranca (VS)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Piatto 00162722 Cagliari, San Lorenzo
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Piatto (Dragendorff 17) 00120211 Località sconosciuta (collezione Timon)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Piatto (Morel F 1122) 00120288 Località sconosciuta (collezione Gouin)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Piatto (Morel F 2234) 00162898 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Piatto (Morel F 2234) 00162899 Soleminis (CA)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Piatto (Morel F 2783/2784) 00162900 Olbia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Pluteo 00041714 Pula (CA), Isola di San Macario
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Pluteo 00041715 Pula (CA), Isola di San Macario
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Pluteo 00041716 Pula (CA), Isola di San Macario
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Rhyton (Isings 113) 00162647 Domusnovas (CI)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Ritratto di Augusto 00163177 Cagliari
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Ritratto di Claudio 00163173 Sant’Antioco (CI), Su Narboni
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Ritratto di Nerone 00163180 Olbia, scuola elementare

483
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Ritratto di Tiberio 00163172 Sant’Antioco (CI), Su Narboni
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Ritratto di Traiano 00163181 Olbia, scuola elementare
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Ritratto maschile 00163178 Cagliari, via Cavour, pozzo
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Ritratto maschile 00163179 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Sarcofago 00162843 Decimomannu (CA)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Sarcofago a lenos 00162809 Cagliari
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Sarcofago/ fronte 00041695 Olbia
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Scodella 00162602 Santadi (CI), Barrua de Basciu
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Singe 00163187 Cagliari, orto botanico
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Statua di Bacco 00061460 Cagliari, viale Trieste n. 105, ediicio termale
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Statua di Bacco 00163175 Cagliari, viale Trieste, ediicio termale
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Statua di Bes 00163188 Fordongianus (OR), terme romane,
nei pressi della vasca superiore
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Statua di Bes 00163189 Fordongianus (OR), terme romane,
nei pressi della vasca superiore
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Statua di Tyche 00163182 Località sconosciuta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Statua loricata di Druso Minore 00163174 Sant’Antioco (CI), Su Narboni, via Eleonora d’Arborea n. 8
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Statua votiva 00163063 Nora (Pula - CA), Punta de su Coloru,
santuario di Eshmun-Esculapio
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Statuetta/ busto 00121756 Calangianus (OT)
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Stele funeraria 00162819 Uras (OR), necropoli romana
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Stele funeraria 00162840 Uras (OR), necropoli romana
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Unguentario (Cuadrado BIII) 00162886 Gesico (CA), necropoli di Santa Lucia, tomba n. 34
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale Urna/coperchio 00163152 Cagliari, basilica di San Saturnino
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale, depositi Mosaico 00163071 Cagliari, Villa di Tigellio, esedra del piano superiore
della Casa degli stucchi
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale, depositi Statua di Afrodite 00061462 Cagliari, scavi di viale Trieste n. 105
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale, depositi Statua isiaca 00163176 Cagliari, piazza del Carmine, palazzo delle Poste,
teatro-tempio di via Malta
Cagliari, Museo Archeologico Nazionale, depositi Testa di Bacco fanciullo 00162855 Cagliari, Villino Pernis
Cagliari, Museo e area archeologica di Sant’Eulalia Statua di sacerdote isiaco 00162807 Cagliari, area archeologica sottostante la chiesa di Sant’Eulalia, teatro
Cagliari, palazzo dell’INPS, sito della fullonica Fregio 00163077 Cagliari, palazzo dell’INPS
Cagliari, palazzo dell’INPS, sito della fullonica Mosaico pavimentale 00163102 Cagliari, palazzo dell’INPS, sito della fullonica
Cagliari, Torre del leone o Torre dell’aquila, Iscrizione funeraria 00163100 Località sconosciuta
palazzo Boyl
Carbonia, Museo Archeologico Villa Sulcis Pietra miliare 00163083 Carbonia
Cuglieri (OR), convento dei Cappuccini Iscrizione funeraria cristiana 00027642 Cornus (Cuglieri - OR), necropoli paleocristiana
Cuglieri (OR), convento dei Cappuccini Iscrizione funeraria cristiana 00027645 Cornus (Cuglieri - OR), necropoli paleocristiana
Cuglieri (OR), palazzo del Municipio Pietra miliare 00162496 Cuglieri (OR)
Donori (CA), palazzo del municipio Architrave 00163155 Donori (CA), chiesa di San Nicola (?), oggi distrutta
Donori (CA), palazzo del municipio Pilastro 00163156 Donori (CA), chiesa di San Nicola (?), oggi distrutta
Fordongianus (OR), chiesa di San Lussorio Iscrizione martiriale 00162556 Fordongianus (OR), chiesa di San Lussorio
Fordongianus (OR), magazzini comunali Iscrizione relativa 00162525 Fordongianus (OR), chiesa di San Lussorio
ad un’opera pubblica
Guspini (VS), palazzo comunale Iscrizione magica 00162506 Neapolis (Guspini - VS), Santa Maria di Nabui
Guspini (VS), palazzo comunale Iscrizione onoraria 00162505 Neapolis (Guspini - VS), Santa Maria di Nabui
Las Plassas (VS), MudA - Museo multimediale Iscrizione dei pagani Uneritani 00163101 Las Plassas (VS)
del Regno d’Arborea
Olbia, Museo Archeologico Anfora (Beltràn IIB) 00163116 Olbia, Isola Bocca
Olbia, Museo Archeologico Anfora (Dressel 1C) 00163115 Olbia, Isola di Mezzo
Olbia, Museo Archeologico Askos miniaturistico 00163112 Olbia
Olbia, Museo Archeologico Bracciale 00163160 Olbia, necropoli di Su Cuguttu
Olbia, Museo Archeologico Brocca 00163161 Olbia, porto
Olbia, Museo Archeologico Collana 00163159 Olbia, necropoli Su Cuguttu
Olbia, Museo Archeologico Coppa 00163111 Olbia
Olbia, Museo Archeologico Croce 00163162 Telti (OT), sepoltura all’interno della chiesa
Olbia, Museo Archeologico Iscrizione funeraria 00162981 Olbia, San Simplicio
Olbia, Museo Archeologico Lagynos 00163053 Olbia
Olbia, Museo Archeologico Lucerna 00163157 Olbia, porto
Olbia, Museo Archeologico Matrice per focacce 00163056 Olbia
Olbia, Museo Archeologico Piatto 00163158 Olbia, porto
Olbia, Museo Archeologico Sarcofago 00097691 Olbia, chiesa di San Simplicio
Olbia, Museo Archeologico Scafo di nave 00163057 Olbia
Olbia, Museo Archeologico Statuetta del Genius di Costantino 00163104 Località sconosciuta
Olbia, Museo Archeologico Strigile 00163107 Olbia, necropoli Joanne Canu
Olbia, Museo Archeologico Testa di Eracle 00163048 Olbia, Isola Bocca
Oristano, Antiquarium Arborense Ago crinale 00162941 Cabras (OR), insediamento di San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Brocca 00117597 Tharros (Cabras - OR)
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Fibbia 00119388 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau

484
Oristano, Antiquarium Arborense Fibbia 00162960 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Lucerna 00111496 Tharros (Cabras - OR)
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Matrice per focacce 00162939 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Peso 00162944 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Peso 00162946 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Peso 00162948 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Peso 00162950 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Peso 00162955 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Ritratto femminile 00162788 Tharros (Cabras - OR)
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00162961 Cabras (OR), Sa Pedrera
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00162968 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00162969 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00162974 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00162975 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00162976 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00163220 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00163221 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00163230 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00163265 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00163269 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Sigillo 00162962 Cabras (OR), San Salvatore
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Stadera 00162940 Cabras (OR), San Giorgio di Sinis
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Statua di Afrodite Urania 00162790 Neapolis (Guspini - VS), settore nord-occidentale della città
Museo Archeologico G. Pau
Oristano, Antiquarium Arborense Statua di Genius 00162789 Tharros (Cabras - OR)
Museo Archeologico G. Pau
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Bicchiere (Morel F 7321a 1) 00162925 Padria (SS)
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Busto femminile 00162704 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Busto femminile 00162705 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Busto votivo maschile 00162909 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Coppa (Mayet XXXIII) 00162717 Padria (SS)
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Coppa (Morel F 2111a 1) 00162924 Padria (SS)
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Coppa (Morel F 2646) 00162926 Padria (SS)
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Ex voto anatomico 00162910 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Ex voto anatomico 00162911 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Ex voto anatomico 00162912 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Ex voto anatomico 00162913 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Ex voto anatomico 00162914 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Ex voto anatomico 00162915 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Ex voto miniaturistico 00162920 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Ex voto zoomorfo 00162916 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Ex voto zoomorfo 00162917 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Ex voto zoomorfo 00162918 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Ex voto zoomorfo 00162919 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Pisside (Morel F 7553a 1) 00162922 Padria (SS)
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Testa votiva 00162908 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Testa votiva femminile 00162700 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Testa votiva femminile 00162701 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Testa votiva femminile 00162703 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Testa votiva femminile 00162706 Padria (SS), San Giuseppe

485
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Testa votiva femminile 00162707 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Testa votiva maschile 00162905 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Testa votiva maschile 00162906 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Testa votiva maschile 00162907 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Testa votiva maschile 00162921 Padria (SS), San Giuseppe
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Thymiaterion conigurato 00162708 Padria (SS), via Nazionale
a testa femminile
Padria (SS), Museo Civico Archeologico Thymiaterion conigurato 00162709 Padria (SS), via Nazionale
a testa femminile
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Anfora 00099471 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Anfora (Keay XXVI = Spatheion) 00162767 Porto Torres (SS), Cala Reale
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Balsamario 00162757 Porto Torres (SS), via Cavour - angolo via Libio,
Antiquarium Turritano tomba 278 381/99
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Bambola snodabile 00162754 Porto Torres (SS), via Cavour - angolo via Libio,
Antiquarium Turritano sepoltura ad inumazione
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Base di colonna 00163200 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Bicchiere 00162758 Porto Torres (SS), via Cavour - angolo via Libio,
Antiquarium Turritano sepoltura ad incinerazione
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Busto votivo femminile 00099412 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Busto votivo femminile 00162751 Porto Torres (SS), saggi Banca Nazionale del Lavoro
Antiquarium Turritano in Corso Vittorio Emanuele
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Capitello corinzio 00099506 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Capitello ionico 00099507 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Erma di guerriero 00162737 Porto Torres (SS), zona delle tabernae,
Antiquarium Turritano ad est della fogna principale
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Erma di satiro 00097728 Porto Torres (SS), Terme centrali o via Cardinale, fogna
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Guttus (Morel F 8151a) 00163199 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00162983 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00162988 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00162991 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria 00162993 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria cristiana 00163034 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria cristiana 00162996 Porto Torres (SS), abitazione privata
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Iscrizione funeraria cristiana 00163003 Porto Torres (SS), Basilica di San Gavino
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Iscrizione sacra 00163002 Porto Torres (SS), Terme centrali
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Mosaico 00163202 Porto Torres (SS), Terme centrali
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Mosaico 00163201 Porto Torres (SS), Terme centrali
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Olla 00099444 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Orecchini con pendente 00163203 Porto Torres (SS), necropoli meridionale o di San Gavino
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Oscillum 00162734 Porto Torres (SS), Terme Maetzke
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Rilievo di dadoforo 00162731 Porto Torres (SS), Terme centrali
Antiquarium Turritano
Po Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Rilievo di Giove Ammone 00162732 Porto Torres (SS), Terme centrali, penultima taberna
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Ritratto di Marco Aurelio 00162740 Porto Torres (SS), piazzale antistante la stazione ferroviaria
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Ritratto femminile 00162739 Porto Torres (SS), Terme centrali, porticato
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Ritratto maschile 00162738 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Scudo miniaturistico 00162780 Porto Torres (SS), Terme centrali, criptoportico
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Statua di Afrodite Anadiomene 00162735 Porto Torres (SS), piazzale antistante la stazione ferroviaria,
Antiquarium Turritano presso il ponte romano

486
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Statua di Sileno 00162733 Porto Torres (SS), piazzale antistante la stazione ferroviaria,
Antiquarium Turritano presso il ponte romanoPorto Torres (SS), Museo Archeologico
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Statua femminile 00162736 Porto Torres (SS), piazzale antistante la stazione ferroviaria
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Statua femminile onoraria 00162730 Porto Torres (SS), palazzo comunale
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Statua maschile 00162755 Porto Torres (SS), area ex Pretura
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Statua maschile 00162753 Porto Torres (SS), via Cavour - angolo via Libio
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Statua maschile onoraria 00162729 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Statua maschile onoraria 00162727 Porto Torres (SS), palazzo comunale
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Statuetta femminile 00162752 Porto Torres (SS), via Cavour - angolo via Libio
Antiquarium Turritano
Porto Torres (SS), Museo Archeologico Nazionale Urna a tempietto con iscrizione 00162742 Porto Torres (SS)
Antiquarium Turritano
Pula (CA), Civico Museo Archeologico G. Patroni Coppa (Dragendorff 37) 00048442 Nora (Pula - CA), necropoli romana di Su Cuventeddu
Pula (CA), Civico Museo Archeologico G. Patroni Iscrizione onoraria 00163089 Nora (Pula - CA)
Pula (CA), Civico Museo Archeologico G. Patroni Lucerna (Deneauve VIB) 00048341 Nora (Pula - CA), Su Cuventeddu
Quartu Sant’Elena (CA), chiesa di Santa Maria di Cepola Iscrizione funeraria 00162573 Quartu Sant’Elena (CA), Santa Loria
Sant’Antioco (CI), Museo Archeologico Comunale Brocca 00163197 Sant’Antioco (CI)
F. Barreca
Sant’Antioco (CI), Museo Archeologico Comunale Campanello 00163196 Sant’Antioco (CI), necropoli di Is Pirixeddus
F. Barreca
Sant’Antioco (CI), Museo Archeologico Comunale Fiasca da pellegrino 00163198 Sant’Antioco (CI)
F. Barreca
Sant’Antioco (CI), Museo Archeologico Comunale Iscrizione onoraria 00163078 Sant’Antioco (CI)
F. Barreca
Sant’Antioco (CI), Museo Archeologico Comunale Mosaico 00163194 Sant’Antioco (CI), Is Solus
F. Barreca
Sant’Antioco (CI), Museo Archeologico Comunale Statua di divinità femminile 00163193 Sant’Antioco (CI), cronicario
F. Barreca
Sant’Antioco (CI), Museo Archeologico Comunale Statua maschile onoraria 00163192 Sant’Antioco (CI)
F. Barreca
Sant’Antioco (CI), Museo Archeologico Comunale Statuetta femminile 00163195 Sant’Antioco (CI), necropoli di Is Pirixeddus, tomba 180
F. Barreca
Sardara (VS), Civico Museo Archeologico Villa Abbas Ago crinale 00117063 Sardara (VS), necropoli romana di Terr’e Cresia, tomba n. 44
Sardara (VS), Civico Museo Archeologico Villa Abbas Anfora (Dressel 25) 00117285 Sanluri (VS), necropoli di Terra’e Cresia
Sardara (VS), Civico Museo Archeologico Villa Abbas Bicchiere 00116442 Sanluri (VS), necropoli punico-romana di Bidd’e Cresia
Sardara (VS), Civico Museo Archeologico Villa Abbas Brocca 00163165 Serrenti (CA), Sant’Antonio
Sardara (VS), Civico Museo Archeologico Villa Abbas Brocca 00163166 Serrenti (CA), Sant’Antonio
Sardara (VS), Civico Museo Archeologico Villa Abbas Piatto 00116161 Serrenti (CA), Sant’Antonio
Sardara (VS), Civico Museo Archeologico Villa Abbas Piatto (Atlante forma VIII, 3) 00162696 Sardara (VS), necropoli di Terra’e Cresia, tomba 64, numero 8
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Accetta 00007902 Cheremule (SS), complesso ipogeico di San Pietro in Murighe
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Accetta 00007915 Cheremule (SS), complesso ipogeico di San Pietro in Murighe
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Ampolla 00007891 Cabras (OR), San Giovanni di Sinis
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Anello digitale 00163058 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Anello digitale (Guiraud 1a) 00097534 Alghero (SS), Maristella - Porto Conte
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Anello digitale a castone 00007863 Località sconosciuta (collezione Spano)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Anello digitale a castone 00007824 Sassari, La Crucca, complesso ipogeico Giorre Verdi,
domus de janas 1, cella c.
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Anello gemino 00097517 Sorso (SS), Su Pidocciu
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Anfora (Kapitan II/Niederbieber 77) 00097599 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Askos (Hayes 123) 00097868 Cornus (Cuglieri - OR)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Balsamario conigurato (Isings 78e) 00039101 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Boccale miniaturistico 00097872 Località sconosciuta
(Atlante tipo 1/109)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Boccale biconico 00163271 Porto Torres (SS), Terme centrali
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Bottiglia (Hayes 160) 00097873 Cornus (Cuglieri - OR)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Bracciale a due teste di serpente 00007884 Borutta (SS), necropoli di San Pietro di Sorres
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Brocca 00163314 Cheremule (SS), San Pietro in Murighe,
complesso ipogeico di Furrighesus o Museddus (?)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Brocca 00097792 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Brocca 00163294 Sassari, Fiume Santo
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Brocca 00163293 Sassari, insediamento tardoantico e altomedievale
di Fiume Santo
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Brocca ovoidale 00007900 Cheremule (SS), San Pietro in Murighe,
complesso ipogeico di Furrighesus o Museddus (?)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Brocca piriforme 00007882 Borutta (SS), sepoltura sul versante orientale
presso la chiesa di Santu Pedru de Sorres

487
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Bronzetto votivo di Ercole 00097554 Ossi (SS)
con la clava
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Bronzetto votivo di Esculapio 00002573 Località sconosciuta
o di suo sacerdote
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Bronzetto votivo di Minerva 00002418 Perfugas (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Calice 00039087 Località sconosciuta (collezione municipale di Sassari)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Calice (Dragendorff 5) 00097755 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Capitello ionico 00097704 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Ceppo di ancora 00031116 Stintino (SS), ritrovamento subacqueo
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Cippo terminale dei Bulgares 00163029 Tortolì (OG)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Collana 00002564 Sorso (SS), Su Pidocciu
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Coltello a codolo/ lama 00007914 Cheremule (SS), complesso ipogeico di San Pietro in Murighe
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Coppa 00097486 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Coppa (Isings 42a) 00039061 Località sconosciuta (collezione municipale di Sassari)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Coppa (Morel F 2783) 00098523 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Coppa miniaturistica 00097757 Porto Torres (SS)
(Atlante forma LX, 3)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Custodia 00162070 Cornus (Cuglieri - OR)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Diploma militare 00163017 Anela (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Ditale 00163291 Sorso (SS), insediamento di Santa Filitica
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fiasca (Lamboglia 13/Hayes 147, n. 3/ 00097789 Porto Torres (SS)
Lamboglia 13 bis = Atlante I, XXII, 8)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia 00007873 Borutta (SS), area della basilica di Santu Pedru de Sorres
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia 00007879 Funtanazza (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia 00007866 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia 00007877 Località sconosciuta (collezione Dessì)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia 00007878 Siligo (SS), tombe presso i resti delle terme romane, insediamento
tardoantico e altomedievale presso la chiesa di Mesumundu
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia 00007881 Siligo (SS), tombe presso i resti delle terme romane, insediamento
tardoantico e altomedievale presso la chiesa di Mesumundu
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia 00008017 Siligo (SS), tombe presso i resti delle terme romane, insediamento
tardoantico e altomedievale presso la chiesa di Mesumundu
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia 00007872 Tissi (SS), tombe in via Paris de Idda
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia 00163171 Uri (SS), cavità naturale con sepolture di Badde Marina / Tiriu
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia 00007870 Gadoni (NU), necropoli tardoromana e altomedievale
presso il centro urbano
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia 00163163 Laerru (SS), necropoli
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibbia/ placca 00007868 Laerru (SS), necropoli
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Fibula ad arco zoomorfa 00163297 Sassari, La Crucca, complesso ipogeico Giorre Verdi, tomba
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Guttus (Morel F 8141) 00098513 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Hydria (Calvi D 7) 00039054 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Instrumentum domesticum (sigillo) 00163028 Bonorva (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Instrumentum domesticum (sigillo) 00163027 Martis (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Instrumentum domesticum (sigillo) 00162980 Padria (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Iscrizione di opere pubbliche 00104410 Porto Torres (SS), Terme centrali
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Iscrizione funeraria 00163025 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Iscrizione funeraria 00104452 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Iscrizione funeraria 00163026 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Iscrizione funeraria cristiana 00104443 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Iscrizione funeraria cristiana 00104466 Olbia, San Simplicio
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Iscrizione funeraria cristiana 00104433 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Iscrizione funeraria giudaica 00104406 Porto Torres (SS), Terme centrali
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Iscrizione onoraria 00163018 Cuglieri (OR)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Iscrizione onoraria 00104411 Porto Torres (SS), Terme centrali
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Iscrizione onoraria 00104418 Porto Torres (SS), Terme Pallottino
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lancia/ cuspide 00007906 Cheremule (SS), complesso ipogeico di San Pietro in Murighe
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna a disco (Loeschcke VIII L2) 00162824 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna a prese laterali 00162834 Mores (SS)
(Deneauve IC)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna a prese laterali 00002288 Località sconosciuta (collezione Vincenzo Dessì)
(Deneauve III)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna a volute (Loeschcke I A) 00162830 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna a volute (Loeschcke I C) 00002312 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna a volute (Loeschcke IV) 00002313 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna a volute bilicne 00002307 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna a volute bilicne 00162832 Porto Torres (SS)
(Deneauve VB)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna a volute bilicne 00162829 Porto Torres (SS), scavi ad est del fascio di binari della ferrovia,
(Deneauve VB) pozzo n. 2
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna a volute bilicne 00002310 Località sconosciuta (collezione Vincenzo Dessì)
(Loeschcke III)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna bilicne 00162827 Porto Torres (SS)

488
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Lucerna polilicne 00162833 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Morso 00008012 Cheremule (SS), complesso ipogeico di San Pietro in Murighe
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Mortaio 00163280 Sorso (SS), Santa Filitica
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Mortaio 00163286 Sorso (SS), Santa Filitica
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Mosaico 00097736 Porto Torres (SS), Terme centrali
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Mosaico 00163123 Porto Torres (SS), Terme centrali
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Olla 00097499 Località sconosciuta (collezione municipale di Sassari)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Olla (Rofia 384-386; 388-391) 00039039 Cornus (Cuglieri - OR)
con coperchio (Calvi gruppo alfa)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Olpe (Atlante forma XXI, 30) 00097874 Cornus (Cuglieri - OR)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Orecchini a calice loreale 00008024 Borutta (SS), San Pietro di Sorres, necropoli
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Orecchini con pendente 00002561 Alghero (SS), Maristella - Porto Conte
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Orecchini con pendente 00002556 Olbia
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Orecchino 00007855 Borutta (SS), necropoli di San Pietro di Sorres
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Orecchino a calice loreale 00007826 Viddazza (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Orecchino a globo mammellato 00163295 Cheremule (SS), San Pietro in Murighe,
complesso ipogeico di Furrighesus o Museddus (?)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Patera 00039517 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Pentola 00163272 Porto Torres (SS), Terme centrali
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Pettine 00007883 Porto Torres (SS), complesso funerario ipogeico
nella necropoli di Scoglio Lungo
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Piatto 00097859 Località sconosciuta
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Piatto 00097741 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Pietra miliare 00163021 Muros (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Pietra miliare 00163022 Ozieri (SS), Sant’Antioco di Bisarcio
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Sarcofago 00007899 Tissi (SS), Paris de Idda
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Scandaglio 00163121 Castelsardo (SS), ritrovamento subacqueo
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Sigillo 00163281 Sorso (SS), Santa Filitica
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Specchio 00002469 Località sconosciuta (collezione Vincenzo Dessì)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Specchio 00002547 Tharros (Cabras - OR)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Specchio 00008015 Cornus (Cuglieri - OR)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Stadera 00097571 Porto Torres (SS), complesso funerario ipogeico
nella necropoli di Scoglio Lungo
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Statua femminile 00097733 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Statua maschile 00097725 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Statua maschile 00097698 Porto Torres (SS), collina del faro
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Statua maschile onoraria 00097432 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Statua maschile votiva 00163119 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Statuetta zoomorfa 00002424 Mores (SS), Padru
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Stele funeraria 00097674 Castelsardo (SS), Su Romasinu
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Stele funeraria 00097673 Valledoria (SS), Codaruina
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Stucco decorato 00002441 Porto Torres (SS)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Tavola di Esterzili 00163015 Esterzili (CA)
Sassari, Museo Nazionale G.A. Sanna Vaso miniaturistico 00002426 La Maddalena (OT), Isola di Spargi, relitto romano
Sinnai (CA), Pinacoteca comunale Brocca 00163168 Sinnai (CA)
e Civico Museo Archeologico
Sinnai (CA), Pinacoteca comunale Fibbia/ placca 00163167 Sinnai (CA), casa privata
e Civico Museo Archeologico
Sinnai (CA), Pinacoteca comunale Iscrizione su reliquiario 00162529 Sinnai (CA), Solanas
e Civico Museo Archeologico
Tergu (SS), chiesa di Nostra Signora di Tergu Iscrizione funeraria 00163011 Tergu (SS)
Torralba (SS), Museo della Valle dei Nuraghi Capitello dorico 00162929 Torralba (SS)
del Logudoro-Meilogu
Torralba (SS), Museo della Valle dei Nuraghi Capitello ionico 00162931 Torralba (SS)
del Logudoro-Meilogu
Torralba (SS), Museo della Valle dei Nuraghi Lucerna 00039668 Torralba (SS), nuraghe Santu Antine
del Logudoro-Meilogu
Torralba (SS), Museo della Valle dei Nuraghi Pietra miliare 00040026 Torralba (SS)
del Logudoro-Meilogu
Torralba (SS), Museo della Valle dei Nuraghi Stele funeraria 00162697 Località sconosciuta
del Logudoro-Meilogu
Viddalba (SS), Museo Archeologico Iscrizione funeraria 00163035 Viddalba (SS), San Leonardo
Viddalba (SS), Museo Archeologico Iscrizione funeraria 00163038 Viddalba (SS), San Leonardo
Villa San Pietro (CA), chiesa parrocchiale di San Pietro Iscrizione sacra 00163085 Sarroch (CA), chiesa di San Nicola
Villasimius (CA), Museo Archeologico Comunale Anfora 00163169 Località sconosciuta
Villasimius (CA), Museo Archeologico Comunale Anfora 00163170 Località sconosciuta
Villasimius (CA), Museo Archeologico Comunale Statua femminile 00162797 Villasimius (CA), ediicio termale di Santa Maria

489
490
Indice

Corpora delle Antichità della Sardegna. La Sardegna romana e altomedievale. 7


Storia e materiali
Giuseppe Dessena

Il progetto Corpora 8
Filippo Maria Gambari

Dall’indagine conoscitiva sui beni culturali ai Corpora 9


Roberta Sanna, Anna Maria Musu

Prefazione. Il Corpus romano e altomedievale 11


Francesco Atzeni

1. La Sardegna romana 15

La Sardegna al centro del Mediterraneo 17


Attilio Mastino

La Sardegna e il mare 33
Rubens D’Oriano

Le città della Sardegna in età romana 45


Jacopo Bonetto, Andrea Raffaele Ghiotto

Città e territorio, vici, pagi, stationes 57


Giampiero Pianu

Lo spazio del sacro tra devozione e ritualità 65


Maria Adele Ibba

La ceramica: importazioni e produzioni locali 73


Carlo Tronchetti

La decorazione architettonica in età romana 87


Donatella Salvi

La statuaria e la scultura decorativa 93


Simonetta Angiolillo

La coroplastica votiva della Sardegna romana 109


Romina Carboni

La scultura funeraria 119


Ciro Parodo

Il mosaico e la pittura 127


Simonetta Angiolillo

491
I beni suntuari 139
Marco Giuman, Romina Carboni

Turris Libisonis Colonia Iulia 149


Antonietta Boninu

2. Istituzioni ed epigraia della Sardegna romana e tardoantica 159

Il patrimonio epigraico della Sardegna romana. Caratteri generali 161


Raimondo Zucca

La Sardegna provincia romana: l’amministrazione 171


Attilio Mastino

Gli statuti municipali 185


Antonio Ibba

Quadro generale della viabilità romana in Sardegna 193


Marilena Sechi

Le truppe ausiliarie nella Sardegna romana del I secolo d.C. 199


Franco Porrà

L’onomastica della Sardegna romana dalla conquista al III secolo d.C. 207
Piergiorgio Floris

Sulci (Sant’Antioco) 215


Francesca Cenerini

I bambini e i rapporti familiari 225


Paola Ruggeri

Servi e liberti 233


Maria Bastiana Cocco

Culti e religiosità 241


Alberto Gavini

Ebrei in Sardegna: storia, siti e materiali 249


Marianna Piras

Il mondo cristiano: l’ecclesia docens e l’ecclesia discens 255


Antonio M. Corda

3. La Sardegna tardoantica e altomedievale 263

Le città in Sardegna fra tardoantico ed altomedioevo 265


Rossana Martorelli

La produzione ceramica: manifatture locali ed importazioni 279


Daniele Corda

La lavorazione del vetro 285


Maria Grazia Arru

492
L’artigianato metallico 291
Rossana Martorelli

I sarcofagi tardoantichi: produzione locale e importazione 297


Lucia Mura

La decorazione architettonica e l’arredo liturgico in marmo nelle chiese altomedievali 305


Roberto Coroneo

La suppellettile liturgica 315


Andrea Pala

La Sardegna romana e altomedievale. Catalogo 325

1. La Sardegna romana 327

2. Istituzioni ed epigraia della Sardegna romana e tardoantica 385

3. La Sardegna tardoantica e altomedievale 417

Bibliograia del catalogo 455

Apparati 465
Schede RA nel tracciato originale
Indice generale dei reperti compresi nel volume

493
Finito di stampare
nel mese di settembre 2017
presso Lito Terrazzi s.r.l.,
Loc. Cascine del Riccio, Firenze

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